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Salvatore Miracola

SAN CALOGERO
MISSIONARIO IN
SICILIA

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2021  
 
In  Copertina:  Immagine  di  San  Calogero  che  si  trovava  a  Fragalà e
riprodotta nel libro di Papabooch, Acta Sanctorum, custodito nella
Biblioteca centrale della Regione siciliana di Palermo.

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PRESENTAZIONE
Con vivo piacere presento il volume di don Salvatore Miracola
"San Calogero Missionario in Sicilia" che ha lo scopo di far
conoscere la vita e la devozione del grande eremita che ha
calcato il suolo della nostra terra nebroidea in particolare la
Valle del Fitalia.
Infatti sono diversi i Comuni della nostra diocesi nei quali da
secoli è viva la memoria della vita e della testimonianza di fede
di San Calogero resa attuale dalla costante devozione dei fedeli
che riconoscono in lui un modello di vita cristiana.
San Calogero probabilmente fu inviato ad evangelizzare la
Sicilia e pur avendo trascorso buona parte della sua vita e della
sua missione nell' agrigentino, la tradizione conferma che egli
visse e morì nella valle del Fitalia dove si custodiscono, con
intensa fede, i resti mortali del suo corpo; quelle reliquie
richiamano l'esistenza di un santo che con la sua testimonianza
ha fatto risplendere in vari modi la luce di Dio. Egli, infatti,
visse la sua vita lasciandosi guidare dal desiderio costante di
incontrare il Signore; cercava Dio perché lo desiderava, lo
trovava perché lo amava con la sua umanità attraverso la
preghiera, la conversione del cuore, la testimonianza della
carità.
«Per un cristiano ‒ scrive papa Francesco ‒ non è possibile
pensare alla propria missione sulla terra senza concepirla come
un cammino di santità, perché «questa infatti è volontà di Dio,
la vostra santificazione» (1 Ts 4,3). Ogni santo è una missione;
è un progetto del Padre per riflettere e incarnare, in un
momento determinato della storia, un aspetto del Vangelo»
(Gaudete et Exultate,19).
Don Miracola nel testo ci offre alcuni tratti salienti della vita e
della devozione di San Calogero facendo parlare la fede delle
5  
 
nostre comunità e del nostro popolo e si rimane positivamente
impressionati dell'accurata ricerca delle fonti storiche che
insieme a tradizioni e a racconti popolari ci consegnano un
patrimonio ricco di fede, di storia e di arte che i nostri padri ci
hanno lasciato perché la devozione a San Calogero continui nel
tempo presente a riconoscere in lui un modello esemplare di
vita cristiana.
Sono grato all'Autore per averci offerto queste pagine di fede e
di storia che onorano la nostra Chiesa locale e attraverso di
esse ci invita a guardare all'esempio di San Calogero per vivere
bene il presente e per proiettarci verso un futuro che
auspichiamo sempre luminoso e fecondo.
Patti, 13 maggio 2021.

+ Guglielmo Giombanco
Vescovo

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INTRODUZIONE
Calogero è il Santo più amato dai siciliani. Da quindici secoli
ammaestra, guida e aiuta questo popolo:
" Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato
con l'unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto
messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la
vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di
grazia del Signore." Queste parole dette da Gesù per bocca del
profeta, Calogero le realizza nella sua missione. Lui è missionario,
testimone della fede e taumaturgo. Come Gesù predicò la Parola,
guarì gli ammalati e scacciò i demoni:" Guarì molti che erano afflitti
da varie malattie e scacciò molti demoni; ma non permetteva ai
demani di parlare, perché lo conoscevano. Al mattino si alzò quando
ancora era buio e, uscito di casa, si ritirò in un luogo deserto e là
pregava."
Questo deserto Calogero lo trovò nella valle del Fitalia: qui visse, da
qui si spostò per tutta la Sicilia per annunziare il Vangelo e qui morì,
lasciandoci le sue preziose spoglie mortali per rimanere sempre con
noi per accompagnarci sulla via della Santità e per noi intercedendo
presso Dio.
Questo lavoro vuole essere un atto di amore verso questo grande
Santo, che in tanti credono figura molto presente nell'Agrigentino per
la sua permanenza sul monte Cronio, ma che in realtà il suo
peregrinare per la Sicilia lo portò ad operare proprio nella Valle del
Fitalia anche se non siamo stati capaci di valorizzarlo forse perchè
affascinati dalla presenza dei numerosi Santi che qui vissero, in
particolare S. Lorenzo, San Cono, San Silvestro e S. Nicolò Politi. Il
mio augurio è che tutti i suoi fedeli possano incrementare sempre di
più la loro devozione specialmente imitandone le virtù.
Vorrei rivolgere un sentito ringraziamento anzitutto a Sua Eccellenza
Mons. Guglielmo Giombanco che mi ha onorato scrivendo la
prefazione e a tutti coloro che hanno collaborato alla stesura di questo
lavoro fornendomi materiale, foto, notizie, etc.

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LA VALLE DEL FITALIA
La Valle del Fitalia è una vallata che si trova sui monti Nebrodi. Essa
è una delle più grandi del territorio del Messinese e ospita luoghi
ricchi di storia e d'arte. Oggi questo territorio comprende i paesi di
Capri Leone, Mirto, Frazzanò, Longi, Galati Mamertino e San
Salvatore di Fitalia, che si formarono durante la dominazione araba o
dopo la venuta degli Altavilla in Sicilia. Difficile è oggi stabilire
qual’era la configurazione antropomorfica della vallata nei primi dieci
secoli dell'era cristiana, sia per mancanza di notizie storiche sia perchè
non sono mai stati fatti scavi approfonditi.
Partiamo dalle poche notizie che abbiamo.
Durante la dominazione Romana in questo territorio vi era Alunzio e
Agatirno. Queste due località sono state presenti anche se con nomi
diversi fino all'arrivo dei bizantini.
Nella Valle del Fitalia durante questi secoli vi era la presenza di
piccole comunità o villaggi che cercavano di fuggire dalle grandi città,
le quali a poco a poco venivano abbandonate.
Abbiamo molte testimonianze che ci aiutano a capire che la Valle del
Fitalia era antropizzata anche prima dell'arrivo dei Normanni. Infatti il
Monastero di Fragalà ricevette alcune donazioni che preesistevano alla
venuta di Ruggero.
S. BARBARO DI DEMENNA, uno dei pochissimi monasteri
sopravvissuti alla dominazione araba. Dai diplomi deduciamo che nel
1097 apparteneva, insieme alla grangia di Santa Maria di Friganò, al
monastero di Fragalà.1
S. IPPOLITO, della cui chiesa si legge in un diploma del 1094, essere
stata donata insieme al metochio di San Nicolò, dal conte Ruggero al
monastero di Fragalà.2
S. TEODORO, un monastero che preesisteva alla venuta dei
Normanni a sud-ovest dell'abitato di Mirto, in una contrada che oggi
si chiama S. Teodoro e che appartiene al territorio di Frazzanò. Questo
sito è sopra l'antico castello di Belmonte che sorgeva sulla "timpa" nel
comune di Frazzanò.
                                                                                                                       
1
SPATA, Le Pergamene Greche esistenti nel Grande Archivio di Palermo
tradotte ed ..., pag. 381.
2
SPATA, op. cit., pag. 179-182.
8  
 
Un'altra fonte per conoscere questi villaggi o paesi è rappresentata da
un documento del 1082 dal quale apprendiamo che il Conte Ruggero
istituì il Vescovado di Troina aggregando ad esso i paesi da Troina a
Messina fino ad Alesa. Nella nostra zona a questo episcopato3
appartenevano: "Sinagra, Ficarra, Nasus, Panegra, Galat, Turripeat,
Alcares, Sanctus Marcus, Miletum"4. Quando tutta la Sicilia fu
liberata, Ruggero fondò il Vescovado di Messina e ad esso aggregò
quello di Troina. Roberto, già Vescovo di Troina e cugino del Gran
Conte, per Breve di Urbano II fu traslocato a questa sede
Metropolitana.5 Tra le donazioni fatte al primo Vescovo di Messina
risultano: " Ficaram, Fetaliam, Nasam, Panagam, Galath, Turrim
Tudith...".6 Fino al XVII secolo, anche se era unita a Messina, Troina
aveva giurisdizione autonoma; nella nostra zona risultano i seguenti
paesi: "Militello, Alcara, S. Marco, Capri, Mirto, Longi, Frazanò,

                                                                                                                       
3
Di Francesco Bonanno, Memorie storiche della città di Troina, del suo
vescovado, e dell'origine ., Catania 1789, p. 69
4
Comunemente si pensa che questo è il paese della Calabria; ma quanche
autore suppone che Miletum sia l'originario nome di Militello oggi detto
Rosmarino. "Tuttavia, è possibile rintracciare anche una terza
interpretazione, che fa specifico riferimento alla conquista della Sicilia da
parte dei Normanni, i quali erano già stanziati in Calabria. Venuti in Sicilia,
questi ultimi, vollero, probabilmente, ripetere i toponimi delle due città
calabresi a loro più care, cioè Mileto e S.Marco di Calabria, finendo per
nominare due delle città del messinese rispettivamente S.Marco d’Alunzio e
Miletellum (piccola Mileto). Rocco Pirri, nella sua opera “Sicilia Sacra”
nomina le “civitates et castella”, assegnate dal Gran Conte Ruggero tra il
1081 ed il 1082, alla Diocesi di Troina; fra di esse individua anche Miletum.
Nel 1197-98, nella “Sicilia Sacra” della Diocesi di Messina, si elencano le
terre ad essa appartenenti, ancora una volta compare Miletum. Dalle notizie
riportate, notiamo come Militello sia sempre nominata accanto a S. Marco e
come nel 1082 e nel 1198, fu chiamata Mileto e nel 1176, Militello. La
citazione di Militello, compare anche negli Atti della Regia Cancelleria
Aragonese."
5
D'Avino Vincenzo, Cenni Storici delle chiese Arcivescovili, Vescovili e
prelatizie del Regno delle Due Sicilie, Napoli 1848, p. 334.
6
Lorenzo Rocci, Vocabolario Greco-Italiano, Città di Castello 1958, voce
Panagia.
9  
 
Galati, lo Salvatore, Turturici, Castania,... Datum in Panormi die
vigesimo quarto maii 1628."7
La diocesi di Patti e Lipari il 6 marzo 1094, dal conte Ruggero, ebbe
terreni e servi (tra cui il castellum Fitalia, la metà del castellum Naso e
il castellum S. Salvatore...).
Altre notizie le troviamo in Al-Idrisi, il quale fu invitato dal
re Ruggero II di Sicilia a Palermo, dove, nel XII sec., realizzò una
raccolta di carte geografiche note con il titolo 'Il libro di Ruggero'. In
quest'opera uno degli elementi attinenti ai dati topometrici riportati
dall’Autore è Galat (Galati Mamertino) e Kanisat Sant Marku
(letteralmente, la Chiesa di San Marco [d’Alunzio]). Verso est,
restando sui cacumina montis, era posto, in posizione frontista,
l’odierno Galati Mamertino che Al-Idrisi indica come Galat.
Idrisi nella sua opera cita solo questi due paesi, segno che non vi erano
grossi agglomerati urbani: "Da Mangabah a Galat, dieci miglia;
Da Galat alla Kanisat Sant Marku, sette miglia; Da Sant
Marku a Filad.nt (San Fratello), cinque miglia;
Da Filad.nt a Caronia, quattordici miglia." Poichè Galati è di origine
barbaresca, possiamo dire che tutta la valle del Fitalia apparteneva alla
zona di San Marco ovvero Demenna o Alunzio. Vi potevano però
esserci dei piccoli agglomerati che possiamo chiamare Villaggi.
Il Di Marzo nel 1877 così descrive questo territorio: "Quivi poco
sopra, nell'infima parte delle radici di sì alti monti, comincia a
nascere il fiume, il quale, arrivando alla marina sotto nome del
fiume di Tortorice, ovvero di Fitalia, mette nel mar Tirreno tra Capo
d'Orlando e Pietra di Roma. Questo fiume dunque, nascendo da certe
scaturigini d'acqua freddissima nel capo della valle, fattosi in
competente fiume, passa quasi nel mezzo di Tortorice, donde prende il
nome, ed indi, seguendo il suo corso per questa profonda valle, lascia
nella destra mano Castania, ma nella sinistra la terra del Salvatore,
così detta perchè quivi in un colle e rilevato giogo amenissimo e
fruttifero il conte Ruggieri, avendo avuto una vittoria contro i
Saraceni, fondò una chiesa dedicata al Salvatore del mondo, molto
religiosa; laonde, venendovi molti de' luoghi vicini ad abitare, crebbe

                                                                                                                       
7
Di Francesco Bonanno, Memorie storiche della città di Troina, del suo
vescovado, e dell'origine ..., Catania 1789, p. 84 - 86
10  
 
in forma d'una terra, la quale dalla chiesa prese il nome, la cui metà
oggi è di detta abbatia del Salvatore, e l'altra è del vescovo di Patte.
Ed indi, scorrendo giù circa quattro miglia sin sotto le ruine
dell'antica terra detta Fitalia, riceve un altro fiume, il quale discende
nel suo sinistro lato da certi fonti tra la terra di Galati, da Plinio detta
Galata, patria di Galatea, e Longi, castello, assieme con Galati del
barone della Ficarra, di casa Lanza; e quindi, pigliando il nome
fiume di Galati, quale lascia nel destro lato, scorrendo giù
meno di due miglia, lascia nel sinistro Longi e l'abbatia di S. Filippo
detta di Fragalà, dell'ordine di S. Basilio, lungi dal Salvatore circa
quattro miglia, fondata dal conte Ruggieri circa l'anno 1090 e
riccamente dotata, dove nell'anno 1517 furono ritrovate le reliquie de'
santi fratelli Alfio, Filadelfio e Cirino con la loro istoria in lingua
greca. E parimenti lascia nel medesimo lato le ville della terra di S.
Marco, cioè Frazzanò, lungi dal Salvatore tre miglia, Mirto, Mirtiro e
Belmonte; e, lasciando le ruine di Fitalia nel destro lato, si va a
congiungere col fiume di Tortorice; e quivi fattosi un grosso fiume,
lasciando alla sinistra sponda ne monti la terra di Mirto,
baronia di casa Branciforte, lungi dalla marina circa quattro miglia,
e parimente la terricciuola chiamata Crapi, quasi capre, e molti
amenissimi luoghi, si va a scaricare nel mar
Tirreno di tramontana...sboccato al lito, si piglia il fiume il
nome di Zappulla, ed è in tanta abbondanza, che l'estate venti galere
posson pigliarne il lor bastevole. E quivi finisce il territorio di Naso e
comincia quello di San Marco.....Or partendo dalla bocca di questo
fiume di Tortorice o Fitalia verso ponente, lasciando alle sue sponde
un'osteria chiamata Cipollina, o Ciappulla, circa a un miglio si
ritrova su la sponda del mare una fortezza chiamata Pietra di
Roma, posta ne' tempi primi dalli Romani, durando la prima guerra
co' Cartaginesi; la quale è competentemente fortificata e cinta d'un
gran fosso; e quindi per la man sinistra verso mezzodì, ne'monti, che
sopra-stanno lungi dal lido circa quattro miglia, vi sono le terre poco
fa dette, e molte altre (le quali vagamento adornano quegli
amenissimi gioghi, colmi di giocondissimė e fruttifere piante
domestiche; laonde fu detto questo paese dagli
antichi la bella riviera), come sono Mirto, lungi da questa fortezza
quattro miglia, e Crapi tre miglia, dove alli 24 di settembre si fa la
11  
 
fiera per la festa di S. Tecla; tre miglia l'abbatia di S.
Filippo di Fragalà, ed indi Frazzanò, e poi tre la terra del Salvatore,
e di poi circa quattro miglia Galati, ed indi vicinissimo Longi, delle
quali già abbiamo detto. Ed in oltre vi è la terra d'Arcara,
dell'arcivescovato di Messina, la quale è sotto Longi circa quattro
miglia, lungi dalla marina altrettanto spazio, la quale fu città
vescovale ne' primi tempi; e poi la terra di San Marco, così detta da
un'antica chiesa dedicata a S. Marco, fondata..."8
Un altro documento significativo è costituito dalla "Platea antiqua
bonorum Ecclesiae Pactensis", al cui interno un lungo elenco
tramanda i nomi dei 344 villani posseduti dalla chiesa Pattese nelle
terre che ne componevano il territorio: Naso, Fitalia, Panagia e
Librizzi. Risulta confermata, una modesta presenza saracena (solo 53
nomi arabi) tra la popolazione assoggettata, di fronte alla
preponderante consistenza dei bizantini, che sono 291, suddivisi tra le
terre di Naso (102), Fitalia (61), Panagia (69) e Librizzi (59). Dal
Rollus, si può fare una stima della rendita prodotta dagli abitanti: gli
oltre cento rustici greci di Naso fruttavano 260 salme di frumento; gli
uomini di Fitalia, al pari di quelli residenti a Panagia, apportavano 321
tarì, 50 salme di frumento «et enim tenebatur quinquaginta in totidem
ordei»; i circa sessanta villani librizzesi, infine, rendevano alla chiesa
di Patti 256 tarì.
Shara Pirrotti, studiando i diplomi del Monastero scrive che il fiume
fino alla biforcazione per Tortorici si chiamava Fitalia e nel tratto che
va dal Castello Fitalia fino alla sorgente veniva chiamato fiume
Panagia. Lei afferma che la maggior parte dei mulini del Monastero di
S. Filippo di Fragalà furono edificati lungo il fiume Panagia, cioè
lungo il tratto del torrente Fitalia che segnava il confine tra gli abitati
di Frazzanò, Galati Mamertino e San Salvatore. La presenza, tra i
testimoni di un atto greco del 1182, di "un Filippo di Fitalia, di
Panagia" consente di registrare l'evoluzione onomastica del corso
d'acqua oggi noto con il nome di 'Fitalia'."9 La tradizione e le carte
                                                                                                                       
8
Gioacchino de Marzo, Opere storiche inedite sulla citta di Palermo ...,
Volume 2 in BIBLIOTECA STORICA...di Sicilia VOL. XXV, VII DELLA
SECONDA SERIE, Palermo 1877, p. 113-114.
9
Shara Pirrotti, Il monastero di San Filippo di Fragalà, secoli XI-XV,...,
Palermo 2008, p. 134.
12  
 
topografiche ci segnano che il mulino si trovava nella contrada
Palescina, cioè nella contrada Panagia. Addirittura, sempre leggendo
le carte topografiche, la strada che da Frazzanò porta al fiume si
chiamava 'Strada del mulino'.
Adesso analizziamo singolarmente questi piccoli agglomerati.
CRASTO: Le Rocche del Crasto sono un rilievo a 1315 metri, nei
Monti Nebrodi, in Sicilia. Formate prevalentemente da roccia calcarea
dell'età mesozoica, ricadono nel territorio dei Comuni di Longi ed
Alcara Li Fusi, esattamente in contrada S. Fantino in provincia di
Messina. Il rilievo presenta spettacolari pareti di roccia, in quelle a
strapiombo sulla Valle Calanna dove nidifica l'aquila reale. Nei pressi
della cima sorgeva probabilmente l'antica Città Greca di Krastos, da
cui il nome delle rocche. " Sorgeva prossime alle nostre contrade la
Città Crasto di prisca origine. Questa era tra i primi che prendevano
le mode l’altre città sicule. Nacque da essa Epicarmo inventore della
commedia letterata siculo. Divaricano gli storici se nacque o pure nò
il medesimo in Crasto. Egli per aver recitato diverse poesie di qualche
scherno della Vergine di quei tempi fu mandato in esilio nel Castello
di Cocè prossimo a Siracusa che poscia ne fù libero. La città fu
destrutta ai tempi barbari all’835. Ivi abitavano greci latini e greci
Castreggiani i quali i primi abitarono Frazzanò e Longi ed i greci
Castreggiani fondarono Turiano da cui nacque Alcurzi o Alcara. Qui
vi erano le porte di rame o bronzo come dicono gli storici."10
Secondo la tradizione locale, gli agglomerati urbani della valle del Fitalia e
della valle del Rosmarino avrebbero avuto origine nell’835 a seguito
dell’invasione Saracena e dopo la distruzione di Crasto.
Franco Rizzo così scrive: "La popolazione di Crastus era distinta in due
rami etnici ben diversi, cioè i greci e i latini. Questi ultimi, soldati di
stanza sul Crasto, che peraltro non venne mai distrutto, ma solo assediato
e preso per fame, molto probabilmente o si arresero ai saraceni o
fuggirono; i greci, invece, quelli che si salvarono, varcarono la cresta del
monte e scesero verso il versante orientale, fermandosi per qualche
tempo nella località chiamata San Nicolò (vicino alla località Filippelli),
poi scesero più a valle nella valle, nel pianoro sovrastante il torrente

                                                                                                                       
10
Monsù, manoscritto B. f. 483.
13  
 
Fitalia e costruirono un centro abitato protetto "da una serie di forti
dislocati lungo la cresta sovrastante il detto fiume".11
Quanto all’esistenza della città nei dintorni del Pizzo del Crasto 'cima
più alta delle Rocche omonime', il Surdi, studiando i ruderi
archeologici, nel 1700 così scriveva: "fino ad oggi si scavano lapidi,
mattoni e vestigi di fabbriche".
Anche il Fazello, nel sec. XVII, così scriveva:
'Nei colli di sopra (Alunzio) si vede lontano cinque miglia Militello e
Alcara e poco lungi da lì si vede la rovinata città di Castro, .... E
sopra Alcara, a quattro miglia, è il Castel Lungo, da cui è un miglio
lontano Galati". E' da notare che Fazello scrive Castro e
non Crasto."12
"Incerta è l'origine di Frazzanò e vuolsi da alcuni fondato con Longi
dagli abitanti della città di Crasto nell'anno 835, quando fu questa
distrutta dai barbari, ma nulla però può dirsi di certo nè rigettarsi la
gratuita asserzione di Amico essere stata una terra dai Saraceni
costituita."13
FRAZZANO': "Incerta è l'origine di Frazzanò e vuolsi da alcuni
fondato con Longi dagli abitanti della città di Crasto nell'anno 835....
Si ebbe dagli scrittori nomi affatto varii, Fraynit in un diploma del
1188 recato dal Massa nella Sic. in Prosp., Fraru, Frazzana e
Fragarone in altro del 1282, accennato dal Mugnos, Frascino in altro
notato dal Pirri del 1188, Francino dal Mugnos nella vita dei Ss. Alfio
Filadelfio e Cirino, Frassino dal Bordonaro nella vita di S. Lorenzo di
Frazzanò, Farzano da Massa nei mss. di Storia Sicola, Forzano dal
Fazzello, Franzanio e Frauxaneo dal Pugliese nella storia di Sic. ed
in quella del Masbel Frazzanò ed anche Forzano e finalmente
Razzano in antiche carte geografiche."14
Tra le pergamene del Monastero, in una concessione del 1096/97, si
parla per la prima volta di Frazzanò. Il documento nomina tra i villani

                                                                                                                       
11
Francesco Rizzo, Monografia sulla valle del Fitalia, forni,
12 Gaetano Zingales , Tra Krastos e Demenna, Ricerca documentale, 2009.
13
Vito Maria Amico, Dizionario topografico della Sicilia, Volume 1,
Palermo 1858, p. 476.
14
Vito Amico, Dizionario topografico della Sicilia, Volume 2, p. 476.
14  
 
'Galatanus de Flaccanu' e 'Calogerus de Flaccanu' e tra i metochia di
S. Teodoro 'la Santa Madre di Dio di Friganò'.
LONGI: Longi nasce dopo la distruzione di Castro nell'835. Da
Castrum Longum a Longum, poi ad Alongi, fino all’attuale Longi. Il
borgo cittadino si sviluppa intorno al Castello, bellissimo edificio del
XII secolo conservato in ottimo stato.
Nel 1245 Longi viene menzionato in un documento nel quale gli
anziani e gli uomini probi del territorio di San Marco, tra cui 'il
sacerdote Teodoro di Flacianò..l'anziano maestro Giovanni da Longi',
vennero convocati per verificare i confini dei poderi di S. Marina,
Simantili e S. Giorgio di Agrappidà.15
GALATI: "Paese sito alle fonti del fiume di Fitalia, volgarmente di
Zappulla, oltre Tortorici, in un piano di colline di origine saracenica
e detto nelle antiche carte Galath. Presenta una fortezza, ma in
ruina."16
Nel 1116 il normanno Eleazaar di Malabret, Signore di Galati, donò
alcuni terreni e un villano alla chiesa S. Pietro del Mueli.
Idrisi, nel XII secolo lo descriveva come 'difendevole fortilizio tra
eccelse montagne, popolato e prosperoso'.17
MIRTO: In un diploma del monastero di Fragalà abbiamo un
riferimento dell'esistenza dell'abitato di Mirto nel 1182: " ... avendo
radunato appartenenti alla terra di Naso e di Fitalia e di Mirto e di
San Marco con noi anche essendo il religiosissimo categumeno e con
esso lui altri moltissimi;---"18
Questo villaggio è menzionato anche nel 1175, quando tra i giudici è
nominato un “judex terre Randatii, Sancti Marci, rurium Mirti, Crapi,
et Frazano”.
CAPRI: Questo villaggio esisteva già nel 1175, quando tra i giudici
è nominato un “judex terre Randatii, Sancti Marci, rurium Mirti,
Crapi, et Frazano”.

                                                                                                                       
15
Shara Pirrotti, Il Monastero di San Filippo di Fragalà secoli XI-XV, p. 58.
16
Vito Maria Amico, Dizionario topografico della Sicilia, Volume 1,
Palermo 1858, p. 482.
17
Shara Pirrotti, Il Monastero di San Filippo di Fragalà secoli XI-XV, p. 70.
18
Giuseppe SPATA, Le Pergamene Greche esistenti nel Grande Archivio di
Palermo tradotte ed ..., p. 287.
15  
 
Il nome del paese ha subito varie trasformazioni: originariamente si
riscontra il termine “Duae Crapiae”, poi “Crapisusu e Crapiiusu”,
“Castel di Capri”, poi “Capri” e, infine “Capri Leone”. “Crapi” appare
citato per la prima volta nel periodo normanno-svevo.
SAN SALVATORE: "Il castello di Fitalia e il castello di San
Salvatore, nel 1094, coesistono e sono donati e non fondati dal Conte
Ruggero; esistevano quindi anche il periodo arabo e la dicitura 'con
tutte le sue pertinenze' ci dice che il castello di San Salvatore aveva un
suo territorio ben distinto da quello di Fitalia, e un nucleo abitativo
attorno o dentro le fortificazioni."19
Questo castello era chiamato 'Casale Gallegra'. Lo leggiamo nel libro
di amministrazione del monastero Benedettino del SS. Salvatore di
San Marco, la cui compilazione fu iniziata dall'abbadessa Suor Angela
Filingeri e terminata nel 1692 da Suor Anna Fulgenzia Filingeri. Fino
alla seconda metà del XII secolo il casale di Gallegra o Kallegra era
territorio di Fitalia; mentre nel XIV secolo, decadendo Fitalia, entrò a
far parte del territorio di San Salvatore.
"Dall'Agatirna, che oggi è Capo D'Orlando, muovi a ponente: corri la
dilettevole marina a toccare il fiume Fitalia e Zappulla: risaliscilo,
internandoti a tre miglia avrai un anfiteatro di monti; nel mezzo, come
al centro di un circolo, vedi collina eminente, dell'altezza di oltre 600
metri, a prolungata schiena; è S. Salvatore. La chiamò S. Salvatore il
conte Ruggero, perchè delle borgate Kami <S. Maria di Roma> e
Kallegra <Villa o Santo Adriano> nelle falde orientali della collina, e
Fana <Bufana> e Kabli <Placa> nei rialzi ad occidente, i buoni
villici, a forza riunita, tennero a salvezza le squadriglie normanne
venute in periglio nel castello, con essi loro vinsero il Saraceno del
basso Fitalia.Volle indi Ruggero che gli abitatori delle quattro
borgate tenessero riunito domicilio sulla cresta della collina protetti
dal castello, che nel 1403 fu ridotto a Monastero di Benedettine <oggi
Palazzo Municipale>."20
Il territorio di San Salvatore era diviso in cinque villaggi o casali:
Casale di Fani e Casale di Kubli nella fiancata destra della fiumara di

                                                                                                                       
19
Antonello Pettignano - Salvatore Ruggeri, San Salvatore di Fitalia, Nebros
1984, p. 23.
20
Scorza Antonino, Vita di San Calogero eremita, Palermo 1926, p. 29-30.
16  
 
Galati, assegnati al monastero di Lipari e Patti; Fitalia, Gallegra e
Kaminella nella fiancata sinistra del castello di San Salvatore.
MELITIRO: È la contrada del territorio nella quale fu costruito il
Monastero di Fragalà e nei suoi diplomi viene citato diverse volte "..S.
Filippo di Demenna detto di Melitiro". Questo nome è presente ancora
il 19 aprile 1408, data in cui è citato tra i testimoni di un atto, un
clericus Lucas de Melitiro, insieme ad alcuni habitatores casalis
Frasano. In un diploma del 1171, noto per un transunto del 1441, il
Monastero era "in lu locu di Militiro in pressu di la terra di Santu
Marcu in la valli di Demina di la terra di la nostra dota".21
Un documento del 1396 attesta la concessione a Riccardo Filingeri dei
casali Mirti, Crapisusu, Belmunti, Mirtiro, Fazana e Crapiiusu. La
contrada di Mirtirò alla fine del XIV secolo era un agglomerato rurale
distinto da Mirto e Frazzanò. Mirtirò viene mensionato fino al XVIII
secolo, quando scomparve forse travolto da una frana, e gli abitanti
preferirono trasferirsi a Frazzanò. La denominazione Melitero deriva
dal greco e significa "dedito alla Meditazione".22
Questo potrebbe spiegare che in quel luogo vi erano eremiti che si
dedicavano alla meditazione, come monaci orientali, forse S. Calogero
e compagni.
Il Monsù così scrive: "Abitazione di Militirò, o Melitero: Da Diplomi
dell'ostello di Fragalà prossimo a Frazzanò nostro suolo, avvi notizia
dell'abitato Melitero o Militirò, stante variano i medesimi nel dire con
ambi i cennati nomi, oggi ne porta la contrada tutta simil nome e non
esistente più l'abitato da secoli e certo però che in epoca esisteva,
eziandio Frazzanò.
Il sito topico non puossi deteggere, dove fosse stata edificata
l'abitazione, ma si scorge che nel fondo cosidetto Prajo, anche nome
saracenico, si osservavano molti sepolcri con ossami, e quindi non
lungi doveva essere l'adunanza, anzi nel medesimo podere
congetturasi per trovarsi ruderi in esso. Desso era in vicinanza del
cenobio di San Nicolò di Fragalà, e perciò gli atti cristiani venivano
fatti nel monastero, e Chiesa di S. Nicolò che prossimo al suolo

                                                                                                                       
21
Cusa, doc. XXVI, pp. 436-437.
22
Shara Pirrotti, Il monastero di San Filippo di Fragalà, sec. XI-XV, Palermo
2008, p. 36.
17  
 
esisteva, di cui se ne osservano gli avanzi, e ne porta il nome la
contrada, nella quale pure esercitavano opere religiose; di cui qui
dentro ne narro. Dai cennati diplomi si detege che varie persone
furono da Rugiero dati in servizio ai Basilisti di Fragalà, e dal
medesimo suolo nacquero monaci, che furono in marcato cenobio,
come osserverete nella leggenda storica del Monastero. La
fondazione di esso non si assume, dal quando ebbe origine, e da dove
pervenuti, supponendosi che si allontanavano dal suo paese natio, a
ciò non star soggetti; e negl'antichi tempi così era costume,
alleviandosi da pesi e sconvolgimenti, come ancora per essere avidi di
cose nuove, formando casamenti in più siti."
PALASTRICÒ: "Da archiologici scritture si attinge che nella
contrada nomata Palastricò, un tempo esservi assiemata adunanza di
famiglie greci o saraceni che dal nome di detto abitato si scorge
d'essere saraceno e quindi non si può assumere certezza di qual
nazione si fossero ne si può asserire tra storici alcuna cosa
riguardante l'uopo, soltanto si adduce il sito e che fu detto suolo
qualche secolo abitato e poscia come s'assume dalla tradizione, che
furono causati da un sviluppo formiculare, il quale si rese noioso
impestando ciascun punto di loro stanza; e transitarono altrove per
cercarne luoco per la sua residenza, nulla di più posso addurre,
mancandomi lo chè potesse far consapevole. Si adduce intanto che
coltivando la terra in esso punto, e con piantagioni trovano delle
molte propagini con i laterali a vuolta di mattoni di terra cotta alla
grandezza di parmi 3 circa lunghi ed uno e mezzo larghi ed un quinto
di palmi grossi ed osservandosi dentro, d'epoca di più d'un migliaio
d'anni sepolti e sino ai tempi nostri (1859) osservasi."23
PANAGIA: Uno dei documenti che parla di Panagia è una
pergamena dell'archivio capitolare di Patti dal titolo "nomina
villanorum Fitalia" in cui si legge: “Siegue una platea, seu rollo
antico in pergamena dei villani che tenea nelle sue terre il
Vescovado”.
Nelle aggiunte della pergamena si legge dell’accorpamento del reddito
dei villani di Panagia con quello dei villani di Fitalia, e ciò ci induce a

                                                                                                                       
23
Monsù, Leggenda storica.., manoscritto
18  
 
pensare che, già allora, Panagia non esistesse più e i due gruppi
fossero stati già unificati.
"Importante ci sembra inoltre osservare che, in questa platea, la
località di Panagia ha ancora la sua delimitazione ben distinta,
mentre già al tempo dell'aggiunta si confonde con la località di
Fitalia. E noi siamo indotti a pensare che Panagia, nel 1131, fosse già
scomparsa come località a se stante, forse per una inondazione della
fiumara e/o anche a causa di frane, e gli abitanti si fossero confusi
con quelli di Fitalia: infatti nel decreto di conferma del 1134 il nome
Panagia non compare affatto.
Nei documenti del nostro archivio, il nome di Panagia compare per
l'ultima volta nella platea che stiamo esaminando. Fa però difficoltà
il fatto che, in alcune bolle Pontificie indirizzate al vescovo di
Messina degli anni 1151,1166, e 1198, compaia invariabilmente
anche il toponimo Panagia, tra i luoghi dipendenti dal vescovato di
Messina. Tuttavia noi crediamo che queste ultime testimonianze non
contino, in quanto pensiamo che la Curia Romana abbia ripetuto, nei
luoghi appartenenti a Messina, un primitivo testo mai più aggiornato;
esso infatti ha continuato ad annoverare, tra i luoghi dipendenti da
Messina, anche Patti e Cefalù, che erano assurte a Sedi di
Vescovati."24
A Panagia vi erano 69 villani con moglie e figli. In questo documento
al rigo 16 troviamo il nome Pelaginitis... e nel rigo 21 Panagitis.
Come vedremo, da questi due nomi possiamo supporre l'ubicazione di
Panagia.
Ci racconta la tradizione che San Calogero e compagni, arrivati nella
nostra zona andarono a vivere in una grotta, vicino al fiume nella
stretta di Longi, nel territorio di Frazzanò, oggi chiamata grotta di San
Calogero; un posto sicuro, in un bosco e difficile da raggiungere. In
seguito i monaci, forse perchè scoperti, si trasferirono a Melitiro, dove
attualmente è costruito il monastero.
Nelle vicinanze della grotta, Calogero e compagni, costruirono una
chiesetta dedicata alla Madonna attorno alla quale si formò una
piccola comunità.

                                                                                                                       
24
Alfonso Sidoti, Riccardo Magistri, La Diocesi di Patti, vol. II, Patti 2007,
p. 12.
19  
 
Panaghia Platytera, «la più ampia dei cieli» (letteralmente «con il
corpo più grosso»: Secondo un testo del Padre della Chiesa san
Basilio, Dio creò il corpo di Maria abbastanza grosso per accogliere
il Cristo incarnato). In questa raffigurazione Maria volge lo sguardo
verso l'osservatore, ha le braccia alzate, e porta sul petto un grosso
cerchio con il Cristo giovane benedicente (Emanuele).
Potrebbe essere la contrada Panagia di cui si parla nella storia e che
poi si fuse con Fitalia. La zona dove visse San Calogero, oggi
contrada Palescina, ci porta a fare riferimento a questo nome o ai due
su riferiti. Questa contrada presentava ruderi di un villaggio.
Fragale così scrive: "Pare che nell'epoca normanna un tratto del
Fitalia si chiamasse Panegia e, forse, nei pressi della contrada
Palescina. Tale denominazione si riscontra in un privilegio di Re
Ruggero del 20 marzo 1146, col quale riconfermava alcune
concessioni già fatte all'abazia di Fragalà dalla madre Adelasia." 25
Nel 1101 Adelaide concesse al Monastero di San Filippo
l'autorizzazione a costruire dei mulini lungo il fiume
Panagia:"Similmente al fiume di Panagia avere voi libertà di far
mulini per sostentamento e somministrazione del santo Monistero"26
E ancora: "1223. Niccolò maestro di Granalerio di Demenna a
discarico di una lettera qui inserita di Matteo di Galati e di Niccolò di
Traina, Catapani ed in esecuzione degli ordini emanati da Marcisio
arconte maestro, ad istanza di Filoteo abate del monistero, ecc. e
dietro analoga istruzione aggiudica in pro del detto monistero il
mulino Miga costruito a spese del medesimo nel fiume di Panagia."27
Dona ancora un pezzo di terra, di cui indica l'estensione, sito accanto
al Panagia sotto Pauliano (vicino a Galati).
Nel 1225, anno in cui alcuni uomini di Mirto furono chiamati a
testimoniare sul fatto che i monaci fossero autorizzati a costruire
mulini lungo il corso del fiume Panagia.
Tutto da approfondire. Possiamo solo dire che nel periodo arabo-
bizantino, San Salvatore faceva parte di un più ampio territorio senza
                                                                                                                       
25
Giuseppe Fragale, Saggio di Toponomastica siciliana, Palermo 1931, p. 10.
26
Giuseppe SPATA, Le Pergamene Greche esistenti nel Grande Archivio di
Palermo tradotte ed ..., p. 162.
27
Giuseppe SPATA, Le Pergamene Greche esistenti nel Grande Archivio di
Palermo tradotte ed ..., p. 192.
20  
 
confini comunali, e forse Panagia si estendava tra i due lati del fiume
Fitalia o Panagia.
FITALIA: Il castello di Fitalia si trovava nella confluenza dei due
fiumi di Galati e Tortorici, oggi chiamata "due Fiumare".
" FITALIA. Castello di appellatione moresca tra Capo di Orlando e la
Terra di San Marco nominato in un diploma del Vescovo di Girgenti
l'anno 1244 ed in una bolla di Eugenio II a Roberto Arcivescovo di
Messina l'anno 1151, anzi fin dall'anno 1097 se ne trova mentione in
un Privilegio del Conte Rogeri."28
Sull'origine di Fitalia, alcuni studiosi, tra cui Francesco Pisciotta e
Antonello Pettignano, propendono per l'origine greca del castello, altri
invece per quella bizantina. Sappiamo solo che quando i Normanni
arrivarono in Sicilia il castello di Fitalia era esistente.
Non voglio entrare in questa discussione, dando la parola agli storici;
sottolineo soltanto il fatto che Fitalia non venga nominato da nessun
geografo romano. In questa zona si nomina solo Alunzio e Agatirso.
"Castello concesso nel 1094 dal Conte Ruggiero al Monastero di S.
Bartolomeo in Lipari."29
" Castello di cui bagnava i confini un ruscello dello stesso nome, oggi
Zappulla. Ritrovo Filalia nel 1198 nel registro della diocesi di
Messina. e ne era Signore nel 1320, come riportasi nel censo di
Federico II, Vitale Alvisio di Messina, Barone di Capri e di Mirto
terricciuole confinanti. Ben dicelo collocato Massa nel tomo 1 tra
capo di Orlando e S. Marco e di nome saracenico, e confondelo col
sovraccennato castello Fatalia conceduto dal Conte Ruggiero al
Vescovo di Patti."30
Fragale così scrive: "Sciumi Fitalia. Fiume Fitalia. Località di questo
fiume con denominazioni particolari: Acqua du paraturi, acqua del
Paratore; Stritta di Lonci, Sterra di Longi.
Fiume Fitalia: Il fiume assume il nome di Fitalia dalla punta S.
Andrea, cioè dal luogo in cui si incontra col fiume Grande che scende

                                                                                                                       
28
Giovanni A. Massa, La sicilia in prospettiva, vol. 2, Palermo 1709, p. 74.
29
Vito Maria Amico, Dizionario topografico della Sicilia, Volume 1,
Palermo 1858, p. 437.
30
Vito Maria Amico, Dizionario topografico della Sicilia, Volume 1,
Palermo 1858, p. 460.
21  
 
da Tortorici, fin sotto l'abitato di Longi. Dalla punta S. Andrea al
mare appellasi Zappulla e dal territorio di Longi alle origini assume
due soli nomi principali: S. Basilio e Dàgara. Le fonti sono sulle
pendici del pizzo Mallurà, nel territorio comunale di Galati
Mamertino. Il nome Fitalia trae origine da una torre omonima un
tempo esistente nel territorio di San Salvatore e precisamente nei
pressi della contrada sant'Andrea o Dàino. .... "31
Il significato etimologico è quello di piantagione di alberi, arbusti,
vigna e orto. La pergamena dell'archivio capitolare di Patti dal titolo "
nomina villanorum Fitalia " recita: "Siegue una platea, seu rollo antico
in pergamena dei villani che tenea nelle sue terre il Vescovado". Il
Garufi sostiene sia stata composta nella prima metà del XII secolo con
alcune aggiunte nella seconda metà dello stesso secolo. A Fitalia vi
erano 61 villani capi famiglia.
Vinciguerra d'Aragona nella seconda metà del XVII secolo riunì nel
castello del S. Salvatore tutti villani di Fitalia e Panagia facendo
scomparire questi borghi.
ACRIA: Il Monsù cita la presenza di un altro borgo nella nostra
zona: "Notizia dell’antica città di Acria. Esisteva prossima a San
Marco l’antica città d’Acria che alcuni storici la pongono in mezzo
Pietro di Roma e la Pianura di Torrenova che pria la venuta dei
Greci nella Sicilia si appellava Lito Bello la quale si paragonava con
Palermo per la bellezza del sito."32
Ancora oggi una parte della Frazione Rocca del Comune di
Caprileone, si chiama Palermo Piccolo, forse facendo riferimento alla
citazione del Monsù.
BELMONTE: A sud dell'abitato di Frazzanò, su un alto colle,
esisteva un castello di difesa costruito dai Saraceni, circondato da
grosse muraglie, largo 1000 palmi, per una superficie di 240 x 214
palmi. Sul piano inclinato vi era una torre che comunicava con Mirto e
Capri. Di fronte quella di S. Teodoro che comunicava con San Marco.
Qui stanziava un folto gruppo di Saraceni che Ruggero il normanno,
dopo tante lotte, sconfisse uccidendo tutti quelli che non vollero
assoggettarsi a Lui, mentre usò clemenza per quelli che si arresero.
                                                                                                                       
31
Giuseppe Fragale, Saggio di Toponomastica siciliana, Palermo 1931, p. 10.
32
Monsù, manoscritto B, f. 497.
22  
 
Ruggero sparse i prigionieri nel territorio e ricostruì il castello come
difesa. Nel luogo in cui si combattè la battaglia più cruenta, Ruggero
fece costruire una chiesa dedicata a San Giorgio; sicuramente sopra
l'attuale quartiere Serro e quella contrada ancora oggi si chiama di S.
Giorgio. Il Monsù scrive che ai suoi tempi si vedevano i muri
perimetrali. Attorno alla chiesa di San Giorgio nacque un piccolo
villaggio, anche con alcuni musulmani convertiti, che divenne
sobborgo di Frazzanò. Nelle cui vigne fino a pochi anni addietro se ne
vedevano i ruderi. Perchè scomparve Belmonte? Secondo il Monsù
per i terremoti e le frane che sconvolsero la zona.
"Qui fu messa una croce dai nostri antichi per dimostrare che dal
luogo di misredanza mutossi in sito cristiano, per aversi fatto in pezzi
dal tuono al 1836 da gentiluomini patriotti, e clero fu portata nuova
Croce associato dal popolo, ed oggi per l'istesso mottivo trovasi senza
di essa."33
Nel 1628 per la costruzione del campanile della chiesa di S. Lorenzo,
furono utilizzati pietre e intagli delle mura dell’antico castello detto di
Belmonte (Bellumunti) che, secondo l'ultima leggenda, esisteva sulla
Timpa, (la collina incombente sull'abitato di Frazzanò), ricostruito nel
1396, sui resti di un precedente edificio dal re Federico IV d'Aragona,
detto il Semplice.
"Narra la leggenda che il capitano saraceno di Belmonte - sconfitto
da Ruggero I e scampato miracolosamente, fuggendo lontano dalla
terra di Sicilia - finché visse domandava sempre, con accorata
nostalgia, di Frazzanò e di Belmonte ogni volta che s'incontrasse, per
terra e per mare, con pellegrini o viaggiatori siciliani. La favola, poi,
narra di un ingente tesoro - del quale farebbe parte un preziosissimo
telaio d'oro - nascosto ermeticamente nei profondi meandri del
sottosuolo dell'antico castello. e si narra altresì che i vigili custodi
siano una chioccia d'oro con pulcini tutti d'oro, i quali fanno la
guardia nella piccola grotta, che guarda a mezzogiorno, e vengono
fuori a razzolare, a tarda ora, solo nelle notti di luna. Chioccia e
pulcini - come dice la favola - sparirebbero d'incanto alla vista di chi
li volesse incautamente afferrare. Ma, se per caso si dovesse
verificare la cattura della madre e di tutti i piccoli, il suolo si

                                                                                                                       
33
Monsù, Leggenda storica..., manoscritto.
23  
 
aprirebbe d'un tratto, mettendo in balìa di tutti il favoloso tesoro. Così
l'incantesimo verrebbe sciolto e spezzato per sempre. Infine, anche un
frammento d'una vecchia canzone popolare, ci parla ancora di
Belmonte: ...Mirtu e Mirtirò, / e Beddumunti cu Frazzanò... e la
leggenda dice che la cantasse malinconicamente - nelle notti di veglia
sui mari e sulle terre d'Oriente - l'inconsolabile e randagio capitano
saraceno di Belmonte, sconfitto da Ruggero il Normanno".34
Fino a quando cadde in rovina esso appartenne ai Signori di San
Marco.
Il Fazello così dice: " Belmonte. Lat. Belmons. Sic. Belmunti. Casale
non più esistente vicino a Frazzanò ed a Mirto nella parte aquilonare
della Sicilia mentovato dal Fazcllo.Il castello Belmonte, come attesta
Luca Barberi nel suo Capibrcvio, parlando di Mirto Capri Frazzanò e
Belmonte, fu riedificato da Federico di Aragona nel 1396."35
PIETRA DI ROMA: " Pietra di Roma. Lat. Petra Romae. Sic.
Petra di Roma (V. D.) Fortezza egregiamente munita nella dizione del
paese di s. Marco sovrastante alla spiaggia e fornita di artiglierie
contro i pirati. Intorno ad essa è un borgo con un'osteria ed una
chiesa rurale appartenentesi ai Filingeri conti di s. Marco
prefetti della rocca. Se ne fa menzione nei regii libri e dicesi essere
appartenuta un tempo ai Larcan."36
Un insediamento, una statio romana o meglio una stazione di posta
romana trasformata poi, nei secoli, in un castello. “... V’erano sino ai
giorni nostri due altissime torri, una rotonda, l’atra quadrata, ...delle
quali v’esiste ancora parte di fabbrica...furono le suddette già in
questo secolo rovinate come stanche di stare più in piedi pella loro
antichità... Collaterale alla torre rotonda v’esiste una gisterna, seu
fossa dove passa fama che quei Gentili avessero rinserrato non pochi
martiri cristiani seppure non volessimo credere che sia stata fatta per
conservarvi l’acque piovane....nel giro delle stanze, ponente, una
mezzana se ne vedeva pitturata ma alla mosaica o si fosse stata alla

                                                                                                                       
34
Fragale Giuseppe, Manoscritto...
35
Vito Maria Amico, Dizionario topografico della Sicilia, Volume 1,
Palermo 1858, p. 136.
36
Vito Maria Amico, Dizionario topografico della Sicilia, Volume 1,
Palermo 1858, p. 306.
24  
 
greca, con molte finiture e molte iscrizioni, starei per dire simili a
quelle di San Pietro di Deca.”
Le altre notizie certe, a noi pervenute, risalgono alla dominazione
araba (901) di cui era presidio militare sotto Ibrahim, mentre per i
normanni divenne posta di controllo per l’attività cantieristica. Vito
Amico la definisce come fortezza egregiamente munita di artiglierie
con Chiese e cisterne.

FRAZZANÒ, GROTTA SAN CALOGERO

25  
 
FRAZZANÒ, GROTTA SAN CALOGERO

FRAZZANÒ, GROTTA SAN CALOGERO

26  
 
FRAZZANÒ, GROTTA SAN CALOGERO

FRAZZANÒ, GROTTA SAN CALOGERO

27  
 
FONDAZIONE DEL MONASTERO
DI SAN FILIPPO DI FRAGALÀ
Il primo documento certo sul monastero di San Filippo di Fragalà è un
diploma del 7 maggio 1117, nel quale il re Ruggero conferma
all'egumeno Gregorio le concessioni fatte dal padre. Secondo l'uso del
tempo, esso riporta il testo della concessione precedente, fatta nel
1090 dal conte Ruggero che rappresenta l'atto di fondazione, o meglio
di rifondazione, del monastero.37
Che il monastero fosse già esistente prima dell'arrivo dei Normanni si
desume dal Testamento dell'egumeno Gregorio, documento risalente
al maggio del 1105 relativo al cambio di denominazione prima
dedicato a San Nicola, poi a S. Filippo: "Io umile e peccatore
Gregorio rinunziando fin dalla giovane età al secolo e alle sue cose
vane e fugaci diedi il nome al suddetto monastero di San Filippo per
molto tempo quasi disabitato e sconosciuto, nè ricco come ora che è
fiorito di parecchi monaci…“.38
Il convento di Fragalà riuscì a resistere alla dominazione araba, tant’è
che lo Scaduto, parlando dei monasteri della zona del Valdemone,
afferma: «quando i normanni entrarono in Sicilia nel Valdemone
restavano ancora in piedi S. Angelo di Brolo, San Filippo di
Demenna».39
Ed ancora:"Il cenobio esisteva durante il periodo della dominazione
araba: l'abate Gregorio ne conservava memoria e nel suo testamento,
dopo ... Quando Gregorio vi entrò per dedicarsi alla vita religiosa,
era ancora giovanetto e il monastero disabitato. ... Non appena l'isola
di Sicilia fu libera dal giogo dei musulmani, il cenobio di S. Filippo,
conobbe la sua ora di prosperità ..."40
Gregorio sentendosi vicino alla fine dei suoi giorni, redige un lungo
documento in cui descrive tutti gli sforzi fatti per rimettere in sesto il
cenobio e per ricostituire la comunità monastica dopo la dominazione
                                                                                                                       
37
S. NIBALI, Il monastero basiliano di S. Filippo di Fragalà, in SYNAXIS,
V, Catania 1987, p. 232.
38
Giuseppe Spata, Le pergamene Greche esistenti nel grande archivio di
Palermo, Palermo 1861-1862, p. 252.
39
Mario Scaduto, Storia e letteratura, 1947, p. 69.
40
Mario Scaduto, Storia e letteratura, 1947, p. 69.
28  
 
musulmana:“rimasi fermo combattendo molto in questo luogo per
mettere in comparsa l’opera che era svanita. E già da poco tempo
respirando l’isola di Sicilia dalle spesse effusioni di sangue e dalla
schiavitù fatte dagli atei saraceni, infatti anche io meschino da essi
soffrì molte sevizie in questo sacratissimo monastero..... Per la
saviezza di quel valorosissimo Ruggiero Conte, e per l’opera di me da
poco, dalle stesse fondamenta questo tempio innalzossi, e la torre fu
edificata, siccome si vede dagli occhi di chi guarda”.41
Già queste prime parole del testamento confermano l’esistenza del
Monastero prima del 1090 ed andato in decadenza durante gli anni
della dominazione araba anche se Gregorio non specifica l’epoca in
cui risale la sua fondazione.
Gregorio abbandonò il mondo per ritirarsi nell’antico cenobio di San
Nicola, che, quasi disabitato in quell’epoca, versava in uno stato di
forte degrado, a causa dei danni subiti dalla dominazione araba, così
come tanti altri monasteri abbandonati dai molti monaci che mal
sopportando le angherie degli invasori, preferirono fuggire in Calabria
per rifugiarsi in quelli che ancora non erano stati raggiunti
dagl’infedeli.
Leggendo la risposta del Sig. Carmelo Martorana al Sac. Nicolò
Buscemi troviamo altri spunti di riflessione: afferma che Ruggero
incrementò il Monastero con monaci portati dalla Calabria. Questo ci
fa supporre che ha riportato in Sicilia un gruppo di monaci che da essa
erano fuggiti: "Che monastero era dunque quello di avanti, il quale
non avea chiesa, non celle, non appartamenti per abitare i monaci,
non torre campanaria, non regola per convivere i frati, e per dir tutto
insieme, che non compariva affatto, ed era inabitato? Anzi credo non
v'ignoriate quel si accerta dal diligente Scavo, il quale dice averlo
cavato dai documenti dell'istesso monastero, che i primi monaci
abitatori di esso, dopo che fu edificato dalle stesse fondamenta, vi
furon portati dalla Calabria per disposizione del gran conte
Ruggiero"42

                                                                                                                       
41
G. SPATA, Le pergamene Greche esistenti nel grande archivio di Palermo,
Palermo 1861-1862, pag. 197.
42
Giornale di scienze, letteratura ed arti per la Sicilia, Volumi 47-48,
Palermo 1854, p. 204.
29  
 
Una delle leggende e supposizioni relative alla fondazione del
Monastero è quella riportata dal Monsù43 che riprende l’ipotesi di
Daniele Papabrochio,44 il quale suppone che il monastero sia esistito
sin dal 495 e che sia stato fondato da San Calogero e dai suoi
compagni, i Santi Gregorio e Demetrio.
"Secondo il Pirri si detege intanto, che il Monastero di Fragalà, ed
altri fù fondato uno degli più antichi della Sicilia e come scrisse
Papabrocchio si fù al fine del quarto secolo marcandolo dalla vita di
San Calogero, Gregorio e Demetrio, ne fù il fondatore, ne è cosa
inverosimile che lui visse anche da monaco per come si provò da
certa pittura posta nel monastero dimostrando, che il Monastero era
insignito d’un Abbate greco con velo Abbaziale, e mozzetta come si
trovano gli Abbati della Sicilia eccome quinto dice questo autore
Papebrochius tempus assignat adventus horum monacorum in
Siciliam attamen asserere non dubitaviteos in Sicilia floruisse sub
finem saecoli quarti in actis enim sanctorum, agens de sanctis
Calogero, Gregorio et Demetrio scrixit Monasterium S. Nicolai
Fragalatis ordinis Sancti Basilii ab hoc Calogero edificatum fuisse."45
I tre compagni, originari, a detta del Monsù, della Calcedonia,46
"sbarcati a Lilibeo, odierna Marsala, furono scacciati dagli abitanti
del luogo ancora legati alla fede pagana. Fuggiti dunque da questo
luogo con una barca, furono portati dal mare sulla spiaggia di
Torrenova, lido di San Marco, vicino alla vetusta città di Demenna. In
questi luoghi cercarono un sito sicuro e nascosto che trovarono nella
foresta del monte Linare, oggi detto Pagano, presso l’odierna
Frazzanò. Qui costruirono un ascetorio che dedicarono a San Nicola
di Mira e cominciarono ad istruire nella dottrina cristiana la gente
                                                                                                                       
43
MONSU’, Legenda storica dello antico e moderno stato di Frazzanò...
Manoscritto inedito del sec. XIX, archivio privato.
44
Si tratta di D. Papebroeck, un dotto gesuita di Anversa nato nel 1628, ha
compilato un certo numero di “Acta Sactorum”, opera avviata dai Bollandisti.
Muore nel 1714.
45
MONSU’, Legenda storica dello antico e moderno stato di Frazzanò....
Manoscritto inedito del sec. XIX, archivio privato
46
Il Monsù, per questa notizia si rifà alla II ode degli Inni del monaco Sergio,
in cui si dice: “Tu che, abbandonata la patria Calcedonia…”.MONSU’, Op.
cit. f. 82
30  
 
delle vicine contrade. Intorno a loro fiorì una comunità di santi
uomini desiderosi di seguire l’esempio dei tre istitutori"47
Addirittura il Monsù si azzarda a dire che questo Monastero fu il
primo fondato in Sicilia: "Il primato dunque tra i Monasteri siculi
fondati nella Sicilia sotto la Regola di S. Basilio, lo porta questo di
chi ha fatto cenno mentre ai tempi di Gregorio Sommo Pontefice si
legge lettera di n° 30 che scriveva a Pietro Diacono all’anno 500
dando notizia, che fondavasi un Monastero Basiliano nelle nostre
contrade, e propriamente detta di Fragalà col greco titolo di
Monasteos..."48
I profughi rifugiatisi in Sicilia, non si ritirarono subito in grandi
monasteri, ma vissero in eremi costituiti, per lo più, da semplici grotte
o da primitive abitazioni prive d’ogni agio. Altri si organizzarono in
dei romitori dette laure: delle piccole comunità dove ognuno poteva
conservare la propria indipendenza e la propria solitudine avendo in
comune con gli altri solo la chiesa per le liturgie.49
Il Narbone50 parlando degli scrittori di Sicilia scrive che Arsenio
(autore di un carme dedicato a San Vito) era "monaco basiliano nel
monastero di San Filippo di Fragalà, che dicesi vissuto innanzi alla
invasione saracenica e pensa che egli vivesse nel medesimo
monastero... Della stessa basiliana famiglia era un Sergio che si
crede vissuto intorno all'anno 870, quando già i mori erano entrati
nell'isola."
Dell'esistenza di questo monastero si ha dal fatto che in esso vissero
alcuni santi che qui dimorarono durante la dominazione araba e che
furono:
1 - SAN SERGIO MONACO (Frazzanò, XI sec. - 1076) Il Monsù
afferma che il monaco Sergio, autore degl’Inni sulla vita di San
Calogero, sia nativo dell’antica Frain, oggi Frazzanò, e che abbia
ricevuto la sua formazione religiosa nell’antico cenobio di Fragalà

                                                                                                                       
47
Il Monsù sostiene che diversi scrittori, fra i quali il Papebroech, credono
che Demetrio sia morto per la paura e non martire . MONSU’, Op. cit. f. 82.
48
MONSU’, Op. cit. f. 302.
49
NIBALI, op. cit., pag. 226.
50
Alessio Narbone, Storia letteraria della Sicilia, tomo quinto, Epoca
cristiana. Volume 5, Palermo 1856, p. 163.
31  
 
prima dell’arrivo dei saraceni. Non esiste comunque nessuna
testimonianza documentaria che possa suffragare queste affermazioni.
2 - S. ARSENIO DI FRAGALÀ, (Frazzanò, IX sec. - 820) Definito
come servo di Dio dal Monsù, è ricordato per aver scritto la vita di
diversi Santi. Pare sia nato in qualche borgo vicino al monastero ed
abbia avuto la sua formazione a Fragalà prima della conquista araba e
che qui sia morto. Il Mazzucchelli scrive che Arsenio era un monaco
di San Filippo di Fragalà già verso l’820.51
"Sorge ancora che assai prima di questa data, albergarono ivi altri
monaci tra cui certamente Arsenio Monaco che compose un carme
greco sul martirio di S. Vito e quindi se si ammette che innanzi a
Gregorio abate non esistette il monistero di S. Filippo non si può
ammettere che nello stesso luogo anco prima dei Saraceni non siansi
istituite sacre abitazioni per monaci."52
"XV. Questi ci ha pure donalo un altro carme a onore del martire s.
Vito, composto da certo Arsenio, monaco basiliano nel monastero di
s. Filippo di Fragalà, che dicesi vissuto innanzi alla invasion
saracenica e pensa ch'egli vivesse nel medesimo monastero, donde fu
tratto quel codice greco dal Florito medesimo volto latinamente."53
3 - S. GIOVANNI DI FRAGALÀ, Ormai sconosciuto alla devozione
locale, pare che fosse della zona e che sia vissuto verso l’VIII sec. nel
monastero di San Filippo di Fragalà. Non si conosce niente della sua
vita, sappiamo solamente che la sua tomba, collocata nel monastero,
fosse meta dei pellegrini che curavano le loro malattie con un liquido
che scaturiva dalla stessa. S. Giovanni è venerato il 5 febbraio.
4 - SAN GIUSEPPE L’INNOGRAFO MONACO A
COSTANTINOPOLI, dimorò in Fragalà e morì a Costantinopoli il 3
aprile 883.
5 - SAN LUCA DI DEMENNA, (Demenna, 918 ca. – Armento, 5
febbraio 995) Nacque nell’antica città di Demenna nel 918 circa. Ebbe
la sua formazione religiosa nel monastero di San Filippo di Agira, uno
dei centri cenobitici più importanti dell’epoca. Il Monsù sostiene che,

                                                                                                                       
51
Ivan Gobry, L'Europa di Cluny, Roma 1999, p. 258.
52
Giuseppe Spata, Le pergamene greche..., Palermo 1862, p. 167.
53
Alessio Narbone, Istoria della Letteratura siciliana, Palermo 1856 , p. 163.
32  
 
di ritorno alla sua patria, si fermò nel cenobio di Fragalà, per poi
passare al monastero di San Barbaro di Demenna.
6 - SAN LUCA DI TAORMINA visse nel IX secolo e dimorò nel
Monastero.
Le testimonianze a noi giunte evidenziano che qui era vivo il culto di
un santo monaco basiliano, un certo GIOVANNI SOLITARIO,
definito “Una grande e splendida fiaccola, medico degli infermi”,54 la
cui tomba si trovava all’interno dello stesso. Sembra che sia vissuto
verso l’VIII sec. ed è menzionato da diversi scrittori.55
A confermare l’esistenza del cenobio prima del 1090 sono stati gli
scavi degli ultimi lavori di restauro che, accanto alla chiesa normanna,
hanno fatto emergere una struttura preesistente, composta da un’aula
unica chiusa da un’abside affiancata da due piccole nicchie,
appartenuta all’Eukterion di San Nicola, le cui peculiarità
architettoniche ci rimandano all’edilizia bizantina del IX-XI secolo.56
La conquista musulmana interessò relativamente tardi il Valdemone,
dove era concentrata la maggior parte dei cenobi bizantini, e in questo
periodo buio il cenobio di San Nicola, secondo la testimonianza
dell’abate Gregorio, dovette sopportare le sevizie dell’ateo invasore.
Il Monsù sostiene che i musulmani arrivarono in Sicilia nell’827
seminando terrore al loro passaggio. Giunti nelle nostre contrade verso
l’anno 839 raggiunsero l’ascetorio e lo assalirono come “lupi
arrabbiati”57 facendo carneficina dei monaci, distruggendo la chiesa e
il cenobio; i superstiti ripararono alla meglio le casupole e
ricostituirono la comunità monastica.
A ricordo di questo triste evento, sempre a detta del Monsù, il
monastero assunse la denominazione di “San Nicolò dei flagellati”.58

                                                                                                                       
54
AA. VV., Enciclopedia dei santi, Biblioteca Sanctorum, Città Nuova
Editrice 1970.
55
Gli scrittori in questione sono: GAETANI, CARRARA, PERDICARO,
LANCIA DI BROLO.
56
S. PIRROTTI, Il Monastero di San Filippo di Fragalà, Palermo 2008, pag.
15.
57
MONSU’, op. cit., f. 88
58
MONSU’, op. cit., f.88.
33  
 
Prima della dominazione araba, come si suppone da fonti non certe, il
monastero aveva acquisito un certo benessere e una certa importanza,
tanto da avere già qualche dipendenza.
Gregorio, nel suo testamento elenca le donazioni che Ruggero ed
Adelasia fecero al Monastero; tra queste diverse chiese che
sicuramente esistevano prima dell'arrivo dei Normanni.
"E non solo per questo grande monistero diedi opera io indegno
edificatore ma eziandio per la vicina chiesa dell'Arcangelo Michele e
per quella del Precursore Giovanni e per quella della Santa Madre di
Dio e dell'Apostolo Pietro e per quella dei Ss. Filadelfi e di Talleleo e
del nostro Santo Padre e Sommo Sacerdote Νicolò e per l'altra chiesa
dello Apostolo Pietro e per quella della Santa Madre di Dio di quel
valorosissimo di Maniace e per la chiesa dell'apostolo S. Marco
ultimamente fabbricata in questa città e a sante donne affidata a
gloria di Dio degno di molte Iodi e per molte altre possessioni che
questo grandissimo monistero ricevette per possederle fermamente
con i suoi dritti come di ragione."59
Un'altra testimonianza ci viene offerta da Girolamo Lanza. In un suo
libro del 163060 così si legge: “Un'altra leggenda riguarda un
fantastico tesoro che i monaci di S. Filippo, per timore che gli arabi
lo requisissero, avevano nascosto, fino alla fine del dominio
musulmano, in una grotta di proprietà di S. Finachio, nel territorio di
Naso: "Nota che verso la contrata della Plana sopra la petra longa //
ci sonno certe abitationi ruini li quali erano chesij che al presenti lu
vulgo chiamano san Finachio.
Ma non è la verità perchè in quesso loco ci erano dui chesij, l'una si
domandava santo Eoustachio et l'altra chesia si domandava santa
Agata et ci stavano et serviano questi chesia preti greci, li quali chesij
haviano per suo patrimonio li terri delli conturi alla chiana che sonno
a drittura di detti chesij, li quali terri hogi rendino allo hospitali di
Palermo.

