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Bilquis Sheikh

PROFUMO DAL PAKISTAN


di Bilquis Sheikh, con Richard Schneider.
Copyright (c) 1980 Crociata del Libro Cristiano - Via Ricasoli, Firenze.
Titolo dellopera originale: I Dared To Call Him Father, (c) 1978 Bilquis Sheikh.
Traduzione dallinglese: Paola Meo Galione.
I nomi di alcune persone in questo libro sono stati cambiati.

A mio nipote Mahmud


che mi stato a fianco nella preghiera
e che stato per me
una sorgente di gioia e di conforto
in tante ore trascorse da sola.

INTRODUZIONE
Quando per la prima volta vidi la signora Bilquis Sheikh del Pakistan, quel che mi colp pi di tutto
furono i suoi grandi occhi espressivi e luminosi. Vi lessi cura e compassione per gli altri ed una rara
sensibilit per il mondo spirituale.
Una donna dall'et indefinibile con qualche accenno di capelli grigi; indossava un bellissimo sari,
che portava con dignit e grazia. Le aleggiava intorno l'aria inconfondibile di chi nato ricco ed
appartiene ad una classe sociale elevata. La sua voce profonda aveva il timbro pi risonante che
abbia mai sentito in una donna.
Il nostro primo incontro avvenne in una sala da pranzo, piena di specchi, di un ristorante di Bel Air,
in California. In quel giorno ascoltai, a grandi linee, la storia straordinaria della signora Sheikh.
Molte altre storie avventurose possono forse essere paragonate alla sua, come contenuto
drammatico, ma poche sotto questo aspetto: solo raramente l'Iddio Sovrano interrompe il corso
della storia per raggiungere e rivelare Se stesso ad un essere umano, nel modo eccezionale in cui ha
fatto con lei. L'opera iniziale da parte di Dio stata tanto sorprendente da ricordare l'esperienza di
Saulo di Tarso sulla via di Damasco. Appena ascoltai il racconto di quell'esperienza fantastica,
ritenni che quella storia dovesse essere trasmessa al mondo.
Sono trascorsi due anni da quel nostro primo incontro. Non potevo certo sapere che Bilquis Sheikh
sarebbe diventata non solo una carissima amica, ma una vera madre nel Signore per me.
Man mano che gli avvenimenti si susseguirono, le nostre vite si unirono sempre di pi. Scoprii che
questa donna aveva un unico scopo - essere un mezzo per far da legame tra il Signore, che ella ama
tanto, ed ogni cuore assetato che incontra. Per poterlo attuare, il Signore stesso le ha dato un Suo
dono speciale di percezione spirituale, unitamente al dono di conoscenza.
Un giorno dell'ottobre 1976, Bilquis mi telefon in Florida, dalla sua casa in California. "Sento nel
mio spirito che sei turbata per qualcosa. Che cos'? E che cosa posso fare per te?".
Rimasi sorpresa dalla sua percezione. "S, vero, ho un problema", le risposi. "Ho appena saputo
che devo subire un'operazione importante. Il medico mi sembra un tipo allarmista, ma...
Dopo aver ascoltato tutti i fatti, la signora Sheikh disse che avrebbe cercato la volont del Signore

per quel problema e mise gi la cornetta. Sapevo gi che ogni qualvolta la mia amica diceva che
avrebbe pregato per qualcosa, questo stava a significare che sarebbe stata davanti a Lui, in
preghiera, a volte per ore intere.
Il giorno successivo richiam. Attraverso il cavo la sua voce profonda mi trasmetteva sicurezza.
"Non hai assolutamente niente da temere. L'operazione riuscir bene sotto ogni aspetto ed il
chirurgo trover che era qualcosa di benigno".
E fu proprio cos.
Un'altra volta Bilquis telefon a Dick e Betty Schneider in Virginia. Per quanto Dick stesse
lavorando ininterrottamente al manoscritto di 'Profumo dal Pakistan', da parecchi giorni non aveva
avuto alcun contatto con la signora Sheikh. "C' qualcosa che non va da voi", inizi. "C' qualche
imprevisto?" ditemi di che si tratta, miei cari".
C'era davvero qualcosa! Gli Schneider hanno due figli in collegio. Uno di loro era stato brutalmente
picchiato, dopo aver protestato nel vedere tre giovani robusti assalire uno studente pi piccolo e per
giunta con gli occhiali. La situazione nel dormitorio era diventata adesso preoccupante; le autorit
scolastiche non si erano rese completamente conto dell'accaduto e c'era pericolo che il figlio degli
Schneider volesse lasciare la scuola.
In quell'occasione la signora Sheikh fu in grado di ricevere dal Signore le giuste direttive sul modo
migliore di affrontare il problema, che fu felicemente risolto.
In tali occasioni mi meravigliai che una cristiana, nuova nella fede, potesse avere un senso tanto
profondo di percezione nel mondo spirituale. Com'era strano, inoltre, che il Signore avesse
chiamato una donna musulmana pakistana per seguirLo negli Stati Uniti d'America! Era possibile
che il cuore di un'orientale fosse un terreno pi fertile per captare certe realt spirituali, che non
un'occidentale?
Oltre a questo, il desiderio intenso della signora Sheikh di testimoniare per il suo Signore, aveva
soddisfatto le condizioni essenziali di Dio per poter ricevere i doni speciali dello Spirito Santo. Tali
doni, unitamente all'unzione ed all'autorit che li accompagna, sono molto evidenti a tutti quelli che
la sentono parlare attraverso il Paese. Eppure il fatto che in lei non si rispecchi nessun modello
precostituito, disorienta coloro i quali si sentono pi a loro agio quando un qualsiasi leader pu
essere etichettato...
Un conduttore cristiano le chiese, per lettera, di dichiarare se fosse carismatica oppure no. La
signora Sheikh si sedette alla sua scrivania, riflettendo su questa domanda e sul come perfino una
sola parola potesse dividere coloro che amano Ges. In tono scherzoso, prese d'impulso una moneta
dal borsellino e disse: "Padre, decidi tu!".
Lanci la moneta in aria, dicendo, "Testa, sono carismatica, croce non lo sono". La moneta
d'argento piroett nell'aria, poi ricadde sul tappeto. Inginocchiandosi, per rassicurarsi, si mise a
ridere. Quale prova migliore poteva avere del senso di umorismo del Signore?
La moneta si era fermata di taglio, nel pelo folto del tappeto e si manteneva ben diritta!
La lezione, dice Bilquis, che la cosa importante non come adoriamo o quali parole usiamo o
quale etichetta ci attacchiamo, ma se amiamo, ad esempio, i nostri vicini. Siamo guidati dal Suo
Santo Spirito? Gli obbediamo senza esitare? Ci rattristiamo per coloro che non conoscono Cristo?
Desideriamo ardentemente di comunicare agli altri la nostra meravigliosa esperienza con Lui?
La signora Sheikh ha trovato in America un desiderio sorprendente di conoscere Ges.
Sorprendente per lei, perch in una visione, che aveva avuto in Pakistan, prima di emigrare nel
nostro Paese, aveva visto l'America come una terra dalle molte chiese, con le guglie che si
elevavano al di sopra di paesi e citt. Ella aveva dedotto da questo che l'America dovesse essere una
terra totalmente consacrata al Signore.
Ma in quella stessa visione si era visto anche un folto gruppo di oche bianche affamate. Dopo aver
viaggiato in lungo ed in largo nel Paese, adesso sa che le oche rappresentano tutti coloro, in questa
terra, che non hanno mai sentito parlare di Lui.
Ci ha descritto, in modo vivo, la sua prima domenica negli Stati Uniti... Era uscita dal suo albergo
ed aveva visto le strade piene di traffico. "Staranno tutti andando in chiesa" aveva pensato. Doveva

constatare, purtroppo, che la maggior parte di quelle persone stavano invece andando alle spiagge,
campi da golf o sui prati per fare il picnic.
per quelle persone che la signora Sheikh si preoccupa, come pure per il futuro di questa nazione.
In un certo senso adesso una donna senza una nazione, anche perch ha la stessa vasta visione di
Dio per il nostro mondo. In un altro senso porta con s il suo amato Pakistan, dovunque vada.
Avendo dovuto lasciare dietro di s, dall'altra parte del mondo, il suo pezzetto di terra con il suo
giardino, si data da fare per crearne un altro, su una collina alle spalle della sua casetta in
California, ch'ella condivide con suo nipote Mahmud. Il suo giardinetto diventato tanto bello che i
suoi vicini di casa, che avevano rinunziato a coltivare quei terreni aridi e incolti, dietro le loro case,
invogliati dalla signora Sheikh, stanno adesso creando i loro giardini!
Bilquis mi ha raccontato recentemente che mentre coltivava i suoi fiori, pensava al missionario
inglese, William Carey, col quale si era venuto a creare un legame molto stretto, anche se era morto
143 anni prima, in India.
Egli amava le margherite inglesi che fiorivano nei campi del suo paese natale di Paulerspury, nella
contea di Northamptonshire. Negli ultimi anni da lui trascorsi in India, degli amici gli avevano
spedito pochi semi dei suoi fiori preferiti e la signora Sheikh aveva copiato nel suo diario la lettera
ch'egli aveva scritto in quell'occasione:
Ho versato la busta su di un quadratino di terra in un posto ombreggiato. Quando sono andato a
controllare, dopo qualche giorno, con mio inesprimibile piacere, ho trovato che stava spuntando
una bellis perennis dei nostri pascoli. Non so se ho mai provato, da quando ho lasciato l'Europa,
una gioia tanto semplice e delicata alla vista di quella margheritina. Non ne avevo vista una per
pi di trent'anni e non mi aspettavo certo di vederne mai pi un'altra!
Bilquis Sheikh pianse quando lesse per la prima volta quella lettera. Trova che i fiori negli Stati
Uniti sono molto belli e che vi sono molte specie che crescevano anche nel suo giardino di Wah. Ma
rimane in lei sempre quel po' di nostalgia della sua terra natia. Continua a sperare di veder crescere
alcuni dei fiori di Wah, che non attecchiscono qui; continua a sperare che un giorno qualcuno dal
Pakistan spedisca anche a lei qualche seme.
Nel frattempo, noi negli Stati Uniti ci sentiamo arricchiti dalla sua presenza tra di noi. Ogni
qualvolta mi trovo con lei, ogni qualvolta sento la sua voce profonda al telefono, mi sento
rassicurata dal fatto che Dio ancora un Dio sovrano e che ha il controllo del mondo intero.
Catherine Marshall, Virginia, Ottobre 1977

Capitolo 1
UNA PRESENZA SPAVENTOSA
Mentre camminavo lentamente nel mio giardino, lungo il viale ricoperto di ghiaia, sentii crescere in
me uno strano senso d'inquietudine. Era il crepuscolo, il profumo degli ultimi narcisi impregnava
l'aria. Mi chiesi cos'era a rendermi tanto ansiosa.
Mi fermai, guardandomi attorno. Ad una certa distanza, al di l del grande prato all'inglese, i
servitori avevano acceso le luci di casa mia. Fuori sembrava tutto calmo e tranquillo. Raggiunsi una
pianta per recidere qualche fiore bianco, da disporre nella mia camera. Nel chinarmi, per raccogliere
un fiore dal lungo gambo verde, sentii qualcosa che mi sfior la testa.
Mi raddrizzai spaventata. Cos'era stato? Una nuvola scura, una presenza fredda - non celestiale - era
volata via. Il giardino, all'improvviso, mi apparve pi cupo. Un soffio d'aria gelida spir attraverso i
salici, facendomi rabbrividire tutta.
Ritorna in te, Bilquis! mi rimproverai. L'immaginazione mi stava giocando brutti scherzi...
Nonostante quanto appena avvenuto, continuai a raccogliere i fiori, poi mi diressi verso casa. Le sue
finestre illuminate mi davano un senso di sicurezza, mentre le mura spesse di pietra bianca e le

porte solide di quercia mi offrivano protezione. Percorsi in fretta il sentiero ghiaioso, che
scricchiolava sotto i miei passi, non potendo per fare a meno di lanciare un'occhiata al di l della
mia spalla. Avevo sempre riso nel sentir parlare del soprannaturale. Ma... naturalmente non c'era
niente l fuori. Non era forse cos?
Come in risposta al mio pensiero, sentii in maniera reale, autentica, un colpo deciso e misterioso
sulla mia mano destra.
Gridai, precipitandomi in casa e sbattendo la porta alle mie spalle. Accorsero i miei servitori, i quali,
bench spaventati, non fecero alcun commento nel vedermi apparire - forse assomigliavo io stessa
ad un fantasma! Fu soltanto all'ora di andare a letto che trovai il coraggio di parlare di quella
presenza spaventosa con le mie due cameriere di stanza. "Credete nelle cose spirituali?" chiesi, a
conclusione della mia storia. Entrambe le donne, Nur-jan - musulmana e Raisham - cristiana,
evitarono di rispondere alla mia domanda; Nur-jan per intrecciandosi nervosamente le dita, mi
chiese se poteva chiamare il mullah del villaggio, un sacerdote della moschea, che avrebbe portato
dell'acqua santa per purificare il giardino. Il mio buon senso prevalse: rifiutai di sottomettermi alla
superstizione degli ignoranti. Le dissi che non volevo ne facesse cenno a quelli del villaggio. Abbozzai un sorriso per la sua premura e le dissi, un po' troppo bruscamente, (mi dispiace) che, a casa
mia, non volevo nessun sant'uomo con la pretesa di scacciare spiriti maligni. Nonostante ci,
quando le cameriere ebbero lasciato la stanza, presi il Corano e mi sforzai di leggere qualche pagina
dal Sacro Libro musulmano, ma dopo un po' mi stancai, lo riposi nella sua custodia di seta blu e mi
addormentai.
La mattina seguente mi svegliai a fatica: mi sentivo come un nuotatore che lotta per mantenersi a
galla. Mi raggiunse un canto sottile ed acuto che mi penetr dentro:
"Laa ilaaha illa Ilaah, Muhammed resolu' lla!"
La voce mi perveniva attraverso la grata, in filigrana, della finestra della mia stanza:
"Non vi altro Dio che Allah e Maometto il suo Profeta".
Era un suono piacevole e confortante quell'appello musulmano alla preghiera, anche perch mi
appariva assolutamente
normale dopo la notte precedente! Era un richiamo che avevo sentito, senza eccezione, ogni mattina
dei miei 46 anni di vita... Potevo figurarmi, come in una visione, la scena che si svolgeva nel luogo
in cui aveva origine il canto.
Qualche attimo prima, nel vicino piccolo villaggio di Wah, il nostro vecchio muezzin* era entrato in
fretta attraverso la porta, che si trova alla base di un antico minareto. Dentro, nel freddo del suo
ambiente, aveva salito a fatica la scala a chiocciola, dagli scalini di pietra, levigata dallo strusciare
dei sandali d'intere generazioni di sant'uomini musulmani. Potevo immaginare che, arrivato in cima
alla torretta, si fermasse per un attimo a riprender fiato davanti alla porta di tek scolpita, e che,
uscendo sul balcone circolare, ne facesse il giro, spingendo indietro la testa dalla lunga chioma e
chiamando dal parapetto i fedeli alla preghiera con parole antiche di millequattrocento anni: "Venite
a pregare, venite alla salvezza. La preghiera migliore del sonno"
* Muezzin: Nella religione islamica, colui che addetto a chiamare i fedeli alle preghiere
canoniche, modulando la formula rituale dall'alto del minareto.
Il richiamo ossessionante fluttu nella nebbia mattutina, attraverso i viottoli acciottolati di Wah,
ricoperta ancora dalla bruma di quella notte di ottobre; poi venne trasportato fino al mio giardino,
dove s'innalz lungo i vecchi muri di pietra della casa, che il sole nascente tingeva di rosa.
Appena le ultime note di quell'antico canto si spensero nell'aria, mi ricordai della strana esperienza
avvenuta la sera precedente in giardino; rivolsi per subito la mente alle solite occupazioni del

mattino, da cui avrei ricevuto conforto, proprio perch erano cose tanto ordinarie... Mi misi a sedere
in mezzo al letto per raggiungere il campanello d'oro, posto sul ripiano di marmo del comodino. Al
suo tintinnio musicale Nur-jan si precipit nella mia camera, arrivando trafelata, come al solito. Le
due cameriere dormivano in una stanza attigua alla mia. Sapevo che si erano alzate gi da un'ora e
che erano in attesa della mia chiamata. Il t del mattino, servito a letto, era veramente indispensabile per me. Nur-jan cominci a preparare le spazzole ed i pettini, ricoperti d'argento. Era una
ragazza grassotta, sempre pronta al riso, un po' goffa, ma volenterosa. Se faceva cadere una
spazzola, la rimproveravo aspramente.
Raisham, invece, era una donna alta e graziosa, pi matura e pi calma dell'altra. Entr
silenziosamente nella stanza, portando un grande vassoio che sistem sul comodino; tolse il centro
bianco, scoprendo un servizio in argento massiccio e mi vers una tazza di t fumante.
Sorseggiando l'ambrosia bollente, mandai un sospiro di soddisfazione; il t era meglio della
preghiera! Mia madre sarebbe rimasta sconcertata dalla mia considerazione. Quante volte l'avevo
osservata, mentre, disposto il tappeto della preghiera sul pavimento della sua camera da letto e con
la faccia rivolta verso la citt santa della Mecca, s'inginocchiava in preghiera fino a poggiare la
fronte sul tappeto. Pensando a mia madre, guardai la scatola sul tavolino; era antica di centinaia di
anni, in legno di sandalo, ricoperta d'argento cesellato; era appartenuta a mia madre e prima di lei a
sua madre. Adesso costituiva il mio cimelio, da custodire come un tesoro. Dopo aver bevuto due
tazze di t, mi piegai un po' in avanti per permettere a Raisham di spazzolarmi i lunghi capelli grigi,
che mi arrivavano fino alla vita; nel frattempo Nur-jan si prendeva cura delle mie unghie.
Mentre le due donne lavoravano, chiacchieravano fra loro con gran familiarit, pettegolando sugli
ultimi fatti avvenuti al villaggio. Nur-jan parlava, mentre Raisham faceva ogni tanto dei commenti
appropriati. Parlavano di un ragazzo, che stava per lasciare il villaggio per andare in citt e di una
ragazza che si sarebbe sposata di l a poco. Poi discussero dell'assassinio avvenuto in un paese
vicino, in cui viveva la zia di Raisham. Potevo avvertire il brivido che percorreva Raisham, nel
parlare di quel
fatto. La vittima era una ragazza cristiana, che era stata ospite in casa di una famiglia missionaria
cristiana. Qualcuno aveva trovato, per caso, il suo corpo in una delle tante viuzze che attraversavano
il suo villaggio. Si supponeva che la polizia avrebbe fatto delle indagini sul caso.
"Nessuna notizia sulla ragazza?" chiesi casualmente. "No, Begum * Sahib, rispose Raisham, con
dolcezza, mentre prestava attenzione nell'intrecciarmi i capelli. Potevo facilmente immaginare
perch Raisham, anche lei cristiana, non volesse parlare del delitto.
Sia lei che io, sapevamo chi l'avesse uccisa. D'altronde la ragazza aveva rinunziato alla sua fede
musulmana per farsi battezzare da cristiana. Cos il fratello, infuriato per la vergogna che quel
peccato aveva portato in seno alla famiglia, aveva obbedito all'antica legge dei fedeli: coloro che
abbandonano la propria fede devono essere ammazzati.
Anche se gli editti musulmani possono apparire duri e severi, la loro interpretazione viene, a volte,
moderata dalla clemenza e dalla compassione. Ma vi sono sempre i fanatici, che interpretano alla
lettera le leggi coraniche.
Tutti sapevano chi aveva ucciso la ragazza, ma sapevano anche che non sarebbe stato fatto niente
per far luce su quel tragico fatto. Era sempre stato cos ! Un anno prima, la cameriera cristiana di un
missionario era stata trovata in un fossato, con la gola tagliata. Nemmeno in quell'occasione era
stato fatto nulla. Scacciai dalla mente quel triste episodio di cronaca e mi accinsi ad alzarmi. Le
cameriere si precipitarono verso il guardaroba e ritornarono con diversi sari di seta da farmi
scegliere. Ne indicai uno ricamato con pietre preziose; le ragazze, dopo avermi aiutata a
drappeggiarlo intorno al corpo, inchinandosi, se ne uscirono silenziosamente.
* Begum: Titolo portato in passato da dame d'alto rango turche, persiane, indiane.
Il sole inondava adesso tutta la stanza, aggiungendo al bianco dei muri ed all'avorio
dell'arredamento, un caldo color zafferano. La luce del sole riflettendosi, scintill su una cornice

d'oro che racchiudeva una foto. Raggiunsi con un balzo la toeletta; ero proprio seccata! Il giorno
prima avevo messo la fotografia a faccia in gi, ma una delle cameriere doveva averla messa di
nuovo in piedi. Nella cornice cesellata era racchiusa la foto di una coppia sofisticata e sorridente,
seduta al tavolo di un lussuoso ristorante londinese.
A dispetto di me stessa, guardai di nuovo la foto, come si fa quando si preme continuamente contro
un dente che fa male. Quell'uomo ostentatamente elegante, dai baffi neri e dagli occhi penetranti era
stato mio marito, il Generale Khalid Sheikh. Ma perch conservavo ancora quella foto? Un moto
d'odio mi percorse tutta, appena fissai quell'uomo, di cui una volta non avrei potuto fare a meno.
Quando era stata scattata la foto, sei anni prima, Khalid era Ministro degli Interni, in Pakistan.
E quella donna attraente, seduta al suo fianco, ero io! La mia era una famiglia musulmana
conservatrice, che per settecento anni aveva risieduto nella provincia della frontiera del Nord
occidentale. Quella zona dal clima temperato, aveva costituito, un tempo, l'India settentrionale.
Come figlia di una famiglia appartenente alla classe gentilizia, avevo ospitato diplomatici ed
industriali da ogni parte del mondo. Ero abituata a soggiornare a Parigi e Londra, dove trascorrevo
il mio tempo a fare acquisti in Rue de la Paix o da Harrods. La donna graziosa e sorridente della
foto, ormai non esisteva pi, pensai tra me, mentre mi guardavo allo specchio. La sua pelle morbida
e chiara si era abbronzata, i capelli neri e lucenti erano striati di grigio mentre le delusioni avevano
solcato il viso di rughe profonde.
Il mondo rappresentato in quella foto era caduto in frantumi cinque anni prima, quando Khalid mi
aveva lasciata. Soffrendo l'affronto del ripudio, avevo abbandonato la vita sofisticata di Londra,
Parigi e Rawalpindi per cercare rifugio qui, nella pace e nella quiete della propriet avita di
famiglia, appollaiata ai piedi dei monti dell'Himalaya. La propriet comprendeva il piccolo
villaggio collinare di Wah, dove avevo trascorso tanti giorni felici della mia infanzia. Wah era
circondato da giardini e frutteti, fatti piantare da molte generazioni della mia famiglia. La casa era
grande e sontuosa con torri, terrazze e stanze enormi in cui la voce echeggiava, ma mi appariva
vecchia come le cime imbiancate dei monti Safed Koh, che si scorgevano in lontananza, ad
occidente. Mia zia viveva anche lei in quella casa ed io, desiderando starmene completamente da
sola, mi ero trasferita in un'abitazione pi piccola, che la mia famiglia aveva costruito nelle
vicinanze di Wah. Incastonata come una pietra preziosa in dodici acri di giardino, questa casa con,
al piano superiore, camere da letto e soggiorno pi stanza da pranzo e salotto a quello inferiore, mi
garantiva quella solitudine di cui avevo tanto bisogno.
Mi aveva offerto anche pi di quel che mi aspettassi! Quando arrivai, trovai infatti che una vasta
zona dei giardini era diventata troppo rigogliosa. Fu una vera benedizione per me! Seppellii molte
delle mie pene nel terreno lussureggiante, mentre m'immersi completamente nella ristrutturazione
dei giardini. Feci sistemare una parte dei dodici acri in giardino vero e proprio, con muretti ed
aiuole con fiori, mentre lasciai il rimanente allo stato naturale. Col passar del tempo, il giardino con
i suoi innumerevoli, armoniosi getti d'acqua divenne tutto il mio mondo fino a quando nel 1966
venni a sapere di essermi guadagnata la fama di reclusa, che appartatasi dalla citt, si era seppellita
tra i suoi fiori.
Staccai gli occhi dalla fotografia incorniciata in oro, la rimisi di nuovo a faccia in gi sul tavolo e
rivolsi lo sguardo alla finestra, verso il villaggio. Wah... il nome stesso del villaggio era
un'esclamazione di gioia. Secoli addietro, quando qui esisteva soltanto un gruppo di case, il
leggendario imperatore mongolo Akbar attravers questi luoghi con il suo seguito e si ferm a
riposare nei pressi di una sorgente, dove si trova adesso la mia propriet. L'imperatore si sedette
sotto un salice e riconoscente, per quel che il posto gli offriva, esclam con gioia e gratitudine:
"Wah!" dando cos, per sempre, il nome a quel posto.
Il ricordo di quella scena idilliaca non mi sollev per da quella sensazione spiacevole, che mi
aveva pervasa tutta, fin dalla sera precedente, dopo quella strana esperienza capitatami.
Cercai di cacciare via quel pensiero dalla mia mente, mentre stavo alla finestra. Potevo ormai
sentirmi rassicurata dal nuovo giorno che era spuntato, dalle occupazioni giornaliere che mi attendevano e dal sole caldo, che si preannunziava. L'episodio della sera precedente mi appariva

ancora reale ma lontano, remoto, come un brutto sogno. Scostai le tende bianche e respirai
profondamente l'aria fresca del mattino; si sentiva il giardiniere che spazzava il patio. Mi arriv alle
narici l'odore di fumo della legna arsa nelle case, dove si stava preparando il pasto del mattino. In
lontananza potevo sentire il rumore ritmico delle ruote del mulino ad acqua. Sospirai di
soddisfazione. Questo era Wah, questa era la mia casa, questo costituiva soprattutto la mia
sicurezza! Era lo stesso posto, dove Nawab Muhammad Hayat Khan, un principe e proprietario
feudale, aveva vissuto settecento anni prima. Noi eravamo i suoi diretti discendenti e la mia
famiglia era conosciuta in tutta l'India come gli 'Hayat' di Wah. Secoli prima, i carri dell'imperatore
avrebbero lasciato la strada principale per venire a rendere visita ai miei antenati. Anche ai giorni
nostri, personalit di tutta Europa e dell'Asia avrebbero preso la stessa strada, un tempo un'antica
via carovaniera che si snodava attraverso l'India, per venire a visitare la mia famiglia. Ma adesso, di
solito, soltanto i membri della mia famiglia imboccavano la strada che conduce al cancello di casa.
Questo ovviamente stava a significare che non frequentavo molte persone che non facessero
direttamente parte della mia famiglia. La cosa per non mi turbava. I miei quattordici servitori mi
facevano abbastanza compagnia. Sia essi che i loro predecessori avevano servito la mia famiglia per
generazioni. Ma sopra ogni cosa io avevo Mahmud.
Mahmud era il mio nipotino di quattro anni. Sua madre Tooni era la pi giovane dei miei tre figli:
una donna snella ed attraente. Tooni era medico all'ospedale Holy Family, a Rawalpindi, poco
distante da Wah. L'ex marito era un grande proprietario terriero. Avevano avuto purtroppo un
matrimonio infelice e la loro unione si era sgretolata poco alla volta. Nel corso dei loro lunghi,
spiacevoli litigi, Tooni mandava Mahmud a trattenersi con me fino a quando lei e suo marito non
avessero raggiunto un'altra tregua travagliata. Un giorno, Tooni e suo marito vennero a chiedermi se
potevo tenere per un po' Mahmud, fino a quando cio, non avessero appianato le loro divergenze.
Risposi di no. Non volevo che il bambino diventasse una palla da tennis. Mi dichiarai per disposta
ad adottarlo ed allevarlo come un figlio mio. Sfortunatamente Tooni e suo marito non riuscirono
mai a mettersi d'accordo ed alla fine, divorziarono. Avevano dato la loro approvazione per
l'adozione di Mahmud e tutto si era risolto per il meglio. Tooni veniva spesso a trattenersi con
Mahmud e tutti e tre insieme ci sentivamo molto uniti, in special modo da quando gli altri due miei
figli vivevano lontano da casa.
Qualche ora pi tardi, di quella stessa mattinata, Mahmud scorazzava col suo triciclo in su e gi per
la terrazza, dal pavimento di cotto, ombreggiata da alberi di mandorlo. Mahmud era con me da oltre
tre anni: un bambino pieno di vita, bello come un cherubino, dagli occhi scuri e profondi e dal
piccolo naso a patata. Era l'unica gioia della mia vita! Le sue risate allegre sembravano risollevare
lo spirito di questa vecchia casa isolata. Mi preoccupavo, a volte, di come la sua vita sarebbe stata
influenzata dalla mia depressione. Cercavo di compensare il vuoto, assicurandomi che ogni suo
bisogno venisse anticipato.
Per soddisfare le sue necessit, Mahmud aveva tre servitori personali (in aggiunta ai miei undici),
che provvedevano a vestirlo, portargli fuori i giocattoli e riporli quando aveva finito di giocare.
Ora, ero in pena per lui. Da diversi giorni si rifiutava di mangiare. Era un fatto insolito: Mahmud
andava spesso in cucina a fare le moine alle cuoche, ricevendo in cambio biscotti e dolcetti. Quella
mattina ero scesa pi presto del solito. Avevo attraversato il terrazzo, pavimentato a mosaico alla
palladiana, e dopo aver scambiato un affettuoso abbraccio con il piccolo Mahmud, avevo chiesto al
suo servitore se il bambino avesse mangiato.
"No, Begum Sahib, si rifiuta", mi rispose, quasi in un bisbiglio. Provai a sforzare il bambino a
mangiare qualcosa, ma mi rispose che non aveva fame.
Mi secc molto che Nur-jan venisse da sola a suggerirmi timidamente che forse Mahmud era
attaccato da spiriti maligni. Allarmata, la guardai duramente. Mi ricordai allora dell'inquietante
esperienza della sera precedente. Che stava a significare tutto questo? Chiesi ancora una volta a
Mahmud di mangiare qualcosa, ma senza ottenere alcun risultato. Non aveva nemmeno toccato i
suoi cioccolatini preferiti, che facevo venire dalla Svizzera, appositamente per lui. Quando gli misi
la scatola davanti, rivolse i suoi occhioni limpidi verso di me: "Vorrei mangiarli, mamma" disse,

"ma quando provo ad inghiottire mi fa male". Un brivido mi percorse tutta, mentre guardavo il mio
adorato nipotino, una volta tanto pieno di vita ed ora cos svogliato ed indifferente.
Immediatamente mandai a chiamare Manzur, il mio autista - anch'egli cristiano - e gli detti ordine di
preparare l'auto. Un'ora dopo eravamo a Rawalpindi, dal medico di Mahmud. Il pediatra, dopo aver
visitato accuratamente il bambino, mi disse che non trovava niente di anormale.
Mi assalirono nuovamente i timori, mentre facevamo ritorno a casa. Osservavo il bambino, seduto
tranquillamente accanto a me. Forse Nur-jan aveva avuto ragione. Esisteva qualcosa oltre alle forze
conosciute? Era qualcosa del mondo degli spiriti ad attaccarlo? Mi avvicinai e gli misi un braccio
intorno alle spalle, sorridendo tra me di come mi venissero in mente certe idee! Mi ricordai che mio
padre, una volta, mi aveva raccontato di un leggendario sant'uomo musulmano che poteva compiere
dei miracoli. Avevo riso a quel racconto, dando un dispiacere a mio padre, ma non potevo farci
nulla: era quello il mio modo di reagire a simili asserzioni. Eppure quel giorno, tenendo Mahmud
stretto a me, mentre l'auto lasciava la strada nazionale per imboccare quella della nostra propriet,
mi venne alla mente uno spiacevole pensiero: poteva il problema di Mahmud essere in relazione al
fatto della sera precedente, avvenuto in giardino?
Quando condivisi i miei timori con Nur-jan, la donna si port le mani al viso e mi chiese con
insistenza di chiamare il mullah del villaggio per farlo pregare per Mahmud e per far aspergere il
giardino di acqua santa.
Presi in considerazione la sua proposta. Anche se credevo negli insegnamenti fondamentali della
mia religione, da parecchi anni mi ero ormai allontanata dai suoi riti: la preghiera cinque volte al
giorno, il digiuno, il complicato cerimoniale di abluzioni. Ma la sollecitudine per Mahmud prevalse
sui miei dubbi e cos mi convinsi a far chiamare il sant'uomo della moschea del villaggio.
La mattina seguente, Mahmud ed io sedevamo accanto alla finestra, nell'attesa impaziente del
mullah. Quando finalmente lo vidi avanzare verso gli scalini della veranda, con la giacca a
brandelli, svolazzante al vento freddo di quella mattina autunnale, mi pentii di averlo chiamato, e
nello stesso tempo, mi dava fastidio che non affrettasse il passo.
Nur-jan introdusse il mullah nella stanza, poi si ritir. Mahmud l'osservava incuriosito, mentre
apriva il Corano. L'uomo vecchio e scarno aveva il colore della pelle che si uniformava a quello del
cuoio antico del suo libro sacro. Mi fiss attentamente con i suoi occhietti circondati da una fitta
rete di rughe, pos una mano scura e grinzosa sulla testa di Mahmud e con voce tremante cominci
a recitare il Kul. una preghiera che ogni musulmano recita, prima d'intraprendere qualcosa
d'importante, per pregare per un ammalato o per una questione di affari.
Il mullah inizi quindi a leggere il Corano in arabo (il Corano letto sempre in arabo, sarebbe
difatti considerato erroneo tradurre le vere parole che l'angelo di Dio trasmise al profeta Maometto).
Cominciai a diventare impaziente. Forse, senza accorgermene, mi misi a battere il piede per terra; fu
allora che il mullah porgendomi il Corano mi disse: "Begum Sahib, dovreste leggere anche voi
questi versi". Si riferiva al Sura Falak ed al Sura Naz, versi che vengono recitati quando uno si trova
in difficolt. "Perch non li ripetete con me?".
"No", risposi. "Non lo far. Dio si dimenticato di me ed io mi sono dimenticata di Dio!". Cambiai
per tono quando il vecchio mi lanci un'occhiataccia. Dopo tutto, era venuto qui su mia richiesta e
per il bene di Mahmud... "Va bene", dissi prendendo in mano il libro logoro. Lo aprii a caso e lessi
il primo verso che mi capit sotto gli occhi:
Maometto l'inviato di Dio, e coloro che sono schierati con lui, sono severi contro gli infedeli...
Pensai alla ragazza cristiana che era stata assassinata, alla nuvola scura che mi era apparsa nel
giardino, poco dopo che era stato commesso il delitto e soprattutto pensai alla misteriosa indisposizione di Mahmud. Poteva esserci qualche relazione tra tutti quegli avvenimenti? Una cosa
era certa, che non avrei suscitato l'ira di alcuna potenza spirituale, perch n io n Mahmud ci
saremmo mai uniti con un cristiano. Rabbrividii solo a pensarci.
Il sant'uomo appariva soddisfatto. Nonostante le mie riserve, ritorn per tre giorni di seguito a

recitare versi per Mahmud.


Ed a completare la serie di eventi misteriosi e sconvolgenti, Mahmud miglior!
Cosa avrei dovuto pensare di tutto quel che stava accadendo?
L'avrei scoperto di l a poco. Difatti, senza saperlo, le cose stavano prendendo una piega tale da
cambiare il corso della mia vita, mandando in frantumi il mondo che fino allora mi era appartenuto.
Capitolo 2
IL LIBRO SCONOSCIUTO
Dopo quelle esperienze mi rivolsi al Corano. Mi avrebbe aiutata forse a spiegare quegli avvenimenti
ed, allo stesso tempo, a riempire il vuoto ch'era dentro di me. Di sicuro i membri della mia famiglia
avevano trovato spesso una risposta d'incoraggiamento nelle sue scritture in lingua araba, dal
corsivo tondeggiante.
Naturalmente avevo gi letto il Corano. Mi ricordavo lucidamente della mia infanzia quando, per la
prima volta, avevo iniziato ad imparare l'arabo, per poter essere in grado poi di leggere il nostro
libro sacro: avevo esattamente quattro anni, quattro mesi e quattro giorni. Era quello il giorno in cui
ogni bambino musulmano comincia a districarsi con la scrittura araba. Il momento era solennizzato
da un grande banchetto a cui partecipavano tutti i membri della famiglia. Fu allora che, con una
cerimonia speciale, la moglie del mullah del nostro villaggio cominci ad insegnarmi l'alfabeto.
Mi ricordo in special modo del mio prozio Fateh (per la verit non era mio zio; in Pakistan tutti i
parenti pi anziani vengono chiamati zio o zia). Lo zio Fateh era il congiunto pi stretto della nostra
famiglia, mi ricordo ancora chiaramente di come mi guardava durante la cerimonia. Aveva
un'espressione bonaria sul viso dal profilo aquilino, era compiaciuto del fatto che io ascoltassi il
racconto di quando l'angelo Gabriele aveva cominciato a dare a Maometto le parole del Corano in
quella profetica "Notte di potenza" dell'anno 610 A.D. Mi ci vollero sette anni per leggere tutto il
libro per la prima volta; quando finalmente lo terminai, ci fu un buon motivo per un'altra
celebrazione familiare!
Prima avevo sempre letto il Corano come un obbligo, ma questa volta sentivo che avrei dovuto
investigare veramente tra le sue pagine. Presi la mia copia, che era appartenuta in precedenza a mia
madre, mi distesi sulla trapunta bianca che ricopriva il mio letto e mi accinsi a leggere. Cominciai
dal verso iniziale, il primo messaggio dato al giovane profeta Maometto, mentre si trovava nella
caverna sul monte Hira:
Recita, nel nome del tuo Signore, che ha creato, Che ha creato l'uomo da un grumo di sangue!
Recita! Perch il tuo Signore il pi generoso; Egli colui che ha insegnato a servirsi del qalam,
Ha insegnato all'uomo ci che non sapeva.
(Sura XCVI, versi 1-5, Il Corano, versione del Dott. Bonelli, Edizione Hoepli, Milano, copyright
1969, p. 595.)
All'inizio mi lasciai trascinare dalla bellezza dei versi, ma in seguito lessi delle parole che non mi
dettero alcun conforto:
Quando ripudiate (divorziate) le vostre donne e sia giunto il termine loro (cio, il momento di
rimandarle), trattenetele con umanit o, con umanit, rimandatele;
(La Sura della vacca, verso 231, Ia parte, vers. Bonelli, p. 34.)
Gli occhi di mio marito erano diventati come carboni ardenti mentre mi diceva di non amarmi pi.
Mi sentii svuotata dentro, mentre parlava. Che ne era di tutti quegli anni trascorsi insieme?

Dovevano forse essere accantonati come se non fossero mai stati vissuti? Avevo, come dice il
Corano, raggiunto il 'mio termine'?
La mattina seguente continuai a leggere il Corano, sperando di trovare nella sua scrittura
tondeggiante, la sicurezza che cercavo tanto disperatamente. Ma quella sicurezza non arriv mai.
Nelle sue pagine trovai soltanto delle direttive sul modo di vivere e degli avvertimenti nei confronti
di altri culti. C'erano dei versi riguardanti il profeta Ges il cui messaggio, diceva il Corano, era
stato falsificato dai primi cristiani. Per quanto Ges fosse nato da una vergine, non era per figlio di
Dio.
"E non dite 'tre'", avvertiva il Corano riguardo al concetto cristiano della Trinit. "Desistete da ci,
questo sar meglio per voi; in verit, Dio un dio solo".
(La Sura delle donne, verso 169, vers. Bonelli, p. 90.)
Dopo aver letto per diversi giorni il santo libro, un pomeriggio lo posai con un sospiro, mi alzai e
scesi in giardino, dove speravo di trovare un po' di pace nella natura e nei vecchi ricordi. In questo
periodo dell'anno la vegetazione era di un bel verde acceso, rischiarato qua e l dagli alissi colorati,
che ancora fiorivano. Era una giornata tiepida d'autunno e Mahmud saltellava lungo i sentieri, dove
io avevo camminato da bambina con mio padre. Rivedevo, con la mia mente, l'immagine di mio
padre, che camminava al mio fianco, con il turbante bianco, vestito impeccabilmente, alla maniera
tradizionale britannica di Savile Row, come si addiceva ad un ministro del governo. Mi chiamava
spesso con il mio secondo nome 'Bilquis Sultana' sapendo quanto mi facesse piacere sentirlo
pronunziare. Bilquis era il primo nome della regina di Sceba e tutti sanno che Sultana sta ad
indicare regalit.
Mi piaceva conversare con lui. Negli ultimi anni parlavamo spesso della nostra nuova nazione: il
Pakistan. Ne era cos orgoglioso! "La Repubblica Islamica del Pakistan stata creata proprio per
fare da patria ai musulmani sud asiatici", diceva. "Siamo una delle pi grandi nazioni del mondo
governate dalla legge islamica", aggiungeva, facendo notare che il 96 per cento della popolazione
del nostro Paese era musulmano e che il rimanente era costituito per lo pi da gruppi di buddisti,
cristiani ed ind.
Sospirai, guardando al di l degli alberi del mio giardino, verso le colline ricoperte di fiori di
lavanda, che si scorgevano in lontananza. Avevo trovato sempre conforto in mio padre. Negli ultimi
anni ero diventata una compagna per lui. Discutevamo spesso della situazione politica, che
cambiava cos spesso nel nostro Paese. Era cos distinto, cos comprensivo. Ma ora non c'era pi.
Mi ricordo di quando mi trovai davanti alla sua tomba aperta nel cimitero musulmano di
Brookwood, fuori Londra. Era andato fino a Londra per un'operazione, che purtroppo non era
riuscita. Gli usi musulmani richiedono che si debba essere seppelliti 24 ore dopo la morte; quando
arrivai al cimitero la bara era pronta per essere calata nella fossa. Non potevo crederci che non
l'avrei mai pi rivisto. Svitarono le viti ed aprirono il coperchio per permettermi di guardarlo per
l'ultima volta. Ma quel corpo grigio e freddo disteso nella bara non era lui, dov'era mio padre?
Rimasi l come impietrita, pensando a quelle cose mentre richiudevano la cassa: ogni giro stridente
di vite, che penetrava nel legno umido, mi causava dolore.
Mia madre, a cui ero anche molto legata, mor sette anni dopo, lasciandomi completamente sola.
Nel giardino cominciavano a scendere le ombre della sera, mi trovavo di nuovo fuori all'ora del
crepuscolo. Il conforto che avevo cercato nei ricordi mi aveva, per la verit, procurato soltanto
molta pena. In lontananza potevo sentire il muezzin che chiamava alla preghiera serale; quel
richiamo ossessionante accentu ancora di pi il mio senso di solitudine. "O Allah, dov'",
bisbigliai, seguendo il ritmo della preghiera, "dov' il conforto che prometti?".
Quella sera, nella mia camera da letto, ripresi di nuovo il Corano di mia madre in mano. Mentre
leggevo ero colpita dalle numerose referenze alle scritture ebraiche e cristiane, antecedenti al
Corano. Forse, mi dissi, dovrei continuare la mia ricerca tra quei primi libri?

