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Si procederà con l’analisi della teoria AVO (teoria delle Aree Valutarie Ottimali), proposta inizialmente da
Mundell, che si concentra sul lato dei costi.
La curva di offerta (rispettivamente SF e SG) esprime l’idea che quando il prezzo del prodotto interno aumenta
le imprese nazionali accresceranno l’offerta per trarre profitto dai prezzi più elevati.
Ogni curva di offerta si basa sull’ipotesi che il saggio del salario nominale e il prezzo degli altri input siano
costanti.
Ipotizziamo che i consumatori modifichino le proprie preferenze, spostandole dai prodotti francesi a quelli
tedeschi:
Lo spostamento delle preferenze genera:
La curva di domanda tedesca (DG)si sposta verso l’alto in D’G
La curva di domanda francese (DF)si sposta verso il basso in D’F
Figura 1
Ipotizzando che siano permanenti entrambi i paesi si troveranno ad affrontare un problema di aggiustamento:
Francia:
- Diminuzione della produzione.
- Aumento della disoccupazione
Germania:
- Aumento della produzione.
- Diminuzione della disoccupazione.
- Ingresso in una fase espansiva con pressioni al rialzo sul livello dei prezzi.
Esistono due meccanismi in grado di ristabilire automaticamente l’equilibrio:
1 : FLESSIBILITÀ SALARIALE
Se i salari sono flessibili in Francia i lavoratori disoccupati ridurranno le richieste salariali, mentre in Germania
l’eccesso di domanda di lavoro alzerà il saggio del salario.
La curva di offerta dei due paesi verrà modificata dalla flessibilità salariale:
La riduzione del
saggio del salario in
Francia sposta la
curva di offerta
aggregata (SF) verso
il basso in S’F
L’aumento del saggio
del salario in
Germania sposta la
curva di offerta
aggregata (SG) verso
l’alto in S’G
Si generano così due
nuovi equilibri E’G e
E’F
In Francia il prezzo dei prodotti diminuisce e questo stimola la domanda, i prodotti tedeschi sono meno
competitivi quindi la domanda aggregata diminuisce.
In Germania salari e prezzi più alti rendono i prodotti francesi più competitivi e ciò provoca un aumento della
domanda aggregata della Francia.
Allo stesso tempo un calo salariale in Francia implica una riduzione del reddito reale dei lavoratori francesi e
ciò fa scendere la domanda di prodotti e servizi, questo effetto di reddito può essere compensato da ulteriori
ribassi della curva di domanda.
Allo stesso modo essendoci più forza lavoro scomparirà in Germania la necessità di aumentare i salari e
conseguentemente scompariranno anche le pressioni salariali inflazionistiche.
Un adeguato livello di flessibilità dei salari e/o una mobilità della manodopera sufficientemente elevata faranno
scomparire automaticamente il problema dell’aggiustamento tra i due paesi.
Gli strumenti di politica monetaria più comuni, collegati al regime di tasso di cambio adottati dai singoli paesi
sono:
Tasso di cambio flessibile (i.e. USA, UK, Giappone), i paesi possono modificare la politica monetaria per
raggiungere un particolare obiettivo variando il tasso di interesse interno oppure l’offerta di moneta.
Tasso di cambio vincolato, paesi il cui tasso di cambio è agganciato ad altre monete (i.e. Danimarca, paesi
del Sud America), questi possono svalutare e rivalutare la propria moneta.
La svalutazione del franco porta a un aumento della competitività dei prodotti francesi e questo stimola
la domanda generata dalla Germania di prodotti francesi.
La politica monetaria
espansiva, o nel secondo
caso la svalutazione del
franco, adottata in
Francia porta a uno
spostamento verso l’alto
della curva di domanda
aggregata da DF a D’F.
L’inverso accade in
Germania in seguito a
una politica monetaria
restrittiva o ad un
apprezzamento del
marco.
In questo modo la Francia risolverà il problema della disoccupazione e la Germania eviterà di subire pressioni
inflazionistiche.
Se i due paesi partecipassero a un’unione monetaria, la Francia non avrebbe controllo sulla politica monetaria e
quindi in presenza di un problema di disoccupazione questo può essere eliminato solo attraverso una deflazione
(calo dei prezzi) in Francia.
Quindi se subisce uno shock negativo sulla domanda la Francia è penalizzata dalla partecipazione a un’unione
monetaria, allo stesso modo anche la Germania sarà penalizzata perché dovrà accettare un inflazione più
elevata di quanto desiderato.
L’unione monetaria tra due o più paesi è ottimale se è soddisfatta una delle seguenti condizioni:
- Vi è sufficiente flessibilità salariale.
- Vi è sufficiente mobilità del lavoro.
SHOCK SIMMETRICI E ASIMMETRICI A CONFRONTO:
Uno shock asimmetrico comporta costi di aggiustamento all’interno di un’unione monetaria con scarsa
flessibilità dei mercati.
Se uno shock è simmetrico le curve di domanda di Francia e Germania si spostano entrambe a sinistra di pari
ammontare:
Se i due paesi non facessero parte di un’unione monetaria, la svalutazione non rappresenterebbe un’opzione.
Se la Francia svalutasse la propria moneta in modo da stimolare la domanda aggregata francese a discapito di
quella tedesca, questo risolverebbe il problema interno esportandolo in Germania.
La Germania reagirebbe e sarebbe innescato il pericolo di una spirale di svalutazioni e controsvalutazioni.
La soluzione per evitare ciò è che i due paesi coordino le proprie iniziative macroeconomiche, cosa molto ardua
essendo i due paesi indipendenti.
All’interno di un’unione monetaria invece la cooperazione in materia monetaria è istituzionalizzata.
In conclusione in caso di shock simmetrici un’unione monetaria è un regime più attraente di un regime di
indipendenza degli stati. Questo vantaggio viene a mancare in caso di shock asimmetrici.
Gli stati membri di un’unione monetaria emettono i propri strumenti di debito in una moneta che non
controllano, i governi non possono garantire con assoluta certezza che avranno liquidità sufficiente a
rimborsare a scadenza i detentori di titoli del debito pubblico. Essi non hanno una banca centrale che possa
essere costretta a fornire liquidità in periodi di crisi.
La possibilità che i governi non possano garantire il rimborso a scadenza fa sì che i mercati finanziari
acquisiscano la capacità di costringere tali paesi a insolvenza forzata, tuttavia non è facile per i mercati ridurre
questi paesi all’insolvenza.
PAESE MONETARIAMENTE INDIPENDENTE: LO SCENARIO INGLESE
Se gli investitori temessero una possibile insolvenza del governo inglese sul proprio debito venderebbero titoli
di stato inglesi spingendone il tasso di interesse al rialzo.
Una volta venduti i titoli gli investitori disporrebbero di sterline, di cui probabilmente vorrebbero liberarsi
vendendole nel mercato dei cambi. Il prezzo della sterlina dovrebbe scendere fino a diventare attraente per i
compratori, le sterline dunque rimarrebbero imbottigliate nel mercato inglese dove sarebbero investite in
attività nazionali.
La quantità di moneta inglese rimarrebbe invariata e probabilmente verrebbe in parte reinvestita in titoli di
stato inglesi.
Tuttavia, se ciò non accadesse il governo inglese costringerebbe la Banca di Inghilterra a fornire i contanti
necessari al rimborso dei titoli pubblici.
Il governo può contare sulla liquidità occorrente per finanziare il debito a tassi di interesse ragionevoli e ciò
implica che gli investitori non possono far precipitare una crisi di liquidità tale da costringere il governo inglese
all’insolvenza.
C’è una forza di ultima istanza superiore: la Banca d’Inghilterra.
Non c’è un tasso di cambio flessibile che possa arrestare il deflusso, pertanto la quantità totale di liquidità
esistente in Spagna si contrae. Il governo è investito da una crisi di liquidità.
Il governo spagnolo, a differenza di quello inglese, non può costringere la Banca di Spagna a fornire la liquidità
occorrente, pertanto una crisi di liquidità sufficientemente forte può costringere il governo all’insolvenza.
Di questo i mercati sono consapevoli e quindi mettono sotto pressione il governo spagnolo quando i deficit
peggiorano.
Un’unione monetaria non rafforza la posizione dei governi nazionali di fronte ai mercati finanziari, al contrario
li indebolisce, attribuendo un grande potere ai mercati finanziari.
CONCLUSIONI:
Dall’analisi emerge la fragilità delle unione monetarie.
Se gli investitori non hanno fiducia in un dato stato membro possono innescare una crisi di liquidità che a sua
volta può originare un problema di solvibilità (se il tasso si alza, il peso del debito pubblico aumenta, costringendo
il governo a ridurre la spesa e ad aumentare la tassazione).
Vi è una forzata austerità di bilancio politicamente costosa che può portare il governo a interrompere il servizio
del debito, dichiarando insolvenza.
In un’unione monetaria i paesi membri sono vulnerabili alle ondate di sfiducia degli investitori.
Queste dinamiche sono assenti nei paesi che hanno mantenuto la propria indipendenza monetaria.
Questi paesi possono infatti emettere strumenti di debito denominati nella propria moneta e sono quindi
sempre in grado di creare liquidità.
Anche questi paesi hanno tuttavia i loro problemi, la capacità di rifinanziare troppo facilmente il debito creando
moneta genera inflazione, ma non possono essere costretti all’insolvenza dai mercati finanziari.
SHOCK ASIMMETRICI E DINAMICHE DEL DEBITO
Ritornando al modello esaminato prima, si consideri ora che le implicazioni in Francia circa produzione e
occupazione si contraggono con effetti sul bilancio pubblico.
Il calo del PIL determina un calo delle entrate tributarie più che proporzionale al calo del PIL.
Inoltre l’aumento della disoccupazione porta all’aumento della spesa pubblica francese.
In conclusione il deficit di bilancio francese aumenta.
Se il calo della domanda aggregata è sufficientemente forte, il conseguente aumento del deficit di bilancio
francese può crescere al punto da insinuare dubbi sulla solvibilità dello stato stesso.
La sfiducia spinge gli investitori a vendere titoli di stato francesi causando un aumento del tasso di interesse e
una crisi di liquidità che portano la curva di domanda a spostarsi ulteriormente verso sinistra.
Con un tasso di interesse più alto infatti i residenti francesi spendono meno in beni di consumo e investimento.
Graficamente:
In Germania invece:
Gli investitori che hanno venduto titoli di
stato francesi hanno incassato contanti da
investire presumibilmente acquistando
titoli di altri stati in cui hanno fiducia, i.e.
Quelli tedeschi
Questi acquisti porta a un rialzo dei titoli di
Stato che a sua volta ne riduce il rendimento. Questo comporta un calo del tasso di interesse che a sua volta
determina un aumento della domanda aggregata in Germania.
L’iniziale shock positivo da domanda, che ha spostato DG in D’G è ora rafforzato da uno spostamento addizionale
in D’’G .
In conclusione in Francia la crisi debitoria amplifica lo shock da domanda asimmetrico, amplificando gli effetti
negativi in Francia e quelli positivi in Germania.
L’amplificazione è dovuta alle variazioni dei tassi di interesse, che aumenta in Francia e cala in Germania, che
destabilizzano il sistema.
Il tasso di interesse a breve termine è sotto il controllo della banca centrale comune, i tassi a lungo termine
possono divergere e sono proprio questi che incidono sulla domanda aggregata.
1. Scenario benigno
In questo caso l’unione può esistere nonostante i cicli economici sfasati.
Essendo legato al ciclo economico, lo shock è temporaneo, non occorre che la Francia ovvi alla
recessione riducendo i salari e nemmeno che la Germania attenui l’espansione aumentando
salari e prezzi.
Gli stabilizzatori automatici incorporati nei bilanci possono funzionare in modo da stabilizzare il
ciclo economico, in Francia si ha un deficit di bilancio e in Germania un avanzo.
Il meccanismo attenuerà la recessione poiché il governo francese messo davanti a un deficit
inietterà potere d’acquisto nell’economia e in Germania un surplus comporta una riduzione del
potere d’acquisto.
questo scenario può funzionare solo se rimane intatta la fiducia degli investitori nella capacità
del governo francese di servire il proprio debito. Se c’è fiducia gli investitori acquistano ulteriori
titoli senza richiedere un tasso maggiore. Il tasso può rimanere invariato perché il governo ha un
avanzo di bilancio e questo comporta che i suoi titoli siano ritirati dal mercato.
Di conseguenza l’offerta di titoli di stato diminuisce in Germania e aumenta in Francia e se i
mercati hanno fiducia compenseranno la riduzione dei titoli tedeschi detenuti in portafoglio con
l’acquisto di titoli francesi.
Nel caso benigno i mercati dei capitali hanno un ruolo di stabilizzazione nell’unione monetaria,
essi permetteranno di trasferire entrate dal paese in espansione a quello in recessione.
2. Scenario maligno
L’accresciuto livello di deficit di bilancio porta gli investitori a perdere fiducia nel governo
francese.
In tal caso gli investitori vendono titoli francesi e acquistano quelli tedeschi, determinando un
afflusso di liquidità dalla Francia verso la Germania, con conseguente aumento del tasso di
interesse francese e relativo spostamento della curva di domanda verso il basso.
La recessione diventa più acuta e prolungata.
In questo scenario sono amplificati i movimenti del ciclo economico, infatti in Francia si
approfondisce la recessione e in Germania si intensifica l’espansione.
Trovarsi in unione monetaria accresce la volatilità del prodotto e dell’occupazione.
i mercati dei capitali non sono più un fattore di stabilizzazione, i paesi in recessione subiscono
un deflusso di capitale che aggrava la recessione.
In unione monetaria i cicli economici asincroni intensificano gli alti e i bassi delle economie dei
paesi membri se i mercati finanziari non hanno una totale fiducia nella solvibilità di uno o più
governi.
Riassumendo, i paesi partecipanti a un’unione monetaria colpiti da uno shock asimmetrico permanente della
domanda necessitano di flessibilità salariale e mobilità dei lavoratori per correggerlo. Se questi shock portano
forti disavanzi di bilancio è probabile che i mercati ne amplifichino gli effetti accrescendo la necessità di
aggiustamenti di salari e di mobilità. L’aggiustamento è facilitato da un meccanismo assicurativo che consenta il
trasferimento del reddito al paese colpito dallo shock negativo della domanda, ma questo non sostituisce
l’aggiustamento se lo shock è permanente.
Se i paesi sono colpiti da shock asimmetrici temporanei e sono quindi il risultato di espansioni e contrazioni
asincrone, il fulcro si sposta sulla stabilità. I paesi sono vulnerabili ai mutevoli umori dei mercati che ne
accrescono la volatilità del ciclo economico.
I governi si trovano con una ridotta capacità di stabilizzare l’economia e sono costretti ad adottare misure fiscali
destabilizzanti.
Gli shock asimmetrici hanno avuto importanti conseguenze per le finanze pubbliche, soprattutto per quanto
riguarda il rapporto Debito Pubblico / PIL in cui si segnano significativi aumenti e disparità tra questi aumenti.
Se paesi come Belgio, Germania, Austria e Olanda hanno registrato aumenti modesti, così non è stato per il
paesi meridionali.
Questo fa ritenere che ci sia una forte correlazione tra la crescita cumulativa sperimentata e l’aumento dei
rispettivi rapporti debito/PIL.
La correlazione è negativa, i paesi che hanno evidenziato bruschi cali del PIL hanno visto forti aumenti del
rapporto debito pubblico / PIL.
Se ad inizio 2008 i tassi presenti sui mercati finanziari erano uguali in tutti i paesi dell’Eurozona, alla fine del
2008 si registrarono forti divergenze.
I mercati persero la fiducia nella capacità dei paesi dell’Eurozona meridionale e dell’Irlanda di continuare a
servire un debito pubblico che andava esplodendo. Si andò in contro a massicce vendite dei titoli di stato di tali
paesi e ad un conseguente aumento dei tassi di interesse. Speculari furono gli acquisti di titoli di stato dei paesi
dell’Eurozona settentrionale, i cui tassi invece scesero significativamente.
Nel 2012 i tassi sui titoli di stato dei paesi dell’Eurozona meridionale scesero bruscamente grazie al ruolo di
prestatore di ultima istanza rivestito dalla BCE.
Gli shock simmetrici dell’Eurozona determinarono divergenze tra i tassi sui titoli di stato di lungo termine che
ebbero l’effetto di complicare i problemi di aggiustamento dei paesi colpiti da shock negativi.
UNIONI MONETARIE E UNIONI DI BILANCIO
Vi è l’idea di progettare un meccanismo che attenui i problemi rilevati riducendo i costi di un’unione monetaria.
Teoricamente è possibile creare un meccanismo composto da due elementi:
- Il ruolo della banca centrale
- Centralizzazione di una porzione dei bilanci nazionali in un bilancio comune a tutta l’unione.
La centralizzazione dei bilanci nazionali porta ad avere un’unione monetaria insieme a un’unione di bilancio
che ha due funzioni importanti:
1. Crea un meccanismo assicurativo che innesca trasferimenti di reddito dai paesi in espansione a quelli in
difficoltà.
2. Consente di consolidare una parte dei debiti pubblici nazionali proteggendo i paesi membri da crisi di
liquidità e insolvenze forzate.
Riesaminando il modello a due paesi, Francia e Germania, si supponga che i bilanci dei due siano in buona
parte centralizzati, si supponga dunque l’esistenza di un governo europeo che provvede direttamente alla
tassazione (inclusi contributi assicurativi/previdenziali) e ai trasferimenti di reddito (pensioni/disoccupazione).
Per effetto della centralizzazione un calo di produzione in Francia porta a una riduzione delle entrate fiscali
fornite al governo Europeo, mentre vi è un aumento delle entrate fiscali da parte della Germania.
Il governo europeo aumenta la propria spesa in Francia, riducendola in Germania con il risultato che il bilancio
centrale redistribuisce automaticamente il reddito dalla Germania alla Francia.
In questo modo il costo dell’unione monetaria si riduce, i cittadini tedeschi e francesi infatti possono stabilizzare
il proprio consumo nel tempo nonostante la presenza di shock asimmetrici.
La Germania stessa è interessata a uno schema di questo tipo in quanto anch’essa può avvantaggiarsene se
viene investita da uno shock negativo.
Il principale problema che si presenta è quello di dare adito ad azzardo morale, caratteristica che diviene
evidente se si considera come l’unione di bilancio opera all’interno di singoli paesi.
Si potrebbe creare tuttavia, una situazione in cui il bilancio centralizzato indurrebbe ampi e permanenti
trasferimenti di reddito da alcuni paesi ad altri, creando una forte resistenza da parte dei paesi i cui redditi
verrebbero trasferiti altrove.
Questo problema potrebbe essere risolto da un’unione di bilancio perchè questa centralizza anche una parte
consistente dei debiti pubblici nazionali, il che ha due effetti:
1. La centralizzazione dei mercati dei titoli dei debiti pubblici in un mercato comune elimina i movimenti
destabilizzanti dei capitali da un mercato mobiliare ad un altro.
2. Il governo dell’unione diviene a tutti gli effetti un governo indipendente che emette strumenti di debito
in una moneta di cui ha pieno controllo.
Il governo dell’unione non può incorrere in una crisi di liquidità, nell’unione di bilancio vi è un forte governo
comune capace di costringere la banca centrale a fornire liquidità nei momenti di crisi.
In tale regime i governi nazionali hanno ceduto parte della propria sovranità, ma hanno anche protezione da
parte del governo dell’unione.
Ci sono poche prospettive di di centralizzare i bilanci nazionali a livello europeo poiché è richiesto un elevato
grado di unificazione politica e in Europa manca la volontà di procedere in tale direzione.
I meccanismi di assicurazione e protezione semplicemente dunque non sono semplicemente disponibili
nell’Unione monetaria europea.
Un’unione monetaria senza unione di bilancio (unione monetaria incompleta) funziona in modo molto diverso
da un’unione monetaria accoppiata a un’unione di bilancio (unione monetaria completa)
SCHEMI DI ASSICURAZIONE PRIVATI
L’unione di bilancio fornisce un meccanismo assicurativo in un’unione monetaria, ma questo può essere
realizzato anche per tramite dei mercati finanziari.
Tornando al modello esaminato, si supponga che i mercati finanziari di Francia e Germania siano
completamente integrati.
In seguito allo shock negativo le imprese francesi registrano perdite che determinano una riduzione del prezzo
dei titoli azionari. Essendo il mercato finanziario completamente integrato i titoli delle imprese francesi sono
detenuti anche da cittadini tedeschi che pertanto supportano parte delle perdite.
In seguito allo shock positivo le imprese tedesche invece determina un aumento del prezzo dei titoli azionari.
Essendo il mercato integrato, i titoli delle imprese tedesche sono detenuti anche da cittadini francesi che
saranno quindi in parte compensati dalle perdite subite a causa della congiuntura negativa francese.
In un mercato di titoli integrato il rischio di uno shock negativo in un paese si distribuisce su tutti i paesi e in tal
modo l’impatto che lo shock sulla produzione di un paese ha sul reddito dei residenti è mitigato.
Uno schema basato sui mercati finanziari ha il vantaggio di ridurre la probabilità di azzardo morale.
Dall’altro lato i disoccupati francesi che non possiedono attività finanziarie tedesche non beneficeranno di tale
meccanismo.
Lo schema assicurativo privato, in assenza di uno schema pubblico, non offre una sufficiente copertura alla
grande maggioranza dei cittadini francesi.
Teorie macroeconomiche sottolineano l’importanza delle istituzioni del mercato del lavoro, tra queste la più
nota è stata sviluppata da Bruno e Sachs :
Gli shock sull’offerta hanno effetti macroeconomici diversi a seconda del grado di centralizzazione della
contrattazione salariale.
- contrattazione centralizzata:
I sindacati tengono conto dell’effetto inflazionistico degli aumenti salariali (sono a conoscenza che salari
molto più alti porteranno a maggiore inflazione e quindi ad un aumento inesistente dei salari reali).
Non vi è incentivo a formulare richieste salariali eccessive, in caso di shock sull’offerta ci si rende conto
che la perdita nei salari reali non può essere compensata da aumenti salariali nominali.
- contrattazione decentralizzata:
I singoli sindacati sanno che gli aumenti salariali nominali che riescono ad ottenere hanno scarso effetto
sul livello aggregato dei prezzi. Questo genera un problema di opportunismo (free riding), ogni
sindacato ha interesse a far salire il salario nominale dei propri iscritti.
In condizioni di equilibrio questa non cooperazione genererà un livello del salario nominale più elevato
rispetto ai paesi centralizzati.
è più difficile giungere a una moderazione salariale dopo uno shock sull’offerta, nessun sindacato è
incentivato a ridurre per primo le proprie richieste salariali nominali perché dubita degli altri.
La questione della cooperazione è stata estesa da Calmfors e Driffill, che hanno notato che la relazione tra
centralizzazione della contrattazione salariale e i sui effetti non è lineare.
Più ci si muove verso soluzioni decentrate, maggiore è la probabilità che un’altra esternalità entri in gioco,
infatti le richieste salariali avranno effetto diretto sulla competitività dell’azienda e richieste eccessive
porteranno a una riduzione dell’occupazione.
In un sistema decentrato, in caso di shock sull’offerta, i sindacati esercitano un considerevole grado di controllo
delle richieste salariali.
I paesi limite ( con forte centralizzazione o forte decentramento della contrattazione salariale) sono quelli meglio
preparati ad affrontare gli shock dell’offerta, essi infatti tendono a reagire meglio degli altri sotto il profilo di
inflazione e disoccupazione.
