Sei sulla pagina 1di 14

(Prefazione, Introduzione, Indice)

Prefazione
Questa breve opera deriva da un piccolo ciclo di lezioni sull’estetica contemporanea che ho
tenuto all’università di Tor Vergata nell’anno -2013. In questo caso, poiché il testo non si
rivolge a un pubblico specializzato, userò un linguaggio divulgativo, colloquiale, informale e
ricco di esempi, ma non per questo si vuole rinunciare a un’impostazione metodologica e
critica che eviti i cliché delle pubblicazioni che trattano questi argomenti in maniera
amatoriale, in modo che possa essere un’introduzione valida anche per gli studenti
universitari. Trattandosi di un argomento vastissimo, nelle poche pagine in cui mi è stato
chiesto di contenere l’argomento, mi limiterò solo a offrire degli spunti. )nfatti, il mio intento
non è quello di riassumere un lista di nozioni, come fanno i divulgatori di professione, e di
volgarizzarli in un linguaggio chiaro e accessibile elencato per punti in modo didascalico e
didattico. Questo tipo di lavoro presuppone delle certezze, ovvero un discorso già deciso e
codificato dagli esperti, di cui si accettano le verità in modo indiscusso e si procede pertanto
solo alla loro trasformazione in parole povere o in riassuntini. Questo non è quello che sarà
fatto qui. Non vi saranno presentati dei piatti pronti alla portata di tutti, in stile fast food, ma
sarete portati, anche se solo per una rapida occhiata, nelle cucine. Se dobbiamo scegliere tra
diversi stili di comunicazione accessibile, il nostro seguirà più quello dell’inchiesta
giornalistica, che non quello del compendio scolastico. Tra l’altro, questo significa presumere
che il lettore sia una persona capace di ragionare e desideroso di farsi una propria idea, mentre
il riassuntino parte dal presupposto di una condizione infantile del lettore, che deve essere
solo indottrinato. Ragion per cui questo testo va preso come un’introduzione critica a questi
temi accompagnato da una presentazione di massima dei fatti. Poi, chi volesse saperne di più
dovrà rivolgersi a pubblicazioni specifiche per ogni argomento trattato. Ritengo comunque
che questa apertura sulle culture dell’Asia possa essere utile, non solo perché è un mondo
affascinante e pieno di spunti interessanti per la riflessione, ma anche perché è la parte del
mondo che sta acquistando un ruolo storico centrale nell’era della globalizzazione, e
comprenderne i valori è importante per avere coscienza della situazione storica attuale e
futura.

Introduzione
In Occidente la cultura della bellezza che viene espressa dalle varie arti (letterarie, visive o
performative come la danza, il teatro e la musica) e la bellezza di cui parlano i filosofi
l’estetica procedono spesso su due binari ben distinti. Questo non accade invece nel
continente asiatico, dove quasi sempre le teorie del bello e del gusto si riferiscono a pratiche
particolari, che riguardano la poesia, la musica o altro, e che possono riguardare anche il
semplice modo di apprezzare i paesaggi. Quindi non esiste nel continente asiatico una
chiara distinzione tra estetica e arte.

Tradizione e modernità
Un’altra importante differenza con l’Occidente è che in Asia non esiste il criterio
dell’irreversibilità storica. Che cosa significa? Noi ci riferiamo alle nostre passate epoche
storiche come se fossero culture profondamente diverse, a cui non è possibile ritornare.
Nessuno pensa di potersi presentare da qualche parte, per un’occasione ufficiale, indossando
la toga e i calzari come gli antichi romani, a meno che non si tratti di un travestimento per
una festa. Quindi per noi europei, una volta superata una fase storica con lo stile che la
contraddistingueva, non si può più tornare indietro e non si può più praticare quello stile del
passato, ma bisogna spingersi per forza più avanti e inventarsi qualcosa di nuovo, anche a
costo anche di fare opere brutte , perché altrimenti verremmo accusati di fare un falso
storico. Il pensiero postmoderno ha messo in discussione questo principio, consentendo il
ritorno alla pittura espressionista e ad altri stili dei decenni precedenti. Comunque nessuno
ha provato a riproporre, ad esempio, la pittura rinascimentale esattamente come era intesa
nel Rinascimento. Le poche chiese in stile neogotico realizzate tra la fine dell’Ottocento e i
primi del Novecento sono state spesso accusate di essere un falso storico [vedi Figura 1 –
Esempio di neogotico]. La cultura popolare europea però vorrebbe continuare a fare le case in
stile rinascimentale, vorrebbe dei bei quadri in stile ottocentesco da appendere alle pareti, ma
allora o si accontenta di offerte di bassissima qualità precipitando nel kitsch, o cerca di
adattarsi alla novità a costo di adeguarsi a stili per essa incomprensibili.
Figura 1 – Un esempio di neogotico: la chiesa di S. Maria del Suffragio a Roma.

