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il ViANdANTE

UNA collANA pER C�i AMA ANdARE iN CERCA


Karlheinz Deschner

Storia criminale
del Cristianesimo

tomo IV: L'alto Medioevo


Da re Clodoveo I (circa 500) fino alla
morte di Carlo "Magno" (814)

a cura di
Carlo Pauer Modesti
T raduzi one dal tedesco di Costante Mulas

© 2003
E dizi oni A ri ele- Mi l ano

P rima edizi one: Gennai o 2003

Titolo originale
Karlheinz Deschner
Kriminalgeschichte des Ch ristentums
Vierter Band: Friihmittelalter
Von Konig Chlodwig l. (um 500) bis zum Tode Karls «des Groften» (814)
Copyright © 1 994 by Rowohlt Verlag Gmbh - Reinbek bei Hamburg

Stampa:
Galli Thierry stampa - Milano

ISBN
88-86480-67-9
Chi unque si a la persona chi amata a reggere la "cattedra di San Pi etro" ,
i l V ati cano sarà sempre i l naturale alleato delle forz e poli ti che reazi ona­
ri e; dalle quali sa di potere faci lmente ottenere i pri vi legi necessari per
espandere non il regno di Gesù, ma il regno dei gesui ti su tutto il mondo.
Ern esto Rossi , Nuove pagine anticlericali, p. 107 , Mi lano, 2002

Il prete è la personi fi c azi one della menz ogna. Il menti tore è l adro . Il
l adro è assassi no , e potrei trovare al prete una seri e di altri i nfami
corollari.
Gi useppe Gari baldi , Memorie ( prefazi one)

D urante l' ulti mo secolo la Chi esa cattoli ca ha i mparato sempre megli o
l' arte di eserci tare i l potere attraverso gli uomi ni che si chi amano "lai ci"
soltanto perché- come di ceva S alvemi ni - « non portano l a sottana attor­
no alle gambe» : arte i n cui era già maestra nel medi oevo, quando con­
dannava gli ereti ci , ma non si macchi ava mai col loro sangue, lasci ando
al "bracci o secolare" il compi to di farli mori re sul rogo. I l "potere i n­
di retto" consente alla S anta sede di raggi ungere pi ù faci l mente tutti gli
obi etti vi che essa si propone, senz a assumerne di rettamente la responsa­
bi li tà.
Ernesto Rossi , Nuove pagine anticlericali, p. 447, Mi lano, 2002

«Ché, méttetelo i n testa, che er pretacci o


È stato sempre lui , sempre lo stesso.
E r prete? è stato sempre quell' omacci o
Ni mi co d e la patri a e der progresso».
Cesare P ascarella, La scoperta dell'America, 1893
Dedicato soprattutto ai miei amici Alfred Schwarz e Herbert Steffen, e a tutti quelli
il cui aiuto disinteressato, oltre a quello assiduo dei miei genitori,
con gratitudine ho sperimentato:

Wi lhelm A dler Volker Mack


P rof. D r. Hans Albert D r. Jo rg Mager
L ore Al bert P rof. D r. H. M .
Kl aus A ntes Nelly Moi a
E l se A rnold F ri tz Moser
Josef Becker Regi ne P aulus
Karl B eerscht A rthur und Gi sela Reeg
D r. Wol fgang Beuti n Hi ldegunde Rehle
D r. O tto Bi c kel M. Renard
D r. Di eter Bi rnbacher German Rii del
D r. E leonore Kottj e-Bi rnbacher D r. K . Rii ghei mer und Frau Johanna
Kurt Bi rr Hei nz Ruppel und Frau Renate
D r. O tmar Ei nw ag M artha S achse
D r. Karl Fi nke Hedwi g und Wi lly S chaaf
F ranz Fi scher F ri edrich Schei be
Klii re Fi scher-V ogel E lse und Sepp Schmi dt
Henry Gelhausen D r. Werner Schmi tz
D r. Helmut HiiuBi er Norbert Schnei der
P rof. D r. D r. Norbert Hoerster A l fred Schw arz
P rof. D r. Wal ter Hofmann D r. Gustav Seehuber
D r. S tefan Kager und Frau L ena D r. Mi chael Stahi-Bau mei ster
Hans Kal veram Herbert S teffen
Karl Kami nski und F rau Prof. Dr. Dr. D r. h.c.Wolfgang Stegmii ller
D r. Hedwi g Katz enberger A lmut e Walter Stumpf
D r. Klaus Katzenberger A rtur Uecker
Hi lde e Lothar Kayser D r. Bernd Umlauf
P rof. D r. Chri stof Kell mann Helmut Wei land
D r. Hartmut Kli emt Klaus Wessely
D r. Fri tz Ko ble Ri chard Wi ld
Hans Koch L othar Wi l li u s
Hans Krei l D r. El sbeth Wolffhei m
Ine e E rnst Kreuder P rof. D r. Hans Wolffhei m
Eduard Kii sters Franz Zi tzlsperger
Robert Miichler D r. Ludwi g Zolli tsch
Jii rgen Mack
Indice

- P refaz ione a l l ' ediz ione i taliana ............................................................................................ x i


- B ibliografia i n lingu a italiana ............................................................................................ x v i
- Notiz ie su l l ' autore e su a bibli ografi a ............................................................ .................. xx i i
- Nota all ' ediz ione italiana .......................................................................... ...................... . xx i v

Storia criminale del Cristianesimo - tomo IV


- PROSPETTO PRELIMINARE ............................................................................................................ l
Da sudditi c o n v i n t i a dominatori persuasi, 3 - Note, I O

- CAPITOLO 1.: L' introduz ione del Cri stianesimo fra i Germani ........................................... I l
La d i ffusione del Cristianesimo i n Occidente, 1 2 - Motivi e modi d i c o nversione, 1 3 - Gesù Cristo
diventa u n guerriero germanico ovvero d e l l a "Presa s u l l a Vita", 1 5 - S otterfugi apologetic i , 1 7 -

L'antico fardel lo, 1 8 - "Distruzione d i mostrativa . . . ", 20 - Note, 25

- CAPITOLO n.: Clodoveo, fondatore del Regno F ranco .


.............. ................................... .. . ... 29
L'origine dei Merov i n g i , 30 - La rapi d i s s i m a ascesa d i u n bandito d i stato, 3 1 - Un grande bagno d i
s a n g u e e l a pri m a d a t a del l a storia d e l l a chiesa tedesca, 3 3 - Re C l odoveo e due "Santi d i Dio", 3 5 -
La guerra di C l odoveo contro i B urgundi ( 5 00) - "La fortuna del regno" e un S anto Traditore d e l l a
Patria, 3 8 - I Visigoti, 4 1 - La guerra contro i Visigoti , 43 - Dobbiamo l i berarci dalla valutazione
mora l i stica della storia?, 47 - Note, 49

- CAPITOLO m.: I fig l i d i Clodoveo ......................................................................................... 53


Suddivisione del regno e sollevazione deg l i A l verni, 54 - La guerra contro i B urgu n d i del 5 2 3/524 -
sollecitata da u n a Santa e condotta contro un Santo e Assassino, 55 - "Meglio morto che tonsurato . . ."
U n a Santa i mpartisce l'ordine di ucc idere suo n i pote, 58 - La distruzione del regn o di Turingia e l o
sterm i n i o del l a casa reale, 5 9 - A l tre g uerre contro G o t i e B u rg u n d i , 6 1 - Teodeberto I : "Magnus",
"Religiosus", "Christianus Pri nceps", " U n a sorta d i c u l m i ne", 63 - Re e Pap i : assass i n i , 65 - Note,
68

- CAPITOLO IV.: L ' i nvasione dei L ongobardi .......................................................................... 71


L'i nvasione, 7 3 - C o l l aborazione e zelo m i ssionario, 7 5 - Note, 7 7

- CAPITOLO v.: I Merovingi posteriori .......... . . . ............ . ...... ... . .


................. ............. .................. 79
I n i poti di Cl odoveo, 80 - " . . . degne di Messalina e di Agrippina", 82 - C h i l perico I: campagne
m i l i tari e inni re l i g i o s i , 8 3 - Pre l ati e alta nobiltà si accalcano per raggiungere i l potere , 8 5 - La
rivolta d i G u n dowald e i vescovi transfu g h i , 87 - Re G u ntram dà prova del l a sua santità, 89 -
I nvocazioni ponitificie di guerra, 9 1 -Note, 9 3

- CAPITOLO VI.: I V i sigoti diventano cattolici . . . . . . . .


.... ... .... ... ........... .... .... ......... . ........... .. .
.. .... . 97
La fo ndazione del regno dei Visigoti i n Spagna, 98 - La c attol i c i zzazione degl i S vevi, 99 - L' ariano
Leov igildo e l ' opposizione cattolica, 1 00 - U n ribe l l e e traditore diventa Santo , 1 0 1 - " . . . acceso dal
fervore della fede" ov vero "Non diventerò mai cattolico", 1 03 - Note, 1 07

- CAPITOLO vn.: P apa Gregorio I (590-604 ) . . .. .. . ..... . ... .. . .. ........ . ... .. . . ....... . . .. ..... . . . .. . .... .. . . ... .. . 109
Fuggitivo dal mondo e c arrierista, 1 1 0 - La controversi a s u l titolo c o l "digiunatore", la "ricerca
della propria g l oria", 1 1 3 - N e l l a "pol vere d i u n'occupazione terrena", 1 1 5 - L'uomo del l a doppia
mora l e , 1 1 6 - Non pensarla come l a maggioranza . . . u n del i tto quasi degno della pena capitale", 1 1 9
- G i u sto e affettuoso verso g l i Ebre i ? , 1 23 - Affari prima d e l l a fi n e del mondo, ovvero d e l l a "Pro­
prietà dei poveri". 1 25 - G l i schiavi servono, ma s i logorano come il bestiame ov vero "La d i versità
delle c l assi", 1 27 - A volte con l'i mperatore, a volte contro d i lui, 1 29 - Il S anto Padre c o n s i g l i a g l i
attacchi a l l e spal l e , l a pre s a d'ostaggi e i l saccheggi o , 1 3 2 - P a p a Gregorio festeggia l'assas s i n i o
dell'imperatore, 1 34 - H a i n i zio i n I n g h i lterra l a propaganda pontificia, 1 3 7 - Spregiatore del l a
c u l tura e profeta d e l l a fi n e d e l mondo, 140 - D i buoi, d i a s i n i e d e l Commentario gregori ano d i
G i obbe, 1 43 - A n c h e l e m a s s i m e sciocchezze d e i Grandi guardano "al futuro", 1 45 - Rel iqu ie, ovve­
ro spararle gros se, 1 49 - Note, 1 5 3

- CAPITOLO vm.: B runechi lde, Clotari o Il e D agoberto I,


ovvero "la cri sti anizz azi one del concetto di monarchi a" .
.......... . . .............. . . . . . ............... 159
Papa Gregorio I corteggia " u n selvaggio animale politico", 1 60 - La fi ne di B ru nech i l de e il primo
apice della cristiani zzazione del concetto d i monarc h i a , 1 62 - I l Santo traditore d i Metz, 1 65 - "An­
goscia e terrore". e preci continue sotto Dagoberto I , 166 - "Missionamento e massacro, 1 68 - Note,
1 70

- CAPITOLO IX.: L a chi esa nell'età merovi ngi a . ....... . .......... ............. . . . . . . .......... . . . . . . . . . ... . . . . . ... 173
U n a specie di escrescenza c a ncerosa, 1 74- Ignorante, criminale e buon cattol ico, 1 76 - Due celebri
esemplari, 1 79 - Leccapiedi avidi d i potere, ovvero "Essi sono protagon isti . . .". 1 80 - "Tron o e A l ta-
re, 1 8 2 - " . . . i n teressi piuttosto materiali d e l l a Chiesa d'epoca merov ingia"?, 185 - " . . . un l i v e l l o
i nfi mo", " . . . u n l i v e l l o barbarico", 1 88 - B reve rassegna d i uom i n i d i Dio, 1 91 - R i v o l t a n e l conven-
to d i monache, 1 93 - " ... e s i recarono a Marsiglia" o vvero: senza i l G iudeo il Cristiano resta sano,
1 95- Note, 1 96

- CAPITOLO x.: L' ascesa dei Caroli ngi ................ ........................................... ....................... 201
S a n g u i noso pre l u d i o col vescovo C u n iberto, con Grimoaldo, fig l i o d i Pipino il Vecchio, e con s.
S igeberto, 202 - . . . e molte cose devote, 204 - Santa B altilde a mmazza nove vescov i , 205 - Ebroino
e Leodegaro, anticri sto e successore d i Cristo, 207 - Pipino I I , "che sempre s'avventava i m mediata­
mente sui n e m i c i . .. " , 210- Il m i s s i onamento armato presso i Fri s o n i , 2 1 2 - Carlo M arte l l o : "con
abbondante sparg imento d i sangue" e "con l'aiuto d i Dio", 2 1 4- L'irruzione dell'lslam, 2 1 6 - Note,
220

- CAPITOLO XI.: San Boni faci o, !"' apostolo dei Tedeschi" e di Roma ............................... 223
Li berazione da "ogni s u d i c i u me" in A s s i a , Turingia e S assonia - e un po' di sparg i mento di sangue,
224 - Stalloni n i trenti, sante monache e u n "affare tanto vantaggioso", 227 - Nasce " i l covo dei
preti " , 229- L'i n izio della fi ne degli A g i l u l fi d i , ovvero: l a B aviera fi n i sce nella rete d i Roma, 230 -
"Cari ssimo, continua la tua battagl i a . . . ". 2 3 2 - Guerra sanguinosa per il possesso d e l l a Bavi era e
stratagem m i papal i n i , 2 3 6 - Note, 240

- CAPITOLO XII.: La ri belli one del papato e la lotta i conoclasta .............. . . ....... .................. 243
La Ch iesa maledice un Papa, 244 - Roma si ribe l l a a B isanzio, 247 - Roghi di l i bri e battag l i e : la
catto l i c i zzazione dei Longobard i , 25 1 - I n i zio d e l l a lotta iconoclasta, 2 5 3 - "Fal l i sce u n a rivoluzio­
ne papale, 256 - Note, 260

- CAPITOLO xm.: La nasci ta dello S tato della Chi esa; tra guerre e rapi ne .
............ ........... 263
Acrobazie papal i n e fra B i sanzio, Longobardi e Fra n c h i , 264 - Il logorroico Zaccaria persuade a
forza di c h i ac c h iere i Longobard i , 266 - I l massac ro deg l i S v e v i perpetrato da Carlomanno e
l'epi scopato di Costanza, 268 - Pipino I I I . " U n buon cristiano" e " u n grande soldato", 269 - "L'atto
p i ù gravido d i c o nseguenze d i tutto il Medioevo". 27 1 - Aperta v i olazione del d iritto e scissione da
B i sanzio, 2 7 3 - C u l to e tru c c h i con s. Pietro, 276 - L'u s u rpatore unto dal papa e sovrano "per grazia
d i Dio" combatte due guerre i n nome del pontefice, 2 7 7 - Note, 28 1
- CAPITOLO xiv.: L a "Donaz ione di Costantino" .. . ... . . . ....... . . . . .... ......... ........ ......................... 285
II M e d i oevo catto l i c o : l'Eldorado d e l l e fal s i fi c a z i o n i c l erical i , 286 - A l c u n i esempi di sacre
fal s i ficazioni d i atti conc i l i ari , rel i q u i e e v i te d i Santi, 288 - Esempi d i fal s i ficazioni episcopali
operate soprattutto per ragioni patri m o n i a l i e politiche, 290 - Nascita e significato della "Donazione
d i Costantino", 294 - La scoperta del l a fal s i ficazione, 297 - Note, 299

- CAPITOLO xv.: Carlo l, cosiddetto "Magno" , e i pontefi c i ............................................... 30 l


Eccessi cri m i n a l i a l l a corte pontificia durante i mutamenti di potere n e l Regno dei Franch i , 302 -
S tefano I I I i n c i ta a u n a n u ova guerra c o ntro i Longobard i , 305 - L'i l l egittima monarch i a di Carlo e
l'inizio della g uerra a favore del pontefice, 309 - La cupidigia di Adriano e l'occupazione brigantesca
del regn o Iongobardo da parte di Carlo predone, 3 1 3 - Abbastanza non è mai abbastanza, 3 1 7 - " . . .
inviate subito u n esercito": papa Adriano istiga Carlo contro B enevento, 3 1 9 - U n ( falso) martirio e
u n a (quasi autentica) i ncoronazione imperiale, 3 2 2 - Note, 326

- CAPITOLO xvi.: Carlo "Magno" e le sue guerre ... .............................................................. 329


I I sangui noso " m i s sionamento" dei Sassoni ( 7 72-804 ) , 330 - Depredare e cristiani zzare : " u n tratto
d i politica govermitiva dei Franchi", 3 3 1 - Esordio d e l l a c u l tu ra caro l i n g i a presso gli "Arcipagani"
ovvero "Tra i Sassoni con i vessi l l i c ristiani", 3 3 3 - M i s s ionamento oltre " l e l i nee m i litari d'attac­
co . . . " , 335 - La batosta spagnola, ovvero "Ora cominciano l e Crociate", 337 - Il massacratore dei
Sasson i , " U n paio d i zeri d i troppo" e "La semplice serenità d i un'an i m a grande . . . " , 3 38- "Ovunque
fu a l l ora pace . . . " , 341 - Le u l t i m e rivolte, guerra d i sterm i n i o ... e " l a sere n a al tezza del pastorale",
343 - Le leggi sangui narie di Carlo, 345- La spoliazione e l o sterm i n i o degi Avari ( 7 9 1 -803 ) , 346 -
Carlo e l i m i n a senza tanti scrupoli il duca Tassi ione, 347 - U n a esplicita G uerra S anta, 349 - Ancora
una volta u n a Chiesa profi ttatrice d i guerra, 3 5 3 - I n i z i a la s i stematica offensiva contro g l i S l av i ,
3 5 5 - I nsieme n e l d e l i tto - insieme n e l l a santità, 3 5 7 - Note, 3 6 3

- Bi bliografi a secondaria ........ ...... ............ . . . ... . .. ................................ ................................... 369


- Abbreviaz ioni ............. ............................................... ............. ..... . . . . . . .......... . .. . . .... . . . .. . . . . .... . . 389
- Indice dei nomi ..... .................. ............. ................. ............ .................................. ........ ...... . . . 391
PREFAZIO NE ALL'EDIZIO NE I TALI ANA
di Carlo Pauer Modesti

LXXX. Il Romano Pontefice può e deve riconciliarsi e venire a composizione col


progresso, col liberalismo e con la moderna civiltà.

In questo passo finale del Sillabo, che elencava come false le affermazioni in esso
contenute, c'è, qualora fosse ancora necessario sottolinear/o, l'aspetto più inquietan­
te della attuale condizione della chiesa cattolica e, più in particolare, de/ lungo ponti­
ficato di Giovanni Paolo Il.
Muovendo dal "senso comune", senza dunque penetrare nella complessa elabora­
zione storica e teologica che lo sottende, è chiaramente autoevidente l ' assoluto rove­
sciamento di questa affermazione. Essa è vera e accettata fin nelle sue quotidiane ap­
plicazioni . Il "senso comune" ci obbliga infatti alle domande più ingenue, quali ad
esempio: la moderna civiltà non ha forse prodotto una scienza, contro i disegni del
Vaticano, che consentì ai fratelli Wright di sperimentare il volo dell ' aeroplano, il mez­
zo preferito dal Papa? E la televisione? Ma ancora: dato per morto più volte, di quale
scienza medica si serve l ' attuale erede del trono di Pietro, ancora in vita se pure affetto
da gravissimi disturbi neurologici, tali da rendergli sempre più difficile la deambulazione
e l ' articolazione della parola? Che studi hanno compiuto i chirurghi, gli anestesisti, gli
ematologi e in generale gli specialisti che hanno estratto la pallottola sparata da Alì
Agca quel 13 maggio 1 98 1 ?
E infine, solo per rimanere nell ' ambito dell ' esempio "banale" : l ' inversione di rotta
operata con il documento di "riconciliazione", nel quale la chiesa chiedeva "perdono"
per 20 secoli di violenze, non è forse l ' inevitabile accettazione di quel vituperato
liberalismo che ha tentato di fissare (con infinite, ma mondane, contraddizioni) le basi
per un discorso attorno alla possibilità di definire i diritti umani?
È, grazie alle moderne tecniche di comunicazione, ben noto che l ' autore del Sillabo,
Pio IX, è stato elevato all' onore degli altari proprio da Wojtyla, il più beneficiato, tra i
papi del '900, dal progresso scientifico (nulla poté, ad esempio, il chirurgo Valdoni
contro il cancro di papa Roncalli, pur provenendo dal successo sulle pallottole di Togliatti).
Il vescovo di Roma è, semplicemente perché ha scavalcato il XX0 secolo, totalmente
coinvolto da quella modernità negata nel documento del pontefice marchigiano, unico
nella storia ad aver i mposto tre dogmi di fede: l ' immacolata concezione (dal 1 854 la
madre di Cristo sarebbe immune dal peccato originale), il primato petrino (vincolo
giurisdizionale tra il papa e ogni cristiano, cioè: extra ecclesiam nulla salus) e l ' infalli­
bilità (le decisioni ex cathedra prese dal papa sono infallibili in sé e irreforrnabili),
questi ultimi addì 1 8 luglio 1 870, a due mesi dalla fine dello Stato della chiesa.
Il potere della chiesa cattolica, in defi nitiva, sta tutto nella capacità di elaborare una
prassi (e una classe) politica perfettamente adeguata ad organizzare, nel più delicato e
xii Prefazione

surreale degli equilibri, le incredibili contraddizioni in cui, per grazia ricevuta, precipi­
ta quotidianamente. Più volte (nelle introduzioni ai volumi precedenti del l ' opera di
Deschner) abbiamo sottolineato questo nodo gordiano. Richiamare ora la questione è
assai istruttivo per comprendere quanto, nel dibattito sulle radici cristiane del l ' Europa
sviluppatosi attorno alla definizione della futura costituzione del l ' UE, sia in gioco la
duratura sopravvivenza del cattolicesimo nel vecchio continente.
La prima domanda alla quale si deve rispondere è come sia possibile, alla luce di
quanto sommariamente descritto poco sopra, svolazzare da un continente all ' altro, a
bordo di un Boeing 747, senza imbarazzo alcuno, dopo aver sostenuto che il telescopio
di Galilei, in virtù della conoscenza biblica, null ' altro fosse che uno strumento del
demonio. Ad una semplice domanda, una semplice risposta: si può solo avendo costan­
temente il polso dell ' ignoranza, affinché se ne possa definire il paradigma operando
attraverso una costante azione sociale e culturale. Per capire meglio possiamo ricorda­
re il caso del giovane prete, don Vitaliano Della Sala, sospeso a divinis (rimosso dal­
l ' incarico di parroco nel novembre 2002) per ordine del suo vescovo. Don Vitaliano,
ufficialmente, è accusato di "estremismo" per le sue frequentazioni con la sinistra co­
siddetta no-global, in special modo richiamando la sua sovraesposizione mediatica
durante il Gay Pride di Roma (giugno 2000) e il G8 di Genova (luglio 200 l ) . Mosse del
genere, nello scacchiere politico contemporaneo sono, per la chiesa, assai rischiose;
perciò, in considerazione del fatto che le posizioni di un Alex Zanotelli, il missionario
comboniano in Kenya, sono, da un punto di vista teologico, di gran lunga più "estre­
me" di quelle del prete campano, viene da chiedersi perché don Vitaliano sia stato
oggetto di tanta attenzione e padre Zanotelli, al contrario, goda di ampi margini d' auto­
nomia. Molto significativo è il contesto entro cui circoscrivere g l i effetti del la
"predicazione" dei due sacerdoti. Il giovane della Sala, accerchiato da un complesso
insieme di produzioni teoriche (sintetizzate ambiguamente dallo slogan un altro mon­
do è possibile), è stato cinicamente individuato come agente più utile all' altrui causa
politica, piuttosto che alla propria. La sua azione, nel senso della propaganda fide, è
stata giudicata irrimediabilmente controproducente e per questo, pagando le autorità
episcopali un alto costo in termini di "immagine", don Vitaliano è stato posto
nel l ' interzona, dopo ripetuti richiami, della sospensione dal magistero parrocchiale. La
presenza reale, in mille forme organizzative, dei teorici del l ' altro mondo possibile, il
loro attivismo in un momento di straordinario fermento ideale, qual è quello attuale, ha
letteralmente risucchiato al suo interno l ' incauto, ingenuo e inesperto parroco di San­
t' Angelo a Scala: prima che parroco egli è percepito quale "comunista" (ovunque egli
è apparso come "il prete dei no-global", "l' amico dei disobbedienti"). Un rovescia­
mento inaccettabile, analogo a quello di don Milani seppure diversissimo nello spesso­
re culturale, evidentemente in linea con il bipolarismo politico, di cui vittima illustre è
stata la Democrazia Cristiana e le relative opzioni politiche deflagrate dopo il suo col­
lasso. La fine della DC ha generato l ' assenza di un territorio vastissi mo, ma di "cen-
Prefazione xiii

tro", al cui interno era possibile contenere i cattolicesimi più distanti e dunque, per le
posizioni marginali, è oggi molto più facile slittare al di fuori dei limiti posti dalla
duttile ortodossia di cui si diceva all' inizio.
Il caso del missionario, legato, se possibile, ancor più contraddittoriamente all ' uni­
verso "no-global", è emblematico e per niente assurdo. Egli è solo in terra straniera e
l ' assenza di alternative alla sua missione in Kenya, tranquillizza le gerarchie poiché gli
slittamenti verso "sinistra" a sinistra hanno i l vuoto, risultando così la sua azione, entro
i suddetti limiti, vera e propria conquista, in perfetta sintonia con il senso dell ' attività
missionaria. La morale di riferimento in questo caso è confermata muovendo nel ciclo
della rilproduzione, mentre per Della Sala si è calcolato che vi fosse una contro/produ­
zione. Su questo sottile scarto si può, dunque, stabilire la buona fede o meno di un frate
come Zanotelli. Fino a quando egli è ancora percepito come appendice flessibile adatta
a sorvegliare il polso dell ' ignoranza, non vi saranno rischi di rimozione dali' incarico.
È ora necessario tentare di chiarire meglio il termine ignoranza nel l ' economia di que­
ste osservazioni.
Avendo scelto, per brevità di presentazione di questo volume, i l registro del "senso
comune", diremo sinteticamente che, nel caso del missionario, il paradigma di riferi­
mento, etico ed estetico, è osservato, al contrario del parroco irpino. Il feedback morale
e linguistico del l ' attività politica del comboniano, molto raffinata perché apparente­
mente critica verso le gerarchie, è invece del tutto interno alla logica cattolica, meglio
ancora: ne costituisce l ' essenza in virtù della peculiarità missionaria, vero e spietato
arco di volta del programma di evangelizzazione universale perseguito dal cattolicesi­
mo.
Ignoranza è, innanzitutto, non-conoscenza, con il significato della negazione di
disarticolazione critica . La morale cattolica fonda la sua potenza sul carattere
assiomatico di un' ignoranza costitutiva dell ' essere umano, eterno bambino mai com­
pletamente capace di conoscere e scegliere, dunque sempre bisognoso di un Padre (e
una Madre). Un padre santo e infallibile. Il problema allora, considerato che la morte
limita oggettivamente la conoscenza e rende l ' essere limitato, è nel padre: egli si è
autoproclamato vicario di quel Cristo che avrebbe definito, una volta per tutte, cosa è
bene per l ' umanità ("sconfiggendo" la morte). Tale padre vicario è perciò un' autorità
assoluta e la verità che proclama è definitiva, le altre (quelle raggiunte nel limite uma­
no) sono pallide, sbiadite, sfocate imitazioni. Perpetuare con ogni mezzo questo
paradigma, con luciferina lucidità, significa avere costantemente "il polso della situa­
zione", essere il più possibile presente nella definizione dei poteri che organizzano
l ' agire umano. Prima "virtù" cattolica è dunque l ' obbedienza, la sottomissione, in una
parola l ' ignoranza. Termine da intendersi nel senso di conoscenza comunque limitata,
non già dal l ' accettazione di quella oggettiva mortalità di cui si diceva, bensì da una
soggettiva, per quanto assai complessa, rappresentazione della conoscenza stessa. La
violenza, anzi la Violenza, sta tutta nel programmatico sfruttamento della percezione,
xiv Prefazione

da parte di quest' umanità bambina, di ciò che è soggettivo come oggettivo e la "casset­
ta degli attrezzi" contiene menzogne, silenzi colpevoli, falsificazioni, censure, quando
oggetto di attenzione è il popolo cristiano; altrimenti, quando è il Potere ad entrare in
gioco, lo strumento è la rielaborazione dell ' apparato ideologico attraverso una conti­
nua ridefinizione ermeneutica in bilico tra scrittura e tradizione, che potremmo defini­
re teologia evolutiva.
Ignoranza, ossia mantenimento nella condizione di minorità che per Kant è "l' inca­
pacità di servirsi del proprio intelletto senza la guida di un altro", è dunque garantirsi
un durevole e quanto più possibile privilegiato accesso negli ambiti più diversi della
cultura e della società, con particolare attenzione ai luoghi della formazione degli indi­
vidui. Così, appare ovvio l ' interesse ossessivo per la famiglia e l ' educazione, violenta­
te con il grimaldello della sessualità, ultimo bastione difensivo di quest' armata delle
tenebre.
Nell ' attuale panorama etico, ovvero la crisi del paradigma postmoderno, letto con la
banale lente del collasso dei valori, la chiesa cattolica, ma ancor più il suo pontefice, ha
creduto di rintracciare (probabilmente con una parte di ragione) un terreno fertile su
cui gettare il seme del proprio rilancio, all ' indomani di una lunga e quasi fatale stagio­
ne di decadenza (più o meno dal dopoguerra alla fine degli anni ' 70, negli esiti, e a
partire dal XVIIl secolo, nelle premesse). Luogo strategico, per quel che concerne il
ruolo del Vaticano in occidente, è come si detto la futura costituzione del l ' Unione Eu­
ropea. Di qui, una motivazione in più per leggere questo quarto volume della Storia
criminale del cristianesimo.
Nelle pagine che seguono l ' autore apre il confronto con l ' epoca medievale, di cui il
periodo compreso pressappoco tra V e IX secolo costituisce la fase detta del l ' alto Me­
dioevo. Lasciando alla curiosità del lettore la scoperta del racconto proposto da Deschner,
diremo soltanto che durante questo snodo cronologico prende nitidamente forma il
cattolicesimo come noi lo conosciamo. Il teologo Hans Kung, nel suo Cristianesimo.
Essenza e storia (Milano, 1 997), scrive: "Si i mponeva così lentamente in Occidente
l ' equazione ecumenicamente fatale: cristiano cattol ico romano, un ulteriore passo
= =

decisivo sulla via della formazione di quello che noi chiamiamo il paradigma cattolico­
romano del cristianesimo. Così nell' VIII/IX secolo veniva fondata, non l ' unità, ma la
frattura del l ' Europa" (p.355). Essenza del processo si deve ritenere "il movimento cul­
turale che è stato chiamato Rinascita carolingia" (Le Goff), al cui centro di comando
troneggia Carlo Magno, protagonista con la sua spada della crescente espansione della
cristianità, quando "mai il compelle intrare si era manifestato con tanta forza come
nelle guerre contro i Sassoni (772-782): massacri e distruzioni, battesimi obbligatori,
traumi psicologici a colpi di miracoli, legislazione che puniva con la pena di morte gli
atti di ostilità contro le chiese, i chierici, i l cristianesimo" (Le Goff). È a questo punto
che il battesimo, definito chiaramente nei suoi caratteri formali e rituali , si introduce
nella società, "la quale nel corso del IX secolo prenderà il nome di cristianità" (Le
Prefazione xv

Goff). Appare ora evidente, evitando di addentrarci troppo oltre nella suggestione
storiografica, che l ' epoca in questione, con le enormi differenze che la sottendono,
mostri dei tratti interessanti sia dal punto di vista della strutturazione teorica (che si
consoliderà definitivamente con l ' opera di Tommaso su cui ancora oggi si ancora un
documento come l ' enciclica Fides et ratio), sia da quello socioculturale (nascono scuole,
università, la scrittura carolina), ed anche da quello legislativo. In quest' ultimo caso
l ' analogia è forte, e per quanto Kung parli di "frattura dell ' Europa" (essendo un teolo­
go cattolico si dispiace del l ' inevitabile scisma con la chiesa orientale), il quadro politi­
co del Sacro romano impero, in termini di relazioni tra poteri, richiama, proprio nel
riferimento alle radici cristiane d' Europa, quella volontà diacronica del cattolicesimo
di i nserire nell ' architettura costituzionale oggi, in quella feudale ieri, il proprio
paradigma, con il preciso scopo di riservarsi ampi e crescenti margini di autonomia,
funzionali alla perpetuazione di quell'ignoranza nella definizione che qui abbiamo
sommariamente tracciato. Nel caso del l ' alto Medioevo, affrontato in questo e nel suc­
cessivo volume, ci troviamo davanti alla fondazione di questo sistema, mentre nel l ' at­
tuale quadro delineato dalle prossime decisioni di Bruxelles, siamo di fronte al tentati­
vo, verrebbe da dire l ' ultimo, di quella che potremmo, non senza amara ironia, sinteti­
cament� definire ratifica europea della donazione di Costantino.

Roma, 1 7 febbraio 2003

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B I B LIO GRAFI A IN LIN GUA I TALI AN A

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xxii

NOTI ZI E SULL' AUTO RE E SUA B I B LIO GRAFI A


Karl H ei nrich Leop old Des chner nacq ue il 23 maggio 1924 a B amberga. Suo p adre Karl ,
guardia fores tale e p is c icoltore, cattolico, era di fami g l i a molto indigente . S u a madre
Margareta Karoline, nata Reis chbo c k , p rotes tante, era cres c i uta nei cas te l l i di s uo p adre in
Franconia e B ass a Baviera, convertendos i i n s eguito al cattolices i mo.
Karlheinz , i l maggi ore d i tre fi g l i , freq u entò l a s c u o l a e l e mentare a Tross e n furt
( S teigerw ald) dal 1929 al 1933 , s tudiando s uccess i vamente nel Seminario frances cano
Dettelbach sul Meno, dove abitò dapp rima come esterno p ress o la famiglia del cons igl iere
sp irituale Leop old Bauman n , suo p adrino di battes i mo e di cres i ma, e p oi nel convento dei
Francescani. Dal 1934 al 1942 freq uentò a B amberga i l Ginnas io V ecchio e i l Nuovo Liceo,
q uale all ievo interno dei Carmelitani e delle s uore di Nos tra Signora degli Ange l i . Nel mar­
z o 1942 sup erò l' esame di maturità. Come tutta la s ua class e, s i arruolò s ubito come volon­
tario e, ferito p i ù volte, res tò al fronte fi no alla cap itolaz ione, da ultimo come p aracaduti­
s ta . I mmatricol ato dapp rima come s tudente di Scienz e forestali al l 'U n i vers ità di Monaco,
nel 1946/47 Des chner seguì lez ioni di diritto, teologia e fi los ofi a alla Facoltà di teologia e
fi los ofia in B amberga. Dal 194 7 al 1951 s tudiò ali ' U n ivers ità di Wii rz burg letteratura tede­
s ca contemp oranea, fi los ofia e s toria, laureandos i nel 1951 dottore in Lettere e fi losofia
(Dr.p hi l . ) con una tes i s u lla "Lirica di Lenau come esp ress ione di disp eraz ione metafis ica".
Dal matrimonio, contratto nel medes i mo anno, con Elfi Tuch, nacq uero tre figli: Katj a ( 1951 ) ,
Bii rbel ( 1958 ) e Thomas ( 1959-1984 ) D a l 1924 al 1964 Des chner ha viss uto i n u n ex cas i­
.

no da cacc ia dei ves covi p rincip i di Wii rz burg a Tretz e ndorf (Steigerw ald), p oi due anni
nella cas a di camp agna di un amico a Fischbrunn (S vizz era d i H ers bruck). Dop o di allora
abita a H aB furt s u l Meno.
Karlhe i nz Des chner ha pubblicato romanz i , critica letteraria, s aggi, aforis m i , ma p i ù di
tutto op ere storiche di critica alla re lig ione e alle chies e . Nel corso degl i anni, inoltre,
Des chner ha p rovocato e affas c i nato il suo p ubblico i n p i ù di duemila conferenz e e p ubblici
dibatti ti.
Nel 1971 fu cos tretto a difenders i in tribunale dali ' imp utaz ione di "oltraggio alle Chies e".
Dal 1970 Des chner lavora alla s ua vastiss ima "Storia criminale del Cris tianes i mo" . Dato
che, p er sp iriti i nq u ieti e i nq uietanti come l u i , non es is tono p os ti remunerat i , i mp ieghi bu­
rocratici, bors e di s tudio, p ens ioni onorarie né fi nanz i amenti p ubbl ici, l ' i ngente lavoro di
ricerca e di elaboraz ione gli è stato p os sibile s oltanto p er i l dis i nteress ato sostegno di alcu­
ni amici e lettori , s op rattutto graz ie al p atrocinio del s uo magnanimo amico e mecenate
Alfred Schw arz , i l q uale p oté fes teggiare l ' us cita del p rimo volume nel s ettembre 1986 , ma
non p oté s alutare q uella del s econdo volume; a lui è s eguito l ' app ogg io dell ' i mp rendi tore
tedes co Herbert S teffe n .
N e l s emestre es tivo 1987 , Des chner h a s volto all' Univers ità di Mii ns ter un s eminario didat­
tico s ul tema "Storia criminale del cris tianes imo". Per il s uo imp egno illuminis tico e per la s ua
op era letteraria Des chner venne ins ignito nel 1988 dop o Koepp en, Wolls chlii ger, Rii hmkorf­
-

del p remio intitolato ad Arno Schmidt. Nel giugno 1993 dop o autori come Walter Jens , Dieter
-

H ildebrandt, Gerhard Zw erenz , Robert Jungk- gli fu conferito il Premio Alternativo Bii chner; e
nel luglio dello stess o anno, a Berlino, fu il p rimo autore tedes co- dop o Sacharov e Dubcek- ad
ess ere ins ignito del p res tigioso I nternational H umanis t Aw ard.
xxiii

L'opera letteraria di Karlheinz Deschner


Pubblicaz ioni in ordine cronologico
1956 Die Nacht s teht um mein H aus
1957 Was halten Sie vom Chris tentum?
1957 Kits ch, Konvention und Kuns t
1958 Florenz ohne Sonne
1962 Abermals krii hte der H ahn [ trad. it: Il gallo cantò ancora, Mass ari 1998]
1964 Talente, Dichter, Di lettanten
1965 Mit Gott und den Fas chis ten
1966 Jes usbilder in theologis cher Sicht
1966 Das Jahrhundert der Barbarei
1968 Wer lehrt an deuts chen Univers itii ten?
1968 Kirche und Fas chis mus
1969 Das Chris tentum im Urteil s ei ner Gegner, B and l
1970 Warum ich aus der Kirche aus getreten bin
1970 Kirche und Kr ieg
1971 Der manipulierte Glaube [ trad. it: La Chiesa che mente, Mass ari 2001]
1971 Das Chris tentum im Urteil s einer Gegner, B and 2
1974 Das Kreuz mit der Kirche [ trad. it: La croce della Chiesa, Mass ari 2000]
1974 Kirche des Un-Heils
1977 Warum ich Chris t/ Atheis t/ Agnos ti ker bin
1981 Ein Paps t reis t zum Tatort
1982 Ein Jahrhundert H eils ges chichte, B and l *
1983 Ein Jahrhundert H eils ges chichte, B and 2 *
1985 Nur Lebendiges s chw immt gegen den St rom
1986 Die beleidigte Kirche
1986 Kr imina1 ges chichte des Chris tentums, Band l [ trad. it: Storia criminale del cristianesi-
mo, tomo I , Arie1 e , Milano 2000]
1987 O pus Diaboli
1988 Kriminalges chichte des Chris tentums , Band 2 [ trad. it: tomo I I , Ariele, Milano 2001]
1989 Dornros chentrii ume und Stallgeruch
1990 Woran ich glaube
1991 Kriminalges chichte des Chris tentums , Band 3 [ trad. it: tomo I I I , Ariele, Milano 2002]
1991 Die Politik der Pii ps te im 20. Jahrhundert
1992 Der Anti- Katechis mus (con H ors t H err mann)
1992 Der Mol och. Zur Amerik anis ierung der Welt
1994 Die V ertreter Gottes
1994 Aergerniss e. Aphoris men
1994 Kr iminalges chichte des Chris tentums , B and 4

* Di q uesti due volumi, di complessi v e 1 3 30 pagine n e l l ' ed i zione tedesca ( p ubbl icata da K ipenheuer
& Witsc h ) , esiste una breve sintesi i n ital i an o , con prefazione dello stesso Desc h ner. Essa si i ntitola:
Con Dio e con il Fiih rer- P i ront i , Napoli, 1 99 7 .
xxiv

1994 Was i ch denke


1995 Weltkri eg der Reli gi onen. Der ewi ge Kreuzz ug auf dem Balkan (con Mi lan Petrovic)
1997 Kri mi nalgeschi chte des Chri stentums, Band 5
1997 O ben ohne
1998 Di e Rhon
1998 Fii r ei nen Bi ssen Flei sch
1999 Kri mi nalgeschi chte des Chri stentums, B and 6
2002 Kri mi nalgeschi chte des Chri stentums, B and 7

Di verse op ere di Karlhei nz Deschner sono p ubblicate i n molte li ngue, tra cui francese, gre­
co, i tali ano, olandese, norvegese, p olacco, russo, serbocroato, sp agnolo. Sono i n p rep arazi one
traduzi oni in altre li ngue.

Nota a l l ' edizi one i tali ana


Anche i n q u e s t o I V t o m o l e N o t e s o n o state poste a l l a fi ne d i ogni c a p i t o l o , a d i fferenza del l ' edizione
tedesca che le raccog lie i n fondo al v o l u m e : questo per rendere più agevole l a consu l tazione del l e
stesse. " B i b l i ografi a secondaria" e "Abbreviazioni" s o n o state mantenute i n fondo al vol u m e, come
nel l ' ed izione tedesca. I t i t o l i completi del l a b i b l i ografia secondaria sono registrati a pag i n a 369 e
seguen t i . I titoli completi d e l l e p i ù i m portanti fonti antiche si trovano nel l ' e lenco delle Abbrev iazioni
a p. 389 e seguen t i . Gli autori d i c u i si è u t i l i zzata u n a sol a opera vengono c i tati n e l l e Note perlopiù
sol o col l oro nome, mentre l e opere rimanenti appaiono con l em m i .
A n c h e i n q u esto q uarto t o m o , c o m e nel terzo, sono stati riportati fuori dai marg i n i ( n e l l e pagi ne
pari come in q u e l l e d ispari ) dei n u meri in grassetto: essi i n d i c ano la corrispondente pag i n a del l ' origi­
nale tedesco, e prec isamente l a fi ne d i detta pag i n a - per c u i , per esempio, i l n u m ero 467, c h e compare
a marg i n e del l a pagi n a italiana 3 38, i n d i c a cha a q u e l l a riga term i n a la pag i n a 467 del l ' edizione tede­
sca , la quale i n i z i a d a l l a riga al c u i marg i n e compare 466. Questa n u merazione a marg i n e serve solo ed
esclusivamente per l a consu ltazione deli"'Indice dei nomi" che, anche nel l ' edizione italiana, mantie­
ne i r i feri menti a l l e pag ine d e l l ' edizione tedesca . Così per esempio, si troverà n e l i"'Indice d e i n o m i " :
Konrad i l Prete ( Ko nrad d i Regensburg), poeta medio-alto-tedesco del X I I secolo: 467, d o v e i l 467
non è riferito a l l a n u merazione italiana d e l l e pag i n e , m a a q u e l l a tedesca. Ora 467 (la pag i n a tedesca)
si trova i n marg i n e a pag. 338 ed ha inizio a l l a riga d i pag. 3 3 7 al c u i marg i n e compare 466: e i n fatti
' Konrad d i Regensburg ' si trova alla riga 1 5 d i pag. 338 i t a l i ana, ed è q u i nd i contenuta nella pag. 467
tedesc a . Tutto questo può sembrare macchi noso, m a è un sistema che si è adottato sia per e v i tare u n a
l u n g h i ssima ricerca n e l trov are l a g i usta pag i n a italiana, sia soprattutto p e r e v i tare errori . Cred iamo
che una volta capito i l meccanismo, l a ricerca dei riferi m e n t i che i nteressano sarà molto rapida.
PROSPETTO PRELIMINARE

"Da lungo temp o il Cri sto aveva volto Io sguardo sui p op oli germanici . . .
Una nuova fioritura della Chiesa si innalzò a l ci elo"
(Il teologo cattolico Leo Rii ger) . 1

"Nemmeno il Medioevo cattoli co fu età d'O scuranti smo' , bensì d' allegria e vitali tà . . .
Traiamo come esemp i dai molti p ossibili i l Lunedì Azzurro,
[ nel Medioevo i ndi cava il Lunedì non lavorativo p recedente la Quaresi ma,
p er il colore azzurro p rescritto dalla liturgia;
oggi si usa p op olarmente p er definire i l gi orno della settimana,
in cui ci si assenta dal lavoro senza un motivo p lausi bi le. (N.d.T. )]
la Festa scolastica dei bambi ni , i l gioco del Vescovo, la festa di Gregorio,
il corteo del Rabdomante, l' assassini o del l ' inverno, i l Martedì Grasso di Carnevale,
la Cattura dei maestri , i l canto del Salve,
l' Asino di legno della Domeni ca delle Palme, le Maschere del corteo di Pentecoste".
"Non crediamo di esagerare, se defini amo l ' azione della chiesa cattolica
durante il Medi oevo uno dei massimi doni e benefici della storia uni versale" .
(Il cattoli co H ans Rost). 2

"In tutte le sue relazioni la vita della cristiani tà medievale è comp enetrata,
anzi del tutto ri colma di concezi oni religi ose.
Non c 'è cosa né azione che non venga sempre p osta in relazione con Cristo e la fede.
Tutto vi ene immagi nato sulla base di una visione religi osa di tutte le cose,
e noi ci troviamo di fronte a una i mmensa manifestazi one di i nti ma fede".
(Johan Huizinga). 3 11
2 Prospetto prelim inare

Le periodizzazioni storiche non sono pre-determinate; non vengono decise da un


luogo "superiore" per poi essere adempiute dal l ' umanità; anzi, la storia dell ' uomo è un
caos inestricabile di storie, e l ' uomo, poi, cerca di porre in un qualche ordine, con
schemi ben visibili, il corso delle tendenze divergenti e confuse. Egli escogita strutture
e cesure; e già il tutto appare espressione intelligibile di forze cogenti , il tutto sembra
come sarebbe dovuto essere e non diversamente, come se unico modello fosse soltanto
l ' i mpero romano, affinché l ' Europa lo potesse ereditare. In realtà tutto ciò, le defini­
zioni e le subordinazioni temporali, questi apparenti punti fissi, queste date basilari ,
queste li nee di evoluzione non sono che il risultato di determinati, o meglio, di indeter­
minati punti di vista, di tentativi precari di orientamento; si tratta di mere costruzioni,
sulle quali si è trovato un accordo sia con "più" elevati contenuti intellettuali sia, an­
che, senza di essi .
L' "alto Medioevo", all ' incirca il tempo intercorso fra il VI e il X secolo, è un' epoca
di volgimenti e ri volgi menti turbolenti, ma anche di radicamenti ulteriori , più
reali sticamente, di assimilazione e di conti nuità; u n ' età di tramonto e di trapasso, di
vecchie eredità e di nuovo cominciamento: la nascita del l ' Occidente, del l ' Europa, del­
la Germania; il legame fra tradizioni antiche, cristiane e germaniche, la separazione di
Bisanzio, della Chiesa orientale e dell' Islam.
13 E non da ultimo, poi, è un periodo, nel quale politica e religione furono inseparabili.
Mutano anche le al leanze dei papi con gli Stati : tuttavia, in qualsiasi modo esse si
volgano e mutino nella storia, Roma cerca sempre di aderire al potentato nel momento
più forte, a Bisanzio, agli Ostrogoti , ai Longobardi, ai Franchi, traendone il massimo
profitto. Per altri punti di vi sta, tutto ciò assume un altro aspetto: Johannes Scherr, uno
studioso ottocentesco della cultura e della letteratura tedesche ancora degno di atten­
zione, scrive addirittura: "Tutte le volte che lo stato si lasciò indurre a un do ut des con
la Chiesa, esso fu la parte perdente". 4
In ogni caso si tratta di un' epoca che guazza più o meno nel sangue; e suona piutto­
sto grottesca l ' esaltazione di Ferdi nand Gregorovius (storiografo pur tanto meritevole
di ammirazione) "delle fresche formazioni della vita nazionale" : "L' Italia fu rinvigori­
ta dai Longobardi, la Gallia dai Franchi , la Spagna dai Vi sigoti e l ' Inghilterra dai
S assoni". Ma una dozzina di pagine prima aveva definito il governo Longobardo "una
delle epoche più terribili della storia d' Italia". Un rinnovamento, dunque, attraverso il
terrore, attraverso un terrore ininterrotto, una continua storia d ' orrore, una storia per­
manente di assassinii, di morte, di guerra, di oppressione e di sfruttamento . . . fino al
giorno d 'oggi. 5
Da sudditi con vinti a dom inatori persuasi 3

DA SUDDITI CONVINTI A DOMINATORI PERSUASI

In un primo momento, già a partire da Gregorio I "il Grande" (morto nel 604 ), i vescovi
romani riconobbero ovviamente, incondizionatamente e del tutto spontaneamente la
supremazia del l ' impero d' Oriente: Bisanzio era una potenza mondiale, che compren­
deva territori strategici del l ' Asia e del l ' Europa, la cui influenza si estendeva dalla Per­
sia all ' Atlantico. E l ' amministrazione ecclesiastica, da sempre appoggiata alla struttu-
ra pol itica dell ' Impero, continuava a orientarsi nel medesimo senso. Il cosiddetto 14
Cesaropapismo, iniziato col primo imperatore cristiano, riguardò sia la chiesa orientale
che quella occidentale. I monarchi, il cui potere veniva considerato promanante da
Dio, fino alla grande migrazione dei popoli comandarono su patriarchi e vescovi, e
tutti dovevano obbedire, compreso naturalmente anche il vescovo di Roma, il quale,
come qualsiasi altro prelato, era sottomesso all ' imperatore. "Né da parte di papi o pa­
triarchi vi fu mai una qualche protesta o resistenza contro l ' ingerenza del potere tem­
porale nelle faccende ecclesiastiche" ; e gli imperatori usavano tale intromissione "in
Occidente e in Oriente senza distinzioni, e le due fazioni della chiesa non trovarono
nulla di male in questo cesaropapismo" (Aiivisatos). Perciò le antiche chiacchiere
apologetiche intorno "alla cattività bizantina" dei papi si di mostrano null ' altro che
pura "insensatezza". I papi furono "sudditi convinti e non servi del l ' impero romano"
(Richards). 6
Il crollo del l ' impero d' Occidente nel 4 76 consolidò il papato, che conobbe una grande
espansione del suo potere e un ampl iamento degli ambiti d ' influenza; così come, in
generale, procedette di pari passo quella de l i ' episcopato.
In principio, per la verità, la fine dell' egemonia romana, il crollo della nobiltà senatori a
e il disfacimento delle strutture ammi nistrative apparvero agli ambienti clericali come
una vera e propria catastrofe, se non altro perché avevano collaborato strettamente con
codesto stato e proprio per questo avevano progressivamente accresciuto la propria
importanza. Tuttavia il suo tramonto non comportò affatto anche quello del cattolicesi­
mo romano; al contrario, quest'ultimo, dopo aver approfittato quasi sempre e ovunque
di qualsiasi sconvolgi mento, non si comportò diversamente neppure in questo caso.
A Roma i templi decaddero, il palazzo i mperiale cadde a pezzi , nei teatri e nelle
grandiose terme si accumulò la polvere; la gramigna invase ogni sito: eppure i preti se
ne servirono. Antichi sedili dei bagni divennero seggi vescovili, splendide vasche d' ala­
bastro e di porfido servirono da battezzatoi o da improbabili contenitori d ' ossa
martirizzate. Marmorei rivestimenti parietali, preziosi pavimenti a mosaico, belle co­
lonne, pietre d ' antiche ville vennero strappati via per adornare le chiese. I templi di­
vennero chiese e la Roma dei Cesari di ventò una città di preti, nella quale dominava 15
l ' elemento religioso (ovvero quel che si riteneva tale); le festività mondane scompar­
vero per dar luogo alle celebrazioni ecclesiastiche; talvolta fu universalmente diffusa
4 Prospetto preliminare

la credenza nella prossima fine del mondo e l ' assalto ai pri vilegi ecclesiastici fu tale
che nel 592 l ' imperatore Maurizio si vide costretto a proibire la fuga dei soldati nei
chiostri, e dei funzionari statali nelle file del clero.
Ciò accadde anche ai più alti livel l i : il potere mondano dei papi, base del futuro
Stato della chiesa, fioò essenzialmente sulle rovine e sulle macerie del l ' impero d ' Oc­
cidente, grazie anche all ' impotenza di Bisanzio e alla sempre crescente bramosia di
potere della curia. Già nel V secolo i vescovi di Roma, presunti successori di Gesù, il
quale pretese che i discepoli viaggiassero senza denaro in scarsella e disse che il suo
regno non era di questo mondo, erano di venuti i massimi lati fondisti del l ' i mpero roma­
no, il cui sfaldamento non faceva che affrettare la loro ascesa sociale, in nome della
quale assorbirono totalmente la decadente struttura amministrativa dello stato. 7
Sotto i Merovingi, all ' inizio dell ' età bizantina, i vescovi esercitarono la propria in­
fluenza anche sulle faccende "mondane" e sulla totalità degli ambiti pubblici, control­
lando attività e funzionari statali, fortificazioni, rifornimento del l ' esercito e addirittura
codeterminando la nomina dei governatori delle province.
Essi volsero a proprio vantaggio qualsiasi sventura, qualsiasi disgrazia fu da loro
sfruttata per il proprio utile, dal crollo dell ' impero romano a quello del regno dei Goti .
Persino dalla disgraziata invasione longobarda riuscirono a trarre un proprio tornacon­
to: prima con l ' aiuto delle armi longobarde presero le distanze da Bisanzio, poi si libe­
rarono dei Longobardi con l ' aiuto dei Franchi ; si trovarono sempre dalla parte dei
banditi di volta in volta egemoni, mediante una strategia parassitaria fino ad allora
sconosciuta nella storia occidentale.
Le pretese pri maziali sui loro pari , gli altri patriarchi, e soprattutto su quelli di
B isanzio, furono perseguite da sempre con i più svariati sofismi e le più sfacciate
falsificazioni (cfr. II, cap. 2). Almeno quali capi della chiesa in Occidente e quali go-
16 vernatori delle "partes Romanae" furono "de facto" relativamente autonomi già nel
VII sec., e nel l ' VIII sec. lo diventarono anche "de jure", benché mediante una pura e
semplice violazione del diritto. È vero che fino al 787 datarono le proprie missive
basandosi sugli anni di regno degli imperatori bizantini, ma già con Gregorio II (7 1 5 -
73 1 ), durante la "rivoluzione romana", il governatore e l ' esercito bizantino furono cac­
ciati via rispettivamente da Roma e da Benevento e Spoleto, naturalmente con l ' aiuto
delle truppe longobarde. Ma dopo che ai pontefici parve eccessivo il potere longobardo,
la chiesa si mise sotto la protezione dei Franchi, inducendoli ad annientare i Longobardi.
Da quel momento collaborarono e crebbero con gli i mperatori franchi, finché, divenuti
sufficientemente forti, vollero essere anche padroni dell ' impero.
Fino al 754 il papa romano fu un suddito più o meno devoto di Costantinopoli, ma
ben presto a Roma il conteggio degli anni non fu più condotto sugli anni di regno del­
l ' imperatore, non vennero più coniate monete imperiali, e non furono più innalzate nelle
chiese l ' effigie e le insegne del l ' imperatore, che non venne più menzionato nemmeno
Da sudditi con vinti a dominatori persuasi 5

durante la celebrazione della messa. Al contrario, il papa si alleò contro il suo ex-padro­
ne con il re di Germania, sul quale trasferì privilegi imperiali, talvolta del tutto nuovi,
giungendo fino al punto di offrirgli la corona imperiale: una politica che giovò esclusi­
vamente al papa, trasformandolo quasi in una sorta di "padre delle stirpi regnanti". 8
L' incoronazione imperiale di Carlo a Roma nell' anno 800 fu un' azione illegittima,
una provocazione contro l ' imperatore bizantino, fino a quel momento l ' unica autorità
legale del mondo cristiano e a Costantinopoli non poté essere interpretata che come
atto di ribellione. E in effetti la propensione dei papi verso i Franchi determinò la
definitiva rottura con Bisanzio.
Anche quando nel l ' 8 1 2 l ' imperatore Michele I riconobbe Carlo "Magno" quale im­
peratore d' Occidente e sovrano di pari diritto, in fondo l ' impero d' Occidente a B isanzio
fu sempre considerato oggetto d' usurpazione. In occasione del l ' i ncoronazione dell' 823
il papa consegnò a Lotario la spada per la protezione della chiesa; e a poco a poco
Roma condusse i regni romano-germanici sotto la propria influenza, anche se non bi­
sogna dimenticare che già dopo il crollo dell ' impero d' Occidente erano iniziate forme 17
di simbiosi coi nuovi dominatori Teoderico, Clodoveo, Pipino e Carlo. D ' altra parte i
futuri grandi regni germanici di Alfredo (87 1 -899}, di Ottone I (936-973}, di Olaf il
Santo ( l O 1 5- 1 028), il quale perseguì in modo barbaro l ' espansione del cristianesimo,
non poterono sorgere che su fondamenti cristiani, per non parlare del l ' i mpero tedesco
medioevale in genere. 9
Questo Sacro Romano Impero, in verità, non fu né romano né tanto meno sacro, a
meno che, insieme a Helvétius, Nietzsche e altri, non si scorga nel sacro la quintessenza
della delittuosità. In ogni caso il papato, mediante l ' eliminazione o l ' assorbimento di
ariani e pagani e la formazione truffaldina di un proprio stato, ottenne via via l' accre­
scimento e del suo potere e del suo patrimonio. 10
Tanto più che nel l ' alto Medioevo l ' intreccio fra stato e chiesa fu straordinariamente
stretto: il diritto laico e canonico non soltanto avevano il medesimo fondamento, ma
persino i progetti e le esigenze meramente clericali trovavano espressione anche nella
legislazione mondana; i decreti dei "concilia mixta" vigevano indifferentemente per lo
stato e per la chiesa.
Gli stessi vescovi erano imparentati o intrufolati nell' aristocrazia, essendo fratelli,
cugini o figli della nobiltà mondana, con la quale avevano in comune i medesimi inte­
ressi pol itici ed economici : di conseguenza, per tutto il Medioevo furono coinvolti
nelle lotte dei magnati, e combatterono coi re contro i principi e viceversa, col papa
contro l ' imperatore e con l ' imperatore contro il papa, con il papa contro un antipapa,
per almeno 1 75 anni. Si batterono coi preti contro i monaci o anche contro i propri pari
in battaglie campali, in risse di strada o dentro le chiese, con la spada, il veleno e con
qualsiasi altro mezzo disponibile. Il tradimento e la rivolta divennero per il clero, come
si esprime il teologo cattolico Kober, "una prassi assolutamente normale". 1 1
6 Prospetto preliminare

Nei confronti degli stati e delle cosiddette autorità la chiesa ufficiale non ebbe mai
altro principio se non quello del patteggiamento col potere ad essa più conveniente.
18 Nei suoi complessivi rapporti interstatuali si fece sempre guidare dal proprio interesse
(nel suo linguaggio, cioè, "Dio ! " ; la massima istanza di tutta la storia della chiesa).
L' opportunità ovvero l ' opportunismo restò sempre il suo principio guida. Soltanto quan­
do riusciva a ottenere ciò che voleva era disposta a dare a sua volta, naturalmente il
meno possibile, anche qualora molto avesse promesso. "Annienta con me gli eretici" -
esclamò rivolto all ' imperatore il patriarca Nestorio (ben presto anch ' egli eretizzato)
nel discorso del suo insediamento del 428 - "e io con te annienterò i Persiani".
Quando veniva a trovarsi in condizioni di debolezza, si piegava come una canna al
vento. Quando nel l 024 il patriarca Poppo di Aquileia entrò in possesso di Grado,
occupandone il seggio patriarcale (il che poteva essere l ' inizio dell ' incorporamento di
Venezia nel regno di Germania) il papa Giovanni XIX fu subito d' accordo. E allorché
lo stesso Poppo, il medesimo anno, fu costretto alla fuga dal rientro del legittimo pa­
triarca, il papa non fece mancare nemmeno a costui la propria benedizione. Tre anni
dopo - Corrado II si trovava a Roma per l ' i ncoronazione imperiale - Giovanni,
assecondando i desiderata tedeschi, condannò il patriarca veneziano e riunì Grado ad
Aquileia. Ma dopo il fallimento delle ambizioni tedesche il successore di Giovanni,
Benedetto IX, dichiarò di nuovo l ' autonomia di Grado. 1 2
Per quanto i l papato, i n nome del proprio potere, combattesse anche contro impera­
tori e principi cattolici, nonostante le tensioni, i conflitti e le contrapposizioni continue,
chiesa e stato restarono sempre strettamente legati dalla tarda antichità fino alla Rifor­
ma: per oltre un millennio non è possibile scindere la loro storia. Anzi : "Al centro di
ogni interesse, non importa se di natura spirituale o mondana, si ergeva la chiesa, cui si
riferiva qualsiasi atto politico e legislativo; tutte le forze propulsive della storia erano
al suo servizio e da essa derivavano la loro stessa legittimazione. La cultura e la storia
del Medioevo coincidono con la chiesa" . 1 3
Con l e possenti agevolazioni materiali d i cui godeva, l a solidità organizzativa, la
partecipazione attiva all ' attività giuridica e politica degli stati, la sua influenza crebbe
ininterrottamente. Nonostante la chiesa cattolica precostantiniana proibisse assai rigi-
19 damente a i suoi chierici l ' occupazione d i pubblici uffici, g i à nella tarda antichità al
vescovo del la Gallia vennero concessi incarichi di natura militare, come, ad esempio,
la cura delle fortificazioni. E quel che andava perdendo a sud per mano degli Arabi, gli
"Infedeli", compensava immediatamente con l ' estensione del cattolicesimo a nord. Sotto
i sovrani merovingi il cristianesimo divenne l ' ideologia dominante. Si giunse alla cre­
azione di dinastie episcopali pressoché formalmente riconosciute, sì che Chilperico di
Soissons ebbe a dire la celebre frase: "Non governano se non i vescovi ; la nostra gloria
è svanita". Anche fra gli Ostrogoti ariani l ' episcopato assunse funzioni statuali; e nel
primo Medioevo in Inghilterra i prelati furono membri dei parlamenti, governanti e
Da sudditi convinti a dominato ri persuasi 7

condottieri. Essi determinarono i l diritto insieme ai sovrani, di cui erano i più stretti
collaboratori, e contribuirono alla scelta dei re, che innalzarono al trono o abbatterono
secondo le circostanze. Anche in Italia vescovi e abati occuparono uffici amministrati­
vi insieme ai conti, promulgando le leggi insieme ai governanti mondan i ; dalla metà
del VI fino al termine del VII secolo la vita pubblica fu qui condizionata e determinata
totalmente dalla chiesa. 1 4
Ma anche in seguito, tanto per gettare uno sguardo al di là dei termini cronologici
che ci siamo proposti, essa sopravvisse ai suoi alleati, superando qualsiasi evento nefa­
sto: quando crollava una potenza, si appoggiava immediatamente alla successiva, o si
manteneva prontissima a farlo. Certo, essa era uno stato fra altri stati, ma in più posse­
deva la propria "metafisica", e trincerandosi sempre dietro l ' elemento rel igioso, dietro
le visioni spiritualistiche e le predicazioni ultramondane, a tutti proclamando "il subli­
me", non altro perseguiva se non il dominio politico universale.
Già relativamente presto papi e vescovi avevano tentato di trasformare lo stato in un
loro sgherro, di renderlo succubo e di sostituirvisi: dottori della chiesa come Ambrogio
(v. I, 375 ss.) o Giovanni Crisostomo (v. II, 1 03 s.) lo fanno capire apertamente; ma
soltanto pochi decenni dopo papa Gelasio I (492-496) lo sostenne con estrema arro­
ganza nella sua "Dottrina delle due potestà", opera destinata a una straordinaria fortu­
na storica. E già subito dopo la potestà regia deve curvare "devotamente la testa" di-
nanzi alla sacrata autorità dei vescovi (v. II, 230 ss.). 20
Ma lo stesso Agostino in nessun passo fa cenno alla dottrina della subordinazione
dello stato; in un' epoca in cui la chiesa vi si adeguava, il santo era in grado di assicura­
re che la fede cristiana rinvigoriva la lealtà civile e plasmava sudditi docili e obbedien­
ti . Allora era del tutto indifferente chiedersi chi governava: "Che importa sapere sotto
quale signoria vive l ' uomo, che dovrà pur morire; a patto, però, che i detentori del
potere non lo inducano all ' empietà e all ' errore !". Mancava invero la "giustizia" - il che
significa qui la chiesa, il vescovo -, ma per altro i governi erano, secondo Agostino,
null' altro che "bande di masnadieri in pompa magna". 15
Tuttavia nel Medioevo la bramosia di dominio del clero s' accrebbe continuamente
insieme al suo potere. La miseria delle masse non lo muove: soltanto il proprio egoismo.
I Sinodi franchi, ad esempio quel li tenuti al principio del IX secolo, non si preoccu­
pano del l ' i ndigenza generalizzata, ma del l ' intangibilità dei patrimoni ecclesiastici e
dell ' affrancamento dei prelati da qualsivoglia pressione fiscale dei poteri laici. Il Sinodo
di Parigi del giugno dell ' 829, mentre da anni le masse pativano sofferenze inenarrabili,
dichiarò sulla base dei racconti di Rufino: "E l ' imperatore Costantino ha detto ai ve­
scovi adunati nel Concilio di Nicea: 'Dio vi ha fatti sacerdoti e vi ha concesso il potere
di sottoporre anche noi al vostro giudizio; perciò da voi saremo giustamente giudicati ,
ma voi non potete essere giudicati dagli uomini, poiché Dio vi ha a noi donato e siete di
Dio, e agli uomini non è lecito giudicare gli dèi ' " . 1 6
8 Prospetto preliminare

Ma gli "dèi" cominciarono a por mano a lla dottrina gelasiana della duplice potestà e
a far sul serio con concezioni fino ad allora solo teorizzate: per Nicola I (85 8-867), il
quale innalzò il papato "alla superba altezza di un'istituzione mondana" (Seppelt), in
modo assolutamente ovvio il potere spirituale precedeva quello mondano e ad esso
spettava una "supremazia prescrittiva". Per cui ne risultò di nuovo un dovere di obbe­
dienza dei principi, e a poco a poco non solo nel l ' ambito delle direttive interne alla
chiesa, ma anche nei conflitti di confine e in tutte le questioni della legge morale cri-
21 stiana - un ambito d' applicazione davvero assai ampio ! Di fatto ciò significava che
dovunque il clero ritenesse intaccati i propri interessi, lo stato aveva l ' obbligo di cede­
re, doveva piegarsi (come in moltissimi casi avviene non di rado ancor oggi, ad esem­
pio intorno all' aborto o alla cosiddetta perturbazione della pace religiosa). 1 7
E s e in un primo momento il papato propugnò la dottrina delle due potestà, secondo
la quale i poteri mondani e spirituali, ritenuti di origine divina, (auctoritas sacrata
pont!ficum et regalis potestas) si completavano a vicenda, in seguito vi fu aggiunta la
dottrina delle "due spade" (duo gladii), per cui Cristo, a detta delle pretese romane,
aveva consegnato al papato le due spade, ergo aveva riconosciuto il potere spirituale e
temporale dei papi , in altre parole l ' egemonia. Infatti, quando i gran sacerdoti di Roma
furono potenti e signori essi stessi di uno stato non ebbero bisogno né di una solida
monarchia ereditaria tedesca né del l ' unità monarchica dell ' Italia, che combatterono
con tutti i mezzi e anche con le armi fino alla metà del XIX secolo. 1 8
Obiettivo del papato divenne allora (e, senza alcun dubbio, surrettiziamente ancor
oggi) il dominio universale mediante parole d' ordine religiose. Mentre teneva le masse
sotto la sua tutela spirituale, mentre durante tutto il Medioevo riportava l ' intera vita ad
un futuro più o meno prossimo, al raggiungimento della beatitudine eterna, per parte
sua perseguiva in maniera sempre più determinata interessi meramente mondani, si
emancipava definitivamente dal l ' impero d' Occidente, abbatteva dopo una lotta seco­
lare la dinastia degli Staufer, diventando signore di tutti e di tutto: un parassita, che
dopo aver fatto versare ad altri il loro sangue per i suoi fini, dopo aver mentito e falsi­
ficato ogni cosa, dopo aver frodato, rapinato privilegi e competenze, impugnava diret­
tamente le armi, preoccupandosi del proprio potere terreno ammantato di celesti men­
zogne; ma sempre con estrema brutalità.
Il fondamento teorico del rapporto con lo stato divenne la dottrina paolina del l ' ele­
zione divina dell ' autorità mondana e del l ' obbligo a una generale sottomissione. L' ob­
bedienza qui proclamata, la docilità assoluta dei sudditi, contrasta in modo stridente
con l ' odio verso lo stato diffusissimo presso i cristiani più antichi, ma ciononostante
22 perdura ampiamente fino ai giorni nostri . Per cui la chiesa offre sempre i propri servigi
ai potenti di turno, coi quali deve col laborare per potersi mantenere al potere. 19
Già con Gregorio VII (autore del "Dictatus Papae"), che nel 1 076 aprì le ostilità
contro l ' i mperatore, levando pretese sulla Corsica, sulla Sardegna, sul regno dei
Da sudditi con vinti a dominatori persuasi 9

Normanni nel l ' Italia meridionale, sulla Francia, l ' Ungheria, la Dalmazia, la Danimar­
ca e la Russia, si possono rilevare echi della teoria, per cui spetterebbe al papa ogni
forma di autorità, anche il diritto di disporre degli stati. Gregorio e i suoi successori
esigono almeno una "potestas indirecta in temporalia", la quale in seguito, con la Bol­
la " Unam Sanctam" ( 1 302) di Bonifacio V I I I , diventa una "potestas directa in
temporalia", cui si richiama esplicitamente il Concilio Laterano del 1 5 1 7 e dalla quale
prende le distanze ufficial mente solo Leone XIII nel 1 88 5 .
Secondo Gregorio V I I e i suoi successori nell ' alto Medioevo, c h e si rifanno ad
Agostino, il potere imperiale va ricondotto a influssi diabolici, essendo "carnale" e
preda dei "peccatori", come in genere qualsiasi principato mondano. Tuttavia tale po­
tere diabolico può essere redento dal potere salvifico, espiatorio, santificante del papa­
to mediante la sottomissione al Re-Sacerdote. Non solo, ogni nuova creazione statuale
in questo mondo tiranneggiato dal demonio può ricevere la sua legittimazione soltanto
dal riconoscimento del papa, che appare unico depositario di verità e di giustizia, si­
gnore e giudice massimo del mondo. Tutto deve prestare obbedienza a lui, successore
di Pietro: "Colui che si allontana da Pietro" - esclamò il papa - "non sarà capace di
ottenere la vittoria in battaglia né la felicità nel mondo. Con ferrea durezza egli distrug­
ge e dissolve ciò che gli si oppone; nulla e nessuno può sottrarsi al suo potere". 2 0
Da questa superna posizione del papa, Bernardo di Chiaravalle trae le sue conse­
guenze : "La pienezza della potestà sopra le chiese dell ' orbe terracqueo è concessa alla
Sede Apostolica da privilegi unici. Chi dunque si oppone a tale potestà, si oppone alle
disposizioni di Dio". Altri autori cristiani del tempo, poi, sono solleticati dal pensiero
che sarebbe meglio se il papa fosse anche imperatore ! Egli si attribuisce adesso anche
il privilegio feudale, allora l'elemento decisivo di ogni atto giuridico e politico. In 23
qualità di supremo feudatario distribuisce regni e principati ; e come un tempo Gregorio
VII voleva infeudare l ' Inghilterra a Guglielmo il Conquistatore, allo stesso modo in­
tendeva comportarsi in seguito anche Adriano IV, concedendo l ' Irlanda a Enrico II: ma
né l ' uno né l ' altro si prestarono al gioco.
Ancora nel XX secolo si vede troneggiare nel duomo di S. Pietro la statua del valente
fiancheggiatore dei fascisti Pio XII, col titolo di "Rector Mundi", il ftihrer del mondo. 2 1 24
IO Note

NOTE

Riiger 3 1 1 sg.
Rost, Froh lichkeit 92. Idem, Die Katholische Kirche 70, 1 7 1 .
H u i z i nga 2 1 O. A n alogamente, ad esempio, U l l ma n n , Kurze Geschichte des Papsttums, 80 sg . etc .
HEG 1 5 sgg . , 23 s g . , 46 sg . Scherr , c i t . da Lohde 254. Cfr. anche Kashdan 1 08 sgg. B a n n i ard 1 3
s g . , 1 8 sgg.
Gregoro v i u s l , l 246, 27 1 .
L M A I I 1 227 sgg. Jantere 1 5 8 sg. Heer, Kreuzzuge 1 3 . A l i v i satos 1 5 . Richards 7 6 . A ngenendt,
Fruhmittelalter 238. Cfr. 243, 270.
M c . 6,8 sg. M t . 1 0, 1 0. Le. 9,3; 1 0 ,4. Gregoro v i us l, l , 239 sg . , 260 sgg . , 267. S e i d l meyer 48.
Grau s , Vo/k, 434. Deschner, Il gallo 239 sg.
K ii h ner, Lexikon 48 sgg. H a l l er, Die Karolinger und das Papsttum, 3 8 sgg . , spec. 62. Heer, ibid. ,
1 3 , 60. Schramm l 2 1 5 sgg . , spec . 220, 254. M a ier, Mittelmeerwelt 34 1 sg . Angenendt, Das geist­
liche Bundnis, 54.
Stonner, Nationale Erziehung, 1 05 . Maier, ibid. 349 sg. Heer, ibid. 1 4, 60.
1 11 N ietzsche, I I , 1 1 2 5 , 1 1 5 2 , 1 1 90, 1 2 1 7 ; I I I , 5 80, 784 etc. Mack, He/vetius, l , 1 2 1 .
11 Kober, Die Deposition 70 1 . Schniirer, Kirche und Kultur l, 247. Sprande l , Ober das Problem , 1 1 7
sgg. Desc h n er, Opu.1· Diaboli, 1 8 sg .
12
H a l l er, I l , 1 8 1 .
" Von B oehn 1 6 . Lohse 1 43 sgg.
1 4 S i n . d i E l v i ra, can . 5 6 . Greg. Tur. 6,46. Kober, ibidem, 695 . Voi g t , Staat 1 74 s g . Schubert, Ge­

schichte der kristlichen Kirche im Fruhmittelalter l , 1 5 1 , 1 5 3 , 283 sgg., 345 ; Il, 4 7 5 . S e i d l meyer
47. Gaus, Volk 4 3 8 . Zol l n er, Gesch ichte der Francken , 1 83 .
" August. ep . 1 5 1 , 1 4 . civ. dei 4,4; 5 , 1 7 : 1 9 , 1 4 ; 1 9 , 1 6 . Vo igt, ibid. , 9 7 sg. Freund 1 7 . H a l l er, Epochen
42 sgg. Wngel/Ho ltz, 1 1 ,2 1 7 sgg.
16
S i n . d i Parigi a . 829, 3 , 8 . I n o l tre Sommerlad I l 1 85 sgg. Bosl , Die Grund/agen der modernen Ge-
.rel/schaft, 1 48 .
17 Seppelt I l 24 1 sgg.
' " Lev i so n , Die mittelalterliche Leh re , 1 4 sgg. Ploc h l , I I 3 1 sg.
1 9 Rom . 1 3 , 1 . I n dettag l i o Desch ner, Il gallo 499 sgg. Cfr. anche Vo igt, ibid. 82.
211 K ii h ner, Lexikon 1 1 8 . E i c h m a n n , A cht und Bann 38 sg. Grupp, I I I 1 5 1 . TOd t 3 8 . Ploc h l , Il 3 1 . Heer,

Kreuzzuge 1 03 sg . Gontard 224. Herrm a n n , Kirchenfursten 63 sgg.


21 Bernardo d i C h i arava l l e , ep. 1 3 1 . C i taz. in Knotzi nger 523. Laehr, Die Konstantin ische Schenkung
6 1 . Schniirer, Kirche und Ku /tur I I I , 6 1 . Heer, i b i d . 1 7 sg. My narek, Denk l'erbot, I l .
CAPITOLO I.

L'INTRODUZIONE DEL CRISTIANESIMO FRA I GERMANI

"L' introduz ione del Cristianesimo fra i Germani fu un dono prez ioso del cielo . . .
I I Cristianesimo nobilitò l ' i ndole naturalmente buona dei nostri progenitori
e consacrò la storica missione in O ccidente del popolo tedesco . . .
(Lettera Pastorale del l ' Episcopato tedesco del 7 Giugno I 934) . 1

"I n tal senso anelavano apertamente ad un mutamento e ad una conversione".


"Se si elevava nel modo giusto la figura di Cristo,
allora sì che alle loro orecchie la novella del Cristo
doveva risuonare come il più sublime epico canto, che mai avessero ascoltato".
(Anton Stonner [ con imprimatur] , 1934). 2 25
12 L 'introduzione del Cristianesimo fra i German i

L A DIFFUSIONE D E L CRISTIANESIMO IN OCCIDENTE

Alla fine dell ' età antica e nei secoli successivi il cristianesimo conquistò il mondo
germanico, diffondendosi tramite mercanti ed eserciti attraverso la Gallia settentriona­
le fino al Reno. Nelle antiche province germaniche del Reno alcune comunità cristiane
erano forse già presenti al principio del III secolo, e da epoca costantiniana si trovava­
no costruzioni ecclesiastiche a Bonn, a Xanten, a Colonia e specialmente a Treviri,
ufficialmente residenza imperiale a partire dal 293 (v. I, 1 92 ss.). 3
Il vescovo di Colonia, un certo Materno, prese parte al Sinodo Laterano del 3 1 3 , e il
vescovo Agrecio di Treviri al Si nodo di Arles del 3 1 4. Tuttavia dopo la morte del vescovo
Severino di Treviri (397) per più di 1 50 anni non conosciamo il nome di nessun altro ve­
scovo. Incontriamo solo nel VI secolo il più antico prelato di Magonza storicamente si­
curo, Sidonio; e soltanto nel V, VI, e VII secolo troviamo menzionati anche dignitari ec­
clesiastici con nomi tedeschi, per esempio nel Concilio di Parigi del 6 1 4 (6 1 5 ?) 35 ve­
scovi (di 76 partecipanti), fra i quali quelli di Strasburgo, di Speyer e di Worms. Le iscri­
zioni cristiane più antiche (esclusivamente funerarie) risalgono al V secolo, perlopiù dal
cimitero della Albanskirche di Magonza, distrutta durante la guerra dei Trent' anni. 4
Tuttavia già nella seconda metà del IV secolo il cristianesimo diventò religione do­
mi nante in alcuni territori renani, poiché "le leggi di Teodosio, di Graziano e di
Valentiniano II ne ordinarono l ' i ntroduzione" (v. I, 350 ss., l, 363 ss., l, 383 ss.). 5
In Gallia la chiesa cattolica aveva assunto dimensioni notevoli già in precedenza,
27 tanto che intorno al 250 si trovavano chiese episcopali a Lione, Vienne, Arles, Tolosa,
Narbona, Autun, il cui vescovo Simplicio nel IV secolo si era scagliato contro una
statua di Cibele (qui chiamata Berecinzia) recata in processione propiziatoria attraver­
so i campi .
Al Concilio di Arles (3 1 4) erano presenti 1 6 rappresentanti di vescovadi galli; è
interessante il fatto che ali ' epoca la diffusione delle comunità cristiane coincideva presso
a poco con "le zone ad alta intensità produttiva" (Beisel). Nella seconda metà del seco­
lo le sedi vescovili spuntarono "quasi dappertutto, addirittura da sottoterra" (Demou­
geot). La Notitia Gallorum, un inventario provinciale della Gallia e della Germania,
per gli anni fra il 390 e il 4 1 3 menziona 1 7 metropoli con 95 diocesi sottoposte, molte
delle quali tuttavia scompaiono nel corso del V secolo: numerosi vescovadi sono va­
canti, perché i prelati sono fuggiti, vengono banditi e talvolta scompaiono per sempre
con la distruzione delle loro città, come presso gli Helvezi accade al vescovo di Nyon
ad opera degli Alemanni. (Al tempo di Clodoveo esistono in ogni caso 9 Metropoli
federate con circa 1 20 seggi episcopali). 6
Ma nel l ' episcopato si verificarono profonde divisioni, che favorirono l ' i ntromissio­
ne dei papi (cfr. ad es. II, 1 77 ss.). 7
Verso la fine del V secolo ebbe inizio "l' evangelizzazione" dei Franchi, alla fine del
Motivi e modi di con versione 13

V I degli Anglosassoni e dei Longobardi; nel I X s i procedette alla cristianizzazione del


Nordeuropa e alla svolta del millennio ci si dedicò alla "conversione" dei Cechi, dei
Polacchi e degli Ungheresi. E poiché il cristianesimo ormai non era più una credenza
spregiata, come in epoca precostantiniana, ma la religione riconosciuta ufficialmente
da un impero mondiale, i papi avvolsero nella propria rete non più i singoli individui,
bensì intere popolazioni; d' altra parte poi collaborarono del pari all ' "estirpazione" di
interi popoli, come si vanta il dottore della chiesa Isidoro, degli Ostrogoti, ad esempio
(v. II, 300 ss.) o dei Vandali (v. II, 293 ss.), intorno ai quali il monaco Prospero Tiro,
che viveva a Marsiglia, fornisce al Medioevo la sua descrizione ancor oggi viva, sovente
una "mostruosa propaganda" (Diesner) . 8 28

MOTIVI E MODI DI CONVERSIONE

La cristianizzazione dei popoli germanici - definiti nelle fonti nationes, gentes, populi,
civitates - avvenne in tempi e in modi diversissimi
Due attività tipicamente cristiane accompagnarono tuttavia le missioni presso i
Germani: la predicazione e la distruzione. In epoca merovingia il principale metodo
missionario non fu la predicazione: "Per dimostrare ai pagani l ' impotenza dei loro dèi
e la superiorità del dio cristiano c ' era un metodo più diretto e convincente: radere al
suolo i templi pagani. Solitamente la predicazione introduceva o agevolava simili di­
struzioni, ponendosi così in second ' ordine e modificando radicalmente i metodi mis­
sionari della cristianità più antica" (Blande). Jiirgen Misch scrive in proposito: "Già i
primi missionari trascurarono tranquillamente molte cose sostanzialmente proprie del­
l ' insegnamento di Gesù, modificato, tralasciato e falsato in nome di un suo accoglimento
meramente nominale. Ciò denota con estrema evidenza che non interessava tanto la
diffusione di una nuova dottrina salvifica per la redenzione delle anime di tutti coloro
che vi credevano, quanto piuttosto gli interessi di potere assai concreti di coloro che ne
traevano profitto . . . Il Regno di Dio sulla terra era di natura assolutamente materiale e
mondana, e la sua fondazione veniva realmente condotta con tutti i mezzi possibili". 9
Naturalmente l ' unico mezzo non fu sempre la distruzione, perché spesso ci si limitò
"solo" alla cosiddetta cristianizzazione, vale a dire alla trasformazione dei templi pa­
gani in chiese cristiane, previa esorcizzazione degli spiriti maligni: veniva così trasfor­
mato e inglobato tutto ciò che pareva utile, e tutto il resto, considerato opera diabolica,
veniva distrutto. (Cfr. III, 454 ss.).
Motivo dominante nella conversione dei pagani, e anche nel l ' inganno lusingatore
dei già convertiti, fu indubbiamente la continua inoculazione di scrupoli e paure, di
un' angoscia ininterrotta, attraverso i secoli. L' angoscia fu la "condizione assolutamen- 29
te propria del l ' uomo medio medievale . . . : paura della peste, del l ' invasione di eserciti
14 L 'introduzione del Cristianesimo fra i Germani

stranieri , della stregoneria e della magia, ma soprattutto dell ' ignoto" (Richards). I sa­
cerdoti di molte religioni vissero e vivono del l ' angoscia da loro stessi introdotta, so­
prattutto i preti cristian i . 1 0
Va d a s é che san Cesario d i Arles ( m . 542), arcivescovo totalmente succubo d i Roma
(specializzato nella "cura delle anime campagnole", e, sua gloria del tutto specifica,
nella predicazione quotidiana), in quasi tutti i duecento e più interventi propagandistici
a noi tramandati terrorizzi sempre col "giudizio universale". Quale che possa essere
l ' occasione della sua proluvie omiletica, non tralascia mai di evocare insistentemente
il "seggio di giudice del Cristo", il "giudice eterno" e la sua "condanna severa e irrevo­
cabile", etc . 1 1 •
La conversione dei Germani pagani al cristianesimo fu dovuta spesso a motivazioni
puramente materiali, condizionata da "ragioni di prestigio", tanto più quando cadeva­
no sotto il dominio di vicini cristiani, nelle cui corti principesche persino nobili pagani
potevano essere scacciati dalle mense "come cani", perché era proibito ai cristiani
mangiare alla stessa tavola insieme ai pagani . Significativamente fu la nobiltà a stri­
sciare per pri ma sotto la croce, indifferentemente in Baviera, in Turingia, in Sassonia
Ebbe un suo ruolo anche la cupidigia, come illustra chiaramente l ' aneddoto di quel
normanno, che una volta, a Pasqua, si presentò alla corte del l ' imperatore Ludovico con
altri cinquanta compagni per farsi battezzare. Ma poiché mancavano numerosi abiti
battesimali, vennero in tutta fretta raccattati altri vestiti qualunque; allora un anziano
battezzando si rivolse infuriato all ' imperatore : "Qui sono stato battezzato già una ven­
tina di volte e sempre mi sono stati fomiti gli abiti migliori e più candidi; ma un saio
simile non s' addice a un guerriero, piuttosto va bene per un guardiano di porci [subulcus ] .
E s e i o non m i vergognassi della mia nudità dopo che m i sono stati levati i miei vestiti,
ma non mi sono stati fatti indossare quelli da te fomiti, ti lascerei la tua veste insieme al
tuo Cristo". 1 2
30 Sappiamo da tempo che non tutto, ma molto di quel che è stato raccontato al mondo
intorno al "Germano" è falso. Egli non fu così probo, si ncero, leale, onesto, giusto e
schietto come per troppo tempo è stato presentato (e in Germania tale immagine è
di venuta addirittura scolastica); o lo fu solo in uno stadio primitivo della sua evoluzio­
ne. I valori traditi dell ' eroica saga germanica, dell' ideologia politica dei Germani, l' il­
lusione del "nobile popolo" dei Tedeschi, dei suoi tratti sublimi di onore e lealtà, que­
sto stereotipo un po' kitsch, la figura del "Germano da libro di lettura scolastica" è
falsa, ed è soprattutto ispirata antiteticamente dalla "immagine rovesciata del Roma­
no". E divenne ed è tanto più pericolosa perché, fra l ' altro, anche attraverso l ' abituale
identificazione a partire dal Romanticismo di una cultura antico-tedesca e antico­
nordica, nel tardo secolo XIX si appropriò di una dirompente forza politica "per il
rapporto fra ' l ' elemento indogermanico' e quello ' semitic o ' " (Von See). Al lora
I ' "Indogermano", una sorta di Germano rivitalizzato, diventa il contraltare dell ' Ebreo,
Gesù Cristo diventa un gue rriero german ico 15

come i l Germano del Romano, quasi che l ' umanità o una gran parte d i essa combacias­
se esattamente con la formula dell ' economista berlinese Werner Sombart nel suo scrit­
to polemico "Hiindler und Helden" ( 1 9 1 5 ) .
A quel tempo a Sombart, "gonfio d i militarismo", com ' egli millanta, "anche l a guer­
ra" parve "una cosa sacra, anzi la cosa più sacra della terra". E in modo totalmente
analogo pensarono, scrissero, predicarono a suo tempo innumerevoli preti e cappellani
militari (dalla parte dei Tedeschi, ma anche da quella dei loro avversari). 1 3
Tuttavia nel ritratto tradizionale del Germano una cosa è giusta: la sua predilezione
per la lotta, la battaglia e la guerra; ed era talmente inequivoca che i propagandisti del
cristianesimo predilessero proprio quest' aspetto. 31

GESÙ CRISTO DIVENTA UN GUERRIERO GERMANICO OVVERO DELLA "PRESA SULLA VITA"

L' idea di potenza divenne un motivo essenziale di conversione. Tutto ciò che di possente
e di magico era presente e vivo nei culti pagani, gli amuleti, gli oracoli, le formule
divinatorie, doveva essere superato dal i ' energia e dalla onnipotente magia della fede
cristiana, e tanto più mediante il culto dei santi e delle reliquie. Ma l ' elemento più certo
si dimostrò la fonte di forza soprannaturale tramite la potenza del l ' idolo cristiano in
guerra, e durante la guerra nelle battaglie: "Se qui il Cristo si dimostra come il Soccor­
ritore, lo è nell' ambito vitale primigenio dei Germani. Così Egli già a partire da qui
diviene il Salvatore" (Schmidt) . 1 4
Ad ogni modo con l ' assunzione da parte dei Germani, fin dall' inizio il cristianesimo
fu nazionalizzato, germanizzato. Ad essi Cristo apparve come una sorta di re di un
popolo o di una provincia non soltanto nel l' epos cristiano: i Franchi si considerarono
subito componenti particolari del suo seguito, il suo popolo preferito, il popolo eletto.
I combattenti si schieravano intorno a lui come intorno ai loro principi ; e anche il santo
veniva sentito come un eroe di Cristo e di Dio; e alla sua relazione con Dio trasferivano
il concetto germanico di dipendenza; insomma, i tradizionali concetti cristiani si riem­
piono "d ' un contenuto completamente nuovo, dell' idea guerresca dell' aristocrazia
germanica" (Zwèilfer) . "Della religione della tolleranza e della sofferenza, della fuga e
della negazione del mondo i Germani del Medioevo fecero una religione guerresca;
l ' Uomo del dolore fu trasformato in re guerriero germanico, che coi suoi scudieri tra­
scorre alla conquista di nuove terre, ed è lui che bisogna servire nelle battaglie. Il
Germano cristianizzato combatte per il suo Signore Cristo, come lotta per il proprio
signore terreno; e nella sua cella anche il monaco si sente membro della "militia Christi"
(Dannenbauer) . 1 5
Naturalmente il clero seppe infondere nei Germani convertiti alla croce d i Roma
anche la fierezza della nuova condizione. Il Prologo della Lex Salica, il più antico 32
16 L 'introduzione del Cristianesimo fra i Germani

diritto tribale dei Franchi, ostenta superbamente:


Dei Franchi il magnanimo popolo,
da Dio stesso creato,
audace in armi,
saldo nel l ' alleanza,
profondo nel consiglio,
nobile nel corpo,
di incontaminata purezza,
figura eletta,
ardito, rapido e impetuoso,
alla cattolica fede
convertito,
scevro d' eresia . . . 1 6
In verità, secondo l a dottrina cristiana tutti popoli sono stati creati d a Dio, m a sempre si
privilegia soprattutto ciò di cui si ha bisogno: così ora i Franchi prendono il posto del
popolo eletto della Bibbia, il popolo d' Israele. In un prologo più recente della medesi­
ma Lex Salic:a Cristo diventa l ' autentico Signore della Gens Franco rum, passando "per­
sonalmente alla testa dei Franchi": Egli ama coloro che sono di gran lunga superiori
all ' antica potenza universale, "il popolo eletto di una novella alleanza" . Essi hanno
sconfitto i Romani e scosso il giogo di Roma". 1 7
Presso i Franchi, che per primi adorarono precipuamente s. Giorgio, il draghicida, e
poi l ' ex guerriero Martino di Tours, l' esercito svolgeva una funzione importantissima,
soprattutto la fanteria, schierata in forma di cuneo. I cavalieri furono inizialmente piut­
tosto rari e i cavalli venivano solitamente usati come bestie da soma (soltanto nel 626,
sotto Clodoveo Il, ebbe luogo il primo attacco di cavalleria contro i Sassoni). Il nucleo
di queste truppe assai disomogenee fu costituito dai cosiddetti "robustiores", unità di
"combattenti d' élite" ; la cosiddetta "francisca", un ' ascia da getto usata anche nel com­
batti mento corpo a corpo, fu l ' arma nazionale; lo strumento pacificatore ben collaudato
33 e usato assai spesso fu la spada franca; l' arma dei capi fu una lunga spada a doppio
taglio, la "spatha", mentre il "semplice" soldato ebbe una corta spada a taglio singolo,
lo "scramasax", in tarda epoca carolingia diffusa dal Nordeuropa fino in Oriente. I K
Forse l' elencazione d i questo arsenale bellico d i morte potrebbe destare l a meravi­
glia di qualcuno. Ma i fondamenti della "cultura" cristiano-occidentale non affondano
le proprie radici proprio in esso? Nella "most efficient military machine in Europe"
(McKitterick). Oppure, come si legge nella postfazione di uno "storico della guerra" :
"Come ogni cosa appare più efficace e illuminante quando la storiografia osa adden­
trarsi profondamente nella vita ! " . 19
Numerosi principi germanici si convertirono indiscutibilmente per ragioni meramente
Sotterfugi apologetici 17

politiche, e adorarono i n Cristo i l "dio forte", la suprema guida i n battaglia, colui che
concede la vittoria. Così fecero il franco Clodoveo, Edwin di Northumbria, i Vichinghi ;
tutti si fecero battezzare dopo un voto e una strage ben riuscita. Prima fu Odino il "dio
della vittoria", Wodan (chiamato Odin nel Sud) il dio della guerra; e adesso è Cristo,
subentrato al posto delle antiche divinità guerresche, ad essere politicizzato e mitizzato,
tanto da apparire "quasi come una divinità nazionale" (Heinsius). Per tutti i re cristiani
diventa una questione d' onore abbattere i "Barbari, che già nella loro essenza pagana si
trovano fuori dal l ' ordine universale". 20
I Franchi, educati al fanatismo, considerarono loro dovere e diritto "combattere per
Cristo" (Zollner) . Ancora fino al VIINIII secolo i Franchi cristiani si facevano seppellire
con le loro armi, conformemente all ' antica credenza pagana nella sopravvivenza dopo
la morte. Lo stesso Cristo risorto compare sopra una lapide (ritrovata nel cimitero franco
di Niederdol lendorf, nei pressi di Bonn) brandendo nella destra una lancia, simbolo
germanico del potere, invece della croce. 2 1
S i comprende allora perché gli uomini dell ' alto Medioevo preferissero così spesso
il Vecchio Testamento, tanto sanguinario, (v. I, 7 1 ss.) al Nuovo, almeno in parte pacifico, 34
e perché ai principi franchi venissero esaltati come modelli i sovrani veterotestamentari,
cui volentieri venivano paragonati ; per lo storiografo Ewig è questo l ' annuncio di un
nuovo livello "nella cristianizzazione dell' idea monarchica".

SOTTERFUGI APOLOGETICI

Venne diffusa dappertutto la patetica insensatezza della guida provvidenziale della storia:
in seguito a pestilenze e ad altre catastrofi, ma specialmente dopo le battaglie vittoriose,
se ne menava un gran vanto; ogni successo bellico era dovuto alla retta fede e al soccorso
divino.
Dopo la sanguinosa battaglia sul Frigido (394), che il devoto Teodosio I, aiutato da
un uragano, vinse contro Eugenio di nuovo favorevole al paganesimo (v. l , 385 ss.), da
ogni parte l' esito del combattimento e i "prodigi eolici" vennero interpretati come un
segno della superiorità cristiana, come un "giudizio di Dio". Lo stesso Claudio
Claudiano, il "pagano ostinato" (Orosio), ultimo poeta illustre dell ' antica Roma onorato
ancora in vita con una statua nel Foro Traiano, dopo la battaglia scrisse: "Sei l ' imperatore
da dio amato sopra ogni cosa . . . per il quale combatte persino l' etereo padiglione e sui
cui stendardi confluiscono i venti". Ma un altro pagano eminente, il praefectus praetorio
Nicomaco Flaviano, preferì il suicidio. 22
Sotto i Carolingi le vittorie più decisive vengono sovente attribuite al soccorso di s.
Pietro: "Ma ora sii certo" - dichiara Pipino al legato pontificio Sergio in lotta contro i
Bavaresi (cfr. pag. 237) - "che grazie all ' intervento di San Pietro, Principe degli Apostoli,
18 L 'introduzione del Cristianesimo fra i Germani

attraverso il Giudizio di Dio . . . la Baviera e i Bavaresi appartengono alla signoria dei


Franchi". Anche i successi meno importanti, come ad esempio la conquista d' una fortezza
o addirittura la scoperta d' una sorgente (durante la guerra contro i Sassoni nel 772),
35 venivano gabellati come grandiosi miracoli divini. 2 3
Se poi si verificava una vicenda poco fortunata - il che accadeva assai spesso ! - i
preti non restavano mai imbarazzati : ora la disgrazia e la catastrofe erano una punizione
divina, per esempio a causa della scarsità della fede, dei vizi dominanti ; con una teologia
siffatta sono state attraversate fino ai giorni nostri tutte le alterne vicende della storia.
"La nostra empietà reca con sé la disfatta dell ' esercito romano" - lamenta nel 396 il
dottore della chiesa Girolamo, durante la prima grande invasione germanica - "guai a
noi, che abbiamo irritato Dio, a tal punto che adesso si serve del furore barbaro per
rovesciare su di noi la sua collera". Analogamente la conquista di Roma ne1 4 1 0 (v. II,
1 8 ss.) per il prete spagnolo Orosio accade solo a causa "del volgo peccatore", "più per
la collera divina che per la forza del nemico". E ancora nel XX secolo continua a
prosperare tale pretesca impostura, allorché dopo la sconfitta nella Prima Guerra
Mondiale in Germania ci si interroga: "Dove abbiamo mancato, dunque? Nella
schiettezza e nella consequenzialità della nostra fede" (la stessa entusiasticamente
esaltata per quattro anni ! ) . E subito dopo la disfatta della Seconda Guerra Mondiale
nella Jesuitenpostille il gesuita tedesco Max Pribilla definisce il nazismo e il successivo
crol lo una conseguenza della "inettitudine caratteriale" dei Tedeschi ; naturalmente in
precedenza, sempre nel medesimo periodico, aveva esaltato con stile goebbelsiano la
"Rivoluzione Tedesca" di Hitler. 24
A sua volta il multiforme Agostino - autore di non meno di 22 libri (v. II, 20 ss.)
contro i pagani, che spiegavano la caduta di Roma con l ' abbandono degli dèi e col
fallimento del dio cristiano - opina prudentemente che l ' esito di una guerra non ne
dimostra la giustezza. I disegni divini sono per lui misteriosi, a tutti celati . Per questo si
faceva ricorso ad opportuni versetti dei Salmi o ad altri passi biblici non appena le
decisioni divine fossero apparse favorevoli ai pagani, assurde o ingiuste. Ma si poteva
sempre profetizzare, e senza rischi, la vittoria finale del Cristo, esaltando tale vincitore
ultimo con sfrenati titoli glorifici, perlopiù sconosciuti alla chiesa antica: "Signore
supremo dei cieli", "Signore della gloria", "Dio-Re", "il Dio colmo d' onnipotenza", il
36 "Di spensatore di gloria vittrice", "L' Eroe delle battaglie" ecc. ecc . 2 5

L'ANTICO FARDELLO

Generalmente i Germani non si convertirono individualmente, ma, per così dire, in


cooperativa, tribù per tribù, anche perché i "barbari", a differenza dei Greci e dei Romani
colti, si lasciavano guidare dalla chiesa faci lmente e docilmente, e inoltre non erano
L 'antico fa rdello 19

così versati sotto i l profilo culturale e l a tradizione religiosa, come vogliono far credere
i loro "missionari" cristiani.
Già il termine "barbarus" aveva un significato prevalentemente deteriore, e nella
tradizione del cristianesimo veniva usato i n senso negativo in contrapposizione a
"christianus" finché i popoli germanici furono cattolicizzati e i musulmani apparvero
quali nuovi barbari-berberi, barbareschi ! Chi non è cristiano dev' essere sempre preda
del demonio, e spesso anche colui che non è cattolico. Ma "barbarus" poteva essere
anche l' autodefinizione dei Germani, il cui paganesimo del resto, per quanto ostentato
in modo esteriore, in parte continuò spesso a protrarre per lungo tempo i suoi effetti. 26
I papi impiegavano i loro legati presso i prìncipi, perché, essendo le loro consorti
spesso già cattoliche, prima o poi riuscivano a trarre dalla loro parte anche il popolo.
La religione era uno strumento politico, come ancora oggi pur in circostanze del tutto
differenti, e i magnati trascinavano dietro di sé il proprio con la persuasione, le promesse
o le minacce; e in ogni caso l ' elemento decisivo non fu il Vangelo, il convincimento
autentico, bensì la scelta del re, il matrimonio del principe, la battaglia campale, la
conquista, il trattato. I più passavano "spensieratamente da una religione all ' altra"
(Baetke). 2 7
In scala più ridotta ci si impegnava anche nella "conversione" dei possidenti, dei
proprietari terrieri . Infatti normalmente i propagandisti cristiani guadagnavano alla loro
causa prima i grandi latifondisti, sulle cui proprietà stabilivano una testa di ponte
!asciandovi perlopiù una chiesetta - e poi si volgevano a un altro signore da convertire.
Non era eccessiva la fatica di sottomettere tanti "barbari", che subito levavano lo
sguardo pieno di venerazione verso tutti i "santi" preti e monaci, fortemente influenzati
da esorcismi, cerimoniali e miracoli . Pieni di fede, facevano propri misteri e dogmi 37
tanto estranei, asservendosi con pia devozione allo sciamanesimo prepotente del Sud,
ani mati dal desiderio di rendere la chiesa ricca e potente, per la salvezza della propria
anima, mossi dall' orrore del l ' inferno e dalla brama del paradiso. 28
L"'opera missionaria" si compì in modo differenziato, più lentamente fuori dalle
città, benché i Franchi pagani spesso non opponevano una grande resistenza, anche se
qua e là, specie nelle campagne, contrastavano rabbiosamente la distruzione dei loro
idoli . L' uomo è particolarmente conservatore in fatto di religione. I contadini e gli
abitanti delle campagne, oggi più attaccati al cristianesimo, alla fine del l ' antichità e nel
primo Medioevo erano i più fedeli al paganesimo, mentre i cittadini, oggi in gran parte
non più cristiani, allora erano spesso prevalentemente cristiani. Ma i Germani erano in
gran parte contadini e campagnoli, e nelle regioni orientali dell ' impero i pagani franchi
e alemanni erano molto più numerosi dei cristiani residenti nelle città.
Il cristianesimo era una religione cittadina e una volta diventato religione di stato ­
cosa piuttosto grottesca, se si pon mente alla sua origine rivoluzionaria - finì per essere
anche la religione delle cerchie feudali dominanti, che in essa cercavano soprattutto il
20 L ' introduzione del Cristianesimo fra i Germani

proprio tornaconto. Per molto tempo i contadini restarono fedeli alle credenze tradi­
zionali, alle loro divinità, soprattutto ai ''fana" della triade gallica del culto di Giove,
Mercurio e Apollo. E anche dopo la "conversione" ritornavano sempre alla tradizionale
venerazione di alberi, pietre e fonti, oggetti per essi molto più belli e pieni di senso.
I S inodi condannarono per secoli tali usanze pagane, dal Concilio di Valence (374)
al IX secolo: dal Concilio di Orléans (5 1 1 ) a quello di Parigi (829) i "canones" di non
meno di 19 assemblee episcopali galliche tuonarono contro la fede e le pratiche del
paganesimo contadino, molto più tenace nel l ' osservanza delle tradizioni che non la
nobiltà prona ali ' opportunismo.
I Germani erano governati da una devozione per così dire naturale, non superficiale
38 né coartata, ma consentanea alla loro natura: praticavano una religione naturale dai
tratti chiaramente panteistici, caratterizzata dall ' adorazione delle divinità dei boschi,
dei monti, delle sorgenti, dei fiumi e dei mari ; veneravano il sole, la luce, l ' acqua, gli
alberi, le pietre, in fondo, come oggi si dovrebbe ben sapere, cose mille volte più sen­
sate della credenza cristiana negli spiriti, seguendo la quale una civiltà tecnologicamente
ipertrofica ha portato la natura vicino alla distruzione.
Il "Lexikonfur Theologie und Kirche" imputa fra l ' altro alla "religione dei Germani"
una fede fatalistica, e in particolare la credenza "nei demòni e negli spiriti" (da nessuna
parte più estesa e più folle che nel cristianesimo antico; cfr. III, 305 ss. ! ! ). Eppure fu
proprio questa fede germanica nei demòni e negli spiriti che alla fine ebbe "un ruolo
enorme, spesso tormentoso e ossessivo", e addirittura fu "fonte del successivo delirio
persecutori o delle streghe" ! ! Il cristianesimo è innocente ; esso doveva semplicemente
eliminare le conseguenze della "origine", per così dire l ' antico fardello; doveva cacciare,
torturare e abbruciare le male streghe . . .

"DISTRUZIONE DIMOSTRATIVA • • • "

Nell' attività missionaria d ' epoca merovingia spesso svolsero un ruolo di primo piano
"le prove di possanza del Dio cristiano", da un lato i "miracoli" e dall' altra la distruzione
dei luoghi pagani di culto. Le immagini degli dèi, opere impotenti di mani umane,
venivano agevolmente eli minate da u n ' azione distruttiva impunita, mentre il dio
"spirituale" dei Cristiani troneggiava intangibile al di sopra delle nuvole. I Franchi
pagani, inoltre, erano perlopiù tolleranti e privi di caste sacerdotali, quando vennero a
trovarsi di fronte a una fanatica organizzazione ecclesiastica, che non indietreggiava
nemmeno di fronte ai battesimi forzati, anche se almeno in principio si accontentava
del passaggio alla nuova fede con una condanna puramente formale della vecchia.
39 R. W. Southern definisce felicemente l ' Europa medievale una collettività coatta, nella
quale tutti andavano a finire attraverso il battesimo. 2 9
"Distruzione dimostrativa . . . " 21

Ma non era abbastanza, e ben presto ebbe inizio anche l o smantellamento dei templi
e degli altari pagani .
Già intorno a l 3 3 6 i cristiani d i Treviri distrussero il maestoso tempio della Altbachtal,
probabilmente per iniziativa del vescovo locale, s. Massimino, e di s. Attanasio, che in
quel periodo risiedeva proprio a Treviri (v. I, cap. 8). Vennero inoltre rase al suolo 50
cappelle di dèi nordici, un teatro dedicato a giochi cultuali e un sacrario di Mitra. A
Bonn furono abbattuti gli altari consacrati delle matrone aufiniane. Un esteso complesso
nelle vici nanze di Karden col tempio principale dedicato a Marte venne messo a sacco
intorno al 400. Vennero cancellati un grande tempio posto presso le sorgenti della Senna,
un tempio vicino a Orléans (dato alle fiamme per ordine della regina Radegonda, santa
cattolica) e, già alla fine del III secolo, il mitreo di Mackwiller. E quanto più potenti
diventavano, tanto più violenta era la loro azione : "la distruzione esemplare di luoghi
pagani di culto diventò un tratto caratteristico frequente della storia delle conversioni"
(Schieffer) 30•
San Gallo, zio di s. Gregorio di Tours, poi vescovo di Clermont-Ferrand, in qualità
di prete e "donzello di compagnia" di Teoderico I (figlio maggiore di Clodoveo) una
volta, presso Colonia, fece incendiare un tempio pagano con tutti i suoi "idoli", e a
stento si salvò dalla furia dei contadini grazie all ' intervento del re ; "Membra di legno
votive, offerte di ringraziamento per guarigioni e pasti da consumarsi all ' interno del
sacrario, che avevano causato lo sdegno di Gallo, erano presenti anche dentro le chiese
dei martiri" (Oediger) ; ma forse fu proprio questo a scatenare le ire del santo. Eppure il
suo canto "ammaliava chiunque lo ascoltasse", e come vescovo risplendeva di tutte le
virtù del vero archimandrita", comprese anche "le sue doti taumaturgiche" (la sua festa
cade il l luglio). 3 1
Intorno al 550 i l diacono Wulfilaich indusse i "rustici in territorio Trevericae urbis"
("i villani del contado di Treviri") alla demolizione di una gigantesca statua di Diana
(in origine la dea celtica Arduinna), "che il popolo superstizioso venerava idolatri­
camente" . Si sentiva troppo debole per provvedere da solo, e così quelli assecondarono 40
la sua volontà, dopo essere stati soggetti a un' opera di persuasione "asfissiante": "Infatti
io stesso avevo fatto a pezzi gli altri simulacri più piccoli". Nessun dubbio che anche in
quell ' occasione ci furono dei prodigi. 3 2
Durante la lotta contro il paganesimo alcuni dei santi cristiani più noti furono
incendiari e predoni .
Nel Tirolo operò s. Vigilio , vescovo d i Trento, "pieno d ' infuocato zelo nella diffusione
del Cristianesi mo" (Sparber) , finché un giorno nella valle di Rendena di strusse
un'immagine sacra posta su un dirupo, una statua di Saturno, e intorno al 400 venne
lapidato dai contadini incolleriti (''tutti pagani ostinati e selvaggi"); in Italia gli sono
state consacrate dozzine di chiese.
Sul monte Cassino anche s. Benedetto (m. nel 543 ) , padre del "monachesimo
22 L 'introduzione del Cristianesimo fra i Germani

occidentale", la cui severità indusse i primi monaci e il prete Fiorentino a vari tentativi
di assassinarlo, pose mano a un antico tempio di Apollo, l ' ultimo dedicato al dio,
menzionato dalla tradizione storica. Benedetto vi trovò ancora dei pagani, abbatté i
loro sacri boschi, fece a pezzi l ' immagine sacra e l ' altare: nel 1 964 Paolo VI lo designò
patrono d' Europa. 33
Nel territorio di Bregenz un irlandese, s. Colombano il Giovane (m. nel 6 1 5), sradicò
coi suoi monaci i culti pagani e nel VII secolo, direttamente o indirettamente, arricchì
il mondo di un centinaio di conventi .
Per alcun tempo Colombano percorse la Gallia, dove "la vita cristiana era pressoché
scomparsa, non restandone altro se non il riconoscimento formale" (Giona di Bobbio),
e fondò la Propaganda Cristiana (la "Missione") sul continente. L' asceta rigoroso,
propugnatore della mortificazione (mortificatio"), la cui "Regula Monachorum"
comminava pene draconiane anche per le "mancanze" più insignificanti , fu anche una
figura d ' alto rango politico. Appoggiato dai Merovingi e perseguitato da Brunechilde
(''una seconda Jesabel") nonché da "Teoderico, il cane", ma anche in lotta coi vescovi
burgundi, nella sua "peregrinatio pro Dei amore, pro Christo" trascorreva da un luogo
41 al l ' altro operando miracoli, guarigioni e punizioni portentose, sempre in guerra contro
la "superstizione dei pagani" (''Lascia che i loro figli vadano in malora") e i loro templi,
che era necessario "abbattere col fuoco" ; e in effetti ancora nel XX secolo il "Lexikon
fiir Theologie und Kirche" ne esalta lo "zelo infuocato" . Dopo l ' eliminazione di
Teodeberto per mano di Teoderico nel 6 1 2 (v. pag. 1 62) Colombano fuggì dai cattolici
merovingi in Italia, ponendosi sotto la protezione del re longobardo Agilulfo, che era
un ariano. E tuttavia è pur sempre invocato come soccorritore in occasione di inondazioni
e malattie mentali, ed è il patrono del l ' Irlanda. La Compagnia Missionaria, la "Society
of St. Columban", fondata a Dublino nel 1 9 1 6 operò soprattutto in Cina, ma, com'è
noto, ) ' "infuocato zelo" di s. Colombano ancor oggi produce i suoi effetti proprio in
Irlanda.
Uno dei discepoli, s. Gallo, fu suo assistente, e, cacciato dalla Burgundia, sulle rive
del lago di Zurigo e di Costanza incendiò templi e boschi sacri ; insomma si dedicò alla
caccia degli idoli per dischiudere attraverso il Cristo "la via del Regno dei Cieli" alle
stirpi pagane "sprofondate nella sozzura". Da parte sua, in violento disaccordo con
Colombano (da buoni santi), se ne allontanò per sempre. Molto dopo che la sua tomba
venne ripetutamente profanata e nel luogo si furono verificati alcuni eventi portentosi,
il profanatore di templi divenne "santo popolare" e anche patrono di St. Gallen e dei
febbricitanti , nonché santo protettore delle oche e delle galline. 34
Ebbe una particolare fortuna spirituale il futuro vescovo missionario Amando,
originario de li' Aquitania e cresciuto nel convento di Oye (presso La Rochelle), apostolo
dei Belgi e uomo di fiducia del papa Martino I (pag. 249 ss. ) : durante un pellegrinaggio
a Roma gli apparve s. Pietro in persona. Tuttavia, nonostante l ' aiuto celeste, non sempre
"Distruzione dimostrativa . . . " 23

gli andò liscia. Così, allorché a Gent, centro della sua attività propagandistica, la B uona
Novella non venne apprezzata, riuscì a ottenere un decreto regio a favore del battesimo
coatto, a quanto pare unico nella storia missionaria d' epoca merovingia. Ma sembra sia
riuscito ad ottenere persino conversioni "volontarie" dei vecchi pagani per mezzo dei
suoi miracoli (fra l ' altro con la resurrezione di un uomo appena giustiziato). In ogni
caso ad Amando, come a molti altri monaci, più che il battesimo dei pagani interessava 42
il consolidamento del cristianesimo secondo gli intenti di Roma.
Nel nord della Gallia missionarono anche l ' indefesso monaco Giona di Bobbio,
consulente di Amando, i santi Vedasto, Audomaro, Ursmaro, Lupo o Eligio, vescovo di
Noyon, fra i cui numerosi miracoli entusiasmò la cristianità specialmente la sua
"operazione equina" : infatti il buon Eligio tranciò via la gamba d ' un cocciuto ronzino
che non si lasciava ferrare, con comodo assicurò il ferro all ' incudine e quindi riattaccò
la zampa. Naturalmente fu promosso, fra l ' altro, a patrono dei maniscalchi, e ancor
oggi presso il lago di Costanza a lui si fanno risalire la "cavalcata di Eulogio" e la
benedizione dei cavalli. 35
Uno dei nemici più feroci dei pagani d' Occidente fu Martino di Tours (m. nel 397 ) :
nonostante la resistenza veemente dei contadini, con l ' aiuto dei suoi trabanti, un' orda
di monaci, spianò i templi, abbatté al suolo gli altari dei druidi e le sacre querce, spesso
difese strenuamente : "Sotto i suoi piedi mise gli altari e gli idoli pagani" (Sulpicio
Severo). Eppure il santo fu "un uomo di mirabile mitezza e pazienza; dai suoi occhi
rifulgeva una cordialissima giovialità e un ' immutabile serenità . . ." (Walterscheid, con
tanto di Imprimatur) .
Nella distruzione del paganesimo recò con s é i migliori presupposti : conclusa l a
carriera di guerriero nell' esercito romano (sotto l' imperatore Giuliano), iniziò l a nuova
come esorcista; è rimarchevole il fatto che credeva di vedere il demonio sottoforma di
Giove, Mercurio, Venere e Minerva, essendo fermamente persuaso che satana si celasse
negli "idoli pagani".
In seguito alle "resurrezioni" miracolose, Martino divenne vescovo, quindi santo
dei re merovingi e del l ' impero carolingio, e infine patrono dei Francesi: ben 425 paesi
della Francia recano ancor oggi il suo nome, cioè il nome di un incendiario, di un
predone, che calpestò le cose più sacre ai pagani, abbattendone tutti i templi ; il "simbolo
della chiesa imperiale franca", di più, "componente essenziale della cultura del l ' impero
franco" (Bosl). 43
Dovette la sua fama internazionale a Clodoveo, re assassino, che molto venerò
Martino, in nome del quale ammazzò persino un suo soldato, che nei terreni di
quell' uomo di Dio aveva raccolto un po' di paglia: "Dove vanno a finire le nostre
prospettive di vittoria, se offendiamo il Santo Martino?". Nelle spedizioni belliche i
principi merovingi portavano con sé come reliquia il suo leggendario mantello (capa),
sul quale si prestavano giuramenti e si stringevano accordi. Il luogo in cui veniva
24 L 'introduzione del Cristianesimo fra i Germani

custodito si chiamava capella e il suo custode capellanus, da cui i termini ca(p )pella e
ca(p)pellano. E poiché Martino, dove distruggeva i sacrari pagani, ivi faceva erigere
immediatamente centri cristiani di culto, fra cui il primo chiostro gallico (Ligugé),
divenne anche "antesignano del monachesimo occidentale" (Viller/Rahner). 3 6
Numerose fonti chiericali attestano tali distruzioni, come la biografia dell' arcivescovo
di Lione Landberto, dei vescovi Gaugerich di Cambrai, Eligio di Lione, Lupo di Sens,
Hugberto di Tongern e Lowen o di Amando, abate e vescovo missionario. 37
Sui templi distrutti si eressero di solito monasteri , ad esempio s. Bavo a Gent, s.
Medardo a Cambrai , il convento di Wulfilaich a Eposium ovvero Fleury-sur Loire, che
fu eretto dove prima s ' innalzava un antico sacrario gallico dei druidi . Anche la chiesa
eretta sopra il presunto martire s. Vincenzo di Agen sorse su unfanum pagano. A Colonia,
dove probabilmente lreneo aveva già diffuso il cristianesimo, sotto la chiesa di s. Orsola
fu ritrovata un' estesa necropoli pagana. 38
Ammesso che in Occidente molti templi fossero stati "soltanto" chiusi e gli altari
semplicemente "spostati", tuttavia presso Franchi, Sassoni e Frisoni la chiesa incendiò
o distrusse in qualche modo i sacrari pagani, trasformando in allevamenti di bestiame i
luoghi di culto e recidendo i boschi sacri, dove l ' effettiva credenza nei martiri ebbe poi
"un valore addirittura eccezionale" (Graus), specialmente in epoca merovingia. Mano
a mano che la conversione procedette, il clero diventò sempre più privo di scrupoli nel
44 completare lo sterminio, anche se il vicario capitolare Konrad Algermissen arriva fino
al punto di far credere che solo "in pochissimi casi" si ricorse "al l ' uso della violenza",
naturalmente mai a "metodi violenti di Roma o della chiesa, bensì di principi germanici".
(In proposito allo storico mentitore si aggiunse già nella premessa - nel 1 934 ! - la
constatazione celebrativa dello stato nazista e del suo governo: con Imprimatur,
s ' intende ! ) che "come parola guida . . . in tutte le sue narrazioni" ebbe "davanti agli
occhi la parola ' verità"'.
Stato e chiesa favorirono insieme la diffusione della nuova fede e la distruzione
dell ' antica, e così il re Childeberto I in una constitutio del l ' anno 554 ordinò, "senza
dubbio d' accordo coi vescovi" (A. Hauck): "Le i mmagini degli dèi nei campi e gli
idoli consacrati ai demòni devono essere immediatamente eliminati, e nessuno può
opporsi ai vescovi quando li distruggono".
Nel secolo seguente il papa Bonifacio V (6 1 9-625 ) diffuse il cristianesimo in
Inghilterra, scrivendo al re degli Angli Edwin: "Dovete por mano su quelli che finora
avete fatto dèi da materia terrena quali erano; con ogni zelo dovete distruggerli e ridurli
in pezzi". Fu così che subito dopo, nel 627, il pievano di Northumbria Coifi, appena
convertito, scagliò una lancia contro il suo stesso tempio. 39
Anche il Concilium Germanicum, il primo che fu convocato nella parte germanica
dell ' impero dei Franchi nel 742 o nel 743, dispose "che il popolo di Dio non coltivasse
nessun atto pagano, ma allontanasse e aborrisse ogni sozzura pagana, si trattasse anche
Note 25

di sacrifici pei morti, di arte divinatoria, di amuleti o segni apotropaici, di esorcizzazioni


o sacrifici esorcizzatori, che uomini sciocchi compivano accanto alle chiese in guisa
pagana, con l ' invocazione dei santi martiri e confessori, attirando in tal modo la collera
di Dio e dei Santi, e infine di quei fuochi blasfemi ch' essi definiscono 'neidfyr"'. 40
Per i propugnatori della fede "vera", l ' unica vera e santificante, ogni altra fede era
ributtante, semplicemente intollerabile. L' esercizio dei culti pagani fu così sancito dalle 45
leggi con pene severissime: esilio temporaneo o definitivo dal paese, deprivazione di
ogni diritto, proscrizione e confisca del patrimonio oppure, per i più poveri, riduzione
in schiavitù. Vennero rigidamente proibiti i "cibi dei sacrifici idolatri", i banchetti pagani,
i canti , le danze e il possesso di immagini di dèi, che, anche sottoterra, potessero servire
come materiale di costruzione di cappelle cristiane. 4 1
Verso l a fine dell' VIII secolo l ' "lndiculus superstitionum e t paganarum", diretto ai
"convertitori dei pagani" della Germania occidentale, enumera trenta pratiche già
condannate dai Concili gallici, fra le qual i : magia, esorcizzazione dei temporal i,
divinazione, determinati pasti, danze, riti dei morti, sacrifici e fana dedicati ai geni
degli alberi, delle rocce e delle sorgenti, celebrazioni e sacrifici soprattutto in onore di
Giove (Donar) e di Mercurio (Odino). 42
I presupposti politico-militari di tutte codeste misure missionarie furono stabiliti
presso i Franchi dal loro primo grande capo Clodoveo l . 46

NOTE

Stasiewski I 7 1 2 . C i rc a l ' atteggiamento d e l l a Chiesa catto l i c a e spec i a l m ente dei vescovi tedeschi
nei pri m i a n n i del Reich h i tleriano cfr. Desc h ner, Die Politik der Piipste I , 4 1 2 sgg . , 450 sgg. e
soprattutto 459 sgg.
Ston ner, Germanentum und Ch ristentum, 33, 92. I n d i c a i n premessa "le d i rettrici del M i n i stero
deg l i I nterni del Reich" e i n tende "attento al presente" educare " l a gioventù a d i v e n i re tedesc h i
i ntegra l i e cristiani i n tegra l i " . Cfr. anche 7 3 .

Euseb. , h. e . , 1 0, 5 . Sozom. h. e. , 2,6. Opta t. Mi l . , contra Parm. Dona t . , l ,23 s g . RAC V I I I G a l l i a I
894. Vogt, Der Niedergang Roms 425 . Doptsch II 1 96, 20 1 . Ewig, Trier 29. Haendl er, Die abend­
liindische Kirche 1 24.
4
RAC V I I I Gal l i a I 92 1 . Stamer, 1 2 sgg . , 24. Beh n , I O l sgg. Neuss/Oed iger 3 1 sgg . , spec. 36 sgg.
Bistum Koln 75. A l fO l d i 99 sg. Ewig, Das Bistum Koln 205 . B e i se l , Studien 1 29 sg. Haendler, ibid.
1 1 4.
' Stamer 1 3 . Con q u a l c he ri serva Haendler, ibid. 1 25 sg. con molte al tre i ndicazioni b i b l i ografiche.

Greg. Tur. g/or. conf 7 6 . RAC V I I I G a l l i a I 897 sgg . , 92 1 sgg. ( Demougeo t ) . H EG 8 1 . Schneider,
Das Frankenreich 84. B e i sel , ibid. 1 29 . Haendl er, ibid. 1 27 .
7
RAC V I I I G a l l i a I 905 sgg . In dettag l i o B e i s e l , ibid. 1 3 6 sgg. Cfr. anche 1 47 sgg.

I s i d . S i v . , H. G. , 84. L M A IV 1 34 3 . A l taner/S t u i ber 2 3 2 , 450. Diesner, Das Vandalenreich 1 2 sgg.
9
B l anke 5 5 . Frank, Kirchengeschichte 1 4 . M i sc h 90. Schulze, Vom Reich der Franken 7 7 . B e i s e l ,
ibid. 1 30. Padberg 16 sg.
26 Note

10 R i c hards 2 5 . S u l "Fenomeno dell 'angoscia" cfr. , per esempio, M y n arek, Mystik und Vernunft 262
sgg . , soprattutto "Die Heilsangst" 277 sgg .
1
1 Wetzer/Welte I I , 246 sgg. LTh K II 1 7 7 7 sg . Kraft 1 2 2 . Ko lb, Himmlisches 286.
1 2 Notker, Gesta Caro/i 2,9. Stern/Bartmuss 60. Graus, Volk 1 5 5 sg.
1 3 Per i l concetto d i "Germani" cfr. , ad esempio, LMA I V 1 3 3 8 sgg. HEG 95 sgg . Von See, passim,
soprattutto 9 sgg . , 68 sg . , 1 02 sgg. Sombart, Hiindler. und Helden, 1 9 1 5 , c i taz. da von See, ibid. ,
69. Diibler 8,9 1 s g g . , 1 25 sgg .
1 4 Schmidt, Germanischer Glaube 5 2 . Richards 29 sg. Angenendt, Friihm ittelalter 1 84 . Per l ' aspetto
agi ografico cfr. , ad esempio, Gurjewitsch 40 sgg . , 8 7 sgg. Inol tre B u tzen, Die Merowinger ostlich
des m ittleren Rheins, 1 8 . Padberg 76. Cfr. 1 29 .
' 5 Kindlers Literatu rlexikon l l l 1 605 s g . Zwiilfler l sgg . con abbondanza d i font i . Stonner, Germa­
nentum 65 sgg. Lo "Heliand, dal quale ( a detta di S tonner) s i estrae l a c i tazione, fu composto fra
1 ' 822 e 1 ' 840, e probabi l mente il suo autore fu un c h i erico. Dannenbauer, Grund/agen 4 1 .
1 6 Lex Sal. pro l . l .
1 7 H K G I I Ili 2 3 . S c h u l ze, Vom Rei eh de r Franken 3 2 sg . C fr anche Desch ner, Il gallo 5 1 7 .
'" L' arma protettiva era lo scudo, l ' armatura era, a quanto pare , p i u ttosto rara, come pure l ' e l m o :
Zii l l n er, Gesch ichte der Franken 1 60 sgg . Cfr. a n c h e 1 5 2 sgg . , 1 5 7 sgg . S u l l ' armamento dei Franchi
vedi i nol tre Bachrac h , Procopius 435 sgg . , Bodmer 1 09, cfr. anche 1 20 sgg . , 1 27 sg . , Beh n 7 7 , 1 05 .
Mon tgomery l 1 60 sg.
' " Bodmer 1 3 7 . M c K i tteri c k , The Franckish Kingsdom 6 1 . Cfr. anche Pri nz, Grund/agen 84 s g .
20
Greg . Tu r. 2,30. Beda, h . e . 2 , 9 . H e i n s i u s , Miitter der Kirche 1 5 . H a l l e r I 2 7 5 . S c h m i d t , i bi d. 5 1 sgg.
B aetke 46 sgg . Diibler 9 7 . B ii h ner, Grabmiiler 655 s g . Angenendt, Friihm ittelalter 1 7 2 , rinvia
g i u stamente al fatto che i l primo Cristianesimo non ebbe i l motivo rel ig ioso del "Protector pro
victoria"
21
Z{i ] J ner, Die po litische Stellung 67 sgg. Oedi ger, Das Bistum KMn 72, con u l teriori r i m a n d i
bibl iografi c i . E w i g , Die Merowinger und das Frankenreich 1 3 9 .
" Oro s . Hist. adv. Pag. 7 , 3 5 , 2 1 . Cfr. Agos t i n o , civ. dei 5 , 2 6 . Tusculum Lexikon 6 9 . dt1•-Lexikon der
A n tike, Philosophie l 3 1 6 sg. W i l pert, Lexikon der Weltliteratur 1 ,280 sg. Maier, Mittelmeerwelt
1 1 4.
23 Anna/e.1· Mettense.1· priores, a . 743, 7 7 2 , 7 7 6 . Cfr. anche l ' u l teriore n u merosa b i b l i ografi a i n Z w ii l ­
fer 1 1 5 sgg . . soprattutto N o t a 2 5 5 .
24 H i eron . ep . 6 0 , 1 7 . Oros. 7 , 3 9 . Tiidt 27 s g g . M o l l a ! 3 1 . Deschner, Di e Politik d e r Piipste ! , 2 3 6
sgg . , soprattutto 270 sg . con le i ndicazioni delle fon t i e della b i b l i ografia.
25 S c h m i d t , Germanischer Glaube 57 sg . Cram 7 . Tiidt 27 sgg .
"' R G A K 1 976 I I 49 sg . L M A I 1 434 s g g . R ii c kert, Die Christian isierung 6, 1 6 sgg.
27 B aetke 1 943, 1 4 3 sgg . 1 962, 7 sgg. Fra n k , Kirchengeschichte 23 sg. A ngenendt, Taufe und Politik
1 5 9 . Idem, Friihmittelalter 1 7 3 .
2 " S c h u bert, Zur Germanisierung des Christentum.1· 3 9 2 s g . Idem, Geschichte der ch ristlichen Kirche
I 1 5 0. B aetke 25 sg. Ewig, ibid. , 1 3 8 . Reu ter, Germany 42.
0
2 LTh K I V ' 432. RAC V I I I G a l l i a I 9 1 3 sgg. L M A I V 1 3 3 9 . H ii n l e i n , Die Bekhrung l 84. A . Hauck 7 -
A . 1 952 I 1 1 6 . S c h m i d t , Germanischer Glaube 4 1 s g g . Stamer, Kirchengeschichte 22 sgg . Schu­
bert, Zu r German isierung des Christen tums 392 sg . I d . , Gesch ichte der christlichen Kirche I 1 50.
Graus, Vol k 1 54 sgg . , 1 62 sgg. Fleckemste i n , Grundlagen 4 1 . Ztillner, Gesch ichte der Franken
1 7 7 . Sou thern 1 8 . H KG I lfi . G u rj e w i tsch 97 sg . B e m m a n n 53 sg .
311
LTh K V l l l ' 605 . Stamer 1 4 . Egger 4 1 0 . Schieffer, Wienfried-Bonifatius 1 47 sg .
·1 1
G reg . Tur. , Vitae patrum 6 , 2 . RAC X I I 1 9 8 3 , 900. Vogel I I 3 sg. Oediger, Das Bistum Koln 70.
32 Greg . Tur. 8 , 1 5 sg.
" Greg . l, Di al. 2 , 8 ; 2, 1 9 . Wetzer/Welte X I 69 1 sg. LTh K X 1 6 1 0. dtv-Lexikon der A n tike, Ph ilosophit•
Note 27

l, 239. LMA l, 1 867. Donin, l l 25 1 sg. Ziickler 3 5 7 . Hlinlein 63 sg. Schul tze, l l l 84, 1 97 . Gregorovius
l i 242. Sparber, Kirchengeschichte Tirols 8,33 sg. L' autore teologo usa due volte la chiara locuzione
"da zelo i n fuocato". Grau s , Volk 1 85 . S u l l a sete d i potere d i Benedetto e l a sua i n istenza per una
rigida sottomissione fi no alla morte cfr. Felten, 20 1 sgg . , 236 sgg. Ved i anche 198 sg.
'4 Jonas di S usa ( B obbi o ) , Vita Co/umb. c . 4 sg . ; I O ; 1 8 sgg . ; 23 sgg . Vita Galli 5 sgg. Wetzer/We l te Il
696 sgg. LThK IV' 278. I I I ' i sg . Fichti nger 230. L M A III 65 sgg. Grupp I 360. S tonner, Heilige der
deutschen Friihzeit, l 1 5 sgg . , 27 sgg. B u c h ner, Germanentum 1 60 s g . Tiichle l 54 sgg. Levison,
Aus rhein ischer und friinkischer Friihzeit, 248 sgg. M ayer, Geschichte des Bistum Ch ur l 68 sg.
Wal tersc heid, Deutsche Heilige 45 sgg . B ii ttner, Friihm ittelalterliches Christentum 1 5 . Id., Ge­
schichte des ElsajJ 3 7 sgg . B l anke 34 sgg . , 49 sgg . , 64 sgg . Helbl i n g 5 sgg. H ii m meler 487 sg.
Frank, Die Klosterbischiife, 25. W. M ii l l er, Der A n teil der /ren 338 sg. S c hliferdiek, Co/umban.1·
Wirken 1 7 1 sgg . , soprattutto 1 96 sgg. Dan iel -Rops 296. Bersc h i n 257 sgg . Bosl , Europa im Mittel­
alter, 7 8 . E w i g , Die Mero winger, I I I sg . ; 1 2 3 sgg. Stei nbach , Das Frankenreich , 25 sg. Schneider,
Das Francken reich 86. Pri n z , Entwicklung 237 sg. I d . , A skese und Kultur, 38 sg. I d . , Di e Rolle der
lren, 203 . Wood 63 sgg .
' ' Wetzer/We l te I 1 94 . Kel ler, Reclams Lexikon 3 1 , 1 67 sg. L M A I 5 1 O. Vogel l l 1 1 2 , 527 sgg. Daniel­
Rops 296. Ewig, ibid. 1 3 7 s g . , I SO . Werner M., Der Liitticher Raum, 23 1 sgg . Puntai 266 sg .
''' Quando ai tempi d e l l a moda del Sangue e Patria Johannes Wa ltersc heid fece pubb l i c are con
imprimatur ecclesiastico l a "Sacra Patria Tedesca", nella descri zione del l ' anno l i turgico s. Martino
non poteva natura l m e n te essere presentato sotto buona luce i n quanto distruttore d i tutto quel che i
contad i n i suoi contemporanei veneravano profondamente (templ i , al tari , statue) . E quindi il cattolico
Wal terscheid si l i m i ta ad osservare che nel paese "do m i n ava ancora i l paganesimo", che c ' erano
dappertutto temp l i , al tari e colonne dedicate ag l i antichi d è i " , e che "si tenevano ancora pubbl iche
proc e s s i o n i con gli idoli pagan i " . Immediatamente dopo segue u n a frase, che occ u l ta grosso­
lanamente i mi sfatti del santo: "A quel punto Martino divenne l ' Apostolo del popol ino, dei contad i n i
e dei pastori , che v i vevano n e l l e pianure". Le distru z i o n i e g l i incendi v e n g o n o celati nella frase
precedente: "s' accese sopra di l u i l ' i nfuocato l i nguaggio del l ' apostolato" . Gregorio di Tours n arra
che a l l a morte di Mart i n o , il vecc h i o vescovo Severino percepì n e l l a lontanissima Colonia il coro
deg l i ange l i che portavano in c i e l o l ' a n i m a di Mart i n o . (Lo storiografo Matthias Zender parla i n
propos ito del l ' u n i c a notizia quasi storica d e l l a v i ta di s . Severino, d i c u i si conoscono comunque
più d i I S O luoghi d i c u l t o ) .
" Greg. T ur . l , 3 9 . S u l p . Sev. , Vi t. Ma rt. 12 sgg . Dia/. 2 , 8 . Cfr. a n c h e Dia/. l ,4: Vita beati Ma urilii 2 .
L t h K V I ' 984 s g g . dtv- Lexikon der An tike, Religion I l 8 4 . RAC V I I I 1 97 2 Gal l i a 1 9 1 4 sg. Schultze,
I 27 1 sg . ; II 1 04 sg. Zwiilfer 68 sg. Schniirer, K i rche u n d Kultur I 208 . Wal terscheid, Deutsche
Heilige, 1 3 sgg. I d . , Heilige deutsche Heimat I l , 265 . Vi l l er/Rahner 1 79 . Zender, Die Verehrung,
257 sg. Deichmann l 05 sg . Lev ison, Aus rheinischer und friinkischer Friihzeit, 28 sg . Schneider,
C., Geistesgesch ichte I l , 300. Ewig, Der Ma rtinsku/t, I l sgg. Graus, Vo/k, 1 54 sg . Pri nz, Kleru.1·
und Krieg , 3 9 . I d . , En twicklung 223 sgg. B o s l , Europa im Mittelalter, 4 3 , 7 9 . We igel 86. Greg . ,
Vita patr. 6 , 2 . Baudoniv. , Vita Radeg . 2 , 2 . Vita Gaug. 1 3 . Vita Eligii 2 , 8 . Vita Lupi Senon . I l . Vita
Landiberti l O. Vita Hugberti 3. Vita A mandi 1 3 . Citaz. da Ziill ner, Geschichte der Franken , 1 7 6 sg.
Inol tre RAC VIII 1 97 2 , Gallia l , 9 1 4 .
'" RAC V I I I 1 97 2 , 894, 9 1 6 . Pri n z , ibid. 2 5 5 .
·'• Beda, h . e . 2, 1 3 . K ii h ner, Lexikon 4 1 . H li n l e i n 1 7 2 . A l germissen X I sgg . , 229. Beise l , Studien 1 30.
Graus, cfr. n o t a 4 1 .
4" Conci/. Germanicum, can . 5 .
41 Greg . Tur. , Vita patrum 6 , 2 . Baudonivia, Vita Radegundis 2 , 2 ; Vita Lupi episcopi. S e n . c . I l ; Vita
Gaugerici episcopi. Camerac c. 1 3 . Vita Hugberti episcopi, Traiect. c. 3 ; Vita Landiberti episcopi
Noviomag. 2 , 8 . 1 . S i n d i Ori . ( S I I ) c a n . 3 0 . 2 . S i n . d i Ori. ( 5 3 3 ) can. 1 2 . ; 20,4. S i n . d i Ori . ( 54 1 )
28 Note

c a n . 1 5 sg. S i n . di Elusa (Eauze 5 1 1 ) c a n . 3. S i n . di Tours (567) c a n . 22. Ke l ler, Reclams Lexikon


2 0 9 sg. S c h u l tze, II 1 1 3 sgg. Graus , Volk ! 5 6 sgg . ; 1 84 s g . H li n l e i n II 9. Wei nh o l d , Die deutschen
Frauen I 7 1 sg.
42 RAC V I I I Gal l i a I 9 1 7 .
CAPITOLO II.

