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Contattologia
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.
01/01/2009
Manuale di contattologia
1.
ANATOMIA E FISIOLOGIA
RICHIAMI
DELL’OCCHIO ESTERNO
1. LA CORNEA
Anatomia
È la parte trasparente anteriore esterna del bulbo oculare. Presenta un diametro orizzontale
che oscilla tra 10 e 13 mm; misure maggiori o minori costituiscono un‟eccezione. Il diametro
verticale è sempre inferiore a quello orizzontale.
Gli spessori corneali normali sono di circa 1 mm al limbus e 0,5 mm al centro.
I raggi di curvatura medi sono di 7,80 mm quello esterno e di 6,6 mm quello interno. La
curvatura della faccia anteriore diminuisce dal centro verso la periferia; la costanza di curvatura
si mantiene esclusivamente in una zona coincidente o prossimale al polo anteriore per un area
di circa 3-4 mm di diametro, oltre la curva subisce un appiattimento, mantenendosi sempre di
tipo convesso, fino a 4 mm dal limbus, ove riprende a crescere.
Il raggio di curvatura della sclera è circa 12 mm, pertanto al punto d‟inserzione (raccordo
sclero-corneale) tra cornea e sclera si crea uno scalino, che si presenta più o meno accentuato al
variare della differenza tra le due curvature: corneale e sclerale. La valutazione dell‟entità di tale
raccordo costituisce elemento essenziale in contattologia.
La potenza media della faccia esterna, nella zona centrale, è di +43.00 dt., mentre quella
posteriore è di circa –49.00 dt. Quindi, presa in aria la cornea si presenta come un menisco
negativo di potenza –6.00 dt.
L‟indice di rifrazione del tessuto corneale è di circa 1,377. L‟indice medio è soggetto a
variazione legate al deterioramento dello stato deturgescente.
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contattologia, in quanto eventuali abrasioni epiteliali, causate dall‟uso di lenti a contatto, vengono
riparate in brevissimo tempo (massimo 12-24 ore per i casi più gravi).
Limitante interna.- (membrana di Descemet). È una membrana simile alla Bowman, anche se un
po‟ più sottile. È resistente ed elastica, separa lo stroma dal sottostante endotelio.
Endotelio.- è il correlato interno dell‟epitelio. Ha tutte le caratteristiche dei tessuti endoteliali: unico
strato di cellule di forma esagonale. È elemento fondamentale per la regolazione del movimento dei
fluidi all‟interno dello stroma, contribuendo in maniera sostanziale al mantenimento dello stato di
deturgescenza.
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Manuale di contattologia
Fisiologia.
Per svolgere il suo importante ruolo nel processo visivo la cornea deve essere
necessariamente trasparente. Come questa elevatissima trasparenza (nell‟ordine del 90% della luce
incidente) si realizzi è legato ad alcuni fattori:
Fattori anatomici.-
Assenza di vascolarizzazione: la cornea è sprovvista di vasi sanguigni, questi si arrestano in
prossimità del raccordo sclero-corneale andando a formare un plesso vascolare detto
pericheratico.
Regolarità delle cellule epiteliali
Disposizione e misura delle fibre stromali: Esse presentano un diametro di 25 nm e sono
distanziate tra loro di 50 nm. Proprio tale distanza, di gran lunga inferiore alla lunghezza
d‟onda della luce incidente, permette alla cornea di comportarsi come un reticolo di
diffrazione. La perdita della regolarità nella disposizione delle fibre porta ad opacizzazione
di vario livello.
Fattori biochimici.-
La cornea è un tessuto altamente idrofilo. Può quindi assorbire acqua in misura
elevatissima. Lo stato di massima trasparenza si ottiene quando l‟idrofilia corneale è dell‟80% di
quella totale possibile. Se la quantità d‟acqua presente nella cornea aumenta oltre questo valore si
genera una perdita di trasparenza. Esiste, pertanto, un fenomeno (detto di Deturgescenza) che
consente il mantenimento stabile dell‟idratazione nei valori stabiliti per la miglior trasparenza.
I liquidi entrano nella cornea principalmente per la via dei vasi limbali, dall‟umor acqueo e
dalle lacrime.
Il drenaggio dei liquidi, quando sono in eccesso, si effettua mediante due meccanismi:
Passivo: Osmosi
Attivo: Pompa chimica e Pinocitosi
Osmosi.- Le variazioni della pressione osmotica tra liquidi interstiziali e liquido lacrimale
evaporato provocano il flusso di drenaggio dall‟interno verso l‟esterno fino al riequilibrio della
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L‟acidosi lattica produce un aumento del gradiente osmotico del liquido interstiziale che per
essere bilanciato (vedi pocesso di osmosi) richiama all‟interno della cornea i liquidi esterni
(precorneale e umor acqueo). Questo progressivo aumento della presenza di liquidi nello stroma
corneale determina il formarsi dell‟edema con conseguente perdita della trasparenza.
Ossigenazione.
La fonte primaria di ossigeno per il metabolismo corneale è l‟atmosfera. Ad occhio aperto la
pressione atmosferica, esercitata sulla cornea, produce lo scioglimento di ossigeno nel film
lacrimale e il conseguente passaggio oltre l‟epitelio. È stato misurato che in presenza di una
pressione atmosferica dell‟aria di circa 760 mm di Hg (pressione media normale al livello del mare)
la tensione che si scarica sulla cornea è di circa 155 mm di Hg. In tali condizioni il flusso dell‟O 2 è
nell‟ambito da 3,2 a 7,2 microlitri/cm2 per ora, con una media di circa 4,8 microlitri. Si è dimostrato
che una cornea normale, per mantenere il proprio metabolismo in ambiente aerobico, necessita
almeno di una tensione di 39 mm di Hg; alcuni autori hanno sostenuto che per avere un adeguato
margine di sicurezza la tensione minima non debba scendere sotto i 76 mm di Hg.
Ad occhio chiuso (durante il sonno) la questione si complica. L‟apporto atmosferico
scompare. Entra in gioco la fonte sussidiaria rappresentata da un lato dall‟umore acqueo, attraverso
la barriera dell‟Endotelio, dall‟altro dalla fitta rete di capillari presenti sulla superficie del tarso
palpebrale che ad occhio chiuso va a ricoprire la cornea. La tensione dell‟ossigeno, in questo
frangente, è di gran lunga inferiore a quella della condizione di occhio aperto: 55 mm di Hg.
Il fenomeno della deturgescenza avviene in condizioni critiche e non in maniera esaustiva. Il
risultato è che dopo una normale notte di sonno, al risveglio, è possibile misurare la presenza di un
modesto edema corneale (fisiologico) che andrà risolvendosi in breve tempo, rimanendo ad occhi
aperti.
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Manuale di contattologia
Allo stesso modo, applicare una lente a contatto sopra una cornea equivale a frapporre una
barriera tra l‟ossigeno atmosferico e il liquido lacrimale, ove esso deve sciogliersi per nutrire la
cornea. Cura del contattologo è far in modo che la barriera causata dalla lente non faccia scendere
la tensione dell‟ossigeno al di sotto della soglia di sicurezza. Ciò può accadere solo se la lente è
bene adattata, a tal punto da permettere che l‟ammiccamento palpebrale consenta un suo adeguato
movimento atto a determinare un sufficiente e frequente ricambio del cuscino di lacrime frapposto
tra lente e cornea. Solo l‟apporto frequente e quantitativamente importante di lacrime fresche
(cariche di ossigeno) sotto la lente applicata può soddisfare i limiti di sopravvivenza dei tessuti
corneali.
Altri due caratteri della fisiologia corneale assumono un particolare interesse nella pratica
contattologia:
La sensibilità corneale
La fragilità corneale
Sensibilità.
La cornea è massicciamente innervata dal V° paio di nervi cranici (trigemino). Per questo motivo
essa è indicata come la parte più sensibile del corpo umano. La sensibilità tattile può essere
determinata con l‟uso dell‟estensiometro. Con questo metodo si rileva che:
Si annotano i risultati:
1) Se la superficie corneale non presenta alcuna diversità rispetto alla prima
osservazione, significa che non esiste fragilità corneale e si assegna a quella
cornea l‟indice di fragilità “F0”
2) Si notano alcuni punti di disepitelizzazione in più rispetto alla visione iniziale. La
cornea viene valutata “F+” (fragilità media)
3) Si notano numerosi punti od addirittura aree di disepitelizzazione. “F++”
(fragilità elevata)
È naturale che una cornea F++ rappresenta una certa controindicazione all‟uso di lenti a contatto.
Ma è opportuno valutarne l‟idoneità all‟uso associando il parametro della fragilità con quello della
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sensibilità. È ovvio, infatti, che una cornea lievemente fragile associata ad una scarsa sensibilità,
potrebbe fornire al portatore dei segnali di disturbo quando oramai i danni provocati dalle lenti a
contatto possono aver raggiunto livelli troppo gravi. Mentre i casi di elevata sensibilità, associati a
nessun grado di fragilità, possono dare al contattologo la tranquillità di far proseguire
l‟adattammento anche in presenza di iperlacrimazione e frequente ammiccamento.
Tenendo conto delle varie possibilità, si possono incrociare su di un sistema cartesiano i dati di
sensibilità e fragilità ed ottenere una linea guida di massima da seguire nelle applicazioni:
Possibil
Caso molto e con Con lac morbide
S+ numeros
+ Favorevole controlli regolari e prove e
Favorevol Possibil
S+ Caso e e con Forse possibile
controlli frequenti con lac morbide
Possibil Possibil
S0 e con e con NO
molti
controlli controlli frequenti
0 F0 F+ F++ x
2. LE PALPEBRE
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Manuale di contattologia
estensione verso il basso della ghiandola lacrimale principale; disseminate, invece su tutta le
congiuntiva, ma particolarmente concentrate nei fornici, sono le importantissime cellule di
globet
La buona funzionalità di tutto questo apparato consente la riproduzione costante del film lacrimale
nelle sue componenti fondamentali.
La congiuntiva è un tessuto trasparente
di tipo mucoso che ricopre tutta la parte
esterna anteriore del bulbo oculare.
Anatomicamente è divisa in:
Congiuntiva tarsale. È la parte che
ricopre la porzione del tarso palpebrale
in maniera molto aderente.
Congiuntiva del fornice. È la parte
meno aderente al tessuto sottostante
che ripiegandosi su se stessa crea la
continuità tra parte tarsale e bulbare,
chiudendo la parte orbitarla interna da
ogni contatto con l‟esterno.
Congiuntiva bulbare. È la parte che
ricopre la sclera e la cornea. Sulla
cornea è fortemente aderente,
costituendo la parte più esterna
dell‟epitelio corneale. Dal limbus
verso i fornici l‟adesione è molto lassa
e consente di essere spostata con
semplice pressione dei polpastrelli.
Anatomia della palpebre supriore
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3. IL FILM LACRIMALE
Le lacrime sono prodotte dalle varie ghiandole lacrimali e si stendono sulla congiuntiva bulbare
e sulla cornea sotto forma di uno strato molto sottile (10 µ) che prende il nome di film lacrimale.
Si articola in tre strati ben distinti:
Lipidico (esterno). Rallenta l‟evaporazione dello strato acquoso durate l‟intervallo tra gli
ammiccamenti. È costituito da acidi grassi, esteri di colesterolo e fosfolipidi. Secreto dalle
ghiandole di Meibomio e Zeiss
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Manuale di contattologia
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2. I MATERIALI
1. I POLIMERI.
La possibilità di correggere l‟errore rifrattivo dell‟occhio, modificando la potenza del suo
diottro principale era conosciuta fin dai tempi di Leonardo da Vinci. Poterlo fare mediante
sovrapposizione alla cornea di una calotta trasparente otticamente capace di riportare il sistema
all‟emmetropia è invece storia dei nostri giorni. Nel XX secolo la chimica organica e propriamente
quella delle materie plastiche ha permesso di produrre nuove sostanze con caratteristiche di
leggerezza, trasparenza, lavorabilità a bassi spessori, stabilità e biocompatibilità che si sono
dimostrate perfettamente adatte alla costruzione di lenti a contatto. Queste sostanze fanno parte
della grande famiglia dei polimeri.
I polimeri sono composti costituiti da l‟unione di numerose (molte migliaia) unità elementari
chiamate monomeri.
L‟unione di monomeri tutti uguali tra di loro porta alla formazione di omopolimeri, mentre
l‟unione di monomeri di sostanze diverse viene chiamata copolimero.
Il legame tra i vari monomeri che costituiscono il polimero può essere in forma:
lineare
ramificata
crociata
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Manuale di contattologia
Qualsiasi lente a contatto applicata sulla cornea agisce come barriera all‟utilizzo
dell‟ossigeno atmosferico. È da terner conto che una deficienza nell‟apporto di ossigeno è fonte
di indebolimento della struttura corneale di cui l‟aspetto più caratteristico è il formarsi
dell‟edema stromale, generato dalla riduzione dell‟efficacia della pompa sodio-potassio atta a
drenare i liquidi interstiziali. L‟edema da ipossia è facilmente diagnosticabile osservando, in
lampada a fessura la sezione corneale ove appaiaono strie e/o neovascolarizzazioni.
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applicare un lente che per potere ovvero per caratteristiche geometriche si allontani dallo spessore
di una normale -3,00 (ad es. nei poteri negativi elevati e in tutti i poteri positivi.
Come di può notare dalla figura accanto, nella
lente con potere negativo (-3,00) il valote di
Dk/t si riduce ad un terzo rispetto ad una lente
di potere positivo +6,00 D. Naturalmente la
scelta del potere -3,00 D per identificare la
capacità di trasmissine di una lente a contatto
trova la sua giustificazione nel fatto che
all‟intorno di questo potere si trova la fascia di
maggior consumo mondiale di lenti a contatto.
Si è visto comunque che entro un certo limite di riduzione di apporto di ossigeno la cornea
umana è in grado di rallentare i propri processi metabolici ed evitare alterazioni significative della
sua deturgescenza; se tale limite viene superato l‟edema stromale travalica i confini fisiologici e la
richiesta di ossigeno, per combattere l‟anossia, si rivolge ai capillari del plesso perilimbare che
aumentano di volume e si spingono fin oltre il limbus per conferire l‟ossigeno richiesto dagli esausti
tessuti corneali. Risultato: OCCHIO ROSSO.
Iniezione bulbare con utilizzo di lac a medio Dk/t Risultato dopo 7 gg d’uso di lac ad levato Dk/t
Nel 1984 Holden e Mertz stabilirono che l‟ispessimento della cornea (edema) indotto dal porto di
lenti a contatto non doveva superare il 4% e che i Dk/t utili a non superare tale limite sono:
24 x10-9 per il porto diurno
87x10-9 per il porto notturno
Porto notturno
150
100
Dk/t
Serie1
50
0
0 5 10 15 20 25 30
Edem a Corneale
Fig.1- Distribuzione dell’edema cornele al variare del D k/ nel porto notturno (Holden e Mertz)
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Manuale di contattologia
Nel 1999 Harwitt e Bonanno hanno adottato un modo differente per definire la soglia
minima di Dk/t da attribuire alle lenti a contatto da poter utilizzare a porto continuato. Essi
misurarono quanto ossigeno si rendeva disponibile sotto una lente a contatto e quanto di questo
veniva effettivamente utilizato dalla cornea. Usarono pigmenti fluorescenti sensibii all‟ossigeno che
permettevano una sufficiente osservazione e misurazione dell‟assorbimento. Fornendo inzialmente
alla cornea un certa quantità di ossigeno se ne ricava la quantità percentuale assorbita che consente
di tracciare una curva di taratura definita Percentuale di osssigeno equivalente (EOP), quindi si
ripete l‟eperienza con lente a contatto applicata e si confrontano i dati con la precedente taratura.
