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Duelli, incantesimi e strategie di libertà

in La rosa de plata di Soledad Puértolas

Giovanna FIORDALISO
Università degli Studi della Tuscia

Riassunto
Pubblicato nel 1999, La rosa de plata è, nella ampia e diversificata produzione di Soledad
Puértolas, un romanzo sui generis, che sembra interrompere le caratteristiche di una produzione
narrativa consolidata nella quale emergono come costanti, tra le altre, una riflessione
sull’esistenza, sulle relazioni umane e sulla scrittura letteraria. L’opera riprende, infatti, i motivi
e gli elementi tipici del romanzo cavalleresco nella costruzione di un intreccio che, riproponendo
protagonisti quali Artù, Merlino, Ginevra e Morgana, sembra aderire pedissequamente alla linea
tradizionale del genere. Tuttavia, approfondendo le dinamiche che si instaurano tra i personaggi,
e in particolare soffermandosi sulle parole e sui pensieri di Morgana e di Ginevra, è possibile
cogliere la complessità della riscrittura che l’autrice sta consapevolmente mettendo in atto: la
sua è, infatti, una proposta di libertà, sia individuale ed esistenziale che metaletteraria, dato che
le avventure che coinvolgono dame e cavalieri alle prese con gli incantesimi lanciati da Morgana
vanno a sondare quelle aspirazioni di indipendenza assoluta con cui l’essere umano da sempre
si confronta e combatte, e che sono una componente indispensabile della creazione letteraria.
Parole chiave: La rosa de plata, Soledad Puértolas, romanzo cavalleresco, romanzo spagnolo
postmoderno.

Abstract
Published in 1999, La rosa de plata is, within Soledad Puértolas’s works, a sui generis novel
as it seems to interrupt the characteristics of a consolidated narrative production in which,
among others, there emerges a constant reflection on existence, human relationships and
experiences of the contemporary world, on literary writing. The novel takes up the typical motifs
and elements of the chivalric novel in the construction of a plot that, re-proposing protagonists
such as Arthur, Merlin, Geneva and Morgana, seems to slavishly adhere to the traditional line
of the genre. However, by deepening the dynamics between the characters, especially by
dwelling on the words and thoughts of Morgana and Ginevra, it is possible to grasp the
complexity of the rewriting that the author is consciously implementing, proposing a novel
about freedom, both individual, existential and metaliterary. The adventures involving ladies
and knights struggling with the spells cast by Morgana are meant to deep in the aspirations of
independence which characterize human being and to explore the possibilities given by literary
creation.
Keywords: La rosa de plata, Soledad Puértolas, Chivalric Novel, Postmodern Spanish Novel.

Orillas 12 (2023)
ISSN 2280-4390
536 GIOVANNA FIORDALISO

1. LA ROSA DE PLATA DI SOLEDAD PUÉRTOLAS


Tra le molte tendenze con le quali si è soliti inquadrare la produzione romanzesca
spagnola del XX secolo, ha avuto e continua a riscuotere un notevole interesse
l’attenzione per la riproposizione –o la riscrittura– del romanzo cavalleresco.
Sono infatti ormai molti gli studi che sottolineano quanto la necessità di trovare
nuove strategie narrative risponda non solo alla mutata condizione politica spagnola,
dopo la fine del regime franchista e la cosiddetta transizione democratica, ma anche alla
volontà di godere della finzione secondo principi di libertà, curiosità e ricerca di
evasione, in linea con una idea di scrittura letteraria sempre più impegnata a favorire
l’adozione di una visione frammentaria del mondo, al di là di certezze, ordine e verità
forniti dalla religione, dalla filosofia o dalla scienza1.
Entro questo contesto, e potendo contare sul notevole lavoro filologico, critico e
teorico che si è sviluppato intorno allo studio del genere cavalleresco negli ultimi
decenni, con contributi e indagini che hanno alle spalle molteplici attività contraddistinte
da iniziative e indagini portate avanti da gruppi di ricerca nazionali e internazionali2,
merita un approfondimento La rosa de plata, romanzo di un’autrice, Soledad Puértolas,
fortemente rappresentativa della narrativa spagnola attuale, membro della Real
Academia de la Lengua dal 2010 e profonda conoscitrice dei meccanismi con cui
costruire la finzione per comunicare con il suo lettore, esplorando sia le possibilità
offerte dal racconto, in quanto forma narrativa breve, sia quelle specifiche della forma
più estesa, il romanzo.
Pubblicato nel 1999, a venti anni di distanza da El bandido doblemente armado (1979),
romanzo che segna l’esordio di Soledad Puértolas, La rosa de plata è, nella ampia e solida
produzione della scrittrice, un romanzo sui generis: una novela breve, che sembra
interrompere le caratteristiche di una scrittura in cui riscontriamo temi, situazioni,
personaggi ricorrenti, sia nei racconti sia nei romanzi, e rispondenti all’attualità, per
spostarsi verso il mondo magico, meraviglioso, inverosimile della letteratura
cavalleresca.
La rosa de plata riprende, infatti, i motivi e gli elementi tipici del genere, o della
materia cavalleresca, proponendo un intreccio che, avendo come protagonisti Artù,
Merlino, Ginevra e Morgana, sembra aderire pedissequamente alla linea tradizionale del
genere, riconducibile a quel sottogruppo individuato come “materia arturiana”. Come
afferma Pilar Castro:
Este nuevo libro, sin renunciar al sello de su personalidad literaria, a su estilo sencillo y eficaz –
aquí lleno de alicientes seguros para toda clase de lectores y lectoras–, decide alejarse de lo
conocido, otear en la memoria de la tradición narrativa artúrica y rescatar el escenario, los
personajes y los móviles de aquellas primeras novelas medievales que transcurrían en la lejanía de

