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Antigone

Antigone è per eccellenza l’eroina ribelle solitaria.


È la figlia-sorella di Edipo, nata dalle sue nozze incestuose con Giocasta,
sorella di Ismene, di Eteocle e Polinice; è colei che accompagna nell’esilio il
padre cieco, condividendone la misera sorte raminga86. Alla morte di Edipo,
Antigone torna in patria, a Tebe, dove le discordie dei due fratelli per il gover-
no della città generano una lotta in cui entrambi perdono la vita. Ma Polinice è
colui che ha mosso guerra alla sua stessa patria e Creonte, fratello di Giocasta,

86 Sofocle, Edipo a Colono, ed Euripide, Fenicie.

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divenuto re alla morte di Eteocle, dopo la vittoria contro i “sette” promulga
un bando in cui vieta il seppellimento del suo corpo, pena la morte. Antigone
non obbedisce, contravviene, viene arrestata e condannata ad essere murata
viva, analogamente a quanto infligge Egisto a Elettra nella versione di Seneca.
Perché Elettra e Antigone sono figure pericolose che vanno nascoste al genere
umano. Creonte, avvertito dall’indovino Tiresia dei terribili avvenimenti che
attendono la famiglia, cambia idea e decide di liberare Antigone, ma è troppo
tardi. La fanciulla si è impiccata e, ai suoi piedi, sotto gli occhi del padre, si
toglie la vita anche Emone, suo promesso sposo e figlio di Creonte. La moglie
di Creonte, Euridice, informata della sciagura si ucciderà a sua volta lasciando
Creonte solo, unico sopravvissuto, annichilito dalla disperazione.
Se il mito di Elettra vive, nel corso dei secoli, di innumerevoli riscritture,
forse nessuno più di Antigone diventa il simbolo della ribelle isolata che si
oppone, sola contro tutto e tutti, al potere costituito. L’immaginazione ide-
alistica e romantica ha innalzato Sofocle a massimo poeta tragico87 e, nella
costellazione delle sette tragedie superstiti, Antigone è considerata la stella più
luminosa. La cultura romantica individua nell’opera il segno del conflitto tra
due forze potenti - la famiglia e lo stato - entrambe legittimate nell’imporre le
loro leggi88. Antigone perde nei secoli la sua individualità e diventa il simbolo
di chi, in nome di un imperativo interiore (la legge morale kantiana) sacrifica la
vita stessa o, ancora di più, il simbolo di ogni donna che si ribella a una legge
iniqua.
Il cammino compiuto da Antigone nella letteratura e nella cultura uni-
versale, a partire dall’archetipo sofocleo per arrivare ai giorni nostri, è stra-

87 F. Schlegel nella Geschichte der alten und neven literatur (Storia dell’antica e moderna lette-
ratura) dirà: «Sofocle è senza pari, non solo nel teatro, ma in tutta la poesia della Grecia e in tutto
il suo sviluppo spirituale (Geistesbildung)».
88 Innumerevoli le interpretazioni in tal senso ma, fra tutte, quella hegeliana dell’Antigone è
un classico, una pietra miliare. La presenza di Antigone nella speculazione filosofica di Hegel è
costante e sembra accompagnare illuminandole le riflessioni del filosofo intorno al rapporto tra
famiglia e comunità politica, diritto privato e leggi dello Stato, sostanza etica individuale e neces-
sità. Presente sin dai suoi scritti giovanili, ripresa ampiamente nella Fenomenologia dello Spirito e
poi nell’Estetica e nelle Lezioni di Storia della filosofia, il passo più celebre e più fecondo è quello
tratto dalle Lezioni sulla filosofia della religione II 3a β.

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ordinario. Dai testi classici, le Fenicie di Euripide, la Tebaide di Stazio e le
Phoenissae di Seneca alle innumerevoli riprese e rielaborazioni moderne, da
Garnier e Racine ad Alfieri, via via sino al nostro secolo con Hasenclever e
Cocteau, Anouilh e Brecht, senza trascurare l’attenzione prestata al personag-
gio dal pensiero filosofico da Hegel a Kirkegaard a Heidegger e nel campo mu-
sicale (Mendelssohn, Honegger, Orff). Chi vuole addentrarsi nel personaggio
di Antigone, in tutte le sue infinite varianti, può attingere ad una bibliografia
pressoché sterminata.
Qui voglio restituire ad Antigone la sua essenza più pura. Antigone appare
come l’eroina dedita alla memoria del ghenos. Le sue sono le ragioni della
famiglia anzi del clan famigliare prima ancora che della pietas umana. Vuole
seppellire il proprio fratello, colui che ha nelle vene il suo stesso sangue, agisce
in nome della φιλία, quel legame che la unisce a coloro con cui condivide il
sangue ereditato dai suoi genitori. La famiglia per cui Antigone sfida il potere
ed è disposta a morire è il γένος, la stirpe di origine.

