Sei sulla pagina 1di 51

OCULISTICA

APPARATO VISIVO

La vista è uno dei nostri cinque sensi, la quale ci permette di percepire gli stimoli luminosi
e di conseguenza riconoscere le figure, i colori, le misure e la posizione degli oggetti.
L’organo deputato alla vista è l’occhio.

BULBO OCULARE

Il bulbo oculare o occhio è un organo al cui livello vi sono dei recettori che captano le
radiazioni luminose provenienti dal mondo esterno, per essere poi trasformate in
un’immagine dal cervello. È un organo pari, quindi in duplice unità ma, a differenza di
altri organi pari in cui uno può tranquillamente sopperire l’altro, solo assieme i due occhi
ci garantiscono una percezione visiva tridimensionale, capacità non esplicabile da un unico
occhio. Ha una forma all’incirca sferica, infatti il sesto anteriore (corrispondente alla
cornea) ha un raggio di curvatura leggermente differente rispetto ai cinque sesti posteriori
(corrispondenti alla sclera). Il bulbo oculare ha un asse antero-posteriore di circa 24-25
mm, misura molto importante che concorre a determinare la refrazione oculare. È
contenuto nell’orbita oculare ed è da questa protetto assieme alle palpebre, che coprono

1
OCULISTICA

interamente la superficie oculare quando sono chiuse. Sull’asse antero-posteriore del


bulbo oculare sono situate due lenti, cornea e cristallino, e una serie di strutture tutte
trasparenti: se così non fosse, la luce non potrebbe entrare all’interno dell’occhio.
Oltretutto, attraverso il potere di refrazione (esprime in diottrie la capacità di modificare
la direzione dei raggi di luce per formare un'immagine) delle lenti, i raggi luminosi
provenienti dall’infinito vengono conversi e diversi (part. pass. di convergere e
divergere) in un punto sulla retina detto fuoco o linea focale. In poche parole,
garantiscono la messa a fuoco facendo cadere l’immagine sempre sulla retina, laddove
troviamo proprio i fotorecettori.

limbus

La parete del bulbo è formata dalla sovrapposizione di tre tonache che, dall'esterno verso
l'interno, sono:

a. Tonaca esterna o fibrosa: è formata da tessuto connettivo, tranne che nella sua
parte anteriore. È costituita dalla:
➢ sclera, rappresenta i cinque sesti posteriori di tale tonaca, ha una funzione
meccanica di contenimento delle strutture più interne ed anche una
funzione di aggancio ai muscoli oculomotori. Si presenta bianca, compatta
e poco elastica nell’adulto. Nel bambino, essendo più elastica e sottile, ha
un colorito bluastro per la vascolarizzazione sottostante. Nell’anziano è
giallastra per degenerazione dei connettivi. Siccome nel bambino la sclera
è più elastica, può accadere che, in condizioni patologiche (es.
ipertensione intraoculare in glaucoma congenito), questa può sfiancare e
determinare buftalmo: gli occhi risultano grandi, sclera sottile e blu;
➢ cornea, è il sesto anteriore in continuità della sclera ed ha
un’importantissima funzione diottrica. È una lente che si presenta
trasparente, poiché è una struttura perfetta e regolare: è costituita
anteriormente da un epitelio, posteriormente da un endotelio, che la
mantiene asciutta e nel mezzo da uno stroma, formato da lamelle di
collagene parallele, perfettamente impilate. Ha un potere diottrico pari a

2
OCULISTICA

40-43 diottrie. Quando si verifica un trauma a carico dello stroma della


cornea, ci sarà un processo di cicatrizzazione che porterà alla ricostituzione
randomizzata delle lamelle di collagene; quindi si avrà un’opacizzazione che
interferisce con la visione, detta leucoma e la cornea si presenterà bianca.
La cornea è molto innervata, tant’è che un’abrasione corneale è fortemente
dolorosa. È priva di vasi sanguigni: la sua sopravvivenza dipende dalle
lacrime, che apportano le sostanze nutrienti, dal limbus, che apporta
l’ossigeno cellulare e dall’umor acqueo. Il limbo o limbus è una zona
vascolarizzata di passaggio tra sclera e cornea. Nei casi patologici in cui la
cornea risulta vascolarizzata, questa perde la sua trasparenza;
b. Tonaca media o ùvea: ha soprattutto una funzione vascolare e di nutrimento.
Essendo l’occhio un organo di senso (praticamente è un’estensione del cervello)
ha un elevato metabolismo e quindi necessita un intenso apporto nutritizio. Prende
il nome di uvea per il colore violaceo/bluastro, determinato in parte dalla ricca
vascolarizzazione e in parte dalla melanina, un pigmento scuro. È composta da tre
porzioni in continuità tra loro:
➢ iride, porzione anteriore, è un disco circolare, piuttosto piatto e perforato
al centro dal foro o forame pupillare o semplicemente pupilla. Separa la
camera anteriore dalla camera posteriore dell'occhio. La camera anteriore
è delimitata dalla cornea e dalla faccia anteriore dell’iride, il cui spazio è
occupato dall’umor acqueo. La camera posteriore è occupata dal corpo vitreo
o umor vitreo, la parte più luminosa dell’occhio. È una gelatina trasparente,
estremamente densa nel bambino perché è formata da un perfetto reticolato
tridimensionale di fibrille di collagene sottilissime, al cui interno sono
intrappolati dei mucopolisaccaridi acidi; quando questi assumono una carica
negativa, si respingono tra di loro e mantengono in piedi il trabecolato.
Quando iniziano i fenomeni di senescenza, le fibrille di collagene si
interrompono, altre si fondono diventando più spesse, le maglie si allargano,
vi penetra più acqua e il vitreo si disgrega. Il motivo per cui, in condizioni
di normalità, non percepiamo alcun componente di queste strutture
trasparenti, è perché le fibrille di collagene hanno uno spessore inferiore al
potere di discriminazione di ciascun fotorecettore. L’aggregazione comporta
uno spessore superiore al potere di discriminazione, determinando la visione
di corpi mobili come fossero “mosche volanti”. L’iride è caratteristicamente
colorata poiché presenta un pigmento scuro, la melanina, che scarseggia in

3
OCULISTICA

iridi chiare (con maggiore sensibilità alla luce) ed abbonda in iridi scure.
Quasi tutti i neonati presentano un’iride chiara ma, nel corso dei primi mesi
di vita, acquisirà il patrimonio definitivo di melanina. È molto vascolarizzata.
La sua funzione è quella di regolare la quantità di luce che può entrare
nell’occhio. Dilatando la pupilla in scarsità di luce e restringendola in piena
luce, si evita l’abbagliamento: cecità temporanea (normalmente di alcuni
secondi) legata all’eccessivo esaurimento dei fotopigmenti contenuti nei
fotorecettori, a causa di una eccessiva e improvvisa esposizione alla luce;
➢ corpo ciliare, porzione
intermedia, ha una
struttura ad anello e in
sezione ha una forma
triangolare. Le sue
Muscolo ciliare

funzioni sono di
bloccare il cristallino in
sede, di accomodazione
visiva e di produrre
l’umor acqueo.
Dall’interno del corpo
ciliare dipartono delle
fibrille che mantengono il cristallino nella sua sede naturale. Il complesso
di fibrille prende il nome di zonula o apparato zonulare di Zinn. Quando
queste fibrille diventano patologicamente lasse, si ha lussazione del
cristallino. Il cristallino (organo a sé stante interno al bulbo oculare che
non fa parte di alcuna tonaca) è una lente biconvessa trasparente con potere
diottrico di circa 16-19 diottrie, che può essere aumentato durante
l’accomodazione. Con l’avanzare dell’età va
incontro a un fisiologico cambiamento della sua
trasparenza, le proteine che lo compongono
diventano insolubili e precipitano. Tale processo di
opacizzazione prende il nome di cataratta. Altra
struttura del corpo ciliare è il muscolo ciliare: alla
sua contrazione, la zonula si distende, il cristallino
diventa più globoso e consente di mettere a fuoco da

4
OCULISTICA

vicino (accomodazione visiva) poiché aumenta il suo potere diottrico.


Negli adulti, superati i 40 anni, l’accomodazione si riduce fisiologicamente,
manifestandosi come una difficoltà visiva da vicino, la presbiopia, poiché il
muscolo ciliare diventa meno efficiente e il cristallino meno elastico. L’umor
acqueo è un liquido salino trasparente, che bagna l’occhio ed ha le funzioni
di nutrire la cornea e il cristallino e di contribuire alla pressione
intraoculare. Deve essere tanto continuamente prodotto, quanto
continuamente smaltito. La pressione intraoculare, pertanto, è il risultato
del processo bilanciato tra produzione e riassorbimento dell’umor acqueo,
normalmente di 17 mmHg ±3 mmHg. Tutto ciò che altera tale bilancio,
porterà ad un aumento patologico della pressione e danno al nervo ottico,
correlato a difetti anatomici/genetici del sistema trabecolare di
riassorbimento nell’angolo irido-corneale. In tal caso si parla di glaucoma:
patologia cronica caratterizzata dall'aumento della pressione endoculare;
➢ coroide, porzione posteriore e più estesa dell’uvea, la cui funzione è
squisitamente di vascolarizzazione e di nutrizione della retina. È delimitata
dal corpo ciliare per mezzo dell’ora serrata, la quale funge da punto di
contatto tra la coroide e i due foglietti retinici;
c. Tonaca interna o tonaca nervosa o retina: è una membrana di origine nervosa
sottilissima e trasparentissima, che si estende dal punto di entrata del nervo ottico,
cioè la papilla ottica o disco ottico, fino al margine dell'iride. Esternamente è in
rapporto con la coroide e
internamente con l’umor vitreo. È
la componente fondamentale per
la visione, essendo composta da
uno strato di fotorecettori
(neuroni specializzati).
Distinguiamo 2 regioni:
➢ polo posteriore, zona della visione distinta, la più morbida dell’occhio,
compresa tra le arcate vascolari temporali. È composto dalla macula dal
diametro di circa 5-6 mm, al cui centro troviamo la fovea, regione di massima
sensibilità di tutta la retina;
➢ polo periferico, zona che si approssima sempre più fino all’iride e con una
funzione visiva sempre meno importante.

5
OCULISTICA

La retina è costituita da due foglietti:


➢ epitelio pigmentato, queste cellule
epiteliali hanno contatto con la coroide:
mediano il nutrimento alla parte nervosa
della retina, smaltiscono i cataboliti dei
recettori della retina e contengono la
melanina;
➢ lamina di fotorecettori, vi troviamo i
fotorecettori (bastoncelli e coni),
neuroni che vengono impressionati dalla
luce. Si articolano alle cellule bipolari
(neuroni), le quali si articolano
ulteriormente con le cellule gangliari o
ganglionari (neuroni). A livello della
sclera, posteriormente, i fasci di fibre
che la costituiscono si intrecciano nel
foro d'uscita del nervo ottico formando
la lamina cribrosa della sclera: risulta
essere forellata, quindi permette il
passaggio degli assoni delle cellule
gangliari e questi a tale livello
acquisiscono la guaina mielinica,
formando il nervo ottico.
Questo continuerà per un certo tratto
nell’orbita, poi decorre nell’encefalo,
raggiunge il chiasma, si diparte nel tratto
ottico e giungerà, mediante la radiazione ottica, al livello della corteccia
visiva: porzione posteriore dell’encefalo corrispondente all’area 17 di
Brodmann, superiormente ed inferiormente alla scissura calcarìna del lobo
occipitale (tutte ciò costituisce le vie ottiche). Problemi a livello dei
fotorecettori, delle cellule bipolari o delle cellule gangliari si traducono in
un danno alla funzione visiva. Vi sono patologie demielinizzanti che
colpiscono la mielina, es. la sclerosi multipla: infatti i primi sintomi di tale
patologia sono proprio visivi, spesso mal definibili, non esattamente una
riduzione della vista. All’esame oftalmoscopico queste demielinizzazioni non

6
OCULISTICA

sono neanche visibili ma solo alla RMN. Pertanto, tali sintomi sono
estremamente utili per giungere ad una diagnosi precoce.