1 Tra i molti studi relativi alle tendenze del romanzo spagnolo attuale e ai suoi principali esponenti, tra gli
altri, merita segnalare: Alonso (2003); Augé (2001); García Galiano (2004); Gracia (2000); Langa Pizarro
(2000); Lozano Mijares (2006 e 2007); Manera (coord., 2020); Pozuelo Yvancos (2010 e 2014).
2 Si vedano Bognolo (1997, 1999, 2017 e 2018); Cacho Blecua (2007); Lucía Mejías (2002); Sarmati (1996).
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lugares acotados por la acción de caballeros en busca de honor y renombre, siempre en torno a
una corte habitada por la magia y el misterio. (Castro, 2000)

Il romanzo ruota intorno alla contrapposizione tra Morgana e Artù: in preda alla
gelosia, la donna ha infatti rinchiuso nel castello di Beale Regard sette fanciulle che,
secondo lei, si sono permesse di insidiare il suo innamorato, Accalon de Gaula.
Seguendo l’indicazione di Merlino, Artù agisce quindi per liberare le sette dame:
organizza un torneo nel quale individuare i sette valorosi cavalieri che avranno poi il
compito di liberare le sfortunate fanciulle.
Ha inizio così la narrazione delle avventure che vede protagonisti i cavalieri blanco,
verde, bermejo, dorado, de plata, irisado e violeta, impegnati a liberare Naromí, la doncella del
sueño infinito; Alicantina, la doncella que no podía verse por fuera; Bess, la doncella de la alegría
perpetua; Delia, la doncella más orgullosa; Findia, la doncella desmemoriada; Bellador, la doncella
del gran sufrimiento; Alisa, la doncella que hablaba con el viento.
La trama procede attraverso la ripetizione di uno stesso schema: alla
presentazione del cavaliere e della rispettiva dama da liberare seguono le prove e gli
ostacoli messi in atto da Morgana affinché l’impresa fallisca; l’incontro e la liberazione
della dama sono comunque garantiti, con la conseguente formazione di una nuova
coppia di felici innamorati.
Nelle avventure principali si inseriscono in questo modo altri personaggi, vere e
proprie comparse, che possono essere aiutanti inviati da Merlino o antagonisti
obbedienti a Morgana: in ogni caso, tutti contribuiscono a rendere la trama dinamica e
avventurosa, garantendo in questo modo l’unità di azione nella successione di episodi
meravigliosi, costituiti da incantesimi, sparizioni, travestimenti.
A questo proposito possiamo affermare che Soledad Puértolas rispetta le
componenti di quel “primer modelo caballeresco”, definito da Lucía Megías come “una
serie de aventuras organizadas a partir de dos ejes: el de la identidad caballeresca y el de
la búsqueda amorosa” (Lucía Megías, 2002).
A queste avventure si alternano però pause narrative in cui l’azione viene come
sospesa per dare spazio alle parole di Artù, Merlino, Ginevra o Morgana alle prese con
i propri pensieri, che emergono sia attraverso i dialoghi –in particolare tra Artù e
Merlino– sia in monologhi in cui i personaggi si lasciano andare a veri e propri sfoghi
interiori. Ognuno di loro lamenta infatti la propria solitudine, uno stringente e pressante
desiderio di amore corrisposto e condiviso, cui si unisce un altrettanto forte bisogno di
libertà. Gli eroi che il lettore ben conosce sono perciò “personajes ahora revestidos de
una condición humana que dignifica sus cualidades y su renombre” (Castro, 2000), che
pierden el acartonamiento propio de los seres estereotipados y se manifiestan con toda su
humanidad. Es decir, sufren de amor y de desamor, padecen su soledad, cavilan sobre sus deseos,
desnudan su intimidad, conjuran sus miedos, se rebelan contra el destino... Y es que la autora, fiel
al afán de ejemplaridad incorporado al sentido de los afanes del mundo de la caballería, también
opta por rodear de significado los relatos de amor contenidos en La rosa de plata. Por sugerir que
nada hay seguro y definitivo en materia de afectos y emociones humanas, que todo es imprevisible,
“mudable” y “complejo”, como lo es una realidad de la que no hay que fiarse, porque en ella hay
dobleces y engaños, y nada es lo que parece. (Castro, 2000)
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2. LE DOMANDE CHE PONE IL TESTO


