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PROVE DI INTERDIPENDENZA: LE RELAZIONI

JUGOAMERICANE DALLA CONFERENZA DI


BELGRADO AGLI INONTRI NIXON-TITO

INDICE

NON ALLINEAMENTO E INDIPENDENZA COME SINONIMI: MISUNDERSTANDING


DIPLOMATICI TRA USA E JUGOSLAVIA DALLA CONFERENZA DI BELGRADO ALLA MORTE
DI KENNEDY……..……………………………………………………………………….PAG. 2

TITO E JOHNSON: CYCLICAL PATTERNS NELLE RELAZIONI BILATERALI E IMPATTO DELLE


CRISI IN VIETNAM E CECOSLOVACCHIA………………………………………………PAG. 12

SFIDE DEL NAZIONALISMO E EQUILIBRI NEL MEDITERRANEO ALLA VIGILIA DEGLI


INCONTRI TITO-NIXON DEL ’71………………...……………………………………..PAG. 19

BIBLIOGRAFIA……………………………………….………………………………….PAG. 24

1
NON ALLINEAMENTO E INDIPENDENZA COME SINONIMI:

MISUNDERSTANDING DIPLOMATICI TRA USA E JUGOSLAVIA DALLA

CONFERENZA DI BELGRADO ALLA MORTE DI KENNEDY

La relativa distensione delle relazioni mondiali, culminata con la visita di


Chruščëv a Washington nel 1959, non attenuava il divario tra Paesi sviluppati e
terzo mondo. La XV Assemblea Generale dell’ONU nel dicembre del ’60
rispecchiò questa realtà: mentre i rappresentanti delle grandi potenze si
arroccavano su posizioni conservatrici1, i rapporti di forza nell’Assemblea
venivano sovvertiti dall’ammissione di 17 nuovi stati membri, di cui 16 africani.
L’andamento dei lavori pose in luce come i paesi in via di sviluppo fossero decisi
ad assumersi autonomamente la responsabilità del proprio destino, non
delegandola alle maggiori potenze e ponendosi al di fuori del confronto tra USA e
URSS2, sulla base dei principi enunciati a Bandung.
L’iniziativa politica di Tito3, al volgere del nuovo decennio, trovava terreno
fertile: il movimento afro-asiatico si trovava infatti ad un punto di svolta, dopo le
pesanti ingerenze di Mosca che nel gennaio ’58 portarono al prevalere della linea
antimperialista ed anticapitalistico nel vertice del Cairo4. La rete diplomatica

1 Tanto che la mozione per il riavvicinamento delle superpotenze promossa da Tito, Nasser, Nehru; Sukarno e

Nkrumah non fu neanche messa ai voti. Cfr. G. Calchi Novati, I paesi non allineati dalla Conferenza di Bandung a
oggi, in Storia dell'età presente vol I: Dalla seconda guerra mondiale a oggi, R.H. Rainero ( a cura di),
Marzorati, Milano, 1985, p. 232-233
2 Cfr. G. Calchi Novati, ivi, p. 236
3 Dal 13 febbraio al 19 aprile del ’61, Tito intraprese un lungo viaggio che lo portò a visitare il Ghana, il Togo,

la Liberia, la Guinea, il Mali, il Marocco, il Sudan, la RAU e la Tunisia; il leader jugoslavo poté rendersi conto
della complessità della situazione africana al termine della prima decolonizzazione e verificare l’entusiastica
adesione dei leaders africani alla prossima Conferenza di Belgrado. Cfr. J. Pirjevec, Il giorno di S. Vito.
Jugoslavia 1918-1992 Storia di una tragedia, Nuova ERI, 1993, pp. 345-346
4 Cfr. G. Calchi Novati, op. cit., 1985, p. 230

2
intessuta dalla Jugoslavia5, alla vigilia della Conferenza di Belgrado, fu molto
efficace nel convincere i leaders africani ad aderire alla linea neutralista per
rafforzare la propria posizione sulla scena internazionale6. Il ‘neutralismo attivo’,
nelle intenzioni di Tito, doveva sottrarre almeno virtualmente gli stati afro-asiatici
alla dipendenza dal sistema occidentale, senza spingerli nel blocco imperniato
sull’URSS7.
Le diverse formulazioni della dottrina neutralista che si confrontarono alla
Conferenza di Belgrado, ai primi di settembre del ’61, cominciavano ad assumere
un respiro mondiale: le preoccupazioni per la crisi dell’ONU, per i modesti
risultati dell’incontro tra Chruščëv e Kennedy a Vienna sul tema del disarmo, per
la costruzione del muro di Berlino e per la ripresa degli esperimenti nucleari di
Mosca condizionarono fortemente l’andamento del dibattito. I paesi del Terzo
Mondo, ormai, ritenevano che le condizioni fossero mature per dar vita
un’organizzazione più rispondente alle sfide del tempo presente.
Il governo americano seguì con grande interesse la preparazione del
summit di Belgrado. Già alla fine di maggio ‘61, il Policy Planning Council redasse
un memorandum analitico sul neutralismo e sulle politiche che gli Stati Uniti
avrebbero potuto adottare al riguardo8. Nella nota il nascente movimento dei non
allineati viene visto non tanto come frutto della guerra fredda, ma come sviluppo
delle politiche nazionaliste degli stati membri. Il Dipartimento di Stato concluse
che una forte richiesta di allineamento all’occidente sarebbe risultata
controproducente per due ragioni: innanzitutto, perché non era interesse degli

5 In poco meno di tre anni, Belgrado costruì una rete di quarantanove ambasciate, e allacciò rapporti
economici stabili con Ceylon, l’Etiopia, il Sudan, la RAU e l’Indonesia concedendo nel biennio 1959-’60 prestiti
a tasso di favore per più di cento milioni di dollari. Cfr. J. Pirjevec, ivi, p. 311
6 L. Tosone, Aiuti allo sviluppo e guerra fredda. L'amministrazione Kennedy e l'Africa sub-sahariana, CEDAM, 2008,

p.64
7 Secondo Calchi Novati, i principi fondamentali del non allineamento furono stabiliti nell’incontro al Cairo