Ricorda!
- La papilla ottica è anteriormente ricoperta dai soli assoni delle cellule gangliari
e dai vasi sanguigni centrali, non ci sono epitelio pigmentato, fotorecettori e
cellule bipolari, quindi è il punto cieco o macchia cieca di Mariotte della retina.
- La lamina cribrosa non è retina ma sclera, oltre la lamina cribrosa non è retina
ma nervo ottico.
? Cos’è il diottro oculare? Insieme delle lenti dell’occhio:
cornea (~40-43 diottrie) + cristallino (~16-19 diottrie) = ~60 diottrie

7
OCULISTICA

ORBITA OCULARE

L’orbita oculare è una cavità ossea cranica di forma conica,


profonda circa 4 cm che contiene, oltre che il bulbo oculare,
anche muscoli, nervi, vasi sanguigni e grasso. Tutti assieme
ma soprattutto quest’ultimo, creano un ambiente altamente
protettivo per l’occhio, in modo tale che non subisca, entro
certi limiti, rilevanti traumi.

La sua funzione pertanto è di contenimento e protezione meccanica del bulbo oculare.

L’infossamento del bulbo oculare è detto enoftalmo, che può essere dovuto a una riduzione
del volume del corpo adiposo orbitario, condizione spesso presente in anziani emaciati,
ma anche da varie patologie. Esiste anche una condizione contraria e sempre patologica,
per cui il contenuto dell’orbita aumenta e il bulbo viene protruso oltre la rima palpebrale,
quindi verso l’esterno: parleremo pertanto di esoftalmo bilaterale o monolaterale a
seconda che siano coinvolti uno o entrambi gli occhi. In base alla direzione di protrusione
del bulbo distinguiamo l’esoftalmo in:

• diretto, quando l’occhio viene semplicemente spinto dritto in avanti;


• indiretto, quando l’occhio viene spinto anche verso l’alto, il basso o verso i lati;

L’esoftalmo può essere frequentemente dovuto a una disfunzione tiroidea, in particolare


il morbo di Basedow-Graves (patologia autoimmune che predilige le donne ed è la più
comune causa di ipertiroidismo) è spesso associato ad un esoftalmo bilaterale. Inoltre,
può essere dovuto ad un occhio più grande, come nel caso di miopia elevata. Nel caso di
esoftalmo monolaterale, il sospetto cade su una causa neoplastica, dato che nell’orbita
troviamo tessuti di ogni genere ed altamente vascolarizzati.

La diagnosi di patologie che affliggono l’orbita si avvale di tecniche di imaging quali TAC
e RMN.

Ricorda!
- Enoftalmo ed esoftalmo sono condizioni sicuramente utili per orientarsi nella
diagnosi;
- È sempre bene studiare l’occhio nel suo complesso ai fini diagnostici.

8
OCULISTICA

ANNESSI OCULARI

Gli annessi oculari sono delle strutture accessorie e quindi non indispensabili al processo
visivo, ma tuttavia necessarie alla motilità, alla protezione e alla lubrificazione
dell’occhio. Essi sono: le sopracciglia, le palpebre, la congiuntiva, l'apparato lacrimale e
i muscoli oculomotori.

1. SOPRACCIGLIA

Le sopracciglia sono due rilievi muscolo-cutanei delle palpebre provvisti di peli. Nei secoli
addietro, quando l’arco sopraccigliare era più sporgente e folto, avevano una maggiore
funzione protettiva per il bulbo oculare da parte di grossolani corpi estranei. Oggi ha una
funzione meramente estetica.

2. PALPEBRE

Le palpebre sono due veli muscolo-


membranosi mobili che chiudono in
avanti l’orbita e che distinguiamo in
palpebra superiore e palpebra
inferiore. Quando sono aperte,
delimitano uno spazio chiamato rima
palpebrale, che deve avere delle
dimensioni ben precise per non
costituire un problema per la vista:
circa 10 mm in verticale (l’apertura più
importante) e circa 30 mm in
orizzontale. In una rima palpebrale
corretta, la palpebra inferiore lascia
completamente scoperta l’iride mentre
la palpebra superiore la ricopre per
circa 1-2 mm.

9
OCULISTICA

La struttura della palpebra è molto complessa ed è


costituita da:

• lamella anteriore, formata da cute e muscolo.


Quest’ultimo è detto muscolo orbicolare delle palpebre,
che ha la funzione di chiusura;
• lamella posteriore, che da spessore alla palpebra,
perché formata da una spessa lamina fibrosa, detta tarso
e da una lamina mucosa, detta congiuntiva.

Infine, sul margine libero delle palpebre si hanno gli


orifizi di sbocco delle ciglia e il punto lacrimale.

La chiusura delle sopracciglia può essere sia un


movimento volontario che un riflesso, cioè una rapida
risposta motoria involontaria pre-programmata ad uno
stimolo, senza che il cervello cosciente intervenga.
Quando questo movimento involontario assolve ad una
funzione protettiva, allora parleremo di riflesso di ammiccamento: le palpebre si
chiuderanno istintivamente (ammiccamento) all’avvicinarsi di un oggetto, al fine di
impedire una possibile lesione. È un meccanismo alquanto efficace per piccoli corpi
estranei (es. insetto).

Altre funzioni della palpebra sono:

• protezione dalla luce eccessiva e dagli agenti atmosferici, come la polvere;


• rigenerazione dei fotopigmenti;
• distribuzione del film lacrimale;
• pulizia della superficie oculare.

Quando si ha un cedimento completo o parziale della palpebra superiore verso il forame


pupillare, parleremo di ptosi palpebrale. In alcune patologie, ci sono tutta una serie di
alterazioni in cui l’ammiccamento si riduce e c’è una iperalterazione delle lamine, prima
ancora dell’esoftalmo. Queste alterazioni concorrono a determinare, nel caso
dell’ipertiroidismo, la facies (l'aspetto e l'espressione del viso caratteristici di certe
patologie) ipertiroidea, caratterizzata da uno sguardo fisso e sbarrato.

10
OCULISTICA

3. CONGIUNTIVA

La congiuntiva è una membrana mucosa riccamente vascolarizzata che riveste non solo
internamente le palpebre (congiuntiva tarsale) ma anche parte della superficie oculare,
arrestandosi nel limbus (congiuntiva bulbare). La parte di congiuntiva che riveste il tarso
si riflette sul bulbo oculare creando un fondo cieco, chiamato fornice congiuntivale.
Inoltre, contiene un sistema di ghiandole lacrimali accessorie.

La funzione importante della congiuntiva è di garantire un movimento fluido del bulbo


oculare, in quanto è una superficie di scivolamento.

Purtroppo, è molto sensibile ad agenti irritanti ed infettivi (batterici e virali) che possono
dar origine a una patologia infiammatoria detta congiuntivite.

4. APPARATO LACRIMALE

L’apparato lacrimale è composto dalle:

• ghiandole lacrimali, preposte alla secrezione costante (circa 0,02-0,03 ml/min) del
film lacrimale o lacrime. Si distinguono in:
➢ ghiandola lacrimale principale, posizionata nell’angolo supero-esterno;

11
OCULISTICA

➢ ghiandole lacrimali accessorie, collocate nella congiuntiva e nel tarso, in


particolare a livello del fornice congiuntivale. Soprattutto queste concorrono
alla produzione delle lacrime.
• vie lacrimali di deflusso, che hanno il compito di convogliare le lacrime nel meato
nasale inferiore e sono composte da:
➢ punti lacrimali inferiore e superiore, a livello dei margini liberi delle
palpebre;
➢ canalicoli lacrimali inferiore e superiore, che corrono nello spessore delle
palpebre;
➢ canalicolo lacrimale comune;
➢ sacco lacrimale;
➢ dotto naso-lacrimale, che continua nelle ossa nasali;
➢ orifizio del dotto naso-lacrimale.

Il film lacrimale o lacrima è composto da tre strati:

• strato mucoso, il più interno, che permette l’adesione alla superficie oculare;
• strato acquoso, intermedio, composto oltre che da elettroliti anche da alcuni acidi
organici, aminoacidi e proteine, aventi funzioni antibatteriche, di nutrimento della
cornea (che ricordiamo non essere vascolarizzata), di detersione della superficie
del bulbo dalle cellule epiteliali desquamate e dalle impurità dell’aria e riduce gli
attriti dei movimenti oculari;
• strato lipidico, il più esterno, che impedisce l’eccessiva evaporazione delle lacrime.

Quando il film lacrimale è instabile ed evapora troppo velocemente, si può arrivare ad


un’estrema secchezza dell’occhio e la cornea può addirittura opacizzare o ulcerare.

Nei bambini, aldilà dei casi patologici nell’adulto, il dotto naso-lacrimale è chiuso da una
membrana che si perfora fisiologicamente alla nascita. Può capitare che ciò non avvenga,
causando la dacriocistite neonatale: tumefazione a livello della proiezione del sacco
lacrimale infiammato e lacrimazione continua, a volte purulenta, detta epifora. In tal caso
si effettua il sondaggio delle vie lacrimali, con un sondino filiforme smussato si penetra
nelle vie lacrimali attraverso il puntino lacrimale, fino a forare la membrana ostruttiva.
Ovviamente il lattante è sotto sedazione perché la manovra è dolorosa.

La ghiandola lacrimale principale può essere sede di alcune patologie neoplastiche, quali
i linfomi, che possono determinare uno spostamento del bulbo oculare verso l’esterno
(esoftalmo).

12
OCULISTICA

5. MUSCOLI OCULOMOTORI

I muscoli oculomotori servono ai movimenti dell’occhio, nascono più o meno verso il fondo
dell’orbita e si inseriscono sulla sclera. Quattro sono detti muscoli retti (retto inferiore,
retto interno o mediale e retto esterno o laterale), altri due sono muscoli obliqui
(superiore e inferiore). È bene ricordare che i muscoli funzionano in coppia, pertanto
nell’occhio destro alla contrazione del retto esterno, si ha il rilasciamento del retto
interno mentre nell’occhio controlaterale si deve contrarre il retto interno e rilasciare il
retto esterno.

Le posizioni di sguardo sono nove:

• primaria, verso l’infinito, dritto in avanti;


• secondarie, in alto, in basso, a sinistra, a destra;
• terziarie, in alto a sinistra e a destra, in basso a sinistra e a destra.

Quando il paziente viene visitato, bisogna valutare tutte le posizioni di sguardo per
accertarsi che il movimento dei muscoli oculari sia sincrono.

Se i muscoli non si muovono tutti nella stessa direzione, si possono


manifestare problemi come la diplopia (percezione doppia di
un'immagine verticalmente e/o orizzontalmente), esempio in caso di
strabismo paralitico: deviazione oculare che cambia nelle varie
posizioni di sguardo ed è massima nel campo d’azione del muscolo
paralizzato. Nell’immagine si ha paralisi del retto esterno sinistro.

Ricorda!
• I muscoli pellicciai sono i muscoli facciali che non hanno inserzioni tendinee e
sono tutti innervati dal nervo facciale.

13
OCULISTICA

FISIOLOGIA DELLA VISIONE

La visione è una reazione fotochimica, ciò vuol dire che è una reazione chimica innescata
dalla luce, la quale interagisce con i pigmenti visivi o fotopigmenti situati nel segmento
esterno dei fotorecettori. I fotorecettori si
distinguono in:

• coni, localizzati solo nella macula, circa 6


milioni. Sono altamente specializzati, preposti
alla visione diurna e dei colori;
• bastoncelli, si trovano al di fuori della macula,
quindi occupano tutto il resto della retina, circa
120 milioni. Sono preposti alla visione
crepuscolare, ovvero in scala di grigi.