CLODOVEO, FONDATORE DEL REGNO FRANCO

" . . . una delle figure più eccelse della storia mondiale"


(Lo storiografo Wilhelm von Giesebrecht) 1

"E che fosse consapevole d' essere Cristiano, non solo, ma Cristiano Cattolico,
è cosa sicura e si manifesta continuamente negli atti singoli del suo governo"
(Il teologo Kurt Aland) 2

"Unitosi alla grande e viva solidarietà della famiglia cattolica,


senza passare attraverso un periodo errante di incultura Ariana,
questo popolo [ dei Franchi] energico e pronto all' apprendimento
ricevette un durevole nutrimento spirituale, che lo rese capace di grandi imprese".
(Hartmann Grisar SJ) 3 47
30 Clodo veo, fondatore del Regno franco

L'ORIGINE DEI MEROVINGI

La patria originaria dei Franchi, il cui nome nel primo Medioevo veniva posto in relazione
coi concetti di "audace", "ardimentoso", "spavaldo", fu il territorio presso il corso
inferiore del Reno. Questo popolo, privo di una guida unitaria, si formò probabilmente
tra Weser e Reno nel I e II secolo d.C. col sinecismo di numerose tribù minori . La
prima menzione storica risale alla metà del III secolo, quando condussero aspre battaglie
contro i Romani, poi continuate per tutto il IV e il V secolo. In quel primo periodo i
Franchi, insediati sulla riva destra del fiume, penetrarono oltre il limes renano, attraverso
il quale probabilmente singoli elementi si erano già infiltrati nei territori finitimi.
Penetrarono fino a Xanten, abbandonata intorno al 450 dalla popolazione romana e
quindi occupata dalla tribù franca dei Chattuari, e giunsero nel territorio situato fra il
Reno e la Mosella. Occuparono Magonza e Colonia, che, dopo l ' occupazione definitiva
intorno al 460, fecero centro di uno stato franco indipendente, la Francia Rinensis,
immediatamente a ridosso della riva sinistra del fiume. A poco a poco si appropriarono
del territorio vicino alla Mosella e fino alla M osa. Treviri fu da loro conquistata quattro
volte nella prima metà del V secolo, ma sempre riconquistata dai Romani, finché intorno
al 480 finì definitivamente nelle loro mani. La popolazione, presumibil mente di 60.000
abitanti nel IV secolo, scese fino a poche migliaia nel VI secolo.
In Belgio e nella Francia settentrionale fondarono principati franchi sottoposti a un
49 regulus; verso il 480 l ' intero distretto renano tra Nimega e Magonza, il territorio presso
la Mosa intorno a Maastricht, e la valle della Mosella da Toul a Coblenza faceva parte
della Francia Rinensis. I Romani permisero tale insediamento a patto che i Franchi, in
qualità di foederati, prestassero servizio militare, e di tutti i Germani essi divennero i
commiliton i più affidabili, anche se, in verità, si sbranavano abitualmente fra loro in
selvagge faide tribali. Ma alla fine i Merovingi ebbero sotto il proprio comando l ' intera
Gallia romana. 4
Nel tardo V secolo al l ' incirca tra la Somme e la Loira si trovava la parte del paese
ancora domi nata dai Romani, circondata da popoli germanici pressoché da ogni lato. A
sud e a sud-est i Visigoti e i B urgundi avevano occupato la maggior parte del territorio,
a est si erano insediati gli Alemanni e a nord i Franchi, presso a poco fra il Reno e la
Somme. Ma come i Germani stringevano tutt ' intorno i Romani, in ugual modo i Franchi
si pressavano gli uni con gli altri, suddivisi in piccole tribù governate da reguli, con un
potere assai limitato territorialmente e politicamente. Queste tribù erano organizzate
democraticamente, in una sorta di "democrazia mil itare", i cui capi dipendevano
notevolmente dalla volontà di tutto il popolo libero, la "totalità dei Franci", costituita
dai "liberi uomini d' armi", che acclamava il re o lo deponeva, a piacimento. 5
Uno dei primi di questi reguli parzialmente a noi noto è Clodione (ca. 425 - ca. 45 5),
capo dei Franchi Salii penetrati con lui dalla Tossandria; intorno al 425 si impadronì
/, 'origine dei Merovingi 31

della città romana di Cambrai, lungo i l corso superiore della Schelda, quindi, duramente
sconfitto presso Arras (ca. 435) da Ezio, supremo comandante del l ' esercito romano e
di fatto signore della Gallia, nel 455 occupò il paese fino alla Somme. Clodione è il
primo dei Merovingi attestato in modo sufficientemente attendibile: la sua schiatta
sarebbe discesa dal contemporaneo Meroveo, a lui congiunto e capostipite della dinastia
cui avrebbe dato il nome, fin dal IV secolo una delle "famiglie principesche" franche
più autorevoli. Ben presto - a differenza dei re Franchi regnanti a Colonia, dei signori
della Francia Rinensis, della provincia di Magonza e della Mosella, Merovingi agnatizi i 50
- i bellicosi Sali domineranno in Gallia per due secoli . 6
Meroveo, l ' eroe eponimo, secondo la tradizione leggendaria mezzo uomo e mezzo
toro generato sulla spiaggia con un mostro marino (infatti la testa tauri na aveva
un ' i mportanza speciale nella simbologia merovingia), fu padre di Childerico l, principe
franco regnante a Tournai . Ancora agli ordini dei comandanti gallo-romani residenti a
Soissons (di Egidio, del comes Paolo, di Siagrio, figlio di Paolo) combatté contro
Visigoti, Sassoni e Alani (o Alemanni ?), ma guerreggiando a lungo contro i Germani
come foederatus dei Romani, già provvide a crearsi le basi di un potere autonomo. Si
dimostrò certamente leale, ma diventato più potente all ' ombra dei condottieri gallo­
romani, sembra che i suoi rapporti con Si agri o ( 469-486), "rex Romano rum" (Gregorio
di Tours) si siano deteriorati. Chi lderico invece, che alla fi ne fu probabilmente
governatore della Belgica secunda, provincia formalmente ancora sotto giurisdizione
romana, ma in effetti comandata dai principi dei Franchi Salii, intrattenne buoni rapporti
con la chiesa cattolica della Gallia, con la quale i Franchi lungo il Reno e la Somme
avevano già intessuto buone relazioni. Benché non fosse cristiano, anzi, secondo il
vescovo Gregorio, tanto lascivo con le figlie dei suoi Franchi, da essere costretto ad una
temporanea fuga in Turingia, Childerico concesse immunità alle chiese e al clero ed
ebbe buone relazioni con l ' episcopato belga, particolarmente col metropolita di Reims.
Childerico morì nel 482; quasi 1 200 anni dopo, nel 1 653, un medico di Anversa
ritrovò la sua tomba presso Tournai , di gran lunga il più adorno dei più di 40.000
sepolcri d' epoca merovingia scoperti dagli archeologi. Il re era stato sepolto nel la sua
residenza con un ricchissimo abito di broccato insieme al cavallo, alle insegne regali,
alle armi e a numerose monete d' oro e d ' argento. Nel 1 83 1 tali tesori archeologici
scomparvero in massima parte dalla Galleria d' Arte Imperiale di Parigi, bottino d ' un
furto con scasso. Sic transit gloria mundi. 51

L A RAPIDISSIMA ASCESA D I UN BANDITO D I STATO

A Childerico (m. nel 482) successe l ' unico (forse) figlio, il sedicenne Clodoveo I (466-
5 1 1 ), erede di un minuscolo potentato fra tanti, come, ad esempio, quello di Ragnacar
32 Clodo veo, fondatore del Regno franco

a Cambrai (pag . 47) o di Cararico, del cui ambito regale non si sa nulla di più preciso.
Sotto molti aspetti il padre di Clodoveo aveva già tracciato la via, che il figlio, per così
dire, percorrerà sino in fondo. Infatti la "rapidissima ascesa" (Ewig) di questo principe
di contadini astuto e senza scrupoli, col quale ebbe inizio la 'preistoria della "tedeschità'"
(Lowe), viene glorificata dalla storiografia ormai da millecinquecento anni. Eppure,
osservata da un punto di vista etico (e in certo modo "cristiano") e sotto il profi lo dei
"diritti umani" (e dei comandamenti cristiani, pur allora vigenti, di non rubare e di non
uccidere) la carriera di Clodoveo non è stata altro che la velocissima ascesa di un
gangster, di un bandito statale di primo piano (tanto per non coi nvolgere in tale
compagnia gangsters di minor calibro).
In combutta con diverse tribù sorelle, mediante un' azione ini nterrotta di rapine,
assassi nii e guerre, Clodoveo estese progressivamente il piccolo regno salico intorno a
Cambrai , insignificante e limitato a una ristretta parte della Gallia settentrionale nella
Belgica Secunda, oltre i territori della provincia romana sulla riva sinistra del Reno,
pri ma fi no alla Senna, poi fino alla Loira, quindi fino alla Garonna, portando così i
Gallo-Romani sotto il dominio dei Franchi. Già allora si diceva: "Ho i Franchi come
amici, non come confinanti". 7
Un popolo tanto bellicoso, per di più nobi litato dalla nomea della sua lealtà, attrasse
fin dall ' i nizio l ' attenzione del clero cristiano : degli ariani, ma soprattutto dei cattol ici,
che cercarono di allettarlo dalla propria parte. Infatti , tutti i grandi principi d' Occidente
erano in quel tempo o ariani o pagani . Clodoveo fece appena in tempo a diventare re in
Tournai, che il metropolita di Reims, s. Remigio, uomo "di scienza profonda", come Io
52 esalta il vescovo Gregorio, e per giunta suscitatore di morti , si accostò a lui. La diocesi
di Remigio si trovava nel bel mezzo del territorio di Siagrio, che allora Clodoveo
sopraffece, a quanto pare con l ' aiuto dei vescovi cattolici del luogo. E subito Remigio
si sentì autorizzato ad affibbiargli eminenze grigie, "consiglieri" capaci di "accrescere
la fama" al "celebre e per i suoi meriti sublime Signore e Re Clodoveo": "MostraTi
ricolmo di devozione verso i vescovi (sacerdotes) e accogli sempre il loro consiglio;"
- scrive al principe, ancor prima che fosse diventato cristiano - "se con loro avrai
trovato un'intesa, il Tuo paese ne trarrà gran giovamento" . 8
Ne1 486 o ne1 487 Clodoveo mosse contro Siagrio, formalmente ultimo rappresentante
dell ' impero romano, ma di fatto ormai autonomo, sotto il cui padre, il comandante
dell ' esercito Egidio, il padre di Clodoveo aveva combattuto Sassoni e Visigoti , anche
se poi si era levato in armi contro lo stesso Egidio, proprio come adesso faceva Clodoveo
contro il di lui figlio. Il momento era favorevole: poco prima della scorreria banditesca
dei Franchi era morto Eurico, potente re dei Visigoti , temutissimo in Gallia dai Franchi
Salii, evento che dovette incoraggiare non poco il re Clodoveo. Alleatosi col cugino
Ragnacar, regulo di Cambrai, annientò la residua potenza romana in Gallia nella battaglia
di Soissons. Mentre il re franco, "ancora preda della superstizione pagana" (Gregor), si
Un grande bagno di sangue e la prima data della storia della ch iesa tedesca 33

dedicava al saccheggio, depredando anche parecchie chiese, Siagrio si rifugiava a Tolosa,


capitale dei Visigoti; intanto Clodoveo minacciava guerra anche al quasi i nerme
successore di Eurico, per cui Alarico II consegnò il fuggiasco, il vincitore lo fece
assassinare "segretamente" e rafforzò le sue soldatesche coi resti del nemico sconfitto,
facendo di Soissons, fino ad allora sede principale di Siagrio, la sua nuova residenza.
Ebbe termine in questo modo una storia semimillenaria: tutto il paese fino alla Senna
venne razziato e subito dopo che il predone, il rex Francorum, ebbe un po' consolidato
il potere, anche le sue razzie continuarono: "Molte guerre condusse egli in seguito,
ottenendo numerose vittorie" - decanta il vescovo Gregorio, esattamente subito dopo
aver fornito ampie notizie intorno a un assassinio personalmente perpetrato dal re. 9 53

U N GRANDE BAGNO DI SANGUE E LA PRIMA DATA DELLA STORIA DELLA CHIESA TEDESCA

Ben presto Clodoveo si spostò da Soissons a Parigi, allora la città più importante, che
almeno nel VII secolo diventò il centro vero e proprio della Francia, dove si fece
seppellire anche la maggior parte dei re merovingi. Verso il 493, quando, ormai penetrato
dalla Senna alla Lo ira, era diventato padrone dell'intera Gallia settentrionale e immediato
vicino dei Visigoti (che dominavano la Gallia meridionale unitamente ai Burgundi), e
incontestabilmente il più autorevole principe dei Franchi, divenne sempre più oggetto
di attenzione dei cattolici e viceversa. Sposò allora la giovane principessa burgunda
Clotilde, figlia del co-reggente Chilperico II e nipote del re Gundobado, la quale, a
differenza dei fratelli, era cattolica e diventerà santa. 1 0
Questo matrimonio fu probabilmente arrangiato d a due santi, Avito e Remigio, poiché
la tattica dei cattolici era quella di servirsi delle consorti dei principi germanici per
guadagnare alla fede anche costoro insieme a tutto il popolo; e può darsi benissimo che
Clotilde, "la devota regina" fin dal giorno delle nozze "abbia insinuato nelle orecchie"
del re, come narra il cronista, l ' opportunità di accogliere la vera fede, di abbandonare
"gli idoli, che a nulla e a nessuno possono giovare", anzi, di aver oltraggiato "Giove",
che se la faceva con le sorelle, definendolo "un porco". Ma Clodoveo non si lasciò
convincere "in nessun modo", anche perché la sua tribù non sembrava ancora affatto
disposta alla conversione : "Finché un giorno, finalmente, si trovò in guerra con gli
Alemanni". Gregorio scrive proprio "finalmente", perché il suo popolo era stato conti­
nuamente rafforzato dalle catastrofi (degli altri). Nel bel mezzo di un "impressionante
bagno di sangue", nel quale gli Alemanni pagani massacravano i Salii alleati e i Franchi
del Reno, quando il suo esercito, pressoché distrutto, ormai indietreggiava, colto dalla
"grazia decisiva", gridò prorompendo "in lacrime" : "Cristo Gesù, o tu, che Clotilde
definisce figlio del Dio vivente . . . E dette tali parole gli Alemanni si volsero e si diedero
alla fuga" . 1 1 54
34 Clodo veo, fondatore del Regno franco

Non è che una pura leggenda, o più precisamente storiografia cattolica, che rammenta
le bugie dei padri della chiesa dopo la vittoria di Costantino sul collega Massenzio
(v. l, 1 98 s . ) . Tuttavia la conversione di Clodoveo deve porsi in relazione con la guerra
contro gli Alemanni, con la quale il re franco estese il suo stato predatore fino ai territori
del corso superiore e mediano del Reno, riducendo sotto il suo controllo fors ' anche
quelli a est del Reno.
Gli Alemanni (o Svevi), menzionati per la prima volta nel 2 1 3 , si erano mossi dai
territori intorno all ' Elba, e presumibilmente alla fine del II secolo erano stati rafforzati
da eserciti e masse migratorie di differenti popoli germanici, stabilendosi nei dintorni
del Meno. Il loro nome significa "alle Manner" (''tutti uomi ni"; N.d.T.), come ancor
oggi intendono tutti quelli che se ne intendono. Gli Alemanni, che premevano sui confini
dell ' i mpero romano sul Reno e sul limes, nel 406 si trasferirono in Gallia e in Spagna,
in parte accompagnati da Vandali e Alani. Ma la maggior parte conquistò l ' Alsazia, un
vasto territorio dell' odierna Svizzera, e il paese fra Iller e Lech. 1 2
Quando cercarono di spingersi oltre verso nord-ovest, si scontrarono coi Franchi, in
particolare coi Franchi Renani, che dominavano il territorio della Mosella. Costoro,
verso il 475 già alleati coi Burgundi contro gli Alemanni, intorno al 490 in una battaglia
presso Colonia, nella quale il regulo locale Sigeberto fu ferito al ginocchio (cfr. pag.
47) riportarono una vittoria non decisiva. Ciò bastò a indurre Clodoveo all ' i ntervento:
verso il 496/497 a Tolbiacum, località non esattamente identificata (forse in Alsazia), il
re degli Alemanni, di cui ancora si ignora il nome, restò sul campo di battaglia. Clodoveo
irruppe in Alemannia sulla riva destra del Reno e sterminò gran parte dei suoi abitanti
ancora pagani. Circa dieci anni dopo, nel 506, gli Alemanni riconquistarono le terre
perdute, ma vennero di nuovo sangui nosamente sconfitti, forse presso Strasburgo, dove
ancora una volta il re alemanno perì in battaglia. Inseguiti dai Franchi, fuggirono a Sud
tino ai piedi delle Alpi, nella Raetia prima (provincia di Chur) e nella Raetia secunda
55 (provincia di Augsburg), territori sotto l ' influenza del re degli Ostrogoti Teoderico, che
fermò il genero Clodoveo e insediò i fuggiaschi nella Rezia, in Pannonia e nell' Italia
settentrionale. Ma in Alsazia, nell' Assia renana meridionale, nel Palati nato, nei territori
sul Meno e sul Neckar gli Alemanni finirono sotto il dominio diretto di Clodoveo. Di
qui i Franchi in seguito si spinsero ancora verso Oriente, fino alla Saale, al Meno
superiore e quasi fino alla foresta bavarese. 1 3
Non sappiamo esattamente quando Clodoveo si fece battezzare; s. Clotilde chiamò
"segretamente" il santo vescovo Remigio, già in contatto col re quando ancora gli
ariani tentavano di obnubilarne "l' animo vivissimo", e fu lei adesso, la santa consorte,
"a insinuare nel cuore del monarca la parola salvifica", come scrive s. Gregorio.
E poiché tutto ciò che è santo finisce per ritrovarsi, alla fine succede di nuovo, come
così spesso accade, una specie di miracolo: " . . . chiamò contemporaneamente tutto il
popolo . . . : Noi abbandoniamo gli dèi mortal i, o re mi sericordioso, e siamo pronti a
Re Clodoveo e due "santi di Dio " 35

seguire il Dio immortale proclamato da Remigio". Insieme alle sorelle Lantechilde


(un ' ariana che però ora riconosce o meglio "professa che il Figlio e lo Spirito Santo
sono della stessa sostanza del Padre") e Albofledis, che diventerà monaca, nonché
insieme a 3000 Franchi (così pare), probabilmente combattenti, re Clodoveo si fece
battezzare in pompa magna a Reims alla presenza di numerosi vescovi, nell ' anno del
signore 496 o 497 secondo alcuni, nel 498 o 499 secondo altri ; per certi studiosi, che
pongono la guerra contro gli Alemanni nel 506, l ' evento risalirebbe al 506, 507 o 508,
"la prima data della storia della chiesa tedesca" (Kawerau). Significativamente essa
resta legata a un grande bagno di sangue ed è uno degli accadimenti più importanti del
primo Medioevo; e non tanto perché Clodoveo divenne cristiano, ma perché diventò
cristiano cattolico-romano, la qual cosa determinerà il destino dei Franchi e de li' Europa;
attraverso l ' impero di Carlo ciò condurrà ad uno stretto legame col papato e al "Sacro
Romano Impero della Nazione Tedesca". 1 4 56

RE CLODOVEO E DUE "SANTI DI DIO"

Il battesimo di Clodoveo fu celebrato con una festa grandiosa: le strade e le chiese


risplendevano nei loro adornamenti, il battistero era ricolmo "di profumo celestiale",
anzi, i presenti ritennero d' essere stati innalzati "tra gli effluvi paradisiaci". Il re avanzò
"verso il fonte battesimale" come "un novello Costantino" - narra Gregorio di Tours
con un confronto terribilmente appropriato ! ) - "per lavarsi dali' antica lebbra e purificarsi
con l ' acqua fresca dalle sozze macchie, che lo ricoprivano da tempo immemorabile".
Remigio, "il Santo di Dio", a lui "così si rivolse con bocca faconda: ' Piega si lenzioso
la tua cervice, o Sicambro, adora ciò che incendiasti, incendia ciò che adorasti "' (Adora
quod incendisti, incende quod adorasti) .
Ma c h i era codesto santo, che esortava tanto impudentemente alla persecuzione,
come a suo tempo aveva fatto anche il collega Avito?
Remigio, rampollo "aristocratico", come la maggior parte dei prelati di quel tempo
(ma non solo di quello), divenne vescovo di Reims a 22 anni ; il fratello Principio fu
anch ' egli vescovo (di Soissons) e anch ' egli santo (si dice che i suoi resti mortali siano
stati bruciati dai calvinisti nel 1 5 67 ) . Remigio, l ' apostolo dei Franchi, con zelo
infiammato predicò il cattolicesimo ad ariani e pagani, conducendo addirittura "una
guerra radicale" (Schultze), durante la quale - come fu detto in un Concilio a Lione ­
"egli distrusse gli altari degli idoli e diffuse in modo possente la vera fede con numerosi
portenti e miracoli". 1 5
Secondo Gregorio di Tours il vescovo Remigio battezzò Clodoveo la notte di Natale
del 496, quando per la bisogna pare che una colomba abbia recato un' ampolla d' olio
santo : una fandonia inventata solo tre secoli e mezzo dopo dal famigerato vescovo
36 Clodo veo, fondatore del Regno franco

Hinkmar di Reims, che nell ' 852 pretende d' aver ritrovato intatto il santo corpo di
Remigio. L' ampolla miracolosa fu custodita nel l ' abbazia di s. Remigio, a Reims,
"protetta da molti chiavistelli", e utilizzata fino al XVIII secolo per l ' incoronazione dei
57 re di Francia; ma, altro evento portentoso, l ' olio non scemava mai - come l ' impostura
di questa religione.
Le falsificazioni, come sappiamo, sono antiche e numerose (v. III, capp. l , 2 e 3); e
anche l ' epistola di papa Ormisda, che nomina Remigio ' vicario apostolico' di Gallia, è
un falso; come pure la presunta lettera gratulatoria di papa Anastasio II (496-498) in
occasione del battesimo di Clodoveo. Il papa romano non nutriva grande interesse per
l ' Occidente, e tanto meno per un principe franco di bifolchi ; piuttosto gli stava a cuore
la fine dello scisma acaciano in Oriente, per la quale fu talmente conciliante, che alla
sua morte per l ' elevazione di un antipapa si giunse a vere e proprie battaglie per le
strade e dentro le chiese (Dante vede nell ' "Inferno" la tomba di questo papa nel girone
degli Eretici) (v. II, 234 ss.). Papa Anastasio, invece, ignorò l ' evento più significativo,
decisivo e di portata mondiale del suo pontificato accaduto a Nord : l ' inizio della vittoria
cattolica sull ' ari anesimo e del successo cristiano sul paganesimo germanico. Ciò che
in seguito tormentò l ' abate Jérome Vignier, un oratoriano disti ntosi come falsario anche
in altre vicende, a tal punto che si felicitò con Clodoveo in nome di papa Anastasio . . .
nel XVII secolo ( u n po' in ritardo davvero ! ) . 1 6
A l contrario è autentica - m a purtroppo non datata - l a lettera d i felicitazioni inviata
a Clodoveo da s. Avito, il potente metropolita di Vienne (ca. 490-5 1 8), nella quale si
dice : "La Vostra fede è la nostra vittoria" !
Avito, "nobile rampollo" come Remigio, addirittura imparentato con l ' i mperatore
Avito, era figlio del predecessore, l ' arcivescovo Isichio di Vienne, e fratello del vescovo
Apollinare di Valence (in questa famiglia non si disdegnava davvero di ricoprire incarichi
redditizi e influenti (cfr. III, 392 s.), e nemmeno la santità ! ) . Remigio e il fratello Principio
erano santi, né più né meno di Avito e del fratello Apol li nare. E come Remigio, anche
Avito fu un fanatico (festeggiato il 5 Febbraio). Nelle sue "lettere stupende" - narra
entusiasta s. Gregorio - "scaraventava al suolo le false dottrine", l ' eresia eutichiana e
58 pelagiana, ma soprattutto l ' arianesimo.
Con Lione, Vienne era "l' avamposto più importante della chiesa cattolica nel regno
dei Burgundi ariani" (Zotz). Col fratello vescovo Apollinare (festeggiato il 5 Ottobre)
Avito lavorò indefessamente al passaggio di questo regno al cattolicesimo. L' archiman­
drita esaltò presso re Clodoveo il battesimo come consolidamento delle fortune belliche,
come poi altri pensarono e scrissero, ad esempio il vescovo Nicezio di Treviri (anch 'egli
santo; festeggiato il l Ottobre). S. Avito raccomandò a Clodoveo le missioni presso i
pagani - tema ricorrente nel Medioevo - come mezzo di espansione politica, insomma
gli consigliò la guerra, di diffondere : "il seme della fede tra le tribù lontane, di buona
lena e senza timori ; il morbido manto battesimale moltiplicherà la forza delle dure
Re Clodoveo e due "santi di Dio " 37

armi" ! Oggi invero ci vorrebbero far credere in una missione pacifica di Avito; una
"missione armata" gli sarebbe stata "poco desiderabile" come "una crociata antiariana"
(Staubach). In realtà l ' arcivescovo Avito esaltò tanto il re franco - "Fama imperitura
voi lasciate ai posteri" - che i Burgundi, la cui cristianizzazione è effettivamente il suo
"merito principale", in seguito lo sospettarono di slealtà. 1 7
Ovviamente il cattolico Clodoveo fece convertire anche i suoi, ancora ariani o pagani,
così che infine l ' intera casa reale dei Franchi diventò cattolica. Ergo, da allora in poi
resisterà una stretta "alleanza fra monarchia ed episcopato" (Fleckenstein). I principi
della chiesa occuparono i posti d' onore alla corte di Clodoveo, esercitando su di lui la
massima influenza, specialmente Avito e Remigio.
Naturalmente il clero divenne ricco grazie al bottino bellico merovingio: il re elargì
ai prelati donazioni e terre, e persino in guerra cercò di risparmiare al massimo i beni e
gli edifici ecclesiastici . L' attività agitatoria dei cattolici non conobbe limiti: il destino
del re fu addirittura ide ntificato con quello del cattolicesimo, la miseria della chiesa
cattolica (ahimè ! così oppressa) suggeriva a Clodoveo una lotta per la vita e per la
morte contro l ' arianesimo. Ed egli "si sentì adesso eletto strumento di Dio e tanto più
indulse alla sua bramosia di conquista" (Cartellieri). 59
Da quel momento "Monarchia e Chiesa operarono insieme per l ' ulteriore diffusione
del Cristianes imo" (Sch ultze): da un lato il regno franco di ventò i l pilastro del
cattol icesimo, dall' altro Clodoveo, durante la conquista della Gallia, si assicurò così il
sostegno del clero gallo-romano, il quale in tal modo riuscì a salvare le sue enormi
ricchezze dalle grinfie degli ariani e degli strati inferiori della popolazione, contempo­
raneamente assicurando ai Franchi il favore dei Gallo-Romani. Se si tiene presente
che allora romani e non-romani erano fra loro meno lontani che non ariani e cattolici,
si comprende l ' attenzione rivolta dalla Gallia cattolica, e soprattutto dai suoi preti,
all ' unico re cattolico dei Germani . I cattolici - afferma Gregorio di Tours - bramavano
ardentemente il dominio dei Franchi. 1 8
Nella conversione di Clodoveo, naturalmente, furono determinanti le motivazioni
politiche, anche ammesso che ve ne fossero altre (il che non è verisimile). Eppure per
secoli gli apologeti hanno sostenuto il contrario; già il vescovo Nicezio di Treviri,
"vanto dell'episcopato franco", davanti alla nipote di Clodoveo, Clodosvinta, intorno
al 565 ricondusse la conversione del re al riconoscimento della "verità" e "al la veridicità
della dottrina cattol ica" ; e ancora nel 1 934 il teologo cattolico Algermissen sostenne
che un eroe germanico tanto audace e intelligente come Clodoveo fu indotto al rifiuto
delle stolte credenze pagane e ali' accoglimento della dottrina del Crocifisso "non dalla
costrizione né dalle 'carneficine"', ma da un intimo convincimento religioso. 1 9
In realtà, come oggi sostiene ampiamente l ' indagine storiografica, tale conversione
fu un atto squisitamente politico, come già quella di Costantino. A differenza di tutti gli
altri popoli germanici, il re si fece cattolico perché tale dottrina avrebbe costituito fin
38 Clodo veo, fondatore del Regno franco

dal principio un legame fra il conquistatore e i Gallo-Romani sottomessi o ancora da


sottomettere, cosa che mancava agli altri regni germanici . Clodoveo, da subito ben
disposto verso la chiesa, diventò cattolico per poter soggiogare le tribù ariane dei
60 Germani e conquistare più facilmente la Gallia limitrofa con la sua solida maggioranza
di cattolici romani.
E così col soccorso della chiesa cattolica del paese fondò il regno dei Franchi, fin
dall' inizio composto da Germani e Gallo-Romani. A Nord, nelle sedi originarie in
B rabante, nelle Fiandre, nel Basso Reno e presso la Mosella, anche dopo le conquiste
c ' era la massa dei conquistatori, i Franchi (Salii), dal momento che il loro regno si
estendeva a Sud della Loira, fino alla Gallia prevalentemente romana, assumendo
l ' eredità di Roma e della sua amministrazione. (Oggi si calcola intorno al I O% la
componente franca tra il Reno e la Loira e intorno al 2% a Sud, su una popolazione
complessiva della Gallia di circa cinque milioni di abitanti). Inoltre era grande l ' influenza
della chiesa sulla popolazione gallo-romana, perché il cattolicesimo costituiva la forma
di cristianesimo più organizzata e brutale, della quale Clodoveo approfittò per i suoi
scopi, come prima di lui Costantino. E ovviamente non poteva mai dimenticare che a
Sud c ' erano ancora solidi stati ariani: in Spagna i Visigoti , che restavano ancora padroni
di Narbona; in Italia gli Ostrogoti , che si estendevano alla Provenza 20, e infine c ' erano
i Burgundi, ancora ariani.

LA GUERRA DJ CLODOVEO CONTRO l B URGUNDI (500) -


"LA FORTUNA DEL REGNO" E UN SANTO TRADITORE DELLA PATRIA

È ancora oggetto di discussione se i B urgundi, popolo della Germania orientale,


provengano da Bornhol m, che fino al XIII secolo portava ancora i l loro nome,
Burgundarholm (danese: Borghundarholm, a sua volta ampl iamento di un più antico
Burgund, cioè Bergland [= paese montuoso; N.d.T.), oppure se l ' isola, che appare troppo
piccola per essere la loro patria originale, sia servita soltanto da trampolino per passare
dal la Scandinavia sul continente. 2 1
l Burgundi, arrivati nell' Europa centrale già in epoca precristiana, più precisamente
61 nei territori fra I ' Oder e la Vi stola, incalzati da Goti e Rugi intorno al 200 si trasferirono
nella Niederlausitz, nel III secolo nella valle del Meno superiore e centrale e quindi
nei i ' Odenwald. Strappati a queste contrade dalla migrazione del 406 di Alani, Svevi e
Vandali, se ne separarono, insediandosi comefoederati di Roma tra Magonza e Worms
(Borbetomagus). Per il 4 1 3 si sa del loro re Gundahar (Gunther) come di un re federato;
nel 435 irruppero in Gallia. Due anni dopo gli Unni travolsero ciò che restava a Est del
Reno. Quelli che allora sopravvissero al regno burgundo di Worms - forse 20.000 uomini,
il retroterra storico dell' epopea dei Nibelunghi - divennero federati dei Romani, che li
La guerra di Clodoveo contro i Burgundi - "La fortuna del regno " 39

impiegarono contro gli Alemanni in Sapaudia (Savoia), soprattutto intorno al lago di


Ginevra, donde mossero a Sud per la valle del Rodano e a Nord quasi fino al corso
superiore della Senna. 22
Dopo la metà del V secolo il territorio burgundo si ampliò rapidamente, giungendo
infine dal corso superiore della Loira fino al Reno e, a Nord, dalla Provenza fino a
Langres. A partire ali ' incirca dal 46 1 , sotto Gundiok (Gundowech), la capitale fu Lione
e nel 463 il re divenne magister militum per Gallias, come poi il fratello minore
Chilperico I, il quale governò i Burgundi insieme a lui, quindi da solo dopo la morte di
Gundiok nel 470. Circa dieci anni dopo regnavano i quattro figli di Gundiok: Gundobado,
quale princeps, a Lione, Godigiselo a Ginevra, gli altri fratelli, Chilperico II (padre di
s. Clotilde) e Godomaro probabilmente a Valence e a Vienne. 23
I Burgundi conobbero per la prima volta il cristianesimo (nella sua forma ariana)
verso la fine del IV secolo ad opera dei Visigoti, che migravano lungo il corso superiore
del Danubio. Dal "Nibelungenlied" si evince che allora erano "in qualche modo"
(Schmidt) cristian i ; a poco a poco però inclinarono al cattolicesimo, se già nel 463 il re
Gundiok, benché ariano, venne chiamato "filius noster" da papa Ilario (che da diacono
partecipò al "Sinodo dei briganti" di Efeso (v. II, 1 48 ss.) e come pontefice si rivolse
quasi esclusivamente a corrispondenti occidentali (v. II, 2 1 1 ) . Dopo le guerre contro i 62
suoi tre fratelli (che perirono tutti : Chilperico fu assassinato con la famiglia, eccetto
due figlie, una futura santa e una futura suora), Gundobado (480-5 1 6) restò unico si­
gnore e finì sempre di più sotto l ' influenza della chiesa cattolica, soprattutto di s. Avito,
pur senza decidersi a compiere l ' ultimo passo. 24
Il breve regno dei Burgundi - comprendente secondo stime odierne "5000 guerrieri
e 25000 anime" (Beck) - si trovava a Sud-Est dei Franchi, nella regione del Giura fra il
Rodano, la Saona e le Alpi. Quando nel 500 Clodoveo lo aggredì , non fu mosso tanto
dalla sete di vendetta di s. Clotilde, quanto dalla posizione commercialmente strategica
della valle del Rodano e dei passi alpini dell ' alta Burgundia. Sembra invece che fu la
chiesa cattolica a istigare a questa guerra, data l ' influenza esercitata sul re, sui Franchi
e sui Burgundi . D ' altra parte, come narra s. Gregorio, si era diffusa "dappertutto in
questi paesi la fama della temibile potenza dei Franchi, e tutti bramavano di sottostare
al loro dominio" !
Lo stesso Gundobado accusò i 25 vescovi cattolici, capeggiati da Avito di Vienne,
d' averlo tradito, nonostante la loro dottrina intorno all ' autorità non lo consentisse e il
re si fosse mostrato assai benevolo verso i cattolici. Anche il fratello di Gundobado
Godigiselo, viceré di Ginevra e zio premuroso di Clotilde, moglie di Clodoveo, aizzato
da quest' ultimo passò ai Franchi, ai quali si era impegnato a pagare tributi annuali e a
cedere alcuni territori non meglio definiti. "Clodoveo ascoltò volentieri tutto questo . . . ".
Grazie a tale tradimento, nella battaglia sull' Ouche presso Castrum Divionense (Digione)
gli alleati sconfissero Gundobado, il quale, pur gravemente ferito, riuscì a salvarsi nella
40 Clodoveo, fondatore del Regno franco

fortezza di Avinio (Avignone), davanti alle cui mura fallirono gli attacchi di Clodoveo,
che devastò quindi i campi, abbatté gli ulivi, distrusse i vigneti e i raccolti, mentre
Godigiselo entrava in Vienne da trionfatore.
63 Ma dopo la partenza dei Franchi, Gundobado riprese il sopravvento con l ' aiuto dei
Visigoti di Alarico II: chiuse a Vienne il fratello e lo scannò di sua mano in una chiesa
ariana, dove aveva cercato rifugio con un vescovo ariano ; quindi fece torturare
crudelmente fino alla morte tutto il suo seguito. E poiché un altro fratello di Gundobado,
Chilperico, padre di s. Clotilde, era già passato a miglior vita (anch'egli, insieme alla
moglie, per la mano assassina di Gundobado, secondo una controversa tradizione franca)
e nel 50 1 lui era diventato unico sovrano, s. Avito, che cercò per tutta la vita di
cattolicizzare la B urgundia, ebbe l ' ardire di scrivere: "Fu la fortuna del regno che il
numero dei personaggi regal i si fosse ridotto; al mondo ri mase solo quel tanto che
bastava per il dominio. lvi fu reintrodotto quel che importava della verità cattolica".
Al posto di Godigiselo a Ginevra subentrò il figlio di Gundobado, Sigismondo,
diventato cattolico per mano di Avito tra il 496 e il 499 ; e l ' assassinio dei fratelli del re,
fra i quali Godigiselo stimava particolarmente i cattolici, tanto che a Lione aveva fondato
persino un convento di suore, dal santo principe della chiesa fu considerato giustificabile,
perché ormai restavano in vita soltanto il cattolico Sigismondo (pag. 55 s.), futuro
santo e prossimo sicario, e l' assassino Gundobado, il quale non cercò più di impedire
sostanzial mente la vittoria dei cattolici. 2 5
Ma l' arcivescovo Avito non mollò la presa. Quantunque da una parte "nei segni di
afflizione" scorgesse "ormai prossima la fine del mondo", come in seguito in modo
assai simile papa Gregorio "Magno" (cap. VII), tuttavia fu ininterrottamente affaccendato
nella politica del giorno per giorno, cosa che non sarà diversa nemmeno in Gregorio.
Con lettere e parole insistette continuamente sul fratricida, che ormai simpatizzava già
con alcuni prelati cattolici, per esempio con Stefano di Lione, Sidonio Apolli nare, s.
Epifania di Pavia, e manteneva i cattolici fra i suoi più intimi. Egli stesso poi, come già
Chilperico I e Il, era stato sposato con una cattolica (il secondo con Caratene, madre di
Clotilde). Ma benché Avito non tralasciasse occasione per indurre Gundobado alla "vera
64 fede" e carcasse di convincerlo a dare il colpo di grazia alla "eresia ariana", il re fu
irremovibile "nella sua stoltezza fino alla fine dei suoi giorni" (Gregorio di Tours), per
quanto leggesse volentieri la B ibbia e fosse piuttosto malaticcio. "Forse che non
riconosco la legge di Dio?" - ribatteva allo zelante cattolico che lo assillava - "Poiché
non voglio tre Dèi, voi dite che io non riconosco la legge divina. Nella Sacra Scrittura
ho sempre letto soltanto di un Unico Dio". Neppure la messa in scena di un miracolo
ebbe successo: nella notte di Pasqua il palazzo di Gundobado fu "incendiato da un
fulmine . . . Il santo vescovo però . . . invocò tra lacrime e sospiri la misericordia divina . . .
e l a corrente delle sue lacrime torrenziali spense l ' incendio". 26 Passarono pochi anni e
seguì la guerra contro i Visigoti, di gran lunga il primo e più stimato di tutti i popoli
l Visigoti 41

germanici, i n Gallia d a ultimo anche i l più potente, e proprio per questo motivo da
molto tempo oggetto dei disegni aggressivi di Clodoveo, anzi, il vero e proprio bersaglio
finale.

l VISIGOTI

La tribù germanica orientale dei Visigoti, ancora sulle rive del Dj niepr, si separò ben
presto dagli Ostrogoti . Costoro, alla fine, dopo una crudele guerra ventennale furono
sterminati dall ' imperatore cattolico Giustiniano l, grazie anche all ' energico appoggio
del papa nonché della "Vergine Madre di Dio", che svolse il ruolo di "consigliera
strategica" (v. Il, 300 ss.). I Visigoti , diventati Ariani sulle rive del Danubio, dopo
decennali razzie per le province imperiali a Nord della Grecia, alla fine penetrarono in
Italia attraverso l ' Illiria (v. l, 352 ss.; II, 9 ss.). Dopo la morte del loro re Alarico I,
sepolto nel 4 1 0 nel Busento, presso Cosenza, sotto il suo genero e successore Ataulfo
passarono nel 4 1 2 in Gallia, e nel 4 1 5 , incalzati da un esercito romano, penetrarono in
Spagna attraverso i Pirenei. Nell' estate il re morì a Barcellona per un attentato di un 65
cattolico del suo seguito. I figli di primo letto caddero vittime del suo successore, il
cattolico Sigerico, che dopo appena una settimana fu a sua volta ucciso. Il suo successore
Valli a ( 4 1 5-4 1 8) prima di tutto fece assassinare tutti i Visigoti che potessero nutrire
aspirazioni al trono, quindi, dietro incarico imperiale, decimò in lunghe e difficili
battaglie Vandali, Svevi e Alani, che nel 409 si erano spinti in Spagna. Una parte dei
Vandali, i Silingi, e gli Alani furono pressoché completamente annientati . Quindi i
Visigoti, richiamati dalla Spagna, si stabilirono nella Gallia sudoccidentale, stabilendo
la residenza reale a Tolosa. 27
Anche fra i Visigoti ci furono cristiani zelanti , come il re Teoderico II (45 3-466),
che all ' alba si recava quotidianamente alla prima messa, e che nel 453 assassinò il
fratello maggiore Torismundo: " [Teoderico fu] il primo e unico capace di fratricidio
premeditato nella pur violenta storia dei re Goti" (Giesecke). Teoderico combatté
soprattutto gli S vevi , che da circa mezzo secolo si erano stabiliti sulle montagne
dell ' odierno Portogallo ed erano divenuti cattolici. Dopo sanguinose battaglie, nel 456
Teoderico sconfisse il re svevo Rechiar, cattolico e suo genero, che in dicembre venne
giustiziato. Il cattolicesimo fu completamente sradicato e per più di un secolo gli Svevi
furono ariani.
Ma come Teoderico II aveva ucciso il fratello Torismundo per la successione, così
nel 466 cadde anch ' egli vittima dell' altro fratello Eurico, l ' autentico fondatore del regno
visigoto, l ' unico destinato a durare più a lungo di tutti gli altri stati dei Germani d' Oriente,
fino al 7 1 1 17 1 3 , quando venne spazzato via dagli Arabi. 2 8
Anche per i Visigoti non mancarono le frizioni con i Romani di gran lunga superiori
42 Clodoveo, fondatore del Regno franco

per numero, ma non tanto per una sorta di dispregio etnico dei Germani "barbari" e
neppure per le vaste espropriazioni di terra, quanto invece per motivazioni di natura
religiosa. I re goti riconobbero in linea di principio la libertà religiosa e furono estrema-
66 mente tolleranti sia verso i cattolici che verso le sette ereticali . Ma si trovarono a che
fare con una chiesa fondamentalmente intollerante, aggressiva e posseduta da fana­
tismo missionario, nonché con le ininterrotte mene proditorie del clero cattolico, che
collaborava sempre coi nemici degli Ariani. 29
Eurico (466-484) fu il principe più importante del suo popolo e alla fine anche il più
potente dei re germanici del suo tempo: estese il regno dei Visigoti a Nord fino alla
Loira e a Sud-Est fino alle foci del Rodano. Ma era anche un ariano convinto, anzi,
sembra che fosse avversario tanto deciso dei cattolici da trovare ripugnante la sola
pronuncia della parola "cattolico". Invece facevano parte della cerchia più stretta dei
suoi consiglieri, anche a tavola, alcuni preti ariani.
Il re lasciava per lungo tempo vacanti parrocchie o vescovadi i cui titolari cattolici
erano morti ; le chiese così abbandonate cadevano in rovina, e Sidonio Apollinare,
vescovo di Clermont, così lamenta: "Si può vedere - c ' è da piangere ! - come mandrie
di vacche si giacciano non solo negli atri semiaperti, ma addirittura pascolino ai lati
degli altari verdeggianti ricoperti dalle erbacce". Dopo un breve periodo di esilio lo
stesso Sidonio poté rioccupare il suo seggio (che per altro restò in famiglia; suo figlio
Apollinare lo occupò a sua volta: v. III, 392). Per la verità, infatti , Eurico combatté i
cattolici con moderazione, anzi intrattenne buone relazioni con numerosi vescovi. 30
Il re risiedeva a Tolosa, da dove i suoi generali si spinsero sia a Nord che in Spagna,
combattendo Bretoni, Franchi, Burgundi, le truppe romane del comes Paolo e quelle
imperiali dell' Italia; e anche contro gli Svevi. In Gallia, dopo aspre lotte con la nobiltà
e i prelati cattolici, portarono il confine fino alla Loira, alla Saona, al Rodano e, dal
477, fino in Provenza. In parecchie località i capi cattolici guidarono la resistenza: il
vescovo S idonio, per esempio, difese Clermont per anni insieme col cognato Ecdicio
67 durante una puntata offensiva contro l ' Alvernia. E dopo battaglie non meno dure i Goti
conquistarono la Spagna, spesso assediando per anni numerose città. Col trattato di
pace del 475 l ' imperatore romano Nepote riconobbe al re Eurico la piena sovranità sui
territori della penisola Iberica da lui conquistati. 3 1
Nel regno di Tolosa (4 1 8-507), che sotto Eurico intrattenne rapporti diplomatici
anche coi Sassanidi, i Visigoti rappresentavano in ogni caso il 2% della popolazione, sì
che alla lunga non potevano tener testa alla continua pressione dei Merovingi da
settentrione: Clodoveo aveva di mira l ' accesso alle coste del Mediterraneo.
La gue rra contro i Visigoti 43

LA GUERRA CONTRO l VISIGOTI

Il figlio di Eurico, Alarico II (484-507), consorte della seconda figlia di Teoderico,


Thiudigotha pare non si attendesse niente di buono: quando infatti, come narra Gregorio
di Tours, vide "che il re Clodoveo combatteva e sottometteva senza tregua i popoli, gli
inviò ambasciatori e disse: ' Se è cosa grata al mio fratello, il desiderio del mio cuore
sarebbe di poterei finalmente vedere; così vuole Iddio "'. I due signori si incontrarono
verso il 502 su un' isola della Lo ira presso Ambo i se, al confine dei loro regni, "parlarono,
mangiarono e bevvero; si promisero amicizia e si separarono in pace".
Ma Alarico II era ariano. E quantunque i re visigoti (ariani ) tenessero sinodi cattolici,
fondassero chiostri , costruissero o restaurassero chiese; e benché anche Alarico avesse
ministri cattolici e favorisse vescovi cattolici, specialmente questi ultimi soffrivano
assai dolorosamente da molto tempo il fatto d ' essere sudditi di un re eterodosso, di un
"principe senza Dio" (nefarius princeps) ; "Già allora in tutte le contrade di Gallia molti
desideravano con tutto i l cuore di avere i Franchi come S ignori" (Gregorio di Tours).
Ben presto l ' episcopato cattolico di Gallia, perlopiù costituito da membri della nobiltà 68
senatoria romana, si orientò verso Clodoveo, l ' unico re cattolico dei Germani , tanto
più che costui inviò epistole ai vescovi assicurando che dalla guerra tra Franchi e Visigoti
nessun danno sarebbe venuto alla chiesa. 33
Da molto tempo taluni prelati reggevano anche politicamente città e interi distretti,
organizzando la difesa e trattando col nemico. Ciò è attestato, ad esempio, per Aniano
d' Orléans e Lupo di Troyes per l ' anno 45 1 . E naturalmente nei territori dei Visigoti i
vescovi simpatizzavano coi Franchi già molto prima dell' inizio della guerra: "già prima
dell ' aggressione franca" erano passati "dalla parte dei nuovi padroni, assicurando fin
da subito il loro sostegno nel paese" (B ieiber) .
Il vescovo Volusiano di Tours, membro della nobiltà senatoria gallica, probabilmente
facilitò a Clodoveo la conquista di Tours. Infatti , quando nel 496 Alarico II riconquistò
la città, il vescovo fu trovato colpevole di alto tradimento ed esiliato: "portato in Spagna
come un prigioniero" (Gregorio di Tours). Anche il successore Vero dovette andare in
esilio per cospirazione coi Franchi, poco prima della battaglia decisiva fra Alarico e
Clodoveo. Altrettanto accadde a Cesario di Arles, a proposito del quale il vecchio Kirchen­
Lexikon cattolico di Wetzer/Welte ci assicura: "La sua vita fu santa". Certo, certo ! Il
vescovo Cesario per tre volte venne accusato di intrattenere relazioni proditorie col
nemico e per tre volte esiliato o incarcerato. La prima volta, verso il 505 , andò a Bor­
deaux, la seconda volta Io portarono dietro le sbarre le accuse "di Ebrei e Ariani" (Wetzer/
Welte), la terza e ultima volta (nel 5 1 3) fu condotto a Ravenna sotto scorta militare ­
"anche questa volta certamente non senza fondato motivo" (Schmidt) - e sfuggì alla
punizione solo grazie ali ' intercessione del vescovo Ennodio di Pavia. Quinziano, vescovo
di Rodez, anch 'egli in odore di tradimento (eppure doveva il suo vescovado proprio ad
44 Clodo veo, fondatore del Regno franco

Alarico ! ) fuggì "nottetempo" presso i Franchi, e in Alvemia (Clermont) codesto "uomo


di Dio" ottenne immediatamente dal vescovo Eufrasio "case, campi e vigne" ; anche
69 perché, come disse, "il patrimonio della nostra chiesa è abbastanza grande . . . " 3 4 •
Eppure nel Sinodo di Agde (506) i pastori cattolici, sotto la presidenza di Cesario di
Arles (''La sua vita era santa") avevano assicurato al re Alari co Il la propria devozione,
e, come attestano gli atti conciliari, "avevano pregato ginocchioni il Signore per il suo
regno, per una lunga vita sua e del suo popolo". Ma lo stesso Galactorio, vescovo di
Béam, che ad Agde aveva così pregato per re Alari co e sottoscritto la dichiarazione di
fedeltà, subito dopo si mise a capo di una banda armata per sostenere apertamente
l ' esercito di Clodoveo; ma prima della battaglia decisiva venne intercettato, catturato e
giustiziato . . . , e divenne santo "Martire" della chiesa cattolica ! 35
L' aperta simpatia dei vescovi della sua prossima vittima bellica cadde naturalmente
a proposito per Clodoveo: nel 507 strinse alleanza con i B urgundi e all ' inizio della
primavera diede inizio alle ostilità contro gli impreparati Visigoti, non senza aver prima
denunciato il trattato di pace del 502, con la solenne dichiarazione: "Molto mi preoccupa
che codesti Ariani posseggano ancora una parte così bella della Gallia. Sù, con l ' aiuto
di Dio, conquistiamo il paese ! " . Fu sostenuto anche dai Franchi del Reno (Ripuari)
sotto la guida di Cloderico, figlio del re Sigeberto di Colonia, "lo zoppo", e dai Burgundi ,
i quali tuttavia si unirono a lui forse solo dopo la battaglia decisiva. Persini i Bizantini
cattolici furono acquiescenti al cattolico re dei Franchi: la presenza dimostrativa di una
flotta di 1 00 navi nel meridione d' Italia, dove gli imperiali misero a ferro e fuoco le
coste della Puglia e della Calabria, i mpedì il tempestivo intervento dell ' ariano re
ostrogoto Teoderico. 3 6
Ci fu tutta una serie di terribili massacri - "nel segno dei Santi Martino e Ilario", i
due "pionieri della lotta contro l ' Arianesimo", i "maestri del l ' episcopato gallico" (Ewig).
Infatti, Clodoveo, che pose sotto la sua speciale protezione le chiese e il clero, non
trascurò di conferire a questa guerra, condotta più per appagare la sua sete di rapina e di
70 potere che per motivi religiosi, il carattere di una santa crociata, di una guerra di religione
finalizzata alla liberazione della gerarchia cattolica (ahimé ! ) così oppressa, la quale lo
accolse a braccia aperte, spalancandogli più di una volta le porte delle città, quando
non scesero addirittura in campo, come il figlio e successore di Sidonio Apollinare, il
vescovo Apollinare. Se tra il 47 1 e il 474 il padre, in qualità di vescovo, aveva organizzato
la difesa di Clermont contro i Visigoti, adesso il figlio vescovo guidò i diocesani nella
battaglia, nella quale "perì un gran numero di Alvemi", come racconta fieramente s.
Gregorio, "fra i quali caddero i più illustri senatori". 37
Da parte cattolica si contesta anche con passione il carattere di guerre di rel igione di
queste avventure belliche: "Nel 496 Clodoveo sconfisse gli Alemanni; nel 507 vinse i
Visigoti ariani", scrive il vicario capitolare Algermissen, proseguendo poi l ' elencazione
di una lunga serie di guerre di rapina dei Franchi fino al secolo IX: "In tutte queste
La guerra contro i Visigoti 45

spedizioni si trattò di azioni di conquista, come era ovvio per i popoli antichi, e non di
guerre di religione. Che in tali circostanze si sia giunti anche alle "pugnalate", non vale
la pena di una discussione". Chiaro; è un effetto collaterale : "Ma tale carneficina non
avvenne pro o contro una vecchia o nuova religione. L' espansione del Cristianesimo
non si realizzò per opera dei condottieri franchi, i quali non ebbero nessuno stimolo
missionario . . . ". 3 8
In effetti, probabilmente Clodoveo non ne ebbe; ma i vescovi si servirono di lui, e di
molti altri eroi cristiani, aizzando direttamente o indirettamente i principi.
E come descrive i fatti il vescovo Gregorio? Il re merovingio ordinò che nel territorio
di Tours "in onore di San Martino" nessuno prendesse se non foraggio e acqua. E
quando uno dei suoi soldati raccolse anche un po' di paglia, il re lo uccise seduta stante,
dicendo: "Ma come possiamo vincere, se suscitiamo la collera di S. Martino?". Quindi
il pluriassassino sperò "in un buon auspicio di vittoria in quel sacro tempio" di Tours,
e lo ottenne prontamente. Pregò nottetempo presso il fiume Vienne, e al mattino "una 71
cerva di mirabile grandezza, per volontà divina" gli mostrò un guado per i suoi macellai.
Davanti a Poitiers s' accese un fulgore di fuoco dalla chiesa di Ilario, affinché il re
"guidato dalla luce del Santo Confessore Ilario con tanta maggiore spietatezza si
abbattesse contro le eretiche schiere, contro le quali quegli così sovente aveva già
combattuto per la fede" . Ancora una volta nessuno poteva qui "saccheggiare" o
"rapinare". Accaddero inoltre altri portenti e ancora "molti altri miracoli". Quindi, alla
fine entrò in piena azione l ' amore cattolico, l ' amore del prossimo e dei nemici : la
"caneficina operata dalle spade" . . . 3 9
La spedizione - "una guerra di religione" (Pontal), e anche proclamata "come guerra
di religione" (Ewig) - subito nella prima battaglia presso l ' odierna Vouillé ( 1 7 km. a
nord-ovest di Poi tiers), ben addentro nel regno dei Visigoti, costò la vita ad Alarico Il,
a detta di Gregorio per mano dello stesso Clodoveo. Seguì una tale sequenza mostruosa
di incendi , rapine, uccisioni, che in seguito codesti fatti vennero attribuiti ai pagani
dell ' esercito franco: "Ma le soldatesche dei Merovingi erano famose perché imper­
versavano allo stesso modo sia nel proprio paese che nelle contrade conquistate: campi,
case, chiese, tutto venne devastato, saccheggiato e dato alle fiamme senza scrupoli ;
laici e chierici furono massacrati ancora sull ' altare". 40
I Franchi penetrarono in profondità nel cuore del regno visigoto fino alla Garonna;
presero Bordeaux, dove Clodeveo trascorse l ' i nverno, e nella primavera del 508
occuparono la capitale Tolosa, insieme ai B urgundi da poco entrati anch ' essi in guerra.
Qui rubarono l ' intero tesoro regio, "Thesaurus Alarici" (Fredegar), cosi definito perchè
accumulato, in parte, dal primo Alarico un secolo prima, dopo la conquista di Roma;
un bandito deruba l ' altro: è il gioco della grande politica . . . fino ai giorni nostri . Per i
principi germanici un tesoro regio era allora determinante quasi come il dominio di un
popolo, perché solo mediante il tesoro potevano ricompensare il loro seguito, vale a
46 Clodo veo, fondatore del Regno franco

dire governare. Clodoveo diede Tolosa alle fiamme, quindi prese Angoulèm,e in modo
72 singolarmente straordinario. Infatti: "lvi il Signore a lui dimostrò tanta grazia, che le
mura crollarono da sole non appena le ebbe guardate". Storiografia cattolica !
Quindi Clodoveo si separò di nuovo dai Burgundi e si diresse a Nord, non dimen­
ticando però di cedere (a Tours) parte del ricco bottino a s. Martino, suo "aiutante nella
vittoria" ; o, come dice con più eleganza Gregorio: "Molti doni consacrò alla santa
chiesa del santo Martino", perché, come soggiunge Fredegar, "evidentemente con il
loro aiuto tutto aveva compiuto". Sempre a Tours ottenne, inoltre, l ' investitura di Con­
sole Onorario da u n ' ambasceria del l ' imperatore bizantino Anastasio, un perfido
"eretico", in quanto monofisita convinto (v. II, 227 ss.; 239 ss.). Ma l ' arte della politica
andava e va sempre al di là della religione; e proprio la politica religiosa andava e va
sempre ben al di là della religione. La nuova dignità fu un onore con retroterra chiara­
mente politico, in quanto lo collocava agli antipodi sia dei Visi goti che degli Ostrogoti .
Clodoveo sfoggiò nella chiesa di s. Martino il suo rango quasi imperiale, indossando
una vestis regia (un abito di porpora), e cingendo la sua testa criminale con un diadema,
dono anch ' esso del l ' imperatore. Pare che da quel momento si fregiasse dell ' appellativo
di Augustus "come un imperatore". 4 1
Ma intervenne l ' ostrogoto Teoderico in soccorso dei fratelli Visigoti: nel 508 il suo
comandante in capo lbba fermò Franchi e Burgundi, liberando Arles e riconquistando
Narbona nel 509 ; Giordane narra che in quel la campagna caddero 30.000 Franchi. I
Burgundi persero tutte le conquiste intraprese a danno dei Visigoti, i quali, a loro volta,
dovettero cedere l ' Aquitania, conservando soltanto il Settimanio (detto anche Gotia),
Je coste mediterranee a Sud-Ovest della foce del Rodano, con la residenza regale di
Narbona. Circa vent' anni dopo il loro stato si dislocò prevalentemente in Spagna, con
capitale Barcellona; ma all ' inizio del l ' VIII secolo il meridione della penisola iberica
venne travolto dai Mori (pag . 2 1 7 s . ) . Gli Ostrogoti, invece, avevano acquistato ampi
territori, e ancor più i Franchi, il cui regno nel 5 1 1 si estendeva dal Reno alla Provenza,
benché la rapinosa annessione della Gal l i a Settentri onale non fosse mai stata
formalmente legalizzata attraverso un trattato.
73 Ma il vincitore vero e proprio fu solo la chiesa cattolica.
Già durante la guerra Clodoveo aveva ripetutamente arricchito di donativi il chiostro
di Martino a Tours, proteggendo rigorosamente il circondario dai saccheggi; e dopo la
guerra i l clero cattolico, che aveva salutato con giubilo le vittorie banditesche di
Clodoveo come la liberazione dalla pluridecennale "signoria degli eretici", ricevette il
ringraziamento del re. Nel 5 1 1 , poco prima della morte, raccolse in Orléans il primo
si nodo generale franco, che ordinò la confisca delle chiese ariane e la loro utilizzazione
per i riti cattolici . Inoltre il re donò alle chiese cattoliche le proprietà degli "eretici", o
almeno ne consentì l ' usufrutto, e liberò dai gravami statali singoli personaggi, assicu­
rando soprattutto al clero cattolico la sua protezione particolare.
Dobbiamo libera rci dalla valutazione moralistica della sto ria ? 47

Perciò egli dominò veramente il c lero franco così come fece l ' imperatore Costantino
con la chiesa del suo tempo. In uno scritto presentato in cima agli atti dei sinodali,
costoro si rivolgevano a "sua maestà, il Figlio della Chiesa Cattolica, Clodoveo, il re
glorioso", parlavano del "consenso del Re e Signore" e imploravano la "convalida
delle delibere vescovili da parte di una più alta autorità" . 42

DOBBIAMO LIBERARCI DALLA VALUTAZIONE MORALISTICA DELLA STORIA?

Dopo che Clodoveo ebbe vinto la guerra coi Visi goti con l ' aiuto dei Franchi renani, fra
il 509 e il 5 1 1 , gli ultimi anni della sua vita, si impossessò con la frode del loro regno,
ammesso che non lo avesse fatto già intorno al 490; in ogni caso impose la fusione
delle tribù renane con i Franchi Salii.
Dapprima aizzò al parricidio Cloderico, figlio del re Sigeberto di Colonia: "Vedi,
tuo padre è vecchio, e arranca sulla sua gamba storpia . . . ". Sigeberto "lo Zoppo", vecchio
compagno d' arme di Clodoveo, zoppicava dalla battaglia di Tolbiacum contro gli 74
Alemanni, nella quale era stato ferito (v. pag. 34). Il principe eliminò il padre nella
Silva Boconia (Buchenwald) per mano di sicari prezzolati ; per felicitarsi col parricida
Clodoveo inviò una delegazione, che aveva anche il compito di spaccare la testa
novellamente coronata: "diplomazia intrigante" la definisce con eleganza, troppa
eleganza, lo storico tedesco Ewig. Dopo simili nefandezze, Clodoveo si affrettò a
Colonia, residenza di Sigeberto, dove giurò solennemente la sua estraneità al duplice
assassinio e, fra il giubilo popolare, si appropriò della Francia Rinensis, "del regno e
del tesoro di Sigeberto" (Gregorio). 43
Clodoveo sopraffece anche un altro parente, cugino carnale, il re Ragnacar di Cambrai,
il cui seguito (leudes: il termine può indicare sia tutti i sudditi che i più prossimi "servi­
tori" del re) si era preventivamente guadagnato con gran quantità d' oro, per altro falso.
Dopo la battaglia oltraggiò l ' incatenato Ragnacar, che nel 486 lo aveva aiutato nella
guerra contro Siagrio: "Perchè hai così avvilito la nostra prosapia, !asciandoti porre in
ceppi? Meglio sarebbe stato se tu fossi morto", e con un colpo d' ascia gli divise il cra­
nio. Era stato catturato anche il fratello del re, Richar: "Se tu avessi soccorso tuo fratello,
non lo avremmo incatenato", disse Clodoveo, e l ' altro colpo mortale fu per lui. "I re
menzionati erano però stretti parenti di Clodoveo" (Gregorio di Tours). E l ' altro fratello
Rignomer? Fu liquidato nelle vicinanze di Le Mans. Così riassume il tutto il nostro
storiografo Ewig : "Clodoveo ampliò la propria signoria all ' intero ambito franco". 44
Di tale ampliamento di Clodoveo "al l ' intero ambito franco" caddero vittime parecchie 75
dozzine di gaugravi : il tiranno li fece assassinare, rapinò le loro contrade, rubò le loro
ricchezze; poi lamentò d' essere desolatamente solo: " 'Ahimé ! Come uno straniero fra
stranieri io mi sento, e se sopra il mio capo s ' abbattesse la sciagura, nessuno dei parenti
48 Clodoveo, fondatore del Regno franco

mi può soccorrere ! ' . E parlava così non perchè fosse rattristato dalla loro morte, ma
con scaltrezza, per vedere se per avventura qualcuno fosse sopravvissuto, per ucciderlo".
Sono parole di s. Gregorio, per il quale Clodoveo è "un novello Costantino" ; egli incarna
addirittura "il sovrano ideale" (Bodmer), anzi, spesso gli appare "quasi un Santo"
(Fischer) . Senza alcun pudore il celebre vescovo continua: "Giorno dopo giorno Dio
atterrò i suoi nemici e accrebbe il suo regno, perché con giusto cuore dinanzi a Lui
procedeva, e compiva quel che ai Suoi occhi compiaceva". E ciò, come dimostra il
contesto, si riferisce anche ai parricidi di Clodoveo. Tutto davvero santi ssimo . . . e
straordinariamente criminale. 45
Ecco, dunque, il primus rex Francorum (Lex Salica) , il sovrano che governò
letteralmente secondo le parole di s. Remigio in occasione del battesimo: adora ciò che
incendiasti, incendia ciò che adorasti (v. pag. 3 5 ) ; il cattolico che non si trascinava
dietro più nulla che sapesse di paganesimo, ma imperava come un tiranno assoluto; che
quasi scoppiava di brutalità e rapina ipertrofiche, prudentemente vile coi forti , e
inflessibile massacratore dei più deboli; che non disdegnava nessuna perfidia e crudeltà,
conducendo tutte le sue guerre in nome del Dio cristiano-cattolico; che univa
sovranamente e cattolicamente in sé, come forse mai nessuno, guerra, assassinio e
devozione; che "con piena consapevolezza inaugurò il proprio regno cristiano il 25
Dicembre"; che col bottino innalzò chiese dappertutto, arricchendole e pregandovi ;
che fu gran devoto di s. Martino e c h e in Gallia condusse le sue "guerre antieretiche"
contro gli ariani "nel segno di un' accresciuta venerazione di Pietro" (K. Hauck). A lui
i vescovi del Concilio di Orléans (5 1 1 ) riconobbero "un ' anima autenticamente sacer­
dotale" (Daniel-Rops). Un uomo che, ascoltando la storia della passione di Gesù, pare
abbia detto che se vi fosse stato lui coi suoi Franchi, avrebbe vendicato l ' oltraggio;
76 così, secondo gli antichi cronisti, si dimostrava ancora una volta "vero cristiano"
(christianum se ve rum esse adfirmat; Fredegar). E ancor oggi il teologo Aland afferma:
"E che fosse convinto d' essere cristiano, e precisamente cristiano cattolico, è cosa sicura,
e trova continuamente riscontro nelle singole azioni del suo governo". Per farla breve,
quest' uomo che, come si esprime chiaramente Angenendt, si spianò "con l ' ascia" la
strada del dominio assoluto, non fu più un semplice condottiero di eserciti, bensì, grazie
alla sua alleanza con la chiesa cattolica, "vicario di Dio in terra" (Wolf) . Un uomo che,
infine, trovò l ' u ltimo adeguato riposo (insieme alla sua s. Clotilde) nella chiesa degli
Apostoli a Parigi, da lui costruita, quando morì nel 5 1 1 , poco più che quarantenne: un
astuto deli nquente di razza, senza scrupol i, salito al trono; ma secondo lo storico Bosl
"un barbaro che si civilizzò e affinò ... ". Quando, dove, come? 46
Il teologo Aland definisce Clodoveo, e a ragione, affine a Costantino (v. I, 5 cap.): li
chiama un po' eufemisticamente uomini di potere, tiranni, ma li giustifica aggiungendo:
"Tempi rozzi come questi non potevano che essere dominati da uomini siffatti". Ma
sono i tempi rozzi a fare gli uomini rozzi? O sono gli uomini rozzi a fare i tempi rozzi?
Note 49

Le due cose sono strettamente legate. E lo stesso Agostino corresse la stupida accusa
dei tempi: "I tempi siamo noi ; come noi siamo, così sono i tempi" (v. I, 57 s.).
Aland vuoi lasciare in sospeso l ' interrogativo se Costantino e Clodoveo fossero
cristiani: "In effetti, i figli di Costantino, come anche Teodosio, cioé sovrani sulla cui
confessione cristiana non può sussistere alcun dubbio, hanno perpetrato assassinii simili.
Ma dobbiamo liberarci da una tale valutazione moralistica della storia, se vogliamo
intenderla. In fondo, chi di noi, il cui popolo ha ormai dietro di sé una storia di 1 500
anni sotto i l segno del Cristianesimo, vuole dire di se stesso: io sono cristiano? Lutero
dice che il Cristianesimo si trova sempre nel divenire, mai nel l ' essere divenuto". 47 77
I cronisti merovingi glorificarono Clodoveo soprattutto per due ragioni : per il
battesimo e per le guerre ; ed è proprio qui che affonda la sua gloria di portata storica
mondiale. Divenne cattolico e abbattè e rapinò tutto ciò che intorno a lui poteva abbattere
e rapinare. In tal modo, di un insignificante principato tribale fece un potente impero
germanico-cattolico; e diede l ' ultimo sigillo all' alleanza fra Trono e Altare in Francia.
Divenne palesemente lo strumento eletto di Dio, che giorno per giorno umiliava davanti
a lui i nemici, come celebra il santo vescovo, "perchè con giusto cuore dinanzi a lui
procedeva e compiva quel che ai suoi occhi compiaceva". 4 8
Finché la storia sarà trattata in questo modo, finché ci si libererà dal valutaria
"moralmente", finché la grandissima maggioranza degli storici si prostemerà davanti a
tali bestie e a tutta la loro progenie per rispetto, venerazione e ammirazione, o almeno
con piena comprensione e sempre con profonda cognizione - non si vuole o si deve o
si può "moralizzare", bensì si vuole "comprendere", detto in soldon i : leccare il culo ai
potenti - ebbene, fino ad allora anche la storia procederà come ora procede. 78

NOTE

Dal l ' I n troduzione a Gregor von Tou rs, Friinkische Geschichte I 9.


2
Aland, Kirchengeschichtliche Entwiirfe 30.
3 Gri sar, Rom 8 7 .
4 Sal v., de gub. dei 6, 1 3 . Behn 79. Vogt, Der Niedergang 5 1 O. A. v. Miil ler, Geschichte unter unsren FiijJen
1 1 8. Lasko 2 1 1 . Maier, Mittelmee/welt 1 26. Dannenbauer, Grundlagen 1 03. ZOI Iner, Geschichte der Franken
25 sgg. Steinbach, Das Frankenreich 5 sg., I O. Dtibler 1 1 3 sgg. Bleiber, Das Frankenreich 42 sgg.
5
B l e i ber, ihid. 44 sg. S u i concetti di Re e di Regno in generale cfr. , ad esempio, Anton LMA V 1 298
sgg . , spec ial mente 1 300 sg.

Greg. Tur. 2,9. L M A II 1 8 6 1 s g . , 1 86 3 . HEG I 2 5 3 . H K G II 2, 1 1 4 sg. L. Schmidt, Aus den A nfiin­
gen, 306 sgg. Ewig, Die Merowinger und das Frankenreich 1 3 sgg . , 38. B l e iber, ibid. 36.
7
Greg. Tu r. 2, 9 sgg. Fredeg. 3 , 1 1 sg. L M A II 1 8 1 7 sgg . , 1 863 sg. HEG 2 5 3 sg. Hauck I 98 sgg.
Menzel I 80. Vogt, ihid. 5 1 0 . Danne nbauer, Grund/agen 1 03 sg. S tern/B artmuss 6 1 . S troheker, Der
senatorische A de l, 1 4 1 . Ltiwe, Deutsch/and 35, 40. Ztil l ner, Geschichte der Franken 1 67 . Falco 53
sgg . , spec . 5 8 e 67 . L a s k o 200, 202, 2 1 1 sg. Lauterm a n n 866. S te i nbac h , ihid. 8 . B u n d , 236 sgg.
50 Note

Grahn - H oek, Di e friinkische Oberschicht 1 34 sgg . E w i g , Die Merowinger 1 6 s g . , 20, 7 8 . S c h n e i ­


der, Kon igswahl 66 sgg. B le i ber, Das Frankenreich 44 sgg . , 48 s g . Cfr. anche l a nota che segue.
Greg . Tur. 2 , 3 1 Av i t . , ep . 46. Behn 79 s g . Koen iger 2 1 8 . Zoll ner, ibid. 44 sgg. Daniel-Rops 234.
-
A l a n d , ibid. 29 sg. B l e i ber, ibid. 50.
G reg . Tur. 2 , 2 7 . dtv-Lexikon der An tike , Geschichte I I I 2 3 3 . LMA II 1 86 3 . Hauck I 98 sgg. B o h ner,
Grabmii/er, 6 5 3 . Lowe, ibid. 40. S tern/B artmuss 6 1 sg. Zoll ner, ibid. , 48. Steinbach, ibid. 8 sg.
E w i g , ibid. , 20 s g . Pfister, Gaul. Na rrative of Events I l O .
"' Greg . Tu r. 2 , 2 8 s g . Fredeg . 3 , 1 7 sgg. Lib. h ist. Fra n e . , c . I l sgg. L M A I I 1 94 8 . S tern/Bartmuss 6 1 .
Zatschek 24. Zol l ner, i bi d. 5 1 , 5 3 sgg. B le i ber, i bi d. , 5 0 sgg. Stei nbac h , ibid. l O sg.
11
Greg . Tu r. 2 , 2 8 sgg. Hauck I 1 06. Riickert, Kulturgesch ichte I 3 1 4 sgg. S c h ubert, Geschichte der
christlichen Kirche I 93. S tratmann I V 63 sg. Schniirer, Kirche und Ku ltur I 3 5 . Daniel- Rops 2 3 8 .
Portner 2 0 sgg . B o s l , Eu ropa i m Mittela/ter, 64.
12
Cass. Dio 7 8 , 1 3 . Agath . l , 6 . R G A K I 1 23 . HEG I 227 s g . LMA I 263 sgg . Tiichle I 20 sgg. Werner,
Zu den a/emann ischen Burgen, 439 sgg. Pesche! 259 sgg . , spec. 306 sgg. Butzen, Die Merowinger
ijstliche des mitt/eren Rheins 27. H. Ke l l e r, Spiitan tike und Friihm ittelalter l sgg. Demandt 276.
Beisel, ibid. , 8 0 s g . Pers i n o l o H K G 1 1/2 ( ''Cristo concesse l a v i ttoria ai Fran c h i " ) ricorda l a
" m i racolosa appari zione del Cri sto a l l ' i mperatore" C o s t a n t i n o pri ma del l a vi ttoria al P o n t e M i l v i o .
n Greg . Tur. 2 , 3 0 . R G A K 1 97 3 F 1 40 sg. L M A I 2 6 4 . I I I 1 85 2 s g . H EG I 228 sg. T ii c h l e I 34 sg.
Lowe, Deutschland 42. Zol l n er, ibid. , 5 6 . Werner, ibid., 4 5 3 . B u tzen , ibid. , 2 7 . Ewig, Di e Memwinger
24 sg . , 5 5 sg. Portner 22 sg- B l e iber, Dias Frankenreich, 5 5 sg. Parte degli studiosi pone l a g uerra
con tro g l i A l e m a n n i nel 506 e n e l l o stesso anno oppure nel 507/8 anche il batte s i m o di C l odoveo.
Zol l ner menziona nella sua Storia dei Franchi i soste n i tori delle due tesi (57 s g . ) .
14
Greg. Tur. 2 ,3 1 . Fredeg. 3 , 2 1 porta i l n u m ero da 3000 a 6000. R G A K IV 1 98 1 , 478 sgg . , I 1 29 . La
con troversia s u l l e datazioni n e l l a ricerca più antica in Levison, Aus rhein isch er uml friinkischer
Friihzeit, 202 sgg. Vedi anche A l a n d , Kirchengeschichliche En twiirfe 27 sg. Haendl er, Geschichte
des Friihm ittelalters, 2 1 , ipotizza il batte s i m o di Cl odoveo nel 498 ; così anche Mai er, Mittelmeer­
welt 2 1 4 e Vog t , Der Niedergang 5 1 2 , e molti altri . F. Oppe n h e i mer, Francish Themes, 1 7 sgg .
suppone il battesimo nel 5 0 8 ; cosl anche R. Weiss, Ch/odwigs Taufe: Reims 508. Cfr. inoltre Kawerau,
Geschichte der alte n Kirche, 38. Hauck I l 09 sgg. B o h ner, Grabmii/er, 655. Zo l l ner, ibid. , 60 sgg . ,
1 8 7 . Pri nz, D ie bisch(;f/iche Stadtherrschaft, 1 3 . Carte l l ieri I 46 s g . Flecke n s te i n , Grundlagen und
Beginn, 4 1 . Stamer, 2 1 . S c h u l ze , Vom Reich der Franken 27. Hart m a n n , Geschichte Jta liens, ! , 1 5 5 .
B l e i ber, ibid. , 5 3 s g . Flecken s te i n , Das g rofJfriinkische Reich , 2 7 2 s g .
1 � Greg . Tur. 2, 3 1 . Wetzer/Welte, I X 2 0 4 . LTh K V I I I ' 4 7 7 , 8 1 7 sg. Vogel II 348 sgg. S c h u l tze I I 1 07 .
Angenendt, Friihm ittelalter, 1 70 sg.
1 1'
Greg . Tur. 2 , 3 1 . Dante, Inferno, I l , 9 . Wetzer/We l te I X 204 . LTh K VIII' 8 1 7 sg. Vogel I I 349 .
Seppe! t I 250 sgg. Speyer 302, 309.
11
Av i t . , ep . 46. Wetzer/We l te I 566, I X 204 . LThK 1 1 547, 874; V I I I ' 8 1 7 sgg . ; V I I ' 54 1 s g . LMA I
1 3 07 sg. (Zot z ) ; II 1 86 5 . Gorres 33 sgg. Fischer, Die ViJ/kerwanderung 22 1 . B o h ner, Grabmii/er
6 5 5 . S trohker, Der senatorische Ade/ 1 54 . Zol l ner, Geschichte der Franken , 58 s g . , 63. Cfr. 1 79 .
Pfi ster, Gau l . Narrative of Events 1 1 2 . S taubach 2 7 s g . , 4 3 . A ngenendt, Ka iserhe rrschaft ung
Konigstaufe , 2 sgg. Id., Friihm ittelalter, 1 7 1 sg.
' " Hartmann, Gesch ichte Jtaliens I 1 5 5 . Kos m i nski/Skaskin 7 2 , Wei n 8 8 . Fleckenstei n , Di e Hofkapelle,
6 . Pfi ster, ibid. I l i sg. A l tamira 1 5 9 sg. Pon tal 9 sgg.
1 9 N i c e t . MG Ep. III 1 22 . L M A I l 1 86 5 . A l germissen 1 86 .
20
H a u c k 1 95 2 I ' l 04, I l i . Stamer 20 sg. H a l ler, Entstehung 303 s g . S tern/B art m u s s 62. S t e i nbach,
Das Franken reich 20 sg. B a l lesteros 37. Bosl, Europa im Mittelalter, 66. B rown 1 6 1 . A n genendt,
ibid. , 1 70 . Non convi ncono l e brevi argomentazioni d i A l and (O ber den G/aubenswechse/ 48 sgg . ) ,
con l e q u a l i nega c h e a l l a base d e l l a conversione d i C l odoveo c i s i a n o motivaz i o n i d i natura politica.
Note 51

Secondo l u i se C l odoveo avesse avuto t a l i rag i o n i , avrebbe dovuto diventare u n A riano. M a da


Cattol i c o non poteva forse combattere i n m a n iera p i ù convi ncente contro g l i stati arian i ? Aland c i
accusa d i u sare "cri teri nostri" p e r giudicare epoche passate. Ed e g l i non usa forse i s u o i cri teri
rel i g i o s i ? A l an d n o n produce nessuna prova d e l l a sua tes i , per cui C l odoveo, come Costantino e
Federico il Saggio, sarebbe stato " i n t i mamente c o n v i n to d a l l a nuova fede", ma preferisce "tronc are
a questo punto . . . " . Cfr. anche A l a n d , Kirchengeschichlihe Entwiirfe , 30 s g .
21
Taddey 1 80. S c h m i dt , Die Ostgermanen, 1 29 . B e h n 6 1 . K . D . S c h m i d t , Die Bekehrung der Ost­
germanen 404 sgg. S c h w arz, Goten 1 8 1 sgg. B o h n sac k , 1 05 .
22 Oros. 7 , 3 8 , 3 . Ch ron. Gal/. a d a n n u m 436; 443 . S u i B urgu n d i , i n generale : Wen s k u s , Die Burgunder.
K. F. Werner, Burgund, in LMA II 1 062 sgg. J. R i chard , Burgunder, LMA II 1 092 sg. B iihler 49.
Liiwe, Deutsch/and 20. B e h n 6 1 , 69. S troheker, Germanentum 246 sgg . , 2 5 7 sgg. Schmidt, Die
Ostgermanen 1 3 1 . Schmidt, Die Bekehrung der Ostgermanen, 404 sgg. B a n nenbauer I 208, 308.
Dopsch 1 96 1 11 2 1 7 s g . Conrad I 83. B l e i ber, Das Frankenreich , 4 1 .
23 Greg. Tur. 2 , 2 8 . LthK 1 1 1 644 . LMA I 1 092 sgg . , 1 8 24 sg . ; I V 1 5 30 s g . , 1 79 2 . S c h m i d t , Die Ost­
germanen 1 69. Peyer 98. Conrad I 83. Beck, Bemerkungen 446. B le i ber, ibid. 4 1 .
24 Socrat. h.e. 7,30. Pro s . advers. Pagan . 7 , 3 2 . Greg. Tur. 2 , 2 8 . Wetzer/Welte I I 2 1 6 sg. LMA I V 1 5 30
sg., 1 79 1 sg. G iesecke 1 4 1 . Vogt, Der Niedergang 429. Dannenbauer I 308. S c h m i d t , Die Bekeh­
rung der Ostgermanen 404 sgg. Schmidt, Die Ostgermanen 1 3 7 . Ziil l ner, Die poi. St. I l O.
25 Av i t . ep. 5. Mari u s Ave n t . an. 500. Greg. Tur. 2 , 2 3 ; 2 , 2 8 ; 2 , 3 2 sg. Wetzer/We l te , I I I 603 . LTh K I X '
549. L M A I I l 093 , 1 865 s g . ; I V 1 5 30 s g . H E G I 2 3 3 s g . Riickert, Kulturgeschichte der ch ristlichen
Kirche l , 93. Hart m a n n , Geschichte ltaliens l, 1 5 5 sg. G iesecke 1 42, 1 62 . S c h m i d t , Die Bekehrung
der Ostgermanen 408 sg., 4 1 3 sg. Fisc her, Die Vo/kerwanderung 222. B iittner, Der A lpenrau m , 63.
E n s s l i n , Theoderich 1 3 2 sg. Ziill ner, ibid. , 85. B o s l , Europa im Mittelalter, 66. Menzel I 1 50. E w i g ,
Die Merowinger und das Frankenreich 24. B e c k , Bemerkungen , 447 sg . , 45 1 . B u n d 1 64.
26 Greg. Tur. 2,34. Wetzer/Welte 2 1 6 sg. Kraft 1 0 1 . Menzel I 1 50. K . D . S c h m i d t , Die Bekehrung de r
Ostgermanen, 4 1 1 sgg. Giesecke 1 42 s g . , 1 5 9 sg. Fischer, ibid. , 1 1 7 .
27 Olymp . frg . 2 6 (FHG IV 63). Prosper Tiro, a d annum 4 1 5 . Oros. 7,43. Der Kleine Pauly, V 1 1 2 1 sg. dtv­
Lexikon der Antike I 235. Stei n , Vom romischen zum byzantinischen Staat, 404. Carte l l ieri I 23 sgg.
Schmidt, Westgermanen, 207 sg. Dannenbauer I 204, 209, 306. Capelle 250 sgg. Enssl i n , Einbruch 1 09
sg. Cul ican 1 9 1 . Liiwe, ibid. , 1 9 sg. Cl aude, Geschichte der Westgoten , 20. I d . , Ade/. Kirche 30 sg.
2" A pol i . Sidon. ep . l ,2; 7 , 1 2 . Jord. Get. 44. Der K/eine Pau/y I V 1 3 50, V 684. G i esecke 9 1 sgg.
Schmidt; Die Westgermanen I 208 sgg. Liiwe, ibid. , 20. Stroheker, Eu rich, 4 sgg. Claude, ibid. 3 1
s g . , 5 1 sg. I d . , A de/, Kirche, 3 7 . B u n d 5 5 1 sgg. B le i ber, Das Frankenreich , 4 1 .
29 K . D. Schmidt, Die Bekeh rung der Ostgermanen, 300.
30 Ennod . , Vita Epiph. 7. Apol l . Sidon. ep . 6, 1 2 ; 7 ,6. Wetzer/Welte I 355 sg. Der Kleine Pau/y I I 439,
V 1 76 . LMA I V l 04 sg. Cape l l e 304 sg. Claude, Geschichte der Westgoten, 48 s g . Haendler, Di e
abendliindische Kirche, 1 05 .
31 Apo l l . Sidon. ep. 7 , 6 s g . Jord. Get. 4 7 . G iesecke, 96. Stroheker, Germanentum, 1 67 . Vogt, Der
Niedergang, 473. S c h n ii rer, Die A nfiinge, 98. Dannenbauer, Die Grundlegung I 306 sg. Enss l i n ,
D e r Einbruch, 1 1 7 s g . Daniel-Rops 2 5 5 . Maier, Mittelmeerwelt, 2 0 8 s g g . Langgartner 1 08 . Pri nz,
Die bischofliche Stadtherschaft, 9. C l aude, Geschichte der Westgoten , 3 2 sg.
" Greg. Tur. 2,35. R G A K I 1 29 . dtv-Lexikon der A ntike, Geschichte, 2,25. Enssl i n , ibid. , 1 25 . Mai er,
ibid. , 209. Claude, ibid. , 33 sg. Biittner, Die A lpenpolitik, 6 3 .
33 Greg. Tur 2,36. Hart m a n n , Geschichte Jtaliens, I 1 5 8 sg. B o d m e r 3 8 . K . D . S c h m i d t , ibid. , 3 0 8 .
S troheker, Germanentum 1 67 sg. G iesecke 9 8 . Dannenbauer I 3 1 1 . Thompson, The conversion , 5
sgg. Langgartner 1 08 sg. M arschall 94 sgg.
34 Greg. Tur. 2,26; 3,36. Vita patr. 4, l . Wetzer/Welte I I 246 sgg. Der Kleine Pau/y II, 276 sg. HEG I

25 5 . Giesecke, Die Ostgermanen, 98 sgg. S c h m i d t , Die Ostgermanen, 347. K. D. S c h m i d t , Die


52 Note

Bekehrung der Ostgermanen, 308. E n s s l i n , Theoderich , 2 9 3 . A l tamira 1 5 9 s g . Thompson, The


Conversion , 5 sg. B l e i ber, Das Frankenreich , 5 7 . Z o l l ner, Geschichte der Franken, 1 1 7 .
35 Conc. Agath. Praev. Wetzer/Welte I I 247 . G iesecke 1 00. Stroheker, Germanentum, 1 67 sg. Steinbach, Das
Frankenreich, 1 2 . Claude, Geschichte der Westgoten, 45 . Haendler, Die abendliindische Ki�The, 1 05.
3 6 Greg . Tur 2 , 3 7 . HKG I I/2, 1 07 : "Il proc lama (se. d i C l odoveo) risuona come u n o squ i l l o d i fan fara".
H a rt m a n n , Geschichte ltaliens, l, 1 5 9 sgg. Carte l l ieri I 5 0 . S te i b a c h , ibid. I l . D a n n e nbauer,
Grundlegung l, 3 1 1 . Zol l ner, ibid. , 6 5 . E w i g , Zum christlichen Kon igsgedanken , 1 9 . I d . , Die Mero­
winger, 2 5 . Lasko, 2 1 2 . Claude, Gesch ichte der Westgoten , 35. Pfi ster, Gau l . Narrative of Events,
1 1 3 sg. B leiber, ibid. , 5 6 sgg.
" G reg. Tur. 2,37. LMA I I 2 1 54. HEG I 258. S u E w i g , cfr. nota 36 e 40.
3" A l germ issen, 1 87 .
-'" G reg . Tur. 2 , 3 7 .
11
4 Proko p . , bel/. Goth . l , 1 2 , 3 3 sgg. Ch ron. Gall. anno 5 1 1 . Greg . Tur. 2 , 3 7 . Fredegar. 3 , 24. R G H K I
1 29 . HEG I 2 5 8 . Riickert, Kultu rgeschichte I 324 sgg. Hauck I 1 70 sg. Dannenbauer, ibid. , I 3 1 1 .
A l tamira 1 60. Zol l n er, ibid. , 6 5 . Claude, ibid. , 3 5 . E n n s l i n , ibid. , 1 42 . Ewig, Die Merowinger und
das Frankenreich , 25. sg. B l e i ber, ibid. , 56 sg. Pontal I O.
4 1 G reg. Tur. 2 , 3 7 . Fredegar, 3 ,24. HEG I 2 5 8 . B e i s e l , Studien zu den friinkisch - romischen Beziehwz ­
gen , 92 s g . Cfr. i n o l tre la nota seguente.
42 Proko p . , beli. Goth . 1 , 1 2 . Jordanes, Get. 58. I s i dor. , h ist. Goth . , 3 6 sgg. Cassiod . , Va riae 4 , 1 7 .
Chron. Caes. Aug. ( M G A uct. an t. Xl 222 s g . ) . Greg. Tur. 2 , 3 7 . I Conc. di Ori . ( 5 1 1 ) c. 5 . 7 ; I O .
Hauck I 1 30. Bodmer 1 02 . Hart m a n n , ibid. , I 1 59 sgg. Caspar II 6. S c h m i d t , Die Ostgermenen,
1 5 5 . Ensslin, ibid. , 1 3 8 sgg . Id., Theoderich , 1 27 . S t e i nbac h , Das Frankenreich, I l sg. Neuss/
Oediger, Das Bistum Kiiln , I l O . Dannenbauer II 22 sg. E w i g , Zum ch ristlichen Kon igsgedanken ,
1 9 . Z o l l ner, Geschichte der Franken , 66, 1 7 1 . C l a u d e , Geschichte, der Westgoten , 3 6 , 54 s g .
Thompson, The Goths, 7 s g g . B u n d 5 5 3 sg. B leiber, Das Frankenreich , 5 6 sg. E w i g , Di e Merowinger
und da.r Frankenreich, 25 sgg. Pontal I l , 3 1 .
4-' Greg . Tur. 2,40. B odmer 1 06 s g . Fischer, Die Viilkerwanderung, 2 3 5 . Pfi ster, G au l . Na rrative of
Events, 1 1 6 . A n t o n , Fiirstenspiege/, 49. Schneider, Kiin igswahl, 70 s g . Grah n-Hoek, Die friinki­
sche Oberschicht, 1 43 sgg. S t e i n bach, Das Frankenreich , 1 2 . Zol l ner, Geschichte der Franken, 70.
Borst 229 sgg. Ewig, Die Mero winger, 30. B leiber, ibid. , 5 8 sg.
44 Greg. Tur. 2,4 1 . Per la critica a Gregorio, vedi Zol l ner, ibid. , 70 sgg. LMA V 1 9 1 9. Menzel I 1 5 1 . Hauck
I I I I . Schneider, ibid. , 7 1 . Sprigade, Abschneiden , 1 45 sg. Id., Die Einweisung, 15 sg. Graus, Ober die
germanische Treue, 1 05 sgg. Bosl, Europa im Mittelalter, 64 sgg. Ewig, Die friinkische Reichsbildung,
259 sg. B leiber, ibid. , 59. Borst 232 sg. Bund 24 1 sgg . , 245 sgg. Pfister, ibid. , 1 1 5 . Falco 68.
45 G reg. Tur. 2,42. B o d m e r 1 06 . sg. Fisc her, ibid. , 2 3 5 . Per Daniel -Rops l ' e l i m i n azione da parte d i
C l odoveo dei parenti i ngombran t i è " n i e n t ' a l tro che u n a stori e l l a i n ventata dal popo lo"; p e r tale
affermazione lo storico catto l i c o si richiama a non precisati "stori ografi degni d i fede": 1 3 7 .
46 Fredegar. 3 ,2 1 . S i n . di Ori . (5 1 ! ) , Praef e can . 4. Riickert, Kulturgeschichte I 328 sgg. Schubert, Ge­
schichte der christlichen Kirche, I 93. Steinbach , Das Frankenreich , 1 3 . Bosl, ibid. , 64. Portner 1 7 sgg.
Zoll ner, Geschichte der Franken , 44, 1 82 sgg. Pri nz, Die Entwicklung, 226, nota 9. Ewig, Der Martins­
kult, 1 7 sg. G . Wol f sottoli nea da un lato, come al solito, la "ragion si stato" di Clodoveo e la sua
grandezza, tuttavia parla anche del "grado assolutamente i ndubbio del l a sua personale religiosità": "di
morale cristiana nessuna tracc i a ! " : Chlodwig 27, 29, 32 sg., 35. Angenendt, Friihmittelalter, 1 9 1 .
47 Aland, Kirchengeschichtliche Entwiirfe , 3 1 .
4" Greg. Tur. 2,40. Zol lner, ibid. , 7 3 . Wolf, Chlodwig, 35. Lo storico E. Ewig nel HEG, 259 sg. e altrove
scrive : "Negli ultimi anni del suo regno (508-5 1 1 ) Clodoveo stabilì i confini territoriali del regno . . . e
trasse i Franchi fuori dai loro angusti limiti. .. creando una si ntesi germanico-romana di nuovo genere.
L' impetuosa forza espansiva dei Franchi ricevette nuovi impulsi dal l ' assunzione della fede cattolica . . . ".
CAPITOLO III.

I FIGLI DI CLODOVEO

"Anche i successori del primo sovrano franco favorirono Chiesa e Culto:


i l Monachesimo si dispiegò . . . , i resti del Paganesimo furono combattuti
con energia crescente . . . Secondo una dottrina veterocristiana,
i compiti spettanti alla monarchia, l ' assicurazione della pace interna,
il premio dei buoni e il castigo dei cattivi, divennero elementi costitutivi
di un' etica del dominio, che via via si sviluppava . . . "
.

(H. H. Anton) 1

"Fu una schiatta dinamica quella che costruì questo nuovo mondo,
al contempo piena di entusiasmo e consapevole del proprio dovere,
non prigioniera del vile materialismo,
in cui era rovinosamente precipitato i l mondo romano".
(Il cattolico Franz Zach) 2 79
54 l figli di Clodo veo

SUDDIVISIONE DEL REGNO E SOLLEVAZIONE DEGLI A LVERNI

Il regno di Clodoveo, quasi diviso aequa !ance, fu dapprima ereditato dai s ù oi quattro
figli, tutti in egual misura "Re dei Franchi", tutti , secondo il diritto ereditario germanico,
eredi di pari diritto, tutti cattolici e tutti, eccetto Teoderico l, il maggiore, che Clodoveo
aveva avuto nel 485 da una concubina (ciò non aveva alcuna rilevanza, perchè decideva
esclusivamente il sangue reale del padre), con una santa come madre. E tutti trascorsero
la vita tra spaventosi assassinii, faide e campagne belliche. Seguendo la sperimentata
tradizione paterna, ampliarono sistematicamente il regno, conquistando la Turingia
(53 1 ), la Burgundia (533/5 34) e la Provenza (537), cui s ' aggiunsero numerose altre
razzie. Fu un' epoca eccezional mente caotica, una delle più oscure e sanguinose del la
storia, colma di eccessi, brutal ità, fratricidi e tradimenti, un' unica zuffa intorno "al
potere e alla ricchezza" (B uchner), null ' altro che "insensato saccheggio e carneficina"
(Schulze). 3
Eppure anche storici avveduti si inginocchiano (riconoscenti) dinanzi alla "fondazione
imperiale" dei Merovingi, al ponte da loro lanciato "fra Antichità e Medioevo", al­
l ' alleanza "fra Trono e Altare", come se tutto ciò non avesse reso la storia ben più
sanguinosa !
Non sono determinabili con certezza i confini tra le quattro parti del regno.
Quella che conosciamo meglio è l ' eredità di Teoderico I (5 1 1 -5 3 3 ) : il probabile
81 Hugdietrich della saga ebbe la parte del leone, con capitale Reims; un territorio, in cui
fu grossamente prefigurata l ' Austria, con la sua popolazione prevalentemente germanica:
tutta la parte orientale, dalla Burgundia alla Renania, fors ' anche fino al territorio di
Fritzlar e Kassel, e inoltre vasti territori un tempo degli Alemanni, come l ' Aquitania.
Ma ciascun figlio ebbe una parte dei paesi aquitani rubati dal padre a Sud della Loira;
tre di questi erano per altro delle exclaves.
Clotario I (5 1 1 -56 1 ), il più giovane dei figli di Clodoveo, forse ancora dodicenne, al
di sotto quindi dell' età legale prevista dalla Legge Salica, ebbe principalmente il territorio
dei Franchi Salii con le città regie di Tournai e Cambrai , cioé l ' antico territorio franco
tra la costa, la Somme e il Kohlenwald, all ' incirca entro i confini precedenti le razzie
del padre. Clotario elesse Soi ssons come sede del governo, una città collocata
nell' estremo sud.
La Francia meridionale e occidentale toccò a Clodomero e a Childeberto.
Clodomero (5 1 1 -524), quasi quindicenne alla morte di Clodoveo, regnò a Orléans
quale re dell ' Aquitania occidentale, il paese più settentrionale rispetto al corso medio
della Loira. E Childeberto I (5 1 1 -558) resse i paesi costieri dalla Somme fino alla
Bretagna, risiedendo a Parigi, sua capitale indiscussa. 4
Sappiamo poco intorno ai primi anni di governo di questi quattro sovrani : probabil­
mente la rivalità fra loro sorse fin dal principio, sicuramente favorita dalla stretta
La guerra contro i Burgundi del 5231524 - sollecitata da una Santa 55

vicinanza dei quattro palazzi reali di Reims, Soissons, Parigi e Orléans, collocati prop­
rio al centro dell ' i mpero. Eppure, cosa piuttosto grottesca, proprio ciò avrebbe dovuto
simboleggiare la sua "unità ideale". 5
Durante una sollevazione in Alvernia, presumibilmente intorno al 520, Childeberto
cercò di appropriarsi con la frode di questo territorio di Teoderico, il quale operava
ancora in Turingia; ma poi soffocò la ribellione, devastando l' Alvernia, compresa la
diocesi di s. Quintiniano, vescovo di Clermont. Fu "saccheggiata e abbattuta ogni cosa",
si distrussero castelli, si profanarono chiese cattoliche, dove "molto male" fu commesso:
il prete Proculo fu assassinato "miseramente sull' altare della chiesa". Childeberto, poi,
fece irruzione fra i Visigoti, elargendo in dono "alle chiese e ai sacrari dei Santi" una
parte del bottino, che comprendeva, fra l ' altro, "60 calici, 1 5 patene, 20 evangeliari, 82
tutti d' oro purissimo e tempestati di preziose gemme" (Gregorio di Tours). Quindi fece
pace col fratello (meglio, fratellastro) maggiore Teoderico (assassino di parenti, come
il padre, benché di statura politica inferiore), ma a dispetto di giuramenti e scambi
d' ostaggi l ' accordo fu ben presto nuovamente violato, e così "molti figli di senatori
finirono in servitù" (Fredegar). 6

LA GUERRA CONTRO l BURGUNDI DEL 523/524 -

SOLLECITATA DA UNA SANTA E CONDOTTA CONTRO UN SANTO E ASSASSINO

Subito dopo la sollevazione dell ' Alvernia i cattolici re dei Franchi si avventarono contro
il cattolico regno dei Burgundi .
Vi regnava in quel periodo il figlio del re Gundobado (v. pag. 39 ss.), Sigismondo
(5 1 6-523), che dal 5 0 1 era vicerè a Ginevra. Ciò che al fanatico Avito non era riuscito
col padre, riuscì ora col figlio, e intorno al 500 Sigismondo si convertì dal l ' arianesimo
al cattolicesimo; l ' annuncio trionfale giunse a Roma da Vienne. Ora il vescovo Avito
poteva celebrare la morte del vecchio re "di eretici", col quale aveva avuto tuttavia
contatti così vivaci, e non poteva non attendersi lo sradicamento della "peste ariana" e
il potere assoluto del neofita Sigismondo: gli appare quale vessillifero dei cristiani, e la
sua vista è paradisiaca. 7
Quindi Sigismondo introdusse il cattolicesimo in tutta la Burgundia: anche il figlio
maggiore di primo letto, il principe Sigerico, nipote di Teoderico, re degli Ostrogoti, si
convertì, con grande gaudio di Avito. Ma tale passo di Sigerico può essere stato suggerito
da prevalenti considerazioni politiche : in effetti suscitò i sospetti del santo genitore, il
quale nel 522 lo fece strangolare nel sonno da due servi. Infatti S igismondo "questo
modello di pietà" - come dice il cattolico Daniel-Rops - "si lasciò trascinare talvolta a 83
orribili violenze e taluni delitti". Insomma, Sigismondo non è soltanto, come ci dice il
vescovo Gregorio, "il più detestabile assassino di figli", ma anche un santo cattolico
56 l figli di Clodoveo

(Festa: il l o Maggio). Dopo il misfatto s ' affrettò al chiostro di s. Maurizio (St. Moritz
nel Vallese), digiunò, pregò e offrì un ininterrotto canto corale in memoria della sua
vittima ! 8
Non per nulla Avito lo aveva tenuto sotto tutela per lungo tempo ! Fu legato al cattoli­
cesimo con impareggiabile fervore, e il suo primo atto di governo fu la convocazione
nel 5 1 7 di un concilio a Epaon, che decise violente misure contro gli ariani. Ma già
prima dell' ascesa al trono, Sigismondo aveva stabilito una corrispondenza epistolare
col papa, e, primo sovrano germanico, compì anche un pellegrinaggio a Roma, dove da
Simmaco (un santo padre di risse di strada, di battaglie nelle chiese e di grossolane
falsificazioni: v. II, 234 ss.) ricevette in dono non poche reliquie. Per Sigismondo il
papa è il signore di tutta la chiesa; all ' imperatore Anastasio I (v. II, 227 ss., 240 ss.)
scrisse a Bisanzio: "Il mio popolo è vostro; mi dà maggior gaudio servire voi che
regnare sul mio popolo". 9
Pecorelle coronate sono una vera benedizione per i pastori, benché Roma accogliesse
allora il battesimo del re burgundo, come precedentemente aveva registrato quello di
Clodoveo (pag. 36). Ma l ' arcivescovo Avito esaltò le fondazioni di chiese e i virulenti
attacchi all ' arianesimo a Ginevra, sommergendolo di adulazioni, chiamando il giovanetto
"padre dei popoli cattol ici", e ispirandogli epistole, anzi , componendole per lui, come
quel le dirette alla corte imperiale d' Oriente.
Poi che ebbe ottenuto la conversione dei B urgundi con l ' aiuto di Sigismondo, Avito,
per il quale la cattolicizzazione di quel popolo fu il traguardo del la sua vita, che mai
avrebbe raggiunto da solo, subito mostrò che cosa fosse la riconoscenza per un "tipico
rappresentante della gerarchia cattolica, unicamente sollecito dei propri interessi
egoistici; un' indole avida di potere, intrigante, senza cuore, piena di inganno, falsità e
ingratitudine verso la casa regnante, cui tanto doveva" (Hauck). Già nel Concilio del
84 Regno burgundo (5 1 7), che, sotto la direzione di Avito, servì soprattutto alla lotta contro
l ' arianesimo e alla salvaguardia del patrimonio ecclesiastico (tra l ' altro con la proibizione
di emancipare gli schiavi della chiesa), rendendo ufficiale, per così dire, l ' inizio della
cattolicizzazione dei B urgundi, il principe della chiesa ignorò completamente il sovrano.
Allora i ringraziamenti e le lettere d' omaggio sinodali al re erano abituali, anche se il
contributo decisivo di Sigismondo alla sconfitta dell ' arianesimo avrebbe addirittura
imposto riconoscenza e ringraziamenti . Eppure Avito e i vescovi, che nel Concilio
maledirono le chiese ariane e previdero per i preti che avessero desinato con ariani un
anno di scomunica oppure punizioni corporali per i più giovani, ignorarono il re. Anzi,
emanarono un decreto inconciliabile con le leggi del paese, che condusse alla lotta del
sovrano contro un episcopato ormai troppo potente. 1 0
E si aggiunse un' ulteriore lotta, anche questa tra fratelli di fede.
Ne1 523 Childeberto, Clotario e Clodomero si scagliarono contro i B urgundi, cattolici
contro cattolici, istigati da santa Clotilde, che intendeva vendicarsi del l ' uccisione dei
La guerra contro i Burgundi del 5231524 - sollecitata da una Santa 57

genitori durante le faide di potere in Burgundia: "Vi prego, pieni di collera pensate
all ' ingiustizia che ho subìto, e vendicate con fermezza la morte di mio padre e di mia
madre". Sono le parole di una santa, che anche secondo Fredegar incitava "conti­
nuamente" alla vendetta; "E perciò mossero contro i B urgundi . . .". Solo il re Teoderico,
avuto da Clodoveo con una concubina e sposato con Suavegotta, figlia di Sigismondo,
non si unì alla spedizione. Ma gli altri figli della santa sconfissero disastrosamente il re
burgundo, che, tradito dai sudditi , venne affogato in un pozzo presso Orléans con tutta
la famiglia, moglie e due figli : " . . . per non lasciare nemici alle spalle"; una variante dei
metodi del padre cattolico e "culmine del regno di Clodomero" (Ebling). 1 1
Ma Sigismondo, l ' assassino del proprio figlio, fece carriera, diventando santo della
chiesa cattolica, la cui l iturgia in verità fu a lungo incerta se si dovesse pregare per
Sigismondo o a Sigismondo ! In ogni caso, è a lui che si deve la cattolicizzazione dei 85
Burgundi . Sepolto a St. Moritz, da lui fondata, ebbe subito inizio il suo culto: i febbri­
citanti fanno celebrare messe in suo onore (infatti sembra sia soccorrevole contro la
malaria) e nel V I I secolo già spicca come santo nel cosi ddetto Ma rtyrologium
Hieronymianum. Nei corso del tardo Medioevo diventa santo patrono di Boemia e
fulmineamente anche un santo alla moda: l ' arcivescovo di Praga proclama festività
dell ' arcidiocesi la festa di s. Sigismondo. La sua statua compare sugli altari francesi e
tedeschi, e nel campanile del duomo di Friburgo; esistono chiese a lui dedicate e anche
pie confraternite di s. Sigismondo. I suoi resti mortali, dapprima a St. Moritz, vengono
ancora venerati ; il suo cranio finì a s. Sigismondo, in Alsazia; un altro pezzetto di testa
nella cattedrale di Plozk, sulla Vi stola; una parte del corpo, nel XIV secolo, nel duomo
di s. Vito, a Praga, e contemporaneamente un' altra porzione a Frisinga, che diventò
alla fine il centro tedesco della sua venerazione. 1 2
Ma le "fortune belliche" mutarono, e il fratello e successore Godomaro riconquistò
il controllo del paese, vincendo la battaglia di Véseronce (presso Vienne), nella quale
Clodomero cadde grazie a un' astuzia dei Burgundi. Come loro vicino gli stava a cuore
moltissimo la loro sottomissione. Si riconosceva dai capelli uno che fosse stato colpito
da una lancia, gli si tagliava la testa e la si issava su un palo. I membri della casa reale
merovingia, infatti, si distinguevano da tutti gli altri per la lunghezza dei capelli, che
possedevano in un certo senso il valore di feticcio: tagliarli, o semplicemente accorciarli
simboleggiava la perdita della propria dignità.
Accadeva la stessa cosa con la tonsura chiericale. Secondo le leggi ecclesiastiche la
condizione di prete o monaco rendeva irrimediabilmente inadatti a qualsiasi ufficio
mondano; la tonsura - chiamata nelle fonti "in (ad) clericum tonsurare (tondere)",
"clericum facere (efficere)", "clericum fieri iubere" - perciò nel primo Medioevo era
un mezzo diffuso per l ' eliminazione incruenta degli avversari politici, e contempo-
raneamente perché favoriva la carriera religiosa. 1 3 86
58 l figli d i Clodoveo

"MEGLIO MORTO CHE TONSURATO •••"


UNA SANTA IMPARTISCE L'ORDINE DI UCCIDERE SUO NIPOTE

Dopo la morte di Clodomero i tre fratelli, "combattenti e nient' altro che veri e propri
capibanda" (Pontal), si divisero l ' eredità, ignorando del tutto i diritti dei figli minorenni
del re caduto ed escludendo, inoltre, una reggenza tutoria della loro madre.
A quanto pare, il devoto Childeberto fece la parte del leone : non per nul Ìa era un
sovrano che sosteneva le istituzioni ecclesiastiche, era in buoni rapporti coi vescovi,
cui trasferiva latifondi, bottino di guerra, e grosse somme di danaro; e poi era in continuo
contatto con la "Santa Sede". E poiché Childeberto e Clotario, il quale aveva sposato
Guntheuka, vedova di Clodomero, temevano manifestamente le pretese ereditarie dei
suoi figli minorenni Teudebaldo e Gunthar, Childeberto - a suo tempo descritto come
saggio, mite e bonario - incitava per la loro uccisione, e Clotario ne era "profondamente
felice". In fondo i due avevano per madre una santa, s. Clotilde, che tra l ' altro in qualità
di pri ncipessa cattolica aveva imposto a Clodoveo il battesimo dei propri figli, che
aveva "educati con amore" facendone, naturalmente dei buoni cattolici. E poichè Clotilde
era anche impegnata nel l ' educazione dei figli minorenni del defunto Clodomero,
Childeberto e Clotario, i cui nipoti erano alla loro mercé, chiesero a Clotilde se desi­
derasse che i nipoti "continuassero la loro vita coi capelli tagliati [cioé, come monaci]
oppure se dovessero essere entrambi uccisi". Al che "questa figura ideale di santità
femminile", questa affezionata Apostola Francorum, che amava i nipoti "di un amore
unico" (unico amore ; Fredegar), rispose : "Meglio morti che tonsurati, dal momento
che non possono giungere al potere".
Evidentemente nemmeno per una santa un monaco contava qualcosa, ma solo il
potere era tutto. 1 4
La nobile banda familiare cattolica collaborò in modo esemplare: con l ' esplicito
87 assenso della santa, che per mera brama di vendetta aveva già aizzato alla guerra contro
i Burgundi, Clotario cacciò il pugnale fra le spalle dei due nipoti che urlavano come
vitellini. "Subito dopo uccisero anche i servitori e i pedagoghi dei due fanciulli", Clotario
montò a cavallo "e se ne andò via; ma la regina" - continua Gregorio - "depose i
cadaveri dei bambini su un catafalco, li accompagnò fino alla chiesa di s. Pietro tra cori
e indescrivibile pianto, seppellendo li uno vicino al i ' altro. Il maggiore aveva dieci anni,
il più piccolo solo sette . . . Poi la regina Clotilde condusse una vita tale, che fu da tutti
venerata . . . La sua condotta fu sempre e solo contraddistinta dalla castità e dal l ' onora­
bilità: alle chiese, ai chiostri e a tutti i luoghi sacri donò beni, garantendo sempre con
spontaneità e amicizia tutto quello di cui avevano bisogno . . . " .

Clodovaldo, il figlio più piccolo di Clodomero, si salvò e, probabilmente di sua


volontà, si condusse in convento: "Rinunciò al regno terreno, concedendosi al Signore"
- scrive Gregorio; mentre Fredegar aggiunge : "E condusse una vita irreprensibile; il
La distruzione del regno di Tu ringia 59

Signore concede che sulla sua tomba accadano dei miracoli". (Ciodovaldo, fondatore
del chiostro che da lui prese il nome, Saint-Cioud, morì intorno al 560) . 1 5
Santa Clotilde, però, fu addolorata, come assicura un cattolico "soprattutto dall' assas­
sinio dei nipoti, perché le si rimproverò di avervi contribuito con eccessiva precipita­
zione" (von Sales Doye) . Che sensibilità ! Il vecchio Kirchenlexikon cattolico di Wetzer/
Welte ha l ' aria di sapere che la santa si sia trovata "in una situazione, in cui non sapeva
quel che diceva" ; e che non si sia neppure tentato "di )asciarla rinsavire e attendere
ulteriormente", anzi, il messo aveva "falsamente" comunicato ch' ella era d' accordo
con l ' assassinio proposto dai figli.
Anche in seguito la santa, promotrice di guerre e omicidi, fu di grande aiuto: non
solo soccorreva e soccorre contro la "febbre maligna, poiché era morta a Tours proprio
di febbre", come si racconta con una logica davvero stringente, ma, in modo ancora più
cinico, anche contro "le malattie infantili, perché aveva preso con sé tre orfanelli, i figli
del figlio Clodomero, amandoli dilettamente" (von Sales Doye). Gli zii, forse nella 88
primavera del 522, si divisero l ' eredità così sanguinosamente guadagnata, e Childeberto,
ispiratore del tutto, ebbe la parte del leone; a Clotario, l ' esecutore materiale dei delitti,
toccarono Tours e Poitiers e i santuari e il tesoro dei santi protettori dei Franchi, Martino
e Ilario. 1 6
Teoderico l , genero del re dei B urgundi, che non aveva combattuto contro il suo
parente, governò a Reims la parte orientale del regno dei Franchi, particolarmente attratto
dalla Germania, specialmente la Turingia, nella quale tentò ripetutamente di penetrare.

LA DISTRUZIONE DEL REGNO DI TURINGIA E LO STERMINIO DELLA CASA REALE

Il nome dei Turingi viene per la prima volta menzionato intorno al 400 da un veterinario
romano, addetto ai tori dell ' esercito, in un' opera sulla cura di questi animali. Accresciuto
e composto da differenti gruppi etnici della Germania centrale e da altre tribù residenti
sulle rive dell ' Elba, presto divennero il popolo di gran lunga più forte fra l ' Elba e il
Reno, unico dominio ereditario ivi costituito, fondato verso la fine del V secolo dal re
Bisino, e uno dei pochi regni germanici al di fuori della sfera di influenza romana. La
Turingia, la cui fioritura ebbe inizio proprio al lora, si estendeva dal corso medio
del l ' Elba, dell ' Ohre, dello Harz, del l ' alto Meno fino al Danubio, presso Regensburg
(verso il 480 fu saccheggiata Passau), e dal Tauber fino al Bohmerwald; Weimar era
forse la residenza del re. Quando Bi sino morì (prima del 5 1 0), il suo regno fu suddiviso
fra i figli Ermenefrido (sposato con Amalaberga, una nipote di Teoderico, re degli
Ostrogoti), Baderich e Berthachar; e dal 5 1 O la Turingia fece parte del patto militare
coi Visigoti, il sistema di alleanze antifranche di Teoderico, alla cui morte nel 526 si
sgretolò rapidamente.
60 l figli di Clodoveo

89 Teoderico l, figlio di Clodoveo, da tempo posseduto da brame espansionistiche già


dopo il 5 1 5 , verosimilmente attirato da lotte intestine per il potere, aveva intrapreso
una campagna contro questo potente paese, ma l ' incursione fallì. Alcuni anni dopo la
morte di Teoderico re degli Ostrogoti, precisamente nel 529, tentò un secondo attacco,
durante il quale morì in battaglia il re Berthacar. I suoi figli, tra cui anche Radegonda,
vennero deportati nel regno franco nel 53 1 , quando Teoderico I assaltò di nuovo la
Turingia insieme al figlio Teodeberto, col fratello Clotario (che Teoderico ancora in
Turingia tentò inutilmente di assassinare), e molto probabilmente anche coi Sassoni,
che dalle coste del Mare del Nord incalzavano verso sud. (Le fonti intorno al regno
merovingio, condizionate da un ' ispirazione cristiana, tacciono tuttavia della parteci­
pazione dei Sassoni, forse per non dover ammettere d' aver vinto solo grazie all ' aiuto
di un popolo non Franco, anzi addirittura pagano).
Sulle rive della Unstrut (53 1 ) caddero tanti Turingi "che il letto del fiume fu ostruito
dal cumulo dei cadaveri, e i Franchi vi passarono sopra per l ' altra riva come attraverso
un ponte" (Gregorio di Tours). Gli invasori devastarono e depredarono terribilmente la
Turingia, assaltando e incendiando anche la fortezza reale, la cui esatta ubicazione
possiamo solo supporre. Ermenefrido, che da parte sua, anche con l ' aiuto dei Franchi,
aveva sanguinosamente eliminato i parenti più stretti durante le lotte per il potere, fu
reso tributario, e nel 534, attirato sulla parola d ' onore e con l ' assicurazione della
incolumità e della vita dalle impervie regioni del suo paese nell' Eifel a Ztilpich, fu
ricoperto di doni, ma durante un colloquio con Teoderico venne precipitato giù dalle
mura della città. Ora gran parte della Turingia apparteneva al l ' assassino. Clotario ebbe
soltanto una parte del bottino e i Sassoni ottennero dietro tributo la Turingia setten­
trionale. Molti Turi ngi erano fuggiti o nei territori sotto la sfera d' influenza degli
Ostrogoti, oppure presso i Longobardi, in Moravia. Ostrogoti e Longobardi, alleati
della Turingia, l ' avevano abbandonata al suo destino. 1 7
Allo sterminio del la casa reale di Turingia sopravvisse soltanto la principessa
Radegonda. Come figlia di Berthachar, eliminato già da tempo, aveva soggiornato alla
corte dello zio Ermenefrido, finché Clotario la trascinò nel suo palazzo di Athies, presso
90 Saint-Quentin. Ci mancò poco che scoppiasse una guerra tra i due principi franchi,
entrambi innamorati della giovane figlia del re, tanto più che il suo controllo rendeva
legale le pretese sul regno di Turingia. Teoderico tentò di assassinare Clotario, sei volte
sposato (senza contare le concubine), ma costui fece fuggire Radegonda in convento,
ammesso che non l ' abbia addirittura ripudiata, dopo averne ucciso anche il fratello,
forse per paura di una faida.
Davanti a Poitiers, Radegonda fondò il chiostro della Santa Croce, dove sembra sia
vissuta asceticamente, con l ' unico ricordo della patria e dei suoi morti . Per dirla con le
parole del suo "intimo amico" Venanzio Fortunato, di circa vent' anni più giovane (e in
seguito vescovo di Poi tiers), viziato (anche da lei) nonché esperto poeta di circostanza
A ltre guerre contro Goti e Burgundi 61

dei maggiorenti franchi, che ne esalta continuamente l a sua "dulcedo": "Li vidi trascinare
donne in servitù, con le mani legate e i capelli al vento, e camminare a piedi nudi nel
sangue del consorte o sul cadavere del fratello. Tutte piangevano, ed io piangevo per
tutte . . . Quando sussurra il vento, porgo l ' orecchio per sentire se mi appare l ' ombra di
qualcuno dei miei parenti . Un mondo mi separa da coloro che amavo. Dove sono?
Domando al vento, chiedo alle nuvole fuggitive; vorrei che un uccello mi recasse no­
velle". Radegonda divenne santa, soccorrevole contro la scabbia, la febbre infantile e
le ulcerazioni; secondo la fede di molti abitanti di Poitiers, dove si venera come santo
anche l ' amico vescovo, solo a Radegonda si dovette se nel 1 87017 1 la città non fu
costretta ad ospitare una guarnigione tedesca. 1 8

ALTRE GUERRE CONTRO GoTI E BURGUNDI

In un primo momento i Visigoti, che si erano nuovamente impadroniti di una parte del
paese loro sottratta da Clodoveo, restarono indisturbati : infatti i Franchi erano tenuti a
freno dalla paura di Teoderico, re degli Ostrogoti . Tuttavia, pare che molti prelati cattolici 91
abbiano cospirato ancora una volta coi Franchi nei territori visigoti riconquistati. Il
vescovo Quinziano fu costretto a fuggire da Rodez (v. pag. 43): "Infatti, per il suo
amore verso di noi è stato cacciato via dalla sua città", come dichiarò Teoderico, che
nel 5 1 6 lo fece nominare vescovo di Clermont, a lui trasferendo "tutto il patrimonio
ecclesiastico. 1 9
Dopo la morte di Teoderico re degli Ostrogoti (526) si verificarono le prime azioni
ostili ai Visigoti . Quantunque non ci fossero, in generale, aspri conflitti confessionali
fra ariani e cattolici, il casus belli fu di chiara natura religiosa. La sorella del re dei
Franchi Clotilde, figlia di Clodoveo, aveva sposato il re visigoto Amalarico (507-53 1 ),
figlio di Alarico II (v. pag. 43 ss.), che, a quanto si diceva, maltrattava i cattolici a
motivo della loro fede: "Più di una volta" - sostiene il vescovo Gregorio - "fece lanciare
contro di loro escrementi e fango mentre si recavano in chiesa, e alla fine pare li abbia
bastonati al punto che lei inviò al fratello un fazzoletto intriso di sangue". In seguito a
ciò nel 53 1 Childeberto irruppe nel Settimanio, accompagnato, fra gli altri, anche dal
futuro vescovo di Bordeaux, Leonzio, sconfisse Amalarico presso Narbona, e ampliò i
confini della sua exclave aquitanica fino ai Pirenei. Amalarico fuggì a Barcellona, ma
quando in autunno si accinse a raggiungere l ' Italia fu assassinato dal franco Besso.
L' anno successivo (532) anche Teoderico I e Clotario entrarono in guerra contro i
Visigoti, guerra che naturalmente non fu che una vera e propria razzia, come poi la
spedizione in Italia. Nel 54 1 i due signori franchi varcarono per la prima volta i Pirenei,
devastando Pamplona e la valle del l ' Ebro, ma fallendo nel l ' attacco a Saragozza, poiché
gli assediati "in abiti penitenziali si mossero intorno alle mura della cità cantando in
62 lfigli di Clodoveo

coro e recando la veste del santo martire Vincenzo" (Gregorio). " Caesaraugusta
(Saragozza) fu salvata dalla preghiera e dal digiuno" (Fredegar). 20
Intanto, poco tempo dopo la conversione dei Burgundi al cattolicesimo, si decise il
destino del loro regno: nel 532, un anno dopo la sanguinosa sconfitta della Turingia,
92 Childeberto e Clotario invasero di nuovo la Burgundia, mentre Teoderico I, re di Reims,
operava ancora in Turingia, morendo poi verso la fine del 5 3 3 . Con lui scomparve dalla
scena, dopo Clodomero, anche il secondo rampollo di Clodoveo. Immediatamente i
due fratelli del defunto cercarono di eliminarne il figlio e successore Teodeberto, (533-
548) loro nipote, che regnava a Reims, al fine di impadronirsi della sua parte di regno.
Ma costui già trentenne e valente in guerra riuscì a tener loro testa, anzi passò
all ' offensiva con estrema energia soprattutto verso Oriente. Ma anche le sue puntate
offensive del 5 3 2/5 33 verso i territori sudoccidentali della Gallia fino alla Narbonensis,
e nella provincia ostrogota di Provenza (anch' esse null' altro che razzie) furono "un
successo completo" (Ewig).
Nelle ultime battaglie Teodeberto contribuì forse alla carneficina dei B urgundi : il
loro re Godomaro, che scompare senza lasciar tracce nella notte della storia, venne
definitivamente sconfitto, e nel 534 il suo regno fu diviso fra i tre sovrani franchi. I
B urgundi, come prima gli Alemanni, conservarono sì in Turingia i propri diritti tribali,
ma furono costretti a partecipare da allora in poi alle guerre dei Franchi ed a pagare le
tasse e un tributo; inoltre l ' arianesimo burgundo venne definitivamente cancellato dal
cattolicesimo franco. 2 1
Clotario e Childeberto, i due figli superstiti d i Clodoveo, non erano riusciti n é a
eliminare il nipote, né a sottrargli il regno, e nemmeno a escluderlo dalla ripartizione
del regno burgundo ormai distrutto. E così Childeberto, che non aveva figli, cercò
allora l ' amicizia del potente Teodeberto: "Vorrei trattarti come un figlio" - gli disse -,
ricolmandolo di benefici e addirittura adottandolo come erede. E non appena codesti
due re cattolici si furono così accordati dettero inizio a una campagna militare contro
Clotario, rispettivamente fratello e nipote, che prima intendevano rendere innocuo e
poi uccidere. Sottraendosi all' avanzata di quella gang familiare, si ritirò nella Foret de
la Brotonne, presso Rouen,"qui organizzò nella boscaglia grandi opere difensive",
affidandosi tuttavia "soltanto alla misericordia divina". Anche la santa regina C lotilde
si gettò ai piedi della tomba di s. Martino e "vegliò tutta la notte". Secondo Gregorio,
93 ancora una volta fu evidente l ' intervento miracoloso del santo: una terribile bufera
fiaccò i furori bellici dei nemici, "lampi, tuoni e grandine", mentre nemmeno una goccia
cadde sul campo di Clotario, anzi "nulla fu avvertito" di tutta quella tempesta. In realtà,
la guerra fratricida appena iniziata fu interrotta da una grave crisi politica esterna, vale
a dire l ' inizio della strage dei Goti da parte di Giustiniano (v. II, 300 ss.). I guerrieri
franchi fiutarono nuovo bottino in Italia, nuove possibilità di eroiche espansioni . 22
Sia B izantini che Goti volevano come alleati gli esperti guerrieri franchi. Giustiniano
Teodeberto 1: "Magnus ", "Religiosus ", " Ch ristianus Princeps " 63

evocò la comune fede cattolica, "l' eresia" ariana dei nemici, "e vi aggiunse anche dona­
tivi in danaro, promettendone di più non appena si fossero posti all ' opera". I Franchi
gli promisero "la loro alleanza con grande prontezza" (Procopio), ma strinsero un patto
con i Goti "eretici", poiché Vitige concesse loro la Provenza, che Childeberto si appro­
priò, nonché la Churraetia, incamerata da Teodeberto, il quale in questo modo verso i l
5 3 6 dominava dal Gran San Bernardo l ' altopiano prealpino fino a l profondo Oriente.
Ora i Franchi non soltanto avevano accesso al Mediterraneo, ma anche all ' Italia; e
ottennero inoltre il protettorato sui territori degli Alemanni . Infine i Goti pagarono ai
principi franchi, che avevano garantito contingenti ausiliari non franchi, 2000 libbre
d' oro. 23
Ma i Franchi non avevano la minima intenzione di appoggiare il popolo germanico
fratello: Childeberto, interessato esclusivamente alla Gallia, e Clotario di Soissons,
rimasto a mani vuote nella sua espansione verso sud, si guardarono bene dali' intervenire
nella guerra. A ciò provvide anche la chiesa, di solito poco propensa alla pace; ma ora
papa Vigilio, che con 700 pezzi d' oro di B i sanzio aveva corrotto i sicari del suo
predecessore (v. II, 30 1 ss. ; 3 1 4 ss.), per mezzo della lettera del 23 Agosto del 546,
conferì al vescovo provenzale Aureliano di Arles l ' incombenza di provvedere alla
preservazione della pace fra Childeberto e Giustiniano. 2 4 94

TEODEBERTO 1: "MAGNUS", "RELIGIOSUS",


"CHRISTIANUS PRINCEPS", "UNA SORTA DI CULMINE"

Quando i Goti avanzarono al comando del re Vitige, cingendo d' assedio Roma nel 537,
e attaccando i Bizantini in Dalmazia, i Franchi inviarono truppe ausiliarie nel Veneto,
devastandolo crudelmente. Ma allorché nel 5 3 8 Vitige venne a trovarsi in difficoltà, gli
i nviarono diecimila Burgundi all ' assedio di Milano (v. II, 304 s.). L' anno seguente lo
stesso Teodeberto piombò in Italia con circa l 00.000 uomini. Dapprima, per dominare
i passi alpini, si i mpadronì della Rezia ancora sotto gli Ostrogoti ; quindi, dopo che i
Goti gli ebbero reso possibile di guadare il Po, con non piccola sorpresa di entrambe le
parti, sconfisse di seguito sia Goti che B izantini. Assalì Genova, poi devastò e saccheggiò
selvaggiamente l ' Emilia. suscitando il terrore in tutta la regione, si spinse per un po'
quasi fino a Venezia, ma fu costretto a ritirarsi dalla carestia e dalla peste, che uccisero,
a quanto pare, un terzo dei suoi soldati . Tuttavia vi lasciò alcune guarnigioni, riprese
poi i contatti con Goti e Bizantini, intorno al 545 inviò nuovi eserciti verso il Veneto,
rifiutò aiuto al re Totila (v. II, 306 ss.) quandi i Goti furono vicini alla difatta, e morì nel
547 o 548, prima del l ' offensiva finale dei B izantini. 25
Teodeberto, da parte sua, in Italia aveva un unico interesse: non permettere che
nessuna delle due parti in conflitto avesse il sopravvento, per arraffare quanto più gli
64 l figli di Clodo veo

fosse stato possibile. Perciò attaccava ora gli uni ora gli altri , talvolta entrambi
contemporaneamente. Annise ai suoi territori l ' intera Rezia, la Baviera e il Norico (la
Carinzia), vantando in una lettera a Giustiniano che l ' ampliamento del proprio regno
era al contempo l ' ampliamento della fede cattolica. Effettivamente in quell ' occasione
i vescovadi di Saben, Teumia e Agunt nella Val Pusteria vennero occupati da arcivescovi
franchi. 26
Teodeberto, che fu il primo dei Franchi a definirsi Augustus e a considerarsi successore
dei Cesari , anche perché amava gli atteggiamenti imperiali, coniò per così dire il legal­
mente solidi d' oro con la sua effigie e organizzò ad Arles giochi circensi al modo degli
95 imperatori romani. Si pensa che abbia anche accarezzato il progetto di conquistare
Costantinopoli insieme ai Gepidi e ai Longobardi, per assicurarsi la dignità imperiale e
il dominio del mondo. Un uomo simile andava naturalmente d' accordo con la chiesa,
anzi ad essa si appoggiava consapevolmente dati i suoi intendimenti politici universa­
listici : spediva i suoi vescovi ai concili nazionali, convocava un suo concilio a Clermont
nel 535 e manteneva i contatti anche con la Santa Sede di Roma. Nel 5 3 8 si informò
intorno alla "Disciplina Penitenziale" presso papa Vigilio (537-555), l ' assassino del
predecessore Silverio, figlio di papa Ormisda, ma fors ' anche coinvolto nella morte
improvvisa di Agapeto I, predecessore di Silverio (v. II, 3 1 4 ss.).
Non può quindi destare meraviglia che Teodeberto, il quale rubava in grande stile,
saccheggiava, scendeva in campo contro il proprio zio paterno, combatteva e Goti e
Bizantini, sia stato esaltato dai vescovi cattolici come sovrano eccellente dotato di tutte
le virtù del comando, adornato col titolo di "magnus" e definito da Aurel iano di Arles
"religiosus" e "christianus princeps". S. Gregorio scrive: "Governò il regno con giustizia,
ossequiò i vescovi, fece donativi alle chiese, aiutò i poveri e a molti mostrò molti
benefici sgorgati dal suo cuore amorevole e pio".
In effetti re Teodeberto fu un benefattore della chiesa, che "esentò dal fisco e . . .
favorì a ragion veduta" (Zollner), mentre, seguendo i l metodo dei Romani, non fece
che dissanguare con le tasse i propri sudditi franchi. È perciò eloquente il fatto che
dopo la morte di Teodeberto il suo ministro delle finanze Partenio (nipote del vescovo
Ruricio di Limoges e assassino della moglie e di un amico), a Treviri, nonostante la
protezione del vescovo, venne tratto fuori dalla chiesa, sputato, battutto e lapidato dal
popolo infuriato. Dal i ' altra parte il vescovo Gregorio lo decanta ancora una volta:
"Esentò da tutte le imposte che le chiese d' Alvernia dovevano rimettere al l ' erario
statale". (Una sorella del re fu la fondatrice di Saint-Pierre-le-Vif, a Sens).
Anche la storiografia successiva si inchina davanti al sovrano. Proprio alle soglie
96 del XX secolo uno storiografo decanta: "Una personalità impressionante, codesto
Teodeberto ! Pieno di selvaggio piacere sensuale e di indomabile fierezza; sleale e sicuro
nella scelta dei suoi mezzi a tal punto, che, in tempi pur tanto passionali, superò di gran
lunga la misura del consueto; audace, smodato nei piani e negli obbiettivi . . . , versato
Re e Papi: assassin i 65

nelle arti del l ' intrigo diplomatico come nessun altro; un condottiero, che la vittoria mai
non tradisce . . . così Teodeberto appare come lo splendido punto culminante del­
l ' impetuosa, ma ingegnosa schiatta dei Merovingi . Con ininterrotta elevazione ... fu
allora raggiunto una sorta di apice" (Schultze) . 27

RE E PAPI : ASSASSINI

I sopravvissuti della stirpe di Teodeberto furono ancora più criminali e tanto più
ossequiosi verso la chiesa.
Clotario I continuò quasi ininterrottamente a far guerre anche negli ultimi anni della
sua vita, senza che i predicatori di pace e d' amore per il prossimo e per i nemici se ne
preoccupassero o si scandalizzassero addirittura. I l re - per lungo tempo il più debole
dei principi franchi, finché governò da solo dopo la morte di Childeberto I (558) -
biasimò certamente la crescente ricchezza della chiesa, ma in conformità alla costituzione
del fratello del 554 cercò risolutamente di estirpare il paganesimo. Nella campagna
invernale del 555 contro i Sassoni venne sconfitto, ma l ' anno seguente superò Sassoni
e Turingi insieme, inviando poi truppe in Italia contro i Romani . Nel 557 fu di nuovo in
guera contro i Sassoni, a quanto si disse con scarsa convinzione; fu "battuto con impres­
sionante spargimento di sangue, e da entrambe le parti cadde un numero tanto grande
di uomini, che nessuno fu in grado di contarli" (Gregorio). Poi vinse i Danesi e gli Euti .
Infine fu coinvolto in una vera e propria guerra contro il figlio Cramno, viceré
d' Aquitania; ancora una volta il devoto zio Childeberto I ordì con quest' ultimo un 97
complotto (sancito da giuramenti reciproci) contro il proprio fratel lo, e mentre i Sassoni,
chiamati da Childeberto, nel 557 devastavano la Renania fino alla regione di Deutz,
Cramno attaccava inutilmente Clermont e Digione, riuscendo però a conquistare Chalons­
sur-Saone e Tours ; nel frattempo lo zio Childeberto saccheggiava la Champagne fino a
Reims, che poi mise a ferro e a fuoco. Ma il 23 dicembre del 558 morì a Parigi, dove fu
sepolto solennemente nella chiesa di s. Vincenzo, poi Saint-Germain-des-Prés. 2 8
La morte di Childeberto tolse il fratello Clotario da una situazione spinosa: ne
incamerò regno e tesoro, scacciò la moglie con le due figlie e dominò da solo, ma per
breve tempo (fino al 5 6 1 ), tutto il regno franco. Cramno, figlio unico di Clotario e della
seconda moglie Chunsina (tutti gli altri figli di questo re benedetto da altre cinque
mogli, erano nati da Ingunda o Aregunda), si riconciliò in breve tempo col padre, ma
nel 560, in seguito a un' altra rivolta, fu da lui sconfitto in Bretagna, fatto prigioniero,
strangolato (come s. Sigismondo aveva fatto col proprio figlio; v. pag. 55) e bruciato in
una capanna insieme a moglie e figli. 29
L' anno dopo morì anche Clotario, e con lui l ' ultimo dei quattro figli di Clodoveo,
tutti dediti , come il padre, al la rapina, a ! l ' assassinio e alla guerra; e tutti molto religiosi,
66 l figli di Clodoveo

forse più del padre stesso. O almeno così si comportarono: dappertutto cercarono ossa
di martiri, provvidero a traslazioni, promossero la venerazione dei santi , fondarono
numerosi chiostri, li dotarono con generosità, donarono patrimoni al clero, esentandolo
dalle tasse. Gli antichi annali rigurgitano delle lodi in loro onore. 30
È ovvio che i vescovi facessero di tutto per vivere alle loro spalle: com ' è noto, la
maggior parte fu da sempre pusillanime e cortigiana, ma alcuni seppero prendere i
signori dal verso giusto. Quando, ad esempio, Clotario esigette da tutte le chiese un
98 terzo delle loro entrate e "tutti i vescovi" furono d' accordo, anche se a malincuore, uno
soltanto si rifiutò, s. Ingiurioso (bel nome, proprio adatto a un vescovo ! ) , che disse a
Clotario: "Se tu togli a Dio ciò che è Suo, presto il Signore ti toglierà il regno". Il fiero
re strisciò immediatamente sotto la croce, non pretese il denaro, anzi, per paura della
vendetta di s. Martino, mandò a Ingiurioso, il collerico, molti regali, impetrò il suo
perdono e la sua assistenza, e si rimangiò tutto (questo, se dobbiamo credere a Gregorio
di Tours). 3 1
Probabilmente a Clotario, nel cui paese l a chiesa era disorganizzata e particolarmente
dissestata, importava pochissimo del cristianesimo. Tuttavia anch ' egli era un cattolico
credente, un cristiano, che combatteva una guerra dopo l ' altra, faceva assassinare i
parenti più prossimi, fanciulli e fanciulle sotto tutela, il suo stesso figlio, mentre, per
parte sua, se la spassava allegramente con innumerevoli concubine e non meno di sei
mogli una dopo l ' altra, "e non sempre una dopo l ' altra" (Schultze).
Eppure il re viene altamente lodato e paragonato a un sacerdote da un religioso del
VII secolo. Egli si preoccupava della traslazione delle ossa dei martiri , favoriva la
venerazione di Medardo, il santo patrono della sua dinastia; sosteneva attivamente la
fondazione di chiostri e chiese, e pur sempre tanto succube del clero, che in seguito a
una rimostranza ecclesiastica dava in matri monio al duca Garibaldo di Bavaria la pro­
pria moglie, la longobarda Valderada (a causa della stretta parentela del primo e del
secondo marito ! ) . 32
Childeberto I nutrì una fede molto ardente e fu particolarmente sottomesso al clero;
usurpatore e incestuoso, eresse a Parigi una basilica (poi Saint-Germain-des Prés) alla
Santa Croce e all ' arcimartire spagnolo Vincenzo di Saragozza, le cui pene furono
abbellite con grande efficacia propagandistica. Effettuò un pellegrinaggio alla cella di
s. Eusicio, dedicandogli anche una chiesa. Ricoprì di regali e la chiesa cattolica, fondò
chiostri , dove faceva pregare per la salvezza della sua anima e per la saldezza del regno
99 dei Franchi, donò terre e grosse somme di danaro, e anche parte dei suoi bottini di
guerra: una volta, infatti , distribuì alla chiesa franca dozzine di calici, numerose patene,
evangeliari (il tutto era d' oro, ornato di pietre preziose), frutto delle rapine nella guerra
in Spagna. Con lui divenne capitale ecclesiastica del regno Orléans, dove si radunarono
quattro Concili nazionali (533, 5 3 8 , 54 1 e 549), ai quali tutti i re franchi inviarono i
loro vescovi (eccetto che al Concilio del 538). Nel 552, poi, indisse un altro Concilio
Re e Papi: assassini 67

nazionale a Parigi. Emanò un editto contro il paganesimo, vivo soprattutto nei territori
settentrionali e orientali del regno, e perseguitò duramente chiunque innalzasse immagini
di dèi nei campi, ma non permise che fossero distrutte dai preti. Vietò persino banchetti,
canti e danze pagane, senza tuttavia promuovere direttamente le conversioni coatte.
Le relazioni di Childeberto con la corte imperiale a partire dal 540 si svilupparono
soprattutto attraverso la chiesa. Questo principe, cantato da Venanzio Fortunato come
"mite", "buono e con tutti giusto", e celebrato come "re e sacerdote", ovviamente fu
anche in contatto continuo con Roma. Questo instancabile ladro di terre e assassino in
grande stile da Roma si faceva portare reliquie dal suddiacono Omobono. Il papa­
omicida Vigilio, che ottenne l ' intervento del re presso Totila a favore della chiesa,
definì Childeberto (il 22 maggio del 545) "nostro glorioso figlio" ed esaltò (il 23 agosto
546) la "sua volontà cristiana e pia". 33
Il successore di Vigilio, poi, papa Pelagio I (556-56 1 ), anch' egli creatura della corte
di Bisanzio, (anche i loro successori poterono essere eletti soltanto grazie all ' assenso
de li' imperatore), giacché si nutriva qualche dubbio sulla sua ortodossia, dovette umiliarsi
in modo davvero mortificante proprio davanti a un Childerico, cui nel febbraio del 557
sottopose una dettagliata confessione di fede ! E il 13 aprile il papa si informò se tale
confessione avesse soddisfatto il re, il vescovo di Arles ed i suoi coepiscopi.
A dire il vero, l ' ortodossia del santo padre non risultò sospetta soltanto nel regno dei
Franch i ; infatti , in quali tà di vicario di Vi gilio, anche Pelagio aveva fedel mente 1 00
rappresentato le manovre contorte del papa nella controversia dei Tre Capitoli, dapprima
protestando impavido, poi assentendo e quindi forse eliminando lo stesso pontefice. In
ogni caso, incontrò la gelida disapprovazione della nobiltà, del clero e del popolo,
poiché fu preceduto dalle voci che lo volevano colpevole della morte di Vigilio, che, a
sua volta, era stato accusato di aver causato la morte del predecessore, anzi , forse di
tutti e due i predecessori. Solo dopo che Pelagio si fu "purificato" con un solenne
giuramento sui Vangeli e sulla Croce, due vescovi e un presbitero, anche se poco convinti,
furono pronti a consacrarlo papa. 34
Naturalmente Pelagio, sospetto sotto il profilo dogmatico, proseguì energicamente
la lotta contro gli eretici, e già nel 557 i Manichei di Ravenna vennero condotti fuori le
mura e lapidati. Come il papa incitò Narsete a dar la caccia agli eretici (le riserve del
generale furono superate con l ' assicurazione che la punizione del male non era
persecuzione, ma amore ! ) , così anche Childeberto I sollecitò a procedere contro gli
scismatici, esigendo decisamente la costrizione da parte dello stato. 35
Pelagio I morì nello stesso anno in cui passò a miglior vita l ' ultimo figlio di Clodoveo,
Clotario I, cioé nel 56 1 .
Ma in questo decennio iniziò ad avere un ruolo sempre maggiore un altro popolo
germanico : i Longobardi. 101
68 Note

NOTE

Anton, Fiirstenspiege/, 49.


Zac h , Christlich-Germanisches Kulturideal, 8 3 .
B uc h ner, Germanentum , 1 47 . S c h u ltze, Vom Reich der Franken , 7 6 s g . Cfr. anche l a nota seguente.
G reg . Tur. 3 , 1 . Fredegar. 3,29. L M A I I 1 8 1 5 sg., 1 869 sg. La ripartizione del regn o tra i fig l i d i
C l odoveo venne defi n i ta solo nei suoi t r a t t i essenzia l i , e q u i n d i non i n m o d o defi n i t i v o . H o l t z m a n n ,
Sachsen und Anhalt, 8 9 . Zatschek 1 2 . Steinbach, Frankenreich , 1 5 , 32 sg. B u l lough, Karl der Gro­
fle, 26. Ltiwe, Deutschland, 49. Ztill ner, Geschichte de r Franken, 7 6 sgg. B uttner 27. S c h u l tze, Das
Frankenreich der Merowinger, 7 6 sg, E w i g , Die Merowinger, 3 1 sg. B l e i ber, Das Franken reich, 7 7
sgg.
E w i g , Die Merowinger und da.1· Franken reich , 3 1 sg. B l e i ber, ibid. , 7 8 sg.
G reg . Tur. 3 , 9 sg., 3 , 1 2 sg., 3 , 1 6, 3,23. Vita Patrum 4,3; 1 2 , 2 . Fredeg. 3 , 3 6 sg., 3,39. Ztil l ner,
Geschichte de r Franken , 7 9 sg. Al tri pongono l a rivolta deg l i A l verni u n dece n n i o dopo. Grah n­
Hoek, Die friinkische Oberschicht, 1 67 sgg. Tol ksdorf, 5 3 sg.
Av i t . Vienne, ep . 8 ( M G A u c t . A n t . V I 2 , pag. 40). Caspar I I 1 26 . G iesecke 1 60 sgg. Schmidt, Die
Bekeh rung der Ostgermanen, 4 1 5 . Fisc her, ibid. , 223 s g . Dan i e l - Rops, 2 5 3 s g . E w i g , Die Mero­
winger, 3 3 sg.
Mari u s , Avent . ch ro n . anno 5 2 2 . Greg. Tur. 3,5. Fredeg. 3 , 3 3 . Wetzer/We l te III 603 . LThK IX' 549.
Ke l ler, Reclams Lexikon, 4 5 7 sg. Menzel I 1 5 5 . Gi esecke 1 62 sg. Schmidt, ibid. , 4 1 5 . B odmer 32.
Zol l ner, Kijnig Sig ismund, l sgg. Graus, Vo/k, 396 sgg. Dan i e l - Rops 2 5 3 . B u n d 1 64 sg.
Av i t . Vienne, ep . 8 ; 29. Wetzer/welte I I I 603 . LTh K I I I ' 9 1 5 . LMA l 1 9 80, 1 30 7 ; III 204 1 sg.
Caspar I I 1 27 . G i esecke 1 6 1 . B l anke 2 5 . Loe n i n g I 657 sgg. Pontal 264.
1 11
S i n . di Epao n , can . 2. Wetzer/We l te I I I 603 sg. LTh K I I F 9 1 5 . H G K I I/2, 200. Hauck, c i taz. i n
G i e secke, 1 66 s g . S c h m i d t , ibid. , 4 1 4 . Fi scher, Die V{j/kerwanderung, 224. Beck, Bemerkungen ,
449 .
11
Greg. Tur. 2 , 2 8 ; 3 ,6 . Fredeg. 3 , 3 3 . Wetzer/We l te II 49 1 . LMA II 1 862 ( E b l i n g ) , HEG I 234. Cfr.
anche la nota seguente.
1 2 Greg . Tu r. 3 , 5 sg. Li ber in gloria martyrum, c. 74 ( q u i g i à Gregorio ammette la santità del l ' assassino
S i g i s mondo con qualche ri serva) . Marius d i Avenches ad a n n . 523. La franca Pa.rsio Saneti Sgesmundi
regis capovolge i fatti storic i (SS rer. Merov. Il 3 2 4 ) , attribuendo ai B u rg u n d i l ' assas s i n i o di
S i g i smondo. LTh K I X 2 748 sg. Ke l ler, Rec lams Lex ikon, 457 sg. Schmidt, i b i d . , 4 1 7 sg. Enss l i n ,
E i n bruc h , 1 2 8 . Lowe, Deutsch/and, 49 s g g . Zoll ner, Kon ig Sigesmund, l s g g . I d . , Geschichte der
Franken, 79 s g . Graus, Vo/k, 396 sgg. I d . , Die En twicklung der Legenden, 1 87 sgg . E w i g , Die
Merowinger, 33 sg. B l e i ber, Das Frankenreich , 80. B u n d 1 65 sg.
" G reg . Tur 3 ,6 . Fredeg. 3 , 3 4 sg. Cfr. anche l a nota seguente.
14
Ve n a n t . Fortu n . , Ca rm . 2 , 1 O . Greg . Tu r. 3 , 1 8 . S u l l a pri m i s s i m a formazione del l a leggenda e
del l ' esorn amento d e l l a loro Vita g i à in Gregori o , c fr. Zol l ner, Geschichte der Franke n , 55 sg. e
anche 74. Fredeg. 3 , 3 4 sg. LMA II 1 8 1 5 s g . , 1 86 2 , 1 869, 1 94 8 ; IV 1 79 2 . Ewig, HEG I 26 1 non
perde parole sulla partecipazione dec i s i v a di santa C l o t i l d e . Doni n I I I 344 sgg . Menzel I 1 48 , l 5 5 .
Riickert, Kulturgeschichte I I 4 1 7 . Hauck7 1 95 2 , I , 1 1 6 , 1 28 . D i l l i 5 9 . Finke 1 40 s g . S c h m i d t , Die
Bekeh rung de r Ostgermanen , 4 1 7 s g . Ltiwe, Deutsch/and, 49 sg. Sprigade, A bschneide n , 1 42 sgg.
I d . , Die Ein weisung, 1 6 sgg., 44. S t e i n bach, Das Frankenreich , 14 sg. Funkenste i n 1 2 . Ztil l ner,
Geschichte der Franken, 80 sgg. Irsigler l 03 sg. Ewig, Zum ch ristlichen Kijnigsgedanken , 1 9 . I d . ,
D i e Mero w inger, 3 4 s g . G r a h n - H o e k , Di e friinkische O b e rschicht, l 5 9 s g g . B l e i ber, Das
Frankenreich , 8 0 . Pontal 1 8 .
1 5 G reg . Tur. 3 , 1 8 . Fredeg. 3 , 3 8 . Cfr. anche nota precede nte.

1 6 Wetzer/Welte I I 492. v. Sales Doyé, Heilige l 2 1 0 . E w i g , Die Merowinger, 3 5 .


Note 69

17 Greg. Tur. 3 , 4 ; 3 , 7 sg. Fredeg. 3 , 3 2 . H EG I 262. Menzel I 1 54 . Hauck I 3 4 8 . H e i n s i u s 1 6 sgg.


Schmidt, Die spiite Vo/kerwanderungzeit, 1 7 5 . S c h m i dt , Die Westgermanen, 46. B u c hner, Germa­
nentum, 1 3 7 . Behn 72. Liiwe, ibid. , 50. Dannenbauer II 28. Patze/Schlesi nger I 322 sgg, Ziil l ner,
Geschichte der Franken , 62 s g . , 8 6 . Lauterm a n n 904. Stei nbac h , Das Frankenreich , 1 4 sg. Ewig,
Die friinkischen Teilungen, 668 sgg. Grah n - H oek, ibid. , 1 70 sgg. B u tzen 27 sgg. B le i ber, Das
Frankenreich , 34, 37, 8 1 , 8 3 sg. Haendler, Die abendliindische Kirche, 3 9 .
18
Greg. Tur. 3,7 sg. Venant. Fort u n . , Carm . , 9, 1 4 ( u l teriore bibliografia in Scheibelreiter, Konigsrochter,
24 sgg . ) Wetzer/Welte IV 1 1 7 sg. LMA II 1 869 sg. Menzel I 1 54 sg. Wei nhold II 1 5 . H e i n s i u s 27
sgg. Herrm a n n , Th iiringische Kirchengeschichte, I I O sgg. D i i i 1 3 1 , 2 8 2 . S c h m i d t , ibid. , 1 7 5 sg.
Neuss/Oediger 1 1 4 . Portmann 29 sgg. Piirtner 30. Ziil l ner, ibid. , 8 3 , 1 07 sg. Schneider, Kon igswah/,
7 6 . Ewig, Studien zur mero wingischen Dynastie, 3 8 sgg . , soprattutto 43. B l e i ber, Das Frankenreich ,
84. B u tzen 29.
19 Greg . Tu r. 2,36; 3,2. Z ii l l ner, Geschichte der Franken, 8 3 sg.
20 Procopio, beli. Goth . 1 , 1 3 . Ch ron. Caesar-august . , anno 5 3 1 ; cfr. anno 54 1 . Greg . Tur. 3 , 1 0 ; 3 , 2 1 ;
3 , 29. Gloria conf. , 8 1 . Fredeg. 3 , 3 0 : cfr. 4 1 . LMA I 5 0 5 . H E G I 262. Pirenne, Geburt, 1 87 . C l aude,
Gesch ichte der Westgoten, 64. Steinbac h , Das Frankenreich , 1 4 . Ziil l ner, Gesch ichte der Franken ,
83 sgg. E w i g , Di e friinkischen Teilungen , 669, 674 sg. I d . , Die Merowinger, 3 5 . Pontal 1 8 .
21 Procopio, bel/. Goth . 1 , 1 3 . Greg. Tur. 3 , 1 1 ; 3 , 2 3 . L M A II 1 062 sg. I V 1 79 2 . G i e secke 1 67 . B l anke
2 5 . Steinbach , ibid. , 1 4 . B iittner, Die A lpenpolitik, 64. Liiwe, Deutsch/and, 1 5 0. Drack/S c h i b 1 34
sgg. B l e i ber, ibid. , 8 6 . Ewig, ibid. , 670. I d . , Die Merowinger, 3 6 .
22 Greg . Tur. 3 , 24; 3 , 2 8 . Ziill ner, Geschichte der Franken, 86 sg. Ewig, Die Merowinger, 36 sg.
23 Procop i o . , beli. Goth . , 1 , 5 ; 1 , 1 3 . Agathi a s 1 ,6 sgg. B uc h n er, Germanentum, 1 3 7 . B iittner, ibid. , 64
sg. Egger 40 1 sg. Heu berger, Riitien , 1 3 6 sgg . Zii l l ner, ibid. , 8 8 sg. Ewig, ibid. , 37.
24 LMA I 1 242. Ziil l ner, ibid. , 89 sgg. Ewig, Die Merowinger, 3 7 . H e i n z e l m a n n , Bischofsherrschaft
in Gallien, 1 30 sgg.
25 Mar d i Avenches, Ch ron. ad ann. 538. Prokop. , beli. Goth . , 1 , 1 2 ; 2 , 2 1 sg . ; 2,28. Cass . , Va r. 1 2 , 7 .
Caspar I I 2 3 7 . B ii ttner, ibid. , 6 5 . Liih l e i n 29 s g g . Ziill ner, Geschichte d e r Franken , 89 s g g . B l e i ber,
Das Frankenreich, 8 7 . Ewig, ibid. , 3 7 .
26 dtv-Lexikon der A n tike, Geschichte I I I , 2 5 8 . B iittner, ibid. , 65. Liiwe, Deutsch/and, 5 1 . Steinbach,
Das Franken reich , 14 sg., 26. E w i g , Di e friinkischen Teilungen , 67 1 sgg. Ziil l n er, ibid. , 8 9 sgg.
27 Greg . Tur. 3 , 25 ; 3 , 36. dtv-Lexikon der A n tike, Geschichte III, 258. Anche Ploetz celebra Teodeberto
I quale "rifi n i tore del regno d i Clodoveo", 65. S c h u l tze II 1 20 sgg. Liiwe, ibid. , 5 1 . Ziillner, ibid. ,
94 s g . , 1 8 8 . Anton, Fiirstenspiege/, 50. B l e i ber, ibid. , 8 7 . E w i g , Die Merowinger, 40.
2" Mar. d i Ave nches, Ch ron. ad ann . 555 s g . G reg .Tu r, 4 , 1 0 ; 4 , 1 4 ; 4 , 1 6 s g . Agathias I I 1 4 . Vita
Droctovei, c. 1 5 . L M A II 1 8 69 sg. Schul tze I I 1 24 sg. S tamer 2 5 . Liiwe, ibid . , 5 3 . B iittner, Die
A lpenpolitik, 68. Ziil l ner, Geschichte der Franken, l 02 sg. Grah n - Koek, Diefriinkische Obersch icht,
1 85 sgg. B u n d 255 sg. Tolksdorf 5 5 .
29 Greg . Tur, 4, 1 9 s g g . M ar. d i Avenches, Ch ron. ad a n n . 5 6 0 . Wetzer/We l te V I I 7 s g . Kel ler, Rec/ams
Lexikon, 376. S c h u l tze II 1 24 sg. M ii h l bacher l 39. B odmer 32. Goertz, Mittelrhein ische Regesten
I 9 . Ziill ner, ibid. , l 03 sg. Lasko 2 1 3 . E w i g , Di e friinkischen Teilungen , 674 sg. Tol ksdorf 56 sg.
Bund 2 5 6 .
30 Vedi a n c h e l ' i ndicazione delle fonti i n Ziill ner, Geschichte der Franken , 1 04 sg . ; i nol tre Ewig,
Studien zur merowingischen Dynastie, 4 3 , nonché l e tre note segue n t i .
31 Greg . Tu r. , 4 , 2 .
32 Greg. T u r. , 4 , 3 ; 4, 1 9 ; 9 , 3 9 s g g . Schul tze I I 1 25 . B o d m e r 3 1 . Ziil l ner, ibid. , 1 8 8 . A n ton, ibid. , 5 2 .
Ewig, Di e friinkischen Teilungen , 6 7 4 sg. I d . , Bistum Ko/n , 2 1 4 .
33 RAC II 1 2 2 . Fichti nger 3 8 2 sg. Hauck I 1 30, 229 sg. Ziill ner, ibid. , l 04 sg . , 1 7 8 , 1 86 sgg. An ton,
ibid. , 5 2 . Ewig, Di e iiltesten Mainzer, 1 22 . Id., Di e friinkischen Teilungen , 672 sg. Id., Di e Me ro-
70 Note

winger und das lmperium, 1 7 s g .