tra Tito, Nasser e Sukarno dell’aprile ’61. I requisiti del movimento furono così riassunti: a) politica di
indipendenza fondata sulla coesistenza pacifica; b) sostegno ai movimenti di liberazione nazionale; c) non
appartenenza a patti militari collettivi; d) non appartenenza ad un’alleanza bilaterale con una grande potenza;
e) non accettazione volontaria sul proprio territorio di basi militari straniere. Cfr. G. Calchi Novati, op. cit.,
1985, p. 238
8Policy Planning Council, Neutralism: suggested United States Policy toward the Uncommitted Nations,
NSF, box 303, Subjects: Policy, planning folders, JFK Library
3
USA investire risorse nell’acquisire alleati dal dubbio valore strategico e dalla
limitata capacità militare; in secondo luogo perché una forzatura in tal senso
avrebbe potuto irrigidire le relazioni con i paesi emergenti, laddove l’obiettivo di
sottrarre il Terzo Mondo alla penetrazione sovietica era perseguibile attraverso
l’iniziativa economica valorizzando il processo di nation building e le politiche di
crescita9.
In particolar modo, anche se l’Europa dell’est non figurava tra le priorità
della Grand Design policy di Kennedy, la figura di Tito era ben nota al Presidente
americano, che nei tardi anni ’50 divenne un sostenitore di relazioni più strette tra
Stati Uniti e Jugoslavia10. Chiaro segnale dell’importanza che Kennedy attribuiva
ai rapporti con Belgrado fu la nomina di George F. Kennan, precedentemente
inviato in URSS e artefice del containment, a nuovo ambasciatore in Jugoslavia.
Un mese prima della Conferenza di Belgrado, nella residenza di Brioni si
era tenuto un incontro tra Tito, Kennan ed il Sottosegretario di Stato Chester
Bowles. Sebbene Kennan fosse preoccupato che la crisi di Berlino potesse spingere
il leader jugoslavo ad aprire il dibattito ‘with strongly negative and almost bitter
feelings toward US, and disinclined to expend their influence to restrain the strongly anti-
American tendencies which will be certainly represented among other delegations11’,
Arthur Schlesinger, assistente speciale per il Presidente Kennedy, ritenne che Tito
avrebbe mantenuto un atteggiamento conciliante per non pregiudicare le relazioni
tra i due paesi. Schlesinger, pur invitando a non ignorare il summit e a non
ripetere l’errore commesso con la Conferenza di Bandung del ’55, suggeriva che
Washington esercitasse a Belgrado una presenza non ingombrante, lasciando a

9 L. Tosone, op. cit., 2008, p.67


10 Nell’anno del suo insediamento, Kennedy non lesina in buone intenzioni, e annuncia di voler chiedere
autorizzazione al Congresso per espandere selettivamente relazioni economiche con i satellite sovietici e con I
paesi dell’Europa dell’est, ‘in order to reestablish historic ties of friendship’. Cfr. Department of State, Foreign
Relations of the United States 1961-63, Volume IX, Foreign Economic Policy, Section 15
11 Telegram from Belgrade to SecState, n.115, 31/07/1961, Yugoslavia General Folder, NSF, Box 209A JFK Library

4
Kennan i compiti di ‘attend receptions given in other embassies, respond if they ask him
opinion about the issues of the conference, explain the US policy12’.
Le speranze del consigliere di Kennedy dovettero però infrangersi contro la
durezza dei discorsi di Tito: il secondo intervento del leader jugoslavo, dopo
un’orazione di apertura del summit che poneva grande enfasi sulle prospettive del
neutralismo e sugli sforzi per la pace globale13, fu aspramente critico nei confronti
della politica degli Stati Uniti esprimendo un forte scetticismo sulle intenzioni
americane di impegnarsi per il controllo degli armamenti e condannando il riarmo
della RFT14.
Il Segretario di Stato Rusk non esitò a comunicare a Kennan il proprio
disappunto per la posizione assunta da Tito15 durante la Conferenza, lamentando
come nonostante i tentativi dell’America di comprendere la ‘Yugoslavia’s special
position in Eastern Europe’, i discorsi del leader jugoslavo non favorissero lo
sviluppo delle relazioni bilaterali “with positions of other no matter how different these
may be16’.
Nonostante Popović, Ministro degli Esteri jugoslavo, tentasse di ricucire lo
strappo affermendo che l’interpretazione dei documenti della Conferenza fatta
dagli americani era ‘too pessimistic […] and would be proven wrong in the long term’ e
che Tito stava preparando ‘letters to Chruščëv urging cessations of tests17’, la crisi
diplomatica sembrava ormai aperta. Nei mesi successivi anche Kennan intervenne
per rendere più concilianti i termini della disputa, evidenziando come per la

12 A. Schlesinger, Belgrade Conference, Memorandum to the President, 3/08/1961, Yugoslavia General Folder,
NSF, Box 209A, JFK Library
13 Discorso pronunciato all’apertura dei lavori della Prima Conferenza dei Capi di Stato e dei governi dei Paesi Non

Allineati, in Petkovic (a cura di), Tito et le Non-Alignement, Comité fédéral de l'information, Belgrado, 1976,
pp.50-52
14 Discorso pronunciato alla terza sessione della Prima Conferenza dei Capi di Stato e dei governi dei Paesi Non

Allineati, in Petkovic (a cura di), Tito et le Non-Alignement, Comité fédéral de l'information, Belgrado, 1976,
pp.53-59
15 Telegram from Department of State to Belgrade Embassy, 13/09/1961, Yugoslavia General Folder, NSF Box

209A, JFK Library


16 Ibidem
17 Telegram from Belgrade to Department of State, 13/09/1961, , Yugoslavia General Folder, NSF Box 209A, JFK

Library
5
Jugoslavia non allineamento e indipendenza fossero sinonimi18 e argomentò che
‘the US Government could easily picture an independent nation ranging itself along side
one of the great power in its foreign policy position to a point where it could lose plausible
claim to unalignment19’.
Nei fatti, una parte dei timori americani di un reale riavvicinamento di
Belgrado verso Mosca furono smentiti dalle indagini della CIA, che pubblicò le
cifre degli aiuti che i paesi non allineati avevano ricevuto dalle grandi potenze alla
vigilia della Conferenza di Belgrado20.

1954/61: Aiuti (espressi in milioni di dollari) erogati


Blocco sino-sovietico Stati Uniti d'America
Economici Militari TOTALE Economici Militari TOTALE
Afghanistan 217 110 327 180 3 183
Algeria 0 12 12 0 0 0
Cambogia 56 0 56 220 78 298
Cuba 357 100 457 41 11 52
Ghana 108 0 108 7 0 7
Etiopia 114 0 114 124 57 181
India 1000 0 1000 3072 0 3072
Indonesia 600 830 1430 583 0 583
Iraq 216 240 456 21 46 67
RAU 800 700 1500 439 0 439
Jugoslavia 111 0 111 1587 694 2281
La tabella riassume, omettendo le parti di testo, i valori indicati nel report Sino-Soviet Bloc Aid and the
Belgrade Conference, 26/09/1961,Central Intelligence Agency Office of Research and Reports

Nelle conclusioni del report si affermava che ‘there is little direct correlation
between positions taken at the Belgrade Conference by the participating countries and the
degree to which they have become involved in Bloc economic or military assistance

18 Josip Mocnik, United States-Yugoslav Relations, 1961-80: The Twilight of Tito's Era and the Role of Ambassadorial
Diplomacy in the Making of America's Yugoslav Policy, Ph.D. Dissertation, Bowling Green State University,
History, 2008, p.36
19 Telegram from Belgrade to Department of State, 18/09/1961, Yugoslavia General Folder, NSF Box 209A, JFK

Library
20 Sino-Soviet Bloc Aid and the Belgrade Conference, 26/09/1961, Central Intelligence Agency Office of Research

and Reports, in CIA FOIA Electronic Reading Room (http://www.foia.cia.gov)


