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Pietro Nenni, Aldo Moro e il riconoscimento della Cina comunista


di Paola Olla Brundu

Un piccolo marginale capitolo di riflesso delle relazioni cino-statunitensi: cos comment Giovanni Bressi in un articolo pubblicato sulla rivista Relazioni Internazionali laccordo di reciproco riconoscimento diplomatico sancito una settimana prima, il 6 novembre 1970, tra lItalia e la Cina di Mao 1. Da allora, il giudizio su questo episodio non sarebbe pi mutato e non perch indagini successive gli avessero conferito la consistenza di cui sempre manca una valutazione coeva agli eventi 2. Lintera vicenda, cos come Bressi laveva ricostruita, non sollecitava curiosit: appariva fin troppo emblematica della politica estera italiana del decennio a cavallo del quale si situava 3. Ne racchiudeva in s tutti gli ingredienti: la dipendenza dagli umori dellalleato americano, le pulsioni terzomondiste e terzaforziste, la subordinazione alle ambizioni domestiche dei partiti. Il suo interesse sembrava risiedere unicamente l, nel potere di evocare subito la combinazione di elementi opposti che avevano alimentato e spento le iniziative intraprese allora dallItalia in campo internazionale. Bastava citare il caso del riconoscimento della Cina e il giudizio su queste iniziative, che politologi, saggisti e storici andavano maturando e proiettando sullopinione pubblica acquistava un ancoraggio, un punto di riferimento tangibile. Era facile per gli aspetti che presentava (levidente interferenza del grande alleato, le trattative lunghe e estenuanti, lesito apparentemente insignificante per lItalia e per la stessa Cina) scorgervi la conferma dellimmagine di politica estera che le loro conclusioni rimandavano: tentennante, sbiadita, gravata da carenze strutturali ineliminabili, sostanzialmente inadeguata ad affermare una individualit dellItalia persino in sede comunitaria 4. Cos, raramente accaduto che ci si interrogasse sulla reale dimensione interna e internazionale dellaccordo italo-cinese5. N mai ci si chiesti per quali aspetti si fosse caratterizzato il lungo negoziato da cui era sortito o se questo, per il modo in cui si era sviluppato, avesse portato aiuto, o turbative, al delicato processo di distensione culminato nel cruciale avvicinamento tra Washington e Pechino. Non appariva neppure immaginabile che una politica estera piatta e fragile, come pareva essere stata quella italiana di allora, potesse avere una parte, seppure piccola, nel grande evento, che, insieme allo scontro tra Mosca e Pechino, aveva generato il pi profondo e risolutivo cambiamento nei rapporti di forza tra i due blocchi e segnato le sorti della guerra fredda. Ovvio il rapporto simbiotico e subalterno tra liniziativa italiana e la svolta impressa dal binomio Nixon-Kissinger alla politica asiatica degli Stati Uniti in verit alquanto problematico per ragioni cronologiche se non per altre. Scontato, nello stesso tempo, nonostante le vistose differenze riscontrabili tra i due protagonisti della vicenda, Pietro Nenni e Aldo Moro, il velleitarismo dei responsabili italiani, sospinti da calcoli di politica interna ad affermare, con una fuga in avanti del tutto sterile, una libert

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internazionale di cui lItalia non disponeva. Nessun dubbio: anche in questo caso tutto parso riconducibile e riducibile al protagonismo subalterno tipico della politica estera italiana, allossimoro con il quale cos facile riassumerla e condannarla o assolverla. Ridurre a questo il gesto del riconoscimento della Cina vuol dir per perdere di vista la maggior parte dei suoi significati interni e internazionali. Su di essi invece il caso di soffermarsi perch certamente nellinterstizio tra i due piani, quello interno e quello internazionale, che possono essere colti, e valutati, il senso complessivo e le proporzioni dellintera vicenda, sempre che si proceda attraverso lanalisi e non per via induttiva. Daltra parte quasi superfluo sottolinearlo in sede storiografica le astrazioni o le generalizzazioni valgono come creatrici di suggestioni, di tensione, ma non di convincimento, a meno che siano ancorate al dato empirico o chi le assuma per orientare la propria prospettiva di ricerca accetti di farsi carico del debito che esse presuppongono nei confronti delle fonti. Le fonti italiane sullaccordo italo-cinese sono ora disponibili e sembra possano offrire risposta ai molti interrogativi finora rimasti elusi: quelli pocanzi sollevati e quelli ai quali non si dovrebbe mai sfuggire quando si voglia pervenire a un giudizio meditato su una condotta di politica estera, a qualsiasi paese essa appartenga. Si tratta nello specifico di capire quali spinte abbiano determinato la scelta del governo italiano, quali obiettivi esso si proponesse, quali, se ci furono, le pressioni o gli ostacoli interni e internazionali e, infine, quali gli esiti raggiunti in termini di interesse nazionale e di compatibilit con linterdipendenza delle relazioni internazionali. Questo portando lattenzione su ogni elemento che consenta di imputare ai singoli attori, o centri decisionali, responsabilit, meriti o insuccessi 6. Se poi si pensa che lepisodio del riconoscimento della Cina popolare potrebbe configurarsi come emblematico della politica estera italiana di quegli anni, a maggior ragione necessario penetrarne ogni passaggio per concludere se vi si possano rintracciare fattori di continuit con altre vicende. Aiuterebbe a risolvere un quesito, che non investe solo questo episodio e gli anni che lo riguardano o la fase della guerra fredda, ma che di fondo. Ovvero se si possa continuare a parlare di protagonismo subalterno come di un vizio permanente e distintivo della politica estera italiana o, piuttosto, come di un aspetto per il quale essa si caratterizzata in alcune fasi o momenti cos come potrebbe ancora caratterizzarsi. Se prevalesse questa seconda ipotesi, si sentirebbe pi incoraggiato chi, sforzandosi di mettere da parte i pregiudizi, portato a indagare la condotta internazionale dellItalia mosso dalle stesse curiosit con le quali affronterebbe lo studio della politica estera di qualsiasi altro paese europeo e non che si fosse trovato o si trovi nella stessa condizione di interdipendenza: ossia cercando di capire se le sue ambizioni fossero sostenibili sul piano interno e compatibili con le esigenze della vita internazionale e se linterdipendenza non sia stata confusa con la dipendenza 7. Le carte conservate presso lArchivio storico del Ministero degli affari esteri italiano, di recente rese accessibili, offrono la possibilit di riesaminare anche in questa prospettiva lintera vicenda 8. Emerge in primo luogo da queste fonti come laccordo di reciproco riconoscimento tra lItalia e la Cina sia stato il risultato di un processo complesso e fortemente diversificato nelle sue fasi. Non fu concordato con Washington n sollecitato da Pechino. Prese le mosse, alla fine del 1968, dalliniziativa di Pietro Nenni, la cui personalit domin tutta la prima fase di avvio dei negoziati, e si concluse, due anni dopo, grazie alla capacit del suo successore Aldo Moro di comprenderne appieno la forte valenza nel quadro dei mutamenti internazionali in atto e di gestirne i passaggi pi delicati con accortezza e con lucida consapevolezza del grado di libert internazionale di cui lItalia poteva disporre. La critica di protagonismo mossa alla politica estera italiana di quegli anni trova, s, in queste carte, un evidente riscon-

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tro, ma solo se riferita alla fase controllata da Nenni. Ne risulta invece smentita la percezione, tuttora diffusa, che il riconoscimento concesso alla Cina popolare in anticipo rispetto agli Stati Uniti abbia portato al grande alleato solo fastidi e allItalia nessun vantaggio. Viene in luce piuttosto come la diplomazia italiana, avendo saputo cogliere tempestivamente le potenzialit e il carattere triangolare della strategia statunitense, sia stata capace, sotto la guida di Moro, di concepire soluzioni efficaci per il buon esito del negoziato con Pechino e, allo stesso tempo, non traumatiche per i rapporti internazionali dellItalia e persino utili al disgelo tra gli Stati Uniti e la Cina che ha potuto giovarsi della funzione di battistrada svolta dallItalia rispetto alle due questioni pi spinose: il seggio cinese alle Nazioni Unite e i rapporti con Taiwan. Quattro sono gli aspetti da considerare relativamente alla prima fase apertasi il 24 gennaio 1969 con lannuncio dato da Nenni alla Camera dei deputati di voler riconoscere il governo della Cina popolare: le motivazioni delliniziativa italiana; le reazioni di Pechino e di Washington; lapproccio delle due parti al negoziato; i riflessi di questo sulle analoghe trattative cino-canadesi che per volont di Pechino si svilupparono in parallelo dalla fine di febbraio. In Italia, frammentata dalle tensioni provocate dai grandi cambiamenti interni del decennio precedente, gravata da una pesante crisi economica e minacciata dalla violenza di estremismi di ogni parte, si era appena insediato un nuovo governo di centro-sinistra presieduto dal democristiano Mariano Rumor. Era il quarto realizzato con questa formula inaugurata nel 1963, ma il primo al quale i socialisti, a distanza di pi di ventanni dalla clamorosa scissione, partecipavano riuniti in un unico partito, il Psu. Pietro Nenni, lartefice del progressivo distacco dal Pci e, simmetricamente, della conversione del Psi ai principi atlantici che ne aveva reso possibile la piena partecipazione al governo con la benedizione di Washington 9, era luomo che tutti, anche la Democrazia Cristiana, avevano voluto al Ministero degli esteri: per il senso di novit che poteva portare con s il suo ritorno alla guida della politica estera ventidue anni dopo la breve esperienza tra lottobre del 1946 e il febbraio del 1947 10. Per il Psu il riconoscimento della Cina popolare era un punto irrinunciabile del programma di governo: uno dei pochi, peraltro, su cui davvero concordassero le sue due anime rimaste divise, nonostante la riunificazione, pressoch su tutto 11. La doppia dimensione di quel gesto, antiamericana e, insieme, antisovietica, sembrava potesse racchiudere in s quel senso di un progetto ideale comune smarrito dai socialisti tanti anni prima. Leniva le frustrazioni e placava i sospetti che ancora gravavano sulla loro riunificazione, impedendole di trasformarsi in una riconciliazione e consentendole di acquistare quella saldezza e quella persuasivit che gli elettori invano avevano cercato nel partito al momento delle consultazioni politiche lanno prima 12. Alla componente di sinistra restituiva in parte ci che aveva perduto piegandosi allosservanza atlantica impostale da Nenni; allala pi moderata e a quella proveniente dal Psdi offriva unulteriore occasione, dopo i recenti fatti di Praga, di affondare il cuneo inserito nel rapporto tra il Psi e il Pci dalla vicenda ungherese e mettere ancora in difficolt i dirigenti comunisti: per non dispiacere al Cremlino non avrebbero potuto, come nel passato, fare del riconoscimento della Cina una loro bandiera ma neppure assumere una posizione reticente, che il gruppo dissidente del Manifesto prontamente avrebbe enfatizzato, potendola indicare come una riprova dellasservimento del Pci alle direttive di Mosca 13. Realizzata in tempi brevi, la normalizzazione dei rapporti con la Cina di Mao prometteva di dare frutti sotto diversi profili. Avrebbe tolto ossigeno agli scissionisti del Psiup e catalizzato sui socialisti il consenso sia di quella parte, peraltro sempre pi vasta, di opinione pubblica moderata ostile nei confronti degli Stati Uniti in ragione della guerra in Vietnam, sia di quegli elettori comunisti i quali facevano fatica a conservarsi fedeli al Pci di fronte alla sua

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riluttanza nel prendere le distanze da Mosca dopo quanto era accaduto in Cecoslovacchia. Ma soprattutto avrebbe concentrato sul Partito socialista linteresse e la gratitudine degli imprenditori italiani, ansiosi di ampliare e consolidare gli scambi commerciali con la Cina prima che altre potenze industrializzate si fossero aggiunte ai paesi che gi lavevano riconosciuta 14. Ad attirare lattenzione di Nenni su questa importante dimensione della questione era stato, da tempo, loperatore commerciale socialista Dino Gentili, suo amico personale, ma anche molto apprezzato negli ambienti economici per essere stato capace, attraverso la sua societ COMET fondata appositamente nel 1953, di aggirare le barriere imposte da Washington al commercio con i paesi comunisti 15. I solidi contatti stabiliti con il China Council for Promotion of International Trade e i suoi buoni rapporti personali con lo stesso ministro degli Esteri Chou En-lai gli avevano consentito di promuovere e poi riunire in una societ da lui stesso diretta (la COGIS nata nel 1958) tutte le attivit di import-export con la Cina delle maggiori imprese private e di Stato italiane: COMIT, ENI, Fiat, Montedison, Snia Viscosa e molte altre ancora. In sostanza, Gentili aveva costituito una vera e propria Lobby cinese e al tempo stesso, grazie al ponte che aveva stabilito come egli stesso amava dire tra il mondo borghese e quello che crede in una possibilit socialista 16, aveva accumulato un patrimonio di interessi, di cui il Partito socialista si sarebbe potuto avvantaggiare pi di ogni altro se solo si fosse mostrato capace di una svolta netta nei rapporti con Pechino. Nelle considerazioni di Nenni il riconoscimento della Cina popolare andava per oltre tutto questo. Era la cifra che avrebbe qualificato la sua politica estera e lavrebbe distinta da quella dei precedenti governi del centro-sinistra rimasti sostanzialmente appiattiti sulle direttrici imposte da Washington. Senza mettere in discussione lessenzialit dellAlleanza Atlantica per la sicurezza dellItalia, avrebbe sintetizzato e manifestato in modo tangibile i due aspetti centrali del nuovo corso, che egli intendeva aprire col suo ritorno alla guida del Ministero degli esteri: i limiti geografici degli obblighi nei confronti dellalleato americano e limpegno volto a creare condizioni di sviluppo pacifico delle relazioni internazionali. La constatazione di un interesse cos marcato da parte del partito di Nenni per una rapida soluzione della questione potrebbe facilmente indurre alla conclusione sbagliata che per la componente democristiana della coalizione linserimento del riconoscimento della Cina popolare tra le priorit del nuovo governo fosse il risultato di unimposizione ovvero un prezzo pagato ai socialisti affinch laccordo potesse nascere e conservarsi in vita. Anche i dirigenti della Democrazia Cristiana desideravano risolvere, e altrettanto prontamente, il problema delle relazioni diplomatiche con Pechino 17. Avevano capito presto il poderoso errore commesso a suo tempo dagli Stati Uniti e non erano pi disposti a farsene schiacciare 18. In realt, avrebbero voluto trovare una soluzione fin dalla proclamazione della Cina popolare 19, ma per il timore di guastare irrimediabilmente i rapporti con il grande alleato avevano tenuto in sospeso la questione in attesa di condizioni internazionali favorevoli 20. Non avevano per rinunciato a cercare e a coltivare il dialogo 21, sospinti in ci sia dalla loro concezione universalistica della politica internazionale, sia da pi realistiche considerazioni di politica interna: i sentimenti di unopinione pubblica divenuta via via pi reattiva alle aspre critiche mosse dalle forze della sinistra alla Democrazia Cristiana per i suoi continui cedimenti alle imposizioni di Washington; il sempre pi diffuso terzomondismo tra i suoi iscritti; la crescente pressione degli ambienti economici e la consapevolezza che il Partito socialista, grazie allimpegno di Gentili, stava riuscendo utilmente a far convergere su di s le loro aspettative. Frenati, da un lato, dagli interventi energici della diplomazia statunitense e, dallaltro, dalle inaccettabili condizioni poste da Pechino, i governi centristi non avevano potuto dare un seguito ai loro