Tra le molte questioni che il romanzo pone, due in particolare sono le domande
da cui partire per dare avvio a una sua analisi. Ci chiediamo, infatti, per quale motivo
Soledad Puértolas, a venti anni di distanza dal suo esordio, scelga di dedicarsi alla
riscrittura della materia arturiana con quella che lei stessa definisce una “novela breve
sobre la pérdida y la búsqueda” (Castilla, 1999). E, di conseguenza, per farlo, quali
strategie metta in campo, o quali componenti enfatizzi nella creazione di un’opera che
non rompe né sovverte la tradizione, ma che al contempo presenta una sua originalità,
in linea di continuità con il mondo della finzione –se pur completamente diverso– dei
suoi romanzi e racconti. Se, infatti, la produzione dell’autrice è caratterizzata dalla
preferenza per luoghi concreti e avvenimenti storici nei quali collocare le vicende di
personaggi visti entro una dimensione intima dell’essere, il recupero della tradizione
cavalleresca non esclude quel bisogno di introspezione psicologica e quell’attenzione ai
moti dell’animo con cui lasciar emergere le contraddizioni dell’essere umano ed
esplorare quei coni d’ombra tanto affascinanti quanto misteriosi.
Per provare a rispondere a queste domande, o per lo meno per formulare
un’ipotesi di lettura, è necessario cominciare dalla fine, soffermandoci sugli
“agradecimientos” (Puértolas, 1999: 262) che chiudono il libro, in cui l’autrice indica le
sue fonti di ispirazione, e da cui ci muoviamo per poi leggere il testo andando a ritroso.
Non ci sono prefazioni, epigrafi, nessun prologo introduce o giustifica la scrittura,
ma chiudono l’opera le parole di ringraziamento rivolte ai fratelli Grimm, a sir Thomas
Malory e a Chrétien de Troyes “porque sin ellos no habría podido tejer mis
invenciones”; a “Ana María Matute y a Cristina Andreu, que me han devuelto la fe en
la existencia de las hadas”; “Y, por encima de todo a Ana María Villanueva Guerendiain,
mi madre, que una vez se compró en un mercadillo callejero un anillo con una rosa de
plata” (Puértolas, 1999: 262).
La madre di Soledad Puértolas muore nel gennaio del 1999 e il romanzo esce a
fine anno. Nel 2001 l’autrice pubblica poi Con mi madre, saggio autobiografico in cui
racconta il suo rapporto con la madre che, ricorda Pozuelo Yvancos,
nace de una experiencia muy concreta: la muerte de su madre en enero de 1999 y la necesidad que
su autora ha tenido de liberarse de ese dolor escribiéndolo, encontrándose con ella, rememorando
sus encuentros y desencuentros, sus experiencias compartidas, purgando en algún momento un
implícito sentimiento de culpa, que la orfandad hace definitivo y dramático. (Pozuelo Yvancos,
2010: 405)

Il bisogno, anche terapeutico, di rendere letteraria una dolorosa esperienza


esistenziale che necessita di elaborazione3 porta la Puértolas a utilizzare la letteratura,

