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Mélanges de l'École française

de Rome. Italie et Méditerranée

Identità culturale e religiosa nei pellegrinaggi della Sicilia


contemporanea
Carmelina Chiara Canta

Riassunto
Il saggio affronta il tema dell’identità culturale e religiosa nei pellegrinaggi della Sicilia contemporanea e post-moderna. Il
taglio dell’analisi è sociologico e l’intento è quello di analizzare il comportamento religioso di coloro che si recano in
pellegrinaggio nei luoghi sacri, i santuari. L’ambito di studio nel quale si colloca l’analisi è quello della sociologia della
religione, che si avvale dei metodi delle scienze sociali, quantitativi e qualitativi. Dopo un esame del contesto santuariale
siciliano più ampio, le ipotesi teoriche sono verificate mediante l’analisi empirica di due fenomeni in contesti diversi della
Sicilia, uno rurale, il pellegrinaggio al santuario del Crocifisso di Bilìci, nella Sicilia centrale, nel territorio di Caltanissetta e
l’altro metropolitano, la festa di S. Agata, a Catania. Lo studio evidenzia che la comunità religiosa e civile, con la
celebrazione dei riti, ripetuti nel tempo, manifesta e rinnova il suo impegno a vivere anche come comunità civile e rafforza
la propria identità culturale. quantitativi e qualitativi. Dopo un esame del contesto santuariale siciliano più ampio, le ipotesi
teoriche sono verificate mediante l’analisi empirica di due fenomeni in contesti diversi della Sicilia, uno rurale, il
pellegrinaggio al santuario del Crocifisso di Bilìci, nella Sicilia centrale, nel territorio di Caltanissetta e l’altro metropolitano,
la festa di S. Agata, a Catania. Lo studio evidenzia che la comunità religiosa e civile, con la celebrazione dei riti, ripetuti nel
tempo, manifesta e rinnova il suo impegno a vivere anche come comunità civile e rafforza la propria identità culturale.

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Canta Carmelina Chiara. Identità culturale e religiosa nei pellegrinaggi della Sicilia contemporanea. In: Mélanges de
l'École française de Rome. Italie et Méditerranée, tome 117, n°2. 2005. Sanctuaires français et italiens dans le monde
contemporain. pp. 537-564;

doi : https://doi.org/10.3406/mefr.2005.10451

https://www.persee.fr/doc/mefr_1123-9891_2005_num_117_2_10451

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CARMELINA CHIARA CANTA

IDENTITÀ CULTURALE E RELIGIOSA


NEI PELLEGRINAGGI
DELLA SICILIA CONTEMPORANEA

PREMESSA

Certamente si può parlare di una pluralità di espressioni del «viaggio-


pellegrinaggio» nella società contemporanea, definita ormai era post-
moderna e della globalizzazione1. Compiono un viaggio coloro che si spo-
stano da un continente ad un altro in cerca di lavoro, coloro che sono co-
stretti a lasciare il proprio paese e andare lontano spinti da motivi politici o
ideologici. La stessa vita umana può essere considerata una sorta di viag-
gio, più o meno tortuoso ed intricato, segnato da tappe, verso una meta che
è unica per ciascun uomo. In questo contesto si farà riferimento ad un tipo
specifico di pellegrinaggio, quello che si compie verso un luogo sacro, un
santuario, in un territorio ristretto e particolare quale è appunto la Sicilia.
In particolare ci si soffermerà, dopo un’analisi del contesto santuariale
siciliano più ampio, sul territorio della Sicilia centrale. Il taglio di questa
analisi è di tipo sociologico e ciò motiva l’interesse specifico che è quello di
analizzare il comportamento religioso degli uomini, nel corso del pellegri-
naggio nei luoghi sacri, cioè i santuari. Sono considerati tali nell’economia
della presente analisi sia quelli legittimati dal diritto canonico sia quelli ri-
conosciuti come «santuari di fatto», meta di pellegrinaggi spontanei, og-
getto di culto, di richiesta di grazie e miracoli e di devozione da parte dei
fedeli. Nel presente saggio si fa perciò riferimento, in maniera esemplifica-
tiva, a due territori che, se non sono emblematici dell’intera Sicilia, rappre-
sentano tuttavia due modalità tipiche di espressione del rapporto dell’uo-
mo con il sacro. Si tratta di due manifestazioni della religiosità in occasio-
ne dei riti, sacri e civili, che sono compiuti nella giornata della festa
solenne, il primo in un contesto rurale, il pellegrinaggio del 3 di maggio al

1
R. Robertson, 1992.

.
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Crocifisso di Castel Belìci nel territorio di Marianopoli, in provincia di Cal-


tanissetta e il secondo in un contesto urbano, le processioni del 5 febbraio
in onore di S. Agata nella città di Catania, la seconda per numero di abitan-
ti dell’intera Sicilia. La Basilica cattedrale di Catania, dove sono custodite
le reliquie di S. Agata, non è definita santuario, tuttavia essa è meta di pel-
legrinaggi di devoti, che si rivolgono alla Santa per cercare una risposta ai
propri bisogni esistenziali, sia nei giorni delle processioni solenni che in
quelli ordinari.

I SANTUARI IN SICILIA

È difficile offrire una mappatura completa dei santuari in Sicilia sia


per la difficoltà, come afferma Salvatore Marino 2, di reperire documenti
omogenei sia per la diversità di informazioni e dati negli studi esistenti 3. I
santuari mariani sono molto più numerosi e tali da indurre il papa Pio XII
ad affermare, nel radiomessaggio del 17 ottobre 1954, che la Sicilia è costel-
lata da una corona di santuari, espressione della grande devozione a Maria,
propria del popolo siciliano 4.
Secondo lo studio di Salvatore Marino, i santuari mariani nell’intera
isola sono 138, cifra contenuta ma superiore a quello di Giustino Farnedi 5
che parla di 25 santuari, senza nessun aggettivo. Nella Sicilia orientale se
ne contano 70, così suddivisi per diocesi interessate : Patti (3), Nicosia (4),
S. Lucia del Mela-Lipari – Messina (18), Acireale (10), Catania (9), Ragusa

2
S. Marino, 1989.
3
Cfr. C. Scellato, 1983; A. I. Lima, 1984; Jesus, maggio 1987; Annuario Cattoli-
co, Roma, 1994-95.
4
Pio XII, Radiomessaggio Tra i memorandi fasti, in AAS 46 (1954) 659.
5
G. Farnedi O.S.B., 1996. Sono citati i santuari di : Addolorata del Romitello a
Borghetto (PA), Madonna del giubino a Calatafimi (TP), Santa Maria del Ponte a
Caltagirone (CT), Signore della Città a Caltanissetta, Santa Maria di Capo D’Orlando
a Capo D’Orlando (ME), Santa Maria di Gibilmanna a Gibilmanna (PA), Beata Ver-
gine Maria di Porto Salvo a Lampedusa (AG), Santa Maria del Terzito a Leni (ME),
Santa Maria di Montalto a Messina, Sant’Antonio a Messina, Madona del Carmine a
Nicosia (EN), Santa Rosalia a Palermo, Madonna della Consolazione a Paternò (CT),
Madonna del Carmine a Ragusa, Santa Maria della Scala detta «Badiazza» a Scala
Ritiro (ME), San Calogero al Monte a Sciacca (AG), Santa Lucia al Sepolcro a Sira-
cusa, Madonna delle Lacrime a Siracusa, Madonna del Tindari a Tindari (ME), San-
ta Maria Annunziata a Trapani, Santa Madre di Dio e della Salute a Vittoria (RG).
Sono indicati probabilmente quelli che oggi costituiscono una meta privilegiata di
pellegrinaggio o meglio di quel fenomeno cosiddetto di «turismo religioso». Nel te-
sto infatti si evidenziano, oltre agli aspetti storici e religiosi, soprattutto le manife-
stazioni folkloristiche e culturali legate al santuario.

.
I PELLEGRINAGGI DELLA SICILIA CONTEMPORANEA 539

(2), Noto (8), Piazza Armerina (4), Caltagirone (6), Siracusa (6). La mag-
gior parte è sorta tra il XVI e XVII secolo. Considerando il periodo storico
di origine del santuario, 13 sono sorti prima del 1200, 16 dal 1200 al 1500, di
cui 10 nel corso del 1400; 24 nel corso del 1600, 4 tra il 1700 e il 1800 e 5 nel
1900, questi ultimi nati nel corso della seconda guerra mondiale. Le moti-
vazioni della loro origine possono attribuirsi a : devozione (25), ritrova-
mento dell’immagine (20), miracolo (16), iniziativa personale (10), appari-
zione (5), voto (1) e sogno (1). Coniugando il tempo con la motivazione del-
l’origine del santuario, si può notare che una parte consistente di essi (32
su 70) è nata tra il XVI e XVII secolo, cioè nel periodo della controriforma
che J. Delumeau considera l’ultimo tentativo della Chiesa di evangelizzare
l’Europa 6. Questo processo in Sicilia investe in particolare le campagne e il
popolo contadino 7.
Oggi le feste che si celebrano in questi santuari sono concentrate nei
mesi estivi, dopo la mietitura, a conferma del legame con la cultura conta-
dina legata all’origine di gran parte dei santuari e in relazione con alcune
feste liturgico-devozionali.
L’analisi dei titoli definiti «indiretti» 8 evidenziano la «territorialità»
dei santuari, in particolare il radicamento nel territorio in cui sorge e l’area
di provenienza da cui provengono spontaneamente i pellegrini oggi. Tale
dimensione popolar-spontanea è messa in risalto dai vari racconti che pon-
gono all’origine del santuario un miracolo.
Nella Sicilia occidentale i santuari sono 68 così distribuiti : Agrigento
(8), Caltanissetta (9) 9, Monreale (12), Cefalù (4), Mazara (8), Trapani (10),
Palermo (12), Piana degli Albanesi (5). Prima del 1200 ne sono sorti 8, nel
periodo successivo 9, fino al 1500, 15 nel corso del 1500 e 25 nel 1600. An-
che per la Sicilia occidentale i secoli XVI e XVII sono quelli che hanno per-
messo la fioritura del maggior numero di santuari ma, a differenza del-
l’altra metà dell’isola, ne sorgono 9 nel secolo XVIII, 7 nel secolo XIX e 4
nel XX. Le cause della loro fondazione si possono attribuire a : miracolo
(27), devozione (25), ritrovamento immagine (23), apparizione (12), voto
(3). Anche in questa parte della Sicilia le feste sono celebrate nei mesi estivi
e in occasione di quelle liturgiche e devozionali già esistenti. È interessante
osservare che nei santuari della Sicilia occidentale «gli aspetti della natura
presenti nei titoli sono quasi completamente diversi da quelli della Sicilia

6
J. Delumeau, 1986.
7
G. Giarrizzo, 1978.
8
S. Marino, 1989, p. 54.
9
Nello studio di L. Bontà a cui si fa riferimento, il dato sui santuari nisseni è
raddoppiato (18). Cfr. L. Bontà, 2000.

