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Gli occhi schematici

➢ Attraverso la simulazione geometrica dell’occhio gli scienziati


del passato cercavano di scoprirne i meccanismi ottici che
consentono la visione.
➢ Christian Huygens (1629-1695) costruisce il primo occhio
schematico.
➢ Thomas Young (1773-1829), oltre ad aver scoperto la natura
ondulatoria della luce, fornisce i primi dati medi sui parametri
di curvatura e indici di rifrazione dell’occhio.
➢ Moser (1844): primo occhio schematico teorico.
➢ Johann Benedict Listing produce due modelli di occhio
schematico.
➢ Tra il 1920 ed il 1952, Tscherning, Gullstrand, Le Grand ed
Emsley producono vari modelli sempre più realistici di occhi
schematici.
➢ Bennet e Rabbetts nel 1988 perfezionano ulteriormente i
modelli precedenti riformulandone le dimensioni in base a
valutazioni statistiche più ampie
La dimensione del bulbo oculare

Le dimensioni del bulbo oculare sono molto soggettive.


Variano per l’accrescimento corporeo e da individuo ad individuo.
Esse, soprattutto la lunghezza assiale e la collocazione dei
diottri oculari, sono importanti per la focalizzazione
dell’immagine sulla retina.

Dimensioni del bulbo oculare:

➢ Volume: tra 6500 e 7500 mm cubici.


➢ Peso: tra 7 ed 8 grammi.
➢ Lunghezza assiale: nel neonato circa 18 mm (circa il
diametro di una monetina da 2 cent), nell’adulto 24 mm
(circa il diametro di una monetina da 1 euro).
Caratteristiche geometriche e ottiche della
cornea
➢ La sezione della cornea è quella di un menisco negativo.
➢ Spessore al centro di circa 0,5/0,6 mm, al bordo di circa 1 mm.
➢ Diametro superficie anteriore: verticale circa 9/13 mm,
orizzontale 10/13 mm. Diametro superficie interna circa 12
mm.
➢ Raggio di curvatura anteriore circa 7.70/7.80 mm, posteriore
circa 6.80 mm.
➢ Indice di rifrazione 1.376.
➢ La sua potenza in aria è circa -6.50 dt.
➢ La continuità ottica prodotta dall’umore acqueo, che ha un
indice di rifrazione quasi uguale, fa sì che essa si comporti
come un diottro positivo di circa 43 dt.
➢ Essa quindi è la prima superficie che determina la rifrazione
della luce nell’occhio (il menisco lacrimale ne è conseguenza).
Andamento fisiologico delle curve della
superficie della cornea
La superficie della cornea non ha un andamento
perfettamente sferico, ma presenta una forma
complessa e molto variabile individualmente.
Potremmo definirla concoidale.
Le alterazioni ottiche della cornea
➢ Le cause delle alterazioni ottiche della cornea, che
interferiscono sul corretto percorso della luce nell’occhio,
possono essere di natura geometrica (più frequenti quelle
a carico della superficie esterna), o di perdita della
trasparenza.
➢ Varie sono la cause che possono alterare la geometria
o trasparenza della cornea: congenite, traumatiche,
patologiche, metaboliche.
Alcune forme di alterazioni
geometriche della cornea
➢Astigmatismo.
➢Cheratocono.
➢Esiti post cicatriziali superficiali traumatici o infettivi.
➢Pterigio: accrescimento a volte progressivo mono o
bilaterale della congiuntiva del lato mediale del
limbus che se molto estesa può arrivare ad
invadere la cornea.

Alterazione della trasparenza
corneale
➢Se una lesione interessa più in profondità la cornea
l’esito cicatriziale è un’opacità più o meno estesa in
base all’entità del danno.
➢Esse sono dette leucocorie.
➢La nubecola è un’opacità non densissima più o meno
traslucida non molto estesa.
➢Il leucoma è un’opacizzazione più marcata che ha
interessato lo stroma corneale in profondità. Essa è più
o meno estesa in base al danno subito.
➢Queste opacità, se situate in zone paracentrali,
producono alterazioni sulla rifrazione corneale
con compromissione della visione.
Il cheratocono
➢ Una definizione del cheratocono è: un’ectasia non infiammatoria
della cornea.
➢ La cornea si deforma producendo una protuberanza e lo
spessore corneale si riduce in prossimità del’apice del cono.
➢ Merita una nota a parte perché nell’area salentina questa
patologia acquista connotazioni endemiche.
➢ L’eziologia non è ancora ben nota.
➢ L’ectasia evolve e viene definita in cinque stadi.
➢ Nei primi stadi la deformazione corneale è tale da consentire ancora la
correzione dell’astigmatismo irregolare indotto dal cheratocono con
lenti da occhiale.
➢ Negli stadi più avanzati occorre ricorrere all’applicazione di L.A.C. rigide
(ormai dette semi rigide gas permeabili) che ridanno, durante il loro
utilizzo, omogeneità ottica al sistema ottico deformato.
➢ Il processo di deformazione a cono della cornea può arrestarsi in
ognuno dei cinque stadi e comunque solitamente si arresta intorno ai
35/40 anni.
➢ Nei casi molto avanzati per scongiurare la perforazione corneale si
ricorre al trapianto di cornea.
➢ Il cross linking, quando possibile è un trattamento precoce del
cheratocono (I II stadio). Si espone la cornea depitelizzata e
cosparsa con un gel di vitamina B2 e destrano a raggi UVA per ridare
struttura all’impalcatura corneale.
Metodi di misurazione delle
curvature corneali più usati
➢Quello più utilizzato nella pratica optometrica è
l’oftalmometria.
➢Utilissima in contattologia, specie quella customizzata
gas permeabile, ed indispensabile in chirurgia
refrattiva, è la topografia.
➢Molti autorefrattometri sono anche cheratometri.
Alterazione dell’iride e del foro
pupillare
➢La deformazione del foro o il suo dissassamento, per
cause traumatiche o congenite, può creare
alterazioni sulla rifrazione con conseguente
distorsione dell’immagine. Altre anomalie sono:
➢Il coloboma: mancanza dell’iride nel quadrante inferiore.
➢L’aniridia: mancanza congenita dell’iride. Può essere
totale o parziale. La visione è compromessa.
➢Policoria: orifizi che si trovano sull’iride (è come se ci
fossero più pupille).
➢I residui della membrana pupillare embrionale
(membrana presente sulla pupilla nel feto
che normalmente scompare).
➢Albinismo: le persone albine devono usare lenti
colorate molto protettive per sopperire alla mancanza
di pigmento anche nell’iride.
Il cristallino
➢Esso è il protagonista del meraviglioso processo di
focalizzazione dinamica detta accomodazione di cui
dispone l’occhio.
➢Dietro a questo meccanismo, da tutti così poco
considerato nella nostra quotidianità, si celano raffinati e
straordinari processi neurologici affinatisi nell’arco di
milioni anni e che hanno come fine quello di espletare
una delle capacità percettive più importanti per l’essere
umano: la possibilità (in condizioni normali) di vedere
nitidamente a tutte le distanze.
Caratteristiche del cristallino
➢Lente biologica di tipo biconvesso.
➢Struttura elastica in grado di ridurre i suoi raggi di
curvatura ed aumentare così il suo potere
rifrangente.
➢Questa capacità è data dal muscolo ciliare tramite i
legamenti tendinei della Zonula di Zin che lo
sospendono in posizione coassiale all’asse ottico. Ad
agire su di esso sono le fibre radiali e meridionali
(muscolo di Bruke) e le fibre circolari dello sfintere poste
nella regione infero interna del ciliare (sfintere di Muller).
Struttura del cristallino
➢È contenuto tra due capsule: cristalloide anteriore e
posteriore costituite da tessuti molto elastici.
➢Il tessuto lenticolare è formato da cellule epiteliali
allungate nastriformi trasparentissime a sezione
pressoché esagonale con spessori variabili tra 5µm e
13µm lunghe circa 9mm e tenute insieme da una
sostanza cementante. Sono disposte a strati
concentrici come quelli di una cipolla. Esse si
condensano in periferia formando un guscio
membranoso.
➢Le inserzioni delle fibre si allineano nello spessore lungo
delle linee che assumono la forma di una Y diritta nello
spessore posteriore e rovesciata in quello anteriore.
➢Il nucleo è formato da cellule anucleate.
➢È privo di vascolarizzazione e assume nutrimento
dall’umore acqueo.
Accomodazione-disaccomodazione
➢Il cristallino in aria, non trattenuto dai legamenti zonulari,
è rigonfio.
➢In sede, nella visione da lontano viene “stirato” dai
legamenti radiali per l’azione del muscolo di Bruke,
mentre in questa fase lo sfintere di Muller è
attivamente rilassato, riducendone così il suo potere
diottrico.
➢Da vicino, il corrugamento del ciliare riduce la tensione
equatoriale del muscolo di Brucke esercitata sui
legamenti radiali e contestualmente avviene la
contrazione dello sfintere di Muller. Grazie a questi
meccanismi il cristallino si arrotonda aumentando
adeguatamente il suo potere diottrico in funzione della
distanza a cui deve focalizzare.
➢Gli stimoli alla modificazione del potere diottrico del
cristallino sono: la sfocatura dell’immagine retinica,
l’aberrazione cromatica, e la consapevolezza della
vicinanza del soggetto (accomodazione
prossimale).
Quantità di accomodazione
necessaria per vedere da vicino
➢ Un occhio emmetrope quando guarda
lontano per mettere a fuoco
l’immagine sulla retina deve
disaccomodare completamente.
➢ Teoricamente, quando guarda vicino,
deve aumentare accomodando il suo
potere di una quantità di diottrie pari
all’inverso della distanza del punto fissato.
Es. punto fissato a 0.50 m.
Accomodazione necessaria 1/0.50 = 2 dt.
Alterazioni fisiologiche del
cristallino
➢ Le modificazioni anatomiche cronologiche
producono disfunzioni del cristallino.
➢ Alla nascita il potere accomodativo è molto alto
ma si riduce progressivamente con l’età.
Intorno ai 44/48 anni si riduce a circa 2 dt (può
variare il suo potere di solo 2 dt), per cui non si
riesce più a focalizzare ad una distanza
prossimale adeguata (presbiopia).
➢ In età senile la sclerosi può produrre una
opacizzazione progressiva detta
cataratta.
L’ampiezza accomodativa
➢ Per ampiezza accomodativa si intende di quanto
il cristallino di un soggetto riesce ad
accomodare al massimo delle sue possibilità.
➢ Essa è in relazione all’età del soggetto.
➢ Essa può essere influenzata anche da fattori
legati allo stress visivo.
➢ La rilevazione del’ampiezza accomodativa sarà
argomento di studio dei corsi che seguiranno
in quanto ad una sua alterazione sono spesso
legati molti disturbi visivi funzionali.
La pseudomiopia
➢ Per pseudomiopia o falsa miopia si intende una condizione di
ipertono dell’attività accomodativa indotta della persistenza dello
stimolo accomodativo nella visione prolungata da vicino che
induce sintomi simili alla miopia (ametropia che sfoca le immagini
da lontano).
➢ In conseguenza della prolungata attività da vicino i sistemi
coinvolti non riescono a svolgere adeguatamente le attività
antagoniste necessarie a ripristinare una buona visione da
lontano.
➢ Il sintomo è una visione sfocata da lontano che a volte si risolve ed
altre volte persiste, non imputabile ad una vera miopia ma indotto
da una condizione di stress visivo.
➢ Questo sintomo che spesso si associa ad affaticamento visivo
(astenopia), può essere premonitore di una cronicizzazione di
una vera miopia. Se lo stress persiste le strutture oculari adattano
una condizione miopica irreversibile.
➢ In condizioni non cronicizzate, questo processo può essere risolto
riducendo l’affaticamento da vicino con accorgimenti posturali e di
ergonomia della visione (si vedrà con l’igiene visiva), con esercizi
di visual training e lenti dette di performance (prescritte attraverso
sofisticate procedure di indagine optometrica argomento dei corsi
successivi) .
La cataratta
➢Una nota a parte merita la cataratta.
➢Essa è una perdita di trasparenza del cristallino.
➢Solitamente è una conseguenza dell’invecchiamento
del cristallino ma può avere anche origini congenite o
traumatiche, ed è una delle principali cause di cecità
nei paesi poveri.
➢L’opacità può originarsi dal nucleo (cataratta nucleare)
o sulle cristalloidi (cataratta corticale).
➢In fase iniziale solitamente induce una riduzione di
visione da lontano (miopia indotta), correggibile con
lenti negative, sino ad un certo stadio d’avanzamento.
Successivamente l’opacità è tale da richiedere un
intervento chirurgico, ove praticabile.

Origini della cataratta


➢Invecchiamento.
➢Un’esposizione eccessiva ad alcune radiazioni, come
raggi X o ultravioletti (vedi buco nell’ozonosfera ed
incremento U.V.), può favorire la sua insorgenza.
➢Uso massivo di alcuni farmaci come i cortisonici.
➢Traumi anche pregressi.
➢Patologie come il diabete.
➢Forme congenite.
➢In generale turbe del metabolismo del cristallino di varia
origine.

Ciclopegia
➢ Esistono sostanze dette ciclopegici come atropina,
tropicamide, ciclopentolato che se instillate sull’occhio
generano midriasi e paralisi momentanea dello sfintere
del cristallino.
➢ Questi farmaci possono essere usati in oculistica per la
diagnosi di:
➢ Ametropie in età molto infantile
➢ Ipermetropia latente
➢ Strabismi accomodativi
➢ Pseudo miopia al fenomeno si associa fotofobia.

Il vitreo
➢ Massa gelatinosa che riempie posteriormente il globo oculare.
➢ Dà continuità ottica all’umor acqueo ed al cristallino.
➢ È quindi attraversato dai raggi rifratti dai mezzi ottici antistanti.
➢ Ha funzione di contenimento e tiene aderenti le strutture nervose
a quelle vascolari.
➢ Patologie o traumi possono compromettere la sua trasparenza
o l’aderenza tra i tessuti suddetti.
➢ A causa di fenomeni tossici, traumatici o da eziologia non sempre
nota, si possono formare piccole aree di opacità di natura
proteica che fluttuano con i movimenti oculari (corpi mobili o
miodesopsie).
➢ Un’aderenza eccessiva alle strutture retiniche, delle quali svolge
funzione di contenimento, può produrre una trazione che comporta
un distacco della retina dalla tunica vascolare su cui essa si adagia
con conseguente necrosi del tessuto retinico interessato e perdita
di visione in quell’area. Questi episodi possono essere preceduti da
lampi di luce (fosfeni) ed occorre un immediato invio all’oculista.
➢ È attraversato dal canale ialoideo nel quale, in età fetale,
passa l’arteria ialoidea che nutre il cristallino.
➢ Indice di rifrazione 1,336.
Il percorso della luce attraverso i
mezzi ottici dell’occhio

Ciascuno dei mezzi ottici dell’occhio, produce effetti


soprattutto di rifrazione ma anche di riflessione ed
assorbimento della luce.
Il rapporto emmetropico
➢ Come già detto, affinché le immagini provenienti
dall’infinito cadano a fuoco sulla fovea, occorre
che la distanza focale dei mezzi ottici dell’
occhio sia uguale alla distanza antero-posteriore
dell’occhio stesso (emmetropia).
➢ In pratica occorre che F/L = 1 dove F = distanza
focale dei mezzi ottici dell’occhio ed L lunghezza
del bulbo oculare.
➢ F/L = 1 è detto rapporto emmetropico.
Potenza totale dell’occhio
➢ Dt = D1 + D2 + D3 +D4
➢ 43.552 + 4.615 + (- 5.882) + 19.183 =
61.473 potenza totale dell’occhio totalmente
disaccomodato.
➢ 43.552 + 4.615 + (- 5.882) + 33.77 =
76.055 potenza totale dell’occhio alla massima
accomodazione all’età di circa 14 anni.
L’emmetropizzazione
➢ Non tutti i processi che conducono allo sviluppo antero-
posteriore e l’organizzazione di tutto il sistema diottrico
dell’occhio sono noti.
➢ In questo sono di sicuro coinvolti fattori genetici,
congeniti, ambientali.
➢ Gli aspetti determinanti sembrano essere la nitidezza
dell’immagine e la legge del minimo sforzo.
➢ Questo tentativo di equilibrio tra lunghezza assiale e
focale (F/L.A.P. =1 rapporto di emmetropizzazione),
inizia sin dalla nascita con l’occhio anatomicamente
piccolo (ipermetrope) e prosegue soprattutto
nell’adolescenza.
➢ Esso non è biologicamente in grado di riconoscere
“l’infinito” come punto d’arrivo.
Luoghi geometrici necessari per la
simulazione del cammino ottico
➢ La definizione dei parametri che caratterizzano un
sistema ottico fa sì che si possa simulare il
comportamento del sistemi ottici dell’occhio.
➢ Si ricorda che ogni radiazione elettromagnetica che
attraversi un diottro si comporta in modo diverso dalle
altre sia pur coerentemente alle leggi dell’Ottica
Geometrica.
➢ Per convenzione si utilizza una radiazione
monocromatica di 600 nm.
Definizione di punti focali
➢ Nelle lenti si individuano due punti focali per ogni
lunghezza d’onda di radiazione elettromagnetica che
attraversa una lente spessa.
➢ Fuoco oggetto è quel punto sull’asse ottico in cui deve
essere posto un radiatore puntiforme monocromatico
affinchè i raggi emanati da esso, o loro prolungamenti,
emergano dalla lente in direzione parallela all’asse
ottico.
➢ Fuoco immagine è quel punto sull’asse ottico dove
convergono i raggi rifratti dalla lente, o i loro
prolungamenti, emanati da un radiatore puntiforme
monocromatico posto all’infinito.
Definizione dei piani principali
➢ Si individuano due piani principali per una radiazione
elettromagnetica di 600 nm che attraversa una lente
spessa.
➢ Piano oggetto: è quel piano, perpendicolare all’asse ottico,
passante per l’intersezione dei prolungamenti del raggio incidente
emanato da un radiatore puntiforme posto nel punto sull’asse
ottico che individua il fuoco oggetto della lente, e del suo raggio
rifratto che fuoriesce parallelo all’asse ottico.
➢ Piano immagine: è quel piano, perpendicolare all’asse ottico,
passante per l’intersezione dei prolungamenti del raggio incidente
parallelo all’asse ottico e del raggio rifratto, convergente nel
punto posto sull’asse ottico che individua il fuoco immagine della
lente.
➢ Su questi piani le dimensioni delle immagini dell’oggetto sono
uguali.
➢ La distanza tra di essi rappresenta l’effetto che lo spessore
della lente produce sullo spostamento dell’immagine.
➢ Nelle lenti sottili la loro distanza è ininfluente e si fanno coincidere
in un solo piano.
Definizione dei punti principali
➢ Si individuano sull’asse ottico due punti
principali per una radiazione elettromagnetica di
600 nm che attraversa una lente spessa.
➢ I punti principali sono i punti d’intersezione dei
piani principali con l’asse ottico.
➢ Da questi punti si definiscono le distanze focali
della lente.
➢ Nelle lenti sottili si considerano coincidenti e nel
centro della lente.
Punti nodali
➢ Si individuano due punti nodali per una radiazione
elettromagnetica di 600 nm che attraversa una lente
spessa.
➢ Essi sono posti sull’asse ottico della lente ed individuano
i centri ottici della lente.
➢ Il raggio incidente, che incontra il punto nodale oggetto,
fuoriesce dal punto nodale immagine parallelo a se
stesso.
➢ In altre parole, nei punti nodali il raggio incidente ed il
raggio rifratto formano con l’asse ottico lo stesso angolo.
➢ Nelle lenti sottili si considerano coincidenti e nel centro
della lente.
Definizione di distanza focale

➢ La distanza focale oggetto è la distanza tra il piano


principale oggetto ed il fuoco oggetto.
➢ La distanza focale immagine è la distanza tra il piano
principale immagine ed il fuoco immagine.
➢ Nelle lenti sottili, siccome i piani principali si fanno
coincidere con il centro della lente, le distanze focali si
misureranno da quest’ultimo.

Gli assi ed angoli dell’occhio

Se tutto il sistema ottico fosse centrato, si individuerebbe un


solo asse che dall’oggetto entra perpendicolarmente
all’apice della cornea, attraversa il centro perfetto della
pupilla, passa per il centro ottico (i punti nodali), per tutti i
centri di curvatura di tutti i diottri, e converge perfettamente
sulla foveola centralis… ma non è così!
Asse ottico
➢ Retta che attraversa i centri ottici di cornea e cristallino.
Esso incontra il fondo retinico molto vicino alla macula. Su di
esso si possono individuare l’apice anteriore e posteriore, i
punti principali ed i punti nodali. Esso è approssimativo, in
quanto in realtà non c’è allineamento
tra i vari diottri.
Asse visivo

➢ Retta che attraversa il punto di fissazione, passa per il punto


nodale e la foveola centralis. E’ l’asse più importante. Esso
attraversa la cornea a circa 1 mm dal lato nasale.

Angolo alfa α

➢ È l’angolo formato dall’asse ottico e l’asse visivo. Esso,


misurato al punto nodale, misura circa 5°
Asse di fissazione

Retta che attraversa il punto di fissazione con il centro di rotazione


dell’occhio, fulcro immaginario di tutti i movimenti oculari. È
l’unico che non passa per il punto nodale.

Angolo delta δ
Angolo formato tra l’asse ottico e l’asse di fissazione
Asse pupillare
Retta che attraversa il centro del foro pupillare ed il punto nodale. Si
discosta poco dall’asse ottico, e di più dall’asse visivo. Con questo forma
un angolo di circa 5-6°.

Angolo k

➢ Angolo formato tra l’asse pupillare e l’asse visivo


Occhio schematico

➢ Da quando gli studiosi si sono interessati all’ottica visuale, si


sono sempre trovati di fronte alla necessità di disporre di
modelli geometrici in grado di simulare, sia pur
teoricamente, il comportamento dell’occhio.
Da qui l’ideazione dei così detti occhi schematici.
➢.
Gullstrand mette a punto due modelli
di occhio schematico
➢ Uno detto impropriamente “esatto” ipermetrope, sia rilassato
che accomodato
➢ Ed uno semplificato emmetrope

Occhio schematico di Gullstrand detto “esatto”


sei diottri
Occhio schematico semplificato di Gullstrand
(emmetrope)
Occhio emmetrope schematico semplificato
di Gullstrand
Solo tre diottri
Raggi di curvatura dei tre diottri:
➢ 1-Corneale = +7,80 mm
➢ 2-Anteriore del cristallino = 10 mm
➢ 3-posteriore del cristallino = -6 mm Lunghezza
assiale = 24,17 mm

Occhio emmetrope schematico semplificato di


Gullstrand
Indici di rifrazione dei tre mezzi refrattivi:
➢ Indice di rifrazione dell’acqueo n=1,336
➢ Indice di rifrazione del vitreo n=1,336
➢ Indice di rifrazione del cristallino aumentato per compensare la perdita
di convergenza dei diottri negativi n=1,416
Emsley propone un’ulteriore
semplificazione
➢ Un solo diottro equivalente al comportamento refrattivo finale di
tutto il sistema ottico dell’occhio.
➢ Un solo indice di rifrazione equivalente al comportamento finale
sulla radiazione elettromagnetica.
➢ Il diaframma (pupilla) è situato sullo stesso piano del diottro.

Occhio schematico ridotto di Emsley


emmetrope
Parametri dell’occhio ridotto di Emsley
➢ Raggio di curvatura dell’unico diottro equivalente
=+5,55 mm
➢ Indice di rifrazione equivalente =1,3333
➢ Lunghezza assiale =22,22 mm
➢ Potere totale del diottro =+60 dt

Immagini di Purkinje

Proiettando una luce in un occhio con un’angolazione di 30°/50°è


possibile osservare attraverso la pupilla quattro immagini riflesse
dall’occhio; esse sono dette immagini di Purkinje.
Le immagini di Purkinje

1°immagine prodotta dalla superficie della cornea.


