Nuova Musica Per il compositore tedesco ascoltare musica era da sempre come un fatto di percezione e memoria
La Nuova Musica ha mirato alla conclusione del periplo romantico, la cui
azione entro e sul “negativo” porta con sé il principio di “esperienza” secondo quando ammoniva Nietzsche: “esperienza significa sempre, almeno mi pare, triste esperienza” (Al di là del bene e del male, p.101). Il 1953 è l’anno dei Kontra-Punkte di Stockhausen, venendo dopo lo stento del divisionismo - o puntillismo!, dimostrando quanto lo strutturalismo fosse la terra promessa. La concezione di Stockhausen, in quell’opera di irresistibile furore, mostrava la traccia insperata: la struttura, che non permetteva più il riconoscimento completo e netto dei rapporti intervallari e, men che mai, la loro memoria, imponeva un nuovo tipo di ascolto: “praeterfluit in praeteritum tempus imprimiturque memorie (Agostino, De ordine, 2,14), ascoltare musica era quindi era qui da sempre come un fatto di percezione e memoria. Ora, chiudendosi in sé, le strutture mollavano la presa sul tempo essendone eterogenee e il discorso (cioè l’occupazione intenzionale del tempo raffigurabile con una retta) veniva espunto, dove il circolo svolgeva la sua traiettoria immobile, compiendo, sul piano della percezione, le promesse del razionalismo. Così venivano svelati i limiti della teoresi di Webern: la serialità non basta ad annientare la temporalità, soltanto la struttura compie la radicale Zerstörung. E così, in Agostino come poi anche in Kirkegaard, emerge il momento dove la temporalità si snatura nell’eternità. Da qui, e non solo in Stockhausen, si avranno contatti incomparabili a partire dai terribili compagni di Darmstadt.
La temporalità rimarrà sgonfiata e deformata cone le plastiche bruciate
e tumefatte di Burri, carica, oltre che di vettorialità verticale, anche dell’assenza sgomentante dell’umano. Già Hanslick ammoniva separando, nel suo terrifico saggio, il puro formale dal soggetto, aggiungendo che l’autonomia dialettica del primo poteva benissimo porsi come metafora emotiva del secondo. Ma la “morte del Tempo” è esperienza non definibile e, a rigore, neanche pronunciabile perché è essa stessa la “innommable”, la forma cioè con cui si manifesta la “connaissance surnaturelle”. Perciò con Stockhausen, non tanto si introduce nella pratica musicale un dato incontrollabile (come sarà invece l’alea) ma piuttosto l’abbandono alla associazione per processo generativo. Il cauteloso e prudente simbolismo della Seconda Scuola di Vienna perde così la sua ragione esattamente secondo il processo identificato da Simone Weil: la situazione di Enthäusserung marxiana, arrivata al suo epanouissment, si fa capace di rovesciamento e l’industria trionfante mima la teologia. Esattamente allo stesso modo Stockhausen chiude la parabola della decadenza iniziata con la prima generazione romantica quando l’arte, alla recente ferita della nuova realtà industriale, reagì con l’anticorpo bivalente: il Kitsch. I sommi maestri del romanticismo iniziatico perdono la corrispondenza dell’estetica astrale e la sostituiscono con l’interiorità, l’Innigkeit, improstituibile. Dalle lacrime di Schubert, tutta quanta la coscienza musicale tedesca (che, letteralmente, coincide con l’Europa) penserà dalla Winterreise al Tristano, acquistando regioni incontaminate di pensiero a costo di mutilazioni e lacerazioni successive e la redenzione, che ossessionava la mente di Wagner, si poté ottenere soltanto con il crepuscolo (non solo degli dèi ma tout-court).
La pastosa fusione orchestrale, cedendo al razionalismo pianistico, cede
il passo alla convulsione di un corpo che ha perduto l’ormeggio. E con Wagner la musica, se non si fa alleata del destino, ne assume la processualità assecondandone il ritmo e i destini divengono destini di morte, gli eroi la portano in sé anche nella pienezza dell’azione e dell’incontro amoroso. In pochi anni, dal candore malinconico dell’abbandono schubertiano, si arriva alle trascendentali menzogne e all’aspetto canagliesco del wagnerismo, ai miraggi consolatori offerti al borghese. E tale inganno arriva dal musicista romantico per eccellenza, il più grande di tutti, capace di mascherare la sua carica negativa (o progressiva, che è la stessa cosa) con un ricchissimo arsenale di attrazioni: dando a Bernard Shaw la rassicurazione che Siegfried, maledicendo l’oro, esorcizzi la “civiltà del lavoro”; aprendo al giovane Nietzsche delle Unzeitgemässe il regno dell’istinto, del vitale, che avrebbero distrutto l’intollerabile “raison”; consolando la borghesia con le dolcezze della famiglia; contribuendo a scatenare la volontà di potenza dell’irrazionalismo nascente. Ma la richezza sempre crescente di quella musica sfocia nell’impotenza a servirsene: nel Parsifal ciò che conta è la presenza della gestualità, l’ansioso ricorso al rito come gesto di pacificazione. Mahler sarà già un musicista “nuovo” che sente i tesori nibelungici come marchi inflazionati e, da qui, farà nascere una disperata elegia, il più vasto pianto della musica capendo di dover fare i conti con una situazione obiettiva di cui era chiara ormai l’irremediabilità. La scrittura pancromatica acuita dalla Seconda Scuola di Vienna accoglierà poi l’elemento inumano per eccellenza: il Caso. E l’opera di Webern, costruita interamente sulla condensazione gelata di cristallizzazione intervallare, risulta, di quella Scuola, la più conservatrice. E non è un caso che da essa e solo da essa, con rifiuto radicale delle altre lezioni, nascano musiche successive tutt’altro che inesorabili (si pensi al webernismo di Boris Porena, in particolar modo nei suoi bellissimi Vier kanonische Lieder). Avanza su tutto, sulla terra definitivamente bruciata del romanticismo, l’arresto dello scorrere del tempo, la cesura all’intenzionalità temporale introdotta, con coscienza lucidissima, da Stockhausen compositore e teorico della Neue Musik.”
Giovanni Giammarino Direttore d'orchestra e musicologo