Il fotopigmento è costituito da una parte proteica e un’altra funzionalmente diversa tra


coni e bastoncelli. Per i coni sono presenti delle proteine per ciascun colore
fondamentale:

• eritropsina, rosso;
• cloropsina, verde;
• cianopsina, blu.

Per i bastoncelli la proteina che permette la visione in bianco e nero è la rodopsina.

Al buio la pupilla si dilata completamente,


consentendo a tutta la retina di essere
investita dall’immagine, quindi anche i
bastoncelli sono interessati e in tal modo
la visione sarà in bianco e nero. Alla luce,
invece, sono interessati i coni,
consentendo una visione distinta e a
colori, pertanto: lo stimolo luminoso
determina il rilascio di fotopigmenti, i
quali a loro volta determinano lo
spostamento di cariche elettriche, che,
viaggiando lungo la via ottica, arrivano
alla corteccia cerebrale al livello della
scissura calcarina, dove l’immagine viene

14
OCULISTICA

percepita per quello che è e rielaborata. Durante tutto il processo l’immagine viaggia
rimpicciolita e rovesciata. Il processo dell’elaborazione dell’immagine è un processo
corticale.

Quando si ha abbagliamento, situazione in cui si ha il totale consumo dei fotopigmenti


temporaneo, i fotopigmenti si devono rigenerare attraverso due strade, una più lunga e
una più breve, distinte in base al tempo. Per accelerare questo processo di rigenerazione,
si sfrutta una condizione di buio estemporanea determinata proprio dall’ammiccamento.

15
OCULISTICA

VIZI DI REFRAZIONE

L'acutezza visiva o acuità visiva o visus è la capacità di differenziazione dei dettagli fini
di un oggetto. Normalmente è misurata attraverso le tavole optometriche in decimi ma
anche in ventesimi o sessantesimi. Alcune tavole optometriche presentano un undicesimo
decimo, richiesto esclusivamente per capacità particolari.

Un occhio è detto emmetrope, quando ha una


visione normale di 10/10 (dieci decimi): i raggi
provenienti da distanza infinita vengono messi a
fuoco sulla retina in condizioni di refrazione
statica, ovvero di massima accomodazione
negativa. Negativa perché l’accomodazione è un
processo che permette di vedere da vicino; se
l’occhio dovesse accomodare da lontano, allora
c’è un problema, poiché il punto focale viene
spostato più vicino all’occhio. Per ottenere una perfetta condizione di emmetropia, ci
deve essere correlazione tra gli attori della visione: mezzi diottrici e lunghezza assiale.
I mezzi diottrici sono così chiamati perché hanno la capacità di refrazione sulla radiazione
luminosa. Quando il potere complessivo di questi risulta essere eccessivo o ridotto rispetto
alla lunghezza anatomica del bulbo oculare, si realizzano le ametropie, cioè dei vizi di
refrazione in cui le radiazioni provenienti dall’infinito non sono messe a fuoco sulla retina
o almeno non completamente. Queste possono essere distinte in:

• statiche:
➢ miopia;
➢ ipermetropia;
➢ astigmatismo.
• dinamiche:
➢ presbiopia.

L'anisometropia è la condizione in cui i poteri di rifrazione di ciascuno dei due occhi si


differenziano per più di 3 diottrie. Es. un occhio è emmetrope e l'altro miope di -3.00
diottrie; oppure un occhio miope di -2.50 diottrie e l’altro ipermetrope di +2.00.
L’anisometropia porta alla produzione di due immagini occipitali di diversa grandezza,
pertanto il soggetto non è capace di avere una singola visione. Nel bambino, nel tentare
di sopperire, il cervello rinuncia alla tridimensionalità della visione per mantenere almeno
una più importante vista bidimensionale perfetta, rendendo dominante l'occhio migliore

16
OCULISTICA

dal punto di vista organico e funzionale e sopprimendo la visione dell’altro occhio. Ciò
porta ad una condizione patologica detta amblopia o occhio pigro. La compensazione
dell’anisometropia può avvenire attraverso lenti aniseconiche che modificano le
dimensioni delle immagini, facilitandone la fusione a livello occipitale.

MIOPIA

La miopia è un vizio di refrazione, congenito o acquisito, nel quale


i raggi luminosi, provenienti da distanza infinita, sono messi a
fuoco anteriormente rispetto la retina. Pertanto, comporta una
visione sfocata da lontano ed in genere una visione normale da
vicino. Tanto più alto è il difetto, tanto maggiori saranno le
diottrie del diottro oculare. Le cause possono essere:

• eccessiva lunghezza del bulbo oculare, nella maggior parte


dei casi;
• sistema diottrico troppo convergente, il potere diottrico
oculare è eccessivo rispetto alla lunghezza del bulbo, realizzando così un'immagine
sfocata;
• aumento dell’indice di refrazione del cristallino, caratteristico delle cataratte. Il
cristallino, invece di essere trasparente, si opacizza, causando un aumento
dell’indice di refrazione del cristallino e determinando la miopia da indice.

La miopia è classificata in:

• lieve, fino a -3.00 diottrie;


• media, da -3.00 fino a -6.00 diottrie;
• elevata o patologica o degenerativa, oltre le -6.00 diottrie, in genere associata ad
altri tipi di alterazioni a carattere oculistico e non (es. albinismo). È la più
pericolosa per le complicanze a cui si associa: l’eccessivo allungamento del bulbo
oculare determina nella macula aree di atrofia, di tessuto fibrotico e di emorragia,
che portano ad un grave deficit permanente del visus senza recupero. Un esempio
è la corioretinosi miopica, distrofia tipica di un fondo oculare o fundus oculi miopico
nella quale si possono avere:
➢ degenerazioni centrali, atrofia della papilla ottica;
➢ degenerazioni periferiche, la coroide risulta interessata da trazioni e
assottigliamenti e la retina, per rimanervi attaccata, si distende,

17
OCULISTICA

assottigliandosi anch’essa. Tali assottigliamenti si amplificano sul versante


periferico della retina, già di per sé più sottile, portando alla comparsa di
degenerazioni retiniche regmatogene, le più frequenti, e non regmatogene.
Le prime predispongono alla formazione di fori o rotture in periferia,
attraverso i quali può verificarsi il passaggio di liquido vitreale allo spazio
sottoretinico e quindi portare a distacco di retina. Quelle non regmatogene,
invece, sono benigne in quanto non portano a rottura retinica e, nemmeno,
al distacco di retina.

La miopia è soggetta ad una naturale progressione nel tempo, pertanto i controlli della
refrazione dovrebbero essere effettuati con frequenza ogni 6-12 mesi. Per correggerla è
necessaria una lente sferica negativa o divergente o concava, capace di divergere le
radiazioni luminose e metterle a fuoco sulla retina.

IPERMETROPIA

L’ipermetropia è un vizio di refrazione nel quale i raggi


luminosi, provenienti da distanza infinita, vengono fatti
convergere in maniera insufficiente, portando il fuoco
posteriormente alla retina: il risultato è comunque una visione
sfocata. Il soggetto ipermetrope, per vedere da lontano,
sfrutterà l’accomodazione, la quale non riesce a compensare
bene: si avverte una visione sfuocata sia da lontano, sia
soprattutto da vicino, oltre che un perenne senso di pesantezza
agli occhi, dovuto allo sforzo costante della vista. Tanto più
alto è il difetto, tanto inferiori saranno le diottrie del diottro.

Le cause sono esattamente l’opposto della miopia:

• sistema diottrico poco convergente, nella maggior parte dei casi;


• diametro antero-posteriore inferiore alla norma, condizione patologica nell’adulto
ma fisiologica nel bambino, nel quale è da correggere solo e soltanto quando
associata ad una riduzione della vista oppure ad esotropia, strabismo determinato
dalla deviazione verso l'interno di uno od entrambi gli occhi. Se il bambino dovesse
presentare una normale lunghezza del bulbo, molto probabilmente in età adulta sarà
miope;
• diminuzione dell’indice di refrazione del cristallino.

18
OCULISTICA

L’ipermetropia può essere distinta in:

• latente, quando l’occhio riesce a compensare accomodando;


• manifesta, quando l’accomodazione non è sufficiente a garantire una visione
ottimale.

È soggetta ad un aumento costante nei primi 6/7 anni e potrebbe addirittura regredire.
Però se non viene corretta da opportune lenti sferiche positive o convesse o convergenti,
si rischia di sviluppare uno strabismo convergente (deviazione verso l’interno).

L’afachia è una malattia oculistica piuttosto rara che comporta l’assenza del cristallino,
causando un’ipermetropia di circa +12.00/16.00 diottrie. Può avere origine:

• congenita;
• post-chirurgica, in caso di intervento chirurgico su cataratta senza posizionamento
di una lente intraoculare (protesi);
• traumatica, determinando lussazione in camera vitrea o prolasso a seguito di estesa
ferita perforante.

ASTIGMATISMO

Premessa: si immagini la cornea come una calotta sferica


trasparente attraversata da tanti meridiani, la scala che si
utilizza in ottica va da 0° a 180°. L’astigmatismo è un vizio
di refrazione nel quale non si forma un unico fuoco ma due
linee focali di un unico oggetto. Ciò è dovuto ad
un’alterazione della curvatura della cornea, nella maggior
parte dei casi, e del cristallino, che comporta un potere di
refrazione differente nei vari meridiani, sia nel meridiano
orizzontale che nel meridiano verticale, a volte anche tra i meridiani obliqui. Quindi uno
dei due meridiani creerà il fuoco di un oggetto, il meridiano opposto creerà ancora un
altro fuoco dello stesso oggetto.

L’astigmatismo può essere suddiviso in due categorie principali:

• regolare, nel quale si ha stessa curvatura lungo tutto il meridiano e il meridiano


più curvo e quello più piatto sono ortogonali fra loro;
• irregolare, nel quale si ha una curvatura che cambia notevolmente lungo uno
stesso meridiano e il meridiano più curvo e quello più piatto non sono ortogonali

19
OCULISTICA

fra loro. Questo comporta una grossa complicazione a livello correttivo ed


impedisce una perfetta compensazione con l’occhiale.

Vi sono differenti tipi di classificazione dell’astigmatismo in base a differenti criteri:

1. A seconda della posizione dei due fuochi rispetto alla retina si può avere:
• miopico, in cui almeno uno dei fuochi cade davanti la retina. Si classifica
ulteriormente in:
➢ semplice, quando una linea focale cade sulla retina e l’altra davanti ad
essa;
➢ composto, quando entrambe le linee focali cadono davanti la retina;
• ipermetropico, in cui almeno uno dei fuochi cade dietro la retina, si classifica
ulteriormente in:
➢ semplice, quando una linea focale cade sulla retina e l’altra dietro ad
essa;
➢ composto, quando entrambe le linee focali cadono dietro la retina;
• misto, (né miopico, né ipermetropico) in cui una linea focale cade davanti la
retina mentre l’altra dietro;
2. A seconda dell'orientamento del meridiano corneale si può avere:
• diretto o secondo regola, forma di
astigmatismo più diffusa, nel quale il
meridiano più curvo è tra quelli verticali
(compresi tra 60° e 120°);
• indiretto o contro regola, nel quale il
meridiano più curvo è tra quelli orizzontali
(compresi tra 0-30° e 150°-180°);
• obliquo, nel quale il meridiano più curvo è tra
quelli obliqui (compreso tra 60° e 30°, 120°-150°).

La valutazione si avvale della topografia corneale e dell’oftalmometria.

L’astigmatismo è corretto mediante lenti cilindriche o toriche, così chiamate perché la


miopia va sotto il nome di sfera, l’astigmatismo sotto il nome di cilindro. In prescrizione
deve essere indicato anche l’asse, cioè come la lente deve essere orientata per correggere
il difetto sui meridiani principali (più curvo e più piatto).