                                                                                                                       
59
Giuseppe Spata, Le pergamene greche..., Palermo 1862, p. 198.
60
L. SORRENTI (a cura di), Fioretti di Naso, Cose notabili, ed antiche
consuetudini della Università di Naso scritte da don Girolamo Lanza
nell'anno 1630, Milano 1995.
34  
 
Li lassau questi terri una donna della terra di santo Marco a santo
Filippo Fragalà batia di monaci greci. Doppo li hebero ditti terri
come ho detto lu hospitali di Palermo.
A questa chesia di san Finachio// ci è gran caverna di lamij sotto
terra e in tempo di mori o saracini li monaci di san Filippo Fragalà
pigliaro tutta l'argintaria et reliqui di detta chesia et la portaro ad
amuciari; questa chesia di santo Finachio dove ci è una grutta
grandissima et di sopra ci è una gisterna pena d'acqua, sguttaro la
gisterna, aprero un certo muro et trasero dentro la grutta et
amuchiaro lo tresoro delli reliquij et l'argentaria, tornaro et muraro
lo purtusu della grotta et misero l'acqua alla gisterna et stettiro li
reliqui et altri cosi dentro questa grutta parichi anni per pa
ura che in questo regno era in potiri di infideli.
Et dopo che si partero li infideli li monache vinnero a questa chesia di
santo Finachio // sguttaro la gisterna, aprero il muro et pigliarosi li
reliquij et li portaro alla chesia di santo Filippo Fragalà, stuparo
altra volta detto portuso et miseroci l'acqua alla gisterna: tutto questo
lo scrissi un monaco greco lo quali si morsi et questo scritto nelle
1595 vinni in potiri di Blasco Lanza et credento trovare questo
argento et reliqui andò con genti et licentia e sguttau l'acqua et
dirrupau lo muro credendo trovare li reliqui con l'argento, non trovau
nenti ecetto una grutta spaventosa et grandi che pigliaro gran paura
di passar innanti et fu tanto lo frido chi ci era che vinniru fora
arreduti e diciano che intisero certi voci come havessero voluto a
minazare a Blasco Lanza lu qua(li) si morsi dopo questo fatto tri misi
dopo con una saitta di focu venuta dal cielo, si morsi trunatu".61
Il Lanza aggiunge che questo avvenimento fu trascritto da un monaco
greco per non perderne la memoria e che nel 1595 venne in possesso
di un certo Blasco Lanza che, credendo di trovare questi tesori
nascosti, svuotò la cisterna, si calò con altri uomini in essa, abbatté il
muro ed entrò nella grotta. All’interno trovò solo una caverna buia e
fredda, e tanta fu la paura da credere di sentire delle voci paurose.

                                                                                                                       
61
SORRENTI L. (a cura), Fioretti di Naso, Copse notabili, ed antiche
consuetudini della Università di Naso scritte da don Girolamo Lanza
nell'anno 1630 (manoscritto), Milano, 1995, pp. 46-47.
35  
 
L’autore continua dicendo che Blasco Lanza morì tre mesi dopo
fulminato.
Questo racconto ci fornisce altre conferme: ancora una volta è ribadito
che già prima della dominazione araba il monastero esistesse; ne
deduciamo che doveva godere di una certa importanza tanto da
possedere una grangia nel territorio di Naso, e aveva un’abbondante
raccolta di reliquie e pezzi di valore che formavano quella che l’autore
chiama argintaria.
Sappiamo bene quale grande privilegio fosse per un monastero
possedere molte reliquie. Infatti nel medioevo era molto sentito il
culto dei corpi dei santi e i luoghi che li possedevano ne ricevevano un
certo prestigio poiché divenivano meta di pellegrinaggi; quindi, oltre a
portare un benessere spirituale, portavano un grande vantaggio
economico, rappresentato dalle offerte, sia in denaro che in natura, che
i pellegrini lasciavano quale pegno di devozione. Questo giustifica le
lotte che spesso ne scaturivano per possedere le reliquie dei santi più
venerati.
Inoltre nel IX sec., cominciata l’invasione araba, Costanzo vescovo di
Lentini, per sfuggire alla furia saracena, si rifugiò a Fragalà, di cui un
tempo era stato abate, portando con sé le casse contenenti i corpi dei
santi fratelli Alfio, Filadelfio e Cirino e delle pergamene greche.
Arrivati gli arabi anche a Fragalà, i monaci nascosero le spoglie dei tre
martiri a San Fratello, in una loro grangia sul monte vecchio. Quando
al tempo dei normanni vennero alla luce le reliquie, i ritrovatori,
impossibilitati a leggere le pergamene greche, si rivolsero ai monaci di
Fragalà. Questi, capitane l’importanza, ne rivendicarono il possesso,
allora le reliquie vennero divise: una piccola parte rimase a San
Fratello, mentre la parte restante venne riportata a Fragalà.62
"E quivi per seguito di molt'anni, cioè dal ducentesimo cinquantesimo
terzo di nostra salute fino a più d'un altro secolo vi rimasero, secondo
accennano le lettioni di questa Festa: o come ciò lo dichiara l'Abbate
                                                                                                                       
62
Il Monsù riporta che i monaci di Fragalà, per paura che fossero trafugate,
murarono le reliquie in un altare perdendone la memoria. Il 22 settembre del
1516, in seguito a dei lavori, vengono ritrovate e i monaci con giubilo
rinvigorirono il culto. Sparsasi la notizia i Lentinesi, antichi proprietari, il 5
agosto del 1517 vennero a Fragalà e trafugarono le reliquie dei tre Santi
Fratelli. MONSU’, op. cit., f.124
36  
 
Rocco Pirro nella sua 'notitia sacra' della Chiesa Siracusana fino
all'ottocentesimo in circa del Signore, e presso al cinquecentesimo
diciasettesimo, da che vi fu miracolosamente ordinato Vescovo S.
Neofito quando governava quella Chiesa il Vescovo Costantio o
Costantino, di nation greco, religioso dell'ordine Basiliano e Abate di
S. Maria dei Palazzi nell'antichissima città di Aluntio, o come altri
vuole del monistero di S. Filippo di Fragalà posto trà San Fratello e
Mirto. (e questi è quel Costantio che prima intervenne al Concilio
Niceno Secondo nel 787, e trà li Prelati della Sicilia fu sottoscritto nel
sesto luogo.) Solo alquanto incerto rimane in qual tempo...L'anno 800
di Cristo fu Vescovo di Lentini il sopramentovato Costantino,
Religioso dell'ordine Basiliano; questi, antivedendo a causa
dell'invasione dei Saracini di già entrati nella Sicilia e con un piede in
Lentini.... Così presi i corpi dei BB. Fratelli ....tutti seco li portò a
Fragalà nel Convento dei suoi Basiliani e quivi il buon greco gli
ascose."63
Quanto raccontato sta ad indicare come il piccolo cenobio di San
Nicola, nel tempo, si fece strada divenendo un luogo importante e di
riferimento per il Valdemone per poi vedersi ridotto, durante la
dominazione araba, allo stato misero in cui lo trovò il conte Ruggero
al tempo dell’abate Gregorio.

                                                                                                                       
63
Mauro Filadelfo, Istoria de' SS. MM. Alfio, Filadelfo, e Cirino fratelli, e
lor compagni; riceuuti, Catania, stamperia di Paolo Bisagni, 1691, p. 345.
37  
 
Frazzanò, processione San Calogero

Statua San Calogero di Frazzanò


38  
 
Frazzanò, processione San Calogero

Frazzanò, processione San Calogero


39  
 
SAN CALOGERO TRA STORIA,
TRADIZIONE E LEGGENDA
"La più soda notizia, che nei medesimi tempi risplendea dapertutto è
S. Calogero. Il quale esercitò due vite tra loro opposte. Egli fu Uomo
Apostolico, essendosi adoperato molto in propagare la S. Fede,
specialmente allorché cessò la persecuzione dei Tiranni. E fu ancora
insigne Eremita e Padre di molti Monaci o Anacoreti che solitarj
menarono una vita celeste; e, come dicemmo, ci conferma che in
Sicilia fiori il Deserto di Santi Eremiti, prima che se ne vedessero, ad
esempio di San Paolo, popolate le solitudini dell'Oriente."64
PREMESSA
Raccontare la vita di San Calogero è un'impresa ardua sia perchè sono
pochi i documenti trovati, sia perchè la figura del Santo ha dato adito a
diverse interpretazioni. Le uniche informazioni provengono da varie
leggende tramandate, da scritti e inni in suo onore.
Due sono le fonti principali dalle quali possiamo ricostruire la sua
vita.
GLI INNI DI SERGIO: scritti nel IX secolo e scoperti nel XVII
secolo dal P. Ottavio Gaetani nel Monastero di San Filippo di Fragalà;
essi rappresentano un canto liturgico in lingua greca eseguito dai
monaci il giorno della festa del Santo, i quali pregavano Dio,
rivolgendo lodi a san Calogero e alla Madonna.
BREVIARIO ROMANO: fu introdotto in Sicilia sotto i Normanni; la
sua composizione si colloca tra la fine dell’XI e quella del XII secolo
e comprende 12 letture che trattano della vita di S. Calogero.
Entrambi gli atti, nati a scopo liturgico, descrivono la vita e la
profonda spiritualità di uno dei santi più popolari in Sicilia. Dal
confronto delle due fonti sono emersi nel passato una serie di
questioni e discordanze, oggi superate grazie ad una lettura critico–
storica.
Qualcuno afferma l’esistenza di più Calogeri in Sicilia, ma in realtà il
Santo dal nome Calogero è uno solo.65

                                                                                                                       
64
F. Aprile, Della cronologia Universale della Sicilia, libri tre, p. 583.
65
F. Pisciotta, S. Calogero, Patrono di San Salvatore di Fitalia, Messina
2001, pag. 21.
40  
 
Le varie tradizioni orali ci trasmettono due versioni sulla vita di San
Calogero.
La prima, lo vuole vissuto nel primo secolo e fa riferimento
al breviario siculo-gallicano,66 in uso in Sicilia tra l'XI e il XVI
secolo, che definisce il Santo pellegrino a Roma dove incontrò San
Pietro apostolo, da cui ottenne il permesso di vivere da eremita in un
luogo imprecisato. Qui ebbe l'ispirazione di evangelizzare la Sicilia.
Tornato dal primo Papa, ottenne di potersi recare nell'isola assieme ai
compagni, Filippo, Onofrio e Archileone. Arrivati in Sicilia, Filippo si
recò a Agira, Onofrio e Archileone andarono nel deserto di Sutera,  
mentre   Calogero si fermò a Lipari. Da qui, dopo diversi anni, si
spostò nei pressi di Sciacca dove visse per trentacinque anni.
Su questa versione sorge un dubbio. Il fatto che egli si sentisse spinto
a convertire gli abitanti della Sicilia, sicuramente non coincide col I
secolo, quando nell’isola la presenza degli Apostoli era limitata e vi
erano presenti solo piccoli gruppi di cristiani. La conversione al
Cristianesimo avvenne verso il V secolo, quando ancora i pochi
cristiani subivano la persecuzione.
Secondo la tradizione trasmessa da Girolamo, Tertulliano, Eusebio
e Origene, S. Pietro fu crocifisso fra il 64, (anno dell'incendio di Roma
e dell'inizio della persecuzione anti-cristiana di Nerone), e il 67. La
Nuova Religione non era ancora strutturata gerarchicamente e quindi
era impossibile che Calogero e Compagni andassero a Roma per
incontrare il Papa.
Un'altra versione racconta che San Calogero, per scampare alla
persecuzione dei cristiani nell'Africa settentrionale, approdò in Sicilia
insieme a San Gregorio e al diacono Demetrio. Si presume che la
provenienza dal continente nero, gli abbia dato proprio l'appellativo di
"Santo Nero" quasi sempre così raffigurato nei dipinti e nelle
molteplici statue in suo onore.
P. Terrizzi nel libro su S. Calogero dimostra invece l'unicità della sua
persona, non solo attraverso le fonti, ma anche attraverso le analogie
fatte nei racconti dei diversi luoghi dove egli visse.67

                                                                                                                       
66
Francesco Pisciotta, San Calogero, San Salvatore di Fitalia 2001, pag. 72.
67
Francesco Terrizzi, S. Calogero, Sciacca 1987.
41  
 
Di S. Calogero noi conosciamo una fisionomia ben distinta, modellata
sulla dottrina cattolica con grande spicco, ancorata nella fede in Dio
Uno-Trino rivelatosi a noi nel mistero dell'insondabile amore per
l'uomo, nell'incarnazione del Verbo Redentore. Questa fede fece di S.
Calogero un autentico apostolo ed evangelizzatore infaticabile,
premuroso del bene dell'umanità sia nell'anima che nel corpo.
"Gli Inni delineano anche, ma a distanza di alcuni secoli e con le
caratteristiche della rielaborazione agiografica e poetica, la figura
del Santo; in un periodo di grandi eresie, egli si presenta come un
credente vero e convinto: la SS. Trinità, l'Incarnazione di Gesù, la
maternità divina di Maria, vergine e madre, sono i cardini della sua
fede e della sua predicazione."68
"Questo è S. Calogero in carne e ossa, non un vaporoso Belvecchio,
un monaco, anonimo e senza contorni storici: è il S. Calogero che
visse ed ebbe un seguito di consacrati agli stessi suoi ideali di vita
religiosa, unita a Dio con promesse riconosciute ed accettate dalla
chiesa."69
La Sicilia per Calogero è la patria di elezione e anche la Chiesa sia
cattolica che ortodossa riconosce che in quest’isola visse un solo
Calogero Calcedonese.
LA VITA
Calogero, sempre a quanto ci tramanda la tradizione, si ritiene nato
verso l’anno 466 d. C. e secondo il monaco Sergio precisamente a
Calcedonia, una colonia greca in Bitinia nell'Asia minore, di fronte
a Bisanzio e morì nel 561. Qualche autore scrive che visse dal 492 al
562. 70 Padre Ottavio Gaetani nella «Vitae Sanctorum Siculorum» del
1657, confuse Calcedonia con Cartagine.
Il Padre Daniel Papebroech, nel 1743, confutò questa affermazione
come una cattiva traduzione: anziché Χαλκηδóνοσ “Calcedonia”
scrisse Χαρχηδονοσ “Cartagine" e fece di San Calogero un africano,
con il risultato che, dal XVII secolo, è rappresentato sia nei dipinti che
nelle statue di colore nero.

                                                                                                                       
68
Francesco Pisciotta, S. Calogero, 2001, p. 25.
69
Francesco Terrizzi, S. Calogero, Sciacca 1987, p. 18
70
Annali dell'Ufficio centrale meteorologico e geodinamico italiano, Serie
seconda, Vol. X, parte I, 1888, Roma 1892, p. 103.
42  
 
Molti altri autori sono concordi che Calogero visse nel VI secolo: "Il
Bollando negli atti dei Santi (18 giugno) stima esser dimorato in
Sicilia dopo il V secolo, non facendosi di lui mensione alcuna dagli
agiografi prima di tal tempo; di qual sentimento è ben anche il P.
Amico. L'Abate Maurolico, vuol che sia vissuto nel secolo di San
Gregorio il Grande, cioè nel sesto..."71.
Ebbe genitori pii ed onesti, di nazionalità mora, capaci di impartirgli
un’educazione profondamente cristiana. La loro guida spirituale lo
spinse a studiare le Sacre Scritture.
Calogero, sin dalla fanciullezza, cominciò a temere il Signore, fuggire
i trastulli, amare le privazioni ed il silenzio, appartarsi nei nascondigli
della casa, trascorrendo giorni interi in fervide preghiere e meditazioni
sulla passione di nostro Signore Gesù Cristo.
"Dal tempo della sua fanciullezza fino all'ultimo, digiunò sei giorni di
ciascuna settimana con acqua e pane. Eccetto il giorno domenicale.
Affinché la ragione regolasse il piacere della carne, per non diventare
come le bestie, che vivono secondo le concupiscenza della loro carne.
Perseverava, infatti, giorno e notte nelle preghiere continue, avendo
sempre davanti agli occhi la passione di Cristo."72
Maturando nella scienza dei Santi e nell'età in cui rare sono le vittorie
e molte le sconfitte, flagellava il suo corpo e lo nutriva solo di pane e
acqua. Lasciò la casa paterna ritirandosi in un deserto dove visse
alcuni anni di penitenze corporali, arricchendo la sua anima di
angeliche virtù: "Calogero da giovinetto detestò tutti i piaceri
mondani e si ridusse in una foresta ove lontano da tutti e solo, si diede
alla contemplazione di Dio da cui ebbe il dono dei miracoli e lo
spirito della profezia."73
Ancora giovanetto, fu chiamato dal vescovo di Calcedonia che lo
avviò alla vita presbiterale, ordinandolo Sacerdote. Suo desiderio era
quello di dispensare il pane della Parola, convertire i pagani,
confermare i fedeli nel Vangelo, soffrire in silenzio per poter togliere
le anime dal potere del maligno.

                                                                                                                       
71
Benincasa Giuseppe, Sull'origine e sullo stemma di Termini Imerese, p. 59:
72
Breviario Romano
73
Giuseppe Pitrè, Il venerdì nelle tradizioni popolari italiane, Volume
9,Edizioni 1-21, p. 7
43  
 
In quegli anni (ultimo ventennio del V secolo) avvenne lo scisma di
Acacio, Patriarca di Costantinopoli, scomunicato dal papa Felice III
(483-492). Acacio aveva ottenuto dall'Imperatore Zenone il
riconoscimento ufficiale del canone 28 del Concilio di Calcedonia,
secondo cui Costantinopoli era la nuova Roma, canone che il Papa
non approvò. Acacio si ribellò e trascinò l'oriente in uno scisma che
durò 35 anni. A Costantinopoli i monaci, in particolare i fedelissimi al
Concilio di Calcedonia, si misero contro Acacio, il quale li isolò
costringendoli a lasciare la patria per andare a svolgere la loro
missione altrove. Tra questi vi furono Gregorio, Demetrio e Calogero
con un gruppo di fedeli, i quali per rimanere fedeli alla chiesa di
Roma, si allontanarono dalla loro patria e si diressero verso il mondo
occidentale.74
"Nato in Calcedonia nel IV secolo, benchè versato nella coltura
pagana, fu, sin da fanciullo, fervente cristiano, e per aver seguito con
eccessivo zelo ed ardore i precetti di San Basilio di Cesarea, la
scampò bella, grazie alla miracolosa missione, cui Dio l'avea
destinato.
Infatti egli fu tra quelli ottanta sacerdoti, i quali andarono in
deputazione dall'Imperatore Valente, a scongiurarlo che cessasse
dalle persecuzioni accanite contro gli ortodossi della Chiesa
Cristiana: il principe, profondo dissimulatore come molti dei suoi
pari, finse ascoltare con orecchio benevolo le istanze dei sacerdoti,
protetti dall'intiero popolo di Costantinopoli, le cui ire Valente non
voleva sfidare: ma a sfogare la sua collera, suscitata da tanta audacia
cristiana, ordinò che fossero esiliati i deputati dei fedeli, non
privilegiati come quelli dei moderni parlamenti.
L'esilio però era una scusa dovendo il prefetto del pretorio farli
perire, mentre erano in alto mare, che ossequiente ai voleri imperiali,
inghiottì, senza tanti complimenti, un intiero naviglio, cui quei cani di
marinai avevano dato fuoco. Fortunatamente nella nave di Calogero i
marinai non erano di cuore troppo duro, tanto che il nostro santo con
la sua commovente parola li impietorì, li convertì alla nuova

                                                                                                                       
74
P. Guglielmo Pisa, San Calogero, Sciacca 1982, p. 14-15.
44  
 
religione, ed ottenne che le vele fossero spiegate a discrezione del
vento, conducente la barca a Lipari."75
Dopo un lungo ed estenuante viaggio, arrivano a Roma, centro della
Chiesa, maestra di dottrina ed obbedienza. Qui Calogero incontra papa
Felice III, a cui protesta fedeltà e obbedienza e da cui ottiene il
permesso di vivere da eremita in un luogo imprecisato nelle vicinanze
della città: "S. Calogero nacque in Costantinopoli da onesti parenti
che lo fecero ben ammaestrare nelle sante Scritture; fin dalla prima
giovinezza si distinse per grande innocenza di vita, gravità di costumi
e continua astinenza perchè digiunava tutti i giorni, tranne le
domeniche e così continuò finchè visse. Bramando maggior perfezione
lasciò patria e parenti, venne a Roma dal romano Pontefice a cui tutta
aperse la sua vita e ricevutone l'abito di monaco, ritirossi in un
deserto dove visse qualche tempo in asprissima penitenza. Per celeste
ispirazione mosse per la Sicilia."76
Il Monsù scrive che Calogero e compagni, arrivati a Roma, conobbero
alcuni monaci basiliani e furono affascinati dalla vita che
conducevano: "ebbero l'aggio a fuggire a ciò non inciampare nei
brividi della morte che dai perseguitanti si era minacciata qual gente
iniqua contro i cristiani; ed in Roma giunti, dove trovandosi un'ostello
dicato a San Leone dell'instituto Basilista, ivi nel grembo di essi si
annoverarono, e sotto la guida di quei bravi cenobiti, e vedendone
l'indole assai dolce dei medesimi, ne fecero incardinare negl'ordini al
Calogero, e socii furono guari, e nella Sicania terra inviati, a ciò
piantare la Religione di Cristo, che sottomessa a quei tempi
n'esisteva, ma i socii, erano Diaconi e non vollero per umiltà
ordinarsi Sacerdoti; epoca che Diocleziano, e Massimiliano
fremevano contro i medesimi cristiani."77
Un giorno Calogero, mentre dormiva, ebbe la visione di un angelo che
gli disse: "Il Signore ti ha scelto come colui che deve evangelizzare la
Sicilia, che è oppressa dalla schiavitù del demonio." Il giorno dopo
andò dal Papa al quale chiese il permesso di recarsi in Sicilia, assieme
                                                                                                                       
75
De Luca Francesco, San Calogero. Vita, e festeggiamenti in Girgenti, in La
Lettura (presumibilmente anni venti del Novecento), p. 1
76
Domenico Gaspare Lancia di Brolo, Storia della Chiesa in Sicilia nei dieci
primi secoli..., Volume 1, p. 411.
77
MONSU’, Op. cit. f. 80.
45  
 
ai suoi compagni Gregorio e Demetrio, dove la diffusione capillare del
cristianesimo era ostacolata dalla millenaria tradizione pagana e dalla
continuità della cultura greco-latina.
Il Papa acconsentì, inviandolo nell'isola come Missionario del
Vangelo. Il cristianesimo in Sicilia, infatti, si diffuse lentamente.
Crebbe molto quando Costantino nel 313 proclamò la libertà di culto e
nel 394 le leggi di Teodosio lo riconobbero come religione ufficiale di
tutto l'impero, anche se non raggiunse subito le zone interne e più
remote. Terminata quindi la fase delle persecuzioni, la Chiesa entrò in
una fase di espansione e un grande aiuto in quest'opera di
evangelizzazione lo diedero i monaci, specie quelli orientali; infatti
nel IV secolo inizia la storia del monachesimo in Sicilia.
In questo contesto si inserisce la storia di San Calogero che decide di
venire in Sicilia per annunziare il Vangelo.
"Calogero, riserbato dalla Divina Provvidenza a promuovere la
Cristiana Religione nella Sicilia e colla voce e coi Miracoli e colla
vita Eremitica...."78
La prima tappa siciliana fu alla foce del fiume Pantacus, nelle
vicinanze di Siracusa, internandosi in un luogo solitario dove vi sono
diverse grotte; in una di esse visse per poco tempo San Calogero.
Questa grotta ancora oggi è chiamata 'grotta di San Caloiru' e per
molti secoli divenne una piccola chiesa. Qui Calogero annunziò il
Vangelo e molti luoghi nelle vicinanze della grotta ancora oggi fanno
riferimento alla figura di Calogero.
Mentre si trovava in questa zona, qualche autore scrive che si recò sul
monte Etna79 e visse in una grotta, come tutti i grandi eremiti,
pregando e facendo penitenza.
Poco tempo dopo il tre compagni si imbarcarono e, circumnavigando
la Sicilia, arrivarono a Lilibeo.
Il Carme di Sergio ci dice che il Santo con i compagni approdò nel
Lilibeo (Marsala): " Non per sfuggire ai patimenti – non sia mai! – ma
per annunziare a tutti la potenza della Trinità, essi sbarcarono
insieme a Lilibeo e si separarono per mettersi a predicare."

                                                                                                                       
78
F. Aprile, Della cronologia universale della Sicilia, Palermo 1725, p. 466.
79
Cibrario Luigi, Descrizione storica degli ordini religiosi compilata sulle
opere..., Volume 2, Torino 1845, p. 296.
46  
 
Qui incominciò a proclamare il Vangelo, ma fu subito ostacolato e
avversato dai residenti. I due compagni subirono il martirio, mentre lui
si allontanò da quel luogo.
Calogero allora decise di lasciare il Lilibeo e si allontanò
imbarcandosi su una nave per andare dove Dio lo avrebbe guidato.
Gregorio, invece, rimase assieme al suo diacono Demetrio e qui
furono martirizzati:"Pertanto dopo scorso qualche tempo, che di già
ne avevano fatto sede di residenza unendone dei socii, aggiunse la
miscredenza della Religione di Cristo, e uopo fù di rimanere con ogni
ritenutezza rinserrati, ma Gregorio e Demetrio non potendo
nascondere lo zelo ardente per spargere la divina parola sortirono,
nel mentre bollevano contro i cristiani e non allontanati che poche
miglia dal suolo, in cui rimanevano che ne fù trucidato Gregorio col
martirio e l'istessa sorte si crede d'aver Demetrio, vi sono però pareri
che morì piuttosto pel timore e non con l'aureola del martirio, e si
congettura che dai cristiani si ebbe la cura di conservarne i di loro
corpi, stante da Calogero poscia furono translatati in Fragalà."80
Anche Francesco Aprile avvalora questa tesi: "...da Calcedonia, Città
dell'Asia minore a rincontro di Costantinopoli fuggirono, e finalmente
tragittarono in Sicilia dove non era estinta la rabbia dei Gentili. Si
ricovrarono primieramente in un Bosco; ma non potendo più oltre
nascondersi e contenersi il focoso Zelo che ardea nel petto, di
Gregorio ne riportò della sua predicazione per condegna mercede la
laurea del Martirio. Egli è più probabile che l'istessa sorte abbia
avuto Demetrio nondimeno poichè non vien fregiato col titolo di
Martire, l'abbiam riposto fra Santi Confessori."81
Durante il viaggio, la nave sulla quale era imbarcato Calogero, fece
sosta a Lipari, nelle Isole Eolie; qui, su invito degli abitanti, si
trattenne per qualche anno, predicando il Vangelo ed insegnando loro
come ricevere i benefici per i loro malanni, utilizzando le acque
termali e stufe vaporose.
"La sua eloquenza semplice, commovente, apostolica, i suoi modi
dolcissimi ed insinuanti, accompagnati sempre da prodigi, destarono
tale venerazione nei popoli e li illuminarono in tal modo, che i gentili

                                                                                                                       
80
MONSU’, Op. cit. f. 143.
81
F. Aprile, Della cronologia universale della Sicilia libri tre (etc.), p. 466.
47  
 
abbandonarono gli Dei e gli osceni loro tempii, i fedeli esultarono di
gioia al vedere la chiesa bella e raggiante uscire alla fine delle sue
catacombe..."82
Calogero, sia a Lipari che sul Cronio, insegnò l'uso benefico delle
acque termali e delle stufe sudorifiche. Ha esorcizzato questi luoghi da
tempo consacrati ai culti delle divinità pagane, facendo intendere loro
che le sorgenti d'acqua calda, le grotte sudorifiche, gli anfratti delle
montagne, ritenute sedi di potenze sotterranee, popolate da spiriti
maligni e da demoni infernali, in realtà non erano altro che dei
fenomeni naturali, per quanto prodigiosi, a beneficio dell'uomo
stesso.83
Nel lungo periodo di conflitti che caratterizzò la fine dell'Impero
romano, l’arcipelago eoliano dovette affrontare un’epoca di
decadenza, dove lo splendore culturale d'età greca sembrava ormai un
lontano ricordo. Tale stato di cose fu aggravato dal brusco risveglio
dei vulcani di Forgia Vecchia e Monte Pelato che lasciarono Lipari
quasi disabitata. In quest’ambiente, il cristianesimo fu l'unica ancora
di salvezza ed è proprio qui che si colloca la figura di San Calogero,
destinato a divenire il compatrono dell'isola.
Si narra che ebbe la visione della morte di Teodorico, avvenuta nel
526, come ricorda un quadro barocco di Antonio Mercurio custodito
nella cattedrale di Lipari. L’episodio della morte dell’imperatore è
citato anche da San Gregorio Magno: "La morte di questo re è
memorabile nella storia della Sicilia, e ci vien riferita da S. Gregorio
in questa maniera: Giuliano, ei dice, mio familiare raccontommi che
nei tempi del re Teodorico, al padre di suo suocero fų commesso
l'incarico di recarsi nella Sicilia. Poi facendo vela per ritornare in
Italia. venne ad approdare in Lipari, una delle isole adiacenti alla
Sicilia, ove era un solitario d'esimia virtù, e mentre che i marinari
attendevano a rifare gli attrezzi della nave gli cadde in pensiero di
andare con alquanti compagni a ritrovare il medesimo eremita e di
raccomandarsi alle sue orazioni. Il servo del Signore come vide
quella gente tra l'altre cose lor disse così: Sapete voi che il re

                                                                                                                       
82
Sac. Carmelo Dino, San Calogero Eremita, Bagnocavallo 1911, , p. 16
83
Liborio Lombardo, La devozione a San Calogero eremita, Gioiosa Marea
2016, p. 97.
48  
 
Teodorico è già morto? cui risposero quegli stranieri: ciò non è mai
vero, noi quando partimmo il lasciammo nella più prospera sanità e
della sua morte finora nulla abbiamo affatto inteso. Soggiunse il
santo, ed è pur vero ch'egli è già morto. Jeri appunto sull'ora di nona
in mezzo di Giovanni papa e di Simmaco patrizio egli discinto rizzossi
in piedi e colle mani legate fu in queste voraggini del vulcano gittato.
Quelli per assicurarsi del fatto immantinente segnarono il giorno, e
ritornati in Italia trovarono che il re Teodorico era morto nel
medesimo dì annunziato dall'eremita. Da ciò si ebbe chiaro
argomento che il santo avea avuto della morte e del supplizio del re
una soprannaturale apparizione. Lo stesso s. Gregorio, che tale
avvenimento ci riferisce, riflette che a tutta ragione avea l'eremita
veduto Teodorico da Giovanni papa e da Simmaco patrizio quasi
condotto al supplicio, per l'ingiusto trattamento ch'egli avea dei
medesimi fatto in vita.
Vogliono comunemente gli storici che questo solitario fosse Calogero
confessore, venerato da tutta la chiesa di Sicilia il dì 18 di giugno sia
perchè così veramente chiamavasi sia perchè secondo la greca favella
che allora era comune presso i Siciliani Calogero significasse
eremita."84
Non passò molto tempo dal suo arrivo perché Calogero fosse
considerato dagli isolani come la rappresentazione vivente del
protettore, un saggio portatore di speranza, un guaritore dei corpi e
delle anime, capace di contrastare la presenza dei diavoli che
infestavano le isole.
Le maggiori informazioni sulla permanenza di Calogero a Lipari le
traiamo dagli scritti di Pietro Campis che ci riferisce come il santo,
giunto sull’isola, abbia trovato rifugio presso una grotta sita nei
dintorni delle terme greco-romane, dalle quali avrebbe fatto sgorgare
le acque benefiche che, a causa dell’incuria degli abitanti, erano
andate perse.
"Narra Pietro Campis nel suo Disegno storico di Lipari, che
trovandosi san Calogero verso il 526 dell'era volgare, nell'isola
Vulcano, dove abitava in una grotta ritirato a vita eremitica, ed

                                                                                                                       
84
Di Giovanni Giovanni, Storia Ecclesiastica di Sicilia, vol. 1, Palermo 1846,
p. 287-289.
49  
 
essendo venuto a trovarlo un religioso pellegrino di ritorno da Terra
Santa, il Santo cosi gli disse:< Sappi che in quest'isola sono luoghi
concavi pieni di vento e di fuoco che divampa per certe aperture di
questa montagna chiamata comunemente le bocche di Vulcano; per
esse si vedono anche spesso entrare ed uscire Demoni in diverse
figure; alcune volte dimostrano essere allegri nelle apparenze
esteriori, ed altre volte danno segno d'essere mesti e travagliati...>.
Lo stesso Campis poi per provare che Vulcano è veramente una bocca
d inferno, riferisce la visione del santo romito Calogero, a cui
apparve l'empio Teodorico con a fianco la figura di un sacerdote con
mitra pontificale e di un senatore togato..... e giunto alla sommità di
quel monte e proprio all 'orlo di quella spaventosa voragine, vide a
tutto impeto precipitarvisi dentro quel coronato monarca.... Riferisce
la stessa leggenda san Gregorio (Dial. lib. 4, cap. 30) con queste
parole:< Rex Theodoricus mortuus est et in hac vicina Vulcani olla
jactatus est>. Questi fatti della vita di san Calogero mostrano
chiaramente che ai suoi giorni il cratere di Vulcano era attivo o, come
dice il Campi, era ritenuto non essere altro che un fumarolo d'inferno.
San Calogero visse dal 492 al 562. Il Campi soggiunge poi che san
Calogero ebbe da Dio la spiegazione di quella visione ed è che
Teodorico morto era dannato all'inferno e che quei due erano uno
Giovanni Pontefice, l'altro Simaco senatore romano. Infine dice che
questo accadeva verso il 526 come nella sua Cronologia notò il Padre
Filippo Bovietio. "85
Dall'arrivo di Calogero la sorgente termale fu rivalutata e l’uso delle
acque venne nuovamente promosso tra la popolazione che,
considerando le cure ricevute come eventi miracolosi, dedicò al santo
una cappella presso la quale i malati pregavano lasciando in dono ex-
voto, costituiti non soltanto da oggetti preziosi ma soprattutto da
bastoni e stampelle che, una volta raggiunta la guarigione, non erano
più necessari.
Il Pirri così scrive: "Il Maurolico nella sua Sicula Istoria stima che
nell'anno 530 nell'Isola di Lipari dimorò S. Calogero, monaco

                                                                                                                       
85
Annali dell'Ufficio centrale meteorologico e geodinamico italiano, Serie
seconda, Vol. X, parte I, 1888, Roma 1892, p. 103.
50  
 
costantinopolitano e ancora oggi si vedono i resti della sua dimora e
della chiesa, vicino ai Bagni Secchi, ed io li ho visti."86
Calogero rimase a Lipari alcuni anni e in seguito ad un'altra visione,
con alcuni compagni, lasciò l’isola per andare dove la Provvidenza lo
avrebbe guidato. Si ritrovò sulla spiaggia di Alunzio, nel porto che si
trovava alla foce del fiume Zappulla.
Scesero dalla nave e si incamminarono verso l'interno seguendo il
fiume, cercando un luogo solitario dove dimorare. Trovò delle grotte e
uno spiazzo adatto alle sue esigenze nella foresta del Monte Linari,
oggi chiamato Pagano. Qui dopo alcuni giorni, constatando che quello
era un luogo sicuro e solitario, decise di rimanervi con i suoi
compagni, abitando nelle grotte.
Così il Monsù scrive: "imbarcandosi ne presero terra dove la
provvidenza l'incaminava, e si trovarono nella spiaggia di San Marco
successa da Calatta per come attingesi da scrittori, ed ivi osservando
tregua in quelle vicinanze si occultarono e propriamente nella foresta
del Monte Linari udito Pagano e propriamente nel contorno oggi
nomato abitato di Frazzanò.
Queste spelonche e piano dove dessi s'internarono, si disse al piede
del Monte Pagano, ed ivi ne fecero pausa e riposo; trovandone sito a
loro confacente per innalzare un edificio Basilista, profittando di non
aver disturbo dai vicini abitanti."87
Domenico Lancia di Brolo afferma che la prima residenza di Calogero
a Frazzanò fu in una grotta ai piedi del monte Linari: "Nel celebre
monastero poi di S. Filippo di Fragalà inteso di Frazzanò o S. Marco
mostrasi non solo la grotta da quel S. Calogero abitata, ma anche il
suo corpo ivi sepolto e dal canone greco composto in suo onore e per
la sua festività da Sergio, in cui sempre è invocato qual Padre, si
ricava come fu detto sopra che appunto da lui quel monastero
riconoscea la sua prima fondazione."88
Il Lancia ci da molte notizie su questo Santo; anzitutto lo chiama "San
Calogero di Fragalà" che venne in Sicilia con Gregorio e Demetrio

                                                                                                                       
86
Pirri Rocco, Sicilia Sacra, p. 951.
87
MONSU’, Op. cit. f. 143.
88
Domenico Gaspare Lancia di Brolo, Storia della Chiesa in Sicilia nei dieci
primi secoli..., Volume 1, p. 406.
51  
 
uccisi per "la confessione della Santissima Trinità", e aggiunge "il suo
culto fu dunque peculiare del Monastero di Fragalà", supponendo che
la sua tomba sia a Fragalà e non sul monte Cronio.
Quindi, secondo il Lancia e i Bollandisti, il Santo Eremita visse in una
caverna a Fragalà, vi fondò un monastero, morì in questo luogo e qui
nacque e si sviluppò il suo culto.
Che Calogero visse nella Valle del Fitalia si deduce anche
attraverso un'altro spunto di riflessione.
La vallata dove visse e dimorò Calogero venne chiamata Valle
Demena.
Molti autori scrivono che la Valle Demina è la valle del fiume
Fitalia:"Nel 1182 si fa menzione d'un Filippo d'Eufemio, regio
giudice e maestro foresterio della valle di Demena ; nel 1192,
del monistero di San Filippo di Mirto posto nella valle di
Demena; nel 1217 d'un Costantino d'Eufemio, regio camerario
di questa valle; nel 1225, d'un Nicolò maestro del Granaio
della medesima valle; nel 1269, d'un Filagatone e d'un
Giovanni Policarpo, l'uno procuratore dell'arcivescovo di
Messina, l'altro protopapa in questa tante volte ripetuta valle.
In questi esempi, come ognun vede , il vocabolo non à il
significato dei precedenti : la valle à fatto passaggio al valle, il
letterale al figurato, il concreto all'astratto ."89
Ma cosa significa la parola Demena?
Diversi sono i significati. Qualcuno però riferisce di una
leggenda che indicherebbe che questa valle era abitata da
demoni e la vorrebbe come un punto d'accesso agli inferi , da
ciò il territorio sarebbe stato detto Vallis Dæmonorum.
Qualche altro autore afferma che gli invasori arabi, non
potendo estirpare i cristiani da questa zona, li chiamarono
"abitanti della valle dei demoni".
"L'etimologia del Vallo fu molto discussa, proponendo di volta
in volta un'origine dalla presenza di un fantomatico accesso
                                                                                                                       
89
Sac. Luigi Vasi, Notizie storiche..., in Archivio storico siciliano, anno X,
1919, Palermo, p. 7.
52  
 
agli inferi e relativi demoni abitanti (Vallis Dæmonorum),
ossia l'antica Demona."90
"Quanto all'etimologia della parola Demone è incerta:... Altri
invece con maggior buon senso se derivano il nome o
dall'antica popolazione dei Demoni, o dalla corruzione delle
parole de nemoribus per la quantità dei boschi, ond'è ricoperto
di Vallo stesso."91
Possiamo concludere allora che anche il nome di Demina
potrebbe derivare da San Calogero il quale abitò in grotte e
intimò ai demoni di lasciare quei luoghi.
Inoltre quasi nessun agiografo mette in discussione il fatto che
Calogero fu il Fondatore del Monastero di Fragalà.
Vicino al fiume, accanto alla stretta di Longi vi è una caverna
chiamata 'la grotta di San Calogero' e qui, secondo la tradizione,
Calogero e compagni rimasero fino a quando furono scoperti e si
trasferirono nel sito dove oggi sorge il monastero.
Di questa grotta ci parla il Fragale, il quale scrive che accanto ad essa
ve n’è un'altra chiamata "grotta del Diavolo" e nelle vicinanze una
contrada chiamata "malaspiritu": "Palescina. Località di questa
contrada con denominazioni particolari: Brigatore, Brijaturi,
Brigatore; chianu du Lau, piano del lago; malaspiritu, malospirito;...
- Grotta delle colonne: questa grotta è ricca di stalattiti e stalagmiti e
da ciò la denominazione trae origine. - Grotta dell'inferno: grotta
buia con ingresso piccolo e con stalattiti dalla forma di mammella di
vacca."92
Oltre al Fragale, un riferimento viene fatto dal Lancia di Brolo, il
quale dice: "Nel celebre monastero poi di S. Filippo di Fragalà inteso
di Frazzanò o S. Marco mostrasi non solo la grotta da quel S.
Calogero abitata ma anche il suo corpo ivi sepolto e dal canone greco
composto in suo onore e per la sua festività da Sergio in cui sempre è

                                                                                                                       
90
Val Demone - Wikipedia
91
Amato Amati, Dizionario Corografico dell'Italia, vol. terzo, Milano, p.
423.
92
Giuseppe Fragale, Saggio di Toponomastica siciliana, Palermo 1931, p. 10.
53  
 
invocato qual Padre, si ricava come fu detto sopra che appunto da lui
quel monastero riconoscea la sua prima fondazione."93
Nelle vicinanze della grotta vi era il fiume Panagia e un villaggio con
lo stesso nome la cui origine etimologica significa "tutta santa" e
quindi fa riferimento alla Vergine verso la quale il Santo aveva molta
devozione.
Si dice che Calogero abbia dimorato nella zona del siracusano in posti
tra cui Augusta e Lentini.
In questa zona abbiamo molte località o chiese dedicate a Santa
Panagia:
- Santa Panagia (Santa Banacìa in dialetto siracusano), il quartiere più
popoloso sito a nord-ovest di Siracusa, conta circa 25.000 abitanti.
- La Tonnara di Santa Panagia, un edificio situato a nord di Siracusa,
nell'omonimo promontorio, sede della tonnara.
- Accanto alla tonnara vi è l'oratorio di Santa Panagia, una piccola
chiesa rupestre con affreschi ormai illeggibili, dedicata al culto della
Madonna.
- Infine, a circa quindici chilometri dalla città, nel luogo
detto Panagia Kapuli, sull'Ala Dag, una tradizione di origine recente
pretende di riconoscere nelle rovine di una cappella bizantina, una
casa della Santa Vergine e il luogo dove sarebbe morta.94
- Foce del Torrente Pantagia oggi Porcaria (Augusta, Siracusa);
Vorrei anche riportare ciò che che il sito della Confraternita di Fonte
Nuova (Roma) riporta circa la permanenza di Calogero nella Valle
del Fitalia: " La sua parola fu bene accolta e si formò una fervorosa
comunità cristiana. Infatti, già nel 495 i tre Santi, convertendo e
predicando, riuscirono ad attirare un gran numero di persone,
insieme alle quali costruirono un Cenobio a Fragalà nel Valdemone,
sulle cui fondamenta, secondo una tradizione orale, nel 1090 verrà
edificato, da parte del gran conte Ruggero, il Monastero di San
Filippo. Calogero tuttavia continuava a pensare alla terra che gli era
stata affidata, la Sicilia. Affidò la cura del nuovo gregge ai migliori

                                                                                                                       
93
Lancia di Brolo Domenico G., Storia della Chiesa in Sicilia nei dieci primi
secoli..., Volume 1, Palermo 1880, p. 406.
94
Giovanni Gentile, Calogero Tumminelli, Enciclopedia italiana di scienze,
lettere ed arti, Volume 13, Istituto Giovanni Treccani, 1932, p. 513.
54  
 
discepoli e, coi fidi compagni Gregorio e Demetrio, riprese il viaggio,
approdando a Lilibeo, l’odierna Marsala..."95
Calogero quindi fu il fondatore del Monastero di San Nicola,
dell'ordine Basiliano, ma non solo, qualcuno afferma che fu lui a
portare l'Ordine Basiliano in Sicilia: "Molti autori affermano che
Calogero fu il fondatore dell'Ordine Basiliano in Sicilia, riferendosi
principalmente al Monastero del Monte Cronio, ma anche ad altri
monasteri: Quindi inteso che San Calogero fù Monaco, non evvi
difficoltà affermarlo Basiliano una volta che abitò nel predetto
Cenobio di S. Maria la Grotta. Il corpo glorioso di questo
Taumaturgo (così lo chiama Sergio) s'adora intiero nella mentovata
Terra di Frazzanò, cioè la metà nel suo Santuario, insieme coll'intiero
Corpo di San Lorenzo Confessore Concittadino e l'altra metà in quel
del Monistero sudetto di Fragalà, ch'è l'Erario dei Corpi Santi uno de
più ricchi, che ha la Sicilia, come nella Santità Coronaca d'Alloro t'hò
narrato."96
Una conferma al fatto che Calogero fosse il fondatore del Monastero
di Fragalà ci viene data anche dal dipinto che esisteva nella chiesa del
monastero. Infatti dal Papabroch viene così descritto: "Mentre
l'Immagine di San Calogero di Sciacca lo rappresenta semplicemente
come un eremita, con un bastone, quello di Fragalà ha tutte le
caratteristiche di un abate greco con le insegne. E' molto interessante
esaminarle espressamente e sono: il baculo o bastone abbaziale dal
quale pendono dei fiocchi, come quelli che i latini fanno pendere dai
capelli dei vescovi e dei cardinali e meritano una particolare
considerazione. Sulle spalle porta una epomide o mozzetta e sopra di
essa le parole In Nomine Jesu. Sul petto pende una specie di bolla con
le lettere IHS che non ho visto altrove e volentieri appenderei e di
solito lo portano gli abati siciliani. La cassetta che pende dalla destra
certamente indica le reliquie dei Santi da lui portate a Fragalà. Ho
fatto togliere dall'immagine il sagittario e la cerva colpita dalla
freccia. Queste cose sono proprie del San Calogero di Sciacca e non
possono adattarsi al San Calogero di Fragalà senza ingenerare

                                                                                                                       
95
La vita – Arciconfraternita di San Calogero Eremita.
96
Antonino Magri, Sole, ed Orsa in nuovo cielo panegirico encomiastico,
Palermo 1697, p. 27.
55  
 
confusione. C'è da aggiungere che se la mano destra benedice
l'arcario che doveva troversi a quel lato, ill Santo guarda diritto in
avanti e quindi non sembra rivolgersi a quello. La fisionomia poi,
specie per i baffi spioventi, sembra molto lontana dalle altre immagini
del Santo. Attorno al collo sotto il cappuccio piegato indietro si
notano anche alcune stelle ornamentali. Infine è da notare che tanto il
trigramma quanto le parole In Nomine Jesu si trovano sulla statua di
Naro, ma sopra sta il sole raggiante con il trigramma e sotto le parole
di San Paolo.
Anche nella statua di San Salvatore di Fitalia l'atteggiamento del
Santo non sembra rivolto all'arcario, che, molto probabilmente, fu
aggiunto in seguito e non è opera dello stesso autore del simulacro
per l'evidente inferiorità artistica."97
San Calogero ha avuto qualche rapporto con l’ellenizzazione della
Sicilia? Potrebbe esserci un nesso tra la sua presenza nella valle del
Fitalia e nella zona di Alunzio e l’arrivo dei profughi ellenici, come ci
viene raccontato nella 'cronaca di Nomenvasia'?
Antonello Pettignano e Salvatore Ruggeri scrivono: "Il Basilianesimo
venne con i Bizantini; essi infatti vennero in Sicilia tra la fine del VI e
l'inizio del VII secolo, proprio quando i Lacedemoniti fondarono
Demenna. Ed in concomitanza di questa massiccia antropizzazione
del territorio ci piace vedere la fondazione del Monastero di S.
Filippo dei demenni, nel movimento generale del basilianesimo in
Sicilia, e non come frutto di un anacoreta isolato, perchè in questo
secondo caso occorre rifarsi a prove storiche ben precise."98
Vorrei fare due considerazioni: Calogero potrebbe essere arrivato
pochi anni dopo rispetto alla presunta data calcolata fin oggi?
Vedendo che Alunzio era quasi distrutto e abbandonato, avrebbe
chiamato i Lacedemoniti per fondare Demenna? Domande alle quali è
difficile dare una risposta fino a quando non si faranno studi
appropriati o si troveranno documenti inerenti all'oggetto.