6
programs21’, e che le posizioni antioccidentali espresse da Tito durante il summit
dei non allineati non fossero il frutto della reale influenza dei finanziamenti
provenienti dal blocco sovietico.
Alla fine del ’61 il clima politico a Washington cominciava a cambiare: le
pressioni dei repubblicani in seno al Congresso si facevano più insistenti, ed il
Senatore John Tower riuscì a coagulare il dissenso di migliaia di persone in una
‘National Indignation Convention’ che criticava duramente l’addestramento di
piloti jugoslavi nelle accademie militari USA e la proposta di vendere a Belgrado
circa 170 velivoli da guerra in disuso22. Così, anche se diverse voci interne
all’amministrazione americana sostenevano, vista l’assenza di nuove prove di
convergenza tra Belgrado e Mosca, la necessità di mantenere costanti gli aiuti
economici23, Kennedy annunciò che il National Security Council avrebbe rivisto le
politiche di commercio e il sostegno economico verso la Jugoslavia24, con
l’esclusione dei programmi di aiuto alimentare e di vendita dei prodotti agricoli
compresi nella Public Law 480, rinominata dal Presidente USA ‘Food for Peace’.
La risposta della diplomazia jugoslava di fronte alla prospettiva di una
drastica riduzione degli aiuti americani non si fece attendere. Drago Kunc,
portavoce del Segretariato Affari Esteri, precisò in un colloquio con Kennan che ‘la
politica estera jugoslava rimane quello che è sempre stata, una politica determinata

21 Ibidem
22 Military Shipments to Yugoslavia, Memorandum from Rostow to the President, 8/10/1961, Yugoslavia General
Folder, NSF Box 209A, JFK Library
23 Ham Armstrong, editor di Foreign Affairs, afferma: «The suggestion that US retaliate against Tito’s speech by

cutting off economic aid seems to me unwise and in any case not really wanted». Cfr. Memorandum from Bundy
to the President, with Armstrong letter attached, 28/09/1961, Yugoslavia General Folder, NSF Box 209A, JFK
Library
24 Il Time, nell’ottobre del ’61, pubblicò la seguente notizia: «Last week, in the face of a rising outcry, both the

Kennedy Administration and Dwight Eisenhower were defending their transactions with Yugoslavia. The
theory behind the program is that U.S. aid helps Yugoslavia's dissident Communist Tito from falling into the
Soviet Union's smothering embrace. Such aid, said State Secretary Dean Rusk, has unquestionably helped
Yugoslavia to stay independent of the Soviet bloc. The sale of the planes, said Ike, was "in the best interests of
the United States." But despite its defense of the jet sale, the Kennedy Administration has taken the overall
question of aid to Yugoslavia under close review. President Kennedy was angered by the hostility Tito
displayed toward the West at the Belgrade conference of neutrals last month. Requesting a 500,000-ton
shipment of surplus U.S. wheat to supplement their poor harvest, Yugoslav officials were informed last week
by U.S. Ambassador George Kennan that no such commitment would be made—at least for the time being.
Clearly, the choice was up to Tito: whether to be at least reasonably friendly toward the U.S. or to forgo its
much-needed aid.». Cfr. Trouble for Tito, Time, 27/10/1961
7
liberamente dal governo indipendente di un paese non allineato. Se gli americani
riusciranno a comprendere questo, contribuiranno ad un miglioramento delle nostre
relazioni25’. Parte dei dirigenti del KPJ26 manifestarono verso la proposta di
revisione al programma di aiuti di Washington una sensibilità paragonabile a
quella che il discorso di Tito a Belgrado aveva suscitato nell’opinione pubblica
americana: la tensione diplomatica fra i due paesi, all’inizio del ’62, non sembrava
potesse portare ad una concreta riconciliazione.
La mediazione di Kennan27 portò allo sblocco delle licenze di commercio
per la vendita e la distribuzione di 500000 tonnellate di grano di cui Belgrado
aveva disperato bisogno vista la recente siccità, ma le posizioni di Rusk prevalsero
nella definizione dei principi della politica di Kennedy nei confronti della
Jugoslavia contenuti nel National Security Action Memorandum n.12328. In tale
documento il budget per gli aiuti economici destinati a Belgrado veniva ridotto
notevolmente (dai 2,8 milioni concordati con Kennan ad una cifra compresa tra i
500000 ed i 750000 dollari), e la collaborazione in campo militare fu limitata con
l’esplicita indicazione ‘is not desired that Yugoslav military personnel receive training
in the United States, and future Yugoslav applications for other new military purchases
should be reviewed case by case29’. Le restrizioni previste nel NSAM n.123, pur se
inserite nel quadro di una più generale revisione dei programmi di foreign aid da
parte del Congresso30, rispecchiavano il dibattito in seno al Congresso
sull’opportunità di finanziare i paesi non allineati.

25 Cfr. J. Pirjevec, op. cit., 1993, pp. 360-361


26 Anche Mijalko Todorović, deputato del KPJ e stretto collaboratore di Tito, si lamentò con Kennan di come i
toni della stampa americana contribuissero al blocco della cooperazione economica tra i due paesi. Aggiunse,
inoltre, che l’atteggiamento americano poteva compromettere le relazioni USA-Jugoslavia, nonostante la
politica di Belgrado non avesse fatto nessun reale cambiamento. Cfr. Telegram from Belgrade to SecState,
12/10/1961, Yugoslavia General Folder, NSF Box 209A, JFK Library
27 ibidem
28 National Security Action Memorandum n. 123, Policy toward Yugoslavia, F.A.S. Intelligence Resource

Program Electronic Reading Room


29 ibidem
30 Kennedy seguì in prima persona l’evoluzione della questione, preoccupato sia dello stato dell’economia

americana, sia delle possibili ripercussioni sull’approvazione al Congresso degli stanziamenti per il 1963. Cfr.
Lorella Tosone, op. cit., 2008, p.147
8
La rottura del bipolarismo proposta da Tito e dai leader riunitisi a Belgrado,
d’altronde, poneva a Kennedy più di un problema: il controllo delle maggioranze
nelle Nazioni Unite diventava molto più complesso, e ancora non c’era nessuna
garanzia dell’impermeabilità del fronte dei non allineati ai tentativi di
penetrazione di Mosca. Per la prima volta dal '48 il Congresso metteva seriamente
in discussione le politiche di sostegno verso la Jugoslavia31, e i sentimenti
anticomunisti dell'opinione pubblica americana riuscivano a condizionare le
relazioni fra stati più dell'immaginario 'maginot state of mind' che aveva finora fatto
figurare Belgrado come il confine tra 'free Europe' e 'Soviet field'32.
L’orientamento del Congresso rispetto alle conseguenze politiche di nuovi
finanziamenti verso la Jugoslavia trovò espressione nel Trade Expansion Act del
'62, che prevedeva l'abolizione della clausola della nazione più favorita per ogni
'Communist country', escludendo in questo modo anche Belgrado e Varsavia 'even
though neither country was mentioned by name in the Act'33. Durante i colloqui tra
Dean Rusk e Koča Popović, il Segretario di Stato cercò di rassicurare il Ministro
degli Esteri jugoslavo sull'impegno per trovare 'satisfactory solutions of problem of
continued MFN benefits for Yugoslavia', ma non nascose come l'evoluzione della

