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CAP I

I COSTI DI UNA MONETA COMUNE


Nel momento in cui rinuncia alla propria moneta nazionale, un paese perde la capacità di attuare una politica
monetaria nazionale. Una nazione che aderisce a un’unione monetaria non sarà più in grado di modificare il
prezzo della propria moneta (con svalutazioni e rivalutazioni) o di determinare la quantità di moneta nazionale
in circolazione o di variare il tasso di interesse a breve.

Si procederà con l’analisi della teoria AVO (teoria delle Aree Valutarie Ottimali), proposta inizialmente da
Mundell, che si concentra sul lato dei costi.

Modello di Mundell (spostamenti della domanda)


Supponiamo che due paesi, nel caso Francia (F) e Germania (G) formino un’unione monetaria, rinunciando
dunque alle rispettive monete nazionali a favore di una moneta comune gestita da una banca centrale comune.

La curva di offerta (rispettivamente SF e SG) esprime l’idea che quando il prezzo del prodotto interno aumenta
le imprese nazionali accresceranno l’offerta per trarre profitto dai prezzi più elevati.
Ogni curva di offerta si basa sull’ipotesi che il saggio del salario nominale e il prezzo degli altri input siano
costanti.

Ipotizziamo che i consumatori modifichino le proprie preferenze, spostandole dai prodotti francesi a quelli
tedeschi:
Lo spostamento delle preferenze genera:
La curva di domanda tedesca (DG)si sposta verso l’alto in D’G
La curva di domanda francese (DF)si sposta verso il basso in D’F

Resta da capire se questi spostamenti sono di natura permanente o temporanea.

Figura 1

Ipotizzando che siano permanenti entrambi i paesi si troveranno ad affrontare un problema di aggiustamento:
Francia:
- Diminuzione della produzione.
- Aumento della disoccupazione
Germania:
- Aumento della produzione.
- Diminuzione della disoccupazione.
- Ingresso in una fase espansiva con pressioni al rialzo sul livello dei prezzi.
Esistono due meccanismi in grado di ristabilire automaticamente l’equilibrio:

1 : FLESSIBILITÀ SALARIALE
Se i salari sono flessibili in Francia i lavoratori disoccupati ridurranno le richieste salariali, mentre in Germania
l’eccesso di domanda di lavoro alzerà il saggio del salario.

La curva di offerta dei due paesi verrà modificata dalla flessibilità salariale:

La riduzione del
saggio del salario in
Francia sposta la
curva di offerta
aggregata (SF) verso
il basso in S’F
L’aumento del saggio
del salario in
Germania sposta la
curva di offerta
aggregata (SG) verso
l’alto in S’G
Si generano così due
nuovi equilibri E’G e
E’F

In Francia il prezzo dei prodotti diminuisce e questo stimola la domanda, i prodotti tedeschi sono meno
competitivi quindi la domanda aggregata diminuisce.
In Germania salari e prezzi più alti rendono i prodotti francesi più competitivi e ciò provoca un aumento della
domanda aggregata della Francia.

Allo stesso tempo un calo salariale in Francia implica una riduzione del reddito reale dei lavoratori francesi e
ciò fa scendere la domanda di prodotti e servizi, questo effetto di reddito può essere compensato da ulteriori
ribassi della curva di domanda.

2 : MOBILITÀ DEL LAVORO


I lavoratori francesi disoccupati si trasferiscono in Germania dove c’è un eccesso di domanda di lavoro. Questo
comporta l’eliminazione della necessità di ridurre i salari in Francia e di riflesso scompare il problema della
disoccupazione.

Allo stesso modo essendoci più forza lavoro scomparirà in Germania la necessità di aumentare i salari e
conseguentemente scompariranno anche le pressioni salariali inflazionistiche.

Un adeguato livello di flessibilità dei salari e/o una mobilità della manodopera sufficientemente elevata faranno
scomparire automaticamente il problema dell’aggiustamento tra i due paesi.

Se i salari in Francia non diminuissero nonostante la disoccupazione, o se i lavoratori non decidessero di


trasferirsi la Francia si troverebbe bloccata nella situazione di disequilibrio in figura 1
Al tempo stesso in Germania l’eccesso di domanda di lavoro eserciterebbe una pressione al rialzo sui salari e un
conseguente spostamento verso l’alto della curva di offerta.
Lo squilibrio è ora da riassorbire esclusivamente tramite aumenti dei prezzi dei beni tedeschi che rendono più
competitivi i beni francesi.
Quindi se in Francia i salari non diminuiscono l’aggiustamento dello squilibrio in Francia assumerà la forma di
inflazione in Germania.
IPOTESI : FRANCIA E GERMANIA NON ADERISCONO A UN’UNIONE MONETARIA.
In questo caso i due paesi sono liberi di ricorrere a strumenti di politica monetaria nazionale per fronteggiare
gli shock asimmetrici.

Gli strumenti di politica monetaria più comuni, collegati al regime di tasso di cambio adottati dai singoli paesi
sono:
Tasso di cambio flessibile (i.e. USA, UK, Giappone), i paesi possono modificare la politica monetaria per
raggiungere un particolare obiettivo variando il tasso di interesse interno oppure l’offerta di moneta.

La Francia potrebbe diminuire il proprio tasso di interesse stimolando la domanda aggregata.


La Germania potrebbe alzare il tasso interesse ottenendo l’effetto inverso.
Questo comporterebbe un deprezzamento del franco e un apprezzamento del marco, che renderebbero
meno cari i prodotti francesi venduti in Germania.

Tasso di cambio vincolato, paesi il cui tasso di cambio è agganciato ad altre monete (i.e. Danimarca, paesi
del Sud America), questi possono svalutare e rivalutare la propria moneta.

La svalutazione del franco porta a un aumento della competitività dei prodotti francesi e questo stimola
la domanda generata dalla Germania di prodotti francesi.

La curva di offerta e domanda, in entrambi i casi, si sposteranno come segue:

La politica monetaria
espansiva, o nel secondo
caso la svalutazione del
franco, adottata in
Francia porta a uno
spostamento verso l’alto
della curva di domanda
aggregata da DF a D’F.

L’inverso accade in
Germania in seguito a
una politica monetaria
restrittiva o ad un
apprezzamento del
marco.

In questo modo la Francia risolverà il problema della disoccupazione e la Germania eviterà di subire pressioni
inflazionistiche.

Se i due paesi partecipassero a un’unione monetaria, la Francia non avrebbe controllo sulla politica monetaria e
quindi in presenza di un problema di disoccupazione questo può essere eliminato solo attraverso una deflazione
(calo dei prezzi) in Francia.

Quindi se subisce uno shock negativo sulla domanda la Francia è penalizzata dalla partecipazione a un’unione
monetaria, allo stesso modo anche la Germania sarà penalizzata perché dovrà accettare un inflazione più
elevata di quanto desiderato.

L’unione monetaria tra due o più paesi è ottimale se è soddisfatta una delle seguenti condizioni:
- Vi è sufficiente flessibilità salariale.
- Vi è sufficiente mobilità del lavoro.
SHOCK SIMMETRICI E ASIMMETRICI A CONFRONTO:
Uno shock asimmetrico comporta costi di aggiustamento all’interno di un’unione monetaria con scarsa
flessibilità dei mercati.

Se uno shock è simmetrico le curve di domanda di Francia e Germania si spostano entrambe a sinistra di pari
ammontare:

Essendo Francia e Germania parte di


un’unione monetaria, la politica monetaria è
nelle mani della Banca Centrale e il tasso di
interesse è unico.
Questo implica che la BC può allora
abbassare il tasso stimolando in questo
modo la domanda aggregata di entrambi i
paesi.

Nel caso di shock asimmetrico invece la BC è


paralizzata, una riduzione del tasso
porterebbe a una maggiore pressione

inflazionistica in Germania, mentre un aumento di questo ridurrà ulteriormente la domanda aggregata


francese.

Se i due paesi non facessero parte di un’unione monetaria, la svalutazione non rappresenterebbe un’opzione.
Se la Francia svalutasse la propria moneta in modo da stimolare la domanda aggregata francese a discapito di
quella tedesca, questo risolverebbe il problema interno esportandolo in Germania.
La Germania reagirebbe e sarebbe innescato il pericolo di una spirale di svalutazioni e controsvalutazioni.

La soluzione per evitare ciò è che i due paesi coordino le proprie iniziative macroeconomiche, cosa molto ardua
essendo i due paesi indipendenti.
All’interno di un’unione monetaria invece la cooperazione in materia monetaria è istituzionalizzata.

In conclusione in caso di shock simmetrici un’unione monetaria è un regime più attraente di un regime di
indipendenza degli stati. Questo vantaggio viene a mancare in caso di shock asimmetrici.

INDIPENDENZA MONETARIA E BILANCI PUBBLICI


Quando un paese aderisce a un’unione monetaria perde la propria indipendenza monetaria e ciò influenza la
capacità di fare fronte a shock asimmetrici.
Questa è l’essenza della teoria tradizionale delle aree valutarie ottimali, una teoria incompleta in quanto la
perdita dell’indipendenza monetaria ha un’ulteriore conseguenza: modifica la capacità dei governi di finanziare
i propri deficit di bilancio. Questa circostanza è stata trascurata fino all’esplosione della crisi del debito sovrano
del 2010-2011.

Gli stati membri di un’unione monetaria emettono i propri strumenti di debito in una moneta che non
controllano, i governi non possono garantire con assoluta certezza che avranno liquidità sufficiente a
rimborsare a scadenza i detentori di titoli del debito pubblico. Essi non hanno una banca centrale che possa
essere costretta a fornire liquidità in periodi di crisi.

La possibilità che i governi non possano garantire il rimborso a scadenza fa sì che i mercati finanziari
acquisiscano la capacità di costringere tali paesi a insolvenza forzata, tuttavia non è facile per i mercati ridurre
questi paesi all’insolvenza.
PAESE MONETARIAMENTE INDIPENDENTE: LO SCENARIO INGLESE
Se gli investitori temessero una possibile insolvenza del governo inglese sul proprio debito venderebbero titoli
di stato inglesi spingendone il tasso di interesse al rialzo.
Una volta venduti i titoli gli investitori disporrebbero di sterline, di cui probabilmente vorrebbero liberarsi
vendendole nel mercato dei cambi. Il prezzo della sterlina dovrebbe scendere fino a diventare attraente per i
compratori, le sterline dunque rimarrebbero imbottigliate nel mercato inglese dove sarebbero investite in
attività nazionali.

La quantità di moneta inglese rimarrebbe invariata e probabilmente verrebbe in parte reinvestita in titoli di
stato inglesi.
Tuttavia, se ciò non accadesse il governo inglese costringerebbe la Banca di Inghilterra a fornire i contanti
necessari al rimborso dei titoli pubblici.

Il governo può contare sulla liquidità occorrente per finanziare il debito a tassi di interesse ragionevoli e ciò
implica che gli investitori non possono far precipitare una crisi di liquidità tale da costringere il governo inglese
all’insolvenza.
C’è una forza di ultima istanza superiore: la Banca d’Inghilterra.

PAESE MEMBRO DI UN’UNIONE MONETARIA: LO SCENARIO SPAGNOLO


Se gli investitori temessero una possibile insolvenza del governo spagnolo sul proprio debito venderebbero titoli
di stato spagnoli spingendone il tasso di interesse al rialzo.
Una volta venduti i titoli gli investitori disporrebbero di Euro che vorranno investire altrove, causando un
deflusso di euro dal sistema bancario spagnolo.

Non c’è un tasso di cambio flessibile che possa arrestare il deflusso, pertanto la quantità totale di liquidità
esistente in Spagna si contrae. Il governo è investito da una crisi di liquidità.

Il governo spagnolo, a differenza di quello inglese, non può costringere la Banca di Spagna a fornire la liquidità
occorrente, pertanto una crisi di liquidità sufficientemente forte può costringere il governo all’insolvenza.
Di questo i mercati sono consapevoli e quindi mettono sotto pressione il governo spagnolo quando i deficit
peggiorano.

Un’unione monetaria non rafforza la posizione dei governi nazionali di fronte ai mercati finanziari, al contrario
li indebolisce, attribuendo un grande potere ai mercati finanziari.

CONCLUSIONI:
Dall’analisi emerge la fragilità delle unione monetarie.
Se gli investitori non hanno fiducia in un dato stato membro possono innescare una crisi di liquidità che a sua
volta può originare un problema di solvibilità (se il tasso si alza, il peso del debito pubblico aumenta, costringendo
il governo a ridurre la spesa e ad aumentare la tassazione).
Vi è una forzata austerità di bilancio politicamente costosa che può portare il governo a interrompere il servizio
del debito, dichiarando insolvenza.

In un’unione monetaria i paesi membri sono vulnerabili alle ondate di sfiducia degli investitori.

Queste dinamiche sono assenti nei paesi che hanno mantenuto la propria indipendenza monetaria.
Questi paesi possono infatti emettere strumenti di debito denominati nella propria moneta e sono quindi
sempre in grado di creare liquidità.
Anche questi paesi hanno tuttavia i loro problemi, la capacità di rifinanziare troppo facilmente il debito creando
moneta genera inflazione, ma non possono essere costretti all’insolvenza dai mercati finanziari.
SHOCK ASIMMETRICI E DINAMICHE DEL DEBITO
Ritornando al modello esaminato prima, si consideri ora che le implicazioni in Francia circa produzione e
occupazione si contraggono con effetti sul bilancio pubblico.
Il calo del PIL determina un calo delle entrate tributarie più che proporzionale al calo del PIL.
Inoltre l’aumento della disoccupazione porta all’aumento della spesa pubblica francese.
In conclusione il deficit di bilancio francese aumenta.

Se il calo della domanda aggregata è sufficientemente forte, il conseguente aumento del deficit di bilancio
francese può crescere al punto da insinuare dubbi sulla solvibilità dello stato stesso.
La sfiducia spinge gli investitori a vendere titoli di stato francesi causando un aumento del tasso di interesse e
una crisi di liquidità che portano la curva di domanda a spostarsi ulteriormente verso sinistra.
Con un tasso di interesse più alto infatti i residenti francesi spendono meno in beni di consumo e investimento.

Graficamente:

Lo shock asimmetrico da domanda sposta


la curva DF in D’F , la crisi debitoria si
somma allo shock da domanda negativo
spostando ulteriormente la curva di D’’F
La crisi debitoria amplifica l’iniziale
shock da domanda negativo.

In Germania invece:
Gli investitori che hanno venduto titoli di
stato francesi hanno incassato contanti da
investire presumibilmente acquistando
titoli di altri stati in cui hanno fiducia, i.e.
Quelli tedeschi
Questi acquisti porta a un rialzo dei titoli di

Stato che a sua volta ne riduce il rendimento. Questo comporta un calo del tasso di interesse che a sua volta
determina un aumento della domanda aggregata in Germania.
L’iniziale shock positivo da domanda, che ha spostato DG in D’G è ora rafforzato da uno spostamento addizionale
in D’’G .

In conclusione in Francia la crisi debitoria amplifica lo shock da domanda asimmetrico, amplificando gli effetti
negativi in Francia e quelli positivi in Germania.
L’amplificazione è dovuta alle variazioni dei tassi di interesse, che aumenta in Francia e cala in Germania, che
destabilizzano il sistema.

Il tasso di interesse a breve termine è sotto il controllo della banca centrale comune, i tassi a lungo termine
possono divergere e sono proprio questi che incidono sulla domanda aggregata.

ALTI E BASSI IN UN’UNIONE MONETARIA


Lo shock asimmetrico esaminato è un evento esogeno con effetti permanenti, tuttavia molti shock sono di altra
natura.
Il capitalismo è intrinsecamente instabile, si alternano infatti fasi di ottimismo e pessimismo che originano
espansioni e recessioni dell’attività economica.
Alti e bassi sono endemici, investitori e consumatori guardano al futuro per decidere se investire o consumare
ed effettuano quindi previsioni sulla basa di una reciproca osservazione. Questa osservazione rende possibile la
trasmissione dell’ottimismo/pessimismo di un soggetto ad altri.
Finchè questi momenti avvengono in sincronia all’interno di un’unione monetaria, per la stessa non si pongono
problemi, diverso è il caso in cui alcuni paesi si trovino in espansione mentre altri in recessione.
IL CASO: MOVIMENTI CICLICI ASINCRONI
Considerando che lo shock asimmetrico visto prima sia il risultato di una recessione in Francia e di una
fase di espansione in Germania si possono distinguere due possibili scenari:

1. Scenario benigno
In questo caso l’unione può esistere nonostante i cicli economici sfasati.
Essendo legato al ciclo economico, lo shock è temporaneo, non occorre che la Francia ovvi alla
recessione riducendo i salari e nemmeno che la Germania attenui l’espansione aumentando
salari e prezzi.

Gli stabilizzatori automatici incorporati nei bilanci possono funzionare in modo da stabilizzare il
ciclo economico, in Francia si ha un deficit di bilancio e in Germania un avanzo.
Il meccanismo attenuerà la recessione poiché il governo francese messo davanti a un deficit
inietterà potere d’acquisto nell’economia e in Germania un surplus comporta una riduzione del
potere d’acquisto.

questo scenario può funzionare solo se rimane intatta la fiducia degli investitori nella capacità
del governo francese di servire il proprio debito. Se c’è fiducia gli investitori acquistano ulteriori
titoli senza richiedere un tasso maggiore. Il tasso può rimanere invariato perché il governo ha un
avanzo di bilancio e questo comporta che i suoi titoli siano ritirati dal mercato.
Di conseguenza l’offerta di titoli di stato diminuisce in Germania e aumenta in Francia e se i
mercati hanno fiducia compenseranno la riduzione dei titoli tedeschi detenuti in portafoglio con
l’acquisto di titoli francesi.

Nel caso benigno i mercati dei capitali hanno un ruolo di stabilizzazione nell’unione monetaria,
essi permetteranno di trasferire entrate dal paese in espansione a quello in recessione.

2. Scenario maligno
L’accresciuto livello di deficit di bilancio porta gli investitori a perdere fiducia nel governo
francese.
In tal caso gli investitori vendono titoli francesi e acquistano quelli tedeschi, determinando un
afflusso di liquidità dalla Francia verso la Germania, con conseguente aumento del tasso di
interesse francese e relativo spostamento della curva di domanda verso il basso.
La recessione diventa più acuta e prolungata.

In questo scenario sono amplificati i movimenti del ciclo economico, infatti in Francia si
approfondisce la recessione e in Germania si intensifica l’espansione.
Trovarsi in unione monetaria accresce la volatilità del prodotto e dell’occupazione.

i mercati dei capitali non sono più un fattore di stabilizzazione, i paesi in recessione subiscono
un deflusso di capitale che aggrava la recessione.
In unione monetaria i cicli economici asincroni intensificano gli alti e i bassi delle economie dei
paesi membri se i mercati finanziari non hanno una totale fiducia nella solvibilità di uno o più
governi.

IL CASO: I DUE PAESI HANNO MANTENUTO LA PROPRIA INDIPENDENZA MONETARIA


Gli investitori per vendere titoli francesi e spostarsi su quelli tedeschi devono passare per il mercato dei
cambi, in cui venderanno franchi e acquisteranno marchi.
In questo modo il franco si deprezza e il marco si apprezza. Il deprezzamento del franco stimola la
domanda aggregata in Francia, l’apprezzamento del marco riduce la domanda aggregata tedesca.

Le variazioni dei tassi di cambio hanno un effetto stabilizzante.

Riassumendo, i paesi partecipanti a un’unione monetaria colpiti da uno shock asimmetrico permanente della
domanda necessitano di flessibilità salariale e mobilità dei lavoratori per correggerlo. Se questi shock portano
forti disavanzi di bilancio è probabile che i mercati ne amplifichino gli effetti accrescendo la necessità di
aggiustamenti di salari e di mobilità. L’aggiustamento è facilitato da un meccanismo assicurativo che consenta il
trasferimento del reddito al paese colpito dallo shock negativo della domanda, ma questo non sostituisce
l’aggiustamento se lo shock è permanente.

Se i paesi sono colpiti da shock asimmetrici temporanei e sono quindi il risultato di espansioni e contrazioni
asincrone, il fulcro si sposta sulla stabilità. I paesi sono vulnerabili ai mutevoli umori dei mercati che ne
accrescono la volatilità del ciclo economico.
I governi si trovano con una ridotta capacità di stabilizzare l’economia e sono costretti ad adottare misure fiscali
destabilizzanti.

SHOCK ASIMMETRICI E ACCUMULAZIONE DEL DEBITO NELL’EUROZONA (2008-2016)


Con la crisi del 2007/2008 che ha provocato quella che è nota come “grande recessione” del 2008-2009 il PIL
dei diversi paesi è diminuito in maniera significativa.
Dal 2010 la crescita del PIL è ripresa nella maggior parte dei paesi con ritmo disuguale e tale divergenza è
particolarmente forte nell’Eurozona:
- paesi dell’Europa settentrionale hanno superato la recessione riportando il proprio PIL sopra il livello del
2008.
- In Finlandia, Olanda e nell’Europa meridionale il PIL è rimasto sotto il livello del 2008.

Gli shock asimmetrici hanno avuto importanti conseguenze per le finanze pubbliche, soprattutto per quanto
riguarda il rapporto Debito Pubblico / PIL in cui si segnano significativi aumenti e disparità tra questi aumenti.
Se paesi come Belgio, Germania, Austria e Olanda hanno registrato aumenti modesti, così non è stato per il
paesi meridionali.
Questo fa ritenere che ci sia una forte correlazione tra la crescita cumulativa sperimentata e l’aumento dei
rispettivi rapporti debito/PIL.
La correlazione è negativa, i paesi che hanno evidenziato bruschi cali del PIL hanno visto forti aumenti del
rapporto debito pubblico / PIL.

Se ad inizio 2008 i tassi presenti sui mercati finanziari erano uguali in tutti i paesi dell’Eurozona, alla fine del
2008 si registrarono forti divergenze.
I mercati persero la fiducia nella capacità dei paesi dell’Eurozona meridionale e dell’Irlanda di continuare a
servire un debito pubblico che andava esplodendo. Si andò in contro a massicce vendite dei titoli di stato di tali
paesi e ad un conseguente aumento dei tassi di interesse. Speculari furono gli acquisti di titoli di stato dei paesi
dell’Eurozona settentrionale, i cui tassi invece scesero significativamente.
Nel 2012 i tassi sui titoli di stato dei paesi dell’Eurozona meridionale scesero bruscamente grazie al ruolo di
prestatore di ultima istanza rivestito dalla BCE.

Gli shock simmetrici dell’Eurozona determinarono divergenze tra i tassi sui titoli di stato di lungo termine che
ebbero l’effetto di complicare i problemi di aggiustamento dei paesi colpiti da shock negativi.
UNIONI MONETARIE E UNIONI DI BILANCIO
Vi è l’idea di progettare un meccanismo che attenui i problemi rilevati riducendo i costi di un’unione monetaria.
Teoricamente è possibile creare un meccanismo composto da due elementi:
- Il ruolo della banca centrale
- Centralizzazione di una porzione dei bilanci nazionali in un bilancio comune a tutta l’unione.

La centralizzazione dei bilanci nazionali porta ad avere un’unione monetaria insieme a un’unione di bilancio
che ha due funzioni importanti:
1. Crea un meccanismo assicurativo che innesca trasferimenti di reddito dai paesi in espansione a quelli in
difficoltà.
2. Consente di consolidare una parte dei debiti pubblici nazionali proteggendo i paesi membri da crisi di
liquidità e insolvenze forzate.

Riesaminando il modello a due paesi, Francia e Germania, si supponga che i bilanci dei due siano in buona
parte centralizzati, si supponga dunque l’esistenza di un governo europeo che provvede direttamente alla
tassazione (inclusi contributi assicurativi/previdenziali) e ai trasferimenti di reddito (pensioni/disoccupazione).
Per effetto della centralizzazione un calo di produzione in Francia porta a una riduzione delle entrate fiscali
fornite al governo Europeo, mentre vi è un aumento delle entrate fiscali da parte della Germania.
Il governo europeo aumenta la propria spesa in Francia, riducendola in Germania con il risultato che il bilancio
centrale redistribuisce automaticamente il reddito dalla Germania alla Francia.
In questo modo il costo dell’unione monetaria si riduce, i cittadini tedeschi e francesi infatti possono stabilizzare
il proprio consumo nel tempo nonostante la presenza di shock asimmetrici.
La Germania stessa è interessata a uno schema di questo tipo in quanto anch’essa può avvantaggiarsene se
viene investita da uno shock negativo.

Il principale problema che si presenta è quello di dare adito ad azzardo morale, caratteristica che diviene
evidente se si considera come l’unione di bilancio opera all’interno di singoli paesi.
Si potrebbe creare tuttavia, una situazione in cui il bilancio centralizzato indurrebbe ampi e permanenti
trasferimenti di reddito da alcuni paesi ad altri, creando una forte resistenza da parte dei paesi i cui redditi
verrebbero trasferiti altrove.

Questo problema potrebbe essere risolto da un’unione di bilancio perchè questa centralizza anche una parte
consistente dei debiti pubblici nazionali, il che ha due effetti:
1. La centralizzazione dei mercati dei titoli dei debiti pubblici in un mercato comune elimina i movimenti
destabilizzanti dei capitali da un mercato mobiliare ad un altro.
2. Il governo dell’unione diviene a tutti gli effetti un governo indipendente che emette strumenti di debito
in una moneta di cui ha pieno controllo.
Il governo dell’unione non può incorrere in una crisi di liquidità, nell’unione di bilancio vi è un forte governo
comune capace di costringere la banca centrale a fornire liquidità nei momenti di crisi.
In tale regime i governi nazionali hanno ceduto parte della propria sovranità, ma hanno anche protezione da
parte del governo dell’unione.

Ci sono poche prospettive di di centralizzare i bilanci nazionali a livello europeo poiché è richiesto un elevato
grado di unificazione politica e in Europa manca la volontà di procedere in tale direzione.
I meccanismi di assicurazione e protezione semplicemente dunque non sono semplicemente disponibili
nell’Unione monetaria europea.

Un’unione monetaria senza unione di bilancio (unione monetaria incompleta) funziona in modo molto diverso
da un’unione monetaria accoppiata a un’unione di bilancio (unione monetaria completa)
SCHEMI DI ASSICURAZIONE PRIVATI
L’unione di bilancio fornisce un meccanismo assicurativo in un’unione monetaria, ma questo può essere
realizzato anche per tramite dei mercati finanziari.

Tornando al modello esaminato, si supponga che i mercati finanziari di Francia e Germania siano
completamente integrati.
In seguito allo shock negativo le imprese francesi registrano perdite che determinano una riduzione del prezzo
dei titoli azionari. Essendo il mercato finanziario completamente integrato i titoli delle imprese francesi sono
detenuti anche da cittadini tedeschi che pertanto supportano parte delle perdite.
In seguito allo shock positivo le imprese tedesche invece determina un aumento del prezzo dei titoli azionari.
Essendo il mercato integrato, i titoli delle imprese tedesche sono detenuti anche da cittadini francesi che
saranno quindi in parte compensati dalle perdite subite a causa della congiuntura negativa francese.

In un mercato di titoli integrato il rischio di uno shock negativo in un paese si distribuisce su tutti i paesi e in tal
modo l’impatto che lo shock sulla produzione di un paese ha sul reddito dei residenti è mitigato.

Un meccanismo simile opera tramite l’integrazione del mercato obbligazionario.


In seguito a shock negativo le imprese francesi subiscono perdite, alcune tali da provocarne il fallimento e
questo comporta una diminuzione del valore residuo delle obbligazioni francesi in essere. Parte di tali
obbligazioni è tuttavia detenuto da residenti in Germania, che condividono gli effetti negativi.

Uno schema basato sui mercati finanziari ha il vantaggio di ridurre la probabilità di azzardo morale.
Dall’altro lato i disoccupati francesi che non possiedono attività finanziarie tedesche non beneficeranno di tale
meccanismo.

Lo schema assicurativo privato, in assenza di uno schema pubblico, non offre una sufficiente copertura alla
grande maggioranza dei cittadini francesi.

DIFFERENZE NELLE ISTITUZIONI DEL MERCATO DEL LAVORO


Esistono asimmetrie che possono costringere i paesi membri di un’unione monetaria a istituire complessi
processi di aggiustamento.
Ci sono differenze istituzionali tra i mercati del lavoro dei paesi europei, alcuni sono dominati da sindacati dei
lavoratori altamente centralizzati, altri da sindacati decentralizzati (i.e. UK), che possono portare significativi
costi in quanto possono provocare divergenze nella dinamica di salari e prezzi.
I.e. Se in due paesi si verifica lo stesso aumento del prezzo del petrolio, l’effetto sui salari dipenderà in gran parte da
come i sindacati dei lavoratori reagiscono a questi shock.

Teorie macroeconomiche sottolineano l’importanza delle istituzioni del mercato del lavoro, tra queste la più
nota è stata sviluppata da Bruno e Sachs :
Gli shock sull’offerta hanno effetti macroeconomici diversi a seconda del grado di centralizzazione della
contrattazione salariale.

- contrattazione centralizzata:
I sindacati tengono conto dell’effetto inflazionistico degli aumenti salariali (sono a conoscenza che salari
molto più alti porteranno a maggiore inflazione e quindi ad un aumento inesistente dei salari reali).
Non vi è incentivo a formulare richieste salariali eccessive, in caso di shock sull’offerta ci si rende conto
che la perdita nei salari reali non può essere compensata da aumenti salariali nominali.
- contrattazione decentralizzata:
I singoli sindacati sanno che gli aumenti salariali nominali che riescono ad ottenere hanno scarso effetto
sul livello aggregato dei prezzi. Questo genera un problema di opportunismo (free riding), ogni
sindacato ha interesse a far salire il salario nominale dei propri iscritti.
In condizioni di equilibrio questa non cooperazione genererà un livello del salario nominale più elevato
rispetto ai paesi centralizzati.
è più difficile giungere a una moderazione salariale dopo uno shock sull’offerta, nessun sindacato è
incentivato a ridurre per primo le proprie richieste salariali nominali perché dubita degli altri.
La questione della cooperazione è stata estesa da Calmfors e Driffill, che hanno notato che la relazione tra
centralizzazione della contrattazione salariale e i sui effetti non è lineare.
Più ci si muove verso soluzioni decentrate, maggiore è la probabilità che un’altra esternalità entri in gioco,
infatti le richieste salariali avranno effetto diretto sulla competitività dell’azienda e richieste eccessive
porteranno a una riduzione dell’occupazione.
In un sistema decentrato, in caso di shock sull’offerta, i sindacati esercitano un considerevole grado di controllo
delle richieste salariali.

I paesi limite ( con forte centralizzazione o forte decentramento della contrattazione salariale) sono quelli meglio
preparati ad affrontare gli shock dell’offerta, essi infatti tendono a reagire meglio degli altri sotto il profilo di
inflazione e disoccupazione.

I paesi con istituzioni del mercato del lavoro molto diverse potrebbero trovare costoso formare un’unione
monetaria, ad ogni shock sull’offerta salari e prezzi di questi paesi possono essere influenzati in modo diverso,
rendendo difficile correggere tali differenze in presenza di un tasso di cambio fissato irrevocabilmente.

DIFFERENZE TRA I SISTEMI GIURIDICI


Ci sono profonde differenze tra i sistemi giuridici dei diversi stati che talvolta implicano marcati effetti sulle
modalità di funzionamento dei mercati.

Sono alcuni esempi:


- mercato dei mutui: funzionamento diverso da paese a paese. In alcuni paesi la legge offre alle banche
eroganti una tutela migliore che in altri quindi il mutuo differisce proprio per il grado diverso di rischiosità.
Le differenze giuridiche danno conto anche delle frequenze con cui i tassi di interesse sono rivisti al mutare
delle condizioni economiche generali, il alcuni paesi il tasso è fisso, in altri può passare da fisso a variabile.
Uno stesso shock quindi sarà trasmesso in modo diverso nei vari stati membri dell’unione monetaria.

- Modalità di finanziamento delle imprese: Nei paesi di tradizione anglosassone le imprese tendono a
rivolgersi direttamente al mercato dei capitali che sono dunque sviluppati e altamente liquidi. Nei paesi di
tradizione giuridica continentale le imprese raccolgono risorse attraverso il sistema bancario e ciò fa si che i
mercati dei capitali siano meno sviluppati. Nei primi un aumento del tasso di interesse induce un effetto
ricchezza sui consumatori perché questi detengono portafogli finanziari e un aumento del tasso di interesse
fa diminuire i prezzi dei. Titoli e quindi la ricchezza dei consumatori tende a declinare. L’effetto ricchezza è
meno pronunciato nei mercati di tipo continentale, in cui un aumento sufficientemente elevato del tasso di
interesse spingerà le banche a razionare il credito.

CONCLUSIONI
La partecipazione a un’unione monetaria comporta costi rilevanti derivanti dal fatto che i paesi differiscono
sotto molti aspetti. Tali differenze possono essere corrette attraverso le politiche monetarie nazionali, poichè le
alternative risultano più gravose e meno desiderabili per un paese membro di un’unione rispetto a un paese con
indipendenza monetaria.

I costi derivano dal fatto che i governi devono emettere i propri titoli di debito in una moneta estera su cui non
hanno più controllo e ciò li rende vulnerabili a ondate di sfiducia dei mercati finanziari.
Per i paesi può risultare costoso abbandonare la propria moneta nazionale ed entrare a fare parte di un’unione
monetaria soprattutto quando questa è incompleta (non comprende un’unione di bilancio)
CAP 2
QUANTO SONO RILEVANTI LE DIFFERENZE TRA PAESI
Fra paesi diversi esistono differenze, il problema si pone se queste sono rilevanti al punto da rappresentare un ostacolo
all’unificazione monetaria.

Shock sulla domanda concentrato in un solo paese


È possibile che uno spostamento della domanda dai prodotti di un paese a favore di quelli di un altro si verifichi di
frequente tra i paesi europei che costituiscono l’unione monetaria?

Posizione della commissione europea:


In una futura unione monetaria gli shock differenziali da domanda saranno meno probabili grazie al fatto che lo
scambio commerciale è prettamente uno scambio intraindustriale, basato sull’esistenza di economie di scala e sulla
concorrenza imperfetta.
Questo comporta una struttura in cui i paesi vendono e acquistano le stesse categorie di prodotti, questo genera una
situazione in cui gran parte degli shock colpiscono i paesi in modo simile. (La domanda aggregata dei paesi verrò
colpita nello stesso modo).
La rimozione delle barriere rafforzerà queste tendenze e gli shock sulla domanda tenderanno ad avere effetti simili.

Analisi della posizione da un punto di vista più sistematico:

Simmetria : simmetria tra variazioni di produzione e


Occupazione tra i possibili paesi membri di un UM.

Al crescere del grado di integrazione economica


Diminuisce la frequenza degli shock asimmetrici e
Aumentano le correlazioni tra redditi e occupazione
La simmetria aumenta

Posizione di Krugman:
Krugman ritiene che l’analisi di Mundell non può essere scartata in ragione di un’altra caratteristica della dinamica del
commercio internazionale con economie di scala: la concentrazione regionale delle attività industriali.
Quando gli ostacoli agli scambi diminuiscono si generano due effetti opposti:
- È possibile avvicinare le attività produttive ai mercati finali.
- È possibile concentrare la produzione al fine di beneficiare di economie di scala.
Questo significa che gli shock che colpiscono uno specifico settore possono diventare gli shock specifici di un paese e
questi paesi potrebbero allora preferire il tasso di cambio come strumento di politica economica.

Analisi della posizione da un punto di vista più sistematico:


Al crescere dell’integrazione economica, i paesi aderenti tenderanno a specializzarsi sempre più, risultando così
esposti a un numero maggiore di shock asimmetrici.
La simmetria si riduce. Abbiamo una retta inclinata negativamente.

Si tratta di due posizioni opposte, tuttavia esiste una presunzione a favore della posizione della Commissione Europea.
Infatti nonostante sia incontestabile che l’integrazione possa generare effetti di concentrazione, è anche vero che al
procedere dell’integrazione i confini perdono importanza e quindi gli effetti della concentrazione diventano sempre
più indipendenti da questi.
In tal modo si creano le premesse per la formazione di distretti di attività economiche a cavallo dei confini, è più
probabile si attraversino i confini.
Questo non nega che l’integrazione produca effetti di concentrazione, ma afferma che i confini vi influiranno sempre
meno e che probabilmente le forze economiche dell’integrazione vanificheranno la capacità dei tassi di cambio di fare
fronte a questi shock.
Esiste dunque una presunzione teorica a favore dell’ipotesi che l’integrazione economica riduca la probabilità di shock
asimmetrici tra nazioni.
È cruciale distinguere due aspetti:
1) Se le UM portano a una maggiore integrazione economica.
Rose e Wincoop e Glick e Rose hanno svolto a tal fine importanti ricerche constatando che in media il mero
fatto di appartenere alla stessa UM determina il raddoppio dei volumi dei flussi commerciali.
L’effetto Rose, inizialmente forte, è probabilmente distorto verso l’alto ed è quindi verosimile che gli effetti
monetari dell’UM europea siano stati inferiori.

2) Se una maggiore integrazione influisce sull’asimmetria degli shock.


La correlazione è fortemente significativa, i paesi legati da rapporti commerciali più stretti sono quelli le cui
attività economiche sono maggiormente correlate e questo significa che la relazione tra simmetria e
integrazione commerciale è inclinata positivamente.
Una serie di evidenze empiriche suggerisce che l’integrazione possa non portare a un incremento della
frequenza degli shock asimmetrici all’interno dell’UE. Questo grazie anche all’importanza del settore dei
servizi, in cui le economie di scala non giocano un ruolo rilevante e quindi l’integrazione non comporta una
concentrazione analoga a quella osservata nel caso dell’industria.

Gli studi empirici suggeriscono quindi che:


- Un’UM contribuisce all’integrazione economica
- Una maggiore integrazione economica riduce a sua volta gli shock asimmetrici. Il solo fatto di avviare un’UM
può creare condizioni favorevoli al suo buon funzionamento.

Differenze istituzionali fra i mercati del lavoro


Il problema è stabilire se l’integrazione monetaria cambierà il comportamento dei sindacati dei lavoratori in modo da
eliminare le differenze esistenti.

