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Lezione 3 – 22.09.

2023 – filosofia del diritto

Lezione doppia di giovedì:

 2 novembre
 16 novembre
 Verrà annullata la lezione del 23 novembre che verrà recuperata il 30 novembre
 Verrà annullata la lezione del 6 dicembre e verrà recuperata il 7 dicembre

26 ottobre lezione alle 8:45 in sostituzione della lezione delle 12:15

La contrapposizione teorica fra due modi di intendere il diritto è molto vicina a noi, alcune cose fanno
riferimento al dibattito del ‘900, però ci interessano le questioni e i problemi che queste parole designano e
anche la distinzione fra diritto naturale e diritto positivo, è tematizzata in questo modo e la troviamo in autori
di una certa consapevolezza teorica (es. Aristotele più elaborata rispetto a Platone), ma il problema della
distinzione tra questi due diritti (quello dato dagli uomini che si da per scontato conosciuto dagli uomini, e per
altre ragioni conosciuto dagli uomini è anche quello naturale) è risalente, addirittura la troviamo nell’antico
testamento della Bibbia. Si pensi ai due episodi fondativi della vicenda religiosa. Si pensi all’episodio di
Adamo ed Eva: Dio che da un comando esplicito a loro, di non toccare il frutto e l’albero della vita. Ci sono
varie interpretazioni su perché questo sia stato fatto ma è interessante che nel modo in cui viene raccontato
ci sia una forte impronta giuridica (Dio che da un comando, il comando che viene disubbidito e la sanzione
che scatta a seguito di un vero e proprio processo). Dio non è un Dio che sta chissà dove, è un vero e
proprio diritto positivo e non naturale divino. Si pensi a quanto è diverso un altro racconto che riguarda i figli
di Adamo ed Eva, Caino e Abele: c’è un omicidio, un fratricidio, e Caino viene chiamato da Dio, e poi viene
allontanato ma la cosa interessante è che non c’è mai stato un comando di non uccidere perché i famosi 10
comandamenti sono successivi e arrivano dopo che l’ordinamento giuridico degli ebrei si è già formato.
Caino uccide e viene condannato per questo non violando una norma esplicita e positiva ma violando quella
che colui che ha scritto il testo da per scontato che sia conosciuta. Già qui troviamo una consapevolezza che
le norme possono essere dell’uno o dell’altro tipo. Tornando ad Adamo ed Eva si può dire che proprio quel
gesto di disobbedienza fa vedere come e perché nasce il diritto: il diritto nasce quando l’uomo afferma la sua
libertà. Se Dio avesse voluto che l’uomo ubbidisse sempre e comunque potrebbe crearlo in maniera tale da
non essere capace di disubbidire. Proprio la disubbidienza dimostra che il diritto vive in stretta correlazione
con la libertà riconosciuta agli uomini. Se gli uomini non sono liberi come si può imputare loro delle azioni:
come posso dire “se tu hai fatto questo” se io avevo il potere di dire “non puoi fare questo”? Riguarda la
tematica di tutto il fatto che sta dentro le neuroscienze: l’uomo è davvero libero quando compie le azioni?
Forse la spiegazione deterministica (l’uomo non è davvero libero ma è determinato da determinate cause)
ha le sue ragioni.

Nella cultura greca questa distinzione è fortemente presente e lo è in un modo particolare: è da leggere
questa contrapposizione all’interno di un problema più generale, cioè della distinzione e vera e propria
contrapposizione tra forza (l’ordine sociale è fortemente condizionato dalla forza e che quindi gli uomini
debbano fare i conti con questo principio che produce un certo tipo di ordine ineliminabile. La forza è al
centro della natura e della società umana e quindi la giustizia e il diritto sono espressione della forza) e
giustizia (modo di vedere nella forza qualcosa di non umano, che è presente nella vira e nella società degli
uomini ma che la giustizia deve cercare di superare. L’ordine sociale nasce dalla negazione della forza).

Di questo sono pieni i due grandi classici della letteratura greca mondiale: Iliade e Odissea.