Questo studio ha condotto a definire il Dk/t minimo per il porto continuato in 125x10-9
La necessità di produrre lenti con alto Dk/t fu compreso dai costruttori come obiettivo da
raggiungere ancora prima degli studi di Holden e Metz e l‟attenzione fu subito posta al contenuto
d‟acqua raggiungibile dalla lente, requisito fondamentale per aumentare la gas-permeabiltà.
Il rapporto acqua/polimero
Gli idrogel sono polimeri che hanno un rapporto privilegiato con l‟acqua, nel senso che,
dopo la produzione allo stato secco, nel momento che vengono immersi in soluzione acquosa
tendono ad assorbire una certa quantità di liquido, aumentando di peso e di volume. La
variazione di peso dallo stato secco a quello idrato esprime il tasso d‟idratazione del materiale.
In effetti però solo una parte del tasso di idratazione è costituita da acqua elettrostaticamente
legata ai siti polari del materiale; un‟altra parte, a volte anche rilevante, è determinata dall‟effetto
di riempimento dei pori del polimero stesso senza però legami chimici (acqua libera).
Nel caso l‟idrogel venga rimosso dallo stato di immersione e posizionato in ambiente secco
l‟acqua libera tende ad evaporare rapidamente mentre la porzione legata permane molto più a
lungo all‟interno del materiale.
In modo analogo, si possono osservare stati di disidratazione di lenti idrofile quando siano
applicate in occhi tendenzialmente secchi. Lo strato acquoso del film lacrimale evapora
nell‟intervallo di tempo compreso tra due ammiccamenti. Se il film è instabile si generano aree
più o meno diffuse di secchezza che tendono ad essere risolte richiamando acqua dall‟interno
della lente applicata. Si genera, quindi, una disidratazione primariamente a carico dell‟acqua
libera presente nella lente che è tanto più veloce, quanto maggiore è la sua idrofilia.
Particolare interesse può rivestire la conoscenza del gradiente osmotico del film lacrimale
per poterlo paragonare a quello della soluzione acquosa interna della lente a contatto. In questo
modo si dispone di un parametro in più per la scelta della miglior lente applicabile ove il buon
bilanciamento tra i due valori di gradiente contrasta o rallenta la possibile disidratazione della
lente. La strumentazione necessaria per effettuare tali rilevazioni è al momento alquanto costosa,
non solo in termini d‟impianto, ma anche nel materiale di consumo; pertanto risulta poco
proponibile per la quotidianità lavorative degli studi di contattologia.
La caratteristica della componente acquosa di funzionare da mezzo di trasmissione
dell‟ossigeno atmosferico dall‟aria alla cornea ha spesso fatto perdere di vista un‟altra sua
caratteristica non meno importante. Si deve ricordare, infatti che il torrente acquoso che si
instaura tra film lacrimale e lente a contatto idrofila risulta essere il primo regolatore del corretto
flusso delle sostanze di nutrimento (metaboliti) e di quelle di rifiuto (cataboliti). Quando la lente
rimane perfettamente idratata, secondo le sue caratteristiche di base, essa, oltre a concorrere al
nutrimento della cornea è in grado di mantenersi pulita e trasparente. In caso di disidratazione
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E. Bottegal (2009)
invece la lente si presenterà spesso sporca ed opaca per il deposito delle sostanze di rifiuto che
non trovano la giusta via di eliminazione.
Gli effetti derivati dalla disidratazione sono:
Diminuzione del BOZR
Diminuzione del Dk/t
Aumento dell‟indice di rifrazione
Diminuzione dello spessore
Diminuzione del diametro totale (TD)
Cambiamento del potere
Risulta evidente che conoscere il rapporto esistente tra acqua libera e acqua legata consente
di conoscere la velocità di disidratazione di una certa lente a contatto in condizioni di secchezza
oculare.
La carica elettrica
Un‟altra caratteristica di estrema importanza nella valutazione degli hydrogel è il tipo di
carica elettrica di superficie in essi presente.
Infatti per effetto della ionizzazione alcuni materiali possono presentare una carica di
superficie negativa, mentre altri tendono alla neutralità.
Tenendo conto che le mucoproteine del film lacrimale sono caricate positivamente in
superficie, a seconda della carica presente nel materiale questo sarà più o meno predisposto alla
formazione di depositi.
In questo contesto gli hydrogel vengono distinti in:
ionici (hanno carica negativa)
non-ionici (non hanno carica)
La classificazione secondo l’FDA
Riconoscendo come primarie le caratteristiche di idratazione e ionicità dei materiali per lenti a
contatto in relazione al loro comportamento in vivo, l‟FDA ha stabilito la seguente
classificazione in quattro gruppi:
GRUPPO 1 GRUPPO 2 GRUPPO 3 GRUPPO 4
H2O<50% non-ionico H2O>50% non-ionico H2O<50% ionico H2O>50% ionico
Tefilcon (38%) Lidofilcon B (79%) Bufilcon (45%) Bufilcon A (55%)
Tetrafilcon A (43%) Surfilcon (74%) Deltafilcon A (43%) Perfilcon (71%)
Crofilcon A (38%) Lidofilcon A (70%) Droxifilcon A (47%) Etafilcon A (55%)
Hefilcon AeB (45%) Netrafilcon A (65%) Phemfilcon A (38%) Focofilcon A (55%)
Isofilcon (36%) Hefilcon C (57%) Ocufilcon (44%) Ocufilcon B (53%)
Mafilcon (33%) Alfafilcon A (66%) Ocufilcon C (55%)
Polymacon (38%) Omafilcon A (59%) Phemfilcon A (55%)
Vasurfilcon A (74%) Methafilcon A (55%)
Hioxifilcon (59%) Methafilcon B (55%)
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Manuale di contattologia
Vifilcon A (55%)
Nella produzione alcuni di questi ossidrili vengono rimpiazzati dall‟acetato (acido acetico) e dal
butirrile (acido butirrico derivato da gas naturali). I rimanenti gruppi OH conferiscono al materiale
una buona bagnabilità e un‟idrofilia del 2-3%. Nella sua versione originaria presenta alcuni
inconvenienti quali la bassa resistenza all‟abrasione e la ridotta stabilità dimensionale, in termini di
costanza del BZOR. Maggior successo ha avuto la sua co-polimerizzazione con l‟Etilene acetato di
vinile (EVA), che ne migliora la bagnabilità e la stabilità.
Gruppo 3: Silossano-Metacrilato
(pMMA+Silossano)
Dk>6.
Questi copolimeri sono frutto di miscele
monometriche che contengono 4 componenti
principali giocati i proporzioni differenti:
Monomero di silossano metacrilato. non
contiene in effetti silicone puro, ma
derivati del metacrilato caratterizzati da
legami silossanici (Silicone-Ossigeno
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E. Bottegal (2009)
Gruppo 5: Fluoroacrilati
Si ottengono addizionando dei
componenti fluorati ai
copolimeri di silossano-acrilato.
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Manuale di contattologia
Gli hydrogel
Con il termine “lenti morbide” viene usualmente indicata tutta quella famiglia di lenti a
contatto costruite con materiale denominato hydrogel, le cui caratteristiche chimico-fisiche
conducono ad un prodotto sostanzialmente diverso rispetto alle tradizionali rigide.
La principale caratteristica di queste lenti è la grande flessibilità, legata all‟idrofilia del polimero.
L‟hydrogel viene prodotto allo stato secco. A questo stadio si presenta rigido e alquanto fragile;
quindi se viene immerso in una soluzione liquida qualsiasi (acqua, acqua distillata, soluzione
fisiologica, acqua di mare ecc.) si comporta come una spugna. Assorbe una certa quantità del
liquido in cui è immerso. La quantità di liquido assorbita varia a seconda della qualità del liquido
stesso e dalla temperatura, oltre che dalle caratteristiche intrinseche dell‟hydrogel. Dopo un certo
tempo d‟immersione, l‟assorbimento raggiunge la saturazione.
L‟assorbimento di liquido genera delle modifiche sostanziali nella dimensionalità del prodotto
realizzato in hydrogel:
Aumento di volume
Aumento del peso
Variazione significativa dei parametri lineari
Immaginiamo ora una lente a contatto realizzata con questo materiale. Lavorata allo stato secco
presenterà un certo diametro, raggio di curvatura e spessore. Una volta idratata, tutti questi
parametri saranno stravolti e si manterranno tali solo fintanto che lo stato idrato permane identico,
mentre si modificheranno di poco o di molto se tale stato viene compromesso.
Pertanto ogni hydrogel viene contraddistinto da un proprio tasso di idrofilia, derivante dal rapporto
percentuale del peso allo stato secco rispetto al peso allo stato di massima idratazione.
L‟industria delle lenti a contatto morbide propone prodotti in hydrogel con tasso d‟idrofilia
variabile dal 38% all‟80%.
Le prime lenti a contatto morbide nascono nel 1962 in Cecoslovacchia. Lim e Wichterle,
due ricercatori dell‟istituto di chimica macromolecolare di Praga, attraverso la polimerizzazione
di monomeri di idrossietilmetacrilato legato in forma crociata con una bassa quantità (meno del
3%) di glicoletilenedimetacrilato (EGDMA) ottengono lenti a contatto in
Polidrossietilmetacricato (p-HEMA) che presenta un contenuto d‟acqua del 38%.
Struttura momomerica e polimerica dell’HEMA. Si noti la presenza del gruppo polare ossidrlile deputato a legare l’acqua
L‟HEMA si dimostra subito un ottimo materiale per la costruzione di lenti a contatto per la
buona stabilità, nessuna carica di superficie, robustezza. Unico neo il Dk pari a 9x10-11 .
Ottenere un valore di trasmissione minimo sufficiente per un uso diurno (24x10-9) obbliga alla
costruzione di spessori troppo bassi, non proponibili per la tecnologia dell‟epoca. Per ovviare a
questo inconveniente le prime lenti in HEMA commercializzate, a partire dai primi anni ‟70,
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E. Bottegal (2009)
il Glicerolo (MMA+GMA)
NVinilpirrolidone (MMA+NVP)
MMA/NVP ha avuto più successo del precedente, in quanto consente di ottenere hydrogel
non-ionico ad elevato contenuto idrico (70%) quindi con Dk elevato che si accoppia ad una buona
resistenza meccanica.
Tutte queste nuove polimerizzazioni (sia quelle con HEMA che quelle senza) presentarono
subito (al contrario di quelli ionici) una notevole rapidità di disidratazione e una relativa lentezza
nel reidratarsi. Difatti il loro utilizzo in ambiente poco idratato (es. l‟occhio secco) ne provoca una
veloce perdita d‟acqua con evidente modificazione dei parametri costruttivi (r.b., potere, ecc.) che
in aggiunta alla loro particolare lentezza nel reidratarsi li rende relativamente poco sensibili
all‟uso di lacrime artificiali (necessità di frequenti instillazioni).
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Manuale di contattologia
lente costruibile il più vicino possibile alle condizioni ideali dovesse avere un Dk/t
sufficientemente elevato per il porto anche prolungato, ottenuto con una media idratazione
accoppiata ad un basso spessore (max 0,08 mm), costruita in materiale ionico per garantire il
mantenimento dell‟idratazione anche i presenza di secchezza e che venisse sostituita prima che si
verificasse la deneturazione dei depositi proteici.
Alla fine degli anni „80, un‟azienda americana che i più conoscevano solo come produttrice
di shampoo per capelli, per altro anche di dubbia qualità, acquisisce ACUVUE, una piccola realtà
produttiva di lenti a contatto, e si affaccia sul mercato proponendo la prima lente disposable.
Si può certo dire che da questo momento in poi il mondo della contattologia è radicalmente
cambiato.
Etafilcon A, copolimero HEMA/MAA, 58% d‟idratazione, ionico, Dk 28, non è certamente
nulla di nuovo, ma utilizzato per produrre lenti di basso spessore (0,07mm Dk/t 40x10-9) da usare
per 7 gg a porto continuo o 15 gg ad uso giornaliero ha rappresentato la più grande idea
commerciale nel mondo della contattologia moderna, con la quale ancor oggi è necessario
continuamente confrontarsi.
Da un punto di vista tecnico scientifico Acuvue non rappresenta certo una novità e tanto
meno un progresso. Il materiale non ha nulla di innovativo. Il vero punto di forza fu il coraggio di
proporre per primi al mondo un programma di sostituzione rapida assolutamente rivoluzionario
per le abitudini dei consumatori e degli applicatori dell‟epoca.
La sostituzione frequente consente infatti di utilizzare spessori di lente molto bassi con
relativo evidente aumento del Dk/t, atto a consentire un certo porto prolungato, e cosa non
indifferente permette di sfruttare la deposizione proteica solo nel periodo di attività biologica
positiva. Saks et altri hanno riportato che il lisozima legato a materiali ionici mantiene il 90 %
della sua attività positiva, mentre quando si lega a materiali non-ionici diventa in gran parte
inattivo.
D‟altro lato, lo spessore ridotto dimostrò un grosso limite. Infatti, Acuvue se applicate su
occhi dalle condizioni lacrimali precarie o se usate in ambienti poco idonei come ad es. aria
condizionata o uso di VTC, in presenza di una pur lieve evaporazione, producono fenomeni di
adesione corneale tali da obbligare l‟abbandono dell‟utilizzo. Inoltre, in uno studio del 1992 Natan
Efron afferma che il 75% delle lenti Acuvue mai usate mostra difetti di costruzione che possono
essere causa di microtraumi epiteliali.
A questo punto risulta chiaro che le lente a contatto ideale dovrebbe possedere:
un‟idratazione medio-alta per consentire un buon rispetto del metabolismo corneale, sia
sotto l‟aspetto dell‟ossigenazione sia sotto quello dello scambio di metaboliti e cataboliti.
Una scarsa predisposizione alla disidratazione anche se esposta ad ambiente relativamente
secco (maggior incidenza di acqua legata rispetto a quella libera).
Scarsa affinità ai depositi al fine di minimizzare i pericoli di fenomeni allergizzanti e
infiammatori.
Uno spessore adeguato a non favorire fenomeni di adesione e che ne consenta la produzione
di lenti di diversa durata
Ciò, invece, che rimaneva irrisolto erano gli insuccessi applicativi dovuti alla disidratazione
più o meno veloce della lente in presenza di ambiente secco. I fenomeni di ipossia e di adesività
corneale continuavano ad alimentare un abbandono dell‟uso delle lenti a contatto talmente elevato
da pareggiare il numero di nuovi portatori, con conseguente appiattimento del mercato. Le
statistiche sviluppate negli anni ‟80 dai produttori , confermate anche dalla comunità scientifica,
attestavano al 15% dei portatori coloro che erano costretti ad abbandonare l‟uso delle lenti ed
inoltre riconoscevano che almeno oltre un terzo dei portatori soffrivano di problemi legati a
fenomeni di secchezza lacrimale.
L‟obiettivo di ridurre, se non proprio di azzerare, tali inconvenienti è stato affrontato in due
maniere diverse:
a) Ricercare nuove sostanze, diverse da quelle finora impiegate (MAA, PVP), che fossero in
grado di mantenere un‟idratazione della lente significativamente elevata anche in presenza
di ambiente secco e che nel contempo garantissero l‟integrità del film lacrimale in tutte le
sue componenti.
b) Rivolgere l‟attenzione a nuovi materiali che collegati ad una base di idrogel tradizionale
potessero conferire alla lente elevati gradi di trasmissibilità dell‟ossigeno, prescindendo
dalla presenza di elevate idratazioni.