Esempio:
Y = salario reale X = livello occupazione (N)
Domanda di lavoro = vincolo per il sindacato che deve max la propria utilità
Ipotesi: 1 solo sindacato in ogni paese quindi sindacato centralizzato

La curva dell’occupazione tiene conto della reazione delle autorità a ciò che fanno i sindacati dei lavoratori.
Ipotesi: le autorità attribuiscono un peso maggiore all’occupazione rispetto a quello attribuitole dai
sindacati.
Se i sindacati stabiliscono un salario che riduce il livello dell’occupazione sotto il livello considerato ottimale dalle
autorità
Allora le autorità modificheranno le loro politiche.
Nella misura i cui sindacati tengono conto di questa reazione delle autorità cambia il vincolo cui sono soggetti.
Curva dell’occupazione → più ripida (un aumento del livello salariale reale riduce l’occupazione interna)
Le autorità sono intensificano le politiche di creazione di posti di lavoro e in questo modo l’aumento del salario reale
incide meno sul livello totale dell’occupazione.
La pendenza della curva di occupazione riflette la propensione delle autorità a impegnarsi in politiche occupazionali
espansive quando il saggio del salario aumenta.
Tornando ai due paesi in esempio, essendo la linea di occupazione del paese B di pendenza maggiore, si ipotizza che
le autorità di questo paese siano più disponibili ad assecondare le decisioni salariali del sindacato con politiche
occupazionali espansive.

L’UM modifica le capacità dei governi nazionali di seguire politiche accomodanti, infatti le politiche monetarie
saranno centralizzate e i sindacati dovranno affrontare le stesse reazioni delle autorità monetarie. Nel caso in esempio i
due sindacati sceglieranno una combinazione analoga di saggio salariale e di livello occupazionale.
È tuttavia improbabile che le differenze scompaiano completamente, infatti i governi nazionali hanno altre politiche
occupazionali a disposizione (i.e. Creare posti di lavoro nel settore pubblico finanziandone le spese aggiuntive
emettendo debito).

Un’UM non limita necessariamente un comportamento accomodante del governo, quindi anche se le differenze tra i
sindacati saranno meno pronunciate, queste non verranno eliminate completamente.

Le differenze istituzionali nei mercati del lavoro nazionali resteranno ancora a lungo dopo l’introduzione di una
moneta comune e di conseguenza si potranno avere tendenze salariali e occupazionali divergenti.
Una volta scomparso lo strumento del tasso di cambio si potrebbero presentare anche problemi di aggiustamento
gravi.

Sistemi giuridici e mercati finanziari differenti


I mercati finanziari dell’UE hanno differenze nelle modalità di funzionamento e questo crea il rischio che uno stesso
shock monetario sia trasmesso molto diversamente da paese a paese.

La causa principale risiede nella diversità dei sistemi giuridici, tuttavia vi sono anche altre differenze che si sono
formate nel tempo a causa delle differenti politiche monetarie seguite dai paesi.
Esempio pratico:
Prima dell’istituzione dell’UEM alcuni paesi (i.e. Germania) sono riusciti a contenere l’inflazione, mentre in altri (i.e.
Italia) questa si è mantenuta su livelli relativamente alti.
La differenza tra i tassi di inflazione ha influenzato il funzionamento dei mercati perché in un contesto di inflazione
elevata gli investitori sono riluttanti a sottoscrivere obbligazioni a lungo termine.
I prezzi di queste sono instabili e aumenti anche minimi dell’inflazione determinano importanti cali di prezzi, per
questo il mercato “a lungo termine” è poco sviluppato.
In Italia prima della nascita dell’UEM il debito pubblico era costituiti in buona parte da titoli a breve.
Ogni volta che il tasso di interesse aumentava, il debito pubblico ne risentiva immediatamente e il governo si trovava
a sprendere di più per il pagamento in conto interessi provocando l’aumento del deficit di bilancio.
Con l’istituzione dell’UM le relazioni asimmetriche dovute alle differenze tra i livelli di inflazione scomparvero e le
strutture delle scadenze dei titoli emessi dai diversi governi finirono per convergere.

L’unione monetaria ha determinato l’eliminazione di alcune delle differenze istituzionali esistenti tra i sistemi
finanziari nazionali.
Nel 2010, con l’inizio della crisi del debito sovrano, tale tendenza si è invertita e i rendimenti dei titoli pubblici hanno
iniziato a divergere non per i diversi tassi di inflazione, bensì per le percezioni dei rischi di inadempienza sui titoli
emessi dagli stati membri. →I paesi esposti a alti rischi di inadempienza percepiti hanno dovuto abbreviare le
scadenze delle proprie emissioni.

L’Unione monetaria dunque non elimina di per sé stessa le possibili divergenze tra le strutture delle scadenze dei titoli
emessi dai singoli stati.
Alti e bassi del ciclo e stati nazionali
Congettura di partenza: l’integrazione economica tende a ridurre la probabilità che singole nazioni siano colpite da
shock asimmetrici di tipo esogeno.
Ci sono anche shock asimmetrici generati endogenamente, dovuti alle dinamiche inerenti ai sistemi capitalistici, ossia
all’alternarsi di periodi di ottimismo e pessimismo determinanti espansioni e contrazioni dell’attività economica.
Se questi movimenti sono asincroni tra i vari paesi si possono creare problemi in un’unione monetaria, pertanto è
necessario stabilire se l’integrazione economica determina una sincronizzazione di questi movimenti ciclici.

La componente ciclica è ottenuta sottraendo la componente tendenziale dal PIL osservato. Emerge che nell’Eurozona
i movimenti ciclici sono molto sincronizzati, ma di ampiezza molto diversa.
Spagna e Grecia hanno avuto una forte espansione seguita da recessione, mentre in Belgio o Germania si sono avuti
movimenti analoghi ma molto più contenuti.
Se i cicli economici appaiono ben correlati, l’origine dell’asimmetria va allora ricercata nella varianza dei cicli
economici, ossia nell’intensità di questi.
Questo ha comportato massicce fughe di capitali dai paesi dove le cadute dell’economia furono accentuate, in altre
parole l’esistenza di una moneta comune non è stata in grado di disciplinare gli spiriti animali nazionali
sincronizzandoli.
Questo a causa della natura incompleta dell’UM assemblata nell’Eurozona.
Se le politiche monetarie sono centralizzate e non generano shock asimmetrici, i paesi membri continuano ad
esercitare un grado sostanziale di potere sovrano in diversi campi, tra cui il più importante è la politica di bilancio.
Gran parte dei poteri di spesa e tassazione restano quindi nella mani delle autorità nazionali.
Modificando tasse e spesa pubblica le autorità possono provocare shock asimmetrici importanti, infatti gli effetti di tali
manovre saranno circoscritti al paese che le attua.
i.e. le autorità incrementano il prelievo fiscale sui redditi da lavoro. Ne risentono i lavoratori e quindi i livelli di
spesa e dei salari nel paese. La curva di domanda e di offerta si sposteranno generando perturbazioni che
innescheranno dinamiche divergenti di prezzi e salari.

Ci sono altri aspetti dell’esistenza degli stati nazionali che possono portare a perturbazioni asimmetriche, ne sono un
esempio i sistemi di contrattazione salariale o le differenze tra i sistemi nazionali di leggi e consuetudini. Queste
differenze possono comportare forti discordanze tra le condizioni economiche esistenti nei diversi paesi.
Le divergenze sono in parte dovute alle differenze esistenti tra le politiche e le istituzioni economiche nazionali.

La presenza degli stati-nazione ha creato una sorta di spiriti animali, ondate di ottimismo e pessimismo, tra loro
correlate ma di intensità differenti.
Questi andamenti divergenti possono dare luogo all’emergere di importanti differenze tra le capacità competitive dei
paesi membri di un’unione monetaria, ed è proprio quello che è accaduto nell’Eurozona.

Il costo unitario del lavoro


Definito come costo del lavoro corretto in modo da tenere conto della produttività del lavoro.
Questo può aumentare in due casi:
- Quando i salari aumentano
- Quando la produttività del lavoro si riduce
DAL 2000 paesi come Italia, Spagna, Portogallo e Irlanda hanno subito perdite importanti di competitività poiché qui
i salari sono cresciuti più velocemente della produttività del lavoro.
Questi paesi hanno dovuto avviare processi di riduzione dei propri livelli salariali. Prima di entrare in un’UM questi
paesi avrebbero semplicemente potuto svalutare la propria moneta, recuperando così la propria competitività.

Nonostante l’integrazione produca strutture in gradi di accrescere la convergenza, il persistere di politiche e istituzioni
tipiche dei singoli stati-nazione nelle UM può mettere in moto una dinamica che porta a forti divergenze.
Se a livello microeconomico l’integrazione può ridurre gli shock asimmetrici, l’assenza di ‘unione politica può
innescare una dinamica macroeconomica che porta ampi sviluppi asimmetrici.
Vi è l’esigenza di incorporare un’unione monetaria in un’unione politica più forte.

QUAL È L’EFFICACIA DELLE POLITICHE MONETARIE


NAZIONALI?
Il costo dell’abbandono della propria moneta nazionale è rappresentato dal fatto che un paese non può più avvalersi
delle politiche monetarie nazionali (in particolare del tasso di cambio) per apportare le correzioni rese necessarie dagli
andamenti differenziali della domanda, dei costi e /o dei prezzi.
Impiego di politiche monetarie per correggere shock da domanda asimmetrici permanenti
Riprendendo l’esempio visto in precedenza si consideri il caso francese in cui si era ipotizzato uno spostamento della
domanda dai prodotti francesi verso quelli tedeschi.
Per ovviare a questo problema la Francia può ricorrere a misure monetarie espansive che determinano il
deprezzamento della propria moneta o in alternativa, se il tasso di cambio è ancorato a quello tedesco può svalutare
la propria moneta.

Considerando la possibilità di svalutare la propria moneta è importante chiarire se il carattere dello shock è
permanente o temporaneo.
Shock permanente – no unione monetaria:
per tornare ai livelli produttivi precedenti, prezzi e costi devono diminuire rispetto a quelli tedeschi.
In seguito al deprezzamento la domanda si sposta nuovamente verso l’alto correggendo l’iniziale spostamento
sfavorevole e il nuovo equilibrio coinciderà con l’equilibrio iniziale (anche i prezzi tornano a tale livello).
È però improbabile che si riesca a mantenere questo nuovo equilibrio: il deprezzamento fa aumentare il prezzo in
franchi dei beni tedeschi importati → si verifica un aumento del costo di produzione e quindi una riduzione del salario
reale in Francia che crea una pressione al rialzo del livello dei salari nominali. → tutto questo spinge la curva di
offerta verso l’alto, si creerà un nuovo equilibrio e gli iniziali effetti favorevoli dovuti al deprezzamento svaniranno
col tempo (non si può dire se completamente o meno). Il prezzo dei beni infatti crescerà nuovamente.

Evidenze empiriche sottolineano come per gran parte dei paesi europei gli iniziali effetti favorevoli di un
deprezzamento tenono ad attenuarsi fortemente.
Variazioni nominali del tasso di cambio hanno effetti solo temporanei sui prezzi relativi.
Con il tempo un deprezzamento nominale provoca aumenti di costi e prezzi interni che tendono a ristabilire i prezzi
relativi iniziali. I deprezzamenti reali sono solo temporanei.

Questa conclusione non implica che i paesi non abbiano nulla da perdere dall’abbandono di questo strumento. Per
trarre questa conclusione è necessario confrontare il processo di aggiustamento in un’UM.

Shock permanente – unione monetaria:


per ristabilire il livello dei prezzi iniziale i salari nominali devono scendere (la curva di offerta si sposta verso il basso)
e una volta ristabilito il livello del prodotto iniziale, in Francia diminuiscono anche i salari reali ( il prezzo dei prodotti
tedeschi importati infatti non è aumentato).

Nel caso precedente il risultato se la Francia avesse mantenuto la propria moneta, per ristabilire il livello iniziale del
prodotto Y in maniera permanente, avrebbe dovuto contrastare la pressione al rialzo sui salari nominali.
Questo risultato è ottenibile solo se i lavoratori francesi sono disposti ad accettare la riduzione dei salari reali implicita
nell’assestamento.

Per ristabilire il livello iniziale di prodotto la condizione necessaria è in entrambi i regimi la stessa, i lavoratori
francesi devono accettare una riduzione dei salari reali.
I lavoratori affetti da illusione monetaria potrebbero contrastare la riduzione dei salari reali dovuta al calo dei salari
nominali più fortemente di quanto farebbero se la stessa riduzione fosse causato da un aumento nei prezzi.

Aggiustare lo squilibrio dovuto da shock di domanda sarà pertanto più difficile e costoso in un’UM.
Tale conclusione si rafforza considerando le implicazioni sul bilancio di questi due meccanismi di aggiustamento.
- In UM il paese deve ridurre salari e prezzi e il conseguente calo della produzione comporta un aumento del
deficit di bilancio e un’impennata dei livelli di debito pubblico rapportati al pil ( i paesi membri non hanno
controllo delle moneta in cui hanno emesso i propri strumenti di debito e questo li rende più vulnerabili ad
attacchi speculativi che possono generare una crisi di liquidità). Durante il periodo di aggiustamento
potrebbero risultare esposti a una crisi del debito sovrano e quindi a un ulteriore calo dell’attività economica.

- Un paese non appartenente a un’UM può svalutare la propria moneta in modo tale da evitare il processo
inflazionistico e il conseguente aumento del deficit di bilancio e del livello del debito pubblico rapportato al
pil.

Impiego di politiche monetarie nazionali per stabilizzare il ciclo economico in seguito a shock
Molti shock da domanda sono correlati alle dinamiche di espansione e contrazione del ciclo economico → sono
endogeni, temporanei e possono essere asimmetrici.

Si ipotizzi uno shock da ciclo economico asincroni, nella fattispecie una recessione in Francia e un espansione in
Germania e nel periodo successivo un’espansione in Francia e una recessione in Germania.
Se i paesi facessero parte di un’UM la banca centrale comune sarebbe paralizzata e fin quando gli shock sono
temporanei non è possibile fare leva sulla flessibilità salariale o sulla mobilità del lavoro.
In UM si tratta di un problema insolubile, la banca centrale non può stabilizzare il prodotto a livello dei singoli paesi,
ma solo a livello dell’unione.

Se i paesi mantenessero le rispettive monete , avrebbero a disposizione strumenti per stabilizzare il prodotto a livello
nazionale.
In Francia, colpita da recessione, la BC può stimolare la domanda aggregata riducendo il tasso di interesse e
lasciare che il franco si deprezzi. In Germania invece la BC può alzare il tasso di interesse e lasciare che il marco si
apprezzi per contenere gli effetti dell’espansione.
In UM questi paesi non hanno la possibilità di modificare il tasso di interesse e anzi non hanno alcun controllo sulla
moneta in cui emettono i propri titoli di debito.
I governi in UM potrebbero essere colpiti da improvvise crisi di liquidità che li forzano ad adottare politiche di
austerità (ridurre la spesa pubblica e aumentare le tasse nel pieno di una recessione).

In UM vi è uno scarso margine di manovra per politiche di stabilizzazione a livello nazionale.


I governi centrali perdono un ruolo essenziale, quello di stabilizzare i cicli economici e con esso probabilmente anche
la loro legittimità.
Produttività e inflazione in un’UM : effetto Balassa-Samuelson
Si è ipotizzato che in U; i tassi di inflazione saranno equalizzati, ma questo non è necessariamente vero.
Spesso si osservano differenze tra tassi di inflazione regionali in seno a UM esistenti, che possono essere
economicamente significative.

Balassa e Samuelson hanno fornito una possibile spiegazione basata sulla distinzione tra:
- Beni tradable (esposti alla concorrenza)
- Beni non tradable (non esposti alla concorrenza)
Di cui si ipotizza che il prezzo di questi (in gran parte servizi) sia costituito dal costo salariale

Considerando due paesi, Italia e Germania, le equazioni che definiscono l’inflazione sono:
𝑝𝐺̇ = 𝛼𝑝̇ 𝑇𝐺 + (1 − 𝛼)𝑤̇𝐺 e 𝑝𝐼̇ = 𝛼𝑝̇ 𝑇𝐼 + (1 − 𝛼)𝑤̇𝐼

Con 𝑝̇ = tasso di variazione dell’indice dei prezzi al consumo (medie ponderate dei tassi di incremento di beni
tradable e non tradable)
con 𝑤̇ = costo salariale ( =prezzo beni non tradable)
𝑝̇ 𝑇𝐺 𝑒 𝑝̇ 𝑇𝐼 = prezzo beni tradable

Se Italia e Germania sono in UM, la concorrenza fa sì che e variazioni dei beni tradable nei due paesi si eguagliano, di
conseguenza se 𝑝̇ 𝐺 = 𝑝̇ 𝐼 sottraendo le due equazioni di cui sopra si ottiene:
𝑝𝐺̇ − 𝑝𝐼̇ = (1 − 𝛼)(𝑤̇𝐺 − 𝑤̇𝐼 ) (3)

In un’economia monetaria che funziona correttamente, le differenze tra incrementi salariali devono riflettere le
differenze tra i tassi di crescita della produttività. Questo è indispensabile per far sì che i paese mantengano la propria
competitività
Tale condizione può essere scritta come segue: 𝑤̇𝐺 − 𝑞̇ 𝐺 = 𝑤̇𝐼 − 𝑞̇ 𝐼 (4)
Con 𝑞̇ 𝐺 , 𝑞̇ 𝐼 = tassi di crescita della produttività nel settore dei beni tradable
Questa esprime la condizione che nei due paesi i costi unitari del lavoro devono crescere allo stesso modo, infatti può
essere riscritta come:
𝑤̇𝐺 − 𝑤̇𝐼 = 𝑞̇ 𝐺 − 𝑞̇ 𝐼 (5)

Sostituendo la (5) nella (3) si ottiene:


𝑝𝐺̇ − 𝑝𝐼̇ = (1 − 𝛼)(𝑞̇ 𝐺 − 𝑞̇ 𝐼 ) (6)

Da questa si conclude che, qualora sussistano differenze di crescita della produttività tra paesi aderenti a un’unione
monetaria, differiranno anche i tassi di inflazione.
L’effetto dei differenziali di crescita della produttività sull’inflazione è noto come effetto Balassa – Samuelson

Questi differenziali di inflazione costituiscono l’esito di un meccanismo di equilibrio.


Se i salari devono crescere più velocemente in un paese rispetto all’altro, così che la posizione competitiva dei due nel
settore tradable possa rimanere invariata, è perché la produttività cresce in questo paese maggiormente che nell’altro.

Si può giungere a tale conclusione solo assumendo che gli aumenti salariali riflettano sempre quelli della produttività.
POLITICHE MONETARIE NAZIONALI, COERENZA TEMPORALE E
CREDIBILITÀ
L’idea che il governo attuando particolari politiche sia coinvolto in un gioco col settore privato ha dominato la teoria
macroeconomica. In particolare sottolinea che gli agenti economici seguono strategie di ottimizzazione in risposta alle
strategie delle autorità e che queste risposte del settore privato hanno una profonda influenza sull’efficacia delle
misure del governo.

La credibilità delle politiche annunciate dai governi ne condiziona l’impatto sull’economia.


Questa letteratura conduce una critica fondamentale del punto di vista per cui le politiche monetarie nazionali sono
strumenti che i governi hanno a disposizione e che possono utilizzare in modo discrezionale.

Il modello di Barro-Gordon: un interpretazione geometrica (economia chiusa)


si consideri di Philips aumentata per le aspettative:
𝑈 = 𝑈𝑁 + 𝛼(𝑝̇ 𝑒 − 𝑝̇ )
Con 𝑝̇ = tasso di inflazione osservato
Con 𝑝̇ 𝑒 = tasso di inflazione atteso
Con 𝑈 = tasso di disoccupazione
Con 𝑈𝑁 = tasso di disoccupazione naturale

Quando il tasso di inflazione osservato è maggiore del tasso atteso, la disoccupazione scende sotto il proprio livello
naturale.
Essendo l’analisi basata su aspettative razionali, in media si avrà : 𝑝̇ 𝑒 = 𝑝̇ e di conseguenza 𝑈 = 𝑈𝑁
Nel lungo periodo la curva di Philips può essere rappresentata come retta verticale (insieme di tutti i punti in cui 𝑝̇ 𝑒 =
𝑝̇ ). Tale retta definisce il tasso di disoccupazione naturale, chiamato anche Non-Accelerating-Inflation Rate of
Unemployment.

L’analisi prosegue introducendo le preferenza dell’autorità monetaria.


Si assume che esse attribuiscano importanza sia all’inflazione sia alla disoccupazione.
Tali preferenze si rappresentano sotto forma di curve di indifferenza, sono concave ed esprimono l’idea che al
diminuire del tasso di inflazione le autorità diventano meno inclini a lasciare aumentare la disoccupazione per ridurre
il tasso di inflazione.

Al diminuire del tasso di inflazione le autorità tendono a dare maggior peso alla disoccupazione.
Le curve più vicine all’origine rappresentano una minore perdita di benessere e sono preferite a quelle più distanti
dall’origine.
La pendenza esprime l’importanza relativa che le autorità attribuiscono alla lotta contro l’inflazione o la
disoccupazione.

In generale le autorità molto sensibili all’inflazione, wet-nosed governments, hanno curve di indifferenza molto
inclinate. Per ridurre il tasso di disoccupazione di un punto percentuale sono disposte ad accettare molta inflazione
addizionale.

Le autorità molto rigide rispetto all’inflazione, hard-nosed governments, hanno curve di indifferenza relativamente
piatte. Per ridurre il tasso di inflazione di un punto percentuale sono disposte a lasciare aumentare di molto il tasso di
disoccupazione.
Le autorità sensibili solo all’inflazione hanno invece curve di indifferenza orizzontali.
Unendo le preferenze delle autorità e le curve di Philips per determinare l’equilibrio del modello.
Per localizzare il punto di equilibrio si consideri che le autorità annuncino che seguiranno una regola di politica
monetaria in grado di mantenere: tasso di inflazione = 0
Si supponga che gli agenti economici credano a questo annuncio e che quindi: 𝑝̇ 𝑒 = 0

Se le autorità si attengono a questa regola ci si sposta nel punto


A.
Le autorità possono portare l’economia in un punto migliore:
barando e aumentando inaspettatamente il tasso di inflazione,
l’economia si sposterà nel punto B.
➔ Le autorità sono incentivate a disattendere la promessa per
mantenere il tasso di inflazione uguale a zero.

Nel periodo successivo se le autorità decidono di aumentare il


tasso di inflazione inaspettatamente, la curva di Philips trasla
verso l’alto.

Le autorità dovrebbero valutare il guadagno di breve periodo che


otterrebbero barando, confrontandolo con le perdite future
associate allo spostamento della curva di Philips.

Si ipotizzi che le autorità attribuiscano poca importanza alle


perdite future e che decidano di barare.
Lo spostamento dell’economia nel punto B provocherà uno spostamento della curva di Philips verso l’alto.
Viste le nuove aspettative per le autorità (curve di indifferenza) sarà conveniente spostarsi nel punto C.
La curva di Philips tuttavia traslerà nuovamente verso l’alto e questo processo continuerà fino a raggiungere il punto
E:
- Si trova sulla curva di Philips verticale (le aspettative degli agenti sono realizzate e non hanno incentivi a
modificare ulteriormente le proprie aspettative).
- Le autorità non hanno incentivi a sorprendere gli agenti con un aumento dell’inflazione. Un movimento verso
l’alto lungo la curva di Philips passante per E condurrebbe a una curva di indifferenza maggiore e quindi a
una perdita di benessere.

Il punto E è l’equilibrio che si raggiunge in un mondo di aspettative razionali in cui le autorità seguono una politica
discrezionale (fissano in ciascun periodo il tasso di inflazione ottimale date le aspettative prevalenti).

La regola di tenere l’inflazione uguale a zero non ha credibilità in un mondo di agenti razionali perché questi sanno che
le autorità hanno un incentivo a barare.
Questi aggiusteranno le proprie aspettative fino a raggiungere il punto E, punto in cui non vi è incentivo a barare per le
autorità.
➔ Modello statico
Per razionalizzare l’ipotesi di analisi statica va considerato che in molti paesi le istituzioni politiche favoriscono
il perseguimento di equilibri di breve periodo.
Nel modello si assume che il processo decisionale politico sia inefficiente e porti i politici a dare grande peso ai guadagni
di breve periodo ottenibili mediante politiche inflazionistiche.

Da questo è scaturita l’idea che le autorità che decidono in materia di politica monetaria (banche centrali) dovrebbero
essere indipendenti dai politici. In molti paesi infatti la banca centrale è stata resa politicamente indipendente.

Il livello dell’equilibrio discrezionale (di conseguenza anche il livello d’equilibrio dell’inflazione) dipende dalle
preferenze dell’autorità.
Confronto casi autorità wet-nose e hard-nose:
Si ipotizzi che le curve di Philips abbiano stesse pendenze.
Il paese con un governo accomodante
avrà un’inflazione di equilibrio
maggiore rispetto a un paese con
governo intransigente.

Per rendere credibile la regola di


inflazione zero le autorità non devono
mostrare interesse per la disoccupazione
(curve di indifferenza orizzontali).

In ogni periodo le autorità sceglieranno


la più bassa curva orizzontale di
indifferenza possibile e l’equilibrio
inflazionistico sarà nel punto A

Il modello di Barro-Gordon: economie aperte


Un govern0 sensibile tanto all’inflazione quanto alla disoccupazione non è in grado di annunciare credibilmente un
tasso di inflazione pari a zero ed è pertanto intrappolato in un equilibrio subottimale con un tasso di inflazione troppo
alto.

Si assuma l’esistenza di due paesi che non hanno ancora formato un’UM:
- Germania (G), con governo di tipo hard-nosed.
- Italia (I), con governo di tipo wet-nosed.

Si applica la condizione di parità del potere di acquisto, per la quale se l’inflazione in I supera quella in G allora la lira
italiana dovrà deprezzarsi rispetto al marco per compensare la differenza di inflazione. → 𝑒̇ = ̇ 𝑝𝐼 − 𝑝𝐺̇

I ha un tasso di equilibrio e di inflazione


maggiore rispetto a G pertanto la sua
moneta dovrà continuare a deprezzarsi.

Il problema di I è che potrebbe


raggiungere un livelli di equilibrio
dell’inflazione più basso se il governo
fosse in grado di convincere i cittadini
che una volta nel punto E non tenterebbe
di raggiungere il punto G.

La domanda che si pone è se l’Italia può


risolvere il proprio problema annunciando che costituirà un’UM con G

Si ipotizzi che I annunci che fisserà il proprio tasso di cambio con il marco tedesco, pertanto 𝑒̇ = 0 e per effetto della
parità del potere d’acquisto anche il potere d’acquisto di I sarà uguale a quello di G (retta orizzontale tratteggiata
passante per C).
L’Italia sembra beneficiare di un tasso di inflazione minore.
Ci sono potenziali guadagni in termini di benessere, infatti nel nuovo equilibrio ci si trova su una curva di indifferenza
più bassa.

Giunti nel punto di equilibrio F le autorità sono incentivate a barare svalutando la lira.
Questo comporterebbe un aumento inatteso dell’inflazione e permetterebbe all’economia di spostarsi in G.
Gli agenti aggiusteranno le proprie aspettative e il tasso di inflazione di equilibrio finirà per essere pari a quello
precedente la fissazione del tasso di cambio.
Fissare il tasso di cambio non risolve il problema.
Questa regola non è più credibile della regola del tasso di inflazione fisso.

Esistono altre manovre potenzialmente in grado di risolvere il problema italiano di elevata inflazione:

L’Italia abolisce la propria moneta e adotta quella tedesca:


Se si convincessero i cittadini italiani che una volta adottato il marco, le autorità non ripudieranno tale decisione, I
sarebbe in grado di raggiungere la stessa inflazione di equilibrio della Germania (linea tratteggiata).
F è il nuovo punto di equilibrio.
I non ha più una politica monetaria indipendente e pertanto non può svalutare la lira.
Questo evidenzia come I trae un importante guadagno dalla costituzione di un UM e come per G non vi sia alcuna
perdita di benessere → un’UM può produrre soltanto dei vantaggi.

Credibilità e costo dell’UM:


Prima dell’Eurozona, diversi paesi ad alta inflazione hanno visto nell’adesione a questa un modo per avere la stabilità
macroeconomica senza pagarne i costi.
Tuttavia:
➔ Solo un’unione monetaria completa assicura la credibilità richiesta (ie. Per l’Italia).
Si deve essere disposti a eliminare la propria moneta nazionale, qualsiasi accordo diverso dall’UM completa si
troverà davanti un problema di credibilità.

➔ Si supponga che la BC sia un’istituzione nuova in cui le autorità dei diversi paesi sono ugualmente
rappresentate.
Nel caso in esempio non è chiaro se la nuova BC avrà la stessa reputazione della vecchia BC tedesca.
Se si percepisce che la BC sarà meno hard-nosed il nuovo tasso di inflazione sarà più alto rispetto a quello
vigente in G prima dell’UM. Se I può ancora ottenere dei benefici, G ci rimetterebbe soltanto.
Il modello di Barro-Gordon esteso alle economie aperte permette di spiegare perché alcuni paesi decidano di
dollarizzare le proprie economie.

La dollarizzazione è un regime monetario in base al quale un paese decide unilateralmente di utilizzare il dollaro per i
pagamenti interni. (i.e. Ecuador, Panama).
Rappresenta uno strumento con cui risolvere il problema della credibilità abolendo la moneta nazionale sostituendola
con il dollaro, la cui credibilità poggia sulla Federal Reserve.

I problemi di credibilità sono importanti per la valutazione dei costi di un’UM:


➔ Per le autorità nazionali lasciare che vi sia un deprezzamento è un arma doppio taglio, infatti sapere che potrà
essere usata in futuro complica le politiche macroeconomiche.
➔ Un deprezzamento non può correggere qualsiasi perturbazione che si verifica nell’economia.
Non si tratta di uno strumento flessibile che può essere usato frequentemente, ma uno strumento che una volta
utilizzato provoca forti aspettative pregiudicando la possibilità di impieghi ulteriori.

Il tasso di cambio è uno strumento rischioso, alcuni economisti affermano che non dovrebbe essere utilizzato e che i
paesi trarrebbero vantaggi abbandonandolo irrevocabilmente.
Si tratta tuttavia di una conclusione eccessiva, in molti casi infatti le svalutazioni hanno avuto successo grazie alle
drastiche trasformazioni politiche che hanno permesso di tenere sotto controllo gli effetti negativi per la reputazione.

Abbandonando la propria moneta nazionale i titoli del debito pubblico sono emessi in una moneta su cui il governo
non ha controllo e questo li rende più vulnerabili alle crisi debitorie.

Esiste un trade-off:
I paesi ad alta inflazione possono migliorare la propria reputazione entrando in un’UM.
Se non hanno un’ottima reputazione in fatto di bilancio pubblico, l’adesione a un’UM rende tali paesi più vulnerabili a
crisi del debito sovrano.
MUNDELL
Si era mostrato più ottimista circa i benefici di un’UM basandosi su due argomenti:

1. Rispetto a un sistema di monete nazionali con tassi di cambio incerti, un’UM è un modo più efficiente di
organizzare un sistema di assicurazione contro gli shock esogeni asimmetrici.
Formando un’UM si generano automaticamente flussi di capitale che attutiscono il colpo dello shock per i
residenti del paese colpito.

2. In un mondo incerto è probabile che movimenti del tasso di cambio siano essi stessi una fonte di shock
asimmetrici (non costituiscono un meccanismo che facilita l’aggiustamento).
I tassi di cambio sono spinti da fattori psicologici che ne accrescono la volatilità.

Sulla base di queste considerazioni nella nuova visione di Mundell le UM vengono inquadrate tra i meccanismi in
grado di attenuare gli shock asimmetrici e di rafforzare la funzione di assicurazione contro di essi.

Se vi è del vero in quest’analisi, è opportuno sottolineare che:

- Le conclusioni in merito alla funzione di assicurazione valgono solo se gli shock sono temporanei ed in ogni
caso l’aggiustamento deve avvenire tramite le variazioni di prezzi e salari.

- Anche in caso di shock temporanei, quando i mercati finanziari iniziano a ostentare sfiducia nei confronti di
uno o più paesi membri di un’UM perdono le proprie proprietà stabilizzatrici.
Il paese che sperimenta uno shock negativo non può contare sui flussi finanziari provenienti da altri paesi.

- Nonostante la volatilità del tasso di cambio può risultare una fonte indipendente di shock asimmetrici, è pur
vero che ampi shock sono più facilmente affrontabili consentendo l’aggiustamento dei tassi di cambio.

COSTO UN’UM E FRADO DI APERTURA COMMERCIALE DEI PAESI


PARTECIPANTI
Riguardo la relazione tra grado di apertura e verificarsi di shock sono state presentate la tesi della commissione europa
(aumento integrazione = maggiore simmetria degli shock) e quella di Krugman (correlazione negativa tra
integrazione e simmetria).

Sulla base della tesi della commissione si può concludere che il costo di un’UM diminuisce al crescere del grado di
apertura economica perché diminuisce la probabilità di shock asimmetrici.
Il contrario si conclude sulla base della tesi di Krugman, per il quale il costo di un’UM aumenta al crescere del grado
di apertura economica.

tasso di cambio:
La svalutazione ha effetti maggiori in un’economia più aperta per quanto riguarda gli effetti della domanda.
i.e. dati due paesi, il primo esporta il 99% del proprio PIL, il secondo solo l’1%. Una svalutazione del 10% farà
aumentare la domanda aggregata maggiormente nel primo paese.
In caso di deprezzamento dell’offerta, nei paesi con economia più aperta vi è uno spostamento maggiore della curva
d’offerta in quanto questa importa di più e ciò permette una crescita maggiore dell’indice dei prezzi al consumo.

Il deprezzamento si ripercuote maggiormente sul livello aggregato dei prezzi dell’economia più aperta.
Probabilmente il ricorso sistematico alla politica monetaria per stabilizzare il prodotto e l’occupazione determina
nell’economia più aperta una variabilità dei prezzi maggiore rispetto a quella più chiusa.
Variazioni del tasso di cambio hanno effetti più accentuati sui prezzi interni dell’economia più aperta.

A parità di effetto sul prodotto, probabilmente il deprezzamento è più costoso nell’economia aperta a causa della
maggiore variabilità dei prezzi che ne è indotta.
La perdita della capacità di utilizzare le politiche monetarie nazionali tenderà ad essere meno costosa per l’economia
aperta.

Il costo di un’’UM diminuisce con il grado di apertura di un’economia.


Conclusioni
La teoria AVO guarda con pessimismo alla possibilità che un paese possa entrare a far parte di un’UM senza sostenere
costi elevati.
Tuttavia, si è visto come i costi della formazione di un’UM sembrano essere meno proibitivi sulla base di:

➔ Capacità della variazioni dei tassi di cambio di assorbire gli shock asimmetrici è inferiore a quanto ipotizzato
dalla teoria AVO.
Le variazioni del tasso di cambio non hanno effetti permanenti su prodotto e occupazione.

➔ I paesi che mantengono indipendenza scoprono che le fluttuazioni del cambio diventano una fonte di
perturbazioni macroeconomiche. La volatilità dei tassi può essere una causa importante di shock asimmetrici
per i paesi che conservano la propria moneta nazionale.

Nonostante le critiche il nucleo centrale della teoria Avo rimane valido, infatti:

- Alcune differenze tra paesi non scompaiono dopo la formazioni dell’UM. Tante sono di natura politica e
istituzionale.
- Gli stati-nazione mantengono le proprie peculiarità nazionali.
- I mercati del lavoro sono caratterizzati da particolari connotazioni istituzionali.
- I sistemi giuridici creano difformità nel funzionamento dei mercati
- I governi degli stati membri hanno sistemi fiscali differenti e seguono diverse politiche di spesa.
- L’UEM cancella solo alcune differenze, le restanti provocano dinamiche divergenti dei prezzi e del prodotto
nei singoli paesi che non hanno la possibilità di ricorrere a politiche monetarie e dei tassi di cambio che
facilitino i processi di aggiustamento → anche questo è un costo dell’UM.
SOMMARIO
QUANTO SONO RILEVANTI LE DIFFERENZE TRA PAESI .................................................................................... 1
Shock sulla domanda concentrato in un solo paese ...................................................................................................... 1
Differenze istituzionali fra i mercati del lavoro ............................................................................................................ 2
Sistemi giuridici e mercati finanziari differenti ............................................................................................................ 3
Alti e bassi del ciclo e stati nazionali ............................................................................................................................ 3

QUAL È L’EFFICACIA DELLE POLITICHE MONETARIE NAZIONALI? ............................................................. 4


Impiego di politiche monetarie per correggere shock da domanda asimmetrici permanenti ........................................ 4
Impiego di politiche monetarie nazionali per stabilizzare il ciclo economico in seguito a shock ................................ 5
Produttività e inflazione in un’UM : effetto Balassa-Samuelson.................................................................................. 6

POLITICHE MONETARIE NAZIONALI, COERENZA TEMPORALE E CREDIBILITÀ ......................................... 7


Il modello di Barro-Gordon: un interpretazione geometrica (economia chiusa) .......................................................... 7
Il modello di Barro-Gordon: economie aperte .............................................................................................................. 9
Credibilità e costo dell’UM: ....................................................................................................................................... 10

MUNDELL ..................................................................................................................................................................... 11

COSTO UN’UM E FRADO DI APERTURA COMMERCIALE DEI PAESI PARTECIPANTI ................................ 11

Conclusioni ..................................................................................................................................................................... 12
1

CAPITOLO 3: BENEFICI DI UNA MONETA COMUNE


I vantaggi di una moneta comune sono principalmente di tipo microeconomico.
L’eliminazione della moneta nazionale e l’introduzione di una moneta comune possono procurare guadagni di
efficienza che hanno duplice origine:
➔ Eliminazione dei costi di transazione associati al cambio tra monete nazionali
➔ Eliminazione del rischio derivante dall’incertezza sui movimenti futuri del tasso di cambio.

GUADAGNI DIRETTI DERIVANTI DALL’ELIMINAZIONE DEI COSTI DI


TRANSAZIONE
L’eliminazione delle commissioni applicate al cambio, in seguito all’adozione di una moneta comune, è il guadagno
più evidente e facilmente quantificabile.
I guadagni derivanti dall’eliminazione dei costi di transazione sono stati stimati dalla Commissione europea in un cifra
compresa tra 13-20mld/anno. Questi hanno una contropartita altrove, in particolare nel settore bancario dove questa
fonte di ricavo scompare.
Tuttavia il guadagno del pubblico non è controbilanciato dalla perdita delle banche, questi costi sono una perdita secca
(sono assimilabili a una “tassa” pagata dal consumatore che non riceve nulla in cambio).
Le banche andranno in contro a un problema di transizione, dovranno cercare altre fonti di profitto e quando questo
avverrà la società avrà un incremento di benessere.

I benefici di una moneta comune non derivano solo dall’uso delle banconote, derivano anche dal fatto hce il sistema
dei pagamenti è integrato (risultato ad oggi raggiunto).