.
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orientale, dove predominano aspetti più vari. Emerge infatti la presenza di


pietre e di montagne che sono una caratteristica della Sicilia occidentale
(Madonna delle Rocche, Madonna della Cava, Madonna del Monte, Ma-
donna del Balzo, ecc.)10. La differenza tra i santuari della Sicilia orientale
ed occidentale appare significativa per il tipo di religiosità popolare che,
nella misura in cui si evidenzia una natura più aspra, «pietrosa», che evoca
il peccato e le difficoltà degli uomini, sottolineano con più intensità e forse
con più pessimismo la triste situazione dell’uomo siciliano che, non trovan-
do conforto né nella natura né nei vari dominatori che di volta in volta si
sono susseguiti, si rifugia in Dio attraverso Colei che, essendo donna e
madre, può comprenderlo, aiutarlo, consigliarlo e perché no [...] anche
scusarlo11.

I SANTUARI NEL NISSENO12

Alla diocesi di Caltanissetta appartengono 17 comuni, collocati in un


ambiente alto-collinare rientranti prevalentemente nel territorio nisseno.
Solo due comuni gravitano nella zona madonita, cioè vicino le Madonie13.
I santuari attivi oggi sono 18 collocati in 10 centri abitati, raggruppabi-
li, come afferma Luigi Bontà14, in tre micro-aree : la zona nissena propria-
mente detta, il cosiddetto Vallone15 e la fascia pre-madonita.
Nella zona nissena sono situati 9 santuari, ubicati in 3 aree urbane. In
questo gruppo rientrano i santuari della Madonna delle Grazie e del Croci-
fisso del Calvario a San Cataldo e quello dell’Addolorata a Serradifalco; gli
altri 6 sono tutti nel capoluogo della provincia, Caltanissetta : il Redentore,
San Michele Arcangelo, il Signore della Città, la Madonna della Catena, la
Madonna di Fatima e l’Immacolata Concezione.

10
S. Marino, 1989, p. 60.
11
Ivi, p. 61.
12
Nisseni sono chiamati gli abitanti di Caltanissetta e con tale termine si indica
anche il territorio della provincia e della diocesi.
13
Le Madonie sono una delle catene montuose della Sicilia che si estendono a
nord-ovest della provincia di Caltanissetta fino a sud di Palermo.
14
L. Bontà, 2000.
15
Generalmente sono indicati come comuni del Vallone : Campofranco, Acqua-
viva Platani, Sutera, Mussomeli, Bompensiere, Villalba, Vallelunga, Montedoro, Mi-
lena, tutti della provincia di Caltanissetta. I paesi delle Madonie cui si fa riferimento
sono : Petralia Soprana, Petralia Sottana, Castellana Sicula, Polizzi Generosa, Colle-
sano, Alia, tutti in provincia di Palermo.

.
I PELLEGRINAGGI DELLA SICILIA CONTEMPORANEA 541

Nell’area del Vallone si trovano 5 santuari : la Madonna dei Miracoli e


delle Vanelle a Mussomeli, San Paolino da Nola a Sutera, San Calogero
Eremita a Campofranco e il Crocifisso del Calvario a Montedoro.
Nell’area pre-madonita si collocano 4 luoghi di pellegrinaggio, di cui
solo 1 urbano (Madonna delle Grazie), nel comune di Santa Caterina Vil-
larmosa e in quello di Calascibetta si venera la Madonna di Buonriposo. I
due santuari liminari collocati in questa zona, cioè quello della Madonna
di Tagliavia, situato tra S. Caterina e Resuttano, e il Crocifisso di Belìci, si-
tuato tra Marianopoli e Villalba, pur insistendo giuridicamente sul territo-
rio della diocesi di Cefalù, sono pastoralmente amministrati da sempre dal
clero della diocesi di Caltanissetta.
Dei 18 santuari, 11 sono dedicati alla Madonna, 5 a Gesù Cristo e 2 a
Santi. Considerando il periodo storico della loro origine, essi sono sorti
prevalentemente in età moderna (6 nel XVII secolo) e contemporanea (4
nel secolo XIX e 2 nel XX secolo), in età medioevale solo 1, nei secoli XV e
XVI 3 e 2 nel XVIII. La devozione dei nisseni verso la Madonna è profonda-
mente radicata. Le dedicazioni cristologiche mostrano una diffusione rela-
tivamente scarsa e la maggior parte hanno un riferimento toponomastico,
come per esempio il Crocifisso di Belìci e del Calvario (XVII secolo) e del
Signore della Città (XV secolo).
La mappa dei luoghi sacri è frutto di specifici fattori storici, sociali,
geografici e religiosi dovuti a vicissitudini della comunità civile, agli svilup-
pi dell’organizzazione ecclesiastica e alla diffusione di modelli originali.
Anche se sono presenti ancora molte lacune nella geografia santuariale,
molti segni evidenziano che in ogni paese esisteva almeno un santuarietto
per le necessità «quotidiane». Così i luoghi di pellegrinaggio sono 18, di cui
11 urbani, 4 suburbani e 3 rurali. La forte prevalenza quantitativa dei san-
tuari urbani è la conseguenza di un lungo processo di inurbamento dei
santuari, iniziato nel Seicento e favorito dall’incremento notevole della po-
polazione.
Il paesaggio e la cultura rurale permeano e influenzano anche l’archi-
tettura religiosa dei santuari, che appare semplice e povera, facilmente
comprensibile e fruibile dalle masse contadine che vivono in quel territo-
rio. Tutto questo vive ancora oggi perché, come hanno evidenziato le anali-
si di Gabriele De Rosa16, il mondo delle devozioni e dei pellegrinaggi popo-
lari non si dissolve insieme al modo contadino che ne era stato il soggetto
nei secoli passati. Oggi infatti molti santuari sono attivi e vivi come confer-
mano i numerosi pellegrinaggi che hanno come meta quei luoghi.

16
Cfr. G. De Rosa, 1987.

.
542 CARMELINA CHIARA CANTA

I santuari più frequentati dai pellegrini sono quelli situati all’interno


del proprio territorio comunale (quasi ogni comune ha almeno un santua-
rio di riferimento), tuttavia i comuni della provincia nissena che sono
sprovvisti di un santuario nel loro territorio si recano in quelli dei comuni
vicini ma appartenenti ad altra provincia17. A titolo esemplificativo si indi-
cano alcuni di questi santuari extra diocesani più frequentati : Madonna
della Catena nel comune di Riesi (CL), San Calogero Eremita a Naro (AG),
Madonna dell’aiuto e pellegrinaggio alla tomba del Servo di Dio Gioacchi-
no La Lomia nel comune di Canicattì (AG), Madonna di Tagliavia e Ma-
donna dell’Olio nel territorio di Petralia Sottana (PA), Santa Rita da Cascia
nel comune di Valledolmo (PA). Conseguentemente la tipologia dei pelle-
grinaggi nel nisseno è triplice : a «breve distanza» (o all’interno del santua-
rio), a percorsi «relativamente brevi» e pellegrinaggi a «lunga distanza»
(Belìci).

IL FENOMENO DEL PELLEGRINAGGIO AI SANTUARI

Il fenomeno del pellegrinaggio in Italia coinvolge una parte così ampia


della popolazione da far avanzare l’ipotesi al sociologo Sabino Acquaviva18
che si possa parlare di una vera e propria religiosità del «pellegrino», cioè
di una categoria di persone, non necessariamente credenti, che privilegia-
no la mobilità, anche a carattere multiculturale, che sono soliti frequentare
ostelli e santuari.
Indicazioni e dati attendibili sul fenomeno del pellegrinaggio in Italia
sono forniti dall’indagine sociologica sulla religiosità in Italia, condotta
dall’Università Cattolica di Milano19. La ricerca, che ha analizzato a tutto
campo la religiosità degli italiani, ha approfondito anche la tematica della
religiosità popolare, le cui caratteristiche si riscontrano nei pellegrinaggi. Il

17
La ricerca storica sui santuari nel nisseno è recente e tuttora in corso per ope-
ra di Luigi Bontà, studioso locale, ai cui studi si fa riferimento in questo contesto.
Come scrive infatti lo stesso, anche se la mappa della geografia santuariale è ancora
lacunosa, molti segni mostrano che in ogni paese esisteva almeno un santuarietto
per le necessità «quotidiane». C’è da tenere conto anche dei santuari «spenti», del
loro raggio d’azione e delle devozioni in esse coltivate. Attualmente le conoscenze
nel nisseno sono relativamente scarse; è certo comunque che i numerosi luoghi di
pellegrinaggio costituivano un reticolo a maglie strette sul tessuto urbano e assolve-
vano a svariati compiti : dalle funzioni specifiche (santuari terapeutici di tipo spe-
cialistico) a quelle polivalenti di patrocinio civico e di guarigione in genere. Cfr.
L. Bontà, 1998, p. 27-46; 2000, p. 40-41; 2002, p. 27-38.
18
S. Acquaviva, 1995.
19
V. Cesareo et al., 1995.