31 Tanto che, come ben descritto nel servizio del Time, la proposta di emendamento del senatore Lausche fu
rigettata per pochissimi voti: «All of a sudden, Ohio's scratchy, unpredictable Democratic Senator Frank
Lausche reared up and offered an amendment to the Proxmire amendment. Lausche's proposal: Ban all kinds
of U.S. aid, including surplus food, to "any country known to be dominated by Communism or Marxism."
That would include Poland (which was to have got $60 million worth of surplus food) as well as Yugoslavia
(which was to have got $80 million in foodstuffs, plus other aid).After 20 minutes of lackluster debate, the
clerk began calling the roll for a vote on the Lausche amendment. Just after the clerk finished calling the roll,
some two dozen Democratic Senators surged into the chamber, began gesturing to get their votes recorded.
Amid the confusion, many Senators got only a sketchy notion of what was being voted on, and since the
amendment seemed to have carried anyway, several of them decided to play safe and vote against
Communism. Final tally: 57 for the amendment. 24 against.President Kennedy himself telephoned Majority
Leader Mansfield and Minority Leader Everett Mc-Kinley Dirksen. White House staffers and State
Department officials, including Secretary of State Dean Rusk, called other Senators to ask for help.Republican
Dirksen came stalwartly to the Administration's rescue, agreed to cosponsor, jointly with Mansfield, an
amendment to restore the President's authority to send surplus food (but not other kinds of aid) to
Communist countries. […] The upshot: 14 Democrats and nine Republicans who had voted for the Lausche
amendment turned about and voted for the Mansfield-Dirksen amendment. It carried, 56 to 34. Tito will
continue to get U.S. surplus food. But the Agency for International Development will have to postpone, for a
year at least, the $10 million economic-development loan it had planned to give him.» Cfr. Helping Tito, Time,
15/06/1962
32 Come efficacemente descritto da Vane Ivanović. Cfr. V. Ivanović, Yugoslav Democracy on hold, Dodir,

Belgrado, 1996, p. 20
33 John Lampe, Yugoslav-American Economic Relations Since World War II, Duke University Press, 1990, pp.67-68

9
situazione cubana dettasse ormai una nuova agenda delle relazioni
internazionali34.
Il viaggio di Rusk, anche se contemporaneo al richiamo di Kennan a
Washington e all'inizio del lungo periodo nel quale la direzione dell'Ambasciata
americana di Belgrado rimase vacante, poneva le basi per un confronto tra le
amministrazioni di USA e Jugoslavia ai più alti livelli. Gli incontri tra Tito e
Kennedy dell'ottobre '63, a poco più di un mese dopo dalla visita di Chruščëv a
Belgrado e a poche settimane di distanza dall'assassinio del Presidente americano
segnarono il successo della politica di non allineamento del leader jugoslavo,
dimostrando che i segnali di crisi della détente globale non erano sufficienti a
incrinare seriamente le relazioni jugo-americane35.
Nonostante il Dipartimento di Stato temesse per le possibili speculazioni
dei repubblicani sull'immagine del Presidente che stringe la mano ad un leader
comunista36, e sebbene alcuni incidenti causati da piccoli gruppi della comunità
croata emigrata in America avevano condizionato le tappe della visita, i toni del
Comunicato Congiunto dei due leaders furono estremamente positivi37.

34 Popović, nel memorandum dell'incontro, ricorda «We briefly discussed clauses Most Favored Nation

clause. He said that he was almost certain that concerning Yugoslavia this issue would be resolved. […] he
stated that US public opinion is very skeptical, especially after the Soviet stationing of rockets in Cuba, about
an easing of tensions». Cfr. Report on the conversation between Koca Popovic and Dean Rusk at the State Department,
05/05/1962, tradotto da Tanja Rajic e pubblicato in Woodrow Wilson Cold War International History Project
Electronic archive
35 Il New York Times riporta, sulla visita di Tito a Washington: «Leaving emotions aside, the trip has a good

deal of political significance for Yugoslavia and for the United States. To Tito, the handshake with Kennedy
this thursday, only 44 days after he kissed Soviet Premier Khruscev at Belgrade airport, will be a visual
demonstration of the success of his policy of nonalignment». Cfr. The 'Active coexister' Visits Us, New York
Times, 25/10/1963
36 La cronaca del Time sulla visita di Tito a Washington riporta: «The following morning a jet-powered

helicopter zipped the visitors to Washington, but had to spend several minutes circling the Washington
Monument because they had arrived too early. Below, 100 Serbs and Croatians from points as distant as
Detroit and Chicago picketed the White House, carrying placards inscribed, MURDERER, RED PIG and J.F.K.,
DON'T SHAKE HANDS WITH THE KILLER. J.F.K. did shake hands, but he saw to it that no cameraman
recorded the event. Even the customary rocking-chair photos were ruled out in favor of a stiff shot of
Kennedy and Tito facing each other across a conference table. Everything was done according to the book,
from the traditional 21-gun salute to a luncheon for 59 guests at the White House—but without notable
enthusiasm. After lunch, Tito and Jovanka took in Washington's sights, but the route of their ten-limousine
motorcade was kept so secret—to avoid demonstrations-that puzzled pedestrians along the way asked, "Who
is it?" No Yugoslav flags decorated the thoroughfares—only some Irish banners left over from Prime Minister
Sean Lemass' visit earlier in the week.» Cfr. Courteous, Correct & Cold, Time, 25/10/1963
37 «The two leaders expressed the hope that relations between the two countries, now that direct assistance is

no longer needed, could be further developed in all other fields, particularly in the expansion of normal trade,
10
Durante i nove giorni del viaggio di Tito negli USA Kennan, ormai
dedicatosi all'attività accademica, svolse le funzioni di 'unofficial host38':
paradossalmente il ripristino de facto della clausola della nazione più favorita39 e
la ripresa della vendita di 'military spare parts40' alla Jugoslavia avvennero mentre
uno dei più strenui difensori del sostegno economico a Belgrado non aveva più
alcuna influenza sulle decisioni del Dipartimento di Stato.

of economic contacts and of culture and other exchanges». Cfr. Communiquè between President Kennedy and his
Excellency Josip Broz Tito, President of the Socialist Federal Republic of Yugoslavia, 17/10/1963, President Office
Files, Yugoslavia Security 1962-63, Box 128A, JFK Library
38 Cfr. J. Mocnik, op. cit., 2008, p. 59
39 Nel NSAM 212 si legge: «Following a discussion of US policy toward Yugoslavia the President: 1.Indicated

that he was prepared to seek an amendment to the Trade Expansion Act to restore most-favored-nation
treatment for Yugoslav goods» Cfr. National Security Action Memorandum n. 212, pubblicato in F.A.S.
Intelligence Resource Program Electronic Reading Room
40 Il NSAM 236 stabilisce che «The Departments of State and Defense will notify appropriate members of

Congress concerned with foreign affairs, defense, and appropriations, of the Government’s intention to permit
the sale of military spare parts and supplies to Yugoslavia for servicing equipment of United States origin
already on hand.» Cfr. National Security Action Memorandum n. 236, pubblicato in F.A.S. Intelligence Resource
Program Electronic Reading Room
11
TITO E JOHNSON: CYCLICAL PATTERNS41 NELLE RELAZIONI

BILATERALI E IMPATTO DELLE CRISI IN VIETNAM E CECOSLOVACCHIA

I dirigenti della Repubblica Federativa erano consapevoli che la visita di


Tito a Washington, nonostante l’attenzione die media ed i risultati positivi per
l'immagine del leader jugoslavo sulla scena mondiale, non aveva sciolto i nodi
cruciali delle relazioni bilaterali. La crisi diplomatica tra URSS e Cina forniva
inoltre agli americani un'ottima occasione 'to open numerous and successful contacts
with the USSR and with all of the eastern-European countries42', e malgrado i possibili
sviluppi del processo di distensione globale, Belgrado temeva che 'this should
change in American eyes the simple importance of Yugoslavia43'.
Anche se la crescita economica rendeva la Jugoslavia relativamente
indipendente dagli aiuti americani44, il Consiglio Esecutivo Federale valutò che
'we cannot count on the further strengthening of our position among the socialist
countries in the case that to a meaningful degree we neglect our relations with the USA,
because the interests of these countries for the development of relations with us cannot
depend only on the assessment of whether we are honestly building socialism and similar
things, but in the first regard to the strength of the international position of the SFRY45'.