Infatti mai, né se fossi stata madre di figli,


né se mio marito, essendo morto, fosse stato lasciato insepolto
io mi sarei assunta questo compito contro il volere dei cittadini
e in forza di quale principio lo affermo?
Se morisse il mio sposo potrei averne un altro
E un figlio da un altro uomo, se quello fosse mancato,
ma ora che mia madre e mio padre giacciono in fondo all’Ade
non è possibile che nasca un altro fratello89

Creonte invece agisce in nome di una diversa φιλία, quella lealtà che lega
tra loro individui di uno stesso gruppo sociale che è alla base del vivere in
comunità e che legittima il potere della legge e dello stato che egli, in quanto
sovrano, deve tutelare e difendere anche a costo di colpire un membro della
propria famiglia. Creonte difende l’interesse comune della città, si dichiara
amante della patria sopra ogni cosa e, in nome della patria, impone il decreto

89 Sofocle, Antigone, vv. 905 ss.

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che vieta la sepoltura di Polinice perché la sua realtà è univoca: da una parte i
nemici, dall’altra gli amici90. Creonte non rappresenta solo lo stato e le sue leg-
gi ma anche il loro uso unilaterale e arbitrario. Le usanze tradizionali permet-
tevano la sepoltura dei traditori (qual è appunto Polinice), purché avvenisse
fuori dalla città ma Creonte si spinge al di là del limite, oltre la pena prescritta.
Antigone invece fa prevalere la logica aristocratica del casato e le leggi divine
che impongono la pietas verso il defunto e, ancor più, verso un consanguineo.
Creonte non ascolta ed è convinto delle proprie ragioni; lo stesso vale per
Antigone che afferma:

(…) ὡς ἐμοὶ τῶν σῶν λόγων


ἀρεστὸν οὐδὲν μηδ᾽ ἀρεσθείη ποτέ·
οὕτω δὲ καὶ σοὶ τἄμ᾽ ἀφανδάνοντ᾽ ἔφυ

(…) delle tue parole nulla mi è gradito


né potrebbe mai piacermi
e così anche a te tutto di me ti risulta sgradito 91

In questo senso Antigone è la tragedia della incomunicabilità e dell’in-


transigenza tra due visioni e due personaggi che non provano mai a capire le
ragioni dell’altro e da qui nascerà un agone di fortissima intensità drammatica
centrato sulla diversa nozione di νόμος. Per i due antagonisti la parola assume
valori differenti, giacché per Antigone νόμος è la legge religiosa, per Creonte
un editto dello stato; per citare J.P.Vernant, «Cascun eroe, chiuso nell’universo
che gli è proprio, dà alla parola un senso e uno solo»92. Il loro è un agone ver-

90 Sofocle, Antigone, vv. 666 ss; queste le parole di Creonte che sottendono tutto il suo pensiero:
«Ma a chi la città ha scelto per capo bisogna obbedire pure nelle piccole cose, siano giuste o no. E un
tale uomo sono sicuro che comanderebbe bene e sarebbe disposto a obbedire, e nel turbine della bat-
taglia rimarrebbe fermo al suo posto, fedele e valente compagno. Non esiste male maggiore dell’a-
narchia: essa distrugge la città, sovverte le famiglie, rompe e volge in fuga l’esercito in battaglia;
ma fra i vittoriosi la disciplina salva la maggior parte delle vite. Così bisogna difendere l’ordine».
91 Ivi, vv. 499-501.
92 J.P.Vernant e P.Vidal Naquet, Mito e tragedia nell’antica Grecia, Einaudi, Torino, 1976 (ed.
or.1972), pp. 89-90.