                                                                                                                       
97
Domenico De Gregorio, San Calogero, Agrigento 1977, p. 149
98
Antonello Pettignano, Salvatore Ruggeri, S. Calogero, San Salvatore di
Fitalia 1984, p. 13.
56  
 
Certo è che dal VI secolo d.C. la Sicilia rientrò nell’orbita greco-
cristiana, divenendo provincia privilegiata di Bisanzio, e l'isola fu
ellenizzata per la seconda volta.
In questa zona si rifugiarono in gran numero gli abitanti di Sparta,
l’antica rivale di Atene, ricacciati dalle loro terre da invasioni
barbariche. Tra questi, vennero anche i Monaci e Calogero, per
evangelizzare ed ellenizzare l'isola. 99
Haluntium quindi con la loro presenza fu ripopolata e assume il nome
di Demenna.100
I. Dujcev, nella Cronaca di Monemvasia,101 così scrive: “allora anche
gli abitanti di Lacedemone abbandonarono la terra natia, salparono,
alcuni di loro verso l’isola di Sicilia e ancora adesso vi restano, nel
luogo che si chiama Demenna e, conservando il dialetto dei
Lacedemoni, cambiarono il nome in quello di Demenniti”.
Anche se l'esodo dei Bizantini ebbe inizio ufficialmente nell'VIII
secolo, sappiamo che già nel V sec. essi abitavano in Sicilia in quanto
parte dell'Impero d'Oriente, quindi l'influenza di Calogero, appare
plausibile.
Partendo da una leggenda narrata a Lipari e sottoscritto anche dal
Papa, apprendiamo che Calogero abbia avuto una visione di Teodorico
morente sommerso nel fuoco dell'isola di Vulcano nel 526102.
Il Narbone, parlando di questa visione, afferma che i bizantini
arrivarono in Sicilia nel VI secolo: "Ma comunque voglia credersi
dell'apparizione ch'ebbe il solitario sulla morte e supplizio del re
Teodorico, egli è certo che dopo la morte dello stesso re, non ebbe il
dominio dei Goti in Sicilia lunga durata conciossiachè tenendo il
reame Atalarico sotto la tutela di sua madre Amalasunta, sorella del
suddetto Teodorico, entrarono i Greci in pretensione di unire al loro
impero la Sicilia, il che mandarono ad effetto dopo la morte di esso
                                                                                                                       
99
G. De Maria, Relazione in una conferenza su Demenna tenuta a Longi il 12
10 2012.
100
Ewald Kislinger, Monumenti e testimonianze greco-bizantine di San
Marco d’Alunzio, Ed. Rotary Club Sant’Agata Militello 1995
101
Cronaca di Monemvasia, Istituto Siciliano di Studi Bizantini e
Neoellenici, Palermo 1976.
102
Francesco Aprile, Della cronologia universale della Sicilia libri tre...,
Palermo 1725, p. 466.
57  
 
Atalarico l'anno 534 dell'era volgare. Belisario valoroso capitano
spedito dai Greci per questa impresa s'impadronì prima di Catania
poi di Siracusa e indi di Palermo e successivamente di tutte le altre
città e terre di Sicilia. In questo tempo fu per la prima volta la nostra
isola smembrata dal governo dei latini cui era stata per lungo corso
d'anni unita e venne sotto il dominio degli imperatori greci che la
governavano per mezzo dei loro prefetti mandativi da
Costantinopoli."103
Si suppone che Calogero sia arrivato a Lipari all’età di 30 anni circa,
ne abbia trascorso 30 nella Valle del Fitalia percorrendo le strade di
tutta la Sicilia e altri 30 sul monte Cronio, morendo verso l'anno 586
all’età di 90 anni circa.
Dopo la morte di Teodorico, il dominio dei Goti in Sicilia durò poco
tempo. Gli successe Atalarico minorenne, sotto la tutela di sua madre
Amalasunta, sorella di Teodorico. Durante la sua reggenza i Bizantini
incominciarono a venire in Sicilia per poter unire l'isola all'Impero
d'Oriente, che avvenne dopo la sua morte nel 534 d. C. per opera di
Belisario. Questi s’impadronì prima di Catania, poi di Siracusa, di
Palermo e di tutte le altre terre di Sicilia, dove comunque rimasero il
rito latino e gli ecclesiastici fedeli a Roma.104
Belisario agevolò la venuta dei religiosi bizantini per convertire la
Sicilia e trasformare i cristiani fedeli a Roma in persone di rito
Bizantino.
Calogero, presente in Sicilia durante questi avvenimenti, iniziò la sua
missione giurando fedeltà a Roma, ma portando con sé il rito
Bizantino e durante gli anni trascorsi nel Monastero della Valle del
Fitalia a lui si unirono altri compagni desiderosi di seguirne l’esempio.
Questo luogo divenne un ascetorio dedicato a San Nicola di Mira,
dove la gente delle vicine contrade veniva istruita nella dottrina
cristiana.
Lo Scaduto, anche se non cita esplicitamente Calogero come
fondatore del cenobio, afferma che il monastero fosse già esistente

                                                                                                                       
103
Di Giovanni Giovanni, Storia Ecclesiastica di Sicilia, Vol. I, Palermo
1849, p. 289-290.
104
Giovanni di Giovanni, Storia ecclesiastica di Sicilia..., Volume 1, pp. 289-
291.
58  
 
prima dell'arrivo dei Normanni e questo si desume dal Testamento
dell'egumeno Gregorio, in un documento risalente al maggio del 1105.
Il Monsù così scrive: "Non avvi dubbio intanto che Calogero ne fu il
fondatore dell'ascetorio di Fragalà intitolato a San Nicolò al 496, e
dal Papabrochio ne viene assicurato nella vita di San Calogero col
dire Monasterium Sancti Philippi Fragalatis (cosi poscia riedificato
dal Conte Ruggero si nomò, mentre pria si diceva di San Nicolò)
ordinis Sancti Basilii magni ab hoc Calogero fuisse aedificatum, et
fundator fuit Monasterii. Per laonde, intepidita la persecuzione dei
cristiani, fu allora, che lasciati i monaci nel cenobio convalidati col
suo esempio, e virtù bramando ad accrescere la religione di Cristo
s'incamina per la Sicania terra per spargere il Vangelo per ogni dove,
e giunge in Sciacca, dove osservava di sovrastare nella malignità
loro, ed ivi rimase per redimere i virtuosi mercè la sua
predicazione."105
Calogero continuava a pensare alla Sicilia. Dopo aver consolidato il
cenobio, affidò la cura del nuovo gregge ai suoi migliori discepoli, e
incominciò a peregrinare per l’isola annunziando il Vangelo, lottando
contro il demonio, operando miracoli.
Durante questo suo peregrinare soggiornò nei pressi di Lentini dove
ancora oggi esiste la "GROTTA di SAN CALOGERO. Sta situata
presso l'Agnone Promontori, e Ridotto di barche tra Catania, ed il
Capo di S. Croce: prende il suo nome con la Chiesa, che l'è allato,
dal S. Eremita Calogero, di cui è fama havere per qualche tempo in
quella fatto soggiorno"106.
Partito da questo luogo arrivò sul monte Cronio vicino Sciacca
rimanendovi per circa 30 anni.
D. Vincenzo Farina così descrive l'arrivo di Calogero nella grotta del
monte Cronio: "Ubbidiente alla voce del cielo risolvè fin d'allora
consacrarsi intiero al doppio officio di guarire le spirituali infermità
dei suoi prossimi, mercè la sua predicazione, ed i corporali malori,
col promuovere l'uso dei bagni da lungo tempo abbandonato: della di
cui virtù si crede esserne stato divinamente istruito. Ingombro

                                                                                                                       
105
MONSU’, Op. cit. f. 144.
106
Giovanni Andrea Massa, La Sicilia in prospettiva. Parte prima, cioe il
Mongibello, e gli altri ..., p.159
59  
 
rimanevasi quell'antro da frutici spinosi e da piante rampicanti, le
quali coi loro flessibili e sinuosi rami ne avviluppavano a più riprese
l'ingresso; ed altraverso i loro larghi frastagli la vaporosa colonna
slanciavasi nei superiori strati atmosferici, dove si perdeva
inosservata e negletta. Inaccessibile ad umana creatura il suo tepido
aere apprestava nella rigida stagione una grata dimora al lurido
pipistrello ed al rettile velenoso. Le logori ed affrante forze del santo
romito non sono un ostacolo a ritardar più oltre l'esecuzione
dell'opera benefica. Con rusticani strumenti, tronca e rimuove
l'infesto cespuglio da cui chiuso ne era l'ingresso, purga il pavimento
dal putido ed umido terriccio che l'insozza; e sgombra le interne
pareti tapezzate irregolarmente da rachitico muschio e dove spenzola
sospeso il molte capelvenere ed il fetido jusquiamo. Le cifre fenicie
ancora incise in ciascuna delle sedi, corrosi dal lungo scorrere degli
anni e dall'umidità del luogo, erano già per cancellarsi e scomparire
intieramente. Tenta, benchè inesperto, ravvivarne i caratteri e
reinciderne con ferro aguzzo più profonde e marcate, le annerite e
quasi estinte tracce. Preparatosi cosi alla duplice missione, discende
sollecito dal Cronio e va nella sottostante città a fulminare con voce
di virů la rinascente idolatria e l'empietà dominante."107
Anche il Breviario Romano nella VI lettura così descrive questo
momento della vita di Calogero: "Entrò Calogero in quella terra e
incontrò una donna alla quale umilmente chiese: figlia mia qual è il
nome di questa terra? quella rispose: Syac si chiama nella quale vi
abitano poche anime, a causa dei demoni che abitano nel monte delle
Giummare. di cui ogni giorno si nutrono. Udendo ciò, cominciò a
predicare la parola di Dio, e vi rimase per una settimana per
riposarsi; fece molti e diversi miracoli, sanò molti che erano affetti da
diverse malattie col solo segno della croce, perciò tutto il popolo
credette nel Signore Gesù Cristo e fu battezzato. Dopo salì sul monte
delle Giummare, ed andò nel luogo dove abitavano innumerevoli
demoni ed ivi c'era un fuoco continuo. Gli spiriti maligni vedendo il
Beato Calogero, temettero assai gridando: guai! guai! guai! per la
società di satana, poiché viene il nostro nemico per espellerci dal

                                                                                                                       
107
Vincenzo FARINA, Le Terme Selinuntine ossia Cenno della Grotta
Vaporosa, e delle acque ..., pp. 33-35.
60  
 
luogo della nostra dimora. Ed, infatti, rafforzato dalla virtù dello
Spirito Santo, che le accompagnava dovunque, gridò dicendo: andate
maledetti, nei luoghi inabitabili, senza molestare nessuno, perché
rettamente hanno creduto nella fede di Gesù ed hanno rinunciato a
satana, e per virtù della Santa Croce, in cui fu posto il redentore del
mondo, Dio nostro Gesù Cristo, che creò tutte le cose, dinanzi alla cui
faccia trema l'abisso, egli che con la sua morte vinse la morte e legò i
demoni e pose al mare confini che non possono essere oltrepassati - vi
comandò che vi allontaniate da questo monte, andatevene il luoghi
inabitabili, e non nuociate ad alcuno che avrà creduto nella fede del
Signore nostro Gesù Cristo ed avrà rinunciato a satana e alle sue
opere. E così nello stesso momento, nello stesso istante, si
allontanarono da quel monte gridando e ululando."108
Nel periodo in cui Calogero visse a Sciacca, vi fu una tremenda
pestilenza; molte persone morirono e gli appestati venivano allontanati
dal paese. Il Santo li andava a cercare aiutandoli portando loro il pane
raccolto in paese. Le persone erano generose, per paura di essere
contagiati, gli buttavano il pane dalle finestre che Calogero
raccoglieva e lo portava agli appesati per sfamarli. Ancora oggi si
rivive questo gesto e le persone buttano dalle loro finestre, sulla statua
del Santo, il pane che poi viene raccolto e distribuito ai devoti.
"Tutti avean venerazione e timore della sua persona. Ed
aumentò ancora quando un giorno, nei paesi vicini a detto
Kronio, scoppiò la peste e animali e uomini morivano per ogni
dove e le case erano divenuti luoghi di dolore e di silenzio
funereo. E i sopravvissuti si guardavano bene dall'uscire o
qualcuno solamente, veloce, si recava nei campi, lontano dal
paese. E chi moriva di peste e chi di fame, non avendo più di
che nutrirsi. Fu allora che il Bel Vecchio, avuti in carità alcuni
pani, si recò per le strade e spezzandoli li donava a questo o a
quello, ai bimbi in special modo, e se vedeva qualcuno dal
balcone affamato guardare, buttavaglielo ad un colpo in
direzione di lui:"Che Dio ti benedica", aveva in risposta; "Che
Dio ti benedica, Bel Vecchio". Il che egli fece allora il giorno
                                                                                                                       
108
Breviario Romano, VI.
61  
 
appresso e poi quello dopo e dopo ancora e ogni dì ricevea il
pane da alcuni e lo donava e lo lanciava ad altri affamati.
Poi venne la quete e la pace e la peste finì; pur tuttavia gli
abitanti di villaggi e casolari recavano a lui del pane caldo e
invitante perchè vi tracciasse sopra una croce e una
benedizione. Avvenne così che passarono mesi e anche anni e il
Bel Vecchio errava di paese in paese, i piedi calzati di
rudimentali sandali..."109
"Si racconta che San Calogero girasse per i paesi a raccogliere cibo
per i poveri. Ma le agiate famiglie per paura del contagio della
peste, diffusa in quel tempo, non gli aprivano la porta e lanciavano il
pane dalle loro abitazioni. Girava per le vie con un tamburo che
annunciava il suo passaggio a raccolta dei muffuletta, pagnotte
110
aromatizzate alle erbe."  
Il santo eremita preferì vivere sempre in grotte e spelonche durante il
soggiorno sul monte Giummariaro, che gli arabi chiamarono monte
“delle Giummare” per le palme nane che crescevano sui suoi fianchi e
che oggi è conosciuto con il nome di Monte San Calogero o Cronio.
Qui intimò ai demoni di lasciare quei luoghi e secondo gli ‘Atti’ il
monte sussultò per le urla e poi tutto si quietò in una pace di paradiso.
Intraprese diversi viaggi di evangelizzazione per l’isola, durante i
quali non è impensabile che sia ritornato a Fragalà per incontrare i
suoi monaci.
Si racconta che un giorno, mentre camminava per le vie assolate
dell’odierna San Salvatore di Fitalia, nella zona limitrofa alla contrada
Grazia e Scrisera, incontrò delle persone assetate. Impietosendosi, con
il suo bastone colpì una roccia e da essa scaturì una sorgente di acqua
fresca. Ancora oggi questa roccia viene chiamata Rocca di San
Calogero e acqua di San Calogero e fino a pochi anni addietro la
processione del Santo la raggiungeva.
La storia e la tradizione ci dicono che S. Calogero visse in altri luoghi
sempre intercalando le sue giornate tra la solitudine della grotta e la

                                                                                                                       
109
Arnone Vincenzo, La Leggenda del Raccontatore errante, Marcianum
press, Venezia 2018.
110
Vacca Rita, Il sale dentro, Albatros, Roma 2020.
62  
 
predicazione del Vangelo: "coll'esempio e seguendone la missione
percorse la Sicilia, e fu in Palermo, Lentini, Girgenti, Naro, Corleone,
Mazzara, Noto, la nostra contrada di Demina, e ne visita Fragalà, e
quasi tutti gli abitanti di Sicilia, convertendoli all'adorazione di
Cristo, battezzandoli e discacciando gli spiriti ribelli."111
Nei suoi viaggi verso sciacca Calogero si fermò ad Agira vivendo in
una grotta e annunziando la Parola di Dio: "Nel tempo
anche degl'Apostoli habbiamo S. Filippo, c'habitò da Romito
nella grotta di Agira, e altrove, se ben questo fu
Predicatore dell'Evangelio, e in oltre il gran Romito, e miracoloso
Santo Calogero, che fù Padre di moltissimi Anachoreti, e
habitatore di monti, e spelonche, una delle qual'è la grotta di sopra
ricordata;" 112
Spesso si fermò a Naro e la tradizione vuole che abbia abitato la grotta
posta sotto l’antichissimo santuario a lui dedicato.113
Il Santo si stabilì anche qui in una grotta fuori dell'abitato, quella che
ancora oggi è oggetto di venerazione e che fu testimone delle sue
veglie, delle sue austerità e delle sue preghiere:114
" venerata tal Grotta nella Città di Naro per la dimora fattavi da quel
Santo Romito."115
San Calogero visse anche a Palermo.116
Una riflessione sulla sua permanenza in questa città la fa Gianluca
Pipitò che qui trascrivo:
"Il sottosuolo di Palermo è un dedalo di infinti cunicoli utilizzati
sin dall'antichità come cimiteri per i primi Cristiani o anche
come Chiese ipogeiche per il culto dei martiri o di un martire in
particolare.

                                                                                                                       
111
MONSU’, Op. cit. f. 144.
112
Giordano Cascini, Di S. Rosalia, vergine Palermitana, libri tre..., p. 315
113
AA.VV., San Calogero di Naro, a cura del Santuario di Naro.
114
La Monica Pietro Calogero, San Calogero, 2019, p. 12.
115
Giovanni Andrea Massa, La Sicilia in prospettiva. Parte prima, cioe il
Mongibello, e gli altri ..., p.159
116
Gaspare Palermo, Guida istruttiva per potersi conoscere con facilità tanto
dal Siciliano che ..., p. 152.
63  
 
Se ci fate caso, cari lettori, anche nei secoli successivi si
utilizzava il sottosuolo per le stesse finalità cultuali o
cimiteriali; sino al '700 era permesso costruire loculi sotto le
Chiese private (di solito di proprietà di Confraternite,
Congregazioni e Compagnie) o le Parrocchie con lo scopo di
ospitare le salme dei Confrati aderenti e, nel caso delle
Parrocchie o Ordini Ecclesiastici, i prelati, personaggi in vista
o chi acquistava materialmente le cappelle laterali per
costruirvi le proprie cappelle di famiglia che divenivano
monumenti di rappresentanza socio-politica per i possessori.
Infatti, l’utilizzo di questi ipogei, denominate Cripte, non sono
altro che una continuazione diretta dei precedenti spazi di
inumazione paleocristiane chiamate "catacombe". Ma
tralasciando il periodo storico relativamente "moderno"
facciamo un balzo nella Palermo arcaica per parlare di alcuni
ipogei misteriosi, soffermandoci soprattutto sull'antro di San
Calogero in thermis.
Dell'enigmatica grotta ce ne parlano diversi autori del passato e
del presente come il diarista Valerio Rosso, Antonino
Mongitore, Salvatore Morso, il Di Giovanni, Pietro Todaro e
Donatella Gueli; ma in realtà la sua presenza rimane avvolta
nel segreto di un antico passato e che coinvolge la presenza di
un Beato il quale si rifugiò in questi luoghi.
Un aspetto interessante di questa storia è la figura del Beato
Calogero poiché raggruppa in sé diverse notizie interessanti che
lo proiettano ad essere assimilato alla figura di San Calogero
stesso. Questa mia ipotesi parte dalla analisi della
documentazione storica che attualmente possediamo, ed in
particolar modo, come riporta la Dott.ssa Gueli nella sua
"Palermo sotterranea", dalle notizie del diarista Valerio Rosso
il quale riporta la interessante descrizione della tradizione
storica in cui specifica che il Beato Calogero di Palermo si
festeggiava il 19 Giugno. Questa importante informazione ci fa
pensare alla presenza di San Calogero a Palermo ed in questo
64  
 
antro, soprattutto ricollegandoci al filone della data dei
festeggiamenti che ricade, per quanto riguarda il martirologio
romano, per l'appunto il 18 giugno cioè il giorno antecedente al
Calogero Palermitano. Altre affinità del "bellissimo vecchio"
(questa è l'etimologia greca del nome Calogero) è la presenza
costante, durante il suo eremitaggio dalla Tracia alla Sicilia, di
grotte e acque termali, come quando raggiunse Lipari e poi
Sciacca; altra ipotesi interessante è quella sviluppata del
ricercatore Francesco Terrizzi, il quale sostiene che San
Calogero raggiunse dapprima Palermo per poi andare a
Sciacca attraversando una serie di Città intermedie e ciò
spiegherebbe le varie tradizioni e le diverse grotte "attribuite"
al Santo. E la presenza di terme e grotte non è da sottovalutare,
poiché la zona che interessa l'antro di San Calogero e che dà il
toponimo in Thermis, come sottolinea la Dott.ssa Gueli, fa
riferimento all'esistenza di un bagno della Neapoli ed è citato
come "loca balneorum magnae capacitatis" (anche se non si
hanno avuto riscontri archeologici in tal senso) e considerando
che lì vicino ci sarebbe l'enigmatica e dubbia presenza del
mikveh (bagno ebraico) di Palazzo Marchesi l'ipotesi è davvero
interessante e suggestiva.
L'unica perplessità sulla presenza di San Calogero a Palermo
riguarda solamente le date, poiché la tradizione storica riporta
che il Beato di Palermo visse nella gotta nel IV sec., mentre San
Calogero, sempre secondo la tradizione, nacque verso il 466
sec. a Calcedonia sul Bosforo: mah, i misteri dei Santi!
Ma torniamo all'antro, che il medico e filosofo corleonese
Valerio Rosso nel libro Descrizione di tutti i Luoghi Sacri della
felice Città di Palermo, pubblicato nel 1560 così descrisse: «in
mezzo della piana di questo tempio (Casa Professa) si retrova
come un antro nel quale discendendo ci si retrova gran copia
d'acqua.- L'antro di S. Calogero - Quest'antro è sotto la chiesa
dei detti Santi Cosma e Damiano, il quale è tutto de petra
forte ed artificiosamente cavato. Quest'antro è il tempio del
65  
 
Beato Calogero in cui ci si fa festa il dì 19 giugno. Vi si trova
ancora in quest'antro un'immagine della Beata Vergine la quale
ha fatto infiniti miracoli, che in detto antro si vedono essere
scritti». L'apogeo, come descritto nella "Palermo sotterranea" si
trova a 3 metri di profondità dal piano della Chiesa del Gesù e
si sviluppa sotto la sacrestia ed altri locali e per raggiungerlo
bisogna aprire una botola che si trova nella zona retrostante
l’altare maggiore. Ora, immaginate di scendere per una scala in
pietra utilizzando solamente una torcia, raggiungere il fondo e
trovarsi in uno spazio angusto ricavato dalla roccia,
successivamente trasformato in Cripta con tanto di colatoi, e
che vi accolga una sbiadita immagine di Maria con il bambino
ma soprattutto immergetevi per un attimo nell'humus di un
luogo dove molti secoli prima un Santo o Beato, per noi
semplicemente Calogero, visse per un breve periodo
dedicandosi alla preghiera, alla solitudine e alla
contemplazione dei propri pensieri."117
Sul monte di Termini Imerese S. Calogero visse in una grotta e qui
scacciò i diavoli che in breve tempo si allontanarono solo all'udire il
suo nome. Nella lotta con il demonio, il Santo, per farsi forza,
appoggiò un piede su un gran masso e vi rimase impressa la sua orma
da cui scaturì una sorgente d'acqua dolce, freschissima e miracolosa.
Dall'impronta del piede lasciata dal demonio invece scaturì una fonte
d'acqua amara. "Canalone del diavolo" così viene ricordata.118
Sulla cima il santo edificò una chiesa in onore di Maria Vergine, che
ora è a lui dedicata.
I Ternitani, come ringraziamento al Santo, lo scolpirono sullo stemma
della città. "E' il vero , che ne’ secoli appresso posta in desuetudine la
figura di Ercole colle Ninfe, al divisato stemma i Termitani un Monte
aggiunsero col sopra descritto Uomo vecchio di raggi ornato. Cotesto
Monte egli è il Monte Erauco, affronte del quale ergesi la Città di
Termini: e poicché in esso, abbandonato il soggiorno nell'lsola di
Lipari, vi abitò per alcun tempo l'Eremita S. CaJogero, il quale colle
                                                                                                                       
117
Gianluca Pipitò, Ricercatore storico e dell'Arte, 29 marzo 202.
118
L. Lombardo, La devozione a San Calogero, Gioiosa Marea 2016, p. 85.
66  
 
sue dottrine, e co' suoi chiari esempi si adoperò a piantare, o come
ad altri piace, a propagare in essa Città nostra la Cattolica Fede;
quindi fu impressa in cima dell'accennato Monte l'immagine di quel
Santo Solitario a perpetua ricordanza di cotal successo: che più di
onore certamente, e più di gloria reca alla Ternitana Città l'avere
abitato in essa un sì grand'uomo, di quel che le abbian recato o
le Statue ricuperate da' Cartaginesi, o la dimora del celebre
Stenio, e delle nobili Romane Famiglie. E perciò è che fin dal Secolo
V., presso al quale successe l'abitazione del Santo in quel Monte,
incominciò ad usare questa mia Patria nel suo Stemma
il predetto Monte avente in cima il Santo Eremita ritto in piè, e cosi
costantemente lo ha trattenuto fino a nostri giorni." 119
Si narra, che Calogero, mentre si trovava ad Agrigento vi fu una
tremenda pestilenza che fece molte vittime; incorante del pericolo, il
Santo si dedicò al servizio dei poveri, portando loro da mangiare del
pane che raccoglieva nel paese. La gente, al passaggio del monaco,
per paura di essere contagiati, lanciava il pane dalle finestre per
evitare che il Santo si avvicinasse troppo alle proprie abitazioni.
Nel suo peregrinare per le contrade di Sicilia fu anche presente in
molti luoghi tra cui in Noto,120 Salemi,121 S. Margherita
Belice,122 Vicari.123
In ogni luogo annunziava il Vangelo, facendo la sua professione di
fede nella Santissima Trinità, scacciava i demoni dai luoghi e dalle
persone, dando loro pace e serenità, curava anche gli ammalati
operando molti miracoli di guarigione.
LA MORTE DEL SANTO
San Calogero aveva lavorato molto, pesavano sulle sue spalle gli anni
e le fatiche apostoliche, i digiuni, le privazioni. Le diuturne penitenze
l’avevano stremato. Aveva bisogno di riposo, sentiva vicina la fine.
                                                                                                                       
119
Giuseppe Benincasa, Sull'origine e sullo stemma di Termini Imerese, città
splendidissima..., 1779, p. 58ss.
120
Antonino Silvestro Bellitti, Delle stufe e de' bagni di Sciacca opera
postuma del dottor fisico d ..., p. 27.
121
Antonino Silvestro Bellitti, Delle stufe e de' bagni di Sciacca opera
postuma del dottor fisico d ..., p. 27.
122
Monreale, S. Calogero.., Sciacca 1979, p. 53.
123
Untitled Page | Caminantes
67  
 
I documenti non ci aiutano a capire dove e quando morì il nostro
Santo. Possiamo solo fare delle supposizioni sia attraverso le leggende
che con i documenti storici. Nell'agrigentino gli ultimi giorni della sua
vita vengono ricordati e raccontati in modo leggendario. Il Santo si
ritirò finalmente nella diletta dimora del monte Kronio, per prepararsi
al grande incontro con Dio. E fu questa la sua ultima tappa poiché il
Buon Vecchio, ormai privo di forze, affranto dai lunghi e penosi
travagli, serenamente rendeva l’anima a Dio, confortato dai suoi
discepoli che ne raccolsero le parole estreme: “Laudate Deum”
(Lodate il Signore Dio).
Così il Breviario Romano descrive la sua permanenza sul Monte
Cronio: "Ed era già arrivato in vecchiaia così avanzata ed il suo
corpo era così debole, che appena poteva stare in piedi. Allora Dio,
volendo sovvenire al suo bisogno, gli mandò una cerva, che
miracolosamente gli portava gli alimenti quotidiani, col passare del
tempo, un certo Arcadio passato dalle parti della spelonca vide la
cerva che dormiva nell'ingresso di quella spelonca, e la ferì con la
freccia del suo arco, credendola di potersela prendere; essa invece
ferita fuggendo entro nella spelonca e andò ai piedi del Beato
Calogero ed ivi morì. Il beato Calogero, vedendo la cerva morta
davanti a lui, pianse su di essa ed esclamò dicendo o buon Dio, che ti
sei degnato di darmi come compagna questa cerva, perché io
sostentassi la mia vita col suo aiuto degnati di mandarmi, oggi, colui
che la trafisse affinché, prima di morire, manifesti le virtù che tu
scelto nella mia abitazione, perché, tramite costui. si annuncino al
popolo e siano manifesti a tutti; affinché il popolo titubante sia
confermato nella verità della tua fede e a te sia gloria sempre eterna
nei secoli dei secoli. Amen! Finita la preghiera del Beato Calogero,
apparve Arcadio, che aveva ucciso la cerva, il beato Calogero,
avendolo visto, lodò Dio e disse ad alta voce: Figlio mio, perché hai
ucciso questa cerva che mi portava alimento e vitto per virtù divina?
Arcadio pure, avendo visto il Beato Calogero. subito lo riconobbe,
poiché egli fu il primo battezzato nella terra di Sciacca, e
immediatamente prostrato per terra lo adorò dicendo: o Padre Santo
Calogero, perdonami, perché non avevo mai visto questa Cerva. Io fui
infatti, il primo tuo figlio, che battezzasti nella terra di Sciacca. Il
Beato Calogero lo benedisse e lo segnò col segno della Santa Croce
68  
 
dicendo: o figlio, ti benedica Dio, tutto il tempo della tua vita. Beato il
ventre che ti portò, poiché per mezzo tuo molte anime saranno
salvate. e sarai salvezza per popoli infiniti, se sarai ciò che io oggi ti
avrò rivelato. Vieni, dunque, figlio mio, e guarda i miracoli di Dio che
ha fatto in questo monte, e per la salvezza del popolo. Il Beato
Calogero condusse lo stesso Arcadio in una caverna dello stesso
monte in cui c'erano parecchi sedili di pietra. che Dio dotò di diversi
miracoli per curare certe infermità. e gli disse tutte le virtù dei sedili.
In quella caverna c'è un calore continuo e coloro che entrano in essa
sudano continuamente e si lavano nel proprio sudore. Lo condusse
quindi più in dentro il un'altra spelonca, in cui cera un pozzo
profondo fino alla profondità del monte Giummare, in cui c'è un
continuo increspamento delle acque, ed ívi miracolosamente
diventano calde. Da queste acque si libera un vapore e sale fino alla
sommità dei monte delle Giummare ed entra nella caverna dei sedili
miracolosi. Le acque entrano in un certo condotto che finisce alla
base dei monte Giummare, più vicino alla terra di Sciacca. Spiegò le
vita dell'acqua e gli ingiunse di far costruire ivi i bagni. Fatto ciò, il
Beato Calogero usci e andò al suo oratorio e gli comandò di
andarsene con la benedizione divina. Dopo la morte della cerva il
Beato Calogero visse altri quaranta giorni.Il predetto Arcadio che
spesso lo andava a visitare, trovò il corpo piegato di fronte all'altare
della spelonca, ed ivi piangendo a dirotto lo seppellì in pace: nel
quale luogo, coi .favori della divina Provvidenza, per i meriti del
Beato Calogero, assai di frequenza si compiono innumerevoli
miracoli." 124
Presente nell’iconografia del Santo è una cerbiatta ferita da una
freccia, rappresentazione questa, legata all’episodio della sua morte,
avvenuta quando Calogero, non essendo più in grado di procacciarsi
da solo il cibo, ricevette in dono da Dio l’animale che, essendo dotato
di un latte molto nutriente, avrebbe sfamato l’eremita. Quando però un
cacciatore trafisse con una freccia la cerva, essa si trascinò nella grotta
di Calogero morendo tra le sue braccia e l’uccisore, riconoscendo il
vecchio che anni prima lo aveva battezzato, chiese perdono in lacrime
e decise di rimanergli accanto fino alla fine. La morte lo sorprese in

                                                                                                                       
124
Breviario Romano.
69  
 
ginocchio mentre pregava. In uno sfolgorio di luce, il Signore venne a
raccogliere la sua anima per portarla nella gioia eterna della sua Casa.
La tradizione agrigentina ha tramandato quella data, il 18 giugno del
561 e vuole che fosse vecchio di circa 90 anni. Accorse gran parte del
buon popolo di Sciacca e quello dei paesi vicini, per dire tutto il suo
dolore, per venerare le spoglie esanimi e per tributargli le più
grandiose onoranze.
Nella grotta del monte Kronio, dormivano nel sonno della morte i
compagni martiri Gregorio e Demetrio, là portati dallo stesso
Calogero. Vicino a loro fu collocata la salma del Santo Vecchio,
perché fossero uniti in morte, coloro che lo erano stati in vita, e perché
fossero oggetto della stessa venerazione. Il sepolcro fu gelosamente
custodito fino al X sec., e cioè fino a quando, per impedirne la
profanazione da parte dei Saraceni che dall’827 avevano incominciato
ad invadere l’Isola, la pietà dei fedeli sottrasse le spoglie per
nasconderle in un luogo sicuro. Interpretando correttamente gli storici,
Calogero, come dicevamo sopra, spesso lasciava la sua grotta e
andava in giro per la Sicilia annunziando il Vangelo. Molti sono i
luoghi che visitò e sicuramente, quando poteva, passava da Fragalà
per visitare i suoi eremiti. In quei pochi momenti egli li incoraggiava
e rafforzava nella fede, facendoli crescere nella santità. Secondo gli
studiosi San Calogero fece nove viaggi per la Sicilia, rientrando ogni
volta nel suo monastero di Fragalà e i Frazzanesi questo lo ricordano
ancora durante la processione del Santo, facendo avanti e indietro con
la vara per nove volte.
Ma San Calogero morì veramente sul monte Cronio?
Leggendo gli Inni di Sergio troviamo: " O Padre Santo Calogero, in
cerca della vita vera, ti sei ritirato in una grotta, incurante delle
insidie del nemico...".
Essi non nominano mai il luogo della sua morte e ognuno può dare la
sua interpretazione affermando che Calogero poteva essere sia nella
grotta del Monte Cronio, sia in quello di Fragalà. Il Testo greco fu
trovato dal Gaetani nel Monastero di Fragalà. L'Inno veniva recitato il
giorno della festa annuale di San Calogero, davanti ad una marea di
persone ed alla presenza dei monaci; l'Inno afferma che essi vivevano
in mezzo a grandi pericoli e per questo essi elevavano preghiere al

70  
 
Santo, perchè, per intercessione della Madonna fossero liberati dalle
minacce, guasti e assalti dei nemici.
Domenico De Gregorio, uno dei pochi storici che hanno approfondito
la sua vita, parlando della morte del Santo, non mette in discussione
che essa sia avvenuta sul monte Cronio, ma ha dei dubbi; infatti così
scrive: "Questa espressione di Sergio è generica e ci meraviglia come
non si nomini Sciacca, il Cronio o qualche altro posto vicino..."125
Teoria avallata da altri studiosi, i quali sottolineano il fatto che Sergio
volutamente non abbia nominato un luogo specifico, perchè San
Calogero è Universale, di tutta la Sicilia. Il Terrizzi mette in evidenza
che la storia di Calogero e compagni è incrostata di leggende e i primi
documenti che lui riesce a trovare risalgono al primo decennio del
1600, fino a quando non furono scoperti gli Inni di Sergio.126
Anche Vincenzo Consolo nel libro "La Sicilia Passeggiata" scrive che
il Santo morì a Fragalà: " ...questo bel vecchio vissuto nelle grotte del
monte Cronio e seppellito nel solitario convento di Fragalà , nella
valle del Fitalia...".127
L'unico autore che ci parla del trasferimento delle Reliquie dei Santi
Calogero, Gregorio e Demetrio, ad opera di fra Urbano da Naso a
Fragalà è il Monsù: " buona parte del corpo di S. Calogero Eremita
avuta sin dal 1490, meno il capo, essendo posto col restante nel
Monastero di S.Filippo di Fragalà, il quale fù translato da Sciacca
perchè crollato il Monastero e non più riedificato, e distrutto dal
terremoto, e conferitosi in Frazzanò nello ostello di Fragala da fra
Urbano di Naso e frate frazzanese lo divisero in mettà tra il
monastero e frazzanù."128.
Jean Bollandus, negli Acta Sanctorum, stampato nel 1643 non cita
questo particolare, così come Ottavio Gaetani, che fu a Fragalà dove
trovò il Carme di Sergio: "EODEMQUE IN LOCO SEPELIVIT in
antro infrà aedem nunc Divo Calogero dicatam in montis vertice, ita
Fazellus San Calogerum in monte Cranio extinctum ibique eius
cadaver sepulture traditum significat Sergius. Sed Sanctorum
                                                                                                                       
125
De Gregorio Domenico, San Calogero, Agrigento 1977, p. 58.
126
F. TERRIZZI s. j., S. CALOGERO. PAGINE D’ARCHIVIO I, Basilica di
S. Calogero, Sciacca 1987, p. 23.
127
V. Consolo,G. Leone, La Sicilia passeggiata, 1991, p. 93.
128
Monsù, Leggenda storica..... f. 36.
71  
 
Calogeri, Gregorij, ac Demetrij corpora (nescio in integra) in
Monasterio s. Philippi Fragalatis in Messanensi Dioecesi iusta
oppidum S. Marci servantur."129 Il Monsù scrive, inoltre, che le
reliquie di San Calogero, secondo la tradizione, furono portate a
Cesarò verso la metà del quattrocento, ciò implica il fatto che esse si
trovassero a Fragalà già prima del 1490. Probabilmente Fra Urbano
aveva portato solo le reliquie di San Gregorio e San Demetrio,
martirizzati nel Lilibeo.
Si racconta ancora, che nel 1656 una terziaria francescana riferiva
all'arciprete di Sciacca dell’apparizione in sogno di S. Calogero, il
quale le indicava la grotta dove vi erano sepolte le sue reliquie.
L'arciprete fece il sopralluogo e trovò veramente delle ossa che mise
in un reliquiario e solennemente le trasportò in chiesa. Esse furono
venerate fino al 1728, quando Mons. Anselmo La Pegna, nel corso di
Sacra visita, ordinò all'Arciprete di bruciare tutte quelle ossa "a fine di
togliere la superstizione che poteva commettersi nel venerare come
reliquie di San Calogero, quelle che potevano non esserlo, mancando
prove autentiche che veramente lo fossero". E l'arciprete fu costretto a
distruggerle.
Se Calogero fosse morto a Sciacca, perchè non si tenne conto del fatto
che le vere reliquie fossero state portate qualche secolo prima a
Fragalà? Forse perché le reliquie, come qualche autore afferma, sono
state sempre a Fragalà?
La tradizione orale presente in Frazzanò ci ha tramandato la
testimonianza che San Calogero morì a Fragalà. Infatti si
diceva: "Raccontavano gli anziani che, negli ultimi anni della
sua vita, San Calogero si ritirò a Fragalà, in una grotta vicino al
monastero, dove morì assistito dai monaci. Ogni giorno i
monaci andavano da lui e gli portavano qualcosa da mangiare.
Una mattina lo trovarono morto e trasferirono il suo corpo nel
monastero, dove fu sepolto. Sempre secondo la tradizione, il

                                                                                                                       
129
Ottavio Gaetani, Vitae sanctorum sicolorum..., Tomo Primo, Palermo
1657, p. 107.
72  
 
corpo si conservó nel monastero di Fragalà; per questo le
reliquie si troverebbero a Frazzanó."130
Anche molti autori affermano che San Calogero morì in Fragalà.
Il Lancia fa riferimento ai Bollandisti in Acta Sanctorum, tomo IV,
p. 492, e il Commentario previo e così scrive: " Nel celebre
monastero poi di S. Filippo di Fragalà inteso di Frazzanò o S.
Marco mostrasi non solo la grotta da quel S. Calogero abitata ma
anche il suo corpo ivi sepolto e dal canone greco composto in suo
onore e per la sua festività da Sergio in cui sempre è invocato qual
Padre si ricava, come fu detto sopra, che appunto da lui quel
monastero riconoscea la sua prima fondazione."131
Il Lancia dice chiaramente che Calogero fondò un monastero a
Fragalà e che qui morì: "   'Per questa predicazione attiratisi l'odio
degli empii, furono astretti a nascondersi, Calogero in un antro, fra le
rupi di un monte dove visse santamente sino alla sua fine insigne per
grandi virtù, e per gli strepitosi miracoli che operò in vita e dopo
morte, pei quali, e per una prodigiosa manna che tramandava il suo
sepolcro fu celebre e da una grande moltitudine dei fedeli visitato:
Gregorio e Demetrio bevettero il calice della passione e furono
martiri invittissimi.' Questo è quanto si dice di questi santi in un inno
in lode loro composto dal monaco Sergio cronista nel secolo IX, le di
cui parole ho qui fedelmente tradotto. Questi avendolo composto
'raccogliendo tutte le tradizioni della loro vita dagli antichi
tramandate' come egli dice, e per cantarsi al sepolcro di S. Calogero
che anche oggi si venera nell'antichissimo e celebre monastero di S.
Filippo di Fragalà nel giorno della sua annovale festività da quei
monaci, e chiamandolo padre e istitutore nella vita spirituale e nella
salmodia, ci fa congetturare che ....il monaco cogli altri .... ritirossi
nella parte orientale e più montuosa dell'isola sullo scosceso monte di
Fragalà ed ivi fattosi un monastero vi abbia finito santamente i suoi
giorni e vi fosse sepolto lasciandovi ancora dei fedeli discepoli "132

                                                                                                                       
130
Mi riferisce Albino Rocco che sua nonna Tortorici Calia Concetta,
morta a Frazzanó nel 1999 all'età di 79 anni, gli raccontava questa storia
131
Lancia di Brolo Domenico G., Storia della Chiesa in Sicilia nei dieci primi
secoli..., Vol. 1, Palermo 1880, p. 406.
132
Lancia di Brolo Domenico G., Op. cit., Vol. 1, Palermo 1880, p. 286.
73  
 
Gli Acta Sanctorum costituiscono una raccolta di documenti relativi ai
santi della Chiesa, avviata nel suo nucleo primigenio dall'erudito belga
Jean Bolland (1596-1665) S.J. e ultimata da altri padri gesuiti, che ne
composero l'originaria struttura e per questo chiamati bollandisti.
Nella nota il Lancia aggiunge: "Nella Biblioteca Nazionale di Palermo
n'esiste una copia armar. V. A. 2. ma anch'essa non intiera; il codice
di Fragalà ignoro se oggi esista e dove si conservi. Nel principio la
festa di questi santi e segnata εν τω Κρανιώ της Σικελιας: non si ha
memoria dove sia questo luogo in Sicilia dello Cranio o Calvario; io
lo suppongo qualche antico nome in quel di Fragalà dove veramente
si venerano le reliquie di un S. Calogero e non di Sciacca come lo
suppone il P. Gaetani dove non costa esservi stato un celebre e
frequentato Cenobio come si accenna dall'innografo ed è mia
congettura che l'autore di esso non debba dirsi Sergio Cronista, ma
Cranista cioè monaco del monastero in Cranio."133
In conclusione possiamo con quasi certezza dire che San Calogero
morì a Fragalà e che le sue reliquie sono sempre state nel Monastero.
Mi piacerebbe concludere la vita di questo grande Santo
soffermandomi sull’immenso amore che aveva verso la Parola di Dio,
perchè lui è stato un innamorato della Parola, del Verbo Incarnato.
Guardando la sua immagine lo vediamo sempre rappresentato con il
libro della Parola, continuamente annunziata e predicata, tanto che la
chiesa lo indica come modello di vita, perchè anche noi possiamo fare
della Parola la lampada che guida i nostri passi e la luce che rischiara
il nostro cammino.
"Correte dunque, fedeli, da San Calogero perché interceda per la
vostra salvezza: effondete preghiere al Dio suo, che per i suoi
chiarissimi meriti vi elargisca la vita eterna. Amen."134

                                                                                                                       
133
Lancia di Brolo Domenico G., Op. cit., Volume 1, Palermo 1880, p. 287.
134
Breviario Romano.
74  
 
Frazzanò, processione San Calogero 8 Agosto 1930

Frazzanò, processione San Calogero


75  
 
ß

Frazzanò, processione San Calogero

76  
 
LE RELIQUIE DI SAN CALOGERO
Fin dalle sue origini, il Monastero di Fragalà possedeva molte reliquie
di Santi, tra le quali sicuramente quelle di San Calogero. Esse davano
lustro ed erano polo di attrazione per tutti i fedeli costituendo un
'tesoro' per il Monastero. Su ciò abbiamo diverse testimonianze.
Durante la dominazione araba, i monaci di Fragalà per difendere tutte
le reliquie in loro possesso le nascosero in posti sicuri. Si racconta che
Costantino, tredicesimo vescovo di Lentini (787), salvò le reliquie dei
tre Santi Fratelli Alfio, Filadelfio e Cirino, come il Mauro dice:
"governava quella Chiesa il Vescovo Costantio o Costantino di nation
greco, religioso dell'ordine Basiliano e Abate di S. Maria de Palazzi,
nell'antichissima città di Aluntio o come altri vuole del monistero di S.
Filippo di Fragalà, posto tra San Fratello e Mirto e questi è quel
Costanzo che prima al Concilio Niceno secondo nel 787 è trà li
Prelati della Sicilia fu sottoscritto nel sesto luogo;"135 egli, intimorito
dai pericoli di una imminente invasione musulmana, volle in gran
segreto il trasferimento delle sacre reliquie nel Santuario Normanno
sito nella acropoli di Apollonia (attuale San Fratello, ma che si
pensava fosse Alunzio).
Un'altra testimonianza ci perviene da Girolamo Lanza il quale parla di
alcuni oggetti e preziose reliquie, nascoste sotto una cisterna d’acqua,
all’interno di una grotta, nel complesso monastico di San Filadelfio a
Naso: "Nota che verso la contrata della Plana sopra la petra longa //
ci sonno certe abitationi ruini li quali erano chesij che al presenti lu
vulgo chiamano san Finachio. Ma non è la verità perchè in quesso
loco ci erano dui chesij, l'una si domandava santo Eoustachio et
l'altra chesia si domandava santa Agata et ci stavano et serviano
questi chesia preti greci, li quali chesij haviano per suo patrimonio li
terri delli conturi alla chiana che sonno a drittura di detti chesij, li
quali terri hogi rendino allo hospitali di Palermo. Li lassau questi
terri una donna della terra di santo Marco a santo Filippo Fragalà
batia di monaci greci. Doppo li hebero ditti terri come ho detto lu
hospitali di Palermo.

                                                                                                                       
135
Filadelfo Mauro, Istoria de' SS. MM. Alfio, Filadelfo, e Cirino fratelli, ...,
Catania 1691, p. 345.
77  
 
A questa chesia di san Finachio// ci è gran caverna di lamij sotto
terra e in tempo di mori o saracini li monaci di san Filippo Fragalà
pigliaro tutta l'argintaria et reliqui di detta chesia et la portaro ad
amuciari; questa chesia di santo Finachio dove ci è una grutta
grandissima et di sopra ci è una gisterna pena d'acqua, sguttaro la
gisterna, aprero un certo muro et trasero dentro la grutta et
amuchiaro lo tresoro delli reliquij et l'argentaria, tornaro et muraro
lo purtusu della grotta et misero l'acqua alla gisterna et stettiro li
reliqui et altri cosi dentro questa grutta parichi anni per pagura che
in questo regno era in potiri di infideli.
Et dopo che si partero li infideli li monache vinnero a questa chesia di
santo Finachio // sguttaro la gisterna, aprero il muro et pigliarosi li
reliquij et li portaro alla chesia di santo Filippo Fragalà, stuparo
altra volta detto portuso et miseroci l'acqua alla gisterna: tutto questo
lo scrissi un monaco greco lo quali si morsi et questo scritto nelle
1595 vinni in potiri di Blasco Lanza et credento trovare questo
argento et reliqui andò con genti et licentia e sguttau l'acqua et
dirrupau lo muro credendo trovare li reliqui con l'argento, non trovau
nenti ecetto una grutta spaventosa et grandi che pigliaro gran paura
di passar innanti et fu tanto lo frido chi ci era che vinniru fora
arreduti e diciano che intisero certi voci come havessero voluto a
minazare a Blasco Lanza lu qua(li) si morsi dopo questo fatto tri misi
dopo con una saitta di focu venuta dal cielo, si morsi trunatu'136.
Della presenza di reliquie di San Calogero a Fragalà sappiamo poco,
ma il Di Giovanni scrive: "La sua festa il 18 giugno, distinta da un
Ufficio proprio si legge negli antichissimi breviari della chiesa
Palermitana e Messinese e nel Breviario Gallo - Siculo."137
Solo il Monsù scrive che le reliquie di San Calogero furono portate a
Fragalà nel 1490, ma si contraddice subito dopo affermando che verso
la metà del XV secolo alcune reliquie furono donate dal Monastero di
Fragalà alla Comunità di Cesarò, constatando che esse erano nel
monastero.

                                                                                                                       
136
Fioretti di Naso, Cose notabili, ed antiche consuetudini della Università di
Naso scritte da don Girolamo Lanza nell'anno 1630 (manoscritto).
137
G. Di Giovanni, De Divinis Siculorum officiis, c. 43, p. 365-366.
78  
 
Nel 1594, per disposizione dell’arcivescovo di Messina Antonio
Terzo, le reliquie di San Calogero, ad eccezione del teschio, per
motivi che non sappiamo, vennero poste assieme a quelle di San
Lorenzo da Frazzanò. Il Vescovo afferma che le ossa di San Calogero
erano di colore chiaro, mentre quelle di San Lorenzo scure. "Al 1594
anche trovandosi per la Santa visita ed ocularmente osservando non
essere in sito condecente il corpo di San Calogero, al quale
prestavano devozione, emanò ordine di mescolarsi insieme con quelli
di San Lorenzo, e così nell'annua festa, venerarsi ambi, marcando i1
distintivo di dette reliquie, col dire, essere quelle di San Calogero di
colore bianchi e quelli di San Lorenzo colore olivastri facendone la
festa a 30 Dicembre per San Lorenzo, ed a 19 Giugno per San
Calogero la scrittura trovasi nella Cassa di magone posta
nell'armadio." 138
Leggendo gli inventari custoditi nell'Archivio di Stato di Messina e
pubblicate dal Pirro e dal De Ciocchis, vediamo di descrivere quelle di
San Calogero.
Negli inventari del 1711-12 si legge che il capo di San Calogero è
conservato 'dentro vetri', a differenza delle altre reliquie del santo che
invece sono poste "in uno scrigno di legno, seu sepulcretto inaurato e
colorito con suoi cristalli da quattro lati".
In un altro inventario non datato, precisa che le due teste di san
Gregorio e di San Calogero sono conservate insieme in una cassetta
d'argento "separati dalli corpi". L'inventario del 1854 specifica che le
Reliquie di San Calogero erano divise in 58 pezzi.
Da quando nel 1870, a seguito delle leggi di soppressione, le reliquie
presenti nel Monastero di Fragalà furono portate ed ancora oggi
custodite nella Chiesa Parrocchiale di Frazzanò, gli abitanti se ne
impossessarono gelosamente.
Nel 1983 il Rettore del Santuario di San Calogero di Sciacca chiese un
pezzetto di osso del Santo al Vescovo di Patti Mons. Carmelo Ferraro,
il quale in segno di comunione con le due chiese, accolse con piacere
la richiesta. Recatosi a Frazzanò, per una ricognizione sulle reliquie
del Santo, si trovò il popolo radunato in piazza per impedirgli di
entrare in chiesa. Il Vescovo, condannando l'atteggiamento ostile del

                                                                                                                       
138
MONSÙ, op. cit., f. 52.
79  
 
popolo, lo punì ordinando la chiusura la culto della chiesa tranne la
domenica per la Celebrazione Eucaristica. Solo dopo qualche mese
Vescovo e fedeli si riconciliarono pubblicamente.
Nel 1993, nella Chiesa Madre di Frazzanò, fu ristrutturato l'altare di
San Calogero, mettendo in vista le cassette delle reliquie. Nel 2000, in
occasione dell'Anno Santo, fu realizzato, per opera dell'Arciprete
Salvatore Lollo e con il contributo del Comune, un meraviglioso
scrigno - raccoglitore dove sono esposte tutte le reliquie con i
rispettivi reliquiari provenienti dal Monastero di S. Filippo di Fragalà.
Il 2011 a Petralia sottana fu Anno Giubilare per celebrare i 1450 della
morte del Santo. Domenica 24 luglio 2011, le Reliquie di San
Calogero furono portate dal Parroco Don Salvatore Lollo, dal sindaco
Carcione Antonino, dal Comitato Festa e da un centinaio di
frazzanesi. Accolte, con grande emozione e commozione, sono state
esposte per l'intera giornata nella cattedrale della cittadina. Una
giornata ricca di sentimenti, che rimarrà per sempre nei cuori e nelle
menti di chi l'ha vissuta. Le reliquie per la prima volta nella storia
escono fuori dal comune di Frazzanò per essere condotte in altro
luogo. Ai singolari festeggiamenti hanno preso parte le delegazioni di
alcuni comuni di Sicilia dove si onora il santo, quali S. Salvatore di
Fitalia, Naro, Agrigento e Caltavuturo. Tra questi anche i tammura di
Girgenti, una delegazione proveniente dal Comune di San Calogero di
Calabria, gli Amici di San Calogero e l'Arciconfraternita di San
Calogero con sede a Roma.
Qui di seguito voglio elencare alcuni paesi nei quali sono presenti le
reliquie del Santo Taumaturgo:
AGRIGENTO - Il 23 Febbraio 2013, all'interno dell'omonimo
Santuario, è stato benedetto il reliquario raffigurante l’Eremita,
realizzato dallo scultore Gaetano Alongi di Campobello di Licata.
L'idea del reliquiario, nasce nel luglio 2012, quando il vescovo della
diocesi di Patti, Mons. Ignazio Zambito, accogliendo la richiesta del
pro rettore del Santuario di San Calogero, don Angelo Chillura,
concesse una reliquia del Santo Nero, accompagnata da una
certificazione d'autenticità, secondo il diritto canonico. La teca
contiene una piccola particella di osso collocata all'interno del busto in
bronzo riprodotto a dimensione naturale con la tecnica di fusione a
cera persa, dalla fonderia Guastini di Vicenza. Alla base tre formelle
80  
 
in bassorilievo raffigurano i momenti più significativi della vita del
Santo: la preghiera nella grotta, la guarigione ad un infermo e la
raccolta - distribuzione del pane. Nella stessa occasione è stata
benedetta una statua di San Calogero realizzata da Giuseppe
Cacocciola in gesso rivestito con una foglia d'oro, di circa centottanta
chilogrammi ed è alta un metro e ottantatre centimetri.139
CALTAVUTURO - La reliquia del Santo, proveniente da Frazzanò,
così come riferito dal Parroco viene portata in processione durante la
sua festa.
CAMPOFRANCO - Il 22 luglio 2015, ricorreva il 3° anniversario
della costruzione del Santuario. Durante la Santa Messa, la
Congregazione dei Santi ha donato alla comunità una nuova Reliquia
di San Calogero cioè un frammento d’osso, posto in un apposito
reliquiario.
CASTELTERMINI - La festa si svolge la quarta domenica di agosto.
Viene portato in processione il reliquiario proveniente dalla Basilica
di San Calogero al Monte di Sciacca e contenente le reliquie dei Santi
Calogero, Gregorio e Demetrio.
CESARO' - Altro centro di culto del Santo è il paese di Cesarò dove,
secondo la leggenda, le sue reliquie giunsero miracolosamente.
Secondo il Monsù, nel XV sec. un monaco basiliano di Fragalà, in
viaggio verso Troina, stava trasportando una reliquia del Santo;
arrivato a Cesarò, decise di riposarsi, appendendo la bisaccia con il
sacro contenuto, ad un palo. Quando cercò di riprendere il bagaglio,
una forza misteriosa lo rese immobile. I cesaresi, saputo dell’accaduto
e dell’importanza del contenuto, lo interpretarono come un segno
divino e per mano di un bambino, portarono la reliquia in chiesa.140 Da
quel giorno San Calogero è divenuto il protettore del paese: "A
petizione dell'Abbate di San Michele di Troina, l'Abbate Pietro
Bordonaro Frazzanese inviò pezzetto di reliquia di San Calogero, e
con un Frate l'inviò, ma non poté averli, stante transitando per
Cesarò il Basilista riposando attorno un gregge, ed ivi invitato a
cibarsi del frutto, ne situa il sacco con la reliquia su del palo, dove
mettevano i caldai, al fine cercando di prenderla non fù il caso ed

                                                                                                                       
139
Gionale di Sicilia on line del 24 Febbraio 2013.
140
MONSÙ, op. cit., f. 136.
81  
 
uditone l'operato dai Cesarodani e dall'Arciprete conferendosi ivi, e
neppure ebbe l'aggio l'Arciprete, che bambino lattante preferì di
prendersi dall'innocente, e cosi avvenne portandolo un pezzetto di
salita, ed indi lo consegnò all'Arciprete, che nella Chiesa Madre il
trasferirono. In oggi festeggiano a 18 Giugno e 21 Agosto d'ogn'anno
il Santo, e ne portano la bara con la reliquia i fanciulli sotto anni 14
al detto luoco, e poscia vien processionato dagl'uomini, e rimasto lì fu
eletto protettore e l'epoca del fatto fu al 16... ed esiste atto notarile.
Sin d'allora un basilista di Fragalà andava vestito con cotta e stola,
associava la processione avente luoco pria del clero, che da più
tempo non più esercitato simil dritto, che per antica usanza
pratticarono. Scorsi anni spinti da zelo, i Frazzanesi volendo
derubare i Sacri Reliquii, ebbero l'aggio a scassinare l'arnese, ma
avveduti dai Cesarasi, e prendendo la fuga furono presi, e poi
condannati, tanto dalla tradizione narrato."141
A Cesarò si narra che il monastero di San Filippo di Fragalà
possedeva alcuni feudi, tra cui, in territorio di Cesarò, quelli di "Santa
Nicoletta", di "Semantile" e di "Grappidà ". Ciò era occasione per i
Cesaresi, che lavoravano in tali possedimenti, di recarsi
periodicamente a Fragalà. In uno di questi viaggi un Cesarese ottenne
dai monaci quattro pezzetti di ossa tratti dal corpo di San Calogero.
Rientrato in paese di notte, appese le bisacce allo "stanti" e andò a
dormire. Alzatosi di buon mattino, il contadino ebbe la straordinaria
sorpresa di vedere come quel palo secco fosse diventato una pianta
florida e frondosa.
La notizia arrivò anche alle orecchie del conte di San Marco, che
aveva giurisdizione su Fragalà. Irritato perchè, senza sua licenza,
erano stati donati i frammenti ossei del Santo Eremita, ordinò che
fossero restituiti. La pretesa del conte non fu ben accolta dai Cesaresi,
che ostacolarono la restituzione delle miracolose reliquie. Il conte
insistette e Cesarò, suo malgrado, dovette cederle ai messi, che posero
le reliquie su una mula che, all'uscita del paese, reclinò le gambe e non
si mosse, nè valsero le frustate a farla rialzare. La gente presente
ritenne l’accaduto come un segno del Santo il quale voleva che le
reliquie restassero in paese. Un bimbo di pochi anni prese casualmente

                                                                                                                       
141
MONSÙ, op. cit., f. 137.
82  
 
le redini e la mula si alzò docilmente e lo seguì. Nessuno osò togliere
le redini al bambino, che proseguì per un tratto verso la parte opposta
della trazzera che conduceva a Fragalà, mentre la popolazione seguiva
inneggiando al Santo. Gli stessi inviati capirono che qualcosa di
soprannaturale stesse accadendo; decisero, quindi, di riferire il fatto al
conte, il quale acconsentì che le reliquie rimanessero a Cesarò. Si
accontentò del diritto di padronanza e di tenere una delle chiavi del
cassetto, dov’erano custodite le sacre Reliquie, che fino al 1863, si
conservavano in una nicchia della chiesa madre, fermate con tre
chiavi, e all’apertura della porticina di ferro, si gridava: "Venga la
chiave del Conte di San Marco".
DELIA - In questo paese esiste una reliquia avuta del Monastero di S.
Filippo di Fragalà, portata solennemente il 6 agosto 1874.
GALA - MONASTERO S. MARIA - "Frustum ossis S. Calogeri in
statua lignea deaurata."142
LIPARI - Il Vescovo di Lipari Geronimo Ventimiglia chiese
all'Arcivescovo di Messina, da cui dipendeva Frazzanò, un pezzetto
di osso del corpo di San Lorenzo. Il 7 dicembre 1705 l'arcivescovo
autorizzò l'arciprete di Frazzanò a concedere quanto richiesto. Poichè
le ossa del Santo erano mescolate con quelle di San Calogero,
l'Arciprete D. Antonino Papa, alla presenza degli Arcipreti di Mirto,
D. Stefano Grasso, e di Capri, D. Filippo Cammà, ne prese un
pezzetto di entrambi specificando che le reliquie di S. Lorenzo erano
di colore olivastro e quelle di San Calogero di colore bianco.
MONTEMAGGIORE BELSITO - A Montemaggiore non vi è
nessuna celebrazione o tradizione legata al Santo anche se, presso la
Chiesa del Purgatorio, sono presenti una statua di San Calogero,
realizzata da Filippo Quattrocchi (1812 circa), e le reliquie di S.
Lorenzo e S. Calogero donate dalla Parrocchia di Frazzanò per ordine
Arcivescovile.
NAPOLI - IL 21 luglio 1741 l'arciprete Papa, dietro richiesta del
Vicerè e dopo l'autenticazione delle reliquie da parte dell'Arcivescovo