I paesi con istituzioni del mercato del lavoro molto diverse potrebbero trovare costoso formare un’unione
monetaria, ad ogni shock sull’offerta salari e prezzi di questi paesi possono essere influenzati in modo diverso,
rendendo difficile correggere tali differenze in presenza di un tasso di cambio fissato irrevocabilmente.
- Modalità di finanziamento delle imprese: Nei paesi di tradizione anglosassone le imprese tendono a
rivolgersi direttamente al mercato dei capitali che sono dunque sviluppati e altamente liquidi. Nei paesi di
tradizione giuridica continentale le imprese raccolgono risorse attraverso il sistema bancario e ciò fa si che i
mercati dei capitali siano meno sviluppati. Nei primi un aumento del tasso di interesse induce un effetto
ricchezza sui consumatori perché questi detengono portafogli finanziari e un aumento del tasso di interesse
fa diminuire i prezzi dei. Titoli e quindi la ricchezza dei consumatori tende a declinare. L’effetto ricchezza è
meno pronunciato nei mercati di tipo continentale, in cui un aumento sufficientemente elevato del tasso di
interesse spingerà le banche a razionare il credito.
CONCLUSIONI
La partecipazione a un’unione monetaria comporta costi rilevanti derivanti dal fatto che i paesi differiscono
sotto molti aspetti. Tali differenze possono essere corrette attraverso le politiche monetarie nazionali, poichè le
alternative risultano più gravose e meno desiderabili per un paese membro di un’unione rispetto a un paese con
indipendenza monetaria.
I costi derivano dal fatto che i governi devono emettere i propri titoli di debito in una moneta estera su cui non
hanno più controllo e ciò li rende vulnerabili a ondate di sfiducia dei mercati finanziari.
Per i paesi può risultare costoso abbandonare la propria moneta nazionale ed entrare a fare parte di un’unione
monetaria soprattutto quando questa è incompleta (non comprende un’unione di bilancio)
CAP 2
QUANTO SONO RILEVANTI LE DIFFERENZE TRA PAESI
Fra paesi diversi esistono differenze, il problema si pone se queste sono rilevanti al punto da rappresentare un ostacolo
all’unificazione monetaria.
Posizione di Krugman:
Krugman ritiene che l’analisi di Mundell non può essere scartata in ragione di un’altra caratteristica della dinamica del
commercio internazionale con economie di scala: la concentrazione regionale delle attività industriali.
Quando gli ostacoli agli scambi diminuiscono si generano due effetti opposti:
- È possibile avvicinare le attività produttive ai mercati finali.
- È possibile concentrare la produzione al fine di beneficiare di economie di scala.
Questo significa che gli shock che colpiscono uno specifico settore possono diventare gli shock specifici di un paese e
questi paesi potrebbero allora preferire il tasso di cambio come strumento di politica economica.
Si tratta di due posizioni opposte, tuttavia esiste una presunzione a favore della posizione della Commissione Europea.
Infatti nonostante sia incontestabile che l’integrazione possa generare effetti di concentrazione, è anche vero che al
procedere dell’integrazione i confini perdono importanza e quindi gli effetti della concentrazione diventano sempre
più indipendenti da questi.
In tal modo si creano le premesse per la formazione di distretti di attività economiche a cavallo dei confini, è più
probabile si attraversino i confini.
Questo non nega che l’integrazione produca effetti di concentrazione, ma afferma che i confini vi influiranno sempre
meno e che probabilmente le forze economiche dell’integrazione vanificheranno la capacità dei tassi di cambio di fare
fronte a questi shock.
Esiste dunque una presunzione teorica a favore dell’ipotesi che l’integrazione economica riduca la probabilità di shock
asimmetrici tra nazioni.
È cruciale distinguere due aspetti:
1) Se le UM portano a una maggiore integrazione economica.
Rose e Wincoop e Glick e Rose hanno svolto a tal fine importanti ricerche constatando che in media il mero
fatto di appartenere alla stessa UM determina il raddoppio dei volumi dei flussi commerciali.
L’effetto Rose, inizialmente forte, è probabilmente distorto verso l’alto ed è quindi verosimile che gli effetti
monetari dell’UM europea siano stati inferiori.
Esempio:
Y = salario reale X = livello occupazione (N)
Domanda di lavoro = vincolo per il sindacato che deve max la propria utilità
Ipotesi: 1 solo sindacato in ogni paese quindi sindacato centralizzato
La curva dell’occupazione tiene conto della reazione delle autorità a ciò che fanno i sindacati dei lavoratori.
Ipotesi: le autorità attribuiscono un peso maggiore all’occupazione rispetto a quello attribuitole dai
sindacati.
Se i sindacati stabiliscono un salario che riduce il livello dell’occupazione sotto il livello considerato ottimale dalle
autorità
Allora le autorità modificheranno le loro politiche.
Nella misura i cui sindacati tengono conto di questa reazione delle autorità cambia il vincolo cui sono soggetti.
Curva dell’occupazione → più ripida (un aumento del livello salariale reale riduce l’occupazione interna)
Le autorità sono intensificano le politiche di creazione di posti di lavoro e in questo modo l’aumento del salario reale
incide meno sul livello totale dell’occupazione.
La pendenza della curva di occupazione riflette la propensione delle autorità a impegnarsi in politiche occupazionali
espansive quando il saggio del salario aumenta.
Tornando ai due paesi in esempio, essendo la linea di occupazione del paese B di pendenza maggiore, si ipotizza che
le autorità di questo paese siano più disponibili ad assecondare le decisioni salariali del sindacato con politiche
occupazionali espansive.
L’UM modifica le capacità dei governi nazionali di seguire politiche accomodanti, infatti le politiche monetarie
saranno centralizzate e i sindacati dovranno affrontare le stesse reazioni delle autorità monetarie. Nel caso in esempio i
due sindacati sceglieranno una combinazione analoga di saggio salariale e di livello occupazionale.
È tuttavia improbabile che le differenze scompaiano completamente, infatti i governi nazionali hanno altre politiche
occupazionali a disposizione (i.e. Creare posti di lavoro nel settore pubblico finanziandone le spese aggiuntive
emettendo debito).
Un’UM non limita necessariamente un comportamento accomodante del governo, quindi anche se le differenze tra i
sindacati saranno meno pronunciate, queste non verranno eliminate completamente.
Le differenze istituzionali nei mercati del lavoro nazionali resteranno ancora a lungo dopo l’introduzione di una
moneta comune e di conseguenza si potranno avere tendenze salariali e occupazionali divergenti.
Una volta scomparso lo strumento del tasso di cambio si potrebbero presentare anche problemi di aggiustamento
gravi.
La causa principale risiede nella diversità dei sistemi giuridici, tuttavia vi sono anche altre differenze che si sono
formate nel tempo a causa delle differenti politiche monetarie seguite dai paesi.
Esempio pratico:
Prima dell’istituzione dell’UEM alcuni paesi (i.e. Germania) sono riusciti a contenere l’inflazione, mentre in altri (i.e.
Italia) questa si è mantenuta su livelli relativamente alti.
La differenza tra i tassi di inflazione ha influenzato il funzionamento dei mercati perché in un contesto di inflazione
elevata gli investitori sono riluttanti a sottoscrivere obbligazioni a lungo termine.
I prezzi di queste sono instabili e aumenti anche minimi dell’inflazione determinano importanti cali di prezzi, per
questo il mercato “a lungo termine” è poco sviluppato.
In Italia prima della nascita dell’UEM il debito pubblico era costituiti in buona parte da titoli a breve.
Ogni volta che il tasso di interesse aumentava, il debito pubblico ne risentiva immediatamente e il governo si trovava
a sprendere di più per il pagamento in conto interessi provocando l’aumento del deficit di bilancio.
Con l’istituzione dell’UM le relazioni asimmetriche dovute alle differenze tra i livelli di inflazione scomparvero e le
strutture delle scadenze dei titoli emessi dai diversi governi finirono per convergere.
L’unione monetaria ha determinato l’eliminazione di alcune delle differenze istituzionali esistenti tra i sistemi
finanziari nazionali.
Nel 2010, con l’inizio della crisi del debito sovrano, tale tendenza si è invertita e i rendimenti dei titoli pubblici hanno
iniziato a divergere non per i diversi tassi di inflazione, bensì per le percezioni dei rischi di inadempienza sui titoli
emessi dagli stati membri. →I paesi esposti a alti rischi di inadempienza percepiti hanno dovuto abbreviare le
scadenze delle proprie emissioni.
L’Unione monetaria dunque non elimina di per sé stessa le possibili divergenze tra le strutture delle scadenze dei titoli
emessi dai singoli stati.
Alti e bassi del ciclo e stati nazionali
Congettura di partenza: l’integrazione economica tende a ridurre la probabilità che singole nazioni siano colpite da
shock asimmetrici di tipo esogeno.
Ci sono anche shock asimmetrici generati endogenamente, dovuti alle dinamiche inerenti ai sistemi capitalistici, ossia
all’alternarsi di periodi di ottimismo e pessimismo determinanti espansioni e contrazioni dell’attività economica.
Se questi movimenti sono asincroni tra i vari paesi si possono creare problemi in un’unione monetaria, pertanto è
necessario stabilire se l’integrazione economica determina una sincronizzazione di questi movimenti ciclici.
La componente ciclica è ottenuta sottraendo la componente tendenziale dal PIL osservato. Emerge che nell’Eurozona
i movimenti ciclici sono molto sincronizzati, ma di ampiezza molto diversa.
Spagna e Grecia hanno avuto una forte espansione seguita da recessione, mentre in Belgio o Germania si sono avuti
movimenti analoghi ma molto più contenuti.
Se i cicli economici appaiono ben correlati, l’origine dell’asimmetria va allora ricercata nella varianza dei cicli
economici, ossia nell’intensità di questi.
Questo ha comportato massicce fughe di capitali dai paesi dove le cadute dell’economia furono accentuate, in altre
parole l’esistenza di una moneta comune non è stata in grado di disciplinare gli spiriti animali nazionali
sincronizzandoli.
Questo a causa della natura incompleta dell’UM assemblata nell’Eurozona.
Se le politiche monetarie sono centralizzate e non generano shock asimmetrici, i paesi membri continuano ad
esercitare un grado sostanziale di potere sovrano in diversi campi, tra cui il più importante è la politica di bilancio.
Gran parte dei poteri di spesa e tassazione restano quindi nella mani delle autorità nazionali.
Modificando tasse e spesa pubblica le autorità possono provocare shock asimmetrici importanti, infatti gli effetti di tali
manovre saranno circoscritti al paese che le attua.
i.e. le autorità incrementano il prelievo fiscale sui redditi da lavoro. Ne risentono i lavoratori e quindi i livelli di
spesa e dei salari nel paese. La curva di domanda e di offerta si sposteranno generando perturbazioni che
innescheranno dinamiche divergenti di prezzi e salari.
Ci sono altri aspetti dell’esistenza degli stati nazionali che possono portare a perturbazioni asimmetriche, ne sono un
esempio i sistemi di contrattazione salariale o le differenze tra i sistemi nazionali di leggi e consuetudini. Queste
differenze possono comportare forti discordanze tra le condizioni economiche esistenti nei diversi paesi.
Le divergenze sono in parte dovute alle differenze esistenti tra le politiche e le istituzioni economiche nazionali.
La presenza degli stati-nazione ha creato una sorta di spiriti animali, ondate di ottimismo e pessimismo, tra loro
correlate ma di intensità differenti.
Questi andamenti divergenti possono dare luogo all’emergere di importanti differenze tra le capacità competitive dei
paesi membri di un’unione monetaria, ed è proprio quello che è accaduto nell’Eurozona.
Nonostante l’integrazione produca strutture in gradi di accrescere la convergenza, il persistere di politiche e istituzioni
tipiche dei singoli stati-nazione nelle UM può mettere in moto una dinamica che porta a forti divergenze.
Se a livello microeconomico l’integrazione può ridurre gli shock asimmetrici, l’assenza di ‘unione politica può
innescare una dinamica macroeconomica che porta ampi sviluppi asimmetrici.
Vi è l’esigenza di incorporare un’unione monetaria in un’unione politica più forte.
Considerando la possibilità di svalutare la propria moneta è importante chiarire se il carattere dello shock è
permanente o temporaneo.
Shock permanente – no unione monetaria:
per tornare ai livelli produttivi precedenti, prezzi e costi devono diminuire rispetto a quelli tedeschi.
In seguito al deprezzamento la domanda si sposta nuovamente verso l’alto correggendo l’iniziale spostamento
sfavorevole e il nuovo equilibrio coinciderà con l’equilibrio iniziale (anche i prezzi tornano a tale livello).
È però improbabile che si riesca a mantenere questo nuovo equilibrio: il deprezzamento fa aumentare il prezzo in
franchi dei beni tedeschi importati → si verifica un aumento del costo di produzione e quindi una riduzione del salario
reale in Francia che crea una pressione al rialzo del livello dei salari nominali. → tutto questo spinge la curva di
offerta verso l’alto, si creerà un nuovo equilibrio e gli iniziali effetti favorevoli dovuti al deprezzamento svaniranno
col tempo (non si può dire se completamente o meno). Il prezzo dei beni infatti crescerà nuovamente.
Evidenze empiriche sottolineano come per gran parte dei paesi europei gli iniziali effetti favorevoli di un
deprezzamento tenono ad attenuarsi fortemente.
Variazioni nominali del tasso di cambio hanno effetti solo temporanei sui prezzi relativi.
Con il tempo un deprezzamento nominale provoca aumenti di costi e prezzi interni che tendono a ristabilire i prezzi
relativi iniziali. I deprezzamenti reali sono solo temporanei.
Questa conclusione non implica che i paesi non abbiano nulla da perdere dall’abbandono di questo strumento. Per
trarre questa conclusione è necessario confrontare il processo di aggiustamento in un’UM.
Nel caso precedente il risultato se la Francia avesse mantenuto la propria moneta, per ristabilire il livello iniziale del
prodotto Y in maniera permanente, avrebbe dovuto contrastare la pressione al rialzo sui salari nominali.
Questo risultato è ottenibile solo se i lavoratori francesi sono disposti ad accettare la riduzione dei salari reali implicita
nell’assestamento.
Per ristabilire il livello iniziale di prodotto la condizione necessaria è in entrambi i regimi la stessa, i lavoratori
francesi devono accettare una riduzione dei salari reali.
I lavoratori affetti da illusione monetaria potrebbero contrastare la riduzione dei salari reali dovuta al calo dei salari
nominali più fortemente di quanto farebbero se la stessa riduzione fosse causato da un aumento nei prezzi.
Aggiustare lo squilibrio dovuto da shock di domanda sarà pertanto più difficile e costoso in un’UM.
Tale conclusione si rafforza considerando le implicazioni sul bilancio di questi due meccanismi di aggiustamento.
- In UM il paese deve ridurre salari e prezzi e il conseguente calo della produzione comporta un aumento del
deficit di bilancio e un’impennata dei livelli di debito pubblico rapportati al pil ( i paesi membri non hanno
controllo delle moneta in cui hanno emesso i propri strumenti di debito e questo li rende più vulnerabili ad
attacchi speculativi che possono generare una crisi di liquidità). Durante il periodo di aggiustamento
potrebbero risultare esposti a una crisi del debito sovrano e quindi a un ulteriore calo dell’attività economica.
- Un paese non appartenente a un’UM può svalutare la propria moneta in modo tale da evitare il processo
inflazionistico e il conseguente aumento del deficit di bilancio e del livello del debito pubblico rapportato al
pil.
Impiego di politiche monetarie nazionali per stabilizzare il ciclo economico in seguito a shock
Molti shock da domanda sono correlati alle dinamiche di espansione e contrazione del ciclo economico → sono
endogeni, temporanei e possono essere asimmetrici.
Si ipotizzi uno shock da ciclo economico asincroni, nella fattispecie una recessione in Francia e un espansione in
Germania e nel periodo successivo un’espansione in Francia e una recessione in Germania.
Se i paesi facessero parte di un’UM la banca centrale comune sarebbe paralizzata e fin quando gli shock sono
temporanei non è possibile fare leva sulla flessibilità salariale o sulla mobilità del lavoro.
In UM si tratta di un problema insolubile, la banca centrale non può stabilizzare il prodotto a livello dei singoli paesi,
ma solo a livello dell’unione.
Se i paesi mantenessero le rispettive monete , avrebbero a disposizione strumenti per stabilizzare il prodotto a livello
nazionale.
In Francia, colpita da recessione, la BC può stimolare la domanda aggregata riducendo il tasso di interesse e
lasciare che il franco si deprezzi. In Germania invece la BC può alzare il tasso di interesse e lasciare che il marco si
apprezzi per contenere gli effetti dell’espansione.
In UM questi paesi non hanno la possibilità di modificare il tasso di interesse e anzi non hanno alcun controllo sulla
moneta in cui emettono i propri titoli di debito.
I governi in UM potrebbero essere colpiti da improvvise crisi di liquidità che li forzano ad adottare politiche di
austerità (ridurre la spesa pubblica e aumentare le tasse nel pieno di una recessione).
Balassa e Samuelson hanno fornito una possibile spiegazione basata sulla distinzione tra:
- Beni tradable (esposti alla concorrenza)
- Beni non tradable (non esposti alla concorrenza)
Di cui si ipotizza che il prezzo di questi (in gran parte servizi) sia costituito dal costo salariale
Considerando due paesi, Italia e Germania, le equazioni che definiscono l’inflazione sono:
𝑝𝐺̇ = 𝛼𝑝̇ 𝑇𝐺 + (1 − 𝛼)𝑤̇𝐺 e 𝑝𝐼̇ = 𝛼𝑝̇ 𝑇𝐼 + (1 − 𝛼)𝑤̇𝐼
Con 𝑝̇ = tasso di variazione dell’indice dei prezzi al consumo (medie ponderate dei tassi di incremento di beni
tradable e non tradable)
con 𝑤̇ = costo salariale ( =prezzo beni non tradable)
𝑝̇ 𝑇𝐺 𝑒 𝑝̇ 𝑇𝐼 = prezzo beni tradable
Se Italia e Germania sono in UM, la concorrenza fa sì che e variazioni dei beni tradable nei due paesi si eguagliano, di
conseguenza se 𝑝̇ 𝐺 = 𝑝̇ 𝐼 sottraendo le due equazioni di cui sopra si ottiene:
𝑝𝐺̇ − 𝑝𝐼̇ = (1 − 𝛼)(𝑤̇𝐺 − 𝑤̇𝐼 ) (3)
In un’economia monetaria che funziona correttamente, le differenze tra incrementi salariali devono riflettere le
differenze tra i tassi di crescita della produttività. Questo è indispensabile per far sì che i paese mantengano la propria
competitività
Tale condizione può essere scritta come segue: 𝑤̇𝐺 − 𝑞̇ 𝐺 = 𝑤̇𝐼 − 𝑞̇ 𝐼 (4)
Con 𝑞̇ 𝐺 , 𝑞̇ 𝐼 = tassi di crescita della produttività nel settore dei beni tradable
Questa esprime la condizione che nei due paesi i costi unitari del lavoro devono crescere allo stesso modo, infatti può
essere riscritta come:
𝑤̇𝐺 − 𝑤̇𝐼 = 𝑞̇ 𝐺 − 𝑞̇ 𝐼 (5)
Da questa si conclude che, qualora sussistano differenze di crescita della produttività tra paesi aderenti a un’unione
monetaria, differiranno anche i tassi di inflazione.
L’effetto dei differenziali di crescita della produttività sull’inflazione è noto come effetto Balassa – Samuelson
Si può giungere a tale conclusione solo assumendo che gli aumenti salariali riflettano sempre quelli della produttività.
POLITICHE MONETARIE NAZIONALI, COERENZA TEMPORALE E
CREDIBILITÀ
L’idea che il governo attuando particolari politiche sia coinvolto in un gioco col settore privato ha dominato la teoria
macroeconomica. In particolare sottolinea che gli agenti economici seguono strategie di ottimizzazione in risposta alle
strategie delle autorità e che queste risposte del settore privato hanno una profonda influenza sull’efficacia delle
misure del governo.
Quando il tasso di inflazione osservato è maggiore del tasso atteso, la disoccupazione scende sotto il proprio livello
naturale.
Essendo l’analisi basata su aspettative razionali, in media si avrà : 𝑝̇ 𝑒 = 𝑝̇ e di conseguenza 𝑈 = 𝑈𝑁
Nel lungo periodo la curva di Philips può essere rappresentata come retta verticale (insieme di tutti i punti in cui 𝑝̇ 𝑒 =
𝑝̇ ). Tale retta definisce il tasso di disoccupazione naturale, chiamato anche Non-Accelerating-Inflation Rate of
Unemployment.
Al diminuire del tasso di inflazione le autorità tendono a dare maggior peso alla disoccupazione.
Le curve più vicine all’origine rappresentano una minore perdita di benessere e sono preferite a quelle più distanti
dall’origine.
La pendenza esprime l’importanza relativa che le autorità attribuiscono alla lotta contro l’inflazione o la
disoccupazione.
In generale le autorità molto sensibili all’inflazione, wet-nosed governments, hanno curve di indifferenza molto
inclinate. Per ridurre il tasso di disoccupazione di un punto percentuale sono disposte ad accettare molta inflazione
addizionale.
Le autorità molto rigide rispetto all’inflazione, hard-nosed governments, hanno curve di indifferenza relativamente
piatte. Per ridurre il tasso di inflazione di un punto percentuale sono disposte a lasciare aumentare di molto il tasso di
disoccupazione.
Le autorità sensibili solo all’inflazione hanno invece curve di indifferenza orizzontali.
Unendo le preferenze delle autorità e le curve di Philips per determinare l’equilibrio del modello.
Per localizzare il punto di equilibrio si consideri che le autorità annuncino che seguiranno una regola di politica
monetaria in grado di mantenere: tasso di inflazione = 0
Si supponga che gli agenti economici credano a questo annuncio e che quindi: 𝑝̇ 𝑒 = 0
Il punto E è l’equilibrio che si raggiunge in un mondo di aspettative razionali in cui le autorità seguono una politica
discrezionale (fissano in ciascun periodo il tasso di inflazione ottimale date le aspettative prevalenti).
La regola di tenere l’inflazione uguale a zero non ha credibilità in un mondo di agenti razionali perché questi sanno che
le autorità hanno un incentivo a barare.
Questi aggiusteranno le proprie aspettative fino a raggiungere il punto E, punto in cui non vi è incentivo a barare per le
autorità.
➔ Modello statico
Per razionalizzare l’ipotesi di analisi statica va considerato che in molti paesi le istituzioni politiche favoriscono
il perseguimento di equilibri di breve periodo.
Nel modello si assume che il processo decisionale politico sia inefficiente e porti i politici a dare grande peso ai guadagni
di breve periodo ottenibili mediante politiche inflazionistiche.
Da questo è scaturita l’idea che le autorità che decidono in materia di politica monetaria (banche centrali) dovrebbero
essere indipendenti dai politici. In molti paesi infatti la banca centrale è stata resa politicamente indipendente.
Il livello dell’equilibrio discrezionale (di conseguenza anche il livello d’equilibrio dell’inflazione) dipende dalle
preferenze dell’autorità.
Confronto casi autorità wet-nose e hard-nose:
Si ipotizzi che le curve di Philips abbiano stesse pendenze.
Il paese con un governo accomodante
avrà un’inflazione di equilibrio
maggiore rispetto a un paese con
governo intransigente.