20
OCULISTICA

PRESBIOPIA

La presbiopia è una condizione nella quale vi è una


riduzione fisiologica della capacità di accomodazione
del cristallino, che porta ad un’incapacità di focalizzare
correttamente da vicino. Infatti, dopo i 40 anni vi può
essere riduzione della plasticità del cristallino e/o della
funzionalità del muscolo ciliare; nella maggior parte dei
casi queste due condizioni si associano. Come l’ipermetropia viene corretta sempre con
lenti sferiche positive, difatti il soggetto ipermetrope nota in maniera più accentuata
l’instaurarsi della presbiopia.

Ricorda!
• La diottria è l’unità di misura del potere di refrazione (tanto del bulbo, tanto di
cornea, cristallino, lente intraoculare, lente degli occhiali), quindi lo misura in
una scala numerica. Mai dire che “all’occhio mancano le diottrie”! Rischio
bocciatura.
• Nei bambini fino ai 10 anni di età c’è uno strabismo fisiologico di circa 0.50° che
non necessita di correzione.
• Non confondere i decimi con le diottrie, sono unità di misura diverse e slegate.
Esempi: un ipermetrope medio avrà necessità di +3 diottrie per vedere i 10/10,
mentre un miope grave di -18 diottrie, seppur perfettamente corretto,
difficilmente raggiungerà i 10/10 per la sua intrinseca debolezza retinica.
• Per l’assistente della docente il primo mezzo diottrico è il film lacrimale, a
seguire cornea, umor acqueo, cristallino e umor vitreo. Fate vobis.
• Astigmatismo: se non è chiaro il meccanismo per cui ciascun meridiano crea un
fuoco diverso, si cerchi conoide di Sturm, anche solo le immagini aiutano. Non è
stato spiegato o menzionato, quindi evitare di nominarlo all’esame!

21
OCULISTICA

SEMEIOTICA

Le strutture suscettibili di approfondimento sono gli annessi oculari, il segmento anteriore,


il cristallino, il segmento posteriore e le vie ottiche.

MIDRIASI FARMACOLOGICA

La midrìasi è la condizione fisiologica di dilatazione della pupilla in assenza di luce. La


miòsi è, invece, il processo opposto alla midriasi, cioè la riduzione del diametro pupillare.
La midriasi può essere indotta farmacologicamente con sostanze midriàtiche e deve
essere:

1. Rapida;
2. Massimale;
3. Transitoria;
4. Resistente alla forte illuminazione impiegata.
I farmaci impiegati sono:

• Tropicamide 5 mg/ml, induce midriasi e cicloplegia, ovvero paralisi del muscolo


ciliare;
• Ciclopentolato 10 mg/ml, induce midriasi e cicloplegia.
• Fenilefrina 100 mg/ml, spesso usata in sinergia con tropicamide, nel caso in cui
quest’ultima non sia sufficiente.
Prima di tali farmaci è usata l’oxibuprocaina (o benoxinato), anestetico locale, per
diminuire lacrimazione e disagio.

Effetti collaterali dei midriatici (rari per le dosi impiegate):

• Tropicamide, disturbi comportamentali, collasso cardiorespiratorio;


• Ciclopentolato, disorientamento, anomalie comportamentali, reazioni psicotiche,
turbe del linguaggio, allucinazioni, collasso cardiocircolatorio;
• Fenilefrina, crisi ipertensive in pazienti ipertesi, aritmie cardiache, retrazione
palpebra superiore, accidenti cerebrovascolari.

22
OCULISTICA

ESAME DELL’ACUITÀ VISIVA

L’esame dell’acuità visiva si avvale di tavole optometriche ed è capace di quantificare


l’acuità visiva. Sicuramente è di fondamentale importanza ed è il primo esame a cui si
sottopone il paziente ma rimane pur sempre un esame soggettivo, quindi il paziente
potrebbe fingere. Le tavole optometriche rappresentano:

• lettere;
• numeri;
• E di Snellen, utili per bambini e analfabeti ma anche per risolvere dubbi su risposte
alquanto gravi del paziente. Pertanto si chiede al paziente di indicare la direzione
delle punte della E;
• C o anelli di Landolt, si chiede al paziente di indicare la direzione dell’interruzione
degli anelli;
• figure e simboli, utili per i bambini.

LAMPADA A FESSURA

La lampada a fessura o biomicroscopio è un microscopio che


viene utilizzato direttamente sul paziente per l'ispezione
del bulbo oculare e degli annessi oculari. Tale esame non
invasivo è il secondo step della visita: al paziente viene
richiesto di poggiare il mento sul supporto in prossimità
dell’obiettivo e mediante una serie di oculari (lenti) si
ottiene un’immagine molto ingrandita dell’occhio. Si
ispezionano prima gli annessi oculari per vedere se vi sono
lesioni dermatologiche, herpes, calazi (cisti), blefarite, ovvero un’infiammazione del
margine libero della palpebra. Aumentando il potere d’ingrandimento si valuta in senso

23
OCULISTICA

antero-posteriore il segmento anteriore del bulbo: film lacrimale, congiuntiva, sclera,


cornea, camera anteriore dell’occhio, iride. Inoltre, sono testati i riflessi pupillari, perché
aumentando e diminuendo il fascio di luce, la pupilla dovrebbe rispettivamente restringersi
e dilatarsi. Tali riflessi consentono di valutare le funzioni sensitive e motorie dell’occhio,
le loro anormalità sono indice non solo di patologie oculari ma anche di interesse
neurologico. Dopo il forame pupillare è possibile analizzare le strutture posteriori
mediante il collirio midriàtico, che causa midrìasi, ovvero la dilatazione della pupilla.
Però è possibile vedere solo il cristallino con il potere di ingrandimento della lampada a
fessura, per il resto (vitreo, retina e nervo ottico) sono richieste lenti di ausilio ad alto
potere di ingrandimento.

OFTALMOMETRIA

L’oftalmometria è un esame non invasivo che permette di


misurare la curvatura della superficie esterna della cornea,
mediante l'oftalmometro, o cheratometro, strumento
diagnostico molto simile visivamente alla lampada a fessura
ma funzionalmente diverso. Esistono diversi tipi di
oftalmometro ma si basano tutti sullo stesso principio: si
utilizzano delle mire luminose di colori complementari
(rosso-verde nel caso di oftalmometro di Javal-Schiotz) e interrotte sul piano orizzontale
centrale da una linea scura, chiamata linea di fede. A seconda di come vengono riflesse
dalla superficie corneale, le mire sono misurate nei due meridiani perpendicolari con
indice di refrazione maggiore, ottenendo quindi la misurazione della curvatura della
cornea. È utile per determinare il tipo e l’entità di astigmatismo ma anche per fare
diagnosi di cheratocono: patologia degenerativa che
porta ad una progressiva deformazione ed alterazione
strutturale della cornea, tale da assumere la
caratteristica forma a cono, dal vertice assottigliato e
poco trasparente. In genere si manifesta con un
astigmatismo, solitamente irregolare miopico. In tale
patologia le mire all’oftalmometro risulteranno
irregolari, cioè non si accavalleranno nei diversi
meridiani.

24
OCULISTICA

TOPOGRAFIA CORNEALE

La topografia corneale è un esame non invasivo che permette di determinare con estrema
precisione la forma e la curvatura della cornea in ogni suo punto. Si avvale di uno
strumento chiamato topografo corneale che proietta una
serie di mire concentriche ad anello, ne rileva il riflesso
e, mediante un software di elaborazione, genererà la
mappa topografica della cornea: utilizzata per studiare
tutto ciò che la interessa. Ormai diffusissima, si avvia a
sostituire l’oftalmometria; infatti, sotto tutti i punti di
vista, le differenze sono a sfavore di quest’ultima, che
analizza correttamente solo il 6-7% dell’intera superficie corneale e non sono comprese
le zone periferiche e centrale. Anche la topografia è utile per determinare entità e tipo
di astigmatismo e per la diagnosi di cheratocono. Inoltre, la è propedeutica alle procedure
chirurgiche al laser, poiché il trattamento deve essere personalizzato e quindi diverso nei
vari punti della cornea. Fra i trattamenti per la chirurgia refrattiva al laser abbiamo la
PRK, la PTK e la LASIK. Alcuni topografi fungono anche da pachimetro.

SCHIASCOPIA

La schiascopìa è un esame non invasivo utile per


determinare in modo oggettivo il vizio di refrazione, quindi
per valutare la veridicità del dato soggettivo del paziente
durante l’esame dell’acuità visiva. Si effettua mediante
uno schiàscopo: questo proietta un raggio luminoso che,
spostato con piccoli movimenti laterali o verticali, proietta
un riflesso nel foro pupillare:

• se il riflesso si sposta nella stessa direzione della


luce, il soggetto è ipermetrope;
• se si muove in senso contrario, è miope;
• se la pupilla si oscura completamente, il soggetto
è emmetrope.

In seguito a questa osservazione, si frappongono delle lenti o delle stecche da schiascopia


(con graduazione diversa in ogni quadratino) tra la fonte luminosa e l’occhio; continuando

25
OCULISTICA

con il movimento dello schiascopo, si arriverà alla emmetropia con oscuramento uniforme
della pupilla. In questo modo si determina grosso modo l’entità del vizio di refrazione.

BIOMICROSCOPIA ENDOTELIALE

La biomicroscopia endoteliale, non invasiva, si effettua con biomicroscopio endoteliale,


che consente di visualizzare le cellule dell’endotelio corneale, per studiarne in vivo:

• forma, devono essere esagonali;


• dimensioni;
• variabilità;
• densità, 3200 cell/mm² in un soggetto giovane;
• vitalità.

OFTALMOSCOPIA

L’oftalmoscopia è un esame utile a studiare l’umore vitreo, il fundus oculi e il nervo


ottico. Si avvale di un collirio midriatico, di una radiazione luminosa e di una lente ad
elevato potere di ingrandimento. Si distingue in oftalmoscopia:

• diretta, esame non invasivo svolto mediante


oftalmoscopio diretto autoilluminato, strumento compatto
e portatile dotato di lenti interne e griglia esterna con
cui variare il potere d’ingrandimento; ovviamente non raggiungerà mai quello di
altre metodiche e soprattutto ha un’area di osservazione piccola. Con la propria
fonte luminosa, permette di visualizzare direttamente le strutture della sola retina.
• indiretta, esame eseguito con oftalmoscopio indiretto,
comunemente detto caschetto, che prevede l'interposizione di una
lente convessa tra osservatore e paziente. L'immagine che si
ottiene è capovolta e speculare. Può essere monoculare, senza
tridimensionalità, o binoculare, con tridimensionalità e collegabile
a strumenti e monitor;
• biomicroscopica, eseguita alla lampada a fessura, ha un elevato potere
d’ingrandimento mediante l’ausilio di ulteriori lenti. Consente di studiare tutte le
strutture del segmento posteriore del bulbo con ampia area di osservazione, anche

26
OCULISTICA

del polo retinico periferico. Inoltre, venendo eseguito binocularmente, dà un’idea


di tridimensionalità delle strutture. Può essere eseguita:
o senza lente a contatto;
o con lente a contatto o gonioscopia
alla lampada a fessura, esame
invasivo che si avvale di una
goniolente, particolare lente a
specchi o prismi, da posizionare sul
bulbo; pertanto si necessita
anestesia topica e gel lubrificante. Tale goniolente può avere
una semplice funzione di ingrandimento o varie funzioni come
nella goniolente di Goldmann: dotata di una lente di
ingrandimento (1) per ispezionare la zona centrale della retina
e nelle zone periferiche tre specchi che, a seconda della loro
forma e inclinazione, riflettono strutture quali la zona
periferica della retina (2), l’ora serrata (3) e l’angolo irido-
corneale (4). Può essere ruotata sul proprio asse per
un’ispezione a 360°. Pertanto, questo è l’esame fondamentale
per l’ispezione dell’angolo irido-corneale, in caso di glaucoma
secondario ad ostruzione delle vie di deflusso (gonioscopia di
Goldmann alla lampada a fessura). Spesso e volentieri, per
vedere l’estrema periferia della retina, ora serrata compresa, è necessaria
un’ulteriore manovra chiamata indentazione sclerale. Attraverso un
indentatore o depressore sclerale si spinge la sclera verso l’interno,
rendendo visibile la retina attraverso il forame pupillare.