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propositi e neppure trasformare il dialogo quanto meno in un accordo commerciale 22. Tuttavia se lItalia, nel 1965, qualche risultato sotto il profilo delle relazioni economiche con la Cina lo aveva raggiunto laccordo privato che aveva permesso lapertura dei rispettivi uffici commerciali a Roma e a Pechino 23 ci era stato, oltre che per la paziente azione dellesponente socialista Paolo Vittorelli 24, anche per limpegno profuso da diversi esponenti della Democrazia Cristiana e specialmente per labilit con cui Aldo Moro, allora Presidente del Consiglio, aveva saputo aprire un rapporto personale con Chou En-lai 25. Il riconoscimento della Cina popolare era dunque un obiettivo condiviso da tempo dai partiti che componevano il nuovo governo e ci conferiva a Nenni una notevole libert di azione. Se un problema cera, questo non investiva di sicuro gli equilibri politici, semmai la procedura diplomatica: come comunicare a Pechino la decisione presa e come presentarla a Washington. Qui emerse subito lenorme distanza tra i propositi di Nenni, in verit un po corrivi, e le valutazioni ben pi caute degli uomini della Farnesina, in special modo del direttore degli Affari Politici Roberto Gaja 26. Nenni, memore della festosa accoglienza che gli aveva riservato Chou En-lai nel 1956 in occasione del suo viaggio in Cina, avrebbe voluto scrivere personalmente al ministro degli Esteri cinese e contemporaneamente dare pubblicit alla sua decisione 27. Diversamente da Gaja non temeva che i dirigenti cinesi, come al loro solito in analoghe circostanze, reagissero con un atteggiamento di indifferenza, ponendo lItalia in una posizione di debolezza negoziale. N si preoccupava che le pressioni di Washington potessero ancora una volta frustrare la pratica possibilit di tradurre sul piano concreto i propositi dellItalia 28. Neppure lo inquietava la considerazione, espressa dallambasciatore a Washington Ortona, che una svolta cos netta fosse una ben poco opportuna presentazione alla nuova Amministrazione americana del governo appena formato e che fosse comunque poco saggio non attendere quanto meno linsediamento di Nixon alla Casa Bianca prima di procedere a renderla pubblica 29. Soprattutto, Nenni non aveva incertezze circa la soluzione da dare al problema dei rapporti con Taiwan e alla complessa questione del seggio cinese alle Nazioni Unite che proprio lItalia, due anni prima, aveva proposto fosse esaminata da una commissione ad hoc 30. Lobiettiva evoluzione dellatteggiamento cinese nei confronti del mondo esterno, quale era testimoniata dalla recente iniziativa per la ripresa dei colloqui cinoamericani a Varsavia, e la notizia, comunicata da Ortona, che negli Stati Uniti cominciavano a serpeggiare opinioni favorevoli a un mutamento dei rapporti con la Cina 31, erano per Nenni quanto bastava per non lasciarsi frenare dai malumori di qualche esponente dellamministrazione uscente 32 e procedere senza esitazioni, il 24 di gennaio, nel suo proposito di annunciare alla Camera dei deputati che era giunto il momento per lItalia di riconoscere la Cina popolare 33. Non sond prima Pechino n si consult con il principale alleato: gli preannunci la sua decisione solo 24 ore prima di renderla pubblica 34. Come replic Pechino e come reag Washington? Pechino, come Gaja aveva previsto, tacque, lasciando Nenni nel tormento se i dirigenti cinesi avessero o meno inteso che il senso della sua dichiarazione era quello di aprire immediatamente il negoziato 35. La reazione di Washington fu critica ma non preclusiva come lo era stata di fronte alle due iniziative analoghe, tentate, con modi assai pi prudenti, nel 1955 e nel 1964 rispettivamente dai ministri degli Esteri Gaetano Martino e Giuseppe Saragat. Rifletteva, in sostanza, gli stati danimo differenti che distinguevano il Dipartimento di Stato e la Casa Bianca, in quella fase di transizione da unAmministrazione allaltra, vuoi riguardo al problema della Cina, vuoi ai rapporti con Mosca o alla prospettiva di lasciare maggiore iniziativa agli alleati nel quadro di una politica di graduale disimpegno dallEuropa 36. Un miscuglio di inquietudine, di prudenza ma anche di curio-

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sit e interesse a non precludere un dialogo, che avrebbe potuto rivelarsi un utile banco di prova per la nuova politica asiatica prefigurata da Nixon ancor prima del suo arrivo alla Casa Bianca. Il giorno stesso in cui Nenni fece il suo annuncio alla Camera dei deputati e in quelli immediatamente successivi, Ortona ebbe una percezione assai chiara di tutto ci. Il Dipartimento di Stato certo non sottovalutava i vantaggi politici e strategici che gli Stati Uniti avrebbero potuto ricavare da un progressivo avvicinamento della Cina allOccidente, ma considerava liniziativa italiana da una parte intempestiva, per la concomitanza con i negoziati di Parigi per il Vietnam, dallaltra inquietante per le ripercussioni su Taiwan e sugli altri paesi dellarea e perch suscettibile di influenzare la posizione di Mosca in vista dei prossimi negoziati per il disarmo. Perci, come assicur a Ortona William Bundy a nome del segretario di Stato Rogers, gli Stati Uniti non avrebbero esercitato pressioni sullItalia per farla desistere ma difficilmente avrebbero potuto astenersi dal rendere pubblico il loro rincrescimento 37. La Casa Bianca manifest unapertura maggiore. Certamente consider la mossa italiana con preoccupazione, ma ancora di pi come loccasione di cui si aveva bisogno per dare seguito pubblicamente alla direttiva emanata da Nixon appena insediato, secondo la quale occorreva alimentare in ogni modo lipotesi che gli Stati Uniti cercassero un avvicinamento alla Repubblica Popolare Cinese 38. Sarebbe bastato, per non compromettersi troppo, assumere di fronte al passo di Nenni una posizione non negativa. Di ci si ebbe subito una riprova dal modo in cui lo stesso Nixon affront la questione il 27 gennaio nella sua prima conferenza stampa in veste di Presidente: prima ancora di precisare che latteggiamento degli Stati Uniti nei confronti della Cina restava immutato, dichiar, astenendosi da ogni commento critico, di aver registrato la svolta di alcuni grandi paesi come lItalia, le cui intenzioni sembravano contemplare anche un cambiamento di posizione circa lammissione alle Nazioni Unite 39. Dunque, Washington non si opponeva allapertura di un dialogo tra Roma e Pechino seppure alla condizione insistentemente sottolineata che il Dipartimento di Stato fosse tenuto costantemente informato e il pi compiutamente possibile su tutti gli aspetti connessi al contenuto delleventuale accordo e in primo luogo sulle questioni cruciali di Taiwan e del seggio cinese alle Nazioni Unite 40. Si trattava come sarebbe stato meglio precisato pi avanti di una condizione piuttosto limitativa, che in pratica impegnava lItalia, comunque fossero evolute le sue relazioni con la Cina, a conservare immutata la propria posizione di voto allONU: contraria alla mozione albanese, che chiedeva fosse decisa con la maggioranza semplice lassegnazione alla Cina Popolare del seggio nel Consiglio di Sicurezza e la contestuale decadenza del diritto riconosciuto a Taiwan, e favorevole a quella procedurale statunitense, che imponeva invece la maggioranza dei due terzi, in virt del carattere importante della questione. Un fatto era per certo: le reazioni nel complesso erano state assai pi blande di quelle che Ortona si era prefigurato nei giorni immediatamente precedenti lannuncio di Nenni, specialmente a seguito del colloquio esplorativo con Robert Murphy, il sottosegretario che fungeva da ponte tra le due amministrazioni di Johnson e di Nixon 41. Comprensibile perci il suo sollievo nel riferirne a Nenni e il suo maggiore accento sul suggello di Washington ottenuto dalliniziativa italiana piuttosto che sui limiti entro i quali essa avrebbe potuto svilupparsi per non perderlo. In proposito Ortona fu anzi rassicurante. Parl, evocando unespressione allora in voga nel linguaggio politico italiano, di divergenze parallele tra noi e gli americani 42, ossia di linee in apparenza contrapposte ma in realt reciprocamente funzionali e quindi perfettamente in grado di coesistere. Attir lattenzione sui risultati raggiunti, forse anche perch poteva ascriverli a suo merito, e sorvol sulle difficolt che sarebbero potute successivamente insorgere. Forse, conoscendo lo stato danimo del destinatario del suo rap-

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porto, lambasciatore avrebbe dovuto usare una maggiore cautela. Vi per da chiedersi se e quanto una percezione pi chiara e meno ottimistica della posizione del grande alleato avrebbe potuto impressionare Nenni e trattenerlo dallandare comunque fino in fondo. In quel momento il suo problema non era Taiwan o il seggio cinese allONU o quel che in proposito gli Stati Uniti si aspettavano o pretendevano dallItalia 43. Il suo tormento lo si detto era il silenzio di Pechino. Un silenzio tattico, si osservava alla Farnesina 44, come quello che i cinesi avevano opposto e continuavano a opporre ai canadesi fin da quando, nel maggio del 1968, con una dichiarazione pubblica del primo ministro Trudeau, Ottawa aveva reso nota la sua volont di riconoscere la Cina popolare 45. Gaja suggeriva di non mostrare fretta, di lasciar trascorrere un ragionevole lasso di tempo prima di compiere ulteriori mosse 46. Nenni per non era disposto ad attendere, voleva anzi bruciare i tempi e forse anche battere gli stessi canadesi 47, riuscendo a raggiungere per primo un traguardo, che tra i grandi alleati degli Stati Uniti solo la Francia di De Gaulle era stata capace di guadagnare, dopo la prima piccola ondata di riconoscimenti nel 1950 48. Lo incoraggiava o meglio lo lusingava, visto che la consider un chiaro riferimento a s, la dichiarazione rilasciata dal segretario dellONU U Thant: ogni passo teso a riallacciare i rapporti con la Cina un contributo alla pace 49. In realt laccordo sarebbe stato concluso quasi due anni dopo e a distanza di tre settimane da quello cino-canadese. Quali i motivi? Occorre innanzitutto ricordare che in Italia in quellarco di tempo si avvicendarono ben quattro governi, i primi tre, di cui il secondo di soli democristiani, presieduti da Rumor e lultimo da Emilio Colombo50. Come logico, levoluzione dellintera vicenda risent di questa instabilit ministeriale e specialmente, a seguito della prima crisi51, del passaggio della direzione del Ministero degli esteri da Pietro Nenni a Aldo Moro. Tuttavia non sarebbe corretto considerare questi passaggi come i soli momenti di scansione per una possibile periodizzazione del lungo processo negoziale italo-cinese. A dettarne i tempi, accelerazioni e battute darresto, concorsero almeno altri due fattori: in primo luogo, lostinazione di Pechino nel porre come condizione pregiudiziale dellaccordo il riconoscimento della sua sovranit sul territorio di Taiwan e il disconoscimento del governo di Taipei e del suo diritto di ricoprire il posto alle Nazioni Unite; in secondo luogo, la coincidenza con gli annuali dibattiti allONU sulla questione del seggio cinese che inevitabilmente chiam in causa sia gli Stati Uniti52, sia altri paesi importanti, come lUnione Sovietica53 ma anche lAustralia54, il Giappone55 e, ovviamente, Taiwan56. Merita soffermarsi sul primo fattore, ovvero le condizioni poste dal governo cinese ma, beninteso, non perch se ne parli qui per la prima volta. Erano infatti le stesse condizioni opposte al governo canadese e di cui gi sapevamo grazie al lavoro di Greg Donaghy e John Hilliker57. Nuova, e forse poteva emergere solo dalla documentazione italiana, la constatazione che la rigidit negoziale nei confronti dellItalia e dello stesso Canada fu per molti aspetti una diretta conseguenza dellimpostazione data da Nenni alla questione. Da Nenni, non dalla diplomazia italiana. Fu lui, infatti, a gestire in prima persona, e tenendone del tutto alloscuro gli uomini della Farnesina, tutta la fase dei primi contatti con i rappresentanti cinesi e di avvio delle trattative. Nenni non sopportava le tattiche e i tempi della diplomazia. Ai fini del successo di un negoziato credeva valessero assai di pi ne aveva dato prova nel corso della sua precedente esperienza al Ministero degli esteri lapproccio diretto e le affinit, soprattutto se ideologiche, con linterlocutore. Per questo il silenzio del governo cinese di fronte al suo passo lo inquietava tanto. Temeva che un problema per lui cos importante per i cinesi fosse solo una bazzecola da lasciar cadere58. Non lo sfior neppure il pensiero che