.
I PELLEGRINAGGI DELLA SICILIA CONTEMPORANEA 543

15% degli italiani ha partecipato (una o più volte) ad un pellegrinaggio. Il


fenomeno è diffuso, se pure in modo non omogeneo, sia al Nord che al Sud
della penisola, sia nei piccoli comuni che nelle grandi città. I protagonisti
hanno un’età compresa tra 50 e 64 anni (21%) ma numerosi sono pure i
giovani (16%). Emergono significative differenze di genere : sono le donne
maggiormente coinvolte e, in particolare, coloro che hanno un’età compre-
sa tra 65 e 74 anni. Numerose (18%) sono pure le persone che nei mesi pre-
cedenti l’indagine sociologica avevano fatto un voto, considerando questo
comportamento («fare un voto»), un indicatore significativo della religiosi-
tà popolare. Questa scelta implica un coinvolgimento più personale anche
se può essere presente una componente utilitaristica e/o magico-sacrale.
Consistente è anche la partecipazione ad almeno una processione nell’arco
di un anno (42%). In sintesi, facendo riferimento agli indicatori di religiosi-
tà presenti nella ricerca, si può affermare che la religiosità popolare com-
prende un’area che varia dal 15% al 20% degli italiani 20. Differenze signifi-
cative si riscontrano comunque nelle diverse aree territoriali; molto elo-
quenti sono infatti i valori relativi alla domanda «negli ultimi 12 mesi, Lei,
ha compiuto un pellegrinaggio?» alla quale gli intervistati hanno risposto
in forma molto diversificata; nel Trentino il fenomeno coinvolge quasi la
metà della popolazione (49%), nell’area di Foggia (25%) e nel Lazio (23%)
ne sono interessati circa un quarto mentre in Sicilia (16%) i valori sono
analoghi a quelli nazionali (15%). La città di Roma, che si caratterizza per
essere la più «secolarizzata», anche per altri aspetti della religiosità 21, è an-
che meno coinvolta nel fenomeno. Infatti solo l’8% dei romani ha compiu-
to un pellegrinaggio («una o più volte» negli ultimi 12 mesi). Il fenomeno è
diffuso soprattutto tra le donne e tra la popolazione dei piccoli comuni.
Diverse sono ormai le analisi di tipo sociologico, alcune concluse e al-
tre ancora in corso, su singoli santuari, situati in luoghi determinati dall’ir-
ruzione del divino in una realtà territoriale. Da un’indagine sui santuari al-
pini Giuseppe Capraro ha individuato quattro tipologie di religiosità dei

20
In una precedente indagine condotta nel nisseno erano emersi dati significati-
vi, apparentemente in contraddizione con quelli nazionali. In questo caso, in verità,
la domanda si riferiva all’intero arco della vita. Infatti alla domanda «Hai mai parte-
cipato ad un pellegrinaggio o ad una visita ad un santuario?», i soggetti intervistati
hanno risposto : «mai» (30,6%), «una sola volta nella vita» (14,3%), «due-tre volte
nella vita» (33,4%), «spesso» (21,6%). Probabilmente la differenza rispetto all’indagi-
ne nazionale, condotta alcuni anni dopo, è causata dalla diversa domanda che a Cal-
tanissetta indagava sull’intero arco della vita. Cfr. R. Cipriani, 1992.
21
Cfr. R. Cipriani, 1997. Nella ricerca sono emersi diversi elementi significativi
che ne delineano il profilo di una città molto secolarizzata nonostante il suo appella-
tivo di «sacra».

.
544 CARMELINA CHIARA CANTA

pellegrini (Religiosità Individuale, Religiosità Comunitaria, Etica Profana


ed Etica Religiosa) 22. Un’analisi del «passo devoto» e dei «gesti devoziona-
li» è condotta con interviste ai pellegrini dei santuari mariani nel Veneto e
nei Santuari di S. Valentino ad Ala, della Vergine di Caravaggio di Monta-
gna di Pinè, la Vergine di Caravaggio a Peggia, il santuario di S. Romedio e
della Vergine di Sabbiona a Chiusa 23. I santuari del Piemonte e della Valle
d’Aosta sono stati studiati con un approccio logico, morfologico e sociolo-
gico da Renato Grimaldi. In una ricerca condotta per oltre quindici anni,
sono state schedate, studiate e fotografate le tavolette votive dei santuari
per comprendere le strategie popolari degli ultimi cinque secoli. Il santua-
rio è analizzato sotto un duplice aspetto : la leggenda di fondazione (che ne
evidenzia la dimensione mitica) e la presenza di ex-voto dipinti (che ne evi-
denzia il comportamento sociale «sciogliere il voto»). La ricerca ha coin-
volto i 174 santuari delle diocesi del Piemonte e Valle d’Aosta tramite un
questionario che ha raccolto notizie sulla leggenda di fondazione e sugli ex-
voto 24.

IL PELLEGRINAGGIO AL SANTUARIO CROCIFISSO DI CASTEL BILÌCI

All’interno del contesto più ampio, qui si fa riferimento ad un pellegri-


naggio che compiono i pellegrini ancora oggi al «Signore di Bilìci », nell’a-
rea nissena, cioè di Caltanissetta, una provincia nel cuore della Sicilia. Il fe-
nomeno è stato oggetto di una accurata indagine sociologica (Canta, Ci-
priani, Turchini 1999).
Si tratta di un pellegrinaggio «piccolo», «sconosciuto» e «povero» che
si situa certamente al di fuori del circuito di altri pellegrinaggi più noti non
solo in Italia ma anche nella stessa Sicilia, quali possono essere quelli alla
Madonna delle Lacrime di Siracusa o la Madonna di Tindari o Santa Rosa-
lia 25 a Palermo.
L’indagine sul pellegrinaggio al Crocifisso di Bilìci è iniziata nel mag-
gio del 1994. Essa s’inserisce nel filone delle analisi sociologiche sul feno-

22
G. Capraro, 1995.
23
E. Renzetti, 1995.
24
Cfr. R. Grimaldi, 1997; R. Grimaldi e R. Trinchero, 1997. I dati e i modelli in-
terpretativi elaborati sono informatizzati. Il programma informatico relativo (SE-
MEX) è operativo sul sito internet presso il CISI di Torino : www.cisi.unito.it/proget-
ti/mvexv.
25
La ricerca sociologica si è avvalsa di una pluralità di metodi e tecniche di tipo
quantitativo e qualitativo : osservazione partecipante, analisi fotografica e video-
registrazione, interviste a «testimoni privilegiati», «interviste libere», e «interviste
semistrutturate», interviste con questionario, questionario postale, test iconografico.

.
I PELLEGRINAGGI DELLA SICILIA CONTEMPORANEA 545

meno religioso in Sicilia, in particolare nella zona centrale, promosse dal


Centro Studi sulla Cooperazione «A. Cammarata» di San Cataldo (CL), di-
retto da Cataldo Naro. Già a partire dagli anni novanta sono state condotte
indagini sia sul fenomeno religioso (Cipriani 1992) e sui nuovi movimenti
religiosi (Berzano, Introvigne 1994) nel nisseno che sulla religiosità in Sici-
lia (Canta 1995).
Inizialmente si è realizzata un’approfondita «indagine di sfondo» e
una «ricognizione sul territorio» che hanno richiesto una serie di approcci
con la comunità civile e religiosa di Marianopoli (sindaco, parroco, appar-
tenenti all’area dell’associazionismo e altri) nel cui territorio si trova il san-
tuario di Castel Belìci 26.
Già a partire dal 3 maggio 1994 è stata realizzata la prima «parteci-
pazione», per osservare il comportamento dei pellegrini, assistendo a va-
rie messe all’interno della cappella del Crocifisso, in diverse ore della
giornata a partire dalla prima del mattino, e osservando i pellegrinaggi
che nella vigilia della festa del Crocifisso hanno organizzato i parroci dei
comuni di Marianopoli e Villalba. I ricercatori sono stati al seguito di pel-
legrini che spontaneamente e autonomamente si recano a Bilìci in piccoli
gruppi, al momento conviviale del pranzo che il comitato organizzatore
della festa prepara per i sacerdoti, i vigili urbani e le guardie del Corpo
Forestale di Castellana Sicula 27 che compiono il servizio d’ordine per
quella giornata.
In particolare molto utili si sono rivelate le «interviste a testimoni
privilegiati». Abbiamo inteso indicare in questo modo i protagonisti più
«antichi» e «più fedeli» del fenomeno in oggetto. Sono costoro, anziani
di settanta-ottanta anni e oltre, residenti soprattutto nei comuni con la
maggiore affluenza di pellegrini. L’ascolto e la trascrizione di queste in-
terviste, ricche di informazioni ma anche di emozioni e di esperienze di
vita, hanno costituito una fonte di ricchezza preziosa per la conoscenza
della «memoria storica» della «comunità di Bilìci». «Testimoni privilegia-
ti» sono stati anche i parroci dei comuni di Marianopoli, Villalba, Valle-
lunga, Resuttano, Santa Caterina Villarmosa e San Cataldo, disponibili e
preziosi per le loro analisi e informazioni sull’oggetto del nostro studio e
sulle persone.

26
In questa fase, detta di «ricerca di sfondo» è stata consultata una bibliografia
finalizzata a conoscere il fenomeno in particolare attraverso le fonti sul santuario
(G. Pitrè 1900, 1978; G. Macaluso 1984; L. Immordini 1959; Montagna 1984) e il cul-
to del Crocifisso nel territorio nisseno (C. Naro 1984, 1989; L. Bontà 1998).
27
Comune, in provincia di Palermo, vicino al santuario.