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bale, un duello di parole, ma non per questo innocuo. Ed è qui il vero spirito
di Antigone, la sua pura essenza. Antigone decide di violare le leggi umane in
nome delle leggi del sangue e, lei, una donna, mette in discussione l’autorità
di Creonte, esce dal suo stato di soggezione sociale per affrontare a viso aperto
il potere cittadino. È una donna che osa mettere in discussione il potere degli
uomini, minando l’essenza della polis greca e della sua eredità culturale e che
osa parlare in pubblico quando la parola, si sa, è cosa da uomini93.
Quando cerca di rafforzare l’alleanza con la sorella e coinvolgerla nel suo
piano, Ismene le ricorda che:

ma bisogna riflettere su questo, che siamo nate


donne e non siamo fatte per combattere contro gli uomini;
e poi che siamo sottoposte a chi è più forte
e dobbiamo obbedire a questi ordini e anche
a più amari di questi
io quindi, supplicando i morti sotterra
di perdonarmi perché sono costretta così,
obbedirò a chi comanda: agire oltre le nostre possibilità
è assolutamente dissennato (τὸ γὰρ περισσὰ πράσσειν οὐκ ἔχει νοῦν οὐδένα) 94

La conclusione della ῥῆσις di Ismene ha valore di massima universale:


περισσὰ (περί + ἴσος) prende il senso di ciò che va oltre quanto è proprio di
ciascuno di noi, quindi al di là dei limiti stabiliti. Ismene vede nell’intento della
sorella un comportamento da folle. Ma non è così. Ismene, come Crisotemi,
rappresenta il volto rassicurante delle donne in Grecia, le donne che hanno
sempre accettato il ruolo che viene loro imposto, convinte dell’ineludibilità
della loro condizione.
Ismene e Crisotemi sono prudenti, avvedute, la loro prospettiva passa per
la rinuncia all’azione e rientra invece pienamente nell’orizzonte femminile del

93 Come non ricordare l’episodio emblematico di Telemaco, nell’Odissea quando intima alla
madre Penelope di tacere e ritirarsi nelle proprie stanze perché «la parola spetta agli uomini?»
(Omero, Odissea, I, vv. 356 ss).
94 Sofocle, Antigone, vv. 61-68.

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buon senso e dell’adattamento: ma Ismene e Crisotemi non sono destinate a
passare alla storia95.
Ismene taccia la sorella di follia che è l’accusa che la società tradizionale,
compatta, di cui Ismene, suo malgrado, è portavoce, rivolge a ogni tentativo di
ribellione. Folle dunque è Antigone così come folle è Elettra poiché entrambe
rifiutano la sottomissione e oppongono al potere una resistenza incrollabile.
Antigone rivendica la sua follia con orgoglioso sarcasmo:

ἀλλ᾽ ἔα με καὶ τὴν ἐξ ἐμοῦ δυσβουλίαν


παθεῖν τὸ δεινὸν τοῦτο· πείσομαι γὰρ οὐ
τοσοῦτον οὐδὲν ὥστε μὴ οὐ καλῶς θανεῖν

Ma lascia che io e la mia dissennatezza


affrontiamo questa terribile impresa
non soffrirò nulla che sia tale da impedirmi di morire nobilmente96

E più avanti, nello scontro con Creonte, sprezzante, rigetterà la stessa


accusa in faccia al sovrano:

Se ora per caso ti sembra che io agisca da folle


questa follia la devo forse ad un folle97

Ma Antigone non è folle98, anzi agisce in modo pienamente consapevole,


il suo raziocinio non viene mai meno, la sua azione non è dettata dall’impulso.
Non la vediamo affranta dal dolore per la morte del fratello; la sua reazione
al decreto di Creonte è il disprezzo incredulo per la superbia di un potere pre-
varicante a cui non riconosce legittimità. Catturata e interrogata, non nega di

95 Un’eccezione è costituita dalle pagine del poeta greco Ghiannis Ritsos che nel 1971 dedica a
entrambe due monologhi drammatici.
96 Sofocle, Antigone, vv. 95-97.
97 Ivi, vv. 469-470.
98 Sulla follia di Antigone vedi la riflessione di G.Paduano in Antigone: la doppia differenza, Il
Centauro 3, 1981 pp. 178 ss.