Sistema europeo dei pagamenti TARGET


Perché l’UEM funzioni efficientemente il sistema dei pagamenti deve essere integrato, questo significa che i
pagamenti tra paesi devo essere regolati con la stessa agevolezza con cui si regolano quelli interni a un paese.
Sono fondamentali quindi i trasferimenti fra le banche che sono centralizzati presso la banca centrale.
Prima dell’avvio dell’Eurozona ogni paese aveva il proprio sistema di pagamento centralizzato, in seguito nacque
l’esigenza di integrare tali sistemi.
Questa è stata resa possibile dal sistema TARGET (Trans-european Automated Real-time Gross settlement Express
Transfer), che si caratterizza per:

➔ Essere un sistema in tempo reale


Tutti i pagamenti tra banche giungono a destinazione istantaneamente.
➔ Essere un sistema di regolamento lordo.
Per il sistema passa l’ammontare lordo di ciascun pagamento, quindi le banche che inviano un pagamento
devono offrire anche la relativa garanzia.
➔ Essere più costoso rispetto agli altri (sistema lordo).
Per questo sono nati sistemi privati basati sul regolamento netto, in cui una banca può accumulare
giornalmente posizioni creditorie/debitorie senza offrire le corrispondenti garanzie.

Con la crisi del debito sovrano ci sono stati grandi squilibri nel sistema, in particolare i paesi che avevano accumulato
disavanzi di parte corrente si trovarono di fronte a grandi deflussi di liquidità.
In particolare i paesi meridionali dell’Eurozona accumularono passività a fronte di crediti dei paesi settentrionali.
L’inversione dei flussi di liquidità ha permesso, dal 2012, un’attenuazione di questi squilibri.

GUADAGNI INDIRETTI DERIVANTI DALL’ELIMINAZIONE DEI COSTI DI


TRANSAZIONE
L’introduzione dell’euro dovrebbe essere accompagnata da maggiore trasparenza nei prezzi, il che favorisce la
concorrenza e avvantaggia tutti i consumatori.
La questione è comprendere se tale effetto è abbastanza forte da portare a risultati tangibili nella formazione dei
prezzi.
2

Evidenze confermano che la discriminazione dei prezzi è ancora ampiamente praticata in Europa. I differenziali di
prezzo tra paesi risultano sistematicamente molto più grandi che all’interno dei paesi stessi.

Le frontiere sono fattori di segmentazione del mercato e di ampie differenziazioni di prezzo.


In Europa e Nord America l’esistenza di quest’ultime genera ostacoli al commercio nonostante l’eliminazione di dazi
all’importazione e altre barriere commerciali esplicite.

Convergenza dei prezzi nel tempo:


è utile studiarla per verificare l’esistenza di tendenze nel tempo.
La convergenza di prezzo ha avuto luogo prima del 1999 e si è arrestata dopo l’introduzione dell’euro.
Anche gli studi più recenti confermano l’assenza di convergenza dei prezzi nell’Eurozona.
L’introduzione dell’euro pare non riuscire a dare un impulso significativo alla convergenza dei prezzi poiché molti dei
prodotti del campione sono venduti nei supermercati e i differenziali di prezzo di tali prodotti sono la risultante di costi
di transazione. La vendita al dettaglio è molto segmentata, pochi gruppi dominano il mercato e svolgono campagne e
fissano prezzi per l’intero mercato nazionale.

Fanno eccezione i prodotti elettronici, i cui differenziali dipendono meno dai costi di transazione. Si tratta di prodotti
altamente differenziati i cui prezzi sono di difficile confronto.

Se l’euro contribuirà al processo di convergenza dei prezzi lo farà non perché permette ai consumatori un confronto
dei prezzi, ma perché stimola l’integrazione finanziaria.
L’introduzione dell’euro può essere cruciale per un’ulteriore integrazione in diverse aree, tra cui quella politica,
legislativa e normativa.

GUADAGNI DI BENESSERE DERIVANTI DALLA RIDUZIONE


DELL’INCERTEZZA
L’incertezza sulle variazioni del tasso di cambio futuro porta incertezza sui ricavi futuri delle imprese.
Gli individui preferiscono un rendimento futuro meno incerto rispetto a uno più incerto (sono disposti ad accettare un
rendimento più rischioso solo se viene promesso loro un rendimento maggiore di quello meno rischioso).
Eliminare il tasso di cambio attenua una causa di incertezza e pertanto dovrebbe aumentare il benessere, tuttavia vi è
un aspetto della teoria dell’impresa che può invalidare tale conclusione.

Si consideri un impresa che massimizza il profitto, che è price-taker nel mercato del prodotto e che esporta tutto il suo
prodotto.
Il prezzo che l’impresa percepisce è dato da: prezzo prevalente nel mercato d’esportazione * tasso di cambio

Si supponga che ci siano due regimi:


➔ Tasso di cambio fisso (il prezzo ottenuto è costante e perfettamente prevedibile).
➔ Tasso di cambio variabile (il tasso fluttua casualmente e provoca variazioni casuali del prezzo).

Si supponga che il prezzo fluttui simmetricamente tra p2 e p3 :


nel primo regime il profitto è dato da:
area grigia – area FGP1

Nel secondo regime il profitto fluttua a seconda che


prevalga p2 oppure p3

In condizioni di incertezza il profitto sarà mediamente


maggiore che in condizioni di certezza.
Se il prezzo è basso il profitto è minore rispetta al caso
della certezza di un’area pari a p1BCp2.
Se il prezzo è alto il profitto è maggiore rispetta al
caso della certezza di un’area pari a p3EBp1.

Quando il prezzo è alto l’impresa aumenta la quantità prodotta in modo da beneficiare del maggior ricavo per unità di
prodotto (profitto maggiore per ogni unità prodotta + profitto per l’espansione della propria produzione) → area
grigia triangolo in alto. Il contrario avverrà invece quando il prezzo è basso (riduce la produzione per contenere la
riduzione del profitto).
3

L’effetto positivo dell’incertezza dei prezzi sui profitti medi dovrebbe essere confrontato con la maggiore incertezza di
quei profitti. Da un lato un profitto medio più elevato accresce l’utilità, dall’altro la maggiore incertezza sui profitti in
questione la riduce.
Non è chiaro dunque se il benessere diminuisce quando l’incertezza sul tasso di cambio aumenta.

Le variazioni del tasso di cambio sono un rischio, ma anche un’opportunità di realizzare profitti (quando il tasso è più
variabile aumenta la probabilità di conseguire profitti elevati). In questo senso esportare il prodotto è come
un’opzione.
Dalla teoria delle opzioni il loro valore aumenta con la variabilità dell’attività sottostante, pertanto l’impresa che ha la
facoltà di optare per l’esportazione è avvantaggiata dall’aumento della variabilità del tasso di cambio.
Si possono introdurre in tale teoria diverse complicazioni, tra cui: ipotesi di concorrenza imperfetta, ipotesi di
sostenere costi di aggiustamento al variare della quantità prodotta, …

Un aspetto dell’incertezza può minare l’analisi effettuata : le variazioni dei tassi non sono distribuite normalmente, i
movimenti passano da periodi di calma a periodi di turbolenza durante i quali le variazioni possono essere ampie al
punto di generare bolle seguite da crolli.

Gli ampi movimenti del tasso di cambio generano rischi estremi, in particolare il calo del tasso può essere ampio al
punto di portare il prezzo di gran lunga al di sotto della curva del costo marginale, costringendo l’impresa a chiudere.

Ampi movimenti del tasso = ampi costi di aggiustamento = povertà economica

Gli ampi movimenti dei tassi tra le monete di paesi fortemente integrati sono stati uno dei fattori principali che hanno
portato molti leader a costituire un’unione monetaria, sulla base di due motivi:
➔ Era evidente la difficoltà di gestire i tassi in modo ordinato nel mondo della libertà dei capitali.
➔ Si vedevano i movimenti dei tassi come cause fondamentali di perturbazioni asimmetriche.

INCERTEZZA DEL TASSO DI CAMBIO/CRESCITA ECONOMICA


L’argomento per cui l’eliminazione del rischio di cambio condurrebbe a maggiore crescita economica si può
formulare con il modello di crescita neoclassico:
asse x : stock di capitale per lavoratore
asse y : prodotto per lavoratore
curva f(k) : funzione di produzione

l’equilibrio è nel punto A, in cui:


produttività marginale del capitale = tasso interesse usato dai
consumatori per scontare il futuro.
La retta rr è tangente alla funzione di produzione.

La crescita si verifica solo se la popolazione aumenta o se c’è un tasso


esogeno di cambiamento tecnologico.

Si utilizzi il modello come punto di partenza per valutare gli effetti che un’UM ha sulla crescita.
Si ipotizzi che l’eliminazione del rischio di cambio riduca il rischio sistemico → si riduce il tasso di interesse reale.
In un contesto meno rischioso gli investitori esigono un premio di rischio minore per uno stesso investimento e nello
scontare il futuro gli agenti sono disposti ad utilizzare un tasso di sconto più basso.

La riduzione del tasso di sconto rende più piatta la rr portandola in r’r’.


l’equilibrio è ora nel punto B
Lo spostamento da A a B porta un’accumulazione di capitale e un aumento
del tasso di crescita, in tal modo nel nuovo equilibrio aumenteranno sia il
prodotto per lavoratore sia lo stock di capitale a disposizione.

Il tasso di crescita del prodotto torna però al suo livello iniziale, di


conseguenza la diminuzione del tasso di interesse dovuta alla formazione
dell’UM fa aumentare temporaneamente il tasso di crescita del prodotto.
Aumenterà nel nuovo equilibrio il livello del prodotto per lavoratore.
4

Questo modelli si estende ulteriormente introducendo le economie di scala dinamiche.


Si supponga che la produttività del lavoro aumenti con l’aumento dello stock di capitale.
Il sentiero della crescita diventa endogeno ed è sensibile alle condizioni iniziali: un’economia che parte con uno stock
di capitale per lavoratore maggiore si può muovere su un sentiero di crescita permanente più alto.

Un abbassamento del tasso di interesse allo stesso modo può collocare


l’economia su un sentiero di crescita permanentemente più alto.

Il minor tasso di interesse, contrariamente al caso statico, fa aumentare la


produttività dello stock di capitale per lavoratore: la curva f(k) trasla in alto
in f ’(k).

L’economia si trova ora su un sentiero di crescita maggiore.

È diffusa l’impressione che vi sono pochi elementi per affermare che l’euro abbia stimolato la crescita come promesso
dall’analisi teorica sopra esaminata, probabilmente a causa del fatto che la riduzione dell’incertezza relativa al tasso di
cambio non sembra aver determinato un calo significativo del tasso di interesse reale.

La relazione esistente tra incertezza sul tasso di cambio, tasso di interesse reale e crescita è debole e ciò si spiega
anche considerando che la riduzione dell’incertezza sul tasso di cambio non riduce necessariamente il rischio
sistemico.

Una minore certezza sul tasso di cambio può essere compensata da maggiore incertezza su altri elementi.
Le imprese che operano in una zona monetaria più ampia potrebbero non operare in un contesto complessivamente
meno rischioso.

Tassi di cambio fissi e rischio sistemico


Poole ha mostrato che fissare i tassi di interesse/ lo stock di moneta non riduce necessariamente la volatilità del
prodotto.
Tale argomento può essere esteso alla scelta tra: aderire a un UM o restare fuori da un UM

Si considerino shock casuali che si verificano nel mercato interno dei beni
e che sono rappresentati da spostamenti della curva IS.
La curva IS si muove dunque in modo imprevedibile tra ISU e ISL

Se il paese fa parte dell’UM:


Non c’è un tasso di cambio di cui preoccuparsi.
Si ipotizza che la banca centrale dell’unione lasci invariato il tasso di
interesse (ipotesi forte considerando che la banca centrale sarà
verosimilmente influenzata dalle dinamiche economiche del paese in
esame).
Essendo il tasso di interesse invariato, il prodotto oscillerà tra yL e yS.
Lo spostamento della curva IS provoca lo spostamento della curva LM che ora intersecherà la curva IS nel punto F.
N.B. per ipotesi il paese è di piccole dimensioni, altrimenti l’espansione economica interna eserciterebbe una
pressione al rialzo sul tasso di interesse dell’unione.

Se il paese è esterno all’UM:


La curva LM rimarrebbe fissa.
Gli shock della curva IS non avrebbero effetto sul livello del prodotto.
Essendo il tasso di cambio flessibile, non possono esserci aumenti nello stock di moneta derivanti da afflussi netti di
capitale.
L’aumento del tasso di interesse comporta un apprezzamento della moneta che rispinge verso sinistra la curva IS fino
a quando non tornerà al livello iniziale.
5

Conclusioni:
Fare parte di un’UM porta a maggiore variabilità nel mercato dei prodotti rispetto al caso in cui se ne resti fuori.
Aderire all’UM non comporta necessariamente la riduzione del rischio sistemico, infatti si viene a creare maggiore
incertezza in altre parti del sistema.
Si è raggiunta la stessa conclusione ottenuta dalla teoria AVO, e questo dipende dalla natura degli shock casuali
provenienti dal mercato dei beni.
Si ipotizzi ora che gli shock avvengano nel mercato della moneta e che quindi si verifichino perturbazioni nella
domanda di moneta.
Questi shock sono rappresentati da spostamenti della curva LM.

La curva LM si muove dunque in modo imprevedibile tra LML e LMU

Se il paese fa parte dell’UM:


Come in precedenza il tasso di interesse è fisso.
È immediato che il prodotto non varierà:
se la domanda di moneta interna è diminuita LM si sposterà verso
destra, il che tenderebbe a ridurre il tasso di interesse, ma questa
riduzione sarebbe prevenuta da un deflusso immediato e pertanto LM
deve tornare al punto di partenza.
Il mercato interno dei beni è isolato dalle perturbazioni che si verificano
nel mercato interno.

Se il paese è esterno all’UM:


Il prodotto fluttuerebbe tra yL e yU.
Se la curva LM si sposta verso destra il calo del tasso di interesse provoca un deprezzamento della moneta a fronte di
un offerta di moneta interna invariata.
Diminuzione del tasso di interesse e deprezzamento stimolano la domanda aggregata: la curva IS trasla verso l’alto
intersecando la curva LM nel punto G.
Il mercato interno dei beni non è isolato dalle perturbazioni del mercato monetario.

UNIONE MONETARIA E COMMERCIO INTERNAZIONALE


L’UM produce effetti sul commercio.
Vi sono due meccanismi tramite i quali un’UM potrebbe accrescere gli scambi fra i paesi membri:
➔ Costi di transazione, un’UM riduce tali costi e pertanto stimola gli scambi internazionali.
➔ Incertezza dei tassi di cambio.

La prima generazione di studi giungeva alla conclusione che eliminare la variabilità del cambio in un contesto di UM
non avrebbe avuto un impatti significativo sui flussi commerciali.
La seconda generazione di studi giunse a conclusioni molto diverse:
Rose ha scoperto che i flussi commerciali fra coppie di paesi appartenenti a un’UM sono mediamente del 200%
maggiori di quelli tra coppie di paesi che non ne fanno parte.
Tuttavia tali effetti sono sovrastimati e in assenza di una buona teoria che spieghi come un’UM stimola il commercio,
le stime aggregate della correlazione tra UM e commercio sono inaffidabili.

Studi recenti hanno cercato di individuare evidenze settoriali e microeconomiche.


Se l’euro ha stimolato il commercio è perché la sua comparsa ha ridotto i costi fissi e variabili delle imprese
esportatrici (imprese che prima servivano solo mercati interni hanno potuto iniziare a esportare in altri paesi
dell’Eurozona → soprattutto le piccole imprese hanno beneficiato di tale effetto). Anche le imprese che già
esportavano hanno aumentato la gamma di prodotti che vendono all’estero.

Vi è un riscontro empirico dunque dell’ipotesi di un effetto positivo delle unioni monetarie sugli scambi commerciali.
6

BENEFICI DI UNA MONETA INTERNAZIONALE


Probabilmente la nuova moneta creata dall’unione assume nelle relazioni del sistema monetario internazionale un peso
superiore a quello della semplice somma delle singole monete preesistenti. Verosimilmente la nuova moneta sarà
utilizzata più frequentemente anche al di fuori dell’unione.
I vantaggi di avere una moneta utilizzata come unità di conto e come mezzo di scambio nel resto del mondo sono
significativi.
Si possono distinguere tre fonti di benenfici:
1. Se la moneta è utilizzata a livello internazionale, il paese emittente ottiene entrate addizionali.
Se anche l’euro fosse promosso al rango di valuta mondiale, i cittadini dell’Eurozona godrebbero di beneficio,
la cui entità non deve essere esagerata.

2. Una valuta internazionale è detenuta anche come riserva dalle banchi centrali estere.
Le riserve sono detenute sotto forma di titoli del Tesoro, questi fondi detenuti all’estero sono fonte di facili
finanziamenti dei deficit di bilancio del paese emittente.
I detentori esteri in questo caso sopportano il rischio di cambio.
Ad oggi l’euro è detenuto in misura crescente come valuta di riserva da banche centrali estere.

3. Quando una moneta diventa un mezzo di pagamento e riserva internazionale, ne consegue uno stimolo per
l’attività dei mercati finanziari interni. Beneficio maggiore, ma più difficile da quantificare.
I residenti esteri vogliono investire in attività/ emettere titoli di debito denominati in quella moneta, di
conseguenza le banche interne attraggono un maggior volume di affari che crea know-how e posti di lavori.
Alcuni paesi, i.e. Regno Unito, sono riusciti ad attrarre attività finanziarie dal resto del mondo pur non avendo una
moneta nazionale che fosse una versa moneta internazionale.
Quindi avere una valuta internazionale non è una condizione necessaria per offrire servizi finanziari per cui il resto del
mondo sia disposto a pagare e non è nemmeno una condizione sufficiente. (i.e. La City di Londra).

BENEFICI DI UN’UM E GRADO DI APERTURA COMMERCIALE


Si può desumere una relazione anche tra benefici di un’UM e grado di apertura di un paese.
Probabilmente i guadagni di benessere aumentino in relazione al grado di apertura di un’economia.
i.e. l’eliminazione dei costi di transazione sarà più rilevante in paesi dove imprese e consumatori acquistano e
vendono una grande proporzione di beni e servizi in paesi esterni. Questi sono tuttavia più soggetti a errori di
previsione poiché operano in mercati esteri con diverse monete.

Nelle economie piccole e aperte eliminare i rischi porterà un guadagno di benessere pro capite maggiore che in quelle
grandi e relativamente chiuse.
Al crescere dell’apertura verso gli altri partner dell’unione, aumentano i guadagni per unità di prodotto derivanti
dall’adesione a un’UM.

Conclusioni
Una moneta comune offre importanti vantaggi:
➔ Riduce i costi di transazione (produce vantaggi diretti, ma anche indiretti)
➔ Migliora l’efficienza allocativa del meccanismo dei prezzi attraverso la riduzione dell’incertezza dei prezzi.
➔ L’aumento di benessere dovuto all’eliminazione dei tassi di cambio consiste principalmente nell’eliminazione
dei movimenti estremi di tali tassi.
L’esistenza di una moneta comune può tuttavia creare nuovi rischi se i paesi trovano difficile effettuare
aggiustamenti resi necessari da perturbazioni. Si possono creare rischi specifici per i governi nazionali, in
particolare il calo del rischio di cambio non riduce necessariamente il rischio sistemico nell’UEM.
➔ La maggior trasparenza nei prezzi accresce in certa misura la competitività a beneficio dei consumatori.
La fonte dei benefici tuttavia, non è dovuta tanto dalla maggior trasparenza, quanto del fatto che l’esistenza
dell’euro può stimolare l’integrazione in altri settori.
➔ Se la nuova moneta diventa una vera moneta globale, si potranno ottenere ulteriori benefici sotto forma di
entrate pubbliche e di un’espansione del settore finanziario dell’UE.
7

Sommario

GUADAGNI DIRETTI DERIVANTI DALL’ELIMINAZIONE DEI COSTI DI TRANSAZIONE .............................. 1


GUADAGNI INDIRETTI DERIVANTI DALL’ELIMINAZIONE DEI COSTI DI TRANSAZIONE .......................... 1
GUADAGNI DI BENESSERE DERIVANTI DALLA RIDUZIONE DELL’INCERTEZZA ....................................... 2
INCERTEZZA DEL TASSO DI CAMBIO/CRESCITA ECONOMICA ........................................................................ 3
UNIONE MONETARIA E COMMERCIO INTERNAZIONALE.................................................................................. 5
BENEFICI DI UNA MONETA INTERNAZIONALE .................................................................................................... 6
BENEFICI DI UN’UM E GRADO DI APERTURA COMMERCIALE......................................................................... 6
Conclusioni ....................................................................................................................................................................... 6
1

CAPITOLO 4: COSTI E BENEFICI A CONFRONTO


È opportuno combinare le curve che mettono in relazione costi e benefici con il grado di apertura di un paese.

il punto di intersezione della retta dei benefici con quella dei


costi determina il livello critico di apertura che rende
conveniente l’adesione a un’UM.
Sinistra: è conveniente mantenere la propria moneta nazionale
Destra: è conveniente rinunciare alla propria moneta

Forma e posizione della curva dei costi dipendono dal modo in


cui si giudica l’efficacia delle politiche monetarie nazionali nel
correggere gli effetti di andamenti differenziati di domanda e
costi tra i paesi considerati.

Ci sono due posizioni estreme:

1) Impostazione Monetarista
Le variazioni del tasso di cambio sono inefficaci come strumento per
correggere gli shock asimmetrici.
Anche se efficaci tali politiche ridurrebbero sistematicamente il benessere
dei paesi.

La curva dei costi è molto vicina all’origine.


Il punto critico allo stesso modo è vicino all’origine, di conseguenza molti
paesi guadagnerebbero abbandonando la propria moneta e partecipando a
un’UM.

2)Impostazione Keynesiana
Dato che il mondo abbonda di rigidità, le politiche monetarie e del tasso di
cambio sono potenti strumenti di assorbimento degli shock asimmetrici.

La curva dei costi è lontana dall’origine.


Il punto critico allo stesso modo è lontano dall’origine, di conseguenza
sono pochi i paesi che avrebbero interesse a partecipare a un’UM.

Dai primi anni ’80 l’impostazione monetarista ha riscosso molti consensi e questo spiega perché l’UEM è diventata
una realtà negli anni ’90.
La crisi del debito sovrano unitamente alle difficoltà sperimentate da allora in diversi paesi dell’Eurozona hanno
tuttavia ridotto la popolarità del monetarismo.

L’UEM è o non è un’area valutaria ottimale (AVO):


la caratteristica più evidente è la differenza nel grado di apertura fra i vari paesi dell’UE, perciò l’analisi costi-benefici
produrrà risultati diversi per i vari paesi dell’UE.

Per paesi che presentano un importante grado di apertura rispetto agli partner dell’UE probabilmente l’analisi costi-
benefici evidenza l’esistenza di benefici netti positivi prodotti dall’adesione (i.e. Benelux, Austria, Irlanda,…).
2

È difficile tracciare una linea precisa e concludere che i paesi sopra di questa formano un’area ottimale con gli stati
membri dell’UE, essenzialmente per una duplice ragione:
➔ Ci sono altri parametri da considerare nell’analisi (i.e. grado di flessibilità e asimmetria degli shock).
➔ Il grado di completezza di un’UM è importante per i suoi costi e benefici.

In materia di credibilità si evince che i paesi tradizionalmente a elevata inflazione (i.e. Grecia e Italia) potrebbero aver
deciso che è nel loro interesse partecipare all’UEM nonostante la quota di scambi commerciali con i membri dell’UE
sia relativamente bassa.
Non si considera la perdita dello strumento del tasso di cambio costosa, infatti una posizione sufficientemente
monetarista permette di argomentare che per paesi con un basso grado di apertura i benefici potrebbero
controbilanciare i costi e che l’adesione potrebbe essere sensata anche da un punto di vista economico.

UM: RIGIDITÀ DI PREZZI E SALARI, MOBILITÀ DEL LAVORO


L’analisi costi-benefici è fortemente influenzata dal grado di rigidità di prezzi e salari.
I paesi in cui prezzi/salari sono poco rigidi incorrono in costi minori se decidono di aderire a un’UM:

se la rigidità di prezzi e salari diminuisce la curva dei costi trasla


verso il basso e di conseguenza:
➔ si abbassa anche il punto critico.
➔ Aumentano i paesi candidati ad aderire a un’UM.

Un aumento del grado di mobilità del lavoro sposta la curva dei


costi verso sinistra e rende più attraente un’UM.

Non tutte le forme di integrazione hanno tali effetti,


l’integrazione può infatti condurre a una maggiore
concentrazione delle attività industriali.
In questo caso la curva dei costi si sposta verso destra e l’UM
diventa meno attraente.

SHOCK ASIMMETRICI E FLESSIBILITÀ DEL MERCATO DEL LAVORO


Per determinare la desiderabilità di un’UM bisogna tenere conto anche della dimensione e della frequenza degli shock
asimmetrici cui un paese è esposto.
I paesi che subiscono shock da domanda e da offerta molto differenti troveranno più costoso formare un’UM.

Relazione che lega flessibilità del mercato del lavoro e shock asimmetrici in UM:

Asse x = grado di flessibilità dei mercati del lavoro (misurato da flessibilità


salariale e mobilità internazionale del lavoro).
Asse y = grado di simmetria tra paesi candidati a formare un’UM (grado
della correlazione esistente tra tassi di crescita di prodotto e occupazione).

Idea di fondo teoria AVO:


i paesi con forte asimmetria nella crescita di prodotto e occupazione se
vogliono formare un’UM devono contare su un’elevata flessibilità dei mercati
del lavoro. Minore è il grado di simmetria, maggiore è il grado di flessibilità
necessario per far funzionare senza tensioni un’UM.

La retta AVO rappresenta la relazione tra simmetria e flessibilità.


I paesi a sinistra non hanno flessibilità sufficiente, pertanto dovranno sostenere forti costi di aggiustamento per
assorbire shock asimmetrici. → non formano un AVO, conviene mantenere un grado di flessibilità del tasso di
cambio. Possono comunque formare un’UM, ma l’economia risentirà negativamente di tale decisioni.
3

I paesi a destra hanno forte flessibilità, riusciranno ad adeguarsi agli shock asimmetrici senza sostenere forti costi di
aggiustamento. I benefici di un’UM superano i costi. → formano un AVO
Zona AVO: area a destra della retta AVO.

Dove si colloca l’UE:


Dal 2013 conta 28 paesi membri.
Con riferimento all’UE composta da 15 paesi prevale l’opinione che questa non sia un’AVO.
Alcuni studiosi hanno studiato l’ottimalità dell’UE-25, ma anche in questo caso si è giunti alla conclusione che non si
è in presenza di un area valutaria ottimale.
Consegue che dal punto di vista economico un’UM che comprende tutti i paesi membri dell’UE è una cattiva idea, per
un buon numero di paesi i costi sarebbero infatti maggiori dei benefici.
Nonostante l’accordo sul fatto che l’UE-28 non dovrebbe formare un’UM, vi è la convinzione che esiste un
sottoinsieme di paesi dell’UE che costituisce un’AVO. Sulle dimensioni di tale sottoinsieme però non vi è accordo.

Nella maggior parte dei paesi dell’UE le politiche monetarie non hanno la capacità di modificare le variabili reali, per
cui anche in caso di shock asimmetrici gli strumenti di politica monetaria non possono essere utilizzati per
fronteggiarli efficacemente. → la perdita di sovranità non dovrebbe essere particolarmente onerosa.

Un’altra serie di studi empirici ha rilevato che gran parte degli shock asimmetrici che colpiscono l’UE riguarda settori
specifici e non l’economia nel suo complesso. Le variazioni di prodotto e occupazione risultano da differenti sviluppi
settoriali.

A differenza dell’UE, gli USA sono collocati sopra la linea avo, benché non vi sia certezza sul fatto che questi
costituiscano un’AVO in assoluto.
La principale differenza tra USA e Europa risiede nel grado di flessibilità dei rispettivi mercati del lavoro. Negli USA
vi è una mobilità del lavoro molto più elevata.

Parte degli shock che si osservano in Europa potrebbero essere originati proprio dall’assenza di un’UM, non vi è
certezza che i paesi dell’UE-28 non trarrebbero benefici dal formare un’UM, tuttavia questi non costituiscono un AVO

Studi empirici sulla dimensione ottimale delle unioni monetarie


Gran parte degli studi si sono concentrati sulla misurazione di dimensione e natura degli shock asimmetrici. Il
problema è che alcuni di questi possono non essere esogeni e quindi presentarsi perché i paesi non appartengono a
un’UM, un paese che mantiene la propria moneta adotterà politiche monetarie diverse da quelle attuate altrove.
Ci sono shock quindi che potrebbero venir meno nel momento in cui il paese aderisse a un’UM.

Blanchard ha sviluppato una metodologia statistica che estrae dai dati sui prezzi e sul prodotto i sottostanti di
domanda e offerta.
Una volta stimate le autoregressioni vettoriali, si identificano gli shock ipotizzando che:
➔ Shock sulla domanda = temporanei (gran parte scompariranno dopo la creazione/adesione all’UM)
➔ Shock sull’offerta = permanenti (hanno natura strutturale, si manifestano anche dopo la creazione dell’UM)
L’estrazione degli shock avviene per tutti i futuri membri dell’UM e permette poi di calcolare la correlazione tra gli
shock su domanda e offerta ottenuti e la media dell’unione.

L’analisi ha portato ai seguenti risultati:


➔ I paesi di grande dimensione (Francia, Germania, Italia) hanno una correlazione relativamente elevata con
l’area dell’euro.
➔ Se alcuni paesi dell’Europa centrale (Ungheria, Estonia) sono abbastanza correlati, molti invece (Lituania,
Lettonia, Slovenia) presentano una correlazione negativa con la media dell’area euro.
Alcuni di questi paesi attuavano politiche monetarie indipendenti quando non erano nell’Eurozona, una volta
entrati questi paesi hanno potuto veder svanire questa fonte di asimmetria.

➔ Un caso a sé riguarda il Regno Unito. La correlazione dal lato della domanda è negativa poiché riflette il fatto
che il paese attua la propria politica monetaria internazionale indipendentemente da quanto avviene
nell’Eurozona. Tuttavia, anche la correlazione dal lato dell’offerta è piuttosto bassa.

Per ottenere dunque una stima della dimensione ottimale delle aree monetarie è necessario esaminare altri aspetti,
quali il grado di flessibilità dei mercati del lavoro e i benefici microeconomici derivanti dall’UM.
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Come l’UE-28 può entrare nella zona AVO:


L’UE può perseguire due strategie:
1. Ridurre il gradi di asimmetria degli shock
Il grado di asimmetria dipende in buona parte da fattori poco influenzabili dai responsabili della politica
economica, ma vi è un campo in cui i policy-maker possono intervenire: l’unificazione politica.
Per ridurre gli shock asimmetrici occorre accrescere il coordinamento delle politiche economiche e
semplificare il quadro istituzionale.

2. Accrescere il grado di flessibilità


Aumentare il grado di flessibilità dei mercati del lavoro implica una riforma delle istituzioni del mercato del
lavoro.
Nonostante di difficile attuazione, queste riforme sono necessarie se si vuole avere un’UM che coinvolga tutti
i paesi dell’UE.

Sindacati e Unione Monetaria


Vi sono due criteri antitetici per un’organizzazione ottimale dei sindacati in un’UM.
1. In presenza di shock asimmetrici permanenti i salari dovrebbero essere flessibili (i loro tassi di variazione
dovrebbero differire da paese a paese).
La contrattazione salariale centralizzata sarebbe pregiudizievole, imporre lo stesso tasso di crescita dei salari
nominali provocherebbe perdite di competitività al paese con un basso tasso di crescita della produttività.
i.e. in Italia la contrattazione centralizzata ha danneggiato il Sud, dove la disoccupazione è 4/5 volte
superiore a quella presente nel Nord Italia.

2. Uno stesso shock, di tipo simmetrico, può portare a spirali prezzi-salari diverse e quindi a sviluppo della
competitività divergenti tra i vari paesi.
In prevalenza di shock simmetrici i sistemi di contrattazione salariale nazionali andrebbero resi più uniformi.
Probabilmente è errato concludere che un sistema di contrattazione salariale centralizzata sia auspicabile a livello di
unione per due ragioni:
1. Se in un’Europa unificata gli shock asimmetrici potrebbero diventare meno frequenti, la specializzazione
produttiva porterebbe a importanti divergenze regionali.
La specializzazione supererebbe i confini territoriali e un sistema di contrattazione salariale centralizzata
risulterebbe dannoso per molte regioni europee.

2. I mutamenti tecnologici tendono a creare variazioni settoriali divergenti in termini di prodotto e occupazione.
Un sistema centralizzato sarebbe dannoso per il prodotto e l’occupazione dei settori che registrano andamenti
meno favorevoli.
L’organizzazione futura dei sindacati dei lavoratori in un’unione monetaria dovrà rispettare i requisiti di flessibilità
che sono inevitabili in un mondo in cui gli shock sono principalmente settoriali e macroeconomici.

GRADO DI COMPLETEZZA DI UN’UM


Nelle UM incomplete, in cui non vi è unione di bilancio, i mercati dei titoli sono molto fragili e pertanto è probabile
che gli shock asimmetrici siano intensificati dagli sconvolgimenti dei mercati dei titoli di stato.
I costi di aggiustamento conseguenti da shock sono più elevati, la curva dei costi si colloca lontano dall’origine.

In un’UM incorporata in un’unione di bilancio tali problemi vengono meno e il costo di adesione a un’UM risultano
probabilmente più bassi.
Grazie all’integrazione di bilancio la curva dei costi si colloca vicino all’origine.

In futuro tenderanno a prevalere le unioni monetarie che sono anche unioni di bilancio.
Le unioni di bilancio sono una componente essenziale di un’unione politica, probabilmente una combinazione di
unione monetaria e politica ha minori costi e funziona meglio.
I dati stessi confermano che le unioni monetarie sono quasi sempre corporate in unioni politiche, la più grande
eccezione è rappresentata proprio dall’Eurozona.
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TRADE-OFF TRA UNIONE DI BILANCIO E FLESIBILITÀ


È possibile derivare una nuova linea AVO che mostra il trade-off tra flessibilità e unione di bilancio.
L’idea di questo trade-off è stata proposta da Sapir, per questo la nuova linea è denominata: linea AVO Sapir (AVOS).

asse y = grado di completezza dell’unione di bilancio.


Più alto è il grado di completezza più ci si sposta verso l’alto.
asse x = misura della flessibilità.

Linea AVOS = misura le combinazioni minime di unione di bilancio


e flessibilità necessarie per rendere economicamente attraente l’UM.
Ha inclinazione negativa, al crescere dell’unione si estende la
copertura assicurativa contro gli shock e si riduce il costo
dell’adesione all’unione monetaria. Per conseguenza si riduce
l’esigenza di flessibilità.

La flessibilità è gravosa per quasi tutti coloro che sono costretti ad


essere flessibili, ossia ad accettare un taglio salariale o a emigrare.

Un avvicinamento all’unione di bilancio rende l’UM più accettabile per ampie fasce della popolazione.

Importanza della natura degli shock asimmetrici:


Questi possono essere di due tipologie:
o Esogeni
Sono shock permanenti (i.e. aumento prezzi petroliferi) → devono affrontarsi a livello nazionale.
La flessibilità è l’unica opzione per effettuare l’aggiustamento.
o Endogeni
Risultato di movimenti ciclici asincroni e pertanto temporanei. → la risposta deve arrivare dall’Eurozona.
La risposta migliore sono i trasferimenti di bilancio.

La natura degli shock influenza la pendenza della linea di trade-off.


In caso di shock permanenti la linea risulta ripida e questo implica che un piccolo incremento di flessibilità porta più
rapidamente dentro la zona AVO di quanto possa fare un’unione di bilancio.
Se tutti gli shock sono permanenti la linea di trade-off è verticale e nessuna unione di bilancio porterà all’interno
dell’AVO.

In caso di shock temporanei la linea risulta piatta e questo implica che occorre un grande incremento di flessibilità per
entrare dentro la zona AVO, basterebbe invece un aumento dell’unione di bilancio per entrarci.
Se tutti gli shock sono temporanei la linea di trade-off è orizzontale e nessuna quantità di flessibilità porterà all’interno
dell’AVO. L’unica soluzione è l’unione di bilancio.

L’isteresi (persistenza):
Una recessione provoca sistematicamente chiusure di impianti e licenziamenti.
I lavoratori che hanno sviluppato capacità specifiche perdono parte del proprio capitale umano e vedono il
loro stato di disoccupazione protrarsi.
Se si verifica uno shock è necessario stabilizzarlo per evitare effetti di isteresi.
Se gli shock temporanei hanno effetti permanenti risulta ancora più importante adottare misure che ne
mitighino l’impatto.

I governi nazionali possono realizzare una maggiore flessibilità nei mercati del lavoro senza che vi sia una maggiore
integrazione.
L’unione di bilancio invece richiede integrazione politica.
Se la flessibilità rientra nel campo delle possibilità dei governi nazionali, l’unione di bilancio è una questione
europea.

Shock nell’eurozona:
i movimenti ciclici hanno avuto grande peso nell’Eurozona e si sono rivelati sincronizzati.
L’asimmetria è da ricercare nelle grandi differenze di ampiezza dei movimenti ciclici nell’Eurozona.
6

Natura degli shock nell’Eurozona


Nell’Eurozona i cicli economici tendevano a muoversi nello stesso senso, ma con forti differenze di ampiezza.
Se alcuni paesi hanno sperimentato forti boom seguiti da depressioni di analoga intensità, altri paesi sono stati
interessati da cicli di orientamento simile ma di ampiezza ridotta.

Per valutare l’importanza delle componenti cicliche e di quelle tendenziali nel PIL si confrontino la crescita media
della componente ciclica del PIL con quella della sua componente tendenziale.
➔ Paesi centrali (Austria-Belgio-Olanda-Germania)
crescita ciclica e tendenziale sono di grandezza simile nonostante la componente ciclica sia tendenzialmente
maggiore di quella tendenziale.
➔ Paesi periferici (Spagna-Portogallo-Irlanda-Italia-Grecia)
La componente ciclica cresce più rapidamente di quella tendenziale.
I tassi di crescita del PIL sono stati dominati da movimenti ciclici dell’attività economica del tipo espansione-
recessione. Sono le alternanze di espansione e recessione il connotato predominante dei movimenti del PIL.

I risultati mostrano che sin dall’inizio dell’Eurozona i movimenti ciclici sono stati il fattore dominante sotteso alle
variazioni di crescita del PIL.