Si assuma l’esistenza di due paesi che non hanno ancora formato un’UM:
- Germania (G), con governo di tipo hard-nosed.
- Italia (I), con governo di tipo wet-nosed.
Si applica la condizione di parità del potere di acquisto, per la quale se l’inflazione in I supera quella in G allora la lira
italiana dovrà deprezzarsi rispetto al marco per compensare la differenza di inflazione. → 𝑒̇ = ̇ 𝑝𝐼 − 𝑝𝐺̇
Si ipotizzi che I annunci che fisserà il proprio tasso di cambio con il marco tedesco, pertanto 𝑒̇ = 0 e per effetto della
parità del potere d’acquisto anche il potere d’acquisto di I sarà uguale a quello di G (retta orizzontale tratteggiata
passante per C).
L’Italia sembra beneficiare di un tasso di inflazione minore.
Ci sono potenziali guadagni in termini di benessere, infatti nel nuovo equilibrio ci si trova su una curva di indifferenza
più bassa.
Giunti nel punto di equilibrio F le autorità sono incentivate a barare svalutando la lira.
Questo comporterebbe un aumento inatteso dell’inflazione e permetterebbe all’economia di spostarsi in G.
Gli agenti aggiusteranno le proprie aspettative e il tasso di inflazione di equilibrio finirà per essere pari a quello
precedente la fissazione del tasso di cambio.
Fissare il tasso di cambio non risolve il problema.
Questa regola non è più credibile della regola del tasso di inflazione fisso.
Esistono altre manovre potenzialmente in grado di risolvere il problema italiano di elevata inflazione:
➔ Si supponga che la BC sia un’istituzione nuova in cui le autorità dei diversi paesi sono ugualmente
rappresentate.
Nel caso in esempio non è chiaro se la nuova BC avrà la stessa reputazione della vecchia BC tedesca.
Se si percepisce che la BC sarà meno hard-nosed il nuovo tasso di inflazione sarà più alto rispetto a quello
vigente in G prima dell’UM. Se I può ancora ottenere dei benefici, G ci rimetterebbe soltanto.
Il modello di Barro-Gordon esteso alle economie aperte permette di spiegare perché alcuni paesi decidano di
dollarizzare le proprie economie.
La dollarizzazione è un regime monetario in base al quale un paese decide unilateralmente di utilizzare il dollaro per i
pagamenti interni. (i.e. Ecuador, Panama).
Rappresenta uno strumento con cui risolvere il problema della credibilità abolendo la moneta nazionale sostituendola
con il dollaro, la cui credibilità poggia sulla Federal Reserve.
Il tasso di cambio è uno strumento rischioso, alcuni economisti affermano che non dovrebbe essere utilizzato e che i
paesi trarrebbero vantaggi abbandonandolo irrevocabilmente.
Si tratta tuttavia di una conclusione eccessiva, in molti casi infatti le svalutazioni hanno avuto successo grazie alle
drastiche trasformazioni politiche che hanno permesso di tenere sotto controllo gli effetti negativi per la reputazione.
Abbandonando la propria moneta nazionale i titoli del debito pubblico sono emessi in una moneta su cui il governo
non ha controllo e questo li rende più vulnerabili alle crisi debitorie.
Esiste un trade-off:
I paesi ad alta inflazione possono migliorare la propria reputazione entrando in un’UM.
Se non hanno un’ottima reputazione in fatto di bilancio pubblico, l’adesione a un’UM rende tali paesi più vulnerabili a
crisi del debito sovrano.
MUNDELL
Si era mostrato più ottimista circa i benefici di un’UM basandosi su due argomenti:
1. Rispetto a un sistema di monete nazionali con tassi di cambio incerti, un’UM è un modo più efficiente di
organizzare un sistema di assicurazione contro gli shock esogeni asimmetrici.
Formando un’UM si generano automaticamente flussi di capitale che attutiscono il colpo dello shock per i
residenti del paese colpito.
2. In un mondo incerto è probabile che movimenti del tasso di cambio siano essi stessi una fonte di shock
asimmetrici (non costituiscono un meccanismo che facilita l’aggiustamento).
I tassi di cambio sono spinti da fattori psicologici che ne accrescono la volatilità.
Sulla base di queste considerazioni nella nuova visione di Mundell le UM vengono inquadrate tra i meccanismi in
grado di attenuare gli shock asimmetrici e di rafforzare la funzione di assicurazione contro di essi.
- Le conclusioni in merito alla funzione di assicurazione valgono solo se gli shock sono temporanei ed in ogni
caso l’aggiustamento deve avvenire tramite le variazioni di prezzi e salari.
- Anche in caso di shock temporanei, quando i mercati finanziari iniziano a ostentare sfiducia nei confronti di
uno o più paesi membri di un’UM perdono le proprie proprietà stabilizzatrici.
Il paese che sperimenta uno shock negativo non può contare sui flussi finanziari provenienti da altri paesi.
- Nonostante la volatilità del tasso di cambio può risultare una fonte indipendente di shock asimmetrici, è pur
vero che ampi shock sono più facilmente affrontabili consentendo l’aggiustamento dei tassi di cambio.
Sulla base della tesi della commissione si può concludere che il costo di un’UM diminuisce al crescere del grado di
apertura economica perché diminuisce la probabilità di shock asimmetrici.
Il contrario si conclude sulla base della tesi di Krugman, per il quale il costo di un’UM aumenta al crescere del grado
di apertura economica.
tasso di cambio:
La svalutazione ha effetti maggiori in un’economia più aperta per quanto riguarda gli effetti della domanda.
i.e. dati due paesi, il primo esporta il 99% del proprio PIL, il secondo solo l’1%. Una svalutazione del 10% farà
aumentare la domanda aggregata maggiormente nel primo paese.
In caso di deprezzamento dell’offerta, nei paesi con economia più aperta vi è uno spostamento maggiore della curva
d’offerta in quanto questa importa di più e ciò permette una crescita maggiore dell’indice dei prezzi al consumo.
Il deprezzamento si ripercuote maggiormente sul livello aggregato dei prezzi dell’economia più aperta.
Probabilmente il ricorso sistematico alla politica monetaria per stabilizzare il prodotto e l’occupazione determina
nell’economia più aperta una variabilità dei prezzi maggiore rispetto a quella più chiusa.
Variazioni del tasso di cambio hanno effetti più accentuati sui prezzi interni dell’economia più aperta.
A parità di effetto sul prodotto, probabilmente il deprezzamento è più costoso nell’economia aperta a causa della
maggiore variabilità dei prezzi che ne è indotta.
La perdita della capacità di utilizzare le politiche monetarie nazionali tenderà ad essere meno costosa per l’economia
aperta.
➔ Capacità della variazioni dei tassi di cambio di assorbire gli shock asimmetrici è inferiore a quanto ipotizzato
dalla teoria AVO.
Le variazioni del tasso di cambio non hanno effetti permanenti su prodotto e occupazione.
➔ I paesi che mantengono indipendenza scoprono che le fluttuazioni del cambio diventano una fonte di
perturbazioni macroeconomiche. La volatilità dei tassi può essere una causa importante di shock asimmetrici
per i paesi che conservano la propria moneta nazionale.
Nonostante le critiche il nucleo centrale della teoria Avo rimane valido, infatti:
- Alcune differenze tra paesi non scompaiono dopo la formazioni dell’UM. Tante sono di natura politica e
istituzionale.
- Gli stati-nazione mantengono le proprie peculiarità nazionali.
- I mercati del lavoro sono caratterizzati da particolari connotazioni istituzionali.
- I sistemi giuridici creano difformità nel funzionamento dei mercati
- I governi degli stati membri hanno sistemi fiscali differenti e seguono diverse politiche di spesa.
- L’UEM cancella solo alcune differenze, le restanti provocano dinamiche divergenti dei prezzi e del prodotto
nei singoli paesi che non hanno la possibilità di ricorrere a politiche monetarie e dei tassi di cambio che
facilitino i processi di aggiustamento → anche questo è un costo dell’UM.
SOMMARIO
QUANTO SONO RILEVANTI LE DIFFERENZE TRA PAESI .................................................................................... 1
Shock sulla domanda concentrato in un solo paese ...................................................................................................... 1
Differenze istituzionali fra i mercati del lavoro ............................................................................................................ 2
Sistemi giuridici e mercati finanziari differenti ............................................................................................................ 3
Alti e bassi del ciclo e stati nazionali ............................................................................................................................ 3
MUNDELL ..................................................................................................................................................................... 11
Conclusioni ..................................................................................................................................................................... 12
1
I benefici di una moneta comune non derivano solo dall’uso delle banconote, derivano anche dal fatto hce il sistema
dei pagamenti è integrato (risultato ad oggi raggiunto).
Con la crisi del debito sovrano ci sono stati grandi squilibri nel sistema, in particolare i paesi che avevano accumulato
disavanzi di parte corrente si trovarono di fronte a grandi deflussi di liquidità.
In particolare i paesi meridionali dell’Eurozona accumularono passività a fronte di crediti dei paesi settentrionali.
L’inversione dei flussi di liquidità ha permesso, dal 2012, un’attenuazione di questi squilibri.
Evidenze confermano che la discriminazione dei prezzi è ancora ampiamente praticata in Europa. I differenziali di
prezzo tra paesi risultano sistematicamente molto più grandi che all’interno dei paesi stessi.
Fanno eccezione i prodotti elettronici, i cui differenziali dipendono meno dai costi di transazione. Si tratta di prodotti
altamente differenziati i cui prezzi sono di difficile confronto.
Se l’euro contribuirà al processo di convergenza dei prezzi lo farà non perché permette ai consumatori un confronto
dei prezzi, ma perché stimola l’integrazione finanziaria.
L’introduzione dell’euro può essere cruciale per un’ulteriore integrazione in diverse aree, tra cui quella politica,
legislativa e normativa.
Si consideri un impresa che massimizza il profitto, che è price-taker nel mercato del prodotto e che esporta tutto il suo
prodotto.
Il prezzo che l’impresa percepisce è dato da: prezzo prevalente nel mercato d’esportazione * tasso di cambio
Quando il prezzo è alto l’impresa aumenta la quantità prodotta in modo da beneficiare del maggior ricavo per unità di
prodotto (profitto maggiore per ogni unità prodotta + profitto per l’espansione della propria produzione) → area
grigia triangolo in alto. Il contrario avverrà invece quando il prezzo è basso (riduce la produzione per contenere la
riduzione del profitto).
3
L’effetto positivo dell’incertezza dei prezzi sui profitti medi dovrebbe essere confrontato con la maggiore incertezza di
quei profitti. Da un lato un profitto medio più elevato accresce l’utilità, dall’altro la maggiore incertezza sui profitti in
questione la riduce.
Non è chiaro dunque se il benessere diminuisce quando l’incertezza sul tasso di cambio aumenta.
Le variazioni del tasso di cambio sono un rischio, ma anche un’opportunità di realizzare profitti (quando il tasso è più
variabile aumenta la probabilità di conseguire profitti elevati). In questo senso esportare il prodotto è come
un’opzione.
Dalla teoria delle opzioni il loro valore aumenta con la variabilità dell’attività sottostante, pertanto l’impresa che ha la
facoltà di optare per l’esportazione è avvantaggiata dall’aumento della variabilità del tasso di cambio.
Si possono introdurre in tale teoria diverse complicazioni, tra cui: ipotesi di concorrenza imperfetta, ipotesi di
sostenere costi di aggiustamento al variare della quantità prodotta, …
Un aspetto dell’incertezza può minare l’analisi effettuata : le variazioni dei tassi non sono distribuite normalmente, i
movimenti passano da periodi di calma a periodi di turbolenza durante i quali le variazioni possono essere ampie al
punto di generare bolle seguite da crolli.
Gli ampi movimenti del tasso di cambio generano rischi estremi, in particolare il calo del tasso può essere ampio al
punto di portare il prezzo di gran lunga al di sotto della curva del costo marginale, costringendo l’impresa a chiudere.
Gli ampi movimenti dei tassi tra le monete di paesi fortemente integrati sono stati uno dei fattori principali che hanno
portato molti leader a costituire un’unione monetaria, sulla base di due motivi:
➔ Era evidente la difficoltà di gestire i tassi in modo ordinato nel mondo della libertà dei capitali.
➔ Si vedevano i movimenti dei tassi come cause fondamentali di perturbazioni asimmetriche.
Si utilizzi il modello come punto di partenza per valutare gli effetti che un’UM ha sulla crescita.
Si ipotizzi che l’eliminazione del rischio di cambio riduca il rischio sistemico → si riduce il tasso di interesse reale.
In un contesto meno rischioso gli investitori esigono un premio di rischio minore per uno stesso investimento e nello
scontare il futuro gli agenti sono disposti ad utilizzare un tasso di sconto più basso.
È diffusa l’impressione che vi sono pochi elementi per affermare che l’euro abbia stimolato la crescita come promesso
dall’analisi teorica sopra esaminata, probabilmente a causa del fatto che la riduzione dell’incertezza relativa al tasso di
cambio non sembra aver determinato un calo significativo del tasso di interesse reale.
La relazione esistente tra incertezza sul tasso di cambio, tasso di interesse reale e crescita è debole e ciò si spiega
anche considerando che la riduzione dell’incertezza sul tasso di cambio non riduce necessariamente il rischio
sistemico.
Una minore certezza sul tasso di cambio può essere compensata da maggiore incertezza su altri elementi.
Le imprese che operano in una zona monetaria più ampia potrebbero non operare in un contesto complessivamente
meno rischioso.
Si considerino shock casuali che si verificano nel mercato interno dei beni
e che sono rappresentati da spostamenti della curva IS.
La curva IS si muove dunque in modo imprevedibile tra ISU e ISL
Conclusioni:
Fare parte di un’UM porta a maggiore variabilità nel mercato dei prodotti rispetto al caso in cui se ne resti fuori.
Aderire all’UM non comporta necessariamente la riduzione del rischio sistemico, infatti si viene a creare maggiore
incertezza in altre parti del sistema.
Si è raggiunta la stessa conclusione ottenuta dalla teoria AVO, e questo dipende dalla natura degli shock casuali
provenienti dal mercato dei beni.
Si ipotizzi ora che gli shock avvengano nel mercato della moneta e che quindi si verifichino perturbazioni nella
domanda di moneta.
Questi shock sono rappresentati da spostamenti della curva LM.
La prima generazione di studi giungeva alla conclusione che eliminare la variabilità del cambio in un contesto di UM
non avrebbe avuto un impatti significativo sui flussi commerciali.
La seconda generazione di studi giunse a conclusioni molto diverse:
Rose ha scoperto che i flussi commerciali fra coppie di paesi appartenenti a un’UM sono mediamente del 200%
maggiori di quelli tra coppie di paesi che non ne fanno parte.
Tuttavia tali effetti sono sovrastimati e in assenza di una buona teoria che spieghi come un’UM stimola il commercio,
le stime aggregate della correlazione tra UM e commercio sono inaffidabili.
Vi è un riscontro empirico dunque dell’ipotesi di un effetto positivo delle unioni monetarie sugli scambi commerciali.
6
2. Una valuta internazionale è detenuta anche come riserva dalle banchi centrali estere.
Le riserve sono detenute sotto forma di titoli del Tesoro, questi fondi detenuti all’estero sono fonte di facili
finanziamenti dei deficit di bilancio del paese emittente.
I detentori esteri in questo caso sopportano il rischio di cambio.
Ad oggi l’euro è detenuto in misura crescente come valuta di riserva da banche centrali estere.
3. Quando una moneta diventa un mezzo di pagamento e riserva internazionale, ne consegue uno stimolo per
l’attività dei mercati finanziari interni. Beneficio maggiore, ma più difficile da quantificare.
I residenti esteri vogliono investire in attività/ emettere titoli di debito denominati in quella moneta, di
conseguenza le banche interne attraggono un maggior volume di affari che crea know-how e posti di lavori.
Alcuni paesi, i.e. Regno Unito, sono riusciti ad attrarre attività finanziarie dal resto del mondo pur non avendo una
moneta nazionale che fosse una versa moneta internazionale.
Quindi avere una valuta internazionale non è una condizione necessaria per offrire servizi finanziari per cui il resto del
mondo sia disposto a pagare e non è nemmeno una condizione sufficiente. (i.e. La City di Londra).
Nelle economie piccole e aperte eliminare i rischi porterà un guadagno di benessere pro capite maggiore che in quelle
grandi e relativamente chiuse.
Al crescere dell’apertura verso gli altri partner dell’unione, aumentano i guadagni per unità di prodotto derivanti
dall’adesione a un’UM.
Conclusioni
Una moneta comune offre importanti vantaggi:
➔ Riduce i costi di transazione (produce vantaggi diretti, ma anche indiretti)
➔ Migliora l’efficienza allocativa del meccanismo dei prezzi attraverso la riduzione dell’incertezza dei prezzi.
➔ L’aumento di benessere dovuto all’eliminazione dei tassi di cambio consiste principalmente nell’eliminazione
dei movimenti estremi di tali tassi.
L’esistenza di una moneta comune può tuttavia creare nuovi rischi se i paesi trovano difficile effettuare
aggiustamenti resi necessari da perturbazioni. Si possono creare rischi specifici per i governi nazionali, in
particolare il calo del rischio di cambio non riduce necessariamente il rischio sistemico nell’UEM.
➔ La maggior trasparenza nei prezzi accresce in certa misura la competitività a beneficio dei consumatori.
La fonte dei benefici tuttavia, non è dovuta tanto dalla maggior trasparenza, quanto del fatto che l’esistenza
dell’euro può stimolare l’integrazione in altri settori.
➔ Se la nuova moneta diventa una vera moneta globale, si potranno ottenere ulteriori benefici sotto forma di
entrate pubbliche e di un’espansione del settore finanziario dell’UE.
7
Sommario
1) Impostazione Monetarista
Le variazioni del tasso di cambio sono inefficaci come strumento per
correggere gli shock asimmetrici.
Anche se efficaci tali politiche ridurrebbero sistematicamente il benessere
dei paesi.
2)Impostazione Keynesiana
Dato che il mondo abbonda di rigidità, le politiche monetarie e del tasso di
cambio sono potenti strumenti di assorbimento degli shock asimmetrici.
Dai primi anni ’80 l’impostazione monetarista ha riscosso molti consensi e questo spiega perché l’UEM è diventata
una realtà negli anni ’90.
La crisi del debito sovrano unitamente alle difficoltà sperimentate da allora in diversi paesi dell’Eurozona hanno
tuttavia ridotto la popolarità del monetarismo.
Per paesi che presentano un importante grado di apertura rispetto agli partner dell’UE probabilmente l’analisi costi-
benefici evidenza l’esistenza di benefici netti positivi prodotti dall’adesione (i.e. Benelux, Austria, Irlanda,…).
2
È difficile tracciare una linea precisa e concludere che i paesi sopra di questa formano un’area ottimale con gli stati
membri dell’UE, essenzialmente per una duplice ragione:
➔ Ci sono altri parametri da considerare nell’analisi (i.e. grado di flessibilità e asimmetria degli shock).
➔ Il grado di completezza di un’UM è importante per i suoi costi e benefici.
In materia di credibilità si evince che i paesi tradizionalmente a elevata inflazione (i.e. Grecia e Italia) potrebbero aver
deciso che è nel loro interesse partecipare all’UEM nonostante la quota di scambi commerciali con i membri dell’UE
sia relativamente bassa.
Non si considera la perdita dello strumento del tasso di cambio costosa, infatti una posizione sufficientemente
monetarista permette di argomentare che per paesi con un basso grado di apertura i benefici potrebbero
controbilanciare i costi e che l’adesione potrebbe essere sensata anche da un punto di vista economico.
Relazione che lega flessibilità del mercato del lavoro e shock asimmetrici in UM:
I paesi a destra hanno forte flessibilità, riusciranno ad adeguarsi agli shock asimmetrici senza sostenere forti costi di
aggiustamento. I benefici di un’UM superano i costi. → formano un AVO
Zona AVO: area a destra della retta AVO.
Nella maggior parte dei paesi dell’UE le politiche monetarie non hanno la capacità di modificare le variabili reali, per
cui anche in caso di shock asimmetrici gli strumenti di politica monetaria non possono essere utilizzati per
fronteggiarli efficacemente. → la perdita di sovranità non dovrebbe essere particolarmente onerosa.
Un’altra serie di studi empirici ha rilevato che gran parte degli shock asimmetrici che colpiscono l’UE riguarda settori
specifici e non l’economia nel suo complesso. Le variazioni di prodotto e occupazione risultano da differenti sviluppi
settoriali.
A differenza dell’UE, gli USA sono collocati sopra la linea avo, benché non vi sia certezza sul fatto che questi
costituiscano un’AVO in assoluto.
La principale differenza tra USA e Europa risiede nel grado di flessibilità dei rispettivi mercati del lavoro. Negli USA
vi è una mobilità del lavoro molto più elevata.
Parte degli shock che si osservano in Europa potrebbero essere originati proprio dall’assenza di un’UM, non vi è
certezza che i paesi dell’UE-28 non trarrebbero benefici dal formare un’UM, tuttavia questi non costituiscono un AVO
Blanchard ha sviluppato una metodologia statistica che estrae dai dati sui prezzi e sul prodotto i sottostanti di
domanda e offerta.
Una volta stimate le autoregressioni vettoriali, si identificano gli shock ipotizzando che:
➔ Shock sulla domanda = temporanei (gran parte scompariranno dopo la creazione/adesione all’UM)
➔ Shock sull’offerta = permanenti (hanno natura strutturale, si manifestano anche dopo la creazione dell’UM)
L’estrazione degli shock avviene per tutti i futuri membri dell’UM e permette poi di calcolare la correlazione tra gli
shock su domanda e offerta ottenuti e la media dell’unione.
➔ Un caso a sé riguarda il Regno Unito. La correlazione dal lato della domanda è negativa poiché riflette il fatto
che il paese attua la propria politica monetaria internazionale indipendentemente da quanto avviene
nell’Eurozona. Tuttavia, anche la correlazione dal lato dell’offerta è piuttosto bassa.
Per ottenere dunque una stima della dimensione ottimale delle aree monetarie è necessario esaminare altri aspetti,
quali il grado di flessibilità dei mercati del lavoro e i benefici microeconomici derivanti dall’UM.
4
2. Uno stesso shock, di tipo simmetrico, può portare a spirali prezzi-salari diverse e quindi a sviluppo della
competitività divergenti tra i vari paesi.
In prevalenza di shock simmetrici i sistemi di contrattazione salariale nazionali andrebbero resi più uniformi.
Probabilmente è errato concludere che un sistema di contrattazione salariale centralizzata sia auspicabile a livello di
unione per due ragioni:
1. Se in un’Europa unificata gli shock asimmetrici potrebbero diventare meno frequenti, la specializzazione
produttiva porterebbe a importanti divergenze regionali.
La specializzazione supererebbe i confini territoriali e un sistema di contrattazione salariale centralizzata
risulterebbe dannoso per molte regioni europee.
2. I mutamenti tecnologici tendono a creare variazioni settoriali divergenti in termini di prodotto e occupazione.
Un sistema centralizzato sarebbe dannoso per il prodotto e l’occupazione dei settori che registrano andamenti
meno favorevoli.
L’organizzazione futura dei sindacati dei lavoratori in un’unione monetaria dovrà rispettare i requisiti di flessibilità
che sono inevitabili in un mondo in cui gli shock sono principalmente settoriali e macroeconomici.
In un’UM incorporata in un’unione di bilancio tali problemi vengono meno e il costo di adesione a un’UM risultano
probabilmente più bassi.