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la normalizzazione dei rapporti con lItalia potesse rappresentare per Pechino un obiettivo rilevante in quella sua nuova fase di rilancio della politica estera, dopo gli anni blindati della rivoluzione culturale. Di qui la sua scelta di mettere da parte la diplomazia, o meglio quei diplomatici che insistevano con i richiami alla prudenza59, e di fare ricorso ad altri canali 60. Da quel momento, e per tutto larco della sua permanenza alla direzione degli Esteri, Nenni gest la questione personalmente, impegnando alla massima segretezza i pochi diplomatici ai quali fece ricorso. Pertanto, nelle carte conservate in quellArchivio i riferimenti alloffensiva diplomatica lanciata per sollecitare una risposta al passo del 24 gennaio sono inevitabilmente scarsi e sporadici, cos come sono esigue le tracce rimaste dei primi incontri italo-cinesi che si tennero a Parigi e a Roma durante la sua gestione tra la fine del mese di febbraio e la seconda met di marzo del 1969. Questi pochi riferimenti tuttavia, insieme ad alcune annotazioni contenute nel suo diario, permettono di capire quale fu lapproccio di Nenni e quali problemi sorsero in questa prima fase negoziale 61. Sappiamo innanzitutto che i canali esplorati furono due: la delegazione commerciale cinese a Roma e lambasciata della Cina popolare a Parigi. Il primo canale fu sondato da Dino Gentili e la mossa non si rivel tra le pi abili: la qualit dellintermediario e gli interessi che egli rappresentava enfatizzavano eccessivamente limportanza che Nenni assegnava alle pressioni degli ambienti economici e daltra parte non era realistico attendersi che i dirigenti cinesi fossero disposti a comunicare i propri orientamenti attraverso un ufficio commerciale. Non sorprende perci che tutto quanto Gentili avesse ricavato con la sua domanda vi interessa quanto ha detto Nenni? fosse lomaggio del libretto rosso di Mao significativamente sottolineato nel passo che dice dobbiamo sforzarci di stabilire con tutti i paesi che desiderano vivere in pace con noi normali relazioni diplomatiche basate sul rispetto reciproco per lintegrit territoriale e la sovranit nella eguaglianza 62. I contatti con il secondo canale furono presi dallambasciatore a Parigi Franco Malfatti, per incarico diretto e riservatissimo dello stesso Nenni 63, perci non dato conoscere n quando n in quali termini 64. Sappiamo per che i suoi passi conseguirono il risultato e che l8 di febbraio, appena ricevuta, tramite lambasciata cinese a Parigi, la risposta di Pechino contenente le tre precondizioni dianzi citate, Malfatti fece una corsa quasi clandestina a Roma per consegnarla personalmente nelle mani di Nenni 65. Sappiamo inoltre che tali condizioni non destarono nel ministro particolari preoccupazioni tant che previde di poter chiudere questo capitolo prima che Nixon [giungesse] a Roma (vale a dire entro la prima settimana di marzo): il fatto compiuto annot nel diario [avrebbe tagliato] la testa al toro 66. Infine conosciamo la risposta da lui trasmessa ai cinesi lo stesso 8 febbraio ancora per il tramite di Malfatti. importante riportarla qui: faccia presente furono le sue istruzioni che il ministro Nenni ha preso liniziativa di stabilire normali rapporti diplomatici con la Repubblica Popolare Cinese, sapendo che esiste una sola Cina e conoscendo quindi tutte le conseguenze che ne derivano nei confronti sia della rappresentanza di Taiwan a Roma, sia del seggio cinese allONU 67. Ora, quali altre deduzioni avrebbe potuto trarre da queste secche affermazioni la sofisticata diplomazia cinese se non che il governo italiano era disponibile ad accettare le sue condizioni cos nella sostanza come nella forma? Qui, in effetti, sta il primo e forse pi importante nodo critico della questione: nella rigidit negoziale che inevitabilmente latteggiamento di Nenni gener da parte del governo cinese. Una rigidit applicata nei confronti non solo dellItalia ma anche dello stesso Canada, con il quale Pechino, non a caso appena ricevuta la risposta da parte italiana, ruppe improvvisamente il silenzio, durato quattordici mesi, accettando la proposta di aprire i negoziati a Stoccolma 68. Si verific in sostanza ci che Gaja aveva

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ampiamente previsto: la disinvoltura con cui era stata affrontata la questione aveva non solo ridotto drasticamente la forza contrattuale dellItalia ma anche offerto alla diplomazia cinese una inaspettata mano daiuto per indebolire, in misura altrettanto pesante, la posizione del governo canadese, che fino ad allora era rimasto fermamente attestato sulla proposta di un riconoscimento incentrato sulla teoria delle due Cine 69. Non senza ragione, Pechino poteva muovere dal presupposto che il governo italiano, pur di concludere laccordo in tempi rapidi, fosse disposto a pagare il prezzo richiesto, quel prezzo che a suo tempo la Cina non era riuscita a incassare da De Gaulle e che neppure Trudeau era parso disposto a sostenere: Taiwan. Ma se lItalia era pronta a cedere su questo punto anche il Canada sarebbe stato costretto a concederlo a sua volta. Beninteso, n Roma n Ottawa avrebbero potuto dare Taiwan alla Cina e, di per s, una loro presa di posizione sul problema non avrebbe avuto unimportanza risolutiva. Tuttavia il governo cinese considerava essenziale aprire questa sua nuova fase diplomatica che in un futuro non lontano avrebbe potuto portare anche alla regolamentazione dei rapporti con Washington e, prima o dopo, anche con Tokio e con Canberra dando vita a un precedente che sancisse, in termini inequivocabili, il suo rifiuto della teoria delle due Cine e i suoi diritti su Taiwan. Sorge a questo punto un interrogativo. Nenni davvero consider come accettabili le condizioni poste? Nella sostanza senza dubbio s. Nella forma sembrerebbe di no. Egli riteneva ovvio che esistesse una sola Cina e che il riconoscimento del governo di Pechino avrebbe implicato per lItalia sia la rottura con Taipei sia, nella sede dellONU, lappoggio alla mozione presentata dallAlbania. Per questo non si era preoccupato di chiarire, nella sua risposta dell8 febbraio, che non sarebbe stato disponibile e non lo era specie sulla questione della sovranit di Taiwan 70 a farne loggetto di esplicite dichiarazioni nel documento che avrebbe sancito lo stabilimento delle relazioni diplomatiche. Questo aspetto fu chiarito solo pi avanti, quando il negoziato ebbe formalmente inizio e risult evidente che Pechino dava alla forma tanto peso quanto alla sostanza e pertanto non avrebbe rinunciato a ci che la primitiva risposta giunta dallItalia aveva fatto ritenere come acquisito: il riconoscimento esplicito dei suoi diritti su Taiwan e sul seggio allONU come la premessa e non come una logica conseguenza dellaccordo 71. A quel punto, ma solo a quel punto, Nenni si irrigid 72, dopo aver persino sopportato che i cinesi imponessero lo spostamento della sede del negoziato da Parigi a Roma 73, dove evidentemente erano persuasi di disporre di interlocutori pi malleabili di quanto non si fossero mostrati Malfatti e il ministro Gardini con i quali le trattative avevano preso lavvio 74. Il suo rifiuto giungeva per troppo tardi 75. I negoziatori cinesi avevano ormai maturato la certezza: la fretta avrebbe comunque indotto lItalia a cedere e il Canada a seguirla. Sarebbe bastato interrompere luna e laltra trattativa e aspettare. Fu ci che accadde alla fine di aprile 76. La seconda fase della vicenda si caratterizz in modo nettamente differente dalla prima per molti aspetti. Diverso fu innanzitutto lapproccio di Moro quando, nellestate del 1969, la questione pass nelle sue mani 77. Tanto Nenni era stato impulsivo, ideologico, insofferente alla prassi diplomatica, precipitoso circa le implicazioni delle sue mosse, tanto Moro si rivel cauto, freddo, attento alle analisi dei diplomatici e rispettoso dei loro pareri, specie quando si trattava di Roberto Gaja, subito nominato segretario generale 78, o del successore di questi nella Direzione degli affari politici Roberto Ducci 79. Beninteso, anche Moro considerava il riconoscimento del governo di Pechino nellordine naturale delle cose 80 ed era sensibilissimo alle pressioni interne, che oltretutto nel frattempo si erano fatte ancora pi irresistibili. Non per questo per e qui stava la maggiore differenza con

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Nenni ne sottovalutava lestrema criticit sul piano internazionale: i riflessi allONU 81; il rapporto con la delicatissima fase in cui era impegnata la politica estera statunitense; lincidenza sulle relazioni dellItalia con Mosca e pi in generale sul progetto di una conferenza per la sicurezza in Europa nel quale si sentiva fortemente impegnato e che ambiva a trasformare in uno dei momenti pi qualificanti la sua politica estera 82. Cambi di conseguenza la gestione del negoziato, che di nuovo veniva affidato allambasciata a Parigi, ma sotto la supervisione assidua e attentissima di Gaja, di Ducci e dello stesso Moro. Cambi la percezione dellimportanza che avrebbe potuto avere per Pechino il riconoscimento dellItalia e per Washington la possibilit sono le parole di Moro che una nostra azione troppo innovativa trascini altri e produca reazioni avverse 83. Mut anche latteggiamento nei confronti della richiesta insistentemente avanzata dai canadesi invano fino a che Nenni aveva retto il Ministero di uno scambio costante di informazioni in merito ai rispettivi negoziati. A differenza del suo predecessore, Moro non puntava a fare a chi arriva prima ma piuttosto a impedire che il negoziato italo-cinese fosse complicato o indebolito da quello cino-canadese 84. Notevolmente diverso in questa seconda fase si rivel anche latteggiamento di Pechino 85. Molteplici ragioni spingevano a questo punto i dirigenti cinesi ad accelerare i tempi dellingresso al Palazzo di vetro nei cui confronti avevano sempre manifestato indifferenza e persino disprezzo 86: laggravata tensione con Mosca, giunta nel corso dellestate sino alla minaccia di un attacco sovietico alle postazioni nucleari cinesi, il peggioramento delle condizioni di salute di Mao e la preoccupazione che il dopo Mao trovasse ancora la Cina isolata; le condizioni estremamente precarie delleconomia e la conseguente necessit di espandere il commercio con lestero in funzione soprattutto del rilancio dellindustria pesante; infine, il rafforzamento di Taiwan allONU con lappoggio del blocco sovietico 87. Quali le conseguenze di questa nuova situazione? Innanzitutto ne risult rovesciata limportanza del fattore tempo. Era il governo di Pechino a quel punto a desiderare di concludere le trattative al pi presto per far s che al momento della discussione sul seggio cinese allONU il riconoscimento fosse un fatto acquisito 88. In queste condizioni, lItalia sarebbe stata costretta Nenni laveva gi impegnata in tal senso 89 a rovesciare la propria posizione di voto. La mozione albanese sulla quale si era sempre dichiarata contraria avrebbe avuto il suo appoggio e lo avrebbe invece perso quella relativa al carattere importante della questione con cui gli Stati Uniti, fino ad allora, erano riusciti a bloccare la situazione. E se altri avessero seguito lesempio italiano (il Canada ma anche il Belgio e il Cile con i quali i contatti erano gi in corso) il risultato, non certo ma possibile, di un tale effetto domino sarebbe stato lestromissione di Taiwan dallONU e la conquista del seggio al Consiglio di Sicurezza gi a partire dalla ormai prossima sessione di novembre. Tanto era importante per Pechino creare queste nuove condizioni allONU, quanto lo era per Washington ma anche per Canberra, per Tokio e per la stessa Mosca impedire che si realizzassero. Sarebbe bastata una manciata di voti sottratti alla loro mozione e gli Stati Uniti si sarebbero trovati di fronte al fatto compiuto con una sola alternativa, accettarlo o opporsi, comunque devastante per la strategia triangolare pensata da Nixon e da Kissinger, tutta impostata sullambivalenza dei rapporti con i due governi comunisti 90. Nel primo caso, considerato dal Dipartimento di Stato ai limiti del possibile 91, Pechino ne avrebbe ricavato uno straordinario vantaggio negoziale; Mosca avrebbe sospettato una manovra di accerchiamento orchestrata dagli stessi Stati Uniti, traendone le dovute conseguenze in tema di disarmo; Taiwan e gli altri alleati dellarea, specialmente il Giappone, si sarebbero sentiti ancor pi incoraggiati ad avvicinarsi allUnione Sovietica per controbilanciare un presunto