I movimenti ciclici del PIL appaiono fortemente correlati, vi sono elevati coefficienti di correlazione bilaterale fra le
componenti cicliche della crescita del PIL. → i cicli economici dei paesi dell’Eurozona erano fortemente correlati.

La Germania è il paese con i più bassi coefficienti di correlazione positivi del suo ciclo economico con quelli del
resto dell’Eurozona.

L’asimmetria va ricercata dunque nell’intensità della dinamica di espansione-recessione dei tassi di crescita.

COSTI E BENEFICI NEL LUNGO PERIODO


Per comprendere come costi e benefici possano evolvere nel tempo è utile integrare l’analisi svolta con considerazioni
dinamiche.
A tal fine si utilizza la relazione tra grado di integrazione economica e shock asimmetrici in quanto consente di predire
se l’avanzamento verso l’integrazione economica porti alla convergenza economica.
Combinando analisi costi-benefici e relazione tra integrazione e shock otteniamo il seguente modello:
Asse y : grado di simmetria tra gruppi di paesi.
Asse x : grado di integrazione commerciale tra gruppi di paesi.

Retta TT : Inclinata positivamente indica che all’aumentare


dell’integrazione commerciale aumenta anche il grado di simmetria tra i
paesi coinvolti.

Retta AVO: Inclinata negativamente rappresenta le combinazioni minime


di simmetria e integrazione che portano la gestione di un’UM al punto di
pareggio.

Integrazione e simmetria sono qualità che accrescono i benefici, quindi riducono i costi, della partecipazione a un’UM.
Se la simmetria aumenta, riducendo i costi di partecipazione all’unione, i paesi possono permettersi una minore
integrazione, che permette di accrescere i benefici.

I punti sulla AVO presentano combinazioni di simmetria e integrazione per cui l’UM offre un guadagno netto pari
zero. I punti a destra sono punti per cui i benefici superano i costi.

Con il procedere dell’integrazione commerciale il punto TT si sposterà verso l’alto lungo la retta e ipotizzando un
continuo avanzamento della dinamica di integrazione in seno all’UE, questo porta nell’area AVO.
In quest’ottica l’unificazione sarà percepita come benefica da tutti i paesi dell’UE.
Questa è la prospettiva ottimistica sul futuro di lungo periodo dell’integrazione monetaria in Europa.
7

L’analisi di Krugman invece costituisce la prospettiva negativa.


L’integrazione in questo caso porta a una riduzione della simmetria tra paesi e questo esito è così rappresentabile:

si possono considerare due possibili prospettive di lungo


periodo dell’UM.

Linea TT – pendenza minore della linea AVO


Maggiore integrazione porta a maggiore specializzazione e di
conseguenza a un maggior numero di shock asimmetrici.
Anche i benefici però aumentano rapidamente con il
procedere dell’integrazione. → nonostante la riduzione della
simmetria l’aumento dell’integrazione porta nella zona AVO.

Linea T’T’ – pendenza maggiore della linea AVO


Al crescere dell’integrazione ci si allontana sempre più
dall’AVO. I benefici netti non crescono sufficientemente
all’aumentare del grado i integrazione.
I costi derivanti dalla riduzione della simmetria eccedono
tutti i possibili benefici associati al’UM.
Questa ipotesi tuttavia ha un’anomalia: se l’integrazione diminuisce si potrebbe entrare nella zona AVO, quindi se i
paesi dell’UE tornassero indietro e si separassero l’UM diverrebbe più attraente.

Dal modello di Krugman si conclude che anche se l’integrazione induce un maggior numero di shock, può generare
benefici netti crescenti per un’UM degli UE-28.

La decisione di un paese di aderire all’UM tende ad accelerare il processo di integrazione.


La decisione di aderire all’UEM, anche se non rispondesse ai criteri AVO, tenderebbe ad autoavverarsi, la decisione
stessa di aderire accelera di per sé il processo di integrazione.

Tra i criteri che definiscono un’AVO vi è una componente endogena, se i paesi decidono di formare un’UM, i criteri
diventano più favorevoli. Se si opta di non partecipare invece un rapporto costi-benefici sfavorevole resta tale.

Eurozona secondo i tre criteri definitori dell’AVO


1. Integrazione economica
L’euro ha comportato un incremento quantificabile dal 5 al 20% degli scambi commerciali all’interno
dell’Eurozona, ma ricerche recenti hanno messo in dubbio tale conclusione.
I paesi membri, secondo il criterio di integrazione, non si sono avvicinati di molto alla zona Avo e non hanno
intensificato sensibilmente i propri rapporti con la stessa.
2. Simmetria
Prima della crisi del 2007 il coefficiente di correlazione medio è marginalmente minore a quello precedente
l’istituzione dell’Eurozona.
Dopo la crisi il coefficiente è aumentato in misura significativa, probabilmente per il forte caso della
produzione avvenuto nel 2009 che ha colpito simultaneamente tutti i paesi.
I coefficienti di correlazione aumentati dopo l’introduzione dell’euro, sono aumentati non solo nell’Eurozona
ma anche nei paesi esterni a questa.
3. Flessibilità
Si evidenzia un significativo incremento della flessibilità del mercato del lavoro.
L’indice della tutela giuridica dell’occupazione, che misura la difficoltà di licenziare i lavoratori secondo le
disposizioni di legge, mostra come l’Eurozona ha continuato ad allentare le tutele legislativa dell’occupazione.
L’Eurozona si colloca ancora sopra la media dei paesi dell’OCSE, ma tale divario va diminuendo.
I paesi maggiormente colpiti dalla crisi (Irlanda-Grecia-Spagna) sono quelli che hanno ridotto maggiormente
le tutele dell’occupazione.
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AREE VALUTARIE OTTIMALI NEL MONDO


America latina
Nel periodo post-bellico i paesi dell’America latina hanno sofferto di grave instabilità monetarie.
Elevata inflazione e ampia variabilità dei cambi hanno avuto un impatto negativo su crescita economica e benessere.
Per raggiungere maggiore stabilità questi paesi hanno sperimentato diversi regimi di cambio, tra i quali:
➔ Ancoraggio del cambio al dollaro
➔ Currency board
Nel complesso però questi esperimenti hanno fallito.

Per determinare se può essere un’area valutaria ottimale, si analizzano i tre criteri definitori dell’AVO:

Integrazione economica:
Per quanto riguarda l’apertura delle economie i paesi latinoamericani hanno livelli di interscambio molto bassi con il
resto dell’America latina a causa di due fattori:
➔ Sono paesi relativamente chiusi
➔ La maggior parte degli scambi commerciali coinvolge paesi non appartenenti a quest’area, in particolare USA
e Europa.
Il primo criterio è pertanto sfavorevole.

Simmetria:
Benché vi siano poche ricerche, il grado di asimmetria degli shock indica movimenti del prodotto poco sincronizzati e
shock asimmetrici relativamente ampi.

Flessibilità:
Anche in questo caso vi sono poche ricerche, tuttavia sembra che la segmentazione del mercato del lavoro riduca i
margini di aggiustamento a shock asimmetrici.

Nel complesso dunque l’America Latina sembra lontana dall’essere un’AVO.


Una delle principali ragioni della popolarità di un’UM è che questa consente ai paesi ad elevata inflazione di
importare la stabilità dei prezzi, ma è tuttavia necessario dotarsi delle giuste istituzioni che possano garantire la
stabilità dei prezzi.

Quasi tutti i paesi dell’America Latina hanno attraversato recentemente periodi di instabilità e inflazione più o meno
accentuate e quasi tutti i governi e le banche centrali hanno pessimi precedenti in fatto di inflazione.
È improbabile che le istituzioni che si verrebbero a creare siano abbastanza forti da garantire la stabilità dei prezzi.
È la mancanza di credibilità che caratterizzerebbe le istituzioni a rendere improbabile nel breve termine la nascita di
un’unione del genere → è diffusa l’idea che un’UM non riuscirebbe a risolvere il problema endemico dell’instabilità
monetaria del continente.

In conclusione la maggior parte dei paesi dell’America Latina non trarrebbe alcun beneficio da un’UM comprendente
solo paesi del continente.
Un vantaggio si troverebbe nella dollarizzazione, adottando il dollaro come mezzo di pagamento i paesi dell’america
latina importerebbero la stabilità finanziaria della Federal Reserve.
Questo implicherebbe il passaggio totale della sovranità monetaria nelle mani degli USA, ma questo crea forti
resistenze politiche ed è quindi improbabile che i paesi più grandi scelgano la strada della dollarizzazione.
Questa può essere attraente per i paesi più piccoli (Ecuador-Panama).
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Asia
La crisi finanziaria del 1997-98 ha generato una notevole turbolenza.
Attacchi speculativi nel mercato dei cambi, hanno costretto a svalutare le monete oppure a lasciare i tassi liberi di
fluttuare. → si sono create perturbazioni macroeconomiche e distorsioni nei flussi commerciali, cui hanno fatto
seguito iniziative per evitare che fenomeni del genere possano ripetersi.

Con la CMI (Chiang Mai Initiative) i ministri delle finanze dei paesi aderenti all’Associazione delle nazioni dell’Asia
Sudorientale (ASEAN), Cina, Giappone e Corea del Sud hanno annunciato, nel 2000, un’estensione degli acordi
bilaterali sul credito a breve termine tra i rispettivi paesi.
Si è cosi avviato un processo di revisione economica e dialogo sulle politiche economiche avente lo scopo di eliminare
gli squilibri macroeconomici e finanziari.

Questi accordi non sono però sufficienti a proteggere le monete asiatiche da futuri attacchi speculativi, per questo sta
guadagnando credibilità l’ipotesi di fissare in modo permanente il tasso di cambio di questi paesi istituendo un’UM.

Per determinare se può essere un’area valutaria ottimale, si analizzano i tre criteri definitori dell’AVO:

Integrazione economica:
I paesi dell’Asia Orientale presentano un alto grado di integrazione con il resto dell’Asia Orientale e in particolare in
alcuni paesi l’indice di integrazione è estremamente elevato (i.e. Hong Kong supera il 100%).
Hanno grado di integrazione analogo a quello che i paesi dell’UE hanno con il resto dell’UE.

Simmetria:
L’opinione diffusa è che gli shock nei paesi dell’Asia Orientale non siano più asimmetrici di quelli dei paesi
dell’Eurozona, il grado di simmetria sembra solo leggermente inferiore.
In base ai primi due criteri dunque l’Asia Orientale pare vicina a caratterizzarsi come un’AVO

Flessibilità:
Il mercato del lavoro a un grado di flessibilità almeno uguale, se non superiore a quello esistente in Europa.

Nonostante la somiglianza con i paesi dell’UE, l’Asia ad oggi non ha ancora costituito un’UM per cause politiche.
È diffusa la sensazione che gli ostacoli politici alla realizzazione di un’unione monetaria siano troppo forti.
Sono essi stessi il risultato di sviluppi storici che rendono difficile l’unione di quei paesi.
Ci sono profonde differenze culturali.

Se in Europa l’unificazione monetaria è stata possibile grazie al forte desiderio politico di unire il continente che ha
permesso la formazione di istituzioni internazionali (Commissione, Corte di giustizia, Parlamento), in Asia manca
quest’infrastruttura e per questo è difficile immaginare la formazione di un’UM anche fosse di tipo incompleto.

Africa
Rappresenta un caso particolare in quanto nel continente esistono tre UM da circa mezzo secolo:
➔ Unione monetaria francofona dell’Africa Occidentale
➔ Unione monetaria francofona dell’Africa Centrale
➔ Unione monetaria dell’Africa del Sud
Al di là di queste sono in corso diverse iniziative che mirano a estendere le unioni monetarie esistenti, tra queste vi è il
progetto di unione monetaria della Comunità economica degli stati dell’Africa Occidentale (ECOWAS).

L’ECOWAS è un gruppo regionale di 15 paesi dell’Africa Occidentale, composto dall’UM dell’Africa Occidentale o
WAEMU (in cui sono comprese ex colonie francesi quali Benin, Costa d’Avorio, Guinea, Mali,…) a cui si sono
aggiunti Capo Verde, Ghana, Gambia, Liberia e Nigeria.

Dal 2000 l’Ecowas ha adottato la strategia del doppio binario per realizzare un’UM nell’intera area.
In primis gli stati non appartenenti all’UM dell’Africa Occidentale (WAEMU) hanno costituito una seconda UM, la
Zona monetaria dell’Africa Occidentale (WAMZ).
Queste due unioni, WAEMU e WAMZ, successivamente si fonderanno dando vita a un’UM più ampia in seno
all’ECOWAS
10

Per determinare se può configurare un’area valutaria ottimale, si analizzano i tre criteri definitori dell’AVO:
Integrazione economica:
Gli scambi commerciali nell’Africa Occidentale rappresentano per la maggior parte dei paesi una quota molto minore
del 10% dei rispettivi PIL.
Paragonandola all’Eurozona, l’Africa Occidentale è ancora molto lontana dal cogliere a pieno i benefici di un’UM.
Questi risultati sono assimilabili a quelli evidenziati nel caso dell’America Latina.

Simmetria:
I risultati delle analisi mostrano una correlazione bassa o negativa tra gli shock sull’offerta osservati nei diversi paesi.
Questi shock sono tuttavia maggiormente correlati fra i paesi del gruppo WAEMU.
Non è pertanto chiaro se il grado asimmetria è maggiore in Africa Occidentale o nell’Eurozona se si tiene in
considerazione la correlazione del gruppo WAEMU.

Flessibilità:
in merito alla flessibilità emerge un’intensa mobilità del lavoro, pare infatti che gli shock asimmetrici inneschino
movimenti relativamente ampi di lavoratori da un paese all’altro.

Tenendo l’Eurozona come termine di paragone per stabilire se l’Africa Occidentale costituisca un’AVO, si ottengono
indicazioni discordanti.
Il grado di integrazione e basso, di conseguenza un’UM darebbe luogo a benefici relativamente scarsi.
La mobilità del lavoro è tuttavia molto più elevata e inoltre i membri della WAEMU hanno già creato una serie di
istituzioni in grado di agevolare un passaggio all’UM.

Conclusioni:

✓ È improbabile che l’UE costituisca nel suo insieme un’AVO.


Non tutti i paese hanno lo stesso interesse ad abbandonare le proprie monete nazionali. Dall’analisi costi-
benefici si evince come un UM in Europa può soddisfare meglio gli interessi economici dei diversi membri si
può procedere a velocità diverse.
✓ Ci sono rischi di adesione all’UM anche per quei paesi che risulterebbero beneficiari netti dalla partecipazione
In presenza di shock ampi infatti avranno maggiori difficoltà a procedere a degli aggiustamenti vista la
rinuncia alla sovranità monetaria.
✓ La natura degli shock è importante
o Permanenti → necessità di rendere più flessibili i propri mercati dei prodotti e del lavoro.
o Temporanei → necessità di accrescere il livello dell’unione di bilancio.
✓ Il fatto che la discussione AVO si concentri in particolare sull’Europa, non esclude che la questione sia sentita
in altre parti del mondo:
o America latina → non sono soddisfatte le condizioni economiche per realizzare un’AVO
o Asia Orientale → le condizioni sono presenti, ma manca la volontà politica di trasferire la sovranità a
una banca centrale regionale.
o Africa Occidentale → le condizioni non sono forti come nell’Eurozona, ma le condizioni politiche
sembrano favorevoli.
✓ I paesi possono decidere di adottare una moneta comune per ragioni politiche, infatti questa può essere il
primo passo verso un’unione politica che i paesi desiderano formare.
11

SOMMARIO

UM: RIGIDITÀ DI PREZZI E SALARI, MOBILITÀ DEL LAVORO .......................................................................... 2

SHOCK ASIMMETRICI E FLESSIBILITÀ DEL MERCATO DEL LAVORO ............................................................ 2

GRADO DI COMPLETEZZA DI UN’UM ...................................................................................................................... 4

TRADE-OFF TRA UNIONE DI BILANCIO E FLESIBILITÀ ...................................................................................... 5

COSTI E BENEFICI NEL LUNGO PERIODO ............................................................................................................... 6

AREE VALUTARIE OTTIMALI NEL MONDO ....................................................................................................... 8


America latina ............................................................................................................................................................... 8
Asia ............................................................................................................................................................................... 9
Africa ............................................................................................................................................................................ 9

Conclusioni: .................................................................................................................................................................... 10
1

CAPITOLO 5 : LA FRAGILITÀ DELLE UM INCOMPLETE


Un’unione monetaria incompleta è fragile e può rivelarsi insostenibile.
In un’UM incompleta, come l’Eurozona, è opportuno generalizzare il concetto di incompletezza. Esistono diversi
accordi monetari tra nazioni che sono molti diversi da un’UM incompleta come l’Eurozona, ma che seguono regole
che vincolano le politiche monetarie.
Gli esempi più noti di unioni monetarie, configurate da accordi quale il sistema dei tassi di cambio fissi, sono il
sistema di Bretton Woods e il Sistema Monetario Europeo (SME).

Ci sono poi numerosi paesi che ancorano la propria moneta ad un’altra, specialmente al dollaro.
Anche in Europa vari paesi (i.e. Danimarca-Bulgaria) ancorano la propria moneta all’euro, formando così un’UM
incompleta con il paese alla cui moneta decidono di ancorare la loro.

Vi sono due principali tipologie di unioni monetarie incomplete:


1. Sistema dei tassi di cambio fissi (tipologia meno completa)
2. Unione in cui vi è una moneta unica comune gestita da un banca centrale comune, ma che non presenta
un’unione di bilancio.

Il Sistema Monetario Europeo : aspetti istituzionali


Istituito nel 1979, come reazione alla variabilità del tasso di cambio delle monete della Comunità che veniva
considerata un pericolo per il processo di integrazione, si articolava in due istituzioni:
3. ERM
Sistema di cambi ancorati aggiustabili. I paesi partecipanti determinavano un tasso di cambio ufficiale per le
loro monete e una banda centrata su questi valori all’interno di cui i tassi potevano fluttuare liberamente.
4. ECU (Unità monetaria europea)
Lo SME ha cessato di esistere il 01/01/1999

REGIMI DI CAMBI FISSI COME UNIONI MONETARIE INCOMPLETE


Questi regimi tendono a disintegrarsi in seguito a una crisi prima o poi.
Numerosi paesi che in passato hanno ancorato la propria moneta a un’altra a un certo punto sono stati colpiti da una
crisi speculativa che ha condotto all’abbandono dell’ancoraggio.

La fragilità di un sistema di cambi fissi dipende interamente da due caratteristiche:


5. Problema di credibilità
Quando annunciano il valore del cambio le autorità promettono di mantenere da quel momento in poi il valore
prefissato del tasso di cambio.
Si tratta di una promessa e in quanto tale possono sorgere dubbi sul fatto che venga mantenuta.
Possono di fatto verificarsi circostanze per cui gli accordi di cambio fisso smettono di rivelarsi consoni
all’interesse nazionale del paese, di conseguenza il paese sarà incentivato a disattendere la promessa.
Se gli agenti economici ne hanno sentore si muoveranno attaccando la moneta e ci sarà una crisi speculativa.

6. Lo stock di valute estere è limitato


Lo stock con cui i paesi possono difendere il proprio tasso di cambio non è illimitato, pertanto la promessa di
convertire la moneta nazionale a un tasso di cambio fisso non può essere garantita. Le riserve valutarie non
sono sufficienti.

Queste due caratteristiche interagiscono tra loro, la limitatezza dello stock di riserve riduce la credibilità del tasso di
cambio fisso e questo spinge gli speculatori a vendere moneta nazionale, costringendo la banca centrale a cedere
valuta estera (così diminuiscono ulteriormente le riserve).

Queste fragilità possono essere rappresentate in un modello


Si ipotizza che un paese sia in regime di cambi fissi e che tutto proceda per il meglio fino al sopraggiungere di uno
shock che porta a un peggioramento delle partite correnti (shock dovuto a una possibile perdita di competitività, per il
quale il paese ha difficoltà ad esportare).
2

Il paese deve correggere lo squilibrio esterno (deficit delle partite correnti), per farlo ha due alternative:
7. Sostenere il tasso di cambio fisso
Le autorità devono seguire una politica volta a ridurre la spesa aggregata, questo può essere fatto aumentando
le tasse e/o riducendo la spesa pubblica.
Questa politica potrebbe risultare politicamente costosa, infatti:
o La tassazione provoca resistenza da parte della popolazione.
o La riduzione della spesa riduce la produzione e porta a un aumento della disoccupazione.

8. Svalutare la moneta
Soluzione politicamente meno costosa di ovviare al peggioramento del saldo delle partite corrente.
Se la moneta si svaluta le esportazioni tornano competitive.

MODELLI DI PRIMA GENERAZIONE:

Asse x : shock delle partite correnti → incremento del


disavanzo rappresentato da ε
Asse y: benefici ottenuti dalla svalutazione della moneta

Maggiore è lo shock delle partite correnti, maggiore è il


beneficio ottenibile da una svalutazione. Infatti maggiore è il
deficit e più pesanti sono gli aumenti delle tasse e i tagli della
spesa pubblica.

La svalutazione ha anche un costo, rappresentato dalla perdita


di reputazione del governo indicato con C0.

Se ε < ε0 il tasso fisso può essere credibile.


Gli agenti economici sanno che il governo non svaluterà poiché il costo della perdita di reputazione supera il beneficio
della svalutazione.

Se ε > ε0 i benefici della svalutazione superano i relativi costi e pertanto le autorità sono incentivate a svalutare la
moneta. Se gli agenti lo sanno venderanno massicce quantità di moneta nazionale costringendo la banca centrale a
cedere valuta estera e di conseguenza si verificherà un deperimento dello stock di riserve.

Nel tempo la probabilità che uno shock qualsiasi sia maggiore di ε0 diventa positiva.
Prima o poi i paesi saranno investiti da uno shock talmente ampio da rendere non più credibile il regime di cambi fissi.

È evidente che se le autorità monetarie perseguono obiettivi interni (i.e. stabilizzazione del prodotto; occupazione) i
tassi di cambio fissi crolleranno inevitabilmente in seguito all’esaurimento delle riserve.
La causa ultima di una crisi valutaria è da ricercare nel comportamento delle autorità che perseguono obiettivi
incoerenti.

MODELLI DI SECONDA GENERAZIONE:


Si consideri un paese per il quale lo shock delle partite correnti è debole (ε < ε0 ), quindi il caso in cui i costi della
svalutazione superano i benefici.
Il tasso di cambio è credibile e può essere sostenuto, ma questo non implica che non vi saranno crisi speculative.

si introduce una nuova curva dei benefici che mostra i


benefici della svalutazione nel caso in cui gli speculatori se
lo aspettino:
BU : ipotesi che gli speculatori non si aspettano svalutazioni
BE : ipotesi che gli speculatori si aspettino una svalutazione

Be si trova sopra BU, infatti se gli speculatori si aspettano una


svalutazione la banca centrale dovrà alzare il tasso di
interesse e questo provoca effetti negativi su prodotto e
occupazione. Se la svalutazione non è attesa invece non
serve alzare il tasso.
3

Le autorità per mantenere il tasso fisso dovranno fronteggiare le speculazioni e questo ha un costo. Il governo dovrà
aumentare ulteriormente le tasse e la banca centrale dovrà aumentare il tasso di interesse.

Si considerino 3 shock:
1. Shock debole → ε < ε1
Non ci sarà svalutazione poiché i costi ne superano i benefici.
Gli speculatori lo sanno e non si aspettano una valutazione.
L’equilibrio si basa sull’assenza di svalutazione e il mantenimento del tasso di cambio fisso è credibile.

2. Shock forte → ε > ε2


La svalutazione è certa poiché i benefici ne superano i costi.
Il mantenimento del tasso di cambio fisso non è credibile.
Gli speculatori si attendono una svalutazione, le autorità perderanno lo stock di riserve valutarie interne e
saranno costrette a svalutare.

3. Shock intermedio → ε1 < ε < ε2


In questo caso ci sono due possibili equilibri:
- Equilibrio N
Gli speculatori non si aspettano una svalutazione, pertanto il costo di una svalutazione supera i benefici.
Le autorità non hanno incentivo a svalutare, il punto N è compatibile con le aspettative degli speculatori,
pertanto, la banca centrale non dovrà alzare il tasso di interesse per difendere il tasso di cambio fisso.
È possibile procedere al finanziamento del deficit delle partite correnti.
- Equilibrio D
Gli speculatori si aspettano una svalutazione, pertanto i benefici di una svalutazione ne superano il costo.
Per non esaurire le riserve valutarie internazionali è inevitabile procedere a una svalutazione.
In presenza di uno shock intermedio gli equilibri dipendono dallo stato delle aspettative: se gli speculatori non
si aspettano una svalutazione questa non avverrà , se invece l’attendono questa avrà luogo.

In questo regime le aspettative si auto avverano, se una svalutazione è attesa questa si verificherà, e questo rende il
regime del tasso di cambio fisso molto fragile.

Se la banca avesse uno stock illimitato di riserve valutarie, in presenza di un attacco speculativo riuscirebbe sempre e
comunque a contrastare gli speculatori, che ne sarebbero a conoscenza e pertanto non si imbarcherebbero in un’azione
simile. → le curve BE e BU coinciderebbero.
Questo non implica che la svalutazione non si verifichi in presenza di infinite risorse valutarie, gli shock infatti
potrebbero essere forti al punto che il calcolo costi-benefici indurrebbe le autorità a ritenere meglio svalutare.

COME FRONTEGGIARE LA FRAGILITÀ DI UN SISTEMA DI CAMBI FISSI


Un paese ha essenzialmente due vie d’uscita per far fronte alla fragilità di un sistema di cambi fissi:

1. Muoversi verso un regime monetario che elimini il problema degli attacchi speculativi, abolendo i tassi di
cambio e relativi mercati → caso dell’Unione Monetaria
La fragilità però di un’UM incompleta riappare in un’altra forma.
2. Permettere una maggiore flessibilità dei tassi di cambio.

Al crescere dell’integrazione economica diventa sempre più necessario liberalizzare i mercati dei capitali, pertanto i
paesi che vorranno integrarsi nell’economia mondiale dovranno risolvere il problema della fragilità del sistema dei
cambi fissi.

Tale fragilità può essere ridotta mantenendo la libertà di movimento dei capitali se si aumenta il costo delle
svalutazioni. Se la curva C trasla verso l’alto i paesi possono fronteggiare shock più forti prima di essere colpiti da
attacchi speculativi autoavverantisi
.
Se alcuni paesi si sono orientati verso l’aumento del costo della svalutazione, altri hanno istituito un currency board
i.e. Hong Kong e Argentina hanno ancorato la moneta al dollaro, Bulgaria ed Estonia all’euro.
In questo regime le autorità monetarie devono impegnarsi a coprire completamente l’emissione di moneta interna
detenendo una quantità corrispondente della moneta estera cui è ancorata quella interna.
Tuttavia anche i currency board non proteggono i paesi dagli attacchi speculativi.
4

Cos’è un currency board


Si tratta di un assetto istituzionale che comprende i seguenti elementi:
1. Il paese ancora il proprio tasso a una moneta (dollaro o euro) e garantisce la convertibilità della moneta-
ancora al tasso stabilito.
2. L’emissione di moneta nazionale è coperta per mezzo di riserve della moneta-ancora.
Se la banca centrale detiene riserve sufficienti per convertire la moneta nazionale nella moneta ancora
dovrebbe prevalere la fiducia.
3. Il paese si impegna a mantenere il tasso di cambio fisso.
Il secondo elemento genera una serie di questioni:
➔ Una copertura pari al 100% in genere non è sufficiente a coprire l’intero stock di moneta nazionale.
La banca centrale così copre solo l’emissione di moneta nazionale, non copre i depositi a vista emessi dalle
banche commerciali.
Perché il tasso sia credibile l’intera quantità di moneta dovrebbe essere coperta da riserve che quindi
dovrebbero essere maggiori del volume di moneta circolante.

➔ La banca centrale non può fungere da prestatore di ultima istanza, poiché questo comporta che la banca
centrale inietti liquidità nel sistema bancario e ciò viola la regola che ogni unità di moneta nazionale deve
essere coperta dalla moneta ancora.
Si crea un rischio nei periodi di crisi che può essere attenuato garantendo i.e. che le banche interne sono filiali
delle banche dei paesi emettenti la moneta-ancora.
Il caso: l’Argentina
Introdusse un currency board ancorando il peso al dollaro.
Inizialmente sembrò un successo, tuttavia nel 2000 le autorità dovettero abbandonare l’ancoraggio a causa di
un’importante crisi speculativa che rese troppo costoso il mantenimento dell’ancoraggio fisso al dollaro.
La profonda recessione affrontata fu provocata anche dal fatto che il dollaro si apprezzò, il che comportò
l’apprezzamento del peso e una conseguente perdita di competitività.
L’esplosione del debito fu dovuta all’incapacità delle autorità di tenere sotto controllo il bilancio statale.

Di regola un currency board di successo è realizzato in paesi piccoli, il sistema infatti impone alla banca centrale di
rinunciare ad attuare una politica monetaria finalizzata al conseguimento di obiettivi diversi dal mantenimento del
tasso di cambio fisso.
Se la Fed aumenta il proprio tasso, il paese la cui moneta è ancorata al dollaro deve accettare questa decisione e alzare
il proprio tasso di ugual misura.

CONCLUSIONI:
Rendendo più pesante la penalizzazione associata alla svalutazione la credibilità dei regimi di cambio fisso può
aumentare, ma prima o poi si verificherà uno shock talmente grave da annientare la volontà delle autorità di difendere
l’impegno sul cambio.

UNIONI MONETARIE SENZA UNIONI DI BILANCIO


L’Eurozona rappresenta un tipo di unione monetaria incompleta in cui l’incompletezza è data dall’assenza di
un’unione di bilancio.
Nell’Eurozona vi è una sola autorità monetaria, la BCE, affiancata da molte autorità nazionali e indipendenti, ciascuna
della quali controlla il proprio bilancio ed emette i propri strumenti del debito. I governi nazionali emettono strumenti
di debito in una valuta comune su cui non hanno alcun controllo diretto.

In un semplice contesto possono crearsi equilibri multipli.


Il modello di riferimento si basa su un duplice assunto:
➔ L’inadempienza sul debito sovrano ha costi e benefici il cui calcolo orienta i comportamenti del governo.
➔ Gli investitori tengono conto di questo calcolo del governo
5

Ipotesi: un paese membro dell’Eurozona è investito da uno shock, denominato shock di credibilità
Lo shock rappresenta un calo delle entrate pubbliche e può derivare da recessione o perdita di
credibilità.

Maggiore è lo shock e maggiore sarà la perdita di solvibilità.

Lato dei benefici:

Asse x : stock di solvibilità.


Asse y : beneficio ottenibile dall’inadempienza

Si suppone che l’inadempienza assume la forma di un taglio di


una certa percentuale fissa del debito.

Il beneficio ricavabile è la possibilità di ridurre il carico


complessivo degli interessi sul debito in essere.

Dopo l’insolvenza si potranno applicare minori misure di


austerità.
L’austerità ha un costo politico ed evitando di pagarlo il governo trae un vantaggio.

Ci sono anche in questo caso due curve dei benefici:


➔ BU : beneficio di un’inadempienza inaspettata per gli investitori.
È inclinata verso l’alto, il beneficio che il governo trae dall’inadempienza aumenta con la forza dello shock.
Se lo shock è forte il costo da pagare per l’imposizione delle misure di austerità è elevato, pertanto
l’inadempienza diviene più allettante.

I fattori che influenzano posizione e pendenza della curva sono tre:


o Livello iniziale del debito. Più è alto, maggiore è il beneficio ottenibile da un’inadempienza.
o Efficienza del sistema tributario. Se inefficiente non si può aumentare facilmente la tassazione e
l’opzione dell’inadempienza diventa più attraente.
o Entità del debito estero. Se rappresenta una proporzione elevata del debito totale vi è minore
resistenza politica interna all’inadempienza.

➔ BE: beneficio di un’inadempienza che gli investitori si aspettano.


Si colloca sopra la curva BU perché quando gli investitori si aspettano l’insolvenza vendono titoli di stato e
questo fa salire il tasso di interesse che a sua volta provoca un aumento del deficit di bilancio e
un’intensificazione del programma di austerità.
L’inadempienza è più attraente, i benefici sono ora più alti.

La distanza verticale tra le due curve dipende dalla scadenza dei titoli del debito pubblico, se la scadenza è lontana
allora l’aumento del tasso che si verifica durante la crisi avrà un effetto immediato limitato sul costo del debito
pubblico perché molti titoli continueranno a recare un tasso di interesse minore. In questo caso la distanza tra le due
curve sarà modesta.

Lato dei costi:


L’inadempienza ha anche un costo rilevante.
Tale costo deriva dal fato che il governo
inadempiente subisce una perdita di reputazione
che rende più difficile per il governo ottenere
prestiti in futuro.

Tale costo si ipotizza sia fisso ed è rappresentato


dalla retta C.
La retta completa il grafico visto con i benefici e
permette di effettuare ora un’analisi completa.
6

Livelli di shock della solvibilità:


1. Shock debole → S < S1
Il costo di un’inadempienza è sempre maggiore dei benefici, a prescindere che questa sia attesa o inattesa.
Il governo scarta l’inadempienza.
Gli investitori sono propensi ad acquistare titoli di stato coprendo in tal modo il buco del gettito fiscale e
evitando carenze di liquidità.
i.e. shock che ha interessato Germania e Olanda durante la crisi debitoria.

2. Shock forte → S > S2


Il costo di un’inadempienza è sempre minore dei benefici, a prescindere che questa sia attesa o inattesa.
Il governo sceglie l’inadempienza.
Gli investitori lo prevedono e di conseguenza l’inadempienza sarà inevitabile e il governo non troverà il
denaro necessario per finanziare il deficit di bilancio.
i.e. shock che ha interessato la Grecia durante la crisi debitoria.

3. Shock intermedio → S1 < S < S2


Nel caso di shock intermedi si ha una zona di
indeterminatezza dove ci sono due possibili
equilibri:
→ punto D (equilibrio cattivo)
Gli investitori si aspettano un’insolvenza.
Il beneficio è allora maggiore del costo.

→ punto N (equilibrio buono)


Gli investitori non si aspettano un’insolvenza.
Il beneficio è minore del costo, pertanto il governo
non si renderà inadempiente.

Entrambi i punti di equilibrio sono egualmente possibili, la scelta dipende solo da ciò che si aspettano gli
investitori. L’adempienza si verifica se gli investitori se l’aspettano.
i.e. shock che ha interessato Irlanda, Portogallo e Spagna durante la crisi debitoria.

Poiché la probabilità dell’inadempienza è avvolta dall’incertezza e gli investitori sono sprovvisti delle
conoscenze necessarie per calcolarla scientificamente, le aspettative sono orientate dagli umori dei mercati.

Come per il regime di cambi fissi, la simultanea esistenza di due equilibri è il risultato del vincolo di liquidità
con cui i governi soggiacciono nelle UM incomplete.
In assenza di tale vincolo i governi avrebbero la certezza che la banca centrale, la BCE, fornirà sempre la
liquidità necessaria e quindi potrebbero garantire agli investitori la disponibilità di contante per rimborsarli.
Il governo non sarebbe forzato a rendersi inadempiente e le curve BE e BU coinciderebbero.
sarebbe una scelta libera del governo quella di rendersi inadempiente, non una conseguenza obbligata dalle
aspettative degli speculatori.

METODI PER RIDURRE LA FRAGILITÀ DELL’UM INCOMPLETA:


→ accrescere il costo dell’inadempienza.
In questo modo la retta C si innalza e la zona dei timori suscettibili di autoavverarsi si sposta verso destra.
Risultato raggiungibile se si potesse espellere dall’unione i paesi che si rendessero inadempienti.
→ Affidare il ruolo di prestatore di ultima istanza alla BCE.
Autorizzare la BCE a fornire sempre la liquidità necessaria ai mercati dei titoli di stato, rendendo cosi la BCE
una banca centrale al pari della Fed o della Banca d’Inghilterra.
Fondamentale per gestire situazioni di crisi.
→ Consolidare i debiti nazionali in un unico debito comune. → Questo significa creare un’unione di bilancio
eliminando la fondamentale fragilità di un’UM incompleta.

Queste ultime due misure rientrano in un pacchetto di misure necessarie per rendere sostenibile un’UM incompleta
come l’Eurozona.
7

IMPLICAZIONI DEI CATTIVI EQUILIBRI

Le crisi bancarie
Il cattivo equilibrio in cui un paese può trovarsi bloccato influenza anche il settore bancario.
Quando gli investitori escono dal mercato dei titoli di stato interni i prezzi dei titoli scendono, ma sono le banche il
principale investitore di tale mercato, pertanto questi cali dei prezzi si riflettono nei bilanci sotto forma di perdite.
Le banche sono coinvolte in un problema di finanziamento.
La liquidità interna si prosciuga e rende difficile il rinnovo dei depositi, per questo motivo la crisi del debito sovrano si
propaga nel settore bancario che quindi a sua volta sarà colpito da una crisi.

Un’unione bancaria rede possibile accollare all’intera unione il costo di una crisi bancaria che investe il singolo paese,
isolando in tal modo il paese dalle ripercussioni che la crisi può avere sul bilancio.

Gli stabilizzatori automatici


Difficilmente un paese in posizione di cattivo equilibrio riesce ad utilizzare gli stabilizzatori automatici di bilancio.

riduzione della Adozione di


Aumento deficit fiducia nella crisi di liquidità e/o programmi di
Recessione = = = =
di bilancio capacità di servire solvibilità austerità in piena
il debito recessione

I paesi membri di un UM sono ridotti nella condizione di economie emergenti per le quali è difficile utilizzare
politiche di bilancio per stabilizzare il ciclo economico.

Gli stabilizzatori automatici attenuano le sofferenze causate da espansioni e crolli di società capitalistiche e se un’UM
ne comporta l’eliminazione non è scontato che si possa mantenere la base sociale e politica di tale unione.
È cruciale progettare una struttura di governance in grado di stabilizzare gli stabilizzatori automatici.