Grazie all’integrazione di bilancio la curva dei costi si colloca vicino all’origine.
In futuro tenderanno a prevalere le unioni monetarie che sono anche unioni di bilancio.
Le unioni di bilancio sono una componente essenziale di un’unione politica, probabilmente una combinazione di
unione monetaria e politica ha minori costi e funziona meglio.
I dati stessi confermano che le unioni monetarie sono quasi sempre corporate in unioni politiche, la più grande
eccezione è rappresentata proprio dall’Eurozona.
5
Un avvicinamento all’unione di bilancio rende l’UM più accettabile per ampie fasce della popolazione.
In caso di shock temporanei la linea risulta piatta e questo implica che occorre un grande incremento di flessibilità per
entrare dentro la zona AVO, basterebbe invece un aumento dell’unione di bilancio per entrarci.
Se tutti gli shock sono temporanei la linea di trade-off è orizzontale e nessuna quantità di flessibilità porterà all’interno
dell’AVO. L’unica soluzione è l’unione di bilancio.
L’isteresi (persistenza):
Una recessione provoca sistematicamente chiusure di impianti e licenziamenti.
I lavoratori che hanno sviluppato capacità specifiche perdono parte del proprio capitale umano e vedono il
loro stato di disoccupazione protrarsi.
Se si verifica uno shock è necessario stabilizzarlo per evitare effetti di isteresi.
Se gli shock temporanei hanno effetti permanenti risulta ancora più importante adottare misure che ne
mitighino l’impatto.
I governi nazionali possono realizzare una maggiore flessibilità nei mercati del lavoro senza che vi sia una maggiore
integrazione.
L’unione di bilancio invece richiede integrazione politica.
Se la flessibilità rientra nel campo delle possibilità dei governi nazionali, l’unione di bilancio è una questione
europea.
Shock nell’eurozona:
i movimenti ciclici hanno avuto grande peso nell’Eurozona e si sono rivelati sincronizzati.
L’asimmetria è da ricercare nelle grandi differenze di ampiezza dei movimenti ciclici nell’Eurozona.
6
Per valutare l’importanza delle componenti cicliche e di quelle tendenziali nel PIL si confrontino la crescita media
della componente ciclica del PIL con quella della sua componente tendenziale.
➔ Paesi centrali (Austria-Belgio-Olanda-Germania)
crescita ciclica e tendenziale sono di grandezza simile nonostante la componente ciclica sia tendenzialmente
maggiore di quella tendenziale.
➔ Paesi periferici (Spagna-Portogallo-Irlanda-Italia-Grecia)
La componente ciclica cresce più rapidamente di quella tendenziale.
I tassi di crescita del PIL sono stati dominati da movimenti ciclici dell’attività economica del tipo espansione-
recessione. Sono le alternanze di espansione e recessione il connotato predominante dei movimenti del PIL.
I risultati mostrano che sin dall’inizio dell’Eurozona i movimenti ciclici sono stati il fattore dominante sotteso alle
variazioni di crescita del PIL.
I movimenti ciclici del PIL appaiono fortemente correlati, vi sono elevati coefficienti di correlazione bilaterale fra le
componenti cicliche della crescita del PIL. → i cicli economici dei paesi dell’Eurozona erano fortemente correlati.
La Germania è il paese con i più bassi coefficienti di correlazione positivi del suo ciclo economico con quelli del
resto dell’Eurozona.
L’asimmetria va ricercata dunque nell’intensità della dinamica di espansione-recessione dei tassi di crescita.
Integrazione e simmetria sono qualità che accrescono i benefici, quindi riducono i costi, della partecipazione a un’UM.
Se la simmetria aumenta, riducendo i costi di partecipazione all’unione, i paesi possono permettersi una minore
integrazione, che permette di accrescere i benefici.
I punti sulla AVO presentano combinazioni di simmetria e integrazione per cui l’UM offre un guadagno netto pari
zero. I punti a destra sono punti per cui i benefici superano i costi.
Con il procedere dell’integrazione commerciale il punto TT si sposterà verso l’alto lungo la retta e ipotizzando un
continuo avanzamento della dinamica di integrazione in seno all’UE, questo porta nell’area AVO.
In quest’ottica l’unificazione sarà percepita come benefica da tutti i paesi dell’UE.
Questa è la prospettiva ottimistica sul futuro di lungo periodo dell’integrazione monetaria in Europa.
7
Dal modello di Krugman si conclude che anche se l’integrazione induce un maggior numero di shock, può generare
benefici netti crescenti per un’UM degli UE-28.
Tra i criteri che definiscono un’AVO vi è una componente endogena, se i paesi decidono di formare un’UM, i criteri
diventano più favorevoli. Se si opta di non partecipare invece un rapporto costi-benefici sfavorevole resta tale.
Per determinare se può essere un’area valutaria ottimale, si analizzano i tre criteri definitori dell’AVO:
Integrazione economica:
Per quanto riguarda l’apertura delle economie i paesi latinoamericani hanno livelli di interscambio molto bassi con il
resto dell’America latina a causa di due fattori:
➔ Sono paesi relativamente chiusi
➔ La maggior parte degli scambi commerciali coinvolge paesi non appartenenti a quest’area, in particolare USA
e Europa.
Il primo criterio è pertanto sfavorevole.
Simmetria:
Benché vi siano poche ricerche, il grado di asimmetria degli shock indica movimenti del prodotto poco sincronizzati e
shock asimmetrici relativamente ampi.
Flessibilità:
Anche in questo caso vi sono poche ricerche, tuttavia sembra che la segmentazione del mercato del lavoro riduca i
margini di aggiustamento a shock asimmetrici.
Quasi tutti i paesi dell’America Latina hanno attraversato recentemente periodi di instabilità e inflazione più o meno
accentuate e quasi tutti i governi e le banche centrali hanno pessimi precedenti in fatto di inflazione.
È improbabile che le istituzioni che si verrebbero a creare siano abbastanza forti da garantire la stabilità dei prezzi.
È la mancanza di credibilità che caratterizzerebbe le istituzioni a rendere improbabile nel breve termine la nascita di
un’unione del genere → è diffusa l’idea che un’UM non riuscirebbe a risolvere il problema endemico dell’instabilità
monetaria del continente.
In conclusione la maggior parte dei paesi dell’America Latina non trarrebbe alcun beneficio da un’UM comprendente
solo paesi del continente.
Un vantaggio si troverebbe nella dollarizzazione, adottando il dollaro come mezzo di pagamento i paesi dell’america
latina importerebbero la stabilità finanziaria della Federal Reserve.
Questo implicherebbe il passaggio totale della sovranità monetaria nelle mani degli USA, ma questo crea forti
resistenze politiche ed è quindi improbabile che i paesi più grandi scelgano la strada della dollarizzazione.
Questa può essere attraente per i paesi più piccoli (Ecuador-Panama).
9
Asia
La crisi finanziaria del 1997-98 ha generato una notevole turbolenza.
Attacchi speculativi nel mercato dei cambi, hanno costretto a svalutare le monete oppure a lasciare i tassi liberi di
fluttuare. → si sono create perturbazioni macroeconomiche e distorsioni nei flussi commerciali, cui hanno fatto
seguito iniziative per evitare che fenomeni del genere possano ripetersi.
Con la CMI (Chiang Mai Initiative) i ministri delle finanze dei paesi aderenti all’Associazione delle nazioni dell’Asia
Sudorientale (ASEAN), Cina, Giappone e Corea del Sud hanno annunciato, nel 2000, un’estensione degli acordi
bilaterali sul credito a breve termine tra i rispettivi paesi.
Si è cosi avviato un processo di revisione economica e dialogo sulle politiche economiche avente lo scopo di eliminare
gli squilibri macroeconomici e finanziari.
Questi accordi non sono però sufficienti a proteggere le monete asiatiche da futuri attacchi speculativi, per questo sta
guadagnando credibilità l’ipotesi di fissare in modo permanente il tasso di cambio di questi paesi istituendo un’UM.
Per determinare se può essere un’area valutaria ottimale, si analizzano i tre criteri definitori dell’AVO:
Integrazione economica:
I paesi dell’Asia Orientale presentano un alto grado di integrazione con il resto dell’Asia Orientale e in particolare in
alcuni paesi l’indice di integrazione è estremamente elevato (i.e. Hong Kong supera il 100%).
Hanno grado di integrazione analogo a quello che i paesi dell’UE hanno con il resto dell’UE.
Simmetria:
L’opinione diffusa è che gli shock nei paesi dell’Asia Orientale non siano più asimmetrici di quelli dei paesi
dell’Eurozona, il grado di simmetria sembra solo leggermente inferiore.
In base ai primi due criteri dunque l’Asia Orientale pare vicina a caratterizzarsi come un’AVO
Flessibilità:
Il mercato del lavoro a un grado di flessibilità almeno uguale, se non superiore a quello esistente in Europa.
Nonostante la somiglianza con i paesi dell’UE, l’Asia ad oggi non ha ancora costituito un’UM per cause politiche.
È diffusa la sensazione che gli ostacoli politici alla realizzazione di un’unione monetaria siano troppo forti.
Sono essi stessi il risultato di sviluppi storici che rendono difficile l’unione di quei paesi.
Ci sono profonde differenze culturali.
Se in Europa l’unificazione monetaria è stata possibile grazie al forte desiderio politico di unire il continente che ha
permesso la formazione di istituzioni internazionali (Commissione, Corte di giustizia, Parlamento), in Asia manca
quest’infrastruttura e per questo è difficile immaginare la formazione di un’UM anche fosse di tipo incompleto.
Africa
Rappresenta un caso particolare in quanto nel continente esistono tre UM da circa mezzo secolo:
➔ Unione monetaria francofona dell’Africa Occidentale
➔ Unione monetaria francofona dell’Africa Centrale
➔ Unione monetaria dell’Africa del Sud
Al di là di queste sono in corso diverse iniziative che mirano a estendere le unioni monetarie esistenti, tra queste vi è il
progetto di unione monetaria della Comunità economica degli stati dell’Africa Occidentale (ECOWAS).
L’ECOWAS è un gruppo regionale di 15 paesi dell’Africa Occidentale, composto dall’UM dell’Africa Occidentale o
WAEMU (in cui sono comprese ex colonie francesi quali Benin, Costa d’Avorio, Guinea, Mali,…) a cui si sono
aggiunti Capo Verde, Ghana, Gambia, Liberia e Nigeria.
Dal 2000 l’Ecowas ha adottato la strategia del doppio binario per realizzare un’UM nell’intera area.
In primis gli stati non appartenenti all’UM dell’Africa Occidentale (WAEMU) hanno costituito una seconda UM, la
Zona monetaria dell’Africa Occidentale (WAMZ).
Queste due unioni, WAEMU e WAMZ, successivamente si fonderanno dando vita a un’UM più ampia in seno
all’ECOWAS
10
Per determinare se può configurare un’area valutaria ottimale, si analizzano i tre criteri definitori dell’AVO:
Integrazione economica:
Gli scambi commerciali nell’Africa Occidentale rappresentano per la maggior parte dei paesi una quota molto minore
del 10% dei rispettivi PIL.
Paragonandola all’Eurozona, l’Africa Occidentale è ancora molto lontana dal cogliere a pieno i benefici di un’UM.
Questi risultati sono assimilabili a quelli evidenziati nel caso dell’America Latina.
Simmetria:
I risultati delle analisi mostrano una correlazione bassa o negativa tra gli shock sull’offerta osservati nei diversi paesi.
Questi shock sono tuttavia maggiormente correlati fra i paesi del gruppo WAEMU.
Non è pertanto chiaro se il grado asimmetria è maggiore in Africa Occidentale o nell’Eurozona se si tiene in
considerazione la correlazione del gruppo WAEMU.
Flessibilità:
in merito alla flessibilità emerge un’intensa mobilità del lavoro, pare infatti che gli shock asimmetrici inneschino
movimenti relativamente ampi di lavoratori da un paese all’altro.
Tenendo l’Eurozona come termine di paragone per stabilire se l’Africa Occidentale costituisca un’AVO, si ottengono
indicazioni discordanti.
Il grado di integrazione e basso, di conseguenza un’UM darebbe luogo a benefici relativamente scarsi.
La mobilità del lavoro è tuttavia molto più elevata e inoltre i membri della WAEMU hanno già creato una serie di
istituzioni in grado di agevolare un passaggio all’UM.
Conclusioni:
SOMMARIO
Conclusioni: .................................................................................................................................................................... 10
1
Ci sono poi numerosi paesi che ancorano la propria moneta ad un’altra, specialmente al dollaro.
Anche in Europa vari paesi (i.e. Danimarca-Bulgaria) ancorano la propria moneta all’euro, formando così un’UM
incompleta con il paese alla cui moneta decidono di ancorare la loro.
Queste due caratteristiche interagiscono tra loro, la limitatezza dello stock di riserve riduce la credibilità del tasso di
cambio fisso e questo spinge gli speculatori a vendere moneta nazionale, costringendo la banca centrale a cedere
valuta estera (così diminuiscono ulteriormente le riserve).
Il paese deve correggere lo squilibrio esterno (deficit delle partite correnti), per farlo ha due alternative:
7. Sostenere il tasso di cambio fisso
Le autorità devono seguire una politica volta a ridurre la spesa aggregata, questo può essere fatto aumentando
le tasse e/o riducendo la spesa pubblica.
Questa politica potrebbe risultare politicamente costosa, infatti:
o La tassazione provoca resistenza da parte della popolazione.
o La riduzione della spesa riduce la produzione e porta a un aumento della disoccupazione.
8. Svalutare la moneta
Soluzione politicamente meno costosa di ovviare al peggioramento del saldo delle partite corrente.
Se la moneta si svaluta le esportazioni tornano competitive.
Se ε > ε0 i benefici della svalutazione superano i relativi costi e pertanto le autorità sono incentivate a svalutare la
moneta. Se gli agenti lo sanno venderanno massicce quantità di moneta nazionale costringendo la banca centrale a
cedere valuta estera e di conseguenza si verificherà un deperimento dello stock di riserve.
Nel tempo la probabilità che uno shock qualsiasi sia maggiore di ε0 diventa positiva.
Prima o poi i paesi saranno investiti da uno shock talmente ampio da rendere non più credibile il regime di cambi fissi.
È evidente che se le autorità monetarie perseguono obiettivi interni (i.e. stabilizzazione del prodotto; occupazione) i
tassi di cambio fissi crolleranno inevitabilmente in seguito all’esaurimento delle riserve.
La causa ultima di una crisi valutaria è da ricercare nel comportamento delle autorità che perseguono obiettivi
incoerenti.
Le autorità per mantenere il tasso fisso dovranno fronteggiare le speculazioni e questo ha un costo. Il governo dovrà
aumentare ulteriormente le tasse e la banca centrale dovrà aumentare il tasso di interesse.
Si considerino 3 shock:
1. Shock debole → ε < ε1
Non ci sarà svalutazione poiché i costi ne superano i benefici.
Gli speculatori lo sanno e non si aspettano una valutazione.
L’equilibrio si basa sull’assenza di svalutazione e il mantenimento del tasso di cambio fisso è credibile.
In questo regime le aspettative si auto avverano, se una svalutazione è attesa questa si verificherà, e questo rende il
regime del tasso di cambio fisso molto fragile.
Se la banca avesse uno stock illimitato di riserve valutarie, in presenza di un attacco speculativo riuscirebbe sempre e
comunque a contrastare gli speculatori, che ne sarebbero a conoscenza e pertanto non si imbarcherebbero in un’azione
simile. → le curve BE e BU coinciderebbero.
Questo non implica che la svalutazione non si verifichi in presenza di infinite risorse valutarie, gli shock infatti
potrebbero essere forti al punto che il calcolo costi-benefici indurrebbe le autorità a ritenere meglio svalutare.
1. Muoversi verso un regime monetario che elimini il problema degli attacchi speculativi, abolendo i tassi di
cambio e relativi mercati → caso dell’Unione Monetaria
La fragilità però di un’UM incompleta riappare in un’altra forma.
2. Permettere una maggiore flessibilità dei tassi di cambio.
Al crescere dell’integrazione economica diventa sempre più necessario liberalizzare i mercati dei capitali, pertanto i
paesi che vorranno integrarsi nell’economia mondiale dovranno risolvere il problema della fragilità del sistema dei
cambi fissi.
Tale fragilità può essere ridotta mantenendo la libertà di movimento dei capitali se si aumenta il costo delle
svalutazioni. Se la curva C trasla verso l’alto i paesi possono fronteggiare shock più forti prima di essere colpiti da
attacchi speculativi autoavverantisi
.
Se alcuni paesi si sono orientati verso l’aumento del costo della svalutazione, altri hanno istituito un currency board
i.e. Hong Kong e Argentina hanno ancorato la moneta al dollaro, Bulgaria ed Estonia all’euro.
In questo regime le autorità monetarie devono impegnarsi a coprire completamente l’emissione di moneta interna
detenendo una quantità corrispondente della moneta estera cui è ancorata quella interna.
Tuttavia anche i currency board non proteggono i paesi dagli attacchi speculativi.
4
➔ La banca centrale non può fungere da prestatore di ultima istanza, poiché questo comporta che la banca
centrale inietti liquidità nel sistema bancario e ciò viola la regola che ogni unità di moneta nazionale deve
essere coperta dalla moneta ancora.
Si crea un rischio nei periodi di crisi che può essere attenuato garantendo i.e. che le banche interne sono filiali
delle banche dei paesi emettenti la moneta-ancora.
Il caso: l’Argentina
Introdusse un currency board ancorando il peso al dollaro.
Inizialmente sembrò un successo, tuttavia nel 2000 le autorità dovettero abbandonare l’ancoraggio a causa di
un’importante crisi speculativa che rese troppo costoso il mantenimento dell’ancoraggio fisso al dollaro.
La profonda recessione affrontata fu provocata anche dal fatto che il dollaro si apprezzò, il che comportò
l’apprezzamento del peso e una conseguente perdita di competitività.
L’esplosione del debito fu dovuta all’incapacità delle autorità di tenere sotto controllo il bilancio statale.
Di regola un currency board di successo è realizzato in paesi piccoli, il sistema infatti impone alla banca centrale di
rinunciare ad attuare una politica monetaria finalizzata al conseguimento di obiettivi diversi dal mantenimento del
tasso di cambio fisso.
Se la Fed aumenta il proprio tasso, il paese la cui moneta è ancorata al dollaro deve accettare questa decisione e alzare
il proprio tasso di ugual misura.
CONCLUSIONI:
Rendendo più pesante la penalizzazione associata alla svalutazione la credibilità dei regimi di cambio fisso può
aumentare, ma prima o poi si verificherà uno shock talmente grave da annientare la volontà delle autorità di difendere
l’impegno sul cambio.
Ipotesi: un paese membro dell’Eurozona è investito da uno shock, denominato shock di credibilità
Lo shock rappresenta un calo delle entrate pubbliche e può derivare da recessione o perdita di
credibilità.
La distanza verticale tra le due curve dipende dalla scadenza dei titoli del debito pubblico, se la scadenza è lontana
allora l’aumento del tasso che si verifica durante la crisi avrà un effetto immediato limitato sul costo del debito
pubblico perché molti titoli continueranno a recare un tasso di interesse minore. In questo caso la distanza tra le due
curve sarà modesta.
Entrambi i punti di equilibrio sono egualmente possibili, la scelta dipende solo da ciò che si aspettano gli
investitori. L’adempienza si verifica se gli investitori se l’aspettano.
i.e. shock che ha interessato Irlanda, Portogallo e Spagna durante la crisi debitoria.
Poiché la probabilità dell’inadempienza è avvolta dall’incertezza e gli investitori sono sprovvisti delle
conoscenze necessarie per calcolarla scientificamente, le aspettative sono orientate dagli umori dei mercati.
Come per il regime di cambi fissi, la simultanea esistenza di due equilibri è il risultato del vincolo di liquidità
con cui i governi soggiacciono nelle UM incomplete.
In assenza di tale vincolo i governi avrebbero la certezza che la banca centrale, la BCE, fornirà sempre la
liquidità necessaria e quindi potrebbero garantire agli investitori la disponibilità di contante per rimborsarli.
Il governo non sarebbe forzato a rendersi inadempiente e le curve BE e BU coinciderebbero.
sarebbe una scelta libera del governo quella di rendersi inadempiente, non una conseguenza obbligata dalle
aspettative degli speculatori.
Queste ultime due misure rientrano in un pacchetto di misure necessarie per rendere sostenibile un’UM incompleta
come l’Eurozona.
7
Le crisi bancarie
Il cattivo equilibrio in cui un paese può trovarsi bloccato influenza anche il settore bancario.
Quando gli investitori escono dal mercato dei titoli di stato interni i prezzi dei titoli scendono, ma sono le banche il
principale investitore di tale mercato, pertanto questi cali dei prezzi si riflettono nei bilanci sotto forma di perdite.
Le banche sono coinvolte in un problema di finanziamento.
La liquidità interna si prosciuga e rende difficile il rinnovo dei depositi, per questo motivo la crisi del debito sovrano si
propaga nel settore bancario che quindi a sua volta sarà colpito da una crisi.
Un’unione bancaria rede possibile accollare all’intera unione il costo di una crisi bancaria che investe il singolo paese,
isolando in tal modo il paese dalle ripercussioni che la crisi può avere sul bilancio.
I paesi membri di un UM sono ridotti nella condizione di economie emergenti per le quali è difficile utilizzare
politiche di bilancio per stabilizzare il ciclo economico.
Gli stabilizzatori automatici attenuano le sofferenze causate da espansioni e crolli di società capitalistiche e se un’UM
ne comporta l’eliminazione non è scontato che si possa mantenere la base sociale e politica di tale unione.
È cruciale progettare una struttura di governance in grado di stabilizzare gli stabilizzatori automatici.
Conclusioni
In entrambe le tipologie di UM incompleta analizzate si è rilevata una fragilità dovuta a mancanza di fiducia su cui fa
leva il meccanismo auto avverantesi della speculazione che può portare a svalutazione o inadempienza.
Questa fragilità fa sorgere dubbi sulla sostenibilità di UM incomplete. Nell’Eurozona diversi paesi hanno dovuto
imporre un pesante regime di austerità che ha però portato a un cattivo equilibrio.
Il passaggio in Europa da un sistema di cambio fisso (SME) all’UM ha solo spostato la fonte dell’instabilità dai
mercati dei cambi ai mercati dei titoli pubblici nazionali.
8
Sommario
Conclusioni ....................................................................................................................................................................... 7
1
IL TRATTATO DI MAASTRICHT
Nel dicembre 1991 il trattato di Maastricht ha posto le basi del processo di unificazione monetaria europea che è
diventata realtà 12 anni dopo.
Il trattato posa sui principi di gradualismo e convergenza.
Il tempo trascorso affinché l’UEM divenisse realtà ha rappresentato un periodo di transazione graduale caratterizzato
dall’obbligo per i candidati di sottoporre le proprie economie a un processo di convergenza.
Un paese candidato deve rispettare una serie di criteri di convergenza per poter aderire all’unione:
➔ Avere un tasso di inflazione non superiore all’1.5% della media dei tre tassi più bassi degli stati membri
dell’UE.
➔ Avere un tasso di interesse non superiore di oltre il 2% della media osservata nei tre paesi a bassa inflazione.
➔ Aderire al meccanismo del tasso di cambio e non avere avuto una svalutazione durante i 2 anni precedenti il
suo ingresso nell’Unione.
➔ Il disavanzo di bilancio è inferiore al 3% del PIL.