Ma questo stava a significare leggere la Bibbia! E come la Bibbia poteva aiutare, dal momento che,
come tutti ovviamente sanno, i primi cristiani l'avevano tanto falsificata? L'idea di leggere la Bibbia
divenne sempre pi insistente. Qual'era il concetto di Dio, secondo la Bibbia? Che cosa diceva sul
profeta Ges? Forse avrei dovuto proprio leggerla...
Ma sopraggiunse allora un altro problema: dove avrei trovato una Bibbia? Non l'avrei certo potuta
reperire in nessun negozio della nostra zona.
Forse Raisham ne aveva una copia. Rigettai subito quel pensiero. Anche se l'avesse avuta, la mia
richiesta l'avrebbe spaventata. Erano stati assassinati dei pakistani solo perch sembrava che
avessero persuaso dei musulmani a diventare cristiani-traditori. Passai in rassegna gli altri miei
servitori cristiani. La mia famiglia mi aveva messa sull'avviso di non assumere servitori cristiani: il
motivo era la loro ben nota mancanza di fedelt e sincerit. Ma io non mi ero lasciata influenzare:
per me l'importante era che facessero il loro dovere, il resto non mi riguardava. Non si poteva certo
asserire che erano sinceri. Difatti, quando i missionari cristiani vennero in India, fu facile per loro
fare dei proseliti tra le classi sociali meno abbienti. Molti dei nuovi con-vertiti erano spazzini, una
categoria di persone che occupa un posto tanto basso nell'ordine sociale. Il loro lavoro si limita a tenere pulite strade, vicoli e tombini. Noi musulmani chiamavamo quei lavoratori "i cristiani del
riso". Non era forse quello il motivo per cui accettavano una falsa religione? Non era soprattutto per
ricevere cibo, vestiti e l'istruzione che i missionari davano loro?
Guardavamo con una punta d'ironia gli stessi missionari, che si occupavano cos premurosamente di
quelle povere creature. Proprio pochi mesi prima, il mio autista Manzur, un cristiano, mi aveva
chiesto il permesso di mostrare il mio giardino a dei missionari del luogo che lo avevano ammirato
attraverso la siepe.
"Ma certamente", avevo risposto con tono enfatico, pensando al povero Manzur, che evidentemente
voleva fare una bella figura con quelle persone. Qualche giorno pi tardi, dalla finestra del salotto,
vidi la coppia americana che gironzolava per il giardino. Manzur si rivolgeva loro chiamandoli:
Reverendo e Signora Mitchell. Avevano tutti e due i capelli di colore biondo scuro, occhi chiari ed
indossavano vestiti occidentali senza alcuno stile. Che persone scialbe pensai! Nonostante le mie
considerazioni detti per ordine al giardiniere di dare dei semi da piantare a quei missionari, se ne
avevano piacere.
Pensando a loro, seppi finalmente come entrare in possesso di una Bibbia! Manzur me l'avrebbe
procurata. Domani, pensai, gli dar l'incarico.
Lo mandai a chiamare e la mattina seguente venne nella mia camera. Si mise sull'attenti davanti a
me; indossava la divisa con i pantaloni bianchi. Il suo tic nervoso al viso, come al solito, m'irritava.
"Manzur, voglio che mi procuri una Bibbia".
"Una Bibbia?". Spalanc gli occhi.
"S certo!" risposi, cercando di mantenermi calma. Poich Manzur non sapeva leggere, ero sicura
che non ne possedeva una, ma sapevo per che era in grado di procurarmela! Mormor qualcosa
che non capii, ma io ripetei con decisione e fermezza: "Manzur, voglio una Bibbia".
Annu con il capo, si chin in segno di saluto ed usc. Sapevo perch aveva fatto resistenza alla mia
richiesta. Anche a lui
mancava il coraggio, come a Raisham. Entrambi avevano ancora presente il caso della ragazza
assassinata. Dare una Bibbia ad uno spazzino era una cosa, ma portarne una a qualcuno delle classi
sociali pi elevate era tutt'altro. Una sola parola avrebbe potuto metterlo in guai seri.
Due giorni pi tardi Manzur mi stava conducendo a Rawalpindi, dove andavo ad incontrarmi con
Tooni.
"Manzur, non ho ancora avuto la Bibbia".
Notai che le nocche delle dita erano diventate bianche, tanto stringeva forte il volante.
"Begum, ve ne porter una".
Dopo tre giorni lo mandai a chiamare di nuovo.
"Manzur, ti ho chiesto per tre volte di procurarmi una Bibbia e non l'hai ancora fatto". Il tic che gli
contraeva il viso si accentu di pi. "Ti do ancora un giorno di tempo. Se non ne avr una per

domani, sarai licenziato".


Si sbianc in viso. Sapeva che l'avrei fatto. Si gir sui tacchi degli stivali e se ne and; i suoi passi
risuonarono sul pavimento della terrazza.
Il giorno seguente, proprio poco tempo prima che Tooni venisse a farmi visita, vidi una piccola
Bibbia, apparsa misteriosamente sul tavolino del salotto. La presi e l'osservai attentamente.
Ricoperta modestamente di tela grigia, era stampata in Urdu, un dialetto indiano locale. Era stata
tradotta da un inglese 180 anni prima ed io trovavo la fraseologia antiquata e difficile da seguire.
Manzur, evidentemente, aveva dovuto averla da un amico: era quasi nuova. Ne sfogliai le pagine
sottili, poi la posai e non ci pensai pi.
Pochi minuti dopo arriv Tooni. Mahmud le corse incontro, gridando di gioia, sapeva che la madre
gli aveva certamente portato un giocattolo. Un attimo dopo il bambino si diresse in terrazza a
provare il suo nuovo aeroplano mentre Tooni ed io ci sedemmo per prendere un t.
Fu allora che Tooni not la Bibbia posata sul tavolino, accanto a me. "Oh! Una Bibbia!" esclam.
"Aprila, vediamo cosa dice... ". La nostra famiglia ha sempre considerato con un certo interesse
ogni libro religioso. Un passatempo come un altro era quello di aprire un libro sacro, a caso,
d'indicare alla cieca un passo e vedere che cosa diceva, quasi come se si leggesse una profezia.
A cuor leggero aprii la Bibbia e guardai le pagine davanti a me.
Accadde allora qualcosa d'inspiegabile. La mia attenzione venne richiamata su di un verso scritto
nell'angolo in basso, della pagina destra. Mi accostai per leggerlo meglio:
"Io chiamer mio popolo quello che non era mio popolo, e 'amata' quella che non era amata; e
avverr che nel luogo ov'era loro stato detto: 'Voi non siete mio popolo', quivi saran chiamati
figliuoli dell'Iddio vivente". Romani 9:25-26.
Trattenni il respiro mentre ero percorsa da un tremito. Perch quel verso mi colpiva tanto? "Io
chiamer mio popolo quello che non era mio popolo... nel luogo ov'era loro stato detto: 'Voi non
siete mio popolo', quivi saran chiamati figliuoli dell'Iddio vivente".
Sulla stanza pendeva il silenzio. Alzai gli occhi dal libro e vidi che Tooni era in attesa, pronta ad
ascoltare il passo trovato. Non potevo leggere quelle parole ad alta voce. C'era qualcosa in esse che
per me era troppo profondo per poterlo considerare un semplice gioco.
"E allora, cos'era, mamma?" domand Tooni, mentre i suoi occhi vivaci m'interrogavano.
Chiusi il libro, mormorai qualcosa sul fatto che non era pi un gioco e cambiai argomento di
conversazione.
Quelle parole mi bruciavano dentro come tizzoni ardenti e si apprestavano a diventare il preludio ai
sogni pi insoliti che avessi mai avuto!
Capitolo 3
I SOGNI
Soltanto il giorno dopo presi di nuovo in mano la piccola Bibbia grigia. N Tooni, n io avevamo
pi fatto riferimento ad essa, dopo che io avevo, di proposito, cambiato discorso. Nel corso di quel
lungo pomeriggio le parole del passo letto mi ritornavano ogni tanto alla mente.
Il giorno successivo in serata mi ritirai nella mia camera, dove pensavo di riposare e meditare un
po'. Presi la Bibbia e mi distesi sui cuscini candidi e soffici del divano. Sfogliai di nuovo il libro e
mi capit sotto gli occhi un altro passo rebus:
"Mentre Israele, che cercava la legge della giustizia non ha conseguito la legge della giustizia".
Romani 9:31
Ah, pensai. Proprio come dice il Corano; gli ebrei avevano mancato il bersaglio. Lo scrittore di quei

versi doveva essere stato un musulmano. Fui indotta a pensarlo dal fatto che continuava a parlare
del popolo d'Israele come di chi non conosce la giustizia di Dio.
Il passo successivo mi fece per trattenere il respiro:
"Perch il termine della legge Cristo, per essere giustizia ad ognuno che crede". Romani 10:4
Posai il libro per un attimo. Cristo? Era in lui la fine del combattimento? Continuai a leggere.
"Ma che dice ella? La parola presso di te, nella tua bocca e nel tuo cuore... se con la bocca avrai
confessato Ges come Signore, e avrai creduto col cuore che Dio l'ha risuscitato dai morti, sarai
salvato". Romani 10:8-9
Posai di nuovo il libro, scuotendo la testa. Era totalmente in contrasto col Corano. I musulmani
sapevano che il profeta Ges era soltanto umano, che l'uomo non mor sulla croce ma fu assunto in
cielo da Dio e che un sostituto fu crocifisso al suo posto. Ora, dopo aver soggiornato in un cielo
inferiore, questo Ges sarebbe ritornato un giorno sulla terra a regnarvi per quarant'anni, si sarebbe
sposato, avrebbe avuto dei figli e poi sarebbe morto. Avevo sentito difatti che c'era una fossa
lasciata appositamente vuota per ricevere i suoi resti a Medina, la citt dove anche Maometto
sepolto. Nel giorno della Resurrezione, Ges sarebbe risorto e giudicato con gli altri uomini davanti
all'Onnipotente Iddio. Ma intanto la Bibbia diceva che Cristo era risorto dai morti. O era una
bestemmia o...
La mia mente turbinava di pensieri. Sapevo che chiunque si fosse rivolto ad Allah, sarebbe stato
salvato. Si doveva credere che Ges fosse Allah? Perfino Maometto, l'ultimo ed il pi grande dei
messaggeri di Dio, il Suggello dei Profeti, era soltanto un mortale.
Mi sdraiai sul letto e mi misi una mano sugli occhi. Se la Bibbia ed il Corano rappresentano lo
stesso Dio, perch c' tanta confusione e contraddizione? Come potevano essere entrambi lo stesso
Dio se quello del Corano un Dio di vendetta e punizione mentre quello della Bibbia cristiana un
Dio di misericordia e perdono? Non so a che ora mi addormentai. Di solito non ricordo i miei sogni,
ma quella notte lo feci. Il sogno era tanto vivo, i fatti cos reali, che trovai difficile, la mattina
successiva, credere che fosse soltanto fantasia. Ecco ci che vidi:
Stavo pranzando con un uomo, che sapevo con certezza fosse Ges. Era venuto a farmi visita ed a
trattenersi con me per due giorni. Si era seduto a tavola di fronte a me ed avevamo mangiato
insieme in pace e con gioia. All'improvviso il sogno cambi. Mi trovavo adesso sulla cima di una
montagna con un altro uomo. Aveva un abito lungo e calzava i sandali. Come mai conoscevo
misteriosamente il suo nome? Giovanni Battista. Che nome strano. Mi misi a raccontare a questo
Giovanni Battista della recente visita di Ges. " venuto il Signore ed stato ospite mio per due
giorni", dissi. "Ma adesso se n' andato. Dov'? Devo trovarLo! Forse tu, Giovanni Battista, puoi
guidarmi da Lui".
Questo fu il sogno. Mi svegliai gridando: "Giovanni Battista! Giovanni Battista!". Nur-jan e
Raisham si precipitarono nella mia stanza. Sembravano imbarazzate alle mie grida e cominciarono a
prepararmi la toilette, con eccessiva minuzia. Mentre si affaccendavano raccontai loro il mio sogno.
"Che bello", disse ridendo scioccamente Nur-jan, mentre mi metteva davanti un vassoio colmo di
boccette di profumo, "S, era un bel sogno benedetto", bisbigli Raisham, mentre mi spazzolava i
capelli. Ero sorpresa che come cristiana, Raisham non fosse pi eccitata. Stavo per chiederle di
Giovanni Battista, ma mi trattenni; dopo tutto, Raisham era solo una donna semplice di campagna.
Ma chi era questo Giovanni Battista? Non avevo trovato ancora il suo nome nella lettura che avevo
fatto, finora, della Bibbia.
Nei tre giorni successivi continuai a leggere la Bibbia ed il Corano confrontando l'uno con l'altro.
Consultavo il Corano con un certo senso del dovere, poi mi rivolgevo avidamente al libro cristiano,
immergendomi nella sua lettura e cercando di capire quel mondo nuovo e confuso che scoprivo man
mano. Ogni qualvolta aprivo la Bibbia provavo un senso di colpa. Questo mi derivava forse dalla

rigida educazione ricevuta. Anche da adulta, mio padre doveva dare la sua approvazione a qualsiasi
libro leggessi. Una volta mio fratello ed io portammo di nascosto un libro nella nostra camera.
Anche se era completamente innocuo, eravamo molto spaventati nel leggerlo.
Ora, appena aperta la Bibbia, ebbi la stessa reazione. Un racconto attir particolarmente la mia
attenzione. Parlava dei capi sacerdoti che menarono una donna colta in adulterio davanti al profeta
Ges. Tremai, sapendo quale destino era in serbo per lei. Il codice morale dell'antico Oriente non
era molto diverso da quello del nostro Pakistan. Gli uomini della comunit sono obbligati, dalla
tradizione, a punire la donna adultera. Quando lessi nella Bibbia della donna che stava davanti ai
suoi accusatori, sapevo che i suoi stessi fratelli, zii e cugini le stavano davanti per lapidarla.
Il profeta invece disse: "Chi di voi senza peccato, scagli il primo la pietra contro di lei" (Giov.
8:7).
Rimasi sconvolta mentre con gli occhi della mente vedevo gli uomini andarsene furtivamente.
Invece di eseguire una condanna a morte, Ges aveva costretto gli accusatori ad accettare la propria
colpevolezza. Il libro mi scivol in grembo mentre ero assorta nei miei pensieri. Trovavo cos
logica, cos giusta la sfida del profeta. Quell'uomo diceva il vero.
Tre giorni dopo ebbi un secondo strano sogno: mi trovavo nella mia camera da letto, quando una
cameriera venne ad an-nunziarmi che era venuto un venditore di profumi. Mi alzai dal divano
esultante; in quel periodo in Pakistan mancavano i profumi di marca. Temevo di trovarmi a corto
del mio lusso favorito. Sempre in sogno dissi alla cameriera di farlo entrare.
Era vestito alla maniera dei venditori di profumo dei tempi di mia madre, quando i mercanti
viaggiavano, vendendo la loro mercanzia di casa in casa. Indossava una redingote nera e teneva la
merce chiusa in una valigia. L'apr e tir fuori un'anfora d'oro. Ne tolse il tappo e me la porse.
Appena la vidi trattenni il respiro; il profumo scintillava come cristallo liquido. Stavo per toccare
l'anfora, quando egli alz il braccio.
"No", disse. E tenendo sempre l'anfora in mano and a posarla sul mio comodino. "Il suo profumo
si spander in tutto il mondo", disse.
Quando la mattina mi svegliai, il sogno era ancora vivido nella mia mente. Il sole penetrava
attraverso la finestra; potevo ancora sentire quel buon profumo, la sua deliziosa fragranza aveva
riempito tutta la stanza. Mi alzai e guardai in direzione del comodino, aspettandomi quasi di vedere
l'anfora d'oro.
Al suo posto c'era invece la Bibbia!
Mi sentii percrsa da un fremito. Mi sedetti sulla sponda del letto, riflettendo sui due sogni. Che
stavano a significare? Non ricordavo sogni da anni ed ora ne ricordavo due, uno dopo l'altro! C'era
qualche relazione fra di essi? E c'era qualche riferimento al mio recente scontro con la realt del
mondo soprannaturale?
Quel pomeriggio scesi per la mia solita passeggiata in giardino. Mi sentivo ancora confusa per i
sogni fatti, ma sentivo che adesso c'era qualcosa di diverso. Avvertivo una strana contentezza, una
gioia, una pace come non l'avevo mai provata prima. Mi sembrava di sentirmi vicino alla presenza
di Dio. All'improvviso, mentre passavo dal folto di un boschetto ad una zona aperta, inondata di
luce, sentii nell'aria un delizioso profumo. Non era la fragranza dei fiori - era ormai troppo tardi
perch ve ne fosse qualcuno ancora in boccio - era un profumo vero e proprio.
Alquanto agitata feci ritorno a casa. Da dove veniva quell'odore? Che mi stava succedendo? Ci
sarebbe voluto qualcuno che conoscesse la Bibbia. Avevo gi scartato l'idea, affacciatasi alla mente,
di rivolgermi ai miei servitori cristiani. In primo luogo era assurdo pensare di ricavare da loro
qualche informazione. E poi, con molta probabilit, non avevano nemmeno letto la Bibbia e perci
non avrebbero saputo neppure dirmi di che parlavo. No, dovevo rivolgermi a qualcuno che fosse
istruito e che conoscesse le Scritture.
Mentre prendevo in considerazione quel fatto, mi venne un'idea inaccettabile. Scacciai subito quel
pensiero. Era proprio l'ultimo posto, dove sarei andata in cerca di aiuto.
Ma quel nome ritorn alla mia mente cos insistentemente che alla fine suonai per chiamare
Manzur.

"Preparami la macchina". E subito dopo, aggiunsi: "La guider io".


Manzur spalanc gli occhi. "Voi?".
"S, se non ti dispiace". Se ne and a malincuore. Ero uscita raramente con la macchina cos tardi di
sera. Durante la IIa guerra mondiale ero stata un ufficiale dell'Esercito Reale Indiano, divisione
donne ed avevo guidato ambulanze e macchine per i pi alti gradi dell'esercito, per migliaia di
miglia e su ogni tipo di terreno. Ma in tempo di guerra era un'altra cosa ed oltretutto ero sempre in
compagnia di qualcuno. Non ci si aspettava che la figlia della casta Nawab, guidasse l'auto, in tempi
normali e tanto meno di notte!
Ma non potevo, d'altra parte, rischiare che Manzur venisse a sapere quel che stavo per fare; volevo
evitare i conseguenti pettegolezzi della servit. Ero convinta che esistesse solo una fonte, da cui
attingere le risposte alle mie domande: Chi era Giovanni Battista? Cos'era quel profumo che
sentivo?
Cos, con una certa riluttanza, quella sera mi recai a casa di una coppia che conoscevo appena: il
Reverendo David Mitchell e sua moglie. Erano venuti a vedere il mio giardino quell'estate. Essendo
missionari cristiani, erano proprio le ultime persone che avrei voluto incontrare...
Capitolo 4
L'INCONTRO
La mia Mercedes nera era pronta nel viale. Manzur mi stava aspettando davanti allo sportello, che
manteneva chiuso per evitare che il fresco pungente di quella sera d'autunno penetrasse nell'auto. I
suoi occhi scuri e penetranti avevano un'aria interrogativa. Non parl. Salii nell'auto calda e
confortevole, mi sistemai al volante e partii con le ombre della sera, la Bibbia sul sedile a fianco a
me.
Ognuno sapeva dove viveva l'altro, nel piccolo villaggio di Wah. La casa dei Mitchell si trovava
all'ingresso di una fabbrica che produceva cemento, da cui la mia famiglia traeva parte della sua
rendita. Era servito come centro per una piccola insolita comunit, a circa cinque miglia dalla citt.
Le case erano state costruite come quartieri provvisori per le truppe britanniche, durante la IIa
guerra mondiale. Mi ritorn in mente che, in una delle poche volte che mi ero avventurata in quella
zona, avevo notato che le case, tutte uguali e senza stile, avevano perso gran parte dell'intonaco e
che i tetti di lamiera mostravano i segni di diverse riparazioni. Mentre guidavo sentii in me un senso
di aspettazione e paura miste insieme. Non ero mai stata prima in una casa di missionari cristiani.
Ero fiduciosa che avrei conosciuto l'identit del mio uomo misterioso: Giovanni Battista. Eppure
temevo una certa - come dire - 'influenza' da parte di coloro che avrebbero risposto alle mie
domande.
Che cosa avrebbero pensato i miei antenati di questa visita ad un missionario cristiano? Pensavo, ad
esempio, al mio bisnonno che aveva accompagnato il famoso generale britannico Nicholson
attraverso il passo Khyber, in una delle guerre dell'Afganistan. Questa visita avrebbe procurato
vergogna alla mia famiglia! Avevamo sempre associato i missionari con i poveri e gli emarginati.
Cercavo di figurarmi un'ipotetica conversazione fra me ed uno dei miei zii, mentre io mi difendevo,
raccontandogli i miei sogni strani. "Dopo tutto", concludevo nella scena che raffiguravo nella mia
mente, "ognuno vorrebbe scoprire il significato di quei sogni cos vivi e reali".
Man mano che mi avvicinavo al quartiere, dove abitavano i Mitchell, mi ricordavo sempre pi del
posto, nonostante la luce tenue che rischiarava le case, che apparivano una simile all'altra. Dopo
aver girato per vie e viottoli, finalmente trovai la casa dei Mitchell, in prossimit della fabbrica di
cemento, proprio dove immaginavo che fosse: una casa piccola ad un piano, imbiancata a calce,
circondata da piante di gelso. Come precauzione volevo parcheggiare l'auto ad una certa distanza
per sottrar-mi agli sguardi indiscreti. Avevo troppo timore delle reazioni della mia famiglia. Invece
mi fermai proprio di fronte alla casa, presi la Bibbia e mi diressi in fretta verso l'abitazione. Notai
che il cortile era pulito e la verandina ben tenuta. Almeno - pensai tre me - questi missionari si

prendono cura della propriet!


All'improvviso la porta di casa si apr ed usc un gruppo di donne, in fila, che chiacchieravano ad
alta voce. Erano vestite con il tipico shalwar qamiz, una specie di pigiama ampio di cotone, con una
dupatta (sciarpa). M'irrigidii. Mi avrebbero certamente riconosciuta; quasi tutti a Wah mi
conoscevano. Adesso il fatto sarebbe stato reso noto: la Begum Sheikh aveva fatto visita a dei
missionari cristiani!
Difatti, appena le donne mi scorsero, alla luce che filtrava dalla porta dei Mitchell, smisero
all'improvviso di chiacchierare. Si diressero in fretta verso la strada e ciascuna di esse, nel passarmi
accanto, si tocc la fronte con la mano, nel saluto tradizionale. Non potevo far altro che proseguire
verso la porta, dove la signora Mitchell stava scrutando nell'oscurit. Guardandola pi da vicino
notai che era proprio come me la ricordavo quando l'avevo vista ad una certa distanza: giovane,
pallida, dall'aspetto fragile. Adesso indossava per uno shalwar qamiz come le donne del villaggio.
Appena mi vide apr la bocca ma non riusc a dire altro che: "Come mai... Begum Sheikh! Che
cosa! Ma... entrate, prego entrate".
Fui contenta d'infilarmi in casa, lontano dagli sguardi indiscreti delle donne del villaggio, che
sapevo erano fissi alle mie spalle. Andammo nel soggiorno, una stanza piccola, ammobiliata
semplicemente. La signora Mitchell prese quella che sembrava la sedia pi comoda e me l'avvicin
al camino acceso. Lei non si sedette, rimase in piedi, intrecciandosi nervosamente le dita. Rivolsi lo
sguardo alle sedie messe in circolo, al centro della stanza. La signora Mitchell mi spieg che aveva
appena terminato uno studio biblico con alcune donne locali. Poi toss imbarazzata. "Uh! vorreste
una tazza di t?" disse, tirandosi indietro i capelli.
"No grazie", risposi. "Sono venuta per fare una domanda". Mi guardai attorno. "Il Reverendo
Mitchell a casa?".
"No, in viaggio per l'Afganistan".
Mi dispiacque veramente. La donna che mi stava davanti era cos giovane! Sarebbe stata in grado di
rispondere alle mie domande?
Arrischiai una domanda: "Signora Mitchell, sapreste dirmi qualcosa su Dio?".
Si lasci cadere su una sedia e mi guard in modo strano; l'unico rumore che si sentiva nella stanza
era lo scoppietto della fiamma nel camino.
Rispose con calma, "Mi dispiace, non so molto su Dio, ma posso dirvi che Lo conosco".
Che asserzione straordinaria! Come potrebbe una persona avere la pretesa di conoscere Dio
intimamente! La maniera confidenziale di trattare della donna, m'ispir fiducia. Prima che io stessa
me ne rendessi conto, mi ritrovai a raccontarle del mio sogno sul profeta Ges e sull'uomo chiamato
Giovanni Battista. Stranamente, non riuscivo a controllare il tono della voce, mentre le raccontavo
la mia esperienza. Parlandole, sentivo la stessa eccitazione che avevo provato in cima a quella
montagna. Dopo aver descritto il sogno, mi rilasciai, appoggiandomi alla spalliera.
"Signora Mitchell, ho sentito parlare di Ges, ma chi Giovanni Battista?".
La signora batt le palpebre ed aggrott le sopracciglia. Avvertii che stava quasi per chiedermi se
veramente non avevo mai sentito parlare di Giovanni Battista, ma si trattenne e si accomod di
nuovo sulla sedia. "Beh! Begum Sheikh, Giovanni Battista era un profeta, un precursore di Cristo
Ges; predicava il ravvedimento e fu mandato a prepararGli la strada. Era colui che additando Ges
disse: 'Ecco l'Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo'. Fu anche colui che battezz Ges".
Perch il mio cuore ebbe un sussulto alla parola "battezz"? Sapevo poco dei cristiani, ma tutti i
musulmani avevano sentito parlare della loro strana cerimonia del battesimo. Il mio pensiero vol a
tutte le persone che erano state assassinate, dopo essersi fatte battezzare. E tutto questo accadeva
sotto il governo britannico, quando si supponeva vi fosse libert di religione. Fin da bambina avevo
sempre associato quei due fatti: musulmano battezzato, musulmano ammazzato.
"Begum Sheikh?".
Alzai lo sguardo. Quanto a lungo eravamo rimaste sedute in silenzio? "Signora Mitchell", dissi, con
la gola che mi si stringeva, "dimenticate per un attimo che sono musulmana. Ditemi sinceramente:
che cosa intendevate quando avete detto di conoscere Dio?".

"Conosco Ges", rispose, e sentivo che in cuor suo aveva risposto alla mia domanda.
Poi mi raccont quel che il Signore aveva fatto per lei personalmente e per il mondo intero,
abbattendo l'insormontabile barriera tra l'uomo peccatore e Dio stesso, manifestandosi in questo
mondo in forma umana, come Ges, e morendo per tutti noi sulla croce.
La stanza divent nuovamente silenziosa. Potevo sentire gli automezzi che passavano lungo la
strada nazionale. La signora Mitchell sembrava non aver fretta, mentre parlava. Finalmente,
credendo a stento alle mie orecchie, tirai un lungo respiro e dissi in modo chiaro e distinto, "Signora
Mitchell, in questi ultimi tempi sono accadute delle cose strane a casa nostra. Degli eventi spirituali
sia buoni che cattivi. Mi sento come se mi trovassi nel mezzo di un tiro alla fune; ho bisogno di
tutto l'aiuto possibile che sia in grado di ricevere. Potreste pregare per me?".
La donna sembr molto sorpresa alla mia richiesta, poi si riprese e mi chiese se volevo pregare in
piedi, seduta o in ginocchio. Mi strinsi nelle spalle, ero comunque inorridita! Erano tutte proposte
inammissibili... Ma quella donna snella e giovane s'inginocchi sul pavimento ed io ... la seguii.
"O Spirito di Dio", disse la signora a voce bassa. "Io so che nulla di quel che dir riuscir a
convincere Begum Sheikh di chi Ges. Ma io Ti ringrazio che Tu togli il velo dai nostri occhi e
che riveli Ges ai nostri cuori. O Spirito Santo, fa' questo per Begum Sheikh. Amen".
Restammo in ginocchio per un tempo che mi sembr eterno. Ero contenta di stare in silenzio perch
il mio cuore si era stranamente riscaldato.
Finalmente ci alzammo. " una Bibbia, signora Sheikh?" mi chiese, facendo cenno col capo al
piccolo libro che tenevo ben stretto al petto, in una mano. Glielo mostrai. "Lo trovate facile da
capire?" mi domand.
"Veramente no", risposi. " una vecchia traduzione e non riesco a seguirla bene".
And nella stanza a fianco e ritorn con un altro libro.
"Ecco un Nuovo Testamento scritto in inglese moderno" disse. " la traduzione di Phillips. La trovo
pi facile da seguire delle altre. Lo vorreste?".
"S", rispose senza esitare.
"Incominciate con il Vangelo di Giovanni", mi sugger, aprendo il libro e mettendoci un foglio di
carta come segnalibro. "Questo un altro Giovanni, ma rende molto chiaro il ruolo di Giovanni
Battista".
"Grazie" dissi commossa. "Penso proprio di avervi trattenuta a lungo".
Mentre mi accingevo ad andarmene la signora Mitchell disse: "Sapete che veramente interessante
che un sogno vi abbia condotta fin qui. Dio spesso parla ai Suoi figliuoli in sogni e visioni".
Mentre mi aiutava ad indossare il cappotto, mi chiedevo se potevo condividere con lei l'altro sogno.
Quello sul venditore di profumo. Sembrava cos... bizzarro. Ma come era gi accaduto altre volte in
quella stessa serata mi sentii ripiena di un coraggio e di un ardire che sembrava venire dal di fuori.
"Signora Mitchell, potreste dirmi se vi alcuna relazione tra Ges ed il profumo?".
Ci pens su per un attimo, la mano sulla maniglia della porta. "No", disse. "Non riesco a trovarne
nessuna. Ad ogni modo fatemici pregare su".
Mentre guidavo l'auto, diretta verso casa, avvertii per la seconda volta nella giornata quella
Presenza profumata che avevo sentito in giardino.
Ritornata a casa, quella sera lessi un po' del Vangelo di Giovanni, il passo in cui lo scrittore parla di
Giovanni Battista: quest'uomo stranamente vestito di pelo di cammello, che viveva nel deserto e che
ne era uscito per preparare il popolo alla venuta del Signore. E l, nella sicurezza della mia propria
camera, seduta sul divano, circondata dai ricordi e da tradizioni vecchie di sette secoli, mi venne
alla mente un pensiero spontaneo, non voluto, che respinsi in fretta. Se Giovanni Battista era un
segno da parte di Dio, che guidava a Ges, questo stesso uomo stava guidando anche me a Ges?
Il pensiero naturalmente era insostenibile. Lo scacciai dalla mente ed andai a dormire.
Quella notte dormii profondamente.
Quando il muezzin chiam per la preghiera, il mattino seguente, mi sentii sollevata nel constatare
che vedevo le cose di nuovo chiaramente. Che pensieri strani mi si erano affacciati alla mente la
sera prima! Ma ora che il muezzin mi ricordava dov'era riposta la verit, mi sentii di nuovo al

sicuro, lontano da quelle influenze cristiane che interferivano.


Raisham arriv proprio in quel momento, non con il solito t ma con un biglietto, che mi rifer, era
stato consegnato a mano.
Era da parte della signora Mitchell. Tutto quel che diceva era: "Leggete II Corinzi capitolo 2 verso
14".
Presi dal comodino il Nuovo Testamento che lei stessa mi aveva dato e cercai fino a che trovai il
capitolo ed il verso. Mentre leggevo, trattenni il fiato: "Ma grazie siano rese a Dio che sempre ci
conduce in trionfo in Cristo, e che per mezzo nostro spande da per tutto il profumo della sua
conoscenza".
Mi sedetti in mezzo al letto e rilessi il passo, la mia calma di un attimo prima era svanita. La
conoscenza di Ges si spande come un buon profumo! Il venditore del mio sogno aveva messo
l'anfora d'oro con l'essenza sul mio comodino dicendo che il suo profumo "si sarebbe sparso in tutto
il mondo". La mattina seguente avevo trovato la mia Bibbia nello stesso posto dov'era stato messo il
profumo! Era tutto fin troppo chiaro. Non volevo pi pensarci. Dovevo suonare per il t, ecco quel
che dovevo fare. Suonare per il t e riprendere al pi presto la mia vita di sempre, prima che
qualcos'altro sopraggiungesse.
Anche se la signora Mitchell mi aveva invitata a ritornare a casa sua, sentivo che era meglio non
andarci. Mi sembr una decisione logica e sensata quella d'investigare prima le Scritture per conto
mio. Non volevo essere influenzata in alcun modo.
Un giorno Nur-jan si precipit nella mia stanza con una strana luce negli occhi. "Sono venuti il
Reverendo Mitchell e la signora" farfugli.
Mi portai una mano alla fronte. Perch erano venuti qui? Mi stupii. Per mi ricomposi subito e dissi
alla cameriera di farli accomodare in salotto.
David Mitchell, un uomo alto e magro, con tante rughe intorno agli occhi emanava lo stesso calore
umano di sua moglie. I due sembravano cos contenti di vedermi che dimenticai l'incomodo che mi
avevano procurato, venendo a casa mia. La signora Mitchell mi prese tutte e due le mani, poi
all'improvviso mi abbracci. Ero sbalordita. Nessuno, all'infuori dei miei familiari, nemmeno le mie
amiche pi intime, mi aveva mai abbracciata prima. M'irrigidii, ma la signora Mitchell non sembr
dare importanza alla mia reazione. In retrospettiva, devo ammettere che quell'effusione di affetto mi
fece piacere. Non poteva esserci stata affettazione nel suo saluto.
"Sono tanto contento di conoscere la 'Signora dei fiori'" esclam David con un gioviale accento
americano.
Lanciai un'occhiata alla signora Mitchell e lei rise. "Ora vi spiego" disse. "Quando veniste a casa
nostra, volevo telegrafarlo subito a David, dato che avevamo spesso parlato di voi, da quando
eravamo venuti a vedere il vostro giardino, la primavera scorsa. Per cautela per non volevo usare il
vostro vero nome. Mentre mi chiedevo come fare riferimento a voi nel telegramma, guardai dalla
finestra e vidi i bei fiori che erano spuntati dai semi che ci aveva dato il vostro giardiniere. Mi
venne in mente il nome: 'Signora dei fiori' e questo divent il nostro nome in codice per indicarvi".
Risi. "S, ma da ora in poi potete chiamarmi Bilquis".
"E voi, per favore", disse, "chiamatemi Synnove".
Fu una strana visita. Mi aspettavo una certa pressione da parte dei Mitchell, ad accettare la loro
religione, ma non accadde nulla del genere. Prendemmo una tazza di t e chiacchierammo insieme.
Domandai perch Ges veniva chiamato "Figlio di Dio". Per i musulmani non esiste peccato pi
grande di una simile asserzione. Il Corano afferma e ribadisce che Dio non ha figli. "E per quanto
riguarda la 'Trinit'" chiesi, "Dio identificato in tre persone?".
David mi rispose paragonando Dio al sole, che si manifesta in tre energie produttive: calore, luce e
radiazione, un triplice rapporto che nell'insieme formano il sole, ma preso singolarmente non il
sole. Dopo poco tempo se ne andarono.
Mi ritrovai nuovamente sola, alle prese con il Corano e la Bibbia. Continuai a leggerli entrambi, per
diversi giorni. Studiavo il Corano perch era stato il dovere e l'abitudine di tutta la mia vita, ma
investigavo la Bibbia per un'indefinibile fame interiore.

Eppure, a volte, mi trattenevo dal prendere la Bibbia. Sentivo che Dio non poteva trovarsi in
ambedue i libri, perch i loro messaggi erano cos diversi. Ma quando la mia mano esitava, nel
prendere il libro che la signora Mitchell mi aveva dato, provavo allora un certo disappunto. In
quest'ultima settimana avevo vissuto in un meraviglioso mondo irreale, che non aveva niente a che
vedere con l'altro mio mondo - il giardino creato da me con semi ed acqua; questo invece era un
giardino interiore creato da una nuova conoscenza spirituale. Ero penetrata per la prima volta in
questo mondo meraviglioso per mezzo dei miei due sogni; ne ero venuta di nuovo a conoscenza
nella notte che incontrai quell'indefinibile gloriosa Presenza nel mio giardino. L'avevo avvertito
un'altra volta quando avevo obbedito all'impulso che mi aveva spinta a far visita ai Mitchell.
Nei giorni seguenti, lentamente ma chiaramente, cominciai a rendermi conto che c'era una via per
far ritorno al mio mondo ideale. La lettura di quel libro cristiano sembrava, per motivi che non
riuscivo a capire, la chiave per il mio rientro in quel mondo.
Un giorno il piccolo Mahmud venne da me, con una mano sull'orecchio e trattenendo a stento le
lacrime, disse con voce di pianto: "Il mio orecchio, mamma, mi fa male".
Mi chinai per osservarlo meglio. Il viso roseo si era impallidito. Per quanto Mahmud fosse un
bambino che non si lamentava tanto facilmente, potevo scorgere tracce di lacrime sulle sue
guancine paffute.
Lo misi subito a letto e cominciai a canticchiare la ninnananna: i capelli gli si erano appiccicati al
guanciale per il sudore. Appena si addorment andai a telefonare all'Ospedale 'Holy Family' a
Rawalpindi. Qualche minuto dopo potei parlare con Tooni. Fu subito d'accordo a far visitare
accuratamente Mahmud in ospedale, il pomeriggio del giorno dopo. Io mi sarei sistemata in una
stanza a fianco a Mahmud ed una persona di servizio avrebbe occupato una stanzetta adiacente alla
mia.
Fu soltanto verso sera che riuscimmo a trovare una sistemazione confortevole. Tooni aveva la serata
libera da trascorrere con noi. Mahmud si mise a ridere e scherzare con sua. madre, mentre colorava
le figurine di un album che lei gli aveva portato. Io mi ero sdraiata sul letto per leggere la Bibbia.
Avevo portato anche il Corano con me, ma lo leggevo pi per un senso di dovere che per interesse.
All'improvviso le luci tremolarono e poi si spensero. La stanza rimase al buio.
"Manca di nuovo l'energia elettrica", dissi seccata. "Ci sono candele?".
In quel momento la porta si apr ed una suora entr con una pila. "Spero che non vi disturbi
l'oscurit", disse con una voce allegra. "Tra poco porteranno le candele". Riconobbi dalla voce la
dottoressa Pia Santiago, una filippina dall'aspetto gracile, con gli occhiali. Dirigeva l'ospedale.
C'eravamo gi incontrate in precedenza, seppure per poco tempo. Quasi subito entr un'altra suora
con le candele e di l a poco una tenue luce illumin la stanza. Mahmud e Tooni ripresero il loro
gioco ed io rimasi a conversare con la dottoressa Santiago. Non potevo fare a meno di notare il
modo in cui fissava la mia Bibbia.
"Vi dispiace se mi siedo un poco qui con voi?" mi chiese.
"No, mi fa piacere", risposi, ritenendo la sua una visita di cortesia. And a sedersi su una sedia
vicino al mio letto, facendo un fruscio col suo abito bianco.
"Oh!" disse, togliendosi gli occhiali e passandosi un fazzoletto sulla fronte. " stata veramente una
serata laboriosa".
Provai simpatia per lei. I musulmani hanno rispetto per queste sante donne che abbandonano il
mondo per servire il loro Dio; possono errare nella fede, ma la loro sincerit autentica.
Chiacchierammo per un po', ma man mano che conversavamo, potevo avvertire che la suora aveva
qualcosa in mente. Era la Bibbia. Potevo scorgere le occhiate che lanciava al libro, con crescente
curiosit. Infine si pieg in avanti e con tono confidenziale mi chiese, "Signora Sheikh, cosa fate
con la Bibbia?".
"Sono ardentemente alla ricerca di Dio", risposi. E cos, mentre le candele si consumavano
lentamente, le raccontai, con una certa prudenza al principio poi sempre con pi coraggio, dei miei
sogni, della mia visita alla signora Mitchell e del mio continuo confronto tra la Bibbia e il Corano.
"Qualsiasi cosa accada", accentuai, "devo trovare Dio, ma mi sento confusa per quanto riguarda la

vostra fede", dissi, rendendomi conto che proprio mentre parlavo, stavo mettendo il dito su qualcosa
d'importante. "Mi sembra che voi rendiate Dio cos... non so... personale!".
Gli occhi della piccola suora si riempirono di compassione, mentre si chinava verso di me
dicendomi con voce emozionata: "Signora Sheikh, c' solo un modo per conoscere il perch.
quello di cercare da sola, anche se pu sembrarvi strano. Perch non pregate quel Dio che state
cercando? ChiedeteGli di mostrarvi la Sua via. ParlateGli come se fosse un vostro amico".
Sorrisi. Poteva anche suggerirmi di parlare al Taj Mahal! Ma proprio allora la dottoressa Santiago
disse qualcosa che mi scosse tutta come se fossi stata attraversata da una scarica elettrica. Si fece
pi vicino e mi prese una mano nelle sue, mentre le lacrime le scendevano gi per le guance.
"ParlateGli", disse molto piano, "come se fosse vostro padre".
Mi raddrizzai di colpo. Un silenzio di tomba pesava sulla stanza. Si era interrotta anche la
conversazione di Mahmud e Tooni. Fissavo la suora alla luce della candela che si rifletteva sui suoi
occhiali.
Parlare a Dio come se fosse mio padre! Il pensiero mi turb l'animo in quello strano modo che ha la
verit di essere sorprendente e confortante allo stesso tempo.
Poi, come per intesa, ricominciammo a parlare tutti insieme ed allo stesso momento. Tooni e
Mahmud si misero a ridere e decisero che il parasole doveva essere colorato di violetto. La
dottoressa Santiago sorrise, si alz, ci augur ogni bene e sollevando appena l'orlo dell'abito da
terra, lasci la stanza.
Non fu detto nient'altro sulla preghiera n sul cristianesimo. Eppure mi girai e rigirai nel letto per
tutto il resto della notte e la mattina seguente mi sentivo stordita. Ci che rese quell'esperienza
particolarmente misteriosa fu che i medici non trovarono niente di anormale a Mahmud e d'altra
parte il bambino continuava a dire che l'orecchio non gli faceva male neppure un po'. Al principio
mi sentii seccata per tutto il tempo perduto ed il fastidio procuratomi. Poi mi venne il pensiero che
forse - dico forse - il Signore, in maniera misteriosa, aveva colto quell'occasione per mettermi in
contatto con la dottoressa Santiago.
Nella tarda mattinata Manzur ci ricondusse a Wah. Appena lasciammo la strada nazionale per
imboccare quella che conduce alla nostra propriet potei scorgere, attraverso gli alberi, il tetto
grigio di casa mia. Di solito non vedevo l'ora di tornare a casa, per ritirarmi dal mondo; oggi per
mi sembrava diverso, come se l mi fosse dovuto accadere qualcosa di particolare.
Mentre percorrevamo il lungo viale, Manzur suon il clacson. I servitori corsero fuori e
circondarono l'auto. "Come sta il bambino?" chiesero tutti in una volta.
Li rassicurai che Mahmud stava bene. La mia mente per era lontano. Non riuscii a prender parte
alle loro cerimonie per il nostro ritorno a casa. Pensavo piuttosto a questa nuova via che menava a
Dio. Salii nella mia camera per pensare a tutto quanto era accaduto. Ero certa che nessun
musulmano aveva mai pensato ad Aliati come ad un padre. Mi era stato detto, fin da bambina, che
la maniera migliore per conoscere Allah era di pregare cinque volte al giorno, studiare e meditare il
Corano. Eppure le parole della dottoressa Santiago mi tornarono di nuovo alla mente. "Parlate a
Dio. ParlateGli come se fosse vostro padre".
Sola, nella mia stanza, mi misi in ginocchio e cercai di rivolgermi al Signore, chiamandoLo 'Padre'.
Fu un tentativo inutile, mi rialzai sgomenta. Era semplicemente assurdo. Oltretutto non era peccato
cercare di far abbassare l'Eterno al nostro livello? Quella notte mi addormentai pi confusa e
disorientata che mai.
Mi svegliai qualche ora dopo. Era passata la mezzanotte, era ormai il 12 Dicembre, il giorno del
mio compleanno. Avevo 47 anni. Provai un'eccitazione momentanea, un ritorno alla mia infanzia,
quando i compleanni erano giorni di festa con giochi, un'orchestra ad archi che suonava sul prato e
parenti che andavano e venivano per tutto il giorno. Oggi non ci sarebbe stata alcuna festa, forse
qualche telefonata, ma niente di pi.
Quanto rimpiangevo quei giorni della mia infanzia! Pensai ai miei genitori, che amavo ricordare pi
di tutti gli altri. Mia madre cos amorevole, regale e bella. E mio padre. Ero cos orgogliosa di lui,
delle alte cariche che occupava nel governo indiano. Potevo raffigurarmelo ancora chiaramente:

vestito impeccabilmente, mentre si aggiustava il turbante davanti allo specchio, prima di uscire per
andare all'ufficio. Lo sguardo benevolo sotto le sopracciglia folte, il sorriso dolce, i lineamenti
finemente cesellati, il naso aquilino.
Uno dei miei ricordi pi cari era quello di vederlo al lavoro, nel suo studio. Pur vivendo in una
societ in cui i figli maschi sono tenuti in pi alta considerazione rispetto alle femmine, mio padre
considerava i figli in maniera imparziale. Spesso, da bambina, capitava che avevo qualcosa da
domandargli e cos sbirciavo attraverso la porta aperta del suo studio, incerta se interromperlo.
Allora il suo sguardo incrociava il mio. Posando la penna, si appoggiava allo schienale della sedia e
mi chiamava "Keecha?". Entravo allora piano nello studio, con la testa bassa. Mi sorrideva ed
indicandomi la sedia a fianco a lui mi diceva: "Vieni, mia cara, siediti qui". Poi mettendomi un
braccio intorno alle spalle, mi avvicinava a s. "Dimmi, piccola Keecha, cosa posso fare per te?" mi
chiedeva in tono affettuoso.
Era sempre cos con mio padre. Non si dispiaceva quando lo disturbavo. Ogni qualvolta avevo una
domanda da fargli od un problema da sottoporgli, per quanto occupato potesse essere, metteva da
parte il suo lavoro e mi rivolgeva la sua piena attenzione.
Era passata da un bel po' la mezzanotte quando mi distesi a letto, assaporando quel bel ricordo. "Oh,
grazie..." mormorai al Signore. Stavo veramente parlando con Lui?
Improvvisamente sentii un gran senso di fiducia dentro di me. Supponendo - soltanto supponendo che Dio fosse come un padre, allora, se il padre mio terreno metteva ogni cosa da parte per
ascoltarmi, non l'avrebbe fatto anche il Padre mio celeste...?
Sentendomi fremere per l'eccitazione, mi alzai dal letto, mi misi in ginocchio e rivolgendo lo
sguardo verso l'alto, in una nuova, ricca consapevolezza chiamai Dio "Padre mio".
Non ero preparata a quanto poi accadde.
Capitolo 5
IL BIVIO
"Oh Padre, Padre mio... Padre eterno".
Con esitazione pronunziai il Suo nome ad alta voce. Provai a rivolgermi a Lui in diversi modi. Ad
un tratto sentii come se si fosse aperto un varco dentro di me. Credetti che Egli potesse veramente
ascoltarmi, proprio come aveva sempre fatto il padre mio terreno.
"Padre, o Dio Padre" esclamai con maggiore confidenza. Il tono della mia voce mi sembr
insolitamente alto, in quella grande stanza, mentre stavo inginocchiata sul tappeto, a fianco al letto.
All'improvviso la stanza non fu pi cos vuota. Egli era l. Potevo avvertire la Sua presenza. Potevo
sentire la Sua mano poggiata affettuosamente sulla mia testa. Mi sembrava di poter vedere i Suoi
occhi, pieni di amore e compassione. Era cos vicino che mi ritrovai ad appoggiare la testa sulle Sue
ginocchia, come fa una bambina, seduta ai piedi di suo padre. Rimasi cos inginocchiata per molto
tempo, singhiozzando sommessamente, ripiena del Suo amore. Mi sorpresi a parlare con Lui,
scusandomi per non averLo conosciuto prima. E nuovamente, sentii quella Sua amorevole
compassione, che mi ricopriva tutta, avvolgendomi come in una coperta calda.
Soltanto allora mi resi conto che era la stessa amorevole Presenza che avevo avvertito quel
pomeriggio in giardino, quando ne avevo sentito anche il profumo tutt'intorno a me - la stessa
Presenza che avvertivo spesso nel leggere la Bibbia.
"Mi sento confusa, Padre..." dissi. "Devo prendere un momento una cosa". Raggiunsi il comodino,
dove tenevo la Bibbia ed il Corano uno a fianco all'altro. Li presi e li sollevai, uno in ciascuna
mano. "Quale dei due, Padre?" dissi. "Quale di questi il Tuo libro?".
In quell'istante accadde una cosa straordinaria. Non mi era mai capitato prima niente di simile.
Sentii difatti una voce dentro di me, una voce che mi parlava chiaramente come se io stessi
ripetendo delle parole nel mio intimo. Erano parole nuove, piene di dolcezza eppure allo stesso
tempo piene di autorit.