Partiamo da un altro classico: Esiodo, VIII-VII a.C., scrive “le opere e i giorni” e tratta il tema della giustizia
anche per ragioni pratiche (ha un dissidio con il fratello per delle divisioni) e questo poeta disegna fin da
subito uno dei poli del ragionamento che verrà seguito in futuro. Il tema di fondo dell’opera è “quale rapporto
ci sia fra la giustizia e l’utilità”, fra ciò che è giusto e ciò che è utile a me, alla mia città, alla mia famiglia. Che
rapporto c’è? Questo tipo di problema è risolvibile in due modi:

1. È giusto ciò che è utile  poiché una cosa è utile allo è giusta. La giustizia discende dall’utilità.
Questo ragionamento è quello che Esiodo vuole criticare perché se seguiamo un’utilità individuale
non ne può derivare la giustizia perché essa riguarda un collettivo. Tutte le teorie utilitaristiche si
riconducono a questo modello. Esiodo critica la visione strettamente individualistica. Ma che c’è la
giustizia? È abbandono della violenza e della prepotenza e della forza. C’è un famoso apologo che
Esiodo racconta per dare l’immagine della situazione dalla quale le società umane si devono
allontanare: “Ora io narrerò un apologo ai giudici, sebbene essi siano saggi. Uno sparviero così
parlò all’usignolo dal variopinto collo, mentre, avendolo ghermito con gli artigli, lo stava portando in
alto, fra le nubi, e quello, trafitto dagli artigli ricurvi, pietosamente gemeva. A lui, dunque, lo sparviero
superbamente parlò: ‘A che ti lamenti, o infelice? Ti tiene uno che è più forte; dove ti porto io, tu
andrai, anche se sei canoro; ti divorerò oppure ti libererò a mio piacere. Stolto è chi vuole
combattere contro i più forti: non riporterà alcuna vittoria e, oltre al danno, subirà pure la beffa’. Così
parlò lo sparviero veloce, uccello dalle grandissime ali.”. Dopo questa storiella sul rapporto tra
giustizia e violenza, Esiodo si rivolge al fratello Perse “O Perse, ascolta la giustizia e non alimentare
la Prepotenza; la prepotenza è dannosa all’uomo debole; nemmeno il grande facilmente la può
sopportare, anzi egli stesso rimane oppresso e va incontro a sventure. Migliore è l’altra strada, verso
la giustizia: la giustizia al termine del suo corso vince la prepotenza, e solo soffrendo lo stolto
impara”. Poi si rivolge ai giudici. La forza e la violenza e il principio secondo cui chi è più forte
domina è completamente sbagliato porta verso la rovina i deboli ma anche i forti perché porta
conflitti e non è possibile fondare l’ordine sociale sulla forza perché occorre la giustizia, che è
allontanamento e l’ordine sociale nasce quando le società sono capaci di mettere da parte il dominio
del più forte. Questa contrapposizione tra chi pensa che l’ordine si fondi sulla forza e chi pensa che
si fondi sulla negazione i greci se la porteranno dietro per molto tempo. Spesso la contrapposizione
tra queste entità coinciderà tra la violenza e la giustizia. Antigone fa questo, da un nome diverso alla
forza ed è la protagonista dell’opera di Sofocle e il teatro greco era fortemente politico. Testimonia
molto di più di quell’epoca di ciò che può dirci Platone. Antigone è una delle figlie di Edipo. I due
fratelli di Antigone che dovevano governare la città di Tebe si fanno guerra tra di loro perché c’è un
patto secondo cui prima governa uno e poi l’altro, ma non viene rispettato e c’è una guerra fratricida.
Poi diventa re di Tebe lo zio che è Creonte ed emette un decreto che vieta a coloro che si erano
scagliati contro la città di essere sepolti (per i greci era una grave condanna) e devono essere fatti
tutti gli onori a chi ha difeso la città. Antigone decide di disubbidire e va incontro alle conseguenze.
C’è il dialogo nel quale Antigone viene arrestata perché va a spargere della polvere sul corpo del
fratello e viene scoperta. Viene portata davanti a Creonte e si svolge il seguente dialogo, esempio
eclatante della contrapposizione tra diritto naturale e diritto positivo.