Se tale soglia è superata, il rapporto deve diminuire in modo sostanziale e continuo avvicinandosi al 3%
oppure tale superamento deve essere eccezionale e temporanea.
➔ Il debito pubblico non deve superare il 60% del PIL
Nel 1998 è stato deciso che 11 paesi (Austria, Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Italia, Irlanda, Lussemburgo,
Paesi Bassi, Portogallo e Spagna) ottemperavano a questi criteri.
La Grecia riuscì a rispettare tali criteri subito dopo e infatti adottò l’euro insieme agli altri 11 il 1° gennaio 2002.
Ci sono stati tre paesi che hanno deciso di rimanere fuori benché soddisfacessero i criteri di convergenza:
➔ Danimarca
Ha ottenuto il diritto di subordinare il proprio ingresso a un referendum nazionale.
➔ Svezia
Ha sfruttato una scappatoia per non aderire, ovvero ha rifiutato di aderire al meccanismo di cambio dello SME
prima dell’avvio della terza fase venendo così meno a uno dei criteri necessari per l’ammissione.
➔ Regno Unito
Ha ottenuto il right to opt out, ossia il diritto di uscire.
Oltre a questi ci sono altri 6 paesi che sono membri dell’UE, ma non dell’eurozona: Bulgaria, Croazia, Rep. Ceca,
Polonia e Romania.
All’atto di adesione all’UE si sono impegnati a entrare nell’Eurozona nel momento in cui avessero soddisfatto i criteri
di convergenza.
Con l’avvio dell’UEM le BCN sono entrate a far parte dell’Eurosistema, ma non prendono più decisioni indipendenti
in materia di politica monetaria e di cambi. Esse attuano le decisioni prese dall’Eurosistema.
Mantengono i propri poteri decisionali nel settore della vigilanza bancaria.
CRITERI DI CONVERGENZA
Gli artefici del trattato di Maastricht hanno posto l’attenzione sugli elementi della convergenza macroeconomica
prima dell’inizio dell’UEM a scapito degli elementi microeconomici (più importanti per la teoria AVO per un’UM di
successo).
L’UM presenta altri benefici, i.e. minor rischio, minor costi di transazione,… ma se le perdite dovessero
eccedere tali benefici il paese a bassa inflazione non sarà disposto ad aderire a un’UM con il paese ad alta
inflazione.
➔ Conseguentemente, subendo il paese a bassa inflazione delle perdite, per aderire questo richiederà di porre una
condizione, ossia che la banca centrale dell’unione abbia le stesse preferenze della banca centrale di quel
paese (nel caso in esame quella tedesca).
Si vuole controllare l’ingresso nell’UEM al fine che solo paesi con le stesse preferenze del paese a bassa
inflazione (G) siano ammessi nell’unione.
È in questa prospettiva che sono da interpretare le condizioni poste dal Trattato di Maastricht.
Prima dell’avvio dell’UEM è stato chiesto ai candidati di dimostrare di nutrire verso l’inflazione le stesse
preoccupazioni della Germania. Al fine di dimostrarlo i paesi hanno abbassato i tassi di inflazione, generando un
inevitabile aumento temporaneo della disoccupazione.
Dopo l’introduzione dell’euro l’inflazione in questi paesi è rimasta contenuta.
I prodotti alimentari sono venduti in mercati relativamente concorrenziali in cui l’elasticità della domanda rispetto al
prezzo è bassa.
Con l’introduzione dell’euro le autorità hanno “segnalato” ai fornitori che era il momento di coordinare le loro azioni
e alzare simultaneamente i prezzi.
Esperienze simili probabilmente si ripresenteranno nei nuovi stati che aderiranno all’Eurozona.
È importante dunque accompagnare l’introduzione dell’euro con un sistema di controllo temporaneo dei prezzi al fine
di prevenire gli aumenti su vasta scala ed evitare le depressioni che già si sono verificate in alcuni paesi dopo la
nascita dell’euro.
3
Il paese fortemente indebitato deve ridurre il proprio disavanzo di bilancio, raggiunto l’obiettivo non ci saranno più
incentivi a produrre inflazione inattesa.
Secondo questa tesi dunque ridurre il debito e il deficit prima dell’ingresso nell’UEM è necessaria perché altrimenti la
loro ammissione rischierebbe di far crescere l’inflazione nell’unione.
Un’altra motivazione che giustifica la riduzione di deficit e debito sta nel fatto che un debito maggiore implica
maggiori rischi di insolvenza.
L’ammissione farebbe crescere le pressioni perché siano attivate misure di salvataggio e questo spiega l’inserimento
della clausola no bailout (nessun salvataggio), secondo la quale nessun governo nazionale né la BCE possono essere
forzati a garantire il salvataggio di altri paesi membri.
Per stabilizzare il debito pubblico al 60% del PIL, il disavanzo di bilancio deve essere portato al 3% se e solo se il
tasso di crescita nominale del PIL è pari al 5% ( infatti: 0,3= 0,05 *0,6).
Tale regola è arbitraria per due aspetti:
➔ No è chiaro perché il debito deve essere stabilizzato al 60%, l’unica ragione sta nel fatto che al tempo della
stesura del Trattato questo era il valore medio del rapporto debito/PIL in seno all’UE.
➔ La regola dipende dal tasso di crescita nominale del PIL.
Alcuni paesi hanno elevati tassi di crescita nominali che permettono di stabilizzare il debito al 60% con
disavanzi di bilancio più elevati.
Altri paesi hanno bassi tassi di crescita nominali che per stabilizzare il debito al 60% richiedono di gestire
minori disavanzi di bilancio.
I rendimenti dei titoli a lungo termine di un paese candidato all’Eurozona non dovrebbero superare la media dei tassi
sui titoli a lungo termine dei tre paesi con i tassi di inflazione più bassi. Questa regola tende ad autoavverarsi.
Considerando la Polonia è ragionevole supporre che il tasso di rendimento sui titoli a lungo termine inizierà a
convergere prima della data di ingresso nell’UM. Anche guadagni e perdite avranno luogo prima dell’ingresso e
saranno di entità modesta.
Non appena nel mercato di formano aspettative favorevoli sulla capacità dei paesi di soddisfare gli altri criteri, si
innescano forze che assicurano che i tassi di interesse convergano rapidamente.
Anche prima dell’avvio dell’UEM, una volta creatasi l’aspettativa di ingresso di dati paesi, la convergenza dei tassi a
lungo termine si è verificata automaticamente.
Nel 1996 sono state tracciate, in un incontro del Consiglio Economia e Finanza, le linee guida per regolare le
relazioni di cambio.
Sono stati stabiliti i seguenti principi:
➔ L’ERM-II avrebbe sostituito , dal 1° gennaio 1999, il vecchio ERM.
o L’adesione al meccanismo è volontaria (principio accettato per l’insistenza del governo britannico).
o Le procedure operative sono determinate in accordo alle volontà espresse dalla BCE e dalle banche
centrali dei paesi esclusi.
o Il meccanismo ruota attorno a tassi centrali che fanno da riferimento per i margini di fluttuazione
➔ Il sistema è ancorato all’euro.
➔ Se i tassi di cambio di un paese raggiungono i limiti dei margini di fluttuazione l’intervento valutario è
obbligatorio. Si ammettono deroghe se gli interventi sono in conflitto con gli obiettivi di stabilità dei prezzi
fissati per i paesi aderenti all’UEM o per il paese escluso.
➔ La BCE ha il potere di avviare le procedure di revisione delle parità.
L’unico paese che ha scelto di aderire all’ERM-II per stabilizzare il tasso di cambio è la Danimarca, che pertanto
segue strettamente le decisioni della BCE di alzare/abbassare il tasso di interesse.
La Danimarca ha optato per un regime monetario in cui ha perso la propria indipendenza, condizione in contrasto con
quella dei paesi membri dell’Eurozona, che hanno perso l’indipendenza ma sono coinvolti nel processo decisionale
congiunto.
La Svezia invece non ha aderito all’ERM rimanendo così fuori dall’Eurozona e non ha aderito nemmeno all’ERM-II
Elude dunque l’impegno di aderire all’Eurozona utilizzando questa scappatoia.
Conclusioni
La strategia di Maastricht si è rivelata un successo, instaurando la transizione sull’UEM su due principi: gradualismo e
convergenza, che continueranno ad essere importanti per i paesi non ancora nell’Eurozona.
La convergenza del tipo di Maastricht non è contemplata dalla teoria AVO, che invece sottolinea come importanti
requisiti per il successo di un’UM: flessibilità dei mercati del lavoro, mobilità dei lavoratori e creazione di un’unione
di bilancio.
Se queste non sono soddisfatte non è una buona idea lasciare che altri paesi entrino nell’Unione anche se soddisfano i
criteri di convergenza di Maastricht.
Sommario
IL TRATTATO DI MAASTRICHT................................................................................................................................. 1
CRITERI DI CONVERGENZA ................................................................................................................................... 1
La convergenza dei tassi di inflazione ...................................................................................................................... 1
La convergenza dei bilanci ....................................................................................................................................... 3
La convergenza dei tassi di cambio → vincolo di non svalutazione......................................................................... 3
La convergenza dei tassi di interesse ........................................................................................................................ 4
RELAZIONI TRA PAESI MEMBRI DELL’UE INCLUSI NELL’EUROZONA E PAESI ESCLUSI ......................... 4
Conclusioni ....................................................................................................................................................................... 5
1
Nonostante l’assenza di una variabile profonda, si possono fare dei passi in avanti svolgendo un’azione collettiva a
livello di banche centrali, per gestire le situazioni di crisi, e di governi, per rafforzare strutturalmente l’unione.
Il motivo per cui le banche centrali hanno la funzione di prestatori di ultima istanza è la stessa per cui hanno tale
responsabilità verso il settore bancario.
Il settore bancario è sensibile alle ondate di sfiducia che possono creare una crisi di liquidità che si autoavvera.
Per procurarsi contante le banche vendono parte delle loro attività facendone scendere il prezzo creando così una
possibile crisi di solvibilità. Questo ha fatto si che la banche centrali fungano da prestatori di ultima istanza per il
settore bancario.
Il ruolo di prestatore di ultima istanza offre un vantaggio costituito dal fatto che in questo modo la BC riuscirà quasi
sempre a prevenire le corse agli sportelli, intervenendo quindi raramente per fornire effettivamente contante.
In UM attività e passività dello stato hanno struttura analoga a quella delle banche.
Le passività sono liquide, le attività illiquide (sono costituite da risorse infrastrutturali o da crediti nei confronti dei
contribuenti).
È stata riconosciuta la necessità di un prestatore di ultima istanza nell’Eurozona nel 2012, quando seguito alla crisi dei
debiti sovrani la BCE intervenne impegnandosi ad acquistare quantità di volumi illimitate di titoli di stato in periodi di
crisi. Il semplice annuncio che la BCE si impegnava ad effettuare interventi illimitati nei mercati dei titoli di stato è s
stato sufficiente a far scendere gli spread → la BCE non ha dovuto acquistare nemmeno un titolo pubblico, il
semplice annuncio infatti creò una fiducia sufficiente ad indure gli investitori ad acquistare i titoli degli Stati in
difficoltà.
La BCE le definisce OMT (Outright Monetary Transactions), ma agli effetti si tratta di vere e proprie operazioni di
prestito di ultima istanza.
L’applicazione delle operazioni OMT è assoggettata a una serie di condizioni, tra le quali l’obbligo per i paesi
richiedenti di attuare ulteriori programmi di austerità.
La fragilità finanziaria del sistema e la paura che l’Eurozona potesse crollare sono state ridotte dal fatto che la BCE ha
fornito un’agevolazione con l’impegno di acquistare quantità illimitate dei titoli degli stati membri dell’UEM in
difficoltà.
L’idea che la BCE svolga il ruolo di prestatore di ultima istanza è oggetto di importanti critiche.
La Corte costituzionale tedesca ha sentenziato che il programma OMT è illegale per via che con la sua applicazione la
BCE oltrepassa i limiti del proprio mandato. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha tuttavia respinto la
domanda sentenziando che l’OMT non viola il trattato e pertanto è conforme al diritto europeo.
2
RISCHIO DI INFLAZIONE
Un ruolo attivo di prestatore di ultima istanza assunto dalla BCE nei confronti del mercato dei titoli sovrani creerebbe
inflazione. Critica emessa quando la BCE iniziò ad acquistare i titoli di stato nel 2010, accrescendo la massa
monetaria e provocando l’aumento dell’inflazione.
È opportuno fare una distinzione tra base monetaria e massa monetaria.
Quando il governo centrale acquista titoli di stato accresce la base monetaria, ossia circolante e depositi delle banche
presso la BC, tuttavia non necessariamente aumenta la massa monetaria.
Durante periodi di crisi questi due aggregati tendono a disconnettersi l’uno dall’altro.
i.e. prima della crisi bancaria del 2008 nell’Eurozona i due aggregati si presentavano fortemente connessi, con lo
scoppiò della crisi iniziarono una disconnessione che portò a una crescita della base monetaria del 230% conto il
solo 30% della massa monetaria.
Quando esplode una crisi gli operatori per ragioni di sicurezza vogliono detenere contanti, che se la BC non fornisce
porta al passaggio da crisi finanziaria a recessione, generando una corsa agli sportelli.
Se la BC esercita la sua funzione di prestatore di ultima istanza ampliando la base monetaria, il processo
deflazionistico si arresta, a discapito di una probabile inflazione che viene così creata.
Il rischio di inflazione si concretizzerà in futuro, quando l’economia si espanderà e proprio in questo momento si
potrebbe utilizzare la liquidità addizionale detenuta dalle banche per espandere il credito.
Tuttavia, in caso di eccessiva espansione, la BC può riassorbire la liquidità vendendo titoli di stato o elevando la
riserva obbligatoria che le banche devono detenere.
CONSEGUENZE FISCALI
Le operazioni del prestatore di ultima istanza sono sottoposte alla critica che potrebbero avere conseguenze fiscali.
Se il governo non serve il debito, la BC subisce perdite che devono essere sostenute dai contribuenti.
È opportuno che la BC eviti operazioni che mischiano politiche monetarie e fiscali, ma tutte le operazioni di mercato
aperto (tra cui quelle nel mercato dei cambi), comportano il rischio di perdite e hanno conseguenze fiscali.
i.e. acquistando titoli commerciali privati se l’emittente fallisce la BC subisce perdite. Perdite analoghe a quelle in
cui incorrerebbe acquistando titoli di stato.
Di conseguenza una banca centrale dovrebbe astenersi da qualsiasi operazione di mercato aperto, ma questo è
impossibile. Una banca deve eseguire le operazioni di mercato aperto prescindendo dal fatto che queste possano dare
luogo a perdite → le perdite possono essere necessarie persino per garantire la stabilità finanziaria.
Una banca centrale può subire perdite senza fallire, infatti può stampare moneta e non è vincolata dai requisiti di
solvibilità cui deve sottostare un’impresa privata.
Il ricorso al prestatore di ultima istanza può impedire ai paesi di venire spinti in un cattivo equilibrio, se l’intervento
delle banche centrale riesce non ci saranno perdite né conseguenze fiscali.
AZZARDO MORALE
Fornendo la garanzia di un prestatore di ultima istanza, la BC incentiva i governi a indebitarsi eccessivamente creando
un rischio di azzardo morale analogo a quello insito nel prestito al sistema bancario.
Al fine di fronteggiare possibili problemi di azzardo morale è opportuno imporre regole che limitino a possibilità dei
governi di indebitarsi.Tuttavia, è opportuno che i compiti di fornire liquidità e contrastare il rischio di azzardo morale
siano separati, il primo è di competenza della BC, il secondo dovrebbe essere demandato alle autorità di vigilanza.
In un ideale progetto di governance in un’UM, e in particolare nell’Eurozona, prevede che la BCE assuma la
responsabilità di prestatore di ultima istanza e che un’autorità distinta e indipendente (nel caso la Commissione
europea, investita del potere di controllare e attuare la disciplina di bilancio dell’UE nel quadro del c.d. patto di
stabilità e crescita)si assuma la responsabilità di regolamentare/vigilare sulla creazione di debito da parte dei governi.
Questo meccanismo dovrebbe sollevare la BCE sui timori di azzardo morale, ma necessità che gli stati manifestino la
volontà di sottoporre la proprie politiche di bilancio a un controllo esterno.
3
Un consolidamento dei bilanci protegge gli stati membri dal rischio di inadempienza forzata da parte dei
mercati e crea un’attività sicura che funge da ancora per il sistema.
Seppur sia una risoluzione al problema sistemico dell’Eurozona, questo richiede un grado avanzato di un unione
politica. I paesi devono essere disposti a trasferire sovranità in materia di tassazione e spesa a istituzioni europee.
Dovrebbe essere il principio: “nessuna tassazione senza rappresentanza” ad organizzare il processo decisionale, per
tramite di un’autorità politica intrusiva in cui un governo europeo ha il potere di spendere e tassare , poiché legittimato
da un Parlamento europeo.
Oggi però in Europa c’è una scarsa propensione ad accrescere in misura significativa il grado di unione politica, per
questo si è scelta una strategia di piccoli passi.
➔ L’emissione congiunta protegge i paesi membri dalle crisi di liquidità derivanti dall’incapacità di controllare
la moneta in cui emettono i propri strumenti di debito.
La proposta di emettere eurobbligazioni ha incontrato forti resistenze poiché crea una serie di problemi da affrontare,
primo tra cui il rischio di azzardo morale.
Nell’emissione di obbligazioni comuni è implicita una garanzia per i paesi partecipanti, che essendo solidalmente
responsabili sono incentivati a confidare in tale garanzia e a indebitarsi eccessivamente.
Si viene così a creare una forte resistenza da parte dei paesi che si comportano responsabilmente e che quindi
probabilmente non parteciperanno all’emissione di eurobbligazioni comuni fintanto che il problema di azzardo
morale non è risolto.
L’asimmetria non è tipica dell’Eurozona, in cui boom e recessioni tendono a verificarsi quasi simultaneamente con
diverse intensità, rendendo così modesta l’esigenza di attenuare le differenze dei movimenti ciclici tra paesi.
L’esigenza è attenuare la volatilità nel tempo, per fare ciò è necessario creare uno spazio fiscale, ossia un
meccanismo che contribuisca a stabilizzare il ciclo economico.
4
Gli schemi di assicurazione comune contro la disoccupazione dovrebbero puntare ad attenuare la disoccupazione nel
tempo, non le sue differenze tra paesi.
Gli schemi devono dunque accumulare avanzi e disavanzi nel tempo, a tal fine si potrebbe imporre la regola fiscale
secondo la quale disavanzi e avanzi si compensino nel corso del ciclo economico.
Beblavy e Maselli hanno eseguito diverse simulazioni da cui risulta che un meccanismo di questo tipo è realizzabile, e
anzi che una regola del genere compensa automaticamente l’esigenza di attenuare le differenze tra paesi e
intertemporali di disoccupazione.
Questo meccanismo presuppone la capacità di emettere titoli di debito durante le recessioni, nel caso in cui i
pagamenti eseguiti dal programma di assicurazione eccedessero i contributi degli stati membri.
A questo servirebbero le eurobbligazioni che permetterebbero al sistema di funzionare come un fondo comune in
grado di emettere debito.
Uno schema praticabile di indennità comuni contro la disoccupazione implica una qualche forma di unione di bilancio.
L’unione di bilancio può essere contenuta entro limiti ristretti imponendo la regola fiscale che farebbe si che durante
fasi comuni di espansione si riscattino le obbligazioni emesse durante le fasi di recessione.
Si obietta che un analogo risultato è raggiungibile a livello di paese ponendo l’onere a carico dei bilanci nazionali, ma
le differenze di ampiezza tra i movimenti ciclici rendono problematico questo approccio in quanto porterebbe a grandi
differenze in termini di disavanzi di bilancio e di accumulazione di debito.
Gli sforzi di stabilizzazione a livello nazionale introducono un elemento di instabilità in un’UM perché lasciano i paesi
maggiormente colpiti da shock incapaci di stabilizzarlo.
I meccanismi di assicurazione costituisce un approccio comune alla stabilizzazione dei cicli economici
Sarà necessario in futuro accentrare parte dei bilanci nazionali in un bilancio centrale in modo che l’autorità comune
di bilancio possa consentire agli stabilizzatori automatici di attenuare il ciclo.
Creando un bilancio comune trasferimenti impliciti tra paesi, i paesi con recessioni più acute beneficeranno al
massimo delle caratteristiche di stabilizzazione automatica di cui questo gode.
Unione bancaria
Un meccanismo bancario comune di risoluzione delle crisi rende possibile ripartire fra l’intera unione il costo della
risoluzione.
La creazione di un meccanismo comune di risoluzione delle crisi bancarie presuppone che la vigilanza bancaria sia
centralizzata. Nel 2012 i paesi dell’Eurozona istituirono un sistema di vigilanza comune, operativo dal 2014, gestito
dalla BCE.
Un’unione bancaria funzionale comporta anch’essa una qualche forma di unione di bilancio.
In periodi di crisi devono esistere una o più istituzioni europee fornite di risorse adeguate che possano essere
mobilitate immediatamente per intervenire e ricapitalizzare le banche.
Il Fondo di risoluzione delle crisi fu creato a tal fine nel contesto dell’unione bancaria, ma si dubita che abbia risorse
sufficienti per agire in momenti di crisi. Può trattare singoli casi, ma forse non crisi bancarie sistemiche.
Un rafforzamento del controllo reciproco su debiti/deficit pubblici serve a rendere possibile l’emissione congiunta di
eurobbligazioni e a ridurre l’azzardo morale.
Per accrescere la sostenibilità di un’UM è importante:
➔ Avere un bilancio centrale da utilizzare come strumento di redistribuzione tra gli stati membri
➔ Emettere congiuntamente parte dei debiti nazionali.
Divergenze tra le posizioni competitive nell’Eurozona
L’UEM (unione economica e monetaria europea) è iniziata nel 1999.
I tassi di cambio reali effettivi misurano l’evoluzione dei costi salariali di un paese rispetto agli altri paesi
dell’Eurozona, tenuto conto dei differenti tassi di crescita della produttività. Sono indici rappresentativi della
competitività nei vari paesi.
Prima dell’emergere della crisi alcuni paesi (Irlanda, Grecia, Italia) hanno subito una perdita di competitività
importante.
Nel 2000 molti paesi erano lontani dall’equilibrio e i movimenti successivi potrebbero dunque essere segno di un
avvicinamento all’equilibrio.
I costi unitari relativi del lavoro sono invece meno divergenti tra i vari membri dell’Eurozona.
Gli andamenti divergenti della competitività sono il risultato delle divergenze tra gli accordi salariali.
Le politiche economiche rientrano ancora in gran parte sotto il controllo dei singoli stati, che possono controllare
spesa, tassazione, politiche salariali e sociali.
Per i paesi che hanno perso competitività l’aggiustamento dei tassi di cambio non è più un’opzione, l’unica soluzione
è abbassare salari e prezzi rispetto a quelli degli altri paesi.
Queste svalutazioni possono realizzarsi per tramite di politiche macroeconomiche deflazionistiche che però portano a
una recessione con conseguente aumento del deficit di bilancio.
Quando i paesi registrano aumenti del deficit di bilancio, i mercati finanziari si innervosiscono e possono portare a una
crisi di liquidità che darà luogo a una crisi di solvibilità.
Pertanto il periodo in cui i paesi cercano di migliorare le propria competitività può essere gravoso (a causa della
recessione e dell’aumento della disoccupazione) e turbolento (il paese può essere investito da crisi del debito sovrano
e da crisi bancarie). → caso di Grecia, Irlanda e Portogallo.
