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ANTIGONE: ALFIERI E SOFOCLE

L' “Antigone” venne recitata a Palazzo Grimaldi, a Roma, in piazza di Spagna.

Non fu una rappresentazione vera e propria, con attori detti tali. Troviamo qui personaggi come la duchessa
di Zagarolo nel ruolo di Argia, Creonte fu lo stesso Alfieri, il duca di Ceri fu Mone e sua moglie interpretò la
parte di Antigone.

Ci sono solo quattro personaggi, Alfieri infatti ha scartato Menete -presente in Sofocle, come confidente di
Argia, ed è già arrivato con questa tragedia, la terza, alla semplicità dell'azione scenica di cui parla. La
tragedia è divisa in solo cinque atti e la semplicità la caratterizza tutta.

Alfieri sceglie un verso rotto, ossia spezzato e frantumato nelle diverse sedi su cui cade l'accento ritmico, per
non dargli l'andamento fluido che gli dispiace.

L"Antigone" venne da lui scelta per essere recitata in quanto è una delle meno nergiche, passionale. E' più
affettuosa, rispetto al "Filippo", molto più feroce dell'Antigone.

La recitazione ebbe un grande successo nel pubblico: la tragedia, cinque anni dopo essere stata conclusa nel
'77, ha subito un labor limae per renderla più perfetta, più ideale ai suoi occhi.

Tra gli spettatori della recita nel 1782 vi è Alessandro Verri, autore della rinuncia al vocabolario della
Crusca, un illuminista lombardo che, a differenza del fratello Pietro che risiede quasi sempre a Milano per i
suoi impegni con il governo d'Asburgo, gira spesso in tutta l'Europa.

Alessandro Verri, nella lettera che scrive sulla recita romana di Alfieri, scrive al fratello: "finora ho sentito
due sue tragedie, il suo talento principale è il sublime e l'orrido. La natura non gli ha dato l'affettuoso".

L’Antigone viene giudicato da Verri non come una tragedia affettuosa, ma sublime e orrida.

Questo sublime di cui parla Verri non è riconoscibile nel personaggio di Argia - lei è l'affettuoso, il sensibile,
la femminilità nella sua più tenera componente.

Antigone invece si presenta subito, benché mossa dalla pietà di seppellire Polinice, mossa dall'odio, un
sentimento feroce e implacabile per Creonte, quell'odio che le farà rifiutare l'amore di Emone, figlio di
Creonte, per portare a termine la sua missione, che è la missione di un'intera famiglia, quella dei Lambdacidi
(Discendenti di Laio, il cui figlio Edipo e la moglie Giocasta hanno dato la vita a Polinice, Eteocle, Antigone,
Ismene compiendo incesto. Quando scoprono la verità, Edipo si acceca , come raccontato nel ciclo tebano).

"ANTIGONE", TRAMA 

All’ inizio dell’ “Antigone”, troviamo Argia sulla scena - il prologo spetta a lei- che, tornata da Argo, chiede
le ceneri di Polinice. Creonte tuttavia impedisce la sepoltura di Polinice.

Argia incontra Antigone già nel primo atto - non entra nel secondo, come spesso accade nelle tragedie
alfieriane- e lo fa per far incontrare le due donne e istituire un rapporto di sorellanza tra loro, come se Argia
sostituisse la scomparsa Ismene.

Le due donne vengono scoperte e portate in catene davanti a Creonte. Emone intercede per le due donne, ma
il re non vuole saperne. In realtà non sa ancora che Emone ama, ricambiato, Antigone. Quando lo scopre,
Creonte ricatta Antigone: o sposa Emone o morirà.

Argia nel frattempo viene liberata per il timore che Creonte nutre del padre di lei, il re di Argo, mentre
Antigone matura la sua risposta.
Una decisione che va verso la morte: Antigone si presenta fin da subito destinata a questa fine nefasta, una
vocazione che non si compromette neanche con l'amore di Emone. Sceglie di morire perché sposare il figlio
di Creonte sarebbe come legittimare il suo potere a Tebe.

La protagonista non è un'eroina delle leggi non scritte contrapposte a quelle non scritte, come è invece nella
tragedia sofoclea.

Antigone viene rinchiusa in carcere, mentre Emone spera ancora che il padre non la uccida. Nel quinto atto,
tuttavia, Antigone sarà uccisa nel carcere ed Emone si ucciderà davanti al corpo morto della ragazza.

"Io tremo", dice Creonte, le ultime due parole dell'opera, un tremore che nasce dall'amore per il figlio.

L'Antigone sofoclea è un'opera caratterizzata dagli affetti, quella alfieriana è molto diversa.