"In quale libro Mi hai riconosciuto come tuo Padre?".


Risposi prontamente: "Nella Bibbia". Questo fu tutto. Adesso nella mia mente non c'erano pi
quesiti su quale fosse il Suo libro. Guardai l'orologio e rimasi sorpresa nel constatare che erano
trascorse tre ore. Eppure non mi sentivo stanca. Desideravo continuare a pregare, desideravo
leggere la Bibbia, perch sapevo adesso che il Padre mio avrebbe parlato per mezzo di essa. Andai a
letto solo quando non potei pi farne a meno. L'indomani mattina presto dissi alle mie cameriere
che non volevo essere disturbata; presi di nuovo la Bibbia e mi distesi sul divano. Cominciando da
Matteo, lessi tutto il Nuovo Testamento, parola per parola.
Rimasi impressionata dal fatto che Dio aveva parlato al Suo popolo per mezzo di sogni *. Nella
prima parte del Vangelo di Matteo, questo fatto accadde ben cinque volte! Il Signore parl a
Giuseppe in favore di Maria. Mise in guardia i Magi verso Erode e per altre tre volte guid
Giuseppe riguardo alla protezione del bambino Ges.
Non riuscii a trovare abbastanza tempo per leggere tutta la Bibbia. Ogni cosa che leggevo sembrava
indicarmi di camminare pi strettamente vicino al Signore.
* Vedi l'Appendice alla fine del libro.
Mi trovai al grande bivio. Fino allora avevo incontrato personalmente Dio Padre. Ora sentivo nel
mio cuore che dovevo darmi completamente al Suo figliuolo Ges oppure voltargli le spalle del
tutto.
Sapevo con certezza che coloro che amavo mi avrebbero messo sull'avviso di voltare le spalle a
Ges. Mi venne in mente il ricordo di una giornata speciale, eccezionale, quando anni addietro, mio
padre mi aveva accompagnata alla nostra moschea di famiglia. Eravamo solo noi due. Entrati nella
sala dalla volta slanciata, mio padre prendendomi per mano mi disse con molto orgoglio e
consapevolezza che ben venti generazioni della nostra famiglia si erano riunite l per adorare. "Che
privilegio hai, mia piccola Keecha, di far parte di quest'antica verit".
Pensai allora a Tooni. Questa giovane donna aveva gi abbastanza preoccupazioni. E c'erano poi gli
altri miei figli: per quanto vivessero lontano, anche loro si sarebbero certamente dispiaciuti se 'fossi
diventata cristiana'. E poi c'era mio zio Fateh, che appariva tanto orgoglioso il giorno in cui avevo
compiuto quattro anni, quattro mesi e quattro giorni ed ero finalmente in grado d'iniziare a leggere il
Corano. E poi c'era la cara zia Amina e tutti gli altri parenti - un centinaio di "zii", "zie" e "cugini".
In Oriente la famiglia diventa biraderi, una sola comunit: ogni membro diventa responsabile verso
gli altri. Potevo danneggiare la mia famiglia in molti modi, compromettendo perfino le mie nipoti
nella loro scelta di matrimonio: sarebbe infatti pesata su di esse la mia decisione, se mi fossi unita
agli "spazzini".
Ma sopra ogni cosa mi preoccupavo per il mio nipotino Mahmud; che cosa gli sarebbe accaduto? Il
mio cuore ebbe un sussulto al pensiero del padre di Mahmud. Era un uomo molto volubile, che
sarebbe stato capace di togliermi il bambino se io fossi diventata cristiana, dimostrando che ero
chiaramente una persona instabile.
Quel pomeriggio, quando mi sedetti per leggere e meditare le Scritture nella quiete della mia stanza,
quei pensieri m'indurirono il cuore. All'improvviso mi resi conto del dolore che avrei inflitto agli
altri, non riuscivo a sopportarlo e mi alzai piangendo. Mi gettai uno scialle sulle spalle e nonostante
il freddo andai in giardino, nel mio rifugio, dove mi riusciva meglio pensare e meditare.
"O Signore", implorai mentre percorrevo il sentiero ghiaioso "vuoi veramente che lasci la mia
famiglia? Pu un Dio di amore volere che io infligga dolore agli altri?". E nel buio della mia
disperazione, quel che sentii furono le Sue parole, le parole che avevo appena lette in Matteo:
"Chi ama padre e madre pi di me, non degno di me; e chi ama figliuolo o figliuola pi di me,
non degno di me..." Matteo 10:37-38
Questo Ges non accettava compromessi. Non voleva mezzi termini. Le sue erano parole dure,

scomode, parole che non volevo sentire.


Basta! Non potevo pi sopportare il peso della decisione. Seguendo un impulso mi affrettai verso
casa, chiamai Manzur, il mio autista, poi annunziai alla governante, alquanto allarmata, che partivo
per Rawalpindi. Mi sarei trattenuta l per qualche giorno. Se ve ne fosse stato bisogno avrebbe
potuto raggiungermi da mia figlia. Manzur mi condusse a Rawalpindi, dove trascorsi alcuni giorni
di acquisti febbrili: giocattoli per Mahmud, profumi e sari per me. Non c' da sorprendersi se, nel
continuare con le mie follie, mi sentii allontanare sempre pi dalla Sua presenza rassicurante. Un
giorno, mentre un negoziante spiegava una stoffa sul banco e mi mostrava le pietre ricamate nel tessuto prezioso, ad un tratto vidi la forma di una croce nel disegno. Investii quasi il negoziante per
uscirmene in fretta. La mattina seguente ritornai a Wah, senza essermi ancora decisa se rimanere
musulmana o diventare cristiana.
Una sera, mentre mi riposavo seduta accanto al fuoco, presi di nuovo la Bibbia in mano. Mahmud
era a letto. Nel soggiorno era tutto tranquillo. Il vento in giardino faceva vibrare i vetri delle
finestre, il fuoco scoppiettava nel camino.
Avevo letto senza interruzione i Vangeli e gli Atti e quella sera ero arrivata all'ultimo libro della
Bibbia. Ero affascinata dall'Apocalisse, anche se riuscivo a capire ben poco. Leggevo come se fossi
guidata, mi sentivo stranamente fiduciosa. Tutto ad un tratto lessi una frase che mi fece girare la
stanza tutt'intor-no. Era il ventesimo verso del terzo capitolo dell'Apocalisse:
"Ecco, io sto alla porta e picchio: se uno ode la mia voce ed apre la porta, io entrer da lui e
cener con lui ed egli meco".
Cenare con Lui ed Egli con me! Rimasi senza fiato, il libro mi cadde in grembo.
Era quello il mio sogno, il sogno in cui Ges cenava con me! A quel tempo non avevo alcuna idea
di un libro chiamato Apocalisse. Chiusi gli occhi ed ancora una volta potei vedere Ges, che sedeva
con me dall'altra parte del tavolo. Potevo avvertire il Suo sorriso dolce, la Sua approvazione. Difatti
la gloria era anche l proprio com'era stato con il Padre. Era la gloria che apparteneva alla Sua
presenza!
Ora sapevo che quel sogno era venuto da parte di Dio. Il motivo era chiaro. Potevo accettarLo o
rifiutarLo. Potevo aprir Gli la porta e chiederGli di entrare per sempre, oppure chiuderGliela.
Dovevo prendere la mia decisione totale, ora, in un modo o nell'altro.
Mi decisi e m'inginocchiai davanti al fuoco.
"O Dio, non aspettare pi. Ti prego, entra nella mia vita. Ogni parte di me aperta a Te". Non
dovevo lottare o preoccuparmi di quel che sarebbe accaduto. Avevo detto S! Cristo era adesso
entrato nella mia vita ed io lo sapevo.
Provavo una sensazione di una bellezza sublime, indescrivibile. In pochi giorni avevo incontrato
Dio Padre e Dio Figlio. Mi alzai e mi preparai per andare a letto. La mia mente turbinava di
pensieri. Avrei osato fare un altro passo? Mi ricordai che nel libro degli Atti, alla Pentecoste, Ges
aveva battezzato i Suoi discepoli con lo Spirito Santo. Avrei seguito anch'io quell'esempio?
"Signore", dissi appena poggiai la testa sul cuscino, "Non ho nessuno che mi guidi, al di fuori di Te.
Se Tu vuoi che io riceva questo battesimo dello Spirito Santo, sappi che io voglio ci che Tu vuoi.
Sono pronta". Con la consapevolezza di essermi messa completamente nelle Sue mani, mi lasciai
prendere dal sonno.
Era ancora buio quella mattina del 24 dicembre 1966 quando mi svegliai in uno stato di profonda
aspettazione. Guardai le lancette fosforescenti del mio orologio: segnavano le 3 di notte. La stanza
era molto fredda, ma io mi sentivo bruciare dall'eccitazione.
Mi buttai fuori dal letto, lasciandomi cadere in ginocchio sul tappto. Guardai verso l'alto e mi
sembr di vedere una gran luce. Alzai le mani verso di Lui, mentre calde lacrime mi scorrevano sul
viso. Supplicando dissi: "O Dio Padre, battezzami col tuo Santo Spirito!".
Presi la Bibbia e l'aprii dove il Signore dice:

"Poich Giovanni battezz s con acqua, ma voi sarete battezzati con lo Spirito Santo fra non molti
giorni". Atti 1:5
"Signore", implorai, "se queste Tue parole sono vere, allora concedimi adesso questo battesimo". Mi
raggomitolai a faccia in gi sul pavimento gelido e tra i singhiozzi dissi: "Signore, non mi alzer
pi da terra fino a quando non mi avrai battezzata". All'improvviso provai timore e meraviglia allo
stesso tempo; in quella stanza silenziosa vidi la Sua faccia. Qualcosa mi fluttu dentro: onda dopo
onda di un oceano purificatore che si frangeva su di me, inondandomi tutta, dalla punta delle dita
dei piedi, purificandomi l'anima.
Poi i flutti impetuosi cominciarono a calare, l'oceano celeste si calm. Ero completamente
purificata. La gioia esplose dentro di me e cominciai a lodarLo e ringraziarLo.
Qualche ora pi tardi, sentii che il Signore mi sollev da terra. Voleva che mi alzassi. Guardai fuori
della grata della finestra e vidi che era quasi l'alba.
"O Signore", dissi coricandomi, "pu il paradiso, di cui Tu parli, essere pi bello di questo?
ConoscerTi gioia, adorarTi felicit, esserli vicino pace. Questo il vero paradiso!
Non credo che riuscii a dormire per pi di due ore quella mattina. Ben presto le mie cameriere
vennero per aiutarmi a vestire il sari. Per la prima volta, che io mi ricordi, non rivolsi loro alcun
rimprovero. C'era invece un'aria di calma e di pace nella stanza inondata dal sole. Raisham, mentre
mi spazzolava i capelli, canticchi addirittura una canzone, cosa che non aveva mai fatto prima.
Per tutto il giorno andai gironzolando per casa lodando in silenzio il Signore; riuscivo a stento a
contenere la gioia che era in me. A pranzo, Mahmud alzando la testa dal piatto delle focacce disse:
"Mamma, sei cos sorridente, che ti successo?". Gli andai vicino e gli scompigliai i capelli neri e
lucenti.
"Dategli dell'halwa", dissi alla cuoca. Questo piatto di frumento, burro e zucchero era il suo dolce
preferito. Dissi a Mahmud che avremmo celebrato il Natale a casa dei Mitchell.
"Natale?" disse Mahmud.
" una festa", risposi "un po' come il Ramadan". Mahmud sapeva a cosa mi riferissi. Ramadan era il
mese dell'anno musulmano, quando Maometto ricevette la sua prima rivelazione. Ogni anno, per
tutto quel mese, i musulmani digiunano ogni giorno dall'alba al tramonto fino a quando si sentono
risuonare i tamburi nelle moschee. Soltanto allora ci rimpinziamo di ghiottonerie, dolci, frutta,
frittelle di foglie di spinaci, melanzane cotte, succulenti kabobs. Ritenevo che il Natale sarebbe stato
un po' come il Ramadan. E fu proprio cos. Quando David ci apr la porta, si sentiva nell'aria un
buon odore di cucina.
"Entrate! Entrate!" disse, guidandoci verso il salotto addobbato a festa. In un angolo scintillava un
albero di Natale, mentre da un'altra stanza si sentiva il suono delle risate dei due ragazzini Mitchell,
poco pi grandi di Mahmud. Mahmud si un con piacere ai loro giochi.
Non riuscii a contenere pi a lungo la gioia che era in me. "David!" dissi, chiamandolo per nome
senza riflettere, "Sono una cristiana adesso! Sono stata battezzata nello Spirito Santo!".
Mi fiss per un attimo, poi mi chiese, spalancando i suoi occhi grigi: "Chi vi ha detto del battesimo
dello Spirito Santo?". Cominci a ridere di gioia ed a glorificare il Signore. Sentendo i suoi
"Alleluia!", Synnove si precipit dalla cucina. David mi chiese nuovamente: "Chi ve lo ha detto?".
"Ges me l'ha detto", risposi ridendo. "L'ho letto nella Bibbia, nel libro degli Atti; l'ho chiesto a Dio
e l'ho ricevuto".
Sia David che Synnove sembravano sconcertati. Poi all'improvviso mi si avvicinarono. Synnove mi
abbracci e scoppi in lacrime. Anche David fece lo stesso. Ed allora tutti e tre abbracciati l'uno
all'altro, glorificammo insieme Dio per quel che aveva fatto.
Quella sera iniziai un diario, in cui annotai tutte le cose meravigliose che il Signore stava facendo
per me. Se fossi morta - non potevo certo prevedere quel che mi sarebbe accaduto, una volta che si
sarebbe sparsa la notizia che ero diventata cristiana - volevo che rimanesse almeno quella
testimonianza della mia esperienza.
Quando sedevo alla scrivania per scrivere le mie esperienze, non mi rendevo conto che Egli si

apprestava ad istruirmi.
Capitolo 6
IMPARANDO A RICERCARE LA SUA PRESENZA
Mi aspettavano diverse sorprese nei giorni che seguirono il mio triplice incontro.
In primo luogo trovai che stavo facendo l'esperienza di sogni e visioni, completamente diversi per
dai due sogni precedenti, che avevano dato inizio a tutta quell'incredibile avventura. In effetti la mia
prima esperienza mi lasci piuttosto delusa. Un pomeriggio stavo riposando sul letto e pensavo al
mio Signore, quando all'improvviso sentii come se stessi volando fuori dalla finestra. Sono sicura
che non dormivo; uscii attraverso la grata della finestra e potei gettare uno sguardo in basso, a terra.
Mi spaventai tanto che gridai di paura e d'un tratto mi ritrovai di nuovo a letto. Mi distesi, un po'
intontita, respiravo affannosamente, sentivo un formicolo nelle gambe, come quando s'intorpidiscono gli arti e poi il sangue riprende a circolare bene.
"Che cos'era, Signore?" domandai. Mi resi conto allora che mi aveva fatto provare una nuova
esperienza. "Mi dispiace tanto, Signore", mi scusai, "ma Tu hai scelto una vigliacca...".
Quella sera, sul tardi, si ripet di nuovo. Questa volta per parlai a Dio per mezzo di
quell'esperienza e Gli dissi che non avevo paura. Quando ritornai nella stanza, passando attraverso
la finestra, riuscii solo a pensare al fatto che ero stata 'trasportata' in spirito. "Ma qual il Tuo
motivo, mio Signore?" chiesi.
Cercai nella Bibbia qualche verso che ne parlasse specificamente, dato che cominciavo a temere che
potesse essere qualcosa che non veniva da parte del Signore.
Sospirai di sollievo nel leggere negli Atti degli Apostoli (8:39) che lo Spirito del Signore,
all'improvviso, rap Filippo nella lontana citt di Azot, dopo ch'egli aveva battezzato l'eunuco
etiopico.
Ebbi un'ulteriore conferma quando lessi la seconda lettera di Paolo ai cristiani di Corinto. Nel
capitolo 12, parlando di visioni e rivelazioni da parte del Signore, scrive di essere stato 'rapito fino
al terzo cielo'. Egli sentiva che solo Dio sapeva se era o meno una vera esperienza fisica; anch'io
sentivo la stessa cosa, per quanto mi concerneva. Paolo aggiunge: "Quest'uomo ud parole ineffabili
che non lecito all'uomo di proferire". Udii anch'io parole che non posso ripetere, ma non
dimenticher mai le scene. In una di queste esperienze vidi un campanile che s'innalzava fino al
cielo; poi vidi davanti a me centinaia di chiese: nuove, vecchie, con stili architettonici diversi e poi
una bella chiesa d'oro. La scena cambi e vidi zone centrali di citt che scorrevano davanti ai miei
occhi: centri moderni e piazze di vecchi paesini. Era tutto cos chiaro! Potevo distinguere i
grattacieli, gli orologi dei campanili e degli edifici un po' antiquati, riccamente decorati.
Poi il mio cuore ebbe un sussulto quando vidi un uomo che cavalcava un cavallo rosso e nella sua
mano destra brandiva una spada; galoppava intorno alla terra sotto grandi masse di nuvole. A volte
s'innalzava fino a toccare con la testa le nuvole, altre volte gli zoccoli risplendenti del suo destriero
sfioravano la terra.
Non riuscii a togliermi dalla mente la sensazione che queste esperienze mi venivano date per una
particolare ragione ancora sconosciuta.
Leggendo le Scritture, mi resi conto che era un'esperienza completamente diversa da tutte le altre
volte che avevo letto la Bibbia. Mi accadde che mentre leggevo il Libro sacro, invece di limitarmi
alla sua lettura, lo vivevo addirittura! Era come se fossi balzata dalle sue pagine nell'antico mondo
di Palestina quando Ges camminava lungo le strade pietrose della Galilea. Lo guardavo mentre
Egli predicava ed insegnava, mentre viveva il suo messaggio nella vita di ogni giorno, di come
manifestava la potenza dello Spirito ed infine di quando and alla croce, passando vittoriosamente
attraverso l'esperienza della morte.
Scoprii inoltre, con mia sorpresa, che l'effetto della lettura della Bibbia, cominciava ad essere
avvertito dagli altri. Lo constatai di persona una mattina, mentre le cameriere preparavano la mia

toilette. Nur-jan stava sistemando i pettini e le spazzole di argento su un vassoio, quando


accidentalmente fece cadere tutto a terra. Si sent un gran fracasso. Nur-jan s'irrigid, spalanc gli
occhi; sapevo che si aspettava i miei soliti rimproveri. Per la verit, stavo quasi per farlo, quando mi
trattenni. Dissi invece "Non ti preoccupare, Nur-jan. Non si sono rotti".
Poi cominciai a provare un coraggio mai avuto in vita mia. Fino allora avevo avuto timore di far
sapere a chiunque del mio interesse per Cristo. Tremavo al solo pensiero delle feroci battute che
avrebbero fatto sulla 'Begum spazzina'. Ma mi preoccupavo ancora pi di essere messa al bando
dalla mia famiglia; il padre di Mahmud poteva anche tentare di prendersi il bambino. Ero inoltre
spaventata all'idea che qualche fanatico prendesse alla lettera l'ingiunzione: chi abbandona la
propria fede deve morire.
Perci non avevo tanto desiderio di farmi vedere a casa dei Mitchell. Ero ancora preoccupata per
essere stata vista da quel gruppo di donne, che uscivano dalla casa di David e Synnove, la prima
volta che andai da loro. I miei stessi servitori erano certamente a conoscenza che mi stava capitando
qualcosa d'insolito. Quando sommavo tutte queste cose insieme, mi sentivo in un continuo stato di
ansia; non sapevo difatti quando sarebbe iniziata la pressione nei miei riguardi.
Ma dopo il mio triplice incontro con Dio, un giorno feci un'ammissione che sorprese me stessa. Per
quanto ne sapessi, la mia decisione di diventare cristiana era ormai diventata di dominio pubblico.
Come dice la Bibbia io stavo confessando Ges con le mie labbra. "Bene", mi dissi un giorno,
mentre stavo alla finestra della mia camera da letto, "lascer che le conseguenze facciano il loro
corso".
Non mi aspettavo un esito cos immediato. Subito dopo Natale 1966, la cameriera del piano terreno,
con la fronte aggrotta-ta venne ad annunziarmi: "Begum, venuta la signora Mitchell".
"Ah s?" dissi, cercando di avere un tono informale, "Falla entrare". Il cuore mi batteva forte,
mentre andavo incontro alla mia ospite. "Sono tanto onorata di ricevere la tua visita", dissi,
assicurandomi che la cameriera che si trovava in fondo alla stanza, mi sentisse.
Synnove era venuta ad invitarmi a pranzo. "Ci saranno altre persone, che sono sicura avresti piacere
d'incontrare", disse.
Altri? Sentii come se un muro mi si parasse davanti. Synnove dovette cogliere uno sguardo di
esitazione nei miei occhi e cerc di rassicurarmi. "Molti sono cristiani", aggiunse. "Ci sono degli
inglesi e degli americani. Vuoi venire?" mi chiesecon occhi imploranti.
E naturalmente, con pi entusiasmo di quanto pensassi, risposi che ne sarei stata contenta.
Mi chiedevo perch tanti cristiani fossero cos spesso timidi! Avevo avuto contatto con altri cristiani
prima di allora; li avevo ospitati ai ricevimenti di stato, come moglie di un funzionario del governo.
I pranzi erano occasioni formali, serviti da camerieri in divisa, tovaglie di pizzo di Bruges, centri
tavola di fiori freschi; cerimonie lunghe con numerose portate, servita ognuna separatamente, in
porcellane cinesi del tipo Spode. Tra gli ospiti c'erano cristiani di diverse nazionalit, ma nessuno di
loro aveva mai parlato della propria fede, anche quando questa era argomento di conversazione.
Sentivo per che le persone che avrei incontrato dai Mitchell, non sarebbero state cos riluttanti.
Il giorno seguente andai in auto a casa dei Mitchell, percorrendo la strada che, ormai mi stava
diventando familiare. David e Synnove mi salutarono affettuosamente e mi presentarono ai loro
amici. Mi chiedo cosa avrei provato, a quel tempo, se avessi saputo del ruolo importante che alcuni
di loro avrebbero avuto nella mia vita.
La prima coppia presentatami furono Ken e Marie Old. Ken era inglese: aveva occhi azzurri,
ammiccanti dietro le lenti spesse. Era un ingegnere civile, dagli atteggiamenti informali, che vestiva
abiti altrettanto informali. Sua moglie Marie era un'infermiera americana, dall'aspetto pratico,
compensato da un bellissimo sorriso. Gli altri erano anch'essi gentili e cordiali.
Fui terrorizzata dal fatto di ritrovarmi al centro dell'attenzione generale. Erano tutti desiderosi di
ascoltare le mie esperienze. Quel che mi aspettavo fosse un pranzo tranquillo si trasform in una
continua domanda- risposta. La sala da pranzo era silenziosa, anche i bambini stavano seduti in
silenzio, quando raccontai dei miei sogni e dei miei incontri separati con la trina persona di Dio.
Alla fine del pasto David si compliment con la moglie per il buon pranzo ma disse che il

nutrimento spirituale del mio racconto era ancora migliore.


"Sono d'accordo", disse Ken Old. "Vi ho vista altre volte, prima di adesso. Vivevo a Wah. Passavo
la mattina presto davanti al vostro giardino ed ammiravo i bei fiori. Qualche volta vi ho vista in
giardino, ma devo confessare che non sembrate pi la stessa donna". Sapevo a cosa si riferisse. La
Bilquis Sheikh di qualche mese prima era una donna senza sorriso.
"Siete come un bambino", Ken continu, "che ha ricevuto un dono inaspettato. Sul vostro viso
leggo un'incredibile meraviglia per questo dono. Voi lo custodite gelosamente come non avete fatto
con nessuna altra cosa posseduta prima". Quell'uomo cominciava a riuscirmi simpatico. Conversai
piacevolmente anche con gli altri e mi resi conto di aver pensato giusto! Questi cristiani erano molto
diversi da quelli incontrati in precedenza. Prima che la serata fosse finita,
ognuno aveva raccontato brevemente come il Signore stava operando nella propria vita. David
aveva proprio ragione. Il pranzo era squisito, ma il vero nutrimento era venuto dalla presenza del
Signore in quella piccola casa. Non avevo mai provato niente di simile e mi augurai di poter
ricevere regolarmente quel cibo spirituale.
Ecco perch mi colp tanto il commento che fece Ken, al momento di andarmene. Ken e Marie si
avvicinarono e mi strinsero la mano. "Bilquis, avresti bisogno di avere adesso una regolare
comunione cristiana", disse Ken. "Potresti venire a casa nostra la domenica sera".
"Verrai?" chiese Marie, con un tono di voce pieno di speranza.
E cos incominciai a partecipare regolarmente alle riunioni con altri cristiani. La domenica sera ci
riunivamo dagli Old, che abitavano in una casa in mattoni; il loro salotto poteva a stento contenere
la dozzina di persone che l'affollavano. C'erano soltanto due pakistani, tutti gli altri erano americani
o inglesi. Conobbi anche altre persone come il dottor Christy e sua moglie. Quest'uomo magro, ma
energico, era un medico oculista americano e sua moglie un'infermiera. Facevano tutte e due parte
del personale ospedaliero della missione locale. Nel corso delle riunioni cantavamo, leggevamo la
Bibbia e pregavamo per i bisogni reciproci. Quel momento divent presto il pi atteso di tutta la
settimana.
Una domenica per non avevo voglia di andare. Telefonai agli Old e trovai una scusa. Sembrava
una cosa banale, eppure quasi subito cominciai a sentirmi agitata. Che cos'era? Camminavo
irrequieta per tutta casa, controllando il lavoro della servit. Era tutto in ordine, eppure mi sembrava
tutto fuori posto...
Poi andai in camera mia e mi misi a pregare in ginocchio. Dopo un po' Mahmud si infil nella
stanza; entr cos piano che non lo sentii fino a quando non mise la sua mano grassottella nella mia.
"Stai bene mamma?" mi chiese. "Hai un'aria cos strana". Gli sorrisi e lo rassicurai che stavo bene.
"Ma perch continui allora ad andare su e gi guardando in giro, come se avessi perso qualcosa?".
Se ne and saltellando gi per le scale. Sembrava che avessi perso qualcosa? Mahmud aveva
ragione. In quel preciso momento mi resi conto di quel che avevo perso. Avevo perso la sensazione
della gloria di Dio. Se n'era andata. Perch? C'era qualcosa a che vedere col fatto che non ero andata
alla riunione degli Old? Perch avevo deciso di non avere comunione fraterna quando ne avevo
invece tanto bisogno?
Mi premurai di telefonare a Ken, dicendogli che di l a poco sarei arrivata a casa loro.
Che differenza! Sentii immediatamente ritornare, in maniera reale, il calore alla mia anima. Andai
alla riunione, come promesso. Non accadde nulla d'insolito, eppure sentivo di nuovo che stavo
camminando nella Sua gloria. Ken sembrava proprio aver ragione. Aveva bisogno di comunione
fraterna. Per quella volta avevo imparato la lezione! Decisi che d'allora in poi avrei frequentato
regolarmente le riunioni, a meno che Ges stesso non mi avesse detto di non andare.
Man mano che mi avvicinavo di pi a Dio, passo dopo passo, sentivo che avevo sempre pi bisogno
della Sua parola. Ogni giorno, appena alzata, leggevo la Bibbia, ogni volta immancabilmente
trovavo in essa un senso di attualit. La Bibbia divenne qualcosa di vivo per me, rischiarava la mia
giornata, spandendo la sua luce su ogni passo che facevo. Era diventata infatti il mio profumo
prediletto. Ma anche questa volta avvenne qualcosa di strano. Mahmud ed io dovevamo andare a
trascorrere una giornata da sua madre. La sera prima ero andata a letto tardi e veramente non mi

sentivo proprio di alzarmi all'alba per la mia oret-ta di lettura biblica. Dissi perci a Raisham di
portarmi il t un poco prima della partenza.
Quella notte non dormii affatto bene. Mi sentivo agitata, mi girai e rigirai nel letto e feci brutti
sogni. Quando Raisham venne a svegliarmi, mi sentivo sfinita. Notai che tutta la giornata non and
bene.
Che cosa strana! Che voleva dirmi il Signore? Forse si aspettava da me che leggessi la Bibbia ogni
giorno?
Quella fu la seconda volta in cui mi sembr di essere fuori dalla gloria della presenza di Dio.
Quell'esperienza mi lasci per con uno strano senso di eccitazione. Avevo difatti la sensazione di
essere in possesso di un'importante verit, senza che me ne rendessi conto. A volte mi sentivo alla
Sua presenza e sperimentavo un profondo senso di gioia e pace ed altre volte non avvertivo la
sensazione della Sua presenza.
Qual era la chiave? Cosa potevo fare per rimanere vicino a Lui? Ripensai a tutte le volte in cui mi
era sembrato insolitamente vicino; riandai col pensiero ai miei due sogni ed a quel pomeriggio
d'inverno, quando avevo sentito quel profumo sottile nel mio giardino. Pensai a quando, per la
prima volta ero andata dai Mitchell, fino ai tempi pi recenti in cui leggevo la Bibbia regolarmente
ed andavo alle riunioni domenicali a casa degli Old. Quasi sempre, in queste occasioni sentivo che
il Signore era con me.
Ma pensai anche alle altre volte, ai momenti in cui mi rendevo conto di aver perso quella stretta
comunione con Lui. Cosa diceva la Bibbia in proposito?
"Non contristate lo Spirito Santo di Dio". Efesini 4:30
Era quel che facevo io quando rimproveravo la servit? O quando non nutrivo il mio spirito con una
lettura biblica quotidiana? Oppure quando non andavo dagli Old?
Un modo per rimanere sempre alla Sua presenza era l'obbe-dienza. Quando obbedivo, allora mi era
concesso essere in comunione con Lui.
Presi la Bibbia e cercai nel Vangelo di Giovanni fino a che trovai il verso in cui Ges dice:
"Se uno mi ama, osserver la mia parola; e il Padre mio l'amer e noi verremo a lui e faremo
dimora presso di lui". Giovanni 14:23
Quella era la maniera di esprimersi della Bibbia su quanto io cercavo di dire. Rimanere nella gloria.
Era proprio quello che cercavo di fare!
La chiave per arrivare a quel punto era l'obbedienza. "Padre", pregai, "voglio essere Tua serva, cos
come dice la Bibbia. Voglio obbedirti. Ho sempre ritenuto un sacrificio rinunziare ad esercitare la
mia volont, ma ora non lo pi, perch mi mantiene stretta a Te. Come potrebbe la Tua presenza
essere un sacrificio?".
Non mi ero ancora abituata all'idea che il Signore potesse parlare direttamente alla mia mente, ma in
quel momento ne fui profondamente convinta! Chi altro, se non il Signore, poteva chiedermi di
perdonare mio marito? Ama il tuo ex marito, Bilquis. Perdonalo.
Mi dovetti sedere per il colpo subito. Sentire il Suo amore per il prossimo era una cosa, ma come
amare quell'uomo che mi aveva fatto tanto male?
"Padre, non posso proprio. Non mi sento di benedire Kha-lid, n tanto meno di perdonarlo". Mi
venne in mente di quando, infantilmente, avevo addirittura chiesto al Signore di non far convertire
mai mio marito, per non fargli provare la mia stessa gioia. Ed ora Dio mi chiedeva d amare quello
stesso uomo? Sentii salire un'ondata di collera dentro di me appena pensai a Khalid, e subito
scacciai quel ricordo dalla mia mente. "Forse potrei dimenticare, Signore. Non sarebbe gi
abbastanza?".
Era una mia impressione, oppure il calore che emanava la presenza del Signore sembr
raffreddarsi? "Non posso perdonare mio marito, Signore. Non ne sono capace".

"Il mio giogo dolce e il mio carico leggero". Matteo 11:30


"Signore, non riesco a perdonarlo!" dissi piangendo. E cominciai allora ad elencare tutte le cose
terribili che mi aveva fatto. Mentre lo facevo, altre ferite affioravano, dolori che avevo relegato nel
fondo delle mia mente perch troppo umilianti da ricordare. L'odio proruppe in me, mi sentivo
adesso completamente separata da Dio. Impaurita, mi misi a piangere come un bimbo smarrito.
E subito, miracolosamente, Lo sentii nella stanza, al mio fianco. Mi gettai ai suoi piedi, Gli
confessai il mio odio e l'incapacit a perdonare.
"Il mio giogo dolce e il mio carico leggero".
Lentamente, deliberatamente, scaricai il mio terribile peso su di Lui. Mi liberai del risentimento,
delle offese ricevute e dell'oltraggio che mi aveva tanto amareggiato, riponendo tutto nelle Sue
mani. All'improvviso avvertii una luce che nasceva in me, come il chiarore dell'alba. Respirando-di
sollievo, mi affrettai verso la toeletta, presi la foto incorniciata d'oro e fissai il viso di Khalid.
Pregai: "Padre, togli da me ogni risentimento e riempimi del tuo amore per Khalid, nel nome del
mio Signore e Salvatore Cristo Ges".
Rimasi a lungo a guardare la foto. Lentamente quel sentimento negativo, che era in me, cominci a
scomparire, lasciando posto ad un amore inaspettato, ad un senso di premura nei confronti
dell'uomo della foto. Non potevo crederci. Adesso mi auguravo che il mio ex marito stesse bene.
"O Signore, benedicilo, donagli gioia, f che sia felice nella sua nuova vita".
Appena ebbi espresso questo desiderio, una nuvola nera si dipart da me. Venne rimosso un peso
dalla mia anima. Mi sentii in pace, rilassata. Mi ritrovai ancora una volta a vivere nella Sua gloria.
Ed ancora una volta sentii di non voler pi lasciare la Sua preziosa compagnia. Per ricordarmi di
quel desiderio, andai gi, nonostante l'ora tarda, a prendere della tintura henna. Tracciai con questa,
una grande croce sul dorso di ambedue le mani, per ricordarmene sempre.
Mai pi, se fosse dipeso minimamente da me, mi sarei di nuovo allontanata deliberatamente dal Suo
cospetto. Mi ci sarebbe voluto molto tempo, ne ero sicura, per acquistare la capacit di vivere al
calore della Sua presenza. Sarebbe stato un tempo di ammaestramento, che accolsi per con grande
eccitazione.
Una notte ebbi un'esperienza spaventosa. Non sapevo che mi veniva dal lato opposto....
Capitolo 7
BATTESIMO
Quella notte del gennaio 1967 stavo dormendo profondamente quando mi svegliai per lo spavento:
il letto veniva scosso violentemente. Terremoto? Il mio cuore fu attanagliato da un terrore
indescrivibile. Avvertii nella stanza un'orribile, malevola presenza; era decisamente uno spirito
maligno.
All'improvviso mi sentii buttare fuori dal letto; non so se era col mio corpo od in spirito. Venni
spinta e sbattuta qua e l come un fuscello in un uragano. Mi apparve il viso di Mahmud ed il mio
cuore implor per la sua protezione.
Deve essere la morte che si avvicina, pensai, mentre la mia anima tremava. Quella presenza orribile
mi copr tutta, come una nuvola nera fluttuante; istintivamente gridai a Colui che ormai costituiva
tutto per me. "Signore Ges!". Appena pronunziai quel nome venni scossa fortemente, come un
cane fa con la sua preda.
"Sto sbagliando a rivolgermi a Ges?" gridai a Dio nel mio spirito. In quell'istante mi venne una
gran forza e dissi ad alta voce: "Voglio invocarLo. Ges! Ges! Ges!".
A quel nome, la potenza devastatrice si arrest. Rimasi distesa ad adorare e lodare il Signore. Verso
le tre, le mie palpebre diventarono troppo pesanti e caddi addormentata.
Venni svegliata la mattina da Raisham, che mi portava il t.

Rimasi distesa a letto ancora un po', provando un certo conforto. Appena ebbi chiusi gli occhi per
pregare, vidi il Signore Ges Cristo, che mi stava davanti. Era vestito di bianco con un mantello
color porpora. Mi sorrise dolcemente e disse: "Non temere; non accadr pi".
Capii allora che la mia esperienza terrificante era stata satanica, una prova che Ges aveva
permesso per il mio bene. Mi ricordai del grido che era venuto dal profondo della mia anima:
"Voglio invocare il Suo nome, voglio chiamare Cristo Ges".
Il mio Signore era ancora l, davanti a me. " arrivato il tempo di essere battezzata in acqua,
Bilquis", disse.
Battesimo in acqua! Avevo sentito distintamente, ma quelle parole non mi piacevano...
Mi vestii pi in fretta che potei e dissi a Nur-jan e Raisham che fino all'ora di pranzo non volevo
essere disturbata per nessuna ragione. Rimasi in piedi davanti alla finestra a pensare. L'aria del
mattino era fresca; un vapore leggero saliva dalle fontane del giardino. Sapevo che il significato del
battesimo non sfugge al mondo musulmano. Una persona pu leggere la Bibbia senza attirarsi per
questo troppe ostilit, ma il sacramento del battesimo una cosa diversa. Per i musulmani il solo
inequivocabile segno che un convertito abbia rinunziato alla fede islamica per abbracciare quella
cristiana. Per i musulmani il battesimo apostasia.
Ero arrivata cos ad una svolta decisiva. La scelta si delineava chiara. Mi sarei lasciata prendere
dalla paura di essere trattata come una proscritta o peggio ancora come una traditrice, oppure avrei
obbedito a Ges?
Prima di tutto dovevo essere sicura che stavo veramente obbedendo al Signore e non a qualche
illusione. Ero da troppo poco tempo diventata cristiana per dar credito a delle 'voci'. Come potevo
mettere meglio alla prova quella mia impressione, se non attraverso la lettura della Bibbia? Ripresi
allora la Bibbia e lessi di come lo stesso Ges era stato battezzato nel Giordano.
Rilessi di nuovo la lettera di Paolo ai Romani, in cui egli parla del rito in termini di morte e
resurrezione. "Il vecchio uomo" muore e nasce una nuova creatura, che lascia tutti i suoi peccati
dietro di s. Cos stavano le cose allora! Se Ges era stato battezzato e se la Bibbia richiede il
battesimo, naturalmente anch'io avrei obbedito.
In quel preciso momento suonai il campanello per Raisham.
"Di' a Manzur di preparare l'auto" le chiesi. "Dopo pranzo andr a far visita agli Old".
Dopo poco mi trovai, ancora una volta, seduta nel piccolo salotto di Marie e Ken, quando proruppi
nella mia solita maniera: "Ken", dissi affrontandolo direttamente, "sono sicura che il Signore mi ha
detto di essere battezzata". Mi guard per un lungo istante, con la fronte aggrottata, cercando forse
di penetrare nella profondit del mio pensiero, poi si chin verso di me e disse in tono molto, molto
serio: "Bilquis, sei preparata a quel che potrebbe accadere?".
"S, ma..." cominciai a rispondere. Ken m'interruppe; parlava a bassa voce. "Bilquis, l'altro giorno
ho incontrato un pakistano che mi ha chiesto se ero uno spazzino nel mio paese". Mi guard in
faccia. "Ti rendi conto che da ora in poi non saresti pi la Begum Sheikh, la rispettata proprietaria
con generazioni di prestigio? Ti rendi conto che saresti associata agli spazzini cristiani?".
"S", risposi. "Lo so". Le sue parole diventarono ancora pi decise ed io mi armai di coraggio per
affrontare il suo sguardo.
"Ed hai preso in considerazione il fatto", continu "che il padre di Mahmud pu facilmente
portartelo via? Potrebbe definirti una tutrice incapace".
Il mio cuore era ferito. Avevo gi preso in considerazione tutto questo ma sentendolo dire da Ken ad
alta voce, la prospettiva mi appariva pi realizzabile.
"S, lo so Ken", dissi debolmente. "Mi rendo conto che molte persone penseranno che sto
commettendo un crimine. Ma voglio essere battezzata lo stesso, devo obbedire a Dio".
La nostra conversazione venne interrotta dall'arrivo inaspettato dei Mitchell. Ken li inform subito
che avevamo qualcosa d'importante da discutere assieme. "Bilquis", disse, "vuole essere battezzata".
Silenzio. Synnove toss.
"Ma non abbiamo una vasca", disse David.
"Non ce n' una alla chiesa di Peshawar?" chiese Marie.