Tale variabile profonda a livello europeo è poco sviluppata e spiega perché l’Europa è partita da un’unione monetaria
(parte semplice del cammino verso un’unione politica).
Se manca il senso di un fine comune è facile dubitare della possibilità di progredire ulteriormente verso un’unione
politica, ma se non si procede in tal verso l’unione monetaria rimane una costruzione fragile.
L’allargamento dell’Eurozona crea un rischio e sicuramente indebolirà ulteriormente il senso di un fine comune.
Conclusioni
Il successo dell’Eurozona nel lungo periodo dipenderà dalla continuazione del processo di unificazione politica, che è
necessaria per ridurre la possibilità che si verifichino shock asimmetrici e per ridurre la fragilità strutturale
dell’unione.
L’unificazione politica è necessaria perché l’Eurozona ha indebolito drasticamente il potere e la legittimazione degli
stati-nazione senza creare una nazione a livello europeo.
1
La sopravvivenza dell’Eurozona è dovuta al fatto che gli stati membri credono che parteciparvi è nel proprio interesse
nazionale.
Con il termine decostruzione si intende un processo per il cui tramite uno o più paesi decidono di lasciare l’UM.
Si suppone che un numero di paesi sufficiente rimanga nell’unione, ma non si può escludere che il processo di
secessione porti alla completa disintegrazione dell’unione così come al rafforzarsi di questa tra i paesi restanti.
È la teoria AVO che determina le condizioni che i paesi dovrebbero soddisfare per garantire che i benefici ne superino
i costi, pertanto la si può utilizzare per studiare le condizioni a cui i membri esistenti di un’UM desiderino lasciarla.
Nonostante il tasso di crescita il governo non è riuscito a ridurre il livello del debito che aveva raggiunto un picco del
103% del PIL. Generalmente nei periodi di espansione i deficit di bilancio tendono a scendere automaticamente, ma il
governo non solo ha disattivato gli stabilizzatori automatici, ma ha anche aumentato la spesa pubblica.
Se dal 2000 in poi il PIL dell’Eurozona è cresciuto di poco più del 50%, in Grecia nel 2010 risultava triplicato.
Quest’espansione ha portato a un forte incremento dei costi unitari relativi del lavoro che di conseguenza ha implicato
un calo di competitività che ha ostacolato le esportazioni determinando importanti disavanzi delle partite correnti.
La forte espansione sperimentata fu resa possibile dal massiccio afflusso di denaro prestato al settore privato (sia a
consumatori che imprese) che tuttavia sopraggiunto il crollo si trovarono gravati da livelli di debito divenuti
insostenibili.
Nel 2008 ci fu il crollo che costrinse il settore privato ad abbassare la leva finanziaria (ridurre i livelli di
indebitamento) e di conseguenza consumatori e imprese hanno dovuto ridurre massicciamente la propria spesa.
2
La spesa fu ulteriormente ridotta dai tagli salariali imposti per recuperare competitività.
I risultati furono:
➔ Collasso del PIL
➔ Balzo della disoccupazione
➔ Esplosione del debito pubblico
L’intensità della crisi economica e fiscale portò i detentori di titoli di stato a vendere in grandi quantità facendo salire i
tassi di interesse sul debito pubblico greco e questo esaurì la liquidità del governo che si trovò costretto a imporre un
pesante regime di austerità.
2. L’incapacità di un governo di emettere debito nella propria moneta espone ai rischi di illiquidità e insolvenza.
Il governo è costretto a chiedere aiuto ai creditori che tuttavia impongono la propria legge comportando una
perdita di sovranità per il paese.
Vi è un’importante interazione fra economia e politica che provoca l’estrema fragilità dell’Eurozona.
Il meccanismo di aggiustamento in un’UM può essere gravoso e può recare sofferenze in grado di provocare
sconvolgimenti politici che portano al potere partiti che promettono una soluzione migliore fuori dall’UM.
In assenza di un’unione politica evoluta, nell’Eurozona è prevalsa la forma che vede una o più nazioni creditrici
dettare le misure di politica economica alle altre.
L’esperienza italiana differisce da quella degli altri paesi dell’Europa meridionale per due aspetti:
1. La perdita di competitività non fu dovuta a un’espansione dei consumi insostenibile, ma a un calo della
produttività. Essendo i costi unitari del lavoro dati dai costi salariali corretti in funzione della produttività, in
Italia fu il declino della produttività a far crescere i costi unitari del lavoro.
2. Se Irlanda, Grecia e Spagna hanno avviato un processo di svalutazione interna, in Italia non ha avuto luogo
alcun tipo di aggiustamento di questo tipo.
Le svalutazioni interne avvenute a partire dal 2008 ammontano a meno del 10% quindi l’Italia ha subito una
perdita di competitività attestata al 20% (i costi unitari relativi del lavoro in Italia sono del 20% superiori a
quelli che si avevano all’inizio dell’Eurozona).
In conclusione l’Italia sembra non funzionare convenientemente in un’UM, le sue istituzioni politiche la rendono
inadatta all’Eurozona.
Prima dell’ingresso nell’UEM l’Italia recuperava la propria competitività, dovuta a alti tassi di inflazione interna,
grazie alle svalutazioni. → modello con frequenti crisi dei cambi e alti tassi di inflazione
La colpa non è solo dell’Italia, se i paesi creditori membri dell’UEM fossero stati disposti a stimolare le proprie
economie, avrebbero aiutato l’Italia e gli altri paesi che avevano perso competitività.
3
2. Il governo greco probabilmente non riuscirà ad onorare il debito, potrebbe dichiararsi inadempiente, ma è più
probabile che converta il debito in dracme.
La dracma si deprezzerà e i detentori di titoli del debito greco perderanno parte del valore dell’investimento in
tali titoli. → parte del debito è detenuto da banche greche che quindi subirebbero perdere elevate e potrebbero
innescare una crisi bancaria. Senza sostegno finanziario dell’Eurozona, il governo greco non potrà puntellare
il sistema bancario.
La svalutazione darebbe impulso alle esportazioni eliminando gli effetti negativi visti, ma nell’immediato l’uscita
provocherebbe un’immediata/repentina recessione.
Non facendo parte dell’AVO la Grecia avrà maggiori benefici che costi dall’essere fuori dall’UEM, ma è difficile dire
quale tra i due scenari prevarrà.
I costi associati possono essere talmente alti da indurre i paesi tentati di uscire dall’UEM a restarci.
Diventa rilevante l’idea del rischio di ridenominazione delle monete in cui sono espresse attività e passività.
Rischio che dopo l’uscita dall’UE le imprese di quel paese possano trovarsi a fronteggiare perdite perché
hanno più passività che attività nei confronti di altri paesi dell’Eurozona.
Prima dell’uscita attività/passività sono espresse nella stessa moneta, dopo l’uscita sono improvvisamente
espresse in moneta estera. Le imprese dell’UEM potrebbero essere tentate di pareggiare le posizioni verso
ciascuno degli altri membri e questo renderà il futuro dell’Eurozona più instabile e porterà a un ripiegamento
delle imprese entro i confini nazionali.
L’eurozona senza la Grecia risponde ancora meno ai criteri di un’AVO, la grexit allontana i restanti paesi
dalla linea AVO.
➔ L’Eurozona senza la Grecia ha meno shock asimmetrici perché è stato espulso un paese anomalo e
potenzialmente nocivo.
I paesi restanti sono meno asimmetrici e aumenterà la stabilità nell’Eurozona.
Si può pensare che i paesi restanti decideranno che è nel proprio interesse migliorare la cooperazione e
rafforzare l’UEM al fine di evitare uscite future.
L’eurozona senza la Grecia potrebbe portare la nuova eurozona al sicuro nella zona AVO.
Conclusioni:
a causa della crisi del debito sovrano molti paesi sono stati impegnati nel fronteggiare problemi di aggiustamento.
Questa situazione ha spinto alcuni paesi a un ripensamento di costi e benefici della permanenza nell’Eurozona, a causa
anche della comparsa di nuovi partiti i cui punti del programmi si focalizzano sull’uscita dall’UE.
I paesi che decidono di non fare più parte dell’AVO migliorano il proprio benessere uscendo dall’UEM.
Sono incerte le conseguenze della decostruzione dell’UEM, i paesi che starebbero meglio fuori dall’UM potrebbero
decidere di rimanervi per paura della natura distruttiva della decostruzione → scenario poco probabile.
Anche per i paesi che rimarrebbero nell’UEM si aprono due scenari, uno pessimistico per cui l’uscita di un paese
innesca una dinamica che porta all’uscita di più paesi e uno ottimistico in cui si rafforza l’UM tra i membri che vi
restano.
5
Sommario
CASO DI STUDIO: LA GRECIA .................................................................................................................................... 1
CASO DI STUDIO: L’ITALIA ........................................................................................................................................ 2
VERSO LA DECOSTRUZIONE DELL’EUROZONA? ................................................................................................. 3
COSTI DELLA DECOSTRUZIONE ........................................................................................................................... 3
I costi per i paesi uscenti: .......................................................................................................................................... 3
I costi per i paesi che restano nell’unione: ................................................................................................................ 4
Conclusioni: ...................................................................................................................................................................... 4
1
Obiettivi Sono perseguiti diversi obiettivi: stabilità dei prezzi, Stabilità dei prezzi = obiettivo primario.
stabilizzazione del ciclo economico, mantenimento di La BCE può perseguire poi altri obiettivi
un alto livello di occupazione, stabilità finanziaria. purché il conseguimento di questi non
La stabilità dei prezzi è uno dei tanti obiettivi, non ha metta a repentaglio la stabilità dei prezzi.
trattamenti preferenziali.
Architettura dipendenza politica della BCE. Il principio è l’indipendenza politica.
istituzionale Le decisioni di politica monetaria sono sottoposte Le decisioni relative al tasso di interesse
all’approvazione del governo. sono prese dalla BC senza interferenza
delle autorità politiche.
Durante la negoziazione del trattato di Maastricht i paesi europei dovevano scegliere uno tra questi due modelli.
È stato quello tedesco a prevalere, il principio di indipendenza è incorporato infatti nello statuto della BCE.
Art.105 Maastricht:
Prevede che l’obiettivo primario della BCE è il mantenimento della stabilità dei prezzi.
Il SEBC si impegna a sostenere le politiche economiche generali al fine di contribuire alla realizzazione degli obiettivi
della Comunità definiti nell’art.2, fatto salvo l’obiettivo della stabilità dei prezzi.
Art.102
Definisce gli obiettivi della comunità secondari rispetto al mantenimento della stabilità dei prezzi.
Il trattato riconosce che l’indipendenza politica è condizione necessaria per la stabilità dei prezzi, che laddove venisse
a meno costringerebbe la BC a stampare moneta per finanziare disavanzi pubblici (metodo più sicuro per creare
inflazione).
Indipendenza politica e inflazione sono determinate congiuntamente da fattori sociali e politici perciò non si
può concludere che la sola imposizione di indipendenza politica porti a un’inflazione minore, è necessario per
la stabilità dei prezzi che si instauri un clima sociale e politico favorevole.
I Banchieri centrali hanno deciso di adottare la Bundesbank come modello individuando nella stabilità dei
prezzi l’obiettivo primario e nell’indipendenza lo strumento per conseguirlo.
Il principio dell’indipendenza, incorporato nello statuto può contribuire a influenzare i comportamenti e a modificare
il punto di vista della società sul ruolo della politica monetaria.
Vi è spazio per un rafforzamento di queste istituzioni per ridurre il rischio inflazionistico.
Sembra che la BCE reagisca a variazione del gap del prodotto, se il livello di questo è basso cerca di ridurre il tasso di
interessa per stimolare l’economia e viceversa.
L’evidenza attesta che la BCE attribuisce un peso al problema della stabilizzazione del prodotto, tuttavia anche se
fosse interessata solo all’inflazione la BCE dovrebbe reagire ai gap di prodotto in quanto questi sono buoni indicatori
dell’inflazione futura. Se il gap del prodotto si amplia, probabilmente aumenterà in futuro anche l’inflazione.
Tuttavia, le reazioni al gap di prodotto della BCE sono state meno intense di quelle della FED.
Rispetto alla FED, la BCE attribuisce meno importanza alla stabilizzazione del prodotto e questo la rende pertanto pià
conservatrice.
INDIPENDENZA E ACCOUNTABILITY
Ci sono valide ragione per garantire l’indipendenza della BCE, ma esistono anche problemi relativi alla sua
accountability.
La BCE infatti potrebbe incorrere in errori di natura sistematica che potrebbero anche indurla a fare cose in contrasto
con il suo mandato, pertanto è necessario un meccanismo atto a verificare se la BCE ottemperi al proprio mandato e ad
applicare eventuali sanzioni.
Principio generale in democrazia:
i cittadini delegano potere ai politici che lo esercitano fino alla successiva scadenza elettorale. La procedura di
delega è composta da due stadi:
- I politici sono investiti del potere e lo esercitano indipendentemente dagli elettori
- Accountability, l’elettorato valuta ed eventualmente sanziona l’operato dei politici.
L’attività dei politici consiste nel delegare ulteriormente il potere a istituzioni specializzate e anche in tal caso la
procedura di delega si compone di due stadi:
- I politici delegano il potere a un’istituzione tramite un contratto che specifica obiettivi e mezzi per
conseguirli.
- I politici valutano la performance dell’istituzione.
I due stadi sono connessi, il politico che deve rispondere agli elettori non può delegare a un’istituzione se non è in
grado di esercitare un qualche controllo su quest’ultima.
Alla BCE è garantita una maggiore indipendenza, ma è soggetta a una sindacabilità più blanda in contrasto con la
teoria secondo cui l’accountability dovrebbe aumentare di pari passo con il grado di indipendenza.
4
Il processo di delega di potere a favore della BCE comporta la sottoscrizione di un contratto in cui vengano
specificati gli obiettivi da perseguire, il metodo da seguire per conseguirli e le sanzioni se questi non vengono
raggiunti.
Il problema si pone nel momento in cui la definizione degli obiettivi non è precisa, infatti diventa più difficile
monitorare il comportamento della BC.
Il Trattato di Maastricht affida alla BCE, oltre all’obiettivo primario, il compito di sostenere le politiche generali
intraprese della comunità e questo pone due problemi:
1. Non viene definito con precisione il concetto di stabilità dei prezzi.
La BCE stessa ha colmato alcune lacune fornendo una definizione di stabilità dei prezzi.
La BCE stessa ha definito quindi a proprio favore le clausole del contratto stipulato con i politici.
2. Non sono definiti precisamente gli altri obiettivi che la BCE deve perseguire.
La BCE stessa ha sviluppato una propria interpretazione resa pubblica nella strategia di politica monetaria
della BCE.
Questa interpretazione vedere come unico obiettivo la stabilità dei prezzi, di conseguenza la BCE ha ristretto
il campo di responsabilità di cui può essere chiamata a rispondere.
Vi è un crescente consenso sul fatto che spetti ai funzionari eletti fissare gli obiettivi, che una volta fissati sono
perseguiti dalla BCE. → concetto di indipendenza degli strumenti
La BC è indipendente nel senso che può scegliere come raggiungere gli obiettivi che la società le ha assegnato.
I.e. caso della Banca d’Inghilterra.
Questo rende problematico il sostegno politico di cui la BCE potrà godere a lungo termine, infatti le moderne BC
hanno responsabilità che vanno oltre la semplice stabilità dei prezzi.
Per compensare alla mancanza di accountability formale la BCE potrebbe espandere quella di tipo informale,
rendendo più trasparente il proprio operato.
L’alto grado di indipendenza di cui gode dovrebbe portare la BCE ad andare volontariamente incontro al pubblico più
di quanto facciano le altre banche centrali.
Qualche passo è stato fatto in tale direzione:
- Pubblicazione di un bollettino mensile in cui spiega le misure adottate in modo dettagliato.
- Spiegazione e motivazione delle decisione prese alla stampa da parte del presidente della BCE dopo ogni
seduta mensile del Consiglio dei governatori.
L’EUROSISTEMA:
Le istituzioni dell’Eurozona sono state create con il Trattato di Maastricht.
La politica monetaria è affidata all’Eurosistema, composto da:
- BCE, rappresenta una parte dell’Eurosistema pertanto non può decidere per proprio conto misure di politica
monetaria per l’eurozona.
- BCN dei paesi membri dell’UE che hanno aderito all’UEM → ad oggi 19.
- Comitato esecutivo
Composto da presidente, vicepresidente e 4 dirigenti della BCE.
Attua le decisioni di politica monetaria prese dal consiglio direttivo.
Impartisce istruzioni alle BCN e fissa l’ordine del giorno del consiglio direttivo.
5
- Consiglio direttivo
Composto dai 6 membri del comitato esecutivo + governatori delle 19 BCN.
Organo decisionale più importante dell’Eurosistema.
Formula le politiche monetarie e prende decisioni in merito a tassi di interesse e riserve obbligatorie.
Si riunisce ogni 2 settimane a Francoforte.
Ogni membro ha diritto a un voto, le votazioni non rispondono al principio del voto a maggioranza qualificata,
i membri infatti dovrebbero operare unicamente nell’interesse dell’Eurozona nel suo complesso e non dei
singoli paesi di appartenenza.
De Grauwe ha dimostrato che quando il Comitato esecutivo della BCE agisce all’unisono, di solito sono le sue
decisioni a prevalere, poiché questo si avvale di informazioni assunte a livello dell’intera Eurozona, le sue decisioni
sono influenzate dalle condizioni economiche prevalenti nei paesi più grandi. (i.e. Germania = 30% pil EZ)
Procedura di votazione:
I paesi sono divisi in due gruppi secondo le rispettive dimensioni di economie e settori finanziari:
- Primo gruppo
Ha diritto a 4 voti ed è composto dai 5 paesi più grandi: Germania, Italia, Francia, Spagna, Paesi Bassi.
- Secondo gruppo
Composto dagli altri paesi che condividono 11 diritti di voto.
I governatori votano sulla base di una rotazione mensile.
Oggi la differenza tra i diritti di voto dei due gruppi è minima, ma aumenterà quando altri membri si aggiungeranno al
secondo gruppo (gli 11 voti infatti sono fissi).
A prescindere dalla procedura di voto il Consiglio direttivo è troppo grande e si corre il rischio che diventi difficile
prendere rapidamente delle decisioni.
i.e. decisione della BCE se acquistare o no titoli di stato nel mercato secondario. Decisione di avviare il programma
Outright Monetary Transactions (OMT) presa più di due anni dopo lo scoppio della crisi del debito sovrano.
6
C’è un netto contrasto tra il ruolo di prestatore di ultima istanza a favore del sistema bancario e nel mercato dei titoli
di stato.
Gli Stati, come le banche, emettono passività liquide (titoli di stato) e hanno attività per lo più illiquide.
La prontezza avuta dalla BCE a fornire massicci aiuti alle banche si scontra con le remore mostrare a fornire la
liquidità necessaria ai mercati dei titoli di stato.
A settembre 2012, la BCE ha annunciato la propria disponibilità ad agire come prestatore di ultima istanza nei mercati
dei titoli di stato con il programma Outright Monetary Transactions (OMT).
L’annuncio del programma ha avuto l’effetto immediato di ridurre i tassi di interesse sui titoli di stato.
- I paesi che hanno bisogno del sostegno dell’OMT dovranno assoggettare le proprie politiche di bilancio a un
programma di austerità sottoposto alla vigilanza del meccanismo europeo di stabilità.
Solo quando il governo accetta un programma di austerità stabilito dal MES, la BCE concederà il sostegno
richiesto. → per ottenere aiuto, un paese deve accettare la condizione di un’accentuazione della recessione.
La decisione della BCE di fornire un illimitato sostegno di liquidità in mercati dei titoli di stato è positiva, ma il
programma OMT è ancora strenuamente avversato in diversi paesi.
La BCE non può concedere scoperti di conto e/o qualsiasi forma di facilitazione creditizia a enti pubblici ne può
tantomeno acquistare direttamente presso di essi strumenti di debito pubblico.
L’acquisto diretto si basa sul fatto che tali operazioni forniscono liquidità agli stati venditori comportando dunque un
finanziamento monetario del disavanzo di bilancio.
La BCE può acquistare titoli di stato nei mercati secondari, in tal modo non viene erogato credito ai governi, bensì
fornita liquidità ai detentori di titoli di tali governi.
7
- Creazione di tre nuove autorità di vigilanza a livello europeo le ESA (European Supervisory Authorities):
o Autorità bancaria europea (EBA)
o Autorità europea delle assicurazione e delle pensioni aziendali e professionali (EIOPA)
o Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (ESMA)
Le ESA hanno la facoltà di:
o indagare sulle infrazioni del diritto comunitario da parte degli organismi di vigilanza nazionali
o assumere decisioni direttamente vincolanti per imprese e partecipanti ai mercati negli stati membri
che non ottemperano alle disposizioni vigenti.
o Raccogliere dagli organi di vigilanza nazionale le informazioni necessarie allo svolgimento dei propri
compiti.
Nel 2016 si decise di creare un quadro di vigilanza comune per l’Eurozona e poiché la creazione di una nuova
istituzione avrebbe richiesto una modifica del Trattato, fu attribuito alla BCE il compito di responsabile della vigilanza
comune delle banche dell’Eurozona.
In seno alla BCE vi è il Consiglio delle autorità di vigilanza che ha il potere di vigilare sulle c.d. banche sistemiche
dell’Eurozona, tale potere comprende l’auditing dei bilanci, l’erogazione di sanzioni, la ricapitalizzazione e in casi
estremi persino la chiusura delle banche.
Ciò che manca è un efficace quadro comune di risoluzione delle crisi, ossia un sistema che renda possibile risolvere
una crisi bancaria a livello dell’Eurozona.
L’esperienza della crisi del 2008 ha mostrato che quando una crisi esplode, l’unico responsabile della risoluzione
della crisi è il governo nazionale. → i governi ricapitalizzano le banche.
Con l’istituzione del meccanismo di risoluzione comune (SRM – Single Resolution Mechanism) si è raggiunto un
accordo per creare un fondo di 55mld di euro, ma la sua gestione è complessa al punto da far dubitare della sua
efficacia in momenti di crisi.
Un meccanismo comune di assicurazione dei depositi è necessario per rendere possibile la redistribuzione nell’insieme
dell’Eurozona del costo della compensazione dei detentori di depositi in un singolo paese.
Tale soluzione presuppone che i paesi membri vogliano trasferire risorse a quello di loro che dovesse venire investito
da una crisi bancaria.
L’UEM è lontana dall’essere completa, in quanto un’UM completa si compone anche di:
- Autorità comuni di vigilanza (realizzata)
- Quadro comune di risoluzione delle crisi (realizzata ma poco efficiente)
- Meccanismo comune di assicurazione dei depositi (mancante)
8
Conclusioni:
il disegno dell’Eurosistema presenta varie carenze, prima tra tutte l’assenza di un’accountability chiara.
La forte indipendenza che la BCE ha ottenuto, e questo è positivo, non è equilibrata da una procedura altrettanto forte
di controllo del suo operato, questo è il lato negativo.
L’unica possibilità di ovviare a tutto ciò è che la BCE crei un clima di trasparenza.
La decisione di fungere da prestatore di ultima istanza nei mercati dei titoli pubblici dell’Eurozona (OMT) è una
svolta istituzionale che finora la BCE non ha avuto bisogno di attivare, ma che in futuro potrà rendersi necessario.