I risultati di questa doppia ricerca hanno condotto verso la fine del secolo scorso alla nascita di due
classi di nuovi prodotti:
a) I materiali biomimetici
b) I materiali siliconici
Matriali biomimetici
La ricerca biomimetica conduce alla produzione di materiali che da un lato abbiano grande
affinità di superficie con i tessuti corneali e con le strutture del film lacrimale e dall‟altro
un‟elevata polarità che consenta un privilegiato legame con l‟acqua. Tali sostanze sono tutte di
origine naturale e normalmente presenti nei tessuti animali.
Le formulazioni di questo tipo che hanno avuto significativi successi nel mondo delle lenti a
contatto sono le seguenti:
Benz. Perseguendo gli stessi scopi, altri ricercatori s‟indirizzarono verso le componenti della
struttura del film lacrimale. Furono ripresi gli studi degli anni ‟80 che avevano condotto, come si
ricorderà, alla produzione di un polimero senza HEMA: Crofilcon A. La sostanza utilizzata è il
glicerolo, componente fondamentale delle glicoproteine che sono l‟ossatura dello strato muco-
proteico del film lacrimale.
21
Manuale di contattologia
La compressione palpebrale deforma la lente facendo uscire una parte di gel- ialuronico che,
essendo maggiormente fluidificato per effetto della temperatura, si rende facilmente disponibile ad
essere integrato nella struttura mucinica delle lacrime, ricostruendola in spessore e stabilità.
Ricordando poi, che la buona stabilità/integrità dello strato mucinico è funzione della corretta
bagnabilità dell‟epitelio, si comprende come questo materiale sia in grado di mantenere ad un buon
livello di comfort l‟utilizzo giornaliero delle lenti a contatto anche in presenza di scarsa
quantità/qualità del film lacrimale.
1
Il comportamento non-newtoniano riguarda la capacità di alcune sostanze viscoelastiche di lasciarsi comprimere da
una forza esterna, ma di ritornare alla forma originaria appena la forza di compressione viene eliminata.
22
E. Bottegal (2009)
Naturalmente, se il buon funzionamento delle lenti è legato alla funzione di rilascio del gel-
ialuronico, si comprende che i tempi di ricambio di queste lenti sono legati a quelli di esaurimento
della sostanza ialuronica all‟interno della lente. Infatti le lenti Safe-gel sono apparse nel mercato
nelle versioni 1-day e a sostituzione settimanale. Solo più tardi si è commercializzata una lente
mensile che per mantenere valide tutte le sue caratteristiche per il periodo indicato, necessita, a
scopo di parziale ricarica, dell‟immersione quotidiana (notturna) in una soluzione a base di gel-
ialuronico.
I dati tecnici riassuntivi delle lenti safe-gel comunicati dal costruttore sono i seguenti:
I Materiali Siliconici.
La possibilità di ottenere la correzione del proprio difetto visivo in modo permanente e non
legato all‟infilare od applicare quotidianamente il mezzo correttivo rappresenta da sempre il sogno
di tutti gli ametropi.
L‟introduzione della chirurgia rifrattiva in un primo tempo ha fatto molto sperare, ma i
risultati dei primi dieci anni di fotoablazioni hanno raffreddato molti entusiasmi e se non altro
hanno messo in chiaro i limiti di una terapia che era stata spacciata come “il grande miracolo” per
tutti gli ametropi.
Nuovo impulso ha quindi ottenuto la ricerca per la realizzazione di lenti a contatto ad
altissimo Dk/t tale da consentire l‟uso permanente.
Durante tutti gli anni 70 il concetto di alto Dk è rimasto legato a quello di alta idrofilia con i
limiti già precedentemente esposti:
Elevata predisposizione all‟accumulo di depositi organici (materiali ionici)
Rapidità di disidratazione e lentezza nell‟idratazione (materiali non ionici)
Limite (pur elevato) del Dk al valore di quello dell‟acqua (90x10-11)
23
Manuale di contattologia
Basandosi sugli studi pubblicati da Fatt nel 1971 riguardo l‟elevata gaspermeabilità della
gomma siliconica, l‟FDA americana approvò l‟utilizzo continuato di lenti a contatto costruite in
puro elastomero di silicone.
L‟assoluta idrofobia del silicone veniva superata rendendo idrofilo un strato di circa 2 di
spessore sulle due superfici delle lenti mediante bombardamento molecolare sotto vuoto.
Studi clinici dimostrarono che l‟applicazione di queste lenti poteva essere effettuata con discreto
successo.
Incredibilmente la grandissima permeabilità ai gas di questo materiale ne ha anche decretato
il suo parziale insuccesso. Infatti se da un lato l‟alto Dk permette un notevole flusso dell‟ossigeno
dalla faccia esterna della lente verso i tessuti corneali sottostanti, parimenti la lente non rappresenta
più una valida barriera contro l‟evaporazione del liquido corneale sotto di essa; ciò determina un
assottigliamento del film lacrimale che aiutato dall‟elevata elasticità della gomma produce, dopo
alcune ore d‟uso, l‟adesione della lente all‟occhio caratterizzata da iperemia acuta, infiltrati corneali
e dolore.
Questi motivi in aggiunta alla non infrequente fragilità dello strato idrofilo di superficie
hanno limitato l‟uso di queste lenti al campo terapeutico.
Si intuì subito che per sfruttare appieno la possibilità di gaspermeabilità del silicone senza subirne
gli indesiderati effetti collaterali, bisognava riuscire a copolimerizzarlo con il tradizionale idrogel
per ottenere un nuovo copolimerico bifasico che associasse le qualità idrofile dell‟idrogel a quelle
idrofobiche del silicone.
Normalmente due materiali che si trovano in diverse fasi hanno diversi indici di rifrazione.
La scoperta chiave fu di creare una regione interfasica fra le due, idrofoba e idrofila, in modo da
rendere continua la rifrattività e quindi assicurare la visione nitida.
Il fatto che siano trascorsi vent‟anni prima di arrivare a questo risultato dimostra che esistono
problemi molto più complessi di quello che si pensi.
Nel marzo del 1999 Bausch & Lomb introduce sul mercato PureVision la prima lente silicone-
idrogel.
Il materiale Balafilcon A è una miscela di silicone e un composto idrogenato (N-
Vinilpirrolidone) con un contenuto d‟acqua del 35%, una permeabilità (Dk) di 99x10-11 unità e una
trasmissibilità (Dk/t) pari a 110x10-9 unità.
La matrice in silicone favorisce il naturale trasporto di O2 alla cornea; la matrice in idrogel
regola la dinamica dell‟idratazione, l‟elasticità facilita il trasporto dei fluidi. Il contenuto del 17% di
acqua legata abbassa notevolmente il rischio di disidratazione assicurando un confort e un
movimento della lente eccellenti.
Alla fine del 1999 CibaVision presenta sul mercato Night&Day con materiale Lotrafilcon A,
un polimero bifasico in cui la fase idrofoba è rappresentata dal fluorosilossano e conferisce
la metà della permeabilità totale.
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E. Bottegal (2009)
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Manuale di contattologia
3. L’APPLICAZIONE
L’ESAME PRELIMINARE
Premessa.
La completa e corretta conduzione dell‟esame preliminare è condizione fondamentale per la
più efficace scelta delle lenti con cui iniziare il cammino applicativo.
Una scelta iniziale che dovesse, durante l‟adattamento, rivelarsi inadatta alle condizioni oculari del
cliente, oltre a rivelarsi perdita di tempo e aumento dei costi, trasmette un‟immagine di insicurezza
professionale dell‟applicatore.
1. PROCEDURA CLINICA.
L‟esame preliminare consiste in:
Anamnesi
Esame refrattivo
L‟esame del Segmento esterno
Test Lacrimali
Misure pre-applicative
Anamnesi:
Oltre alla storia dell‟ametropia è importante conoscere le motivazioni del cliente, ciò che si
aspetta dalle lenti a contatto, il suo stile di vita, gli hobbies, eventuali esperienze passate di lenti a
contatto. Importante è conoscere lo stato di salute generale, l‟eventuale assunzione abituale di
farmaci, la presenza di allergie.
Esame rifrattivo.
È da evitare di considerare questa parte dei preliminari poco importante, pensando che alla
fine il potere delle lenti risulterà dalla sovrarefrazione di quelle usate per prova. L‟esame refrattivo
dovrà essere accurato, completo e condotto con le tecniche usuali a quelle della prescrizione di lenti
per occhiali. Solo così otterremo le migliori informazioni su:
Acuità visiva
Rapporto tra astigmatismo corneale e refrattivo
Convergenza ed accomodazione
Stato eteroforico
La conoscenza della massima acuità visiva ci fornisce il limite minimo a cui dovremmo giungere
con l‟uso di lac; il rapporto tra gli astigmatismi ci consente di prevedere scelte opportune nella
scelta della lente di partenza; l‟impegno di accomodazione e convergenza e l‟eventuale presenza di
stati astenopici ci aiuta a comprendere le reazioni iniziali del paziente dopo i primi giorni d‟uso
delle lenti. È da tener conto che nel miope corretto con lac viene a mancare l‟effetto prismatico base
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E. Bottegal (2009)
interna indotto dalle lenti da occhiali, quindi corretto con lac dovrà convergere e accomodare di più;
nell‟ipermetrope avviene l‟inverso.
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Manuale di contattologia
L‟esame della congiuntiva nelle sue parti anatomiche (palpebrale, bulbare, del fornice)(7-
10X), sono da rilevare la perdita di trasparenza, l‟iperemia, l‟ipertrofia papillare. Per l‟esame
della congiuntiva palpebrale inferiore basta tirare leggermente la palpebra inferiore verso il
basso. Per quella superiore occorre rovesciare la palpebra. Il tipo più adatto di illuminazione
è quella diretta e diffusa (fessura larga). L‟ingrandimento è basso (max 10x). La congiuntiva
bulbare va esaminata con la stessa illuminazione e ingrandimento di quella palpebrale. Va
distinta la vascolarizzzazione della congiuntiva da quella della sclera sottostante mediante la
pressione dei polpastrelli che consente il scivolamento della congiuntiva sul tessuto
sottostante
L‟esame della cornea. È da rilevare la lucentezza dell‟epitelio, la presenza di edema
(punteggiatura), di abrasioni o disepitelizzazioni, neovascolarizzazioni. Si utilizza un
illuminazione diretta con fessura di spessore max di 2 mm. Il fascio luminoso è inclinato da
30° a 45° rispetto al microscopio, in modo da ottenere una sezione prismatica della porzione
di cornea osservata. Si formano, in questo modo, due linee di profilo: quella esterna
coincidente con il primo strato dell‟epitelio, quella interna che coincide con la limitante
interna. Tra le due linee appare uno spazio vuoto quando non sono presenti alterazioni
stromali.
L‟esame del limbus: da rilevare eventuali variazioni della normalità vascolare, la formazione
di neoformazioni paralimbali quali pterigio e pinguecola.
Per agevolmente comprendere se il quadro che si presenta all‟esame biomicroscopico sia normale
ovvero affetto da situazioni patologiche è opportuno poterlo confrontare con immagini predefinite a
disposizione dell‟esaminatore. A questo riguardo si è diffusa, nella pratica recente, l‟utilizzo della
scala di Efron (Efron grading scales), che riporta una serie di immagini a grado crescente di stato
patologico per ogni tessuto oggetto di valutazione. Il risultato di questo confronto dovrà essere
annotato nella scheda relativa al cliente esaminato, in modo che dopo aver applicato lenti a contatto
sarà possibile stabilire se lo stato iniziale si sia mantenuto o modificato.
Test Lacrimali.
Come è noto, il successo di un‟applicazione di lenti a contatto dipende dall‟esperienza e capacità
dell‟applicatore, ma è sicuramente molto più vero che una buona funzionalità lacrimale consente
anche ai non esperti di far una buona figura, mentre un occhio tendenzialmente secco è una grossa
gatta da pelare anche per i migliori professionisti.
Va da sé quindi che la preventiva conoscenza della funzionalità lacrimale degli occhi sui quali ci
apprestiamo a lavorare rappresenta forse il dato più importante di tutto l‟esame preliminare.
L‟importanza riconosciuta all‟attendibilità e alla ripetibilità di questa prova ha indotto molti
ricercatori a raffinare i due test storici della funzionalità lacrimale, Shirmer e B.U.T., in varianti
meno invasive al fine di ottenere risultati sempre più vicini alla realtà.
Riteniamo comunque sia eccessivo cancellare dalle nostre esperienze quotidiane Shirmer e B.U.T.
tradizionali, salvo che non si abbiano a disposizione strumentazioni adeguate per una seria
valutazione dei risultati dei test non invasivi (tearscope, oculare millimetrato, cheratometro a mire
interne ecc.).
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E. Bottegal (2009)
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Manuale di contattologia
B.U.T.
Rotture del film lacrimale
messe in evidenza dopo aver
instillato fluorescina sodica
Shirmer Test.
Si noti la porzione di carta
bibula bagnata dalle lacrime,
indice di buona lacrimazione.
La valutazione del volume delle lacrime rilevata mediante lo Shirmer test è sicuramente influenzata
dall‟impatto meccanico della carta bibula inserita nel fornice inferiore. La quantità lacrimale
misurata con questa metodica risulta essere la somma tra la porzione basale (che è il dato che
interessa al contattologo) e la porzione riflessa, indotta dallo stimolo meccanico. Utilizzare, al posto
della carta bibula, un sottile filo di cotone, meglio se imbevuto di fluoresceina, rappresenta un buon
tentativo di ridurre la componente riflessa di lacrimazione.
Un test semplice che ha dimostrato un elevato grado di ripetibilità e una bassissima invasività, tanto
da potersi considerare sostitutivo allo Shirmer è la Misura dell’altezza del menisco lacrimale
marginale inferiore.
Il 90% del volume lacrimale presente sul segmento esterno si trova concentrato nei menischi
lacrimali adiacenti ai due margini palpebrali (superiore e inferiore). I menischi si possono osservare
al biomicroscopio riducendo l‟ampiezza della fessura luminosa e ponendola in posizione
orizzontale. Il menisco inferiore risulta essere di più agevole osservazione.
Ciò che è necessario valutare è:
L‟altezza del menisco
La regolarità del suo margine
L‟altezza approssimata di un menisco normale
si aggira tra 0,2 e 0,4 mm. Un valore inferiore è
indice di un occhio tendenzialmente secco
La regolarità del margine è indice di una buona
capacità di distribuzione della lacrima sulla
superficie corneale
Misure pre-applicative.
Rappresentano la fase finale dell‟esame preliminare e vengono effettuate quando non sussistano
controindicazioni all‟applicazione di lac e hanno lo scopo di fornire i parametri basilari delle lenti di
prova. Consistono in:
Misura della curvatura corneale
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E. Bottegal (2009)
La misura della curvatura corneale può essere effettuata con strumenti diversi. Quello, ancora oggi,
più tradizionalmente utilizzato è l‟Oftalmometro (Cheratometro). Lo strumento consente di
misurare i raggi di curvatura di una piccola area di cornea (max. 4mm2). Il funzionamento si basa
sulla legge della riflessione sugli specchi sferici, ove la cornea è assimilata ad uno specchio
convesso.
