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I grandi dischi del rock #20

Klaus Schulze è stato l'inventore della musica cosmica e il suo esponente più tipico. Il suo lavoro sull’elettronica
lo rese una delle esperienze seminali per il rock dei decenni successivi: non solo fu il pioniere di una quantità di
generi di grande successo (dall’ambient alla disco) ma fu il primo a delineare un’estetica della musica elettronica
popolare, un’estetica che eredita dai Raga indiani il senso del tempo, dal jazz la spontaneità e dai sinfonisti
tardoromantici il titanismo e la magniloquenza. Nell'arco della sua fin troppo prolifica carriera ha personificato
pregi e difetti della musica cosmica: la tensione metafisica e il sensazionalismo da colonna sonora, la maestosa
lentezza e la fredda ridondanza, la fluida improvvisazione elettronica e la smisurata paranoia. Con lui l’organo
da cattedrale, i suoni sintetici, le suite di mezz’ora diventano norma e non più esperimenti d’avanguardia.
L’opera di Schulze ha maggior valore musicale/emotivo che non puramente sperimentale.

Irrlicht è stato il disco che forgiò l’archetipo e lo standard della Kosmische musik. Le atmosfere sono più vicine
alle sinfonie ottocentesche che alla musica psichedelica; idealmente l’album stende un ponte tra Wagner,
espressionismo e acid rock (peraltro l’album nasce dai suoni concreti di organo e archi che solo
successivamente sono stati rielaborati). Se i Tangerine Dream e le loro partiture proto-ambient sono la
rappresentazione di un universo in stato vegetativo, la musica di Schulze è più dinamica ed emotiva.
Schulze sembra osservare il ciclo vitale di un corpo astrale dalla nascita fino alla morte, seguendone e
traducendone in musica l'evoluzione fino al collasso, per poi contemplare malinconico gli echi lontani e
sempre più fiochi di quell’esperienza mistica. La “Sinfonia Quadrifonica per Orchestra e Macchine
Elettroniche” alterna minuti di suspense soprannaturale a esplosioni apocalittiche e a melodie toccanti. Lungi
dal limitarsi a fornire una rappresentazione in musica dei suoni siderali, Irrlicht si focalizza sul pathos che lo
sconosciuto e l’infinito suscitano nell’animo umano. Irrlicht è il linguaggio del cosmo nella sintassi dell’uomo.

Irrlicht incanta perché si gioca tutto sulle impressioni: il suono è testimone di uno scontro tra l’uomo e il cosmo,
racconta il viaggio disperato di un Ulisse moderno fino al collasso, un’esplosione catartica. La musica si
accartoccia su sé stessa, poi la stasi: avvolgente come una nebulosa, microvibrazioni che sfioriscono esauste.
Alla prodigiosa forza titanica subentra la disperzione del nulla: lo spazio è declassato a mero ammasso di
asteroidi impazziti e segnali radio agonizzanti, pura polifonia del vuoto. Poi, mentre la rarefazione ipnotica viene
opposta all’intensità del primo movimento, l’indugiare stordito della musica si tramuta in una spirale ossessiva.
Ad un tratto una luce inquietante sorge da bordo dell’eternità. Può rappresentare la luce alla fine del tunnel, ma
il suono è più presagio di morte. Tra galassie incenerite ed echi riverberati da abissi ancestrali, esso si lascia
inghiottire dalla polifonia

è la vera essenza della sublime magnificenza di "Irrlicht".