La BCE ha acquisito responsabilità fondamentali in materia di vigilanza comune sulle banche sistemiche dell’EZ.
Oggi è proprio la BCE la responsabile della politica monetaria e della vigilanza nell’eurozona.
Sono stati compiuti sforzi importanti per creare un’unione bancaria nell’EZ, ma si dovranno fare importanti passi per
rafforzare il meccanismo comune di risoluzione delle crisi e creare un sistema comune di assicurazione dei depositi.
Sommario
IL PROGETTO DELLA BCE .......................................................................................................................................... 1
Modello anglo-francese............................................................................................................................................. 1
Modello tedesco ........................................................................................................................................................ 1
RAGIONI PER CUI È PREVALSO IL MODELLO TEDESCO .................................................................................... 1
LA BCE È UNA BC CONSERVATRICE? ..................................................................................................................... 2
INDIPENDENZA E ACCOUNTABILITY ..................................................................................................................... 3
CONTESTO ISTITUZIONALE DELLA BCE ................................................................................................................ 4
L’EUROSISTEMA: ...................................................................................................................................................... 4
L’Eurosistema è troppo decentrato?.......................................................................................................................... 5
il processo decisionale dell’eurosistema dovrebbe essere riformato? ....................................................................... 5
LA BCE COME PRESTATORE DI ULTIMA ISTANZA .............................................................................................. 6
OMT E VIOLAZIONE DELLO STATUTO AL MOMENTO DI ANNUNCIO DEL PROGRAMMA .................... 6
LA NUOVA STRUTTURA DI REGOLAMENTAZIONE E VIGILANZA FINANZIARIA ........................................ 7
Conclusioni: ...................................................................................................................................................................... 8
1
Germania:
- La produzione scende a YG2.
- Se potesse fissare il tasso di interesse lo abbasserebbe per stimolare la domanda e avere un prodotto maggiore
(YG3)
Francia:
- Il prodotto sale a YF2.
- Se potesse fissare il tasso di interesse lo alzerebbe per contrastare la pressione inflazionistica e avere un
prodotto minore (YF3).
In caso di shock asimmetrico puro la BCE non riesce mai a stabilizzare il sistema, si comporta come se attribuisse
peso nullo alla stabilizzazione del prodotto.
Si considera ora il caso simmetrico (lo shock è esattamente lo stesso in entrambi i paesi):
Dal punto di vista del singolo stato e nella misura in cui è presente una componente asimmetrica, la BCE non
stabilizzerà completamente la situazione.
Questo problema non si può risolvere.
Se il paesi formano un’AVO (non sono eccessivamente soggetti a shock asimmetrici) per la BCE sarà relativamente
facile stabilizzare gli shock, ma se i paesi non costituiscono un’AVO sarà difficile per la BCE stabilizzare prodotto e
occupazione.
2
Le differenze di ampiezza dei cicli crearono problemi di stabilizzazione. Il tasso di interesse adottato dalla BCE
tendeva ad essere troppo passo per i paesi con forti boom e troppo alto per quelli con boom di minore intensità.
Lo stesso si può dire per i periodi di recessione, dove il tasso era troppo alto per i paesi con le recessioni più pesanti.
Per analizzare le asimmetrie si possono anche considerare quali sarebbero i tassi di interesse ottimali per ogni paese
dati i tassi di inflazione e i gap di prodotto osservati.
Tali tassi sono calcolati con la regola di Taylor che descrive come la BC fissa i tassi di interesse allo scopo di
contrastare le variazioni del tasso di inflazione e il gap del prodotto.
Da quest’analisi emerge come i tassi desiderati dalla BCE e dai grandi paesi (i.e. Germania, Italia, Spagna, Francia)
sono simili. Molti paesi di dimensioni più modeste invece non condividono le decisioni sui tassi prese dalla BCE.
Questo divario nella struttura dei tassi di interesse desiderati spiega anche la cautela con cui la BCE manipola il
proprio tasso → le differenze nei tassi, causate da shock asimmetrici, hanno paralizzato la BCE bloccandone l’azione.
I paesi con tassi di crescita della produttività elevati hanno anche maggiore inflazione (segnalata dall’indice dei prezzi
al consumo), se la fonte dei differenziali di inflazione però deriva dai differenziali di crescita della produttività, per
l’effetto Balassa-Samuelson la maggiore inflazione è un meccanismo di riequilibrio.
Tuttavia, i differenziali di inflazione sistematici influenzano il tasso di interesse reale e possono avere ripercussioni
sul mercato delle attività.
Il primo passo della strategia è fornire una definizione di stabilità dei prezzi, definita dal Consiglio direttivo della
BCE come: “un aumento su 12 mesi dell’indice armonizzato dei prezzi al consumo per l’Eurozona inferiore al 2%”.
La definizione non indica un limite inferiore, pertanto la BCE ha dichiarato di perseguire un obiettivo di inflazione
inferiore ma vicino al 2%.
La stabilità dei prezzi deve essere mantenuta nel medio periodo (termine per cui non c’è una definizione).
In caso di improvviso superamento della soglia limite (2%) a causa di gravi perturbazioni, la BCE farà in modo di
rientrare gradualmente.
La strategia monetaria fissa per l’inflazione un obiettivo pari a massimo 2% e allo scopo di guidare l’inflazione verso
tale valore la BCE monitora variabili che influenzano l’inflazione futura, tra cui la più importante è il tasso di crescita
dell’aggregato monetario M3.
Si va consolidando l’idea che la strategia della BCE presenzi manchevolezze, in particolare la critica si concentra su:
- Obiettivi perseguiti
- Strumenti utilizzati
SCELTA DELL’OBIETTIVO
La BCE riconosce un unico obiettivo relativo alla politica monetaria, disattendendo le indicazioni del Trattato di
Maastricht.
Accettando questa restrizione delle responsabilità si ammette che la BCE ha raggiunto egregiamente l’obiettivo della
stabilità dei prezzi mantenendo l’inflazione mediamente all’1.7%
Tuttavia, la BCE ha avuto difficoltà ad arrestare la dinamica deflazionistica emersa nella scia del debito sovrano, per
questo all’inizio del 2015 ha deciso di impegnarsi nel Quantitative Easing, un massiccio programma di acquisti di
titoli di stato il cui scopo è accrescere la base monetaria.
L’adozione dell’inflazione come obiettivo esclusivo non rende impossibile la contemporanea realizzazione di altri
obiettivi. Infatti l’inflation targeting (perseguimento dell’obiettivo dell’inflazione) porta con sé la stabilizzazione del
prodotto.
shock da domanda:
in un’economia in espansione questa risulta dallo spostamento della domanda
aggregata in AD’.
Quando gli shock provengono dal lato della domanda non c’è trade-off tra
stabilizzazione dei prezzi e del prodotto.
In questo caso l’inflation targeting permette alla BC si stabilizzare l’inflazione, ma anche il prodotto rispetto al suo
livello potenziale (livello naturale in condizioni di equilibrio di lungo periodo).
Non c’è necessità di intervenire esplicitamente per influenzare il livello del prodotto.
4
shock da offerta :
Nell’economia il prodotto diminuisce e i prezzi aumentano.
Perseguendo l’obiettivo della stabilità dei prezzi la BCE tende a ridurre la stabilità
aggregata → il livello dei prezzi riscende, ma il livello del prodotto cala ulteriormente.
Quando gli shock provengono dal lato dell’offerta può esserci trade-off tra inflazione e
stabilizzazione del prodotto.
La BCE ha chiarito che ogniqualvolta si manifesta la possibilità di un simile trade-off,
essa sceglierà la stabilizzazione dei prezzi.
Tuttavia, vi è uno spiraglio per una parziale stabilizzazione del prodotto anche in caso
di shock dal lato dell’offerta. La BCE infatti persegue la stabilità dei prezzi nel medio
periodo, di conseguenza quando i prezzi iniziano a salire in seguito a shock la BCE potrebbe intervenire con gradualità
e non con misure restrittive volte a stroncare le pressioni inflazionistiche → evita una repentina riduzione del prodotto.
La gradualità della transizione all’obiettivo dell’inflazione successivamente a uno shock è l’approccio corretto,
perché consente alla BC di considerare anche l’obiettivo della stabilizzazione del prodotto.
Se non esiste la possibilità di un trade-off tra stabilità dei prezzi e finanziaria la BC può affermare che mantenendo la
stabilità dei prezzi fa tutto ciò che può per mantenere anche la stabilità finanziaria.
Se invece esiste una possibilità di trade-off la BC deve compiere una scelta e si pone il problema di stabilire quale
obiettivo ha la priorità.
È opportuno ora verificare l’esistenza di un trade-off tra stabilità dei prezzi e stabilità finanziaria:
l’attività della BC consiste in gran parte nel risolvere dei trade-off, tra cui quello di maggior attenzione è quello fra
inflazione e prodotto.
A prima vista sembra non esserci un trade-off del tipo stabilità dei prezzi e disoccupazione anche per quanto riguarda
la stabilità finanziaria. Nessun modello infatti afferma che riducendo l’inflazione si riduce la stabilità finanziaria.
I trade-off tra inflazione e stabilità finanziaria si possono manifestare in altri modi, a tal fine si esamina come si
formano le bolle attraverso i meccanismi di domanda e offerta.
La bolla di Internet:
Nel punto C infatti la produzione è superiore al livello di piena utilizzazione della capacità. La produzione è sostenuta
da un tasso di interesse troppo basso e da un prezzo delle attività troppo alto.
L’aggiustamento monetario mantiene il livello dei prezzi al livello anteriore allo shock tecnologico.
In questo modo la BC mantiene la stabilità dei prezzi, ma lo stimolo monetario determina un ulteriore aumento dei
prezzi delle attività → si crea il rischio di degenerare in una bolla → le bolle portano inevitabilmente a crolli.
Nel caso di uno shock tecnologico esiste un trade-off tra prezzi e stabilità finanziaria perché tale shock riducendo il
livello aggregato dei prezzi costringe la BC a reagire con uno stimolo monetario creando così un contesto in cui è più
facile si crei una bolla.
In conclusione una rivoluzione tecnologica è seguita da un accomodamento monetario.
Quando gli sviluppi tecnologici innescano boom nei mercati delle attività si di la possibilità a importanti trade-off tra
stabilità dei prezzi e stabilità finanziaria.
Quando gli spiriti animali creano un ciclo di espansioni e tracolli, se la BCE si concentra solo sull’inflazione può non
rendersi conto della dinamica di questi cicli.
Una BC che privilegia la stabilità dei prezzi rispetto ad altri obiettivi è portata ad alimentare inavvertitamente
l’espansione consentendo un processo di creazione eccessiva del credito.
È questo che è avvenuto tra il 2000 e il 2007, le principali BC non sono riuscite a vedere le bolle che si gonfiavano
nei mercati delle attività e che stavano inavvertitamente alimentando.
In queste situazioni le BC dovrebbero attribuire ugual peso all’obiettivo dell’inflazione e a quello della stabilità
finanziaria.
In conclusione si dovrebbe abbandonare l’ordinamento prestabilito delle priorità degli obiettivi della BCE.
Un obiettivo di inflazione non può essere perseguito inflessibilmente perché può contrastare con la stabilità finanziaria
Tuttavia, anche la scelta di portare la stabilità finanziaria allo stesso livello della stabilità dei prezzi genera questioni,
le principali riguardano:
Ferguson la definisce per mezzo dell’instabilità finanziaria, ossia una situazione in cui:
- I prezzi appaiono deviare fortemente dai propri fondamentali.
- Il funzionamento del mercato e la disponibilità del credito hanno subito notevoli distorsioni.
- La spesa aggregata devia fortemente dalla capacità produttiva dell’economia.
Borio e Lowe ritengono che una rapida e sostenuta crescita del credito, combinata con forti incrementi dei prezzi delle
attività, aumenta la probabilità di un episodio di instabilità finanziaria.
6
Quest’ultima tesi è sostenuta anche da Kindleberger e costituisce la base dell’analisi sviluppata in seguito.
Concentrando l’attenzione su prezzi delle attività ed espansione del credito, le autorità monetarie possono ottenere
informazioni sugli sviluppi in atto capaci di minare la stabilità finanziaria.
Per una BC è possibile monitorare il rischio di crisi finanziarie concentrandosi su un numero ristretto di indicatori, cui
però sia la BCE che la FED sembrano aver attribuito poco peso.
I banchieri centrali erano orientati teoricamente da modelli macroeconomici, basati sull’assunto di agenti
perfettamente informati e razionali incapaci di commettere errori sistematici, in cui è impossibile si verifichino bolle e
crolli → i prezzi riflettono i fondamentali, non vi è necessità di far nulla rispetto ai prezzi delle attività.
La strategia monetaria della BCE è consistita nel mantenere bassa l’inflazione controllando il tasso di crescita dello
stock di moneta è fallita: l’inflazione è rimasta stabile, ma il tasso di crescita dell’aggregato monetario M3 ha superato
il valore di riferimento senza però influire sull’inflazione.
Dal 1999 al 2011 la BCE è riuscita a contenere l’inflazione nonostante il fallimento della strategia di contenimento
dell’inflazione per mezzo del controllo della moneta.
La crescita dell’aggregato M3 infatti non ha avuto quasi alcuna capacità di predire l’inflazione nella futura
Eurozona. L’unica eccezione è stata durante la grande recessione del 2008-2009.
Ci sono indicazioni che in un contesto di bassa inflazione e di frequenti innovazioni finanziarie i dati sull’offerta di
moneta sono inattendibili in quanto segnali di inflazione futura.
La rapida espansione di M3 era un segnale di future turbolenze finanziarie, rappresentava la contropartita della
massiccia espansione dei bilanci delle banche.
Inflation targeting
Strategia per cui la BC non solo sceglie come obiettivo finale l’inflazione, ma usa anche la propria previsione
dell’inflazione attesa quale obiettivo intermedio.
La BC con questa strategia annuncia periodicamente le proprie previsioni, si tratta di una strategia analoga al money
stock targeting con cui si assume la quantità di moneta a obiettivo, entrambe infatti hanno come obiettivo ultimo il
controllo del tasso di inflazione.
Per perseguire l’inflation targeting la BC deve utilizzare tutte le variabili che influenzano l’inflazione futura, per
questo la previsione dell’inflazione risulta il miglior obiettivo intermedio possibile.
Il money stock targeting tralascia un’importante massa di informazioni e si avvale di informazioni irrilevanti.
L’inflation targeting è palesemente superiore al money stock targeting, resta da comprendere se garantisce al meglio il
raggiungimento della stabilità macroeconomica.
Oltre a fissare un obiettivo per il tasso di inflazione, la BC dovrebbe monitorare l’evoluzione del credito bancario e dei
prezzi delle attività. Questo richiederebbe la formulazione di una nuova strategia del “doppio pilastro”:
➔ Primo pilastro utilizzato in condizioni normali, usato dalla BC per perseguire l’obiettivo del tasso di inflazione
➔ Secondo pilastro utilizzato dalla BC per monitorare credito bancario e prezzi delle attività.
La BCE avrebbe quindi la responsabilità di limitare i movimenti del credito bancario.
Variando il tasso di interesse sulle operazioni di rifinanziamento principali la BCE interviene sulla struttura dei tassi.
La liquidità è influenzata dagli assegnamenti effettuati.
Dopo la crisi del 2008 la BCE è tornata alla procedura d’asta fissa con aggiudicazione totale (le banche ottengono
tutta la liquidità desiderata al tasso prestabilito).
L’eurosistema fornisce liquidità contro le garanzie collaterali fornite dalle banche.
Se una banca ha visto accettare la propria offerta deve offrire una quantità di garanzie collaterali di pari importo.
Le attività devono essere di qualità, in particolare ci sono due insiemi di criteri di ammissibilità delle attività quali
garanzie:
➔ Per le attività trattate nei mercati il criterio di ammissibilità è costituito dalla valutazione dell’affidabilità
creditizia.
➔ Per le attività non negoziabili l’eurosistema applica la propria valutazione del rischio, che tende per l’appunto
a minimizzare il rischio cui l’Eurosistema si espone quando acquisisce attività dalle banche in cambio di
liquidità.
La BCE fu riluttante a imboccare questa strada a causa dell’opposizione interna esercitata da alcuni paesi del’EZ quali
Germania, Olanda e Finlandia, che temevano che il QE potesse portare ad ampi trasferimenti fiscali fra paesi membri
qualora uno di questi si fosse reso inadempiente.
Si tratta di un timore poco fondato poiché la BCE congegnò il QE in modo che i trasferimenti fiscali rimanessero
limitati, infatti le modalità di funzionamento definite prevedevano che:
- Ciascuna BCN acquista una data quantità di titoli di stato del proprio paese, determinata dalla quota di
partecipazione al capitale dell’EZ.
- L’ammontare degli acquisti cumulativi è poi assegnato a ciascuna BC in proporzione della quota di
partecipazione.
- Ogni BC mantiene l’80% di questi titoli nel proprio bilancio.
- Solo il 20%, detenuto dall’Eurosistema, può portare a trasferimenti tra paesi, perché i pagamenti di interessi di
questa quota sono aggregati e poi redistribuiti a ciascuna BCN.
8
2. Standing facilities
Operazioni attivabili su iniziativa delle controparti che mirano a fornire e ad assorbire liquidità overnight.
➔ Marginal lending facility (operazione di rifinanziamento marginale)
Le banche utilizzano questo tipo di operazione per ottenere liquidità overnight dalle BCN a un tasso fissato
dal Consiglio direttivo.
Il tasso in genere supera dell’1% il tasso di interesse usato nelle operazioni di finanziamento principali.
Non ci sono limiti all’ammontare di credito ottenibile laddove ci siano le adeguate garanzie.
➔ Deposit facility
Operazione utilizzata per costruire depositi overnight presso l’Eurosistema a un tasso fissato dal Consiglio
direttivo.
Il tassi in genere è dell’1% inferiore a quello applicato nelle operazioni di finanziamento principali e funge da
soglia minima per il tasso di interesse overnight di mercato.
Queste operazioni rientrano in una politica mirante a incentivare le banche ad accrescere il prestito.
Le due tipologie di operazioni sono amministrate dalle BCN in maniera decentrata.
Il consiglio direttivo modificando i tassi influenza la struttura delle scadenze dei tassi di breve periodo.
L’importo delle riserve obbligatorie minime è calcolato dalla BCE come media mensile delle proporzioni delle riserve
giornaliere.
Questo strumento potrebbe essere impiegato per controllare il credito bancario, in particolare la BCE potrebbe
aumentare la riserva obbligatoria minima quando il credito si espande troppo rapidamente.
Oltre a questo il controllo del credito bancario può essere eseguito anche attraverso il macrocontrollo prudenziale,
ossia impiegando criteri prudenziali per controllare il volume totale del credito.
L’impiego del macrocontrollo prudenziale tuttavia richiede cambiamenti istituzionali, ma nemmeno il nuovo quadro
regolamentare introdotto nel 2011-12 ha attribuito ala BCE il potere di questo controllo che è una prerogativa delle
BCN.
Nel contempo la BCE ha anche acquistato titoli di stato nel quadro del securities Market Programme (SMP), un
programma di limitati acquisti di titoli di stato in un momento in cui i mercati erano sottoposti a pressioni estreme.
Questo programma è diverso dal outright monetary transactions (OMT).
Con il programma SMP la BCE annunciò l’acquisto in una quantità limitata di titoli di stato per un periodo limitato.
Questo però fu il segnale per i detentori di titoli di stato di venderli al più presto e questo portò la BCE ad acquistare
una gran quantità di titoli.
Il programma OMT invece prevedeva un impegno della BCE illimitato, sia in termini di quantità, sia in termini
temporali. Fino ad oggi la BCE non ha dovuto effettuare alcun acquisto di titoli nel quadro dell’OMT perché la
fiducia che la BCE sarebbe intervenuta nel mercato è stata sufficiente per indurre i detentori di titoli di stati in
difficoltà a conservarli.
Un’espansione del bilancio crea numerosi problemi, tra cui l’unico rischio significativo è rappresentato dall’azzardo
morale, che però non può essere invocato come motivo per non fornire prestiti di ultima istanza.
Infatti negare prestiti di ultima istanza creerebbe un rischio maggiore e l’implosione di un sistema finanziario fragile.
L’azzardo morale richiede regolamentazione e vigilanza.
I problemi del ruolo di prestatore di ultima istanza si pongono quando la Bce svolge tale ruolo nel mercato dei titoli di
stato più che nel settore bancario.
L’avversione verso il mercato dei titoli di stato costringe la BCE a fornire un sostegno di liquidità alle banche dell’EZ
che sono i maggiori detentori di titoli di stato.
Conclusioni
L’obiettivo primario della BCE è mantenere l’inflazione sotto, ma vicina al 2%.
Obiettivo difficile da mantenere con l’inizio della crisi del debito sovrano a causa del continuo calo dell’inflazione,
che ha portato la BCE ad espandere la propria base monetaria.
La quantità di moneta si è rivelata inutile per la strategia di controllo dell’inflazione.
L’espansione di M3 non ha rappresentato un annuncio dell’inflazione, ma un riflesso della dilatazione dei bilanci
bancari dell’EZ e delle bolle che si andavano gonfiando nei mercati.
La responsabilità della crisi non può essere imputata alla BCE, va ravvisata nel fallimento delle funzioni di vigilanza e
regolamentazione bancaria.
Le responsabilità della BCE riguardano il fatto che il suo focalizzarsi eccessivamente sull’inflazione l’ha portata a non
prendere provvedimenti per controllare l’espansione del credito bancario precedente alla crisi.
Per questo si propone un ampliamento della sfera di obiettivi in cui sia inclusa la stabilità finanziaria.
Con lo scoppio della crisi debitoria la BCE avviò il SMP, applicandolo con esitazione e annunciando che sarebbe
stato temporaneo, tale programma mancò di credibilità.
Sommario
LA STRATEGIA DI POLITICA MONETARIA DELLA BCE ...................................................................................... 2
SCELTA DELL’OBIETTIVO ...................................................................................................................................... 3
Stabilizzazione finanziaria: un altro obiettivo? ......................................................................................................... 4
Eccessivo affidamento sullo stock di moneta ?......................................................................................................... 6
Inflation targeting...................................................................................................................................................... 6
STRUMENTI DELLA POLITICA MONETARIA NEL’EUROZONA.......................................................................... 6
1. Operazioni di mercato aperto .................................................................................................................................... 7
Operazioni di rifinanziamento principali .................................................................................................................. 7
Quantitative Easing (QE) .......................................................................................................................................... 7
2. Standing facilities...................................................................................................................................................... 8
3. riserva obbligatoria minima ...................................................................................................................................... 8
L’EUROSISTEMA IN QUANTO PRESTATORE DI ULTIMA ISTANZA DURANTE LE CRISI FINANZIARIE .. 8
Conclusioni ....................................................................................................................................................................... 9
1
Francia Germania
- Il prodotto diminuisce - Il prodotto aumenta
- La disoccupazione aumenta - La disoccupazione diminuisce
Questo ha doppio effetto sul bilancio europeo: Questo ha doppio effetto sul bilancio europeo:
- Le imposte incassate in F diminuiscono. - Le entrate fiscali riscosse in Gaumentano
- I pagamenti per sussidi di disoccupazione da - La spesa del governo europeo in G diminuisce
parte delle autorità aumentano.
In questo caso di shock asimmetrico puro la Francia ottiene automaticamente fondi dal bilancio centralizzato, senza
dover emettere titoli di stato.
Nella misura in cui disavanzo in F e avanzo in G si eguagliano non è necessario procedere a emissioni nette di titoli di
stato.