Il mio cuore ebbe un sussulto. Peshawar il capoluogo della provincia della frontiera Nordoccidentale. un territorio di frontiera nel vero senso della parola: una citt di provincia abitata da
musulmani conservatori, noti per la loro prontezza nell'agire. Ma s, pensai, l deporr ogni riserbo
che ancora mantengo. L'intera citt l'avrebbe saputo nel giro di un'ora.
Rimanemmo d'accordo che Ken si sarebbe interessato per farci andare a Peshawar. Avremmo saputo
qualcosa dal pastore locale entro un paio di giorni. Quella sera ricevetti una telefonata. Era il mio
prozio Fateh. Volevo tanto bene a quel vecchio gentiluomo. Si era sempre interessato alla mia
istruzione religiosa.
"Bilquis?". La voce autoritaria di mio zio appariva un po' turbata.
"S, zio?".
" vero che leggi la Bibbia?"
"S". Mi chiesi come fosse venuto a saperlo. Cos'altro aveva sentito dire? Lo zio Fateh si schiar la
voce. "Bilquis, non parlare mai della Bibbia con qualcuno di questi cristiani. Tu sai come sono
polemici. Le loro discussioni creano sempre confusione".
Stavo per interromperlo, ma copr la mia voce dicendo: "Non invitare nessuno...", accentu "..
.nessuno a casa tua, senza prima consultarmi! Se lo farai, sappi che la tua famiglia non ti star
vicina".
Zio Fateh tacque per un attimo per riprendere fiato. Approfittai della pausa per parlare.
"Zio, ascoltami". Dall'altro capo del filo ci fu un silenzio forzato. Mi lanciai. "Zio, come ben
ricorderai, nessuno mai venuto a casa mia senza invito". Mio zio se ne sarebbe senz'altro
ricordato; ero conosciuta proprio perch mi rifiutavo spietatamente d'incontrarmi con persone che
non avessero annunziata la loro visita anticipatamente.
"E sai anche", conclusi, "che m'incontro con chiunque mi piaccia. Arnvederci zio".
Misi gi la cornetta. Era questo un anticipo di quel che sarebbe avvenuto, una volta che il resto della
mia famiglia ne fosse stato informato? Se lo zio Fateh aveva reagito in maniera cos forte alla
notizia che leggevo la Bibbia, che sarebbe accaduto quando, sia lui che gli altri componenti della
famiglia avessero saputo del mio battesimo? Non ci volevo nemmeno pensare. Quel fatto mi dette
una spinta per farmi battezzare al pi presto. Non ero tanto sicura di riuscire a resistere all'afflizione
che avrei arrecato alle persone che amavo di pi.
Da Ken nessuna notizia.
La mattina seguente, nel leggere la Bibbia, mi capit nuovamente sotto gli occhi, il passo in cui si
parla dell'eunuco etiopico, a cui Filippo aveva portato il messaggio di salvezza. La prima cosa che
l'eunuco fece, appena vista l'acqua, fu di saltare dal carro e farsi battezzare. Sentivo che il Signore
me lo stava di nuovo ripetendo, "Battezzati e fallo subito!" Ero certa che intendeva dirmi che se
avessi atteso pi a lungo, qualcuno o qualcosa me lo avrebbe impedito.
Mi gettai gi dal letto, rendendomi nuovamente conto che si stavano schierando delle forze avverse,
pronte ad ostacolarmi in quello che il Signore voleva che facessi. Posai la Bibbia, chiamai le
cameriere, che mi aiutarono a vestirmi in fretta. Dopo poco mi dirigevo a casa dei Mitchell.
"David", dissi, mentre stavo ancora davanti alla porta, " arrivata qualche risposta da Peshawar?".
"No, non ancora".
"Non potresti battezzarmi qui, oggi stesso, adesso?".
David mi guard aggrottando la fronte. Mi fece entrare in casa; stavo ancora fuori, al freddo
pungente del mattino. "Bilquis, non possiamo aver fretta per un passo cos decisivo".
"Devo obbedire al Signore. Mi dice ripetutamente di affrettarmi". Gli riferii del passo che avevo
letto la mattina e dell'insistenza, da parte del Signore, nel volermi far battezzare prima che mi
potesse accadere qualcosa.
David alz le mani, in segno d'impotenza. "Questo pomeriggio devo accompagnare Synnove ad
Abbottabad. Per il momento non c' niente che possa fare per te, Bilquis".
Mi mise una mano sul braccio. "Abbi pazienza, Bilquis. Sono sicuro che domani avremo notizie da
Peshawar".
Mi diressi allora a casa degli Old.

"Per favore", dissi appena Ken e Marie mi ebbero salutata, "sarebbe possibile farmi battezzare
subito?".
"Abbiamo chiesto al nostro pastore", rispose Ken, prendendomi per un braccio e guidandomi verso
il salotto: "Ha detto che tutta la faccenda deve essere portata avanti alla Sessione".
"Sessione?" ripetei, "che cos'?".
Mi spieg allora che il suo pastore voleva battezzarmi, ma doveva avere prima l'approvazione dal
consiglio direttivo della sua chiesa. "Potrebbero trascorrere diversi giorni", aggiunse "e nel
frattempo potrebbe accadere di tutto".
"S", dissi in un sospiro, "ma in quel caso la notizia certamente si divulgherebbe". La mia mente
galopp freneticamente pensando a tutte le possibili circostanze.
Poi Ken mi disse qualcosa di straordinario. Nel cuore della notte aveva sentito una voce d'uomo che
lo guidava ad - Aprire la Bibbia a pagina 654! Che strano modo, pens Ken, di dare una referenza
biblica. Era il capitolo 13 del libro di Giobbe, versetti 14, 15. Il passo risaltava nella pagina indicata
dalla voce. Ken lesse quei versi che l'avevano tanto benedetto e che sembravano proprio essere
indirizzati a me. "Perch mi strappo io la carne con i denti; E perch tengo l'anima mia nella
palma della mia mano? Ecco, mi uccida egli pure; s sperer in lui".
Mi chiesi se ero pronta anche a quest'evenienza. La mia fede era abbastanza salda? Mi alzai ed
afferrai il braccio di Ken. "Voglio essere battezzata ora in acqua. E dopo, anche se Egli mi uccider,
sar pronta. Star meglio in cielo col mio Signore".
Mi lasciai andare su una sedia e rivolgendomi a Ken gli chiesi scusa: "Mi dispiace, Ken. Sono
sconvolta. Ma so di certo una cosa: il Signore dice che devo essere battezzata ora. Te lo dico in
maniera schietta. Vuoi aiutarmi oppure no?".
Ken si appoggi alla spalliera della sedia, si pass la mano nei capelli castano rossicci e guardando
Marie rispose: "Ma certamente! Perch non andiamo a casa dei Mitchell e vediamo quel che si pu
fare?".
Ritornai a casa loro, percorrendo le strade tortuose di Wah. Per un po' rimanemmo seduti
tranquillamente a pregare nel salotto dei Mitchell. Poi Ken tir un lungo sospiro, si pieg in avanti e
parl a tutti noi. "Sono certo che siamo tutti d'accordo sul fatto che il Signore abbia finora guidato
Bilquis in un modo molto insolito. E se lei insiste che la sua premura di essere battezzata viene da
parte di Dio, allora non dobbiamo esserle di ostacolo". Si rivolse a David. "Tu e Synnove dovete
andare ad Abbottabad, potrei raggiungervi con Marie e Bilquis e prender cura dei preliminari
necessari per il suo battesimo nel pomeriggio. Non pensiamo pi a Peshawar".
Tutto ad un tratto ci parve la cosa migliore da fare. Cominciammo tutti a fare preparativi. Io corsi a
casa, chiesi a Raisham di preparare un abito di ricambio. Gli Old avevano detto che ne avrei avuto
bisogno. Ken aveva precisato: "Qualcosa che non si sciupi nell'acqua".
Nonostante i preparativi mi sentivo ancora ansiosa. Avevo la sensazione che il mio rapporto con il
Signore si stesse indebolendo. Non mi aveva dato in diverse occasioni delle istruzioni specifiche e
pressanti? Non mi aveva ordinato di fare il battesimo in acqua subito?
Mi pass un pensiero per la mente. Lo scacciai subito via. Era impensabile.
Ma quando il pensiero si riaffacci di nuovo, chiesi in preghiera al Signore: "Sarebbe giusto,
Padre?".
E cos il 24 gennaio 1967 ebbe luogo un insolito battesimo. Avevo chiamato Raisham, che ora mi
stava davanti.
"S, Raisham", ripetei. "Per favore riempi la vasca".
La donna and a fare il suo dovere, con un'espressione perplessa sul viso; non avevo mai fatto un
bagno a quell'ora del giorno! Raisham venne poi a dirmi che il bagno era pronto; la congedai. Quel
che mi accingevo a fare potrebbe far nascere dei problemi teologici. Ma io non stavo pensando in
termini teologici. Stavo semplicemente cercando di essere obbediente ad un bisogno urgente,
convalidato anche dalle Scritture. Sentivo di dover essere battezzata subito ma con tutte le difficolt
che si frapponevano, avevo i miei dubbi ad attendere anche fino al pomeriggio...
Poich volevo pi di ogni altra cosa al mondo rimanere alla presenza del Signore e poich la sola

maniera per farlo era attraverso l'obbedienza, andai nel bagno e m'immersi nella vasca profonda.
Appena seduta, l'acqua mi arriv alla spalla. Mi misi una mano sulla testa e dissi ad alta voce:
"Bilquis, io ti battezzo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo". Tuffai la testa
nell'acqua, cos da immergere completamente tutto il corpo.
Uscii dall'acqua ripiena di gioia: lodavo e glorificavo Dio. "O Padre, Ti ringrazio. Mi sento cos
privilegiata". Sapevo che i miei peccati erano stati lavati via e che ero diventata accettevole davanti
al Signore.
Non volli dare spiegazioni a Raisham di quel che avevo fatto e lei, nel suo modo abitualmente
riservato, non mi chiese nulla. Dopo pochi minuti ero pronta, in attesa degli Old, che venivano a
prendermi per farmi battezzare ad Abbottabad. Ancora una volta non sapevo quale fosse la
posizione teologica. Conoscevo
per i miei motivi. I miei amici cristiani si erano presi tanta cura di me, aiutandomi in vari modi.
Avevano sofferto molto per me ed io non volevo scombinare ancora di pi le cose. Sarei andata lo
stesso a farmi battezzare, sebbene un istinto innato mi dicesse che avevo gi fatto quel che il
Signore voleva da me. Cercai di leggere la Bibbia ma il mio spirito gioiva tanto che non riuscivo a
concentrarmi. Ero ritornata di nuovo nella Sua gloria, come lo ero stata ogni qualvolta Gli avevo
obbedito fedelmente, avendo la Bibbia come mia sola guida.
"Begum Sahib, Begum Sahib?".
Mi voltai. Era Raisham. Gli Old erano gi ad aspettarmi.
Dissi a Mahmud che sarei rimasta fuori per tutto il resto del giorno. Sentivo in cuor mio che era
meglio che il bambino non venisse coinvolto in un evento, che poteva avere conseguenze
spiacevoli. Scesi a raggiungere Ken e Marie.
C'erano due ore di auto per Abbottabad, lungo una strada fiancheggiata da pini ed abeti. Non parlai
del mio battesimo nella vasca da bagno. Parlai invece delle molte volte in cui avevo viaggiato su
quella stessa strada per gite di famiglia. Allora avevamo al nostro seguito diverse auto stipate di
bagagli. Pensai tra me se mi stavo comportando lealmente verso tutto il mio passato dorato.
Arrivammo alla missione, dove trovammo i Mitchell che ci attendevano insieme ad un medico
canadese e sua moglie: Bob e Madeline Blanchard. Insieme a loro c'era un pakistano. "Questo",
disse Synnove, " il Reverendo Bahadur che ti battezzer".
Mi guardai intorno, c'erano anche un medico, che era anglicano, ed un altro pastore pakistano.
"Forse profetico, Bilquis", disse Synnove, "forse per mezzo tuo molti cristiani diventeranno pi
uniti. Sembra proprio che sia la prima volta, in Pakistan, che cristiani battisti, presbiteriani ed
anglicani si siano riuniti per un battesimo".
C'era una certa apprensione nella stanza. Porte chiuse, tende tirate... potevo facilmente immaginare
come poteva essere stata la vita nel primo secolo, sotto il governo di Roma, quando i cristiani si
battezzavano nelle catacombe.
Mentre ci preparavamo per la cerimonia, mi guardai attorno e chiesi, "Ma dov' la vasca?".
Si venne a sapere che non c'era. Ken disse che sarei stata aspersa con acqua.
"Ma Ges fu immerso nel Giordano", risposi.
Avevamo superato un fiume proprio prima di giungere alla missione. "Perch non andiamo al
fiume?" chiesi; ma poi mi ricordai che faceva abbastanza freddo e che anche altri sarebbero dovuti
entrare in acqua, cos non volli insistere. D'altra parte avevo la certezza di aver gi ubbidito al
Signore.
E cos fui battezzata di nuovo, questa volta per aspersione. Mentre venivo spruzzata d'acqua, pensai
a come se la ridacchiava il Signore... Dopo la funzione, mi guardai attorno e vidi molti visi bagnati
di lacrime. "Be'", dissi ridendo, "tutti questi pianti certo non m'incoraggiano!".
"O, Bilquis", disse Synnove, tirando su col naso; poi venne verso di me e mi abbracci. Non riusc a
dire altro.
Si complimentarono poi a vicenda. Synnove cant un inno e Ken lesse un passo dalla Bibbia. Si
fece cos l'ora di far ritorno a casa.
Tornammo a casa tranquillamente. Non c'era ansiet tra di noi; era bello stare tra cristiani. Ci

salutammo nuovamente tra le lacrime ed io feci ritorno a casa.


L'atmosfera tranquilla fu subito infranta, non appena ne ebbi varcato la soglia; la governante si
precipit verso di me con gli occhi sbarrati, la voce agitata: "Begum Sahib, venuta la vostra
famiglia a cercarvi. Hanno detto di aver saputo che vi siete unita ai cristiani e...".
Alzai la mano. "Basta adesso!" ordinai, mettendola a tacere. "Dimmi chi venuto".
Man mano che la donna elencava i nomi di quelli che erano venuti a casa mia quel pomeriggio, mi
sentii invadere da una nuova apprensione. Erano tutti i membri anziani della mia famiglia: zii,
cugini anziani, zie, persone che non sarebbero venute a casa mia in quel modo se non per una
ragione di vitale importanza.
Sentii una stretta al cuore. Quella sera cenai con Mahmud, cercando di non mostrare le mie
apprensioni; appena il bambino and a letto, mi ritirai in camera mia. Stetti a guardare fuori dalla
finestra, attraverso la grata: la neve aveva smesso di cadere ed al debole chiarore della luna potevo
scorgere i contorni del giardino, che amavo tanto. Intorno a me potevo avvertire il conforto, che mi
veniva dalla mia vecchia casa e che costituiva il mio santuario, il mio rifugio.
E adesso? Avrei ancora avuto la mia casa? Era un pensiero strano quello che mi si affacciava alla
mente! Avevo avuto difatti sempre la sicurezza della famiglia, del denaro e del prestigio. Eppure
sentivo, senza alcun dubbio, che quello era un pensiero profetico. Le forze avverse, che si erano
manifestate prima contro di me, avevano iniziato adesso la loro azione deleteria tra i miei familiari.
Gran parte del mio 'potere', e della mia 'sicurezza' risiedevano in seno alla famiglia. Cosa sarebbe
accaduto, se all'improvviso, avessero iniziato tutti in una volta, ad oppormi-si?
Sicuramente era quella la vera ragione per cui il Signore aveva insistito che avessi il mio battesimo
al pi presto, anzi immediatamente. Egli mi conosceva! Sapeva qual'era il mio punto debole.
Rimasi in piedi a guardare fuori dalla finestra. Scendeva la sera: i rami degli alberi oscillavano al
vento, potevo scorgere i loro giochi d'ombre attraverso la grata della finestra.
"O Signore", dissi, "Ti prego, non permettere che le ombre discendano su di me tutte in una volta.
F che vengano una per volta".
Non avevo nemmeno finito di mormorare quelle parole che
sentii bussare alla porta. La cameriera del piano di sotto venne a portarmi un pacchetto. " stato
consegnato questo per voi", disse. Strappai con impazienza la carta che l'avvolgeva. Era una Bibbia.
Sulla pagina interna c'era scritto: Alla nostra cara sorella, nel giorno del suo compleanno. Era
firmato: Ken e Marie Old.
Me lo strinsi al petto, ringraziando Dio per degli amici tanto cari.
Aprii il libro ed il mio sguardo cadde su una pagina in cui sembravano risaltare queste parole: Li
disperder lontano...
A quel tempo il significato di quelle parole era ancora un mistero per me.
Capitolo 8
MA C'ERA POI PROTEZIONE?
L'indomani mattina mi svegliai molto in apprensione. Oggi sarebbero venuti di nuovo i miei
familiari, in massa oppure uno alla volta. In ambedue i casi ne temevo lo spiacevole confronto.
Temevo le accuse, le lusinghe e le minacce che inevitabilmente mi sarebbero state fatte. Sopra ogni
cosa, non volevo far loro del male.
Credendo a stento che il Signore avrebbe esaudito la mia richiesta, chiesi a Raisham di portarmi i
miei sari pi belli, ne scelsi il pi attraente; feci poi comunicare al servitore, addetto al cancello, che
in quel giorno sarei stata felice di ricevere tutti i visitatori e quindi me ne andai in salotto. L mi
sedetti su una delle poltrone di seta bianca e mi misi a leggere, mentre Mahmud giocava per terra
con le sue automobiline: le faceva muovere da un punto all'altro, seguendo il disegno del grande
tappeto persiano, che ricopriva il pavimento.
Il grande orologio scolpito della sala suon le dieci, le undici e finalmente mezzogiorno. Bene,

pensai, sembra che abbiano in programma una visita pomeridiana.


Fu servito il pranzo e dopo, mentre Mahmud faceva un sonnellino, io continuai la mia attesa.
Finalmente alle tre sentii il rumore di un'auto che si fermava fuori. Ero pronta ad affrontare la
battaglia quando sentii che l'auto ripart. Che stava succedendo? Seppi dalla cameriera che era
soltanto venuto qualcuno per una consegna.
Dalle grandi finestre del salone vedevo calare la sera, mentre nella stanza le ombre si allungavano
fino a toccare il soffitto. Arriv una telefonata. Guardai l'orologio: erano le sette. Forse
telefonavano, invece di venire di persona?
Alzai il ricevitore e sentii dall'altro capo del filo una voce dolce che riconobbi subito: Marie Old.
Sembrava alquanto preoccupata. Si era gi sparsa la voce della mia conversione, come dimostrava,
d'altronde, l'invasione del giorno prima da parte dei miei parenti. Perch allora quella
preoccupazione?
"Stai bene?" chiese Marie. "Sono stata molto in ansia per te".
La rassicurai che stavo bene. Appena terminai la conversazione mi feci portare uno scialle e chiesi
di preparare l'auto in fretta. In questo periodo freddo dell'anno la mia famiglia, normalmente, non
mi avrebbe fatto visita dopo le otto di sera, cos pensai che era meglio uscire. Strano che nessuno
dei miei parenti avesse telefonato o fosse venuto.
Volevo essere rassicurata da una delle mie famiglie cristiane. Dagli Old, ad esempio. Perch Marie
aveva fatto quella telefonata cos misteriosa? Mi diressi verso la loro casa. Rimasi sorpresa nel
trovarla completamente al buio. Accadde allora che, inaspettatamente, quasi all'improvviso mi
spaventai. Appena mi avvicinai al cancello che d sul loro cortile, sentii la paura che s'impadroniva
di me, mi attanagliava nella sua morsa gelida. Gli angoli bui del cortile suscitavano in me brutti
pensieri. Ero stata proprio sciocca ad uscire sola di sera! Cos'era quell'ombra nera? Il mio cuore
batteva all'impazzata.
Mi girai. Stavo per scappare verso l'auto.
Invece mi fermai. No! Non era quello il modo di agire. Se facevo parte del Regno, avevo diritto alla
protezione del Re. Rimasi l in quell'oscurit terrificante, ero ancora molto impaurila. Volli
deliberatamente rimettermi nelle mani del mio Re. "Ges, Ges, Ges", dissi ripetutamele.
Incredibilmente la paura si dilegu. Com'era venuta, cos spar. Ero libera!
Rasserenata e quasi sorridendo, mi diressi verso casa Old.
Dopo pochi passi, vidi uno spiraglio di luce che filtrava dalle tende accostate del salotto. Bussai.
La porta venne aperta lentamente. Era Marie. Appena mi vide, tir un sospiro di sollievo e
prontamente mi attir in casa, abbracciandomi.
"Ken! Ken!" chiam.
Ken ci raggiunse subito. "O, grazie a Dio!" esclam. "Eravamo in pena per te". Ken mi spieg che il
pastore pakistano, al mio battesimo, si era molto preoccupato per la mia incolumit e gli aveva detto
che avevano commesso un errore a lasciarmi sola.
"Ecco perch eri cos preoccupata al telefono, Marie!". Repressi un riso nervoso. "Sono sicura che
l'intera nazione verr a sapere presto della mia conversione, ma ad ogni modo, vi ringrazio. Fino
adesso, non successo niente. Perfino la mia famiglia non si fatta ancora vedere e non potete
immaginare quanto sia riconoscente al Signore per la Sua risposta alla mia preghiera".
"Ringraziamo insieme il Signore" disse Ken. C'inginocchiammo tutti e tre e Ken ringrazi il
Signore per la protezione che mi aveva dato fino allora e Gli chiese di continuare a vigilare su di
me.
Feci ritorno a casa, arricchita dentro di me, perch di fronte alla paura mi ero rivolta al Signore, nel
nome di Cristo Ges. La servit mi inform che non era arrivata nessuna telefonata per tutta la
serata. Bene, pensai mentre mi preparavo ad andare a letto, aspetteremo domani.
L'indomani, seduta in salotto, attesi nuovamente per tutto il giorno: pregando, pensando, osservando
il mosaico bianco del pavimento e seguendo il disegno dei tappeti persiani. Non arriv nessuna
notizia.
Che stava succedendo? Era una specie di caccia tra gatto e topo?

Pensai allora di chiedere informazioni alla servit. In Pakistan se si vuol sapere una cosa si deve
chiedere ad un domestico.
Riuscii finalmente a bloccare la mia cameriera personale: "Dimmi Nur-jan, cos' successo alla mia
famiglia?".
"O Begum Sahib", rispose, trattenendo una risatina nervosa, "sono accadute delle cose strane!
Sembra proprio che avessero tutti delle occupazioni allo stesso tempo! Vostro fratello doveva
andare al torneo annuale di cricket invernale". Sorrisi: per mio fratello lo sport era molto pi
importante di una sorella che era sulla via dell'inferno! "Vostro zio Fateh doveva andare fuori
provincia, per una causa in tribunale; vostra zia Amina doveva andare a Lahore, due dei vostri
cugini erano stati chiamati fuori citt per affari, e...".
La fermai; non c'era bisogno che andasse oltre. Il Signore aveva detto che Egli li avrebbe dispersi
lontano e difatti li aveva allontanati... Potevo quasi sentire il mio Signore ridacchiare... Non sarebbe
certo avvenuto che i membri interessati della mia famiglia avrebbero lasciato cadere cos la cosa,
ma almeno sarebbero venuti uno alla volta.
E cos fu. La prima emissaria fu mia zia Amina, una donna sui settant'anni, dal portamento regale,
di una bellezza orientale, che mi appariva sempre come una stonatura con la mobilia moderna - stile
europeo - del mio salotto. Per anni avevamo avuto una stretta relazione di amore e di fiducia.
Appena la vidi entrare notai che la sua carnagione color magnolia appariva pi pallida del solito e
gli occhi grigi erano cerchiati dal dispiacere.
Chiacchierammo un po'. Mi resi conto poi che stava arrivando al vero scopo della sua visita. Si
schiar la voce, si appoggi allo schienale della poltrona e con tono casuale, chiese: "E... Bilquis...
cos... ho sentito... che sei diventata cristiana. vero?".
Le sorrisi soltanto.
Cambi posizione sulla poltrona, poi continu. "Pensavo che avessero messo in giro delle false voci
su di te". Esit per un istante, i suoi occhi miti m'imploravano di dire che non era vero.
"Non una menzogna, zia Amina", risposi. "Mi sono arresa completamente a Cristo. Sono stata
battezzata. Adesso sono una cristiana".
La zia si port le mani al viso. "Che errore madornale!" disse ad alta voce. Rimase seduta in
silenzio assoluto, incapace di aggiungere altro. Poi aggiustatasi lo scialle, si alz e con fredda dignit usc da casa mia.
Mi sentivo addolorata, chiesi al Signore di proteggerla dall'affronto che provava in cuor suo. Sapevo
che avrei dovuto scoprire adesso come pregarLo per la mia famiglia. Mi sarei lasciata altrimenti alle
spalle un mucchio di persone care, sconvolte nel loro intimo. "Signore", dissi, "l'ideale sarebbe,
naturalmente, che ognuno di questi cari Ti conoscesse. Ma so che, anche se non sono convcrtiti, Tu
li ami lo stesso ed in quest'istante Ti chiedo di toccarli uno per uno, benedicendoli, cominciando, se
vuoi, da mia zia Amina. Grazie, Padre!".
Il giorno successivo ripetei la stessa preghiera. Questa volta fu per Aslam, un caro vecchio cugino;
un avvocato, che viveva a circa 80 chilometri da Wah. Essendo figlio di un fratello di mio padre,
aveva ereditato molte delle caratteristiche di mio padre stesso: lo stesso sorriso cordiale, un garbato
senso dell'umorismo. Mi piaceva, Aslam. Dal suo atteggiamento, potei capire che non era al
corrente di tutti i particolari della faccenda. Scambiammo qualche frase scherzosa, poi Aslam disse:
"Quando ci sar la riunione di famiglia? Ti verr a prendere io e ci andremo insieme".
Feci una risatina. "Non so quando ci sar, Aslam, ma so di sicuro che io non sar invitata perch la
riunione sar fatta per discutere di me".
Mi sembr cos disorientato che dovetti spiegargli ogni cosa. "Ma ti prego, va' alla riunione,
Aslam", dissi, quando ebbi finito. "Forse potresti mettere una buona parola per me".
Lo guardai mentre usciva mestamente da casa; era scontato, pensai, che stavamo per raggiungere il
culmine. Sarebbe stato
meglio andare a Rawalpindi e Lahore il pi presto possibile. Non volevo che i miei figli Tooni e
Khalid sentissero delle notizie incomplete o alterate su di me. Non potevo far niente personalmente
per mia figlia Khalida, che viveva in Africa. Ma potevo ben affrontare Khalid e Tooni. Il giorno

seguente andai a Lahore. Khalid aveva incontrato molto bene negli affari e la casa rifletteva la
posizione raggiunta. Un bel villino in citt, circondato da ampie verande e da un prato mantenuto
con molta cura.
Entrammo con la macchina attraverso il cancello, parcheggiammo vicino all'ingresso e
camminammo fino alla grande veranda. Khalid, messo all'erta dal resto dei familiari e da una mia
lunga telefonata, si affrett a venirmi a salutare. "Mamma! Come son contento di vederti", disse, per
quanto sentissi che mi dava il benvenuto con un certo imbarazzo. Parlammo tutto il pomeriggio su
quel che avevo fatto, ma alla fine sentivo che Khalid non mi aveva capito per niente.
La prossima persona da visitare era Tooni. Andai a Rawalpindi, direttamente all'ospedale. La feci
chiamare e mentre ero in attesa, mi chiedevo come avrei dovuto dirglielo. Senza dubbio aveva gi
sentito qualcosa ed era stata informata di prima mano che io leggevo la Bibbia. Forse aveva anche
ascoltato, casualmente, qualche brano della mia conversazione con la suora cattolica, la dottoressa
Santiago, in questo stesso ospedale dove Mahmud era stato ricoverato in precedenza. Una cosa per
non sapeva: com'era cambiata la mia vita, dopo la visita della dottoressa Santiago; difatti era stata
quella piccola suora, che mi aveva incoraggiato a pregare Dio, rivolgendomi a Lui come a un padre.
"Mamma!". Alzai gli occhi verso Tooni, che si affrettava a venire verso di me, i capelli castani in
netto contrasto con il camice bianco inamidato, il viso raggiante, le braccia aperte.
Mi alzai, ero sconvolta dall'emozione. Pensavo a come avrei potuto darle la notizia. Volevo usare
delle maniere gentili, moderate, ma il timore della pressione da parte di Tooni era troppo incalzante.
Senza tentare nemmeno di essere circospetta, dissi sconsideratamente: "Tooni, preparati ad un
colpo, cara. Due giorni fa sono ... sono stata battezzata".
Tooni rimase sconvolta, con la mano distesa, gli occhi suoi sensibili, pieni di lacrime. Si lasci
cadere sul divano, di fianco a me. "Sapevo che saresti arrivata a questo", disse con un filo di voce,
che riuscii a stento a sentire.
Cercai di consolarla, ma senza alcun risultato. "Non serve a niente fingere di continuare il lavoro",
disse Tooni. Chiese perci il permesso di andar via pi presto ed andammo insieme in auto al suo
appartamento. Il telefono squill proprio mentre apriva la porta; corse dentro, alz il ricevitore e si
gir verso di me. " Nina". Era una nipote che viveva anche lei a Rawalpindi. "Vuol sapere se
vero". Si gir di nuovo verso l'apparecchio: Nina evidentemente aveva ripreso a parlare; potevo
sentire la sua voce da dove ero seduta! Tooni disse allora in tono sommesso : "S, vero Nina. Lo
ha proprio fatto". Nina dovette allora metter gi la cornetta, perch Tooni scost il ricevitore
dall'orecchio, lo fiss, poi alzando le spalle, lo rimise lentamente a posto. Sarebbe stato bene dare a
Tooni il tempo di riordinare le idee. Raccolsi perci le mie cose per andarmene.
"Vieni a trovarmi, cara" dissi "quando ti senti di venire. Parleremo insieme". Tooni non fece
obiezioni; dopo pochi minuti mi trovavo sulla strada nazionale, diretta a casa. Nello stesso istante in
cui arrivai, i servitori si raccolsero intorno a me. Nur-jan si torceva le mani paffute e perfino il viso
di Raisham era pi pallido del solito. Il telefono aveva squillato per tutto il giorno, i parenti erano
venuti davanti al cancello, a chiedere di me, fin da prima mattina. Anche mentre i servitori
chiacchieravano, il telefono trill nuovamente. Era il marito di mia sorella, Jamil, che lavorava in
una societ petrolifera britannica. Avevo sempre ritenuto Jamil un uomo di mondo, ma ora la sua
voce non mi appariva pi tanto sicura di s.
"Bilquis, ho sentito delle cose molto strane, ma non posso crederci", disse seccamente. "Un amico
di affari mi ha detto di aver sentito che eri diventata cristiana. Naturalmente gli ho riso in faccia,
assicurandolo che non sarebbe mai accaduta una cosa simile".
La voce si stava veramente diffondendo con rapidit. Non dissi nulla.
"Bilquis!" La voce di Jamil si fece pi insistente. "Mi hai sentito?".
"S".
"Questa storia non vera, non cos?".
"S, vera".
Ci fu un'altra pausa. Poi: "Va bene, va proprio bene!" Jamil disse aspramente. "Hai perso molto di
pi di quanto pensi. E per che cosa poi? Solamente per un altro punto di vista religioso. Questo

tutto". E riattacc.
Dopo dieci minuti Tooni mi telefon singhiozzando. "Mamma, lo zio Nawaz ha appena telefonato
per dire che adesso il padre di Mahmud potr riprendersi il bambino. Nawaz ha detto che nessun
tribunale ti permetterebbe di tenerlo!".
Cercai di confortarla ma lei riattacc singhiozzando.
Quella sera, sul tardi, mentre Mahmud ed io stavamo cenando in camera mia, vennero Tooni e due
mie nipoti. Mi allarmai vedendo i loro visi tanto pallidi.
"Sedetevi e cenate con me" dissi. "Far portare su la vostra cena".
Sia Tooni che le mie nipoti toccarono appena il cibo. Ero contenta di rivedere le due ragazze, ma era
palese che loro non erano altrettanto contente di rivedere me! La conversazione si mantenne sul
banale; le tre donne lanciavano occhiate a Mahmud proponendogli indirettamente di andare fuori a
giocare. Fu soltanto dopo che il bambino se ne fu andato, che una delle mie nipoti si pieg in avanti
ed in tono ansioso mi disse: "Zia, ti rendi conto che significhi questo per gli altri?". Poi scoppi in
lacrime. "Hai pensato anche a qualcun altro?". Potevo leggere la sua stessa domanda negli occhi
scuri dell'altra nipote, che sedeva in silenzio di fronte a me.
Raggiunsi l'altro capo della tavola e presi la mano affusolata della ragazza. "Mia cara", dissi in tono
addolorato, "non posso fare nient'altro che obbedire".
Tooni mi fiss allora con gli occhi pieni di lacrime e, come se non avesse affatto sentito quel che
avevo detto, m'implor: "Mamma, prepara la tua roba e parti. Parti mentre c' ancora qualcosa o
qualcuno... con cui andar via".
Alz la voce. "Sai che cosa dicono? Che verrai attaccata. Tuo fratello stesso potrebbe essere
costretto ad agire contro di te". E poi con la voce rotta dai singhiozzi: "I miei amici dicono che
verrai ammazzata, mamma!".
"Mi dispiace, Tooni, ma non ho intenzione di scappare", risposi con calma. "Se vado via adesso,
continuer a fuggire per il resto della mia vita". Mentre parlavo mi sentivo risoluta a prendere
quella decisione. "Se Dio vuole, Egli si prender certamente cura di me, mentre rimango a casa mia.
Perch nessuno, nessuno", dissi "mi metter fuori". Mi raddrizzai sulla sedia, assumendo
all'improvviso un tono melodrammatico. "Lascia che vengano e che attacchino!".
E poi, mentre rimanevo seduta, sentendomi cos orgogliosamente sicura di me, accadde qualcosa.
Non avvertivo pi la calda, personale presenza del Signore. Rimasi seduta, quasi in preda al panico,
ignorando completamente le voci che si levavano intorno a me. Mi resi per subito conto di quel
ch'era accaduto. La mia vecchia natura, ancora orgogliosa ed ostinata, aveva preso il sopravvento.
Avevo deciso che qualsiasi cosa fosse accaduta, nessuno mi avrebbe smossa da casa mia.
Mi rilassai sulla sedia, rendendomi appena conto che Tooni si stava rivolgendo a me.
"... va bene, allora, mamma", Tooni diceva piangendo. "Sei diventata allora una cristiana. Ma devi
diventare anche una martire cristiana?". S'inginocchi accanto alla mia sedia appoggiando la testa
sulla mia spalla. "Non ti rendi conto che ti amiamo?".
"Certo cara, naturalmente", mormorai, accarezzandole i capelli. Dentro di me chiesi il Suo perdono
per essere cos testarda. Dovunque Dio avesse voluto che io andassi, andava bene per me, anche se
questo stava a significare di lasciare la mia casa. Appena ebbi detto quelle parole nel mio cuore,
sentii di nuovo la presenza del Padre. Lo scambio di parole era avvenuto in pochi minuti soltanto,
ma anche se le tre donne, sedute di fronte a me, continuavano a parlare, ero consapevole che la vita
stava continuando anche ad un altro livello. Il Signore, proprio in quel momento stava operando in
me, insegnandomi. Mi stava mostrando chiaramente come rimanere alla Sua presenza.
"... faremo cos, allora? Va bene?". Era la voce di Tooni, non avevo la bench minima idea su che
cosa mi stava chiedendo di essere d'accordo... Per fortuna continu. "Se il padre di Mahmud viene
per togliertelo, puoi lasciare che il bambino lo prenda io. Io non sono diventata cristiana", aggiunse
con tono pungente.
Le tre ragazze si erano finalmente calmate. Proposi loro di trascorrere la notte a casa mia;
acconsentirono. Mentre auguravo la buonanotte a Tooni ed alle mie nipoti, pensai a come erano
cambiati i ruoli. Un tempo ero io a proteggerle ed a preoccuparmi per loro; adesso invece eravamo

ugualmente preoccupate l'una per l'altra. Quella sera pregai: "Signore, cos difficile parlare ad una
persona che non ha fede in Te. Ti prego aiuta la mia famiglia. Sono cos preoccupata per il
benessere dei miei cari".
Mi lasciai prendere dal sonno, e nuovamente mi sembr che il mio corpo galleggiasse. Mi ritrovai
in piedi su di un pendo erboso, circondato da alberi di pino. Una sorgente zampillava poco distante.
Tutt'intorno a me c'erano angeli, erano tanti che sembravano formare una cortina. Gli angeli mi
esortarono ad avere coraggio. Poi mi trovai di nuovo a letto. Mi alzai e sentendo ancora il beneficio
di quella forza spirituale, andai nella camera di Mahmud. Additai il bambino sul letto, poi andai
nelle stanze di mia figlia e delle mie nipoti e ripetei lo stesso gesto. Ritornai in camera mia e mi
misi in ginocchio. "Signore", pregai, "Mi hai dato tante risposte, adesso mostrami, Ti prego, che
cosa hai intenzione di fare con Mahmud. Vorrei dare a Tooni una certa sicurezza".
Mi sentii spinta ad aprire la Bibbia e lessi il passo che risaltava nella pagina: Genesi 22:12 - "Non
metter la mano addosso al ragazzo, e non gli fare alcun male...".
"O Padre grazie", mormorai, tirando un sospiro di sollievo.
A colazione potei rassicurare Tooni. "Mia cara, non accadr niente a tuo figlio; non devi
preoccuparti". Le mostrai il passo della Scrittura, rivelatomi dal Signore. Non so se la mia fede
l'aveva influenzata o se era stata toccata dallo Spirito Santo, quel che so che il viso di Tooni mi
appariva sereno e rilassato e, per la prima volta in due giorni, sorrise!
Sia mia figlia che le mie nipoti lasciarono la mia casa con un aspetto meno triste di quando erano
arrivate. Continu per ad arrivare la marea di parenti ed amici.
Qualche giorno pi tardi Raisham annunci che erano venute sette persone, tutti carissimi amici
miei, che desideravano vedermi. Non volli affrontarli senza Mahmud. Il bambino doveva essere al
corrente di quanto stava accadendo. Lo cercai, ed insieme andammo in salotto. Li trovai seduti
impettiti sulle sedie; non avevano certo un aspetto rilassato. Dopo il t, i pasticcini ed una breve
chiacchierata, uno dei presenti si schiar la voce. Mi preparai a quel che stava per dire.
"Bilquis", disse un amico, che conoscevo fin da bambina, "noi ti vogliamo bene; abbiamo pensato a
quanto hai fatto ed avremmo un suggerimento, che riteniamo potrebbe esserti di qualche utilit".
"S?".
Si pieg in avanti, sorridendo.
"Non dichiarare pubblicamente il tuo cristianesimo".
"Intendi dire di mantenere segreta la mia fede?".
"Beh!...".
"Non posso", risposi. "Non posso scherzare con Dio. Se devo morire, morir".
Mi sembr che tutti e sette si stringessero intorno a me. Un vecchio amico di mio padre mi lanci
un'occhiata torva. Stavo per ricambiargli l'occhiataccia, ma mi trattenni. In effetti, pensavano di
agire per il mio bene.
"Mi dispiace" dissi, "ma non posso proprio fare quel che mi chiedete". Spiegai loro che la mia fede
era diventata in poco pi di un mese la cosa pi importante della mia vita. "Non posso proprio
tacere", dissi. Citai quel passo biblico in cui il Signore dice:
"Chiunque dunque mi riconoscer davanti agli uomini, anch'io riconoscer lui davanti al Padre
mio che nei cieli. Ma chiunque mi rinnegher davanti agli uomini, anch'io rinnegher lui davanti
al Padre mio che nei cieli". Matteo 10: 32-33
"Ma", disse un altro signore anziano, "tu sei in una situazione molto particolare. Sono sicuro che al
tuo Dio non dispiacerebbe se te ne stessi zitta. Egli sa che credi in Lui. E questo basta". Cit la
legge del Corano sull'apostasia. "Abbiamo paura", disse "che qualcuno ti uccida".
Sorrisi. Ma nessun altro m'imit! Era una discussione inutile, come avevamo avuto modo di
appurare. Quando si alzarono per andarsene, mi venne dato l'ultimatum.
"Ricordati, Bilquis, che se ti troverai in difficolt nessuno dei tuoi amici o dei tuoi familiari ti
sosterr. Quelli che adesso si preoccupano di pi per te, quel giorno dovranno girarti le spalle".