L'Antigone di Sofocle mette in contrasto le leggi scritte e le leggi non scritte: le prime sono quello stato, di
Creonte, della ragion di Stato a cui bisogna ubbidire per il fatto stesso che Creonte è il tiranno e le
rappresenta; le leggi non scritte sono quelle che albergano nel cuore dell'uomo. In questa versione, Giocasta
è già morta, Edipo è a Colono, Polinice ed Eteocle si sono uccisi reciprocamente e hanno chiuso il ciclo
della famiglia reale di Tebe, aprendo un vuoto che è stato riempito machiavellicamente dalla figura di
Creonte.

E' stato detto che l'opera di Sofocle è il primum di una catena di reinterpretazioni. Ogni interprete porta
qualcosa di nuovo nella figura di Antigone, soprattutto nell'interpretazione del dibattito leggi scritte/non
scritte, accentuando ora il lato privato, ora il lato pubblico.

Brecht, quando scrive la sua Antigone, ha alle spalle un luminoso passato e fa pronunciare ad Antigone una
domanda "E' giusto morire per una guerra non propria?”, dando insomma un'interpretazione fortemente
politica ed etica dell'Antigone sofoclea .

Fin dalla tragedia di Sofocle, Antigone è colei che riscatta una famiglia in una guerra non propria, che altri
hanno scatenato con l'incesto di Giocasta ed Edipo, eppure Antigone è così devota da morire per questa
guerra.

L'Antigone alfieriana è essenziale per la linearità della sua trama, ma soprattutto per il quadrilatero di
personaggi - ridotti all'osso- che la compongono: due donne e due uomini, molto diversa dall'opera di
Sofocle dove i personaggi erano più numerosi, in cui troviamo un coro che conclude, con una sua massima,
l'opera.

Dunque l'Antigone alfieriana è essenziale, semplice, senza colpi di scena - che Alfieri non ama.

Alfieri sostiene che gli attori professionisti fanno fatica a rappresentare le sue tragedie perché fanno fatica a
pronunciare il suo verso, un verso distorto, caratterizzato da una non comune collocazione delle parole.

Preferisce i recitanti dilettanti, i quali possono commettere errori perché hanno dalla loro parte il fatto di non
essere teatranti di mestiere.

C'è una forte volontà di simmetria: i personaggi si corrispondono a due a due da più punti di vista.

ARGIA- ANTIGONE
Argia ricopre il ruolo di vedova, con un passato come moglie e madre.

Antigone non è mai stata moglie né madre in un certo senso ha rinunciato a esserlo, presa da una vocazione a
cui si sente legata.

 
EMONE- ANTIGONE, UNA COPPIA AMOROSA.
Nell'Antigone alfieriana la tentazione dell'amore per Emone è forte, fino quasi alla fine, ma non è un amore
melodrammatico, non per Antigone.

Non conosce eccessi sentimentali nel suo abbandono, nel suo sogno di una vita con Emone.

Emone invece conosce il melodramma nella sua difesa davanti a Creonte e nella sua morte, infine, sul
cadavere di Antigone con la spada del padre.

CREONTE- ANTIGONE, LA COPPIA DEL CONFLITTO.

Nell'Antigone di Sofocle sono le parole che fanno vivere i personaggi - essi appaiono in un agone continuo
di parole; in quella di Alfieri, essi si oppongono l’uno all’altro tramite le parole, ma dietro le parole è
evidente un modo di intendere la vita completamente difforme.

Creonte è sarcastico verso Antigone, ma lei non è da meno. E paradossalmente, se Antigone muore nella
prigione in cui viene rinchiusa, in realtà Creonte è punito dalla sua morte: essa significa anche la morte di
Emone, suo figlio, a cui non ha voluto dare ascolto.

Premio e punizione si distribuiscono in modo inatteso.

Anche in Alfieri leggi scritte e non scritte sembrano scontrarsi, secondo quella logica che Hegel vedrebbe in
opera già in Sofocle, interpretando la sua opera.

Hegel scrisse dopo la rivoluzione francese, non ancora avvenuta quando Alfieri scrive l'Antigone, una
rivoluzione che cambia l'orientamento della storia.

ARGIA E ANTIGONE

 Le due figure femminili aprono il primo atto della tragedia. Sono due estranee; Argia viene da Argo, dove si
era rifugiata dal padre Adrasto. Ha subito una percezione molto netta della notte che domina, oscura, su
Tebe, città che per lei è completamente sconosciuta. E' partita da Argo per trovare il cadavere del marito.

Il suo coraggio non può essere ignorato: è una donna che cammina di notte in un luogo sconosciuto, in preda
a qualunque pericolo posso incontrare.

Subito dopo, Argia parla di "opra pietosa”, riferendosi alla sepoltura del fratello, e la stessa Antigone userà
molti derivati e sinonimi della parola "pietà", nella tragedia, che è simbolo della pietas verso un famigliare
insepolto.