.
546 CARMELINA CHIARA CANTA

Il 3 maggio del 1996, giorno del pellegrinaggio al Signuri di Bilìci i pel-


legrini (parte dei quali già coinvolti negli anni precedenti con «interviste li-
bere» e «semistrutturate») sono stati intervistati dai ricercatori con que-
stionari strutturati, a risposta chiusa.
In base all’affluenza degli anni precedenti, in termini di proiezione, ab-
biamo ritenuto di somministrare 375 questionari, intervistando pellegrini,
diversi per sesso ed età, che raggiungevano il santuario provenienti da vari
sentieri nel corso dell’intera giornata. Sono stati scelti dei punti «strategi-
ci» da cui i pellegrini dei diversi comuni erano obbligati a passare per acce-
dere al santuario : qui li attendevano i ricercatori che li avrebbero intervi-
stati.
Alla fine della giornata (dalle ore sette del mattino fino al tramonto)
del 3 maggio 1996 i pellegrini che avevano fatto il viaggio al Signore di Bilì-
ci sono stati 6.607, una cifra probabilmente non esatta ma solo per difetto.
Successivamente, dopo una prima elaborazione, i dati del questionario so-
no stati inviati ai parroci di quei comuni in cui si era registrata un’affluen-
za rilevante di pellegrini. Lo scopo era quello di individuare un continuum
fra il territorio di origine dei pellegrini e la devozione al Crocifisso di Bilìci.
Molti sono gli interrogativi e i problemi che costituiscono le ipotesi
della ricerca su U Crucifissu di Bilìci e che ne hanno definito l’orientamen-
to e lo studio. In particolare si è inteso :
– verificare la possibilità di disegnare un profilo peculiare del pellegri-
no che si reca al santuario di Bilìci;
– analizzare la fenomenologia della religiosità popolare e le forme di
devozione che praticano i devoti nel contesto di questo territorio;
– ripercorrere nel contesto storico il rapporto dei pellegrini col Croci-
fisso al fine di individuare persistenze, mutamenti e trasformazioni nel
tempo;
– verificare se la «relazione» del fedele col Crocifisso sia di tipo «per-
sonale», «soggettivo», «spontanea» e se sia veicolata e mediata dalla Chie-
sa istituzionale;
– ricercare se la tipologia dei fedeli-pellegrini che si recano al Crocifis-
so di Bilìci presenti peculiarità proprie, differenti da quelle individuate in
altri luoghi meta di pellegrinaggi;
– esaminare in che termini e in che modo il contesto culturale, agrico-
lo e pastorale della vallata dominata dal santuario renda «unico» il pelle-
grino di Bilìci.

Le analisi che seguono sono una verifica alle ipotesi iniziali ma, nello
stesso tempo, hanno individuato anche altri aspetti interessanti non previ-
sti all’inizio della ricerca.

.
I PELLEGRINAGGI DELLA SICILIA CONTEMPORANEA 547

Il Crocifisso di Bilìci

Il pellegrinaggio al Signore di Bilìci si ripete ogni anno 28, il 3 maggio. Il


Crocifisso di frate Innocenzo, oggetto del culto, è «una scultura lignea poli-
croma di raffinata arte realistica, seicentesca» (Macaluso 1996 : p. 25). Lo
stesso, invece, secondo la «leggenda di fondazione» (Immordini 1959 :
p. 15-16) con le varianti raccontate dai pellegrini intervistati, fu rinvenuto
nel torrente Bilìci, che scorre a valle, vicino al santuario che dà il nome alla
zona stessa (Pulci 1894 : p. 14-15). È significativo che, indipendentemente
dalle discordanze storiche (Macaluso 1996) e dalle contraddizioni della leg-
genda, migliaia di pellegrini, anche in un giorno feriale, vadano a Castel Bi-
lìci, da molti paesi della Sicilia, in particolare dalla provincia di Caltanis-
setta e di Palermo. Marianopoli, Villalba, Vallelunga, Santa Caterina Villar-
mosa, San Cataldo, Resuttano, Alia, Ganci, Caltavuturo, Geraci, Petralia
Soprana e Sottana, Mussomeli, Sutera, Valledolmo, Castellana Sicula e
Bompietro sono i paesi da cui proviene la maggior parte dei pellegrini, an-
che se non manca qualcuno che viene da più lontano, per esempio da Cata-
nia, che dista 150 chilometri.
«Da centinaia di anni tutto questo continua ancora oggi – riferiva un
pellegrino proveniente da Petralia – ed ha qualche cosa di straordinario.
Dio esiste. Probabilmente per molti intellettuali ciò è sconcertante» 29. Che
cosa spinge, ogni primavera, da circa 350 anni, gruppi di anziani, donne e
uomini, giovani e bambini provenienti da luoghi resi «lontani» più che dal-
la reale distanza chilometrica dalle strade poco agevoli, in auto o in pull-
mann, a salire, infine, nell’ultimo tratto a piedi (alcuni a piedi scalzi), sulla
collina alla cui sommità è collocata la chiesetta dell’ex feudo di Castel Belì-
ci? Non sono pochi i pellegrini che ancora oggi partono all’alba dai Paesi
delle Madonie, da Resuttano o dalle Petralie (Soprana e Sottana) per fare
l’intero percorso, u viaggiu a lu Signuri di Bilìci, a piedi, senza l’uso di alcun
mezzo, solo perché hanno fatto una purmissioni 30.

28
Secondo il calendario liturgico in vigore fino agli anni ’50, il 3 maggio si fe-
steggiava il ritrovamento della Santa Croce da parte di Sant’Elena Imperatrice, ma-
dre di Costantino il Grande. Successivamente l’«Inventio» della Croce confluisce nel-
la festa, liturgicamente più importante, dell’«Esaltazione» della Croce, celebrata il
14 settembre.
29
L’intervista è stata realizzata a Bilìci il 3 maggio 1994. Il pellegrino, partito al-
l’alba da Petralia Soprana, un paese delle Madonie, era giunto a Bilìci, chiedendo di-
versi passaggi in auto e in camion e percorrendo a piedi nudi gli ultimi chilometri.
30
La purmissioni du viaggiu è il leitmotiv ripetuto continuamente dai pellegrini
per indicare la ‘promessa del viaggio’, generalmente a piedi nudi, fatto per sciogliere
un voto.

.
548 CARMELINA CHIARA CANTA

Lo spazio sacro

Il santuario di Castel Belìce 31 sorge a pochi chilometri dal comune di


Marianopoli, in provincia di Caltanissetta, a metà strada tra questo paese e
quello di Villalba, luogo strategico tra un territorio agricolo (San Cataldo,
Villalba) e un altro pastorale (Marianopoli, Petralia Soprana e Sottana, Ca-
stellana Sicula).
Su una collina, isolata, dalla cui sommità si domina il territorio circo-
stante, in uno spazio che sembra disabitato da millenni (non si vedono più
abitazioni, tranne la masseria di Vicaretto da tempo abbandonata ai piedi
della collina, né alberi, né paesi), ci sono i «resti» del feudo di Castel Belìci.
Al pellegrino o al semplice visitatore che viene in macchina o a piedi a
mano a mano che si avvicina al luogo dove sorge il santuario si offre uno
spettacolo naturale alquanto suggestivo. Infatti nei giorni di primavera, ai
primi di maggio, quando si compie il pellegrinaggio, la collina e i campi in-
torno sono rivestiti di un verde tenero, su cui risaltano le macchie di viola
intenso, il colore tipico del fiore della suddra, che è una varietà di fieno; su
questo vede i «resti» del santuario, nei colori caldi tipici della terra arena-
ria-argillosa, pur nella loro semplicità ed essenzialità, si impongono.
Il Crocifisso miracoloso, u Signuri di Bilìci 32, è collocato dietro l’altare
della piccola chiesa ad una navata. La croce è posta in alto e sovrasta l’alta-
re ma i fedeli possono accedervi per «toccare» e «baciare» le ferite dei pie-
di del Crocifisso salendo sui gradini di una scala da una parte e scendendo
dall’altra. In fondo alla chiesa sono esposti gli ex-voto per la maggior parte
di cera, costituiti soprattutto da oggetti, che riproducono forme anatomi-
che (Turchini 1996 : p. 52-55).
Oltre la chiesetta oggi restano le mura esterne, che anticamente delimi-
tavano gli edifici, disposti in maniera tale da formare un baglio, in cui si affac-
ciano alcune stanze e un grande salone; probabilmente le antiche stalle, suc-
cessivamente adibite a depositi e oggi a salone di accoglienza dei pellegrini.

Profilo delle pellegrine e dei pellegrini

La maggior parte dei pellegrini è costituita da donne (54%), anche


se è ugualmente rilevante il numero degli uomini (46%) 33. A differenza
dei pellegrini di sesso maschile, le donne che compiono il viaggio sono

31
Bilìci, dal torrente omonimo, da non confondersi con il fiume Bélice che scor-
re a Nord-Ovest della Sicilia, vicino Selinunte (TP).
32
Signuri è l’appellativo con cui in Sicilia si suole chiamare il Crocifisso.
33
Le percentuali si riferiscono all’elaborazione dei dati delle interviste con que-
stionario.