3 Come Soledad Puértolas, anche altri autori utilizzano la scrittura narrativa come strumento terapeutico.
Ricordiamo, tra gli altri e solo a titolo esemplificativo, El viento de la luna di Muñoz Molina, del 2006, testo
che presenta i tratti del romanzo storico e dell’autofinzione, in cui l’autore rielabora il lutto per la morte
del padre, ma anche No entres docilmente en esa noche quieta di Menéndez Salmón, del 2020, dedicato al ricordo
e al racconto del rapporto tra l’autore e il padre subito dopo la sua morte.
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ancora secondo Pozuelo Yvancos, come “un espacio vital, ámbito de la confesión,
espejo donde su autor se mira” (Pozuelo Yvancos, 2010: 406):
Abordar ese espacio de la comunicación elegíaca madre-hija desde un ámbito narrativo era punto
de partida muy difícil y reto en el que podría naufragarse con facilidad por exceso de
sentimentalismo o blandenguería. Es reto que Puértolas supera, pertrechada de la doble arma de
la simplicidad directa, de la tonalidad confesional servida por una prosa desnuda de artificios, muy
bien amoldada a la naturaleza y tema del libro. (Pozuelo Yvancos, 2010: 406-407)

Alla luce di questi elementi, contestualizzata dunque la stesura de La rosa de plata


entro lo spazio letterario ed esistenziale, biografico, dell’autrice, dagli “agradecimientos”
che chiudono il libro facciamo un piccolo passo indietro per soffermarci sull’ultimo
capitolo, il XXVII, dal titolo La rosa de plata: liberate tutte e sette le dame e concluse le
relative avventure, Artù è intento a riflettere “sobre la forma de que se quedara grabada
la victoria en la memoria de las gentes del reino” (Puértolas, 1999: 257) quando vede
Ginevra affacciata a una finestra. Si sofferma a contemplare la donna e pensa che
assomigli a una “rosa de plata”. La contemplazione diventa occasione di un’ulteriore
riflessione:
¡Cuántas cosas podría decirte! –se dijo luego para sí–. Sin embargo, debo callar, porque las palabras
ahora sólo servirían para separarnos. Debemos guardar el recuerdo de lo sucedido cada uno dentro
de su propio corazón, como si uno entendiera al otro. Sí, no hay más remedio que callar, renunciar
a esas conversaciones que, empezando por ser un desahogo, acabarían causándonos dolor y
mostrando al fin todo nuestro egoísmo. Pero al renunciar a hablar me sitúo en el mundo de las
sombras, no las sombras vivas de este jardín, sino sombras invariables y persistentes que no
dependen de la luz que nos viene del cielo. Durante el día, del sol y, durante la noche, de la luna y
las estrellas. No, en este lugar mío no hay luz natural. Aquí no crecen las rosas de verdad. Vivo
bajo la fría luz de una luna perpetua, una luz de plata. Pero, aun así, no quiero perderte, Ginebra.
No soportaría que te alejaras más. (Puértolas, 1999: 257-258)

Alle parole Artù preferisce il silenzio4 e al silenzio corrisponde adesso un’azione.


L’immagine della rosa de plata con cui Artù contempla Ginevra non resta infatti
infruttuosa: il re decide di istituire un nuovo ordine cavalleresco, l’Orden de los
caballeros de la rosa de plata, in cui vengano inclusi i valorosi cavalieri che hanno liberato
le dame imprigionate da Morgana “porque ya ha desaparecido la desdicha de las vidas
de las doncellas y en las páginas de la historia ha de consignarse lo bueno” (Puértolas,
1999: 258).
Muovendoci ancora entro le ultime righe che chiudono il romanzo, alle parole di
re Artù, che decreta che “todo ha concluido”, segue il commento del narratore –l’autrice
stessa– che interviene adesso in chiusura con una sua significativa argomentazione:

4 La “retorica del silenzio” è uno dei tratti su cui la critica si è soffermata nell’esaminare la produzione
narrativa di Soledad Puértolas in riferimento a una modalità espressiva essenziale, semplice, priva di
afectación ma, al contempo, prossima all’interiorità, intima, dai toni e i tratti spesso e volentieri lirici. Si veda
Jun (2000).
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¿Todo ha concluido? ¿Cuándo concluye una historia? Uno puede cambiar el lugar y el tiempo de
una historia, puede cambiar los personajes, puede dar a la historia un nombre nuevo que borre el
anterior. Así, los laboriosos rescates de las siete doncellas desdichadas serían desde ahora
recordadas como las hazañas de los caballeros de la Rosa de Plata.
Un rey puede hacer eso, aunque le diga dentro que, mientras él declara que todo ha concluido,
que, aunque nos hagamos la ilusión de ordenarla, de encauzarla, de darle una y otra forma,
recortando un pedazo aquí, añadiendo allá, manejándola, aparentemente, a nuestro antojo, la vida
no se puede manejar ni ordenar ni encauzar, porque cuando unas cosas terminan, empiezan otras.
(Puértolas, 1999: 260-261)