Dalle crisi di liquidità all’austerità forzata nell’Eurozona


Forti aumenti degli spread tra titoli dal 2010 non furono dovuti solo al deterioramento dei fondamentali (deficit e
livelli del debito) ma anche agli umori del mercato.
Gli spread che ne sono seguiti hanno costretto i paesi ad adottare misure di austerità.
Vi è una relazione positiva fra spread e rapporto DEBITO/PIL, spread più elevati sono associati a rapporti più alti.
Le deviazioni dalla retta fondamentale (di regressione) sembrano verificarsi nel corso di episodi dipendenti dal tempo,
in particolare queste iniziano in un particolare momento e continuano a crescere nei tre periodi consecutivi.
Vi è una forte correlazione tra gli spread e le misure di austerità nel 2011.
I mercati finanziari esercitarono pressioni sui vari paesi facendo salire gli spread e costringendo alcuni paesi a
impegnarsi in pesanti programmi di austerità.
In Europa il panico dei mercati provocò il panico tra i responsabili delle politiche che imposero, anche a causa delle
crisi di liquidità in cui i paesi con spread elevati precipitarono, penante politiche di austerità.
I paesi che hanno imposto le misure più pesanti sono quelli che poi hanno registrato i più alti cali del PIL.
Vi è una correlazione positiva tra misure di austerità e aumento del rapporto debito/pil.
Le dure misure di austerità imposte hanno provocato profonde recessioni nei paesi che hanno dovuto accettare
l’austerità benchè questa non abbia funzionato. → ha portato a rapporti debito/Pil ancora più alti.

Conclusioni
In entrambe le tipologie di UM incompleta analizzate si è rilevata una fragilità dovuta a mancanza di fiducia su cui fa
leva il meccanismo auto avverantesi della speculazione che può portare a svalutazione o inadempienza.
Questa fragilità fa sorgere dubbi sulla sostenibilità di UM incomplete. Nell’Eurozona diversi paesi hanno dovuto
imporre un pesante regime di austerità che ha però portato a un cattivo equilibrio.
Il passaggio in Europa da un sistema di cambio fisso (SME) all’UM ha solo spostato la fonte dell’instabilità dai
mercati dei cambi ai mercati dei titoli pubblici nazionali.
8

Sommario

REGIMI DI CAMBI FISSI COME UNIONI MONETARIE INCOMPLETE ................................................................ 1

UNIONI MONETARIE SENZA UNIONI DI BILANCIO .............................................................................................. 4

IMPLICAZIONI DEI CATTIVI EQUILIBRI .................................................................................................................. 7


Le crisi bancarie ............................................................................................................................................................ 7
Gli stabilizzatori automatici .......................................................................................................................................... 7

Conclusioni ....................................................................................................................................................................... 7
1

CAPITOLO 6 : LA TRANSIZIONE VERSO UN’UM

IL TRATTATO DI MAASTRICHT
Nel dicembre 1991 il trattato di Maastricht ha posto le basi del processo di unificazione monetaria europea che è
diventata realtà 12 anni dopo.
Il trattato posa sui principi di gradualismo e convergenza.
Il tempo trascorso affinché l’UEM divenisse realtà ha rappresentato un periodo di transazione graduale caratterizzato
dall’obbligo per i candidati di sottoporre le proprie economie a un processo di convergenza.

Un paese candidato deve rispettare una serie di criteri di convergenza per poter aderire all’unione:
➔ Avere un tasso di inflazione non superiore all’1.5% della media dei tre tassi più bassi degli stati membri
dell’UE.
➔ Avere un tasso di interesse non superiore di oltre il 2% della media osservata nei tre paesi a bassa inflazione.
➔ Aderire al meccanismo del tasso di cambio e non avere avuto una svalutazione durante i 2 anni precedenti il
suo ingresso nell’Unione.
➔ Il disavanzo di bilancio è inferiore al 3% del PIL.
Se tale soglia è superata, il rapporto deve diminuire in modo sostanziale e continuo avvicinandosi al 3%
oppure tale superamento deve essere eccezionale e temporanea.
➔ Il debito pubblico non deve superare il 60% del PIL

Nel 1998 è stato deciso che 11 paesi (Austria, Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Italia, Irlanda, Lussemburgo,
Paesi Bassi, Portogallo e Spagna) ottemperavano a questi criteri.
La Grecia riuscì a rispettare tali criteri subito dopo e infatti adottò l’euro insieme agli altri 11 il 1° gennaio 2002.

Ci sono stati tre paesi che hanno deciso di rimanere fuori benché soddisfacessero i criteri di convergenza:
➔ Danimarca
Ha ottenuto il diritto di subordinare il proprio ingresso a un referendum nazionale.
➔ Svezia
Ha sfruttato una scappatoia per non aderire, ovvero ha rifiutato di aderire al meccanismo di cambio dello SME
prima dell’avvio della terza fase venendo così meno a uno dei criteri necessari per l’ammissione.
➔ Regno Unito
Ha ottenuto il right to opt out, ossia il diritto di uscire.

Oltre a questi ci sono altri 6 paesi che sono membri dell’UE, ma non dell’eurozona: Bulgaria, Croazia, Rep. Ceca,
Polonia e Romania.
All’atto di adesione all’UE si sono impegnati a entrare nell’Eurozona nel momento in cui avessero soddisfatto i criteri
di convergenza.

Con l’avvio dell’UEM le BCN sono entrate a far parte dell’Eurosistema, ma non prendono più decisioni indipendenti
in materia di politica monetaria e di cambi. Esse attuano le decisioni prese dall’Eurosistema.
Mantengono i propri poteri decisionali nel settore della vigilanza bancaria.

CRITERI DI CONVERGENZA
Gli artefici del trattato di Maastricht hanno posto l’attenzione sugli elementi della convergenza macroeconomica
prima dell’inizio dell’UEM a scapito degli elementi microeconomici (più importanti per la teoria AVO per un’UM di
successo).

La convergenza dei tassi di inflazione


Vi era il timore che la futura UM potesse determinare tensioni inflazionistiche.
Per comprendere al meglio tale preoccupazione di riprende il modello di Barro-Gordon.
Ipotesi: ci sono due paesi identici tranne che per le preferenze dei responsabili della politica monetaria, Italia (I) e
Germana(G).
2

G: assegna un peso elevato alla riduzione dell’inflazione.


curve di indifferenza piatte.

I: assegna un peso basso alla riduzione dell’inflazione.


curve di indifferenza ripide.

UN (tasso di disoccupazione naturale) : uguale nei due paesi.


U* (tasso di disoccupazione obiettivo) : uguale nei due paesi.

EG e EI = rispettivi tassi di inflazione di equilibrio.

Rispetto alla Germania, l’inflazione in Italia è mediamente


più elevata senza alcun beneficio in termini di riduzione del
tasso di disoccupazione.

Alla luce del modello si possono dimostrare due assunti:


➔ Formando un’UM con un paese ad alta inflazione, il paese a bassa inflazione vede diminuire il proprio
benessere. La banca centrale dell’unione infatti rifletterà la media delle preferenze dei paesi partecipanti e di
conseguenza il tasso di inflazione dell’unione aumenterà ponendosi a un livello intermedio tra EG e EI.

L’UM presenta altri benefici, i.e. minor rischio, minor costi di transazione,… ma se le perdite dovessero
eccedere tali benefici il paese a bassa inflazione non sarà disposto ad aderire a un’UM con il paese ad alta
inflazione.

➔ Conseguentemente, subendo il paese a bassa inflazione delle perdite, per aderire questo richiederà di porre una
condizione, ossia che la banca centrale dell’unione abbia le stesse preferenze della banca centrale di quel
paese (nel caso in esame quella tedesca).
Si vuole controllare l’ingresso nell’UEM al fine che solo paesi con le stesse preferenze del paese a bassa
inflazione (G) siano ammessi nell’unione.

È in questa prospettiva che sono da interpretare le condizioni poste dal Trattato di Maastricht.
Prima dell’avvio dell’UEM è stato chiesto ai candidati di dimostrare di nutrire verso l’inflazione le stesse
preoccupazioni della Germania. Al fine di dimostrarlo i paesi hanno abbassato i tassi di inflazione, generando un
inevitabile aumento temporaneo della disoccupazione.
Dopo l’introduzione dell’euro l’inflazione in questi paesi è rimasta contenuta.

Introduzione dell’euro e aumento dei prezzi


L’introduzione dell’euro ha riscosso impopolarità in diversi paesi, tra cui Italia, Grecia e Germania per i presunti
aumenti dei prezzi a questa associati.
In alcuni paesi l’introduzione dell’euro ha effettivamente coinciso con forti aumenti dei prezzi in certe categorie di
prodotti. I prezzi dei prodotti alimentari in Italia sono cresciuti mediamente del 30%.
Questo ha creato la percezione che l’introduzione dell’euro abbia portato a una perdita di potere d’acquisto e a un
generale impoverimento dei consumatori.
Le autorità hanno sottolineato che gli incrementi dei prezzi, a causa di un basso peso nel paniere dei consumi, non
hanno influenzato apprezzabilmente il tasso di inflazione.

I prodotti alimentari sono venduti in mercati relativamente concorrenziali in cui l’elasticità della domanda rispetto al
prezzo è bassa.
Con l’introduzione dell’euro le autorità hanno “segnalato” ai fornitori che era il momento di coordinare le loro azioni
e alzare simultaneamente i prezzi.

Esperienze simili probabilmente si ripresenteranno nei nuovi stati che aderiranno all’Eurozona.
È importante dunque accompagnare l’introduzione dell’euro con un sistema di controllo temporaneo dei prezzi al fine
di prevenire gli aumenti su vasta scala ed evitare le depressioni che già si sono verificate in alcuni paesi dopo la
nascita dell’euro.
3

La convergenza dei bilanci


Un’UM tra due paesi con forti differenziali di debito crea un problema per il paese con debito pubblico basso.
Questo si troverà ad interagire con un partner che ha tendenza a rinfocolare l’inflazione anche qualora le preferenze
sull’inflazione fossero identiche. → finché un paese ha un rapporto debito-pil elevato, è incentivato a creare inflazione
attesa e questo espone a perdite il paese a basso debito che quindi insisterà per far sì che il paese fortemente
indebitato, prima di aderire all’UM, riduca il proprio rapporto debito-pil.

Si considerino due paesi: Italia (I) e Germania (G).


L’Italia ha un rapporto debito/PIL elevato.
Un valore alto del debito incentiva il governo ad architettare un’inflazione inattesa, parte del debito pubblico infatti è
costituiti da titoli a lungo termine il cui tasso di interesse è fissato in periodi di inflazione sulle aspettative di allora.
Creando un’inflazione attesa più elevata il valore di tali titoli si erode e mentre i detentori ci perderebbero, il governo
italiano ci guadagnerebbe → se gli investitori sono razionali non investiranno in titoli di debito italiani a meno che
venga promesso loro un premio al rischio aggiuntivo.
Questo evidenzia che governi razionali non perseguiranno politiche di creazione di inflazione inattesa.

Il paese fortemente indebitato deve ridurre il proprio disavanzo di bilancio, raggiunto l’obiettivo non ci saranno più
incentivi a produrre inflazione inattesa.

Secondo questa tesi dunque ridurre il debito e il deficit prima dell’ingresso nell’UEM è necessaria perché altrimenti la
loro ammissione rischierebbe di far crescere l’inflazione nell’unione.

Un’altra motivazione che giustifica la riduzione di deficit e debito sta nel fatto che un debito maggiore implica
maggiori rischi di insolvenza.
L’ammissione farebbe crescere le pressioni perché siano attivate misure di salvataggio e questo spiega l’inserimento
della clausola no bailout (nessun salvataggio), secondo la quale nessun governo nazionale né la BCE possono essere
forzati a garantire il salvataggio di altri paesi membri.

Perché si sono imposti come requisiti 3% e 60%


Le due regole sembrano tratte dalla formula per determinare il disavanzo necessario per stabilizzare il debito pubblico:
d = gb
Con b = livello a cui si deve stabilizzare il debito pubblico.
Con g = tasso di crescita del pil nominale
Con d = disavanzo di bilancio (in % del pil)

Per stabilizzare il debito pubblico al 60% del PIL, il disavanzo di bilancio deve essere portato al 3% se e solo se il
tasso di crescita nominale del PIL è pari al 5% ( infatti: 0,3= 0,05 *0,6).
Tale regola è arbitraria per due aspetti:
➔ No è chiaro perché il debito deve essere stabilizzato al 60%, l’unica ragione sta nel fatto che al tempo della
stesura del Trattato questo era il valore medio del rapporto debito/PIL in seno all’UE.
➔ La regola dipende dal tasso di crescita nominale del PIL.
Alcuni paesi hanno elevati tassi di crescita nominali che permettono di stabilizzare il debito al 60% con
disavanzi di bilancio più elevati.
Altri paesi hanno bassi tassi di crescita nominali che per stabilizzare il debito al 60% richiedono di gestire
minori disavanzi di bilancio.

La convergenza dei tassi di cambio → vincolo di non svalutazione


La ragione era impedire di manipolare il tasso di cambio nell’intento di conseguire l’ammissione con un tasso di
cambio più favorevole.
L’applicazione di questo requisito è stata tuttavia resa meno rigorosa dopo la firma del trattato con la formulazione del
vincolo di non svalutazione, secondo il quale i paesi avrebbero dovuto mantenere i propri tassi entro la normale
banda di oscillazione nel corso dei due anni precedenti l’ingresso all’UEM.
Ad oggi gli accordi di cambio per i potenziali nuovi arrivati sono simili ma non identici a quelli originari, la banda
normale infatti è stata notevolmente ampliata. ( dal 2*2,25& al 2*15%).
4

La convergenza dei tassi di interesse


Differenziali eccessivi nei tassi di interesse preesistenti potrebbero portare ad accentuati guadagni/perdite in conto
capitale nel momento dell’ingresso nell’UEM.
Il caso: la Polonia
Si ipotizza che al momento di ingresso nell’UEM il tasso sui titoli a lungo termine sia:
➔ 4% per quelli denominati in sloti.
➔ 2% per quelli denominati in euro.
All’ingresso il tasso di cambio è fissato irrevocabilmente e provoca incentivi per i detentori ad effettuare operazioni
di arbitraggio. Essendo il tasso di cambio fissato, l’arbitraggio è assente dal rischio di cambio e proseguirà finché
non saranno uguagliati i rendimenti, provocando la caduta del pezzo dei titoli in euro e l’aumento di quelli in sloti.
Gli agenti che detenevano gli eurobond subiscono perdite, quelli titoli in sloti realizzano guadagni.
Guadagni e perdite possono creare importanti perturbazioni nei mercati dei capitali nazionali.

I rendimenti dei titoli a lungo termine di un paese candidato all’Eurozona non dovrebbero superare la media dei tassi
sui titoli a lungo termine dei tre paesi con i tassi di inflazione più bassi. Questa regola tende ad autoavverarsi.
Considerando la Polonia è ragionevole supporre che il tasso di rendimento sui titoli a lungo termine inizierà a
convergere prima della data di ingresso nell’UM. Anche guadagni e perdite avranno luogo prima dell’ingresso e
saranno di entità modesta.

Non appena nel mercato di formano aspettative favorevoli sulla capacità dei paesi di soddisfare gli altri criteri, si
innescano forze che assicurano che i tassi di interesse convergano rapidamente.
Anche prima dell’avvio dell’UEM, una volta creatasi l’aspettativa di ingresso di dati paesi, la convergenza dei tassi a
lungo termine si è verificata automaticamente.

RELAZIONI TRA PAESI MEMBRI DELL’UE INCLUSI NELL’EUROZONA E


PAESI ESCLUSI
A luglio 2019, l’UEM conta 19 dei 28 paesi membri dell’UE.
La questione principale è il regime di cambio che deve essere instaurato tra l’euro e le monete dei paesi membri della
dalla sola UE (esclusi dall’Eurozona).

Nel 1996 sono state tracciate, in un incontro del Consiglio Economia e Finanza, le linee guida per regolare le
relazioni di cambio.
Sono stati stabiliti i seguenti principi:
➔ L’ERM-II avrebbe sostituito , dal 1° gennaio 1999, il vecchio ERM.
o L’adesione al meccanismo è volontaria (principio accettato per l’insistenza del governo britannico).
o Le procedure operative sono determinate in accordo alle volontà espresse dalla BCE e dalle banche
centrali dei paesi esclusi.
o Il meccanismo ruota attorno a tassi centrali che fanno da riferimento per i margini di fluttuazione
➔ Il sistema è ancorato all’euro.
➔ Se i tassi di cambio di un paese raggiungono i limiti dei margini di fluttuazione l’intervento valutario è
obbligatorio. Si ammettono deroghe se gli interventi sono in conflitto con gli obiettivi di stabilità dei prezzi
fissati per i paesi aderenti all’UEM o per il paese escluso.
➔ La BCE ha il potere di avviare le procedure di revisione delle parità.

L’unico paese che ha scelto di aderire all’ERM-II per stabilizzare il tasso di cambio è la Danimarca, che pertanto
segue strettamente le decisioni della BCE di alzare/abbassare il tasso di interesse.
La Danimarca ha optato per un regime monetario in cui ha perso la propria indipendenza, condizione in contrasto con
quella dei paesi membri dell’Eurozona, che hanno perso l’indipendenza ma sono coinvolti nel processo decisionale
congiunto.

La Svezia invece non ha aderito all’ERM rimanendo così fuori dall’Eurozona e non ha aderito nemmeno all’ERM-II
Elude dunque l’impegno di aderire all’Eurozona utilizzando questa scappatoia.

L’intervento della BCE:


attualmente deve essere pronta a intervenire senza limiti di quantità qualora la corona danese scenda al di sotto del
limite inferiore della banda di oscillazione (gli interventi non devono minacciare la stabilità dei prezzi nell’UEM).
I paesi aderenti all’ERM-II sono piccoli rispetto l’UEM quindi le attività di intervento della BCE non
pregiudicheranno la stabilità dei prezzi dell’Unione.
5

Conclusioni
La strategia di Maastricht si è rivelata un successo, instaurando la transizione sull’UEM su due principi: gradualismo e
convergenza, che continueranno ad essere importanti per i paesi non ancora nell’Eurozona.
La convergenza del tipo di Maastricht non è contemplata dalla teoria AVO, che invece sottolinea come importanti
requisiti per il successo di un’UM: flessibilità dei mercati del lavoro, mobilità dei lavoratori e creazione di un’unione
di bilancio.
Se queste non sono soddisfatte non è una buona idea lasciare che altri paesi entrino nell’Unione anche se soddisfano i
criteri di convergenza di Maastricht.

Sommario
IL TRATTATO DI MAASTRICHT................................................................................................................................. 1
CRITERI DI CONVERGENZA ................................................................................................................................... 1
La convergenza dei tassi di inflazione ...................................................................................................................... 1
La convergenza dei bilanci ....................................................................................................................................... 3
La convergenza dei tassi di cambio → vincolo di non svalutazione......................................................................... 3
La convergenza dei tassi di interesse ........................................................................................................................ 4
RELAZIONI TRA PAESI MEMBRI DELL’UE INCLUSI NELL’EUROZONA E PAESI ESCLUSI ......................... 4
Conclusioni ....................................................................................................................................................................... 5
1

CAPITOLO 7: COME COMPLETARE UN’UM


Molti dei problemi di un’UM derivano dalla sua incompletezza, l’Eurozona è una costruzione incompleta che è
proprio all’origine della sua fragilità.
Tutte le prospettive miranti a completare l’Eurozona comportano un certo trasferimento di sovranità dalle istituzioni
nazionali a quelle sovranazionali.
Oggi un’UM dovrebbe essere incorporata in un’unione di bilancio, se l’Eurozona fosse incorporata in una federazione
di Stati Uniti d’Europa la sua fragilità scomparirebbe, ma in questo momento manca una variabile profonda, costituita
da un sentimento collettivo di appartenenza alla stessa nazione.
Se oggi tutti ne convengono, molti dissentivano e sostenevano che l’Eurozona andasse bene così.

Nonostante l’assenza di una variabile profonda, si possono fare dei passi in avanti svolgendo un’azione collettiva a
livello di banche centrali, per gestire le situazioni di crisi, e di governi, per rafforzare strutturalmente l’unione.

BANCA CENTRALE, IL RUOLO DI PRESTATORE DI ULTIMA ISTANZA


Nei paesi monetariamente indipendenti le crisi di liquidità sono evitate perché la banca centrale può essere obbligata a
fornire ai governi tutta la liquidità necessaria, garantendo dunque che i detentori di titoli saranno rimborsati a
scadenza.
Quest’esito è raggiungibile anche in un’UM se la BC è disposta a fornire la liquidità necessaria nei diversi mercati dei
titoli sovrani.
Eliminando la minaccia di una crisi di liquidità si può impedire al mercato di spingere i paesi membri verso un cattivo
equilibrio.
In un’UM la banca centrale ha la funzione di prestatore di ultima istanza nei mercati interni dei titoli di stato nazionali,
in tal modo si riduce la fragilità di un’UM incompleta. (primo elemento del completamento di un’UM)

Il motivo per cui le banche centrali hanno la funzione di prestatori di ultima istanza è la stessa per cui hanno tale
responsabilità verso il settore bancario.
Il settore bancario è sensibile alle ondate di sfiducia che possono creare una crisi di liquidità che si autoavvera.
Per procurarsi contante le banche vendono parte delle loro attività facendone scendere il prezzo creando così una
possibile crisi di solvibilità. Questo ha fatto si che la banche centrali fungano da prestatori di ultima istanza per il
settore bancario.
Il ruolo di prestatore di ultima istanza offre un vantaggio costituito dal fatto che in questo modo la BC riuscirà quasi
sempre a prevenire le corse agli sportelli, intervenendo quindi raramente per fornire effettivamente contante.

In UM attività e passività dello stato hanno struttura analoga a quella delle banche.
Le passività sono liquide, le attività illiquide (sono costituite da risorse infrastrutturali o da crediti nei confronti dei
contribuenti).

È stata riconosciuta la necessità di un prestatore di ultima istanza nell’Eurozona nel 2012, quando seguito alla crisi dei
debiti sovrani la BCE intervenne impegnandosi ad acquistare quantità di volumi illimitate di titoli di stato in periodi di
crisi. Il semplice annuncio che la BCE si impegnava ad effettuare interventi illimitati nei mercati dei titoli di stato è s
stato sufficiente a far scendere gli spread → la BCE non ha dovuto acquistare nemmeno un titolo pubblico, il
semplice annuncio infatti creò una fiducia sufficiente ad indure gli investitori ad acquistare i titoli degli Stati in
difficoltà.
La BCE le definisce OMT (Outright Monetary Transactions), ma agli effetti si tratta di vere e proprie operazioni di
prestito di ultima istanza.
L’applicazione delle operazioni OMT è assoggettata a una serie di condizioni, tra le quali l’obbligo per i paesi
richiedenti di attuare ulteriori programmi di austerità.

La fragilità finanziaria del sistema e la paura che l’Eurozona potesse crollare sono state ridotte dal fatto che la BCE ha
fornito un’agevolazione con l’impegno di acquistare quantità illimitate dei titoli degli stati membri dell’UEM in
difficoltà.

L’idea che la BCE svolga il ruolo di prestatore di ultima istanza è oggetto di importanti critiche.
La Corte costituzionale tedesca ha sentenziato che il programma OMT è illegale per via che con la sua applicazione la
BCE oltrepassa i limiti del proprio mandato. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha tuttavia respinto la
domanda sentenziando che l’OMT non viola il trattato e pertanto è conforme al diritto europeo.
2

RISCHIO DI INFLAZIONE
Un ruolo attivo di prestatore di ultima istanza assunto dalla BCE nei confronti del mercato dei titoli sovrani creerebbe
inflazione. Critica emessa quando la BCE iniziò ad acquistare i titoli di stato nel 2010, accrescendo la massa
monetaria e provocando l’aumento dell’inflazione.
È opportuno fare una distinzione tra base monetaria e massa monetaria.
Quando il governo centrale acquista titoli di stato accresce la base monetaria, ossia circolante e depositi delle banche
presso la BC, tuttavia non necessariamente aumenta la massa monetaria.
Durante periodi di crisi questi due aggregati tendono a disconnettersi l’uno dall’altro.
i.e. prima della crisi bancaria del 2008 nell’Eurozona i due aggregati si presentavano fortemente connessi, con lo
scoppiò della crisi iniziarono una disconnessione che portò a una crescita della base monetaria del 230% conto il
solo 30% della massa monetaria.

Trappola della liquidità:


le banche tesaurizzano riserve e sono avverse al rischio al punto da evitare di impiegare tali riserve di contanti per
espandere il credito. In tal modo la massa monetaria non aumenta di molto nonostante il massiccio aumento della base
monetaria.

Quando esplode una crisi gli operatori per ragioni di sicurezza vogliono detenere contanti, che se la BC non fornisce
porta al passaggio da crisi finanziaria a recessione, generando una corsa agli sportelli.
Se la BC esercita la sua funzione di prestatore di ultima istanza ampliando la base monetaria, il processo
deflazionistico si arresta, a discapito di una probabile inflazione che viene così creata.
Il rischio di inflazione si concretizzerà in futuro, quando l’economia si espanderà e proprio in questo momento si
potrebbe utilizzare la liquidità addizionale detenuta dalle banche per espandere il credito.
Tuttavia, in caso di eccessiva espansione, la BC può riassorbire la liquidità vendendo titoli di stato o elevando la
riserva obbligatoria che le banche devono detenere.

CONSEGUENZE FISCALI
Le operazioni del prestatore di ultima istanza sono sottoposte alla critica che potrebbero avere conseguenze fiscali.
Se il governo non serve il debito, la BC subisce perdite che devono essere sostenute dai contribuenti.

È opportuno che la BC eviti operazioni che mischiano politiche monetarie e fiscali, ma tutte le operazioni di mercato
aperto (tra cui quelle nel mercato dei cambi), comportano il rischio di perdite e hanno conseguenze fiscali.
i.e. acquistando titoli commerciali privati se l’emittente fallisce la BC subisce perdite. Perdite analoghe a quelle in
cui incorrerebbe acquistando titoli di stato.
Di conseguenza una banca centrale dovrebbe astenersi da qualsiasi operazione di mercato aperto, ma questo è
impossibile. Una banca deve eseguire le operazioni di mercato aperto prescindendo dal fatto che queste possano dare
luogo a perdite → le perdite possono essere necessarie persino per garantire la stabilità finanziaria.

Una banca centrale può subire perdite senza fallire, infatti può stampare moneta e non è vincolata dai requisiti di
solvibilità cui deve sottostare un’impresa privata.
Il ricorso al prestatore di ultima istanza può impedire ai paesi di venire spinti in un cattivo equilibrio, se l’intervento
delle banche centrale riesce non ci saranno perdite né conseguenze fiscali.

AZZARDO MORALE
Fornendo la garanzia di un prestatore di ultima istanza, la BC incentiva i governi a indebitarsi eccessivamente creando
un rischio di azzardo morale analogo a quello insito nel prestito al sistema bancario.
Al fine di fronteggiare possibili problemi di azzardo morale è opportuno imporre regole che limitino a possibilità dei
governi di indebitarsi.Tuttavia, è opportuno che i compiti di fornire liquidità e contrastare il rischio di azzardo morale
siano separati, il primo è di competenza della BC, il secondo dovrebbe essere demandato alle autorità di vigilanza.

In un ideale progetto di governance in un’UM, e in particolare nell’Eurozona, prevede che la BCE assuma la
responsabilità di prestatore di ultima istanza e che un’autorità distinta e indipendente (nel caso la Commissione
europea, investita del potere di controllare e attuare la disciplina di bilancio dell’UE nel quadro del c.d. patto di
stabilità e crescita)si assuma la responsabilità di regolamentare/vigilare sulla creazione di debito da parte dei governi.

Questo meccanismo dovrebbe sollevare la BCE sui timori di azzardo morale, ma necessità che gli stati manifestino la
volontà di sottoporre la proprie politiche di bilancio a un controllo esterno.
3

CONSOLIDAMENTO DEL BILANCIO E DEL DEBITO PUBBLICO


Il bilancio è il secondo elemento costitutivo del completamento di un’UM .
L’unione di bilancio ha due diverse dimensioni:
➔ Implica un consolidamento, parziale, dei debiti pubblici nazionali in un unico debito comune.
Questo crea un’autorità fiscale comune in grado di emettere strumenti di debito in una moneta sotto il suo
controllo, eliminando i flussi destabilizzanti di capitale che si verificano durante le recessioni.

Un consolidamento dei bilanci protegge gli stati membri dal rischio di inadempienza forzata da parte dei
mercati e crea un’attività sicura che funge da ancora per il sistema.

➔ Centralizzando i bilanci nazionali in uno centrale è possibile organizzare un meccanismo di trasferimenti


automatici che funge da elemento assicurativo (trasferisce risorse al paese maggiormente colpito da uno
shock economico negativo).

Seppur sia una risoluzione al problema sistemico dell’Eurozona, questo richiede un grado avanzato di un unione
politica. I paesi devono essere disposti a trasferire sovranità in materia di tassazione e spesa a istituzioni europee.
Dovrebbe essere il principio: “nessuna tassazione senza rappresentanza” ad organizzare il processo decisionale, per
tramite di un’autorità politica intrusiva in cui un governo europeo ha il potere di spendere e tassare , poiché legittimato
da un Parlamento europeo.

Oggi però in Europa c’è una scarsa propensione ad accrescere in misura significativa il grado di unione politica, per
questo si è scelta una strategia di piccoli passi.

STRATEGIA DI PICCOLI PASSI


Emissione congiunta di strumenti di debito comuni
L’emissione congiunta di eurobbligazioni rappresenta un passo verso l’unione politica, in ragione del fatto che:
➔ Emettendo congiuntamente eurobbligazioni i paesi partecipanti si rendono solidalmente responsabili del
debito che hanno emesso insieme.

➔ L’emissione congiunta protegge i paesi membri dalle crisi di liquidità derivanti dall’incapacità di controllare
la moneta in cui emettono i propri strumenti di debito.
La proposta di emettere eurobbligazioni ha incontrato forti resistenze poiché crea una serie di problemi da affrontare,
primo tra cui il rischio di azzardo morale.
Nell’emissione di obbligazioni comuni è implicita una garanzia per i paesi partecipanti, che essendo solidalmente
responsabili sono incentivati a confidare in tale garanzia e a indebitarsi eccessivamente.
Si viene così a creare una forte resistenza da parte dei paesi che si comportano responsabilmente e che quindi
probabilmente non parteciperanno all’emissione di eurobbligazioni comuni fintanto che il problema di azzardo
morale non è risolto.

Creazione di uno spazio fiscale: l’assicurazione comune contro la disoccupazione


Le proposte di un sistema di assicurazione comune contro la disoccupazione sono state influenzate dall’ipotesi
standard della teoria AVO, secondo cui gli shock sono asimmetrici (quando un paese è in recessione, l’altro è in
espansione e viceversa) che favorisce il funzionamento di tale sistema.
Tuttavia, se i cicli economici sono ben sincronizzati, ma di ampiezze differenti, un sistema del genere dà luogo a un
problema economico e politico:
➔ Ai paesi che affrontano una recessione modesta è richiesto di trasferire risorse a quelli colpiti da una
recessione più forte. In tal modo si riduce l’intensità della recessione in questi paesi, rendendola più intensa
nei primi.
➔ Si possono creare problemi politici nei paesi a cui è richiesto di trasferire risorse se le sue condizioni
dovessero peggiorare.

L’asimmetria non è tipica dell’Eurozona, in cui boom e recessioni tendono a verificarsi quasi simultaneamente con
diverse intensità, rendendo così modesta l’esigenza di attenuare le differenze dei movimenti ciclici tra paesi.
L’esigenza è attenuare la volatilità nel tempo, per fare ciò è necessario creare uno spazio fiscale, ossia un
meccanismo che contribuisca a stabilizzare il ciclo economico.
4

Gli schemi di assicurazione comune contro la disoccupazione dovrebbero puntare ad attenuare la disoccupazione nel
tempo, non le sue differenze tra paesi.
Gli schemi devono dunque accumulare avanzi e disavanzi nel tempo, a tal fine si potrebbe imporre la regola fiscale
secondo la quale disavanzi e avanzi si compensino nel corso del ciclo economico.

Beblavy e Maselli hanno eseguito diverse simulazioni da cui risulta che un meccanismo di questo tipo è realizzabile, e
anzi che una regola del genere compensa automaticamente l’esigenza di attenuare le differenze tra paesi e
intertemporali di disoccupazione.

Questo meccanismo presuppone la capacità di emettere titoli di debito durante le recessioni, nel caso in cui i
pagamenti eseguiti dal programma di assicurazione eccedessero i contributi degli stati membri.
A questo servirebbero le eurobbligazioni che permetterebbero al sistema di funzionare come un fondo comune in
grado di emettere debito.

Uno schema praticabile di indennità comuni contro la disoccupazione implica una qualche forma di unione di bilancio.
L’unione di bilancio può essere contenuta entro limiti ristretti imponendo la regola fiscale che farebbe si che durante
fasi comuni di espansione si riscattino le obbligazioni emesse durante le fasi di recessione.

Si obietta che un analogo risultato è raggiungibile a livello di paese ponendo l’onere a carico dei bilanci nazionali, ma
le differenze di ampiezza tra i movimenti ciclici rendono problematico questo approccio in quanto porterebbe a grandi
differenze in termini di disavanzi di bilancio e di accumulazione di debito.

Gli sforzi di stabilizzazione a livello nazionale introducono un elemento di instabilità in un’UM perché lasciano i paesi
maggiormente colpiti da shock incapaci di stabilizzarlo.
I meccanismi di assicurazione costituisce un approccio comune alla stabilizzazione dei cicli economici

Sarà necessario in futuro accentrare parte dei bilanci nazionali in un bilancio centrale in modo che l’autorità comune
di bilancio possa consentire agli stabilizzatori automatici di attenuare il ciclo.
Creando un bilancio comune trasferimenti impliciti tra paesi, i paesi con recessioni più acute beneficeranno al
massimo delle caratteristiche di stabilizzazione automatica di cui questo gode.

Unione bancaria
Un meccanismo bancario comune di risoluzione delle crisi rende possibile ripartire fra l’intera unione il costo della
risoluzione.
La creazione di un meccanismo comune di risoluzione delle crisi bancarie presuppone che la vigilanza bancaria sia
centralizzata. Nel 2012 i paesi dell’Eurozona istituirono un sistema di vigilanza comune, operativo dal 2014, gestito
dalla BCE.
Un’unione bancaria funzionale comporta anch’essa una qualche forma di unione di bilancio.
In periodi di crisi devono esistere una o più istituzioni europee fornite di risorse adeguate che possano essere
mobilitate immediatamente per intervenire e ricapitalizzare le banche.
Il Fondo di risoluzione delle crisi fu creato a tal fine nel contesto dell’unione bancaria, ma si dubita che abbia risorse
sufficienti per agire in momenti di crisi. Può trattare singoli casi, ma forse non crisi bancarie sistemiche.

COORDINAMENTO DELLE POLITICHE DI BILANCIO


Mentre la politica monetaria è pienamente accentrata, le altre politiche sono nelle mani dei singoli governi nazionali.
Idealmente i paesi dovrebbero cedere la sovranità sull’uso degli strumenti nazionali di politica economica alle
istituzioni europee, ma vi è una scarsa propensione a compiere un simile passo.
Anche in questo caso la scelta più opportuna è procedere a piccoli passi, alcuni di questi sono già stati compiuti:
sono state fissate nuove regole di governance economica con l’adozione del six Pack (un pacchetto di misure che
rafforza il controllo delle politiche di bilancio e che controlla le politiche macroeconomiche).
Le misure del Six Pack comprendono un rafforzamento del controllo reciproco sulla situazione di bilancio di ciascun
paese membro. Con il Semestre Europeo i governi nazionali devono presentare i propri bilanci annuali alla
Commissione Europea prima di sottoporli all’approvazione dei rispettivi parlamenti nazionali.
5

Un rafforzamento del controllo reciproco su debiti/deficit pubblici serve a rendere possibile l’emissione congiunta di
eurobbligazioni e a ridurre l’azzardo morale.
Per accrescere la sostenibilità di un’UM è importante:
➔ Avere un bilancio centrale da utilizzare come strumento di redistribuzione tra gli stati membri
➔ Emettere congiuntamente parte dei debiti nazionali.
Divergenze tra le posizioni competitive nell’Eurozona
L’UEM (unione economica e monetaria europea) è iniziata nel 1999.
I tassi di cambio reali effettivi misurano l’evoluzione dei costi salariali di un paese rispetto agli altri paesi
dell’Eurozona, tenuto conto dei differenti tassi di crescita della produttività. Sono indici rappresentativi della
competitività nei vari paesi.
Prima dell’emergere della crisi alcuni paesi (Irlanda, Grecia, Italia) hanno subito una perdita di competitività
importante.
Nel 2000 molti paesi erano lontani dall’equilibrio e i movimenti successivi potrebbero dunque essere segno di un
avvicinamento all’equilibrio.
I costi unitari relativi del lavoro sono invece meno divergenti tra i vari membri dell’Eurozona.
Gli andamenti divergenti della competitività sono il risultato delle divergenze tra gli accordi salariali.

Le politiche economiche rientrano ancora in gran parte sotto il controllo dei singoli stati, che possono controllare
spesa, tassazione, politiche salariali e sociali.
Per i paesi che hanno perso competitività l’aggiustamento dei tassi di cambio non è più un’opzione, l’unica soluzione
è abbassare salari e prezzi rispetto a quelli degli altri paesi.
Queste svalutazioni possono realizzarsi per tramite di politiche macroeconomiche deflazionistiche che però portano a
una recessione con conseguente aumento del deficit di bilancio.

Quando i paesi registrano aumenti del deficit di bilancio, i mercati finanziari si innervosiscono e possono portare a una
crisi di liquidità che darà luogo a una crisi di solvibilità.
Pertanto il periodo in cui i paesi cercano di migliorare le propria competitività può essere gravoso (a causa della
recessione e dell’aumento della disoccupazione) e turbolento (il paese può essere investito da crisi del debito sovrano
e da crisi bancarie). → caso di Grecia, Irlanda e Portogallo.

UNA VARIABILE PROFONDA OMESSA


i.e. UM tra Germania Ovest e Germania Est:
l’UM tedesca era parte di un’unione politica più vasta, istituita insieme all’unificazione di tutti gli strumenti
macroeconomici importanti (i.e. politiche di bilancio, contrattazione salariale, previdenza sociale…) dovuta all
consapevolezza di un fine comune e al senso di appartenenza alla stessa nazione.
Sono proprio questa consapevolezza e questo senso di appartenenza ad essere la variabile profonda che ha permesso
alla Germania di creare un’unione politica e monetaria.

Tale variabile profonda a livello europeo è poco sviluppata e spiega perché l’Europa è partita da un’unione monetaria
(parte semplice del cammino verso un’unione politica).
Se manca il senso di un fine comune è facile dubitare della possibilità di progredire ulteriormente verso un’unione
politica, ma se non si procede in tal verso l’unione monetaria rimane una costruzione fragile.

L’allargamento dell’Eurozona crea un rischio e sicuramente indebolirà ulteriormente il senso di un fine comune.