Dalla formula precedente osserviamo che se due delle grandezze presenti le riteniamo costanti (x e
h‟) possiamo calcolare il raggio di curvatura (R) solo in funzione della terza grandezza mantenuta
variabile (h). Quindi, operativamente, usando lo strumento l‟operatore farà variare la distanza “h”
tra le due mire fino ad ottenere sempre lo stesso valore di (h‟) che deve essere costante. La quantità
di cui sarà necessario variare „h”, per ottenere questo risultato, dipenderà esclusivamente dal raggio
di curvatura della cornea (specchio). Completata l‟operazione di posizionamento delle mire, sarà
possibile leggere su di un‟apposita scala dello strumento il raggio di curvatura (R) risultante.
31
Manuale di contattologia
La manopola 11, oltre a far scorrere le due mire per poterle posizionare tra loro tangenti, consente
anche di ruotare tutto il sistema nelle posizioni di tutti gli assi, allo scopo di misurare la differenza
di curvatura tra i vari meridiani nei casi di astigmatismo.
Quando la cornea in esame dovesse essere affetta da astigmatismo, essa dovrà essere identificata
non da uno ma da due valori di curvatura, corrispondenti ai due meridiani principali.
L‟oftalmometro consente, oltre a valorizzare i due meridiani, di identificare la posizione (l‟asse) dei
due meridiani principali.
A B C
A: Perdita della tangenza delle mire, ma non della contiguità degli assi. Condizione che si verifica
quando, dopo aver correttamente misurato ilo meridiano orizzontale (180°) si ruota il sistema per
misurare quello ortogonale (90°). Essendo presente un astigmatismo corneale secondo regola di
circa 2dt. si verifica la sovrapposizione delle mire. Per misurare correttamente il valore del raggio di
curvatura del meridiano verticale bisognerà ripristinare la tangenza.
B: C‟e tangenza, ma non contiguità degli assi di simmetria delle mire. Significa che lo strumento
non è posizionato lungo uno dei due meridiani principali della cornea astigmatica. In questo caso
bisognerà ruotare il sistema (Fig. C) fino ad ottenere l‟allineamento degli assi, senza perdere la
tangenza.
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E. Bottegal (2009)
Conclusione.
A questo punto siamo in possesso di tutti i dati necessari per proporre al nostro cliente una o
più scelte applicative adatte alla sua situazione oculare, a questo proposito è opportuno non
trascurare, se possibile, anche le possibili soluzioni economiche maggiormente vantaggiose per il
cliente, che apprezzerà ovviamente le nostre indicazioni, riconoscendo in noi un professionista serio
ed affidabile.
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Manuale di contattologia
4.
LE LENTI RIGIDE
L’APPLICAZIONE
ASSOSIMMETRICHE
Premessa
La lente a contatto rigida è una lente il cui raggio di curvatura delle superfici non cambia
quando viene posta sull‟occhio. Pertanto applicare una lente rigida significa generare delle
condizioni modificative dello stato rifrattivo dell‟occhio, non solo legate alla costruzione ottica
delle superfici attive della lac, ma dall‟interazione che queste superfici attive attuano con la
curvatura della cornea sottostante.
1. Eccentricità corneale
Dall‟anatomia conosciamo che la cornea non ha una curvatura unica, ma che partendo dall‟apice
e andando verso il limbus, dopo un breve tratto di regolarità, la curva subisce prima un
appiattimento e quindi un nuovo incurvamento, presentando comunque raggi di curvatura sempre
più lunghi di quello para apicale.
Utilizzando come esempio una cornea che presenti un raggio apicale medio di 7,85mm possiamo
costruire la seguente tabella di appiattimento di tale raggio man mano che ci si allontana dal centro:
Distanza dall‟apice in Varianza del raggio
mm in mm
0,0 7,85
3,5 7,85
5,4 7,95
6,6 8,35
7,9 9,15
9,0 10,60
Supponiamo ora di applicare su questa cornea delle lenti a contatto rigide sferiche monocurve con
raggi di curvatura posteriori (BOZR) diversi e valutiamo quali saranno le implicazioni realtive al
metabolismo corneale, alla sensibilità corneale e all‟aspetto correttivo.
34
E. Bottegal (2009)
BOZR = 7,85
Nella zona centrale la lente e la cornea sono allineate. In periferia
la cornea si appiattisce quindi la lente tende ad avvicinarsi alla
cornea, creando una leggere indentazione.
Metabolismo: lieve blocco della circolazione lacrimale.
Sensibilità: si genera un lieve sfregamento periferico durante
l‟ammiccamento.
Aspetto correttivo: l‟allineamento centrale genera un menisco
lacrimale neutro e quindi nessuna variazione rifrattiva.
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Manuale di contattologia
3. Lenti asferiche.
4. Nomenclatura
A seconda della soluzione adottata si rende necessario stilare una nomenclatura, utile sia ad
ordinare la lente al costruttore, sia a registrare il modello costruttivo sulla scheda del cliente, al fine
di poter fornire nel tempo ricambi sempre uguali.
Lente con flange Lente asferica
TD = Diametro Totale della lente TD = Diametro Totale della lente
BOZD = Diametro della zona ottica e = Eccentricità della curva interna
interna BOZD = Diametro della zona ottica
BOZR = Raggio della zona ottica interna
BPR1 = Raggio della 1° flangia φ = Potere della lente in diottrie
BPR2 = Raggio della 2° flangia
φ = Potere della lente in diottrie
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E. Bottegal (2009)
5. Tecniche di applicazione.
Applicare una lente a contatto significa creare uno stretto rapporto tra il raggio apicale della cornea
(K) e quello della superficie posteriore della lente (BOZR). La ricerca della miglior soluzione
applicativa in termini non solo di acuità visiva, ma soprattutto di rispetto della fisiologia corneale ha
generato diverse filosofie applicative, tra loro molto diverse.
Tecnica Bayshore
L‟applicazione prevede una lente con un movimento verticale praticamente assente, ove il ricambio
del liquido lacrimale sotto la lente è garantito da un effetto a pompa generato dalla pressione della
palpebra superiore durante l‟ammiccamento che genera un movimento avanti-dietro della lente. La
pressione, alla chiusura, produce l‟espulsione del liquido lacrimale da sotto lente, il rilascio della
pressione, alla riapertura della palpebra, genera il risucchio di lacrime fresche ossigenate.
Il set di prova
In funzione delle caratteristiche dell‟occhio in esame rilevate durante l‟esame preliminare (R 1 – R2,
Ф corneale, apertura palpebrale, tono palpebrale, ametropia), si seleziona una lente a contatto da un
set di prova.
Il set di prova a disposizione del contattologo è opportuno che contenga, riguardo alla geometria,
due sequenze di lenti: una con geometria sferica associata ad due diametri: 9,10 e 9.40 mm, e
37
Manuale di contattologia
un‟altra con geometria asferica associata a 9,60 e 9,90 mm di diametro (ovviamente queste misure
sono indicative e non assolute).
Riguardo ai raggi di curvatura, la sequenza sferica è bene si estenda da 7,10 mm a 8,40 mm, quella
asferica da 7,60 mm a 8,60 mm. È sufficiente lo step di 0,10 mm.
Le dimensioni della cornea hanno ovviamente priorità nella scelta in quanto un diametro così
scelto consente un giusto allineamento della zona ottica con la pupilla dell‟occhio in ogni
condizione di luce. È dimostrato che per ottenere tale buon allineamento la lac applicata deve avere
un diametro di 2 mm inferiore a quello corneale. Quindi:
I raggi di curvatura corneali giocano anch‟essi un ruolo importante nella scelta del TD. Si noti
infatti che a parità di altre caratteristiche, in presenza di due cornee con K medi molto diversi (ad es.
7,20 e 8,30), se applichiamo una lente di ugual diametro, otteniamo due effetti di centraggio
totalmente diversi. Infatti come descritto nella figura sottostante
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E. Bottegal (2009)
Anche il tono palpebrale influenza il centraggio della lente sulla cornea e quindi la scelta del
diametro. Rispetto a quanto indicato nella tabella precedente, un tono elevato richiede un aumento
di diametro; un tono lasso una diminuzione.
Il valore dell’ametropia entra in gioco in relazione allo spessore al bordo della lente. È infatti
assodato che le palpebre non sono in grado di sopportare, durante l‟ammiccamento, spessori del
bordo della lente superiori a 0,15 mm. Pertanto in presenza di un elevato grado di ametropia, specie
se miopica, le lenti a contatto devono essere costruite lenticolari. Questa costruzione determina un
evidente riduzione della zona ottica. Ne consegue che, per evitare fastidiosi disturbi visivi per
effetto anche di lievi decentramenti, in presenza di ametropie elevate sarà necessario utilizzare
diametri più grandi rispetto alla media. Il problema ovviamente non si pone con le medie e basse
ametropie.
In tali condizioni la lente risulta immobile quando l‟occhio rimane aperto, e si muoverà solo
durante l‟ammiccamento.
Come si vede la lente appare sempre decentrata verso l‟alto. S‟impone pertanto che il suo BOZR sia
allineato, non all‟apice , ma alla zona negativa della cornea. Ciò impone BOZR allungati di circa
39
Manuale di contattologia
0,2 – 0,4 mm rispetto al K della cornea. L‟aspetto applicativo osservato è quello di una lente
decisamente piatta con elevato TLT periferico.
6. I controlli dell’adattamento
Dinamica e centratura
La lente non deve risultare bloccata sulla cornea, ma bensì effettuare, ad ogni
ammiccamento, un leggero movimento alto-basso compreso tra 2 e 1 mm. Una volta completato
l‟ammiccamento la lente si deve posizionare centrata rispetto alla pupilla e non continuare a
scivolare in basso. Il movimento di ricupero dall‟alto deve compiersi lungo il meridiano verticale,
movimenti di discesa ad arco sono indice di lenti troppo piccole o troppo piatte di BOZR.
Quindi gli elementi che influenzano la dinamica e il buon centraggio della lente sono il raggio base
(BOZR) e il diametro totale:
Aumentando il raggio base e/o diminuendo il diametro si aumenta il movimento
Diminuendo il raggio e/o aumentando il diametro si riduce il movimento
Fluoroscopia
È la metodica più efficace per valutare se l‟interazione tra lente e cornea è rispettosa del
metabolismo di questa ultima.
Mediante l‟instillazione di fluoresceina e l‟irraggiamento con luce cobalto si possono agevolmente
distinguere le zone ove la lente si avvicina maggiormente alla cornea (aree scure) da quelle che di
più si discostano da essa (aree verdi).
La corretta interpretazione della fluoroscopia è legata all‟esperienza dell‟applicatore ed è materia
che non può essere riassunta in testo scritto. Per il neofita è bene si faccia riferimento a delle
riproduzioni standard delle immagine fluoroscopiche più classiche, verso le quali si imparerà a far
confluire quelle, molto più cangianti, dell‟osservazione diretta.
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E. Bottegal (2009)
Lac con giusto adattamento Lac troppo curva su cornea Giusto adattamento su Lac troppo curva si cornea
su cornea sferica sferica cornea molto torica (>3dt) molto astigmatica
Giusto adattamento su Lac troppo curva su cornea Lac troppo curva Lac piatta su cornea torica
cornea moderatamente lievemente torica decentrata in alto
torica
Sovrarefrazione
L‟ultimo dei controlli di adattamento consiste nella determinazione del potere diottrico correttivo da
attribuire alle lac. Tale procedura è bene che sia lasciata alla fine, perché la presenza di un‟eccessiva
lacrimazione riflessa potrebbe falsare, anche significativamente, il risultato. Alcuni applicatori
preferiscono rimandare ad una seconda seduta di prova l‟esecuzione di questa metodica, altri ancora
tendono a consegnare al cliente, per la prima settimana d‟uso, delle lenti di prova, di gradazione
approssimativa, e determinare la gradazione definitiva quando ormai il processo di adattamento è ad
un buono stadio. Personalmente ho riscontrato che un buon adattamento all‟uso di lenti a contatto
rigide passa attraverso una forte motivazione psicologica del portatore, che, proprio durante la
prima settimana d‟uso si viene messa a dura prova. Se durante questo primo periodo, oltre alle
difficoltà di adattamento, vengono apprezzati anche dei vantaggi, come può essere un visus
migliore di quello abituale, le spinte psicologiche negative vengono di molto attenuate. Pertanto
nella pratica quotidiana, preferisco eseguire la sovrarefrazione al termine della prima seduta di
prova e consegnare sin dall‟inizio delle lenti con potere diottrico esatto.
La sovrarefrazione è condotta secondo le metodiche a ciascuno usuali. Ci sono, comunque, alcuni
elementi procedurali che devono essere conosciuti per raggiungere il risultato ottimale.
41
Manuale di contattologia
La compensazione dell‟astigmatismo corneale, nei casi di valori medio/bassi, si può affermare che
avvenga in maniera pressoché totale (8/9) con l‟applicazione di lenti rigide sferiche. In effetti sotto
la lente a contatto si forma un menisco lacrimale che assume maggior spessore nelle aree ove la
lente maggiormente si discosta dalla curva corneale, e minor spessore ove la lente segue più
intimamente la stessa curva. Si viene quindi a generare un menisco lacrimale torico di valore
uguale, ma segno opposto a quello corneale. Il residuo di 1/9, non corretto, dipende dalla differenza
tra l‟indice di rifrazione della lente e quello delle lacrime. Tale valore residuo rimane trascurabile
(meno di 0,25 dt) in presenza di astigmatismi fino a 2 dt., mentre diventa apprezzabile su
astigmatismi oltre le 2,50 dt. Permane tuttavia presente il problema dell‟astigmatismo interno che,
pur non raggiungendo valori elevati, una volta eliminata l‟azione di quello corneale che lo contro-
bilanciava, può deprimere la performance visiva. Queste situazioni troveranno una più facile
soluzione con l‟applicazione di lac rigide toriche.
Alle volte, in ragione della limitatezza dei set di prova, l‟applicatore si può trovare nella condizione
di fare tutte le valutazioni del caso avendo applicato delle lenti che ritiene di dover modificare in
uno o più dei suoi parametri al momento dell‟ordinazione. In questo caso diventa necessario saper
modificare il potere totale della lente trovato in sovrarefrazione, in ragione delle modifiche ai
parametri che si vuol operare.
Più praticamente, ogni qualvolta, in sede di ordinazione, si opera un appiattimento della curva base
della lente, rispetto a quella utilizzata per la prova, i poteri negativi vanno diminuiti e quelli positivi
aumentati. Viceversa quando si opera un aumento della curva base.
Ad esempio: nella prova ho utilizzato un Ro 7,85 e su di esso ho ottenuto una sovrarefrazione di
sf.-3.00. Se ritengo che possa funzionare meglio, senza provarlo, un Ro da 7,90 ordinerò una lente
con potere sf.-2.75; se invece la scelta finale dovesse essere un raggio base 7,80, il potere da
accoppiare sarà sf.-3,25.
Analogamente si può presentare la necessità di utilizzare un diametro totale non presente nel set di
prova.
Ad esempio: si valuta che, in presenza di una cornea particolarmente grande, sia necessario usare un
diametro totale 9,80mm. Il set di prova a disposizione contiene lenti con diametro massimo di
9,50mm. Alla fine della prova, la miglior lente risulta essere:
Ro 8.00, potere sf.-2.00, diam.tot. 9.50mm
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E. Bottegal (2009)
Se si vuol ordinare una lente che corrisponda in pieno alle prove fatte, ma in diametro 9,80 sarà
necessario richiedere:
Ro 8,05/ sf.-1,75/ diam tot. 9.80
Facciamo ora un esempio contrario. Ammettiamo di voler ordinare la nostra lente in diam.tot.