In Asia, in genere, questo problema non esiste; non si avverte la costrizione di questo
procedere a senso unico della storia e della storia del gusto in particolare. Quindi si può
attingere come e quando si vuole alla tradizione. Da questo punto di vista, la nostra divisione
tra moderno e premoderno per i paesi asiatici diventa invece una distinzione tra tradizione
locale e modernismo occidentale, ora divenuto globale.
Ad esempio, i cinesi distinguono la pittura tradizionale locale dall’arte moderna e
contemporanea che, per quanto venga prodotta anche da artisti cinesi di fama internazionale,
viene comunque riferita all’influsso occidentale. Ancora più chiaro è il caso dei giapponesi,
che agli inizi del Novecento parlavano di pittura giapponese (nihon-ga) contrapposta alla
pittura occidentale (yō-ga), sebbene con quest’ultima indicassero anche la pittura realista o
impressionista fatta dai giapponesi stessi [vedi Figura 2].

Figura 1 – A sinistra: esempio di nihon-ga di Uemora Shoen, Jo no mai (1936). A destra: esempio di yō-ga di Kuroda Seiki, In
riva al lago (1897).

Quindi, se in Europa il premoderno è superato per sempre, per i paesi asiatici, invece, il gusto
tradizionale locale e quello moderno occidentale-globale convivono e coesistono come due
opzioni sempre aperte e sempre praticabili. Questo significa però che sarebbe un errore se noi
identificassimo come gusto orientale solo quello tradizionale, dato che l’arte contemporanea,
ad esempio giapponese e cinese, è ormai tanto significativa per la comprensione della loro
cultura, quanto lo è quella tradizionale.
L’esotismo
Infatti, rimane ancora un problema da trattare a livello introduttivo, un problema che è anche
il più grosso di tutti e cioè il nostro pregiudizio verso l’Oriente che si esprime nel campo
del gusto e del bello attraverso l’esotismo.
L’esotismo deriva dalla congiunzione della cultura romantica con il colonialismo, ma in
particolare non va trascurato l’effetto, prodotto in Occidente dal disagio per il mutamento di
condizioni di vita, causato dalla rivoluzione industriale. Di fronte ai ritmi disumani delle
fabbriche, allo stress degli uffici, all’inquinamento delle città tutti problemi questi già
presenti nell’)nghilterra dell’Ottocento si sognava e si idealizzava la vita di civiltà meno
progredite, ma piene di aspetti caratteristici e pittoreschi. E niente di meglio che l’Oriente
soddisfaceva questo bisogno di evasione e dava materiale a un mondo fantastico ancora
immerso in un’atmosfera da fiaba. )ntanto, va subito detto che i governi d’Oriente non erano
proprio i regni delle favole. Non c’erano re buoni preoccupati di far trionfare l’amore contro
streghe cattive. Ma c’erano dei sovrani spesso totalmente avulsi dalla realtà sociale e
indifferenti alle sofferenze del proprio popolo. In ogni caso il problema è ancora un altro, dal
momento che il re cattivo, indifferente o addirittura crudele, può benissimo essere un altro
scenario per un’altra favola. )l problema è che agli occidentali che amavano l’esotismo non
importava proprio nulla di quali fossero le reali condizioni di vita in quei paesi. Per loro era
tutto un mondo di cartapesta da usare come fondale per le loro fantasticherie, come si può
ben vedere ad esempio dall’uso che ne fece l’opera lirica. Le strazianti storie d’amore, per
essere rese più interessanti, andavano spostate su qualche sfondo pittoresco, ed ecco allora il
Nabucco nell’antico Egitto, il Rigoletto nel medioevo per quanto riguarda Verdi, ma il vero
esotismo è quello di Puccini, che usò l’ambientazione cinese per la Turandot e giapponese
per la Madama Butterfly [vedi Figura 3].

Figura 3 – A sinistra: Madama Butterfly, manifesto. A destra: Turandot, locandina.