2°immagine prodotta dalla superficie interna della cornea.
3°immagine prodotta dalla superficie esterna del cristallino.
4°immagine prodotta dalla superficie interna del cristallino.

Caratteristiche delle immagini di Purkinje


La N°1 appare molto luminosa
La N°2 appare molto simile alla prima
La N°3 è molto più fioca della prima, circa 1/100
La N°4 è la più fioca di tutte circa 1/125 di quella corneale.
Poiché le dimensioni delle immagini dipendono dalla curvatura
del diottro (più è curva e più si rimpiccioliscono), in fase di
accomodazione è possibile notare il rimpicciolimento della N°3
(immagine della superficie anteriore del cristallino che è quella
che si incurva di più).

Utilità delle immagini di Purkinje

Attraverso lo studio e l’utilizzo di queste immagini è possibile:


Misurare i movimenti dell’occhio.
Misurare la curvatura corneale.
Misurare l’accomodazione e la posizione del cristallino.
Individuare i vari assi dell’occhio.

Cosa sono le ametropie?

Dal greco:
a(negativo)
mètron = (misura) ops
(dell’occhio)= non giusta
misura dell’occhio.
Condizioni di disequilibrio o distorsione tra l’effetto refrattivo dei mezzi
ottici dell’occhio ed il punto di focalizzazione sulla retina.
Cause delle ametropie
➢ Alterazioni della sfericità dei diottri oculari.
➢ Eccessiva o scarsa rifrangenza dei mezzi ottici dell’ occhio
rispetto alla sua distanza assiale.
➢ Alterazioni della lunghezza assiale del bulbo o delle curvature
dei diottri oculari, di origine ereditaria o congenita.
➢ Esposizione eccessiva a stress visivo prossimale.
➢ Gravi alterazioni dello stato fisico e psichico.
➢ Gravi scompensi metabolici.
➢ Alimentazione scorretta.
➢ Alterazioni dell’indice di rifrazione dei mezzi ottici a causa di
alcune patologie come il diabete elevato o uso massivo di alcuni
farmaci (l’entità di queste varia in funzione dell’entità del problema
che lo scatena).

Esistono due tipi di ametropie:


Sferiche ed Astigmatiche

Ametropie sferiche

Esse sono la Miopia e l’Ipermetropia. Sono le ametropie in cui per ogni


punto oggetto si forma un solo punto immagine sull’asse visivo
(stigmatismo), ma non a fuoco sulla foveola centralis. Si dividono in:
➢ Assiali (lunghezza assiale del bulbo eccessiva o ridotta) Refrattive
(sistemi ottici oculari troppo o poco potenti).
Le refrattive si dividono a loro volta in:
➢ Da curvatura (raggi di curvatura dei diottri troppo lunghi o troppo
corti) e da indice (indice di rifrazione eccessivo
o inferiore al necessario).

L’unità di misura delle ametropie

Le ametropie si misurano in diottrie come aumento o riduzione di


potere rifrattivo rispetto all’emmetropia, la quale rappresenta il
punto 0 (zero). In altre parole l’occhio emmetrope ha zero
ametropie.
Un occhio ametrope può avere per esempio 2, 3, 6 ecc. diottrie
di ametropia in più o in meno rispetto alla sua condizione di
emmetropia.
A seconda che esse siano in eccesso o in difetto si antepone il
segno + o -.

Ametropie astigmatiche
L’astigmatismo è una aberrazione ottica in cui per ogni punto
oggetto non si forma un solo punto immagine, ma una particolare
figura spaziale detta conoide di Sturm nella quale si individuano
due linee focali immagine ortogonali tra loro (astigmatismo).
La lunghezza delle focali e la distanza tra loro determina l’entità
dell’astigmatismo. Esse producono distorsioni ottiche che
coinvolgono punti e zone anche al di fuori dell’asse visivo. La
posizione di queste focali rispetto alla retina caratterizza i
diversi tipi di astigmatismo oculare.

La presbiopia

Nota a parte merita la presbiopia.


Disturbo visivo progressivo che insorge intorno ai 44/48 anni in
tutti gli individui anche emmetropi, a causa dei processi di
alterazione fisiologica che interessano il cristallino ed impedisce
la focalizzazione da vicino.
Essa si potrebbe definire impropriamente un’ametropia
da vicino.
In associazione con altre ametropie, come si vedrà, l’effetto
ottico prodotto sull’occhio che guarda vicino è la sommatoria tra
le ametropie presenti e la presbiopia.
Ripasso sul concetto di punti coniugati
In un sistema ottico privo di difetti ottici (aberrazioni), per ogni
punto dell’asse ottico, ove si ponga un radiatore puntiforme
monocromatico, corrisponde un solo punto immagine. Questi due
punti sono detti coniugati.
I punti coniugati nell’occhio

Nell’occhio lo schermo (la retina) è ad una distanza costante e la


coniugazione delle immagini avviene grazie alla modificazione
accomodativa del cristallino (a condizione che questa possa essere
esercitata).
Definizione di punto remoto
Il punto remoto di un occhio è il punto sull’asse visivo coniugato con
la fovea quando l’accomodazione è completamente rilassata.
In un occhio normale (emmetrope) il punto remoto è all’infinito e la
fovea coincide con il fuoco del sistema ottico.
Esso varia la sua posizione con l’insorgenza o la variazione di
ametropie.
Definizione di punto prossimo

Il punto prossimo di un occhio è il punto sull’asse visivo coniugato con


la fovea quando si esercita la massima accomodazione disponibile.
Esso è il punto più vicino che un occhio può vedere nitido.
Il punto prossimo varia fisiologicamente (allontanandosi
progressivamente) con la riduzione del potere accomodativo
dell’occhio. Il reciproco della sua distanza dall’occhio dà in diottrie
l’ampiezza accomodativa disponibile. Esso varia la sua posizione con
l’insorgenza o la variazione della presbiopia o di ametropie sferiche.

La Miopia
È un’ametropia sferica. Può essere definita come eccesso di
rifrangenza dei mezzi ottici oculari (refrattiva) o
un’eccessiva lunghezza assiale del bulbo (assiale). In
questa condizione, il fuoco immagine di un soggetto posto
all’infinito si forma prima della fovea (nel vitreo) e sulla
retina giungono i prolungamenti dei raggi passanti per detto
fuoco. L’immagine percepita è sfocata. Essendo definita,
come già visto sopra, anche come eccesso di rifrangenza
rispetto ad un occhi emmetrope, per convenzione le si
attribuisce il segno +
F<L il rapporto emmetropico è < di 1
Dov’è il punto remoto nella miopia
Il punto remoto nell’occhio miope è posto ad una distanza finita davanti
all’occhio. Esso è il punto più lontano che l’occhio miope può vedere nitido. Oltre
esso lo spazio visivo è sfocato. Detta distanza è inversamente proporzionale
all’entità della miopia (più è alta la miopia più il punto remoto è vicino all’apice
dell’occhio).

Punto remoto nella miopia


Avvicinando progressivamente il soggetto sfocato dall’infinito, esso incontrerà il
punto remoto (P.R.) e sarà visto nitido. Da li in poi si attiverà il processo
accomodativo. Il punto remoto è reale e posto ad una distanza in metri dal piano
principale dell’occhio pari all’inverso della quantità diottrica della miopia. Al
contrario Il reciproco della distanza in metri dal piano principale del punto remoto
ci dà in diottrie il valore della miopia.
Per convenzione al valore diottrico della miopia si antepone il segno +
Es. distanza P.R.= +0.50 m. miopia = 1/0.50 = +2 dt.

P.R. in occhio emmetrope P.R. in occhio miope


Dov’è il punto prossimo nella miopia
Il punto prossimo, se l’occhio è in grado di esercitare l’accomodazione, sarà
più vicino di quello dell’occhio emmetrope.
A parità di accomodazione esercitata la distanza dall’occhio del punto
prossimo si riduce in modo inversamente proporzionale all’entità della
miopia (più e alta la miopia più si riduce la distanza del punto prossimo
e più esso si avvicina all’occhio).
Progressivamente con la riduzione della capacità accomodativa del
cristallino il punto prossimo si allontanerà sino a coincidere col punto
remoto.
L’effetto della miopia e quello della presbiopia si sottraggono tra loro.

Punto prossimo nella miopia


Avvicinando un soggetto, superato il punto remoto si attiverà il
processo accomodativo. Il punto prossimo (P.P.) sarà più vicino al
piano principale che in un occhio emmetrope, ad una distanza in
metri pari al reciproco della quantità diottrica della miopia sommata
all’ampiezza accomodativa dell’ occhio (che è in funzione dell’età).
Esempi:
P.P. con emmetropia: ampiezza accomodativa +3 dt, P.P. = 1/3 = 0.33 m
P.P. con miopia: ampiezza accomodativa +3 dt, miopia +3 dt, totale = +6 dt
P.P. = 1/6 = 0.166m.

P.P. in occhio emmetrope P.P. in occhio miope

Ipermetropia
E’ un’ametropia sferica. Può essere definita come una carenza di
rifrangenza (rifrattiva) dei mezzi ottici oculari o una ridotta lunghezza assiale
del bulbo (assiale).
In questa condizione, con l’occhio totalmente disaccomodato, il fuoco
immagine di un soggetto posto all’infinito si formerebbe dietro la foveola
centralis.
Essendo come già visto sopra definita anche come una carenza di
rifrangenza, per convenzione le si attribuisce il segno -
F>L il rapporto emmetropico è > di1

Capacità dell’occhio di poter


compensare l’ipermetropia
L’occhio, grazie al meccanismo accomodativo, può solo aumentare il
suo potere diottrico.
Per cui, mentre la miopia non può essere in nessun modo compensata
spontaneamente dall’occhio, l’ipermetropia, in determinate condizioni,
può esserlo.
In optometria comportamentale un’ipermetropia di circa 0.75 dt in soggetti
giovani è ritenuta una condizione fisiologica ed auspicabile.
Accomodazione ed ipermetropia
In determinati casi di ipermetropia, l’accomodazione può riportare la
focalizzazione sulla retina, ma ciò dipende dalla combinazione di vari
fattori.
Questa possibilità è legata alla quantità di ipermetropia presente
nell’occhio e alla sua capacità accomodativa che, però, si riduce con
l’età.
Quindi ipermetropie elevate possono essere compensate da grandi
capacità accomodative e piccole quantità possono non esserlo se la
capacità accomodativa è ridotta.
L’incapacità di compensare adeguatamente l’ipermetropia scatena sintomi
astenopici, alterazione della binocularità a causa dell’interazione
funzionale tra accomodazione e convergenza o induce precocemente
visione sfocata da vicino, anticipando gli effetti della presbiopia.

Sintomatologia e conseguenze
dell’ipermetropia
Se la capacità compensativa è adeguata e l’ipermetropia non elevata essa
può passare inosservata per anni e manifestarsi solo quando, con l’avanzare
dell’età, il cristallino riduce a tal punto le sue capacità accomodative per cui
insorgono i sintomi e disturbi visivi già visti in precedenza.
La sintomatologia si manifesta inizialmente da vicino e si estende
progressivamente da lontano.
Astenopia: con questo termine si definiscono tutti i sintomi legati
all’affaticamento visivo (senso di affaticamento oculare, arrossamento,
secchezza o lacrimazione, peso sovra- palpebrale, sonnolenza, mal di testa
frontale o tempiale, tensione nucale).
Ipermetropie elevate possono indurre disturbi anche gravi alla binocularità in
quanto, essendo questa fortemente legata dal rapporto AC/A alla convergenza,
può indurre una esoforia accomodativa che in alcuni casi, se si scompensa,
scatena strabismi esotropici (gli occhi che deviano verso il naso)

Cause dell’ipermetropia
1) L'occhio ha un diametro antero-posteriore inferiore alla
norma.
2) Il raggio di curvatura anteriore della cornea è maggiore del
necessario.
3) Le curvature delle superfici del cristallino sono maggiori del
necessario.
4) L'indice di rifrazione dei mezzi ottici è inferiore a quello necessario.
5) Il cristallino è troppo distante dalla cornea.
6) Il cristallino è assente (afachia).
.
Classificazione dell’ipermetropia
L’ipermetropia tende spesso ad adattare un “ipertono
accomodativo” tale da consentire solo una correzione parziale
con le lenti che come vedremo sono di tipo convergente
(positive +).
In funzione della possibilità di prescrivere una correzione, le ipermetropie si
classificano in:
Manifesta: quella (o quella parte) che si fa correggere parzialmente o
totalmente con le lenti.
Latente: quella (o quella parte) che non accetta la correzione.
Totale: è tutta l’ipermetropia presente nell’occhio (somma tra la manifesta e la
latente). La quantificazione dell’ipermetropia totale, spesso, può richiedere
l’utilizzo dell’ atropina o visumidriatici per paralizzare lo sfintere del ciliare e
annullare l’ipertono accomodativo.
Assoluta: è quell’ipermetropia che l’occhio non riesce più a compensare con
l’accomodazione. In questa condizione la correzione dell’ipermetropia è totale.

Dov’è il punto remoto nell’ipermetropia

Se consideriamo l’occhio totalmente disaccomodato, nell’ipermetropia


il punto remoto (punto coniugato con la retina col cristallino
completamente disaccomodato) cade dietro la retina ed è virtuale.
Quindi sarebbe come se i raggi incidenti arrivassero convergenti sui
diottri oculari.
La sua distanza dal polo posteriore dell’occhio è inversamente
proporzionale all’entità dell’ipermetropia (più è alta l’ipermetropia più il
punto remoto si avvicina al polo posteriore).

Punto remoto nell’ipermetropia


Il punto remoto nell’ipermetropia è posto dietro la retina ad una distanza in
metri dal piano principale pari a quella del reciproco del valore diottrico
dell’ipermetropia in questione. Al contrario il reciproco della distanza in
metri del P.R. dal piano principale dell’occhio ci dà il valore
dell’ipermetropia.
Per convenzione all’ipermetropia si attribuisce il segno –
Es. distanza P.R. 0.666 m ipermetropia = 1/0.666 = -1.50 dt

P.R. in occhio emmetrope P.R. in occhio ipermetrope


Dov’è il punto prossimo nell’ipermetropia

Se la capacità accomodativa è maggiore dell’ipermetropia, Il punto prossimo


sarà ad una distanza finita davanti all’occhio, ma più lontano che in occhio
emmetrope. In questo caso se il rapporto tra capacità accomodativa ed
ipermetropia presente è alto si può mantenere una buona efficienza visiva.
Se la capacità accomodativa è uguale all’ipermetropia esso è all’infinito.
L’immagine è nitida solo all’infinito e progressivamente sfocata a distanze
sempre più ravvicinate.
Se l’ipermetropia è maggiore dell’accomodazione, quindi non è compensata,
il punto prossimo rimane dietro la retina ad una distanza maggiore dal polo
posteriore dell’occhio di quella del punto remoto e l’immagine è sfocata sia
da lontano ed ancor più da vicino. In questo caso c’è “l’abbandono
accomomodativo”.
Se l’accomodazione non può essere più esercitata (ipermetropia assoluta), il
punto prossimo coincide con il punto remoto dietro il polo posteriore
dell’occhio. L’immagine è sfocata da lontano ed ancor più da vicino.
Punto prossimo nell’ipermetropia
Il punto prossimo nell’ipermetropia, se reale, è più lontano che in un occhio
emmetrope e la sua distanza è in funzione della quantità di accomodazione
che l’occhio riesce ad esercitare. Il p.p. è virtuale solo quando
l’accomodazione non riesce a mettere a fuoco neanche un’immagine posta
all’infinito (ipermetropia totale).
La distanza in m del punto prossimo è data dal reciproco della differenza
tra l’ampiezza accomodativa di cui dispone l’occhio meno l’ipermetropia
presente. Esempi:
Ampiezza accomodativa +4 dt, ipermetropia –2 dt
+4 – 2 = +2 dt P.P = 1/2 = +0.50 m Reale.
Ampiezza accomodativa +1 dt, ipermetropia -2.50 dt
+1 – 2.50 = -1.50 P.P. = 1/-1.50 = - 0.666 m (segno -, virtuale).
P.P. emmetropia P.P. se reale nell’ ipermetropia
L’astigmatismo
Come dice la parola stessa, a (privativo) stìgma-atos (punto), significa:
“mancanza di puntiformità”.
L’immagine di un radiatore puntiforme monocromatico posto sull’asse
ottico, prodotta da una lente astigmatica, non è, come nelle lenti sferiche, a
sua volta un punto, ma una figura complessa che prende il nome di
Conoide di Sturm.
Le lenti astigmatiche, al contrario di quelle sferiche, non hanno geometria
di rivoluzione.
Ogni loro sezione ha un raggio di curvatura diverso compreso tra un
raggio di lunghezza massima e uno di lunghezza minima di due sezioni
dette meridiani principali.

Astigmatismo dell’occhio

I diottri oculari possono presentare un difetto anatomico a


geometria torica. Ne deriva una distorsione astigmatica.
La stragrande maggioranza degli astigmatismi (solitamente
regolari) oculari, è dovuta alla toricità della cornea.
In percentuale minore l’astigmatismo è a carico degli altri diottri
oculari.
Un astigmatismo a carico dei diottri del cristallino varia in
funzione dell’accomodazione esercitata. In questa situazione si
parla di astigmatismo dinamico.
Sulla cornea le due sezioni principali definiscono i meridiani principali.
Per convenzione il più piatto si indica con k.

Individuazione grafica di meridiani principali


nell’astigmatismo corneale
Per convenzione l’orientamento dei due meridiani viene indicato
utilizzando un angolo piatto quindi da 0°a 180°
Gli strumenti di misurazione forniscono il raggio di curvatura della sezione
analizzata, in mm. o in dt, e l’orientamento angolare della sezione stessa
rispetto all’angolo piatto di riferimento.
Es. 7.70 mm a 30°e 7.50 mm a 120°(sempre ortogonali tra loro).
L’entità dell’astigmatismo è data dalla differenza dei poteri dei due
meridiani principali.
Definizione dell’astigmatismo in
funzione dei meridiani principali
Se il meridiano più piatto è a 180°ed il più curvo a 90°+-
10°l’astigmatismo si definisce secondo regola.
Un astigmatismo secondo regola di circa 0.50 dt può essere fisiologico.
Se il meridiano più curvo è a 180°ed il più piatto a 90°+- 10°l’astigmatismo
si definisce contro regola.
Se i meridiani principali sono in posizioni intermedie l’astigmatismo si
definisce obliquo.

Tipologie di astigmatismi oculari

La tipologia dell’astigmatismo dipende dalla posizione delle


focali di Sturm (considerando l’occhio completamente
disaccomodato) rispetto alla retina.
L’astigmatismo è spesso associato alle ametropie sferiche.
In base alla posizione delle focali si definiscono cinque tipologie
di astigmatismo.
Astigmatismo miopico semplice

Nell’astigmatismo miopico semplice la focale più lontana dalla


cornea è sulla retina e l’altra è dentro l’occhio.

Astigmatismo ipermetropico
semplice
Nell’astigmatismo ipermetropico semplice la focale più vicina alla cornea
è a fuoco sulla retina, l’altra è fuori dall’occhio
Astigmatismo miopico composto

Composto perché associato alla miopia. Nell’astigmatismo


miopico composto entrambe le focali di Sturm sono dentro l’occhio.

Astigmatismo ipermetropico
composto
Composto perché associato ad ipermetropia.
Nell’astigmatismo ipermetropico composto, entrambe le focali di
Sturm sono fuori dall’occhio.
Astigmatismo misto
➢ Misto perché è una combinazione tra miopia ed
ipermetropia
➢ Nell’astigmatismo misto una focale di Sturm è
dentro e l’altra fuori dall’occhio, non
necessariamente a metà strada.
La correzione delle ametropie
Metodi per la rilevazione delle
ametropie
➢ Anamnesi, sintomatologia.
➢ Controllo della vista (visus) abituale (detta anche
naturale) con apposite tabelle di lettere di
dimensioni scalari (in Italia espresse in decimi).
➢ Oftalmometria per la rilevazione
dell’astigmatismo o alterazioni della superficie
corneale.
➢ Retinoscopia (detta anche schiascopia).
➢ Autorefrattometria (misurazione meccanica
automatica computerizzata della rifrazione
dell’occhio) se si è in possesso dello strumento.
Metodi per la correzione delle
ametropie