34 Lib. Pont . , Vita Pe/ag ii, l . Hartm a n n , Geschichte /taliens, l , 394 sgg. Caspar I I 2 8 8 . S c hubert,
Geschichte der christlichen Kirche , l, 1 22 .
35 Dol l i nger 5 3 . L e a I 2 4 2 . Voigt, Staat, 260.
CAPITOLO IV.

L' INVASIONE DEI LONGOBARDI

"Subito infuriò il popolo selvaggio dei Longobardi


come una spada sguainata dal fodero della sua dimora,
contro le nostre cervici, e il popolo,
che nella nostra terra stava come una folta seminagione,
venne falciato e disseccò" .
(Papa Gregorio l) 1 1 03
72 L ' in vasione dei Longobardi

I Longobardi, "gli uomini dalla lunga barba", come viene tradizionalmente interpretato
il loro nome, affini più ai Germani orientali che a quelli occidentali, erano numericamente
un piccolo popolo, e provenivano probabilmente dalla Scandinavia, forse da Gotland.
Intorno ai primi anni dell ' era volgare erano stanziati presso il basso corso del l ' Elba (e
perciò affini ai Sassoni), dove ancora nel XX secolo recano il segno della loro memoria
nomi come Bardengau e Bardowiek.
Per secoli la storia non ne fece menzione ; ma come dimostrano i reperti archeologici,
questo popolo migratorio seguì dapprima l ' Elba e dal IV secolo in poi in duecento anni
giunse fi no ai Balcani attraverso la Boemia, la Moravia, una parte dell ' odierna Bassa
Austria, e il "paese dei Rugi" (occupato verso il 488, quando si furono ritirati i Rugi,
anch 'essi Germani provenienti dal la Scandinavia, che lasciarono il loro nome all ' isola
di Rtigen). Si spinsero oltre l ' Ungheria, verso sud, dando vita a un regno nel paese
intorno al Danubio fino a Belgrado. Truppe longobarde ausiliarie appoggiarono le guerre
di Giustiniano contro i Persiani e nel 552 parteciparono sotto Narsete alla battaglia
decisiva contro gli Ostrogoti (v. II, 308). Deluso da Bi sanzio, il loro capo Alboino si
alleò con gli Avari , coi quali di strusse il regno dei Gepidi (altra popolazione della
Germania orientale) in una seconda e decisiva battaglia: la carneficina fra le due parti
fu tale "che fra il pur numeroso popolo a pena si potè trovare un messaggero, che
annunziasse la disfatta" (Paolo Diacono).
105 Alboino prese in moglie Rosmunda, figlia del re gepido sconfitto Cunimondo. Ora i
Gepidi non si trovarono più fra Longobardi e Avari , i qual i continuarono subito la loro
spinta espansiva. Nella pri mavera del 568, come narra un cronista burgundo contempo­
raneo, "l ' i ntero esercito longobardo, date alle fiamme le sue di more e seguito dalle
donne e dal resto della popolazione", abbandonò la Pannonia. Pressati dagli Avari e
attratti dalle contrade del Sud, guidati dal re Alboino attraverso Emona (Laibach) e i
passi del le Alpi Giulie, irruppero nel l ' Ital ia settentrionale, perlopiù indifesa, seguendo
la stessa via una volta percorsa da Alarico e da Teoderico.
Fu l ' ultimo grande esodo della migrazione dei popoli, parola che suona quasi
in nocente, dietro la quale si celano, invece, rapine secolari, genocidi, fame, carestie,
mercati di schiavi (uomi ni, donne, bambi ni), trattati - come racconta un testimone
oculare - "come bestiame di scarso valore". Due secoli dopo anche i Longobardi
verranno annientati, triturati da quel che viene semplicemente chiamato Storia, ma che
non è altro se non l ' irrefrenabile bramosia di potere e di morte degli uomi ni.
Insieme ai Longobardi, in tutto forse 1 30.000 cosiddette anime, giunsero altre tribù,
popolazioni provenienti dalla Pannonia e dal Norico; molti Sassoni , i Gepidi soprav­
vissuti, Turingi, Svevi e Sarmati. I Longobardi furono aperti all ' integrazione con gli
altri , e perciò tolleranti in fatto di religione: in gran parte cristianizzati a partire dal
500, erano perlopiù ariani, ma non mancavano i cattolici - lo stesso Alboino in un
primo tempo fu sposato con Clodosinda, figlia di Clotario -; ma v' erano soprattutto
L ' invasione 73

pagani, i quali , senza la minima costrizione, conservarono per lungo tempo i loro
tradizionali riti e banchetti sacrificati; la conversione di singoli sovrani, evidentemente,
non esercitò alcuna influenza. 2 1 06

L' INVASIONE

I Longobardi, dimorando in città e borghi come ceto signorile poco numeroso, fondarono
l ' ultimo regno germanico proprio nel paese di quel ch' era stato l ' lmperium Romanum.
Appena dieci anni prima gli Ostrogoti ariani erano stati pressoché sterminati da una
guerra crudele, da una crociata ventennale, e il paese era stato trasformato in un deserto
pieno di rovine fumanti , risultato del l ' opera comune dell ' imperatore e del papa, gli
unici che ne trassero vantaggio (v. II, 300 ss.). Ma i Longobardi, cui la dispersione
degli Ostrogoti aveva spianato la strada, non giunsero nella regione ora dominata
dal l ' i mpero d ' oriente come foederati, bensì come brutali conquistatori , armati di
giavellotti così terribili, che - come scrive il visconte Montgomery, impressionato da
El Alamein - "era possibile alzare l ' avversario infilzato, mentre si contorceva dal dolore
sulla punta della lancia". Quel che i Bizantini, razziatori di prim' ordine, avevano sottratto
agli Ostrogoti, venne ora rubato volta per volta dai Longobardi, che si lasciarono dietro
ancora una volta terre devastate a perdita d' occhio, città spopolate, chiostri e chiese in
rovina (innalzati dai cristiani sui ruderi degli antichi templi).
Pressochè senza colpo ferire il re Alboino penetrò profondamente in un' Italia esausta
per la lunga guerra gotica e divisa dalla controversia dei Tre Capitoli ; peste e carestie
provvidero al resto. L' attacco longobardo sorprese i B izantini e il nipote di Giustiniano,
Giustino II (diventato pazzo nel 574) non ebbe alcuna reazione. Un esercito mercenario
inviato l ' anno seguente fu dissolto, e i successivi imperatori furono impegnati a risolvere
le crisi scoppiate in Oriente e nei Balcani .
Prima di tutto i Longobardi conquistarono numerose città veneziane e lombarde a
nord del Po; e nel Settembre del 569 si impadronirono di Milano senza colpo ferire, ma
non vi furono eccessi o violenze; fu i mposto soltanto il pagamento dei soliti tributi .
Fino al 57 1 furono impegnati nella conquista della valle del Po e, sempre vessando
paesi e popolazioni, avanzarono verso l ' Umbria e la Toscana. Solo nel 572, dopo un
assedio durato tre anni , superarono la fiera resistenza di Pavia, eletta quindi a loro 107
capitale : i nuovi dominatori risiedettero nel palazzo reale una volta occupato dagli
Ostrogoti.
Ma il vittorioso Alboino fu avvelenato nella medesima estate dal suo scudiero Elmichi,
spinto dalla consorte del re, Rosmunda, forse sua amante, il cui padre Cunimndo, re dei
Gepidi, era stato ucciso in battaglia dal re longobardo. Verosimilmente ebbe un suo
ruolo nel veneficio anche l ' oro dei B izantini: infatti, l ' assassino e la regina fuggirono
74 L 'in vasione dei Longobardi

con tutto il tesoro della corona, rifugiandosi presso di loro a Ravenna, dove sembra si
siano avvelenati reciprocamente.
Solo due anni dopo venne assassinato anche il successore di Alboino, Clefi (anch ' egli
probabilmente ariano), il quale aveva precedentemente liquidato un gran numero di
personalità romane. Per dieci anni i Longobardi non ebbero un re ; probabilmente 36
duchi (delle città già incamerate) furono i rappresentanti legali di Autari, figlio minorenne
di Clefi, che nel 584 fu eletto re e poi, molto probabilmente, a sua volta tolto di mezzo.
In questioni del genere i Longobardi possedevano un vero talento: già intorno al 5 1 2
avevano ucciso il re Tatone, e nel 55 1 il re Hildichis. 3
Dopo l ' i nvasione dei nuovi predoni, i vecchi si erano ritirati sulla linea Padova­
Mantova per proteggere Ravenna, residenza del loro governatore, sì che gli invasori
non incontrarono resistenza. Da nord avanzarono nella regione della Suburbicaria, dove
verso il 570 fondarono i potenti ducati di Spoleto e Benevento, da dove organizzarono
spedizioni persino in Calabria, e nel 605 conclusero l ' occupazione di gran parte
del l ' Italia: restarono sottomesse all ' imperatore soltanto Roma, le enclavi costiere di
Venezia, Ravenna, Napoli, Reggio e Taranto, alleate fra loro per mere ragioni di traffico
marittimo. Tuttavia la lotta non finì con "l' occupazione del paese", ma continuarono a
compiere scrorrerie nei territori rimasti ai Bizantini : insieme alla caccia, amavano forse
più di ogni altra cosa le rapine, il bottino e le razzie.
108 Durante la loro offensiva impiccarono un paio di monaci, scannarono qualche prete
e depredarono alcune chiese; in ogni caso, secondo il vescovo Gregorio di Tours e papa
Gregorio l, il quale sostiene che massacrarono una prima volta "400 prigionieri, in
un' altra occasione 40 contadini, e una terza volta un gruppo di monaci valeriani". Ma
nel complesso abbiamo notizie incerte su questa invasione. Un terzo delle terre fu
espropriato, soprattutto agli odiati latifondisti, e siamo autorizzati a pensare che molti
di loro furono ammazzati o ridotti al rango di semiliberi, obbligati al pagamento di un
tributo, così che i patrimoni mutarono semplicemente padrone, mentre l ' asservimento
continuò come prima. Molti furono presi prigionieri, resi schiavi e venduti ai mercanti
franchi; altri furono semplicemente cacciati. Anche i piccoli artigiani e contadini oppressi
si ribellarono e spesso linciarono i loro precedenti sfruttatori , migliaia dei quali si
trovarono improvvisamente spogliati di tutto.
Comunque spesso i ricchi si erano già dilegu ati, non di rado al di là delle Alpi; la
stessa cosa fecero anche i vescovi più in vista, confidando più nella fuga che nel Si­
gnore. Il patriarca di Aquileia, Paolino, si era rifugiato con tutti i suoi tesori nell' isola
di Grado; l ' arcivescovo di Milano, Onorato, anch ' egli con la cassa e la maggior parte
dei suoi preti, aveva trovato riparo a Genova; il vescovo di Fermo, Fabio (col tesoro
della chiesa, s ' intende), ad Ancona, e il vescovo di Capua, Festo, a Roma, dove morì
poco dopo. I monaci di Montecassino s ' affrettarono a Roma, i chierici di Venafro,
dopo aver venduto a un giudeo i paramenti sacri e i calici delle loro chiese, si nascosero
Collaborazione e zelo m issionario 75

a Napoli : pur fuggitivi e in esilio costoro volevano continuare a vivere conformemente


al rango. In Sicilia, il rifugio più sicuro, in cui approdarono soprattutto vere e proprie
schiere di preti, la vendita degli arredi sacri fu eccezionalmente redditizia. Scomparvero
addirittura interi vescovadi cattolici, almeno 42, ma non a causa di una persecuzione,
bensì per la perdita dei beni, la fame e le epidemie. 4 1 09

COLLABORAZIONE E ZELO M ISSIONARIO

"Subito" - racconta papa Gregorio I (590-604) "infuriò il popolo selvaggio dei


-

Longobardi, come una spada sguainata dal fodero della sua dimora, contro le nostre
cervici, e il popolo, che nella nostra terra fioriva come folta seminagione, venne falciato
e disseccò. Le città vennero spopolate, le roccaforti distrutte, le chiese incendiate, i
conventi maschili e femminili rasi al suolo; le campagne sono abbandonate e nessuno
se ne occupa più; le distese dei campi sono i ncolte e desolate, nessun proprietario vi
abita più, e dove una volta viveva un popolo, hanno le tane le fiere selvagge" . 5
Ora, tali espressioni potrebbero aver portato acqua al mulino della propaganda e
della psicologia di Gregorio, incline a sentimenti apocalittici (pag 1 1 0), più che aver
corrisposto alla realtà. Infatti , "il popolo" venne "falciato e di sseccato" meno dei
possidenti e dei grandi proprietari terrieri ; non tutto venne meno, e nemmeno tutti i
preti se la diedero a gambe levate. A Treviso il vescovo Felice mosse incontro ad Alboino,
offrendogli la città; e ciò tornò esclusivamente a suo vantaggio.
In altre circostanze le cose andarono in modo diverso: il vescovo di Amiterno, Cetego,
fuggì dalla città occupata diretto a Roma, ritornando poi sui suoi passi e probabilmente
collaborando coi Bizantini; coinvolto in una cospirazione, venne giustiziato dal duca
Iongobardo Umbolus. Ma ci furono anche relazioni più piacevoli coi nemici del regno,
anche se non proprio gradite al santo padre, il quale dovette apprendere "da molti racconti"
che certi preti vivevano in concubinaggio con "straniere", cioé donne longobarde. 6
Per quanto Gregorio I si dolesse dei Longobardi e li considerasse "selvaggi", e per
giunta eretici "orrendi" e "detestabili", anzi, in parte pagani, che adoravano divinità
animalesche, tuttavia non desiderava sterminarli. Se lo avesse voluto, - sostenne -
·"oggi ogni popolazione non avrebbe né re né duchi o conti, ed essi sarebbero andati
incontro alla inevitabile rovina". Fu il suo ti m or di Dio, il suo cristianesimo, a distoglierlo 1 10
dal genocidio, come scrisse all ' imperatore? In ogni caso, i suoi predecessori avevano
fornito appoggio a guerre innumerevoli, e alcuni persino allo sterminio di Vandali e
Goti; e nemmeno Gregorio era poi tanto schizzinoso quando si trattava di versare sangue
(pag. 1 1 9 ss.; 1 32 ss.).7
Non c'é dubbio: li voleva "convertire", non sterminare, perchè gli conveniva. Così
svolse un ruolo ambiguo; e persino il suo biografo Jeffrey Richards, che Io difende
76 L ' in vasione dei Longoba rdi

quasi sempre, deve ammettere: "Fu il suo coinvolgimento sempre più marcato in tutti i
campi concernenti questo problema che molto contribuì ali ' accrescimento del potere
temporale e del l ' influenza del papato".
E così a poco a poco ci si accordò prima di tutto con gli ambienti clericali, come
sempre accade quando si muta bandiera. Strisciare sotto la croce è la loro caratteristica:
Io fecero coi Goti, lo dimostrarono poi coi Bizantini e Io dimostreranno attraverso i
secoli, come fece il pri mate di Germania, il cardinale Bertram, principe della chiesa e
arcivescovo di Breslau, che nel 1 933 giustificò il voltafaccia deciso dell' alto clero con
queste spudorate parole : "Ancora una volta si è dimostrato che la nostra chiesa non è
vincolata a nessun sistema politico, a nessuna forma di governo mondano, a nessuna
costellazione partitica. La chiesa ha mete più elevate . . . ". Certo, il suo fine sublime:
l ' opportunismo in questa o in altra forma; per sopravvi vere, per conservare il potere,
per accrescere il potere, proprio come adesso: "Infatti, molti vescovi si affrettarono ad
intendersi coi Longobardi, col risultato che in numerose diocesi dell' Italia settentrionale
fu assicurata la successione e la continuità dell' ufficio epi scopale" (Richards). 9
I Longobardi lasciarono ai cattolici le loro cattedrali persino nella residenza reale di
Pavia, ai cui abitanti, dopo un assedio triennale, non fu torto un capello; anche in altre
città garantirono i patri moni dei cattolici, addirittura facendo regal i di non poco conto
anche ai prelati ostili. Alboino rilasciò al vescovo di Treviso, Felice, una garanzia scritta
111 per "l ' intero patrimonio della sua Chiesa" (Paolo Diacono). Eppure i cattolici reagivano
talvolta come i monaci di Bobbio, i quali accettavano ovviamente le manifestazioni di
favore dei re ariani, ma non si degnavano nemmeno di rispondere al saluto di questi
"Eretici". E mentre i Longobardi non si curarono minimamente della conversione dei
cattol ici, costoro ebbero ben altro atteggiamento.
Allorché Alboino, il più celebre dei principi longobardi, sposò la cattolica Clodosvinta,
principessa franca, Nicezio di Treviri le si rivolse i mmediatamente dicendo: "Mi
meraviglio che Alboino non mediti e non si preoccupi del Regno di Dio e della salvezza
dell' anima, ma tenga in grande onore e si mostri contento di coloro che portano la sua
anima nell ' Inferno anziché guidarlo sul sentiero del Paradiso . . . Signora, ti scongiuro
perciò in nome del tremore davanti al dì del Giudizio Universale perché tu legga questa
lettera con comprensione e con lui la commenti sovente e con intelligenza". Il santo
vescovo non dimentica di sollecitare la regina, affinché infastidisca il coniuge con
problemi dogmatici, contemporaneamente diffamando con straordi naria virulenza
l ' arianesimo e, dato che anch'egli è "un grande taumaturgo" (Gregorio di Tours),
allegando i "miracoli" dei santi cattolici come prova della giustezza della propria fede,
come una volta aveva messo in campo le benedizioni del cattolicesimo per Clodoveo:
"E tu sai bene tutto quel che fece dopo il battesimo contro gli eretici Alarico e Gundobado;
e non ignori quanti doni della grazia divina poté vantare su questa terra insieme ai suoi
figli . . . Sorveglia, vigila! Tu hai un Dio misericordioso. Ti prego di agire in modo da
Note 77

rendere forte contro nemici il popolo dei Longobardi e da poter gioire insieme a noi
della salvezza dell ' anima del tuo consorte e anche della tua". 1 0
M a Nicezio non ebbe il successo sperato. Tuttavia quando nel 5 84 una parte dei
duchi insediò sul trono il figlio di Clefi, Autari, anch ' egli ariano, ormai il cattolicesimo
dilagava dappertutto; e i Longobardi divennero cattolici come i Franchi, presso i quali
nel frattempo, dopo la morte dell ' ultimo figlio di Clodoveo Clotario I (56 1 ), era iniziata
l ' epoca dei nipoti e dei pronipoti . 1 1 1 12

NOTE

Greg . I , dia / . , 3 , 3 8
2
Procop i o . , bell. Goth . , 2 , 1 4 , 8 . Pau l . D i ac . , Hist. Lang . , 1 , 9 ; 1 ,22 sg . ; 1 , 2 7 ; 2 , 7 sgg. Greg. Tur. , 4,3 ;
4,4 1 . LMAV 1 68 8 sgg. H EG I 222 sgg. dtv- Lexikon der A n tike, Gesch ichte, I l , 240. H artm a n n ,
ibid. , I I l sgg . ; 1 8 s g g . , 34 sgg . , 5 6 sgg. S c h n il rer, Kirche und Kultur, ! , 1 69 . Carte l l i eri I 6 9 .
G iesecke 1 99 s g . S c h m i d t , Die Bekehrung der Ostgermanen, 3 8 7 sgg. Behn 54 s g . , 70. Maier,
Kirchengeschichte !, 3 6 . Gontard 1 54 . Conrad 8 6 . H a l ler, Entstehung der german isch -romanischen
Welt, 293. Liiwe, Deutsch/and, 34. D a n i e i - Rops 276 sgg. Dannenbauer, Die Grundlegung II 1 3
sgg . , 1 8 . Kupisch I 1 3 9 . Herman n , Sla wisch -german ische Beziehungen , 26 sg. (con abbandonza d i
fon t i ) . Bosl , Europa im Mittelalter, 5 3 sg. Maier, Byzanz, 7 2 . Friih l i c h l sgg. ;riassunto a pg. 2 1 .
B u l lough, Jtalien , 1 7 1 sg. B ilttner, Di e A lpenpolitik, 70 sg. M i sch 50, 5 3 sgg . , 5 9 sgg . , 64 sgg . , 7 3
sgg . , 79 sgg . , 8 1 s g g . S c h m i d i nger 3 7 2 s g .
Mari u s Ave n t . , Ch ron. ad ann. 5 7 2 , 5 7 3 . Johan n . B ic l a r ad ann. 5 7 3 . Prokop . , bel/. Goth . , 4 , 2 7 .
P a u l . D i ac . , h ist. Lang . , 2 , 1 4 ; 2 , 2 7 sgg . ; 2 , 3 1 ; 3 , 1 6. G r e g . T ur . 4,4 1 . LMA I 1 907, I I I 1 3 8 2 , V 1 69 2 .
Hart m a n n , Geschichte ltaliens, I l , l sgg . , 34 sgg. Carte l l ieri I 69 s g . Kornemann 454 sg. S c h m i d t ,
Die Bekeh rung de r Ostgermanen, 390 s g . S c h n ti rer, Kirclze und Ku ltur, ! , 1 69 . B il t t n er, Die
A lpenpolitik, 7 1 . B u l lough, ltalien, 1 7 2 . Schneider, Kon igswalz/, 1 4 sgg . , 22 sgg. Montgomery I
1 34 . Zii l l ner, Die politische Stellung, 1 3 3 . M i s c h 64 sgg . , 88 sgg . , 98 sgg . , 1 0 1 sgg . B u n d 1 95 sgg . .
Ewig, Die Merowingerzeit, 5 5 . R ichards, Gregor, 1 8 sgg. S c h m i d i nger 3 7 3 sgg.
4
Gregor. l, dia /. 1 ,4 ; 3 , 8 ; 3 , 27 sg . ; 4 , 2 2 . ep . 1 ,66; 4 , 1 5 . Greg . Tur. 4,4 1 . Pau l . D i ac . , Hist. Lang . ,
2 , 1 9 ; 2 , 2 5 ; 2 , 3 2 . Hartm a n n , ibid. , I I l sgg . , 4 1 sgg. B rechter, Monte Cassino, l 0 9 sgg. S c h n ti rer,
ibid. , I, 1 69 . J. Funk, A llgemeine Ein leitung , 1 3 . Dannenbauer, ibid. , I l , 14 sgg . , 1 8 . M i sc h , Die
Langobarden , 64 sgg . , 8 7 sgg . , 93 sgg. Richards, Gregor, 1 6 sgg . , 1 04 sgg . , 1 76 sgg . , 1 83 . A l tendorf,
Gregor, 1 89 .

Gregor l, dia / . , 3 , 3 8 .

Gregor I, ep . 1 3 , 3 8 s g . M i s c h 9 3 .
7
Gregor l, ep . 3 ,4 .
• R i chards 1 8 8 .
9
dtv-Lexikon der A n tike II 1 1 5 . Richards 1 9 . La c i tazione di B ertram i n Desch ner, Die Politik der
Piipste I 456.
10 Pau l D i ac . , h ist. Lang . , 2 , 1 2 . Greg . Tur. 1 0, 2 9 . LTh K V I I ' 94 1 sg. Funk, ibid. , 1 3 . Giesecke 200
sgg. Dannenbauer II 1 8 sg. M i sc h 9 3 , 97 sg. A l tendorf 1 89 .
11
Paul D i ac . , h ist. Lang . , 3 , 1 6 . G i e secke 20 1 sgg.
CAPITOLO V.

I MEROVINGI POSTERIORI

" . . . i sacerdoti del Signore vennero uccisi sugli altari delle chiese
insieme ai loro assistenti . Poi che tutti furono abbattuti e nessun maschio sopravvisse,
l ' intera città con le chiese e gli altri edifici venne data alle fiamme,
sì che altro non rimase se non la nuda terra" .
(Il vescovo Gregorio di Tours) 1

"Governano soltanto i vescovi; la nostra gloria è tramontata . . . ".


(Re Chi lperico l) 2 1 13
80 l Merovingi posteriori

Mentre scomparvero progressivamente le differenze tra Franchi e Gallo-Romani, ma


non le diverse legislazioni, i confini del regno merovingio restarono immutati fino al
termine. Ci furono, è vero, complicazioni politiche, attacchi degli Avari in Turingia,
dei Visigoti nella Francia meridionale e anche alcune scorrerie e razzie dei Franchi al
di là dei confini; ma ormai non aveva più un interesse primario l ' espansione verso
l ' esterno, l ' ampliamento del regno e la sottomissione e lo sfruttamento di popoli
confinanti, stranieri o lontani; i re (di nuovo quattro) e i loro folti seguiti cercavano di
ingrandire i loro possedimenti , le loro parti di regno a spese degli altri , infliggendo
quasi ininterrottamente danni per fiaccarli a tutti i costi . Insomma, ognuno aspirava al
predominio.
Così alla fine del VI e al principio del VII secolo, quando scomparvero prematura­
mente o di morte violenta quasi tutti i principi merovingi, si verificarono ininterrotte
brutalità e gravissime soperchierie: imperversarono incessantemente lotte intestine e
razzie, contrade ogni volta diverse vennero date alle fiamme, interi territori furono
devastati, vennero perpetrati innumerevoli saccheggi, mutilazioni, assassinii, cui si
aggiunsero epidemie e carestie. I contadini si nascondevano nelle foreste e depredavano
per conto loro. In questo calderone infernale tutti i mezzi parvero leciti ai combattenti,
1 15 purché promettessero una qualche prospettiva di successo. 3

l NIPOTI DI CLODOVEO

Dopo la dipartita di Clotario I, il regno franco fu diviso in quattro regni, quindi, dopo la
morte del figlio maggiore, in tre, e dopo la scomparsa del secondo figlio, in due.
Dapprima, nel 56 l , come cinquant' anni pri ma dopo il ritiro di Clodoveo l , i quattro
eredi, figli di Clotario l, si suddivisero il regno (li indicheremo secondo l ' età) :
Cariberto I di Parigi, che morì alla fine del 567, dopo aver ripudiato la moglie, la
regina Ingoberga, essersi legato con le sorelle Meroflede e Marcovefa (che era suora) e
aver sposato in quarte nozze Teodechilde, figlia di pecoraio.
Guntram di Orléans (56 1 -592), che governò la sua parte di regno franco-burgundo
alternativamente da Chalons sur Saone e da Orléans. Di lui rimane il pri mo decreto
medioevale per la santificazione della Domenica (588). Talvolta dispose preghiere
quotidiane, digiuni (a pane e acqua), e veglie notturne, tanto che "lo si sarebbe potuto
ritenere un vescovo del Signore" (Gregorio); ma beneficò soprattutto la chiesa e, a
quanto pare, si sottopose alla mortificazione della carne, concedendosi tuttavia contem­
poraneamente non poche amanti. La concubina Veneranda venne da lui allontanata per
sposare la figlia di un certo Magnachar, Marcatrude, a sua volta ripudiata perché aveva
avvelenato i figli di Veneranda. Poi prese con sé Austrachilde, una fantesca di Magnachar,
i cui due figli fece assassinare per salvaguardare "l' onore" della consorte, incamerando
l nipoti di Clodoveo 81

i loro beni "nel tesoro della corona" . I l devoto principe, ricolmo di "forza miracolosa",
"di bontà di cuore" (Gregorio) e considerato santo già da vivo, promise ad Austrachilde
l ' esecuzione capitale dei medici che non erano stati in grado di guarirla; e mantenne la
promessa (v. pag. 89 sg. ) . E poi fu venerato come Santo ! (Festa: 27 marzo).
La scena politica era dominata da Sigeberto I di Reims (56 1 -575), re della parte
orientale del regno franco, e Chi lperico I di Soissons (56 1 -584), il giovane fratellastro 1 16
degli altri tre, le cui mogli Brunechilde e Gelesvinta, sorelle discendenti dalla casa
reale dei Visigoti, passarono al cattolicesimo in occasione delle nozze. 4
Poiché Cariberto I, il maggiore dei nipoti di Clodoveo e re di Parigi, morì nel 567, il
suo territorio, quasi tutta la parte occidentale della Gallia, fu smembrato e incamerato.
Invece di una quadripartizione, fu operata una nuova divisione, una tripartizione sostan­
zialmente duratura del regno franco in A ustrasia, Neustria (cioè la "Francia" in senso
lato) e Burgundia. (Anche in epoca longobarda la parte orientale dell ' Italia settentrionale ·

continuò a chiamarsi Austrasia, quella occidentale Neustria).


L' Austria (= paese orientale), chiamata perlopiù Austrasia e governata da Sigeberto,
era costituita dai territori intorno al la M osa e al Reno e da altri paesi ancor più a oriente,
con una presenza più notevole di Germani ; la residenza fu prima stabilita a Reims, poi
a Metz. Della Neustria (=Nuova terra d' occidente) faceva parte il settore orientale e
centro politico del regno merovingio, conquistato dai Franchi fin dal V secolo, un tempo
sotto la signoria di Siagrio, che si estendeva dalla Loira fino alle Fiandre. Questa
"Francia" in senso più stretto, abitata prevalentemente da Romani, con le capitali
Soissons e poi Parigi, toccò a Chi lperico I ; i Neustriani stessi preferivano chiamarsi
Franci e definire Francia il proprio paese. La B u rgundia conobbe ampliamenti
sostanziali, e Chalons-sur-Saòne divenne la residenza preferita da Guntram. Furono
divise anche l ' Aquitania e la Provenza.
La frammentazione dell' eredità di Cariberto ebbe come seguito una catena di altre
guerre civili per la supremazia: tali sanguinosi conflitti fratricidi non cessarono fino
alla morte di Sigeberto, che a suo tempo aveva fatto affluire truppe pagane, "il furore
dei popoli", dalla riva destra del Reno contro la cattolicissima Neustria. Dal 562, allorchè
Sigeberto fu impegnato dai primi contrasti con gli Avari vicino all ' Elba, Chilperico,
che aveva la residenza a Soissons ed era il più giovane e forse il più dotato dei fratelli,
organizzò incursioni verso la parte orientale del regno, tentando di impadronirsi di
Reims, Tours e Poitiers "distruggendo e devastando ogni cosa" (Gregorio di Tours). 1 17
Intanto Sigeberto, devotissimo di s. Medardo, patrono del vescovado di Soissons,
assaliva i territori di Soissons e Parigi, saccheggiando e incendiando la maggior parte
dei villaggi intorno a Parigi, facendo prigionieri gli abitanti e poi cercando di impa­
dronirsi di Arles, capitale della Provenza, che apparteneva al fratello Guntram. Ma il
vescovo del luogo, Sabaudo, degno pastore del Signore, riuscì a ingannare l ' esercito di
Sigeberto, attirandolo subdolamente davanti alle porte, così che "fu colpito alle spalle
82 l Me rovingi posteriori

dai giavellotti nemici e di fronte fu bersagliato dalle pietre scagliate dai cittadini . . . "
(Gregorio di Tours). 5
La lotta fra i due fratelli si inasprì a causa di una tragedia familiare, accolta poi nella
Saga dei Nibelunghi .

". . . DEGNE D I MESSALINA E D I AGRIPPINA"

Intorno al l ' anno 566 Sigeberto di Reims sposò Brunechilde, figlia del re visigoto
Atanagildo, e circa un anno dopo Chilperico di Soissons ne prese in moglie la sorella
maggiore Gelesvinta. Ma poiché costui, che aveva precedentemente ripudiato la moglie
Audovera, "aveva già numerose donne", subito dopo le nozze fece strangolare da uno
dei suoi scagnozzi Gelesvinta, ammalata di nostalgia, la quale aveva già abbandonato
l ' arianesimo per passare "alla Chiesa ortodossa". "Dopo aver compianto solo per pochi
giorni la defunta" (Gregorio), Chilperico sposò la sua ex amante Fredegonda. L' evento
diede inizio a una folle inimicizia delle due regine, "donne degne di Messalina e di
Agrippina" (Mtihlbacher), e a una sanguinosa faida senza esclusione di colpi fra i re di
Reims e di Soissons. 6
Fredegonda, discendente "exfamilia infima" e pervenuta al rango di regina, dominava
completamente il re, e può essere considerata un magnifico esempio di quell ' epoca. Da
1 18 tempo amica intima del vescovo Egidio di Reims, uno dei politici più attivi d' Austria,
e occasionalmente creatura sotto la protezione del vescovo Ragnemundo di Parigi e
contemporaneamente raffinata esperta in omicidi, fu una cristiana per la quale la liqui­
dazione dei re fu per così dire all ' ordine del giorno, e una delle furie più diaboliche
della storia, dedita all 'esercizio del potere quasi esclusivamente col ricatto, la tortura,
il pugnale e il veleno.
Con la complicità di Chilperico fece uccidere parecchie dozzine di influenti avversari
politici, passando sui cadaveri senza scrupolo alcuno, anzi con profondo compiacimento.
Fece incarcerare, flagellare e torturare a lungo le sue vittime, incamerandone natural­
mente i patrimoni. Fece impiccare, bruciare, avvelenare; a un prete che aveva fallito
nel l ' esecuzione di un delitto fece mozzare mani e piedi ; fece ammazzare il vescovo
Pretestato, il proprio figliastro Clodoveco e la madre Audovera. Probabilmente ebbe
parte anche nel l ' uccisione del re Sigeberto, al quale nel 575 i sicari da lei prezzolati ,
alla corte di Vitry piantarono "nei fianchi un lungo pugnale, lo scramasax", oltretutto
"intriso di veleno" (Gregorio). Forse fu anche responsabile della morte del proprio
marito Chilperico e del figliastro Meroveco; solo il re riuscì ad i mpedire l ' eliminazione
del figlio Samson appena nato, che morì poi a soli due anni. A Tournay appianò una
vera e propria faida parentale con la l iquidazione di tutti i capifamiglia. Compì di sua
mano un tentativo, poi fallito, di assassinare la figlia Riguntide, inviò un prete killer
Chilperico 1: campagne milita ri e inni religiosi 83

contro Brunechilde e altri due chierici armati di daghe avvelenate contro Brunechilde e
Childeberto. Dodici manigoldi al soldo di Fredegonda giunsero una volta alla reale
corte cattolica, dove "a ludibrio degli uomini" vennero mozzati a chierici e laici mani,
nasi e orecchie. Molti si suicidarono per paura delle torture; "altri morirono sotto tortura".
Il re Guntram sfuggì ai "messi" di Fredegonda, che godette poi della protezione del
vescovo Ragnemondo una volta fuggita a Parigi col tesoro: davvero un nobile comporta­
mento cristiano ! Gregorio di Tours raccolse dettagliamente i misfatti di questa "inimica
Dei atque hominum", la quale alla fine, governando da vedova nella Neustria, lottò con 1 19
tutti i mezzi fino alla morte per il riconoscimento del figlio minorenne Clotario (Il). 7

CHILPERICO 1: CAMPAGNE M ILITARI E INNI RELIGIOSI

Durante la escalation bellica fra Chilperico, che mirava soprattutto ali ' accesso diretto
alle sue exclaves d' Aquitania, e Sigeberto, cui stava a cuore una quota più consistente
dei patrimoni regii di Neustria, costui si alleò con Guntram, che reggeva la Burgundia
prima ad Orléans, poi a Chalons-sur-Saòne, dove aveva innalzato la chiesa di s. Marcello.
Guntram fu particolarmente legato alla chiesa, tanto che per i suoi numerosi donativi al
clero e per la convocazione di Concili, come abbiamo accennato, in seguito divenne
anche santo (Festa: 28 marzo) . Il devoto principe, tanto crudele quanto pusillanime, si
dimostrò poco affidabile, passando da un fratello ali ' altro e sempre violando la parola
data. Nel 573 scoppiò un dissidio con Sigeberto per il possesso della Provenza, e quindi
Guntram (che operava anche contro i Longobardi e aveva annesso alla chiesa franco­
burgunda i territori alpini conquistati) si alleò con Chilperico di Soissons, combattendo
ancora una volta contro Sigeberto di Reims. Teodeberto, figlio di Chilperico, mise a
ferro e a fuoco il territorio di Tours, Limoges, Cahors e "devastò e distrusse" le altre
città vicine, "incendiò le chiese, depredò i sacri arredi, uccise i sacerdoti, abbatté i
conventi, stuprò le donne e annientò ogni cosa. Ci furono più grida di dolore allora, che
ai tempi della persecuzione di Diocleziano" (Gregorio di Tours).
Alla metà degli anni Settanta Chilperico dette inizio a una nuova e devastante
campagna contro Sigeberto, penetrando fino a Reims; quest' ultimo, partendo dalla parte
orientale del Reno, mosse contro la Neustria con tribù pagane, come aveva già fatto 1 20
una volta, occupando Parigi e respingendo il fratello a Tournai. Poco prima della vittoria,
quasi nel momento del trionfo (i soldati di Chilperico erano già passati dalla sua parte),
a Vitry (nell ' Artois) nel l ' inverno del 575 il quarantenne Sigeberto cadde vittima delle
daghe avvelenate (quos vulgo scramasaxos vocant) dei sicari di Chilperico e Fredegonda:
"Emise alte grida, crollò a terra e poco dopo esalò l ' ultimo respiro" (Gregorio di Tours).
Brunec hilde, moglie di Sigeberto, fu rapita da Chilperico e rinchiusa in convento a
Rouen, mentre la figlia fu tenuta prigioniera a Meaux. 8
84 l Me rovingi posteriori

L' eliminazione di Sigeberto determinò la svolta tanto bramata dai suoi assassini,
che passarono da un successo ali ' altro. Approfittando del caos sopravvenuto, Chilperico
si i mpadronì dei territori contesi, dominando adesso da Parigi due paesi, quello ereditato
e quello strappato al fratello Cariberto: gli era ormai sottomessa tutta la metà occidentale
del regno franco. Il re, unicamente bramoso di concubine, potere e denaro, mercanteggiò
coi migliori offerenti le sedi vescovili ed esercitò una brutale pressione fiscale, tanto
che a Limoges scoppiò una rivolta, da lui soffocata con feroce determinazione : il suo
di sprezzo della vita umana fu simile "a quello di un Cesare Borgia o di un qualsiasi
altro tirannello rinascimentale" (Cartellieri).
È chiaro che un uomo simile era anche molto attaccato al cristianesimo, molto preoc­
cupato della conversione degli Ebrei e persino autore di un trattato di teologia trinitaria
e di inni religiosi. E quantunque condannasse il dogma della Trinità come insensatezza
antropomorfa e spiegasse che "il Padre e il Figlio sono la medesima persona, come
pure lo Spirito Santo è uguale al Padre e al Figlio"; e anche se la frase attribuitagli da
Gregorio "Non governano se non i vescovi, la nostra gloria è svanita" fosse un' esage­
razione, e fors ' anche non fu mai pronunciata; e anche se, infine, nelle guerre contro
Sigeberto fece incendiare le chiese cristiane, saccheggiare e distruggere i chiostri ,
121 stuprare le suore, tuttavia la chiesa godette la massima libertà in qualsiasi campo. Furono
inaugurate vere e proprie dinastie episcopali, come a Tours, nei tribunali il vescovo
presiedette insieme al conte e soprattutto i funzionari statali e gli stessi re si sottomisero
sostanzialmente al giudizio morale dei vescovi e alla loro disciplina religiosa. 9
Chi ldeberto II (575 -596) figlio di cinque anni di Sigeberto, sfuggì a stento al destino
del padre e fu portato al sicuro in Austrasia dal duca Gundowald, dove i magnati lo
fecero re, lasciando governare al suo posto il maestro di palazzo Gogo. Ma evidentemente
il successore al trono, (dopo due attentati morì a circa 26 anni forse avvelenato), fu fino
alla fine docile strumento di Guntram, il quale, come rappresentante più anziano della
dinastia, lo aveva adottato come figlio ed erede dopo la morte dei propri figli, e restò
tuttavia pur sempre uno strumento nelle mani della madre Brunechilde.
Costei sposò a Rouen Meroveco, figlio della prima moglie di Chilperico, Audovera.
Infatti, il metropolita della ci ttà, il vescovo Pretestato, violando anche le leggi
ecclesiastiche, aveva unito in matrimonio Meroveco (suo figlioccio di battesimo) con
la zia, e a quanto pare insieme a lui "aveva ordito un vero proprio tentativo di detronizzare
Chilperico, se non addirittura di assassinarlo" (Bund). Nella seconda seduta del Concilio
di Parigi (577) il re Chilperico accusò Pretestato di avergli rubato preziosi gioielli e
500 solidi d ' oro; nella terza seduta il principe della chiesa (subito dopo frustato, esiliato
su un' isola e poi assassinato dentro una chiesa nel 585), disteso ai piedi del re confessò
d' aver progettato un attentato alla sua vita. Ma prima che i congiurati avessero potuto
usare politicamente il complotto, per volontà della matrigna Fredegonda, Meroveco fu
escluso dalla successione, arrestato nel 576, tonsurato e degradato al rango di presbitero.
Prelati e alta nobiltà si accalcano per raggiungere il potere 85

In viaggio verso il convento di Anisola (S. Calais) fu liberato dal suo cortigiano Gailen;
ma nel 577 o nel 578, corcondato dai nemici durante un altro tentativo di fuga, scongiurò
Gailen di uccider! o, il quale senza alcuna esitazione gli mozzò mani, piedi, naso e orec­
chie, torturando lo ancora e quindi ammazzandolo. Furono torturati a morte anche molti 122
seguaci di Meroveco. I principali istigatori del misfatto furono, a quanto pare, il vescovo
di Reims, Egidio (colui che aveva consacrato vescovo s. Gregorio) e il duca Gunthram
Boso (un bandito intrigante, sulla cui uccisione il vescovo di Verdun, Agerico, si strug­
gerà poi tanto). Anche il giovane fratello di Meroveco sarà vittima di Fredegonda. 1 0
Nel 577 Brunechilde poté sfuggire alla prigionia d i Chilperico e rifugiarsi ad Oriente,
nel territorio del figlio Childeberto Il, inducendolo ad allearsi con Guntram. Ma nel
5 8 1 i sostenitori di Brunechilde caddero vittime di una rivolta a Reims, dove Egidio, il
vescovo implicato in numerosi intrighi, congiure e tradimenti, si mise alla testa di alcuni
pezzi grossi e si impadronì del potere. Poiché Chilperico avanzava e restava comunque
l ' uomo forte, il principe della chiesa gli si riavvicinò, guidando personalmente
un' ambasceria. Contemporaneamente, però, a Reims i rivoltosi erano entrati in dissidio
con Guntram, la cui parte aquitana dell' eredità di Cariberto nel 58 1 venne conquistata
da Desiderio, generale di Chilperico, così che ora questi poté prendere possesso di
tutto il regno del fratello morto nel 567.
Ma allorchè il re, con l ' aiuto dei transfughi da Rei ms, si accinse a concludere
un' alleanza formale con la reggenza austriaca, per chiudere in una morsa anche il
regno di Guntram e annientarne gli eserciti, a causa di una sollevazione del minor
populus contro tale patto, in Austrasia si verificò ancora una volta un improvviso
cambiamento, questa volta a favore di Brunechilde, che reggeva le fila di tutta questa
vicenda; e Chilperico dovette moderare le sue pretese. All' inizio del 584, a Marsiglia
restituì a Guntram il nipote, e nello stesso anno una notte Chilperico fu assassinato a
pugnalate appena tornato da una battuta di caccia nella sua residenza parigina di Calam
(Chelles) : "Terminò così la sua crudelissima vita con una morte conforme" (Fredegar),
per altro non diversa da quella di Sigeberto, da lui ucciso (v. pag. 83). Anch' egli lasciò
un figlio minore di nemmeno un anno, Clotario Il, cui la madre Fredegonda cercò
adesso di conservare il trono. 1 1 1 23

PRELATI E ALTA NOBILTÀ SI ACCALCANO PER RAGGIUNGERE IL POTERE

Chilperico, definito da Gregorio di Tours "il Nerone e l ' Erode del suo tempo", proba­
bilmente fu vittima delle cospirazioni della nobiltà di tutte le regioni del regno, e forse
anche della moglie Fredegonda. Costei, infatti, lo aveva già ingannato in precedenza,
tanto che il figlio Clotario poté essere annoverato fra i rampolli merovingi solo dopo
che ebbe giurato sulla paternità di Chilperico davanti a più di trecento garanti laici e
86 l Mero vingi poste riori

chierici, fra i quali anche tre vescovi. E dopo la morte violenta di entrambi i fratelli, la
lotta proseguì fra le loro consorti, nonostante (o poiché?) nel frattempo fossero usciti di
scena tanti personaggi sinistri . 1 2
I figli di Chilperico e Audovera erano già passati a miglior vita: Teodeberto era
caduto in guerra nel 575 e il suo cadavere era stato depredato nel campo di battaglia;
Meroveco era stato spedito ali' altro mondo dalle mene di Fredegonda; e il suo ultimo
figliastro Clodoveco era finito in una sua tenuta devastata dalla peste, cui riuscì a
scampare, ma fu accusato di stregoneria, arrestato e pugnalato da un sicario nel 580. La
madre Audovera, la fidanzata e la futura suocera non sopravvissero alle torture, mentre
la sorella Basina scomparve in un convento di Poi tiers. Liberatasi ormai dei suoi peggiori
nemici, Fredegonda poteva ora rientrare nel gioco politico col figlio Clotario, e in questo
ruolo ordì parecchi tentativi (falliti) di uccidere Guntram, Childeberto e Brunechilde;
in preda alla col lera fece mutilare i mancati killers.
Il cervello della cospirazione contro la casa regnante nella parte orientale del regno
era, in verità, il vescovo di Reims, Egidio, i cui forzieri traboccavano d' oro e d' argento.
Una notte però il "minor populus" (il popolo minuto) si sollevò contro di lui e i duchi
del re, perché "vendono il suo regno, e cercano di porre le città sotto il dominio di un
altro"; ci fu il tentativo di catturare il vescovo e gli ottimati, ma Egidio fuggì , lasciando
indietro tutti "e fu tale il suo terrore, che non si fermò nemmeno per rimettersi uno
1 24 stivale, che gli si era sfilato".
Accusato di corruzione (''duemila pezzi d' oro e molti gioielli"), di alto tradimento e
di aver ordito una guerra civile e fratricida, soprattutto dall' abate Epifania, "che fu
sempre informato di tutti i suoi piani segreti", dopo aver negato a lungo, il vescovo
Egidio ammise "di meritare la morte in quanto reo di alto tradimento, poiché ho sempre
agito contro il bene del re e di sua madre, e dietro mio consiglio sono state combattute
molte battaglie, che hanno devastato numerose contrade della Gallia" (Gregorio). Nel
Concilio di Metz del 590 venne deposto e condannato a morte, ma in seguito all ' in­
tervento dei prelati profondamente turbati, Childeberto lo esiliò a Strasburgo; l ' abate
Epifania, tuttavia, fu privato del suo ufficio. 1 3
Se alla morte di Sigeberto i suoi dignitari, guidati dal vescovo Egidio, erano passati
a Chilperico, alla morte di quest'ultimo un gran numero dei suoi magnati si trasferirono
armi e bagagli da Childeberto, figlio di Sigeberto.
Nato a Pasqua, battezzato a Pentecoste, elevato al trono a Natale, Childeberto II
(575-596) apparve alla corte merovingia come una sorta di "promessa di felice vicinanza
a Dio" (Karl Hauck). (Di ciò approfittò in particolare, fra gli altri, il vescovo di Verdun,
Agerich, suo padrino di battesimo. In verità questi non era stato capace di scacciare da
una fanciulla "uno spirito immondo", ma a quanto pare riuscì a impressionare il giovane
re con un miracolo - una motliplicazione di vino - tanto che ricevette da Childeberto II
molte donazioni). Da parte sua, la vedova di Chilperico, ora abbandonata da molti alti
La rivolta di Gundowald e i vesco vi transfughi 87

funzionari, si nascose col figlioletto di quattro mesi presso il vescovo Ragnemondo di


Parigi, dove nell ' autunno del 584 subito accorse in suo aiuto il re di B urgundia, l ' unico
ancora vivo dei quattro figli di Clotario l . S. Guntram promise a Fredegonda la sua
protezione, ma subito escluse dalla "cathedra regni" il figlio di lei, incamerando così
la maggior parte dell' eredità di Cariberto. 1 4
Con la situazione sempre più desolata dei differenti reami , le guerre e le razzie con­
tinue dei sovrani nella lotta per la supremazia, la dinastia merovingia si indeboliva,
mentre la classe dei latifondisti feudal i , soprattutto l ' alta aristocrazia, appari va 1 25
rinvigorita. Essa non si sentiva più vincolata alla monarchia, che considerava ormai un
impedi mento, e i re avevano vieppiù bisogno della nobiltà, diventandone progres­
sivamente dipendenti. Come fra i sovrani, anche fra i grandi signori erano diventate
pressoché quotidiane le lotte armate, le appropriazioni violente di contee, di vescovadi ,
di latifondi e di forze-lavoro. E dato che le loro proprietà erano spesso disseminate
nelle varie parti del regno, cercavano l ' appoggio ora del l ' uno ora dell ' altro sovrano.
Soprattutto le famiglie più eminenti sfruttavano questa crescente anarchia per ampliare
il patrimonio e accrescere la loro potenza, divenendo via via i protagonisti e infine
ponendo in scacco gli stessi sovrani, indeboliti dalle continue lotte per il potere. 1 5

LA RIVOLTA DI GUNDOWALD E l VESCOVI TRANSFUGHI

Con la morte di Chilperico crollò repentinamente anche il suo regno, la cui guida passò
momentaneamente alla Burgundia nel 584. Il re Guntram però venne a trovarsi di fronte
alle pretese sulla Gallia merididonale da parte di Gundowald, che sosteneva d' essere
figlio di Clotario I (forse era nato da una relazione adulterina). In ogni caso sia Clotario
che suo figlio Sigeberto gli avevano tagliato i capelli (lo avevano tonsurato ), ma ora i
traditori d' Austrasia lo riportarono alla ribalta politica.
Dal i ' esilio di Colonia, dove era evidentemente tenuto prigioniero, Gundowald era
prima fuggito in Italia presso Narsete, poi aveva raggiunto Costantinopo l i ; qui
un' ambasceria guidata dal duca Gunthram Boso (un ribelle terribilmente intrigante) lo
"aveva invitato" in Gallia. Riccamente equipaggiato dal l ' imperatore Tiberio l, nel
settembre del 582 Gundowald sbarcò a Marsiglia. Vigliaccamente tradito da Gunthram
Boso, riuscì prima a fuggire su un' isola della Provenza, ma poi trovò largo seguito
specie nelle parti meridionale e settentrionale del regno, anche perché lì si facevano 1 26
sentire gli effetti della crescente importanza dell' alta nobiltà, che sarebbe diventata
storicamente determinante.
La rivolta di Gundowald fu accolta con favore da molti , soprattutto dai prìncipi e dai
conti di Neustria e B urgundia, ma anche d' Austrasia, che si unirono a lui, per esempio
Desiderio, duca di Tolosa e il duca Bladast, due personalità prestigiose al servizio di
88 l Merovingi poste riori

Chilperico; Eunio Mummolo, un duca di re Guntram nonché suo miglior condottiero ;


Gunthram Boso, duca di Childeberto II; Waddo, maestro di palazzo di Riguntide, figlia
del re. Ma anche parecchi prelati mutarono bandiera.
Subito dopo l' approdo a Marsiglia, Gundowald fu accolto a braccia aperte dal vescovo
Teodoro, "con grandissima bontà", che gli fornì anche un contingente di cavalleria.
Passarono dalla parte di Gundowald anche i vescovi Nicasio di Angouleme e Antidio
di Agen ; parteggiò per lui anche il vescovo Epifanio (del quale si ignora la diocesi), il
quale però fu da Guntram gettato in carcere, dove "morì dopo molte sofferenze". I
signori ingrossarono le schiere di Gundowald in numero sempre crescente, ricevendo
in cambio ricche donazioni ; perciò fu in grado di conquistare subito quasi tutta
l ' Aquitania. Tra i fedelissimi vi furono il vescovo Sagittario di Gap e il vescovo Bertram
di Bordeaux, "legato da intima amicizia" con Gundowald (come narra Gregorio di
Tours). Ma il prelato era anche parente di Guntram per parte di madre, per cui in seguito
il re lo rimproverò d ' aver portato fra la propria gente la peste straniera (pestem
extraneam). (Bertram fu in rapporti di stretta amicizia anche con la regina Fredegonda,
che, a quanto pare, trovò nel principe della chiesa un grandissimo consolatore. Egli e il
vescovo Pal ladio di Saintes, seduti alla mensa regale, un giorno si lanciarono vicende­
volmente accuse di lussuria, adulterio e spergiuro, con grande sollazzo degli astanti) .
Appoggiarono il ribelle anche Palladio d i Saintes, che "gia più d i u n a volta aveva
ingannato il re" violando i giuramenti in tre occasioni diverse, e l ' abate di Cahors, poi
incarcerato e frustato da Guntram . È assai probabile che nella parte orientale del regno
1 27 anche il vescovo Egidio di Reims fosse coinvolto nella congiura; e nella Burgundia,
secondo Fredegar, anche e soprattutto i vescovi Siagrio di Autun e Flavio di Chalons­
sur-Saone. 1 6
N e l dicembre d e l 5 84 l ' usurpatore venne proclamato r e a Brives-la-Gail l ard
(Limosino), ma all ' inizio del l ' anno seguente ci fu un riavvicinamento fra Guntram e
Childeberto II, che nel frattempo aveva raggiunto l ' età di 1 5 anni. Il maggiore dei
Merovingi rinnovò la scelta di Childeberto come suo erede, armò un esercito e avanzò
fin dentro il territorio basco. Nell ' estremità meridionale d' Aquitania, a St-Bertrand­
de-Comminges (Lugdunum Convenarum) ai piedi dei Pirenei, Gundowald fu assediato,
tradito ancora una volta dal suo seguito (capeggiato dal duca Eunio Mummolo e dal
vescovo Sagittario) e quindi ucciso a tradi mento durante una sortita. Fredegar afferma
che lo scudiero di Guntram, Cariatto, "responsabile dell ' iniziativa, ebbe come guider­
done il seggio episcopale di Ginevra". Il cadavere di Gundowald fu oltraggiato e lasciato
insepolto.
I traditori , "gli uomini più in vista della città", s ' impadronirono di ogni tesoro, anche
dei "sacri arredi della chiesa", quindi fecero aprire le porte: l ' esercito di Guntram irruppe
nell' abitato e fece strage di "tutto il popolo; i sacerdoti del S ignore coi loro serventi
vennero trucidati sugli altari ; dopo che vennero uccisi tutti i maschi senza che alcuno
Re Guntram dà prova della sua santità 89

sfuggisse alla strage, l ' intera città con le chiese e gli edifici pubblici fu data alle fiamme,
tanto che restò solo la nuda terra". L' azione del santo Guntram (festeggiato il 28 marzo),
che intratteneva ottime relazioni coi vescovi, fu giudicata da Gregorio di Tours "benevola
e incline alla misericordia" (e il sovrano persino esaltato come "re e sacerdote"). In
effetti Guntram doveva essere spietato contro i ribelli e gli avversari, facendoli uccidere
o lapidare: si impadronì di gran parte dell ' Aquitania e giudicò assai duramente i si­
gnori laici fedifraghi, ma fu singolarmente mite coi prelati traditori . Tuttavia si limitò a
far uccidere il generale Eunio Mummolo e il vescovo Sagittario. 1 7 1 28

RE GUNTRAM DÀ PROVA DELLA SUA SANTITÀ

Questi prìncipi cattolici non si astennero nemmeno dalla distruzione delle chiese, come
spesso attesta proprio il vescovo Gregorio di Tours. I duchi di Chilperico, Desiderio e
Bladast (quest'ultimo copulava, "e sovente", nell' atrio della chiesa di s. Ilario a Poi tiers)
nel 583 devastarono il territorio della città vescovile di Bourges, che, come pare, gettò
nella mischia circa 1 5 .000 uomini, "in un enorme bagno di sangue, che lasciò sul terreno
più di settemila morti di entrambe le parti. Con l ' esercito restante i duchi penetrarono
in città, saccheggiando e distruggendo ogni cosa; fu perpetrata una devastazione quale
non si era mai vista: nessuna casa, nessuna vigna, nessun albero fu risparmiato, tutto fu
raso al suolo, bruciato e annientato. Strapparono alle chiese anche gli oggetti consacrati
e poi incendiarono gli stessi sacri edifici".
Nel 585 le truppe di s. Guntram assalirono la chiesa di s. Vincenzo ad Agen "piena
di tesori d ' ogni sorta appartenenti agli abitanti della città, che avevano sperato che dei
cristiani non avrebbero osato violare il sacrario di un santo così grande. Ma le porte
della chiesa erano state accuratamente sbarrate, e allorché la soldataglia non riuscì a
penetrarvi, diede immediatamente fuoco ai battenti, irruppe all ' interno, razziando
ricchezze, suppellettili e arredi sacri". Dopo aver conquistato Comminges, questa
ciurmaglia cristiana infilzò preti e chierichetti sugli altari , appiccando il fuoco
dappertutto. Anche nel paese di Guntram, nei territori sulla Saòne e sul Rodano, le
chiese furono depredate e i preti assassinati . 1 8
Come abbiamo detto, si tratta di un santo: di lui Gregorio scrive che "parlava conti­
nuamente di Dio e della edificazione di chiese"; ma fu sempre lui ad esaudire l ' ultimo
desiderio della consorte Austrichilde, cioé, uccidere i medici che non erano stati capaci
di guarirla: quando giacque sul "letto di morte, fra profondi sospiri" pretese dal consorte 1 29
il giuramento che la sua fine prematura "non sarebbe rimasta invendicata", e questo
devoto giuramento cristiano "sarà puntualmente adempiuto dal valoroso re Guntram",
come dice l ' altrettanto valoroso Daniei-Rops, considerando un delitto così racca­
pricciante "condito da un feroce umorismo". Secondo il racconto di Fredegar, per ordine
90 l Mero vingi posteriori

regio i medici vennero prima sottoposti a "molteplici torture" (diversis poenis). S .


Guntram fece anche giustiziare i figli d i Magnachar, signorotto franco, naturalmente
incamerando tutti i loro beni "nel tesoro regio", solo perché avevano usato parole
infamanti a proprosito di una regina che anche dal vescovo Gregorio viene descritta
come "donna dissoluta" con "un ' anima dissoluta" . 1 9
Dopo l ' eliminazione di Gundowald, i ribelli d' Austrasia e di Neustria proseguirono
la lotta contro Guntram, Brunechilde e Childeberto, ormai maggiorenne, che aveva
scelto come sua residenza principale Metz al posto di Reims. Andarono a vuoto numerosi
tentati vi di assassinare Guntram e la regina, e dopo la nascita dei figli di Childeberto,
Teodeberto e Teoderico, nel 586 e ne1 587, i congiurati d' Austrasia pianificarono anche
la liquidazione di Childeberto e l ' elevazione al trono dei figli. Di questi sovversivi
guidati dal duca Rauching di Champagne faceva parte, naturalmente, anche il vescovo
Egidio di Reims. Ma Guntram, che avrebbe dovuto essere spodestato, ebbe sentore
della faccenda e avvertì Chi ldeberto, che soffocò la congiura: ordinò a Rauching di
recarsi da lui, e subito dopo il colloquio due uscieri lo gettarono a terra mentre lasciava
la stanza: "I sicari addetti alla bisogna si gettarono prontamente su di lui con le spade,
frantumandogli la testa a tal punto, che il tutto appariva come un ' informe massa
cerebrale". Le ricchezze di Rauching, a quanto pare più consistenti di quelle del re,
divennero proprietà del tesoro regio. 20
In seguito tutta la famiglia del sovrano, Childeberto II, la moglie Fai leuba e la madre
Brunechilde si incontrarono con Io zio Guntram nel palazzo Andelot, al confine fra i
due paesi, e il 28 novembre del 587 strinsero un patto di successione reciproca, teso a
1 30 rafforzare la solidarietà fra le case regnanti franco-burgunda e austriaca, ad appianare
alcune controversie proprietarie e a risolvere il problema della successione : colui che
fosse sopravvissuto, zio o nipote, avrebbe governato il regno dell ' altro, e così anche i
discendenti. 2 1
Il trattato di Andelot doveva avere soprattutto conseguenze di politica interna, ma
Guntram si trovò impegnato in varie complicazioni di politica estera, specialmente coi
Longobardi ed i Visigoti, anzi, a dire il vero, vi era coinvolto già da lungo tempo.
Infatti, fra il 569 ed il 575 il bellicoso santo, sempre più isolato, aveva respinto le
orde longobarde, che premevano sui passi delle Alpi occidentali, saccheggiando e
mettendo a ferro e a fuoco ogni cosa in Provenza e nella B urgundia meridionale. Più di
una volta furono pressoché annientati soprattutto per mano di Eunio Mummolo, generale
di Guntram, come nel 57 1 nelle foreste di Embrun, dove insieme ai Franchi combatterono
personalmente anche i vescovi di Embrun e di Gap "che uccisero molti". Un' altra volta
Mummolo fece in Provenza una vera e propria carneficina: come narra s. Gregorio "ne
uccise molte migliaia, e non fece cessare la strage fino a sera, quando finalmente la
notte pose fine ali ' eccidio". I Franchi continuarono a combattere, non senza ampliamenti
territoriali verso sud: Guntram annise al suo regno il territorio confinante dell ' Italia
In vocazion i pon tificie di gue rra 91

settentrionale e due vescovadi della chiesa franca, quello d i Aosta, già costituito da
tempo, e quello appena fondato di Saint-Jean-de-Maurienne. Qualche tempo dopo ebbe
la stessa sorte il vescovado del Vallese. 22

INVOCAZIONI PONITIFICIE DI GUERRA

In questo lasso di tempo regnava a Roma Pelagio II (579-590), che morirà di peste;
eletto papa proprio mentre i Longobardi circondavano la città, s ' affrettò a invocare il
soccorso dell ' imperatore Tiberio II (578-582) e di re Guntram. Infatti questi ariani 131
invasori non combattevano soltanto l ' Impero Romano, ma anche la chiesa e la gerarchia
romane sue alleate (da tempo non si ponevano più contro la fede cattolica), dal momento
che perseguivano l ' unificazione dell ' Italia con Roma capitale. Ma ciò avrebbe posto
fine all ' influenza del papa, cui sarebbe rimasta unicamente la primazia di una chiesa
regionale; e così si giunse alla prima invocazione pontificia di guerra rivolta ai Franchi,
la quale era destinata a fare scuola. . .
Pelagio preannunciò l ' invio di reliquie a l vescovo franco Aunachar d i Auxerre,
chiedendo però urgentemente l ' intervento dei re franchi in soccorso di Roma. Incollerito
contro questi "idolatri" longobardi, scrisse ch' era necessario "che voi altri, membri
della chiesa cattolica, uniti come un corpo sotto la guida del capo, vi affrettiate con
tutte le vostre forze in aiuto della nostra pace e della nostra serenità in nome dell ' unità
dello Spirito Santo. Perché riteniamo non inutile (otiosum), anzi mirabilmente disposto
dalla divina Provvidenza che i vostri sovrani siano eguali all ' Impero Romano nella
confessione della retta fede, affinché vi leviate a vicini soccorritori di questa città e
dell ' Italia tutta. E allora, amati fratelli, se ai vostri sovrani il potere è stato concesso da
Dio, attenti a che la vostra fede non si manifesti fiacca . . . ". E alla fine ribadisce: "Dunque
vi esortiamo ad affrancare con la massima energia e speditezza i sacrari degli Apostoli,
di cui voi cercate la forza, dalla contaminazione pagana, e ad insistere presso i vostri re
affinché con una decisione salutare vogliano al più presto sciogliersi dall' amicizia e
dali' alleanza dello scellerato nemico, dei Longobardi, in modo che, se per costoro giunge
il tempo della vendetta, che immediata attendiamo dalla misericordia di Dio, essi non
siano colti come complici". 23
Ma nè l ' epistola né le reliquie ebbero il risultato sperato: i Franchi si trovarono
impediti dalle lotte intestine, che impegnavano le loro forze.
Per altro, lo stesso Pelagio ebbe a che fare non solo coi Longobardi, "popolo senza 132
Dio", come nel 584 scrisse a Costantinopoli al suo successore Gregorio, a dispetto del
fatto che i Longobardi fossero stati cristianizzati ormai da lungo tempo (pag. 72), ma
anche con il vescovo di Forum Sempronii (Fossombrone), contro il quale invocò di
nuovo l ' aiuto del braccio secolare. In un primo tempo intese esiliare in convento questo
92 l Me ro vingi poste riori

prelato renitente, poi pretese che il magister militum Giovanni lo conducesse a viva
forza fino a Roma; ma anche i vescovi del Veneto e dell ' Istria si opposero al papa,
persistendo inflessibilmente nelle concezioni scismatiche, che sostenevano fin dai tempi
dell' assassino di papi, Vigili o (v. II, 302 ss., soprattutto 3 1 5 ss. ), e della polemica sui
Tre Capitol i . Pelagio volle anche indurre Narsete e altri generali a trascinare a Roma o
davanti all ' i mperatore i potenti arcivescovi di Milano e di Aquileia (i prelati del nord di
rango più elevato), che si rifiutavano di stabilire con lui un qualche rapporto. Ma le
fatiche papaline e i numerosi appelli del futuro papa Gregorio, che giustificavano
minuziosamente la condanna dei Tre Capitoli, non ebbero successo. Nonostante le
ripetute "misure poliziesche" che accompagnarono "le esortazioni del pontefice"
(Lexikon fiir Theo/ogie und Kirche), nel Nord-Italia lo scisma continuò anche oltre il
pontificato del suo celebre successore. 2 4
Nel 583 Pelagio chiamò di nuovo i Franchi, ma questa volta si giunse alla guerra,
tanto più che l' imperatore Maurizio (582-602), da poco incoronato, rinnovò coi Franchi
l ' alleanza precedente contro i Longobardi. Il monarca bizantino, anch ' egli chiamato in
aiuto da Pelagio, pagò al re Childeberto II, questo figlio di Sigeberto privo di ogni
scrupolo, che era impossibile mettere in imbarazzo con qualsiasi forma di trattato, la
notevole somma di 50.000 solidi d' oro, affinché scacciasse i Longobardi. Ne seguì una
guerra settennale, pur con alcune interruzioni (5 84-59 1 ).
Il re entrò in Italia nel 5 84, i Longobardi si impegnarono solennemente al pagamento
di un tributo annuo di 1 2.000 solidi e Childeberto se ne tornò a casa. A questo punto
l ' imperatore Maurizio pretese la restituzione del suo denaro, ma non fu degnato "neppure
1 33 di una risposta" (Paolo Diacono), e tantomeno riebbe il denaro. Nel 585 ci fu una
mossa inaspettata: poiché Childeberto pianificava una campagna contro i Visigoti, si
riconciliò immediatamente coi Longobardi, anzi , fidanzò al sorella Clodosvinta col
loro re Autari , che lo ricoprì di ricchi doni. Quando, tuttavia, l ' anno seguente (585) il re
visigoto Reccaredo diventò cattolico (v. pag. l 03 ), con la qual cosa la politica d' Austrasia
"raggiunse lo scopo finale dei suoi disegni" (Biittner), Childeberto, per evidenti moti­
vazioni di carattere religioso, modificò ancora una volta i suoi piani: fidanzò la sorella
Clodosvi nta, appena promessa al re ariano dei Longobardi, Autari , col cattolico
Reccaredo, e inviò ambasciatori a Bisanzio per comunicare la prosecuzione della guerra
contro i Longobardi. 25
Childeberto, inoltre, tentò di mobilitare contro i Longobardi anche lo zio Guntram,
che si rifiutò; tuttavia Childeberto e Brunechilde allestirono la spedizione militare, e
inviarono le relative informazioni non soltanto all ' imperatore, bensì, significativamente,
anche ai vescovi di Costantinopoli e Melitene, nonché all ' apocrisiario costantinopolitano
della corte papale. Con altra missiva pregò l ' arcivescovo di Milano di informare l ' esarca
di Ravenna dell ' imminenza della campagna bellica, affinché approntasse le necessarie
misure contro i Longobardi . Costoro, tuttavia, volevano impedire il conflitto ed inviarono
Note 93

a Childeberto u n ' ambasceria con ricchi donativi: "Sia pace tra noi : non annientarci,
vogliamo a te sottometterei e pagare un tributo". Ma i Franchi passarono ali ' attacco, e
nel 5 8 8 subirono una sconfitta tale che "da tempi antichi non se ne ricorda una simile"
(Gregorio). 2 6
Subito dopo, però, irruppero nuovamente in Italia con un grande esercito al comando
di venti duchi, iniziando il saccheggio e le stragi già in casa propria, come faranno in
seguito le armate dei Crociati, tanto "che si poteva credere che portassero guerra al
proprio paese" (Gregorio). Per contro in Italia, alleati con l ' esarca ravennate, ebbero
successi solo parzia l i , sebbene il loro attacco ormai non fosse più una razzia
territorial mente limitata, bensì una ben ponderata guerra su due fronti . Mediante 1 34
un' ampia manovra a tenaglia tentarono di dare ai Longobardi il colpo di grazia e di
riconquistare i territori una volta occupati da Teodeberto I (v. pag. 63 ss.); riuscirono
certamente vittoriosi in parecchi scontri , impadronendosi delle regioni pianeggianti
de li' Italia settentrionale e di moltissimi borghi, e catturando numerosi prigionieri, tuttavia
fallirono nei tentativi di occupare le città meglio fortificate, soprattutto Pavia; inoltre,
vittime della dissenteria e della fame, furono costretti a tornare indietro pressoché
decimati . In ogni caso, nel 59 1 Childeberto impose ai Longobardi un tributo annuo
sempre di 1 2.000 solidi d' oro, che venne esatto per quasi tren t ' anni, finché Clotario II
nel 6 1 7/6 1 8 lo sostituì con la corresponsione unica di una somma pari a tre volte il
tributo annuo. 2 7
L' evento politico-ecclesiastico più notevole del pontificato di undici anni di Pelagio
fu la conversione al cattol icesimo dei Visigoti ariani di Spagna sotto il re Reccaredo. E
mentre gli Ostrogoti, loro fratelli, furono cancellati dalla storia ad opera dei sovrani
cattolici, i Visigoti diventati cattolici iniziarono un triste processo di autodistruzione. 135

NOTE

1
G reg . Tur. 7 , 3 8 . Cfr. anche 4,47 ; 6 , 2 9 ; 7 , 5 5 e pa.<.<im .
lbid. , 6,46
' LTh K I V ' 750. HGK I I/2 1 3 3 . Ewig, Da.< merowingi.<che Frankenreich , 399 sg. I d . , Die Merowinger,
4 1 . B l e i ber, Das Franken reich , 1 22 s g . , 1 27 . Pontal 1 1 6 sg.
4 Greg. Tur. 4,25 sgg . ; 4 , 3 0 ; 5 , 1 7 ; 9 , 2 1 . LMA IV 1 794. S c h u l tze II 1 2 8 , 1 40, 1 6 1 , 494. G i eseke 1 03 .
Bodmer 3 1 . Uiwe, Deutschland, 6 4 . Steinbach, Das Frankenreich , 2 2 , 3 3 . Zatschek 1 3 s g . Ewig,
Di e friinkischen Teilungen , 676 sgg. B l e iber, i bi d. , 1 2 2 .
� G reg . Tur. 4,22 sgg . ; 4 , 3 0 ; 4,49 sg. Taddey 7 2 , 1 9 7 , 3 7 0 , 854. S u l l a problematica civitaslcittà nel
Medioevo cfr. LMA I I 2 1 1 3 sg. S c h u l tze I I 1 2 8 , 1 42 . M ii h l bacher I 38. Diii 1 70 s g . Bodmer 29.
Zatschek 14 sg. Biittner, Die A lpenpolitik 69. Ltiwe, ibid. . 64, 66 sg. Schnei der, Kon igswah/, 8 7
s g g . Steibach, Das Frankenreich , 3 3 , 3 5 sg. Maggiori dettagli i n Ztill ner, D i e politische Stellung,
5 7 sgg. Ewig, Das Bistum Kiiln , 2 1 4 . Id., Di e friinkischen Teilungen , 676 sgg. I d . , Di e Merowinger,
42 sg. I d . , Die Merowingerzeit, 54 sg. B l e i ber, Das Fran ken reich , 1 2 2 sgg.
94 Note

6 Greg. Tur 4 , 2 7 s g . L M A IV l 1 00 . M ii h l bacher I 40.


7 Greg. Tur. 4 , 2 8 ; 4 , 5 1 ; 5 , 1 8 ; 5 , 2 2 ; 5 , 3 9 ; 7 , 7 ; 7 , 2 0 ; 8 , 2 9 ; 8,44; 9 , 3 4 ; 1 0, 1 8 . Fredeg. 3 , 84 . L M A I V
8 8 5 . Taddey 3 7 0 . H e i n s i u s 1 5 .
8
Greg. Tur. 4 , 2 8 ; 4,45 sgg . ; 4,5 1 ; 5 , 1 . Fredeg. 3 , 70 sgg. LTh K IV2 1 27 9 . Taddey, Lexikon 474. U I I stei n ,
Weltgesch ichte I I , 1 3 . S c h u l tze I I 1 43 , 1 5 1 , 1 62 s g . M e n ze l I 1 80 s g g . L e a I I I 4 6 2 . Carte l l ieri I 7 3 ,
8 4 . B odmer 29, 5 0 . D i i i 1 74 s g . B err 1 4 . L u d w i g 1 9 . Zatschek 1 5 sg. Fol z , Zur Frage, 3 2 2 sgg.
Mai er, Mittelmeerwelt, 242 sg. Ptirtner 26 sg. B ii ttner, Die A lpenpolitik, 69 sgg. Stei nbach, Das
Frankenreich , 33. Lauterm a n n 866, 870. Ewig, Die friinkischen Tei/ungen, 679 sgg . Id., Die Mero­
winger, 43 sg. B l e i ber, Das Franken reich , 1 26 sgg. B u n d 26 1 . P o n t a l 1 1 9 .

G reg. Tur. 4,47 ; 5 ,44. S c h u l tze II 1 48 sgg. Berr 1 4 . Carte l l ieri I 73 sg. S c h ubert, Gesch ich te der
ch ristlichen Kirche l, 1 5 1 sgg . , spec ial mente 1 5 3 . Zatschek 1 7 . Maier, ibid. , 242 s g . Dannenbauer
I I 62. Stei nbac h , ibid. , 22.
10 Greg . Tur 5 , 1 ; 5 , 1 4 ; 5 , 1 8 sg . ; 8 , 3 1 ; 9 , 8 ; 9 , 1 0; 9, 1 4 ; 9 , 2 3 ; 1 0, 1 9 . Fredeg. 3,74; 3 , 7 8 . LMA I I 1 8 1 6 ,
I V 1 794 sg. D i i i 1 24, 1 34 , 1 84 . Carte l l ieri I 7 3 . Zatschek 1 6 sg. Sprigade, Die Ein weisung, 2 1 s g .
Schneider, Kiin igswah/, 94 s g g . Stei nbac h , ibid. , 3 3 . Grau s, Ober die sogenannte germanische Treue,
l 05 . Ewig, Di e friinkischen Teilungen , 6 8 1 . Id., Di e Merowingerzeit, 54. Id., Studi e n zur merowin­
gischen Dynastie, 1 9 . Id., Die Merowinger, 44. Grah n-Hoek, Di e friinkische Obersch icht, 20 l .
B u n d 264 s g . , 265 sgg. Pontal 1 1 8 sg. B le i ber, Das Frankenreich , 1 2 8 .
11 G reg . Tur. 6,46; 7 , 3 3 ; 1 0, 1 9 . Fredeg. 3 , 9 3 . U l l stei n , Weltgeschichte, I I 1 3 . S c h u l tze I I 1 4 8 . Zatschek
1 6 sgg. S t e i n bach, Das Frankenreich , 3 3 sg. Ewig, Die friinkischen Teilungen , 6 8 2 sg., 7 1 4 . I d . ,
D i e Merowingerzeit, 54. I d . , D i e Merowinger, 45 sg. Grah n - Hoek, D i e friinkische Oberschicht,
220 sgg. B l e i ber, ibid. , 1 2 8 sg. Bund 270 sg.
12
Greg. Tur. 6,46. Fredeg. 3 , 9 3 . Menzel I 1 8 2 . Ewig, Die Mero winger, 47.
" Greg . Tu r. 4,50; 5 , 3 9 ; 6 , 3 1 ; l O, 1 9 . S c h u l tze I I 1 45 sg., 1 5 1 s g . , 1 5 5 sg., 1 66 sgg. Bodmer 34, 200.
B u n d , Th ronsturz, 269 sgg.
14
G reg . Tu r. 7 , 4 sgg . ; 7 , 44; 9,8. L M A I I 1 8 1 6 . Steinbac h , ibid. , 3 4 . E w i g , Di e friinkischen Tei/ungen ,
7 1 4. I d . , Die Merowinger, 4 7 .
" B l e i ber, D a s Frankenreich , 1 26 sgg . , 1 3 6 s g g .
"' G reg . Tur. 5 ,49 ; 6,24; 7 , 2 8 ; 7 , 3 0 sg . ; 7 , 3 6 ; 8 , 2 ; 8 , 7 . Fredeg. 3 , 8 9 . LMA I V 1 9 89, 1 79 2 . E w i g , Die
Merowinger, 45, 4 7 . B l e i ber, ibid. , 1 29 sg. Scheibelrei ter, Der Bischof, 226. Cfr. anche l a nota
seguente.
17 G reg . Tur. 6,36; 7 , 1 0 ; 7,27 sgg . ; 7,34 sgg . ; 7 , 3 8 ; 8,2; 9, 2 1 . Fredeg. 3,89. LTh K I V 1 7 5 0 . LMA III
84, I V 1 79 2 , 1 794 sg. S c h u l tze I I 1 3 5 , 1 54 s g . , 1 6 1 . Bodmer 15 sg., 50 s g . Diii 1 95 sgg. B ii ttner,
Di e A lpenpolitik, 7 3 sg. Spri gade, Di e Ein weisung, 1 9 sg. I d . , A bschneiden, 1 47 sg. A n t o n , Fiirsten ­
spiege/, 5 3 . Ztill ner, Die politische Stellung, 1 1 3 . Steinbach, Das Frankenreich , 3 4 . E w i g , Die
friinkischen Teilungen , 683 sgg . , 703 sgg. I d . , Die Merowingerzeit, 54. I d . , Die Merowinger und
das lmperium, 3 3 sgg. I d . , Zum christlichen Kiin igsgedanken, 1 9 . Id., Die Merowinger, 47 sg. B u n d
2 7 7 s g g . Grah n-Hoek, Di e friinkische Oberschicht, 2 3 2 sgg.
10 Greg . Tur. 5 ,4 9 ; 6 , 3 1 ; 7 , 1 0 ; 7 , 3 5 ; 7 , 3 8 . S c h u l tze II 1 47 . Berr 1 5 .
19 Greg . Tur. 4,25 ; 5 , 1 7 ; 5 , 3 5 ; 9,20. Fredeg. 3 , 8 2 . Daniei-Rops 3 1 7 .
20
Greg . Tur. 9 , 9 ; 1 0, 1 9 . Ved i anche la nota seguente.
21 Greg . Tur. 9 , I l ; 9 , 20. E w i g , Di e Me rowinger, 4 8 , 50. B l e i ber, Das Frankenreich , 1 3 2 .
22
M ar. Ave n i . , chron. ad ann. 5 6 9 ; 5 7 4 . Greg . Tur. 4 , 4 2 . Fredeg. 3 , 6 8 . S c h u l tze I I 1 29 sg. Hartman n ,
Geschichte /taliens, I I , 5 6 sgg. H o l t z m a n n , ltalienpolitik, 1 7 s g . , 2 1 s g . B iittner, Di e A lpenpolitik,
7 9 sgg. Ltihlein 5 3 sgg.
" JK 1 048 ( M G Epist. I I I 448 n ° 9 ) . M i gne 7 2 , 705. Cfr. anche l a I I epist. d i Pelagio a A u n achar del
586: J K 1 05 7 ( M G epist. III 449, n o I O) . M igne 7 2 , 744. LTh K V I I I 1 66. Fichti nger 3 1 2 . Kel l y 79.
Hart m a n n , ibid. , I I , 1 67 .
Note 95

24 Wetzer/We l te V I I I 264. LThk V I I I ' 66. LMA I I I 1 3 8 2 . Denzi nger, Ench iridion Symbolorum, 1 1 3
sgg . N U M 246 s g . Kel l y 7 9 . Hartmann, ibid. , l, 3 9 7 sgg. Seppe l t II 1 3 .
25 Greg . Tur 6,42; 8 , 1 8 ; 9 , 2 5 . Fredeg . 3 , 9 2 . Pau ! . D i ac . , h ist. Lan g . , 3 , 1 7 ; 3 , 2 2 ; 3 , 2 8 sgg. Joh. B i c l ar.
ann . 584. LMA II 1 8 1 6. Schultze II 1 3 1 sg. Hartmann, ibid., II 6 1 sgg. Kornemann I I 4 5 5 . Holtzmann,
Jtalienpolitik, 22 sgg. B ii ttner, Die A lpenpolitik, 1 6 sg. Id., Friihm ittelalterliches Christentum, 1 26 .
26 Greg. Tur. 9 , 1 1 ; 9,20; 9,25 ; 9,29. Pau l . D i ac . , hist. Lang . , 3 , 2 2 ; 3 , 2 9 . S c h u l tze I I 1 3 1 . Hartmann,
Gesch ichte Jtaliens, I l , 69 sgg. B ii ttner, Friihmittelalterliches Christentum . 1 26 .
27 Greg. Tur. 9 , 2 9 ; l 0 , 3 . Pau ! . D i ac . , h is t . Lan g . , 3 , 3 1 . Fredeg . 4,45 . S c h u l tze I I 1 3 1 sg. Hartmann,
ibid. , I l , 7 2 sgg. Holtzmann, ibid. , 25 sgg. B ii ttner, Di e A lpenpolitik, 7 7 sgg. I d . , Friimittelalterliches
Christentum, 1 26 sgg. E w i g , Die Merowinger, 49. M i s c h 1 1 6 .
CAPITOLO VI.

I VISIGOTI DIVENTANO CATTOLICI

"Nessun altro paese del mondo occidentale conobbe


come la Spagna una p las matura tanto profonda e duratura
ad opera del Cristianesimo".
(William Culican) 1

"In epoca cattolica il clero ispano-romano conseguì u n ' influenza straordinaria . . .


L a squisita cultura del l ' alto clero toledano e i l carattere moderato dei sovrani,
sempre fervidamente intesi a orientarsi secondo le decisioni dei Concili di Toledo,
furono le cause naturali di questa pratica forma di governo .. . .
"

(Antonio Bal lesteros y Beretta) 2 137


98 l Visigoti diventano cattolici

LA FONDAZIONE DEL REGNO DEI VISIGOTI IN SPAGNA

In seguito alla disfatta presso Poitiers del 507 ad opera di Clodoveo (v. pag. 44 ss.),
crollò il grande regno di Tolosa, e i Visigoti, cacciati quasi totalmente dalla Francia
meridionale, si concentrarono in Spagna, dove avevano conquistato le differenti pro­
vince una dopo l ' altra. Dal 473, infatti, erano padroni di tutto il paese, ad eccezione del
piccolo regno degli Svevi e dei territori baschi di Biscaglia; la loro nuova capitale
divenne Toledo.
Benché anche i Visigoti fossero cristiani da lungo tempo, secondo Gregorio di Tours
avevano "l' abitudine ripugnante di uccidere un re sgradito e di insediarne uno di loro
gradimento" . Effettivamente il regicidio i mperversava, e l ' assassinio e l ' omicidio
premeditato erano "all' ordine del giorno" (Claude): 17 dei complessivi 35 sovrani
visigoti furono ammazzati o deposti. Dopo la fine della dinastia di Eurico, furono passati
a fil di spada uno dopo l ' altro Amalarico nel 53 1 , Teudi nel 548, Teudegiselo nel 549,
chi al mercato, che dentro il palazzo reale, chi durante un banchetto.
La chiesa cattolica però si considerava una comunità assolutamente giusta e poteva
liberamente espandersi: "Quantunque eretico" - così scrive il vescovo Isidoro di Siviglia
a proposito di Teudi - "garantì la pace alla Chiesa e concesse ai vescovi cattolici persino
il permesso . . . di disporre in assoluta libertà di ciò ch' era necessario all ' ordinamento
disciplinare della chiesa" . Con l ' eccezione di Eurico, i re ariani furono tolleranti ; e lo
1 39 fu anche il successore di Teudegiselo, Agila, contro il quale si ribellò nel 5 5 1 i l nobile
Atanagildo, apertamente sostenuto dalla romanità cattolica del sud. E poiché in questa
guerra intestina contro il re legittimo non fu in grado di prevalere, fece intervenire le
truppe imperiali di Giustiniano "che poi non fu più in grado di allontanare dal regno,
nonostante tutti gli sforzi. E le battaglie con loro continuano fino al giorno d ' oggi",
scrive il vescovo Isidoro.
Così , nel l ' estate del 552 sbarcò un esercito al comando del patricius Liberi o, che in
breve tempo occupò tutto il sud-est della Spagna (Malaga, Cartagena, Cordoba) e nel
554, insieme con Atanagildo, presso Siviglia, inflisse una grave sconfitta a re Agila,
che nella primavera del 555 venne assassinato a Merida dal suo seguito, ormai passato
dalla parte di Atanagildo, il primo antiré in piena regola della storia dei Visigoti . Poco
prima che questi, impegnato contro gli ex-alleati bizantini, morisse a Toledo nel 567
( l ' unico dopo Eurico a spirare nel suo letto), per far pace coi Franchi maritò le due
figlie Brunechilde e Gelesvinta coi cattolici Sigeberto di Reims e Chilperico di Soissons
(v. pag. 82). 4
Il successore Liuva I, innalzato al trono alla fine del 567 a Narbona, l ' anno successivo
nominò come suo successore, anzi, coreggente il fratello Leovigi ldo (568-5 86), che
alla morte di Liuva nel 572 divenne sovrano unico e nel 573 scelse come coreggenti i
due figli Ermenegildo e Reccaredo. 5
La cattolicizzazione degli Svevi 99

La rifondazione dell' autorità regia da parte di Leovigildo riuscì non senza brutalità,
se bisogna credere ai cronisti cattolici: "Egli uccise i personaggi più eminenti e potenti
o ne confiscò i beni, esiliandoli e mettendoli al bando" - scrive Isidoro; e Gregorio di
Tours sostiene a sua volta: "Leovigildo ammazzò tutti quelli che erano ormai abituati
ad elimianre i re, e non lasciò vivo nessun maschio". 6
Il monarca cristiano combattè una guerra dopo l ' altra: nel 570/57 1 respinse le
guarnigioni bizantine nel sud-est; nel 572 prese Cordoba, quindi debellò una dopo 1 40
l ' altra le popolazioni circumvicine, soffocando qualsiasi autonomia regionale; nel 574
sottomise la Cantabria, nel 5 8 1 conquistò i territori baschi e nel 585 annientò il regno
degli Svevi. 7

LA CATTOLICIZZAZIONE DEGLI SVEVI

Gli Svevi, inizialmente residenti nella regione della Havel e della Sprea, menzionati
per la prima volta da Cesare, nel 409, guidati dal re Ermerico, assieme agli Alani e ai
Vandali giunsero in Spagna, dove nel nord e nel nord-est costituirono un regno con al
centro la provincia romana di Gallaecia (Galizia) . Diventati cattolici sotto il re Rechiar
(circa 450), in 1 50 anni, di cui sappiamo pochissimo, mutarono quattro volte la loro
confessione: ariani, cattolici, di nuovo ariani e, assorbiti dai Visigoti, di nuovo definiti­
vamente cattolici dal 589. 8
Questo frequente mutamento di fede dimostra che per gli Svevi la confessione aveva
scarsa rilevanza. Da pagani non perseguitarono i cristiani, da ariani non perseguitarono
i cattolici; e da cattolici facevano le guerre come i pagani o gli ariani. Il loro primo re
cattolico Rechiar (448-456) sposò una principessa ariana, la figlia di Teoderico I,
intraprendendo poi scorrerie e razzie più di quante ne avesse fatte il padre pagano:
saccheggiò e devastò il paese basco, il territorio di Saragozza, la Provincia Carthagi­
niensis e più volte in maniera terribile (violando un trattato di pace) la Provincia Tarraco­
nensis, trascinando via un gran numero di schiavi. Alla fine venne debellato e giustizia­
to dal visigoto Teoderico Il, che si era ripetutamente e inutilmente lamentato con lui. 9
Nel 457 i Visigoti pri ma i mposero, poi liquidarono il governatore degli Svevi
Agivulfo, che cercava di rendersi indipendente. Il suo avversario, il re degli Svevi
Maldra, un fratricida, venne assassinato fra il 45 8 e il 460, a quanto pare dal nipote 141
Frumari, alla cui vita attentò poi inutilmente il figlio di Maldra, Remismundo. 10
Un cristianesimo davvero gaio, come dappertutto: anche presso i Visigoti , dove
Leovigildo oppresse i contadini scorticati dai balzelli e perciò ostili, saccheggiando,
conquistando e incorporando nel regno le regioni tutt' intorno.
1 00 l Visigoti diventano cattolici

L'ARIANO LEOVIGILDO E L 'OPPOSIZIONE CATTOLICA

Ma in questo modo Leovigildo, l ' ultimo re ariano dei Visigoti, rinvigorì l ' autorità della
corona: migliorò i l sistema monetario, riordinò il sistema legislativo, colmandone le
lacune ed eliminandone il superfluo e, primo principe germanico, fondò nuove città (la
più importante, sul corso superiore del Tago, fu da lui chiamata Reccapolis, dal nome
del figlio Reccaredo ). Durante il suo governo quasi ventennale consolidò il regno, che
rischiava di frantumarsi; lo stesso s. Isidoro di Siviglia, il quale attribuì i successi di
Leovigildo al favore del destino e al valore del suo esercito, ammette che i Goti, prima
ridotti dentro una piccola regione della Spagna, con lui divennero signori della gran
parte della penisola iberica: "Solo la devianza eretica oscurò la gloria di tale audacia". 1 1
Naturalmente era proprio questo il punto decisivo: "il veleno corruttore di questa
dottrina, la peste mortifera del l 'eresia. Dominato dal furore della miscredenza, perseguitò
i Cattolici e mise al bando la maggior parte dei vescovi ; privò le chiese delle loro
entrate e dei loro privilegi, col terrore indusse molti ad abbracciare la peste ariana, e
moltissimi altri sedusse senza coazione col denaro e coi doni. Tra le altre eretiche
nefandezze, osò persino ribattezzare i Cattolici, e non soltanto i laici, ma anche i membri
del clero, come Vincenzo di Caesaraugusta, che da vescovo divenne apostata e, per
1 42 così dire, dal cielo fu precipitato nell ' inferno". 1 2
I n realtà, Leovigildo perseguì a lungo una politica dichiaratamente distensiva nei
confronti del cattolicesimo, intollerante per sua natura, che nel regno visigoto era andato
via via consolidandosi ; tanto che durante il suo governo furono fondati molti conventi
e numerose chiese cattoliche. Il re in persona donò un latifondo all ' abate Nanctus e ai
suoi monaci, provenienti dall ' Africa, e anche sotto il profi lo teologico fece alcune
concessioni intorno alla dottrina trinitaria.
Leovigildo non si astenne nemmeno dal pregare nelle loro chiese e presso le tombe
dei loro martiri : "Con tutta evidenza intendeva perseguire . . . un accomodamento pacifico"
(Haendler). Ma quando tali tentati vi di conciliazione risultarono vani, egli potè reagire
duramente ed espropriare in favore degli ariani le entrate e le proprietà delle chiese
cattoliche; in ogni caso, tali atti non furono diretti contro i cattolici come tali, ma soltanto
contro il clero, e la punizione più severa che conosciamo fu l ' esilio, non l ' esecuzione
capitale, come sostiene Gregorio di Tours. Persino negli anni della ribellione dei cattolici
fra i l 5 80 e il 585 la religio Romana subì sicuramente danni, ma mai irreparabili. 1 3
Leovigildo, che aveva due figli di primo letto, nel 579 fece sposare Ermenegildo
con la giovane principessa franca Ingunda, figlia di Sigeberto I di Metz e di Brunechilde,
(in precedenza costei e la sorella Gelesvinta, entrambe ariane della casa reale visigota,
una volta maritate coi re franchi Sigeberto I e Chilperico I erano passate al cattolicesimo).
Naturalmente adesso ci si attendeva la conversione all ' arianesimo della cattolica
Ingunda. Ma non appena all ' inizio del 579 la dodicenne principessa ebbe posto piede
Un ribelle e traditore diventa Santo 101

dentro i confini del regno dei Visigoti, il vescovo Fronimio d i Agde l e s i fece incontro,
esortandola "a non lasciarsi mai contaminare dal veleno della fede eretica". 1 4
E anche in seguito i cattolici della corte di Tolosa non cessarono di scongiurare la
sposa: come spesso anche prima, la contrapposizione confessionale minacciò (e divise)
i l regno visigoto. La madre di Ermenegildo era figlia del generale Severiano, a capo
della Carthaginiensis, la provincia meridionale bizantina e fervidamente cattolica. Gli 1 43
zii erano i tre vescovi cattolici Leandro, Fulgenzio e Isidoro di Siviglia; ma la seconda
moglie di Leovigildo, Goswintha, vedova del predecessore Atanagildo (pag. 98), ariana
fervente, cercò immediatamente di convertire Ingunda ali ' arianesimo, dapprima ama­
bilmente, poi, secondo Gregorio, a pugni e a calci ; la calpestò a sangue e una notte la
fece gettare dentro una peschiera. Leovigildo in persona dovette intervenire e separare
le contendenti, allontanando la giovane coppia a Siviglia, dove Ermenegildo aveva la
sua residenza di luogotenente del padre. 1 5

UN RIBELLE E TRADITORE DIVENTA SANTO

A Siviglia il monaco Leandro, poi vescovo e arcivescovo, fratello della madre di Ermene­
gildo, si installò a fianco della principessa franca, la quale finì col ritrovarsi sotto il
manto di un' intera famiglia di santi (di discendenza ispano-bizantina) . S . Leandro,
infatti, era fratello e predecessore di s. Isidoro (arcivescovo di Siviglia), fratello anche
del vescovo Fulgenzio di Astigi (Acija) e di santa Fiorentina. Era impossibile che il
cattolicesimo non rifiorisse !
Al nostro s. Leandro riuscì un colpo doppio: la conversione di Ermenegi ldo al
cattolicesimo nel 579 e la ribellione al padre nel 580. In precedenza poi il primo santo
spagnolo di schiatta regale si era assicurata la collaborazione dei regni vicini e ostili:
della cattolica B i sanzio, cui cedette i territori conqui stati dal padre in Andalusia
(compresa Cordoba), del cattolico re dei Franchi e del cattolico re degli Svevi, Miro.
Solo dopo che "quest' uomo giovane ed eroico" (Grisar, gesuita) ebbe così tradito la
fiducia del padre, accerchiandolo da tre lati, a Siviglia si autoproclamò re, trasse dalla
sua parte altre città e castelli e nel l ' inverno del 579/5 80 attaccò Leovigildo, che venne
colto assolutamente di sorpresa. Ma questi, nonostante le gravi difficoltà iniziali, riuscì 1 44
a dividere gli avversari con la diplomazia: dopo aver combattuto i Bachi nel 58 1 , alleati
forse di Ermenegildo, indusse alla defezione i Bizantini con la notevole somma di
30.000 solidi e nel 583 cinse d' assedio Siviglia. 1 6
San Leandro, esiliato d a Leovigildo a causa della evidente istigazione alla rivolta,
nel frattempo si era rifugiato a Costantinopoli, dove i Bizantini mandarono anche
lngunda col figlioletto Atanagildo, ma lei morì durante il viaggio e Atanagildo pochi
anni dopo a Costantinopoli. L' arcivescovo Leandro, che in città aveva conosciuto e
1 02 l Visigoti diventano cattolici

fatto amicizia col futuro papa Gregorio l, cercò di indurre l ' imperatore Tiberio a un
intervento militare a favore di Ermenegi ldo, ma non ebbe fortuna, anche perché non
c ' erano truppe disponibili per la Spagna. 1 7
Nella primavera del 5 84 venne meno la resistenza di Siviglia. Il cattolico re degli
Svevi Miro, il quale aveva combattutto già in precedenza contro Leovigildo, anche
grazie all ' alleanza antigotica coi Franchi del 574, venne circondato da Leovigildo mentre
si dirigeva a Siviglia, sconfitto e reso suo vassallo, così che nel 585 il paese degli Svevi
fu annesso al regno visigoto.
Ermenegildo aveva abbandonato Siviglia prima della resa, cercando rifugio presso i
B izantini di Cordova, che però abbandonarono l ' alleato, !asciandolo al suo destino
dietro pagamento di una grossa somma di denaro e riprendendosi i territori occupati
·
dal 579. Ermenegildo, bandito a Valencia e a Tarragona, dopo numerosi ma inutili
tentativi di riconciliazione di Leovigildo, fu ucciso nel 5 8 5 . Eppure il fratello Reccaredo
aveva giurato che non gli sarebbe accaduto nulla di male.
Le motivazioni sono poco chiare, ed è anche incerto se vi sia stato lo zampino di
Leovigildo: in ogni caso, fu una "passione", "degna degli antichi martiri" (Daniel­
Rops). "Accecato dal l ' ira" - sostiene questo storiografo cattolico - "alla fine Leovigildo
impartì l ' ordine e il duca Sisberto decapitò Ermenegildo in prigione. Era la vigilia di
Pasqua del 5 8 5 , una bella giornata per morire come un martire". Evidentemente non si
1 45 rende conto del l ' ironia delle sue stesse parole: "Il Sabato Santo dell ' anno 585 fu l ' alba
sanguinosa del cattolicesimo spagnolo" . 1 8
Già papa Gregorio I sostiene che la morte di Ermenegildo fu dovuta al suo fermo
rifiuto di diventare ariano e di prendere la comunione pasquale dalle mani di un vescovo
arian o ! Egli fa di questo figlio sleale e ribelle, il "re Ermenegildo", un martire cattolico,
una vittima innocente del fanatismo ariano. E quanto più ci si allontana dagli eventi,
dai fatti concreti, tanto più immacolata risplende sul capo del traditore l ' aureola santi­
ficante, e al la fine, nel 1 5 86, Sisto V, "il papa di ferro", lo innalza agli onori degli altari .
Ma, pur gettato in prigione dal padre, Reccaredo, subito dopo anch 'egli cattolicizzato,
non trovò alcuna giustificazione per il fratello: infatti, "quale giusto motivo poteva
sussistere per levare le armi contro il proprio padre?".
Persino agli occhi dei vescovi cattolici Johann di Biclaro, Gregorio di Tours e Isidoro
di S iviglia, Ermenegildo non è che un ribelle sconfitto in una sanguinosa guerra civile,
e tutti e tre lo definiscono "rivoltoso". Il vescovo Johann, una volta esiliato da Leovigildo,
tuttavia elenca anno per anno con aperta soddisfazione le sconfitte di questo figlio
infedele; e anche il vescovo Gregorio, che sopravvisse a Ermenegildo di circa dieci
anni , non riesce a vedere (insieme alla maggior parte degli autori antichi, anche cattolici)
nel perfido principe un santo, e una volta lo chiama addirittura "miserabile" (miser),
condannandolo con decisione (sebbene, alla luce del celebre motto di Helvétius circa
le migliaia di malfattori santificati , costui santo lo è sin troppo. 1 9
Un ribelle e traditore diventa Santo 1 03

In Francia i parenti cattolici di Ingunda, ai quali per altro non i mportava granché il
versamento di un po' di sangue, ora si levarono piuttosto sdegnati; e il re Guntram, il
santo, iniziò una guerra di logoramento soprattutto intorno a Nimes e a Narbona, in
apparenza, naturalmente, a causa dell ' esecuzione di Ermenegi ldo, ma in realtà per
impadronirsi del Setti mani o (l' odierna Languedoc ). Anche Childeberto Il, figlio di 1 46
Brunechilde, vi partecipò in quanto fratello di Ingunda, mentre Fredegonda cercò di
intessere rapporti con Leovigildo.
Dopo scrupolosa preparazione, nel 585 un esercito burgundo penetrò nella regione
del Rodano mettendola a ferro e a fuoco, contemporaneamente un' armata aquitana
avanzò nel Settimanio, mentre una flotta salpava verso la Galizia ( Gallaecia ). Ma questa
"armada" di Guntram venne completamente distrutta e l ' esercito invasore fu pesante­
mente sconfitto presso Carcassonne: secondo Gregorio, perirono 5000 Franchi e più di
2000 caddero prigionieri . Le due spedizioni franche furono respinte in territorio franco
dai Visigoti di Reccaredo, dove, come al solito, si abbandonarono a innumerevoli crudeltà
e a ogni sorta di ruberia, soprattutto in Provenza, che, sulla via del ritorno, fu poi
devastata e saccheggiata anche dal figlio di Leovigildo, Reccaredo. 2 0
Leovigildo, dopo iniziali tentativi di mediazione fra le due confessioni, perseguì
comprensibilmente una politica duramente anticattolica, servendosi anche della chiesa
ariana da lui controllata, al punto da deciderne in ultima istanza anche le questioni
dogmatiche. Inoltre cercò di ricondurre all ' arianesi mo gli Svevi, diventati suoi sudditi .
Sopraffatto da una grave malattia nel 586, si racconta che sul letto di morte si fece
cattolico, ma si tratta di una delle abituali bugie messe in giro dagli ambienti cattolici
subito dopo la sua morte.
Nella tradizione ecclesiastica l ' ultimo re ariano dei Goti (e uno dei più eminenti)
appare quasi sempre come l ' Anticristo in persona, "ricolmo della follìa dell ' empietà
ariana", come scrive Isidoro di Siviglia, cognato del sovrano. "Spinse molti tra le braccia
della peste ariana con la violenza, ma i più furono da lui privati della salvezza senza
persecuzioni, mediante la seduzione dell' oro e dei doni". Ancora nel XX secolo il gesuita
Grisar censura aspramente Leovigildo, definendolo "padre snaturato" e vaneggiando:
"Come ai tempi dei primi martiri, esaltati dallo spagnolo Prudenzio in modo così
toccante, allora le pubbliche prigioni si riempirono nuovamente; molti vennero fustigati
e uccisi tra mille tormenti". In realtà, invece, "non si può assolutamente parlare di 1 47
persecuzione . . . in casi estremi si comminarono esilii" 2 1

" • • • ACCESO DAL FERVORE DELLA FEDE" OVVERO "NON DIVENTERÒ MAI CATTOLICO"

Appena un anno dopo la morte di Leovigi ldo, il figlio Reccaredo (5 86-60 1 ), (mezzo
Goto, come Ermenegildo), passò al cattolicesimo, ma certamente non per motivi
1 04 l Visigoti di ventano cattolici

religiosi: infatti, per il consolidamento della sua politica estera e interna volle come
alleata la chiesa più forte, poichè intese aggiungere alla salda unità statuale creata dal
padre anche una compattezza religiosa.
Reccaredo, il cattolico, era naturalmente di tutt' altra tempra, "un uomo pio e del
tutto diverso dal padre"; - ci assicura Isidoro - "Un uomo di pace, di fede. Infatti
subito all ' inizio del suo regno passò alla fede cattolica e indusse l ' intero popolo dei
Goti a scuotersi di dosso la radicata peste d eli' eresia . . . Dichiarò forte e chiaro che le tre
Persone in Dio sono una cosa sola e che il Figlio è "consubstantialis" al Padre.". Oh,
"L' uomo di fede", "di pace", il "principe pio" ! "Era dolce e mite, di straordinaria bontà
di cuore" ; - continua sant' lsidoro - "Era talmente magnanimo . . . , talmente mite, che
spesso esentava il popolo dai tributi . Donava a molti dei beni, moltissimi innalzava in
rango e dignità. Divideva il proprio denaro fra i poveri , e i suoi tesori fra i bisognosi . . . ".
Sì, tutto ciò "per il bene di tutti", e soprattutto per il bene del clero, naturalmente.
Infatti, rese ovviamente alla santa chiesa ciò che le apparteneva, "i patrimoni della
Chiesa che l ' empia avidità del padre aveva assegnato al fisco . . . ". Ma non restituì
null ' altro, si tenne tutto, tutto quel che il vecchio sovrano aveva preso e rubato; tutto
1 48 ciò che "suo padre aveva conquistato restò nel suo regno . . . ".
Ma le nobili azioni non finiscono qui: "Condusse gloriose guerre contro popoli nemici,
e la sua fede gliene diede la forza"; una forza tale che "l ' uomo di pace" una volta "fece
ammazzare in battaglia migl iaia di nemici", che del resto erano Franchi, cioé cattolici.
Già, la forza "della fede" ! e "della pace" ! Egli impugnò spesso la spada "anche contro
gli assalti dei Romani", pari menti cattolici, "e contro le scorrerie dei Baschi. Così non
solo conduceva le guerre, ma pareva che educasse il suo popolo alla prontezza guerresca
attraverso l ' esercizio . . . " . 22
Non è una fede magnifica? Una magnifica religione? Una grandiosa storiografia?
Questa effusione sentimentale di un vescovo, di un santo, di un dottore della chiesa, una
mistura unica di sfrontatezza, di contraddittorietà e di ipocrisia: in una parola: Cattolica !
Ora l ' arianesimo crollò in tutto il regno, ma non senza violenti contrasti, rivolte
attizzate da vescovi e conti, soprattutto nel Settimanio e nel paese già degli Svevi.
Una parte dell' episcopato ariano passò immediatamente dalla parte di Reccaredo,
ma la popolazione, di cui il re pretendeva del pari la conversione, esitò. A Narbonne si
verificò una sanguinosa rivolta, guidata dal vescovo ariano Athaloc e dai due ricchi
conti Granista e Wildigern, cui giunsero in soccorso persino i Franchi, ovviamente,
secondo un' abitudine antica, "per pescare nel torbido" (Dannenbauer), ma questa volta
senza risultati . Nel 588 Reccaredo cacciò in esilio, dopo avergli mozzato le mani, il
capo di un' altra congiura, il conte Segga, alleato con Sunna, vescovo ariano di Merida. 2 3
Al principio del 589 divampò una ribellione anche nella capitale: Goswintha, vedova
di Leovigildo, e il vescovo ariano di Toledo, Uldida, entrambi da poco diventati cattolici,
si convertirono di nuovo all' arianesimo. Uldida venne mandato in esilio, come molti
" . . . acceso dal fe rvore della fede " 1 05

altri vescovi ariani, e l ' anziana regina "morì" subito dopo, probabilmente di morte non
naturale. L' anno successivo, una cospirazione mirante a porre sul trono il dux Argimundo 1 49
al posto di Reccaredo si concluse con un' esecuzione capitale, mentre Argimundo
frustato, tosato, e mutilato venne trascinato per Toledo in sella a un asino. 24
Infine - scrive il vescovo Isidoro - i Goti, che un tempo avevano succhiato tanto
avidamente "il veleno mortale" dell' arianesimo, "l 'eresia" a lungo coltivata, si preoccu­
parono "della salvezza dell' anima, si liberarono dell' errore in loro così radicato e giunsero
per grazia di Cristo alla fede cattolica, l' unica che garantisce la beatitudine". Alleluja! 25
Nel terzo Concilio di Toledo del maggio 589, degnamente preparato da un triduo di
digiuno per ordine del re, una parte degli ariani passò al vincitore. Il sovrano dichiarò il
cattolicesimo religione ufficiale dello stato e diede il via alla rapida e totale estirpazione
dell' arianesimo, disperdendo i suoi organismi ecclesiastici, escludendo gli ariani da tutti
i pubblici uffici e bruciando i loro libri sacri . Reccaredo poté dichiarare non a torto:
"Anch' io, come vedete dalle mie azioni, sono acceso dal fervore della fede . . . ". Lo storico
madrileno Antonio Ballesteros y Bereta sostiene: "Con la conversione del re Reccaredo
ebbero termine le persecuzioni, e per la chiesa spagnola ebbe inizio uno dei tempi del
suo massimo splendore". In realtà, Reccaredo e i suoi vescovi perseguitarono gli ariani
con tale radicalità, che dopo il suo governo in Spagna di loro non si sentì più parlare. 2 6
E i vescovi, capeggiati niente meno che da Leandro di Siviglia, "l ' anima di questa
assemblea" (Ballesteros), che al Concilio parlò "de triumpho ecclesiae ob conversionem
Gothorum", furono ovviamente entusiasti di Reccaredo, che considerò se stesso "Re­
Apostolo" . A lui riconobbero "apostolica benemerenza" e "funzione apostolica"; lo
esaltarono come veramente cattolico, "novello Costantino" e "Re santi ssimo"; lo
reputarono eguale all ' imperatore e "ricolmo di spirito divino".
Il Concilio, durante il quale una piccola parte dei prelati eretici, quattro visigoti e
quattro svevi, insieme ad altri preti e ad eminenti membri della nobiltà, si convertirono ISO
al cattolicesimo, condannò l ' arianesimo, espose gli Ebrei a gravi coercizioni, inasprì la
schiavitù ecclesiastica a tutto vantaggio del patri monio della chiesa, insomma, fondò
in Spagna uno stato cattolico-clericale, comprendente ormai quasi tutti i sudditi . Il re
dei Visigoti, d' ora in poi consacrato dall' arcivescovo di Toledo, fu considerato "l' Unto
del Signore" ; e dopo la tol leranza della signorìa ariana, nel secolo seguente il cattolice­
simo riempì la Spagna di terrore e di crudeltà. 27
Il metropolita di Siviglia, s. Leandro, allora di sicuro il più influente uomo politico
ecclesiastico di Spagna, fu poi il mediatore dei rapporti fra il re e il papa, cui il neofita
spagnolo scrisse con estrema deferenza, in vero solo tre anni dopo l ' elezione di Gregorio
I, il quale fu pieno di riconoscenza per i "meriti" del sovrano: fece così quel che in
seguito fecero tutti i papi verso i loro illustri galoppini della vicina penisola, fino a Pio
XII e al generale Franco. Gregorio I inviò preziose reliquie e vide le proprie iniziative
missionarie quasi impallidire di fronte ai grandiosi risultati di Reccaredo : "Figlio
1 06 l Visigoti diventano cattolici

eccellentissimo, non posso esprimere con le parole la mia grande gioia per l ' opera che
Tu hai realizzata e per la vita che Tu conduci". Insieme con le reliquie d' obbligo,
pervennero alla corte spagnola le non meno obbligate istruzioni per un giusto governo;
e Reccaredo, che ricambiò il papa con un prezioso calice per s. Pietro, coltivò tali
relazioni non da ultimo a causa del suo conflitto coi B izantini. 2 8
"Era amantissimo della pace, e se conduceva singole guerre, lo faceva quasi
esclusivamente perché il suo popolo non si disabituasse alle armi": così scrive un moderno
cattolico a proposito di Reccaredo, che evidentemente organizzava le sue numerose
campagne belliche (contro Franchi, Burgundi, Bizantini, Baschi) quasi si trattase di una
sorta di sport popolare. E un contemporaneo, s . Isidoro di Si vi glia, a suo tempo reputato
"lume del secolo", non solo esalta Reccaredo, che faceva tosare, frustare, mutilare e
uccidere i nemici, ma anche le arti omicide del suo popolo; infatti "i Goti conservarono
151 la propria libertà più con la lotta che con le pacifiche trattative . . . Essi sono eccellentissimi
nel mestiere delle armi e non solo combattono con lance pesanti, ma anche a cavallo con
giavellotti da lancio. Per altro, sono esperti non soltanto nel combattimento a cavallo,
ma anche nella mischia a piedi. . . Amano molto esercitarsi nel lancio del giavellotto e
nella lotta, e organizzano quotidianamente giochi guerreschi. L' unica pratica bellica, di
cui non avevano esperienza, era quella navale. Ma dopo che il principe Sisebuto fu dalla
grazia celeste elevato al trono, grazie alle sue premure avanzarono tanto in bravura
guerresca che divennero invincibili sia per terra che per mare, e persino i soldati romani
li servirono come subordinati e tanti popoli e l ' intera Spagna obbedirono ai loro ordini".
"Tutti i popoli d' Europa tremano di fronte a loro . . . " . 29
Ed è proprio questo il cattolicesimo, qui proclamato da un santo e dottore della
chiesa ( ! ), che già da duemila anni influisce sulla storia del mondo, o per meglio dire vi
i mperversa: da un lato discorso della montagna, amore per il nemico, pace, gioia;
dal l ' altra lance pesanti, mischie di fanti, combattimenti equestri , battaglie navali . . . e
tutti i popoli tremano !
In combutta coi vescovi, Reccaredo diede il colpo di grazia ali ' arianesimo spagnolo,
facendo della chiesa uno strumento di oppressione, come mai prima era accaduto nella
storia dei Goti . Viene infranta qualsiasi opposizione cristiana, vengono interdetti agli
ariani gli incarichi pubblici, l ' intero patrimonio ecclesiastico ariano è incamerato dai
vescovadi cattolici, viene imposto il celibato al clero convertito.
Ci furono anche conversioni coatte. Una parte dell' episcopato ariano, come il vescovo
Uldida o il metropolita di Merida, Sunna, trovarono la morte in esilio. "Catholicus
numquam e ro " , si dice abbia risposto Sunna alle sollecitazioni di Reccaredo. "Non
diventerò mai Cattolico, ma preferisco anche in futuro vivere nel culto in cui sono
vissuto oppure morire per la fede, alla quale mi sono attenuto fin dalla gioventù ! " .
Tuttavia molti vescovi ariani divennero cattolici, come sotto Leovigildo molti preti
152 cattolici, fra cui il vescovo Vincenzo di Caesaraugusta, erano passati alla chiesa ufficiale
Note 1 07

ariana. Adesso esordì l ' alleanza dello stato con la chiesa cattolica, ebbe inizio quella
che il vescovo Johann di Biclaro definisce la "renovatio", la condotta del "christianis­
simus imperator". Secondo un' antica tradizione cattolica Reccaredo fece i mmediata­
mente bruciare a Toledo pubblicamente, fino all ' u ltima tutte le B ibbie ariane: "In Spagna
non restò nessun testo gotico" (Thompson). 30
Ma ancora una volta tutto questo derivò dallo spirito del tempo, totalmente nel senso
indicato dal santo padre. 1 53

NOTE

Culican 1 89.
2 B a l l esteros 56.
Ch ron. Caesar Aug. a n . 5 3 1 . Jord . , Goth . 58. Greg . Tur. 3,30. Fredeg. 3,42. l s i d . Siv., h ist. Goth . ,
4 0 s g g . L M A I 2 0 6 s g . , I V 1 5 7 3 . H E G I 2 3 6 s g . B u c h n e r, German entum , 1 5 4 . S troheker,
Germanentum, 91, 1 68 , 209 . M a ier, Mittelmeerwelt, 209. Dannenbauer II 2 2 sg. Co nrad 8 0 .
Schiiferdiek, Die Kirche in den Reichen der Westgoten, 22 sg. Thompson, The Goths, 1 2 sgg . , 1 8
sgg . C l aude, Geschichte de r Westgoten, 5 1 s g . I d . , A de/, Kirche, 48 s g . , 5 6 sgg . , 6 3 . B u n d 5 5 4 sgg.
E .anche a proposito d i Eurico, Gert Haendler scri v e : "Non si può parl are d i u n a propaganda v i sigota
a favore del l a confessione omoiusa", i n Die A bendliindische Kirche, 1 05 . Cfr. anche 1 08 .
4 Greg. Tur. 4 , 8 ; 4 , 2 7 . Fredeg . 3 ,47 sg. I s i d . , hist. Goth . , 46 s g . LMA 1 206 . ; 1 1 5 9 , V 1 950. S t roheker,
ibid. , 1 3 5 s g . , 209 sgg. B u c h n er, ibid. , 1 5 5 . Thompso n , ibid. , 1 7 s g . , 324. Claude, Geschichte der
Westgoten . , 58 sg. I d . , Ade/, Kirche, 49 sg. B u n d 5 5 7 sg. A l t a m i ra 1 63 sg.
s Greg. Tur. 4,38. Joh. Bici. ad ann . 568 sg. ; 573. Fredeg. 3,63. Isid., hist. Goth . , 48, 49. Stroheker, ibid., 1 36
sg. B uchner, ibid., 1 36 sg. Thompson, ibid., 1 8 sg., 59. Claude, Ade/, Kirche, 55, 59 sg., 66.
6 Greg. Tur. 4 , 3 8 . I s i d . , hist. Goth . , 5 1 .
Isi d . , h ist. Goth . , 49; 54. LMA V 1 90 3 .
• Hydat. Chron. min . 2 , 2 5 , I s i d . , h ist. Goth . , 85 sgg. HEG I 243 . Schubert, Geschichte der ch ristlichen
Kirche l, 29. L. S c h m i d t , Die Westgerm a n e n , 1 2 8 , 1 9 2 . S c h m i d t , K . D . , Die Beke h rung der
Ostgermanen, 373 sgg. Thompso n , Christianity and the Northern Barba rians, 7 1 . I d . , The end of
Roman Spa in, 1 8 sgg . ( i potizza che i S v e v i si identifi c h i n o con i Quad i ) . Sprigade, Die Ein weisung,
46. Mai er, Mittelmeerwelt, 1 26 sg. Kawerau, Geschichte der mittelalterlichen Kirche , 29.
• I s i d . , h i st. Goth . , 8 7 . Schmidt, K. D . , ibid. , 374 sgg. S c h m i d t , L . , ibid. , 208 s g . , 2 1 7 sgg. B a l lesteros
39 sg. Voigt, Staat, 1 47 . C l aude, Geschichte der Westgoten , 1 24 . B u n d 1 5 9 sg. Sch iiferdiek, Die
Kirche in den Reichen der Westgoten, 82 sgg . , l 08 s g . , 1 1 2 sgg.
"' Isid . , hist. Goth . , 8 8 sgg. Claude, ibid. , 1 24 . Bund 1 6 1 .
11 lsid. , hist. Goth . , 49 sgg. Thompson, The Goths, 49 sgg .
1 2 Isid . , hist. Goth . , 5 0 ; 90.

13 Greg . Tur. 8 , 1 8 ; 6,43 ; in g/or. confess. 1 2 , Joh. Bici. ad an. 5 1 0 agg . , 5 80, 5 84, 5 8 5 . Schubert,
Geschichte der ch ristlichen Kirche, l , 1 74 sg. Schmidt, Di e Bekehrung der Ostgermanen, 309, 3 7 7 .
Schm i dt . , L . , D i e Westgermanen , 2 1 4 s g g . B u c h ner, Germanentum, 1 5 5 . Stroheker, Germanentum,
1 47 sgg . , 1 69 s gg . , 1 7 8 sgg . , 230. C l a u d e , Geschichte de r Wetsgoten, 66 s g . S prigade, Die
Ein weisung, 46 sgg. A l tamira 1 65 sgg . Thompso n , The Goths, 60 sgg . , 87. B u nd 1 62 s g . Haendler,
Die abendliindische Kirche, 1 08 .
• • Greg. Tur. 4,27 sg . ; 5 , 3 8 ; 9,24. Fredeg. 3 , 8 2 . Thompson , ibid. , 1 8 , 6 4 s g . A l tamira 1 68 .
1 08 Note

" Greg. Tu r. 5 , 3 8 . Fredeg. 3,83. Joh. Bici. ad an. 579. Giesecke, Die Ostgermanen, l 05 sg. Stroheker, ibid.,
1 52, 1 66. Daniei-Rops 257, 26 1 sg. Thompson, The Conversion, I l . I d . , The Goths, 64 sg. Altamira 1 68 .
16
Greg . Tur. 5 3 8 ; 6, 1 8 ; 6,40; 6,43 ; in glor. confess. 1 2 . Joh. Bici. ad a n . 5 1 4 ; 5 8 1 sgg. Fredeg. 3 , 8 7 .
I s i d . , hist. Goth . , 4 9 . LMA I V 1 77 6 . Gri sar, Rom , 692 . S c h m i d t , Die Westgermanen, l , 2 1 5 s g .
S c h m idt, D i e Bekehrung der Ostgermanen, 3 0 8 sgg . , 3 7 8 . Giesecke, ibid. , 1 06 sg. S troheker, ibid. ,
1 5 2 s g . , 1 7 3 , 1 8 2 sgg . , 2 1 8 s g . Daniei-Rops 2 5 7 . C u l ican 1 92 s g . Thompson , The Goths, 65 s g . , 6 8
sgg. Claude, Geschichte der Westgoten, 6 8 . B u n d 599 sgg. A l t a m i ra 1 69 s g .
17 G reg . Tur. 6,43 . Fredeg. 3 , 8 7 . Gregor I , Praev. Mora/. in /ob ( PL 7 5 , 5 1 0 sg . ) P a u l D i ac . , Hist.
Lang . , 3 ,2 1 . RAC V 1 7 7 6 . H artma n n , Geschichte /taliens II 1 75 . Caspar II 3 5 6 . S troheker, ibid. ,
1 7 7 , 1 8 5 . Thompson, The Conversion, 1 4 . I d . , The Goths , 65 sg. Reydel let 49.
18
Greg. Tur. 5 , 3 8 ; 6, 1 8 ; 6,40; 6,43 ; 8 , 2 8 . Joh. Bici. ad a n . 5 84. J s i d . , hist. Goth . , 49. Kel l er, Reclams
Lexikon, 250 sg. ( l eggendariamente trav isato ) . Giesecke l 08 sg. Stroheker, ibid. , 1 84 sg. S c h n e i ­
der, Kon igswahl, 22 1 sg. Daniei-Rops 2 5 8 . C l a u d e , Geschichte der Westgoten , 6 8 . T h o m p s o n , The
Goths, 72 sg. B u n d 560 sg.
,. G reg . Tur. 5 , 3 8 ; 6 , 4 3 ; 8,28; 9 , 1 6 . Joh. Bici. ad an. 5 1 9 ; 585. Gregor. l , dia / . , 3 , l . Isid., h ist. Goth . ,
4 9 . LTh K I X ' 6 1 2 sg.e 2 A I X 8 1 1 s g . Ke l l er, Reclams Lexikon, 2 5 0 s g . Fichti nger 3 5 2 sgg. K ii hner,
Lexikon, 2 1 3 sgg. Giesecke 1 07 , 1 09 . Stroheker, ibid., 1 85 s g . , 2 1 9 sg. A l tamira 1 68 s g . Grau s ,
Vo/k, 3 9 6 . C l aude, ibid. , 6 8 . Thompson, ibid. , 9 1 , 94. B u nd 5 6 1 s g .
20
Greg. Tu r. 8 , 2 8 ; 9 , 3 1 . Joh. Bici. ad an. 5 8 5 . I s i d . , h ist. Goth . , 5 4 . Schu ltze I I 1 34 . S troheker, ibid. ,
1 87 s g . B il ttner, Die A /penpolitik, 1 4 . Thompso n , The Goths, 7 5 , 92 sgg. I d . , The Conversion , 24.
Ewig, Di e friinkischen Teilungen , 686. Id., Di e Merowingerzeit, 5 6 . Id., Di e Merowinger, 94.
21 Greg. Tur. 8 ,4 6 ; cfr. anche 4 , 3 8 . J s i d . , h ist. Goth . , 5 0 . Gri sar, ibid. , 692. Schubert, Geschichte der
ch ristlichen Kirche l , 1 76 . S c h m idt, Die Bekehrung der Ostgermanen, 3 1 0, 378. Giesecke 1 03 s g . ,
I l O . Stroheker, ibid. , 1 40 s g . C l aude, ibid. , 70 s g . I d . , Ade/, Kirche, 1 2 . Thompso n , ibid. , 9 1 , 9 4 .
I d . , The Con version, 2 4 s g .
22 J s i d . , hist. Goth . , 5 2 s g g . C fr. anche Orlandi s/Ramo s . L i s s o n , 96 sgg.
2' Greg. Tur. 9 , 3 1 . Joh. Bici. ad an. 5 8 8 s g . Giesecke I l i sg. Dannenbauer I I 25 sg. Thompson, The
Goths, 94, 1 02 sg. I d . , The Conversion , 24 sgg. B u n d 5 6 3 . C l aude, Geschichte der Westgoten, 1 2 .
Orland i s/Ramos-Lisson l 00.
24
Joh. Bici. ad an. 5 8 9 sg. G i e secke, Die Ostgermanen , 1 1 2 . Thompsosn, The Goths, 1 03 . I d . , The
Conversion , 2 6 . B u n d 563 sgg. Claude, Geschichte der Westgoten, 1 2 . Orland i s/Ramos-Lisson l 00.
H I s i d . , hist. Goth . , 7 sg.
"' H E G I 439. B a l l esteros, Geschichte Spaniens, 55. G i e secke 1 1 3 . B uch ner, ibid. , 1 5 5 . Thompson,
The Goths, 1 04 . M aggiori detta g l i s u l Concilio i n Orland i s/Ramos-Li sson 1 0 1 sgg.
" 3 S i n . di Toledo (589), cwz. 3 ; 5 sg.; 14 (De ludaeis). Per i servi ecdesiae cfr., ad esempio, anche il 4 Sin.
di Toledo (633), can . 67. Kraft 342 sg. Hartmann, Geschichte ltaliens Il, 1 75 . Schubert, Geschichte der
christlichen Kirche l, 1 75 sg. Schmidt, Die Bekehrung der Ostgermanen, 308 sgg. Ballesteros 40 sg.
Maier, Mittelmeelwelt, 245 , 303. Thompson , The Barbarian Kingdoms, 24 sgg. Id., The Goths, 88, 94 sgg.
Id., The Ccmversion, 34. Ewig, Zum christlichen Konigsgedanken, 26. Schiiferdiek, Die Kirche in den
Reichen der Westgoten, 205 sgg . , 2 1 2. Orlandis/Ramos-Lisson 1 07 sgg . , 1 1 6 sg.
2" G regor. I , ep . 9. H artman n , ibid. , Il, 1 7 5 sg. Seppelt I I 27 sg.
2 11 I s i d . , his t. Goth . , 68 sgg. Gams II 2, sez. 47. Maier, ibid. , 306. Claude, Geschichte der Westgoten , 74.
Reydellet, 48, scorge nel l ' opera di Isidoro lo "sforzo d i un rinnovamento intellettuale e morale".
"' Joh . Bici. ad a n . 580; 590. I s i d . , h ist. Goth . , 50. Vitae patrum emerit. 5 , I l . S i n . di To ledo ( 5 8 9 )
can. 5 ; 9 . S i n . d i S aragozza ( 5 9 2 ) can . 2 . Gregor. , dia / . , 3 , 3 1 . Fredeg . 4 , 8 . Schubert, ibid . , l , 1 7 5 .
I d . , Zu r Germanisierung des Christentums, 392. Voigt, Staat, 1 4 8 . Schmidt, Die Bekehrung de r
Ostgermanen, 308 sgg. G i e secke I l i , 1 1 6. Stroheker, ibid. , 1 77 s g . , 2 3 3 . Thompso n , The Goths,
1 02 sgg. Id., The Con version, 27 sgg. A l t a m i ra 1 7 2 . C l aude, A de /, Kirche , 90 sg.
CAPITOLO VII.