L’altro grosso problema dell’esotismo è che, di fronte a un’Occidente sviluppato, ma snaturato


e disumanizzato, si nutriva un atteggiamento di bonario apprezzamento verso questa gente,
ritenuta sottosviluppata, ma piena di poesia. Ricordo ai lettori che anche noi italiani eravamo
considerati da inglesi e tedeschi come dei sottosviluppati, e che venivamo paternalisticamente
elogiati perché avevamo il culto dell’amore, del cantare e del mangiare. Anche noi siamo stati
oggetto di una forma di esotismo che andava da quella colta del pittoresco a quella più
stereotipata del binomio pizza e mandolino. La ribellione dei futuristi contro il passatismo
nasceva anche da questa insofferenza verso un’)talia concepita come fondale per le serenate,
a cui si voleva sostituire un’)talia meno indolente e sorniona, e più tecnologica e competitiva.
Da questo punto di vista il gusto dell’esotico rivela la presunzione di superiorità
dell’occidentale colonialista e dominatore del mondo. L’occidentale quindi ritiene che questi
popoli siano inadatti allo sviluppo tecnologico e politico, e che essi debbano invece
perseverare nelle loro condizioni di infelicità materiale a cui si associano, però, degli
interessanti sviluppi in senso spirituale, che sono quelli che appunto affasciano l’occidentale,
che si sente abbrutito dalla società laica e secolare.
Una prima conseguenza di tale atteggiamento è che ogni qual volta in Asia i governi hanno
intrapreso delle azioni di industrializzazione, o comunque di ammodernamento tecnologico
e sociale per migliorare le condizioni di vita materiali delle loro popolazioni, gli occidentali
sono stati i primi a dispiacersene e a lamentarsene, insieme a pochi tradizionalisti incalliti e a
qualche fondamentalista, perché così si mettevano in pericolo i pilastri della tradizione
artistica e spirituale locale. In altre parole, il sentimento esotico è sempre stato un nemico
giurato dello sviluppo economico dell’Asia. Tutti questi signori si preoccupavano che i
persiani, gli indiani, i cinesi e i giapponesi, acquistando una vita piena di elettrodomestici,
automobili e altre comodità, potessero smarrire le loro usanze millenarie, i loro pittoreschi
costumi, così com’era avvenuto in Occidente. Però quelle stesse persone che si preoccupavano
tanto della spiritualità di questi popoli lontani, non pensavano neanche un momento di
disfarsi dei loro elettrodomestici e di tutte le comodità della società industriale, per tornare
alle usanze del medioevo o dell’antichità, che sicuramente erano molto più pittoresche e
spirituali. Quindi si tratta di un gioco ipocrita e perverso, in cui si chiede agli orientali di
rimanere straccioni al solo scopo di incarnare quella sfera culturale e sentimentale che è stata
distrutta dall’industrializzazione e di cui sentiamo la mancanza.
Un’altra conseguenza è che in questo modo gli occidentali, che addirittura in patria si
percepivano come progressisti, si sono alleati, in questo gioco, alle componenti più
reazionarie e massimaliste del mondo asiatico, come nel caso del fondamentalismo islamico,
che è stato innescato proprio dalle dinamiche politiche della colonizzazione occidentale. È
chiaro che con ciò non si pretende di ridurre la formazione di simili fenomeni sociali a questi
soli fattori, là dove entrano in gioco anche questioni geopolitiche ad esempio l’appoggio al
fondamentalismo islamico in funzione antisovietica durante la guerra fredda; oggi l’appoggio
all’integralismo buddhista in funzione anti-cinese ecc.). Tutto ciò dà luogo a una serie di
paradossi che sarebbero degni di una commedia, se di fatto alcune volte le conseguenze non
fossero veramente tragiche. Infatti, è paradossale che gli occidentali cerchino proprio i più
conservatori, che in quanto tali sono anche i più anti-occidentali.
Nel Giappone della restaurazione Meiji, ovvero in quel periodo alla fine dell’Ottocento in cui
ci fu l’esautorazione del potere dello shogun e la restaurazione del potere dell’imperatore, e
che coincise anche con la riapertura dei traffici con l’Occidente dopo tre secoli di isolamento
[vedi Figura 4], si determinarono delle situazioni curiose a questo proposito, proprio per
quanto riguarda il bello e l’arte.
In quel caso, infatti, lo shogunato venne abbattuto perché ritenuto debole e imbelle rispetto
agli occidentali, che stavano facendo pressione con le loro navi da guerra le cosiddette navi
nere affinché il Giappone si decidesse ad aprirsi ai commerci internazionali. Chi abbatté lo
shogunato furono proprio gli anti-occidentali al grido di fuori i barbari! cioè gli occidentali
(in giapponese si usava come motto il tetragramma sonnō jōi, lett. riverire l’imperatore,
espellere i barbari . Però questi anti-occidentali avevano anche capito che la debolezza
mostrata dallo shogun derivava dalla costatazione dell’inferiorità militare giapponese. Lo
shogun cioè aveva agito così perché sapeva che in caso di guerra con gli americani, inglesi,
francesi ecc., i giapponesi avrebbero perso, così come avevano perso i cinesi. Questo problema
della forza militare fu chiaro presto anche ai rivoltosi anti-shogun e anti-occidentali, che così
non esitarono a pagare degli occidentali stessi per averne le navi da usare per sconfiggere lo
shogun. Quindi questi restauratori pro-imperatore, che erano partiti con slogan contro
l’Occidente, presto capirono che, se non volevano che il Giappone fosse schiacciato e
colonizzato dall’Occidente, dovevano dotarsi di un sistema militare all’altezza di quello
occidentale, cioè di tipo occidentale. Per fare questo però avevano bisogno di un’industria di
tipo occidentale e per avere una tale industria avevano bisogno di uno Stato di tipo
occidentale. Infine, per salvare il Giappone dalla dominazione occidentale bisognava che il
Giappone diventasse come un paese occidentale. Quindi gli anti-occidentali divennero i più
attenti imitatori dell’Occidente e cercarono di fare del Giappone lo Stato occidentale modello,
prendendo il meglio in ogni settore dal paese occidentale che eccelleva in quel campo.
Dall’)nghilterra presero l’economia e la letteratura; dalla Germania il sistema giuridico, la
medicina e la filosofia; dalla Francia la cucina e le infrastrutture militari; dagli USA vari aspetti
tra cui l’economia agricola e l’organizzazione bellica; infine dall’)talia solo la pittura, la
scultura e un po’ di musica.