.
I PELLEGRINAGGI DELLA SICILIA CONTEMPORANEA 549

in maggioranza coniugate (54%). Si può dire che cumulativamente, ma-


schi e femmine, al pellegrinaggio intervengono in maggioranza persone
adulte-coniugate, presumibilmente coppie di sposi. La prevalenza delle
donne coniugate è rappresentata anche da quella delle vedove (4%) sui
vedovi (1%). Tuttavia non manca la popolazione giovanile : il 48% delle
donne è compreso tra i 18 e i 24 anni e i maschi della stessa fascia costi-
tuiscono il 51%. Le donne presenti dichiarano di non avere occupazione
alcuna (42%) o meglio, sono casalinghe che possono gestire con più au-
tonomia il loro tempo. Questa «presenza» maggiormente visibile delle
donne si evidenzia in molti momenti della giornata del pellegrinaggio; è
un fatto anche singolare che tra coloro che portano sulle spalle il fercolo
col Crocifisso durante la processione ci siano delle donne, generalmente
ritenute non idonee a questo ruolo. Molto forte è anche la presenza delle
donne in quei momenti che evidenziano la concretezza del comporta-
mento religioso; sono soprattutto donne quelle che «toccano» le ferite
del Crocifisso e che portano gli oggetti «concreti» della devozione (ex-
voto di pane).
Questi elementi di fisicità declinati più al femminile che al maschile
collegano idealmente questo tipo di pellegrinaggio a un modello di «donne
pellegrine» presente nelle cronache fin dai primi tempi del cristianesimo
(Palumbo 1999 : p. 349-398). Molte fonti raccontano della presenza di don-
ne, sposate, vedove, incinte o con bambini piccoli che si recavano a Roma
per i giubilei (Brezzi 1975 : p. 142; A. Frugoni 1950 : p. 92-93). Nei grandi
viaggi a Roma e Gerusalemme si riteneva che il numero delle donne che
partecipava a pellegrinaggi e giubilei fosse circa un terzo di quello degli uo-
mini, ma non manca chi propone invece una percentuale del 50% (Goez
1987 : p. 156).

Un pellegrinaggio povero

Nella ricerca sono emersi elementi sufficienti che permettono di dise-


gnare l’identikit del pellegrino di Bilìci come un pellegrino «povero». Infatti
la dimensione esistenziale del pellegrino è quella della povertà; egli è pove-
ro perché è un portatore di bisogni e in quanto tale ha un atteggiamento di
dipendenza che è espresso dalla motivazione del viaggio : egli compie il
«viaggio» (così chiamano i protagonisti quel pellegrinaggio) perché ha fat-
to una promessa, un voto, una «purmissione».
Già G. Pitré scriveva che l’immagine del Crocifisso è stata ritrovata e
venerata in questo luogo dove giungono «pellegrinando gli infermi, i biso-
gnosi, gli afflitti, i devoti. Il sito corrisponde ad un poggio, ad una collina,
alla sommità di un monte, quasi tra il cielo e la terra, donde la voce di chi

.
550 CARMELINA CHIARA CANTA

prega giunga più direttamente ai celesti, dove non la turbi la spensieratez-


za di soli gaudenti» 34.
Ancora oggi molti pellegrini esprimono questa condizione di povertà,
per malattie fisiche e psichiche ma anche povertà economica. Negli anni
cinquanta e sessanta, anche chi emigrava in cerca di lavoro nell’Italia del
nord o all’estero, faceva la promessa del «viaggio» al Signore di Bilìci e se
le cose andavano secondo i suoi desideri, «faceva fortuna», quando torna-
va in paese, per le ferie, nel mese di agosto, compiva il viaggio a piedi scal-
zi. Nel corso della ricerca una donna ha raccontato : «mio marito è emigra-
to in Germania, ogni anno viene per fare il viaggio al Signuri di Bilìci».
A questa situazione di povertà è collegato anche il racconto della leg-
genda di fondazione, narrata oggi dai pellegrini, che fa riferimento ad un
pastore, un contadino, un bandito (a seconda delle varianti), autori della
scultura del Crocifisso venerato in quel luogo. In entrambi i casi, infatti, sia
che si tratti di un pastore o di un contadino il racconto evidenzia sempre
una realtà di povertà, che rivela un tenore di vita minimo.
Anche i luoghi di provenienza dei pellegrini, come già detto, sono pic-
coli paesi della Sicilia, in particolare della provincia di Caltanissetta e Pa-
lermo; questi ultimi sono piccoli comuni isolati sulle montagne delle Ma-
donie o nelle aree circostanti : Marianopoli, Villalba, Vallelunga, Santa Ca-
terina Villarmosa, San Cataldo, Resuttano, Alia, Gangi, Caltavuturo,
Geraci, Petralia Soprana e Sottana, Mussomeli, Sutera, Valledolmo, Castel-
lana Sicula e Bompietro. L’economia di questi paesi era ed è prevalente-
mente basata sull’agricoltura e la pastorizia, un’economia ancora oggi al di
sotto del livello di sussistenza.
La fisionomia del pellegrino, così come emerge dai dati della ricerca è
costituita da contadini e coltivatori diretti che costituiscono il 20%. La
maggior parte non ha nessuna occupazione. In tal senso e con coerenza, la
«popolazione pellegrina» riflette esattamente il tessuto sociale di prove-
nienza, in cui il problema più grande è la disoccupazione, soprattutto gio-
vanile e maschile; sul 55% del totale dei disoccupati, il 69% è costituito da
giovani di 18-24 anni.
Questa situazione è confermata dall’analisi delle fasce di reddito in cui
si collocano gli intervistati. Il pellegrino dichiara di avere un reddito abba-
stanza basso, dal momento che la maggior parte (53%) raggiunge appena i
20 milioni (in lire) con una concentrazione (23%) di reddito fino a 5 milio-
ni, valore al di sotto del ‘minimo vitale’, stimato a livello nazionale, nel pe-
riodo delle ricerche, intorno ai 6 milioni.

34
G. Pitré, 1900, p. 11.

.
I PELLEGRINAGGI DELLA SICILIA CONTEMPORANEA 551

Il pellegrino di Bilìci ha una sua precisa fisionomia, che probabilmen-


te lo distingue dagli altri. Egli non è il «turista religioso» che frequenta i
santuari d’Italia, o almeno lo è in misura ridotta (19%). Solo un gruppo ri-
stretto (8%) ha fatto un pellegrinaggio all’estero (Lourdes). Il pellegrino di
Bilìci non partecipa ad altri pellegrinaggi (37%) o lo fa solo qualche volta
(44%). Si può includere in quest’ultimo dato la partecipazione a pellegri-
naggi locali, poco conosciuti e situati nel raggio di circa 30 chilometri.

La struttura del Santuario

Gli edifici di Castel Belìci sono costituti da ciò che è rimasto di un anti-
co feudo del XVII secolo.
Oltre la chiesetta oggi restano le mura esterne, che anticamente deli-
mitavano gli edifici, un grande salone che offre l’accoglienza ai pellegrini,
ricavato da quelle che probabilmente erano le stalle.
Tali strutture sono ormai diventate fatiscenti per l’incuria e l’abbando-
no di molti decenni. Infatti negli anni 50 e 60 in questo territorio l’emigra-
zione ha provocato uno spopolamento quasi totale delle campagne. Ciò ha
accentuato l’abbandono e la precarietà delle strutture di Castel Bilìci. Solo
negli ultimi anni sono state rafforzate alcune parti dell’edificio, con le of-
ferte dei pellegrini.

I comportamenti del pellegrinaggio

Compiere un pellegrinaggio, viaggio per agros, per i campi, fuori dalla


propria casa o in terra straniera, vuol dire andare da soli o insieme con al-
tri verso un luogo di culto, per adempiere là a particolari atti religiosi det-
tati dalla pietà o da un voto fatto o imposto per penitenza.
Nel «viaggio» religioso in oggetto il pellegrinaggio è compiuto per
chiedere grazie al Crocifisso, sicuro che ne otterrà generosamente, sia di
carattere spirituale (83%) che materiale, in particolare per ciò che riguarda
la salute (77%). Sono soprattutto gli anziani a chiedere grazie per la salute
(89%). Di fronte alla malattia, il devoto ha più fiducia nel Crocifisso che
nelle tecniche moderne della medicina, così come hanno evidenziato altre
ricerche in contesti meridionali. I pellegrini per ringraziare il Crocifisso
della grazia ricevuta portano un ex-voto.
Tranne pochissimi che sono di argento, come già detto, la maggior
parte degli ex-voto è costituita soprattutto da oggetti di cera, che riprodu-
cono alcune parti del corpo (arti, teste, cuori, bambini, ventri). Oggi chi
compie il viaggio porta un ringraziamento «concreto» ma «semplice» per
la grazia che ha ricevuto : una gamba, una testa una figura umana, fatta
col pane, che viene deposto sul «banco del pane», collocato all’interno della

.
552 CARMELINA CHIARA CANTA

Chiesa, e che poi verrà distribuito a tutti i pellegrini che in quella giornata
compiranno il pellegrinaggio 35. Questo è un uso molto diffuso in Sicilia an-
che in omaggio ad altri santi : Sant’Antonio, San Calogero, Santa Lucia,
San Giuseppe, e risale non solo ai secoli precedenti ma anche all’inizio del
Novecento o al secondo dopoguerra, quando in queste zone la fame era
una piaga endemica e il voto consisteva nel portare il pane per i poveri che
accorrevano numerosi il giorno della festa. Ha raccontato una pellegrina
nel corso della ricerca che negli anni dopo la seconda guerra mondiale : «Il
giorno della festa i poveri ricevevano pane e formaggio».
Lungo il viaggio a piedi da Resuttano, un paese che dista circa 20 chi-
lometri, i pellegrini pregano e cantano, portando in mano delle candele o
degli ex-voto di cera o di pane che poi lasceranno al Santuario. Nell’ultimo
tratto recitano al Crocifisso il «rosario delle cinque piaghe» o «rosario del-
la santa croce» 36.
La fine del viaggio è registrata da un «nastro rosso» ricevuto in chiesa,
che il pellegrino prima di lasciare il «luogo sacro» lega ad una croce di fer-
ro, posta sulla parte più alta della collina vicino al Santuario, come segno
della sua presenza in quel luogo ed in quella giornata. Altri pellegrini, so-
prattutto i giovani lo legano al braccio e lo portano per un lungo periodo.
Questo nastro è anche la testimonianza di chi compie il viaggio su in-
carico di un altro. Anche tra gli abitanti di Santa Caterina era ed è diffuso il
viaggio su commissione : chi non può fare personalmente il pellegrinaggio
perché impossibilitato per qualche circostanza, affida il viaggio ad una per-
sona più giovane, generalmente un nipote : «mia nonna non poteva andare
e ci andavo io. Se ci vado per conto di un altro, quello che dà l’offerta, [...]
porto a questo la santina e la zagaredda 37 [...] la santina la porto nel porta-
foglio».