Conclusioni
Il successo dell’Eurozona nel lungo periodo dipenderà dalla continuazione del processo di unificazione politica, che è
necessaria per ridurre la possibilità che si verifichino shock asimmetrici e per ridurre la fragilità strutturale
dell’unione.
L’unificazione politica è necessaria perché l’Eurozona ha indebolito drasticamente il potere e la legittimazione degli
stati-nazione senza creare una nazione a livello europeo.
1

CAPITOLO 8: ECONOMIA POLITICA DELLA DECOSTRUZIONE


DELL’EUROZONA
Se si considerano l’UM degli Stati Uniti e quella dell’Europa, vi è una differenza fondamentale, infatti il governo
federale degli USA ha il monopolio del potere coercitivo in seno alla federazione di cui può servirsi per impedire a
qualsiasi stato di decidere di uscire dall’UM.
Nell’Eurozona invece i paesi partecipanti non possono lasciare legalmente l’Eurozona, infatti il trattato di Maastricht
non ne parla poiché l’opzione di uscita si basa sul fatto che l’UM sia permanente.
Tuttavia, essendo nazioni sovrane, i membri non possono essere impediti dall’uscire se decidono di farlo, non esiste
alcuna istituzione sovranazionale che possa impedire a uno stato membro di lasciarla.

La sopravvivenza dell’Eurozona è dovuta al fatto che gli stati membri credono che parteciparvi è nel proprio interesse
nazionale.

Con il termine decostruzione si intende un processo per il cui tramite uno o più paesi decidono di lasciare l’UM.
Si suppone che un numero di paesi sufficiente rimanga nell’unione, ma non si può escludere che il processo di
secessione porti alla completa disintegrazione dell’unione così come al rafforzarsi di questa tra i paesi restanti.

È la teoria AVO che determina le condizioni che i paesi dovrebbero soddisfare per garantire che i benefici ne superino
i costi, pertanto la si può utilizzare per studiare le condizioni a cui i membri esistenti di un’UM desiderino lasciarla.

La linea AVO con pendenza negativa rappresenta le combinazioni


minime di simmetria e flessibilità necessarie a formare un’AVO.
Sulla linea costi e benefici si bilanciano perfettamente.
A destra di tale linea vi è un grado di flessibilità sufficiente a garantire
che un’UM offra più benefici che costi.
A sinistra di tale linea vi è un grado di flessibilità insufficiente per
qualsiasi livello di simmetria corrispondente.
L’attuale Eurozona è incompleta, si colloca a sinistra, e per alcuni paesi
la partecipazione può comportare costi > benefici.
L’Eurozona offre ai paesi membri motivi per scoprire che i costi
dell’unione sono alti al punto di rendere conveniente uscire dall’UM.
I principali costi sono dovuti a incrementi della disoccupazione che laddove diventino abbastanza alti possono portare
a sconvolgimenti politici.

CASO DI STUDIO: LA GRECIA


Tra il 2000 e il 2008 la Grecia ha sperimentato una crescita del PIL reale molto più forte rispetto all’Eurozona nel suo
complesso che ha permesso un calo della disoccupazione.

Nonostante il tasso di crescita il governo non è riuscito a ridurre il livello del debito che aveva raggiunto un picco del
103% del PIL. Generalmente nei periodi di espansione i deficit di bilancio tendono a scendere automaticamente, ma il
governo non solo ha disattivato gli stabilizzatori automatici, ma ha anche aumentato la spesa pubblica.

Se dal 2000 in poi il PIL dell’Eurozona è cresciuto di poco più del 50%, in Grecia nel 2010 risultava triplicato.
Quest’espansione ha portato a un forte incremento dei costi unitari relativi del lavoro che di conseguenza ha implicato
un calo di competitività che ha ostacolato le esportazioni determinando importanti disavanzi delle partite correnti.

La forte espansione sperimentata fu resa possibile dal massiccio afflusso di denaro prestato al settore privato (sia a
consumatori che imprese) che tuttavia sopraggiunto il crollo si trovarono gravati da livelli di debito divenuti
insostenibili.

Nel 2008 ci fu il crollo che costrinse il settore privato ad abbassare la leva finanziaria (ridurre i livelli di
indebitamento) e di conseguenza consumatori e imprese hanno dovuto ridurre massicciamente la propria spesa.
2

La spesa fu ulteriormente ridotta dai tagli salariali imposti per recuperare competitività.
I risultati furono:
➔ Collasso del PIL
➔ Balzo della disoccupazione
➔ Esplosione del debito pubblico
L’intensità della crisi economica e fiscale portò i detentori di titoli di stato a vendere in grandi quantità facendo salire i
tassi di interesse sul debito pubblico greco e questo esaurì la liquidità del governo che si trovò costretto a imporre un
pesante regime di austerità.

Questa vicenda illustra due punti riguardanti i costi di un’UM:


1. I costi di aggiustamento conseguenti a un ampio shock asimmetrico possono essere molto elevati ed essere
aggravati dall’impossibilità per il paese di svalutare la moneta.
Essendo parte dell’Eurozona la Grecia dovette architettare una svalutazione interna.

2. L’incapacità di un governo di emettere debito nella propria moneta espone ai rischi di illiquidità e insolvenza.
Il governo è costretto a chiedere aiuto ai creditori che tuttavia impongono la propria legge comportando una
perdita di sovranità per il paese.

Vi è un’importante interazione fra economia e politica che provoca l’estrema fragilità dell’Eurozona.
Il meccanismo di aggiustamento in un’UM può essere gravoso e può recare sofferenze in grado di provocare
sconvolgimenti politici che portano al potere partiti che promettono una soluzione migliore fuori dall’UM.

In assenza di un’unione politica evoluta, nell’Eurozona è prevalsa la forma che vede una o più nazioni creditrici
dettare le misure di politica economica alle altre.

CASO DI STUDIO: L’ITALIA


l’Italia ha avuto una performance disastrosa dall’ingresso nell’Eurozona al punto che oggi il PIL pro capite è inferiore
a quello del 1999 (la popolazione è più povera di quanto fosse al momento di adesione all’UEM) e questo crea un
forte contrasto con il resto dell’Eurozona in cui il PIL pro capite è invece cresciuto.
Così come per il PIL, anche la disoccupazione non ha avuto un andamento favorevole e ad oggi solo due paesi hanno
un tasso più elevato, Spagna e Grecia, che tuttavia lo hanno visto scendere con la ripresa del 2014, l’Italia no.
Se dal 2014 il rapporto debito/PIL è andato diminuendo, una diminuzione significativa è mancata in Italia.

È evidente che la partecipazione all’UEM non è stata favorevole per l’Italia.


Molti paesi dell’Europa meridionale hanno subito deterioramenti di competitività dal 1999 fino allo scoppio della crisi
finanziaria del 2008.In Italia tale calo è stato del 30% circa.

L’esperienza italiana differisce da quella degli altri paesi dell’Europa meridionale per due aspetti:
1. La perdita di competitività non fu dovuta a un’espansione dei consumi insostenibile, ma a un calo della
produttività. Essendo i costi unitari del lavoro dati dai costi salariali corretti in funzione della produttività, in
Italia fu il declino della produttività a far crescere i costi unitari del lavoro.

2. Se Irlanda, Grecia e Spagna hanno avviato un processo di svalutazione interna, in Italia non ha avuto luogo
alcun tipo di aggiustamento di questo tipo.
Le svalutazioni interne avvenute a partire dal 2008 ammontano a meno del 10% quindi l’Italia ha subito una
perdita di competitività attestata al 20% (i costi unitari relativi del lavoro in Italia sono del 20% superiori a
quelli che si avevano all’inizio dell’Eurozona).

L’Italia può ripristinare la produttività in due modi:


1. Sviluppare una svalutazione interna tramite una riduzione dei salari rispetto a quelli degli altri paesi.
2. Provocare una svalutazione interna tramite un aumento della produttività rispetto a quella degli altri paesi.

In conclusione l’Italia sembra non funzionare convenientemente in un’UM, le sue istituzioni politiche la rendono
inadatta all’Eurozona.
Prima dell’ingresso nell’UEM l’Italia recuperava la propria competitività, dovuta a alti tassi di inflazione interna,
grazie alle svalutazioni. → modello con frequenti crisi dei cambi e alti tassi di inflazione
La colpa non è solo dell’Italia, se i paesi creditori membri dell’UEM fossero stati disposti a stimolare le proprie
economie, avrebbero aiutato l’Italia e gli altri paesi che avevano perso competitività.
3

L’asimmetria degli aggiustamenti ne accresce i costi per i paesi debitori


Se i paesi creditori avessero stimolato le proprie economie, avrebbero prodotto una rivalutazione che avrebbe creato
un sistema di aggiustamenti simmetrico che avrebbe ridotto il costo dell’aggiustamento dei paesi che avevano perso
competitività.
I paesi creditori non si sono adoperati per produrre rivalutazioni interne, si pensi alla Germania, i cui costi unitari
relativi del lavoro dall’inizio della crisi finanziaria sono rimasti inalterati.
Il rifiuto di favorire una rivalutazione interna ha addossato l’intero onere dell’aggiustamento ai paesi della periferia
dell’Eurozona mettendo a repentaglio l’esistenza stessa dell’unione.

VERSO LA DECOSTRUZIONE DELL’EUROZONA?


Per rendere l’Eurozona sostenibile l’unica soluzione potrebbe essere la decostruzione dell’Eurozona stessa, lasciando
che i paesi problematici escano dall’UEM, rafforzando così l’unione tra i paesi rimanenti.
Per capire se si tratta della migliore soluzione è necessario analizzare costi e benefici per i paesi per escono e per
quelli che vi restano. È importante sottolineare che costi e benefici dell’uscita dell’UEM non sono semplicemente
l’inverso di costi/benefici di restarci.
Un’analisi superficiale è quella per cui se per Grecia e Italia i costi dell’essere nell’Eurozona superano i benefici, per
questi i benefici dell’essere fuori dall’Eurozona devono superarne i costi.
Se i due paesi stessero meglio fuori, da un punto di vista economico, farebbero bene a lasciare l’Eurozona.
Quest’analisi ignora che il processo di uscita può generare costi elevati al punto da trattenere dall’uscire quei paesi che
ritengono avrebbero vita migliore fuori dall’UEM.

COSTI DELLA DECOSTRUZIONE


I costi per i paesi uscenti: (si considera la Grecia come paese rappresentativo)
1. Nel momento in cui si propagherà il sospetto dell’uscita dall’Eurozona i detentori di depositi in euro nel
sistema bancario greco cercheranno di trasferirli in banche dell’Eurozona.
Dopo l’uscita i depositi detenuti in Grecia saranno convertiti in dracme che tenderanno a deprezzarsi rispetto
all’euro.
I deflussi di capitale speculativo obbligheranno il governo a istituire dei controlli sul capitale rendendo
necessarie restrizioni sui ritiri di banconote.
Questo sconvolgerà il sistema dei pagamenti e inciderà negativamente sull’economia.

2. Il governo greco probabilmente non riuscirà ad onorare il debito, potrebbe dichiararsi inadempiente, ma è più
probabile che converta il debito in dracme.
La dracma si deprezzerà e i detentori di titoli del debito greco perderanno parte del valore dell’investimento in
tali titoli. → parte del debito è detenuto da banche greche che quindi subirebbero perdere elevate e potrebbero
innescare una crisi bancaria. Senza sostegno finanziario dell’Eurozona, il governo greco non potrà puntellare
il sistema bancario.
La svalutazione darebbe impulso alle esportazioni eliminando gli effetti negativi visti, ma nell’immediato l’uscita
provocherebbe un’immediata/repentina recessione.

I costi della decostruzione dipenderanno dalla resilienza del sistema politico:


1. Scenario pessimistico
La recessione produce turbolenze sociali estreme e contribuisce a portare al potere partiti radicali che
promettono di smettere con austerità e globalizzazione. → il paese è spinto a uscire dall’UE e ad istaurare una
politica protezionistica.

2. Scenario meno pessimistico


Le istituzioni politiche greche hanno resilienza sufficiente per resistere alla recessione dopo l’uscita.
In tal caso la svalutazione comincia a dare i suoi effetti portando l’economia fuori dalla recessione.
4

Non facendo parte dell’AVO la Grecia avrà maggiori benefici che costi dall’essere fuori dall’UEM, ma è difficile dire
quale tra i due scenari prevarrà.
I costi associati possono essere talmente alti da indurre i paesi tentati di uscire dall’UEM a restarci.

I costi per i paesi che restano nell’unione:


Ci sono diversi punti di vista in merito:
➔ La Grexit trasforma un’unione permanente in un’unione temporanea.
Con l’arrivo di ogni shock asimmetrico importante gli investitori si chiedono se i costi di aggiustamento non
possano divenire troppo elevati. → si innesca una dinamica instabile nell’Eurozona.

Diventa rilevante l’idea del rischio di ridenominazione delle monete in cui sono espresse attività e passività.
Rischio che dopo l’uscita dall’UE le imprese di quel paese possano trovarsi a fronteggiare perdite perché
hanno più passività che attività nei confronti di altri paesi dell’Eurozona.
Prima dell’uscita attività/passività sono espresse nella stessa moneta, dopo l’uscita sono improvvisamente
espresse in moneta estera. Le imprese dell’UEM potrebbero essere tentate di pareggiare le posizioni verso
ciascuno degli altri membri e questo renderà il futuro dell’Eurozona più instabile e porterà a un ripiegamento
delle imprese entro i confini nazionali.

L’eurozona senza la Grecia risponde ancora meno ai criteri di un’AVO, la grexit allontana i restanti paesi
dalla linea AVO.

➔ L’Eurozona senza la Grecia ha meno shock asimmetrici perché è stato espulso un paese anomalo e
potenzialmente nocivo.
I paesi restanti sono meno asimmetrici e aumenterà la stabilità nell’Eurozona.
Si può pensare che i paesi restanti decideranno che è nel proprio interesse migliorare la cooperazione e
rafforzare l’UEM al fine di evitare uscite future.

L’eurozona senza la Grecia potrebbe portare la nuova eurozona al sicuro nella zona AVO.

Conclusioni:
a causa della crisi del debito sovrano molti paesi sono stati impegnati nel fronteggiare problemi di aggiustamento.
Questa situazione ha spinto alcuni paesi a un ripensamento di costi e benefici della permanenza nell’Eurozona, a causa
anche della comparsa di nuovi partiti i cui punti del programmi si focalizzano sull’uscita dall’UE.
I paesi che decidono di non fare più parte dell’AVO migliorano il proprio benessere uscendo dall’UEM.
Sono incerte le conseguenze della decostruzione dell’UEM, i paesi che starebbero meglio fuori dall’UM potrebbero
decidere di rimanervi per paura della natura distruttiva della decostruzione → scenario poco probabile.
Anche per i paesi che rimarrebbero nell’UEM si aprono due scenari, uno pessimistico per cui l’uscita di un paese
innesca una dinamica che porta all’uscita di più paesi e uno ottimistico in cui si rafforza l’UM tra i membri che vi
restano.
5

Sommario
CASO DI STUDIO: LA GRECIA .................................................................................................................................... 1
CASO DI STUDIO: L’ITALIA ........................................................................................................................................ 2
VERSO LA DECOSTRUZIONE DELL’EUROZONA? ................................................................................................. 3
COSTI DELLA DECOSTRUZIONE ........................................................................................................................... 3
I costi per i paesi uscenti: .......................................................................................................................................... 3
I costi per i paesi che restano nell’unione: ................................................................................................................ 4
Conclusioni: ...................................................................................................................................................................... 4
1

CAPITOLO 9 : LA BANCA CENTRALE EUROPEA


Elemento centrale dell’UEM che all’atto di creazione dell’Eurozona rilevò i poteri decisionali delle BCN in materia
monetaria.

IL PROGETTO DELLA BCE


Si sono delineati originariamente due modelli di banca centrale: anglo-francese e tedesco ,che differiscono sotto due
aspetti principali, gli obiettivi da perseguire e l’architettura istituzionale.

Modello anglo-francese Modello tedesco

Obiettivi Sono perseguiti diversi obiettivi: stabilità dei prezzi, Stabilità dei prezzi = obiettivo primario.
stabilizzazione del ciclo economico, mantenimento di La BCE può perseguire poi altri obiettivi
un alto livello di occupazione, stabilità finanziaria. purché il conseguimento di questi non
La stabilità dei prezzi è uno dei tanti obiettivi, non ha metta a repentaglio la stabilità dei prezzi.
trattamenti preferenziali.
Architettura dipendenza politica della BCE. Il principio è l’indipendenza politica.
istituzionale Le decisioni di politica monetaria sono sottoposte Le decisioni relative al tasso di interesse
all’approvazione del governo. sono prese dalla BC senza interferenza
delle autorità politiche.

Durante la negoziazione del trattato di Maastricht i paesi europei dovevano scegliere uno tra questi due modelli.
È stato quello tedesco a prevalere, il principio di indipendenza è incorporato infatti nello statuto della BCE.

Art.105 Maastricht:
Prevede che l’obiettivo primario della BCE è il mantenimento della stabilità dei prezzi.
Il SEBC si impegna a sostenere le politiche economiche generali al fine di contribuire alla realizzazione degli obiettivi
della Comunità definiti nell’art.2, fatto salvo l’obiettivo della stabilità dei prezzi.

Art.102
Definisce gli obiettivi della comunità secondari rispetto al mantenimento della stabilità dei prezzi.

Art.107 indipendenza politica


Nell’esercizio dei poteri attribuiti né la BCE né una BCN o né un membro dei rispettivi organi decisionali, può
sollecitare o accettare istruzioni dalle istituzioni/organi comunitari, dai governi degli stati o da qualsiasi altro
organismo.

Il trattato riconosce che l’indipendenza politica è condizione necessaria per la stabilità dei prezzi, che laddove venisse
a meno costringerebbe la BC a stampare moneta per finanziare disavanzi pubblici (metodo più sicuro per creare
inflazione).

A tale scopo nel trattato è stato scritto quanto segue:


“è vietata la concessione di scoperti di conto o qualsiasi altra forma di facilitazione creditizia, da parte della BCE o
delle BCN a istituzioni organi della Comunità, a amministrazioni statali, enti regionali, locali o altri enti pubblici così
come l’acquisto diretto presso di essi di titoli da parte della BCE o delle BCN.

RAGIONI PER CUI È PREVALSO IL MODELLO TEDESCO


Quando i paesi negoziarono il trattato il modello anglo-francese prevaleva in quasi tutti gli stati membri dell’Unione,
tuttavia venne adottato il modello tedesco.
Questo avvenne per due ragioni:
1. Controrivoluzione monetarista
Se l’obiettivo è mantenere la disoccupazione sotto il suo livello naturale c’è un costo da pagare,
rappresentato da una sistematica tendenza inflazionistica. Per diminuire durevolmente la disoccupazione è
necessario diminuirne il tasso naturale tramite politiche strutturali che rendono flessibili il mercato del
lavoro riducendo il carico fiscale su questo.
La BCE deve però occuparsi solo di ciò che può controllare → livello dei prezzi.
2

Indipendenza politica e inflazione sono determinate congiuntamente da fattori sociali e politici perciò non si
può concludere che la sola imposizione di indipendenza politica porti a un’inflazione minore, è necessario per
la stabilità dei prezzi che si instauri un clima sociale e politico favorevole.

I Banchieri centrali hanno deciso di adottare la Bundesbank come modello individuando nella stabilità dei
prezzi l’obiettivo primario e nell’indipendenza lo strumento per conseguirlo.

2. Posizione strategica assunta dalla Germania nel processo di formazione dellUEM.


Per le autorità tedesche l’ingresso nell’UEM comportava il rischio di dover accettare un’inflazione maggiore e
in ragione di ciò hanno insistito per avere una BC che fosse ancora più hard-nosed (assegnasse un peso alla
stabilità dei prezzi più alto) della Bundesbank stessa.
Essendosi ormai i banchieri centrali convertiti al monetarismo questo fu semplice per la Germania.

Evidenze empiriche dell’indipendenza politica della BC


Analisi empiriche mostrano che le BC politicamente indipendenti tendono a generare meno inflazione, quindi i paesi
le cui BC sono più indipendenti registrano un tasso di inflazione mediamente più basso.
Questi studi sembrano indicare che in media e nel lungo periodo l’indipendenza politica non comporta maggiore
disoccupazione o minor tasso di crescita. Questo rende l’indipendenza una caratteristica desiderabile della BCE.
Indipendenza e inflazione derivano da interessi sociali ed economici.
Se i principali gruppi di pressione mostrano meno avversione verso l’inflazione, le BC risultano meno indipendenti.

Il principio dell’indipendenza, incorporato nello statuto può contribuire a influenzare i comportamenti e a modificare
il punto di vista della società sul ruolo della politica monetaria.
Vi è spazio per un rafforzamento di queste istituzioni per ridurre il rischio inflazionistico.

LA BCE È UNA BC CONSERVATRICE?


La BCE è fortemente impegnata a mantenere la stabilità dei prezzi, ma è scarsamente responsabile in merito a
stabilizzazione delle fluttuazioni di prodotto e occupazione. → si può definire la BCE conservatrice.
si considera più importante la stabilità dei prezzi rispetto alla stabilizzazione di prodotto e occupazione.
Per valutare se la BCE si comporta come una BC conservatrice si confrontino ora gli interventi intrapresi da BCE e
FED.
La FED ha usato il tasso di interesse molto più attivamente rispetto al
la BCE:
- Nel 2001 ha reagito al rallentamento dell’economia tagliando il tasso di interesse
- Dal 2004 ha ripreso ad irrigidire la politica monetaria alzando il tasso di interesse
- Con la recessione ha azzerato il tasso di interesse
- Nel 2016 ha rialzato i tassi per reagire al miglioramento delle condizioni economiche
La BCE è stata più cauta nel manovrare i tassi di interesse, riducendolo in modo meno aggressivo della FED,
alzandolo durante l’espansione del 2006-7 e arrivando ad azzerarlo a causa della crisi 5 anni dopo la FED.
Il confronto tra tassi non considera la differenza esistente tra le condizioni economiche di fondo di Usa e Eurozona.

Sembra che la BCE reagisca a variazione del gap del prodotto, se il livello di questo è basso cerca di ridurre il tasso di
interessa per stimolare l’economia e viceversa.
L’evidenza attesta che la BCE attribuisce un peso al problema della stabilizzazione del prodotto, tuttavia anche se
fosse interessata solo all’inflazione la BCE dovrebbe reagire ai gap di prodotto in quanto questi sono buoni indicatori
dell’inflazione futura. Se il gap del prodotto si amplia, probabilmente aumenterà in futuro anche l’inflazione.
Tuttavia, le reazioni al gap di prodotto della BCE sono state meno intense di quelle della FED.

Rispetto alla FED, la BCE attribuisce meno importanza alla stabilizzazione del prodotto e questo la rende pertanto pià
conservatrice.

Quantitative easing negli USA e nell’Eurozona (EZ)


Un lascito della crisi è stato l’abbattimento dell’inflazione in molti paesi, in particolare tale fenomeno è evidente
nell’Eurozona, dove l’inflazione divenne negativa alla fine del 2014. Risultati analoghi si verificarono negli USA.
Il risultato fu che le BC per stimolare l’inflazione dovettero usare un metodo non convenzionale, il quantitative easing.
3

Il QE consiste nell’acquisto di titoli di stato in modo da accrescere la liquidità nel sistema.


Una conseguenza fu l’aumento del bilancio della banca centrale.
La Fed fu più pronta e aggressiva della BCE nell’applicare il QE per limitare le tendenze inflazionistiche.

INDIPENDENZA E ACCOUNTABILITY
Ci sono valide ragione per garantire l’indipendenza della BCE, ma esistono anche problemi relativi alla sua
accountability.
La BCE infatti potrebbe incorrere in errori di natura sistematica che potrebbero anche indurla a fare cose in contrasto
con il suo mandato, pertanto è necessario un meccanismo atto a verificare se la BCE ottemperi al proprio mandato e ad
applicare eventuali sanzioni.
Principio generale in democrazia:
i cittadini delegano potere ai politici che lo esercitano fino alla successiva scadenza elettorale. La procedura di
delega è composta da due stadi:
- I politici sono investiti del potere e lo esercitano indipendentemente dagli elettori
- Accountability, l’elettorato valuta ed eventualmente sanziona l’operato dei politici.
L’attività dei politici consiste nel delegare ulteriormente il potere a istituzioni specializzate e anche in tal caso la
procedura di delega si compone di due stadi:
- I politici delegano il potere a un’istituzione tramite un contratto che specifica obiettivi e mezzi per
conseguirli.
- I politici valutano la performance dell’istituzione.
I due stadi sono connessi, il politico che deve rispondere agli elettori non può delegare a un’istituzione se non è in
grado di esercitare un qualche controllo su quest’ultima.

Il principio generale di democrazia è applicabile al caso di una BC.


Se è il governo a decidere il tasso di interesse, non è necessario che la BC ne risponda esplicitamente, ma se il governo
delega molto potere alla BC quest’ultima deve risponderne in modo adeguato.

Indipendenza e accountability sono aspetti inscindibili del processo di delega:


asse y : grado di indipendenza garantito alla BC
asse x : grado di accountability della BC

linea a pendenza positiva:


insieme delle combinazioni ottimali di indipendenza e accountability
dal punto di vista del politico che delega potere alla BC.

Maggiore è l’indipendenza, maggiore è il rischio che si accolla e più


ci si vorrà cautelare organizzando un sistema di controllo sulla
performance della BC

La BCE è la BC più indipendente seguita da Bundesbank e FED,


tuttavia non è quella assoggettata al maggior grado di accountability.

I presidenti di FED e BCE devono entrambi presentarsi periodicamente a un’audizione parlamentare, ma le


implicazioni sono diverse:
- FED:
il presidente ha davanti a sé un’istituzione che può modificare lo statuto dell’istituzione, pertanto non può
trascurare sistematicamente le opinioni dei membri del Congresso.
- BCE:
il presidente ha davanti a sé un’istituzione che non può modificare lo statuto della BCE, se non modificando il
trattato di Maastricht.
La BCE si trova in posizione di forza nei confronti delle istituzioni dell’UE

Alla BCE è garantita una maggiore indipendenza, ma è soggetta a una sindacabilità più blanda in contrasto con la
teoria secondo cui l’accountability dovrebbe aumentare di pari passo con il grado di indipendenza.
4

Il processo di delega di potere a favore della BCE comporta la sottoscrizione di un contratto in cui vengano
specificati gli obiettivi da perseguire, il metodo da seguire per conseguirli e le sanzioni se questi non vengono
raggiunti.

Il problema si pone nel momento in cui la definizione degli obiettivi non è precisa, infatti diventa più difficile
monitorare il comportamento della BC.
Il Trattato di Maastricht affida alla BCE, oltre all’obiettivo primario, il compito di sostenere le politiche generali
intraprese della comunità e questo pone due problemi:
1. Non viene definito con precisione il concetto di stabilità dei prezzi.
La BCE stessa ha colmato alcune lacune fornendo una definizione di stabilità dei prezzi.
La BCE stessa ha definito quindi a proprio favore le clausole del contratto stipulato con i politici.

2. Non sono definiti precisamente gli altri obiettivi che la BCE deve perseguire.
La BCE stessa ha sviluppato una propria interpretazione resa pubblica nella strategia di politica monetaria
della BCE.
Questa interpretazione vedere come unico obiettivo la stabilità dei prezzi, di conseguenza la BCE ha ristretto
il campo di responsabilità di cui può essere chiamata a rispondere.

Vi è un crescente consenso sul fatto che spetti ai funzionari eletti fissare gli obiettivi, che una volta fissati sono
perseguiti dalla BCE. → concetto di indipendenza degli strumenti
La BC è indipendente nel senso che può scegliere come raggiungere gli obiettivi che la società le ha assegnato.
I.e. caso della Banca d’Inghilterra.

Il campo dell’accountability è ristretto per due ragioni:


1. In Europa sono assenti istituzioni politiche capaci di esercitare controllo sull’operato della BCE
2. A causa della vaghezza del Trattato nel definire gli obiettivi, la BCE è riuscita a circoscrivere all’inflazione il
proprio campo di responsabilità.

Questo rende problematico il sostegno politico di cui la BCE potrà godere a lungo termine, infatti le moderne BC
hanno responsabilità che vanno oltre la semplice stabilità dei prezzi.

Per compensare alla mancanza di accountability formale la BCE potrebbe espandere quella di tipo informale,
rendendo più trasparente il proprio operato.
L’alto grado di indipendenza di cui gode dovrebbe portare la BCE ad andare volontariamente incontro al pubblico più
di quanto facciano le altre banche centrali.
Qualche passo è stato fatto in tale direzione:
- Pubblicazione di un bollettino mensile in cui spiega le misure adottate in modo dettagliato.
- Spiegazione e motivazione delle decisione prese alla stampa da parte del presidente della BCE dopo ogni
seduta mensile del Consiglio dei governatori.

CONTESTO ISTITUZIONALE DELLA BCE


La rilevanza assunta dagli stati-nazione ha reso necessaria la previsione di istituzioni monetarie sufficientemente
decentralizzate, ma in grado di condurre la politica monetaria in maniera unitaria.

L’EUROSISTEMA:
Le istituzioni dell’Eurozona sono state create con il Trattato di Maastricht.
La politica monetaria è affidata all’Eurosistema, composto da:
- BCE, rappresenta una parte dell’Eurosistema pertanto non può decidere per proprio conto misure di politica
monetaria per l’eurozona.
- BCN dei paesi membri dell’UE che hanno aderito all’UEM → ad oggi 19.

Le strutture di governo dell’Eurosistema sono:

- Comitato esecutivo
Composto da presidente, vicepresidente e 4 dirigenti della BCE.
Attua le decisioni di politica monetaria prese dal consiglio direttivo.
Impartisce istruzioni alle BCN e fissa l’ordine del giorno del consiglio direttivo.
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- Consiglio direttivo
Composto dai 6 membri del comitato esecutivo + governatori delle 19 BCN.
Organo decisionale più importante dell’Eurosistema.
Formula le politiche monetarie e prende decisioni in merito a tassi di interesse e riserve obbligatorie.
Si riunisce ogni 2 settimane a Francoforte.
Ogni membro ha diritto a un voto, le votazioni non rispondono al principio del voto a maggioranza qualificata,
i membri infatti dovrebbero operare unicamente nell’interesse dell’Eurozona nel suo complesso e non dei
singoli paesi di appartenenza.

L’Eurosistema è troppo decentrato?


Essendo presenti all’interno del consiglio direttivo, le BCN sono pienamente coinvolte nel processo decisionale.
Il consiglio direttivo prende le decisioni e la BCE ne dà attuazione fornendo istruzioni alle BCN che traducono tali
decisioni nel contesto dei rispettivi mercati monetari nazionali.
Alcuni osservatori (Tabellini) hanno sostenuto che il sistema è troppo decentrato.
I governatori delle singole BCN hanno una netta maggioranza in senso al consiglio direttivo (19 su 25).

De Grauwe ha dimostrato che quando il Comitato esecutivo della BCE agisce all’unisono, di solito sono le sue
decisioni a prevalere, poiché questo si avvale di informazioni assunte a livello dell’intera Eurozona, le sue decisioni
sono influenzate dalle condizioni economiche prevalenti nei paesi più grandi. (i.e. Germania = 30% pil EZ)

il processo decisionale dell’eurosistema dovrebbe essere riformato?


L’allargamento dell’Eurozona dai 12 membri originari agli attuali 19 e il principio “un paese, un voto” hanno
accresciuto il rischio che le decisioni di politica monetaria siano influenzate eccessivamente da coalizioni di paesi di
dimensioni modeste. → le decisioni potrebbero contrastare con gli interessi dei paesi più grandi.
Per eliminare questo problema il Consiglio, nel 2002, ha raggiunto un accordo volto a modificare la procedura di voto
come segue:
- Numero di governatori con diritto di voto ristretto a 15
- Diritto di voto dei governatori esercitato a rotazione, con una frequenza di partecipazione alle sessioni di voto
legata alla grandezza relativa del paese da cui provengono.
Questo accordo è stato adottato dai capi di Stato all’unanimità.
Inizialmente questo doveva divenire operativo non appena i governatori sarebbero stati più di 15, ma il Consiglio
direttivo ha posposto l’entrata fino al superamento dei 18 membri, avvenuto a gennaio 2015 con l’ingresso della
Lituania.
Questo accordo elimina il principio “un paese un voto”.

Procedura di votazione:
I paesi sono divisi in due gruppi secondo le rispettive dimensioni di economie e settori finanziari:
- Primo gruppo
Ha diritto a 4 voti ed è composto dai 5 paesi più grandi: Germania, Italia, Francia, Spagna, Paesi Bassi.
- Secondo gruppo
Composto dagli altri paesi che condividono 11 diritti di voto.
I governatori votano sulla base di una rotazione mensile.
Oggi la differenza tra i diritti di voto dei due gruppi è minima, ma aumenterà quando altri membri si aggiungeranno al
secondo gruppo (gli 11 voti infatti sono fissi).

A prescindere dalla procedura di voto il Consiglio direttivo è troppo grande e si corre il rischio che diventi difficile
prendere rapidamente delle decisioni.
i.e. decisione della BCE se acquistare o no titoli di stato nel mercato secondario. Decisione di avviare il programma
Outright Monetary Transactions (OMT) presa più di due anni dopo lo scoppio della crisi del debito sovrano.
6

LA BCE COME PRESTATORE DI ULTIMA ISTANZA


Nel 2008 le banche si trovarono alle prese con una crisi generale di liquidità e la BCE intervenne con iniezioni di
liquidità effettuando operazioni di mercato aperto evitando così il collasso del sistema bancario.
È stato questo il primo test della BCE come prestatore di ultima istanza.

C’è un netto contrasto tra il ruolo di prestatore di ultima istanza a favore del sistema bancario e nel mercato dei titoli
di stato.
Gli Stati, come le banche, emettono passività liquide (titoli di stato) e hanno attività per lo più illiquide.
La prontezza avuta dalla BCE a fornire massicci aiuti alle banche si scontra con le remore mostrare a fornire la
liquidità necessaria ai mercati dei titoli di stato.

A settembre 2012, la BCE ha annunciato la propria disponibilità ad agire come prestatore di ultima istanza nei mercati
dei titoli di stato con il programma Outright Monetary Transactions (OMT).
L’annuncio del programma ha avuto l’effetto immediato di ridurre i tassi di interesse sui titoli di stato.

L’attuazione dell’OMT è subordinata a una serie di condizioni:


- La BCE restringerà gli acquisiti di titoli a quelli con scadenza massima 3 anni.
Questo può accrescere la fragilità degli emittenti che sono incentivati ad emettere titoli a breve termine, ma
questo li renderà più vulnerabili a crisi di liquidità.

- I paesi che hanno bisogno del sostegno dell’OMT dovranno assoggettare le proprie politiche di bilancio a un
programma di austerità sottoposto alla vigilanza del meccanismo europeo di stabilità.
Solo quando il governo accetta un programma di austerità stabilito dal MES, la BCE concederà il sostegno
richiesto. → per ottenere aiuto, un paese deve accettare la condizione di un’accentuazione della recessione.

Queste condizioni pongono questioni di governance.


Un’appropriata separazione delle responsabilità prevede che la BCE agisca come prestatore di ultima istanza, mentre
spetta alla commissione europea controllare il rischio di azzardo morale creato dall’ottenimento di prestiti di ultima
istanza.
Il programma OMT ha reso chiaro che la BCE vuole sia fornire la liquidità sia vigilare sul rischio d’azzardo morale,
come si evince dal fatto che la BCE è attivamente impegnata nella c.d troika (Commissione europea, BCE, FMI) che
controlla le politiche di bilancio dei paesi.

La decisione della BCE di fornire un illimitato sostegno di liquidità in mercati dei titoli di stato è positiva, ma il
programma OMT è ancora strenuamente avversato in diversi paesi.

OMT E VIOLAZIONE DELLO STATUTO AL MOMENTO DI ANNUNCIO DEL


PROGRAMMA
Si sente dire che la decisione della BCE di acquistare titoli di stato rappresenta una violazione del suo statuto, prima
sostenitrice di tale teoria è stata la Corte costituzionale tedesca.
Una lettura del trattato, tuttavia, fa emergere l’infondatezza di tale interpretazione.
Il Trattato infatti stabilisce che la BCE e le BCN hanno la facoltà di operare sui mercati finanziari comprando e
vendendo crediti e strumenti negoziabili, categoria in cui rientrano i titoli di stato.
Di questa posizione è anche la Corte di giustizia europea che ha sentenziato che il programma OMT non viola lo
statuto della BCE.

La BCE non può concedere scoperti di conto e/o qualsiasi forma di facilitazione creditizia a enti pubblici ne può
tantomeno acquistare direttamente presso di essi strumenti di debito pubblico.
L’acquisto diretto si basa sul fatto che tali operazioni forniscono liquidità agli stati venditori comportando dunque un
finanziamento monetario del disavanzo di bilancio.
La BCE può acquistare titoli di stato nei mercati secondari, in tal modo non viene erogato credito ai governi, bensì
fornita liquidità ai detentori di titoli di tali governi.
7

LA NUOVA STRUTTURA DI REGOLAMENTAZIONE E VIGILANZA


FINANZIARIA
La crisi bancaria del 2008 ha dato adito a una revisione delle funzioni di regolamentazione e vigilanza di banche e
mercati finanziari.
Si sentì la necessità di creare un quadro di regolamentazione e vigilanza centralizzato, che si applica a tutti i paesi
dell’UE e non solo a quelli partecipanti anche all’Eurozona.

La nuova struttura è così composta:


- All’ESRB (Comitato Europeo per il rischio sistemico), presieduto dal presidente della BCE, è attribuito il
compito di analizzare le fonti di potenziali rischi sistemici che possono insorgere nel sistema finanziario e di
emettere segnalazioni precoci.
Non ha poteri esecutivi.

- Creazione di tre nuove autorità di vigilanza a livello europeo le ESA (European Supervisory Authorities):
o Autorità bancaria europea (EBA)
o Autorità europea delle assicurazione e delle pensioni aziendali e professionali (EIOPA)
o Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (ESMA)
Le ESA hanno la facoltà di:
o indagare sulle infrazioni del diritto comunitario da parte degli organismi di vigilanza nazionali
o assumere decisioni direttamente vincolanti per imprese e partecipanti ai mercati negli stati membri
che non ottemperano alle disposizioni vigenti.
o Raccogliere dagli organi di vigilanza nazionale le informazioni necessarie allo svolgimento dei propri
compiti.

Nel 2016 si decise di creare un quadro di vigilanza comune per l’Eurozona e poiché la creazione di una nuova
istituzione avrebbe richiesto una modifica del Trattato, fu attribuito alla BCE il compito di responsabile della vigilanza
comune delle banche dell’Eurozona.