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fronte cino-americano. Nel secondo caso, il pi probabile e a pi riprese preannunciato dal Dipartimento di Stato 92, la carta cinese sarebbe bruciata nelle mani degli Stati Uniti prima ancora di essere stata giocata, e lONU, gi in difficolt, avrebbe subito un trauma tale da comprometterne la stessa esistenza. Alla fine di settembre, quando, su sollecitazione dellambasciata cinese a Parigi, i contatti italo-cinesi (e italo-canadesi) ripresero 93, risult subito evidente che Pechino sarebbe stata disponibile a cedere su qualche aspetto formale della dichiarazione di riconoscimento pur di assicurarsi in sede ONU lappoggio dellItalia 94. Per Moro la situazione si presentava tuttaltro che facile. Il governo italiano scrisse un governo monocolore esposto al vento (i comunisti, ora anche gli stessi socialisti, lestrema sinistra maoista e lestrema destra incoraggiata dalla CIA) 95 non pu permettersi errori 96. In effetti, la diplomazia statunitense aveva ribadito in ogni forma il concetto espresso a suo tempo rudemente da Rogers a Nenni: un rovesciamento di fronte da parte dellItalia nella questione del seggio cinese allONU sarebbe equivalso a uno sputo in un occhio che gli Stati Uniti non avrebbero potuto far finta trattarsi di pioggia 97. E dellappoggio di Washington la Democrazia Cristiana in quel momento pi che mai aveva bisogno 98. Anche Mosca, da parte sua, e con inusuale insistenza, aveva lasciato capire di non essere interessata a una soluzione rapida della questione cinese. Alla Farnesina non era sfuggita la ragione di tanta insistenza e, di conseguenza, il valore che avrebbe potuto assumere al cospetto dei sovietici un gesto amichevole da parte italiana: lingresso della Cina popolare allONU presupponeva il riconoscimento dei sui attuali confini con lUnione Sovietica e quindi, possibilmente, in virt delloccupazione militare, della sua sovranit sulle aree oggetto della controversia in atto. Nello stesso tempo in proposito Moro non aveva dubbi lItalia, una volta stabilite normali relazioni diplomatiche con la Cina, non avrebbe potuto non tenere un comportamento coerente in sede di Nazioni Unite. Nel caso contrario le reazioni di Pechino sarebbero potute essere molto pesanti e la Dc ne avrebbe pagato le conseguenze nei rapporti sia con i socialisti, con i quali sperava di poter dare vita quanto prima a un nuovo governo quadripartito, sia con il mondo dellimpresa, sia, infine, con parti ormai molto vaste dellopinione pubblica e del suo stesso elettorato 99. Difficile scegliere tra due opzioni luna pi dellaltra carica di implicazioni negative. Occorreva una via duscita e Moro e i suoi diplomatici non si pu fare a meno di riconoscerlo furono molto abili luno nellindividuarla e gli altri nel prepararla con cura e determinazione: il rallentamento del negoziato cos che, al momento della discussione allONU, lItalia non avesse ancora contratto vincoli n formali n di sostanza nei confronti di Pechino. In queste condizioni, avrebbe potuto conservare lappoggio alla mozione procedurale statunitense e limitare allastensione sulla mozione albanese le sue concessioni alla Cina 100. Il successo di questa mossa tattica presupponeva per che anche il Canada tenesse la stessa linea e ci, considerato il desiderio di concludere subito laccordo con i cinesi che Trudeau continuava a manifestare, non poteva affatto essere dato per scontato. Apposta Moro, prima ancora che gli fosse suggerito dai suoi collaboratori, aveva pensato a una sua visita a Ottawa per affrontare la questione direttamente con il ministro degli Esteri Sharp 101. Lincontro tra i due ministri si tenne il 16 ottobre e rivel diverse, e interessanti, differenze di valutazione 102 ma anche una sostanziale convergenza sui punti che maggiormente interessavano alla diplomazia italiana: lappoggio alla mozione statunitense anche nellipotesi che al momento del voto il Canada si fosse trovato nella condizione di aver gi riconosciuto il governo di Pechino 103; limpegno, in ogni caso, a concludere in tempi brevi le rispettive trattative in modo da non dare ossigeno ai sostenitori di Taiwan negli Stati Uniti e rafforzare invece con gli esempi del Canada e dellItalia coloro i quali volevano il cambiamento 104.

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Ai primi di novembre, raggiunta la definitiva certezza che il Canada non si sarebbe discostato dalla linea concordata 105, Moro pot finalmente attuare i suoi propositi. Ordin allambasciatore Vinci alle Nazioni Unite lastensione sulla mozione albanese e lappoggio a quella statunitense 106 e, contemporaneamente, affid a Ortona e a Malfatti il compito di sottolineare nel giusto valore 107 ai rispettivi interlocutori il significato della posizione che lItalia avrebbe assunto: il passo indietro rispetto alle primitive posizioni di Nenni, per andare incontro alle attese dellalleato; il passo avanti nella direzione voluta da Pechino, quale gesto chiaramente interlocutorio fino a quando il negoziato non avesse raggiunto il suo esito favorevole 108. Nenni critic aspramente Moro per aver compiuto questa scelta 109, forse senza rendersi conto che il suo successore aveva trovato una via diversa e forse migliore per raggiungere lobiettivo che tanto premeva a entrambi. Il governo italiano non aveva tagliato i ponti con Pechino e anzi aveva recuperato vantaggio, avendo potuto dimostrare che il fattore tempo non aveva pi, o meglio, non aveva mai avuto quel peso che i passi compiuti in precedenza erano parsi avergli attribuito. Nello stesso tempo aveva tenuto conto delle preoccupazioni di Washington ma non fino al punto da farsene paralizzare. Aveva rispettato i suoi desiderata quanto bastava per aspettarsi e non sarebbe rimasto deluso una adeguata manifestazione di apprezzamento che lasci intendere Ortona, trattando insieme le due questioni con il Dipartimento di Stato si sarebbe potuta tradurre nellattribuzione allItalia di un seggio nellAgenzia internazionale per lenergia atomica 110 e, soprattutto, nella rinuncia da parte degli Stati Uniti al ritiro dei propri contingenti dalle basi di Verona, Vicenza e Livorno 111. Infine aveva acquisito meriti agli occhi di Mosca 112, di Canberra 113, di Tokio e della stessa Taipei che in varie occasioni nel corso della sessione dellONU avevano manifestato preoccupazione Tokio con un passo personale del ministro degli esteri Aichi 114 per le conseguenze di un mutamento troppo repentino della situazione. Rinviato di un anno il nodo critico del seggio cinese alle Nazioni Unite, Moro poteva finalmente concentrarsi sul contenuto del documento che avrebbe dovuto formalizzare laccordo di reciproco riconoscimento. Il suo obiettivo massimo era una formula non discriminante, che possibilmente riproducesse quella usata a suo tempo dalla Francia: una dichiarazione congiunta limitata a sancire il riconoscimento diplomatico e a prevedere lo scambio degli ambasciatori entro tre mesi dallaccordo. In aggiunta, rispettive dichiarazioni (non pubbliche) avrebbero spiegato i punti di vista dei due governi sulle questioni di Taiwan e del seggio cinese allONU 115. Lultima trincea era non concedere a Pechino niente di pi di quanto fosse stata disposta a concedere Ottawa e quindi molto meno di quanto Nenni non avesse gi concesso e cio tutto quanto i cinesi chiedevano e che ancora oggi da essi reclamato annot Moro con evidente sconcerto l8 novembre, quando finalmente Gaja fu in grado di presentargli un quadro dettagliato delle mosse segrete del suo predecessore 116. Tre sono gli aspetti che merita rilevare relativamente a questultima fase caratterizzata da una serie ininterrotta di contatti informali 117 e da quattro incontri ufficiali, essenzialmente incentrati sulla formula dellaccordo, il 4 e l8 dicembre del 1969 e il 2 e il 5 novembre del 1970. Primo, la fedelt alla linea concordata con i canadesi 118: costante scambio reciproco di informazioni 119 e fermezza di fronte alle pressioni di Washington (avr tutto il tempo si erano detti Moro e Sharp per adeguare, se lo vuole, le proprie posizioni prima della prossima sessione delle Nazioni Unite) 120. Secondo, lattenzione per Mosca, che Moro volle fosse tenuta informata degli sviluppi delle trattative in termini persino pi espliciti di quelli usati con Washington per evitare anche la sola impressione di una qualsiasi presa di posizione italiana nei confronti del contrasto tra lUnione Sovietica e la Cina 121. Terzo, la volont

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di giungere al riconoscimento della Cina popolare presto e simultaneamente al Canada 122 oppure, e meglio ancora, subito dopo 123, ma non prima del Canada 124. La strategia diplomatica dellItalia per conseguire lobiettivo di un accordo rapido e allo stesso tempo non traumatico per i suoi rapporti internazionali fu tutta incentrata su questultimo punto. Impostata da Moro e sapientemente elaborata in ogni aspetto tattico da Gaja, Ducci e Malfatti, si basava su di unanalisi estremamente lucida vuoi degli obiettivi perseguiti dai dirigenti cinesi, vuoi della forza negoziale di cui disponeva in quel momento lItalia. Queste in sintesi le considerazioni dalle quali muoveva. Pechino era determinata a creare il precedente per Taiwan e perci sarebbe pervenuta a un accordo solo se la questione della sua sovranit sullisola in un modo o nellaltro fosse stata menzionata nella dichiarazione congiunta 125. Il governo italiano voleva concludere presto, prima della prossima sessione dellONU, per evitare complicazioni analoghe a quelle che si erano presentate nella precedente. Ancora pi fretta aveva e mostrava il governo di Ottawa, interessato a consolidare con un accordo formale gli importanti scambi commerciali con la Cina: sapeva che il Canada mai avrebbe potuto trovare uno sbocco altrettanto vasto e geograficamente comodo per piazzare le proprie eccedenze se, nel frattempo, Pechino avesse dovuto sostituirlo con lAustralia o con gli stessi Stati Uniti. Il governo di Roma per i cinesi lo sapevano bene era sottoposto a pressioni interne assai pi pesanti e soprattutto, rispetto al Canada, il peso internazionale dellItalia e la sua capacit di influenzare gli Stati Uniti erano inferiori. Ineccepibili le conclusioni tratte da questanalisi: lItalia era, seppure di poco 126, in una condizione negoziale pi debole di quella del Canada. Non poteva sperare perci di ottenere condizioni pi vantaggiose ma neppure avrebbe dovuto trovarsi nella situazione di subirne di pi pesanti: sarebbe apparsa allopinione pubblica interna ingiustificatamente discriminata e avrebbe attirato soltanto su di s laccusa di aver indebolito le posizioni occidentali nei negoziati presenti e futuri con la Cina 127. Di qui la decisione di operare affinch i due negoziati potessero concludersi simultaneamente 128 e laccordo italo-cinese essere sottoscritto contemporaneamente o immediatamente dopo quello cino-canadese. In tal modo, nessuno, n lOccidente n il mondo legato a Mosca n i paesi asiatici amici, avrebbe potuto accusare lItalia di aver abbandonato per prima una posizione che il Canada aveva invece voluto difendere 129. Certo, lopposizione di sinistra avrebbe potuto far carico al governo di essersi mosso da gregario rispetto a quello canadese, ma la tattica elaborata dalla diplomazia italiana puntava a neutralizzare anche questa accusa. Merita sintetizzarne qui i passaggi cruciali. Stabiliti con Ottawa i limiti entro i quali mantenersi nelle concessioni a Pechino, si sarebbero lasciati andare avanti i canadesi, contando sul maggiore interesse dei cinesi a verificare che cosa sarebbero riusciti a spremere da quel governo 130. Non appena si fosse avuta la certezza di una conclusione imminente del negoziato cino-canadese, lItalia avrebbe presentato ai cinesi una proposta di comunicato congiunto meno avanzata di quella che si fosse appurato essere stata accettata da Ottawa. Quando sulle telescriventi fosse apparsa la notizia dellaccordo cino-canadese, la Farnesina avrebbe emanato un commento volto a informare lopinione pubblica di come anche il governo di Roma fosse sul punto di concludere e, contemporaneamente, avrebbe reso nota a tutti, per via diplomatica, la proposta meno avanzata presentata a suo tempo ai cinesi: sarebbe cos risultato chiaro che lItalia, se arrivava per seconda, era perch si era dimostrata pi tenace nel difendere le sue posizioni. Subito dopo Malfatti avrebbe proposto ai suoi interlocutori a Parigi di fissare a brevissima scadenza una data per la conclusione dellaccordo, spingendo per la soluzione meno avanzata ma pronto a ripiegare sulla formula canadese se i negoziatori cinesi si fossero mostrati irremovibili 131.