PAPA GREGORIO I (590-604)

"Nel suo Liber Regulae P astoralis Gregorio ha tracciato il ritratto ideale del pastore d' anime.
Non è eccessivo affermare che egli ha realizzato questo ideale in tutta l ' attività
del suo ufficio". (Lo storico cattolico del papato Franz Xaver Seppelt) 1

"Giusto e amorevole fu Gregorio sia verso i poveri e gli svantaggiati che verso gli schiavi,
gli eretici e gli Ebrei". (Il teologo cattolico F. M . Stratmann) 2

"La storia della Chiesa non può enumerare molte figure che abbiano ottenuto l ' appellativo
di Grande così a buon diritto". (Heinrich Kraft) 3

"I suoi principali campi d ' attività furono il Giudaismo, il Paganesimo e lo Scisma.
Tutti questi soggetti furono assaliti da Gregorio utilizzando la violenza, la predicazione
o la corruzione; talvolta tutte e tre contemporaneamente" . (Jeffrey Richards) 4

" . . . e attraverso la nuvola d' incenso di una devota venerazione rifulgeva la sua immagine
con l ' aureo splendore del l ' aureola dei santi in una dimensione soprannaturale . . . senza essere
un grande dominatore o una grande personal ità" . "Gregorio fu indubbiamente un papa
religioso, ma religioso solo nel senso determinato dal suo tempo. Quel che ciò significa,
quanto superficiale e ripugnante sia per la nostra sensibilità la sua concezione del
Cristianesimo, di mostrano a sufficienza i criteri da lui adoperati per la conversione di Ebrei
e Pagani . E la cosa peggiore non è il fatto che raccomandi di procedere contro chi si
opponeva col bastone, la tortura e la galera; con i ngenuo cinismo raccomandò
come mezzo di conversione persino la persecuzione fiscale: ai transfughi si doveva far
balenare la prospettiva di un al leggerimento delle gabelle, mentre i riluttanti dovevano
essere ammorbiditi con la pressione fiscale". (Johannes Haller) 5

"L' espressione del viso era bonaria; aveva belle mani, dalle lunghe dita affusolate,
ben adatte a scrivere". (Giovanni Diacono) 6

"Gregorio non ha cultura né fi losofica né teologica". "Qui si svela con cruda nudità il
profondo decadimento recato alla vita spirituale dal crollo dell ' Italia.
La miseria spirituale, la mancanza di pensiero proprio, la decadenza del gusto
celebrano i propri trionfi come di rado è accaduto altre volte".
(Heinrich Dannenbauer) 7 1 55
I lO Papa Gregorio l

FUGGITIVO DAL MONDO E CARRIERISTA

Accanto a Leone I (v. II, 5 cap.), s. Gregorio (590-604) è l ' unico di oltre 1 60 papi col
titolo di dottore della chiesa, e anche l ' unico con l ' appellativo di "Magno", che non
merita, come afferma Haller, ragione per la quale già Mommsen dice che in fondo è più
che mai un piccolo grande uomo. Almeno, però, proveniva dal "grande mondo" : il
primo monaco sulla presunta sedia di Pietro (v. Il, 37 ss.) discendeva, infatti, dalla
famiglia senatoria degli Anicii, cioé dalla ricca alta nobiltà romana (de senatoribus
primis, come dice Gregorio di Tours ; tutti gli autori cristiani sottolineano la discendenza
"nobile" e/o "ricca" dei loro eroi ) . Ed anche dal lato puramente esteriore era "la
meraviglia del suo tempo" : un uomo di media statura, con piccoli occhi giallastri , naso
un po' adunco, due miseri ricciolini, il cranio pressoché calvo; una meraviglia in sé,
non solo per il suo tempo. Infatti, questo capo davvero insolito si moltiplicò e come
reliquia poté essere contemporaneamente in molte città: Costanza, ad esempio,
possedeva la testa di Gregorio, ma anche Praga, Lisbona, Sens . . .
Nel 575 Gregorio fu praefectus urbis, vale a dire il funzionario civile più alto in
grado di Roma. Adorno di pietre preziose e affiancato da una guardia del corpo armata,
risiedeva in un palazzo lussuoso; infatti , benché già "colto dallo struggente anelito al
paradiso", come confessa nel la prefazione ai suoi "Moralia", teneva tuttavia alla bella
presenza, all"'atteggiamento esteriore" e si dedicava niente affatto malvolentieri "al
mondo terreno" . 8
157 La famiglia aveva possedimenti a Roma e nel circondario di Roma, ma soprattutto
in Sicilia, e coltivava relazioni con Costantinopoli, a quanto pare intensamente anche
in campo religioso. La riccheza e la religione non si escludono affatto. Al contrario :
D i o rende ricco colui che ama, e naturalmente, a prescindere da cammelli e crune, l o
accoglie direttamente in paradiso. L a doviziosa schiatta di Gregorio aveva g i à donato
al mondo due papi: Agapeto I e Felice III, ch ' egli chiama suo bisavolo (atavus); anche
la madre Silvia e le due zie monache Tarsilla ed Emiliana furono santificate dalla chiesa.
(L' assoluta maggioranza dei santi a partire dal IV secolo discende da casate ricche o
eminenti, e furono almeno vescovi . La santità si annida nelle alte sfere, dov ' essa cova
anche le sue perfidie. Le agiografie sottolineano continuamente tale provenienza. Ma
la zia più giovane, Gordiana, anch' essa monaca, scampò a questo volontario destino (o
scherzo del destino) attirandosi il biasimo del nipote, perché concluse un matrimonio
non confacente al suo rango, sposando il suo amministratore. 9
Da parte sua Gregorio, che vedeva prossima, quasi presente, la fine del mondo
(pensiero che la stessa chiesa considerava "un relitto dell ' antichità"), la fine di un mondo
ormai diperatamente in balìa delle onde, ben presto intonò i suoi luttuosi ditirambi. "Il
flagello della giustizia celeste non ha fine", scrisse, e attese tuttavia la fine. Ci furono
terremoti, carestie, pestilenze, segni celesti, spade fiammeggianti rosse di sangue umano;
Fuggitivo dal mondo e ca rrierista Ili

i campi erano desolati, rasi al suolo i castelli, distrutte le città. La stessa Roma era un
cumulo di rovine, spopolata, privata ormai di ogni sfarzo; e la collera divina incombeva
col "suo immediato giudizio fra orribili calamità". Gregorio trovava che il mondo era
"vecchio e grigio, e per così dire spinto verso la morte in un oceano di disperazione".
Ma chi ama Dio "esulterà della sua fine . . . ". 1 0
Già fra l ' elezione e la consacrazione del 3 settembre del 590, Gregorio, quasi sempre
fra letto e lettuccio a causa della sua fragilità, dovette esortare alla lotta contro la peste
bubbonica portata dal l ' Egitto, che 1 ' 8 febbraio dello stesso anno aveva ucciso i l
predecessore Pelagio II (pag. 9 1 s s . ) . Gregorio, ovviamente, dichiarò che la peste era 158
una punizione divina per i peccati dei Longobardi, dei pagani, degli "Eretici", pretese
la loro conversione "al l ' autentica e veridica fede cattolica", e sollecitò al pentimento,
alla penitenza, a un triduo di preghiere e salmodie, "finché c ' é ancora tempo per le
lacrime". Quindi organizzò in mezzo alle rovine della città sette spettacolari processioni
- Gregorovius fa concidere con esse l ' inizio "del Medioevo di Roma" - fra spaventosi
cori di lutto e biascicamenti di preghiere per tutti i santi possibili e immaginabili, com­
presi quelli mai esistiti, come Gervasio e Protasio, inventati durante quella sanguinosa
farsa del santo guitto, dottore della chiesa, Ambrogio da Milano (v. I, 370 ss.). Fu un
successo sorprendente: un testimone oculare raccontò a s. Gregorio di Tours che "nel
corso di un' ora, mentre il popolo faceva echeggiare le sue invocazioni, erano cadute a
terra stecchite 80 persone". Meglio di niente : tra il 542 e il 544 a Costantinopoli la
peste s ' era portate via, grazie a un i mperscrutabile disegno di Dio, 300000 persone. 1 1
· In mezzo a tutti questi umori, visioni e crudeli realtà apocalittiche (non soltanto la
peste, ma anche il crollo di antichi templi e persino di granai pontifici e di chiese),
Gregorio, definito "ultimo dei Romani" e "primo papa medioevale", preparò la propria
carriera con mirabile tenacia. Come tanti altri santi padri , sarebbe asceso alla sommità
della chiesa per pura modestia e monacale disprezzo del mondo; ma in realtà, dopo
aver ricoperto il ruolo di Prefetto bizantino di Roma, non aveva più alcuna chance di
avanzamenti in quella struttura politica; a lui stava a cuore "più l ' eredità dei Cesari che
quella di Cristo" (Misch), ovvero, come sostiene Gregorovius "Il traguardo massimo
che attendeva il rampollo degli Anicii poteva essere soltanto il trono episcopale".
Ergo, Gregorio, fra i più ricchi di Roma, si servì del patrimonio per fondare sei
"monasteria" nei possedimenti italiani e siciliani e verso i l 575 trasformò il palazzo sul
Celio in un "Monastero" (poi scomparso senza lasciar traccia), per ritirarsi dal mondo 159
e servire interamente Dio, sfuggendo, come ritenne "in verità erroneamente", "povero
e nudo al naufragio di questa vita". Digiunava e vegliava, quest' uomo in attesa della
fine del mondo, in un cupo vaneggiamento penitenziale, tra catastrofiche alluvioni e
pestilenze (eppure non trascurò di esaltare la "pace magnifica goduta" in convento), a
tal punto, si dice, che cadeva in deliquio e soffriva di crampi allo stomaco, ovvero,
come narra un diacono franco presente alla sua elezione, "con lo stomaco fiaccato, a
1 12 Papa Gregorio l

stento si reggeva in piedi". Si macerò "fino allo strazio", fino alle gravisime infermità
che, ad esempio, "accettò su di sé per liberare l ' imperatore Traiano dal Purgatorio"
( Keller).
Nel 579 quest' uomo senza ambizioni divenne uno dei sette diaconi di Roma
(funzionari d' alto grado, da cui dipendevano le sette regioni ecclesiastiche della città),
e lo stesso anno apocrisiario romano alla corte imperiale, incarico istituzionalizzato da
Giustiniano, con notevoli prerogative, paragonabile all' incirca ai Nunzi Apostolici
medioevali. A Bisanzio, dove Gregorio operò fra i l 579 e il 585 (non senza l ' assidua
assistenza dei fedelissimi del convento di S. Andrea), dovette anzitutto gu�dagnarsi il
favore dell ' imperatore Tiberio II e (dal 582) di Maurizio, e, suo scopo principale
immediato, truppe e denaro per combattere i Longobardi. Papa Pelagio si considerò
"ridotto in tali angustie", come scrive Gregorio, "che siamo abbandonati alla rovina, se
Dio non tocca il cuore del pio imperatore in modo da provare pietà dei suoi servi" -
l ' invocazione di aiuto militare contro "quel popolo senza Dio (così si espresse Pelagio).
Secondo questa logica, chi combatte contro il papa è sempre empio! Perciò Gregorio
contattò anche i generali Narsete e Prisco, coltivò l ' amicizia delle donne più i nfluenti
a corte (com ' è abitudine dei preti ! ) come l ' imperatrice Costantina, la principessa
Theoktista, la sorella di Maurizio e intanto tenne a battesimo i l figlio maggiore
1 60 dell ' imperatore (cosa particolarmente importante).
Nel 590 pervenne al soglio pontificico, nostante le sue debolezze fisiche, naturalmente
con profonda riluttanza: quest' ultimo tratto non fu proprio soltanto del bon ton di quei
tempi, ma del galateo prete sco e del l ' ipocrisia c lericale fino al XX secolo. Allora anche
gli incarichi più irrilevanti della gerarchia ecclesiastica erano talmente desiderati, che
nel 592 (secondo alcuni nel 593) l ' imperatore Maurizio si vide costretto a proibire ai
soldati di entrare in convento e ai funzionari pubblici di passare allo stato clericale. E
Gregorio lo sapeva benissimo: "uno che si spoglia del l ' abito mondano per assumere
rapidamente un incarico ecc lesiastico, muta la propria posizione, ma non vuole
abbandonare il mondo" .
Pensava a se stesso? Certo che n o ! Sembra che, come già il dottore della chiesa
Ambrogio (v. I, 349) si era dato alla fuga, anche lui abbia fervidamente pregato per
epistulam l ' imperatore Maurizio di non innalzarlo "a tale onore e potenza". Purtroppo
(o per fortuna) la lettera venne intercettata dal fratello Palatino, che la distrusse,
sostituendo la con un' altra che incontrò subito il favore imperiale. Così, proprio i l fratello
di Gregorio, "prefetto della città", ebbe "un ruolo essenziale" in quest' elezione. Gregorio
mosse poi al patriarca di Costantinopoli amichevoli rimbrotti per non averne impedito
l ' elezione e il fardello ad essa congiunto, si definì uomo malato e indegno al suo
confronto . . . e subito procedette energicamente contro di lui. 1 2
La controversia sul titolo col "digiunatore " 1 13

LA CONTROVERSIA SUL TITOLO COL "DIGIUNATORE", LA "RICERCA DELLA PROPRIA GLORIA"

È vero che in un primo momento Gregorio aveva molto stimato il patriarca Giovanni
IV di Costantinopoli, chiamato "il Digiunatore" (5 82-595), ed era stato anche in rapporti
d' amicizia con lui. In qualità di apocrisiario aveva imparato a conoscerlo e ad apprezzarlo
come un "uomo molto semplice, da tutti amato", come ebbe a dire, "che si dedicava
alle elemosine, alle opere pie, alla preghiera e al digiuno", e poteva ben essere d' accordo 161
con tutto ciò. Ma quando si trattò di titoli e diritti, di privilegi veri o presunti , le cose
andarono diversamente; ad esempio, per il titolo di "patriarca ecumenico", che Giovanni
ricopriva dal 5 8 8 e che in Oriente era in uso da circa un secolo.
L' autentico episcopus universalis non poteva tollerare una simile offesa "al l ' umiltà
del l ' ufficio episcopale", una simile "cupidigia di potere" del patriarca bizantino. I
precedenti vescovi di Roma avevano certo carpito da secoli il primato papale per
bramosia di potere, per pura avidità di comando (v. II, 37 ss.), e la contesa durerà fino
ad epoca moderna (v. II, 57 ss.), ma da Giustiniano in poi alla sede romana era stato
riconosciuto legalmente il vertice e il primato della fede.
Già il predecessore Pelagio aveva protestato contro la "stolta e superba" denomina­
zione del patriarca, e Gregorio considerò la controversia davvero "misera", ma sostenne
che contro l ' arroganza del patriarca non difendeva la propria causa, ma quella di Dio.
Poi, facendo propria un' espressione agostiniana (in seguito mantenuta nei documenti
papali) si definì umilmente "servo dei servi di Dio" (servus servorum Dei), tuttavia
scrisse anche: "Io sono servo di tutti i vescovi, nella misura in cui essi vivono da vescovi.
Ma chi per brama di futile gloria e contro le norme dei padri innalza la propria cervice,
costui, così spero in nome di Dio, piegherà di fronte a me volontariamente la sua cervice,
non con la spada" . "Combatté in tutta umiltà per il dominio universale della chiesa e
nella chiesa, come pure il suo rivale, l ' ascetico patriarca Giovanni il "Digiunatore",
come si esprime Ludo Moritz Hartmann.
Polemizzarono volentieri ; anche Gregorio lo fece, ma con umiltà.
Già durante un fanatico litigio pretesco (582) col predecessore di Giovanni, Eutichio,
Gregorio contestò aspramente la sua tesi secondo la quale ali ' atto della "resurrezione"
i corpi sarebbero diventati immateriali, ottenendo che l ' imperatore facesse bruciare il
libro del patriarca. (l due attaccabrighe ne furono esausti al punto che Gregorio s ' ammalò
gravemente ed Eutichio morì). La controversia intorno al titolo continuò col successore
di Giovanni, determinando un estraniamento fra le due chiese e la deriva di B isanzio e 1 62
Roma. Solo un anno dopo la morte, fu nientemeno che il successore Sabiniano a
rimproverare a Gregorio "smania di gloria personale". 1 3
L' accusa poteva sicuramente esser mossa a molti papi, anche a quelli i n apparenza
più umili, come a Gelasio I (492-496), per esempio: se Gregorio non si era sentito
degno dell' alto seggio, nemmeno Gelasio aveva dimenticato di ribadire la propria totale
1 14 Papa Gregorio I

indegnità; e come Gregorio si era definito "servo dei servi di Dio", a sua volta Gelasio
aveva protestato d ' essere "il più piccolo di tutti gli uomini" (sum omnium hominum
minimus), ma tuttavia affermò e pretese il proprio dominio e il proprio predominio
come nessun altro papa prima di lui, non soltanto su tutti gli altri preti, ma, nella cosid­
detta Dottrina delle due Potestà, anche sul l ' imperatore, il quale doveva piegare il "devoto
collo" davanti a lui (v. Il, 227 ss.).
Oh ! questi cultori d' umiltà !
Come sembra, il patriarca Giovanni prese la cosa con grande tranquillità; a volte
non reagì e a volte scrisse al papa con estrema gentilezza e ragionevolezza, (come
riconosce lo stesso Gregorio). Qualche volta però quegli continuava a valersi del titolo,
di quel titolo "perverso", "altezzoso", di quelle "parole pestilenziali", come tuonò
Gregorio, che ricorreva continuamente anche negli atti della chiesa costantinopoli tana,
la qualcosa irritava particolarmente il papa. Che usò tutti i toni, scrivendo di continuo,
lasciandosi andare a vaghe minacce e ordinando all ' apocrisiario (che evidentemente
aveva u n ' altra opinione di tale polemica montata da Gregorio) di astenersi da qualsiasi
comunanza ecclesiale con Giovanni; accusò Sabiniano, poi suo successore, di fornire
false informazioni all ' imperatore, che Gregorio spronava alla prudenza e alla pace con
le sue epistole, dicendo in ogni caso che nulla aveva da temere "se non Dio onnipotente".
Il papa si scaldò sempre di più: si rivolse al patriarca di Alessandria Eulogio, il quale
non capì la collera del Romano, come non la comprese nemmeno il patriarca di Antiochia
Anastasio, da lui informato, che lo mise in guardia contro la superbia e l ' invidia, tanto
163 che a Gregorio la sua lettera sembrò "pungente come un ' ape". Anche il generale Narsete
tentò di calmarlo, ma quello minacciò, maledisse, s ' abbandonò al sarcasmo; dal pulpito
si scagliò contro Giovanni, in fondo così pacifico, insultandolo quale emulo di Lucifero,
precursore dell ' Anticristo. In toni apocalittici evocò la furia della peste e della spada:
"Si leva popolo contro popolo, l ' intero orbe terracqueo è sconvolto" . Il papa vide città
intere ingoiate dal terremoto e ancora una volta adempiuta la profezia della fine dei
tempi . E questo in nome di un titolo onorifico ormai secolare, perché era invidioso,
bramoso d' onore, di dominio e del primato, che vedeva minacciato: ma il ridicolo
s ' accresce, quando si pensa che tutto ciò era inutile.
Eppure, nonostante tutto, predicava l ' umiltà al patriarca: lo incolpava di "presun­
zione", di "stoltezza", gli rinfacciava la cervice eretta della superbia e il turbamento
della pace universale. Pretendeva dall ' imperatore di sopprimere quel "malo titolo", di
costringere il patriarca "mediante gli ordini del suo devotissimo signore", di vincolarlo
"coi ceppi dell' autorità imperiale". E poiché nelle strida di Gregorio l ' imperatore non
scorgeva nessun fondamento serio (come, d' altra parte, nemmeno i patriarchi), il papa
si pose dietro le gonnelle dell ' imperatrice. E alle due massime autorità di Costantimopoli
dichiarò che in fondo non si trattava di "interessi personali, ma soltanto di quelli di
Dio", di tutta la chiesa, dei santi sinodi e del signore Gesù Cristo; e che il patriarca
Nella "polvere di un 'occupazione terrena " 1 15

aveva mancato "contro lo spirito del Vangelo, contro il santo apostolo Pietro, contro
tutte le Chiese . . . " ecc .
Questa diatriba, alimentata quasi esclusivamente da Gregorio, perdurò fin oltre la
dipartita di Giovanni, e i l successore s. Ciriaco, cui Gregorio riconobbe ancora una
volta modestia, animo sereno e tratto eccellente, non si sentì obbligato a rinunciare al
titolo, per cui il papa proseguì la battaglia fino alla sua morte. E poiché i patriarchi
continuarono a fregiarsi del titolo di "patriarca ecumenico", alla fine i vescovi romani
si rassegnarono e assunsero anche loro lo stesso titolo. 1 4
Naturalmente tutto c i ò non aveva assoluramente nulla a che fare con presunzione, 1 64
albagia, e superbia personale: il primo papa-monaco ne era del tutto scevro, l ' umiltà
era in lui innata, data la sua provenienza sociale.
Nel luglio del 592 Gregorio scrisse a Pietro, suo amministratore in Sicilia: "Mi hai
mandato un miserabile ronzino e cinque buoni asini. Non posso cavalcare il ronzino,
perché è tanto miserevole, ma non posso nemmeno montare sugli asini, proprio perché
sono asini". Certo, il Gesù biblico, sembra che sua santità lo abbia dimenticato, poteva
ben montare su un asino; ma ora doveva trattarsi solo di un nobile destriero. Oggi si
viaggia in Mercedes fuori serie, oppure in Jumbo dotato di speciale camera da letto.
Ma che c ' entra tutto questo col Galileo? 1 5
D a Gregorio I, l ' umile servo dei servi d i Dio, fino a l XX secolo i papi, com ' é noto,
si fanno baciare anche i piedi ; ordini speciali e libretti di cerimonia regolano ogni
particolare del cerimoniale. Ma, come abbiamo appena visto, non si tratta del loro
piede, ma del piede di Dio; ed è per questo che anche tutti gli imperatori , compreso
Carlo V, sbrigano regolarmente tale sporca faccenda sul portale del duomo di Pietro. 1 6

NELLA "POLVERE DI UN 'OCCUPAZIONE TERRENA"

Com' é facile capire, l ' orgoglio di Gregorio fu piuttosto marcato grazie alla discendenza,
alla carriera e alla condizione sociale, e si comportò di conseguenza sia con i chierici
che con i laici. Fu uomo tutto law and order, per usare una terminologia moderna, ex
prefetto di polizia ed ex giudice penale, cui stette molto a cuore la disciplina e l ' obbe­
dienza, soprattutto di monaci e suore, interessandosi specialmente della loro moralità
e/o immoralità, e del l ' osservanza del voto di povertà. 1 7
Gregorio, l a cui influenza sul l ' amministrazione della città d i Roma fu decisiva, era
solito chiamare i suoi preti e impiegati "soldati di Pietro" oppure "soldati della Chiesa
romana" (milites Petri, milites ecclesiae Romanae). Il primo monaco sul seggio di
Pietro trasformò il Laterano in una sorta di convento, popolato in ogni caso da monaci, 1 65
che innalzò alle cariche più alte. Ma lui stesso, che aveva assunto con monacale retorica
d ' umiltà la definizione di "servo dei servi di Dio" (che dopo la sua morte diverrà titolo
1 16 Papa G regorio l

ufficiale dei papi), volle essere naturalmente "il primo servitore della Chiesa di Dio"
(Altendorf) .
E non usò mai i l nome di s. Pietro senza la postilla "Principe degli Apostoli".
Proibì severamente ai sudditi (subditi) di osare un giudizio sulla vita dei loro superiori
(praepositi): anche se mancavano ed erano degni di giusto biasimo, non potevano essere
rimproverat i ; piuttosto era necessario sopportare volontariamente i l giogo della
deferenza: "Ché se manchiamo nei confronti di coloro che ci sono preposti, noi trasgre­
diamo l ' ordine di colui che li ha posti sopra di noi". A chi sopporta un cattivo padrone,
non è lecito biasimare colui che egli sopporta. Anche se è più facile a dirsi che a farsi ;
Gregorio formula tale principio in modo subdolo, perché non vuole affatto che i si­
gnori e i superiori siano criticati, biasimati, né tanto meno rovesciati . Infatti è "senza
dubbio l ' uomo stesso ad aver meritato d' essere sottomesso al potere di cattivi padroni,
e quindi biasimerà la propria cattiveria piuttosto che l ' ingiustizia del padrone".
I sudditi devono astenersi da qualsiasi critica anche verso i cattivi padroni; un cattivo
governante non è che la punizione divina dei cattivi uomini, e chi mormora contro
l ' autorità superiore, non fa altro che biasimare colui che gliela ha conferita; il che
riprende il pensiero paolino e la sua elaborazione agostiniana, anche se con una maggiore
accentuazione. 1 8
È ovvio che per u n papa per natura e ufficio straordinariamente conservatore,
legalistico, e tutto inteso ali ' affermazione della sua autorità l ' obbedienza ricoprisse un
ruolo fondamentale. La predicò con insistenza a tutti i sudditi, attirandosi così, come
tutti i predecessori e successori, l ' ammirazione di stati, imperatori, re, regine, governanti
d ' ogni specie, ceti militari, nobiltà, l ' intera classe dominante, con la quale ebbe a che
1 66 fare a Bisanzio come in Britannia, in Africa, in Francia, e della cui benevolenza aveva
bisogno, da quando, per usare le sue stesse parole era "esteriormente asceso", ma
"interiormente precipitato", da quando fu ricoperto "dalla polvere di un' occupazione
terrena". 1 9

L' UOMO DELLA DOPPIA MORALE

A questa caduta interiore, a queste occupazioni terrene ricoperte di polvere bisogna


anche aggiungere che Gregorio accrebbe sempre volentieri il suo potere e volentieri
ampliò le proprie competenze.
Nella elezione dei vescovi , ad esempio, dovevano decidere il popolo, il clero e la
nobiltà: il papa poteva porre un veto solo per motivazioni interne al diritto acclesiastico,
oppure poteva nominare e consacrare un candidato nel caso che gli elettori non avessero
trovato un accordo. Ma in realtà dichiarò qua e là come continuazione di u n ' antica
consuetudine la sua interferenza assolutamente inusitata nel l ' elezione e nella consacra-
L 'uomo della doppia morale 1 17

zione dei vescovi ; influenzò in ogni modo possibile questi eventi, senza rinunciare a
nessuna forma di intervento, una volta nemmeno all ' impiego di un militare, il duca
Arsicio, comandante delle truppe della Pentapoli. 20
Gregorio tentò anche di intervenire in Dalmazia.
I prelati dalmati si erano già contrapposti al suo predecessore: con l ' arcivescovo
Natale di Salona e col precedente amministratore romano (Rettore) in Dalmazia, il
vescovo Maleo, sembra che il patrimonio della chiesa fosse stato sperperato e che
fossero state perpetrate porcherie d' ogni sorta. Ma soltanto dopo reiterate sollecitazioni
Maleo si era presentato davanti al tribunale romano (fine del 593 o inizio del 594) e
dopo la condanna era morto improvvisamente il giorno stesso. La voce che Gregorio
avesse fatto avvelenare il vescovo si era diffusa subito, e non solo a Costantinopoli, e i l
papa si era dato molto da fare per smentire qualsiasi diceria.
Poco dopo la sua sottomissione morì anche l ' arcivescovo Natale di Salona, noto per
i suoi banchetti luculliani e uomo di mondo benvoluto dai potenti . Pare fosse solito
difendere le sue gozzoviglie "a scopo benefico", richiamandosi al Vecchio e al Nuovo 1 67
Testamento. Gregorio, che lo aveva minacciato di deposizione e scomunica, voleva un
successore qualsiasi, purché non si trattase di un certo Massimo, che poi occuperà
tuttavia il seggio episcopale, essendo protetto dal generale clima antipapale della
popolazione, dei vescovi e del l ' imperatore, che alla fine impose il suo riconoscimento.
Gregorio, che lo accusò di corruzione durante l ' elezione, di violenze e violazioni del
celibato, lo scomunicò. Inviatato più volte a presentarsi a Roma (fra il 595 e il 596),
memore della fine i mprovvisa di Maleo, l ' arcivescovo Massimo si guardò bene
dall' obbedire, limitandosi a fare pubblica ammenda nel 599 a Ravenna, dove si sentì
più al sicuro: per tre giorni giacque su una strada, gridando: "Ho peccato contro Dio e
eontro il beato Gregorio" ; e nonostante l' ordinazione avvenuta contro la volontà esplicita
di Gregorio, restò vescovo legittimo di Salona. Dopo sette anni di lotta il papa era stato
quasi completamente sconfitto. 2 1
Se si volge l o sguardo a molti vescovi vicini a Gregorio - per n o n parl are
dell' episcopato gallico (v. cap. 9) - le caratteristiche del vescovo ideale della sua "Regula
Pastoralis" appaiono un' autentica satira, in fondo non diversamente da tanti brani
evangelici in rapporto al cristianesimo e alla storia della chiesa. Gregorio, infatti,
pretende un vescovo "che, morto a tutte le passioni della carne, si abbandoni sempre
alla vita dello spirito, disprezzi gli agi mondani e non ne tema i disagi, e tenda solo alle
cose dello spirito; non venga sedotto dalla bramosìa dei beni altrui, bensì doni magnani­
mamente del proprio . . . " et cetera. Il vescovo sarà compassionevole, insiste Gregorio,
gioirà della felicità altrui e non farà cose poco pulite: insomma, offrirà l' esempio migliore
in qualsiasi cosa faccia. 22
Lo stesso Gregorio è ben lontano da tutto ciò, anche se da parte cattolica si sostiene
quasi sempre il contrario, e lo storiografo del papato Seppelt lo definisce addirittura "la
1 18 Papa Gregorio l

168 figura ideale del pastore d' anime", persino "durante l ' intera sua attività di pontefice". 23
Esaltato per la sua giustizia nei confronti dei sottoposti, Gregorio usa senza scrupoli
il proprio potere tutte le volte che può farlo. L' arcidiacono Lorenzo, da lui posto in
ombra in occasione della successione al soglio pontificio, non fu in grado di celare la
propria delusione e perse i l posto: l ' anno successivo Gregorio si scagliò contro di lui
durante una solenne cerimonia alla presenza di tutto i l clero, rinfacciandogli "superbia
e altri crimini". 24
Ma è molto più significativo il fatto che segue: il monaco Giusto, medico del convento
e che aveva in cura lo stesso papa sempre più spesso ammalato, poco prima di morire
confessò al confratello Copioso di aver nascosto tre monete d ' oro. Appena lo venne a
sapere, Gregorio ordinò di evitare rigorosamente Giusto: nessuno doveva visitare o
soccorrere il malato ormai prossimo alla fine. Dopo la sua dipartita, poi, il corpo e le tre
monete sarebbero state gettate nel letame e il capitolo riunito avrebbe dovuto gridare:
"All ' I nferno tu e il tuo denaro ! " . Quando Giusto ne fu informato da Copioso, morì di
crepacuore.
Gregorio fu severissimo nel far osservare i voti monacali . . . degli altri . Egl i invece,
che a quanto si racconta avrebbe venduto tutto ciò che non apparteneva al convento,
distribuendo il ricavato ai poveri , anche da monaco continuò ad essere tanto ricco, che
nel 587 fece un' altra donazione al convento (da lui chiamato con atteggiamento pur
sempre padronale "il mio chiostro"). E per almeno tredici anni dopo l ' ingresso fra i
Benedettini continuò a possedere numerosi latifondi . 25
Il papa fu anche uomo incline ai compromessi, ai destreggiamenti e alla doppia
morale: si adoperò moltissimo con gran severità per costringere sui loro passi monache
e frati fuggitivi , ma coi personaggi eminenti si permise qualche eccezione.
Quando Venanzio, patrizio siracusano e forse buon amico di Gregorio, abbandonò il
suo convento a dispetto del divieto ecclesiastico, sposò la bella Italica, fu padre di due
figlie e addirittura punto di riferimento di un circolo letterario antimonacale, Gregorio
non gli ordinò di tornare, limitandosi a indurlo faticosamente e vanamente a tornare
1 69 indietro, e anzi poi prendendosi cura dei figli di questo matrimonio illegale. Come si
esprime lo storico Jeffrey Richards, suo moderno biografo, perlopiù benevolo nei suoi
confronti, dimostrò così "che nella visione del mondo di Gregorio c ' era una legge per
i ricchi e un' altra per i poveri". 26
Una volta che in Sardegna un vescovo, prima della funzione domenicale, arò il campo
di un contadino dopo averne spostato le pietre confinarie, Gregorio si l imitò semplice­
mente a punire il collaboratore del vescovo, ma con grande indulgenza.
Si dimostrò poi ancor più magnanimo col vescovo Gianuario di Cagliari, che aveva
fatto della Sardegna una "regione disgraziatissima", in cui i laici saccheggiavano i beni
della chiesa, i preti si appropriavano dei patrimoni dei conventi, i mezzadri fuggivano
dai latifondi di madre chiesa, il paganesimo andava prendendo il sopravvento, i poveri
"Non pensa r/a come la maggioranza . . . " 1 19

venivano salassati, e qualsiasi forma di tassazione era utilizzata per gli affari clericali.
C ' erano molte monache che sciamavano dappertutto, si verificavano casi di violenze
del c lero, di usura, di omosessualità e di autocastrazione. L' arcidiacono andava aperta­
mente a caccia delle donne degli altri, e l ' arcivescovo, benché "vecchio e impedito"
(Gregorio), arraffava con violenza illegale le ricchezze altrui. Quasi fin dal l ' inizio del
pontificato la mole delle doglianze (tanta moles querimoniarum) contro il principe
della chiesa cagliaritana era enorme, e ne arrivavano sempre di nuove. Eppure, nemmeno
dopo dieci anni Gregorio si degnò di cacciarlo via: rimase in carica fino alla fine, e
potrebbe essergli sopravvissuto, anche se di poco. 27
Quando si trattava di cattolici ricchi o di vescovi degni di punizione, il papa poteva
dimostrarsi estremamente generoso. Nonostante le schiere di prelati riottosi, ribelli e
criminali, durante tutto il suo papato ne depose soltanto sei, fra i quali il vescovo
Demetrio di Napoli, "perversus doctor", forse un "eretico", meritevole di morte a causa
dei suoi crimini. Del resto sotto Gregorio anche i diocesani di questo i mportante
vescovado furono continuamente in discordia, tanto che si pensò che le loro guerre
intestine fossero ben più lunghe di quelle contro i Longobardi. 2 8
E ancora un ultimo esempio della doppia morale di Gregorio. Quando i l vescovo 1 70
Andrea di Taranto, che maltrattava anche i suoi preti e intratteneva relazioni con l ' altro
sesso, picchiò una donna povera e sostentata dalla carità della chiesa in modo tanto
barbaro che ne morì poco dopo, il papa si limitò a vietare al vescovo l ' offerta della
messa per due mesi: probabilmente costui gliene fu grato. Per contro Gregorio fece
gettare"tutti i peccatori carnali" nelle segrete dei conventi, che a un ricercatore moderno
"fanno venire in mente le antiche gabbie per schiavi" (Grupp); in tali case correzionali
monacali il "peccatore" era talmente compresso che, come attesta il giovane frate
contemporaneo Giovanni Climaco, "non era in grado di muovere un passo" ! 29

"NON PENSARLA COME LA MAGGIORANZA ••• UN DELITTO QUASI DEGNO DELLA PENA CAPITALE"

Questo papa, come la maggior parte dei papi prima e soprattutto dopo di lui, intervenne
tanto più drasticamente contro gli eterodossi, contro tutti i non cattolici: il suo scopo
ultimo fu la "propagatio fidei", cioé l ' estensione pianificata del potere papalino, a
qualsiasi prezzo.
Perciò si intromise in Inghilterra e tra i Merovingi, i cui re cercò inutilmente di
convincere ad una riforma della chiesa. A seconda delle circostanze, a tal fi ne
raccomandò come mezzi di coercizione la tortura e la galera, e qualche volta anche la
trasformazione graduale e pacifica dei luoghi di culto e delle usanze pagane "affinché
la gente si radunasse nei posti abituali con maggiore fiducia". Talvolta consigliò poi di
promettere ai convertiti maggiori detrazioni fiscali, ma di "convertire" i più restii con
1 20 Papa Gregorio l

la minaccia di tasse più elevate. Il vescovo doveva cristianizzare con la violenza i Sardi
ancora pagani, nel caso che fossero schiavi !
Gregorio propagandò non soltanto la conversione dei pagani in Sardegna, in Sicilia,
171 in Corsica e altrove, ma combatté incessantemente l' "Eresia", impegnandosi con pari
zelo e nella guerra antieretica fra i cristiani e nella guerra missionaria esterna per la
diffusione della fede, chiamata anche "difesa della Chiesa Romana" oppure "cura pas­
torale del papa". 30
Già i sempl ici isolati e devianti non avevano di che sorridere : "Non pensarla come
la maggioranza, condurre uno stile di vita differente dai più, significa sempre mettere
direttamente in discussione le dottrine e le pratiche dei molti, e perciò è già un delitto
quasi degno della pena capitale" (Herrmann) 3 1
Per il papa nemmeno Io scisma istriano dei "Tre Capitoli" aveva niente a che fare né
con la vera fede né con la religione autentica: per lui questi cattolici non erano che dei
semplici testardi, riottosi e queruli, che vacillavano "nella cecità della loro ignoranza"
solo per poter vi vere seguendo i propri capricci e violando la disciplina della chiesa:
"Non capiscono né quel che difendono, né quel che seguono". Quindi i l Romano inviò
truppe a Grado col permesso del l ' autorità somma; ben presto però l ' imperatore preferì
la cosiddetta pace religiosa e fece mancare a Gregorio il suo appoggio contro
l ' arcivescovo Severo di Aquileia, che il santo padre avrebbe voluto trascinare a Roma;
ma dovette piegarsi, anche se a denti stretti. Ma non appena Maurizio morì e subentrò
al su posto (piuttosto sanguinosamente) Foca, il papa approfittò della svolta. All' Esarca
di Ravenna Smaragdo, (che nel frattempo era guarito dalla sua follia ed era stato
reinsediato da Foca), il quale durante il suo governo precedente aveva già una volta
rapito a Ravenna con la forza (nel 588) l ' arcivescovo Severo con tre dei suoi episcopi,
trattenendoli per un anno e costringendoli a ritrattare, scrisse: "Noi speriamo che lo
zelo, che avete già prima dimostrato in questo affare, si dispiegherà più che mai con
maggior ardore e che Voi sarete pronto a punire e sottomettere i nemici di Dio . . . ". 32
In verità Gregorio fu un papa poliedrico, e quando non bastava la violenza, allettava
col denaro. E così gli scismatici istriani rientrati nel seno della chiesa romana furono
spediti in Sicilia con una sinecura papale, per esempio il diacono Felice o un certo
172 religiosus Giovanni : "Infatti, sappiamo essere riconoscenti" - scrisse il Munifico una
volta al duca Arigis, chiedendogli servi e buoi per il trasporto della legna - "e
contraccambiare i servigi dei Nostri figli di benigna volontà". Quel che ritorna, finisce
ne Il' ovile; ed è buono ciò che serve e si dimostra mansueto; Gregorio esaltava volentieri
la virtù della mansuetudine, perché è ovviamente remissivo chi sta dove vuole il papa,
obbediente e assai devoto.
Per Gregorio, invece, un "Eretico" non poteva affatto essere mansueto: già di per sé
l"'Eresia" comporta l ' opposto, la divisione dei cuori, la rovina delle anime, i l servizio
diabolico, l ' abiura, la ribellione, la superbia: "Perché la dimora degli Eretici è l ' arro-
"Non pensa r/a come la maggioranza . . . " 121

ganza i n persona. . . , l a dimora degli empi è l ' arroganza, mentre l ' umiltà è l a dimora del
bene" . 33
Fin dai primordi, fin dal l ' età neotestamentaria, la tolleranza verso gli "Eretici" è
inconcepibile; già nella chiesa primitiva gli "Eretici" furono combattuti quali "Anticristi",
"Primogeniti di Satana", "Animali in figura umana", "Bestie", "Demòni", "Bestiame
da macello per l ' Inferno" ecc. ecc. (v. I, cap. 3 ) . Era una bella tradizione antica di
questa chiesa, magnificamente espressa dalla frase di un predecessore degno di Gregorio,
Gelasio I (492-496) : "La tolleranza verso gli Eretici è più perniciosa delle più orribili
devastazioni barbariche nelle Province". 34
In Africa, dove regnava nuovamente la dinastia imperiale cattolica dopo lo sterminio
dei Vandali ariani (v. II, 282 ss., spec. 293 ss.), turbavano il papa i manichei, gli ariani
superstiti e, non ultimi, i donatisti : infatti, come ai tempi di Agostino, questi ultimi
erano le avanguardie battagliere dei contadini precipitati nella miseria. E immediata­
mente Gregorio incitò all ' oppressione degli "Eretici": in un' epistola del 593 al prefetto
d ' Africa Pantaleo si dichiara profondamente stupito che lo stato non proceda contro i
settari con maggiore energia. Tramite tre vescovi inviati a Costantinopoli, protestò in
seguito anche presso l ' imperatore Maurizio per il mancato rispetto in Africa delle leggi
imperiali antieretiche. E pretese un intervento deciso, ottenendo anche un evidente
successo, quantunque l ' episcopato africano cattolico in genere non si lasciasse condizio- 173
nare nemmeno da Gregorio. In ogni caso, nella seconda metà del suo pontificato non si
sentirà più parlare di donatisti . 35
Tutto quel che non è cattolico manda in bestia il "grande" papa (altrimenti, non sarebbe
"grande") e all' azione distruttiva fa seguire la calunnia; a Roma trasformò in chiese
cattoliche due sacrari ariani ormai chiusi, luoghi di culto di un popolo ormai scomparso:
S . Severino in Via Merulana e Sant' Agata de' Goti nella Suburra, centri ecclesiali dei
Goti romani per circa un secolo. Dopo che le ultime tracce dell ' "Eresia" furono cancel­
late, vale a dire dopo la piena n-consacrazione, il "grande" pontefice annunciò che il
demonio, nella figura per altro invisibile, ma chiaramente percepibile di un maiale, era
fuggito fra le gambe dei fedeli ; e che per tre notti aveva strepitato spaventosamente sulla
volta, finché alla fine era calata sull' altare una nube profumatissima . . . 3 6
Per Gregorio i pagani non avevano diritti né divini né umani: capovolgendo la realtà
(vezzo storiografico vivo ancor oggi), li spacciava come persecutori dei cattolici ! Certo,
non proponeva incondizionata coazione, e nemmno bastonate, torture e carcere per i
pagani , che a suo giudizio vivevano "come animali selvaggi"; no, magnanimo e
benevolente come sempre, si limitava a consigliare di domare i mezzadri pagani dei
patrimoni ecclesiastici con le tasse: un vero filantropo ! Simili contadini ciechi e caparbi,
assolutamente restii ad "accostarsi al Signore Iddio", si doveva "tartassarli con le imposte
in modo che questa punizione li sollecitasse a incamminarsi immediatamente per la
retta via". 37
1 22 Papa Gregorio l

Se poi tutto ciò risultava inutile, se qualcuno trovava "la retta via" nonostante la
peggiore pressione fiscale, il santo padre presentava un aspetto un po' più duro: imponeva
rigorosamente la carcerazione, e per gli schiavi persino la tortura, già consentita da
Agostino, il portavoce della "mansuetudo catholica" ; e non solo per gli schiavi, ma
1 74 anche per tutti gli scismatici (donatisti ) : il santo acrobata numidico del l inguaggio
definisce "terapia", "emendatio", la tortura; una sorta di cerimonia pre-battesimale,
una sciocchezza in confronto all ' Inferno ! (v. l , 4 1 2 ss., spec . 4 1 7)
Gregorio, obbligatissimo al venerato modello, cristianizzò agostinianamente i torbidi
residui del paganesimo sardo, e nel 599 esortò "caldi ssi mamente" per litteras
l ' arcivescovo di Cagliari Gianuario "alla vigilanza pastorale degli idolatri". Raccomandò
dapprima di perseguire la conversione mediante "un convincente ammonimento" (e
non senza l ' evocazione del "tribunale divino"), ma poi continuò con bella perspicuità:
"Se tuttavia Voi notate che non sono disposti a modificare la loro condotta, desideriamo
che con grande zelo Voi li arrestiate. Se sono schiavi, domateli con botte e torture al
fine di ottenerne il miglioramento; ma se sono liberi, devono essere indotti al pentimento
con una dura carcerazione, adeguata alle circostanze, affinché coloro che disdegnano
d' ascoltare le parole di redenzione, che li salvano dal pericolo della morte, in tutti i casi
possano essere ricondotti alla sana fede augurata per mezzo dei tormenti fisici". Con
una seconda missiva esortò "ancor più insistentemente" il vescovo, affinché inasprisse
la sorveglianza sugli "Eretici", augurando ch'egli potesse e volesse accendersi di "fervido
zelo" contro di loro, facendo fustigare gli schiavi e incarcerando i liberi . 38
E dunque, mediante i tormenti fisici verso una sana mente cattolica !
Del resto papa Gregorio si riforniva di schiavi sardi: sembra che sull' isola ci fosse
un materiale particolarmente utilizzabile, e profittevole da logorare, e perciò vi inviò il
suo notaio Bonifacio, non trascurando di chiedere al Defensor imperiale una colla­
borazione amichevole, affinché ricevesse degli esemplari effettivamente buoni . 39
Allora i pagani si trovavano in molte regioni, non solo in Sardegna, dove lo stesso
arcivescovo Gianuario li tollerava fra i suoi mezzadri ; in Corsica, ad esempio, in Sicilia,
e in Campania, per non parlare di Gallia e Britannia. E dappertutto Gregorio sollecitò la
1 75 loro estinzione, i mpiegando non soltanto il clero ma anche la nobiltà, i proprietari terrieri
e naturalmente il braccio secolare, che in ogni dove doveva colpire di conserva con
quello ecclesiastico. Nel 593 ordinò al pretore di Sicilia di fornire al vescovo di Tindari
ogni forma di aiuto nell' opera di annientamento dei pagani del luogo. E quando nel 598
comandò ad Agnello di Terracina di scovare i dendrolatri del suo vescovado e di punirli
in modo tale da sradicare anche in altri la voglia di paganesimo, questi i nvocò la
collaborazione della locale autorità militare, il comandante Mauro; ovviamente tutto ciò
accadde, per usare le parole del diacono Giovanni, "con l ' uso di una giusta violenza". 40
Gregorio esaltò ripetutamente anche l ' Esarca bizantino del Nordafrica Ghennadio
per le molte azioni belliche contro i pagani, in tal modo ripercorrendo splendidamente
Giusto e affettuoso verso gli Ebre i ? 1 23

i sentieri tracciati da s. Agostino (v. I, 430 ss.; 437 ss.). (Uno dei chiostri gregoriani di
Sicilia si chiamava "Convento dei Pretoriani"). Al contrario, Gregorio non ebbe la
minima comprensione per la prassi liberale del governatore di Sardegna (praeses
Sardiniae), le cui azioni furono condizionate da un' evidente emergenza finanziaria:
dovendosi procacciare urgentemente i l denaro per il suo "suffragium", fu costretto ad
estorcerlo al popolo, secondo un' abitudine antica e consolidata. Ma a Gregorio dovettero
rizzarsi in capo i pochi capelli residui, allorché nel 595 informò l ' imperatrice Costantina
che il governatore non soltanto si faceva pagare l ' organizzazione di sacrifici idolatri,
ma incassava addirittura una "tassa sacrificate" da pagani battezzati.
Papa Gregorio riconosce, anzi sancisce la guerra di religione, cioé di aggressione,
per la sottomissione dei pagani ; in stridente contraddizione con Gesù giustifica la spada
e la battaglia come strumenti missionari : prima la guerra, il cristianesimo verrà dopo;
prima li si doveva soggiogare con ogni forma di violenza, poi li si poteva convertire
con maggiore o minore soavità; massima, che secondo il cattolico Friedrich Heer con­
traddistinse "la politica cristiana di conquista e di espansionismo fino alla soglia della
Prima Guerra Mondiale". In questo campo Gregorio operava, (come scrive in una lettera
all ' imperatore), seguendo l ' antico concetto, già proprio di Ambrogio, che "la pace della
res publica dipende dalla pace della chiesa universale" ! Ergo, divenuto generale, 176
mantenne persino una sua soldataglia, che più volte si batté anche vittoriosamente.
Tutto ciò risultò, per così dire, spontaneamente, quasi costituisse l ' evoluzione più
naturale del mondo. Dalla "assenza del l ' autorità imperiale derivarono al papato le
incombenze politiche della difesa e dell ' approvvigionamento di Roma", sì che i papi
"progressivamente divennero senza proprio volerlo gli incontrastati signori di Roma"
(Richards). Anche secondo lo storiografo cattolico del papato Seppelt tutto questo
processo si svolse "in modo del tutto naturale", "quasi da sé", e Gregorio fu "il baluardo
e il duce", il "console di Dio", che prese nelle proprie mani "da solo i destini d' Italia,
del suo paese". Egli protestò contro la prevista riduzione delle guarnigioni romane,
irivocandone il rafforzamento; anzi, il successore del povero Figlio dell ' Uomo non si
astenne dall' inviare riforni menti alle truppe, dall' esortarle al compimento del proprio
dovere, dal fornir loro accurate istruzioni e naturalmente anche dall ' inoltrare informa­
zioni sul nemico. Destinò a Napoli un tribuno e il dux Leonzio presso il castello di
Nepe, sempre reclamando obbedienza ai loro ordini. Forse che con la sua bocca non
parlava "il Signore"? Il povero, girovago predicatore pacifista di nome Gesù? 4 1

GIUSTO E AFFETTUOSO VERSO GLI EBREI?

Ancor oggi papa Gregorio I passa per un grande protettore degli Ebrei, che in quel
tempo erano attivi in tutto l ' i mpero, dall' Africa alla Spagna e alla Gallia, soprattutto
1 24 Papa G regorio l

come mercanti , ma anche come contadini: "Gli Ebrei trovarono in Gregorio un tutore
dei loro diritti, poi garantiti per secoli dai papi " (Kiihner). Secondo il teologo cattolico
Stratmann, con gli Ebrei Gregorio non fu solo giusto , ma addirittura "affettuoso". 42
Certo, Gregorio non volle "che gli Ebrei fossero ingiustamente oppressi e tormentati"
( l ' accento doveva cadere su questo "ingiustamente"); certamente, Gregorio consentì
1 77 agli Ebrei, usando ancora le sue parole, "una libertà di commercio garantita dalla legge
romana". Ma tale legge imponeva agli Ebrei svantaggi gravi e numerosi : non potevano
costruire nuove sinagoghe, né convertire i non Ebrei al giudaismo, né sposarsi coi non
Ebrei, né ereditare, né occupare incarichi pubblici civili o militari ; inoltre non era loro
consentito possedere o mettere in commercio schiavi cristiani (ovviamente ciò era
permesso ai cristian i ) . Per il "grande" Gregorio, che vedeva nel giudaismo una
"superstitio", non una religione, tutto questo era assolutamente giusto. 43
Il papa, in linea di principio, non aveva nulla contro gli schiavi cristiani, che lui
stesso possedeva a schiere, ma si sdegnava al pensiero di schiavi cristiani al servizio
degli Ebrei: considerava "assolutamente pernicioso e orribile per dei cristiani servire
come schiavi degli Ebrei". Gregorio esigeva un intervento immediato e severo contro
quegli Ebrei che avessero convertito gli schiavi cristiani al giudaismo; costoro dovevano
essere liberati, esattamente come quegli schiavi pagani o giudei al servizio degli Ebrei
che avessero voluto farsi cristiani e che non fossero stati già venduti a padroni cristiani
nell ' arco di tre mesi. 44
È vero, papa Gregorio offriva agli Ebrei persino dei privilegi economici, ricorrendo
alla corruzione per convincerli a battezzarsi ; la sua offerta arrivava fino alla fornitura
gratuita degli abiti battesimali e alla garanzia di una rendita. Un Ebreo romano su tre
convertito al cattolicesimo doveva pagare solo due terzi d' affitto: per l ' abile finanziere
e amministratore (nonché apostolo della fine del mondo) la posta valeva la candela;
d' altra parte aveva addolcito con una rendita i cattolici pentiti dello scisma dei Tre
Capitoli (pag. 1 20 s . ) . Anche se gli Ebrei potevano essere attratti più dal denaro che da
Cristo, il santo padre guadagnava anche i loro figli e i figli dei figli, e così via; perciò
scrisse: "Nessuna riduzione d ' affitto in nome di Cristo va annoverata fra le perdite".
1 78 Ergo, ridusse le tasse di successione anche per gli Ebrei convertiti.
A parte un simile "aiuto disinteressato", Gregorio fu uno degli antesignani della
politica antisemita in Occidente. Se da un lato rifiutò ancora duramente le persecuzioni
antigiudaiche, si oppose alla conversione coatta degli Ebrei nell ' Italia meridionale e
ali ' occupazione cattolica di una sinagoga in Sardegna, dali' altro continuò a considerare
lodevole il battesimo forzato e a propagandare energicamente la "conversione" degli
Ebrei. Proibì severamente la costruzione o l ' ampliamento delle sinagoghe, qualsiasi
attività missionaria e il possesso di schiavi cristiani, in non meno di dieci lettere. Al suo
incaricato speciale in Sardegna, il notaio Giovanni, ingiunse di farla finita con la
restituzione degli schiavi fuggitivi ai loro padroni ebrei. Insomma, Gregorio vietò agli
Affa ri prima della fine del mondo, ovvero della " Proprietà dei poveri " 1 25

Ebrei qualsiasi intervento nella vita pubblica dei cristiani. 45


Seguendo le parole di questo pontefice nessun cristiano doveva essere schiavo e
nemmeno servitore degli Ebrei, che in fin dei conti avevano ucciso e maledetto i l Cristo.
Una volta (59 1 ) impose a un ebreo la restituzione "in base a una legge" di calici, candelabri
e pallii da lui regolarmente acquistati ; e un' altra volta se l ' ebbe a male con un vescovo
che aveva comprato una pelliccia da mercanti ebrei. A quanto pare non parlò mai con
loro, e consentì che vendessero le loro merci solo al di fuori del "porticus", per evitare
anche solo la parvenza di un qualche rapporto con loro. Infine sappiamo che il presunto
protettore degli Ebrei encomiò solennemente re Reccaredo, perché si era opposto a tutti
i tentativi degli Ebrei di far togliere, pagando la, una norma antigiudaica da lui emessa. 46

AFFARI PRIMA DELLA FINE DEL MONDO, OVVERO DELLA "PROPRIETÀ DEI POVERI"

La stessa persona, che andava profetizzando la fine del mondo e l ' imminente giudizio
divino, perseguì una politica patrimoniale intensissima, come se tale giudizio divino
non avesse mai a verificarsi .
Il papa disponeva di un gran numero d i patrimoni ben organizzati, u n a quindicina 179
alla sua elezione, per un' estensione complessiva di parecchie centinaia di km2, il cosid­
detto Patrimonium Sancti Petri: i l che significava che il tutto apparteneva propriamente
non al papa o al clero, bensì al beato Principe degli Apostoli. E tali proprietà terriere
andavano dal Nordafrica, dove territori pressoché deserti, con grande giubilo di Gregorio,
andarono popolandosi di prigionieri di guerra ("la forza lavoro" più a buon prezzo),
all' Italia, all ' agro romano (il Patrimonium u rbanum), fino alla Corsica, alla Sardegna,
alla Dalmazia, all ' Istria e alla Provenza; un patrimonio terriero immenso, il più esteso
in Italia. Molto derivava da donazioni imperiali, ma l ' ultima gigantesca infornata fu
costituita dalle proprietà rubate alla chiesa ariana dopo la distruzione del Regno
Ostrogoto.
. In Sicilia, da tempi i mmmemorabili granaio di Roma, il patrimonio Sancti Petri era
tanto esteso che Gregorio lo suddivise in due centrali amministrative (Rettorati), Palermo
e Siracusa, con un complesso di 400 "conductores" (fattori) ; e il papa era sempre tenuto
al corrente del fatto che da anni "molte popolazioni subivano le violenze e le ingiustizie
degli amministratori dei beni ecclesiastici di Roma" e che venivano derubati e privati
dei propri schiavi.
Nella conduzione di tutti questi patrimoni il papa veniva aiutato da uomini di sua
fiducia e dai rettori delle diverse proprietà, a lui obbligati con un giuramento sul presunto
sepolcro di Pietro, ricoperto con cento libbre d' oro. Tuttavia Gregorio si preoccupava
personalmente anche delle inezie (o quasi). Nonostante la torma dei suoi dolorini e i
diaconi di Catania che andavano in sandali (compagi), perché solo questo era permesso
1 26 Papa G regorio l

ai diaconi di Roma; dopo tutti i suoi predicozzi, le fosche allocuzioni penitenziali e


l ' aspettazione logorante della fine del mondo, egli trovava il tempo, e anche molto, per
almanaccare sui propri possedimenti, sulle cavalle fattrici, sui buoi vecchi, sulle mucche
o sugli schiavi ormai inservibili, che perolopiù dovevano essere naturalmente membri
1 80 battezzati della santa chiesa: ma in questo i metodi del santo padre non furono molto
scrupolosi . L' importante era che le entrate aumentassero prima del Giudizio Universale,
in modo che il capo potesse presentarsi al suo Capo di là con un buon rendiconto. Le
sue parole d' ordine furono: "Prestigio, efficienza e disciplina": oggi potrebbero costituire
il credo di tutti i managers del Marketing USA. 47
In verità questo sinistro predicatore della fine del mondo cercava nobilmente di
impedire che "il portafogli della Chiesa venisse contaminato da un guadagno vituperoso",
ma contemporaneamente faceva di tutto per accrescere la produzione e gli utili. Non fu
il solo papa che in queste faccende si spinse tanto in là da spendere in Ioco le entrate
(per esempio della Gallia) o gli affitti pagati con moneta locale (il cui valore si scostava
da quello ufficiale) per non accollarsi eventuali perdite causate dal cambio. 48
Queste proprietà terriere mettevano sempre a disposizione di Gregorio grandi quantità
di beni e di denaro, facendo della chiesa cattolica di gran lunga la prima potenza
economica d ' Italia; tanto più che vi si aggiungevano entrate non indifferenti derivanti
da lasciti e donazioni, talvolta dirette personalmente al santo padre e ai vescovi . Secondo
il quadripartitum, vale a dire la quadripartizione del patrimonio ecclesiastico sulla base
di un' antichissima tradizione, il papa incassava soltanto per sé un quarto di tutte le
entrate. Accadeva persino che molti vescovi ne trattenessero per se stessi un terzo,
oppure che applicassero la quadripartizione abituale per le entrate tradizionali, ma
intascassero tutte quelle più recenti (cfr. III, 373 s.). Naturalmente Gregorio proibì tale
prassi, per esempio ai vescovi siciliani : "È indicativo che nello stesso tempo che l ' u ltimo
banchiere di Roma andava in rovina, un latifondista italiano tramite il papa destinasse
una grande somma di denaro alle entrate ecclesiastiche siciliane per il pagamento in
Sicilia, mentre liquidava la somma a Roma al diacono dispensator" (Hartmann) 49•
È vero che Gregorio, come pochissimi altri papi, intervenne a favore dei contadini­
mezzadri, cercando di rimediare agli abusi peggiori, tuttavia, come dimostra la corrispon­
denza pontificia, i beni della chiesa erano un' unica grande palude di sfruttamento,
181 corruzione, oppressione e inganno.
I poveri contadini, o meglio schiavi agricoli, già salassati da una triplice tassa
imperiale annuale (burdatio) e dagli affitti e dai tributi alla chiesa beatificante, venivano
ulteriormente oppressi dagli sgherri chiericali coi metodi e i mezzi più diversi: con
l ' estorsione d' altro denaro con tariffe molto maggiorate, ad esempio, per un permesso
di matrimonio oppure con la manipolazione o la modificazione delle unità di misura
del grano. Anche quando durante il trasporto a Roma le granaglie andavano perdute a
causa di un naufragio, la colpa era dei contadini, che dovevano provvedere di nuovo. Il
Gli schiavi servono, ma si logorano come il bestiame 1 27

papa volle accollare le perdite ai rettori esclusivamente nel caso che avessero colpevol­
mente mancato il tempo favorevole alla navigazione. Ma l ' intervento di Gregorio nei
casi noti purtroppo non era ovvio, però elevava indubbiamente la produttività dei beni
pontifici, e quindi era anche nel suo interesse, nel l ' interesse di un "proprietario terriero
giusto e tuttavia abile", come Io celebra Richards, il quale deve però anche ammettere
che "molti dei vecchi abusi tuttavia continuarono". 50
Probabilmente quasi tutti .
Gregorio definì se stesso "cassiere dei poveri", e "proprietà dei poveri" l ' i mmenso
patrimonio papale: una "delle sue espressioni più belle", decanta il cattolico Manuale
di storia della Chiesa. Ma normalmente tutto ciò non andava oltre l ' elemosina, anche
se talvolta, in modo del tutto soggettivo, si interessava dei bisognosi o di altri "indigenti".
In verità era, per esempio, il suddiacono Antemio a sbrigare questa faccenda; ma, Io
biasima il papa nel 59 l , lo ha fatto "solo in pochi casi", evidentemente dimenticando,
tra l ' altro, i più importanti ; così Gregorio gli ingiunge perentoriamente : "Voglio che
Tu, immediatamente dopo il ricevimento di questo incarico, assegni 40 ducati e 400
staia di grano alla signora Pateria, mia zia, per il mantenimento della sua servitù, alla
signora Palatina, vedova di Urbico, 20 ducati e 300 staia di grano, e alla signora Viviana,
vedova di Felice, sempre 20 ducati e 300 staia di grano. Gli 80 ducati vanno posti nel
conto". 5 1
La zia del santo padre riceve comunque più grano d i ciascuna delle due vedove e i l 1 82
doppio del denaro (del resto serviva al pagamento della servitù: sono posti di lavoro ! ) .
Ma, come scrive il Manuale d i storia della Chiesa, " l a cura per un residuo d i pace e
ordine, anzi per il pane quotidiano dei poveri, spesso occupò tutta l ' attenzione del vescovo
romano"; per poi subito dopo assicurare, e ora appare effettivamente credibile, che
"Gregorio non fu mai soltanto un assistente dei poveri nemmeno nei tempi più duri . . . ".
Peccato che per buone, cioé cattive, ragioni non sappiamo quanto il clero ha speso pei
poveri e quanto per se stesso nel corso della sua lunga storia vittoriosa e salvifica ! 52

GLI SCHIAVI SERVONO, MA SI LOGORANO COME IL BESTIAME


OVVERO "LA DIVERSITÀ DELLE CLASSI"

Sappiamo dallo stesso Gregorio che molti vescovi non si prendevano cura né degli
oppressi né dei poveri , specificamente quelli della Campania. Ma lui era davvero un
padrone moderato? In occasione della nomina a rettore del defensor Romanus così
scrisse ai coloni di S iracusa: "Vi ordiniamo dunque di obbedire prontamente alle
disposizioni ch'egli riterrà giuste per la salvaguardia degli interessi della Chiesa. Gli
abbiamo conferito il potere di punire severamente chiunque oserà disobbedire o ribellarsi.
Gli abbiamo inoltre ordinato di ricercare tutti gli schiavi fuggitivi appartenenti alla
1 28 Papa Gregorio l

chiesa e di recuperare con cautela, prontezza e energia tutta la terra da qualcuno occupata
illegalmente". 53
Per la gestione dei suoi beni Gregorio aveva ovviamente bisogno di veri eserciti di
schiavi e di coloni obbligati alla terra: "I contadini liberi legati alla chiesa erano rari"
(Gontard). Va da sé che il papa non scosse l ' istituzione schiavistica: da dove avrebbe
dovuto prendere altrimenti il denaro pei poveri l ' amministratore del patrimonio dei
1 83 poveri ? Per non parlare del mantenimento dei "posti di lavoro", già allora la preoccu­
pazione di tutti gli imprenditori . Gregorio ricorda certo - da sempre infatti la sua chiesa
rende contemporaneamente giustizia ai ricchi e ai poveri , e questo è forse i l suo più
straordinario miracolo ! - anche ai signori che gli schiavi sono uomini, loro eguali per
natura; ma benché siano uguali, assolutamente uguali, le condizioni concrete sono pur
sempre del tutto differenti . Ergo, secondo Gregorio era necessario esortare gli schiavi
"ad osservare in ogni situazione la bassezza della loro condizione" e che "significa
oltraggiare Dio rifiutare i Suoi ordinamenti con un comportamento superbo". Il santo
pontefice insegna che gli schiavi devono "considerarsi servi tori dei padroni" e i padroni
"conservi fra i servi". Ben detto !
Non è una religione utile? Per natura, insegna Gregorio, gli uomini sono tutti uguali",
ma una "misteriosa disposizione" relega "alcuni più in basso di altri", crea la "diversità
delle classi", e precisamente "come conseguenza del peccato". Prima conclusione: "Ora,
dal momento che gli uomini non procedono nella vita alla medesima maniera, gli uni
devono dominare sugli altri". Seconda conclusione: Dio e la Chiesa - nella prassi per il
clero sempre la stessa cosa - erano per il mantenimento della schiavitù. E dalla Britan­
nia alla Gallia e all ' Italia ai suoi tempi c ' era un florido commercio cristiano degli schiavi.
La chiesa romana aveva bisogno di schiavi, i conventi avevano bisogno di schiavi
(Gregorio stesso nel 595 sollecitò il rettore della Gallia Candido all ' acquisto di fanciulli
inglesi schiavi per i chiostri romani), tutti compravano, usavano e usuravano schiavi
come il proprio bestiame. E anche a un nemico quale il re longobardo Agilulfo il papa
poté assicurare che il lavoro di tali servi tornava ben utile a entrambe le parti ! (Di
nuovo un concetto straordinariamente moderno, direi globalizzante). Quando poi questi
miserabili fuggivano dalla propria miseria, il che accadeva piuttosto sovente, il santo
padre si dava naturalmente molto da fare per renderli ai loro padroni : perseguitò gli
schiavi fuggiti da un convento di Roma con lo stesso zelo usato con un cuoco del
1 84 fratello, che aveva tagliato la corda. Ma poiché il papa era anche magnanimo, non
puniva le colpe dei "coloni" privandoli delle loro proprietà, ma facendoli picchiare di
santa ragione; e agli amici regalava "normalmente degli schiavi" (Richards) . 54
Gregorio, che andava predicando con insistenza l ' imminente fine del mondo (insieme
alle lotte per la fede, addirittura l ' idea guida del suo pontificato), intanto concludeva
ottimi affari . San Pietro diventò con lui sempre più ricco: elevò notevolmente i profitti
del suo patrimonio, fondando definitivamente il dominio territoriale del papato, tanto
A volte con l 'imperatore, a volte contro di lui 1 29

gravido di conseguenze; rifornì Roma coi cereali dei suoi latifondi siciliani, pagò il
soldo alle truppe i mperiali delle partes Romanae, provvide alla difesa della città e in
tempi di crisi ne comandò la guarnigione. I l "ministro con portafoglio del l ' imperatore",
"l ' amministratore della cassa dei poveri", come si definì egli stesso, il "console di
Dio", come lo decanta l ' iscrizione funebre, diede in questo modo la spinta propulsiva
alla formazione dello stato della chiesa, con conseguenze pressoché impensabili di
faide, guerra e inganni. 55
Già adesso il papato fu una potenza (molto) mondana, e gia degno di nota l ' atteggia­
mento di Gregorio verso Bisanzio.

A VOLTE CON L ' IMPERATORE, A VOLTE CONTRO DI LUI

Durante le tempeste della migrazione dei popoli Roma si era posta sotto la protezione
del l ' imperatore d' Oriente e del potente re de Goti Teoderico, ma talvolta aveva operato
pesantemente contro Bisanzio (v. Il, 239 ss.) e anzi, durante la guerra gotica, per qualche
tempo aveva fatto causa comune con gli "Eretici", secondo molti meno pericolosi del
"Cesaropapismo". Sotto i re gotici i combattenti cattolici per la fede non toccarono
nemmeno le chiese ariane, anche se davano già alle fiamme le sinagoghe degli Ebrei !
(v. II, 225 sg. ; 300 sg.). Dopo la disfatta degli Ostrogoti e la sottomissione del l ' Italia al 1 85
governatore bizantino di Ravenna (supremo comandante militare, subito chiamato
"Esarca"}, in un primo momento Roma si lasciò comandare a bacchetta dai "liberatori"
B izantini, i quali estorcevano in Italia le stesse somme di denaro pretese dal re gotico e,
per sovrapprezzo, si abbandonavano al saccheggio, arricchendosi a mani basse. Solo
dopo la morte di Giustiniano (565), allorché l ' impero d' Oriente conobbe una notevole
crisi di potere, soprattutto a causa di perdite territoriali, in Occidente si preparò un altro
voltafaccia con la ricerca di collaborazione coi Germani, i quali, secondo il cattolico
Manuale di Storia della Chiesa, si fondò propriamente "su calcoli di natura pastorale",
anziché di natura politica, come fu ben presto evidente.
Infatti, era troppo vistoso l ' esaurimento di B isanzio, il suo logoramento: a Oriente
c ' era la minaccia persiana; in Italia i Longobardi tenevano separata Roma da Ravenna;
nei Balcani era iniziata la penetrazione degli S lavi, Serbi e Croati e in Spagna l ' ascesa
del regno dei Visigoti . A questo si aggiungevano le spinte autonomostiche interne alla
stessa compagine imperiale ad opera degli esarcati di Ravenna e di Cartagine, e da
parte di folti gruppi marginali di nestoriani, monofisiti e copti . E iniziava anche la
disgregazione delle strutture economico-sociali. Insomma, l ' impero d ' Oriente non era
più quello di prima, e con Gregorio I il papato cominciò ad allontarsi da Bisanzio. 5 6
Il santo padre una volta operava con lo stato, un' altra volta contro: se nel tentativo di
ricondurre sotto la propria disciplina i vescovi d ' I l liria si appoggiò al braccio secolare,
1 30 Papa Gregorio l

agì poi contro quest' u ltimo nel tentativo analogo contro i caparbi arcivescovi di Ra­
venna, Aquileia e M ilano. I vescovi della diocesi di Aquileia invocarono l ' aiuto
del l ' imperatore Maurizio contro il papa, ansiosi di conservare l ' autonomia raggiunta
dopo la contesa dei Tre Capitoli. (Lo scisma si estinse del tutto solo un secolo dopo). 57
Ma i patteggiamenti di Gregorio ora non si accordavano con i disegni di Maurizio
1 86 (582-602) circa la riorganizzazione dell ' Italia, dove a partire dal 5 84 governava tramite
l ' Esarca di Ravenna. Il primo patricius et exarchus (ltaliae) (era questa la denominazione
ufficiale) sicuramente conosciuto fu Smaragdo, valente generale, che però nel 5 89 fu
sostituito da Romano, perché da tempo malato di mente. Dopo l ' invasione longobarda
agli Esarchi (massime autorità sia politiche che militari), a parte Ravenna e la Pentapoli,
restarono solo le regioni costiere bizantine, le isole veneziane, le regioni intorno a
Genova, Roma, Napoli e Amalfi, chiamate Ducatus, perché comandate da un militare
col titolo di Dux.
Mentre Maurizio si riproponeva la riconquista dell ' Italia, nutrendo disegni politici
ancor più vasti di quelli di Giustiniano, e nel Messale Romano si leggeva ancora
l ' i nvocazione "che Dio possa sottomettere all ' imperatore tutte le genti barbare",
Gregorio si accostava ai nuovi signori, unendosi temporaneamente ai Longobardi. Ma
contemporaneamente ostentava fedeltà all ' imperatore, col quale si erano già manifestate
talune controversie, e proclamava la propria dottrina sul l ' autorità, alla quale dovevano
attenersi tutti . . . eccetto lui stesso. Infatti, proprio quando i suoi missionari si spingevano
verso occidente nel 5 89, dichiarò che i Franchi erano superiori a tutte le altre nazioni a
causa della loro ortodossia, e, riferendosi a Childeberto II, cui aveva inviato le chiavi
di s. Pietro, disse: "Come la dignità regale supera quella di qualsiasi altro uomo, così il
regno franco è superiore a tutti gli altri popoli". 58
In Italia, dove i Longobardi continuavano ad espandersi, il potere del l ' imperatore
era piuttosto ridotto; e quanto più decresceva, tanto più aumentava quello del papa. A
Roma egli comandava anche sui funzionari imperiali di più alto livello in ambito po­
litico, amministrativo e militare; possedeva una sorta di diritto ispettivo sulle loro attività,
e a lui competeva il ricorso all ' imperatore. Così Gregorio poté essere definito il fondatore
del dominio temporale del papato; anche se non era ancora lo stato della chiesa, era già
una specie di stato, o perlomeno un fattore decisivo di potere. I vescovi di Gregorio
1 87 eleggevano insieme ai latifondisti i governatori provinciali e ne codeterminavano le
competenze, soprattutto di natura giudiziaria. Il papa influenzava poi anche il commercio,
controllava col senato pesi e misure e possedeva un patrimonio terriero enorme in
Italia e altrove, il che costituì probabilmente il fattore più importante del suo potere. 59
Intanto però Gregorio, come i suoi antecessori, era suddito del l ' imperatore, e questi
era il suo sovrano, la cui persona ed il cui governo venivano considerati sacri . Era
proprio il monarca di Bisanzio che combatteva contro le "Eresie", emanava i decreti
ecclesiastici e indiceva i Concili. In una lettera del giugno 595 Gregorio chiama il
A volte con l 'imperatore, a volte contro di lui 131

sovrano suo "devotissimo Signore", definendosi "peccatore indegno" e "peccatore" ;


promette "obbedienza" "agli ordini serenissimi" di Maurizio, col quale in qualità di
apocrisiario aveva intrattenuto rapporti generalmente buoni (e con l ' imperatrice
addirittura cordiali), anche se manifesta giubilo dopo la sua morte, per essere altrettanto
"obbediente" all' assassino. Anche come pontefice Gregorio fu sempre consapevole
della propria subordinazione, tanto più che la stessa chiesa romana non era autonoma,
anzi l ' imperatore ne era il sovrano. E sempre questi esercitò il diritto di ratifica
dell' elezione al seggio di Pietro, cui potevano innalzarsi solo i chierici graditi a B isanzio.
Dopo ogni elezione il clero e il popolo di Roma dovevano implorare (''fra le lacrime")
il sovrano "perché fosse propenso ad ascoltare la supplica dei suoi schiavi e ad esaudire
col suo ordine i desideri dei postulanti in relazione all ' ordinazione dell ' Eletto". Talvolta
l ' imperatore si arrogava il diritto di ratificare le nomine anche per importanti seggi
episcopali in Italia, e papa e clero dovevano obbedire.
Anche se si trattava di questioni meramente ecclesiastiche e Gregorio aveva opinioni
del tutto diverse, o concludeva prontamente un compromesso oppure si limitava al-
l' obbedienza, come accadde dopo la raccomandazione di non molestare gli scismatici
cattolici, fedeli ai "Tre Capitoli". E quando l ' imperatore volle deporre l ' arcivescovo di
Prima Justiniana, metropolita di Dacia e nunzio apostolico Giovanni (forse malato di
mente), il papa, come tante altre volte, espresse i suoi dubbi, senza però insistere contro 1 88
l ' altissima decisione. Spetta al sovrano ordinare quel che vuole, perché "il nostro
piissimo Signore ha i l potere di fare ciò che a lui piace" : se l ' atto imperiale è conforme
al diritto ecclesiastico, il papa intende confermarlo, ma altrimenti "Noi ci pieghiamo,
nella misura in cui possiamo farlo senza peccare". 60
Indubbiamente l ' orgoglio di Gregorio trapela qua e là, come quando dice "il mio
paese", intendendo l ' Italia, oppure quando fa notare che la Sacra Scrittura definisce "i
sacerdoti ora Dèi ora Angeli". Anzi, nella sua lettera più appassionata si esalta con
l ' esempio di Costantino, il quale avrebbe bruciato una denuncia accusatoria contro i
vescovi con queste parole: "Voi siete Dèi e insediati da Dio. Andate e decidete da fra
voi le vostre faccende; infatti, non sta bene che noi pronunciamo sentenze sugli Dèi".
Generalmente Gregorio si muoveva con grande abilità nei rapporti col suo sovrano,
che non attaccava mai direttamente in casi di conflitto, limitandosi alla rampogna del
"mondo peccaminoso". Ovviamente non contestava la suprema autorità dell ' imperatore
anche per il fatto che poteva tener testa ai Longobardi soltanto con l ' appoggio di
B isanzio. E dunque si destreggiava fra Oriente e Occidente, sempre e unicamente
preoccupato del proprio interesse: mentre in apparenza serviva lealmente il sovrano,
mostrandosi fedele seguace di Bisanzio, a volte s ' accordava coi nemici del l ' impero, si
permetteva di definire i funzionari imperiali peggiori dei Longobardi e lamentava la
"malignità" dei Bizantini, "i loro ricatti e la loro premeditata perfidia", giungendo fino
ad esaltare come una liberazione la caduta del l ' imperatore. 6 1 189
1 32 Papa Gregorio l

IL SANTO PADRE CONSIGLIA GLI ATTACCHI ALLE SPALLE,


LA PRESA D 'OSTAGGI E IL SACCHEGGIO

Fra l ' esarca di Ravenna e il papa non prevalevano i buoni rapporti; l ' Italia, e specialmente
il caos territoriale nel centro della penisola, era causa di scaramucce pressoché con­
tinue. L' esarca intendeva proteggere il corridoio Ravenna-Roma, il papa la stessa Roma,
anche se le truppe non erano sufficienti e la guarnigione romana, notevolmente indebolita
dal la peste e per giunta senza soldo, era sul l ' orlo del l ' ammutinamento. A questo punto
Gregorio ne assunse il comando, reggendo la città ed esercitando un ruolo fondamentale
in tutte le attività militari, dalla nomina degli ufficiali, alle operazioni dei generali
imperiali, alle trattative per gli accordi di tregua. Provvide inoltre a che nessuno si
sottraesse al servizio militare col pretesto del servizio religioso, anzi, completò il
reclutamento del personale di guardia alle mura cittadine traendolo persino dai conventi,
evitando però di insediare soldati nei chiostri femminili. Pianificò inoltre strutture militari
anche per la Campania, la Corsica e la Sardegna; si preoccupò dei punti deboli nelle
enclavi imperiali, disseminate di fortificazioni e di capisaldi per le truppe; nominò un
comandante per Napoli e Nepe, minacciandone le popolazioni (con echi biblici): "Chi
si oppone ai suoi ordini legittimi verrà trattato come un ribelle contro di Noi, e chi gli
obbedisce, obbedisce a Noi".
Gregorio cercò anche di operare sul confine del ducato insieme ai generali Veloce,
Vitaliano e Maurisio, duca di Perugia. (Questi passò in seguito al longobardo Ariulfo,
in nome del quale continuò a dominare Perusia [Perugia] , per poi tornare al servizio
del l ' imperatore durante la controffensiva del l ' esarca. Aveva colto l ' essenza della
politica ! Ma dopo la riconquista di Perugia (593) da parte del re longobardo i l conte
Maurisio non potè più dimostrare la sua malleabilità e . . . ci rimise la testa) .
Anche papa Gregorio, la cui ascesa al trono coincise col mutamento di reggenza
1 90 presso i Longobardi, fu dalla loro parte seguendo l ' evolversi degli eventi, cosa davvero
non facile, già per il fatto che aveva a che fare con tre gruppi anche sotto il profilo
religioso: in primo luogo (ed era questo i l problema più serio) doveva affrontare la
"Eresia" degli Ariani, cioé la fede del re ; poi doveva risolvere il problema dei pagani
residui, concentrati soprattutto nel ducato di Benevento, dove non esistevano più diocesi
cattoliche; e infine doveva vedersela con gli scismatici, perché i cattolici Longobardi
appoggiavano i "Tre Capitoli", come anche quasi tutti i vescovi lombardi, coi quali per
questa ragione Gregorio stava sul piede di guerra. 62
Coi Longobardi, che negli scritti del papa appaiono come briganti e assassini
incendiari, perseguì una doppia strategia ricchissima di varianti, tentando di sottomettere
con la guerra e il missionamento i nemici, nella sui sfera di potere la chiesa aveva
perduto tutte le proprie entrate, operando con loro o contro di loro a seconda della
convenienza.
Il Santo Padre consiglia gli attacchi alle spalle 1 33

Quando nel 59 1 si attendeva un attacco del pagano Ariulfo di Spoleto contro Roma
o Ravenna, Gregorio non predicò l ' amore cristiano per i nemici ; al contrario, al magis­
ter militum Veloce annunciò il rafforzamento di Roma e sollecitò i tre generali ad assalire
alle spalle i l duca. Alla fine di settembre del 59 1 scrisse a Veloce: "Se verrete a sapere
dove Ariulfo intende irrompere, se qui o a Ravenna, da uomini prodi dovrete assalirlo
alle spalle . . .". Gli attacchi di Ariulfo non ebbero luogo, ma la cosa si ripetè l ' anno dopo
e nel luglio del 592 Gregorio ordinò nuovamente un attacco alle spalle, proprio per il
29, giorno del martirio di Pietro. Il "grande" papa, santo e dottore della chiesa, consigliò
inoltre scorrerie nei territori del duca e cattura d' ostaggi ! I militari dovevano salva­
guardare il loro onore, tuttavia non dovevano tralasciare nulla (e su questo punto insistette
ripetutamente) "che riteniate vantaggioso per l ' impero", "che il vantaggio dello stato
impone". Comunicò poi l ' ultima posizione del l ' esercito longobardo e ordinò esplicita­
mente di saccheggiare le posizioni nemiche. 63
Ma Gregorio strinse accordi anche coi Longobardi, anzi talvolta si unì effettivamente
a loro: erano militarmente più forti, padroni autentici del paese e in fondo non potevano 191
che arrecare nuovi possedimenti , senza schiavi morti o fuggitivi.
Dopo la tregua stipulò personalmente un trattato di pace, naturalmente a proprio
vantaggio, ma a spese di Ravenna e del l ' i mpero: un duplice assedio di Roma in due
anni fu sufficiente a fargli desiderare una attimo di tregua per migliorare le strutture del
comando e l ' armamento; e poi lo addolorava il pensiero del l ' oro sborsato (500 libbre),
e ancor più la forte diminuzione degli affari, ormai in crisi da anni a causa della guerra.
E allora, in pace, poté dire al re longobardo: "Se non fosse stata conclusa [la pace] , Dio
non voglia, cosa sarebbe accaduto se non il versamento del sangue dei miseri contadini,
il cui lavoro torna a vantaggio di entrambi, a infamia e rovina di ambo le parti?"
Inutile chiedersi se il sangue dei contadini gli interessasse più del personale tornaconto
derivante dal loro lavoro. In ogni caso, coltivò via via rapporti sia con Ariulfo che con
Agilulfo, mantendendo contemporaneamente contatti coi funzionari imperiali e con
l ' imperatore, che però condannò vigorosamente il suo comportamento, accusandolo di
dabbenaggine; a Ravenna, dove risiedeva l ' esarca Romano, si giunse ad atti pubblici
così aspramente diffamatori contro il papa, che questi ne scomunicò gli autori . Solo
quando nel 596 o nel 597 inaspettatamente Romano morì e a lui succedette Gallicino,
amico del papa, fu possibile riprendere e concludere le trattative di pace con Agilulfo
con la mediazione di Gregorio. Il re e l ' esarca sottoscrissero un accordo di due anni,
ma il papa, cosa assai singolare, che illumina ancora una volta il suo comportamento
ambiguo, si rifiutò di firmare, tuttavia consentendo che altri lo facesse in suo nome. 64
Infine, Gregorio ebbe successo anche con la regina cattolica (scismatica) Teodelinda,
vedova di re Autari, una delle ormai non più rare dame cristiane, influenzabili e guidate,
finite dentro i letti di principi pagani (pag. 1 45 s . ) .
Il fiduciario papalino presso questa principessa bavarese, c o n la quale Gregorio ben
1 34 Papa G regorio l

1 92 presto stabilì fervidi rapporti epistolari, era l ' ortodosso diacono milanese Costanzo,
insieme al monaco Secondo il più influente consigliere della regina, diventato vescovo
di Milano nella primavera del 593, sicuramente non senza l ' appoggio di Roma. Gregorio,
il quale sapeva bene che Teodelinda "era sempre disposta e pronta a qualsiasi opera
buona" (Paolo Diacono), iniziò nello stesso anno la sua corrispondenza con lei; la
quale non vide nemmeno la prima lettera pontificia, rinviata al mittente da Costanzo in
quanto ancora troppo imprudente, affinché la rielaborasse. Il papa le mandò anche
alcune ampolle d' olio spillato dai lumini dei sepolcri romani dei martiri, una scheggia
della croce di Cristo, bottigliette col sangue del Redentore nonché quattro delle sue
opere rigurgitanti di miracoli e infine regali per i principini. Infatti, nel 603 Teodelinda
fece battezzare col rito cattolico i l figlio Adaloaldo, come prima aveva fatto con la
figlia Gundeperga. Padrino dell ' erede al trono fu Secondo "il servo di Cristo" (Paolo
Diacono) 65
Senza il controllo papale di Teodelinda il battesimo del principe ereditario non avrebbe
avuto luogo, come pure tante altre opere pie (o malvage?): "Grazie a questa regina la
Chiesa del Signore ottenne numerosi vantaggi", scrive Paolo Diacono; infine, anche i l
r e Agilulfo, che n e l 5 9 5 fece ammazzare i ribelli duchi di Verona, Bergamo e Pavia, s i
accostò a l cattolicesimo, ovvero tollerò almeno g l i sforzi missionari della consorte e
dei suoi consiglieri : tutto ciò predispose progressivamente i Longobardi alla conversione
al cattolicesimo. I possedimenti della chiesa, espropriati durante l ' occupazione del paese,
vennero restituiti, addirittura accresciuti dalle donazioni regali; il villaggio di Bobbio,
per esempio, con quattro miglia tutt ' intorno passò a s. Colombano (pag. 22 s.) e venne
edificato un c h iostro, futuro centro motore della lotta contro l ' arianesimo e i l
paganesimo. 6 6
Il "dio" romano si manifestò in tutta la sua miseria morale in occasione di un
1 93 rivolgimento verificatosi a Bisanzio.

PAPA G REGORIO FESTEGGIA L' ASSASSINIO DELL ' IMPERATORE

Allorché nel 602 le truppe bizantine, in vista di una campagna nei Balcani, si accinsero
a stabilirsi nei quartieri invernali, però, per motivi economici, al di là del Danubio,
scoppiò un ammutinamento, guidato dal capitano Foca, il quale conquistò la capitale,
detronizzò Maurizio e il 23 novembre si fece coronare i mperatore dal patriarca insieme
alla moglie Leonzia (602-603 ). Quasi subito dopo Foca fece assassinare davanti agli
occhi del padre i quattro figli più giovani del l ' imperatotre, che avevano cercato rifugio
in una chiesa, sperando d ' esser così al sicuro; si racconta che ogni volta che il pugnale
del sicario lampeggiava sulla testa di un figliolo, l ' imperatore esclamasse: "O Dio, Tu
sei giusto, e retti sono i tuoi giudizi ! " . Quindi venne passato a fil di spada anche Maurizio;
Papa Gregorio festeggia l 'assassinio dell 'imperatore 1 35

e poco tempo dopo subì la stessa sorte il figlio maggiore e co-reggente Teodosio,
figlioccio del papa.
Per vendicare gli assassinii, nel 604 il re Cosroe II, alleato di Maurizio e u ltimo
Gran Re dei Sassanidi (in seguito liquidato anche lui), fece strangolare a Dara e a
Odessa parecchie migliaia di legionari prigionieri. Intanto Foca provvedeva all ' elimi­
nazione del resto della famiglia i mperiale, cioé l ' imperatrice Costantina, chiusa in un
convento, e le sue figliole. Inoltre questa "Guida eletta da Dio", come si esprime Karl
B aus ( 1 982), storiografo cattolico della chiesa, tra il 602 e il 6 1 O fece uccidere alcune
centinaia di parenti, senatori e seguaci del sovrano assassinato a tradimento. 67
Troppo debole per potersi reggere da solo, a dispetto dei suoi avvicinamenti sediziosi
ai Longobardi, il papa dovette pur sempre cercare protezione e appoggio a Costanti­
nopoli . Ma come non lo turbava da un lato abbracciare ogni tanto il partito del nemico
del l ' i mpero, dal l ' altro essere amico di un imperatore, che dopo una campagna contro
gli Avari preferì lasciar ammazzare 1 2000 suoi soldati caduti prigionieri piuttosto che
riscattarli , così adesso il santo Gregorio non esitò a far comunella con l ' assassino
del l ' intera casata i mperiale. 68
Infatti, Foca, l ' usurpatore e assassino del l ' imperatore, dell ' imperatrice, dei principi 1 94
e delle principesse, i cui otto anni di dominio anarchico vengono annoverati fra "le
epoche più sanguinarie" (F. G. Maier), fra "i regimi più distruttivi del l ' intera storia
dell ' i mpero" (Richards), codesto mostro del secolo, venne ora festeggiato a Roma,
dove il papa reagì con "gaudio" alla notizia della morte di Maurizio, cui pure aveva
inviato epistole tanto amichevoli e cordiali ! E quando nel l ' aprile del 603 arrivarono a
Roma i ritratti delle novelle maestà, tali "Laurata" ( cioé, effigi coronate d ' alloro) furono
gioisamente accolte con i ceri accesi ; durante la cerimonia dell ' omaggio e del giuramento
di fedeltà nella chiesa di S. Cesario, nobiltà e clero esclamarono: "Ascoltaci, o Cristo !
Lunga vita all ' Augusto Foca e all ' Augusta Leonzia ! " . E papa Gregorio piazzò in
Laterano gli identikit di questa massima coppia di gangsters nel l ' oratorio di un martire,
s. Cesario appunto, e contemporaneamente scrisse all ' onorevole consorte del l ' usurpa­
tore, esortandola pomposamente alla difesa della fede cristiana! 69
All ' i mperiale cacciatore di teste il pontefice-dottore della chiesa assicurò poi nel
marzo 603 "lo Spirito Santo dimora in Voi", auspicando: "Il popolo tutto, finora tanto
turbato, possa, grazie alle Vostre buone azioni, diventare felice ! " . Il "Grande" Gregorio
giubila: "Onore a Dio nell ' alto dei cieli, a quel Dio che, come è scritto, muta i tempi e
conferisce gli imperi . . . Nel l ' imperscrutabile consiglio di Dio onnipotente sono differenti
i destini della vita umana. Talvolta, quando bisogna punire i peccati dei molti, viene
innalzato uno la cui durezza piega le cervici dei sudditi sotto il giogo della tribolazione,
come a lungo abbiamo appreso nella nostra prova; ma talvolta Dio misericordioso dis­
pone di visitare i cuori turbati dei più con la sua consolazione e innalza al vertice del
reggi mento un uomo, col cui compassionevole spirito instilla la grazia del suo giubilo
1 36 Papa G regorio l

in tutti i cuori . Crediamo di poter essere sollevati da simile sovrabbondanza di gioia,


noi che ci ral legriamo che la Vostra pia Maestà sia pervenuta alla somma altezza
1 95 del l ' Impero. Gioisca il cielo ed esulti la terra . . . " etc. etc.
Non è splendido ? ! Non è uno scritto che ben si addice a un "grande" papa, a un santo
e dottore della chiesa, ponderato col cuore in mano, un cuore vile e tuttavia avido di
potere ! ? Lo stesso imperatore, il cui figlio assassinato da Foca aveva tenuto a battesimo
raggiante di felicità, viene adesso diffamato agli occhi del sicario come punizione divina
per i peccati di molti e come oppressore spietato. L' assassino dell ' imperatore, il
giustiziere spietato della sua intera famiglia, viene ora esaltato quale inviato di Dio
misericordioso, dispensatore di consolazione e di grazia nei cuori di tutti, pia maestà
imperiale. Diavolo d ' un papa ! !
Nel luglio del 603 Gregorio già scriveva alla coppia usurpatrice di Costantinopoli :
"Pietro sarà il custode del vostro impero, il vostro protettore in terra, il vostro intercessore
in cielo, perché Voi rimuovete ogni pesante gravame e recate la felicità ai sudditi del
vostro regno". 7 0
Nel 608 a codesto dispensatore di gioie venne innalzata a Roma una stele onoraria:
sopravviverà per due millenni la stele dello scellerato - magnifico simbolo ! -, ultima
colonna imperiale a noi conservata, mentre tutte le altre sono scomparse senza lasciar
tracce insieme alle statue tutt ' intorno. E perché meravigl iarsi se il regale mostro la
ricevette anche dal papa Bonifacio IV, benedettino venerato come santo (festività del
25 maggio) - ma ciò non risulta agli storiografi cattolici della chiesa !
Ma in fondo Foca non solo aveva sterminato un imperatore con tutta la famiglia, un
imperatore col quale a Roma non si andava molto d' accordo nonostante il padrinaggio
di Gregorio, ma il bandito coronato aveva lasciato a papa Bonifacio anche il Pantheon,
Io splendido tempio pagano dedicato, come dice il nome, a tutte le divinità; e nel maggio
del 609 il pontefice lo trasformò solennemente in una chiesa cristiana, la consacrò a
Maria e a tutti i martiri (S. Maria dei Martiri ), delle cui reliquie la fornì copiosamente:
per così dire, sangue chiama sangue, ovvero una mano lava l ' altra "in nome delle
innumerevoli buone azion i . . . " . E poiché il Pantheon era un tempio dedicato a tutti gli
dèi, all ' atto della consacrazione della chiesa Bonifacio introdusse la festività di
1 96 Ognissanti. La chiamano tradizione ! 7 1
A quanto pare il comportamento di Gregorio ha stupito, sgomentato gli storici della
chiesa; ma egli, in fondo, non fece se non quello che sempre hanno fatto i suoi pari,
quando Io hanno ritenuto necessario (ciòé il proprio tornaconto, ovvero l ' adeguamento
conformistico alla volontà dei più potenti). Oppure, come scrive il cattolico Stratmann
(con le infiocchettature retoriche d' obbligo in casi simili) "Il papa contemplava la
situazione da un altissimo punto d ' osservazione". E la sua esaltazione è tanto più
comprensibile se si pensa che l ' imperatore Maurizio, col quale Gregorio andava
inizialmente d' accordo, come poi anche col suo assassino, aveva limitato l ' influenza
Ha inizio in Ingh ilterra la propaganda pontificia 1 37

papalina e aveva rinfrancato il patriarca di Costantinopoli, conferendogli i l titolo di


"Episcopo Universale" (pag. 1 1 2 ss.).
Quando morì l ' apocrisiario a Costantinopoli, Gregorio non nominò un successore,
interrompendo i rapporti diplomatici con l ' imperatore e col patriarca. Solo quando il
sovrano legittimo fu tolto di mezzo dal l ' usurpatore assassino Foca, inviò un nuovo
nunzio apostolico presso la corte, anche perché il nuovo reggente fu molto vicino a
Roma fin dal primo momento. E mentre in Oriente, dove perseguitava sanguinosamente
monofisiti ed Ebrei, diventava sempre più inviso e la sua rigida politica ecclesiastica
ortodossa suscitava a Costantinopoli battaglie per le strade e una situazione assai
prossima alla guerra civile nelle province orientali, (tanto che alla fine fu letteralmente
fatto a pezzi dalla folla e issato sugli spiedi), Roma Io amava e onorava sempre di più.
Infatti, con un editto indirizzato a Bonifacio III (secondo successore di Gregorio) nel
607, aveva riconosciuto "la Chiesa apostolica di S . Pietro quale vertice di tutte le Chiese"
(caput omnium ecclesiarum). 72
Fu questo l ' elemento decisivo. Adesso il papa e dottore della chiesa poteva chiudere
entrambi gli occhi, come sempre quando si trattava del suo tornaconto. Come, per
esempio, in occasione del missionamento a lui particolarmente caro, quando cioé
"mediante la sua azione converte il popolo d' Anglia dalla soggezione a Satana alla
fede in Cristo", quando ha trasformato "il nostro popolo, ancora schiavo del l ' idolatria,
in una Chiesa di Cristo", come scrive il Venerabile Beda nella sua "Historia ecclesiastica
gentis Anglorum", completata nel 73 1 . 73 1 97

HA INIZIO IN INGHILTERRA LA PROPAGANDA PONTIFICIA

Restano avvolti nel buio gli esordi del cristianesimo in Britannia, dove fu introdotto
probabilmente nel II secolo da mercanti e soldati, gente che esercitava professioni
(piuttosto) disprezzate dal cristianesimo antico. Anche in seguito i primi cristiani del
nord furono mercanti scandinavi. Per il 3 1 4 sono attestati come presenti nel Sinodo di
Arles tre vescovi britannici. 74
Il dominio romano sulla Britannia, avviato ne1 43 a. C. dal l ' imperatore Claudio con
quattro legioni (appena 40000 uomini), si concluse intorno al 400: nel 383 Teodosio
abbandonò il Vallo di Adriano e agli inizi del V secolo i Romani ritirarono definiti­
vamente le proprie guarnigioni con Stilicone (v. II, 9 ss.) e Costanzio III (v. II, 24).
Chiamati in aiuto dai Britanni a causa degli attacchi di Picti e Scoti, le tribù germaniche
dello Jutland e dei Sassoni prima, poi anche degli Angli, costituirono una serie di regni
in continua lotta fra di loro: il Kent, il Sussex, I ' Essex, il Wessex ; poi la Mercia, la
Northumbria e il Middleessex, con il predominio ora del l ' uno, ora dell ' altro. È l ' epoca
compresa fra i1 450 e i1 600, la "dark age", la più ignota di tutta la storia inglese. 75
1 38 Papa Gregorio I

Al tempo di Gregorio la ex provincia romana di Britannia era costituita a Occidente


dai regni romano-britannici e nel restante territorio dai regni ancora pagani degli
Anglosassoni . Il popolo degli Angli - come scrive Gregorio nel l ' agosto del 598 al
vescovo Eulogio di Alessandria - viveva "in un angolo sperduto del mondo, adorando
ancora alberi e pietre . . . "; una venerazione pur sempre bella e sensata (cfr. pag. 20).
Verso la fine del VI secolo Etelberto, re del Kent, sposò la cattolica principessa
merovingia Berta, pronipote di Clodoveo, nipote di B runechilde e figlia di Cariberto di
Parigi, re dei Franchi, che ebbe al suo seguito il vescovo Liutardo, conservando i riti
1 98 cristiani, mentre Etelberto continuò a rimanere pagano. Ma poiché egli era diventato i l
re più potente d ' Inghilterra e veniva riconosciuto quale sovrano agli altri superiore, nel
595 o nel 596 Gregorio si affrettò a spedire a questi "barbari" i l priore del convento di
Sant ' Andrea, Agostino, e una quarantina di monaci, con accurate istruzioni e racco­
mandazioni pressanti per i sovrani franchi, la regina Brunechilde e i nipoti di lei
Teodeberto e Teoderico. Ma talune difficoltà unite a voci terroristiche sulla barbarie
britannica, pervenute quando ancora si trovava a Aix, indussero Agostino a ritornare a
Roma. Gregorio lo promosse abate, promise ai suoi monaci "la beatitudine dell ' eterna
ricompensa" e lo inviò di nuovo con lettere commendizie; e finalmente sbarcarono
nel l ' isola di Thanet, sulla costa orientale del Kent.
Agostino, su indicazione di Gregorio diventato vescovo durante il viaggio, annunciò
a Etelberto "l' ottima novella, cioé che tutti coloro che a lui obbediscono avranno eterna
gioia in cielo, e un regno senza fine insiene al Dio vivente e vero; e questa è la pura
verità. . . ". Ma il sovrano, nonostante la cattolica donatagli in sposa da Parigi, inizialmente
fu piuttosto scettico: "lovero sono belle le parole e le promesse che voi recate ; ma
poiché sono nuove e senza una garanzia non posso loro obbligarmi senz ' altro ad
abbandonare tutto ciò che io e l ' intero popolo degli Angli abbiamo ritenuto sacro per
tanto tempo . . . " . 7 6
Purtroppo Etelberto lasciò mano libera ai monaci romani per l ' attività propagandistica
nel regno. E poiché non si fecero solo mere predicazioni e vuote promesse, "dopo la
propagazione delle parole celestiali", (come esulta Gregorio nella sua introduzione al
Libro di Giobbe), sopravvenne vigorosa la "manifestazione di splendidi miracoli", e la
"dolcezza delle loro dottrine celesti" fu completata dalla "evidenza di segni celesti",
come afferma Beda, cacciato in convento alla tenerissima età di sette anni. Agostino,
ben presto vescovo di Canterbury, si vantò addirittura col papa di possedere, insieme ai
suoi monaci, la grazia di compiere miracoli quasi come i beati apostoli. E Gregorio
convalidò generosamente da lontano, ammonendo tuttavia a non decadere nella superbia,
perché "le anime degli Angli vengono attratti alla intima grazia mediante miracoli
199 esteriori".
È una vera disgrazia che non possiamo avere chiaro in video codesto abracadabra,
cioé questi miracoli esteriori . Probabilmente nulla sarebbe più illuminante . . .
Ha inizio in Inghilterra la propaganda pontificia 1 39

Al posto del culto di Odino, e dei druidi, si ebbero adesso il dominio romano dei
preti e le favolette trinitarie e petrine etc. Nella Pentecoste del 597, o più verisimilmente
nel 60 1 (ammesso che sia davvero accaduto), i l re si fece battezzare con molti degli
Angli, e il vescovo Liutardo, che aveva dato il contributo decisivo, ormai superfluo
venne messo da parte dai Romani. Per la verità tale "conversione" non è sicura, ma
Etelberto fu certamente il fondatore di tre chiese episcopali nel Kente e nei i ' Essex :
Canterbury, Rochester e Londra, attive già nel 604, alla morte di Agostino. Nelle leggi
prevalentemente di carattere mondano il re protesse anche i patrimoni ecclesiastici, ma
alla sua morte nel 6 1 6 (o 6 1 8) il figlio e successore Eadbald era ancora pagano, e
probabilmente anche la seconda moglie.
Nel 602 giunsero da Roma rinforzi e rifornimenti : i "buoni successi Io rendevano
necessario", opina il cattolico Seppe l t. L'abate Mellito, due anni dopo vescovo di Londra,
si precipitò con la sua truppa in saio provvisto di ogni sorta di ornamenti, attrezzi
chiesastici, rel iquie e numerose epistole papali , fra le quali uno scritto di saluto
indirizzato personalmente alla coppia reale del Kent, che, senza timore di esagerazioni,
li paragonava a Costantino e a sant' Elena. E non mancò ovviamente l ' esortazione allo
sradicamento del paganesimo e alla prosecuzione de li' opera di conversione, col richiamo
ammonitore al terrore del giudizio universale: "E dunque, figlio illustrissimo, custodite
accuratamente la grazia ricevuta da Dio e affrettate Vi a diffondere la fede fra i Vostri
sudditi ; reprimete l ' idolatria, distruggete i loro templi ed altari, rinvigorite le virtù dei
sudditi con un comportamento profondamente morale, in modo da spronarli, da instillare
in loro la paura, da allettarli e punirli e da mostrar loro l ' esempio delle buone opere;
affinché nel cielo possiate essere ricompensati da colui il cui nome e la cui conoscenza 200
Voi avete diffuso sulla terra. Infatti , colui il cui onore Voi ricercate e difendete fra i
popoli, renderà la Vostra illustre fama ancor più gloriosa fra i posteri". 77
Così si esprime il predicatore del l ' umiltà.
Ma quando l ' opportunità lo esige è sempre questo il criterio supremo - Gregorio
-

sa destreggiarsi con maggiore cautela e usare toni in apparenza più concilianti (talvolta
anche un po' comici); e allora può dire "ali' amatissimo figlio" Mellito, capo della nuova
squadra pubblicitaria, ciò che "dopo lunga riflessione ave va deciso sulla condizione
degli Angli. Non si devono abbattere i templi di questo popolo, ma soltanto gli idoli in
essi contenuti ; quindi è necessario spruzzarvi l ' acqua santa, innalzare altari e collocare
reliquie; ché se questi sacrari sono ben costruiti, possono benissimo essere trasformati
da spelonche demoniache in dimore del Dio vero, in modo che, vedendo che i suoi
templi non vengono distrutti, il popolo rinunci sinceramente ali ' errore, riconosca e
invochi il vero Dio, e si ritrovi serenamente nei luoghi abituali di un' usanza antica. E
l ' uso di sacrificare numerosi buoi in onore dei demòni dev 'essere trasformato in una
sorta di festività: il giorno della consacrazione o nelle ricorrenze dei santi martiri, le
cui ossa riposano in quei luoghi, dovranno costruire capanne di frasche tutt ' intorno
1 40 Papa Gregorio l

alle chiese nate sui vecchi templi e celebrare una festività ecclesiastica. Quindi essi
non sacrificano più i loro buoi al demonio, ma uccidono gli animali dei banchetti in
onore di Dio" . 7 8
Di nuovo: non è una religione magnifica? !
Se i templi sono ben edificati, non c ' é affatto bisogno di smantellare tale opera
demoniaca, perché può ben servire come opera divina, e bisogna distruggere soltanto
gli "idoli": fuori i vecchi idoli e dentro i nuovi ! E i poveri buoi possono tranquillamente
continuare a versare il loro sangue . . . , come se proprio questa religione avesse mai avuto
qualcosa contro i macelli, di animali e di uomini : da nessuna parte si verificarono più
201 opere di macelleria! Solo in onore del "demonio" non è più lecita la macellazione; ma
in onore di "Dio" fino al giorno d' oggi è stato versato più sangue che per tutti gli
"idoli" e i "demòni" presi insieme.
Ovviamente ai vecchi templi si aggiunsero i nuovi.
Dopo aver costruito un chiostro presso la città regia di Canterbury (per imperscrutabile
disegno divino il suo primo abate Pietro annegò in mare durante un viaggio), Agostino
assillò continuamente Etelberto con le sue chiacchiere, tanto che questi, accanto al
convento, "fece edificare ex novo una chiesa ai santi Pietro e Paolo, provvedendola di
ricche donazioni" (Beda). Tutto a maggior gloria di Dio, e un po' anche dei suoi servi tori,
perché l ' arcivescovo Agostino aveva ideato la chiesa come modesta ultima dimora,
sua e dei suoi successori . Anche dopo la morte si voleva restare fra i propri simili . . . per
umiltà, naturalmente. 79

SPREGIATORE DELLA CULTURA E PROFETA DELLA FINE DEL MONDO

Gli studi più recenti attribuiscono a gloria di questo papa un regolare percorso formativo
e un ' istruzione approfondita, "una formazione culturale e morale di altissimo livello"
(RAC XII 1 983 ). Tuttavia mancano notizie precise su un' eventuale istruzione scientifica
di Gregorio; infatti , in questa benedetta epoca cristiana essa non esisteva più: "Sparite
le capacità di giudizio critico", scrisse Gregorovius verso la metà del XIX secolo; "A
Roma non sentiamo più parlare di scuole di Retorica, Dialettica e Giurisprudenza". Al
loro posto trovano "vieppiù spazio l ' esaltazione mistica e i culti materiali". Anche
Jeffrey Richards, molto più di recente, constata: "La formazione filosofica e scientifica
era finita da tempo". Gregorio aveva studiato solo Diritto Romano e forse aveva ricevuto
un qualche frustulo di cultura classica. 80
202 Eppure recentemente taluni inclinano a far nuovamente risplendere tale luminare
della chiesa seguendo l ' esempio di Giovanni Diacono, che nel tardo IX secolo aveva
composto su incarico pontificio una Vita Gregorii Magni pomposamente trasfigurata
in quattro libri , dove Gregorio figura maestro di Grammatica, Retorica e Dialettica e,
Spreg iatore della cultura e p rofeta della fine del mondo 141

sotto l a sua egida, Roma appare "un tempio d i sapienza, sorretto dalle Sette Arti". 8 1
L a sua produzione letteraria è scarsa, quasi per nulla impregnata della cultura classica,
da lui esplicitamente condannata. Colpisce poi l ' assenza di citazioni dai classici . I
sapienti di questo mondo "mentono", dice Gregorio; essi si limitano a tornire parole
i mbellettate e superbe, splendide facciate prive di retti contenuti. Comunque a Roma
allora quasi nessuno conosceva il greco; e le biografie dei papi del Liber Pontificalis
dimostrano quanto mal conoscessero e scrivessero anche il latino. Anche la lingua di
Gregorio denota la decadenza della latinità: spesso il suo stile è faticoso, monotono,
volgare, e le tautologie si accumulano l ' una sull ' altra. La grammatica e la sintassi quasi
non lo sfiorano, anzi mena vanto (è questo un luogo comune monacale) del suo disprezzo
per le regole grammaticali, perché non si può vincolare lo Spirito Santo: sarebbe davvero
troppo indegno "piegare le parole del divino oracolo alle regole di Donato" (ut verba
caelestis oraculi restringam sub regulis Donati).
Per Gregorio l ' unica filosofia degna di nota si trova nella Bibbia, "bis supreme
authority" (Evans): ogni sapienta mondana, la scienza, la bellezza della letteratura, le
"arti liberali", tutto ciò in fondo deve servire unicamente alla comprensione "della
Scrittura", vale a dire a un' esistenza di ininterrotta disposizizone penitenziale e di
contrizione. Teologicamente e filosoficamente incolto, Gregorio respinge, soffoca,
espunge tutto quel che non giova direttamente alla religione.
Non è escluso che il papa, uno dei quattro "grandi" padri della chiesa latina, patrono
dei dotti, abbia fatto incendiare la biblioteca imperiale sul Palatino (dove risiedettero
gli imperatori romani d' Occidente, i loro eredi germanici e i governatori bizantini) e
quella sul Campidoglio. Comunque lo scolastico inglese Giovanni di Salisbury, vescovo 203
di Chartres, sostiene che Gregorio abbia distrutto premeditatamente manoscritti di autori
classici custoditi nelle biblioteche di Roma. 82
Gregorio non è mai stato "Magno", tuttalpiù un piccolo-grande monaco fanatico del
suo tempo, che propagandava con zelo l ' ascesi e la fuga dal mondo. Fino alla fine
soffrì di dolori cronici allo stomaco, forse conseguenza dei suoi severi digiuni; fu an­
che vittima lamentosa della podagra e di tanto in tanto fu tormentato da dispnea e da
improvvisi svenimenti. Secondo Peter de Rosa fu "un martire della gotta" (che il cronista
della "pagina oscura" del papato - quasi ve ne fosse una essenzialmente luminosa! -
riconduce al vino che il grande asceta si faceva appositamente portare da Alessandria.
Inoltre, un altro moderno storiografo del papato scrive: "Quel che perse il corpo, lo
guadagnò lo spirito" (Gontard) - sebbene la cosa risulti un po' diversa: mens sana in
corpore sano. Col disprezzo del corpo, invece, andò a male anche lo spirito; lo spirito
di un intero millennio cristiano, tanto più se confrontato con la classicità greco­
romana) (v. III, cap. 4).
Gregorio si serve spesso di espressioni vigorose per disprezzare questa cultura,
rifiutando soprattutto, da Romano, la cultura greca. Nonostante tutti gli anni trascorsi a
1 42 Papa Gregorio l

Costantinopoli come rappresentante ufficiale del papa, non imparò mai i l greco, come
d' altronde neppure il suo predecessore Vigilio, apocrisiario e omicida (v. Il, 30 1 ss.,
spec. 3 1 4 ss.); e non fu in grado né di leggerlo né tanto meno di scriverlo; anzi, sussistono
indizi eh' egli lo considerasse una lingua inferiore. Infine manifestò rozzamente la propria
totale ostilità alla scienza mondana, specialmente allo studio delle "arti liberali" da
parte dei chierici. Nel 600 rampognò il vescovo gallico Desiderio di Vienne, perché
insegnava Grammatica e Letteratura Classica; in una famigerata epistola rigurgitante
di vergogna, cruccio e "profondo disgusto", al pastore di Gallia attribuì una "grave
empietà" e u n ' attività addirittura blasfema: non è possibile che una medesima bocca
"canti le lodi di Giove e le lodi di Cristo". 8 3
204 D ' altronde come avrebbe potuto pensare, giudicare, stimare altrimenti la cultura
uno come lui posseduto dal l ' insania del l ' imminente fine del mondo? Jeffrey Richards,
esaltando Gregorio, scrive che quest' idea "dominò ogni aspetto del suo pensiero nelle
questioni sociali, politiche, teologiche ed ecclesiastiche". Inondazioni catastrofiche,
pestilenze, decadenza di Roma e del l ' i mpero, invasione longobarda con città devastate,
castelli rasi al suolo, chiese distrutte, paese decomposto, e inoltre la sua stessa miserevole
condizione di malato pressoché cronico in perpetua degenza; tutto ciò rafforzava la sua
credenza nella prossima fine del mondo, profetizzata minacciosamente incombente
anche dal la Bibbia e dagli antichi padri della chiesa, dal vescovo lppolito di Roma
preannunziata per l ' anno 500 (v. l, 1 44 s.).
Questi atteggiamenti mentali ci rammentano la febbrile attesa apocalittica di Gesù,
degli apostoli e di tutti i primi cristiani (v. III, 48 ss.), per altro terribilmente delusa
senza che al cristianesimo ne venisse un qualche nocumento. È lecito dubitare che
Gregorio ne fosse seriamente convinto, tuttavia dichiara continuamente che il mondo è
decrepito, che si affretta verso la morte, che ormai riconosciamo "come al mondo tutto
precipiti verso la rovina"; "che la fine del mondo attuale è prossima". "E perciò guardate
al giorno incombente del giudice eterno con cuore attento, e con la penitenza prevenite
il suo terrore. Lavate con le lacrime ogni macchia di peccato. Placate la collera minac­
ciosa della punizione eterna . . . ". Specialmente nelle sue prediche illustrò "con linguaggio
sconvolgente" (Fischer) la catastrofe . . . che non arrivava mai . 84
Chiunque legga gli scritti di Gregorio (ma chi li legge?), se non è accecato dagli
stereotipi della chiesa, dovrà concordare con Johannes Haller: "Ignoranti e superstiziosi,
privi di spirito e di gusto [i suoi scritti] rendono penosamente tangibile a quale miserabile
livello fosse precipitata la cultura romana dopo le guerre di Giustiniano . . . Anche la sua
opera migliore (relativamente), la Regula Pastoralis, in fondo non è più che una silloge
205 di luoghi comuni". 85
Di buoi, di asini e del Commenta rio gregoriano di Giobbe 1 43

DI BUOI, DI ASINI E DEL COMMENTARIO GREGORIANO DI GIOBBE

Le opere di Gregorio - a giudizio del cattolico Seppelt "una testimonianza eloquente


delle sue alte capacità e del l ' energia divina a lui propria" - in realtà rigurgitano di
stupidità, ignoranza, superstizione, banalità e assurdità. Su questa valutazione concor­
dano studiosi pur tanto differenti come Mommsen, Harnack, Caspar, Haller o Donnen­
bauer. I l santo pessimista, che lamenta con tanta afflizione la miseria dei tempi e
contemporaneamente gioisce annunziando ancora una volta la fine del mondo, non
indietreggia di fronte a nessuna insulsa interpretazione teologica: non solo ci illustra
che i lunghi capelli del vescovo simboleggiano le cure esteriori, mentre la tonsura
rappresenta i l pensiero rivolto all ' interiorità, ma scorge la prova delle nature umana e
divina di Gesù nel fatto che sente l ' invocaziopne del cieco mentre passa, ma lo guarisce
stando fermo; infatti, l ' essenza del l ' uomo è il movimento, ma Dio resta eternamente
eguale a se stesso ! 86
Gregorio, che nei 35 libri dei Moralia in Job propaganda una triplice esegesi
scritturale, già nel quarto libro non si preoccupa più del senso storico, e a partire dal
quinto le sue interpretazioni sono esclusivamente allegorico-morali, quantunque sappia
che, se si ignora il senso storico, si smarrisce qualsiasi senso ! 87
Ma intanto ciò snellisce potentemente le procedure, e i suoi artifizi allegorici non
conoscono limiti, come già quelli di Ambrogio o di Agostino (cfr. III, 287 ss., 292 ss.).
Eppure ancor oggi una certa scienza si esibisce in profonde riverenze davanti a Gregorio,
"l ' esegeta sottile" ; per essa la sua "maestria nei Moralia in Job appare pienamente
manifesta" (Reallexikon fiir Antike und Christentum). Composto "a consolazione"
propria e di altri, iniziato a Costantinopoli e terminato a Roma intorno al 595, quest'opus
monumentale del papa fornisce "una testimonianza eloquente dell a sua profonda
conoscenza del l ' uomo e della sua i lluminata saggezza" (Altaner/Stuiber) .
Ad esempio, Giobbe è tipo del Redentore, la sua donna, naturalmente, tipo della vita 206
carnale; i suoi sette figli sono i sette doni dello Spirito Santo secondo il senso morale,
ma in senso allegorico sono una profezia dei dodoci Apostoli, perché 7 risulta da 3+4,
e 1 2 da 3x4. I buoi della Bibbia ora significano gli stolti, ora i buoni ed ora gli Ebrei; gli
asini simboleggiano i pagani, le pecore e i cammelli gli Ebrei e i pagani convertiti ; ma
il cammello può anche essere inteso come il Cristo o come il popolo dei Samaritani. La
locusta simboleggia la resurrezione di Cristo: " Egli infatti, come una locusta, mediante
il balzo della sua repentina resurrezione è sfuggito dalle mani dei suoi persecutori" . Il
cavallo descritto in Giobbe 39, 1 9 sgg. ("Nitrisce tutte le volte che squilla la tromba")
rappresenta, fra l ' altro, un pio predicatore, la cui predicazione proviene dal suo intimo,
come il nitrito del cavallo ! 88
Non c ' è, quindi, da meravigliarsi se già verso la metà del VII secolo il vescovo di
Saragozza, Taio, si recò in devoto pellegrinaggio a Roma per trascrivere, a edificazione
1 44 Papa G regorio l

sua e di tutti gli Spagnoli, la parte mancante dei celebri scritti gregoriani, che furoreg­
giavano sia in Occidente che in Oriente. L' esegesi biblica gregoriana ebbe "una profonda
eco" ( B aus) sui monaci e sulla teologia morale del Medioevo ; in effetti, queste
stupidissime chiacchiere di falsa devozione esercitano ancora una qualche influenza.
Lo storiografo cattolico della chiesa Karl Baus, già docente a Bonn, rimprovera a un
grande storico come Johannes Haller "incomprensione per le qualità religiose e morali"
di Gregorio, esaltando nel contempo "il popolo credente d ' Italia e in seguito anche dei
restanti paesi del l ' Europa occidentale", poiché era stata colta con istinto sicuro "la
grandezza del cuore" di questo papa, "lasciandosi docilmente impregnare per secoli
dal l ' universo religioso di Gregorio".
Poveri idioti . . . pagati a caro prezzo. 8 9
Trionfo del l ' astruseria, per non dire del l ' asineria, in non meno di 35 libri da lui
definiti "libri mora/es" e nel Medioevo, utilizzati come compendio di morale, chiamati
207 "Magna Moralia'', continuamente antologizzati, glossati, commentati e ampiamente
diffusi. Questa creazione vastissima di Gregorio fondò la sua fama di esegeta della
Scrittura (deifluus) e di teologo morale: l ' aborto di un cervello da contemporanei e
posteri preferito ad Agostino ed esaltato quale lavoro incomparabile: le copie o gli
estratti campeggiarono nelle biblioteche medioevali, rincretinendo per secoli i l mondo
occidentale ! Dannenbauer può a buon diritto affermare che Giobbe non sofferse ad
opera di Satana tanto quanto ad opera del suo interprete, il quale non ebbe il minimo
sentore della forza e della bellezza linguistica di quel l ' opera grandiosa: "In tutta la
letteratura mondiale mai una grande opera di poesia fu maltrattata più crudel mente". 90
Il celeberrimo libro del papa, che, come tutta la produzione di Gregorio, è privo di
qualsiasi tratto originale, ma che, come si disse, riassume quel che avevano già compiuto
gli altri tre "Grandi Padri" latini, Tertulliano, Ambrogio (cfr. III, 287 s.) e Agostino,
trasmettendo al Medioevo l ' esegesi antica di tali corifei, quest op us grandioso merita
'

tuttavia una certa indulgenza. Infatti, nacque "da una condizione morbosa", come af­
ferma lo stesso autore, proseguendo: "Quando il corpo è fiaccato dalla malattia e anche
lo spirito è abbattuto, i nostri sforzi di esprimerci risultano pari menti fiacchi". Fiacchi?
Termine "fiacco" per tanta fiacchezza. E si difende - che altro poteva fare? - dicendo
che tutto "gli fu ispirato direttamente dallo Spirito Santo" . E giacché il papa fu quasi
ininterrotamente malato, secondo le sue stesse ammissioni spesso "tormentato da dolori
insistenti e violenti", poiché tali ammissioni si accumulano nelle sue lettere, e dal
momento che nella seconda metà del suo regno lasciò ben di rado il lettuccio, anzi, le
sue sofferenze aumentarono col tempo, s ' accrebbe, se possibile, anche la sua fiacchezza
spirituale (se è lecito basarsi sulle sue stesse dichiarazioni). E forse anche tutto ciò
208 avvenne in costante collaborazione con lo Spirito Santo . . . 9 1 •
A nche le massime sciocchezze dei Grandi guardano "a/futu ro " 1 45

ANCHE LE MASSIME SCIOCCHEZZE DEI GRANDI GUARDANO "AL FUTURO"

E non va meglio, anzi va peggio, coi quattro libri dei "Dialogi de vita et miraculis
patrum Italicorum", pubblicati nel 593/594, in cui il diacono del papa, Pietro, funge da
interlocutore per giustificare la forma di una fatica sudaticcia, che fruttò addirittura la
definizione di "Dialogos". Il linguaggio papalino si avvicina qui assai più spesso che
in altre opere al latino volgare, ciò che per il prelato Josef Funk "è la prova della grande
vicinanza di Gregorio al popolo". Con ampiezza e col solito virtuosismo dimostra che
anche ai suoi tempi continuano a fiorire i miracoli, le profezie, le visioni e che, a dispetto
delle apparenze, "il Signore Iddio è sempre all ' opera" ; che non è soltanto l ' Oriente a
risplendere di asceti e monaci taumaturghi, ma anche il suo paese, come gli assicurano
garanti degni di fede: preti, vescovi, abati e altri . Egli stesso sostiene d ' aver personal­
mente vissuto una mezza dozzina di miracoli, "segni celesti", "doni dello Spirito Santo",
"angeli custodi".
Tutti questi santi pieni di grazia, poi , sono pressoché ignoti, ad eccezione di Paolino
di Nola e Benedetto da Norcia (idolo monacale di Gregorio), che conosciamo esclusiva­
mente per il suo tramite (e che egli conobbe solo per sentito dire) e che occupa una
posizione quasi esclusiva in tutto il secondo libro. E non c ' è da meravigliarsi se questi
santi ( 1 2 nel I libro e 37 nel III) sono, non a caso, figure scialbe, mentre i loro miracoli
sono spesso autentici pezzi forti ; e appare quasi normale che di recente K. Suso Frank
abbia allusivamente attribuito al dottore della chiesa e papa "un notevole possesso di
forza inventiva", aggiungendo. "Lo storico trova dapprima molto di buono nel narratore,
ma poi poco di certo e di attendibile in ciò che narra". 9 2
Il monumentale pasticcio che è questo "Dialogo sulla vita e i miracoli degli italici
padri" con l ' aiuto di Dio e dello Spirito Santo divenne rapidamente e straordinariamente
popolare, esercitando "un ' influenza vastissima sui posteri" (H. J. Vogt). Per esempio,
contribuì alla conversione dei Longobardi tramite la regina Teodelinda. Fu subito tradotto 209
in arabo, anglosassone, antico islandese, antico francese e italiano; papa Zaccaria (7 4 1 -
752), u n greco distintosi soprattutto per l a sua "astuzia", non s i lasciò sfuggire l ' occasione
di tradurlo anche in greco. Si trovava in tutte le biblioteche, allargando in modo specifico
gli orizzonti spirituali dei religiosi: infatti, "veniva letto da tutti i monaci colti", creando
con le sue visioni dell ' aldilà che fecero scuola, ma soprattutto coi numerosi miracoli
truffaldini "una forma nuova di pedagogia religiosa" (Gerwing). E non solo, ma i
Dialoghi di Gregorio gurdavano "al futuro" e rappresentarono (insieme alle sue
"Omelie", sorta di precorrimento dei Dialogi e anch ' esse terribilmente banali) "il
risultato di una delle ore più buie di Roma", come è stato scritto con ironia magnifi­
camente involontaria, "la nuova forma del sapere" medievale, "la nuova cultura . . .
(costituita) d a verità piuttosto semplici, la sofferenza, l a religiosità, la bontà . . . (Ri­
chards). 93
1 46 Papa Gregorio l

C ' é ovunque grossolanità, rozzezza, superstizione, ivi definite virtutes: guarigioni


di ciechi, resurrezioni di morti, esorcismi, miracolose moltiplicazioni di olio e vino,
apparizioni di Maria e di Pietro, comparse di diavoli d' ogni sorta. Sono particolarmente
prediletti i miracoli punitivi : generare angoscia era (ed è) il grande compito dei preti .
Non è un caso che il quarto e ultimo libro "a edificazione di molti" ruoti assai crudamente
intorno alla morte, alle cosiddette "ultime cose", al premio e alla punizione nell ' aldilà
- extra mundum, extra carnem. Durante la peste del 590 Gregorio assicura che a Roma
"si poteva vedere coi propri occhi come dal cielo precipitassero dei dardi, che sembrava
trafiggessero gli uomini". Un fanciullo malato di nostalgia per i propri genitori, evaso
per una sola notte dal convento, muore il giorno stesso del rientro. Mentre viene sepolto,
la terra si rifiuta di accogliere "un criminale così infame", scaraventandolo fuori ripetu­
tamente, finché s. Benedetto depone sul suo petto il Sacramento 94• I criminali, in realtà,
erano proprio coloro che lo avevano rinchiuso in convento fin da bambino e per tutta la
210 vita, unicamente in nome della sete ecclesiastica di potere e di profitto.
Papa Gregorio "il Grande" registra tutta una serie di resurrezioni operate dal prete
Severo, da s. Benedetto, da un frate del Monte Argentario, e dal celebre vescovo-esorcista
Fortunato di Lodi, che inoltre restituì repentinamente la vista a un cieco col semplice
segno della croce. D ' altra parte, però, a un vescovo ariano venne inflitto il castigo della
cecità, e da un longobardo, da alcuni monaci trascinato fuori da una chiesa, scappò via
un demonio.
Ci narra anche di una moltiplicazione del vino ad opera del vescovo di Ferentino,
Bonifacio, che con pochissimi grappoli riempie intere botti fino al trabocco; e del
portento del priore Nonnoso, del chiostro del Monte Soratte, che con la sola preghiera
sposta un masso, che "cinquanta gioghi di buoi" non avrebbero smosso. E Gregorio ci
informa ancora come Mauro, discepolo di s. Benedetto, riesce a passeggiare sulle acque
( O miracolo inaudito dai tempi dell' Apostolo Pietro !"); come un "fratello giardiniere"
''

ammaestra una serpe ad affrontare i ladri ; come un corvo toglie di mezzo un pane
avvelenato (" 'Nel nome di nostro signore Gesù Cristo prendi questo pane e gettalo in
un luogo, dove non alberghi persona viva ! ' . E allora il corvo spalancò il becco . . .".
Gregorio il Grande ! Una monaca mangia un cespo di l attuga, di menticando di
"santificarlo col segno della croce" : insieme all ' insalata inghiotte anche Satana, che
comincia a schiamazzare dalla sua bocca: "Ma che ho fatto ? Che ho fatto? Io me ne
stavo tranquillo là dentro, è arrivata costei e mi ha morso . . . ". Perfida femmina; ma un
santo ricaccia via il Maligno, sia lode a Dio ! Gregorio il Grande !
Ma vi sono anche diavoli soccorrevoli, servizievoli, diavoli devoti anche al clero,
cui obbediscono senza discutere: "Avvicinati, demonio, e toglimi le scarpe !", ordina
un prete al suo servitore, e viene i mmediatamente servito dal demonio in persona.
Gregorio conobbe il diavolo sotto molte forme, come serpe, merlo, giovane negro o
lurido mostro; soltanto come papa non lo conobbe. Già, ci voleva prudenza, ed erano
A nche le massime sciocchezze dei Grandi guardano "a/futuro " 1 47

necessarie delle spiegazioni.


A sentir Gregorio, i l santo vescovo Bonifacio compie un miracolo dietro l ' altro. Una
volta che ebbe urgente bisogno di dodici pezzi d' oro, pregò s. Maria, e per così dire se li 211
trovò g i à in tasca, nelle pieghe dell ' abito: ebbe "improvvisamente dodici pezzi d' oro,
luccicanti, come appena usciti dal conio". Un' altra volta regalò una botte, il cui vino
mai decresceva, benché continuamente attinto; oppure il miracolo dei bruchi o quello
del grano: Bonifacio vide "che tutte le verdure andavano in malora, quindi si rivolse ai
bruchi dicendo: "Vi scongiuro in nome del Signore Dio nostro Gesù Cristo, andate via
di qui e non divoratemi questa verdura !". Alle parole del l ' uomo di Dio tutti [i bruchi]
scapparono i mmediatamente, tanto che nell' orto non ne rimase più nemmeno uno". 9 5
Bonifacio operava miracoli anche da giovanetto: una volta che i l granaio della madre
fu quasi svuotato dalla sua munificenza (e si trattava delle provviste di un anno intero)
"Bonifacio, fanciullo di Dio" con la sua preghiera lo riempì di nuovo, tanto ricolmo
quanto "mai era stato prima". E poiché la volpe rubava uno dopo l ' altro i poll i della
madre, Bonifacio, fanciullo di Dio, s ' affrettò i n chiesa e disse a voce alta: "A Te piace,
o Signore, che io nulla possa mangiare di ciò che alleva mia madre? Vedi, la volpe
divora i poll i che lei nutre". Quindi si levò dalla preghiera e lasciò la chiesa. La volpe
tornò subito indietro, lasciò cadere il pollo dalle fauci e cadde morta al suolo davanti ai
suoi occhi". 96
In questo modo viene castigato il maligno e anche i l male. Ma in questo modo si
diventa anche dottori della chiesa e "Grandi": tutte queste incredibili baggianate, che
generazioni di cristiani hanno creduto e che naturalmente dovevano credere, non
escludono tali altissimi onori di una chiesa in cui si è abituati alle assurdità fin da
piccoli e per tutta la vita . . .
Godevano poi di grande favore i miracoli punitivi: u n a volta cade morta a terra una
volpe, un' altra volta un giullare; ma la cosa principale è che sia chiaro il potere dei
preti !
Un giorno il santo vescovo Bonifacio desinava presso la casa di un nobile, ed a
gloria di Dio non aveva ancora aperto bocca (tanto meno se la aveva piena) "per 212
rifocillarmi", quando arriva un povero giullare "con la sua scimmia, percuotendo il
cembalo ! " . Il vescovo è sdegnato. È inaudito ! , gli si ruba la scena! I l santo s ' infuria, e
al guastafeste profetizza ripetutamente la morte. Mentre va via, una pietra caduta dal
soffitto ammazza quel mascalzone. E affinché la morale della storia sia comprensibile
a tutti, Gregorio aggiunge: "In questo caso, o Pietro, è necessario considerare che agli
uomini santi si deve mostrare la massima venerazione, perché sono i templi di Dio. E
se un Santo viene indotto alla collera, chi altri viene eccitato all ' ira se non l ' abitante di
questo tempio? E dunque è tanto più temibile l ' ira dei giusti in quanto nel loro cuore,
come sappiamo, è presente colui cui nulla i mpedisce di vendicarsi come vuole". 97
La vendetta: la creatura più amata dalla religione del! ' Amore.
1 48 Papa G regorio l

Secondo Johannes Haller tali grossolani prodigi "esaltati presso i posteri come
modello e criterio di comportamento . . . , poterono (dovettero ! ) agire nei secoli come
ostacoli deformanti". Recentemente persino il curatore della relativa voce del "Real­
lexikon fur Antike und Christentum", per altro, teso quasi sempre alla rappresentazione
trasfigurata di Gregorio, di fronte a tutti i portentosi prodigi descritti nei quattro libri di
questo papa, così si esprime: "Resta da chiedersi se tale concezione del divino e del
miracoloso non debba eventualmente rispondere alla necessità di piegarsi al livello dei
credenti e dei bisogni della fede popolare . . .". In effetti , i dotti cristiani non credono
ch'egli, per l ' appunto patrono dei dotti, ci credesse davvero: il papa "Magno" non
dev ' essere stato tanto credulo; un credentissimo uomo di chiesa (e non solo da oggi)
non può crederlo. Con maggiore finezza si potrebbe dire che, conformemente alla
sentenziucola "Ho pietà del popolo", egli abbia donato alle masse ciò di cui il clero
aveva necessità; e in questo consistette tutta codesta "necessità". 98
Karl Baus, pur riconoscendo la "grandezza di Gregorio" proprio "nella sua ampia
attività pastorale", non menziona nemmeno i tanto "pastorali" Dialoghi nel capitolo
213 dedicato a Gregorio del voluminoso manuale cattolico di Storia della Chiesa. Invece il
suo discepolo di Tubinga H. J. Vogt, anch ' egli storico della chiesa, nella medesima
opera ammette che i santi di Gregorio ovvero, come li definisce un po' maliziosamente,
"i suoi eroi" sono "pressoché sconosciuti"; ergo, "l ' utilizzazione dei Dialoghi come
fonte storiografica dovrebbe essere assai cauta"; ovviamente queste parole sembrano
(ma non sono) migliori : sarebbe stato meglio dire esplicitamente che la stragrande
maggioranza dei fatti di quei libri sono inventati di sana pianta. Nel capitolo a lui
dedicato, il nostro Vogt attacca con la frase grandiosamente comica di fronte alla
grandezza di Gregorio: "Gregorio Magno, ultimo dei quattro grandi dottori latini della
chiesa, visse in un' epoca, che non esigeva . . . né consentiva grandi prestazioni spiri­
tuali . . . ". À la bonne heure ! Ben detto davvero ! 99
Questo antesignano dei secoli venturi ha arricchito anche la topografia del l ' Inferno,
svelando che le entrate sono costituite da montagne eruttanti fuoco. Sempre in attesa
della fine del mondo, egli spiega poi che i crateri vulcanici della Sicilia crescono
continuamente perché, a causa della ressa dei dannati, c ' é bisogno di ingressi più ampi
per l ' Infern o ! Chi vi entra, non tornerà più indietro. Alcuni defunti possono essere,
però, liberati dal fuoco del Purgatorio con trenta messe, come è accaduto a un monaco,
che aveva violato il voto di povertà. Gregorio sa anche che non tutti vengono liberati
dali' Antinferno, e che gli in fanti morti senza battesimo arrostiscono nel fuoco eterno. I
papi sono bene informati : Gregorio, la cui dottrina intorno al Purgatorio costituisce il
retroterra teologico "per il culto delle messe pei defunti (messe gregoriane)" (Fichtinger),
ha trasmesso le sue informazioni intorno all ' inferno e al demonio - sicuramente di
prima mano - al Medioevo e all ' Evo Moderno, ispirando poeti e artisti, per non parlare
del volgo . . . I !Xl
Reliquie, ovvero sparar/e grosse 1 49

Dal momento che l ' età contemporanea, come i l papa ribadisce instancabilmente, "si
approssima alla fine", l ' interessamento all ' Inferno s ' i mpone da solo: ma dove si trova?
Gregorio non osa "decidere sic et simpliciter"; ma dalle parole del salmista "Hai liberato
la mia anima dal basso Inferno" deduce con estrema acutezza "che un Inferno superiore
si trova sopra la terra, e uno inferiore sotto la terra". Sull' Inferno superiore non v ' é
sicurezza; m a per quanto concerne quello inferiore, per Gregorio (che avvalora la sua 214
tesi anche col soccorso della B ibbia, Mt. 25 ,46), chi vi arriva dovrà bruciare in eterno.
(Gli innovatori e i progressisti, che ora vogliono lestamente estinguere il fuoco infer­
nale - diventato nel frattempo indegno di fede -:-. si trovano contro non soltanto il
grande papa e dottore della chiesa, ma anche Gesù insieme ad altri innumerevoli corifei
della chiesa). Per Gregorio l ' eternità dei tormenti infernali è "assolutamente e indubita­
bilmente vera", e insegna che "il suo tormento è qualcosa di buono".
Qualcosa di buono?
Per uno come noi è difficilmente immaginabile: eterni tormenti infernali ! . . E in che
.

consisterebbe la loro bontà? Ma noi siamo degli sprovveduti ; lui è papa, santo, dottore
della chiesa e "Magno", e lo deve pur sapere. È un bene per i "giusti", per tutti i cari
angioletti del cielo premiati, edificati dalla vista della miseria dei dannati (collocati,
per così dire, vis à vis col paradiso): tale visione addolcirà in eterno la loro eterna
beatitudine: "Perché i giusti in Dio riconoscono la gioia di cui sono resi partecipi, e
vedono in quelli i tormenti cui sono sfuggiti ; perciò tanto più riconosceranno l ' eterno
debito di riconoscenza verso la grazia divina quanto più vedranno il peccato eternamente
punito . . . ". 1 0 1
Non è una religione magnifica, codesta religione del l ' amore?

RELIQUIE, OVVERO SPARARLE G ROSSE

Gregorio sostenne anche le più astruse credenze sulle reliquie, con effetti che perdurano
fino ai nostri giorni.
In verità le reliquie esistevano già a bizzeffe, ma il papa aprì la strada alla loro
"moltiplicazione", per esempio mettendo in circolazione pannicelli stati a contatto coi
cadaveri degli apostoli e dunque santificati ; oppure fabbricando con le presunte catene
di Pietro verghe di ferro poi spedite in tutto il mondo come "benedictiones sancti Pe- 215
tri", ovviamente solo agli altolocati, specialmente ai prìncipi: poste sui malati o recate
sul corpo, ad esempio al collo, esse facevano miracol i . Con esse il papa intraprese
scambi commerciali col patriarca di Alessandria: in cambio delle "benedictiones Pe-
tri" ottenne quelle di Marco, discepolo degli apostoli. Nel 599 inviò al re spagnolo
Reccaredo un anello della (presunta) collana di Pietro, un crocifisso fatto col (presunto)
legno della croce di Cristo e persino una ciocca dei (presunti) capelli di Giovanni Battista !
! 50 Papa Gregorio l

Il re franco Childeberto ebbe le chiavi di s. Pietro, con pezzetti delle sue catene; e
anche la regina Brunechilde si ebbe reliquie del principe degli apostoli. Il patrizio gallico
Dinamio finì col possedere, grazie a Gregorio, alcuni pezzi della graticola, sulla quale
(secondo la leggenda) s. Lorenzo fu arrostito a fuoco lento. Papa Gregorio riuscì a
procurarsi e a distribuire addirittura i resti dei pasti del B attista, nonché due camicie e
quattro fazzoletti "ex benedictione Sancti Petri". 1 02
Sono le eccezionali prestazioni di questo papa "Magno" !
Circolavano poi moltissime altre reliquie, che erano degli autentici gioielli (v. III,
1 83 ss.): per incarico dei vescovi o anche a sue spese girovagavano scavatori di tesori
d' ossa, che mettevano in commercio i loro reperti più che sospetti. Gregorio in persona
importò dali' Oriente un braccio del l ' apostolo Luca e uno del l ' apostolo Andrea, i ndub­
biamente dei pezzi rari. E il mantello dell ' evangelista Giovanni, comprato a quanto
pare proprio da lui, sembra operasse ancora bellissimi miracoli, dopo secoli : sventolato
davanti al Laterano recava pioggia o sole secondo la bisogna, come faceva un tempo il
suo progenitore, i l Lapis manalis dei devoti Romani, che recato in processione sulla Via
Appia faceva lo stesso miracolo ! 1 03
Incoraggiata evidentemente dalla munificenza di Gregorio, l ' imperatrice Costantina,
consorte di Maurizio, gli espresse il desiderio di avere nientemeno che la testa di s.
Paolo, o almeno "un membro qualunque del suo corpo". Era ovviamente troppo, ma
Gregorio non si sentiva imbarazzato nell 'escogitare pretesti o nel l ' inventare i miracoli ;
216 quindi, insegnò alla gran dama che era un delitto capitale toccare i corpi dei santi, e
anche solo guardarli. Una volta aveva visto personalmente un addetto toccare ossa
nella tomba di s. Paolo, e nemmeno quelle del l ' Apostolo (questo si può credere imme­
diatamente), eppure fu ucciso su due piedi. Una volta papa Pelagio I (o Il), (così prosegue
il discorso terroristico di questo esperto dispensatore di portentose punizioni divine)
fece aprire il sepolcro di Lorenzo, il santo fatto arrosto, e tutti i monaci e i custodi che
videro il cadavere morirono nel giro di dieci giorni. In ogni caso il papa si disse disposto
a procurare alla regina un po' di limatura delle catene di s. Pietro, nel caso che la cosa
fosse possibile; perchè spesso si lima, anche senza che ne caschi nulla. 1 04
Le sparano proprio grosse.
Sebbene nel cristianesimo fosse già fiorita ogni sorta di assurde volgarità, papa
Gregorio superò con le sue storielle gran parte della tradizione. È tutto un pullulare di
storie di pessimo gusto su angeli e demòni: lotte grottesche di demòni con spiriti celesti ;
un orso che custodisce le pecore; una suora che divora un demonio; nel 590, i n un
convento romano, alla morte di un' altra suora, santa Romola, - così sostiene Gregorio
- gli angeli intonano "cori i ncantevoli , alternando voci maschili e femminili"; u n ' altra
viene divisa in due, e una metà viene carbonizzata, perchè aveva fatto la pettegola. E
tutto ciò viene accettato con estrema serietà e, come abbiamo già detto, è accolto e
creduto autentico da molte generazioni di credenti .
Reliqu ie, ovvero sparar/e g rosse 151

Ma l a cosa più bella è che a dispetto d i tutti questi oggetti strabilianti, d i queste
miracolose reliquie, che Gregorio spediva in continuazione dappertutto e che venivano
recate in dono soprattutto dai suoi diplomatici, (erano, per così dire, gli attrezzi quotidiani
che a Roma venivano fabbricati industrialmente), ebbene, nonostante tutto ciò, a lui
non giovarono affatto: eppure soffriva di crampi allo stomaco, di podagra, di gotta, di
dolori sempre nuovi, che lo costrinsero a letto per quasi due anni (598/599). Disse
apertamente di esserne "continuamente tormentato", lamentando "un martirio senza
tregua"; e al patriarca di Alessandria scrisse: "I miei dolori non vogliono darmi tregua,
ma nemmeno uccidermi", e nelle lettere che accompagnavano le reliquie, ne esaltava
la favolosa forza guaritrice . . È ben strano che dopo la sua morte straziante abbia operato
. 217
diversi m iracoli, proprio lui che non era stato in grado aiutare se stesso ! 1 05
Questo papa, paragonato dai preti a dèi e angeli, che proibisce ai sottoposti anche
soltanto di criticare i loro superiori ; che insegna l ' obbedienza alle autorità, ma non
obbedisce all ' imperatore; che crea le premesse dello stato della chiesa con una catena
pressoché incalcolabile di guerre di rapina e di conquista; che collabora con i personaggi
più sanguinari del tempo, quali Foca e Brunechilde; che approva le guerre di religione
e di aggressione; che raccomanda gli attacchi a tradimento e la presa d' ostaggi; che
esalta la fustigazione, la tortura, il carcere e la pressione fiscale come strumenti di
conversione; che favorisce l ' antisemitismo, reprime l ' attività letteraria e le scienze;
che compone opere rigurgitanti di insensatezze orripilanti e delle storie più pacchiane
di miracoli e reliquie; ebbene, quest' uomo è diventato santo della chiesa cattolica, è
stato onorato con l ' appel lativo di "Magno" (unico papa del Medievo e dell ' Età moderna
a fregiarsene) e col rarissimo titolo di "dottore della chiesa" fin dal i ' VIII secolo (Leone
I solo dal XVIII sec . ) . Per Bernardo di Chiaravalle, anch'egli dottore della chiesa, (da
Schiller definito "un manigoldo"), fu il modello perfetto di cooperazione fra i doveri
mondani e spirituali dei dominatori ; fu anche l ' autore ecclesiastico più citato da teologi,
canonisti e pubblicisti e uno degli scrittori più letti del Medioevo, per lungo tempo
esempio unico per molti e figura ideale di quel che dev' essere un papa.
Anche P. E. Schramm si fa garante della "grandezza" di Gregorio proprio n eli' ambito
spirituale", dotandolo di una "bocca che seppe parlare il l inguaggio dei 500 anni suc­
cessivi" ; e gli storiografi cattolici del XX secolo lo esaltano come uno "dei pastori
d ' anime più eminenti fra tutti i pontefici" (Baus), "una delle figure più nobili e genuine
mai ascese al soglio di Pietro" (Seppelt/Schwaiger), assegnandogli "un posto fra i grandi
del regno dei cieli" (Stratmann). Lo Harnack, tuttavia, indiscutibilmente più colto e più
onesto di tutti costoro presi insieme, ha definito a buon diritto Gregorio "pater supersti- 218
tionum", i l padre della superstizione (medioevale). 1 06
Anche il voluminoso Reallexikon fur Antike und Christentum, al termine di un
dettagliato panegirico, lo descrive come "punto nodale di un trapasso spirituale e cul­
turale, un filtro e nel contempo un creatore di valori, che realizza un atteggiamento
1 52 Papa Gregorio l

spirituale nuovo, segnandone la via, ormai definitivamente cristiana . . . " 1 07 • Davvero


molto triste . . .
Spesso Gregorio I non potè intervenire con efficacia contro i vescovi recalcitranti
oppure ebbe addirittura la peggio. Sull' evoluzione religiosa della Spagna, vale a dire
sulla cattolicizzazione dei Visigoti, esercitò u n ' i nfluenza trascurabile; coi Merovingi,
coi quali tentò di trescare con ogni tipo di concessione, non ottenne alcun risultato
concreto: non ebbe luogo la riforma della chiesa franca e neppure la pretesa convocazione
di un Sinodo, e la chiesa nazionale merovingia ne risultò più autonoma di prima. Non
ebbe grandi successi nemmeno coi Longobardi; e anche la sua pagina più gloriosa, la
conversione del l ' Inghi lterra, ben presto conobbe un irrigidimento e, anche se soltanto
dopo la sua morte, crollò. I suoi successori dovettero ricominciare da capo per ottenere
ciò che viene falsamente a lui attribuito. 1 08
·

Il Canto Gregoriano, "questo gioiello della Chiesa" (Daniel-Rops), noto almeno di


nome anche a chi non sa nulla di Gregorio, non deriva da lui, anche se questa constata­
zione può suonare sgradita agli orecchi dei cristiani sentimentali . Solo poche e quasi
insignificanti variazioni della liturgia risalgono a lui; eppure, per tutto il Medioevo
furono in auge il Sacramentario Gregoriano, il Messale Gregoriano, l ' Antifonario
Gregoriano, la Messa cantata gregoriana; e il Canto Gregoriano fu considerato opera
del papa, il quale avrebbe accresciuto, migliorato e riordinato i canti ecclesiastici
tradizional i. Ma gli studi più recenti sono unanimi nel disconoscerne la paternità
gregoriana: e le prove sono inequivocabili. E non è stato nemmeno l ' autore degli Inni
poetici a lui attribuiti, a parte le effusioni liriche dedicate a grandi criminali, come Foca
219 e altri. 1 09
Quando il 1 2 marzo del 604 Gregorio morì, il mondo si era fatto per lui sempre più
cupo: era malato, da due anni incapace di camminare, quasi sempre costretto a letto,
tormentato e fiaccato dalla sofferenza. I Longobardi, che non era riuscito a domare,
minacciavano Roma, e la popolazione, funestata dalla carestia, malediva il papa e ne
avrebbe bruciato i libri, se il discepolo Pietro non li avesse tempestivamente salvati .
Ma "il mondo" - ecco l ' arguto commento di Paolo Diacono - doveva "patire fame e
sete, perché, dopo la dipartita di un sì grande maestro, nei cuori degli uomini regnava
l ' aridità e la penuria di nutrimento spirituale" ! Come si vede, anche Paolo aveva appreso
qualcosa da questo "Grande" . Mentre nel norditalia Gregorio divennne oggetto di
venerazione postuma, a Roma fu quasi dimenticato per un secolo, probabilmente in
conseguenza della vittoria del clero mondano sul suo regime monacale. 1 1 0
È un onore per gli europei definire "Padre del l ' Europa" questo papa avido di potere,
220 intollerante e povero di spirito? 1 1 1
Note 1 53

NOTE

Seppe l t Il 3 3 .
S tratmann I V 8 5 .
Kraft 244.
Richards 2 3 5 .
H a l ler l 2 1 7 , 2 2 3 .
6
J o h . D i ac . , Vita Greg . , 4 , 8 4 .
Dannenbauer I l 7 5 s g .

Greg . Tur. I O , l . G regor. l , Mora/. Praef. J o h . D i ac . , vita Gregor. 4 , 8 4 . Haller 2 1 7 . De Rosa 3 9 7 .
Ved i a n c h e l a n o t a seguente.
9
Gregor. I, dia/ . 4, 1 6 ; in Ev. 3 8 , 1 5 . (PL 7 6 , 1 29 ) . RAC X l i 930 sg. K ii h ner, Lexikon , 3 1 . Kel l y 80.
LMA IV 1 663 sg. Gregorovi u s l , l , 2 5 2 . Hartmann, Geschichte ltaliens, Il, 92 sgg. Funk, A l/gemeine
Einleitung, 1 5 sg. M a ier, Mittelmeerwelt, 338 sg. G o ntard 1 5 1 . D a n i e i - Rops 2 8 2 . F i n e s 1 08 .
Schramm, Ka iser, Kon ige l , 8 6 s g . M i s c h 1 2 1 . Richards 34 s g . A ngenendt, Friihm ittelalter, 2 3 8 sg.
1 0 Gregor. l , ep. 3 , 29 ; 1 1 , 3 7 ; horn. in E v. 1 , 1 . Cfr. anche ep . 3 ,6 1 ; 4,44; 1 1 , 3 7 e passim . Gregorov i u s I
l , 254 sgg.
11 Greg . Tur. I O, l . Pau l . D i ac . , Hist. Lang. 3 ,24. RAC Xli 934 s g . Gregorov i u s l , l , 254 sgg. Hart­
mann, ibid. , Il, 97. G iesecke 204. Seppe l t I l 1 3 s g . R i chards 22, 90.
1 2 Gregor. l , ep . 1 ,4 ; 3 ,6 1 ; 5 , 5 3 a . Praef dia/. 3 , 3 3 . Greg . Tur. 1 0, 1 . Joh. D i ac . , Vita Greg . 1 , 3 9 sg.

Pau l . D i ac . , Vita Greg . I O . R AC X l i 9 3 2 sgg. LMA I 7 5 8 sg.; I V 1 66 3 . Kel ler, Reclams Lexikon,
234. Kelly 79 s g . Gregoro v i u s I l 248 sgg . , 2 5 3 sgg . , 285. Hartmann, ibid. , Il, 94 sgg . , 1 80 sgg.
Caspar I l 343. H a l l e r I 2 1 7 sg. Seppe l t I l 7 sgg. Seppe l t/Schwaiger 5 8 sg. Gontard 1 5 1 sg. A ltendorf
1 86 . M i sch 1 20 sgg. Schram m , Kaiser, Kijnige, l, 86 s g . Richards 47 sgg . Fines 1 08 s g .
1 3 Gregor. l , Reg . 5 , 3 1 sgg . ; 5 ,44 sg . ; 7 , 5 ; 7 , 3 0 sg . ; 8 , 2 9 e passim . Mor. , 3,43 ,60. P a u l D i ac . , Vit.
Greg . 9. J o h . D i ac . , Vit. Greg . , 1 , 28 sgg. LTh K I I I ' 1 1 8 . RAC X l l 9 3 7 . Ke l l y 7 9 . Hartman n , ibid. ,
I l , 1 60 sgg . , 1 80 sgg. Caspar 1 1 2 1 5 s g . , 264. Seppe l t Il I O, 22 sgg. Seppe l t/Schwaiger 6 2 . Gontard
1 5 5 , 1 62 . Mai er, ibid. , 3 3 8 sgg. R i chards 5 6 . Cfr. anche la nota seguente.
1 4 Tutte l e indicazioni i n proposito a anche u l triori i n formazioni i n R i c hards 224 sgg. Cfr. anche
Kel l y 8 2 . Haller I 224 sgg.
1 5 Gregor. I , ep . 2 , 3 8 .
1 6 Richards 1 29 .
1 7 Gregor. I ep . 1 , 3 8 sgg . ; 2 , 2 9 ; 3 , 3 ; 5 , 4 ; 5 , 5 5 ; 7 , 3 2 ; 1 0, 9 ; 1 3 , 3 1 ; 1 4 , 1 6 e passim .
18
Gregor. I Reg. pastor. , 3 , 4 . mora/. 2 5 , 3 4 sgg. Gregorov i u s l, l , 2 8 3 . Caspar I l 409, 468 sg. Haller I
22 1 . Seppe l t/S c h waiger 6 1 . Voigt, Staat, 8 3 . Dan i e i -Rops 2 8 2 . U l l mann, Die Machtstellung, 5 8
sgg. B u c hner, Germanentum, 1 5 1 . Ric hards 2 5 7 sgg. A l tendorf 1 8 8 .
1 9 Gregor. I ep . 1 , 5 . Dia/. praef.
2 ° Cfr. R i c hards, soprattutto cap. 9 e l O . Ved i anche H a l ler I 22 1 .
2 1 Hartmann, Geschichte /ta liens, I l , 1 76 sgg. Q u i e i n R i c hards 84, 1 4 1 , 208 sgg. tutti i rimandi

b i b l i ografi c i . Caspar I l 43 1 sgg.


22 Gregor. I , Reg. past. 1 , 1 0.
2 3 Seppelt Il 3 3 .
24 Gregor. I ep 2, 1 .

'' R i chards 4 1 sgg. (con u l teriore i n d icazione delle fon t i ) .


26 H a l l e r I 2 2 4 . Richards 263.
27 Richards 1 22 sgg . , 1 47 sgg . , 1 69 sgg. con tutti i r i n v i i a l l e fon t i . Ved i anche Gontard 1 5 5 sg.
28 Gregor. I ep. 1 , 1 4 ; 2,5. Caspar I l 4 1 4. Richards 1 70 sg.

29 Gregor. I ep . 3 , 4 5 . Kober, Die korperliche Ziich tigung, 4 8 . Grupp I 2 9 8 . Le fi ssazioni d i Gregorio


! 54 Note

s u l l a castità e i l suo rigorismo moral e sarebbero merite v o l i di un c apitolo a parte. Le s u e cadute ( i n


tutti i s i g n i ficati d e l term i ne ) sono i n n u merevol i . Cfr. i n proposito, a d esempio, Ranke- H e i nemann,
Eunuchi per il regno dei cieli, I l O s g . , 1 28 , 1 44, 1 47 : " I l p i acere non può mai essere senza peccato",
etc.
30 Beda, H . e . 1 , 2 7 . LMA I V 1 663 sg. H a l ler l 267 sg., 2 2 3 . Voigt, Staat, 260, 296. Seppelt I I 25 .
M a i er, Mittelmeerwelt, 3 3 8 sg. Gontard 1 5 6 . M i sc h 69. Herrm a n n , Ketzer in Deutschland, 66. R i ­
c hards 9 . Padberg 22 s g . U l l m a n n , i l quale apprezza Gregori o , ribadisce tuttav i a che l o scopo d e l l a
s u a i n trapres a m i s s i o n aria "fu q u e l l o d i fac i l i tare l a real izzazione delle sue pretese primazial i " ;
Kurze Geschichte des Papsttums, 5 1 .
3 1 H errma n n , i b i d . , 66.
3 2 G regor. I ep . 8 , 4 ; 1 ,60; 2,45 ; 1 3 , 3 6 . LTh K VII' 5 sg. Cfr. anche S p e i g l , A q uileja zwischen Ost und
West, 3 7 sgg.
3·' Gregor. I ep . 4 , 1 4 ; 6,36; Mora/. 3,43. Reg. Past. 24. Pau l . Diac., Hist. Lang. 4, 1 9 . Padberg 23 sg.
34 O l tre Desch ner, Krim inalgeschichte l , cap. 3, c fr poi e soprattutto (per Gelasio) ibid. , II 324 sgg . ,
soprattutto 3 3 2 sgg.
3� Gregor. I ep . 5 , 3 . Mora/. 8 , l sg.; 1 6, 6 . H K G I I 2 , 3 1 8 . Hart m a n n , Geschich te lta liens I I 1 63 . Caspar
I I 442 sgg. Dies ner, Der Un tergang, 7 6 sg.
·'6 G regor. l , dia/. 3 , 3 0 . RAC XII 936. Gregorov i u s I l 275. Caspar I I 74.
37 Gregor. l , ep . 4,26; 4,29.
·'" Gregor. I , dia/. 3 , 2 7 s g . ep . 4 , 2 6 ; 9,65 ; 9 , 204. S c h u l tze I 425 s g . Richards 242.
·'9 S c h u l tze I I 1 9 1 .
40 R i c h ards 242 sgg. con tutte le indicazi o n i .
4 1 Gregor. I , ep . 2 , 3 8 ; 5 , 3 8 . dia/. praef. . LMA I V 1 664 ( R ichard s ) . Gregoro v i u s I l 267. Seppelt I I 1 8
sgg. Caspar I I 3 4 3 , 454. Fisc her, Der n i edere Klerus, 43 sg. (con i ndicazioni dettag l i a t e ) ; cfr. 74 sg.
Erben 53. K ii h ner, Gezeiten 1 1 62 . l d . , Die Kreuzziige, Studio Bern 1 4 . I O. 1 970. Patze, Der Frieden ,
4 1 9 . Daniei -Rops 476. Richards 92, 9 7 . Herrmann, Kirchenfiirsten , 4 7 , ri porta a Gregorio anche l a
defi n izione d i "Guerra S a n t a " .
42 K ii h ner, Lexikon, 3 8 sg. S tratmann I V 8 5 .
43 Gregor. l , ep . 2 , 6 . R i chards 2 3 5 sg.
44 Gregor. I , ep . 3 , 3 7 ; 6, 1 0 ; 7 , 2 1 ; 9 , 2 1 3 .
•� G regor. l, ep . 1 , 1 0 ; 1 ,45 ; 2 , 7 ; 2 , 3 8 ; 4 , 3 1 ; 6 , 3 3 ; 6,45 ; 7 , 2 4 ; 8 , 2 1 ; 8 , 2 3 ; 8 , 2 5 ; 9 , 3 8 ; 9 , 1 09 s g . , 9 , 1 95 .
Wiegand 2 3 6 s g . Parkes 2 1 0 sgg. S e i ferth 7 6 . Schopen 3 2 s g . Gontard 1 5 3 . R i chards 1 23 .
• • Gregor. I , ep . 1 , 8 7 ; 9 , 2 1 3 . B rowe 1 28 , 1 3 8 , 1 45 . Caspar I I 492. Recentemente perfi n o Angenendt,
Friihmittela/ter, 24 1 , m i sconosce l ' atteg g i amento antigi udaico d i Gregori o .
47 Gregor. I , ep . 1 , 3 9 a ; 1 ,7 3 ; 8 , 2 7 . Lib. pon t if. , Vita Gregor. 3 1 3 . R AC X I I 935 sg. H K G I I 2 2 0 8 .
Gregoro v i u s I l 2 6 5 sgg. Seppe l t 1 5 sgg. Gontard 1 5 8 . Richards l O l , 1 1 8 , 1 3 3 sgg . , 1 44 . A l tendorf
1 8 6 sgg . , 1 94 .
•• Gregorov i u s I l 265 . Hal ler I 220. R i chards 34 sg.
49 Hart m a n n , Geschichte ltaliens, I l , 1 49 .
� o R i c h ards 1 44 sgg. con le attestaz i o n i d e l l e fon t i .
" Gregor. l , ep . 1 , 3 9 ; 1 3 , 1 9 ; 1 3 , 2 3 ; 1 3 ,3 1 . H K G I I 2 208, 3 1 8 . Gregorov i u s I l 2 6 5 s g g . Seppel t I I 1 5
sgg. Richards l 02 s g .
" HKG II 2 3 1 8 .
�3 G regor. l, ep . 9 , 3 0 .
�4 G regor. I , ep . 9,42. Haller I , 220. Gontard 5 9 . A n g e n e n d t , ibid. , 2 1 9 . Orl a n d i s/Ramos-Lisson 2 1 6
s g . , 2 3 0 . Richards 65 s g . , 1 1 6, 1 3 5 , 246 con tutte l e u l teriori i ndicazioni delle fon t i .
5� L M A I V 1 66 3 . Gregoro v i u s I l 267. Seppelt I I 1 5 sgg.
�6 L M A I I 1 243 sgg. HKG I I 2 207 sg. Gregoro v i u s I l 267. Herde l . R i c hards 1 5 .
Note ! 55

57 M a i er, Mittelmeerwelt, 3 3 9 . Reindel, Grundlegung, 1 07 .


5 ' Pau ! . D i ac . , hist. Lang. 3 , 1 8 ; 3 , 26 . Der Kleine Pauly 3 , 1 096. L M A I V 1 5 1 sgg. H KG I I 2 207 .
Hartmann, Geschichte Italiens, I I , 1 06 sgg. Caspar II 274 sgg. Dannenbauer II 2 1 . Dawson 1 92 ,
1 95 . Seppe l t/Schwaiger 60. R i c h ards 2 1 s g . U l l ma n n , Die Mach tstellung, 5 7 s g .
59 Gregoro v i u s l l 2 6 0 sgg. Jenal 1 1 3 . Cfr. a n c h e l a nota seguente.
60 Gregor. I, ep. 5 , 3 7 ; 1 1 ,29. RAC X I I 936 sg. H artman n , ibid. , I I , 1 85 sgg. Caspar II 479 sgg. Richards
2 3 1 sg.
6 1 H artma n n , ibid. , I I , 1 8 1 . C a s p a r I I 479 sgg. S eppel t I I 2 1 . H a l l e r I 226. Richards 9 3 .
6 2 Pau ! . D i a c . , h ist. Lang. 4 , 8 . Kel l y 2 1 . L M A I V ! 5 1 sgg. R i chards 1 9 8 . Jenal l l 3 , 1 25 s g . H ii rten 3 8 .
Ved i l a nota seguente.
63 Gregor. I , ep . 1 ,3 ; 2,7; 2 , 3 2 . dial. 2 , 2 8 .. Pau l . D i ac . , h ist. Lang . 4,8. H artma n n , ibid. , Il, 1 02 sg . ;
1 3 1 s g . , 1 68 . Caspar I I 47 1 sg. Erben 7 1 . Seppe l t/S chwaiger 5 9 . Zol l ner, Die politische Stellung,
1 3 6 . I n dettag l i o R i c h ards 9 3 , 1 8 8 sgg . , che i o seguo i n parte . lvi u l teriori rimandi a l l e fon t i .
64 Gregor. l , ep . 4 , 2 ; 5 , 3 6 ; 7 , 4 2 ; 7 , 1 9 ; 9 , 4 4 ; 9 ,66 sg. P a u l . D i ac . , h ist. Lang. 4, 1 2 . L M A I 208 s g . H EG
I 3 7 9 sg. Hartmann, ibid. , I I , 1 05 sgg. Caspar 476 sgg. Gontard ! 54 . Seppe l t/S c hw a i ger 60 sg.
6 5 Gregor. I , ep. 1 4, 1 2 . Pau ! . D i ac . , h ist. Lang. 4,5 ; 4,25; 4 , 2 7 . LMA I 208 sg. Hartma n n , ibid. , I I , 68
s g g . S c h n ii rer, Kirche und Ku /tur, I , 1 69 s g . Caspar I I 477, 49 1 . Seppelt II 2 6 sg. S t o n ner,
Germanentum und Ch ristentum , 4 1 . G iesecke 204 sg. B e h n 7 1 . Dol l i nger 84 sg. M i s c h 1 26 .
66 Pau ! . D i a . , hist. Lang . 4 , 6 ; 4 , 2 7 ; 4,4 1 . L A M I 208 s g . G iesecke 204 s g . B e h n 7 1 . Holtzmann, ltalien ­
politik, 30. Ric hards 1 99 .
67 LTh K V I I I ' 2 5 0 . L M A I I 1 894 s g . H KG I I 2 207 . H E G I 3 0 8 . Lecky, Sittengeschich te, I I , 2 1 6 sg.
Carte l l ieri I 78. C aspar, Geschichte der Papsttums, I I , 487 s g . Ludwig, Massenmord, 1 9 . B aynes,
The Successors, 2 8 2 . M aier, Mittelmeerwelt, 247 . R ichards, Gregor 2 3 2 sg.
•• Fredeg. 4 , 2 3 . RAC I V 5 7 6 . Gregoro v i u s I I 2 3 , 33. Don i n I I 1 62 . Stratmann IV 207 . Caspar I I 364.
Mai er, ibid. , 246.
•• H artman n , ibid. , I I , 1 1 7 . Gregoro v i u s I l 268 sg. H a l l e r I 2 1 9 . Caspar I I 4 8 8 . Gontard 1 5 5 . M a ier,
ibid. , 247. I d . , Byzanz, 76. R i c h ards 56, 2 3 3 . Deér, Die Vorrechte, 55 sgg.
7 0 Gregor. I , ep . 1 3 , 3 2 sgg. Cfr. 1 3 ,4 2 . Hart m a n n , ibid. , I I , 1 1 7 s g . Caspar I I 4 8 8 sgg. S trat m a n n I V
1 08 sg.
7 1 LThK I I 2 5 9 1 sgg. Der Kleine Pauly I V 802 sg. L M A I I 4 1 3 . HEG I 3 0 8 . Fichti nger 74. Kiihner,
Lexikon, 40. Gregorov i u s I l 270. Hartmann, ibid. , I I , 1 1 8 . Seppelt II 4 1 . Ostrogorsky 69 sg. K ii hner,
Das Jmperium, 67. Secondo S c h i e ffer, HEG I 1 1 2 , Roma conserva fi no ad oggi con l e colonne di
Foca "almeno un riflesso del suo rango d i c i ttà i mperiale" !
7 2 Fredeg . 4 , 6 3 . Lecky II 2 1 7 . Hartmann, ibid. , I I , 1 8 5 . S tratmann IV I l i . Ostrogorsky 69 sg. Daniei­
Rops 396. Maier, ibid. , 247.
73 Beda, h.e. 2 , 1 . LTh K I I 1 8 2 s g . e 2 ed. 93 sg.
74 Orig . , horn. 4, 1 i n Ez. Tert. adv. Jud. 7 . Sozom. 2 , 6 . Vog t , Der Niedergang, 5 3 4 . D e l i u s 1 7 . Lohaus
1 44 sg.
75 LMA I I I 1 924 sgg. HEG I 2 8 3 sg., 45 1 sgg . , 467 sgg. con n u merose i ndicazioni b i b l i ografi c h e .
B uchner, Germanentum, ! 56 s g . S c h m i dt- Liebich, Daten, I O sgg. Col l i ngwood/Myres 29 1 s g g .
76 B e d a , h. e . l ,23 . Greg . Tur. 4,26; 9,26. Gregor. I , ep . 8 , 3 0 . LMA I 1 229 s g . , I I I 1 926 sgg. Gregorovius
I l 244. Hartman n , ibid. , I I , 1 7 2 s g . Seppe l t I I 30 sgg. Carte l l ieri I 7 9 . Haller I 267. Gontard 1 5 6 .
B u chner, ibid. , 1 5 7 . Daniel-Rops 29 1 . Lohaus 5 sgg . , I l s g g , 1 45 . Seppe l t/Schwaiger 62. B o s l ,
Europa i m Mittelalter, 1 66 . S c h iegger, Winfried-Bonifatius, 6 5 . B orst 3 5 sgg. Pri n z , Zum friinki­
schen und irischen A nte il, 3 1 7 s g .
77 Gregor. I , ep . 9,43 ; 1 1 , 3 7 ; 1 1 , 3 9 . B e d a , h. e . 1 ,2 6 ; 1 , 3 1 ; 2 , 1 . R A C X I I 9 3 8 . LTh K I I ' 8 2 s g . , V I I '
26 1 . LMA I 1 87 . Hartma n n , ibid. , I I , 73 1 sg. Caspar I I 507 sgg. Seppe l t I I 3 2 . H ii n l e i n I 49 sg.
Schieffer, ibid. , 294. Gon tard 1 5 6 . H a l l e r 1 2 6 7 . Lohaus I l sgg. B orst 3 7 sg. Pri n z , ibid. , 3 1 8 sgg.
1 56 Note

Molti fig l i di re cristiani rimanevano senza battesimo per poter governare dopo u n ' eventuale v i ttoria
d e l partito pagano. Cfr. , ad esempio, A n genendt, Friihmittelalter, 2 3 1 .
78 G regor. I , ep. 1 1 , 5 6 . Beda, h. e . l , 3 0 .
79 Beda, h. e . l , 3 3
"" RAC X I I 930 s g . G regoro v i u s I l 27 1 s g g . R i chards 3 5 s g .
"1 L M A V 5 6 9 . Gregorov i u s I l 2 7 9 . H ii rten 1 6 s g g .
K:'! G regor. I , ep . 5 , 5 3 ; 1 1 , 34. Mora/. 1 0, 2 9 ; 1 8 ,46; 1 8 ,74. John o f S a l i sbu ry, Policraticus, 2 , 2 6 . Der
Kleine Pauly I V 4 2 4 . Hart m a n n , ibid. , I I , 94 s g . B uc h ner, Germanentum, 1 5 1 . H a l l e r I 2 1 8 sg.
Dannenbauer I l 7 3 sgg. S a n d y s 444 s g . A l tendorf 1 89 , 1 92 . Evans, The thoaght of Gregory the
Grecl t, 8.
•.1 Leo I , ep. 3,63 ; 7,29; 1 1 ,5 5 . K ii h ner, Lexikon , 3 5 sg. Gregoro v i u s I l 279. Funk, Gregor, 2 2 . Schubert,
Geschichte der christlichen Kirche l, 1 98 . Caspar I l 344 sgg. Seppelt Il 9 . Dannenbauer I 5 2 sg.
Gon tard 1 5 2 . R ichards, Gregor, 5 2 s g . , 5 9 sgg. A l tendorf 1 86 sg. De Rosa 397. Recentemente, ad
esempio, anche Scheibe l rei ter, Der Bischof, 66, è rimasto sorpreso "dal rifiuto deciso e provocatorio
delle basi d e l l a c u l tura antica".
•• G regor. l , dia/. 4,4 1 sgg. Fischer, Viilkerwanderung, 1 09 . R i c h ards 60 s g . , 8 9 , con tutti i rimandi
u l teriori a l l e fon t i .
"' H a l l e r I 2 1 8 . Da p o c o a n c h e Angenendt, Friihm ittelalter, 240, a n c h e se solo d i sfuggita,accenna
" a l l ' i m provv i s a caduta dal livello antico d e l l a formazione i n tel lettuale e teologica" . Ved i anche
Herrm a n n , Kirchenfiirsten , 4 7 .
"6 Seppelt 1 1 3 5 . H a l ler l 2 1 8 s g . Cfr. D i e peinlichen Ausfliichte, i n R A C X I I 940 s g .
"' G regor. I , Mora/. 2 1 , 3 . In Ezech . l sgg. Hofm a n n , Die geistige A us/egung, 1 2 . .
•• G regor. l , Mora/. P . L . 7 5 ,509 sgg . , 7 6 , l sgg. A l taner/S t u i ber 468 s g . R A C X I I 943 . A l te n dorf 1 87 .
"9 Tai o n i s ep. ad Eugen. Tolet. praef ad Quiric. Barcinon. secondo H a rt m a n n , Geschichte ltaliens I l
1 5 7 s g . H KG I l 2 209 s g . ( B a u s ) . Richards 9 . Per l a eccezionale s t i m a d i c u i godette Gregorio nel
Medioevo c fr. H ii rte n , Gregor der Groj3e, 16 sgg. Ancora nel secolo VIII i n Laterano i l " l ivel l o
i n tel lettuale . . . è quasi esc l u s ivamente d i natura rel i g iosa". M a B a n n i ard , Europa , 1 2 3 , trova c h e
n e l l a sua opera p r i n c i p a l e Gregorio è "sempre a u n alto l i ve l l o " , a n z i " , ibid. , 1 5 1 sgg . , parla
addi rittura d i "maestria letterari a .
90 G regor. l , ep . 5 , 5 3 ° . LMA I V 1 664 s g . F u n k , ibid. , 4 3 . Seppelt, Geschichte des Papsttum.'i, I I , 3 6 s g .
Dannenbauer I l 7 6 sgg.
91 G regor. l , ep . 5 , 5 3 a ; 1 1 , 2 7 . R i c h ards 5 2 sgg . , con molti rimandi a l l e fon t i . Ved i anche pag. 269.
'12
Cfr. soprattutto Gregor. , dia/. pro/. 8; 1 , 7 ; 3 , 3 3 : 3 , 3 5 ; 4 , 5 5 . Mora/. 1 7 , 3 1 . Hom. in Ezech . 3 , 2 3 .
A l taner/S t u i ber 4 6 9 . Fu n k , Gregor Xlii. R i c h ards 260, 2 6 5 , 2 6 7 s g . Fra n k , Benedikt, 3 5 s g g . A l ten­
dorf 1 93 .
'' ' Pau l . Diac . , h ist. Lang. 4 , 5 . K ii h ner, ibid. , 49. H K G I l 2 3 2 1 ( Vogt). L M A I V 1 665 ( M . Gerw i n g ) .
Gregoro v i u s I l 2 7 6 . F u n k , Gregor X VII. Ric hards 2 6 2 , 2 6 7 s g .
94 G regor. l , dia /. l , 2 sgg . ; 1 , 7 ; l ,9 sg . ; l , 1 2 ; 2 , 5 ; 2 , 7 sg. : 2 , I l ; 2,24; 2 , 2 9 ; 2 , 3 2 ; 3 , 1 7 ; 3 , 2 0 ; 3 , 2 9 ;
3 , 3 8 . Lecky I I 1 08 s g . Daniel-Rops, Kirche i m Friihmittelalter, 284. R i chard s , Gregor, 26, 3 0 .
Fran k , ibid. , 3 6 s g . A l tendorf 1 93 . Scheibelre i ter, D e r Bischof, 254, n o t a 7 4 .
9 !' G regor. I , d. i a l . l ,9 .
,.
• lbid.
97 Ibid.
"" RAC X I I 948 G regoro v i u s I l 276. H a l l e r I 2 1 8 s g .
99 H K G I I 2 207 sgg. ( B au s ) . Jbid. , 3 1 7 sg (Vogt ) . H ii rten 1 6 sgg. dice senza perifra s i c h e l e sue
"opere pri n c i p a l i ... non sono affatto p i ù godibi l i " .
1 1111
G regor. l , dia /. 4 , 3 0 ; 4 , 5 5 . Mora/. 9 , 3 2 . K e l ler, Reclams Lexikon , 2 3 6 . Fichti nger 1 42 . Lecky I I 1 79
s g . B e i s s e l , Die Vereh rung de r Heiligen , 3 2 2 . Dudden II 347.
Note 1 57

1 " 1 Gregor. l, dia/. 4,4 1 sgg.