                                                                                                                       
142
Giovanni A. de' Ciocchi, Sacrae Regiae Visitationis per Siciliam Acta
Decretaque Omnia ..., Vol. 2, p. 469.
83  
 
di Messina, inviò a Napoli, in una teca d’oro, un dente mascellare di
San Lorenzo e un pezzetto di osso di San Calogero.143
NARO - Nel 1692, su richiesta di Fra Melchiorre Milazzo, fu donata
al popolo narese la Sacra Reliquia dell'osso omerale del protettore San
Calogero ad opera dei Padri Benedettini e da Silvestro Napoli Lanza,
Barone di Longi (Me). Questa ancora oggi è conservata nel santuario
di S. Calogero, in un'artistica teca d'argento, squisitamente lavorata.
Da una targa incisa, posta sulla cornice della teca, si apprende che il
reliquiario venne realizzato su commissione del successore di Padre
Milazzo, il priore Calogero Polizzi, per custodire la preziosa reliquia.
In assenza di punzoni o marchi è impossibile riferirlo ad un centro di
produzione, tuttavia la tartaruga era un materiale molto usato dalle
maestranze trapanesi del corallo, che spesso la abbinavano all’argento.
PETRALIA SOTTANA - Anche a Petralia Sottana, centro delle
Madonie, si venera San Calogero, la cui reliquia fu donata nel 1747 e
per il suo trasporto si spesero tarì 9 e grana 12.144 Fu posta in un
particolare reliquiario cesellato dall'argentiere Vincenzo Palazzo.
PIETRAPERZIA - Nella chiesa Madre vi è una reliquia di San
Calogero, baciata da tutti i fedeli durante la processione.
S. ANGELO DI BROLO - MONASTERO DELL'ORDINE DI S.
BASILIO - "Reliquia S. Calogeri conf."145
S. SALVATORE DI FITALIA - Sull’arrivo delle reliquie di San
Calogero a S. Salvatore di Fitalia si hanno poche notizie scritte, molte
narrate. La più veritiera, avvalorata da ricerche storiche, è quella di
seguito testualmente riportata tratta dal libro studio di A. Pettignano e
S. Ruggieri:“…Parte delle reliquie di S.Calogero, ogni anno, in
occasione della solenne festività d’agosto, venivano concesse “ad
tempus” e mediante documento scritto, per essere venerate dai fedeli,
che da ogni parte accorrevano a SS.mo Salvatore. Le reliquie
venivano processionalmente accompagnate dai monaci di Fragalà
fino ai confini del comune del SS.mo Salvatore, nella Contrada
Duruso, presso l’antica chiesetta di S. Giovanni, ancora oggi esistente

                                                                                                                       
143
Monsù, Manoscritto..
144
DINO, op. cit., pag.18.
145
Giovanni A. de' Ciocchis, Sacrae Regiae Visitationis per Siciliam Acta
Decretaque Omnia ..., Vol. 2, p. 566.
84  
 
ma chiusa al culto e di proprietà privata, venivano consegnate al
clero e al popolo del SS.mo Salvatore, che trionfalmente le
trasportava nella Chiesa di S. Francesco D’Assisi annessa al
convento dei Frati Minori Conventuali, dove c’era la cappella di san
Calogero. Terminati i festeggiamenti, la reliquia veniva restituita ai
Monaci di Fragalà. In un anno non precisato questi, dopo aver
corrotto il notaio e malmenato i monaci, si impossessarono
furtivamente della reliquia. Il racconto si conclude dicendo che a
causa di questo furto ogni anno, il giorno della festa, se si desidera
che San Calogero compia i miracoli bisogna “vutarlu” verso
Frazzanò.”146 Certo è che i monaci fossero soliti concedere delle
reliquie ai centri vicini, ma, a mio parere, a San Salvatore di Fitalia,
vista la grande devozione, la reliquia è stata concessa in modo
definitivo.
Così il Monsù racconta: "L'abitato di San Salvatore ne chiese altro
pezzetto, e per Notar Gioachino Musarra lì 23 Marzo 1715 si fa
consapevole; e copia ritrovavasi al Monastero di Fragalà ed ivi
processionandosi a 20 Agosto festeggiandolo si portava un Basilista
vestito con cotta e stola innanzi al Simulacro e reliquie con dritto pria
del clero, da più tempo non pratticato. Or la reliquia cennata sin
d'allora concessa si trasferiva dai Basilisti, sino al fiume, trovandosi
il clero del Salvatore dall'altra sponda all'incontro, e ne seguirono più
tempo a far ciò, accadendo però un Abbate nomato Virgilio da San
Salvatore in Fragalà, ne diede la medesima senza pratticarsi la pia
consuetudine e così si resero assoluti patroni non restituendola più e
ne conservarono la reliquia a tre chiavi da tenere una l'Abbate di
Fragalà, la seconda l'Arciprete, e la terza uno della casa Musarra;
intanto fu tolto il dritto all'Abbate di Fragalà."147
Nel 1724, per la preziosa reliquia, venne costruito un artistico
reliquiario che il 19 agosto 1725, domenica, festa del Santo Patrono

                                                                                                                       
146
A. Pettignano e S. Ruggieri, S. Calogero, Storia del culto a San Salvatore
di Fitalia e nella valle del fiume Fitalia, Edizione Nebros 1984, San Salvatore
di Fitalia. La leggenda mi è stata riferita da un’anziana di Frazzanò.
147
MONSÙ, op. cit., f. 137.
85  
 
Calogero, Mons. Pietro Galletti, Vescovo di Patti con decreto
pastorale, pose i sigilli, ancora oggi inviolati”.148
S. STEFANO QUISQUINA - Il 12 giugno 2000 Mons. Ignazio
Zambito, Vescovo di Patti, chiese ai frazzanesi una reliquia del Santo
per donarla alla comunità di S. Stefano Quisquina, oggi custodita in
un reliquiario.
TERMINE IMERESE - Il Museo di Arte Sacra, Istituito nel 2010,
custodisce numerosi argenti, paramenti ed oggetti liturgici, e in
particolare le importanti reliquie di San Calogero e San Gerardo.
TROINA - MONASTERO S. MICHELE ARCANGELO -
"Reliquia S. Calogeri in reliquiario ex auricalco deaurato ac
laminibus argenteis exornato."149
VENEZIA - Nella chiesa dei Padri Riformati di San Bonaventura di
Venezia esisteva una reliquia di San Calogero: "S. Calogero eremita
di Sicilia, 18 giugno"150

Frazzanò, Antica statua di San Calogero


                                                                                                                       
148
A. Pettignano e S. Ruggieri, S. Calogero, Storia del culto a San Salvatore
di Fitalia e nella valle del fiume Fitalia, Edizione Nebros 1984, San Salvatore
di Fitalia.
149
Giovanni A. de' Ciocchis, Sacrae Regiae Visitationis per Siciliam Acta
Decretaque Omnia ..., Vol. 2, p. 445.
150
CATALOGO Delle Sacre RELIQUIE Che si venerano nella Chiesa dei
RR. P.P Riformati DI S. BONAVENTURA DI VENEZIA Nell'Oratorio
detto la Capella Santa, Disposte per ordine di tutti i giorni dell'Anno", anno
MDCCC, p. 33, 88.
86  
 
IL CULTO A SAN CALOGERO
Il culto verso San Calogero, fiorentissimo quando gli arabi invasero la
Sicilia, sopravvisse alla loro dominazione e rifiorì sotto i Normanni,
per avere una maggiore affermazione nei secoli XV e XVI, legata,
come afferma Mons. De Gregorio, sia al rinnovamento apportato dal
Concilio di Trento, sia allo straordinario cumulo di disgrazie,
terremoti, pestilenze e carestie che afflissero il nostro popolo, durante
il quale si esperimentò in forma sensibile la protezione del Santo.
A Frazzanò e nel circondario, la devozione verso San Calogero,
s’incrementò grazie alla presenza dei Monaci Basiliani del convento
di San Nicola che con la venuta di Ruggero prese il nome di S. Filippo
di Fragalà, dove si conservava, oltre che alcuni affreschi, un quadro
del santo Taumaturgo.
"E' chiaro che l'esistenza del nome Calogero nella valle del Fitalia,
suppone un centro di culto del Santo di cui le persone portano il
nome. A nostro giudizio questa è una prova diretta ed incrollabile che
a San Filippo di Fragalà c'erano già le reliquie di San Calogero con
gli Inni di Sergio, del IX seolo".151
La prima testimonianza la troviamo nella diffusione del nome di
Calogero a partire dall'epoca bizantina: "Un nome che è stato sempre
diffuso nella zona attorno a S. Salvatore di Fitalia è quello di
Calogero. Nell'elenco dei villani di Naso, a prima vista, questo nome
sembra essere assente. Non ci sentiamo però di escludere che esso
possa essere presente nella voce Kalàuros (o Calàuros). Infatti, nel
rigo 2, ricorre un Vasilios Kalauros, dove il primo termine è
certamente il nome personale corrispondente a Basilio, mentre il
secondo termine potrebbe avere valore aggettivale, per noi di incerto
significato. Ma, nel rigo 6, ricorre un altro Vasilis, tu calauru e, nel
rigo 9, c'è un Nichiforus tu valauru: in ambedue i casi, il tu calauru ci
sembra significhi figlio dicalauru. Ora, se il termine calaurusdeve
intendersi come nome proprio di persona, potrebbe avere anche qui
una delle tante forme che assumeva, in quei tempi e in queste zone, il
nome Calogero. Esso infatti, in questa stessa nostra èlatea, appare in
ben 6 forme diverse (e vicine tra loro).
                                                                                                                       
151
Antonello Pettignano, Il culto dei Santi a Fragalà, Frazzanò 2000, p. 19.
87  
 
Nell'elenco dei villani di Fitalia, troviamo un Kalokuri iòs aptu, da
intendersi Calogero figlio di lui (cioè del personaggio che lo precede
nell'elenco). Nello stesso elenco, nel rigo 27, ricorre un vasilis tu
caòoiuri e, più oltre, nello stesso rigo, troviamo un Leon tu caòogeru.
Lo stesso nome ritorna, nell'elenco dei villani di Panagia: nel rigo 31,
sotto la forma Kaòoiuris; nel rigo 35, come caloiuri; nel rigo 37,
come calokuris."152
Nei documenti dell'Archivio Capitolare di Patti, notiamo che, tra il
1131 e il 1148, i nomi più frequenti fra i villani dell’abazia sono:
Nicola, Leone, Filippo, Vasili e Calogero, nomi dei Santi presenti
nella nostra zona verso i quali ancora oggi c'è molta devozione.
Il “casale Sancti Galogeri” è documentato per la prima volta tra i beni
del monastero di San Filippo di Agira nella Bolla Papale di Adriano
IV del 1158, riconfermato in quella di Alessandro III del 1173.153
Nella donazione al Monastero di Fragalà di S. Anastasia di Mistretta
fatta da Matteo de Creun, figura come testimone un certo Calociru.154
Ciò dimostra che già all’epoca esisteva una grande devozione verso il
Santo e le sue reliquie erano custodite nel Monastero di S. Filippo di
Fragalà.
Papa Clemente VIII (1592-1605) concesse che la festa venisse
celebrata il 18 giugno in tutto il Regno di Sicilia, con l’inserimento del
nome e della festa del Santo nel Martirologio Romano. L’ufficio di
San Calogero, di rito doppio, fu compilato nel 1598 e stampato a
Palermo nel 1610.
Benchè nero e di aspetto scuro nell'Agrigentino, in certe zone del
Nisseno, del Palermitano e nell'area dei Nebrodi, San Calogero è
tenuto in somma considerazione, al punto da appannare l'immagine
dello stesso Patrono, laddove non è lui, come si verifica a San
Gerlando di Agrigento, a Frazzanò, a Sciacca (compatrono), a Petralia
Sottana (compatrono), etc.

                                                                                                                       
152
A. Sidoti - R. Magistri, La Diocesi di Patti vol. II. Il vescovato di Lipari-
Patti nella monarchia normanna, patti 2007, p. 18-19.
153
A. Messina, Le chiese rupestri del Val Demone e del Val di Mazara, Ist.
siciliano di studi bizantini e neoellenici "Bruno Lavagnini", 2001, p. 56.
154
Giuseppe SPATA, Le Pergamene Greche esistenti nel Grande Archivio di
Palermo tradotte ed ..., p. 256-259.
88  
 
Calogero nei primi tempi della sua permanenza in Sicilia viaggiò
seguendo la via del mare, da Lipari al Lilibeo, toccando Palermo,
Termini e Alunzio.
Durante il suo peregrinare apostolico per la Sicilia segue anche le
direttrici interne, cioè le strade che dalla costa settentrionale portano
alla costa meridionale; infatti partendo da Alunzio-Demenna si arriva
a Troina e, passando da Nicosia, Enna, Caltanissetta e Canicattì si
arriva ad Agrigento.
La fama di Calogero si sparse per tutta la Sicilia, e all’inizio del terzo
millennio, è ancora molto amato nell’Isola e venerato in più di 150
comuni, nei quali gli sono dedicati chiese, altari, vie o contrade. In
tanti altri ritroviamo la devozione nei suoi confronti se pur in maniera
sporadica.

Frazzanò, Reliquiario San Calogero e San Lorenzo

89  
 
DEVOZIONE A SAN CALOGERO A
FRAZZANÒ
Frazzanò, grazie ai frati del Monastero di S. Filippo di Fragalà,
mantenne sempre il culto per S. Calogero sia nel Monastero di
Fragalà, sia nella chiesa Madre del paese.
La chiesa Madre di Frazzanò ebbe molte vicissitudini che cerchiamo
di descrivere brevemente.
Fu costruita nel 1100 circa dalla Regina Adelasia come scrive il
Monsù: "Priacchè dell'innalzamento della Chiesa farò cenno, e
d'uopo far consapevole un tratto storico. Adelasia vedova del Re
Guglielmo sposò il Re Baldovino di Tunisi (n. Fr. Gerusalemme) il
quale, perché non cattolico se ne godeva d'altra donna, e finalmente
sposolla per essere ricca di denaro. Intanto commorando per lo
spazio di due anni, e non se n'era accorta che teneva altra donna,
tempo di scoprirne l'Adelasia l'inganno fatto, dolente, venuta a
conoscenza perché cristianissima, si rivolge con Maria, che se avesse
l'aggio a fuggirne n'edificava una Chiesa alla medesima dicata, ed
altra alla Madre Sant'Anna, e con ragionamento votando; fù voler
divino, che Baldovino, non sò per quale avvenimento s'allontanò dalla
sede, e così ebbe l'occasione di fuggirne, e ciò l'eseguiva, dove
occorreva farne il disbarco. Incontrato l'intento d'essere assente il Re
s'invia per la Sicilia, ed a caso pervenuta nel quato della spiaggia di
Capo d'Orlando, stante la tempesta del mare, mentre dessa
s'incamminava per Palermo. E siccome fù d'uopo disbarcarsi in quel
porto, sapendo di trovarsi non lungi dalle nostre contrade vaI quanto
dire del Monastero di San Filippo di Fragalà, dove la medesima più
fiate avea commorato, volle con Eleazaro suo confederato, ed altri, ivi
condursi per ringraziare Iddio, la Vergine Maria e San Filippo pel
beneficio ricevuto, ed essendo di transito dal nostro suolo osserva
pria d'introdursi un piolo di terra a gelseti, ed ordinò ad Eleazaro di
edificarne la Chiesa di Santa Maria, la quale poi si disse Annunziata,
come detegete altrove, e dotolla, e ne fece Diploma Guglielmo suo
figlio..."155

                                                                                                                       
155
Monsù, manoscritto.
90  
 
Questa chiesa fu assoggettata a quella di Santa Maria Maddalena di
Giosafat di Messina dello stesso ordine Benedettino, come Gancia.
Accanto furono costruite delle piccole celle dove alloggiavano i
pellegrini di passaggio che si recavano in pellegrinaggio a
Gerusalemme; qui si rifocillavano e si riposavano prima di continuare
il cammino.
Essa rimase attiva e a servizio dei pellegrini per molto tempo, fino al
1500.
Venuti meno i pellegrini, essa cadde in rovina a causa di terremoti,
pestilenze ed epidemie.
In essa vi era anche un altare dedicato a San Calogero con alcune sue
reliquie.
"Venuti meno per l'appresso i viandanti, e specialmente le donne non
più seguirono tale devozione, stante la corruttela dei popoli. Pertanto
fù distrutta la Chiesa, e le celle, causati da terremoti, che allo spesso
la Sicilia n'era abbattuta; e molto più dall'epidemie, e peste,
minorando i popoli. Si osservavano nel così detto piano della Chiesa,
a pian terreno delle muraglie delle celle fino dai nostri antichi. "156
Nel 1512 la chiesa fu ingrandita e in essa i Frazzanesi costruirono un
altare dedicato a San Calogero: "La Chiesa di Santa Maria nel nostro
suolo, era governata da sacerdote secolare ma soggetta ai monaci. Si
congettura esistervi il tempio di San Nicolò Santo greco, e non fù
soggetto ai Basilisti, il quale certamente fu edificato dai greci latini ed
avanti fiorirono a detta epoca, esercitandosi i frazzanesi nell'opere di
cristiana pietà. Il dritto parrocchiale però si sostenne nella Chiesa di
Santa Maria, che poscia si nomò Maria Assunta. Accresciuti gli
abitanti ingrandirono il tempio, e ne edificarono degl'altari, e fra essi
quello di San Calogero al 1512 e di San Giacomo Apostolo sin ai
tempi Aragonesi al 1200."157
Il Terremoto del 1570 che colpì tutta la Sicilia causando molti danni
alle persone e agli edifici, distrusse completamente la chiesa.
I fazzanesi elevarono ferventi preghiere alla Madonna Annunziata
perchè li liberasse dal terribile flagello; la Madonna li esaudì; essi
allora le promisero di riedificarne la chiesa e la proclamarono Patrona

                                                                                                                       
156
Monsù, manoscritto.
157
Monsù, op. cit., f. 34.
91  
 
Principale del paese; fondarono in essa anche una Confraternita sotto
il titolo di Maria SS. Annunziata. "Alcuni anni dopo, nel 1575, il
paese fu colpito dalla peste e di nuovo gli abitanti pregarono la
Madonna promettendole la realizzazione di una statua in marmo
bianco. "Al 1575 poi nuovo castigo impose Iddio, stante in nuove
perversità incorsero i popoli tutti, scoppia desolante peste, che
orgogliosa trionfava portando gran terrore, spavento, e lutto, non
osservandosi ordine consueto, famiglie deperse, i padri piangevano i
loro figli, i sposi alle spose, le sorelle ai fratelli, l'amico all'amico, in
somma vi era la desolazione, vedi storia dei tempi.
Tra questo mentre implorano ajuto, e misericordia da Dio con le mani
giunti, e rivolti a Maria ed al suo patrocinio, con promessa di alzarne
simulacro di essa, e per la seconda fiata Iddio ne usò misericordia e
pietà."
Come segno di riconoscenza fecero realizzare la bellissima statua in
marmo dal Gagini di Palermo.
Per circa 100 anni il paese visse in serenità, ma nel 1652 un altro
terremoto, la distrusse di nuovo e rimase inutilizzata per diversi anni:
" Il nostro suolo sembra d'essere abbattuto dai terremoti e peste, ed al
1652 grave minaccia ebbe dal terremoto la Chiesa Madre dicata
all'Assunta, e proseguendo, la resero inutilizata essendo distrutta al
1695."158
L'Arcivescovo di Messina, Antonino Lombardo, il 25 Luglio 1695 nel
corso della Visita Pastorale, ordinò all'arciprete del tempo, Don
Antonio Castrovinci, di trasferire la Matricità alla chiesa di S. Nicolò,
riedificata nel nuovo centro abitato e dedicata a San Lorenzo; ma i
confrati di San Lorenzo si opposero. Il Vescovo li convinse e la chiesa
di San Lorenzo divenne chiesa Madre fino alla riedificazione della
Matrice. In quell’occasione il Vescovo ordinò "poichè nel decorso di
Sacra Visita avevano trovato che con gran devozione li persone di
detta terra venerano le reliquie di San Calogero e per non mancare a
tale devozione, concediamo che possono di qua innanzi celebrare la
festa di detto glorioso Santo a 19 giugno per ogn'anno, e così
successivamente, che nel giorno del glorioso San Lorenzo al quale
professano anche tanta devozione, ed in quella di San Calogero,

                                                                                                                       
158
Monsù, op. cit. manoscritto. f. 39.
92  
 
possono le dette reliquie condursi una insieme per comune, e più
devozione e così successivamente sotto pena di scomunica... Dato a
San Marco il 14 aprile 1594. Antonino Arcivescovo."159 "Facendo
pria la ricognizione delle reliquie osservò, che quelli di S. Lorenzo
trovarsi di color olivastro, e quelle di S. Calogero colore bianchi e
assegnò la festa di quest’ultimo a 19 Giugno."160
Alcuni giorni dopo l'Arciprete di Frazzanò Don Antonino Castrovinci,
mise le reliquie dei due Santi in una cassa d'argento, tenuta nella
chiesa Madre per riporre il Sacramento nel Sepolcro il Giovedì Santo
e da allora rimase custodita nella chiesa di San Lorenzo.
Nel paese vi fu ampia discussione su dove ricostruire la che Madre:
alcuni la volevano ricostruire nello stesso posto, ma altri vollero
edificarla nel nuovo sito che stava nascendo, ma che allora era fuori
del centro abitato. Alla fine la questione fu risolta dall'Arcivescovo di
Messina il quale decise che si doveva edificare fuori del vecchio
centro e fu costruita nel nuovo sito; nel 1698 fu terminata la
costruzione; la chiesa fu intitolata alla Madonna Annunziata; per la
sua costruzione contribuirono il popolo, l'Arcivescovo di Messina e il
Barone Salerno: " ...lettere decisive a 17 Febbrajo 1697 furono
emanate dall'Arcivescovo, con patto, che circondassero di caseggiati
la medesima Chiesa, per come avvenne, e continui furono l'inchieste
per la riedificazione della distrutta Chiesa Madre, che a nulla
giovarono il Barone Salerno n'ebbe delle premure, e devoti, a ciò al
più presto compirsi con più grandezza quella dell'Annunciata, non
poco sborsando i medesimi del suo avere."161
Nella nuova chiesa venne costruito anche un altare dedicato a San
Calogero e fu realizzata una sua statua: " Suo Simulacro esiste dal
1700 circa, ed ha legato a 18 Giugno fatto dal Sac. Don Domenico
Allò per Notaro Amato in Capri, a Mirto lì 20 Aprile 1758 ed altro
lasciato da Giovanne Dipane Zito a 8 Agosto con festa di precetto,
per notar Antonino Castrovinci lì 1845 ed altri legati."162

                                                                                                                       
159
Monsù, op. cit. manoscritto. f. 38.
160
Scrittura nella Chiesa di S.Lor.o. Monsù, op. cit., f. 294..
161
Monsù, op. cit. f. 41
162
Monsù, op. cit. f. 47.
93  
 
Nel 1698, con il contributo dell'Arcivescovo e del Barone Salerno, fu
terminata la ricostruzione della chiesa Madre, intitolata
dell'Annunziata, dove venne costruito un altare e realizzata una statua
del Santo: " Suo Simulacro esiste dal 1700 circa, ed ha legato a 18
Giugno fatto dal Sac. Don Domenico Allò per Notaro Amato in Capri,
a Mirto lì 20 Aprile 1758 ed altro lasciato da Giovanne Dipane Zito a
8 Agosto con festa di precetto, per notar Antonino Castrovinci lì 1845
ed altri legati."163
In occasione della festa, la cassetta reliquiario, che era custodita nella
chiesa di San Lorenzo, veniva consegnata alla chiesa Madre e al
termine restituita.
Verso la fine del XVII secolo sorsero alcune questioni, in quanto la
Commissione di S. Lorenzo non volle dare le reliquie per la festa.
Solo il 20 marzo 1706 si stabilì ufficialmente che la chiesa di San
Lorenzo si impegnava a dare la cassa delle reliquie alla chiesa Madre
per celebrare la festa, che in quegli anni avveniva l'11 di agosto: "Pur
ancora nella festa di San Calogero, che si suole celebrare a 11
agosto, suole finire processione e clero dalla detta luogotenente di
Matrice e si conferisce in detta chiesa di S. Lorenzo dove si apre al
solito il santuario e prendesi il scrigno delle sante Reliquie di quel
Santo e processionalmente si portano in detta chiesa della SS.ma
Annunciata, dove si tengono tutto detto giorno e la sera doppo il
secondo vespero ritornano processionalmente in santo Lorenzo, et in
quella s'espongono e si dona la pace al clero, officiali, compagnie,
gentilomini e popolo, e doppo si conservano in detto santuario
annualmente, le quali consuetudini, giurisdizioni, preeminenze et
honori di sopra espressati in omnibus et per omnia si habbia
relazione..."164
Il 7 dicembre 1735, mercoledì e vigilia della festa della Immacolata
Concezione, verso le ore 23 un terribile fulmine si abbattè sulla chiesa
Madre distruggendo mezza guglia del campanile, la statua di San
Pietro sulla facciata. All’interno il quadro delle anime del Purgatorio
con tutta la cornice e il quadro di San Calogero del 1560. Inoltre

                                                                                                                       
163
Monsù, op. cit. f. 47.
164
Pirrotti Shara, Il monastero di San Filippo di Fragalà, secoli XVI-XXI, ...
Messina 2012, P. 173.
94  
 
"Fracassò due occhialoni nella cappella di S. Calogero con gettare a
terra il tondo del tilaro di legno di uno di essi."165.
Miracolosamente, nessuno dei presenti in chiesa fu colpito dal fulmine
e si gridò al miracolo. Il giorno dopo, la festa fu celebrata con
solennità come ringraziamento alla Madonna.
Le cappelle furono ricostruite compresa quella di S. Calogero dove
furono collocati il suo altare e la statua, decidendo di celebrarne la
festa l'otto di Agosto.
Poichè a San Salvatore di Fitalia si celebrava il 20 agosto, i Fitalesi
protestarono adducendo il fatto che il 20 agosto sarebbero venute a
San Salvatore meno persone e ricorsero al Vescovo di Messina. Questi
sembrò favorirli, ma poi tutto si placò e la festa rimase il giorno 8 di
Agosto accanto alla festa di San Lorenzo:" Ha 7 Piedi di ulivi, e censi
possessi dall'Annunciata, e fondo d'olivi, ed altro contrata Perna per
farne sollenne festa nel dì 8 segnato, nei prischi tempi si sollennizzava
a 19 Giugno indi a 11 Agosto, oggi soppresso dal Demanio e ne dona
parte. Molte contese vi furono con l'abitato San Salvatore per questa
nuova festa 8 Agosto adducendo venir meno il concorso a 20 Agosto,
ivi sollennizzato, il Vescovo sembrò favorirli, ma poscia, tacquero."166
In un documento del 1706 così leggiamo: "Pur ancora nella festa del
glorioso San Calogero, che si suole celebrare a 11 agosto, suole finire
processione e clero dalla detta luogotenente di Matrice e si conferisce
in detta chiesa di San Lorenzo dove si apre al solito il santuario e
prendesi il scrigno delle sante reliquie di quel Santo e
processionalmente si portano in detta chiesa della SS.ma Annunciata,
dove si tengono tutto detto giorno e la sera doppo il secondo Vespro
ritornano processionalmente in santo Lorenzo, et in quella si
espongono e si dona la pace al clero, ufficiali, compagnie, gentilomini
e popolo, e doppo si conservano in detto santuario annualmente, le
quali consuetudini, giurisdizioni, preminenze et honori di sopra
espressati.167

                                                                                                                       
165
Archivio Parrocchiale chiesa Madre di Frazzanò.
166
Monsù, op. cit. f. 48.
167
Shara Pirrotti, Il Monastero di San Filippo di Fragalà secoli XVI-XVII,
Messina 2012, p. 49, 173.
95  
 
Il Quadro di S. Calogero era posto sull'altare dove oggi è posta Maria
Ausiliatrice.
Nel 1924, per voto, la signora Maria Papa Velardi residente in
America, commissionò una nuova statua lignea di San Calogero che
fu realizzata dalla ditta Malacore di Lecce e che oggi si trova nel
magazzino della canonica.
Quando si decise di comprare la nuova statua del Santo, i frazzanesi,
venuti a conoscenza che anche gli abitanti di Galati Mamertino
volevano acquistare la statua di S. Giacomo, le ordinarono insieme. La
ditta li spedì con un unico corriere, il quale lasciò il primo plico a
Frazzanò e portò l'altro a Galati. A quei tempi non c'era ancora la
strada carrozzabile e quindi le statue arrivarono a dorso di due muli. I
frazzanesi allora organizzarono una festa e aprirono l'involucro.
Grande fu la sorpresa quando si accorsero che il Santo era di
carnagione chiara, e quelli di Galati, invece, si accorsero che San
Giacomo era di carnagione scura. I Frazzanesi lo tennero così,
facendosi portare la cerva da Galati, mentre i galatesi gli sbiancarono
il volto.
Il Vescovo della Diocesi di Patti, Mons. Mantiero, sentiva una viva
venerazione verso S. Calogero, infatti il 21 aprile 1937, reduce della
Sacra visita compiuta a Longi, arrivato a Frazzanò, si recò nella chiesa
Madre sostando alcuni minuti davanti all'altare del Santo.
Nel 1935 circa, l'arciprete Giammò in cornu evangelii collocò il
quadro di S. Calogero al posto di quello della SS. Trinità, trasportando
questo nell'altare del Santo. La statua veniva posta dietro il quadro ed
esposta sola il giorno della festa.
Verso il 1974 fu realizzata l'attuale statua in cartapesta.
Anche nella chiesa di San Lorenzo, era presente l'immagine di San
Calogero.
"Chiesa San Lorenzo. San Calogero sin dal 1751 alzato, ed ha suoi
legati; esiste sua lettura di atto patronale casa Sortino (Oggi si trova
in questo altare la statua di S. Antonio abate). Undici altari oltre il
maggiore vi esistono, ed il primo in cornu Evangelii è del corpo di
San Lorenzo, e San Calogero sin dal 1751 alzato, ed ha suoi legati;
esiste sua lettura di atto patronale casa Sortino."168

                                                                                                                       
168
Monsù, op. cit., f. 54.
96  
 
Quando nel 1681 fu costruita la Custodia di San Lorenzo, le reliquie
dei due Santi furono trasferiti sotto l'altare e al loro posto collocata la
statua di S. Antonio Abate.
Anche nella chiesa di San Rocco, sita vicino alla chiesa Madre e
demolita per realizzare la strada, vi era un altare dedicato a San
Calogero: "Chiesa di S. Rocco: onze 2 a mastro Ignazio Cicero per
sua mastria per aver acconciato i tabernacoli di S. Calogero e S.
Antonio di Padova esistenti nella chiesa di San Rocco".169

                                                                                                                       
169
Archivio chiesa Madre Frazzanò.
97  
 
DEVOZIONE A SAN CALOGERO
NEI PAESI DI SICILIA
San Calogero è venerato come santo dalla Chiesa cattolica e da quella
Ortodossa, patrono di molti paesi della Sicilia, è presente nell'Isola in
più di cento paesi e anche in alcuni comuni Italiani. Sarebbe lungo
riferire tutti i luoghi dove è venerato San Calogero. Ricordo soltanto
che le sue reliquie sono presenti in molti luoghi dell'Isola, ma anche in
alcuni paesi dell'Italia.
Nell'Isola di Sicilia San Calogero è presente in moltissimi paesi che
qui elenchiamo, scusandoci se qualcuno l'abbiamo dimenticato.

DIOCESI DI PATTI
ALCARA LI FUSI - In questo paese non vi sono statue e quadri di
San Calogero, ma gli Alcaresi sono molto devoti al Santo e ogni anno
molti fanno il pellegrinaggio al Santuario di San Calogero a San
Salvatore di Fitalia.
San Calogero e San Filippo d'Agira compaiono insieme nell'Arca
Reliquiario che custodisce le spoglie mortali di San Nicolò Politi della
chiesa Madre di Alcara li Fusi, opera di Paolo Guarna della seconda
metà del 1581 secolo.170
CAPO D'ORLANDO - "La devozione a San Calogero era
testimoniata da un piccolo quadro di San Calogero esposto nel
Santuario della Madonna di Porto Salvo a Capo d'Orlando, rimosso
dopo i recenti restauri."171
Oggi la città non pratica un culto ufficiale verso il Santo, ma il 20
agosto molti fedeli si recano a San Salvatore di Fitalia per soddisfare
un voto e rendere omaggio al Santo.
CAPRILEONE Alla Parrocchia Maria Ss. del Rosario nella -
frazione Rocca, del comune di Capri Leone appartengono molti fedeli

                                                                                                                       
170
Accascina Maria, Oreficeria di Sicilia dal XII al XIX secolo, Palermo
1974, p. 214.
171
Antonello Pettignano, Salvatore Ruggeri, San Calogero, Ed. Nebros, 1984,
p. 91.
98  
 
originari di S. Salvatore di Fitalia molto devoti al Santo. Nel 2012
l'Arciprete Don Gaetano Vicario ha commissionato all’artista Mario
Valenti di Caprileone una statua di San Calogero in tela colla e allo
stesso venne intitolata una via. Il 20 agosto molti fedeli si recano a
San Salvatore di Fitalia per soddisfare un voto e rendere omaggio al
Santo.
CARONIA Nella chiesa Madre la Statua di San Calogero in -
cartapesta dipinta, autore Ignoto Siciliano, cm. 175 - 67, sec. XIX.172
proviene dalla chiesa di S. Biagio. Verso il 1950 fu posta in un
magazzino e nel 2015, per impegno dell'arciprete Antonio Cipriano,
dopo il restauro, fu esposta per la pubblica venerazione.173
Oggi la città non pratica un culto ufficiale verso il Santo, ma il 20
agosto molti fedeli si recano a San Salvatore di Fitalia per soddisfare
un voto e rendere omaggio al Santo.

                                                                                                                       
172
Grazie a P. Basilio Scalisi, responsabile arte Sacra della Diocesi di Patti.
173
notizie fornite da Padre Antonio Cipriano.
99  
 
CESARO' - La chiesa di San Calogero fu costruita nel XVI secolo;
la statua lignea del Santo fu realizzata da una Bottega siciliana nel
XIX sec. Nel 1623 la chiesa fu affidata ai frati minori che accanto
fecero costruire un piccolo convento.
In questa chiesa fu costituita la Confraternita di San Calogero,
riconosciuta nel 2012 dal Vescovo Ignazio Zambito, la quale è
impegnata in diverse iniziative non soltanto religiose, ma che mirano
a conservare le tradizioni religiose locali; infatti nel 2017, grazie alle
generose offerte raccolte negl’anni, i confrati impegnarono circa 6000
euro, per il recupero delle effigie del Santo patrono.
I cesaresi festeggiano San Calogero due volte l'anno: il 18 giugno,
festa liturgica e il 21 agosto, data convenzionalmente scelta in segno
di ringraziamento per l'avvenuta raccolta granaria (essendo l'economia
del paese, specialmente nel passato, del tutto basata sull'agricoltura e
la pastorizia).
I momenti più caratteristici della festa sono la cursa di carusi, la
questua e a pisata. La cursa di carusi, consiste nel fatto che, durante
la processione del Santo, in un ampio tratto della via Regina Elena, al
grido “Sutta i carusi” i giovani si riuniscono e trascinano, con una
entusiasmante corsa, la Vara, tenendo i lunghi cordoni, mentre tra i
fedeli, raccolti lungo i lati, partono applausi e grida: “Viva San
Caloriu!”. Questo avviene come ricordo del fatto che è stato un bimbo
a portare la reliquia nel paese.
Durante la questua il comitato gira tutte le case del paese
accompagnato dalla banda musicale per ritirare le offerte dei fedeli al
Santo.
"A pisata" avviene per lo più durante i festeggiamenti di agosto.
Anticamente ogni coppia di sposi novelli, prometteva a san Calogero
un'offerta in grano, equivalente al peso del primo maschietto. I
genitori avvisavano la Commissione, la quale fissava un orario e,
accompagnata dalla banda musicale, si recava presso le abitazioni dei
bimbi da "pesare". Tutto il vicinato era pronto ad assistere
raggruppandosi attorno all'abitazione. Un addetto della Commissione,
detto "capo-pesate", predisponeva l'apposita bilancia a bilico, dove su
un piatto si adagiava il bimbo e sull'altro il sacco col frumento. Il peso
del frumento risultava sempre superiore a quello del bimbo; il trucco,
da tutti conosciuto ed accettato, messo in opera dal "capo-pesate",
100  
 
consisteva nel mettere il suo piede sul piatto del bimbo così che questo
non si alzasse. Quando il peso del frumento raddoppiava, rispetto a
quello del bimbo, allora toglieva il piede ed esclamava:"Auguri e
salute, di buon peso"! Tutti i presenti applaudivano mentre la banda
intonava un motivo trionfale. Il rito si ripeteva per ogni bimbo da
"pesare"!
Il momento culminante della festa è la processione. Sulla Vara,
addobbata con spighe di grano intrecciate, e tra gli Evvai!, l’antica
immagine lignea del Patrono viene condotta per le vie del paese
ricevendo ad ogni passo un’offerta, un’invocazione, un bacio.

Cesarò, processione San Calogero

101  
 
Cesarò, la pesata del Bambino

Cesarò, Reliquia San Calogero


102  
 
Cesarò, San Calogero

103  
 
FRAZZANO' - A Frazzanò la statua di San Calogero viene
rappresentata di colore chiaro. Si solennizza l’8 agosto "Indi vi è
l’altare di San Calogero sin dal 1653 trovandosi altro dal 1570 esiste
suo Simulacro sin dal 1700 circa di cui esiste porzione del suo sacrato
corpo dall’anno 1594 avuti negl’antichi tempi, si faceva la festa a 11
Agosto poscia a 19 e quindi a 18 Giugno e poscia a 8 Agosto con festa
di precetto dal 1838 avuto principio. Poichè nel comune del Ss.mo
Salvatore solennizano a 20 Agosto la festa di detto Santo furono di
gran opposizione a solennizzarsi in Frazzanò in detto dì e gravi
furono le contese di andare vieni, ordini dal Vescovo Diocesano, che
finalmente dopo aver ottenuto da Roma di solennizarsi in Frazzanò
con messa di precetto ed officio di detto dì, non se ne parlò più; la
dispensa ottenuta fù nel 1836."174 Il 14 luglio 1836, infatti, la chiesa
Madre di Frazzanò ebbe l'autorizzazione Pontificia per celebrare la
festa di San Calogero l'8 agosto di ogni anno.175
A Frazzanò, nella chiesa Maria SS. Annunziata vi sono tre statue di
San Calogero:
- Una di autore ignoto ambito siciliano, legno scolpito e intagliato, cm.
170 - 80 - 60, proprietà Parrocchia Maria SS. Assunta Frazzanò, è
custodita nel deposito.
- La seconda in cartapesta, di autore Ignoto, comprata verso il 1974
dalla ditta Malecore di Lecce, è custodita nel deposito.
- La terza in cartapesta, posta sul suo altare a sinistra dell'altare
maggiore, autore ignoto, secolo XX.176
San Calogero, co-protettore di Frazzanò, viene festeggiato l'otto
agosto, in concomitanza della festa di San Lorenzo che si celebra il 10
agosto.
La sera della vigilia il clero con il popolo si reca nella chiesa di San
Lorenzo per prelevare le reliquie di San Calogero e in processione
vengono portate nella chiesa Madre.
                                                                                                                       
174
Monsù, op. cit., f. 273.
175
Monsù, I meriti della santità impegnati al culto di San Lorenzo...,
manoscritto
176
Notizia fornita dall'incaricato dell'arte della diocesi di Patti, Don Basilio
Scalisi.
104  
 
Giorno otto, dopo la messa solenne, il Santo viene posto sulla stessa
vara di San Lorenzo e viene portata in processione per le vie del
paese.
La processione inizia facendo fare i cosiddetti "viaggi di San
Calogero"; il Santo percorre la via principale del paese facendo avanti
e indietro per nove volte perché tanti, a detta degli anziani e da molti
storici tra cui Francesco Terrizzi, sono i viaggi che S. Calogero fece
da e per Fragalà durante la sua peregrinazione in Sicilia.
Nelle arcate della "vara" vi sono attaccate diverse piccole campanelle
d'argento e anche al bastone sono attaccate delle campanelle. Questo
come ricordo e ringraziamento per la liberazione dalla peste. Infatti il
bastone è come quello che portavano gli appestati e i lebbrosi per farsi
annunciare della loro presenza. Una ulteriore testimonianza di come il
culto di San Calogero si sia diffuso in occasione di pestilenze e di vari
morbi di cui è speciale protettore. Le campanelle ricordano quando
san Calogero girava per i paesi per raccogliere il pane per gli appestati
o lebbrosi. suonando la campanella le persone si allontanavano per
non prendere la malattia e gli buttavano il pane dai balconi.
La sera, dopo la celebrazione della Santa Messa, le Reliquie vengono
riportate nella chiesa di San Lorenzo.
Nella stretta di Longi, nel territorio di Frazzanò, in un incantevole
gioco di luci e di colori ed il verde degli alberi si confonde con
l'azzurro del cielo, che si riflette nelle acque del fiume Fitalia, si
nascondono angoli segreti dove il sacro ed il profano, come la grotta
di San Calogero, eremo del santo omonimo e quella del Ficherazzo o
del diavolo, ricovero di pastori e armenti, si fondono in una
incantevole e fatata atmosfera.
Anche nelle vicinanze della contrada Durusù vi è un podere chiamato
"locu di San Caloiru".
GALATI MAMERTINO - La devozione a S. Calogero a Galati
Mamertino è molto sentita, anche se i devoti sono legati al Santo
venerato a San Salvatore di Fitalia; questa devozione aumentò negli
anni 50 quando fu realizzata la statua del Santo. Grande è la
devozione degli abitanti tanto da intitolare una via e una piazza al
Santo, rispettivamente “Via San Calogero e Largo San Calogero”.
La statua di San Calogero è custodita nella chiesa di S. Caterina. La
festa viene celebrata ogni anno la seconda domenica di settembre
105  
 
assieme alla Madonna del Carmine e assume grande importanza anche
come occasione di ringraziamento al Signore per le feste d'agosto
appena trascorse, che vedono i tre Santi come soggetti principali.
Una lapide posta nella cappella del santo, sita nella chiesa di S.
Caterina testimonia che una coppia di devoti donarono una statua in
cartapesta e l’altare in marmo, che sostituirono la cantoria e l’organo a
canne dei quali non si hanno che notizie. "I coniugi Saverio e Maria
Franchina, devoti a San Calogero. 22/12/1958".
Il simulacro viene portato in processione insieme alla Madonna del
Carmelo e S. Simone, nella seconda domenica di settembre, in quella
che localmente é chiamata "festa del ringraziamento".
La sera del sabato la statua della Madonna parte dalla chiesa Madre
verso quella di S. Caterina; da qui, la processione riprende, preceduta
dalla varetta di San Calogero, verso la chiesa del Rosario, dove si
unisce la statua di S. Simone. Nello spiazzale di S. Giacomo le statue
si affiancano ripetendo il rituale della festa dei tre Santi e quindi
rientrano nella chiesa Madre. La domenica, dopo la santa Messa, i
Santi vengono riportati nelle rispettive chiese.177

                                                                                                                       
177
Clara Ipsale, A. Pettignano, Religiosità Galatese, Messina 1986, p. 88-89.
106  
 
107  
 
MILITELLO ROSMARINO - La statua del Santo era posto
nella Chiesa Madre di Militello Rosmarino, sin dalla fine del secolo
XIX, periodo di realizzazione dell'immagine. Attualmente è posto
nella chiesa di S. Sebastiano, nel presbiterio, essa è di Bottega
siciliana, in legno intagliato, scolpito e dipinto, del formato di cm. 176
- 62 - 56.178
Il santo anacoreta è raffigurato in piedi con abiti monastici, mentre
con la mano destra benedice e con la sinistra sorregge un bastone. La
signora Rosalia Olivo riferiva che il simulacro arrivò a Militello
portato a spalla dalla Marina di Sant’Agata da fedeli locali, attraverso
la trazzera di San Leonardo. Il simulacro si caratterizza per la
naturalezza del volto e dei tratti anatomici. È stato restaurato negli

                                                                                                                       
178
Notizia fornita dall'incaricato dell'arte della diocesi di Patti.
108  
 
anni ’90 del secolo scorso dal prof. Anastasi, su committenza del
Comitato pro tempore di San Calogero.
A San Calogero è legata un antica vara, oggi in disuso, commissionata
dagli emigrati militellesi in America, nei primi anni del novecento.
Il culto a Militello Rosmarino affonda le origine alla fine del secolo
XIX. Veniva processionato la prima domenica di ottobre.
L'ultima processione per le vie del paese fu durante l'ultima edizione
della Fiera al Santo l'1 Ottobre 1967.
Dopo diversi anni, nel 1980, gli abitanti della contrada S. Piero, non
avendo chiesa e nemmeno statue di Santi, chiesero ed ottennero dal
Parroco Don Rosario Lo Cicero la possibilità di portare una statua
nella contrada per celebrare una festa. Vi fu allora un sorteggio tra S.
Sebastiano (voluto dai tortoriciani della contrada) e San Calogero,
patrono degli animali.
Vinse S. Calogero. Il Parroco fu consensiente e in quella contrada
viene celebrata la festa l'ultima domenica di luglio. Fino a pochi anni
addietro la statua del Santo veniva portata nella borgata la domenica
mattina e ritornava la sera.
Il nuovo parroco Don Calogero Oriti verso l'anno 2000 modificò, con
il consenso della commissione, l'itinerario: la domenica precedente
l'effigie del Santo viene portata nella contrada S. Piero e poi
accompagnata presso i locali dove regolarmente viene celebrata la
messa; qui rimane tutta la settimana per la celebrazione della novena.
Il giorno della festa dopo la S. Messa la processione percorre le vie
della contrada e poi rientrare nella sua chiesa.

109  
 
110  
 
MISTRETTA -
Anche Mistretta venera San Calogero custodendo
una statua in cartapesta del XIX sec., di Bottega Siciliana, modellata e
dipinta, cm. 165 - 74 - 60, proprietà della Parrocchia S. Lucia di
Mistretta.179 Nella chiesa dei SS. Cosma e Damiano, dalla quale
prende il nome l’intero quartiere, nel 1734, durante i lavori strutturali,
ai due altari esistenti (che oggi ospitano rispettivamente i due gruppi
lignei policromi del Crocifisso tra i SS. Cosma e Damiano della
seconda metà del XVIII secolo e la Sacra Famiglia del XIX secolo),
nella parete a destra, se ne aggiunse un terzo, che ospita la statua di
San Calogero.
"Rilevante è pure una statua di sproporzionate dimensioni dedicata
all'eremita Calogero dal volto bruno"180
A Mistretta inoltre vi era una chiesa rurale dedicata a S. Calogero.
Nella relazione della Visita Pastorale del 1750 così si legge: "Fu
visitata dal sac. D. Gaspare... la chiesa di S. Calogero nella quale vi è
un solo altare con un quadro piccolo. E' in cura del sac. Don
Sebastiano Patti. Si ordina di imbiancare la chiesa. Questa chiesa ha
solamente onze 25 annuali di censo sopra alcune pecore lasciate dai
divoti per solennizzare la Festa. "
Nel 1884 la chiesa esisteva ancora e mensionata a proposito di una
nuova visita Pastorale. Sita sulla destra della salita detta "a trazzara di
S. Caloiru", che dall'inizio del paese, raggiungendo la contrada S.
Pantaleo; proseguendo per via Paolo Borsellino, via Giovanni Verga,
via Nazioni Unite e Viale Europa, giunge alla chiesa S. Calogero, oggi
rudere che non passa inosservato dato che tutti i passanti, ancora oggi
si fanno il segno della croce e recitano un Padre Nostro per devozione
verso S. Calogero. Più avanti si trova la "serra San Caloriu".181
NASO - Nella Chiesa SS. Salvatore si conserva una statua di S.
Calogero, di inizio XX sec. in legno intagliato, scolpito e dipinto, cm.
141 - 47 - 37. Sulla stessa, in basso a destra si legge: Giuseppe
Stuflesser, Ortisei.182
                                                                                                                       
179
Notizia fornita dall'incaricato dell'arte della diocesi di Patti.
180
Dino Porrazzo, Le ventidue chiese di Mistretta, in AA.VV., Ed.
Pungitopo, Marina di Patti, 1984, p. 100.
181
L. Lombardo, La devozione a San Calogero, Pungitopo, 2016, p. 69.
182
Notizia fornita dall'incaricato dell'arte della diocesi di Patti.
111  
 
Oggi la città non pratica un culto ufficiale verso il Santo, ma il 20
agosto molti fedeli si recano a San Salvatore di Fitalia per soddisfare
un voto e rendere omaggio al Santo.
PATTI - Nella chiesa del Convento dei Cappuccini vi è una statua
di S. Calogero.
La chiesa di S. Antonio fino a pochi anni addietro era frequentatissima
per la devozione alla Madonna di Pompei, a S. Antonio di Padova a
San Calogero e ad altri santi.183
Nella città non pratica un culto ufficiale verso il Santo, ma il 20 agosto
molti fedeli si recano a San Salvatore di Fitalia per soddisfare un voto
e rendere omaggio al Santo.

                                                                                                                       
183
R. Magistri, Patti, chiese scomparse e chiese rurali, Patti 2010, p. 84.
112  
 
PIRAINO - A Piraino vi è la Reliquia di San Calogero, portata
dall'Arciprete Calogero Musarra nel 2018.
Oggi il paese non pratica un culto ufficiale verso il Santo, ma il 20
agosto molti fedeli si recano a San Salvatore di Fitalia per soddisfare
un voto.
RACCUIA - Nella Chiesa S. Maria di Gesù, si trova un dipinto olio
su tela di San Calogero, XIX secolo, misura cm. 124 x 89.
Oggi in questo paese non vi è un culto ufficiale verso il Santo, ma il
20 agosto molte fedeli si recano a San Salvatore di Fitalia per
soddisfare un voto.

113  
 
SAN FRATELLO - Il dipinto di San Calogero, olio su tela, autore
ignoto, sec. XIX, cm 132 – 100, forse donato da un privato negli anni
40, un tempo presente nella Chiesa S. Maria oggi si trova nella
sagrestia della Chiesa del Convento.
Non esiste devozione particolare; i Sanfratellani devoti di San
Calogero ogni anno vanno a San Salvatore di Fitalia.

SAN MARCO D'ALUNZIO - La chiesa di S. Basilio,


probabilmente, sorge sui resti di un tempio pagano. Era grangia del
Monastero di Fragalà e in essa vivevano alcuni monaci Basiliani. Nel
1748 fu iniziata la costruzione della nuova chiesa e ultimata agli inizi
del XIX secolo.
Nel XVIII secolo in questa chiesa testimonianze orali, ci tramandano
che già nel XVIII sec. il 20 agosto veniva solennizzata la festa di S.
Calogero di cui fino al 1930 circa se ne conservava una tela.
114  
 
Nei tempi moderni la festa è stata soppressa, ma il 20 agosto molte
persone si recano a San Salvatore di Fitalia per soddisfare un voto.
SAN SALVATORE DI FITALIA - La festa di San Calogero a
S. Salvatore di Fitalia è uno l'appuntamento religioso più importante
per tutti gli abitanti del paese; fino a pochi anni addietro era anche il
momento per incontrare amici e conoscenti e anche per far sbocciare i
primi amori fra i giovani e concludere anche i fidanzamenti: "Le
ragazze incominciavano a curarsi di più e a truccarsi per la festa di
San Calogero, il 20 agosto, e portavano l'ombrello per non
abbronzarsi e differenziarsi da quelle di campagna con la pelle
bruciata dal sole. Ovviamente noi giovani eravamo affascinati dalla
vita e dalle ragazze del paese e ognuno faceva del suo meglio per
cambiare vita."184
E' anche una delle feste più sentite della provincia di Messina. Raduna
ogni anno migliaia di fedeli, provenienti da quasi tutti i paesi della
Diocesi di Patti che qui si recano, in pellegrinaggio, per onorare il
Santo Taumaturgo, sciogliere un voto, chiedere una grazia o ottenere
protezione.
IL CULTO: Il culto di San Calogero a San Salvatore è antichissimo
legato alla presenza delle sue reliquie nel Monastero di San Filippo di
Fragalà e all’opera di evangelizzazione dei monaci Basiliani; culto che
si andò sempre più incrementando al punto che gli abitanti di S.
Salvatore gli costruirono una cappella.
Le prime notizie documentate risalgono al 1537, quando Mons.
Albertini nel Sinodo da lui celebrato parla della cappella di S.
Calogero "aperta e piena di immondizie" e ordina al cappellano di
pulirla e tenerla in ordine. Questa cappella si trovava "presso l'odierno
piano San Calogero che oggi si trova all'inizio del centro abitato, lato
sud, ma nel XVII secolo era distante circa 500 metri dalla cinta
muraria dell'Oppidum."185
Nella relazione della Visita Pastorale del 1724 Mons. Galletti scrive
che ha visitato la chiesa di San Calogero, Patrono Principale del Paese
                                                                                                                       
184
Zumbino Santo, Manuale di sartoria artigianale moda maschile, Melzo
2017, p. XI.
185
Pettignano - Ruggeri, San Calogero, Ed. Nebros, San Salvatore di Fitalia
1984, p. 27.
115  
 
e nella cappella "ho venerato un'antichissima statua del santo patrono
e la sua reliquia, che è la parte del braccio".
La chiesa sita nel Piano S. Calogero, attaccata al convento, si presenta
col prospetto rivolto verso il Convento di Fragalà, secondo quanto
tramandato dai Frazzanesi e che il Santo, per fare i miracoli, doveva
guardare la sua casa e il suo sepolcro.
Da vari abitati dell'area Nebroidea, decine di migliaia di pellegrini,
che per esaudire un voto, sfidando il cocente sole di Agosto,
percorrendo anche a piedi, le impervie vie degli angoli più sperduti,
giungono al Santuario di San Calogero dove trovano la statua in legno,
cartapesta e stucco di autore ignoto della fine del XVI secolo, con
volto e mani nere.
"A proposito della caratteristica statua si ha questa leggenda: I
fratelli Catrini avevano messo insieme una sommetta, e trovandosi a
Catania, e dovendo attraversare boschi in mezzo ai quali potevano
essere assaliti e derubati, ebbero la felice idea, prima di ripigliare il
cammino, di presentarsi ad un fabbricante di statue religiose, al quale
manifestavano il proposito di volere modellata la statua di San
Calogero. Trattato e concluso l'affare i due fratelli, fidenti nella
protezione del miracoloso eremita, proseguirono il loro cammino. Lo
statuario si mise all'opera e tutto gli riusciva di suo gradimento; se
non che quando giunse alla modellazione della faccia, non ostante vi
mettesse tutta la sua maestria, non gli fu possibile potere averne una
soddisfacente modellazione. Del fatto, la sera, ne parlò alla moglie, la
quale gli disse: è possibile che dopo averne fatte tante non riesci a
modellare la faccia di San Calogero? Vai a riposare e il sonno ti sarà
consigliero. L'indomani, levatosi di buon mattino, lo statuario si recò
allo studio per mettersi all'opera; ma fu grande il suo stupore quando
vide che la faccia era stata meravigliosamente modellata da mano
maestra e invisibile. Portata la notizia alla moglie e con essa
soggiornando decisero, di comune accordo, di non più consegnare la
statua. Ritornati i fratelli Catrini, per rilevare la statua, fu loro detto
che non gliela potevano più consegnare. Avvenne però che lo
statuario e la moglie furono assaliti da disturbi da disturbi e dolori.
Nella mente dei due si delineò chiara la visione che quei disturbi e
dolori era il castigo che il miracoloso Santo infliggeva loro; e
senz'altro consegnarono la statua. Sborsato il prezzo pattuito, i
116  
 
fratelli Catrini, si allontanarono con il sacro carico. Giunti al paese
di Bronte, dov'erasi già sparsa la notizia del miracoloso avvenimento,
furono trattenuti da quella popolazione che reclamava la statua. I
Catrini, non potendo in alcun modo reagire, furono costretti a cedere.
Quando i Brontesi si videro padroni della statua, in parecchi,
cercarono di sollevarla per portarla in trionfo in una loro chiesa; ma
non ostante i loro erculei sforzi non riuscirono a poterla nè sollevare
nè spostare. Fatto chiamare l'Arciprete del luogo e raccontato il fatto,
lo pregarono di procedere al rito del caso. Eseguito il rito
ecclesiastico tentarono nuovamente rimuovere la statua che anche
questa volta rimaneva immobile, trattenuta da sovrumana invisibile
forza. Visto che vano era riuscito ogni tentativo, l'Arciprete diede
ordine ai Catrini di portare la statua alla sua destinazione. Fra lo
stupore e la commozione di quella moltitudine, i fratelli Catrini
s'impossessarono della statua e traboccanti di gioia s'allontanarono
lesti come se nessun peso gravasse sulle loro spalle.
Digiuni e senza bere, perchè nessuna provvista avevano seco, i due
fratelli si ridussero al bosco Fascio (oggi feudo Fascio Altamura),
dove estenuati per la fame e la sete non potendo più proseguire,
deposero la miracolosa statua. Riposatisi alquanto si misero in giro
con la speranza di trovare qualche casolare abitato ed ottenere quel
tanto bastevole a ridar loro la forza per potere proseguire. Fu in
questa ricerca disperata che uno dei due fratelli sentì odore, come di
pane fresco venire fuori da un grosso cerro. Chiamato il fratello, che
non tardò a ricevere la stessa sensazione, salì sull'albero, a metà del
quale trovò del vero pane fresco. Rifocillatisi alquanto, e dopo d'avere
ringraziato Iddio e San Calogero per la grazia, continuarono il
viaggio giungendo felicemente nella campagna di S. Salvatore dove,
avendo forte bisogno di bere, posarono la statua su di una roccia,
oggi denominata di San Calogero; si avvidero, con grande
meraviglia, che da sotto di essa veniva fuori dell'acqua che ancora
oggi esiste e si noma acqua di San Calogero.
Così ebbe fine il trasporto della meravigliosa statua del miracoloso
eremita Calogero che i cittadini di San Salvatore e un numero
stragrande venerano."186

                                                                                                                       
186
Scorza Antonino, Vita si San Calogero eremita, Palermo 1926, p. 31-33.
117  
 
IL CONVENTO: Il Convento annesso alla Chiesa eretto il 3
novembre 1615, fu fondato da Mons. Napoli che nella sua Relazione
ad Limina, scrive: "...nel paese di S. Salvatore c'è il convento dei
Conventuali, eretto in questo presente anno" e in quella del 1618
"...nel paese di S. Salvatore ...fu costruito il Convento dei Conventuali
dell'Ordine di San Francesco". La chiesa aveva sette altari, il
convento sei stanze e la rendita principale veniva dai Censi Bollati.
Prima dei monaci Conventuali, per alcuni anni dimorarono i frati
Cappuccini. 187
Il Pirri scrive che nella terra del Salvatore vi erano i Cappuccini fin
dal 1586, ma poi successero i conventuali188.
Mons. Vincenzo Napoli nella sua Relazione ad Limina del 1644
annota che il Convento dei Conventuali, dell'Ordine di San Francesco
"è molto esiguo", così come si legge anche nella Relazione di Mons.
Ludovico de los Cameros del 1654.
Il Cagliola189 nell'elenco dei conventi della Custodia di Messina cita
anche "Locum Sancti Salvatoris sub titulo S. Calogeri Confessoris".
In questo periodo, San Salvatore, vide fiorire nel convento Fra
Costantino cappuccino, il quale visse "con chiara luce di santità" e
tutta la provincia cappuccina "lo guardava come norma ed esempio di
Religiosità e di santità." 190
Verso il 1650 il Convento fu abbandonato dai frati Conventuali
affidato ai preti secolari. Mons. Ignazio D'Amico nel tentativo di
riaprirlo, apportò delle modifiche aiutato da un benestante del paese,
un certo Tommaso Alessandro, il quale lo ristrutturò e lo arricchì di
una sostanziosa dote.
Nella relazione ad Limina dell'anno 1666 leggiamo: "Inoltre mi sono
interessato a che, nell'estinto Convento dei Padri Conventuali di S.
                                                                                                                       
187
Vito Amico, Dizionario topografico della Sicilia, Volume 2 , p. 453: "Nota
il Pirri essere ivi stati i minori conventuali ai quali succedettero i cappuccini
sin dall'anno 1586 ma entrambi gli ordini non più sono attualmente ed è solo
in attività il monastero antichissimo di s. Bartolomeo di vergini benedettine
fondato sin dall'anno 1403 e soggetto a quel di Patti."
188
Rocco Pirri, Sicilia sacra disquisitionibus, et notitiis illustrata, Volume 2,
p. 796.
189
Filippo Cagliola, Almae Siciliensis provinciae..., Venezia 1644, p. 21.
190
Rocco Pirri, Sicilia sacra disquisitionibus, Volume 2, p. 796.
118  
 
Francesco, avendo prima ottenuto il permesso della Sacra
Congregazione, aiutandomi specialmente in quest'opera un uomo
ricchissimo dello stesso paese, e di giorno in giorno se ne aspetta il
compimento con l'arrivo dei Padri."
Mons. Migliaccio nella visita ad Limina del 1695 così scrive: "Oltre le
altre chiese ...c'e ne è una sotto il titolo di S. Calogero che è assistita
solamente da tre frati di S. Francesco di Assisi ivi claustrali e con le
sue rendite; ma io, non appena ho saputo che ciò era a svantaggio
della chiesa, ho in mente di mandare via quei frati e restituire la
chiesa alla sua libertà e a miglior servizio."
Nel 1706, sotto il vescovado di Mons. Algaria, "i predetti padri di S.
Francesco osservano con ogni attenzione la regola di S. Francesco
sia nella recita del divino ufficio che in tutte le altre cose."
Nel 1724 Mons. Pietro Galletti, durante la Visita Pastorale fatta al S.
Salvatore, scriveva dell’esistenza di un convento di frati di San
Francesco chiamati "della Scarpa" o "dei Conventuali", annesso alla
chiesa di S. Calogero: " Dopo alcuni anni di nuovo, o per incuria dei
frati o per le vicissitudini dei tempi, i redditi andarono in rovina,
venendo meno il numero dei frati; oro ho trovato che l'abita
solamente un sacerdote e un laico e con residenza non stabile" e
continua dicendo di aver trovato la chiesa in pessime condizioni da
sembrare ricettacolo di bestie, ad eccezione della cappella dedicata a
San Calogero, allora amministrata dai secolari, arricchita di
ornamenti, rendite e offerte.
Nel 1737, sotto mons. Giacomo Bonanno, nel convento vivevano tre
sacerdoti e due conversi, mentre nel 1761 vi erano due sacerdoti e un
famulo.
Mons. Mineo precisa che questo cenobio è sotto la regola di San
Francesco dell'Ordine dei Minori Conventuali.
Nel 1773 Mons. Salvatore Pisano scrive "Visitando poi la chiesa e
vedendo che il suo prospetto minacciava di cadere, comandò che il
Convento lo restaurasse con maggior celerità possibile."
Mons. Raimondo Moncada nel 1783 non parla del convento dei frati,
ma cita solo la chiesa di S. Calogero, soggetta alla chiesa Madre; forse
il convento era chiuso.