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Come si vede, tutta la strategia era impostata su un accorto uso tattico del fattore tempo. Qui per una serie di eventi non prevedibili, o sui quali comunque la diplomazia italiana pot incidere assai poco, giunse a rendere le cose pi complicate di quanto non si fosse pensato. Dapprima vi fu la crisi di governo si protrasse dallinizio di febbraio fino allaprile del 1970 che rese lItalia un interlocutore non valido, per cui tutta lattenzione dei cinesi si spost sul Canada del quale, date le circostanze, essi davano per scontata, oltre che la volont, la maggiore capacit politica di pervenire a una conclusione rapida del negoziato 132. Poi venne lintervento degli Stati Uniti in Cambogia che obblig Pechino a interrompere per alcuni mesi i contatti sia con gli uni sia con gli altri affinch non si pensasse che la vivace reazione di Mao alliniziativa americana fosse solo di facciata come in effetti in gran parte era 133. Ancora, a luglio, arriv la terza crisi di governo che di nuovo, per oltre un mese, comport per lItalia il ruolo di interlocutore non attendibile, proprio nel momento in cui Pechino, ritenuto ragionevole il lasso di tempo trascorso dagli eventi cambogiani, si era resa disponibile a riprendere i negoziati 134. Infine, quando la crisi si risolse, il presidente del Consiglio non era pi Mariano Rumor, con il quale Moro aveva potuto impostare sulla questione cinese un ottimo gioco di squadra. Al suo posto si era insediato Emilio Colombo, assai riluttante sulle prime ad accondiscendere allinvio ai cinesi della controproposta nel frattempo fatta elaborare da Moro 135 e ci non perch non ne condividesse lo spirito e la lettera ma perch avrebbe preferito avere la certezza dellapprovazione da parte di Washington. Il suo consenso dopo molti tentennamenti alla fine fu ottenuto ma solo il 14 ottobre: il giorno dopo lemanazione del comunicato congiunto cino-canadese che annunciava lo stabilimento delle relazioni diplomatiche 136. Inevitabili alcune conseguenze di questo ritardo. La Farnesina, non avendo ancora trasmesso ai cinesi la sua proposta meno avanzata, altro non riusc a opporre alle critiche della sinistra per limmobilismo del governo se non una generica assicurazione che i contatti italo-cinesi proseguivano 137. Venne meno anche ogni appiglio per resistere alle condizioni ultimative poste da Pechino per riprendere il negoziato: nessuna concessione che non fosse stata fatta ai canadesi e tempi brevissimi per la conclusione 138. Di nuovo la situazione si presentava piuttosto complicata 139. Diversamente dallautunno precedente, per, ci era stato in buona parte previsto e non colse Moro impreparato: 140. Ne fu invece molto turbato Colombo, il quale, assai pi desideroso di compiacere Washington, avrebbe voluto trarne lo spunto per procrastinare la conclusione dellaccordo 141. Approssimandosi la sessione dellONU ecco la terza conseguenza del ritardo accumulato la diplomazia statunitense era infatti tornata alla carica, concentrando le sue pressioni su Colombo, apparso subito come il punto debole del fronte di resistenza oppostole da Moro 142. Questa volta per non ricorreva soltanto alle minacce ma anche alle lusinghe: rinunciasse il governo italiano a concedere il riconoscimento alle condizioni poste da Pechino e usasse del negoziato per insistere sulla soluzione delle due Cine o anche come suggerito dagli esperti legali del Dipartimento di Stato per saggiare la reazione dei cinesi di fronte a una soluzione incentrata su una Cina e una Taiwan res nullius, della cui sovranit, al momento opportuno, si sarebbe potuto decidere in sede internazionale 143. In tal modo questo largomento forte che avrebbe dovuto persuadere non il solo Colombo ma anche Moro la diplomazia italiana si sarebbe trasformata in un ponte per tutti, a cominciare dagli Stati Uniti. Naturale domandarsi se davvero il Dipartimento di Stato avrebbe voluto assegnare allItalia questo ruolo ovvero se largomento fosse stato abilmente introdotto soltanto per impedire che proseguendo lItalia nella sua iniziativa si venissero a creare le condizioni per un rovesciamento di fronte allONU. Entrambe le ipotesi presentano aspetti interessanti per cui merite-

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rebbe fossero indagate: la prima per il suo carattere di novit nel quadro del complesso lavorio diplomatico che precedette i primi contatti diretti tra Washington e Pechino; la seconda perch darebbe modo di meglio quantificare limportanza attribuita dal Dipartimento di Stato alla manifestazione di autonomia data in questa circostanza dalla diplomazia italiana. In attesa di una verifica sulla documentazione statunitense dobbiamo limitarci a riflettere sullunico elemento del quale disponiamo: la domanda provocatoria di Ortona al sottosegretario Alexis Johnson, si pu accennare ai cinesi di questa nuova disposizione danimo degli Stati Uniti? e la risposta imbarazzata di questultimo tale aspetto della questione deve restare confidenziale 144. Non dato sapere con certezza quali conclusioni avesse tratto Ortona da questa risposta ma di sicuro non uno spunto per soprassedere sulle istruzioni ricevute da Moro il 30 ottobre 145: nessun rinvio del riconoscimento e nessun impegno circa il voto allONU ma solo lassicurazione che lItalia non avrebbe influenzato le posizioni degli altri paesi e avrebbe usato dei contatti con i cinesi per agevolare i propositi degli Stati Uniti 146. Laccordo italo-cinese fu perfezionato il 5 novembre e reso pubblico il giorno successivo. In proposito appaiono opportune alcune considerazioni. La storiografia canadese ha posto in rilevo labilit di cui diede prova Ottawa chiudendo, nellultimissima fase del suo negoziato, ogni comunicazione con Washington per non subirne le pressioni. Lo stesso rilievo merita, nel nostro caso, il comportamento della diplomazia italiana, che a queste pressioni seppe resistere nonostante la posizione di maggiore debolezza rispetto al grande alleato. Ugualmente appare rimarchevole il modo in cui, nella circostanza delicatissima creata dalla coincidenza tra la seconda fase dei contatti italo-cinesi e la sessione delle Nazioni Unite nellautunno del 1969, Moro riusc a superare la difficile impasse di fronte alla quale si era trovato e a trasformarla su tutti i fronti in una situazione di vantaggio per lItalia. Aveva allargato la breccia aperta da Nenni nel muro di veti costruito da Washington, recuperato i punti persi con Pechino a causa delle mosse troppo precipitose e ingenue di questi e, per il senso di responsabilit di cui aveva dato prova, procurato al governo italiano la gratitudine di paesi importanti. Ancora, non si pu fare a meno di apprezzare la sapiente mediazione operata da Moro tra le esigenze della politica estera e quelle della politica interna, specie se si considera che proprio in quei mesi la tensione in Italia aveva raggiunto il suo momento pi drammatico con le due devastanti stragi di Milano e di Roma dietro alle quali erano in molti, allora, a ritenere potessero esservi, a seconda dei casi, la CIA , il KGB o Pechino. La sua strategia, pur in parte minacciata dalle reticenze di Colombo, diede frutti sia allinterno sia allesterno. In Italia, il riconoscimento della Cina popolare fu accolto favorevolmente da tutte le forze politiche (salvo, ovviamente, che dallestrema destra) 147. Negli Stati Uniti, le reazioni andarono al di l di ogni pi rosea aspettativa 148. Il Dipartimento di Stato non pot fare a meno di dare atto a Ortona della lentezza con cui Washington si era mossa di fronte alla realt 149, e la stampa di ogni parte, salvo quella ormai marginale pi vicina alla Taiwan Lobby, indic lItalia come un esempio da seguire per unevoluzione della politica degli stessi Stati Uniti nei confronti della Cina 150. Di pi, ne trasse lo spunto per sollecitare lAmministrazione a rinunciare allostruzionismo in sede ONU e a concentrarsi piuttosto sulla soluzione da dare al problema di Taiwan. E questo, oggi possiamo darlo per certo, dovette suonare come musica per le orecchie di Nixon, il quale, al cospetto dei segnali di apertura lanciati dai dirigenti cinesi, aveva proprio bisogno di una spinta dellopinione pubblica per cominciare a prendere le distanze da Taipei e dare consistenza alla sua manovra di avvicinamento a Pechino. Vi infine un ultimo aspetto da sottolineare: nonostante le premesse e nonostante liniziale arroganza mostrata dai negoziatori cinesi nellultima fase 151, lItalia sottoscrisse una

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dichiarazione congiunta meno pesante di quella imposta a Ottawa. Tra le due dichiarazioni cambiava solo una parola, ma era una parola che segnava una grande differenza: a proposito della sovranit su Taiwan, il governo canadese aveva dovuto prendere atto della posizione di Pechino; quello italiano semplicemente della sua dichiarazione 152. Questo risultato non per ascrivibile unicamente allabilit della diplomazia italiana, che pure aveva saputo mostrarsi allaltezza della straordinaria abilit di quella cinese 153. Anche il governo di Pechino era interessato a una dichiarazione congiunta che si diversificasse da quella appena sottoscritta con il Canada 154, probabilmente al fine di creare un nuovo precedente che manifestasse a chi, dopo lItalia, avesse voluto stabilire normali relazioni diplomatiche con la Cina come la formula del riconoscimento non fosse immodificabile: sarebbe potuta divenire pi rigida, ma anche, come dimostrava il caso dellItalia, pi morbida 155. Si pu parlare di un messaggio diretto a Washington? La certezza potrebbe venire solo dalla documentazione cinese 156. Laspetto qui rilevante che in quel momento tutti, negli Stati Uniti 157 e altrove, fossero persuasi che la diplomazia italiana era stata pi accorta di quella canadese: non si era precipitata a riconoscere la Cina Popolare e aveva ottenuto condizioni migliori. Unultima osservazione. Pochi giorni dopo, allONU, lItalia vot a favore della mozione albanese e, allo stesso tempo, nonostante laccordo raggiunto con Pechino, conserv il proprio appoggio a quella statunitense 158. Certamente, per un atto damicizia nei confronti del grande alleato 159, ma non solo per questo. Moro era davvero convinto che il seggio cinese fosse una questione importante e che perci a deciderne dovesse essere una maggioranza qualificata se non si voleva infliggere un colpo mortale allOrganizzazione 160. Rappresaglie da Pechino? Si direbbe proprio di no. Qualche mese dopo una delegazione del governo italiano, accolta in Cina con tutti gli onori, pose le premesse dellaccordo commerciale perfezionato nellottobre del 1971, a distanza di soli quattro giorni dalla conclusione della vicenda allONU 161. Fu un accordo piuttosto vantaggioso: il primo di durata triennale sottoscritto dalla Repubblica Popolare Cinese con un paese del MEC 162.
NOTE
1) G. Bressi, Riflessi del rapporto Washington-Pechino, in Relazioni Internazionali, 1970, p. 1118. 2) Cfr. A. Campana, Sitting on the Fence: Italy and the Chinese Question. Diplomacy, Commercy and Political Choices, 1941-1971, Firenze, Graficalito, 1995, pp. 44-53. 3) Alle prime riflessioni sullargomento, Bressi fece seguire una serie di articoli, tra il 1970 e il 1971, in cui offriva una ricostruzione piuttosto informata della vicenda delle relazioni o non relazioni tra lItalia e la Cina Popolare a partire dal 1949 (si veda in Relazioni internazionali, 1970, p. 1067, p. 1118, p. 1170; e 1971, p. 10, p. 35, p. 57). Di questa ricostruzione si largamente avvalso Luigi Vittorio Ferraris ma, con la prudenza di cui informa la sua opera quando affronta questioni non ancora indagate su fonti primarie, senza avventurarsi in giudizi di merito (Manuale della politica estera italiana 1947-1993, Roma-Bari, Laterza, 1996, pp. 304-307). 4) Cfr. C.M. Santoro, La politica estera di una media potenza, Bologna, Il Mulino, 1991, pp. 202-204; S. Romano, Guida alla politica estera italiana. Da Badoglio a Berlusconi, Milano, Rizzoli, 2002, pp. 161-163; L. Saiu, La politica estera italiana dallUnit a oggi, Roma-Bari, Laterza, 1999, p. 130 e p. 132. Si ha limpressione che, in assenza di ricostruzioni storiografiche basate sulle fonti, tali giudizi siano stati influenzati assai poco dagli elementi forniti dalla memorialistica italiana (peraltro scarsa) e ben di pi dalle suggestioni provenienti da testimonianze di protagonisti di altri paesi e specialmente da quella di Henry Kissinger (cfr. H. Kissinger, White House Years, Boston, Little Brown & Company, 1979, pp. 100-104). Questa considerazione vale in particolar modo per Sergio Romano (cfr. Guida alla politica estera italiana cit., p.167). 5) Cfr. A. Varsori, LItalia nelle relazioni internazionali dal 1943 al 1992, Roma-Bari, Editori Laterza, 1998, p. 180. 6) Molto opportunamente, Luigi Vittorio Ferraris, nellintroduzione al suo utilissimo Manuale della politica estera italiana (cit., pp. VI-VIII) esorta gli studiosi a concentrasi non sui fatti in se stessi ma sui centri decisionali che hanno concorso a produrli, ci affinch lo studio della politica estera sia anche utile a indicare comportamenti e obiettivi definiti in termini di interesse nazionale.