1 0 2 G regor. l, ep . 3 , 3 3 ; 4 , 3 0 ; 7 , 2 7 ; 9 , 2 2 8 . Kel ler, ibid. , 3 2 8 . R AC I I I 869 s g . Gams 1 1 2 , sez. 3 1 . B e i s s e l ,
ibid. , l , 1 72 . Gregoro v i u s I l 2 7 3 . B eringer I l 2 3 1 sg. S c h n ii rer, Kirche und Kultur, l , 2 5 8 . B u c hner,
Germanellfum, 1 5 1 . H a l ler I 2 2 3 . A n d resen 5 1 3 .
1 113 Gregoro v i u s I l 274.
1 04 Gregor. I, ep. 30,3 ; 4,30. Gregorovius I l 273. Caspar Il 397. Fichtenau, Zum Reliquien wesen , 84 sg.
1 "5 Gregor. I , dia/. 1 ,4 ; 3 , 1 5 ; 4 , 5 1 . Donin I 582, IV 293 . B eringer Il 23 1 sg. W i l pert 1 7 . Hart m a n n ,
Geschichte Italiens, I l , 1 93 . Gontard 1 60 . Von den S t e i n e n 245 . F i c h t e n a u , ibid. , 84. M i sc h 1 26 .
Dannenbauer I l 7 8 sg.
1 116 Bernard. di C h i arav. , de considerar., 1 ,9 . Kraft 244. S tratm a n n IV 1 25 . Caspar I l 5 1 3 . Dietrich,
Geschichte der Ethik, 1 1 , 2 3 5 . Seppel t I l 3 8 sgg. Seppel t/Schwaiger 5 9 , 62 sg. Gontard 1 6 1 . Schramm,
Kaiser, Konige, I 8 9 .
1 07
RAC X I I 950.
1 118 Cfr. Hal ler I 22 1 sgg.
1 09 LMA I V 1 664, 1 66 8 . Seppelt I l 34. Daniei -Rops 284. Gontard 1 60. R i c h ards 1 25 sgg. U l l m a n n ,
Kurze Geschichte des Papsttums, 4 8 .
"" Pau l . D i ac . , hist. Lang. 4 , 2 9 . R i c h ards 2 6 5 sg. Kel l y 8 2 .
1 1 1 U l l m a n n , ibid. , 50.
CAPITOLO VIII.

BRUNECHILDE, CLOTARIO II E DAGOBERTO I.


OVVERO "LA CRISTIANIZZAZIONE DEL CONCETTO DI MONARCHIA"

" . . . un selvaggio animale politico". (J. Richards su B runechilde) 1

" . . . Proprio sotto questo sovrano - come può essere chiaramente dimostrato -
la cristianizzazione del concetto di monarchia raggiunse il suo primo culmine".
(H. H. Anton, su Clotario Il) 2

" . . . a Dio oltremisura gradito . . . ascoltava soprattutto il consiglio di S. Arnolfo


vescovo della città di Metz . . . ascoltava inoltre i suggerimenti
del suo maestro di cerimonie Pipino, e di Cuniberto, vescovo di Colonia".
(Fredegar, su Dagoberto l) 3

"Gettò nella paura e nell ' angoscia tutti i regni circonvicini"


(Liber historiae Francorum) 4 221
1 60 Brunech ilde, Clotario Il e Dagoberto l

PAPA GREGORIO l CORTEGGIA "UN SELVAGGIO ANIMALE POLITICO"

In Francia, nel frattempo, dopo tutta una sequenza di minacce di morte e di attentati,
era morto senza eredi propri il re merovingio Guntram i l Vecchio, il quale, avendo
adottato dopo la scomparsa dei figli il nipote più grande ancora minorenne Childeberto
II (575-596), lasciò a lui la propria parte di regno, così che quegli si trovò a capo dei
due regni d' Austrasia e di Franco-Burgundia. Ma Childeberto, che negli ultimi anni di
vita fu impegnato a domare i ribelli Bretoni a Occidente e i Varni (popolazione turingia
fra la Saale e l ' Elba) a Oriente, si trovava sotto la completa tutela del la madre.
La potente Brunechilde, per lungo tempo eminenza grigia del regno franco, nel 575
aveva imposto in Austrasia la signorìa del figlio cinquenne, decidendo a favore proprio
e del regno a fianco di Guntram la lotta per il potere scoppiata subito dopo coi potentati
austriaci. Il trattato di Andelot (pag. 90 s . ) sancì tale stato di cose, frenando le tensioni
dinastiche e riducendo l ' i nfluenza del l ' aristocrazia. Anche dopo la morte precoce del
figlio Childeberto (596), forse avvelenato insieme al la moglie, Brunechilde esercitò la
reggenza in nome dei figli maggiori del defunto (rispettivamente di dieci e nove anni),
i nipoti Teoderico II di Burgundia e Teodeberto II di Austrasia, svolgendo un ruolo
politico decisivo e diventando ancor più determinante.
Dal l ' altra parte, in Neustria, dove Clotario II (5 84-629) era succeduto (aveva appena
tre mesi) al padre Chilperico, al più tardi dal l ' inizio degli anni novanta la madre
223 Fredegonda guadagnò u n ' i nfluena altresì decisiva. Ora, dopo la morte di Guntram, la
viscerale inimicizia fra le due regine scoppiò ormai senza freni, ma le carte migliori
erano nelle mani di Brunechi lde e di Childeberto II, che possedevano quasi l ' intera
Francia, eccettuata una sottile fascia costiera a nord-ovest di Parigi. Con un attacco
improvviso Fredegonda era riuscita ad impadronirsi di Parigi e di altre città occidentali ,
ma morì nel 5 9 6 o nel 597 . 5
Naturalmente molti vescovi, fra i quali Sigimondo di Magonza e il successore
Leudegasio, erano strettamente legati alla sempre più potente Brunechilde, devota alla
chiesa, adoratrice e promotrice del culto di s. Martino, fondatrice di chiese e benefattrice
della chiesa cattolica. Lo stesso Gregorio I la corteggiava: la sua vivace corrispondenza
con questa equivoca regina priva di scrupoli è tutta caratterizzata dalla medesima viscida
adulazione rivolta anche al sanguinario imperatore Foca. Tutto lascia intendere che il
papa conoscesse benissimo i metodi di codesta "terribile regina" (Nitzsch), potente
cortigiana che spesso si apriva la strada fra i cadaveri , "un selvaggio animale politico,
disposta a tutto pur di conservare il potere" (Richards).
Ciononostante nelle sue epistole il santo padre ignora completamente la crudele
faida familiare di Brunechilde, scorgendo in lei, nel figlio, nel suo regno entità superiori
a tutti gli altri regni, "simili a faro luminoso sfavillante e luccicante nella tenebra notturna
della m iscredenza" . Egli la ringrazia ripetutamente del l ' appoggio alle missioni in
Papa Gregorio l corteggia "un selvaggio an imale politico " 161

Inghilterra attraverso i l territorio francese; celebra i l suo "amore per i l principe degli
apostoli Pietro, che coltiva con tutto i l cuore"; invoca, spesso inutilmente, i l suo aiuto
contro simoniaci, scismatici e pagani , esortando Brunechilde affinché i mpedisca con
la coazione il culto di alberi sacri o di altri idoli e raccomandando l ' uso della frusta,
della tortura e del carcere per la conversione dei pagani ancora riottosi . (Ma quando nel
595/596 Giovanni di Costantinopoli, i l Digiunatore, [pag. 1 1 3 ss.] fece condannare e
fustigare un monaco ortodosso accusato di "Eresia", Gregorio intervenne energicamente 224
in difesa del malcapiatato)
Il papa non trascurò ovviamente di inviare alla regina anche delle reliquie. E come
su desiderio del figlio Childeberto aveva nominato vicario apostolico il vescovo di
Arles, così, anche se malvolentieri, conferì il pallio al suo favorito e consigliere Siagrio
di Autun, benché non esistesse una tradizione o un qualsiasi altro precedente in tal
senso e il prelato non avesse ritenuto opportuno chiederlo personalmente al papa; e
tutto ciò avvenne nonostante il vescovo fosse sospettato di appoggiare gli scismatici e
avesse inviato uno scismatico quale suo rappresentante a Roma. (In ogni caso, Siagrio
fu fatto santo ; festa: 27 agosto).
Autun poi non era nemmeno sede metropolitana: il metropolita di Siagrio, e quindi
suo superiore, era il vescovo Eterio di Lugdunum; ma quando costui implorò dal papa
il pallio, Gregorio glielo rifiutò col pretesto che non esistevano precedenti in tal senso.
Evidentemente intendeva riservare tale dignità ai pupilli della corona: infatti, quando
nel 595 Childeberto volle la promozione dell ' arcivescovo Virgilio di Arles, il papa lo
accontentò immediatamente. Al contrario, si rifiutò di premiare col pallio il dotto vescovo
Desiderio di Vienne (pag. 1 42), che pure lo aveva i mplorato. Desiderio apparteneva
all ' ala riformatrice della chiesa franca, e perciò doveva essere ben accetto al papa; ma
proprio per questo non godeva della stima della corte: era persona non grata alla regina,
la quale nel 602 o nel 603 lo fece deporre dal Concilio di Chalon-sur Saone con l' ac­
cusa di fornicazione, lo esiliò in convento e, quando fece ritorno, lo fece lapidare il 23
maggio del 607.
Papa Gregorio pose poi sotto la propria diretta protezione il chiostro di S . Martino,
fondato in Autun da Brunechilde e dal vescovo Siagrio (nel l 099 i monaci vi avvele­
neranno l' abate U go) ; la devota regina fondò anche un senodochio, in seguito trasformato
in abbazia femminile. Anche il convento femminile di St.-Jean-le-Grand, sempre in
Autun, fu fondato da B runechilde, alla quale il cattolico "Lexikon fiir Theologie und 225
Kirche" attribuisce "arbitrio e violenza verso la chiesa" (per attenuare l ' alto tradimento
di Pipino e del santo vescovo Arnolfo di Metz: pag. 1 65 ss.). 6
Gregorio scrisse all ' i ncirca una dozzina di lettere alla potente regina, a quanto pare
guida reale della chiesa, usando sempre quel tono mellifluamente adulatorio, che fece
sentire anche alla casa imperiale, tanto all ' assassinato (in seguito) quanto all ' assassino.
La prima epistola papale inizia con un tono relativamente moderato: "La lodevole e
1 62 Brunechilde, Clotario Il e Dagoberto I

devota disposizione d' animo di Vostra Eccellenza si dimostra sia nelle Vostre azioni di
governo che nel l ' educazione di Vostro figlio". Ma subito lo stile s ' innalza, e mentre il
"Canto Gregoriano" nulla ha a che fare con Gregorio, qui la salmodia assume toni
sempre più elevati : "Quanto siano grandi i doni a Voi concessi da Dio e di quanta
mitezza la grazia celeste ricolmi il Vostro cuore è dimostrato non soltanto dalle altre
Vostre benemerenze, ma viene anche universalmente riconosciuto dal fatto che Voi
governate con avveduta intel ligenza i rozzi cuori di popoli pagani e, cosa ancor più
gloriosa, sapete congiungere alla regale autorità l ' ornamento della sapienza" . In fondo
Brunechilde non era solo potente, ma anche obbl igata alla chiesa, cui fece numerose
donazioni e innalzò anche abbazie; ergo, fu sollecitata dal papa persino ad intraprendere
una riforma della chiesa franca e a porre sotto la sua protezione i beni ecclesiastici .
Ma quando il potere di B runechilde cominciò a vacillare, i toni di Gregorio assunsero
immediatamente altre sfumature: "Provvedete alla vostra anima, pensate ai vostri nipoti,
cui augurate un governo felice, provvedete alle provincie e pensate a correggere
226 l ' empietà, prima che il Creatore tenda la mano pronta a colpire . . . " . 7

LA FINE DI BRUNECHILDE
E IL PRIMO APICE DELLA CRISTIANIZZAZIONE DEL CONCETTO DI MONARCHIA

Alla morte di Childeberto II nel 596 il governo fu assunto dai suoi due figli, Teodeberto
II (595-6 1 2) in Austrasia e Teoderico II (595-6 1 3 ) in Burgundia. In realtà la reggenza
fu esercitata inizialmente da Brunechilde a nome dei nipoti ancora minorenni, i quali,
raggiunta la maggiore età, iniziarono a intervenire nelle lotte ancora una volta accese
con la casa reale di Neustria. Tuttavia ebbe luogo una ribellione dell ' alta aristocrazia
austriaca, alleata con Clotario II di Neustria; e Brunechilde, ormai sul punto di i mpa­
dronirsi del potere in Gallia a danno di quest ' ultimo, nel 599 fu cacciata dalla corte di
Metz in seguito a una cospirazione già precedentemente fomentata a favore della Neustria
da una fazione della sua nobiltà, e costretta a rifugiarsi presso il nipote prediletto,
Teoderico Il.
In B urgundia, di cui in breve tempo era divenuta la vera e propria sovrana, proseguì
la lotta contro Clotario, e per vendicarsi degli avversari austriaci spinse Teoderico contro
il fratello Teodeberto d' Austrasia, figlio di un giardiniere, non di un re, come soleva
affermare. Nel l ' anno 600 i due fratelli (ancora insieme) avevano inflitto una grave
sconfitta sulle rive della Marna al sedicenne Clotario II e ne devastarono e saccheggia­
rono il regno, riducendolo a una sottile fascia costiera intorno a Rouen, Beauvais e
Amiens. Nel 602 avevano guerreggiato insieme contro i Baschi, rendendo li loro tributari
"con l ' aiuto di Dio". Ma in seguito cominciarono a combattere tra loro con durezza e
crudeltà estreme. Teoderico, tenuto a battesimo dal grande vescovo taumaturgo Verano
La fine di Brunechilde e il primo apice 1 63

di Cavail lon (che "guariva i mmediatamente per grazia di Dio" con semplici segni di
croce), ebbe due volte il sopravvento su Teodeberto col maestro di palazzo Warnachar,
prima a Toul poi nella battaglia di Zillpich, alla quale lo aveva particolarmente istigato
il vescovo Leudegasio di Magonza: "Concludi quel che hai cominciato; devi condurre
a termine questa faccenda a tutti i costi", disse al re "il santo e apostolico signore 227
Laudegasio", e quello completò l ' opera "sotto la guida di Dio".
Fredegar racconta "che mai a memoria d' uomo i Franchi o altri popoli avevano dato
vita a una battaglia tanto aspra. Dai due eserciti fu perpetrato un tale eccidio che là,
dove i due schieramenti iniziarono la battaglia, i corpi dei morti non ebbero lo spazio
per cadere a terra, ma i morti stavano ritti, talmente costretti fra gli altri corpi che
sembravano ancora vivi . Con la guida di Dio Teoderico vinse di nuovo Teodeberto, i
cui uomini furono trucidati durante la fuga da Zillpich fino a Colonia, ricoprendo qua e
là la superficie della pianura. Lo stesso giorno Teoderico giunse a Colonia, i mposses­
sandosi di tutti i tesori di Teodeberto". A Colonia, dove i Francoburgundi avevano fatto
i l loro ingresso, Teoderico fece prima tonsurare il fratello, poi lo fece decapitare,
ammazzando inoltre tutta la sua famiglia. Fredegar narra ancora che "per ordine di
Teoderico il piccolissimo figlio venne afferrato per un piede da uno dei suoi e scagliato
contro una roccia; il cervello fuoriuscì dalla testa . . . . ".
Fine di una delle innumerevoli guerre fratricide esclusivamente cattoliche.
Il vincitore tentò di i mporre il proprio dominio su tutta la Gallia, preparando la
guerra contro la Neustria. Ma quando nel 6 1 3 , ali ' apice del trionfo, morì inaspettata­
mente ancor giovane, anche i suoi figli furono assassinati da Clotario Il, figlio di
Fredegonda e di Chilperico ; fu risparmiato il figlioccio Meroveco, che Clotario fece
rinchiudere in convento, ma per il resto "lo circondò con lo stesso amore, che gli aveva
dimostrato nel Santo Battesimo" (Fredegar). 8
Dopo la morte di Teoderico a Metz, Brunechilde fece immediatamente nominare re
d' Austrasia e di Burgundia il pronipote decenne Sigeberto II. Ma i magnati d' Austrasia
la tradirono: guidati dai capostipiti dei Carolingi, i due rinnegati, il maggiordomo Pipino
il Vecchio e Arnolfo, poi vescovo di Metz e santo, passarono dalla parte di Clotario. E
dopo il tradimento del l ' aristocrazia austriaca, la regina fu abbandonata anche dai 228
feudatari burgundi, istigati dal maestro di palazzo Wamachar. Essi avevano deciso così
fin dall' inizio "sia i vescovi che gli altri signori laici", come informa il cronista contem­
poraneo, che ci spiega anche l ' obiettivo della pia fronda "non lasciar sfuggire nessuno
dei figli di Teoderico, ma ucciderli tutti ; quindi eliminare B runechilde e carpire il regno
di Clotario . . . ". In questo modo fu determinata la fine della regina, l ' eliminazione, anzi,
lo sterminio della dinastia merovingia e contemporaneamente la vittoria della nobiltà
sulla corona.
L' esercito di Brunechilde disertò a Chalons senza nemmeno combattere, e la regina
fuggì nel Giura, tentando di raggiungere l ' interno della Burgundia. Ma a Orbe, presso
1 64 Brunech ilde, Clotario Il e Dagoberto l

il lago di Neuchatel, venne catturata dal maestro di palazzo franco-burgundo e consegnata


al nipote. Clotario, primo re franco paragonato a David (v. l, 8 1 ss. ), ben disposto verso
la chiesa, devoto e crudele in egual misura (la sua "pietas" viene sottolineata da
Fredegar), che conferì nuovi diritti al clero, arricchendolo di sempre nuove donazioni,
garantendo ad esso piena libertà nel l ' elezione dei vescovi e l iberando lo da tutte le im­
poste, sovrano assolutamente "mite e buono con tutti", codesto figlio minore del l ' odia­
tissima Fredegonda nel 6 1 3 sottopose per tre giorni a ricercate torture la settantenne
Brunechilde, la costrinse poi passare a dorso di cammello in mezzo alle sue soldatesche
e alla fine la fece legare per i capelli, un braccio e una gamba "alla coda del cavallo più
selvatico", che l ' uccise trascinandola "finché si staccarono una per una tutte le sue
membra" (Fredegar) . Le sue ossa furono bruciate, la sua discendenza ed i suoi pronipoti
vennero sterminari , ad eccezione del principe Meroveco, figlioccio del re.
Uno studioso moderno scrive: "Proprio sotto questo sovrano, come si può agevol­
mente dimostrare, la cristianizzazione del concetto di monarchia raggiunse il suo primo
apice" (Anton). E nella biografia di Colombano il monaco Giona di Bobbio afferma
con accenti trionfal i: "Ora che tutta la stirpe di Teoderico è stata sterminata, Clotario
regna solitario su tre regni: la profezia di Colombano si è pienamente realizzata". (Giona
229 poteva permettersi agevolmente tali profezie, perché quando scriveva tutto si era
"adempiuto" da lungo tempo: è il vecchio trucco biblico dei "vaticinia ex eventu").
Il patrono speciale del re, e in seguito del figlio Dagoberto, fu s. Dionigi, e il suo
tesoriere il futuro vescovo di Cahors, Desiderio; ed anche i futuri vescovi Paolo, Audoino
di Rouen, Eligio di Noyon e Sulpicio di Bourges rivestirono cariche ufficiali alla corte
di Clotario. Ora riconosciuto in tutta la Francia, questi elesse come sua residenza Parigi,
capitale del regno unificato. Tuttavia dovette pagare alla nobiltà e al clero il prezzo
del l ' appoggio ottenuto e ricompensare gli ari stocratici d' Austrasia con l ' Edictum
Chlotharii e con l ' insediamento del figlio Dagoberto come viceré d' Austrasia. In questo
modo l ' alta nobiltà venne notevol mente rafforzata.
Ma Gregorio aveva sbagliato i suoi conti : non Brunechilde e neppure il ramo austriaco
del la casata era uscito vittorioso dalle atrocità incessanti sopra accennate, bensì il
neustriano Clotario II, al quale il papa aveva scritto una soltanto delle sue 854 epistole
a noi giunte. Ne1 6 1 4 il re convocò a Parigi un sinodo, che segnò l ' inizio del la secolare
indipendenza della chiesa nazionale franca. 9
In realtà si dimostrarono più forti e influenti di Gregorio nella politica del regno i
prìncipi franchi della chiesa: il già menzionato vescovo di Magonza Leudegasio (v.
pag. 1 63), il vescovo Leudemondo di Sitten e s. Arnolfo di Metz.
Il Santo traditore di Metz 1 65

IL SANTO TRADITORE DI METZ

Subito dopo l ' inizio del regno di Clotario II, in B urgundia si verificò una congiura,
nella quale ancora una volta svolse un ruolo determinante un pastore d' anime.
Durante il conflitto con la regina Brunechilde furono assassinate numerose personalità
eminenti del Regnum Burgundiae, tra le quali il maestro di palazzo Protadio (604) e il
suo avversario, il patrizio Wulfo. Clotario II nominò duca del "distretto transgiuranico", 230
nell' attuale Svizzera occidentale, un certo Herpo, un franco-burgundo passato tempesti­
vamente dalla sua parte. Ma anche Herpo fu assassinato per ordine del patrizio Aleteo,
anche lui transfuga nel 6 1 3 , e del vescovo Leudemondo di Sitten. Costui si affrettò
quindi a corte, allora a Marlenheim presso Strasburgo, e svelò alla regina Berthetrud
che il consorte sarebbe morto e che Aleteo, presunto rampollo della casa reale burgunda,
avrebbe preso il posto del defunto, sul trono e nel talamo. Il vescovo di Sitten consigliò
a Berthetrud di recarsi a Sitten, portando con sé la maggiore quantità possibile del
tesoro regale. Clotario, che venne a conoscenza del progetto, intervenne sanguino­
samente contro i rivoltosi, facendo giustiziare Aleteo, ma graziando Leudemondo, il
quale si era intanto rifugiato nel convento di Luxeuil. 1 0
Assai più coinvolto nella politica del regno fu il traditore Arnolfo, capostipite della
casa carolingia.
Questo discendente di una famiglia originaria della regione fra Metz e Verdun, figlio
"di genitori assai ricchi e illustri", come attesta ovviamente la sua Vita, giunto ancora
fanciullo alla corte austriaca di re Teodeberto II (592-6 1 2) vi servì come domesticus -
un grado intermedio tra i comites (conti) e i duces (duchi) - a capo di tutta una serie di
vasti distretti fiscali e di sei possedimenti della corona. Come ricompensa per questi
servigi, insieme a Pipino il Vecchio e all ' opposizione aristocratica d' Austrasia, aiutò
poi il neustriano Clotario II a estendere la sua sovranità anche sull ' Austrasia e sulla
B urgundia, inducendolo a intervenire contro la propria patria; infatti, nel 6 1 3 questi
penetrò fino ad Andernach. L' anno successivo il rinnegato Arnolfo fu ricompensato col
vescovado di Metz, diventando sommo pastore della capitale del regno, di cui aveva
tradito i sovrani. Naturalmente il futuro santo vescovo, come racconta il suo biografo
contemporaneo, accettò "tra le lacrime e solo perché costretto, in quanto ciò piaceva a
Dio". E da vescovo ottenne contemporaneamente, ancora una volta "contro la sua
volontà, l ' incarico di maggiordomo di corte ed il governo del palazzo regio". (Anche 231
l ' altro traditore, l ' amico Pipino il Vecchio, fece poi carriera come maestro di palazzo
alla corte di Dagoberto 1). E affinché nessun ' ombra aleggiasse sul ribelle, ben presto
tutto intorno a lui divenne santo: la consorte, la nobile s. ltta; le figlie s. Gertrude e s.
Begga; la sorella s. Amalberga, "e anche alcuni parenti collaterali" (Mi.ihlbacher) ; tutti
ancora venerati fino ai giorni nostri, almeno in Belgio.
Sembra che dopo la sua storica canagliata Arnolfo abbia provato qualche rimorso,
1 66 Brunechilde, Clotario Il e Dagoberto l

meditando di chiudersi i n convento; ma poi, nel 6 1 4, preferì i l vescovado di Metz, e nel


623 , dopo la nomina a viceré d' Austrasia del figlio di Clotario, Dagoberto l, ne assunse
la tutela insieme a Pipino.
Il vile voltafaccia del "beatissimo vescovo Arnolfo" (beatissimo vero A rnulfo
pontifice: Fredegar) aveva pagato: adesso si comporta alternativamente da militare e,
per così dire, da pastore d ' anime. Agisce, ad esempio, come militare, in Turingia nel
624 o nella repressione della rivolta di Crodoaldo, al quale "venne mozzata la testa
sulla soglia della camera da letto" (Fredegar). "Chi" - decanta la Vita di Arnolfo (com­
posta da vari testimoni oculari) - "chi mai potrebbe illustrare la sua audacia in guerra e
la sua perizia nel maneggio delle armi? Sovente superò nel combattimento le schiere
dei popoli nemici". Nelle vesti poi di padre conciliare a Reims nel 626 e a Clichy nel
627 propugnò la lieta novella, prima di dedicarsi effettivamente alla vita monastica nei
Vosgi, nel Wasgenwald, nelle vicinanze del chiostro di Remiremont.
Già verso la fine del l ' VIII secolo inizia la sua venerazione liturgica, perché viene
menzionata per la prima volta la festa di s. Arnolfo. Anche uno dei figli, Clodulfo,
divenne santo e terzo successore del padre nel vescovado di Metz (occupato per ben 42
anni), per il resto talmente insignificante che Paolo Diacono, il cronista più antico della
Chiesa di Metz, non può raccontarci nulla di speciale, se non il fatto che era figlio del
232 padre, "rampollo di nobile stirpe". L' altro figlio di Arnolfo e della moglie Dada,
(ovviamente a sua volta "figlia di nobile casata", poi entrata in un convento di Treviri),
Ansegiso, ammazzato nel corso di una faida nobiliare, sposò Begga, figlia di Pipino il
Vecchio. Dal loro matrimonio discese Pipino II di Heristal. 1 1
In B urgundia si manifestò anche dopo la bramosìa di potere dei vescovi , come
dimostrano le mene di Leodegaro di Autun (pag. 207 ss.), di Genesio di Lione, di
Savarich di Auxerre e del successore Hainmar, il quale, a quanto pare, riuscì addirittura
a i mpadromirsi del l ' i ntero ducato di B urgundia, alleandosi col duca ribelle Eude di
Aquitania. Per ordine di Carlo Martello il vescovo Hainmar fu infine arrestato, e poi
ucciso durante un tentativo di fuga. 1 2
Nel 622/623 Clotario e il figlio Dagoberto mossero guerra ai Sassoni con ingenti
forze, liquidando barbaramente i loro capi: "Il re devastò l ' intera Sassonia, ne sterminò
la popolazione e non lasciò in vita nessuno che fosse più alto della sua spada, la cosiddetta
"spatha". Il re si comportò così per dare un esempio . . . ". (Liber historiae Francorum) .
Clotario morì nel 629 e venne seppellito a Parigi nella chiesa di S . Vincenzo. 1 3

"ANGOSCIA E TERRORE", E PRECI CONTINUE SOTTO DAGOBERTO l

Come viceré d' Austrasia, il giovane Dagoberto governò fin dal 623 guidato e consigliato
da Pipino e dal vescovo Arnolfo di Metz. Alla morte del padre nel 629 si impose come
"A ngoscia e terrore ", e p reci continue 1 67

unico signore, trasferì la sede regia da Metz a Parigi, facendone definitivamente i l


centro del regno franco, e, ultimo dei Merovingi, si trovò a reggere di nuovo tutta l a
Francia (629-63 8/639).
Il fratello più giovane Cariberto Il, anch' egli pretendente del l ' eredità patema, fu 233
subito relegato da Dagoberto nel l ' estremo sud-ovest del paese, dove poté governare
l ' Aquitania col titolo di viceré, sottomettendo nel 63 1 i Baschi continuamente in rivolta.
I fautori burgundi di Cariberto, lo zio e mentore Brodulf, nonché altri avversari del
regime, furono liquidati dal re nel 629/630, mentre tutti gli altri deposero ogni velleità
di ribellione, compresi "tutti i vescovi". Quando uno o due anni dopo Cariberto passò
a miglior vita, seguito in modo stranamente rapido dal figlioletto Chilperico - "si dice",
scrive Fredegar, "che sia stato ucciso dietro sollecitazione di Dagoberto" - questi
·
incamerò di nuovo l ' Aquitania e il tesoro di Cariberto. 1 4
Il sovrano nominò viceré d' Austrasia, con sede a Metz, il figlio di appena due anni
Sigeberto III, e la reggenza fu assunta dal vescovo Cuniberto e dal genero di Pipino,
Adalgiselo, i quali ebbero così ampi spazi di manovra; soprattutto Cuniberto, dal 626
vescovo di Colonia e morto nel 648, in qualità di precettore sia di Dagoberto che di
Sigeberto III fu uno dei prelati più influenti d' Austrasia. 1 5
Il re consolidò momentaneamente il regno: a sud sconfisse i Baschi, combattè i
Frisoni ai confini settentrionali ed estese il proprio dominio altre la Mosa e la Waal,
i mponendo sempre ai preti cristiani di procedere al battesimo coatto. Si distinse in tale
attività soprattutto il monaco e vescovo Amando, che fondò due conventi nella regione
fra Gent e Tournai ; ma "fu efficace" anche il vescovo Cuniberto come missionario
presso i Frisoni, incaricato da Dagoberto della protezione del castello di Utrecht e delle
zone periferiche nordorientali, lungo il corso superiore della Lippe e della Ruhr, territori
che svolgeranno in seguito un ruolo assai importante durante lo sterminio dei Sassoni
perpetrato da Carlomagno. 1 6
Poiché riuniva in sé un potere enorme, Dagoberto I veniva corteggiato e tenuto in
grande stima dal clero, benché avesse ripudiato la moglie Gomatrude e mantenesse
contemporaneamente tre donne: Nantilde, già sua cameriera, Wulfgunde e Berchilde.
Elencare i nomi delle innumerevolui amanti - aggiunge Fredegar - "ci condurrebbe 234
troppo lontano". Gli ambienti ecclesiastici, comunque, esaltarono con accenti biblici
questo libertino sfruttatore di leudes, chiamandolo ' S ignore della Giustizia' . E non per
nulla: infatti, favorì molti vescovadi e soprattutto Augsburg, dove si levavano per lui
preci ininterrotte, Costanza, Basilea, Strasburgo e Speyer. Nel 637 creò la diocesi di
Térouanne (Boulogne), privilegiando magnanimamente i chiostri e, come già suo padre,
preferendo come scuole dei rampolli della nobiltà le case dei missionari irlandesi. Il re
utilizzò parte delle entrate fiscali per fondare le abbazie di Solignac e di Rebais, e fece
costruire il convento di Elno sulla Schelda sulle terre della corona. Sostenne decisamente
l ' abbazia di St. Denis, divenuta poi celebre luogo di sepoltura dei sovrani franchi e
1 68 Brunechilde, Clotario Il e Dagoberto l

francesi, alla quale donò vasti latifondi confiscati ai "ribelli" da lui eliminati, parte
delle entrate doganali del porto di Marsiglia e altre agevolazioni, consistenti in "tesori,
villae e possedimenti vari, tanto grandi da generare profonda meraviglia nella maggior
parte degli uomini" (Fredegar). Seguendo l ' esempio di re Sigismondo per St-Moritz e
di re Guntram per St-Marcel di Chalon, Dagoberto introdusse nella basilica parigina
(da lui "addirittura lastricata" d' oro, d ' argento e di pietre preziose: Angenendt) l ' usanza
della "laus perennis", la preghiera perenne. Il sovrano promosse poi anche il culto di s.
Dionigi. Si circondò di uomini esperti di religione, fra i quali un santo, un certo Eligio,
allora orafo e sovrintendente della zecca, in seguito vescovo di Tours .

MISSIONAMENTO E MASSACRO

Sotto Dagoberto I, fra i cui massimi consiglieri , dopo Arnolfo, operò il vescovo
Cuniberto, vennero perseguitati in modo sempre più deciso i pagani della riva sinistra
del Reno, e tutti gli Ebrei del regno furono sottoposti al battesimo forzato. (Nel 63 1 si
verificarono pogrom anti semiti anche in Oriente, tesi a cacciare gli Ebrei da Gerusa-
235 lemme). Anche la campagna missionaria contro i Frisoni si apri con l ' ordine dei battesimi
coatti, cui il vescovo Cuniberto fu solennemente obbligato da Dagoberto. Intanto il re
portava la guerra a sud, a ovest e a nord, terrorizzando Baschi, Bretoni, Sassoni e
Frisoni, ma non si astenne nemmeno dal combattere il regno slavo del mercante franco
Samo, che aveva come centro la Moravia, ma si estendeva dai Monti Metal liferi alle
Alpi Orientali (si tratta del primo regno slavo in assoluto). Nel 63 1 Dagoberto, con
l ' aiuto dei Longobardi, tentò di schiacciar) o con una manovra a tenaglia da ovest e da
sud, ma dopo una battaglia di tre giorni il suo esercito subì una sconfitta catastrofica
presso Wogastisburg (Kaachen suii ' Eger). I Serbi fra la Saale e l ' Elba, già sotto la
supremazia dei Franchi , si unirono quindi a Samo, che mantenne il potere per 35 anni .
La regione del Meno e il ducato di Turingia, importanti distretti militari, rimasero come
prima avamposti franchi contro gli Avari e gli S lavi.
Forse in coincidenza con il disastro di Wogastisburg si verificò un impressionante
bagno di sangue del pio Dagoberto, con ogni probabilità ne1 63 1 /632: centinaia di B ul­
gari con donne e bambini, fuggiti dagli Avari in territorio bavarese in cerca di protezione,
furono massacrati a nord dell ' odierna Linz "in una sola notte", violando l ' ospitalità
pur di liberarsi di questi esuli indesiderati (e contemporaneamente dei loro capi).
L' unica fonte del genocidio è Fredegar 4,72: "Dopo la disfatta in Pannonia, i Bulgari,
9000 uomini, donne e bambini, si rivolsero a Dagoberto, scongiurandolo di accoglierli
durati vamente nei territori franchi . Dagoberto impartì ai Bavaresi l ' ordine di accoglierli
per l ' inverno; nel frattempo si sarebbe consigliato coi Franchi sul da farsi . Una volta
distribuiti nelle singole case per trascorrere l ' inverno, Dagoberto, dopo il consulto,
Missionamento e massacro 1 69

ordinò ai Bavaresi che in una notte prestabilita ciascuno di loro uccidesse nella propria
casa i B ulgari, compresi donne e bambini. L' ordine fu puntualmente eseguito" . I 236
novemila furono massacrati tutti, eccetto i 700 fuggiti presso il duca Walluc. 1 7
La motivazione primaria di tale mostruosa strage fu presumibilmente "lo sterminio
del ceto dirigente bulgaro" (Sti.irmer) . Ciò non ha niente a che fare con l ' opera missio­
naria, ma piuttosto con la "Ostpolitik", e questa, a sua volta, ha certo a che fare col
"missionamento". "Nei secoli V I e VII missionamento, cattolicizzazione, cura d ' anime
sono in strettissima connessione col re franco, col duca di Baviera e con l ' aristocrazia
franca, a est come a ovest", scrive Karl Bosl riferendosi alla notizia del massacro, e
aggiunge: "Non a caso il nome del l ' ultimo grande re merovingio Dagoberto I, iniziatore
di un' energica "Ostpolitik", viene tanto sottolineato nel prologo della Lex Baiuarium . . .
È nota la stretta cooperazione d i Dagoberto e del santo Amando . . ." .
È vero, sappiamo anche che il "rex torrens" viene venerato come santo, come altri
massacratori, per esempio Carlomanno (pag. 268 s . ) o Carlo "Magno" ; e sappiamo
anche, infine, che s. Amando rimproverò a re Dagoberto "ciò che nessun vescovo osava",
cioé "capitalia crimina" (detto da santo a santo), e che questi crimina non concernevano
tanto la vita sessuale del sovrano quanto la sua attività delittuosa. 1 8
M a fu un' eccezione. Infatti, nulla impedì agl i antichi cronisti d i paragonare Dago­
berto, il gran macellaio, l ' istigatore del massacro dei Bulgari, a Salomone, al "rex
pacificus" ; di celebrarlo quale "benefattore delle chiese" (ecclesiarum largitor) ,
"possente nutritore dei Franchi" (jortissimus enutritor Francorum) e pacificatore di
tutto il regno, capace di accattivarsi il rispetto dei popoli vicini . . . ; cioé, detto (anche) in
altre parole: "Gettò nel l ' angoscia e nel terrore tutti i regni intorno" (Liber historiae
Franco rum) . Nonostante tutto questo, o forse proprio per questo, il "grande", "energico"
re dei Merovingi Dagoberto I, amico dei preti, scomparso dopo breve malattia il 1 9
gennaio del 638 o del 639, ancor oggi sopravvive nella memoria come "re buono", "le 237
bon roi Dagobert", specialmente in Francia. 1 9
Dopo la morte del re il regno franco venne suddiviso fra i suoi figli, conformemente
alla legge : l ' Austrasia toccò a Sigeberto III, la Neustria e la Burgundia a Clodoveo II,
di appena quattro anni, con la reggenza della regina Nantilde, ma non da sola; infatti,
poiché gli eredi al trono erano entrambi minori, il potere reale nelle singole parti del
regno fu esercitato da un maestro di palazzo: Grimoaldo in Austrasia, Erchinoaldo in
Neustria e Flaocado in Burgundia. 20
Il maestro di palazzo (Maior domus, Maire du palais), funzionario attivo in quasi
tutte le tribù germaniche, fu inizialmente un cortigiano fra i tanti ; ma verso la fine del
V I secolo da amministratore della casa reale (maggiordomo di corte) divenne, ma
soltanto tra i Franchi , amministratore del pubblico bilancio. Ebbe il comando supremo
delle guardie reali, degli antrustioni, della guardia del corpo del sovrano, e la sovrin­
tendenza dei possedimenti della corona; e ben presto fu il dignitario più eminente e
1 70 Brunechilde, Clotario Il e Dagoberto l

potente. Divenne anche precettore dei prìncipi, condottiero del l ' esercito regio, e una
sorta di reggente, che governava personalmente in caso di minore età o incapacità del
sovrano. In tale ufficio si destreggiava fra il re, di cui praticamente aveva lo stesso
potere, e l ' alta nobiltà, di cui cominciò a subire l ' influenza a partire dal 600; e quale
rappresentante del l ' aristocrazia fu infine in grado di opporsi al re, sostenendo interessi
via via differenti, ma soprattutto il proprio.
Il maestro di palazzo svolse un ruolo determinante già nella lotta mortale tra
Fredegonda e Brunechilde; e alla fine del VII secolo, definito ormai "viceré", "prin­
cipe dei Franchi" e divenuto vero e proprio reggente, lottava per la supremazia delle
singole parti del regno, ormai diventate regni parziali pressoché autonomi . Per contro,
i re merovingi apparvero sempre più come comparse e marionette, raggiungendo di
238 rado i trent' anni d ' età, languendo nel lusso e nella crapula di una vita dissoluta in
qualche loro villa di campagna, incarnando la figura del "roi fainéant" e perdendo
inoltre ogni loro legittinmità. 2 1
M a prima d i descrivere l ' avvento dei Carolingi fra l e ultime convulsioni d i questa
dinastia, ci appare istruttivo tracciare un quadro sintetico della chiesa cristiana e dell ' alto
239 clero del tempo.

NOTE

Richards 220.
Anton, Fiirstenspiege/, 5 1 .
J Fredeg. 4 , 5 8 .
4
Lib. Hist. Frane . , 4 2 .
5
Greg . Tur. 9,4. Fredeg . 4 , 7 ; 4 , 1 4 sgg . ; 4, 1 7 . Pau l. D i ac . , hist. Lang. 4, I l . Jonas, Vita Co/umb, l , 2 8 .
LMA I 5 9 5 , I I 76 1 , 1 8 1 6 , 1 870 s g . , I V 1 794 sg. S c h u l tze I I 1 62 . Carte l l ieri I 84 sg. Zatsc hek 20 s g .
Liiwe, Deutsch/and, 61. L a s k o 2 1 4 . S t e i n b a c h , Das Franken reich , 34 sg. Ewig, Die friinkischen
Teilungen , 687, 689, 69 1 , 706 sg. I d . , Die Merowingerzeit, 56. I d . , Die Merowinger, 5 0 sg. I d . ,
Studien z u r mero wingischen Dynastie, 2 4 . B u n d 2 8 3 s g .
6
Gregor. l, e p. 5 , 5 8 sgg . ; 6 , 5 5 ; 8,4. Fredeg. 4,24; 4 , 3 2 . Jonas, ibid. , l , 2 7 . LTh K I I ' 5 8 8 ; I X ' 9 1 9 e I I
7 2 7 ; I X 1 20 l . L M A I 1 2 7 6 ; I I I 7 2 7 . S c h u l tze I I 1 7 1 . Hartman n , Geschichte ltaliens, 1 7 1 , 1 74 .
Seppelt I I 28 s g . Caspar I I 4 9 6 s g . Nietzsch, Geschichte des Deutschen Vo/kes , 1 64. H a l l e r I 2 2 2 .
E w i g , D i e iiltesten Ma inzer, 1 2 1 . I d . , D e r Ma rtinsku/t, 1 2 s g . , 1 8 . R i c hards 2 2 0 sg. McCullogh 1 4 1
sgg.
7
Gregor. l, e p. 6 , 5 ; I l ,46; I l ,49. Caspar I I 500. Ewig, Die Merowingerzeit, 5 6 . Pontal 1 1 9 .

Greg . Tur. 8 , 3 1 ; 9,4. Fredeg. 4, 1 9 ; 4 , 2 7 ; 4 , 2 9 ; 4,42. Jonas, ibid. , 28 s g . Ewig, Studien zur merowin­
gischen Dynastie, 1 6, 24. Id., Das mero wingische Frankenreich , 400 s g . , 4 1 0. Id., Die Merowin­
ger, 50 sgg . , 1 22 . Pontal 1 7 2 sg. B l e iber, Das Frankenreich , 1 3 8 s g . Cfr. anche l a nota seguente.
" Fredeg . 4,20 s g . , 4,24 sgg . , 4 , 3 8 , 4,40 sgg. Jonas, ibid. , 2 8 . Lib. H i st. Frane. 40. Vita Marii, appendix.
Ke l ler, Reclams Lexikon , 3 1 7 . Taddey 1 97 . A l taner/S tuiber 467. L M A V 624. S c h u l tze II 1 65 s g . ,
1 68 s g . Lev i s o n , A us rhein ische r u n d friinkischer Friihzeit, 1 1 9 . M ii h l bacher I 4 0 . Carte l l i e r i I 85
sg. Zwiilfer 70. Del i u s , Geschichte der irischen Kirche, 1 07 . Zatschek 20 sgg. Liiwe, Deu tschland,
67 sg. B ii t tner, Geschichte des E/saj3, 3 7 sgg. Hal ler, Entstehung, 305 sg. Steinbach, Das Franken-
Note 171

reieh , 3 5 sgg. Portner 2 7 . M a ier, Mittelmeerwelt, 243 sg. Doppel fe l d 627. Schlesi nger, Zu r politi­
sehen Gesehiehte, 26 sg. Anton, Fiirstenspiegel, 5 1 . E w i g , Zum ehristliehen Kon igsgedanken, 1 9 ,
2 1 sg. I d . , Die friinkisehen Teilungen , 708. I d . , Das mero wingisehe Frankenreieh , 400 s g . I d . , Die
Merowingerzeit, 5 6 sg. I d . , Die Merowinger, 5 1 s g . , 1 1 7 . Angenedt, Taufe und Politik, 6 1 . B u n d
2 8 7 s g g . B l e i ber, D a s Frankenreieh , 1 39 sg. A proposito dei vati c i n i a p o s t eve n t u m n e l l a B ibbia
cfr. Deschner, Il gallo, ca p 16 "La prova delle profezie".
1 ° Fredeg. 4,26 sgg . ; 4,43 s g . H a l l e r, Entstehung, 305 sg. B o e h m , Gesehiehte Burgunds, 80 sgg.
Zatschek 22. Zol l ner, Die politisehe Stel/ung, 1 1 3 sg. E w i g , Die Merowinger, 1 1 9 . B leiber, ibid. ,
1 45 sg. B u n d 294 sgg.
1 1 Fredeg , 4,40; 4 , 5 2 . Pau) D i ac . , Gesta episeop. mett. , in MG script. II 260 sgg. Vit. A rn . c. 2 sgg . ,
c i taz. c . 2, c . 4, c . 7 . R G A K I 4 3 6 . LTh K 1 1 700. Taddey 4 6 , 2 2 3 . L M A I 6 7 8 , 1 0 1 8 s g . , I I I 429.
M ii h l bacher I 3 7 sgg. S tamer 3 1 . Oex l e ; Die Ka rolinger, 250 sgg . , 3 6 1 . H l w i tschka, Die Vorfahren
Karls des Groflen , 5 1 sgg.
12
Zol l ner, ibid. , 1 1 6 sg.
'3 Lib. Hist. Frane. c . 4 1 . Fredeg. 4,56. Ewig i n HEG I 408 parla "di u n nuovo ord i namento del
regno" da lui promosso.
14 Fredgar. 4,5 3 ; 4,57 s g . M ii h l bacher I 42. E w i g , Die Merowinger, 1 26 sg., 1 40. B le i ber, ibid. , 1 48 ,
1 52.
15 Fredeg. 4,56; 4 , 6 7 ; 4 , 7 5 . LMA I 1 04. M ii h l bacher I 42. E w i g , ibid. , 1 2 8 , 1 3 1 . B l e i ber, ibid . , 1 5 6.
, . LMA I 5 1 O . Ewig, ibid., 1 3 1 . B le i ber, ibid. , 1 5 2 sgg.
1 7 Fredeg . 4, 5 3 ; 4,58 sgg . ; 4,65; 4,68; 4,72 ; 4,74 sgg. Lib. Hist. Frane. 42. LMA III 429 sg., V 790.
H K G II 2 1 1 7 sgg. Hauck I 30 l . S c h u l tze I I 1 7 9 sgg. Carte l l ieri I I 06 s g . S c h n ii rer, Kirehe und
Kultur, l , 243 s g . Zwolfer 70. Lev i s o n , ibid. , 1 48 sgg. B iittner, Die A /penpolitik, 86. S tamer 3 1 .
Lowe, Deutsehland, 7 2 . B o s l , Bayerisehe Gesehiehte, 2 8 . I d . , Der "Adelshei/ige" , 1 70. I d . , Europa
im Mittelalter, 79. Maier, Mittelmeerwelt, 309. Lasko 2 1 4 . E w i g , Zum eh ristliehen Kon igsgedanken,
1 9 , 2 1 . I d . , Die Merowingerzeit, 58 s g . I d . , Der Ma rtinskult, 1 8 . Id., Die Merowinger, 1 27 sg.
Ludwig 20. Lauterma n n 867. Donner 30 1 . Labuda 24 1 sgg. Flaskamp, Die friihe Friesen- und
Saehsenmission, 1 85 sg. Anton, Fiirstenspiegel, 49. S tormer, Friiher A de/, l, 204. Stei nbach, Das
Franken reieh , 25, 38. Bernadsky 264 sg . , 304. Schlesi nger, Zu r politisehen Geseh ichte, 39. Kunst­
mann 9 sg g . , 17 sgg . , 24 sgg. Reinde l , Grund/egung, 1 1 5 sgg. Pri n z , Die Entwieklung, 2 3 8 sg.
B leiber, ibid. , 1 45 sgg. Meyer- S ickendick 1 45 sg. Angenendt, Friihm ittelalter, 1 8 8 .
1 8 Zender, Di e Vereh rung de s h g . Ka rl, 1 00. B o s l , D e r "Adelsheilige " , 1 70, 1 74 s g . S tormer I 204.
Ewig, Die Merowinger, 1 40.
1 0 Lib. Hist. Frane. 42 sg. LMA III 430. Ewig, ibid. , 1 3 9 sg.
2° Fredeg . 4,79 sg. E w i g , Studien zur mero wingisehen Dynastie, 50, nota 1 94.
21 M ii h l bacher I 4 1 . dtv- Lexikon der A n tike 8 , 2 1 3 . LMA I V 1 974 sg. Hal ler, Entstehung, 306. Maier,
ibid. , 322 sg. Lasko 2 1 4 . Dan iei- Rops 482. E w i g , Die Merowinger und das lmperium , 5 1 sgg.
Schneider, Das Frankenreieh , 1 6 . B u tzen 3 5 s g . B l e i ber, Das Frankenreieh , 1 40 sg., 1 5 7 . S c h u l ze ,
Vom Reeh d e r Franken, 8 2 .
CAPITOLO IX.

LA CHIESA NELL'ETÀ MEROVINGIA

"Il Regno franco dei Merovingi . . . fu un' epoca piena di sangue e di assassinio,
densa delle più raccapriccianti tragedie sui troni dei re,
e tuttavia piena di zelo religioso e di santità".
(Il cattolico Franz Zach). 1

"Mai nella storia furono fondati tanti conventi . . " .


(P. Lasko) 2

" . . . un periodo florido della Chiesa franca" .


(A. Hauck) 3

"Dappertutto regnava la violenza pura" ;


"uno spettacolo ininterrotto di crimini addirittura innominabili".
(Il cattolico Daniel-Rops) . 4 241
1 74 La chiesa nell'età merovingia

Ne I l ' età dei Merovingi la Gallia era già prevalentemente cristiana, ma lo divenne ancora
di più.
La più antica iscrizione sicuramente cristiana, trovata a Lione e oggi perduta, risale
al 354; i Gallo-Cristiani costituirono una minoranza ancora per molto tempo, anche
nelle città, nelle quali risiedevano gli imperatori cristiani col loro seguito.
Tuttavia la diffusione del cristianesimo aveva compiuto rapidi progressi già verso la
fine del III secolo, se è vero, a quanto pare, che già intorno al 250 vi si trovavano alcuni
vescov i : a Tolosa s. Saturnino, ad Arles il vescovo Marziano, a Parigi s. Dionigi, e
Paolo a Narbonne, dove qualche decennio dopo è attestato un cimitero cristiano. Ma
questi vescovi, come anche quelli di Tours, di Clermont e di Limoges, non erano stati
inviati da Roma; infatti, la presunta opera missionaria romana è un falso del V o del VI
secolo, teso a consolidare l ' autorità del papato. Tale falso aveva naturalmente anche il
compito di ribadire l ' origine apostolica degli episcopati gallici (cfr. Il, 46 ss.), come
accadde anche per la Spagna. 5
Ma nel IV secolo la Gallia pullula già di vescovadi, presenti in gran numero anche
nei territori belgici e germanici, dove troviamo gli episcopati di Orlèans, Verdun, Amiens,
Strasburgo, Speyer, Worms, Basilea, Besançon, Chalon-sur- Saone, per non parlare dei
più antichi quali Treviri, Metz, Colonia, che come altri (Tongern, Magonza) sostenevano
falsamente la loro fondazione da parte di discepoli degli apostoli. Al principio del V
secolo, quando la Gallia divenne il "punto cruciale" della storia d ' Occidente, vi
243 dimoravano quasi esclusivamente nelle città circa 1 1 5 vescovi; e verso la fine del VI
secolo il paese è caratterizzato dalla presenza di 1 1 federazioni metropolitane con 1 28
distretti vescovili: Arles conta 24 vescovadi, Bordeaux 1 7, Bourges 9, Lione I O, Nar­
bonne 7, Reims 1 2, Rouen 9, Sens 7, Tours 8, Treviri 9, Vienne 5. 6

UNA SPECIE DI ESCRESCENZA CANCEROSA

L' epoca nella quale la storia tedesca ed europea si schiude come un' escrescenza
cancerosa, in cui il cristianesimo infetta il mondo germanico e plasma il dominio della
nobiltà franca, in cui, a partire dal VII secolo, prende forma la società tipicamente
medioevale costituita da monarchia, chiesa e aristocrazia, quest' epoca è caratterizzata
da passioni sfrenate, mostruosità sanguinose, perfidie e delitti pressochè ignoti alle età
precedenti.
Intrighi di corte, faide dinastiche, tradimenti, liquidazione senza scrupoli di prìncipi
e principini (età media dei Merovingi : 24,5 anni), bestiali campagne di sterminio di
intere famiglie erano eventi quotidiani quali ubriachezza, pestilenza, fame e razzia. La
storia della Gallia merovingia è un ' ininterrotta cronaca di barbarie. Economia,
commercio e agricoltura sono più o meno inesistenti ; ma fiorisce il delitto.
Una specie di escrescenza cance rosa 1 75

Eppure ci sono storici che affermano: " . . . ovunque non soltanto una vivace vita politica,
ma anche una consapevole spinta progressiva delle diverse energie delle entità statuali ;
. . . raramente u n casa regnante h a espresso con ininterrotta sequenza talenti s u talenti
come la schiatta dei Merovingi" (Schultze). Prima guerre in ogni direzione, con le
quali viene razziato un regno possente (e violento), poi, fra il 5 6 1 e il 6 1 3 , una pressochè
continua guerra civile, con la disgregazione del regno e ulteriori nefandezze anche
sotto i "rois fainéants". 7
In teoria i Merovingi regnarono secondo la volontà del "popolo", ma in realtà, a 244
partire da Clodoveo, dominarono con l ' assolutismo. L' assemblea del popolo in senso
politico scomparve e la competenza giurisdizionale passò al sovrano, che ottenne sempre
maggiori privilegi, soprattutto la irresponsabilità penale. Forse che tali governanti non
potevano permettersi qualsiasi cosa volessero? "Ed egli, impavido qual era" - così si
esprime Gregorio di Tours a proposito di un re merovingio (ma sostanzialmente avrebbe
potuto dirlo di tutti) - "montò in sella, cavalcò verso di loro e li rasserenò con buone
parole. Ma poi ne fece lapidare molti".
E la chiesa accrebbe significativamente il potere monarchico. Fra codesti sovrani
sono quasi del tutto assenti i santi : solo le regine raggiunsero la santità, e ce ne furono
parecchie; Clotario I, per esempio, ne ebbe cinque, C ariberto I quattro (come Dagoberto
l), senza che "stricto sensu" sussistesse una forma di poligamia, come dice Ewig, con
espressione colorita. Tuttavia la chiesa esigeva l ' obbedienza verso costoro, che avevano
ricevuto l ' autorità "da Dio", e al dominio politico aggiungeva "la dignità regale intesa
in senso etico-religioso" (Tolksdorf); "proprio i vescovi muovevano dal presupposto
che il potere del re fosse illimitato" (A. Hauck). 8
Mai vi fu in Europa periodo storico più anarchico di questi primi secoli del Medioevo;
eppure al clero non passò nemmeno per il capo di intervenire concretamente o di
dissentire: i prelati non si sentirono attratti dall' idea del martirio, e la chiesa fu sempre
pronta ali ' accumulazione di denaro e al furto. Il suo patrimonio, cresciuto notevolmente
già nel IV secolo, si moltiplicò proprio in questo periodo: nel VI secolo le sue ricchezze
crebbero "a dismisura" (Dopsch). "In età merovingia non vi fu mai un deciso rigetto di
certe pratiche belliche e statuali da parte dell ' autorità spirituale, per il semplicissimo
motivo che la chiesa non si trovò contrapposta al potere mondano, ma, al contrario,
collaborò strettamente con esso." (Bodmer). I vescovi franchi presero parte alle lotte di
potere fra sovrani e aristocrazia "con armi mondane, non spirituali" (B und), fino
"all' usurpazione de facto . . . di strumenti di poteri statuali e militari" (Prinz). 9 245
Infatti, l ' alto clero e l ' alta nobiltà furono più esattamente le forze propulsive di tale
guazzabuglio politico, minando dal l ' interno la saldezza del l ' impero, precipitandolo
nel caos di una crisi permanente con la creazione di dominii semiautonomi, schierandosi
ora da una parte ora dal i ' altra.
Il potere dei sovrani e della nobiltà già in epoca merovingia si fondò non soltanto
1 76 La chiesa nell'età merovingia

sulla preponderanza politica ed economica, ma anche "sull' autorevolezza carismatica


loro riconosciuta dai sudditi". Ciò indusse addirittura un nuovo ideale di santo nobile,
e quindi una "giustificazione del l ' ordine dominante costituito" (Bosl). 1 0
Otto sovrani sassoni rinunciarono a l trono, chiudendosi in convento. Fatta eccezione,
forse, per l ' epoca delle cosiddette persecuzioni con le sue schiere di falsi martiri, non
vi furono mai tanti santi : solo nel VII secolo se ne contano ottocento; questo "secolo
merovingio così decisivo per la crescita dell' Occidente" trovò "nella Vita dei Santi la
sua coerente espressione spirituale" ; l ' agiografia conobbe "un indubbio slancio". I santi
godettero di grande prestigio: fondarono ricchi chiostri con chiese sfarzose, e insieme
ai loro biografi ebbero un atteggiamento esplicitamente positivo nei confronti della
dinastia merovingia e della nobiltà, e ciò non deve meravigliare, dal momento che in
massima parte discendevano essi stessi da famiglie aristocratiche. Si poteva persino
trarre il convincimento che "la nobiltà fosse il preludio della santità", e parlare della
"autosantificazione" della società nobiliare merovingia (Prinz). Tutto ciò ridondò a
beneficio della chiesa e della casta nobiliare, la quale consolidò le proprie pretese di
dominio politico e caris matico, indebolite dal l ' apostasia dal l ' antica fede, con gli
strumenti della nuova fede, conferendo loro una legittimazione cristiana. Contempo­
raneamente quest' epoca storica, specialmente nel VII secolo, venne contraddistinta
dalla "fioritura" dell ' agiografia e dali' ossessione miracolistica, cioé "da una vigorosis­
sima falsificazione della reltà storica" ; insomma, "l' esito di un processo di imbarbari-
246 mento, successivo all ' inaridimento delle antiche sorgenti culturali" (Scheibelreiter).

IGNORANTE, CRIMINALE E BUON CATTOLICO

Non possiamo certo valutare quest' epoca, un' età più ignorante, superstiziosa, fraudolenta
e sanguinaria di quasi tutte le altre, con i nostri criteri moderni, ahimè tanto etici ! , né ci
è lecito procedere contro la storia in modo anacronistico. Tuttavia possiamo, anzi,
dobbiamo giudicare questa età così radicalmente cristiana, con criteri cristiani? Con
criteri biblici, col Discorso della Montagna, ad esempio, o col Decalogo? E non dob­
biamo, proprio per questo, guidicarla dai suoi frutti ?
Anche nel c attolico Daniel-Rops il sentimento predominante è "l' orrore", "Io
spettacolo reiterato di crimini addirittura inqualificabili". "Ovunque domina la nuda
violenza, pronta ad esplodere in qualsiasi momento. Nulla la trattiene, né i legami
familiari né le norme più elementari della decenza e neppure la fede cristiana". Nemmeno
questa? Ma non è forse tale fede ad ammettere ampiamente tutto ciò, imprimendovi
per così dire la consacrazione più elevata, il proprio sigillo? Forse che non si pregava
per i sovrani, i generali, i macellai? E non si pregava prima, durante e dopo le guerre?
Non si conducevano guerre e rapine in nome della fede, ricevendone in dono parte del
Ignorante, criminale e buon cattolico 1 77

bottino? E non si ingrassava sulla miseria delle masse?


Eppure, secondo Daniel-Rops, nel bel mezzo di tanti orrori si cela una serie di santi
sovrani; deve "fare delle constatazioni ancora peggiori", cioé che anche i contemporanei
fondamenti giuridici, base della morale universale, "tradiscono il medesimo spirito.
Tale imbarbarimento del diritto è, in un certo senso, ancor più preoccupante degli atti
delittuosi dei singoli individui; e ci volle molto tempo perchè l ' Europa cristiana se ne
liberasse". Liberarsene? L' Europa cristiana ha accolto molte di queste pratiche criminali,
spesso accentuandole : ha conservato la prassi giuridica romana della tortura e quella
germanica della prova d' innocenza mediante il "giudizio di Dio", il duello imposto 247
legalmente. Inizialmente condannate con veemenza dal clero, tutte queste barbarie si
sono poi nuovamente affermate: "Vennero considerate legali una volta sacralizzate
accompagnandole con le preghiere. I vescovi furono favorevoli". 1 1
E l ' impegno non si limitò a favorire singole usanze raccapriccianti, ma fu esteso
all ' intero sistema; con assoluta mancanza di scrupoli ci si collocò a fianco delle canaglie
e dei carnefici. Mentre le violenze dei re diventavano sempre più sfrenate, la catena
delle faide non si interrompeva mai, gli assassinii dei parenti si moltiplicavano proprio
fra i magnati, i fratelli cattolici si ammazzavano l ' un l ' altro, gli zii cattolici eliminavano
i nipoti cattolici; mentre le razzie dei sovrani merovingi si susseguivano con la
sanguinosa liquidazione dei prìncipi germanici, e diventava pressoché impossibile
nascondere il bottino in oro, gioielli e armi nelle segrete della corte di Brennaceum
(Braine), l ' episcopato vedeva in questi criminali cattolici incoronati i legittimi rappre­
sentanti del potere statuale, i vicari di Dio in terra, a favore dei quali veniva introdotta
una preghiera ufficiale nella liturgia ecclesiastica; la situazione politica incontrava
"l ' approvazione incondizionata" (Vollmann) di tutti i vescovi di Gallia.
E infatti la chiesa, alleata fin dal principio coi Merovingi, poté dispiegarsi come non
le accadeva da lungo tempo : la sua influenza divenne sempre più incisiva e il clero
mondano e gli ordini religiosi diventarono enormemente ricchi. E non bisogna dimen­
ticare che le catastrofi quasi ininterrotte, il terrore vieppiù diffuso e una miseria onnipre­
sente favorì notevolmente le donazioni: "Poichè s ' attendevano il loro aiuto e la loro
protezione, gli uomini continuamente minacciati da saccheggi, incendi e assassinii, si
rivolgevano alla chiesa e a i suoi santi" (Bleiber) . E i credenti ovviamente pagavano;
tanto più che si aggiungevano terribili catastrofi naturali, considerate giuste punizioni
divine. Come le guerre, anch' esse frutto della vendetta divina. Ma la guerra era all ' ordine
del giorno, ritenuta fonte di guadagno; evento, cui si legava strettamente l ' idea di un
ricco bottino. 248
La chiesa era ben lungi dall' opporsi. I suoi affari vi prosperavano: soltanto fra il 475
e l ' inizio del VI secolo in Gallia si decuplicò il numero dei chiostri ; e nella prima metà
del secolo seguente vi furono edificati più conventi che mai nè prima nè dopo.
Riferendosi alla metà del VII secolo uno studioso moderno parla addirittura di uno
1 78 La chiesa nell'età merovingia

"Stato di vescovi e monaci" (Sprandel). L' episcopato, "grande potenza" (Dopsch) non
solo economica, ma anche politica, svolgeva nel regno un ruolo decisivo quasi come
quello dominante esercitato nella chiesa. E l ' uno e l ' altra erano strettamente intercon­
nessi, dal momento che il sovrano doveva essere devoto alla chiesa, devotissimus, e
quanto meno in epoca carolingia venne considerato "un chierico" (Brunner). 1 2
L' intera epoca, estremamente crudele e straordinariamente fraudolenta, fu nello stesso
tempo assai "timorata di Dio". La frequetazione della messa domenicale era universale:
"Allo squi llo delle campane si precipitavano in massa dentro le chiese" (Pfister);
altrettanto diffuse, ovviamente, erano anche la comunione, i canti corali e le processioni.
Le festività cattoliche erano grandi feste popolari . A tavola non si beveva neppure un
bicchiere d ' acqua senza il segno della croce. E non si pregava solo Dio, ma venivano
continuamente invocati tutti i santi possibili e immaginabili. Furono edificate numerose
chiese con colonne e pareti di marmo, ampie vetrate e molte pitture; i ricchi possedevano
poi anche una cappella privata. I sovrani frequentavano i santi, come fece Teoderico
con s. Gallo a Colonia (dove costui incendiò un tempio "perchè nessuno degli stolti
pagani si era fatto vedere" ; dopodichè l ' incendiario si rifugiò nel palazzo reale), e
Childeberto l, che visitava s. Eusicio. Le regine, per esempio Radegonda, lavavano i
piedi dei vescovi. Spesso si predicava anche in lingua volgare. Ci furono celebri
predicatori , come Cesario di Arles, Germano di Parigi e Remigio di Reims; si narra che
il metropolita Nicezio di Treviri predicasse ogni giorno e che talvolta si presentasse
come "vescovo del regno" del regno di Reims; pare fosse piuttosto dogmatico, ma
249 assolutamente ignorante, come dimostra in modo addirittura imbarazzante una sua lettera
a Giustiniano. Ciò non gli impedì tuttavia di bollare come "Eretico" il teologo sul trono
imperiale (v. II, 262 ss.) e di conclamare - da lontano, s ' intende - che "tota Italia,
integra Africa, Hispania vel Gallia coniuncta" maledivano il suo nome. Regnava
dappertutto la superstizione più grossolana: si faceva incetta di reliquie da Roma e da
Gerusalemme, e si compivano pellegrinaggi ai presunti sepolcri degli Apostoli per
guarire da qualsivoglia malattia.
Insomma, si era profondamente persuasi "della realtà e del potere del Dio vivente"
(Heinsius); imperversava "una robusta, ingenua fede in Dio e nella Provvidenza: ci si
rapportava al divino non come fosse un' astrazione o un' idea, ma una forza reale e
concreta. Era la concezione dominante, condivisa indistintamente da religiosi e laici".
La prima metà del VII secolo è considerata "un' età fiorente della Chiesa franca" (Hauck),
"profondamente radicata nel popolo franco" (Schieffer), e vescovi e sinodi furono
"assiduamente all ' opera" (Boudriot). 13
Due celebri esempla ri 1 79

DuE CELEBRI ESEMPLARI

Quando leggiamo la "Storia dei Franchi" di Gregorio di Tours, tanto informe quanto
dettagliata fonte precipua per questo periodo storico, non possiamo non meravigliarci
che lo stesso cervello, in cui aleggia in modo così grottesco la credenza nei miracoli e
nel diavolo, e che sembra non nutrire altra preoccupazione se non citare qualcuno dei
suoi miracoli e portenti - per lui fatti indubitabili, "gesta praesentia" - da tramandare
ad eterna memoria; che questo cervello, dunque, riferisca in modo assai realistico,
spesso con un ' indifferenza che rasenta l ' amoralità, le nefandezze del tempo senza la
minima consapevolezza del decadimento morale, anzi con un certo cinismo; e che, al
contrario, mostri persino ammirazione per gli eroi più criminali del tempo.
Questo vescovo, i nfatti , non ha composto la storia di un popolo, ma una bizzarra
agiografia della salvazione, in cui tutto si svolge esclusivamente sulla base del consiglio
e del consentimento di Dio e del fermo intervento dei santi. I l "popolo" franco non ha 250
alcun ruolo, ma è presente un' altissima stima del nuovo dominio dei Franchi e della
coercitiva forza militare e sociale dei novelli sovrani cattolici, quanto meno di quelli la
cui "strenuitas" e "virilitas" giovano alla chiesa. Egli ignora ogni minimo scrupolo o
conflitto di coscienza, sempre totalmente d' accordo con la brutale politica dei prìncipi,
vale a dire, coi loro misfatti, specialmente quando comportano un vantaggio per la
chiesa cattolica, cioè la sicurezza di rapporti stabili con essa e, non ultima, la ricchezza
sempre crescente del l ' alto clero, cui egli stesso appartiene. (In proposito osserviamo
che questo ufficio episcopale, che si millanta tanto logorante, lasciò tuttavia a Gregorio
tempo sufficiente a comporre tutte le sue opere). 14
In verità, le guerre fratricide e le lotte civili non gli andavano a genio, perché colpivano
direttamente lui e la sua chiesa; ma le guerre esterne per ampliare il regno cristianissimo,
per sterminare gli "Eretici", tanto più se si trattava di ariani (per quattro volte ammannisce
la menzogna dei padri della chiesa sulla morte di Ari o in una latrina), o per estirpare il
paganesimo e altre forme di eterodossia, non erano mai abbastanza commendevoli.
Ali' inizio del quinto libro della sua Storia ammette candidamente: "O se anche voi, o re,
poteste combattere battaglie come quelle nelle quali i vostri antenati hanno versato il
loro sudore, sì che i popoli si piegassero davanti alla vostra potenza, pieni di paura della
vostra concordia. Pensate a ciò che ha compiuto Clodoveo, col quale hanno avuto inizio
le vostre vittorie: ha ucciso i re, ch' erano suoi avversari, ha sbaragliato i popoli ostili, ha
condotto i popoli nativi sotto il suo potere, !asciandovene il dominio intero e indiviso".
Combattere battaglie, ammazzare re ostili, soggiogare popoli fuori e dentro i confini:
a questo esorta un celebre santo cattolico ... dopo più di cinquecento anni di cristianesimo.
Infatti, "i successi dei Franchi sono anche successi di Gregorio" (Haendler).
Anche quando si tratta di morale sessuale, Gregorio si comporta talvolta come un 25 1
moderno "progressista" : impassibile, narra il caso della esuberante Deoteria, la quale,
1 80 La chiesa nell'età merovingia

mentre il marito è in viaggio verso Beziers, scrive a re Teodeberto: "Nessuno può


resisterti, preziosissimo Signore. Lo sappiamo, tu sei il nostro padrone. Orsù, dunque,
vieni e fa' ciò che ti piace". E Teodeberto penetra nella fortezza, e fa di Deoteria una
concubina e una moglie; ma il vescovo Gregorio definisce questa dama cattolica (che
poi , temendone la concorrenza, fa ammazzare la propria figlia a Verdun) "una donna
valente e assennata". Valente e assennata proprio come Teodeberto, celebrato da Gregorio
con queste parole: "Governò il regno con giustizia, onorò i vescovi e ricoprì le chiese
di doni", e "condonò alle chiese d' Alvemia tutte le imposte fino ad allora incamerate
dal tesoro regio". Gregorio chiude tutti e due gli occhi: è la ben nota doppia morale dei
cattolici ! 1 5
Un altro famoso principe della chiesa, Gaio Sollio Modesto Apollinare Sidonio, di­
scendente da nobilissima famiglia gallo-romana, vescovo dell' "urbs A /verna" ( l ' attuale
Clermont-Ferrand), tanto verboso quanto povero d' idee, dimorando tranquillamente
nella villa lussuosa della sua tenuta di Aduaticum, in tesse le lodi dello spirto guerriero
dei Franchi, vivissimo in loro fin dall ' infanzia. Compone anche inni di gloria (''vacue
frasi pompose" : B ardenhewer), grazie ai quali diventa conte d' Auvergne e prefetto di
Roma col titolo di patricius, indirizzati ne1 456 al suocero Avito, l ' imperatore; nel 45 8,
dopo la sua caduta, al rivale vittorioso Maggioriano, e poi all ' imperatore Antemio.
Infine glorifica anche il re visigoto Eurico, prima osteggiato per anni: è un tipico
252 rappresentante dell' opportunismo proprio del suo ceto. 1 6

L ECCAPIEDI AVIDI DI POTERE, OVVERO "ESSI SONO PROTAGONISTI,.,"

Anche quando si azzuffano per le prelature: allora come in seguito, la religione non
aveva nulla a che fare con la carriera episcopale. La teologia stessa - una volta superato
il problema del semipelagianesimo - non era motivo di turbamento di codesti signori
della religione, tanto più preoccupati dell' aspetto politico-economico della faccenda;
data la loro influenza, gli uffici ecclesiastici rappresentavano una forte attrattiva per le
famiglie nobil i . Fin dal IV secolo i vescovi avevano assunto, infatti, competenze
giurisdizionali pubbliche, diventando "signori della civitas" ; e moltiplicavano poi il
loro potere con la fondazione di numerose abbazie nelle loro città (nel VI secolo così
importanti, e generalmente favorite dai sovrani, fatta eccezione per fondazioni auto­
nome come Saint-Pierre ad Arles, Saint-Andochius a Autun, Saint-Marcel a Chalon­
sur Saòne, Saint-Croix a Poitiers, Saint-Médard a Soissons, Saint-Germain-de-Près a
Parigi, Saint-Germain a Auxerre, Saint-Pierre-le-Vif a Sens, il monastero di Ingytrudi
a Tours ecc . Nel regno merovingio i vescovi godettero per lungo tempo di una posizione
largamente autonoma, modificata in senso costituzionalmente più definito solo con
Pipino II e Carlo Martello.
Leccapiedi avidi di potere, ovvero "Essi sono protagonisti..." 181

Nel V secolo e al principio del V I l e famiglie senatorie s i accaparravano l e prebende


vescovili, e in seguito, col favore dei loro sovrani, entrarono nel gioco anche i magnati
germanici, per i quali l ' ufficio episcopale rappresentava "la conclusione di una carriera . . .
a l servizio del re" (Ewig). Molti erano spregevoli leccapiedi, adulatores . termine spesso
usato anche da s. Gregorio, con la postilla "mi addolora doverlo dire dei vescovi". Nel
tardo periodo merovingio nacquero i più estesi principati ecclesiastici: la simonia
imperversava in tutte le sue forme e corrompeva l ' episcopato, nella misura in cui ciò
era ancora possibile. "Tutti i decreti, tutti i divieti dei Concili, che avrebbero dovuto
porvi un rimedio, restarono lettera morta" (Pontal); le proibizioni pullularono, ma - 253
ecco la doppia morale - nessuno ne tenne gran conto, per secoli . Uno dopo l ' altro, i
Sinodi risultarono del tutto inutili: i vescovi simoniaci sottoscrivevano spensieratamente
il divieto della simonia. 17
L' alto clero si appropriò imperterrito di tutti i privilegi possibili: la dispensa dal
servizio militare, ad esempio, che accollava inflessibilmente agli altri; oppure l'esenzione
dalle tasse e dai dazi, che ovviamente dovevano essere pagati da tutti gli altri . Almeno
fino al V secolo i vescovi furono dispensati dalla tassa granaria annuale (annona),
dall ' imposta sui terreni per l ' intero patrimonio ecclesiastico e dai munera sordida ed
extraordinaria. Ambirono inoltre all ' esonero da altri obblighi pubblici e al godimento
di ulteriori diritti, come, ad esempio, del diritto d ' asilo per le chiese, in seguito tanto
abusato.
Si attribuirono anche la giurisdizione (ecclesiastica), il privilegium fori, ampliando
sempre di più il proprio potere giurisdizionale: ebbero giurisdizione esclusiva sui loro
chierici e in certi casi persino sui laici, ma essi potevano essere condannati esclusiva­
mente da un' assemblea vescovile; i giudici, che avessero osato pronunciarsi sul diritto
ecclesiastico senza il loro consenso, venivano scomunicati .
L' amministrazione dei beni ecclesiastici era di loro competenza esclusiva. Incamera­
vano la maggior parte delle donazioni dei prìncipi ; la metà delle oblazioni andava al
clero, ma i ben più importanti beni immobili spettavano ai prelati, i quali avevano
inoltre la facoltà di togliere a un religioso insubordinato quel che gli avevano personal­
mente donato. In generale il clero era vincolato al permesso del vescovo per qualsiasi
evenienza. 1 8
Il vescovo era anche il capo delle abbazie: decideva sui lasciti, subordinava a sè gli
abati nelle decisioni riguardanti nomine o punizioni ed esercitava un potere quasi esclusivo
sui monaci. Costoro, come anche i preti, sovente non osservavano il voto di castità, e
molti abbandonavano il convento per sposarsi; e disponevano perlopiù di un patrimonio
personale. A questo proposito non va dimenticata la notazione di H. W. Goetz: "Il
monachesimo medioevale fu in certa misura la vita signorile nella sua espressione 254
religiosa. Ed è questa una delle ragioni essenziali del suo successo . . . "; " . . . numerose
abbazie divennero progressivamente pure e semplici conventicole nobiliari". 19
1 82 La chiesa nell'età merovingia

L' influenza dei vescovi divenne tanto più profonda quando la creazione dei regni
germanici nel V e nel VI secolo lasciò intatti i patrimoni della chiesa, che, al contrario,
furono accresciuti dalle ricche donazioni dei sovrani del VI e del VII secolo, da molte
altre proprietà di varia provenienza (con schiere di lavoratori dipendenti) e dall' acquisto
o dai lasciti di possedimenti privati . In tal modo la chiesa diventò in breve tempo "il più
grande proprietario terriero dopo il re" (Stern/Bartmuss). E poiché la nobiltà senatoria
gallo-romana al servizio dello stato germanico non aveva prospettive di avanzamento,
"l ' episcopato rappresentava per essa l ' unica possibilità di ricoprire uffici direttivi (an­
che di natura politica) . . . E il ceto senatorio approfittò attivamente di tale possibilità"
(Vollmann). Nella "Historia Francorum" di Gregorio i vescovi sono in primo piano,
"sono i protagonisti" (Dopsch), funzionari politici senza "una precisa disposizione
interiore" (Scheibelreiter). Evidentemente si diventava vescovi dietro pagamento. Papa
Gregorio I scrive: "Come alcuni mi han fatto sapere, in Gallia o in Germania nessuno
poteva avere l ' ordinazione [episcopale] senza aver pagato qualcosa". 20

TRONO E ALTARE

Il potere e la ricchezza sempre più vasta della chiesa generavano tensioni e dissidi, ma
monarchia ed episcopato erano interdipendenti e operavano insieme. La struttura
gerarchica della chiesa nazionale franca costituiva un sostegno del sistema politico e
viceversa: il vecchio metodo mercantile del do ut des. Dominava "un intreccio fra
255 Stato e Chiesa" (Aubin). Proprio le famiglie più potenti del regno merovingio, la schiatta
dei Waldebert, i B urgundofaroni, gli Eticoni, i Crodoini, gli Amolfingi, i Pipinidi, grazie
alla chiesa (e ai loro santi, i "Santi di famiglia") consolidarono ulteriormente gli antichi
privilegi. Anche le abbazie autonome dell ' alta nobiltà merovingia e il culto delle reliquie
e dei miracoli i vi perseguito con zelo furono strumenti di potere assolutamente terreni,
forme nuove e più sottili di oppressione e di prevaricazione da parte dei potenti ; furono
"in un senso assai più vasto" di quanto finora supposto "capisaldi politici del dominio"
(Prinz).
Mentre ogni forma di crudeltà e di violenza contro i deboli, gli indifesi ed i poveri
(la grande massa della popolazione, quasi tutti) era prassi quotidiana, il comportamento
dei vescovi era filostatale e filomonarchico, anche verso i dominatori più brutal i .
Dal i ' altra parte i sovrani, spesso proprio i despoti peggiori, praticavano u n a politica
spiccatamente fi loecclesiastica: stimolavano fattivamente le missioni e la fondazione
di abbazie, si uniformavano (insieme coi propri funzionari) ai criteri morali dei vescovi
tanto stimati (nonostante tutto), il cui vidrigildo ( l ' indennizzo in caso di omicidio), in
base alla Legge Salica, ammontava al triplo di quello di un funzionario regio ed era
nove volte superiore a quello di un uomo libero.
Trono e Altare 1 83

Ovviamente questi prìncipi riconoscevano anche l ' autorità del papa, che tuttavia
non era i n grado di imporre le sue decisioni contro la loro volontà. Spesso i Merovingi
tenevano dei chierici quali amministratori di corte, e distribuivano i seggi vescovili
come sinecure ai combattenti meritevoli; inoltre facevano doni personali ai prelati,
ricoprendoli di ricchezze e privilegi e trattandol i quasi sempre con profondo rispetto.
Non pochi vennero direttamente coinvolti negli affari di stato, come sotto Childeberto
II (dopo i l 585) l ' illustrissimo Gregorio di Tours, che per altro frequentò assiduamente
anche altre case regnanti e nella cui famiglia l ' ufficio episcopale fu pressoché ereditario:
il bisnonno materno, Gregorio di Langres, da cui prese i l nome, era stato vescovo; suo
zio paterno fu il vescovo Gallo di Clermont; suo prozio materno il vescovo di Lione, 256
Nicezio; suo cugino e predecessore il vescovo di Tours, Eufronio; lo stesso Gregorio ci
informa che tutti i vescovi di Tours (più di cinque) erano imparentati con la sua famiglia,
da lui ripetutamente definita, con la modestia e l ' umiltà propria dei suoi pari, "senatoria"
e "di rango primario".
Altri si intrufolarono arbitrariamente nella vita politica, anche se di rado nel modo
tanto invadente così tipico della Spagna, e molti vi guadagnarono persino la "corona del
martirio". Ma i due "martiri" massimi della chiesa franca dell ' epoca, Pretestato e Desi­
derio, versarono il proprio sangue non per mano di pagani o di "eretici", bensì "soprattutto
per colpa di altri due vescovi, membri della medesima chiesa" . (Riickert). 2 1
Nella Gallia merovingia con centinaia d i sedi episcopali c ' erano d a due a tremila
archimandriti, dei quali sono a noi noti un migliaio di nomi . Per la maggior parte
appartenevano alla nobiltà del paese (v. III, 392): di 27 iscrizioni sepolcrali dedicate ai
vescovi del IV, V e VI secolo, 24 indicano la discendenza aristocratica dei defunti, in
due casi siamo in grado di ritenerla probabile e i l solo epitaffio di Concordio di Arles
non ci consente di determinarne la posizione sociale.
Quasi tutti , dunque, discendevano dalla nobiltà, spesso dalle famiglie più aristocra­
tiche, ed erano proprietari di vasti latifondi arricchiti da lussuose terme, da pomposi
saloni e biblioteche, e non solo si abbandonavano agli sperperi, ma perseguivano le più
svariate forme di influenza politica "e nonostante tutto ciò venivano venerati come
santi dai loro contemporanei" (Borst). Di rango sociale giuridicamente ed economica­
mente tanto elevato, agivano non di rado da potentati mondani, governando personal­
mente città e interi principati : in Aquitania settentrionale, ad esempio, reggevano Poi­
tiers, Bourges, Clermont; in B urgundia Orléans, Chalons, Auxerre ecc . I vescovi più
potenti amministravano latifondi particolarmente estesi, occupando una posizione di
rango addirittura feudale, intrattenendo in alcuni casi relazioni private con l ' imperatore
bizantino. Spesso venivano scelti come padrini di battesimo dei prìncipi merovingi,
che proteggevano e signoreggiavano, riconoscendone non solo il potere, ma anche 257
sostenendoli e approvandone con benevolenza le azioni belliche e le nefandezze
politiche. Per la maggior parte di loro i sovrani contavano ben più delle prescrizioni
1 84 La chiesa nell'età merovingia

ecclesiastiche, trascurate in caso di conflitto; e naturalmente i re si prendevano cura di


questi gerarchi affidabili e malleabili. Dei 32 prelati riuniti nel Sinodo di Orléans (5 1 1 )
nessuno contraddisse la pretesa regia di condizionare ali ' approvazione del sovrano
l ' ingresso nel clero. 22
Fu così che andò costituendosi una chiesa nazionale guidata dal monarca, il quale
ricopriva la presidenza dei sin odi eh' egli stesso indiceva, partecipandovi attivamente e
determinandone addirittura l ' ordine dei lavori , come fece Clodoveo. E tali assemblee
non erano affatto rare: tra il Sinodo di Agde (506) e quello di Auxerre (695) ne furono
convocati più di cinquanta. Il quinto Concilio di Orléans (549) previde esplicitamente
l ' intervento dei sovrani nelle questioni riguardanti i vescovi, e specialmente la loro
elezione. Nel Concilio di Parigi, 1 8 Ottobre del 6 1 4 (6 1 5) Clotario II, dal 6 1 3 sovrano
unico, convalidò le ordinanze dei 79 padri conciliari, aggiungendo al canone I il seguente
paragrafo: "Colui che viene eletto canonicamente vescovo abbisogna della conferma
del re" ; il che, almeno per un certo periodo, preservò l ' elezione episcopale dai rischi
della simonia, che la chiesa da sola non era in grado di garantire. 23
I prelati venivano spesso nominati tenendo conto soprattutto della ricchezza, della
discendenza e delle qualità politiche (mondane). Già a partire da Clodoveo i Merovingi
intervennero nelle elezibni episcopali o indirettamente, come nel caso dei vescovi di
Sens, Parigi e Auxerre, oppure direttamente, come fece re Clodomero, quando impose
nel vescovado di Tours Ommazio, figlio di un altro vescovo. Subito dopo la regina
Crodichilde insediò in quell ' ambito seggio Teodoro e Proculo. A Clermont un decreto
regio portò prima alla scelta di s. Gallo, zio di s. Gregorio, poi di Cautino, reo "di tutti
i delitti", determinando la spaccatura del clero in due fazioni e l ' elezione di un anti­
vescovo nella persona del prete Catone. Clotario I nominò vescovo di Le Mans un
258 certo Domnolo, abate di Saint-Laurent a Parigi ; ma ciononostante, come afferma
entusiasticamente Gregorio, egli venne "innalzato al culmine della più nobile santità",
restituendo "a un paralitico la forza di camminare e la vista a un cieco". (Purtroppo non
fu in grado di guarire se stesso e morì d' itterizia e di litiasi). 24
Pur di raggiungere lo scopo, i candidati ai seggi episcopali spesso si sottoponevano
alle più estenuanti fatiche fisiche e alle più umilianti prove di malleabilità: influenzavano
il clero e il popolo, comprando o estorcendo il voto anche mediante la falsificazione di
documenti. La dignità episcopale divenne oggetto di scambio mercantile, e in generale
era ormai diventato usuale percorrere la carriera ecclesiastica con la corruzione e
l ' acquisto delle cariche. Anche i Concili se ne dolevano, ma restavano impotenti : una
volta vescovi gli investimenti anticipati venivano rapidamente recuperati. 25
" ... interessi piuttosto materiali della Chiesa" 1 85

"••• INTERESSI PIUTTOSTO MATERIALI DELLA CHIESA D ' EPOCA MEROVINGIA " ?

L' insistenza rozza, ma assai lucrosa, del clero sul fatto che il credente potesse assicurarsi
un posti cino in cielo grazie alla protezione dei santi, indusse i re e i signorotti benestanti
a continue largizioni e a ricchi lasciti testamentari. Poiché gli uni diventavano così
sempre più ricchi e gli altri un po' più poveri, non era soltanto la corona a subire perdite
rilevanti a causa della rinuncia a vastissimi latifondi, ma anche una parte della nobiltà,
che non di rado vedeva esaurirsi progressivamente le proprie risorse, anche perché si
aggiungeva la moltiplicazione di privilegi e immunità d' ogni sorta. Insomma: "I
documenti d' età merovingia permettono di constatare la profonda modifica dei rapporti
proprietari a favore della chiesa" (Sprandel).
Bertram, per esempio, vescovo di Le Mans dal 586, disponeva (come dimostra il
suo testanento di trent' anni dopo) di fondi agrari a Parigi, di cui era originario, nel
vasto circondario di Le Mans, sua sede episcopale, ma anche in Aquitania e Burgundia:
terreni, pascoli, boschi, vigneti e numerosi villaggi. A parte le donazioni dei sovrani e 259
dei privati , aveva anche comprato immobili con notevoli somme di denaro, lasciando
al vescovado 35 latifondi, e testando quattro "villae" ai suoi consanguinei. I Merovingi,
come poi i primi re carolingi, "quando fu possibile, nutrirono particolari riguardi verso
il patrimonio della chiesa" . Per altro, i re che proprio in quel tempo avevano fatto
ricche regalie alle chiese, non venivano ospitati quasi mai dai loro beneficati, vivendo
"quasi esclusivamente delle loro proprietà" (Brtihl).
I gerarchi ecclesiastici, dunque, ottenevano più che mai donazioni numerose e
consistenti, e la chiesa costituiva un bacino di raccolta "di denaro, mentre nessuno si
permetteva di avanzare pretese nei suoi confronti ; ed essa mai si vedeva costretta a
frammentare il patrimonio tra una schiera di eredi, come i sovrani..." (Lasko). Non
appena entrava in possesso di qualcosa, scattava la difesa ad oltranza. 26
Nei decreti conciliari d' epoca merovingia non c ' é nulla che abbia un ruolo più
esclusivo della salvaguardia dei patrimoni ecclesiastici , i mmancabilmente definiti
"inalienabili". Chi li tratteneva o se ne appropriava contra ius andava incontro alla
scomunica; per chi li confiscava scattavano l ' interdetto e l ' anatema vita natural durante.
Tutte le donazioni fatte alla chiesa erano irrevocabili. Nessuno poteva usufruire a suo
detrimento del diritto di prescrizione, ma alla chiesa era lecito approfittarne a proprio
vantaggio, e anche procedere legalmente contro gli eredi legittimi, restii a vedersi
defraudati dei propri diritti naturali . Insomma, la chiesa a null' altro rivolgeva la propria
vigilanza con lo zelo paragonabile a quello impiegato nella custodia gelosa dei suoi
latifondi sempre più vasti e delle sue altre ricchezze d' altra natura. 27
Il quarto Concilio d' Orléans ( 541 ) dichiara sacre e irrevocabili le elargizioni concordate
per iscritto o con una semplice stretta di mano, quando sono destinate alla chiesa o ai
suoi rappresentanti . E non ne ammette la prescrizione nemmeno dopo un lungo periodo
1 86 La chiesa nell'età merovingia

di alienazione. Il Concilio di Tours (567) commina la scomunica e l ' anatema fino alla
morte per coloro che, durante la guerra civile, si siano fraudolentemente impadroniti o
abbiano solo danneggiato il patrimonio ecclesiastico senza risarcimento. Il Concilio di
Maçon (58 1 o 5 83) procede alla scomunica di una monaca (Agnese), colpevole di aver
alienato alcune terre a pro di magnati, di cui desiderava la protezione. E anche quei
signori vengono scomunicati. Odette Pontal scrive candidamente: "Questa preoccu-
260 pazione vistosa diretta alla conservazione del patrimonio ecclesiastico potrebbe indurre
a concludere per interessi piuttosto materiali della chiesa d' epoca merovingia" . . . ; e invece
si limitava a cautelarsi di fronte a un mondo dominato dai lupi ! 28
E alla proprietà terriera ecclesiastica - fonte inesauribile di entrate e, giova ribadirlo,
inalienabile - si sommavano altri vantaggi economici : ad esempio le oblazioni, l ' esazione
di tasse, la decima, considerata una sorta di elemosina nel V secolo, ma che nel tardo
secolo VI conobbe la metamorfosi da obbligo morale in obbligazione giuridica, con le
opportune sanzioni contro i contravventori : chi si rifiutava, veniva scomunicato. Una
circolare, composta e sottoscritta dai metropoli ti del luogo e da tre vescovi subito dopo
la fine del Concilio di Tours (567), impone ai fedeli il pagamento della decima non
soltanto dei beni, ma anche degli schiavi ; ed è questa la prima volta che in un testo
merovingio si parla di decime. Contro coloro che infrangono la legittima esazione della
decima il Concilio di Maçon prevede la scomunica; con Carlo "Magno" diventerà nel
779 una gabella obbligatoria !
L e regalie fatte alle chiese non spettano alla 'chiesa universale ' , m a a istituzioni
determinate, quali, ad esempio, le diocesi e le abbazie. E anche le terre donate ai conventi
erano naturalmente "organizzate come imprese schiavistiche redditizie" (Angenendt):
verso la fine del l ' età carolingia l ' abbazia di San Gallo amministrava da sola oltre 2000
censuari . Il vescovo suddivideva fra i suoi preti le donazioni alle cattedrali ; dalle chiese
parrocchiali egli riceveva "solo un terzo" delle regalie; ma, in compenso, entrava in
possesso esclusivo dei vigneti o dei latifondi, e anche degli schiavi. 2 9
S i presume che durante i regni merovingi ci fossero più schiavi che nel IV secolo. I
Burgundi, ad esempio, soprattutto in seguito alle spedizioni belliche in Italia, al­
l ' appropriazione di latifondi romani e alla schiavizzazione punitiva della servitù
domestica e agricola, si trovarono in possesso di un gran numero di schiavi dopo che
26 1 ormai da lungo tempo erano diventati cristiani. Per la verità, sotto un certo punto di
vista, la chiesa si interessò degli s � hiavi, pronunciandosi, per esempio, a favore del
riposo domenicale (anche se per ragioni pastorali, e dunque egoistiche), oppure per la
concessione del diritto di asilo, che però veniva meno, con la riconsegna anche coatta
dello schiavo, dietro una mera assicurazione verbale del padrone che non l ' avrebbe né
ucciso né maltrattato. Per altro la chiesa non proteggeva più lo schiavo, qualora rifiutasse
una riparazione o fuggisse; il vescovo, inoltre, poteva trattenere per sé gli schiavi cristiani
di un ebreo, che doveva restituire soltanto dopo un' adeguata garanzia dell' ebreo.
"... interessi piuttosto materiali della Chiesa" 1 87

Una chiesa che disponeva di schiere di schiavi ("elemento fondamentale del suo
patrimonio"; Orlandi/Ramos-Lisson) non faceva una piega circa il diritto di proprietà
dei padroni , soprattutto perché i suoi immensi domini territoriali potevano essere
amministrati solo con innumerevoli schiere di schiavi. Almeno in età carolingia, di regola,
lo schiavo nasceva già schiavo; la sua posizione giuridica equivaleva a quella di un
qualsiasi bene mobile, e poteva essere separato dalla moglie legittima e venduto. Uno
schiavo non riacquistava la libertà nemmeno dopo la consacrazione sacerdotale o il
matrimonio, e ogni bambino figlio di schiavi era condannato a seguire le orme dei genitori.
Furono introdotte anche nuove forme di asservimento per tradimento, sequestro, adulterio
e fabbricazione di monete false. La cosiddetta obnoxiatio prevedeva l ' asservimento di
un povero "in nome di Dio", cioé, ovviamente, a favore della chiesa, di cui diventava
proprietà (questo "In nome di Dio" non ha mai indicato nulla di buono ! ) . Gli schiavi
liberati o riscattati dalla chiesa stessa ne diventavano obbligatoriamente tributari ; e gli
schiavi personali del vescovo, una volta liberati, dovevano restare al servizio della chiesa.
Ciò accadeva perché il più delle volte era in grado di lasciare alla chiesa un patrimonio
t a l m e n t e v a s t o da c o m p e n s are abbondantemente le perdite determ i n ate
dall' affrancamento. Gli abati non potevano assolutamente affrancare gli schiavi donati
al convento, anche se i padri conciliari riuniti a Epaon (5 1 7) ritenevano ingiusto che i
monaci lavorassero quotidianamente i campi, mentre gli schiavi indulgevano ali ' ozio. 30
Lodevolmente lo storico Bosl ricorda una volta "a tutti quanti" "che la storia dei ceti
inferiori, della schiavitù o della servitù della gleba riguarda la storia personale e familiare 262
di oltre il 98% di nostri uomini", dato che "quasi il 99% di tutti i Tedeschi ed Europei
contemporanei discendono da servi della gleba". 3 1
La citatissima frase di Chilperico I, a noi tramandata da Gregorio, illustra la situazione
del tempo in modo forse eccessivo, tuttavia realistico: "Vedete, il nostro tesoro si è
impoverito; vedete, la nostra ricchezza è finita nelle mani della chiesa (ecce divitiae
nostrae ad ecclesias sunt translatae). Ormai dominano solo i vescovi ; il nostro potere
è finito" . È comprensibile, allora, se il re, come poi ci informa lo stesso Gregorio,
annulla tutti testamenti a favore della chiesa, e impreca continuamente contro i vescovi
del Signore (sembra che in privato amasse riversare su di loro il proprio amaro sarcasmo).
E si comprende anche che il vescovo Gregorio definisca il sovrano "Nero nostri temporis
et Herodis" (ma né Nerone né Erode furono quei mostri dipinti dalla chiesa ! ) ; e lo
faccia passare per ubriacone, scrivendo che "il suo Dio era il ventre". Eppure proprio
questo re tanto diffamato dal nostro santo non solo compose varie opere e, ammiratore
della cultura romana, tentò di aggiungere nuove lettere ali ' alfabeto latino, ma nutrì
anche particolare predilezione per le questioni teologiche. 3 2
Passione del tutto ignota alla maggioranza del clero del tempo (e non solo del tempo),
il quale non provava interesse alcuno neppure per altri problemi di natura i ntellettuale
e culturale. Il vescovo Gregorio subito nell' esordio della sua "Historia Francorum"
1 88 La chiesa nell'età merovingia

dichiara che in Gallia la scienza "è in totale decadimento", "da noi [essa] è finita" .
Anche uno scritto di papa Agatone e di tutti i padri sinodali dell ' anno 680 indirizzato
ali' imperatore di B isanzio non riesce a scorgere nessun vescovo ali' altezza della scienza
mondana; anzi, gli episcopi erano immersi in continue lotte e l ' antico patrimonio spirituale
della chiesa era ormai scomparso. Alcuni decenni prima il monaco Giona di Bobbio
trovava che in Gallia "la forza della rel igione era stata pressoché annullata" non soltanto
263 dai nemici esterni della chiesa, ma anche "dalla negligenza dei vescovi". 33

"·•• UN LIVELLO INFIMO" , "••• UN LIVELLO BARBARICO"

Questi drastici giudizi di due studiosi moderni - Karl Baus e Josef Fleckenstein -
riguardano il clero cattolico e la chiesa cattolica d' epoca merovingia. Infatti, il livello
culturale medio dei vescovi in nulla era superiore a quello dei nobili; anzi, proprio dal­
l ' istituto episcopale derivava la diffusione della violenza e della corruzione presso tutti
quanti i religiosi: dentro questa chiesa regnava "un livello barbarico" (Fleckenstein). 34
I vescovi, che ormai da molto tempo non provenivano dalla comunità - Clotario II
(5 84-629) impose per legge che gli eletti appartenessero alla nobiltà di corte -,
opprimevano il popolo insieme alla rimanente casta dei signori, imperiosi nel loro mondo
come veri e propri despoti . Puttaneggiavano e sbevazzavano come i laici, e alla mensa
regale raccontavano divertiti i loro spergiuri e i loro amorazzi (correva voce che il
vescovo Bertram di Bordeaux se la intendesse addirittura con la regina Fredegonda).
Spesso sceglievano motu proprio i loro successori e le fonti parlano continuamente dei
regolamenti e degli accordi in tal senso; spesso trasmettevano ai nipoti i loro vescovadi,
tanto che sotto Carlo Martello intere diocesi passavano da padri vescovi a figli del pari
vescov i : Treviri da Liutvino al figlio Milone; Magonza da Geroldo al figlio Gevilibo;
Liegi da Uberto, poi venerato addirittura come santo, al figlio Floriberto. Altri ottenevano
i seggi episcopali o contraffacendo i documenti o comprandoli, come il vescovo Eusebio
di Parigi, mercante siriaco che soppiantò in questo modo il fratello del predecessore, il
vescovo Ragnemondo di Parigi. Gregorio di Tours scrive che dopo la morte di Cautino
di Avern (Clermont) "moltissimi fecero sforzi enormi per attenerne il vescovado,
dispensando moltissimo denaro e promettendone molto di più". Molti si destreggiavano
a corte con la corruzione, come il vescovo Egidio di Reims. In occasione delle elezioni
si verificavano spesso battaglie tra fazioni e altri atti di violenza; e poteva accadere
così che una città avesse contemporaneamente due vescovi, come a Digne, dove i vescovi
Agapio e Bobo si spartirono il patrimonio ecclesiastico, prima che un sinodo li
264 destituisse.
Fatti analoghi si verificavano nelle abbazie, che, operando nelle circoscrizioni urbane,
a partire dal V secolo costituirono importanti basi d' appoggio del potere episcopale
"... un livello infimo", "... un livello ba rbarico" 1 89

delle città; dal VI secolo i l loro numero si moltiplicò, e dal VII secolo furono fra i
massimi proprietari terrieri del paese, spesso più ricche delle stesse cattedrali vescovili.
Verso la fine del VII secolo c ' erano in tutto il regno ben più di quattrocento abbazie,
che condividevano con le chiese il possesso di un terzo delle terre di Gallia ! Ma vescovi
e abati abbandonavano spesso i loro uffici, ritornando alla vita "mondana" ; altri, a loro
volta, rimanevano chierici o monaci, vivendo come laici qualsiasi; altri ancora dovevano
fuggire lontano dai confratelli, come il vescovo Teodoro di Chur, il quale nel 599 cercò
protezione e rifugio presso il vescovo Siagrio di Autun in seguito a certe controversie
col suo metropolita di Milano. 35
Non era raro che i prelati conducessero una sorta di guerra di logoramento contro i
loro preti, e tal uni vescovi combattevano per la vita o per la morte con i loro arcidiaconi.
Codesti archimandriti covavano spesso un odio implacabile per ragioni di nessunissima
rilevanza, tanto "che veniva considerata pressoché una legge di natura i l fatto che ogni
vescovo fosse nemico e persecutore i mplacabile del proprio clero" (Rtickert).
E perciò i preti ordivano i ntrighi e cospirazioni contro i superiori, ai quali si oppone­
vano apertamente, dando vita a gilde, associazioni e congiure e invocando persino
l ' aiuto dei laici.
Accadeva spesso che un singolo prete o u n ' i ntera masnada di religiosi assalisse i l
vescovo in casa, lo arrestasse e lo cacciasse via. Non mancavano n é i tentati omicidi n é
g l i assassinii, e nemmeno l e rivolte all ' interno dei monasteri: l ' abate Filiberto fu costret­
to ad abbandonare il suo "monasterium" ad Rebais; a Der l ' abate Berchar fu ammazzato
da un monaco; il vescovo Aprunculo di Langres riuscì ad evitare la morte fuggendo di
notte fuori le mura della cità; il vescovo Waracharius, invece, fu avvelenato dai suoi
preti.
A Lisieux l ' arcidiacono e un prete organizzarono una cospirazione contro il vescovo
Eterio, ma il complotto omicida e un tentativo di diffamarlo fallirono.
Il religioso Proculo, l ' abate Anastasio e il governatore della Provenza, postisi alla 265
testa del clero di Marsiglia, attaccarono il vescovo cittadino Teodoro, dileggiandolo e
seviziando lo; quindi scassinarono tutti gli edifici ecclesiastici, saccheggiarono i depositi
e rubarono parte del tesoro. Tuttavia per il danno che poteva succedere a un prelato
anche per mano regia "non si faceva attendere la vendetta di Dio, che sempre suole
sottrarre i suoi servi alle fauci di cani rapaci"; ovvero, come scrive il vescovo Gregorio
dopo un altro fatto che aveva sollevato scalpore: "Dio vendica i suoi servi, che in lui
ripongono speranza".
La vendetta, la figlia prediletta della religione dell ' amore.
Uno schiavo di Fredegonda scannò Pretestato, arcivescovo di Rouen, mentre recitava
messa sull ' altare maggiore, significativamente proprio la domenica di Pasqua del 586;
nessuno dei molti religiosi presenti corse in suo aiuto, e la regina, devota orante, si
deliziò alla vista del moribondo. Per questo delitto aveva pagato 1 00 pezzi d' oro, 50 li
1 90 La chiesa nell'età merovingia

aveva fomiti il vescovo Melanzio e altrettanti l ' arcidiacono di Rouen. Ormai "il si cariato"
era diventato per così dire una prassi istituzionale. In seguito, però, il sicario fu con­
segnato da Fredegonda e venne ucciso dal nipote dell ' arcivescovo; e la regina rimase
impunita. Ma, come si sa, volano sempre gli stracci . . . 3 6 •
I conflitti fra clero e nobiltà erano all ' ordine del giorno.
I servi del vescovo Prisco di Lione ingaggiarono sanguinose battaglie con quelli del
duca Leudegiselo ; a Javols i comites si scagliarono furiosamente contro il clero e il
vescovo Partenio, accusato dal conte Palladio di "ripugnanti atti di fornicazione" con
le sue "amanti"; Siagrio, figlio del vescovo Desiderato di Verdun, aggredì con i suoi
soldati il rivale Sirivaldo, penetrando nella sua camera da letto e assestandogli il colpo
di grazia; ad Angouleme esplosero dei contrasti fra il vescovo Eraclio e il conte N an tino,
che avanzava pretese sul patrimonio ecclesiastico in quanto nipote del vescovo Marachar,
assassinato: molti laici e un prete furono ammazzati, le case vennero saccheggiate e
266 distrutte. Nel tardo VII secolo l ' abate Germano del monastero di Miinstergranfelden
(Alsazia) cadde combattendo contro i mercenari del duca Etico (padre di sant' Odilia) e
divento anche santo. 37
Le aggressioni ai preti erano già allora molto frequenti, anche perché le loro vesti
preziose e i pomposi arredi delle chiese suscitavano la cupidigia di molti. Spesso i
"monaci missionari" venivano ammazzati con azioni di giustizia sommaria dai contadini
e dai guardiacaccia in occasione dell ' occupazione di fondi destinati ai monasteri ; in
questi casi le vittime erano significativamente più numerose di quelle cadute durante
"l'evangelizzazione".
Anche il diritto d ' asilo fu continuamente calpestato: gli omicidi si verificavano pro­
prio nelle chiese, particolarmente adatte alle battute di caccia ai prìncipi ormai maturi
per il mattatoio. Per tre volte si progettò di liquidare re Guntram mentre si recava in
chiesa. Naturalmente si verificarono scontri armati anche nelle "case di Dio", come
accadde a membri imparentati di due prestigiose famiglie della cerchia di Chilperico,
che si ammazzarono "proprio sotto l ' altare". "Molti furono feriti dalle spade, la santa
chiesa fu lordata di sangue, le porte vennero trapassate da spade e giavellotti" (Gregorio
di Tours). 3 8
Durante l ' elezione dei vescovi avveniva ciò che non di rado capitava a Roma: spesso
e volentieri le fazioni si scontravano "ferocemente una contro l ' altra". A Clermont­
Ferrand e ad Uzès si procedeva con la corruzione; in un' occasione analoga a Rhodez
scomparvero dalla chiesa quasi tutti "i sacri" arredi , e anche la maggior parte del suo
patrimonio; durante l ' insediamento del vescovo, a Langres venne accoltellato sulla
pubblica via il fratello di s. Gregorio, i l diacono Pietro, che, a detta del vescovo Felice
di Nantes, "spinto dalla bramosia del vescovado, aveva assassinato il suo vescovo". 39
Benché i Concili condannassero immancabilmente il fatto che i religiosi portassero
con sé delle armi, l ' abitudine non venne meno, e i preti continuarono come prima ad
Breve rassegna di uomini di Dio 191

andare a caccia o a precipitarsi i n battaglia . . . , i n questo u n po' diversi, invero, dal loro
S ignore Gesù. Talora uccidevano manu propria, come fecero i vescovi Salonio e
Sagittario. Intorno al 720 il vescovo Savarico di Auxerre, armato di tutto punto, marciò
su Lione per conquistarsi la B urgundia; si dice che sia stato abbattuto da "un fulmine"
del cielo. Più di una volta i religiosi si facevano assoldare come killer, ad esempio per
eliminare il re Childeberto o Brunechilde. Eterio, vescovo di Lisieux, doveva essere 267
assassinato a colpi d' ascia da un prete istigato dal suo arcidiacono. 40
Gregorio tace dell ' assassino o degli assassini di uno dei suoi predecessori . Nel 529
"proprio quando per il popolo" (soltanto per il popolo?) "spuntava la notte santissima
della nascita del S ignore", il vescovo Francilio di Tours cadde al suolo stecchito dopo
aver gustato una pozione avvelenata; il prelato discendeva da una famiglia senatoria,
era ricco sfondato, sposato, ma senza figli. Nel 576 anche il vescovo Marachar di An­
gouleme era stato avvelenato dietro istigazione del successore, il vescovo Frontonio, e
la complicità di alcuni preti della chiesa locale. Un anno dopo Frontonio fu colto "dal
giudizio di Dio" (Gregorio di Tours). 4 1
Nel marzo del 630 il vescovo Rustico di Cahors fu spedito all ' altro mondo dai suoi
diocesani; non ci è pervenuta notizia di un intervento della chiesa contro gli assassini.
Anche l ' uccisione del vescovo Teodardo di Maastricht per mano di ladri sacrileghi
(probabilmente nel 67 1 /672), restò impunita: il suo seguito lo abbandonò al suo destino
in una fore' s ta presso Speyer. Il successore, il vescovo Lamberto, finì anch ' egli
assassinato (probabilmente nel 705), dopo aver fatto eliminare a sua volta due dei suoi
concorrenti, i fratelli Gallo e Rioldo. Il vescovo Gaudino di Soissons, accusato pubbli­
camente d' usura dai concittadini, venne precipitato dentro una cisterna, dove annegò.
Dopo la liquidazione violenta del vescovo Herchenefreda, re Dagoberto I fece in parte
bandire, asservire, mutilare o uccidere i responsabili. 42
Proseguiamo la rassegna di altri rappresentanti di questo clero, che persino secondo
il manuale cattolico di storia della chiesa "dappertutto, ma soprattutto in Francia, era
caduto a livelli infimi". Già lo sapevamo anche per l ' età antica (v. III, 5 cap.); in seguito
non fece che precipitare ancora più in basso . . 43•. 268

BREVE RASSEGNA DI UOMINI DI DIO

Il vescovo Chramlin di Embrun si procurò il vescovado con documenti falsi. Il vescovo


Agilberto di Parigi ed il vescovo Reolo di Reims ingannarono con un giuramento su
reliquiari vuoti il duca d' Austrasia Martino, il quale, concessa la propria fiducia ai prelati
"fu ammazzato con tutti i suoi familiari". Il Concilio di Marsiglia (533) accusò il vescovo
di Riez, Contumelioso, di compiere "multa turpia et inhonesta": adulterio, dissolutezza,
appropriazione di beni ecclesiastici, passati indebitamente alla sua proprietà privata.
1 92 La chiesa nell'età merovingia

Anche il vescovo Badegiselo di Le Mans (58 1 -586) si comportò da autentico furfante,


procurandosi un patrimonio anche depredando addirittura i fratelli e le sorelle. Sapeva
istruire processi con la stessa destrezza con cui maneggiava lo stocco, e sapeva pascolare
le sue pecorellle col pugno di ferro. Aveva ovviamente una moglie, altrettanto ovvia­
mente "peggiore di lui", che "coi più detestabili consigli lo sollecitava a nefandezze
d' ogni sorta". Magnatrude, questa nobile episcopessa, si dilettava a resecare il pene
insieme alla pelle del l ' addome ed a bruciare con ferri roventi le pudenda femminili:
"Commise anche altre cose raccapriccianti, ma è meglio tacerne", commenta il buon
Gregorio. 44
Come viene testimoniato dal cronista Gilda, il primo storiografo dei B ritanni, la
dipsomania era diffusa fra il clero non meno che fra i laici; anche s. Bonifacio una volta
biasimò l ' arcivescovo Cudberto di Canterbury, dicendogli: "Nelle Vostre parrocchie il
vizio dell ' ubriachezza è diventato un vero e proprio costume di vita". Lo stesso Boni­
facio scrisse di certi vescovi che non solo si ubriacavano da soli, ma che "costringevano
all ' ebbrezza alcolica anche altri, porgendo loro calici più capienti".
I vescovi Salonio e Sagittario gozzovigliavano e si ubriacavano per tutta la notte
"quando gli altri preti già recitavano messa in chiesa". Il vescovo Eonio di Vannes una
269 volta celebrava qualcosa di simile a Parigi (che, come si sa, val bene una messa; sempre),
ma era talmente fradicio che si abbatté al suolo "tra urla e sbuffi", e dovettero portarlo
via di peso dal l ' altare. Era solito bere a tal punto "da non poter più fare un passo".
Gunther di Tours, ex abate poi vescovo, a causa dell ' alcool divenne "quasi demente".
Un altro pastore d' anime, Droctigiselo di Soissons, era tanto continente da ubriacarsi
fino a perdere completamente il senno; mentre il diacono Teodolfo, amico del vescovo
Audoveco di Langres, morì completamente ubriaco.
Cautino, arcivescovo di Clermont, che si appropriava delle proprietà di chiunque gli
fosse giunto a tiro, anche con la nuda violenza, si ubriacava quotidianamente e di solito
veniva trascinato via dalle orge da quattro uomini. Non leggeva l ibri d' alcun genere,
perché non era in grado di comprenderli, ma aveva relazioni con gli Ebrei, dedicandosi
anima e corpo all ' usura. Poiché voleva impossessarsi dei beni di uno dei suoi chierici,
per ammorbidirne la resistenza lo fece deporre in una fossa accanto a un cadavere
ormai in putrefazione. Alla fine Cautino morì "nel giorno della Passione di nostro
Signore" colpito dalla peste, che aveva cercato inutilmente di evitare con una lunga
fuga. Qualche tempo dopo, sotto Carlo Martello, anche il vescovo Milone di Treviri
entrò nel novero dei santi bevitori . 45
Ma di stampo ben peggiore furono i fratelli Salonio di Embrun e Sagittario di Gap.
Entrambi furono un tempo i discepoli virtuosi di s. Nicezio di Lione, a sua volta
prozio di s. Gregorio, nipote e successore di s. Sacerdote. Un bel giro di Santi ! ! Ma
quella nobile coppia di prelati imperversò come folle "col furto, il sangue, l ' assassinio,
l ' adulterio e altri misfatti" (Gregorio di Tours). Soltanto quando proprio nel giorno
Rivolta nel convento di monache 1 93

della sua festa di compleanno aggredirono i l collega Vittore di Trois-Chàteaux, nel


Delfinato, bastonandolo, derubandolo, e ammazzandone i servitori, i l S inodo di Lione
(567/570) si decise a destituirli in quanto "assolutamente colpevoli". Ma re Guntram, il
santo, approvò il loro ricorso a Roma - unico caso conosciuto di una simile prassi per
la Gallia merovingia del VI secolo. Il santo padre Giovanni III li reinsediò nei loro
incarichi, dignità e protezione di Guntram. E così continuarono a bastonare i diocesani 270
"con randelli fino a farli sanguinare" e uccisero la gente con le proprie mani in aperte
battaglia campali, finché la loro ingerenza nella vita intima del pio sovrano comportò il
loro trasferimento in convento (ben lontano uno dali' altro !); ma la probabile intercessione
di amici religiosi li fece uscire di nuovo. Ancora una volta (dopo un po' di digiuno,
qualche giaculatoria e il mormorio di pochi salmi) ascesero sui loro troni episcopali
per impazzare di nuovo e peggio di prima con pene e spada. Intanto un tribunale religioso
non volle detronizzarli . Ma il re, nutrendo il sospetto d' alto tradimento, li rinchiuse di
nuovo in convento; dal quale evasero definitivamente fra i briganti. 46
Lungo tutto il Medioevo il chiostro non fu luogo di pace né una sepoltura vita natura!
durante (benché sia stato anche questo, nel senso peggiore). Anche scrittori filoeccle­
siastici definiscono la discordia interna "un fenomeno generale", anche nei "chiostri
femminili". Molte spose di Cristo picchiavano le altre, le sorelle laiche, i fratelli laici,
i chierici, ma ne venivano a loro volta battute. Sotto le tonache, maschi e femmine,
conducevano ben di rado una vita ascetica; meno di tutte quelle suore, che sovrani
cristiano-cattolici mettevano al mondo con le loro concubine al fine di moltiplicare il
Regno di Dio. 47

RIVOLTA NEL CONVENTO DI MONACHE

Nell ' anno 589/590 a Sainte-Croix di Poitiers, nel convento di Santa Radegonda, la
santa più tenera e pura del suo tempo (v. pag. 60), si ribellarono due principesse "sedotte
dal demonio", come attestano dieci vescovi ; Crodichilde, figlia di re Cariberto, e Basina,
figlia di re Chilperico (e di Audovera), si rivoltarono contro la badessa Leubovera. Con
altre 40 puellae, perlopiù di condizione aristocratica, in convento più per costrizione
che per scelta autonoma, scapparono dalla sacra dimora, e una pattuglia più decisa di
queste, diciamo così, religiose si trincerò nella chiesa di Saint-Hilaire fuori Poitiers
insieme ad una variegata masnada di cavalieri, composta da ladri, avvelenatori e 27 1
assassini. Per settimane la città fu gettata nel terrore, il monastero venne assaltato e
saccheggiato, e le suore ancora presenti furono bastonate nell ' oratorio. Si narra che la
tomba di s . Radegonda all ' interno del duomo e le strade tutt ' intorno siano state
quotidianamente bagnate dal sangue delle vittime. Anche quando numerosi prelati, il
metropolita Gundegiselo di Bordeaux coi suffraganei e i chierici, osarono avventurarsi
1 94 La chiesa nell'età merovingia

nella chiesa di Sant ' Ilario per indagare sulla controversia per ordine del re, la banda l i
assalì "gettando a terra i vescovi c o n tale violenza, c h e a stento poterono rialzarsi ;
anche i diaconi e g l i altri religiosi scapparono dalla chiesa insanguinati e con le teste
rotte". La badessa Leubovera venne aggredita nel convento e strappata a viva forza da
un cofanetto contenente pezzi della Croce (ovviamente "autentici"), cui si teneva
aggrappata, trascinata per le strade e poi rinchiusa nella chiesa di Sant' Ilario.
Nessuna meraviglia (o meglio, ancora un altro portento) se quell ' anno, come narra
s. Gregorio, conobbe molti e straordinari segni (come quasi ogni anno, in verità): piogge
torrenziali, grandinate, fiumi straripati e alberi che fiori vani d' autunno: "Si videro rose
a Novembre . . . ". Segni su segni, ahimé ! , della depravazione del mondo. Il comes Macco,
conte di Poitiers, riuscì alla fine a domare i ribelli con la violenza e con ulteriore
spargimento di sangue. Molti vennero fustigati, ad altri vennero cristianamente tagliati
i capelli e mozzate le mani; ad alcuni anche le orecchie e il naso, "e quindi tornò la
pace" (Gregorio). Le due principessine furono rimandate a Poitiers dal Concilio di
Metz (590), mentre nello stesso anno il re Childeberto II faceva annullare la loro
scomunica, comminata poco tempo prima. Basina finì nel monastero di Santa Croce,
mentre l ' implacabile e cocciuta Crodichilde ebbe dal sovrano una "villa" nella città (o
nei suoi dintorni).
Non sempre fu questo l ' atteggiamento delle autorità rel igiose verso le suore riottose.
Proprio dentro i monasteri spesso venivano inflitte punizioni draconiane anche per le
272 "manzanze" più ridicole. Ma i vescovi erano (e sono) un marmaglia assolutamente
codarda. Georg Scheibeltreter afferma che in questa occasione non fecero "una bella
figura". Le spose di Dio discendenti da magnanimi lombi se la cavarono a buon mercato,
nonostante i loro "maiora crimina" ; anzi, non abbiamo notizia di punizioni di nessun
genere, nemmeno di una piccola penitenza. E il fatto appare tanto più singolare, in
quanto la rivolta delle monache di Poitiers fu un evento sanguinoso, la cui responasabilità
venne poi imputata alla badessa senza ragioni plausibili, in parte imputandola a "causae
leviores", prescindendo, ad esempio, dal fatto che i maschi usarono i bagni delle
monache, che qualche volta furono celebrati dei banchetti comuni (che in realtà non
furono tali, perché si mangiava solo "pane consacrato" e per giunta si trattava di "persone
credenti cristianamente disposte"); e anche dal fatto che parecchie suore rimasero incinte,
ma solo come conseguenza della "confusione" ; e non si considera infine che la nipote
della badessa viveva in convento, pur non essendo una monaca. 4 8
Ci si meraviglia? La regola di s. Cesario, vescovo di Arles e fondatore di un monastero
femminile, consentiva che fanciulle di appena sei anni diventassero sante vergini,
"consacrate a Dio". E la regola di s . Benedetto provvedeva a seppellire per sempre
dietro le mura di un chiostro fanciulli della medesima età, al fine di occultare la prole
monacale. 49
I dominatori hanno oppresso e sfruttato ogni cosa. Ma furono probabilmente gli
"... e si recarono a Ma rsiglia" 1 95

Ebrei i più disprezzati, e tanto più dal clero cristiano, che con l ' umiltà che lo contrad­
distingue, fece oggetto di discussione conciliare la differenziazione di rango fra cristiani
e fra chierici e laici. Fu così che a Macons (585) venne decretata la costante superiorità
del prete sul laico, il quale non soltanto doveva salutarlo, ma anche smontare da cavallo,
se quello andava a piedi . 5 0
E adesso tocca agli Ebrei ! 273

"••• E SI RECARONO A MARSIGLIA " OVVERO: SENZA IL GIUDEO IL CRISTIANO RESTA SANO

L' odio dei cristiani per gli Ebrei nasce dal Nuovo Testamento, specialmente da Paolo e
dal cosiddetto "Vangelo di Giovanni". E tutti i più eminenti padri e dottori della chiesa
hanno poi provveduto a tramandarlo, spesso accentuandolo enormemente (v. I, 2 cap,
I, 375 ss., 435 ss., II, 26 ss., 1 9 1 ss., 277 ss., e passim).
Dopo numerosi predecessori cattolici, anche il dottore della chiesa Isidoro di Siviglia
si scagliò contro gli Ebrei nel l ' opera "Contra Judaeos" ; ed anche s. Giuliano,
arcivescovo di Toledo, per altro discendente da una famiglia giudaica, nel 686 com­
pose un' opera di ispirazione antiebraica. Il 1 2° Concilio di Toledo (68 1 ) emanò non
meno di 28 decreti contro gli Ebrei, ribaditi dal l 6° Concilio (693), che danneggiavano
gli Ebrei soprattutto economicamente. Il l ]O Concilio di Toledo ( 694) dichiarò schiavi
tutti gli Ebrei in quanto colpevoli di intrighi contro lo stato e di oltraggio della croce di
Cristo; i loro patrimoni vennero confiscati e i loro figli portati via dal l ' età di sette anni.
La chiesa merovingia proibì qualsiasi legame fra i propri membri e gli Ebrei, insediati
principalmente nelle città commerciali della Gallia. I cattolici non dovevano sposare
degli Ebrei e non dovevano nemmeno sedersi a tavola con loro. Nessun ebreo poteva
sedersi in presenza di un prete senza il suo permesso. Pene severissime erano poi previste
per quegli Ebrei che tentassero di convertire gli schiavi cristiani; se questi si conver­
tivano, il loro affrancamento veniva dichiarato nullo. Dopo il Concilio di Macons (5 8 1
o 583) agli Ebrei non era più consentito possedere schiavi cristiani. 5 1
l Concili d' epoca merovingia nel VI secolo vietarono agli Ebrei tutti gli incarichi
pubblici, compresi quelli militari ; nel VII secolo potevano permanere nei loro uffici
nel caso che si piegassero alla Croce, cioè si lasciassero battezzare. Ergo, erano determi­
nanti esclusivamente le motivazioni rel igiose o presunte tali. 5 2
La permanente ostilità della chiesa cattolica verso gli Ebrei diede naturalmente i
suoi frutti . 274
S. Avito di Vienne (pag. 36, 39 ss.), per esempio, celebrato quale "colonna della
chiesa nel Regno di Burgundia" ancora nel XX secolo dal "Lexikon fiir Theologie und
Kirche", operò "instancabilmente allo sradicamento dell ' eresia", ma anche del Giu­
daismo; ma questo il libro non lo dice. Come racconta s . Gregorio di Tours, Avito
1 96 La chiesa nell 'età merovingia

esortava "assai spesso" i mali Giudei, affinché si convertissero. E una volta, durante
una processione "proprio nel santo giorno in cui il S ignore, dopo la redenzione
del l ' umanità, si era gloriosamente levato in cielo, mentre i l vescovo, accompagnato da
un coro di inni, si recava dalla cattedrale alla chiesa, tutta la folla che lo seguiva si
scagliò improvvisamente contro la scuola ebraica, distruggendola dalle fondamenta, sì
che quel luogo venne raso al suolo".
Un atto terroristico? No ! Il giorno dopo il tollerantissimo santo inviò agli Ebrei il
messaggio seguente: "Non voglio costringervi con la violenza a riconoscere il Figlio di
Dio" ; proprio no ! Egli, "pastore delle pecore del Signore", deve soltanto "raccogliere
anche quelle pecorelle che non appartengono al suo gregge, affinché ci sia un solo
Pastore e un solo Gregge. Perciò, se volete credere com ' io credo" - perché di questo si
tratta in tutta la storia infelice della chiesa: tutti devono credere com' essa crede, oppure
andare al diavolo ! - "voi dovete essere un solo gregge ed io il vostro unico pastore;
altrimenti, abbandonate questo luogo". Un messaggio davvero chiaro, magnanimo,
assolutamente cristiano-cattolico. E fu così che alcuni credettero e si lasciarono
convertire da questi metodi "miti"; gli altri, i nvece, "che disdegnarono il battesimo,
uscirono dalla città e si recarono a M arsiglia".
È così semplice: "si recarono a Marsiglia ... ". Gregorio si limita poi a questo commento:
" . . . perché il nostro Dio giammai si stanca di illuminare i propri sacerdoti ..". 5 3
Ovviamente, anche s. Gregorio è decisamente orientato in senso antiebraico, come
spesso traspare dalle sue parole, per esempio quando bolla la "collera", la "malignità"
degli Ebrei e il loro "spirito pasciuto dal sangue dei Profeti", che bramava unicamente
275 di uccidere "ingiustamente il Giusto". Anche s. Martino, il quale compie un miracolo
dopo l ' altro, resta impotente quando viene consultato un medico ebreo, come nel caso
dell ' arcidiacono di Bourges, Leunast, diventato cieco, poi miracolosamente guarito e
infine altrettanto miracolosamente di nuovo cieco: "Infatti sarebbe rimasto sano, se
dopo l ' atto miracoloso di Dio non fosse anche ricorso a quel l ' Ebreo". 54
Il devoto re Guntram, che inveisce contro gli Ebrei definendoli "maligni e sleali" e
attribuendo loro "un cuore eternamente perfido", e che si rifiuta di ricostruire la sinagoga
distrutta poco tempo prima dai cristiani, incontra il P,lauso incondizionato del vescovo
276 Gregorio: "O re magnifico e colmo di saggezza ! " . 55

NOTE

1 Zach 84.
2 Lako 2 1 5 .
3
Hauck, vfr. nota 1 3 .
4
Daniel -Rops, c fr. nota I l .
Note 1 97

Tutti i rinvii alle fonti in E. Demougeot, Gallia I RAC V I I I 894 sgg . , 905 sgg.
/bid. 897 sgg . , 9 1 3 . Hauck7 1 95 2 , I , 5 sg. Gottlieb 26. R . Schneider, Das Franken reich, 84.
Schultze I I 22 8. Daniel-Rops 307 . Ewig, Studien zur merowingischen Dynastie, 5 1 , nota 200. M aier,
Mittelmeerwelt, 3 0 8. Prinz, Adel und Christentum, 5 sgg. I d . , Fruhes Monchtum, 1 44. Richards
2 1 9 . Pirenne, Mohamed und Karl der Grofle, 3 6 .
Greg. Tur. 4 , 4 9 . Hauck' 1 95 2 , I , 1 42 : E w i g , Zum christlichen Kon igsgedanken , 1 9 sgg. I d . , , 4 3 .
Tol ksdorf 8 2 sgg . , 2 5 .
Dopsch I I 206, 2 5 2 . B odmer 5 9 . B o s l , D e r "Adelsheilige", 1 77 . Weigel 86. B u n d 4 3 . Prinz, Herr­
schaftsformen der Kirche, 2 sgg.
10 B o s l , Leitbilder und Wertvostellungen , I O.
" B o s l , ibid. , 1 86. Daniei- Rops 3 1 7 . Cfr. 3 1 4 . Boussard 1 8 . Scheibelreiter, Die Verfiilschung der
Wirklichkeit, 299 sgg. Angenendt, Fruhmittelalter, 2 3 2 . Cfr. anche la nota seguente.
12
RAC VIII, Gallia I 920. RAC XII 902 sgg. ( Vo l l m a n n ) . Dopsch, N uova edizione' 1 96 1 , I I 2 5 3 .
H e i n s i u s 1 4 . Lasko 2 1 5 , 2 8 7 . Sprande l , D e r merowingische A d el, 4 9 . B o s l . ibid. , 1 7 7 . B l e i ber, Das
Franken reich, 1 3 5 sg. Schulze, Vom Reich der Franken , 80.
" Greg . , Vita Patrum, 6 , 2 . RAC VIII, Gallia I 91 O sgg. Lecky, Sittengeschichte I I 1 92 sgg. I n dettag l i o
Hauck I 1 76 sgg . , 1 9 1 , 204 sgg . , 3 8 7 ; cfr. a n c h e 1 9527, I 299. Schubert, Geschichte der christlichen
Kirche, I, 1 5 3 . Marcuse, Die sexuelle Frage, 39. Heinsius 1 3 s g . , 20. ZwOifer 66. Pfi s ter, Gau l .
lnstitutions, 1 45 . Ewig, Der Ma rtinskult, 1 8 . S c h i effer, Winfried-Bonifatius, 5 7 . Steibach, Das
Frankenreich, 22. Boudriot l . Prinz, Heiligenkult, 5 3 2 . I d . , A skese und Kultur, 7 7 sgg. An ton, Trier
im fruhen Mittelalter, 1 3 6 sg. Meyer-Sickendick 1 5 6.
14 RAC X I I 895 sgg . , soprattutto 902 sgg. ( Vo l l m a n n ) . LMA I V 1 679 sgg. (H: H . A nton ) . Thiirlemann
90. Boussard 1 8 . A ngenendt, ibid. , 1 82 sg., 1 92 . Gurjewistch 39 sgg. Anche Banniard esalta Gregorio,
i n Europa , 200 s g . ; m a con qualche riserva come i l "Tac ito dei Merovingi" ibid. , 1 54 sgg. Gregorio
esagera a favore dei Franchi anche senza scrupo l i , per non dire che spesso m e n te ; cfr. Beisel,
Studien, 2 8 7 s g . , nota 4 1 9 .
15 Greg . Tur. 3 , 2 2 : 3 , 2 5 sg. Angenendt, ibid. , 1 8 3 , 1 90 sg. Haendler, Die abendliindische Kirche im
Zeitalter der VOlkerwanderung, 1 3 1 .
16 S i do n . , carm . 2 ; 5 ; 7 . M G . A A . e p p . V I I I!) 1 3 5 sgg . , 1 87 sgg . , 2 0 2 sgg. D e r Kleine Pauly V 1 7 6 .
LThK I X ' 5 3 5 sg. Tusculum Lexikon, 239. B ardenhewer I V 652 sgg. Schubert, ibid. , 1 7 1 sg. Portner
36. Gautier 2 3 7 , 273 sg. Ztil lener, Geschichte der Franken , 1 64.
17 Greg. Tur. 5 , 1 8 . Sin. di Orange ( 5 3 9 ) . Kadziela 30. Maier, ibid. , 220, 3 1 6 sg. Boussard 13 sgg.
Ewig, Die lateinische Kirche, 1 1 2 . C i taz. da Prinz, Die Rolle der lren beim Au.fbau der merowingi­
schen Klosterkultur, 206 sg. Prinz, Fruhes Monchtum, 1 2 1 sgg . , 1 5 2 sgg. I d . , A skese und Kultur, 3 1
sgg. I d . , Herrschaftsformen der Kirche, 1 6. Haendler, ibid. , 1 03 . Cfr. anche 5 0 sgg. Pontal 20, 4 1 ,
67 sgg. Fink 60 sg. Heinzelmann, Bischof und Herrschaft, 3 7 sgg. Kai ser, Kon igtum und Bischofs­
he rrschaft, 94 sg g . M c k i tteric k , The frankish Kingdoms, 42 s g . Orlandis/Ramos-Lisson 2 3 8 .
Angenendt, ibid. , 264. Scheibelreiter, Der Bischof, 1 6 sgg . , scrive anche c h e l ' idea di "nobilis"
dominava l e Vite dei vescovi merov i n g i e che nessuno di loro discendeva da una fam i g l i a veramente
"vulgaris". Vedi pag. 24, 30. Idem . , Der fruhfriinkische Episkopat, 1 34 sgg . : "In realtà sembra che
per uno di basse ori g i n i la carriera ecclesiastica fosse pressoché impossibile" ( 1 3 6 ) . Cfr. anche
Banniard 7 8 sg.
18 S i nod. di Orléans ( 5 1 1 ) can. 1 4 ; 1 5 . S i nod. di Ori . ( 5 3 8 ) can. 20. Sin. di ori. (54 1 ) can. 7; 26; 3 3 .
Molti altri canones d e l genere i n Pontal 247 s g . Cfr. anche Demougeot RAC V I I I 9 0 2 s g . Kaiser,
Bischofsherrschaft., 67 sgg. I d . , Kon igtum und Bischofsherrschaft, 94 sgg. Angenendt, ibid. , 1 7 8 .
S u l "potere cogente del vescovo " cfr. anche Heinzelmann, ibid. , 65 s g .
19 Cfr. ad e s e m p i o S i nod. di Epaon ( 5 1 7 ) ca. 1 9 . S i n . di Ori . ( 54 1 ) can. I l . H G K I I 2, 1 1 2 . Pontal 3 1 ,
4 1 sg. Angenendt, ibid. , 1 7 8 . Goetz, Leben im Mittelalter, 65 s g . , 92 sg. Cfr. anche 1 1 3 s g .
1 98 Note

20 Gregor. l, ep. 5 , 5 0 . RAC X I I 987 s g . , 902 ( B . K. Vol l m a n n ) . Dopsch 1 96 1 2 I I , 2 5 3 . S tern/B artmu s s


60. B l e i ber, Das Frankenreich , 1 3 5 s g . Fink 63 s g . Nonn, Eine friinkische Adelssippe, 1 86 s g g .
Orlandis/Ramos-Lisson 2 3 8 . S u l l a scarsa fiducia di Gregorio verso i l clero mondano, cfr. ad esempio
Scheibelrei ter, Der Bischof, 1 1 5 . Kaiser, Kiinigtum und Bischofsherrshaft, 83 sg. Ovviamente anche
i l latifondo d e l l a chiesa bizantina crebbe continuamente a partire già dal I V secolo; cfr. Winkel­
mann, Die iistlichen Kirchen, 1 3 7 .
2 1 Greg . Tur. 5 ,49. Vit. Patrum, 8 . Cfr. anche l ' i ntroduzione di M . Gebauer i n Gregor von Tours,
Friinkische Gesch ichte I 1 5 . L M A I V 1 679 sg. (Anton). Riickert, Culturgeschichte, II 342 sgg . , 5 1 0
sg. Hauck 1 95 2 7 I 1 27 s g . , 1 36 . Schubert, Geschichte der christlichen Kirche, I , 1 5 1 . Stern/B artmuss
60. Ma ier, ibid. , 2 1 5 sg. Stroheker, Germanentum, 1 95 . Zoll ner, Geschichte der Franken , 1 29, 1 3 2,
1 8 3 sgg . , 1 8 8 . Lautermann 3 2 . Claude, Die Bestel/ung, 1 8 sgg. Prinz, Entwicklung, 2 3 8 sgg. I d . ,
Ade/ u n d Ch ristentum, 3 sgg. I d . , Heiligenkult, 5 3 8 s g g . I d . , Herrschaftsformen der Kirche, 6 s g . ,
1 7 s g . Sprand e l , D e r merowingische A de l, 49. Grau s , Volk, 3 3 8 sgg. I d . , D i e Gewalt b e i d en A nfiin­
gen, 7 1 . Bund 340. Aubin, Stufen, 61 sgg . , soprattutto 74 sgg. Fleckenste i n , Grund/agen und Be­
ginn , 41 sgg. Kaiser, ibid. ,85 sgg. Angenendt, ibid. , 263 sg. ; cfr. 299. Anton, Trier i m Friihmittelalter,
! 55 sg.
22 Hauck I 1 27 , 1 3 7 sgg . , 1 44 . Schubert, ibid. , l , 2 6 0 . B o d m e r 3 9 sg. Pfi ster, Gaul. Jnstitu tions , 1 4 1
sgg. Maier, ibid. , 2 1 7 , 220, 225 . Fleckenste i n , ibid. , 42. Pri nz, Die bischiifliche Stadtherrschaft, 3
s g g . E w i g , Die Merowingerzeit, 6 1 . Grau s , ibid. , 207 s g . , 3 4 3 . H a e n d l er, Geschichte des
Friihm ittelalters, 24. Zol l ner, Geschichte de r Franken , 1 8 2 sg. C l aude, Die Bestellung, 4 . Borst
502. Pontal 1 9 sg., 75. Schneider, Das Frankenreich, 84. Beisel, Studien, 1 45 .
2·' S c h u l tze I I 502 sgg. Mai er, ibid. , 220. Zoll ner, ibid. , 1 8 3 sg. Ewig, Diefriinkischen Teilungen , 703.
B e i s e l , ibid. , 1 66 sgg.
2 4 Greg. Tur. 3 , 1 7 ; 4,5 sgg . ; 4, I l ; 6 , 9 . Sin. di Ori . (549) can. l O. S tamer 24 sg. Scheibelreiter, Der
Bischof in mero wingischer Zeit, 1 49 sgg.
" Cfr. per esempio Sin. di Ori . (533) can. 3 ; 4 ; 7 . Sin. di Clermont (535) can. 2. Sin. di Ori . (54 1 ) can. 3 .
26
B r ii h l , Vodrum, 2 5 , cfr. 1 6 s g . S prande l , Grundbesitz und Verfassungsverhiilnisse, 45 sg. Lasko
2 1 5 . Prinz, Die bischiifliche Stadtherrschaft, l sg. I d . , Die Rolle der lren, 206 sg. I d . , A skese und
Kultur, 30 sgg. Pontal 85. B l e i ber, Das Frankenreich , 1 3 7 .
2 7 Pontal 89 sg.
2" Sin. di Ori . ( 5 1 1 ) can. 35; 538 can. 1 3 ; 54 1 can. 14; 1 8 sg.; 549 c a n . 1 3 ; 1 6 . Sin. di Parigi ( 5 6 1 /562)
can l sg. Sin. di Tours ( 5 6 7 ) can. 25 s g . 4 S i n di Toledo (638) can. 1 5 . Pere l s , Die kirchlichen
Zehnten, 1 4 sgg . , 22. Pontal 89 s g . , 1 30, 250 sgg. Orlandis/Ramos-Lisson 1 1 3 , 1 5 8 , 1 8 3 e pas s i m .
2 9 S i n . di Tours ( 5 6 7 ) . S i n . di M iì c o n ( 5 8 5 ) can. 5 . Pere l s 1 4 sgg. Lasko 2 1 5 . Angenendt, ibid. , 2 1 9 .
Goetz, Leben im Mittelalter, 8 3 . Pontal 250 s g . con rinvii a l l e attestazi o n i . Cfr. anche la nota
precede nte.
Jo Sin. di Epaon ( 5 1 7 ) c an. 8 . Sin. di Ori . ( 5 1 1 ) can. I sgg . ; 5 3 8 can, 14; 54 1 c an. 9 ; 24. 549 can 6 ; 22.
Sin. di Miìcon ( 5 8 5 ) can. 1 6 . Sin. di Auxerre ( 5 8 5 ) c a . 1 6 . Edict. Clothari 6 1 4 can. 1 5 . 4 Sin. di
Toledo (633) c a n . 67. Nehlsen 260 sgg. Beck, Bemerkungen, 447 . Schmidt, Die Ostgermanen, 1 7 6 .
D h o n d t 3 1 . P r i n z , ibid. , 68 sgg. Pontal 2 5 2 sgg. Orl andis/Ramos-Lisson 2 1 6, il q u a l e parla, oltre
che degli schiavi, anche dei "liberti della Chiesa". Ma per come stano le cose con questi ultimi
vedi ibid .. Cfr. anche 230. S u l l ' approvazione biblica del manteni mento deg l i schiavi cfr. di recente
Buggle 1 8 5 sgg.
·" B o s l , Die Unfreiheit, 4. Secondo HEG, 8 5 , la legi s l azione cristiana sul trattamento deg l i schiavi
"già dai tempi di Costantino . . . " si sforzava "di mitigare perlomeno le crudeltà più vi stose". S u l l e
condizioni rea l i v e d i Krim inalgeschichte I , 2 6 5 s g g .
J2 Greg . T u r 5 ,44 ; 6 , 4 6 . P e r le caratteri stiche di Chilperico cfr. , fra g l i a l t r i , R . Wenskus, Ch ilperich /,
in RGA IV 1 9 8 1 , 460 sgg. B l e iber, ibid. , 1 3 8 . Kai ser, Kiin igtum und Bischofsherrschaft, 83 sg.
Note 1 99

" Davidsohn I 67. Cfr. anche Stonner, Heilige der Deutschen Friihzeit, 1 5 sgg.
34 Hauck I 20 1 sg., 3 5 5 sgg. Sch ubert, Geschichte de r ch rist/ichen Kirche, I , 1 66 . Fleckenstein,
Grundlage und Beginn, 4 1 . Marc u s e , ibid. , 3 9 . Pontal 240. Anche i l teologo ( nazista) Lortz,
Bon ifatius 1 3 , defi n i sce lo stato di tale chiesa "oltremodo a l l armante".
35 Greg . Tur. 4,35 ; 5 ,47 sgg . , 6,39; 8 , 2 2 ; 9, 1 4 ; 1 0,26. Menzel I 1 5 2 . Riickert, Culturgeschichte, I I ,
4 6 7 s g . , 5 1 7 . Hauck I 1 3 6, 20 1 sgg . , 3 5 5 sgg . , 3 6 4 . Marcuse, ibid. , 3 9 . Schubert, ibid. , I , 1 66 .
B odmer 49. Neuss/Oediger 1 1 2 , 1 20. Dawson 1 96. A u b i n , Di e Um wandlung, 1 07 . Schieffer, ibid. ,
1 30, 1 3 3 . Lasko 2 1 5 . Grau s , Vo/k, 1 1 5 . Steibach, Das Frankenreixh , 2 3 . Eggenberger 305 . Prinz,
A skese und Kultur, 30. Pontal 233, 244, 252. Scheibelrei ter, Der Bischof, 1 3 2 sgg . , 1 50 sg.
36 Greg. Tur. 2 , 2 3 ; 4 , 3 6 ; 5 , 3 6 ; 6, 1 1 ; 6 , 3 6 ; 8 , 1 2 ; 8 , 2 2 ; 8 , 3 1 . Cfr. anche 5 ,49 sg. ; 6 , 2 2 ; 8 , 3 1 ; 8,4 1 e
pas s i m . Vita Filib. 4 sg. Vita Berechar. 29. Hauck I 1 70, 3 1 3 . Riickert, ibid. , I l , 467 sgg . , 5 1 0, 5 1 4,
6 1 7 . Berr 1 8 sgg. Grupp I 34 1 . Graus , ibid. , 1 1 5 . Scheibelrei ter, ibid. , 1 42 sg.
37 Greg . Tur. 3 , 3 5 ; 4,38; 5,36; 8,20. M G Scr. Merov. V 3 7 sgg. Kel l er, Rec/ams Lexikon, 2 2 8 , 400.
Walterscheid, Heilige Deutsche Heimat, I, 1 8 3 . Bodmer 60 sgg.
'" Greg. Tur. 5,32. Hauck I 1 7 1 . Bodmer 62 sg . , 89 sg. Meyer-S ickendick 1 60. Nel regno merov ingio
del VII secolo era ampiamente d i ffu sa persino l a spoliazione delle tombe . Werner, Femhandel,
586.
39 Greg. Tur. 2 , 1 3 ; 6 , 7 ; 6 , 3 8 ; 5 , 5 . B o d m e r 6 5 .
4 11 Greg . Tur. 4,42 ; 6 , 3 6 ; 7,20; 8,29. M ii h lbacher I 64. Bodmer 65 sg. Scheibelre iter, ibid. , 26 1 . Kai-
ser, ibid. , 59.
41 Greg . Tur. 3 , 1 7 ; 5,36. Cfr. 1 0,3 1 .
42 Vita Desiderii, c . 8 . A cta Theodardi di au tore anonimo, c . 8 sgg. B err 24 sgg.
43 HKG II 2 209.
44 Conti n. Fredeg . 3 . Su Reolus cfr. Flodoard, Hist. Rem. ecc/. 2 , 1 0. Greg . Tur. 6,9; 7 , 1 5 ; 8,39. Hauck
I 3 6 3 . Riickert, i bi d. , II, 500 sg. Hentig I 3 8 9 . Prinz, Klerus und Krieg, 47 sg. Heinzelmann, Bischof
und Herrschaft, 9 1 . Pontal 58 sgg.
45 Greg . Tur. 4 , 7; 4, 1 2 ; 4,3 1 ; 5 ,20; 5 ,40; 9,37; I O, 1 4 . Cfr. anche 8 , 3 4 . Bonif. ep . 7 8 . LThK I V ' 893 sg.
Riickert, ibid. , I I , 499 sg. Petri , Der Rhein, 596. Ewig, Trier im Merowingerreich , 1 4 1 sgg. Deschner,
La croce della Chiesa , 1 8 3 . Meyer- S ickendick 1 5 1 . Heinzelmann, ibid. , 6 1 .
46 Greg. Tur. 4,42; 5 , 20. Cfr. 7 , 3 9 . LThK V I I 1 54 1 . Riickert, ibid. , I I , 502 sgg. Bodmer 6 5 . Ewig, Die
Merowinger und das lmperium, 3 2 sg. Richards 70. Pontal 1 42 sg. Scheibelreiter, Der Bischof,
2 5 3 , nota 7 3 .
47 Grupp I I 305 sg . ; I I I 344.
•• Greg . Tur 6,34, soprattutto 9,39 sgg . , I O, 1 5 sg . , I O, 20. Riickert, ibid. , Il, 522. Neuss/Oediger 1 1 6
s g . Bodmer 66. Ewig, Friihmittelalterliche Studien , 48 sg. Pontal 1 49 sgg. Scheibelrei ter, Konigs­
tochter, l sgg . , 27 sgg. Angenendt, ibid. , 1 7 8 sg. Ennen, Frauen im Mittelalter, 5 3 sgg.
49 Caesar d i Arles, Stat. sanc:t. virg . , c . 5 . Benedic. reg. 59, 1 .
5o S i n . di Macon ( 5 8 5 ) can. 1 5 .
51 S i n . di Epaon (5 1 7 ) can. 1 5 . S i n . di Ori . ( 5 3 3 ) can. 1 9 , 5 3 8 ; can. 1 4, 54 1 ; can. 3 2 . S i n . di Clermont
(535) can. 6 . Sin. di M acon ( 5 8 1 ) can. 583, 1 4 ; 1 5 ; 1 6 . Sin. di Toledo ( 694) can. 8 . A ltaner/S tuiber
495 sg. Orlandi s/Ramos-Lisson 250 s g . , 254 sgg . , 306 sgg . , 320. Cfr. Deschner, Il gallo, 453 sg.
52 S i n . d i Clermont ( 5 3 5 ) can. 9 . S i n . di Parigi ( 6 1 4) can. 1 7 . Cfr. anche Edictum Chlothari.
53 Greg. Tur. 5 , 1 1 : Wetzer/Welte I 566. LThK I' 874.
54 Greg . Tur. I ,20; 5,6. Cfr. anche 6 , 5 .
55 Greg. Tur. 8 , l .
CAPITOLO X.