(09/11/2006)

Irrlicht incanta come pochi perchè è giocato tutto sulle impressioni, le paure dell'ascoltatore. Basta
provare ad ascoltare l'organo del primo movimento al buio, soli, in qualche lontana casa di campagna.
Etereo, il suono ancestrale che ricorda la parte di Wright in A Saucerful..., ma più evoluta e spettrale.
Se in Meadow Meal (Faust) l'organo viene dopo la piogga e le esplosioni, e ha un suono che cerca di
viaggiare per raggiungere l'illusione di felicità, qui, in Ebene, l'organo è l'esplosione, è la pioggia, il
suono è nichilista come nessuno prima. 
ul. The symphony alternates moments of catalectic suspense, of apocalyptic chaos and of
moving melody. Schulze sequenced them so as to maximize awe and angst. 

a live recording of galactic life, but, rather than indulging in rendering cosmic events, he
focused on the pathos that the unknown and the infinite elicit into the human soul. The
symphony

È una sorta di documentario in musica dei suoni siderali e trasmette presentimenti di cataclismi planetari

" n questa "spazializzazione psichica del suono" (per dirla con Iannis Xenakis), il flusso emozionale e ininterrotto
della psiche trova la sua massima espressività. Poi, proprio mentre la rarefazione ipnotica viene opposta
all'intensità del primo movimento, l'indugiare stordito della musica – tra le vibrazioni minacciose e i rumori
siderali continui prodotti dai sintetizzatori - si tramuta in una spirale ossessiva. Ma è un'ossessione pacata,
invero rassegnata. A 12'48", una luce inquietante (la luce raminga, la "irrlicht"…) sorge dal bordo dell'eternità. E'
probabile ci siano scenari sovraumani a emanarne lo splendore irrequieto. Ma ormai il Suono ha più di un
presagio di morte. Tra galassie incenerite ed echi riverberati da abissi ancestrali, si lascia inghiottire,
completamente e definitivamente, da quella polifonia del Vuoto che è la vera essenza della sublime
magnificenza di "Irrlicht".

 sconvolgente, allucinata e astratta proiezione visionaria dell'ultraterreno.

"Irrlicht" è diviso in tre movimenti totalmente elettronici, privi di qualsiasi minima pulsazione
ritmica,glaciali e immobili, eppure vitali e tesi, in continua espansione, immersi in un continuo
dualismo tra statica immobilità e movimento. "Ebene": il primo dei tre movimenti dell'opera è un
continuo fluire inesorabile, un minimale e sintetico fluttuare in orbite interstellari, tra sogno e
incubo, vita e morte, rarefatti suoni di un'orchestra d'archi filtrata elettronicamente e dei fasci artificiali
modulati attraverso l'infinito; l'entrata dell'organo esplode in una supernova radioattiva, un titanico e
mastodontico crescendo, fulminante ed abbagliante nel suo luminoso e maestoso propagarsi. I due
movimenti rimasti, "Gewitter" e "Exil Sils Maria" riecheggiano reiterati attraverso galassie remote,
suoni fluenti in un costante moto circolare, tra illusione di immobilità e movimento, oltre lo spazio più
profondo, fino alla fine, oltre l'essere umano.

neristiche, ancora oggi se ne sente il peso in diversi generi moderni (trance, ambient e quelli con
matrice progressive..), il problema è l'averle portate avanti facendo 500000 dischi uguali, e tutti con le
stesse tastiere riciclate, con tanti saluti alla sperimentazione. Ascoltato uno ascoltati tutti. Sarò
ripetitivo ma Cluster e tutto ciò che ruotava intorno (Kluster.. Schnitzler..) un anno prima erano già
avanti di almeno 30 anni, e al confronto l'avanguardia e i 'territori sperimentali tanto difficili' (in realtà
Klaus è probabilmente il più accessibile di tutti i krauti) di quest'ultimo è nient'altro che manierismo,
anche perchè se guardiamo indietro su Prospective 21e Siècle o Wergo, ma anche i minimalisti come
dici, si sperimentava qualcosa di simile già prima di tutto il movimento kosmicho. Di lui preferisco altri
in ogni caso. 

n many ways, Irrlicht (1972) created both the archetype and the reference standard for
"kosmische musik". Schulze's recipe included Bach-ian organ ouvertures, Tibetan-style
droning, "Wagner-ian" polyphonic architectures, Pink Floyd-ian cosmic psychedelia,
Gregorian liturgy, John Coltrane's metaphysical explorations, and perhaps even
Michelangelo's "Sistine Chapel", and many other ingredients. The synthesis achieved by
that electronic symphony was momentous and ground-breaking. Schulze sculpted/painted
an ambience that sounded like a live recording of galactic life, but, rather than indulging in
rendering cosmic events, he focused on the pathos that the unknown and the infinite elicit
into the human soul. The symphony alternates moments of catalectic suspense, of
apocalyptic chaos and of moving melody. Schulze sequenced them so as to maximize awe
and angst. 