Il pellegrinaggio a piedi

È un viaggio povero perché compiuto a piedi, anche a piedi scalzi. Nel


racconto degli anziani dei paesi più vicini è vivo il ricordo di questo viaggio
spontaneo che si realizzava in gruppi numerosi, a piedi, a cavallo, coi muli;

35
In quasi tutti i paesi di provenienza dei pellegrini vi sono fornai «artisti», in
grado di fare il pane secondo le forme anatomiche richieste dai pellegrini.
36
Il «rosario della santa croce» è recitato in dialetto da tutti i pellegrini che
giungono dai vari paesi e ne esistono tante varianti quanti sono i dialetti locali. I più
anziani, ma non solo loro, lo conservano nella loro memoria. Nel corso della ricerca
sono state raccolte molte di queste «varianti» paesane, riportate nel testo. Cfr.
C. C. Canta, R. Cipriani, A. Turchini, 1999.
37
Zagaredda è il nastro rosso.

.
I PELLEGRINAGGI DELLA SICILIA CONTEMPORANEA 553

spesso si partiva la vigilia della festa facendo delle soste lungo il cammino;
alcuni di questi luoghi, in cui ancora oggi si vedono delle masserie sono ri-
cordati dai pellegrini (Vicaretto, Tudìa, Chibbò) 38.
La ricerca ha individuato che molti, ancora oggi, così come avveniva
un tempo, giungono a piedi (10%) o a piedi scalzi (7%) o facendo solo una
parte del tragitto in macchina e il resto a piedi. Anche tra i giovani (27%)
una parte rilevante (22%) è venuta a piedi. Quelli che giungono dal paese
più vicino, Marianopoli, che dista 10 chilometri dal Santuario, percorrono
l’intero tragitto camminando lungo l’antica «trazzera» 39, che diventa ripida
e scoscesa nell’ultimo tratto.
Racconta infatti una anziano di circa 70 anni di essere venuto per la
prima volta quando era giovane, all’età di 18-19 anni, e da allora è tornato
tutti gli anni. Partiva al mattino presto, anche alle cinque, a piedi, da una
località vicino Serradifalco (a circa 30 chilometri di distanza). Negli ultimi
anni è venuto in macchina insieme con il figlio. Il giovane, che già viene da
10 anni, intervistato, afferma : «verremo sempre, fin quando i piedi ce lo
permettono, ogni anno [...] abbiamo ricevuto un miracolo» 40.

«Con la lingua strascinuni»

Legato ai segni di povertà del pellegrinaggio c’è un gesto che viene


compiuto come atto di ringraziamento per una grazia ricevuta e come ge-
sto penitenziale che poi è espressione di un atto estremo di povertà. I pelle-
grini più anziani hanno raccontato di aver visto, negli anni subito dopo la
seconda guerra mondiale, ma anche pochi anni fa, dei pellegrini che, per
sciogliere un voto, percorrevano l’ultimo tratto del viaggio, dalla porta del-
la Chiesa all’altare e viceversa con la «lingua strascinuni» (cioè leccando
con la lingua il pavimento dove altri avevano camminato) e alla fine aveva-
no la lingua nera.
Ricorda una pellegrina di età media : «l’ho visto quando ero piccola,
ora non lo fanno più : si inginocchiava davanti la porta della chiesa, pog-
giava la testa per terra e leccava tutto il pavimento, in atto di penitenza [...]
nessuno puliva».

38
La Baronia di Castel Bilìci, anticamente era costituita da 11 o 12 feudi, tra cui
quelli di Tudìa, Chibbò, Bilìci, Manchi di Bilìci (E. Valenti, 1998, p. 22-23).
39
Nel dialetto locale si indica col termine trazzera una strada poco agevole e fa-
ticosa.
40
Intervista videoregistrata al santuario.

.
554 CARMELINA CHIARA CANTA

Significativo è ancora il ricordo di una giovane donna : «La lingua stra-


scinuni significa che è stato un miracolo molto importante [...] perché an-
darci così al Signore di Bilìci comporta un grande sacrificio». Oggi qualcu-
no compie lo stesso percorso in ginocchio. Questo gesto «estremo» era dif-
fuso in Sicilia anche in altri luoghi, sempre collegati a chiese e santuari 41.
La maggior parte dei pellegrini (90%) entra in Chiesa per «toccare»
con le mani (82%) o con un fazzoletto il Crocifisso, in particolare le sue fe-
rite sanguinanti e questo costituisce per loro l’esperienza più coinvolgente.
I dati della ricerca evidenziano che questo «contatto fisico», che si rea-
lizza nel «toccare il Crocifisso», è «preferito» (40%) rispetto ad altri gesti
devozionali. Tale comportamento sembra interessare maggiormente la ge-
stualità femminile. Analizzando i dati per genere infatti emerge che sono
soprattutto le donne (80%) a «toccare con le mani» le ferite sanguinanti del
Crocifisso. Sono soprattutto donne quelle che conservano, come se fossero
delle reliquie, il fazzoletto o il cotone, con i quali hanno toccato il corpo del
Signore.
Il giorno della festa del 3 maggio molto sentita è, soprattutto tra i gio-
vani (19%), l’atmosfera gioiosa della festa (16%); essa è vissuta in gruppo, a
contatto con la natura, che in quella giornata di maggio è meravigliosa. La
dimensione di semplicità e di allegria è confermata anche dalla musica e
dal pasto consumato insieme, generalmente nella grande sala, quella che
era una stalla che si affaccia sul cortile, al riparo dal sole o sui prati. Molti
pellegrini (33%) consumano con semplicità un pranzo portato da casa o
acquistano un panino sul posto (13%). A volte gli abitanti di Marianopoli
improvvisano un fuoco e cuociono la frittella, una frittata di cipolle e fave,
prodotti di cui quel territorio è ricco in primavera.
Una semplice banda musicale di paese oggi accompagna la processione
ma poi esegue brani musicali laici e allegri, intonati all’atmosfera di festa.

41
Un autore siciliano contemporaneo (A. Camilleri, 1997, p. 117) racconta con
molto realismo e precisione un simile comportamento per sciogliere un voto : «L’al-
tra funzione si svolse alla matrice, e fu cosa veramente solenne, che meritò di essere
contata e vista. Alle dieci del mattino [...] Stefanuzzo Barbabianca si presentò sulla
porta della chiesa scalzo e con una candela in mano, per sciogliere l’altro voto solen-
ne che aveva fatto. Con la testa calata sul petto, la candela alzata, arrivò fino all’alta-
re maggiore dove sostò in doveroso raccoglimento. Poi [...] accompagnato dalle pre-
ghiere e dall’ammirazione dei circostanti, si stese a pancia sotto, tirò fuori due palmi
di lingua e a strascinuni lamentandosi di tanto in tanto perché le zottate gli facevano
ancora male, leccò accuratamente lo sporco del pavimento, percorrendo due volte la
chiesa intera, dall’altare maggiore al portone e viceversa. Sciolto il voto, si formò la
processione». Le zottate sono le frustate.

.
I PELLEGRINAGGI DELLA SICILIA CONTEMPORANEA 555

Fino a pochi anni fa questo viaggio era anche l’unica esperienza turi-
stica; molte coppie aspettavano con gioia questo giorno per fare il «viaggio
di nozze». Racconta un pellegrino :

per gli sposini il primo viaggio di nozze era Bilìci, il secondo era alle «vari»
(gruppi statuari del giovedì santo) a Caltanissetta. Per quel viaggio si doveva
fare qualcosa... molti suonatori di fisarmonica scendevano dalle montagne e
quindi nel grande magazzino che c’era, ognuno aveva uno spazio, dove si bal-
lava. C’era l’organetto, il fischietto, il tamburo e si ballava.

Ricorda una donna intervistata :


la festa iniziava la vigilia del 3 maggio, dopo i Vespri [...] cominciava la festa
con tutti coloro che erano arrivati dai paesi vicini, alcuni suonavano, molti
ballavano, c’erano i venditori di «cubaita» [torrone di mandorle]. Si ballava e
si suonava fino a tarda notte, poi si dormiva nei magazzini o all’aria aperta
[...], si dava un’offerta ai musicanti [...], si portava per mangiare la frittata
d’uova, qualche bottiglia di vino, un pugno di olive nere, qualche favaiana
[fava], che si raccoglieva nella strada [...].

A. Vauchez riferisce di un’atmosfera di festa profana che si sviluppa in


concomitanza con il pellegrinaggio povero di Notre-Dame de l’Hermitière
fino al verificarsi di eventi nuziali come «prolungamento del tempo della
festa» 42. Così come scrive anche Dupront, «la società del pellegrinaggio è
una società di unione» 43.
Tutti i pellegrini compiono il viaggio fermandosi in quei luoghi che
nella tradizione sono ritenuti pregni di sacralità perché ivi il divino si è ma-
nifestato : la chiesa, dove è esposto il Crocifisso (97%), il calvario (94%) e
la grotta del pastorello (82%). Si può ritenere che c’è una forte componente
tra la religiosità popolare e la religione di chiesa, se ci soffermiamo su un
indicatore importante di quest’ultima, cioè ad una delle messe celebrate
nella giornata del 3 di maggio. Infatti un terzo degli intervistati risponde
affermativamente alla domanda «Assisterà o ha assistito alla messa?». A
conferma di quanto detto, si evince dalle risposte che lo stesso pellegrino è
un credente che va generalmente a messa tutte le domeniche (28%) o quasi
tutte le domeniche (29%) o anche più volte alla settimana (8%). L’insieme
di questi valori di partecipazione alla messa (56%) è rilevante e indica che
c’è una correlazione significativa tra la religiosità popolare e la religione-
di-chiesa.