119  
 
Nel 1850 il convento era in totale decadenza e Mons. Martino Ursino
scrive "...soltanto questo altare (di S. Calogero) rimane in piedi nel
totale disfacimento di quel cenobio...".
Mons. Giuseppe Maria Miragliotta nel 1885 scrive che la chiesa è
pericolante: "a causa di una frana sottostante, non sono tanto sicure"
per cui si ritenne opportuno sgomberarla e la statua del Santo fu
trasferita nella chiesa del SS. Salvatore.
LA NUOVA CHIESA: Il popolo, guidato dal Presidente della
Congregazione della Carità, s’impegnò nella raccolta dei fondi
necessari per la costruzione della nuova chiesa. Due anni dopo il
Presidente scrisse al Vescovo comunicando di aver dato l’incaricato
all'ingegnere Rumore per il progetto.191
In un'area vicina a quella dell'antica chiesa, a seguito della
demolizione di alcune case, sorse la nuova, aperta al culto nel 1901, in
occasione della festa con la presenza delle bande musicali di Naso e
Ficarra192.
In una nicchia scavata nel muro, venne posta la statua di San Calogero
per la quale nel 1905 fu realizzato il maestoso mausoleo in legno,
opera del prof. Giuseppe Ferraù.
Nel 1922 il presidente della commissione Scorza Antonino ritenne
necessario rifare la volta della chiesa arricchendola con la
collocazione al suo centro di un magnifico quadro riproducente S.
Calogero con la cerva e il cacciatore, opera del prof. Ferraù. Nel 1924
lavori di restauro interessarono l'altare, integrando figure in gesso a
bassorilievo. Nel 1925 fu costruito il campanile e fusa la vecchia
campana con una nuova. In questa chiesa sono presenti un fercolo del
XVIII secolo, una statuetta d'argento del 1839 e un Reliquiario
d'argento datato 1725.
Il Santuario oggi ben restaurato e abbellito, per molti anni, a causa di
dispute tra Parrocchia e Comune, non ebbe neanche l’ordinaria
manutenzione.

                                                                                                                       
191
Francesco Pisciotta, Le visite Pastorali dei Vescovi di Patti a San
Salvatore di Fitalia, Patti 2008, p. 348.
192
Pettignano - Ruggeri, San Calogero, Ed. Nebros, San Salvatore di Fitalia
1984, p. 64.
120  
 
Grazie all’impegno dell'Amministrazione Comunale ma anche del
geometra Antonello Pettignano, rappresenta un contenitore culturale
con costante riferimento al Santo Protettore, S. Calogero.
LE FESTE: Nel corso dei secoli i Fitalesi hanno festeggiato il loro
Patrono in più date durante l’anno solare e precisamente:
- 5 febbraio. In ringraziamento per il miracolo operato dal Santo,
che ha liberato il paese da violenti nubifragi. La mattina del 5
Febbraio di ogni anno, si porta in Processione il Patrono San
Calogero in forma penitenziale: il Clero non indossa paramenti
sacri, non ci sono né fiori, né banda musicale. Dal Santuario il
fercolo raggiunge la Chiesa Madre del SS. Salvatore dove
rimane sino alla Domenica successiva.
- La domenica successiva il 5 febbraio il Santo viene riportato nella
sua chiesa.
- Anticamente se ne face una l'ultimo Venerdì di Marzo; oggi è
stata riprese e a San Salvatore di Fitalia San Calogero viene
portato in processione in forma penitenziale, seguendo lo stesso
percorso del 5 Febbraio.
- La Domenica delle Palme veniva portato in processione assieme alla
statua di S. Antonio di Padova in ricordo della divisione del paese fra
Sarvaturani e Mariani, appartenenti alla Diocesi di Patti o a quella di
Messina.
Una processione questa alquanto inedita, i fedeli con le palme
benedette accompagnano in processione solenne i fercoli con le
statue dei due Protettori San Calogero e Sant'Antonio di Padova.
Questo avviene come ricordo dell'unione delle due parrocchie. Il
paese infatti era diviso in due parrocchie quella del SS.
Salvatore e quella di S. Maria Assunta. La prima aveva come
protettore San Calogero, la seconda Sant'Antonio di Padova.
Questo in passato fu causa di antagonismi, creando vere e
proprie dispute sulla precedenza da attribuire ai vari sodalizi.
Essi cessarono nel 1831, quando le due Parrrocchie furono
unificate. E nella Processione delle Palme del 1831, da
osservarsi ogni anno, si è stabilito "... La Santa Messa della
Benedizione delle Palme veniva celebrata contemporaneamente
121  
 
nelle due chiese al termine delle quali si dava corso alla
processione che aveva come punto d'incontro una piazzetta del
centro storico "Chianu Majazzenu" (oggi Largo Addolorata),
come sempre, da lì i Santi si sarebbero alternati ogni anno
nell'aprire la processione. Ancora oggi, che le due parrocchie
sono state unificate, nell'aprire la processione delle palme i due
protettori si alternano.
- Il 18 giugno, festa liturgica del Santo, si celebra con solennità solo la
festa religiosa in chiesa.
- La festa solenne di San Calogero viene celebrata il 20 agosto
annunciata dallo sparo dei mortaretti del 19 mattina.
Dopo la S. Messa nel Santuario, si muove la prima processione
della "bambina" o bambino? (una piccola statua di Gesù Bambino)
nel pomeriggio alle 18,30 quella delle Reliquie con la presenza dei
Sindaci dei Comuni della Diocesi di Patti.
L’indomani, già dalle prime ore del mattino, si respira aria di festa tra
suoni di bande, voci di pellegrini e spari di mortaretti. Alle ore 11.00
la S. Messa solenne con il tradizionale panegirico, rappresenta un
momento fortemente mistico e di una grande suggestione per i
tantissimi fedeli giunti al Santuario per emozionarsi davanti alla statua
del Santo che, tramite un particolare sistema di corde e timoni,
comincia a muoversi verso di loro con i "tre sali scendi", in cui il
Santo scompare e ricompare, rappresentando per i fedeli il momento
dei "miracoli". La processione si snoda per le vie principali per
concludersi nella Basilica del SS. Salvatore. A conclusione di una tale
speciale giornata, il concerto di un artista di grande richiamo seguito
da spettacolari giochi pirotecnici.
Sia i paesani che i forestieri comprano, per devozione, i "nastrini di
San Calogero" colorati e benedetti.
Il 21 Agosto ricorre la Festa di San Calogero "Paesana", decisamente
più pacata. Dopo la S. Messa delle 19,00, la processione, lunga e dalla
durata imprevedibile, si muove per le vie del paese compiendo i
cosiddetti "Viaggi", in ricordo del peregrinare per la Sicilia del Santo
perché il popolo possa ricevere le grazie richieste. La processione
arriva al "Vancu di S. Caloiru" che si trova nelle vicinanze della
contrada Scrisera e che ricorda il miracolo che S. Calogero fece, come
descrivemmo altrove.
122  
 
Il Pitrè così racconta la festa di San Calogero nel XVIII secolo: " Da
alcuni appunti del prof. G. Crimi Lo Giudice. In SS. Salvatore di
Fitalia. Anche di questo comunello a due ore da Naso nella provincia
di Messina è patrono S Calogero e vi ha tanti devoti e curiosi che il
giorno della sua festa il 20 Agosto non vi si può muovere un passo. Il
pellegrinaggio è lo spettacolo sempre immancabile, e compimento di
esso la solita lingua per terra dalla solita porta della chiesa alla
balaustra. Quattro anni fa una signora cominciò lo strisciamento
dalla entrata del paese e lo finì all'altare maggiore della chiesa, un
chilometro circa. Quando giunse ai piedi del Santo faceva ribrezzo
tanto era sfigurata, dal cupo paonazzo del viso, dagli occhi uscenti
dalle orbite, dal sangue e dalla mota delle labbra rigonfie. Ma non c'è
che dire, il voto era stato fatto così e quella donna avea creduto di
doverlo compiere alla lettera.
Le offerte non variano per nulla da quelle di Girgenti, di Naso, di
Siracusa.
Sul fercolo stanno i bambini erniosi; il difetto (o il soverchio) dei
quali viene al momento della consegna verificato da un medico così
come la istantanea scomparsa dei gonfi. Un prete sul fercolo
medesimo riceve e restituisce tutti questi bambini e 'Cu nn'appi
nn'appi cassati di Pasqua'."193
CENTRO CULTURALE POLIVALENTE S. CALOGERO – MUSEO
SICILIANO DELLE TRADIZIONI RELIGIOSE” DI SAN
SALVATORE DI FITALIA: Nell'ex Ospedale S. Calogero è ubicato il
"Museo delle tradizioni religiose", unificato con il "Centro culturale
polivalente S. Calogero" in una azione di simbiosi culturale tendente
al recupero di aspetti della comunità locale e dell'intera Sicilia.
Il Centro - Museo nasce come Istituto culturale scientifico ed
educativo con scopi di studio conservazione e fruizione della cultura
legata alle tradizioni religiose del popolo siciliano specializzato
anche nell'analisi degli aspetti del culto di S. Calogero Eremita,
Patrono della comunità, il cui culto è fortemente esteso all'intera isola
di Sicilia. Oltre alla ricca collezione di reperti etno-storici esposti con
alternanze tematiche, l'Istituto, promuove anche una biblioteca

                                                                                                                       
193
Giuseppe Pitrè, Il venerdì nelle tradizioni popolari italiane, Volume
9,Edizioni 1-21, p. 18-19.
123  
 
interna e varie attività quali ad esempio "Le giornate culturali del
museo" con conferenze, proiezioni, mostre, ecc…
Scopo dell'Istituto è anche quello di raccogliere per l'interazione
culturale, documentazione cartacea, fotografica, sonora, filmica ecc…
Ciò anche allo scopo di favorire lo studio delle tematiche afferenti la
materia e principalmente la conoscenza storica e culturale degli
aspetti legati alla figura del santo basiliano Calogero di Calcedonia,
favorendone anche azioni di confronto, scambio, approfondimento,
gemellaggio con le altre località isolane caratterizzate dallo stesso
culto. Tale struttura nasce anche allo scopo di promuovere il turismo
culturale - religioso nella località, ed all'uopo, il Comune stesso e la
locale Parrocchia, sin dal 04 Aprile 2014 hanno sottoscritto un atto di
intenti.
Aperto il 07 Dicembre 2014, il Centro - Museo, nasce coordinato da
figure di Operatori culturali che ne assicurano Direzione Scientifica e
Conservazione, nonché con la collaborazione di singoli operatori
volontari ed associazioni locali.
Particolare interesse nella prima fase di allestimento, è stato riservato
all'iconografia locale ed isolana del Santo Taumaturgo e ad una ricca
collezione di ex voto cero plastici anatomici, databili tra il XVIII ed il
XX secolo, provenienti dal Santuario locale e costituenti l'unica
collezione in Sicilia vincolata come patrimonio culturale di
importante interesse.
Altri aspetti del culto di S. Calogero vengono assicurate dalla
presenza espositiva di vari altri etno - reperti e da documenti d'epoca
estratti da un ricco archivio (attualmente in fase studio) di ampia
cronologia. Importanti e parecchio numerosi sono poi esemplari di
iconografia popolare provenienti da varie località di Sicilia e che
offrono, attraverso immagini a stampa, statuaria devozionale, fogli da
cantastorie, ex-voto agrari, abitini, ecc…, un ricco panorama
documentario dei culti domestici del popolo siciliano, rafforzati da
importanti pannelli fotografici documentari che ne illustrano tipologie
di culto, aspetti di feste, pellegrinaggi e ritualità antiche.
Interessanti gli strumenti di festa quali: una ricca collezione di
attrezzi pirotecnici, e strumenti popolari come i fischietti sacralizzati.
La visita all'area espositiva ricca di supporti didattici, estende
approfondimenti alla conoscenza della località con una ricca sezione
124  
 
che attraverso studi, rilevi, immagini, testimonianze materiali, reperti,
analizza l'architettura dei luoghi il ricco patrimonio chiesastico
storico e monumentale, le reminiscenze costruttive con l'impiego della
pietra decorativa e del ferro battuto, delle fontane ecc, consentendo
così un veloce approfondimento delle vicende e del patrimonio di S.
Salvatore di Fitalia, attraverso gli aspetti culturali sinteticamente
rappresentati.
L'Istituto è supportato da un ufficio che, oltre ad assicurare
l'accoglienza dei visitatori cura la promozione e l'informazione
turistica della località ed offre un servizio di visite guidate attraverso
alcuni monumenti ed itinerari urbani.194

San Salvatore F. 1966 processione reliquie San Calogero

                                                                                                                       
194
“Centro Culturale Polivalente S. Calogero – Museo Siciliano delle
Tradizioni Religiose” di San Salvatore di Fitalia. - Santuario San Calogero
Eremita - San Salvatore di Fitalia (ME).
125  
 
126  
 
127  
 
128  
 
SANT'ANGELO DI BROLO - Il De Ciocchis ci scrive che nel
Monastero di San Miche arcangelo in San Angelo vi era una reliquia
di S. Calogero: "Reliquia S. Calogeri conf."195 Oggi la città non
tributa un culto ufficiale al Santo, ma il 20 agosto molte persone si
recano a San Salvatore di Fitalia per soddisfare un voto.
S. AGATA MILITELLO - Nella Chiesa dell’Addolorata, sita
accanto al castello Gallego, è custodita una statuetta di San Calogero
del XVII XVIII sec.. Oggi la città non tributa un culto ufficiale al
Santo, ma il 20 agosto molte persone si recano a San Salvatore di
Fitalia per soddisfare un voto.
TORTORICI - Nel 2017 il Parroco Lupica Benedetto per
incrementare la devozione verso S. Calogero commissionò un quadro
collocato venerato nella Chiesa Cuore Immacolato di Maria di
Contrada Sceti in Tortorici. Documenti del 1607196 attestano
l’esistenza di una chiesetta patronale dedicata a S. Calogero sita nel
quartiere della Fontana di S. Francesco, che nel 1850 risultava ancora
aperta al culto, come si legge nella relazione di mons. Martino
Orsini.197 Oggi la città non pratica un culto ufficiale verso il Santo, ma
il 20 agosto molte fedeli si recano a San Salvatore di Fitalia per
soddisfare un voto.

DIOCESI DI ACIREALE
LINGUAGLOSSA A Linguaglossa, all’interno della chiesa di -
San Francesco di Paola, è presente un altare dedicato al Santo che
custodisce una statua di autore ignoto in cartapesta e legno della fine
del Settecento. L'opera presenta diversi elementi in comune con i
simulacri presenti nella provincia di Messina in quanto Linguaglossa,
prima di appartenere alla Diocesi di Acireale, faceva parte di quella di
Messina. L'incarnato scuro del simulacro ha portato a volte a
identificare, erroneamente, la statua con San Calogero, il cui culto è

                                                                                                                       
195
Giovanni A. de' Ciocchis, Sacrae Regiae Visitationis per Siciliam Acta
Decretaque Omnia ..., Vol. 2, p. 566.
196
S. Franchina, U diluviu di Turturci, ed. Spes, Milazzo 1982, p. 21.
197
Benedetto Lupica , Tortorici nelle Relazioni ad Limina..., 2014, p. 27.
129  
 
ben radicato nell'agrigentino ma quasi del tutto assente nella zona
etnea. Calogero che fu eremita è solitamente ritratto in abiti basiliani e
con i simboli iconografici del bastone e della cerva mentre la nostra
statua, oltre ad indossare abiti sacerdotali presenta la tipica postura
dell'esorcista. Dall'agiografia di san Filippo sappiamo, infatti, che il
Santo fu un sacerdote esorcista, peculiarità che viene confermata
anche dal libro che reca, in lingua greca e latina, l'antica formula
liturgica degli esorcismi: "Santo Dio, Santo Forte, Santo Immortale".

DIOCESI DI AGRIGENTO
AGRIGENTO -Il Patrono di Agrigento è San Gerlando ma i
festeggiamenti maggiori sono tributati a San Calogero, che è il
compatrono.
La costruzione della chiesa di San   Calogero,   da alcune tracce
dell'antica costruzione rimaste sul muro ad ovest, si fa risalire a
un'epoca compresa tra il XIII e il XIV   secolo,   come   si   legge   in un
documento datato 1540 in occasione della visita pastorale del vescovo
Pietro d'Aragona e Tagliavia (1540-1543) : "Ecclesia di Santo
Caloyaro fora la ditta cita di Girgenti.
Nel 1863, il santuario fu affidato ai frati Francescani, costretti a cedere
il convento di S. Vito per essere stato trasformato in carcere. II 4
novembre 1925 il Comune di Agrigento vendette, con regolare atto
pubblico, alla Cattedra Ambulante di Agricoltura, l’ex convento di S.
Calogero. La Confraternita non potè che fare uso solo della Sacrestia,
del locale del rettorato e dell'ingresso lato ovest.
L'edificio, di piccole dimensioni, circondato da un giardino confinante
con le grotte, sorgeva fuori le mura dell'antica città medievale, in una
zona difficile da raggiungere per la presenza di un grande fossato,
detto “la Nave”, colmato solo nel XIX secolo.
La chiesa sorge dove, secondo la tradizione, ha soggiornato San
Calogero e in essa si trovano sei statue del Santo:
- Collocata nella nicchia dell’altare maggiore, su un basamento
quadrato alto 18 cm, una statua lignea tra le più antiche e pregevoli
presenti nel patrimonio ecclesiastico della città. Opera di un artista
agrigentino, realizzata negli ultimi decenni del cinquecento e alta
170 cm. e larga di spalle 56 cm.

130  
 
- All’esterno della chiesa, possiamo ammirare la bellissima opera
di Calogero Cardella, valente scultore agrigentino. La statua fu
realizzata in legno di cipresso nel 1905.
- Nel 2007 Calogero Monreale di Favara realizzò la statua usata per le
processioni, copia in vetroresina dell'originale del XVI secolo.
- Nella nicchia ricavata sopra il portale della facciata principale è
collocata una statua in pietra, l'unica dove S. Calogero viene
raffigurato con la cerva.
-Entrando dall'ingresso secondario troviamo una statua, alta 1 metro e
20 centimetri in legno, realizzata dalla Bottega di Arte Sacra Giuseppe
Stuflesser di Ortisei nel 1961.  
- Lungo il corridoio che conduce alla sagrestia, è posta una statua in
gesso alta 80 centimetri.
Il 23 Febbraio 2013, all'interno dell'omonimo Santuario, è stato
benedetto il reliquario raffigurante l’Eremita. Nella stessa occasione è
stata benedetta una statua di San Calogero realizzata da Giuseppe
Cacocciola in gesso rivestito con una foglia d'oro, di circa centottanta
chilogrammi ed è alta un metro e ottantatre centimetri.198
La festa si svolge ogni anno dalla prima alla seconda domenica di
luglio. Le antiche tradizioni e le leggende si uniscono ad una profonda
fede cristiana, basta vedere le manifestazioni che pone in essere, chi
abbia ricevuto una grazia.
Ancora oggi, durante i festeggiamenti, i fedeli si recano a piedi nudi al
Santuario, e fanno indossare ai bambini le cosiddette “vestine”
bianche.
I festeggiamenti iniziano nel pomeriggio del venerdì antecedente la
prima domenica di luglio, con l’Ottavario predicato ai molti pellegrini
qui giunti; viene inaugurata l'illuminazione straordinaria della città e
annunciata la festa con il suono dei tamburi caratteristici che girano
per tutte le strade. Il programma della domenica ha inizio la mattina
con "l'Alborata”, lo sparo di mortaretti e la "Fiera" di equini, bovini,
ovini, attrezzi agricoli tradizionali e moderni. Alle 9 l'inizio delle
celebrazioni religiose.
A mezzogiorno la statua del Santo viene portata in processione a
spalla dai devoti, per tutta la giornata, attraverso le vie della città
                                                                                                                       
198
Giornale di Sicilia on line del 24 Febbraio 2013.
131  
 
lungo il tradizionale percorso. Alle 18, giunti a Porta Addolorata, la
statua viene posta sul carro trionfale. Alle 20.30 inizia la processione
che si conclude al viale della Vittoria, con la partecipazione delle
autorità comunali e delle confraternite di Agrigento. Dopo lo
spettacolo pirotecnico, "a maschiata di San Calò" e la fiaccolata, la
statua del Santo farà rientro al santuario.
- Fiume Naro, frazione di Agrigento con 129 abitanti sorge alla foce
dell’omonimo fiume, detta "Narasetti di Girgenti" (cioè "di
Agrigento") per differenziarlo da Naresetti Parmisi, contrada di Palma
di Montechiaro, venera come patrono S. Calogero.
Montaperto (Ag) - Montaperto, una borgata di circa 400 abitanti, del
comune di Agrigento, venera San Calogero, la cui statua si trova
nell’omonima chiesa. La festa si svolge tra la prima e la seconda
settimana di Luglio con una grande "processione" mista tra sacro e
profano.
La Domenica mattina il Comitato feste e la banda girano le vie del
borgo per la questua e segue la S. Messa delle 11.30. Dopo la Messa
serale si svolge la processione con il simulacro del Santo “Nero” e i
giochi pirotecnici.
- Nell'ex feudo Mosè di Agrigento, una statua di San Calogero, alta
quattro metri, guarda gli antichi templi dorici. L’opera fu voluta da
Mons. Francesco Sortino a ricordo della frana del 1966, realizzata con
la collaborazione del fratello Vincenzo Sortino che offrì l'area su cui
sorge; il progettista fu il geom. G. La Licata.
ALESSANDRIA DELLA ROCCA - Ad Alessandria della
Rocca vi è una bellissima statua di San Calogero. La notte del 18
Giugno, i devoti alessandrini si recano sul monte San Calogero, a
piedi, anche scalzi, a Santo Stefano di Quisquina che dista qualche
chilometro. E ancora più numerosi nel giorno della festa partecipando
alle messe e offrendo una grande quantità di pane.
ARAGONA - La statua di San Calogero si trova nella chiesa della
Madonna del Rosario. La festa si celebra la seconda domenica di
agosto. La chiesa, costruita intorno al 1680 dai confrati della
Congregazione del Rosario, ha al suo interno un soffitto ligneo
affrescato e il simulacro della Madonna, Patrona della città.

132  
 
Il museo, sito nella cripta, oltre a numerosi oggetti liturgici in argento
e paramenti settecenteschi, conserva la preziosa reliquia della Sacra
Sindone.
L'attuale statua di San Calogero, realizzata intorno agli anni 50 dalla
ditta Stuflesser di Ortisei, sostituì quella settecentesca di cui purtroppo
si sono perse le tracce.
Da un ventennio la festa di San Calogero è stata soppressa anche se
molto sentita dalla popolazione. La processione, seguita dai fedeli a
piedi nudi, iniziava alle 12 in punto dalla chiesa del Rosario e dopo
aver percorso il centro storico (anticamente a spalla e poi su un
camion) raggiungeva la chiesa di San Francesco dove sostava. In
serata, dopo la S. Messa, la statua di San Calogero faceva rientro nella
sua chiesa. Tanta gente, ancora oggi, fa realizzare forme di pane che
rappresentano un bambino, una gamba, un piede, una mano a seconda
del tipo di grazia che si vuole ottenere dal Santo. Oggi la festa è
prettamente religiosa, legata alla fiera degli animali e delle
attrezzature agricole. In passato, durante la processione, si abbelliva il
simulacro con grappoli di uva in segno di ringraziamento per il buon
raccolto dei campi.199
BIVONA Attualmente la statua è custodita nella Chiesa Madre -
dedicata a S. Rosalia.
La chiesa, costruita nel XIV secolo ha subito diverse modifiche,
dovute alla continua ricerca del sasso sul quale, secondo le credenze
popolari, era comparsa più volte Santa Rosalia, e di altri segni della
sua permanenza. Ad unica navata, di stile barocco, ospita il fercolo di
Santa Rosalia, scolpito nel 1601, un Crocifisso ligneo, ed alcune tele
sette-ottocentesche. Da una piccola botola è possibile osservare il
tronco della quercia, sotto la quale la Vergine sarebbe stata solita
pregare.
La Statua di San Calogero, proveniente dalla Chiesa di San Domenico,
risale alla fine dell'800. La festa viene celebrata il 18 Giugno con la
tradizionale benedizione del “Pane di San Calogero” portato dai

                                                                                                                       
199
Notizie fornite dal responsabile del sito Facebook di Madonna della
Mercede di Aragona.
133  
 
fedeli. Anticamente si celebrava una processione con la statua. Non vi
sono Reliquie.200
BURGIO- In questo comune esiste una contrada San Calogero.
CALTABELLOTTA - A Caltabellotta non vi sono presenze della
devozione verso S. Calogero la cui unica rappresentazione la
ritroviamo in un bassorilievo della tipica base ottagonale che regge la
statua di San Benedetto, opera di Antonello Gagini del 27 febbraio
1535. La chiesa Madre conserva, inoltre, un crocifisso ligneo
bizantino e altri due simulacri marmorei di scuola gaginesca: la
Madonna della Consolazione e la Madonna della Neve posta
sull'abside .
Macaudo: " Dopo la foce del Macasoli il lido per 5 miglia presenta
varie Cale fra le quali quella di Vallonesalato e quella dello Stinco
con Punta dello stesso nome. Segue la foce del fiume di Caltabellotta.
Sorge sotto Prizzi dal fonte Labro, lascia a sinistra Palazzo Adriano
dal quale ha acque da un fonte dello stesso nome, passa quindi per
una gola fra alti monti, lascia a sinistra le rovine di Acristia Burgio e
Villafranca e a destra Busacchino Chiusa e Giuliana dai quali riceve
acque, e S. Anna accoglie il ramo che cola dal massimo fonte Favara
a oriente da sotto Caltabellotta, lascia a destra le rovine di Triocola e
finalmente Misilicassino e si unisce al mare. È l'antico Is Boupos
Isburo di Tolomeo. Dopo la foce è spiaggia bassa e a forma di falce
detta Cala della Verdura. Si ha indi Punta Cala e foce del fiume
Macaudo, chiamato anche di S. Calogero che nasce a non grande
distanza dal lido sotto il paese di S. Anna che lascia a destra e ben
presto cola nel mare. Dopo circa 3 miglia è Sciacca. È sopra il falso
piano di un altura al piede dall'alta e grossa montagna S. Calogero e
ha il giro di 1,700 passi."201
CAMASTRA - CASTROLFILIPPO - CAMPOBELLO DI
LICATA - RAVANUSA - GROTTE - RACALMUTO -
SOMMATINO - I comuni di Camastra, Canicattì, Castrolfilippo,
Campobello di Licata, Ravanusa, Grotte, Racalmuto, Delia,
                                                                                                                       
200
Le notizie mi sono state fornite dall'arciprete di Bivona
201
Francesco Ferrara, Storia generale della Sicilia del professore cav. a. F.
Ferrara ..., Volume 7, p. 179.
134  
 
Sommatino facevano parte della Comarca di Naro (sorta nel secolo
XIII e soppressa sul finire del XVIII) comprendente i loro territori, nei
quali è tuttora vivo e significativo il culto di San Calogero, tanto da
recarsi in pellegrinaggio a Naro ogni anno per la sua festa.
CAMMARATA - La devozione verso San Calogero risale agli
inizi del XVI secolo. In una relazione della Visita Pastorale del 1540,
si legge che nella chiesa di S. Vito esiste un altare del Santo abbellito
con "Una tovaglia a San Calojaro".
Nella chiesa Madre si ammira la statua lignea, del XVII secolo di
autore ignoto, del Santo rappresentato in piedi, benedicente con la
destra, mentre con la sinistra regge un libro. Accanto al ginocchio
sinistro la cerva ferita. Il Santo dal volto bianco e barba brizzolata,
guarda avanti in un atteggiamento di ieratica maestà, mista ad una
espressione di umano, paterno affetto.
Anticamente si festeggiava la I domenica di Agosto con messe e
processione penitenziale scalza che, attraversando tutte le vie del
paese, giungeva a San Giovanni Gemini (sono due comuni attaccati). I
portatori, arrivati alla "Casazza", venivano rifocillati con una madia di
pasta fresca con il sugo di pomodoro e foglie di basilico “i maccarruna
cu sucu”.
Per molti anni si è fatta solo la festa liturgica con la benedizione del
pane di San Calogero.
Oggi la festa è stata ripristinata la I domenica di luglio nella chiesa
Madre con la consueta benedizione del pane. Per l'intera giornata, chi
ha fatto un voto, si reca in pellegrinaggio presso la Matrice portando
delle ceste ricolme di pane, a volte anche a forma di parti del corpo
umano per ringraziare il Santo dalla guarigione di una malattia. I pani
alla fine della messa, vengono benedetti e distribuiti alle persone
presenti.
Una devozione scomparsa era quella di "u vutu di San Calo' " che
consisteva nell’indossare, a vita o fino a quando si consumava, l'abito
dei “Calogerini” gli eremiti che vivevano sul monte kronio a Sciacca.
CANICATTÌ - Nel luglio del 1837 Canicattì, come gran parte della
Sicilia, fu colpita da una grave epidemia di colera. La gente, per
scongiurare il diffondersi del contagio, rispondeva con continue
processioni di varie statue di santi. Il quattro agosto morirono trenta

135  
 
persone e, il sei successivo, alle tante altre statue condotte in
processione fino alla Chiesa Madre, fu aggiunta proprio quella di San
Calogero prelevata dalla chiesa omonima. L'epidemia fu vinta e il
popolo in segno di ringraziamento istituì la festa di S. Calogero la
prima domenica di agosto. La processione iniziava alle undici del
mattino e snodandosi tra le viuzze del quartiere fino all’attuale piazza
Roma, raggiungeva la chiesa dello Spirito Santo dove, alle 12 in
punto, veniva celebrata la messa solenne. Nel pomeriggio la
processione riprendeva, percorrendo la tradizionale “via del Santi”,
per concludersi con il rientro nella sua chiesa. Oggi la processione si
svolge solo nel pomeriggio.
La chiesa San Calogero sorge sul fianco della collina, fra tante grotte.
Di modeste dimensioni, annoverata tra le chiese cimiteriali, costruita
nel Settecento, per accogliervi una confraternita e la sepoltura dei
condannati a morte e dei forestieri, ma ben presto fu luogo
caratterizzante della vita del quartiere e tale ruolo continua a
mantenere tutt'oggi.
La Parrocchia di "San Calogero" è stata eretta con decreto vescovile il
3 gennaio 1946. Ha un'unica navata con due profonde cappelle, da
dare l'impressione di una sorta di pianta a croce greca con transetto.
Nella nicchia sopra l'altare maggiore è collocata la statua lignea
settecentesca del Santo eremita. A poco a poco la chiesa divenne
inadeguata ad accogliere in modo idoneo i fedeli allora, il parroco Don
Vincenzo Licata, ha esternato l'idea di crearne una nuova nella quale
poter svolgere le funzioni. Convocò una riunione di parrocchiani per
individuare la zona dove poter erigere la chiesa, questa ricadde in via
Portella delle Ginestre, facilmente raggiungibile vista la precedente
posizione impervia della vecchia. La nuova chiesa di San Calogero,
dalla moderna architettura, fu inaugurata nel 2014.
CASTELTERMINI - Nel 1840 è stata portata nella Chiesa Madre
una pregevole statua di S. Calogero in pesantissimo legno scolpita da
uno scultore palermitano sconosciuto.
I festeggiamenti si svolgono la quarta domenica di agosto di ogni
anno. Un mese prima il tradizionale rullio di tamburi ne annuncia la
preparazione e l’inizio del mese in onore del santo Durante il mese,
nella Chiesa Madre ogni giorno si svolgono celebrazioni liturgiche e
viene recitato il tradizionale Rosario di San Calogero. Il forte
136  
 
sentimento religioso ed il fervore della tradizione popolare portano i
fedeli a recarsi in pellegrinaggio, a piedi scalzi, verso l’altare dedicato
al Santo per ringraziarlo della grazia ricevuta.
Il Parroco impartisce la benedizione a particolari forme di pane, recate
in Chiesa dai fedeli, che raffigurano le parti del corpo beneficiati dal
Santo o delle quali si chiede il miracolo. Altre forme tipiche di pane
che vengono benedette raffigurano un bambino: il cosiddetto
“picciriddru”.
Famosa a Casteltermini è l'acqua di San Calogero, una sorgente
all'uscita del paese che cura molte malattie.
CATTOLICA ERACLEA - La devozione al taumaturgo San
Calogero si intreccia a Cattolica Eraclea con la storia della chiesetta, a
lui dedicata. Fin dalle origini infatti, ogni anno, l’ultima domenica di
agosto numerosi fedeli pellegrini salgono fino all’eremo a sciogliere il
voto, portando al santo varie forme di pane. La chiesa si trova
sull'omonimo colle e fu edificata nel 1696 da un eremita originario di
S. Stefano Quisquina che ebbe il consenso dai Gesuiti. Accanto furono
costruite due celle, una cisterna e un recinto di pietra che racchiudeva
il tutto. La facciata lineare termina con tetto spiovente sottolineato da
un cornicione e presenta tre finestre ovali, una sovrastante il portale e
due laterali. Davanti la chiesa, sul monte San Calogero, è posto il
maestoso calvario e le 14 cappellette in pietra bianca della via crucis,
uno scenario meraviglioso molto simile allo storico Golgota verso sui
si dirige la processione del venerdì santo. All’arrivo, il Cristo, viene
posto sulla Croce da due sacerdoti, mentre ai piedi viene sistemata la
Madonna Addolorata. Allo spuntare della prima stella, il Cristo morto
viene tolto dalla Croce, deposto in un’artistica urna in legno di pioppo
del 1663, e unitamente al simulacro della Madonna dell’Addolorata,
vengono portati a spalla dalle “Cappe”.
CIANCIANA - La Comunità di Cianciana conserva una pregevole
statua di San Calogero, in legno policromo, di autore ignoto,
restaurata negli anni 80. In base ai canoni stilistici, è datata, intorno
alla metà del XVII secolo, quindi coeva alla fondazione del paese e
alla Chiesa di Sant'Antonio, ex convento dei frati minori, dove oggi è
venerata. Il simulacro, un tempo, era custodito e venerato dai membri

137  
 
dalla sua confraternita presso l'oratorio a lui dedicato, adiacente alla
suddetta chiesa.
Si conserva un foglio del Giornale di Sicilia del 1908 dove si parla
della festa, che si svolgeva a Cianciana, come la terza della Diocesi di
Girgenti, seconda a quella di Agrigento e Naro. Oggi, legate la culto
di San Calogero, nessuno dei fedeli viventi, ricorda feste, tradizioni o
racconti, essendo ormai scomparsi sia la confraternita che l'oratorio.202
COMITINI - La chiesetta dedicata a S. Calogero costruita nei primi
del 1900 su commissione del devoto Antonino Cucchiara. Sita
all'inizio del paese, per chi giunge da Agrigento. Oggi aperta solo
occasionalmente, vi si tenevano in passato messe mattutine e messe
domenicali.
FAVARA - La Settecentesca chiesa di San Calogero, si presenta
con le modifiche apportate durante la ricostruzione del 1963 e
inaugurata nella primavera del 1964. Al suo interno si trova una statua
del santo, di pregevole fattura artistica, risalente all'Ottocento.
La festa solenne avviene la prima domenica di agosto.
In mattinata si celebrano le sante messe e si espongono i pani votivi.
Nel pomeriggio la Santa Messa viene celebrata nel piazzale della
chiesa, in Largo San Calogero. Segue la processione del simulacro per
le vie cittadine e dopo aver assistito ai fuochi pirotecnici in piazza
Cavour rientra nella chiesa San Calogero.
LICATA - Licata, mantiene l’antichissimo culto del “Santo Nero”,
tanto da intitolarne un quartiere nella parte alta del centro storico.
Nessuno dimentica l’imponente statua custodita a Santa Maria La
Vetere, già Chiesa Madre di Licata che poi venne chiamata S. Maria
di Gesù dai Francescani. La statua, alta cm. 172, realizzata nel 1726 in
tela di iuta stuccata e dipinta, è molto rigida nella impostazione e
ripete le caratteristiche di certi prototipi iconografici tradizionali
esistenti in molte parti dell'Agrigentino, dov'è radicato il culto del
Religioso taumaturgo.
"Un'altra cappella, presso il presbiterio, era dedicata a San
Calogero. Infatti il 17 gennaio 1482 Antonio de Moac otteneva di

                                                                                                                       
202
Notizie fornite dall'arciprete di Cianciana, don Emanuele Casola.
138  
 
poter utilizzare uno spazio tra la cappella di S. Calogero e l'altare
Maggiore per la sepoltura della sua famiglia."203
Le celebrazioni, nella chiesa di Santa Maria La Vetere, iniziano il 15
giugno e continuano fino al 18, giorno della festa.
GROTTA DI SAN CALOGERO (Chiesa rupestre V-VI secolo)
A Licata, esiste un paese rupestre, certamente meno famoso di Matera,
dove gli abitanti, in generale contadini e allevatori, abitavano
all'interno di grotte e spelonche naturali. Qui notiamo i resti di un
importante complesso religioso di rara eccezionalità, e inserito
all’interno di un nucleo medievale decisamente più ampio che
interessava la zona alta del Cotturo, di Piano Madre e di San Calogero.
I sassi oggi risultano incluse in successive abitazioni edificate a partire
dal 1600. Restano invece, sia sul colle Sant'Angelo che sul Monte
Giannotta, alcune chiesette rupestri che attestano la presenza, già in
età prenormanna, di monaci africani prima, sfuggiti alle persecuzioni
vandaliche, e di brasiliani dopo, fuggiti da Costantinopoli a seguito
della lotta iconoclastica. Il più importante di questi impianti chiesastici
rupestri è quello di San Calogero, appena sotto la chiesa di Pompei,
intitolato alla Santa Croce. Fu scavato nella roccia dai monaci
calogerini che, oltre che a Licata, si erano stanziati a Naro, Agrigento
e a Sciacca. Nel 700 venne incluso in una chiesetta, oggi non più
esistente, ma, memori della sua presenza in quel luogo dei monaci
calogerini, fu intitolata a San Calogero.
MENFI - A Menfi non c'è più traccia del culto di San Calogero.
Anticamente il simulacro si venerava nella chiesa Madre, poi, fino al
terremoto del 68 nella chiesa dei PP. Cappuccini. La statua è custodita
in casa dei familiari di un sacerdote del luogo.204
MONTALLEGRO A Montallegro mi dice il parroco, non ci -
sono quadri o statue di San Calogero nè traccia del culto in parrocchia.
Alcuni devoti compiono il viaggio a piedi fino all' eremo di San
Calogero, sul calvario di Cattolica Eraclea che dista da Montallegro
qualche chilometro.

                                                                                                                       
203
Diego Ciccarelli e Armando Bisanti, Francescanesimo e civiltà siciliana
nel quattrocento, Palermo 2000, p. 68
204
notizia datami da Vincenzo Scrudato
139  
 
NARO -
La chiesa dedicata a San Calogero fu edificata verso il
1436, al tempo di Papa Eugenio IV, mentre il convento fu fondato dai
RR. PP. di San Giorgio in Alga nel 1543, sotto il pontefice Paolo III.
Restaurata nel 1666, nel 1748, nel 1950 e nel 1957, ad unica navata
con profonda abside, dipinta da D. Bernardino Buongiovanni e da P.
Domenico Di Miceli, rispecchia l'impianto seicentesco.
Al suo interno si trovano varie opere della prima metà del secolo
XVIII e numerosi dipinti d'autori anche contemporanei.
Emozionante è la grotta dove pare vi abbia abitato il Santo eremita,
posta all'interno della cappella a Lui dedicata.
Un'ampia scala conduce alla cripta sottostante, ove è conservato in
una singolare custodia, su un altare di legno dorato in stile barocco, il
simulacro di San Calogero, eseguito da Francesco Frazzotta e,
completato nella testa, dal figlio nel 1566.
Notevole è il portale laterale secondario, legato a formule rococò,
diviso in due sezioni, l'inferiore fiancheggiato da due colonne per lato,
poggianti su alti piedistalli ed a corpo avanzato rispetto al parametro
murario e terminanti, con raffinati capitelli corinzi, su cui poggia una
cornice, dove si eleva una cappelletta al centro della quale v'è
l'affresco di San Calogero con la cerva ed il cacciatore Arcadio.
Attualmente la chiesa ed il convento è sede dei P. Guanelliani.
Fra Melchiorre Milazzo verso il 1668 fece arrivare a Naro le reliquie
di San Calogero.205
La chiesa di S. Francesco: Il 6 agosto 1671 i Frati Minori Conventuali
acquistano la chiesa e il convento di San Calogero, sborsando alla S.
Sede la somma di 10.900 scudi. In questa chiesa vi è un quadro, olio
su tela, di Cristo che appare a san Calogero, e un altro che raffigura
San Calogero davanti al Redentore, dipinti da fra Felice da Sambuca.
(Sambuca di Sicilia, 17 agosto 1734 – Palermo, 14 ottobre 1805).
Il santuario di San Calogero è meta di molti fedeli che vengono a
ringraziare il Santo per le molteplici grazie ricevute, portando delle
forme di pane modellate come le parti del corpo guarite che vengono
benedette e poi distribuite. Il flusso di devoti si fa più copioso a partire
dal 18 maggio, (inizio del mese di san Calogero), e culmina con la
                                                                                                                       
205
Ilenia Craparotta, Nicoletta Grisanti, Francescanesimo e cultura nella
provincia di Agrigento: atti del convegno di ..., p. 147.
140  
 
festa del 18 giugno, quando i fedeli, per le vie della città, con delle
funi lunghe 200 metri, trascinano il Santo, posto su una grande slitta
detta “straula”. Il periodo dei festeggiamenti ha inizio il 15 giugno con
"l'acchianata" del simulacro dalla grotta al santuario e termina il 25
giugno con la cosiddetta ottava di san Calogero. Durante questi dieci
giorni in città si svolgono diverse manifestazioni artistiche e culturali
e le vie principali sono allestite a fiera e mercato.
Il culto di San Calogero risale alla peste bubbonica che dal 1624 al
1626 imperversò in Sicilia e che, come si narra, cessò a Naro, dopo
aver fatto migliaia di vittime. Fu nel 1624, che Suor Serafina Maria
Pulcella ebbe la visione del Santo, il quale le diceva che, per sua
intercessione, avrebbe avuto fine il terribile morbo. Il popolo di Naro,
a tale rivelazione, condusse per le vie della città il simulacro del Santo
e così la pestilenza ebbe termine. E, da quell'anno, la città di Naro
scelse per suo Patrono e protettore San Calogero, dimenticando ben
presto la sua antica Patrona, Santa Caterina d'Alessandria.
Si dice, inoltre, nel 1693 Naro, sempre per intercessione del Santo, fu
preservata dal terribile terremoto dell'11 Gennaio, evento che viene
ricordato ogni anno con la processione che i paesani chiamano “San
Caloiru picciulu” la cui statua, solitamente conservata all'interno della
sagrestia del Santuario, prima della celebrazione della S. Messa delle
ore 18, viene esposta alla venerazione dei fedeli. Al termine della
funzione, tra botti, inni, rulli di tamburi ed al grido di "Viva Diu e San
Calò" il comitato offre ai fedeli presenti i "maccarruna di San Calò"
benedetti.
PALMA DI MONTECHIARO -
San Calogero è venerato nella
chiesa di Santa Maria degli angeli detta del Purgatorio dove si
conserva la statua lignea settecentesca di buona fattura ma fortemente
ridipinta. Non gode di nessun culto perché i palmesi in massa si
recano in pellegrinaggio a Naro il 18 Giugno.
PORTO EMPEDOCLE - Esiste una Via San Calogero.
Il 4 dicembre 1904 la Chiesa Madre Maria SS. del Buon Consiglio,
viene aperta al culto ed è la più bella e grande chiesa della diocesi
agrigentina. Nella sua struttura architettonica, sorge su un impianto a
croce latina, ad un’unica ampia navata. Sul lato destro, a partire
dall'ingresso, è collocata una scultura in legno dipinto dell'Ecce

141  
 
Homo. L'altare maggiore è una festa di marmi policromi con, al
centro, il tabernacolo vegliato da due angeli in preghiera e ideale
punto di fuga dell'intera costruzione. Numerose e pregevoli sono le
opere qui raccolte come il settecentesco quadro che dà il nome alla
parrocchia, le statue di San Calogero, San Gerlando, Cristo Crocifisso,
Madonna del Carmine e S. Simone Stock.
La statua di San Calogero già esisteva prima del 1877, come si
desume dall'aureola e dal bastone originali.
San Calogero è patrono del paese e si festeggia la prima domenica di
settembre, con la tradizionale processione. L’originalità sta nel fatto
che i devoti portano la vara per le vie del paese correndo e fermandosi
soltanto sotto le case dove la gente affacciata ai balconi lancia ai fedeli
sottostanti, che si affollano attorno al Santo, cercando di raccogliere al
volo più pane benedetto possibile.
I festeggiamenti iniziano il giovedì che precede la prima domenica di
settembre, quando in solenne processione il simulacro ottocentesco,
lascia la cappella della casa dei portuali, dove è abitualmente custodito
e venerato, per esser condotto in Chiesa Madre. Sono cinque giorni
vissuti con ritmo incalzante, passione travolgente, entusiasmo
delirante con i tamburi coprotagonisti della festa. Tutti i paesani
vogliono avere l'onore di vedere la statua del Santo nella propria
strada per questa ragione, nel corso degli anni i giorni della festa sono
diventati cinque.
La Cappella di San Calogero nella Casa dei Portuali, ha l’ingresso di
fronte al lato orientale del porto, così che il Santo nero abbia lo
sguardo rivolto al porto per proteggere sempre i portuali e l’intera
città. All’interno della cappella, costruita da pochi anni grazie
all’intervento del comitato Festa, è possibile visitare un museo
fotografico sulla storia della festa San Calogero.
RAFFADALI - Raffadali conserva nella Chiesa Madre una statua
di San Calogero, anche se non si sono mai svolte celebrazioni
religiose.206
REALMONTE - Esiste una Via San Calogero.

                                                                                                                       
206
Notizia datami dal Parroco di Raffadali.
142  
 
Il Santo viene festeggiato per tre giorni. Vi sono tre simulacri, uno
custodito nella Chiesa Madre di S. Domenico, uno in una nicchia sita
nella Strada Provinciale 68 e un altro in via "San Calò".
Il primo giorno di festa uno dei simulacri viene portato in Piazza, e
venerato dai devoti, un altro processionato dalla confraternita,
accompagnato dai "tammurinara" e dalla banda musicale al grido di
"E chiamamu a cu nn'aiuta!" "Viva San Calò!", riceve le preghiere e le
offerte dei devoti.
La festa è intrisa di tradizione che sa di "pagano", similarmente a
quella di Porto Empedocle. Molto caratteristico è "u jocu de pignati"
(le pentolacce): un uomo bendato, portato sulle spalle da un
compagno, con un bastone deve rompere delle pentole in terracotta
tenute sospese da tiranti legati ai balconi delle abitazioni. Il gioco si
svolge nella via Grande, le diecine di pentole vengono riempiete di
acqua colorata, pezzi di carta e addirittura colombi o conigli. Si svolge
inoltre "u jocu da 'ntinna" (l'albero della cuccagna). Al passaggio del
Santo è consuetudine, durante la processione, lanciare il pane, così
come avveniva secondo la leggenda, quando la gente buttava dai
balconi il pane per non avvicinarsi a S. Calogero seguito dai lebbrosi.
Oggi pane prende varie forme e, in segno di devozione , anche quella
del Santo.
Un'altra statua, la più piccola, esce in processione con i giovani della
confraternita. Il simulacro viene portato anche in spiaggia a pregare
per il mare, bene prezioso. La festa di S. Calogero si svolge in genere
nel primo fine settimana di Agosto.
RIBERA - Legate a San Calogero non ci sono mai state né
immagini né feste, forse per la concomitanza con il culto di San
Pellegrino sentito in questa cittá. Se ne solennizza il giorno solo per
devozione di qualche privato con la benedizione del pane. Molti
comunque privatamente fanno il viaggio a San Calò di Naro.
SAMBUCA DI SICILIA - San Calogero è venerato nella chiesa
Madre, Santuario Maria SS dell'Udienza. La Statua, proveniente
dall'omonima chiesa, risale al XVII secolo, in cartapesta, restaurata
nel 2019. La chiesa di San Calogero, fondata nel 1696 da Nicolò
Sagona, presenta un impianto decorativo molto semplice. Il luogo di
culto è ubicato proprio all’inizio del Corso Umberto I, principale

143  
 
arteria di Sambuca. Nel prospetto lesene bianche incorniciano, nel
primo registro, il portale in pietra arenaria e nel secondo il rosone
centrale. Il timpano, invece, accoglie una delicata successione di
archetti ciechi. Il portone, a due ante, presenta altrettante sculture
raffiguranti la vita del santo. Per l’intero perimetro dell’unica navata
corre il cornicione in stucco su cui s’imposta la volta a botte con
elementi in stucco a figure geometriche regolari. L’arco trionfale, che
segna in pianta la variazione di quota tra navata e presbiterio, immette
nell’abside semicircolare. L’altare è definito da due colonne con
capitelli corinzi e timpano triangolare; accoglieva, un tempo, la tela
del santo titolare opera di Fra Felice da Sambuca, ora esposta al
Mu.Di.A. Museo di arte sacra sambucese. Dall’aula della chiesa,
tramite una porta posta sul lato sinistro, si accede nella sagrestia, uno
spazio irregolare con annesso servizio. La statua del Santo eremita era
portata in processione la “Domenica delle Palme” insieme ad altre
venti statue. La prossimità con Sciacca - culla della devozione
calogerina - fa pensare che sia l’origine della costruzione di questa
chiesa. Restaurata nel 1996, dal 18 dicembre 1997 la chiesa ospita
l’Istituzione Gianbecchina, galleria delle opere donate dal maestro alla
città natale.
SAN GIOVANNI GEMINI - La statua di San Calogero, situata
nella Rettoria di Santa Lucia e Purgatorio, in cartapesta leccese del
1930, si festeggia in Chiesa, senza manifestazioni esterne, la domenica
successiva al ferragosto. Per voto si confeziona il pane di San Calò
che riproduce membra umane tipo ex voto. Spesso c'è chi promette al
Santo tanto pane quanto pesa la persona o il bimbo graziato (pondus
Piero). Tutte le domeniche, durante l’estate, si benedice il pane di San
Calogero.
SANTA MARGHERITA BELICE - Nel vecchio centro
storico, distrutto dal terremoto, esisteva una chiesa dedicata a San
Calogero, di cui rimangono oggi solo i ruderi. La statua si trova in un
deposito della Parrocchia. Quella che era la moschea araba, nel 1108
fu trasformata in chiesa dedicata a Santa Margherita fino al 1246, nel

144  
 
1806 divenne chiesa dedicata a San Calogero.207 Il Granone scrive del
ritrovamento, nel 1700, di una grotta abitata dal Santo.208 "Qualche
settimana fa pubblicavamo una cartolina raffigurante quella che fu
Chiesa di San Calogero a Santa Margherita Belice con il suo
caratteristico campanile arabeggiante, purtroppo gli eventi naturali
che tutti conosciamo hanno fatto perdere questo patrimonio. Vedendo
lo stato attuale ci sorge qualche dubbio se la mano dell’uomo ha
contribuito o meno alla totale perdita. Infatti come si può vedere dalle
prossime foto, da diversi anni il sito della Chiesa è un emerito OVILE
a cielo aperto. E pur vero che la Pecora Belicina doveva diventare un
animale sacro per i margheritesi ma ospitarLa in un sagrato ci
sembra un po’ troppo. Chissà magari spostando l’ovile non tutto
potrebbe ancora essere perduto."209
SANTO STEFANO QUISQUINA A 967 metri sul livello del -
mare, sul pizzo del monte Finocchiara, da dove è possibile ammirare
l’intera valle del Magazzolo, la chiesetta dedicata a S. Calogero è
raggiungibile da una stradella all’interno del bosco. Costruita intorno
al 500 e restaurata negli anni 90, essa presenta al suo interno un busto
bronzeo e un altare in marmo con un bassorilievo, realizzati dallo
scultore Lorenzo Reina, e due tele raffiguranti la vita del santo
realizzate dal pittore Francesco Sarullo.
La Statua è in gesso del 1950 di ottima fattura, e viene portata in
processione il 18 giugno per le vie cittadine. Quella antica in legno
viene portata a spalle dai devoti la notte precedente.
Si tratta di una caratteristica e spettacolare fiaccolata con i singolari
“famari” che accompagna la statua del Santo dalla Matrice alla sua
chiesa di Monte S. Calogero. Ai pellegrini, all'arrivo in cima, viene
offerto pane benedetto, ricotta, patate, uova, polli e vino».
La devozione a S. Calogero è legata alla presenza, in questo paese, di
Santa Rosalia, la quale scelse la vita eremitica seguendo l'esempio del
Santo, di cui ne prese l'abito: "Hor se di tanti Romiti vi fosse rimasto
                                                                                                                       
207
Salvatore Scuderi, Giuseppe Scuderi, Santa Margherita di Belìce nella
storia siciliana: genesi del Gattopardo, 2003, p. 65.
208
Monreale, S. Calogero.., Sciacca 1979, p. 53.
209
Salvatore Scuderi, Giuseppe Scuderi, Santa Margherita di Belìce nella
storia siciliana: genesi del Gattopardo, 2003, p. 431.
145  
 
qualche vestigio da seguirsi dalla Santa Vergine Rosalia
nella forma del vestire, crediamo però, che fu quello di S. Calogero,
come le antiche picture ci dimostrano; tal fü l'habito delle donne ,
chea menar vita santa , dal mondo si ritraevano, come delle stesse
nostre Siciliane viene affermato..."210
SCIACCA Sicuramente a Sciacca il culto a San Calogero iniziò -
dopo la sua morte, anche se non abbiamo riferimenti diretti; continuò
sotto gli arabi. ma venne incrementato al tempo dei Normanni e
specialmente da Giuditta che nel 1100 divenne Padrona di Sciacca,
dove eresse chiese e monasteri, tra cui S. Nicolò la Latina nel 1172 e
che nel 1195 passò al Monastero di San Filippo d'Agira, per diventare
nel 1367 Abbazia di San Calogero in Sciacca.
L'attuale santuario di San Calogero è un edificio religioso che si trova
sul monte San Calogero e, fino al 1948 vi rimasero gli Eremiti di San
Calogero; oggi è retto dai Frati Francescani del Terzo Ordine Regolare
esisteva già nel XV secolo. Varcando la porta della chiesa subito salta
all’occhio la statua marmorea del santo, posta sull’altare maggiore, in
atteggiamento di ineffabile dolcezza. La statua è stata scolpita
da Antonello Gagini nel 1535/36: il gruppo doveva raffigurare, oltre al
Santo ed alla cerva ferita, un arciere in ginocchio, ma la morte
dell’artista nell’aprile del 1535 interruppe la realizzazione dell’opera
che fu portata a termine - senza l’arciere - dal figlio Giacomo.
Sempre all’altare maggiore, sul lato destro, una tela raffigurante San
Calogero che libera un indemoniato: con la croce esorcizza il demonio
che, sotto forma umana dalla coda serpentina, si precipita fra i
fichidindia. Nella tela a sinistra, San Calogero che scende dal monte
per evangelizzare gli abitanti. Nelle due tele il Santo veste come gli
antichi eremiti: veste bianca, mantello e pazienza nera, ai fianchi una
cinghia di cuoio da cui pende un rosario. La volta della navata è stata
affrescata da due diversi artisti: in quella del transetto fino a
metà, Vincenzo Lo Bello raffigurò San Calogero che esce dalla
grotta, il maestro Vitabile affrescò il resto della navata con San
Calogero in Gloria nella contemplazione della Vergine Maria.