In caso di shock permanenti il sistema assicurativo dovrebbe essere applicato temporaneamente, per dare ai paesi
colpiti il tempo necessario per effettuare gli aggiustamenti fondamentali (i.e. salariali).
2
In assenza di flessibilità il meccanismo assicurativo può diventare insostenibile. Darebbe infatti luogo a un
trasferimento permanente da un paese all’altro nel sistema centralizzato e a un aumento incontrollato del debito nel
sistema decentralizzato.
Se un paese è spinto in cattivo equilibrio, il meccanismo assicurativo non funziona appropriatamente, infatti gli
investitori non hanno fiducia e difficilmente finanzieranno uno shock negativo.
In questo caso lo shock negativo porterebbe gli investitori a richiedere un premio al rischio maggiore rendendo
difficile per i paesi finanziare il deficit di bilancio conseguente.
2. Se la centralizzazione fosse impossibile, le politiche di bilancio nazionali dovrebbero essere usate in modo
flessibile.
I paesi colpiti da shock negativi dovrebbero poter lasciar crescere il disavanzo di bilancio attraverso gli
stabilizzatori di bilancio incorporati o automatici (entrate decrescenti, spese sociali crescenti).
Il requisito di flessibilità implica che le politiche nazionali godano di una sostanziale autonomia.
In mancanza di un bilancio centralizzato i paesi non hanno strumenti a disposizione per assorbire gli effetti di
shock negativi e quindi la politica di bilancio è l’unico rimasto → no uso del tasso di cambio/della
svalutazione.
Questa teoria sulle unioni di bilancio è stata criticata, non tanto per la prima conclusione, ossia che sia auspicabile
centralizzare parte dei bilanci, ma per la seconda, ossia l’invocare flessibilità e l’autonomia dei bilanci pubblici
nazionali.
Qual è il livello opportuno di centralizzazione dei bilanci statali in un’UM ?
La teoria AVO sottolinea l’opportunità di centralizzare in modo consistente i bilanci per far fronte a shock
asimmetrici.
Ai trasferimenti di bilancio si dovrebbe ricorrere solo per fare fronte a shock temporanei.
Un paese colpito da shock permanente dovrebbe procedere ai necessari aggiustamenti mediante modifiche di salari e
prezzi.
La necessità di centralizzare i bilanci dipende dalla natura degli shock.
Se sono endogeni l’esigenza di disporre di un bilancio centralizzato è forte, essendo dovuti a cicli economici la
flessibilità non rappresenta la soluzione. È quando gli shock sono esogeni che è necessario puntare sulla flessibilità
La centralizzazione porta con sé il problema di azzardo morale.
Spesso quando una regione sperimenta uno shock negativo, i trasferimenti tendono a diventare permanenti perché
proprio questi trasferimenti riducono l’esigenza di effettuare gli aggiustamenti strutturali.
Trasferimenti ampi e permanenti portano problemi politici se le regioni prospere vi si oppongono.
La centralizzazione a livello europeo creerebbe problemi politici visto il minor senso di identificazione con la nazione,
si potrebbe mettere a repentaglio l’unità dell’UE.
Una centralizzazione è necessaria, ma dovrebbe restare al di sotto del livello raggiunto all’interno delle singole nazioni
europee.
Una centralizzazione limitata può fare fronte molto efficacemente agli shock asimmetrici temporanei.
G = spesa pubblica (interessi sul debito esclusi) T = gettito fiscale r = taso di interesse sul debito
B = debito pubblico M = base monetaria (livello moneta ad alto potenziale)
Quando il tasso di interesse sul debito supera il tasso di crescita del PIL non ci sono limiti alla crescita del rapporto
debito / PIL.
Questa dinamica di accumulazione del debito può arrestarsi solo se:
- il disavanzo primario di bilancio si trasforma in un avanzo di bilancio (𝑔 − 𝑡) < 0
- Si creano entrate adeguate creando moneta → signoraggio (questa forma genera inflazione).
Se un paese ha accumulato notevoli disavanzi in passato, dovrà conseguire avanzi altrettanto grandi di bilancio
primario per impedire che il rapporto debito/PIL aumenti automaticamente.
Il paese deve ridurre la spesa o aumentare le tasse.
I limiti dell’uso delle politiche di bilancio per contrastare gli shock economici è che queste non possono essere
mantenute troppo a lungo. Consistenti disavanzi infatti portano velocemente a una dinamica del debito insostenibile.
Le politiche di bilancio non sono quindi lo strumento flessibile che viene evidenziato dalla teoria AVO. L’uso di
questo strumento porta rapidamente a problemi di sostenibilità e una volta usato, le politiche di bilancio non potranno
essere usate nuovamente se non dopo molti anni.
Quest’analisi della sostenibilità delle politiche di bilancio ha portato a un punto di vista sull’auspicabilità delle
politiche di bilancio per i paesi membri di un’UM completamente differente da quello recepito dal Trattato di
Maastricht prima e riflesso nel patto di stabilità e crescita (PSC) poi.
Il PSC è importante perché è destinato a guidare le politiche di bilancio nazionali dei paesi membri dell’UEM.
I suoi principi fondamentali sono:
4
- I paesi devono porsi l’obiettivo di avere bilanci equilibrati nel medio periodo.
Questo significa che i paesi non devono contrarre nuovi debiti nel corso del ciclo. Il PSC spinge i paesi a
ridurre il rapporto debito/PIL fino ad annullarlo.
- I paesi con disavanzo >3% saranno sanzionati, con una sanzione di importo massimo pari allo 0.5% del PIL.
La norma del 3% era incorporata già nel Trattato, la novità introdotta dal PSC è l’irrogazione di sanzioni, che
sono il risultato di una lunga procedura durante la quale i paesi ricevono prima un avvertimento della
Commissione europea, poi hanno la possibilità di correggere la propria situazione e solo se non si corregge la
situazione si applicheranno le sanzioni.
- Sono esclusi dall’applicazione delle sanzioni i paesi che versano in condizioni eccezionali (i.e. disastri
naturali, riduzioni del PIL >2%, ma se la riduzione è almeno pari allo 0.75% i paesi possono invocare
circostanze eccezionali).
Trattato e PSC fanno proprio il principio che in un’UM le politiche di bilancio vadano assoggettate a un quadro
normativo.
2. Parte dissuasiva
Entra in gioco quando la parte preventiva non dà risultati o quando emerge in modo inaspettato un disavanzo
eccessivo.
I suoi aspetti principali sono:
o Definizione del disavanzo eccessivo (superiore al valore di riferimento fissato al 3% del PIL eccetto
si riconosca sia eccezionale e temporaneo).
Un disavanzo può essere considerato eccezionale se:
▪ È il risultato di un evento straordinario fuori dal controllo dello stato membro.
▪ È il risultato di un forte calo economico, se il PIL diminuisci di meno dello 0,75% non è
invocabile l’eccezionalità del disavanzo.
o Se il consiglio rileva l’esistenza di un disavanzo eccessivo invia al paese una raccomandazione
affinché adotti misure adeguate alla correzione del disavanzo. Se dopo 6 mesi lo Stato non procede
allora scattano le sanzioni.
o Se il consiglio decide di applicare la sanzione, il paese costituisce un deposito (Dep) non fruttifero che
viene restituito se il disavanzo è corretto oppure trasformato in ammenda se nei 2 anni successivi il
disavanzo eccessivo non è corretto.
Con l’esplosione della crisi del debito sovrano le disposizioni del PSC sono state inasprite:
- La procedura sanzionatoria è stata resa più automatica dalle modalità di votazione.
- I governi devono presentare i bilanci nazionali alla Commissione prima che ai rispettivi parlamenti → è il c.d.
semestre europeo.
- Una sanzione dello 0.2% può venire comminata ai paesi che risultano aver falsificato i dati sul disavanzo e sul
debito.
Un paese che lascia aumentare continuamente il proprio rapporto debito/PIL ricorrerà in misura crescente ai mercati
dei capitali dell’UEM facendone aumentare il tasso di interesse.
Questo a sua volta fa aumentare il costo del debito pubblico degli altri paesi e se i governi di questi paesi decidono di
stabilizzare i rispettivi rapporti debito/PIL saranno costretti a seguire politiche di bilancio più restrittive.
La crescita insostenibile del debito in un paese costringe gli altri paesi a seguire politiche più deflazionistiche.
È nell’interesse degli altri paesi, dunque l’esistenza di un meccanismo di controllo in grado di limitare le proporzioni
dei disavanzi di bilancio dei paesi membri.
Vi è anche un’altra ricaduta negativa, il rialzo del tasso di interesse nell’UEM (oltre che presentare un costo per i
paesi che stabilizzano il rapporto debito/PIL) può provocare pressioni sulla BCE.
I paesi danneggiati dal rialzo del tasso di interesse possono esercitare pressioni sulla BCE per indurla ad allentare la
politica monetaria.
Politiche di bilancio non sostenibili interferiranno con la conduzione della politica monetaria europea, pertanto può
essere nell’interesse degli stati membri prevenire il verificarsi di tale ricaduta negativa, ponendo limiti alle proporzioni
dei disavanzi di bilancio.
Queste considerazioni sugli effetti di ricaduta delle politiche di bilancio appaiono ragionevoli, ma sono state
sottoposte a principalmente due critiche:
Sono state varate poi manovre di contabilità creativa tra cui ad esempio l’alienazione del patrimonio dello stato per
registrare un entrata, per poi riprenderlo in locazione.
Dovendo aggiustare il tiro sul 3% i paesi hanno interesse a utilizzare pratiche che nascondono la vera natura del
disavanzo.
È lecito pertanto sostenere che le politiche di bilancio dei paesi membri dell’UEM vadano sottoposte ad alcune regole.
È necessaria una qualche forma di controllo reciproco, ma forse in tal caso il PSC ha esagerato imponendo norme
numeriche troppo rigide sulla conduzione delle politiche di bilancio.
È necessario verificare in che misura un’UM sottopone a vincoli aggiuntivi le autorità responsabili delle politiche di
bilancio nazionali, ma anche il rischio di inadempienza e il correlato problema dei salvataggi.
Nelle UM il canale della svalutazione non esiste, i paesi emettono titoli di debito in una moneta su cui non possono
poi influire con svalutazioni. → i detentori non corrono il rischio di una svalutazione.
Il rischio di inadempienza diventa più rilevante e aumenta quando un paese imbocca la strada di un accumulo
eccessivo di debito.
La garanzia implicita di salvataggio fornisce però agli stati membri un incentivo a emettere quantità insostenibili di
debito. → problema di azzardo morale
Una clausola di esclusione del salvataggio non è credibile, senza controllo reciproco l’UM potrebbe dunque condurre
a eccessivi disavanzi di bilancio degli stati membri.
Il vincolo di non monetizzazione del debito ha costituito un disincentivo alla gestione di elevati disavanzi di bilancio
da parte dei governi dell’EZ.
Emettere il debito in moneta estera limita la possibilità di finanziare i debiti pubblici perché i paesi non hanno la
possibilità di finanziare i disavanzi emettendo moneta sono sottoposti a un vincolo di bilancio più forte.
La mancata monetizzazione del debito spiega anche l’intensità del programma di austerità applicato da molti paesi
dell’EZ.
Qui il panico dei mercati provocò il panico dei responsabili delle politiche che applicarono rapide e pesanti misure di
austerità.
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Il bilancio primario viene aggiustato in funzione del ciclo, ossia sottraendo l’effetto che la componente del ciclo ha sul
bilancio, ciò che resta è il saldo aggiustato, detto saldo del bilancio strutturale.
La variazione del saldo del bilancio strutturale misura l’effetto delle variazioni dei programmi della spesa pubblica e
della tassazione derivanti dalle decisioni di politica economica.
Se la variazione è positiva allora il governo ha aumentato le tasse o ridotto la spesa.
Il saldo del bilancio strutturale fra il 2011 e il 2014 è risultato positivo in quasi tutti i paesi dell’EZ quindi questi
avevano istituito programmi di austerità (i più pesanti furono quelli nei paesi periferici dell’UE).
Gli effetti di questi programmi sulla crescita del PIL non sono di facile analisi perché ci sono molte altre variabili che
vi influiscono.
I responsabili delle politiche cercarono una giustificazione per l’applicazione di tali misure di austerità e ne trovarono
due:
- There Is No Alternative (TINA)
- Teoria delle expansionary fiscal contractions
Secondo la quale quando un paese ha alti livelli di debito pubblico nasce il timore di inadempienze e come
risultato i tassi di interesse a lungo termine sono elevati e scoraggiano l’investimento privato.
Le misure di austerità invece generano fiducia e gli investitori tenderanno a credere che si potranno evitare
inadempienze. Questo da si che il tasso a lungo termine scenda e l’investimento privato sarà stimolato.
È una teoria che in realtà però non ha quasi mai funzionato.
L’adesione di un paese all’UM comporta la perdita del controllo sulla BC e l’incapacità di architettare inflazioni e
svalutazioni → in un’UM può effettivamente aumentare la pressione per costringere il governo a dichiarare
insolvenza diretta.
La sua analisi aggiunge poi che in un’UM le crisi di liquidità possono facilmente degenerare in crisi di sovibilità.
Il quesito che nasce è perché alcuni paesi hanno visto crescere significativamente il rischio di inadempienza, mentre
altri in misura minore.
Gli incrementi dei rapporti debito/PIL nell’EZ non sono tuttavia stati mediamente più elevati di quelli osservati in
paesi monetariamente indipendenti quali UK, USA e Giappone.
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I mercati finanziari però tengono d’occhio più attentamente i paesi dell’EZ rispetto ai paesi monetariamente
indipendenti perché quest’ultimi possono permettersi di lasciar crescere molto di più i propri rapporti del debito
poiché forniscono una garanzia implicita del rimborso ai detentori del debito.
Rispetto ai livelli del debito dei paesi indipendenti, i mercati finanziari sono meno tolleranti dei livelli del debito dei
paesi membri di un’UM.
Il PSC si è spinto troppo avanti nella regolamentazione dei bilanci pubblici nazionali.
L’assenza di flessibilità creerà rischi superiori a inadempienza e conseguente salvataggio.
In nome del PSC la Commissione ha insistito affinché i paesi riportassero in equilibrio i bilancio, ma alcuni paesi si
sono rifiutati di sottoporre le proprie economie a una politica deflattiva con il risultato che la Commissione,
nonostante si sentisse obbligata ad avviare le procedure, finì per piegarsi al loro rifiuto.
Con la recessione iniziata nel 2008 le disposizioni del PSC furono nuovamente irrigidite, con il ritorno
all’applicazione delle sanzioni in modo più automatico.
Bisogna vedere se questo PSC irrigidito risulterà più capace di vincolare i disavanzi e i debiti pubblici.
Dietro pressioni della Germania, i paesi dell’EZ hanno stabilito di introdurre nelle proprie legislazioni il divieto di
gestire deficit di bilancio strutturali superiori allo 0.5% → inizio del fiscal compact
Il PSC è criticato perché non risulta una buona idea imporre sanzioni e norme rigide dal centro, tuttavia l’obiettivo
fondamentale è buono: i disavanzi di bilancio dovrebbero essere sostenibili nel lungo periodo.
Alcuni economisti (Calmfors e Lewis) hanno proposto di utilizzare istituzioni fiscali indipendenti a livello nazionali in
alternativa al PSC. L’idea è che le istituzioni fiscali indipendenti sono più efficienti perché creano un sistema di
controllo dal basso e non dall’alto come fa il PSC.
2. L’investimento pubblico è necessario per raggiungere gli obiettivi di lungo termine della crescita sostenibile.
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L’investimento pubblico è però scoraggiato dal PSC per effetto della regola che impone di mantenere il bilancio
strutturale in equilibrio.
I governi non possono emettere nuove obbligazioni per coprire il debito nel corso del ciclo economico e questo
implica che nemmeno l’investimento pubblico può essere finanziato con l’emissione di obbligazioni, deve essere
finanziato mediante entrate fiscali.
Non si tratta di una regola intelligente, crea un orientamento politico contrario agli investimenti pubblici.
Si viene a creare un disincentivo politico contro tali investimenti, i politici infatti sono costretti ad accollare l’intero
costo dell’investimento pubblico agli elettori presenti.
Negli anni molti governi hanno potuto emettere obbligazioni con tassi di rendimento prossimi a zero, ma ci sono
investimenti pubblici con tassi di gran lunga maggiori di zero. In questo modo molti governi perdono l’opportunità di
promuovere la crescita economica.
L’emissione di titoli del debito che rendono possibile investire in attività che hanno un rendimento molto più elevato
del costo dell’indebitamento riducono in futuro il debito netto.
I governi dell’EZ sono però abbagliati dai numeri del debito lordo e non riescono a fare ciò che sarebbe ovvio.
Si dice spesso che i governi non possono emettere altro debito perché così facendo accollerebbero un onere alle
nuove generazioni, ma le nuove generazioni chiederanno perché non sono stati fatti investimenti in fonti di energia
alternativa o in sistemi di trasporti pubblico.
Fra gli stati membri dell’EZ si potrebbe raggiungere un accordo politico che riconosca la differenza tra:
- Spese correnti
Assoggettate alla regola del pareggio di bilancio strutturale del fiscal compact (patto di bilancio)
- Spese in conto capitale
Potrebbe esporre un deficit che rifletterebbe il finanziamento degli investimenti pubblici tramite l’emissione di
obbligazioni.
Questo criterio è denominato regola d’oro della politica fiscale, sistema che deve essere integrato dalla capacità dei
governi nazionali di promuovere l’investimento pubblico.
Anche la regola d’oro presenta dei problemi, uno dei quali costituito dal fatto che i politici possono manipolarla in
modo da aumentare le spese correnti in modo da farle passare per esborsi in conto capitale.
Tocca a Eurostat organizzare un sistema di vigilanza che prevenga l’uso improprio della regola d’oro.
➔ Alcuni paesi, come Germania e Paesi Bassi, sono avvantaggiati dall’attribuzione del rating AAA che gli
permette di ottenere credito alle migliori condizioni possibili.
Aderendo al meccanismo di emissione comune a cui partecipano paesi con rating inferiori, questi paesi
possono trovarsi costretti a pagare un tasso di interesse più alto sul proprio debito.
Entrambe le obiezioni sono serie e possono essere affrontate progettando con cura il meccanismo dell’eurobbligazione
che deve essere tale da eliminare il rischio di azzardo morale e da risultare attraente per paesi con rating del credito
favorevoli. → risultato ottenibile lavorando su quantità e su prezzi delle eurobbligazioni.
De Grauwe e il think tank di Bruegel hanno avanzato proposte che prevedono la distinzione delle obbligazioni
congiunte tra:
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➔ Obbligazioni blu
Ciascun paese partecipa all’emissione congiunta fino a un valore massimo del 60% del rispettivo PIL.
➔ Obbligazioni rosse
Titoli con partecipazioni superiori al 60% del rispettivo PIL emesse dai mercati nazionali dei titoli di stato.
Sottoposte a un premio di rischio più elevato, che creerebbe un incentivo per i governi a ridurre i livelli dei
propri debiti.
Questo creerebbe dunque un tranche di obbligazioni superiori, le blu, che godrebbero del miglior rating possibile.
Il tasso da pagare sulle obbligazioni rosse sarebbe probabilmente maggiore di quello pagato sul totale del debito in
essere, perché la creazione di una tranche di obbligazioni superiori implica che la probabilità di inadempienza di
quella inferiore potrebbe aumentare. → incentivo a limitare la componente rossa.
Il punto è un altro, l’emissione di un titolo comune è uno strumento volto a mettere i paesi al riparo dal rischio di
venire spinti in cattivo equilibrio. Se l’emissione riesce a farlo allora il sottostante rischio dei titoli di tali paesi si
riduce e questi sono in grado di ottenere il prestito/credito a un costo medio minore.
Tuttavia, il costo marginale dell’indebitamento è probabilmente superiore a quello medio.
Il calo del costo del debito ne rende più facile il servizio e l’aumento del suo costo marginale dà incentivi alla
riduzione del livello del debito → caratteristica cruciale per il rischio di azzardo morale.
Una seconda caratteristica dell’emissione di eurobbligazioni ha a che fare con la fissazione dei prezzi.
Sempre nella visione di De Grauwe questa consiste nell’uso di tariffe differenziate per i paesi partecipanti all’emissione
di obbligazioni blu.
Le tariffe sarebbero connesse alla posizioni fiscale dei paesi partecipanti (paesi con livelli del debito elevati pagheranno
un prezzo maggiore e viceversa).
Il tasso di interesse pagato per la tranche di obbligazioni blu differirebbe da un paese all’altro (paesi che applicano
politiche di bilancio prudenti pagheranno un tasso minore rispetto a quelli meno cauti) e ciò farebbe si che l’emissione
sia attraente per paesi con i migliori rating del credito.
Se un’emissione del genere avesse successo, si creerebbe un nuovo grande mercato dei titoli di stato dotato di un’enorme
liquidità che attirerebbe investitori dall’estero con la conseguenza che l’euro acquisterebbe lo status di valuta di riserva.
Conclusioni
Secondo la teoria AVO in Europa un’UM dovrebbe essere accompagnata da un certo grado di centralizzazione dei
bilanci nazionali.
La centralizzazione permette trasferimenti automatici ai paesi colpiti da shock negativi e consente di consolidare parte
dei debiti pubblici nazionali.
Essendo l’UEM realizzata senza un bilancio centrale è necessario capire come vadano gestite le politiche di bilancio
nazionali. Il problema si accosta in due modi:
- Basato sulla teoria AVO, suggerisce che le autorità fiscali nazionali dovrebbero conservare un grado
sufficiente di flessibilità e autonomia.
- Riflesso dal Trattato di Maastricht e dal PSC, suggerisce che le politiche di bilancio dovranno essere
disciplinate da norme esplicite sull’entità dei disavanzi dei bilanci nazionali.
Gli argomenti favorevoli all’imposizione di norme quantitative sull’entità dei disavanzi non sono convincenti. Ci sono
pochi elementi per asserire che possano farsi rispettare tali regole.
Il diverso accesso al finanziamento in seguito all’adesione all’UEM irrigidisce il vincolo di bilancio e riduce gli
incentivi a gestire ampi disavanzi.
Il timore che le autorità nazionali siano meno disciplinate non sembra fondato e sembra che i mercati siano meno
tolleranti con i paesi membri di un’UM. → i membri di un’UM sono puniti più prontamente dai mercati.
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Sommario
Implicazioni per le politiche di bilancio nelle UM della teoria AVO (Kenen): ........................................................ 2
SOSTENIBILITÀ DEI DISAVANZI PUBBLICI............................................................................................................ 2
ARGOMENTI A FAVORE DELL’ISTITUZIONE DI UN QUADRO NORMATIVO SUI DISAVANZI PUBBLICI 4
1. efficienza dei mercati dei capitali privati .............................................................................................................. 5
2. applicazione delle regole di politica di bilancio .................................................................................................... 5
DISCIPLINA DI BILANCIO NELLE UM ...................................................................................................................... 6
1. fattore che riduce la disciplina di bilancio ............................................................................................................ 6
2. fattore che accresce la disciplina di bilancio ......................................................................................................... 6
RISCHIO DI INADEMPIENZA E SALVATAGGIO IN UN’UM.................................................................................. 7
PATTO DI STABILITÀ E CRESCITA: UNA VALUTAZIONE ................................................................................... 8
EMISSIONE CONGIUNTA DI TITOLI DI STATO ...................................................................................................... 9
Conclusioni ..................................................................................................................................................................... 10