9,20mm (senza poterlo provare)
L‟ordinazione sarà:
Ro 7,95/ sf.-2.25/ diam.tot. 9.20
Possiamo quindi assumere la seguente regola: ad ogni variazione di 0,05mm del raggio base della
lente corrisponde una varianza del potere diottrico di 0,25 dt. Ad ogni variazione di 0,30-0,20 mm
di diametro totale corrisponde una variazione di 0,05 mm nel raggio base.
7. La consegna
La prima seduta ha consentito di determinare tutti i parametri delle lenti a contatto necessarie. Si
procede quindi all‟ordine presso il fornitore di riferimento. All‟arrivo di quanto ordinato si
controllerà la corrispondenza ai parametri richiesti. Con il frontifocometro si controlla il potere, con
l‟oftalmometro il raggio di curvatura, per confronto con un campione del set si controlla il diametro.
Se tutto corrisponde si convoca il cliente per la seduta di consegna ed istruzione.
Al cliente saranno affidate le lenti per l‟assuefazione solo se:
a) Sarà riuscito a metterle e a toglierle da solo in nostra presenza
b) Avrà appreso chiaramente la procedura di adattamento in termini di tempi d‟uso
c) Avrà appreso correttamente la procedura di manutenzione
d) Avrà dato sicura disponibilità di poter venire ai successivi controlli secondo le scadenze
stabilite.
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Manuale di contattologia
Istruzioni al portatore
Per l‟inserimento;
La lente viene appoggiata sulla punta del dito indice della mano omologa all‟occhio
trattato
Il polpastrello del dito medio della stessa mano si appoggia sulla rima palpebrale
inferiore (a livello dell‟inserzione delle ciglia) e abbassa leggermente la palpebra
Il polpastrello del dito medio della mano opposta scende da sopra la fronte si
appoggia sulla rima palpebrale superiore e trattiene saldamente la palpebra.
La lente va appoggiata direttamente sulla cornea.
Il corretto inserimento va verificato guardandosi in uno specchio
Per la rimozione:
Gli occhi devono assumere una posizione di media convergenza (si fa osservare un punto di
riferimento posto a 15 cm dagli occhi)
Si appoggia la punta del dito indice della mano omologa all‟occhio sulla congiunzione
palpebrale esterna.
Si deforma la cute palpebrale stirandola verso l‟esterno fino ad ottenere, per effetto della
tensione, la chiusura delle palpebre
Va indicata al portatore (meglio se in forma scritta) la durata quotidiana di utilizzo progressivo delle
lac, raccomandando più volte la necessità di rispettare con precisione i tempi indicati.
Il miglior adattamento si consegue con l‟utilizzo giornaliero in due turni spezzati, come da tabella
seguente:
USO ORARIO
GIORNI
I° Turno Intervallo II° Turno
Primo 1 4 1
Secondo 1,30 4 1,30
Terzo 2 3 2
Quarto 2,30 3 2,30
Quinto 3 2 3
Sesto 3,30 2 3,30
Settimo 4 2 4
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E. Bottegal (2009)
Come si può notare l‟utilizzo inizia con 2 ore totali il primo giorno e si incrementa di un‟ora ogni
giorno che passa. Se per motivata causa, non fosse possibile effettuare la doppia applicazione
giornaliera, si procederà con un‟unica applicazione, partendo da 1 ora il primo giorno e attuando
incrementi di 1 ora per ogni giorno successivo.
8. Le sedute di controllo
Il settimo giorno il portatore va rivisto, con le lenti inserite, alla fine del turno d‟uso. Va rilevato e
trascritto in scheda l‟andamento applicativo a livello di sintomi, sensazioni ed esperienze riferite dal
cliente.
Quindi vanno effettuati i seguenti controlli oggettivi, nell‟ordine indicato:
a) Controllo della massima acuità visiva monoculare e binoculare
b) Controllo al biomicroscopio della dinamica e centraggio della lente (illuminazione diffusa e
basso ingrandimento)
c) Controllo al biomicroscopio dell‟allineamento lente/cornea, mediante instillazione di
fluoreiscina (medio/basso ingrandimento, luce cobalto diffusa).
d) Rimozione delle lenti, controllo e registrazione dello stato della cornea, della congiuntiva, e
del sistema vascolare. Le annotazioni dovranno rapportarsi ad un sistema di riferimento
(scala di Efron).
e) Se possibile evidenziare eventuali variazione della sensibilità al contrasto.
Nel caso “a” si invita il cliente a continuare la scala tempi d‟uso, con lo stesso trend, fino a
raggiungere le 12 ore (ormai senza intervallo) e lo si invita a presentarsi ad un secondo controllo
dopo 15 gg (sempre con le lenti inserite da più ore possibili).
Nel caso “b” si annotano le possibile modifiche e salvo che non vi siano marcate alterazioni dei
tessuti coinvolti si fa procedere l‟adattamento con l‟usuale aumento. Si invita il cliente ad un
secondo controllo dopo 7 giorni. Solo allora, dopo aver controllato che le osservazioni fatte in
precedenza siano ancora valide, si opererà la sostituzione della lente. Nel periodo di attesa
dell‟arrivo della nuova lente, se possibile, far continuare al cliente l‟uso delle vecchie; farlo
rimanere senza nulla per 5 o 6 giorni fa perdere tutto l‟adattamento conquistato.
Nel caso “c” se non sono presenti anomalie applicative tipo: Ro troppo stretto, diametro errato,
lente decentrata, eccesso di movimento ecc. significa che siamo in presenza ad una intolleranza
essenziale al corpo estraneo. Pertanto è opportuno abbandonare l‟utilizzo o quando sia possibile
tentare la strada delle lenti morbide.
Se invece sono presenti evidenti difformità applicative, si fa interrompere l‟uso delle lenti attuali fin
tanto che non saranno disponibili le nuove modificate. Quindi l‟adattamento dovrà iniziare daccapo.
L‟applicazione si può ritenere felicemente conclusa quando all‟ultimo controllo (non prima di un
mese d‟uso) tutti i seguenti parametri sono verificati:
L‟acuità visiva è uguale o superiore a quella pre-applicazione.
La sensazione soggettiva di corpo estraneo è totalmente scomparsa
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Manuale di contattologia
All‟esame oggettivo i tessuti oculari coinvolti non presentano differenze rispetto allo stato
preapplicativo.
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5. L’APPLICAZIONE
LE LENTI RIGIDE TORICHE
Premessa
Questo tipo di soluzione prevede l‟uso di una lente con zona ottica sferica e zona di disimpegno
a curva torica. È adottabile per cornee che presentino una toricità compresa tra le 2 dt. e le 3 dt.
Il raggio base interno viene scelto con lo stesso criterio di un‟applicazione di lente sferica, quindi
lievemente più curvo del K piatto (mediamente K-0,10mm).
La toricità delle flangie oscilla tra i ⅔ e i ¾ della toricità corneale. Una toricità così bassa è
necessaria per evitare serraggi in periferia e al contempo promuove un discreto ingrandimento della
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Manuale di contattologia
zona ottica sferica che assume forma ellittica. La lente si stabilizza con l‟asse maggiore della zona
ottica (ellittica) allineato con il meridiano più piatto della cornea.
Così disposta la lente dà elevate performance nei casi di astigmatismi secondo regola, ma altrettanto
scadenti negli astigmatismi contro regola, ove la normale dinamica verticale della lente provoca
l‟invasione del bordo entro l‟area pupillare.
È una lente in cui tutta la faccia interna, flangie e zona ottica, è torica
L‟adattamento di una lente di questo tipo prevede, pertanto, la scelta di due Ro che si allineino al
meglio con quelli corneali.
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Fluoroscopia
Il pattern fluorescinico sarà quello tipico di una lente sferica ben applicata su una cornea
moderatamente torica: perfetto allineamento sulla direzione del meridiano più piatto e moderato
sollevamento in periferia lungo il meridiano più curvo.
Operando con un set di lenti sferiche si dovrà selezionare la lente con raggio che meglio si allinea
con il k piatto della cornea e da qui dedurre con i relativi calcoli sia r2, sia il potere sferico finale.
Solo dopo aver ricevuto dal costruttore la lente, così ordinata, sarà possibile controllare il pattern
fluorescinico e stabilire eventuali modifiche da apportare.
Avendo a disposizione un set di lenti toriche preconfezionate con vari step di toricità, non ci si
discosta dal sistema di operare precedente solo che è possibile verificare prima dell‟ordine la figura
fluioroscopica della scelta fatta. In caso di leggere difformità di adattamento si possono modificare
separatamente i parametri principali fin ad ottenere il miglior risultato.
Anche la definizione del potere in questa seconda metodica risulta più agevole e precisa, in quanto
può essere perfettamente ottenuta con una semplice sovrarefrazione sulla lente di prova.
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Manuale di contattologia
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E. Bottegal (2009)
6.
LENTI MORBIDE
L’APPLICAZIONE
ASSOSIMMETRICHE
Le semisclerali appoggiano sul centro della cornea, sorvolano il limbus e vanno ad appoggiarsi sulla
congiuntiva bulbare.
Le limbari coprono totalmente la cornea e trovano appoggio appena oltre il limbus.
In entrambi i casi, si comprende che il diametro totale delle lenti morbide è decisamente maggiore
rispetto alle sorelle rigide e che di conseguenza i raggi di curvatura medi dovranno essere
decisamente maggiori del K corneale.
La superficie posteriore può essere:
Sferica: monocurva o bicurva
Asferica
Il grande diametro preclude il facile ricambio del film lacrimale sotto la lente. Pertanto, il
metabolismo corneale è affidato alla permeabilità ai gas del materiale. Il valore di permeabilità è
influenzato dal contenuto d‟acqua del polimero e dallo spessore della lente.
La porzione acquosa della lente consente il trasporto dell‟O2, mentre il polimero è di per se non
permeabile. Maggiore è l‟idrofilia, maggiore sarà la gaspermeabilità delle lenti a contatto.
Lo spessore rappresenta una barriera agli scambi di O2. Uno spessore ridotto consente una maggior
gaspermeabilità.
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Manuale di contattologia
2. L’adattamento.
Gli elementi che concorrono alla scelta dei parametri della lente di prova sono:
a) Il diametro dell‟iride visibile (DIV)
b) I raggi corneali
c) Il valore dell‟ametropia
L‟utilizzo di lenti semisclerali o limbali, l‟idrofilia del materiale e lo spessore della lente
condizionano ulteriormente la scelta dei parametri.
Si osservi che in presenza di DIV medio piccoli si preferiscono lenti limbari, mentre per
cornee medio grandi si usano lenti semisclerali.
Tale metodica è valida solo quando si utilizzano lenti di bassa/media idrofilia. Infatti, solo con
materiali che non superino il 45% di contenuto idrico è possibile realizzare lenti limbari. Con
idratazioni più alte l‟aumento del peso della lente e la facile alterazione dei raggi di curvatura
possono facilmente introdurre decentramenti che l‟applicazione di tipo limbare non può sopportare.
Nell‟applicazione limbare si ottengono migliori condizioni di interscambio di lacrime sotto la lente,
ma il calcolo e il mantenimento del raggio di curvatura deve essere rigoroso. Infatti, andando ad
interessare col bordo della lente la zona del limbus, è necessario che non si verifichino compressioni
o serraggi che condurrebbero ad una stasi circolatoria.
Con idratazioni medio alte vengono pertanto prodotte sole lenti a contatto semisclerali.
La scelta della curava base è funzione dei raggi corneali e del diametro totale scelto e dello
spessore della lente.
La seguente tabella fornisce i coefficienti di appiattimento rispetto al K medio corneale in
caso di lenti a contatto di spessore standard:
Lenti limbari
K medio Appiattimento
Minore di 7,50 mm 0,80
7,50 – 8,10 mm 0,60
> 8,10 mm 0,40
Lenti Semisclerali
Minore di 7,50 mm 1,00
7,50 – 8,10 mm 0,80
> 8,10 mm 0,60
Con lenti ad elevato contenuto d‟acqua, per la loro peggiore stabilità, è opportuno utilizzare
coefficienti di appiattimento più ridotti (da 0,10 a 0,20 in meno rispetto alla tabella). Da notare
come in queste lenti l‟intervallo tra i raggi disponibili tenda ad aumentare rispetto a quelle di bassa
idrofilia. La ragione sta nel fatto che nemmeno il produttore può garantire che, una volta idratata, la
lente ad alta idrofilia mantenga il raggio con cui è stata nominalmente costruita. Variazioni di
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E. Bottegal (2009)
0,15/0,20 mm sono nella norma. Pertanto per non dichiarare cose non vere si preferisce usare
intervalli tra i raggi disponibili superiori a 0,30 mm.
Con lenti ultrasottili il rigore di scelta dei parametri è molto minore. Addirittura si può dire
che non esista nessuna relazione significativa tra raggi di curva base e valori corneali.
Ciò spiega come la totalità delle lenti monouso in commercio, caratterizzate da spessori ridottissimi,
vengano prodotte con un unico raggio base.
3. Il controllo dell’applicazione
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Manuale di contattologia
Se tutti i test finora elencati danno risultati positivi, possiamo nutrire buone speranze su una
soddisfacente scelta della lente applicata solo se si tratta di materiali a bassa idrofilia. Nel caso si
siano applicate lenti di idrofilia medio-alta o alta, prima di essere soddisfatti dovremmo attendere di
poter effettuare nuovamente gli stessi controlli minimo dopo 4 ore dall‟inserimento.
Infatti è necessario tener conto del fatto che la lente, contenendo acqua, per svariate cause può
andare incontro, col passare delle ore, al fenomeno della disidratazione, con la conseguenza di
variare sostanzialmente i suoi parametri originari. Sarà pertanto importante poter paragonare i
risultati dei due controlli.
La disidratazione, quando supera i valori di guardia, conduce ad una riduzione del raggio di
curvatura anteriore di almeno 0,2 mm a cui consegue una riduzione della dinamica e della capacità
visiva.
In questi casi è opportuno capire le cause della disidratazione e trovarne la soluzione. Alle
volte può essere necessario prescrivere l‟uso di umettanti, in altre la soluzione può passare
attraverso l‟utilizzo di un materiale a più bassa idratazione, associato, se possibile ad una riduzione
del diametro totale.
Nel caso in cui i risultati dei test di controllo dopo 4 ore siano simili a quelli di post-
applicazione, significa che l‟adattamento è corretto e la lente può essere confermata come
definitiva.
4. Le lenti ultrasottili
La grande diffusione commerciale delle lenti morbide monouso (Oneday) che sta
contraddistinguendo il mercato di questi ultimi anni conduce alla necessità di fare alcune
considerazioni importanti sull‟adattamento di queste lenti.
In effetti si nota sia da parte dei clienti che da quella degli ottici una evidente banalizzazione di
questo tipo di prodotto. Al punto che si è diffusa l‟idea che la vendita di tale prodotto possa essere
svincolata da ogni necessità di attività professionale di controllo, lasciando alla sensibilità del
cliente definire se l‟uso funzioni bene o meno.
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E. Bottegal (2009)
È bene ricordare che queste lenti appartengono alla famiglia delle ultrasottili, con uno
spessore inferiore a 0,6 mm. Lo spessore è tale da svincolare la lente dall‟influenza delle palpebre,
riducendo la componente dinamica ad esse associata durante l‟ammiccamento. Ma una ridotta
dinamica, rallenta di molto il ricambio lacrimale sotto la lente con un aumento della viscosità delle
lacrime ove la lente è immersa, che provoca un ulteriore diminuzione del movimento della lente. Il
risultato è che dopo un paio d‟ore dall‟inserimento le lenti aderiscono alla cornea, con un effetto di
serraggio al limbus, che abbiamo visto è una delle condizioni da evitare in ogni applicazione di lenti
a contatto.