                                                                                                                       
210
Giordano Cascini, Di S. Rosalia, vergine Palermitana, libri tre, composti
dal R. P. Giordano ..., p.315
146  
 
Al maestro Vitabile, inoltre, vennero affidati tutte le altre decorazione:
l’istruzione e il battesimo che il Santo impartisce al beato Sierio da un
lato, e l’altro di fronte con il Santo nei sentieri della selva.
Maggior pregio artistico della Basilica va all’affresco che Vincenzo
Tresca eseguì nel 1746 nel catino absidale con La glorificazione di
San Calogero: il Santo, in atteggiamento estatico, contempla la gloria
della Trinità e riceve dallo Spirito Santo, l’abbondanza della luce
divina; ai lati sono raffigurati diversi malati portati al suo cospetto.
Sopra le porte laterali, due pannelli in pietra lavica mostrano lo sbarco
di San Calogero a Lilibeo, e il santo che caccia i demoni.
Nella stradetta che conduce alla grotta dove abitò il santo, sono
collocati alcuni pannelli: nel primo Il martirio dei Santi Gregorio e
Demetrio a Marsala; nel secondo Il santo predica a un gruppo di
persone; nel terzo, guarisce i malati genuflessi davanti a lui; nel
quarto Libera la città di Sciacca dal bombardamento e nell’ultimo
Perdona Sierio.
Anche nella chiesa Madre, oltre a molte opere d'arte di grande valore,
sul penultimo altare della navata destra, si conserva la statua lignea di
S. Calogero, l'arciere e la cerva attribuita al trapanese N. Milante.
Altre due statue di marmo (S. Giovanni Battista e S. Calogero), opere
di Antonio e Gian Domenico Gagini e
provenienti dall'antica chiesa normanna, sono collocate in nicchie ad
edicola. La prima sopra la porta della fiancata settentrionale e la
seconda sopra la porta della fiancata meridionale alla quale si accede
con un'ampia scala a due rampe dal corso Vittorio Emanuele.
Nell'aprile del 1586 Ettore Vitale di Malta inviava a Sciacca "una
cappa di damasco carnaxino cum suo scuto di lo proprio, cum sua
frinza russa e sita bianca cum suo frixo cum li armi del magnifico
Ettore Vitale et a lu cappello di ditta cappa de lu culuri de dicto frixo
cum la immagini di lo glorioso et beato sancto Calogero et a li pedi lo
nomo di ditto de Vitale, infoderata di ritella di sangallo russa cum suo
jummo pendenti".211
La grotta di San Calogero è stata sempre meta di pellegrinaggi.
Entrando, ad accogliere il visitatore, una ceramica bronzea (realizzata
dai Ceramisti saccensi Perconte) che raffigurata la morte del Santo

                                                                                                                       
211
Domenico De Gregorio, San Calogero, Agrigento 1977, p. 140.
147  
 
circondato dai suoi grandi amori: SS. Trinità, Beata Vergine Maria,
Arciere con la cerva. Nella seconda grotta, in fondo a destra, si apre
una buca larga un metro e mezzo e lunga due, capace di far passare un
uomo carponi. Si tramanda che in essa il Santo Eremita si riposasse.
La maiolica collocata su un piccolo altare raffigura San Calogero
vecchio e benedicente, a destra in basso la cerva ferita al collo e alla
sinistra l'arciere genuflesso in atto di preghiera.
Le Stufe di San Calogero sono delle grotte, abitate fin dall’età del
rame. Per un periodo, abbandonate a causa di fuoriuscite di vapore
(dovute a movimento tellurico), furono nuovamente occupate in epoca
greca. San Calogero scoprì in seguito le virtù terapeutiche del vapore e
così le grotte furono dotate di sedili in pietra su cui potersi sedere:"
Calogero s. Lat. S. Calogerus. Sic. San Caloiru. Monte ai bagni di
Selinunte oggi Sciacca un tempo Cronio prese il nome altresì da un
santissimo solitario ed ai tempi dei Saraceni dissesi delle Giummare
dalla voce Gemmar che corrisponde alla palma selvaggia di che
abbonda il circostante territorio e lo stesso monte. Afferma il Gaetani,
nella vita di S. Calogero, essere stato detto Cronio una volta dalla
figura poichè ha forma di teschio umano o forse perchè del tutto nudo
nè erba produce o alberi ed è dannato ad una perpetua sterilità dicesi
Cronio. Verso i suoi fianchi sono le acque termali e delle grotte ad
uso di bagno che sopra descrissi parlando delle acque di Selinunte. Vi
si osserva altresì un antro dove a lungo trasse i suoi giorni S.
Calogero oggi mutato in Chiesa che gli è consecrata."212
Lo storico e appassionato Nicola D’Asaro, nel 2017, dopo anni di
ricerca e di studi effettuati nella zona araba del Rabbato, riuscì a
individuare quella che potrebbe essere la prima chiesetta rupestre
fondata da S. Calogero, sotto un costone di roccia calcarea non molto
lontano dal castello Vecchio.
La chiesetta è composta da due vani: il primo ampio di forma
rettangolare, il secondo, a pianta circolare con il soffitto a cupola,
dove al centro spiccano un cerchio scavato nella viva roccia. Sette
colonne a crociera formano raggi solari che vanno a poggiarsi su un
muro scavato sempre nella viva roccia e che richiamano nella loro
disposizione la volta celeste

                                                                                                                       
212
Vito Amico, Dizionario topografico della Sicilia, vol. 1, p. 197.
148  
 
Della storia di questa chiesa si sa poco o nulla, probabilmente dopo la
morte di S. Calogero fu trasformata dagli arabi in una piccola
moschea. Oggi è un magazzino che ospita attrezzi agricoli.
Diverse località vicino a Sciacca portano il nome di S.
Calogero:"appresso siegue Spiaggia e poi la Tonnara, indi il
Cargatore di Sciacca, Città vicina del lito un tirar di balestra sul
rialto di dolce Collinetta di contro al mare. Seguendo per la
maremma vi sono le Rupi di S. Calogero piegate in figura di mezza
luna e tirano fin alla Punta, e Cala della coda della Volpe: di rimpetto
alle cennate Rupi, per quanto si stende la tratta di un sasso, giace
un'Isoletta con Chiesa antica di S. Calogero, luogo se non falla la
traditione, dove orava guel Santo."213
Si trovava anche un ospedale di San Calogero fondato nel 1554.
Il 24 Settembre si celebra la Dedicazione della Basilica a San
Calogero, mentre la festa ricorre il martedì dopo la Pentecoste.
Il giorno antecedente (lunedì) e il giorno della Festa (martedì), la
cittadinanza saccense, come segno di devozione al santo patrono, si
reca dalla chiesa Madre e, in pellegrinaggio, fino al monte S. Calogero
a piedi (molti pellegrini fanno la strada a piedi scalzi), sin dalle prime
ore del mattino. Durante la giornata di martedì nella Basilica di S.
Calogero si celebrano diverse messe solenni. Alle ore 19.00, si svolge
la processione del Santissimo, affollata da numerosi fedeli e al rientro
officiata l'ultima santa messa. Negli anni passati, durante i
festeggiamenti il popolo di Sciacca affollava il monte e la vicina
pineta, organizzando grigliate all'aperto, feste e giochi in onore
dell'eremita.
SICULIANA - Non ci sono tracce di recente devozione. Nella
chiesa Madre, santuario del SS. Crocifisso è collocata una statua di
San Calogero, in una nicchia della cappella del battistero. Il modello
iconografico è quello del più popolare San Calogero agrigentino.
VILLAFRANCA SICULA - È una cittadina adagiata sul colle
San Calogero a circa 370 m. s.l.m., dove non esiste una tradizionale
festa legata a S. Calogero. Esisteva in passato una chiesetta fuori del

                                                                                                                       
213
Giovanni A. Massa, La Sicilia In Prospettiva Parte ...: Cioè Le Città,
Castella ..., Volume 2, p. 364.
149  
 
centro urbano non lontano dal paese che la tradizione vuole intestata
al Santo. È probabile che l'unica statua colorata esistente in paese, si
trovasse in quella chiesetta e il Barone Musso Giuseppe Antonio
(grande benefattore del paese per avere donato i suoi beni ai poveri)
l'avesse collocata su un altarino all'interno della sua Cappella
Gentilizia nella sua villa in contrada S. Calogero.
Negli ultimi anni il 18 Giugno, festa liturgica, l'Associazione Socio-
Culturale "Barone Musso, provvede alla pulizia della Cappella e alla
celebrazione di una santa Messa in suo onore sul sagrato, con
distribuzione di pane benedetto. La stessa Associazione diversi anni fa
con propri fondi aveva provveduto a farla restaurare.214
Esisteva il Beneficio e una contrada San Calogero.

DIOCESI DI CALTAGIRONE
SAN CONO - Nella parte nord del paese, sulle pendici del monte
San Marco, fu costruita agli inizi del 1900 la chiesa del Crocifisso.
Aperta solo il Venerdì Santo per la rituale visita ai Sepolcri.
Internamente vi è un altare centrale dominato da un grande Crocifisso
in cartapesta; lateralmente, altri due altari, dedicati uno all'Addolorata
e l'altro a San Calogero del quale si conserva statua di San Calogero di
Bottega siciliana della seconda metà sec. XVIII, in legno scolpito e
dipinto.

DIOCESI DI CALTANISSETTA
ACQUAVIVA PLATANI - La chiesa Madre, edificata nel 1635 e
dedicata a S. Maria della Luce, custodisce un quadro di San Calogero,
opera di Salvatore Frangiamore di Mussomeli del 1903, raffigurante il
Santo secondo l'iconografia tradizionale. Verso il 1940 i coniugi Vito
e Speranza Stancarone fecero scolpire una statua del Santo dal
concittadino Luigi Maniscalco (1898-1981).
Nonostante la presenza delle opere sopra citate, gli abitanti non
festeggiano San Calogero, preferendo l'ultima domenica di luglio,

                                                                                                                       
214
Notizie fornite dal sig. Calogero Latino di Villafranca sicula.
150  
 
recarsi in pellegrinaggio verso Campofranco a piedi o con le macchine
per rendergli il culto dovuto.215
BOMPENSIERE - Piccolo paese fondato nel 1630 da don Ottavio
Lanza di Trabia con licentia populandi, che rimase fino al 1911
frazione della vicina Montedoro, dove vi era grande devozione verso
San Calogero.
Dopo la ricostituzione del Comune, fu acquistata una statua del Santo
simile a quella di Agrigento e per diversi anni la sua festa veniva
solennizzata il 18 giugno con una Santa Messa. La domenica
successiva, nel tardo pomeriggio, si svolgeva la processione molto
partecipata. Oggi rimane solo la devozione di benedire i pani ex voto
raffiguranti membra umane, bastone, corona e palma.
I fedeli, ancora oggi, riversano la loro devozione al Santo recandosi,
l'ultima domenica di Luglio, in pellegrinaggio a Naro o a
Campofranco.
CALASCIBETTA La devozione verso S. Calogero, è -
testimoniata dalla presenza nella chiesa Madre di un quadro che lo
rappresenta.
Oggi i devoti il 18 giugno si recano a Naro per partecipare alla festa e
soddisfare i loro voti al grande Santo Taumaturgo.
CALTANISSETTA La chiesa di San Calogero, costruita prima -
del 1671, e si trovava all'angolo tra l’omonima via e quella dei Santi,
oggi Corso re d'Italia. Nel 1756 il vescovo di Agrigento Andrea
Lucchesi Palli istituì la 'Compagnia di S. Calogero' con il compito di
curarne la festa. Dopo il 1860 la chiesa fu soppressa al culto e il
fabbricato passò all'ospizio di beneficenza e la statua del Santo
trasferita nella chiesa di S. Francesco di Paola.
La festa liturgica viene celebrata il 18 giugno senza processione, ma
non manca la tradizionale benedizione del pane.
Una piccola chiesa ortodossa, inoltre, dedicata a San Calogero, si
trova incastonata in un complesso ex scolastico, nel centro storico
                                                                                                                       
215
Molte notizie sulla devozione a San Calogero nella Diocesi di
Caltanissetta sono state tratte dal libro di Carlo Petix, Il culto di San Calogero
nella Diocesi di Caltanissetta,, 2008. Un sentito ringraziamento all'autore per
la sua gentilezza e disponibilità.
151  
 
della città. L'interno si presenta interessante per il suo arredo e i suoi
paramenti liturgici, un riadattamento sulla struttura originaria come
luogo di culto "Cattolico". Appartenente al Patriarcato Ortodosso di
Costantinopoli, la Parrocchia dei Santi Calogero ed Elia il Nuovo,
serve una folta comunità ortodossa multietnica: Rumena, Slava,
Greca, Eritrea, Somala, Egiziana e italiana...
CAMPOFRANCO - San Calogero è compatrono con San
Giovanni Evangelista e si venera presso la chiesa di San Francesco,
popolarmente detta di S. Calogero, fondata da Francesco Del Campo
nel 1573. Il 22 luglio 2012 monsignor Mario Russotto, vescovo della
Diocesi nissena, con proprio decreto, ha eretto la chiesa di San
Francesco a “Santuario Diocesano di San Calogero”.
L’interno ad unica navata con volta a botte, profilata da due logge
balconate che continuano nella zona absidale, ha, lungo le pareti
laterali, tre nicchie sormontate da arcate, che contengono altrettanti
altari, e reca buone decorazioni in stucco di stile neoclassico. La
chiesa contiene alcune buone sculture lignee.
Sin dagli inizi del 1600 nella chiesa di San Francesco, officiata dai
frati, vi era una piccola statua del Santo ma, al crescere della
devozione, i frati, verso la fine del 1700, fecero ne scolpire un'altra,
forse dal Bagnasco.
È il pezzo più significativo per l’incidenza devozionale che esercita su
tutta la comunità campofranchese; essa rappresenta il Santo dal volto
bruno che, con largo gesto della destra, benedice, mentre con la
sinistra raccoglie sul fianco i lembi del mantello nero, che gli cade in
larghi volute e regge il bastone d’argento donato dai Principi Lucchesi
risalente all’800; sul petto porta una placca rotonda, di argento,
circondata da raggi con il trigramma IHS.
L'11 gennaio si celebra la festa di “S. Calogero poviru”, per
ringraziarlo di aver preservato Campofranco dal forte terremoto che
nel 1693 ha scosso la Sicilia ed impetrare il suo aiuto per essere
liberato da ogni male fisico e spirituale. In concomitanza si svolge la
"Sagra dei Pupi di Pane", durante la quale vengono distribuite quintali
di grosse forme di pane, i cosiddetti “miraculi “, ossia la riproduzione
della parte del corpo di cui ogni devoto è stato guarito o si aspetta di
essere guarito.

152  
 
Grandiosa invece è la festa nell’ultima domenica di luglio, quella di
“San Calogero riccu” con processione. L'intero mese di luglio è
dedicato al santo e ogni sera, una folla di devoti assiste alla messa
nella chiesa dell'antico Convento Francescano, recitando il vespro e
cantando «Fedeli a Calogero, correte fidenti, mentr'Egli sa compiere
sublimi portenti».
Caratteristica la rievocazione della tradizionale offerta del frumento
detta anche "prumissioni". I muli, bardati a festa, con paramenti
colorati e sonagli, carichi delle bisacce piene di frumento, attraversano
le vie principali del centro storico, accompagnati dalla musica, per
terminare la sfilata innanzi alla chiesa dove i sacerdoti benedicono il
grano che successivamente servirà a confezionare le ostie e le
particole per le celebrazioni eucaristiche.
A intervalli regolari, la vara con il Santo, si ferma per la benedizione
dei 'pupi ri pani' e poi distribuiti ai fedeli.
In entrambi le feste, prima di iniziare a mangiare il pane, tutti fanno il
segno della croce e pregano con fede e speranza di ricevere grazie dal
Santo. È un gesto che fanno tutti, anche gli increduli, perché, come si
narra, San Calogero potrebbe venire in sogno e bastonare.
DELIA - Delia faceva parte della Comarca di Naro sorta nel secolo
XIII e soppressa sul finire del secolo XVIII.
La Chiesa del Carmine, particolare per la sua semplicità e sobrietà, è
sita in Piazza del Carmelo, posizione particolare e caratteristica,
raggiungibile dopo aver percorso una salita ed una scalinata. Costruita
nel 1601 per volontà del barone Gaspare Lucchese, una parte fu
destinata a monastero di Carmelitani.
Venne abolita nel 1652 per presenza di pochi frati.
Sopra il portone vi è la statua della Madonna, come a voler indicare la
madre di Dio che accompagna i fedeli nel regno dei cieli. Al suo
interno sono presenti tre statue: "S. Marta" lungo il lato destro, "S.
Calogero" a sinistra (di origine settecentesca e, fino al 1771, custodita
presso la chiesa di S. Giuseppe - oggi non più esistente), in ultimo la
statua della "Madonna del Carmelo" e altri quadri e statue.
Oggi la chiesa forse è la più ricca per decorazioni e opere d'arte.
A Delia esiste una contrada S. Calogero, area caratterizzata dalla
vallata del torrente Paradiso che attraversa il territorio comunale in
direzione nord/sud. Riceve sulla destra l'affluente che scende dalla
153  
 
contrada Pascibue e il torrente Frusola, Fontana Grande e Corrice;
piega a sud/est, quasi ad angolo retto, e cambia denominazione in
fiume Delia, ricevendo alla sinistra l'affluente che scende dalla
contrada S. Calogero.
MARIANOPOLI - In passato il culto verso il Santo Nero era
legato a Naro, dove il 18 giugno tanti si recavano. Nel 2018 è stata
realizzata la statua di S. Calogero in cartapesta coinvolgendo tutti i
fedeli dal nome Calogeri del paese. La prima domenica di agosto, per
la festa del Patrono San Prospero, la statua esce in processione
assieme a quelle di San Michele, l’Annunziata con l’Arcangelo
Gabriele, Santa Rita, Santa Lucia, S. Antonio di Padova, Santa Maria
Goretti, San Luigi, Federico di San Prospero, e San Paolo,
rigorosamente portate a spalle.
Alla lunga la processione, che si conclude intorno alla mezzanotte,
partecipano le autorità locali. Una festa paesana, assai sentita dai
manchesi, ma anche da devoti provenienti dai paesi vicini. Banda
musicale e giochi pirotecnici armonizzano e colorato la giornata
festiva.216
MAZZARINO - Presso la chiesa del Carmine esiste una bella
statua di San Calogero.
In Mazzarino vi è una azienda agricola denominata San Calogero, con
sede in Via Ninni Cassarà, 37, la cui attività è legata alla
"Coltivazione di cereali (escluso il riso)".
MILENA - Alla fine degli anni sessanta, per tutti coloro che durante
la notte del sabato non potevano recarsi a Campofranco l’ultima
domenica del mese di luglio, si celebrava la S. Messa in onore di San
Calogero Eremita presso la piccola edicola votiva all’uscita del paese,
(fine di Via F.lli Cervi),.
Era posta sul ciglio della strada e in curva rappresentava un pericolo
per le persone raccolte in preghiera; per questo l’allora Arciprete
Salvatore Taffaro, estese ai fedeli l’intenzione di costruire una
cappella in un luogo più tranquillo. I coniugi Nalbone Calogero e
Colantoni Giovanna (Vittoria), residenti a Roma, donarono un terreno

                                                                                                                       
216
Notizie fornitemi dal Parroco don Bernardo Briganti.
154  
 
vicino all'edicola esistente e da quel giorno quel luogo fu dedicato a
San Calogero.
La Signora Nalbone realizzò il pregetto suo e del marito e nell’anno
del Signore 2011 la Cappella venne dedicata alla B.V. Di Lourdes, per
diverse grazie ricevute in passato-
Il 22 Agosto del 2011, sono state collocate anche le statue di Santa
Bernadette, San Pio da Pietrelcina, considerato il “Santo di tutti” e San
Calogero di Naro, così da poterne celebrare la festa ogni anno.
Bisogna ricordare che non mancano altre edicolette private in paese, a
testimonianza della devozione dei paesani verso San Calogero.
MONTEDORO - Anticamente a Montedoro non esisteva
un'immagine del Santo da venerare o portare in processione. Il culto di
S. Calogero ha avuto origine grazie al Sig. Calogero Falci e suo
padre Mastru Nicu, che comprarono a loro spese a Naro una statua in
cartapesta e ai fratelli Gaetano e Francesco Alfano che ne costruirono
la vara in legno da addobbare nel giorno della festa con fiori di
ciliegio e amarena.
Inizialmente quella di S. Calogero a Montedoro era una festa per i
bambini che si riunivano davanti la casa dei fratelli Alfano
annunciandone a suon di tamburi l’inizio. In seguito Mons. Alfano
(Don Vito) sostituì, la piccola statua di cartapesta con un suo dipinto.
Padre Piccillo, parroco del paese, fece costruire una cappelletta sulla
strada per Bonpensiere, dove ancora oggi, il 18 Giugno, giorno
appunto dedicato al Santo, i fedeli si recano in processione.
Successivamente sorse, intorno alla piccola cappella votiva rivestita in
maiolica, una villetta come luogo tranquillo e di preghiera. Oggi,
purtroppo, molto spesso diventa luogo di ricovero per le pecore. Alla
fine degli anni '80, grazie alla collaborazione dei fedeli e all'impegno
delle sorelle Sferrazza, è stata acquistata la nuova statua e con una
donazione dei coniugi Calogero e Paolina Scalia, il suo basamento (la
vara) sul quale viene esposta e portata in processione.
L’eremita viene raffigurato con un bastone da pellegrino e una
borsetta dove teneva le erbe medicinali.
Anche a Montedoro come altrove, è tradizione preparare "lu pani di
San Calò", ex – voto con forme di parti del corpo (gambe, braccia
ecc...) a seconda della grazia ricevuta o attesa.

155  
 
Altra usanza è "lu viaggiu scauzu" anch'esso una forma di
ringraziamento e devozione al Santo, che consiste nel partecipare alla
processione a piedi scalzi o addirittura andare a piedi Naro o
Campofranco.
Nel pomeriggio della festa, la banda musicale si esibisce per le vie del
paese per poi accompagnare, dopo la messa solenne, la statua del
santo in processione annunciata da una potente maschiata. Nella prima
tappa, presso l’edicola di S. Calogero, i fedeli rendono omaggio
all’icona qui ospitata e riprendono la processione fino ad arrivare in
chiesa. La serata si conclude con lo sparo di fuochi d'artificio.
MUSSOMELI - Presso la chiesa di San Giovanni Battista è esposta
una pregevole statua raffigurante San Calogero la cui festa è tra le più
importanti
Al Santo taumaturgo è dedicata l’ultima settimana di agosto che si
conclude con la domenica. Il Santo viene portato in una
lunga processione che tocca tante caratteristiche viuzze del piccolo
centro nisseno che, spesso, durante il resto dell’anno vengono
ignorate. La festa viene inoltre arricchita con la grande tavolata,
allestita davanti alla chiesa, con l’esposizione dei tanti “‘mbraculi di
San Calogero”, preparati ed offerti dai devoti ai presenti sempre pronti
a ricevere il “pani binidiciutu”. La tradizione degli “’Mbraculi”, da
atto privato e familiare, si trasforma in un evento collettivo,
acquistando una valenza comunitaria. Un appuntamento importante
che mischia senza remore la passione dei fedeli, le bontà
gastronomiche del luogo e la valorizzazione delle tradizioni locali
legate al culto del santo e alle peculiarità indigene.
RESUTTANO - Resuttano è posto al centro della Val Demina e
Val di Mazzara un tempo appartenente alla Diocesi di Troina, poi a
quella di Messina e in seguito a quella di Nicosia; oggi fra parte alla
Diocesi di Caltanissetta. Anche se nel paese non vi è immagine di San
Calogero, molti fedeli sono devoti del Santo Taumaturgo e il 18
giugno si recano in pellegrinaggio a Naro.
SAN CATALDO - Il simulacro di San Calogero, opera in
cartapesta, è particolare per il colore bianco anzicchè nero. La sua
festa viene celebrata l'ultima domenica di settembre nella chiesa dei
Padri Mercedari. I fedeli si affollano portando il pane da far benedire e
156  
 
distribuire. Anticamente veniva fatta la processione per vie del paese
ma negli anni settanta venne abolita, pur mantenendo grande
devozione verso il Santo. I padri Mercedari decisero di sostituire la
vecchia statua in cartapesta con una in legno che fu riprodotta
conforma all'originale da Luigi Satfeller di Ortisei.
SANTA CATERINA VILLARMOSA - Anche se nel paese non
vi è immagine di San Calogero, molti fedeli sono devoti del Santo
Taumaturgo e il 18 giugno si recano in pellegrinaggio a Naro.
SERRADIFALCO - La Chiesa della Madonna del Carmelo
costruita nel '700 è conosciuta anche come Chiesa del Purgatorio (a lu
Priato).Nelle cappelle laterali, al suo interno, si trovano un grande
dipinto raffigurante le anime sante del Purgatorio, la statua lignea di
Sant'Antonio Abate, quella di San Calogero e La Natività.
Caratteristici sono i così detti “zagaredri”, nastrini di vario colore
della lunghezza di circa 40 centimetri che i fedeli, durante i
festeggiamenti, trovano ai piedi del Santo in un vassoio da prendere
lasciando un'offerta.
La festa è solamente liturgica senza processione.
SUTERA - Si racconta che il culto verso San Calogero abbia avuto
inizio nei primi anni del novecento grazie al piccolo Saia, inteso
'cincusordi'. Questi, trovandosi a Campofranco per la festa comprò
una statuetta del Santo in gesso e ritornato a Sutera, volle erigere
vicino alla sua abitazione una piccola cappella. In seguito, visto
l’incrementarsi della devozione, chiese al Parroco l'autorizzazione per
far realizzare una statua grande da mettere in chiesa e così nel 1929 il
nuovo simulacro in cartapesta arrivò in paese.
La festa ha luogo l'ultima domenica di settembre nella chiesa dedicata
a S. Maria Assunta che del 1545 è Matrice di Sutera. L'Interno è
arricchito di opere d'arte, tra cui le statue di S. Calogero e della
Madonna Addolorata.
I festeggiamenti iniziano al mattino con la celebrazione delle SS.
Messe e nel pomeriggio si svolge la processione dalla Matrice a
Sant’Agata e viceversa.
La vigilia si svolge una breve processione rionale con una statuetta di
San Calogero, custodita durante l'anno nella nicchia

157  
 
accanto all'abitazione del defunto signor Saia Salvatore, promotore
della festa.
Il percorso è molto breve: attraverso parte della via
Pisciottolo, Messina, Ruggiero e la via Chiesa si giunge in chiesa,
dove viene deposta la statuetta sul tavolo delle offerte all'ingresso e
da lì viene prelevata nel tardo pomeriggio dell'indomani, al ritorno
della processione da Sant’Agata, e quindi riportata nella sua nicchia
accompagnata dalla banda musicale.
L'undici gennaio in ricordo del terremoto del 1693, che scosse
gran parte della Sicilia, si celebra una Messa solenne
in ringraziamento al Santo per non aver preservato Sutera da alcun
danno rilevante.
L'aspetto più caratteristico della devozione al Santo è "lu pani di San
Caloriu" o "li pupi di pani" come comunemente vengono chiamati. Per
grazia ricevuta si preparano forme di pane rappresentanti le varie parti
del corpo: mani, piedi, testa, di cui si è precedentemente guariti grazie
all'intercessione del Santo; addirittura si possono vedere corpi interi. Il
pane benedetto viene distribuito e consumato con devozione.
VALLELUNGA PRATAMENO - La festa di San Calogero apre
il ciclo annuale delle feste vallelunghesi che culmina la quarta
domenica di Settembre, con i solenni festeggiamenti in onore della
patrona Maria SS. di Loreto. Si svolge l’ultima domenica di Agosto
con il consueto rito del pane. Perchè nel mese di Agosto? E qual è il
senso del donare il pane al Santo? Con tutta probabilità la festa del
Santo celebrata in Agosto e con l’offerta votiva del pane, era legata
alla chiusura della stagione della mietitura che durava da Giugno sino
al Agosto e quindi in segno di ringraziamento si offriva al Santo il
frutto del novello grano, cioè il pane.
Il culto a San Calogero trae origine dalla devozione del maestro
Rosolino Gervasi “il quale nel novembre del 1804 ci regalava la
statua, circondata di molte venerazione, prima nella chiesa del
Collegio ed in seguito nella nostra chiesa Madre, dove attualmente si
trova."217

                                                                                                                       
217
Antonio Criscuoli Montoro, Vita di San Calogero, p. 7.
158  
 
Durante la festa molti devoti facevano benedire 'l'abito di San
Calogero' che avrebbero portato per tutto l'anno con grande
devozione.
VILLALBA - La festa di San Calogero si solennizza la quarta
domenica di Agosto con l'offerta del pane devozionale durante le
messe della giornata.
Le celebrazioni vengono officiate nella chiesa della Concezione, che
si affaccia sull’ex largo della Concezione (l’odierna via Guglielmo
Marconi o “La funtana”). Essa (o “Chiesa nica”) costituisce la
seconda chiesa Madre costruita a Villalba, dopo quella sorta nel primo
nucleo originario del paese (tale chiesa originariamente era ubicata nel
luogo attualmente corrispondente ad un magazzino di fronte all’ex
cinema in via Nicolò Palmieri). Fu costruita alla fine del Settecento,
per volere del Sacerdote Lo Bello e del Barone Placido Palmieri, dopo
che, con l’aumento della popolazione residente, lo spazio della
chiesetta originaria venne considerato insufficiente. La chiesa, aperta
al culto il 20 luglio 1795 è quasi del tutto priva di decorazioni a causa
dell’insufficiente disponibilità economica del paese. L’altare
maggiore, dedicato alla Madonna, custodisce la statua
dell’Immacolata Concezione dello scultore Filippo Quattrocchi. Sul
lato sinistro si trovano l’altare di San Calogero e quello di San Luigi, a
destra quello di Santa Lucia e della Madonna di Pompei raffigurata su
tela ad olio.

DIOCESI CATANIA
CATANIA - "GROTTA di
SAN CALOGERO. Lat. Antrum S. Calogeri, Ottavio Caetano. Sta
situata presso l'Agnone, Promontorio, e Ridotto di barche tra
Catania, ed il Capo di S. Croce: prende il suo nome con la Chiesa,
che l'è allato, dal S. Eremita Calogero, di cui è fama havere per
qualche tempo in quella fatto soggiorno."218
"Ed il promontorio che si framezza come oggi è il capo Santa Croce,
era allora il Xifonio. Quindi presso al Simeto troviamo l'Agnuni,
                                                                                                                       
218
Giovanni Andrea Massa, La Sicilia in prospettiva. Parte prima, cioè il
Mongibello, e gli altri ..., p.159
159  
 
l'antico emporio dei Leontini e prima anche di Morgaozio. In seguito
il ridotto di San Calogero e la foce del fiume di tal nome dove alla
punta detta anche di S. Calogero rimangono ruderi di molta antichità.
Viene ancora la cala e castello della Bruca, l'antico Trotilum di
Tucidide tra l'Agnuni e il capo Santa Croce. Quivi il Pantagia oggi
fiume di Porcari. Passato il capo abbiamo nel golfo di Augusta tra
questa città ed il medesimo capo molti ricoveri di barche come varii
fiumi e grosse fontane tra quali l'Alabone che oggi dicesi Cantara e
provvede la città di acqua in abbondanza."219
Castello sul golfo di Catania.220
"S. CALOGERO. Castello sul Golfo di Catania tra lo Castello della
Bruca e il Ridotto dell'Agnone."221
SANTA MARIA DI LICODIA - A S. Maria di Licodia vi è una
Casa Famiglia dedicata a San Calogero, una struttura creata per
accogliere anziani autosufficienti, aperta tutto l'anno con assistenza 24
ore su 24. È una villa immersa nel verde con ampi spazzi di relax.

DIOCESI CEFALU'
ALIA - Nel comune di Alia vi era una Chiesa San Calogero. Oggi
non più esistente.
ALIMENA - Qui non si festeggia e non esiste statua o quadro di
San Calogero, ma gli abitanti di Alimena sono molto devoti e si
recano a venerarlo a Petralia Sottana.
ALIMINUSA - Alla conclusione della raccolta delle messi si
svolge la fiera agricola e, come ringraziamento da secoli, il 24 agosto
si festeggia San Calogero, raffigurato con abito da eremita e da
abate basiliano, con in mano la bibbia e a lato la cerva.

                                                                                                                       
219
Vincenzo NATALE, Sulla storia antica della Sicilia discorsi di V. N. vol.
1, p. 221.
220
Vocabolario siciliano etimologico, italiano, e latino, dell'abbate ...,
Volume 3, p. 325.
221
Giovanni Andrea Massa, La Sicilia in prospettiva. Parte prima, cioè il
Mongibello, e gli altri ..., p. 288.
160  
 
La questua "A cugghiuta" si effettua nei giorni precedenti la festa,
durante i quali i componenti del comitato dei festeggiamenti, seguiti
dal rullo dei tamburi, bussando a tutte le porte per raccogliere le
offerte. Oggi si tratta di offerte in denaro, ma fino a qualche decennio
fa i contadini erano soliti donare al Santo una certa quantità di grano.
Durante i festeggiamenti si alternano manifestazioni prettamente
laiche, come l'alborata, giochi di società (pentolaccia, tiro alla fune,
palo della cuccagna "a ntinna", corsa coi sacchi, ecc.), concerti canori,
sfilate della locale banda musicale, spari dei mortaretti e dei fuochi
d'artificio, e celebrazioni e riti religiosi come la processione. Negli
anni settanta, al fine di rendere partecipi i tanti compaesani emigrati,
si decise di associare ai festeggiamenti di San Calogero quelli di Santa
Rosalia e della Madonna del Rosario, fino ad allora celebrati
rispettivamente il 4 settembre e la prima domenica di ottobre, e così la
festa si distribuì su tre giorni consecutivi.
BLUFI - A Blufi, non c'è né statua né quadri di San Calogero, ma
tanta devozione e molti si recano a festeggiarlo a Petralia Sottana.
CALTAVUTURO - In via Concezione è sita la Chiesa
dell'Immacolata che ospita la statua di San Calogero la cui
confraternita ne gestisce le Feste e provvede al decoro della chiesa. La
confraternita è stata fondata nel 1921 e il suo primo Assistente
spirituale fu Don Vincenzo Bajardi (1876-1956); la confraternita ha
come finalità quella di curare e gestire la festa di San Calogero per
aumentarne la devozione popolare.
I festeggiamenti si svolgono la prima domenica di luglio (un tempo il
18 giugno) nella piazza accanto all’omonima chiesa e hanno inizio il
sabato, dopo la celebrazione della santa messa. Tanti sono i devoti
che, dai paesi vicini giungono per effettuare il "viaggio" e le "offerte”
e qui ricevono i pani votivi benedetti. In chiesa, vengono portate ceste,
più o meno grandi, contenenti del pane di casa con lievito naturale, e
un pizzico di zucchero al posto del sale. «In occasione di questa
ricorrenza, per grazia ricevuta, vengono confezionati dei pani,
rievocanti nella forma le parti del corpo malate, e vengono distribuiti
alla popolazione».
Un grande tavolo costruito per l'occasione, viene disposto dinanzi
all'altare per appoggiarvi le ceste. In questi ultimi anni, la cerimonia

161  
 
religiosa, per far fronte all'innumerevole presenza di devoti, si svolge
all'aperto. La domenica pomeriggio, dopo la tradizionale Corsa dei
bambini, vi è la processione del Simulacro del Santo nero e della
reliquia per le vie cittadine.
CASTELBUONO - All’eremita fra Guglielmo da Polizzi
(†1321) si deve la fondazione della chiesa rurale di San Calogero, sul
monte Monaco, a cinquecento passi da Ypsigro, e dall’eremo di Santa
Maria della Misericordia, e a due miglia dal casale, dove egli era
solito ritirarsi durante la quaresima. Qui nella seconda metà del
Cinquecento sarà eretto un priorato da Giovanni III Ventimiglia.222
Il più antico riferimento alla chiesa di San Calogero si trova in un atto
del notaio Abruzzo del 1585 nel quale si legge che la contrada San
Calogero con la chiesa omonima faceva parte del feudo Sant’Elia
(Asti, notaio Pietro Paolo Abruzzo, 9 dicembre 1585, c. 187r).
Il giorno di San Calogero era una festa prettamente di “campagna”,
era uso di molti, farsi benedire i campi o presentare in chiesa i primi
raccolti; tuttavia non risulta esistessero festeggiamenti in stile
maggiore o con espressioni di fede particolari. L’unica nota a
riguardo, mi è stata fornita da un anziano che ricorda di alcuni
“vurdunara” (bordonai trasportatori di frumento) che usavano andare
fino a Petralia per donare al Santo grano e farina.
Così scrive il Pirri: " NOTITIA DECIMAQUINTA - S. MARIAE DE
PARTU CASTELLIBONI.
5. S. Calogeri ad quincentos passus prope Castellum bonum. 6.
Denique S. Calogeri etiam que tribus passi. millibus ab Hieracio
refugit."223
Nel territorio di Castelbuono esiste un fiumicello chiamato Fiume
Molinello - San Calogero.
"Nel 1626 erano considerate contrade del feudo di S. Elia: cozzo di la
ecclesia, Portella di l'olgiastro, Imbuscamento, Sirufo, chiano di
l'anito, acqua di lo Landro, Petraro, di lo fiumi verso Catello Bono

                                                                                                                       
222
R. Pirri, Sicilia sacra cit., p. 1267.
223
Rocco Pirri, Sicilia sacra, disquisitionibus et notiis illustrata: Ubi libris
quatuor ..., p. 1267.
162  
 
alla contrada di lo Sirufo di la via verso lo vallone di la ruta, serra
davanti l'ecclesia di Santo Calogero."224
CASTELLANA SICULA - L'origine di Castellana Sicula si fa
risalire al XVIII secolo, quando il feudatario del luogo, duca di
Ferrandina, volle graziosamente dare il nome della moglie, che
apparteneva alla famiglia dei Castellana di Spagna, alle terre sulle
quali oggi sorge la città.
Fu per circa duecento anni frazione del Comune di Petralia Sottana; le
prime elezioni amministrative che la consacrarono quale comune
autonomo furono indette, con decreto Prefettizio del 02/09/1948, per il
31 ottobre 1948.
Gli abitanti di Castellana sono devoti di San Calogero e, pur non
avendo una statua, lo festeggiano a Petralia Sottana.
CEFALU' - Alcuni anni addietro è stata scoperta la piccola Chiesa
di San Calogero alla Rocca. Posta su un costone roccioso, ad una sola
navata, conserva, in modo pressoché integro, la parte absidale
composta da un’aula quadrata con volta a botte e copertura a capanna
L’area è stata restituita alla pubblica fruizione nel 2018 per iniziativa
di Enzo Terrasi, consigliere comunale ma anche storico, con la
collaborazione di diverse associazioni e con il supporto del sindaco e
dell'amministrazione comunale..
COLLESANO - Da diversi anni a Collesano è presente un Parco
Giochi nella "Villetta San Calogero" un posto destinato ai bambini,
dove fare attività ludiche e nello stesso tempo un servizio alle
famiglie.
GANGI - La chiesa intitolata a Santa Maria della Catena è una delle
più antiche della cittadina madonita, anche in considerazione del fatto
che essa era la più prossima al castello che i Ventimiglia, conti di
Geraci e signori del luogo, avevano fatto costruire sulla sommità del
monte Marone. Il rione attorno alla chiesa, già pienamente sviluppato
nella metà del Cinquecento, era uno dei più consistenti e popolosi del
borgo.

                                                                                                                       
224
Orazio Cancila, Pulcherrima civitas Castriboni: Castelbuono 700 anni, p.
130.
163  
 
Il Quattrocchi, nel 1759, realizzò il bastone pastorale, l’altare con
la statua lignea di san Calogero e l’altare di sant’Agata.
Di fronte a Gangi si trova un monte chiamato S. Calogero, come ci
conferma l'Amari nell’Ottocento che ha inteso ipotizzare
l’identificazione di G.flàh, di cui scrive Edrisi, con l’area di monte
San Calogero-Gangivecchio: "Non lungi da quel contado ed a levante
di esso [corre] il fiume Salso. Il capo e scaturigine del quale torna al
"la boscaglia di Nizâr ", quella che sovrasta a g.flah (leggasi gankah,
comune di Gangi); alla distanza di un miglio e mezzo. Scendono le
acque verso mezzogiorno di faccia a questo paese che rimane discosto
un miglio dal fiume. Questo indi arriva ad 'al hamma h (l'acqua
termale !) donde trapassa al casale che addimandasi ḥurâqah e lascia
questa a diritti, a un trar di sasso. Questo casale giace a sei miglia da
'al hammah. Fin qui l'acqua è dolce: arrivato al terrirorio di m.ḥkân
il qual casale gli rimane a diritta, il fiume, pria di passar oltre, entra
in certi stagni salati e vi divien salso (veramente). Tocca indi il lato
occidentale del territorio di Castrogiovanni e l'orientale di quello di
Caltanissetta; dalla quale passa a distanza di cinque miglia, per
entrare nel contado di ’al hag ar 'al matq ûb (« pierre perçée »
comune di Pietraperzia) presso la quale arriva a distanza di due
miglia. Lasciatala a levante, trapassa a levante di qarq û dî, com'
abbiam detto, dal qual paeso il fiume si discosta per nove miglia, poco
più o poco meno. Lì storcendo corre diritto a ponente; ma arrivato
presso Licata, volge a mezzogiorno e mette foce a piccola distanza da
quella [città].225
GERACI SICULO Gli abitanti di Geraci Siculo sono devoti di -
San Calogero e, anche se non hanno una statua, lo festeggiano a
Petralia Sottana.
ISNELLO - Esiste una Via e una contrada San Calogero, oltre ai
ruderi di una piccola e antichissima chiesetta extra moenia, diroccata
nei primissimi del '900, dedicate a S. Calogero226. Oggi rimane una
piccola statuetta del Santo, in pessime condizioni forse seicentesca che
                                                                                                                       
225
Atti della Reale Accademia dei Lincei, Anno CCLXXIV, 1876- 77, Serie
Seconda, Volume VIII, P. 50-51.
226
Carmelo Virga, Notizie storiche e topografiche d'Isnello e del suo
territorio pel sac ..., p. 54.
164  
 
un tempo veniva portata in processione, assieme a quelle di altri santi,
in occasione della festa del Corpus Domini. Nel 1656 davanti la
chiesa, durante la predicazione quaresimale di p. Luigi La Nuza è
stato edificato il Calvario.227 Non si ha memoria recente di festa e
devozione verso il Santo.
MONTEMAGGIORE BELSITO Presso la Chiesa del -
Purgatorio, sono presenti una statua di San Calogero, realizzata da
Filippo Quattrocchi (1812 circa) e una reliquia. Non vi è però alcuna
celebrazione o tradizione legata al santo.
PETRALIA SOPRANA - A Petralia Soprana non c'è me statua ne
quadri di san calogero, però sono molto devoti al Santo e molti vanno
a venerare san calogero a Petralia sottana.
PETRALIA SOTTANA Le tradizioni e il culto legati a San -
Calogero, sono così radicate, che comunemente gli abitanti e le
comunità vicine lo venerano da sempre come patrono del paese, pur
riconoscendo ufficialmente che il Santo Patrono è San Giuseppe.
La venerazione verso San Calogero è documentata già dalla prima
metà del ‘600 quando Frate Umile Pintorno ne scolpì una statua oggi
custodita nella Chiesa dei Santi Giovanni Battista e Calogero Eremita,
Il colera del 1837 ritenuto un castigo divino, portò la gente a invocare
le intercessioni di San Giuseppe e San Calogero e a partire dal 1840
cominciarono a considerare quale Patrono il Santo Taumaturgo.
A Petralia oltre alla statua grande scolpita da Frate Umile Pintorno ne
esiste un’altra più piccola, in cartapesta, realizzata nei primi anni del'
900, che si trova nella chiesa Madre assieme al reliquiario di S.
Calogero del sec. XVIII.
La festa si celebra il 18 giugno, è preceduta da un settenario di
preparazione “Sittina a San Calogero”, che va dall'11 al 17 giugno
quando si svolge la processione con la piccola statua alle ore 21,30.
Il giorno della festa alle sei in punto, un membro del Comitato, alla
statua del Santo colloca “a reicola”, cioè il reliquario con la reliquia.
Poi, i membri del Comitato sistemano un banchetto all’ingresso della
Chiesa per la raccolta delle offerte, in cambio vengono date santini e
panini votivi benedetti. Con canti, invocazioni e distribuzione di pani
                                                                                                                       
227
Notizie avute da don Mimmo Sideli, Parroco di Isnello.
165  
 
votivi si conclude la prima mattinata. Seguiranno diverse messe. I
fedeli portano in chiesa ori, campanellini, ex voto, gigli, rose,
partenio, valeriane rosse, rametti di alloro, scocche di grano
intrecciate, fave verdi, ramoscelli di amarene, pumidda cannameli, che
verranno legati con nastri multicolori alla vara. Nel pomeriggio,
mezz’ora dopo il lungo scampanio della chiamata, conclusi i Vespri
solenni, alcuni giovani membri del Comitato, guidati da un membro
anziano, salgono sull’Altare Maggiore per manovrare la discesa del
Santo. La folla si accalca per toccare, o baciare il Santo o per
strofinare un fazzolettino da portare a casa.
Quando viene raggiunta la vara e il Santo viene sistemato i rintocchi e
il ritmo della campana della messa aumentano freneticamente. La
"vara", del peso di 18 quintali, è stata scolpita nel 1796 da M.ro
Antonino Manfrè e M.ro Antonino di Giovanni per un compenso di
otto onze, ventotto tarì e dieci grani. La statua ora posta sul fercolo
viene asciugata con una tovaglia lino bianco ricamata con le iniziali
del Santo (asciucano u suduri) che sarà conservata e prestata, a
richiesta, ai malati del paese. Subito dopo le litanie in latino, il
Presidente che coordina i portatori del fercolo (chiamato chiddu ca
chiama a vara), si pone al centro della vara tra le castagnole e grida: -
Priparamu! I portatori si collocano sotto i castagnuoli, abbracciandosi
fra di loro, e il Presidente grida: Simu Pronti!? Detto questo alza le
braccia in alto gridando: -Ludamu e ringraziamu lu Santissimu
Sacramientu! E il popolo risponde: – Viva San Caloriu! La folla si fa
da parte e la vara, sollevata, si muove lentamente verso l’esterno. I
suoni incalzanti della campanella continuano a rintoccare fino
all’uscita del Santo. La processione inizia alle ore 18.00 annunciata
dagli spari dei mortareti, dal rullo dei tamburi (sempre
d’importazione) e dai giochi di destrezza dello stendardo (u paliu).
È antica consuetudine che San Calogero esca dalla Chiesa all’indietro,
per non voltare le spalle al SS Sacramento, custodito nella omonima
cappella. La processione si articola in 18 soste in memoria del giorno
in cui il Santo, morendo, ha raggiunto la gloria.
In alcune soste i portatori vengono rifocillati con biscotti e vino e
vengono offerti a tutti pani votivi e si riparte sempre con lo stesso
rituale:- Priparamu! Ludamu e ringraziamu lu SS Sacramientu, e Viva
San Caloriu!, per essere alle ore 21.00 di ritorno in Chiesa.
166  
 
Inizia a “A spinnata da vara e du Santu”, il Santo spogliato dalle sue
vesti preziose e rivestito con quelle lignee viene innalzato all’altare sul
quale vengono appoggiate e contate velocemente le offerte, mentre i
devoti spinnanu a vara, cioè spogliano il fercolo degli addobbi che
verranno portati a casa agli ammalati.
POLIZZI GENEROSA - Gli abitanti di Polizzi Generosa sono
devoti di San Calogero e nella stessa Chiesa Madre si trova la
statua di San Calogero, patrono del paese.
Questa chiesa esisteva, probabilmente già nel IX secolo.
Dell'antico tempio sopravvive solo il portale secondario
trecentesco in stile gotico-catalano. L'attuale struttura, a tre
navate ed impianto basilicale, venne realizzata fra il 1632 ed il
1790, assieme all'attiguo campanile in pietra bianca con
sottopasso a sesto acuto.
SCLAFANI BAGNI - A Sclafani Bagni, anticamente, fuori le
mura, esisteva la chiesa di S. Calogero dove vi era un suo quadro in
tela. Compare in un inventario del 20 novembre 1609.
VALLEDOLMO - Il culto di San Calogero risale alla costruzione
del paese, cioè verso il 1845. Nella chiesa di Maria SS. della Purità,
conosciuta come Chiesa Nuova è custodita una statua di San Calogero
posta sull'altare della navata di destra. Durante la festa viene benedetto
il pane nelle forme più varie del corpo umano o delle sue parti, guarite
per intercessione del Santo e distribuito ai parenti, agli amici e ai
poveri che lo mangiano dopo aver recitato una preghiera.

DIOCESI MAZARA DEL VALLO


MARSALA - San Calogero visse in Sicilia, stabilendosi prima in
una grotta nei pressi di Lilibeo, l'odierna Marsala. Nel Carme di
Sergio si legge che Calogero, Gregorio e Demetrio sbarcarono nel
Lilibeo (Marsala), “Non per sfuggire ai patimenti – non sia mai! – ma
per annunziare a tutti la potenza della Trinità, essi sbarcarono
insieme a Lilibeo e si separarono per mettersi a predicare.”

167  
 
In Marsala, presso la chiesa di San Francesco d'Assisi (vicino ex
ospedale) nella seconda cappella a destra si trova l'immagine di San
Calogero in cartapesta (accanto ad un cervo).
La chiesa di San Francesco di Mazara del Vallo fu edificata sopra una
chiesa preesistente, dedicata a San Biagio, fatta costruire dal gran
conte Ruggero d’Altavilla nella seconda metà dell’XI secolo.
L’originale costruzione era in stile arabo-normanno dotata di tre
navate e dodici altari, oltre a quello principale.
Nel 1680, mons. Francesco Maria Grifeo (che sarà poi vescovo della
diocesi), decise di trasformarla in stile barocco: le due navate laterali
vennero abbattute, e la navata centrale venne rialzata e coperta con
una volta a botte. Venne quindi riaperta al culto nel 1703, per essere
chiusa nuovamente in seguito al terremoto del Belice nel 1968,
durante il quale la chiesa e l’adiacente convento subirono notevoli
danni. Nel 1977 vennero cominciati i lavori di restauro. A fianco della
chiesa di S. Francesco vi è l’attuale Chiostro; chiostro che nacque
come convento francescano e, successivamente, trasformato in carcere
una parte, ed in caserma dei Carabinieri l’altra.
MAZARA DEL VALLO A Mazzara vi era un beneficio di San -
Calogero: "390 ... Episcopum Raynaldum Archipresbyterum, deinde
Jacobum Carduinum Epifcopum Liparensem qui contulit beneficium
S. Calogeri Mazaræ, 25 Augusti 1496."228 Ogni anno a Mazzara del
Vallo, al termine dell'Ottavario di Preghiera per l'unità dei cristiani, si
celebra la cerimonia ecumenica in onore di San Calogero eremita. Una
iniziativa dell'ufficio Diocesano per l'Ecumenismo. A questa
celebrazione partecipano il Vescovo della Diocesi e alcuni
rappresentanti delle religioni cristiane. Al termine accendono il cero e
incensano l'Icona di San Calogero.
SALAPARUTA Presso la chiesa madre a Salaparuta c'è una -
Statua di San Calogero del XVIII secolo realizzato dallo scultore
Vincenzo Genovese; il volto del Santo è un suo autoritratto scultoreo.
SALEMI Diversi autori scrivono che San Calogero visse per -
qualche tempo a Salemi.

                                                                                                                       
228
Pirri Rocco, Panormi apud Hieronymum de Rossellis, 1638, p. 853.
168  
 
Nella chiesa del convento dei Padri del Terz'ordine di S. Francesco,
secondo una leggenda, in una delle caverne della zona, vicina al
convento, dimorò per qualche giorno San Calogero. Questa chiesa era
intitolata a Maria SS. di Gesù e in uno degli altari laterali uno era
dedicato a San Calogero con quadro ad olio su tela, opera oggi
perduta. “Calogero inizia la sua peregrinazione nell'isola che da
Salemi lo porta nell'agrigentino..."229 "In Salemi avvi un altro luogo
che la popolazione dei popoli vuole santificato dal detto Santo, la cui
effigie si adora con allato una cerva da un dardo trafitta."230
Papebroch parla di una grotta detta di San Calogero, i fedeli,
visitandola, vi mettono dentro la testa per ottenere miracoli.

DIOCESI MESSINA - LIPARI - S. LUCIA DEL


MELA
BARCELLONA POZZO DI GOTTO - Tra i «Giogali» presenti
nella chiesa di S. Maria di Gala, ubicata nella frazione di Gala del
comune di Barcellona Pozzo di Gotto, nel 1742 oltre agli altri quadri
ve ne erano «Duemezze statue, una di S. Calogero, e l'altra di S.
Caterina».231
"Frustum ossis S. Calogeri in statua lignea deaurata."232
FIUMEDINISI - Nella Chiesa Madre, nella navata sinistra, si trova
un dipinto di San Calogero, ambito messinese, olio su tela; cm 230
x178, del sec XVIII sec.,233 di autore ignoto ma di probabile
assegnazione alla bottega artistica dei Catalano, molto attiva nel
distretto.
La Chiesa è sicuramente la costruzione di carattere religioso più
importante, ricca e rappresentativa della storia del paese e risale al XII
sec. Intorno alla metà del XV sec., venne notevolmente ampliata e, nei
secoli seguenti, rifinita e arricchita di opere d’arte di grande spessore
                                                                                                                       
229
Carmelo Sciascia, Note 2015, p. 68.
230
Antonino Silvestro Bellitti, Delle stufe e de' bagni di Sciacca opera
postuma del dottor fisico d ..., p. 27.
231
ASPRV, vol. 1411, ff. 489v, 513.
232
Giovanni A. de' Ciocchi, Sacrae Regiae Visitationis per Siciliam Acta
Decretaque Omnia ..., Volume 2, p. 469.
233
Notizia fornita dall'incaricato dell'arte dell'Archidiocesi di Messina.
169  
 
artistico. Il monumento e le opere d’arte furono gravemente
danneggiato dall’assedio messinese nell’ottobre del 1676 e
successivamente, da un incendio divampatosi accidentalmente, la
notte del 25 marzo 1908. Dopo il definitivo restauro, la Chiesa fu
dedicata a Maria SS. Annunziata e, il 25 marzo 1976, elevata a
Santuario Diocesano.
GALLODORO Nella Chiesa di San Sebastiano della Parrocchia -
di Santa Maria Assunta, vi è un Reliquiario a capsula di San Calogero,
argento fuso, sbalzato, cesellato, traforato, dorato; cm 8x5x1,5, del
XVII sec .234
LIPARI - Fra le diverse sorgenti di acque termo minerali delle isole
Eolie, quella che fra tutte primeggia per la sua antica notorietà e per i
lavori di valorizzazione, è la sorgente San Calogero. Ubicata nel
versante occidentale, a circa 40 metri sul livello del mare e distante dal
medesimo 200 metri. Vi si accede dall'abitato di Lipari seguendo per
circa sei chilometri, in tutti i suoi serpeggiamenti, una strada
mulattiera grossolanamente selciata.
Da quando Calogero, scoprì la sorgente termale e i suoi benefici, l’uso
delle acque venne nuovamente promosso tra la popolazione che,
considerando le cure ricevute come eventi
miracolosi, nell’ottocentesco, dedicò al santo uno stabilimento
termale con all’interno una cappella, presso la quale i malati
pregavano e non esitavano a lasciare in dono ex-voto, costituiti non
soltanto da oggetti preziosi, ma soprattutto da bastoni e stampelle che,
una volta raggiunta la guarigione grazie al santo, non erano più
necessari.
Ancora oggi lo stabilimento termale, così come l’intera area in cui
esso sorge, è dedicato a San Calogero, la cui biografia si presenta
frammentaria e può essere considerata una combinazione di mito e
storia.
Vito Amico così scrive: " Fu Lipari negli antichi tempi molto
nominata pei bagni siccome si osserva sin oggi dalle antiche stufe alle
falde del monte S Calogero, al di sotto le quali un quarto di m. è una
sorgente di acqua quasi bollente che pone in movimento molini

                                                                                                                       
234
Notizia fornita dall'incaricato dell'arte dell'Archidiocesi di Messina.
170  
 
essendo copiosissima e raffreddata bevesi dagli abitanti. Il bagno
mentovato da Polibio in Lipari fu rinvenuto mercè le cure dell'esimio
Vescovo Monsignor Reggio tra il palazzo vesvovile ed il seminario dei
chierici nel sorgere del secolo presente; sono tre stanze a circa pai 8
met. 2,64 di profondità, della seconda e della terza è a mosaico il
pavimento e costa nell'una di un tondo in cui si esprime una sirena
che guida un cavallo marino, nell'altra è a foggia di cornice che
consiste in quadrettini che rappresentano varie figure e nel centro un
bue, un cavallo marino e tre delfini, qual sì è lo stemma della città;
nella prima stanza nulla ci ha che meriti considerazione, ma vi è
contigua una vasca in cui si rinvennero utensili fittili cioè lucerne,
vaselli, tazze, ecc. di che gran parte si conservano nella biblioteca
vescovile. Sotto le stanze era il passaggio delle acque termali
sostenuto da 80 colonnette formate di mattoni donde si introducevano
le acque nelle camere per conduttori di creta cotta di piccolissimo
diametro. Se a taluno però venisse in grado di volere osservare un
tale antico nobile monumento molto celebre perchè nominato da un
sommo storico dell'antichità ne dismetta il pensiero poiché fu
novellamente sotterrato venendo cosi meno questo ornamento della
città."235
Nel 1923 si svolse l'ultima festa di San Calogero dinanzi alle terme a
lui dedicate. Da pochi anni è stata ripristinata la seconda domenica di
luglio, voluta dal sacerdote della parrocchia di Santa Croce Don
Bruno Maiorana, unitamente ad un gruppo di giovani parrocchiani,
guidati da Gesuele Fonti. La nuova festa del compatrono coinvolge
numerosi abitanti e molti turisti..
A Lipari diverse chiese e opere d’arte dedicate a S. Calogero come:
1 - Chiesa S. Calogero extra moenia.
2 - Chiesa Cattedrale, dove si trovano:
- un dipinto del 1779, raffigurante Il miracolo di S. Calogero, olio su
tela, 385x246, di Antonio Mercurio. Il Santo è rappresentato al centro
della scena, sullo sfondo del meraviglioso arcipelago delle Eolie e di
Vulcano, dentro le cui fiamme l’artista fa precipitare l’anima di
Teodorico, re dei Goti. Con la destra indica ai naviganti tale visione
mentre alcuni devoti gli sono inginocchiati e, in primo piano, un

                                                                                                                       
235
Vito Maria Amico, Dizionario topografico della Sicilia, Volume 1, p. 619.
171  
 
ammalato sembra implorare aiuto. San Calogero è vestito da monaco
greco, il volto maestoso, la fronte larga e calva, la barba bianca, tutto
spirante virtù e devozione;
- un Busto d'argento di San Calogero, opera del XVIII secolo, bottega
palermitana, argento fuso, sbalzato, cesellato, bulinato; cm 68x
52x25236;
- una Croce astile, bottega palermitana, con disegni sbalzati di San
Bartolomeo, Gesù Cristo Crocifisso, e San Calogero; argento fuso,
sbalzato, cesellato, bulinato. cm 230x 31x12 del XVIII sec.
3 - Chiesa S. Francesco ex Min. Oss. detta di S. Antonio che conserva
un dipinto raffigurante la Madonna col Bambino circondata da angeli,
cherubini e i Santi Francesco, Domenico, Agatone, Bartolomeo e
Calogero; Olio su tela 350x250. Il dipinto è fra le ultime opere del
messinese Giovanni Tuccari (1677-1743).
4 - Chiesa Parrocchiale della Purità con la statua di S. Calogero in
Cartapesta, 159x65x61,sec. XVIII-XIX.
MESSINA - Nella chiesa del Monastero di san Biagio vi è una
statua di San Calogero, scolpita nel 1650 da Agostino Gallo, e, come
si legge per atto di notar Picone, costò onze 14.
Francesco Gravina e Requesens, monaco benedettino di Monreale con
il nome di Domenico Benedetto, fu Priore del monastero benedettino
di Perugia e abate del monastero di S. Calogero di Messina. Insigne
teologo, filosofo ed archeologo, fu autore dell'illustrazione del Duomo
di Monreale.237
Nell'elenco delle case religiose dichiarate laicali dopo la confisca dei
beni ecclesiastici a Messina vi è l'Eremo di San Calogero238
A Pezzolo, frazione della 1ª Municipalità del comune di Messina,
posta a Sud sopra delle alte colline in posizione panoramica sullo
Stretto, a circa 24 km dal centro cittadino, vi è la contrada Pizzo San
Calogero.