Annuii col capo. Avevo capito bene le loro parole. Mi auguravo adesso che Mahmud fosse andato in
giardino a giocare, piuttosto che star l ad ascoltare quelle minacce. Quando mi voltai per guardarlo,
stava seduto sulla sua sediolina, accanto a me; mi guard e mi sorrise. Sembrava dirmi: "Va tutto
bene".
Il gruppo stava per accomiatarsi e qualcuno era prossimo alle lacrime. Un'amica intima di mia
madre volle baciarmi. "Arnvederci", disse. Ripet ancora: "Arnvederci" con una strana enfasi. Poi
prorompendo in lacrime, si stacc da me, affrettandosi verso la porta.
Dopo che se ne furono andati la casa sembrava una tomba. Perfino i giochi di Mahmud, di solito
rumorosi, erano pi calmi.
Trascorsero tre settimane, durante le quali, l'unico suono che si sentiva a casa mia era il voco
sommesso della servit. Se non fosse stato per i Mitchell e gli Old e per le nostre riunioni della
domenica sera, mi domando se il congelamento non stesse forse funzionando.
Ogni giorno che passava la linea di condotta adottata dalla mia famiglia appariva sempre pi chiara.
Potei scorgerla nel viso adirato di un cugino, che incontrai nel bazar. L'avvertii nell'occhiata
sprezzante di un nipote, che incontrai per strada a Rawalpindi. Era nella voce fredda di una zia che
telefon per dirmi che non poteva mantenere l'appuntamento per l'invito a pranzo. Il boicottaggio
era cominciato. Il telefono rimase silenzioso, nessuno suon il campanello del mio cancello. Nessun
membro della famiglia venne a farmi visita, nemmeno per venire a rimproverarmi. Non potevo far
niente altro che ricordarmi di un verso del Corano (Sura 47:24-25):
Sarebbe dunque avvenuto che voi avreste portato la corruzione sulla terra, se vi foste allontanati
dalla fede, e avreste spezzato i vostri vincoli di consanguineit? Costoro sono quelli che Dio ha
maledetto, ha reso sordi, e ne ha accecato gli occhi.
Si stava avverando in una maniera molto reale. Avevo violato i legami di sangue e senza dubbio non
avrei rivisto pi la mia famiglia, n avrei avuto pi loro notizie.
I servitori quando entravano o uscivano dalle mie stanze
parlavano e ridevano a bassa voce. Potevo a stento far dire loro pi del solito: "S, Begum Sahib".
E una mattina il boicottaggio prese poi una strana piega. Sentii uno scatto leggero alla porta; mi
voltai e vidi Nur-jan che entrava piano per preparare la mia toilette. Non aveva la sua solita
esuberanza. Raisham entr poi nella stanza con un tono pi solenne del solito. Svolgevano il loro
lavoro senza parlare; mi chiesi il perch di quell'espressione preoccupata sui loro volti.
Mi aspettavo di sentire qualche parola, ma Nur-jan continuava il suo lavoro in silenzio, senza le
solite chiacchiere e pettegolezzi. Il viso di Raisham era serio e pallido. Alla fine, non resistendo, con
un po' del vecchio fuoco nella voce dissi:
"Va bene, so che c' qualcosa che non va. Ditemi di che si tratta".
Raisham smise di spazzolarmi, mentre mi dava la notizia. Eccetto lei, che ora mi stava di fronte,
tutti gli altri servitori cristiani, compreso Manzur, avevano lasciato la mia casa durante la notte.
Capitolo 9
IL BOICOTTAGGIO
Che stava a significare questa defezione? Quattro servitori se ne erano andati! In una cittadina come
Wah, dove era difficile trovare un lavoro, le loro decisioni apparivano difficili da capire.
Era paura naturalmente. Manzur aveva paura perch gli avevo chiesto di procurarmi una Bibbia ed
accompagnarmi in macchina a casa dei missionari. Gli altri tre servitori cristiani dovevano aver
intuito le sue preoccupazioni. Dovevano aver sentito i brontolii di un vulcano che presto avrebbe
eruttato e non volevano essere travolti dalle circostanze.
Ma che dire di Raisham, questa domestica cristiana, che adesso aveva nuovamente ripreso a
spazzolarmi i capelli? Potevo avvertire il tremolo delle sue mani aggraziate.

"E tu?" chiesi.


Si morse le labbra, mentre continuava sempre a spazzolarmi. "Non sarei dovuta rimanere", disse a
bassa voce. "Adesso mi sentir..."
"Molto sola", terminai io la frase.
"S", disse deglutendo "e...".
"Ed hai paura. Raisham, se te ne vai, io non ti biasimo. Devi prendere la tua decisione, come ho
fatto io. Se nonostante tutto rimani, ricordati che Ges ci ha detto che saremmo stati perseguitati per
cagione sua".
Raisham annu, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime.
Prese una forcina che teneva in bocca e cominci ad appuntarmi i capelli. "Lo so", disse
tristemente.
Raisham rimase silenziosa per il resto del giorno. Le sue preoccupazioni influenzarono Nur-jan, che
era prossima ad una crisi isterica. La mattina successiva, al mio risveglio, non mi decidevo a
suonare il campanello. Chi era rimasto ancora con me? La porta della mia camera si apr piano,
entr Nur-jan. La seguiva un'altra forma, che riuscii ad intravvedere appena, nella semi-oscurit di
quell'alba invernale. Era Raisham!
In seguito le dissi di come avevo apprezzato il fatto che fosse rimasta. Arross. "Begum Sahib Gi",
disse dolcemente, aggiungendo il terzo attributo che stava a significare amorevolmente: Possiate
avere lunga vita, "Come voi servite il Signore, cos io servir voi".
La mia casa adesso era diventata ancora pi quieta, anche perch non avevo rimpiazzato tutti i
servitori cristiani, che mi avevano lasciata. Le mie necessit si erano ridotte ora che nessun
familiare veniva pi a trovarmi. Decisi di non assumere pi personale cristiano per un certo tempo.
Trovai un nuovo autista, un musulmano di nome Fazad ed un altro musulmano aiutante cuoco; non
presi nessun altro a servizio. Ero in particolar modo contenta per Mahmud, che continuava a giocare
felicemente in casa o fuori, in giardino. Lo incoraggiai ad invitare qualche amico del villaggio,
suggerimento che il bambino accett prontamente. La maggior parte dei bambini erano un poco pi
grandi di Mahmud, che aveva solo cinque anni. Ma nonostante la differenza di et era Mahmud il
loro capo... non penso per che questa supremazia fosse da attribuire soltanto al fatto che era il
padroncino di casa, ma anche ai settecento anni di posizione di comando che erano un'eredit
genetica del bambino. Tale autorit non si poteva disconoscere, come non si poteva negare la
limpidezza ed il candore dei suoi occhi scuri.
In che misura stavo mettendo a repentaglio una tale eredit? In che misura stavo minando i suoi
legittimi vincoli familiari?
Proprio il giorno prima aveva chiesto nuovamente quando suo cugino Karim l'avrebbe
accompagnato a pescare. Karim aveva infatti promesso d'insegnare a Mahmud come prendere una
trota, mentre il pesce scivolava tra le pietre ricoperte di muschio del ruscello del nostro giardino. Il
piccolo corso d'acqua andava poi a raggiungere il fiume Tahmra.
"Mamma!". Mahmud mi aveva chiesto. "Quando verr Karim?".
Guardai il bambino: i suoi occhi brillavano. Non mi sentivo proprio in cuore di dirgli che quella
partita di pesca non avrebbe mai avuto luogo. Mahmud, data la sua et, non poteva ancora sentirsi
spinto a conoscere meglio Ges. Cominciai a leggergli dei racconti biblici; gli piacevano tanto che
pensai di anticipare l'ora di andare a letto per avere pi tempo insieme per leggerli, mentre era
coricato. Ma cos'erano dei racconti paragonati ad una partita di pesca? E gli amici? A poco a poco
gli amici di Mahmud non vennero pi a giocare. Mahmud non riusciva a capire il perch; quando
provai a spiegarglielo mi guard perplesso.
"Mamma", disse, "chi ami di pi, me o Ges?".
Cosa dovevo rispondere? In special modo adesso che era cos solo? "Dio deve venir prima,
Mahmud", dissi parafrasando l'avvertimento del Signore che se non mettiamo la famiglia dopo di
Lui, non apparteniamo veramente a Lui. "Dobbiamo mettere il Signore al primo posto", dissi,
"anche prima delle persone che amiamo di pi al mondo".
Mahmud sembr accettare quella spiegazione. Sembrava anche che mi seguisse quando gli leggevo

la Bibbia. Una volta, dopo avergli letto "Venite a me voi tutti che siete stanchi ed aggravati ed io vi
dar riposo", sentii la sua preghiera prima di addormentarsi: "Ges, io ti amo e verr a Te, ma... per
favore non mi dare riposo. A me non piace riposare". Giungeva perfino le manine e pregava, ma
sapevo che era difficile per lui stare da solo e vedermi sola. Nessun parente, amico o conoscente
imbocc pi il sentiero che porta a casa mia; neanche il telefono squill pi.
Una notte, alle 3 trill il telefono bianco sul mio comodino. Raggiunsi l'apparecchio, mentre il
cuore mi batteva forte. Nessuno avrebbe chiamato a quell'ora a meno che non vi fosse stato
qualcosa di molto grave, forse una morte in famiglia. Alzai la cornetta, dapprima sentii soltanto un
respiro affannoso. Poi tre parole mi vennero lanciate contro come pietre:
"Infedele. Infedele. Infedele".
Interruppero poi la comunicazione. Mi distesi sul letto. Chi era stato? Uno di quei fanatici di cui mi
avevano messo sull'avviso i miei zii? Cosa avrebbero potuto fare?
"O Signore, Tu sai che non mi dispiace morire. Ma sono una vigliacca. Non sopporto il dolore. Tu
sai che mi sento venir meno quando il medico mi fa un'iniezione. Ti prego di rendermi capace di
sopportare il dolore, se verr". Gli occhi mi si riempirono di lacrime. "Ammetto di non aver la
stoffa dei martiri, Signore. Mi dispiace. Fammi stare soltanto in comunione con Te, qualsiasi cosa
avvenga!".
Segu poi una lettera minatoria anonima. "Vogliamo essere chiari. Esiste solo una parola per
descrivervi. Traditrice". Poi ne giunse un'altra e dopo poco un'altra ancora. Mi davano tutte degli
avvertimenti. Ero un'apostata e sarei stata trattata come tale.
Un pomeriggio, sul tardi, nell'estate 1967, circa sei mesi dopo la mia conversione, mi trovavo in
giardino con uno di quei fogli appallottolati in pugno. Era una lettera particolarmente cattiva, al
vetriolo. Mi definiva pi che un'infedele, una sedut-trice di fedeli. I veri credenti, diceva la lettera,
avrebbero dovuto eliminarmi, bruciandomi, come si fa con la cancrena che ha colpito un arto sano.
Bruciandomi? Era solo un modo di dire? Continuai a camminare nel giardino, tutt'intorno c'erano
aiuole con fiori dai colori smaglianti: tulipani, giacinti, alissi. La primavera aveva ceduto il posto
all'estate. I cotogni fiorivano, mentre cadevano gli ultimi petali bianchi dei peri. Mi girai a guardare
la mia casa. "Non la toccheranno!" dissi tra me. Non elimineranno una begum! Ma, come a
conferma del fatto che non potevo pi contare su alcuna protezione, derivantemi dalla mia
posizione sociale e dai miei beni, venne qualcuno a farmi visita. La sua presenza mi fu annunziata
da un'inserviente.
"Il Generale Amar sta aspettando, vorrebbe vedervi, Begum".
Ebbi un tuffo al cuore. Guardai attraverso il cancello e vidi un'auto di rappresentanza, che mi era
familiare, dal colore grigio-verde. Il Generale Amar era un caro vecchio amico, fin dal tempo in cui
prestavo servizio nell'esercito. Durante la IIa guerra mondiale avevo lavorato con lui che ora era
diventato uno dei primi generali nell'esercito pakistano. Eravamo rimasti in contatto per tutti quegli
anni, in special modo nel periodo in cui mio marito era Ministro degli Interni e lavoravano insieme.
Era venuto anche lui per condannarmi?
Sentii i suoi passi risuonare sul sentiero del giardino: camminava risolutamente venendomi
incontro. Era tutto tirato a lucido in un'inappuntabile uniforme color cachi, calzoni da cavallerizzo e
stivali di cuoio. Mi prese la mano e me la baci. La mia apprensione diminu un poco;
evidentemente non era in missione di guerra...
Mi guard, gli occhi scuri brillavano di malizia. Come sempre, il Generale arriv diritto al punto.
" vero quel che dice la gente?".
"S", risposi.
"Che cosa ti ha spinto a farlo?" esclam. "Ti sei messa in una situazione molto pericolosa. Ho
sentito dire che vogliono ammazzarti".
Lo guardai in silenzio.
"E va bene", aggiunse mentre si sedeva su una panchina del giardino. La cintura di cuoio
scricchiol. "Sai che sono come un fratello per te?" disse.
"Lo spero".

"E come un fratello sento di doverti proteggere amorevolmente".


"Te ne ringrazio".
"Sappi allora che la mia casa sempre aperta per te".
Sorrisi. Era la prima cosa gentile che qualcuno mi avesse detto negli ultimi tempi.
"Ma", il Generale continu, "c' qualcosa che dovresti sapere. Questa una proposta mia
personale". Si chin su di un fiore, lo pieg verso di s e ne aspir il profumo; poi si volt verso di
me ed aggiunse: "Ufficialmente non c' molto che io possa fare per te,Bilquis".
"Lo so". Presi la mano del Generale, ci alzammo dalla panchina e passeggiammo su e gi per la
terrazza, poi entrammo in casa. Mentre camminavamo, gli raccontai di come le cose non erano state
certo facili per me.
"E nemmeno lo diventeranno, mia cara", disse il mio amico, nel suo modo casuale di parlare. Pi
tardi, dopo che ebbi ordinato il t in salotto, mi chiese con un sorriso un po' scherzoso: "Dimmi,
Bilquis, perch l'hai fatto?".
Spiegai quel ch'era avvenuto e notai che il Generale Amar mi seguiva attentamente. Che cosa
straordinaria! Stavo dando, senza rendermene conto, quel che i missionari chiamano testimonianza!
Stavo parlando di Cristo ad un musulmano e per giunta ad un alto ufficiale, che per di pi era
interessato a ci che dicevo! Ho i miei dubbi se davvero toccai il suo cuore, quel pomeriggio, ma
una mezz'ora pi tardi, quando si accomiat da me, il suo stato d'animo rifletteva quanto
accoratamente gli avevo raccontato. Era il crepuscolo, quando mi salut, baciandomi di nuovo la
mano.
"Ricordati, Bilquis", disse con voce rauca, "in qualsiasi momento avessi bisogno del mio aiuto...
come amico... far quello che mi sar possibile!".
"Grazie, Amar", risposi.
Si gir sui tacchi, che risuonarono sulle piastrelle del corridoio. Usc nella penombra della sera e si
diresse verso la sua auto di rappresentanza. Era terminata quella visita cos insolitamente triste. Mi
domandai se l'avrei rivisto ancora.
Per la prima volta, nel corso di quel boicottaggio, tra lettere anonime, telefonate ed avvertimenti da
parte di vecchi amici, stavo imparando che cosa significasse vivere ora per ora. Era esattamente
l'opposto della preoccupazione. Ero in attesa di sperimentare quel che Egli avrebbe permesso che
avvenisse. Ero pienamente convinta che non accadesse nulla senza che Egli lo permettesse. Sapevo,
ad esempio, che sarebbe aumentata la pressione contro di me. Se questo si fosse verificato, sarebbe
stato Dio a permetterlo ed io avrei dovuto imparare a ricercare la Sua comunione nel mezzo di un
eventuale disastro. Avrei vissuto ora per ora mantenendomi vicino a Lui. Era quanto mi ero
proposta di fare. Imparare a conservare la Sua compagnia, cos che qualsiasi cosa fosse accaduta, in
qualsiasi momento, io sarei rimasta sempre nella Sua gloria.
Con la crescente pressione esercitata su di me da parte della mia famiglia, capii come il Re Davide
si era dovuto sentire quando, fuggendo davanti a suo figlio, Absalom, prese la sua lira e cant: "Ma
tu, o Eterno, sei uno scudo attorno a me, sei la mia gloria..." (Salmo 3:3). Per gloria, ritengo che
considerasse l'indicibile beatitudine, la gioia e la felicit dei santi in cielo.
Per il momento la pressione da parte della mia famiglia era costituita ancora dal boicottaggio.
Nessun membro della mia famiglia mi chiam, nemmeno per rimproverarmi. Tranne in qualche rara
occasione non mi chiam nessuno dei miei vecchi amici. Continuarono i sogghigni beffardi nella
piazza del mercato. Mi tennero volutamente in disparte dai grandi eventi di famiglia: nascite, morti,
matrimoni. In qualsiasi momento mi lasciassi prendere dalla solitudine che quella situazione mi
causava, la gloria cominciava a diminuire, lo sentivo; ed allora immediatamente rivolgevo i miei
pensieri, con un puro atto di volont, alle volte in cui anche Ges si era sentito solo.
Mi aiutava molto. Ma mi resi conto, con una certa sorpresa, che avevo disperatamente bisogno di
semplice amicizia. Io che mi ero tenuta cos a distanza da tutti, ero adesso bisognosa di contatto
umano. Perfino gli Old ed i Mitchell non venivano pi a casa mia. Avevo chiesto loro di non farmi
visita per la propria sicurezza.
Un pomeriggio nuvoloso mi ero ritirata nella mia camera per leggere la Bibbia. Era una giornata

insolitamente fredda, pur essendo gi iniziata l'estate. Un forte vento scuoteva le finestre. Appena
iniziai a leggere avvertii un calore sulla mano; era un raggio di sole che si era posato sul mio
braccio. Guardai fuori della finestra, giusto in tempo per vedere il sole che scompariva di nuovo tra
le nuvole. Per un attimo sembr che Egli mi avesse raggiunta, toccandomi la mano in segno di
conforto.
Guardai verso l'alto, "Oh Signore", dissi. "Mi sento cos sola; mi si asciuga perfino la lingua per il
non parlare. Ti prego, mandami qualcuno con cui parlare, oggi".
Sentendomi un po' sciocca per aver fatto una richiesta cos puerile, ritornai alla mia lettura biblica.
Dopo tutto avevo la Sua compagnia e mi bastava. Ma dopo un po', con un certo stupore, sentii delle
voci, gi nell'atrio. Era un suono che ormai non mi era pi familiare.
M'infilai un vestito e mi precipitai in anticamera. Per le scale incontrai Nur-jan che, senza fiato, mi
veniva incontro. "Oh, Be-gum Sahib", disse gridando concitatamente, "sono venuti i signori Old".
"Gloria a Dio" esclamai, affrettandomi ad andare loro incontro. Naturalmente mi vedevo con Ken e
Marie al culto la domenica, a casa loro; quest'incontro era per diverso, interrompeva la monotonia
di una lunga settimana. Marie mi venne incontro, prendendomi la mano. "Dovevamo proprio
vederti, Bilquis", disse, mentre gli occhi azzurri le brillavano per la gioia. "Non c'era alcun motivo
tranne quello che ci fa piacere stare con te".
Che bella visita fu! Mentre parlavamo, mi resi conto che avevo sbagliato non chiedendo agli altri di
venirmi a fare visita. L'orgoglio mi aveva trattenuto dall'ammetterne il bisogno. All'improvviso ebbi
un'ispirazione. Perch non invitare le persone a casa mia, per il culto della domenica? Ma questa
decisione non avrebbe forse aggiunto polvere da sparo al fuoco gi acceso? Cercai di scacciare quel
pensiero, ma senza riuscirvi. Mentre i miei amici stavano sul punto di lasciarmi, dissi prontamente:
"Vorreste venire a casa mia per il culto di domenica sera?". Gli Old mi guardarono con aria
meravigliata. "Lo desidero tanto" dissi, allargando le braccia. "Questa vecchia casa ha bisogno di un
po' di vita". Rimanemmo cos d'accordo.
Quella sera, mentre mi preparavo per andare a letto, pensai a come il Signore provvede per noi,
meravigliosamente. Mi erano stati tolti familiari ed amici, ma Egli li aveva rimpiazzati con la Sua
propria famiglia ed altri amici. Dormii tranquillamente e mi svegliai con la sensazione che un sole
caldo penetrasse attraverso la finestra. Mi alzai ed aprii la finestra, godendomi la brezza leggera che
entrava nella stanza. Nell'odore di terra potevo avvertire il caldo respiro della piena estate, che
ormai ci aveva raggiunti.
Non vedevo l'ora che venisse la domenica sera. Il pomeriggio del sabato la mia vecchia casa era
piena di fiori, i vetri delle finestre scintillanti, i pavimenti strofinati fino a farli risplendere. Suggerii
a Raisham di unirsi a noi, se le faceva piacere, ma era incerta, non era ancora pronta per un passo
tanto audace. Non volli forzarla.
La domenica trascorse nel mantenere Mahmud lontano dal salotto, nel raddrizzare il tappeto
persiano, nell'aggiustare continuamente i fiori nei vasi e nello scovare qua e l un granello di
polvere da togliere. Finalmente sentii aprire il cancello e le auto che facevano scricchiolare la ghiaia
lungo il viale.
La serata si svolse proprio come me l'aspettavo: cantammo, pregammo e testimoniammo quello che
il Signore stava operando tra di noi. Eravamo in dodici, oltre a Mahmud; stavamo seduti
confortevolmente in circolo, nel salotto, ma avrei giurato che l c'erano almeno un migliaio di altri
ospiti invisibili, benvenuti.
La serata ebbe anche un altro risvolto, che non avevo previsto. Scoprii che i miei amici cristiani
erano ancora molto preoccupati per me.
"Sei abbastanza prudente?". Era Marie a parlare.
Risi. "Beh, non c' molto da fare. Se qualcuno vuoi farmi del male sono sicura che trover il modo".
Ken guard attentamente le finestre del salotto e poi la grande porta a vetri, che dava sul giardino.
"Veramente il posto non offre molta sicurezza", disse. "Non mi ero reso conto di come fossi esposta
e vulnerabile".
"E com' la tua camera?" chiese Synnove. Ognuno ritenne opportuno dare un'occhiata alla mia

stanza, cos ci dirigemmo tutti al piano superiore. Ken era particolarmente interessato alle finestre,
che affacciavano sul giardino; l'unica protezione era costituita dai vetri e da una grata in filigrana.
Scosse la testa. "Non affatto sicuro. Dovresti provvedere, Bilquis, a far installare un'inferriata di
metallo pesante. Chiunque potrebbe entrare cos com'".
Risposi che me ne sarei occupata il giorno dopo.
Fu la mia immaginazione oppure la Sua gloria diminu un pochino dopo aver fatto quella promessa?
Alla fine ci salutammo ed io andai a coricarmi felice, come non lo ero stata da tempo. Il giorno
seguente per, mentre mi accingevo a mandare a chiamare il fabbro ferraio del villaggio, mi sentii
nuovamente conscia dell'improvvisa diminuizione della gloria del Signore. Perch? Era forse
causata dal fatto che volevo compiere un'azione che traeva origine dalla paura? Una cosa era certa,
che ogni qualvolta avevo l'intenzione di chiamare il fabbro ferraio c'era qualcosa che me lo
impediva.
Mi resi poi conto del perch. Quando si sarebbe saputa in giro nel villaggio la notizia che volevo far
sbarrare la mia finestra, la gente si sarebbe resa conto che avevo paura. Potevo gi immaginarmi le
chiacchiere! "Per che tipo di religione questo cristianesimo... quando si diventa cristiani si diventa
anche paurosi?". No. Avevo preso la mia decisione: non avrei fatto sbarrare la finestra.
Quella notte andai a letto fiduciosa di aver preso la giusta decisione. Mi addormentai subito, ma
all'improvviso fui svegliata da un suono. Sorpresa, ma non impaurita, mi sedetti in mezzo al letto.
Davanti ai miei occhi apparve una visione sorprendente.
Attraverso le mura della stanza, in maniera soprannaturale, potevo vedere interamente il mio
giardino. Era inondato da una luce splendente, celestiale. Potevo scorgere nitidamente ogni petalo di
rosa, ogni foglia d'albero, ogni filo d'erba, ogni spina. Su tutto il giardino dominava una grande
calma. Sentii nel mio cuore il Padre mio che diceva: "Hai fatto bene, Bilquis. Io sto con te".
Piano piano, la luce and diminuendo e la stanza si fece di nuovo buia. Accesi il lume del
comodino, alzai le braccia in alto e glorificai il Signore. "O Padre, come potr mai ringraziarti abbastanza? Hai tanta cura per ognuno di noi".
La mattina successiva chiamai a raccolta i miei servitori e dissi loro che, se lo preferivano, da ora in
poi, avrebbero potuto dormire nelle proprie abitazioni. Soltanto Mahmud ed io avremmo dormito
nella grande villa. I domestici si scambiarono tra di loro delle occhiate chi di stupore, chi di piacere,
mentre due o tre fra essi si mostrarono allarmati. Sapevo che almeno una cosa era stata fatta. La mia
decisione aveva messo fine ad ogni idea di protezione personale. E con quella decisione risentii la
gloria, che rimase con me pi a lungo del solito. Quella stretta comunione era pi che necessaria per
affrontare i prossimi eventi.
Una mattina, Raisham mentre mi spazzolava i capelli, incidentalmente disse: "Ho sentito dire che il
figlio di vostra zia, Karim, morto".
Mi sporsi dalla sedia e la guardai incredula. "No!", dissi allibita. Karim, no. Era uno dei miei
preferiti. Doveva andare a pesca con Mahmud! Cos'era accaduto? Perch dovevo venire a conoscenza della morte di Karim attraverso i miei servitori? Con un'incredibile forza di volont ripresi
il controllo di me stessa e forzatamente mi appoggiai allo schienale della sedia, per permettere a
Raisham di continuare il suo lavoro. Ma la mia mente galoppava altrove. Poteva anche essere una
voce messa in giro, pensai. O forse Raisham aveva capito male il nome. Il mio stato d'animo si
risollev un poco. Pi tardi chiesi ad una donna di servizio anziana d'informarsi su quanto era
veramente accaduto. La donna and al villaggio e dopo un'ora fece ritorno. Aveva l'aria abbattuta
quando mi disse: "Mi dispiace Begum Sahib, purtroppo vero. morto la scorsa notte per un
attacco cardiaco. Oggi ci sar il funerale".
Poi, questa domestica, che aveva inclinazione ad informarsi di tutto quello che accadeva, mi dette
delle notizie che mi addolorarono ancora di pi. Mia zia, mi disse la donna, sapendo quanto amavo
suo figlio, aveva espressamente chiesto alla mia famiglia d'informarmi della morte del suo ragazzo.
Ma nessuno aveva esaudito quel suo desiderio.
Pi tardi, mi misi seduta davanti alla finestra, rivangando nella mia mente gli ultimi avvenimenti.
Ero stata esclusa dagli eventi di famiglia per sei mesi, ma il boicottaggio non mi era mai costato

tanto.
Mentre mi lasciavo andar piano sulla sedia a dondolo, cominciai a pregare per ricevere il Suo aiuto
e, come sempre, l'aiuto non tard a venire. Questa volta mi sembr come se mi fosse stato messo
affettuosamente un mantello caldo sulle spalle. E con quella sensazione sopraggiunse anche un
insolito piano di azione. L'idea mi scosse. Era cos audace che sapevo con certezza che veniva da
parte del Signore!
Capitolo 10
IMPARANDO A VIVERE NELLA SUA GLORIA
Mentre stavo seduta alla finestra ad osservare il giardino, dove Karim ed io avevamo giocato da
bambini, un forte vento monsonico proveniente dall'India, pieg le cime degli alberi. In quella
manifestazione mi sembr di afferrare un messaggio straordinario, ma non riuscivo a credere alle
mie orecchie!
"Non mi stai dicendo questo, vero Signore?" dissi sorridendo. "Sto sentendo soltanto delle voci.
Non vorrai che io vada al funerale di Karim. Sarebbe inopportuno. Sarebbe di cattivo gusto. Non
farei altro che offendere le persone che sono in lutto".
Mentre facevo obiezioni, mi resi conto ancora una volta che la sensazione della Sua presenza
andava scomparendo. Cominciai allora a chiedermi se con quel segno non mi era stato detto di
compiere davvero quell'azione straordinaria, di andare proprio ad affrontare le ostilit del
boicottaggio.
Alla fine, tirando un lungo sospiro mi alzai dal mio posto accanto alla finestra, mi strinsi nelle
spalle e dissi a voce alta: "Signore, sto incominciando ad imparare. Il mio senso di rettitudine
niente a paragone del Tuo! Andr, dato che Tu mi stai dicendo di andare".
E, naturalmente, ritorn la sensazione della Sua presenza. Stavo vivendo delle esperienze
straordinarie col continuo avvicendarsi della Sua gloria. Eppure, avevo la sensazione che ero
proprio sul punto di afferrare di che cosa si trattasse. Come sarei riuscita ad imparare a rimanere alla
Sua presenza per un tempo
sempre maggiore? Non mi rendevo conto che nei prossimi due mesi avrei vissuto un susseguirsi di
esperienze che mi avrebbero portato un passo avanti in quel processo di apprendimento.
Mi trovavo di fronte alla casa di Karim, in mezzo alla stradina pavimentata a ciottoli. Ero un po'
esitante. Nonostante la mia promessa di obbedire, mi sentivo come una colomba lasciata in bala di
migliaia di cobra. Tirai un lungo respiro, alzando la testa verso la casa di pietra che si ergeva in
mezzo alle altre. Mi avviai verso il cortile ed entrai nella veranda, esponendomi agli sguardi fissi su
di me della gente del villaggio, che stava seduta in silenzio, tutt'intorno. Entrai nella casa vecchio
stile, dai soffitti scolpiti, dalle mura bianche intonacate, dove tante volte Karim ed io avevamo riso,
giocato e corso insieme.
Non si sentivano risate adesso. Alla tristezza per la famiglia in lutto, si aggiungeva il gelo di una
ventina di sguardi sprezzanti diretti verso di me. Guardai in direzione di una mia cugina con cui ero
stata molto intima. I nostri sguardi s'incrociarono per un attimo: mia cugina gir subito la testa e si
mise a parlare con uno seduto vicino a lei.
Io, raddrizzando le spalle, entrai nel salotto, mi sedetti su uno degli spessi materassi di cotone, che
erano stati sistemati sul pavimento: c'erano dei cuscini tutt'intorno per appoggiarsi. Mi sistemai il
sari intorno alle gambe. Tutto d'un tratto le persone sembrarono accorgersi di me. La conversazione
che fino ad allora era scorsa tranquillamente, s'interruppe all'improvviso. Perfino le donne che
recitavano le loro preghiere ad Allah, s'interruppero per guardare verso di me. La stanza, che era
infuocata dal calore estivo e da un gran numero di corpi stretti l'uno all'altro, all'improvviso sembr
diventare gelida.
Non dissi niente e non mi sforzai di apparire socievole, abbassai semplicemente gli occhi e dissi le
mie preghiere. "Signore Ges", sussurrai in cuor mio, "stai con me, mentre io Ti rappresento in

questo gruppo di cari amici e parenti, i quali sono tanto rattristati per la morte di Karim".
Dopo un quarto d'ora riprese tranquillamente il corso della conversazione. Era ora che andassi a
rendere omaggio alla moglie di Karim. Tenendo la testa eretta, mi alzai dal materasso ed andai nella
stanza accanto, dove il corpo di Karim giaceva in una bara alta e profonda. Secondo il credo
musulmano una persona morta deve essere in grado di sedersi quando gli angeli vanno ad
interrogarla, prima che entri in cielo. Detti le mie condoglianze alla moglie di Karim, poi guardai il
viso disteso del mio caro cugino, avvolto nel bianco lenzuolo funebre. Oh, come avrei desiderato
parlargli prima che morisse!
Un basso mormoro riempiva la stanza: erano i familiari pi stretti che pregavano per Karim. Le
donne stavano in piedi e leggevano dei versi dal Corano. Faceva tutto parte dell'avvicendarsi della
vita e della morte - versi che conoscevo cos bene. Stavo girando le spalle a tutto questo. Prima del
tramonto di quest'oggi ci sarebbe stata una processione al cimitero con tutti i componenti della
famiglia, che avrebbero seguito il feretro. Alla tomba i portatori avrebbero poggiato la bara sulla
terra ed il sacerdote avrebbe detto a gran voce: "Dio il pi grande. Signore, questo il tuo servo,
il figlio del tuo servo. Egli era solito testimoniare che non c' altro Dio all'infuori di te e che
Maometto il tuo servo ed il tuo messaggero.
Mentre stavo in piedi ad ascoltare il lamento sommesso nella stanza, vidi la madre di Karim
inginocchiarsi davanti alla bara. Sembrava cos disperata; sentii all'improvviso un bisogno irresistibile di andarle vicino. Avrei potuto osare? Sarebbe stato un affronto? Avrei dovuto dirle qualcosa
su Ges? Probabilmente no. Il fatto di essere l come cristiana stava a significare che le mettevo
Ges al fianco, amorevolmente.
Mi diressi cos verso la madre di Karim e mettendole un braccio intorno alle spalle, le dissi a bassa
voce, di come ero addolorata. "Karim ed io eravamo cos legati. Possa Dio benedirvi e confortarvi".
La zia volt il viso verso di me. I suoi occhi scuri pieni di lacrime mi ringraziarono ed io compresi
che Ges stava anche allora confortando il suo cuore afflitto.
Sembrava proprio che la madre di Karim fosse l'unica l presente che mi accettasse. Appena mi
allontanai da lei, per andare a sedermi di nuovo tra i parenti in lacrime, un cugino - stretto per di
pi! - si alz in piedi ed ostentatamente se ne usc dalla stanza. Un altro cugino lo segu. E poi un
altro ancora.
Rimasi seduta in lotta con me stessa: da una parte i miei sentimenti di dolore per Karim e la sua
famiglia e dall'altra un grande imbarazzo. Il mio cuore batteva forte. L'ostilit cominciava a far
breccia nel mio senso di protezione. Tutto quanto potessi fare era di restarmene seduta per un tempo
convenevole, poi alzarmi, salutare ed uscire dalla stanza. Quando finalmente me ne andai, potevo
sentire gli occhi di tutti i presenti fissi su di me.
Mi sedetti in macchina, appoggiata al volante, cercando di riprendermi. Avevo obbedito, ma il
prezzo era stato alto. Ovviamente avrei preferito rimanere a casa piuttosto che andare ad affrontare
quell'ostilit cos evidente.
Mi sarei sbagliata per, se avessi pensato di non dover pi ripetere quell'esperienza. Difatti qualche
settimana pi tardi, quando nel nostro distretto la calura estiva cominciava a diminuire, venne a
mancare un altro cugino. Anche questa volta venni a conoscenza del fatto per mezzo della servit. E
di nuovo, obbedendo alle direttive del Signore, mi ritrovai riluttante ad entrare in una stanza piena
di persone che si lamentavano e piangevano, facendo cordoglio, i quali mi accolsero con freddezza
ed ostilit. Con un atto di volont non pensai pi a me stessa, concentrando la mia attenzione
sull'unica persona che era stata veramente colpita: la vedova di mio cugino. Aveva un bambino sui
cinque anni, la stessa et di Mahmud. Aveva un'aria cos addolorata, affranta mentre stava davanti
alla bara, che piansi per lei e per suo marito.
E poi, com'era gi accaduto al funerale di Karim, mi sentii come spinta verso quella donna
disperata. Appena mi avvicinai, i nostri occhi s'incontrarono e notai una certa esitazione sul suo viso
solcato di lacrime. Poi, con un'occhiata d'inaspettata determinazione, consapevole di mettersi contro
la volont dei suoi familiari, mi tese la mano. Mentre le stringevo la mano bruna, piansi in silenzio.
Scambiammo soltanto poche parole, ma il mio cuore pregava ardentemente che lo Spirito Santo

potesse toccarla per mezzo di quel lutto e che potesse mantenere la Sua promessa anche nei
confronti di questa cara creatura musulmana: "Beati coloro che fanno cordoglio".
"Grazie Bilquis, grazie" disse la vedova in un sussurro, quando mi lasci la mano. L'abbracciai ed
uscii dalla stanza.
Stranamente ci furono altri due funerali, uno dopo l'altro. Era qualcosa fuori dal normale anche in
una famiglia numerosa come la nostra. Ogni volta mi fu detto da parte del Signore, in maniera
chiara e distinta che dovevo uscire dalla sicurezza della mia casa ed andare dove c'era bisogno di
me. Non parlavo molto. Lasciavo che la mia presenza amorevole desse la sua testimonianza.
E per tutto il tempo il Signore operava in me. Aveva ancora molto da insegnarmi e stava usando
quelle tristi occasioni come banco di prova.
Fu nel corso di una di questo visite di condoglianze che scoprii il grande segreto di come rimanere
sempre in comunione con Lui.
Ad un funerale musulmano nessuno cucina o mangia fino a quando non avvenuta la sepoltura. Di
solito si fa un giorno di digiuno, che per la verit, non poi una prova tanto dura. In ogni modo,
quel giorno, mentre me ne stavo seduta 'isolata' nella stanza affollata, sentii all'improvviso il
desiderio del mio solito t pomeridiano. Era qualcosa, dissi a me stessa, di cui non potevo fare
assolutamente a meno.
Cos, incapace di controllare quel mio desiderio, mi alzai, mormorai una scusa: "Vado a lavarmi le
mani" dissi e scivolai fuori dalla stanza. Andai fuori, in un piccolo bar. L presi il mio immancabile
t e poi feci ritorno tra quelli che facevano cordoglio.
Avvertii subito uno strano senso di abbandono, come se un amico, che mi stava al fianco, mi avesse
lasciata. Sapevo naturalmente di che cosa si trattava. La presenza confortante del Suo Spirito mi
aveva lasciata.
"Signore" dissi tra me, "che cosa ho fatto?".
E poi mi resi conto. Avevo mentito, nel cercare una scusa.
"Ma era solo una bugia pietosa, Signore", dissi. Non avvertii alcun senso di consolazione da parte
dello Spirito. Soltanto una stasi.
"Ma Signore", insistetti, io non devo pi seguire queste pratiche religiose musulmane. Ed oltre tutto,
non riesco a far a meno del mio t. Tu lo sai".
Nessuna sensazione del Suo Santo Spirito.
"Ma Padre", continuai ad insistere, "Non potevo certo dire che andavo fuori a prendere il t coi
pasticcini! Si sarebbero dispiaciuti".
Nessuna risposta dallo Spirito.
"Va bene, Padre", dissi. "Capisco. Ho sbagliato a mentire. Mi rendo conto che cercavo
l'approvazione degli uomini mentre devo vivere soltanto per la Tua approvazione! Sono sinceramente dispiaciuta, Signore. Ti ho addolorato. Con il Tuo aiuto non lo far pi".
Appena ebbi pronunziato quelle parole, sentii di nuovo la Sua presenza consolante: era come una
pioggia benefica su un terreno riarso. Mi sentivo distesa, rilassata. Sapevo che Egli era con me.
E cos fu che imparai a ristabilire di nuovo la comunione col Signore. Ogni qualvolta non avvertivo
pi la Sua vicinanza, sapevo di averLo rattristato. In quel caso sarei andata a ritroso nel tempo, fino
a risalire all'ultima volta in cui avevo avvertito la Sua presenza. Allora avrei riesaminato ogni atto,
ogni parola o pensiero fino a scoprire il momento in cui ero andata fuori strada. A quel punto avrei
confessato il mio peccato e chiesto il Suo perdono.
Imparai a compiere quell'atto con sempre pi coraggio. Con quell'atto di obbedienza appresi il
meraviglioso segreto del pentimento. Scoprii che pentimento non rimorso lacrimoso, quanto
piuttosto ammettere in che cosa avevo sbagliato e dichiarare apertamente che, con il Suo aiuto, non
avrei commesso pi quello sbaglio in futuro. Quando mi rendevo conto della mia debolezza, potevo
invocare la Sua forza.
Fu in quel periodo che scoprii che non esistono bugie innocue. Una bugia una bugia e viene
sempre da Satana, il padre della menzogna. Egli usa delle innocue bugie pietose per farci cadere in
questa abitudine insidiosa. Le bugie preparano il terreno a tentazioni maggiori che

sopraggiungeranno. Satana ci bisbiglia che una bugia pietosa 'stima' per gli altri. In questo modo
ci assoggettiamo al mondo, invece che a Ges, che la verit.
Per quanto avessi imparato la lezione al funerale di un parente, era per me l'inizio di un nuovo modo
di vivere. Cercai di sradicare del tutto in me l'atteggiamento di menzogna. Da quel giorno in poi
avrei cercato di trattenermi, ogni qualvolta mi fossi trovata sul punto di dire una bugia pietosa. Una
volta un amico missionario m'invit ad una riunione a cui non volevo partecipare. Mi ero gi
preparata la scusa di un altro impegno. Dentro di me sentii un segnale di avvertimento e mi trattenni
giusto in tempo. Trovai invece che potevo essere sincera senza pertanto urtare nessuno, dicendo
semplicemente: "Mi dispiace veramente, ma non mi riesce di venire".
Oppure il giorno in cui mi misi allo scrittoio per scrivere una lettera ad un amico a Londra e quasi
automaticamente cominciai a scrivere che ero stata fuori citt per un certo tempo e che non mi era
riuscito di rispondere alla sua ultima lettera. Mi fermai, con la penna in mano.
Fuori citt? Ma ero stata qui tutto il tempo. Appallottolai il foglio, lo gettai nel cestino delle carte e
ricominciai daccapo. "Caro amico, ti prego di scusarmi per non aver risposto prima alla tua cara
lettera...".
Piccole cose, certo. Ma stavo imparando che badando alle piccole cose, era molto pi facile
affrontare le tentazioni maggiori quando queste fossero sopraggiunte. Oltre tutto la vita era molto
pi facile da quando non dovevo pi passare il tempo a trarmi d'impaccio da situazioni difficili.
Lentamente, ma in maniera evidente, cominciai ad accorgermi che stavo cercando di vivere con
Cristo come il mio fedele compagno! Naturalmente, non era sempre possibile metterlo in pratica...
Troppo spesso ricadevo nelle mie vecchie abitudini. Ma perseveravo!
Col passare del tempo scoprii il lato pratico della promessa:
"Cercate prima il regno di Dio e la Sua giustizia e queste cose vi saranno sopraggiunte." Matteo
6:33
Avendo perci cercato di mettere Dio al primo posto mi furono rese alcune delle mie pi sentite
necessit.
Un pomeriggio Raisham venne in camera mia con un'espressione allarmata sul viso.
"C' una signora in salotto che desidera vedervi" disse.
"Chi ?" chiesi.
"Begum Sahib, se non mi sbaglio la madre di Karim".
Certo che si sbagliava! La madre di Karim non sarebbe mai venuta qui.
Andai gi, chiedendomi chi fosse. Ma appena girai l'angolo del salotto, vidi che effettivamente c'era
la madre del mio cugino defunto. Sentendo i miei passi, si gir e mi venne incontro, gettandomi le
braccia al collo.
"Bilquis", disse la zia, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime, "dovevo proprio venire di
persona a dirti qualcosa. In un primo momento al funerale non ti avevo notata, in mezzo a tutte
quelle persone, ma son venuta a dirti di quanto conforto mi sei stata. Ho provato... non so...
qualcosa di nuovo. Ho sentito un calore, qualcosa di diverso".
E cos finalmente capii perch non mi era stato consentito parlare di Ges alla madre di Karim, in
occasione della perdita di suo figlio. Sarebbe stato come profittare di quella disgrazia. Adesso
invece la situazione era gi diversa. Nel salotto di casa mia le parlai con dolcezza ed amore di quel
che significasse per me Ges e di come Egli stesse lentamente, ma inesorabilmente, cambiando
molte mie maniere arroganti, rimpiazzandole con la Sua calda personalit umana.
" vero", disse la zia. "Tu hai mostrato interesse. Volevi veramente partecipare al mio dolore".
Fu una visita breve ma molto ben accetta. M'incoraggi in due modi: primo, che un'altra persona
avesse effettivamente notato un cambiamento in me e secondo, mi auguravo che questa visita fosse
l'inizio della sospensione del boicottaggio da parte della mia famiglia.
Ma quel mio desiderio non si avver tanto presto. Ogni qualvolta trillava il telefono era sempre
qualcuno dei miei amici mis-sionari. Cos la mattina precedente il sesto compleanno di Mahmud,