➢ La correzione delle ametropie avviene


attraverso la valutazione empirica,
possibilmente soggettiva, delle lenti
che correggono le distorsioni ottiche
indotte dalle ametropie.
➢ Attraverso appropriate prove successive
di varie lenti, con l’occhialino e le lenti di
prova o col forottero, vengono isolate le
lenti correttive più adatte alle esigenze
visive della persona.
➢ competenti indagini, frutto di valutazioni
anamnestiche strumentali e soggettive in
cui l’esperienza clinica dell’operatore
gioca un ruolo fondamentale per il
successo della risoluzione del caso.
Come si correggono le ametropie
con le lenti
➢ Concettualmente è semplice:
➢ Si induce con le lenti un “difetto”
ottico uguale e contrario all’ametropia
che affligge l’occhio.
➢ Per questi scopi vengono usate lenti a
menisco in quanto sono quelle che più
di tutte riducono al minimo alcune
aberrazioni.
Correzione della miopia
➢ Come già detto alla miopia si attribuisce il segno
+ in quanto sia in quella assiale che refrattiva il
fuoco immagine cade prima della fovea.
➢ Quindi si corregge con lenti a menisco negative
(divergenti) contrassegnate con segno -.
Quale lente negativa per
correggere la miopia?
➢ L’espediente è quello di porre il fuoco immagine di una
lente negativa, con la lunghezza focale pari “o quasi”
(meno la distanza piano principale-lente) a quella del
punto remoto prodotto dalla miopia in questione, affinché
i raggi incidenti sull’occhio è come se provenissero
dall’infinito, come in un occhio emmetrope.
➢ L’introduzione di una lente negativa, con la modalità
suddetta, provocherà uno spostamento all’indietro del
fuoco immagine che andrà a fuoco sulla retina.
➢ Questa descrizione è puramente didattica (vedi l’arte
della correzione dei disturbi visivi).
Ipo ed iper correzione miopica
➢ Una correzione più bassa della miopia presente
(ipocorrezione) migliorerà la qualità dell’immagine posta
all’infinito ma essa rimarrà sfocata.
➢ Una correzione eccessiva sconfinerà in una ipermetropia
artificiale, equivalente alla somma algebrica del potere
reale della miopia e il potere della lente.
Es. miopia reale +4 dt, lente correttiva –5 dt = -1 dt
Si è indotta una ipermetropia artificiale di -1 dt
➢ Questo attiverà il processo accomodativo e la
problematica diventa quella dell’ipermetropia.
➢ L’ipercorrezione miopica, secondo l’approccio correttivo
comportamentale, va evitata in quanto induce stress
visivo soprattutto da vicino e può predisporre la miopia a
peggiorare.
Come si indica la lente correttiva
per la miopia
➢ Essa si indica col simbolo sf. (sfera,
perché trattasi di lenti sferiche) seguito
dal potere (negativo) della lente correttiva.
➢ Es: sf.-4 corregge una miopia di +4 dt.
Correzione dell’ipermetropia
➢ Come già detto all’ipermetropia si attribuisce il segno - in
quanto sia in quella assiale che refrattiva il fuoco
immagine cade dietro alla fovea.
➢ Quindi si corregge con lenti a menisco positive
(convergenti).
Quale lente positiva per correggere
l’ipermetropia?
➢ L’espediente è quello di porre il fuoco immagine
di una lente positiva, con la lunghezza focale
pari “o quasi” (più la distanza piano principale-
lente) a quella del punto remoto prodotto
dall’ipermetropia in questione, affinché i raggi
incidenti sull’occhio è come se provenissero
dall’infinito. Ciò provocherà uno spostamento
dell’immagine verso il polo posteriore dell’occhio
ed essa cadrà a fuoco sulla retina.
➢ Questa descrizione è puramente didattica (vedi
l’arte della correzione dei disturbi visivi)
Ipo ed iper correzione
dell’ipermetropia
➢ Una correzione più bassa (ipo correzione) residuerà una
parte di ipermetropia e ciò produrrà degli effetti sugli
equilibri compensativi della stessa, in funzione della
capacità accomodativa e delle attitudini della persona. La
calibrazione della correzione ipermetropica è cosa
sofisticata e richiede competenze ed esperienze che
saranno argomento dei corsi successivi.
➢ Una correzione eccessiva (iper correzione) induce un
effetto artificialmente miopico pari alla somma algebrica
dell’ipermetropia correggibile e la lente.
➢ Es. ipermetropia correggibile –3 dt, lente +3.50 dt = +0.50 dt
si è indotta una miopia artificiale di +0.50 quindi l’immagine
apparirà sfocata.
➢ A volte l’ipercorrezione ipermetropica può essere usata per
ridurre l’affaticamento visivo da vicino o ridurre l’eccesso di
convergenza indotto dl rapporto AC/A soprattutto in casi di
strabismo accomodativo.
Come si indica la lente correttiva
per l’ipermetropia
➢ Essa si indica col simbolo sf. (detta
sfera) Seguito dal potere (positivo) della
lente correttiva
➢ Es. sf.+2 ipermetropia di –2 dt.
Correzione dell’astigmatismo
➢ Solo gli astigmatismi che hanno un andamento
pressoché regolare si correggono con lenti oftalmiche le
quali hanno solo sezioni principali ortogonali tra loro.
➢ Gli astigmatismi irregolari possono essere corretti con
lenti a contatto non morbide (rigide gas permeabili).
➢ L’espediente è sempre lo stesso usato per le ametropie
sferiche usando lenti cilindriche o a menisco torico.
➢ Per questioni didattiche considereremo solo
l’astigmatismo corneale e scinderemo concettualmente
la correzione dei due meridiani principali dell’occhio
come se fossero separati.
➢ I concetti applicati valgono anche se l’astigmatismo
non è corneale.
Lenti cilindriche
➢ Esse generano un astigmatismo.
➢ Possono essere utilizzate per la correzione, inducendo
un astigmatismo uguale e contrario a quello presente
nell’occhio (in realtà sugli occhiali si usano lenti sfero-
toriche).
➢ Sempre per questioni didattiche useremo per la
correzione dell’astigmatismo le lenti cilindriche.
➢ E’ più facile concettualizzare utilizzando la sezione
neutra e quella ad essa ortogonale (positiva o negativa).
➢ La ricetta delle lenti correttive per l’astigmatismo si indica
come quella di una lente cilindrica equivalente al
menisco torico corrispondente che si utilizzerà sugli
occhiali.
➢ In molte cassette di prova e in molti strumenti di
misurazione si usano lenti cilindriche per l’esame
soggettivo dell’astigmatismo.
Asse e sezione di potenza nelle
lenti cilindriche
➢ L’asse: identifica la sezione neutra del cilindro. Questa
sezione è una lamina ed il potere della lente su questa
sezione è zero. Di un radiatore monocromatico, posto
all’infinito, la sezione dell’asse genera una focale di
Sturm, ortogonale a se stessa, che si forma all’infinito.
➢ La sezione di potenza: è la sezione ortogonalmente
opposta all’asse; essa avrà il raggio di curvatura minimo
e quindi il potere massimo (visualizzare bene questo
concetto). Essa genererà una focale di Sturm
ortogonale a sé stessa ad una distanza pari al reciproco
del potere della sezione stessa. Se la lente è una piano
cilindrica convessa le due focali saranno reali, se la lente
è una piano cilindrica concava le due focali saranno
virtuali.
Cilindro positivo cilindro negativo
Come usare la lente cilindrica
Come si corregge l’astigmatismo
miopico semplice
➢ Se una focale è già a fuoco sulla retina e l’altra
dentro l’occhio vuol dire che la sezione principale
con raggio di curvatura maggiore è emmetrope e
quella con raggio di curvatura più corto è miope.
➢ La soluzione più semplice è quella di lasciare ferma
la focale a fuoco sulla retina ed arretrare l’altra con
un cilindro negativo (in realtà un menisco torico)
ponendo la sezione con potere neutro (l’asse del
cilindro) lungo il meridiano principale emmetrope
(quello col raggio di curvatura più lungo) e la
sezione di potenza (negativa) davanti al meridiano
otticamente troppo potente (quello col raggio di
curvatura più corto).
Correzione dell’astigmatismo
miopico semplice
➢ In questo esempio, il meridiano orizzontale (quello più
piatto) è emmetrope, quello verticale (quello più curvo) è
miope, dunque è un astigmatismo secondo regola.
Correzione dell’astigmatismo
miopico semplice
➢ In questo esempio, il meridiano orizzontale (quello più
piatto) è emmetrope, quello verticale (quello più curvo) è
miope, dunque è un astigmatismo secondo regola. Porrò
l’asse (potere zero, neutro) parallelo a quello emmetrope
e correggerò l’altro ortogonale, otticamente troppo
potente, con la sezione negativa.
Come si indica la lente correttiva
per l’astigmatismo miopico
semplice
➢ Il potere della lente correttiva
viene indicata col simbolo cil.
➢ Successivamente col simbolo ax si
indica la posizione in gradi angolari,
disposti su un angolo piatto, del
meridiano corneale lungo il quale va
posizionato l’asse del cilindro.
➢ Es. cil -2 ax 20°
Come si corregge l’astigmatismo
ipermetropico semplice
➢ Se una focale è già a fuoco sulla retina e l’altra
dietro l’occhio vuol dire che la sezione principale
con raggio di curvatura minore è emmetrope e
quella con raggio di curvatura maggiore è
ipermetrope.
➢ La soluzione più semplice è quella di lasciare la
focale a fuoco sulla retina ed avvicinare l’altra
con un cilindro positivo (in realtà un menisco
torico) ponendo la sezione con potere neutro
lungo il meridiano principale emmetrope e la
sezione di potenza positiva davanti al meridiano
otticamente poco potente.
Correzione dell’astigmatismo
ipermetropico semplice
➢ In questo caso il meridiano verticale (quello più curvo) è
emmetrope e quello orizzontale (quello più piatto) è
ipermetrope, dunque è un astigmatismo secondo regola.
Correzione dell’astigmatismo
ipermetropico semplice
➢ In questo caso il meridiano verticale (quello più curvo) è
emmetrope e quello orizzontale (quello più piatto) è
ipermetrope, dunque è un astigmatismo secondo regola.
Porrò l’asse (potere zero, neutro) parallelo a quello
emmetrope e correggerò quello ortogonale, otticamente
meno potente, con la sezione positiva.
Come si indica la lente correttiva
per l’astigmatismo ipermetropico
semplice

➢ Con il simbolo cil si indica il potere della lente


cilindrica usata per la correzione .
➢ Successivamente con il simbolo ax si indica in
gradi angolari, disposti su un angolo piatto, la
posizione del meridiano corneale, lungo il quale
va posizionato l’asse.
➢ Es. cil. +1 ax. 70°
Come porre le sezioni di potenza
delle lenti cilindriche per correggere
l’astigmatismo.
➢ La sezione di potenza di un cilindro negativo va
posta sempre lungo il meridiano più curvo (più
potente) e di conseguenza l’asse (sezione
neutra) lungo il meridiano più piatto (meno
potente).
➢ La sezione di potenza di un cilindro positivo va
sempre posta lungo il meridiano più piatto
(meno potente) e di conseguenza l’asse
(sezione neutra) lungo il meridiano più curvo
(più potente) .
Effetto di una lente sferica
associata ad una lente cilindrica.
Premessa importante!
Integrando una lente cilindrica con una lente
sferica (in realtà si usano menischi sfero-torici)
posso con quest’ultima spostare a piacimento
avanti ed indietro le focali di Sturm sull’asse
ottico.
Per questioni didattiche dividiamo in due l’effetto
correttivo prodotto da una lente sferica integrata
con una cilindrica.
Uso delle lenti sferiche con
l’astigmatismo
➢ Usando le lenti sferiche, in qualsiasi
astigmatismo posso spostare sia una che
l’altra focale sulla retina, ed associando un
cilindro opportuno (vedi “Come porre le
sezioni di potenza delle lenti cilindriche
per correggere l’astigmatismo”)
correggere l’astigmatismo.
Come si corregge l’astigmatismo
miopico composto
➢ La cosa più semplice è quella di spostare con
una lente sferica negativa la focale più vicina
alla retina a fuoco su di essa.
➢ Posso così ricondurre artificialmente
l’astigmatismo miopico composto ad un
astigmatismo miopico semplice.
➢ Quindi porrò un cil negativo con l’asse lungo il
meridiano più piatto e con la sezione di potenza
negativa correggerò ortogonalmente il meridiano
più curvo (troppo potente).
Come si indica la lente correttiva
per l’astigmatismo miopico
composto
➢ Si indica prima il valore della sfera
utilizzata col simbolo sf. con il suo
segno.
➢ Poi il potere del cilindro con il simbolo cil.
con il suo segno.
➢ Poi l’asse, espresso in gradi angolari
su un angolo piatto, lungo il quale è
stato posto l’asse del cilindro
➢ Es. sf. -2 cil. -1.50 ax. 175°
Come si corregge l’astigmatismo
ipermetropico composto
➢ La cosa più semplice è quella di spostare, con
una lente positiva, la focale più vicina alla retina
a fuoco su di essa.
➢ Posso così ricondurre artificialmente
l’astigmatismo ipermetropico composto, ad un
astigmatismo ipermetropico semplice.
➢ Quindi porrò un cilindro positivo con l’asse lungo
il meridiano più curvo e con la sezione di
potenza positiva correggerò ortogonalmente il
meridiano più piatto (meno potente)
Come si indica la lente correttiva
per l’astigmatismo ipermetropico
composto
➢ Si indica prima il valore della sfera
utilizzata col simbolo sf. con il suo
segno.
➢ Poi il potere del cilindro con il simbolo cil.

➢ Poi l’asse, indicato in gradi angolari su


un angolo piatto, lungo il quale è stato
posto l’asse del cilindro.
➢ Es. sf. +2 cil. +1.75 ax. 40°
Come si corregge l’astigmatismo
misto
➢ Valgono gli stessi concetti dell’utilizzo di una
lente sferica associata a quella astigmatica.
➢ Con la sf. sposto o una o l’altra focale sulla
retina e con una lente cilindrica opportuna (vedi
“Come porre la sezione di potenza delle lenti
cilindriche per correggere l’astigmatismo”), si
correggerà l’astigmatismo.
➢ Nell’astigmatismo misto i valori della sf. e del cil.
hanno sempre i segni contrari. Ed il valore
assoluto del cil. è sempre maggiore di quello
della sf.
Come si indica la lente correttiva
per l’astigmatismo misto.
➢ Con sf. si indica il potere della lente sferica
usata per spostare una o l’altra focale a fuoco
sulla retina.
➢ Con cil. il potere della lente cilindrica usata per
annullare l’astigmatismo.
➢ Con ax. la posizione dell’asse sull’angolo piatto.

➢ Es. sf. +2 cil. -3 ax. 90°

oppure la sua trasposta


sf. -1 cil. +3 ax 180°
Nota importante sull’astigmatismo
misto
➢ Nell’astigmatismo misto la distanza tra
le due focali è sempre maggiore delle
singole distanze delle due focali dalla
retina.
➢ Ne deriva che le lenti sferiche necessarie
per riconiugare una o l’altra focale sulla
retina avranno entrambe un potere
minore del cilindro necessario per ridurre
la distanza tra le due focali, quindi il
cilindro sarà sempre in valore assoluto
maggiore della sfera.
la lente sferica e la lente cilindrica
nell’astigmatismo misto hanno sempre
i segni discordi (contrari)
➢ Se uso una lente sferica negativa che allontana
entrambe le focali portando quella interna all’occhio sulla
retina, la situazione simulata diventa quella di un
astigmatismo ipermetropico semplice, quindi dovrò usare
un cilindro positivo per annullare l’astigmatismo.
➢ Se uso una lente sferica positiva per avvicinare
entrambe le focali portando quella esterna all’occhio
sulla retina, la situazione simulata diventa quella di un
astigmatismo miopico semplice, quindi dovrò usare un
cilindro negativo per annullare l’astigmatismo.
➢ Per questi motivi, le lenti correttive dell’astigmatismo
misto avranno sempre i segni della sfera e del cilindro
discordi.
Il disco o circolo di minima
confusione
➢ Durante le vostra pratica clinica sarete sorpresi dal fatto
che alcuni astigmatismi, in alcune persone, non
producono grandi distorsioni ed il visus può ugualmente
essere adeguato.
➢ Ciò accade in soggetti prevalentemente giovani con
astigmatismi ipermetropici, o anche miopici ma per
quest’ultimi limitatamente alle distanze ravvicinate.
➢ Ciò è dovuto al fatto che se c’è capacità accomodativa
l’occhio focalizza su un’area della focale di Sturm dove
la distorsione è minima.
➢ Quest’area è detta disco o circolo di minima confusione.
Immagine del disco di minima
confusione
Esistono sempre due lenti
correttive equivalenti per ogni
astigmatismo
➢ Da quanto detto deriva che in base a quale lente
sferica uso per portare a fuoco sulla retina una o
l’altra focale di Sturm, invertendo poi il segno e
l’asse del cilindro, esistono sempre due lenti
correttive per ogni astigmatismo.
➢ Il loro effetto correttivo sull’occhio è equivalente.

➢ Queste due lenti si definiscono l’una la


trasposta dell’altra.
Regola della trasposta
➢ Partendo quindi da una lente sfero cilindrica è possibile
ricavare la sua trasposta (lente equivalente) applicando
la seguente regola da imparare a memoria:
➢ 1°per ottenere la nuova sfera: fare la somma
algebrica di sfera più cilindro.
➢ 2°per ottenere il nuovo cilindro:
cambiare il segno al cilindro dato lasciando lo
stesso valore di dt.
➢ 3°ruotare di 90°l’orientamento dell’asse della
lente cilindrica data.
➢ Es: sf. -2 cil. -3 ax 30°
➢ trasposta: sf.-5 cil. +3 ax 120°
Segni discordi apparenti o reali
➢ Una lente con i segni della sfera e del cilindro discordi,
ma in cui il valore assoluto del cilindro è minore di quello
della sfera, si dice a segni discordi apparenti e non si
tratta di un vero astigmatismo misto, in quanto facendo
la sua trasposta si ottiene una lente a segni concordi.
➢ sf. +2 cil. -1 ax 20° |cil| < |sf| segni discordi apparenti.
Trasposta: sf. +1 cil. +1 ax. 110 segni concordi.
➢ Una lente a segni discordi in cui il valore del cilindro è in
valore assoluto maggiore di quello della sfera si dice a
segni discordi reali ed è un vero astigmatismo
misto, in quanto la sua trasposta sarà anch’essa a
segni discordi.
➢ sf. +3 cil. -4 ax 145° |cil| > |sf| segni discordi reali.
Trasposta: sf. -1 cil. +4 ax. 55° ancora segni discordi
Segni discordi reali
➢ Nell’astigmatismo misto, essendo il
cilindro in valore assoluto maggiore
della sfera (come già detto), entrambe le
lenti equivalenti avranno i segni discordi.
Esempio:
➢ sf. -2.25 cil. +3.50 ax 60°

Trasposta:
➢ sf. +1.25 cil. -3.50 ax 150°

➢ Segni discordi reali.


La presbiopia
➢ Come già detto la presbiopia insorge in tutte le
persone intorno ai 42/47 anni circa e
progressivamente impedisce la focalizzazione
da vicino.
➢ È un problema sociale importante in quanto
insorge nel pieno dell’attività lavorativa.
➢ C’è anche una componente psicologica che
implica la percezione, anche se non vera, di
invecchiare.
L’importanza oggi di una corretta
prescrizione per la presbiopia
➢ Questo disturbo visivo è stato considerato
di importanza secondaria rispetto agli
altri.
➢ Nelle società tecnologiche non è più così.

➢ La visione da vicino ha assunto


un’importanza fondamentale nello
svolgimento della maggior parte
delle attività.
Implicazioni della presbiopia sulla
focalizzazione da vicino
➢ Se il cristallino non riesce più a focalizzare da vicino,
vuol dire che l’immagine si sposta dietro alla retina.
➢ Quindi da vicino potremmo dire che l’occhio ha
una carenza di potenza e si comporta “come se fosse
ipermetrope”: si può indicare col segno -.
➢ Quindi il punto prossimo (punto più vicino visto nitido) si
allontanerà progressivamente con l’aumentare della
presbiopia.
➢ Diagramma della variazione del
potere accomodativo in relazione
all’età
La correzione della presbiopia in
occhi emmetropi
➢ Per la correzione della presbiopia si usano le
stesse lenti che si usano per l’ipermetropia,
positive (convergenti) segno +.
➢ Si antepongono davanti agli occhi lenti positive
adeguate alle distanze operazionali visive della
persona ed alla capacità accomodative ancora
presente negli occhi (vedi l’arte della correzione
delle ametropie).
➢ Allo stadio incipiente la correzione sarà minima.
In età avanzata, la lente correttiva in occhi
emmetropi non supera di solito +3/+3.50 dt.
Come si indica la lente correttiva
per la presbiopia.
➢ 1 Indicando che si tratta di una
correzione per focalizzare
esclusivamente a distanze ravvicinate
con la dicitura “per vicino”.
➢ 2 Con sf. seguito dal potere della
lente (sempre positiva) che corregge
la presbiopia.
➢ Es: per vicino:

o.d. (occhio destro) sf. +2


o.s. (occhio sinistro) sf. +2
La presbiopia può essere associata
alle ametropie già viste
➢ Se vi sono ametropie sferiche o
astigmatiche, prima si correggono queste
da lontano e poi si passa a correggere
da vicino la presbiopia.
➢ La lente sferica che corregge la
presbiopia si somma algebricamente alla
miopia o all’ipermetropia presenti.
La presbiopia associata alla miopia
➢ In caso di miopia non corretta essa ritarderà i suoi effetti grazie
al punto prossimo più vicino (vedi punto prossimo nella miopia).

➢ Se la presbiopia non supera la miopia la persona non corretta


continuerà a focalizzare da vicino “sfruttando la miopia”.
Es. miopia +2 dt, presbiopia -1 dt, totale = +1 dt.
➢ In questo caso c’è un residuo miopico di +1 dt e la persona
non corretta continuerà a vedere bene da vicino.
➢ Una miopia non corretta di oltre 3 dt non risentirà mai degli effetti
della presbiopia (il P.R. è a 0.33 m, più vicino della distanza di
lettura).

➢ Se la presbiopia supera la miopia la persona non corretta vedrà


sfocato da vicino ma necessiterà di una correzione minore rispetto
ad un emmetrope, pari alla differenza tra miopia e presbiopia.
Es. miopia +1 dt, presbiopia -2.50 dt, totale = -1.50 dt
➢ In questo caso c’è una presbiopia residua di -1.50 dt e la persona
non corretta necessita di una correzione (sia pur ridotta) di + 1.50 dt.
La presbiopia associata
all’ipermetropia
➢ In caso di ipermetropia non corretta c’è
un’anticipazione degli effetti della presbiopia a
causa del punto prossimo più lontano (vedi
punto prossimo nell’ipermetropia) poiché i due
disturbi si sommano.
➢ Es. ipermetropia -2 dt, presbiopia -1 dt,
totale = -3 dt
➢ La persona non corretta necessiterà di
una correzione (maggiore rispetto a quella
tipica della sua età) di +3 dt.
Presbiopia con astigmatismo
➢ L’astigmatismo si presenta sia da lontano che da
vicino.
➢ Per correggere la presbiopia si aggiunge la lente
sferica correttiva di quest’ultima alla sfera già
presente. Se la sfera della correzione astigmatica è
zero, il valore di sf sarà direttamente quello della
sfera che corregge la presbiopia.
➢ Esempio 1:
sf. -3 cil. -1.75 ax 15°, presbiopia sf.+ 1.50
risultato sf. -1.50 cil. -1.75 ax 15° (lente per vicino)
➢ Esempio 2:
sf. 0 cil. -3 ax 180°, presbiopia sf. +2
risultato sf. +2 cil. -3 ax 180 (lente per vicino)
Come si indica la lente correttiva della presbiopia
associata ad ametropie

1°Come aggiunta positiva, detta “addizione”, alla sfera da lontano


(lasciando, se c’è, invariata la correzione dell’astigmatismo): essa
andrà sommata algebricamente con questa e si indica con add.
➢ Esempio 1: da lontano sf. 0 cil. -1 ax 90° add. +0.75
➢ Esempio 2: da lontano sf. -1 cil. -2 ax 35° add. +1.50
In questi casi, per avere la lente definitiva da vicino si dovrà fare la
somma algebrica tra la sfera da lontano e la correzione della
presbiopia.

2°Indicando la correzione definitiva per vicino effettuando


preventivamente la somma algebrica tra la sfera da lontano e la
correzione della presbiopia.
➢ Esempio 1: da lontano sf. -1 lente correttiva per la presbiopia
+2 scriverò direttamente sf. +1 per vicino.
➢ Esempio 2: da lontano sf. -3 cil. -2 ax 95°lente correttiva per la
presbiopia +3
scriverò direttamente sf. 0 cil. -2 ax 95 per vicino.
La presbiopia con le ametropie
corrette
➢ In caso di ametropia corretta la
presbiopia produrrà gli stessi effetti che in
una persona emmetrope.
Schema della ricetta
➢ La ricetta della prescrizione delle lenti è divisa in
dati per l’occhio destro e dati per l’occhio
sinistro.
➢ Essi sono indicati come se gli occhi corretti
fossero di fronte a noi, sicché a sinistra si
indicano i dati del destro ed a destra quelli del
sinistro.
➢ Sono riportati i due angoli piatti per
l’orientamento dell’asse del cilindro in caso di
astigmatismo.
➢ Sono indicate le caselle per sf. cil. e ax.
Schema ricetta tipo
➢ Lo zero dell’angolo piatto per indicare l’asse dell’occhio
destro è posto sempre a destra.
➢ Lo zero per l’occhio sinistro può essere posto sia a
sinistra nel sistema detto internazionale (poco usato) sia
a destra (come per il destro) detto sistema T.A.B.O.
Ottica visuale
Parte 5 – L’immagine retinica e l’acuità visiva

Corso di laurea in Ottica ed Optometria


Dipartimento di Matematica e Fisica “Ennio De Giorgi”
Università del Salento
a.a. 2017-2018
Dispense preparate da Vincenzo Martella (optometrista)
Contatti: 0833/541063 - 392 8388361 otticamodernatri@libero.it

Testo consigliato per approfondimenti:


Fabrizio Zeri, Anto Calossi, Alessandro Fossetti, Antonio Rossetti
OTTICA VISUALE - Società Editrice Universo (2012)
L’immagine retinica
➢ Negli occhi l’immagine che si forma sul
piano retinico risulta reale, ridotta,
capovolta ed invertita (alto, basso,
destra, sinistra).
Grandezza dell’immagine retinica
È possibile determinare la dimensione dell’
immagine retinica in una condizione di:
➢ un occhio emmetrope.

➢ Ametrope non corretto.

➢ Ametrope corretto con lenti oftalmiche o con


lenti a contatto.
➢ Differenza delle dimensioni delle immagini
retiniche (aniseiconia) in caso di differenza di
ametropia tra i due occhi (anisometropia).
Calcolo approssimato dell’immagine in
un occhio schematico di Gulstrand
Considerando i due triangoli simili ABC E A’B’C sia:
➢ ho: l’altezza del’oggetto.
➢ hi: l’altezza dell’ immagine
➢ do: la distanza dell’oggetto dall’apice + la distanza apice punto
medio tra i punti nodali circa 0.007 m (BD + DC).
➢ di: la distanza retina punto medio tra i punti nodali circa 17
mm. DC: le distanza apice corneale - punto medio tra i punti
nodali.