L'ASCESA DEI CAROLINGI

" . . . con l ' aiuto d i Cristo, Re dei re e S ignore dei signori . . . "
(Fredegari i Continuationes) 1

"Subito i Franchi con navi e giavellotti si gettarono contro di loro,


l i trafi ssero tra i flutti e l i uccisero . E i n fine trionfarono i Franchi sui loro nemici
e conquistarono ricco bottino; dopo aver fatto molti prigionieri,
i Franchi devastarono l a Terra dei Goti con i l loro v ittorioso condottiero.
Le celeberri me città di Nimes, Agde e B éziers fece radere al suolo con case e mura,
gettandovi i l fuoco e dandole alle fiamme ;
distrusse anche i sobborghi e le fortezze del territorio.
E allorché queg l i , i n tutte le sue decisioni guidato da Cristo,
nelle cui mani soltanto trovasi la prosperità della vittoria,
ebbe sconfitto l ' esercito dei nemici, fece ritorno sano e salvo nelle sue terre . . . " .
(Fredegarii Continuationes) 2

"Lo strumento dei Carolingi era la guerra.


Nu l l ' al tro avevano appreso, a n u l l ' altro era stati educati ,
con n u l l ' altro potevano dar buona prova di sé".
(Wolfgang B raunfe l s ) . 3 277
202 L'ascesa dei Carolingi

Nel corso del VII secolo le tre parti del regno, Austrasia, Neustria e Burgundia, divennero
sempre più autonome. Indizio di tale evoluzione è anche l ' affermarsi per questi paesi
delle tre denominazioni, che caratterizzeranno i secoli VII e VIII. Ogni parte del regno
ebbe leggi proprie, e l ' aristocrazia impedì al sovrano la nomina dei funzionari di rango
più elevato, originari delle altre regioni. 4
Per alcun tempo parve addirittura prossima la loro dissoluzione nell ' anarchia
nobiliare. Nessuno dei numerosi sovrani raggiungeva l ' età adulta. Ma nelle sanguinose
controversie fra le parti del regno, i maestri di palazzo e la nobiltà, il maggiordomato
d' Austrasia andò progressivamente occupando una posizione direttiva. Mentre l ' ufficio
dei maestri di palazzo non era divenuto ereditario in Neustria e in Burgundia, tale
tendenza andò sempre più affermandosi a oriente.

SANGUINOSO PRELUDIO COL VESCOVO CUNIBERTO, CON GRIMOALDO,


FIGLIO DI PIPINO IL VECCHIO, E CON S. SIGEBERTO

A partire dal 622 in Austrasia le redini del comando furono nelle mani del maestro di
palazzo Pipino. Dopo che Dagoberto si fu imposto come sovrano unico e nel 63 1 si fu
trasferito da Metz a Parigi, il maestro di palazzo a Metz venne a trovarsi deprivato di
ogni potere e degradato a precettore del figlio del re e Sigeberto III, santo della chiesa
cattolica, fu posto sul trono d' Austrasia ad appena tre anni. Ma il reggente vero e pro­
prio, accanto al duca Ansegiso (figlio di s. Arnolfo, vescovo di Metz), fu già allora il
vescovo Cuniberto di Colonia (623 -663). Già arcidiacono della chiesa di Treviri,
279 diventato vescovo (ovviamente contro la sua volontà) "per opera dello Spirito Santo,
del Sinodo e della volontà del sovrano", Cuniberto come molti suoi pari "a politica!
saint" (Wallace-Hadrill), ebbe un ruolo rilevantissimo nel tardo regno merovingio: guidò
una guerra contro i Wenden, ricevette in dono da Dagoberto il castello di Trajectum
(Utrecht) da lui conquistato, col compito di farne una base di partenza per la conversione
dei Frisoni e, dopo la morte di Dagoberto nel 639, favorì l ' ascesa dei Carolingi.
Con Sigeberto III Pipino subito divenne nuovamente maestro di palazzo in Austrasia
e il vescovo Cuniberto, cresciuto fra Treviri e Metz, dove si trovavano i beni patrimoniali
di Pipino, col quale aveva perciò stabilito da subito buoni rapporti, strinse con lui an­
che "un eterno patto d' amicizia". Trattando tutti i propri "leudes" con abilità e "con
dolcezza", i due si assicurarono la loro devozione duratura. Dopo la morte di Pipino
(640), il figlio Grimoaldo I (il Vecchio), pupillo del vescovo Cuniberto e sostenuto dal
suo grande potere economico e ancor più politico, divenne maestro di palazzo in
Austrasia. In questa posizione, primo della sua schiatta, indirizzò i suoi sforzi alla
detronizzazione della dinastia merovingia a favore della propria famiglia, introducendo
progressivamente l ' ereditarietà del maggiordomato, anche se soltanto nella marca ori e n-
Sanguinoso preludio col vescovo Cuniberto 203

tale, dove nel VII secolo il mestro di palazzo venne definito già "Principe dei Franchi",
"Viceré". 5
Ma tale passaggio di poteri di padre in figlio non fu del tutto privo di eventi sanguinosi ;
in questo periodo si contrapposero soprattutto due gruppi di potere.
A capo dei Pipinidi si trovò Grimoaldo, alleato, oltre che con altri personaggi, anche
col vescovo Cuniberto, con i figli di Arnolfo di Metz, col duca Bobo d' Alvemia e col
duca degli Alemanni, Leutari . L' altro gruppo fu guidato da un certo Ottone, i l cui padre,
il domesticus Uro, era stato scelto da Dagoberto I come precettore del figlio Sigeberto
III; Ottone, tutore del re ancora minorenne, aspirava alla successione nel maggiordomato
contro il figlio di Pipino, Grimoaldo, ed era appoggiato dal duca di Turingia Radulf e
da Fara, il cui padre Crodoaldo, "su istigazione" del santo vescovo Amolfo di Metz e di 280
Pipino, era caduto in disgrazia presso Dagoberto e nel 625 fu assassinato a Treviri per
ordine del sovrano. Per vendicare il padre, Fara si unì al duca di Turingia Radulf, ma fu
sconfitto e ucciso nel 640 da Sigeberto, figlio santo di Dagoberto, (in seguito venerato
quale "signore dei venti" ; le sue reliquie si trovano a Nancy e la sua festa ricorre il l o
febbraio) in una "battaglia selvaggia", probabi lmente fra Magonza e Vogelsberg.
Ciononostante Radulf, inseguito in Turingia, poté registrare una vittoria sulle rive della
Unstrut (affluente di sinistra della Saale; N.d.T.), dove "si racconta che caddero parecchie
migliaia di uomini" (Fredegar). Ma nel 642 o 643 Ottone venne assassinato dal duca
degli Alemanni Leutari, sollecitato da Grimoaldo, intimo amico del vescovo Cuniberto
(in amicitiam constringens); a questo punto nulla poté più ostacolare il maggiordomato
di Grimoaldo, che dominò in Austrasia per 1 4 anni.
Re Sigeberto, dapprima senza prole e sotto la tutela di Grimoaldo, dovette adottarne
il figlio, che assunse il nome merovingio di Childeberto (III): fra i l 660 e il 662 ci fu un
governo avvolto nella tenebra più profonda. Sigeberto stesso ebbe un figlio, Dagoberto
II, e quando il santo monarca (che si rifiutò di unirsi al papa Martino l, santo come lui,
durante la lotta contro il monoteletismo [p. 245 ss.] e vietò ai vescovi di convocare
sinodi senza il benestare del re) nel gennaio del 656 cadde mortalmente ammalato;
Grimoaldo e il vescovo Di do di Poi tiers si incontrarono nell' abbazia familiare di Pipino
a Nivelles, per stabilire una linea di condotta nel caso che il sovrano morisse. 6
Sigeberto, già in punto di morte il l o febbraio del 656 appena ventisettenne, aveva
posto il figlio minorenne sotto la tutela di Grimoaldo. Ma l ' ambizioso maggiordomo
d' Austrasia intraprese allora il suo cosiddetto "colpo di stato", cioé il primo tentativo
di collocare i Pipinidi sul trono franco. Con la complicità di Dido tonsurò il principe
merovingio Dagoberto II ancora minorenne, in modo da assicurare il trono a suo figlio
Childeberto (III); secondo gli accordi, il vescovo Dido dapprima prese con sé a Poi tiers
il legittimo successore al trono Dagoberto, nel 660/66 1 , poi, lo rinchiuse in un convento
irlandese, per toglierlo definitivamente di mezzo. Tuttavia il piano fallì sia per la potente 28 1
e decisa opposizione in Austrasia, sia, soprattutto, per la resistenza dei Franchi di
204 L'ascesa dei Carolingi

Neustria, i quali i ntendevano imporre come unico sovrano il re Clotario III, ancora
minorenne. E così Grimoaldo fu attirato in un tranello, consegnato alla dinastia di
Neustria e imprigionato a Parigi, dove finì sul patibolo nel 662 ; il figlio "adoptivus"
Childeberto fece probabilmente la stessa fine, e in ogni caso passò a miglior vita. Al
suo posto divenne re d' Austrasia Childerico II (662-675), fratello minore di Clotario
III, figlio più piccolo (aveva appena sette anni) della regina Baltilde.
Dopo tre generazioni, nel 662, il ramo maschile dei Pipinidi si estinse, dopo aver
dato un re e due maestri di palazzo. Sopravvissero solo due sorelle di Grimoaldo, la
badessa di Nivelles Gertrude, e Begga, sposata dal 635 con Ansegiso, secondogenito
del vescovo sant' Arnolfo di Metz. L' eredità dei Pipinidi tra Kohlenwald e la M osa
passò agli Arnolfingi stanziati nella regione della Mosella, i cui beni si trovavano intorno
a Metz, Verdun, Tongern e forse anche a Treviri. Il figlio di Ansegiso e di Begga,
chiamato Pipino come il nonno materno (Pipino Il), e la sua discendenza disposero
così del patrimonio enorme degli Arnolfingi e dei Pipinidi e dei possedimenti familiari
nei territori del la Mosa e della Mosella: un potenziale di dominio epocale. 7

••• E MOLn: COSE DEVOTE

Gli eventi politici di quell' anno sono assai nebulosi. Non per nulla la seconda metà del
VII secolo fa parte delle "età più oscure" della storia medioevale. In effetti , con la
conclusione della Cronaca di Fredegar del 643 , le fonti contemporanee tacciono quasi
del tutto. Quindi i rampolli regali merovingi, pressoché tutti minorenni, diventano
fantocci sempre più malleabili nelle mani delle grandi fazioni del regno, non ultime
282 quelle dei discendenti di Arnolfo e di Pipino.
Emerge in maniera più chiara la politica ecclesiastica di Grimoaldo (poi decapitato)
e del suo gruppo, che coltivava stretti legami d' amicizia con le figure più eminenti del
tempo in campo religioso, come i vescovi Desiderio di Cahors e Dido di Poi tiers. Intorno
a1 646/647 il re Sigeberto fece costruire nelle propaggini nordorientali delle Ardenne i
conventi di Stabia (Stavelot) e di Malmédy, nelle diocesi di Maastricht e di Colonia,
per cui fu a sua disposizione un territorio boschivo di dodici miglia.
La madre di Grimoaldo, sant' Iduberga (ltta), fu la fondatrice di un' abbazia familiare
dei Pipinidi, i l chiostro femminile di Nivelles, il più antico d' Olanda; e insieme al
figlio fondarono nel 65 1 anche l ' abbazia di Fosse, a occidente di N amur, per dare
ricetta a quei monaci irlandesi, che il maestro di palazzo Erchinoaldo aveva espulso
dalla Neustria-Burgundia insieme ali ' abate Foillan. Una parte andò a infoltire il convento
"familiare e materno" di Nivelles, "luogo della di sciplina in mezzo a un popolo dedito
alla sfrenatezza" (Hiimmeler), facendone uno dei chiostri misti più famigerati dopo
quelli del l ' antichità cri stiana.
Santa Baltilde ammazza nove vescovi 205

Ne divenne prima badessa la figlia di sant' Iduberga, Gertrude ( "la leggiadra") ,


=

anch'ella santa, sorella minore di Grimoaldo, che si proponeva di essere "ancella e


sposa di Cristo Gesù", consacrando "al celeste sovrano la propria verginità" (Hiimrneler);
una sposa di Dio con rapporti molti stretti anche coi monaci irlandesi, soprattutto con
l ' abate Foillan (manco a dirlo, anche lui santo ! ), il quale, subito dopo l ' espulsione
dalla Neustria, aveva trovato accoglienza presso sant' lduberta e santa Gertrude,
"mantenendo relazioni con l ' abbazia-madre" (van Uytfanghe) ; ma nel 655, mentre
faceva ritorno da Nivelles, venne ucciso nella foresta di Seneffe e gettato nel canale di
scarico di una porcilaia. Fu riportato in pompa magna a Nivelles, e il culto del "martire"
si diffuse dalla Vallonia fino in Renania. 8
Santa Gertrude intanto, che aveva fatto voto di castità fin dall ' età di 1 2 anni, veniva
"consumata dall' ascesi", sì che all ' età di trent' anni fece marcia indietro, e trasmise
quel logorante ufficio di badessa all ' unica figlia di Grimoaldo, la nipote Wulfetrude, in
modo che il tutto permanesse in famiglia. Visse ancora tre anni, "in preghiera e in
penitenza" (van Uytfanghe), poi, durante una messa, seguì in paradiso il santo martire 283
Foillan : il loro culto si diffuse rapidamente per le terre, dal Brabante alla Germania, e
fino in Polonia, e divennero una delle più venerate coppie di santi di tutto il Medioevo.
Giustamente Gertrude fece carriera, prima come patrona dei viandanti (che "al
momento del congedo bevono la "Gertrudenminne"), poi come custode della buona
morte (''Possa Santa Gertrude apprestarti un asilo !"); e a partire dal XV secolo venne in
auge invocarla contro ratti e topi. Nella raffigurazione iconografica ci appare in abiti
monacali o principeschi con corona, copricapo regale e sorci che si arrampicano sul
suo bastone di badessa e si fermano sul suo ventre: simbolo dell ' impurità e del male !
Infatti, erano i topi che "la turbavano durante il suo devoto filare". 9
Costruzioni macchinose e favolistiche, propaganda clericale. Fatto sta che il convento
di famiglia dei Pipinidi, eguale a tanti altri, giovò al potere della famiglia, e quindi si
scontrò con la violenta opposizione dell' aristocrazia neustriana. 10

SANTA BALTILDE AMMAZZA NOVE VESCOVI

Il fallimento del tentativo di Grimoaldo mise fuorigioco per vent' anni i Pipinidi : al
loro posto entrarono in azione Neustria e Burgundia, con la casa regnante più che con
l ' aristocrazia.
Dapprima Baltilde, schiava anglosassone approdata alla casata neustro-burgunda
per merito del maestro di palazzo Erchinoaldo e sposata intorno al 648 a Clodoveo II
(639-657) con "perle preziose comprate a basso prezzo" ( Vita Sanctae Balthildis),
combattè con tutti i mezzi il progressivo indebolimento della monarchia. Il consorte,
invece, con cui aveva generato tre figli, Clotario, Teoderico e Childerico, a quanto pare
206 L 'ascesa de i Carolingi

284 libertino, dissoluto e, negli ultimi tempi, anche pazzo, non ebbe un'influenza concreta;
e quando poco tempo dopo anche il maestro di palazzo Erchinoaldo passò a miglior
vita, Baltilde provvide che non gli succedesse il di lui figlio Leudesio, bensì Ebroino,
latifondista di Soissons, che reggeva de facto anche il maggiordomato di B urgundia; fu
indubbiamente l ' uomo del giorno.
Poiché Ebroino non proveniva dall' alta aristocrazia, la ex-schiava sperava forse di
avervi buon gioco; e quanto meno al principio, con lui e con l ' appoggio dei vescovi
Crodoberto di Parigi, Eligio di Noyon e Audoino di Rouen, fu in grado di perseguire
una politica centralistica: impedì la suddivisione del regno fra i figli e governò la
Neustria-Burgundia esclusivamente in nome di Clotario III, ma dopo la caduta dei
Pipinidi e del maestro di palazzo Grimoaldo in Austrasia, nel 662 assicurò la successione
al figlio più giovane Childerico Il.
Tra il 660 e il 663 Baltilde fece giustiziare in Burgundia l ' arcivescovo Aunemundo
di Lione e il fratello Dalfino, "praefectus" della città, perché il metropolita sobillava
apertamente l' alta aristocrazia burgunda contro la casa reale di Neustria. L' accusa
contestata non parlò solo di alto tradimento, ma anche di tradimento del paese, in quanto
aveva inteso chiamare segretamente nel regno una potenza straniera (extranea gens).
Le fonti ci lasciano soltanto il dubbio se il metropolita sia stato giustiziato a Chalon
oppure assassinato di nascosto. In ogni caso il prete e monaco anglosassone Aeddi
Stefano (Eddins) all ' inizio dell' VIII secolo ci informa che la "novella Jezabel" (che
tuttavia diventerà una santa della chiesa cattolica, festeggiata il 26 gennaio o il 23
febbraio) avrebbe ammazzato non meno di nove vescovi , evidentemente per motivi
squisitamente politici, cioé a causa della loro opposizione alla dinastia di Neustria e
dunque alla monarchia merovingia in genere.
Può darsi che questo numero, che non comprende preti e diaconi, sia esagerato, ma
a quel tempo molti distintissimi vescovi-feudatari potevano esercitare un potere spesso
285 notevolmente superiore ali ' autorità legittima di duchi e conti , e perciò tale da costituire
una minaccia sempre incombente sulla base, anzi sull ' esistenza stessa del potere
monarchi co. Comunque l ' anticlericalismo della regina è fuori discussione, in quanto
intrattenne strette relazioni con diversi prelati (Audoino di Rouen e Crodeberto di Parigi
furono tra i suoi consiglieri) e sostenne con donazioni di terre e denaro e con sussidi in
oro ed argento molti dei già numerosi chiostri neustriani , fondandone inoltre molti
altri . Fu particolarmente munifica con l ' abbazia maschile di Corbie (nella diocesi di
Amiens) o col convento femminile di Cala, Chelles-sur-Marne (nella diocesi di Parigi),
dove dovette entrare da monaca nel 665 al momento della sua caduta e dove morì
intorno al 680. La Vita Balthildis la esalta quale reggente energica e contemporaneamente
ottima cristiana. E infine fu fatta santa. 1 1
Ebroino e Leodegaro, anticristo e successore di Cristo 207

EBROINO E LEODEGARO, ANTICRISTO E SUCCESSORE DI CRISTO

La tradizione ecclesiastica ha bollato Ebroi no come bestia, feccia dell ' umanità, anticristo.
È vero che una fonte lo definisce "uomo per altro valente, ma troppo spiccio nelle
esecuzioni dei vescovi"; tuttavia nemmeno Ebroino fu ostile alla chiesa in linea di
principio, anzi fondò una personale abbazia familiare (il convento di Maria, a Sois­
sons; ca. 667) e fu anche amico di una vita del santo vescovo Audoino di Rouen, che in
qualità di consigliere dei sovrani parigini fu l' ultimo a contrastare efficacemente l' ascesa
dei Pipinidi.
Coltivò poi evidentemente buoni rapporti anche con sant' Eligio, vescovo di Noyon­
Toumai, a sua volta intimo amico del vescovo Audoino. Maestro di palazzo di umili
origini, non si sentì obbligato da ragioni familiari all ' ossequio delle conventicole
aristocratiche, che lo ritenevano, e non del tutto a ragione, un semplice parvenu. Quindi
limitò la loro influenza, attenuò anche quella dei Merovingi, ma perseguì spietatamente
gli interessi della corona e la riunificazione del Regno Franco sotto la guida della N eu- 286
stria. Perciò entrò in conflitto con le sempre crescenti pretese egemoniche della nobiltà
laica e clericale di Neustria e Burgundia, guidata dal vescovo di Autun, Leodegaro
(Leudegarius), discendente dell' alta aristocrazia franco-burgunda, fratello di Gaireno
(Warin), conte di Parigi e nipote del vescovo austrasico Dido di Poitiers, e un tempo
spalleggiato dallo stesso Ebroino. 1 2
Grazie allo zio Dido, Leodegaro divenne arcidiacono a Poitiers, poi probabilmente
anche abate di Saint-Maixent. Dopo che due fazioni aristocratiche di Autun si furono
battute per due anni per conquistare il vescovado, e uno dei candidati era caduto e
l ' altro era stato cacciato in esilio, verso il 662 Leodegaro pervenne all ' ambito seggio
col sostegno della regina Baltilde, diventando una delle personalità politiche più
importanti della Gallia del VII secolo. Quindi iniziò una vita dispendiosa e sfarzosa,
opprimendo con la violenza e il terrore le fazioni avverse e dedicandosi particolarmente
alla venerazione delle reliquie del martire e santo cittadino Sinforiano, lungi dall' imma­
ginare che ben presto sarebbe diventato lui stesso un santo martire. 13
Infatti , la bramosia di potere finì immancabilmente per contrapporre Leodegaro al
non meno ambizioso Ebroino, alle cui tensioni centralistiche quegli si oppose aspra­
mente: le ostilità furono aperte dal vescovo e chiaramente inasprite nelle diverse fasi
della lotta (lotte "di enorme portata per il Regno Merovingio"; Btittner). Ebroino si
sentiva rappresentante della corona contro gli ottimati, e soprattutto avversario dei
separatisti burgundi ; il vescovo Leodegaro fu a sua volta il portavoce dell ' opposizione,
esponente della fazione aristocratica, la quale avversava qualsiasi spinta verso una
monarchia unica.
La morte precoce e inaspettata del sovrano di Neustria Clotario III nella primavera
del 673 fu un duro colpo per Ebroino e determinò una svolta repentina: ali ' insaputa dei
208 L'ascesa dei Carolingi

maggiorenti, il maestro di palazzo pose sul trono di Neustria-Burgundia Teoderico III,


fratello minore del re e secondo figlio di B altilde, fino ad allora relegato a Saint-Denis.
287 A loro volta gli ottimati raccolti intorno al vescovo Leodegaro proclamarono re il fratello
minore di Teoderico, Childerico Il, che reggeva l' Austrasia fin dal 663 , e che trovò un
immediato riconoscimento.
Nell'estate del 673 Ebroino e il suo re soggiacquero alla nobiltà e all ' episcopato: il
maestro di palazzo, tonsurato e monacato, finì nel lontano monastero di Luxeuil sui
Vosgi e Teoderico III, anch ' egli tonsurato, fu rinchiuso a Saint-Denis. Childerico II
d' Austrasia salì al trono e Leodegaro entrò a far parte della sua cerchia più intima. In
una Vita composta da un ignoto monaco di Saint-Symphorien ad Augustodunum (Autun)
prima del 693 si legge che il sovrano riconobbe "che il santo Leodegaro tutti sovrastava
col lume della sua saggezza, sì che lo tenne sempre con sé nella reggia e lo fece mae­
stro di palazzo", e "tutti s' attendevano buona fortuna dali' avere Leodegaro come maestro
di palazzo" .
In realtà Leodegaro non fu mai maestro di palazzo, ma solo stretto collaboratore di
Childerico come "rector palatii", anche se in tale ufficio svolse un ruolo tanto domi­
nante che finì con irritare la corte, tanto più che si permise di criticare persino le nozze
del sovrano con la cugina B ilichilde. Per usare del parole del suo biografo, fu il suo
"antico e maligno nemico a seminare la mala erba della discordia" fra il re e il vescovo,
per cui "l ' odio del diavolo", "l ' invidia dei maligni" si diresse contro il santo del Signore,
e il sovrano "cercò l ' opportunità di uccidere Leodegaro". L' eroico vescovo si recò
coraggiosamente "nel palazzo la mattina di Quaresima e si offerse spontaneamente
come v ittima il giorno della morte di Cristo; il re voleva trafiggerlo di propria mano . . . ",
ma adesso il santo Leodegaro "preferì sottrarsi piuttosto che profanare con la propria
uccisione la ricorrenza della resurrezione di Cristo. Nessuno, infatti, vorrà credere che
abbia avuto paura di morire come martire".
Fattosta che il santo vescovo venne rovesciato durante la Pasqua del 675 e quindi,
come narra la sua Vita, "su proposta dei maggiorenti e dei vescovi" fu a sua volta
bandito nel convento di Luxeuil presso il nemico Ebroino, dove a quanto pare, non
senza qualche maligna riserva mentale, i due divennero un cuore e un' anima sola, tanto
288 che l ' abate dovette separarli per un certo periodo di tempo. 1 4
"Ma la divina punizione di Childerico non si fece attendere", commenta soddisfatto
l ' anonimo di Autun. Il ventenne sovrano si era intanto vendicato di alcuni complici del
vescovo, facendo giustiziare il conte Ettore di Marsiglia e fustigare il notabile franco
Bodilo; ma nella tarda estate del 675 questo partigiano di Leodegaro, insieme con altri
congiurati, durante una battuta di caccia nella foresta di Lognes, la Silva Lauconis,
assassinò Childerico, il figlio di appena cinque anni Dagoberto e la consorte incinta
Bilichilde, "ed è doloroso dirlo", come si legge nelle "Gesta dei re Franchi". Assetati di
vendetta tornarono da ogni parte i prigionieri dei chiostri "come serpenti velenosi attirati
Ebroino e Leodegaro, anticristo e successore di Cristo 209

fuori dalle tane invernali dal primo sole primaverile" (Passio Leudegarii). 1 5
Leodegaro ed Ebroino sopraggiunsero da Luxeuil, ma si separarono subito; Teoderico
arrivò da Saint-Denis, dall' Irlanda Dagoberto II, che una delle fazioni d' Austrasia voleva
porre sul trono. Una cometa annunciò morte e sovversione; e subito dilagò effettivamente
il caos con faide, tradimenti e assassinii quotidiani, e con un tale disordine - scrive il
monaco di Augustodunum - "che si credette nel l ' avvento dell ' Anticristo". Del resto,
come spesso è accaduto e accade, anche allora le cose procedevano in modo piuttosto
torbido . . . fra i cristiani.
Divenne maestro di palazzo il figlio di Erchinoaldo, Leudesio, non Ebroino, il quale
attaccò con l ' appoggio dell' Austrasia i Neustro-Burgundi, impadronendosi con un colpo
di mano della corte regia di Nogent, impossessandosi del tesoro regale a Baizieux e
arrestando il sovrano presso la foce della Somme. Seguì la liquidazione del maestro di
palazzo Leudesio, sostituito da Ebroino, i cui fautori, tra i quali il duca Waimar della
Champagne (poi vescovo e, a quanto pare, infine impiccato), il vescovo Bobo di Va­
lence e il vescovo Desiderato (Diddo) di Chalon, a capo di un esercito mossero nel 676
contro Leodegaro in Burgundia.
Dopo che intorno ad Autun "si fu combattutto valorosamente fino a sera da entrambe
le parti", il santo di arrese: imperterrito e, come narra il monaco biografo, "rinvigorito 289
dal l ' Eucaristia" si recò "nel l ' accampamento nemico, sacrificandosi per i suoi con­
cittadini". lvi fu accolto dai diavoli (come lui cattolici, addirittura anche vescovi) "come
i lupi accolgono un innocente agnello". Ma nessun grido di dolore proruppe dalla sua
bocca "quando gli furono cavati gli occhi dalla testa, ma salmi in lode di Dio"; e allorché,
così accecato e crudelmente mutilato della lingua e delle labbra, per quasi due anni
dimorò nel monastero femminile di Fécamp (diocesi di Rouen), riacquistò miracolosa­
mente la parola e "per mano di Dio miracolosamente ricrebbero labbra e lingua, ed io
stesso vidi come dalla sua bocca fluivano le parole . . . ".
Privato della "dignità" episcopale da un sinodo di vescovi nel 678 e condannato a
morte dal tribunale supremo, per ordine di Ebroino Leodegaro venne decapitato in un
bosco dell' Artois come complice del regicidio; subito dopo venne considerato un martire,
dopo la morte di Ebroino fu venerato come santo e divenne patrono di Lucerna e
naturalmente di Autun; dalle eroiche leggende chiesastiche fu trasformato in "instan­
cabile apostolo di pace", "modello di sacerdote", "adorno di tutte le cristiane virtù".
"La favolistica fece ora accadere una serie di miracoli, per i quali il vescovo non avrebbe
affatto trovato il tempo durante il suo governo. Nonostante le sue ricchezze patrimoniali,
Leodegaro non fondò alcun monastero ... Anche nella sua opera assistenziale per i poveri
si servì del suo, soltanto quando i tesori accumulati non potevano essere politicamente
utili" (Borst).
In verità, solo quando Leodegaro "fu di nuovo nella sua città di Augustodunum per
pascere il proprio gregge" e, minacciato e circondato, sbarrò le porte e fortificò i bastioni,
210 L'ascesa dei Ca rolingi

non avendo nessuna possibilità di sfuggire, solo allora rifiutò ostinatamente di squa­
gliarsela coi suoi tesori, come decanta il nostro monaco, "ma suddivise ogni suo bene
fra i poveri". Un autentico cavaliere di Cristo ! Infine, i fedeli levavano la prece : "Prega
per noi, o santo Leodegaro, benefico confessore di Cristo, affinché riponiamo la nostra
290 speranza soltanto nella croce di nostro S ignore . . . ". 1 6
Eppure allo storico Ewig riesce u n capolavoro scientifico: fa di Leodegaro un seguace
del Cristo, basandosi su un' unica lettera, l ' ultima.
Prigioniero, mutilato, senz' occhi né lingua, dopo l ' esecuzione del fratello e poco
prima della sua, Leodegaro scrisse alla madre frasi di colpo cristianamente devote:
ogni lutto si trasforma in gioia, perché siamo quaggiù "non per odiare, ma per amare.
Nessuna virtù è più perfetta dell ' amore pei nemici, virtù grazie alla quale diventiamo
figli di Dio . . .". Tali sententiunculae non erano mai venute in mente al vescovo, e tanto
meno erano state pronunciate, se non, per così dire, durante i sermoni domenicali.
Persino la sua "Passio" afferma esplicitamente che fu piuttosto contento della fine dei
suoi nemici . Eppure, in nome di quella sorta di canto del cigno costretto dal terrore
della morte, Ewig si permette di sostenere che Leodegaro è "a suo modo e nel suo
tempo nella imitatio Christi" ; "come folgorato" vede illuminarsi quell' epoca di tenebre,
diffidando "dal giudicare i secoli merovingi soltanto dai sanguinosi misfatti, di cui son
piene le cronache".
Naturalmente ci interessa anche l ' eccezione, ma io - qui e ovunque rispettando la
storia ! - preferisco la regola.
La madre del santo, Sigrada, fu imprigionata in un convento; il fratello conte di
Parigi, (presunto) autore dell' omicidio di Childerico Il, era stato già in precedenza
condannato alla lapidazione; alcuni vescovi furono esiliati, altri, come il metropolita di
Lione Genesio, contro il quale tal uni prelati avevano messo in campo un esercito, alla
fine si rassegnarono al fatto compiuto (da Ebroino) ; altri ancora, soprattutto in Neustria,
simpatizzarono col vincitore. Per il resto, gli omicidi non cessarono: "uno dei punti
29 1 culminanti della storia dei franchi nel VII secolo" (Fischer). 1 7

PIPINO Il, "CHE SEMPRE S'AVVENTAVA IMMEDIATAMENTE SUl NEMICI,,."

Il richiamo dalla quasi ventennale reclusione monacale in Irlanda dell ' ultimo merovingio
d' Austrasia, Dagoberto II, nell' anno 676, ad opera del maestro di palazzo Wulfoald,
indubbiamente fu un duro colpo per Pipino II. Egli, infatti, si proponeva chiaramente
di diventare a tutti i costi il maestro di palazzo d' Austrasia, come il nonno Pipino e lo
zio Grimoaldo. Ma non dovette attendere molto: l ' antivigilia di Natale (23 dicembre)
del 679, durante una battuta di caccia a Stenay, nelle Ardenne, presso Verdun, uno dei
figli ammazzò il padre Dagoberto "per dolum ducum et consensu episcoporum" ( Vita
Pipino Il, "che sempre s'avventava immediatamente sui nemici ..." 21 1

Wilfridi). Il maestro di palazzo Wulfoald fece la stessa fine.


Chi più interessati di Ebroino e di Pipino?
Dopo la liquidazione dei due, l ' uomo più potente d' Austrasia era i l dux Pipino,
chiamato Pipino "di Heristal" a partire dal XIV secolo, quantunque Heristal, vicino a
Liegi, citato come bene della corona già in un documento del 722, non sia mai stato
possedimento privato dei Carolingi. Trasfigurato dalle leggende posteriori, Pipino II il
Medio, nipote di Pipino I il Vecchio e del vescovo Arnolfo di Metz, è il progenitore sia
di Carlo Martello che di Carlo "Magno", e inaugura la storia vera e propria dei Carolingi,
i quali ora si impossessano con sempre maggiore arroganza della eredità dei Merovingi.
Quale dux Austrasiorum Pipino, insieme al consanguineo Martino, dux della Cham­
pagne, nella battaglia finale per il potere, è schierato contro Ebroino, con cui si sono
alleati il vescovo Reolo di Reims e gli ex-vescovi Desiderato (detto Diddo) di Chalon­
sur-Saone e Bobo di Valence, già deposti per iniziativa di Leodegaro. Nel 680, a Bu­
chenwald (Bois-du-Fayes), a est di Laon, in una "sanguinosa battaglia, nella quale 292
molti furono uccisi da ambo le parti", il successo arrise a Ebroino, che impose i l
riconoscimento di Teoderico III anche in Austrasia. Pipino riuscì a sfuggire a l vincitore,
mentre Martino venne fatto prigioniero e "ucciso con tutto il seguito" (Fredegarii
Continuationes), benché il vescovo Reolo gli avesse garantito un salvacondotto, giurando
il falso "sopra un reliquiario vuoto" (trucco già usato con successo da Ebroino).
Parve che la Neustria avesse avuto il sopravvento: dopo 1 8 anni di lotte il maestro di
palazzo Ebroino era diventato di fatto signore unico di Neustria e Burgundia, senza per
altro reclamare per sé il trono. Ma già l ' anno successivo alla vittoria militare, questo
tentativo di imporsi anche in Austrasia gli fu fatale: verso la fine di aprile o i primi di
maggio Ermenfredo, un alto funzionario della corte di Neustria, gli spaccò la testa, pro­
prio mentre Ebroino "ali' alba di una domenica si recava alla prima messa . . . ". Ermenfredo
trovò rifugio presso Pipino, che aveva forse organizzato l ' assassinio, dal quale comunque
poté trarre il massimo vantaggio: l ' omicida fu ripagato con un seggio nel consiglio del
re. Nella lotta decennale per il predominio, Pipino si era imposto finalmente contro il
maestro di palazzo di Neustria, anche perché una parte dell ' aristocrazia neustriana era
passata ancora una volta tra le file del maggiordomo d' Austrasia. 1 8
Il successore d i Ebroino, Waratto, tentò u n accordo con Pipino, il quale, invece,
condusse "guerre civili (bella civilia) e molte battaglie" contro il di lui figlio Gislemar;
il successore di Waratto, il genero Berchar, che doveva il posto alla suocera Ansfled,
riattizzò l ' opposizione al discendente di Arnolfo, il cui fronte ribelle fu rimpolpato da
transfughi d' ogni parte, vescovi compresi, come il metropolita Reolo, il quale strinse
adesso un patto d' amicizia con Pipino. I l vescovo e i suoi accoliti consegnarono ostaggi
al maestro di palazzo "aizzandolo contro Berchar e gli altri Franchi" (Fredegarii
Continuationes).
Pipino fu nuovamente a capo dei rivoltosi e nel 687 mosse decisamente dal Kohlen-
212 L'ascesa dei Carolingi

293 wald insieme alla nobiltà d' Austrasia. Come racconta Paolo Diacono, egli era infatti
"uomo di non comune audacia, che sempre s ' avventava immediatamente sui nemici e
li sconfiggeva". Nella battaglia di Tertry, presso la Somme, evocata dalla tradizione
carolingia come evento epocale, Pipino sconfisse l ' armata di Neustria al comando di
Teoderico III e del maestro di palazzo Berchar. Subito dopo si alleò con la vedova di
Waratto, Ansfled, che fece immediatamente assassinare il genero (Berchar), di cui Pipino
divenne successore come maestro di palazzo di Neustria, attenendone in tal modo an­
che il governo; gli annali raccontano che ammise al suo cospetto il re "coi tesori e il
seguito" quasi si trattase di un "pezzo da inventariare". In effetti i re altro non sono
ormai che comparse, pure e semplici marionette, che fino alla metà dell ' VIII secolo
avranno funzioni di governo semplicemente nominali.
Pipino ritorna in Austrasia, lasciando la Neustria al merovingio Teoderico, ma
ponendogli al fianco uomini di sua fiducia e maestri di palazzo a lui devoti, dapprima
Norberto, poi il figlio Grimoaldo. L' altro figlio maggiore Drogo, innalzato al grado di
dux della Champagne, sposa la figlia di Ansfled, Anstrud, vedova di Berchar, assassinato
dalla madre (matrona nobilis et strenua) per fare un favore a Pipino. Come si vede,
tutto viene sistemato nel migliore dei modi. L'eredità dei Merovingi è, de facto, pressoché
raccolta e la schiatta dei Pipinidi inizia l ' ascesa da piccola nobiltà di provincia a domi­
natrice d' Europa. 1 9
Più che a Metz, Pipino preferì risiedere a Colonia, dove la consorte Plectrude (figlia
del futuro vescovo di Maastricht, U goberto) aveva probabilmente fondato il monastero
di Maria del Campidoglio. D ' altra parte lo stesso Pipino, nipote della prima badessa
(Gertrude) della grande abbazia di Nivelles nel Brabante (v. pag. 203 s.), fu partico­
larmente legato alla chiesa e fondatore e protettore di conventi ; particolarmente devoto
di s. Pietro, scelto come suo protettore e patrono, specialmente fra i contemporanei
godette la fama di singolare devozione e la gloria di integerrimo propagatore della
fede. E infatti guerra e clero, bagno battesimale e bagno di sangue, genocidio e missio-
294 nariato furono e sono sempre strettamente connessi.
Lo dimostrano i modi, coi quali Pipino perseguitò i Frisoni e il re Radbod, saldi
nella loro antica fede. 20

IL MISSIONAMENTO ARMATO PRESSO l FRISONI

Come i Sassoni (e i Bretoni), i Frisoni furono i più aspri nemici dei Franchi: per sotto­
metterli soldati e missionari cristiani impiegarono più di un secolo.
Popolo di contadini, pescatori e mercanti, i Frisoni non abbandonarono le sedi
originarie sul Mare del Nord, cioé i territori costieri fra l ' Eros e la Weser, nemmeno
durante le grandi migrazioni dei popoli. Forse vennero parzialmente sottomessi da
Il missionamento armato presso i Frisoni 213

Clotario I verso l a metà del V I secolo; è invece sicuro che nel 630 re Dagoberto
concedette al vescovo di Colonia il castello di Utrecht con l ' incarico di convertirli .
Durante l e sanguinose faide tra i successori di Dagoberto, la Frisia conobbe prosperità
politica ed economica, e alcuni predicatori irlandesi rinnovarono, inutilmente, i tentativi
di convertirl i ; né ebbe migliore fortuna il vescovo Wilfrid di York, vessillifero dell ' os­
sequio a Roma. Ripetutamente cacciato dai colleghi Teodoro e Brithwald, arcivescovi
di Canterbury, cercò conforto a Roma, e nell' inverno del 678/679 cominciò a operare
in Frisia, dove fu benevolmente accolto dal principe Aldgisel, padre del re Radbod. 2 1
Ma il successo dell' operazione giunse solo per mezzo delle armi, pochissimi anni
dopo quel nobile atto d' ospitalità. In totale sintonia con la chiesa, Pipino mosse guerra
ai Frisoni nel 689 e nel 695 , occupando la Frisia occidentale fino ad Altrhein; quindi ,
con l ' aristocrazia franca, trasferì alla chiesa una parte dei territori occupati . Alla fine
gli sgherri armati e altri portatori della Buona Novella ebbero il successo a lungo
auspicato. "Quando il fragore delle armi si spense e Radbod venne respinto da Pipino"
- così si esprime Camill Wampach - "in quei territori affluirono in massa i Franchi in 295
cerca di terre. Il paese invitava alla migrazione . . . ". Non suona male. E l ' ex-professore
di Bonn, soddisfatto, continua scrivendo che numerosi "latifondisti" divennero allora
"benefattori . . . "; non dei Frisoni, ovviamente, ma "di Willibrord . . . Constatiamo che
l ' Apostolo trovò ascolto in vaste cerchie". 2 2
Nemmeno questo suona male. . . per "l' Apostolo dei Frisoni", vale a dire per Willibrord
di Northumbria, discepolo di Wilfrid a York, il quale già l ' anno successivo alla campagna
militare di Pipino, fece la sua comparsa in Frisia con altri undici agit-prop, ponendosi
immantinente sotto la protezione del sovrano franco e predicando d' intesa con lui:
inflisse quotidianamente innumeri perdite al diavolo e corrispondenti guadagni alla
fede cristiana (Beda il Venerabile). È significativo che furono i nobili i primi a disertare
nel cristianesimo.
San Willibrord, già "oblato" all ' età di sei anni e quindi indottrinato a Ripon (presso
York) dai monaci scozzesi, munito di delega papale e sostenuto dall' alta aristocrazia
d' Austrasia, comincò a diffondere la scienza cristiana tra gli ignoranti (pag. 224).
Anversa prima, poi il monastero di Echternach costituirono le sue retrovie; sua mecenate
speciale diventò la badessa Irmina di Oeren, forse madre di Plectrude, la moglie di
Pipino; nel 697 o nel 698 Irmina regalò Echternach a Willibrord. Qualche tempo prima,
durante il secondo viaggio a Roma, papa Sergio I lo aveva nominato arcivescovo,
esaudendo i desiderata di Pipino, cui sorrise l ' idea di un' intera provincia ecclesiastica
intorno a Utrecht, e che stabilì come sede del neo-porporato proprio la rocca di Traiectum
(i .e. Utrecht) "perché la diffusione del Cristianesimo fra i Germani al confine del regno
rafforzava la sua influenza politica" (Buchner). "Dominio franco e missione cristiana
si sostengono a vicenda" (Levison); "Gli interessi politici ed ecclesiastici nella nuova
terra di missione procedevano mano nella mano" (Zw6lfer). Tutto ciò è indiscutibilmente
214 L'ascesa dei Carolingi

provato da molto tempo: prima la spada dei nobili, poi le chiacchiere dei preti e infine
l ' opera comune di dissanguamento.
296 Ma dopo la morte di Pipino (7 1 4 ), il pagano duca dei Frisoni Radbod, che si definiva
anche re, ricacciò i Franchi, riconquistando i territori a ovest di Altrhein: i nsieme al
dominio franco crollò i mmediatamente come un castello di carte anche la chiesa
cristiana. Solo alla morte di Radbod nel 7 1 9 i Franchi penetrarono di nuovo nella Frisia
occidentale: "Il paese invitava alla migrazione ... ". Carlo Martello, che favorì l ' azione
del l ' arcivescovo Willibrord con ricche regalie sottratte al patrimonio del fisco, mentre
tutti gli altri più o meno asserviti furono "adattati", mosse per tre volte contro i Frisoni,
e nel 7331734 riuscì a strappare tutta la Frisia centrale dopo due guerre contro i l duca
Bobo. La Frisia orientale, invece, fu soggiogata solo da Carlo "Magno", insieme ai
Sassoni. 2 3
Camill Wampach (un tempo anche direttore dell' Archivio di Stato del Lussemburgo)
è stato capace di scrivere che dopo "gli esordi felici e promettenti della fede cristiana"
con s. Willibrord, in Frisia si moltiplicarono chiese, battisteri, messe solenni, ecc . ; e
che i Franchi, in "questi territori di confine . . . montavano la guardia agli avamposti del
regno e altri nei loro estesi latifondi, nelle corti signorili ampiamente diffuse e nelle
casatae eressero l' oratorium e le prime basilicae in onore della Madre di Dio e dei
Principi degli Apostoli, dove potevano ritrovarsi per il divin servizio con il loro seguito
più o meno folto di coloni...". 24
Estesi latifondi, corti signorili ampiamente diffuse . . . : non è un cristianesimo ma­
gnifico ? !
E siffatta magnificenza si manifesterà anche in seguito

CARLO MARTELLO: "CON ABBONDANTE SPARGIMENTO DI SANGUE"


E "CON L'AIUTO DI D10"

Il figlio maggiore di Pipino, Drogo, morì di febbre nel 708, e il più giovane Grimoaldo
297 (Il), maggiordomo di Neustria e vero successore del padre, nell ' aprile del 7 1 4 venne
ucciso dal frisone Rantgar nella basilica del martire Lamberto a Liegi, mentre si recava
a trovare il padre, gravemente ammalato nel palazzo di Jupille nei pressi della città.
Quando pochi mesi dopo, il 16 dicembre, morì anche il maestro di palazzo, il predominio
carolingio in Francia corse un grave rischio.
Poco prima di morire, Pipino aveva designato come maestro di palazzo Teudoaldo,
rampollo adulterino di Grimoaldo, allora di appena sei anni, escludendo dalla succes­
sione il figlio quasi trentenne (generatogli dalla bella Calpaida) Carlo, soprannominato
"Martello" (Tudes, Tudites, Martell), appellativo invalso solo nel IX secolo, a simbo­
leggiare la sua attività di massacratore dei nemici. La vedova di Pipino, Plectrude, che
Carlo Martello: "con abbondante spargimento di sangue" 215

i n qualità d i tutrice governava a nome d i Dagoberto III, fece imprigionare a Colonia il


figliastro Carlo Martello, il quale però nell ' estate del 7 1 5 riuscì a fuggire "con l ' aiuto
di Dio", muovendo guerra agli antagonisti neustriani, il maestro di palazzo Raganfredo
e il re Chilperico II (7 1 6-72 1 ), che da monaco si chiamava Daniele. Si tratta, manco a
dirlo, di due cattolici, che poco tempo prima, alleati dei Frisoni e dei Sassoni pagani,
avevano marciato vittoriosamente contro la residenza di Plectrude a Colonia "devastando
insieme quelle contrade" (Fredegarii Continuationes) . 25
Quindi entrò in azione Carlo, "e si verificò un abbondante versamento di sangue da
ambo le parti", come narra la stessa cronaca: i Neustriani, battuti una prima volta nel
7 1 6 nelle Ardenne, a sud di Liegi, e poi nel 7 1 7 presso Vinchy, a sud di Cambrai,
furono inseguiti fino a Parigi. Rientrato carico di bottino, Carlo costrinse subito Plectrude
a cedere Colonia e a consegnare il suo ricco tesoro, e in un primo momento ebbe così il
governo d' Austrasia, poi però diede al paese un re, Clotario IV (7 1 7-7 1 9) , (in verità
totalmente succube della sua volontà), in pratica un antiré del neustriano Chilperico.
Nel 7 1 8 Carlo Martello saccheggiò la Sassonia fino alla Weser e nello stesso anno,
o forse nel successivo, sconfisse un esercito neustro-aquitano guidato dal maestro di
palazzo Raganfredo e dal duca Eude. Subito dopo condusse nuove spedizioni militari
contro i Sassoni, che continuò a combattere ancora nel 738, quando riuscì finalmente a 298
costringere "quegli irriducibili pagani" al pagamento di un tributo e alla consegna di
ostaggi. La nostra fonte recita letteralmente: " . . . irruppe Carlo, quell' uomo audace, con
l ' esercito franco, giunse secondo un piano geniale là dove sbocca la Lippe, oltre le
correnti del Reno, e devastò grandissima parte di quella contrada con abbondante
spargimento di sangue, rese in parte tributario quel popolo selvatico, si fece consegnare
molti ostaggi e ritornò quindi con l ' aiuto di Dio vittorioso in patria".
Intanto aggredì due volte i Bavaresi, e una volta, nel 730, gli Svevi, sottomettendoli
definitivamente; l ' anno dopo condusse quindi due guerre contro l ' Aquitania, che mise
a ferro e fuoco.
Dopo lunghe lotte e gravi rovesci, Carlo fu riconosciuto maestro di palazzo del l ' intero
popolo franco, e alla morte di Clotario IV nel 7 1 9 ottenne dal duca Eude, da lui
nuovamente tollerato, la consegna del merovingio re-fantoccio Chilperico II con tutto
il tesoro regio, tuttavia riconoscendolo rex di Neustria. Costui visse ancora per un anno,
e il "governo" fu allora affidato da Carlo a Teoderico IV, uno strano re, di cui non
parlano le fonti neppure alla sua morte, che conosciamo per puro caso. Dal 737, quindi,
senza più alcun Merovingio a sbarrargl i la strada, Carlo divenne signore assoluto,
inaugurando il vero e proprio Regno dei Carolingi.
Carlo Martello consolidò il suo potere mediante continui massacri : anno dopo anno
discese in campo non per proteggere i confini, bensì per ampliarli , per conquistare, per
asservire. Combattè non solo contro i Neustriani, ma anche contro tutte le popolazioni
vicine: contro gli Alemanni, sui quali nel 725 e nel 730 conseguì sanguinosissime vittorie,
216 L 'ascesa dei Carolingi

lasciando poi al vescovo Pirmino l ' opera di missionamento per rafforzare il proprio
dominio; contro "il selvaggio popolo marinaro dei Frisoni" (''una delle imprese più
importanti della sua vita"; Braunfels) con due campagne nel 733 e 734, quando allestì
persino una flotta per "una sortita navale, col necessario numero di navi" nello Zuidersee,
devastando completamente il paese, uccidendo il duca "loro subdolo consigliere" e
299 abbattendo al suolo e incendiando i sacrari dei Frisoni: il tipico, pietoso modo cristiano
di diffondere la Lieta Novella e, en passant, anche il proprio potere. Combattè inoltre
contro i Sassoni, presso i quali spedì Bonifacio con un personale salvacondotto; e contro
i Turingi, i Bavaresi, i Burgundi, i Provenzali e infine nel 732 contro la "gens perfida"
saracena, gli Arabi. 26

L' IRRUZIONE DELL' ISLAM

L' espansione dei i ' Islam, inizialmente sottovalutata sia dalla Persia che da Bisanzio, fu
l ' evento più significativo del VII secolo, anzi un fenomeno storico del tutto eccezionale:
dopo la migrazione dei popoli germanici: nulla di simile ha determinato più durevolmente
la storia d ' Europa. Infatti, mentre i risultati ottenuti prima dalle scorrerie degli Unni
(lontanamente paragonabili agli Arabi), poi dei Mongoli, furono effimeri, le conseguenze
delle incursioni arabe permangono ancor oggi : "Ancora ai giorni nostri i seguaci della
nuova religione sono insediati in tutti quei luoghi, dove i primi califfi li hanno condotti
alla vittoria. La loro fulminea diffusione, confrontata con il lento progredire del cristiane­
simo, è un autentico miracolo" (Pirenne). 27
L' Islam (secondo l ' uso coranico, la parola significa "sottomissione", "dedizione alla
volontà divi na") era rigidamente monotei stico e perciò combatteva come politeistico il
dogma trinitario cristiano, diffuso e, quindi, rifiutato in Arabia. (Per la verità, Muham­
mad ammise per un certo periodo l ' esistenza di tre divinità, patrocinatrici angeliche
presso Allah, ma poi le abbandonò considerandole un compromesso troppo pericoloso).
L' Islam possedeva talune componenti proprie dell ' ebraismo e del cristianesimo, anzi
era ad essi strettamente connesso, pur con delle caratteristiche proprie (ad esempio, il
consenso a che l ' uomo avesse quattro mogli e innumerevoli concubine), e, come il
cristianesimo, proclamava la prossimità e l ' orrore del Giudizio Finale, il cui mancato
compimento veniva via via rimandato a tempi sempre più lontani; come nel cristiane-
300 simo. In questa nuova, vecchia rel igione si ammettevano inoltre l ' Inferno, gli ombrosi
giardini del Paradiso, il dovere della Fede, la Penitenza e la Preghiera.
L' Islam, che si proponeva di ripristinare l ' antica "religione di Abramo", considerava
Mosè e Gesù non falsi profeti, ma uomini illuminati che non avevano conosciuto tutta
la verità o la cui verità era stata falsificata dai loro discepoli. Appare significativo il
fatto che in un primo momento la nuova fede fu considerata una nuova "Eresia" del
L'irruzione dell 'Jslam 217

cristianesimo orientale (anche gli Scolastici s i mostrano incerti se definire i Musulmani


"Eretici o Pagani". 2 8
Muhammad lbn Abdallah nacque nella Mecca probabilmente intorno al 570, e verso
il 6 1 0 si sentì "chiamato" da voci e visioni dell' Aldilà sul monte Hira. Ma solo dopo il
matrimonio con la ricca e già annosa vedova d ' un mercante, Chadija, della quale era
cammelliere, gli fornì l ' indipendenza economica necessaria alle profezie, alle isterie,
alle allucinazioni visive e auditive e alle sue mistiche rivelazioni . Dopo la morte di
Chadija si concesse le gioie di un ricco harem: per sensibilia ad immaterialia.
Nonostante accenti patriottici localistici, gli esordi furono miserevoli : solo schiavi e
poveri si unirono a Muhammad (vengono m mente i primi seguaci di Gesù). Della sua
stessa famiglia, il fedele padre acquisito e zio Abu Talib restò un non credente fino alla
morte; quindi Dio consentì al suo Profeta di combattere gli infedeli anche con le armi,
e il missionario si trasformò in condottiero. (A partire dal IV secolo tale fenomeno si
era verificato anche fra i cristiani, solo che costoro vi aggiunsero un' ipocrisia assoluta­
mente ributtante, in quando facevano il contrario di ciò che predicavano) . Almeno
Muhammad condusse la sua opera di missione con una violenza dichiarata, all ' inizio
con un po' di razzie, poi con modesti spargimenti di sangue in una sorta di guerriglia
contro la patria infedele. Gli si attribuisce la frase "Finché non si dedicherà alla
coltivazione dei campi, il mantenimento della mia comunità dipenderà dagli zoccoli
dei cavalli e dalle punte delle l ance; quando comincerà a farlo, essi diventeranno come
gli altri uomini" . 301
Nel 622, anno primo dell ' era musulmana, il Profeta fuggì a Medina, lontano dagli
infedeli della Mecca. L' inizio dei suoi allori militari fu costituito dall' assalto ad una
carovana della sua città natale con un contingente di 300 soldati . Ma il suo compor­
tamento fu segnato da quell' atto di fede compiuto a Medina, dove nel 627 fece decapitare
centinaia di ebrei, vendendo come schiavi le loro mogli e i loro figli : un esempio
insostituibile per il mondo cristiano ! Nel 630 si impadronì della Mecca e la "convertì":
fu una vittoria decisiva per l ' Arabia. Nel 632 morì, col capo reclinato sul grembo della
moglie preferita, mentre fervevano i preparativi di nuove campagne militari , e si
moltiplicavano le rivelazioni divine. "Il Paradiso si trova all ' ombra delle spade", così
egli aveva insegnato. 29
Nel 633 ebbe inizio la grande espansione: il suocero Abu Bakr (632-634), diventato
Califfo (= Successore), conquistò i territori confinanti fra il Giordano e l ' Eufrate. E fu
solo un preludio. Col Califfo Ornar (634-644), vero creatore del l ' impero islamico,
continuò la marcia vittoriosa straordinariamente rapida del l ' Islam, soprattutto a spese
del cristianesimo, i cui paesi erano indispensabili ai grandi mercanti isalmici . Si dice
che Ornar abbia affermato : "È nostro compito assimilare i Cristiani, ed è compito dei
nostri figli assimilarne i discendenti , fino a quando esisteranno" . Persino il cattolico
"Handbuch der Kirchengeschichte" lascia intendere più di una volta la relativa tolleranza
218 L'ascesa dei Carolingi

degl i Arabi durante le loro conquiste: "Si dovevano pagare le stesse imposte, ma la vita
ecclesiastica non fu sostanzialmente turbata . . . ; in linea di principio chiese e monasteri
godettero di una relativa libertà.
Dopo un assedio di sei mesi, nel 635 venne conquistata Damasco, nel 636 fu sopraf­
fatta la Siria, nel 638 vennero conquistate Gerusalemme e Antiochia, nel 639 l ' Egitto e
nel 642 la Persia, dopo la battaglia di Nihawad; senza né mezzi né truppe il suo ultimo
re Yazdgard (Jezdegerd) III fuggì da una provincia all ' altra, finché cadde vittima di un
302 attentato nella regione di Merw nel 652. Nel 644 anche il Califfo Ornar era stato ucc;so
a Medina da uno schiavo persiano, ma intanto, in pochi anni, l ' impero bizantino era
stato ridotto a un terzo del suo territorio e, impresa memorabile, Eraclea era caduta
davanti ai suoi occhi.
Anche il successore di Ornar, Othman (646-656), venne assassinato, ma non prima
di aver occupato la Cirenaica nel 647, Cipro nel 649, e nel 654 Rodi, dove a un mercante
ebreo vendette come ferro vecchio il celeberrimo Colosso. La flotta bizantina fu sconfitta
sulle coste della Licia, e persino Costantinopoli si trovò in pericolo, tanto che l ' impera­
tore Costante II (64 1 -668) abbandonò la città e negli ultimi anni (663-668) governò
l ' i mpero dal l ' Italia.
Gli attacchi degli Arabi contro la cristiana Bisanzio e la sua flotta - la migliore del
Mediterraneo e dell ' intera Europa dal l ' VIII all ' XI secolo - furono sempre rintuzzati :
nel 688, nel 672 e nel 677 la marina di B isanzio, costituita da navi meglio costruite e
armate, impose la sua supremazia, soprattutto grazie al "fuoco greco", inventato da
Callinico di Baalbek, che continuava a bruciare anche sott' acqua e s ' apprendeva al
bersaglio, decidendo per decenni l ' esito degli scontri navali ; era, probabilmente, una
mistura segreta di nafta, bitume, pece, zolfo, resina, olio e calce viva, antesignana diretta
della polvere da sparo. Nonostante gli Arabi tenessero sotto assedio da terra e dal mare
per c inque anni (dal 674 al 67 8 ) , assaltandola con estrema violenza, la capitale
del l ' impero d ' oriente respinse ogni volta gli assedianti : e nel 678 il Califfo Muawij ah
dovette firmare una pace svantaggiosa in seguito a una duplice vittoria dei B izantini
per terra e per mare.
Ma la marcia vittoriosa degli Arabi continuò negli altri paesi : Abdul Malik (685-
705 ) e il figlio Walid I (705-7 1 5 ) conquistarono il Turkestan, il Caucaso e il Nordafrica,
dove furono "convertiti" i Berberi ; nel 68 1 fu raggiunta per la prima volta la costa
atlantica del Marocco, nel 697 fu presa Cartagine e nel 698 furono definitivamente
occupate tutte le fortezze del Nordafrica: da Tunisi, la nuova capitale, la flotta degli
occupanti aveva ormai il controllo del Mediterraneo occidentale. Prima della fine del
303 secolo, gli Arabi avevano creato il più vasto impero della storia, più esteso di quello dei
Romani o di Alessandro: l ' impero arabo andava dal Mare d ' Arai al N ilo, dal Golfo di
Biscaglia alla Cina; e in pochi anni la chiesa aveva perduto a favore del l ' lslam i due
terzi dei suoi fedeli. Tutte queste conquiste, fatta eccezione per la S pagna e parte dei
L'irruzione dell'Jslam 219

B alcani, sono ancor oggi islamiche. 30


La penisola Iberica fu colpita per la prima volta nel luglio del 7 1 O da un' avanguardia
araba di circa 400 uomini, rinforzata l ' anno seguente da un esercito d ' invasione di
7.000 soldati, seguiti subito dopo da altri 5.000 combattenti, attraverso lo stretto di
Gibilterra (così denominato dal generale Tariq ibn-Ziyad). In quello stesso anno gli
invasori distrussero con la battaglia di Jerez de la frontera (presso Cadice) il regno
spagnolo dei Visigoti, nel 7 1 5 occuparono tutte le città più importanti del paese e nel
720, varcati i Pirenei, si impadronirono di Narbonne, avanzando infine verso Tours,
per saccheggiare i tesori accumulati sulla tomba di s. Martino.
A questo punto entrò in azione contro gli "Infedeli" Carlo Martello col "vessillo" di
tutto il regno franco: prima della battaglia a nord di Poi tiers, vittoria "spesso sopravva­
lutata in seguito" (Nonn), i due eserciti si fronteggiarono per sette giorni, spiandosi
reciprocamente; ma il 1 7 ottobre del 732 gli Arabi vennero sconfitti e costretti a ritirarsi
in Spagna. Il racconto di Paolo Diacono, che in parte esagera e in parte minimizza, ci
parla di soli 1 500 caduti cristiani e di 375 .000 morti saraceni, fra i quali anche il
comandante e governatore del califfo in Spagna Abd-ar-Rahman. Il tutto, ovviamente
"con l ' aiuto di Cristo" (Fredegarii Continuationes). "Si combattè per il dominio del
mondo fra l ' Islam e la cultura cristiano-germanica" (Miihlbacher); "l' Occidente cristiano
fu salvato dalla marea della barbarie maomettana" (Aérssen) ; insomma, "una vittoria
creativa" (Daniel-Rops); e anche una vittoria che "rivitalizzò il culto di sant' Ilario"
(Ewig).
Carlo Martello continuò a combattere contro gli Arabi nel 735, 736, 737 e 739;
continuò le sue scorrerie in Aquitania, "il Gotenland", in Provenza e nella Narbonensis. 304
Dopo la violenta conquista di Avignone, ordinò l ' uccisione di tutti i suoi difensori ;
distrusse Nimes, compreso l ' antico anfiteatro romano, e lasciò in rovine Agde e Bé­
ziers. "Fece radere al suolo città famose ... , e le case e le mura, cui appiccava il fuoco
riducendole in cenere; distrusse anche le periferie e le fortezze di tutta la regione. Quando,
sempre guidato da Cristo, che solo concede la grazia della vittoria, sconfiggeva gli eserciti
dei nemici, ritornava sano e salvo nella sua terra, il paese dei Franchi, sede del suo
potere". 3 1 - Alla faccia della barbarie maomettana e della cultura cristiano-germanica ! !
Dopo ogni campagna Carlo, come già il padre Pipino di santa (?) memoria, s ' affrettava
verso casa "coi tesori", "con molti tesori", "con gran quantità di bottino", "con ricco
bottino di guerra", "con enorme bottino e molti prigionieri", ecc. ecc. Sempre, natu­
ralmente, col "soccorso di Cristo", e "con l ' aiuto di Dio" ; e sempre, altrettanto ovvia­
mente, "in pace" . . . , dopo la razzia omicida (e in attesa della prossima). Dopo u n ' i ntra­
presa rapinosa starordinariamente fortunata contro il sud, il seguito delle cronache del
cosiddetto Fredegar così racconta: "Vittorioso e in pace ritornò in patria con l ' aiuto di
Cristo, il Re dei Re, il Signore dei S ignori . Amen". 32
Ma Carlo infierì anche contro la sua stessa famiglia (fatta eccezione del suo grande
220 Note

prete): nel 723 eliminò i due figli di Drogo, figlio a sua volta di Pipino il Vecchio,
Arnolfo e Godofredo, che evidentemente ostacolavano la sua sete di potere; al contra­
rio, il loro fratello Ugo, arcivescovo di Rouen, vescovo di Parigi e Bayeux, abate di St­
Wandrille e Jumièges, fu ricoperto di sinecure, soddisfatto com' era del suo grasso
benessere e assolutamente innocuo (per Carlo). 3 3
Il primo "Carolingio", in pratica i l dominatore di tutto i l regno tra i residui e insigni­
ficanti sovrani merovingi, nelle fonti viene definito dux, princeps; talvolta i papi lo
chiamano patricius e subregulus; da parte sua si considera ufficialmente "maior domus".
305 Poiché "l' uomo abile", "l' uomo audace", "il combattente eccelso", "il grande guerriero",
"il soldato eccellente", "il condottiero trionfante" finanziò le sue innumerevolnarnefi­
cine anche col patrimonio della chiesa (dalla ricerca storiografica spesso falsamente
definita "secolarizzazione"), passò alla memoria dei posteri come diabolico predatore
della chiesa. In realtà, Carlo Martello fu tutt' altro che ostile alla chiesa e al clero, come
vollero dimostrare eminenti propagandisti del cristianesimo quali Pirmino, Willibrord
306 o Bonifacio, al quale dedicheremo ora la nostra attenzione. 34

NOTE

Continua/. Fredeg . , 1 5 .
2 I b i d . , 20.
' Braunfe l s , Karl der Groj3e ( 1 99 1 ), 3 2 .

Lasko 2 1 4 . Ewig, Die friinkisehen Teilungen , 693 .
' Fredeg. 4,85. LTh K I X ' 548. Miihl bacher I 4 1 sg. Ewig, Die Merowinger, 1 63 . B l ei ber, Das Franken­
reich , 1 6 1 . Ebling 54 sg. Wal lace-Hadri l l c i t. da M ii l ler, Bisehof Kunibert von Koln , 1 67 sgg . , 1 79,
1 84 sgg. S c h u l ze, Vom Reich der Franken , 8 2 . Cfr. anche l a nota seguente.

Fredeg. 4 , 8 6 sgg. LThK I X ' 548. LMA I V 284, 1 7 1 7 . Kiih ner, ibid. , 42 sg. M ii h l bacher I 4 3 . Ewig,
ibid. , 1 43 , 1 45 sg. Friese 1 64 sgg. B l e i ber, ibid. , sg. I n o ltre cfr. l a nota seguente.
7
Lib. Hist. Frane. 4 3 . Vita Wilfr. , c. 28 ; 3 3 . Vita Gertrudis, c. 6. Sigeberti Chron iea a n . 6 5 6 . LTh K '
5 4 8 . L M A I V 1 7 1 7 . Zwiilfer 7 9 s g . , 82 sgg. Neuss/Oed iger 7 6 sgg . , 1 27 s g . , 1 30 . B ii ttner, A u s de n
Anfiingen , 1 64 . Liiwe, Deutsch/and, 7 3 , 75 sg. Mai er, Millelmeerwelt, 3 2 3 . Lasko 2 1 4 . Sprigade,
Di e Ein weisung, 23 sgg. Id., A bscheiden , 1 5 2 . Secondo Fi scher, Der Hausmeier, 66 sgg, l a rinuncia
di Dagoberto fu volontari a . I nvece, a rag ione, Sprigade, A bschneiden, 1 5 1 sgg. Pri nz, Entwieklung,
239 s g . , 250 s g . Ewig, Die Merowingerzeit, 59 sgg. I d . , ancora una volta s u l colpo di stato di
Grimoaldo, 454 sgg. Id., Die Merowinger, 1 54 sgg . , 1 5 6 sg. 1 63 . Schulze, ibid. , 8 3 sg. S te i nbach,
Das Franken reich, 3 9 . Braunfe ls , ibid. , l, 25. Schneider, ibid. , 1 7 sg. Blei ber, ibid, 1 6 1 sgg. B u n d
2 9 7 s g g . B u tzen 4 0 sg. Meyer-Sichendick 1 63 .

L M A IV 604 s g . , 1 35 6 sg. (van Uytfanghe). M ii h l bacher I 4 3 . Prinz, FrUhes Miinehtum, 1 85 sgg . ,
2 7 8 s g . , 3 5 9 . Werner, Zu r Verwandtsehaft, l sgg.

LMA IV 604 s g . 1 3 5 6 (van Uytfan g h e ) . Kel l e r, Reclams Lexikon, 2 2 8 s g . Fichti nger 1 40 s g .
H ii m meler 1 3 9 sg. Schnei der, i bid , 1 7 .
"' LMA IV 1 3 5 6 .
11
Lib. Hist. Frane. 44. Coni. Fredeg. l sg. Vita Balth . 2 , 1 0. LThK 1 1 1 3 5 sg. LMA l 1 39 1 sg . ; I I I 1 5 3 1
Note 22 1

s g . Mayr-Harting 1 3 9 sgg. B le i ber, ibid. , 1 5 8 sgg. Ewig, Die Merowinger, 1 49, 1 5 3 sgg.
12 Raccolta delle fonti su Ebroino i n B. Kreusch n e ll ' I ntroduzione a l l e Passioni di Leudegarii, SS rer
me r. V 249 sgg. Pass. Leud. I I c. l . Vita Elig. c. 56. LMA I 1 1 96 s g . , 1 829 sg. Ewig, Die Merowinger­
zeit, 60. I d . , Di e Merowinger, 1 5 2 sgg . , 1 60. Fischer, ibid. , 7 sg . , 76 sgg . , 1 09 sgg . , 1 74 sgg. Zoll­
ner, Die politische Stellung, 1 1 5 sg., 2 1 4 sg. Steinbach, ibid. , 3 9 . B l e i ber, ibid. , 1 5 9 , 1 63 . Schulze,
Vom Reich der Franken , 84.
' -' Pass. Leud. I c . l sgg . ; I I c . 3 . LMA V 1 8 8 3 : Hauck I 3 5 7 s g . Fi scher, ibid. , 1 05 sgg. Prinz, A skese
und Kultur, 83 sg. Borst 502 sg. Ewig, Die Merowinger, 1 60 . Pontal 1 97 sgg.
14 Lib. Hist. Frane. 45 . Con t. Fredeg . 2 . Pass. Leud. I c . 4 sgg. ; I I c . 7 . Vita Filib. c . 24. LMA I I I
1 5 3 2 ; V 1 8 8 3 . Hauck I 3 5 7 sgg . B ii ttner, Geschichte des Elsafl, 6 9 . Lowe, ibid. , 7 6 s g . Mai er,
Mittelmeerwelt, 324. Ewig, ibid. , 1 60 s g . , 1 65 . I d . , Die Merowingerzeit, 60. Sprigade, ibid. , 3 2 sg.
Fischer, ibid. , 1 08 sgg . , 1 1 9 sgg . , 1 42 sgg . , 1 7 8 sg. Zollner, ibid. , 2 1 5 . Borst 503 . Ebling 1 3 1 sg.
B l e i ber, ibid. , 1 63 sg. Steinbach, ibid. , 3 9 .
15 Cont. Fredeg. 2 . Lib. Hist. Frane. 45 . Pass. Leud. 7 . Vei a n c h e la n o t a seguente.
'" Lib. Hist. Frane. 4 5 . Con t. Fredeg. l sg. Pass. Leud. I c . 1 5 sgg . , 29, 3 1 sgg. LMA III 1 5 3 2 ; V
1 8 8 3 . Vogel II 3 5 1 sgg. Hauck I 3 5 9 sgg. Sprigade, A bschneiden, 1 5 3 sg. I d . , Die Einweisung, 37
sg. Maier, ibid. , 3 24. Ewig, Die Merowingerzeit, 60 sg. I d . , Die friinkischen Teilungen , 2 1 3 sgg.
I d . , Die Me rowinger, 1 65 s g g . Wal l ac a - H adri l l , The Longhaired Kings, 2 3 6 s g . S c h n e i der,
Kon igswahl, 1 65 s g . Steinbach, ibid. , 40. Borst 503 s g . Schulze, Das Reich der Franken, 84 sg. Per
Fischer, Der Hausmeier Ebroin, 1 36 sgg . , i l vescovo Leodegaro fu " l ' anima autentica della congiura",
tuttav i a non ebbe nulla a che fare con gli assassi n i i . Scheibelreiter, Die Veifiilschung der Wirklichkeit,
3 1 0 sgg . ; I d . , Der Bischof, 227, dimostra "una molteplice partec ipazione di vescovi a l l e azioni
m i l i tari nel VII secolo".
17
L M A III 1 63 2 . Ewig, Die Merowinger, 1 67 sgg. S u l l a Passio cfr. Scheibelrei ter, ibid. , 307 sgg . ,
soprattutto 309. Cfr. anche la nota seguente.
18
Lib. Hidt. Frane. 45 sgg. Con t. Fredeg. 3 sg. Pass. Leud. l c. 20, 25 s g . , 3 7 . LMA I I I 430, 1 5 3 1 sgg .
Vit. Wilfr. c. 3 3 . Miihlbacher I 3 7 , 44 s g . Buchner, ibid. , 1 63 . ZwOlfer 74. Ebling 1 42 sg. Wal l ace­
Hadri l l , The longhaired Kings, 2 3 8 sg. Ewig, Die Merowingerzeit, 6 1 . Id., Die Merowinger, 1 7 1
s g . , 1 84 sgg. Maier, Mittelmeerwelt, 234. Fischer, Der Hausmeier Ebroin, 1 4 1 , 1 48 s g . , 1 5 8 sgg.
Steinbach, Das Frankernreich , 40. B u n d 3 1 7 sg. Meyer-S ickendick 1 5 7 sg.
19
Lib. Hist. Frane. 47 . Cont. Fredeg. 4 sg. Pau l . Diac . , Hist. Lang . 6 , 3 7 . Taddey 292, 943 sg. LMA I
1 93 1 I I I 1 404. Mii h lbacher I 45, 4 7 . H a ller, Entstehung der germanisch - roman ischen Welt, 306.
Ewig, Die Merowinger, 1 7 2, 1 84 s g . B l e i ber, Das Frankenreich , 1 65 . Schulze, Vom Reich der
Franken , 1 84 sg .

Cont. Fredeg. 5 . Codex caro[. ep. l ; 3 3 . Taddey 943 sg. M ii h l bacher I 45 sg. Zwolfer 82 sgg. Maier,
ibid. , 250, 323 sgg. Pfister, G a u l . Narrative of Events, 1 27 . S tern/Bartmuss 65. Lasko 2 1 4. Hauck,
Ein Utrechter, 734. Prinz, Entwicklung, 240 sg . , 248. Tel lenbach, Europa, 395 sg. Steinbach, ibid. ,
40 sg. B l e i ber, ibid. , 1 65 . Ewig, Das Merowingerreich , 6 1 .
21
Vi t. Wilf. (MG SS re r. Merov. 6, 1 20). Cfr. anche Beda, h. e . , 5 , 1 9. LThK X ' 886. Levison, Aus rheinischer
undfriinkischer Fruhzeit, 268 sgg., 3 1 5 sg. Schmidt, Die Westgermanen, 7 1 , 76 sg., 83. Più in dettaglio
Alberts 634 sgg . Inoltre Zollner, Die politische Stellung, 1 78 sgg. B leiber, Friinkisch-karolingische
KIOster, 1 27 . Petri , Der Rhein, 603 . Schieffer, Winfried-Bonifatius, 96. Dobler 1 1 7 sg.
22
Wampach, Das Apostola!, 247 sgg. Oggi si è più "se n s i b i l i " , più espert i , "più scientifi c i " , e si
parla, ad esempio, di "occupazione di terre", "ampliamento dei possedimenti". Cfr. HEG I 1 3 6 .
" B e d a , h . e . 5 , 9 sgg. Lib. pont. Vita Segii, 1 6 . Vita Willibr. c . 9 s g . Cont. Fredeg. 1 7 . LThK X 2 1 1 66 .
Neuss/Oed iger 1 3 6 sg. Zwolfer 8 1 sgg. Lev ison, England, 4 9 s g g . , 5 3 sgg. I d . , Aus rheinischer und
friin kischer Fruhzeit, 268 sgg . , 3 04 sgg . , 3 1 4. Wampac h , ibid. , 244 sgg. B iittner, Mission und
Kirchenorganisation, 462. B u c hner, ibid. , 1 63 . Lowe, ibid. , 82 s g . , l 08 sg. S tern/B artmuss 7 1 , 7 3 ,
222 Note

7 6 . S c h i e ffer, ibid. , 96 sgg . , 1 34 s g . B 1 e i ber, ibid. , 1 27 s g . , 1 30 sg. Fritze, Entstehungsgeseh iehte,


1 40 s gg . , 1 45 sg. Tel lenbach, Europa, 401 . A lberts 647. Hauck, Ein Utreehter, 734 sg. Pri nz, Die
En twieklung, 24 1 . S te i nbach, Das Frankenreieh, 4 1 ,43 , 3 6 sg. F1askamp, Die friihe Friesen- und
Sachse n m i ssi o n , 1 8 5 sgg . , 1 94 .
2 4 Wam p a c h , i b i d . , 249, 2 5 2 .
2'
Pau l . D i a c . , Hist. Lang. 6 , 4 2 . Lib. Hist. Frane. 50 sgg. Cont. Fredeg. 6 sgg. LMA I I 1 8 25 sg . , 1 87 2 ;
I I I 1 404; I V 1 7 1 7 sg. S u i matri moni di Pipino I I cfr. Konecny 47 s g . , 5 0 .
26
Lib. Hist. Frane. 52 sg. Cont. Fredeg. I O sgg. LMA II 1 8 25 s g . , 1 87 2 ; IV 1 7 1 7 sg . ; V 954 sgg.
M ii h l bacher I 5 1 s g . , 54. Liiwe, ibid. , I I I sgg.
27
Pire n n e , Geburt des A bendlandes. C i tato da Kornemann, Weltgeseh iehte, I l , 462 sgg.
2"
L M A V 680. HKG I I 2 , 89. Ploetz 6 8 . Kornemann I I 468. Dawson 1 46 sg. Maier, ibid. , 263 sgg.
Gauss 278. Gabri el i 3 3 7 sgg.
2'' LMA III 835. HEG I 324 sgg. Ploetz 6 8 . Kornemann I I 467 sgg. Carte ll ieri I 93 sgg. Daniel-Rops

4 1 0 sgg. Cahen I 14 sgg. Gabrie 1i 335 sgg. Bevan 404 sgg. A n tes 38 sg. con n u merosi rimandi al
Corano. Wagner, Der Einbrueh des /slam , 234 sgg .
.1n L M A l 8 3 5 sgg. HEG I 3 3 0 sgg . , 3 3 7 sgg. H G K II 2,9 1 sg. Kornemann II 467 sgg . , 482 sgg. Von
S c h u bert, Geschichte der ehristliehen Kirehe, I, 226 sg. Stadtmiiller 1 02 s g . , 1 05 s g . M a ier, ibid. ,
259 sgg . , 268 sgg . , 2 8 2 , 348. Montgomery I 1 47 , 1 50. Berteaux 5 3 . Dawson 1 48 sgg. Eickhoff 1 43
sg. H u nger I l . Gabrie1i 3 5 7 sgg . , 364 sgg . , 374 sgg. Cahen I 2 1 sgg . , 32 sgg. Danie1-Rops 4 1 8 sgg . ,
4 3 3 s g g . Mango 1 06 s g g . Oates 3 8 . Angenendt, ibid., 2 3 3 . Wagner, ibid. , 3 3 0 sgg . , 3 3 7 s g g . M eyer­
Sickendick 1 90. Maza1, Da.� byzan tinische Reieh, 354. S u l l e ragioni del l ' espansione araba cfr. , ad
esempio, W. M. Watt 1 5 sgg. C i rca il fal l i mento del cristianesimo i n Afric a G . Haendler, Die abend­
liindische Kirche, 1 23 , sottolinea a rag ione che l ' Occidente ha avuto scarsa "partec ipazione al
tramonto di questa Chiesa u n tempo così importante".
" Con t. Fredeg . 1 3 ; 20. Pau l . Diac . , Hist. Lang. 6,46. Taddey, Lexikon , 914. LMA V 954 s g . (Nonn ) .
Miihlbacher I 3 3 sgg . , 48, 57 sgg. Ewig, Der Martinskult, 2 5 . Aerssen 1 03 . Danie1-Rops 4 8 7 . Buchner,
ibid. , 1 64 . Pirenne, Geburt des A bendlandes, 204. Lasko 2 1 4 . Maier, ibid. , 326. Steinbach, ibid. ,
4 5 . S c h i e ffer, ibid. , 2 7 . Braunfe l s , Kar/ der Groj3e, I, 25 sgg . , 3 2 . H 1 aw itschka, Die Vorfahren 6 3 .
Watt 1 2 .
J2
Coni. Fredeg . I O sgg . , 1 5 , 1 8 sgg .
. B M ii h l bacher I 5 3 . Angenendt, ibid, 263 .
J•
Coni. Fredeg . 1 4, 1 8 , 20. LMA V 9 5 5 .
CAPITOLO XI.

SAN BONIFACIO, L' "APOSTOLO DEI TEDESCHI" E DI ROMA

"The greatest Englishman" . (Titolo di u n ' antologia di Timothy Reuter) 1

"Aveva u n ' indole finissima, si potrebbe quasi dire tenera, affatto impetuosa.
Un uomo di puri ssimo, alto ideal ismo".
(Wi lhelm Neuss) 2

"Inoltre ogni storico, anche ateo, dovrebbe ammettere che . . .


B onifacio c i h a spalancato l a porta, che grazie a l u i consente
di spostare u l teriormente verso Oriente i confini d ' Europa.
Lo stesso vale per l a guerra di Carlo contro i Sassoni" .
( K . Konig/K. Witte) 3

"Bonifacio . . . , che ha esercitato sulla storia d ' Europa u n ' i nfl uenza più profonda
di qualsiasi altro Inglese dopo di l u i . . . , [fu ] non solo un missionario,
ma anche uno statista e un genio del l ' amministrazione,
e soprattutto un servitore del l ' ordinamento romano" .
(Christopher Dawson) 4

"La magnificenza del Medioevo dipende in buona parte dalla sua opera . . . " .
(Il teologo cattolico Joseph Lortz) 5 307
224 San Bonifacio, «apostolo dei Tedeschi»

Intorno ali ' anno 680, presumibilmente ali ' età di sette anni, l ' anglosassone Wynfreth
(Winfrid), a Roma chiamato in seguito Bonifatius, fu dal padre rinchiuso in convento
come puer oblatus. "Ma nel convento" - scrive un dotto tedesco - "al quale era stato
affidato senza la sua esplicita volontà, il fanciullo divenne uomo di singolare e personale
forza di volontà" (Schramm). Proprio in convento? Come se Bonifacio non fosse stato
per tutta la vita servilmente succube di Roma !
Il prete Willibald, nella Vita Bonifatii, opera ampollosa e retorica scritta nell' VIII
secolo a Magonza, sostiene che il suo eroe coltivò in convento "studi scientifici", al
fine "di acquistare la beatitudine eterna". Nella primavera del 7 1 6 si recò con tutta la
sua scienza presso i Frisoni , predicandovi indisturbato. Ma poiché mancò il potere
militare dei Franchi e quindi un sostegno politico, non ebbe successo e abbandonò "la
poco fruttifera terra dei Frisoni . . . , arida contrada languente, priva della fecondatrice
rugiada celeste" ( Vita Bonifatii) . 6
Ma Bonifacio partì subito per un' altra peregrinatio propagandistica, questa volta
con un "pieno mandato missionario" di Roma: il 1 5 maggio del 7 1 9 papa Gregorio II
(7 1 5-73 1 ) gli conferì l ' i ncarico "di svolgere la milizia a pro del Regno di Dio . . . presso
tutti i popoli preda dell' errore della miscredenza", per indagare, come aggiunge il
biografo Willibald, lui sì , fertile di poesia, "se gli agri incolti dei loro cuori potessero
essere dissodati dal vomere del Vangelo" . E Bonifacio si mise all ' opera "con una gran
quantità di reliquie, simile alla saggia pecchia, che pei campi prilla secondo l ' usato
309 costume, col soave ronzio delle ali volteggia sulla copia d' erbe fragranti e con naso
indagatore scopre dove la dulcedine mellea del nettare s' asconde" . 7

LIBERAZIONE DA "OGNI SUDICIUME" IN ASSIA, TURINGIA E SASSONIA -


E UN PO' DI SPARGIMENTO DI SANGUE

Per desiderio esplicito del pontefice "il più grande degli Inglesi" cercò quindi la dulcedine
mellea del nettare presso gli Assiani e i Turingi : i pri mi erano ancora in gran parte
pagani, i secondi - presso i quali i conquistatori franchi avevano costruito le prime
chiese nelle proprie roccafori - erano ridiventati pagani a causa delle scorrerie dei
Sassoni e di una istintiva reazione pagana. Comunque, Bonifacio conobbe rapidamente
un nuovo fallimento anche qui, a dispetto della sua miei osa dottrina, in parte per colpa
dei vescovi e dei preti cristiani e in parte per la mancanza di appoggio militare.
Sempre nel 7 1 9 lasciò la Turingia e si recò - "colmo di gioia profonda" per la morte
del duca Radbod - in Frisia, dove si pose al servizio del vecchio missionario Wi llibrord,
come lui "oblato", cioé spiritualmente violentato fin da bambino.
Sostenuto dal l ' alta aristocrazia franca e dalla violenza delle armi (sempre franche),
fin dal 690 Willibrord aveva propagandato i tesori della sua scienza fra i Frisoni
Libe razione da "ogni sudiciume" 225

d' Occidente, sottomessi da Pipino II, e, anche per un breve periodo e senza alcun
successo, fra i Danesi e i Sassoni (v. pag. 2 1 2) . Con evidente scarsa propensione al
martirio, fuggì da Radbod, e tornò solo dopo la morte del duca. Furono le vittoriose
campagne di Carlo Martello del 7 1 8 e del 720 (e poi del 722 e 724) contro i Sassoni a
consentire l ' inizio della cristianizzazione, la liberazione dai "demòni", "dalle false
credenze" e "dal l ' i nganno diabolico" (a diabolica fraude ; Gregorio Il). Invocando la
Santa Trinità, Willibrord distrusse gli "idoli", profanò e devastò i templi , uccise gli 310
animali sacri e operò mirabolanti miracoli. Insomma, in combutta coi soldati Pipino e
Carlo Martello, estirpò "la mala erba della miscredenza", si sforzò "di rinnovellare col
battesimo questo popolo solo da poco soggiogato dalla violenza delle armi" e di
diffondere "senza indugi tutta la luce del vangelo" (Aicuino).
Nel 72 1 Bonifacio si separò da Willibrord per ragioni a noi sconosciute; dopo essersi
rifiutato di farsi consacrare vescovo da Willibrord, tornò al confine fra Assia e Turingia,
dove fondò un piccolo monastero ad Amoneburg.
È significativo che in Assia centrale e settentrionale si riscontrino tracce di
cristianesimo precedenti l ' opera di Bonifacio solo presso le grandi installazioni fortificate
o nelle loro immediate vicinanze. Così nel 72 1 anche Amoneburg, un' alta rocca franca
a est di Marburg, fu il primo avamposto missionario di Bonifacio, come il castello di
Hammelburg sulla Saale era stato nel 7 1 6 la base di Willibrord per il missionamento in
Turingia. Altri conventi, sempre contemporaneamente anche postazioni e capisaldi per
il controllo militare e politico della Turingia, furono i monasteria di Fritzlar in Assia,
vicino alla possente fortezza franca di B iiraburg, di Ohrdruf presso Gotha e specialmente
di Fulda (744), nella "Buchonia" (Buchenwald), al quale Carlomanno fece dono dei
possedimenti regi tutt' attorno nel raggio di quattro miglia, inducendo anche i magnati
del luogo a cedere ai monaci (ben presto cresciuti fino al numero di 400) le loro proprietà
confinanti .
Le piazzeforti franche divennero anche sedi episcopal i : Wiirzburg (castellum
Wirzaburg), Biiraburg presso Fritzlar (oppidum Buraburg), dove nel 74 1 Bonificacio
creò il vescovado assiano di Biiraburg, ed Erfurt (focus Erphesfurt), già insediamento
di contadini pagani, in seguito abbandonato perchè troppo esposto.
Dopo i primi successi, Bonifacio fu richiamato da Gregorio II, che il 30 novembre
del 722 Io consacrò vescovo per le missioni (senza una sede definita). In questa occasione
fu completamente obbligato a Roma da un giuramento, col quale promise non soltanto
che avrebbe obbedito ai papi "in tutto e per tutto", ma che non avrebbe "intrattenuto 311
nessuna forma di contatto c o i vescovi, che vivevano violando le antiche norme stabilite
dai Santi Padri". Inoltre ricevette una lettera commendatici a per Carlo Martello, tornato
vincitore dalle dure battaglie sostenute.
Il papa non intese legittimarlo apertamente come sovrano di diritto, e perciò evitò di
�efinirne giuridicamente le competenze, tuttavia pretese il suo appoggio. Probabilmente
226 San Bon ifacio, «apostolo dei Tedeschi»

questa lettera "al duca" Carlo", al "domino glorioso filio Karolo duci" è solo un falso;
ma i n ogni caso il maestro di palazzo, che desiderava una solida chiesa episcopale a
sostegno del potere statale, nel 723 prese Bonifacio sotto la sua diretta protezione
"acciocché nessuno possa compiere contro di lui alcunché di pregiudizievole o dannoso,
ma viva tranquillo e sicuro sotto la nostra protezione e difesa". D' altra parte le campagne
militari di Carlo furono util i a Bonifacio non meno delle sue donazioni alla chiesa di
Utrecht, al monastero di Echternach e i nsomma a questa sempre più gigantesca base
operativa della propaganda cattolica, che si spinse fino alla Mosa , alla Schelda e alle
foci del Reno.
Nel 722 "l' Apostolo dei Tedeschi" aveva ricevuto da Gregorio II anche l ' incarico
missionario presso i Sassoni, nel 7 1 8 respinti dal basso Reno e sconfitti da Carlo, ma
ancora quasi completamente fedeli all ' antica religione. Era uno di quei popoli germanici
a est del Reno che agli occhi del papa apparivano "quali bestie selvagge"; e ovviamente
le sue "false divi nità" erano "demòni" (demones).
La "conversione" pianificata dei Sassoni coi battesimi collettivi ebbe inizio solo
dopo la campagna di Carlo del 738, preparata accuratamente da tempo e realizzata con
la strettissima collaborazione del clero. Gregorio III (73 1 -74 1 ), che una volta chiamò
"figlio diletto" di s. Pietro il principe franco, indefesso provocatore di guerre anno
dopo anno, alluse esplicitamente a questa cooperazione in una lettera a Bonifacio del
29 ottobre 739: "Ci informasti dei popoli di Germania, che Dio ha liberato dal giogo
dei Pagani, ricongiungendo centinaia di migliaia di anime al seno della Santa Madre
312 Chiesa grazie alla tua cura e a quella del principe dei Franchi, Carlo (tuo conamine et
Caro/i principis Francorum) . La cifra indicata è sicuramente eccessiva, ma in ogni
caso i Sassoni furono "liberati dal giogo dei Pagani" unicamente per merito della
spedizione militare di Carlo Martello (738), "con orribile spargimento di sangue"
(Fredegarii Continuationes), e coi connessi battesimi di massa. La cristianizzazione
dei Sassoni ebbe luogo "appoggiandosi assai strettamente all ' apparato politico-militare"
(Steinbach) ; probabilmente si trattò in questo caso "del più massiccio tentativo di
missionamento presso i Sassoni prima di Carlo Magno" (Schieffer).
Carlo Martello non era molto religioso, ma "interessati ssimo" (B uchner) alla
diffusione del cristianesimo a Oriente; e non c'é dubbio alcuno che Bonifacio "dovette
tutto alle armi vittoriose e al sostegno personale di Carlo Martello" (Zwolfer), "ad una
cooperazione mirata di profonda elaborazione, m i sure protettive dello s tato e
organizzazione vieppiù estesa della chiesa franca" (Wand). 8
Come abbiamo visto, Carlo aveva combattutto contro i Sassoni già negli anni 7 1 8 ,
720, 722, 724, stroncando ripetutamente le rivolte dei Frisoni e dei Sasson i ; e la
"conversione", la liberazione, come dice Bonifacio, da "tutto il sudiciume dei Pagani",
dipese unicamente da tali sanguinosi atti di guerra. Gregorio III attribuì il successo
della missione a Carlo e a Bonifacio, il quale confessò in seguito al vescovo i nglese
Stalloni n itrenti, sante monache 227

Daniele di Winchester: "Senza la protezione del principe dei Franchi (sine patrocinio
principis Francorum) non potrei guidare il popolo della chiesa né difendere i preti, i
religiosi, i monaci e le monache, e senza il suo incarico (mandato) e la paura che incute
non potrei impedire le usanze pagane e le mostruosità del l ' idolatria in Germania" . Non
a caso Bonifacio inviò a Aethelbald, re di Mercia nel 7451746, oltre a un astore e due
falchi anche "due scudi e due lance". 9 313

S TALLONI NITRENTI, SANTE MONACHE E UN "AFFARE TANTO VANTAGGIOSO"

Del resto il santo ricopre di doni anche Sua Maestà, benché questo re (ma non fu l ' unico
sovrano cristiano) scacci il diavolo puttaneggiando qua e là e "quel che è più terribile . . .
soprattutto con l e sante monache e l e vergini consacrate nei chiostri". Il re Osred di
Northumbria coltiva la medesima passione, sempre con vergini consacrate e monache
(forse vi trovava qualcosa di speciale ! ! ) . Bonifacio stesso sa che "la lussuria è all ' opera
nelle celle dei monasteri", e vede persino che "le sante monache ammazzano perlopiù
i bambini concepiti nel loro seno . . . ["Proteggete la vita che germoglia ! " ] , riempiendo
l ' Inferno d' anime innocenti".
Sempre a proposito di suore, che, com ' è noto, inaugurano, insieme ad altre sorelle
cristiane, la prostituzione ambulante in Europa durante i loro pellegrinaggi a Roma,
l ' apostolo scrive al vescovo Cudberto: "In gran parte vanno incontro alla rovina"; perché
ci sono "solo pochissime città in Lombardia, in Francia o in Gallia in cui non ci siano
adultere o puttane della stirpe degli Angli . Ed è scandalo e infamia per la Vostra Chiesa".
Ma i l sant' uomo si duole soprattutto perché "il popolo degli Angli" non accoglie mogli
legittime, ma "a guisa di stalloni nitrenti o al modo di asini raglianti tutto insudiciano e
conturbano oscenamente, con l ' adulterio e la dissolutezza violando l ' ordine divino".
Ma con la lussuria, col furore dei piaceri sensuali - continua Bonifacio - non si diventa
"infine né saldi nelle guerre mondane (in bello saecularifortem) né perseveranti nella
fede". 1 0
Infatti il clero cristiano esaltò sempre la "giusta" fede come presupposto irrinunciabile
del successo militare e della gloria guerresca! Con il godimento sensuale e con "l' Eresia"
non si poteva ottenere nulla. Alla fine d' ottobre del 745 papa Zaccaria scrissse a tutti i
vescovi e abati, a tutti i duchi, ai conti e "a tutti i timorati di Dio dimoranti in Gallia e 314
nelle provincie dei Franchi": "Quale conseguenza dei Vostri peccati avete avuto finora
falsi preti prigionieri dell ' errore, per cui tutti i popoli pagani Vi sono stati superiori in
battaglia . . . " . Solo che i Franchi abbiano "preti casti" - ribadisce il papa - "in tutto
obbedienti" al fratello Bonifacio, allora "nessun popolo resisterà alla Vostra vista, ma
tutte le genti pagane crolleranno davanti ai Vostri occhi e Voi sarete vittoriosi". E per
sovrappiù conclude promettendo magnanimamente "la vita eterna". 1 1
228 San Bonifacio, «apostolo dei Tedeschi»

Torniamo per un momento agl i Angli tanto libidinosi. Non tutto, in verità, era
violazione totale "dell ' ordine divino" né "a guisa di stalloni nitrenti o al modo di asini
raglianti". No; i n Britannia risuonarono, un po' sottaciute, non dimentichiamolo, anche
voci ben differenti, assolutamente cristiane.
Per esempio, suona castissima e pura l ' epistola di una discepola di Bonifacio, la pia
vergine Egburg, che soffre evidentemente della lontananza, forse persino di sintomi di
astinenza (sicuramente non equivoci). Comunque sia, Egburg, come confessa aperta­
mente in senso tutto cristiano, predilige "l' amato Bonifacio" (mi amande) "con vivo
amore a quasi tutte le persone di sesso maschile". Tanto più lamenta d ' aver gustato "il
legame del Tuo amore soltanto attraverso l ' uomo interiore". In verità, un motivo di
Iamentazione. M a "tale diletto resta i mpresso, dolce come il miele". Ella vorrebbe
certo "sempre gettare i ntorno al Tuo collo le braccia di una sorella", ma d' altra parte
"credimi, Dio mi è testimone, io t ' abbraccio con profondissimo amore" (summo
complector amore ) . E non basta: "Nessun marinaro sbattuto dalla procella anela tanto
al porto, nessun campo arido impetra tanto la pioggia . . . , quanto io goder vorrei della
Vostra vista" . Ma, ahimé, "come sta scritto: l ' amore per una persona è cagione di
sofferenza" . E così ella, la tapina, l ' empia, sempre e solo "nella disperazione . . . sotto il
gravame dei miei peccati e sotto la soma dei miei innumerevoli falli ... prona ai piedi
3 15 della Tua maestà, dalla più intima profondità del cuore supplice dai confini della terra
a te levo il mio grido, beatissimo signore . . . ". 1 2
Il "beatissimus dominus" trasse anche più vicino a s é altre della "Stirpe degli Angli":
Leoba, una sua parente di lui più giovane di un'intera generazione, fu proclamata badessa
a Tauberbischofsheim e una congiunta di Leoba, Tecla, badessa a Kitzingen e Ochsenfurt
sul Meno. Il tutto sicuramente in nome della grande impresa, della missione pangerma­
nica, a proposito della quale Gregorio III, chiamandolo di nuovo "Apostolo dei Tedeschi"
(sarebbe meglio dire: "di Roma") durante il suo secondo viaggio nell ' Urbe del 732 e
nominandolo arcivescovo, osservò esplicitamente che si trattava di "un affare tanto
vantaggioso" (talis commercii lucro). Il papa dunque, con tutta la chiesa, concede il
suo plauso a codesto apostolo.
Naturalmente col termine "affare" non s ' intende quel pochino "d' oro e d' argento"
(argenti et auri tantillum), che il buon Bonifacio spediva ogni tanto al santo padre,
bensì la conversione dal "Paganesimo e dall' Idolatria alla vera fede". Dall' Assia alla
Frisia, "più da conquistatore che da confessore", distrugge dappertutto i luoghi pagani
di culto, sulle cui macerie innalza chiese cristiane, utilizzando le pietre e il legno
superstiti. Manda in mille pezzi i simulacri di Stuffo, Reto, Bil, Astarot ecc . ; abbatte gli
altari, recide gli alberi sacri in Assia, e, senza alcun rischio personale perché sotto il
controllo diretto della rocca franca di Btiraburg, le querce sacre a Donar presso Geismar,
il sacrario tribale, e col legno ricavato costruisce la cappella di St. Peter, "il primo
monumento della sua vittoria". Ma Bonifacio apprende anche che trenta chiese e cappelle
Nasce " il covo dei preti " 229

vengono nuovamente distrutte in Turingia. 1 3


L' apostolo di Roma, intanto, combattè non solo il paganesimo, ma con furore
altrettanto feroce, se non di più, anche il cristianesimo non asservito a Roma, come
quello dei Bavaresi e degli Alemanni. E questa lotta costituisce la seconda fase della
sua attività, più breve ma anche più importante. 1 4 316

NASCE "IL COVO D E I PRETI "

Non possediamo (quasi) nessuna fonte attendibile intorno alle origini storiche della
tribù dei Bavaresi, sulla sua provenienza, sul momento storico della sua formazione,
sulla composizione dei B aibari , B aiovari, Baioarii, e neppure sulle sue originarie
concezioni religiose. Diversamente da Goti, Longobardi e Franchi, ali ' inizio i Bavaresi
non ebbero uno storiografo proprio e le testimonianze scritte del loro regno risalgono a
ben 250 anni dopo l ' occupazione della loro regione: infatti, le primissime citazioni che
li riguardano sono della metà del VI secolo.
Non v'è certezza nemmeno sulla loro provenienza; forse un nucleo consistente giun­
se dalla Boemia, come suggerirebbe il nome, uomini della terra di Baia, "genti di
Bojohaim", attestato intorno al 550, quando i primi emigranti dalla Boemia si insediarono
soprattutto nella futura città di residenza di Regensburg. Forse i Baiovarii erano Celti,
più precisamente una popolazione mista di Celti e Romani ; o forse discendevano dai
Marcomanni, dagli Alemanni e dagli Svevi, nei quali possono essere confluiti Turingi,
Ermunduri, Unni, e anche, come attualmente viene sottolineato volentieri, i Romani
delle Alpi, residenti nella Rezia e nel Norico. In ogni caso la popolazione dei Bavaresi
si è costituita durante o dopo l ' occupazione (pacifica, come si suppone) della regione
nei primi anni del VI secolo, a est degli Alemanni, fra la Enns e la Lech (affluenti di
destra del Danubio; n.d.t), il Danubio e le Alpi. Due secoli dopo questo territorio è
ormai tutto pieno di conventi, è "il covo dei preti", qual è ancora oggi. Probabilmente
i Bavaresi caddero anche sotto l ' egemonia dei Franchi con Teodeberto I (533-548).
Come la loro origine etnica si fonda su ipotesi combinatorie, così ben poco sappiamo
anche della loro religione originaria. È possibile che già in epoca romana il cristianesimo
sia penetrato nelle futura terra Bavariae (Norico e Rezia) tramite soldati e mercanti ; e
se già allora vi fu (forse) un' organizzazione della chiesa, questa scomparve pressoché
del tutto con il ritiro dei soldati romani e dei funzionari statali, con l ' unica eccezione di 317
Chur. La chiesa cristiana, per secoli rigorosamente pacifica, poteva certo diventare
grande contro lo stato, ma soltanto con lo stato, con la violenza, in stretta collaborazione
con "l' apparato mondano" era in grado di sopravvivere.
Anche in questo caso è significativo che furono i potenti a passare per primi al
cristianesimo: la stirpe dei Duchi fu cattolica fin dal principio, e, come al solito, fu la
230 San Bonifacio, «apostolo dei Tedeschi»

nobiltà a volgersi al cristianesimo, per motivi politici, cioè per bramosia di potere e di
prestigio. La massa del popolo, ancora pagana nel VI secolo, fu cristianizzata (nella
sua quasi totalità) solo nel corso del VII secolo.
È anche probabile che già i n precedenza monaci irlandesi e predicatori bizantini
abbiano in parte "convertito" i B avaresi, e forse ci fu tra loro un certo numero di ariani,
come consente di concludere una gran quantità di indizi, ovviamente contestati da molti ;
anche perché i B ajuvari più antichi vengono considerati più volentieri pagani che
"Eretici". Ma fra loro c ' erano sicuramente degli scismatici (dopo la polemica sui Tre
Capitoli ) , come pur dimostra la regina Teodelinda.

L' INIZIO DELL,o\ FINE DEGLI AGILULFIDI


OVVERO: LA BAVIERA FINISCE NELLA RETE DI ROMA

Già in epoca antichissima i B avaresi furono dominati dalla schiatta di Agilulfo, di cui
si ignorano sia la provenienza che l ' inizio e la forma della loro signoria; è sicura, e
significativa la data della loro fine, il 788 (pag. 347 ss.). Spesso viene affermata una
loro discendenza franca, ma è stata ventilata anche un ' origine dai Burgundi o dai
Longobardi, coi quali coltivarono strette relazioni . La Lex Baiuvariorum, abbozzata
nei pri mi anni dell ' VIII secolo, che tratta in primo luogo delle competenze del clero,
del duca e infine del popolo, così scrive: "E il duca a capo del popolo fu sempre della
318 stirpe degli Agilulfidi e così dev ' essere sempre".
Il primo, documentalmente attestato duca bavarese della famiglia degli Agilulfidi è
Garibaldo I (ca. 550-590), il quale cercò di cautelarsi dai Franchi mediante legami
politici e parentali coi Longobardi. Sposato, benché forzatamente, con la principessa
longobarda Valderada, moglie ripudiata di Clotario l, diede una figlia in sposa al duca
longobardo Evino di Trento e nel 589 un' altra, Teodelinda, al re longobardo Autari,
dopo che fallì un tentativo d' intesa coi Franchi. Costoro poi , che negli anni settanta e
ottanta avevano combattuto contro i Longobardi, in seguito a una campagna militare
poco fortunata nel 590, l ' anno successsivo siglarono con loro un trattato di p ace (pag.
90 s . ) e nel 592 imposero in Baviera Tassilone l. 1 5
A quel punto l ' orientamento della Baviera mutò di nuovo a favore dei Franchi, ma le
notizie relative si perdono, e tacciono anche le fonti franche, ad esempio tra il 630 e i l
680. L a Baviera si staccò progressivamente dal regno dei Franchi, come fecero altre
popolazioni, che non intendevano vivere a tutti i costi sotto il loro giogo, come i Sassoni,
i Turingi, gli Alemanni e i B aschi da tempo immigrati in Aquitania. Ma Pipino II (il
Medio) esercitò ancora una forte influenza sul missionamento cristiano, che estirpò
dalle radici l ' antico paganesimo. E quando intorno al 7 1 6 il duca Teodone mirò
ali ' organizzazione di un' autonoma chiesa bavarese, intervenne Carlo Martello, che nel
L'inizio della fine degli Agilulfidi 23 1

725, dopo che a Teodone era succeduto il figlio Grimoaldo, saccheggiò il paese, raccolse
parecchio bottino e condusse via la moglie di Grimoaldo, la duchessa Pilitrude, e la di
lei nipote Swanahilt, futura madre di Grifone, che finì in prigione nel 74 1 , mentre
Swanahilt venne rinchiusa nel monastero di Chelles (pag. 268).
Nel 728 Carlo condusse contro gli insorti bavaresi un' altra spedizione, durante la
quale Grimoaldo, che allora si trovava a Frisinga, fu forse vittima di un sicario, in ogni
caso perì brutalmente per mano dei "nemici". Alla fine degli anni Trenta, mentre Carlo
Martello era impegnato a combattere gli Arabi nella Francia meridionale, il duca Odilone,
che lui stesso aveva insediato al potere, riuscì a sottrarsi alquanto alla dominazione
straniera; tuttavia dopo le guerre di Carlo contro i B avaresi il nuovo episcopato di 319
Eichstlitt divenne un avamposto ecclesiastico della potenza dei Franchi . 1 6
Bonifacio toccò per l a prima volta l a Baviera nel 7 1 9 durante il viaggio d a Roma in
Turingia, ma vi "operò" più a lungo nel 736, e forse anche nei due anni successivi,
soprattutto contro un non meglio conosciuto Eremwulf, uno scismatico "immerso
nell ' i nsania dell' Eresia", che venne ovviamente condannato ed espulso, e il popolo fu
liberato "dalla maligna e falsa dottrina idolatra".
Durante il suo terzo e ultimo viaggio a Roma del 7 3 8 Bonifacio ricevette l ' ordine di
riorganizzare la chiesa i n B aviera (e in Alemannia). Gregorio III, promettendo
nuovamente "il centuplo" e "la vita eterna", esortò tutti i cari vescovi franchi, tutti i
venerabili sacerdoti e i devoti abati con l ' abituale metafora: "Assegnategli aiutanti dai
vostri ovili" (ex vestro ovile). Anche il successore Zaccaria parlò della "nostra comunità
in un ovile", e il paragone appare appropriato. 1 7
Ma già vent' anni prima la Baviera avrebbe dovuto diventare una chiesa regionale
completamente dipendente da Roma e quindi, ovviamente, un protettorato pontificio al
di là delle Alpi. Infatti, il duca Teodone si era affrettato a raggiungere Roma "primo del
suo popolo, col desiderio di pregarvi" (Liber Pontificalis). Come è risaputo, a Roma si
va in pellegrinaggio solo per pregare. II che reca naturalmente anche i suoi frutti : il 1 5
maggio del 7 1 6 Gregorio II emanò una direttiva per la creazione di vescovadi, ordinando
la costituzione di una chiesa nazionale d ' accordo coi prìncipi di B aviera. Tutti
perseguivano i propri interessi specifici : il duca la liberazione dall ' influenza franca e il
papa una chiesa sotto il proprio assoluto dominio, con la conseguenza che i preti bavaresi
si sarebbero dovuti sottoporre al controllo della loro "ortodossia", cioé della loro suddi­
tanza a Roma. 1 8
M a in quel momento i desideri del pontefice non ottenero risultati concreti, cosicché
Gregorio III (73 1 -74 1 ) fece un altro tentativo con Bonifacio, questa volta con successo.
Venne nuovamente progettata l ' i stituzione di una chiesa provinciale bavarese col 320
consenso del duca di Baviera, ma non del maestro di palazzo dei Franchi, poiché Odilone
mirava ovviamente alla propria autonomia, la quale confliggeva (indirettamente) con
la volontà di Carlo Martello. Costui non "aveva in alcun modo favorito" (Reindel)
232 San Bonifacio, «apostolo dei Tedeschi»

un ' organizzazione episcopale per il regno dei Franchi, per cui impedì che nella riforma
di Bonifacio si realizzasse, com' era previsto da Roma, anche l ' incorporamento del
ducato di Svevia e d' Alemannia, dove l ' influenza sia dello stato che della chiesa franchi
era già troppo grande. 1 9
Allora Bonifacio, dopo il suo terzo viaggio romano, nel 739 suddivise la Baviera in
quattro vescovadi secondo il piano organizzativo del 7 1 6 e con il benestare del duca
Odilone e di Gregorio III. Nella realizzazione del progetto si basò significativamente
sui centri dominanti già esistenti di Regensburg, Salzburg, Freising e Passau. Soltanto
Vivilo, dal papa consacrato vescovo di Passau, fu lasciato al suo posto; gli altri , "deva­
statori di chiese e corruttori del popolo" ( Vita Bonifatii), vennero defenestrati e sostituiti
da Gaubaldo a Regensburg, da Giovanni a Salzburg e da Eremberto a Freising. 2 0

" CARISSIMO, CONTINUA LA TUA BATTAGLIA •••"

La Baviera, dove nel 739 Bonifacio riformò la chiesa con l ' aiuto del duca Odilone,
dopo che i suoi rapporti con Carlo Martello erano diventati apertamente freddi, era
stata già cristianizzata, ma non ancora romanizzata (i.e., papalizzata) . lvi e in Austria,
dopo la Moravia, la chiesa conventuale irlandese e scozzese, attiva nella predicazione
soprattutto nel VII e nell' VIII secolo, aveva condotto la propria "peregrinatio pro
Christo", ma non vi erano state conversioni né col soccorso della spada né coi battesimi
di massa. E il vero e proprio centro di irradiazione non era la sede vescovile, ma il
monastero, disprezzato dalla gerarchia ufficiale e sovente motivo di conflitto.
32 1 Le norme di diritto ecclesiastico della Lex Baiuvariorum , composte molto probabil­
mente per incarico di Pipino dai monaci dell' abbazia di Niederalteich nel 743, non
recano traccia alcuna di un' influenza romana. In quel tempo, inoltre, le sedi episcopali
della Baviera orientale di Salisburgo e Passau erano ancora occupate da due vescovi­
monaci irlandesi, nonostante l ' ostilità di Roma. Il vescovo di Salisburgo, Virgilio (767-
784), confidente di Pipino e spesso ospite a corte, in una sua "Cosmografia" irride i
bonifaciani. Questo abate governò la diocesi per 22 anni dal monastero di S . Pietro,
prima di farsi consacrare vescovo.
Dunque il cristianesimo romano e il missionamento irlandese-scozzese entrarono in
conflitto "con estrema virulenza" (Schieffer), e si trattò del "primo movimento di
liberazione da Roma" (Behn). Ma Bonifacio, istigato da Gregor� II, per quanto dipese
da lui annientò qui e in Turingia questo antico cristianesimo, che procedeva senza
violenze, cercando di strappare, e strappando effettivamente, le comunità ai successori
di quei religiosi, costringendole senza scrupoli sotto il giogo papalino con l ' aiuto del
braccio secolare. Egli comunica "di aver condotto durissime lotte contro i falsi preti e
gli ipocriti (hypocritas), che si oppongono a Dio e rovinano se stessi, che allettano il
" Ca rissimo, continua la tua battaglia... " 233

popolo con molti scandali ed eresie d ' ogni sorta . . .". Tutte le volte che si recava a corte
per i mplorare aiuto - così lamenta ripetutamente Bonifacio - non poteva evitare il
contatto con "i falsi sacerdoti e gli ipocriti".
Ma il missus pontificio attaccò addirittura anche il clero franco, che aveva conservato
l ' autonomia da Roma, evitandone i riformatori e talvolta combattendoli. E verso il 738
Gregorio III intimò ai vescovi di Baviera e Svevia di obbedire al suo plenipotenziario
e ribadì decisamente: "E voi dovete arrestare e impedire ed estirpare le costumanze e le
dottrine pagane e tutte le turpitudini dei vagabondi Britanni o dei falsi preti eretici". Il
22 giugno del 744 papa Zaccaria scrisse a Bonifacio di certi uomini di religione "falsi
Cristiani", "servitori e precursori del l ' Anticristo" : "Hai fatto bene a condannarli e a 322
spedirli in galera" (secundum aecclesiasticam regulam dampnavit et in custodiam misit).
E sempre Zaccaria, che non finisce mai di tuonare contro "i servi del demonio, non
servi di Cristo: gli imbroglioni, i vagabondi, gli adulteri, gli assassini, i depravati, i
pedofili", il 3 1 ottobre del 745 con linguaggio tipicamente pretesco aizza Bonifacio
contro "i preti falsi, rinnegati, omicidi e libidinosi": "Possa la tua santa fratellanza
dedicarsi incessantemente alla preghiera . . . e dopo l ' opera delle vanghe spirituali e
l ' estirpazione della gramigna liberartene col fuoco". 2 1
Bonifacio, che incontrava "un' aspra resistenza" (Epperlein) da parte di molti uomini
liberi e che esternamente appariva rozzo, privo di scrupoli, ma sempre con un numeroso
seguito, era asservito a Roma come di più non si sarebbe desiderato, più papalino del
papa. Non chiedeva mai perché, era un sempliciotto; a questo era stato indottrinato. Fu
effettivamente "l ' erede della Chiesa Romana in Inghilterra" (Lortz) . Penosamente
scrupoloso e assillato dal formalismo più pedantesco, si faceva continuamente "istruire"
dal l ' alto, com' era stato abituato fin da bambino. 22 L"'Apostolo dei Tedeschi" fu così
poco sicuro della propria fede e per tutta la sua vita pieno di una personalissima
ossessione per i suoi peccati, che inviava continuamente a Roma veri e propri questionari,
"come se noi giacessimo in ginocchio ai Vostri piedi", per ottenere risposte ai suoi
ultimi problemi di coscienza; e ovviamente anche affinché "i lupi rapaci (lupi rapaces),
convinti e sopraffatti, vadano in malora". Per esempio, Bonifacio, "questo gladiatore
nell ' arena dello spirito" ( Vita Bonifatii), domandava che cosa si dovesse fare delle
bestie sospette di idrofobia, o se fosse consentito gustare la carne dei sacrifici, sulla
quale fosse stata posta la croce; oppure se fosse permesso bere più calici (di vino) o
uno soltanto; se fosse lecito mangiar taccole, cornacchie e cicogne, o carne di cavallo
selvatico piuttosto che domestico. E come ci si doveva comportare col lardo? Ed era
poi ammmesso che le suore si lavassero i piedi vicendevolmente? Ecc. , ecc . , ecc.
Il 4 novembre del 75 1 arrivò la risposta fatidica di papa Zaccaria: "In primis Tu mi 323
chiedi degli uccel li, cioé delle tacco le, delle cornacchie e delle cicogne: i cristiani se ne
dovranno astenere completamente. E ancor più scrupolosamente si dovranno guardare
dal gustare castori, lepri e cavalli selvatici". A proposito del lardo crudo, il santo padre
234 San Bonifacio, «apostolo dei Tedeschi»

ammonisce solennemente : "Solo dopo le festività pasquali". Bonifacio, inoltre, non


sapeva nemmeno cosa fosse davvero "indispensabile" al battesimo. (Papa Zaccaria
riteneva che fosse comunque valido anche quando un prete ignorante, come accadeva,
pronunciasse la formula: "Io ti battezzo in nome della patria e della figlia e dello Spirito
santo" [In nomine patria etfilia e spiritus sancti] ) . Quando una volta un irlandese disse
che il battesimo era superfluo, ! ' "Apostolo dei Tedeschi" chiese chiarimenti. Lo riempiva
di dubbi persino il problema delle decime, e Zaccaria gli consigliò di incassare "un
soldo da ogni focolare, senza esitazione ". E allorchè volle sapere se anche i Wendi (per
lui "la più odiosa e miserabile razza d ' uomini") fossero tenuti a pagare il balzello,
Roma rispose bruscamente che la cosa era del tutto ovvia, perché, se pagano i tributi, si
rendono conto "che questa terra ha un padrone". 23
Gregorio Il, che il 22 novembre del 726 placa la sete rogatoria del suo apostolo, gli
comunica, ad esempio, "le differenti condizioni nella nostra Chiesa" : se i genitori hanno
precocemente portato i figli o le figlie "dietro le mura di un monastero" (inter septa
monasterii), costoro in seguito non dovranno uscirne in nessun caso e non dovranno
sposarsi. "Lo vietiamo nel modo più reciso, giacché è un crimine peccaminoso sciogliere
le redini della lussuria a fanciulli a Dio consacrati dai genitori".
È una risposta barbarica, come quest' altra: "Tu hai anche posto la domanda se, nel
caso che una malattia infettiva o la morte abbia colpito una chiesa o un monastero,
coloro che non sono stati ancora infettati debbano fuggire da quel luogo, onde evitare il
rischio del contagio. Ciò appare assolutamente sciocco, perché nessuno può sottrarsi
alla mano di Dio".
Dipendeva dalle circostanze storiche? Ma quante tragedie hanno provocato tali
"circostanze storiche", secolo dopo secolo? Quante vite sono state distrutte per sempre !
Circostanze storiche? Ma il papa non sottolinea esplicitamente di parlare "non per nostra
324 iniziativa (non quasi ex nobis), bensì per opera di Colui che schiude la bocca dei muti
e rende eloquenti le lingue dei fanciulli . . . " . 24
Anche questo è dovuto alle circostanze storiche? Sì, lo è.
In futuro, quando che sia, sarà lecito definire a buon diritto "dipendenti dalle circo­
stanze storiche" anche la Prima e la Seconda Guerra Mondiale, le camere a gas, le
atomiche sul Giappone, le carneficine in Vietnam e altre magnifiche sorti del nostro
secol superbo. Ad infinitum. Tutto dipende dalle circostanze storiche! Ergo, questa
retorica beota, non a caso tanto usurata, del "tutto storicamentèl ntelligibile", del "tutto
moralmente scusabile", che fa parte del lessico preferito dai conformisti consacrati o
dai cretini (sovente da entrambi), e dei trucchi apologetici finiti ormai nella spazzatura,
nella prassi corrente possiede tuttavia quasi sempre la funzione di minimizzare, di
attenuare, di ingentilire. Ed è dunque grazie a questo "tutto dipende dalle circostanze
storiche" che teologi e storiografi si sentono obbligati a non definire crimini i crimini
della chiesa e dello stato né criminali i criminali della chiesa e dello stato.
"Ca rissimo, continua la tua battaglia... " 235

I religiosi tedeschi (ma non solo quelli) di quel tempo erano come sarebbero stati,
con differenze minime, nei secoli futuri : brutali, ignoranti , impostori. Bonifacio si rese
conto che nel regno dei Franchi preti e vescovi "immersi nella dissolutezza, si rendevano
responasabili di colpe peggiori di quelle dei laici"; "non si astenevano dalla lussuria e
da matrimoni probiti e le loro mani erano macchiate di sangue" ; "sempre nel l ' adulterio
fin da giovani, vivevano sempre in concubinato e in ogni sudiciume"; "alcuni vescovi
sono ubriaconi, l itigiosi e cacciatori, persone che combattono con gli eserciti, versando
sangue umano di pagani e cristiani". Il vescovo Gevilibo di Magonza vendicò l ' assassinio
del padre, ammazzando con le proprie mani il sicario sassone durante un abboccamento
su u n ' i soletta della Weser. Alcuni poi erano a doppio servizio, celebrando la messa
cristiana e contemporaneamente recando offerte votive a Wotan : "Sacrificavano tori e
capri alle divinità pagane e quindi mangiavano le loro carni". Tale prassi, i nvero, non
dovrebbe aver infastidito né Cristo né Wotan. I falsi sacerdoti - lamenta ancora Bonifacio 325
- sono più numerosi dei preti cattolici ; sono eretici, falsi profeti, gonfi di superbia,
presunti vescovi e presbiteri , che nessun vescovo cattolico ha consacrato. Sono dei
rinnegati, empi fino al midollo: ingannano il popolo, vagabondi disgraziati, adulteri,
assassini, impostori sacrileghi e dissoluti. Sono ubriaconi rissosi, schiavi tonsurati fuggiti
ai loro padroni, servi tori del demonio, trasformatisi in servi di Cristo. Vivono come gli
pare . . . " . 25
Dopo il 695 i Sinodi avevano cessato di funzionare, anche perché non venivano più
convocati : "Le sedi episcopali" - scrive il buon Bonifacio - "sono in gran parte preda
di laici cupidi e di preti lascivi". E non a torto Zaccaria il l o aprile del 743 esortò gli
archimandriti di B iiraburg, di Wiirzburg e (fors ' anche) di Erfurt (tre vescovadi fondati
da Bonifacio esclusivamente grazie alla protezione del maestro di palazzo Carlomanno)
con queste parole: "Non dovete permettervi di introdurvi nelle parrocchie altrui o di
sottrarvi le chiese a vicenda". A Reims il vescovo abbatté le case dei suoi preti, e in
altre città accadde la stessa cosa. I prelati concludevano affari coi preti delle loro diocesi,
perseguitandoli poi coi pretesti più insulsi ; spesso, ad esempio, i vescovi lottarono coi
loro canonici, depredandone borghi, corti, prebende; e viceversa (v. pag . 1 89 ss.).
Altri episcopi attaccarono i monasteri con l ' intento di asservirl i , soprattutto
economicamente: Madelgario di Laon tentò, ma senza risultati, di rendere più malleabile
un monastero femminile; ed entrarono in concorrenza sleale per anni persino gli allievi
prediletti di Bonifacio, Lui, vescovo di Magonza, e Sturmi, abate di Fulda, nel 763
bandito e riabilitato tre anni dopo. Ma l ' abate Otmar di S. Gallo, in lotta col vescovo
di Costanza Sidonio, finì male, dal 759 in esilio in un' isoletta del Reno. In seguito
Adriano I (772-795) ci racconterà delle battaglie continue fra i prelati lombardi intorno
ai confini dei loro vescovadi. E lo stesso papa Adriano entrò in conflitto con l ' arcivescovo 326
di Ravenna Leone per il possesso di una lunga serie di città nella pianura padana e sulla
costa adriatica. Più tardi, intorno ali ' 800, il patriarca di Aquileia Paolino deplorereà il
236 San Bonifacio, «apostolo dei Tedeschi»

fatto che i vescovi dissipino il patrimonio ecclesiastico nella guerra e nel lusso, "vittime
di istinti predatori e guerreschi", "pronti ad aizzare e sobillare coloro che versano molto
sangue e commettono molti delitti". 26
Nel 744 Bonifacio fece condannare dal Sinodo di Soissons un certo A ldeberto,
originario di un' umile famiglia della Neustria, perché insegnava che confessioni, pel­
legrinaggi a Roma, consacrazioni di chiese in onore di apostoli e di martiri erano inutili;
tutti i crocifissi e le cappelle (oratorio/a) da lui collocati presso sorgenti e nei campi
furono dati alle fiamme. Si affermò che i suoi miracoli, a causa dei quali la gente gli
correva dietro, erano stati "costruiti con l ' inganno" (jalsefiebant) ; nel Sinodo di Roma
del 745 papa Zaccaria disse di lui che "era diventato . . . completamente pazzo". Anche il
vescovo itinerante irlandese Clemente, avverso al celibato e padre d famiglia, venne
condannato e, come Aldeberto, deposto e arrestato "col benestare dei prìncipi dei
Franchi". Papa Zaccaria considerava ovviamente giusto destiuire e condannare "i vescovi
falsi e rinnegati" come servi di satana e precursori dell ' anticristo, e "smascherare le
loro empie dottrine blasfeme". Quando poi costoro riuscivano a sfuggire al carcere
conventuale, veniva sollecitato l ' intervento dello stato, non sempre con molto successo.
(Secondo una tradizione più tarda sembra che Aldeberto sia stato ammazzato da alcuni
porcai mentre tentava la fuga dal monastero di Fulda). Ma il papa scrisse: "Carissimo,
continua la tua battaglia, comportati virilmente e sii vigile al servizio di Cristo . . . " . 2 7
Tutti i pontefici furono benevoli con Bonifacio, e non senza pessime ragioni : aveva
riorganizzato secondo il modello romano la chiesa nazionale franca, inizialmente quasi
totalmente svincolata da Roma, sottoponendola alla sua egemonia; e in questo modo
aprì la strada all ' intesa fra papato e regno franco, così gravida di conseguenze per
l ' Europa, soprattutto perché avrebbe condotto al potere universale del papa, "splendore
del Medioevo" (Lortz). Tutto ciò sarebbe stato impensabile senza l ' opera di codesto
327 "Architetto dell 'Occidente" (Semmler). 28

GUERRA SANGUINOSA PER IL POSSESSO DELLA BAVIERA


E STRATAGEMMI PAPALINI

La corte di Roma, dove poteva contare su amici molto potenti, dimostrò sempre profonda
comprensione per Bonifacio: lo ricoprì d ' onori e non volle nessun altro al suo fianco,
né un secondo legatus né un successore: "Hai in tutto operato al meglio e secondo le
leggi ecclesiastiche" (omnia optime et canonice), suona l ' ennesimo encomio di Zaccaria.
Il papa aveva le sue buone ragioni per lusingare Bonifacio. Infatti gli si era bruscamente
opposto quando nel 743, dopo la morte di Carlo Martello, i duchi d' Aquitania, Svevia
e Baviera si sollevarono contro i figli del defunto, Carlomanno e Pipino. È vero che
soltanto l ' aiuto militare ed economico dei Franchi aveva reso possibile il missionamento
Guerra sanguinosa per il possesso della Baviera e stratagemmi papalini 237

di Bonifacio; tuttavia il papa, alleato dell' ossequioso Odilone, capo della lega anti franca
e deciso a staccare la Baviera dal regno, si proponeva di rendere indipendente dalla
chiesa nazionale la chiesa regionale bavarese, per poi poterla controllare direttamente.
Poiché riteneva disperata la causa franca, il pontefice passò armi e bagagl i nel campo
ritenuto vincente e i nviò un proprio (secondo) legatus, il presbitero Sergio, appoggiando
risolutamente il separatismo bavarese contro i due maestri di palazzo.
Ma nel 743 Carlomanno e Pipino sconfissero gli Aquitani, saccheggiarono completa­
mente l' Alemannia fino al Danubio e si accamparono per 1 5 giorni di fronte ai Bavaresi,
sulle rive della Lech. Prima della battaglia il legato papale intimò a Pipino che in nome
di san Pietro si ritirasse e rinunciasse alle sue pretese egemoniche. Inutilmente: benché
truppe alemanne, sassoni e slave rafforzassero lo schieramento bavarese, dopo un attacco
ai fianchi e alle spalle, evidentemente frutto di una subdola sortita notturna contro
l ' esercito bavarese immerso nel sonno, Odilone (cui poco tempo prima Pipino aveva
dato in sposa la sorella Iltrude) venne sgominato e respinto fino ali ' lnn: "Odilone scampò 328
a stento oltre il fiume lnn con pochi superstiti in fuga vituperosa" (Anna/es Mettenses
priores) .
Ora però il papa con rapida giravolta passò dall' altra parte. Nulla lasciò intentato pur
di placare l ' irritazione di Bonifacio: disse che il legato aveva presentato le cose in modo
completamente falsato e gli consentì adesso "di riformare in sua vece" non soltanto la
Baviera, ma anche "l ' intero paese di Gallia". Ed egli stesso, "uomo di rara mansuetudine",
manifestando anche ai suoi nemici "l' amore più tenero" (Donin), nel 745 ordinò ai
vescovi, ai duchi ed ai conti di Franconia di riunirsi annualmente in un sinodo "affinché,
se accade qualcosa di ostile, ciò venga radicalmente estirpato" (radicitus amputetur) .
Insieme al legato pontificio Sergio venne condotto come prigioniero anche il primo
vescovo di Regensburg, Gawibald, partigiano di Odilone; e Pipino, infine, insediò sui
seggi episcopali di Salzburg e di Passau due uomini di sua fiducia, i monaci irlandesi­
scozzesi Virgilio e Sidonio. Ciò si contrapponeva, ovviamente, alle manovre di Bonifacio
e di papa Zaccaria, il quale nel maggio del 748 minacciò di convocare a Roma i due
colti monaci, poiché sostenevano l ' opinione "eretica" che la terra avesse una forma
sferica ! Essi infatti teorizzavano "che c ' era un altro mondo e altri uomini sotto la terra,
e anche un sole e una luna . . . ". Due anni prima il papa li aveva definiti "uomini devoti"
(religiosi viri) ; ma ora pretendeva un Concilio contro "le dottrine insensate e peccami­
nose" di Virgilio: "e caccialo fuori dalla Chiesa, dopo averlo spogliato della sua dignità
sacerdotale". Fondandosi sulla B ibbia, li definisce sconsiderati, sciocchi ed empi per
aver sostenuto un fatto ormai acquisito da mille anni; ma è di nuovo ben disposto e
prudente: "Chi possiede poco senno, pensa cose futili", afferma con tono consolatorio,
quasi escusatorio e preme su Bonifacio: "Esorta, scongiura, controbatti ... ", forse abban-
donando "l' errore", percorreranno "la via della verità". 2 9 329
Dijjile est satiram non scribere!!
238 San Bon ifacio, «apostolo dei Tedeschi»

Nel 749, sei anni dopo la disfatta del l ' esercito bavarese, Pipino irruppe di nuovo nel
paese fra la Lech, il Danubio e l ' In n a capo di un nutrito corpo di spedizione. I Bavaresi,
forse per paura di una deportazione o di un eccidio, fuggirono "al di là del l ' I n n in preda
al panico"; ma dopo i massacri del 743 sulle rive della Lech e del 746 presso Canstatt
si arresero, e Pipino, come narrano le Continuationes Fredegarii, poté fare ritorno "nel
regno dei Franchi con la guida di Cristo e con un grande trionfo".
Intanto Odilone era morto e Pipino ne nominò il figlio di otto anni Tassilone III
(749-788) duca di Baviera; diventato maggiorenne, nel 756 dovette prestare giuramento
di vassallaggio allo zio ed ai cugini presso Compiègne, sulle reliquie di numerosi santi
di Franconia indicati per nome. Ma nel 763, allorché gli parve di cogliere un ' opportunità
favorevole alla sua indipendenza, Tassilone si allontanò senza autorizzazione dali' eser­
cito di Pipino, in difficoltà a causa di un pessimo raccolto e di una carestia. Ebbe quindi
l ' appoggio di Desiderio, re dei Longobardi (di cui sposò la figlia Liutperga), ma non
del papa Paolo, il quale, dopo l ' esperienza sanguinosa del ' 743, quel "piano astuto di
distruzione" (St6rmer) dei Bavaresi escogitato dai Franchi, stette dalla parte di colui
che con tutta evidenza era il più forte. 3 0
E Bonifacio perse costantemente la sua influenza in Bavìeta, e non solo là: si andò
progressivamente costituendo un ' opposizione clericale, anche di "personalità eminenti",
che gli rifiutò i seggi episcopali, tanto che non fu in grado di insediare arcivescovi né a
Sens né a Reims, né di diventare lui stesso arcivescovo di Colonia, come avrebbe voluto.
I prelati franchi, soprattutto quelli renani, abituati a trasmettere i vescovadi da zio a
nipote, anzi di padre in figlio, si opposero alla sua ingerenza, creando al santo e ai suoi
discepoli ogni sorta di "ostacoli" (Falck); e fra Bonifacio e la maggior parte del l ' epi­
scopato d' Austrasia ebbe inizio "un ' aperta osti lità" (Butzen). Si distinsero allora il
330 nobilissimo vescovo Gevilibo di Magonza che, deposto in seguito da Carlomanno, du­
rante una spedizione militare (verosimilmente nel 744) concluse personalmente con una
sanguinosa vendetta una sua personalissima faida; e Milone, anch ' egli di nobilissimi
natali, contemporaneamente vescovo di Treviri e di Reims nonché amico intimo di Carlo
Martello, aduso a distribuire generosamente patrimoni ecclesiastici ai figli, poi morto
nel 757 durante una caccia al cinghiale. Si fece notare anche il vescovo Hildegar di
Colonia, caduto nel 753 durante la guerra contro i Sassoni, il quale nel 753 aveva tentato
di riannettere Utrecht alla sua diocesi, ma ne fu impedito dall ' intervento di Bonifacio. 3 1
Allorché nel 745 quest' ultimo divenne vescovo di Magonza dopo la caduta del suo
acerrimo avversario Gev ili bo, la sua personale dignità episcopale non fu legata alla sua
sede, in quanto l ' influenza di Magonza sulla regione del medio Reno era stata ridotta
da Treviri. Né il legato pontificio era riuscito a ottenere la sottomissione completa al
papato della chiesa franca, perseguita tanto a lungo. Un' assemblea ecclesiale da lui
indetta nel 745 vide la partecipazione di soli 1 3 vescovi di Neustria e Austrasia, tutti
particolarmente sottomessi a Roma; e non si fece vedere nessun principe. B onifacio,
Guerra sanguinosa per il possesso della Baviera e stratagemmi papa/in i 239

tanto pronto alle lamentazioni sui "falsi fratelli" e sui "falsi profeti" venne sempre più
respinto nella periferia del regno anche dai Carolingi, per un certo periodo suoi alleati,
mentre i papi si insinuarono nelle grazie dei sovrani . Così, "colmo d' amari disinganni"
(Tellenbach) si ritrasse dalla grande politica e diventò nuovamente un missionario.
"Dappertutto pena, dappertutto affanno. Fuori battaglie, dentro angoscia" - si duole
una volta con l ' amica badessa Eadburg di Thanet - "L' ostilità dei falsi fratelli è peggiore
della perfidia dei Pagani infedeli". 3 2
Dopo 25 anni di attività, presso Dokkum, sulle rive della Doorn, il 5 giugno del 754
Bonifacio fu ucciso dai Frisoni insieme al vescovo del coro di Utrecht Eoban e ad altri
50 compagni, difeso dai suoi "Manni", in un combattimento "arma contro arma" ( Vita
Bonifatii). Come s ' addice ai cristiani. Inutilmente protese sul capo "il santo Evangelio"
contro il mortai fendente. E in guisa autenticamente cristiana "immediatamente ratti
guerrieri di vendetta . . . , ospiti ben tenuti, ma ben temuti" (sospites sed non devoti hospites)
- come spiritosamente si esprime il prete Willibald di Magonza - irruppero "nella terra 33 1
degli infedeli", infliggendo agli "accorrenti Pagani una sconfitta devastante". I Frisoni
fuggirono e "vennero abbattuti in possenti massacri, e, voltando le terga, persero la vita
insieme con gli averi, le suppellettili e l ' eredità. Ma i cristiani ritornarono nelle loro case
col bottino delle donne, dei bambini, dei servi e delle ancelle degli idolatri" ( VIta Bonifatii).
Non è una religione lieta e pia? Tanto più che i Frisoni sopravvissuti e catturati , le
donne e i bambini resi schiavi, ormai "atterriti dal giudizio divino", accolsero la fede
degli assassini e dei predoni, che li avevano trucidati. Le vestigia di tutto ciò si trovano
ancora oggi a Fulda. 3 3
Naturalmente questa è solo una mezza verità. Quella intera è narrata dal prete
Willibald alla fine del l ' VIII capitolo della sua Vita (il IX e ultimo è "aggiunta postuma" :
Rau). Infatti, là "dove le sacre spoglie mortali sono state sepolte . . . " scorrono "sovrab­
bondanti i divini benefici, e tutti coloro che qui vi giungono oppressi dalle infermità più
disparate trovano con l ' intercessione del sant' uomo la guarigione del corpo e dell ' anima,
sì che alcuni, il cui corpo è pressoché interamente spento, ormai quasi completamente
disanimati e prossimi a esalare l ' ultimo respiro, riacquistano l ' antica sanità; altri, i cui
occhi erano coperti dalla cecità, riottengono la vista; altri ancora, che si trovavano
impigliati tra i lacci del demonio ed erano folli e pazzi , riprendono l ' originaria frescura
dell ' anima . . . ". E tutto ciò grazie al "gladiatore nel l ' arena dello spirito". E, si capisce,
l ' opera di Willibald (per quanto autentica) si chiude così : "Al Signore, cui spetta l ' onore
e la gloria per tutta l ' eternità. Amen". 34
Ma noi, purtroppo, con ciò non abbiamo ancora finito col cristianesimo. Al contrario.
Perché esso si di spiega adesso sempre più magnifico.
Mentre Bonifacio era impegnato per i papi, i papi erano impegnati per se stessi; e i
più importanti demiurghi del loro potere furono ancora e sempre i B i zantini e i
Longobardi. 332
240 Note

NOTE

Reuter (edi t . } , The g reatest Englishman.