                                                                                                                       
236
Notizia fornita dall'incaricato dell'arte dell'Archidiocesi di Messina.
237
A. Mango di Casalgerardo, Nobiliario di Sicilia, ristampa anastatica
dell'edizione di Palermo 1912-1915, 1, p. 43.
238
Nuova antologia di scienze, lettere ed arti, Volume 19, Firenze 1872, p.
86.
172  
 
MONTALBANO ELICONA - La Chiesa dello Spirito Santo,
risalente al 1300, vicino a Porta Giovan Guerino, presenta, all'esterno,
un portale di stile romanico e all'interno tre nicchie di pietra arenaria
con capitelli scolpiti, dove un tempo erano custodite tre tele che
raffiguravano la discesa dello Spirito Santo, San Calogero e San
Francesco di Paola.
MOTTA CAMASTRA - La Chiesa dell’Annunziata è un antico
edificio normanno con alcuni elementi pregevoli, come il presbiterio a
pianta quadrata con volta a crociera. All’interno sono custodite la tela
tardo settecentesca che ritrae la Madonna del Carmine e le statue
lignee di San Calogero e Sant’Antonio Abate.
SANTA LUCIA DEL MELA - Nella visita Pastorale del 1586 da
parte del Vescovo alla chiesa di Santa Maria Assunta a Santa Lucia
del Mela viene descritta dettagliatamente la chiesa che si presenta di
dimensioni non sufficienti durante le più importanti funzioni ed ha i
seguenti altari laterali: Santa Lucia Vergine e Martire, Santa
Margherita (nel quale vi era il tabernacolo del SS Sacramento), del
nome di Gesù e San Calogero.
TRIPI - A Tripi vi era la chiesa di San Calogero nella frazione di S.
Cono; oggi rimangono solo i ruderi.

DIOCESI MONREALE
BORGETTO - Gli abitanti di Borgetto sono molto devoti di San
Calogero e ogni anno il 2 agosto si recano a San Giuseppe Jato dove
ne viene celebrata la festa con la benedizione del pane.
CAMPOREALE - Gli abitanti di Camporeale sono molto devoti di
San Calogero e ogni anno il 2 agosto si recano a San Giuseppe Jato
dove ne viene celebrata la festa con la benedizione del pane.
CORLEONE - In località san Calogero esiste una piccola cappella.
Ficuzza è una frazione del comune di Corleone. qui si trova la Real
Casina di caccia, costruita dal re Borbone Ferdinando III di Sicilia nel
1799, dopo aver acquistato i feudi Cappelliere, Lupo e Ficuzza, prima
appartenenti al clero.

173  
 
La passione del sovrano per la caccia determinò dunque la nascita del
primo nucleo della borgata. Nella Cappella, Patania Giuseppe nato a
Palermo il 18 gennaio 1780, realizzò una tela di S. Calogero.
GIULIANA - A Giuliana vi era una chiesa dedicata a San Calogero
del XVI secolo. Incamerata dallo stato con le leggi di soppressione,
oggi non più esistente.
In questo paese antonino Ferrara nel 1556 dipinge un affresco della
Madonna delle Grazie con i Santi Sebastiano, Calogero e Antonio;
esso era posto sopra la porta di Cattano.
PRIZZI - Esiste una Via San Calogero.
La chiesa dedicata a San Calogero venne costruita dal Cav. Don Pietro
Villaraut e ultimata nel 1722. Sorge su un alto monte, denominato
“Calvario”, oggi il Golgota di Prizzi, sul quale si erge la croce di
legno dove viene crocifisso il Cristo, nel giorno del Venerdì Santo.
Entrando, a destra si trova il quadro dell’Addolorata, a sinistra l’altare
del Sacro Cuore di Gesù. Sull’altare maggiore è presente la statua in
legno di S. Calogero Eremita con mantello nero su toga bianca, barba
e capelli neri e nella mano sinistra il bastone, mentre dal polso destro
pende un recipiente che contiene il latte di una cerva.
Il giorno della festa è il 18 Giugno, preceduto da un triduo di
preparazione durante il quale si benedice il pane che viene portato da
alcune famiglie, per grazia ricevuta.239
SAN GIUSEPPE JATO - La devozione al taumaturgo S.
Calogero si intreccia con la storia della Parrocchia che è stata eretta il
19 settembre 1779.
La festa si celebra la prima domenica di agosto con la benedizione dei
pani votivi, quella dei cavalli e corteo equestre.
La peculiarità di tale evento era i cavalieri, "l’omini a Cavaddu", su
animali parati con ricche bardature e grossi campanelli, che, con
assordante frastuono, accompagnavano la statua del santo posta su un
carro agricolo ( poi camion) per le vie del paese al grido “ VIVA SAN
CALORIU!!!!! VIVA !!!!!!! facevano la spola tra il Santo e la
Chiesa, per deporvi tutto quello che i devoti offrivano come ex voto
come enormi ceri votivi e pani votivi di varia foggia.
                                                                                                                       
239
Notizie date dal Parroco di Prizzi.
174  
 
Fin dalle origini infatti, ogni anno, la prima domenica di agosto
numerosi fedeli pellegrini vengono a sciogliere il voto dai paesi vicini.
Nel Duomo del SS. Redentore e S. Nicolò di Bari vi è una statua
lignea del XIX secolo di S. Calogero, opera di Girolamo Bagnasco,
scultore palermitano.
Ma l’offerta del “ pane, come altri cibi, è stato usato ben prima
dell’avvento del cristianesimo in riti religiosi come oggetto da offrire
alla divinità. Dall’Epopea di Gilgamesh, un racconto epico di
fondamentale importanza della religione babilonese, apprendiamo
che già nel secondo millennio a.C. il pane era offerto agli dèi come
oggetto consacrato. Anche in altre culture del Mediterraneo antico, in
cui si coltivava il grano e l’alimentazione era incentrata sul consumo
dei cereali, il pane ha avuto un posto d’onore nei rituali. Soltanto nel
cristianesimo, d’altro canto, la consacrazione del pane e il suo
sacrificio in quanto «corpo di Cristo» hanno assunto un valore così
centrale e assoluto. Su questo punto, il cristianesimo si differenzia
dalle religioni classiche come quella greca e quella romana. Per i
greci, il cibo privilegiato offerto nei grandi sacrifici pubblici – che
costituivano il cuore della religione delle città greche – era la carne
degli animali uccisi per essere offerti alle varie divinità. Questa carne
era cotta e offerta alla divinità nelle parti ritenute più preziose,
mentre il resto veniva diviso tra i sacerdoti officianti e distribuito al
popolo che partecipava al rito. Anche i greci avevano una divinità
protettrice dei cereali (e dunque del pane), Demetra, in onore della
quale, a partire dal vii secolo a.C., si celebrarono in una cittadina
vicino ad Atene, Eleusi, riti misterici celebri. Proprio, però, la natura
misterica di questi riti, che impediva agli iniziati di svelarne il
contenuto, ci impedisce di sapere se per esempio a Demetra fosse
offerto in sacrificio il pane.
Se si vuole trovare un precedente al rito cristiano, occorre guardare
alla religione dell’Israele antico. In alcune antiche feste ebraiche,
attestate nell’Antico Testamento, sono presenti usi sacrali del pane.
Per Shavu’ot, la festa del raccolto o Festa delle Settimane, ad
esempio, gli israeliti recavano al loro Dio come oblazione due pani di
grano. Questa festa aveva luogo cinquanta giorni (sette settimane)
dopo la Pasqua e divenne perciò nota col nome greco di Pentecoste:
commemorava il giorno in cui Mosè ricevette le Tavole della Legge
175  
 
sul monte Sinai. Vi era poi Hagha-Matsot, la festa del Pane Azzimo,
una delle tre grandi feste agricole celebrate dagli israeliti dopo il loro
stanziamento nella terra di Canaan. Essa era originariamente un rito
di ringraziamento all’inizio del raccolto del grano, ma più tardi venne
unita alla festa pastorale nomade della Pasqua, la commemorazione
storica dell’uscita di Israele dall’Egitto. Per sette giorni gli ebrei
mangiavano solo pane non lievitato, come segno di un nuovo inizio.
Un precedente importante del rito cristiano è, infine, il «pane della
presenza», che gli israeliti erano soliti deporre davanti al Santo dei
Santi nel Tempio di Gerusalemme (Levitico 24,5-9): sopra una tavola,
su due pile, venivano poste dodici focacce di pura farina di grano,
rappresentanti le dodici tribù di Israele e la loro alleanza eterna con
Jahvé. Ogni sabato esse venivano rimpiazzate e mangiate dai
sacerdoti. Proprio questi precedenti, d’altro canto, aiutano a
comprendere meglio la profonda e radicale novità rappresentata dal
rito cristiano, che presuppone l’identificazione di Gesù come «pane di
vita» (Giovanni 6) col pane offerto dal sacerdote. Se si vuole trovare
un parallelo occorre guardare a una religione lontana nel tempo e
nello spazio, una religione tipicamente sacrificale come quella degli
aztechi. Essi usavano fare un impasto simile al pane dai semi del
papavero e lo modellavano a forma del dio Huitzilopochtli. Questo
pane a forma di figura umana veniva poi spezzato e mangiato dai
sacrificanti, con lo scopo di «mangiare il dio» per assimilarne
sostanza e poteri”.
SAN MARTINO DELLE SCALE - Nel monastero, detto
di Sergio, vicino alla Grotta san Calogero, edificato verso la fine del
VI sec., vissero i monaci di Triocala, quando nell’860 i musulmani
distrussero la città e il vescovado. Nel 1367 il convento di San
Calogero fu aggregato a quello di San Nicolò la Latina. A ridare
dignità alla chiesetta e al monastero provvidero i padri Benedettini di
San Martino delle Scale nel 1393 incrementando la devozione al
Santo.
TORRETTA - In questo paese esiste la via intitolata al Santo
patrono Calogero. Nella chiesa Madre dedicati a San Calogero, si
conservano una bellissima statua di San Calogero del Girolamo
Bagnasco e un quadro di fine ottocento del Mangano raffigurante San

176  
 
Calogero che guarisce una bambina. Presso il Santuario della
Madonna delle Grazie è custodita la statua del Santo che si festeggia il
18 giugno. Fino agli anni ‘40 durante le celebrazioni si svolgevano le
corse dei cavalli senza fantini: la corsa dei berberi.
Oggi la festa viene solennizzata l'ultima domenica di luglio.

DIOCESI NICOSIA
AGIRA - La devozione verso S. Calogero ad Agira è legata alla sua
permanenza nel luogo.
Dopo aver incontrato San Pietro apostolo e ottenuto il permesso di
vivere da eremita, ebbe l'ispirazione di evangelizzare la Sicilia e qui si
recò assieme ai compagni, Filippo, Onofrio (distinto
dall'omonimo eremita) e Archileone. Con Filippo si stabilì ad Agira.
Nella Relazione ad Limina di Mons. Marco Antonio Gussio (1650-
1660) si legge che ad Agira tra le chiese semplici vi era quella di S.
Calogero, nella quale si celebra spesso la S. Messa. Il Provitina ci
scrive che ad Agira c'era anche una piccola chiesa dedicata a san
Calogero.240
"Eodem Abbate agente, die 18 Maji 1411. Rex Secreto & Capitaneo
Saccæ præcipit, ut Monasterio S . Philippi Agyrensi restituantur
Ecclesiæ S. Calogeri & S. Nicolai ejusdem urbis tamquam de membris
& Grangiis ejusdem Monafterii olim S Mariæ de Latina in....."241
Presso la chiesa dell’Abbazia di San Filippo, nella navata sinistra si
possono osservare tre pannelli di un polittico del XV secolo
raffiguranti La Madonna col Bambino, S. Benedetto e S. Calogero.
GAGLIANO CASTELFERRATO - A Gagliano esisteva un
Beneficio di San Calogero nella omonima contrada.
NICOSIA - Presso la chiesa di San Calogero, costruita alla fine del
1600 dall’omonima Confraternita, si trova una scultura del Santo
realizzata da Stefano Li Volsi (prima metà del XVII sec.).
"un ospedale di cui incerte sono le origini, sorto in un vecchio
monastero di Benedettini, il quale fu conceduto alla confraternita di
                                                                                                                       
240
Filippo Maria Provitina, Agira..., 2009, p. 216.
241
Rocco Pirri, Sicilia sacra, disquisitionibus et notiis illustrata: Ubi libris
quatuor ..., p. 1252.
177  
 
San Calogero per soccorso agli infermi. Attualmente codesto ha sede
nell'ex convento dei Paolotti; trae i mezzi da vari lasciti. Vi prestano
amorevole assistenza le suore di carità dell'ordine di Sant Anna;"242
L'antica chiesetta di S. Calogero o Santa Maria degli
Agonizzanti sorgeva sotto la Rocca del Salvatore, addossata ad uno
sperone chiamato "Mola di San Calogero".
La chiesa è un piccolo e prezioso museo d'arte nicosiana. Il prospetto,
a capanna in pietrame misto, è ornato da un portale in pietra calcarea,
con timpano spezzato e sormontato da una nicchia con la statua di San
Calogero. L'interno, ad aula unica, possiede un magnifico soffitto
ligneo a cassettoni scolpito e dorato, con sculture di Filippo
Quattrocchi quale L'Addolorata, di Stefano Li Volsi San Calogero, ed
inoltre, varie sculture in legno come Cristo nell'orto, Ecce Homo,
Cristo alla Colonna e Cristo morto di autori anonimi, utilizzate per
l'allestimento del "Sepolcro" durante la Settimana Santa.
L’edificio è soprattutto sede del museo di Filippo Randazzo (1695-
1744), allievo di Sebastiano Conca a Roma e grande pittore nicosiano,
detto "Il Monocolo di Nicosia" per la cecità di un occhio, che ne
affrescò interamente le pareti. Benchè l'umidità ne abbia distrutto gran
parte, sopra il cornicione è possibile osservare una serie di riquadri
riproducenti scene dell'infanzia di Gesù Cristo: Annunciazione, Visita
di Maria a Sant'Elisabetta, Battesimo di Gesù, Natività, Circoncisione,
Angelo che ordina a Giuseppe di fuggire, Strage degli Innocenti, Gesù
fra Maria e Sant'Elisabetta e Gesù nel Tempio. Sotto gli affreschi si
notano dei medaglioni con figure di santi eremiti, di Santa Rosalia e
Maria Maddalena, e nel tiburio gli apostoli Pietro e Paolo. Nel
presbiterio si trova un dipinto su tavola raffigurante l'Adorazione dei
Magi, d'ignoto autore della fine del '500, che in un suggestivo
panorama fa snodare il lungo corteo dei cavalieri orientali. Un'altra
Adorazione dei Magi, realizzata forse dal Randazzo, fa da pala
all'altare maggiore di marmi policromi.
REGALBUTO - “La chiesa rurale di S. Calogero è situata sulla
cima di un vicino colle (contrada Monte) fuori della città. Il rudere ha
oggi l'aspetto d'una torre mozzata che domina dall'alto l'abitato di
Regalbuto. La tradizione vuole che essa sia stata costruita sulle
                                                                                                                       
242
Sicilia da "Le Cento città d'Italia".
178  
 
rovine dell'antica rocca saracena e che fu, per molto tempo, la Chiesa
Madre del paese.”243
La posizione naturale del "burgus" ci fa facilmente ipotizzare che il
sito doveva inserirsi nel complesso dei "castra" dell'ennese che, col
concorso del "castrum" di S. Calogero, e di un sistema di torri e
castelli collegati a vista (Agira, Gagliano, Centuripe, Troina, ecc.),
permetteva di controllare la valle del Salso e di sbarrare le strade che
portavano verso le coste tirreniche o, all'interno, verso Enna. Saremo
dunque davanti ad un insediamento monastico, forse fortificato,
ricollegabile al diffuso fenomeno dell'eremitismo greco in Sicilia nei
secoli VIII e XII.
“Variamente danneggiato nel corso dei secoli dalle intemperie e dai
terremoti, l'edificio subì vari rifacimenti di cui abbiamo una
circostanziata documentazione negli archivi parrocchiali. Nel 1634
viene ordinato il consolidamento delle mura e il rifacimento del tetto,
della pavimentazione e delle porte. Nel 1655 viene risistemato il tetto.
Dopo il terremoto del 1695, non essendo sufficienti le rendite delle
terre attigue all'edificio e di cui la chiesa era proprietaria, il tesoriere
Alvaro Picardi riordina le colture delle terre, trasformandole in
vigneti. Con i nuovi proventi il Picardi restaura la chiesa e le dona i
quadri per gli altari attingendo al proprio patrimonio. Il 1736 è
comunque l'anno più importante per la chiesa di S. Calogero. Infatti
in quell'anno il nuovo procuratore, Don Giulio Citelli, stabilisce un
contratto con Vito Mammana e suo figlio Giovanni incaricandoli "a
fabricar dalle fondamenta la nuova chiesa di S. Calogero, colli
damusi di rustico nel corso di anni quattro". La costruzione della
chiesa e dello spazio antistante ad essa vengono terminate nel 1743, e
il 13 dicembre dello stesso anno, Don Giulio Citelli stipula col
Mammana un nuovo contratto, in virtù del quale viene stabilita la
costruzione d'un corridoio che colleghi la chiesa con quattro
camerette da edificare dietro l'edificio e con l'obbligo "di stucchiare
la detta chiesa con dover fare le arme di S.R.M., e le arme di detta
città sopra la porta maggiore;... e della mezza statua del sovrano
posta sull'altare maggiore della Chiesa di S. Calogero". Morto Don
Giulio Citelli nel 1750, gli succedette, quale procuratore, il figlio

                                                                                                                       
243
Comune di Regalbuto
179  
 
Placido; ed è sotto la sua procura che nasce una disputa con la curia
vescovile catanese sul possesso del patronato della chiesa. Il Citelli,
sostenuto dagli amministratori locali, rivendicava il diritto del
"Patronato Regio" e quindi della città sulle rendite della chiesa di S.
Calogero contro la curia catanese che rivendicava il diritto di
Giurisdizione al vescovo ordinario. Questa disputa si protrarrà a
lungo ed ebbe termine solo quando le due parti, di comune accordo,
cedettero le rendite della chiesa al nascente Collegio di Maria.
Perdute le rendite la chiesa cadde, pian piano, in uno stato di
abbandono che tuttora si perpetua e si aggrava, anzi, sempre di
più”.244
Nella Relazione ad Limina di Mons. Marco Antonio Gussio (1650-
1660), tra le chiese semplici, viene menzionata quella di S. Calogero.
TROINA Nella chiesa San Silvestro vi è la Reliquia di San -
Calogero, così come dice il De Ciocchis nella visita al Monastero san
Michele Arcangelo di Troina "Reliquia S. Calogeri in reliquiario ex
auricalco deaurato ac laminibus argenteis exornato."245
Il visitatore regio Filippo Jordi nella relazione sulla Abbazia
S.Michele Arcangelo di Troina, lo conferma "crux es ligno quae
portabat Sanctus Calogerus".246

DIOCESI NOTO
NOTO - La Chiesa rupestre di S. Giuliano del XIII-XIV sec., sita nella
cava di San Calogero, si compone di chiesa e sagrestia, con accanto un
locale adibito probabilmente ad abitazione del Sacerdote. All’interno
l’altare principale, è sormontato da una grande nicchia rettangolare e
l’altro, ricavato nella roccia, presenza tracce di decorazioni. Gli affreschi a
destra dell’ingresso, raffigurano un Santo barbuto e nimbato
(probabilmente san Giuliano o san Nicola). L’altra parete, è ricoperta da
una spessa fuliggine nera a causa dell’utilizzo improprio della grotta come
riparo o rifugio di pastori nel corso dei secoli.

                                                                                                                       
244
Comune di Regalbuto
245
Giovanni A. de' Ciocchi, Sacrae Regiae Visitationis per Siciliam Acta
Decretaque Omnia ..., Vol. 2, p. 445.
246
Pettignano - Ruggeri, San Calogero, Nebros 1984, p. 21.
180  
 
Con la denominazione “Parco degli Eremiti” (Romitori rupestri – IV
secolo), viene identificato il piccolo appezzamento attorno al santuario di
San Calogero. Si tratta di un vero e proprio giardino naturale, dove il verde
contrasta la nuda roccia della cava e la quiete è interrotta soltanto dal
fresco rumore di un torrente che l’attraversa. All’interno trovano posto
alcune grotte per lo più utilizzate da numerosi beati e venerabili eremiti,
sia come ricovero per gli armenti, che come luogo di preghiera. L’ultimo a
dimorarvi, fra’ Antonio Taggiasco spentosi nel 1983.
Dopo quasi 2 km dalla prima sorgente, il fiume lascia la cava del
Carosello per giungere alle acque della cava S. Calogero e a quelle che
cingevano a oriente l’antica Noto. Su una parete della valle notiamo
una chiesa rupestre con tracce di affreschi.
MODICA - Il seicentesco complesso architettonico di Sant'Anna e
San Calogero, comprende il convento dei Francescani Riformati,
attorno al chiostro, l'annessa chiesa, gli orti dei frati. Il convento subì
delle modifiche nell'Ottocento, mentre il chiostro la chiesa, che
rappresenta una delle poche costruzioni precedenti al terremoto del
1693 conservano il loro aspetto originario.
La chiesa presenta l'abside, con stucchi ed affreschi settecenteschi, il
nartece, con soprastante coro a tre ampie arcate, due splendidi altari
lignei, con intarsi in madreperla e tessere vitree, un Crocifisso
seicentesco, di notevole fattura e le due mummie naturali, rinvenute
sotto il pavimento. La statua lignea di san Calogero è posta su un
altare entrando a sinistra.
Nel Registro della Visita Pastorale (9 - 15 maggio 1683) si legge: "
Chiesa del convento dei PP. Minori Osservanti Riformati sotto il
titolo di S. Anna96 - visitò alla presenza del Padri l’altare di S.
Calogero."
“Tutto quello che so è che nella città di Modica c'è sin da prima dal
terremoto del 1693 una chiesa dedicata a S. Anna e S. Calogero.
Negli anni 60/70 venne costruita la nuova chiesa parrocchiale.
L'antica chiesa venne abbandonata con tutte le opere e arredamenti
che la componevano, compreso un bellissimo Crocifisso di Fra
Innocenzo da Petralia.
La più ampia chiesa di S. Calogero e S. Anna (secondo l’attuale
configurazione) fu completata nel 1686.

181  
 
Oggi tutto in completo abbandono. Purtroppo non è più proprietà
della curia, compresa le opere d'arte. Questo è tutto quello che so”.247

DIOCESI PALERMO
CACCAMO Sorge ai piedi del monte San Calogero, luogo nel -
quale visse il Santo e che oggi ricade tra i territori di Caccamo, Sciara
e Termini Imerese, ma in passato fu motivo di contrasto tra i Signori
di Caccamo e la Città demaniale di Termini.
I Caccamesi, festeggiano San Calogero il 18 giugno di ogni anno,
recandosi, sulla sommità del monte e facendo chiasso, quasi a voler
testimoniare il loro diritto sulla montagna .
Tale comportamento, non era gradito ai Termitani i quali, nell’anno
1477, riuscirono a fare abolire la festa dal Vicerè del tempo.
Il Convento S. Calogero dell'Ordine di Sant'Agostino, Congregazione
di Centuripe (Centorbi),
fondato in un grande uliveto, serviva per le vacanze dei frati. Nel 1650
la chiesa e il convento erano in costruzione ed era sede del Noviziato.
Oggi la Statua di San Calogero è conservata nella Chiesa dei Santi
Filippo e Giacomo di Caccamo mentre in passato si trovava nella
Chiesetta del Monte San Calogero di Termini Imerese.
CASTRONOVO DI SICILIA - Il 18 giugno si svolge la festa di
San Calogero la cui statua del XVIII sec. opera di Filippo Quattrocchi
di Gangi, si trova nella chiesa Madre. Il campanile e l'abside furono
ricavati dalle due torri dell'antico castello fatto costruire da Re
Ruggero e ampliato da Manfredi Chiaramonte. La Chiesa, consacrata
nel 1404, dedicata alla SS. Trinità, è un grande mausoleo, ad una
navata lunga 50 mt. e larga 10 con un'altezza che raggiunge
mediamente 15 metri.
Sono da vedere un Crocifisso in legno del quattrocento, sistemato in
fondo la Chiesa, la statua di San Pietro in cattedra attribuito ad
Antonello Gagini, la statua di San Giovanni Apostolo opera di Marco
Lo Cascio XVI sec., un Crocifisso dipinto su tavola del 1300
(proveniente dal Monastero Basiliano di Santo Stefano di Melia) e le

                                                                                                                       
247
Notizie fornita da Ignazio Gugliotta di Modica.
182  
 
due tele la Madonna delle Fragole, opera tardo barocca e del Cristo ai
flagelli del XVII sec. attribuito alla scuola del Rubens.
Il 3 maggio si celebra la partecipata festa del Crocifisso la cui statua
viene accompagnata anche da altri Santi tra cui San Calogero che, nel
pomeriggio, vengono radunati sul sagrato della chiesa Madre.
Le notizie di una cappella dedicata a San Francesco d’Assisi,
risalgono al 1346 sulla quale, nel 1556, venne costruita l’attuale
Chiesa di San Francesco, ad un’unica navata senza transetto,
completata da un’abside quadrata con copertura a botte lunettata,
poggiante su capitelli corinzi. Presenta opere di particolare interesse
come l’Annunziata, gruppo scultoreo in legno di pioppo, salice e
tiglio, realizzato nel 1580 da Marco Lo Cascio di Chiusa Sclafani e le
statue di S. Giuseppe e dell’Immacolata Concezione, opere di Filippo
Quattrocchi di Ganci.
CERDA - Nella Chiesa Madre vi è una Statua del Santo del 1911
opera di Salvatore Galluzzo.
CIMINNA - Nella di San Francesco d'Assisi si trova un quadro di
San Calogero.
PALERMO - Esiste una Via Monte San Calogero.
Dal monastero dei SS. Cosma e Damiano, con sede in Palermo,
dipendeva l’omonima chiesa presso Marsala, della quale si trovano
pergamene nel tabulario.248 Si trovava sotto la chiesa di Casa Professa
della compagnia di Gesù. Nel 1604, furono demolite delle chiese
preesistenti compresa quella della confraternita dei Santi Cosma e
Damiano. Il luogo di culto sorgeva sull'area corrispondente all'attuale
Cappellone, Cappella di San Giuseppe, Cappella di San Francesco
Saverio.
È altresì aggregata la Grotta di San Calogero, rifugio di eremiti, dove
tuttora vi si trovano catacombe paleocristiane.
"Era quel Monastero di S. Maria la Grotta nel porto meridionale,
luogo anticamente celebre per le molte grotte habitate dagľantichi
cristiani nel tempo delle persecuzioni che ancora in parte si veggono
sotto la sacristia della Casa Professa della Compagnia di Giesu; una
                                                                                                                       
248
S. Cusa, I diplomi greci ed arabi di Sicilia pubblicati nel testo originale,
tradotti ed illustrati, I/2, Palermo, Stabilimento tipografico Lao, 1882.
183  
 
delle qualı grotte vien detta di S. Calogero che vi habito, come si
tiene; sotto la quale ve n'hà un'altra sostentata con colonne di marmo
granito con l'imagine della B. Vergine..... "249
"Questa Chiesa di S. Cosmo e Damiano assai antica fu conceduta nel
1604 ai PP. Gesuiti di Casa Professa e fu distrutta occupandone
l'area il Cappellone della nuova Chiesa del Gesù cominciata a
fabricare sin dal 1564. Furono demolite per la nuova chiesa la prima
chiesa antichissima di S. Maria la Grotta, questa di S. Cosmo e
Damiano, la grotta di S. Calogero, la chiesa e lo spedale di S.
Dionisio e finalmente nel 1628 la chiesa della Madonna delle
Raccomandate."250
"Presso il fine di questo Secolo, cioè dell'Anno 300 aveano già i
Fedeli della Felice Città di Palermo eretto alla Santissima Vergine un
Oratorio in certa Spelonca sotterranea, su la quale oggi sorge la
Sacrestia del Magnifico Tempio del Gesù. Sopra questa Grotta ve
n'era un'altra detta di S. Calogero per aver dato ricovero all'istesso
Santo fuggiasco dall'Oriente dove la persecuzione dei Tiranni era più
fiera. Una di queste Grotte, come scrive il P. Giordano Cascini della
Compagnia di Gesù d'insigne Dottrina e di eroica Santità, è sostenuta
con colonne di marmo granito coll'Immagine della Santissima
Vergine. Alcune dell'antiche memorie sono fate tolte per dar luogo
alle nuove fabbriche erette con isplendida magnificenza. In
quell'ampia che potrebbe servire per un ben ornato Oratorio, vi è
oggi una Cappelletta lumeggiata ad oro, in cui si venera il vero
Ritratto di S. Maria Maggiore di Roma, inviato dal Santo Generale
Francesco Borgia a quella Casa dei Professi della Compagnia di
Gesù e perciò doppiamente pregevole. Nè la Santissima Vergine ha
quivi perduto mica del Culto nella rovina delle vecchie fabbriche, anzi
si è incomparabilmente dilatato poichè in quel gran Tempio del Gesù
e nell'istessa Casa Religiosa è venerata in molte Cappelle,
specialmente nelle sette feste di lei con tenerissima divozione, e nelle
Congregazioni a lei dedicate e frequentate dall'insigne pietà

                                                                                                                       
249
Giordano Cascini, Di S. Rosalia, vergine Palermitana, libri tre, composti
dal R. P. Giordano ...,, p. 314
250
Vincenzo di Giovanni, La topografia antica di Palermo dal secolo X al
XV: memorie di ..., Volume 1, p. 96.
184  
 
Palermitana d'ogni condizione di Persone Sacre, Nobili ed Onorate.
Le Congregazioni non sono meno d'undici. Nel Tempio è riverita in
molte Immagini con magnifiche e divotissime feste. Se poi
quell'Oratorio antichissimo sia stato eretto alla Şantissima Vergine da
primi Fedeli Palermitani e poscia divenuto stanza di S. Calogero
come è più probabile; ò pure dall'istesso Santo alla medesima
dedicato rimane ancor dubbio."251
A Palermo vi era anche una chiesa dedicata a S. Calogero di rito
greco: "In questo quartiere furono chiese greche antichissime, e tanto
da dirsene Graecia una contrada, con molte crypte, fra le quali più
rinomate quelle di S. Ermete o Mercurio di S. Maria de Crypta, di S.
Michele, di S. Calogero de Thermis, de SS. Quadraginta Martirum, di
S. Pancrazio, di Santa Parasceve e chiese di rito latino..."252
"A 21 di settembre 1603. Il collegio di san Iacopo la Mazara seu
Machasar con una divota processione dal convento di s. Francesco di
Sisa portò alla loro ecclesia l'imagine sollevata di san Calogero."253
Un'altra statua di S. Calogero, opera di Pietro de Bonitate, è posta nel
portale della chiesa di San Francesco.
Il Santo eremita è presente anche nella chiesa di Santa Cristina la
Vetere, in un magnifico dipinto raffigurante la Madonna dell’Itria con
San Calogero, Santa Cristina e Santa Ninfa di Gaspare Vazzano detto
lo Zoppo di Ganci.
Chiesa San Calogero: "CONVENTO E LA CHIESA DI SANTO
ANTONIO oggi di S. MARIA DI MONTE SANTO. Questa chiesa
anticamente era titolata di S. Antonio Abbate. La sua prima notizia si
ricava dal Capibrevio di Luca Barberi, MS, nel 1391 in cui si legge
che vacando i beneficj della chiesa di S. Calogero S. Basilio e S.
Antonio della Porta di Termini per la ribellione di Paolo Verdipo.
Abbo Sardo ed Ugolino di Palermo dal Re Martino furono conferiti
ad Antonio Ognibene come nella sua provisione nella Regia

                                                                                                                       
251
Francesco Aprile, Della cronologia universale della Sicilia libri tre, ...,
Palermo 1725, p, 582.
252
Vincenzo di Giovanni, La topografia antica di Palermo dal secolo X al
XV: memorie di ..., Volume 1, p. 306.
253
Gioacchino Di Marzo Biblioteca storica e letteraria di Sicilia, Volumi 1-2,
p. 271.
185  
 
Cancelleria nel libro del 1391, XV Ind. fog. 35. Fu poi destinata per
Ospedale....."254
"La più antica immagine storica di San Calogero,è stata indviduata
in un trittico esistente oggi conservato presso la Galleria Regionale
della Sicilia di Palazzo Abatellis a Palermo. Si tratta del trittico detto
“del Duca della Verdura” del 1486, così indicato dal titolo nobiliare
del precedente proprietario. Il trittico raffigura al centro la Madonna
assisa su un trono con il Bambino tra gli Angeli, Sant’Agata e Santa
Lucia in piedi; in primo piano -seduti- due Santi, a destra San
Giuseppe ed a sinistra San Calogero. Negli sportelli i santi Cristoforo
e Domenico sul recto, i Santi Sebastiano e Biagio sul verso.
Dal capo di San Calogero discende un velo nero, tipico dei religiosi
ortodossi, fluente verso le spalle coperte da un mantello che si apre
sul petto. Sul ginocchio sinistro poggiano le zampe della cerva che
egli benedice con la destra, mentre con la sinistra, cerca di estrarle
dal collo la freccia che l’aveva ferita; in basso, inginocchiato, il
cacciatore. Il volto di San Calogero è ornato da una lunga barba
bianca, atteggiato a compassione e affetto verso la cerva che quasi
sembra invocare il suo aiuto. Il dipinto rece in basso la scritta
“Thomasus de Vigilia Panormitanus pinxit, anno 1486” (Tommaso de
Vigilia palermitano dipinse nell’anno 1486)."255
Presso la Chiesa del Carmine Maggiore a Ballarò, nella cappella
dedicata a San Carmelitano, patrocinio della famiglia Hernandez -
Vallegio, la parete di destra è ornata da una tela raffigurante San
Biagio e quella di sinistra da una tela raffigurante San Calogero.
Nella Basilica di San Francesco d'Assisi, vi è una Statua/Bozzetto di
S. Calogero opera di Filippo Quattrocchi proveniente da
Campofranco.
SCIARA - A Sciara, paese ai piedi del monte San Calogero, sulla
cui cima vi è una piccola chiesa a lui dedicata e una contrada chiamata
Motta San Calogero anche se non c'è devozione, ne statue o quadri del
Santo.

                                                                                                                       
254
Gaspare Palermo, Guida istruttiva per potersi conoscere ... tutte le
magnificenze ..., Volume 2, 258-259.
255
Iconografia del Santo – Punti e virgole
186  
 
TERMINI IMERESE - MONTE SAN CALOGERO - I resti
di quello che furono la chiesa l’antico eremo di San Calogero, realizzato
nel IV secolo sull’omonimo monte, un tempo monte Euraco (1.326
m/s.l.m.), sono ancora lì a testimoniare la sacralità del luogo dove il santo
predicatore si rifugiò dalle persecuzioni degli imperatori Diocleziano e
Massimino. La chiesetta, in passato dedicata a Maria Vergine e oggi al
Santo, restaurata nel IX secolo da San Teotista, come testimonia un
documento del 1790, e della quale rimangono solo alcuni spezzoni dei
muri perimetrali in pietra, fu per molti secoli meta di pellegrinaggio.
Sino alla metà del XX secolo era ancora visibile una statua
frammentaria di pietra locale raffigurante San Calogero, che,
successivamente, fu gettata nel sottostante ed inaccessibile Canalone
del Diavolo.
Secondo la tradizione, qui dimorò San Calogero e su una roccia lasciò
l'impronta del suo piede mentre cacciava i demoni che travagliavano
sia il monte che i vicini bagni di Termini Imerese.
Dopo un lungo periodo di digiuno, spinto dal desiderio di acqua, uscì
dalla grotta e vide un angelo che posarsi sulla roccia, da dove,
improvvisamente, ne uscì acqua. Calogero pregando e facendo il
segno della croce sulla polla, si accorse che l’acqua diventò sporca e
maleodorante, e l'angelo un demonio. Pregando Dio si inginocchiò su
di un masso, dove improvvisamente ne uscì acqua limpida e
freschissima. Ancora oggi le due fonti, in particolare quella dell'acqua
pura è meta di pellegrinaggi ed è ritenuta miracolosa.
«Si dilata nella sua vetta un praticello, dove sgorga vena cristallina di
acqua perenne; e per traditione si conta, come molestato un dì San
Calogero da sete ardentissima, il Demonio gli si diè a vedere, con
promettere la sorgente di un fonte, se a' suoi consigli volesse dar
orecchio; ma il Santo conoscendo la frode dell'astuto inimico, fé
ricorso all'oratione; e poi percotendo col piè un duro sasso, questo
quasi cera molle cedé, e di repente sfondato, divenne fonte di acqua
prodigiosa, sino al giorno presente.»256
Con l'avvento dei normanni, il culto per S. Calogero prese vigore,
tant'è che venne indetta proprio dal Re una festa con una grande fiera,
le corse dei cavalli, i fuochi e le processioni. Tali festeggiamenti
                                                                                                                       
256
Giovanni Massa, La Sicilia in prospettiva, 1709.
187  
 
iniziati nell’anno 1000 ebbero fine nel 1477, anno in cui i termitani si
stancarono dei soprusi degli abitanti della vicina Caccamo, i quali
durante la festa salivano chiassosi sulla Montagna, tanto da spaventare
i forestieri che, credendo vi fosse un demone, fuggivano da Termini.
Ottennero dal Re la soppressione della festa, lasciando il vuoto nella
tradizione e nella memoria della città.
Anticamente S. Calogero era venerato presso la cappella del castello
Regio, poi nel 700 si decise di dedicare a Lui una chiesa preesistente
dedicata a Sant'Agata detta La Seniore.
Oggi della chiesa di San Calogero rimane solo l'edificio, purtroppo nel
tempo la curia ha pensato bene di venderla, e i vari proprietari hanno
cercato di modificarne la destinazione d'uso.
La statua e la grandiosa tela adesso si trovano in chiesa Madre.
LO STEMMA
Lo stemma della città di Termini Imerese esisteva già agli inizi del
1300, avendo in buona parte fattezze simili a quello che conosciamo
oggi. Ciò viene confermato da un numero del mese di luglio del 1878
dell'Archivio Storico Siciliano, dove, con riferimenti a documenti
molto più antichi, viene minuziosamente descritta la scatola di legno
che conteneva il sigillo del re Pietro II° di Sicilia, figlio di Federico
III° d'Aragona, e che era nella disponibilità dei giurati della nostra
città:
"Essa è di legno tornito, e siccome il sigillo è di forma rotonda,
presenta un raggio di m. 0,062; ha doppio coperchio, perchè si
possano vedere ambo le impronte del sigillo, ed è tutta ornata di
dipinti relativi alla occasione....Su una delle due facciate v'ha dipinto
lo stemma degli Aragonesi di Sicilia......sull'altra faccia v'è la figura
di San Calogero, il protettore della città. A quella figura serve di base
il monte che tolse da quel santo il nome, in cambio di quell'altro
primitivo che si collega al ricordo della battaglia di Imera, e mentre
due alberi ne ornano i lati, su, accanto la testa della figura, si vede
così ripartita la leggenda...." (S. CALOGIRU)
Questo ci convince sempre di più dell’antichità dello stemma, visto
che, già allora, vi era raffigurato proprio il primo ed originario
protettore che era ed è San Calogero Eremita, ancor oggi effigiato
sullo stemma civico con accanto la scritta esplicativa "S.
CALOGIRU".
188  
 
TRABIA La bellissima chiesa della Madonna delle Grazie, fu -
costruita tra il 1635 e il 1645 come pietra di confine tra la “Città delle
terme” (Termini Imerese) e il feudo di Trabia per porre fine alle
continue lotte tra i due comuni. Conserva al suo interno un grande
crocifisso in cartapesta e una tela, del celebre pittore Pietro Novelli,
raffigurante i due celesti protettori della città di Termini Imerese, San
Calogero e il Beato Agostino.
"Le insistenze dei Trabia persuasero in quei tempi la città di Termini
a voler segnare in modo non equivoco i limiti dei due territori.
Eressero quindi sul burrone del torrente che segnava e segna tuttavia
la divisione, una chiesetta cui non manca la parte decorativa e
nell'apporre al frontone di essa le armi della città incastrarono la
seguente iscrizione assai significativa: DOM SACRUM HOC
TEMPLUMI AD HONOREM VIRGINIS MATRIS MARIAE
GRATIARUM EST SITUM IN TERRITORIO SPLENDIDISSIMAE
CIVITATIS THERMARUM UT JAM FUIT DETERMINATUM DIE 21
JULII XIV INDICT 1646.
Non si è mancato di ricercare tale determinazione ma non si è
rinvenuta. Nell'interno del tempietto ammirarsi un quadro che si
attribuisce al famoso Pietro Novelli ed a render meglio note le
intenzioni della città di Termini vi si osservano dipinti i due celesti
protettori di essa: S. Calogero ed il B. Agostino Novello. In quel posto
esisteva già una immagine della Vergine. Il piccolo quadro che era
allo scoverto fu collocato nella nuova chiesa in modo che occupa il
centro della tela del Novelli al quale fu commesso di riprodurla come
immagine inviata dal cielo, poichè vedesi trasportata dagli Angeli per
missione di Dio Padre che si osserva maestrevolmente dipinto
nell'alto del quadro."257
VICARI La tradizione narra come S. Calogero abbia lasciato -
l'impronta della mano su quelle pietre dove fu costruita una chiesa.
La chiesa di San Calogero è oggi sconsacrata e si trova nel quartiere
terravecchia. La statua di San Calogero oggi è posta nella chiesetta di
Maria SS delle Grazie.

                                                                                                                       
257
P. Salvatore Lanza di Trabia, Sul Castello e sul territorio di Trabia, in
Archivio storico siciliano, Volume 3, Palermo 1879, pp. 316-317.
189  
 
Oggi la chiesa di San Calogero è sede della protezione civile. La
statua è del 1700 bisognosa di un restauro. Non vi è una festa esterna,
ma solo venerazione.
Nel quartiere Terravecchia sorge la chiesa di S. Calogero o del
Belvedere e l'ex monastero di San Benedetto.
Per realizzare il belvedere (sul colle S. Calogero) venne spianato un
agglomerato di rocce, lasciando solo quella su cui è costruita la chiesa
di San Calogero. Infatti sopra l'ultima rocca del colle in epoca lontana
fu fabbricata una piccola chiesa dedicata a san Calogero; essa,
secondo la tradizione, fufabbricata per ricordare alle generazioni
future la venuta del Santo.
Oggi resta solo il ricordo della tradizione che narra come S. Calogero,
Passando da Vicari, abbia lasciato l'impronta della mano su quelle
pietre, e la chiesa fu costruita su quelle rocce recante quel segno.
"Insigne memoria si ha di s. Calogero, il vestigio cioè della mano del
santo impresso in una pietra; poiché attestano ch'egli venuto al colle
di Vicari, declinando la rabia della persecuzione contro i fedeli di
Cristo, vagando in antri e spelonche abbia lasciato impresso quel
segno nella selce."258
Il prospetto della chiesa era in pietra e il portale d'ingresso sormontato
da un arco a sesto acuto, oggi è costituito da un portoncino in ferro.259

DIOCESI PIANA DEGLI ALBANESI


PIANA DEGLI ALBANESI - Molti abitanti di Piana, ogni anno,
in occasione della Festa di S. Calogero, si recano a San Giuseppe Jato
portando il pane da far benedire per poi consumarlo con parenti e
amici.
CONTESSA ENTELLINA A Contessa Entellina, dipendente -
dalla Parrocchia Greca, si trova una cappella Rurale dedicata a San
Calogero, un piccolo edificio in pietra, con tetto a capanna e volta a
botte, dove ogni anno, la prima domenica di luglio, si rinnova il
plurisecolare pellegrinaggio.
                                                                                                                       
258
Vito Amico, Dizionario Topografico della Sicilia, vo. II, Palermo 1859, p.
655.
259
Nitizie fornite dal Parroco della Parrocchia S. Giorgio M. Vicari
190  
 
Secondo l'antica tradizione, il 2 luglio 1949, il parroco greco vi
celebrò la prima Divina Liturgia davanti alla bellissima Icona
bizantina del Santo.
Il 31 agosto 1952 iniziarono i lavori di restauro e il 24 Luglio 1956
venne benedetta, nella chiesa greca, la statua di S. Calogero, portata
poi in processione nella sua cappella.
Ad Ovest del centro urbano si riscontra un’area franosa ricadente in
destra idrografica del Fosso San Calogero.
PALAZZO ADRIANO - Fuori dall’abitato, su una collinetta ai
piedi della montagna delle rose, si trova la Cappella di San Calogero,
raggiunta ogni anno, il 18 giugno, da numerosi fedeli, edificata per
volontà di un emigrato in America.
La struttura, in pietra viva, a forma di ferro di cavallo conserva al
centro i resti di una parete nella quale si presume fosse affissa l'effigie
del Santo.
A sinistra è presente una nicchia laterale che serviva per fare il rito
della preparazione (Προσκοµιδης - protesi).
Il Santuario della Madonna delle Grazie è ubicato fuori dall'abitato
nella cui abside vi è un dipinto su pietra, che raffigura la Vergine
seduta in trono con il Figlio sulle braccia. In alto due angeli reggono
una corona regale, lateralmente vi sono due figure genuflesse, ben
conservate: a destra è San Calogero mentre a sinistra San Giovanni
Battista.
Di rito bizantino, fu fondato nella seconda metà del '500 dagli esuli
albanesi rifugiatosi nella zona dall'avanzata turca in Albania.
Secondo una credenza popolare, l'acqua del fiume miracolata da San
Calogero, e in grado di guarire dai reumatismi chiunque vi si bagna il
18 giugno.

DIOCESI PIAZZA ARMERINA


PIAZZA ARMERINA - Nella chiesa di S. Rocco, è situata la
statua di San Calogero, di autore ignoto della prima metà del
XVIII secolo: "S. Marie de Angelis. Cum hoc hodie Hospitalis,
ædes S. Spiritus, quondam S. Calogeri dicta, & templum D.
Luciae conjuncta sunt. Ad servantur ibi quod Verso testatur

191  
 
reliquiæ S. Alberti, Carmelitani. Gaudet etiam societate
Candiderum & Archi - confraternitate Sanctissimi Sacramentis
et Montis Pietatis.260
Sulle vicende di Piazza Armerina non si sa molto, anche se, nei
documenti romani, si parla di Platia o Placia e in quelli arabi di
Iblatâsah.
Placia è un borgo fortificato che nel 1192 contava 3200 abitanti
e forniva aiuto al re Tancredi l'Altavilla contro Enrico VI di
Svevia. Nel 1222 fu costruito il secondo Convento dei
Domenicani dopo quello di Messina e prima di quello di
Augusta. Nel 1234 Federico II di Svevia I di Sicilia, conferma
Plasia città demaniale, denominata "città Deliziosa", e vi
costruisce un Regio Sollazzo. Nel 1238 i Carmelitani ottengono
dal comune la chiesetta e il cenobio di S. Lucia al Vecchio
Castello e lo chiamano di San Calogero.261
Nel 1392, il re aragonese Martino I il Giovane, costruisce il
Castello Aragonese sul Colle degli Aranci (l'odierno piano
Castello) sul preesistente Convento Francescano che è stato
ricostruito al posto del Castrum Reginae. Per i loro servizi
divini i PP. Francescani si servono dell'ex chiesetta di S. Lucia,
chiamata dai Domenicani di S. Calogero, e da loro Santa Maria
degli Angeli. È qui che, nel 1603, l'ospedale fondato nel 1420
dalla nobile Giacoma Villardita nei pressi della propria
abitazione di via Monte, spostato nel 1444 dalla figlia Graziana
vicino la chiesa di S. Giuseppe, venne trasferito prendendo il III
nome della sua storia, Ospedale di S. Calogero e di Santa Maria
degli Angeli.262

                                                                                                                       
260
Joannes Georgius Graevius, Thesaurus antiquitatum et historiarum
Siliciae, quo continentur ..., p. 149.
261
Gaetano Masuzzo, Cronologia civile e ecclesiastica di Piazza e dintorni:
Palazzi, chiese ...
262
Joannes Georgius Graevius, Thesaurus antiquitatum et historiarum
Siliciae, quo continentur ..., p. 144.
192  
 
AIDONE - I registri Vaticani delle decime, degli anni 1308-1310,
menzionano la chiesa Matrice S. Laurenti martinus Aidonis e così
recitano "Joseph FORESTA Priore ecclesia S. Nicolas de Larino et S.
Calogeri da Consilia beneficiarus Parocchi Sacrae Matris titula
S.LAURENTIUS martiri Locus AYDONIS."
ENNA - La Chiesa di Santa Maria in Portosalvo, conosciuta anche
come Chiesa di San Calogero, così come si legge nella Relazione ad
Limina di Mons. Marco Antonio Gussio (1650-1660), "fuori le mura
della città sorgono 21 chiese: ... S. Calogero...", era originariamente
una torre quattrocentesca a guardia della Porta di Porto Salvo.
Aperta al culto fino agli anni '50, a causa di infiltrazioni d'acqua ha
subito un grave deterioramento strutturale e perdita dei pregevoli
stucchi che ricoprivano le pareti ed anche il tetto.
Una decina di anni fa, è stato effettuato un parziale intervento di tutela
della struttura con il posizionamento di una copertura sul tetto e di
catene per legare le mura che ne ha evitato momentaneamente il crollo
definitivo.
GROTTA DEI SANTI: La grotta dei Santi, Chiesa rupestre del XI-XIII
secolo, scavata in un ammasso roccioso isolato e seminascosta dai ruderi
di una masseria, si trova in contrada San Calogero, ai piedi dell’acrocoro
ennese, ed è stata scoperta quasi per caso all’inizio degli anni Settanta.
Costituta da un ambiente quadrangolare, con il presbiterio ripartito in due
grandi nicchie absidate, conserva ancora una buona parte degli interessanti
affreschi che un tempo la decoravano.
La sua intitolazione si deve appunto alle figure bizantineggianti di San
Nicola, Santa Margherita, Santo Diacono e San Calogero,
immancabilmente accompagnate dalla Madonna con Bambino e dal Cristo
pantocratore, presenti nei pannelli dell’iconografia rupestre, anche se non
è da escludere una titolatura della chiesa a San Calogero, che da il
nome alla contrada.
Per quanto sia piuttosto scontato l’utilizzo della grotta come laura dei
monaci basiliani, la datazione degli affreschi, risulta incerta a causa di
rimaneggiamenti e grave deterioramento della pellicola; ma, in ogni caso,
può ascriversi tra l’XI ed il XIII secolo.
PIETRAPERZIA - La festa di San Calogero, un tempo celebrata
presso la chiesa di San Nicolò ogni anno l’ultima domenica di luglio,
193  
 
dal 2019 è stata anticipata al 18 giugno. La statua è opera di autore
ignoto della prima metà del XVII secolo.
La S. Messa è seguita dalla caratteristica benedizione e distribuzione
del pane. Si tratta di forme che, riproducono varie parti del corpo,
portati in chiesa dai fedeli per grazia ricevuta o per chiedere
intercessione al Santo.
VILLAROSA - Intorno al 1870 Pietro Deodato, per onorare la
memoria di suo padre Calogero, fece costruire una Chiesetta dal
maestro Epifanio Lo Cigno, in un terreno di sua proprietà in contrada
“Zotta Caldaia” adiacente all'abitato lato Palermo.
Al centro dell'Abside sopra l'altare, ricoperto di marmi pregiati, era
collocata la statua di S. Calogero.
Nel 1879 Pietro Deodato ottenne, con decreto prefettizio firmato dal
Sindaco Salvatore Milano, l'autorizzazione a convertirla in sepoltura
gentilizia. Da allora nella cripta furono seppelliti molti defunti
appartenenti alla famiglia, l'ultimo dei quali Benedetto nel 1934.
La chiesa era molto frequentata e vi erano molti ex-voto. Molti
portavano il pane votivo che riproduceva la sagoma delle membra
guarite per grazia di S. Calogero: un braccio, una gamba, la testa o
tutto il corpo. Pane benedetto e distribuito.
Intorno al 1960, un erede della famiglia Deodato di nome Pietro,
vendette il terreno e la Cappella che venne demolita per costruire un
palazzo.
La statua del Santo oggi si trova presso la Chiesa Parrocchiale della
Concezione e la campana collocata nel giardino di Villa Lucrezia.
Nel 2018 fu costruita, per iniziativa del comitato, un'altra piccola
cappella in un terreno di proprietà della chiesa.
GELA - Presso la chiesa del Carmine vi è presente una bella statua
di San Calogero.
RIESI - Chiesa di San Giuseppe costruita nel 1825 e si presentava
con una facciata dalle forme semplici: "L’interno misura m. 40 di
lunghezza con m. 10 di larghezza, capace di contenere 2000 persone.
Vi erano collocati sette altari (maggiore o di San Giuseppe, S. Cuore

194  
 
di Gesù, Transito di San Giuseppe, Purgatorio, Immacolata, Della
Nascita, San Calogero)."263
Nel corso degli anni divenne alloggio dei soldati venuti a Riesi per
sedare delle rivolte e poi sede di una confraternita.
Oggi viene solennizzato S. Giuseppe il 19 marzo e l'ultima domenica
di luglio, con processioni, altari e tavolate.
Secondo il Parroco: "Forse in passato. Adesso non c’è più nulla. Nei 4
altari laterali ci sono una statua della Madonna di Lourdes, due tele
in stampa moderna e un crocifisso ma nulla che riguardi San
Calogero".

DIOCESI RAGUSA
CHIRAMONTE GULFI - La devozione a S. Calogero è legata a
quella di S. Rosalia, tanto che esiste un quadro di Santa Rosalia in
compagnia di S. Calogero nella chiesa di San Vito.
“La chiesa di S. Vito risale al XVI secolo. Nell'attuale sito o nelle
attigue vicinanze esisteva una chiesa dedicata a san Lorenzo, già
protettore dell'antica Gulfi unitamente a santa Maria la Vetere, oggi
di Gulfi, la quale ab immemorabilis era la patrona principale. Per
l'immensa di devozione di allora, che dalla Sicilia si dipartiva per
tutto il mondo, poiché fu invocato l'aiuto a causa di un'epidemia
di peste, scoppiata agli albori del 1500, la chiesa fu riconsacrata e
dedicata al giovane martire, proclamato a furor di popolo santo
patrono. In seguito, nel 1530, vi fu istituita una confraternita laicale
dedicata al santo e il conte di Modica, per confermare l'importanza
dell'evento, concesse di potersi svolgere una fiera per otto giorni,
privilegio accordato secondo l'importanza dell'evento e da qui
officiarono il culto nella chiesa i padri carmelitani. Però nel 1550 il
popolo Chiaramontano rielesse nuovamente a Patrona della città la
beata Vergine di Gulfi. Nei secoli il tempio, benché di piccole
dimensioni, fu abbellito più volte e impreziosito con addobbi e opere
d'arte pregevoli, tele e sculture eseguite dai più bravi concittadini con
l'assetto che oggi tutti conosciamo; non ultimo, la chiesa fu abbellita
nel 1927 di un artistico ed imponente campanile, il più alto della città,

                                                                                                                       
263
http:/riesi.altervista.org/archivio/sangiuseppe.htm
195  
 
all'interno della cella campanaria, difatti è situata la campana più
grande della città. La statua di San Vito, seicentesca, viene attribuita
a Melchiorre Ereddia, ed è posta su un percolo a quattro colonne,
tutto indorato, che si staglia nella sua imponente altezza, opera dello
scultore Benedetto Cultraro nel 1719. La festa, per disposizioni
iniziali, si celebrava il 15 giugno, ma in seguito, per motivi
burocratici, fu spostata alla prima domenica dopo il 15 agosto”.264
"Nella Siracusana Diocese, Chiesa antichissima da i tempi di S. e
nelle parti che sono in Sicilia più da Palermo remote, vi hà luoghi
c'hanno antiche memorie di S. Rosalia; una di tutti meno antica è in
Chiaramonte dentro la Chiesa di S. Vito dalla parte destra, dove la
Santa è dipinta in compagnia di S. Calogero, di cui pure v'ha per la
Sicilia universal divotione; l'antichità della imagine di s. Calogero fa
fede di pari antichità di S. Rosalia, ma non si sa bene, la Chiesa
antica fù rinovata: ella è quivi particolarmente invocata per lo male
del freddo."265
VITTORIA - Il 18 settembre 1604, il Marchese Paolo La Restia,
inviò una lettera al Conservatore del Patrimonio et maestro Iurato del
Contato di Modica Scipione Celestri, per trasmette la relazione sulla
fondazione della nuova città di Vittoria.
Durante la peste del 1626 il popolo pregò S. Rosalia perchè lo
liberasse dal morbo. Ottenuta la grazia per ringraziamento diffusero il
culto alla santa, dedicandole chiese e altari, di cui uno anche nella
chiesa rurale di S. Calogero: "Oltre che nella Contea di Modica, così
anche nell’agro netino, dove una attestazione del culto è un altare
minore nella chiesa rurale di San Calogero."266

DIOCESI SIRACUSA
AUGUSTA - Oggi esiste il Porticciolo di San Calogero, in località
Castelluccio.