Figura 4 – Le "navi nere" del commodoro Perry intimano al Giappone di aprirsi ai commerci.

Le élite giapponesi mandarono allora i loro rampolli a studiare nelle capitali occidentali le
varie materie e invitarono anche da questi paesi degli esperti a insegnare a Tokyo. Per l’)talia
scelsero un pittore dal Nord e uno scultore dal Sud. Il pittore era Antonio Fontanesi, che
veniva da Torino, mentre lo scultore era Vincenzo Ragusa, che veniva da Palermo [vedi
Figura 5]. ) due quindi si ritrovarono a Tokyo come rappresentanti dell’arte di tutto
l’Occidente. Tuttavia non riuscirono a rendersi conto della situazione storica che stava
attraversando il Giappone e non tentarono neanche di inserirsi nei circoli intellettuali
nipponici più avanzati. Così, quando in quegli anni prese avvio una furiosa polemica proprio
sull’arte, i nostri connazionali ne rimasero perfettamente estranei1.

1
Fu chiamato anche Edoardo Chiossone alla zecca di stato giapponese come incisore di banconote, ma il suo ruolo fu
tecnico. Inoltre Fontanesi tornò in Italia proprio alla vigilia dello scoppio di questa querelle, però non ne colse in ogni
caso le avvisaglie, quando avrebbe potuto addirittura essere lui e non Fenollosa a suscitarla, data la sua formazione
artistica europea.
Figura 5 – A sinistra: Antonio Fontanesi, Ingresso di un tempio in Giappone (1878-79). A destra: Vincenzo Ragusa, Donna
giapponese (1881).