27
OCULISTICA

TONOMETRIA

La tonometria è un esame invasivo che misura i valori di tensione oculare e quindi,


indirettamente, del tono oculare, cioè la pressione endoculare. Si avvale di uno strumento,
detto tonometro, che valuta:

• le deformazioni corneali che si verificano sotto l’effetto di una determinata


forza di peso. In tal caso si parla di tonometria ad indentazione, oggi poco
usata, e il dispositivo più comune che utilizza questo principio è il
tonometro di Schiötz;
• la forza necessaria per appianare una superficie nota di cornea. In tal caso si parla
di tonometria ad applanazione. Si hanno vari dispositivi:
➢ Tonometro di Goldmann: considerato il gold standard, è un
accessorio per la lampada a fessura. Si instilla negli occhi un
anestetico topico sottoforma di collirio (oxibuprocaina, riduce
anche la lacrimazione) e si usa un colorante/filtro, poi la sonda
può essere messa a contatto con la cornea. La forza applicata
da quest’ultima viene regolata tramite una manopola, fino a
quando i bordi interni di due mire a forma di semicerchi verdi
si sovrappongono.
➢ Tonometro di Perkins: maggiormente utilizzato, con
stesso funzionamento del tonometro di Goldmann ma
compatto e portatile.

Siccome tali strumenti non fanno nient’altro che misurare la resistenza che il bulbo oppone
ad una pressione esterna, il valore di tale resistenza può essere influenzato da diversi
fattori, tra cui lo spessore della cornea. Sebbene non sia un fattore negativo, spesso ci
si trova di fronte a un occhio con cornea più spessa del normale, che può dare un valore
di tono oculare più alto di quello reale. In maniera contraria, una cornea più sottile della
norma può dare una pressione più bassa. È necessario ottenere un
valore reale, poiché tale esame è utile nella diagnosi del glaucoma.
Perciò alla tonometria è necessario affiancare la pachimetria
corneale: esame che misura lo spessore reale della cornea. Mediante
una curva si valuta la reale pressione in base ai diversi spessori
corneali.

28
OCULISTICA

TOMOGRAFIA A COERENZA OTTICA

La tomografia a coerenza ottica o OCT è un esame non invasivo


che consente lo studio in vivo degli strati cellulari e delle fibre
nervose retiniche attraverso il tomografo a coerenza ottica: una
fascio luminoso investe la retina, in parte viene assorbito e in
parte viene riflesso dagli strati retinici. Un fotorilevatore
confronta il tempo di propagazione della luce riflessa dalla
retina e di quella riflessa dallo specchio di Michelson (interno al
macchinario), posto a distanza nota. A seguito di una
conversione dei valori numeri in una scala cromatica, si ottiene
l’immagine OCT della sezione di retina esaminata. Gli ultimi
modelli sono in grado di contraddistinguere tutti i 10 strati
retinici. L’esame fornisce informazioni riguardo la forma e la
reflettività delle strutture retiniche e dà le stesse indicazioni che
ci darebbe un esame istologico. Ovviamente i limiti di tale esame
sono legati all’eventuale opacità dei mezzi diottrici e alla scarsa collaborazione del
paziente.

L’OCT è indicata in caso di patologie:

• retiniche, specie della regione della macula: es. fori (fig.1) e pseudofori maculari,
edema maculare diabetico (fig. 2);
• dell’interfaccia vitreoretinica, es. pucker maculare (fig.3 alterazione dell'umor
vitreo che determina formazione di tessuto fibroso-cicatriziale in corrispondenza
della macula);
• a carico del nervo ottico, es. escavazione papillare (fig.4).

Figura 1 Figura 2

Figura 3 Figura 4

29
OCULISTICA

FLUORANGIOGRAFIA

La fluorangiografia è un esame invasivo utile nello studio di retina e


coroide. Si esegue al fluorangiografo: si inietta in vena antecubitale
anteriore (la cefalica) un colorante, 3-4 cc di fluoresceina sodica al
20% (anche con verde indocianina, l’esame si chiamerà angiografia al
verde indocianina) e si aspetta un tempo di circa 12-14 secondi, detto
tempo braccio-retina, affinché il colorante possa raggiungere i vasi
retinici. Prima si impregna la coroide, successivamente il circolo
retinico. Vengono poi acquisite delle immagini del fondo oculare in
rapida successione, circa 1-2 fotogrammi al secondo. Quindi si osservano il nervo ottico,
la retina e si percepisce la macula dalla FAZ (fovea avascular zone, ossia zona avascolare
foveale, interna alla fovea). Le eventuali alterazioni sono dovute, nella maggior parte dei
casi, a problemi vascolari (es. a causa di diabete) e si distinguono facilmente attraverso
condizioni di:

• iperfluorescenza, per perdite dai vasi secondariamente a diabete, per maggiore


acquisizione del colorante secondariamente ad angioma retinico;
• ipofluorescenze, dovute a distacco di retina, a zone dove non arriva il colorante
secondariamente ad ischemia oppure a zone in cui non è possibile visualizzare il
colorante secondariamente a melanoma, che limita la visualizzazione sottostante.

RETINA SANA

1° FASE ARTERIOSA 2° FASE ARTERO-VENOSA


3° FASE VENOSA 4° FASE TARDIVA

30
OCULISTICA

ESAME DEL CAMPO VISIVO

Il campo visivo è la porzione di spazio circostante percepibile in posizione di sguardo


primaria, dritto in avanti. È proiettato invertito e capovolto sulla retina: si ricordi che
all’interno di quest’ultima vi è un punto cieco, determinato dalla papilla ottica posta
medialmente e cranialmente. Osservando l’immagine sottostante con l’occhio destro,
coprire l'occhio sinistro, porsi ad una distanza di circa 30 cm dall’immagine, e fissare
con l'occhio destro la freccia.

Muovendo avanti e indietro la testa, si nota che il pallino a destra scompare e riappare
alternativamente. Idealmente, si potrebbe pensare che ciò non dovrebbe accadere, poiché
il punto cieco dell’occhio destro, trovandosi verso il naso, non dovrebbe far scomparire
il pallino. Nella realtà ma anche nella
teoria, l’immagine viene invertita e
capovolta sulla retina, facendo capitare il
pallino proprio sulla papilla ottica.
Funziona anche inversamente con il pallino.
Il perché il pallino scompare, anziché avere
un buco nero nel campo ottico, è da cercare
in un meccanismo di compensazione del
cervello:

• se solo l’occhio destro è aperto, usa informazioni provenienti dalle zone


immediatamente circostanti (sfondo bianco);
• se si apre anche l’occhio sinistro, questo fornisce al cervello informazioni sul
pallino mancanti dall’occhio destro, anche se non molto dettagliate.

I limiti estremi del campo visivo monoculare in posizione


di sguardo primaria sono:

• superiore, 60°;
• inferiore, 75;

31
OCULISTICA

• temporale, 95°;
• nasale, 60°;
• macchia cieca di Mariotte, corrispondente alla papilla ottica.

Il campo visivo può presentare aree di cecità, parziale


o totale, dovute a varie alterazioni: si parla allora di
scotoma, caratterizzato da una zona cieca, attorno alla
quale la percezione visiva è generalmente buona; può
presentarsi tanto in periferia, quanto al centro del
campo. In base a come è percepito dal soggetto, è
classificabile in scotoma:

• relativo, quando la percezione luminosa è ridotta;


• assoluto, quando la percezione luminosa è assente;
• positivo, quando è percepita una macchia nera. È dovuto ad una patologia retinica;
• negativo, quando è non percepita. Ciò è dovuto ad una patologia delle vie ottiche
retrobulbari.

L’esame del campo visivo o perimetria standard, non invasivo,


studia la sensibilità retinica alla luce, in tutti i suoi punti. È
eseguito mediante perimetro oftalmico: al paziente viene richiesto
di poggiare mento e fronte su un supporto in una cupola dotata di
punti luce, i quali si accendono alternativamente, e di mantenere
la posizione di sguardo primaria. Il paziente premerà il pulsante
di un joystick ogni qual volta percepirà un punto luce accendersi,
forte o debole che sia. Naturalmente il paziente può fingere, nella
valutazione dell’esame infatti sono presi in considerazione gli
indici di attendibilità: perdite di fissazione, falsi positivi e falsi
negativi. Conclusa l'acquisizione dei dati, il perimetro oftalmico
fornisce la rappresentazione grafica del campo visivo mediante dei
punti, i quali mettono in evidenza i difetti della visione centrale e
periferica. Unendo tra loro tutti i punti della retina aventi la
stessa sensibilità, è possibile tracciare linee chiuse dette isoptere.
Il punto luce non rilevato alla massima sensibilità (luce più
debole), evidenzia uno scotoma. Se relativo, si evidenzia con un
punto grigio, se assoluto, si evidenzia con un punto nero (dovuto
a degenerazione maculare o tessuto cicatriziale) o con una più

32
OCULISTICA

vasta area nera: siccome il campo visivo si divide in quadranti,


avremo quadrantopsia, perdita di campo visivo in un quadrante ed
emianopsia, perdita di metà del campo visivo. In genere, entrambe
queste condizioni, sono segno di patologie delle vie ottiche.

L’esame del campo visivo è indicato in caso di patologie:

• del nervo ottico, es. neurotticopatia glaucomatosa, neurotticopatie su base


vascolare e infiammatoria;
• retiniche, in genere distrofiche, es. distacco di retina, retinite pigmentosa, che
causa una perdita di campo visivo perifierico, restringendosi in una visione a
cannocchiale;
• neurologiche, es. lesioni occupanti spazio.

ESOFTALMOMETRIA

L’esoftalmometria è un esame capace di valutare il grado PALPEBRA

dell’esoftalmo, mediante l’esoftalmometro di Hertel: strumento


graduato che viene posizionato sulle tempie, in grado di
misurare la distanza tra il margine orbitario esterno (osso), che
corrisponde all’inserzione del setto palpebrale, e il vertice
corneale. Maggiore sarà questa distanza, maggiore sarà
l’esoftalmo.

ESAME DEL SENSO CROMATICO

L’esame del senso cromatico, non invasivo, valuta la capacità


discriminativa dei colori del soggetto mediante apposite tavole pseudo-
isocromatiche, tra cui le più famose sono le tavole di Ishihara: sono
costituite da una matrice di punti di grandezza, colore e contrato
cromatico variabili, nella quale è occultato un numero o un percorso da
seguire con il dito. Queste figure sono facilmente riconoscibili dai
soggetti con normale percezione cromatica, mentre non sono
percettibili, alcune o tutte, da soggetti incapaci a percepire i colori, in
parte o del tutto: si parla pertanto di daltonismo o discromatopsia.

33
OCULISTICA

ECOGRAFIA

L’ecografia o ecotomografia, esame non invasivo che permette lo studio delle strutture
anatomiche del bulbo e dell’orbita mediante gli ultrasuoni e pertanto si distingue in:

• ecografia bulbare, esplora le strutture interne dell’occhio (corpo vitreo, cristallino,


retina, ecc.);
• ecografia orbitaria, esplora i tessuti presenti nella cavità orbitaria (muscoli
extraoculari, grasso orbitario).