2 Neuss 3 7 .
3 Konig/Witte 1 8 .
4 Dawson 2 1 1 .
5
Lortz, Bonifatius, I l . S u l l e ammissioni tipiche di Lortz, in parte estaticamente naziste cfr. Deschner,
Mit Gott und den Faschisten, 1 25 sg.
6
Wi l l ib. Vita Bonif. c . l sgg . ; 4. LThK X 2 1 1 66 . LMA II 4 1 7 sg. Herrma n n , Thiiringische Kirchenge­
schichte l, 1 6 sg. Wertel l i eri I 1 46. Schieffer, ibid. , 1 03 sgg. Schram m , Der heilige Bon ifaz . 1 5 .
Fines 4 1 . S u l l ' I n g h i l terra e B o n i facio cfr. B arlow, The English Background, I l sgg. Haendler, Bo­
nifatius, I l sgg. Vedi anche l a tabe l l a cronologica i n Rau, Briefe des Binifatius, 3 sgg . , 452 s g .
Bonif. ep . 1 2 . W i l l i b . Vita Bon if. c . 5 . Ktih ner, Lexikon , 48. LMA I I 4 1 8 ; I V 1 667. HKG I I I I 1 3 .

B o n i f. ep . 1 2 1 6 ; 20. ( S u l l a possibile i n autenticità di questa lettera cfr. Rau ZKG 1 964, 3 3 7 s g . ) ;
e p . 2 1 ; 2 2 ; 2 6 ; 5 0 ; 1 09. W i l i b . Vita Bonif. c . 5 . Cont. Fredeg . 1 9 . Annal. S . A mandi ad an . 7 1 8 .
A nna l. Mosellani ad an. 7 1 8 . A l k u i n , Vita Willibr. l 0, 1 3 sg. LThK II I l 5 2 2 sg. ; X 1 9 1 9 sg. L M A V
1 664 s g . Taddey, Lexikon, 1 3 1 0 . HEG I 5 34 sg. HKG I I I l 1 2 sgg . "Eg l i (se. Bonif.) trovò appoggio
nei comandanti i n c apo del caste l l o di A moneburg". M ti h l bacher I 5 5 sg. Levison, England, 74 s g .
Herrma n n , ibid. , I l , 9 ; 1 9 sgg. Buch ner, ibid. , 1 68 . Caspar I I 6 9 6 sgg. Haller I 2 9 0 . L o w e , ibid. ,
2 1 6 . Zwolfer 86. Schieffer, ibid. , 27, 1 1 4 sgg . , 1 39 sgg. Lortz, ibid. , 29. Seppelt/Schwiger 79.
Werner, lren und A ngelsachsen , 2 3 9 sgg . , soprattutto 284 s g g . S u l l e moltep l i c i tensioni con
Wi l l i brord, ibid. , 290 sg. Schlesi nger, Zu r politischen Ges fì hichte, 44. Dawson 2 1 1 . Padberg 3 1 s g . ,
60 s g g . Steinbach, ibid. , 43. Wand, D i e Biiraburg , 2 0 8 . Hfl endler, ibid. , 7 1 , 73. B u tzen, Die Mero­
winger ostlich des mittleren Rheins, 5 3 sgg . , 64 sgg. Lindner 1 30. Braunfe l s , Carlo Magno i n Selbst­
zeug nissen, l, 25. M i l l o t 1 60 sgg. Angenendt, ibid. , 268 sgg . , defi n i sce Wi l l i brord "missi onario
nella campagna di conquista dei Franch i " , e del santo arcivescovo scrive che lasciò ai Caro l i n g i e
al proprio parentado il monastero di Echternach fornito di notevoli ri sorse" .
• Bonif. ep. 6 4 ; 69.
10 /bid. , 73 s g . , 7 8 . Cfr. Angenendt, Die irische Pereg rinatio, 76 sg. Padberg : "La prostituzione: u l -
tima stazione del l a peregri natio" : Wynfreth-Bonifatius, I l O.
11 Bonif. ep. 6 1 .
12 lbid. 1 3 .
13 Bonif. e p . 50. LMA II 939. Donin I I I 366 sg. Grupp I 397. Haller I 286 s g . , 290. Neuss, Kirche des
Mittela lters, 3 5 . Levison, England, 72 s g . Gontard 1 66 . Flaskamp, Der Bonifatiusbrief, 3 8 1 .
Schieffer, ibid. , 1 4 8 . Dawson 2 1 1 . Ol tre che con la predicazione, Padberg vede operare B o n i facio
mediante l a " m i s s ione operativa", con l a di struzione di mostrativa dei l u og h i d i culto paga n i :
Wynfreth-Bonifatius, 1 2 . Cfr. 7 4 .
14 Levison, ibid. , 7 8 . I d . , A u s rheinischer und friinkischer Friihzeit, 259 s g .
15 Greg. Tur. 1 0, 3 . Pau l . D i ac . , Hist. Lang. 3 , 1 0 ; 3 , 30. Lex Baiw. 3 , 1 . Taddey 1 5 , 4 1 4 . LMA I 1 699; IV
1 1 1 6 ; V 1 928. Spindler, Handbuch , l , 1 3 6 sgg . ; ivi anche gran copia di indicazioni bibliografiche.
16
RGAK I 609. LMA I V 1 7 1 8 . S p i ndler, ibid. , I , 1 5 1 ; 1 54. M ti h l bacher I 1 47 . Carte l l ieri I 1 22 ; I I
694. B rackmann 7 8 . Ttichle I 79. Stern/B artmuss 73 s g g . Lowe, ibid. , 1 1 7 . Zol l ner, D i e politische
Stellun g , 1 5 2 . S t e i n b a c h , ibid. , 48. P i re n n e , ibid. , 204. P r i n z , Grundlagen, 83 sg. R e i n d e l ,
Grundlegung u n d A nfiinge, 1 1 8 s g g . Konec ny 5 2 , 5 8 . Fre i l i nger 690.
17 Bonif. ep . 4 1 sg; 82. Wi l l i br. Vita Bonif. c . 6 . Spi ndler, ibid. , l , 1 94, 229. Herrm a n n , Thiiringische
Kirchengeschichte , I, 20. Schieffer, ibid. , 1 7 3 sgg. Rau, ibid. , 4 s g .
18
Lib. Pont. Greg. II c. 4. LMA IV 1 666 sg. M ti h l bacher I 54. Reindel, ibid. , I, 226 s g .
19 Mtihl bacher I 5 6 s g . Barton 223 sgg . Reindel, ibid. , l, 226 s g g .
Note 24 1

211
B o n i f. ep . 45 . W i l l i br. Vita Bonif. c. 7. LMA I I 4 1 8 . Spindler, ibid. , I, 229. M ii h lbacher I 5 7 .
Heuwieser, Gesehieh te, I , 1 00 sgg . , 1 08 , 1 1 5 .
21
B o n i f. ep . 44; 5 7 ; 6 0 sg . , 80. Wi l l i br. Vita Bonif. c . 7 . dtv-Lexikon , I l , 224. M ii h l bacher I 5 6 sg.
B auerreiss 47 sg. Caspar II 706. Wissig 5 sgg . , 25 sgg. Levison, A us rheiniseher und friinkiseher
Friihzeit, 258. Grupp I 397. Uiwe, ibid. , 53 sgg . , 67 sgg . , 1 23 . Ziiepfel 30. Tomek 7 1 . Delius 1 25
sgg . , 1 3 3 sgg. Maier, ibid. , 344 sg. S tern/B artm uss 8 3 . Liiwe, Ein literariseher Widersaeher, pas­
sim, soprattutto 1 8 1 sgg . , 245 sgg. Finsterwallder; Wege und Zie/e, 203 sgg . , 2 1 0 sgg. Lev ison,
England, 7 8 sgg . , 8 8 sg. Beh n l 02. B u c h ner, ibid. , 1 68 . Preidel I 1 20 sgg. Haller I 286. Lautermann
45. Fe lckenste i n , Grundlegung, 64 sgg. Wol fram , Der Zeitpunkt der Bisehofsweihe, 287 sgg.
Reinde l l , ibid. , 1 65 sgg. Ament, Merowingisehe Grabh iigel, 93. Kahl, Zar Rolle der /ren, 3 7 5 sgg . ,
soprattutto 3 9 5 s g g . S u i vescovi monasteriali cfr. Frank, Di e Klosterbisehofe, passim . S u i vescovi
monasteri ali e su quelli peregrini ibid. 1 48 sgg. Recentemente M . Richter, Die Kelten i m Mittelalter,
25 8 sg . , 294, ha mostrato che l a cristianizzazione del l a sociatà irlandese non fu poi così vasta e che
nella tradizione si è i n fi ltrata molta apologetica.
22
Lortz, ibid. , 27. Epperl e i n , Karl der GrojJe, 1 4 .
23 B o n i f. ep. 2 8 ; 50 sg . ; 6 8 ; 7 3 ; 80; 8 7 . Wi l l i br. Vita Bonif c. 5 . H ii m l e i n I I 84. Buchner, ibid. , 1 70 sg.
Schieffer, ibid. , 1 5 2 sgg. Schramm, ibid. , 25 sg . ; 3 2 sg. Padberg 1 48 sg.
24
Bon if. ep. 26.
25
B o n i f. ep . 50 sg . ; 5 7 ; 60; 63 sg . ; 80 e passim . Cfr. anche Grupp I 399. " I n tutto l ' Occidente con
l ' e c c e z i o n e forse d e l l a Spagna s i s o ffriva l a m a n c a n z a d i re l i g i o s i teol o g i c a m e n te c o l t i " :
Scheibelrei ter, Der Bisehof, 89. S u l l ' i n fimo l ivello c u l turale d e i vescovi cfr. l 08 s g .
26
Boni f. ep . 5 0 ; 5 2 . LThK V F 1 2 1 3 ; I X 2 1 1 27 . Hauck I 3 5 1 , 3 6 3 ; I I 54 s g g . Dresdner 1 3 2, 1 3 6 sgg.
Schubert, Gesehiehte der ehristliehen Kirehe, l , 31 O. Pirenne, ibid. , 244 sg. Haller I 3 29 . Pri nz,
Klerus und Krieg, 89. Kawerau, Gesehichte der mittelalterliehen Kirehe, 37. Hartmann, Die Syn ­
oden de r Karo/ingerzeit, 47 sgg.
27 B o n i f. ep . 57; 60. Sin. di Soissons, ean. 7 . Sin. di Roma (745) M G epist. seleet. l. I n dettagl i o su
Adalberto (e C lemente) cfr. Gurjewitsch 1 08 sgg.
2" B o n i f. ep . 60. LMA I I 420 (Semmler). Lortz, ibid. , I l . Seppe lt/Schwaiger 8 2 . Haller II 2 8 5 sgg.
29 B o n i f. ep. 58; 6 8 ; 80. Cont. Fredeg. 25 sg. Ann. Mett. prior. an. 743. Taddey 882. LMA I I 4 1 9 .
Doni n II 1 97 sg. Carte l l i eri I 1 45 . Schubert, ibid. , 308 sg. Caspar II 705 , 7 I O sg. Haller I 290 s g . ,
297. S tern/B artmuss 7 3 , 7 8 . W i s s i g 1 1 5 . Braunfe l s , Karl der GrojJe i n Se/bstzeugnissen . , 49 sg.
30 Ann. reg. Frane. an. 7 5 7 ; 7 6 3 . Con tin. Fredeg . 3 2 . Liiwe, ibid. , 1 3 1 sg. I d . , Die karolingisehe
Reiehsgriindung, 46 sg. Wo lfram, Das Furstentum, 1 6 1 sg. Kraw i nkel 48 sgg. Rosenstock 33 sgg.
M i tteis 65 sgg. Stiirmer I 1 7 1 sgg. B raunfe ls , ibid., 49 sgg. Reindel, ibid. , 1 27 Epperl e i n , ibid. , 46.
31 Soni f. ep.64; 87; 1 09. Ann. SS. Amandi ad an. 7 1 8 . Ann. Mosellani ad an. 7 1 8 . LMA I I 4 1 8. HKG III l
1 7 sg. HEG I 5 3 8 . Levison, Aus rheiniseher undfriinkiseher Friihzeit, 78. Biittner, Fruhmittelalterliehes
Christentum, 34. Petri, Der Rhein, 596. Herrmann , ibid. , I, 2 1 . Falck, Mainz, 26. McKitterick, The
frankish Kingdoms, 53 sg. Schieffer, ibid. , 225 sg. Liiwe, ibid. , 1 1 6. Tel lenbach, ibid. , 4 1 2 sg. Ewig,
Milo et eiusmodi similes, 4 1 2 sgg. Steinbach, ibid. , 5 1 sg., 5 8 sgg. Hauck, Ein Utreehter, 736. Haendler,
Die lateinisehe Kirche, 53 sg. Id., Bonifatius, 72, 76. Angenendt, ibid. , 272 sg. B utzen, ibid. , 68 sgg.
Anton, Trier im friihen Mittelalter, 1 60 sgg. Rau, Briefe des Bonifatius, 7 . Padberg 89.
32 B o n i f. ep . 60; 66. LMA II 4 1 9 . HEG I 539. Schieffer, ibid. , 226 sgg . , 235 sgg. Buchner, ibid. , 1 70
sg. Te l l enbach, ibid. , 4 1 2 sg. H artmann, Die Spuren der Ka rolingerzeit, 59 s g .
33 Wi l l i br. Vita Bonif. c . 8 sg. Ann. reg. Frane. ad an. 754. H ii n l e i n I I 96. Schieffer, ibid. , 27 1 sgg.
Fines 43 sg. S tern/B artmuss 8 8 . Diirries I I 22. Haller I 295 . Hauck, ibid. , 7 3 6 . Steinbach, ibid. , 5 9 .
I n HEG I , 5 4 4 , Schieffer dice che i l c o m p l i c e rel i g ioso dei razziatori cadde v i t t i m a di u n "assassinio
per rapi na".
34 W i l l i br. Vita Bonif. c . 8 . I n o l tre Rau, ibid. , 45 3 .
)
CAPITOLO XII.

LA RIBELLIONE DEL PAPATO E LA LOTTA ICONOCLASTA

"Egli si armò contro l ' imperatore come contro un nemico"


(Liber Pontifical i s ) . 1

"Con la bontà di Dio percorriamo il cammino verso le più lontane contrade d ' Occidente"
(Papa Gregorio Il). 2

" . . . a dispetto della moderazione esteriore, il capo della rivoluzione italiana"


(L. M. Hartmann ) . 3 333
244 La ribellione del papato e la polemica iconoclasta

Nel corso del VII secolo il regime pontificio si trasformò via via in una corte, non priva
neppure di dignitari mondani.
Di Sabiniano, Bonifacio III e IV, Deodato e Bonifacio V, immediati successori di
Gregorio I, non sappiamo pressoché nulla; eppure essi non attraversarono il proscenio
della storia completamente "muti come i fantasmi regali di Macbeth" (Mano), neppure
l ' immediato successore di Gregorio l, Sabiniano (604-606) . Durante una delle frequenti
carestie che affliggevano Roma, il popolo si raccolse davanti ai palazzi pontifici
gridando: "Apostolico Padre, non )asciarci morire ! " ; ma l ' invocazione fu bruscamente
respinta dal santo padre, il quale, duro ma previdente, rifiutò qualsiasi forma di sussidio.
E però in seguito vendette il grano a prezzi da strozzino: 1 3 o addirittura 30 soldi per
staio. Le provviste della chiesa furono un buon affare. A tal punto che dopo la sua
morte il caritatevole pontefice dovette essere trasportato in S. Pietro in fretta e furia e
per vie traverse, onde sottrarre il cadavere alla furia feroce delle sue pecorelle. Papa
Bonifacio IV (608-6 1 5 ), "la figura più bella delle Chiese europee" (Colombano di
Bobbio), fece erigere nel Foro Romano al despota Foca (uno dei figuri più scellerati
del VII secolo, e non solo) una colonna con aurea statua monumentale "per gli innume­
revoli benefici della sua devozione" (pag . 1 34 ss.). 4
Dieci anni dopo ascese sulla cathedra "Petri" un uomo che ha fatto davvero storia
fino ai giorni nostri (o perlomeno ha fatto parlare di sé), un santo padre al cui cospetto
335 la sempre pretesa infallibilità del papato in faccende di fede, la definitio ex cathedra, si
mostra per quello che è: una farsa.

LA CHIESA MALEDICE UN PAPA

Onorio I (625-63 8), discepolo di Gregorio I e anch'egli rampollo della nobiltà, si sarebbe
ben inserito nella galleria dei suoi colleghi.
Promosse il trapasso dei Longobardi al cattolicesimo, favorendo il cattolico Adaloaldo
contro l ' ariano Arioaldo e pretendendo che i prelati scismatici venissero trascinati a
Roma dal l ' esarca Isacio per esservi severamente puniti ; allontanò dalla diocesi di
Aquileia-Grado il vescovo Fortunato ; costrinse l ' Irlanda meridionale a far propri i riti
pasquali di Roma e impose al sovrano inglese Eadwin di Northumbria (che nel 627
strisciava già all ' ombra della croce) di leggere fervidamente gli scritti di Gregorio l.
Inoltre, da buon alunno del "grande" Gregorio, spronò l' episcopato spagnolo all ' inaspri­
mento della lotta contro gli Ebrei (cfr. pag. 1 23 ss.) con un versetto di Isaia, erroneamente
attribuito ad Ezechiele, paragonando i vescovi a "cani ammutoliti, che non possono
latrare", e affermò lamentosamente di perseguire unicamente la punizione dei sacerdoti
di Baal ! "Il maestro Gregorio Magno fu il suo modello nella conduzione del pontificato" :
così lo va esaltando lo storico dei papi Seppelt. 5
La Chiesa maledice un Papa 245

Onorio I si dedicò anche a poderose opere pubbliche, sperperando molto denaro e


saccheggiando con disinvoltura i grandiosi edifici pagani ancora in piedi, di cui dispo­
neva gran capitale in Laterano. E benché nel 640, dopo la morte del papa, l ' esarca ne
avesse requisito una parte per pagare le truppe e ristorare le I mperiali casse di guerra
(pag. 247), i papi seguenti disposero ancora di notevoli mezzi finanziari .
Quando va, va; per così dire.
La complessa e lentissima fine di questo pontificato fu tuttavia l ' esito di una diatriba
religiosa, scoppiata sotto il governo del successore di Foca, l ' imperatore Eraclio (6 1 0-
64 1 ). 336
Figlio dell' esarca d' Africa, questo novello usurpatore comparve sotto le mura di
Costantinopoli all ' ombra della bandiera di Maria, madre di Dio, abbattendo Foca nel
sangue, come questi aveva fatto a suo tempo, e facendosi quindi incoronare dal patriarca
della città il 5 ottobre del 6 1 0. Una data importante, poiché con le riforme di questo
sovrano ebbe inizio l ' impero bizantino medioevale.
Eraclio, spesso definito "il primo Crociato", nel 622 (significativamente nella
Domenica di Pasqua) dette inizio a una guerra pluriennale (6 anni) contro i Persiani,
che nel 6 1 4 avevano conquistato Gerusalemme, distrutto il Santo Sepolcro e sottratto
la Santa Croce, e nel 6 I 7 si trovavano sul Bosforo, alle porte della capitale. Eraclio
organizzò una vera e propria crociata, sollecitato e finanziato dal patriarca Sergio anche
coi tesori della chiesa. La faccenda, com ' è ovvio, era benedetta da Dio: "Dovunque le
sacre sedi dei Mazdei furono date alle fiamme" (Daniel-Rops), fra le quali il tempio di
Ganzak e la patria di Zoroastro. Nel 628 Eraclio concluse una pace coi Persiani, dopo
che il re Cosroe II, condannato a morte dal suo stesso figlio Kavadh Scheroe (Siroes),
aveva visto morire sotto i suoi occhi alcuni figli (febbraio del 628): "Fu un trionfo
straordinariamente bello dell ' Impero d' Oriente, che preservò le antiche costumanze
romane e nello stesso tempo anche la tradizione cristiana" (Cartellieri). Purtroppo subito
dopo l ' Asia Minore fu travolta dall' invasione araba. 7
Ma intanto il "primo Crociato" aveva vinto. Il 2 1 marzo del 630 a Gerusalemme
venne di nuovo innalzata fra il tripudio generale la Santa Croce del Redentore trovata
dai Persiani "come risulta evidente da materiale probatorio" (Mango) - surrettizio.
Quindi l ' imperatore, mediante compromessi religiosi, cercò di ricondurre alla chiesa
imperiale i monofisiti, che nel frattempo avevano cacciato i vescovi cattolici, sosti­
tuendoli coi propri . E l ' operazione risultò anche abbastanza felice, grazie a una for­
mula conciliante proposta dal patriarca Sergio (forse figlio di genitori monofisiti ) : il
Dio fatto uomo, pur consistendo di duplice natura (come da dogma ufficiale), non 337
aveva duplice, ma unica modalità operativa, un' unica energia theantropica (Mono­
ergetismo ). 8
Ora però tali sofisticherie, (che per altro continuarono a lacerare l ' Impero d' Oriente),
su un argomento già in sé privo di senso non ci deve preoccupare più di tanto. In ogni
246 La ribellione del papato e la polemica iconoclasta

caso fu una trovata intelligente sotto il profilo politico-religioso, e inizialmente anche


fortunata in Siria e in Egitto . . . , e persino presso il pontefice romano. Infatti, Onori o I si
volse contro il principio ortodosso, sostenuto specialmente dal monaco e poi patriarca
di Gerusalemme Sofronio, dichiarando: "Noi affermiamo un' unica volontà del nostro
Signore Gesù Cristo . . . ". Conseguenza: la Ekthesis del 638, l ' editto composto da Sergio
e personalmente emanato dal l ' imperatore (assai interessato alle questioni teologiche),
e affisso alle porte di Hagia Sophia. In luogo della Monoergeia, (unica modalità
operativa), subentrò la dottrina della unica volontà in Cristo, più gradita ai monofisiti e
ritenuta capace di appianare le differenze: fu l ' esordio della polemica monoteletista,
l ' ultima battaglia dogmatica tra Oriente e Occidente, e della vexata quaestio onoriana,
viva fino al XIX secolo. 9
Inizialmente due assemblee ecclesiastiche tenute a Costantinopoli (638 e 639)
accreditarono la "Ekthesis" come conforme alla predicazione apostolica, ottenendone
il riconoscimento, l ' approvazione e la diffusione da parte della chiesa romana; ma i
successori di Onori o, che perseguivano una maggiore autonomia ecclesiastica e politica
e addirittura la separazione da B isanzio, in seguito respinsero la dottrina del mono­
teletismo.
Nel sesto Concilio ecumenico di Costantinopoli del 68 1 /682, durante il quale il
patriarca di Antiochia, Macario, lavorò con documenti fal si (come confessarono i falsari,
un monaco e un erudito), il 28 marzo del 68 1 la chiesa scomunicò formalmente come
monoteleta il papa Onorio l, e con lui anche altri quattro patriarchi in odore "d' eresia
monoteletista" : Sergio e i successori Pirro l, Paolo e Pietro; e contemporaneamente
338 venne solennemente bruciata l ' enciclica emanata formalmente "ex cathedra". Il Concilio
dichiarò con "evidente soddisfazione" (Palanque) che "anche Onorio, già pontefice di
Roma, deve incorrere nel l ' anatema, perché nella sua epistola a Sergio abbiamo trovato
che ne seguiva in tutto e per tutto l ' opinione, approvandone le empie dottrine". 1 0
Anche prima d i Onorio c i furono "vicari di Cristo" accusati di "Eresia", come i
pontefici Vittorio I, Zefirino e Callisto, i quali, con maggiore o minore chiarezza, furono
assertori del modalismo; ma papa Onorio, discepolo del dottore della chiesa e papa
Gregorio "Magno", fu ufficialmente condannato come "Eretico" dalla chiesa cattolico­
romana; e non soltanto dal sesto Concilio ecumenico di Costantinopoli del 680/68 1 .
Infatti, da allora in poi una lunga serie di santi padri per 350 anni accusò di "Eresia"
papa Onorio I con una solenne professione di fede al momento dell' ascesa al trono
pontificio: un atto di autocensura sul quale si polemizzò di continuo, al tempo del
Giansenismo e del Gallicanesimo, ma addirittura anche durante il Concilio Vaticano
Primo ( 1 870), quando fu proclamato il dogma de li' infallibilità papale. Tale "infallibilità"
deriva anche dal fatto che grazie alla divina promessa al principe degli apostol i Pietro,
nessuno dei suoi successori avrebbe mai errato in materia di fede . . . Ma già Leone II
(682-683) considerò la chiesa "contaminata dal funesto tradimento" di Onorio, appro-
Roma si ribella a Bisanzio 247

vandone la condanna da parte del sesto Concilio ecumenico e ribadendo la in un' epistola
all ' imperatore e in due bolle indirizzate ai vescovi spagnoli . Per secoli nessuno cercò
di discolpare e di giustificare Onori o; ma in età moderna lo storico ufficiale della chiesa
cattolica, il cardinale Cesare Baronio (morto nel 1 607), negò recisamente la condanna
del papa ! 1 1
Durante il regno di Onorio, nel 632, morì il profeta Muhammad. Mentre in Occidente
la controversia sul monoteletismo andava acuendosi , in Oriente l ' Islam si accingeva a
muovere alla conquista del mondo. Dal 635 la verde bandiera del Profeta sventolò su
Damasco, dal 63 8 su Gerusalemme, dal 639 su Edessa, la sede principale della teologia 339
siriaco-cristiana; tutta la Siria era già stata conquistata, occupata la Mesopotamia
bizantina, attaccato l ' Egitto.
Intanto a Roma, dopo la morte di Onorio, lo Spirito Santo impiegò ben due anni
prima di decidersi a scegliere il successore nella persona di Severino (640) ; e ancor
prima dell' intronizzazione truppe romane assalirono il Laterano, difeso dal papa per
tre giorni, finché non si precipitò a Roma Isacio, esarca di Ravenna, che procedette al
sequestro del tesoro della chiesa per pagare l ' esercito, spedì all ' imperatore gran parte
del bottino e cacciò dalla città i religiosi più eminenti . 1 2

ROMA S I RIBELLA A BISANZIO

Dato che l ' impero se la passava pittosto male, che l ' Islam era in piena espansione, che
congiure di palazzo e ribellioni scuotevano Costantinopoli, a Roma si pensò bene di
abbandonare la barca, che sembrava in procinto di affondare. Il nuovo pontefice,
Giovanni IV (640-642), non seguì la via segnata da Onori o, ma quella del suo avversario,
Sofronio di Gerusalemme, morto nel 638, un anno dopo la conquista della città da
parte degli Arabi. Con un giuramento sul Golgota egli aveva obbligato il vescovo Stefano
di Dor a chiamare a raccolta i "santi" di Roma contro il monoteletismo e a proseguire
la lotta.
I maneggi del vescovo trovarono terreno fertile a Roma: Giovanni IV, consacrato
senza il benestare di B isanzio, si sollevò contro l ' imperatore, anatemizzando la Ekthesis
ed esigendone l ' abrogazione e contemporaneamente assumendo le difese di Onori o
con la menzogna che i l suo scritto - per altro indubitabile - era stato falsificato dai
traduttori greci . Il tentativo appare tanto più impudente se si considera che lo stesso
abate Giovanni, autore della lettera di Onorio, aveva composto adesso anche la lettera
del nuovo papa. 340
Ma il nuovo pontifex maximus, Teodoro I (642-649), rampollo di un omonimo vescovo
palestinese, mosse all ' attacco senza esclusione di colpi non soltanto contro il monotele­
tismo, ma anche contro la casa imperiale. Vi fu una vera e propria ribellione in cui, con
248 La ribellione del papato e la polemica iconoclasta

una raffinatezza poi risultata improduttiva, confluirono insieme politica e religione. 1 3


Ebbe un ruolo centrale in tutto questo il monaco Massimo "il Confessore" (Maximus
Confessor); abate del monastero di Skutari, un tempo primo segretario dell ' imperatore
Eraclio, poi seguace fanatico di Sofronio. Da qualche tempo operava in Africa, dove
l ' esarca Gregorio (forse imparentato con la casata imperiale) preparava una sollevazione
contro Bisanzio, con l ' assenso esplicito del papa. Ma in Africa giunse anche Pirro,
patriarca di Costantinopoli deposto dal nuovo imperatore Costante II (64 1 -668), nipote
di Eraclio. Poco prima della rivolta contro Costante, nel luglio del 645 Massimo organizzò
a Cartagine, dove governava Gregorio, un abboccamento con Pirro, coinvolto nella caduta
di Martina, vedova del l ' imperatore, e deposto per motivi puramente politici. Alla fine
dello spettacolo, o meglio della farsa, l ' ex patriarca e monoteleta si dichiarò battuto, si
recò a Roma con Massimo e ritrattò solennemente davanti a papa Teodoro e al clero la
sua professione di fede monoteletsita. A un segnale di Roma, Gregorio si ribellò e assunse
il titolo di imperatore, mentre contemporaneamente nei territori a lui soggetti furono
convocati Sinodi contro il monoteletismo su evidente iniziativa di Massimo.
Un certo abate Tommaso racconta d' essere stato inviato come nunzio pontificio
presso l ' esarca ribelle per incoraggiar) o, e per comunicargli che Massimo aveva veduto
in sogno un coro angelico sia a Occidente che a Oriente ; e che le voci degli angeli
d' Occidente cantavano limpidamente, gridando: "Imperatore Gregorio, Tu vincerai ! " .
L' intero Occidente si ribellò politicamente e d ecclesiasticamente contro l' Oriente, dove
34 1 il novello imperatore reinsediò nell ' incarico il patriarca deposto, e il papa dovette
accreditare questo sensazionale convertito. 1 4
Ma questa sollevazione in grande stile fallì presto, perché l ' usurpatore Gregorio,
avvocato dell' ortodossia, cadde già nel 647 contro gli Arabi che traboccavano dall' Egitto.
Allorché l ' ex-patriarca Pirro si rese conto del l ' insuccesso del disegno ordito con
Massimo e con Roma, mutò di nuovo casacca: immediatamente ritrattò con l ' esarca di
Ravenna la professione di fede romana e rientrò a Costantinopoli, come un cane ritorna
al vomito della propria empietà (così si esprime ufficialmente il Liber Ponti.ficalis). Ma
l ' imperatore, consigliato dal patriarca Paolo, nel 648 proibì ogni ulteriore contesa sulle
due o una volontà in Cristo con un editto, chiamato "Typos", con la minaccia di severe
sanzioni (deposizione, afflizione corporale, esilio).
Anche i l "Typos" fu un tentativo di attenuare e di mediare la polemica, tuttavia i
"Santi" di Roma non si arresero affatto: papa Teodoro proclamò il licenziamento del
patriarca costantinopolitano Paolo, il quale, a sua volta, vietò al legato pontificio di
celebrar messa nel suo palazzo, ordinando la distruzione delle cappelle e frustando,
arrestando ed esiliando tutti gli antagonisti. A Roma, intanto, fecero la loro comparsa
molti africani, soprattutto monaci fuggiti da B isanzio, i quali resero la situazione ancor
più torbida. E dopo la morte di Teodoro I, il papa "Eretico" Onorio fu trasformato in
papa "Martire", a dieci anni dalla sua scomparsa. 1 5
Roma si ribella a Bisanzio 249

Martino I (649-65 3), già nunzio di Teodoro alla corte imperiale, continuò con estrema
violenza la lotta contro Bisanzio. Consacrato senza il consenso dell ' imperatore, già in
sé un atto di ribellione, fece i mmediatamente condannare come "eretica" la "Ekthesis"
e il "non meno empio Typos" : Stefano di Dor sostenne l ' accusa di fronte a una maggio­
ranza di prelati occidentali assolutamente ignoranti e incapaci di comprendere quelle
complesse sofisticherie teologiche; la controparte era totalmente assente. Il papa, quindi,
affermò che Cristo fu privo di caratteri e qualità naturali . A scanso di equivoci vennero
condannati anche tutti gli altri "Eretici" da Ario fino al patriarca di corte Sergio e 342
compagni. Le relazioni fra il pontefice e B isanzio furono formalmente interrotte, e le
parti in causa si prepararono allo scontro. 1 6
L' esarca Olimpio, incaricato d i imporre in tutta Italia l ' accettazione del "Typos" e di
arrestare il papa, si accordò invece con lui, perché un' intesa col pontefice gli parve
assai più ricca di prospettive. Di conseguenza si ribellò all ' imperatore e, anche grazie
all ' aiuto della milizia italica, fu in grado di recitare la parte di usurpatore per ben tre
anni, tanto più che in Sicilia si pose ai suoi ordini anche la milizia romana, saldamente
legata al papato fin dai tempi di Gregorio l. Ma i due rivoltosi non avevano fatto i conti
con la sorte . . . e con l ' imperatore: Olimpio morì di peste in Sicilia, combattendo contro
gli Arabi; e Martino restò vittima del suo tradimento.
Il nuovo esarca Teodoro Calliopa, già in precedenza responsabile dello stesso ufficio,
nel giugno del 653 marciò su Roma a capo di un esercito e arrestò Martino, che per
Bisanzio non era neppure pontefice, in quanto si era fatto consacrare senza il benestare
imperiale. Il povero Martino, in preda alla paura e alla disperata ricerca di una protezione
qualsiasi, si era fatto innal zare un letto su l l ' altare del l a bas i l i c a in Laterano;
ciononostante fu arrestato, e non per motivazioni religiose, come l ' esarca si premurò di
comunicare al clero romano. Di notte, in tutta segretezza, lungo il corso inferiore del
Tevere fu portato in barca fino a Porto e quindi a Miseno, quartier generale della flotta,
e infine a Costantinopoli, dopo una traversata di tre mesi.
Trascorsi altri tre mesi in rigido isolamento, il 20 dicembre ebbe inizio il suo interro­
gatorio. Quando Martino, secondo l ' antica consuetudine pretesca, volle infilarvi
questioni di fede, il giudice lo interruppe bruscamente: "Non tirare in ballo la fede; tu
sei ora processato per alto tradimento". Il pontefice tentò di giustificare la sua corre­
sponsabilità nella ribellione di Olimpio, adducendo la propria impotenza di fronte
ali ' esarca e contestando a ragione un suo presunto legame coi Saraceni. Fu condannato
a morte, ma all ' ultimo momento venne graziato per intercessione del suo antico
avversario, il patriarca Paolo II, allora gravemente ammalato: dopo altri tre mesi di
carcere fu esiliato nel Chersoneso (sul Mar Nero), dove giunse verso la metà di maggio
del 654; morì nel settembre del 655 . Ancora oggi viene venerato come martire dalle 343
chiese greca e romana, anche se in verità la sua fine fu solo quella riservata ai rei d ' alto
tradi mento. Fu il primo pontefice a perseguire decisamente il distacco del l ' Italia
250 La ribellione del papato e la polemica iconoclasta

dal l ' impero e la sua autonomia politica e religiosa. 1 7


In seguito la chiesa falsificò il corso degli eventi, ma negli ultimi anni di vita del
papa, soprattutto a Roma, non mostrò la minima preoccupazione per la sua sorte, come
testimoniano le amare parole dello stesso Martino. Il IO agosto del 654, vivo Martino,
fu designato suo successore il cittadino romano Eugenio I (654-657), uomo vilmente
ossequioso dell ' autorità statale. (Ma già un' altra volta era accaduto che un pontefice
venisse eletto al posto di un altro ancora vivente, per esempio Felice II al posto di
Liberio. [v. II, 74 ss.]). Il povero Martino si lamentò con stupore soprattutto perché la
chiesa di Roma non lo riforniva nemmeno dei mezzi indispensabili per vivere, e nel
settembre del 655, alla vigilia della morte, scrisse: " Mi meravigliai e mi meraviglio
della spietata indifferenza di tutti coloro che mi furono un tempo vicini, e degli amici e
dei miei prossimi: nella disgrazia mi hanno completamente dimenticato . . . ".
Dieci anni dopo quella stessa chiesa si espresse oltraggiosamente contro la condanna
di Martino per alto tradimento, defi nendola "macchinazione di false calunnie" e
insultando gli avversari come "nemici della verità e di Dio stesso" . Eppure già allora i
primi pellegrini si recavano pietosamente a visitare il suo sepolcro, entusiasmati dai
"numerosi miracoli" del "grande martire della verità", ghermendo come reliquie un
brandello del suo fazzoletto o addirittura, i più fortunati , anche un calzare. Settant' anni
dopo Gregorio II affermò solennemente: "Il nostro predecessore Martino si assise sul
soglio pietrino persuasore di pace; per questo il maligno Costante lo . . . abbatté". 1 8
Finì come finiscono i traditori anche l ' abate Massimo, il fanatico agitatore dell' orto­
dossia e autentico burattinaio di tutta la faccenda, nel quale ri sulta assai difficile
discernere le motivazioni politiche da quelle religiose. Teologo importantissimo della
chiesa orientale nel VII secolo e assai più eminente del papa, fece ogni sforzo per
indurre il vecchio a una resa almeno di tipo religioso, ma inutilmente. Morì straziato
344 nel Caucaso (662) e, ovviamente, da santo e martire: la giustizia cristiana gli mozzò la
mano destra e gli strappò la lingua. Maximus Confessar; ma ricordiamoci almeno di
questo: fu proprio grazie a lui, che uno dei massimi falsari teologici, lo Pseudo-Dionigi,
" fu per secoli il maestro del mondo occidentale" (v. III, l 05 ss.) e coi suoi falsi ottenne
"il diritto di cittadinanaza nella Chiesa" (Lexikon fur Theologie und Kirche). 1 9
Fallita miseramente quella rivolta, il papato s i trovò alla mercé del l ' imperatore.
Eugenio I (654-657), antipapa di Martino I nel 654, andò incontro al "Typos" imperiale,
all ' inizio in Oriente addirittura famigerata "quaestio de voluntate" ; e fu ancor più
accondiscendente Vitaliano I (657-672), che non osò la menoma resistenza, neppure
teologica. E quando Costante II, che perse in Oriente territori immensi a favore
dell' Islam, cercò di rimettere piede in Occidente, facendo la sua comparsa a Roma ­
l ' ultima visita di un imperatore d' Oriente -, papa Vitaliano accolse il "boia di Martino"
coi massimi onori, celebrando una festa dopo l ' altra: il 5 luglio del 663 proprio lui, che
aveva lasciato crepare miseramente in esilio il predecessore, andò solennemente incontro
Roghi di libri e battaglie 25 1

all ' ospite con popolo e clero fino al sesto miglio, per poi tornare col padrone e l ' intero
esercito fino a S. Pietro alla luce dei candelieri . Costante donò un dossale e pregò in S .
Paolo e i n Santa Maria Maggiore. Trascorrendo d a u n a chiesa all ' altra, fece portar via
tutto il ferro dai pubblici edifici e fece estrarre persino i mattoni di Santa Maria ad
M artyres per portarli a Costantinopo l i . L' i mperatore dei Cri stiani s i comportò
analogamente in Sicilia, dove inferse al papa un altro colpo, riconoscendo l ' autocefalia
dell ' arcivescovado di Ravenna e disponendo esplicitamente che i vescovi del luogo
non dovessero essere sottoposti a Roma. Ma nel 668 Costante venne assassinato nel
bagno della sua residenza siracusana, da un tesoriere, volgare esecutore materiale di un
complotto ordito ben più in alto; il successore incontrò "il plauso del clero" (Finley).
Eppure Roma risultò sconfitta anche in Sicilia: "Nella seconda metà del VII secolo la
chiesa siciliana era orientata verso B isanzio in tutte le questioni di un certo rilievo ... Il 345
trionfo orientalistico in Sicilia fu allora talmente completo, che persino la minoranza
colta e politicamente autorevole abbandonò il Latino per il Greco". (Finley) 2 0
Benché i papi, memori della sorte di Martino, si comportassero inizialmente in modo
cauto, e Vitaliano si schierasse persino a favore di un figlio di Costante Il, Costantino
IV, minacciato da un usurpatore ( l ' armeno Mezezio), tuttavia agirono con decisione
sempre maggiore nei confronti del l ' autorità imperiale legittima. La tentazione era forte
e il momento troppo favorevole: i B izantini perdevano vastissime provincie orientali a
favore dell' Islam e non ottenevano successi in Occidente né contro i Visigoti né contro
i Longobardi, mentre i Franchi avanzavano sul proscenio della storia con autorità
crescente.

ROGHI DI LIBRI E BATTAGLIE: LA CATTOLICIZZAZIONE DEI LONGOBARDI

Il popolo dei Longobardi, originario della Germania settentrionale, ma progressivamente


romanizzato, dopo le invasioni del 568 (pag. 73 ss.) si era impadronito dell ' Italia
settentrionale e in parte di quella centrale ; ma non esercitava alcuna influenza sulle
regioni del sud e sulla Sicilia, nucleo essenziale delle proprietà pontificie. I B izantini,
a loro volta, erano determinati a mantenere il loro dominio almeno lungo le coste e nel
Sud, mentre i santi padri si destreggiavano in alleanze ora coi Longobardi ora con
B isanzio, ampliando il proprio potere lentamente ma decisamente. Guidati dal duca di
Benevento, Romualdo, inizialmente i Longobardi avevano ottenuto enormi successi
contro i Bizantini a Calore e a Fiorino, e non erano mancate nemmeno incursioni armate
fino a Taranto e a B rindisi (668). 2 2
Con la crescente cattolicizzazione dei Longobardi nel corso del VII secolo, la chiesa
di Roma accrebbe via via la propria influenza su di loro, e quando alla fine furono 346
diventati cattolici ne scalzarono e distrussero la potenza. Prima che sotto il dettato del
252 La ribellione del papato e la polemica iconoclasta

clero venissero regolate per legge una lunghissima serie di questioni ecclesiastiche
(vennero giuridicamente normati il matrimonio, lo status delle monache, la lotta contro
gli "Eretici" e, dopo la liquidazione dell' arianesimo, anche la distruzione delle ultime
vestigia pagane), sotto i sovrani ariani i problemi ecclesiastici avevano avuto un ruolo
pressoché nullo nella legislazione longobarda: dei 388 capitoli dell' Edictum Rothari
(643 ), il primo abbozzo del diritto longobardo e nello stesso tempo il frutto più signifi­
cativo del l ' attività giurisdizionale dei Germani, soltanto due paragrafi si riferiscono
direttamente alla chiesa. 23
Con Ariperto I (653-66 1 ), duca d ' Asti, l ' orientamento cattolico di Teodelinda prese
il sopravvento: primo rappresentante maschio della dinastia "bavarese" da lei discesa,
sembra che il nipote Ariperto prediligesse i vescovi cattolici , contrariamente all ' atteg­
giamento filoariano e antiromano dei predecessori ; sotto il suo governo, in ogni caso,
si convertì al cattolicesimo Anastasio, l ' u ltimo vescovo ariano di Pavia. Il figlio di
Ariperto, Pertarito, proclamato re nel 67 1 , particolarmente filopapalino e anche filobi­
zantino, perseguì "una intensa politica di cattolicizzazione, d ' intesa con la chiesa
romana" (Tabacco). Alla sua morte (688) il duca Alahis di Trento, appoggiato da tutti i
gruppi d' opposizione, dagli ariani superstiti e dagli scismatici dei Tre Capitoli, si ribellò
al figlio di Pertarito, Cuniperto. Benché Alahis avese giurato fedeltà ai due re in nome
del possente arcangelo Michele, protettore dei Longobardi, ora costrinse alla fuga
Cuniperto, che dal 680 governava col padre e aveva dimostrato la sua "cattolicità" con
la conversione coatta degli Ebrei.
Alahis fu per alcun tempo sovrano a Pavia, ma si rese odioso al clero cattolico da lui
vessato, sì che Cuniperto (clericale e filoromano; la figlia fu anche badessa), poté
347 rientrare in città. Sulle rive dell' Adda, nella piana di Coronata, i due prìncipi giunsero
a battaglia, non soltanto per il potere : si trattò anche di uno scontro fra ortodossia e
scisma "con terribile spargimento di sangue", ma "con l ' aiuto del Signore" (Paolo
Diacono) vinse l ' ortodosso Cuniperto, che ivi costruì un monastero in onore del santo
martire Gregorio. Alahis cadde nella mischia: i fuggitivi furono scannati o annegarono
nel fiume. Dopo che a Verona venne catturato, accecato ed esiliato il ribelle Ansfrit,
che continuava l ' esecuzione dei piani di Alahis, l' unificazione politica dei Longobardi
fu completata dal i ' omologazione alla chiesa cattolica; era questo in fondo lo scopo
principale di Cuniperto "la totale cattolicizzazione dei Longobardi" (Jarnut). I vescovi
scismatici si piegarono a papa Sergio, che fece gettare solennemente sul rogo i loro
scritti "eretici" e garantì al re il perdono per la sua sanguinosa vittoria. Ebbe così termine
Io scisma dei Tre Capitoli, che durava da centocinquant' anni. 24
Ma neppure in seguito i Longobardi si astennero dalle spedizioni militari contro il
territorio di Roma, né i pontefici esitarono a cooperare coi loro capi peggiori ; ad esempio
con Ariperto II (70 1 -7 1 2), un usurpatore, che nel caos verificatosi alla morte di Cuniperto
fece assassinare nel bagno il figlio minorenne Liutperto e mutilare orribilmente i compo-
Inizio della lotta iconoclasta 253

nenti della famiglia del suo tutore (il futuro re dei Longobardi, Ansprando, fuggito alla
corte del duca di Baviera) : al figlio di Ansprando, Sigiprando, furono cavati gli occhi,
alla moglie Teoderada vennero mozzati orecchie e naso, e così anche alla figlia Aurora,
sorella del futuro re Liutprando, anch' egli scappato in Baviera. Ma non bastò ancora:
Ariperto II punì anche tutti i parenti consanguinei di Ansprando "nei modi più diversi"
(Paolo Diacono non ci svela i particolari) ; tuttavia sappiamo che fece tagliare barba e
capelli al rivale duca Rotari di Bergamo, cacciandolo poi in esilio a Torino e alla fine
facendolo assassinare. 25
L' alleanza con questo criminale coronato fruttò al santo padre la restituzione di tal uni
possedimenti nella costa ligure: re Ariperto redasse il diploma di donazione "con caratteri 348
d' oro" e lo fece pervenire a Roma. Ma quando il duca di Baviera Teutperto, cedendo
alle suppliche di Ansprando, marciò in Italia con un esercito, dopo una battaglia nella
quale "molti perirono da ambo le parti", Ariperto tentò di rifugiarsi pressi i Franchi, ma
affogò mentre guadava un fiume, "appesantito da un carico d' oro" ; "fu sepolto nella
chiesa del nostro Signore e Redentore . . . "; infatti, Paolo Diacono ci fornisce un commento
finale su questo pluriomicida: "Egli fu un uomo pio . . . ". 26
Dopo la fine di Ariperto salì al trono per un breve periodo il redivivo Ansprando, cui
succedette il figlio Liutprando, col quale la potenza dei Longobardi conobbe il culmine.
Benché il nuovo sovrano fosse devoto cattolico e grande benefattore della chiesa (pag.
264 s.), il papato gli fu avverso fino alla fine durante le lotte con B isanzio, e poi con
maggiore veemenza e assenza di scrupoli, perché il re longobardo avrebbe voluto
dominare l ' Italia da solo. 27
Alla rivoluzione romana si intrecciò, specialmente in Oriente, una grande tragedia
politico-teologica passata alla storia col nome di "lotta iconoclasta" (725-843 ), che
assunse dimensioni straordinarie.

INIZIO DELLA LOTIA ICONOCLASTA

Mentre siamo bene informati sulla storia bizantina del VI secolo dalle accurate informa­
zioni dello storico Procopio, ci troviamo pressoché allo scuro sugli eventi del VII e
dell' VIII secolo. Solo le cronache di due teologi, entrambi fautori delle immagini e
morti in esilio, il patriarca di Costantinopoli Niceforo e, più in dettaglio, di Teofane il
Confessore, gettano un fievole raggio di luce su questo ampio periodo storico, nel
quale soprattutto la fine del VII e l ' inizio dell' VIII secolo appaiono come una delle età
più torbide della storia bizantina. 349
L' imperatore Giustiniano II (685-695 , 705-7 1 1 ), il quale si dette tanto da fare per
derivare il potere imperiale dalla volontà divina, fece deportare e giustiziare molte
migliaia di famiglie slave. Nel 695 fu detronizzato, gli venne mozzato il naso e quindi
254 La ribellione del papato e la polemica iconoclasta

fu esiliato in Crimea. I successori si alternarono al potere uno dopo l ' altro, determinando
per vent' anni una totale anarchia. Ad aggravare la situazione giunsero i Bulgari, nomadi
delle regioni del Volga, che nel 7 1 1 , guidati dal khan Terwel, si presentarono davanti a
Costantinopoli. Nel 7 1 7 comparvero di nuovo gli Arabi, che cinsero d' assedio la capitale;
ma furono respinti da Leone III l ' Isaurico (7 1 7-74 1 ). Ma proprio questo salvatore di
Bisanzio, come ancor oggi viene esaltato dalla cristianità, fu l ' iniziatore di una sangui­
nosa contesa cristiana, che squassò per più di un secolo il mondo bizantino con una
violenza superiore a ogni altro contrasto religioso e che contribuì non poco alla divisione
fra Oriente e Occidente. 28
L' esordio del conflitto viene fatto risalire unanimamente al 726, quando un disastroso
terremoto nell' Egeo meridionale fu considerato un "giudizio divino" a causa del l ' intro­
duzione nelle chiese di una novella "idolatria", il culto delle immagini. Leone III ordinò
l ' asportazione delle raffigurazioni di tutti i santi, i martiri e gli angeli e nel 730 le fece
distruggere, insieme a tutti i simulacri di Cristo e di Maria. L' iconoclastia, che coinvolse
non solo il clero, ma anche le masse popolari, e che spesso, approfondita, fu forse
spiegata in modo assai più contraddittorio di qualsiasi altro fenomento della storia
bizantina, dissestò l ' impero in modi mai dopo raggiunti . Molto più che una semplice
diatriba teologica o un movimento di riforma religiosa, ma piuttosto una lotta anche tra
poteri religiosi e mondani, essa trascinò lo stato al limite del crol lo, proprio in un mo­
mento storico che conosceva una certa ripresa politica interna ed estera, e che vedeva
anche l ' estinzione delle polemiche cristologiche. 29
Comunque il punto di partenza del l ' iconoclastia fu costituito da un problema di
natura meramente teologica e dogmatica.
La primitiva religione indogermanica non conosce immagini, e così quella vedica,
350 zaratustriana, veteroromana e veterogermanica; ma soprattutto quella ebraica. Il Vecchio
Testamento proibisce rigorosamente qualsiasi forma di adorazione d ' immagini ; e
nemmeno il cristianesimo primitivo ne conosce il culto. Al contrario: il giudaismo
antico condanna esplicitamente la realizzazione di raffigurazioni, i profeti scherniscono
"coloro che fanno un dio e invocano un idolo", "l ' opera delle loro mani", "coloro che
baciano i vitelli"; allo stesso modo anche i primi padri della chiesa hanno combattuto a
lungo e con asprezza il culto delle immagini venuto di moda. Nel IV secolo teologi
come Eusebio e l ' arcivescovo Epifanio di Salamina vi sono contrari ; il Concilio di
Elvira proibisce le immagini e la loro venerazione. Per contro, sono proprio degli
"Eretici", gli Gnostici a iniziare la transizione, introducendo apertamente nel cristia­
nesimo l' immagine del Cristo e la sua venerazione. 30
A partire dal IV secolo tale usanza si intensifica in Oriente, dove nel VI secolo
risulta estesa quanto lo è oggi: vi vengono venerate non solo le immagini di Cristo, ma
anche di Maria, dei santi e degli angeli. Sono soprattutto i monaci a diffonderne l ' uso,
e ne hanno un solido motivo materiale: l ' iconolatria è parte integrante della conduzione
Inizio della lotta iconoclasta 255

dei loro affari (ad esempio, i lucrosi pellegrinaggi alle "icone misericordiose"). I teologi
favorevoli adducono la giustificazione che n eli' immagine viene venerata non una morta
raffigurazione, ma il dio vivente; e soprattutto, come afferma Niceforo, "la percezione
visiva conduce alla fede". Gli iconoclasti, invece, invocano a loro favore i fondamenti
stessi del cristianesimo, indiscutibilmente più antichi.
In realtà, il popolo venera le icone, considerandole capaci di guarire e di operare
miracoli, ed esse costituiscono addirittura il contenuto stesso della sua fede. Comparivano
sopra i mobili, sugli abiti, sugli orecchini; e per grazia del cielo o per artifizio dei preti
quelle immagini cominciano a parlare, a sanguinare, a difendersi se attaccate; ci sono
poi icone nuove di zecca, "non approntate da mano umana" (acheiropoietai), e altre che
ali ' atto del battesimo possono persino sostituire il padrino. Il volgo credulo esalta sempre
di più tali immaginette, identificandole col "sacro" tout court, baciando gli idoletti e le 35 1
raffigurazioni pittoriche e accendendo candele e lampade ai loro piedi. A volte gli infermi
ne raschiano i colori e li ingoiano con la convinzione di guarire; oppure le avvolgono
con nuvole d'incenso e le adorano in ginocchio: insomma, questi oggetti vengono trattati
non diversamente da come i pagani si conducono coi propri "idoli".
Gli avversari dell ' iconolatria, gli iconoclasti, percepiscono tali atti come idolatria.
Essi provengono dalla corte imperiale, dall' esercito e soprattutto dalle regioni dell' Asia
Minore fortemente influenzate dal i ' Islam, ostile per principio a ogni forma di immagine
concreta del divino. Sono presenti anche presso i confini orientali del l ' impero, dove
specialmente gli "eretici" pauliciani combattono l ' adorazione della croce e delle icone,
le cerimonie esteriori e i sacramenti ; si tratta di cristiani che compaiono per la prima
volta in Armenia verso la metà del VII secolo, costituendo per più di due secoli una
forza estremamente dinamica ai confini orientali dell' impero bizantino. 3 1
Tuttavia è degno d i nota e getta una luce caratteristica s u tutta codesta zuffa i l fatto
che gli imperatori e gli ambienti militari, poi gli avversari più accaniti del l ' iconolatria,
inizialmente ne furono i promotori più decisi. I sovrani del VI e del VII secolo,
approfittando di questa i nsania collettiva, la usarono per i propri scopi politici e
soprattutto militari : in innumerevoli battaglie vennero issate le icone, intere città poste
sotto la loro protezione e addirittura elevate al rango di difenditrici delle fortezze. Ma
troppo spesso fornirono prove fallimentari e le città caddero una dopo l ' altra nelle
mani degli "infedeli", ciò che rende evidenti le cause prossime dell ' iconoclastia: se le
icone avessero compiuto i miracoli attesi, molto probabilmente non ci sarebbe stata
nessuna forma di iconoclastia. "Ma le icone non mantennero quel che da loro ci si
attendeva . . . " (Mango). 3 2
La rivolta fu accesa soprattutto dal l ' episcopato orientale: il partito iconoclasta, che
ebbe i suoi massimi rappresentanti nei vescovi d ' Asia Minore Costantino di Nakoleia,
Tommaso metropolita di Claudiopoli e Teodoro di Efeso, dovette contare anche le sue
prime vittime: numerosi soldati incaricati di asportare le icone dalle chiese furono 352
256 La ribellione del papato e la polemica iconoclasta

ammazzati dal popolino in rivolta. Gli iconodouli furono attivi in tutte le contrade
dell ' impero: in Oriente il novantenne patriarca di Costantinipoli, Germano (7 1 5-730),
i l metropolita Giovanni di S innada e specialmente i monac i ; i n Occidente, dove
costituivano la maggioranza, furono guidati fin dal principio dal papato, sempre alla
ricerca di una maggiore autonomia e dell ' egemonia politica. Non a caso i l dominio
bizantino nell ' Italia centrale crollò in gran parte proprio allora.
In ogni caso il significato della contesa fu per molto tempo sopravvalutato da Roma;
la corte imperiale, infatti, aveva ben presto rinunciato a qualsiasi azione iconoclasta in
Italia. Ma l ' imperatore Costantino IV (74 1 -776), acceso nemico delle immagini, che si
autodefinì il vero amico di Cristo, non adoratore della sua icona, bensì della croce,
compose scritti polemici, creando una propria teologia soprattutto contro la raffigu­
razione del Cristo, da lui considerata espressione o di nestorianeimo (v. II, 1 08 ss.) o di
monofisitismo (v. II, 1 44 ss.), vale a dire della scissione o della mescolanza delle "due
nature" in Cristo. Il Concilio di Costantinopoli del 757 condannò duramente il culto
delle immagini come opera satanica e idolatrica. 33

FALLISCE UNA RIVOLUZIONE PAPALE

La massa del clero sapeva, ovviamente, che il suo potere si fondava primieramente
sulla magìa, sul fascino apparente e sull ' incanto tutto esteriore del servizio divino, per
cui si sentiva interessatamente obbligato a contare sul popolino adoratore di icone;
anche perché esso era ben aduso all ' adorazione degli idoli, la cui proibizione avrebbe
distrutto il fondamento stesso dei suoi costumi religiosi e della sua devozione. Quando,
in seguito a un editto del califfo Jezid, che nel 723 aveva ordinato l ' eliminazione delle
353 immagini da tutte le chiese cristiane del l ' impero d' Arabia, anche l ' energico imperatore
Leone III l ' Isaurico, considerato filosaraceno (sarakenophron), con l ' assenso di un
Concilio, impose con un editto ufficiale (726) che dalle chiese fossero allontanate e
occultate tutte le icone dei martiri e degli angeli (nel 730 ne ordinò anche la distruzione)
si verificarono episodi di fanatismo sia in Oriente che in Occidente : di cristiani contro
cristiani, come al solito . . . nei secoli dei secoli . 34
Intere provincie si riempirono di frantumi di fantocci e d' opere d ' arte di valore
inestimabile. Gli iconodouli vennero perseguitati, gli iconoclasti si sollevarono in massa.
Papa Gregorio II (7 1 5-73 1 ), usando inaudite espressioni di sfida paragonabili solo a
quelle di Simmaco (ma pronunciate sotto la protezione degli Ostrogoti), condannò
l ' intromissione del l ' imperatore nelle questioni di fede, avendo al suo fianco l ' Italia
tutta e soprattutto i vescovi . Le minacce dell ' imperatore "che sarebbe giunto a Roma,
avrebbe impacchettato la statua di s. Pietro e avrebbe trascinato via in catene lo stesso
papa Gregorio, come già aveva fatto Costantino [Costante II] con Martino [l]" furono
Fallisce una rivoluzione papale 257

prese alla leggera, anzi il pontefice fece del sarcasmo: "Anche se Tu Ti pavoneggi e ci
minacci, noi non ci sentiamo obbl igati a confrontarci con Te. Per tre miglia [lontano] il
Papa di Roma sfuggirà in terra di Campania, e dunque addio ! , va pure alla caccia dei
venti ! " . "L' intero Occidente" - sostenne il pontefice - "al l ' umile nostra persona ha
rivolto lo sguardo, e anche se indegnamente, abbiamo tuttavia grande fiducia in noi e
in colui, cui Tu vorresti distruggere e sottrarre l ' immagine, nel Santo Principe degli
Apostoli, Pietro, da tutti i ricchi d' Occidente rispettato come un Dio [ ! ] . E se Tu dovessi
osare metterei alla prova, invero le genti d' Occidente sapranno ben stare alla pari con
quelle d' Oriente".
In realtà, il malcontento di Gregorio non era soltanto teologico, ma conteneva
motivazioni assai più concretamente materiali .
N e l 7 1 717 1 8 l ' imperatore Leone I I I aveva difeso vittoriosamente Costantinopoli per
terra e per mare contro gli Arabi, in uno dei più decisivi massacri della storia mondiale :
l ' Asia Minore, così liberata dopo annose campagne militari, restò per quasi sette secoli
ancora bizantina e cristiana. Ma poco dopo, per pareggiare il bilancio dissestato dalla 354
guerra contro gli Arabi, si vide costretto all ' i mposizione di nuove tasse, che riguardarono
soprattutto la chiesa romana, vale a dire la prima potenza economica d' Italia in virtù
dei suoi immensi latifondi . Ma se prima il fisco era stato favorevole allo stato, ora si
inaugurò una prassi opposta. I vescovi italiani, i maggiori contribuenti del paese, orga­
nizzarono la rivolta e impedirono il pagamento delle imposte, lottando, com ' è ovvio,
anche contro l ' iconoclastia imperiale. La contestazione fiscale, non ammessa né dal
Vecchio né dal Nuovo Testamento, divenne un' opera pia e fu gabellata come una forma
di ribellione contro la politica iconoclasta del sovrano, che aveva fatto sostituire con
una croce l ' immagine di Cristo proprio all ' ingresso del suo palazzo.
In realtà leader e animatore della rivolta antimperiale fu solo papa Gregorio Il, "il
capo della rivoluzione italiana" (Hartmann). Il detto evangelico "siate obbedienti
all ' autorità" ora non valeva più; al suo posto era subentrata la frase: "Dovete obbedire
a Dio più che agli uomini". E Dio - in praxi - era ed è sempre il papa ! Il quale esortò
alla lotta non solo il patriarca di Costantinopoli, san Germano, ma tutto il mondo. E
così ebbe inizio dappertutto la guerra civile, mentre Gregorio minacciava la separazione
da Bisanzio: "Con la benevolenza divina percorriamo la via verso le più remote contrade
d' Occidente".
Il papa si oppose apertamente all ' editto imperiale, proibendo il pagamento delle
tasse e ponendosi così a capo della sollevazione. Persino il "Liber Pontificalis" arriva
a scrivere: "Si armò contro l ' imperatore come si fa contro un nemico". Il cartulario
Giordane e il subdiacono Giovanni Lurion, avversi al pontefice, furono ammazzati dai
romani; il duca Basilio fu rinchiuso in convento: evidenti attacchi alle autorità gover­
native imperiali. E di conseguenza l ' esarca Paolo ricevette l ' ordine di deporre Gregorio.
Ma quando le milizie imperiali si mossero da Ravenna, i l papa oppose resistenza,
258 La ribellione del papato e la polemica iconoclasta

alleandosi con i soldati italiani e coi Longobardi; a Venezia, Ravenna e Roma furono
355 cacciati i duci e i funzionari imperiali ; da Benevento e Spoleto vennero espulse le
truppe bizantine. L' esarca Paolo fu assassinato da un sicario, e i suoi generali furono
messi da parte. Il dux Exhilarato e il figlio Adriano (quest' ultimo bandito dal papa per
aver contratto nozze illecite) vennero catturati e uccisi dalle milizie romane. Al dux
Pietro furono cavati gli occhi, perché "aveva scritto all ' imperatore contro il papa". La
rivolta ebbe il sopravvento dappertutto: sua santità e i Longobardi in unanime lotta
contro l ' imperatore. Il "Liber Pontificalis" ci assicura poi "che l ' Italia intera, sdegnata
della malignità del basileus, decise di eleggerne un altro e di condurlo a Costantinopoli".
In Grecia fu effettivamente proclamato un anti-imperatore nella figura di Cosma, il
quale si spinse fino a Costantinopoli con una flotta, fu disastrosamente sconfitto in
battaglia navale il 1 8 Aprile del 727 e quindi impiccato. 3 6
Ancora nel 729 Gregorio II fu al centro della ribellione, convi nto che "l' intero
Occidente" guardasse a lui come a un liberatore: "I popoli d ' Occidente sono pronti" ­
così scrisse all ' imperatore -. "Noi deriviamo la nostra autorità e il nostro potere dal
principe degli apostoli Pietro, e potremmo, se volessimo, erigerci a corte contro di Te,
ma Tu hai già emesso la sentenza contro di Te e contro i Tuoi consiglieri : Tu e loro, Voi
tutti siete maledetti in egual misura".
Ma l ' imperatore riuscì a domare la rivolta: nel 730, quando il vecchio patriarca
Germano, che, a torto, non aveva riscontrato contraddizioni alla iconodulìa né nel Vecchio
Testamento né nella tradizione primitiva del cristianesimo, fu sostituito con Anastasio
(ammesso che Germano non si sia dimesso spontaneamente), la cosiddetta ' rivoluzione
italiana' fece naufragio. Gregorio allora, con straordinario tempismo, traslocò nel­
l' accampamento imperiale. Allorché i rivoluzionari italiani, come avevano fatto i Greci,
proclamarono imperatore un certo Tiberio Petasio, il pontefice, cui dovette apparire
assolutamente fuori luogo un imperatore a Roma, dove voleva comandare da solo, esortò
il popolo "a non abbandonare l ' amore e la lealtà verso l ' impero romano", e mise a
disposizione dell' esarca la milizia romana per combattere l ' antiimperatore. Il povero
356 Petasio venne trucidato nella Tuscia romana e la sua testa fu spedita a Costantinopoli. 37
Ma la questione iconoclastica continuò a trovare la fiera opposizione di Gregorio Il.
Nel si nodo romano del 73 1 il successore Gregorio III (73 1 -74 1 ) comminò la scomunica
per la sottrazione, la distruzione e l ' oltraggio delle immagini, ma i suoi ambasciatori a
Costantinopoli furono intercettati in Sicilia dal comandante Sergio, incarcerati per mesi
e quindi rispediti al mittente. Contemporaneamente l ' imperatore si accinse a una possente
reazione, che colpì la base materiale del papato, modificandone la geografia politica.
In seguito a un naufragio della flotta diretta in Italia, l ' imperatore si vendicò a modo
suo: non si limitò soltanto a inasprire enormemente le imposte nell' Italia meridionale e
in Sicilia, ma separò da Roma la provincia ecclesiastica d ' I lliria e tutta l ' Italia meridio­
nale, S icilia compresa, ponendole tutte sotto la giurisdizione del patriarca di Costanti-
Fallisce una rivoluzione papale 259

nopoli ; misura difesa poi decisamente da Bisanzio e combattuta, al contrario, da ogni


nuovo papa. Inoltre l ' imperatore tolse al pontefice tutti i patrimoni dell ' Italia meridio­
nale, il che significò solo in Sicilia una perdita di 350 l ibbre d' oro. 3 8
La polemica iconoclasta durò per tutto il periodo di Leone, per poi inasprirsi col
figlio e successore Costantino V (74 1 -776), detto l 'Iconoclasta (ma anche Copronimo,
perché aveva sporcato l ' acqua del battesimo, e Caballino, perché gradiva l ' odore dello
sterco cavallino) . Quando nel 742 il cognato Artabasdo, usurpatore iconodulo, si mise
a capo di una rivolta, Roma si schierò con l ' imperatore iconoclasta, il quale fece strappare
gli occhi al ribelle sconfitto e ai suoi figli, mentre papa Zaccaria incassò una ricca
donazione di terre. Costantino, attivamente partecipe alle discussioni e straordina­
riamente interessato agli aspetti teologici della disputa, vietò le invocazioni dei santi e
di Maria e fece asportare o distruggere tutte le immagini sacre presenti nelle chiese.
Questo imperatore perseguitò specialmente i monaci, tanto più fanatici difensori del
culto delle icone in quanto detentori del fiorente monopolio della loro fabbricazione: i 357
monasteri furono espropriati, chiusi, trasformati in caserme o in terme, oppure comple­
tamente distrutti, come accadde ai conventi di Callistrato, di Dione, di Massimino ecc .
ecc . In Efeso monaci e monache furono costretti alle nozze, altri (con la copertura del
Concilio di Costantipoli del 754) vennero giustiziati . Gli iconoduli di Megara massa­
crarono i soldati , e i soldati organizzarono martiri nell ' ippodromo. Nel sinodo di Hieria
non meno di 338 vescovi sottoscrissero i decreti iconoclasti di Leone III, mentre 50.000
monaci, banditi dal l ' imperatore, fuggirono a Roma. Nel frattempo i Bulgari avevano
già cominciato il loro attacco massicio all ' i mpero. 39
La lotta "col fuoco e con la spada" conobbe il suo culmine negli anni Sessanta.
L' abate di Monte Aussenzio, Stefano, capo dell' opposizione iconodula, fu linciato
per le strade di Costantinopoli nel novembre del 765 . Solo nell' agosto del 766 vennero
giustiziati 1 6 alti funzionari e ufficiali dell ' esercito, seguaci degli iconoduli; e l ' anno
seguente cadde nell ' arena anche la testa di Costantino, patriarca di Costantinopoli :
l ' imperatore prima l o fece frustare, quindi, il 6 ottobre, lo costrinse a leggere il Levitico
davanti alla cittadinanza riunita nella cattedrale: "Dopo ogni capitolo" - scriverà l ' abate
Teofane - "il segretario schiaffeggiava lo pseudo-patriarca, mentre il patriarca Niceta
si godeva lo spettacolo, seduto sul podio". Il g iorno dopo Costantino, rapato a zero,
messo alla berlina dentro un abito senza maniche e cavalcando un asino seduto al
contrario, venne condotto nel l ' ippodromo ed esposto agli ululati ingiuriosi del popolo
cristiano.
Il somaro era guidato dal nipote Costantino, al quale era stato mozzato il naso:
"Allorché fu giunto davanti alle tifoserie circensi, gli spettatori scesero dai loro scanni,
lo riempirono di sputi e lo ricopersero di escrementi. Arrivato davanti alla loggia
imperiale, lo tirarono giù dal l ' asino e gli montarono sulle spalle". Alla fine del mese il
pover' uomo rinnegò la sua fede, e ottenuta anche questa soddisfazione l ' imperatore lo 358
260 Note

fece decapitare. Il cadavere venne venne posto sullo scorticatoio e trascinato per le
strade; la testa fu appesa al milion per tre giorni, perché tutti la contemplassero. 40
Non è un cristianesimo gaio?
359 Certo, tutto ciò accadeva a B isanzio. E a Roma.

NOTE

Cfr. nota 36.


2 ibid.
3 ibid.
4
JW 1 , 220 sgg. LP 1 , 3 1 5 sg. Kiih ner, Lexikon , 40. Caspar 1 1 5 1 8 , 629. Citaz. ibid. 5 1 7 . Seppelt 1 1 4 1
sg. Seppelt/Schwaiger 63. Gontard 1 62 .
� Caspar Il 67 1 . Seppelt Il 44 sgg. Seppelt/Sch waiger 64. Haller I 2 7 2 . Orlandis/Ramos-Lisson 1 86
sgg.

Caspar Il 526 sgg.
7
Carte l l i eri I 90 sgg. Daniel-Rops 3 9 5 , 399 sgg. Foss 7 2 7 .
8
Hartmann, Geschichte lta/iens I l , 1 99 s g . , 203 , 2 1 4 sgg. Kornemann Il 457 sgg. B uchner, ibid. ,
1 5 2 . Seppelt/Schwaiger 64 sgg. Sch waiger, Honoriusfrage, 86 sg. Baynes 287 sgg. Palanque 36 sg.
Mango 1 06 s g . Beck, Das byzantinische Jahrtausend, 1 8 2 sg. Diesner, Der Un tergang, 77. Sul
Monoergetismo e sul Monoteletismo i n dettag l i o ad esempio Winkel mann, Die ost/ichen Kirchen,
62 sgg.

LThK I I I ' 79 1 sg. Kraft, Kirchenviiterlexikon, 26 1 . Kel l y 8 5 . Hartmann, ibid. , I l , 2 1 7 sg. Cartel l ieri
I 1 08 . Seppelt II 46 sgg. Kornemann I I 46 1 sg. Buchner, ibid. , 1 5 2 sg. Haller I 2 3 3 . Seppelt/Schwaiger
65 sg. Schwai ger, ibid. , 85 sgg . Coler I l 1 7 .
10 Mansi I l , 1 95 sgg . , 207 sgg. Ke l l y, ibid. , 8 5 . H KG 1 1/2 , 3 7 sgg. Hartmann, ibid. , 1 1 259 s g . Seppelt
I l 5 1 sgg. Caspar I l 602 sgg. Cfr. 532 sg. B u c h ner, ibid. , 1 5 3 . Haller I 246 sg. Palanque 38. Seppe! t/
Schwaiger 69. Schwaiger, ibid. , 9 1 sgg . • soprattutto 94 sg.
11
Ps. Tertu l l . adv. horn. haer. 8 . Migne, PL 96, 399 sgg. H i pp. ref. 9, I l , l . Cfr. anche 9, 1 2 . Kiih ner,
ibid., 45 . Kel ly 85. LMA V 1 8 sgg. Vedi anche Storia criminale del Crist. I l , 95. Harnack, Sitzungsber.
d. Preuft. Akad. d. Wiss. phil. hist. Kl. 1 92 3 , 5 1 sgg. Hartmann, ibid. , Il 260 sg. Seppe! t Il 46 sgg.
Caspar I l 608 . Schubert, ibid. , l , 2 3 9 . B u c hner, ibid. , 253. Haller I 247 sgg. Seppelt/Schwaiger 69.
I l teologo cattol ico Schwaiger nel 1 97 7 , i n Honoriusfrage, 96, parl a dell "'indiscusso fatto storico
che l ' i ntera cristianità del VII secolo rappresenta nel Conc i l i o Ecumenico l a p i ù alta autorità
riconosc iuta nelle questioni di fede, ha condannato come eretico un papa i n u n ' importante questione
cristologica, e che anche i legati pontifici e Leone I l hanno riconosciuto espressamente i l fatto che
u n pontefice avesse errato i n u n a essenziale proposizione di fede .
12
Lib. Pont. Vita Sever. 1 , 348. Kiihner, ibid. , 4 1 sg. Hartmann, ibid. , I l , 2 1 2 sgg. Seppelt Il 53 sg.
Gontard 1 63 . Haller I 23 1 . Coler I l 17 sg.
" Kel ly 8 7 s g . Hartmann, ibid. , Il, 2 1 8 sgg. Haller I 23 1 sgg.
1 4 Mansi 1 0, 7 1 0 sgg . ; 1 1 , 3 sgg . H artm ann, ibid. , 1 1 220 sgg. Seppelt 1 1 5 7 sg. Haller I 234 sg . ; i v i , a
pag. 392 s g . , il r i n v i o alle fonti .
1 � Kel ly 8 8 . Hartmann, ibid. , I l , 2 2 1 , 223 sg. Seppelt 1 1 5 7 s g . Palanque 3 8 . Haller I 2 3 5 ; i v i il rinvio
alle fonti a pag. 392 sg. U l l ma n n , Ku rze Geschichte des Papsttums, 54.
16
Lib. Pon t. , Vita Mart. 4 sgg. Mansi 1 0,855 sgg . ; 1 0, 8 6 3 . Kel l y 8 8 . Hartmann, ibid. , Il 224 sg.
Haller I 2 3 5 sgg. Palanque 38.
Note 26 1

17
Lib. Pont. , Vita Mart. 1 , 3 3 6 sgg. (Duchesne ) . , 1 8 1 sgg. (Momssen) 2078 sgg. (Jaffé ) : Kelly 89.
H KG I I 2 41 sg. H artmann, ibid. , I I 229 sgg. Cartel l ieri I 1 09 . Caspar I I 5 64 sgg. Schubert, ibid. , l,
2 3 7 sgg. Seppelt I I 62 sg. Seppelt/Schwaiger 67 s g . Haller I 2 3 8 sgg. Gontard 1 63 . M a ier, ibid. ,
34 1 . U l l m a n n , ibid. , 54 sg.
'" JE 208 1 . Kelly 89 fa notare che Marti no fu l ' ultimo papa ad essere onorato dalla chiesa come u n
martire. Caspar I I 5 7 1 s g g . Seppelt I I 6 4 . Seppelt/Schwaiger 6 8 .
19 LTh K V I I ' 22. N e l l a 2 ed. V I I 2 0 8 s g g . di c i ò n o n vien fatto p i ù a l c u n c e n n o . Kraft 370. A ltaner/
Stu iber 5 2 1 sgg. HKG II 2,4 1 sg. H artmann, ibid., 222, 2 3 1 sg. H aacke 9 5 . Haller l 240. Daniel­
Rops 460.
20 Li b. Pont. l , 3 3 9 ; 1 , 343 . Hartmann, ibid. , I l , 249 sgg. Kornemann II 484. Cartel l ieri I 1 09 sg. Caspar
I I 574 sgg. Seppelt I I 65 sg. Haacke 95. Haller I 24 1 . Mango 1 08 . Gontard 1 64. Kiihner, Gezeiten,
1 5 1 . Finley 22 1 sg., 228 s g .
" Lib. Pont. , Vita Vita/. 4.
22
Pau ! . Diac . , Hist. Lang. 6, 1 . H artmann, ibid. , I I , 2 3 8 sgg. Maier, ibid. , 327 sgg . , 3 3 3 s g g . Dannen­
bauer I I 20 sg.
23 Mar. Avench. ad an. 573. LMA I I I 1 5 74 sg. Hartmann, ibid. , I I 244 sgg. Schniirer, Kirche und
Kultur, l, 1 69 . Caspar I I 5 8 1 . Schmidt, Die Bekehrung, 387 sgg. Voigt, Staat, 20 1 s g . , 227 sg.
Schmidt, Zur A blosung der Langobardenherrschaft, S . Maier, ibid. , 329. Nj eussychin 3 3 9 sgg . ,
3 5 2 sgg.
24
Pau ! . Diac . , Hist. Lang. 4,48; 4,5 1 ; 5 , 2 5 ; 5,35 sgg . ; 6, 1 ; 6,3 ; 6, 1 7 . Lib. Pont. , Vita Sergii 1 5 . Vita s.
Ba rbadi ep. Benev. c . 5 sgg. Ke l ler, Reclams Lexikon, 379 sgg. LMA I 933, 1 1 29 ; I I I 3 7 2 (J. Jarnut);
V 1 695 sg. ( G . Tabacco). Hartmann, ibid. , I I 244 s g . , 266 sgg . , 2 H . 2 5 . Schn iirer, ibid. , l , 1 7 1 .
Carte l l ieri I 1 08 . Giesecke 206. B uch ner, ibid. , 1 5 6 . Maier, ibid. , 329 s g . M i sch 1 30. Schmidi nger
383 sgg.
2'
Pau ! . Diac . , Hist. Lang. 6, 1 9 sgg . , 6,27 sg. LMA I 69 1 , 9 3 3 . Caspar, Pippin und die romische
Kirche, 5 8 sg. Maier, ibid. , 3 3 1 .
26
Pau ! . Diac . , Hist. Lang . 6 , 3 5 .
27
Cfr. C a p . 1 3 , n o t a 3 .
28
LTh K V I I ' 5 6 8 s g . ; X ' 79. LMA V 8 2 3 . M a n g o , Erbe, 1 06, 1 08 . Maier, Byzanz, 9 1 s g . Vernadsky,
Das friihe Sla wentum, 266. Mazal . Das Byzantin ische Reich, 3 5 2 sgg.
29
LThK l P 46 1 s g . LMA I I 1 50 sg. Daniel-Rops 449 . Mango l 08. Haller I 2 5 8 . Maier, Mittelmeerwelt,
30 2Mos. 20,3 sgg . ; 3Mos. 26, 1 ; 5Mos. 4 , 2 3 sgg . ; 27, 1 5 . Isaia 2 , 8 ; 44, 1 0 ; Geremia 1 , 1 6 ; 1 0,3 sgg.
Osea 1 3 , 2 . Sin. di Elvira can . 36. LMA I I 1 5 1 sg. ; V 37 1 sgg. H e i ler, Erscheinungsformen, 1 1 1 sgg.
Kitzi nger, The Cult, 83 sgg.
31 LThK VIIP 205 sg. Hartmann, ibid. , I I , 90 sgg. Carte l l ieri I 1 25 s g . Koc h 89. Caspar I I 650. Dan­
iel-Rops 447 sgg. Maier, Mittelmeerwelt, 3 5 1 sgg. Mango 1 08 sg. Kiihner, Gezeiten , l , 1 56 . Seppelt/
Schwaiger 7 6 . Dawson 1 75 . Alexander 6 sgg. S u i retroscena della polemica iconoclastica cfr.
Savram is 7 1 sgg.
32 Mango 1 02 .
33 Greg. I l , ep . 2 . Kraft 240. L M A I I 1 50 sg. ; V 1 3 7 6 . H K G I I I l 3 3 . Hauck I I 2 7 6 . Caspar I I 647.
Dannenbauer, Die Grund/agen der m ittelalterlichen Welt, 5 2 sg., 68 sgg . Seppelt/Schwaiger 5 6 sg.
Dawson 1 7 5 . Buchner, ibid. , 1 54. Daniel-Rops 448 , 450. H e i l er, ibid. , 1 1 4. Michel 7 .
34 L M A V 1 890. Hartmann, ibid. , I I 9 1 s g g . Caspar I I 65 1 , 6 5 5 . S tadtmiil ler, Geschichte Siidosteuro­
pas, 1 08 sg . H e i ler, ibid. , 1 1 4. Seppelt/Schwaiger 76. Maier, Byzanz, 93 sgg. H u nger 2 1 5 . Prev ité­
Orton 245 sg g .
35 Caspar I I 654 sgg . , 660 s g . Seppelt/Schwaiger 7 7 . Maier, ibid. , 99 sgg . W . U l l m a n n , Kurze Ge­
schichte des Papsttums, 65, pa r la del l a "i naudita rozzezza" del rapporto epistol are del p a p a c on
l ' i mperatore " i n di spregio di qualsiasi forma di cortesia".
262 Note

36 2Mos. 2 2 , 2 8 . Mc. 1 2 , 1 4 sgg; Mt. 1 7 ,24 sgg . Le. 20,22 sg. Rom. 1 3 , 5 sgg. Vita Gregor. Il, c. 1 6 sgg.
Lib . Pont. (Duchesne) 404. Secondo Kelly, 1 02, Gregorio guidò "la rabbiosa res i stenza d i tutta
l ' I talia", tuttav i a "non vac i l l ò nella sua leal tà" . Ploetz 67 s g . LThK I V 2 754. L M A V 1 890. H art­
mann, ibid. , II 89 sgg . , 94 sgg. Luegs II 478 sg. Haller I 2 5 3 , 257 sg. Dannenbauer, ibid. , 52 sg.
Stadt m ii l ler 1 07 sg. Maier, Mittelmeerwelt, 28 1 , 3000 s g . , 34 1 . Pirenne, Geburt, 2 1 8 . S ickel 3 1 1
sgg. Daniel-Rops 450, 4 7 8 . M aier, Byzanz, 95 sg. B o s l , Europa im Mittelalter, 1 2 1 sg. Tel lenbach,
Eu ropa, 426.
31 Lib. Pont. , Vita Gregor. Il, c . 2 3 . Kraft 240. LThK I V 2 754. LMA I V 1 344 s g . , V 1 890. Hartmann,

ibid. , I I , 99. Caspar I I 660 sgg. Dan i e i - Rops 450. Pirenne, ibid. , 2 1 9 sg. Seppelt/Schwaiger 7 7 .
U l l mann, D i e Mach tstellung, 69 sgg.
'" Lib. Ont. Vita Gregor. III c . 2 . Kel ly 1 02 sg. Hartmann, ibid. , II, I l O sgg. Schubert, Geschichte der
ch ristlichen Kirche, I , 249. Caspar II 664 sgg. Pirenne, ibid. , 2 1 9 sg. Haller I 26 1 s g . Maier,
Mittelmeerwelt, 34 1 s g . Seppelt/Schwaiger 79 s g . Jedi n , Kleine Konzilgeschichte, 34. H u ssey 1 3 1 .
Grotz, Erbe, 2 2 . Hartmann, Die Synoden der Ka rolingerzeit, 40 s g .
19 LMA 1 1 05 7 ; V 1 3 76. Ostrogorsky 1 40 s g . Miche!, Die Kaisermacht, 3 . Dannenbauer, Grundlagen ,
5 3 . Wei n 90. Pirenne, ibid. , 222. Kiihner, Gezeiten, I , 1 54 sg. A h l h e i m 1 74 . B o s l , Europa im Mittel­
alter, 1 22 . Daniel-Rops 45 1 sg.
"' We i n 90. Ostrogorsky 1 40 s g . Daniel- Rops 452. Jedin, ibid. , 34. B o s l , ibid. , 1 22 .
CAPITOLO XIII.

LA NASCITA DELLO STATO DELLA CHIESA: TRA GUERRE E RAPINE

"Ma state attenti, o fig l i , sforzatevi ferv idamente di assecondare ciò che noi desideriamo !
Ché, voi lo sapete: chiunque percorrerà u n ' altra via, sarà escluso dalla vita eterna".
(Papa S tefano Il). 1

"La lotta per Cristo e per la Chiesa viene indicata ai Franchi


come la loro m i s sione storica". (Johannes Haller). 2 361
264 La nascita dello Stato della Chiesa : tra guerre e rap ine

ACROBAZIE PAPALINE FRA BISANZIO, LONGOBARDI E FRANCHI

Mentre a Bisanzio infuriava la contesa iconoclasta, i cui effetti scuotevano anche l ' Italia
bizantina, il re Liutprando cercò di approfittare dell' occasione per estendere il regno
longobardo a tutta l ' Italia, e soprattutto all ' Emilia-Romagna. Occupò sistematicamente
territori bizantini, conquistò uno dopo l ' altro i capisaldi strategici, e consolidò il suo
dominio anche sui ducati di Spoleto e Benevento: insomma, ampliò ininterrottamente
il potere all ' esterno e lo consolidò all ' interno. Ma quando nel 732 (o 733) conquistò
per la prima volta anche Ravenna (da due secoli in mano bizantina), costringendo l ' esarca
a fuggire nelle lagune veneziane, questo alleato del papa cominciò a diventare troppo
pericoloso.
In fondo, il vescovo di Roma non aveva nessuna ragione per essere irritato con
Liutprando, che una volta aveva immediatamente lasciato a Gregorio II il suo ducato
appena conquistato e restituito (sottoforma di donativo agl i apostoli Pietro e Paolo)
anche il castello di Sutri, caldamente ambito dal papa, perché dominava la strada
per Ravenna. Il tutto esclusivamente per rispetto al principe degli apostoli ! Infatti
Liutprando era anche un uomo pio, un cattolico credente devoto ai preti, e un deciso
sostenitore della chiesa. Costruì nel proprio palazzo una cappella privata e fu il primo
re longobardo a mantenere un cappellano : "ogni giorno" incaricava i preti "che per lui
dovevano celebrare il servizio divi no" (Paolo Diacono). Un suo consanguineo diventò
363 persino vescovo di Pavia. Fu molto generoso col clero: fondò monasteri, costruì e abbellì
molte chiese e fu assai solerte nel sostenere il culto superstizioso delle reliquie. Un
prqlogo alle sue leggi esordisce con una citazione biblica; in un' altra premessa si dichiara
esplicitamente difensore della fede cattolico-romana. Quando Gregorio II osteggiò il
ritorno delle monache alla vita mondana, Liutprando emanò una legge apposita; e quando
il papa iniziò a combattere i matrimoni fra cognati, Liutprando accorse in aiuto con un
tempestivo divieto statale.
Benché il re si fosse posto a fianco di Roma anche durante la rivolta antiimperiale, il
nuovo papa Gregorio III (73 1 -74 1 ) lo tradì per Venezia. Infatti, avendo paura della
potenza di Liutprando, ma soprattutto volendo per sé la Romagna, violando il patto
d ' alleanza col re longobardo, ordinò al metropolita di Venezia, Antonino di Grado, di
appoggiare l ' esarca fuggiasco, affinché Ravenna "venisse ricondotta ali ' antico legame
con la sacra repubblica e la sudditanza all ' i mpero" (Verso il 735, dopo che i Longobardi
ebbero assediato la città per tre anni, i Veneziani la presero dal mare con un colpo di
mano). In una lettera al doge il papa insultò i Longobardi, suoi fedeli alleati e iconoduli
come lui, chiamandoli popolo "ignobile", e, per contro, definendo l ' imperatore e il
figlio Costantino Copronimo "suoi figli e signori" ... , prima che i successori tradissero
anche loro. 3
Infatti anche B isanzio parve troppo pericolosa per il papa.
A crobazie papaline fra Bisanzio, Longoba rdi e Franchi 265

E quindi, dopo aver spinto la flotta veneziana alla riconquista di Ravenna a pro
dell ' esarca, si alleò nel 738 col duca fedifrago Trasmondo di Spoleto, e col ribelle
Godschalk, che si era impadronito di Benevento. Come (probabilmente) già Gregorio
II, anche Gregorio III aizzò i duchi longobardi contro il loro sovrano, e intanto si dedicò
alla ricostruzione di gran parte delle mura di Roma e alla fortificazione di Civitavecchia.
Nel 724 Trasmondo II aveva deposto con la forza il padre Faroaldo II, costringendolo 364
alla tonsura e alla monacazione; e allorché Liutprando mosse contro di lui nel 73 81739,
mettendo a ferro e a fuoco la Pentapoli e attaccando Spoleto, Trasmondo si rifugiò dal
papa, che gli mise a disposizione l ' esercito contro Liutprando, il quale a sua volta
avanzò nel ducato di Roma ponendo lo a sacco e occupando i castelli sul confine setten­
trionale: la guerra infuriò dappertutto sia nelle terre di Ravenna che in quelle di Roma.
Trasmondo ottenne una precaria vittoria nel dicembre del 740, conquistando la capitale
e uccidendo Ilderico, il nuovo duca insediato da Liutprando; ma il papa, che sobillava
intanto contro il sovrano i vescovi del regno longobardo, ebbe paura della potenza del
re, e invocò il soccorso di Carlo Martello, lontano ma pur sempre disponibile. 4
Dal 720 il maestro di palazzo dominava incontrastato tutto il regno franco; peren­
nemente in guerra (pag. 2 1 4 sgg.), vi coinvolgeva ampiamente la chiesa, utilizzando i
monasteri come autentiche teste di ponte (Schwarzach, Gengenbach, Schuttem, l' abbazia
di Reichenau), poiché riteneva che l ' ampliamento del suo dominio e la diffusione del
cristianesimo fossero inscindibilmente connessi; Carlo, l ' uomo più potente d' Europa,
tanto avvezzo alle guerre di conquista, che le fonti contemporanee evidenziano il fatto
che una volta era stato inattivo per un intero anno (esattamente nel 740), codesto
personaggio, insomma, al vicario di Cristo apparve il protettore più idoneo. 5
Dunque il terzo Gregorio nel 7391740 si diede da fare per istigare Carlo Martello
contro Liutprando, benché i due fossero amici personali.
Il papa allettò il re franco con la prospettiva del distacco di Roma dal l ' impero
bizantino, facendogli poi balenare la possibilità di conferirgli il Consolato e il rango di
Patrizio Romano. A tal fine Gregorio inviò un' ambasceria e due epistole al "carissimo
figlio di San Pietro" e all ' "illustrissimo Signore Carlo", scongiurandolo nel 74 1 , poco
prima di morire, "in nome del Dio vivo e vero e delle santissime chiavi del sepolcro di
Pietro": "Siamo immersi nel l ' estrema necessitudine, giorno e notte fluiscono lacrime
dai nostri occhi, perché siamo costretti a vedere come la Santa Chiesa di Dio dovunque 365
e quotidianamente venga abbandonata dai suoi figli, sui quali aveva riposto le proprie
speranze . . . ". Supplicò Carlo Martello, che con moglie e figli faceva parte della
confraternita orante del l ' abbazia di Reichenau consacrata a s. Pietro, di non serrare il
cuore all ' invocazione pontificia, affinché il principe degli apostoli guardiano del paradiso
non gli serrasse le porte del regno dei cieli. Il santo archimandrita inviò inoltre al "prin­
ceps" dei Franchi "doni incommensurabilmente grandi, mai prima veduti né uditi"
(Fredegarii Continuationes) ; e ovviamente non trascurò di accludere qualche ferro
266 La nascita dello Stato della Chiesa : tra guerre e rapine

vecchio, come le presunte maglie delle catene di Pietro e le chiavi della tomba dell ' apo­
stolo, per chiarire diplomaticamente il proprio orribile servaggio sotto Longobardi e
Greci. Ma non v ' é traccia di una qualsivoglia contropartita del papa; si parla esclusi­
vamente delle "menzogne" dei Longobardi, e della protezione della chiesa di Roma e
del suo patrimonio: "soltanto questo viene continuamente ribadito" (Miih lbacher) .
Gregori o III i ntensificò i suoi sforzi fino alla morte : "Mai pri ma" - afferma
ossequiosamente un cronista franco - "si era visto o sentito nulla di simile" ; tuttavia
l ' appello al "Viceré" Carlo fu inutile. Scarsamente devoto alla chiesa, imparentato coi
Longobardi, alleato e amico di Liutprando, che nel 737 aveva adottato i l figlio Pipino
e l ' anno seguente, su richiesta di Carlo, era intervenuto vittoriosamente "senza indugi
con tutto l ' esercito longobardo" (Paolo Diacono) contro i saraceni in Provenza, rimase
del tutto insensibile alla prima invocazione del papa, in attesa di decidere eventualmente
in un secondo tempo.
Unico fra i capostipiti dei Carolingi, Carlo viene maledetto dagli autori ecclesiastici
posteriori e cacciato all ' Inferno soprattutto per le sue "precaria verba regis" (pag. 305)
e a causa della sistematica spoliazione del patrimonio della chiesa. Ai suoi tempi la
cosa apparve sotto un' altra luce, anche quando fece decapitare un suo parente membro
366 del clero, Wido, abate di St. Vaast e St. Wandrille, secondo le cronache conventuali
amante della caccia e della guerra più che della celebrazione della messa (non fu
giustiziato per questo, naturalmente, ma per una congiura ordita contro il sovrano). In
realtà fu tutt' altro che un fiero avversario della chiesa: ci sono note ben otto donazioni
da lui personalmente effettuate in suo favore. 6

IL LOGORROICO ZACCARIA PERSUADE A FORZA DI CHIACCHIERE l LONGOBARDI

Nel dicembre del 74 1 , un mese dopo Carlo Martello, morì anche Gregorio III, ultimo
vescovo di Roma a chiedere a Costantinopoli la convalida ufficiale della propria elezione,
cui succedette Zaccaria (74 1 -752). Dal momento che le ripetute istigazioni del prede­
cessore a Carlo Martello perché dichiarasse guerra ai Longobardi erano fallite, il nuovo
papa, "uomo di rara bontà" (in realtà dotato di una raffinata intelligenza, capace di
grande forza persuasiva), cercò protezione dalle rinnovate offensive del re longobardo,
capovolgendo la politica di Gregorio e alleandosi con lui.
La cosa risultò tanto più agevole in quanto, per citare la conclusione della storia
longobarda di Paolo Diacono, Liutprando "si fondava ormai più sulle preghiere che
sulle armi". La chiesa, che aveva appena stretto alleanza col ribelle duca Trasmondo,
lo fece cadere, combattendolo adesso insieme con l ' ex-nemico Liutprando: attaccato
su due fronti , Trasmondo si arrese e tosato e monacato scomparve in un convento.
Nel 742 papa Zaccaria si recò in pompa magna nel campo di re Liutprando a Terni ,
ll logorroico Zaccaria persuade a forza di chiacchiere i Longoba rdi 267

per i ncassare i frutti del tradimento. Dopo uno splendido ricevimento con annessa
preghiera comune, ben preparato alla bisogna da ottimo conoscitore qual era dei Dialoghi
di Gregorio I zeppi di ripugnante superstizione e di grandiosi miracoli (pag. 1 45 ss.),
da lui tradotti in greco, si rivolse all ' ingenuo sovrano ormai piegato dagli anni, rag- 367
giungendo risultati assai più apprezzabili di quelli a suo tempo ottenuti da Gregorio II:
non più un solo castello, ma quattro (Orta, Ameria, Polimartium e B leda), donatigli
(abitanti compresi) con un documento ufficiale redatto nella Cappella del Redentore
della chiesa di S . Pietro a Terni . Tali possedimenti, per altro, erano legittima proprietà
del l ' imperatore greco ! Il sovrano fece al santo padre un' altra serie di concessioni anche
territoriali : restituzione di latifondi pontifici, di altre città e di prigionieri. Ferdinand
Gregorovius afferma sarcasticamente che ogni boccone ingoiato alla tavola del papa
costò a Liutprando un appezzamento di terra. Ma il vecchio sovrano si levò dicendo
con leggiadro sorriso di non ricordare d' aver mai mangiato così sontuosamente. 7
Quando poi l ' anno dopo (743) Liutprando attaccò l ' Esarcato, preparandosi all ' espu­
gnazione di Ravenna, e l ' esarca Eutichio e l ' arcivescovo ravennate chiesero l ' aiuto del
papa, costui non solo inviò un' ambasceria a Pavia, ma s ' affrettò personalmente a
raggiungere lo stupefatto sovrano. Dopo due messe, la prima alla vigilia della festa di
s. Pietro, nella basilica omonima, la seconda nella reggia alla presenza del sovrano, il
terzo giorno incalzò Liutprando, scongiurandolo di abbandonare l ' Esarcato. Alla fine,
pur dopo lunga esitazione, il re cedette alle pressioni del papa, restituendo ali ' imperatore
le conquiste già fatte (nel corso di quell ' anno Roma aveva riconosciuto la legittimità
del sovrano bizantino); il quale, a sua volta, donò al santo padre i vasti domini di Ninfa
e Norma, nel Lazio, evidentemente per ricompensarlo dei servigi prestati. "L' indipenden­
za del papa fu assai utile alla Chiesa" è il commento del cattolico Clemes Siemers. 8
-

Liutprando morì all ' inizio del 744, dopo 32 anni di regno. E quando il nuovo sovrano
Rachi (744-749), già duca del Friuli e fervido alleato di Liutprando, si vide costretto
nel 749 ad attaccare la Pentapoli, il papa si recò immediatamente nel suo accampamento,
dove col suo scilinguagnolo s ' intrattenne col re longobardo come aveva già fatto col
predecessore. 368
Dopo alcuni giorni il buon sovrano fu talmente stordito da quelle ciance, che
nel l ' agosto del 749 depose la corona, andò in pellegrinaggio in S. Pietro a Roma con
moglie e figlio e subito dopo strisciò sotto una tonaca con l ' intento di trascorrere il
resto della vita a Montecassino, mentre la moglie Tassia e la figlia Rottruda scomparvero
nel vicino convento di Plumbariola . . . In verità, sotto questa narrazione apologetica del
cronista papalino restò celato il fatto che il sovrano fu deposto e quindi spinto più o
meno gentilmente in convento. È ciò che sostengono, fra gli altri, Ludo Moritz Hartmann
e Johannes Haller, nonché l ' esimio storico oxfordiano (e prete) John Kelly, il quale
insinua anche il sospetto di corruzione da parte del pontefice. La qual cosa non appare
forse più verisimile quando si considera che Rachi abbandonò Montecassino e riassunse
268 La nascita dello Stato della Chiesa: tra guerre e rapine

la reggenza, dopo che il fratello Astolfo morì durante una battuta di caccia nell' autunno
del 756? 9

IL MASSACRO DEGLI SVEVI PERPETRATO DA CARLOMANNO


E L' EPISCOPATO m CosTANZA

Qualche tempo prima, a Montecassino era approdato anche il franco Carlomanno . . .


I l 2 1 ottobre 74 1 , poco prima della sua morte, Carlo Martello aveva suddiviso il
potere fra i figli Carlomanno, Pipino III (il Giovane o il Breve) e Grifone. Carlomanno,
il maggiore, ottenne l' Austrasia, la Turingia e la Svevia; Pipino la Neustria, la Burgundia
e la Provenza; la Baviera e l ' Aquitania (fra la costa atlantica, la Loira e i Pirenei)
dovevano restare sottoposte al governo dei due fratelli, dal momento che il fratellastro
Grifone, figlio della principessa bavarese Swanahilt (pag. 23 1 ), seconda moglie di Carlo,
non era stato riconosciuto come erede legittimo, imprigionato dai fratellastri e rinchiuso
in un forte delle Ardenne; la madre fu cacciata nel convento di Chelles presso Parigi.
369 Appena l ' anno seguente furono fondati in Assia e Turingia i monasteri già pianificati
da Bonifacio fin dal 732, e nel 743 e nel 744 si tennero in Austrasia e Neustria tre
grandi sinodi che deliberarono lo sterminio "dell ' Eresia" e del paganesimo. Intanto
Carlomanno e Pipino (entrambi allievi di monaci, il primo probabilmente di Willibrord
a Echternach, il secondo a Saint-Denis) portavano la guerra un po ' dappertutto, anche
perché, come dice papa Zaccaria di questi suoi "nobilissimi figli" (744 ), erano "compagni
e coadiutori" di Bonifacio, anzi , erano addirittura mossi "dal l ' ispirazione divina"
(inspiratione divina) ; e quindi i l santo padre poteva garantire ai due nobilissimi
massacratori anche una "ricca ricompensa ... in cielo" ... , perché benedetto è l ' uomo,
per mezzo del quale viene benedetto Iddio" .
Carlomanno, benedetto da Dio, nel 743, anno in cui cedette 26 chiese regie al
vescovado di Wiirzburg creato da poco, irruppe nella Ostfalia e nel 744 a Engern : e alla
spada si accompagnò sempre la croce, con missionari , prediche e battesimi di massa. Fu
stabi lita un ' i mportantissima "testa di ponte" sulla strada che conduceva in S vevia
attraverso lo Schwarzwald. Nel 746 Carlomanno (in seguito venerato come santo
nell' abbazia di Fulda) soffocò con una barbaro bagno di sangue un ultimo tentativo di
ribellione presso Cannstatt: anche se le fonti sono laconiche e contraddittorie, sappiamo
che le truppe franche massacrarono migliaia di Alemanni (da lungo tempo cristianizzati ! ) ,
che avevano ricevuto l ' ordine di presenziare a u n a parata militare. Venne liquidata in
gran parte, se non tutta, la nobiltà alemanna, probabilmente presso le alture di Altenburg;
al suo posto subentrarono i Franchi, i quali ne confiscarono quasi tutto il patrimonio.
Eppure ci sono degli storiografi , per i quali il massacro di Cannstatt è soltanto
"presunto", nel senso che la nobiltà del paese "venne chiamata a una resa dei conti" (il
Pipino III. " Un buon cristiano " e " un grande soldato " 269

che non cambia poi molto le cose), anzi, tutta la faccenda non sarebbe altro che "una
diceria leggendaria" (Btittner).
In ogni caso fu la chiesa a trarre il vantaggio più sostanzioso da codesta "leggenda", 370
più precisamente il vescovado di Costanza, "punto di partenza della penetrazione franca
e cristiana in Alemannia" (Tellenbach). Costanza, il cui vescovo doveva garantire il
dominio dei Franchi, venne perciò enormemente arricchita, diventando la più grande
diocesi tedesca del Medioevo, estesa da Bema a Ludwigsburg, dalla Walsertal fino a
Breisach; nel 1 435 si estendeva per 45 .000 kilometri quadrati ed comprendeva 1 760
parrocchie. Anche le abbazie di S. Gallo e di Reichenau si arricchirono con le terre
confiscate ai vinti e ai massacrati, e "ben presto" poterono essere annoverate "fra i
maggiori latifondisti d' Alemannia" (Novy) .
Nel l ' autunno del 747 Carlomanno, "questo sant' uomo" (abate Regino di Prtim), s i
ritirò dalla vita pubblica, a quanto pare volontariamente, anche s e nel l ' agosto dello
stesso anno "aveva fatto di tutto per rafforzare la posizione sua e di suo figlio" (Bund).
Forse tormentato dai rimorsi per il massacro degli Svevi "si conacrò a S . Pietro" ( Vita
Zachariae); "Depose volontariamente lo scettro e raccomandò i figli al fratello"; (il
che è davvero molto cristiano ! ) . Tonsurato dal papa, Carlomanno scomparve nel chiostro
del Monte Soratte, alle porte di Roma. Nel 750 si trasferì a Montecassino, in territorio
longobardo; un atto questo le cui motivazioni religiose spesso sono state messe in dubbio
(e forse a ragione). "Nudo, si dedicò all ' imitazione di Cristo" (Regino di Prtim). 10
Come Rachi, insomma. E tutti quanti . . . (in italiano nel testo; n.d.t.).

PIPINO III. "UN BUON CRISTIANO" E "UN GRANDE SOLDATO"

Anche Pipino il Giovane (74 1 -768), che dimorava preferibilmente nei palazzi di Quierzy,
Attigny, Verberie e Compiègne e già fin dal 747 definito da papa Zaccaria "christia­
nissimus", fu "un buon cristiano" (Daniel-Rops), "totalmente pervaso da spirito cri­
stiano" (Btittner). Con lui non solo ebbe inizio la marcia vittoriosa del culto di s. Martino 37 1
sulla riva destra del Reno, ma anche le cappelle divennero "una delle istituzioni centrali
più importanti del regno" (Ewig), e soprattutto la chiesa, da lui protetta e sostenuta.
Ma col nipote Drogo, che avrebbe dovuto regnare autonomamente in Austrasia, Pipino
non ebbe molti riguardi : lo mise brutalmente da parte, organizzando ininterrotte campa­
gne militari : "Un gran soldato, che in tutta la vita non perse nessuna delle guerre contro
Alemanni, Sassoni, Longobardi e Aquitani" (Braunfels). Soltanto quattro anni del suo
governo (749, 750, 759, 764) furono senza guerre !
Nel 742, insieme a Carlomanno, mosse contro il duca d' Alemannia Teudobaldo, nel
743 contro i Bavaresi, nel 744 di nuovo contro Teudobaldo. Nel 752 conquistò il Settima­
nio, la striscia costiera fra i Pirenei orientali e Nimes; verso la fine degli anni Settanta
270 La nascita dello Stato della Ch iesa : tra guerre e rapine

s ' impossessò di Narbonne, massacrando la guarnigione saracena e cacciando gli Arabi:


in tale occasione le sue truppe "contribuirono a saccheggiare queste terre un tempo
ricche probabilmente non meno degli invasori infedeli" (Bullough). In guerra contro i
Sassoni, nel 753 giunse fino alla Weser, e durante questa spedizione cadde il vescovo
di Colonia Hildegar (8 agosto 758). Sempre nel 758 invase il territorio di Mtinster e
costrinse gli sconfitti Westfali a giurargli fedeltà, a consegnargli 300 cavalli all ' anno e
a ri lasciare i missionari cristiani.
In otto campagne fra il 760 e il 768 sconfisse l ' Aquitania e, insieme a Carlomanno,
diede alle fiamme la periferia di Bourges e distrusse Loches. Quindi Pipino abbatté le
fortezze e devastò il paese: mise a ferro e fuoco Bourbon-l' Arschambault, Clermont e
innumerevoli villaggi . Lo accompagnava il figlio maggiore, Carlo (il futuro "Magno"),
che ne poté trarre un insegnamento utilissimo per la vita ! Anno dopo anno il santo
principe franco sottopose l ' intera regione a sistematiche predazioni e devastazioni, le
cui tracce restarono visibili per generazioni .
372 L' Aquitania perse momentaneamente la propria indipendenza solo dopo l ' assassinio
a tradimento dell' ultimo e coraggioso duca Waifar, ai primi di giugno del 768, nella
foresta di Double (presso Périgueux), dopo essere stato braccato peggio di un animale
da una città all ' altra e da una foresta all ' altra. Nacque subito il sospetto che Waifar,
inseguito da intere mute di Franchi, fosse stato trucidato per ordine di Pipino; tale
ipotesi viene oggi accolta "unani memente" (de Bayac). In quell ' occasione fu impiccato
anche lo zio di Waifar, Romistan, e, secondo la legge marziale, la madre e le sorelle
furono fatte prigioniere. In questo modo Pipino conquistò tutto il territorio dalla Loira
ai Pirenei, gettando le fondamenta del futuro regno dei Franchi : "I posteri hanno
individuato nella conquista dell' Aquitania l ' impresa più grande di Pipino" (Mtihlbacher).
Individuato ! 1 1 • Eppure il voluminoso "Manuale di storia d 'Europa" gli attribuisce "un
regno pacificato al l ' interno e all ' esterno fin dal 749" !
Intanto si era atteso a lungo che Grifone trovasse con Pipino una qualche intesa,
ragion per cui verso la fine del 74 1 s. Bonifacio non trascurò di scongiurare "la Tua
Beatitudine in nome di Dio Padre Onnipotente, di Gesù Cristo Suo Figlio, dello Spirito
Santo e della Santa Trinità . . ." affinché "rechi soccorso ai religiosi e ai preti di Turingia . . .
contro l a malizia dei Pagani" (Paganorum malitiam) "se Dio vorrà darTi i l potere". Ma
Dio non volle. Carlomanno, in seguito qua e là venerato come un santo, per sei anni
aveva tenuto a bada il fratellastro rinchiuso in un castello di Neufchateau, vicino alle
Ardenne, poi, spinto da autentico amore fraterno, lo aveva lasciato fuggire. Grifone si
era rifugiato prima presso i Sassoni, sottomessi da Pipino nel 748 con rinnovati (e
immancabili ! ) battesimi di massa, quindi aveva incitato alla rivolta la Baviera, patria di
sua madre Swanahilt. Ma la ribellione era stata domata da Pipino nel 749 ; e dopo che
fu risultato inutile anche un accordo con Waifar d ' Aquitania, nel 753 Grifone fu
ammazzato dalle guardie di confine franche sulle Alpi, presso Maurienne; durante la
"L 'atto più g ra vido di conseguenze di tutto il Medioevo " 27 1

scaramuccia caddero anche due conti franchi. 12 373

"L' ATTO PIÙ GRAVIDO DI CONSEGUENZE DI TUTTO IL MEDIOEVO"

Una volta posti nelle condizioni di non nuocere, i due fratelli, Pipino, signore di tutti i
Franchi, non poteva che aspirare alla corona. Ma gli si frapponevano alcuni gravi
ostacol i : il diritto di nascita e l ' ultimo re merovingio Childerico III, cioé i privilegi del
sangue reale e della discendenza divina. Per ottenere lo scopo prefissato, il maestro di
palazzo carolingio aveva bisogno di una giustificazione da parte dei suoi sudditi
cattolico-romani . E dove avrebbe potuto trovarne una migliore se non a Roma, presso
"il detentore della più alta autorità morale" (Seppelt/Schwaiger)?
I "detentori della più alta autorità morale" erano (e sono) sempre assai disponibili
alle vittorie ed ai vincitori . Significativamente nelle loro epistole, a partire da Stefano
II, accanto alle assicurazioni della loro incipiente grazia divina (a Deo institutus), della
loro divina ispirazione (a Deo inspiratus), si trova anche l ' esaltazione verbosa delle
loro vittorie militari, fino al mostruoso superlativo di " Victor", " Victoriosissimus", e,
qualche tempo dopo, "Jnvictissimus"; anzi, papa Adriano I li supera tutti di gran lunga,
coniando l ' orribile mostriciattolo linguistico "triumphatorissimus" ! Un autentico
leccapiedi ! 1 3
E dunque nel 75 1 spedì da s. Zaccaria il vescovo di Wiirzburg, Burchard, un anglo­
sassone, e l ' abate di St. Denis, Fulrad, eminente uomo politico franco, "per domandargli
che cosa si dovesse ritenere dei sovrani nel regno franco, che non possedessero il potere
regio; se ciò fosse o no una cosa buona" (si bene fuisset an non"). Con queste parole
Pipino dimostrò "il suo fiuto politico" (Braunfels). Ma anche il papa, il quale, compresa
al volo la situazione, dichiarò: "Sarebbe meglio che porti il nome di re chi abbia anche
il potere (qui potestatem haberet), e non chi sia senza il potere"; "l' atto più gravido di
conseguenze di tutto il Medioevo" (Caspar).
Il papa riconobbe l ' usurpatore spergiuro, che per primo si autodefinì re "per grazia
di Dio"; in forza di questa direttiva verso la fine dell ' anno Pipino fu eletto re da
un' assemblea generale "secondo il costume dei Franchi" (secundum morem Franco rum). 374
Una fonte posteriore parla di un "mandato", addirittura di "un ordine di papa Zaccaria",
il quale poi, come raccontano la contemporanea Cronaca dei vescovi franchi e gli
Annali regii dei tempi di Carlo "Magno", lo fece ungere (e fu il primo re franco) solenne­
mente da Bonifacio, legittimandolo con una consacrazione ecclesiatica, che se non lo
trasformava in un religioso, lo innalzava tuttavia al di sopra del semplice stato laicale.
Gli "Anna/es regni Francorum e il Chronicon Laurissense" narrano che di Childerico
III, ultimo sovrano legittimo dei Merovingi, si parlava ormai come di un "cosiddetto
re" ; eppure nel 743 era stato insediato da Pipino (e da Carlomanno), dopo che Carlo
272 La nascita dello Stato della Chiesa : tra guerre e rapine

Martello aveva già regnato per diversi anni ! Tonsurato e monaco, finì, secondo molte
fonti nel l ' abbazia di S ithiu (Saint-Bertin); e il figlio Teoderico, ultimo merovingio,
l ' anno seguente fu rinchiuso nel monastero di Sainte-Wandrille.
In seguito la debolezza dei Merovingi fu ingigantita fino a dipingerli come idioti e
imbecilli, al fine di rendere ancor più plausibile la loro liquidazi'o ne. Una fonte più
tarda (Erchamberti Breviarium) narra che il papa disse: "In virtù dell ' autorità di s.
Pietro, ti ordino: tonsuralo e destinalo al convento" (tonde hunc et destina in mona­
sterium) . Espressione certo fittizia; tuttavia il ruolo arbitrale dei papi qui alluso divenne
esemplare e poi disastroso per la storia europea. L' indicazione papalina di innalzare al
trono Pipino, subito considerata un "ordine", diverrà spesso il fondamento del diritto
dei pontefici di disporre a piacimento delle corone regali . 1 4
Sotto molti punti di vista questa scelta fu unica: nel regno franco non era mai accaduto
che un papa decidesse della cosa pubblica né che un uomo di discendenza non regale
sostituisse un sovrano di schiatta regale e neppure che un re fosse consacrato dalla
375 chiesa. Su tale concezione dello stato in epoca carolingia Theodor Mayer scrive: "È
chiaro quel che si verificò per la prima volta con Pipino e con Carlo: si tratta della
concezione della monarchia come di un ufficio, che non deriva dalla progenie divina
della stirpe regnante e neppure da una monarchia militare, bensì da un'istituzione divina
mediata e attribuita dal pontefice". 1 5
In epoca carolingia la monarchia ricevette il suo crisma teocratico e il signore divenne
"re per grazia di Dio" ( rex Dei gratia) , formula che suggerisce più una forma di
legittimazione che una manifestazione di devozione, quale che ne sia la definizione
usata. "Dopo l ' unzione di Pipino l ' idea rinnovellata di grazia divina aveva innalzato e
sacralizzato la dignità regale" (Tellenbach). E dopo i figli di Pipino, Carlomanno e
Carlo "Magno", tutti i monarchi medioevali si sono fregiati del nuovo titolo "gratia
Dei rex (Francorum)".
In questo modo il sovrano venne nettamente separato dal popolo, alla cui scelta
doveva originariamente la sua posizione, e accostato immediatamente a Dio; il che
significava, rettamente inteso e politicamente valutato, che "Dio" fu nient' altro che un
contrassegno dell' alto clero e delle sue pretese autoritarie: nella misura in cui venne
separato dal popolo, il re fu assimilato alla gerarchia sacerdotale e assunto al suo servizio,
diventandone un organo, un associato al suo ufficio, una sua creatura, una "persona
ecclesiastica". Dio, cioé de facto la chiesa, la quale determinò via via sempre più
nettamente le direttive, aveva sì ceduto l ' ufficio monarchico, ma quanto più ne sotto­
lineava il carattere teocratico, tanto più rafforzava la propria influenza. La sua col­
laborazione col sovrano condusse ad una sempre maggiore esautorazione del popolo,
alla sua totale impotenza, dal momento che non fu il popolo a controllare il re, ma
l ' alto clero. Il sovrano venne intenzionalmente estraniato dal popolo, e come "majes­
tas" venne a collocarsi in una posizione ad esso inaccessibile. Il popolo non è più
Aperta violazione del diritto e scissione da Bisanzio 273

titolare di diritti, bensì di doveri , assolutamente suddito al signore, che non gli deve
rendere nessuna giustificazione. In ogni caso questo imposero i modelli selettivi elaborati
dalla gerarchia ecclesiastica nel corso dei successivi decenni e secoli . 1 6
Su tali concezioni della sovranità inventate dal clero e caratterizzanti per secoli la
storia medioevale lo storiografo di Cambridge Walter Ullmann scrive: "È facilmente 376
comprensibile che la separazione del sovrano dal popolo, vale a dire dal mondo laico,
non poté essere graditissima al ( l ' alto) clero. Con la svolta completa da parte monarchica
verso le concezioni teocratiche fu offerta alla gerarchia l ' opportunità di intervenire
nella sfera del l ' i ncoronazione monarchica . . . La separazione del re dal popolo e la sua
assunzione al servizio della chiesa fu poi ribadita con estrema decisione dalla promessa
co-reggenza del sovrano con Cristo in cielo . . . L' assunzione del sovrano al servizio del-
la chiesa ebbe come conseguenza che quello non era legato al popolo né giuridicamente
né in un qualsiasi altro modo: al contrario, il popolo non solo gli era affidato - di qui
l ' equiparazione del popolo con una sorta di "minorenne" - ma non possedeva nessun
diritto alla sovranità (come doveva dimostrare l ' incoronazione), e neppure (e questo
costituisce la vera pietra di paragone) di contraddire od opporsi al sovrano in modo
legittimo . . È evidente che in tal modo risultarono grandi vantaggi anche per il re,
.

libero da qualsiasi legame col popolo e in tal senso sovranamente superiore anche di
fatto. Il rovescio della medaglia è il vincolo, perseguito almeno in teoria, del sovrano
con la gerarchia, che lo aveva di fatto costituito come re". 1 7
L' evoluzione qui accennata h a inizio adesso.

APERTA VIOLAZIONE DEL DIRITTO E SCISSIONE DA BISANZIO

In Italia i Longobardi, tanto miseramente abbindolati dal papato, cercarono la rivincita


col fratello di Rachi, re Astolfo (749-756), che proseguì gli attacchi di Liutprando,
impadronendosi prima di Comacchio (sulle foci del Po) e di Ferrara e quindi, nel secondo
anno di regno, conquistando Ravenna quasi senza colpo ferire. Occupò tutto l ' esarcato, 377
praticamente tutti possedimenti bizantini nel l ' Italia settentrionale e centrale, eccetto
Venezia e l ' lstria. Inoltre minacciò energicamente la stessa Roma, dove papa Zaccaria
era stato sostituito da Stefano Il, dopo che un altro candidato al soglio di Pietro era
improvvisamente passato a miglior vita tre giorni dopo l ' elezione, ma prima della
cerimonia di intronizzazione. (È uno di quei "papi" che rende impossibile il computo
dei pontefici : infatti, questo Stefano [Il] non fu mai citato come papa fino al XV secolo,
finché nel 1 960 venne indicato come Stefano Il. Ma in seguito non venne più menzionato
nelle edizioni ufficiali del l ' A nnuario Pontificio). 1 8
L"'autentico" papa Stefano I I - o III (752-757) fu teologo talmente esperto da
-

attribuire a Paolo versetti veterotestamentari o da citare come neotestamentari passi


274 La nascita dello Stato della Ch iesa : tra guerre e rapine

inesistenti nella B ibbia; per il resto fu "coraggiosissimo difensore del proprio ovile",
come viene esaltato nella sua biografia. Come politico ebbe, in effetti, una certa fortuna.
In un primo momento invocò inuti l mente contro Astolfo l ' aiuto dell ' imperatore
Costantino V, impegnato con gli Arabi ; quando si rese conto di non poter contare
sull' esercito bizantino, tentò con Io stesso Astolfo, presso i l quale inviò inutilmente il
fratello Paolo con ricchi doni; né ebbe alcun esito un' altra ambasceria composta dagli
abati di Monte Cassino e di S. Vincenzo. Stefano pretese vanamente la restituzione
"delle pecorelle smarrite del Signore" e "delle proprietà al suo legittimo padrone": i
raggiri della buon ' anima di papa Zaccaria nei confronti di Liutprando e di Rachi non si
ripeterono, almeno con i Longobardi, ormai prossimi al loro obbiettivo, cioé la conquista
dell' Italia. 1 9
La situazione appariva assai difficile: in Oriente infuriava più che mai la polemica
iconoclasta; in Occidente Astolfo, che aveva appena occupato l ' importante fortezza di
Ceccano sulla strada per Napoli, incalzava, mirando senza dubbio alla distruzione del
378 dominio di Roma: inasprì gli obblighi di leva, accentuò la sorveglianza sui confini e
minacciò con la confisca tutti i beni mercanteggiati coi romani senza l ' autorizzazione
del re.
Il pontefice, più demagogo che teologo, organizzò a Roma una messa in scena per
suggestionare le masse: a piedi nudi, col capo cosparso di cenere e recando sulle spalle
ricurve un'effigie di Cristo "non dipinta da mano umana" si pose alla testa di una
processione intercessoria, apparentemente tutto rimettendo nelle mani di Dio. In realtà
fece ancora una volta il doppio gioco : mentre ancora i suoi messi chiedevano a
Costantinopoli l ' aiuto dell ' i mperatore affi nché liberasse "dalle grinfie del fi glio
dell ' ingiustizia" l ' Italia, dove Astolfo impazzava "come un leone", segretamente si
rivolgeva anche a Pipino tramite un pellegrino. E Pipino, che in qualità di "Unto del
Signore" (del papa, cioè) cercava di assecondarlo comunque, inviò immediatamente a
Roma Chrodegang di Metz, diventato vescovo alla corte di Carlo Martello e "capo
dell'episcopato franco" (Oexle). Da Roma il pontefice lo rimandò indietro in tutta fretta
con due missive: una diretta a Pipino con l ' esortazione: "Esaudisci la parola del Si­
gnore" e con la promessa "di ricompensa centuplicata" e della "vita eterna" ; l ' altra agli
"uomini gloriosi, nostri figli, a tutti i duci (duces) del popolo dei Franchi", promettendo
esattamente la stessa cosa (e che altro poteva promettere ! ?). Come al solito rimandava
imperterrito al santo "protettore Pietro", al "Principe degli Apostoli", al "custode delle
chiavi del paradiso", e ovviamente al "seggio del Giudice eterno". "Ma state attenti , o
figli, sforzatevi di partecipare con fervore a quel che noi bramiamo ! Perché voi lo
sapete: chiunque andrà dall' altra parte, sarà escluso dalla vita eterna". 20
Le fonti di tutti questi accadimenti sono, come spesso nel Medioevo, lacunose,
ambigue e tendenziose; tuttavia, ciò che il papa bramava era del tutto evidente: la guerra !
"Ormai era Gesù Cristo la divinità nazionale dei Franchi" (B urr) ; il che significava:
Aperta violazione del diritto e scissione da Bisanzio 275

"Ai Franchi è assegnato il compito storico di combattere per Cristo e per la Chiesa"
(Haller). Ma dato che all ' inzio i Franchi non risposero come aveva sperato, nell' autunno
inoltrato del 753 il papa, fra le lagnanze dei romani , si mise personalmente in viaggio. 379
Accompagnato da messi franchi e da un inviato dell ' imperatore, percorse il territorio
longobardo e, giunto a Pavia e accolto in udienza, versò calde lacrime. Ma nè i pianti
né i ricchi doni poterono modificare i convincimenti del sovrano.
Vestito a lutto, Stefano attraversò le Alpi in pieno inverno, primo papa a metter
piede in terra franca, e agli inizi di gennaio del 754, cantando inni e salmi, incontrò
Pipino nel palazzo reale di Ponthion, presso ChaJ.ons sur Marne. Secondo la Vita Stephani
del Liber Pontificalis, che descrive il re in adorazione davanti al nuovo arrivato "cum
magna humilitate terrae prostratus", Pipino, la consorte, i figli e gli ottimati si sarebbero
gettati a terra davanti al sommo sacerdote, che incedeva a cavallo nel palazzo. Il sovrano
gli avrebbe quindi reso ogni onore, disteso davanti a lui. Ma di ciò non fa cenno la
fonte franca dei cosiddetti Anna/es priores di Metz, in cui, al contrario, si legge che nel
secondo giorno il papa e il seguito, in abiti penitenziali, si prosternarono davanti a
Pipino, implorandolo tra le lacrime in nome dei meriti dei santi apostoli Pietro e Paolo
affinché salvasse lui e i romani dal servaggio longobardo (ut se et populum Romanum
de manu Langobardorum et superbi regis Heistulphi servitio liberaret).
Difficilmente una simile descrizione può essere stata inventata, ma, come risulta
dal l ' analisi di altre fonti, si basa "chiaramente su informazioni attendibili . . . A quanto
pare, anche la prosternazione del papa è un fatto storico, poiché vi accennano ripetu­
tamente epistole papali successive" (Fritze) . "E non volle alzarsi" - prosegue il cronista
franco - "prima che il sovrano, i figli e i notabili franchi gli porgessero le mani e lo
sollevassero da terra in segno del futuro sostegno alla causa della sua liberazione"
(Anna/es Mettenses priores) .
Il pontefice parlava continuamente di "Stato del beato Pietro e della santa Chiesa di
Dio", giacché l ' imperatore Costantino avrebbe donato ai vescovi di Roma gran parte
dell ' Italia ! Pipino, salito al trono nel 75 l con l' assenso di Zaccaria, giurò di "proteggere
gli interessi di S. Pietro nel l ' Impero Romano", mentre il papa subito dopo, arrogandosi 380
i diritti del l ' imperatore bizantino, nominò Pipino con tutti i suoi figli patrizi romani . Ma
il titolo di "patricius Romano rum", fino al 75 1 proprio dell' esarca di Ravenna, significò
un' aperta violazione del diritto e la separazione effettiva da B isanzio. 2 1
Durante l a dieta d i Quierzy ( Carisiacum) del 2 l aprile del 754 ebbe luogo l a celebre
"donazione di Pipino" con la conseguente fondazione dello stato più inutile del mondo:
lo stato della chiesa. Come un cuneo scisse l ' Italia per secoli, separando il nord dal sud
e determinando una millenaria storia di infinite miserie, lotte, guerre, inganni e sangue:
fino al 1 870. Pipino fece al pontefice enormi concessioni territoriali e promise a lui
personalmente, cioé a s. Pietro, il regalo di gran parte dell' Italia: l ' esarcato di Ravenna
con l ' lstria e Venezia, i ducati di Spoleto e Benevento, la Corsica e tutta la parte
276 La nascita dello Stato della Chiesa: tra guerre e rapine

meridionale del regno longobardo. Insomma venne donato in tal modo alla chiesa quel
che non le apparteneva e non apparteneva nemmeno a Pipino, essendo legittima proprietà
del l ' imperatore ! Di tutto questo, per la verità, non esistono documenti o atti ufficiali,
fatta eccezione del Liber Pontificalis. 22

CULTO E TRUCCH I CON S. PIETRO

Ma quale ragione indusse Pipino a questa insana donazione?


In non meno di 50 lettere pontificie ai Carolingi, da Carlo Martello a Carlo "Magno",
non si accenna nemmeno di sfuggita ad una qualche utilità real-politica, a un amplia­
mento di poteri, a un effettivo vantaggio per i Franchi ; anche perché non ce ne furono.
Invece, con rozza furberia e protervia nei confronti degli animi primitivi dei Franchi,
millantando il presunto e leggendario sepolcro romano del l ' apostolo Pietro, vennero
38 1 instillate nei principi, nei re e negli imperatori superstiziosi paura e promesse ; vennero
allettati continuamente con la benignità di questo Pietro, portinaio paradisiaco, con la
ricompensa "nell' Aldilà" o anche già qui sulla terra, e ovviamente minacciati con le
pene eterne, il trucco pseudometafisico così vecchio, eppure ancor oggi tanto diffuso.
Immediatamente dietro il papa si celava, per così dire, s . Pietro, il vero partner
contrattuale, il cui culto Roma aveva costruito sistematicamente soprattutto fra i
Germani . A cavallo tra il VII e l ' VIII secolo Pietro era diventato il santo più importante
per gli Anglosassoni e i Franchi : dozzine di documenti merovingi a noi pervenuti sono
indirizzati a monasteri a lui dedicati, circa trenta a partire da Dagoberto L I Germani
poi veneravano Pietro come garante del potere nell ' aldilà e nel l ' aldiqua, come grande
protettore e guerriero, e portinaio del paradiso; i loro sovrani pellegrinavano dalle
contrade più lontane al suo presunto sepolcro, dove alcuni rinunciavano alla corona e
alle ricchezze, indossando la tonaca.
Nulla forse contribuì più del culto e dei trucchi petrini al consolidamento del potere
del papato medioevale e dei suoi rappresentanti terreni; anzi, si potrebbe dire che in
qualche modo lo hanno plasmato. E non si dimentichi che di questo s. Pietro non si sa
niente, né quando né come morì, né dove fu sepolto; e che tutto quel che si racconta del
suo soggiorno a Roma altro non è che "leggenda e favola" (Kawerau) . (cfr. Il, 39 ss.). 2 3
Già nelle prime missive a Carlo Martello si può leggere : "Noi facciamo affidamento
sul fatto che tu sei figlio carissimo nostro e del santo Principe degli Apostoli Pietro, e
quindi obbedirai alle nostre direttive per il profondo rispetto che nutri nei suoi confronti" ;
"Non chiudere l e Tue orecchie alla mia sollecitazione, perché così il Principe degli
Apostoli non Ti chiuderà il regno dei cieli"; "Ti scongiuro in nome del vero Dio vivente
e delle santissime chiavi della tomba di Pietro, che Ti mandammo in dono: non preferire
l ' amicizia dei re longobardi all' amore pel Principe degli Apostoli"; "Noi ti esortiamo
L 'usurpatore unto dal papa 277

davanti a Dio e al suo tremendo giudizio" ; "Noi temiamo che ciò Ti sarà attribuito a
colpa ". Insistendo sul medesimo registro si dava ad intendere ai magnati franchi che la
guerra fosse "per Vostra madre, la Chiesa", oppure che avrebbero ricevuto "dal Principe
degli Apostoli la remissione dei Vostri peccati e dalle mani di Dio una ricompensa 382
centupla e la vita eterna" ; o ancora, in caso di omissione, si agitava il terrore "del
giorno del futuro Giudizio", la resa dei conti "davanti al seggio del giudice eterno" : era
la tattica insolente ma efficace del bastone e della carota. 24
Il successore di Stefano II, Paolo I, una volta rammenta a Pipino: "Ci avete esternato
col vostro scritto che nessun convincimento, nessuna lusinga e nessuna promessa
potrebbe distoglierVi dal l ' amore e dal voto di fedeltà da Voi prestato al Principe degli
Apostoli Pietro e al suo vicario di santa memoria, i l signor papa Stefano". Anzi, poi lo
esalta per la guerra condotta contro i Longobardi: "Hai considerato vile sterco qualsiasi
vantaggio terreno: piacere a S. Pietro, obbedire ai suoi ordini con tutta la Tua forza,
questo sopra ogni cosa ti sta a cuore". 25
Insomma, Pipino era succube del papa per motivazioni pretesche assolutamente
estranee alla politica. Infatti , da guerriero assolutamente insensibile, in puncto
"Metafisica" fu un laico sanguinario e un fedele tutt' affatto obbediente "al l ' oracolo di
Roma" (Zwolfer) ; la sua condotta fu determinata "dall ' amore per S . Pietro", al servizio
del quale "le motivazioni di fondo furono interamente dettate dalla religione" (Ullmann).
Fu uomo credulo, completamente dominato da pensieri concretamente sensuali, come
afferma Haller, al quale Stefano II, che lo conobbe per assidua frequentazione, poté
minacciosamente promettere: "Non piantarmi in asso, se non vuoi essere respinto dal
regno dei cieli e brutalmente separato dalla tua dolcissima sposa ! " . 26

L' USURPATORE UNTO DAL PAPA E SOVRANO "PER GRAZIA DI DIO"


COMBATTE DUE GUERRE IN NOME DEL PONTEFICE

Il 28 luglio del 754 nella chiesa di St. Denis, in nome della Trinità, Stefano II unse
solennemente il maestro di palazzo Pipino, che chiamò poi sempre "compare", e i due 383
figli Carlo e Carlomanno, re dei Franchi "per grazia di Dio" (Dei gratia), confermando
in tal modo la legittimità dell ' usurpatore.
Probabilmente allora il papa non unse la consorte di Pipino, limitandosi a "benedirla"
(benedixit), provvedendo a ungere le mogli-regine in un secondo tempo e ribadendo
che Pipino era stato unto da Dio stesso (o da s. Pietro). L' anno seguente Stefano scrisse
al novello sovrano e ai suoi figli: "Il Signore Vi unse e consacrò re tramite la mia
umilissima persona con l ' intercessione di S. Pietro, affinché da Voi sia elevata la Sua
Santa Chiesa e da Voi ottenga giustizia il Principe degli Apostoli".
Da un lato l ' unzione assicurava la legalità del sovrano, dall' altro però lo rendeva
278 La nascita dello Stato della Chiesa : tra guerre e rapine

"servo della Chiesa" (Funkenstein) e significava "consacrazione al servizio della Chiesa


Romana" (Sickel) . "Più grande e più degno dell ' unto è colui che unge", dirà in seguito
Innocenzo III. M inacciando la scomunica, il pontefice vietò definitivamente ai Franchi
la scelta di sovrani di discendenza diversa, obbligandoli a non eleggere un re non
appartenente alla schiatta destinata a quella altissima dignità "non confermata né
consacrata dall ' intercessione degli Apostoli e dalla mediazione del loro vicario, il papa
di Roma".
Dopo tale "divina ratifica" del suo regime, Pipino si obbligò a sua volta di osservare
le leggi, di impedire violenza e furto, di proteggere i l patrimonio della chiesa e di
accrescerlo. Il che, ovviamente, avvenne proprio con la violenza e il furto; tanto più
che Pipino regolò per legge l ' esazione delle decime a favore della chiesa, ed esigendo
il doppio balzello per i feudi ecclesiastici (nona et decima) : come Pipino scrisse al
vescovo di Magonza, tutti devono pagare, volenti o nolenti (aut vellet aut nollet).
Ancora una volta si trattò di un "affare vantaggioso" (pag. 228) .
Del resto, tutte queste intese, i giuramenti e le promesse, ottimamente indotte dai
celestiali suggerimenti del papa, volevano dire soltanto guerra contro i Longobardi. Da
più di un secolo, dai tempi del re merovingio Childeberto II (pag. 92 ss.), nessun re
384 franco aveva mosso guerra ai Longobardi. Non era possibile muovere nei loro confronti
nessuna accusa di azioni ostili, e poi da lungo tempo i Franchi erano loro amici, anche
perché li consideravano un popolo affine e alleato nella guerra contro gli Arabi. Perciò
i notabili franchi si opposero alle pretese del pontefice, giungendo quasi alla ribellione
aperta; e una parte dei maggiorenti minacciò di abbandonare il sovrano.
Persino il fratello di Pipino, Carlomanno, maestro di palazzo dimissionario, dietro
insistenza di Astolfo e anche per l ' interesse dei figli, si affrettò a Montecassino per
impedire la guerra, ovvero, come si esprime il biografo del papa, "per minacciare gli
interessi del pontefice". Carlomanno suscitò un' enorme impressione sui Franchi, ma il
papa lo sottopose alla "disciplina" e lo fece rinchiudere in un monastero di Vienne, sul
Rodano. L' annalista ufficiale racconta con eleganza che Carlomanno "si trattenne" a
Vienne; ma che poco dopo (quando già Pipino era in marcia verso l ' Italia) morì nella
prigione claustrale, mentre i suoi accompagnatori (monaci di Montecassino) rimasero
incarcerati ancora per anni. Furono monacati anche i suoi figli (dei quali conosciamo
soltanto il nome di Drogo), e il cadavere di Carlomanno non venne sepolto in terra
patria, ma per ordine di Pipino fu portato a Montecassino Solo pochi anni prima il
santo papa Zaccaria aveva offerto all ' usurpatore il sostegno della sua santa mano per la
liquidazione del legittimo sovrano merovingio, e adesso il santo papa Stefano II porgeva
il suo braccio per affrettare la definitiva esclusione dal trono dei parenti stessi di Pipino,
offrendo ogni assistenza spirituale utile alla bisogna ! 27
L' assenso sostanziale, epocale di Pipino alla guerra fu ricevuto dal papa nell ' e state
del 7 5 3 . "Particolarmenre sconvolgente in tale piano era il fatto che dovevano schierarsi
L 'usurpato re unto dal papa 279

in campo, per desiderio del santo padre, cristiani contro cristiani, in una guerra nella
quale il vicario terreno di s. Pietro garantiva ai magnati franchi che Pietro e Dio stesso
promettevano la remissione dei peccati, una centupla ricompensa terrena e la vita eterna"
(K. Hauck). 2 8
Nel l ' estate del 754, esclusivamente in nome di san Pietro e della ricompensa divina, 385
come dichiarò apertamente, Pipino mosse oltre il Moncenisio l ' esercito, nel quale si
trovava anche il pontefice, non senza aver prima celebrato una bella messa solenne a
Saint-Jean-de-Maurienne, l ' ultima città del territorio franco. Inoltre consegnò al papa
il denaro offerto da Astolfo come risarcimento. L' esercito longobardo fu chiuso in una
tenaglia e gravemente sconfitto. I Franchi - scrisse papa Stefano subito dopo la guerra
- "avevano così superato tutti gli altri popoli al servizio di S. Pietro". Lo stesso Astolfo
sfuggì a stento alla morte, ritirandosi a Pavia col resto dell' esercito, mentre l ' esercito
franco devastava e saccheggiava i territori circonvicini, finché i Longobardi non furono
costretti a una pace durissima col pagamento di un tributo annuo di 5000 solidi . Il papa,
che pure aveva ottenuto tutto ciò cui Pipino si era obbligato a Ponthion, ma non quello
che aveva promesso a Quierzy, insistette per una guerra, di cui i Franchi erano ormai
completamente stanchi.
Non appena costoro furono tornati in patria, Astolfo ruppe il trattato di pace, al
quale era stato costretto: devastò il paese, predò dalle chiese e dalle tombe mucchi di
reliquie e circondò completamente Roma, assaltandola ininterrottamente per tre mesi,
mentre l ' abate franco Warnehar difendeva con scudo e corazza la città eterna. Intanto il
pontefice organizzava suppliche e processioni, recando personalmente la croce della
Basilica laterana, cui era stato affisso l ' accordo stracciato dai Longobardi. Ancora una
volta echeggiarono le invocazioni romane a Pipino: il papa pregò, scongiurò e fece
vibrare tutte le corde della sua retorica, senza evitare ogni sorta di esagerazioni : in caso
di disobbedienza minacciò addirittura a Pipino e ai suo figli la scomunica e una specie
di giudizio universale anticipato. 29
In numerose epistole al re, ai prìncipi laici e religiosi, all ' esercito, a tutto il popolo e
ai suoi "figli adottivi", Stefano II illustrò riccamente la desolazione di s. Pietro, le
vigne devastate, i bambini macellati , le suore stuprate, aggiungendo che nessuna lin- 386
gua mortale avrebbe potuto narrare l ' onta arrecata alla chiesa e che le pietre stesse ne
soffrivano in pianto.
In un latino raccapricciante, punteggiato da frasi bibliche e dagli aggettivi propri del
peggiore gergo bizantino (da "guardo e viso come il miele dolce" e "Vostra grazia
mellifluente" a "deifluo" [deifluo] ) , si struggeva, allettava, ammoniva in nome del Si­
gnore Iddio, della Vergine Maria, di s. Pietro (ovviamente), delle schiere celesti, dei
martiri e dei confessori, da un lato affinché venisse completato il beneficio e resa
"giustizia" a s. Pietro, dal l ' altro affinché provvedessero alla "salute delle loro anime" :
"Di tutto coi Tuoi funzionari dovrai render conto dinanzi al seggio del divin giudice";
280 La nascita dello Stato della Chiesa : tra guerre e rapine

"A Dio e a S. Pietro render conto dovrete il giorno del tremendo giudizio"; "Sappiate
che il Principe degli Apostoli tien salda la Vostra donazione come un titolo di credito";
"Se immediatamente obbedirete, gran ricompensa Vi giungerà . . . "; "Ma se indugerete, e
non voglio crederlo . . . , sappiate che lo, in nome della Santa Trinità in forza de li' apostolico
ufficio di grazia", ecc. ecc ., "Vi escludo dal Regno dei Cieli e dalla Vita Eterna". 30
Infine, e con estrema efficacia, l ' apostolo Pietro in persona pose mano al calamo e
scrisse una lettera ai Franchi; e naturalmente col medesimo pessimo latino e con la
stessa tumida retorica. E anche il porti nani o celeste, si capisce, protesta, esorta, ordina;
anch ' egli chiama in campo l ' intera guarnigione celeste "la sempre Vergine Teotoka
Maria", tutti i "Troni e le Dominazioni e l ' intero esercito della celestial milizia", e
anche i martiri e i confessori, ovviamente: tutto identico a quel che il papa stesso avrebbe
potuto scrivere !
E invece no; qui parla l ' apostolo in persona a favore della "Santa Chiesa; e dunque
affrettatevi, liberatela e redimetela dalle mani del persecutore longobardo, sì che (Dio
guardi ! ) il mio corpo, che ha patito per Cristo, e il mio sepolcro, dove giace per comando
divino, non sia da loro contaminato, il mio popolo diviso e assassinato proprio da codesti
387 Longobard i . . .". Ed è naturale che anche s. Pietro avanzi la minaccia "del tremendo
Creatore di tutte le cose". E ovviamente alletta "con la sempiterna ricompensa e l ' infinito
gaudio del Paradiso". Ma era necessario affrettarsi e sbrigarsi : "Affrettatevi, affrettatevi,
in nome de li' onnipossente Iddio Vi esorto e scongiuro, affrettatevi . . .".
E i Franchi gabbati intrapresero un' altra guerra nel 756, con lo scopo di conquistare
al pontefice l ' Ital ia centrale. Pipino si mosse di nuovo, e di nuovo in nome e per amore
di s. Pietro, che i combattenti franchi erano già soliti invocare durante i loro massacri ,
passò il Moncenisio per I!J. remissione dei peccati, sconfisse di nuovo i Longobardi
nelle alture di Chiusi, li costrinse a Pavia e dettò nuove e più aspre condizioni di pace.
Astolfo divenne ora un tributario, cioé un vassallo dei Franchi . l Franchi tornarono
indietro, entusiasti "della quantità dei tesori e dei doni". L' anno seguente il santo padre
poté annunciare al re franco la morte del "tiranno, successore del demonio, divoratore
di sangue cristiano, eversore di chiese"; a suo dire, era stato "trapassato dalla spada di
Dio e trascinato nelle viscere dell ' Inferno". 3 1
Ma il pontefice aveva buoni motivi per temere B isanzio. E allora comunicò che 300
vascelli erano salpati da Costantinopoli con probabile destinazione Roma e il regno dei
Franchi. Ma all ' orizzonte non apparve nulla, e non ci fu alcun attacco alla novella
preda della chiesa lungo le coste adriatiche, anche se il papa ne aveva di già invocato il
soccorso: "Poiché l ' empia malizia degli eretici Greci a questo sol mira, a calpestare la
Chiesa Cattolica per annientare l ' ortodossia e la tradizione dei Padri".
Eppure il pontefice aveva ragioni più che sufficienti per gioire: ormai era padrone
non soltanto della città di Roma, ma anche dell' esarcato e della Pentapoli, occupava 22
città e borghi a nord e a est del l ' A pennino e il tutto costituiva, col ducato di Roma, il
Note 28 1

"Patrimonium Sancti Petri", lo stato medioevale della chiesa. B isanzio avrebbe potuto
attendersi , e in effetti si attese, che Pipino avrebbe restituito questi territori ; e invece il 388
plenipotenziario di costui, l ' abate Fulrad di Saint Denis, trascorse da un luogo all ' altro,
prese ostaggi i capi del popolo e depose le chiavi delle porte delle varie città ai piedi di
s. Pietro. Pipino aveva ufficialmente donato questi territori in eterno possesso a s. Pietro
e al suo vicario, respingendo le obiezioni dell ' i mperatore greco con la dichiarazione
che la cosa era avvenuta non in nome d ' un uomo, ma per amore di s. Pietro e per la
salvezza della propria anima. 3 2
Nell' VIII secolo il clero riconoscente definì Pipino "David", "Salomone", "Novello
Mosé", e papa Paolo I esaltò i Franchi come "Popolo Santo" . Ormai la curia aveva il
proprio stato, lo stato della chiesa. E progressivamente qualsiasi vescovo, anzi qualsiasi
abate, volle per sè un proprio "Stato Sacerdotale", come il vescovo di Roma. E come i
papi lo avevano ottenuto con guerre e inganni, mantenendolo poi per un millennio con
altrettante guerre e altrettanti inganni, così gli altri servi di Cristo condussero nei secoli
lotte e faide, seguendo l ' esempio di Roma ed esibendo innumerabili attestati di
donazione, falsi e bugiardi non meno della cosiddetta "Donazione di Costantino". 33
Poiché con due guerre per "S. Pietro" i Franchi avevano costruito predatoriamente
lo stato della chiesa, Roma volle che la faccenda non apparisse così poco cristiana; e
perciò si accinse (ma forse ci aveva già pensato prima) a sommare al sanguinoso inganno
recente un altro e peggiore imbroglio: ricondurre a un antichissimo diritto quel che le
armi franche avevano strappato con la violenza attraverso ripetuti attacchi. 389

NOTE

Vedi nota 20.


Vedi nota 2 1 .
' Pau l . D i ac . , Hist. Lang . 6 , 5 8 . LMA V 708 s g . , 204 1 . Gregorov i u s I 2 347 sg. Carte l l ieri I 1 28 .
Hartm ann, ibid. , I I , 96 s g . , 1 26 sgg. ( q u i l ' i ndicazione d e l l e fon t i ) . Caspar I I 662, 7 2 7 sgg. Maier,
ibid. , 3 3 7 , 347 .

Pau l . Diac . , Hist. Lang. 6,44. Gregorov i u s I 2 244 sg. Hartmann, ibid. , II 1 3 7 sgg . Carte l l ieri I 1 34
sg. Caspar II 729 s g . Sprigade, Die Ein weisung , 52 sgg. Sickel 3 1 6 . Pirenne, ibid. , 220. Haller I
262 sg. Briihl, Ch ronologie und Urkunden, 1 9 sgg.
' Lecky Il 2 1 9 . Miihl bacher I 5 9 . Lowe, ibid. , 1 1 5 . Nonn, Das Bi/d Kar/s Martell, 70.