In seno alla BCE vi è il Consiglio delle autorità di vigilanza che ha il potere di vigilare sulle c.d. banche sistemiche
dell’Eurozona, tale potere comprende l’auditing dei bilanci, l’erogazione di sanzioni, la ricapitalizzazione e in casi
estremi persino la chiusura delle banche.

Questo nuovo sistema è divenuto operativo alla fine del 2014.

Ciò che manca è un efficace quadro comune di risoluzione delle crisi, ossia un sistema che renda possibile risolvere
una crisi bancaria a livello dell’Eurozona.
L’esperienza della crisi del 2008 ha mostrato che quando una crisi esplode, l’unico responsabile della risoluzione
della crisi è il governo nazionale. → i governi ricapitalizzano le banche.
Con l’istituzione del meccanismo di risoluzione comune (SRM – Single Resolution Mechanism) si è raggiunto un
accordo per creare un fondo di 55mld di euro, ma la sua gestione è complessa al punto da far dubitare della sua
efficacia in momenti di crisi.

Un’ulteriore elemento mancante è un meccanismo comune di assicurazione dei depositi.


Ogni paese ha il proprio meccanismo nazionale che dipende dai contributi nazionali al programma di assicurazione.
Se una crisi dovesse esplodere le perdite dei depositanti sarebbero compensate solo dal sistema di assicurazione
nazionale, ma in caso di crisi su vasta scala le risorse dei sistemi nazionali risulterebbero insufficienti e toccherebbe
nuovamente ai governi intervenire.

Un meccanismo comune di assicurazione dei depositi è necessario per rendere possibile la redistribuzione nell’insieme
dell’Eurozona del costo della compensazione dei detentori di depositi in un singolo paese.
Tale soluzione presuppone che i paesi membri vogliano trasferire risorse a quello di loro che dovesse venire investito
da una crisi bancaria.

L’UEM è lontana dall’essere completa, in quanto un’UM completa si compone anche di:
- Autorità comuni di vigilanza (realizzata)
- Quadro comune di risoluzione delle crisi (realizzata ma poco efficiente)
- Meccanismo comune di assicurazione dei depositi (mancante)
8

Conclusioni:
il disegno dell’Eurosistema presenta varie carenze, prima tra tutte l’assenza di un’accountability chiara.
La forte indipendenza che la BCE ha ottenuto, e questo è positivo, non è equilibrata da una procedura altrettanto forte
di controllo del suo operato, questo è il lato negativo.
L’unica possibilità di ovviare a tutto ciò è che la BCE crei un clima di trasparenza.
La decisione di fungere da prestatore di ultima istanza nei mercati dei titoli pubblici dell’Eurozona (OMT) è una
svolta istituzionale che finora la BCE non ha avuto bisogno di attivare, ma che in futuro potrà rendersi necessario.
La BCE ha acquisito responsabilità fondamentali in materia di vigilanza comune sulle banche sistemiche dell’EZ.
Oggi è proprio la BCE la responsabile della politica monetaria e della vigilanza nell’eurozona.
Sono stati compiuti sforzi importanti per creare un’unione bancaria nell’EZ, ma si dovranno fare importanti passi per
rafforzare il meccanismo comune di risoluzione delle crisi e creare un sistema comune di assicurazione dei depositi.

Sommario
IL PROGETTO DELLA BCE .......................................................................................................................................... 1
Modello anglo-francese............................................................................................................................................. 1
Modello tedesco ........................................................................................................................................................ 1
RAGIONI PER CUI È PREVALSO IL MODELLO TEDESCO .................................................................................... 1
LA BCE È UNA BC CONSERVATRICE? ..................................................................................................................... 2
INDIPENDENZA E ACCOUNTABILITY ..................................................................................................................... 3
CONTESTO ISTITUZIONALE DELLA BCE ................................................................................................................ 4
L’EUROSISTEMA: ...................................................................................................................................................... 4
L’Eurosistema è troppo decentrato?.......................................................................................................................... 5
il processo decisionale dell’eurosistema dovrebbe essere riformato? ....................................................................... 5
LA BCE COME PRESTATORE DI ULTIMA ISTANZA .............................................................................................. 6
OMT E VIOLAZIONE DELLO STATUTO AL MOMENTO DI ANNUNCIO DEL PROGRAMMA .................... 6
LA NUOVA STRUTTURA DI REGOLAMENTAZIONE E VIGILANZA FINANZIARIA ........................................ 7
Conclusioni: ...................................................................................................................................................................... 8
1

CAPITOLO 10 : LA POLITICA MONETARIA NELL’EUROZONA


Il problema principale che la BCE dovrà affrontare è come condurre la politica monetaria nell’unione nel caso di
shock asimmetrici.
L’Eurozona viene regolarmente colpita da shock asimmetrici, pertanto bisogna analizzare quali conseguenze ne
derivano per le politiche della BCE.
si supponga che:
Francia (F) = boom dovuto a aumento di domanda
aggregata.
Germania (G) = recessione dovuta a un calo di domanda
aggregato.

Si assume che lo shock positivo di un paese è compensato


esattamente dallo shock negativo dell’altro paese. →
shock asimmetrico puro

La BCE è responsabile della stabilità dei prezzi e aggrega i


dati dei paesi, di conseguenza osservando le condizioni
economiche prevalenti decide che non necessaria alcuna modifica delle politiche → prezzi e quantità prodotte sono
invariata.
Risultato: aumenta la fluttuazione della produzione (e dell’occupazione).

Germania:
- La produzione scende a YG2.
- Se potesse fissare il tasso di interesse lo abbasserebbe per stimolare la domanda e avere un prodotto maggiore
(YG3)
Francia:
- Il prodotto sale a YF2.
- Se potesse fissare il tasso di interesse lo alzerebbe per contrastare la pressione inflazionistica e avere un
prodotto minore (YF3).

In caso di shock asimmetrico puro la BCE non riesce mai a stabilizzare il sistema, si comporta come se attribuisse
peso nullo alla stabilizzazione del prodotto.

Si considera ora il caso simmetrico (lo shock è esattamente lo stesso in entrambi i paesi):

la curva di domanda si sposta verso il basso in entrambi


i paesi nella stessa misura (linea tratteggiata).

La BCE osserva un calo di prezzi e quantità prodotta


nell’insieme dell’Eurozona.

La BCE vuole stabilizzare la situazione e quindi


abbassa il tasso di interesse facendo risalire, almeno in
parte, le curve di domanda.

Se in (G) lo shock è identico al caso precedente, ora la


BCE invece è in grado di stimolare la produzione in (G)

Dal punto di vista del singolo stato e nella misura in cui è presente una componente asimmetrica, la BCE non
stabilizzerà completamente la situazione.
Questo problema non si può risolvere.

Se il paesi formano un’AVO (non sono eccessivamente soggetti a shock asimmetrici) per la BCE sarà relativamente
facile stabilizzare gli shock, ma se i paesi non costituiscono un’AVO sarà difficile per la BCE stabilizzare prodotto e
occupazione.
2

Le differenze di ampiezza dei cicli crearono problemi di stabilizzazione. Il tasso di interesse adottato dalla BCE
tendeva ad essere troppo passo per i paesi con forti boom e troppo alto per quelli con boom di minore intensità.
Lo stesso si può dire per i periodi di recessione, dove il tasso era troppo alto per i paesi con le recessioni più pesanti.

Per analizzare le asimmetrie si possono anche considerare quali sarebbero i tassi di interesse ottimali per ogni paese
dati i tassi di inflazione e i gap di prodotto osservati.
Tali tassi sono calcolati con la regola di Taylor che descrive come la BC fissa i tassi di interesse allo scopo di
contrastare le variazioni del tasso di inflazione e il gap del prodotto.
Da quest’analisi emerge come i tassi desiderati dalla BCE e dai grandi paesi (i.e. Germania, Italia, Spagna, Francia)
sono simili. Molti paesi di dimensioni più modeste invece non condividono le decisioni sui tassi prese dalla BCE.
Questo divario nella struttura dei tassi di interesse desiderati spiega anche la cautela con cui la BCE manipola il
proprio tasso → le differenze nei tassi, causate da shock asimmetrici, hanno paralizzato la BCE bloccandone l’azione.

I paesi con tassi di crescita della produttività elevati hanno anche maggiore inflazione (segnalata dall’indice dei prezzi
al consumo), se la fonte dei differenziali di inflazione però deriva dai differenziali di crescita della produttività, per
l’effetto Balassa-Samuelson la maggiore inflazione è un meccanismo di riequilibrio.

Tuttavia, i differenziali di inflazione sistematici influenzano il tasso di interesse reale e possono avere ripercussioni
sul mercato delle attività.

Shock asimmetrici e prezzi delle abitazioni


Ampie differenze di inflazione nell’Eurozona hanno importanti implicazioni.
Fin dall’avvio dell’EZ i tassi di interesse nominali stabiliti dalla BCE sono stati applicati da tutti i paesi partecipanti.
Gli ampi differenziali hanno comportato grandi differenze tra i tassi di interesse reali (paesi ad alta inflazione tassi
reali troppo bassi e viceversa).
Le differenze tra tassi reali hanno avuto implicazioni nel mercato delle abitazioni, infatti bassi tassi reali stimolano la
domanda di case determinandone un aumento dei prezzi → Vi è una relazione inversa (negativa) tra tassi reali e
aumenti dei prezzi.
I bassi tassi in Spagna e Irlanda hanno alimentato una bolla speculativa, le banche infatti vedendo crescere il valore
della garanzia dei mutui hanno contribuito a gonfiare la bolla. Essendo i tassi nominali fissati centralmente dalla BCE,
l’espansione del credito avviene a tassi nominali costanti e non si può controllare la bolla speculativa.
Nel momento di scoppio della bolla l’economia affronta un processo di aggiustamento deflazionistico in cui i
consumatori scoprono che il valore del prestito contratto è superiore a quello delle loro stesse case.
Per ridurre i rischi le autorità possono avvalersi di macrostabilizzatori consistenti nel ridurre il rapporto prestito/valore
durante i periodi di espansione per rialzarlo nei periodo di recessione.

LA STRATEGIA DI POLITICA MONETARIA DELLA BCE


La BCE ha formulato la strategia che impronta la sua politica monetaria per l’Eurozona.
Il primo elemento consiste nel definire:
- Obiettivi finali (inflazione, prodotto)
L’effetto delle manovre su questi obiettivi è indiretto e avviene con lunghi ritardi.
- Obiettivi intermedi
Per compensare i ritardi, le BC scelgono obiettivi intermedi che incidono su quelli finali e che possono
controllare più agevolmente.

Il primo passo della strategia è fornire una definizione di stabilità dei prezzi, definita dal Consiglio direttivo della
BCE come: “un aumento su 12 mesi dell’indice armonizzato dei prezzi al consumo per l’Eurozona inferiore al 2%”.
La definizione non indica un limite inferiore, pertanto la BCE ha dichiarato di perseguire un obiettivo di inflazione
inferiore ma vicino al 2%.

La stabilità dei prezzi deve essere mantenuta nel medio periodo (termine per cui non c’è una definizione).
In caso di improvviso superamento della soglia limite (2%) a causa di gravi perturbazioni, la BCE farà in modo di
rientrare gradualmente.

Definito l’obiettivo la BCE descrive a strategia con cui raggiungerlo.


Con la costituzione dell’EZ la BCE annunciò una strategia a due pilastri, in seguito modificata perché inefficiente.

I due pilastri previsti dalla BCE sono:


1. Primo pilastro: monetario
3

a. Stima del trend futuro di crescita del PIL reale.


b. Stima dell’andamento futuro della velocità di circolazione.
c. Dati i primi due valori si passa alla determinazione del tasso di crescita dello stock di moneta
compatibile con l’obiettivo di inflazione.
Non potendo l’inflazione superare il 2%, lo stock di moneta non può crescere più del 4,5% annuo.
Il 4,5% non è un obiettivo, ma un valore di riferimento. Se l’aggregato monetario di riferimento (M3)
aumentasse più del 4.5% la BCE potrebbe prendere provvedimenti per ridurlo.

2. Secondo pilastro (piuttosto vago)


La BCE userà un’ampia batteria di indicatori per misurare gli sviluppi futuri per quanto concerne i prezzi.
Tra le variabili considerate: salari, tasso di cambio, prezzi delle obbligazioni, indicatori di politica fiscale,
indice dei prezzi e dei costi, ….
La lista di questi indicatori è aperta, pertanto alcuni potrebbero aggiungersi mentre altri potrebbero passare in
secondo piano.

La strategia monetaria fissa per l’inflazione un obiettivo pari a massimo 2% e allo scopo di guidare l’inflazione verso
tale valore la BCE monitora variabili che influenzano l’inflazione futura, tra cui la più importante è il tasso di crescita
dell’aggregato monetario M3.

Si va consolidando l’idea che la strategia della BCE presenzi manchevolezze, in particolare la critica si concentra su:
- Obiettivi perseguiti
- Strumenti utilizzati

SCELTA DELL’OBIETTIVO
La BCE riconosce un unico obiettivo relativo alla politica monetaria, disattendendo le indicazioni del Trattato di
Maastricht.
Accettando questa restrizione delle responsabilità si ammette che la BCE ha raggiunto egregiamente l’obiettivo della
stabilità dei prezzi mantenendo l’inflazione mediamente all’1.7%
Tuttavia, la BCE ha avuto difficoltà ad arrestare la dinamica deflazionistica emersa nella scia del debito sovrano, per
questo all’inizio del 2015 ha deciso di impegnarsi nel Quantitative Easing, un massiccio programma di acquisti di
titoli di stato il cui scopo è accrescere la base monetaria.

L’adozione dell’inflazione come obiettivo esclusivo non rende impossibile la contemporanea realizzazione di altri
obiettivi. Infatti l’inflation targeting (perseguimento dell’obiettivo dell’inflazione) porta con sé la stabilizzazione del
prodotto.
shock da domanda:
in un’economia in espansione questa risulta dallo spostamento della domanda
aggregata in AD’.

Con lo spostamento il prodotto supera il livello normale (di pieno impiego).


Per impedire pressioni inflazionistiche la BCE persegue una politica monetaria
restrittiva che riporta AD’ in AD.
➔ Livello dei prezzi e del prodotto sono stabilizzati.

Quando gli shock provengono dal lato della domanda non c’è trade-off tra
stabilizzazione dei prezzi e del prodotto.

In questo caso l’inflation targeting permette alla BC si stabilizzare l’inflazione, ma anche il prodotto rispetto al suo
livello potenziale (livello naturale in condizioni di equilibrio di lungo periodo).
Non c’è necessità di intervenire esplicitamente per influenzare il livello del prodotto.
4

shock da offerta :
Nell’economia il prodotto diminuisce e i prezzi aumentano.
Perseguendo l’obiettivo della stabilità dei prezzi la BCE tende a ridurre la stabilità
aggregata → il livello dei prezzi riscende, ma il livello del prodotto cala ulteriormente.

Quando gli shock provengono dal lato dell’offerta può esserci trade-off tra inflazione e
stabilizzazione del prodotto.
La BCE ha chiarito che ogniqualvolta si manifesta la possibilità di un simile trade-off,
essa sceglierà la stabilizzazione dei prezzi.

Tuttavia, vi è uno spiraglio per una parziale stabilizzazione del prodotto anche in caso
di shock dal lato dell’offerta. La BCE infatti persegue la stabilità dei prezzi nel medio
periodo, di conseguenza quando i prezzi iniziano a salire in seguito a shock la BCE potrebbe intervenire con gradualità
e non con misure restrittive volte a stroncare le pressioni inflazionistiche → evita una repentina riduzione del prodotto.

La gradualità della transizione all’obiettivo dell’inflazione successivamente a uno shock è l’approccio corretto,
perché consente alla BC di considerare anche l’obiettivo della stabilizzazione del prodotto.

Stabilizzazione finanziaria: un altro obiettivo?


Prima della crisi finanziaria il fatto se la stabilità finanziaria potesse considerarsi un obiettivo o meno si basava su due
argomenti:
➔ Mantenendo la stabilità dei prezzi la BC faceva tutto ciò che era in suo potere per mantenere anche la stabilità
finanziaria. Stabilità dei prezzi = strategia che minimizzava i rischi dell’instabilità.
➔ Istituzioni di vigilanza e regolamentazione sono i primi responsabili del mantenimento della stabilità
finanziaria.

Se non esiste la possibilità di un trade-off tra stabilità dei prezzi e finanziaria la BC può affermare che mantenendo la
stabilità dei prezzi fa tutto ciò che può per mantenere anche la stabilità finanziaria.
Se invece esiste una possibilità di trade-off la BC deve compiere una scelta e si pone il problema di stabilire quale
obiettivo ha la priorità.

È opportuno ora verificare l’esistenza di un trade-off tra stabilità dei prezzi e stabilità finanziaria:
l’attività della BC consiste in gran parte nel risolvere dei trade-off, tra cui quello di maggior attenzione è quello fra
inflazione e prodotto.
A prima vista sembra non esserci un trade-off del tipo stabilità dei prezzi e disoccupazione anche per quanto riguarda
la stabilità finanziaria. Nessun modello infatti afferma che riducendo l’inflazione si riduce la stabilità finanziaria.
I trade-off tra inflazione e stabilità finanziaria si possono manifestare in altri modi, a tal fine si esamina come si
formano le bolle attraverso i meccanismi di domanda e offerta.

La bolla di Internet:

nuova ottimismo sulle aumento meno costi maggiore


tecnologia potenzialità prezzi delle per attrarre investimento
future azioni capitale nella tecnologia

Effetto primario: la produttività aumenta → la curva di offerta aggregata si sposta.


Lo stesso shock comporta anche l’aumento della domanda aggregata.
Ipotizzando che effetto sull’offerta > effetto sulla domanda:
AD si sposta in AD’ AS si sposta in AS’

Come risultato il livello del prezzo aggregato è sceso.

La dinamica ora dipende dalla politica adottata dalla BC.


Se la BC si pone come obiettivo P* :
adotta una politica di stimolo monetario (tasso di interesse più
basso e stock di moneta maggiore) per aumentare la domanda
e il livello dei prezzi. → AD’ si sposta in AD’’

l’economia si stabilisce nel punto C → equilibrio insostenibile


5

Nel punto C infatti la produzione è superiore al livello di piena utilizzazione della capacità. La produzione è sostenuta
da un tasso di interesse troppo basso e da un prezzo delle attività troppo alto.
L’aggiustamento monetario mantiene il livello dei prezzi al livello anteriore allo shock tecnologico.
In questo modo la BC mantiene la stabilità dei prezzi, ma lo stimolo monetario determina un ulteriore aumento dei
prezzi delle attività → si crea il rischio di degenerare in una bolla → le bolle portano inevitabilmente a crolli.

Nel caso di uno shock tecnologico esiste un trade-off tra prezzi e stabilità finanziaria perché tale shock riducendo il
livello aggregato dei prezzi costringe la BC a reagire con uno stimolo monetario creando così un contesto in cui è più
facile si crei una bolla.
In conclusione una rivoluzione tecnologica è seguita da un accomodamento monetario.

La bolla del mercato azionario (esplosa nel 2007-2008):

l’’equilibrio nel punto C in figura è insostenibile e il crollo, che


porta a un calo della domanda aggregata, è insostenibile.
La presenza di spiriti animali origina una bolla che porta a un
aumento dei prezzi delle azioni e a una riduzione del costo del
capitale → AS si sposta in AS’

La bolla dei mercati, a causa degli effetti di ricchezza e della


disponibilità di credito al tempo stesso fa salire la domanda
aggregata → AD si sposta in AD’

Supponendo che questi due effetti siano della stessa grandezza, la


BC che fissa il livello obiettivo a P* decide che non c’è da
preoccuparsi.
Questo è però errato, infatti l’espansione della produzione è insostenibile perché basata sulla creazione del credito.
Imprese e famiglie accumulano eccessivi debiti che quando la bolla esplode dovranno essere ridimensionati.
Con l’esplosione dell’offerta domanda e offerta si spostano verso sinistra, abbassandosi eccessivamente e creando
una recessione.

Quando gli sviluppi tecnologici innescano boom nei mercati delle attività si di la possibilità a importanti trade-off tra
stabilità dei prezzi e stabilità finanziaria.
Quando gli spiriti animali creano un ciclo di espansioni e tracolli, se la BCE si concentra solo sull’inflazione può non
rendersi conto della dinamica di questi cicli.
Una BC che privilegia la stabilità dei prezzi rispetto ad altri obiettivi è portata ad alimentare inavvertitamente
l’espansione consentendo un processo di creazione eccessiva del credito.
È questo che è avvenuto tra il 2000 e il 2007, le principali BC non sono riuscite a vedere le bolle che si gonfiavano
nei mercati delle attività e che stavano inavvertitamente alimentando.
In queste situazioni le BC dovrebbero attribuire ugual peso all’obiettivo dell’inflazione e a quello della stabilità
finanziaria.

In conclusione si dovrebbe abbandonare l’ordinamento prestabilito delle priorità degli obiettivi della BCE.
Un obiettivo di inflazione non può essere perseguito inflessibilmente perché può contrastare con la stabilità finanziaria

Tuttavia, anche la scelta di portare la stabilità finanziaria allo stesso livello della stabilità dei prezzi genera questioni,
le principali riguardano:

Definizione e monitoraggio della stabilità finanziaria


La stabilità finanziaria ha diverse dimensioni che non si prestano ad essere catturate da un unico indice, pertanto
risulta difficile da definire.

Ferguson la definisce per mezzo dell’instabilità finanziaria, ossia una situazione in cui:
- I prezzi appaiono deviare fortemente dai propri fondamentali.
- Il funzionamento del mercato e la disponibilità del credito hanno subito notevoli distorsioni.
- La spesa aggregata devia fortemente dalla capacità produttiva dell’economia.
Borio e Lowe ritengono che una rapida e sostenuta crescita del credito, combinata con forti incrementi dei prezzi delle
attività, aumenta la probabilità di un episodio di instabilità finanziaria.
6

Quest’ultima tesi è sostenuta anche da Kindleberger e costituisce la base dell’analisi sviluppata in seguito.
Concentrando l’attenzione su prezzi delle attività ed espansione del credito, le autorità monetarie possono ottenere
informazioni sugli sviluppi in atto capaci di minare la stabilità finanziaria.

Per una BC è possibile monitorare il rischio di crisi finanziarie concentrandosi su un numero ristretto di indicatori, cui
però sia la BCE che la FED sembrano aver attribuito poco peso.
I banchieri centrali erano orientati teoricamente da modelli macroeconomici, basati sull’assunto di agenti
perfettamente informati e razionali incapaci di commettere errori sistematici, in cui è impossibile si verifichino bolle e
crolli → i prezzi riflettono i fondamentali, non vi è necessità di far nulla rispetto ai prezzi delle attività.

Eccessivo affidamento sullo stock di moneta ?


La BCE è stata influenzata dalle idee monetariste rese popolari da Friedman secondo cui l’inflazione è sempre e
comunque un fenomeno monetario.
Tale visione ha portato la BCE ad assegnare alla moneta un ruolo preminente nella sua strategia che ha mantenuto
fino al 2003 quando ha ridimensionato il primo pilastro.

La strategia monetaria della BCE è consistita nel mantenere bassa l’inflazione controllando il tasso di crescita dello
stock di moneta è fallita: l’inflazione è rimasta stabile, ma il tasso di crescita dell’aggregato monetario M3 ha superato
il valore di riferimento senza però influire sull’inflazione.
Dal 1999 al 2011 la BCE è riuscita a contenere l’inflazione nonostante il fallimento della strategia di contenimento
dell’inflazione per mezzo del controllo della moneta.
La crescita dell’aggregato M3 infatti non ha avuto quasi alcuna capacità di predire l’inflazione nella futura
Eurozona. L’unica eccezione è stata durante la grande recessione del 2008-2009.
Ci sono indicazioni che in un contesto di bassa inflazione e di frequenti innovazioni finanziarie i dati sull’offerta di
moneta sono inattendibili in quanto segnali di inflazione futura.
La rapida espansione di M3 era un segnale di future turbolenze finanziarie, rappresentava la contropartita della
massiccia espansione dei bilanci delle banche.

Inflation targeting
Strategia per cui la BC non solo sceglie come obiettivo finale l’inflazione, ma usa anche la propria previsione
dell’inflazione attesa quale obiettivo intermedio.
La BC con questa strategia annuncia periodicamente le proprie previsioni, si tratta di una strategia analoga al money
stock targeting con cui si assume la quantità di moneta a obiettivo, entrambe infatti hanno come obiettivo ultimo il
controllo del tasso di inflazione.
Per perseguire l’inflation targeting la BC deve utilizzare tutte le variabili che influenzano l’inflazione futura, per
questo la previsione dell’inflazione risulta il miglior obiettivo intermedio possibile.
Il money stock targeting tralascia un’importante massa di informazioni e si avvale di informazioni irrilevanti.

L’inflation targeting è palesemente superiore al money stock targeting, resta da comprendere se garantisce al meglio il
raggiungimento della stabilità macroeconomica.

Oltre a fissare un obiettivo per il tasso di inflazione, la BC dovrebbe monitorare l’evoluzione del credito bancario e dei
prezzi delle attività. Questo richiederebbe la formulazione di una nuova strategia del “doppio pilastro”:
➔ Primo pilastro utilizzato in condizioni normali, usato dalla BC per perseguire l’obiettivo del tasso di inflazione
➔ Secondo pilastro utilizzato dalla BC per monitorare credito bancario e prezzi delle attività.
La BCE avrebbe quindi la responsabilità di limitare i movimenti del credito bancario.

STRUMENTI DELLA POLITICA MONETARIA NEL’EUROZONA


La BCE si serve di tre tipi di strumenti:
➔ Operazioni di mercato aperto
➔ Standing facilities (linee di credito, operazioni attivabili su iniziativa delle controparti)
➔ Regime della riserva minima obbligatoria.
7

1. Operazioni di mercato aperto


Compravendita di titoli, ossia operazioni il cui scopo è far variare in più o in meno la liquidità sul mercato monetario.
Le operazioni possono effettuarsi secondo diverse modalità:
- Acquistare e vendere direttamente nel mercato aperto (operazioni tradizionali)
Transazioni basate su aste con cui fornisce liquidità alle istituzioni finanziarie in cambio di garanzie, sono
chiamate anche operazioni di rifinanziamento principali (main refinancing operations).
- Quantitative Easing (QE)

Operazioni di rifinanziamento principali


In primis il Consiglio direttivo fissa il tasso di interesse da applicarsi sulle operazioni di rifinanziamento principali.
Successivamente la BCE annuncia la procedura d’asta, che può essere:
➔ Tasso fisso
Il tasso scelto dal consiglio è il tasso a cui le istituzioni finanziarie presentano le proprie offerte.
Le istituzioni finanziarie private sono chiamate a presentare offerte per ottenere una certa quantità di liquidità
in cambio della costituzione di determinate garanzie collaterali.
Le offerte sono raccolte dalle singole BCN e centralizzate dalla BCE che decide l’ammontare complessivo di
liquidità da assegnare distribuendolo all’asta proporzionalmente all’entità delle offerte.
➔ Tasso variabile
Le banche offrono di aggiudicarsi le quantità desiderate ai tassi di interesse successivi.
Il tasso stabilito dal Consiglio (repo rate) è il tasso minimo, al di sotto di cui la BCE non accetta alcuna
offerta.

Variando il tasso di interesse sulle operazioni di rifinanziamento principali la BCE interviene sulla struttura dei tassi.
La liquidità è influenzata dagli assegnamenti effettuati.
Dopo la crisi del 2008 la BCE è tornata alla procedura d’asta fissa con aggiudicazione totale (le banche ottengono
tutta la liquidità desiderata al tasso prestabilito).
L’eurosistema fornisce liquidità contro le garanzie collaterali fornite dalle banche.
Se una banca ha visto accettare la propria offerta deve offrire una quantità di garanzie collaterali di pari importo.
Le attività devono essere di qualità, in particolare ci sono due insiemi di criteri di ammissibilità delle attività quali
garanzie:
➔ Per le attività trattate nei mercati il criterio di ammissibilità è costituito dalla valutazione dell’affidabilità
creditizia.
➔ Per le attività non negoziabili l’eurosistema applica la propria valutazione del rischio, che tende per l’appunto
a minimizzare il rischio cui l’Eurosistema si espone quando acquisisce attività dalle banche in cambio di
liquidità.

Quantitative Easing (QE)


Spesso presentato come strumento di politica non convenzionale, di fatto non lo è.
Acquisti e vendite di titoli di stato nel mercato pubblico fanno parte degli strumenti tradizionali delle moderne BC,
l’unica novità è data dall’entità degli acquisti annunciati.
La BCE ha annunciato che avrebbe acquistato ogni mese circa 60mld di euro di titoli di stato dei paesi membri fino a
settembre 2016, il programma fu poi esteso diverse volte e a giugno 2017 il totale cumulato superava i 2’000mld.
Dal’inizio del programma il bilancio della BCE era più che raddoppiato.
La BCE annunciò che da gennaio 2018 avrebbe iniziato a ridurre gli acquisti mensili, lasciando intendere che
avrebbe ridotto il programma QE fino a possibilmente estinguerlo.

La BCE fu riluttante a imboccare questa strada a causa dell’opposizione interna esercitata da alcuni paesi del’EZ quali
Germania, Olanda e Finlandia, che temevano che il QE potesse portare ad ampi trasferimenti fiscali fra paesi membri
qualora uno di questi si fosse reso inadempiente.
Si tratta di un timore poco fondato poiché la BCE congegnò il QE in modo che i trasferimenti fiscali rimanessero
limitati, infatti le modalità di funzionamento definite prevedevano che:
- Ciascuna BCN acquista una data quantità di titoli di stato del proprio paese, determinata dalla quota di
partecipazione al capitale dell’EZ.
- L’ammontare degli acquisti cumulativi è poi assegnato a ciascuna BC in proporzione della quota di
partecipazione.
- Ogni BC mantiene l’80% di questi titoli nel proprio bilancio.
- Solo il 20%, detenuto dall’Eurosistema, può portare a trasferimenti tra paesi, perché i pagamenti di interessi di
questa quota sono aggregati e poi redistribuiti a ciascuna BCN.
8

2. Standing facilities
Operazioni attivabili su iniziativa delle controparti che mirano a fornire e ad assorbire liquidità overnight.
➔ Marginal lending facility (operazione di rifinanziamento marginale)
Le banche utilizzano questo tipo di operazione per ottenere liquidità overnight dalle BCN a un tasso fissato
dal Consiglio direttivo.
Il tasso in genere supera dell’1% il tasso di interesse usato nelle operazioni di finanziamento principali.
Non ci sono limiti all’ammontare di credito ottenibile laddove ci siano le adeguate garanzie.

➔ Deposit facility
Operazione utilizzata per costruire depositi overnight presso l’Eurosistema a un tasso fissato dal Consiglio
direttivo.
Il tassi in genere è dell’1% inferiore a quello applicato nelle operazioni di finanziamento principali e funge da
soglia minima per il tasso di interesse overnight di mercato.
Queste operazioni rientrano in una politica mirante a incentivare le banche ad accrescere il prestito.
Le due tipologie di operazioni sono amministrate dalle BCN in maniera decentrata.
Il consiglio direttivo modificando i tassi influenza la struttura delle scadenze dei tassi di breve periodo.

3. riserva obbligatoria minima


Modificando la riserva obbligatoria la BCE può influenzare le considerazioni del mercato monetario.
Un aumento rende più scarsa la liquidità e riduce la quantità di moneta.
La BCE non si serve dell’obbligo di riserva minima come strumento di politica monetaria, ma lo usa per smussare la
struttura dei tassi di interesse a breve.

L’importo delle riserve obbligatorie minime è calcolato dalla BCE come media mensile delle proporzioni delle riserve
giornaliere.
Questo strumento potrebbe essere impiegato per controllare il credito bancario, in particolare la BCE potrebbe
aumentare la riserva obbligatoria minima quando il credito si espande troppo rapidamente.

Oltre a questo il controllo del credito bancario può essere eseguito anche attraverso il macrocontrollo prudenziale,
ossia impiegando criteri prudenziali per controllare il volume totale del credito.
L’impiego del macrocontrollo prudenziale tuttavia richiede cambiamenti istituzionali, ma nemmeno il nuovo quadro
regolamentare introdotto nel 2011-12 ha attribuito ala BCE il potere di questo controllo che è una prerogativa delle
BCN.

L’EUROSISTEMA IN QUANTO PRESTATORE DI ULTIMA ISTANZA DURANTE


LE CRISI FINANZIARIE
Dal 2008 la BCE svolge attivamente il ruolo di prestatore di ultima istanza al settore bancario.
Nel 2011-12 ha fornito liquidità al settore bancario per oltre 1’000mld.

Nel contempo la BCE ha anche acquistato titoli di stato nel quadro del securities Market Programme (SMP), un
programma di limitati acquisti di titoli di stato in un momento in cui i mercati erano sottoposti a pressioni estreme.
Questo programma è diverso dal outright monetary transactions (OMT).
Con il programma SMP la BCE annunciò l’acquisto in una quantità limitata di titoli di stato per un periodo limitato.
Questo però fu il segnale per i detentori di titoli di stato di venderli al più presto e questo portò la BCE ad acquistare
una gran quantità di titoli.

Il programma OMT invece prevedeva un impegno della BCE illimitato, sia in termini di quantità, sia in termini
temporali. Fino ad oggi la BCE non ha dovuto effettuare alcun acquisto di titoli nel quadro dell’OMT perché la
fiducia che la BCE sarebbe intervenuta nel mercato è stata sufficiente per indurre i detentori di titoli di stati in
difficoltà a conservarli.

L’Eurosistema ha acquisito una grande quantità di crediti nei confronti dell’EZ.


Nel 2012-13 mentre la FED ha espanso il proprio bilancio nel quadro del QE, la BCE ha iniziato a ridurre la
dimensione del proprio bilancio mostrandosi riluttante ad avviare il proprio programma di QE.
9

Un’espansione del bilancio crea numerosi problemi, tra cui l’unico rischio significativo è rappresentato dall’azzardo
morale, che però non può essere invocato come motivo per non fornire prestiti di ultima istanza.
Infatti negare prestiti di ultima istanza creerebbe un rischio maggiore e l’implosione di un sistema finanziario fragile.
L’azzardo morale richiede regolamentazione e vigilanza.

I problemi del ruolo di prestatore di ultima istanza si pongono quando la Bce svolge tale ruolo nel mercato dei titoli di
stato più che nel settore bancario.
L’avversione verso il mercato dei titoli di stato costringe la BCE a fornire un sostegno di liquidità alle banche dell’EZ
che sono i maggiori detentori di titoli di stato.

Le operazioni di mercato aperto sono finalizzate a fornire liquidità al mercato indiscriminatamente.


Durante una crisi di liquidità le BCN possono fornire un sostegno per l’emergenza a banche particolarmente a corto di
liquidità, consapevoli che le potenziali perdite derivanti sono totalmente a loro carico.

Conclusioni
L’obiettivo primario della BCE è mantenere l’inflazione sotto, ma vicina al 2%.
Obiettivo difficile da mantenere con l’inizio della crisi del debito sovrano a causa del continuo calo dell’inflazione,
che ha portato la BCE ad espandere la propria base monetaria.
La quantità di moneta si è rivelata inutile per la strategia di controllo dell’inflazione.
L’espansione di M3 non ha rappresentato un annuncio dell’inflazione, ma un riflesso della dilatazione dei bilanci
bancari dell’EZ e delle bolle che si andavano gonfiando nei mercati.
La responsabilità della crisi non può essere imputata alla BCE, va ravvisata nel fallimento delle funzioni di vigilanza e
regolamentazione bancaria.
Le responsabilità della BCE riguardano il fatto che il suo focalizzarsi eccessivamente sull’inflazione l’ha portata a non
prendere provvedimenti per controllare l’espansione del credito bancario precedente alla crisi.
Per questo si propone un ampliamento della sfera di obiettivi in cui sia inclusa la stabilità finanziaria.
Con lo scoppio della crisi debitoria la BCE avviò il SMP, applicandolo con esitazione e annunciando che sarebbe
stato temporaneo, tale programma mancò di credibilità.

Sommario
LA STRATEGIA DI POLITICA MONETARIA DELLA BCE ...................................................................................... 2
SCELTA DELL’OBIETTIVO ...................................................................................................................................... 3
Stabilizzazione finanziaria: un altro obiettivo? ......................................................................................................... 4
Eccessivo affidamento sullo stock di moneta ?......................................................................................................... 6
Inflation targeting...................................................................................................................................................... 6
STRUMENTI DELLA POLITICA MONETARIA NEL’EUROZONA.......................................................................... 6
1. Operazioni di mercato aperto .................................................................................................................................... 7
Operazioni di rifinanziamento principali .................................................................................................................. 7
Quantitative Easing (QE) .......................................................................................................................................... 7
2. Standing facilities...................................................................................................................................................... 8
3. riserva obbligatoria minima ...................................................................................................................................... 8
L’EUROSISTEMA IN QUANTO PRESTATORE DI ULTIMA ISTANZA DURANTE LE CRISI FINANZIARIE .. 8
Conclusioni ....................................................................................................................................................................... 9
1

CAPITOLO 11 : POLITICHE DI BILANCIO NELLE UM


Si analizza quanto afferma la teoria AVO sulla conduzione delle politiche di bilancio.
shock asimmetrico da domanda:
Francia = fase di recessione (DF → DF’)
Germania = fase di espansione (Dg → Dg’)

Ipotesi: parte dei bilanci nazionali è centralizzata


- il sistema di sicurezza sociale è organizzato a
livello europeo.
- Le imposte sul reddito sono riscosse dal
governo europeo.

Il bilancio centralizzato funziona in modo da


assorbire lo shock.

Francia Germania
- Il prodotto diminuisce - Il prodotto aumenta
- La disoccupazione aumenta - La disoccupazione diminuisce
Questo ha doppio effetto sul bilancio europeo: Questo ha doppio effetto sul bilancio europeo:
- Le imposte incassate in F diminuiscono. - Le entrate fiscali riscosse in Gaumentano
- I pagamenti per sussidi di disoccupazione da - La spesa del governo europeo in G diminuisce
parte delle autorità aumentano.

il bilancio centralizzato europeo redistribuisce automaticamente il reddito da G a F, mitigando le conseguenze sociali


negative dovute a un calo della domanda.
Il bilancio rappresenta una sorta di sistema assicurativo in cui i paesi interessati da uno shock negativo sono
compensati da un trasferimento automatico proveniente da paesi che sperimentano uno shock favorevole.