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aver commesso il fatto ma risponde a Creonte, con leggero sarcasmo, di aver
obbedito «alle leggi che non sono di oggi o di ieri ma sempre vivono e nessu-
no sa quando apparvero»99. Antigone si appropria di un diritto esclusivamente
maschile, fondamentale nella società ellenica, l’isegoria100 (composto di ἴσος
«uguale» e ἀγορεύω «parlare»), l’uguaglianza nel diritto di parola, la libertà
di parola concessa ad ogni cittadino maschio e così facendo ne compromette
l’autorità.
Per Creonte questo è inaccettabile.
Emblematiche, a tal proposito, le parole che pronuncia quando il figlio
Emone tenta di salvare la sua promessa sposa:

E in nessun modo bisogna lasciarsi sopraffare da una donna


meglio, se proprio si deve, cadere per mano di un uomo
e non saremo chiamati più deboli delle donne101

Creonte suggerisce a Emone di volgere il proprio sguardo altrove verso


altre donne per dimenticare Antigone, rea confessa, esprimendo senza veli la
sua misoginia: «Anche i campi di altre donne sono da arare» (v. 569), «detesto
cattive mogli per i miei figli» (v 571), «dunque o figlio, non perdere mai la
ragione per il piacere di una donna: sappi che gelido abbraccio è quello di una
moglie cattiva compagna di letto nella casa» (vv. 648-650).
In Antigone c’è tutto il potere del genere femminile che chiede ed esige
di poter avere voce anche sulle questioni di governo. Lo fa nella Grecia del V
secolo a.C, si erge a parlare in pubblico come farebbe un uomo e rivendica il
suo gesto, lo afferma con la forza della ragione e per questo assume l’ampiezza
e la risonanza di un atto politico; Antigone è consapevole che la morte che l’at-
tende le dà il potere di dire tutto ciò che vuole e di sostenerlo. Più che mandarla
a morte Creonte non può fare.

99 Sofocle, Antigone, vv. 456-457.


100 ἰσηγορία «uguaglianza nel diritto di parola», da ἴσος «uguale» e ἀγορεύω «parlare».
101 Sofocle, Antigone, vv. 678-680.

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θέλεις τι μεῖζον ἢ κατακτεῖναί μ᾽ ἑλών;
mi hai nelle mani, che altro vuoi di più che uccidermi? 102

Agisce non solo in nome dei propri cari defunti, bensì nel tentativo di
coinvolgere in un agire politico condiviso anche i concittadini di Tebe, e Cre-
onte, re di Tebe, teme il potenziale carattere esemplare del suo gesto: l’auto-
rità sovrana teme non tanto l’atto “ribelle” in sé quanto la sua riproducibilità.
Antigone è pericolosa perché il suo atto di violazione mette in discussione e
delegittima l’autorità stessa del re e la sua possibilità di dettare legge. Infatti
il coro, composto dai vecchi cittadini di Tebe, mentre in un primo momento si
schiera contro Antigone, nella parte finale, pur ribadendo la sua colpevolezza,
la conforta affermando che ella muore gloriosa, non vinta da malattia, ma per
un libero atto della sua volontà.
Antigone è convinta del suo gesto e lo difende davanti ai sapienti, alla
città intera, senza timore, colpevole di disobbedienza alla legge.
Antigone agisce da uomo senza timore e non è casuale che Creonte le
dica: «Davvero io non sono un uomo ma l’uomo è costei, se quest’audacia le
rimarrà impunita» (vv. 484-485).
Antigone non è una rivoltosa come spesso è stata tramandata. È una don-
na che prende la parola in pubblico non per rovesciare Creonte o riabilitare po-
liticamente la memoria del fratello ma per onorare il corpo morto di Polinice.
Tuttavia, se per affermare la propria identità sceglie di affrontare il potere
e le leggi degli uomini e morire, questa scelta non è priva di dolore. Antigone
nel suo lamento funebre costruito come un amebeo, in cui la sua voce si alterna
a quella del coro, è una fanciulla dolente che si ritrova sola, abbandonata da
tutti103. La cifra della sua solitudine è già nella sua nascita e nell’appartenenza

102 Ivi, v. 497.


103 La lamentazione con la quale Antigone si congeda dalla scena si articola in uno scambio
ricco di riferimenti alla morte e al compianto che rimandano ai contenuti tradizionali del kommos,
il lamento funebre intonato sia dal coro sia dalla voce dei personaggi. Rilevante è il fatto che in
questo amebeo la voce di Antigone e quella del coro si alternino in maniera, ancora una volta,
agonistica: mentre la fanciulla narra la propria storia, il coro ribatte, rimarcando con insistenza
l’esistenza di una legge e di una misura nell’agire, e attribuendo ad Antigone la responsabilità di

