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Annalisa Landi
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La maggior parte dei culti pagani slavi non sono un fenomeno autoctono,
né un fenomeno immutabile, si con igurano piuttosto come la conseguenza
di un’acquisizione da parte degli slavi di altre tradizioni. Nel corso della loro
grande espansione, nei secoli V e VI, furono molti i popoli con cui gli Slavi
vennero a contatto. I più importanti dal punto di vista culturale furono i Greci,
che trasmisero al mondo slavo la scrittura e la religione ortodossa. Anche gli
invasori variaghi, di origine scandinava e ceppo germanico, non mancarono
di in luenzare – ma è di icile stabilire ino a che punto – le credenze degli
slavi pagani. Da un passo del “Sermone di San Gregorio sugli idoli” (Slovo
Svjatovo Grigorja ob idolach) si dice:
...Da cui impararono gli Elleni a compiere sacri ci ad Artemid e Artemide, cioè a Rodŭ e
alle rožanicy, così anche gli Egiziani e anche i Romani. Così, dunque, anche agli Slavi è
giunto questo racconto. E questi iniziarono a compiere sacri ci a Rodŭ e alle rožanizy
prima di Perunŭ, loro dio, e prima di questo facevano sacri ci agli upyri e alle beregyni...
1. il culto degli upyri e delle beregyni; (i primi vampiri, diversi dalla concezione
moderna, erano creature malvagie redivive, vittime suicide o streghe, cadaveri
posseduti da spiriti malevoli, si nutrivano di sangue). Le seconde sono spiriti
femminili della natura e dei luoghi montani, a cui veniva tributato un vero e
proprio culto. Vi sono tra questa anche le Vily, spiriti femminili dei boschi e degli
stagni, si credeva fossero anime di bambini morti o fanciulle annegate. Nel
folklore posteriore, le beregyni vennero piuttosto associate ai umi.
2. il culto di Rodŭ e delle rožanicy; Rod, personi cazione del destino e del fato
"giovane dio, dea-madre” (pratica legata al culto dei morti/ culto dei mani: i
trapassati erano venerati perché si riteneva che una volta seppelliti nella terra
potessero in uenzarne la fecondità)
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Il fatto che le fasi 1 e 2 siano molto antiche, non ci autorizza a sostenere che
siano tra loro in situazione diacronica. E sicuramente non ci autorizza ad
a ermare che siano più antiche della fase 3.
Perunŭ e gli altri dèi del pantheon slavo appartengono anch'essi al fondo
comune indoeuropeo. È presumibile che gli Slavi li conoscessero in
dall'epoca della loro etnogenesi. Sembra quindi ovvio che, anche nelle fasi
più antiche della loro storia, gli Slavi abbiano a iancato il culto degli upyri e
delle beregyni, a quello di Rodŭ e delle rožanicy, e questi al culto di Perunŭ e
degli altri dèi. Le tre fasi sarebbero dunque sincroniche e non diacroniche.
Passando invece all’elemento femminile, due sono le igure sulle quali vorrei
so ermarmi: quella delle rusalke e la igura della Mat’syra Zemlja.
La prima è una igura molto presente nella letteratura del XIX secolo. A
questo punto è doveroso ricordare il poema di Puskin “La Russalca” nel quale
un monaco viene soggiogato da una “ninfa”, uno spirito che si presenta sotto
la forma di una bellissima fanciulla che causa la morte degli uomini.
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prima del matrimonio. Infatti, dal punto di vista della tradizione popolare
viene considerata atipica la morte di chi non è sopravvissuto alla vita che gli
spettava e non ha portato a compimento il proprio programma vitale; questo
è ancora più vero nel caso di chi non si è sposato e di chi ha lasciato la prole
(ciò valeva principalmente per le fanciulle morte nel lasso di tempo tra il
idanzamento e il matrimonio). Inoltre, nelle tradizioni ucraine e bielorusse le
ragazze morte durante la Settimana della Trinità spesso diventavano rusalke.
la parola “rusalka” deriva dal greco antico “rozalja”, o “rusalja”, la festività che
nel mondo antico veniva celebrata all’inizio di maggio, quando iorivano le
rose. In questo periodo, venivano organizzati riti commemorativi e sulle
tombe venivano apposte delle rose e delle ghirlande di rosa.