Caso estremo: il governo è inadempiente


Il sistema di sicurezza sociale centralizzato continuerebbe a funzionare e a pagare le indennità di disoccupazione e le
pensioni. Il sistema di sicurezza sociale è isolato dalla crisi dei pagamenti della pubblica amministrazione.

Quanto visto non avverrebbe in assenza dell’unione di bilancio.


Centralizzando in unico bilancio quelli nazionali dei due paesi si riduce anche la fragilità dei mercati dei titoli di stato.

In questo caso di shock asimmetrico puro la Francia ottiene automaticamente fondi dal bilancio centralizzato, senza
dover emettere titoli di stato.
Nella misura in cui disavanzo in F e avanzo in G si eguagliano non è necessario procedere a emissioni nette di titoli di
stato.

Ipotesi 2: i paesi formano un UM ma i bilanci pubblici non sono centralizzati


Lo shock negativo sulla domanda in F porterebbe un aumento del disavanzo pubblico francese (diminuiscono le
entrate fiscali e aumentano i sussidi di disoccupazione).
In G lo shock invece porterebbe avanzi crescenti.
Se i mercati finanziari fossero efficienti, la necessità del governo francese di prendere a prestito sarebbe soddisfatta
con l’aumento di offerta di risparmio proveniente dalla Germania.
Nel caso di bilanci decentrati aumenta il debito estero della Francia e non c’è più un sistema assicurativo regionale.
Saranno le generazioni future a pagare per le avversità che colpiscono quelle presenti.
-----
Il sistema assicurativo, centralizzato o decentralizzato, dovrebbe essere utilizzato solo per fare fronte a shock
temporanei endogeni, ossia prodotti da espansioni/recessioni endemiche nei sistemi di mercato.

In caso di shock permanenti il sistema assicurativo dovrebbe essere applicato temporaneamente, per dare ai paesi
colpiti il tempo necessario per effettuare gli aggiustamenti fondamentali (i.e. salariali).
2

In assenza di flessibilità il meccanismo assicurativo può diventare insostenibile. Darebbe infatti luogo a un
trasferimento permanente da un paese all’altro nel sistema centralizzato e a un aumento incontrollato del debito nel
sistema decentralizzato.

Se un paese è spinto in cattivo equilibrio, il meccanismo assicurativo non funziona appropriatamente, infatti gli
investitori non hanno fiducia e difficilmente finanzieranno uno shock negativo.
In questo caso lo shock negativo porterebbe gli investitori a richiedere un premio al rischio maggiore rendendo
difficile per i paesi finanziare il deficit di bilancio conseguente.

Implicazioni per le politiche di bilancio nelle UM della teoria AVO (Kenen):


1. È desiderabile centralizzare una parte significativa dei bilanci nazionali a livello europeo.
Un bilancio centralizzato permette di beneficiare di trasferimenti automatici riducendo i costi sociali di
un’UM.
Dal punto di vista delle emissioni di titoli di debito si riduce la fragilità delle UM.

2. Se la centralizzazione fosse impossibile, le politiche di bilancio nazionali dovrebbero essere usate in modo
flessibile.
I paesi colpiti da shock negativi dovrebbero poter lasciar crescere il disavanzo di bilancio attraverso gli
stabilizzatori di bilancio incorporati o automatici (entrate decrescenti, spese sociali crescenti).
Il requisito di flessibilità implica che le politiche nazionali godano di una sostanziale autonomia.

In mancanza di un bilancio centralizzato i paesi non hanno strumenti a disposizione per assorbire gli effetti di
shock negativi e quindi la politica di bilancio è l’unico rimasto → no uso del tasso di cambio/della
svalutazione.
Questa teoria sulle unioni di bilancio è stata criticata, non tanto per la prima conclusione, ossia che sia auspicabile
centralizzare parte dei bilanci, ma per la seconda, ossia l’invocare flessibilità e l’autonomia dei bilanci pubblici
nazionali.
Qual è il livello opportuno di centralizzazione dei bilanci statali in un’UM ?
La teoria AVO sottolinea l’opportunità di centralizzare in modo consistente i bilanci per far fronte a shock
asimmetrici.
Ai trasferimenti di bilancio si dovrebbe ricorrere solo per fare fronte a shock temporanei.
Un paese colpito da shock permanente dovrebbe procedere ai necessari aggiustamenti mediante modifiche di salari e
prezzi.
La necessità di centralizzare i bilanci dipende dalla natura degli shock.
Se sono endogeni l’esigenza di disporre di un bilancio centralizzato è forte, essendo dovuti a cicli economici la
flessibilità non rappresenta la soluzione. È quando gli shock sono esogeni che è necessario puntare sulla flessibilità
La centralizzazione porta con sé il problema di azzardo morale.
Spesso quando una regione sperimenta uno shock negativo, i trasferimenti tendono a diventare permanenti perché
proprio questi trasferimenti riducono l’esigenza di effettuare gli aggiustamenti strutturali.
Trasferimenti ampi e permanenti portano problemi politici se le regioni prospere vi si oppongono.
La centralizzazione a livello europeo creerebbe problemi politici visto il minor senso di identificazione con la nazione,
si potrebbe mettere a repentaglio l’unità dell’UE.
Una centralizzazione è necessaria, ma dovrebbe restare al di sotto del livello raggiunto all’interno delle singole nazioni
europee.
Una centralizzazione limitata può fare fronte molto efficacemente agli shock asimmetrici temporanei.

SOSTENIBILITÀ DEI DISAVANZI PUBBLICI


Una delle principali difficoltà è che i governi possano creare disavanzi pubblici per assorbire gli shock negativi senza
che ciò porti a problemi di sostenibilità.
Definizione del problema della sostenibilità:
un disavanzo provoca un aumento del debito pubblico al cui servizio si dovrà provvedere in futuro.
Se il tasso di interesse sul debito supera il tasso di crescita dell’economia si innesca un continuo aumento del debito in
rapporto al PIL. → si crea una situazione insostenibile che richiede un’azione correttiva.
3

Partendo dalla definizione del vincolo di bilancio:


𝑑𝐵 𝑑𝑀
𝐺 − 𝑇 + 𝑟𝐵 = +
𝑑𝑡 𝑑𝑡

G = spesa pubblica (interessi sul debito esclusi) T = gettito fiscale r = taso di interesse sul debito
B = debito pubblico M = base monetaria (livello moneta ad alto potenziale)

𝐺 − 𝑇 = disavanzo primario 𝐺 − 𝑇 + 𝑟𝐵 = disavanzo di bilancio


𝑑𝐵 𝑑𝑀
𝑑𝑡
= emissione titoli di debito 𝑑𝑡
= emissione base monetaria

Il vincolo di bilancio pubblico può essere riscritto come:


𝐺 𝑌̇ 𝑀̇
𝑏̇ = (𝑔 − 𝑡) + (𝑟 − 𝑥)𝑏 − 𝑚̇ 𝑔= 𝑥= 𝑚̇ =
𝑌 𝑌 𝑌
Con x = tasso di crescita del pil. (il pallino sulle variabili indica la variazione nell’unità di tempo).

Quando il tasso di interesse sul debito supera il tasso di crescita del PIL non ci sono limiti alla crescita del rapporto
debito / PIL.
Questa dinamica di accumulazione del debito può arrestarsi solo se:
- il disavanzo primario di bilancio si trasforma in un avanzo di bilancio (𝑔 − 𝑡) < 0
- Si creano entrate adeguate creando moneta → signoraggio (questa forma genera inflazione).

Il valore del rapporto debito/PIL si stabilizza a un valore costante, ponendo 𝑏̇ = 0, se:


(𝑟 − 𝑥)𝑏 = (𝑡 − 𝑔) + 𝑚̇
Se il tasso di interesse nominale supera il tasso di crescita nominale dell’economia, per stabilizzare il rapporto
debito/PIL è necessario che il bilancio primario registri un avanzo abbastanza elevato o che si crei una quantità di
moneta abbastanza elevata da stabilizzare il rapporto debito/PIL.

Se un paese ha accumulato notevoli disavanzi in passato, dovrà conseguire avanzi altrettanto grandi di bilancio
primario per impedire che il rapporto debito/PIL aumenti automaticamente.
Il paese deve ridurre la spesa o aumentare le tasse.

Il caso dei paesi europei


Belgio, Paesi Bassi e Italia hanno lasciato crescere sensibilmente i propri disavanzi di bilancio nella prima parte
degli anni ’80 in risposta alle conseguenze negative di ampie recessioni.
Il restante periodo è stato caratterizzato da tentativi intrapresi per contenere l’esplosiva situazione del debito.
Fine anni ’80 dopo anni di restrizioni di bilancio, Belgio e Paesi Bassi erano riuscita a stabilizzare il rapporto
debito/PIL grazie avanzi di bilancio primari.
Il Belgio ha realizzato la stabilizzazione a livello elevato e quando la recessione ha investito il paese nel 1992-93 è
stato impossibile utilizzare le politiche di bilancio in modo anticiclico, anzi ha dovuto tagliare la spesa e inasprire la
tassazione. → la recessione è diventata più pesante.
Nella seconda metà degli anni ’90 è riuscito a ridurre il rapporto debito/PIL, ma all’avvio dell’UEM era lontano dal
valore di riferimento del 60%.
L’Italia non ha potuto stabilizzare il rapporto debito/PIL negli anni ’80, solo dopo il ’92 ha prodotto surplus tali da
giungere a una stabilizzazione del rapporto debito/PIL. Come il Belgio anche l’Italia era lontana dal valore di
riferimento al momento di ingresso nell’UEM.

I limiti dell’uso delle politiche di bilancio per contrastare gli shock economici è che queste non possono essere
mantenute troppo a lungo. Consistenti disavanzi infatti portano velocemente a una dinamica del debito insostenibile.

Le politiche di bilancio non sono quindi lo strumento flessibile che viene evidenziato dalla teoria AVO. L’uso di
questo strumento porta rapidamente a problemi di sostenibilità e una volta usato, le politiche di bilancio non potranno
essere usate nuovamente se non dopo molti anni.

Quest’analisi della sostenibilità delle politiche di bilancio ha portato a un punto di vista sull’auspicabilità delle
politiche di bilancio per i paesi membri di un’UM completamente differente da quello recepito dal Trattato di
Maastricht prima e riflesso nel patto di stabilità e crescita (PSC) poi.
Il PSC è importante perché è destinato a guidare le politiche di bilancio nazionali dei paesi membri dell’UEM.
I suoi principi fondamentali sono:
4

- I paesi devono porsi l’obiettivo di avere bilanci equilibrati nel medio periodo.
Questo significa che i paesi non devono contrarre nuovi debiti nel corso del ciclo. Il PSC spinge i paesi a
ridurre il rapporto debito/PIL fino ad annullarlo.
- I paesi con disavanzo >3% saranno sanzionati, con una sanzione di importo massimo pari allo 0.5% del PIL.
La norma del 3% era incorporata già nel Trattato, la novità introdotta dal PSC è l’irrogazione di sanzioni, che
sono il risultato di una lunga procedura durante la quale i paesi ricevono prima un avvertimento della
Commissione europea, poi hanno la possibilità di correggere la propria situazione e solo se non si corregge la
situazione si applicheranno le sanzioni.
- Sono esclusi dall’applicazione delle sanzioni i paesi che versano in condizioni eccezionali (i.e. disastri
naturali, riduzioni del PIL >2%, ma se la riduzione è almeno pari allo 0.75% i paesi possono invocare
circostanze eccezionali).

Trattato e PSC fanno proprio il principio che in un’UM le politiche di bilancio vadano assoggettate a un quadro
normativo.

Patto di stabilità e crescita : dettagli istituzionali.


Il PSC è costituito da due parti:
1. Parte preventiva
Considera un sistema di allarme preventivo il cui obiettivo è evitare che i paesi incorano in disavanzi
eccessivi. Le principali caratteristiche sono:
o I membri dell’EZ presentano programmi di stabilità il cui obiettivo è il conseguimento di un saldo di
bilancio prossimo al pareggio o positivo e il percorso di aggiustamento verso questo obiettivo.
o I programmi sono esaminati dal Consiglio che dà il proprio parere sul fatto che i programmi di
bilancio abbiano o meno margini di sicurezza sufficienti.
o I programmi sono monitorati dal Consiglio.

2. Parte dissuasiva
Entra in gioco quando la parte preventiva non dà risultati o quando emerge in modo inaspettato un disavanzo
eccessivo.
I suoi aspetti principali sono:
o Definizione del disavanzo eccessivo (superiore al valore di riferimento fissato al 3% del PIL eccetto
si riconosca sia eccezionale e temporaneo).
Un disavanzo può essere considerato eccezionale se:
▪ È il risultato di un evento straordinario fuori dal controllo dello stato membro.
▪ È il risultato di un forte calo economico, se il PIL diminuisci di meno dello 0,75% non è
invocabile l’eccezionalità del disavanzo.
o Se il consiglio rileva l’esistenza di un disavanzo eccessivo invia al paese una raccomandazione
affinché adotti misure adeguate alla correzione del disavanzo. Se dopo 6 mesi lo Stato non procede
allora scattano le sanzioni.
o Se il consiglio decide di applicare la sanzione, il paese costituisce un deposito (Dep) non fruttifero che
viene restituito se il disavanzo è corretto oppure trasformato in ammenda se nei 2 anni successivi il
disavanzo eccessivo non è corretto.
Con l’esplosione della crisi del debito sovrano le disposizioni del PSC sono state inasprite:
- La procedura sanzionatoria è stata resa più automatica dalle modalità di votazione.
- I governi devono presentare i bilanci nazionali alla Commissione prima che ai rispettivi parlamenti → è il c.d.
semestre europeo.
- Una sanzione dello 0.2% può venire comminata ai paesi che risultano aver falsificato i dati sul disavanzo e sul
debito.

ARGOMENTI A FAVORE DELL’ISTITUZIONE DI UN QUADRO NORMATIVO


SUI DISAVANZI PUBBLICI
La proposta di assoggettare i disavanzi pubblici a un quadro normativo poggia sull’idea che un paese che si trova su
un percorso non sostenibile di debito pubblico crescente crea effetti di ricaduta negativi per il resto dell’UEM.
5

Un paese che lascia aumentare continuamente il proprio rapporto debito/PIL ricorrerà in misura crescente ai mercati
dei capitali dell’UEM facendone aumentare il tasso di interesse.
Questo a sua volta fa aumentare il costo del debito pubblico degli altri paesi e se i governi di questi paesi decidono di
stabilizzare i rispettivi rapporti debito/PIL saranno costretti a seguire politiche di bilancio più restrittive.

La crescita insostenibile del debito in un paese costringe gli altri paesi a seguire politiche più deflazionistiche.
È nell’interesse degli altri paesi, dunque l’esistenza di un meccanismo di controllo in grado di limitare le proporzioni
dei disavanzi di bilancio dei paesi membri.

Vi è anche un’altra ricaduta negativa, il rialzo del tasso di interesse nell’UEM (oltre che presentare un costo per i
paesi che stabilizzano il rapporto debito/PIL) può provocare pressioni sulla BCE.
I paesi danneggiati dal rialzo del tasso di interesse possono esercitare pressioni sulla BCE per indurla ad allentare la
politica monetaria.

Politiche di bilancio non sostenibili interferiranno con la conduzione della politica monetaria europea, pertanto può
essere nell’interesse degli stati membri prevenire il verificarsi di tale ricaduta negativa, ponendo limiti alle proporzioni
dei disavanzi di bilancio.

Queste considerazioni sugli effetti di ricaduta delle politiche di bilancio appaiono ragionevoli, ma sono state
sottoposte a principalmente due critiche:

1. efficienza dei mercati dei capitali privati


Nella discussione sule ricadute è implicita l’assunzione che i mercati dei capitali non funzionino adeguatamente.
Si considera l’Italia e il suo debito pubblico
Supponendo che i mercati dei capitali funzionino efficientemente, gli investitori capiranno che il problema del debito è
un problema italiano e pertanto attribuirà al debito pubblico italiano un premio di rischio più elevato.
I governi degli altri paesi non ne saranno toccati, saranno in grado di prendere a prestito a un tasso di interesse più
basso.
Se i mercati funzionano efficientemente non vi saranno ricadute, gli altri governi dell’UEM non risentiranno
dell’esistenza di un alto debito pubblico italiano.
Se i mercati dei capitali sono efficienti nell’UEM ci saranno diversi tassi di interesse pertanto è insensato parlare di un
tasso di interesse dell’UEM.
Durante il periodo anteriore all’EZ il rischio di svalutazione era la più importante fonte del premio di rischio, ma con
l’approssimarsi dell’avvio dell’EZ il rischio di svalutazione scese e di conseguenza anche il premio per il rischio.
Con l’avvio dell’EZ il rischio di svalutazione svanì e gli spread caddero rimanendo vicino a zero fino al 2008.
In questo periodo i mercati ritennero che l’investimento in un titolo di stato italiano, piuttosto che di un altro paese,
comportassero lo stesso rischio di investimento.
Con lo scoppio della crisi nel 2008 tali percezioni mutarono, gli spread risalirono e i mercati percepirono
improvvisamente forti rischi di inadempienza.

Si sollevano dunque dubbi sull’efficienza dei mercati.


Infatti questi non percepirono i rischi di inadempienza sui titoli di stato dei paesi periferici e non videro alcun segno
della fragilità dell’EZ. Improvvisamente si resero conto di tale fragilità e iniziarono ad attribuire forti premi di rischio
ai titoli di stato dei paesi periferici.
Tra il 2008 e il 2011 i mercati furono mossi da sentimenti di panico e paura, ma con l’annuncio del programma OMT
(outright Monetary Transactions) la BCE liberò i mercati dalla paura e gli spread precipitarono.

2. applicazione delle regole di politica di bilancio


Il problema che si pone con l’imposizione di norme sulla dimensione dei disavanzi di bilancio ha a che fare con la loro
applicabilità.
Le norme che limitano il disavanzo al 3% hanno spinto i governi a introdurre metodi di stralcio fuori bilancio oppure
a riportare numeri irreali.
6

Sono state varate poi manovre di contabilità creativa tra cui ad esempio l’alienazione del patrimonio dello stato per
registrare un entrata, per poi riprenderlo in locazione.
Dovendo aggiustare il tiro sul 3% i paesi hanno interesse a utilizzare pratiche che nascondono la vera natura del
disavanzo.
È lecito pertanto sostenere che le politiche di bilancio dei paesi membri dell’UEM vadano sottoposte ad alcune regole.
È necessaria una qualche forma di controllo reciproco, ma forse in tal caso il PSC ha esagerato imponendo norme
numeriche troppo rigide sulla conduzione delle politiche di bilancio.

È necessario verificare in che misura un’UM sottopone a vincoli aggiuntivi le autorità responsabili delle politiche di
bilancio nazionali, ma anche il rischio di inadempienza e il correlato problema dei salvataggi.

DISCIPLINA DI BILANCIO NELLE UM


I sostenitori della necessità di una regolamentazione sostengono che un’UM riduce la disciplina di bilancio dei
governi nazionali, gli oppositori sostengono il contrario.
Per stabilire se un’UM aumenta o riduce il grado di disciplina dei paesi che la costituiscono bisogna analizzare due
fattori rilevanti che possono portare a una modifica degli incentivi che determinano l’orientamento dei paesi
relativamente alla dimensione dei loro disavanzi di bilanci.

1. fattore che riduce la disciplina di bilancio


Quando un paese emette debito denominato in moneta nazionale il tasso di interesse dovrà riflettere un premio di
rischio costituito da due componenti:
- Rischio di inadempienza → rischio remoto
- Rischio di una possibile svalutazione futura
Quando le autorità emettono una quantità eccessiva di debito, il rischio di una svalutazione futura aumenta
rapidamente e aumenta anche il tasso di interesse a cui emettere nuovo debito.
I mercati sono pronti a penalizzare le autorità monetarie e questo riduce l’incentivo a emettere una quantità eccessiva
di nuovo debito.

Nelle UM il canale della svalutazione non esiste, i paesi emettono titoli di debito in una moneta su cui non possono
poi influire con svalutazioni. → i detentori non corrono il rischio di una svalutazione.
Il rischio di inadempienza diventa più rilevante e aumenta quando un paese imbocca la strada di un accumulo
eccessivo di debito.

La garanzia implicita di salvataggio fornisce però agli stati membri un incentivo a emettere quantità insostenibili di
debito. → problema di azzardo morale

Una clausola di esclusione del salvataggio non è credibile, senza controllo reciproco l’UM potrebbe dunque condurre
a eccessivi disavanzi di bilancio degli stati membri.

2. fattore che accresce la disciplina di bilancio


I paesi partecipanti a un’UM hanno capacità ridotte di finanziamento dei propri disavanzi di bilancio.
I governi degli stati membri di un’UM sono soggetti a vincoli di bilancio più severi di quelli a cui sono sottoposti gli
stati sovrani che mantengono una propria moneta, questi infatti hanno un accesso più facile alla banca nazionale
locale.
Il fatto che ci sia una banca nazionale su cui esercitare pressioni affinché finanzi il disavanzo di bilancio crea di per sé
un incentivo a lasciarlo crescere.

Il vincolo di non monetizzazione del debito ha costituito un disincentivo alla gestione di elevati disavanzi di bilancio
da parte dei governi dell’EZ.
Emettere il debito in moneta estera limita la possibilità di finanziare i debiti pubblici perché i paesi non hanno la
possibilità di finanziare i disavanzi emettendo moneta sono sottoposti a un vincolo di bilancio più forte.

La mancata monetizzazione del debito spiega anche l’intensità del programma di austerità applicato da molti paesi
dell’EZ.
Qui il panico dei mercati provocò il panico dei responsabili delle politiche che applicarono rapide e pesanti misure di
austerità.
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Austerità e crescita nell’Eurozona


Il risultato della crisi del debito sovrano(2010-11) fu l’avvio nei paesi dell’EZ di importanti programmi di austerità
dovuti principalmente al panico dei mercati che contagiò i responsabili delle politiche economiche.
Una misura dell’austerità è l’impulso fiscale e viene calcolata dall’FMI e definita come variazione del saldo del
bilancio primario aggiustato in funzione del ciclo economico.

Bilancio primario: differenza tra spesa pubblica e gettito fiscale.

Il bilancio primario viene aggiustato in funzione del ciclo, ossia sottraendo l’effetto che la componente del ciclo ha sul
bilancio, ciò che resta è il saldo aggiustato, detto saldo del bilancio strutturale.

La variazione del saldo del bilancio strutturale misura l’effetto delle variazioni dei programmi della spesa pubblica e
della tassazione derivanti dalle decisioni di politica economica.
Se la variazione è positiva allora il governo ha aumentato le tasse o ridotto la spesa.

Il saldo del bilancio strutturale fra il 2011 e il 2014 è risultato positivo in quasi tutti i paesi dell’EZ quindi questi
avevano istituito programmi di austerità (i più pesanti furono quelli nei paesi periferici dell’UE).

Gli effetti di questi programmi sulla crescita del PIL non sono di facile analisi perché ci sono molte altre variabili che
vi influiscono.

I responsabili delle politiche cercarono una giustificazione per l’applicazione di tali misure di austerità e ne trovarono
due:
- There Is No Alternative (TINA)
- Teoria delle expansionary fiscal contractions
Secondo la quale quando un paese ha alti livelli di debito pubblico nasce il timore di inadempienze e come
risultato i tassi di interesse a lungo termine sono elevati e scoraggiano l’investimento privato.
Le misure di austerità invece generano fiducia e gli investitori tenderanno a credere che si potranno evitare
inadempienze. Questo da si che il tasso a lungo termine scenda e l’investimento privato sarà stimolato.
È una teoria che in realtà però non ha quasi mai funzionato.

RISCHIO DI INADEMPIENZA E SALVATAGGIO IN UN’UM


I paesi membri, una volta entrati nell’UEM, non sembrano comportarsi in modo meno disciplinato di prima pertanto il
rischio di inadempienza non dovrebbe aumentare.
Tuttavia, ci sono altre considerazioni da fare, tra cui di interesse è quella di McKinnon (1996):
la nazione sovrana può rendersi inadempiente sul proprio debito in due modi:
1. Direttamente, ad esempio sospendendo il pagamento degli interessi sul debito in essere.
2. Indirettamente, eseguendo manovre volte a creare inflazione e svalutazioni a sorpresa con l’effetto di ridurre
il valore del debito.
Le nazioni sovrane in grado di controllare le proprie BC possono sempre ricorrere a tali manovre, sono
proprio queste la soluzione di cui si servono per evitare l’inadempienza indiretta.

L’adesione di un paese all’UM comporta la perdita del controllo sulla BC e l’incapacità di architettare inflazioni e
svalutazioni → in un’UM può effettivamente aumentare la pressione per costringere il governo a dichiarare
insolvenza diretta.

Questo è quanto accadrebbe nell’UEM secondo McKinnon.


Il livello di debito di alcuni paesi è alto al punto che in assenza di inadempienze implicite (inflazione/svalutazione)
aumenta la probabilità di un’inadempienza diretta, pertanto il rischio in un’UM dovrebbe aumentare.

La sua analisi aggiunge poi che in un’UM le crisi di liquidità possono facilmente degenerare in crisi di sovibilità.
Il quesito che nasce è perché alcuni paesi hanno visto crescere significativamente il rischio di inadempienza, mentre
altri in misura minore.
Gli incrementi dei rapporti debito/PIL nell’EZ non sono tuttavia stati mediamente più elevati di quelli osservati in
paesi monetariamente indipendenti quali UK, USA e Giappone.
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I mercati finanziari però tengono d’occhio più attentamente i paesi dell’EZ rispetto ai paesi monetariamente
indipendenti perché quest’ultimi possono permettersi di lasciar crescere molto di più i propri rapporti del debito
poiché forniscono una garanzia implicita del rimborso ai detentori del debito.
Rispetto ai livelli del debito dei paesi indipendenti, i mercati finanziari sono meno tolleranti dei livelli del debito dei
paesi membri di un’UM.

PATTO DI STABILITÀ E CRESCITA: UNA VALUTAZIONE


Le politiche di bilancio nazionali nell’UEM dovranno trovare un equilibrio tra due obiettivi tra loro conflittuali:
1. Flessibilità
Obiettivo enfatizzato dalla teoria AVO, che sostiene che non esistendo più lo strumento del tasso di cambio e
non essendo i bilanci statali centralizzati, l’unico strumento che resta sono i bilanci nazionali.
In futuro i bilanci dei paesi dell’UEM continueranno a esercitare un certo ruolo di stabilizzatori automatici.

2. Effetti generati da disavanzi e debiti nazionali non sostenibili


Le dinamiche insostenibili possono danneggiare gli altri paesi e innescare pressioni indebite sulla BCE.
Rispetto a questi due obiettivi il PSC è stato orientato dai timori di dinamiche non sostenibili dei conti pubblici.
È lecito affermare che il PSC è sbilanciato a favore dell’applicazione di regole rigide a scapito della flessibilità e
questo rischia di ostacolare la capacità dei bilanci nazionali di funzionare da stabilizzatori automatici.

La mancanza di flessibilità crea tensioni tra singoli governi e istituzioni europee.


Quando un paese è investito da pesanti disagi economici, le istituzioni sono percepite come ostacolo e anzi vengono
viste come soggetti che infliggono penalità e sanzioni a paesi già in difficoltà.

Il PSC si è spinto troppo avanti nella regolamentazione dei bilanci pubblici nazionali.
L’assenza di flessibilità creerà rischi superiori a inadempienza e conseguente salvataggio.
In nome del PSC la Commissione ha insistito affinché i paesi riportassero in equilibrio i bilancio, ma alcuni paesi si
sono rifiutati di sottoporre le proprie economie a una politica deflattiva con il risultato che la Commissione,
nonostante si sentisse obbligata ad avviare le procedure, finì per piegarsi al loro rifiuto.

Con la recessione iniziata nel 2008 le disposizioni del PSC furono nuovamente irrigidite, con il ritorno
all’applicazione delle sanzioni in modo più automatico.
Bisogna vedere se questo PSC irrigidito risulterà più capace di vincolare i disavanzi e i debiti pubblici.

Dietro pressioni della Germania, i paesi dell’EZ hanno stabilito di introdurre nelle proprie legislazioni il divieto di
gestire deficit di bilancio strutturali superiori allo 0.5% → inizio del fiscal compact

Il PSC è criticato perché non risulta una buona idea imporre sanzioni e norme rigide dal centro, tuttavia l’obiettivo
fondamentale è buono: i disavanzi di bilancio dovrebbero essere sostenibili nel lungo periodo.

Alcuni economisti (Calmfors e Lewis) hanno proposto di utilizzare istituzioni fiscali indipendenti a livello nazionali in
alternativa al PSC. L’idea è che le istituzioni fiscali indipendenti sono più efficienti perché creano un sistema di
controllo dal basso e non dall’alto come fa il PSC.

PSC e investimento pubblico


L’investimento pubblico è stato una delle maggiori perdite che i programmi di austerità hanno imposto ai paesi
dell’eurozona, il che è paradossale poiché l’investimento è la chiave della ripresa.
Sono due motivi per cui l’investimento pubblico è la chiave della ripresa:
1. A causa della crisi finanziaria il settore privato è stato fortemente avverso al rischio e questo ha portato a un
basso livello dell’investimento.
Per fronteggiare la situazione le autorità pubbliche devono aprire la strada rilanciando l’investimento
pubblico.

2. L’investimento pubblico è necessario per raggiungere gli obiettivi di lungo termine della crescita sostenibile.
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L’investimento pubblico è però scoraggiato dal PSC per effetto della regola che impone di mantenere il bilancio
strutturale in equilibrio.
I governi non possono emettere nuove obbligazioni per coprire il debito nel corso del ciclo economico e questo
implica che nemmeno l’investimento pubblico può essere finanziato con l’emissione di obbligazioni, deve essere
finanziato mediante entrate fiscali.

Non si tratta di una regola intelligente, crea un orientamento politico contrario agli investimenti pubblici.
Si viene a creare un disincentivo politico contro tali investimenti, i politici infatti sono costretti ad accollare l’intero
costo dell’investimento pubblico agli elettori presenti.

Negli anni molti governi hanno potuto emettere obbligazioni con tassi di rendimento prossimi a zero, ma ci sono
investimenti pubblici con tassi di gran lunga maggiori di zero. In questo modo molti governi perdono l’opportunità di
promuovere la crescita economica.

L’emissione di titoli del debito che rendono possibile investire in attività che hanno un rendimento molto più elevato
del costo dell’indebitamento riducono in futuro il debito netto.
I governi dell’EZ sono però abbagliati dai numeri del debito lordo e non riescono a fare ciò che sarebbe ovvio.
Si dice spesso che i governi non possono emettere altro debito perché così facendo accollerebbero un onere alle
nuove generazioni, ma le nuove generazioni chiederanno perché non sono stati fatti investimenti in fonti di energia
alternativa o in sistemi di trasporti pubblico.

Fra gli stati membri dell’EZ si potrebbe raggiungere un accordo politico che riconosca la differenza tra:
- Spese correnti
Assoggettate alla regola del pareggio di bilancio strutturale del fiscal compact (patto di bilancio)
- Spese in conto capitale
Potrebbe esporre un deficit che rifletterebbe il finanziamento degli investimenti pubblici tramite l’emissione di
obbligazioni.
Questo criterio è denominato regola d’oro della politica fiscale, sistema che deve essere integrato dalla capacità dei
governi nazionali di promuovere l’investimento pubblico.
Anche la regola d’oro presenta dei problemi, uno dei quali costituito dal fatto che i politici possono manipolarla in
modo da aumentare le spese correnti in modo da farle passare per esborsi in conto capitale.
Tocca a Eurostat organizzare un sistema di vigilanza che prevenga l’uso improprio della regola d’oro.

EMISSIONE CONGIUNTA DI TITOLI DI STATO


L’emissione congiunta di eurobbligazioni mira a ridurre la fragilità dell’Eurozona.
Emettendo congiuntamente eurobbligazioni i paesi partecipanti si rendono solidalmente responsabili del debito.
È un impegno visibile e vincolante in grado di convincere i mercati che gli stati membri guardano seriamente al futuro
dell’euro, ma anche uno strumento di protezione dei paesi dalle destabilizzanti crisi di liquidità.

L’emissione di eurobbligazioni genera una serie di problemi:


➔ Rischio di azzardo morale.
Nell’emissione è implicita una garanzia per i paesi partecipanti perché questi sono solidalmente responsabili e
questo genera un incentivo che spinge i paesi a confidare in questa garanzia implicita indebitandosi
eccessivamente.
Si crea una forte opposizione alle emissioni congiunte nei paesi che si comportano responsabilmente.

➔ Alcuni paesi, come Germania e Paesi Bassi, sono avvantaggiati dall’attribuzione del rating AAA che gli
permette di ottenere credito alle migliori condizioni possibili.
Aderendo al meccanismo di emissione comune a cui partecipano paesi con rating inferiori, questi paesi
possono trovarsi costretti a pagare un tasso di interesse più alto sul proprio debito.

Entrambe le obiezioni sono serie e possono essere affrontate progettando con cura il meccanismo dell’eurobbligazione
che deve essere tale da eliminare il rischio di azzardo morale e da risultare attraente per paesi con rating del credito
favorevoli. → risultato ottenibile lavorando su quantità e su prezzi delle eurobbligazioni.

De Grauwe e il think tank di Bruegel hanno avanzato proposte che prevedono la distinzione delle obbligazioni
congiunte tra:
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➔ Obbligazioni blu
Ciascun paese partecipa all’emissione congiunta fino a un valore massimo del 60% del rispettivo PIL.

➔ Obbligazioni rosse
Titoli con partecipazioni superiori al 60% del rispettivo PIL emesse dai mercati nazionali dei titoli di stato.
Sottoposte a un premio di rischio più elevato, che creerebbe un incentivo per i governi a ridurre i livelli dei
propri debiti.

Questo creerebbe dunque un tranche di obbligazioni superiori, le blu, che godrebbero del miglior rating possibile.
Il tasso da pagare sulle obbligazioni rosse sarebbe probabilmente maggiore di quello pagato sul totale del debito in
essere, perché la creazione di una tranche di obbligazioni superiori implica che la probabilità di inadempienza di
quella inferiore potrebbe aumentare. → incentivo a limitare la componente rossa.

Tale proposta è soggetta a critiche.


Nella misura in cui il sottostante rischio dei titoli di stato rimane invariato la loro ristrutturazione nelle differenti
tranche non inciderebbe sul rischio.
Se l’obbligazione blu ha un tasso minore di quella rossa, la rossa avrà un tasso maggiore in modo che il costo medio
dell’indebitamento sarà esattamente quello che si avrebbe in presenza di un unico tipo di obbligazione.

Il punto è un altro, l’emissione di un titolo comune è uno strumento volto a mettere i paesi al riparo dal rischio di
venire spinti in cattivo equilibrio. Se l’emissione riesce a farlo allora il sottostante rischio dei titoli di tali paesi si
riduce e questi sono in grado di ottenere il prestito/credito a un costo medio minore.
Tuttavia, il costo marginale dell’indebitamento è probabilmente superiore a quello medio.
Il calo del costo del debito ne rende più facile il servizio e l’aumento del suo costo marginale dà incentivi alla
riduzione del livello del debito → caratteristica cruciale per il rischio di azzardo morale.

Una seconda caratteristica dell’emissione di eurobbligazioni ha a che fare con la fissazione dei prezzi.
Sempre nella visione di De Grauwe questa consiste nell’uso di tariffe differenziate per i paesi partecipanti all’emissione
di obbligazioni blu.
Le tariffe sarebbero connesse alla posizioni fiscale dei paesi partecipanti (paesi con livelli del debito elevati pagheranno
un prezzo maggiore e viceversa).
Il tasso di interesse pagato per la tranche di obbligazioni blu differirebbe da un paese all’altro (paesi che applicano
politiche di bilancio prudenti pagheranno un tasso minore rispetto a quelli meno cauti) e ciò farebbe si che l’emissione
sia attraente per paesi con i migliori rating del credito.

Se un’emissione del genere avesse successo, si creerebbe un nuovo grande mercato dei titoli di stato dotato di un’enorme
liquidità che attirerebbe investitori dall’estero con la conseguenza che l’euro acquisterebbe lo status di valuta di riserva.

Conclusioni
Secondo la teoria AVO in Europa un’UM dovrebbe essere accompagnata da un certo grado di centralizzazione dei
bilanci nazionali.
La centralizzazione permette trasferimenti automatici ai paesi colpiti da shock negativi e consente di consolidare parte
dei debiti pubblici nazionali.
Essendo l’UEM realizzata senza un bilancio centrale è necessario capire come vadano gestite le politiche di bilancio
nazionali. Il problema si accosta in due modi:
- Basato sulla teoria AVO, suggerisce che le autorità fiscali nazionali dovrebbero conservare un grado
sufficiente di flessibilità e autonomia.
- Riflesso dal Trattato di Maastricht e dal PSC, suggerisce che le politiche di bilancio dovranno essere
disciplinate da norme esplicite sull’entità dei disavanzi dei bilanci nazionali.

Gli argomenti favorevoli all’imposizione di norme quantitative sull’entità dei disavanzi non sono convincenti. Ci sono
pochi elementi per asserire che possano farsi rispettare tali regole.

Il diverso accesso al finanziamento in seguito all’adesione all’UEM irrigidisce il vincolo di bilancio e riduce gli
incentivi a gestire ampi disavanzi.

Il timore che le autorità nazionali siano meno disciplinate non sembra fondato e sembra che i mercati siano meno
tolleranti con i paesi membri di un’UM. → i membri di un’UM sono puniti più prontamente dai mercati.
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Sommario
Implicazioni per le politiche di bilancio nelle UM della teoria AVO (Kenen): ........................................................ 2
SOSTENIBILITÀ DEI DISAVANZI PUBBLICI............................................................................................................ 2
ARGOMENTI A FAVORE DELL’ISTITUZIONE DI UN QUADRO NORMATIVO SUI DISAVANZI PUBBLICI 4
1. efficienza dei mercati dei capitali privati .............................................................................................................. 5
2. applicazione delle regole di politica di bilancio .................................................................................................... 5
DISCIPLINA DI BILANCIO NELLE UM ...................................................................................................................... 6
1. fattore che riduce la disciplina di bilancio ............................................................................................................ 6
2. fattore che accresce la disciplina di bilancio ......................................................................................................... 6
RISCHIO DI INADEMPIENZA E SALVATAGGIO IN UN’UM.................................................................................. 7
PATTO DI STABILITÀ E CRESCITA: UNA VALUTAZIONE ................................................................................... 8
EMISSIONE CONGIUNTA DI TITOLI DI STATO ...................................................................................................... 9
Conclusioni ..................................................................................................................................................................... 10

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