A Punti nodali
ho di
α B’
B
C hi
do D
A’

D
Grandezza dell’immagine retinica
approssimata data la distanza e la
dimensione dell’oggetto
Per triangoli simili:
➢ hi : ho = di : do quindi:
➢ hi = -
ho·di/do
Esempio:
➢ ho = 2 m (ad esempio una persona)
➢ BD = 3 m (ad esempio all’altro lato di una stanza)
➢ do = BD + 0.007 m = 3.007 m
➢ di = 0.017 m
➢ hi = - 2 · 0.017/3.007 = -0.011 m segno meno perché capovolta
Grandezza dell’ immagine retinica in un occhio
schematico di Gulstrand conoscendo l’angolo
incidente al punto nodale.
➢ hi = - di · tan α dove tan α = ho/do;
(sostituendo si riottiene evidentemente la formula precedente)
Esempio precedente: ho = 2 m; do = 3.007 m; tan α = 2 / 3.007 = 0,665
corrispondente a 33.6°; hi = - 0.017 · 0.665 = - 0.011 m c.v.d.
Altro esempio:
➢ ho = 1.4 m (ad esempio un’automobile)
➢ do = 20 m (ad esempio che sia lontana sulla strada)
➢ tan α = 1.4m / 20m = 0.07 corrispondente a 4°
➢ Per un angolo di 4°l’immagine retinica è
➢ hi = - di · tan α = - 0.017 · 0.07 = - 0.0012 m (segno meno
perché capovolta)
Grandezza dell’immagine retinica
approssimata in un occhio ridotto
emmetrope di Emsley dato
l’angolo
incidente al punto principale

➢ Nell’occhio ridotto di Emsley il punto principale


coincide con l’apice della cornea.
➢ L’immagine retinica h’ è in relazione all’angolo
incidente sull’asse ottico sul punto nodale che
viene posto anch’esso sull’apice corneale.
➢ L’unico indice di rifrazione equivalente è 1.3333
Grandezza dell’immagine retinica
approssimata in un occhio ridotto
emmetrope di Emsley dato
l’angolo incidente al punto
principale
➢ w : angolo di incidenza al punto principale
➢ w’ : angolo di rifrazione
➢ h’ : dimensione dell’immagine retinica
Calcolo dell’immagine retinica dato
l’angolo incidente
Agli angoli incidente e rifratto applichiamo la legge di
Snell:
➢n · sen w = n’ · sen w’
Ma per angoli molto piccoli (fino a circa 0.5 rad, meno di
30°) il seno dell’angolo si può approssimare all’angolo
stesso in radianti. Quindi invece dei seni si possono
considerare direttamente gli angoli:
➢n · w = n’ · w’ , che porta a:
➢ w’ = w · n / n’
In un occhio n/n’ = 3/4 (rapporto equivalente a 1/1.3333) e
quindi:
➢ w’ = 3/4 · w (w’ < w, il raggio si avvicina all’asse ottico)
Calcolo dell’immagine retinica dato l’angolo
incidente in un occhio ridotto standard emmetrope
➢ tan w’ = - h’/k’o (segno - immagine capovolta) da cui:
➢ h’ = - k’o · tan w’
➢ e sostituendo w’ = 3/4 · w :
➢ h’ = - k’o · tan (3/4 · w) (formula calcolo immagine)
Ma per angoli molto piccoli (fino a circa 0.5 rad, meno di 30°) anche
la tangente dell’angolo si può approssimare all’angolo stesso in
radianti. Quindi invece della tangente si può scrivere direttamente
l’angolo in radianti:
➢ h’ = - k’o · (3/4 · w)
Essendo k’o = 0.02222 m :
➢ h’ = - 0,02222 · 3/4 · w.
➢ h’ = - 0.01665 m · w
grandezza immagine
retinica conoscendo w
Dimensione dell’immagine retinica
nella miopia assiale
➢ Nella miopia l’immagine cade prima
della retina.
➢ Di un radiatore puntiforme
monocromatico posto all’infinito sull’asse
ottico, sulla retina si proietta un disco di
sfocamento del quale è possibile
calcolare il diametro.
Dimensione del diametro dell’immagine retinica,
nella miopia assiale, di un radiatore puntiforme
posto all’infinito sull’asse ottico
➢ p : piano pupillare.
➢ a b : punti estremi di incidenza sul piano pupillare (diametro pupilla).
➢ g : diametro pupillare.
➢ a’ b’ = punti estremi del disco di sfocatura.
➢ j : diametro dell’ immagine sfocata (diametro del disco di sfocatura).
➢ B’: posizione del fuoco del sistema.
➢ k’ : lunghezza assiale dell’occhio.
➢ l’ : distanza del fuoco del sistema dal piano pupillare.
Dimensione dell’immagine retinica
in miopia assiale
➢ I triangoli formati da a b B’ e da B’a’b’ sono
simili quindi possiamo affermare che:
➢ J / g = (k’ - l’) / l’ da cui:

➢ J = g · (k’ - l’) / l’ dimensione


dell’immagine retinica = diametro del
disco di sfocatura.
Dimensione dell’immagine retinica
nell’ipermetropia assiale.

➢ In condizioni di totale disaccomodazione,


nell’ipermetropia l’immagine cade dietro
la retina.
➢ di un radiatore puntiforme
monocromatico, posto sull’asse ottico,
sulla retina si proietta un disco di
sfocamento di cui è possibile calcolare il
diametro.
Dimensione del diametro dell’immagine retinica di
un radiatore puntiforme posto all’infinito sull’asse
ottico, nell’ ipermetropia assiale.
➢ P : piano pupillare.
➢ a b : punti estremi di incidenza sul piano pupillare.
➢ g : diametro pupillare.
➢ a’ b’ : punti estremi del diametro del disco di sfocatura.
➢ J : diametro dell’ immagine sfocata (diametro disco di sfocatura).
➢ B’ : posizione del fuoco del sistema
➢ K’ : lunghezza asse dell’occhio
➢ l’ : distanza del fuoco del sistema dal piano pupillare.
Dimensione dell’ immagine retinica
nella ipermetropia assiale
➢ I triangoli formati da a b B’ ed a’ b’ B’ sono simili
quindi possiamo affermare che:
➢ J / g = (l’-k’) / l’ da cui:

➢ J = g · (l’-k’) / l’ diametro del disco di sfocatura


= dimensione immagine retinica.
Dimensioni delle immagini retiniche
nelle ametropie assiali non corrette
➢ Maggiore sarà la discrepanza tra
lunghezza assiale e potere rifrattivo
dell’occhio, maggiore sarà la
dimensione dell’immagine retinica
sfocata.
➢ Le dimensioni delle immagini retiniche
nelle ametropie assiali non corrette sono
direttamente proporzionali
all’ametropia.
Ingrandimento delle lenti
➢ Cosa accade quando correggiamo
una ametropia con lenti oftalmiche?
La lente positiva fa vedere più
grande
➢ La lente positiva fa vedere più grande.
➢ Lo stesso fenomeno è osservabile da chi guarda il portatore
(si vedono gli occhi ingranditi).
➢ L’ingrandimento è dovuto in minima parte allo spessore della lente,
(nel menisco positivo è maggiore al centro e minore al bordo), ed
in maggior parte, in modo direttamente proporzionale, al potere
della lente
➢ La lente positiva si comporta come un condensatore di
energia luminosa aumentando la quantità di luce che entra

nell’occhio.
La lente positiva viene usata in
optometria per aumentare la
performance visiva
➢ Le lenti positive vengono utilizzate nella visione da vicino
in particolari condizioni di disequilibrio visivo, anche in
assenza di ipermetropia e di presbiopia, per migliorare li
comfort visivo e ridurre lo stress visivo prossimale.
➢ L’aumento di energia luminosa che entra nell’occhio, e il
miglioramento della visione periferica che ne deriva,
sembrano essere i motivi per cui l’uso delle lenti positive,
prescritte tramite sofisticate procedure optometriche, può
spesso ridurre l’astenopia e la progressione della miopia.
La lente negativa fa vedere più
piccolo
➢ La lente negativa fa vedere più piccolo.
➢ Lo stesso fenomeno è osservabile da chi guarda il portatore
(si vedono gli occhi rimpiccioliti).
➢ La riduzione delle immagini è dovuto in minima parte allo spessore
(nel menisco negativo minore al centro e maggiore al bordo) ed in
maggior parte, in modo inversamente proporzionale, al potere
della lente.
➢ La lente negativa produce una riduzione della radiazione ottica
che investe la retina ed una riduzione della visione periferica.
La riduzione della correzione della
miopia è un espediente spesso usato
per la riduzione della progressione
miopica
➢ In optometria comportamentale, al contrario della scuola
optometrica tradizionale, si ritiene che in molti casi
l’eccesso di lente negativa (ipercorrezione negativa)
favorisca l’incremento stesso della miopia.
➢ Per cui, attraverso sofisticate procedure optometriche, è
possibile stabilire, nei casi in cui è richiesto, quanta
riduzione di correzione negativa (residuo di positivo) è il
caso di adottare.
➢ Una ulteriore sottocorrezione di negativo, nei casi in cui
è richiesto, può essere utile da vicino per ridurre lo
stress visivo prossimale e rallentare la progressione
della miopia.
Potere della lente correttiva e distanza apice
corneale-lente
➢ Come già detto la correzione sferica delle ametropie
consiste nel far coincidere il fuoco immagine della lente
con il punto remoto dell’occhio ametrope.
➢ Le lente però non è posta a contatto sull’occhio ma ad
una certa distanza detta “apice corneale-lente”.
➢ Se la lente (e quindi l’ametropia) è di bassa entità
(inferiore a 3.75/4 dt) o lo spostamento è minimo,
variando un po’ la distanza apice corneale-lente l’effetto
correttivo rimane pressoché invariato.
➢ Se la lente (e quindi l’ametropia) è elevata (oltre le 4 dt)
variando anche di poco la distanza apice corneale-lente
l’effetto correttivo cambia consistentemente.
➢ In pratica se rilevo con l’occhiale di prova una consistente
correzione con una certa distanza apice corneale-lente e
poi pongo sull’occhiale definitivo la lente ad una distanza
diversa o applico una lente a contatto, devo relativizzare
la correzione alla nuova distanza.
Potere delle lenti e loro distanze
focali
➢ Ricordate che:
➢ maggiore è la distanza focale, minore è
il potere della lente.
➢ E viceversa:

➢ Minore è la distanza focale maggiore è


il potere della lente.
➢ In altre parole il potere delle lenti è
inversamente proporzionale alla
loro distanza focale.
Come cambia il potere di una lente
negativa al variare della distanza
apice corneale-lente
➢ Come già detto la lente negativa che corregge la
miopia ha il fuoco immagine (virtuale) sul punto
remoto che giace sull’asse ottico davanti
all’occhio.
➢ Quindi dovendo porre una lente correttiva più
vicino o più lontano all’occhio, fermo restando il
fuoco oggetto coincidente col punto remoto,
allontanandomi dall’apice corneale la distanza
focale si ridurrà (il potere della lente aumenta)
avvicinandomi la distanza focale aumenterà (il
potere della lente si riduce).
Calcolo della lente negativa equivalente al
variare della distanza apice corneale-lente
➢ d (espressa in m) = spostamento da effettuare alla lente
(differenza tra la distanza di misurazione e nuova distanza).
➢ φ = potere lente correttiva rilevata, in diottrie (considerare il
suo valore assoluto)
➢ 1/φ = Lunghezza focale lente rilevata, in m.
➢ φ’ = potere della lente equivalente posta alla nuova distanza.
1) se mi allontano dall’apice:
➢ applico la formula: φ’ = φ/(1- φd) = 1 / (1/φ – d)
➢ Siccome la lente si avvicina al P.R., alla focale della lente 1/φ
sottraggo d. Il risultato è la nuova distanza focale. Facendo il
reciproco della nuova distanza focale ottengo φ’.
➢ Quindi allontanandosi dall’ apice corneale (lente negativa)
φ’>φ.
2) Se mi avvicino all’apice:
➢ applico la formula: φ’ = φ/(1+ φd) = 1 / (1/φ + d).
➢ Siccome la lente si allontana dal P.R., alla focale della lente
1/φ aggiungo d. Il risultato è la nuova distanza focale. Facendo
il reciproco della nuova distanza focale ottengo φ’.
➢ Quindi avvicinandosi all’apice corneale (lente negativa) φ’<φ.
Esempio di variazione della lente
negativa equivalente al variare
della distanza apice corneale-lente
➢ Lente rilevata durante il controllo optometrico con
l’occhiale di prova o col forottero = -15 dt.
➢ Distanza di rilevamento con occhiale di prova = 0,010 m
➢ La misura della distanza dove verrà la lente sulla
montatura dell’occhiale definitivo = 0,015 m
➢ Quindi lo spostamento è di 0.005m in allontanamento
dall’apice corneale-lente (la distanza focale va ridotta).
➢ φ’ = φ/(1–φd) = 15/(1–15x0.005) = 15/(1-0.075) =
15/0.925 = 16,21 si arrotonda a – 16,25 dt il potere è
aumentato (segno meno perché miope)
➢ Altrimenti detto: 1/φ = 1/15 = 0.6666; 0.6666 – 0.005 =
0.0616; 1/0.0616 = 16.21 che si arrotonda a -16.25 dt.
Come cambia il potere di una lente
positiva al variare della distanza
apice corneale-lente
➢ Come già detto la lente positiva che corregge
l’ipermetropia ha il fuoco immagine sul punto
remoto che giace sull’asse ottico dietro la retina.
➢ Quindi dovendo porre una lente correttiva più
vicino o più lontano dall’occhio, fermo restando il
fuoco immagine coincidente col punto remoto,
allontanandomi dall’apice corneale la distanza
focale aumenterà (il potere della lente si riduce),
avvicinandomi la distanza focale si ridurrà (il
potere della lente aumenta).
Calcolo della lente positiva equivalente al
variare della distanza apice corneale-lente
➢ d (espresso in metri) = spostamento da effettuare alla lente
(differenza tra la distanza di misurazione e nuova
distanza).
➢ φ = potere della lente correttiva rilevata, in diottrie (considerare
il suo valore assoluto).
➢ 1/φ = lunghezza focale lente rilevata, in m.
➢ φ’ = potere della lente equivalente posta alla nuova distanza.
1) Se mi allontano dall’apice:
➢ φ’ = φ/(1+φd) = 1 / (1/φ + d)
➢ siccome la lente si allontana dall’P.R., alla distanza focale 1/φ
aggiungo d. Il risultato è la nuova distanza focale. Facendo il
reciproco della nuova distanza focale ottengo φ’.
➢ Quindi allontanandosi dall’apice corneale (lente positiva) φ’<φ.
2) Se mi avvicino all’apice:
➢ φ’ = φ/(1–φd) = 1 / (1/φ – d)
➢ siccome la lente si avvicina al P.R., alla distanza focale 1/φ
sottraggo d. Il risultato è la nuova distanza focale. Facendo
il reciproco della nuova distanza focale ottengo φ’.
➢ Quindi avvicinandosi all’apice corneale (lente positiva) φ’>φ.
Esempio di variazione della lente
positiva equivalente al variare della
distanza apice corneale-lente

➢ Distanza della lente rilevata durante il controllo


optometrico con l’occhiale di prova o il forottero: 0.012 m
➢ Potere della lente rilevata +6 dt.
➢ Calcolare la lente a contatto equivalente.
➢ Lo spostamento è proprio uguale alla distanza apice
corneale-lente in avvicinamento (la distanza focale va
ridotta) = 0.012 m.
➢ φ’ = φ/(1- φd) = 6/(1 – 6x0.012) = 6/(1-0.072) = 6 / 0.928
= 6.46 si arrotonda a +6.50 dt. Il potere è aumentato
(segno + perché ipermetrope).
➢ Altrimenti detto: 1/φ = 1/6 = 0.1666; 0.1666 – 0.012 =
0.1546; 1/0.1546 = 6.46, che si arrotonda a + 6.50 dt.
Effetto dell’anteposizione di lenti sferiche
davanti ad occhi emmetropi o corretti effetto
s.i.l.o. e s.o.l.i.
➢ Anteponendo, davanti ad un occhio emmetrope
o corretto, delle lenti negative o positive anche
di medio potere ad una distanza di circa 25 cm,
facendo osservare un soggetto vicino, con lenti
negative si osserverà un rimpicciolimento del
soggetto e con lenti positive un ingrandimento
del soggetto. Per una valutazione su base
esperienziale, un’immagine piccola si associa ad
un soggetto lontano (la nave all’orizzonte appare
piccola) ed un immagine grande si associa ad
un soggetto vicino (la stessa nave osservata da
vicino appare enorme).
Cos’è l’effetto s.i.l.o. e s.o.l.i.
➢ In realtà, per l’effetto ottico indotto, le lenti
negative, oltre a rimpicciolire sposteranno
l’immagine più vicina e le positive, oltre
ad ingrandire, sposteranno l’immagine più
lontano.
➢ s.i.l.o. sta per Smaller-In; Larger-Out
(piccolo-vicino; grande-lontano,
effetto reale prodotto dalle lenti + e -)
➢ s.o.l.i. sta per Smaller-Out; Larger-In
(piccolo-lontano; grande-vicino,
sensazione visiva valutata su base
esperienziale)
Utilizzo dell’effetto s.i.l.o. e s.o.l.i.
nel training visivo

➢ Nel training visivo optometrico


(procedure di allenamento visivo atte a
migliorare l’efficienza e la percezione
visiva) si usa far fare esercizi
anteponendo lenti – e + davanti ad uno o
entrambi gli occhi (a circa 25 cm di
distanza) per far si che la persona
percepisca l’effetto s.i.l.o.
Effetto S.I.L.O. e S.O.L.I.
➢ Normalmente appena si antepongono le lenti la persona
dirà di vedere le immagini con lenti - piccole e lontane e
con lenti + grandi e vicine (effetto s.o.l.i.), perchè elabora
su base esperienziale non facendo una valutazione
effettiva del fenomeno visivo in atto che invece è s.i.l.o.
➢ L’esercizio consiste proprio nell’innescare il processo
s.i.l.o. che è ciò che accade realmente nello spazio
visivo percepito nella lente.
➢ L’insorgenza nella persona della sensazione s.i.l.o. sta a
significare che si sta valutando la reale condizione visiva
indotta dalla lente e non un’elaborazione solo su base
esperienziale.
➢ L’innescarsi della sensazione s.i.l.o. dimostra che
l’individuo, in quell’esercizio, ha imparato a fidarsi di ciò
che i suoi occhi percepiscono realmente.
Metodi di valutazione del visus
➢ La capacità di percepire i dettagli del soggetto
osservato si chiama visus o acuità visiva.
➢ In passato si pose la necessità di trovare e
codificare metodi di misurazione della capacità
visiva.
➢ Si può definire l’acuità visiva come la capacità
visiva di discriminare particolari che sottendono
all’apice dell’occhio angoli molto piccoli.
Angolo visivo
➢ Il soggetto AB sottende un angolo α all’apice dell’occhio che
viene definito angolo visivo.
➢ Esso dipende dalla relazione tra la dimensione del soggetto e
dalla sua distanza dall’occhio.
➢ Esso è inversamente proporzionale alla distanza e
direttamente proporzionale alla dimensione.
➢ Se un occhio riesce a percepire particolari che sottendono
angoli molto piccoli vuol dire che ha un buon visus.
Calcolo approssimativo dell’angolo visivo conoscendo la
dimensione del soggetto e la sua distanza dall’apice
dell’occhio.
➢ AB = dimensione soggetto.
➢ d = distanza soggetto dall’occhio.
➢ α = angolo visivo.
➢ tan α = AB/d
➢ Es. AB = 1 cm d = 57 cm.
➢ tan α = 1/57 = 0.0175 da cui α = 1°
➢ 1 cm a 57 cm sottende un angolo visivo di 1°
L’acuità visiva ed i coni foveolari
➢ Nella foveola centralis i coni sono di dimensioni
maggiori ed ognuno di essi è collegato ad una
sola bipolare ed a una sola gangliare (rapporto
uno a uno).
➢ La luce si incanala all’interno del cono e,
raggiungendo il pigmento fotosensibile, scatena
l’impulso nervoso. Esso segue in questo modo
un’autostrada privata che mantiene lo stimolo
diretto cellula-cellula sino alle aree visive
superiori espandendosi poi nel cervello.
Misurare la capacità di vedere
➢ Misurare la capacità di discriminare i particolari
è una delle necessità legate alla valutazione
dell’efficienza visiva.
➢ Le capacità percettive si possono distinguere in
varie sottocategorie e per misurarle si dispone di
diversi strumenti.
➢ Essi sono gli ottotipi (pron. ottòtipo, da ops-,
visione e tipo, carattere) e gli strumenti che
rilevano la soglia dello stimolo luminoso.
Minimo percettibile o acutezza di
visibilità
➢ Affinché uno stimolo possa essere percepito occorre che
questo sottenda un angolo pari a circa quello sotteso al
punto nodale da un cono foveolare (15-20 secondi
d’arco). Se ciò non accade non c’è percezione.
➢ Il modo più semplice per valutarla è di mostrare un punto
nero su sfondo bianco di dimensioni crescenti ed
individuare il punto più piccolo che viene percepito.
➢ La capacità di percepire stimoli con angoli molto piccoli
manifesta una buona acutezza visiva.
➢ Questa è un’abilità che, anche in condizioni di normalità
visiva, può subire grosse differenze tra gli individui.
➢ Un calo dell’acutezza visiva può essere attribuibile
anche a patologie.
Angolo minimo di risoluzione MAR
➢ È l’angolo più piccolo sotteso tra due punti affinché essi possano essere
visti separati.
➢ Secondo l’ipotesi di Von Helmholtz, per percepire distinti due punti di
uguale luminanza occorre che essi stimolino due coni foveolari in modo che
tra essi un terzo non sia attivato dallo stimolo. Questa condizione determina
un angolo visivo ’ detto angolo minimo di risoluzione.

➢ Per la legge dei punti nodali anche i due punti osservati sottenderanno
rispetto al primo nodo (approssimabile all’apice corneale) un angolo  
’.
Angolo minimo di risoluzione MAR
➢ Considerando che la distanza media tra due coni foveolari è 2 m, la
separazione tra i due coni attivi è 4 m. Assumendo per l (distanza tra
secondo punto nodale e retina) un valore di 16.67 mm (Gullstrand),
l’angolo ‘ sotteso dai due coni attivi vale:
‘ = arctg (4 m / 16.67 mm) = 0.24 mrad = 0.014°= 49”
Questo valore può essere approssimato a 60” = 1’.