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7) la direzione di ricerca da tempo intrapresa specialmente da Ennio Di Nolfo, Antonio Varsori, Leopoldo Nuti e, pi di recente, Bruna Bagnato con i lavori incentrati sulla politica estera italiana dal secondo dopoguerra in poi. 8) I documenti relativi al periodo qui considerato conservati presso lArchivio Storico del Ministero degli Affari Esteri (dora in poi ASMAE) non sono stati ancora ordinati secondo la collocazione archivistica. Pertanto saranno citati con la sola indicazione della provenienza, del numero e della data ove questi siano riscontrabili. 9) L. Nuti, Gli Stati Uniti e lapertura a sinistra. Importanza e limiti della presenza americana in Italia, RomaBari, Laterza, 1999, pp. 614-619 e 669-676. 10) P. Nenni, I conti con la storia. Diari 1967-1971, Milano, Sugarco, 1983, pp. 251-254. 11) Ivi, pp. 253-254. 12) Alle elezioni politiche del 19 maggio 1968, il PSU, a pochissima distanza dalla riunificazione, aveva ottenuto il 14,5% dei voti, vale a dire una percentuale inferiore di oltre il 5% rispetto alla somma dei voti raggiunti dal PSI e dal PSDI nelle elezioni del 28 aprile 1963. I voti persi erano confluiti prevalentemente sul PSIUP, il partito nato nel 1964 a seguito della scissione dal PSI della sinistra pi radicale. 13) Cfr. S. Colarizi, Storia dei partiti nellItalia repubblicana, Roma-Bari, Laterza, 1996, p. 346. La questione dei rapporti con la Cina opportuno ricordarlo era stata al centro delle battaglie condotte dal PCI insieme con il PSI contro la politica estera dei governi centristi. A seguito del contrasto cino-sovietico limpegno del PCI si era per andato via via affievolendo al punto da provocare con il gruppo raccolto intorno al quotidiano Il Manifesto una pesante crisi culminata, proprio nel 1969, in un abbandono del partito da parte di questo. 14) Tra Politica e impresa. Vita di Dino Gentili, a cura di G. Luti, Firenze, Passigli, 1988, p. 30. 15) Il 24 gennaio 1952 il Congresso degli Stati Uniti aveva emanato una legge in virt della quale sarebbe stato precluso ogni aiuto agli alleati che avessero violato lembargo commerciale decretato nei confronti dei paesi comunisti. 16) Tra Politica e impresa cit., p. 30. 17) Cfr. M. Rumor, Memorie (1943-1970), Vicenza, Neri Pozza, 1991, pp. 399-400. 18) Lo stesso De Gasperi si era convinto, sin dal 1951, della necessit che la Cina entrasse a far parte dellONU (cfr. A Campana, LItalia e la questione cinese. Diplomazia, commercio e scelte politiche, 1941-1962, in Storia delle Relazioni Internazionali, anno X-XI/1994-1995/2, p. 62.) 19) Significativi in tal senso erano stati, dapprima, limmediato tentativo di sganciamento dal governo di Chiang KaiShek, operato dal ministro degli Esteri Sforza nel novembre del 1949, con la mancata ratifica del trattato di amicizia siglato dallambasciatore Fenoaltea pochi mesi avanti la sconfitta dei nazionalisti, successivamente, la decisione di non spostare Fenoaltea da Nanchino a Taipei, dove la rappresentanza italiana rimase sempre affidata allincaricato dAffari, nonostante che Taiwan avesse tenuto il suo ambasciatore a Roma (cfr. A. Campana, Sitting on the Fence cit., pp. 11-13). 20) A. Campana, LItalia e la questione cinese cit., p. 72. 21) Cfr. V. Colombo, La Cina verso il 2000, Milano, Edizioni de Il Sole 24 Ore, 1986, pp. 45-48. 22) Nellottobre del 1955, quando la distensione apparentemente in atto aveva fatto credere che si fosse aperta una breccia nella politica asiatica degli Stati Uniti, il ministro degli Esteri Gaetano Martino, pressato anche dagli ambienti economici, ne aveva subito approfittato per esplorare quali possibilit la nuova situazione avrebbe potuto aprire allItalia riguardo al riconoscimento della Cina popolare. Bloccato dallintervento piuttosto energico di Washington, si era per dovuto limitare alla proposta di un accordo commerciale che era stata s accolta con interesse dai cinesi, ma anche con lavvertimento che non avrebbe potuto avere un seguito se lItalia non si fosse dissociata dagli Stati Uniti nellesclusione della Cina dallONU (in proposito, Foreign Relations of the United States [dora in poi FRUS], 1955-1957, Canada and Western Europe, vol. XXVII, Washington D.C., United States Government Printing Office, 1992, p. 294 alla nota 1. Inoltre, ivi, Luce, ambasciatore a Roma, al Dipartimento di Stato, telegramma del 19 ottobre 1955. Su questa fase si veda anche A. Campana, LItalia e la questione cinese cit., pp. 61-87). 23) Il progetto di un accordo commerciale era tornato dattualit nel 1964 in occasione del riconoscimento della Cina Popolare da parte della Francia. Questa volta la proposta, inquadrata dal ministro degli Esteri Saragat nel pi ampio tema di un riconoscimento prossimo venturo sul quale lItalia non esprimeva alcun dubbio di merito, aveva trovato i cinesi pi disponibili. Il timore per le reazioni di Washington che si erano subito preannunciate non meno energiche di quelle che avevano accompagnato il gesto compiuto da De Gaulle aveva per fermato il governo italiano (Reinhardt, ambasciatore degli Stati Uniti a Roma, a Tyler, assistente segretario di Stato per gli Affari europei, lettera del 12 novembre 1964, in FRUS, Western Europe, vol. XII, 1964-1968, Wasgington D.C., United States Governement Printing Office, 2001, pp. 214-216). In proposito si veda anche G. Bressi, Verso il primo accordo, in Relazioni Internazionali, 1971, p. 10, e A. Campana, Sitting on the Fence cit., pp. 37-38). 24) Ivi, p. 38. 25) G. Bressi, Verso il primo accordo cit., p. 11. 26) Gaja suggeriva la stessa tattica usata a suo tempo dai francesi: sondaggi riservati attraverso un emissario di sicura fiducia che si recasse apposta a Pechino e, in caso di accertata disponibilit dei cinesi, lincarico allambasciata a Berna di prendere contatti pi formali con quellambasciata di Pechino (ASMAE, appunto [dora in poi a.] Gaja n 061/575 del 5.12.1968 e a. senza numero [dora in poi s. n.] del 20.12.1968).

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27) P. Nenni, I conti con la storia cit., p. 272. 28) ASMAE, a. Gaja n 061/575 del 5.12.1968. 29) E. Ortona, Anni dAmerica. La cooperazione, 1967-1975, Bologna, Il Mulino, 1989, p. 140. Dello stesso parere era anche il presidente del Consiglio Rumor (M. Rumor, Memorie cit., pp. 399-400). 30) M. Toscano, LItalia e il seggio cinese, in Nuova Antologia, marzo 1967, pp. 303-325. 31) Cfr. E. Ortona, Anni dAmerica cit., pp. 138-139 e P. Nenni, I conti con la storia cit., p. 261. 32) Cfr. E. Ortona, Anni dAmerica cit., p. 139. 33) Per il discorso pronunciato da Nenni alla Camera il 24 gennaio 1969, si veda in Relazioni Internazionali, 1969, p. 69. 34) A seguito dei richiami di Ortona ai colleghi del Ministero (E. Ortona, Anni dAmerica cit., pp. 139-140), Nenni aveva alla fine accettato di procrastinare solo di 24 ore lannuncio originariamente previsto per il 23 di gennaio (ASMAE, Caruso a Washington, Londra, Bruxelles, telegrammi (dora in poi tel.) n 1210/C del 22.1.1969; n 1231/C del 23.1.1969; n 1380/C del 24.1.1969). 35) P. Nenni, I conti con la storia cit., p. 272. 36) Sulle differenze che in quella fase opponevano il Dipartimento di Stato alla Casa Bianca si veda H. Kissinger, White House Years cit., p. 193. Inoltre, R. L. Garhoff, Dtente and Confrontation. American-Soviet Relations from Nixon to Reagan, Washington D.C., The Brookings Institutions, 1994, p. 251. 37) ASMAE, Ortona a Nenni, tel. n 2634 del 24.1.1969 e tel. n 2657 in pari data. Si veda anche E. Ortona, Anni dAmerica cit., pp. 139-140. In realt il Dipartimento di Stato rinunci a esprimere rincrescimento o preoccupazione. Ci, secondo Ortona, a seguito delle sue osservazioni in merito (ASMAE, Ortona a Nenni, tel. n 2829 del 25.1.1969), pi probabilmente perch un tale commento da parte del Dipartimento di Stato avrebbe vanificato il risultato che la Casa Bianca intendeva raggiungere con il non commento di Nixon in occasione della conferenza stampa. 38) S. Phillips, Nixons China Iniziative, 1969-1972 in Documenting Diplomacy in 21st. Century, Proceeedings of the Sixth Conference of Editors of Diplomatic Documents, Washington D. C., USA Department of State, 2001, pp. 131-132. 39) Il contenuto della conferenza stampa tenuta da Nixon riportato in Relazioni Internazionali, 1969, p. 101. 40) ASMAE, Ortona a Nenni, tel. n 2969 del 27.1.1969; Perrone Capano a Ortona l.p. n 049/68 del 18.2.1969; Teruzzi a Perrone Capano, lettera personale segreta (dora in poi l.p.s.) n 01729 del 25.2.1969; a. non firmato (dora in poi n.f.) e s.n del 6.3.1969. Questultimo documento riassume le aspettative manifestate da Nixon in occasione della sua visita a Roma il 6 marzo: consultazioni con gli Stati Uniti sul contenuto delleventuale accordo italo-cinese e mantenimento delle posizioni allONU. Sullincontro tra Nixon e Rumor, si veda anche M. Rumor, Memorie cit., pp. 404-405 e H. Kissinger, White House Years cit., p. 104. 41) E. Ortona, Anni dAmerica cit., p. 139. 42) ASMAE, Ortona a Nenni, l.p.s. n 825 del 28.1.1969. 43) P. Nenni, I conti con la storia cit., p. 268. 44) ASMAE, a. Gaja n 061/60 del 5.2.1969. 45) ASMAE, a. n.f. e s.n. del 31.1.1969. 46) Gaja suggeriva come unico passo possibile un biglietto personale dellambasciatore dItalia a Berna al suo collega della Repubblica Popolare Cinese con allegato uno stralcio del discorso pronunciato da Nenni alla Camera dei deputati il 24 gennaio (ASMAE, a. Gaja n 061/60 del 5.2.1969) ma Rumor, opportunamente, sconsigli a Nenni quel tramite in considerazione della reputazione di cui godeva in Italia quella ambasciata cinese a causa delle sue collusioni con gli ambienti della sinistra maoista (P. Nenni, I conti con la storia cit., pp. 269-270). 47) Cfr. ivi, p. 273. 48) Sullargomento si veda M. Vasse, LEtablissiment des relations diplomatiques avec la Republique Popoulaire de la Chine, in Documenting Diplomacy cit., p. 105. 49) P. Nenni, I conti con la storia cit., p. 277. 50) A provocare la prima crisi era stata la nuova scissione dei socialisti in due partiti: il PSI, che si ricostitu con le forze di sinistra e di centro, e il PSU nel quale restarono i socialdemocratici. La conseguenza era stata la formazione di un governo di transizione in attesa di un qualche accordo che permettesse di ripristinare la formula del centro-sinistra con i due partiti socialisti di nuovo contemporaneamente presenti. Ci si verific nellaprile del 1970 con il terzo governo Rumor. 51) La crisi si protrasse dall11 luglio al 5 agosto. 52) Sulla posizione degli Stati Uniti in questa prima fase di approccio al disgelo con la Cina si veda soprattutto R.S. Ross, Negotiating Cooperation. The United States and China 1969-1989, Stanford, Stanford University Press, 1995. 53) Tra le altre cose, lingresso della Cina popolare allONU avrebbe comportato il riconoscimento dei suoi confini e quindi, possibilmente, in ragione delloccupazione militare, della sua sovranit sulle isole nellUssuri vigorosamente contestata dallUnione Sovietica (sulla disputa cino-sovietica, si veda C.F. Ostermann, New Evidence on the

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Sino-Soviet Border Disput, 1969-1971, in Cold War History Project Bullettin, 6/7, Winter 1995, Section 4, New Evidence on Sino-Soviet Relations, in http://www.gwu.edu/~nsarchiv/CWIHP/BULLETINS/bulletins.htm). 54) Il governo australiano temeva che con lingresso della Cina, le Nazioni Unite potessero assumere un carattere ancora pi marcatamente antiamericano. Allo stesso tempo era pressato a procedere al riconoscimento dai grandi produttori agricoli, molto interessati alle vaste possibilit che offriva il mercato cinese, i quali temevano di essere sopravanzati da altri paesi pi dinamici. Per la prima ragione, non si sentiva di fare da battistrada allONU sulla questione; per la seconda chiedeva alla diplomazia italiana di non compiere mosse precipitose che, se seguite dagli altri paesi minori dellarea, avrebbero potuto pesantemente pregiudicare le posizioni commerciali dellAustralia (cfr. ASMAE, Maioli [Canberra] a Nenni, rapporto [dora in poi r.] s.n. del 7.2.1969). 55) Il governo di Tokio, il quale aveva in parte risolto il problema delle relazioni commerciali con Pechino attraverso accordi privati piuttosto vantaggiosi, puntava a rinviare il pi possibile una decisione sulla sorte di Taiwan per non essere messo nella penosa condizione di doversi schierare pro o contro gli Stati Uniti e di scegliere tra due partner economici entrambi preziosi (cfr. Tokio a Caruso, tel. n 21 del 25.1.1969). 56) Interessante la posizione possibilista manifestata dallambasciatore di Taipei a Roma rispetto alla teoria delle due Cine che il suo governo aveva sempre respinto e che ora, se Pechino lavesse presa in considerazione, avrebbe accettato. La sua inquietudine non era per il riconoscimento in s ma per le conseguenze allONU se lItalia avesse accolto la tesi di una sola Cina (ASMAE Shao-Chiang Hsu [ambasciatore di Taiwan a Roma] a Zagari [sottosegretario agli Esteri], nota verbale [dora in poi n.v.] del 1.2.1969 e a. Pedini [sottosegretario agli Esteri] n 003/MP del 4.9.1969). 57) G. Donaghy e J. Hilliker, Dont Let Asia Split The West: Canada and the Peoples Republic of China, 19491971, in Documenting Diplomacy cit., pag. 84-99. 58) P. Nenni, I conti con la storia cit., p. 272. 59) Cfr. R. Gaja, lItalia nel mondo bipolare, Bologna, Il Mulino, 1995, pp. 165-166. 60) P. Nenni, I conti con la storia cit., p. 277. 61) I riferimenti su questa fase rimasta finora oscura della vicenda si ricavano essenzialmente da alcuni appunti fatti preparare per Moro dalla Direzione degli Affari Politici a partire dal novembre del 1969 (ASMAE, a. n.f. e s.n del 18.12.1969; a. n.f. e s.n del 11.4.1970 e a. n.f. e s.n. del 6.5.1970) sulla base delle informazioni che via via andava raccogliendo in merito a quanto era accaduto tra i primi di febbraio e la fine dellaprile precedente. Su questo aspetto si vedano in ASMAE, Malfatti a Gaja, l.p. senza data (dora in poi s.d.) ma riferibile allultima settimana del novembre 1969 e Gaja a Malfatti, l.p.s. del 25.11.1969. 62) P. Nenni, I conti con la storia cit., p. 277. 63) Si veda in proposito in ASMAE la gi citata lettera di Gaja a Malfatti del 25.11.1969. 64) Il direttore generale del Ministero Caruso sapeva soltanto, ma non stato possibile accertare se perch informato da Nenni oppure in via riservata da Malfatti, che lambasciata a Parigi era entrata in contatto con quellambasciata di Cina. Ancora alla data del 18 febbraio, nel darne riservatamente notizia a Ortona e allambasciatore Mazio a Bruxelles, dichiarava di essere ancora in attesa di conoscere le reazioni cinesi in merito a un eventuale negoziato (ASMAE, Caruso a Ortona, l. p. n 049/68 del 18.2.1969 e Caruso a Mazio, l. n 061/85 del 21.2.1969). 65) P. Nenni, I conti con la storia cit., p. 283. 66) Ibidem. 67) Le istruzioni a Malfatti sono riportate nel diario di Nenni alla pagina 283. Sono riprodotte anche nellappunto n.f. del 18.12.1969 dianzi citato. A quella data, Malfatti, sentendosi ormai sciolto dal segreto impostogli da Nenni, aveva reso edotti i colleghi del Ministero sui passi dai lui in precedenza compiuti per ordine di quel ministro, mettendoli finalmente nelle condizioni di presentare a Moro un quadro meno vago di quanto era accaduto durante la fase gestita dal suo predecessore (in proposito si veda Gaja a Malfatti, l.p. del 25.11.1969 cit.). 68) La risposta di Pechino alla sollecitazione del governo canadese successiva al 9 febbraio 1969 (ASMAE, Farace di Villaforesta (da Ottawa) a Caruso, l. p. n 523 del 17.2.1969). 69) Ci risultava anche alla diplomazia italiana (a. s.n. del 31.1.1969), che fu tenuta costantemente informata da quella canadese e sollecitata a tenere un analogo comportamento specie nella prospettiva degli imminenti contatti con i cinesi (a. Gaja n 061/64 del 7.2.1969, relativo allincontro con lambasciatore del Canada a Roma Gordon Gale). 70) Anche per questo riferimento, si rinvia al citato appunto del 6.5.1970. 71) Il negoziato si apr in tutta segretezza a Parigi, nella sede dellambasciata cinese, il 25 febbraio 1969. Malfatti e il suo vice Gardini ebbero con lincaricato dAffari della Repubblica Popolare cinese a Parigi Yi Su-Chih tre incontri ufficiali: il 25 febbraio e l11 e il 12 aprile. Negli stessi giorni, intanto, il reggente la Rappresentanza commerciale cinese a Roma aveva avviato incontri paralleli con il sottosegretario agli Esteri Ottorino Borin al quale present un progetto di comunicato congiunto, avanzando la proposta di procedere insieme, presso la sede dellUfficio commerciale cinese, alla formalizzazione dellaccordo (si veda il gi citato appunto per Moro del 6.5.1970). 72) Ci risulta in modo chiaro dalle istruzioni impartite da Nenni a Borin. Il documento che le riporta, non in originale, ancora il gi citato appunto per Moro del 6.5.1970.