42
A. Vauchez, 1997, p. 592.
43
A. Dupront, 1987, p. 406-407.

.
556 CARMELINA CHIARA CANTA

LA PROCESSIONE DI SANT’AGATA : TRADIZIONE E MODERNITÀ

Catania è una moderna città di oltre 380.000 abitanti, allegra, vivace,


ricca di colori, di suoni e di profumi. Situata al centro del Mediterraneo,
essa ha colto dai diversi popoli che l’hanno dominata, alcune caratteristi-
che che, col trascorrere del tempo, ha trasformato e fatte proprie : la reli-
giosità e la passionalità. Questi aspetti rivivono e sono parte essenziale del-
la più grande e spettacolare festa, quella in onore di S. Agata, patrona della
città.
Anche se i fedeli si recano in chiesa per visitare o chiedere grazie alla
Santa, compiono cioè un pellegrinaggio, in periodi diversi dell’anno, nel
giorno della festa si può cogliere con maggiore chiarezza la dimensione
della religiosità. La festa di S. Agata può essere considerata, insieme a
quella di S. Rosalia a Palermo, un paradigma della religiosità popolare sici-
liana che si esprime nel processo di forte personalizzazione della relazione
tra la divinità e il fedele. Nello stesso tempo è la manifestazione di quella
teatralizzazione rituale che L. Sciascia 44 ha definito come espressione di
«teatralità esistenziale». La «Santuzza» di Catania, come viene comune-
mente denominata, costituisce una presenza viva e concreta nella città e la
festa in suo onore è un avvenimento per tutti i cittadini.
Secondo la tradizione il martirio e la morte di S. Agata avvennero nel
251, quando Ella era quindicenne, in seguito alle torture ordinate dal pro-
console Quintiliano prefetto dell’imperatore Decio in Sicilia, che si era in-
vaghito di Lei. Agata fu considerata subito una santa miracolosa e la sua
fama si sparse in tutta la Sicilia orientale 45. Sembra che anche S. Lucia e la
madre si siano recate, da Siracusa a Catania, presso la sua tomba per
pregare.
Anche oggi a Lei sono attribuiti numerosi miracoli e la sua opera di
protezione risparmia la città e i suoi abitanti dalla violenza degli eventi na-

44
«Accostarsi alle feste religiose e popolari siciliane significa innanzitutto sco-
prire, o tentare di scoprire, il mistero che avvolge la sicilianità e che permea di con-
traddizioni l’animo di questo popolo così chiuso e così solo [...] una festa religiosa in
Sicilia è tutto, tranne una festa religiosa. È innanzitutto una esplosione esistenziale
[...] poiché è soltanto nella festa che il siciliano esce dalla sua condizione di uomo
solo». Cfr. S. Sciascia, 1987, p. 19 e G. Pitrè, Le feste..., 1978.
45
Esiste anche una leggenda pagana secondo cui la festa aveva un’origine mari-
nara; si consacrava alla Dea, Iside Pelagia, la nave che partiva dalla spiaggia. Nella
cerimonia sacra i sacerdoti svolgevano una processione vestiti di bianco. Un residuo
di questo rito si coglierebbe ancora oggi nelle donne che, nel corso della processio-
ne, indossano un saio bianco ed hanno il volto coperto (sono chiamate ntuppatedde).

.
I PELLEGRINAGGI DELLA SICILIA CONTEMPORANEA 557

turali (l’Etna). Il genere di martirio subito, il taglio del seno, e la fama della
sua protezione l’hanno resa patrona delle puerpere, delle nutrici, delle don-
ne affette da patologie al seno e, in relazione al «velo» della santa, è protet-
trice anche di altre categorie di persone come gioiellieri e tessitrici. Le date
della festa ricordano il martirio della santa (5 febbraio), la traslazione delle
reliquie da Costantinopoli a Catania (17 agosto) e il patrocinio della santa
dopo la fine della peste nel 1570 (17 giugno). Nella prima di queste date av-
viene la festa solenne mentre nelle altre due si compiono visite e pellegri-
naggi nella chiesa omonima dove sono custodite le reliquie.
C’è un forte legame della santa non solo con la cultura locale ma so-
prattutto con la natura, in particolare col fuoco dell’Etna e tutto ciò che nel
territorio circostante ha un legame con il vulcano. Si ritiene, infatti, che
S. Agata abbia salvato la città di Catania molte volte; la prima avvenne nel
252, quando i cittadini adoperarono il velo che copriva il sepolcro della
santa e lo opposero al fuoco della lava, che avanzava implacabile tra i vil-
laggi abitati. L’eruzione, che era iniziata il 1o febbraio, si fermò il 5 dello
stesso mese, che è anche il giorno del martirio. Secondo la tradizione, il ve-
lo, lungo 4 metri e largo cinquanta centimetri, originariamente di colore
bianco, a contatto con la lava, diventò rosso, così come si conserva ancora
oggi. Il velo di S. Agata, oggetto di leggende e tradizioni, è sempre stato at-
tivo contro la lava fino ai nostri giorni. Così è avvenuto durante l’eruzione
del 1669. Uno degli ultimi miracoli è stato operato nel 1886, quando la reli-
quia della santa, portata dal Cardinale Dusmet, fermò la lava che era già
scesa alle porte del comune di Nicolosi, tra la meraviglia degli increduli e
degli stessi fedeli. Anche negli ultimi anni, nel 2001 e nel 2002, durante le
ultime eruzioni dell’Etna, si sono chiesti i soccorsi da Catania, per portare
ancora una volta sul luogo il velo di S. Agata.
Il culto è diffuso in tutta Europa, nei casi in cui è necessario allontana-
re il fuoco; in Francia, come scrive Santi Correnti 46, nel Lionese, i contadi-
ni fanno benedire, il 5 febbraio, anniversario del martirio di S. Agata, un
pane che scagliano contro le fiamme in caso di incendio. In Austria la stes-
sa è considerata patrona del fuoco e sempre il 5 febbraio si fanno benedire
delle candele che verranno accese nei momenti di pericolo.

Le processioni e la festa «ricca»


Sono tre i giorni di grande solennità con due grandi processioni, quan-
do S. Agata, il 4 e 5 febbraio, nel suo fercolo d’argento (la «vara»), scende
tra gli abitanti di Catania attraversando i quartieri popolari e quelli alti. La

46
S. Correnti, 1967 e 1996.

.
558 CARMELINA CHIARA CANTA

festa religiosa è anche festa civile; quando inizia la lunga processione del 3
febbraio partecipano le più alte autorità cittadine civili, religiose e militari.
Lo sfarzo della festa è enorme 47 ; nel centro storico di Catania la processio-
ne si snoda tra due ali di folla, seguita dalle undici candelore, i monumen-
tali ceri votivi che sono espressioni delle corporazioni e dei mestieri cittadi-
ni 48, dalle due carrozze del senato catanese, una berlina settecentesca se-
guita da una più piccola, che ospita gli amministratori comunali, il senato
di un tempo. La sera la città si raccoglie in Piazza Duomo per seguire il tra-
dizionale concerto di musiche belliniane e per assistere allo spettacolo pi-
rotecnico, tutto perfettamente inserito nella cultura locale. Segue una notte
insonne per migliaia di devoti che di buon mattino affollano la cattedrale
per la «messa dell’aurora» e il primo incontro con la santa. È questo uno
dei momenti più suggestivi della festa; alle 4.30 un rappresentante della cu-
ria e uno del comune aprono il cancello che protegge la piccola camera,
detta «cammaredda», dove è protetto il prezioso busto con le reliquie.
S. Agata viene portata da devoti, prima sull’altare centrale, poi sulla vara. Il
busto, ricoperto di gioielli procede ondeggiando. I fedeli e pellegrini sciol-
gono il voto in vario modo, visitando il santuario, «lingua strascinuni»,
cioè con la lingua strisciata per terra dalla porta del santuario all’altare,
con l’offerta di una parte del raccolto, offrendo un oggetto prezioso gene-
ralmente d’oro. Molti catanesi offrono, come ringraziamento per le grazie
ricevute, offerte di candele della stessa lunghezza delle persone graziate,
fiori, offerte in denaro, gioielli, ex-voto d’argento con forma corporea, tavo-
lette con la raffigurazione della circostanza cui si riferisce l’oggetto. È un
uso ormai consolidato offrire del pane tondo appena sfornato, condito con
olio, formaggio, pepe e sale (muffuletta). I pani votivi benedetti si conserva-
no in casa per preservare le donne dalle malattie del seno. Anche i ceri be-
nedetti si conservano per allontanare eventi naturali devastanti (temporali,
fulmini e grandine).
Ancora oggi, nella società post moderna e in una città come Catania,
che possiede tutti gli elementi per essere considerata moderna, questi com-
portamenti rappresentano la sola risorsa contro le disgrazie, la malattia e,
in senso più ampio, contro l’incertezza dell’esistenza.

47
Lo sfarzo della festa è molto simile a quanto accade a Palermo durante la fe-
sta di S. Rosalia.
48
Sono presenti le «candelore» dei pescivendoli, dei fruttivendoli, degli orto-
frutticoli, dei macellai, dei pastai, dei bettolieri. Si può cogliere una certa analogia
tra queste e i ceri di Nola durante la festa di S. Paolino; cfr. A. Nesti, 1992; A. Di Ste-
fano, 1996; D. Gagliani, 1966.

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I PELLEGRINAGGI DELLA SICILIA CONTEMPORANEA 559

La festa in onore di S. Agata si può definire una festa ricca, in cui sfar-
zo e lusso sono predominanti. Ogni anno a Catania, nei giorni dei festeg-
giamenti si aprono e animano i balconi della via Etnea; dalla merenda al-
l’aperitivo, dalla cena al dopocena, dalla sfogliatella di mezzanotte al brin-
disi notturno, la nobiltà catanese segue l’itinerario del fercolo della santa. Il
ricco ricevimento del 5 febbraio è ormai una tradizione che si tramanda da
padre in figlio, da nonna a nipote, in quelle famiglie che godono di una po-
sizione sociale privilegiata. Passiti, moscati, malvasie di Lipari, torte, spa-
ghettate, chiacchiere e le «olivette», dolce tipico della festa, non mancano
nelle tavole più importanti.