➢ Ma non è così; tanto più che il raggio incidente non può essere così
selettivo verso il singolo fotorecettore.
➢ Nella pratica clinica si osserva che la capacità di risoluzione può essere
raggiunta anche con angoli inferiori a 60”, anche di 35”-50” d’arco.
➢ Una spiegazione plausibile di ciò può essere l’attività svolta dalle cellule
orizzontali, dai micro movimenti dell’occhio che determinano la
composizione del cosiddetto mosaico retinico e dalla particolare
disposizione compatta dei coni, per cui se, in particolare, gli oggetti da
distinguere sono delle linee l’elaborazione cerebrale sfrutta molti più
segnali che non quelli provenienti da due soli coni.
Il limite della diffrazione
➢ Quando un’onda passa attraverso un foro di diametro  confrontabile
con la sua lunghezza d’onda  subisce il fenomeno della diffrazione: in
parole povere si manifesta anche nelle direzioni circostanti quella
delineata dal foro stesso.
➢ La tipica distribuzione angolare dell’energia dell’onda presenta una forte
intensità al centro, sull’asse del foro (il “disco di Airy”), la cui apertura
angolare vale  = 2.44  /  (radianti), delimitata da un primo anello di
minima intensità e poi da altri anelli alternati luminosi e neri.
➢ Anche l’occhio è affetto da questo
fenomeno, dovuto alla presenza
della pupilla (di diametro p), che
pone un limite fisico all’ angolo
minimo di risoluzione.
Il limite della diffrazione
➢ Infatti il disco di Airy corrispondente ad un punto osservato potrebbe
“illuminare” più di un cono foveolare, riducendo l’acuità. Affinchè venga
rispettata l’ipotesi di Von Helmholtz, per distinguere due punti deve avvenire
che, con il disco di Airy di un punto centrato su un certo cono, il disco dell’altro
punto deve “illuminare” un cono che si trovi nella posizione del minimo del primo
(criterio di Rayleigh), cioè ad una separazione angolare ‘ pari alla metà
dell’ampiezza del disco di Airy. Tra questi due coni si dovrà trovare il terzo cono
inattivo (o comunque meno illuminato). Quindi ‘ = 1.22  / p

➢ Assumendo  = 555 nm (giallo-verde) e p = 3 mm si ha


‘ = arctg (555 nm / 3 mm) = 0.22 mrad = 0.013°= 46”

➢ Si osservi come ad una maggiore miosi corrisponda una


risoluzione peggiore (compensata però da minori aberrazioni).
➢ Si noti come il limite fisiologico (dovuto alla dimensione dei coni) e
quello fisico (diffrazione) sostanzialmente coincidono: l’evoluzione ha
condotto il sistema visivo ad avere un limite risolutivo non
(inutilmente) superiore a quello imposto dalle leggi della fisica.
Metodi per la misurazione del
minimo angolo di risoluzione
➢ La valutazione del minimo angolo visivo di risoluzione può essere
effettuata con le cosiddette griglie o reticoli.
➢ Esse sono l’alternanza di linee nere con spazi bianchi.
➢ L’unità di misura delle griglie così composte sono i cicli per
grado. Un ciclo è composto da une linea nera ed uno spazio
bianco.
➢ La misura in cicli per grado indica quanti cicli entrano in un grado.
➢ Altri sistemi sono gli anelli di Landolt, che sono cerchi con un
apertura posta in varie direzioni, o le E di Albini, E di varie
dimensioni poste in direzioni diverse.
Acuità di allineamento o di
localizzazione
➢ È la capacità di percepire il disallineamento tra due
figure.
➢ Essa si esprime con l’angolo sotteso dalle due figure sul
piano orizzontale. Essa è maggiore dell’angolo minimo di
risoluzione. Essa è di circa 4-5 secondi d’arco.
➢ Possiamo annoverare in questo tipo di acuità anche la
capacità di percepire la verticalità della linea, “tilt”.
Capacità visiva morfoscopica o di
riconoscimento
➢ Essa è la capacità di riconoscere simboli.
➢ In età pre-scolare vengono utilizzati ottotipi con figure.
➢ In età scolare gli ottotipi più usati sono quelli con lettere
o numeri.
I vari tipi di acuità visiva

➢ Il valore espresso in primi d’arco è il MAR.


➢ L’acuità visiva AV è inversamente proporzionale al MAR:
AV = 1 / MAR (in primi d’arco)
La frazione di Snellen
➢ Snellen giunse alla conclusione che un occhio, con buona salute
retinica e ben corretto, è in grado di percepire un soggetto complesso
(capacità visiva morfoscopica) se esso sottende un angolo visivo di 5
minuti d’arco. Su questa base definì un altro modo di esprimere l’acuità
visiva.
➢ Egli creò degli ottotipi incasellando le lettere in griglie composte da
quadrati di 5x5 entro i quali inscrivere delle lettere. Indipendentemente
dalla loro dimensione, se poste alla distanza dove sottendono all’occhio
5 minuti d’arco, stabiliscono il valore di normalità visiva (10/10).
➢ La frazione di Snellen è data dalla distanza a cui viene posta la lettera
per poter essere vista dal soggetto esaminato, fratto la distanza dove
essa sottende un angolo di 5 minuti d’arco (1 minuto per ogni tratto
della letterina).
➢ In realtà invece di variare la distanza, si ingrandiscono le lettere
opportunamente di rigo in rigo per determinare visus più bassi
del normale.
Dieci decimi 10/10
➢ Le tavole ottotipiche più usate in età scolare
sono quelle per la capacità di riconoscimento
solitamente costituite da lettere.
➢ Il sistema di definizione del visus più usato da
noi è espresso in decimi partendo dalla frazione
di Snellen.
➢ Es.: distanza a cui la lettera sottende 5’: 12 m
distanza massima a cui viene percepita: 6 m
frazione di Snellen = 6/12 = 0.5 = 5/10
➢ Dieci righe di lettere nelle quali le lettere
aumentano la loro dimensione a partire dalle
più piccole che sottendono un angolo di 5’
(10/10).
➢ L’ingrandimento dalla riga n/10 alla
m/10 è pari a n/m
Es.: se alla riga 8/10 i caratteri sono alti 5 mm
alla riga 7/10 saranno 5 x 8 / 7=5.71
alla riga 3/10 saranno 5 x 8 / 3=13.33
➢ In altre nazioni esistono ottotipi espressi
in ventesimi o sesti.
11/10, 12/10, …16/10
➢ Nella realtà Snellen sottovalutò le capacità percettive di
un occhio sano e ben corretto: infatti le lettere dei 10/10
non rappresentano il limite della capacità morfoscopica,
ma una qualità della visione ritenuta sufficiente per poter
svolgere disinvoltamente la maggior parte delle attività
visive quotidiane.
➢ La capacità visiva di questo tipo può spingersi anche
molto oltre i 10/10.
➢ Per questo le letterine dei 10/10 vengono ulteriormente
divise in altre e queste in altre ancora e così via sino a
spingersi sino anche a 16/10, anche se a questi limiti
solo pochi eletti riescono ad arrivare.
Limiti della tabella di Snellen
➢ Le differenze di dimensione tra le lettere grandi sono
notevoli per cui su bassi visus il salto tra un livello di
difficoltà e l’altro non dà una buona accuratezza di
misurazione.
➢ Le lettere grandi sono poco affollate e questo facilita la
loro interpretazione.
➢ Per questo sono state strutturate tavole ottotipiche con
variazione logaritmica delle dimensioni che risultano così
più graduali e con numero uguale di simboli per riga.
➢ Nonostante ciò, una conoscenza strumentale
dell’ottotipo di Snellen da parte dell’operatore, consente
una perfetta valutazione del visus.
MAR e logMAR
➢ Calcolando il logaritmo decimale del MAR (espresso in
primi d’arco) si ottengono numeri in un intervallo utile da
pochi decimi (negativi) a qualche unità (positiva).
➢ Ad es.:
MAR AV LogMA
R
10’ 1/10 1
7.9’ 63/50 0.9
0
1.26’ 8/10 0.1
1’ 10/10 0
0.5’ 20/10 -0.3
➢ Tabelle ottotipiche espresse in decimi di LogMAR hanno
una più graduale variazione delle dimensioni dei simboli.
Ottotipo logMAR
Sensibilità al contrasto
➢ È la capacità di distinguere due aree contigue, di diversa
luminosità.
➢ C, contrasto, si può esprimere matematicamente come:
➢ - Il rapporto tra la differenza di luminosità delle due aree
fratto la loro somma (contrasto di Michelson, detto anche
di modulazione)
Lmax – Lmin
C = ----------------------------
Lmax + Lmin
➢ - Il rapporto tra la differenza di luminosità tra sfondo e
soggetto, fratto la luminosità dello sfondo (formula di
Weber)
Lsfondo – Lsoggetto
C = ------------------------------
Lsfondo
Potenzialità diagnostiche della
sensibilità al contrasto
➢ Una buona sensibilità al contrasto è spesso indice di
buona salute retinica.
➢ Essa anche in presenza di visus buono può risultare
alterata a causa di alcune patologie oculari di alcune
aree retiniche.
➢ Qui è rappresentato un ottotipo per la misurazione della
sensibilità al contrasto
Sensibilità al contrasto a frequenza
spaziale
➢ Un altro metodo per misurare la sensibilità al contrasto
sono le bande a frequenza spaziale.
➢ Sono bande a contrasto variabile di spessore diverso.
Una banda chiara ed una scura sono un ciclo. La
frequenza è data da quanti cicli sono contenuti in un
angolo visivo di 1 grado.
➢ Come si vede dal grafico la sensibilità fisiologica è
massima sulle medie frequenze.
Patologie retiniche e sensibilità al
contrasto
➢ La riduzione totale della sensibilità al contrasto è indice di
patologie generalizzate a tutta la struttura nervosa della
retina (es. retinopatia diabetica). La curva è spostata in
basso.
➢ La scarsa sensibilità alla basse frequenze spaziali è indice
di patologie a carico delle cellule gangliari delle aree
periferiche. La curva è bassa nel primo tratto.
➢ La scarsa sensibilità alle medie frequenze è indice di
patologie a carico delle cellule gangliari della zona maculare
e para maculare. La curva è bassa nella zona centrale.
➢ La scarsa sensibilità al contrasto delle alte frequenze
spaziali è indice di patologie a carico delle cellule della zona
foveolare. Il visus è basso e la curva declina
repentinamente nel tratto finale.
Acuità visiva dinamica
➢ È la capacità di discriminare particolari di
soggetti in movimento.
➢ Essa implica, oltre ad una buona acuità visiva,
anche un perfetto coordinamento del movimento
oculare d’inseguimento visivo “pursuit”.
➢ Scatti, salti, tremori, prodotti da un movimento
non accurato dei muscoli oculomotori,
precludono la possibilità di una buona
percezione dei dettagli di un soggetto in
movimento.
La visione periferica
➢ L’acutezza visiva è una peculiarità delle foveola
centralis dove, in condizioni di buona
focalizzazione dei sistemi ottici e salute oculare,
è possibile la massima acuità visiva.
➢ Essa decade via via che ci si allontana dalla
fovea dove cambia la natura, organizzazione e
densità dei coni e aumenta il numero dei
bastoncelli.
➢ Ma i soggetti, motivo della nostra attenzione,
sono inseriti in un contesto esattamente come gli
attori su un set.
➢ È la visione periferica che consente di
localizzare e contestualizzare l’immagine
percepita centralmente.
Visione centrale e periferica
➢ La visione centrale risponde alla domanda: cos’è, chi è.
➢ La visione periferica risponde alla domanda: dov’è.
➢ La visione periferica è fondamentale per l’attività visiva
dinamica.
➢ È impossibile avere una vita visiva normale senza la
visione periferica pur avendo 16/10.
➢ Tramite essa possiamo guidare, giocare, e spostare gli
occhi da in soggetto all’altro tramite i movimenti oculari
delle saccadi.
➢ È molto importante che la visione centrale e periferica
siano ben integrate tra loro.
L’importanza della visione
periferica
➢ La visione periferica è “salva vita”.
➢ Molte inefficienze, incidenti o cattive
organizzazioni motorie, derivano da una scarsa
capacità di percepire ciò che circonda il soggetto
osservato.
➢ Attività come la lettura, lo sport, la guida o
semplicemente infilare correttamente una porta,
versare l’acqua nel bicchiere ecc., sono
fortemente legate all’integrazione di una buona
visione periferica.
➢ Si vive meglio con una trombosi centrale che
con una retinite pigmentosa.
Training visivo per migliorare la
percezione visiva
➢ Il training visivo optometrico è una serie di
innumerevoli procedure di esercizio visivo,
finalizzato al miglioramento delle capacità
percettive visive integrandole tra loro e con tutto
l’organismo.
➢ La visione centrale e periferica possono essere
migliorate da queste procedure.
➢ La capacità di percepire meglio (si parla di
percezione, non di visus) la periferia è spesso
uno degli scopi che si prefigge il training visivo.
La stereopsi
➢ È una delle abilità più elevate (non la più importante) del
sistema visivo umano e di alcune specie animali.
➢ Essa è la capacità di percepire lo spazio
tridimensionalmente quindi la capacità di valutare la
distribuzione degli elementi del set visivo anche lungo
l’asse z.
➢ Il massimo della sua percezione si espleta solo tramite
una perfetta integrazione della binocularità.
➢ Persone con visione monoculare o con profonde
alterazioni della binocularià non hanno una corretta
percezione stereoscopica.
➢ La stereopsi è un implicazione della distanza e della
differenza prospettica tra le immagini retiniche che si
formano nei due occhi.
➢ Essa è presente in molte specie arboricole e di predatori,
consentendo a questi una precisa valutazione delle
distanze.
➢ Della stereopsi parleremo ancora in seguito.
Le aberrazioni
➢ Anche l’occhio umano è afflitto da aberrazioni.
➢ Alcune di esse possono essere compensate dal
processo elaborativo delle informazioni
compiuto dal cervello che aggiusta le distorsioni.
➢ L’introduzione di dispositivi ottici o la
modificazione refrattiva chirurgica modifica
l’assetto aberrometrico abituale.
➢ Aberrazioni elevate possono indurre anche gravi
disturbi in soggetti ipersensibili alle distorsioni
visive.
In passato si ignorava l’aberrazione
oculare
➢ Le scarsa conoscenza dei fenomeni
ottici aberranti e l’assenza di tecnologie
in grado di rilevarle, lasciava insoluto il
problema.
➢ Solo dal 1866 John Green propone
il primo ottotipo per l’astigmatismo.
L’aberrometria oggi
➢ Le possibilità correttive offerte dalle
nuove lenti a geometria asferica
(migliorative rispetto alle sferiche), dalle
progressive, dalla chirurgia refrattiva e le
nuove tecnologie per l’analisi del fronte
d’onda, richiedono ricerche sempre più
approfondite sull’aberrometria applicata
alle correzioni ed all’occhio.
Analisi del fronte d’onda
➢ Oggi esistono più tecnologie per analizzare il
fronte d’onda.
➢ Il principio è quello di misurare sul piano
pupillare le deformazioni del riflesso retinico di
uno o più fasci di luce che attraversano l’occhio
(uno di questi è il metodo Hartmann-Sharc
derivato dalle applicazioni sull’astronomia).
➢ Attraverso complessi polinomi è poi possibile
ricavare le componenti aberranti del sistema
analizzato.
I polinomi di Zernike
➢ Sono i modelli per tradurre matematicamente le
aberrazioni.
➢ Essi definiscono la aberrazioni sino all’ottavo ordine.
➢ L’occhio umano percepisce però solo sino al quinto -
sesto ordine.
➢ La rappresentazione grafica delle aberrazioni al piano
pupillare richiama molto quella dei topografi corneali in
cui la superficie del fronte d’onda e rappresentata delle
differenze cromatiche tra il blu, arancio e verde.
➢ Esse descrivono la tipologia a l’andamento delle
aberrazioni.
➢ I numeri in verticale indicano l’ordine
delle aberrazioni sino
q al uinto.
Aberrometro ZView Aberrometer
➢ È uno strumento ideato appositamente
per la realizzazione di lenti ad alta
definizione.
➢ Grazie ai dati forniti dallo strumento
associati ad accorti esami refrattivi e della
binocularità, è possibile realizzare lenti
come “un’ impronta digitale” tali da
appiattire le aberrazioni sul piano
pupillare agendo sulle aree specifiche di
deformazione del fronte d’onda.
Fronte d’onda ideale
➢ Modello teorico ideale.
➢ Piatto e parallelo rispetto al piano
di riferimento
Le aberrazioni di primo ordine
➢ Sono poco rilevanti e spesso associate
ad altre aberrazioni
Le aberrazioni di secondo ordine
nell’occhio
➢ Miopia, ipermetropia, astigmatismo
➢ Le prime due sono definite defocus.

➢ Sono correggibili con lenti.

defocus a scodella astigmatiche a sella


Aberrazioni del terzo ordine
➢ “Coma” deriva da cometa perché dà la
sensazione che dalla sorgente luminosa
si diparta una coda.
➢ Non correggibile con lenti tradizionali.

➢ La correzione astigmatica può


ridurre l’effetto cometa.
Aberrazioni del quarto ordine
➢ Non correggibili con lenti tradizionali
Aberrazione cromatica
➢ È un’aberrazione assiale.
➢ Le sezioni delle lenti sferiche positive e negative
possono essere definite come quelle di due prismi con
superfici curve unite per il vertice nel centro ottico.
➢ Esse di fatto si comportano come prismi.
➢ Il prisma rifrange una radiazione policromatica nelle sue
componenti mono cromatiche.
➢ Anche l’occhio umano è affetto da aberrazione
cromatica.
➢ La radiazione blu cade prima sull’asse ottico, poi la giallo
verde, poi la rossa
L’occhio e l’aberrazione cromatica
➢ I diottri oculari scompongono la radiazione visibile policromatica
nelle sue componenti monocromatiche.
➢ Le radiazioni del blu cadono prima sull’asse visivo, quelle rosse più
lontano e le giallo-verdi in mezzo alle due.
➢ Quindi una condizione miopica favorirà la percezione della
radiazione rossa, una condizione ipermetropica favorirà la
percezione della radiazione giallo verde se c’è capacità
compensativa accomodativa o del blu se non c’è capacità
compensativa.
➢ Il sistema accomodativo in condizioni di normalità tende
a focalizzare sulle radiazioni del giallo-verde.
➢ Se un soggetto si avvicina, le radiazioni blu si avvicinano al piano
retinico e le giallo verdi ed ancor di più le rosse arretrano. Se il
soggetto si allontana le radiazioni rosse si avvicinano al piano
retinico e le giallo verdi, e ancor di più le blu, slitteranno dentro
l’occhio.
➢ Questo coerente spostamento delle focali cromatiche sulla retina
al variare delle distanze è uno degli stimoli che guida l’attività di
contrazione o rilassamento del cristallino e quindi
dell’accomodazione, che tenderà a riportare a fuoco le radiazioni
giallo verdi.
Uso dell’aberrazione cromatica a
fini diagnostici.
➢ L’aberrazione cromatica si usa per valutare se si è
indotta una ipo, orto, o iper correzione dell’ametropia.
➢ Una condizione miopica favorirà la percezione della
radiazione rossa, una condizione ipermetropica favorirà
la percezione della radiazione giallo verde (o blu se non
c’è capacità compensativa).
➢ Esiste un test optometrico (test bicromatico) che sfrutta
l’aberrazione cromatica oculare per valutare se l’occhio
esaminato si trova in una condizione reale o indotta dalle
lenti correttive di miopia, ipermetropia o emmetropia.
➢ Consiste nel proporre le lettere dell’ottotipo alcune in una
banda rossa, altre in una banda verde.
➢ Se c’è una condizione reale o indotta miopica, si
vedranno le lettere nel rosso con più contrasto che nel
verde. Se la condizione è di emmetropia si vedranno le
lettere ugualmente contrastate nel rosso e nel verde. Se
la condizione è ipermetropica si vedranno le lettere nel
verde con più contrasto che nel rosso.
Test bicromatico
➢ Più contrasto sul rosso: condizione miopica (indotta o reale)
➢ Uguale contrasto rosso-verde: condizione emmetropica (indotta
o reale).
➢ Più contrasto nel verde: condizione ipermetropica (indotta o
reale)

(sfondo (sfondo
rosso) verde)
L’aberrazione cromatica dell’occhio
più quella indotta dalle lenti
➢ Anche le lenti oftalmiche presentano una quantità di
aberrazione cromatica. Essa è legata alla composizione
chimica del materiale usato per costruire la lente. La
proprietà di un materiale ottico di indurre aberrazione
cromatica è definita dal numero di Abbe.
➢ Esso è inversamente proporzionale all’entità
dell’aberrazione.
➢ L’aberrazione cromatica della lente si somma a quella
dell’occhio.
➢ Lenti oftalmiche ad alto indice spesso hanno basso
numero di Abbe e possono far percepire iridescenze
nella parte periferica della lente stessa.
L’aberrazione sferica
➢ È un’ aberrazione assiale.
➢ Può affliggere molti sistemi ottici e quindi anche le lenti
correttive, se non si usano accorgimenti ottico-geometrici
nella costruzione delle lenti finalizzati alla sua riduzione.
➢ Riguarda ogni singola radiazione monocromatica che
attraversa una lente affetta da questa aberrazione.
➢ I raggi parassiali e periferici non cadono tutti nello stesso
punto sull’asse ottico.
Lenti a menisco
➢ Le lenti piano convesse, piano concave,
biconvesse o biconcave, producono alte
aberrazioni sferiche ed altre
aberrazioni.
➢ In oftalmica si usano menischi perché
riducono l’astigmatismo dei fasci obliqui
e l’aberrazione sferica.
Il diagramma di Tscherning
➢ Tscherning elaborò un grafico attraverso il quale
calcolare il potere della lente e da esso i raggi di
curvatura, per la costruzione di lenti prive di alcune
aberrazioni come l’astigmatismo dei fasci obliqui.
➢ Le lenti biconcave e biconvesse sommano le aberrazioni
della superficie esterna a quelle della superficie interna.
Nei menischi la superficie interna le sottrae a quelle
dell’esterna.
➢ Dato il potere finale della lente dal diagramma di
Tscherning è possibile calcolare una delle due superfici
(di solito quella esterna) in modo che questa non sia
affetta da astigmatismo dei fasci obliqui.
Ellisse o grafico di Tscherling
Lenti asferiche
➢ Oggi con le nuove tecnologie è
possibile costruire lenti quasi del tutto
prive di aberrazione sferica ed
astigmatismo dei fasci obliqui.
➢ Sono le lenti asferiche.
Lente sferica ed asferica a
confronto
Mal posizionamento delle lenti
correttive
➢ Una eccessiva o troppo scarsa inclinazione del
frontale dell’occhiale può indurre astigmatismo,
a causa della modificazione del fronte d’onda, il
cui asse risulta parallelo alla direzione
dell’inclinazione.
➢ Un decentramento della lente induce effetti
prismatici che, come vedremo di seguito,
possono alterare un perfetto equilibrio
funzionale.
Lenti customizzate
➢ Siamo già in un era in cui l’approccio
esclusivamente empirico alla prescrizione
optometrica è sempre integrato ed
assistito da tecnologie che consentono di
valutare singolarmente il problema visivo
elaborando soluzioni personalizzate atte
a produrre i migliori effetti sulla
performance visiva.
Lenti bifocali
➢ Una tecnologia ormai antiquata per correggere la
presbiopia associata ad ametropie sono le bifocali.
➢ Sulla lente da lontano si ricava in basso una zona per
vicino (mezzaluna cerchio o taglio che attraversa la
lente). In queste lenti è preclusa la zona di visione
intermedia.
➢ L’immagine del pavimento è sfocata e bisogna
abbassare la testa per vederlo nitido.
➢ Sono molto anti estetiche.
Le lenti progressive
➢ Le nuove tecnologie consentono di produrre
lenti compensative per la presbiopia in presenza
di ametropie con una progressione graduale tra
la zona di visione da lontano e quella da vicino.
➢ È cosi possibile focalizzare a tutte le distanze.
➢ Sono molto estetiche in quanto sembrano delle
lenti normali.
➢ Ma sono afflitte da molte distorsioni specie in
periferia.
➢ Occorre abbassare un po’ il capo per vedere il
pavimento nitido.
Lenti progressive e analisi del
fronte d’onda
➢ L’avvento delle tecnologie wavefront ha
consentito di ridurre consistentemente le
distorsioni periferiche migliorando molto
l’adattamento a queste lenti che è
sempre stato l’ostacolo da superare per
chi inizia ad usarle.
Capacità d’adattamento alle modificazioni
visive indotte dalle ametropie e dalle lenti
➢ Detto ciò non dimentichiamo mai che abbiamo a che fare
con un sistema biologico e non solo con un sistema di
lenti.
➢ L’elaborazione psichica compie un ruolo determinante
nel trovare strategie compensative ed adattive.
➢ Una persona può essere in grado di convivere a volte
anche bene con consistenti ametropie, correzioni errate,
e forti distorsioni indotte dalle lenti.
➢ Altri al contrario non tollerano la benché minima
influenza sul loro assetto visivo abituale.
➢ In questa capacità giocano un ruolo determinante l’entità
e qualità dell’errore, la “flessibilità” dell’individuo, e
l’evoluzione temporale del disturbo stesso.
Ottica visuale
Parte 6 – Movimenti oculari e capacità
fusionale

Corso di laurea in Ottica ed Optometria


Dipartimento di Matematica e Fisica “Ennio De Giorgi”
Università del Salento
a.a. 2017-2018
Dispense preparate da Vincenzo Martella (optometrista)
Contatti: 0833/541063 - 392 8388361 otticamodernatri@libero.it