Questa querelle ha proprio come suo centro il paradossale rapporto dell’esotismo con la
cultura locale. Che cosa successe? )l governo che aveva restaurato l’imperatore si stava
impegnando anche in una sorta di restaurazione religiosa. Lo shogun e tutta la nobiltà di spada
e cappa che gli faceva seguito, di cui tutti ricorderanno la figura del samurai, si appoggiava
anche su rapporti ormai ben oliati con il clero buddhista. Diversamente lo stesso clero
buddhista era sempre stato una spina nel fianco del potere imperiale fin dagli albori
dell’impero nel periodo Nara, quando un monaco tentò addirittura un colpo di Stato per fare
del Giappone una teocrazia buddhista. )noltre l’imperatore, discendendo dalla dea
Amaterasu, era in teoria anche il capo della religione scintoista. Quindi il partito
dell’imperatore prese a pretesto il grande rinnovamento che si stava svolgendo nel paese per
sistemare i suoi conti con le ingerenze buddhiste una volta per tutte. Così lanciò una grande
campagna anti-buddhista in cui vari templi finirono con l’essere smantellati, altri vennero
addirittura distrutti e bruciati a furor di popolo, con la conseguente distruzione di tutta una
serie di opere d’arte. Tuttavia le più importanti opere buddhiste erano ancora integre, ma
giacevano in una condizione di abbandono, conseguente anche alla disgrazia politica del
buddhismo in quella fase. Proprio allora, uno storico dell’arte americano di origini spagnole
che insegnava filosofia a Tokyo, un certo Ernest Fenollosa, decise di intervenire. Cercò così
di sensibilizzare le classi dirigenti giapponesi spiegando loro che stavano commettendo un
terribile errore e che quelle statue, che avevano trovato in alcuni casi abbandonate nei
magazzini dei templi, erano in realtà un tesoro della nazione e un motivo d’orgoglio e non di
vergogna per il Giappone. Egli cercò di far notare che mentre i giapponesi stavano gettando
alle ortiche la loro tradizione artistica, i settori più sviluppati dell’arte europea si stavano
interessando alla tradizione giapponese. E questo era vero, perché proprio in quegli stessi anni
si era andata diffondendo una vera mania per le stampe giapponesi, che contagiò pittori di
punta della scena artistica europea come Manet, Monet, Van Gogh [vedi Figura 6], Rodin e
che andò sotto il nome di Japonisme (o Giapponismo in )talia .
Figura 6 – Van Gogh, Il ponte nella pioggia (da Hiroshige) (1887).

La situazione divenne a questo punto molto complicata. Infatti il gioco dei ribaltamenti di
ruolo giunse ai limiti dell’incomprensibile. Allora, ricapitolando, per cacciare gli occidentali
bisognava essere forti come loro e imitarne la cultura, quindi i pittori che andavano a scuola
dal nostro Fontanesi o che dipingevano all’occidentale seguivano comunque l’ordine del
programma imperiale e quindi non lo facevano per mera emulazione, ma per rendere il
Giappone competitivo anche culturalmente. Dunque i pittori si adeguavano allo stile
occidentale, ma nel quadro più generale di un’opposizione all’Occidente intesa ora come
concorrenza). Tuttavia questa opposizione di massima non traspariva affatto dalle loro opere
e sembrava piuttosto che fossero sinceramente affascinati dall’arte occidentale. Rispetto a
questi, allora, si scagliò l’atteggiamento ultranazionalista degli allievi di Fenollosa e in
particolare di Okakura Tenshin (all’anagrafe Kazuko), i quali dissero che non bisognava
imitare l’arte occidentale, ma bisognava persistere nel portare avanti la pittura giapponese
tradizionale. Quindi Okakura sembrava il più nazionalista e più antioccidentale, ma i suoi
critici hanno fatto giustamente notare che egli era allievo di un occidentale e che doveva le
sue posizioni proprio al gusto esotico degli occidentali e infine che era schierato sulle
posizioni dei pittori francesi progressisti. Insomma, chi era il vero filo-occidentale e chi il vero
nazionalista? Era filo-occidentale l’ingenuo che segue però le direttive del programma
imperiale o quello mascherato da ultranazionalista che però si ispira alle posizioni più
progressiste degli occidentali? E poi chi di questi è realmente conservatore e chi invece è un
progressista? In questa diatriba, alla fine, come nel finale di una commedia, non si capiva più
niente, perché tutti i ruoli potevano essere letti come manifestazioni del ruolo opposto.
Questa commedia degli equivoci continuerà ad accompagnare i rapporti tra intellettuali
europei e giapponesi fino ai nostri giorni, con casi eclatanti come quello dello scrittore Yukio
Mishima [vedi Figura 7], che giocava una po’ allo stesso gioco di Okakura, facendosi passare
per nazionalista e reazionario, addirittura nostalgico del regime militare, quando poi invece
intratteneva rapporti con l’intellighenzia occidentale progressista, tra cui aveva i suoi più
devoti ammiratori, che spesso erano anche dei gay che si battevano in quegli anni per i diritti
degli omosessuali insieme al movimento studentesco. Probabilmente in questo caso la chiave
sta nel fatto che Mishima, come il nostro D’Annunzio, che lui tra l’altro ammirava, era solo
un grandissimo narcisista a cui interessava giocare con queste categorie solo per essere sempre
al centro dell’attenzione.
Figura 7 – Mishima nella scena di un suo film in cui interpreta il seppuku che poi farà veramente.