È pertanto più che opportuno effettuare in questi casi tutti i controlli precedentemente
elencati e nei casi in cui si riscontrino le condizioni di cui sopra, consigliare il cliente ad utilizzare
altri tipi di lenti.
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Manuale di contattologia
7. L’APPLICAZIONE
LE LENTI MORBIDE TORICHE
1. L’astigmatismo residuo
Ogni qualvolta, dopo l‟applicazione di una lente morbida assosimmetrica, alla sovrarefrazione si
rilevi la presenza di un astigmatismo residuo di valore tale da compromettere in modo significativo
il visus, diventa necessario prendere in esame la possibilità di applicare una lente morbida torica che
possa risolvere il problema visivo.
L‟astigmatismo residuo può essere indotto da due fattori differenti:
a) Dalla presenza di astigmatismo sulla zona centrale della cornea. Tale condizione viene
misurata al momento dell‟esame oftalmometrico e quindi assolutamente prevedibile.
b) Dalla toricità della cornea in periferia e dalla toricità della sclera in prossimità del limbus
2. La stabilizzazione
Le lenti toriche devono assumere una posizione stabile davanti all‟occhio ed essere assenti di
rotazioni. Tale effetto si ottiene con specifiche costruzioni geometriche di cui le più diffuse sono:
a) Prisma ballast
b) Alleggerimento lenticolare
c) Troncatura
Nelle lenti con prisma di Ballast la lente è costruita con un ispessimento prismatico con base a
270°. Quando la lente viene applicata la parte più sottile si posiziona autonomamente sotto la
palpebra superiore, mantenendo quella più spessa a contatto di quella inferiore.
Questa soluzione si dimostra la migliore nella qualità visiva dopo l‟ammiccamento. Mentre dal
punto di vista meccanico l‟ispessimento inferiore può generare disturbi di sopportazione, tanto che
si usa assottigliare il prisma nella parte più prossima al bordo ove avviene il contatto con la
palpebra inferiore.
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Con il sistema dell‟alleggerimento lenticolare sia la parte bassa che quella alta della lente
vengono assottigliate in modo che siano la palpebre a mantenere la lente nella posizione esatta.
Con questa soluzione il confort è molto elevato. Risulta più stabile di quelle con prisma negli
astigmatismi contro regola e meno stabile in quelli secondo regola.
La troncatura da un lato rappresenta la lente più stabile in assoluto, ma da un altro anche la più
invasiva. Al punto che se solo uno degli occhi necessitasse di correzione torica, risulta necessario
produrre tronca anche la lente sferica controlaterale, affinché l‟effetto prismatico caricato su un solo
occhio non introduca anisoforia verticale. Per questo motivo ed anche per la maggior difficoltà di
costruzione tale soluzione oggi risulta molto limitata.
3. La superficie torica
A seconda della superficie scelta per la correzione torica la lente può essere:
Torica interna
Torica esterna
La prima è adatta principalmente per la correzione degli astigmatismi corneali.
La seconda è adatta sia per gli astigmatismi corneali che per quelli interni.
4. Segni di riferimento
Può capitare che, dopo aver applicato delle lenti toriche morbide, il risultato visivo non sia
soddisfacente, anzi possa essere peggiore di quello ottenuto con la lente assosimmetrica. Nella
maggior parte di questi casi si tratta di un problema di rotazione della lente, che pertanto non
mantiene la correzione cilindrica lungo il giusto asse.
Per poter valutare preventivamente tale fenomeno i costruttori di lenti a contatto usano praticare
delle marcature in prossimità del bordo delle lenti. Una volta che la lente si sia stabilizzata ed
integrata con il film lacrimale sottostante, osservando la posizione che le tacche assumono tra un
ammiccamento e un altro, si può stabilire se la direzione dell‟asse della componente cilindrica sia
corretta.
Di seguito nella figura sono riprodotte i più usuali sistemi di marcatura.
È possibile stabilire con discreta precisione il valore in gradi degli eventuali scostamenti
regolando la fessura del biomicroscopio in forma molto sottile e sovrapponendola in modo parallelo
alla tacca di riferimento principale. Si potrà quindi leggere sulla scala graduata della fessura il
valore dell‟angolo di rotazione.
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Manuale di contattologia
5. L’adattamento
I criteri applicativi, per quanto riguarda dinamica, centraggio ecc., sono gli stessi di una normale
lente morbida assosimmetrica. Unica differenza, non trascurabile, sta nella necessità di stabilire se
la lente selezionata con i soliti criteri, una volta costruita con la toricità richiesta, sarà soggetta o
meno a rotazione. Per questo motivo è necessario poter provare delle lenti che, anche nei poteri,
presentino già la costruzione torica prevista, completa di tacche di riferimento.
Oggi il mercato delle lenti a ricambio frequente si è notevolmente arricchito di prodotti per la
correzione dell‟astigmatismo. I produttori forniscono gratuitamente e con velocità adeguata
campioni di prova di tali prodotti, consentendo all‟applicatore di compiere tutte le prove necessarie
e di formulare un‟ordinazione finale estremamente corretta.
Una volta applicati i campioni di prova vanno eseguiti tutti i classici controlli già esposti nella
sezione delle lenti assosimmetriche, inoltre anche i seguenti controlli specifici delle lenti toriche:
a) Valutazione della posizione delle tacche di riferimento
b) Valutazione del visus ed eventuale sovrarefrazione
Rotazione nasale di ogni lente di 10°. Se l’asse del cilindro correttore è 160° in OO. Applicando la regola l’asse della lente a contatto dell’O.D.
deve essere uguale a 160°- 10°= 150°. Quella dell’O.S. deve essere 160°+10°=170°
Se, dopo aver correttamente allineato l‟asse della lente, e stabilita la miglior sovrarefrazione
sferica, il visus dovesse rimanere su valori significativamente lontani dal previsto sarà opportuno
effettuare una sovrarefrazione sfero-cilindrica, che quasi sicuramente condurrà agli usuali valori di
visus. A questo punto:
a) si inserisce sull‟occhialino di prova il cilindro della lente a contatto con la sua asse e, sopra,
il cilindro della sovrarefrazione con la sua asse (che sarà diversa da quella della lente a
contatto)
b) si pone l‟occhialino sotto il frontifocometro e si annota il risultato sfero-cilindrico che ne
esce
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E. Bottegal (2009)
6. Le sedute di controllo
La procedura è comune a tutte le applicazioni di lenti morbide, sia assosimmetriche che toriche.
Il cliente va visto,con le lenti a contatto inserite sempre da almeno 4 ore, dopo la prima settimana
d‟uso e se non intervengono modifiche, una seconda e ultima volta alla fine della terza settimana.
Le lenti per diventare definitive devono fornire costanza di risultati almeno per due settimane
continuate d‟uso.
Durante la seduta di controllo vanno eseguiti i seguenti controlli nell‟ordine indicato:
Visus monoculare e binoculare
Dinamica e centraggio (allineamento delle tacche dell‟asse) al biomicroscopio
Valutazione dello stato dei tessuti oculari annessi: Congiuntiva bulbare, Tarso superiore,
Formazione di neovasi, Stasi pericheratica. Il tutto va annotato secondo la scala di
riferimento (Efron) e paragonato con gli stessi rilevamenti preapplicativi.
Integrità dell‟epitelio corneale in fluoroscopia, dopo aver rimosso le lenti a contatto
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Manuale di contattologia
8. LA CORREZIONE
DELLA PRESBIOPIA
Premessa.
La diffusione, negli ultimi 50 anni, dell‟utilizzo di lenti a contatto per la correzione delle
ametropie, ha prodotto una crescente generazione di nuovi ametropi presbiti che accettano mal
volentieri la necessità di dover utilizzare un occhiale in abbinamento alle loro lenti a contatto per
correggere la presbiopia. Costoro, nel momento in cui il problema visivo da vicino si fa
consistente, si rivolgono ad ottici ed oculisti chiedendo una soluzione che passi ancora e solo
attraverso l‟uso di lenti a contatto. Ciò ha condotto i maggiori produttori del settore ad elaborare
prodotti capaci di riprodurre a contatto le funzioni delle lenti bifocali e multifocali normalmente in
uso in ottica oftalmica.
Naturalmente il problema non è di facile soluzione. Se nelle correzioni con occhiali la
facilità di utilizzo di zone a potere variabile è ottenuto da opportuni movimenti degli occhi e del
capo, tutto ciò è inutile in una correzione a contatto ove qualsiasi movimento degli occhi porta con
se anche quello delle lenti che vi sono applicate.
Per questo motivo le prime generazioni di lenti a contatto adatte alla correzione della
presbiopia non hanno ottenuto grandi successi. Le performance lontano/intermedio/vicino si sono
dimostrate accettabili solo in una gamma abbastanza ristretta di casi, al punto di far allontanare gli
stessi applicatori dal consigliare soluzioni di questo tipo.
In questo ambiente di diffuso scetticismo, ha trovato migliori riscontri una tecnica correttiva
basata sull‟utilizzo di lenti a contatto monofocali di diverso potere: La monovisione.
1. MONOVISIONE.
Se si osserva il comportamento visivo di soggetti affetti da una lieve miopia monolaterale
(0,75/1.00 solo in un occhio), si può, nella maggioranza dei casi, osservare che costoro riescono a
non utilizzare alcuna correzione per la quasi totalità della loro vita. Infatti la buona visione lontana è
loro garantita dall‟immagine fornita dall‟occhio emmetrope, mentre l‟eventuale presbiopia è
agevolmente compensata dall‟occhio miope. Inoltre è quasi la regola non riscontrare in questi
soggetti evidenti alterazioni della binocularità.
Basandosi su quanto appena osservato, è possibile risolvere i problemi visivi di una
ametrope presbite, portatore di lenti a contatto, inducendo intenzionalmente un‟anisometropia.
La tecnica consiste nel mantenere su un occhio l‟abituale lente a contatto con la gradazione
per lontano e nell‟altro applicare una lente che consenta visione nitida a distanza vicina (più leggera
nel miope, più potente nell‟ipermetrope). In monovisione, pertanto, l‟immagine nitida di un occhio
viene percepita simultaneamente all‟immagine sfuocata dell‟altro. A livello corticale l‟immagine
nitida viene esaltata e quella sfuocata viene depressa. Naturalmente è bene far utilizzare per vicino
l‟occhio non dominante. Quando ciò non fosse possibile, è necessario preventivamente testare le
reazioni del soggetto in presenza della penalizzazione dell‟occhio dominante; in casi di radicata e
profonda dominanza la monovisione potrebbe non essere accettata. Concordamente all‟esempio
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E. Bottegal (2009)
fornito in apertura, la tecnica della monovisione risulta proponibile con addizioni, sull‟occhio
utilizzato per vicino, non molto superiori ad 1 diottria (max.1,50 dt)
2. LENTI PLURIFOCALI.
All‟interno di tutte le diverse soluzioni prodotte, le lenti a contatto a più focali sono
catalogabili in:
Lenti a visione alternata
Lenti a visione simultanea
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Manuale di contattologia
Condizione essenziale affinché queste lenti funzionino è il perfetto centraggio della zona giusta
(lontano o vicino) davanti alla pupilla. Se durante la visione vicina dovesse entrare nel campo di
visione, anche pur in modo parziale, la zona per lontano la visione risulterebbe notevolmente
disturbata. Tale fenomeno conduce alla necessità che alla diversa posizione degli occhi nelle diverse
posizioni di sguardo la lente goda di una elevata mobilità per potersi posizionare con la zona adatta.
Per questo motivo le uniche lenti che con questa filosofia costruttiva possono dare delle
performance visive adeguate ( a volte anche eccellenti) sono le lenti RGP, che, se applicate con un
allineamento un pochino più aperto rispetto allo standard, sono in grado di effettuare sulla cornea le
necessarie traslazioni.
Tra le varie geometrie proposte (v. figura), attualmente vengono prodotte quasi
esclusivamente i tipi a segmento che somigliano a quelle utilizzate nelle lenti da occhiali.
Naturalmente è necessario che la lente di questa geometria rimanga stabilizzata in modo da avere
sempre in alto la zona del lontano e in basso quella del vicino. Ciò si ottiene mediante uno spessore
differenziato (prisma di bilanciamento) e troncatura nella zona di maggior spessore. Non avendo
generalmente a che fare con correzioni toriche (le lenti a contatto RGP sferiche correggono
agevolmente la maggior parte degli astigmatismi corneali) è ammessa una certa rotazione della
lente: circa 30° dal lato nasale e 10° dal lato tempiale.
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Manuale di contattologia
Il diametro pupillare
Il problema più consistente con le lenti a visione simultanea è il diametro pupillare che
rappresenta il regolatore della quantità di energia che raggiunge la retina. Condizioni anomale sia di
miosi che di midriasi provocano decadimenti di visus a seconda si usi il centro come lontano ovvero
come vicino. Più precisamente con il centro della lente utilizzato da lontano, una condizione di
spiccata miosi consente visione nitida solo da lontano, l‟inverso se si è utilizzato il centro come
vicino. È pertanto importante la valutazione pre-applicazione della possibile escursione pupillare
del potenziale utilizzatore per poter valutare l‟idoneità all‟utilizzo di lenti plurifocali.
Lenti difrattive
Sulla superficie posteriore delle lenti (morbide)
e per un‟estensione che oscilla tra i 4 e i 5
millimetri vengono praticate delle incisioni
concentriche. Queste incisioni si riempiono di
liquido lacrimale generando un serie di anelli
concentrici ove l‟indice di rifrazione è diverso
da quello del resto della lente.
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Manuale di contattologia
9. I DEPOSITI
1. Generalità
È stimato che l‟80% di tutti i problemi clinici legati all‟uso di lac morbide è attribuibile alla
formazione di depositi.
Essi comportano:
Riduzione dell‟acuità visiva
Riduzione della bagnabilità del materiale
Aumento delle complicanze infettive e infiammatorie
Le analisi chimiche e morfologiche dei depositi hanno condotto ad evidenziarli come segue:
ORGANICI INORGANICI MICRORGANISMI
PROTEICI LIPIDICI Carbonato di calcio Batteri
Lizozima Fosfolipidi Fosfati di calcio Funghi
Albumine Trigliceeridi Ferro Virus
Globulina Est. di colesterolo
Mucine
I depositi possono interessare la sola superficie della lente (adsorbimento) oppure possono
penetrare all‟interno di essa e legarsi alla matrice (assorbimento)
È chiaro che in caso di adsorbimento la rimozione dei depositi risulta sicuramente più
semplice. Infatti con un semplice sfregamento con dei detergenti o con l‟immersione in soluzioni
contenenti enzimi l‟eliminazione del materiale estraneo è assicurata.
Nel caso dell‟assorbimento, che può in certi casi essere una fase successiva
all‟adsorbimento, la rimozione è difficoltosa e molto spesso inattuabile.
Le lenti dure sono più frequentemente interessate da problemi di depositi di superficie, salvo
alcuni materiali particolarmente gaspermeabili ove il legame inscindibile (assorbimento) di sostanze
proteiche con la matrice del polimero è verificabile.
Gli idrogel sono caratterizzati da entrambe le modalità. Le lenti a bassa idratazione sono
maggiormente interessate da depositi di superficie, mentre quelle ad alta idratazione, in funzione
della maggior larghezza dei pori del polimero che consente il trasporto acqua, sono più facilmente e
rapidamente penetrabili sia dai materiali organici che inorganici.