Per quanto riguarda gli slavi occidentali, presso di loro esistono solo le
rappresentazioni di creature per metà donna e per metà pesce. I polacchi le
chiamano “sireny” o “sirenki”: sull’antico stemma di Varsavia è ra igurata una
“sirenka”, una ragazza con la coda di pesce. Tuttavia, nel folklore polacco e
nei materiali etnogra ici dei secoli XIX-XX questo personaggio è poco
conosciuto e non è popolare nella tradizione contadina.
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Le creature mezze donne mezze pesci o le donne con le code di drago,
talvolta con due code di drago o con le code di pesce, si incontrano anche
nelle mitologie del nord Europa come in quelle celtica, baltica e tedesca.
Ognuna ha una serie di caratteristiche comuni: sono belle, molto spesso
cantano canzoni meravigliose, e le impressioni scaturite dalle loro voci sono
particolarmente note nei racconti. Esse si manifestano in maniera più assidua
istaurando una relazione amorosa con uomini mortali. Tutte hanno una serie
di somiglianze con le sirene dell’Antica Grecia. Con questo non intendo dire
che tutti questi personaggi del Nord Europa siano legati geneticamente
all’Antica Grecia ma si comportano in modo analogo. La stessa cosa è
accaduta in alcune aree slavo orientali: questa trama appartenente alla
cultura dotta è penetrata nella tradizione popolare russa, bielorussa e
ucraina. All’inizio del XX secolo, l’etnografo e folklorista russo Dmitrij
Konstantinovič Zelenin fu uno dei primi a suggerire che la rappresentazione
di una creatura metà donna e metà pesce fosse stata presa in prestito dalla
mitologia slava orientale. Essa è penetrata nella tradizione orale dalla storia
biblica dei guerrieri del faraone che morirono nel Mar Rosso durante
l’inseguimento del popolo ebraico che fuggiva dalla schiavitù egizia. Le onde
del mare si aprirono e lasciarono passare gli ebrei mentre i soldati del faraone
annegarono. Da essi si generarono le creature per metà pesci e per metà
uomini che abitano il mare. Per questa ragione uno dei nomi russi di questi
personaggi è faraonki.
La igura però più adorata del mondo slavo è certamente quella della Mat’
Zemlja (che nel tempo assumerà anche altri nomi, come quello di Mokosh,
unica dea femminile venerata da Vladimir nel suo tempio di Kiev, come
testimoniato da Pověstĭ vremęnĭnyxŭ lětŭ, cronaca della storia della Rus’
Kieviena scritta a Kiev nel 1113)
Nelle byliny spesso ci imbattiamo nella formula issa “mat’- syra- zemlja”
(madre- umida/feconda- terra). Questa formula esprime il principio femminile
della creazione e della forza generativa. È classi icata anche come “umida”.
Nell’immaginario popolare mitologico è in un matrimonio cosmico con il
cielo, dal quale viene fecondata attraverso la pioggia, i fulmini. Secondo le
credenze popolari vi sono atti precisi che questa divinità non tollera perché
contraddicono i principi che incarna: gli atti contro la maternità e contro la
fertilità della donna e del suolo. A questo ella reagisce rendendosi sterile,
facendo vacillare il suolo terrestre o uccidendo.
Nella bylina su Michailo Potyk, un testo che presenta sia aspetti dell’epica
arcaica che quella cristiana, la moglie Mar’ja Lebed’ belaja tenta molte volte
di ucciderlo attraverso mezzi magici. (Pag 165)
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La madre-terra qui è espressa in forma vezzeggiativa (intraducibile), dettaglio
che ci informa del carattere con idenziale e personale del modo di rivolgersi
alla terra
A volte l’epiteto si presenta nella forma binaria di syra zemlja (pag 177).
Bisogna puntualizzare che la formula non ha inalità descrittive, nelle byline
non vi è quasi mai una vera e propria descrizione, le ambientazioni sono
stilizzate e servono ad incorniciare l’azione. La funzione è quella di ribadire
l’identità e il valore per il contadino dell’elemento terra. Proprio per questo,
raramente troviamo zemlja senza i suoi attributi “ issi”. Laddove si cerca di
descrivere, si tende ad usare espressioni alternative. Si ricorre ad esempio a
dei derivati (pagina 211)
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