Con le parole conclusive del romanzo, punto di partenza in questo percorso a


ritroso nella riscrittura cavalleresca di Soledad Puértolas, si afferma la concezione della
scrittura come un cuento de nunca acabar: da un testo a un altro, da un genere a un altro, in
una retahíla infinita, proprio come voleva Carmen Martín Gaite –altro nome caro a
Soledad Puértolas, tanto che Pozuelo Yvancos la indica come una “maestra” (Pozuelo
Yvancos, 2014: 362) per la Puértolas stessa– è ancora una volta la coincidenza tra vita e
letteratura quella che viene proposta. La narrazione, infatti, come la vita, non finisce:
cambiano i luoghi, i personaggi, il tempo, ma il suo fluire è incessante e le sue
trasformazioni continue, rivelatrici di quel filo conduttore che lega inesorabilmente gli
uomini l’uno all’altro, e le storie da raccontare l’una all’altra.
In questo senso, facciamo riferimento ancora una volta allo studio di Lucía Megías
e alla sua distinzione tra “sujeto, forma y finalidad” (Luciá Megías, 2002), intendendo
con
¿El sujeto? La narración de las aventuras bélicas y amorosas de caballeros y damas que ofrecen
una imagen ‘ideal’ del mundo de la caballería, siguiendo el modelo de la biografía caballeresca. ¿La
forma? Una estructura narrativa muy elaborada, en donde juega una gran importancia la utilización
de estructuras folclóricas, fácilmente asimilables por el lector. ¿La finalidad? Crear una «historia
fingida», una obra en donde sea posible el didactismo, la defensa de una determinada ideología.
(Lucía Megías, 2002)

Così inquadrata, la riscrittura cavalleresca può essere dunque vista come la


manifestazione di quel “gusto por el contar” su cui la critica si è più volte soffermata
analizzando il romanzo spagnolo del secondo ’900: un gusto per la narrazione che
sarebbe responsabile di quella proliferazione di sottogeneri (novela policial, novela histórica,
novela erótica, metanovela, novela autobiográfica, ecc.) in cui inquadrare il romanzo spagnolo
contemporaneo, manifestazione di quell’ulteriore grande “contenitore” che siamo ormai
abituati a indicare come “postmoderno”5.
Eppure, focalizzare in questo modo la scrittura di Soledad Puértolas, la sua
proposta letteraria, tenendo conto anche del momento fortemente critico, da un punto
di vista biografico, in cui l’opera è stata elaborata, non è, a mio parere, sufficiente.
Sarebbe sminuire, semplificare, finanche banalizzare una idea di creazione letteraria che
caratterizza l’autrice dal suo esordio e che si va perfezionando e maturando nel corso
del tempo per arrivare fino ai nostri giorni, arrivando a includere al suo interno anche la

5 Si veda Lozano Mijares (2007).


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materia cavalleresca. Idea che ci costringe perciò a considerare la struttura de La rosa de


plata insieme ai suoi tanti protagonisti e che ci porta a ricordare il discorso di ingresso di
Soledad Puértolas alla Real Academia de la lengua, pronunciato dieci anni più tardi, nel
2010, dal titolo Aliados. Los personajes secundarios del Quijote.