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al proprio γένος. Figlia dell’incesto, sorella del traditore della patria, sente di
non appartenere alla comunità della πόλις ma di poter trovare posto solo tra
i “suoi” morti. Sola entrerà nell’Ade dove la aspettano la madre, il padre e i
fratelli e non avrà rito funebre né chi la compianga.
Quando rientra in scena, prima del suo congedo finale, Antigone ricerca la
piena visibilità pubblica. Esordisce (al v. 806) dicendo: «Guardatemi, cittadini
della mia terra natia» («ὁρᾶτ᾽ ἔμ᾽, ὦ γᾶς πατρίας πολῖται»).
Antigone dà l’addio a Tebe, al suo popolo, ai desideri e alle aspettative
dell’amore e della maternità e rimpiange, per ben quattro volte nel suo lamen-
to, le mancate nozze e i figli che non avrà. L’antitesi nozze-morte è il motivo
centrale del suo lamento unitamente all’assenza del compianto funebre. La
morte precoce è vista come la privazione del talamo nuziale (sottolineata dai
continui aggettivi di privazione), come la violenta interruzione di un’esistenza
indirizzata al ruolo di sposa e di madre e in questo reca il segno del suo isola-
mento.
Il kommos finale di Antigone ci riporta la sua essenza e la ricollega a
un’altra celebre protagonista della tragedia attica, Ifigenia. Ciò che avvicina la
due figure è il lamento sul loro destino di femminilità e maternità irrealizzata.
Anche il mutamento psicologico che però procede in senso opposto le acco-
muna. Antigone sembra perdere, di fronte alla morte quell’atteggiamento fiero
e sprezzante che l’aveva caratterizzata sino all’arresto:

Ade che tutto addormenta


mi conduce viva alle rive dell’Acheronte
non ho avuto un matrimonio,
non ho avuto canti di nozze,
mi sposerò laggiù con le acque della morte104

Presso di loro maledetta, senza nozze, vado ad abitare105

averle violate entrambe.


104 Sofocle, Antigone, vv. 811 ss.
105 Ivi, vv. 867 ss.

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incompianta, (ἄκλαυτος) senza amici (ἄφιλος), senza nozze (ἀνυμέναιος)
misera sono condotta alla via che mi è pronta 106

e ora mi trascina via, presa così in sua mano


senza che io abbia avuto talamo (ἄλεκτρον),
non imeneo (ἀνυμέναιον) non sorte
di nozze né figli da allevare107

Antigone lamenta la privazione della funzione riproduttiva in virtù della


quale, come nel caso di Niobe, la donna veniva celebrata nell’immaginario
comune e risultava virtuosa; e nello stesso tempo è lei stessa l’origine di tale
privazione, in quanto rinuncia alla possibilità di essere sposa di Emone e ma-
dre dei suoi figli. Rimarca la propria eccezionalità nella scelta della morte e
del sacrificio al posto della generazione; scelta della quale rivendica il valore
esemplare, pur essendo consapevole che, come nel caso di Niobe108 ogni ecces-
so, ogni atto di ὕβϱις è destinato a venire punito dall’autorità.
Ma la sua eccezionalità va oltre come richiama il coro stesso. Il suo esse-
re sola la distingue da tutti i mortali anche per quanto riguarda il suo destino,
segnato dalla discesa da viva nell’oltretomba, unica tra i mortali.

ἀλλ᾽ αὐτόνομος ζῶσα μόνη δὴ θνητῶν Ἅιδην καταβήσει


ma da te stessa, vivente unica tra i mortali scenderai nell’Ade109

Così da farla esclamare

βροτοῖς οὔτε νεκροῖς κυροῦσα μέτοικος οὐ ζῶσιν, οὐ θανοῦσιν


Né tra gli uomini né tra i defunti abiterò, non con i vivi, non con i morti110

106 Ivi, vv. 876 ss.


107 Ivi, vv. 916 ss.
108 Anche Niobe pecca di hybris, vantandosi di essere più feconda di Leto, madre di Apollo e
Artemis, e per questo sarà inesorabilmente punita. Ella inoltre rappresenta un’eccezione sul piano
della fertilità, ma in senso contrario rispetto ad Antigone.
109 Sofocle, Antigone, vv. 821-822.
110 Ivi, vv. 850-851.