Testo consigliato per approfondimenti:


Fabrizio Zeri, Anto Calossi, Alessandro Fossetti, Antonio Rossetti
OTTICA VISUALE - Società Editrice Universo (2012)
L’esplorazione dello spazio visivo
➢ Gli occhi, come servomeccanismi attivi del cervello, sono
dotati di una grande motilità grazie ad un accurato e
precisissimo processo neurologico di controllo sulla
muscolatura oculomotrice.
➢ Ben sei muscoli per occhio sono adibiti a questo scopo.
➢ Le masse muscolari coinvolte sono, rispetto alle
proporzioni con altri distretti anatomici, incredibilmente
surdimensionate rispetto alla massa che esse devono
muovere.
➢ Ciò è dovuto alla necessità d’accuratezza a cui sono
sottoposti questi muscoli.
➢ Le inefficienze o scompensi della muscolatura
oculomotrice possono influenzare negativamente la
performance visiva o produrre alterazioni nell’equilibrio
della binocularità (integrazione visiva di due occhi
finalizzata a percepire un’unica immagine).
I muscoli oculomotori
➢ Retto mediale
➢ Retto laterale

➢ Retto superiore

➢ Retto inferiore

➢ Obliquo superiore

➢ Obliquo inferiore
Azione dei muscoli oculomotori
➢ Ogni muscolo ha azioni sulla motilità del bulbo legata
alla sua inserzione ed orientamento del suo percorso
nell’orbita.
Conoscere le inserzioni dei muscoli
➢ Esse giustificano la direzione dei movimenti che ogni
muscolo fa compiere all’occhio e la loro conoscenza facilita
da parte vostra la memorizzazione dei movimenti compiuti
sul bulbo.
➢ Eccetto l’obliquo inferiore che origina dalla cresta lacrimale,
tutti gli altri originano dall’anello tendineo comune di Zinn.
➢ I retti laterale e mediale hanno inserzione sulla linea
orizzontale dell’occhio.
➢ Il retto superiore (che corre posteriormente per un tratto con
l’elevatore palpebrale) ed inferiore corrono nell’orbita con un
angolo di circa 25/27°con l’asse visivo.
➢ L’obliquo superiore dopo la porzione diretta passa nella
troclea e la sua porzione riflessa si inserisce nel quadrante
postero laterale del bulbo, passando sotto il retto superiore.
➢ L’obliquo inferiore (che non origina dall’anello di Zinn) si
dirige all’indietro e lateralmente scavalcando il retto
inferiore.
La spirale di Tillaux
➢ L’inserzione dei retti sul bulbo descrive
una spirale rispetto al limbus. Il più vicino
è il mediale, segue l’inferiore poi il
laterale ed infine più lontano il superiore.
Occhio destro
Inserzione dei muscoli oculomotori
➢ Notare l’inserzione degli obliqui e del
retto superiore. Il retto inferiore corre
quasi parallelo al superiore.
Il centro ed assi di rotazione di
Fick, piano di Listing
➢I movimenti avvengono tutti attorno a un punto
virtuale interno detto centro di rotazione posto a
circa 13.5 mm dal polo anteriore.
➢ I movimenti destra-sinistra avvengono su un
asse verticale, quelli alto-basso su un asse
orizzontale, quelli di torsione lungo l’asse
perpendicolare a questi, corrispondente all’asse
visivo. Questi tre assi sono detti di Fick.
➢ I primi due assi giacciono sul piano di Listing
(piano frontale che passa per l’equatore
dell’occhio ed il centro di rotazione), il terzo è
perpendicolare al piano di Listing.
Centro ed assi di rotazione di Fick,
piano di Listing
Definizione dei movimenti oculari
➢ Si definiscono:
➢ Duzioni i movimenti oculari in tutte le direzioni che compie
un occhio occludendo l’altro (in visione monoculare).
➢ Versioni i movimenti congiunti che compiono gli occhi in
tutte le direzioni di sguardo in visione binoculare (es.
entrambi a destra, entrambi in basso ed a destra,
entrambi… ecc.).
➢ Vergenze i movimenti disgiunti che compiono gli occhi
quando gli assi visivi si incontrano sui soggetti posti a varie
distanze finite.
Le vergenze si dividono in convergenza (dell’esterno verso il
naso) e divergenza (dal naso verso l’esterno).
➢ I movimenti di rotazione intorno all’asse visivo si definiscono
con i prefissi inciclo ed exciclo seguiti dal nome duzione i
movimenti di torsione monoculari, o seguiti dal nome
vergenza i movimenti di torsione disgiunti; destrociclo,
sinistrociclo seguito dal nome versione i movimenti di
torsione congiunti.
Nomenclatura dei movimenti
oculari in base al movimento
➢ Duzioni, movimenti monoculari: adduzione,
abduzione, sopraduzione, infraduzione,
incicloduzione, excicloduzione (i movimenti di
torsione si valutano dalla parte sopraccigliare).
➢ Vergenze, movimenti disgiunti (verso l’interno e
verso l’esterno): convergenza, divergenza,
sopravergenza, infravergenza, inciclovergenza,
exciclovergenza.
➢ Versioni, movimenti congiunti: destroversione,
sinistroversione, sopraversione, infraversione,
destrocicloversione, sinistrocicloversione.
Movimenti primari e secondari
➢ Eccetto i retti mediali e laterali, gli altri muscoli
hanno delle azioni prevalenti ed altre secondarie.

➢ Retto mediale (o interno): adduzione


➢ Retto laterale (o esterno): abduzione
➢ Retto superiore: sopraduzione 75%,
incicloduzione 16%, adduzione 9%.
➢ Retto inferiore: infraduzione 73%,
exocicloduzione 17%, adduzione 10%.
➢ Obliquo superiore: incicloduzione 65%,
infraduzione 32%, abduzione 3%.
➢ Obliquo inferiore: exocicloduzione 59%
sopraduzione 40%, abduzione 3%.
Movimenti primari e secondari
➢ E’ utile anche vedere questi collegamenti in senso
inverso, elencando i muscoli coinvolti nelle singole
azioni, in ordine decrescente di contributo
all’azione:

➢ Adduzione: retto mediale (o interno), retto


superiore, retto inferiore
➢ Abduzione: retto laterale (o esterno), obliquo
superiore, obliquo inferiore
➢ Sopraduzione: retto superiore, obliquo inferiore
➢ Infraduzione: retto inferiore, obliquo superiore
➢ Incicloduzione: obliquo superiore, retto superiore
➢ Exocicloduzione: obliquo inferiore, retto inferiore
Le vergenze
➢ Si distinguono diversi tipi di vergenza:
➢ Tonica, fisiologica (cessa sotto anestesia o morte,
gli occhi deviano verso le tempie)
➢ Prossimale, risposta psichica indotta dalla
vicinanza del soggetto.
➢ Accomodativa, indotta dal rapporto che lega la
vergenza all’accomodazione (triade
accomodazione-convergenza-miosi,
disaccomodazione-divergenza-midriasi.
Sincinesia)
➢ Fusionale, indotta come vedremo dal processo
fusionale, fenomeno che elimina errori di
puntamento per mantenere la visione binoculare.
Definizione di altri tipi di movimenti
oculari
Esistono altri tipi di movimenti oculari che è
importante conoscere:
➢ Vestibolo oculare

➢ Nistagmo optocinetico

➢ Pursuit

➢ Saccadi

➢ … ed altri ancora.
Il movimento vestibolo oculare
➢ Consente di mantenere l’immagine sulle fovee
durante una rotazione della testa facendo
muovere gli occhi in direzione opposta.
➢ L’integrazione neurologica esistente tra l’VIII
nervo cranico (vestibolococleare) nella sua
branca vestibolare ed i centri di controllo degli
oculomotori assicura una pronta risposta di
contro rotazione degli occhi rispetto alla testa al
segnale che giunge dai nuclei vestibolari.
Il riflesso optocinetico (nistagmo)
➢ Fortemente legato al riflesso oculo-vestibolare (di cui
perfeziona i movimenti) è il movimento optocinetico.
➢ Se un soggetto si muove, la sua immagine si sposta sulla
retina in base alla sua velocità. Questo fenomeno si
definisce scivolamento retinico.
➢ Lo scivolamento retinico è il rapporto tra la velocità
dell’oggetto e quello dell’occhio in movimento.
➢ Il riflesso optocinetico è indotto dallo scivolamento retinico
ed integra il movimento oculo-vestibolare.
➢ Le cellule ganglionari sensibili al movimento inviano
informazioni ai centri sottocorticali, corticali e nel tronco
encefalico. L’elaborazione di questo movimento è quindi
complesso e produce un ritardo di risposta di circa 100 ms.
➢ Esso è fortemente legato alla percezione periferica e quindi
ambientale dello spazio visivo.
➢ Questo è uno dei motivi per cui l’introduzione delle lenti può
creare disagi iniziali. Esse alterano i pattern abituali di
scivolamento retinico, ma la plasticità del cervello il più delle
volte ripristina delle risposte corrette.
Ancora sul nistagmo optocinetico
➢ Se osserviamo un soggetto al limite della
capacità di abdurre l’occhio o fissiamo delle
immagini del paesaggio che scorre mentre
viaggiamo, gli occhi compiono delle oscillazioni
in cui con una fase tengono l’immagine sulla
fovea e quando la lasciano, ritornano
rapidamente con uno scatto nella posizione
iniziale.
➢ Questo movimento non va confuso con quello
del nistagmo patologico che è una oscillazione
involontaria, continua e più o meno rapida degli
occhi.
I pursuit, movimenti d’inseguimento
lento
➢ Sono movimenti volontari guidati dalla percezione
centrale, quindi dalla la fovea.
➢ Essi rispondono alla domanda “chi è?, che cosa è?”
➢ Probabilmente derivano dalla componente cervicale del
riflesso optocinetico e sono ben sviluppati nei primati.
➢ Essi hanno lo scopo di mantenere sulla fovea i piccoli
dettagli dei soggetti in movimento.
➢ Non sono poi tanto lenti, circa 100°/s.
➢ Pare che non si possano effettuare senza bersaglio (?).
➢ Esiste una componente predittiva dell’inseguimento in
grado di innescare il movimento in modo adeguato, la
cui origine organizzativa neurologica non è ancora ben
chiara.
Le sàccadi
➢ Sono spostamenti a scatto rapidi degli occhi.
➢ Esse controllano la posizione dell’immagine retinica nello
spazio e sono guidate dalla percezione periferica.
➢ Rispondono alla domanda “dove sono le cose?”.
➢ Questi movimenti sono spesso inconsapevoli, ma
comunque volontari (posso spostare l’attenzione da un
punto all’altro del campo visivo).
➢ Lo spostamento è però preprogrammato ed una volta partito
non è possibile modificarlo.
➢ L’ampiezza del movimento va da 0.1°(micro saccadi), a
circa 90°, mediamente comunque è di circa 20/25°.
➢ Oltre queste escursioni entra in aiuto il movimento del capo.
➢ Sono generate nel tronco encefalico e nel collicolo
superiore.
➢ Durante la saccade c’è una soppressione visiva centrale.
I micro movimenti di fissazione
➢ Durante la fissazione di un soggetto gli occhi non sono
perfettamente fermi.
➢ Se così fosse i recettori retinici interessati si
esaurirebbero, e non potremmo continuare a fissare.
➢ Gli occhi quindi compiono continuamente dei micro
movimenti, impercettibili all’osservazione, tali da
interessare gruppi di cellule retiniche differenti
consentendo così a quelle esaurite di rigenerarsi per
innescare un nuovo stimolo.
➢ Tali micromovimenti sono:
• Tremori di ampiezza piccola quanto un cono.
• Slow drift movimenti lenti.
• Microsaccadi.
Movimenti oculari e training visivo
➢ Tutti i movimenti oculari sono migliorabili dal
training visivo.
➢ Nei programmi di allenamento visivo si
attribuisce grande importanza al miglioramento
della consapevolezza, accuratezza e controllo
dei movimenti oculari.
➢ Il miglioramento di questi già di per sé produce
più efficienza nello svolgimento di alcune
funzioni come la lettura o gli sport e aiuta a
prevenire alcuni deterioramenti funzionali del
sistema visivo.
Innervazione dei muscoli
oculomotori
Legge di Sherrington
➢ lll nervo cranico Oculomotore Comune: retto
mediale, retto superiore, retto inferiore, obliquo
inferiore.
➢ IV nervo cranico Trocleare: obliquo superiore.
➢ VI nervo cranico abducente: retto esterno.
➢ Un impulso di contrazione su un muscolo
corrisponde ad uno di rilassamento sul suo
antagonista (legge di Sherrington o di
innervazione reciproca).
Innervazione dei muscoli oculomotori.
Legge di Hering
o della corrispondenza motrice
o dei muscoli agonisti contro laterali

➢ In ognuno dei due occhi, ad ogni azione di un


muscolo, sia in contrazione che in rilassamento,
corrisponde l’azione su un altro muscolo
dell’altro occhio tale da far compiere ad entrambi
un movimento nella stessa direzione.
➢ I muscoli legati a questa legge vengono detti
aggiogati o sinergisti collaterali.
La corrispondenza retinica
➢ In condizioni di normalità, ogni soggetto osservato viene
puntato simultaneamente dai due occhi.
➢ Ogni punto sulla retina di un occhio ha un corrispondente
punto sull’altro (legge della corrispondenza retinica). I
punti retinici corrispondenti hanno a loro volta i loro
corrispondenti a livello celebrale, così, in condizioni
normali, le immagini che si formano sulle due retine su
punti corrispondenti giungono ai loro corrispondenti
celebrali.
➢ Questo consente al cervello di poterle fondere e percepirle
singole.
➢ Se gli occhi non puntano contemporaneamente lo stesso
soggetto, i punti retinici interessati non saranno
corrispondenti. La conseguenza di ciò è la diplopia
(visione doppia), o la soppressione dell’area retinica che
può scatenare la diplopia stessa (vedremo più avanti
questo concetto).
La corrispondenza retinica
anomala
➢ In alcuni casi di deviazione precoce degli assi visivi
(strabismo infantile), si può organizzare una
corrispondenza tra i punti retinici anomala, con la
strutturazione di una pseudo fovea.
➢ Ovviamente le immagini a fuoco sulla retina nell’occhio
strabico non cadono sulla foveola centralis, ma su un
altro punto retinico che assume le funzioni della fovea.
➢ Il sistema manifesta visione binoculare, ma l’acuità visiva
dell’occhio deviato in visione binoculare è scadente.
➢ In questi casi però, come nella maggior parte degli
strabismi, occludendo l’occhio buono quest’ultimo
devierà sotto lo schermo e l’occhio deviato si raddrizzerà
e punterà con la sua vera fovea, ma il suo visus
solitamente rimane comunque scarso.
Fissazione eccentrica
➢ A causa di uno strabismo si può strutturare una
condizione detta fissazione eccentrica.
➢ In questa condizione l’occhio punterà il soggetto
d’attenzione con un’area anatomica diversa dalla vera
fovea, anche in condizione di monocularità rimanendo
storto (strabico) anche occludendo l’occhio buono.
➢ Negli strabismi, solo se c’è fissazione eccentrica l’occhio
rimane deviato anche se si occlude l’occhio buono (in
tutti gli altri casi occludendo l’occhio “buono”, questo
devia sotto lo schermo e l’altro che era strabico si
raddrizza per fissare con la sua fovea).
➢ Si potrebbe dire che nella fissazione eccentrica, è come
se l’occhio cancellasse completamente la sua vera
fovea.
➢ Il visus di quest’occhio è compromesso.
Dominanza visiva
➢ Nei primi anni di vita si instaura una predilezione per uno
dei due occhi detta dominanza.
➢ Pare che solo l’uomo possegga questa caratteristica che
interessa anche gli arti e l’udito.
➢ La dominanza visiva non necessariamente corrisponde
alla mano, gamba o orecchio dominante.
➢ Se sono dello stesso lato (es. occhio destro mano
destra) si chiama omologa.
➢ Se è invertita (es. occhio destro mano sinistra) si dice
crociata.
➢ Alla dominanza crociata occhio mano si sono attribuiti
alcuni problemi d’apprendimento.
➢ Lo studio e l’esperienza clinica tende ad escludere
queste correlazioni.
➢ Si notano dominanze crociate in circa il 40% della
popolazione.
Aree celebrali direttamente
coinvolte nei movimenti oculari
I muscoli oculomotori e l’equilibrio
➢I muscoli oculomotori e la visione sono degli
importantissimi sistemi di controllo dell’equilibrio.
➢ Sono neurologicamente legati al vestibolo
(principale organo d’equilibrio posto
nell’orecchio interno).
➢ Turbe della motilità oculare possono creare
conflitti nell’elaborazione del controllo
dell’equilibrio che è la sintesi di informazioni
provenienti da tutto il corpo (dal sistema
propriocettivo, dalla pianta dei piedi, dal
vestibolo, dalla cervice, dai muscoli oculomotori
e dalla visione).
La visione binoculare
➢ L’attivitàagonista ed antagonista svolta dai
muscoli oculomotori, grazie alla complessa
struttura muscolare e d’innervazione che la
controlla, consente al nostro sistema visivo
un’esplorazione spaziale, che si avvale
dell’azione simultanea dei due occhi: la
binocularità.
➢ Come già detto uno degli effetti ottenuti da
questa integrazione neurologica è la stereopsi
(la visione stereoscopica, cioè tridimensionale,
dello spazio).
Il chiasma ottico e
l’integrazione neurologica dei due occhi
➢ Alla base dei processi per i quali è possibile la binocularità
c’è la decussazione parziale dei nervi ottici.
➢ L’inversione delle aree nasali delle emiretine dei due occhi a
livello del chiasma intreccia parzialmente le informazioni
provenienti dagli occhi che viaggiano attraverso i nervi ottici.
➢ Ne deriva che alle aree cerebrali destre perverranno impulsi
provenienti dai lati destri dei due occhi (emiretina tempiale
destra dell’occhio destro e nasale destra dell’ occhio
sinistro) e nelle aree sinistre impulsi provenienti dai lati
sinistri dei due occhi (emiretine tempiale sinistra dell’occhio
sinistro e nasale sinistra dell’occhio destro).
➢ Il tutto è schematizzato simmetricamente nelle aree
cerebrali dove esiste una perfetta e precodificata
corrispondenza tra i punti retinici di partenza dell’impulso ed
i punti d’arrivo al cervello.
Chiasma ottico
Gli occhi estroflessioni del cervello Decussazione parziale
Occhio ciclopico
➢ L’integrazione dei due occhi nella binocularità
produce la sensazione che le immagini
percepite provengano da un unico occhio posto
al centro fra i due.
➢ Questa sensazione viene definita “occhio
ciclopico” in analogia ai giganti della mitologia
greca dotati di un solo occhio frontale, costruttori
di saette per Zeus, ed i fabbri del dio Vulcano
per i Romani (Polifemo, il pastore carceriere di
Ulisse nell’Odissea).
Figura sfondo
➢ Osservando un soggetto “una figura” ed
interpretandone i suoi particolari (chi è? o
che cosa è?) esso assume una posizione di
centralità nel set visivo.
➢ La fovea, dove cadono queste immagini, è l’area
retinica della centralità.
➢ I punti retinici periferici corrispondenti danno
informazioni sullo “sfondo” (dov’è?, dove sono
le cose?).
➢ Questo concetto viene definito di figura sfondo.
La direzionalità o direzione visiva
➢ I luoghi spaziali percepiti dagli occhi vengono definiti
proiezioni.
➢ Es. la retina nasale si dice che proietta tempialmente, quella
tempiale nasalmente, ecc (le immagini retiniche sono
invertite e capovolte).
➢ Da ogni punto retinico è come se partisse una semiretta che
passando per i punti nodali si proietta nello spazio ed
attraversa sempre la stessa direzione del campo visivo.
➢ In altri termini, ad ogni punto della retina posto ad una certa
distanza dalla fovea corrisponde una direzione di proiezione
detta “direzione visiva” che determina il così detto valore
retino motorio in grado di produrre un movimento
saccadico precodificato tale da riportare sulla fovea un
soggetto percepito dalla visione periferica, sul quale si vuole
spostare l’attenzione.
➢ La fovea ha quindi una direzione visiva principale (un valore
retino motorio zero), gli altri punti retinici periferici un valore
retino motorio secondario che sarà tanto maggiore quanto
più lontani sono dalla fovea.
L’egocentrismo visivo
➢ Tutti i processi percettivi visivi pongono l’individuo in una
posizione centrale rispetto allo spazio percepito.
➢ La posizione visiva egocentrica è la nostra posizione o
quella degli occhi rispetto allo spazio circostante (la
direzione delle immagini).
➢ Oltre alla proiezione retinica, sostengono questa
percezione le informazioni propriocettive dei muscoli
oculari del capo, di tutto il corpo ed il sistema
vestibolare.
➢ Questo permette di valutare se un cambiamento delle
immagini retiniche sia dovuto ad un movimento
dell’oggetto, del capo o degli occhi che seguono un
oggetto in movimento.
Direzione oculocentrica ed
egocentrica
➢ Se muovo gli occhi da un oggetto fermo (faccio
una saccade), tenendo la testa ed il corpo fermi,
la direzione oculocentrica si sposta, ma quella
egocentrica no.
➢ Se muovo la testa per seguire un oggetto che si
muove (mantenendo l’immagine fissa sulla
fovea con gli occhi fissi sull’oggetto) o muovo gli
occhi per seguirlo (faccio dei pursuit) la
direzione oculocentrica rimane invariata ma
quella egocentrica cambia.
➢ L’esplorazione dello spazio visivo è quasi
sempre l’integrazione delle due direzioni.
L’Oroptero teorico: circolo di
Vieth-Müller
➢ Teoricamente con una corretta corrispondenza
retinica, quando si guarda un soggetto da vicino
viene visto singolo tutto lo spazio visivo che cade
lungo una circonferenza
che passa per il punto
osservato ed i due punti
nodali dei due occhi,
detta oroptero.
➢ I punti al di fuori di
questa circonferenza
non cadono su punti
retinici corrispondenti.
L’oroptero reale
➢ Nella realtà l’oroptero assume una forma molto
soggettiva e varia con la distanza del soggetto:
deviazione dell’oroptero di Hering-Hillebrand.
➢ Realmente la linea dell’oroptero è concava
verso l’osservatore sino ad una certa distanza.
➢ Diventa retta ad una distanza un po’ più lontana
(distanza detta di Liebermann).
➢ Convessa ancora più lontano.
➢ L’oroptero può variare anche in funzione del
grado di illuminazione, del contrasto sfondo
soggetto, e del contrasto cromatico.
Oroptero reale
Area di Panum
➢ Inoltre per una certa profondità, prima e
dopo la linea teorica dell’Oroptero, si
estende un’area, anch’essa di profondità
variabile secondo i parametri già citati,
in cui le aree di spazio visivo, pur non
appartenendo all’Oroptero, possono
essere percepite singole.
➢ Questa profondità di spazio visivo in cui si
percepisce singolo è detta area di
Panum.
Area di visione singola di Panum
➢ Gli oggetti che cadono fuori l’area di Panum sono
visti doppi.
➢ Questo tipo di
diplopia è naturale,
quindi si definisce
fisiologica per
distinguerla da
quella legata a difetti
di puntamento degli
occhi (strabismo
detto anche tropia).
La diplopia fisiologica
➢ Di fatto lo spazio al di fuori dell’area di Panum
non viene percepito doppio grazie a fenomeni
soppressivi delle aree periferiche e per la
degradazione dell’immagine della retina
periferica.
➢ Essa può essere stimolata.
➢ Osservando un soggetto vicino, si vedrà doppio
quello lontano e, viceversa, guardando quello
lontano si vedrà doppio quello vicino. Le
immagini diplopiche sono poste a destra e a
sinistra del soggetto fissato.
Diplopia omologa e crociata
➢ Osservando un soggetto binocularmente,
l’immagine di un oggetto posto al di là dell’area
di Panum cadrà sulle emiretine nasali e a causa
dell’inversione dell’immagine retinica, verrà
proiettato dall’occhio destro a destra e dal
sinistro a sinistra (diplopia omologa o omonima)