41 John Lampe prova a sintetizzare le relazioni USA-Jugoslavia dalla presidenza Eisenhower alla presidenza
Johnson in questo modo: «The foreign economic relations of both Yugoslavia and the United States broadened
significantly during the second postwar decade… from the early years of Eisenhower administration through
the transition from John Kennedy’s brief presidency to the Johnson administration, this official relationship
followed a cyclical pattern… Cooperation and useful relations have been punctuated by periods of conflict or
misunderstanding, always stopping short of either confrontation on the early postwar pattern or the sort of
Yugoslav reliance on massive American aid that the emergency conditions of the early 1950s demanded». Cfr.
John Lampe, op. cit., 1990, p. 47
42 Cit. Report on the relations of the SFRY – USA and the conclusions of the Federal Executive Council, Archivi della

Repubblica Federale Socialista di Jugoslavia, fondo VOT, documento IX, 18/07/1964, pubblicato in Woodrow
Wilson Cold War International History Project Electronic archive
43 ibidem
44 Tranne che per le esigenze agroalimentari: « It is recommended that the negotiations concerning the

purchase of wheat, cotton and other agricultural products be announced to the government of the USA as
soon as our needs for 1965 are known». Cfr. ibidem
45 ibidem

12
La diplomazia jugoslava cercava strategie per avere maggiore mordente
sulle correnti dell'opinione pubblica degli stati membri di alleanze militari che
condividevano la prospettiva del disimpegno dai blocchi, ben consapevole che i
paesi in via di sviluppo avevano sposato il non allineamento nella speranza che la
distensione potesse migliorare le loro condizioni economiche46. In questo contesto
è possibile inquadrare non solo le relazioni con Washington, ma anche gli sforzi
compiuti nel '64 dalla Jugoslavia per invitare il maggior numero di paesi alla
Conferenza dei non allineati del Cairo47 e l'impegno per la costituzione del
Gruppo dei 77 in seno all'UNCTAD, con la partecipazione dei paesi dell'America
latina48.
Nel discorso tenuto alla Conferenza del Cairo Tito non esitò ad attaccare
l'intervento americano in Vietnam e a Cuba49, ma il ruolo di mediazione svolto da
Egitto e Jugoslavia fu determinante per garantire il rispetto dei principi della
coesistenza pacifica, di fronte alle posizioni intransigenti di chi teorizzava
soprattutto il diritto alla rivolta contro dominazioni e ingiustizie50, nella stesura
del documento conclusivo del summit51.

46 G. Calchi Novati, op. cit., 1985, p. 247


47 Gli inviti erano stati estesi a più di 70 paesi, tra i quali molti stati latino-americani (malgrado la loro
affiliazione all'OSA), l'Austria e la Svezia. Cfr. G. Calchi Novati, ivi, p.245
48 Il Gruppo dei 77 si costituì a Ginevra nel giugno 1964 in occasione della I UNCTAD. Per approfondimenti,

vedi K. P. Sauvant, The group of 77, New York, 1981


49 «Nel sud est asiatico, a Cipro, nel Congo e a Cuba continua a manifestarsi una politica di ingerenza e di

forza brutale. Si continua a ricorrere ad interventi militari che non sono giustificabili in nessun modo». Cfr.
Discorso pronunciato alla Seconda Conferenza dei Capi di Stato e dei governi dei paesi non allineati, in Petkovic (a cura
di), Tito et le Non-Alignement, Comité fédéral de l'information, Belgrado, 1976, p. 60
50 Dopo la morte di una figura carismatica come quella di Nehru, i leaders radicali svilupparono con forza il

tema della confrontazione obbligata tra le nuove forze emergenti e l'ordine di origine coloniale. Cfr. G. Calchi
Novati, op. cit., 1985, p. 246
51 Fra le risoluzioni approvate al Cairo spicca un lungo documento sulle relazioni internazionali che definisce

la coesistenza pacifica: «The Head of State or Government solemnly declair the following fundamental
principles of peaceful coexistence: 1. The right to complete independence, which is an inalienable right, must
be recognized immediately and unconditionally as pertaining to all peoples[...]. 2. […] all nations and peoples
have the right to determine their political status and freely pursue their economic, social and cultural
development without intimidation or hindrance. 3. Peaceful co-existence between States with differing social
and political systems is both possible and necessary [...]. 4. The sovereign equality of States must be
recognised and respected. It includes the right of all peoples to the free exploitation of their natural resources.
5. States must abstain from all use of threat or force directed against the territorial integrity and political
independence of other States [...]. Accordingly, every State must abstain from interfering in the affairs of other
States,whether openly, or insidiously, or by means of subversion and the various forms of political, economic
and military pressure. Frontier disputes shall be settled by peaceful means. 6. All States shall respect the
13
Lo slogan di Tito 'senza libertà non c'è pace, ma senza pace non c'è libertà52' non
suscitò reazioni particolari da parte del governo USA. Già nella prima settimana di
novembre Elbrick, il nuovo ambasciatore a Belgrado, potè riportare un successo
diplomatico siglando con il Segretario di Stato per le Finanze Gligorov un accordo
per risarcire i cittadini americani che avevano subito danni con le
nazionalizzazioni occorse dal giugno del '48, e rimuovendo così l'ultima
rivendicazione economica di Washington verso Belgrado53.
La Jugoslavia, soprattutto dopo l'incidente del Golfo del Tonchino54,
mantenne un atteggiamento di costante critica all'intervento americano nel sud est
asiatico, ma la retorica di Tito non condizionò le relazioni con Washington come
era accaduto nel '61. Fino al ’66 il sostegno materiale della RFJ verso il Vietnam del
Nord si limitava ad aiuti umanitari55, e l’amministrazione Johnson non aveva
motivo di ritenere che il leader jugoslavo avesse fini diversi dalla pacificazione
dell’area per disinnescare un conflitto che coinvolgeva, direttamente o
indirettamente, le grandi potenze. Le valutazioni espresse nel marzo del ’65 dalla
CIA sulle posizioni di Belgrado suggerivano inoltre che Tito ‘does not wish the
United State to withdraw from South Vietnam and southeast Asia […] and a total victory
of Chinese communists in supportino a violent war of national liberation would set a
dangerous precedent for peaceful coexistence and for communist behaviour all over the

fundamental rights and freedoms of the human person and the equality of all nations and races. 7. All
international conflicts must be settled by peaceful means in a spirit of mutual understanding and on the basis
of equality and sovereignty [...]. 8. All States must cooperate with a view to accelerating economic
development in the world and particularly in the developing countries [...]. 9. States shall meet their
international obligations in good faith and in conformity-with the principles and purposes of the United
Nations.» Cfr. Program for Peace and international cooperation, Declaration as adopted by the Second Conference of
heads of State or Government of Non-Aligned Countries, in http://espana.cubanoal.cu/ingles/index.html
52 Cit. Discorso pronunciato alla Seconda Conferenza dei Capi di Stato e dei governi dei paesi non allineati, in Petkovic