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incompianta, (ἄκλαυτος) senza amici (ἄφιλος), senza nozze (ἀνυμέναιος)
misera sono condotta alla via che mi è pronta 106

e ora mi trascina via, presa così in sua mano


senza che io abbia avuto talamo (ἄλεκτρον),
non imeneo (ἀνυμέναιον) non sorte
di nozze né figli da allevare107

Antigone lamenta la privazione della funzione riproduttiva in virtù della


quale, come nel caso di Niobe, la donna veniva celebrata nell’immaginario
comune e risultava virtuosa; e nello stesso tempo è lei stessa l’origine di tale
privazione, in quanto rinuncia alla possibilità di essere sposa di Emone e ma-
dre dei suoi figli. Rimarca la propria eccezionalità nella scelta della morte e
del sacrificio al posto della generazione; scelta della quale rivendica il valore
esemplare, pur essendo consapevole che, come nel caso di Niobe108 ogni ecces-
so, ogni atto di ὕβϱις è destinato a venire punito dall’autorità.
Ma la sua eccezionalità va oltre come richiama il coro stesso. Il suo esse-
re sola la distingue da tutti i mortali anche per quanto riguarda il suo destino,
segnato dalla discesa da viva nell’oltretomba, unica tra i mortali.

ἀλλ᾽ αὐτόνομος ζῶσα μόνη δὴ θνητῶν Ἅιδην καταβήσει


ma da te stessa, vivente unica tra i mortali scenderai nell’Ade109

Così da farla esclamare

βροτοῖς οὔτε νεκροῖς κυροῦσα μέτοικος οὐ ζῶσιν, οὐ θανοῦσιν


Né tra gli uomini né tra i defunti abiterò, non con i vivi, non con i morti110

106 Ivi, vv. 876 ss.


107 Ivi, vv. 916 ss.
108 Anche Niobe pecca di hybris, vantandosi di essere più feconda di Leto, madre di Apollo e
Artemis, e per questo sarà inesorabilmente punita. Ella inoltre rappresenta un’eccezione sul piano
della fertilità, ma in senso contrario rispetto ad Antigone.
109 Sofocle, Antigone, vv. 821-822.
110 Ivi, vv. 850-851.

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Il fatto di appartenere alla discendenza di Edipo determina che Antigone
sia condannata a portare il fardello della contaminazione, il che rappresenta per
lei «l’angoscia più grande» (ἀλγεινοτάτας ἐμοὶ μερίμνας), poiché questo è da
sempre il modo in cui viene identificata all’interno della comunità. Antigone
non rinnega l’appartenenza alla propria famiglia, ed è in nome dell’eusebeia
intesa non solo come pietà verso gli dei, ma anche come pietà filiale e familia-
re, che ella si è occupata in prima persona, «di propria mano» (αὐτόχειρ), dei
riti funerari destinati ai genitori e che ha tentato di seppellire Polinice.
Il finale è noto. Antigone si ucciderà nel suo sepolcro impiccandosi, stret-
ta nel laccio ritorto del velo; simbolo della ribellione contro la violenza dello
stato, eroina senza ombre, sola, di fronte al potere di Creonte, nel momento
della morte rivendica ancor più la sua appartenenza di genere e sceglie il sui-
cidio che, come ci ricorda Nicole Loraux113, è, soprattutto nella tragedia, morte
di donna. Lo fa con una modalità assolutamente femminile così come aveva
fatto sua madre Giocasta: l’impiccagione che è espressione della femminilità,
gesto con cui le donne e le giovinette possono sostituire alla corda gli orna-
menti che le coprono, veli, cinture bende.
Antigone sceglie la morte e si uccide mettendo fine alla sua esistenza in
bilico tra vivi e i morti e dando corpo alle parole rivolte a Ismene:

φίλη μετ᾽ αὐτοῦ κείσομαι, φίλου μέτα,


ὅσια πανουργήσασ᾽. ἐπεὶ πλείων χρόνος
ὃν δεῖ μ᾽ ἀρέσκειν τοῖς κάτω τῶν ἐνθάδε.
ἐκεῖ γὰρ αἰεὶ κείσομαι

amata giacerò insieme a lui che io amo


avendo commesso un santo crimine.
A quelli di sotto terra devo compiacere per più tempo
che a quelli di qui: poiché lì giacerò per sempre1 1 4

113 N. Loraux, Come uccidere tragicamente una donna, Bari, 1988, (ed.or.1985) pp. 10-13.
114 Sofocle, Antigone, vv. 73-76.

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