Che dire poi della cultura beat o in generale della controcultura americana che si innamorò
dello zen, e che diffuse anche questa moda culturale in tutto l’Occidente, senza avere da parte
giapponese nessuno che ne appoggiasse gli intenti? Infatti questa moda dello zen si è svolta a
senso unico e ha trovato delle timide risposte tra gli esponenti giapponesi, i quali si limitarono
ad apprezzare l’interesse per il buddhismo. Quindi, in sostanza gli ambienti zen giapponesi
sono rimasti impermeabili alle istanze dei nostri movimenti alternativi e non c’è stato nessun
dialogo e nessuna intesa sul piano dello scambio o dell’accordo culturale.
In conclusione, il Giappone forse più di tutti, ma in qualche misura anche gli altri paesi asiatici
erano tentati da due atteggiamenti: uno di polemica opposizione e l’altro, più ingenuo, di
imitazione dell’Occidente, come spinta all’emulazione del più forte. Questa emulazione però
non compiace l’occidentale che ha il gusto dell’esotico, e quindi l’occidentale dice all’asiatico:
Sii te stesso , che è un po’ come dire: Sii originale . Questa è un’ingiunzione paradossale,
perché se l’interlocutore fosse veramente originale non ubbidirebbe a quello che gli ordinano
e quindi non dovrebbe essere originale; se invece non fosse originale vorrebbe ubbidire
all’ordine, ma se gli ordinano di essere originale allora non dovrebbe ubbidirvi e così via...
Queste ingiunzioni, secondo la psicologia relazionale, sono dei doppi legami e sempre
secondo tali teorie possono far diventare pazze le persone.
I giapponesi però, essendo anche abituati ai paradossi proprio dalla cultura zen, non si sono
arrovellati il cervello più di tanto e hanno fatto così: da una parte hanno protetto e continuato
la loro cultura tradizionale e dall’altra parte hanno anche seguitato a imitare le mode
internazionali. Questo può essere interpretato da un lato come un desiderio di compiacere
l’Occidente, sia prendendolo a modello, sia venendo incontro alle istanze dell’esotismo
tradizionalista; dall’altro lato, però, può essere anche interpretato come una genuina
manifestazione di indipendenza in cui i giapponesi di fatto fanno come gli pare e imitano ciò
che gli piace, e allo stesso tempo persistono in ciò che più gli piace delle loro tradizioni.
In ogni caso, ciò che è sicuro è che la cosa migliore per risolvere tutti questi problemi è di
finirla una buona volta con l’esotismo in tutte le forme più o meno mascherate e di rapportarsi
alle altre culture, e nel nostro caso a quelle asiatiche, per quello che sono, da una posizione di
parità e cioè di dialogo paritetico privo di pregiudizi fondati su luoghi comuni, siano essi di
carattere artistico, religioso, sociale ecc., anche perché questi sono sempre contraddittori. Ad
esempio, sul piano dello sviluppo delle condizioni della vita materiale, il luogo comune esotico
immagina un Giappone fatto di pareti di carta e di giardinetti zen; questo luogo comune però
convive con l’altro secondo cui il Giappone è il paese della tecnologia, delle automobili e dei
computer. Dove sta la verità? È chiaro allora che, eccetto delle isole di verde o degli spazi
particolari, il Giappone avrà l’aspetto di un grande paese industrializzato e non bisogna
stupirsi se a Tokyo, invece di una foresta di ciliegi in fiore, si trova una foresta di grattacieli
come a New York [vedi Figura 8]. Noi con questo non vogliamo disilludervi e rompervi fin
dalle prime pagine le vostre fantasie sulle geisha2 dalla pelle di cera, con i kimono variopinti,
sui petali dei fiori di ciliegio che cadono come in una pioggia sotto il sole tiepido di aprile.
Tutte queste cose fanno parte del Giappone, anche di quello contemporaneo, ma sono solo
una parte di esso. Noi ne parleremo, però non vogliamo fermarci alle cartoline: il Giappone
con le casette dalle pareti di carta [vedi Figura 9], la Cina con la Grande Muraglia, l’)ndia con
le vacche sacre, il Tibet con i mandala, la Persia con i tappeti e l’Arabia con le moschee. Tutte
queste cose ci sono, ma bisogna anche andare oltre, soprattutto sul versante della
contemporaneità. Crediamo infatti che una cosa che si limiti a confermare quello che vi fanno
vedere dalla televisione e dai dépliant delle agenzie viaggi non sia neanche un buon servizio
per voi. )nfatti quello che sfugge a tutta questa retorica turistica è che l’Asia di cui andiamo a
parlare è il luogo di elaborazione della cultura del futuro, un luogo in cui verranno convogliate
anche le tradizioni, ma anche le spinte verso una sconvolgente modernità.