                                                                                                                       
264
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera Chiesa San Vito (Chiaramonte Gulfi)
265
Giordano Cascini, Di S. Rosalia, vergine Palermitana, libri tre, composti
dal R. P. Giordano ..., p. 20.
266
Vittoria Giovanna Rizzone, Le chiese rupestri di Vittoria.
(archivum11.pdf (enteliceoconvitto.it)
196  
 
Nel 1360 esisteva una Motta di San Calogero vicino Brucoli, borgo
marinaro, e frazione del comune di Augusta attestato da un privilegio
di Re Federico, pubblicato dal Romeo, con il quale «giunge ad
autorizzare la costituzione di un covo di pirati alla Motta di San
Calogero, vicino Brucoli».
Della stessa Motta (Mocta Santi Calogeri) ne parlano il Cosentino e il
Gaudioso.
La pubblicazione sui castelli medievali a cura della Regione Siciliana,
con il coordinamento di Ferdinando Maurici, riporta che tale struttura
fu realizzata verso il 1357 come rifugio costiero: «re Federico IV si
impegna con Ughetto di Lanzano, capitano di naviglio da corsa, che
vuole fortificare la mocta Sancti Calogeri a provvederlo, a spese del
Lanzano stesso di Muraglie, carpentieri, legname e della milizia
necessaria alla protezione degli operai».267
Nel 1448, per rilanciare la Motta, ormai abbandonata, il re Alfonso V
accordò una fiera per la festa di San Giacomo e autorizzò il
trasferimento di coloro che volevano andare ad abitarci. Il tentativo
fallì e nel 1584 Camillo Camilliani scrive dell’esistenza di un piccolo
castello con una torre abbandonata.
- La Commenda di San Calogero, unica abbazia dell'ordine cavalleresco
di Santiago in Sicilia è considerata una delle più importanti dimore
storiche dell’isola. Si trova sull'estremità dell´altopiano Ibleo che
guarda l'Etna a nord di Siracusa, lungo una valle scavata dal fiume che
vi scorre.
Circondata da una tenuta di 100 ettari, la Commenda ha sentieri
immersi nel verde e nel silenzio, percorrendoli si scoprono tombe del
X-IX secolo a.C., e una suggestiva grotta dello stesso periodo. La
grotta fu sempre un luogo di culto, e in epoca bizantina pare abbia
ospitato San Calogero nel suo viaggio verso Sciacca.
Fondata tra la fine del 1200 e l’inizio del 1300, da Riccardo Passaneto,
nobile di origine Normanna, fu poi concessa in enfiteusi ai Gaetani,
principi di Cassaro e marchesi di Sortino. Quest’ultimi avi per via

                                                                                                                       
267
Guglielmo Marino, Motta San Calogero, in Ferdinando Maurici (a cura
di), Castelli medievali di Sicilia, Ed. Regione Siciliana, Palermo 2001, p.
104.

197  
 
femminile dei Matarazzo, gli attuali proprietari, che ne vennero in
possesso a metà del XIX secolo.
- La Masseria fortificata del feudo, fu ricostruita dopo il terremoto del
1693 sulle rovine di edifici molto più antichi. Poi in epoca più recente,
fu ristrutturata e una sua ala trasformata in Casa Padronale, la Chiesa
ed altri fabbricati rimasero, ma furono aggiunti alcuni annessi che
diedero alla struttura l’attuale aspetto di borgo.
CARLENTINI “La grotta del Crocefisso, situata nell’omonima -
contrada della zona archeologica di Leontinoi, è costituita da due grandi
ambienti quadrangolari, di cui uno absidato, comunicanti attraverso un
varco e muniti di ingressi autonomi. Per quanto risistemata intorno alla
metà del Settecento, le sue origini sono anteriori al XII secolo con un
primitivo utilizzo di tipo sepolcrale e poi con il successivo (XIII-XVI sec.)
lavoro di ristrutturazione, e l’apertura di nuovi spazi per la chiesa e per le
dimore dei monaci eremiti, trasformata in laura. Ma quel che più
caratterizza e rende importante la grotta del Crocefisso è il complesso
apparato iconografico presente: un ciclo di affreschi rinnovato ed
ampliato in almeno cinque diverse fasi decorative. Malgrado, in taluni
casi, la scarsa leggibilità non ne consenta la sicura datazione, è possibile
collocare la prima fase intorno al XII secolo, con le formelle poste lungo
una parete del vano maggiore che raffigurano scene del Giudizio
Universale. Al XIII secolo, invece, appartengono quelli che occupano
l’altra parete ed il catino absidale: la Crocifissione, alquanto
frammentaria, ed il Cristo pantocratore assiso in trono ed affiancato da
due angeli, entrambi di gusto squisitamente bizantino come gli altri
pannelli del “polittico di san Leonardo”, di santa Elisabetta, della Mater
Domini e di san Giovanni Battista sempre della stessa epoca. Le altre
rappresentazioni, tra il XIV ed il XVII secolo, riguardano un teoria di
santi occidentali come Eligio, Caterina da Siena, Pietro, Calogero e
Margherita non disgiunti da una bellissima Madonna con Bambino, posta
sull’altare di fronte all’ingresso, cui la grotta all’origine era dedicata. ”268
A Carlentini esiste una contrada chiamata San Calogero con un’antica
masseria.

                                                                                                                       
268
https://eremos.eu/index.php/sicilia
198  
 
LENTINI -
Commenda S. Calogero dell'ordine di S. Silvestro a
Lentini. "Commenda di S. Giacomo
della spada, volgarmente Precettoria di S. Calogero, sollevata ad 8
miglia dalla città presso la spiaggia, di grandi possedimenti
accresciuta da Riccardo. Passando signore di Grassuliato, che oggi
conferiscono i re di Spagna come Maestri dell'Ordine, e ne gode
attualmente Luigi Reggio Principe di Campofiorito. Dissi già di sopra
del castello di S. Calogero."269
Quasi tutto il territorio di Lentini è costellato dal nome di Calogero:
Grotta San Calogero, Castello San Calogero, abbazia San Calogero.
Il castello o la Mocta sorgeva in contrada Castelluccio su una rupe
all'estremità della punta omonima.
Il Massa così dice: "LITTORALE DI LENTINI. ...appresso per mezzo
miglio tirano le Rocche di S. Calogero, assai aspre e scoscese, le
quali menano al Ridotto ed alla Foce del Fiume di S. Calogero che
nasce da un Fonte vicino; salendo in alto si arriva al Castello di S.
Calogero e calando si tocca la Punta col nome dello stesso Santo
dove giacciono le rovine di antichissime fabbriche; appresso si
pervene al Seno del medesimo nome dove vi è la Tonnara; e seguitano
per 500 passi altre Rocche, altrsìl nominate di S. Calogero."270
Presso la chiesa rupestre del Crocifisso, si conserva quel che rimane di
un affresco e cioè la didascalia ALOKERUS (Calogero) a destra del
volto del Santo." E quella di S. Giacomo della spada volgarmente
Precettoria di S. Calogero sollevata ad 8. m. dalla città presso la
spiaggia, di grandi possedimenti accresciuta da Riccardo Passando
signore di Grassuliato che oggi conferiscono i re di Spagna come
Maestri dell'Ordine e ne gode attualmente Luigi Reggio Principe di
Campofiorito. Dissi già di sopra del castello di S. Calogero."271
FERLA - MELILLI - AUGUSTA e SORTINO - La Contea di
Agosta comprendeva un vasto territorio che si estendeva fino ai colli
iblei. Dei numerosi erano feudi, vi fecero parte oltre ad Augusta,
anche gli odierni comuni di Ferla, Melilli e Sortino.
                                                                                                                       
269
Vito Maria Amico, Dizionario topografico della Sicilia, Volume 1, p. 590.
270
Giovanni A. Massa, La Sicilia In Prospettiva Parte ...: Cioè Le Città,
Castella ..., Volume 2, p. 396.
271
Vito Maria Amico, Dizionario topografico della Sicilia, Volume 1, p. 489.
199  
 
La città demaniale di Agosta, fu ceduta nel 1326 da Federico III
d'Aragona a Guglielmo Raimondo II Moncada, investito del titolo
di conte, in cambio delle isole di Malta e Gozo, a lui soggette. Alla
morte di questi, nel 1354 il feudo passò al figlio Matteo.
L'Ultimo a possederla fu il Marullo, il quale a causa di difficoltà
finanziarie, la vendette nel 1565 a Federico Staiti, marchese di
Brancaleone. La Contea di Agosta venne soppressa definitivamente
nel 1567 e reintegrata al Regio demanio.

DIOCESI TRAPANI
TRAPANI Nel XVII secolo nel quartiere Palazzo esisteva una -
chiesa dedicata a San Calogero.272
Il quadro di San Calogero del XVIII secolo, olio su tela, è un’opera
documentata nella Compagnia di San Niccolò da Tolentino dipinta da
Domenico La Bruna (Trapani, 24 febbraio 1699; † Trapani, 19
giugno 1763), presbitero e pittore del barocco siciliano, attivo
soprattutto a Trapani e provincia.
ALCAMO - All’interno della cinta muraria, i 4 quartieri, prendono
il nome dalla principale chiesa presente in quella zona. Esistono,
pertanto, il quartiere di San Giacomo Spada, il quartiere Maria
Santissima Assunta, il quartiere di San Calogero, per la presenza di
una chiesa a lui dedicata, ubicata tra la via Federico II e la via Rossotti
dove oggi insiste un giardinetto di fronte la Chiesa del Santissimo
Salvatore.

                                                                                                                       
272
trapaninostra.it/libri/Giuseppe_Abate
200  
 
LEGGENDE E MIRACOLI
IL FIGLIO MUTO
Molti anni fa un uomo che viveva in un paesino dei monti nebrodi
ebbe un figlio sordo-muto ed era sempre triste perchè non trovava
soluzione al problema. Un giorno sentì parlare della presenza di un
santo miracoloso a San Salvatore di Fitalia e ascoltò molte persone
che da lui acecano ricevuto una grazia.
Allora si mise in preghiera e supplicava San Calogero perchè gli
facesse questa grazia e promise al Santo che, se suo figlio avesse
parlato, gli avrebbe dato una giumenta. Il giorno della festa, il 20
agosto, partì dal suo paese con due muli e una giumenta; i muli per
loro e la giumenta da consegnare al Santo se gli faceva questa grazia.
Arrivati a San Salvatore, lasciarono le mule fuori del paese e con la
giumenta si recarono nella chiesa di San Calogero per pregarlo.
Entrato in chiesa, vide l'immagine di San Calogero tutta nera in volto
e, costernato, disse: " mi sono partito da tanto lontano per venire qui e
trovare uno che è più brutto del brutto bestia." si voltò indietro e lasciò
la chiesa deluso e amareggiato. Si misero a cavallo dei muli e, con a
seguito la giumenta, incominciarono la discesa verso il fiume.
Arrivati dove si congiungono le due fiumare, quella di Galati e quella
di Tortorici, il padre incominciò ad attraversare il fiume e lo seguiva il
figlio sull'altro mulo e la giumenta. Molti erano i pensieri che
entrarono nella sua mente; di rabbia, di dolore e di costernazione.
Quando già stava oltrepassando il fiume sentì una voce che dice "pà!!!
a imenta". Non ci fece caso, ma quella voce continuava a sentirla, Ad
un certo punto si voltò e si accorse che era sua figlio che parlava e la
giumenta stava ritornando indietro verso S. Salvatore. Pieno di gioia,
scese dal mulo, abbracciò il figlio che parlava e sentiva e si mise a
piangere. Chiese scusa a San Calogero per la sua poca fede, ritornò
indietro, si recò nella chiesa e ringraziando S. Calogero, gli consegnò
la giumenta. La fede va al di là delle apparenze.

201  
 
I MULI
Si racconta che un tempo a San Salvatore ci fosse un signore di nome
Don Peppi il quale, essendo proprietario di due muli selvatici, cercava
di addomesticarli facendoli abituare al lavoro. Un giorno caricò i due
animali di rasciura (letame) e si avviò verso un suo appezzamento di
terra; giunto nel podere cercò di scaricare il letame ma i due muli,
imbizzarriti, cominciarono a scalciare contro lo sventurato. Il
malcapitato tentò con ogni mezzo di sottrarsi alla furia distruttiva dei
due animali, ma invano; alla fine, non riuscendo in alcun modo a
mettersi in salvo, si rivolse al Santo protettore dicendogli:
-San Caloriu, sulu tu mi po' ajutari, si mi sarvi ti prummettu nu mulu.
Aveva appena terminato di pronunciare quest'accorata invocazione
quand'ecco, dalle campagne circostanti, giunsero trafelati alcuni vicini
che erano stati richiamati dalle sue grida. I soccorritori liberarono
l'uomo e lo portarono in paese, qui don Peppi fu curato ma dovettero
passare parecchi mesi prima che si ristabilisse completamente. Nel
frattempo l'uomo aveva dimenticato la promessa fatta a San Calogero,
ma una notte il Santo gli apparve in sogno e gliela rammentò :
- Ti scurdasti chi mi prumittisti u mulu?
Allora don Peppi, rammentando la sua invocazione, si affrettò ad
assolvere la promessa, ma non secondo i termini in cui l'aveva
formulata. Egli pensò infatti, per non disfarsi del mulo che
rappresentava la sua unica fonte di sostentamento, di far "stimare"
(valutare) l'animale; poi portò al Santo il denaro corrispondente al
valore del quadrupede, sicuro di aver così "sciolto" il suo voto. Invece
di lì a poco San Calogero gli apparve nuovamente in sogno e lo
ammonì dicendogli:
-Tu mi prummittisti nu mulu e jò u mulu vogghiu, no i sordi.
Don Peppi s'arrispigghiò scantatu, ma capì di non essersi comportato
in modo coerente perciò, il giorno dopo, andò a riprendersi il denaro e
lasciò al Santo il mulo promesso.
L'episodio viene ancora rammentato da alcuni anziani i quali, a
conclusione del loro racconto, sono soliti dire:

202  
 
- Si don Peppi non ci purtava u mulu a San Caloriu, a videva
arriminata!273

LA FAVA
Una donna era molto afflitta perché il suo figlioletto, ormai da
diverso tempo, soffriva a causa di una febbre altissima di cui non si
riuscivano a capire le cause. Dopo aver invano consultato alcuni
medici la madre, devota di San Calogero, suggerì al figlio di invocare
la protezione del Santo e di promettergli qualcosa in "voto". Nella sua
spontaneità fanciullesca il bimbo promise una fava, forse perché era
un alimento che gli piaceva, o perché erano tempi difficili ove anche
le cose più comuni parevan preziose o, più semplicemente, perché fu
la prima cosa che gli venne in mente. Di lì a poco il bimbo guarì e la
madre, ricordando la promessa, fece coniare una fava in argento per
assolvere il voto. Dopo qualche tempo, tuttavia, suo figlio si ammalò
nuovamente e la donna ricadde nella disperazione: non sapeva a chi
appigliarsi, cosa fare. Una notte, però, San Calogero le apparve in
sogno chiedendole la fava che gli era stata promessa. La donna,
stupita, rispondeva di aver già assolto il "voto", ma il Santo ribatteva
dicendole : - Tu non mi purtasti a fava chi mi prummittiu to figghiu,
chidda jò vogghiu!
Ella a questo punto capì di aver in effetti disatteso la reale promessa
del figlio e si affrettò a sostituire la fava d'argento con quella naturale.
Solo allora il piccolo guarì completamente.274

LA LEGGENDA DELLA FIERA DI SAN CALOGERO


Ogni sette anni, in una notte di plenilunio, sulle alture di
"Castiddazzu" (una delle ultime propaggini del monte San Calogero
ad oltre 1300 metri sul livello del mare) si svolge una fantasiosa
"fiera".

                                                                                                                       
273 Storie e leggende - Santuario San Calogero Eremita - San Salvatore di
Fitalia (ME)
274
Storie e leggende - Santuario San Calogero Eremita - San Salvatore di
Fitalia (ME)

203  
 
Per la verità la leggenda dice che si tratta di un mercato dei più
svariati prodotti locali (cavalli, asini, buoi, mucche, pecore, capre,
frutta, formaggi, ricotta... etc.).
Uno dei tanti allevatori di bestiame e proprietario di vaste estensioni
di terreno, un giorno mandò i suoi due garzoni a riposo dando a
ciascuno di loro cinque soldi.
I due, trovatisi per caso a transitare lungo un sentiero scosceso,
inaspettatamente giunsero in mezzo alla "fiera di Castiddazzu".
Con quei cinque soldi poterono acquistare solamente cinque grosse
mele che conservarono per poterle consumare appena giunti a casa.
Grande fu la loro sorpresa quando, giunti nella loro abitazione misero
su di un tavolo le mele acquistate con i cinque soldi alla fiera perché si
accorsero che erano diventate d'oro massiccio.

204  
 
LODI A SAN CALOGERO

IL MESE DI SAN CALOGERO


PROTETTORE DEL SALVATORE
1898
Signore apri le mie labbra.
E la mia bocca proclami le tue lodi.
1
O Calogero nostro protettore,
tu che fuggisti sempre ogni reato,
inspira all'alme nostre un grand'amore
pel Redentor che ti ha ognora amato.
Pater, Ave, Gloria.
2
O gran Santo, che godi tanta sorte
di bearti nel ciel nel sommo Dio,
Intercedi per noi: fa che da morte
sian salvi i tuoi devoti, o santo pio.
Pater, Ave, Gloria.
3
Tu sei vero flagello dell'inferno,
tu col vigor di tua potente mano
abbatti e fughi il serpe vil d'averno,
e l'ossesso per te divien sano.
Pater, Ave, Gloria.
4
Gran medico, da Dio fosti mandato
per guarire le nostre infermità,
fa l'anima guarir d'ogni peccato
per godersi nel ciel l'eternità.
Pater, Ave, Gloria.
5
Ogni piaga, ogni morbo, ogni ferita
tu sani pure, e il cuor dei tuoi devoti
205  
 
se l'alma lor da Dio sia pur smarrita,
la riduci all'ovil per li tuoi voti.
Pater, Ave, Gloria.
6
O taumaturgo fa che in abbondanza,
il Signor di bontà, pietà e clemenza,
piova sul popol tuo beni e sostanza,
egli ch'è liberal per propria essenza.
Pater, Ave, Gloria.
7
Tu che Patron da Dio ci fosti dato,
tu che benigno sei, pietoso e forte,
fa che liberi noi d'ogni peccato
giungessimo dei santi all'alma sorte.
Pater, Ave, Gloria.
8
Accresci in noi la fede e la speranza,
impetraci un amor forte e potente,
fa che fugga da noi la rea baldanza,
fa che amiam Gesù con cuor dolente.
Pater, Ave, Gloria.
9
O magnanimo cuor, sant'Eremita,
ricolmaci dei beni della terra,
ottieni pur per noi l'eterna vita,
per finire nella pace questa guerra.
Pater, Ave, Gloria.
OFFERTA
Ecco ai vostri santissimi piedi prostrati o beatissimo San Calogero,
noi, vili peccatori indegni di comparire al cospetto della maestà
divina, per le nostre reità, temendo i colpi dell'ire divina a voi
facciamo ricorso per essere da voi patrocinati al tribunale di Cristo
giudice offeso, nella causa importante delle anime nostre.
Proprio è della vostra grandezza ricovrare sotto l'ombra della vostra
protezione ancora quelli che non la meritano, fra i quali siamo noi, per
i nostri peccati, purtroppo indegni.

206  
 
Nientedimeno desideriamo essere ammessi nel numero dei vostri
servi, scegliendovi per nostro principal Patrono, con fermo proposito
di volervi ogni giorno, e specialmente in questo vostro santo mese,
ossequiarvi e lodarvi finchè avrem vita.
Voi intanto gradite con occhio amorevole quest'umile offerta, e non ci
abbandoniate in tutte le nostre necessità principalmente spirituali,
affinchè, pei vostri meriti gloriosi, vivendo qui in terra da veri seguaci
di Cristo, potessimo finalmente conseguire la sorte felice d'essere
vostri concittadini nel cielo, ed a gloria maggiore di Dio. Amen.
Ora pro nobis Sancte Caloger protectour noster,
ut digni efficiamur promissionibus Christi.
Oremus.
Clementissime Domine, qui Sanctum Calogerum Protectorem nostrum
benevolam devoti suis de coelo tribuisti ex qua non cessat qdhuc, ob
tui nominis gloriam laborare, fac ut ejus patrocinio unicum aeternitatis
negotium feliciter peregamus, per Christum Dominum nostrum.
Amen.
------------------------------------------

IN LODE DI SAN CALOGERO


Propongo un inno inedito, fornitomi dal Carissimo Basilio Arona che
ringrazio per la sua disponibilità e che è custodito nell'Archivio
Storico di Troina.
(In lode di San Calogero = 1827 / Anacreontica Storica / Tratto da un
antico manoscritto sec. XVII-XVIII / Archivio Storico Troina / A cura
di Basilio Arona / Troina - A.D. 2008 / Anacreontica Storica275 )
1.
Correa l’ottavo secolo
Dell’era Cristiana,
                                                                                                                       
275
In lode di S. Calogero = 1825 Anacreontica Storica - Manoscritto che ho
trovato nella biblioteca comunale di Troina. I fogli ancora non sono stati
catalogati. La carpetta comprende: prediche della quaresima e un panegirico
di San Silvestro. In calce ai fogli non c'è nessuna firma. Il manoscritto porta
la data del 1827.

207  
 
La chiesa ritrovavasi
In dura sorte, e strana.
2.
Di pier la nave celebre,
dall’Eresie nel Mare,
soffre tempeste orribili,
vicende forti, e amare.
3.
Sotto Leone Isaurico
I fieri Iconoclasti,
Mossi da spirito torbido
Alzano i loro fasti.
4.
L’Eretico Copronico,
L’Imperator Costante,
Editti crudi emanano
Contro l’eterno Infante.
5.
Dal cupo abisso perfido
Lo spirito rio Satànno
Intento sempre a struggere,
Spiega l’altiero vanno.
6.
La scena più terribile,
Un tratto disumano,
La stragge già presentasi
Al mondo cristiano.
7.
Giaceva ancor Trinacria
In altra e triste scena;
Spirito ribelle ed invido
Turba la pace amena.
8.
Volge dall’alto Empireo
Il Gran Fattor Sovrano
Ciglio paterno, e amabile,
Presta soccorso, e mano.
208  
 
9.
E dell’Eterno un soffio
Il rio fatal veleno
Tutto ad un tratto dissipa
Distrugge, e mette a freno.
10.
All’Inclito Calogero
Era servato intanto
L’error di strurre, e vincere,
Per della fede il vanto.
11.
Co’ suoi compagni amabili
Tutta alla Fe’ di unita
Demetrio, e Gregorio
Il Gran Fattor l’invita.
12.
Lasciando i suoi più nobili
Parenti, amici, e tutto;
Fissa la sua memoria
Ad un migliore frutto.
13.
Parte per mare subito;
Giunse in Marsala lieto,
E pensa in opra mettere
L’alto Divin Decreto.
14.
Una spelonca orribile
Sceglie per stanza amica,
Sopra del Monte Cronio,
Vasta, profonda, antica.
15.
Ivi da Asceta celebre
Medita notte, e giorno
Di Dio la Fè, i Misterj;
Di gran virtù adorno.
16.
Sopra la base solida
209  
 
Di penitenza dura
Innalza l’edifizio
Di vita la più pura.
17.
In van rubelli Spiriti,
Contro del Dio vivente,
D’attraversar ricercano
Un santo, un’Innoccente.
18.
A voce sua sèn fuggono
Lasciano in pace il Santo;
La furia sua terribile
Oh! Quanto è spenta, oh! Quanto!
19.
Un vasto e gran Cenobio
Sopra del Monte innalza;
Coi suoi più gran prodigj
Tutti gli error ne balza.
20.
Asceta dunque celebre
Fin’or ve l’ho descritto;
Ed ora un grande Apostolo
Dal cielo è già prescritto.
21.
E qual veloce folgore
Scorrendo impetuosa
Tutto attraversa, e stermina
Con forza poderosa;
22.
Così l’Eroe Calogero
Pieno di zelo ardente
Percorre tutta l’Isola,
Con insegnar la gente.
23.
La Fè verace predica
Col tuono più robusto:
Afferra già l’eretico
210  
 
L’errore falso, e ingiusto.
24.
E da fervente Apostolo
Con zelo forte, e strano
Rassoda coi prodigj
Il Mondo cristiano.
25.
A voce tal, Sierio
Della Coorte Emira
Pròstrasi a piedi subito,
e attonito lo mira.
26.
Domanda allor battesimo;
e lo concede il santo:
Egli contrito, ed umile
Già si distrugge in pianto.
27.
A tal solenne esempio
Ogn’un perdono chiede;
Contrito abbraccia subito
Di Cristo l’Alma Fede.
28.
O Fede, o gran Miracolo!
O portentoso santo!
Rompesi già l’ostacolo,
Resta trionfo, e vanto.
29.
Qual penna potrà tessere
Qual lingua mai narrare
I segni, i gran prodigj
Le meraviglie rare?
30.
Parlin di Sciacca i Popoli,
I Monti di Giumarra,
E il leontino emporio,
che tutto vede, e narra.
31.
211  
 
Parlin di Bagni in Termini;
Parlin le chiese erette
Dal Santo, giusto e fervido
Sulle sublimi veste.
32.
Sorpreso dai Miracoli
Da questo santo oprati,
Il Regno tutto Sicolo
Detesta i suoi peccati.
33.
Felice nostra Patria,
Ch’avesti un Protettore
Così potente, e nobile,
Che ti rallegra il cuore.
34.
Deh! Mira il beneficio;
Rispondi a tanto bene;
Il Grande Dio ringrazia,
E il vizio tuo raffrena.
35.
O Santo Vecchio Amabile,
Tutti prostrati intorno,
Ti preghiam, sollevacci,
Di chi non vuole a scorno.
36.
E dopo vita labile
Ottienci un buon governo,
Soggiorno certo, e stabile
In sen del Padre Eterno.
Fine

INNO A SAN CALOGERO EREMITA


1
Salve o divo Calogero, salve o immortale, preclaro,
a noi per mille titoli
sempre diletto e caro!
212  
 
A te che in ciel ti affidi
da questi nostri lidi
voti, preghiere e cantici
a te vogliam levar.
II
Da ogni fedele siculo
degli inni scioglier senti,
Naro, a te inneggia, Lipari,
San Salvatore, Girgenti.
Ma sublime e grande
la gloria tua si spande
dall'uno all'altro popolo,
per quanti ha lidi il mar.
III
Dai lidi di Calcedone
venisti a Lilibeo
Demetrio e il gran Gregorio
là colser il lor trofeo.
E ne mirasti in viso
degli angeli il sorriso,
calmi fra immensi spasimi
la vita a Dio sacrar.
IV
Il loro spirto impavido
nulla a fiaccar valea,
lovossi il collo a fendere
spada tremenda e rea;
di sangue il capo intriso
ah! cadde in giù reciso,
e pura e bella e candida
l'alma all'empir volò.
V
E tu con fiamma vivida
di carità, di zelo,
213  
 
esser volevi vittima
più cara al mondo e al cielo.
Bramavi ugual la sorte
egual supplizio e morte;
ma ti serbò l'Altissimo
alla più tarda età.
VI
Allor venisti al Cronio
a discacciarne i mostri;
con gioia poi ti accolsero
gli avi vetusti nostri.
Ada quel tempo a noi
largisti i doni tuoi,
e il dono inestimabile
di pura e santa fè.
VII
Sacro pastore amabile
nutristi ognor il gregge
pel buon sentier giudandolo
nella divina legge.
Giù dagli abissi cupi
sorgean frementi lupi;
ma tu solerte e vigile
lo custodisti ognor.
VIII
Tu col valor di Davide
e col fervor d'Elia
forte abbattevi gl'idoli
spianando al ver la via;
nei tempi allor funesti
qual vivo sol plendesti
gran luce fra le tenebre
solea per te brillar.
IX
214  
 
Ma che? o gran Santo un turbine
giù dall'averno tristo
scoppiò furente orribile
contro l'ovil di Cristo;
e in sì crudel conflitto
tu, campione invitto,
sapesti il mondo e satana
indomito affrontar.
X
Il rio cultor degl'idoli
con crudeltà feroce
morte giurò sterminio
ai figli della croce,
e tu tra affanni e lotte
vegliando il dì e la notte
palme, trofei, vittorie,
portasti ognor quaggiù.
XI
Tu allor correndo celere
di terra in terra, oh! come
glorificavi assiduo
di Cristo il sacro nome!
Tu in tetre catacombe,
quando il periglio incombe,
tutti infiammavi gli animi
al bene e alla virtù.
XII
D'alta fortezza eroica
di ardor, coraggio e zelo
sublime a te spettacolo
offristi al mondo e al cielo;
apportator di bene
stendesti tue catene,
tutte avvincendo l'anime,
215  
 
a Cisto e alla sua fè.
XIII
Con morte tranquillissima
salisti al cielo da terra,
or vivi nel tuo Cronio,
che tua virtù rinserra;
vive la tua memoria
cinta di luce e gloria
vive il tuo nome, vivono
i tuoi portenti ognor.
XIV
La tomba tua Calogero,
val più che argento e oro
e a noi grn vanto e gloria
è un'immortal tesoro.
E' tempio ed essa è seme
di religion, di speme:
è un monumento lucido
di fede e di pietà.
XV
Da lungi ognor là corrono
schiere di estranee genti,
ad ammirar s'inchinano
gl'illustri tuoi portenti.
Ai piedi tuoi prostrati
gli storpi e gli ammalati
con santa gara t'offrono
doni di cera ed or.
(P. Bernardino Cusmano da Sciacca)276

                                                                                                                       
276
Scorza Antonino, San Calogero Eremita, Palermo 1926, pp. 19-25.
216  
 
TRIDUO A SAN CALOGERO
A FRAZZANÒ277
1
Glorioso San Calogero, che conoscesti per tempo il nulla delle cose
terrene, e rinunziando alle speranze di una vita agiata ed illustre, ti
consacrasti tutto al servizio di Dio; aiuta la mia fragilità per
corrispondere con maggior fervore alle divine ispirazioni. Per i tuoi
meriti, ti prego ottienimi la grazia che ti domando. Non guardare i
miei demeriti, ma fallo per l'amore che portasti a Dio.
Pater, Ave, Gloria.
2
Ammirabile Santo, per il fervore delle tue virtù, ottienimi la tua accesa
carità onde corrispondere fedelmente al divino servizio.
Ti prego di consolare il mio afflitto cuore in questa infermità e
concedimi quanto fiduciosamente ti imploro.
Pater, Ave, Gloria.
3
Amabilissimo Santo, la tua carità e il tuo apostolico zelo, furono così
grandi ed estesi, che ti fecero consacrare tutto a sollievo di ogni
miseria spirituale e temporale del prossimo.
Intercedi per me ed ottienimi da Dio un tenero amore per il mio
prossimo, ma specialmente per la salvezza delle anime e sollievo per
gli infermi. Sii il conforto di chiunque a te fiduciosamente ricorre, ed
esaudisci la mia supplica.
Pater, Ave, Gloria.

Preghiera da recitarsi il giorno della festa


di San Calogero a Frazzanò
O inclito nostro protettore San Calogero, Taumaturgo singolare,
Apostolo delle genti, Atleta della fede, Benefattore dell'umanità,
Vincitore dei nemici di Dio, in questo giorno solennissimo, sacro alla
celebrazione dei tuoi trionfi, noi sventurati tuoi devoti, prostrati ai tuoi
piedi, ti esponiamo le nostre miserie.

                                                                                                                       
277
copiata da un manoscritto della sig.na Odoguardi Rosa.
217  
 
Ci rallegriamo con te che fosti prescelto da Dio a irradiare nella nostra
Sicilia la luce del Santo Evangelo, a ravvivare la fiducia nel premio
eterno e vivificare la fiamma della divina carità.
Per questo zelo apostolico, che ti indusse a salvare tante anime, volgi
il tuo sguardo sopra di noi e abbi compassione degli affanni e dei
pericoli ai quali siamo esposti.
O grande Protettore San Calogero, tu che dal cielo eserciti quella
missione di amore, con la quale in terra sovvenisti ad ogni altrui
miseria, impetraci dal Signore questa grazia di cui abbiamo bisogno.
Sì, lo confessiamo, noi siamo miserabili peccatori, immeritevoli della
tua protezione, indegni di ricevere grazie.
Ma noi confidiamo nella paterna tua bontà, e, col cuore sulle labbra, ti
supplichiamo ad ottenerci da Dio il perdono dei peccati, il fervore
nell'esercizio della fede, della speranza e della carità, la perseveranza e
il possesso del premio eterno in Paradiso. Amen.
Padre nostro, Ave Maria, Gloria al Padre.

INNO A SAN CALOGERO


CANTATO A FRAZZANÒ
1
Gridiamo concordi
con voce giuliva,
Calogero evviva
e chi l'esaltò.
2
Negli anni primieri
sei, scelto da Dio
del secolo rio
le pompe spezzò.
3
Cercò nel deserto
la pace del cuore
il vano rumore
del mondo scivò.
4

218  
 
Quantunque fregiato
di rara innocenza
di gran penitenza
l'esempio lasciò.
5
Al cieco la vista
al sordo l'udito
al muto schernito
l'accento donò.
6
Passato sugli astri
da un suolo d'orrore
l'antico suo amore
dal cielo mostrò.
7
Si lodi o fedeli
un Santo sì pio
si lodi quel Dio
che tanto l'amò.
8
Si esalti, si gridi
con voce giuliva
Calogero evviva
e chi l'esaltò.

INNO A SAN CALOGERO


A SAN SALVATORE DI FITALIA
0 Calogero dal cielo pietoso
Come il sole che splende al mattino
Tu ci guidi nell'aspro cammino
Che conduce all'eterno splendore,
tu ci guidi nell'aspro cammino
Che conduce all'eterno splendore.
Ritornello
O Calogero eremita prega
Prega per noi Gesù.

219  
 
Sorgi o San Salvator, dell'alba novella.
Già la luce sorride sul monte,
Fanciullini venite alla fonte
Manifesti la gioia del cuor.
Fanciullini venite alla fonte
Manifesti la gioia del cuor.
Ritornello
O Calogero Eremita prega
prega per noi Gesù.

INNO A S. CALOGERO EREMITA


SAN SALVATORE DI FITALIA
Composto da padre Filadelfio Russo nel 1960
Da ogni plaga ognor, o San Calogero,
muovon le turbe pellegrinanti a te
stanche e provate dal lungo penare
ai tuoi pie' vengono ad implorar mercé.
Rit.
Tu dei fedeli i voti
accogli e le preghiere,
tu alle stanche schiere largisci
i tuoi favor; in Dio dei tribolati
la fede e la speranza
conferma e la costanza
lenisci ogni dolor ! (bis)

Freme la guerra intorno a noi del male


e non v'è pace in fondo ai nostri cuor
onde dimessi, stretti al tuo altar,
tregua imploriamo, o Santo Protettore.
Rit.
Su questo colle ove di grazie Il trono
fissar volesti del tuo santo amor
il voto adempi del popolo che l'implora-
stendi il tuo manto sopra San Salvator.....
Rit.

220  
 
ROSARIO
DI SAN CALOGERO
CASTELTERMINI (AG)
(cantato)
Sui grani piccoli per dieci volte
Vi salvi San Calogero
tutto pieno di carità

ci conforti nel dolore


e guarisci l’infermità

Sui grani grossi:


San Calogero eremita
che miracoli operate
con la fede al nostro Dio
tutto il mondo a consola.

Preghiera a San Calogero


San Caloriu corpu santu
che pi mia prigastivu tantu
e prigastivu etemamenti
San Caloriu penitenti.
E prigastivu tutti l'uri
S. Caloriu prutitturi.
Evviva Calojaru
lu gran penitenti
di quantu è putenti
li grazii mi fa.

221  
 
Coroncina recitata dai fedeli di
San Salvatore di Fitalia e Frazzanò
Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.
I
Fervorosissimo Padre S. Calogero, che foste arricchito di tante virtù, e
specialmente di un ardentissimo amore verso il nostro amabilissimo
Redentore, tanto che per il di Lui amore abbandonaste la patria e i
parenti, ritirandovi nella solitudine, liberateci da tutti i mali che ci
assediano, ed allontanate da noi ogni occasione di peccare, acciocché
il nostro cuore sia tutto pieno di perfetta carità. (Pater, Ave e Gloria).

II
Amabilissimo Padre S. Calogero, che con l’efficacia delle vostre
orazioni, coi vostri digiuni ed aspre penitenze otteneste da Dio il dono
della purità verginale, superando tutte le tentazioni della carne, del
mondo e del demonio, degnatevi di essere il protettore della nostra
purità affinché, se per il passato abbiamo ceduto agli allettamenti e
alle insidie dei nostri nemici, da oggi innanzi, per la vostra
intercessione, possiamo vincere gli assalti del demonio e offrire a Dio
le delizie di una vita casta. (Pater, Ave e Gloria).
III
Sapientissimo Padre S. Calogero, che addottrinato nella legge di Gesù
Cristo vi portaste in Sicilia al fine di propagarla. facendovi maestro
della vera fede. Illuminate, ve ne preghiamo, la nostra mente accecata
dalle tenebre delle nostre passioni, affinché dai vostri esempi
educati, possiamo adempiere i nostri doveri verso Dio e verso il
prossimo. (Pater, Ave e Gloria).
IV
Invittissimo Padre S. Calogero, che confortato dal divino Spirito foste
sempre costante nel servizio del Signore, non lasciandovi abbattere né
dalle persecuzioni dei nemici della fede, né dagli allettamenti e dalle
lusinghe del mondo fate, ve ne preghiamo, che per i vostri meriti
otteniamo da Dio una costanza ineffabile nel servizio del Signore,
mantenendoci sempre fermi nell’adempimento dei nostri
doveri. (Pater, Ave e Gloria).

222  
 
V
Pazientissimo Padre S. Calogero, che per amore di Gesù mortificaste
il vostro corpo e vi voleste quasi seppellire in una spelonca,
nutrendovi di radici e poco pane, impetrateci da Dio lo spirito della
vera penitenza e mortificazione affinché, ottenendo per mezzo di esse
il perdono dei peccati, conseguiamo la salute dell’anima e del
corpo. (Pater, Ave e Gloria).
VI
Eroico Padre S. Calogero, che con tutto il cuore perdonaste Arcadio
Siro, il primo uomo da voi battezzato in Sicilia, per avervi ucciso la
cerva che col suo latte vi alimentava rendendolo, da cacciatore che
era, vostro discepolo, e dando così l’esempio della predilezione per i
nemici, date a noi vostri devoti un cuore docile e disposto a perdonare
i nostri offensori affinché, imitandovi in questa virtù, possiamo essere
degni della vostra assistenza nell’ora della nostra morte. (Pater, Ave e
Gloria).
VII
Glorioso Padre S. Calogero, che godete di tanto favore in cielo sì che
Dio, per la vostra intercessione, distribuisce tante grazie a chi per
vostro mezzo le implora, tanto che a buon diritto siete chiamato il
Taumaturgo, otteneteci le grazie che domandiamo, e sopra tutte quella
della nostra salvezza affinché, per la vostra protezione, possiamo
anche noi partecipare alla gloria di cui voi godete in cielo. (Pater, Ave
e Gloria).
Preghiera

Inclito e glorioso Patrono e Protettore S. Calogero, voi che nato in


Calcedonia e venuto in Sicilia, appena giunto a Marsala perdeste i
dilettissimi compagni Gregorio e Demetrio; voi che, cessata la
persecuzione, usciste dai nascondigli di Lilibeo, predicaste il Vangelo
e convertiste un gran numero di idolatri: impetrateci, o S. Calogero, di
amare Dio sopra ogni cosa, di osservare fedelmente la sua santa legge
e di morire come voi con la morte dei giusti. Amen.

Coroncina recitata dai fedeli di Cesarò


V. Signore, apri le mie labbra.
R. E la mia bocca proclami la tua lode.
223  
 
V. O Dio, vieni a salvarmi.
R. Signore, vieni presto in mio aiuto.
Recitiamo questa coroncina per ottenere da Dio, per intercessione del
Taumaturgo San Calogero, le grazie a noi più necessarie per il bene
spirituale e temporale.
I. Si domandi la grazia di poter amare e lodare Dio per sempre.
O San Calogero gran protettore, da cui fu lungi sempre ogni reato, fa
che amiamo Cristo Redentore, da Cui Tu fosti sempre bene amato.
Rit. O S. Calogero nostro Patrono piovici grazie dal celeste
trono. (Pater, Ave e Gloria)
II. Si domandi la grazia di non soggiacere a mala morte.
Padre santo che tien sì bella sorte di trattare con Dio eternamente,
libera tutti noi da mala morte, essendo in cielo Tu così potente.
Rit. O S. Calogero nostro Patrono piovici grazie dal celeste
trono. (Pater, Ave e Gloria)
III. Si domandi la grazia di essere liberati dalle infestazioni e
tentazioni del demonio.
I corpi ossessi dal funesto Averno Tu liberasti con poter sovrano, ed
or, che sei nel godimento eterno, caccia lungi da noi lo spirito insano.
Rit. O S. Calogero nostro Patrono piovici grazie dal celeste
trono. (Pater, Ave e Gloria)
IV Si domandi la grazia di avere il perdono dei peccati.
Gran medico, da Dio fosti mandato per guarire le nostre infermità, fa
l’anima guarir da ogni peccato per godere del ciel l’eternità.
Rit. O S. Calogero nostro Patrono piovici grazie dal celeste
trono. (Pater, Ave e Gloria)
V. Si domandi la sanità del corpo.
Quando i morbi, i dolori e le ferite tengono afflitta nostra carne
fragile, Taumaturgo tanto dolce e mite, rendila sana da qualunque
male.
Rit. O S. Calogero nostro Patrono piovici grazie dal celeste
trono. (Pater, Ave e Gloria)
VI. Si domandi la grazia di avere soccorso nei bisogni e nelle
avversità.
O Patriarca, che porti l’abbondanza a chi T’invoca con ardente amore,
soccorri questa gente, che speranza ripone in Te, celeste Protettore.

224  
 
Rit. O S. Calogero nostro Patrono piovici grazie dal celeste
trono. (Pater, Ave e Gloria)
VII. Si domandi la grazia di un aiuto particolare (secondo la necessità
personale o comunitaria).
Per Te non manca pane al poverello, e Tua provvida mano benedice il
vecchio, l’operaio e l’orfanello, l’emigrato e la vedova infelice.
Rit. O S. Calogero nostro Patrono piovici grazie dal celeste
trono. (Pater, Ave e Gloria)
VIII. Si domandi la grazia della virtù e della santità.
Ma più che il corpo, le alme nostre abbonda di fede, di speranza e
carità; sia nostra coscienza sempre monda per crescere in virtute e
santità.
Rit. O S. Calogero nostro Patrono piovici grazie dal celeste
trono. (Pater, Ave e Gloria)
IX. Si domandi infine la grazia di conseguire la felicità eterna.
Di Calcedonia magnanimo Eremita, e di Sicilia Apostolo fervente,
insegnaci a condurre santa vita per essere felici eternamente.
Rit. O S. Calogero nostro Patrono piovici grazie dal celeste
trono. (Pater, Ave e Gloria)
Offerta
Eccoci prostrati ai Vostri piedi, o beatissimo San Calogero, noi poveri
peccatori, indegni di comparire al cospetto della Maestà divina per le
nostre colpe. Oggi, a Voi facciamo ricorso, o nostro protettore, per
essere patrocinati nella causa importante delle anime nostre dinanzi al
tribunale di Cristo, nostro redentore.
Otteneteci, o gran Santo, la grazia di poterci salvare.
Siateci compagno e difensore nella vita e nella morte e fate che, per
vostra intercessione, la nostra anima sia accolta da Gesù e Maria nel
regno dei beati in Vostra compagnia. Amen.
Preghiera
O Dio, che avete fatto risplendere il beato San Calogero, Vostro
confessore per molti prodigi, e ce l’avete lasciato come esempio di
mirabile astinenza, concedeteci benignamente che, con l’aiuto dei suoi
meriti e per Sua intercessione, possiamo conseguire la gloria eterna.
Per Gesù Cristo, nostro Signore. Amen.

225  
 
Coroncina di San Calogero
Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.
S. O Dio vieni a salvarmi.

A. Signore corri presto in mio aiuto.


S. Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo.
A. Come era nel principio, e ora e sempre
nei secoli dei secoli. Amen. Alleluia.
I
O San Calogero nostro Protettore,
che fuggisti sempre ogni reato.
Fa che amiamo Cristo Redentore,
da cui tu ne fosti ben amato.
Pater, Ave e Gloria.
II
Padre Santo che tien si bella sorte,
di eternamente trattare con Dio.
Fa che liberi noi d’eterna morte,
per li meriti tuoi gran Santo pio.
Pater, Ave e Gloria.
III
Tu flagello severo sei dell’inferno,
che al solo cen di tua potente mano.
Fugge e sparisce il serpe d’averno,
ed il corpo ossesso ne diviene sano.
Pater, Ave e Gloria.
IV
Gran medico, da Dio fosti mandato,
per guarire le nostre infermità.
Fa guarir l’anima d’ogni peccato,
per godersi nel cielo l’eternità.
Pater, Ave e Gloria.
V
Le rotture, le piaghe, le ferite,
le unisci e sani ai tuoi devoti.
E se l’alme da Dio fosser smarrite,
le riduci al suo ovil per li tuoi voti.
226  
 
Pater, Ave e Gloria.
VI
O Patriarca, Padre di abbondanza,
abbonda tutti noi per tua clemenza.
L’anima e il corpo pien d’ogni sostanza,
se liberale sei per tua clemenza.
Pater, Ave e Gloria.
VII
Potentissimo Dio che ci hai mandato,
un Taumaturgo si sapiente e forte.
Fa che liberi noi d’ogni peccato,
di giungere al Ciel aver la sorte.
Pater, Ave e Gloria.
VIII
Accresci a noi la Fede e la Speranza,
donaci Carità forte e potente.
Fuga pur da noi la ria baldanza,
per sempre amare Dio con cuor dolente.
Pater, Ave e Gloria.
IX
O magnanimo cuor, sant’Eremita,
abbonda in noi li beni della terra.
Ottienici da Dio l’eterna vita,
per finire nella pace questa guerra.
Pater, Ave e Gloria.
Offerta
Eccoci prostrati ai Vostri piedi, o beatissimo San Calogero, noi poveri
peccatori, indegni di comparire al cospetto della Maestà divina per le
nostre colpe. Oggi, a Voi facciamo ricorso, o nostro protettore, per
essere patrocinati nella causa importante delle anime nostre dinanzi al
tribunale di Cristo, nostro redentore.
Proprio è della vostra grandezza ricoverare sotto l’ombra della vostra
protezione, ancora quelli, che non la meritano, tra i quali siamo noi
purtroppo indegni, nulladimeno desideriamo essere nel numero dei
vostri servi, scegliendovi come nostro principale Patrono, con fermo
proposito di volere ogni giorno, specialmente nel corso di questi
lunedì (nel corso di questo mese) ossequiarvi, finché avremo vita.
227  
 
Gradite intanto Voi, con occhio amorevole questa umile offerta, e non
ci abbandonate in tutte le nostre necessità, principalmente spirituali,
affinché per i vostri meriti gloriosi, vivendo da veri seguaci di Cristo,
potessimo avere la bella sorte di essere vostri concittadini in Cielo, a
maggior gloria di Dio e vostra ancora. Amen
Preghiera
O Dio, che avete fatto risplendere il beato San Calogero, Vostro
confessore per molti prodigi, e ce l’avete lasciato come esempio di
mirabile astinenza, concedeteci benignamente che, con l’aiuto dei suoi
meriti e per Sua intercessione, possiamo conseguire la gloria eterna.
Per Gesù Cristo, nostro Signore. Amen.

INNO A SAN CALOGERO


(si canta a Cesarò durante la processione a cori
alterni)
Già tutto il popolo,
facendo a gara,
porta con giubilo
la santa Bara
per la città.
Rit. E tutti cantano
con vero amore:
“Viva Calogero!
Gran Protettore
di Cesarò!”
Mentre la musica
suona giuliva,
lieta e festevole
la gente “Evviva!”
cantando va.
Rit. E tutti cantano
con vero amore:
“Viva Calogero!
Gran Protettore
di Cesarò!”

228  
 
Viva il Custode vigile
del siculo Paese!
Viva il Patrono provvido,
che nostre genti illese
dai mali ognor serbò!
Rit. E tutti cantano
con vero amore:
“Viva Calogero!
Gran Protettore
di Cesarò!”
Dal cielo in mezzo agli Angeli,
fra nimbi d’oro avvolto,
ascolta i nostri gemiti,
e con benigno volto
protegge Cesarò.
Rit. E tutti cantano
con vero amore:
Viva Calogero!
Gran Protettore
di Cesarò!
A lui concesse innumeri
grazie l’Onnipotente;
ed Egli a tutti i miseri,
ad ogni mesta gente
l’aiuto suo portò.
Rit. E tutti cantano
con vero amore:
“Viva Calogero!
Gran Protettore
di Cesarò!”

VERSI IN ONORE DI SAN CALOGERO


1.
Te patria mia, ne’ secoli
fasta, di fama or muta;
Te, consueto ufficio,
la mia canzon saluta.
229  
 
Farò che alcun favelli
di Te, che pur ti abbelli
del nome non ignobile
del divo Salvator.
2.
Sì ti chiamava il vadito
avventurier del Norte
quando un drappel di villici
nostri salvò le porte
della tua rocca altera
e ruppe la trincera
di cui cingea Fitalia
l’arabo predator.
3.
Popol di Salvatore, appressati
al divo tempio e intuona
a gloria di Calogero
lieta la tua canzona;
cuopri di gigli l’ara,
Tu le tenebre schiara
e offri voti vergini
a pie’ del sacro altar.
4.
Fonte però di gloria
miglior, per te s’aprìo
del Divo di Calcedone,
ergendo al culto pio
un’ara, un tempio in cui
l’egro di mali sui
s’affranca, e ne’ prodigi
si bea di questo dì.
5.
Rise talor lo scettico
nel suo sofisma ardito,
rise, nel suo delirio,
il nostro culto avito;
ma venga, ei stesso il veda,
230  
 
vinto, arrossisca e creda,
che ancora non si abbrevia
di Dio la man così.
6.
Parlino a lui le lagrime
che bagnan larghe il ciglio
di queste madri in ansia,
il tenero bisbiglio
di pargoletti a cento,
francati in un momento
da febbre dello spasimo,
da’ morsi del dolor.
7.
I Viva! Che risuonano
pe’ colli più lontani,
il giubilo, il tripudio
l’alto levar le mani,
di meraviglia i moti,
gli amplessi, i baci, i voti:
Ah! Piange allo spettacolo
chi avìa più duro il cuor.
8.
A Te Calogero
che luce splendida
sei di Calcedone
come del Cronio,
quantunque barbaro
né pari al merito,
oggi consacro
un cantico.
9.
Mentre de’ martiri
lo strazio orribile
mieteva vittime,
dal tracio Bosforo
al suol de’ Sicoli,
Tu con Gregorio
231  
 
venisti, e con Demetrio:
li vedesti martirizzar.
10.
Le figlie ancor di Solima
belle non men che voi
un di con danze e brio
moveano a’ riti suoi:
macchia non è pel core
la gioia nel Signore;
pudico il vostro gaudio
gradito al ciel sarà.
11.
Ne’ divi suoi mirabile
sempre il gran Dio si scopre:
ministri son, la gloria
ne torna a Lui dall’opre.
Ne’ secoli rinnova
del suo poter la prova,
il pio romito ai popoli
qual angelo donò.
12.
E Roma dalla scitica
sponda se l’ebbe in pria:
lo stuol de’ morti indomito
al suo venir fuggìa.
Quindi co’ suoi portenti
ne’ Sicoli credenti
di carità più celebre
San Salvator salvò.
13.
Salve! L’ingegno levasi
a Te con vela ardita:
per Te sul lito eolio
santissimo levita.
E là sul Cronio monte,
e là d’Imera al fonte,

232  
 
l’ acque vedrò diffondere
mirifica virtù.
14.
Tonò tua voce e gli idoli
cadean dall’are infranti;
splende tua luce e rendonsi
a vie miglior gli erranti:
ricco di tante spoglie
beato il ciel T’accoglie,
ma non pertanto, miseri
conforta noi quaggiù.
15.
I vecchi a Te si volgono
ne’ voti, ne’ consigli;
dal nome tuo s’appellano
nel pio lavacro i figli.
Del tuo favor s’inonda
così la Patria mia:
i tetti, i campi, l’aere
abbi in tutela ognor.
16.
Sperdi il superbo e l’invido
pensier di miei fratelli:
s’erompono a’ dissidi,
se consiglia vi han felli,
se alla calunnia, a giuri
offrono i labbri impuri,
sgomenta i tristi e sforzali
dentro le vie d’amor.
17.
Desta gli ingegni, accolgano
di sapienza i detti;
oggi a virtù s’avanzino
quanti eran pria negletti.
Alla mia patria sola
de’ sofi la parola,

233  
 
l’amor dell’arti ingenue
non vorrà mai spuntar?
18.
E chi farà ne’ secoli
passar tue lodi, o Divo?
non io: di cetra armonica,
di cor non già, son privo.
Pago però mi estimo
che tra’ fratelli il primo
tentai quest’inno rendere
al tuo sacrato altar.
19.
Succeduta alfin la pace
alle guerre ed ai litigi,
con la voce de’ prodigi
abbattesti l’empietà.
Dell’inferno o S. Calogero
vinta fu l’iniquità.
Stanco alfin e disioso
d’emigrar dal suolo rio,
ottenesti Tu da Dio
la beata eternità.
O gran fonte, o S. Calogero,
abbi Tu di noi pietà!

ROSARIO DI SAN CALOGERO


San Caloriu gluriusu,
Lu me cori è assai cunfusu,
Iu vi vieni a visitari,
E di sti mali m'a libirari.
Patri nostru……………
V) San Caloriu e Maria
Vui prigati a Diu pi mia
V) Sti dulura ch'aiu
L' offirisciu a lu me Dio
San Calogero glorioso,
lu me cori è assai confuso
234  
 
iò vinni a visitarvi
liberatemi da sti mali.
Padre nostro……………
V) San Caloriu a Maria
Vui prigati a Dio pri mia.
V) Sti duluri chi haiu
li offru a lu me Diu.
Gli ultimi quattro versi si recitano 50 volte intercalandovi ogni 10 la
prima strofa e un Padre Nostro.
Alla fine si recita la Salve Regina e la litania.

SAN LARENZU
La pagghia è fatta e lu santu cumenza.
Santu Nicola.
La pagghia è fatta e l'armaluzza è fora.
Sarvaturi di lu mundu!
E chist'aria nun tocca sfundu.
San Bastianu di Cirami e San Japicu di Capizzi
Lodatu sia la nomu di Maria.
San Caloiru di Cisarò
Oggi sì e dumani no.
La Madonna di li vaneddi vaneddi
Sunu fatti li maccaruneddi.
La Madonna di lu scuru
Etta fora lu punturu.
Lu punturu nu jittari
Chi ti servi pi dumani.
La Madonna di la Mircè
nta chist'aria Gesù cc'è.
San Scimůn
Mittu a nordini a 'citu e u mazzůn.
U Crucifissu di Santa Maria e di Petrapizia
Lodatu sia lu nomu di Maria.
Tutti i Santi di ddà
Durati cà.(Nicosia)

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PIATTI TIPICI
CUDDUREDDI DI CALTAVUTURO
Ingredienti
1kg di farina
250 g di strutto
30 g di ammoniaca
Per la decorazione
glassa bianca
Preparazione
Lavorate la farina con lo strutto, aggiungete lo zucchero e
l’ammoniaca sciolta in un po’ di latte tiepido. Amalgamate bene tutti
gli ingredienti fino quando il composto diventa morbido.
Formate delle ciambelline che metterete sulla placca del forno rivestita
di carta oleata. Cuocetele in forno fino a doratura. Ricoprite i biscotti
con glassa.

PASTA DI CASTELTERMINI
Da tempo immemorabile San Calò di Casteltermini ha la sua pasta. Da
sempre la domenica di San Calò qui da noi a pranzo si prepara e si
mangia “a pasta cu u sucu di milinciani”. Formato della pasta:
rigorosamente spaghetti! L’origine di tale usanza credo si possa far
risalire al fatto che sia i pomodori che le melanzane erano ortaggi che
anticamente, sulle nostre colline, quando non c’erano le serre,
venivano seminati in primavera, in modo tale da poter essere raccolti
già a metà estate. E quale miglior occasione per gustarli se non una
bella festa in famiglia?
E che non si confonda la nostra pasta con la ben più nota pasta alla
Norma, i cui ingredienti sono simili, ma sostanzialmente diversi. Il
nostro sugo è composto soprattutto da “pumadoru scicatu”: i
pomodori vengono spremuti, privandoli così dei semi che si trovano al
loro interno, messi poi a bollire e infine vengono passati. Mentre le
melanzane, a tocchetti più o meno grandi, si soffriggono un po’ e poi
si buttano nel sugo di pomodoro. Tanto basilico e tanta devozione.

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INDICE
Presentazione             Pag.            3  

Introduzione               Pag.            5  

La  Valle  del  Fitalia             Pag.            6  

Fondazione  del  Monastero  San  Filippo  fi  Fragalà     Pag.          26  

San  Calogero,  tra  storia,  tradizione  e  leggenda       Pag.          38  

Le  reliquie  di  San  Calogero          Pag.        75  

Il  Culto  a  San  Calogero             Pag.          85  

Devozione  a  San  Calogero  a  Frazzanò         Pag.          88  

Devozione  a  San  Calogero  nei  paesi  di  Sicilia      Pag.        96  

Leggende  e  miracoli             Pag.      199  

Lodi  a  San  Calogero             Pag.      203  

Piatti  tipici               Pag.      234  

 
 
 
 
 

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