È interessante notare che è dalla musica cosmica che Brian Eno farà germogliare musica ambient; diversa la
fruizione, il significato sociale e lo scopo ma le trovate musicali si assomigliano molto.

Buongiorno signor Nicoli, le volevo proporre una trilogia di articoli sulla Formula 1 (la pausa invernale è
ancora lunga). Non so se siete aperti a redattori “free lance”; in ogni caso vi lascio gli spunti completi di
dettagli, se preferite che sia la redazione a svilupparli.

Questi articoli vanno ad esplorare il fallimento in F1, argomento che di solito non ha una trattazione troppo
approfondita; questi tre articoli andrebbero a comporre una "trilogia del fallimento", esplorandolo lungo tre
livelli differenti.

Il primo articolo è dedicato ai migliori tra quelli che “non ce l’hanno fatta”, ovvero racconta di 5 piloti che,
salutati come futuri campioni del mondo, in F1 hanno raccolto così poco che sono stati ignorati dalla storia,
vuoi per scelte sbagliate (come Baghetti), macchine sotto la decenza (come Warwick e Verstappen sr), o
quelli che hanno subito gravi incidenti che ne hanno limitato la carriera (come Johnny Herbert e
ovviamente Stefan Bellof).

Menzione speciale: Jules Bianchi. Parlo solo dei piloti che hanno concluso la loro carriera, altrimenti avrei
senz’altro inserito Vandoorne. Jean Alesi per me è un po’ troppo conosciuto per stare in questo articolo.
Jos Verstappen   

Derek Warwick

Giancarlo Baghetti

Johnny Herbert

Stefan Bellof

Il secondo articolo invece si focalizza sugli “eterni secondi”, ovvero su quei piloti che sono hanno lottato per
il titolo per parecchi anni, perdendo sempre, o che hanno inseguito il successo con le scuderie sbagliate
(come Reutmann, Alonso o Moss).

Rubens Barrichello

Carlos Reutmann

Jacky Ickx

Fernando Alonso (ha vinto, ma la sua rincorsa al terzo titolo mondiale ha definito lo standard per i
“campioni senza corona”)

Stirling Moss

Menzione speciale: non ne sono certo, ma suggerisco Prost, che nei primi anni Ottanta era l’eterno secondo
per eccellenza (1982 perso malgrado fosse il più veloce nelle singole gare, 1983 perso malgrado un
vantaggio di 14 punti a tre gare dalla fine, 1984 perso per mezzo punto); inoltre tutt’oggi la gente lo ricorda
come “quello cattivo che Senna sconfiggeva”. Oppure Coulthard: tutti gli anni dal 1997 al 2003 iniziavano
con Coulthard che diceva “Questo è il mio anno”. Massa alla fine ha avuto troppo poco tempo al top per
definirlo secondo in questi termini, malgrado Interlagos 2008 sia alla fine l’epitome del “campione senza
corona”.

L’ultimo articolo invece racconta quelli che sono stati i progetti più fallimentari della storia della F1, in
relazione alle aspettative e alla statura dei curatori. Ci spostiamo quindi dai piloti alle scuderie, dalle
ambizioni di pochi alle speranze di molti.

Brabham BT55 (1986)

Bar FB01 (1999)

McLaren MP4-30 (2015)

McLaren MCL-33 (2018)

Honda RA107 (2007)

Questo è quanto; ad majora


Menzione speciale: sono indeciso; ci metterei ancora Prost, che rilevò la discreta Ligier, fece all’inizio
un’ottima macchina (nel 1997) per poi far crollare la scuderia ai livelli della Minardi (nel 2000 addirittura gli
finì dietro!).

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