Figura 8 – Tokyo, Shinjuku, Kabukicho.

Figura 9 – Casa tradizionale giapponese immaginata dai turisti, ma ormai rara.

Asia e Oriente
Veniamo ora a un problema di tipo diverso: Asia e Oriente sono la stessa cosa? A prima vista
sembrerebbe di sì, ma poi, a voler guardare meglio, ci si accorge che le cose sono più
complicate. Asia è un’espressione geografica, Oriente è un’espressione culturale. Quindi,

2
Il plurale in giapponese, salvo rare eccezioni, non esiste, quindi geisha non diventa geishe,
che è un’italianizzazione del termine ma allora sarebbe meglio scrivere gheisce , rispettando
così la pronuncia dell’italiano .
sebbene l’Asia sia tutta a oriente dell’Europa, essa non coincide con l’Oriente. Infatti gli storici,
i letterati e i viaggiatori considerano orientale tutto il mondo islamico. Per loro l’Oriente
comincia dove cominciano i minareti. Quindi sono Oriente anche l’Egitto e il Maghreb, che
invece non sono a Est e che poi stanno in Africa. Questa concezione che fa cominciare
l’Oriente con l’Islàm, automaticamente fa coincidere l’Occidente con il cristianesimo. Quindi
la Russia cristiana, pur giungendo fino al pacifico e guardando da nord il Giappone, è ritenuta
culturalmente occidentale. Recentemente alcuni teorici americani hanno proposto una
definizione di Occidente più restrittiva, dalla quale sono esclusi i paesi di culto cristiano
ortodosso, proprio al fine di escludere la Russia, con l’effetto abbastanza sconcertante di
escludere dall’Occidente anche Atene, che è la culla del pensiero occidentale. )n ogni caso è
chiaro che chiunque pensi all’Oriente e alle culture orientali non pensa certo a Vladivostok o
alla Kamchatka. Resta tuttavia il fatto che fino a lì, o alle isole Sachalin, le città hanno edifici
di tipo occidentale, e vi è sempre una comunità di razza europea.
Un altro problema ancora riguarda la presenza di fattori comuni tra le civiltà orientali. Anche
in questo caso la religione è determinante. La sfera di influenza dell’islam presenta un
panorama storico-culturale segnato da forti discontinuità, mentre la sfera di influenza del
buddhismo, includendovi anche l’)ndia dov’è nato ma dove poi è divenuto minoritario , è
segnata da una continuità culturale di fondo. Questo è dovuto in parte proprio alla natura di
queste due religioni. Dove è arrivato l’islam le religioni preesistenti sono state spesso
annientate o ridotte ai minimi termini e si è avuta una frattura netta tra la cultura precedente
e quella islamica; diversamente il buddhismo è stato sempre più aperto all’idea della
compresenza e non ha mai dato luogo a fenomeni di intolleranza religiosa. Ciò ha consentito
il mantenimento di una continuità culturale con il passato, anche se questa apertura è costata
cara al buddhismo in termini di egemonia culturale e religiosa. Infatti esso si è sovente visto
ridurre notevolmente la propria influenza sotto la spinta del proselitismo aggressivo portato
avanti da altre religioni, in special modo dal cristianesimo e dall’islamismo, ma anche da parte
dell’induismo nella sola )ndia. Quindi possiamo dire che ci sono due Orienti: uno è il
cosiddetto Medio Oriente, l’altro l’Oriente asiatico.
Da questo punto di vista è interessante notare che Sasaki, uno dei maggiori estetologi
giapponesi, che ha di recente pubblicato un libro in inglese sull’estetica asiatica3, critichi la
nozione di Asia . Sasaki sostiene che Asia è un concetto occidentale che non trova
corrispondenti nei paesi asiatici. Quindi lui propone come criterio di delimitazione la vecchia
nozione giapponese di kara-tenjiku, che sarebbe grossomodo )ndia e Cina ma che vi include
anche molti altri paesi di quelle latitudini, come lo stesso Giappone, la Corea e i paesi del Sud-
est asiatico Vietnam, Tailandia, Birmania ecc. e cioè esattamente l’area di diffusione storica
del buddhismo. Così Sasaki ha deciso di escludere tutta l’Asia islamica, ma non è quello che
faremo noi, che invece andiamo a cominciare proprio da lì.