➢ Osservando un soggetto binocularmente


l’immagine di un oggetto posto prima dell’area di
Panum cadrà sulle emiretine tempiali e, a causa
dell’inversione dell’immagine retinica, verrà
proiettato a sinistra dall’occhio destro ed a
destra dall’occhio sinistro (diplopia crociata)
Diplopia omologa oltre e crociata prima
dell’area di Panum

Fixation point
Diplopia fisiologica e training visivo
➢ La diplopia fisiologica è molto usata per procedure di
allenamento visivo.
➢ Essa fa parte delle procedure dette antisoppressive in
cui la persona è in grado controllare l’attività simultanea
dei due occhi.
➢ Infatti se una delle due immagini diplopiche sparisce vuol
dire che un occhio non sta partecipando al processo
visivo.
➢ Se guardando una mira vicina sparisce una delle due
lontane, l’occhio coinvolto è quello dello stesso lato
dell’immagine mancante; se guardando la mira lontana
sparisce una delle due vicine l’occhio coinvolto è quello
del lato opposto a quello dell’immagine mancante.
Ampiezza della visione binoculare
➢ L’ampiezza della visione binoculare non copre tutto il
campo visivo binoculare, ma una buona parte di questo.
➢ Entro questo ventaglio
grazie alla visione
binoculare è possibile
che si realizzi lo scopo
per cui la natura ha
perfezionato il
meccanismo della visione
binoculare:
la stereopsi.
La capacità fusionale
➢ Ilcervello dispone di un sistema di
compensazione che entro certi limiti rifinisce le
imperfezioni di puntamento degli occhi.
➢ È come se un catenaccio o una sorta di colla
tenesse insieme i due occhi.
➢ Questo catenaccio è la capacità fusionale.
➢ Essa può essere molto tenace e compensare
difetti di puntamento anche gravi o essere molto
tenue e cedere a disallineamenti anche lievi.
➢ Questa capacità è migliorabile tramite apposite
procedure di allenamento visivo.
Fusione motoria e sensoriale
➢ Per fusione sensoriale si intende tutto
ciò che il sistema percettivo compie per
fondere le immagini retiniche dei due
occhi.
➢ Per fusione motoria si intende tutto ciò
che il sistema oculomotorio compie per
allineare simultaneamente le immagini
retiniche dei due occhi.
I tre gradi di fusione
➢ Affinché si ottenga una buona fusione
delle immagini dei due occhi, occorre che
ci siano tre condizioni percettive detti
gradi di fusione.
➢ Fusione di primo grado: gli occhi
devono percepire entrambi (visione
simultanea).
➢ Fusione di secondo grado o piatta, le
due immagini si devono fondere in una
sola.
➢ Terzo grado di fusione è la stereopsi.
Visione simultanea
➢ Se uno solo dei due occhi percepisce, si può non essere
consapevoli che l’altro non vede se quest’ultimo compie
una soppressione visiva.
➢ Per evidenziare se entrambi gli occhi percepiscono
simultaneamente occorre utilizzare dei metodi detti
bioculari.
➢ Si fa sì che gli occhi vedano singolarmente ma in un campo
binoculare.
➢ Di solito si usano prismi verticali (uno con la base alta su un
occhio ed uno con la base bassa sull’altro), test polarizzati
(si associano occhiali e target polarizzati) o occhiali rosso
verdi (detti anaglifici) con target rosso verdi.
➢ I prismi inducono una diplopia, con i polarizzati e gli
anaglifici un occhio percepirà un’immagine del target e
l’altro l’altra.
➢ Se si percepiscono due immagini simultaneamente c’è
visione simultanea, se una sola c’è visione singola e
soppressione dell’occhio a cui sparisce l’immagine.
Fusione di secondo grado
piatta
➢ Per evidenziare se c’è fusione di secondo grado
si usano lenti anaglifiche (filtri che fanno passare
solo determinate lunghezze d’onda) rosse o
rosse e verdi. Il rosso viene detto verde privo ed
il verde rosso privo.
➢ Se i due occhi fondono, anteponendo un filtro
rosso davanti ad un occhio, una mira bianca si
colorerà d’arancione (bianco + rosso), altrimenti
se l’occhio col filtro sopprime la mira rimarrà
bianca. La mira si percepirà rossa se a
sopprimere è l’occhio senza filtro.
Le luci di Worth
➢ È un test valido sia per il test di visione simultanea che per
la fusione di secondo grado e per evidenziare
disallineamenti elevati senza soppressione.
➢ Si proiettano quattro luci, due verdi, una rossa ed una
bianca, disposte a croce.
➢ Si fa indossare un occhiale rosso verde.
➢ L’occhio col filtro verde (rosso privo) vedrà solo le luci verdi
e quella bianca anch’essa verde.
➢ L’occhio col filtro rosso (verde privo) vedrà la luce rossa e
quella bianca anch’essa rossa.
➢ Se il soggetto vedrà quattro luci di cui due verdi, una rossa
e quella bianca si colora di arancione c’è fusione di
secondo grado.
➢ Se vedrà solo tre verdi o solo due rosse c’è soppressione
dell’ occhio col filtro dello stesso colore delle luci non viste.
➢ Può succedere che si vedano cinque luci, due rosse e tre
verdi dissassate rispetto alla loro posizione reale, vuol dire
che non c’è fusione di secondo grado, non c’è
soppressione ma diplopia.
Luci di Worth

Statico Dinamico
La stereopsi, terzo grado di fusione
➢ Come già detto, una delle abilità maggiori indotte dalla
binocularità è la possibilità di vedere in 3D (visione
tridimensionale).
➢ Essa avviene a causa della differenza prospettica con
cui sono percepite le immagini dei due occhi per la
distanza presente tra essi.
➢ 3D significa non solo largo (asse x) e alto (asse y) ma
anche profondo (asse z).
➢ Una perfetta stereopsi è possibile solo quando c’è una
perfetta binocularità.
➢ Quando questa è labile o assente la stereopsi è
deficitaria o assente.
Test per la visione steroscopica
➢ Varitest per la valutazione della
visione stereoscopica.
Titmus Lang stero test
Polarizzato randomizzato
La percezione della profondità
monoculare
➢ Chinon può percepire lo spazio
stereoscopicamente può comunque
sfruttare degli indizi che possono
indicare la profondità.
Gli indizi monoculari di profondità:

➢ Movimento parallattico: un soggetto che si muove alla


stessa velocità appare viaggiare più veloce se vicino e
più lento se lontano.
➢ Prospettiva lineare: le dimensioni dei soggetti cambiano
in funzione della loro distanza.
➢ Le dimensioni percepite rispetto all’esperienza: la
distanza tra due soggetti di dimensioni conosciute viene
valutata in rapporto con le loro dimensioni apparenti.
➢ Sovrapposizione dei contorni: un soggetto che si
sovrappone ad un altro è visto più vicino.
➢ Distribuzione di luci ed ombre: il chiaro scuro dà senso di
rilievo o profondità in relazione allo sfondo.
➢ Gli effetti cromatici atmosferici: l’atmosfera produce
effetti di colorazione dei soggetti diversi in base alla loro
distanza.
L’importanza della binocularità per
l’optometria
➢ La binocularità è una serie di processi e di
equilibri molto sofisticati.
➢ Uno degli scopi dell’optometria, ove possibile, è
quello di ripristinare non solo l’efficienza ed
equalizzazione dei singoli occhi, ma anche una
perfetta integrazione tra essi.
➢ Le disfunzioni dell’integrazione binoculare sono
oggi una delle cause più frequenti di inefficienza
visiva anche più delle ametropie stesse e
possono interessare anche persone emmetropi.
L’astenopia
Col termine Astenopia si intendono tutta una serie di
sintomi di discomfort visivo:
➢ Ma di testa, soprattutto frontale e nucale.
➢ Arrossamento oculare.
➢ Peso sovra palpebrale.
➢ Secchezza oculare seguita da repentine lacrimazioni.
➢ Senso di stanchezza oculare.
➢ Sonnolenza non da vero sonno ecc.
Questi sintomi possono affiggere anche persone
emmetropi.
➢ Dove si annida il problema?
I disordini del sistema visivo
➢ Il sistema visivo è molto più di un complesso
meccanismo dove ogni singolo ingranaggio produce
effetti sugli altri.
➢ Una disfunzione di uno solo di questi fattori di equilibrio
può anche interferire su attività mentali come la
concentrazione, l’apprendimento, la memorizzazione,
ecc. e produrre interferenze anche posturali.
➢ Tutte le parti dell’organismo si influenzano
reciprocamente.
➢ Per questo il sistema visivo va sempre più interpretato in
modo olistico, con la consapevolezza che ogni sua
variazione funzionale influenza anche l’intera omeostasi
dell’organismo.
Gli scompensi della binocularità
➢ Essi potremmo definirli come una non
equilibrata risposta dei muscoli oculomotori.
➢ Essi infatti, in qualsiasi posizione di sguardo,
anche con micro movimenti, ricevono dal
cervello il giusto impulso al rilassamento od alla
contrazione, coerentemente alle leggi di
innervazione prima citate. Ciò consente di
centrare simultaneamente ed in perfetto
equilibrio il soggetto d’interesse.
➢ A volte questo equilibrio può essere alterato.
Cause dell’alterazione dell’equilibrio
dei muscoli oculomotori.
Esse possono essere di natura funzionale:
➢ uno scompenso con l’accomodazione alla quale essi
sono fortemente legati (rapporto AC/A). Questi disordini
sono molto frequenti e possono essere causa di
astenopie, stress visivo, alcune forme di strabismo
(occhi deviati) e predisporre a modificazioni refrattive
come astigmatismi contro regola o miopia da visione
prossimale (detta anche da studio).
o di natura organica:
➢ Problemi traumatici.
➢ Patologie: ischemie, paralisi, ecc.
➢ Effetti diretti o indiretti da uso di farmaci.
➢ Male inserzione dei muscoli sul bulbo oculare.
➢ Ereditarietà, che influenza più che altro i fattori
predisponenti.
Le direzioni della binocularità
alterata
➢I disequilibri dei muscoli oculomotori
possono avere componenti
orizzontali, verticali e combinazioni tra
di esse.
➢ Quelle orizzontali, le più comuni,
coinvolgono prevalentemente i retti
interni ed esterni.
➢ Le altre sono la risultante
dell’attività combinata degli altri
muscoli.
Le disfunzioni della binocularità
➢ Esse hanno un’estensione molto vasta.
➢ Se la discrepanza di puntamento rispetto al punto
osservato viene compensata dalla capacità fusionale,
vengono definite forie. Il sistema è binoculare ma può
essere inefficiente.
➢ Se la discrepanza di puntamento è maggiore della
capacità fusionale, gli occhi non punteranno più
simultaneamente. Uno o entrambi devieranno rispetto al
punto osservato ed avremo uno strabismo detta tropia.
Le persone strabiche possono manifestare visione
doppia (diplopia patologica), fenomeno insostenibile per
la vita (bisogna occludere un occhio), o strutturare una
soppressione visiva nell’occhio deviato (Scotoma).
➢ La disparità di fissazione è una particolare forma
di strabismo in cui la deviazione rientra nell’area di
Panum e non induce diplopia.
Le Forie
➢ Sono tendenze alla deviazione compensate
dalla capacità fusionale.
➢ Una certa quantità di foria è ritenuta fisiologica.
➢ Per evidenziarle occorre interrompere la
binocularità per non far agire la capacità
fusionale. In questo modo gli occhi
manifesteranno il loro trend di deviazione.
➢ Esistono vari sistemi per dissociare la
binocularità:
cover test, luci di Worth, prismi verticali, la croce
di Maddox, l’ala di Maddox, sistemi polarizzati
ecc.
➢ Molti di questi saranno argomento di studio dei
corsi successivi.
Ortoforia, eteroforia e
eterotropia
➢ Un sistema visivo, che non presenta tendenze
alla deviazione degli assi visivi interrompendo la
binocularità, si dice ortoforico.
➢ Un sistema visivo, che presenta tendenze alla
deviazione degli assi visivi interrompendo la
binocularità, si dice eteroforico.
➢ Se la deviazione non è compensata dalla
binocularità (se quindi c’è strabismo) si dice
eterotropico.
Eso exo iper ipo foria
➢ In presenza di eteroforie, con l’interruzione degli
stimoli compensativi fusionali, gli occhi deviano e
si comportano come strabici, ma, interrompendo
la dissociazione indotta dal test, la capacità
fusionale entra in gioco nuovamente ed il sistema
tornerà binoculare.
➢ In base a come gli occhi deviano gli assi visivi, in
assenza di stimolo fusionale, si classificano i vari
tipi di foria.
Esoforia
➢ Nell’esoforia, interrompendo la
binocularità gli assi visuali manifesteranno
una tendenza a convergere.
➢ Interrompendo il test e ripristinando la
binocularità si noterà un movimento
detto di recupero (recupero della
binocularità appunto) dall’interno verso
l’esterno.
Exoforia
➢ Nell’exoforia, interrompendo la
binocularità gli assi visuali manifesteranno
una tendenza a divergere.
➢ Interrompendo il test e ripristinando la
binocularità si noterà un movimento
di recupero dall’esterno verso
l’interno.
Iper ed ipo foria
➢ Nella iperforia ed ipoforia, interrompendo la binocularità
gli assi visuali manifesteranno la tendenza a deviare
verticalmente.
➢ Iper sta per sopra ed ipo per sotto.
➢ Siccome i due fenomeni iper ed ipo sono associati si può
descrivere il fenomeno come l’iperforia di un occhio o
l’ipoforia dell’altro.
➢ Es. si può dire iperforia destra o ipoforia sinistra e
viceversa.
➢ Interrompendo il test e ripristinando la binocularità si
produrrà un movimento di recupero dell’occhio iperforico
dall’alto verso il basso e di quello ipoforico dal basso
verso l’alto.
Le forie scompensate
➢ Esse sono una condizione in cui una foria, al limite della
capacità compensativa fusionale, in particolari situazioni
di affaticamento può sconfinare in uno strabismo.
➢ Il sistema visivo entra ed esce da una condizione
binoculare ad una tropica e viceversa.
➢ Il fenomeno può essere occasionale o molto ricorrente in
base allo stato fisico generale, alla capacità
compensativa della binocularità nei confronti della foria,
e dall’entità della foria stessa.
➢ Le persone che scompensano la foria quando
strabizzano possono notare diplopia o più
frequentemente sopprimere l’area diplopica per evitare
la diplopia stessa.
Nello strabismo la deviazione è
permanente
➢ Al contrario delle forie, le tropie (strabismi) sono
una condizione di deviazione di uno (più
frequentemente il non dominante) o di entrambi
gli occhi.
➢ Tra i due assi visivi c’è un angolo di deviazione
rispetto alla posizione normale di fissazione.
➢ In questa situazione, come già accennato, le
conseguenze sulla binocularità possono essere
diverse.
I livelli di problematiche indotti dalle tropie
La non corrispondenza dei punti retinici tra i due occhi
indotta dallo strabismo può produrre diversi livelli di
problematiche. Alcuni di essi sono:
1. Forie mal compensate.
2. Disparità di fissazione: gli occhi sono leggermente strabici
ma entro l’area di Panum (c’è ancora visione binoculare).
Essa è associata a forie elevate.
3. Diplopia, specie in strabismi insorti tardi nella vita (traumi,
paresi ecc.)
4. Soppressione nell’occhio deviato dell’area retinica che
causerebbe la diplopia, scotoma (fenomeno ricorrente
negli strabismi insorti precocemente, presente a volte
anche nelle forie scompensate).
5. Ambliopia da non uso (vedi più avanti il significato).
6. Un adattamento ad una corrispondenza retinica anomala:
c’è binocularità, ma il visus in binoculare dell’occhio
deviato è scadente.
7. Una fissazione eccentrica.
Definizione delle tropie
➢ Esotropia: deviazione verso l’interno.
➢ Exotropia: deviazione verso l’esterno.
➢ Ipertropia: deviazione verso l’alto.
➢ Ipotropia: deviazione verso il basso
Strabismo concomitante e non
concomitante
➢ Per strabismo concomitante si intende
uno strabismo il cui angolo non cambia in
qualunque direzione di sguardo.
➢ Quello non concomitante è quello il cui
angolo cambia a seconda della
posizione di sguardo ( la maggior parte
degli strabismi è di questo tipo).
Soppressione (scotoma)
➢ Uno strabismo o un grosso
scompenso binoculare insorto
precocemente può indurre una
soppressione come difesa dalla
diplopia.
➢ Il cervello è costretto a rinunciare alla
binocularià escludendo la percezione di
un area retinica dell’occhio deviato.
➢ Questo buco nero percettivo si
dice scotoma.
Esempi di scotomi
Scotoma fisiologico
➢ Loscotoma patologico non va confuso
con quello fisiologico della papilla del
nervo ottico.
Valutazione dello strabismo
➢ Alcuni strabismi sono manifesti e
chiunque può accorgersi della loro
presenza.
➢ Piccoli angoli di deviazione possono
passare inosservati anche a
professionisti esperti.
➢ È importante una valutazione diagnostica.
Occhio fissante e non fissante
➢ Nello strabismo monolaterale si distingue un l’occhio
fissante, che è quello che mantiene l’allineamento col
soggetto osservato, e l’occhio non fissante, che è quello
deviato.
➢ Se non si è strutturata una fissazione eccentrica,
occludendo l’occhio fissante, quello deviato si allineerà
sul soggetto osservato diventando, sino a che dura
l’occlusione dell’altro, esso stesso fissante. L’occhio
occluso apparirà strabico dietro lo schermo.
➢ All’interruzione dell’occlusione dell’occhio non strabico
però, quello strabico tornerà nella condizione di
deviazione. E quello non strabico ritornerà fissante.
➢ Grazie a questo test (cover test) è possibile
diagnosticare il tipo di strabismo.
➢ Il cover test è utilissimo ed usatissimo anche per la
diagnosi delle forie come espediente per interrompere la
binocularità.
Strabismo alternante
➢ Nello strabismo alternante c’è un’alternanza di
fissazione tra uno e l’altro occhio.
➢ Spesso il soggetto riesce volontariamente ad
alternare.
➢ È una condizione favorevole in quanto
mantiene, sia pur in modo alternato, più o meno
attivi entrambi gli occhi. In questi casi vi è lo
scotoma in entrambi gli occhi.
➢ Dal punto di vista diagnostico può essere
confuso con una foria.
Tropia e cover test
➢ Come già accennato il cover test consiste nell’occludere
con sequenze diverse uno e l’altro occhio.
➢ Se per primo occludo l’occhio strabico tutto rimane fermo
perché la persona guarda già con l’occhio fissante.
➢ Se occludo l’occhio fissante gli occhi si muoveranno e
quello strabico si allineerà diventando, in quella
condizione, fissante e quello sotto lo schermo devierà
simulando su di se lo strabismo.
➢ Togliendo lo schermo gli occhi si muoveranno in
direzione opposta alla precedente e l’occhio fissante
ritornerà a fissare e quello strabico tornerà nella sua
condizione di deviazione.
Esotropia
➢ Nell’esotropia l’occhio strabico è deviato verso
l’interno.
➢ Occludendo l’occhio fissante, quello strabico
compirà un movimento dall’interno verso
l’esterno e quello fissante lo seguirà sotto lo
schermo con un movimento nella stessa
direzione dall’esterno verso l’interno .
➢ Togliendo lo schermo, l’occhio strabico tornerà a
storcersi verso il naso ritornando nella sua
condizione strabica seguito dal movimento nella
stessa direzione di quello fissante che tornerà a
fissare.
Exotropia
➢ Nell’ exotropia l’occhio strabico è deviato verso
l’esterno.
➢ Occludendo l’occhio fissante, quello strabico
compirà in movimento dall’esterno verso
l’interno e quello fissante lo seguirà, sotto lo
schermo, con un movimento nella stessa
direzione dall’interno verso l’esterno.
➢ Togliendo lo schermo, l’occhio strabico tornerà a
storcersi verso l’esterno ritornando nella sua
condizione strabica, seguito dal movimento nella
stessa direzione di quello fissante che tornerà a
fissare.
Ipertropia
➢ Nell’ipertropia, l’occhio strabico è deviato verso
l’alto.
➢ Occludendo l’occhio fissante, quello strabico
compirà un movimento dall’alto verso il basso
per rendersi fissante, seguito, sotto lo schermo,
da quello fissante con un movimento nella
stessa direzione (dall’alto verso il basso).
➢ Togliendo lo schermo, l’occhio strabico tornerà a
storcersi verso l’alto ritornando nella sua
condizione strabica, seguito dal movimento nella
stessa direzione di quello fissante che tornerà a
fissare.
Ipotropia
➢ Nell’ipotropia, l’occhio strabico è deviato verso il
basso.
➢ Occludendo l’occhio fissante, quello strabico
compirà un movimento dal basso verso l’alto per
rendersi fissante seguito, sotto lo schermo, da
quello fissante con un movimento nella stessa
direzione (dal basso verso l’alto).
➢ Togliendo lo schermo, l’occhio strabico tornerà a
storcersi verso il basso ritornando nella sua
condizione strabica, seguito dal movimento nella
sessa direzione di quello fissante che tornerà a
fissare.
Cover test e misura delle forie e
tropie
➢ Sfruttando il comportamento degli occhi,
anteponendo dei prismi, vedremo come
sia possibile misurare, grazie al cover
test, l’entità delle forie e delle tropie.
L’ambliopia funzionale
➢ Col termine ambliopia si intende una situazione percettiva che
insorge precocemente nella vita, in cui uno (più ricorrentemente
il non dominante) o entrambi gli occhi presentano una riduzione
funzionale più o meno marcata del visus non patologica o
traumatica, relativamente o affatto migliorabile con lenti.
➢ Può essere indotta da vari fattori legati alla disequalizzazione
funzionale tra i due occhi o fattori psicosomatici.
➢ Le cause possono essere anisometropia, strabismo, turbe nello
sviluppo evolutivo del bambino.
➢ Essa pare sia determinata da una condizione attiva di inibizione
funzionale prodotta dall’occhio più efficiente su quello meno
efficiente.
➢ Se, nell’età che va dalla nascita ai 3 anni circa, non si innescano
i processi percettivi legati allo sviluppo della binocularità e
funzionalità retinica si può presentare un’ambliopia. Nelle
ipermetropie anisometropiche, può essere sufficiente 1 dt di
differenza non corretta per innescare una ambliopia nell’occhio
più ipermetrope. Il fenomeno è meno frequente nelle miopie.
L’ambliopia da non uso ed isterica

➢ L’ambliopia più ricorrente è quella detta


da non uso in cui lo stimolo foveolare, a
causa di uno strabismo o di un’immagine
deteriorata da un’ametropia non corretta,
non viene stimolato adeguatamente per
cui si produce un decadimento funzionale.
➢ Un altro tipo di ambliopia è quella
isterica. Colpisce soprattutto bambine ed
ha origine psicosomatica.
L’ambliopia ed il training visivo
➢ Sino ad alcuni anni fa vigeva l’affermazione perentoria che se
un’ambliopia non veniva trattata precocemente essa non si
sarebbe mai più potuta risolvere.
➢ Questo è vero solo in parte.
➢ È vero che se il trattamento della causa e gli esercizi di
stimolazione avvengono precocemente, prima dei 3/3,5 anni,
le possibilità di successo sono alte.
➢ Ma se i processi evolutivi si sono innescati e
successivamente inibiti è possibile a volte risvegliarli anche
negli adulti.
➢ È emblematico il caso di una signora presentato al congresso
dell’Albo nel 2010, che in età avanzata ha riacquisito, dopo un
lungo periodo di training visivo, non solo il visus sull’occhio
ambliope, ma anche la visione stereoscopica.
➢ Il trattamento di questa disfunzione non può prescindere
dall’eliminazione delle cause, e da una stimolazione attiva
dell’occhio ambliope (esso comporta, nella prima fase, il
bendaggio dell’occhio buono ed esercizi su quello ambliope).
La binocularità, un argomento
vastissimo
➢ Ciò che è stato illustrato è solo una piccola parte di tutta
la trattazione sui disturbi della visione binoculare.
➢ Un quadro completo di questi argomenti richiede uno
studio profondo e conoscenze che non possono
esaurirsi in questo corso.
➢ Le combinazioni che possono assumere queste
disfunzioni sono complesse ed a volta di difficile
diagnosi.
➢ L’analisi specifica del caso è però importantissima per
valutare la possibilità di una riabilitazione totale o
parziale della binocularità attraverso programmi intensi e
lunghi training visivi od ortottica.
➢ In alcuni casi l’unica possibilità di correzione dello
strabismo è di tipo chirurgico.
I prismi
➢I prismi sono molto usati in optometria.
➢ Essi hanno utilità diagnostiche,
riabilitative e compensative.
➢ Alcuni effetti prismatici, indotti dalle lenti,
possono avere conseguenze
indesiderate sul sistema visivo.
➢ È importantissimo conoscere gli effetti
dei prismi anteposti davanti agli occhi.
The Dark side of the Moon
Pink Floyd 1973
➢ Ilprisma devia il percorso della luce
verso la base e scompone la radiazione
policromatica nelle sue componenti
monocromatiche.
La diottria prismatica
➢ Con questa unità di misura si quantifica
il potere del prisma.
➢ Una diottria prismatica è la deviazione
di 1cm alla distanza di 1m, prodotta dal
prisma sul raggio incidente proveniente
dall’infinito.
➢ La diottria prismatica si indica con ∆
(delta) o con la sigla d.t.p.
➢ 1∆ = 1cm di deviazione ad 1 m
Comportamento dell’occhio
all’introduzione di un prisma
➢ Con il posizionamento di un prisma davanti ad
un occhio, la deviazione della luce prodotta da
questo sposta l’immagine su un’area diversa
dalla fovea.
➢ Lo stimolo fusionale indurrà l’occhio a
riposizionare l’immagine sulla fovea facendogli
compiere una rotazione.
➢ Siccome il prisma devia l’immagine verso la
base, l’occhio per riportarla sulla fovea ruoterà
verso l’apice (l’occhio devia in direzione opposta
alla base).
➢ L’immagine percepita, quindi, verrà proiettata
verso l’apice del prisma.
Base esterna, interna, alta, bassa

➢ Se pongo un prisma con la base interna (nasale)


l’occhio ruoterà verso l’apice quindi verso l’esterno.
➢ Se pongo un prisma con la base esterna (tempiale)
l’occhio ruoterà verso l’apice quindi verso l’interno.
➢ Base alta rotazione in basso.
➢ Base bassa rotazione in alto.