quando sentii trillare il telefono mi aspettavo che fosse Marie. Sentii invece una voce familiare,
quella della madre dell'altro cugino che era morto.
"Bilquis?".
"S?".
"Bilquis, volevo soltanto dirti quanto io abbia apprezzato l'aiuto che hai dato alla moglie di mio
figlio. Mi ha detto che hai veramente parlato al suo cuore".
Che bello! Eppure avevo detto cos poco... Era stato Cristo Ges che l'aveva consolata.
Fu una breve conversazione ma piacevole, poi riattaccammo.
Ancora una volta non avevo fatto molto, ma ero meravigliata di come Ges avesse operato per
mezzo mio, pur non avendo
detto nulla o quasi, riferendomi a Lui direttamente. Essere presente in quell'occasione, rappresentare
il Suo Spirito in quel momento di necessit, ecco in che cosa consisteva il mio aiuto!
Col passare delle settimane vennero altri membri della mia famiglia a farmi delle brevi visitine.
Vennero per fare gli auguri a Mahmud per il suo compleanno, portandogli dolciumi e giocattoli, ma
solo apparentemente era quello lo scopo della loro visita. In effetti sapevo che era una scusa, perch
in realt erano venuti ad addolcire un po' l'offesa del boicottaggio. Le visite erano sempre brevi ed
un po' tese, per piacevoli: piccoli spiragli di luce nel muro di ostilit, che si era alzato intorno a
me.
Era trascorso quasi un anno da quando avevo preso la mia decisione per Cristo. Come volava il
tempo! Tra poco sarebbe venuto di nuovo il mio compleanno: un anno da quando mi ero data al
Signore! Ed ora aspettavo, con ansia, la mia prima vera celebrazione del Natale. Avevo
naturalmente partecipato ad altre celebrazioni natalizie, quando mi trovavo in Europa. Ma non
avevo mai conosciuto che cosa significasse il Natale, sentito con il cuore. Mi feci prestare un
piccolo presepio dai Mitchell. Quando vennero a casa con la mangiatoia, portarono anche un
piccolo abete ed insieme cantammo "O Christmas Tree... O Christmas Tree...", mentre Mahmud
gridava di gioia. I servitori sistemarono l'albero in salotto e noi lo decorammo con ghirlande di
carta.
Ma c'era qualcosa che non andava.
Per quanto quei festeggiamenti mi piacessero molto, non si sentiva in essi per il vero significato
del Natale. Cominciai a pensare alla possibilit di celebrare il Natale in un modo che esprimesse il
cambiamento avvenuto nella mia vita.
Ed allora mi venne un'idea in mente. Perch non dare un ricevimento aperto a tutti: missionari,
gente del villaggio, anche agli spazzini. Sentii subito la voce ammonitrice dei miei familiari, che mi
raccomandavano di non far mostra della mia fede e sentii anche la voce del mio amico Generale, il
quale mi metteva
in guardia che non avrebbe potuto pi garantirmi la sua protezione ufficiale, se mi fossi messa nei
pasticci. Sapevo che l'idea di un ricevimento simile sarebbe stata una minaccia per molti. Eppure
dopo molte preghiere mi sembr che la presenza del Suo Santo Spirito fosse aumentata da quando
avevo cominciato a fare progetti per l'insolito raduno.
Cos andai avanti con la mia idea del ricevimento natalizio, che suscit tanto scalpore a Wah. La
gente del villaggio arriv presto e si raccolse attorno all'albero in salotto. Poi arrivarono i
missionari. Synnove ci guid tutti nel canto. Ed in quel momento, con mia grande sorpresa una
delle donne di servizio annunzio che erano arrivati da Rawalpindi una zia e dei cugini per una breve
visita!
Il mio cuore sobbalz. Come avrebbero reagito? Non c'era bisogno di preoccuparmi; reagirono nella
tipica maniera dell'aristocrazia, purtroppo. Dapprima smisero di chiacchierare, poi riservatamente si
ritirarono in un'altra stanza, dove si sedettero, da soli, in un forzato silenzio. Io non volevo
trascurare nessuno dei due gruppi: cos trascorsi il mio tempo, andando e venendo da una stanza
all'altra. Era come passare continuamente da una doccia calda ad una fredda.
Infine, forse per la mia perseveranza, qualche componente della mia famiglia cominci a distendersi
e rilassarsi. Qualcuno and perfino in salotto, partecipando alla festicciuola sotto l'albero. Alla fine

del ricevimento, scambiarono qualche parola con gli Old ed i Mitchell, anche se non con gli
spazzini....
Il ricevimento annunci, come speravo in cuor mio, l'inizio di un anno diverso. Non pi facile... ma
soltanto diverso! Infatti mi si pararono davanti molte situazioni difficili che mi avrebbero messo in
difficolt, se non avessi imboccato la via giusta. Poich insieme a qualche parente ed amico, che
adesso cominciavano a ritornare, arriv un diverso tipo di visitatore. Erano persone decise a farmi
convertire nuovamente alla fede musulmana. Avevo la sensazione che ci fossero degli spettatori
interessati,
ansiosi di vedere come avrei reagito a quelle voci che mi richiamavano nuovamente a casa. Avrei
dovuto mantenere un silenzio discreto o avrei dovuto dire quello che realmente sentivo in cuore?
La risposta mi venne nuovamente in termini di... presenza. Difatti ogni qualvolta stavo per sviarmi,
mi sentivo sola ed a disagio. Ma quando rispondevo alle domande sinceramente ed amorevolmente,
allora mi sentivo a posto col Signore.
Un pomeriggio, ad esempio, sentii un leggero tocco alla porta della mia camera. Ne fui sorpresa,
perch erano le due del pomeriggio.
"S?". La porta si apr. Era Raisham. "Begum Sahib, c' una visita".
Sentii una certa esitazione nel tono dolce della sua voce. Le avevo dato precise istruzioni di non
voler essere disturbata dall'una alle tre pomeridiane. Non era comunque un ordine perentorio. Un
anno fa avrei detto aspramente a Raisham che per nessuna ragione avrei voluto essere disturbata.
Ma adesso le avevo spiegato che non consideravo pi il tempo come qualcosa di mio; esso
apparteneva al Signore. Se fosse accaduto qualcosa per cui lei stessa avesse ritenuto necessaria la
mia presenza, allora naturalmente, doveva venire in camera a chiamarmi a qualsiasi ora.
"Begum Sahib, il signore che attende un inglese". Nel suo sguardo lessi un lampo d'ironia. "Dice
che vuol parlare di Dio".
"Va bene", dissi un po' sorpresa. "Scendo subito".
Nel salotto mi aspettava un signore dalla pelle chiara e dai capelli biondi rossicci. Notai che
indossava un tipico abito pakistano: una casacca bianca e pantaloni larghi. Con quell'abito bianco ed
il viso pallido si confondeva quasi con i muri chiari del mio salotto. Dopo essersi scusato per esser
capitato a casa mia senza appuntamento, venne subito al punto.
Mi disse di aver fatto il viaggio da Karachi appositamente per incontrarmi. Dato che si era
convcrtito dal cristianesimo all'islamismo, i miei familiari ritenevano che avessimo qualcosa in
comune. "Ah ora capisco", dissi tra me. I miei, sapendo quanto ammiri i britannici, hanno pensato
che sarei rimasta colpita dal fatto che un inglese avesse abbandonato il cristianesimo per
l'islamismo".
Il mio ospite tossicchi, si schiar la voce, poi con una certa esitazione arriv al vero scopo della sua
visita.
"Begum", disse l'uomo, "c' una cosa che mi turba veramente quando i musulmani si convertono al
cristianesimo: questa la Bibbia. Lo sappiamo tutti che il Nuovo Testamento cristiano diverso da
quello ispirato da Dio".
Stava rivolgendo l'accusa principale dell'islamismo nei riguardi della Bibbia, cio che il suo
significato stato cos alterato che la versione attuale poco attendibile. L'originale, pretendono i
musulmani, concordava con il Corano.
"Spero che non penserete che voglia fare una battuta", dissi. "Ma voglio veramente sapere una cosa.
Ho sentito spesse volte dire che la Bibbia stata alterata ma non ho mai potuto sapere chi sia stato.
Quando sono stati fatti questi cambiamenti e quali sono i passi alterati?".
Il mio interlocutore si appoggi allo schienale della poltrona e guard in alto verso le travi scolpite
del soffitto, mentre con le dita tamburellava sul bracciolo della poltrona. Non rispose. Non era stato
cortese da parte mia, lo riconobbi. Per quanto ne sapessi non c'era risposta a quelle domande.
"Sapete", continuai, attingendo a certe ricerche che avevo fatto, "al British Museum a Londra
esistono delle antiche versioni della Bibbia, pubblicate circa trecento anni prima della nascita di
Maometto. Per ogni controversia tra cristianesimo ed islamismo questi antichi manoscritti sono

identici alla Bibbia dei giorni nostri. Gli esperti asseriscono che la Bibbia attuale non sia diversa
dall'originale, in nessuno dei suoi elementi essenziali, fondamentali. importante per me,
personalmente. Difatti
la Bibbia diventata per me una Parola vivente. Parla direttamente all'anima mia e mi nutre. Mi
guida...".
Il mio ospite si alz in piedi nel bel mezzo della frase.
"... e cos", continuai, "trovo di estrema importanza sapere se esistono dei punti su cui mi sbaglio.
Potete ragguagliarmi?".
"Voi parlate della 'Parola' quasi come se fosse vivente", disse il mio visitatore.
"Io credo che Ges sia vivente, se questo che intendete", risposi. "Il Corano stesso dice che Cristo
era la Parola di Dio. Mi piacerebbe parlarne con voi un'altra volta".
"Devo andare".
E questo fu tutto. Lo accompagnai alla porta e lo invitai a ritornare. Non ritorn pi. Ma altri
vennero, alcuni pronti alla battaglia e con certe idee sbagliate in testa! Non dimenticher mai
l'uomo che accusava i cristiani di adorare tre Dii distinti e separati.
"La vostra cos detta Trinit consiste in Dio, Maria e Ges!" disse. "Voi cristiani dite che Dio prese
Maria per moglie e che dalla loro unione nacque Ges. Allah non pu avere moglie!" concluse
ridendo.
Rivolsi una preghiera telegrafica al Signore. Mi venne in mente un pensiero molto chiaro.
"Leggete il Corano?" domandai.
"Naturalmente".
"Bene, allora vi ricorderete come dice il Corano che a Cristo fu dato lo Spirito di Dio?". Mi ero
spesso chiesta come il Corano potesse contenere una verit cos meravigliosa. "Avrete forse sentito
parlare di Sadhu Sundar Singh, il devoto Sik a cui Ges apparve in visione. Ges cos gli spieg la
Trinit: 'Come nel sole c' luce e calore ma la luce non calore ed il calore non luce perch sono
ambedue in uno, nonostante abbiano aspetti diversi nella loro manifestazione, cos Io e lo Spirito
Santo, procedendo dal Padre, portiamo luce e calore al mondo... Eppure Noi non siamo tre ma Uno,
proprio come il sole che soltanto uno'".
Ci fu silenzio nella stanza quando smisi di parlare. Il mio ospite era assorto nei suoi pensieri. Alla
fine si alz, mi ringrazi per avergli prestato attenzione ed in silenzio lasci la mia casa.
Mentre osservavo la sua figura dall'aria mesta, che camminava lungo il sentiero ghiaioso, mi venne
in mente un interrogativo: se visite come quelle dell'inglese e di questo fanatico avrebbero
contribuito veramente all'avanzamento del regno del Signore? Non ebbi modo di saperlo perch non
seppi pi niente da nessuno dei due. Non importava. Forse non mi sarei nemmeno dovuta
preoccupare dei risultati. L'unica cosa che aveva veramente importanza per me era l'obbedienza. Se
il Signore mi chiedeva di parlare a certe persone, allora era quella l'unica cosa che avrei dovuto fare.
Man mano che l'inverno cedeva il posto alla primavera, sembrava che il Signore mi desse anche
altre occasioni per parlare. Andai a Lahore dove, dopo aver fatto a mio figlio Khalid una visita
stranamente non molto comunicativa, acquistai cento copie della Bibbia da distribuire a chiunque ne
fosse stato interessato. Comprai anche un certo quantitativo di trattati cristiani. Li distribuii ad ogni
occasioni che mi si present, lasciandoli perfino nelle toilettes. Non sono affatto sicura se fu
proficuo. Mi ricordo che una volta, facendo ritorno nella toilette, trovai che la pila dei trattati era
diminuita, guardai allora nel cestino dei rifiuti. I miei trattati erano l tutti accartocciati e
spiegazzati.
"Mi sembra cos inutile, Signore", dissi. "Ma sto veramente facendo la Tua volont? Perch allora,
Signore", dissi alzando le mani, in tono di supplica, "finora non ho potuto vedere alcun risultato per
tutte le volte che ho parlato di Te?". C'erano stati l'inglese convcrtito all'islamismo ed il Generale e
tutti i servitori che erano scappati di casa, e le centinaie di volte in cui avevo parlato con i membri
della mia famiglia e con gli amici, ma nessuna di queste occasioni aveva portato frutti visibili. "
strano Signore! Non capisco proprio perch non mi stai usando".
Mentre pregavo sentii che la presenza di Cristo aumentava sempre di pi nella stanza. Egli sembr

riempire l'atmosfera di forza e conforto. Sentii nel mio cuore un suggerimento ben preciso, "Bilquis,
ho solo una domanda da farti. Ripensa a tutte le volte in cui hai parlato con i tuoi amici e con i tuoi
familiari. Ripensa a tutte le volte in cui hai accolto coloro che venivano a discutere, a contestare.
Hai mai sentito la mia presenza nel corso di quelle visite?".
"S, Signore. In verit l'ho avvertita".
"C'era la mia gloria?".
"S, Signore".
" soltanto questo che ti necessita. Capita spesso questo con i propri amici e familiari. Il risultato
non un problema che ti concerne. L'unica cosa di cui debba preoccuparti l'obbedienza. Cerca
perci la mia presenza, non il risultato".
Continuai ad agire in quel modo. Il fatto strano fu che divent un tempo di crescita stimolante e
rafforzante. Una volta che il Signore aveva fatto distogliere il mio sguardo dal "risultato", per
convogliarlo verso la Sua presenza, potei avere il piacere d'incontrarmi con amici e parenti senza
pi quel certo senso di frustrazione. Imparai a cogliere l'occasione propizia. Che la conversazione
vertesse sulla politica o sulla moda, chiedevo sempre al Signore di suscitare una domanda che mi
avrebbe dato una certa apertura nel discorso. Una volta, ad esempio, mentre stavo parlando con mia
nipote, la conversazione cadde sul mio ex marito, che era adesso ambasciatore pakistano in
Giappone.
"Che faresti se Khalid venisse a casa tua?" mi disse con un sorriso, sollevando un sopracciglio.
La guardai dritto in faccia. "Gli darei il benvenuto e gli servirei il t". Mia nipote mi guard con aria
incredula. "L'ho perdonato", proseguii. "E spero che egli mi abbia perdonato per quello che ho fatto
io nei suoi confronti".
"Ma come puoi perdonare in questo modo?". Mia nipote sapeva che la rottura era stata difficile e
penosa.
Le spiegai che certamente non avrei potuto perdonare con le mie proprie forze. Avevo chiesto a
Ges di aiutarmi. "Devi sapere", dissi, "che Ges c'invita ad andare a Lui con tutti i nostri pesi.
Ges aveva preso su di S il mio peso di odio".
Mia nipote rimase seduta in silenzio per un po'. "Per la verit", disse, "questo un cristianesimo di
cui non ho mai sentito parlare. Se continui a parlarmi in questo modo, io sar la prima a venire a
conoscere il tuo Ges".
Anche quella volta rimasi delusa. Avevo grandi speranze. Credevo che veramente mia nipote
volesse ritornare su quell'argomento, ma non lo fece pi.
Vi furono delle volte, in quel periodo, in cui la Sua gloria mi abbandon. Capitava sempre allo
stesso modo. Cadevo nell'insidia tesami da Satana, il quale mi convinceva che ero abbastanza
brava! Le mie discussioni erano, in realt, molto profonde!
Un giorno, ad esempio, un amico mi disse, "Perch devi essere cos esclusivista? Dovresti
ammettere che adoriamo tutti lo stesso Dio; cristiani, musulmani, ind, buddisti o ebrei. Possiamo
chiamarLo con nomi diversi ed arrivare a Lui da direzioni diverse, ma in fin dei conti sempre lo
stesso Dio".
"Vuoi paragonarLo forse ad una cima di montagna verso cui convergono diversi sentieri?".
Si rilasci sulla poltrona, reggendo in mano la sua tazza di t ed annu. Partii allora all'attacco.
"S", dissi, "Pu essere come una cima di montagna, ma c' solo una via che conduce a Lui,
attraverso Cristo Ges. Il Signore dice: Io sono la via, la verit e la vita. Non "una via", puntualizzai con acredine "ma la via".
Il mio amico pos la tazza del t e scuotendo la testa cambi espressione del viso. "Bilquis", disse
"ti ha mai detto nessuno che dai ancora l'impressione di essere orgogliosa?".
In quell'istante mi resi conto che l'uomo, seduto di fronte a me, stava parlando da parte di Dio. Le
mie risposte erano giuste. Erano bibliche e valide. Ma lo Spirito mi aveva lasciata. Bilquis aveva
ragione. Bilquis asseriva il vero. Rivolsi in fretta una preghiera di ravvedimento e chiesi al Signore
di prendere Lui le redini.
"Mi dispiace", dissi ridendo. "Se do l'impressione di essere presuntuosa perch sono cristiana, non

mi comporto allora come Cristo vorrebbe. Pi imparo su Cristo pi ho bisogno di correzione. Il


Signore ha tanto da insegnarmi e so che in questo momento mi ha parlato proprio attraverso di te".
Il mio ospite se ne and, forse pi vicino al Signore o forse no. Non so se avrei dovuto neanche
saperlo. Ma quel che so che passo dopo passo, penosamente, stavo imparando ad ascoltare ed
obbedire.
Una notte ebbi un'altra di quelle esperienze spaventose, che avevo avuto solo dopo essere diventata
cristiana. Mi trovavo nella mia camera, stavo preparandomi ad andare a letto, quando all'improvviso
avvertii una potenza malefica alla finestra. Rivolsi subito la mente al mio Protettore e fui messa in
guardia dall'avvicinarmi alla finestra. M'inginocchiai in preghiera, chiedendo al Signore di
proteggermi come una chioccia copre i suoi pulcini con le ali. Sentii la sicurezza della Sua
protezione. Quando mi alzai, la presenza alla finestra era sparita.
La mattina successiva andai a casa dei Mitchell. Il sole risplendeva sulla strada, ma io ancora
tremavo dentro di me. Eppure, mentre mi dirigevo verso la loro casa, mi sentivo ancora in dubbio se
parlare di quel che mi era accaduto; temevo di non essere capita.
Appena Synnove mi vide, mi abbracci, poi si ritrasse quando vide la mia espressione preoccupata.
I suoi occhi azzurri m'interrogavano.
"Che ti successo Bilquis?" mi chiese.
"Io mi domando perch continuano a capitarmi certe brutte esperienze, dopo essere diventata
cristiana!".
Mi fece entrare in salotto, dove ci sedemmo.
"Ti ha minacciato qualcuno?".
"Non qualcuno", risposi "ma qualcosa".
"Davvero?" disse, alzandosi e prendendo la Bibbia. "Qui" disse, sedendosi e cominciando a
sfogliare le pagine, "in Efesini 6 si tratta quest'argomento". Lesse: "// combattimento nostro non
contro sangue e carne, ma contro principati, contro le potest, contro i dominatori di questo mondo di tenebre, contro le forze spirituali della malvagit che sono nei luoghi celesti".
Rivolse lo sguardo verso di me.
"Deve essere proprio questo", dissi, raccontandole, in parte, quel che era accaduto la notte
precedente.
Mi ascolt attentamente, poi disse: "Perch non ne parli agli Old?".
"Veramente" risposi, con una risatina nervosa, "non vorrei proprio pi parlarne!".
Era quello il mio stato d'animo quando c'incontrammo con gli Old, quella sera. Decisi di non farne
cenno alcuno. Mi sarei semplicemente resa ridicola, pensai. Forse era stato solo frutto della mia
immaginazione.
Per, mentre ero seduta con Marie Old sul divano, davanti al fuoco, non potei fare a meno di
accennare al fatto capitatomi. Cercai di apparire disinvolta.
"Marie, la notte scorsa mi accaduta una cosa stranissima", dissi. "Ho avuto un'esperienza
terrificante e non riesco a spiegarla".
Suo marito Ken con la sua imperturbabile calma, stava leggendo un libro seduto davanti alla
finestra, alle nostre spalle. Sentendo quel che dicevo, pos il libro, alz lo sguardo verso di me,
avendo afferrato che ero riluttante a parlarne e, nella sua maniera calma e cortese, m'invogli a
raccontare tutto l'accadute.
Quando ebbi finito cercai di scherzarci sopra. "Ancora una volta" dissi ridendo, "avr preso troppo
curry a cena, la sera scorsa!".
"Non minimizzare le prove che il Signore ti fa attraversare", disse Ken pacatamente. "Le cose
soprannaturali accadono realmente". Gir intorno al divano e si venne a sedere su una poltrona, di
fronte a noi. Appariva molto serio.
Spieg la presenza soprannaturale del maligno e di come Dio possa permettere che accada a
qualcuno, per metterlo alla prova. Ken fece poi notare come, nell'Antico Testamento, Dio
permettesse a Satana di attaccare Giobbe e come Egli permettesse al Maligno di tentare Cristo nel
deserto. Ambedue i casi menzionati, fece rilevare Ken, erano delle prove. In entrambe le occasioni,

aggiunse, la vittima scelta da Satana, ne era uscita vittoriosa, per la sua indiscussa fede in Dio. Non
potei fare a meno di ricordarmi degli attacchi che avevo subto prima del battesimo.
Lentamente continuava per me il tirocinio. Quel che non sapevo, dato che accettavo con gratitudine
l'insegnamento rassicurante di Ken, era che il Signore aveva gi iniziato un processo nella mia vita,
che mi avrebbe lasciato sempre pi isolata - eppure non sola, sempre pi tagliata fuori dalla mia
famiglia - eppure parte di una grande famiglia, che mi sosteneva, sempre pi staccata dalle radici di
Wah, che stavano a significare tanto per me - eppure stavo gi per affondare le radici in una nuova
Citt.
Per sopportare queste prove Egli mi aveva posto, volta dopo volta, in situazioni in cui dovevo
dipendere unicamente da Lui.
Capitolo 11
CAMBIAMENTI NELL'ARIA
Il periodo di svezzamento inizi una domenica, poche settimane pi tardi, nel corso di uno dei
nostri soliti incontri di preghiera. Quella sera mi sembrava che sia gli Old che i Mitchell apparissero
insolitamente tristi.
"Che c' che non va?" domandai mentre entravamo nel salotto degli Old. Ken ripieg la testa
all'indietro e fiss il soffitto.
"Marie ed io dobbiamo andare a casa, in licenza per un anno", disse all'improvviso.
La mia prima reazione fu di terrore al pensiero di essere lasciata sola. Cosa avrei fatto senza gli
Old? Avrei certamente avuto sempre i Mitchell, ma io facevo assegnamento su ambedue le famiglie,
che insieme costituivano il mio sostegno. I Mitchell erano stati il mio primo contatto con la chiesa.
Anche gli Old mi erano stati molto vicini. Era forse soltanto l'inizio? Quanto tempo sarebbe
trascorso prima che perdessi anche l'altra famiglia?
Marie doveva aver letto nei miei pensieri. Si avvicin e mi prese la mano. Gli occhi le si riempirono
di lacrime mentre parlava.
"Mia cara", disse Marie, "devi renderti conto che sempre cos. Coloro che amiamo ci lasceranno
sempre un giorno. Solo Ges rimane sempre con noi".
Ken raggiunse la moglie, che era al mio fianco.
"C' un'altra cosa, Bilquis", disse Ken. "Puoi essere certa che il Signore non ti conduce fuori da una
situazione sicura a meno che Egli non abbia un piano per te. Proprio per questo, puoi cominciare gi
da adesso a rallegrarti, anche nel bel mezzo del dispiacere".
Trascorremmo ancora qualche settimana insieme: gli Old, i Mitchell ed io. La data della partenza si
avvicinava, portando con s un inevitabile senso di vuoto. Cercammo tutti di avere pi fede per
colmare il vuoto che si sarebbe creato per la partenza di Ken e Marie, ma in effetti recitavamo, non
eravamo sinceri.
Fu un giorno triste quando i Mitchell, io ed altri del nostro piccolo gruppo cristiano andammo a casa
degli Old per una festa di addio. Facemmo del nostro meglio, cercando di rendere quegli ultimi
momenti allegri, ma i nostri cuori erano tristi. Cercammo di considerare quel momento come
un'occasione non di 'lasciarli partire' ma di 'accomiatarli'.
Recitammo bene. Ma nei nostri cuori, quando vedemmo l'auto degli Old a pieno carico, che
avanzava pesantemente lungo la strada nazionale, ci sembr che la vita non sarebbe stata mai pi
cos piena.
Mentre guidavo verso casa, quel giorno, ebbe la strana sensazione di ritrovarmi adesso da sola, per
conto mio, in una comunit ostile. Che sciocchezza. I Mitchell si trovavano ancora a Wah, dopo
tutto!
Lo svezzamento prese una piega nuova ed inaspettata, quando in una tarda mattina, qualche mese
dopo che gli Old erano partiti, mi telefon il dott. Daniel Baksh. Mi disse che lui ed il dott. Stanley
Mooneyham, rappresentanti un gruppo cristiano denominato World Vision, con sede negli Stati

Uniti, California, avevano piacere d'incontrarsi con me.


Non avevo mai sentito parlare di quell'organizzazione, ma la mia casa era sempre aperta a chiunque
- anche a coloro che, solo per curiosit, venivano a conoscere di persona una musulmana convertita
al cristianesimo.
Arrivarono insieme, qualche giorno pi tardi. Quando terminammo il pranzo, il dott. Mooneyham
cominci a parlare ed era chiaro che non era in cerca di curiosit. Era interessato s alla mia
conversione, ma avevo la sensazione che sarebbe stato ugualmente interessato a quella del mio
giardiniere. Mentre sorseggiavamo il t, venne al punto.
"Verreste a Singapore, signora Sheikh", chiese il dott. Mooneyham, "a testimoniare per il Signore?".
"Singapore?".
"Billy Graham sta organizzando l un grande raduno chiamato Cristo cerca l'Asia. Sar per i
cristiani asiatici di ogni nazione: indonesiani, giapponesi, indiani, coreani, cinesi, pakistani. La
vostra testimonianza sarebbe un'ispirazione per noi tutti".
Non mi andava molto. Avevo abbastanza da fare gi qui a Wah, senza andare girando in altre parti
del mondo.
"Va bene", dissi, "ci pregher su".
"Fatelo, per favore!" rispose il dott. Mooneyham, e dopo un breve cortese saluto se ne andarono.
Dopo un po' che se n'erano andati, mi sedetti sulla veranda a pensare e pregare, cos come avevo
promesso. Da una parte sentivo che avrei dovuto cogliere l'occasione. Dall'altra sentivo che non
avrei dovuto nemmeno pensarci.
Ed allora mi venne in mente qualcosa: il mio passaporto. Stava proprio per scadere. Avrei dovuto
rinnovarlo se fossi andata a Singapore. In quel tempo in Pakistan c'era molta burocrazia riguardo ai
passaporti. La situazione era veramente impossibile. Alcuni avevano inviato i loro passaporti per il
rinnovo e non li avevano mai pi ricevuti indietro vidimati.
Perch non far s che la situazione si evolvesse da sola? Attendendo una risposta da parte del
Signore? Se Egli voleva che andassi, si sarebbe curato dei dettagli del mio passaporto.
Quello stesso pomeriggio compilai il modulo con tutte le informazioni richieste e spedii il
passaporto all'ufficio addetto.
Nel mentre che lo facevo scivolare nella cassetta delle lettere, sentivo che quasi certamente non mi
sarebbe stato rinnovato, impedendomi in tal modo di andare a Singapore.
Una settimana pi tardi mi arriv una lettera, proveniente da un ufficio governativo.
Sorrisi tra me: "Sar questo il primo passo per ottenere il rinnovo, qualche altro modulo da
riempire... e cos andr avanti per mesi".
Aprii la busta.
Dentro c'era il mio passaporto rinnovato e timbrato! Qualche mese pi tardi salutai Mahmud, che
aveva ora sei anni, ed andai a Lahore. L, dopo una breve visita a mio figlio Khalid, avrei proseguito
per Karachi, dove mi sarei imbarcata sul jet per Singapore. Sebbene fossimo nel 1968 e fosse gi
trascorso un anno e mezzo da quando avevo accettato il Signore, Khalid era pi o meno come gli
altri membri della mia famiglia: mostrava cio sempre meno interesse alla mia conversione. Ebbi
l'impressione che riteneva che, alla mia et (48 anni), mi stavo 'imbarcando' per uno strano genere
di viaggio! Ma dovevo essere rispettata, essendo sua madre. Trascorremmo in maniera piacevole
quel breve tempo insieme.
Pi tardi, quando salii a bordo del jet a Karachi, prendendo in considerazione il viaggio che stavo
per intraprendere, ebbi l'Impressione che Khalid avesse ragione. Ma che cosa stavo mai facendo su
quest'aereo diretto a Singapore? C'erano molti cri-stiani a bordo e non ero troppo entusiasta di quel
che accadeva intorno a me. Rifuggivo la loro esuberanza! Cantavano canti evangelici, si
chiamavano l'un l'altro gridando, andavano su e gi lungo il corridoio. A volte alzavano le mani,
dicendo ad alta voce: "Gloria al Signore!". Mi sentivo imbarazzata. Era una gioia apparente, non
molto diversa da quell'allegria forzata che avevo notato, a volte, per le strade di Londra, in coloro
che prendevano parte ad altre manifestazioni. Borbottai tra me che se viaggiare in circoli cristiani
consisteva in questo, io non ero affatto interessata.

Quel che peggior la situazione fu che, per ragioni sconosciute, sentivo che quel viaggio assumeva
un significato particolare, al di l del mio safari a Singapore! Era come se quel viaggio fosse
profetico, che preannunziasse il genere di vita che sarei stata chiamata a condurre.
"O no, Signore" dissi fra me. "Non devi scherzare con me!". Profetico in che senso? Che avrei
trascorso una parte del mio tempo viaggiando in aerei jet fra tipi estroversi? Di ritorno a Wah, mi
sarei immersa di nuovo nel mio ruolo di tranquilla cristiana di un paese di provincia. L almeno mi
sarei sentita padrona di me stessa. Il cristianesimo, secondo me, era una gioia da godere in privato e
come volevo io. Decisamente non mi piaceva l'idea di mettermi in mostra davanti a centinaia, forse
migliaia di estranei.
Appena l'aereo decoll, mi misi a guardare fuori dal finestrino, rimanendo ad osservare il mio Paese
che si allontanava sotto di me, nella nebbia. Anche se sapevo che in pochi giorni avrei fatto ritorno a
casa, qualcosa per mi avvertiva in un senso molto reale che quello non era che l'inizio. Anche se
avessi fatto ritorno a casa in senso fisico, in un altro senso non vi avrei mai pi fatto ritorno. Questo
- questo stesso gruppo di cristiani su un aereo - sarebbe diventato adesso la mia famiglia.
Cosa voleva dire? L'idea mi sgoment.
Dall'aeroporto di Singapore andammo direttamente alla sala della conferenza, dove era gi iniziato
il convegno.
Ed improvvisamente, con mio stupore, notai che stavo avendo una reazione diversa verso questo
gruppo di cristiani, l riuniti.
C'erano migliaia di uomini e donne nella sala della conferenza, il pi grande assembramento di
persone che avessi mai visto prima. Quando entrai nella sala cantavano "Grande tu sei". Sentii la
presenza familiare dello Spirito di Dio, non l'avevo mai avvertito prima in maniera cos palpitante.
In quell'istante avrei voluto piangere non per tristezza ma per gioia. Non avevo mai visto prima una
simile folla glorificare il Signore. Riuscivo a sento a crederci. Tante persone, da tante nazioni!
Razze diverse, costumi diversi. Nella sala c'erano tante file, una dietro l'altra, di cristiani che
lodavano il Signore. Erano tante che sembrava non finissero pi...
Era completamente diverso adesso ! Non assomigliava affatto al gruppo di persone incontrato
sull'aereo. Mi resi allora conto di quel che avevo sperimentato durante il volo. Ogni cosa mi
apparve all'improvviso molto chiara. Quelle persone sul jet erano preoccupate, nervose, forse anche
impaurite. Spaventati per la novit da affrontare, atterriti per il volo. Facevano gli stupidi per
assumere un atteggiamento, non riflettendo la luce dello Spirito, nonostante il linguaggio che
usavano. Non agivano in conformit allo Spirito pi di quanto non lo fossi io quando rimproveravo
uno dei miei domestici o reagivo violentemente con mio zio, quando cercava di far pressione su di
me per farmi ritornare all'islamismo. Il problema era stato il loro linguaggio. I loro discorsi cristiani
mi avevano ingannata. Avrei dovuto capire che nascondevano i loro timori dietro una parvenza di
'cristianesimo'.
Ma in questo centro di conferenze era tutto diverso. Conclusa la parte introduttiva era iniziata
adesso l'adorazione. Se la profezia che mi era stata rivelata significava stare con gruppi come
questo, in quel caso l'avrei apprezzato ed accettato.
C'era ancora una cosa che mi preoccupava. Mi sarei dovuta veramente alzare e parlare di fronte a
queste migliaia di persone? Era completamente diverso parlare delle mie esperienze a gente che
conoscevo a Wah. Ma qui? Con tutte queste persone convenute da continenti diversi? Non mi
sentivo affatto sicura. Mi affrettai verso il mio albergo, dove cercai di riprendermi un po'. Rimasi ad
osservare, dalla finestra, una Singapore formicolante. Com'era diversa Singapore da Londra o da
Parigi.
Le persone si spingevano l'una con l'altra nelle strade, i venditori ambulanti vendevano la loro
merce gridando a gran voce, mentre le automobili s'infilavano in quella confusione, suonando
continuamente il clacson. La calca sembrava minacciarmi come era stato alla sala della conferenza.
Rabbrividii, chiusi le tende e mi rincantucciai nell'angolo opposto della stanza, dove mi sedetti e
cercai di calmarmi.
"O Signore", gridai "dov' il Tuo Spirito confortante?".

Ed all'improvviso mi ricordai di un'esperienza avvenuta nella mia infanzia, mentre camminavo con
mio padre, in un mercato di Wah. Mio padre mi aveva avvertita di stargli a fianco ma io, sempre
vivace, avevo voluto allontanarmi. Un'esposizione di fiori aveva attirato la mia attenzione ed io ero
corsa ad ammirarla. Quando mi resi conto che mio padre non era pi al mio fianco, mi prese il
panico e scoppiai in lacrime. "Pap", gridai, "vieni a cercarmi, non voglio pi scappare lontano da
te". Mentre ancora parlavo, egli stava gi arrivando; la sua figura alta e magra si dirigeva in fretta
verso di me, attraverso la folla. Ero di nuovo con lui! Tutto quel che desideravo era di rimanere al
suo fianco.
Mentre ero seduta nella stanza dell'albergo, mi resi conto che in effetti avevo lasciato nuovamente il
mio Padre celeste. Permettendo a me stessa di diventare ansiosa, mi ero allontanata dalla Sua
presenza confortante. Quando avrei imparato che non potevo preoccuparmi ed aver fiducia in Dio
allo stesso tempo! Mi rilassai sulla poltrona e mi sentii di nuovo in pace.
"Grazie, Padre", dissi piangendo di sollievo. "Ti prego di perdonarmi per essermi allontanata da Te.
Tu sei qui, Tu sei in quella sala. Mi sentir al sicuro".
Pochi minuti pi tardi nell'atrio dell'albergo, sentii una mano posarsi sul mio braccio e sentii una
voce familiare. Mi girai e vidi il dott. Mooneyham.
"Signora Sheikh, che piacere avervi tra di noi!". Il dott. Mooneyham sembrava molto contento di
avermi incontrata.
"Volete ancora parlare?". Era come se avesse letto nei miei pensieri.
"Non preoccupatevi per me" risposi sorridendo. "Andr bene. Il Signore con me".
Il dott. Mooneyham rimase fermo l a scrutare il mio viso, come se avesse dovuto prendere una
decisione sul modo d'interpretare le mie parole. Dopo tutto avevo usato anche io un linguaggio
cristiano forzato ed egli non l'avrebbe accettato, permettendo forse che l'ingannasse, come aveva
ingannato me lull'aereo. Gli occhi del dott. Mooneyham stavano veramente icrutando la mia anima.
Poi tutto ad un tratto apparve soddisfatto.
"Bene", disse all'improvviso. "Domani mattina sar il vo-stro turno". Guard l'ora. "Avrete molte
preghiere di sostegno".
Il dott. Mooneyham mi aveva capita perfettamente. Quel senso di sicurezza continu fino alla
mattina successiva, quando mi alzai di fronte a migliaia di persone, riunite nell'auditorio, per parlare
dello strano modo in cui il Signore mi aveva trovata. Non fu difficile parlare. Egli era con me
mentre m'impaperavo e gesticolavo nervosamente nel corso della mia testimonianza. Mi metteva un
braccio intorno alle spalle e m'incoraggiava, rassicurandomi che c'era Lui a comunicare agli altri e
non io. Quando ebbi finito di parlare, le persone mi vennero intorno, in affettuosa comunione
fraterna, ed era come se avessi mosso il primo passo in un nuovo genere di lavoro per il Signore.
Il Signore provvide anche a farmi incontrare qualcuno, che sarebbe diventato molto importante
nella mia vita, per quanto non me ne rendessi conto in quel momento. Venni presentata al dott.
Christy Wilson, una persona molto cortese, che era pastore di una chiesa a Kabul, in Afganistan,
dove aveva un ministe-rio tra gli espatriati residenti in quel Paese. Trovammo un punto d'incontro,
nello Spirito del Signore, mentre parlavamo del suo lavoro.
Terminate le riunioni mi ritrovai sulla strada del ritorno a Wah. Ancora una volta ebbi la sensazione
che tutto il viaggio avesse per me uno strano carattere profetico, come se il Signore mi avesse
chiesto di andare con Lui a Singapore, per apprendere qualcosa di pi su di un genere di lavoro che
Egli voleva farmi intraprendere.
Va bene, dissi a me stessa, se non altro avrei risieduto a Wah. In tal caso non mi sarebbe rincresciuto
troppo allontanarmi, per qualche viaggio occasionale, dalla sicurezza della mia casa avita.
Mentre l'auto lasciava la strada nazionale per imboccare il viale alberato di casa nostra, io non ero
ancora a conoscenza che il periodo di svezzamento stava per infrangere ancor pi quella sicurezza.
Capitolo 12
TEMPO DI SEMINA

Il passo successivo, verso la separazione, lo feci quando ricevetti la spiacevole notizia che i
Mitchell sarebbero dovuti andare per un periodo di licenza negli Stati Uniti. Sarebbe trascorso del
tempo prima del loro ritorno in Pakistan.
Era trascorso pi di un anno dal mio viaggio a Singapore. Ero seduta nel salotto dei Mitchell con un
piccolo gruppo di fratelli e sorelle, tutti professionisti della nostra zona. Era un'occa-sione triste,
l'ultimo nostro incontro prima che David e Synnove partissero. Non potei fare a meno di pensare
alla prima volta in cui, con una certa esitazione, ero venuta in questa stessa casa, in cerca della
verit. Erano accadute tante cose da allora. Guardai in faccia le due persone che mi erano state tanto
vicino nel mio cammino verso Cristo: David, alto, dai capelli grigi e Synnove, cos fervente, che
aveva pregato per me con tanta perseveranza.
"Sentir terribilmente la vostra mancanza", dissi, mentre ci trovavamo sul piccolo prato all'inglese,
di fronte alla loro casa. "Come far ad andare avanti senza di voi?".
"Il Signore forse ti sta insegnando a farlo senza di noi" disse Synnove. "E sai Bilquis, Egli ci
sottopone continuamente alla tensione di una nuova meta di fede finch non consideriamo nessun
posto sicuro, all'infuori di Lui".
Sembrava giusto, ma lo stesso non mi piaceva essere provata e lo dissi a Synnove, che rise... "Certo
che non vuoi, cara Bilquis. Chi vorrebbe mai lasciare la sicurezza di un grembo materno? Ma
l'avventura ti aspetta".
Synnove entr nella sua vecchia auto e chiuse lo sportello. Un altro abbraccio attraverso il finestrino
e poi subito l'auto part, sollevando polvere. Si lasci indietro gli edifici imbiancati dall'aspetto
trascurato, che erano stati gli alloggi degli ufficiali durante la guerra. L'auto scomparve dopo la
curva. Mi si prospettava davvero un'avventura! C'era una cristiana abbandonata in una citt
musulmana! Sarei stata capace di farcela da sola?
Trascorsero diverse settimane durante le quali, per la verit, fu difficile per me sperimentare
l'avventura di cui Synnove aveva parlato o le direttive e lo scopo che Ken Old aveva predetto
quando lui e Marie erano partiti. Mi sembrava che fosse trascorso gi tanto tempo dalla loro
partenza. Le riunioni della domenica sera continuarono regolarmente, alternandosi a casa di uno di
noi cinque che eravamo rimasti. Ma senza la guida degli Old e dei Mitchell gli studi andavano
avanti a rilento.
Una sera, dopo una riunione, che non aveva suscitato molto interesse, mi venne un'idea. Non
stavamo commettendo un errore, cercando di fare esattamente come avevano fatto Mitchell ed Old?
Il nostro gruppetto si sarebbe certamente atrofizzato se non avessimo ricevuto nuova linfa tra di noi.
Che sarebbe accaduto (solo a pensarci sentivo gi accelerare i battiti del cuore), se avessimo chiesto
ad altri di unirsi al nostro gruppo, cio accogliere persone che non fossero necessariamente
professionisti: dottori, ingegneri o missionari? Pensavo che avremmo potuto chiedere a cristiani e
non cristiani, agli spazzini o ad altri delle classi meno abbienti di unirsi al nostro gruppo. Forse ci
saremmo potuti riunire a casa mia, essendo pi grande e comoda. Quando feci la proposta al nostro
gruppo ci fu una certa resistenza iniziale, poi un consenso un po' scettico. Decidemmo di portare
avanti quell'idea. Attraverso inviti diretti e facendo circolare la notizia fra la gente, feci passare
parola che la domenica successiva ci sarebbe stata a casa mia una serata cristiana.
Rimasi sorpresa di quante persone vennero! La maggior parte veniva da Rawalpindi, dove si era
diffusa la voce e proprio come io mi auguravo, non erano tutti cristiani. Molti desideravano
ardentemente saperne di pi sul Dio dei cristiani. Con quelli del nostro gruppo che fecero da
conduttori, cantammo e pregammo, cercando di fare quel che era possibile per provvedere
individualmente ai bisogni spirituali di camerieri, manovali, insegnanti o commercianti che erano
venuti a casa.
Sentimmo subito una nuova ventata alla nostra riunione domenicale. La responsabilit era grande.
Sia io che gli altri che guidavano quel piccolo gruppo passammo delle ore sulle nostre ginocchia,
delle ore pi strettamente vicini al Signore ed alla Parola. Cercavamo di non divergere
minimamente dalla direzione che Egli voleva che seguissimo. All'improvviso quel periodo 'senza

risultato' che avevo sperimentato fino allora, cambi completamente. Potei assistere a delle vere
conversioni. La prima ad andare al Signore fu una giovane vedova. Grid al Signore il suo dolore e
la sua solitudine e poi Gli chiese di entrare a colmare quel vuoto.
Fu straordinario vedere la trasformazione nella sua personalit - da una creatura triste ed indifesa in una figlia di Dio piena di speranza! Dopo poco entr nel Regno del Signore un meccanico di un
garage vicino, seguito da un impiegato d'archivio, poi da uno spazzino.
Il tutto nella mia casa. Mi sentii veramente onorata, per quanto mi chiedessi quando avrei
cominciato a sentire le reazioni da parte della mia famiglia per quella macchia sulla nostra
reputazione. Ma nessuno ebbe niente da ridire. Non ancora, per lo meno... La mia famiglia non
voleva accettare quanto stava accadendo. Un giorno inciampai in una mattonella della terrazza,
caddi e riportai una leggera frattura ossea. I miei familiari non si fecero vivi, per telefonarono.
Avevano fatto almeno quello!
Mentre l'opposizione alla mia seppur lenta crescita cristiana si andava affievolendo sempre di pi da
parte della mia famiglia, ogni tanto invece riaffiorava in me. Ero ancora molto riservata, possessiva
e consideravo le mie terre ed il mio giardino ancora come propriet mia.
Oltre il prato del mio giardino c' una stradina che conduce agli alloggi della servit. Nei pressi
della strada c' un albero di ber, che ha dei frutti rossi simili alle ciliegie. Quell'estate, dopo che i
Mitchell erano partiti, i bambini del villaggio (incoraggiati forse da quanto si diceva sul mio
cambiamento di carattere) cominciarono a venire nella mia propriet, ad arrampicarsi sull'albero ed
a servirsi da s. L'intrusione era gi di per se stessa da condannare, ma quando le loro grida ed il
chiasso che facevano interruppe il mio riposo pomeridiano, mi affacciai alla finestra ed ordinai al
giardiniere di cacciar via i ragazzi. Gli chiesi anche di abbattere l'albero in quella stessa giornata. Si
sarebbe cos risolto il problema una volta per sempre!
Soltanto dopo aver fatto abbattere l'albero mi resi conto di quel che avevo fatto. Insieme all'albero
se n'erano andate anche la gioia e la pace della presenza del Signore. Rimanevo per lungo tempo
alla finestra a fissare il posto vuoto lasciato dall'albero. Come avrei voluto che l'albero fosse ancora
l... cos avrei potuto sentire le grida allegre dei bambini! Mi accorsi allora di com'era la vera
Bilquis Sheikh. Nuovamente mi resi conto che non sarei mai cambiata da sola. Era soltanto per
mezzo della grazia del Signore che poteva avvenire qualche cambiamento in me.
"O Signore", dissi. "Ti prego, fammi di nuovo ritornare alla Tua presenza!". Mi rimaneva solo una
cosa da fare. Nel mio giardino c'erano diversi alberi carichi di vari frutti di stagione. Il giorno
seguente rivolsi un pubblico invito ai ragazzi del villaggio di venire a goderseli! Lo fecero, eccome!
Anche se (ne sono sicura) cercarono di stare attenti, si spezzarono dei rami ed i fiori vennero
calpestati.
"Penso di capire, Signore, quel che stai facendo", dissi un pomeriggio, dopo che i ragazzi se ne
furono andati, ed io stavo rendendomi conto dei danni arrecati. "Signore, Tu ritieni che il giardino si
frapponga tra di noi. Mi stai privando perfino del mio giardino! Me l'hai tolto per darlo agli altri.
Guarda come se lo Stanno godendo! il Tuo giardino. Lo cedo a loro con gran piacere. Ti ringrazio
per esserTi servito di questo per riportarmi alla Tua presenza confortante".
Che ritorn... fino a quando non ebbi bisogno di un'altra potatura. Questa volta non era in ballo il
giardino ma il mio prezioso riposino pomeridiano.
In un freddo pomeriggio di novembre, mentre stavo riposando, Mahmud entr nella mia camera.
Stava diventando un ragazzo adesso e le sue fattezze attraenti preannunziavano l'aspetto di un bel
giovanotto. Il suo viso appariva preoccupato.
"Mamma, c' una donna di l che vuole vederti. Ha un bambino in braccio".
Sollevai la testa. "Mahmud", dissi, dimenticando le istruzioni impartite a Nur-jan e Raisham, "tu hai
otto anni adesso! Sai bene che non voglio vedere nessuno a quest'ora".
Mahmud aveva appena lasciato la stanza che un pensiero mi attravers la mente: che cosa avrebbe
fatto il Signore al posto mio? Ovviamente sapevo quel che Egli avrebbe fatto. Sarebbe andato dalla
donna immediatamente, anche se fosse stato nel cuore della notte.
Chiamai Mahmud, che non era andato troppo lontano e perci mi sent. Si affacci di nuovo alla

porta, con il suo viso scuro un po' meravigliato.