Inoltre, in base alla metodologia d’esame, distinguiamo in:

• A-Scan standardizzata, è monodimensionale, gli echi sono rappresentati su un


tracciato lineare e, a seconda del picco registrato, si distingue il tipo di struttura
che attraversano. Si utilizza una sonda a 8 Mhz con fascio non focalizzato;
• B-Scan a contatto, è bidimensionale, si ha una visualizzazione diretta delle strutture
sotto forma di punti luminosi in scala di grigi, la cui luminosità è proporzionale
all’ampiezza degli echi rappresentati.

Si esegue una ETG in caso di:

• lesioni traumatiche, anche con sospetto corpo estraneo endobulbare o retrobulbare;


• lesioni membranose, es. distacco retinico, distacco coroideo;
• intorbidimenti vitreali,
• diagnosi e follow up di neoformazioni, es. melanoma della coroide.

Ricorda!
In riferimento alla vista, sono sempre state usate le parole tridimensionale o
tridimensionalità, per non confondere con i vari termini tecnici di ciascun argomento.
Però i termini scientifici sono rispettivamente (visione) stereoscopica e (la) stereoscopia
o stereopsi.

34
OCULISTICA

PATOLOGIA

PALPEBRE

1. PTOSI PALPEBRALE E AMBLOPIA

La ptosi palpebrale o blefaroptosi è l'abbassamento di una


o di entrambe le palpebre superiori. Tale condizione può
essere:

• acquisita, si manifesta soprattutto a carico


dell’anziano;
• congenita, problema piuttosto serio in età
pediatrica. Quando la palpebra copre in parte o
totalmente il forame pupillare, impedisce ai raggi luminosi di penetrare nel bulbo
oculare, pregiudicando lo sviluppo della funzione visiva. Quest’ultima non è
completamente definita alla nascita, è una funzione che si sviluppa assieme alla via
ottica. Fino ad una certa età le strutture della via ottica godono di una certa
plasticità, poiché non sono completamente formate. Se congenitamente si dovesse
manifestare ptosi palpebrale monolaterale, il neonato svilupperà durante la crescita
una riduzione della funzione visiva, proporzionale all’entità del difetto della via
ottica, che prende il nome di amblopia.

L’amblopia o occhio pigro è un indebolimento della vista in un


occhio, dovuto a un disuso nel corso dello sviluppo visivo e
neuronale, che colpisce soggetti in età pediatrica. Affinché il
cervello riesca a realizzare un’unica visione, deve ricevere e
sovrapporre esclusivamente immagini tra loro simili. Nel caso in cui
dovessero arrivare due immagini molto dissimili al cervello, questo
sopprimerà la visione dell’occhio peggiore dal punto di vista
organico e funzionale, rinunciando per giunta alla stereopsi.
L’amblopia è tanto più probabile, quanto la situazione è asimmetrica (monolaterale).
Perciò è causata da qualsiasi condizione in grado di sconvolgere il normale sviluppo
visivo:

• ptosi palpebrale monolaterale;


• anisometropia;

35
OCULISTICA

• strabismo;
• cataratta monolaterale.

Nel caso in cui tutti e due gli occhi dovessero avere un visus di 1/10, si ha più tempo per
intervenire perché gli occhi generano immagini tra loro simili. Ma se un occhio dovesse
avere un visus di 1/10 e l’altro di 10/10, bisogna subito mettere in atto interventi mirati
a rimuovere la causa:

• anisometropia, correzione del difetto diottrico con occhiali;


• cataratta monolaterale, asportazione del cristallino con impianto di lente
intraoculare.

Altro intervento è la riabilitazione, attraverso la quale si costringe il cervello ad usare


l’occhio debole. È questo il caso del bendaggio dell’occhio dominante nel bambino.
Intervenendo in età adulta con riabilitazione, non si otterranno risultati poiché non si
sono sviluppate adeguatamente le vie ottiche e quindi l’occhio rimarrà ambilope per tutta
la vita.

Ecco perché in età neonatale bisogna subito riconoscere e trattare tali difetti, dopo 6 anni
la condizione diventa irreversibile. Nonostante l’occhio possa essere apparentemente
sano, tutti i bambini in età prescolare dovrebbero effettuare una visita oculistica.

Ricorda!
L’ambliopia è una patologia prettamente pediatrica, non può mai manifestarsi in età
adulta perché le vie ottiche sono ormai ben sviluppate e il cervello non può più ignorare
l'immagine proveniente dall'occhio debole. In tali soggetti si ha visione doppia.

36
OCULISTICA

2. ENTROPION, ECTROPION E LAGOFTALMO PARALITICO

L’entropion è l’anomalo orientamento verso l’interno del margine


palpebrale inferiore. Pertanto, ad ogni ammiccamento, le ciglia
andranno a sfregare contro la cornea, la quale è altamente
innervata, determinando una condizione estremamente dolorosa.
A lungo andare può causare opacità ed erosioni corneali, che
possono poi portare ad ulcerazioni. L’ulcera corneale può
infettarsi, determinare ascessi e perforazioni.

Il trattamento è prettamente chirurgico: sicuramente non può avvenire in regime di


urgenza\emergenza. Si usa momentaneamente una medicazione antibiotica, possibilmente
in unguento, per proteggere la superficie corneale. Al più presto si fissa l’intervento
chirurgico.

L’ectropion è l’esatto opposto, è l’anomalo orientamento verso


l’esterno del margine palpebrale inferiore. Non chiudendosi
l’occhio, la cornea rimane costantemente esposta, il film
lacrimale evapora più velocemente determinando una serie di
complicanze: secchezza, opacità ed erosioni corneali, che
evolvono in ulcere, ascessi e perforazioni.

Anche in questo caso la terapia è chirurgica e in attesa bisogna


proteggere la cornea. Può essere causato anche da ustioni, in questo caso si ha una
retrazione legata alla cicatrice dell’ustione, quadro complesso che si risolve mediante
intervento chirurgico con innesto di cute.

Il lagoftalmo paralitico è una condizione


caratterizzata dall'impossibilità di chiudere
completamente una o entrambe le palpebre. La
causa è da ricercare in una paralisi del nervo
facciale, che innerva tutti i muscoli pellicciai (o
mimici). Particolare è la paralisi a frigore, tipica
del soggetto che viaggia con il finestrino abbassato di sera in qualsiasi stagione: si ha
edema del nervo facciale, paresi o paralisi, a seconda dell’entità, con deviazione della
rima buccale e impossibilità a chiudere la palpebra inferiore omolaterale. Pertanto,
l’occhio non risulterà protetto, il film lacrimale evaporerà eccessivamente e si avranno le
stesse complicanza dell’ectropion.

37
OCULISTICA

3. ORZAIOLO E CALAZIO

L’orzaiolo e il calazio sono due blefariti


(infiammazioni dei margini liberi della
palpebra) molto frequenti: il primo solitamente
è un follicolo ciliare infetto. Il calazio è una
cisti, data dall’infiammazione di una ghiandola
sebacea, che ne causa l’ingrossamento.

Per entrambi, la maggior parte delle volte, risulta necessaria la sola applicazione di
impacchi caldi. Altrimenti:

• l’orzaiolo, rispetto al calazio, ha la caratteristica di essere sempre centrato su una


ciglia, basta che questa venga rimossa e nell’orifizio del poro pilifero si vede far
capolino una punta di pus;
• il calazio a volte è controllabile mediante una terapia combinata con corticosteroidi
e antibiotici per via topica (colliri). Se dovessero scomparire i segni di
infiammazione e se il calazio dovesse permanere, si rende necessario inciderlo ed
escissionarlo chirurgicamente.

4. HERPES SIMPLEX E ZOSTER

Sia l’herpes simplex che l’herpes zoster possono coinvolgere le palpebre, tanto quante
altre parti del corpo. Molto più importante è l’herpes zoster, che si manifesta soprattutto
in soggetti immunodepressi: si diagnostica clinicamente senza alcun dubbio, poiché la
distribuzione delle eruzioni cutanee segue il decorso della branca oftalmica del nervo
trigemino. A volte questi herpesviridae possono interessare anche la cornea.

38
OCULISTICA

5. NEOPLASIE

Le palpebre possono essere sede di tumori della cute, i quali sono frequenti nei soggetti
anziani ma soprattutto nei soggetti esposti a lungo alla luce solare e quindi ai raggi UV:
ad esempio, i contadini sono spesso soggetti ad ipercheratosi, aumento
eccessivo dello strato epiteliale della cute, o a forme di precancerosi,
fino ad arrivare a forme tumorali franche, come l’epitelioma baso-
cellulare e l’epitelioma spino-cellulalre. Sono neoplasie a bassa
malignità sistemica ma hanno elevata malignità locale, quindi invadono
le strutture sottostanti. In alcune situazioni possono infiltrare la
congiuntiva, la sclera, la cornea, fino a svuotare completamente la
cavità orbitale, con i relativi problemi visivi, estetici e relazionali. Si
caratterizzano per:

• aspetto nodulare;
• localizzazione più frequentemente a livello del terzo interno
della palpebra;
• possibile pigmentazione, ponendo un problema di diagnosi
differenziale con il nevo (facilmente confondibili).

La terapia è ovviamente chirurgica: se si riesce a far diagnosi precoce,


si asporta la massa in maniera integrale con margine di sicurezza,
evitando pericolose recidive. Poi l’esame istologico darà conferma.

Nei bambini sono molto frequenti gli angiomi (tumori benigni da proliferazione
dell'endotelio o dell'epitelio di vasi sanguigni o linfatici). Gli angiomi delle palpebre sono
spesso delle patologie che tendono a migliorare nel tempo. Anche quando sono piccoli
possono creare problemi: nel caso in cui interessi la palpebra
superiore, può determinare una ptosi meccanica. In tal caso non
si può aspettare che la lesione regredisca in maniera spontanea,
bisogna intervenire sclerosandola (causarne la sclerosi) o
mediante intervento chirurgico.

6. PATOLOGIE TRAUMATICHE

In caso di trauma con lesioni palpebrali, bisogna sempre valutare le vie lacrimali. Quando
si suturano tali lesioni, non si sta trattando una ferita cutanea qualunque, si deve porre
particolare attenzione perché bisogna preservare le funzioni della palpebra.

39
OCULISTICA

CONGIUNTIVA

1. CONGIUNTIVITE

La congiuntivite è un’infiammazione che, nelle forme più limitate, può interessare la


porzione bulbare della congiuntiva, in tal caso si parla di congiuntivite bulbare, oppure la
porzione tarsale e si avrà congiuntivite tarsale. In altre forme sono generalmente estese
a tutta la congiuntiva. A seconda del decorso è classificabile in acuta, subacuta e cronica.
Il sintomo tipico della congiuntivite è la fotofobia. In relazione alla causa
dell'infiammazione, si classifica in:

• infettiva, è importante distinguerla perché bisogna evitare il contagio, spesso


causato dal professionista sanitario stesso. È bene ricordare che non bisogna mai e
poi mai bendare il soggetto, altrimenti si favorisce il ristagno di pus e la
proliferazione degli agenti patogeni. È ulteriormente distinguibile in:
➢ batterica, nel caso in cui vi è formazione mucopurulenta o
pus e che, seccando, al risveglio può impedire agli occhi di
aprirsi. Proprio per tale caratteristica risulta più facilmente
diagnosticabile. La terapia prevede la somministrazione di
antibiotico ad uso topico;
➢ virale, è più subdola perché provoca iperemia congiuntivale
(aumento del flusso sanguigno alla congiuntiva) ed
eccessiva secrezione acquosa non purulenta, pertanto
potrebbe confondersi con altre congiuntiviti. In tale forma di congiuntivite
non vi è una terapia specifica, al massimo si possono somministrare
corticosteroidi topici. Inoltre, si tende a dare anche l’antibiotico, al fine di
evitare che alcuni commensali come lo stafilococco epidermidis, normalmente
presente sulla cute e nel sacco congiuntivale, possano proliferare;
• allergica, particolare è la congiuntivite primaverile:
interessa prevalentemente la congiuntiva tarsale nel
bambino ed è caratterizzata da papille “a ciottolato
romano”. Queste vanno a sfregare continuamente la
cornea, causando un intenso dolore e si possono
manifestare tutta una serie di lesioni a livello corneale. Ormai non è più tanto
stagionale ed oltretutto è diventata ubiquitaria (si manifesta a qualsiasi età). In
genere sono autolimitanti in pubertà e la terapia prevede antistaminici e
corticosteroidi topici. In alcuni casi, si può arrivare alla escissione delle papille.