Risulta quindi evidente che la qualità e la quantità dei depositi e la velocità di formazione
sono strettamente influenzate da:
Le caratteristiche fisico-chimiche e geometriche delle lenti
La qualità del film lacrimale
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E. Bottegal (2009)
L‟ammiccamento
La frequenza di sostituzione
Il sistema di pulizia
2. I Depositi organici
I muco-proteici.
Qualsiasi polimero posto a contatto con il film lacrimale viene ricoperto in tempi molto
rapidi da uno strato di muco proteine secreto dalle cellule mucipare della congiuntiva.
Questa pellicola proteica ha, inizialmente, lo spessore di circa 1 e svolge un ruolo molto
importante nel processo d‟integrazione lente-cornea, infatti rende idrofila (bagnabile) la superficie
delle lac aumentando la biocompatibilità del materiale.
Il film mucoproteico raggiunge il massimo di copertura della lente in tempi diversi a
seconda del tipo di materiale di cui è costituita la lente. Su lac a bassa idrofilia la prima pellicola si
forma dopo circa 2 ore dall‟inserimento, su lenti ad alta idrofilia ioniche basta anche un solo
minuto.
Mano a mano che le lenti vengono usate la pellicola mucoproteica aumenta di spessore
(coating) fino a raggiungere un plateau che rimane quantitativamente inalterato; a questo punto le
proteine iniziano a denaturare diventando veicolo preferenziale di adesività batterica, e di fenomeni
di sensibilizzazione allergica del tarso congiuntivele con conseguente predisposizione all‟instaurarsi
di forme di congiuntivite papillare gigante e infezione corneale.
Risulta evidente che il tipo di materiale utilizzato e il tempo di sostituzione delle lenti
possono enormemente influenzare la formazione dei depositi proteici e la conseguente qualità
d‟utilizzo delle lac stesse.
A conferma di ciò è opportuno osservare i risultati di uno studio effettuato nel 1998 su 3 tipi
di lenti prodotte con materiali diversi per carica ionica e tempo di sostituzione indicato dal
produttore e simili per idratazione.
67
Manuale di contattologia
La modalità di porto per tutte le lac era su base giornaliera ed è stato usato lo stesso sistema
di pulizia (Renu).
Alla fine del normale periodo d‟uso previsto per ogni lente il rilevamento dello spessore del
deposito mucoproteico è risultato di gran lunga superiore sulle lenti del IV° gruppo (materiale
ionico) rispetto a quelle del II° gruppo (non ioniche)
Inoltre se si forza il tempo di sostituzione raddoppiandolo, si riscontra un aumento evidente dei
depositi sulle lenti del IV° gruppo contro nessuna variazione su quelle del II° gruppo (fig.2).
I depositi proteici
700
600
microgrammi
500
Acuvue
400
Focus
300
Gentle T.
200
100
0
0
10
12
14
16
18
20
22
24
settimane d'uso
fig 2.- Deposizione mucoproteica su materiali del II° Gruppo (Netrafilcon A) e del IV° Gruppo
(Etafilcon A, Vifilcon A) relativa al tempo di utilizzo.
La differenza di comportamento tra Etafilcon A e Vifilcon A entrambi del IV° gruppo mette
in evidenza l‟influenza della composizione chimica del materiale sulla predisposizione
all‟adsorbimento muco proteico.
Più propriamente è la percentuale di presenza di gruppi acidi derivati dall‟MAA (acido
metacrilico) ad aumentare sensibilmente tale predisposizione che viene, invece, inibita dalla
presenza di gruppi lattamici (acido lattico) derivati dall‟ Nvinilpirrolidone (NVP).
Etafilcon A è materiale derivato dalla copolimerizzazione di HEMA-MAA, mentre Vifilcon
A è una tricopolimerizzazione (HEMA-MAA-NVP) in cui l‟acido metacrilico è presente in minor
concentrazione.
68
E. Bottegal (2009)
L‟andamento della distribuzione proteica nei tre materiali trattati indica, inoltre,
l‟importanza del rispetto dei tempi di sostituzione programmati in special modo per gli utilizzatori
di lenti disposable, che, al contrario, secondo le statistiche, sembrano essere in questo campo i più
disordinati.
Come si è visto la presenza delle sostanze muco-proteiche sulla lente assume notevoli
differenze di giudizio e valutazione a seconda del tempo in cui viene valutata, tanto che vien
spontaneo affermare che in questo argomento è vero tutto e il contrario di tutto. Pertanto in chiusura
dell‟argomento tentiamo una sintesi:
I depositi proteici denaturati sulle superfici delle lenti, a causa dello sfregamento meccanico
sul tarso congiuntivale e per l‟innesco di fattori immunologici da contatto, sono considerati la
causa dell‟insorgenza di: cheratocongiuntivite limbare superiore, congiuntivite papillare e
iperemia congiuntivale acuta.
I livelli di rapidità (tempo) e di quantità dell‟adesione muco-proteica è riconosciuta
maggiore nei materiali ionici, e in quelli ad alta idratazione.
Per quel che riguarda l‟insorgenza di infezione corneale da microrganismi
patogeni(Pseudomonas aeruginosa) non è dimostrato che possa correlarsi maggiormente a lenti ad
uso prolungato. Infatti se da un lato le catene glicoproteiche dei depositi denaturati rappresentano
un ottimo terreno di crescita di tali microrganismi, dall‟altro alcuni studi hanno registrato una
maggiore incidenza di infezioni corneali con l‟uso di lenti a ricambio frequente rispetto a quelle
ad uso prolungato. Tale risultato trova giustificazione nella banalizzazione del prodotto usa e getta
indotta nell‟utente sia dalla pubblicità sia dagli stessi venditori. La mancanza di una corretta
manutenzione preservante può esserne sicuramente la causa.
Le proteine presenti nel film lacrimale fin tanto che mantengono il loro stato attivo hanno
un elevato grado di biocompatibilità e svolgono una notevole funzione batteriolitica (lisozima) e
batteriostatica. Solo dopo il processo di denaturazione perdono queste loro proprietà. È accertato
che dopo il deposito sulle lac le proteine mantengono il loro stato attivo originario da 2 fino a 8
settimane rendendo la lente maggiormente biocompatibile e probabilmente più difficilmente
attaccabile dai microrganismi. Il lisozima legato a lenti ioniche mantiene per lo stesso tempo il
90% della propria attività, il che non avviene quando si deposita su materiali non ionici.
69
Manuale di contattologia
I Lipidi.
L‟interazione lipidi-lac si comporta in modo opposto a quella proteica. Tutti gli studi
condotti sull‟adsorbimento lipidico da parte dei materiali per lac hanno dimostrato che gli idrogel
non ionici (I° e II° Gruppo) attraggono più lipidi dei materiali ionici del III° e IV° Gruppo. Ancora
una volta, la differenza la fa la presenza del monomero NVP che in questo caso presenta una
notevole affinità a legarsi con i lipidi.
Un‟altra differenza sta nel fatto che l‟aumento della durata del porto conduce ad un costante
aumento della presenza lipidica sulla superficie delle lac, mentre la deposizione proteica, una volta
raggiunto il plateau tende a mantenersi quantitativamente uguale.
I lipidi presentano sulla superficie della lente un comportamento di tipo oleoso, che ne
produce un cattivo umettamento. Si accumulano in aree circoscritte o si presentano sottoforma di
gocce; possono facilmente derivare da cattiva igiene delle mani al momento dell‟inserimento, o da
tracce di trucco raccolte dalle ciglia, ma molto spesso da disfunzioni nella produzione del liquido
lacrimale, che per cause d‟ordine organico generale, può in certi periodi presentare un eccesso di
concentrazione di esteri di colesterolo.
3. I depositi Inorganici.
Sono essenzialmente sali di calcio: Fosfato di calcio e carbonato di calcio; in misura meno
evidente l‟ossido di ferro.
CaCO3.
Il carbonato di calcio è sicuramente l‟elemento dominante di questa serie. Si presenta in
formazioni cristalline aventi aspetto aghiforme.
Possono insorgere per cattiva manutenzione come ad es. l‟uso di acqua di rubinetto per il
risciacquo o la conservazione, ma più spesso per occasionali variazioni del ph delle lacrime in
seguito ad assunzione di medicinali o variazioni evidenti del comportamento alimentare..
Col tempo, se le lenti non vengono sostituite, l‟elevata concentrazione di calcio sulle
superfici favorisce la trasformazione in calcio fosfato assolutamente insolubile che, mescolandosi
con proteine e lipidi tende a precipitare dando origine a calcoli.
Alcuni portatori sono particolarmente soggetti all‟accumulo di calcoli per la particolare
composizione chimica delle loro lacrime. In questi casi la calcolosi della lente può assumere, anche
in tempi brevi (15-20 gg) aspetti di grande invasività. Se da un lato, il fenomeno è favorito
dall‟invecchiamento della lente, in casi di soggetti predisposti può presentarsi anche su lenti da
poco sostituite.
Sono fortemente più a rischio i materiali ad elevata idratazione, indipendentemente dalla
loro ionicità, dove un maggiore diametro dei pori nella struttura della lente favorisce l‟inclusione e
il deposito del calcio.
La formazione di calcoli può essere, alle volte, un evento occasionale legato, come si è
detto, ad un passeggero momento di disagio organico generale.
In soggetti che presentino un‟evidente e continua predisposizione al fenomeno è opportuno
l‟utilizzo di materiali del I° o del III° gruppo, e quando ciò non fosse sufficiente si consiglia il
passaggio a lenti disposable.
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E. Bottegal (2009)
FeO.
Il ferro come deposito su lenti a contatto è essenzialmente di derivazione esogena. Non
sembra esistano particolari affinità elettive tra questi depositi e il materiale delle lenti.
Si presenta sottoforma di piccoli accumuli molto concentrati di colore rossastro, assolutamente
asintomatici per il portatore.
Il riscontrarli, durante una visita di controllo, deve far supporre che l‟utilizzatore frequenti
aree ad elevata concentrazione di polveri ferrose ( Stazioni ferroviarie, siti siderurgici, officine
meccaniche ecc.). La presenza di tracce di ossido di ferro se in misura limitata non rappresenta
condizione limitante all‟uso delle lac. Solo in caso di una presenza molto marcata di tali depositi è
opportuno consigliare la sostituzione delle lenti.
4. I Microrganismi
I Batteri.
L‟adesione batterica alle lenti a contatto è identificata come un importante fattore nell‟eziologia
di tre manifestazioni patologiche:
La cheratite batterica
“l‟occhio rosso acuto”
le ulcere periferiche
Nella cheratite batterica l‟agente patogeno principale è la Pseudomonas Auroginosa che provoca
l‟infezione della cornea. Fortunatamente, visti gli esiti spesso infausti, l‟incidenza è abbastanza
bassa (20/00) tra i portatori di lenti a lunga durata.
Nell‟”occhio rosso acuto” (Clare) i responsabili sono molti batteri della famiglia dei Gram
negativi; l‟incidenza tra i portatori di lac è superiore alla precedente e si attesta intorno al 7%.
Un‟efficace barriera contro le infezioni batteriche viene svolta dai depositi proteici nella fase
precedente alla denaturazione. Infatti nel coating iniziale sono presenti in elevata percentuale il
lizozima e ll lattoferrina che svolgono un‟efficacissima azione batteristatica e batteriolitica.
I rischi aumentano quando si passa alla fase denaturata di queste proteine, che diventano buon
terreno di coltura batterica.
I Miceti.
Altri microrganismi in grado di procurare problemi alle lenti sono i funghi. Ricavano la loro
forza vitale dal catabolismo dei depositi organici. Tra i saccaromiceti predomina la candida
albicans, tra i mucomiceti l‟Aspergillus niger e il Penicillum. L‟invasione micotica è favorita dai
depositi proteici e il danneggiamento della lente è irreversibile, anche con trattamenti enzimatici
non si riesce a rimuoverli in modo definitivo.
In funzione dei supporti tecnici a disposizione, esistono varie tecniche per effettuare l‟analisi
dei depositi presenti su una lente a contatto.
Anche la semplice osservazione ad occhio nudo di una lac tenuta di fronte ad una fonte
luminosa può evidenziare la presenza di depositi specialmente se di notevole entità.
71
Manuale di contattologia
La tecnica che prevede l‟uso della lampada a fessura rappresenta, comunque, il sistema più a
portata di mano per chiunque operi in contattologia.
In questo caso la lente, se indossata, va rimossa e accuratamente risciacquata con soluzione
salina, quindi trattenuta da una pinzetta va posizionata in modo che sia perfettamente illuminata dal
fascio della lampada, tenuto a piena apertura, posto con una inclinazione di 45°. Regolato
l‟ingrandimento tra i 7X e i 10X, si inizia a muovere la lente avanti e indietro fino ad ottenere il
massimo della focalizzazione sia della superficie anteriore e, di seguito, di quella posteriore. È
anche utile orientare la parte concava verso la sorgente ed osservarla su sfondo scuro (ambiente
buio).
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E. Bottegal (2009)
10. LA MANUTENZIONE
1. Generalità.
2. Le soluzioni Uniche.
Il successo delle lenti usa getta (disposable) è stato decretato dal messaggio di facilità,
versatilità e universalità (banalizzazione?) che ne ha accompagnato il lancio sul mercato.
Ovviamente continuare a proporre i tradizionali sistemi di pulizia, basati sull‟utilizzo minimo di tre
soluzioni, avrebbe tradito tale messaggio.
Nasce così la manutenzione basata su un solo prodotto (Soluzione Unica) che consente di:
strofinare
disinfettare
conservare
risciacquare
le proprie lenti a contatto usa e getta.
73
Manuale di contattologia
3. I Disinfettanti
La scelta delle sostanze disinfettanti e la loro influenza sulla salute corneale ha cominciato
ad essere un problema importante con l‟avvento delle lenti morbide. Nel mondo della contattologia
rigida l‟utilizzo di materiali privi o quasi di capacità di assorbimento delle sostanze di
mantenimento, consentiva di utilizzare disinfettanti a basso peso molecolare con elevato potere
battericida e batteriostatico (clorexidina, cloruro di benzalconio, acido sorbico, e thimerosal). Infatti
la lente in PMMA opportunamente sciacquata con soluzione fisiologica ( spesso anche con altri
metodi meno ortodossi) prima di indossarla, è garanzia sufficiente ad eliminare dalle superfici ogni
traccia del disinfettante presente nelle soluzioni di mantenimento. L‟avvento delle lenti morbide e
delle RGP ha modificato il rapporto tra la lente e la soluzione nella quale veniva immersa per la
conserv mazione.
All‟inizio il problema fu sottovalutato. Si continuò a produrre, anche per questi nuovi
materiali, delle soluzioni conservati che contenevano i vecchi tradizionali disinfettanti a basso peso
molecolare, al massimo in concentrazione differente.
Nel tempo si cominciarono ad osservare in numero crescente, a carico dell‟epitelio corneale,
delle reazioni patologiche, in alcun i casi anche di grado severo. In forma più frequente si potevano
osservare formazione di infiltrati, cheratocongiuntiviti limbari superiori, pseudodentriti e diffusa
colorazione corneale (staining). Ciò si verificava perché il materiale delle lenti assorbiva in modo
selettivo le sostanze presenti nel conservante e quindi le rilasciava durante il periodo d‟uso delle
lenti stesse.