Indagine sulla religiosità «agatina»

In occasione della festa di S. Agata del 2001, nei giorni 3-5 febbraio, è
stata realizzata un’indagine con lo scopo di comprendere che cosa spinge
migliaia di uomini e donne a partecipare alla festa e di verificare il modello
teorico di religiosità popolare, elaborato da vari studiosi. L’indagine è stata
condotta sia mediante la somministrazione dei questionari strutturati 49, sia
attraverso l’osservazione partecipante e interviste libere ai protagonisti del-
la festa.
Questi metodi, qualitativi e quantitativi, hanno permesso di conoscere
le motivazioni che spingono ogni anno migliaia di devoti a peregrinare per
la città mentre lodano e pregano la propria Santuzza e, nello stesso tempo,
comprendere come ciascuno esprime la propria religiosità e come vive il
rapporto con la santa.
Le interviste sono state realizzate nei giorni della festa, per le strade
della città tra i devoti, appartenenti a generi diversi e tra coloro che indos-
sano il tradizionale «sacco» agatino e che partecipano sia alle processioni
che alle altre fasi della festa. La ricerca non è certamente esaustiva di tutta
la ricchezza che è presente nella religiosità, tuttavia in essa sono stati indi-
viduati elementi tali da permette un confronto con quelli già evidenziati nel
corso del pellegrinaggio al Crocifisso di Castel Belìci.
La partecipazione della donne appare nettamente superiore a quella
degli uomini e anche loro sono impegnate a trascinare il fercolo tramite i
lunghi cordoni. I giovani, nella fascia 18-24 anni, sono i più numerosi an-
che tra coloro che trasportano la vara e ciò manifesta che la socializzazione
religiosa è stata efficace; essa è radicata nella cultura locale e svolge un

49
In questa indagine è stato utilizzato lo stesso questionario, con gli adattamen-
ti necessari alla circostanza, della precedente ricerca sul pellegrinaggio al Crocifisso
di Castel Belìci, cui si fa riferimento in questo saggio.

.
560 CARMELINA CHIARA CANTA

ruolo molto forte nel determinare gli elementi della stessa. Ciò è conferma-
to da fatto che il 65% dichiara di partecipare alla processione da più di 12
anni e solo il 17% vi partecipa da uno a tre anni. La festa assume una forte
dimensione comunitaria, evidenziata dal fatto che la maggior parte parte-
cipa alla processione con familiari (29%) o con familiari e amici (44%).
Partecipa da solo appena l’11%. Cercando di cogliere le motivazione della
partecipazione emerge che il 39% dichiara di partecipare per aver fatto un
voto, il 23,3% perché ha fede in Sant’Agata e il 16% per chiedere una gra-
zia. Solo il 2,7% è presente per accompagnare un’altra persona e l’1,3% per
trascorrere una giornata diversa dal solito : prevalgono chiaramente moti-
vazioni di carattere squisitamente religioso. La religiosità dei catanesi si
manifesta con tutti i caratteri della concretezza e della materialità tipici
della religiosità popolare : infatti il 42,7% degli intervistati preferisce, tra
tutte le manifestazioni dei tre giorni, «vedere S. Agata», comportamento
significativo che esprime il bisogno di materialità e di concretezza di cui
l’uomo ha necessità e questa esigenza coinvolge in misura maggiore le don-
ne. Un numero meno rilevante di persone preferisce la processione (18%),
l’atmosfera di gioia (17%) e la messa (6%). La componente squisitamente
religiosa è molto presente ed emerge in maniera esplicita nel fatto che alla
Santuzza si attribuiscono soprattutto grazie «spirituali» (57%) e in secon-
da istanza quelle «materiali».
Il questionario conteneva una batteria di indicatori finalizzati a co-
gliere il legame tra la religiosità popolare e la cosiddetta religione-di-
chiesa 50. A questo proposito la maggior parte degli intervistati si è definita
una «persona religiosa» (64%), e il 29% solo in parte. Il 79% dichiara di
avere ricevuto un’educazione religiosa ed è lo stesso gruppo di persone
(78%) che partecipa alla messa in occasione della festa. Partecipa alla
messa settimanalmente il 17%, più volte alla settimana solo il 2%, uno o
due volte all’anno il 17% e il 38% mai o solo in occasione di matrimoni e
funerali. Se perciò i devoti sono puntuali alla «messa dell’aurora», che co-
stituisce un appuntamento importante con la santa, si coglie tuttavia un
allontanamento, con modalità diverse, dall’istituzione religiosa. La parte-
cipazione dei catanesi alla festa esprime un forte legame di identità con la
loro santa; essi infatti non sono pellegrini di altri santuari (77%), non
compiono altri pellegrinaggi (il 18% afferma di essersi recato ad altri pel-
legrinaggi «qualche volta» e il 4% «spesso»). Questi comportamenti espri-
mono l’esistenza di un intenso legame di appartenenza e di un rapporto di

50
I sociologi della religione chiamano «religione-di-chiesa» quella che esprime,
anche se con intensità e forme diverse, la conformità e l’adesione ai precetti della
chiesa istituzionale. Cfr. F. Garelli, 1991; V. Cesareo et al., 1995; C. C. Canta, 1995.

.
I PELLEGRINAGGI DELLA SICILIA CONTEMPORANEA 561

esclusività con S. Agata; una relazione analoga era stata individuata col
Crocifisso di Castel Belìci.
In contesti diversi la ricerca empirica evidenzia che la maggioranza
delle persone avverte la necessità di conservare un’identità religiosa, affi-
dandosi alla divinità e ai santi tutte le volte che non riesce a dare altro sen-
so e significato alle istanze più profonde della vita.

CONCLUSIONI

Il pellegrinaggio nel giorno della festa, ma non solo, è espressione della


cultura e si nutre del patrimonio culturale che si rinnova continuamente.
La comunità religiosa e civile, mediante la celebrazione degli stessi riti che
possono apparire ripetitivi, manifesta il suo impegno a vivere anche come
comunità civile e rafforza la propria identità.
Dall’analisi certamente non esaustiva di due analisi empiriche, che
hanno coinvolto due fenomeni di religiosità del devoto, sia che si rechi in
pellegrinaggio ad un santuario o che da pellegrino partecipi alla processio-
ne per una santa, in contesti diversi, rurale il primo e urbano il secondo,
emerge quanto sia problematica e complessa la religiosità popolare quale
si manifesta nei pellegrinaggi.
Nei due esempi cui si è fatto riferimento, si evidenzia con molta chia-
rezza, una differenza tra la religiosità più semplice ed essenziale, quasi
scarna ed aspra, quella che è stata definita povera, rilevata tra i pellegrini
di Castel Belìci e quella urbana, maggiormente vistosa e ricca. Sono i pelle-
grini del contesto rurale analizzato ad essere maggiormente coinvolti nei
momenti religiosi e meno in quelli più esteriori della festa.
Il legame con la religione-di-chiesa in un contesto urbano è più «debo-
le» rispetto al contesto rurale quale è quello di Castel Belìci, come eviden-
ziano i dati «forti» sulla partecipazione alla messa, che è l’indicatore più si-
gnificativo che esprime un comportamento di religione-di-chiesa. Questi
valori esprimono che la socializzazione religiosa acquisita negli anni del-
l’infanzia dà origine ad esiti diversi; da un lato può permanere una religio-
sità che ha forti legami con la religione di chiesa e dall’altro può conservare
un legame che si esprime in una forma di religiosità che si identifica con la
cultura, antropologicamente intesa. Considerazioni analoghe erano già
emersi, in un’analisi a più largo raggio condotta nell’intera isola 51.

51
C. C. Canta, 1995, p. 111-139.

.
562 CARMELINA CHIARA CANTA

Il dibattito su mutamento e persistenza della fenomenologia, affasci-


nante e ricco, è ancora in corso 52. Per alcuni la religiosità popolare è
espressione della società civile, per altri è espressione della comunità eccle-
siale. Come ha affermato Cataldo Naro 53, ormai la società è distinta dalla
Chiesa anche se le espressioni della religiosità sono sentite come patrimo-
nio di tutti. Ciò pare confermato anche dalle analisi di sociologia della reli-
gione cui si è fatto riferimento in questo testo. La festa e le manifestazioni
religiose collettive, quali sono i pellegrinaggi, costituiscono un’occasione
forte di socializzazione. Come affermava E. Durkheim 54 i momenti colletti-
vi sono occasioni in cui si creano e ricreano i legami sociali, in virtù
dell’«effervescenza collettiva» che scaturisce da tali contesti. La religione
assolve al compito di razionalizzazione dell’ordine sociale, attraverso le
norme e i riti. Essa assolve in tal modo, non solo ad una funzione ordinatri-
ce ma anche rinnovatrice nella misura in cui permette alla comunità di ri-
trovare le proprie radici e la propria identità 55 e di prendere coscienza della
meta che vuole raggiungere.

Carmelina Chiara CANTA

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52
Ulteriori riflessioni scaturiscono da una ricerca su un pellegrinaggio popolare
nel contesto metropolitano romano, alla Madonna del Divino Amore. Cfr. C. C. Can-
ta, 2004.
53
C. Naro, 1997.
54
E. Durkheim, 1963.
55
Secondo P. Berger, l’identità è aperta, differenziata, sempre in continuo dive-
nire, alla ricerca di sicurezza e di fondamenti sicuri. La religione costituisce il punto
fermo che rassicura l’uomo dalle sue incertezze. Ciò spiega, ancora oggi, il rito delle
processioni e dei pellegrinaggi dei centri urbani e rurali. In queste circostanze si ma-
nifesta, infatti, il desiderio di esistere anche agli occhi di coloro che non condividono
quelle credenze e coloro che vi partecipano acquistano coscienza della propria iden-
tità. Cfr., P. Berger, 1992.

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