3. LA STRUTTURA DEL ROMANZO


Nel presentare la trama del romanzo, già sono emersi due aspetti che
caratterizzano la sua struttura: una duplice articolazione dell’intreccio, che si unisce a un
necessario ripensamento dei ruoli dei personaggi, completamente al servizio delle azioni
e delle parole.
Il nucleo principale intorno a cui si costruisce l’opera sono infatti le imprese dei
sette cavalieri, che hanno inizio nel torneo organizzato da Artù fino alla liberazione
dell’ultima fanciulla, con i vari episodi secondari che completano il viaggio e la ricerca.
Il rescate di ogni dama avviene con assoluta regolarità nei capitoli 4, 7, 11, 14, 19, 22 e
25.
Le loro avventure sono però inserite, “incorniciate” e giustificate entro i dialoghi
tra Merlino e Artù, che aprono e chiudono il romanzo, e che dobbiamo affiancare ai
dialoghi o ai monologhi di Morgana, Ginevra e delle sette dame prigioniere, cui si
aggiunge la giovane Nimué, di cui Merlino è innamorato e che avrà un ruolo
fondamentale negli ultimi capitoli del romanzo. Cornice e avventure hanno dunque tratti
ben distinti. Nella cornice, Artù e Merlino si scambiano pensieri e riflessioni lasciando
emergere il loro lato nostalgico, malinconico, innamorato: più che eroi valorosi sono
uomini ripiegati su sé stessi, con le loro quejas e lamentaciones (parole che leggiamo più
volte nei cap. 1, 2, 8, 26 e 27), impegnati nel fare un bilancio delle loro vite, delle
esperienze avute e delle imprese realizzate. L’uno a sostegno dell’altro, Merlino
ripercorre le grandi avventure vissute da Artù, il successo delle sue imprese, e Artù elogia
le qualità di Merlino e i tanti casi che ha risolto: emergono in sintesi due profili, due veri
e propri curricula che ricordano e presentano al lettore due personaggi tutt’altro che nuovi
e sconosciuti, come a voler orientare e contestualizzare quanto narrato. Al contempo,
Artù e Merlino sono adesso spettatori: spettatori attivi e partecipi, sono una mente unica
che orchestra il torneo iniziale e tutto ciò che ne consegue, due celebri personaggi che
diventano presenze nascoste a supporto e sostegno dei nuovi protagonisti, preoccupati
–Artù e Merlino– di consegnare al prossimo quanto di buono e di costruttivo possa
esserci nelle vicende umane.
Ai sette nuovi cavalieri spetta invece il compito di portare avanti l’intreccio
mostrando coraggio, iniziativa, onore, ecc., in quanto “attanti”, protagonisti dell’azione
nel contesto delle imprese cavalleresche. A loro è affidata la componente dinamica della
trama: sono infatti una “nueva generación de caballeros” (Puértolas, 1999: 14), come
dichiara Merlino ad Artù, che non ha niente da invidiare ai precedenti e che sfoggia le
proprie qualità davanti allo stesso re e ai cavalieri della Tavola Rotonda.
Soffermiamoci dunque su questi protagonisti: non sappiamo i loro nomi, ognuno
di loro è caratterizzato da un colore, indicativo degli abiti indossati ma anche simbolo e
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sintesi della personalità del cavaliere, i cui tratti emergono nel corso delle imprese e degli
ostacoli da superare. Tratti che l’astuta Morgana conosce, e di cui si approfitta per
ostacolare il successo dell’impresa obbligando così Artù e Merlino a intervenire
segretamente per garantire l’esito positivo. A fianco dei sette cavalieri, un variegato
gruppo femminile, costituito dalle sette fanciulle, da Morgana, Ginevra e Nimué,
arricchisce il nucleo centrale delle avventure. A loro spetta però un compito diverso,
poiché rallentano e interrompono l’azione con i loro dialoghi o monologhi, rendendo il
testo un’alternanza di avventure e riflessioni, azioni e parole, con una nuova dimensione
assegnata al tempo e al suo scorrere.
Oltre al “tiempo de la andanza” assume grande importanza il tempo della
coscienza, che si apre alla riflessione e all’analisi, all’introspezione, e che diventa spazio
interiore, un’alternativa a quello dell’azione e delle avventure utili a esprimere valori e
qualità universali.
Le parole ci restituiscono in questo modo una dimensione nuova dei personaggi,
che diventano portavoce di profondi sentimenti quali la solitudine, l’amore, la paura.
Con una parola-chiave che sovrasta tutte le altre: la libertà. È infatti la libertà desiderata
dalle sette dame, ma anche la libertà su cui riflettono –ognuno per motivi diversi–
Morgana, Ginevra, Nimué, e anche Artù e Merlino. Libertà e amore, libertà e incontro
con sé stessi e con l’altro.
Con una regolarità che scandisce tutto l’intreccio al pari delle avventure in cui
vengono liberate le fanciulle, Morgana, fortemente caratterizzata attraverso una ricca
aggettivazione presente nelle parole di Artù e Merlino, ma anche nelle descrizioni del
narratore, appare in tutta la sua forza e combattività: bella, esperta, scaltra, è una donna
innamorata che farebbe qualsiasi cosa pur di tenere con sé il proprio uomo.
La voce narrante ci fa entrare nella sua interiorità e lo stesso fa con Ginevra,
malata d’amore, divisa tra Artù e Lancillotto; con Nimué, giovane, curiosa, piena di
iniziativa; con le sette fanciulle che, obbligate alla prigionia nel castello di Beale Regard,
diventano amiche e si confidano emozioni e pensieri. I loro dialoghi mostrano la
solidarietà, la comprensione e la simpatia reciproca nel condividere una condizione di
cui non sono responsabili.
A differenza dei sette cavalieri, di cui conosciamo solo il colore che li
contraddistingue, le sette fanciulle hanno, insieme al nome proprio, un sintagma che le
caratterizza: trovano così spazio i riferimenti al sogno, alla bellezza, all’allegria,
all’orgoglio, alla memoria, al dolore e alla perdita. Grazie alla loro presenza e alle loro
parole, la narrazione si fa più articolata. Ne include il percorso esistenziale, dal passato,
cui si allude brevemente o che in alcuni casi si approfondisce (in particolare è quanto
avviene con Alicantina, Bellador e Alisa), al presente.
E se solo uno è il carattere prevalente della loro personalità, le loro riflessioni
mostrano in realtà personaggi sfaccettati, tutt’altro che identificabili attraverso una sola
caratteristica. Viste una accanto all’altra, ci restituiscono l’immagine di un’umanità alle
prese con aspirazioni di libertà, da raggiungere superando prove, mettendosi in gioco,
confrontandosi continuamente con l’altro e confidando all’altro le proprie inquietudini.
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La successione di episodi ricchi di duelli, incantesimi, ostacoli, travestimenti ci