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73) Parigi era stata scelta di comune accordo in quanto sede neutrale. La proposta di spostare il negoziato a Roma era stata giustificata dal reggente la Rappresentanza commerciale cinese a Roma con la necessit di rendere i contatti pi immediati e diretti. Negli incontri di Roma dei giorni 3, 9 e 19 aprile, il negoziatore per la parte italiana fu sempre Borin (ivi). 74) Nel corso dellultimo incontro di Parigi del 13 aprile, la trattativa si era arenata sulla dichiarazione di Gardini secondo la quale il governo italiano, riguardo alla sovranit di Taiwan, non poteva prendere una posizione in quanto problema interno e non internazionale (si vedano in proposito i gi citati appunti preparati da Gaja per Moro il 18 dicembre 1969 e l11 aprile 1970 che riportano per esteso, sulla base delle informazioni avute nel frattempo da Malfatti, i resoconti degli incontri ufficiali di Parigi). 75) Solo il 19 aprile Borin comunic al reggente la Rappresentanza commerciale cinese a Roma che il ministro Nenni non poteva accettare la formula con cui Pechino proponeva fosse affrontata nel comunicato congiunto la questione dellappartenenza di Taiwan (ivi). 76) Lultimo contatto fu quello del 19 aprile tra Borin e il reggente la Rappresentanza commerciale cinese a Roma. interessante notare che, ancora il 6 giugno, tutto ci che Gaja sapeva a proposito degli incontri ufficiali di Parigi e pi informali di Roma era: i contatti a Parigi si sono interrotti, dovrebbero essere ripresi e, forse, sono stati ripresi con la Rappresentanza commerciale a Roma ma non so se ci sia avvenuto n in caso affermativo a opera di chi (ASMAE, Gaja a Farace di Villaforesta, l.p.s. del 6.6.1969). 77) Moro era stato per cinque volte presidente del Consiglio ma non aveva mai ricoperto la carica di ministro degli Esteri che tenne ininterrottamente fino al giugno 1972. Sulla sua esperienza cfr. R. Gaja, Aldo Moro: la politica estera del centro-sinistra, in A. Cicerchia (a cura di), Aldo Moro. Stato e societ, Roma, Presidenza del Consiglio dei ministri-Dipartimento per linformazione e lEditoria, 1988, pp. 167-174. 78) Questa scelta di Moro non sembrerebbe aver goduto dellapprovazione di Nenni (P. Nenni, I conti con la storia cit., p. 428) 79) Emerge in questa circostanza unimmagine di Moro come ministro degli Esteri diversa da quella tratteggiata da Sergio Romano nella sua Guida alla politica estera italiana (cit., pp. 167-168): sarebbe stato probabilmente un diplomatico abile e persuasivo se il tentativo di risolvere i problemi internazionali non gli fosse parso, oltre che difficile, inutile. Essa non si discosta invece da quella trasmessaci da Ortona e da Gaja, i quali ebbero con Moro una lunga consuetudine di lavoro (E. Ortona, Anni dAmerica cit., pp. 183, 228 e 257; R. Gaja, LItalia nel mondo bipolare cit., p. 184). 80) ASMAE, annotazione di Moro alla lettera di Malfatti n 429 del 30.9.69. 81) Va ricordato che Moro si present sulla scena internazionale con un discorso alle Nazioni Unite che lanciava quella che fu definita la dottrina italiana per la pace (per il testo del discorso: Relazioni Internazionali, 1969, p. 918). NellOrganizzazione, rilanciata e rafforzata, egli vedeva il perno di una distensione efficace e duratura (cfr. R. Gaja, LItalia nel mondo bipolare cit. p. 182). 82) In proposito, ivi, pp. 184 e 215. 83) E. Ortona, Anni dAmerica cit., p. 184. 84) ASMAE, annotazione di Moro alla lettera di Malfatti n 429 del 30.9.1969 cit. 85) Cfr. Chen Jian, D.L. Wilson, All Under the Heaven Is Great Chaos, Beijing the Sino-Soviet Border Clashes and the Turn Toward Sino-American Rapprochement, 1968-1969. Cold War International History Project Bulletin, 1998, n 11, pp. 155-175, in Cold War International History Project, http://www.gwu.edu/~nsarchiv/CWIHP/BULLETINS/bulletins.htm. 86) Questo atteggiamento di Pechino nei confronti dellONU aveva reso pi facile per Nixon far coesistere segnali di disgelo e fermezza sulla questione del seggio cinese (M. Oksenberg, A Decade of Sino-American Relations, in Foreign Affairs, vol. 61, Fall 1982, p.177). 87) Il rafforzamento di Taiwan allONU si manifest in modo evidente il 18 settembre, in occasione della nomina dei 17 vicepresidenti dellAssemblea Generale, con lo spostamento in suo favore di tutti i voti del gruppo dellEuropa orientale e della Jugoslavia. 88) ASMAE, a.n.f. (presumibilmente Gaja), n. 061/352 del 25.9.1969. 89) In realt le ultime istruzioni inviate da Nenni allambasciatore Vinci a New York prevedevano il voto a favore della mozione albanese ma anche della mozione statunitense (ASMAE, Caruso a Vinci, tel. n 13263 del 14.7.1969). Ci per non era noto a Pechino. pertanto presumibile che i dirigenti cinesi continuassero a fare affidamento sullimpegno assunto dai negoziatori italiani nel corso della prima fase delle trattative (cfr. ASMAE, a. per Moro del 6.5.1970 cit.). Il ripensamento di Nenni appare riconducibile ai termini molto duri usati da Rogers nel chiarirgli, in occasione di un incontro a Washington, lestrema gravit di un voto che avesse dato partita vinta alla Cina Popolare (E. Ortona, Anni dAmerica cit., pp. 171-172). 90) Cfr. N. Bernkopf Tucker, China Confidential. American Diplomats and Sino-American Relations, 1945-1996, New York, Columbia University Press, 2001, pp. 226-233. 91) Era quanto Ortona aveva potuto evincere attraverso gli incontro con Rogers del 12 aprile e del 27 agosto (E. Ortona, Anni dAmerica cit., p. 172 e p. 190). 92) Ivi, p. 190.

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93) Ibidem e ASMAE, Malfatti a Moro, l. p. n 440 dell8.10.1969. Con tutta probabilit linteresse dei cinesi per la riapertura dei contatti nasceva anche dal desiderio di sperimentare se la diplomazia italiana potesse fungere da ponte con quella statunitense. Interrotte di nuovo le conversazioni di Varsavia, Pechino e Washington non disponevano pi della possibilit di comunicare direttamente ed erano perci alla ricerca di intermediari. Nixon, a fine luglio, lo aveva trovato nel presidente Pakistano Yahya Khan del quale si era servito per far sapere ai cinesi che lAsia non sarebbe potuta andare avanti lasciando fuori una nazione importante come la Cina. Ma Pechino non era ancora riuscita a individuare un buon tramite per segnalare a sua volta a Washington che limperialismo statunitense restava un nemico della Cina, ma non il principale (cfr. Chen Jian, MaoChina and the Cold War, Chapel Hill&London, The University of Carolina Press, 2001, pp. 242-253). Questa dichiarazione torn pi volte nelle conversazioni tra lambasciatore di Pechino a Parigi Huang Chen e Malfatti, e questi ebbe la netta impressione, per il ruolo di chi la pronunciava e per linsistenza con cui in vari modi essa fu ribadita, che lobiettivo fosse quello di farla giungere fino a Nixon (ASMAE, Malfatti a Moro l. n 540 del 19.12.1969). 94) ASMAE, Malfatti a Moro, l.p. n 410 del 23.9.1969. 95) Cfr. E. Ortona, Anni dAmerica cit., pp. 188-189. 96) ASMAE, annotazione Moro allappunto n.f. n 061/352 del 25.9.1969. In tal senso fu anche la sua dichiarazione al Senato del 28 ottobre 1969 (Moro al Senato sul bilancio degli Esteri, in Relazioni Internazionali, 1969, pp. 985-986). 97) E. Ortona, Anni dAmerica cit., p. 172. 98) Ivi, p.189. 99) ASMAE, annotazione di Moro allappunto n.f. n 061/352 del 25.9.1969 cit. 100) Ibidem. 101) Cfr. ASMAE, annotazione Moro alla l.p. n 429 inviatagli da Malfatti il 30.9.1969. 102) Queste le principali differenze: Moro era convinto che il riconoscimento della Cina comportasse necessariamente labbandono della mozione statunitense; Sharp era persuaso che anche in quel caso i due paesi avrebbero potuto appoggiare ancora gli Stati Uniti; Moro temeva che Washington avrebbe davvero abbandonato lOrganizzazione nel caso di una maggioranza favorevole allingresso della Cina (cfr. E. Ortona, Anni dAmerica cit., p. 190); Sharp non credeva a questa minaccia e, poich considerava lONU not effective, auspicava un ingresso rapido della Cina e della Germania che rendesse lOrganizzazione meaningful; Moro si preoccupava per le possibili reazioni di Mosca nel caso poco probabile ma non impossibile che anche gli Stati Uniti avessero riconosciuto la Cina (qualche contraccolpo tipo Cecoslovacchia!); Sharp non condivideva questa preoccupazione ma concordava con Moro che la sostituzione di una Cina con laltra fosse di grande importanza e che perci il gabinetto canadese dovesse continuare a votare a favore della mozione statunitense (ASMAE, Bozza dei verbali dei colloqui tra lOnorevole Ministro Moro e il Ministro degli Esteri canadese Sharp, allegato a Farace di Villaforesta a Gaja, l.p.s. s.n. del 16.10.1969). 103) In realt Troudeau, con il quale Moro non pot parlare perch era in vacanza, sulla questione del voto allONU era di diverso avviso: se i negoziati fossero terminati con successo aveva fatto sapere a Pechino il Canada avrebbe votato in maniera che la Cina potesse essere ammessa allONU, cio contro la mozione statunitense (ASMAE, a. per Moro del 31.10.1969). Il passo non ebbe seguito perch i negoziati si arenarono sulla questione della sovranit di Taiwan nonostante che i cinesi avessero accettato che la dichiarazione congiunta parlasse, per quanto riguardava il Canada, solo di rispetto e non di riconoscimento della posizione della Cina (ASMAE, Malfatti a Moro, l. n 486 dell8.11.1969). 104) Qui interessante notare che mentre Moro era consapevole di come a volere il cambiamento, graduale si intende, fosse la Casa Bianca, Sharp considerava lAmministrazione Nixon non molto aggressiva e tendenzialmente portata a lasciare dormire le cose (ASMAE, Bozza dei verbali dei colloqui tra lOnorevole Ministro Moro e il Ministro degli Esteri canadese Sharp cit.). 105) ASMAE, a. s.n. e n.f. del 31.10.1969 cit. 106) ASMAE, Moro a Vinci, tel.del 6.11.1969. 107) E. Ortona, Anni dAmerica cit., pp. 193-194. 108) ASMAE, Moro a Malfatti, l. p. n 061/420 del 7.11.1969, Moro a Malfatti, l.p. n 061/420 del 7.11.1969 e Malfatti a Moro, l.p. n 486 dell8.11.1969. 109) Nenni a Moro, l.p. del 9.11.1969, in Pietro Nenni Aldo Moro. Carteggio 1960-1978, Firenze, La Nuova Italia, 1998, p. 122. 110) E. Ortona, Anni dAmerica cit., p. 191. 111) La decisione di ritirare le truppe da 307 basi negli Stati Uniti e in altri paesi aveva suscitato molta inquietudine a Roma. Non si temeva per la sicurezza dellItalia ma per i massicci licenziamenti di civili italiani che inevitabilmente sarebbero seguiti e di cui i comunisti si sarebbero serviti per mettere ulteriormente in difficolt il governo. A seguito del passo compiuto da Ortona, il caso dellItalia fu estrapolato dal complesso del problema e posto allesame dei pi alti livelli di Governo (cfr. E. Ortona, Anni dAmerica cit., pp. 201- 203). 112) ASMAE, a. di Ducci, n 061/28 del 22.1.1970. 113) ASMAE, a. di Ducci, n 061/454 del 28.10.1970.