➢ In visione binoculare, se le d.t.p. sono eccessive e tali


da non poter essere compensate dallo stimolo
fusionale, la rotazione dell’occhio non sarà sufficiente a
riportare l’immagine sulla fovea, si avrà quindi una
diplopia.
Anteponendo un prisma su uno o entrambi gli
occhi questi deviano verso l’apice del prisma
con base esterna con base interna
deviazione interna deviazione
esterna
Utilizzo di prismi a scopo
diagnostico
➢ Integrando il cover test con i prismi è possibile misurare
in d.t.p. l’entità delle forie e delle tropie.
➢ Le stecche di Berens sono una serie di prismi con d.t.p.
crescenti.
➢ Si usano due stecche, una con prismi a basi orizzontali
ed una con prismi a basi verticali.
Stecche di Berens e cover test
➢ Il concetto è quello di annullare il movimento che
compiono gli occhi in caso di forie o tropie durante il
cover test.
➢ Se la deviazione è eso, userò la stecca dei prismi
orizzontali a base tempiale.
➢ Se la deviazione è exo, userò la stecca dei prismi
orizzontali a base nasale.
➢ Se la deviazione è iper, userò la stecca dei prismi
verticali a base bassa.
➢ Se la deviazione è ipo, userò la stecca dei prismi
verticali a base alta.
➢ Si fanno poi scorrere i prismi,che hanno potere
crescente, davanti all’occhio effettuando il cover test.
➢ Quando il prisma porterà sulla fovea dell’occhio deviato
l’immagine della mira, il movimento sarà annullato.
➢ Il valore del prisma in grado di annullare il movimento
rappresenta l’entità della foria o tropia in d.t.p.
Prismi orizzontali e vergenze
➢ Facendo scorrere la stecca dei prismi orizzontali prima a base
esterna e poi interna sino alla diplopia si può misurare l’ampiezza
della capacità fusionale.
➢ Degli strumenti molto usati in optometria come accessorio
del forottero sono i prismi rotanti di Risley.
➢ La rotazione contrapposta cambia il potere prismatico che
viene indicato sulla scala graduata.
➢ Ruotando i prismi a base esterna sino alla diplopia si misura
l’ampiezza della capacità fusionale in convergenza. Ruotandoli a
base interna sino alla diplopia si misura l’ampiezza della capacità
fusionale in divergenza.
I prismi verticali e la diplopia
➢ Ponendo dei prismi a base alta o bassa già con poche
d.t.p. si genera una diplopia.
➢ Il processo fusionale non è in grado di compensare
anche piccoli dissassamenti degli assi visuali in verticale.
Diverso è con i prismi orizzontali dove intervengono le
vergenze che riescono a compensare valori prismatici
più grandi.
➢ Con questo espediente si può:
• Interrompere la fusione mantenendo una visione
simultanea dei due occhi. Ciò consente di valutare il
primo grado di fusione (visione simultanea).
• Valutare la direzione delle forie e come vedrete,
usando i prismi di Risley, anche misurare le forie.
• Effettuare la diagnosi di fenomeni soppressivi (se
sparisce una delle due immagini).
Prismi, strabismo e riabilitazione
➢ I prismi sono usati in determinati casi di strabismo in cui
l’angolo di strabismo è uguale in tutte le direzioni di
sguardo (strabismo concomitante) previe attente e
competenti valutazioni del caso.
➢ Possono essere usati limitatamente in alcune procedure
di training visivo o ortottica.
➢ Possono essere usati per il miglioramento posturale
nella posizione detta gemellata a base bassa o alta
(entrambe le basi basse o entrambe alte). Lo
spostamento dell’immagine verso l’apice del prisma
induce un sollevamento della testa col prisma a base
bassa ed un abbassamento col prisma a base alta.
Il centro ottico delle lenti
➢ L’asse ottico è l’asse che attraversa la lente passante
per i centri di curvatura dei diottri sferici che racchiudono
la lente.
➢ Il centro ottico (punto o punti nodali) è il punto
individuato dall’asse ottico che attraversa la lente.
➢ Il raggio coincidente con l’asse ottico passa attraverso la
lente senza subire rifrazione (passa cioè indisturbato).
➢ I raggi parassiali subiscono rifrazione minima.
➢ Man mano che ci si allontana dal centro ottico l’effetto
rifrangente della lente diventa maggiore.
➢ Una lente correttiva svolge la sua azione se il suo centro
ottico coincide col centro della pupilla del portatore.
La centratura delle lenti
➢ La correzione ottica dei disturbi visivi richiede degli
accorgimenti importantissimi nella realizzazione e
posizionamento sul viso degli occhiali.
➢ La centratura è una delle più importanti.
➢ Bisogna far si che dopo la lavorazione dell’occhiale, una
volta calzato, i centri ottici delle lenti coincidano con gli
assi visivi del portatore (siccome vi sono delle tolleranze
si usa il centro della pupilla).
➢ Occorre cioè, che dopo la lavorazione dell’occhiale i
centri ottici delle lenti coincidano con i centri pupillari del
portatore (distanza interpupillare) e che la loro altezza
sia adeguata, tale che, nella postura di sguardo abituale,
gli assi visivi attraversino i centri ottici stessi.
➢ Se ciò non viene rispettato (entro l’errore tollerato dalla
persona) e l’occhiale è decentrato, le lenti generano
disquilibri che possono indurre anche gravi sintomi o
alterazioni funzionali.
Effetti prismatici delle lenti
➢ Le lenti si comportano come i prismi solo che
una o entrambe le superfici sono sferiche. E’
facile immaginare questo pensando alla loro
sezione come due prismi uniti o per la base o
per il vertice.
➢ Nelle sezioni delle lenti positive (convergenti),
sono le basi ad essere unite fra loro.
➢ Nelle sezioni delle lenti negative (divergenti),
sono i vertici ad essere uniti fra loro.
➢ L’effetto prismatico indotto dalle lenti è tanto
maggiore quanto maggiore è il potere delle
lente.
Decentramento delle lenti ed effetti
prismatici
➢ Una lente decentrata davanti ad un
occhio sottopone quest’ultimo ad un
effetto prismatico direttamente
proporzionale all’entità del decentramento
ed al potere della lente.
➢ Inducendo l’occhio a guardare
attraverso un’area al di fuori del centro
ottico della lente l’occhio subirà l’effetto
prismatico delle sezione di lente che sta
utilizzando.
Decentramento delle lenti positive
➢ Una lente positiva decentrata induce l’occhio a
divergere dal lato opposto al centro ottico (dove
coincidano le basi) verso il vertice del prisma (la
periferia della lente).
➢ Un decentramento nasale genera un effetto prismatico
a base interna che, se compensato dalla capacità
fusionale, comporterà una rotazione dell’occhio verso
la tempia.
➢ Un decentramento verso la tempia induce una
rotazione verso il naso.
➢ Un decentramento in alto fa deviare l’occhio in basso.
➢ Un decentramento in basso fa deviare l’occhio in alto.
Decentramento delle lenti negative
➢ Una lente negativa decentrata induce l’occhio a
deviare verso il suo centro ottico (dove coincidono i
vertici) verso il vertice del prisma (il centro della lente).
➢ Un decentramento nasale genera un effetto prismatico
a base esterna che, se compensato dalla capacità
fusionale, comporterà una rotazione dell’occhio verso
il naso.
➢ Un decentramento verso la tempia induce una
rotazione verso la tempia.
➢ Un decentramento in alto fa deviare l’occhio in alto.
➢ Un decentramento in basso fa deviare l’occhio in
basso.
Lenti astigmatiche ed effetti
prismatici
➢ Se la lente correttiva è una lente cilindrica pura (senza
l’associazione di una sfera) e l’asse è orizzontale (0°/180°),
lungo l’asse il potere è zero e non ci sono effetti prismatici.
➢ Man mano che l’asse dell’astigmatismo si sposta da 0°a
90°l’effetto prismatico aumenta in funzione del potere della
sezione interessata dal decentramento e gli effetti
prismatici sono uguali a quelli delle lenti positive e negative
in base al tipo di cilindro usato.
➢ Se la lente cilindrica è associata ad una sfera, lungo l’asse
l’effetto prismatico è solo quello indotto dalla sfera, man
mano che l’asse dell’astigmatismo si sposta da 0°a 90°,
l’effetto prismatico risultante sarà la somma algebrica di
quello della sfera più quello della sezione del cilindro
interessata al decentramento.
Calcolo dell’effetto prismatico di
una lente decentrata
➢ Formula del Prèntice: effetto prismatico di una
lente posta a 12 mm dall’apice corneale.
➢ ∆’ = φ · h/(1 – 0,025 · φ)
➢ Dove ∆’ = effetto prismatico indotto dal
decentramento.
➢ φ = potere in dt della lente.
➢ h = decentramento in cm (N.B. in centimetri).
➢ Vale anche, con una buona tolleranza, la
formula semplificata φ · h dove h è
sempre espresso in cm.
Decentramenti e capacità
compensative
➢ La capacità di accettare un decentramento degli occhiali
dipende dall’entità del decentramento, dal potere della
lente, ma anche dalla capacità fusionale della persona.
➢ Decentramenti orizzontali (maggiori o minori della
distanza interpupillare) sono più facilmente compensabili
perché le capacità fusionali in convergenza e divergenza
sono piuttosto ampie.
➢ Decentramenti in verticale (un centro in alto ed uno in
basso) sono molto meno tollerati.
➢ È assolutamente deontologicamente necessario e di
primaria importanza, in caso di errato montaggio delle
lenti, rimediare con la sostituzione delle stesse a proprie
spese onde non costringere l’utente a spiacevoli
contestazioni a causa dei disturbi indotti e per non
causare alterazioni funzionali sul suo sistema visivo.
➢ Anche in caso di adattamento, l’organismo dovrà ritarare
tutti i processi visivi su equilibri anomali che possono
alterare la sua omeostasi.
Decentramento “fisiologico”
➢ Anche un occhiale ben centrato produce effetti
prismatici.
➢ Solo se gli occhi sono nella postura per cui è stato
centrato l’occhiale, non si hanno effetti prismatici (ed
altre distorsioni) ma ogni qual volta gli occhi si spostano
sulle lenti in punti al di fuori dei centri ottici, essi sono
sottoposti ad effetti prismatici.
➢ Questi però essendo simmetrici sono più facilmente
accettati e inducono conflitti minori nel sistema visivo.
➢ Gli argomenti legati agli effetti delle lenti sugli occhi
saranno argomento di approfondimento dei vari corsi
caratterizzanti che verranno.
Ottica visuale
Parte 7 – La percezione della radiazione

Corso di laurea in Ottica ed Optometria


Dipartimento di Matematica e Fisica “Ennio De Giorgi”
Università del Salento
a.a. 2017-2018
Dispense preparate da Vincenzo Martella (optometrista)
Contatti: 0833/541063 - 392 8388361 otticamodernatri@libero.it

Testo consigliato per approfondimenti:


Fabrizio Zeri, Anto Calossi, Alessandro Fossetti, Antonio Rossetti
OTTICA VISUALE - Società Editrice Universo (2012)
I corpi possono assorbire, riflettere
o filtrare la luce
➢ Le radiazioni elettromagnetiche che colpiscono i
nostri occhi giungono direttamente da fonti
luminose, vengono riflesse dai corpi (altre
vengono assorbite) o filtrate da elementi semi
trasparenti.
➢ In base alle varie radiazioni che provengono dai
corpi e che colpiscono i nostri occhi noi
possiamo percepire il mondo che ci circonda.
➢ Le radiazioni che l’occhio umano può percepire
scatenano in noi sensazioni diverse che noi
associamo a dei nomi che chiamiamo colori.
La percezione cromatica
➢ La percezione cromatica è frutto della nostra
elaborazione psichica.
➢ I colori non esistono se non solo nel nostro cervello.
➢ Le radiazioni elettromagnetiche non hanno colore.
➢ Perciò, secondo la definizione dell’ing. Edo Bartoli, i
colori si dovrebbero definire ravis-rossa ravis-gialla,
ravis-blu (radiazione vista rossa, vista gialla, vista blu).
➢ Solo la banda che va dai 380 ai 760nm può innescare la
sensazione della visione.
➢ La mia sensazione di colore non sarà sicuramente
uguale a quella che si produce nel tuo cervello, ma, per
una convenzione legata all’esperienza, sappiamo che
quella sensazione corrisponde in noi a quel colore.
La radiazione mono cromatica e
policromatica
➢ Riferendosi allo spettro visibile (380/760nm) le
singole radiazioni vengono definite
monocromatiche in quanto producono le singole
sensazioni di colore.
➢ La miscela di più radiazioni elettromagnetiche
produce miscele di colori.
➢ Il bianco è la risultante della miscelazione
dell’effetto prodotto da tutte le radiazioni dello
spettro visibile.
➢ Il nero si percepisce quando il corpo assorbe
tutte le radiazioni visibili e non riflette nulla.
Teoria sulla percezione cromatica
➢ Non tutti i processi che producono la sensazione del colore sono noti.
➢ Alcune componenti sono comunque provate.
➢ A livello retinico sono i coni i fotorecettori sensibili ai colori. I
bastoncelli lo sono pochissimo e solo per le radiazioni del blu.
➢ Esistono tre tipologie di coni attivabili dalle radiazioni che in noi
producono il rosso, il giallo-verde ed il blu, chiamati in base alla
lunghezza d’onda L (long, rosso), M (medium, giallo-verde), S
(small, blu).
➢ L’attivazione specifica dei coni scatena un impulso nervoso di ampiezza
proporzionale al numero di fotoni assorbiti, correlata alla sensazione di
colore.
➢ Tali segnali prodotti dai coni in modulazione di ampiezza sono detti
di tristimolo.
➢ Sempre a livello retinico secondo modalità ancora non del tutto note
che coinvolgono le cellule orizzontali, bipolari e gangliari, vengono
ricodificati e combinati in messaggi detti opponenti in modulazione
di frequenza e trasmessi al cervello.
➢ Ne deriva la sensazione dei colori.
➢ Dalla combinazione degli stimoli dei tre fotorecettori, e dalla loro
elaborazione a livelli retinici superiori, vengono combinate tutte le
tonalità di colori intermedi al blu, giallo-verde e rosso.
Curva della sensibilità cromatica alle
radiazioni di diversa lunghezza d’onda

La sensibilità dei coni in condizione di alta


illuminazione è massima per le radiazioni
giallo-verdi.
Visione fotopica, mesopica e
scotopica
➢ Con questi termini, alcuni già visti, si indicano
rispettivamente condizioni di visione ad alta,
media e bassa illuminazione.
➢ I coni retinici sono sensibili ai colori
prevalentemente nella fascia media dello spettro
visibile 550/560 nm, in condizioni di
illuminazione medio alta (fotopica).
➢ In condizioni di visione medio bassa e bassa
(mesopica e scotopica) la sensibilità si sposta
sui bastoncelli sensibili alle radiazioni del blu.
Effetto Purkinje
➢ Evangelista Purkinje (anatomista nato a Praga
nel 1787) studiò la variazione della percezione
cromatica al variare dell’illuminazione intuendo
la dominanza dei coni per la radiazione giallo-
verde e rossa in visione fotopica e dei
bastoncelli per la radiazione blu in visione
mesopica avanzata e scotopica.
➢ Egli spiegò attraverso i fenomeni citati perché di
sera un oggetto rosso appare nero ed uno blu
diventa più brillante (grigio) (effetto Purkinje).
La miopia crepuscolare e notturna
➢ Tutti gli esseri umani, chi più chi meno, diventano un po’
miopi la sera e di notte.
➢ La fase di crepuscolo può diventare insidiosa alla guida
per questo fenomeno.
➢ Pare che questo fenomeno coinvolga l’aberrazione
cromatica dell’occhio, l’effetto Purkinje, la midriasi e
l’accomodazione.
➢ La sensibilità cromatica con scarsa illuminazione si
sposta sulle radiazioni del blu (effetto Purkinje) che
cadono prima (avanti) alla retina e per questo l’occhio
manifesta una lieve miopia.
➢ L’effetto di ampiezza dell’aberrazione cromatica viene a
sua volta amplificato dalla midriasi indotta dalla scarsa
illuminazione.
➢ L’accomodazione di per sé al buio riduce la precisione di
risposta tendendo verso una condizione di dark focus.
➢ Chi è miope e sottocorretto risente maggiormente di
questo fenomeno.
I colori dell’iride
➢ Isaac Newton evidenziò 7 colori principali.
• Rosso.
• Arancione.
• Giallo.
• Verde.
• Blu.
• Indaco.
• Violetto.
➢È dubbia però la percezione dell’indaco. In tal
caso i colori principali sarebbero sei.
Le miscele di colori
Le discromatopsie
➢ Esse sono anomalie della percezione dei colori.
➢ Il daltonismo è l’incapacità a percepire tutti o in
parte i colori.
➢ I Tritanomali percepiscono male il blu
➢ I Tritanopi non percepiscono affatto il blu.
➢ I Deuteranomali percepiscono male il giallo-
verde.
➢ I Deuteranopi non percepiscono affatto il giallo-
verde.
➢ I Protanomali percepiscono male il rosso.
➢ I Protanopi non percepiscono affatto il rosso.
Test per la diagnosi delle
discromatopsie
➢ Le tavole di Ishihara sono le più usate.
Breve nota sugli stili percettivi, l’analisi
visiva, ed esperienza dell’Optometrista.

➢ Siccome l’attività dell’Optometrista non è volta solo a


misurare l’ottica dell’occhio ma anche a consentire
all’individuo che ha di fronte di vivere una vita visiva il più
gratificante rispetto alle sue necessità, la prescrizione
delle correzioni deve tenere presente l’adeguatezza e la
potenzialità d’accettazione.
➢ Capire le esigenze visive di chi ci sta di fronte è
fondamentale.
➢ Imparerete molte nozioni riguardanti test e strategie atte
a interpretare meglio le possibilità prescrittive.
➢ Un ambulatorio attrezzatissimo è di sicuro aiuto, ma non
basta se non imparate a “leggere nel pensiero” di chi vi
ha scelto per risolvere i suoi problemi visivi funzionali.
Difficoltà d’adattamento
➢ Alcuni individui fanno gran fatica a sopportare o
ad adattarsi anche a piccoli disturbi visivi o agli
effetti collaterali anche lievi indotti
dall’introduzione di sistemi correttivi.
➢ Queste reazioni possono essere date dalla:
“rigidezza” dell’individuo, l’entità del disturbo e
dalla repentinità di un cambiamento percettivo
indotto dalla nuova situazione refrattiva.
Facilità d’adattamento
➢ Altriindividui presentano una grande
flessibilità d’adattamento riuscendo a
convivere con consistenti disturbi visivi
ed accettando variazioni correttive anche
drastiche.
L’occhio specchio dell’anima
➢ Spesso siamo come vediamo.
➢ L’essere una persona “precisa” spesso si traduce in una
puntualità visiva dove ogni piccolo dettaglio o disturbo
viene percepito e può essere amplificato generando
grossi disagi.
➢ L’essere distratti si può tradurre in incapacità a cogliere
cambiamenti visivi anche grossolani.
➢ Persone con disturbi della binocularità possono
manifestare atteggiamenti somatici e comportamentali
attinenti alla tipologia del disturbo stesso.
➢ Eso: chiuso, introspettivo, cifosi, varismo.
➢ Exo: aperto, estroverso, lordosi, valgismo.
➢ Questi modelli sono solo indicativi ma ricorrenti.
➢ Resta comunque il fatto che osservare ascoltare essere
empatici è prerogativa per essere dei buoni optometristi.
L’approccio comportamentale
➢ A. M. Skeffington nel 1928 fondò l’Optometric
Extension Program fondando le basi
dell’optometria comportamentale e della
moderna Optometria.
➢ Da lì in poi una grossa parte dell’approccio
optometrico ha smesso di considerare l’occhio
come una macchina fotografica, ma un sistema
neurologicamente integrato nell’organismo, ed
intenderlo come tale.
➢ La visione non nasce con noi, ma si apprende
attraverso l’esperienza, ed essa stessa ne
condiziona il buon sviluppo.
L’Optometrista è un ”detective”
un paragone non del tutto felice ma efficace

➢ Non a caso si parla di indagine visiva.


➢ Si osserva l’indagato, la postura, l’atteggiamento, si
cerca di coglierne il carattere ecc.
➢ Poi si fa un interrogatorio, l’anamnesi.
➢ Bisogna innanzitutto escludere problemi patologici.
➢ Si passa ad indagare sugli indizi, visus abituale,
ametropie, equilibrio della binocularità, integrazioni
ed ampiezze funzionali dei vari sistemi ecc. ecc.
➢ Il colpevole del problema a volte lo si scopre subito,
a volte si scava, si scava e non viene mai fuori.
Vi saluto ragazzi
➢ Il mio migliore auspicio è di vedervi tutti, tra
alcuni anni, felicemente laureati ed orgogliosi
della materia che avete deciso di studiare e che
anche chi lo ha fatto non sapendo bene cosa
fosse se ne sia innamorato.
➢ Il percorso è lungo ma affascinante.
➢ Spero di avervi dato le dritte giuste ed un po’ di
informazioni su tutti gli argomenti più importanti
di cui ci si occupa nella nostra professione.

Vincenzo Martella
Testo consigliato

Un recente libro abbastanza completo in


relazione al programma del corso è:

Fabrizio Zeri, Anto Calossi,


Alessandro Fossetti, Antonio
Rossetti
OTTICA VISUALE
Società Editrice Universo

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