(a cura di), Tito et le Non-Alignement, Comité fédéral de l'information, Belgrado, 1976, p. 60


53 I risarcimenti, di cui beneficiarono anche gruppi radicali legati ai serbi ultra-nazionalisti ed alle

organizzazioni fasciste croate, contribuirono a placare l'attività di lobbying degli immigrati jugoslavi sul
Congresso. Cfr. Yugoslavia to Pay Americans' Claims, 16/11/1964, New York Times.
54 «American naval attacks on North Vietnam have led to change in Yugoslav attitude […] they are now

hoping for a quick closing of ranks in preparation for a world conference of communist parties hoping this
might discourage further American military action» Cit. Yugoslav Reaction to American Retaliatory Action in
North Vietnam, 06/08/1964, in CIA FOIA Electronic Reading Room (http://www.foia.cia.gov)
55 Gli aiuti che Belgrado fornì al Vietnam del Nord tramite la Croce Rossa Jugoslava si limitavano per lo più a

forniture mediche, sangue, vestiti e materiale scolastico, risultando così come 'humanitarian aid' e non
contraddicendo in questo modo la legislazione USA. Cfr. Memo From Leonard C. Meeker to the Secretary of State,
29/12/1966, pubblicato in Woodrow Wilson Cold War International History Project Electronic archive
14
world56’. dallo stesso documento si evince che le conseguenze dell’intervento
diretto della Cina nel conflitto vietnamita allarmavano seriamente il leader
jugoslavo, ‘who wished to be reassured that the United States was not trying to provoke a
broad military conflict with Communist China which might result some how in burning
the whole world with nuclear war57’. Nello stesso mese Tito presentò al Presidente
Johnson un appello per la cessazione delle azioni di guerra in Vietnam sottoscritto
da diciassette Capi di Stato di paesi non allineati58, nel quale la condanna ai
bombardamenti americani59 era accompagnata dalla richiesta di cercare ‘peaceful
settlement by means of negotiations without prior conditions from any side60’. Il
Segretario di Stato USA, nel rispondere che l’appello avrebbe ricevuto ‘serious
study and consideration61’, non poteva non considerare che la formulazione
dell’appello era distante dalla retorica più radicale dei leaders degli stati afro-
asiatici62.
Dopo il lancio dell’operazione Rolling Thunder l’intelligence americana era
consapevole che Mosca avrebbe aumentato la pressione politica sui paesi socialisti
affinché fornissero sostegno materiale al Vietnam del Sud63, ma riteneva
comunque che la Jugoslavia, ‘despite agreement with Soviet views in some issues, has
continued to act in concert with the non-aligned states rather than the Soviet camp64’. Alla
stessa conclusione giungevano le considerazioni dell’Ambassador at Large di

56 Cit. Comments of a Yugoslav Official Concerning Vietnam, 11/03/1965, pubblicato in CIA FOIA Electronic
Reading Room (http://www.foia.cia.gov)
57 ibidem
58 Cfr. Items-in-Peace-keeping operations - Vietnam - appeal from non-aligned countries (17 nation appeal to stop the

war in Viet-Nam), 15/03/1965, pubblicato in United Nations Archive and Records Management Section
(http://archives.un.org/unarms)
59 «I consider it necessary to convey to you the profound conviction of the Government of the Socialist

Federal Republic of Yugoslavia and my own, that the repeated acts of bombing of the territory of the D.R. of
Vietnam by the forces of the United States of America, while assuming the nature of adopted practice, carry
with them a real threat of extended war.» Cfr. ibidem
60 ibidem
61 ibidem
62 La recente morte di Nehru aveva privato l’afro-asiatismo della voce più carismatica in difesa dei principi di

coesistenza pacifica. Cfr. G. Calchi Novati, op. cit., 1985, p. 243


63 Cfr. The effectiveness of the Rolling Thunder Program in North Vietnam, 30/09/1966, pubblicato in CIA FOIA

Electronic Reading Room (http://www.foia.cia.gov)


64 Yugoslavia’s Policy toward the Communist World, 21/05/1965, pubblicato in CIA FOIA Electronic Reading

Room (http://www.foia.cia.gov)

15
Washington, che al ritorno da una visita a Belgrado e da un lungo colloquio con
Tito65, indirizzò un memorandum al Presidente Johnson66; nel documento
Harriman affermò che sarebbe stato ridicolo ‘to put Yugoslavia on the same list as
those who were helping the North Vietnamese67’, e che per Belgrado ‘preservation of
peace is the sole interest in Vietnam crisis68’.
Con l’intervento militare dell’URSS in Cecoslovacchia e la conseguente
apertura di un nuovo fronte di crisi della dètente, i rapporti tra Stati Uniti e
Jugoslavia assunsero un nuovo significato: l’utilizzo dei carri armati per
“normalizzare” la situazione interna di uno Stato satellite per la prima volta
originò in numerosi partiti comunisti occidentali un profondo dissenso verso le
politiche del PCUS, e il sostegno che Dubček ricevette da Tito dimostrava come la
Jugoslavia, per difendere il proprio modello socio-economico, auspicasse un
sistema di relazioni internazionali sempre più distante dalla dottrina sovietica69. In
occasione del cinquantesimo anniversario della costituzione del LCJ, Tito
denunciò apertamente i ‘pretesi interessi superiori del socialismo con i quali si prova a
giustificare violazioni flagranti della sovranità di un paese socialista ed il ricorso alla forza
armata70’, accusando di fatto Mosca di ‘impedire lo sviluppo socialista autonomo […] e
porre limiti al diritto di ogni popolo a determinarsi un governo che sia libero nel proprio
agire71’.
Nei mesi successivi alla repressione della Primavera di Praga
l’Amministrazione Johnson, intraprese una serie di iniziative per sostenere le
posizioni della Jugoslavia riaffermando le buone relazioni tra Washington e
Belgrado. Il premier jugoslavo Gligorov incontrò Johnson il 4 ottobre e ottenne le