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LE CARTE E LA STORIA

114) ASMAE, Resoconto della Rappresentanza italiana allONU su la conversazione tra il Ministro Forlani e il Ministro degli esteri giapponese Aichi, allegato al telegramma da New York n 3369 del 23.9.1969. 115) Per quanto concerneva il contenuto della dichiarazione italiana, Moro riteneva che potesse contemplare limpegno della rottura delle relazioni con Taiwan e dellappoggio alla mozione albanese allONU (ASMAE, a. n 061/429 dell8.11.1969). Riguardo allevoluzione di questo aspetto dellaccordo, si vedano: Malfatti a Moro, l.p. dell8.12.1969; a. s.n. e n.f. del 10.12.1969; a. n 061/440 del 18.12.1969; a. Gaja del 31.12.1969; Malfatti a Moro, l.p. del 19.12.1969; annotazione Moro del 30.12.1969 allappunto n 061/498 del 28.12.1969; Gaja a Catalano di Melillo (Presidenza del Consiglio) l.p. del 3.1.1970; Moro a Malfatti, l. p. del 17.1.1970; a. Gaja s.n. del 2.2.1970; Moro a Malfatti, l.p. del 18.2.1970; Malfatti a Moro, l.p. del 3.4.1970; Malfatti a Moro, l.p. del 21.4.1970, Moro a Malfatti, l.p. n 061/165 del 16.4.1970. 116) ASMAE, annotazione Moro dell8.11.1969 allappunto n 061/429 in pari data. 117) da rilevare, allinizio di questa fase, levidente preoccupazione dei negoziatori cinesi di fronte alleventualit che si potessero sospettare da parte italiana collegamenti di sorta tra le formazioni marxiste-leniniste e i terribili attentati terroristici di Milano e di Roma. Pochi giorni dopo quei fatti, il 15 dicembre, fu lo stesso ambasciatore Huang Chen, appena nominato a Parigi, a sollecitare a Malfatti un incontro per chiarire la questione e per manifestare la netta presa di distanze di Pechino dai gruppi di ispirazione maoista per i quali il comunismo cinese era soltanto una moda, un atteggiamento intellettuale, un alibi per sottrarsi a qualsiasi disciplina politica [...] che il governo cinese non aveva i mezzi per sconfessare [...] ma che in Cina, per la loro insincerit, sarebbero stati rapidamente identificati e denunciati (ASMAE, Malfatti a Moro l. p. n 539 del 19.12.1969). 118) ASMAE, Bozza del colloquio tra Moro e Sharp del 10 e 11.10.1969 cit. e appunto relativo al colloquio tra Moro e Sharp del 5.12.1969. 119) ASMAE, a. Gaja n 061/437 del 15.11.1969 e annotazione Moro n.d alla l. p. di Malfatti a Moro del 15.11.1969 cit. 120) ASMAE, Moro a Malfatti, l. p. del 19.11.1969 cit. In realt queste pressioni si erano fatte nel frattempo meno insistenti: obtorto collo scrisse Ortona il Dipartimento di Stato guarda al dialogo con Pechino come a una res inter alios acta (Ortona a Moro, r. n 03498 del 1.5.1970). 121) ASMAE, Moro a Sensi (Mosca) l. n 061/396 del 24.10.1969; Gaja a Sensi (Mosca) tel. n 061/467 del 25.11.1969. 122) ASMAE, a. n. f. (probabilmente Ducci) n 061/3 del 7.1.1970. 123) ASMAE, Gaja a Malfatti, l. p. del 13.3.1970; Ducci a Malfatti, tel. n 061/122 del 20.3.1970. 124) ASMAE, Moro a Ortona, tel. n 061/173 del 21.4.1970. 125) ASMAE, Moro a Malfatti, l.p.s. del 11.12.1969; Malfatti a Moro, l.p. del 3.4.1970. 126) Non vi erano dubbi alla Farnesina circa il forte interesse della Cina per un accordo con una potenza industriale come lItalia, visti i magri risultati conseguiti con lavvicinamento alla Francia e tenuto conto della politica di sviluppo economico e di trasformazioni industriali profonde in cui si era impegnata. E tuttavia si dava per certo che anche sotto questo profilo lItalia non rappresentasse una fonte di vantaggi pari al Canada (ASMAE, a. Ducci. n 061/356 del 28.8.1970). 127) ASMAE, Malfatti a Moro, l.p. n 64 del 7.4.1970 e a. n.f. n 061/309 del 21.7.1970. 128) ASMAE, Moro a Farace di Villaforesta, l. p. del 13.4.1970. 129) ASMAE, a. s.n. Ducci del 28.8.1970 cit. 130) ASMAE, Gardini a Ducci, l.s. n 73 del 5.8.1970. 131) ASMAE, Malfatti a Ducci, l.p. n 62 del 25.4.1970 e a. n.f. e s.n. del 5.10.1970. 132) ASMAE Malfatti a Moro, l.p. n 26 del 12.2.1970 e n. 46 del 13.3.1970. 133) ASMAE, Malfatti a Moro, l. p. n 68 del 19.6.1970; Malfatti a Ducci, l.p. n 73 del 5.8.1970. La chiusura di Pechino fu dettata anche dalla lotta interna che in quella fase opponeva Mao Tse-Tung a Lin Piao (cfr. Chen Jian, Maos China and the Cold War cit., pp. 252-253). 134) ASMAE, Malfatti a Ducci, l. p. n 73 del 5.8.1970 135) Il testo della proposta in ASMAE, n. n 061/393 del 26.9.1970 allegata a Gaja a Catalano di Melillo, l. n 061/395 in pari data. da notare che Ortona fu informato da Gaja del contenuto della proposta da trasmettere ai cinesi in termini molto generici: quanto bastava perch potesse preparare il Dipartimento di Stato alla svolta che lItalia si accingeva a attuare in sede ONU (ASMAE, Gaja a Ortona, l. n 061/399 del 28.9.1970 e Ortona a Gaja, l.p.s. del 6.10.1970). 136) Moro avrebbe voluto trasmettere ai cinesi la proposta meno avanzata alla fine di settembre (ASMAE, Gaja a Catalano di Melillo, l. n061/395 del 26.9.1970). Furono necessari per incontri diretti con Colombo e un Consiglio dei ministri per avere mano libera in proposito (ivi, Moro a Malfatti l. n 061/425 del 14.10.1970). 137) Si veda in Relazioni internazionali, 1970, p. 999. 138) ASMAE, a. n.f. n 061/468 del 2.11.1970. 139) Il Belgio, lAustria, il Cile erano sul punto di concludere i loro negoziati. LItalia rischiava di arrivare ultima tra gli europei o addirittura di non concludere: se la situazione internazionale della Cina fosse migliorata le richieste di Pechino sarebbero potute divenire davvero pi esose e inaccettabili, dalla formula francese, a quella canadese e poi chi sa altro! (ASMAE, annotazione di Moro alla lettera di Malfatti n 061/468 del 2.11.1970).

TEMI E PROBLEMI

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140) ASMAE, Moro a Malfatti, l.p. n 061/425 del 14.10.1970; Malfatti a Moro, l.p. n 97 del 20.10.1970; Moro a Malfatti, l.p. n 061/461 del 30 ottobre 1970 e Gaja a Malfatti, l. del 30.10.1970; a. n. f. n 061/468 del 2. 11.1970. 141) ASMAE, appunto per Moro dettato dalla Segreteria del Consigliere Diplomatico della Presidenza del Consiglio il 26.10.1970. Cfr. anche Gaja a Malfatti, l. n 061/447 del 27.10.1970 e E. Ortona, Anni dAmerica cit., p. 258. 142) Ivi, pp. 257-258. 143) ASMAE, Ortona a Moro, r. n 09317 del 10.11.1970. In questo rapporto Ortona illustr con lungimiranza e precisione gli obiettivi immediati e pi a lungo termine della manovra di avvicinamento di Washington a Pechino e anticip, per il 1971, una formula di compromesso studiata dagli Stati Uniti per consentire la contemporanea presenza allONU della Cina popolare e di Taiwan. 144) E. Ortona, Anni dAmerica cit., p. 258. 145) Scrive in proposito Ortona: mi rendevo conto che una mia azione frenante sul governo, che tenesse conto delle sollecitazioni americane, oltre a non riflettere il mio sentimento, non avrebbe avuto esito positivo e anzi sarebbe stata controproducente (ivi, p. 256). 146) ASMAE, Riconoscimento Cina Norma di linguaggio esclusivamente per gli Americani, a. n. f. del 30.10.1970. 147) Si veda, Il Corriere della Sera del 6 novembre 1970; Il Giorno del 6 e 7 novembre 1970; LUnit del 5 e 6 novembre 1970, LOsservatore Romano del 5 novembre 1970, lAvanti del 5, 6 e 7 novembre 1970. 148) ASMAE, Ortona a Moro, r. n 09317 del 10.11.1970 cit. 149) E. Ortona, Anni dAmerica cit., p. 259. 150) Lauspicio era che lItalia e il Canada fossero i precursori di sviluppi analoghi da parte del governo di Washington, il quale avrebbe dovuto trovare una soluzione tale da salvaguardare la posizione di Taiwan, nei cui confronti rimaneva ineludibile la responsabilit morale degli Stati Uniti. Fuori dal coro era solo il New York Times dell8 novembre, ma nel senso che considerava inevitabile lespulsione di Taiwan dallONU e possibile solo il mantenimento di stretti legami politici e militari con lisola. 151) ASMAE, Malfatti a Moro, l. n 97 del 20.10.1970 e Verbale degli incontri italo-cinesi a Parigi del 27 e del 28 ottobre 1970. 152) ASMAE, Riconoscimento della repubblica Popolare di Cina da parte italiana, a. Ducci n 061/468 del 2.11.1970 e Malfatti a Moro, l. n 101 del 28.10.1970. 153) La stessa diplomazia statunitense, nel corso delle lunghissime trattative per laccordo di reciproco riconoscimento con la Cina concluso solo nel 1978, avrebbe sperimentato sulla propria pelle la determinazione, pazienza, durezza e abilit nella gestione dei tempi di cui poteva essere capace la sofisticata diplomazia cinese (cfr. lo scambio di idee in proposito tra Henry Kissinger e Jimmy Carter in J. Carter, Keeping Faith: Memoirs of a President, Toronto, Bentam Books, 1982, p.188). 154) ASMAE, a. s.n. e n.f. del 28.10.1970. 155) Ivi e Malfatti a Moro, l. n 101 del 28.10.1970. 156) Risulta che, alla fine di novembre, Chu En-lai chiese agli amici a Bucharest di far sapere a Washington che il governo cinese avrebbe gradito larrivo a Pechino di un rappresentante di Nixon, o dello stesso Nixon, per discutere come risolvere la questione di Taiwan (Chen Jian, Maos China cit., p. 254). 157) interessante notare che se lintenzione di Pechino era stata quella di lanciare un segnale di apertura a Nixon, Ortona laveva del tutto frustrata sottolineando con fierezza al cospetto del Dipartimento di Stato la finezza giuridica con cui lItalia aveva precisato la propria posizione nei confronti della questione di Taiwan (E. Ortona, Anni dAmerica cit., p. 259). 158) Nella fase conclusiva delle trattative era stato chiarito da parte cinese che il voto favorevole sulla questione importante sarebbe stato considerato un atto ostile pure nel caso in cui laccordo non fosse stato ancora raggiunto. In presenza del riconoscimento si aspettavano come gesto positivo anche il voto a favore della mozione albanese (ASMAE, Malfatti a Moro, l. n 101 del 28.10.1970). 159) In realt il Dipartimento di Stato, dopo loffensiva piuttosto energica condotta dallincaricato dAffari a Roma Stabler prima che laccordo fosse concluso, si era limitato a esprimere la speranza che sulla mozione procedurale lItalia potesse fare lo sforzo di un certo bilanciamento che comprovasse la sua sollecitudine nel compenetrarsi del presente travaglio evolutivo in cui si trovavano gli Stati Uniti (Ortona a Moro, r. n 09317 del 10.11. 1970). 160) Anche il Canada oper la medesima scelta e cos pure gli altri paesi europei in procinto di concedere il riconoscimento al governo di Pechino. La mozione albanese registr 51 voti a favore, 49 contrari e 25 astensioni; quella statunitense fu approvata con 66 voti contro 52. 161) Sconfitta la mozione sulla questione importante (55 voti a favore, 59 contrari e 15 astensioni, tra cui lItalia), prevalse quella albanese con 76 voti a favore, 35 contrari e 17 astensioni. In virt di questo risultato, gli Stati Uniti rinunciarono a presentare la mozione con la quale, sulla base della teoria delle due Cine, puntavano a ottenere la contemporanea presenza di Taiwan e della Cina Popolare. 162) Cfr. Congressional Quarterly, Ed., China: U.S. Policy Since 1945, Washington D.C., Congressional Quarterly, 1980, vol. VIII, p. 202. Inoltre, M. Gilmozzi, Italia-Cina Popolare. Possibilit e prospettive, in Affari Esteri, n 11, 1971, pp. 40-55; V. Colombo, La Cina verso il 2000 cit., pp. 19-20.

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