Subito dopo entra in scena Antigone, insolito per Alfieri dato che spesso i protagonisti appaiono al secondo
atto. Ma Argia non può parlare da sola, quindi c'è bisogno di un altro interlocutore.

Più avanti, le due donne si troveranno chiamate a due tipi di destini opposti.

Argia viene liberata e darà la possibilità di bruciare le spoglie di Polinice, per il timore di Adrasto, suo padre.

Il destino di Antigone invece è molto diverso da quello della cognata e ne è consapevole.

Il passato di Antigone è una madre e un padre colpevoli di incesto, due fratelli morti in una guerra fratricida,
una sorella di cui non parla: è per questo passato famigliare, per queste ragioni, che Antigone si sente
chiamata alla morte dopo aver assolto il suo compito nei confronti di Polinice.
Il fato per un uomo del '700 non è più una divinità credibile, tanto più che Alfieri è materialista e interpreta
attraverso i classici anche le loro divinità. Questa oggettivazione del fato, che non è più una divinità, si
completerà in "Mirra", dove sarà la stessa Mirra a dire: "sento dentro di me ignoto un fato", come dire una
divinità che non conosce, qualcosa che non ha altro nome.


EDIZIONE CRITICA DELL' "Antigone"

Il differenziarsi tra Antigone e Argia è fondamentale nella tragedia nel quarto atto, dove Argia compare in un
dialogo con Creonte, che intende risparmiarle la vita e rimandarla ad Argo.

Dunque nel quarto atto la presenza di Argia è decisiva: alla fine Argia finirà per accettare le volontà di
Creonte, come un perdono più amaro della morte stessa.

Il suo destino sarà accanto al padre Adrasto, al figlio e ai famigliari, in una vita che le ricorderà sempre il
marito e la cognata, morti per un'impresa che hanno affrontato insieme per la famiglia a cui entrambe
appartengono.

Nel quarto atto troviamo Antigone, dove si scontra con Emone che tenta di contrastarne il destino di morte,
contro la volontà paterna e quella di Antigone stessa.

Antigone dialoga e si scontra anche con Creonte, la sua nemesi, il suo specchio, la sua antitesi drammatica,
come accade quando il tiranno si scontra con l’eroe.

Antigone non è un eroe liberatorio perché non si scontra sul campo politico, ma lo fa sul terreno emotivo,
affettivo, quello famigliare e sa di andare verso la morte, quasi la affretta.

Lo scontro tra Antigone e il tiranno, Creonte, è già presente in Sofocle.

Questo confronto/scontro tra i due si avvia su 5 battute dei due personaggi che formano un solo
endecasillabo all'inizio del quarto atto.

Nel dialogo tra Creonte ed Emone, invece, è evidente come il movente politico è sempre più scarno rispetto
al movente affettivo: cerca di convincerlo a lasciare che il tiranno compia la sua volontà.

Sceglie di sottolineare alle orecchie del padre le caratteristiche negative della condanna a morte di Antigone
per la tirannide di Creonte.

1. La voce che si è diffusa a Tebe che il re di Atene, Teseo, l’eroe del Minotauro e Arianna, divenuto
re dell'Attica, ha deciso di muovere guerra contro Creonte. Teseo compirebbe questa azione sotto l'egida e
con l'avallo del re Adrasto di Argo, padre di Argia.

Ma Creonte non si lascia intimidire: quando è monarca assoluto, Creonte è perfettamente a suo agio. Non lo
è quando si trova nelle vesti di padre, quando si trova a parlare d'affetto con il figlio.

In questa tragedia c’è una profonda vocazione all'ethos, alla morale, impersonata da Antigone.
Questa Antigone è virile, ma è pur sempre una donna che contrappone la famiglia alla legge scritta che è
quella di Creonte.

Di diverso rispetto a Sofocle, Alfieri mette in evidenza tutto ciò che il mito sofocleo non aveva sottolineato o
lasciato un po' da parte, cioè il groviglio famigliare da cui Antigone discende con il suo "nascer rea" che è
vocazione alla morta perché riscatto della colpa.

Nell' atto 4 si nota come il quadrilatero dei personaggi possa apparire non indispensabile poiché i personaggi
fondamentali sono solo due: Antigone e Creonte, infatti il nucleo di questo atto è la morte di Antigone.

Antigone ribadisce che il legame di sangue è sacro ed infrangibile, Emone è prima figlio di Creonte che suo
amato. Antigone non può ritrovare se stessa se non tramite la morte. Nel caso di Sofocle, Creonte condanna
Antigone a essere sepolta viva (come in Alfieri inizialmente, ma egli cambia idea col tempo), ma lei si
impiccherà prima, nel mondo classico questo gesto è visto come un atto di ribellione. In Alfieri Antigone
invece aspetta la morte.

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