Harriman in Yugoslavia, to Meet with Tito Tomorrow, 27/07/1965, New York Times
65
66Cable, From Harriman to the President and SecState, 01/08/1965, pubblicato in CIA FOIA Electronic Reading
Room (http://www.foia.cia.gov)
67
ibidem
68
ibidem
69 Per approfondimenti sulla Crisi di Praga e le conseguenze sul movimento comunista internazionale, vedi
Maud Bracke, Quale socialismo, quale distensione? Il comunismo europeo e la crisi cecoslovacca del '68, Carocci –
Fondazione Istituto Gramsci, Roma, 2008
70 Cit. Rapporto presentato l’11 marzo 1969 alla Seduta Solenne del IX Congresso del PCJ tenuta in occasione del 50°

anniversario, in Petkovic (a cura di), Tito et le Non-Alignement, Comité fédéral de l'information, Belgrado, 1976,
pp.80-84
71
ibidem
16
garanzie del Presidente americano, che affermava ‘when aggressors taste blood, the
appetite grows. [...] We are concerned, and determined that aggression not spread the
invasion of Czechoslovakia, which was a tragic act against a country which only wanted to
exercise its independence72’.
Nello stesso mese la visita del Sottosegretario di Stato Katzenbach a
Belgrado costituì l’incontro bilaterale di livello più alto dagli incontri Tito-
Kennedy del ’63; nel resoconto dei colloqui l’esponente americano non esita a
manifestare una ‘special concern over Soviet plans for Balkan and Mediterranean areas,
particularly with regard to foothold Soviets are gaining in Eastern Mediterranean73’.
L’opinione di Katzenbach era del resto condivisa dal Dipartimento di Stato, che
alla fine dell’estate già si preparava a rispondere a nuove aggressioni di Mosca
nell’Europa orientale, e in un memorandum diretto a Johnson suggeriva ‘to be
prepared to engage in military support operations for Yugoslavia under some
circumstances74’.
Fino alla primavera del ’68 la politica del ‘building bridges75’ di Washington
verso l’Europa dell’est aveva trovato degli ostacoli in una parte del Congresso, che
con l’intensificarsi delle crisi vietnamita e cecoslovacca manifestò una scarsa
inclinazione a fornire aiuti a paesi socialisti76. Ma gli anni della National
Indignation Convention di Tower erano ormai passati, ed erano numerose le voci

72 Memorandum of Conversation, FRUS, serie 1964-68, vol. XVII, documento 195


73 Telegram From the Under Secretary of State (Katzenbach) to the Department of State, FRUS, serie 1964-68, vol.
XVII, documento 196
74 Nel memorandum, si legge: «We should be prepared to engage in military support operations for

Yugoslavia under these circumstances: (1) Only if requested by the Yugoslavs; (2) No involvement of US or
NATO personnel beyond participation in delivery operations; (3) Heavy equipment of a type requiring
considerable lead time for delivery should not be provided; (4) If portable, relatively easily deliverable
equipment can be furnished at any stage of hostilities, we should take all necessary steps to grant it; (5) The
Yugoslav military genius is in guerrilla-type operations. We should orient our assistance in that direction.»
Cit. Memorandum to President Johnson, FRUS, serie 1964-68, vol. XVII, documento 194
75 Bridge Building, National Security Action Memorandum n.352, 08/07/1966, pubblicato in F.A.S. Intelligence

Resource Program Electronic Reading Room


76 Per approfondimenti sulle relazioni americane con i paesi dell’Europa dell’est negli anni della presidenza

Johnson vedi T. A. Schwarz, Lyndon Johnson and Europe: in the shadow of Vietnam, Harvard College Press, 2003
17
interne all’Amministrazione Johnson che premevano per sostenere attivamente le
riforme in corso a Belgrado77.

77Elbrick, qualche mese prima di concludere il suo mandato di ambasciatore, relazionando sulla situazione
della Jugoslavia scrive: «to develop deeper understanding within the Congress of the actual situation of this
country, senators and congressmen should be urged to include Yugoslavia on their itineraries», Cit. US Policy
Assessment – Yugoslavia, FRUS, serie 1964-68, vol. XVII, documento 199
18
SFIDE DEL NAZIONALISMO E EQUILIBRI NEL MEDITERRANEO ALLA VIGILIA
DEGLI INCONTRI TITO-NIXON DEL ’71

Elbrick, nella redazione dell’ultima analisi sulla situazione jugoslava


realizzata come Ambasciatore, pur prefigurando ‘a favourable outlook for the
immediate future78’ delle relazioni tra Washington e Belgrado consigliava al
Dipartimento di Stato di prepararsi ad affrontare ‘unpredictable happenings79’ capaci
di influenzare profondamente lo status quo. I buoni rapporti con la Jugoslavia
ereditati dalla precedente amministrazione erano del resto funzionali all’approccio
nella politica estera di Nixon, teso a creare una struttura internazionale per il
mantenimento della pace relativamente stabile anche moltiplicando i contatti con i
paesi non appartenenti alla NATO80.
L’atteggiamento di Mosca verso Tito rimaneva ambivalente: i segnali di
distensione manifestati con la visita di Brezhnev a Belgrado del settembre ’71, che
sanciva il definitivo riconoscimento da parte dell’USSR della via autonoma al
socialismo percorsa dalla Jugoslavia, si alternavano a continue ingerenze dirette o
indirette, come la pressione sulla Bulgaria perché avanzasse pretese sul territorio
macedone81. Tito sembrava non temere più un intervento militare di Mosca82, ma
la Jugoslavia non poteva permettersi di subire misure economiche restrittive del
COMECON nonostante la recente crescita degli scambi commerciali con la CEE83.
Ancora una volta, nonostante il prestigio internazionale che Belgrado aveva

78 ibidem
79 ibidem
80 Cfr. J. Mocnik, op. cit., 2008, p. 110
81 Cfr. Franco Soglian, Fratture e crisi nel mondo comunista, in Annuario di Politica Internazionale 1967/1971,

Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, Dedalo Editore, 1974, pp. 149-151
82 Tito era consapevole che: «even if Soviet military operations proceeded succesfully, and without Western

military reactions, an invasion of Yugoslavia would severely, perhaps irreparably, damage Soviet interests in
in a variety of fields. It would greatly complicate United States-Soviet and Sino-Soviet relations, hurt the
Soviet image in the Third World, and risk serious instability in Eastern Europe ». Cit. Yugoslavia – An
Intelligence Appraisal (in responce of NSSM 129), pubblicato in CIA FOIA Electronic Reading Room
(http://www.foia.cia.gov)
83 Cfr. Franco Soglian, op. cit., 1974, p. 153

19
guadagnato negli ultimi dieci anni, Tito era costretto a cercare di bilanciare i
rapporti sia con l’est che con i paesi occidentali, mantenendo quella posizione di
equilibrio che era condizione essenziale per l’indipendenza jugoslava.
La stabilità dei legami di Tito con l’occidente era ormai un dato acquisito
per l’Amministrazione USA, che ormai si preoccupava di analizzare i possibili
scenari che apriva la morte dell’ormai settantanovenne leader jugoslavo84.
L’intelligence americana vedeva muoversi le evoluzioni di tale ipotesi in quattro
differenti direzioni, che però avevano in comune lo smembramento almeno
parziale della Repubblica Federativa85.
Visitando Belgrado nel settembre del ’70 Nixon contribuì a rinsaldare i
rapporti bilaterali e a consolidare la leadership di Tito, che meno di un anno dopo
sarebbe stata messa alla prova dai primi grandi sommovimenti dei nazionalisti
croati. Per l’amministrazione USA la buona riuscita dell’incontro significava
consolidare le relazioni con uno dei paesi strategicamente rilevanti del
Mediterraneo orientale, e la scelta di Tito di ricevere Nixon invece che partecipare
ai funerali di Nasser rappresentò di per sé un ottimo risultato di immagine per
entrambi i leaders86.
Tito accolse il Presidente americano ‘in a cordial and frank atmosphere87’ e il 30
settembre i due leader conversarono su temi di politica estera: in particolare sulle
tensioni mediorientali, sul futuro dell’Egitto dopo la morte di Nasser, e sulle
reazioni dei paesi africani alle politiche USA88. La promessa di ‘investments, free
travel and exchanges and other forms of association that also imply a measure of