40
OCULISTICA

2. NEOPLASIE

Ancora una volta, i tumori che affliggono la palpebra sono dovuti


all’eccessiva esposizione ai raggi UV e sono particolarmente
diffusi tra i pescatori. Molto subdolo è il carcinoma
congiuntivale, ha malignità locale e, dato il basso spessore delle
strutture che interessa, tende ad invadere l’occhio. Nel caso di
melanoma della congiuntiva la diagnosi è prettamente istologica.

CORNEA

1. CHERATOCONO E LEUCOMA

Il cheratocono è una rara patologia degenerativa della


cornea che porta ad una sua progressiva deformazione. Può
colpire uno o, nella maggior parte dei casi, entrambi gli
occhi ed interessa particolarmente gli adolescenti di circa
16-18 anni, pertanto non è congenita. In tal caso la cornea
presenta una certa debolezza, si assottiglia nella parte
centrale, si sfianca nella parte apicale; determina
inizialmente astigmatismo regolare, che poi diventa irregolare e non si riesce più a
correggerlo con occhiali o lenti a contatto. L’apice si può assottigliare a tal punto da
determinare una lesione e una opacizzazione della cornea. Arrivati a tal punto, l’unico
percorso terapeutico percorribile prevede il trapianto della cornea.

L’opacizzazione corneale, altrimenti detta


leucoma, è l’esito di qualunque processo
infiammatorio che abbia interessato lo stroma
corneale. Ne consegue una cicatrice e la cornea
si presenterà bianca ed opaca, interferendo sulla
funzione visiva. I leucomi possono distinguersi in
base alla densità, alla grandezza ed alla
posizione. Esistono anche leucomi vascolarizzati,
di solito sono secondari a patologie infiammatorie prolungate; in tal caso i vasi tendono
ad invadere lo stroma corneale e a vascolarizzare la cornea. Dal punto di vista visivo un
leucoma molto denso e periferico non suscita particolare interesse, è possibile lasciarlo

41
OCULISTICA

lì dov’è, mentre un leucoma centrale ha sempre un forte impatto. In tal caso si procede
al trapianto di cornea.

Si parla di cheratoplastica quando ci si riferisce all’intervento chirurgico di sostituzione


della cornea, sito privilegiato per il trapianto perché, non essendo vascolarizzato, esprime
meno antigeni rispetto ad un organo vascolarizzato. Tant’è che la cornea è considerata
un tessuto, non un organo e può essere prelevata anche dopo la morte. Chiunque può
donare la cornea, non vi sono limiti d’età, gli unici impedimenti, in via precauzionale,
sono alcune malattie trasmissibili, come HIV/AIDS, HCV, ecc. È possibile prelevarla anche
in pazienti deceduti per malattia metastatica, perché a livello dell’humor acqueo e della
cornea non arrivano cellule tumorali. La cornea viene prelevata con intorno una porzione
di sclera e viene immersa nel liquido di conservazione. Oggi esistono degli istituti, vere
e proprie banche di lembi corneali, dove vengono inviate, analizzate e conservate tutte le
cornee prelevate, per poi essere smistate ai centri che ne fanno richiesta. Ciò ha risolto
l’enorme divario riguardo la diffusione e l’adesione alla cultura della donazione nelle
varie località italiane. L’azienda ospedaliera che necessita di un lembo corneale specifico,
contatta la banca e riceve la cornea, alla quale sicuramente corrisponde un pagamento
proporzionato ai costi di tutto il processo di presa in carico del lembo, personale
compreso. Generalmente si tende a trapiantare cornee di soggetti coetanei. Per fissare il
lembo trapiantato, si esegue una suturazione lungo tutto il margine corneale a 360° e nel
post-operatorio si somministrano corticosteroidi che fungono da
immunosoppressori. Le suture sono mantenute per circa un anno,
al fine di far aderire correttamente il lembo e, successivamente
alla loro rimozione, permane ovviamente un leucoma circolare
dovuto alla cicatrizzazione. Se la cornea dovesse essere
rigettata, si opacizza; le possibili cause sono da ricercare in:

• infezione mediata da ferri chirurgici non opportunamente sterilizzati o ad una


precedente infezione mal curata, che aveva portato proprio alla cheratoplastica.
Es. cheratite erpetica mal curata → cheratoplastica → abbassamento delle difese
immunitarie, dovuto alla somministrazione di corticosteroidi → herpesviridae
recidivante → infezione → rigetto;
• leucomi vascolarizzati, in tal caso la cornea ha esattamente le stesse possibilità di
rigetto di un altro organo e si dovrà procedere ad un secondo trapianto, previa
tipizzazione.

42
OCULISTICA

2. PATOLOGIE TRAUMATICHE

La causticazione corneale è una situazione tragica per l’occhio,


la calce è ancor più pericolosa degli acidi, perché i suoi effetti
sono duraturi nel tempo. All’accesso in pronto soccorso del
soggetto, bisogna immediatamente lavare abbondantemente
l’occhio.

CRISTALLINO

1. CATARATTA

La cataratta è la patologia più frequente che affligge il cristallino, di cui ne costituisce


l’opacizzazione. Questa è mediata dall’insolubilità delle proteine costituenti, che tendono
a precipitare. In base all’età d’insorgenza, è classificabile in cataratta:

• acquisita, correlata alla senescenza, a terapie (es. corticosteroidi) o radiazioni


ionizzanti (es. raggi X);
• congenita, correlata a componente genetica o a patologie infettive a trasmissione
materno-fetale (durante la gravidanza) tra cui le ToRCH, di cui fanno parte il
Toxoplasma, la Rosolia (queste due le maggiori cause di cataratta nel feto se
contratte più avanti nella gravidanza), il CMV e l’Herpes simplex o anche l’HPV.

La sintomatologia include sicuramente una riduzione della vista, che nelle forme senili
risulta progressiva, perché la senescenza è un processo lento, mentre nelle forme
traumatiche è totale. Nel caso in cui la cataratta si lussi, si può determinare un quadro
clinico in cui le proteine costituenti fuoriescono dalla capsula che le avvolge, dando
anafilassi. La diagnosi avviene mediante esame alla lampada a fessura; nel bambino è
tipico un riflesso pupillare bianco, detto leucocoria,
dovuto a cataratta congenita o retinoblastoma. Infatti, è
facilmente riscontrabile anche attraverso una semplice
fotografia con flash, dalla quale si può notare un occhio
rosso e l’altro bianco, se non entrambi bianchi. Il
trattamento è prettamente chirurgico: un tempo si aspettava che la cataratta “maturasse”,
che diventasse totale, per procedere con l’escissione; attualmente si procede quando il
paziente inizia ad avere un visus di 4-5/10. Si ricordi che la cataratta congenita
monolaterale deve essere immediatamente operata.

43
OCULISTICA

L’intervento di cataratta si effettua in anestesia locale topica


attraverso delle microincisioni di 2-2,5 mm:

a. si instillano delle sostanze viscoelastiche (es. acido


ialuronico), che mantengono gli spazi;
b. con un ago curvo si incide la capsula anteriore del
cristallino, in tal modo si accedere alle strutture più
interne, si mantiene intatto l’involucro e successivamente
vi si inserisce la lente intraoculare;
c. con una siringa di acqua si separa la corticale del
cristallino dal suo nucleo e quest’ultimo si fa girare;
d. mediante un facoemulsificatore, con sonda vibratile (non
è ad ultrasuoni), si scavano quattro solchi a croce nel
nucleo e con l’ausilio di due piccole spatoline si suddivide
il nucleo in quattro quadranti;
e. sempre con il facoemulsificatore viene frantumato il
cristallino quadrante per quadrante e nel contempo viene
aspirato;
f. mediante delle sonde, da un lato si infondono liquidi per
mantenere gli spazi, dall’altro si aspira la corticale, molto
meno dura;
g. attraverso degli iniettori, inseriti nelle stesse identiche
microincisioni, si introduce la lente intraoculare (non
piegata come si faceva prima mediante delle pinze);
h. infine, si aspirano le sostanze viscoelastiche, si suturano
le incisioni e il recupero del visus avviene in circa 2 giorni.

La complicanza maggiore di tale intervento è la rottura della capsula del cristallino: in


tal modo non si ha più supporto per la lente intraoculare e il vitreo, che è gelatinoso,
collassa nel segmento anteriore. Inoltre, a distanza di mesi o anni, alcune cellule del
cristallino possono proliferare dalla capsula che è stata lasciata, si può avere cataratta
secondaria (secondaria al primo intervento, non a patologia), cioè si opacizza la capsula
posteriore. A questo punto i residui vengono rimossi con laser. Precedentemente, quando
non veniva sostituito il cristallino, il paziente diventava afatico (senza cristallino) e quindi
era costretto a portare delle lenti molto spesse di circa 13 diottrie.

44
OCULISTICA

2. PATOLOGIE TRAUMATICHE

In caso di trauma contusivo (es. pugno), sclera e cornea possono pure


resistere ma il cristallino può spostarsi e andare in contro a lussazione
posteriore. Il prolasso del cristallino può avvenire in caso di estesa
ferita perforante.

UVEA

1. GLAUCOMA E BUFTALMO

Il glaucoma è una patologia che determina un danno cronico, progressivo ed irreversibile


a carico del nervo ottico. È caratterizzata da tre elementi:

a. aumento della pressione intraoculare, si ricordi che la pressione intraoculare è


determinata dal perfetto equilibrio tra produzione, a livello dei processi ciliari
del corpo ciliare, ed assorbimento, a livello del sistema trabecolare dell’angolo
irido-corneale, di umor acqueo. Normalmente la pressione intraoculare è di circa
17 mmHg ± 3 mmHg ma il livello pressorio patologico è alquanto variabile; in
alcuni soggetti a 16 mmHg vi è glaucoma, in altri a 20 mmHg non si hanno segni
e sintomi patologici. Un tempo era il parametro maggiormente considerato, oggi
è meno importante;
b. otticopatia, ovvero l’alterazione del nervo ottico, che riveste oggi un ruolo di
rilievo nella definizione di tale patologia. Si parla di glaucoma anche se il nervo
ottico si dovesse presentare sofferente ad una pressione di 16 mmHg;
c. alterazione del campo visivo, secondaria ovviamente ad otticopatia, che ha inizio
nelle parti periferiche per poi portarsi verso il centro, determinando un campo
visivo ridottissimo. Ciò vuol dire che il glaucoma è arrivato nella parte più
centrale del nervo ottico, dove sono contenute le fibre maculari. Il paziente può
anche veder bene ma è il campo visivo ad esser ridotto.

45
OCULISTICA

La papilla ottica di un soggetto glaucomatoso appare pallida e molto


escavata e si possono addirittura percepire i fori della lamina cribrosa,
perché gli assoni delle cellule ganglionari si degradano. Il fascio vascolare
si sposta e la rima neurale si riduce.