3
K. Sasaki, Asian Aesthetics, NUS Press e Kyoto Univ. Press, Singapore 2010.
Sommario

LA BELLEZZA IN ORIENTE
Prefazione

INTRODUZIONE
Tradizione e modernità
L’esotismo
Asia e Oriente

IL MEDIO ORIENTE, OVVERO L’ORIENTE ISLAMICO


La conformazione storica
Si mette in luce la discontinuità storica delle nazioni che compongono quest’area
Omogeneità e differenze nella cultura islamica
Omogeneità religiosa ma anche particolarità culturale di ogni tradizione nazionale
Arte e bellezza nel Medio Oriente
Differenze con l’estetica europea e dibattito in corso
Esiste un’arte islamica?
Dibattito sull’esistenza o meno di un’arte islamica con caratteristiche proprie.
La tendenza all’astrazione
L’importanza dell’astrazione nella cultura islamica connessa al tema dell’iconoclastia.
Il “decorativismo” islamico
Importanza di primo piano della decorazione rispetto all’Europa in cui è secondaria.
La tradizione stilistica persiana
L’importanza della rappresentazione stilizzata nella cultura persiana (miniature).
Cultura e politica nell’impero ottomano
Una dimensione dell’arte più vicina ai valori occidentali.
“Dio è bello e ama la bellezza”
L’importanza dell’aspetto religioso nell’estetica mediorientale.
Il Mundus Imaginalis (‘alam al-mithal): tra senso e sovrasensibile
Henry Corbin e l’influsso della teosofia sulla cultura europea contemporanea
L’INDIA
Problemi storico-geografici
Imperi e dominazioni e lo spostamento della civiltà dall’Indo al Gange.
L’arte in senso occidentale e in senso indiano
Differenze e somiglianze soprattutto con la cultura classica
Il rasa
Il perno della riflessione estetica indiana e le sue somiglianze con la Poetica di Aristotele
Il rasa e oltre: la questione della poetica sanscrita
Il dibattito sulla tradizione estetica classica tra retorica, poetica e arte drammatica (Bhāmaha,
Vamana, Abhinavagupta).
Lo spiritualismo indiano in Aurobindo e Coomaraswamy
Quanto c’è di orientale e di occidentale nello spiritualismo indiano.

LA CINA
Cina e Occidente
La questione delle complicate relazioni tra Cina e Occidente dai Gesuiti ad oggi.
Estetica e tradizione cinese: arte e natura
L’importanza della natura nel Daoismo e nel Confucianesimo
Dinamismo
Yin e yang, dinamismo e divenire nel Dao e nei classici confuciani come l’Yijing (I-King)
La poesia
L’importanza della poesia e il suo status sociale.
L’estetica buddhista in Cina e lo splendore dell’epoca Tang
Introduzione del buddhismo, apice con l’epoca Tang e successiva crisi.
Il paesaggio e l’individuo
L’importanza del paesaggio in relazione inversa a quella dell’individuo.
L’esperienza estetica
Il dibattito contemporaneo sull’estetica in Cina

LA COREA
Questioni storico-geografiche
Lo schiacciamento tra la cultura cinese e giapponese e l’importanza della dinastia Joseon.
Arte d’avanguardia e K-pop
L’estetica nella cultura contemporanea coerana
Il meot
Il valore estetico nella dinastia Joseon
Il bianco e il monocromo
La specificità del monocromo nella cultura coreana dalla radici sciamaniche all’avanguardia.

IL GIAPPONE
I modi di concepire la bellezza nella cultura giapponese sono trattati in ordine storico.
La preistoria (Jomon)
La bellezza tatuata delle figurine Jomon.
Nara e Heian: Mono no aware
Il sentimento delle cose e il buddhismo nelle civiltà Nara e Heian.
Il medioevo Muromachi: Il teatro Nō di Zeami e lo yūgen
Il teatro giapponese medioevale e il senso del mistero nello yugen.
Periodo Azuchi-Momoyama: La cerimonia del tè di Sen-no-Rikyu e il wabi-sabi
La cerimonia del tè come espressione del buddhismo zen nell’estetica del wabi-sabi
L’epoca Tokugawa: L’iki e l’ukiyo-e
Il Giappone e la sua “altra modernità” nella vita di Edo-Tokyo con i suoi valori effimeri.
La modernità
L’estetica giapponese nel periodo della modernizzazione portata dalla Restaurazione Meiji.
J-pop e il kawaii
I valori estetici consumisti del Giappone contemporaneo.
La questione dell’estetica diffusa tra Cina e Giappone
Riflessioni conclusive sulla dimensione estetica in Estremo Oriente.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
Testi di interesse generale
Islam
India
Cina
Corea
Giappone

Potrebbero piacerti anche