aiuta a inquadrare i ruoli assunti dai personaggi, principali o secondari: Artù e Merlino,
insieme alle sette dame, a Morgana, Ginevra e Nimué, costituiscono il mosaico con cui
dare voce a una realtà umana complessa, che non risponde più a stereotipi, ma che trova
nella relazione con l’altro un significato compiuto.
La riscrittura della materia cavalleresca che Soledad Puértolas ci offre attenendosi
a quelle componenti date da “sujeto, forma, finalidad” identificate da Lucía Megías si
complica e arricchisce perché l’elaborazione letteraria diventa funzionale alla
rappresentazione di un variegato spazio umano in cui ogni personaggio ha senso non
per sé stesso, ma insieme all’altro, mosso dal desiderio e dal bisogno di farsi riconoscere,
di essere accettato grazie all’incontro con l’altro, dando prova della propria essenza,
unica e insostituibile.
Sebbene riprenda personaggi conosciuti e riproponga schemi tipici del libro de
caballerías, l’autrice chiede perciò di abbandonare luoghi comuni e punti fermi per
scoprire quanto e come realizzare un percorso di libertà e di liberazione. Questo
costituisce l’asse portante delle avventure, che si costruiscono davanti agli occhi del
lettore grazie alle parole della voce narrante.

4. IL NARRATORE DELLA MATERIA CAVALLERESCA


A questo proposito, non di poco rilievo è la presenza del narratore, che possiamo
inquadrare in relazione a quanto Soledad Puértolas afferma nel suo discorso di ingresso
alla Real Academia de la Lengua. Sono passati dieci anni dalla pubblicazione de La rosa
de plata, eppure quanto l’autrice dichiara in quell’occasione non è poi così lontano dalle
pagine che stiamo commentando: “El narrador, que está por debajo y por encima de
todo lo que se cuenta […] –afferma l’autrice parlando del Quijote– tiene el hábito de
presentarnos a los personajes antes de que aparezcan en el relato, como si quisiera que
el lector se fuera formando una idea de ellos. A fin de cuentas, el Quijote es una novela
de ideas” (Puértolas, 2010: 19).
Allo stesso modo, grazie alla voce narrante che tiene le fila del racconto mettendo
davanti agli occhi del lettore situazioni e personaggi con cui presentare sentimenti e idee,
azioni e avventure, novela de ideas è anche La rosa de plata, ulteriore espressione di una
vocazione, quella della Puértolas, che, dichiara ancora lei stessa nel suo discorso di
ingresso,
está unida al universo de los cuentos que me leyeron en la infancia al pie de la cama y los que luego
leí yo en innumerables mañanas de domingo, largas siestas de verano y convalecencias de
enfermedades. […] Los cuentos de la infancia y las aventuras del héroe de Cervantes, disfrutadas
en plena juventud, me mostraron mundos muy distintos, pero unos y otras hicieron que mi afición
fuera cobrando fuerza. En esa vía que la imaginación, en estrecha alianza con la lengua, me mostró,
yo podía transitar a mis anchas, allí era posible perderse sin miedo, y conmoverse, sufrir, reír,
pensar, soñar. (Puértolas, 2010: 17)