Il glaucoma può essere congenito, solitamente di tipo malformativo, o acquisito. La


produzione di umor acqueo è generalmente costante, infatti è molto difficile che si abbia
glaucoma per un suo eccesso. Il problema solitamente è dovuto ad un deficit del
riassorbimento, poiché l’angolo irido-corneale potrebbe esser chiuso, oppure il passaggio
attraverso le trabecole risulta più difficoltoso a causa di motivi costituzionali. Attraverso
la lente di Goldmann è possibile esplorare l’angolo irido-corneale e se ne può dedurre la
pervietà. È possibile distinguere in glaucoma:

• primitivo, ulteriormente classificabile:


➢ ad angolo aperto, è il più diffuso ed è molto subdolo, perché di solito è
completamente asintomatico. Si manifesta dopo i 40 anni, con un relativo
incremento della pressione intraoculare fino a 26/27 mmHg, che nel tempo
determina un danno a livello del nervo ottico. Solitamente la diagnosi è
incidentale, a seguito di visita oculistica per vizio di refrazione. Il trattamento
include colliri che agiscono riducendo la produzione dell’umor acqueo o
migliorando la capacità filtrativa;
➢ ad angolo chiuso, è determinato dall’eccessivo accollamento tra iride e cornea,
pertanto l’umor acqueo non riesce a raggiungere facilmente il sistema
trabecolare, si accumula in camera anteriore e la pressione intraoculare può

46
OCULISTICA

arrivare fino a 60 mmHg. Si manifesta improvvisamente dolore acuto, che si


accompagna spesso a segni neurovegetativi, quindi vomito, cefalea violenta, i
quali spesso inducono a pensare ad altro; inoltre la cornea diventa edematosa,
la camera anteriore diventa bassa, perché l’umor acqueo spinge l’iride verso la
cornea ed anche il cristallino si gonfia. È un attacco acuto di glaucoma, che
costituisce un’emergenza se la pressione dovesse aumentare oltre gli 80 mmHg,
cioè se dovesse risultare maggiore della pressione di perfusione dell’arteria
centrale della retina: questa si potrebbe chiudere, causando cecità totale
irreversibile. Proprio quest’ultima è una condizione piuttosto rara, che può
presentarsi in caso di trami, anche se molto transitorio, oppure in caso di scoppio
dell’airbag senza cintura di sicurezza. L’attacco acuto non si presenta
costantemente ogni giorno, perché è scatenato dalla midriasi: l’iride si affolla
maggiormente verso la cornea e l’angolo, già di per sé chiuso, si chiude
totalmente. È tipico nei soggetti che dopo pranzo si riposano e gli occhi vanno
incontro a midriasi oppure, in ambiente ospedaliero, è un tipico errore di
somministrazione di collirio midriatico. A tal proposito bisogna sempre chiedere
al paziente se dovesse soffrire di glaucoma ed accertarsene. In caso di attacco
acuto di glaucoma, si somministrano agenti osmotici, quindi mannitolo in bolo,
antipertensivi come l’acetazolamide in collirio e soprattutto farmaci miotici come
la pilocarpina in collirio. Si può intervenire anche mediante chirurgia;
• secondario, es. glaucoma neovascolare.

Nei bambini, a differenza dell’adulto, la sclera è più elastica ed entro certi limiti si
distende, diventa più sottile e, lasciando trasparire l’uvea che è ricca di vasi sanguigni e
melanina, assume un colorito bluastro. La cornea e tutto l’occhio si presentano più grandi
e si determina il quadro clinico di buftalmo. In tal caso c’è un’importante sofferenza del
nervo ottico, il quale va incontro ad atrofia e il bambino diventa cieco. Perciò bisogna
subito intervenire chirurgicamente e, in caso di dubbio, si misurano i diametri corneali
con oftalmometria o topografia e la pressione intraoculare mediante tonometria.

Se, nonostante la terapia medica, la pressione intraoculare non dovesse migliorare e se il


campo visivo dovesse peggiorare, l’unica via terapeutica percorribile è chirurgica,
attraverso la trabeculectomia si allevia la pressione intraoculare. Sostanzialmente si crea
una fistola artificiale tra la camera anteriore e lo spazio sottocongiuntivale, sfruttandolo
per la filtrazione dell’umor acqueo:

a. si crea una finestra attraverso la congiuntiva e la sclera;

47
OCULISTICA

b. si rimuove un pezzo di trabecolato, in modo


da mettere direttamente in comunicazione
l’umore acqueo con la sclera;
c. si effettua un’iridectomia basale per
garantire il passaggio di umor acqueo anche
in caso di midriasi;
d. infine, si suturano la sclera e la congiuntiva
e l’umor acqueo non riassorbito dal
trabecolato si accumulerà in una bozza
filtrante sottocongiuntivale.

Ovviamente tale intervento chirurgico non è esente


da complicazioni, infatti bisogna far attenzione a
non causare un eccessivo abbassamento della
pressione intraoculare.

RETINA

1. RETINOPATIA DIABETICA

Il diabete è una patologia in grande aumento e, sia nel tipo 1 che nel tipo 2, la retinopatia
diabetica ne costituisce una delle più devastanti complicanze sostenuta dalla iperglicemia, che
determina microangiopatia, ovvero una sofferenza dei piccoli vasi della retina. La retina ha una
vascolarizzazione di tipo terminale: l’arteria centrale della retina è uno dei rami terminali della
arteria oftalmica, che a sua volta origina dalla
carotide interna. Quando l’arteria centrale
della retina penetra nel bulbo oculare
attraverso il nervo ottico, si divide in quattro Macula lutea e
fovea centrale
rami, due superiori e due inferiori, temporali e
nasali. Infine, si dirama in rami sempre più
piccoli, fino a determinare due reti capillari,
una più superficiale e una più profonda. I
capillari sono formati da uno strato di cellule
endoteliali che poggia su una membrana basale,
influenzata da alcune cellule muscolari lisce, i
periciti. Ebbene, il diabete agisce su questi
piccoli vasi sia aumentandone la permeabilità,
sia determinandone l’occlusione.

48
OCULISTICA

A causa dell’iperglicemia si ha:

a. apoptosi dei periciti, la parete capillare diventa più fragile, si sfianca e si producono
microaneurismi, ovvero piccole dilatazioni retiniche;
b. permanendo lo stato di iperglicemia, la parete si sfianca ulteriormente e si producono delle
fenestrazioni nella parete, quindi si può avere, essudazione, emorraggia e di conseguenza
edema retinico;
c. se continua ancora l’iperglicemia, si ha inspessimento della membrana basale, irregolarità
delle cellule endoteliali, che scatenano fenomeni di aggregazione piastrinica delle emazie,
portando ad occlusione.

Tali alterazioni sono esattamente le stesse che provocano nefropatia diabetica, piede diabetico,
neuropatia diabetica, ecc. Perciò tutti i diabetici devono sostenere un esame del fundus: l’occhio
è l’unico distretto corporeo in cui i vasi sanguigni sono direttamente visibili. Le conseguenze
dell’occlusione praticamente includono tutti i tentativi fallimentari, da parte del corpo, per ovviare
all’ipossia e all’ischemia che si instaurano:

a. siccome il circolo capillare è occluso, si producono degli shunt


artero-venosi, cioè le arterie si ricollegano direttamente alle
vene ma ciò non porta a nulla, perché a livello di vasi arteriosi
e venosi non ci sono scambi di ossigeno. Inoltre, la pressione
arteriosa si trasmette alle vene, con conseguente dilatazione
venosa e ingrossamento arterioso, perché le arterie dovranno
imprimere una maggiore forza per saltare il circolo capillare.
Tutto ciò stimola la produzione a livello della retina di
intraretinal microvascular abnormalities (IRMA), quasi dei
precursori della neoangiogenesi;
b. quando l’ischemia diventa molto estesa, le cellule dell’epitelio
pigmentato retinico rilasciano il fattore di crescita
dell'endotelio vascolare (VEGF Vascular endothelial growth
factor). Questo è importante durante l’embriogenesi, purtroppo in età adulta può produrre
molti danni; non a caso è bersaglio di molte terapie anti-VEGF ma anche antitumorali. Il
VEGF stimola la produzione di neovasi, che hanno però una parete molto alterata, sono
deboli e inducono facilmente a microemorragie. Oltretutto, questi vasi sono accompagnati
da tessuto contrattile che crea delle membrane sulla superficie retinica e, contraendosi,
determina un distacco di retina, trattabile esclusivamente mediante chirurgia.

Tutto ciò non pone alcun rimedio all’ipossia e all’ischemia. I neovasi si


producono non solo sulla retina ma anche sulla superficie dell’iride, dove
possono sanguinare, occupare spazio e determinare un aumento della
pressione intraoculare: è questa la condizione di glaucoma neovascolare.

49
OCULISTICA

Finché microaneurismi, microemorragie ed essudati si presentano nella parte periferica della


retina, non vi è compromissione dell’acuità visiva, a differenza di alterazioni sulla macula. Quando
vi è un quadro clinico con vasi venosi congesti, sicuramente si è già in una fase di occlusione.

La retinopatia espone i pazienti diabetici al 25% di rischio di cecità. Infatti, nei paesi occidentali
è la più maggior causa di cecità legale in soggetti in età lavorativa. Negli over 65 la maggior
causa di cecità legale è la degenerazione maculare legata all’età. La retinopatia diabetica si
manifesta in virtù di due fattori:

• durata del diabete, almeno 5 anni per il diabete di tipo 1, ecco perché lo screening della
retinopatia si effettua dopo 5 anni dalla diagnosi. Per il diabete di tipo 2 è difficile
determinare il periodo d’insorgenza, perciò lo screening si fa al momento della diagnosi;
• entità del disordine metabolico, se la glicemia è rigidamente tenuta sotto controllo, è
probabile che la retinopatia non si presenti mai. Se il diabete è mal curato, l’emoglobina
glicata è elevata e vi sono continui sbalzi glicemici, vi è il rischio che si possa instaurare
retinopatia diabetica.

La stadiazione della retinopatia diabetica si effettua Ischemie Leakage


con esame del fundus mentre per verificare lo stato
dei vasi si ricorre alla fluorangiografia: questa
mette in evidenza i microaneurismi, dilatazioni
bianche e tonde in cui il colorante si accumula senza
essudazione intorno, e le essudazioni, delle quali le
più grandi e più biancastre sono aree infatuali delle
fibre ottiche, ma ai fini dell’esame sono di
secondaria importanza. Ciò che è rilevante è
l’ischemia, ovvero laddove non vi è più una rete
capillare (assenza di grigio di fondo), non rilevabile
Essudato
all’esame del fundus. Quando in fluorangiografia vi Microaneurisma

è iperfluorescenza diffusa in presenza di neovasi, il fenomeno è detto leakage, cioè fuoriuscita


del colorante dai neovasi.

Il trattamento della retinopatia non è univoco ma dipende dall’evoluzione del quadro clinico:

• serrato controllo glicemico, di primaria importanza, al fine di prevenire l’insorgenza della


patologia, nel caso in cui il soggetto presenti diabete. Può anche portare ad una regressione
di alcune alterazioni come microaneurismi o piccole essudazioni;
• anti-VEGF, quando si instaura edema maculare e per il trattamento della neoangiogenesi.
Ha un costo sociale elevato, di circa 500 euro a fiala. La si effettua in sala operatoria
mediante delle iniezioni intravitreali. Tale terapia viene eseguita anche per la
degenerazione maculare legata all’età;

50
OCULISTICA

• panfotocoagulazione, quando vi è un quadro di ischemia periferica con neoangiogenesi. La


terapia si avvale di un laser per creare degli spot, quindi bruciare le zone ischemiche
periferiche, in maniera tale da prevenire il rilascio di VEGF e preservare la regione
maculare. Questo trattamento si effettua tutt’oggi ma deve essere l’ultima spiaggia, perché
di contro produce una riduzione del campo visivo.

Ricorda!
Il blefarostato è lo strumento utilizzato per mantenere
aperte e ferme le palpebre.

51

Potrebbero piacerti anche