"Mahmud", dissi, "cosa vuole la donna?".
"Penso che il bambino sia malato", disse Mahmud, entrando nella stanza. Potevo scorgere una certa
apprensione nei suoi occhi.
"Va bene, accompagnala in salotto", gli dissi, mentre mi preparavo a scendere.
In un attimo raggiunsi Mahmud e la donna con il bambino. La mamma era vestita con abiti rozzi ed
informi da contadina. Avrebbe potuto essere la nonna del bambino. Aveva un viso avvizzito, le
spalle curve; indossava pantaloni larghi su di un corpo esile. Soltanto quando alz la testa e mi fiss
con dei profondi occhi scuri potei rendermi conto che lei stessa era poco pi di una bambina.
"Cosa posso fare per voi?" chiesi, mentre il mio cuore s'inteneriva.
"Ho sentito parlare di voi nel mio villaggio e cos sono venuta".
Il posto da dove veniva distava quasi venti chilometri. Non c'era da stupirsi che la poveretta avesse
l'aria tanto stanca. Ordinai t e panini. Mi domandai se allattava ancora il bambino; in alcuni
villaggi le madri allattano i figli fino ai tre anni. Gli occhi del bimbo fissavano assentemente il
lampadario di cristallo, mentre la bocca era semi-aperta. Posai le mani sulla sua fronte e pregai per
lui, la fronte era molto calda, ma non sudata. Quando posai le mani sulla testa della donna, potevo
immaginare come generazioni dei miei familiari si sarebbero ritratti trasalendo. Nei tempi passati io
sarei inorridita anche se solo l'ombra della contadina fosse ricaduta su di me.
Il mio cuore palpit verso quelle creature: la madre ed il piccolo, mentre chiedevo al Signore la loro
guarigione nel nome di Ges. Quando entr la cameriera con il t, le chiesi di portare anche delle
vitamine per la madre. Si trattenne per una mezz'ora, raccontandomi della sua vita con il marito, che
era diventato zoppo in seguito ad un incidente. Mi parl del suo bambino e della mancanza di cibo.
Difatti allattava ancora il bambino; era il modo pi economico per nutrirlo. Quando la donna si alz
per andarsene, la trattenni con un gesto.
"No", sussurrai. "Non ancora. Dobbiamo trovare un modo come farvi curare insieme al bambino".
Appena ebbi pronunziato quelle parole, la vecchia Bilquis Sheikh cominci ad agitarsi. Che sarebbe
successo se si fosse venuto a sapere a Wah che la Begum Sahib, dal gran giardino, provvedeva un
asilo ai bisognosi? Non saremmo stati sommersi da valanghe di persone anch'esse magre, emaciate,
malaticce, disperate, in cerca d'aiuto?
Ma anche se dentro di me si affacciava quest'ipotesi, sapevo anche che non avevo scelta. Non
l'avevo stabilito nel mio cuore quando avevo dato me stessa e tutto quel che possedevo al Signore?
"...e, certamente anche vostro marito ha bisogno di aiuto. Conviene che siate tutti e tre ricoverati in
ospedale e che vi nutriate in maniera adeguata. Poi, se vostro marito non sar riuscito ancora a
trovare un lavoro, fatemelo sapere".
La donna si accomiat. Avvertii l'ospedale di mandarmi il conto e rimasi in attesa... ma la donna
non ritorn pi. Ne fui sorpresa e chiesi alla servit se, per caso, sapevano che cos'era successo.
Come al solito, avevano la risposta! La donna col marito ed il bambino erano andati all'ospedale ed
ora stavano tutti bene. Il marito aveva un lavoro. Il mio ego si risent per l'ingratitudine della donna,
che non era ritornata per ringraziarmi, ma il Signore mi fren. " per questo che l'hai aiutata? Per
essere poi ringraziata? Credevo che i ringraziamenti andassero a Me!".
E naturalmente il Signore parlava giusto. Ritornai con la mente a quando avevo sentito in me di
prendermi cura della donna. Chiesi allora al Signore di perdonarmi e di non permettermi di cadere
di nuovo in quella trappola. "Signore", sospirai, "il Tuo braccio dovr essere stanco per quante volte
mi hai rialzata!".
In quei giorni mi sembrava di avere soltanto pochi attimi in stretta comunione col Signore, poi
ripiombavo subito in terra in fallimento completo. Mi domandavo se erano quelle le norme di vita
prese ad esempio nella vita cristiana. Dato che non avevo nessuno con cui condividere i miei dubbi,
dovevo tenerli tutti dentro di me.
Una mattina, mentre Nur-jan stava provvedendo alla mia toletta, un uccello dalle piume rosse si
pos sul davanzale della finestra.
"Oh!" esclamai, "guarda che cosa ci ha mandato il Signore questa mattina!".

Nur-jan rimase in silenzio mentre continuava tranquillamente a spazzolarmi i capelli. Ero un po'
sorpresa; Nur-jan era di solito cos chiacchierona! Poi la cameriera disse timidamente: "Begum
Sheikh, sapete che quando cominciate a parlare del Signore, cambia tutto il vostro aspetto?".
Quel pomeriggio feci un'ordinazione di diverse Bibbie alla libreria della missione ad Islamabad. Era
un'edizione ridotta della Bibbia, illustrata per bambini. Ne avevo constatato l'utilit con Mahmud.
Avevo scoperto che anche i servitori, quando ne trovavano una in giro per casa, erano attirati da
quel libretto con tante figure colorate. Quando arrivarono le Bibbie, mi sentii in dovere di darne una
copia a Nur-jan. Si pu immaginare la mia gioia quando la cameriera venne un giorno a parlarmi in
privato.
"Begum Sahib", disse Nur-jan, mentre si leggeva l'emozione sul suo viso paffuto, "ho qualcosa da
raccontarvi. Vi ricordate di quante volte ci avete detto che se volevamo conoscere questo Ges, tutto
quello che dovevamo fare era di chiederGli di venire nei nostri cuori?". A queste parole scoppi in
lacrime. "Io l'ho fatto, Begum Sahib. E Ges venuto. Non ho mai provato tanto amore in tutta la
mia vita!".
Non potevo credere alle mie orecchie. Le gettai le braccia al collo e, tenendoci abbracciate
danzammo per tutta la stanza.
"Che notizia incredibile, Nur-jan. Adesso siamo tre cristiane in questa casa: tu, Raisham ed io.
Dobbiamo festeggiare!".
Cos prendemmo il t tutte e tre insieme. Non era la prima volta che bevevo il t con la mia servit.
Eppure provai lo stesso un certo 'choc'. Mentre con grazia bevevamo e sgranocchiavamo il dolce,
chiacchierando come vecchie amiche, la mia mente vagava lontano. Cos'era accaduto alla donna
che si era ritirata in questa casa per evitare la vita di societ? Era qui, seduta con le sue cameriere.
Come ne sarebbero rimasti scandalizzati i miei familiari e gli amici! Come si sarebbero
meravigliati... Ripensai a quando davo ordini bruschi ed andavo spesso in collera per scaricarmi
delle mie frustrazioni. Se notavo un po' di polvere sul piolo di una sedia, se la servit parlava a voce
troppo alta in cucina, se il pranzo ritardava di un attimo, tutto l'andamento della casa poteva
dipendere da un mio accesso di collera. Il Signore aveva veramente operato in me ed io mi sentivo
veramente soddisfatta della Sua compagnia.
Non era che volessi diventare una santa, ma stavo cominciando ad imparare che la mia
responsabilit di rappresentare Ges non mi permetteva di fare alcuna cosa che potesse portare
disonore al Suo nome. Ed Egli mi stava anche insegnando che le azioni valgono pi delle parole
quando si tratta di testimoniare per Cristo.
Notai per una cosa strana alle nostre riunioni serali. Nur-jan non era tra le persone del villaggio una dozzina - che adesso s'incontravano a casa mia. Che strano! Un giorno, dopo che lei mi aveva
pettinata, le chiesi di trattenersi per un momento. Le domandai se non le sarebbe piaciuto unirsi a
noi quella domenica.
"Ma Begum", disse Nur-jan con aria allarmata e sbiancandosi in viso, "io non posso parlare di quel
che mi accaduto, n partecipare ad una riunione. Mio marito un musulmano devoto. Abbiamo
quattro figli. Se dico che sono diventata cristiana, mi scaccer certamente di casa".
"Ma devi dichiarare la tua fede", insistetti. "Non c' altro modo".
Nur-jan mi rivolse uno sguardo triste, poi lasci la stanza scuotendo la testa e mormorando. Potei
appena afferrare le parole, "Ma non si pu fare".
Qualche giorno pi tardi feci visita a Madre Ruth, che avevo conosciuta all'ospedale 'Holy Family'.
Mi faceva sempre piacere scambiare qualche parola con lei. La suora mi accenn di quante persone
in Pakistan siano dei credenti in segreto.
"Credenti in segreto!" esclamai. "Non riesco a capire come sia possibile. Se uno cristiano perch
non far sapere la notizia?".
"Beh", disse Madre Ruth, "ma leggete nella Bibbia che c' scritto su Nicodemo".
"Nicodemo?".
"Era un credente in segreto. Cercate nel capitolo tre del Vangelo di Giovanni".
Aprii la Bibbia e cominciai a leggere di come questo fariseo era andato da Ges, a tarda notte, per

saperne di pi sul Suo regno. Avevo letto spesso quel capitolo appassionante, ma fino ad allora non
mi ero resa conto che Nicodemo fosse, senza dubbio, un credente in segreto.
"Forse, in seguito, Nicodemo espresse il suo credo apertamente", disse la Sorella. "Ma per quanto ci
mostrano le Scritture, Nicodemo stava attento a non farlo sapere agli altri farisei".
Il giorno dopo chiamai Nur-jan nella mia camera e le lessi i versi su Nicodemo. "Mi dispiace di
averti messa in imbarazzo", dissi. "A suo tempo il Signore potr mostrarti come dichiarare la tua
fede. Nel frattempo, segui attentamente la Sua guida".
Il viso le s'illumin. Pi tardi notai che canticchiava felice, mentre lavorava. "Spero di aver agito in
maniera giusta, Signore", dissi. "Quello a cui devo stare attenta di non emettere giudizi nei
confronti degli altri".
Soltanto pochi giorni dopo dovetti constatare di persona, con maggior intensit, come fosse difficile
diventare cristiana in questa parte del mondo.
Un pomeriggio trill il telefono. ra uno dei miei zii, un parente che era stato particolarmente duro
con me. Anche se il boicottaggio da parte della mia famiglia era cominciato legger-mente a
diminuire, questo zio non si era mai messo in contatto con me, n mi aveva mai parlato. La sua voce
al telefono era tagliente.
"Bilquis?".
"S".
"Ho sentito che stai facendo sviare altre persone. Li stai allontanando dalla vera fede".
"Be', caro zio, questo un punto di vista".
Potevo facilmente immaginarmi la sua faccia che diventava rossa di collera: lo avvertivo
chiaramente dalla sua voce mentre mi diceva: "Una cosa prendere decisioni per conto tuo, un'altra
che le seguano gli altri. Devi smetterla, Bilquis".
"Zio, io apprezzo la tua premura, ma devo ricordarti che io conduco la mia vita e tu la tua".
Il giorno seguente, mentre il mio nuovo autista mi conduceva a casa, di ritorno da una visita a
Tooni, un uomo sulla strada cerc di far fermare l'auto. L'autista sapeva che davo spesso dei
passaggi agli autostoppisti. Ma questa volta non volle fermarsi.
"Vi prego, non chiedete di fermarmi, Begum," disse con voce decisa. Fece una sterzata dov'era
l'uomo, mentre le gomme stridevano contro il battistrada.
"Che volete dire?" chiesi, sporgendomi dal sedile. "Non volete intendere che quell'uomo stava
cercando di...?".
"Begum..."
"S?".
"Begum, proprio quello..." poi l'uomo cadde in un ostinato silenzio e nonostante le mie insistenze,
non riuscii a tirargli fuori altre informazioni.
Soltanto una settimana dopo, una donna della mia servit penetr nella mia stanza, pochi minuti
dopo che vi ero entrata per il mio riposo pomeridiano.
Chiuse la porta dietro di s.
"Spero che non vi dispiaccia", disse in un basso mormorio.
"Voglio soltanto mettervi in guardia. Ieri mio fratello era nella moschea di Rawalpindi quando ha
sentito un gruppo di giovani che parlavano del male che state facendo. Dissero che si doveva fare
qualcosa e subito, per mettervi a tacere".
La voce della ragazza tremava.
"Oh Begum Sahib" disse, "dovete proprio agire cos apertamente? Noi temiamo per voi ed il
ragazzo".
Il mio cuore ebbe un sussulto. Adesso toccava a me pensare se non sarebbe stato meglio rimanere
una credente in segreto in questo Paese ed in seno alla mia famiglia, dove Ges era considerato
anatema.
Capitolo 13

TEMPORALE IN ARRIVO
Trascorsero due mesi da quando avevo sentito quelle minacce nei miei confronti. Non mi capit
per niente di grave a parte delle occhiatacce ostili da parte di certi giovani e cos cominciai a
chiedermi se l'allarme non fosse infondato.
Era di nuovo tempo di Natale, qualche anno dopo aver conosciuto il Bambino di Betlemme. Anche
se alcuni miei familiari mi facevano visita di tanto in tanto, la telefonata minacciosa di mio zio mi
rammentava che i rapporti con i miei parenti erano ancora tesi. Pensai che sarebbe stata una buona
idea invitare a pranzo parenti ed amici per rendermi conto, in tal mdo, se c'era qualcos'altro da fare
per rinsaldare quella rottura.
Trascorsi parecchio tempo a preparare la lista degli ospiti. Poi una sera, prima di andare a letto,
infilai la lista completa nella Bibbia, per tenerla in un posto sicuro, dato che volevo spedire gli inviti
la mattina successiva.
Ma non lo feci mai.
Difatti, quando la mattina aprii la Bibbia per prendere il foglio, gli occhi mi si posarono su di un
passo. Sorprendentemente, vi si legge:
"Quando fai un desinare o una cena, non chiamare i tuoi amici, n i tuoi fratelli, n i tuoi parenti,
n i vicini ricchi; che talora anch'essi non t'invitino, e ti sia reso il contraccambio; ma quando fai
un convito, chiama i poveri, gli storpi, gli zoppi, i ciechi; e sarai beato, perch non hanno modo di
rendertene il contraccambio; ma il contraccambio ti sar reso alla risurrezione de' giusti". Luca
14: 12-14
"Signore questo che vuoi dirmi?" mi domandavo, tenendo la Bibbia in una mano e la lista degli
invitati nell'altra. Certo la maggior parte dei miei parenti, vicini ed amici erano agiati. Avevo
pensato che sarebbe stata un'opportunit per riunire insieme musulmani e cristiani, ma in effetti mi
rendevo conto che c'era dell'orgoglio da parte mia. Volevo dimostrare alla mia famiglia che avevo
ancora amici benestanti.
Appallottolai il foglio.
E feci invece esattamente quel che dice la Bibbia. Preparai un elenco con i nomi di vedove, orfani,
gente povera o senza lavoro del villaggio e poi li invitai tutti ad intervenire al pranzo di Natale.
Erano inclusi tutti, anche i mendicanti. Alcuni degli inviti li feci personalmente, per gli altri detti
incarico al mio personale. Notizie come quelle viaggiano in fretta e presto i miei servitori mi
riferirono che tutto il villaggio aveva intenzione di venire.
Per un attimo ebbi dei timori. Tutte quelle persone! Pensai a quel paio di tappeti persiani in seta,
lavorati a mano, che avevo da poco acquistato per il salotto. Va bene, pensai, in quell'occasione
potevo sempre mettere da parte tutte le cose di valore.
Cominciammo cos i preparativi. L'entusiasmo degli otto anni di Mahmud era contagioso, mentre
mi aiutava a preparare i regali per coloro che sarebbero venuti. Avevo comprato camicie di lana per
i ragazzi, abiti a colori vivaci per le ragazze, rotoli di stoffa rossa, rosa e porpora per le donne,
pantaloni pesanti per gli uomini, sciarpe e scarpe per i bambini. Trascorsi delle ore insieme alla
servit per incartare i doni e legare i pacchi con nastri argentati.
Un giorno si sent bussare alla porta: era un gruppo di donne di Wah che si offrivano in aiuto. "Non
per essere pagate, Begum", chiar la loro portavoce. "Vogliamo soltanto darvi una mano a
preparare".
All'improvviso la festa era diventata un'attivit comunitaria. Per le decorazioni, chiesi ad una
famiglia di ceramisti del villaggio di fare delle lampade - le piccole lampade ad olio in ceramica,
che sono ancora usate in questa zona del Pakistan. Ne ordinai 500. Le donne del villaggio mi
aiutarono a fare gli stoppini, attorcigliando dei fili di cotone. Mentre lavoravamo, mi si
presentarono diverse opportunit per parlare di Cristo. Quando, ad esempio, sistemammo le varie
lampade per la casa, raccontai la storia delle vergini sag-ge e di quelle stolte.

La preparazione del cibo fu un'altra cosa entusiasmante. Le donne del villaggio mi aiutarono
nuovamente a preparare i dolci tipici pakistani: le mandorle tagliate e le deliziose noci legus.
Tagliarono la carta argentata in striscie tanto sottili, che potemmo attaccarla sui dolciumi come un
pennacchio argentato.
La gente del villaggio cominci ad arrivare il 24 dicembre e continu a venire nei giorni successivi,
facendoli diventare un'intera settimana di festeggiamenti. Le lampade illuminavano ogni nicchia,
con la loro luce suggestiva, mentre noi eravamo allegramente seduti sui davanzali e sulle ringhiere
delle nicchie. Mahmud si divert molto a giocare con i ragazzi del villaggio. Non avevo mai visto
brillare tanto gli occhi di quei bambini n, per la verit, quelli di Mahmud. Grida e risate
risuonavano per casa. Ogni tanto Mahmud veniva a chiedermi qualcosa.
"Mamma, ci sono altri cinque ragazzi l fuori, possono entrare?".
"Ma certo" rispondevo ridendo, dandogli un colpetto sulla schiena. Di certo c'erano ora pi
bambini a casa nostra di quanti vivessero in tutto il paese di Wah!
Quando parlai con la gente del villaggio del modo in cui Cristo ci aveva insegnato a comportarci
l'uno con l'altro, la loro domanda fu, "ha veramente camminato con persone come noi?".
"S", risposi, "ed oggi quel che facciamo per gli altri come se lo facessimo a Lui".
A chiusura della serata, quando la festa era ormai terminata, mi sprofondai su di una poltrona, senza
preoccuparmi (questa volta) di sedermi su qualche bambino addormentato, e sospirando di
soddisfazione mi rivolsi al Signore: "Era questo che Tu volevi che io facessi?". Mi sembr di udire
la Sua risposta rassicurante: "S". Soltanto allora mi accorsi di non aver tolto i nuovi tappeti
persiani. Eppure non sembravano affatto sciupati dall'uso.
Molti di quei poveri non dimenticarono mai quel ricevimento. Circa un mese dopo seppi, per mezzo
di uno della servit, che c'era stato un funerale a Wah e che la moglie del mullah locale aveva detto,
ad alta voce, che avevo commesso un errore a lasciare la mia vecchia fede. Qualcuno per le
rispose: "Avete incontrato la Begum Sahib ultimamente? Avete forse fatto qualcuna delle cose che
lei ha fatto da quando diventata cristiana? Se volete saperne di pi su Dio, perch non andate da
lei?".
C'era per anche un altro aspetto di quell'esperienza. Seppi difatti che c'erano delle persone a Wah,
ai quali questa festa non era andata a genio.
Un vecchio dipendente, che lavorava nel giardino, un giorno mi ferm. "Begum Sahib", disse
toccandosi la fronte: mi concedete un minuto?".
"Ma certamente".
"Begum Sahib Gi, in citt c' una voce in giro che dovreste sapere. Si parla di come la Begum sia
diventata un problema. Ci sono alcuni nel villaggio, che dicono che faranno qualcosa contro di voi".
"Contro di me?" dissi. "Non capisco".
"Nemmeno io, Begum Sahib. Ma sentivo di dovervelo dire...".
Avvertimenti come quello, a volte si susseguivano l'uno all'altro, altre volte invece intercorrevano
dei mesi fra di essi. Nell'anno successivo cominciarono a verificarsi con crescente regolarit. Era
come se il Padre mi stesse preparando ad affrontare dei tempi difficili.
Un giorno, ad esempio, vennero a casa nostra tre ragazzini del villaggio. In seguito mi domandai se
non erano dei messaggeri di Dio, che venivano sotto forma di bambini. Mahmud arriv con delle
notizie da parte loro. Tremava tutto e gli occhi erano spalancati per la paura.
"Mamma, sai cosa hanno detto i miei amici? Che certe persone del villaggio stanno progettando di
ammazzarti. Lo faranno dopo le preghiere del venerd". Mahmud cominci a singhiozzare. "Se
muori, io mi uccider!".
Che dovevo fare! Strinsi il mio nipotino tra le braccia, e carezzandogli i capelli arruffati, cercai di
confortarlo. "Caro Mahmud" dissi, "voglio dirti qualcosa di Ges". Gli raccontai del primo sermone
di Ges a Nazaret, di quando la folla si era cos inferocita che aveva deciso di lapidarlo. "Mahmud",
dissi, "Ges pass in mezzo a loro senza essere toccato. Non c'era niente che potesse essere fatto
contro di Lui fino a quando il Padre non lo avesse permesso. la stessa cosa con te e con me.
Abbiamo la Sua protezione. Tu lo credi?".

"Intendi dire, che nessuno ci far del male?".


"No, non voglio dire questo. Anche a Ges lo fecero. Ma soltanto quando era giunto il Suo tempo di
soffrire. Non dobbiamo vivere una vita nel continuo terrore che ci accadr qualcosa di terribile. Non
potr accaderci nulla fino a che non sar venuto il nostro momento. E pu darsi anche che quel
momento non venga mai. Dobbiamo soltanto aspettare con fiducia. E nel frattempo vivere,
riposando, nel Signore. Hai capito?".
Mahmud mi guard con i suoi occhioni scuri e dolci. All'improvviso sorrise, si volt e corse fuori a
giocare, gridando di gioia. Era la risposta migliore che potesse dare alla mia domanda!
Avrei voluto anch'io sentirmi cos sicura! Non perch non credessi a quanto avevo appena detto a
Mahmud, ma non avevo ancora la fiducia spontanea di un bambino. Mi alzai e prendendo la Bibbia,
mi diressi in giardino. Il mio cuore era un po' oppresso. Come osavano tentare di strapparmi dalla
mia terra!
L'aria di quella giornata di autunno era fresca ed asciutta. Mentre camminavo lentamente lungo il
sentiero ghiaioso, potei avvertire il guizzo di un pesce nel ruscelletto che scorreva attraverso.la mia
propriet e potei sentire il richiamo lontano di un uccello. I crisantemi ed altri fiori tardivi dell'estate
ornavano i bordi del sentiero. Respirai con piacere quell'aria frizzante. Era la mia terra e la mia
gente. Era il mio Paese. La mia famiglia lo aveva servito onorevolmente per settecento anni. Era la
mia casa ed io non potevo, non volevo lasciare tutto questo!
Eppure si verificarono dei fatti, completamente fuori del mio controllo, che non erano certo di buon
auspicio alla mia ostinata determinazione di rimanere a casa mia.
Nel dicembre 1970, quattro anni dopo la mia conversione, il Pakistan ebbe la sua prima elezione
nazionale, in cui ogni cittadino aveva diritto al suo voto. Sembrava che avrebbe vinto il Partito
Popolare. E quella non era proprio una buona notizia per me! Nessuno dei miei amici altolocati
faceva parte di quel partito. Lo slogan del nuovo partito era: "Islamismo - la nostra fede,
Democrazia - la nostra politica, Socialismo - la nostra economia". Era uno slogan destinato a far
presa sull'uomo della strada. Mi rendevo conto che il pakistano medio provava un nuovo senso di
potere. Era vantaggioso per me? Forse lo era per la nuova Bilquis, ma esisteva un pericolo inerente
anche ad esso. Difatti non c' niente che infiammi di pi lo zelo di un fanatico che il credere che il
suo governo lo sosterr nelle proprie azioni. La mia vecchia reputazione non era certo quella di una
democratica; il socialismo non si adattava bene alle antiche tradizioni della nostra famiglia ed in
quanto all'islamismo - adesso ero considerata una traditrice.
Seguii gli eventi un po' a distanza. Un giorno arriv da Sardar un vecchio amico di mio padre.
Nonostante il suo disappunto per la mia nuova fede, aveva cercato di starmi vicino. Di tanto in tanto
mi telefonava o veniva a farmi visita per rassicurarsi che andava tutto bene.
Ora era seduto con me in salotto, sul divano di seta bianca e sorseggiava il suo t.
"Bilquis", disse a voce bassa, "ti rendi conto di quel che sta avvenendo e di come puoi esserne
coinvolta?".
"Ti riferisci al Partito Popolare Pakistano?".
"Certo, hanno vinto le elezioni! Che cosa sai di Zulfikar Ali Bhutto?". Risposi che lo conoscevo
bene.
"Ma non leggi i giornali, non ascolti la radio?".
"No, lo sai che non trovo tempo per questo".
"S, ma adesso ti suggerisco di trovare il tempo! La situazione al governo cambiata. Dubito che tu
possa contare su di lui come hai fatto con i presidenti precedenti". Poi aggiunse: "Mia cara, tu hai
perso l'influenza che potevi avere nelle alte sfere. Quell'epoca passata".
Una mezz'ora pi tardi mi accomiatai dal mio vecchio amico, accompagnandolo fino al viale, poi
feci ritorno a casa. Chiamai la cameriera per far riordinare e nel frattempo pensavo a quanto aveva
detto il mio amico. Era come se avesse parlato da parte del Signore, preparandomi a constatare
l'evidenza dei fatti. Non potevo ormai contare pi sulla protezione dei miei amici influenti e questo
mi spingeva un passo avanti verso la totale dipendenza dal Signore.
Non trascorse molto tempo che cominciai ad avvertire un'ostilit crescente nei miei riguardi. La

scorgevo negli occhi degli uomini, mentre camminavo per le strade di Wah. Lo constatai
nell'atteggiamento di un semplice impiegato, che prima mi aiutava nella denunzia dei redditi. Nel
passato era un uomo servile, che s'inchinava in segno di rispetto, toccandosi la fronte. Adesso
l'ometto era diventato apertamente ostile. Lo potevo notare nelle sue osservazioni taglienti e nella
maniera sprezzante in cui sbatt la mia pratica sul tavolo.
E pi tardi mentre passeggiavo lungo la strada che costeggia la mia casa, scorsi un uomo, che di
solito quando mi vedeva mi veniva incontro per parlarmi. Questa volta non lo fece. Appena
m'intravvide, gir subito la testa dall'altra parte e continu a guardare in quella direzione, mentre io
passavo. Ridacchiai fra me. "Signore, vedi che ci comportiamo tutti come bambini!".
Notai con interesse che il nuovo governo aveva avuto poche ripercussioni sul mio personale di
servizio. Oltre a Nur-jan, che continuava sempre in silenzio il suo cammino con Ges e Raisham,
l'altra cameriera cristiana, tutta la mia servit era fedele seguace di Maometto. Eppure esisteva uria
sincera affezione fra noi tutti. Pi di una volta i miei servitori musulmani sono venuti in camera mia
ed in tono implorante mi hanno detto: "Vi prego, Begum Sahib Gi, se doveste andarvene... o se
decideste di partire... non vi preoccupate per noi. Troveremo lavoro!".
Adesso avevo un rapporto diverso con il mio personale rispetto a quattro anni prima!
Anche i sogni ebbero un ruolo importante per me in quel periodo. I sogni avevano avuto un posto
rilevante nella mia esperienza cristiana, fin dal giorno in cui incontrai Ges, che venne a
banchettare con me. Adesso quelle esperienze strane e mistiche, allo stesso tempo, come lo stesso
apostolo Paolo ci dice di aver sperimentate, divennero per me sempre pi frequenti.
Una notte mi sentii rapita nello spirito ed attraversai l'oceano ad una velocit impressionante.
Alla.velocit della luce giunsi a quella che ritenni essere la Nuova Inghilterra, per quanto non fossi
mai stata in America prima. Fui trasportata, sempre nello spirito, in una casa o era forse una casa di
cura. C'era una stanza a due letti, in uno di essi era coricata una donna di mezz'et dal viso pieno,
occhi azzuro chiaro e capelli corti grigi. Una coperta di cotone bianco, lavorata in rilievo, ricopriva
il letto. Era evidente che la donna fosse malata: sentivo che aveva un cancro. Un'infermiera leggeva,
seduta su una sedia. Vidi allora il mio Signore in un angolo della stanza. M'inginocchiai davanti a
Lui, chiedendoGli cosa dovessi fare.
"Prega per lei", rispose. Andai vicino al letto della donna e pregai ferventemente per la sua
guarigione.
La mattina mi sedetti alla finestra, ancora intimorita, per quel ch'era accaduto in quella stanza d'oltre
oceano. Perch Ges mi aveva chiesto di pregare per la donna? Egli era l, eppure mi aveva chiesto
di pregare per lei. Stavo cominciando ad avere una pallida idea di una straordinaria rivelazione. Le
nostre preghiere sono d'importanza vitale per il nostro Signore. Egli opera per mezzo di esse. Mi
sentii guidata a leggere il quinto capitolo di Giacomo: "La preghiera della fede salver il malato, e
il Signore lo ristabilir: e s'egli ha commesso dei peccati, gli saranno rimessi... molto pu la
supplicazione del giusto, fatta con efficacia".
In questo modo le nostre preghiere liberano un forte potenziale nella persona per cui noi
intercediamo.
Un'altra volta vidi, come in visione, che salivo su una passerella di sbarco, come se avessi dovuto
imbarcarmi su una nave. La passerella conduceva fino ad una stanza. Cristo Ges era in quella
stanza: sembrava che stesse dandomi delle istruzioni. Tornai indietro, passando di nuovo per la
passerella e l, al termine, c'era una signora che attendeva, vestita in abiti occidentali: gonna e
giacca. Sembrava che stesse l ad attendermi. Venne verso di me, si mise sotto il mio braccio e
cominci a camminare, portandomi con lei.
"Ma dove stiamo andando, Signore?" chiesi girandomi verso di Lui, ma Egli non me lo disse.
Il sogno sembrava preannunziarmi che avrei fatto un altro viaggio. Per quanto questa volta sarei
partita per una destinazione sconosciuta, Ges avrebbe vigilato sul viaggio. Il sogno mi lasci in un
tale stato di predisposizione a fare la volont del Padre che non mi allarmai affatto alla notizia che
mi port un vecchio amico.
Nel marzo del 1971, pochi mesi dopo che il Presidente Bhut-to era entrato in carica, ricevetti la

visita di Yacub, un amico del Ministero. Era da tanti anni molto intimo della nostra famiglia. Al
tempo in cui mio marito era Ministro, ci fu un periodo di declino economico per il Pakistan, con un
conseguente forte bilancio passivo. Yacub ed io ideammo un programma di autogestione chiamato il
'Piano per un tenore di vita pi semplice'. Lo scopo prefisso era quello d'incoraggiare le industrie
pakistane a produrre le nostre proprie merci, facendo diminuire in tal modo le importazioni.
Eravamo poi andati in giro per il Paese per provvedere aiuti alle piccole manifatture e ad incentivare
l'artigianato locale. Avevamo incoraggiato la gente del posto a tessere la tela e cominciare a
produrre i propri capi di vestiario. Noi stessi avevamo voluto adottare un programma di austerit,
indossando abiti di fabbricazione locale. Il 'Piano per un tenore di vita pi semplice' fu un'iniziativa
che riscosse successo. Le fabbriche locali cominciarono a prosperare e le condizioni del Pakistan
migliorarono. Dopo di allora, col passar degli anni, Yacub veniva ogni tanto a farmi visita e
discutevamo insieme di politica e di affari internazionali. Yacub conosceva bene il nostro
patrimonio di famiglia, dato che aveva visitato le numerose propriet che possedevamo in tutto il
Pakistan. Sapeva inoltre che la maggior parte dei nostri capitali era investita in beni immobili.
"Bilquis", mi disse, quasi scusandosi, "mentre parlavo con degli amici venuto in discussione
l'argomento delle tue finanze. Hai mai preso in considerazione la vendita di qualche terreno? Non so
quanto sia sicuro per te avere tutti i tuoi capitali investiti in beni immobili, con la riforma terriera
annunziata da Bhutto".
Che premura da parte di Yacub. E non senza correre rischi. Con la crescente ostilit verso la passata
classe dirigente, la sua auto di rappresentante del governo, fuori casa mia, poteva facilmente
suscitare delle critiche, che sarebbero ricadute su di lui.
"Ti ringrazio Yacub", dissi, cercando di controllare la mia voce. "Ma per come stanno le cose
adesso, sono risoluta nella mia decisione. Niente, assolutamente niente, mi costringer ad
andarmene!".
Dire una cosa del genere era certo puerile da parte mia, ma la vecchia natura di Bilquis, con le sue
maniere arroganti ed ostinate, stava venendo fuori, prendendo il sopravvento. Il mio atteggiamento,
d'altra parte, non sorprese affatto il mio amico. "Era quella la risposta che mi aspettavo da te,
Bilquis", disse Yacub, lisciandosi i baffi e ridendo. "Potrebbe venire comunque il tempo in cui
potresti lasciare il Pakistan, se avrai bisogno di aiuto...".
"Se ce ne sar bisogno, mio buon amico, certamente mi ricorder della tua proposta", esclamai.
Ancora un sogno: questa volta da parte di Raisham, di solito tanto riservata.
"Begum Sahib" mi disse la ragazza, piegando la sua esile figura verso di me, che ero seduta sullo
stesso divano di quando incontrai il Signore in quella notte gelida, "ho avuto un sogno orribile.
Posso raccontarvelo?"
"Ma certo".
Ascoltai attentamente. Raisham mi rifer che nel sogno aveva visto degli uomini, dall'aspetto
cattivo, che erano penetrati in casa e mi avevano fatta prigioniera. "Avevo lottato con loro" mi disse.
"Poi avevo gridato ad alta voce 'Begum, scappate!' E nel sogno vi ho vista lasciare la casa
fuggendo".
Gli occhi scuri della ragazza erano umidi di lacrime. Dovetti io confortare lei! Ma non mi riusc
difficile. Nelle parole che pronunziai, c'era un avvertimento, che avrei dovuto spesse volte
ricordare. "Mia cara," dissi, "in questi ultimi tempi ho sentito spesse volte, da parte del Signore,
dell'eventualit di dover fuggire. Potrebbe accadere. Al principio mi rifiutavo anche di crederlo. Ma
ora comincio a pensarci".
" possibile", dissi sorridendo ed alzandole il viso pallidissimo per il mento, "che debba andarmene.
Ma se lo far, sar quando il Signore lo decider per me. Sto imparando ad accettare ogni Sua
decisione. Mi credi?"
La ragazza rimase a lungo in silenzio. Poi disse: "Che maniera meravigliosa di vivere, Begum
Sahib".
"S, lo veramente. l'unica via. Non c' pi niente sotto il mio proprio controllo".
Per quanto credessi ciecamente a quanto avevo detto, appena la ragazza ebbe lasciato la mia camera

non mi sentivo pi tanto in grado di poter controllare le mie emozioni, come volevo far credere.
Fuggire? Scappare via? Io?
La serie di messaggi su 'esperienze' da riferirmi continu con maggior intensit nell'autunno del
1971. Un giorno Nur-jan venne da me, senza fiato e tesa per l'emozione.
"Che c', Nur-jan?" le chiesi, mentre con le mani che le tremavano inizi a spazzolarmi i capelli.
"Oh, Begum Sahib", disse singhiozzando Nur-jan, "non voglio che vi facciano del male".
"Chi vuol farmi del male?".
Nur-jan si asciug gli occhi. Mi raccont allora che suo fratello era stato alla moschea il giorno
prima ed aveva sentito che un gruppo di uomini diceva che finalmente era venuto il tempo di agire
contro di me.
"Hai un'idea di quel che intendessero?".
"No, Begum Sahib", disse Nur-jan. "Ma vi confesso che ho paura. Non soltanto per voi, ma anche
per il ragazzo".
"Un ragazzo di nove anni... non vorranno...?".
"Begum Sahib, questo non pi lo stesso Paese di cinque anni fa. State attenta, vi prego", disse
Nur-jan; sembrava strano vederla cos seria, lei che era sempre pronta al riso!
E veramente qualche settimana pi tardi, accadde qualcosa...
Era stata una bella giornata. L'autunno era ormai nell'aria. Eragi passata la stagione dei monsoni: il
tempo era asciutto e fresco. Non era capitato niente di strano per tutto quel tempo e perci pensavo
che, dopo tutto, vivevamo in un'epoca moderna. Eravamo nel 1971, non nel 1571! Le guerre sante
erano un triste retaggio del passato.
Salii nella mia stanza per la mia ora di preghiera.
Ma all'improvviso, senza sapere il perch, sentii il bisogno urgente di prendere Mahmud e di correre
insieme fuori, sul prato!
Che cosa insensata... Ma sentivo quella sensazione impellente dentro di me. Mi precipitai a
svegliare Mahmud, dal suo sonnellino pomeridiano, e senza dargli spiegazioni lo trascinai, ancora
assonnato con me.
Per quanto sentissi di fare qualcosa senza senso, corsi gi per le scale, aprii la porta che dava
accesso al portico francese e mi precipitai fuori.
Nel momento in cui misi piede sulla terrazza, sentii un odore acre di bruciato. Qualcuno stava
bruciando dei rami di pino. Esisteva un divieto, di lunga data, che proibiva a chiunque di bruciare
rifiuti nella mia propriet. Andai in cerca del giardiniere, ma appena girato l'angolo di casa rimasi
inorridita.
Ammucchiata, contro la casa, c'era una catasta di rami di pino in fiamme. Il fuoco, alimentato dalla
legna secca, aveva ormai raggiunto l'ala dell'edificio, lambendolo con le sue fiamme alte.
Gridai. Accorse la servit. Subito alcuni di loro andarono a riempire dei secchi d'acqua al ruscello,
correndo avanti e indietro. Altri avevano srotolato la pompa del giardino, dirigendo il getto d'acqua
sulle fiamme, ma la pressione era troppo bassa. Per un attimo sembr che il fuoco stesse per
prendere nel rogo le travi che sporgevano dal tetto. Si erano gi bruciacchiate ed usciva del fumo.
Non c'era alcun modo di raggiungerle con l'acqua. Per evitare che la casa andasse a fuoco si doveva
spegnere l'incendio.
Facemmo una corsa col tempo. Tutto il personale, composto da dieci servitori form una catena dal ruscello alla casa - passandosi l'un l'altro i secchi d'acqua, che nella fretta in parte si versava per
terra.
Continuarono cos per una buona mezz'ora fino a quando il fuoco fu sotto controllo. Ci mettemmo
in circolo intorno al fuoco, eravamo una dozzina, tutti sudati, eppure tremanti. Ancora qualche
minuto e la casa sarebbe stata avvolta dalle fiamme. Sarebbe stato allora impossibile estinguerle.
Incrociai lo sguardo di Nur-jan. Si strinse nelle spalle, scuotendo la testa.
Sapevo esattamente quel che stava pensando. La minaccia era stata portata a termine. Guardai verso
il tetto: le travi di legno avevano le estremit sporgenti carbonizzate, mentre i muri bianchi della
casa erano sporchi di fuliggine. Ringraziai il Signore che non era successo niente di peggio e

rabbrividii al pensiero di che cosa sarebbe potuto accadere se non fossi andata fuori in quel preciso
momento.
Un'ora pi tardi, dopo che la polizia era venuta per investigare, prendere appunti ed interrogare sia
me che il personale, mi sedetti nuovamente nella mia stanza. Presi la Bibbia per verificare se il
Signore aveva qualcosa di particolare da dirmi in quell'occasione.
Mi balz sotto gli occhi una frase.
"Affrettati, scampa col, poich io non posso far nulla finch tu vi sia giunto" (Genesi 19:22).
Posai il libro e guardai verso l'alto. "Signore, tutto quello che devi fare adesso mostrarmi la via
che Tu vuoi che io percorra. Sar facile o dura?".
"E soprattutto, Signore", dissi mentre mi si riempivano gli occhi di lacrime, "che ne sar del
ragazzo? Potr venire anche lui con me? Mi hai privato di tutto. Mi verr tolto anche il bambino?".
Sei mesi pi tardi, nel maggio del 1972, il Signore mi parl nuovamente con un altro sogno.
Raisham venne da me, con un'espressione molto preoccupata sul viso.
"Begum Sahib", disse Raisham, "la cassetta dei soldi al sicuro?".
Si riferiva alla scatola di legno in cui conservavo il denaro in contanti.
"Ma certo che al sicuro", risposi. "Perch?".
"Meno male", disse Raisham, cercando di controllare la voce. "Ho fatto un sogno la notte scorsa:
stavate partendo in automobile per un lungo viaggio. Avevate con voi la cassetta coi soldi".
"Davvero?" risposi. Non era una cosa insolita, dato che portavo spesso con me, nei viaggi, la
cassetta.
"Ma il sogno era cos reale" insistette Raisham. "E la cosa triste che mentre viaggiavate, delle
persone vi hanno fermata e vi hanno derubata della cassetta col denaro".
La donna tremava ed ancora una volta fui io a doverla confortare, assicurandola che la perdita del
denaro mi avrebbe spinta a dipendere ancora di pi dal Signore. Dopo che Raisham ritorn al suo
lavoro, ripensai a quel sogno. E se fosse stato profetico? Forse voleva mettermi sull'avviso che sarei
stata privata
delle mie finanze? Sarei rimasta presto da sola ad affrontare le difficolt senza nemmeno mezzi di
sostentamento?
Erano delle giornate piene di sorprese per me. Due mesi pi tardi, in una calda giornata di luglio del
1972, un servitore venne ad annunziarmi l'arrivo di mio figlio Khalid.
"Khalid?". Mio figlio viveva a Lahore. Perch aveva fatto un viaggio speciale, soprattutto con quel
caldo soffocante? Che aveva da comunicarmi di tanto importante che non poteva essere detto per
telefono?
Khalid mi attendeva in salotto. "Figlio mio", esclamai, mentre entravo, "che piacere rivederti! Ma
perch non mi hai telefonato?".
Khalid mi venne incontro e mi baci. Poi chiuse la porta del salotto e, senza preamboli, arriv
subito allo scopo della sua visita. "Mamma, ho sentito qualcosa che mi ha preoccupato". Fece una
pausa. Cercai di sorridergli. Khalid abbass la voce e continu: "Mamma, il governo sta per
espropriare molte propriet private".
Riandai col pensiero alla visita fattami dal mio amico del governo, il quale mi aveva detto la stessa
cosa pi di un anno addietro, nel marzo del 1971. La sua visita profetica stava per realizzarsi
adesso? Khalid mi disse che Bhutto stava iniziando la sua riforma terriera e sembrava proprio che le
mie propriet sarebbero state tra le prime ad essere nazionalizzate.
"Cosa pensi che dovrei fare?" chiesi. "Le requisiranno tutte o soltanto una parte?".
Khalid si alz dalla sedia ed and verso il balcone del giardino, assorto nei suoi pensieri.
Ritornando verso di me disse: "Mamma, nessuno lo sa. Forse sarebbe meglio vendere qualcuno
delle tue propriet in piccoli lotti. In questo modo il nuovo proprietario sar protetto da una totale
requisizione da parte del governo".
Pi ci pensavo su e pi sentivo che la proposta di Khalid era da prendere in considerazione.
Andammo in auto da Tooni per discutere insieme la cosa; fummo tutti d'accordo che quello fosse il
sistema giusto. Decidemmo che Khalid sarebbe ritornato a Lahore. Entro breve tempo lo avremmo

raggiunto Tooni ed io con Mahmud, per sistemare le pratiche.