84 Cfr. Yugoslavia – An Intelligence Appraisal (in responce of NSSM 129), pubblicato in CIA FOIA Electronic
Reading Room (http://www.foia.cia.gov)
85 ibidem
86 Cfr. Nasser’s Death and Your Talk With Tito, Memorandum for the President from H. Kissinger, 30/09/1970,

pubblicato in Woodrow Wilson Cold War International History Project Electronic archive
87 Cit. President Nixon and President Tito joint communiqué, 01/10/1970, pubblicato in Woodrow Wilson Cold

War International History Project Electronic archive


88
Cfr. Report on the conversation between Yugoslav president Josip Tito and U.S. president Richard Nixon in
Belgrade, Josip Broz Tito Archives, pubblicato in Woodrow Wilson Cold War International History Project
Electronic archive

20
protection89’ per Belgrado valeva come una smentita del ‘tacit Soviet-American effort
to avoid nuclear war90’ che avrebbe permesso a Mosca di aumentare gli armamenti
convenzionali nel Mediterraneo.
Nel ’70-‘71 gli interessi di Washington e Belgrado sembravano
convergenti91, e per consolidare il trend positivo nelle relazioni bilaterali alla
vigilia della visita di Tito negli USA Nixon prese ogni misura per evitare gli stessi
incidenti con le comunità di emigrati croati che avevano condizionato gli incontri
del ‘6392. Anche grazie ad un imponente spiegamento di forze di sicurezza93 gli
incontri si svolsero in un clima sereno e collaborativo, e nel discorso di
accompagnamento al brindisi in onore di Tito Nixon celebrò le capacità di
mediazione dello statista jugoslavo94. Il comunicato congiunto dei due leaders
sanciva il definitivo riconoscimento del ruolo internazionale della Jugoslavia, la
cui ‘policy of nonalignment has been a significant and positive factor in International
relations95’. I due leaders ‘reaffirmed their conviction that extensive bilateral exchange on
all topics has served the interests of the two countries and of world peace, and resolved that
these consultations should be continued and further extended96’, proponendo così le

89
Cit. Nixon-Tito talks: A Yugoslav View on Moscow’s Aims, 02/10/1970, New York Times
90 ibidem
91 Lo staff di Nixon riassume gli obiettivi americani alla vigilia dell’incontro con Tito in tre punti (1.
Emphasizing American interest in Yugoslavia’s independence, integrity and economic development; 2.
Clarifying that the US is not interested in establishing spere of influence; 3. Stressing that US understands the
reasons for Yugoslav policies, including nonalignment) e gli obiettivi della Jugoslavia in due punti (1. To gain
our understanding of how they view their special geopolitical situation, and with it our cooperation; 2. To
explain their view of how world peace can be attained through great-power disengagement from areas which
the Yugoslavs regard as not of vital interest to the great powers such as the Middle East and Indochina). Cfr.
Visit of Richard Nixon, President of the United States, 21/09/1970, Nixon Presidential Materials Staff, pubblicato
in Woodrow Wilson Cold War International History Project Electronic archive
92 In un’intervista al New York Times, Nixon chiese alla cittadinanza: «show courtesy and respect to President

Tito of Yugoslavia». Cfr. Nixon Asks Public to Treat Tito Courteously on Visit, 23/10/1971, New York Times
93 Cfr. Tito in Capital: Hearty, Funny and Difficult, 31/10/1971, New York Times
94 «I can say without fear of contradiction that no world leader who has been honored in this room has

personally met and known more world leaders in his capacity as head of state and government than President
Tito of Yugoslavia. This means that one who is so fortunate to have the opportunity to talk to him is able to
talk to one who is as well informed, if not better informed, than any world leader in all the world today. This
tells us something about both the man and his country». Cit. Toasts of the President and President Tito of
Yugoslavia, 28/10/1970, Nixon Statement n. 342 in Public Papers of the Presidents Archives
(http://www.presidency.ucsb.edu/ws)
95 Cit. Joint Statement Following Discussions With President Tito of Yugoslavia, Nixon Statement n. 343 in Public

Papers of the Presidents Archives (http://www.presidency.ucsb.edu/ws)


96
ibidem
21
relazioni jugo-americane come un modello positive e funzionale ai meccanismi
della distensione globale.
I massimi riconoscimenti sul piano della politica internazionale che Tito
potè incassare nell’autunno del ’71, però, si sovrapposero alle massime tensioni
interne allo stato jugoslavo del dopoguerra: le rivendicazioni del nazionalismo
croato avevano mosso folle di manifestanti, e i numerosi scontri tra il movimento
studentesco e la polizia della Repubblica Federativa avevano trovato risposta in
una sostanziale epurazione della classe dirigente croata97. L’amministrazione
Nixon si dimostrò comunque interessata alla stabilità del governo di Belgrado, e
agì con sollecitudine per assicurare Tito ‘that the United States is not used as a
staging-ground for terrorist activities98’, e che ‘vigorous enforcements of recent legislation
for the protection of foreign government officers and premises have been made99’.
Nei primi anni del decennio il prestigio acquisito permetteva alla Jugoslavia
di mantenere un ruolo preminente nel movimento dei non allineati e
sostanzialmente indipendente dalla politica dell’Unione Sovietica. Gli incontri del
biennio ’70-’71, frutto di un immenso sforzo diplomatico, segnarono un passo
importante per la distensione internazionale ed aprirono la strada alla visita di
Nixon a Mosca nell’anno successivo. Ma paradossalmente, il miglioramento delle
relazioni tra USA e URSS cominciava a porre la Jugoslavia ai margini delle aree di
interesse vitale per Washington100. E l’America cominciava a preoccuparsi sempre
più per le conseguenze della successione del carismatico leader jugoslavo, mentre

97 Per approfondimenti sulla Primavera croata, vedi A. Batović, The Balkans in Turmoil – Croatian Spring and the
Yugoslav position Between the Cold War Blocs 1965-1971, Zadar University Press, 2009
98 Cit. Letter to Attorney General on Yugoslav émigré terrorism, Memo to SecState, 03/11/1972, General Records of

the Department of State, pubblicato in Woodrow Wilson Cold War International History Project Electronic
archive
99 ibidem
100 Durante la campagna elettorale contro Ford, Carter affermò: «I would never go to war or become military

involved in the internal affairs of another country unless our own security was directly threatened. And I
don’t believe that our security would be directly threatened if the Soviet Union went into Yugoslavia». Cit.
Presidential Candidates Debates: Third Carter-Ford Presidential Debate, 22/10/1976, pubblicato in The American
Presidency Project (http://www.gwu.edu/~nsarchiv)
22
‘Croatian nationalism and separatism endangers not only Yugoslavia’s future, but peace
in the Balkans and in fact the balance of power in the whole Mediterranean101’.

101 Cit. Is Yugoslavia in Danger?, 23/12/1974, New York Times


23
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