Naturalmente, quando il problema divenne evidente, gli organi preposti alla pubblica sanità
proibirono l‟utilizzo dei conservanti incriminati nella produzione delle soluzioni conservanti. I
produttori furono indotti ad utilizzare nuove sostanze disinfettanti ad elevato peso molecolare, attive
anche a basse concentrazioni. Oggi milioni di portatori nel mondo usano in maniera soddisfacente
le moderne soluzioni uniche, attualmente anche in versione “no rub”, che contengono i seguenti
principi antibatterici:
Perossido d‟idrogeno (H2O2)
Poliexametilene biguanide (PHMB)
Poliquaternum-1 (Polyquad)
Miridistaminopropildimetilamina (Aldox)
Nonostante casi di staining corneale di origine tossica si possano ancora osservare con l‟utilizzo
di soluzioni a base di PHMB in associazione con lenti in materiale non ionico ad alto contenuto
d‟acqua (II gruppo FDA) contenenti N-vinilpirrolidone, possiamo tranquillamente osservare che il
problema della tossicità indotto da disinfettanti nei portatori di lenti in Hydrogel sia risolto.
Uno studio del 2001 effettuato sulla capacità di disinfezione delle più diffuse soluzioni uniche
in commercio nei confronti dei più comuni ceppi infettanti ha prodotto i seguenti risultati:
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E. Bottegal (2009)
Solo-Care
4h 4,8 4,8 4,7 0,5 0,7 15,5
Complete
4h 4,7 4,7 4,8 0,3 0,8 15,3
com.Plus
La rimozione passiva proteica si dimostra abbastanza simile per tutte le soluzioni e oscilla intorno
ad una media del 30%.
Nella più recente formulazione la maggior parte di queste soluzioni viene fornita con
l‟addizione del principio “no rub”, che consente di non effettuare sulla lente la fase di sfregamento,
prima di essere riposta nel contenitore.
Per quanto riguarda i nuovi materiali a base di silicone Hydrogel, fino a poco tempo fa casi di
staining tossicologico descritti erano sporadici. Ma più recentemente studi ben controllati e con
criterio di scelta casuale hanno rilevato che certi sistemi di manutenzione, quando utilizzati in
abbinamento con lenti in silicone hydrogel ad uso diurno, possono indurre staining corneale
asintomatico2.
Amos et altri hanno selezionato tre gruppi di portatori di lenti Silicone hydrogel ad uso diurno.
Ciascuno di essi ha utilizzato alternativamente per periodi successivi di un mese ciascuno una
coppia di sistemi di manutenzione diversi:
I° gruppo: Poliquaternum-1 (Opti Free Express) vs PHMB (Renu Multiplus)
II° gruppo: Perossido d‟idrogeno (AO Sept) vs Poliquaternum-1 (Opti Free Express)
III° gruppo: Perossido d‟idrogeno (AO SEpt) vs PHMB (Renu Multiplus)
I risultati sono esposti nella seguente tabella:
2
L. Jones, su Contact Lens Spectrum, luglio 2004
75
Manuale di contattologia
H2O2
Il perossido d‟idrogeno rappresenta senza ombra di dubbio la miglior opzione per ottenere
una reale ed efficace disinfezione delle lenti a contatto con l‟assoluta assenza di conservanti.
Se vengono rispettati i termini di tempo di contatto e di concentrazione adeguata, le soluzioni al
perossido sono le sole che garantiscono il completo spettro d‟azione contro tutti i microrganismi,
Acanthamoeba compresa.
Non vi è alcuna controindicazione all‟uso su polimeri di qualsiasi tipo, ha il vantaggio di
non impiegare disinfettanti chimici, basandosi sulle proprietà dell‟ossigeno, il quale oltre ad avere
azione batteriostatica e battericida ha anche i potere di prevenire l‟ingiallimento della lente. Tale
funzione schiarente lo rende particolarmente attivo nei confronti della nicotina e della melanina.
L‟efficacia del prodotto è relativa all‟azione di liberare ossigeno, cha va ad ossidare la proteina
bruciandola:
O2 + CNHXOY = CO2 + H2O
IL perossido rimanente dopo l‟azione di disinfezione viene eliminato dal catalizzatore secondo la
seguente:
2H2O2 + Perossidasi = 2H2O + O2
Le condizioni in gioco sono:
La concentrazione.
Il tempo di contatto.
La neutralizzazione
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E. Bottegal (2009)
La concentrazione deve essere al 3%. Concentrazioni inferiori (es. 0,03%) non garantiscono pari
efficacia anche con l‟aumento dei tempi di contatto.
Il tempo di contatto, prima dell‟inizio della neutralizzazione, non deve essere inferiore ai 10
minuti.
La neutralizzazione deve garantire la conversione in acqua nella maniera più completa possibile.
Il limite del 20% come residuo al di sotto del quale non esiste attività tossica non è da considerarsi
comunque ottimale per un utilizzo molto protratto nel tempo.
Soluzioni al perossido d‟idrogeno che non rispettino anche una sola di queste condizioni
producono una performance inferiore alle tradizionali soluzioni uniche.
I sistemi monofasici sono stati introdotti per superare i limiti di quelli bifasici, mantenendo
inalterate le qualità disinfettanti. Sono commercializzati in due tipologie relative alla
neutralizzazione:
Il sistema Septicon
Il sistema Catalasi.
Il sistema neutralizzante Septicon consiste nell‟utilizzo di un disco di platino posizionato sul fondo
del porta lenti che va immediatamente a contatto della soluzione al 3% di perossido. La
neutralizzazione, quindi, inizia immediatamente, tale che dopo 2 minuti d‟immersione la
concentrazione del perossido è passata dal nominale 3% allo 0,9%. Inoltre, man mano che aumenta
il numero delle neutralizzazioni, l‟efficacia del disco risulta ridotta con la conseguente necessità
dell‟aumento del tempo di deposizione. Per questo motivo il sistema necessita della sostituzione
periodica del disco.
Il limiti di questo sistema risultano essere:
Non viene rispettato l‟adeguato tempo di contatto con il disinfettante a piena concentrazione
Ridotta efficacia della neutralizzazione. A disco nuovo si raggiunge dopo 6 ore una
concentrazione del 15% che con l‟invecchiamento può sconfinare oltre il limite di
tolleranza.
Nel sistema alternativo come agente neutralizzante viene usato un enzima di origine animale: la
Catalasi presente con una concentrazione di 0,1 mg in una pastiglia ricoperta da 6 mg di
Idrossipropilmetilcellulosa. La sostanza coprente impiega circa 20 minuti prima di sciogliersi
completamente e permettere alla catalasi di andare a contatto con il perossido. Il tempo di
immersione richiesto è di 6 ore, passate le quali la concentrazione di perossido risulta essere del 1%.
77
Manuale di contattologia
Il sistema fornisce un‟assoluta garanzia in quanto assolve tutte le condizioni richieste. In più, a
neutralizzazione completata, nella soluzione acquosa rimane disciolta l‟idrossipropilmetilcellulosa
di copertura che essendo uno dei migliori umettanti disponibili nel confezionamento delle lacrime
artificiali, rende il confort delle lenti appena inserite molto elevato.
4. I Tensioattivi
Anche nella scelta dei tensioattivi si è optato per composti ad alto peso molecolare e
scarsamente irritanti; i più comunemente usati sono la poloxamina o il polossamero.
EDTA
L‟ acido etildiamminotetracetico (EDTA) funziona da sequestrante nei confronti dei depositi di
calcio e delle proteine depositate in superficie. Inoltre la sua pur debole carica acida svolge una
buona azione preservante.
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E. Bottegal (2009)
La pancreatina, di più recente introduzione, ha una funzionalità più complessa in quanto ha una
formulazione multienzimatica composta da proteasi, lipasi e amilasi. Agisce in modo più completo
ed ha meno necessità dello strofinamento per il definitivo rilascio degli amminoacidi.
Pronasi e subtilisina sono stati selezionati per essere utilizzati come trattamenti preferenziali in
concomitanza con il perossido d‟idrogeno.
Infatti la papaina e in misura minore la pancreatina se disciolte in acqua ossigenata ne invalidano
l‟azione disinfettante.
6. Gli Umettanti
Al contrario degli enzimi, i prodotti umettanti stanno conoscendo una stagione di gradissimo
successo commerciale, tale da spingere le case farmaceutiche produttrici ad investire sempre più
massicciamente nella formulazione di nuovi prodotti sempre più efficaci.
Il motore di questo fenomeno sta nel moltiplicarsi dei fattori ambientali predisponenti alla
secchezza oculare, non ultimo il massiccio diffondersi dei sitemi di termoregolazione forzata degli
ambienti di lavoro e l‟utilizzo sempre più ampio dei videoterminali.
Lo scopo di una soluzione umettante è aumentare le qualità idrofile della superficie delle
lenti a contatto in modo che il liquido lacrimale vi si possa stendere uniformemente, quindi
organizzarsi sulla superficie in modo da formare un cuscinetto protettivo dall‟adesione dei lipidi.
Gli umettanti normalmente in commerciano utilizzano gli stessi agenti presenti nei presidi
farmaceutici relativi al trattamento farmacologico dell‟occhio secco.
Gli esteri della cellulosa e la meticellulosa e i derivati dell‟acido ialuronico sono pertanto gli agenti
principalmente usati.
Il confezionamento in monodose è preferibile a quello multidose per evitare la presenza di
conservanti.
Ci sentiamo di dover rilevare che se i criteri di scelta delle sostanze umettanti da prescrivere
dovrebbero essere determinati da un‟adeguata conoscenza dello stato del film lacrimale sul quale
devono andare ad agire, la scarsa sensibilità della maggioranza degli applicatori verso un‟indagine
seria dell‟aspetto qualitativo delle varie componenti del film lacrimale determina una
somministrazione di sostanze umettanti che risponde più ad una esigenza di tipo commerciale
piuttosto che a criteri di ordine scientifico.
79
Manuale di contattologia
RICAMBIO PROLUNGATO
vantaggi e svantaggi
Premessa
Come si è detto, l‟avvento sul mercato delle lenti Acuvue ha condizionato l‟intera gestione della
contattologia, al punto che oggi, parlando di lenti morbide, la prima e a volte l‟unica classificazione
che gli applicatori propongono ai potenziali portatori consiste nel valutare il tempo di durata
dell‟utilizzo delle lenti. Si usa quindi suddividere le lenti a contatto in:
Monouso: Tutte le lenti che si usano una sola volta, che una volta rimosse dall‟occhio
vengono eliminate. In questa categoria rientrano sia le classiche oneday, sia le lenti a porto
continuo.
Ricambio frequente: durata da una settimana a un mese
Ricambio prolungato: durata da 3 mesi a 1 anno
Alla luce di quanto già esposto nella parte relativa ai materiali e ai depositi, risulta assai
difficoltoso pensare che si possa oggi coscienziosamente consigliare l‟uso di qualsiasi lente morbida
per periodi superiori all‟anno.
Per ogni categoria sopraesposta , tra gli addetti ai lavori, si sono formate delle correnti di
pensiero che tendono a esaltare l‟una e a demonizzare le altre. È pertanto opportuno fare
un‟obiettiva analisi dei vantaggi e degli svantaggi di ciascuna rispetto alle altre
Qualità della visione. La progressiva formazione di depositi sulle superfici delle lenti
a contatto provoca un progressivo aumento dei fenomeni di diffusione della luce
incidente responsabili di perdita di trasparenza e conseguente riduzioni delle
performance visive. Risulta ovvio che gli stadi più preoccupanti si raggiungono solo
dopo periodi d‟utilizzo relativamente lunghi, e mai per tempi inferiori al primo mese.
Rischi di infezioni corneali. Le infezioni corneali prendono le mosse dalla presenza
di colonie batteriche che per la loro crescita prediligono le catene di carboidrati delle
glicoproteine denaturate depositate sulle lenti a contatto. Si ritiene che nelle lenti a
contatto a ricambio prolungato il rischio di contaminazione sia più elevato, sia per la
presenza di maggior quantità di depositi, sia per il maggior tempo di esposizione al
rischio di contagio. Esistono, per la verità, una serie di studi che dimostrano il
contrario: cioè una maggiore incidenza delle infezioni corneali negli utilizzatori di
lenti a contatto a ricambio frequente. Ciò viene motivato dalla maggior trascuratezza
che questi utilizzatori generalmente pongono nella manutenzione delle loro lenti.
Effettivamente gli stessi applicatori consigliano sistemi di manutenzione ridotti sia
nelle funzioni che nell‟efficacia: a) raramente viene utilizzato un detergente; b) si
trascura spesso lo sfregamento ed il risciacquo; c) i principi attivi disinfettanti delle
soluzioni di mantenimento sono spesso di bassa efficacia; d) gli utilizzatori di lenti di
questo tipo sono molto meno controllati da parte degli applicatori, rispetto a chi
utilizza prodotti di lunga durata. (scarsa compliance).
Svantaggi
81
Manuale di contattologia
c) Difetti di produzione
In una delle prime ricerche di laboratorio eseguite nel 1992 Efron e Veys hanno trovato che lenti
imperfette potevano essere addirittura 3 su 4. In tempi più recenti lo stesso Efron, analizzando i
prodotti monouso ha riscontrato imperfezioni sul 10% dei campioni osservati.
Vantaggi.
a) Miglior sfruttamento della biocompatibilità proteica.
Come si è visto le deposizione proteica, fino al momento della denaturazione, esercita un
notevole effetto benefico, rendendo estremamente biocompatibile con l‟occhio il materiale delle
lenti a contatto. La lente monouso, rimanendo nell‟occhio per un solo turno d‟uso non riesce a
godere appieno di questo vantaggio.
Svantaggi.
a) Necessità di manutenzione
Le lenti a ricambio frequente necessitiano comunque di una manutenzione quotidiana costituita
dall‟uso di un conservante, una soluzione di risciacquo ed eventualmente un umettante. La lente
monouso può al massimo aver necessità dell‟so di un umettante.
82
E. Bottegal (2009)
Conclusioni.
A chiusura di questo capitolo è necessario precisare che tutte le lenti appartenenti alla tre
tipologie d‟uso considerate sono in massima parte costruite con gli stessi polimeri e con le
medesime geometrie. Pertanto nessuna di esse rappresenta una reale alternativa alle altre nei
confronti di problematiche inerenti il metabolismo corneale. La suddivisione ha quindi solo un
valore terminologico, legato eventualmente al massimo ad una differenza di spessore che può
sottendere una diversità di durata nel tempo.
La grande positività che questa differenziazione ha introdotto è, invece, da ricercare
nell‟aver finalmente promosso una nuova cultura sia negli utenti, ma anche in parte negli
applicatori. Si è finalmente capito che un polimero hydrogel utilizzato quotidianamente ha un tempo
ben definito di biocompatibilità e di sano uso, superato il quale i danni che esso può provocare alla
vita della cornea possono essere realmente enormi. L‟aver messo a disposizione del consumatore
prodotti anche di bassissimo costo “obbligandolo” a sostituzioni sempre più frequenti ha consentito
a riportare nell‟alveo delle lenti a contatto moltissimi ametropi, che stante le vecchie abitudini
avevano dovuto giocoforza tornare all‟esclusivo uso degli occhiali.
Cosa totalmente diversa è rappresentata dall‟avvento sul mercato delle lenti in silicone-
hydrogel. Queste ultime rappresentano una vera novità nell‟ambito dei materiali. Esse sono la
nuova frontiera della contattologia moderna che ha cambiato radicalmente il modo di pensare il
rapporto ametropia-visione.
83
Manuale di contattologia
TAVOLE DI CONVERSIONE
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E. Bottegal (2009)
85
Manuale di contattologia
86