CREONTE sapevi che era stato proclamato di non fare questo?

ANTIGONE Sapevo: e come non avrei potuto? Era chiaro.

CREONTE E dunque hai osato trasgredire questa legge?

ANTIGONE Ma per me non fu Zeus a proclamare quel divieto, né Dike, che dimora con gli dèi inferi,
tali leggi fissò per gli uomini. E non pensavo che i tuoi editti avessero tanta forza, che un mortale
potesse trasgredire le leggi non scritte e incrollabili degli dèi. Infatti queste non sono di oggi o di ieri,
ma sempre vivono e nessuno sa da quando apparvero. E di esse io non volevo scontare la pena al
cospetto degli dèi, per paura della volontà di alcun uomo: sapevo di dover morire, e come no?,
anche se tu non l’avessi proclamato. E se morrò prima del tempo, questo io lo chiamo un guadagno.

Antigone ammette di conoscere la legge, ma questa legge viene da un uomo arrogante e non da
Zeus o Dike. C’è una critica dell’autorità che ha posto l’editto e c’è una delegittimazione della fonte di
questa legge. C’è una legge più antica secondo cui bisogna seppellire i morti. Antigone aggiunge
che non può avere più paura di Creonte rispetto agli dei, e quindi delle conseguenze alle quali
sarebbe andata incontro violando gli editti di Creonte, visto che sono ben più gravi quelle della
violazione delle leggi degli dei. Antigone obbedisce agli dei perché ha più paura della sanzione
divina rispetto a quella umana che fa seguito alla violazione degli editti di Creonte. Creonte risponde
ad Antigone e dice che se non si può aspettare il rispetto dalla famiglia figuriamoci dagli estranei e
comunque sia non deve permettere di farsi comandare da una donna. Non si può ammettere che chi
è forte soccomba. C’è un argomento secondo cui non si può obbedire o disobbedire alle leggi
secondo il proprio capriccio. A colui la città abbia affidato il potere di deve obbedienza nelle cose
piccole o grandi, giuste o ingiuste. L’idea dell’ubbidienza è importante: chi sa ubbidire sa anche
comandare, e questa è una delle forti convinzioni della cultura greca. C’è qualcosa che deve saldare
la comunità politica e questo è la legge ed è qualcosa di nuovo e diverso rispetto al principio che si
può intravvedere nel gesto di Antigone. Il gesto di Antigone ha alla base il rispetto del legame di
sangue. Diventa difensore di un principio nuovo: la società si basa su una legge comune e quindi
significa affermare l’ubbidienza di questa legge da parte di tutti. Socrate afferma lo stesso principio di
Creonte. La legge è una giustizia comune necessaria per far esistere la società. Ma dove nasce il
diritto o il dovere della disobbedienza? Hobbes dirà che siccome la legge la fa il sovrano ed è lui che
stabilisce ciò che è giusto o ingiusto, il cittadino non può dire ciò che è giusto o meno ed è giusto
obbedire sempre e comunque. Creonte non dice questo, perché colui che ha il potere ha il diritto di
essere obbedito, ma quando e fino a che prezzo? Da Antigone ci viene un doppio insegnamento:

a) C’è un limite oltre il quale non si obbedisce più in maniera innocente, perché si diventa complici
di un sistema. È un limite che dipende dalle condizioni storiche. Ma si può accettare che la legge
è legge e non si può mai disobbedire? Gustav Radbruch, giurista importante, afferma un
principio poi applicato dalle corti tedesche verso i soldati della ex Germania dell’est che dice che
si deve obbedire agli ordini e quindi che è giusto far prevalere la certezza della legge, ma c’è un
limite oltre il quale non si può andare e la certezza deve cedere alla giustizia, perché quando la
legge diventa sommamente ingiusta non è più considerabile come legge e si deve disubbidire.
Quando una legge viola in modo eclatante l’uguaglianza tra gli uomini ci troviamo di fronte a una
legge ingiusta.
b) A che condizione si deve disubbidire? Cos’è che rende legittima la disubbidienza? La
disubbidienza non deve essere conveniente per chi la compie. È questo il vero significato del
gesto di Antigone.
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