Abbiamo prima ricordato le circostanze personali in cui la Puértolas si trova


quando scrive La rosa de plata, a seguito della morte della madre. Questo romanzo breve
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“sobre la pérdida y la búsqueda” diventa così un omaggio e un ricordo: alla madre e ai


racconti letti insieme a lei; alla narrazione, in cui ci si può muovere e perdere senza paura;
alla letteratura. Questo è anche il senso di quel cuento de nunca acabar cui ho fatto
riferimento prima: nell’ambito di un’incessante e partecipativa comunicazione tra autore
e lettore, la letteratura diventa luogo della libertà, del mistero e dell’immaginazione in
cui poter incontrare gli aliados, ovvero tutti coloro che possono offrire “aliento, estímulo,
comprensión, amistad, compañía o una clase de complicidad, fugaz o permanente,
inmediata o simbólica” (Puértolas, 2010: 18).
Ecco dunque confermata la concezione della scrittura letteraria per Soledad
Puértolas, e la sua riproposizione della tradizione cavalleresca ne è un ulteriore
contributo: entro il contesto di quel cambio di paradigma narrativo ormai consolidato
negli ultimi decenni del XX secolo, e ancora in auge in questo inizio di XXI,
conseguenza dei molteplici cambiamenti sia politici sia economici e sociali, la letteratura
restituisce quella pluralità di logiche e discorsi che mettono in comunicazione la realtà,
l’autore e il suo pubblico. Venendo meno punti fermi e visioni univoche e stabili, di
fronte alla proliferazione di messaggi e contenuti, il ricorso a una modalità narrativa che
ha un suo profilo solido consente, in un processo di sedimentazione e osmosi che genera
un quadro d’insieme eterogeneo, un’attualizzazione in cui convivono la frammentarietà,
l’eclettismo e l’autoriflessività di un post-modernismo consapevole.
È perciò possibile impostare, e questa è la sfida con cui affrontare una lettura di
questo tipo, una stimolante relazione tra il romanzo cavalleresco spagnolo
rinascimentale e la sua riproposizione attuale: se, come ricorda Anna Bognolo in uno
dei suoi numerosi lavori sul libro de caballerías, in esso “si pone il problema dello statuto
del racconto inventato, della sua autorità, del suo rapporto con la verità, della sua
funzione, ricreativa o didattica, nei confronti del destinatario” (Bognolo, 1999: 81),
questioni che coincidono con quelle che sono al centro della discussione sul romanzo
nell’Italia del pieno ‘500, possiamo traslare le stesse problematiche e portarle ai nostri
giorni, entro il dibattito relativo alla finzione nella contemporaneità: che si rappresenti
la realtà attuale o che si reinventino tradizioni apparentemente lontane, tutto concorre
alla rappresentazione e alla riflessione relative a quelle categorie universali che hanno a
che fare con l’umanità e le sue aspirazioni, con le relazioni umane, gli incontri, i conflitti.
Temi che ci portano però a considerare, in ambito strettamente letterario, la
questione dell’autonomia del romanzo, della superiorità dell’invenzione sull’imitazione
della realtà, e così via. Temi che rendono perciò assolutamente attuale la discussione
intorno al libro de caballerías e alla sua riproposizione, grazie anche al contributo di
Soledad Puértolas, non solo per il gusto e il piacere dell’avventura, ma anche in quanto
terreno in cui veder dibattute importanti questioni di teoria letteraria, a cominciare dallo
statuto del personaggio e dalla sua funzione, fino alla costruzione del testo, alla
commistione di generi diversi, alla comunicazione con il lettore, pensati –ciascuno di
loro– in dialogo l’uno con l’altro con estrema libertà ma anche grande consapevolezza.
DUELLI, INCANTESIMI E STRATEGIE DI LIBERTÀ IN LA ROSA DE PLATA 545

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