Cos in una calda mattinata del luglio 1972, noi tre eravamo pronti per andare a Lahore. L avrei
preso contatto con gli agenti immobiliari interessati alla vendita delle mie propriet. Appena uscita
di casa rimasi colpita dalla bellezza del mio giardino. Gli alberi erano nella loro piena fioritura e le
fontane avevano un suono argentino diverso dal solito.
"Ritorner fra qualche settimana" dissi al personale di servizio, riunito sulla soglia di casa.
Apparvero tutti accettare l'idea. Tutti, tranne Nur-jan e Raisham. Nur-jan all'improvviso scoppi in
lacrime e se ne and via correndo.
Con un po' di tristezza andai nella mia camera a prendere qualcosa che avevo dimenticato. Stavo
per scendere, quando trovai Raisham davanti alla porta. Mi prese la mano, aveva gli occhi umidi di
lacrime.
"Il Signore vi protegga, Begum Sahib Gi", disse con un filo di voce.
"Che protegga anche te", le risposi.
Restammo in silenzio senza parlare, ma pur comunicandoci tante cose. Sentivo dentro di me che
non avrei pi rivisto questa ragazza alta e snella - con cui ero diventata tanto intima negli ultimi
tempi. Le strinsi la mano bisbigliando: "Non c' nessuno che sappia pettinarmi come te". Raisham si
copr il viso con le mani e scapp via.
Stavo per chiudere la porta, quando qualcosa mi trattenne. Ritornai dentro. Mi guardai attorno: i
mobili chiari erano rischiarati ancora di pi da un raggio di sole che entrava dalla finestra del
giardino. Era l che avevo conosciuto il Signore.
Girai le spalle alla mia camera ed al mio prezioso giardino, dove avevo avvertito tante volte la
presenza del Signore, e mi diressi verso l'auto.
A Lahore vivevano delle persone, che desideravo tanto rivedere. A parte, naturalmente, Khalid, sua
moglie e la figlia ormai adolescente. Avevo inoltre la possibilit d'incontrarmi con gli Old. Avevo
scritto che sarei andata a Lahore. La loro nuova missione era in un villaggio, ad una certa distanza
dalla citt. Speravo proprio di rivedere quei vecchi, cari amici.
A Lahore, come al solito in luglio, si bruciava dal caldo. Dalle vecchie stradine si alzava un vapore,
a causa delle piogge dell'ultimo monsone. Appena imboccammo una strada che conduceva al centro
della citt sentimmo gracchiare un altoparlante dall'alto di un minareto. Segu poi la voce metallica
di un muezzin, che recitava la preghiera di mezzogiorno. Il traffico tutto ad un tratto diminu, dato
che auto ed autocarri si accostavano al marciapiede per sostare. Gli autisti, discesi dai loro mezzi,
distesero i propri tappetini delle orazioni ed iniziarono a prostrarsi.
Tooni potette trattenersi con noi solo per pochissimo tempo, a causa d'impegni improrogabili. Dopo
aver sbrigato le pratiche necessarie, Khalid ci accompagn alla stazione per far prendere il treno a
Tooni. Fu un momento commovente quello della sua partenza. Rimanemmo d'accordo che di l a
qualche giorno Mahmud sarebbe andato a stare per un po' con sua madre. Eppure, sentivamo tutti
che c'era qualcosa d'insolito nel nostro commiato. Mahmud, che aveva ormai quasi dieci anni, cerc
di trattenere le lacrime, mentre baciava la madre. Tooni pianse apertamente mentre abbracciava il
figlio. Anch'io mi misi a piangere e tutti e tre ci abbracciammo l'uno con l'altro, sul marciapiede
della stazione.
Alla fine Tooni, spingendo indietro la testa dai capelli castani disse ridendo: "Suvvia, non stiamo ad
un funerale!".
Sorrisi, la baciai un'altra volta e poi Mahmud ed io la vedemmo salire sul treno. Dato il segnale di
partenza il treno cominci lentamente a lasciare la stazione; provai una stretta al cuore. Cercai il
viso di Tooni ai finestrini dei vagoni. Mahmud ed io alla fine la individuammo e le lanciammo baci
da lontano.
Fissai avidamente l'immagine di Tooni nella mia mente, imprimendola nella mia memoria.
Trascorsi il giorno successivo con gli agenti immobiliari, i quali m'informarono che per la vendita
sarebbe trascorsa qualche settimana. Khalid ci assicur che saremmo potuti rimanere a casa sua per
tutto il tempo che volevamo.
L'unica cosa che mi dispiaceva era che non avrei avuto comunione spirituale. Ora mi rendevo conto

del perch i discepoli andassero sempre in due. I cristiani hanno bisogno di stare insieme per
sostenersi e consigliarsi a vicenda.
Telefonai agli Old. Che piacere sentire la voce di Marie! Ridemmo insieme, piangemmo insieme e
pregammo insieme .... tutto per telefono! Non era possibile per loro venire a Lahore, per impegni di
lavoro, ma mi avrebbero messo in contatto con altri cristiani residenti in citt. Marie mi parl in
particolar modo della moglie di un professore, Peggy Schlorholtz.
Che strano! A sentire quel nome il mio cuore acceler i battiti....
Dopo pochi minuti Peggy ed io parlavamo al telefono. Dopo qualche ora si trovava gi nel salotto di
Khalid.
Quando mi vide il suo viso s'illumin con un sorriso.
"Ditemi, Begum Sheikh", mi chiese, " vero che avete incontrato, per la prima volta, il Signore
Ges in un sogno? E come avete fatto ad accettarLo?".
E cos, nel salotto di Khalid, raccontai a Peggy tutta la mia storia, da quando era iniziata sei anni
prima. Peggy ascolt attentamente. Quando terminai, prese la mia mano e disse una cosa veramente
sorprendente...
"Vorrei che veniste in America con me!".
La guardai stupita. Il mio cuore batteva di nuovo velocemente.
"Intendo questo", disse Peggy. "Io sto per partire, devo accompagnare mio figlio a scuola. Rimarr
negli Stati Uniti per quattro mesi. Voi potreste viaggiare con me e parlare alle varie chiese locali".
Sembrava cos entusiasta che non volli scoraggiarla. "Va bene", risposi sorridendo, "apprezzo molto
il vostro invito. Fatemi pregare prima per!".
La mattina seguente la cameriera mi port un biglietto. Lo lessi ridendo. Era da parte di Peggy.
"Avete gi pregato?". Sorridendo, appallottolai il foglietto, senza far niente. Era veramente assurda
quell'idea!
A meno che... All'improvviso gli avvenimenti degli ultimi due anni mi si affollarono alla mente in
un succedersi drammatico. I sogni. Gli avvertimenti. Il fuoco. Ed infine la mia risoluzione a fare
qualsiasi cosa il Signore avesse voluto - anche se questo stava a significare lasciare il mio Paese.
No, non avevo veramente sottomesso al Signore la proposta di Peggy. Lo feci in quel momento.
Misi il progetto del viaggio nelle Sue mani. Non fu facile, perch dentro di me sentivo che, se
avessi lasciato la mia patria, non sarebbe stato soltanto per quattro mesi, ma per sempre.
"Signore, Te lo dico ancora una volta. Tu sai quanto voglia rimanere nella mia terra. Oltre tutto ho
52 anni e non certo l'et per ricominciare tutto daccapo.
"Ma", sospirai, "ma... non quella la cosa pi importante! Quello che conta veramente rimanere
sempre alla Tua presenza. Ti prego, Signore, aiutami a non farmi prendere mai una decisione che
potrebbe allontanarmi dalla Tua gloria".
Capitolo 14
IL VOLO
Strano quanto accadde subito dopo che il Signore mi aveva fatto cambiare idea sulla mia decisione
di lasciare il Pakistan!
Sorsero delle difficolt, degli ostacoli imprevisti.
Uno ad esempio, che sembrava insormontabile, era un regolamento che permetteva ai cittadini
pakistani di lasciare il loro Paese con una somma non superiore ai cinquecento dollari. Mahmud,
essendo a mio carico, poteva portarne 250. Come avremmo potuto vivere Mahmud ed io, per
quattro mesi, con soli 750 dollari? Gi questa difficolt ci avrebbe dovuto far desistere dal prendere
in considerazione la proposta di Peggy.
Qualche giorno pi tardi, Peggy m'invit a farle visita a casa sua. Mentre conversavamo,
menzionammo il dottor Christy Wilson. Peggy lo conosceva. Ero preoccupata per lui da quando
avevo sentito che era stato espulso dall'Afganistan dal governo musulmano, che aveva anche

distrutto la chiesa ch'egli aveva costruito per gli espatriati residenti a Kabul.
"Hai un'idea di dove possa trovarsi?" chiesi.
"No veramente", rispose Peggy.
In quel preciso istante trill il telefono. Peggy and a rispondere. Quando ritorn aveva gli occhi
spalancati, "Sai chi era?" disse. "Era Christy Wilson!".
Dopo aver superato quella sorpresa, che ci aveva un po' stupite ed un po' fatto ridere, cominciammo
a chiederci se quel fatto non fosse pi che una semplice 'coincidenza'. Il dottor Wilson, disse Peggy,
stava proprio passando per Lahore. Voleva venire a farci visita.
Ne fui ovviamente contenta perch cos avrei appreso altre notizie, ma avevo una certa intuizione
che stava per avvenire qualcosa di pi di una visita casuale.
Il giorno seguente avemmo una bella riunione a casa di Peggy. Informai il dottor Wilson degli
ultimi avvenimenti di Wah e della mia vita stessa. Peggy gli disse allora di cercare di persuadermi
ad andare negli Stati Uniti. Si entusiasm molto all'idea. "Ci sono per dei problemi", disse Peggy.
"Il primo che, per il regolamento vigente nel suo Paese, Bilquis pu portare con s solo
cinquecento dollari".
"Mi domando..." disse il dottor Wilson, carezzandosi il mento, "ho degli amici che potrebbero..
forse potrei mandare un telegramma.... Conosco qualcuno in California...".
Dopo pochi giorni Peggy mi telefon, tutta eccitata. "Bilquis", grid. " tutto sistemato! Il dottor
Bob Pierce, tesoriere di 'Samaritan's Purse' (Borsa del Samaritano) ti far da garante. Pensi di poter
partire tra una settimana?".
Una settimana! All'improvviso sentii su di me il peso di quella decisione: lasciare la mia patria!
Avevo dentro di me la convinzione, che se fossi partita, sarebbe stato per sempre. Comprendevo
meglio adesso quel che Rudyard Kipling diceva nei suoi versi:
Dio ha dato agli uomini tutta la terra da amare Ma essendo i nostri cuori troppo piccoli, Ha
assegnato ad ognuno di noi un pezzetto che si potesse amare pi degli altri... (dal poema: Sussex)
Wah... il mio giardino... la mia casa ... la mia famiglia ... Potevo prendere sul serio la decisione di
lasciare tutto?
S, potevo. Non avrei preso nient'altro in considerazione, se mi fossi sentita sinceramente convinta
che era quella la volont del Signore. Sapevo gi quel che sarebbe accaduto, se avessi
deliberatamente disobbedito. Non avrei percepito pi la Sua presenza.
Nelle ventiquattr'ore seguenti ebbi un'altra conferma. Khalid mi rifer, apranzo, che a parte un
piccolo dettaglio, erano ormai stati superati tutti i problemi per la vendita delle mie propriet. Mi
disse inoltre: "Ritengo, mamma, che tu possa dire, senza tema di smentite, che da oggi in poi, ti sei
privata di quelle propriet che avresti voluto vendere".
Ma all'improvviso si chiusero le porte. Non da parte di Dio, a quanto sembrava, ma da parte del
governo pakistano. Venne emesso ancora un altro regolamento che nessun cittadino avrebbe potuto
lasciare il Pakistan senza aver prima pagate le imposte sul reddito. Le mie erano state pagate, ma
avevo bisogno di un documento che lo comprovasse. Dovevo procurarmi una ricevuta dell'avvenuto
pagamento, altrimenti non avrei potuto acquistare i biglietti per gli Stati Uniti.
Ormai erano trascorsi gi quattro dei sette giorni che mancavano alla partenza. Me ne rimanevano
soltanto tre quando Khalid ed io andammo all'ufficio addetto, per far richiesta del documento.
Pensavamo che non sarebbero sorti certamente altri problemi, dato che la mia pratica era tutta in
ordine.
L'ufficio si trovava in una strada affollata della zona sud di Lahore. Quando entrai nell'edificio mi
colp qualcosa di strano. Era troppo silenzioso per essere il solito ufficio burocratico, dove
gl'impiegati vanno avanti ed indietro per sbrigare le pratiche e c' sempre qualcuno che discute con
il personale.
Khalid ed io eravamo gli unici, a parte un impiegato calvo che, seduto dall'altra parte dello
sportello, leggeva una rivista. Mi avvicinai dicendogli quello di cui avevo bisogno.
Alz appena lo sguardo dal giornale e scuotendo la testa mi disse: "Spiacente signora, c' uno
sciopero in corso". Poi s'immerse nuovamente nella lettura.

"Uno sciopero?".
"S signora", rispose. "A tempo indeterminato. Non c' nessuno in ufficio che possa fare qualcosa
per voi". Rimasi l a fissare l'uomo. Poi mi allontanai di qualche passo. "Signore", pregai ad alta
voce, ma in modo che potesse sentirmi soltanto mio figlio, "hai chiuso Tu la porta? Ma perch
allora mi hai incoraggiata fino adesso?".
Poi mi venne un pensiero improvviso. Aveva veramente Lui chiuso la porta?
"Va bene, Padre", pregai. "Se la Tua volont che Mahmud ed io andiamo in America, sarai Tu a
sistemare ogni cosa". Un grande senso di fiducia s'impossess di me; mi avvicinai di nuovo
all'impiegato.
"Beh, mi sembra che voi almeno non siate in sciopero!" dissi. "Perch non mi date voi il documento
che mi necessit?".
L'uomo mi lanci un'occhiata, mentre continuava sempre a leggere il suo giornale: aveva
un'espressione dura, accigliata. Sembrava proprio il tipo di persona che contento di dire sempre
'no'.
"Ve l'ho detto, signora, che c' sciopero" borbott.
"Va bene, allora fatemi parlare col capufficio". Avevo imparato, a mie spese, quando lavoravo per il
governo, che se volevo far fare qualcosa, dovevo sempre andare dall'autorit superiore.
L'impiegato sbuff, sbatt la rivista sul tavolo e mi accompagn fino ad una porta l a fianco.
"Attendete qui" borbott di nuovo scomparendo nell'ufficio. Sentivo provenire dalla stanza un basso
mormorio di voci, poi l'uomo si affacci alla porta e mi fece segno di entrare.
Khalid edio ci trovammo di fronte ad un uomo piacente, di mezz'et, seduto dietro una vecchia
scrivania. Gli esposi il mio problema. Si appoggi allo schienale della sedia, giocherellando con una
matita.
"Mi dispiace, signora ... signora ... che nome avete detto?"
"Bilquis Sheikh".
"S, sono veramente spiacente. Non c' proprio niente, nel modo pi assoluto, che noi possiamo
fare, quando c' uno sciopero in corso... ". Ma all'improvviso una luce balen nei suoi occhi.
"Non siete per caso la Begum Sheikh che aveva organizzato il 'Piano per un tenore di vita pi
semplice'?".
"S, sono io".
Sbatt il pugno sul tavolo, poi esclam: "Bene!". Mi accost una sedia, invitandomi a sedere.
"Ritengo che sia stato il miglior programma promosso nella nostra nazione".
Sorrisi.
Poi; sporgendosi dalla sedia, verso di noi, disse in tono confidenziale: "Adesso vediamo quel che
possiamo fare per voi".
Mi chiese di spiegargli con esattezza quale fosse il problema. Gli dissi che entro tre giorni sarei
dovuta andare a Karachi per prendere un aereo per gli Stati Uniti. Il viso dell'uomo assunse un'aria
decisa. Si alz e chiam l'impiegato allo sportello. "D a quel nuovo assistente di venire qui".
Poi mi disse a bassa voce: "Ho uno stenografo in servizio temporaneo. Non fa parte del personale
regolare e perci non in sciopero. Pu scrivere a macchina il certificato. Lo timbrer io stesso.
Sono contento di potervi aiutare".
Pochi minuti dopo ebbi il mio prezioso documento tra le mani. Era tutto in ordine adesso! Devo
confessare che, nell'andarmene via, sventolai il foglio davanti all'impiegato che, abbandonata per un
attimo la lettura, lo fiss a lungo collo sguardo. Pot vedere il mio sorriso di soddisfazione e sentire
il mio "Dio vi benedica".
Mentre lasciavamo il palazzo degli uffici governativi, Khalid, con aria meravigliata, mi fece notare
che tutto il disbrigo della pratica aveva preso non pi di venti minuti. " stato pi breve di quando
ogni impiegato al suo posto di lavoro!" disse.
Il mio cuore esultava. Cercai di spiegare a Khalid che il Signore vuole la nostra collaborazione.
Quando preghiamo, Egli vuole operare con noi. Era lo stesso principio usato da Mos col suo
bastone. Se avessi soltanto rimesso il problema nelle mani del Signore, senza muovermi anch'io per

fede, probabilmente non sarei mai entrata in possesso di quel documento. Mi sono dovuta muovere,
tentando tutto quel che potevo fare. Ho chiesto di parlare col capufficio. Allo stesso modo in cui
Dio chiese a Mos di percuotere la roccia con un bastone, cos chiede anche a noi di prender parte,
quando Egli opera dei miracoli.
Khalid apparve un po' preso alla sprovvista dal mio entusiasmo ma si riprese subito, dicendomi con
un sorriso: "Io so soltanto una cosa, mamma. Ho notato che invece di 'grazie' dici sempre 'Dio ti
benedica'. Quando usi quell'espressione, la cosa pi bella che abbia mai sentita".
Ora che tutte le pratiche erano state espletate, mi domandavo se potevo fare un breve viaggio a
Wah, per andare a dire almeno 'arnvederci'. Gi d'allora ero convinta che quella lontananza sarebbe
durata pi di quattro mesi. Ma quando l'accennai, Khalid mi rispose:
"Non hai sentito dell'inondazione?".
Pioggie torrenziali avevano colpito la zona tra Lahore e Wah. Erano stati allagati molti ettari di
terreno. Il traffico era stato interrotto. Era il governo stesso a provvedere al trasporto.
Provai una stretta al cuore. Non mi era nemmeno concesso di andare a dare un ultimo saluto. Il
Signore mi stava chiedendo di dare un taglio netto, come Lot a cui era stato raccomandato di non
voltarsi indietro.
Avevo progettato di lasciare Lahore il venerd mattina: avevo ancora due giorni! Sarei andata in
aereo a Karachi, da dove avrei preso il volo per gli Stati Uniti. Peggy ed il figlio avrebbero iniziato
il loro viaggio a Nuova Delhi.
Il loro aereo della Pan-American, diretto a New York avrebbe fatto scalo a Karachi, dove Mahmud
ed io saremmo saliti a bordo, raggiungendoli. Il gioved mattina per, avvertii un'insolita premura
che mi spingeva a non attendere oltre. La mia ansiet era accentrata su Mahmud. Certamente, grazie
all'efficienza delle indiscrezioni trapelate, la notizia era ormai giunta a Wah, che non ci trovavamo a
Lahore per una semplice visita, ma che stavamo invece per lasciare il Pakistan. Non poteva darsi
che i familiari di Mahmud tentassero di sottrarlo alla mia influenza 'corruttrice'? Sarei stata fermata
da qualche pretesto? Sentivo che un pericolo mi minacciava.
No, non avrei atteso ancora. Sarei partita quello stesso giorno. Sarei andata a Karachi a casa di
amici, dove mi sarei sentita al sicuro.
Cos quel pomeriggio, dopo aver preparato affrettatamente i bagagli, Mahmud ed io salutammo
Khalid e la sua famiglia e ci dirigemmo in gran fretta all'aereoporto. Lasciammo Lahore con un
certo sollievo. Eravamo ormai in viaggio!
Karachi era, come ben mi ricordavo, una citt formata da un deserto e da una spiaggia, situata di
fronte all'Oceano Indiano. Un miscuglio di vecchio e nuovo: cammelli al pascolo, che sfioravano le
Rolls Royce, bazar invasi da mosche ronzanti, a fianco di negozi eleganti che esponevano l'ultima
moda di Parigi. Perfetto. La citt era tanto grande che ne saremmo stati inghiottiti.
Fummo ospiti di miei amici. Andai a fare acquisti nella zona bassa della citt; erano gli ultimi
preparativi per la partenza del giorno dopo. Sentii tutto ad un tratto una strana oppressione che
m'invase tutta. Chiusi gli occhi, mentre mi appoggiavo ad un muro per sostenermi e pregai il
Signore, invocando la sua protezione.
Mi sentii guidata, in modo deciso, che Mahmud ed io andassimo a pernottare in albergo. Cercai di
rigettare l'idea. "Ma sciocco" mi dissi. Poi ricordai l'episodio dei re magi, che erano stati avvertiti
in sogno di partire al pi presto, percorrendo un'altra via.
Di l a poco registravamo i nostri nomi all'Hotel Air France all'aereoporto di Karachi. Andai subito
in camera con Mahmud, ordinai che mi portassero su la cena ed insieme aspettammo. Mahmud
appariva irrequieto. "Perch dobbiamo agire cos di nascosto, mamma?" mi domand.
"Penso che sarebbe meglio stare tranquilli per un po'; questo tutto".
Quella notte rimasi a pensare, distesa sul letto. Perch mi sentivo cos in apprensione? Non c'era
alcun motivo per esserlo. Stavo facendomi trascinare dal mio nervosismo? Stavo reagendo in
maniera esagerata alle minacce fattemi in passato? L'incendio? Dormii solo per qualche ora ed in
maniera agitata. Alle due di notte mi alzai e mi vestii, spinta nuovamente da un bisogno urgente di
allontanarmi. Mi sentivo ridicola. Non era da me! L'unica spiegazione plausibile che potessi dare a

quel senso di urgenza, era che per me era venuta l'ora di lasciare l'albergo e che stavo per esserne
spinta fuori dal Signore. Infilai Mahmud, barcollante per il sonno, nei suoi vestiti, poi radunammo
le borse vicino alla porta per farle prendere dal facchino dell'albergo.
Erano le tre di notte. L'aereo partiva alle cinque. Mahmud, ancora assonnato, rimase ad aspettare
con me davanti all'albergo il taxi che ci avrebbe accompagnati al terminal. Guardai la luna che
calava e mi chiesi se sarebbe stata quella l'ultima volta che avrei visto la luna nella mia terra. Una
leggera brezza mattutina mi port un profumo di narcisi, proveniente forse da un vaso di fiori, il
mio cuore pianse perch sentivo in me che non avrei pi rivisto il mio giardino.
Il portiere riusc finalmente a fermare un taxi. Mahmud ed io c'infilammo dentro in fretta. Pregai,
mentre l'autista si apriva un varco in mezzo al traffico. Perfino a quell'ora del mattino, le strade, che
conducevano all'aereoporto erano congestionate dal traffico. Mentre le auto si fermavano al
semaforo, mi appoggiai allo schienale del sedile per rilassarmi, ma mi sentivo ancora molto agitata.
"Stiamo tranquilli per un po'" mi dissi, cercando di rassicurare me stessa., come prima avevo fatto
con Mahmud. No, non era quello il modo migliore. Ci di cui avevo veramente bisogno era di
pregare.
"Signore, allontana da me questo stato di agitazione. In Te non c' nervosismo. Non posso aver
fiducia in Te e preoccuparmi allo stesso tempo! Tuttavia se questa premura mi viene da Te, dovr
pur esservi una ragione ed io voglio obbedirTi".
Arrivati al terminal, scendemmo sul marciapiede affollato. Si sentiva il rombo dei motori dei jet e le
voci, che a centinaia si mescolavano insieme, in un'atmosfera di continuo andirivieni. Ebbi un
sussulto al cuore quando, nel guardare in alto, vidi la bandiera della mia nazione - la stella e la
mezzaluna su campo verde - svolazzare al vento. Avrei sempre rispettato quella bandiera, la mia
gente e la loro fede. Un facchino ci port il bagaglio al banco di controllo, da dove fui contenta di
vederlo sparire in Un posto almeno in apparenza sicuro!
Soltanto venti chili di bagaglio ciascuno. Sorrisi al pensiero dei viaggi che la mia famiglia faceva in
passato. Andavamo solo per qualche settimana in un'altra parte del Pakistan e portavamo con noi
tonnellate di bagagli e le mie sorelle si lamentavano di non poter portare tutti i vestiti che volevano!
Dovevamo attendere ancora un'ora prima della partenza dell'aereo. Tenendo Mahmud ben stretto a
me, pensai che la cosa migliore sarebbe stata quella di confonderci tra la folla, cos da non essere
notati. Ma non riuscivo a scuotermi di dosso quel senso di pericolo incombente. Ancora una volta
mi rimproverai di preoccuparmi inutilmente. Il Signore vigila e sorveglia, mi dissi. Mi sta
conducendo fuori da questa situazione e tutto quello che devo fare di obbedire.
Mahmud mi chiese di andare alla toilette, lo accompagnai fino alla porta ed aspettai nel corridoio.
All'improvviso una voce all'altoparlante annunci il nostro volo.
"... salire a bordo per il volo Pan Am per la citt di New York". Ebbi un tonfo al cuore. Dov'era
Mahmud? Dovevamo andare!
Finalmente la porta di accesso alle toilettes si apr. No, era un sikh col turbante che usciva. Stavo
quasi per infilarmi dentro.
Ma che stavo facendo ... Di sicuro nessuna donna, in un paese musulmano, sarebbe mai entrata
nella toilette degli uomini, anche per cercare un ragazzo che si era perduto!
Stavano annunziando di nuovo il nostro volo. "Il volo Pan Am per la citt di New York pronto per
la partenza. Tutti i passeggeri a bordo".
Oh no! Il mio cuore grid. Dovevo fare qualcosa. Spinsi la porta e chiamai "Mahmud!".
Una vocina rispose, "Sto venendo, mamma ...".
Tirai un profondo sospiro e mi appoggiai, senza forze, al muro. Mahmud usc subito. "Dove stavi?
Che cosa ti ha trattenuto?" gli gridai.
Non aveva importanza ormai. Senza aspettare la risposta, gli afferrai una mano e corsi.
Attraversammo il lungo corridoio fino al cancello per l'imbarco. Eravamo tra gli ultimi passeggeri a
salire a bordo.
"Guarda mamma che aereoplano!" esclam Mahmud.
Che aereoplano davvero... L'aereo di linea 747 era immenso. Eravamo tutti e due un po' eccitati...

Non avevo mai visto prima d'ora un aereo tanto grande.


Mentre stavo per mettere piede a bordo, esitai per un attimo, era l'ultimo contatto col suolo
pakistano.
Dovevamo muoverci per. L'interno mi apparve come un auditorio, una hostess ci accompagn ai
nostri posti. Dov'era Peggy? Cosa avrei fatto in America, senza di lei?
Ma s, era l! Stava venendoci incontro per il corridoio. Peggy mi gett le braccia al collo.
"O, amica mia preziosa!" disse. "Ero cos in ansia. Non ero riuscita a scorgerti tra la folla dei
passeggeri in attesa al cancello...". Le spiegai quanto era accaduto ed apparve sollevata. Mi present
il figlio, che era con lei. "Peccato che non possiamo sederci insieme" disse. Abbiamo dovuto prendere i posti disponibili".
Francamente era meglio cos. Non mi sentivo di stare in compagnia in quei momenti. Mi rendevo
conto che stavo per lasciare la mia madrepatria. Certo mi sentivo triste, ma allo stesso tempo
realizzata. Non riuscivo a capire.
Mahmud ritorn ad essere quello di sempre... Divent amico della hostess, che gli fece visitare la
cabina di pilotaggio. Ritorn affascinato. Ne fui contenta. La hostess avvert di allacciare le cinture.
Guardai fuori dal finestrino e vidi i primi raggi del sole che spuntava. I motori rombarono. Mi
sentivo stranamente eccitata. L'aereo cominci a muoversi pesantemente e rumorosamente lungo la
pista. Guardai dietro di me, non riuscii a scorgere Peggy.
Ma Mahmud era l con me. Potevo vedere il suo viso raggiante per l'emozione, nel sentire i motori
del jet che rombavano assordanti, nel decollo. Gli presi la mano e cominciai a pregare.
"Che c' adesso, Signore? Sento nuovamente in me un senso di adempimento. Mi hai condotta fuori
della mia terra, come Abramo. Senza sapere quel che succeder, eppure mi sento completamente
soddisfatta, realizzata perch sono con Te!".
Non mi preoccupava pi nemmeno l'imbarazzo, provato a causa del mio nervosismo e delle mie
paure. Quello che sapevo, era che avevo obbedito fedelmente al Signore. Dovetti ammettere che
non sarei mai venuta a sapere quel che sarebbe accaduto veramente se non avessi seguito ogni Suo
ordine ed agito come avevo fatto.
Vidi luccicare delle luci ai finestrini ed improvvisamente cess, sotto di noi, il rumore delle ruote
del carrello. Stavamo volando! Alle prime luci dell'alba vedevo allontanarsi sotto di noi le coste del
Pakistan, sull'Oceano Indiano.
Protesi la mano verso di Lui, che era ormai la mia sola sicurezza. L'unica mia gioia era di rimanere
alla Sua presenza. Sapevo che avrei vissuto per la Sua gloria.
"Grazie, Signore", sussurrai. "Grazie per avermi permesso di camminare con Te".
EPILOGO
1978. Sono trascorsi sei anni da quando ho visto, dall'aereo, sparire la mia terra nella nebbia. La
consapevolezza che non avrei pi rivisto il Pakistan si era rilevata profetica.
Non vi ho fatto pi ritorno. Il mio soggiorno si prolungato per molte ragioni. Prima di tutto, i miei
amici mi hanno avvertiti che sarebbe stato meglio per me e Mahmud, un giovanotto di 15 anni,
pieno di vitalit, conosciuto ora come David, di non fare pi ritorno. Sono stata avvertita anche
dalle autorit del mio Paese. Nel 1976 c' stato un congresso islamico mondiale in cui stata
approvata una disposizione di legge che ordinava il ritiro di tutte le istituzioni cristiane straniere,
stazioni radio mis-sionarie, ed il rientro del personale. evidente che non sarei bene accolta in
Pakistan adesso.
Ma quello che pi importante di tutto che il Signore ha manifestato chiaramente che io debbo
rimanere qui. Sembra infatti che in America ci sia bisogno di ascoltare il messaggio che porto. Mi
stato mostrato per la prima volta in una visione, subito dopo essere arrivata negli Stati Uniti. Il
Signore si trovava nella mia stanza. Mi chiese di parlare della Sua sollecitudine per le chiese e che
vi sarebbe stata una netta separazione tra le pecore e le capre e che il giudizio sarebbe iniziato nella

Chiesa del Signore (I Pietro 4:17). Provavo un certo timore nell'adempiere a quel compito; non
toccava a me far notare agli altri i propri difetti. Io ero un'ospite in questa nazione ed una cristiana
nuova nella fede. Cos chiesi: "Perch io, Signore?".
In risposta, vidi nei Suoi occhi una tale sofferenza per le chiese in agonia, che caddi in ginocchio e
promisi di obbedire. Per, essendo umana e debole, esitavo ancora. Era veramente da parte del
Signore o veniva da me? Cos Gli chiesi di darmi un segno: "Se mi rapisci nello spirito, Signore,
allora niente al mondo potr fermarmi dal testimoniare". Appena posai la testa sul guanciale, fui
trasportata nello spirito ed avvolta in una grande luce, come se io venissi unta per quel compito.
Chiaramente ed inequivocabilmente, il Signore mi ordin di onorare e glorificare il Suo nome e di
parlare della Sua misericordia e del Suo amore dinanzi a chiese e gruppi, dappertutto.
Poi, come ulteriore conferma delle Sue direttive per me, quasi tutte le visioni che avevo avuto in
Pakistan si sono avverate, cos come le avevo viste anni prima. Ho visto realmente citt americane e
chiese, che mi erano state mostrate in precedenza molto chiaramente nei miei sogni.
Una sorprendente conferma al fatto che il Signore pu parlarci per mezzo di visioni, mi fu data dalla
Signora B. Wold. Il marito pastore della Lighthouse Mission Church a Portland, nell'Oregon. Mi
scrisse di una visione che aveva avuto in America, all'incirca nello stesso tempo di quando il
Signore mi aveva parlato in Pakistan, dieci anni prima. "Stavo camminando e pregando nel mio
soggiorno", mi scrisse, "quando all'improvviso la potenza del Signore m'invest in maniera cos
forte che sentii come se i piedi non avessero toccato pi il pavimento. Di fronte a me vidi una
visione bellissima. C'era una donna dalla pelle scura, che indossava un sari, sapevo in qualche modo
che era di origine nobile. Mi stava di fronte e vi rimase per parecchio tempo. Sentivo che quando
l'avessi incontrata, l'avrei riconosciuta. Quando veniste a parlare nella nostra chiesa io riconobbi in
voi la signora della visione".
Oggi io vivo momento per momento, in attesa di conoscere quel che il Signore vorr fare di me e
del mio tempo. Una cosa so ed che devo testimoniare per Lui. Devo inoltre incoraggiare le
persone ad apprezzare la loro libert nell'adorare Cristo. Devo pregare per la mia nazione. Non
posso testimoniare alla sua gente direttamente. Ma, quando qualcuno viene a farmi visita, come le
mie figlie Tooni e Khalida hanno fatto e come si appresta a fare mio figlio Khalid, allora posso
parlare liberamente. Probabilmente non vedr pi gli amici ed altri membri della mia famiglia. Ma
io prego per tutti loro regolarmente. Prego per il popolo musulmano, cos vicino all'Iddio vivente,
eppure tanto lontano. Essi credono che la loro salvezza consista nel sottoporsi ad interminabili
sacrifici di buone opere. Io prego ch'essi incontrino il Cristo vivente in Cui e riposta la loro salvezza
e che questo possa accadere prima della seconda venuta di Ges.
Penso a Nur-jan e Raisham ed a tutti gli altri cristiani che ho lasciato l. E quando mi preoccupo
perch loro non hanno comunione cristiana, mi sento poi rassicurata dal fatto che Egli anche con
loro. Difatti Egli ci ha promesso:
"Non vi lascer orfani: torner da voi".

Giov. 14:18

Il mondo ed i suoi beni stanno a significare ben poco per me adesso. Quando mi resi conto che non
sarei pi ritornata a casa, scrissi alla mia famiglia dicendo loro che avrebbero potuto prendere la
mia mobilia ed altre cose e darle agli altri oppure usarle nel modo che ritenevano opportuno. Mi
dispiaceva un po', ma non c'erano altre soluzioni. Devo per ammettere che vi sono alcune delle
mie vecchie cose a cui penso talvolta, con un pizzico di nostalgia. La borsa da toletta in argento, che
era appartenuta a mia madre e prima ancora a sua madre ed i due tappetini persiani di seta del mio
salotto. Ma poi... passa subito, come quando ci si ricorda di un piacevole momento vissuto nel
passato.
Ho fatto la procura a Tooni, a cui ho chiesto di mettere da parte un deposito per gli stipendi della
servit, per un intero anno. Erano tutti diventati per me come dei familiari, ed io volevo fare per
loro tutto il possibile per far s che potessero vivere dignitosamente, mentre cercavano un nuovo
lavoro.

I miei giardini e la mia casa? So che i giardini di Wah sono stati requisiti dal governo, essendo
d'importanza storica. Ma quando chieda della casa, dove ho conosciuto il Signore, ricevo soltanto
delle risposte molto vaghe. Forse la mia famiglia ed i miei amici cercano di non farmi sapere in
quali condizioni si sia ridotta. Quel che non riescono veramente a comprendere e che Wah adesso
appartiene al passato. Le cose del mondo sono diventate per me senza alcun significato.
Adesso la mia casa nel Signore: La mia famiglia in Cristo, la mia nuova famiglia. Io sto vivendo
nella Nuova Gerusalemme. un luogo dove ho tutto e nello stesso tempo non ho nulla. Difatti ho
imparato penosamente, passo dopo passo, che quando non abbiamo pi niente, allora il momento
in cui il Signore pu veramente cominciare ad operare per mezzo nostro. Quello il momento in cui
cominciamo a vivere pi fermamente nella Sua gloria.
BILQUIS SHEIKH
Bilquis Sultana Foundation
P.O. Box 5024
Thousand Oaks, Calif. 91359

APPENDICE
Ci rendiamo conto che alcuni lettori potrebbero rimanere turbati dal ruolo che rivestono i sogni nel
guidare l'autrice. Gli editori dell'edizione italiana hanno colto quest'aspetto della sua esperienza ed
hanno scritto all'autrice, che gentilmente ha risposto, nel dicembre 1980, con una lettera di cui
riportiamo alcuni brani tradotti in italiano:
"Sono contenta della traduzione in italiano del mio libro, che destinato alla famiglia di Dio in
Italia. Ritengo che possa essere utile ai musulmani ed ai non credenti oltre che ai missionari residenti in paesi musulmani. Sono pi che soddisfatta di dare il mio consenso alla traduzione del
libro.
"Sono perfettamente d'accordo per quanto riguarda i sogni e condivido la vostra preoccupazione.
Troppo spesso ci ostiniamo a credere che le nostre esperienze si debbano applicare anche agli altri,
mentre esse si riferiscono soltanto e specificatamente ad una persona e per un motivo ben preciso.
"L'ultima direttiva l'ho avuta sei anni fa, quando il Signore mi ha ordinato di parlare alla Sua
chiesa e me l'ha confermato in una visione di luce; io volevo essere sicura che fosse proprio quello
che Egli voleva che facessi.
"Giuseppe non continu sempre ad avere dei sogni. Non che lo voglia paragonarmi a lui (non ne
sono degna), ma egli ricevette delle direttive per una ragione chiara e precisa.
"Ero stata allevata considerando con disprezzo i cristiani: ritenevo che sarebbero certamente
andati all'inferno, perch chiamavano Cristo il Figlio di Dio. Mi avevano anche insegnato che la
Bibbia era stata alterata. Per questo il Signore mi si rivelato per mezzo di scritture, sogni e
visioni. Allora tutti i miei preconcetti cambiarono ed io fui sicura che EGLI SOLO IL SIGNORE.
"Non ho avuto pi sogni e visioni da allora mentre continuo ad obbedire al mio Signore, vivendo la
Sua Parola e continuando nelle Sue direttive di parlare nelle comunit, esortandone i membri a
condurre una vita cristiana. Dobbiamo renderci conto che non possiamo usare il nome del
SIGNORE NOSTRO DIO invano, e diventando in tal modo FALSI PROFETI, FALSI MESSAGGERI
E FALSI INSEGNANTI. Ci sono stati dati tanti di quegli avvertimenti per mezzo delle Scritture, sia
nell'Antico che nel Nuovo Testamento. Nessuno dovrebbe USARE MALE il nome del nostro Signore
Iddio. Abbiamo a che fare con un'opera santa. Solo Satana mente, egli il padre della menzogna.
"Ripeto ancora una volta, che condivido pienamente la vostra preoccupazione. Dio parla in sogni e
visioni e noi non dobbiamo prenderli alla leggera. Dobbiamo usare il Suo nome soltanto con un
atteggiamento di riverenza e timore, pensando alla Sua maest, potenza e gloria. Non usiamo
l'amore ch'Egli ha per noi come un'occasione di libert".

INDICE
Introduzione
1. Una presenza spaventosa
2. Il Libro sconosciuto
3. I sogni
4. L'incontro
5. Il bivio
6. Imparando a ricercare la Sua presenza
7. Battesimo
8. Ma c'era poi protezione?
9. Il boicottaggio
10. Imparando a vivere nella Sua gloria
11. Cambiamenti nell'aria
12. Tempo di semina
13. Temporale in arrivo
14. Il volo
Epilogo
Appendice
Citazioni Bibliche
Le citazioni Bibliche riportate in questa opera sono state prese dalla versione riveduta del Dott. Giovanni Luzzi.

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