Lib. Pont., Vita Gregor. 111, c . 1 4 . Cod. Ca ri. l sg. Pau l . D i ac . , Hist. Lang . 6,53 sg. Cont. Fredeg . c .
2 2 . Ch ron. Moissiacense ( M G S S I 2 9 2 s g ) . A n n . Mett. ( M G S S I 326 s g . ) . Ke l l y 1 03 . Gregorov i u s .
I 2, 3 5 3 sgg. Miihl bacher I 59 sgg. H a u c k I 4 7 0 . Holtzmann, ltalienpolitik, 35 sg. Caspar I l 730.
Hartman n , ibid. , 1 3 6 s g . , 1 67 sgg. L o w e , Bon ifatius, 1 1 2 s g . I d . , Deutsch/and, 1 1 8 . I d . , Geschichts ­
sch reibung , 2 3 . Buchner, ibid. , 1 70. Schieffer, Winfried-Bonifatius, 2 3 9 . Haller I 263 s g . , 296 sg.
G o n t ard 1 6 7 . S e p p e l t/S c h w a i g e r 3 0 . Lautermann 5 4 . S t e i n ba c h , ibid. , 4 5 , 48. I n dettag l i o
Hl awitschka, Karl Martell, 7 4 sgg.
7
Ann. reg. Frane. 74 1 . Lib. Pon t. , Vita Zachar. 5 sgg. Pau l . Diac . , Hist. Lang. 6,57 sg. Ke l l y 1 03 .
282 Note

LMA V 204 1 . Gregorovius I 2 356 sgg. Hartmann, ibid. , I I 1 40 sgg . , 1 70 sg. Carte l l ieri I 1 36 sg.
Seppelt/Schwaiger 8 1 . Holtzmann, ibid. , 3 5 .
Lib. Pont. , Vita Zaehar. 1 2 sgg. Pau l . Diac . , Hist. Lang. 6 , 5 8 s g . Kel ly 1 04. S iemers 1 3 7 . Gregorovius
I 2 3 5 7 sgg. Hartmann, ibid. , I l , 1 44 sgg. Schieffer, ibid. , 1 8 8 sgg.
Lib. Pon t. , Vita Zaehar. 2 3 . Kriiger, Kon igskonversionen, 2 1 3 , nota 224. Kelly 1 04 . Gregorovi u s I
2 360. Hartmann, ibid. , I I 1 46 sgg. Carte l l i eri I 1 50 . Haller I 30 1 . Kriiger, ibid. , 1 7 1 s g . , 2 1 2 sgg.
10
A n n . reg. Frane. 743 s g . , 7 4 6 . Cont. Fredeg . c . 23 ; 29 sg. E i nhard, Vita Ka roli, I l , 4 . A n n . Mett.
74 1 . Ann. Petav. ad an. 746. RGAK I 1 44 sgg. Meyer J., Kirehengesehiehte Niedersaehsens, 1 6 .
Schubert, ibid. , I, 306. Tiichle I 8 1 s g . , 1 1 9 sg. I d . , Friihm ittelalaterliehes Ch ristentum, 3 7 . Lowe,
ibid. , 1 2 1 sgg. Ludwig 20. Caspar I I 722 sg. Buch ner, ibid. , 1 29 s g . Bosl, Bayerisehe Geseh iehte,
3 1 , 57. Haller I 297. Kriiger, ibid. , 1 8 3 sgg. Wal l ace-Hadri l l , The Fourth Book, 1 00 sg. Sterni
Bartmuss 7 8 sg. Pirenne, ibid. , 206 sg. Behn 80. Zender, Verehrung, 1 00. Steinbach, ibid. , 49 s g . ,
54. Schieffer, ibid. , 1 9 1 sg. Novy, A nfiinge, 1 6 sg. Tel lenbach, ibid. , 4 0 3 sg. B orst 526 s g g . Zol l ner,
Politisehe Stellung, 1 44 sgg. Ewig, Martinskult, 24. Bund 363 sgg. Schlesi nger, Zu r politisehen
Gesehiehte, 52. Holtzmann, ibid. , 2 7 .
11
A nn. reg. Frane. 742, 7 5 3 , 7 5 8 , 760 sgg. Cont. Fredeg. c . 25, 52. Capit. Aquitan. ad an. 768. LMA
I 830. HEG I 5 3 9 . M ii h l bacher I 1 1 2 sgg. Carte l l ieri, Weltgeschiehte, I , 1 44, 1 7 1 . Hartmann, ibid. ,
I I , 1 7 3 s g . B ii ttner, Aus den A nfiingen, 1 65 . I d . , Gesehiehte des Elsafl, 1 1 1 . Neuss/Oed iger 1 35 .
Daniel-Rops 489. Schieffer, ibid. , 250 s g . Lasko 2 1 8 . Zatschek 46. Ewig, Zum christlichen Kon igs­
gedanken , 50. I d . , Der Martinsku/t, 24. B riih l , Fodrum, 1 8 . M ii l l er- Merte n s , Karl der Grofle, 1 1 2 .
B achrac h , Milita ry Organisation, 9 sgg. B raunfe l s , Karl der Grofle in Selbstzeugnissen, 29, 36 s g .
De B ayac 27, 3 8 sgg . , 3 8 6 . Steinbach, ibid. , 58.
12 Ann. reg. Frane. 747 s g . Cont. Fredeg. c . 35. Ann. Mett. 74 1 ; 747 ; 748; 749. Ann. Mett. prior. 7 5 1 .
Ann. reg. Frane. 747 ; 748. Bonif., ep . 4 8 . Miihl bacher, Geschichte Italiens, I , 6 7 . Hartm a n n , ibid. ,
II 1 7 8 . Carte l l i eri I 1 48 , 1 5 6 . Schieffer, ibid. , 25 1 s g . , 1 30 sgg. Lowe, ibid. , 1 24 . Steinbach, ibid. ,
54. Reindel, Grund/egung, 1 26 . De Bayac 3 1 sgg.
IJ Seppelt/Schwaiger 8 2 . Ewig, ibid. , 50 sg. Fleckenste i n , Rex Canonicus, 60 sgg .
14 A 1111. reg. Frane. ad a n . 747 sg. Con t. Fredeg . c. 1 1 7 . Ein hard, Vita Karoli, 3. Ch ronie. Lauriss.
3 , 1 2 . Gesta patrum Fontane l/. l 0,4. Secondo A nn. reg. Frane. ad an. 750 Cod. C 3 , Vita Ka roli 1 , 3
Cod. A 5, Gesta patrum Fontane/l. X 4 Childerico andò nel monastero di Sithiu ( S . Berti n ) ; secondo
Ann. Lobiens. ad an. 750 (MG Script. 1 3 ,2 2 8 1 nel chiostro di Meddo di Soissons. Secondo Notker,
Gesta Ka roli 1 , 1 O C h i l derico I I I fu scotennato durante la depos i z i o n e : "deposito e deca/vato
igna vissimo Franeorum rege Hilderico". LMA V 1 009. Vedi i nol tre Caspar, c i tato da B ii ttner, Aus
den Anfiingen, I , 80 sg., 1 65 . Cfr. 1 5 7 . Buch ner, ibid. , 1 7 1 . Sprigade, Die Ein weisung, 40 sgg.
Lowe, ibid. , 1 24 sg. Haller I 299. B o s l , Friihformen, 6 8 . Stern/B artmuss 8 8 sgg. Fleckenste i n ,
ibid. , 7 5 s g . S e p p e l t/S c h waiger 8 2 s g . S t e i n b a c h , ibid. , 5 4 s g . S c h m i d t , Zu r A b lOsung der
Langoba rdenherrschaft, 7 . Eichmann, Die Kaiserkrijnung, l , 8 1 . Affeldt, Untersuchungen, 1 00 s g g .
Braunfe l s , ibid. , 29, 3 2 . Bu n d 367 sgg . , 3 7 8 . J a r n u t , Wer hat Pippin 75 1 zum Konig gesa/bt?, 45
sgg. I tentati vi fi nora compi uto per far deriv are i Caro l i ngi dal l a st irpe merov i n g i a non sono
convincent i : Hlawitschka, Merowingerblut bei den Karolingern ?, 66 sgg . , 75 sgg . , 90 sgg. S u Fulrad
d i St-De n i s , abate notevolmente a v i d o , come al s o l i t o , d ' a l tra parte , c fr. anche A n g e n e n d t ,
Friihmittelalter, 287 s g . G l i studiosi d i sc u tono ancora o g g i su chi a b b i a proceduto a l l ' unzione re­
gale di P i p i n o ; tuttav i a resta dec i s i v o soltanto il fatto i n sé.
15 M ayer, T. , Staatsauffasung in der Ka rolingerzeit, 470. Reinhardt, Untersuchugungen , 6 s g .
16 Tellenbac h , Europa , 4 1 5 . Flecken ste i n , Grund/agen u n d Beginn, 7 6 sgg.
17 lbid. 7 8 sgg.
'" Chron. Sa/ernit. MG S S 3 ,47 1 . Kiih ner, Lexikon , 50. LMA I 246 sg. Hartma n n , ibid. , II, 1 49 s g . ,
1 76 . Carte l l i eri I I SO s g . Lowe, ibid. , 1 2 8 . H a l l er I 30 l . Maier, Mitte/meerwelt, 3 4 8 . B u l lo u g h ,
Note 283

Italien, 1 74 .
19 H a u c k I l 1 6 . Hartmann, ibid. , I l 1 76 s g g . Carte l l ieri I 1 5 2 s g . Li:iwe, ibid. , 1 2 8 . Seppelt/Schwaiger
83. U l l m a n n , Die Maehtstellung, 8 3 .
20 Lib. Pon t. , Vita Steph. Il, c. 9 s g . , 1 5 sgg. Cod. Caro/. 4 sg. LMA II 1 948 sg. (0. G. Oex l e ) . Hart­
mann, ibid. , Il 1 50 sg., 1 7 8 sg. Cartel l ieri I 1 5 2 sgg. Haller I 302 sg. Schieffer, ibid. , 260 sg.
Steinbach, ibid. , 5 5 sg. Kosm i n ski/Skaski n I 85. K . A . Fink, Papsttum und Kirehe, 1 5 sg., attira
l ' attenzione s u l l a fraseologia si ngolarmente colorita di espressioni bibl ico-re l i g i ose, con la quale i
pontefici i ndicano i propri sudditi e terri tori quali "spec i a l i greggi di S . Pietro" e il loro stato quale
"proprietà del Principe deg l i Aposto l i " (pec u l i aris popu l u s sancii Dei ecc lesiae et beati Petri ) .
21 Lib. Pont., Vita Steph. II, c . 1 8 sgg. Ann. reg. Frane. 753 sg. Cont. Fredeg. c . 3 6 sg. Ann. Mett.
prior. ad an. 7 5 3 . HKG I I I l ,26. Carte l l i eri I 1 5 7 sg. M ii h l bacher I 77 sgg . , soprattutto 85 sgg.
Hartman n , ibid. , I l 1 79 sgg. Gontard 1 68 . Schieffer, ibid. , 26 1 sg. Haller I 304 sgg . , 3 1 5 . I d . ,
A bhandlungen, 7 . Stern/Bartmuss 89 sg. Tel lenbach, ibid. , 4 1 3 . Seppelt/Schwaiger 83 s g g . Maier,
ibid. , 3 3 8 . B u l lough, Karl der Grafie, 3 1 sg. B u rr, The Ca rolingian Revolution , 5 7 6 . Rei nhardt,
ibid. , 1 3 sgg. U l l mann, ibid. , 84 sg. Kantzenbach, Gesehiehte der ehristichen Kirehe im Mittelalter,
60. Haendl er, Die latein isehe Kirche, 62. Bosl, ibid. , 96, presu m e che l ' i ntera cerimonia sia stata
celebrata dal papa Zaccaria, morto due a n n i prima.
22 Lib. Pon t. , Vita Hadriani 4 1 sgg. Vita Steph. I l 29. I l Fragmentum Fan tuzzianum viene considerato
u n falso posteri ore dalla maggior parte degli studi o s i . M i rbt/Ahland, Quellen, 6 . A . n ° 508, pag.
260. Miihlbacher I 89 sg. Carte l l ieri I 1 5 8 sgg. Haller I 306 sg. I d . , Abhandlungen , 8. Seppelt/
Schwaiger 84. B rackmann 397 sgg . , 4 1 8 sgg. Fritze, Papst und Frankenkon ig, 9 sgg . , 1 5 . Schramm,
Kaiser, Kon ige, l , 1 49 sgg . , soprattutto 1 70 sgg . , 1 76 sgg. Haendler, Die latein isehe Kirche, 63 sg.
" Zwi:ilfer 64 sgg . , 7 5 , 79, 1 5 2 sgg. Buchner, ibid. , 1 5 9 . Haller I 298, 3 1 5 . Id., Abhandlungen, 12 sgg.
B o s l , ibid. , 96 sg. Kawerau, Geschichte de r a/ten Kirche, 3 7 .
24 Hal ler, ibid. , 1 2 sgg . , soprattuto 1 6 s g .
25 Cod. caro/. 36 s g .
26 Zwi:ilfer 1 2 2 s g g . c o n nu merose citazioni dalle fon t i . Haller, ibid. , 2 4 . Ullmann, Di e Machtstellung ,
1 00. Baraclough, The Medieval Papacy, 4 7 .
27 Lib. Pon t. , Vita Steph. Il, c . 27 s g g . A n n . reg. Frane. 754 sg. Ei nhard, Vita Ca roti, 6 . Cont, Fredeg.
1 1 9 sg. Cod. Ca ro/. 7. Pau l . D i ac . , Hist. Lang. 5 , 2 . Ann. Mosell. ad an. 7 5 3 . A n n . La uren . ad an.
753. Ann. Peta v. ad an. 753. MG I 42 n° 1 7 . Sickel, Di e Vertriige, 335. Citaz. da U l l m ann, Di e
Maehtstellung, l 0 3 . Hartman n, ibid. , 1 8 2 sgg. Miihl bacher I 8 1 sgg . , 90 sgg. Kornemann I l 495 .
Zwi:ilfer 1 3 3 sg. Li:iwe, ibid. , 1 23 , 1 2 8 . Schieffer, ibid. , 262 sg. Sprigade, ibid. , 57 sgg. Konecny
62. Haller I 307. I d . , Abhand/ungen, 1 3 . Gontard 1 68 . Stern/B artmuss 90 sg. Tel lenbach, ibid. , 4 1 3 .
U l l mann, ibid. , 8 5 , 1 03 sgg . , 1 1 2 . Tangl l sgg. Funkenstein 6 sgg . , I l sgg. Steinbach, ibid. , 56 sgg.
'" Hauck, Von einer spiitantiken Randkultur, 76.
29 Cod. caro/. 6 . Ann. reg. Frane. 155. Cont. Fredeg. 1 0, 3 7 s g . , 45 . Lib. Pont. Vita Steph. Il, 3 7 . A nn.
Mett. ad an. 754. Hartmann , ibid. , I l 1 85 , 1 89 sgg. M ii h l bacher I 94 sgg. Carte l l ieri l 1 63 sgg.
Zwi:ilfer 1 3 3 sgg. Gon tard 1 68 . Haller I 309 sgg. Holtzman n , Italienpolitik, 3 8 sg. Steinbach, ibid. ,
5 7 . Bund 3 8 6 sg. Burr, The Ca rolingian Revolution, 5 8 9 sg.
3° Cod. Caro/. 3 . Miihl bacher I 9 3 . Seppelt/Schwaiger 85. Haller I 309 sgg.
31 Lib. Pon t. , Vita Steph. Il, 4 3 s g g . Cod. Ca ro/. I l . A n n . reg. Frane. 756. Con t. Fredeg . 1 2 1 .
Gregoro v i u s I 2 372 sg. M ii h l bacher I 96 sgg. Carte l l ieri I I 66 sg. Hartmann, ibid. , I l 1 94 sgg.
Zwi:ilfer 1 5 3 . Haller I 3 1 1 sg. B u l lough, ibid. , 3 2 . Foakes-Jackson 699 sg.
32 Miihlbacher I 98 sg. Li:iwe, ibid. , 1 29 . B u l lough, ibid., 3 2 . Von Falkenhausen, Untersuehungen , 3 .
Haller I 3 1 2 . Li:iwe, ibid., 1 29 . Gontard 1 68 sg. Seppelt/Schwaiger 8 5 .
33 Gregoro v i u s I 2 374 s g g . E w i g , Zum ch ristliclzen Kon igsgedanken, 5 1 .
CAPITOLO XIV.

LA "DONAZIONE DI COSTANTINO"

" . . . l a falsificazione, s u cui però non grava nulla di "cri minale" " .
(Il teologo Kantzenbach ) 1

"Il docu mento è stato certo approntato in ambienti romani ,


forse in occasione d e l viaggio i n Francia di Stefano II o forse proprio in Francia
per indurre Pipino alle sperate regalìe di territori" .
( G l i storici cattolici d e l papato Seppelt/Schwaiger) . 2

"Sotto l ' i nconfondibile guida di Dio, senza torto e violenza,


senza astuzia e i nganno nacque per i l capo della Chiesa
un patrimonio mondano indipendente: il fondamento materiale
e l a garanzia esterna del suo dominio spiri tuale del mondo".
(Questa frase mostruosa, che contraddice spudoratamente ogni dato di fatto,
è stata scritta da uno dei maggiori avversari del cattolicesimo e del papato romani ,
i l gesuita Conte Hoensbroech, nella s u a fase cattolica.
Oggi non si espri me più i n questo modo nessun lacché papal ino). 3 391
286 La "Donazione di Costantino "

L' attività falsaria è sempre stata dominio precipuo dei preti, di tutti i preti, ma soprattutto
di quelli cattolico-romani . Pio Xl, uno dei più impegnati fautori di Mussolini, di Hitler
e di Franco, nell' Enciclica sul l ' educazione cristiana della gioventù definisce la chiesa
cattolica "colonna e fondamento della verità" ; tuttavia, come sempre, capovolge le
cose, poiché nasconde che la chiesa del papa, la chiesa cristiana in generale, è fondamento
e colonna della menzogna: e indubbiamente una delle più solide. 4

IL MEDIOEVO CATTOLICO: L'ELDORADO DELLE FALSIFICAZIONI CLERICALI

Le falsificazioni sono sempre state moneta corrente nel cristianesimo fin dagli esordi,
fin dal Vecchio e dal Nuovo Testamento (come abbiamo mostrato e dimostrato per 300
pagine nel III vol . , capitoli l e 2). L' antichità cristiana supera nel l ' attività di contraf­
fazione l ' età pagana come il Medioevo cristiano supera il cristianesimo antico. Non a
caso si fece ricorso a tale procedura soprattutto in un' epoca specificamente cattolica e
particolarmente credula dominata dal clero, cioé nel Medioevo "il cui tratto caratteristico
è costituito dalla fabbricazione e dal l ' impiego pratico di innumerevoli falsi"; "In nessun
altro periodo del la storia europea le falsificazioni poterono svolgere un ruolo più
cospicuo" (Fuhrmann). Come ci assicurano gli studiosi moderni questi falsi sono
393 "innumerevoli": i documenti contraffatti, le vite fasulle dei santi e le fantasiose sto­
rie di miracoli sono una vera e propria "legione" ; questa "società tipicamente cristiana
elevò l ' atti vità falsaria al rango di istanza ordinatrice della Chiesa e del Diritto"
(Schreiner). 5
Il pio Medioevo fu l' Eldorado dei falsari, tanto che fu possibile sostenere non soltanto
che il numero dei documenti, degli annali e delle cronache autentiche eguaglia quello
degli atti contraffatti, ma che, come dichiara espressamente il medioevalista Robert
Lopez, tutti questi documenti si devono considerare falsi fino a prova contraria: "We
regard them gui lty unti l proved innocent . . . " .
Non ci interessa stabilire q u i il momento culminante di tali attività; ci limiteremo a
citare le opinioni di alcuni illustri studiosi. Il filologo classico tedesco Wolfgang Speyer,
cristiano e conoscitore della materia, dice: "In Oriente dal VI all ' VIII secolo l ' attività
falsari a era diventata una vera e propria specializzazione teologica" . Wilhelm Levison
indicò quale "periodo d' oro della falsificazione" il IX secolo, Drogereit il XII; mentre
Mare B loch ritenne particolarmente feconda di tale "epidemia endemica" ! ' intera epoca
storica dall' VIII al XII secolo. 6
Si falsificava dalle coste atlantiche della Francia all ' Oriente bizantino, dall' Inghilterra
all' Italia. Di tutti i documenti d'età merovingia (non ancora pubblicati in edizione critica)
si calcola che la percentuale di inautenticità raggiunga il 50%; dei testi documentali
dell' Alto Medioevo a noi pervenuti "il 50% sono o falsi o contraffatti" (Herde) . Questo
Il Medioevo cattolico 287

studioso (Herde) sottolinea che difficilmente possa essere postulato un concetto di verità
medievale diverso da quello odierno "perché anche nel Medioevo esisteva una differenza
decisiva fra il vero e l ' autentico, tra l ' inautentico e il falso". Ma tale principio venne
aggirato dalle falsificazioni più diverse "nel nome 'di verità più elevate' " (Gawlik); e
non a caso nel l ' Alto Medioevo, in Occidente, i falsari furono quasi esclusivamente
uomini di religione: se l ' assassinio fu uno dei compiti principali della nobiltà cristiana,
l ' attività falsaria fu il dovere precipuo dei preti cristiani: più che di "aporia", come 394
scioccamente si afferma, si tratta di una logica conseguenza: laddove tutto ciò che è
essenziale si fonda sulla menzogna e sull ' inganno, la menzogna e l ' inganno non possono
che continuare ad apportarvi un proprio contributo. 7
Clero e 'falso' fanno tutt' uno col Medioevo, come afferma Bosl : "È un fatto assodato
che quasi mai i falsari furono dei laici"; e come dichiara T. F. Touts : "It was almost the
duty of the clerical class to forge", vale a dire l ' obbligo di una schiera di bugiardi, che
per altro, assistiti da propri esperti, dichiaravano ignobile sacrilegio la menzogna altrui;
una forma specifica di ipocrisia di una banda di preti mascalzoni, che fin dal l ' antichità
avevano fatto della falsificazione e del l ' ipocrisia una propria virtù, più che mai coi
trucchi interpretati vi del Vecchio Testamento. Ma era una virtù dotata di funzione storica,
perché tesa alla salvazione. (Appaiono ancor più ripugnanti i loro moderni difensori,
ahimé ! tanto pieni di comprensione).
Pio inganno, doppiezza, simulazione nel cristianesimo furono leciti fin dal principio
proprio perché il fine giustifica i mezzi, perché la menzogna e l ' imbroglio in nome
della salute spirituale non erano più considerati né menzogna né imbroglio, bensì un
merito. La "pia fraus" doveva realizzarsi solo "cum pietate", solo in nome della Santa
Chiesa, della Santa Fede, del Santo Iddio, "instinctu Spiritus Sancti" ovvero "per
inspirationem Dei" ; e così tutto diventava buono. Secondo Origene la falsificazione
non è che una menzogna "economica, pedagogica" ; oppure, come afferma il dottore
della chiesa arcivescovo Giovanni Crisostomo, una "nobile astuzia", una "bugia eccel­
lente" (v. III , 1 30 ss.); o ancora, come insegna sant' Agostino, "non una menzogna,
bensì un mistero", non una "fictio", ma "figura" della verità. Sulle bugie dei patriarchi
veterotestamentari i moralisti e i glossatori della prima Scolastica elaboreranno poi
tutta una "ricca casuistica" (Schreiner). 8
Del resto questa attività tanto amata dal clero non era particolarmente rischiosa:
"Dopo una falsificazione non ci si veniva a trovare in pericolo, poiché normalmente
nessuno se ne accorgeva" (Drogereit).
Per questa ragione si dedicavano a tale incombenza non anonimi personaggi qualsiasi
(a meno che non ne ricevessero un incarico specifico), bensì illustrissimi abati e vescovi, 395
come, per esempio, Hilduin, abate di Saint-Denis ( 8 1 4-840) e di altri monasteri, Gran
Cappel lano dell ' imperatore Ludovico il Pio e Gran Cancelliere de li' imperatore Lotario
I, nonché arcivescovo designato di Colonia; oppure come l ' arcivescovo Hinkmar di
288 La "Donazione di Costantino "

Reims (845-882), il quale, fra l ' altro, in una lettera contraffatta di papa Ormisda fece
conferire al predecessore Remigio di Reims la primazia ecclesiastica nel regno di
Clodoveo, cioé il vicariato papale; oppure ancora come Pilgrim, vescovo di Passau
(97 1 -99 1 ), che si dedicò personalmente all ' attività falsaria, ma fece inoltre inventare
da un notaio del l ' imperatore Ottone II leggende a lui utili su Quirino e Massimiliano e
presentare a Roma tutta una serie di documenti falsi per ampliare il suo potere e favorire
la propria carriera, specificamente atti contraffatti di nomine dei papi Simmaco, Eugenio
Il, Leone VII, Agapeto II e Benedetto VI. O ancora come Callisto II ( 1 1 1 9- 1 1 24), che
confermò con l ' autorità apostolica i falsi che aveva fatto confezionare in qualità di
vescovo di Vienne. " . . . perché lo Spirito Santo "fugge l ' inganno e il bugiardo", come si
afferma in un documento di papa Adriano III (885) . . .". E poi la chiesa è "la colonna e il
fondamento della verità" (Pio Xl). 9

ALCUNI ESEMPI DI SACRE FALSIFICAZIONI DI ATTI CONCILIARI, RELIQUIE E VITE Di SANTI

Durante il Medioevo innumerevoli preti e monaci procacciarono alla chiesa privilegi


religiosi, politici, economici e giuridici, insomma Fede, Prestigio e Denaro mediante il
ricorso all ' attività falsaria, cui si dedicavano con passione autentica in tutti gli ambiti
della vita ecclesiastica e religiosa. 1 0
Fin dal IV secolo furono contraffatti testi conciliari, falsificando interi atti ufficiali
dei Concili, naturalmente in nome della vera fede; venne addirittura inserita nella B ibbia
396 una indicazione trinitaria fasulla, "la più bizzarra pretesa dogmatica" (Thomas Mann) .
Durante il sesto Concilio Ecumenico d i Costantinopoli del 680/68 1 il patriarca di
Antiochia Macario tentò di dimostrare la dottrina del l ' unità della volontà in Cristo, il
cosiddetto monoteletismo, (un ' eresia riconosciuta, peraltro, anche da papa Onorio; cfr.
pag. 244 ss.), servendosi di documenti sinodali precedenti e dei padri della chiesa, con
un lavorio di mutilazioni, di alterazioni, di rozze invenzioni testuali , che dovette poi
pagare per il resto dei suoi giorni prigioniero in un chiostro romano. 1 1
In quello stesso periodo il padre della chiesa e abate Anastasio Sinaita confutò
appassionatamente i monofisiti, combattendo specialmente le falsificazioni operate da
quattordici calligrafi , che, raccolti sotto la guida del prefetto Severiano in un vero e
proprio opificio di falsari , contraffacevano i testi in senso monofisita. Ma Anastasio,
autentico santo della chiesa cattolica (festeggiato il 21 aprile), si servì degli stessi metodi,
a sua volta procedendo all ' opera falsificatoria con totale assenza di scrupoli . Non solo,
ma definì "esemplare" la propria attività ed esortò i difensori dell ' ortodossia ad imitare
i suoi metodi, richiamandosi alla frase di Paolo: "Con l ' astuzia vi ho catturato ! " . 1 2
Contemporaneamente allo sviluppo sempre p i ù degenerato del culto dei santi ebbe
inizio una vera fioritura di truffe agiografiche, di imbrogli localistici e di mistificazioni
A lcuni esempi di sacre falsificazioni di atti conciliari 289

liturgiche, soprattutto mediante la falsificazione delle reliquie. Ci furono tanti frammenti


"autentici" della croce, che sarebbe stato possibile fabbricarvi decine di croci altrettanto
"autentiche" ; vennero fuori più di una dozzina di autentici prepuzi del Signore, venerati
da un' apposita "Confraternita del Santo Prepuzio", da speciali cappellani prepuziali,
da processioni solenni e messe cantate, sempre in onore del Santo Prepuzio.
Solo per documentare la donazione di certe reliquie (nonché di altri "diritti"), il
vescovo di Osnabriick, Benno ( l 068- l 088), falsificò un documento imperiale di Carlo
"Magno" datandolo 1 9 Dicembre 803 . A Regensburg uno dei "più interessanti scrittori
del l ' XI secolo" (Lexikon fiir Theologie und Kirche ), Otloh di St. Emmeran (che, sempre
con i falsi, tentò di sottrarre il proprio monastero all ' influenza del vescovo locale) creò 397
di sana pianta la cosiddetta "Translatio Dionysii", con la quale si attestava il possesso
delle reliquie di Dionigi l ' Areopagita, a suo tempo uno dei più dotati falsari della
cristianità e "per secoli" suo "maestro" (v. III, 1 05 ss.). 1 3
Nel Medioevo furono anche confezionate "epistole demoniache" ed "epistole celesti",
con le quali si esortava, secondo i casi, alla pace, alla crociata, alla santificazione della
domenica, alla fondazione di un monastero, alla recitazione del rosario o alla fede nella
resurrezione di Gesù, ecc. ecc. (v. III, 1 23 s.).
Ma pullularono soprattutto le favole miracolistiche più primitive, le visioni dell' aldilà
e le leggende dei santi ; se, infatti, un santo non aveva una popria Vita, veniva a trovarsi
svantaggiato nella concorrenza con i santi di altre città, di una chiesa o di un convento.
Perciò, quando tale non esisteva, si provvedeva immediatamente ad inventarne una.
Sono frutto di pura fantasia le imprese di santa Genoveffa, patrona di Parigi, (al cospetto
della quale persino Attila dovette indietreggiare, come pure un drago sulle rive della
Senna; una santa che opera mucchi si miracoli stupefacenti, proteggendo dalla peste,
dalla guerra, dalle infezioni oftalmiche e dal vaiolo) ; furono escogitate e gabellate come
autentiche né più né meno delle Undicimila ( ! ) compagne di sant' Orsola ammazzate
dagli Unni : "Il bagno di sangue viene attuato con estrema crudeltà all ' arrivo delle navi.
Alla fine restò soltanto Orsola. Il principe degli Unni la desidera e, vista la costanza del
suo rifiuto, la trafigge con la lancia". Però "la sua fama e le sue reliquie trovano una
diffusione attendibile soltanto a partire dal X secolo". (Keller). 14
Risulta, ad esempio, completamente falsa anche la Passio dell ' abate Vincenzo di
Leòn, il quale avrebbe affrontato il martirio l' I l marzo del 630 in difesa della fede
cattolica sotto il re ariano degli Svevi Rechila. Ma questi non fu affatto un ariano, ma
un pagano, e per giunta regnò quasi due secoli prima, fra il 44 1 e il 448 . Ed è altresì
fasulla la Passio di Vincenzo, presunto successore di Ranimir, che sarebbe stato
martirizzato insieme con altri dodici monaci. 1 5 398
Nel corso dei secoli X e XI fu inventata tutta una sequela di vite di santi, solitamente
annoverate fra i "falsi Carolingi": da un lato furono tardivamente gabellati come santi
alcuni carolingi più conosciuti, dali' altro la famiglia fu arricchita di santi completamente
290 La "Donazione di Costantino "

inventati, come dimostrano la Vita Ermelindae, la Vita Berlindae, la biografia di Gudula


etc . , i cui autori furono immancabilmente o preti o monaci. 1 6
La ricerca "devota" (e persino quella meno tartufesca) ama distinguere fra i prodotti
di una "credulità irriflessa", privi, ovviamente, di ogni fondamento storico e totalmente
inventati, anche se "in buona fede", e le falsificazioni autentiche, intenzionali e pre­
meditate; ma anche soltanto quelle di questo secondo gruppo "sono innumerevoli",
una vera e propria "legione" (Fuhrmann). 1 7

ESEMPI DI FALSIFICAZIONI EPISCOPALI


OPERATE SOPRATTUTTO PER RAGIONI PATRIMONIALI E POLITICHE

Nelle sedi episcopali si procedette a falsificazioni pressoché incalcolabili per motivazioni


politico-ecclesiastiche, cioè vennero approntati documenti utilizzabili nelle lotte intes­
tine fra vescovadi, per imporre le proprie pretese di rango o di patrimonio con la
fabbricazione di falsi diplomi o con l ' interpolazione di quelli originali.
I falsi vennero usati da tutta la tradizione cristiana, e a Roma (v. II, 46 ss.) fu
contraffatta la lista dei vescovi al fine di garantire la continuità "della tradizione
apostolica" (Per la "ricerca storiografica" cattolica nacque in tal modo "tutto il successivo
sottobosco spontaneo" delle interpolazioni: Neuss/Oediger). Ben presto si pose mano
ad operazioni analoghe anche negli elenchi dei vescovi di Colonia, Tongern e Treviri ;
il vescovado di Metz riconduce falsamente la propria fondazione apostolica a Clemente ;
il vescovado di Magonza al discepolo di Paolo, Crescenzio; Salona all ' alunno di Pietro
Domnio; Mi lano a Barnaba, ecc. ecc. 1 8
399 Durante le dispute tra i vescovadi spagnoli di Toledo e di Oviedo oppure di Barcellona
e Merida, o ancora fra i seggi episcopali francesi di Limoges e di Périgueux, i falsi non
si contarono più. 1 9
Nel 73 1 fu ideata in Inghilterra una presunta risposta di papa Gregorio I al vescovo
di Canterbury Agostino, redatta poi proprio da Nothelm, futuro arcivescovo della stessa
città: in essa papa Gregorio concedeva al vescovo Agostino i l diritto di ordinare
autonomamente i vescovi, preponendolo anche ai nominandi vescovi di Britannia ed
equiparandolo a quelli della Gallia, specificamente a quelli di Arles. 2 0
Verso la fine dell ' XI secolo la secolare disputa fra le antiche rivali Arles e Vienne
intorno alla primazìa gallica indusse ad ampie falsificazioni documentali e alla stesura
di numerose epistole papali assolutamente false. L' autore, il nobile arcivescovo Guido
di Vi enne e futuro pontefice Callisto II ( 1 1 1 9- 1 1 24 ), spaziò attraverso i secoli da Pio I
(morto nel 1 55 ?) a Pasquale II ( morto nel 1 1 1 8), scatenando in seguito una delle più
sensazionali "bella diplomatica" della ricerca storiografica. (Notiamo di passaggio che
fu questo medesimo papa-falsario a coinvolgere per la prima volta il braccio secolare
Esempi di falsificazioni episcopali 29 1

nella persecuzione degli "Eretici", i petrobrusiani, nel Sinodo di Tolosa dell ' 8 luglio
1 1 1 9) . 2 1
Nello stesso periodo continuarono i falsi nell' arcivescovado di Canterbury, già teatro
delle attività truffaldine di Nothelm agli inizi del secolo VIII. Adesso Canterbury cercò
di imporre all ' arcivescovado di York le proprie pretese primaziali, che duravano da
decenni, con una serie di fraudolenti documenti pontifici, di epistole fasulle, di privilegia
e di un falso canone del Sinodo di Roma del 679. È vero che tali attestati, esibiti alla
cosiddetta Santa Sede, furono condannati e respinti, tuttavia già nel 1 1 27 l ' arcivescovo
Guglielmo di Corbeil divenne vicario e legato pontificio per l ' Inghilterra e la Scozia; e
a partire dal XIII secolo gli arcivescovi di Canterbury avranno il rango di legati nati di
Roma. La supremazia su York era stata finalmente imposta. 22 400
In Germania nella controversia con l ' arcivescovado di Magonza, a partire da Ottone
III (983- 1 002) Wtirzburg estese la propria giurisdizione spirituale ai monasteri di
Amorbach, Neustadt, Homburg, Schltichtem e Murrhardt, e il vescovo Bemward riot­
tenne nel 993 numerose abbazie, che gli sarebbero state tolte ingiustamente, "princi­
palmente grazie a falsi attestati" (Hotz) di Pipino e di Carlo "Magno" affinché ivi
"potesse essere coltivata una vita monastica . . . " (0. Meyer). 23
Fu un falso anche il documento esposto a St. Florian il 27 giugno del 907 a quanto
pare dall' ultimo dei Carolingi, Ludovico IV, che attribuì al vescovo di Passau Burkhard
il castello di Oetting; il falsario fece inoltre figurare come proprietà personale del vescovo
non soltanto il palazzo, ma anche l ' intera regione di Oetting. 24
Nella Germania settentrionale il vescovado di Merseburg era assai minuscolo, anche
a fronte dei piccoli territori del vescovo di MeiBen e Naumburg ; e quindi i prelati
merseburghesi intervennero a correggere la situazione. Il vescovo-storiografo Thietmar
di Walbeck ( l 009- 1 0 1 8) si attribuì il possesso della foresta regia "fra la Saale e la
Mulde", falsificando (nel I O 1 7) un documento regio, cui appose la data del 30 luglio
977. Tuttavia, sostiene il "Lexikon fiir Theologie und Kirche", "il suo amore per la
verità è indubitabile". Un altro vescovo di Merseburg, Ekkehard di Rabil ( 1 2 1 6- 1 240),
cercò di fregarsi le città di Lipsia e Naunhof con due falsi apparecchiati a nome del re
Enrico II nel 1 02 1 e nel 1 022. Ekkehard falsificò poi anche un atto di garanzia feudale
intestato del margravio Dietrich (morto nel 1 22 1 ), per il cui erede (appena cinquenne)
esercitava la tutela lo zio, il langravio Ludovico di Turingia. Con questa nuova truffa,
assai probabilmente confezionata nel 1 22 1 , ma datata 1 2 1 O, il vescovo destò compren­
sibilmente i dubbi del langravio, per cui lo scomunicò con tutti i suoi consiglieri,
scagliando l ' interdetto sull ' intera regione; e così riuscì a estorcere anche la notevole 401
somma di 800 marchi-argento. 2 5
Per soddisfare le pretese sulle decime, fu falsificato anche l ' atto fondativo del
vescovado di Brema (riportato al 788), che sosteneva, come poi ribadì l ' imperatore
Massimiliano nel 1 5 1 2, che Carlo "Magno" avrebbe donato alla chiesa di Brema 70
292 La "Donazione di Costantino "

mansi di terra ( 1 1 .900 ht. ; n.d.t.). Tale atto falsificatorio - eppure "da secoli Brema
aveva costruito i suoi falsi per mantenere o acquistare qualche diritto" (Drogereit) - fu
poi un modello di analoghi falsi del vescovado di Veren nel XII secolo, presentato
come un attestato originale di Carlo "Magno" del 786. In occasione di liti confinarie tra
Liineburg e Brema il documento venne esibito per dimostrare sia la dotazione sia il
limite esatto del vescovado. 26
Il falso documento di Brema aveva un precedente (col quale coincideva quasi
letteralmente) nella contraffazione dell' atto fondante del vescovado di Halberstadt: a
suo tempo il vescovo Bernardo di Halberstadt (923-968) aveva contestato vittorio­
samente la fondazione di un arcivescovado a Magdeburgo, il cui titolare Giselher (98 1 -
1 004) , a sua volta, reagì all ' attestato fondativo dell ' arcivescovado di Gnesen con un
documento falsificato in nome del papa Giovanni XIII, in base al quale nel 968 era
stato conferito ali ' arcivescovo Adalberto di Magdeburgo la primazia su tutti i vescovi
e gli arcivescovi di Germania. 27
Ricchissimo di falsi fu anche il secolare conflitto, condotto senza esclusione di colpi,
tra gli arcivescovadi di Colonia e di Amburgo.
Erano stati contraffatti ad Amburgo coi nomi dei papi Gregorio IV e Nicolò I due
documenti, precisamente le due parti costitutive, attestanti il pagamento dei tributi all ' atto
dell ' insediamento arcivescovile, dei cosiddetti Documenti Fondativi di Amburgo.
402 L' inganno si prefiggeva di provare che Ansgar, nel l ' 83 1 e nell' 832 primo vescovo e
arcivescovo della città, non solo aveva ottenuto il diritto al tributo per lui e per tutti i
suoi successori per omnia saecula. A favore di Amburgo venne falsificato anche un
altro documento di Agapeto II con una interpolazione concernente, anch ' essa, il
conferimento del diritto tributario e la sua estensione ai successori . Con lo scopo di
ottenere il pal i io a favore di Amburgo subì una duplice contraffazione anche un atto di
papa Giovanni XV; e ancora per la stessa città venne escogitato un documento fondativo
di Ludovico il Pio e un dettato pontificio di Gregorio IV. 28
La maggior parte di questi atti fu probabilmente manipolata da uno dei più famosi
vescovi medioevali del settentrione tedesco, l ' arcivescovo Adalberto di Amburgo-Brema
( 1 043- 1 072), al quale l ' imperatore Enrico III (uno dei sovrani più potenti del tempo)
aveva conferito la dignità papale (se così si può dire) dopo la deposizione di tre pontefici
nel S inodo di Sutri . Ma Adalberto non volle diventare papa; però "il grand ' uomo di
Dio", cui dodici vescovi avevano i mposto le mani all ' atto dell ' ordinazione in Aqui­
sgrana, con l ' aiuto di scrivani imperiali a lui devoti confezionò quasi sistematicamente
documenti di i mperatori e papi del passato per utilizzarli a sostegno delle sue ambizioni .
Nessuna meraviglia, confesserà con franchezza, se "per quanto riguarda il rango non
risparmierò nessuno, né me stesso né i fratelli né il denaro né la chiesa medesima, fino
a che non avrò liberato dalla subordinazione il mio vescovado, rendendolo eguale agli
altri". 29
Esempi di falsificazioni episcopali 293

Questi sono soltanto pochi accenni, centuplicabi l i , riguardanti le speci fiche


falsificazioni delle curie vescovili, tralasciando l ' altrettanto abnorme quantità dei falsi
architettati nei monasteri, come i privilegi pontifici di abbazie d' epoca merovingia
"quasi esclusivamente falsificazioni seriori" (Levison). Naturalmente anche questi preti
falsificarono per i motivi più disparati, non ultimo quello teso a sottrarsi all ' influenza
dei vescovi . A Regensburg, ad esempio, polemizzarono accanitamente per tutto l ' Alto­
Medioevo coi vescovi locali perlopiù i monaci d' alto lignaggio del monastero di S. 403
Emmeram, i quali, dal l ' XI al XIII secolo, riuscirono ad ottenere con l ' imbroglio false
attestazioni e alla fine anche l ' indipendenza dall ' impero e la subordinazione alla sede
papale.
Ancor più spesso le falsificazioni di un monastero venivano architettate a danno
degli altri : tanto è vero che verso la metà del XII secolo in Turingia Ernst, abate del
monastero di Reinhardsbrunn, falsificò certi documenti al fine di assicurarsi alcuni
possedimenti a detrimento del vicino convento dei Cistercensi .
Comunque tali inganni non furono sempre pro domo, perché spesso venivano
organizzati per molti altri anche su commissione, come accadde nel monastero di
Reichenau, dove nei primi anni del XII secolo un monaco falsificò sistematicamente
antichi documenti con l ' approvazione del nobile abate Udalrich di Dampfen prima di
tutto a proprio vantaggio, poi anche a pro dei monasteri di Kempten, Lindau, Stein am
Rhein, Einsiedeln, Ottobeuren e della clausura di Buchau, soprattutto per affrancarsi
dal servizio militare o cortigiano e poi per assicurarsi la libera elezione ad abate. 30
Pietro Diacono, famigerato falsario, operò come bibliotecario e archivista nel cele­
bre monastero di Montecassino, di cui cautelò e moltiplicò i possedimenti con imbrogli
continui: non soltanto riuscì a imporre come veri tutti i vecchi e falsi documenti cassinesi,
ma riuscì ad approntarne dei nuovi, "originali"; rielabrò e contraffece altre opere storiche
e agiografiche, gabellandole come frutto di altri autori . A Montecassino furono fabbricati
non soltanto diplomi sovranili, ma anche documenti pontifici.
La stessa cosa avvenne a Fulda. All' incirca nello stesso periodo il monaco Eberhard
compose un Cartolario in due volumi, contenente tutto il materiale documentale del
suo monastero fino alla metà del XII secolo: documenti pontifici, immunità, titoli di
possesso, elencazione delle entrate, spesso interpolati , talvolta completamente falsi. Il
fervoroso copista benedettino alterò questo Codex Eberhardi con tanto zelo, che
Engelbert Mtihlbacher potè affermare che per quello scrivano "la falsificazione degli 404
atti era diventata una vera mania". D' altra parte Fulda possedeva in puncto falsi una
tradizione antica: già tre secoli prima i monaci Rodolfo e Meginhard avevano falsificato
- con alterna fortuna - alcuni privilegia concernenti le imposte (vi avevano apposto i
nomi di Pipino III, di Carlo "Magno" e di papa Zaccaria), per sottrarre le decime
all ' arcivescovo di Magonza. 3 1
Tutti costoro e altre migliaia di cattolici, dunque, vescovi, abati , monaci, preti e laici
294 La " Donazione di Costantino "

furono dediti a queste attività falsarie. E perché non avrebbero dovuto, dal momento
che questa rel igione - ribadiamolo ancora una volta - fu fondata fin dall' inizio sulla
menzogna e sul l ' inganno (v. III, cap. l e cap. 2) in tutti i suoi elementi sostanziali e
dato che nel primo Medioevo il papato stesso aveva indicato esemplarmente il futuro
sentiero con la più sfacciata falsificazione di tutti i tempi?

NASCITA E SIGNIFICATO DELLA "DONAZIONE DI COSTANTINO"

La cosiddetta "Donazione di Costantino", preludio trionfale delle innumerevoli falsi­


ficazioni successive, nacque all ' inizio degli anni Cinquanta del l ' VIII secolo nella
cancelleria pontificia di Stefano Il, probabilmente già prima della sua sortita francese.
Secondo Walter Ullmann e altri studiosi tutto "lascia intendere . . . che il luogo di nascita
del falso fu la Cancelleria del papa", in quanto era necessario un titolo giuridico per
ottenere quell' ambìto possedimento terriero. Durante l' abboccamento di Quierzy, il
pontefice riuscì evidentemente a rimuovere tutti gli scrupoli di Pipino proprio mediante
quell ' atto, presentando un documento che designava s. Pietro come legittimo signore e
padrone dell' Italia e il papa come detentore di un rango imperiale, anzi, addirittura
come "imperatore d ' Occidente" (Brackmann); e subito dopo indusse i Franchi alla
guerra contro i Longobardi (pag. 277 ss.). 3 2
405 La premessa del Constitutum Constantini ovvero del Privilegium Sanctae Romanae
Ecclesiae, come venne abitualmente chiamato durante il Medioevo, fu la Legenda Sancti
Silvestri, nata a Roma alla fine del V secolo, uno dei più diffusi romanzi agiografici del
cristianesimo in Italia, Inghilterra e Francia, che costituì l' esordio di un genere letterario
che contribuì enormemente a sostituire coi falsi i dati concreti della realtà storica. Al
principio del VI secolo tale favola trovò una prima utilizzazione nelle cosiddette
Falsificazioni Simmachiane (v. Il, 237 ss.).
Secondo le differenti versioni in circolazione in centinaia di manoscritti , la
persecuzione dei cristiani attuata dal l ' imperatore Costantino fu punita con la lebbra.
(Costantino, come si sa, non perseguitò i cristiani, al contrario li favorì sempre). Papa
Silvestro però lo guarì e poi lo battezzò in Laterano. (L' imperatore non fu mai colpito
dalla lebbra, né venne battezzato da Silvestro, bensì dal vescovo Eusebio di Nicomedia,
un ariano, sul letto di morte nel 337, mentre Silvestro morì ne1 335. La chiesa lo festeggia
il 3 1 dicembre, quasi volesse ricordare alla fine di ogni anno il proprio debito di ricono­
scenza verso il guaritore). 33
Il documento, col quale il papato ottenne con l ' inganno lo stato della chiesa e potè
fondare giuridicamente le proprie pretese di dominio universale, capovolse comple­
tamente la situazione : l ' imperatore romano, cui la chiesa era stata sottomessa fino ad
allora, venne a sua volta legalmente sottoposto al papato. L' imbroglio fu gabellato
Nascita e significato della "Donazione di Costantino " 295

come un Decreto di Costantino I a favore di papa Silvestro, con data, firma olografa e
nota del sovrano, che sosteneva che il documento era stato redatto sulla tomba di s.
Pietro. Con un atto di riconoscenza per la sua miracolosa guarigione dalla lebbra
Costantino regala al papa e ai suoi successori un intero continente !
Davvero nient' affatto avaro questo grande imperatore !
Il quale conferma solennemente al pontefice romano il primato su tutti i sacerdoti, i
patriarcati di Antiochia, Alessandria, Gerusalemme, Costantinopoli e sull' orbe ter­
racqueo. Per prevenire eventuali obiezioni sul suo rango, concede al papa tutte le insegne 406
della dignità i mperiale, conferendogli anche rango imperiale: il pontefice sarà capo
supremo di tutte le chiese e sommo sacerdote di tutti i sacerdoti del mondo; anzi,
Costantino regala a lui ed ai successori il palazzo in Laterano, la città di Roma, le città
e le provincie d' Italia e del l ' intero Occidente (omnes ltaliae seu occidentalium regionum
provintias, /oca et civitates).
L' imperatore stesso - conclude il lunghissimo documento - trasferirà il suo i mpero
e la sua autorità "nelle regioni orientali" perché "laddove è stato innalzato un magnifico
regno e fondata la capitale della cristianità, non s ' addice l ' esercizio della potestà d ' u n
sovrano terreno". Saranno banditi - continua il diploma - tutti coloro i quali saranno
tanto temerari da modificare tali disposizioni. In questo modo venne gettata la pietra
angolare della secolare lotta fra gli imperatori e i papi. 34
In un primo momento Roma si servì con molta discrezione di questo campione d' arte
banditesca (a quanto pare, il primo a richiamarvisi fu Adriano I in uno scambio epistolare
con Carlo "Magno") . Fu sempre utilizzato il rinvio al primo imperatore cristiano e al
suo comportamento esemplare, tuttavia il Constitutum Constantini non venne usato
come un documento avente validità giuridica, anzi non fu nemmeno citato. Evidente­
mente anche i santi padri lo considerarono un falso: "c' é da supporre che i pontefici
fossero consapevoli della illegittimità delle pretese contenute nel Constitutum Constan­
tini. Soltanto così si spiega il fatto che si preferisse alludere a tali faccende, senza però
mai chiamare le cose col loro nome" (Schlesinger).
Fu solo verso la metà del IX secolo, dopo che ebbe acquistato una certa credibilità,
che il falso fu considerato giuridicamente vincolante e si procedette a un' altra grande
falsificazione ecclesiastica, le Decretali Pseudoisidoriane e infine numerosi altri libri
di diritto canonico. La smisurata politica espansionistica del papato, che sottomise
progressivamente principati e interi regni, ebbe i l proprio fondamento giuridico in
codesto imbroglio, al quale si richiama lo "Stato della Chiesa" ancor oggi in vita. 35
Fatte pochissime eccezioni, il documento restò sostanzialmente inutilizzato per tre
secoli negli archivi del clero. (Il testo più antico in nostro possesso risale ai manoscritti 407
delle Decretali Pseudoisidoriane nate intorno all ' 850). Dopo che attraverso i tempi e
le generazioni ci si abituò alla "Donazione", conferendo autorità e autorevolezza a
quell ' atto brigantesco, i papi vi insistettero fino al tardo Medioevo e condannarono
296 La " Donazione di Costantino "

tutti coloro che ponevano in dubbio la legittimità dei possedimenti curiali oppure vi
contribuivano in qualche modo. Si richiamò a questo inganno soprattutto il cosiddetto
"papato riformista", le cui bolle ne menzionarono lunghi passi: nel 1 05 3 Leone XI vi
fondò esplicitamente le pretese primaziali, trasformando astutamente la "donazione"
in "restituzione" (donare diventò reddere), sicché l ' imperatore aveva per così dire
restituito a Dio quel che da Dio aveva ricevuto. Così facendo l ' astuto Leone evitò
anche il rischio di riconoscere la dipendenza della chiesa dalla generosità imperiale. 3 6
A sfruttare fino in fondo il significato implicito nella "Donazione Costantiniana" fu
il pontefice Gregorio VII, col quale essa divenne parte integrante del Diritto Canonico;
e durante la guerra contro Enrico IV, il quale non prese mai in seria considerazione le
ambizioni papaline derivanti da una così palese violazione della legalità, sia nell' elezione
del primo anti-re Rodolfo di Svevia del l 077 che del secondo anti-re Ermanno di Sal m
del l 08 1 , il pontefice pretese che nel giuramento venisse anche compreso i l ricono­
scimento formale di quell' inganno clericale.
Urbano II ( 1 088- 1 099), beatificato nel 1 88 1 , istigatore della Prima Crociata e del
conseguente massacro gerosolimitano, valendosi della "Donazione" dichiarò la Cor­
sica e le isole Lipari proprietà della Santa Sede Romana. Numerosi altri scritti ecclesia­
stici si servirono della presunta "Donazione" per rafforzare le pretese della chiesa, al
punto che Onorio di Augustodunum, scolastico del primo XII secolo, sostenne che
Silvestro aveva ottenuto da Costantino anche la garanzia che nessun imperatore romano
dovesse regnare senza l ' assenso del pontefice.
In questo modo l ' imperatore divenne, per così dire, contemporaneamente beneficiato
408 e vassallo del papa, e l ' impero si trasformò in feudo papalino. Le stesse conseguenze
furono tratte anche dai giuristi del pontefice. Altri papi come Innocenzo III o Gregorio
IX ne deriveranno poi diverse pretese territoriali : Gregorio IX ( 1 227- 1 24 1 ) sostenne
che Costantino aveva dichiarato lecito il dominio universale del papa non soltanto sulle
anime, ma anche su tutti gli uomini e le cose, per cui non doveva semplicemente esistere
un impero indipendente e il pontefice era il vero e autentico imperatore. 37
La "Donazione" fu adoperata con effetti concreti soprattutto contro l ' impero dei
Salii e degli Staufer, quando la chiesa di Roma la collocò al vertice di tutti i privilegi
imperiali del Medioevo. Fino al XV secolo la falsificazione costantiniana riuscì a
sviluppare tutti i suoi effetti nefasti, poiché venne universalmente considerata autentica:
fu sfruttata come autentica fonte di legittimità della chiesa non solo nel l ' ultima grande
lotta del papato medioevale contro l ' impero, cioè contro Ludovico il Bavaro ( 1 3 1 4-
1 347), ma anche lo stesso Sigismondo, in qualità di futuro imperatore ( 1 43 3 ) , dovette
obbligarsi con giuramento alla conservazione e ali ' osservanza della "Donazione di
Costantino". 3 8
Tuttavia ci furono alcune intelligenze elette, che non si lasciarono ulteriormente
ingannare.
La scoperta della falsificazione 297

LA SCOPERTA DELLA FALSIFICAZIONE

Non è possibile provare con certezza che già Carlo "Magno" ritenesse un falso il
Constitutum Constantini, anche se questa recente ipotesi appare decisamente sostenibile.
Fu per la prima volta l ' imperatore Ottone III (983- 1 002) a definire nulla e insignificante
la Donazione di Costantino (che ancora lo stesso Dante considerò autentica) in un atto
straordinario e singolare nei confronti di Silvestro II (999- 1 003 ) . In un celebre diploma
composto dal vescovo di Vercelli Leone, responsabile della sua politica italiana, "Ottone,
servo degli Apostoli e imperator augustus per volontà di Dio redentore dei Romani", 409
trasmise al papa ovvero a "San Pietro" l ' amministrazione delle otto contee della Penta­
poli, guidato soltanto dalla propria magnanimità, ma "col dispregio dei documenti falsi
e degli scritti simulatori". Ottone III definì esplicitamente la Donazione opera falsa e
menzognera (documenta . . . inventa), respingendo come ingiustificata ogni pretesa su di
essa fondata e riconoscendo come alienati con l ' inganno tutti i territori del pontefice.
Non a caso spostò poi a Roma la propria residenza. Insomma, Ottone fu ben consapevole
del gigantesco imbroglio cattolico e quindi convinto che il papa non poteva accampare
diritti su nessuno dei suoi possedimenti terrieri .
Nel l ' eccezionale documento dell' anno 1 00 1 concesse inizialmente al suo ex-maes-
tro Gerberto di Reims, cioé papa Silvestro II, "proclamiamo Roma caput mundi",
aggiungendo tuttavia subito dopo che lo splendore della chiesa romana era offuscato
da molto tempo dalla superficialità e dal i ' ignoranza dei papi "che non soltanto vendono
quel che si trova fuori dalla città di Roma, alienandolo al seggio di Pietro con pessimo
commercio, ma dissipano da ogni parte - e lo diciamo con profondo rincrescimento -
anche la proprietà di questa nostra città imperiale, pur di condurre più sfrenatamente la
loro abituale vita corrotta, derubando san Pietro, san Paolo e persino gli altari ; e invece
di provvedere a costruire, generano continuamente nuovo disordine. Distorcono le leggi
pontificie e umiliano la chiesa romana, e alcuni papi osano addirittura pretendere per
se stessi la maggior parte del nostro impero. Essi non si pongono domande e non si
preoccupano di tutto ciò che hanno colpevolmente perduto né di ciò che hanno stolta­
mente sperperato, ma una volta sparsa ai quattro venti la proprietà, rimbalzano la colpa
sul nostro impero e levano alte pretese sulla ricchezza altrui, cioè sulle proprietà nostre
e del nostro impero. Sono infatti menzogne da loro stessi escogitate (ab illis ipsis
inventa), quelle affermazioni , con le quali il diacono Giovanni, soprannominato "Dita- 410
mozze", ha composto con auree lettere un documento, in cui ha intessuto un imbroglio
gigantesco sotto il nome del grande Costantino (sub titulo magni Constantini longi
mendacii tempora finxit)".
Ottone parla poi di altre falsificazioni della chiesa, secondo le quali Carlo II il Calvo,
imperatore romano e sovrano del regno francese (franco-occidentale), nell' 876 avrebbe
trasmesso al papa la proprietà del regno e che un "Carlo migliore", Carlo III il Grosso,
298 La "Donazione di Costantino "

imperatore romano e re tedesco (franco-orientale), lo avrebbe scacciato : "È anche


menzogna che un certo Carlo abbia donato a s. Pietro il nostro impero. Noi rispondiamo
dicendo che codesto Carlo non era affatto nelle condizioni di donare legittimamente
alcunché, dal momento che è stato cacciato via da un Carlo migliore, è stato privato del
regno, deposto e annientato. Egli ha quindi dato quel che non possedeva, e lo ha dato
nelle condizioni in cui era, cioé quelle di una persona che ha ottenuto ingiustamente un
bene e non può sperare di conservarlo a lungo. Noi disdegniamo tutti codesti documenti
menzogneri e codeste scritture simulatorie". 39
Nel XII secolo l ' inganno fu riconosciuto anche dai seguaci di Arnaldo da Brescia;
un suo discepolo romano di nome Wezel spiegò per iscritto a Federico B arbarossa,
subito dopo la sua elezione a sovrano di Germania nel 1 1 52, che la "Donazione di
Costantino" era una favola menzognera, come a Roma era ormai di pubblico dominio,
tanto che persino femmine e braccianti potevano fornirne una spiegazione anche alle
persone più dotte. Nel XIII secolo fu messa in dubbio la sua autenticità anche da un
sovrano eccezionale come l ' imperatore Federico Il. Quando agli inizi dell ' età moderna
il pontefice puttaniere Alessandro VI ( 1 492- 1 503) appigliandosi alla Donazione pretese
da Venezia la consegna delle isole del l ' Adriatico alla sede apostolica, l ' ambasciatore
veneziano si prese gioco di sua santità dicendo che poteva tirar fuori il suo Constitutum
Constantini e trovarvi sul retro l ' annotazione che il Mare Adriatico era di proprietà dei
Veneziani.
Erano tempi in cui si ponevano al rogo coloro che mettevano in dubbio l ' autenticità
41 1 del documento, come accadde a un certo Giovanni Dransdorf dopo un processo ad
Heidelberg nel 1425. Ancor oggi certi studiosi liquidano l ' i nsieme di falsificazioni e
imbrogli del Medioevo sotto il titolo eufemistico di "devozione antica", definiscono
gli impostori "uomini eccezionali" e persino i criminali della "Donatio Constantini"
vengono descritti come "venerandi falsari" (Ariés). 40
Neppure il Concilio di Firenze del 1 439 sollevò qualche dubbio sulla "Donazione" ;
e benché proprio l ' anno successivo l ' umanista Lorenzo Valla, segretario del papa e
canonico in Laterano, avesse definitivamente palesato l ' imbroglio con un' opera pubbli­
cata solo nel 1 5 1 9 da Ulrich von Hutten, la storiografia cattolico-romana lasciò cadere
la falsificazione solo nel XIX secolo. Eppure i privilegi curiali che ne erano derivati
furono decisamente ribaditi dal la chiesa fino alle soglie dell ' età contemporanea. 4 1
In ogni caso nell' VIII secolo i pontefici non furono padroni autonomi di questo
stato della chiesa, e non lo furono né ai tempi di Pipino III né del figlio Carlo; anzi,
alcuni non furono padroni nemmeno in casa propria, in Laterano, come si verificò
412 crudamente all ' inizio del regno di Carlo I.
Note 299

NOTE

Kantzenbach, Geschichte der christlichen Kirche im Mittelalter, 62.


Seppelt/Schwaiger 86.
Hoensbroech , Der Kirchenstaat.
4 A rchiv fiir kath. Kirchenrecht, 1 930, 49 1 .
Schre i ner, Zum Wahrheitsverstiindnis, 1 3 1 . lvi c itaz. anche di V. S axer, Heil. Silvester, e altri. Speyer
200 sg. Fuhrmann, Die Macht der Fiilschung, l .
Lev ison, Die Politik i n Jenseitsvisionen, 236. Drtigereit, Die Verdener Griindungsfiilschung, 64.
Frenzel 7 1 3 . S peyer 309. Per B loch cfr. Fuhrman n , ibid. , Il. Ved i anche Deschner, Storia criminale
l, 25 sg.
P. Herde e A . Gaw l i k , Fiilschungen , in: LMA I V 246 sgg. Fuhrmann, Einflufl und Verbreitung, 79,
v i scorge u n ' "aporia". K e h r I l sgg . , 44 sgg . , 1 3 9 . S peyer 302. Cfr. a n c h e Fuhrmann , Die Macht
de r Fiilschung, l. Vedi anche l ' ironia di Southern 92 sg. Cfr. dei nuovi l avori sopra i fal s i anche i
saggi di P. Landau I l sgg . ; W. H artmann, Fiilschungsverdacht, I I I sgg. H. Schneider, Ademar von
Chabanes, 1 29 sgg.
Cfr. o l tre i l capitolo " I l fi ne g i u s t i fica i mezzi" i n Deschner, Storia criminale I I I , 1 8 1 sgg . , anche
Schrei ner, Zum Wahrheitsverstiindnis, 1 67 . Bosl, Friihformen, 4 1 8 s g . T. F. Touts, Medieval Forgers
and Forgeries ( 1 9 1 8 - 1 920) c i tato da Fuhrmann, Einflufl und Verbreitung, 76 sgg, 8 5 .
9 LThK VF 1 1 42 . L M A V 20. Hauck I I I 1 70 sgg . , soprattutto 1 80 sgg. Levison, Aus rheinischer und
friinkischer Friihzeit, 23. Drtigereit, ibid. , 64. Fuhrmann, ibid. , l, 68 s g . , 87, 89 sgg. ( i vi l a c itazione
di Adriano). S peyer 303. Fichtenau, Zu den Urkundenfiilschungen, 1 5 7 sgg. Erkens 1 95 sgg. Herr­
mann, Kirchenfiirsten , 5 1 sg . , polemizza a ragione contro le giustificazioni tanto abituali dei falsari
medioeval i .
1° Cfr. a d esempio Lev ison, ibid. , 2 3 .
11 Haller I 245 sgg. Speyer 309. Thomas Mann c itato da Fuhrmann, Die Macht der Fiilschung, I V.
12 LThK F 492. Sc hrei ner, ibid. , 1 67 sg.
13 LTh K VIF 1 29 8 s g . Tangel, Fo rschungen zu den Ka rolinger Diplomen, 264 s g g . Kra u s , Die
Translatio, passim . S peyer 303. S u l n umero e sul s i g n i ficato delle re liquie cfr. ad esempio South­
ern 30 sg . : "they were the object of a huge commerce", i b i d . Cfr. anche Deschner, La croce della
Chiesa, 1 1 8 sgg . , soprattutto 1 20 sg . ; q u i anche i rimandi b i b l i ografi c i . Vedi anche I d . , Storia
criminale, I I I 24 1 sgg.
14 Kel ler, Rec/ams Lexikon, 492 sgg . Fichtinger 1 3 8 sgg. Fuhrmann, Einflufl und Verbreitung, I 7 1
sg., 99 sgg. Speyer 228.
15 Schaferdick, Die Kirche in den Reichen der Westgoten , 1 1 6 s g .
16 Wattenbach-Holtzmann, Geschichtsquel/en, l , 1 22 sg.
17 Fuhrm a n n , ibid. , l , 7 1 sgg. Cfr. a l riguardo F. J . Heyen 403 sgg. , con le si ngolari acrobazie
d e l i ' au tore, soprattutto 4 1 4 sg.
18 Neuss/Oediger 40 sg., 1 1 3 sg.
19 Speyer 302 con u l teriore bibliografi a .
20 Respons. b. Gregor. ad A ugust. episc. i n Beda, h . e . 1 ,2 7 . In proposito M ii l l er, Zu r Frage nach der
Ech theit, 94 sgg. Ri tzer II 1 23 .
21 LTh K2 884. LMA II 1 3 97. Caspar I 452. Speyer 302.
22 LMA I l 1 45 1 . Speyer 302.
23 Hotz I l . Hemmerle 1 8 3 . Meyer, In der Ha rmonie, 2 1 8 s g . L' autore pone i term i n i "fa l s i ficò" e
"fa l s i ficazioni" tra virgolette, azione p i ù p u s i l l anime che sotti l e .
24 Heuwi eser, Geschichte, l , 308 s g g .
25 LThK X ' 1 06 sg. Taddey, Kirchengeschichte Sachsens, l , 8 2 ; I I , 1 4 8 sgg.
300 Note

26
LMA V 1 468, 1 870. Kuuj o 236 sgg. Drogereit, ibid. , 1 64.
27
LMA I V 1 46 8 , 1 870. Kuuj i o 236 sgg.
2" Schubert, Geschichte der christlichen Kirche, I l , 505 sgg. Schmeideler, Hamburg-Bremen, 1 28
sgg . , 1 5 1 sgg . , 1 5 9 sgg . , 1 65 sgg., 1 9 1 s g g . , 206 sgg . , 244 sgg.
29 Adam von Bremen 3,2; 3,5. LMA I 97 sg. Meyer, Kirchengeschichte Niedersachsens, 3 5 . Cfr. anche
l a nota precedente.
111
Lev ison, ibid. , 257. Wel ler 207 . Schulte, Der Ade/, 97 sg . , 2 1 2 , 2 1 6 sgg. Patze, Politische Gesch ich te,
1 2.
11
LThK I I P 628; VIIP 360 sg. Miihlbacher I 1 2 1 . Hoffmann, Chronik und Urkunde, 1 8 8 sgg. Kaminski,
Das Diplom Herzog Romwalds Il, 16 sgg. Speyer 303. Pitz; Erschleichung und Anfechtung, 1 00
sgg. Herrmann, Kirchenfiirsten , 5 2 , annovera "tra i grandi centri di fal s i ficazioni" nel X, XI e X I I
secolo anche i l monastero di S a n Massimino a Treviri.
12
LMA V 1 3 85 s g . Schubert, ibid. , 320 s g . Heer, Kreuzziige, 1 7 . Kosm i n ski/Skasskin 86. Schramm,
ibid. , I l , 306 sgg. B rackmann 68 s g . , 262 s g . Kiihner, Tabus, 5 2 . Lautermann 62. Kawerau , ibid. ,
8 8 . Haller I 3 1 6 s g . U l l mann, ibid. , 1 1 4 sgg. Kupisch I 8 7 . Fuhrmann, Die Konstantinische Schen­
kung, 65 sg. Id., Einflufl und Verbreitung , I , 66. S tei nbach, ibid. , 5 7 . B araclough, ibid. , 40. Folz,
The concept of empire, l O s g . Fuhrman n , Di e Konstantinische Schenkung und abendliindches Kai­
sertum, 63 sg g .
'' LMA V 1 3 8 5 . B u rckardt, Die Zeit Constantins, 350 sg. C a s pa r I 227 sgg. La e h r 3 sg. Lev ison,
ibid. , 359 sgg . , 409 sgg . , 4 1 7 sgg . , 466 sgg. U l l m a n n , ibid., 1 1 5 sgg . , 1 22 sgg. Haendler, Di e abend­
liindische Kirche, 95. I d . , Die latein ische Kirche, 64.
·'4 LMA V 1 3 8 5 . Schubert, ibid. , l, 32 1 . Laehr 3 sgg. Haller I 3 1 6 . Kawerau , ibid. , 88. U l l mann, ibid. ,
1 2 8 , 462. W i l l iams 448 sgg. Hay 340. Prau se, Niemand, 86 s g . Haendler, ibid. , 64 sgg. Fuhrman n ,
Einflufl u n e/ Ve rbre i t u n g , l , 6 6 . Textgesch ichte d e s Co n s t i t u t u m Consta n t in i : F u h r m a n n ,
Konstantinische Schenkung und abendliindisches Ka ise rtum, 6 3 sgg.
" Levison, ibid. , 397 sg. Laehr 6 sgg. Kaweraau, ibid. , 89. Schlesi nger, Beobachtungen zur Geschichte,
2 7 3 , 4 1 6 sg. H l awitschka, Vom Franken reich, 67 s g .
16
L M A V 1 3 85 sg. H E G I 545. Laehr 20 sgg. H e i l er, A ltkirchliche Autonomie, 2 3 9 . Fried, D e r
Rega lienbeg ri.ff, 5 0 7 s g . Angenendt, Friihmittelalter, 286.
2
·17 LThK V 477 s g . Kiihner, Lexikon, 88. LMA V 1 22 ; 1 3 86. Laehr 26 sgg . , 3 7 sgg . , soprattutto 48 s g . ,
6 1 , 89 sg. Holtzmann, D e r Ka iser a / s Marschall des Papstes, 2 7 . Fuhrman n , Einflu.P u n d Verbrei­
tung, l , 67.
-'" L a e h r 1 3 5 s g . Kl u ke 1 48 . Haller I 3 1 7 . Lauterm ann 62. Sou thern 97. Fuhrmann, ibid. , I , 67.
·''' M G DO I I I 9 1 9 sg. LMA V 1 3 86. Watten bac h-Holtzmann, Gesch ichtsquel/en, I , I l , 3 2 3 . Hartman n ,
ibid. , I V, 1 3 5 s g . Laehr 2 0 s g g . Holtzmann, ibid. , 26. Seidl mayer 9 3 . H a y 3 4 0 . Lauterma n n 2 0 5 s g .
Schlesinger, ibid. , 273. U l l mann, ibid. , 354 s g . Fuhrmann, ibid. , 1 2 8 s g . Fleckenstei n/B ukst 1 06 .
411 Holtzmann, ibid. , 36 s g . Runciman 22. Fuhrmann, ibid. , l , 1 3 5 sg. Herrm ann, Kirchenfiirsten, 5 1 .
Ariès 1 9 .
41 Haller I 3 1 6 . Kl u ke 1 48 . Fink 1 8 . Quasi contem poraneamente al Val l a s ' accorsero del fal so anche
i l cardinale Nicolò Cusano e Reinald Pecoc k .
CAPITOLO XV.

CARLO I, COSIDDETTO "MAGNO", E I PONTEFICI

" . . . i suoi cape l l i erano grigi e bel l i , i l suo viso splendido e lieto.
La sua figura era imponente e maestosa . . . la sua salute sempre eccellente" .
"Era devoto alla religione cristiana, cui era stato educato fi n dalla giovinezza,
con profondissima venerazione e pietà ( sanctissime et cum summa pietate) . . .
Frequentava assiduamente l a chiesa mattina e sera,
anche nelle ore notturne e quando si celebrava la messa".
(Einardo). 1

"Per tutta la vita gli interlocutori più i mportanti di Carlo furono i pontefi c i .
L' asse d e l l a politica caro l i ngia, i ntorno al q u a l e ruotava tutto i l resto,
fu il rapporto con l a S anta Sede" . "È significativo i l fatto che,
fi n quando Carlo fu i n vita, poté essere evitato ogni confl i tto con la sede pontificia . .
Tuttavia non riuscì mai a guadagnarsi l a fiducia della popolazione i n Ital ia,
dove restò . . . sempre un nemico" .
(Wolfgang B raunfel s ) . 2

"Lo stato dei Merovingi fu prevalentemente mondano,


mentre l ' i mpero carolingio fu una teocrazia . . . ".
(Christopher Dawson) . 3

"L' immagine della teocrazia carolingia pervenne a grandiosa compiutezza


nel l ' idea carolingia di pace, nella concezione del l ' i mpero come corpus chri stianum".
(Eugen Ewig) . 4

"Scoccò qui ndi l ' ora del l ' Uomo della Provvidenza" .
"Le v i ttoriose armi franche sono ancora con Carlo M agno le precorritrici della dottri na
cattolica". "Conservare l a pace fra i sudditi , costruire fra gli uomini la concordia pac i s . . . :
sono questi gli obiettivi ideali di questo potente sovrano,
sotto il cui governo quasi nessun anno trascorse senza guerra.
Tali ideali poi corri spondono pienamente a una concezione cristiana del suo ufficio".
"La di sposizione delle masse a un entusiasmo non governato dal l ' i ntelletto,
di quelle masse che seppero riconoscere un Augusto, un Costantino, un Napoleone -
e dobbiamo aggi ungere anche un H i tler? - s ' accese per Carlo come una fi amma ardente" .
(Daniei-Rop s ) . 5 413
302 Carlo l, cosiddetto "Magno ", e i pontefici

EccESSI CRIMINALI ALLA CORTE PONTIFICIA


DURANTE I MUTAMENTI DI POTERE NEL REGNO DEI FRANCHI

Stefano Il, che in un momento decisivo si era generosamente dedicato alla "Donazione
di Costantino", morì il 26 aprile del 757, lasciando un territorio notevolmente più vasto,
che in un primo momento restò tuttavia in famiglia. Infatti, il successore di Stefano fu
il fratello più giovane Paolo I (757-767), il secondo papa della casata degli Orsini
cresciuto in Laterano. Egli cercò di proseguire la politica del predecessore e di istigare
nuovamente alla guerra contro i Longobardi il re Pipino, che poteva chiamare "compare"
(spiritualis compater) in quanto padrino della figlia Gisla.
Intanto era salito sul trono longobardo il duca di Toscana, Desiderio (75 7-774),
succeduto ad Astolfo, morto senza eredi in un incidente di caccia. Il papa, d' accordo
con l ' abate franco Fulrad, aveva personalmente favorito tale nomina, poiché aveva
ritenuto che il candidato fosse il più manovrabile fra tutti gli eventuali pretendenti. Ma
fu un errore, poiché il nuovo sovrano non voleva affatto che il suo regno rimanesse
soffocato tra i Franchi e lo stato della chiesa. Di conseguenza, in seguito a una
cospirazione del papa con due vassalli e temendo il duca di Spoleto e di Benevento,
Desiderio attraversò con l ' esercito il territorio romano, mettendolo a ferro e a fuoco.
Paolo I invocò allora l ' aiuto di Pipino, senza lesinare ogni sorta di adulazioni: in una
serie di epistole lo esaltò quale "Nuovo Mosé", "Nuovo David", "Salvatore della Santa
415 Chiesa", chiamandolo addirittura "fondamento e vertice di tutti i Cristiani" e definendo
i Franchi "novello Israele" e "popolo santo". Aggiunse che lui ed i romani intendevano
mantener salda l ' amicizia con Pipino fino all ' ultima stilla di sangue, rammentandogli
le sue promesse e scongiurandolo affinché non lasciasse incompiuta la sua opera. Le
lamentazioni epistolari e le invocazioni d' aiuto si moltiplicarono; autodefinendosi in
una lettera aperta "mediatore fra Dio e gli uomini", pregò pressantemente Pipino di
andare incontro al sovrano longobardo, "al l ' illustre figlio Desiderio", restituendogli
gli ostaggi richiesti ; ma in uno scritto segreto lo incitò ad opporsi ai Longobardi. Pipino
giurò di trattenere gli ostaggi : la solita doppia morale dei santi padri .
Era ormai evidente che papa Paolo, a cui il biografo non ufficiale attribuisce più del
solito la predisposizione alla mitezza, desiderava un' altra guerra contro i Longobardi.
Ma Pipino si trovava impegnato altrove dai Sassoni e dalle ripetute campagne contro
gli Aquitani e cercava, inoltre, di impedire u n ' i ntesa fra Longobardi e B izantini. 6
Il 28 giugno del 767 Paolo l, abbandonato da tutti, come gli altri, aveva appena chiuso
gli occhi, quando a Roma, come spesso già altre volte (v. II, cap. 3 e pgg. 234 ss.), si
giunse a un violento colpo di mano. Già il giorno dopo Toto, duca di Nepi e capo di una
potente famiglia, penetrò a Roma con una banda di contadini, facendo eleggere papa il
fratello Costantino, un laico. La creazione dello stato della chiesa e il crescente potere
del papato rendevano ormai sempre più appetibile per la nobiltà il soglio di Pietro.
Eccessi criminali alla corte pontificia 303

Costantino s ' impadronì del Laterano, ricevette le dovute consacrazioni e in sei giorni
divenne papa: fu solennemente consacrato nel duomo di Pietro dai vescovi di Palestrina,
Albano e Porto.
Carriere fulminee come questa sono certamente poco canoniche, ma ci furono anche
prima e ci saranno anche dopo; e inoltre, nonostante tutto, qualcuno poté così diventare
anche dottore della chiesa, come Ambrogio, ad esempio, che otto giorni dopo il battesimo
si ritrovò vescovo, senza essere in possesso nemmeno delle elementari nozioni cristiane 416
proprie di un laico di media cultura (v. l, 349). Nel 784 l ' imperatrice nominò il suo
segretario particolare Trasio, un laico, patriarca di Costantinopoli , il quale fu anche
elevato agli onori degli altari . La stessa subitanea metamorfosi conobbe anche Niceforo
ad opera del l ' imperatore omonimo nell' 8 1 6; e anch ' egli è venerato come santo. Fozio,
nipote o pronipote di Tarasio, in cinque giorni bruciò tutte le tappe della sua carriera,
diventando da laico patriarca di Costantinopoli . Nel X secolo a Leone VIII bastò un
giorno per diventare papa, da semplice laico qual era; eppure viene annoverato fra i
pontefici legittimi. 7
Costantino II (767-768), benché eletto illegalmente, occupò il famigerato seggio a
lungo indisturbato, coordinando gli affari, ordinando preti e presiedendo addirittura un
sinodo. Ma poi cadde vittima di una cospirazione di personaggi influenti, fra i quali il
primicerio Cristoforo, suo cancelliere e capo della burocrazia papalina, e il sacellario
Sergio. Posti dal papa agli arresti domiciliari, nella Pasqua del 768 vollero essere tra­
sferiti, dietro giuramento, nel monastero di S. Salvatore a Spoleto. Rifugiatisi invece
presso il sovrano longobardo, ottennero l ' autorizzazione a raccogliere truppe ausiliarie
a Rieti e alla fine di luglio marciarono contro Roma, guidati dal prete Waldipert. Qui
qualcuno aprì loro le porte della città: ne seguirono sanguinose battaglie per le strade,
durante le quali un traditore, creatura di Cristoforo, l ' archivista Grazioso, pugnalò alle
spalle il duca Toto. Il papa fuggì da una chiesa all ' altra, finché venne catturato e incar­
cerato con tutti i suoi più stretti collaboratori. A quel punto Waldipert, uomo di Desiderio,
trascinò in fretta e furia il prete Filippo dal monastero di S. Vito all ' Esquilino e proclamò:
"Philippus Papa. San Pietro ha eletto pontefice Filippo" . Quale candidato del sovrano
longobardo avrebbe dovuto sostenerne la politica, e una parte della nobiltà e del clero
non esitò a riconoscerlo. Ma Cristoforo, sopraggiunto in ritardo, non volle un "Vicario"
prescelto da Desiderio, si schierò dalla parte dei Franchi, impose immediatamente
l ' abdicazione e il ritiro in convento di papa Filippo già intento a banchettare e innalzò 417
al seggio pontificio Stefano, suo uomo di fiducia e amico dei Franchi. 8
L' 8 agosto il manutengolo di Cristoforo divenne papa Stefano III (768-772). Sotto
questo siciliano astuto e privo di scrupoli, maturato al servizio della curia e deciso
fiancheggiatore di Paolo I, furono immediatamente consumate selvagge vendette.
A cardinali e vescovi vennero strappati gli occhi e la lingua; il papa detronizzato
Costantino venne scovato e trascinato in tripudio carnascialesco attraverso le vie di
304 Carlo l, cosiddetto "Magno ", e i pontefici

Roma fino a un carcere monastico, dove fu storpiato dal l ' archivista ecclesiastico
Grazioso, l ' assassino del duca Toto e futuro duca egli stesso. Furono perseguitati non
meno sanguinosamente, mutilati o accecati i suoi collaboratori : al vescovo Teodoro,
che aveva sostenuto Costantino fino all ' ultimo, furono cavati gli occhi e mozzata la
lingua; quindi venne rinchiuso nel monastero di Clivus Scauri, dove morì quasi subito
fra orribili sofferenze; Passivo, fratello di Toto, fu prima privato di ogni proprietà,
quindi accecato e imprigionato nel convento di San Silvestro. Anche col prete Waldipert,
l ' agente longobardo che aveva intronizzato prete Filippo, andarono per le spicce: cercò
rifugio sugli altari di Santa Maria Maggiore, ma fu trascinato via con la statua della
Madonna, cui si era afferrato, gettato in una segreta lateranense, mutilato e ammazzato.
A Pasqua del 769 si tenne un' assemblea in Laterano, dove, oltre ai 24 vescovi italiani,
per la prima volta furono presenti anche 13 vescovi franchi: ciò, come sottolineò sua
santità nel discorso inaugurale, intendeva sottolineare il carattere per così dire ecumenico
della faccenda. Il 12 e il 1 3 aprile venne condotto e sottoposto a interrogatorio Costantino,
ormai cieco, che fin dalla prima udienza confessò d' aver più peccati che sabbia il mare;
si gettò nella polvere e dichiarò che fu il popolo a farlo papa con la violenza, perché era
stanco del duro regime di Paolo. Ma nella seconda udienza del giorno dopo modificò la
418 sua tattica difensiva, elencando precedenti di consacrazioni episcopali di laici e persino
di uomini sposati . Con grande scaltrezza si richiamò agli esempi di due dei più illustri
principi italiani della chiesa, Sergio di Ravenna e Stefano di Napoli, innalzati al seggio
episcopale pur essendo anch' essi dei laici. E Sergio era anche presente fra i padri sinodali
(Il suo successore Michele fu un laico promosso a sua volta direttamente vescovo e
come tale risiedette per più di un anno a Ravenna).
Le verità non sono molto popolari nella Sacra Roma (anche perché possiede "la
Verità" ! ) . I vescovi riuniti si scagliarono furibondi su Costantino, lo schiaffeggiarono,
lo gettarono a terra e lo trascinarono fuori dalla chiesa. Gli atti del suo pontificato
furono bruciati insieme al documento della sua elezione, che pure lo stesso Stefano
aveva controfirmato. Ma ora il papa intonò un kyrieeleison e tutti si prostrarono al
suolo, riconoscendosi peccatori per aver avuto relazioni con lo sciagurato Costantino;
il quale, condannato a perpetua penitenza, vegetò probabilmente fino alla morte nelle
segrete di un monastero. È continuamente dimostrato che i cristiano sono misercordios i :
non tutti i nemici vengono ammazzati subito; v i v i e lascia vivere, anche in questo caso.
Il cattolico Seppelt non se ne rende conto, quando parla di "imbarbarimento", di
"criminale sfrenatezza", anche di ambienti ecclesiastici, che "non si elevarono al di
sopra di un livello barbarico. E quel che è peggio è che tali oltraggi non rimasero un
traviamento momentaneo, ma furono quasi un preludio delle faziose e selvagge lotte
partigiane, che nei secoli futuri infurieranno tanto spesso dentro le mura di Roma". 9
Il Sinodo Lateranense del 769, almeno in teoria, escluse la popolazione laica dalle
elezioni dei pontefici. Infatti , nei primi secoli i vescovi venivano eletti da tutta la
Stefano III incita a una nuova guerra contro i Longoba rdi 305

comunità, anche quell i di Roma; fino alla metà del III secolo tutti i laici potevano
diventarlo, purché fossero onesti, ospitali, amanti della verità, generosi, non avari e
buoni mariti e padri di famiglia. Davvero troppo ! Fino al VI secolo il vescovo fu eletto
in Occidente fondamentalmente dalla comunità. Ora invece il diritto elettorale attivo
fu riservato al clero romano e il popolo venne completamente escluso, mantendendo 419
soltanto il diritto di acclamazione e di sottoscrizione del decreto di elezione.
La politica di Stefano III fu esclusivamente finalizzata a impedire qualsiasi forma
d' intesa tra Franchi e Longobardi, appoggiandosi ora agli uni e ora agli altri . Prima
insultò Desiderio, poi lo esaltò, mutando "opinioni e alleati secondo le proprie necessità"
(il cattolico Kiihner) . Si lamentò del sovrano longobardo coi giovani figli di Pipino
Carlo e Carlomanno, prima scrivendo a entrambi, poi a ciascuno di loro separatamente.
Alla fine condusse addirittura trattative segrete con Carlomanno contro la politica di
Carlo. 1 0

STEFANO III INCITA A UNA NUOVA GUERRA CONTRO l LONGOBARDI

Alla morte di Pipino nel settembre del 768 Carlo ottenne la fetta più grande e più ricca
del!' eredità, vale a dire la parte settentrionale, che si estendeva dali' Aquitania occidentale
fino alla Frisia e alla Turingia; il più giovane fratello Carlomanno (allora sedicenne) la
regione meridionale, meno estesa, comprendente l' Alemannia, l ' Alsazia, la Burgundia,
la Provenza, il Settimanio e l ' altra metà del!' Aquitania. In questo modo il confine andava
da sud-ovest a nord-ovest trasversalmente attraverso tutto il regno, sicché i due eredi
partecipavano dei nuclei territoriali franchi d' Austrasia e Neustria, dell ' Oriente germa­
nico nonché dell ' Occidente romano; ma la parte toccata a Carlo, più ampia, circondava
praticamente quella del fratello.
Già nel 754 i due fratelli erano stati unti a Saint-Denis da Stefano II e nominati
Patrizi dei Romani; ma in occasione della loro solenne ascesa al trono il 9 ottobre del
768 (festa di s. Dionigi, primo vescovo di Parigi e uno dei santi nazionali francesi)
vennero unti un' altra volta dai vescovi, Carlo a Noyon e Carlomanno a Soissons. 1 1 420
Fra i due eredi sorsero subito dei dissensi, soprattutto dopo la mancata partecipazione
di Carlomanno alla sottomissione dell' Aquitania (nel 769), che era stata suddivisa fra i
due; fu la prima guerra di Carlo "con l ' aiuto di Dio" (Annali del Regno). Secondo
Einardo, Carlo sopportò "con grande pazienza l ' ostilità e l ' invidia del fratello", susci­
tando la generale ammirazione.
Ma le crescenti controversie dei due prìncipi franchi suscitarono inquietudine nel
papa Stefano III, pervenuto al trono pontificio grazie soprattutto al potente Cristoforo
e ai membri filofranchi della curia. E le preoccupazioni crebbero notevolmente quando
si diffuse la notizia di un progetto matrimoniale dinastico fra le case regali franca e
306 Carlo /, cosiddetto "Magno ", e i pontefici

longobarda; i Franchi, amici dei Longobardi da molto tempo (fino al momento delle
guerre di Pipino a favore del papa [pag. 277 sgg.]), secondo i piani dei santi padri
dovevano restare nemici dei loro vicini d ' Italia. L' apprensione di Stefano s ' accrebbe
ulteriormente quando il sovrano dei Longobardi, già legato con la Baviera dalle nozze
della figlia Liutperga col duca Tassilone, chiese per il figlio Adelchi la mano della
sorella di Carlo, Gisla (subito dopo monacata) .
Ora, lo stesso pio Pipino non aveva voluto fregiarsi del titolo di "defensor ecclesiae",
accontentandosi di aiutare il pontefice "caso per caso" (Deér) ; anzi, dopo le battaglie
sostenute in Italia per appagare la sete di potere del papa romano, negli ultimi anni
aveva evitato ulteriori conflitti coi Longobardi: ormai nessuna lamentazione e nessun
grido d' aiuto del pontefice potevano più indurlo all ' intervento armato. Dopo la sua
morte la regina-madre Bertrada perseguì programmaticamente una politica di pace,
cercando di mantenere buoni rapporti sia coi Longobardi che coi Bavaresi del duca
Tassilone, e con l ' esplicito consenso dei magnati franchi, "in nome della pace" (Anna/es
regni Francorum) favorì il matrimonio del giovane Carlo con una figlia di Desiderio,
di cui ignoriamo il nome esatto: spesso viene chiamata Desiderata sulla base di un
passo male interpretato delle fonti, mentre altri storiografi la chiamano Ermengarda o
421 anche Bertrada.
Questi sviluppi politico-dinastici irritarono enormemente Stefano III e il primicerio
Cristoforo, i quali ricordarono ai due prìncipi franchi le loro promesse e quelle del
padre "di garantire con tutte le Vostre forze i diritti di S. Pietro". Il papa li scongiurò
ancora una volta "in nome del Giudizio Unversale, e lo stesso S. Pietro a ciò Vi esorta,
di soccorrere senza indugio la Santa Chiesa e i suoi diritti". E soprattutto rammentò ai
giovani reggenti il voto fatto di avere sempre gli stessi amici e nemici del papa,
escludendo così qualsiasi legame con un popolo criminale "che neppure si astiene
dal l ' assaltare la Chiesa di Dio e dal devastare le provincie romane".
E poiché Desiderio non restituì i beni pretesi da Stefano, questi fece di tutto per
impedire che si realizzassero i legami dinastici progettati e procedessero i piani di pace
e di riconcil iazione. In una lunga epistola traboccante d ' odio ricordò i giuramenti
giovanili dei sovrani, definì il matrimonio previsto frutto d ' ispirazione diabolica, lo
chiamò oltraggiosamente "un concubinato" e lo vietò solennemente, richiamandosi a
Dio e in forza dell' autorità di s. Pietro. Inoltre definì pura follia il fatto che l ' invitto e
celebre popolo dei Franchi e la sua magnifica ed illustrissima schiatta regale volessero
contaminarsi, affratellandosi col popolo sleale e ripugnante dei Longobardi "che non
viene nemmeno computato nel novero delle genti (quae in numero gentium nequaquam
computatur) e dalla cui nazione discende la stirpe dei lebbrosi (leprosum genus)".
Le fonti curiali, il Liber Pontificalis e le famose lettere del Codex Carolinus (99
scritti papali non datati e quasi esclusivamente diretti ai Carolingi fra il 739 e il 79 1 ,
contenuti in un manoscritto noto soltanto adesso), screditano sempre i Longobardi.
Stefano Il/ incita a una nuova guerra contro i Longoba rdi 307

Eppure allora i ntellettualmente, culturalmente e anche artisticamente (benché grazie


all ' aiuto di artisti bizantini) essi erano assolutamente superiori ai romani ; e anche sotto
il profilo religioso, purtroppo diventato nel frattempo cattolico, furono attivissimi
favorendo la fondazione di chiese, xenodochi e monasteri : "L' intero paese fu sommerso 422
da un' ondata di opere pie . . . Così numerose che non siamo in grado . . . nemmeno di
elencarle" (K Schmid). Il pontefice romano invece chiese a Carlo se per avventura
volesse di ventare un capostipite di Iebbrosi, scongiurandolo in nome del cielo e
dell ' inferno di non portarsi in casa una figlia di Desiderio, ma piuttosto di aiutare la
chiesa romana a reimpossessarsi dei propri beni.
Il santo padre non si stanca di esercitare pressioni sui giovani sovrani franchi :
"Entrambi siete disposti secondo la volontà e il consiglio di Dio . . . A Voi non è consen-
tito . . . Voi non potete . . . Ponderate invece . . . E non dimenticate . . . Ricordate inoltre . . .
Riflettete piuttosto . . . ". I Franchi dovevano essere amici degli amici del papa, e nemici
dei suoi nemici; ergo, non poteva esserci alcuna alleanza "col popolo spergiuro dei
Longobardi, da sempre nemico della Chiesa di Dio". Il sublime Romano così tuona
retoricamente, esortando nelfinis operae: "Perciò Vi sollecita per mio tramite il Principe
degli Apostoli, San Pietro, cui dal Signore furono affidate le chiavi del Regno dei Cieli
e il potere di legare e di sciogliere sia in terra che in cielo, e parimenti anche noi Vi
scongiuriamo insieme a tutti i vescovi, i sacerdoti, gli abati , i monaci e tutto quanto il
clero, con le autorità e i giudici, e con tutto il popolo di questo paese, in nome del Dio
vero e vivente, in nome del terribile giorno del Giudizio Universale, in nome di tutti i
misteri divini e del sacro corpo dell ' Apostolo Pietro, affinché nessuno di Voi sposi la
figlia di re Desiderio. Non concedete in moglie al figlio di Desiderio la Vostra sorella
Gisla, nobile e da Dio amata e non ripudiate le Vostre donne. Ricordate piuttosto quel
che Voi avete promesso a San Pietro. LevateVi energicamente contro i nostri nemici, i
Longobardi, e costringeteli a rendere la proprietà della Chiesa e dello Stato Romano".
È chiarissimo quel che il pontefice pretende: guerra, guerra e solo guerra. Per rendere
ancor più efficace il suo messaggio, pose la missiva sopra il presunto sepolcro di Pietro,
prese la comunione e ribadì di inviarla fra le lacrime, passando anche alle minacce - 423
finis coronat opus: "Se qualcuno avesse l ' ardire di operare contro il contenuto di questa
nostra supplica, sappia . . . d' essere avvolto dalla catena de li' anatema, cacciato dal Regno
di Dio e dannato a bruciare nel fuoco eterno col demonio, le sue pompe infernali e tutti
gli altri empi". 1 2
È l a prima minaccia d' anatema rivolta a u n re franco. Ma Carlo sposò egualmente la
principessa longobarda, celebrando le nozze il giorno di Natale del 770 a Magonza.
L' anno seguente, presumibilmente per ragioni sia politiche che personali, la ripudiò,
suscitando l ' odio mortale del padre Desiderio, ma nessuna protesta del pontefice (eppure
l ' indissolubilità del matrimonio fu ed è ribadita così spesso ! ) . Stefano, che nella sua
lettera sottolineò la natura inferiore della donna, ricordando la peccatrice Eva e la perdita
308 Carlo l, cosiddetto "Magno ", e i pontefici

del paradiso, insistette sul fatto che entrambi i sovrani erano legittimamente sposati ; i l
che era vero per Carlomanno, m a n o n per Carlo. Infatti, la s u a unione con Imiltrude,
che gli aveva già dato il figlio Pipino, non era un matrimonio legittimo; e neppure il
matrimonio successivo con la tredicenne Hildegard, nipote di Gotfried, duca degli Svevi,
dalla quale san Carlo in dieci anni di convivenza ebbe quasi un figlio ali ' anno (pag.
36 1 ), rispettava i principi canonici, senza che la chiesa, per quanto ne sappiamo, abbia
mai avanzato una qualche obiezione.
Ma quel che disturbava i papi non era questo, bensì la perdita del patrimonio ! Stefano
si era erroneamente convinto d' essere stato abbandonato dai Franchi; e agli intrighi,
alle sobillazioni e agli insulti contro i Longobardi, perciò, fece seguire quasi contempo­
raneamente i suoi tentativi di stabilire con essi dei contatti : dopo averli diffamati oscena­
mente, aver loro disconosciuto ogni forma di umanità e aver definito "scelleratissimo"
il loro sovrano, ora compì un rapido voltafaccia.
L' improvvisa piroetta fu abbastanza semplice per sua santità, anche perché esisteva
a corte un partito filo-longobardo, capeggiato dal camerlengo Paolo Afiarta (comprato
424 da Desiderio con "elargizioni") e il duca Giovanni, fratello di Stefano. Per contro i capi
della fazione filo-franca furono sacrificati al nuovo corso politico. Il sommo sacerdote
romano non esitò a tradire il pri micerio Cristoforo e suo figlio, il sacellario Sergio, ai
quali doveva la tiara, perché intralciavano i suoi piani. D ' accordo col duca franco Dodo,
ambasciatore di Carlomanno, tentarono di catturare Afiarta con un colpo di mano e
forse ordirono persino un attentato contro il pontefice: irruppero in Laterano, ma Afiarta
riuscì a sfuggire ; e il papa si rifugiò presso il re Iongobardo, il quale era giunto a Roma
in pellegrinaggio alla tomba degli apostoli, prudentemente accompagnato dal i ' esercito,
perché voleva evidentemente liquidare la fazione francofila della curia.
Il seguito di Afiarta trascinò Cristoforo e Sergio davanti alle mura della città, legò le
vittime a dei pali e strappò loro la lingua e gli occhi davanti a un' entusiasta folla ululante.
Cristoforo morì tre giorni dopo nel convento di Sant' Agata; il figlio Sergio fu prima
rinchiuso nel monastero sul Clivus Scauri, quindi gettato nelle segrete del Laterano e
alla fine, con la complicità di alti funzionari ecclesiastici e del fratello di Stefano, venne
bastonato, strangolato e sotterrato ancora semi vivo.
Lo stesso papa che lo aveva fregiato con l ' attributo di "scelleratissimo", adesso
esalta Desiderio come suo salvatore davanti alla regina Bertrada e a re Carlo, giacché
lo aveva sottratto agli attacchi spregiudicati di Primicerio, salvandolo dal complotto
del conte Dodo e dalle sue diaboliche macchinazioni. Il medesimo pontefice che soltanto
pochi mesi prima aveva definito i Longobardi una razza fetida, da cui scaturisce la
lebbra, scrive adesso alla regina Bertrada e a Carlo: "Col soccorso del nostro figlio
Desiderio, re dei Longobardi, il quale si trovava già presso di noi per adempiere ai suoi
obblighi verso San Pietro, ci è stato possibile porci in salvo in S. Pietro con tutto il
nostro clero". E poche righe dopo sottolinea di nuovo: "Credetemi, senza l ' aiuto del
L ' illegittima mona rchia di Carlo 309

nostro illustre figlio, il re Desiderio, noi, tutto il nostro clero e i nostri fedeli avremmo 425
trovato la morte"; per concludere subito dopo: "Col nostro illustre figlio, il re Desiderio,
ci siamo intesi in piena concordia, avendo egli riconosciuto compiutamente tutti i diritti
di S. Pietro, come Vi comunicheranno anche i Vostri ambasciatori".
Ma ben presto Stefano III si vide abbandonato dal sovrano longobardo e ruppe
nuovamente ogni relazione con lui. Iniziava un capovolgimento completo dei rapporti
politici. 1 3

L'ILLEGITTIMA MONARCHIA DI CARLO


E L' INIZIO DELLA GUERRA A FAVORE DEL PONTEFICE

Poco prima della morte di Stefano a fine gennaio del 772, il 4 dicembre del 77 1 era
morto ai bordi delle belle foreste di Laon, dove si recava assai spesso a caccia, il ventenne
Carlomanno, che aveva a suo tempo elargito imponenti donazioni a chiese e chiostri ,
m a soprattutto alla cattedrale d i Reims e all ' abbazia d i Saint-Denis. Fu questo disgraziato
evento che impedì probabilmente la guerra fratricida, che si andava delineando. Carlo,
allora forse trentenne, diventò signore dell ' intero regno dei Franchi con una palese
violazione del diritto, perché non tenne in nessun conto il diritto ereditario dei figli di
Carlomanno ancora bambini e si impadronì del regno del fratello con fulmineità
predatoria.
In fondo era una tradizione cristiana secolare sia in Oriente che in Occidente, e non
era stata estranea alla famiglia: infatti il nonno di Carlo, Carlo Martello - per altro (o
parimenti ?) un bastardo - aveva escluso gli eredi immediati in maniera analoga. E
Pipino, padre di Carlo, nel 754 non aveva tonsurato e chiuso in convento i figli del
fratello dimissionario, liquidandone per sempre i diritti ereditari ? (pag. 278). Fondatori
dell ' Europa, grandi modelli per l ' Europa, ideali d ' Europa !
Carlo si precipitò a Corbény (un palazzo carolingio lungo un' antica strada romana 426
fra Laon e Reims), a pochi chilometri dal luogo dov ' era morto il fratello, e convocò i
maggiorenti . Accorsero quasi tutti , compresi vescovi e abati, e accettarono il colpo di
stato. Gli Annali del Regno elencano i nomi di alcuni di coloro che si sottomisero,
primi fra tutti "il vescovo Wilhar di Sedunum, il prete Folrad e molti altri chierici".
Perché la forza prevale sul diritto, sempre, e specialmente per l ' alto clero non appena si
rende conto che una grande violenza genera anche grandi vantaggi. Il golpista Carlo,
dunque, succedette al fratello occupandone il regno, che, come eufemisticamente si
disse, gli spettava "per diritto di ampliamento" ; e così fu acclamato e unto. E in seguito
i suoi atti ufficiali eviteranno accuratamente anche soltanto di fare il nome di Carlo­
manno. La vedova Gerberga si rifugiò coi figli alla corte di Desiderio.
Stranamente non sappiamo quasi nulla del l ' infanzia e della giovinezza di Carlo,
3 10 Carlo l, cosiddetto "Magno ", e i pontefici

tanto che è ancor oggi controverso l ' anno della sua nascita. Seguendo gli Annali, ritenuti
più attendibili, spesso viene indicata la data del 2 aprile del 742, ma il nuovo "Lexikon
des Mittelalters", non ancora concluso, seguendo altre fonti ritenute di seconda mano,
ritiene di poter affermare "certamente il 2 aprile del 747". L' indicazione del giorno
della nascita deriva da un vecchio calendario del monastero di Lorsch.
Per molto tempo Carlo fu considerato figlio illegittimo, nato prima del matrimonio
dei genitori dall ' unione more uxorio di Pipino con Bertrada, figlia del conte Cariberto
di Laon, convivenza regolarizzata dal matrimonio solo alcuni anni dopo la sua nascita.
Per altro ciò potrebbe spiegare l ' incomprensione col fratello Carlomanno, nato sicura­
mente dopo le nozze, e anche la strana discrezione del suo biografo Einardo, il quale
nella " Vita Karoli Magni" afferma: "Ritengo insensato raccontare la nascita, l ' infanzia
e la giovinezza di Carlo, dal momento che finora non se ne sono avute notizie e oggi
non vive più nessuno in grado di fornirci delle informazioni". Einardo scrisse questa
celebre biografia appena quindici anni dopo la morte di Carlo, avendo trascorso ven t' anni
427 alla sua corte, subito ammesso nella cerchia più stretta dei familiari, suo commensale e
confidente ; è davvero inverosimile, perciò, ritenere che non abbia appreso nulla
dell ' infanzia e della giovinezza del suo eroe, neppure la data della sua nascita. Tanto
più che lo stesso Einardo ci dice che Carlo parlava continuamente, tanto che si poteva
definirlo un "chiacchierone". Anche Paolo Diacono narra che Carlo amava raccontare
dei suoi avi ; eppure anche gli Annali del Regno lo citano per nome solo una volta
pri ma della sua ascesa al trono (in occasione dell ' unzione ad opera di Stefano II in
Saint-Denis nel 754; pag. 277 s . ) .
Ma non è soltanto in tempi recentissimi che è stata sostenuta l ' esistenza di un legame
coniugale fra Pipino e Bertrada già al tempo della nascita del primogenito; il fatto si
concilierebbe meglio con l ' immagine del "Padre d' Europa", per tacere della sua santità,
che, a suo tempo, ai pontefici non passava nemmeno per la testa. 1 4
Successore di Stefano fu Adriano I, che regnò dal 772 al 795 : nessun papa prima di
lui aveva governato tanto a lungo.
Discendente dalla nobiltà romana, Adriano fu il terzo papa della famiglia Colonna,
anch'egli zelante favoreggiatore dei parenti, che ritroviamo nelle più alte cariche dello
stato: lo zio Teodato fu primicerio della chiesa e fregiato del titolo di Consul et Dux; il
nipote Pasquale fu anch' egli primicerio ( l ' ufficio corrispondeva presso a poco a quello
di un attuale primo ministro) ed anche il nipote Teodoro esercitò notevole influenza
sulla città.
In politica estera Adriano interruppe immediatamente la tendenza filo-longobarda
del predecessore, prendendo subito posizione contro Desiderio, che si rifiutava di rendere
alla chiesa di Roma le città e i territori avuti grazie alle guerre di rapina di Pipino.
L' amico dei Longobardi Paolo Afiarta, di ritorno dalla loro corte, fu arrestato per ordine
del pontefice dall' arcivescovo di Ravenna Leone, che lo fece torturare e giustiziare. 1 5
L ' illegittima monarchia di Carlo 311

Il massacro dei capi della fazione longobarda della curia ebbe come conseguenza
rinnovate minacce e gli attacchi di Desiderio allo stato della chiesa, con l ' inevitabile 428
contorno di incendi, saccheggi e assassinii. E di nuovo echeggiarono le invocazioni
d' aiuto del pontefice, come in precedenza quelle del predecessore Stefano, che aveva
chiamato in Italia Pipino, padre di Carlo. E Adriano, come aveva fatto Stefano, insistette
per la guerra, ricordando a Carlo l ' esempio del padre: lo esortò ripetutamente, lo incalzò
affinchè intervenisse "contro Desiderio e i Longobardi per portare a compimento la
redenzione della Santa Chiesa di Dio al servizio di Dio e dei diritti di S . Pietro e per
consolazione della Chiesa". In tal modo preparò l ' intervento di Carlo in Italia, che poi
avanzò fin nel Meridione per ben cinque volte, preludio delle numerose future campagne
d' Italia degli imperatori tedeschi .
Adriano, rispetto a Carlo forse diplomatico più abile, capace d i ottenere quel che,
rebus sic stantibus, era possibile ottenere, vide solo tre volte i l sovrano franco (il quale
amava promettere, ma rimandava sempre i suoi viaggi a Roma). Ma ora che Desiderio
s ' era fatto difensore dei diritti della fuggiasca vedova Gerberga e dei figlioletti di
Carlomanno, privati dal "Grande" Carlo dell ' eredità legittima, cioè della metà del Regno
dei Franchi, dopo una accurata consultazione coi suoi maggiorenti nel 773 investì con
una (nuova) guerra il regno longobardo (con quello franco, l ' unico regno germanico
sopravvissuto): "Nel mondo non c ' era posto per tutti e due" (Cartellieri).
Perché no?
E i nardo racconta: "Dietro preghiera del vescovo di Roma Adriano, egli [Carlo] mosse
guerra ai Longobardi. In precedenza ne aveva fatta una anche suo padre Pipino su
sollecitazione di papa Stefano, e non senza grandi difficoltà, perché alcuni signori fran­
chi, che era solito consultare, si opposero al suo proponimento in modo tanto deciso da
giungere a dichiarare apertamente che avrebbero abbandonato il re e sarebbero ritornati
in patria".
Nemmeno questa volta i Franchi avevano molta voglia di togliere le castagne dal
fuoco per il santo padre; e anche questa volta inclinavano piuttosto alla pace. Ma il
sovrano ruppe ogni indugio. Ormai odiava l ' ex-suocero, diventato anche pericoloso da 429
quando si era posto a difesa degli orfani carolingi, non solo difendendone il diritto
ereditario, ma tentando addirittura di indurre papa Adriano a conferire agli orfani di
Carlomanno l ' unzione regale. Non fu un caso se, giunto in Italia, Carlo catturò prima
di tutto la famiglia del fratello, rendendola inoffensiva. Il pontefice, le cui truppe
raccogliticce non erano assolutamente in grado di tener testa ali ' esercito nemico, accolse
con entusiasmo ardente l ' intervento di Carlo. Il quale tuttavia poiché non voleva apparire
agli occhi del mondo lo zio malvagio che era e nemmeno il fomentatore di una guerra
contro i Longobardi cattolici, avanzò al compagno di fede ed ex-suocero proposte di
mediazione, con la speranza che venissero rifiutate, come poi effettivamente avvenne.
Durante i negoziati Carlo intraprese trattative segrete con gli oppositori longobardi;
312 Carlo /, cosiddetto "Magno ", e i pontefici

infatti gran parte del clero era assai ben disposto verso di lui, in particolare un avversario
di Desiderio, Anselmo, abate fondatore di Nonantola (già duca del Friuli), che, a quanto
pare, agevolerà molto la vittoria di Carlo. Ovviamente il sovrano franco aveva già
iniziato i preparativi bellici mentre attendeva il fallimento dei negoziati. Le sue truppe
raccolte a Ginevra, che vedevano anche la presenza di vescovi, abati e cappellani di
corte, erano assai numerose e otti mamente armate. Divise in due contingenti, la colonna
al comando dello zio Bernardo, un fratellastro illegittimo di Pipino III, irruppe in Italia
attraverso il Gran San Bernardo, il grosso del l ' esercito, comandato dal re, avanzò
attraverso il Moncenisio.
Era già impresa di per sè difficile condurre oltre le Alpi innumerevoli veicoli e migliaia
di cavalli, ma appari va pressoché impossibile occupare i passi sbarrati dai Longobardi,
le Chiuse, "le porte d' Italia": mura, baluardi, torri bloccavano le gole fra i monti . I
Franchi si trovavano inchiodati fra erte pareti rocciose e la cavalleria era ancor meno
430 manovrabile della fanteria. Carlo se ne stava accoccolato nella sua tenda, convocando
continui consigli di guerra, trattando coi Longobardi e moderando sempre più le sue
richieste; ma tutto era inutile. Quand' ecco che un diacono inviato dall' arcivescovo
Leone di Ravenna (pag. 3 1 9) guidò una scara franeisca (la guardia del corpo; sotto
Carlo una unità speciale molto rinforzata, una truppa d'eli te sempre in armi) oltre un' alta
cresta montagnosa indifesa; per qualche secolo, quando ancora restavano i ruderi di
queste fortificazioni, veniva chiamata "il sentiero dei Franchi". I Longobardi furono
colti di sorpresa e vedendo i Franchi comparire all ' improvviso alle loro spalle credettero
d' essere stati circondati e abbandonarono precipitosamente le loro posizioni. Fu uno
stratagemma spesso usato da Carlo anche nella guerra contro i Sassoni, contro Tassilone
di Baviera e contro gli Avari ; Seppelt parla di una "strategia superiore". 1 6
L' aggressore conquistò pri ma Torino, quindi il suo esercito dilagò per la pianura
padana "come una marea, una possente fiumana di ferro" (Stormer) fino a Pavia. Si
ricongiunse col resto dell ' esercito e verso la fine di settembre cinse d' assedio la città
longobarda ben fortificata e abbondantemente rifornita di soldati , armi e viveri . Carlo
si preparò a un lungo assedio e fece venire dalla lontana patria i figli e la sposa quattor­
dicenne Hildegard; ma quando apprese che il figlio di Desiderio Adalgiso si era rifugiato
a Verona, allora la città italiana più fortificata, insieme alla vedova e ai figli di Carloman­
no, vi si diresse immediatamente con una parte delle sue truppe.
Verona capitolò subito o per tradimento oppure dopo aver trattato la resa. Gerberga e
i figli caddero nelle mani di Carlo, ma le fonti tacciono sul loro destino. Nel migliore dei
casi finirono in convento, come vent' anni prima i cari parenti tonsurati dal padre Pipino
(pag. 278): in ogni caso essi scomparvero dalla storia insieme agli ultimi diritti ereditari
su quasi la metà del regno franco. Una buona tradizione familiare dei Franchi . Adalgiso
sfuggì all ' ultimo momento e l ' anno successivo, dopo un breve soggiorno a Salerno, si
431 rifugiò a Bisanzio, mentre Carlo faceva la sua comparsa davanti alle mura di Roma. 1 7
La cupidigia di Adriano e l 'occupazione brigantesca del regno longoba rdo 313

LA CUPIDIGIA DI ADRIANO E L 'OCCUPAZIONE BRIGANTESCA


DEL REGNO LONGOBARDO DA PARTE DI CARLO PREDONE

Trascorse l ' inverno. Mentre a nord le città longobarde cadevano una dopo l ' altra, il
papa cercò di occupare furtivamente i centri longobardi dell ' Italia centrale, che caddero
nelle sue mani uno dopo l ' altro. Egli era particolarmente interessato al ducato di Spoleto,
ponendovi a capo quel l ' Ildebrando che poi si staccò da lui, riconoscendo come suo
signore Carlo, il quale non concederà più Spoleto al pontefice. Ma in un primo momento
lo stato della chiesa conobbe un notevole ampliamento.
A Pavia ormai da tempo era terminato il bestiame da macello e gli assediati davano
la caccia ai passeri e ai ratti ; ma nonostante la carestia, le epidemie e le numerose
vittime, la città non si arrendeva. Così Carlo prima di Pasqua si diresse a Roma per
pregare sulla (presunta) tomba degli apostoli oppure, come affermano i cosiddetti Annali
di Einardo, "per manifestarvi la sua devozione", espressione spesso usata negli Annali
del Regno, quasi che Carlo si recasse continuamente a Roma soprattutto per questo.
Il 2 aprile del 774, sabato santo, ebbe un' accoglienza trionfale: a trenta miglia da
Roma fu salutato dai comandanti del l ' esercito papalino e alle porte della città fu accolto
da stuoli di bambini che agitavano palme e ramoscelli d' ulivo. Il compìto padrone di
casa mandò incontro all ' ospite dei crocifissi, cosa solitamente riservata ai sovrani più
importanti. A sua volta Carlo si avvicinò al santo padre davanti a S. Pietro, dove prese
alloggio con tutti i suoi maggiorenti, baciando ogni singolo gradino. Il padrone di casa,
attorniato dai cardinali e da altri dignitari, gli gettò le braccia al collo, mentre i preti
cantavano: "Benedetto colui che viene nel nome del Signore". Quindi si accostano
insieme al (presunto) sepolcro apostolico, inginocchiandosi con somma riverenza.
La domenica e il lunedì seguirono messe solenni e di sicuro festini e cene di lavoro 432
non meno imponenti (Carlo, assai sobrio nel bere, a tavola si servì abbondamente,
com' era sua abitudine: per saziarsi ingoiò, a quanto pare, una lepre tutta intera accompa­
gnata da altre quattro o cinque pietanze). Su desiderio del pontefice intonò laudes regali
e invocazioni per il papa, il re e l ' esercito franco: "Cristo, ascoltaci ! " cantò ad alta voce
il futuro santo, onorato continuamente da Adriano con l ' appellativo di "Grande", col
quale è passato alla storia.
Il mercoledì 6 aprile nella chiesa di S. Pietro il padrone di casa arrivò al dunque,
cioé agli affari, che caratterizzeranno anche il lungo tempo restante del suo pontificato.
Incalzato da questo insaziabile papa a mantenere le promesse fatte un tempo dal
padre, da lui stesso e da Carlomanno a Stefano, Carlo rinnovò la "donazione di Pipino"
del 754: diede l ' incarico al suo cancelliere Iterio di redigere un documento omologo
alla discussa dotazione di Quierzy ("nell' estensione definita da quella donazione"),
cioé regalando a S . Pietro "circa i due terzi dell ' Italia" (Kelly). Quindi l ' atto fu firmato
dal re e dai suoi maggiorenti prima sull' altare dell ' apostolo, poi sulla sua tomba presunta,
3 14 Carlo /, cosiddetto "Magno ", e i pontefici

quindi pose manu propria la Confessio beati Petri sopra il cadavere (inesistente) di s.
Pietro "a durevole certezza ed eterna memoria del suo nome e del regno dei Franchi".
Sa il cielo quel che i l sovrano ne possa aver pensato. In ogni caso, Carlo non era più
come i l padre Pipino; egli sapeva ben discernere tra il principe degli apostoli e il papa,
anche quando faceva promesse magnanime, che poi non manteneva come il santo padre
avrebbe desiderato; infatti, come quasi tutti i pontefici, non si stancava mai di chiedere.
Delle 55 lettere di Adriano a noi pervenute 45 sono indirizzate a Carlo "Magno" e
concernono quasi esclusivamente le proprietà pontificie, il timore di perderle e la
bramosia di accrescerle; il tutto espresso in termini nudi e crudi, e anche un po' ripugnanti
433 ("Il mio regno non è di questo mondo") . Pretendeva ampie regioni italiane, insistendo
non solo sulla Toscana, Spoleto e la Corsica, ma reclamando con "temerarietà inaudita"
(Ullmann) anche territori mai appartenuti ai Longobardi come Venezia e l ' !stria. Giunse
addirittura al punto di minacciare di interdetto l ' imperatore a causa delle terre non
restituite !
Adriano, definito da un Concilio di Parigi dell ' 825 "dissennato, superstizioso,
insensato, sconveniente e indegno", si richiamava già alla "Donazione di Costantino",
esortando Carlo a emulare l ' esempio del grande sovrano, che sotto il pontificato di
Silvestro aveva tanto beneficato la chiesa. "I documenti del l ' accordo sono custoditi nei
nostri archivi lateranensi" - dichiarò a Carlo; ma quando questi espresse il desiderio di
vedere l ' atto della donazione, il papa si rifiutò. 1 8
Invece Adriano - "maestro nel mendicare" ( H . v . Schubert) - mandava querele su
querele, ambasciatori etc . pretendendo tutto "ciò che nel corso del tempo era stato
donato all ' apostolo Pietro da imperatori, patrizi e altre persone timorate di Dio . . .
"Credici, o grande re cristianissimo, buono ed eccellentissimo figlio, e abbi piena fiducia
che da Dio onnipotente ti saranno concesse salvezza e incommensurabile vittoria, nella
misura in cui con zelo leale conformemente alle tue promesse nell' amore per il Principe
degli Apostoli . . ." etc. etc.
Credendo ai biografi di Adriano, per lungo tempo gli storici hanno ritenuto che
Carlo avesse a suo tempo sostanzialmente ampliato la donazione del padre, concedendo
al papa gran parte dell' Italia, ad eccezione del regno longobardo. "Oggi tale opinione è
stata abbandonata" (de Bayac). Ma in seguito si favoleggiò addirittura che Carlo avesse
regalato a S. Pietro una parte della Sassonia e della Westfalia, da lui già convertite al
cristianesimo; papa Gregorio VII fece riferimento a tale presunta donazione come a un
evento universalmente noto. 1 9
Ai primi di luglio del 774, dopo la presa di Pavia, pur strenuamente difesa, ma ormai
alla fame, Carlo, che si autodefinì "re dei Franchi e dei Longobardi, e Patrizio Romano",
434 pose sul suo capo la corona di ferro e annesse il regno longobardo al regno franco. Non
vi fu né un' elezione né una vera e propria incoronazione: il tutto accadde per sua volontà,
con l ' esercizio unilaterale del "diritto" del più forte. Il regno continuò a sussistere, ma
La cupidigia di A driano e l 'occupazione brigantesca del regno longoba rdo 315

scomparve i l suo sovrano, dal momento che Carlo subentrò a l suo posto: fu l a prima
"unione personale" della storia d' Europa (Fieckenstein).
Il predone si insediò nel palazzo del l ' ex-suocero e incassò l ' enorme tesoro regale
dei Longobardi, distribuendolo generosamente ai suoi scherani . Conservò per sé solo
la parte settentrionale del regno e regalò al papa Roma e Ravenna, dimostrandosi anche
in questa occasione l ' unico vero detentore del potere.
Desiderio, ultimo re dei Longobardi, fu condotto prigioniero in Francia insieme alla
moglie e alla figlia (già sposa di Carlo), e venne rinchiuso in un monastero (probabil­
mente a Corbie), dove, per quanto ne sappiamo, visse ancora per qualche tempo. In
ogni caso scomparve definitivamente dalla storia.
Il regno longobardo era ormai scomparso. Rimase in vita relativamente autonomo
fino al l 050 solo il ducato meridionale di Benevento, il più esteso, che all ' inizio dell' VIII
secolo, al momento della sua massima fioritura, includeva a sud alcune regioni della
Calabria fino a Cosenza, e della Puglia fino a Taranto e a Brindisi, mentre a nord giunse
per qualche periodo addirittura fino a Chieti. Questi territori erano vasti e fertili, e
avevano sviluppato notevoli attività commerciali. All ' interno i duchi esercitavano un
potere quasi pari a quello dei re longobardi, e in politica estera erano pressoché
indipendenti . Inizialmente godettero di una certa autonomia dai Franchi, ma in seguito
dovettero pagar loro tributi sempre più onerosi .
Dopo l ' appropriazione violenta del regno longobardo da parte di Carlo, dopo l a
liquidazione del sovrano e la cacciata del figlio dal l ' Italia, il duca d i Benevento Arechi
II raccolse in un certo senso l ' eredità del regno di Pavia. Principe particolarmente amante
dell ' arte, designato da Desiderio nel 758, di cui sposò la colta e intelligente figlia
Adelperga, assunse il titolo di princeps, facendosi incoronare.
I Beneventani detestavano i Franchi e si rifiutavano decisamente di sottostare al loro 435
giogo, come già i vicini del ducato di Spoleto. Mentre Carlo combatteva ancora una
volta contro i Sassoni, Arechi tramò un complotto col figlio di Desiderio, Adalgiso,
fuggito a B isanzio, contro il sovrano e il papa: il piano prevedeva la sollevazione delle
truppe greche, con l ' appoggio dei duchi Hrodgaud del Friuli, Ildebrando di Spoleto e
Regi n baldo di Chiusi . Ma prima che nel marzo del 776 si potesse por! o in atto, il progetto
venne scoperto: papa Adriano avvertì Carlo della minaccia d' attacco "per mare e per
terra", usando parole molto simili a quelle che ve n t' anni prima Stefano aveva impiegato
con Pipino: "In nome del Dio vivente e del Principe degli Apostoli, Vi scongiuro di
correre immediaatamente in nostro aiuto, affinché non andiamo incontro alla rovina".
Carlo, che era appena tornato dal vittorioso massacro dei Sassoni, nonostante la
stagione avversa, nel pieno inverno del 776 si mise rapidamente in marcia per un' altra
guerra: con truppe scelte valicò le Alpi coperte di neve, soffocò la sollevazione scoppiata
unicamente nel Friuli "e sottomise tutta l ' Italia", come narra laconicamente Einardo.
Hrodgaud, capo dei ribelli, nominato duca del Friuli dallo stesso Carlo, cadde in battaglia.
316 Carlo /, cosiddetto "Magno " , e i pontefici

I congiurati furono duramente puniti : ne esiliò molti, confiscandone le ricchezze, e


prese molti più ostaggi che in precedenza. Il vincitore insediò guarnigioni nelle città
ribelli e sostituì i "duces" longobardi con conti franchi (et disposuit omnes per Francos;
Annales regni Francorum). I Longobardi fedeli mantennero gli incarichi, ma dopo la
loro morte furono sostituiti da ufficiali franchi.
La conquista di un altro paese (dopo l ' Aquitania), per cui il regno franco si estendeva
adesso fino all ' Adriatico, consentì al predone di legare a sé la nobiltà feudale franca
soprattutto mediante la distribuzione di terre ai medi latifondisti (e l ' asservimento dei
436 contadini fino ad allora liberi). Carlo trasferì molti Franchi e Alemanni , (in parte anche
in posizioni di subordine), nelle regioni meridionali, dove fecero il bello e il cattivo
tempo. E da allora in poi in Italia dominò un ceto nobiliare in massima parte di origine
franca.
Ancora in epoca post-carolingia, fra 1 ' 888 e il 962, di circa 96 conti e margravi
del l ' Italia settentrionale a noi noti, 74 discendevano da famiglie d' Oltralpe; ma appare
certo che anche la maggior parte degli altri avessero la medesima origine. All ' interno
dei confini originari del regno ciò non sarebbe stato possibile senza un intervento nei
fondi della chiesa. Infatti Carlo doveva concederle il diritto alle none e alle decime
come risarcimento dei beni ecclesiastici già incamerati . Ora in Italia anche numerosi
piccoli proprietari terrieri e coloni, soprattutto nelle zone politicamente e militarmente
più importanti , ebbero il beneficio di terre, nelle quali assunsero il compito di vassalli,
di "custodes Franco rum", con funzioni di sorveglianza militare, per poi guerreggiare
con Avari, Greci e altre popolazioni. 20
Carlo inviò in Longobardia anche vescovi e abati : approfittò, infatti, delle guerre
vittoriose soprattutto la chiesa nazionale franca.
I seggi vescovili più importanti, Pavia, Spoleto, Verona, Vicenza, Vercel li, Milano
etc . , vennero subito occupati da Franchi, Bavaresi e Alemanni . Le ingerenze furono
tali che lo stesso pontefice ebbe paura d ' essere sostituito da un franco; ma a torto. A
quanto pare, infatti , tutti i territori soggetti all ' autorità papale, il futuro stato della chiesa,
furono "attentamente rispettati ed evitati" (Hlawitschka) durante l ' insediamento dei
vassal li.
Furono assai favoriti anche i monasteri franchi : subito dopo il crollo del dominio
longobardo Carlo concesse al monastero di San Martino di Tours l ' isola di Sirmione
nel Lago di Garda, l ' intera Val Camonica e possedimenti presso Pavia; Saint-Denis
ottenne la Valtellina, e l ' abbazia di Saint-Maurice d' Augaune alcune proprietà nella
Tuscia. Con queste donazioni l ' aggressore si proponeva soprattutto di assicurarsi il
437 controllo dei passi alpini : San Martino controllava il collegamento ai valichi delle Alpi
dei Grigioni e di quelle orientali e Saint-Denis tutti i passi nel paese dei Grigioni. In
seguito i monasteri di Fulda, S . Emmeran (Regensburg), S . Gallo e Reichenau ottennero
proprietà in Italia, amministrate dai loro monaci (Dopo la perdita di tal i possedimenti
A bbastanza non é mai abbastanza 317

italiani i monasteri cercarono d i rivendicarne l a proprietà con innumerevoli falsifi­


cazioni). 2 2
Il sovrano fece analoghe donazioni anche a monasteria italiani, ponendoli al servizio
dei suoi interessi economici e soprattutto militari. È significativo il fatto che non si
curò di nessuno dei conventi collocati nell ' interno del paese, "al contrario, tutti i
monasteri da lui beneficati si trovavano in zone strategiche particolarmente importanti
ai confini del regno oppure presso grandi nodi stradali" (Fischer). Perciò privilegiò, ad
esempio, il chiostro di S. Dalmazzo in Pedona, che dominava i valichi per la Francia
del Colle di Finestre e del Col de Larsche, e la strada per la costa ligure attraverso il Col
di Tenda. Pochi giorni dopo la conquista del regno longobardo, Carlo regalò al monastero
di Bobbio tutto il territorio fra il chiostro e il mare con Montelongo, che controllava la
strada da Piacenza a Genova e da Pavia verso la Tuscia. Si comportò allo stesso modo
coi monasteri di S. Pietro in Brugnato, del Monte Amiata a sud-ovest di Chiusi, di
S. Antimo, di Farfa e altri . 23
Giovò alla chiesa persino la carestia scoppiata in Italia nel 776, durante la quale
molti avevano venduto sottocosto i loro averi, anzi li avevano pressoché regalati,
diventando servi insieme alle mogli e ai figli. Il Capitolare del 20 febbraio del 776
dichiarò nulle queste transazioni, ad eccezione delle vendite e delle donazioni fatte alla
chiesa, sulle quali doveva decidere il tribunale del re coi vescovi e coi conti ! In
quell' occasione il sovrano accusò di cupidigia i vescovi italiani. 24 438

ABBASTANZA NON È MAI ABBASTANZA

L' incrollabile bramosia di ricchezze di Adriano l, il cui regno - come si sa - non doveva
essere di questo mondo, ha qualcosa di ripugnante: prega, mendica, esorta (spesso in
guerra con la grammatica); intreccia benedizioni e auguri per le guerre di Carlo; si
spreca in complimenti , ringrazia per una lettera "nettarea" ; non trascura (dopo il 78 1 )
di chiamare Carlo "compare": ma non c ' è epistola nella quale non tocchi il tasto che
più gli sta a cuore, il più necessario: il possesso.
Il papa vi ritorna continuamente sopra con un' insistenza assolutamente imbarazzante:
egli non rifugge dal rammentare al sovrano la Donazione di Costantino, "il devoto
imperatore Costantino il Grande di benedetta memoria, per la cui magnanimità la santa
chiesa cattolica-apostolica-romana di Dio fu innalzata e accresciuta". Il santo padre
vorrebbe rivivere quelle medesime condizioni; anche sotto Carlo "la santa Chiesa di
Dio e del beato apostolo Pietro" deve "rinascere e gioire, ed essere sempre più esaltata,
affinché tutti i popoli, avendone notizia, possano esclamare : "O Signore, proteggi il re
e ascoltaci nel giorno in cui ti invochiamo; vedi come un novello Costantino, cristianis­
simo sovrano divino, è sorto anche in questi nostri tempi . . . " etc . Perché il papato
318 Carlo l, cosiddetto "Magno ", e i pontefici

"volentieri si è attenuto in ogni epoca alla tradizione scritta, anche ai falsi, come a
quella Donazione di Costantino, la quale fu parte integrante della cultura carolingia"
(Braunfels). 25
Il santo padre esige i patrimoni della Tuscia, di Spoleto, di Benevento, della Sabina
e della Corsica; vorrebbe vedere Carlo, come il predecessore Stefano voleva vedere il
padre Pipino, per poterlo truffare solennemente e spingerlo alla guerra. Per la Pasqua
del 778 il sovrano franco aveva promesso una visita (la seconda) a Roma: "Come la
terra assetata attende la pioggia, così noi eravamo i n attesa della Vostra A ltezza
dolcissima", mormorò il papa deluso. Intanto Sua Altezza dolcissima conduceva cam-
439 pagne militari in Spagna e nella Sassonia. E il papa romano non poté fa altro che premere
affinché "accorresse per riprendere Terracina, Gaeta e conquistare Napoli e i territori
vicini".
Solo durante la Pasqua del 78 1 Adriano poté accogliere a Roma i l re con moglie e
figli; ma le pretese del pontefice non furono accolte. Gli fu riconosciuto il possesso del
ducato di Roma, dell' esarcato di Ravenna e della Pentapoli, e anche della Sabina; tuttavia
Adriano dovette abbandonare il ducato di Spoleto, che la chiesa aveva sottomesso di
propria iniziativa al momento dell ' invasione di Carlo, nonostante che il pontefice
sostenesse vigorosamente che il sovrano lo aveva personalmente donato a S . Pietro. I
plenipotenziari franchi vi esercitavano il potere senza alcun riguardo per il papa. Restò
inappagato anche il suo desiderio di impadronirsi della Tuscia, anche perché Carlo
intendeva comandare lui stesso l ' ex- regno dei Longobardi, anche se indirettamente.
Infatti ne assegnò il governo diretto al figlio di quattro anni Pipino, e Adriano, che lo
aveva battezzato e aveva le funzioni di padrino, dovette procedere all ' unzione consa­
crandolo re, come fece anche col fratello minore Ludovico, che avrebbe dovuto regnare
sul l ' Aquitania. In questo modo restarono garantite la sovranità di Carlo e l ' unità del
regno. Il giovane Pipino doveva stabilire una relazione col paese e con la gente, e
anche gli atti del vescovo di Roma (battesimo, padrinato e unzione) dovevano servire
all ' uopo, ma non poteva essere che una specie di viceré, un co-reggente, un "associato
al governo del regno", come verrà definito nell ' 806. Per il momento furono determi­
nate per ciascuno dei " reges " , come venivano chiamati Pipino e Ludovico, forme di
governo sotto tutela.
Carlo non pensava affatto alla divisione del l ' Italia a favore del papa e neppure
all' esaudimento delle promesse di donazione del 774; quando gli conveniva, ignorava
le pur sante epistole papali , come sempre si conviene a un santo. Furono allora ignorati
anche i sogni egemonici di Adriano sull' Italia meridionale, poiché Carlo non intendeva
attaccar briga col genero di Desiderio, il duca di Benevento Arechi, dietro il quale
440 stava B isanzio. 2 6
Anche se vi fu una serie di regalìe, ratifiche, restituzioni e balzelli a favore del
pontefice, tuttavia molte delle sue aspirazioni territoriali restarono inappagate, e C arlo,
" . . . inviate subito un esercito " 319

che una volta fece arrestare u n messo papale, che aveva pronunciato "parole intolle­
rabili", non si preoccupò affatto di fornire una giustificazione: decideva passando sulla
testa di Adriano e continuava tranquillamente a governare su territori a lui promessi o
che gli erano appartenuti . Dopo la distruzione del regno longobardo il papa romano fu
del tutto impotente di fronte a Carlo, un suddito, e Roma una città franca, dove si
pregava per i l padrone durante la messa, come molto probabilmente era già aè caduto
per Pipino (e in seguito per molti altri potenti voluti da Dio, fino a Hitler ! ) .
Carlo protesse persino u n vecchio religioso rivale d i Roma, Leone d i Ravenna, i l
quale, come il papa, non era mai soddisfatto. Dopo la conquista di Pavia i l re si affrettò
a tornare in patria, soprattutto per poter di nuovo combattere i Sassoni; Leone ne
approfittò per strappare al pontefice, una dopo l ' altra, le città dell ' Emilia-Romagna
Faenza, Forlì , Cesena, Comacchio, Ferrara, Imola e Bologna, cacciando con le armi o
imprigionando i funzionari di Adriano, con lo scopo di creare uno stato ravennate della
chiesa a spese di Roma. Anch ' egli, come il papa, si richiamò a una "donazione" di
Carlo, cui era stato tanto utile durante la guerra contro i Longobardi (pag. 3 1 2) . Dopo
aver respinto le proteste, gli attacchi e i sospetti di Adriano, Leone sostenne le proprie
ragioni personalmente davanti a Carlo� ottenendone l ' appoggio e conservando fino
alla morte i territori annessi, con grande rammarico del pontefice.
Se un vescovo di Ravenna si poteva permettere di trattare così male il vescovo di
Roma, tanto più poteva farlo l ' onnipotente sovrano franco, il quale non soltanto interve­
niva negli assetti territoriali , ma interferiva direttamente anche nelle faccende interne
alla chiesa, nell' amministrazione e nella giurisdizione, mentre Adriano era costretto a
far buon viso a cattivo gioco, limitandosi a qualche timida replica: "Ci siamo comportati
in tutto conformemente alle Vostre regali esigenze", oppure: "Com ' è nostra abitudine, 44 1
ci siamo attenuti con buona volontà alle Vostre indicazioni". 2 7
Ma la strenua avidità del papa tesa all ' ingrandimento dello stato della chiesa non
venne meno, anche se ovviamente le cose apparivano ai suoi occhi in una luce assai
diversa: "Voi non potete credere" - scrisse a Carlo pochi anni prima della morte - "che
io Vi comunichi tali cose perché sono desideroso di entrare in possesso delle città che
Voi avete dato a S. Pietro, bensì perché sono mosso esclusivamente dalla preoccupazione
per la sicurezza della Santa Romana Chiesa". 28

" ... INVIATE SUBITO UN ESERCITO" :


PAPA ADRIANO ISTIGA CARLO CONTRO BENEVENTO

E in nome della sicurezza Adriano agì anche nel caso di Benevento, che da sempre
costituiva per lui una spina nel fianco, agitandosi focosamente contro i suoi governanti :
"Il papa non tralasciò mai nessuna occasione per attizzare l ' odio contro i Longobardi"
320 Carlo /, cosiddetto "Magno ", e i pontefici

(Hartmann). Non soltanto cercò con l ' intrigo e la menzogna di indurre Carlo a muovere
guerra contro B enevento, il cui duca Arechi manifestava continuamente la propria
volontà di pace, ma pretese addirittura una guerra d ' aggressione contro l ' impero
bizantino, dicendosi sicuramente informato di un complotto del duca con B isanzio.
Nel l ' inverno del 786 Carlo attraversò le Alpi con l ' esercito e a gennaio, per la terza
volta, giunse nella "Città Eterna", dove il papa lo accolse con grande sfarzo. Qui i l
figlio di Arechi, Romualdo, con molti doni trasmise a l sovrano anche l ' offerta del pa­
dre "di osservare in tutto e per tutto la volontà del re", il quale non marciò "contro
Benevento" (Anna/es regni Francorum). Ma il pontefice voleva la guerra, desiderava
occupare e sottomettere Benevento per eliminare un pericoloso rivale e soddisfare le
sue mire espansionistiche, che in seguito definirà: "Un atto di elevazione della Santa
442 Romana Chiesa".
Carlo trattenne Romualdo e marciò su Capua, mentre Arechi trasferì la residenza
nella città fortificata di Salerno, che in caso di pericolo gli avrebbe consentito la fuga
per mare. Con un' altra ambasceria, oltre a Romualdo, offrì al sovrano franco altri ostaggi,
fra cui anche il figlio più giovane Grimoaldo, che lo aveva accompagnato a Salerno.
Einardo parla anche di "una grossa somma di denaro".
Carlo cedette, prestò ascolto alle suppliche e "anche mosso dal timor di Dio si astenne
dalla guerra . . .". Timor di Dio? Quando mai avrebbe potuto dissuaderlo da una guerra? !
Anzi, egli schierava i suoi eserciti sempre con l ' aiuto di Dio, quasi ogni anno ! Ma
secondo una fonte franca "gli stava molto più a cuore provvedere al benessere del
popolo, che piegare la caparbietà del duca". In realtà, era molto arduo prendere Salerno,
tanto più senza una flotta. E inoltre un ' insurrezione dell ' Italia meridionale e la guerra
con B isanzio gli dovettero apparire tanto più funeste in quanto incombeva a nord la
guerra contro gli Avari ; e infine "i vescovadi e i monasteri non dovevano essere
devastati".
Ragioni sufficienti, una volta tanto, per non "guerreggiare". Carlo tenne in ostaggio
Grimoaldo con dodici nobili longobardi e rimandò Romualdo dal padre, che dovette
prestare insieme ai sudditi un giuramento di fedeltà, riconoscere l ' autorità suprema dei
Franchi e pagare un tributo annuo di 7.000 solidi d' oro. 29
Erano condizioni assai dure, e Carlo poteva ritenersi soddisfatto. Si recò quindi
nuovamente a Roma "per manifestare la propria devozione visitando i luoghi sacri"
(Einardo ). È anche probabile che vi abbia festeggiato con grande giubilo le feste pasquali.
Il santo padre, al contrario, era meno felice, quantunque i l sovrano franco avesse
ampiamente esaudito i suoi desideri , "donandogli", a sud, un gran numero di città, fra
cui Arpino, Aquino e Capua, e ampliando il patrimonio papale con alcuni territori intorno
a Salerno. Inoltre concedette al papa "notevoli ampliamenti territoriali dello stato della
chiesa" anche a nord, consegnandogli parecchie città longobarde della Tuscia, fra cui
443 Soana, Viterbo e Orvieto : "un notevole successo", come sostiene Seppelt, storiografo
" . . . inviate subito un esercito " 321

cattolico del papato.


Ma Adriano non fu soddisfatto. E non si tranquillizzò nemmeno quando nel luglio
del 787 morirono il duca Arechi e suo figlio maggiore Romualdo. I Beneventani chiesero
la liberazione dell ' erede al trono Grimoaldo, trattenuto come ostaggio in Francia, e la
restituzione delle città passate in mano al papa, dicendo che in caso contrario si sarebbero
rifiutati di obbedire. Il santo padre, da parte sua, insistette di nuovo presso Carlo: "Fate
quel che la Vostra saggezza ritiene un bene; ma se i Beneventani non si piegheranno ai
Vostri ordini, come hanno promesso, inviate immediatamente un esercito contro di
loro. Noi abbiamo già stabilito coi Vostri ambasciatori che, se i Beneventani non si
saranno piegati alla Vostra volontà entro il Primo Maggio, il Vostro esercito pronto sui
confini piombi subito su di loro: non sarebbe consigliabile farlo in un secondo momento
a causa della calura estiva".
Il papa, dunque, pretendeva l ' invasione di Benevento entro il i maggio del 7 8 8 ; ma
Carlo non si prestò al gioco, forse a causa della situazione d ' Oltralpe, ma si limitò a
mandare a Benevento un' ambasceria, consentendo a Grimoaldo di asssumere il potere,
purché riconoscesse la sua autorità e adempisse ad altre incombenze; tutto ciò accadde
anche perché Adalgiso si trovava in Calabria, in febbrile attesa dell ' opportunità di
invadere il ducato. Il pontefice aveva ammonito Carlo: "E dunque, di ciò Vi prego
ardentemente, per quanto riguarda Grimoaldo, figlio di Arechi, non credete a nessun
altro se non a me; Voi potete ben essere convinto che l ' Italia non resterà tranquilla, se
consentite a Grimoaldo di entrare a Benevento". Ma su ordine di Carlo Grimoaldo,
alleato col duca di Spoleto Ildebrando, attaccò i Bizantini, infliggendo loro una sconfitta
totale.
Alla lunga, però, Adriano aveva ragione nel ribadire che Grimoaldo non avrebbe
tollerato le pesanti imposizioni di Carlo. Infatti , sposò una nipote dell ' imperatore
bizantino e ruppe coi Franchi. Quindi Pipino nel 79 1 devastò il territorio dei "ribelli";
e due anni dopo, rafforzato questa volta da truppe aquitane al comando del fratello 444
Ludovico, intraprese una nuova spedizione punitiva contro Benevento, senza tuttavia
ottenere risultati decisivi : una carestia lo costrinse a ritirarsi e il suo esercito, come
narra inorridito l ' annalista di Lorsch, fu costretto a mangiar carne durante la Quaresima !
Un nuovo attacco nell ' SO l fallì in seguito a una pestilenza, che decimò le truppe di
Pipino. 30
Naturalmente la politica papale era rivolta non solo contro Benevento, ma anche
contro Bisanzio, i cui imperatori per secoli avevano comandato su Roma, prima che
con l ' aiuto di Longobardi e Franchi i papi dessero loro il benservito, infischiandosene
della loro autorità superiore conferita da Dio.
Forse già dal 774, ma certamente a partire dalla seconda visita romana di Carlo del
78 1 , Adriano non computò più la durata del papato seguendo gli anni di governo degli
imperatori, ma quelli del pontefice: il papa, cioé, rifiutò al sovrano bizantino il privilegio
322 Carlo /, cosiddetto "Magno ", e i pontefici

della datazione dei documenti pontifici secondo gli anni del suo impero, riservando a
se stesso tale prerogativa. Così facendo non pensò affatto di concedere questo importante
privilegio al re dei Franchi o dei Longobardi, al Patricius dei Romani, e neppure a
condividerlo con essi. Al contrario, voleva così dimostrare che "oltre Dio, non era più
disposto a riconoscere nessun' altra autorità superiore" (Menzer). Inoltre Adriano sostituì
nel denario d' argento il nome e l ' effigie del l ' imperatore col suo nome e con la sua
immagine, trasferendo "forse il più sostanziale di tutti i diritti imperiali" al pontefice, il
quale si poteva così "presentare come un quasi imperator" (Deér). 3 1
Adriano I morì il giorno di Natale del 795 . Già il giorno seguente venne eletto il
445 successore, con voto unanime, a quanto pare.

UN (FALSO) MARTIRIO E UNA (QUASI AUTENTICA) INCORONAZIONE IMPERIALE

Leone III (795-8 1 6), romano di nascita, uomo di carattere incostante e, come sembra,
di bassa estrazione sociale, s ' affrettò ad assicurare la propria fedeltà a Carlo, al. quale
spedì le chiavi del presunto sepolcro di Pietro insieme agli atti della sua elezione,
omaggio privo di qualsiasi valore politico, diversamente dall' invio del vessillo della
città di Roma, che, legato al giuramento di fedeltà dei romani, costituiva un segno
evidente della sottomissione dello stato della chiesa al sovrano franco. Il quale a sua
volta mandò a Roma il cappellano di corte Angilberto, abate di Saint-Riquier (concubino
della figlia di Carlo, Berta, che gli partorì due figli), col seguente mandato: "Esorta
urgentemente il papa a un comportamento onesto e soprattutto al l ' osservanza delle
leggi della santa chiesa . . . E sollecitalo fervidamente a sradicare l ' eresia simoniaca, che
in molti luoghi contamina il corpo della santa chiesa, rammentandogli ciò di cui noi
due, come Tu ricordi, spesso ci siamo lamentati".
Evidentemente Carlo aveva i suoi motivi per invitare il santo padre "a una condotta
onesta". Ma fu forse molto più umiliante per il papa dover leggere subito dopo una
lettera, nella quale il sovrano franco assegnava le differenti competenze nel mondo
occidentale, attribuendogli nient' altro che il compito di pregare: "A noi spetta difendere
con le armi e con l ' aiuto di Dio la Santa Chiesa dagli attacchi dei Pagani e dalla furia
devastatrice degli infedeli, e consolidare dappertutto la fede cattolica. Il Vostro compito,
Santo Padre, è invece sostenere i nostri eserciti con le mani levate a Dio, come faceva
Mosè, affinché per le Vostre suppliche con la grazia di Dio il popolo cristiano riporti
sempre e dovunque la vittoria sui nemici del suo nome e in tutto il mondo sia magnificato
il nome di nostro Signore Gesù Cristo". 3 2
Leone III riconobbe fin dal pri ncipio la suprema autorità di Carlo sullo stato della
446 chiesa: già in precedenza il sovrano aveva interferito sugli affari interni della chiesa,
con divieti più o meno significativi come, ad esempio, l ' imposizione ai preti di non
Un (falso) ma rtirio e una (quasi autentica) incoronazione imperiale 323

frequentare le taveme e di non mantenere cani, falconi o giocolieri, e alle monache di


non comporre "poesie d' amore". Si preoccupò persino del l ' uso delle scarpe durante la
messa e dei paramenti degli altari ; e naturalmente regolò faccende ecclesiastiche più
imporatnti, e il papa obbedì come sempre. Nel Sinodo di Francoforte del 794 Carlo
decise coi teologi di corte anche questioni di fede, e nel 798 diede a Leone il permesso
di innalzare Sali sburgo a sede epi scopale, di convocare un sinodo a Roma e di
organizzare la chiesa nei territori sottratti agli Avari . Infine, in qualità di suddito
dell ' imperatore, datò le monete in base agli anni del suo governo.
Il pontefice, insomma, gli fu suddito per tutta la vita; tanto più che a Roma "il Vicario
di Cristo", avido e senza scrupoli, dovette fronteggiare una forte opposizione rel igiosa
di altissimi dignitari e di parenti del predecessore defunto. Infatti, con le proprietà
terriere dei papi era cresciuto anche il loro nepotismo, sì che quasi tutti i mutamenti
gerarchici comportavano la nascita di nuove fazioni e di rinnovata fame di terre e di
potere da parte della nobiltà.
E fu così anche allora. Sotto la guida di due parenti di Adriano l, il primicerio Pasquale
e il sacellario Campalo, si scatenarono d' improvviso le tensioni che covavano sotto la
cenere fin dal l ' inizio del pontificato di Leone. Durante la processione delle cosiddette
Croci Nere del 25 aprile 799, festa di s. Marco, i seguaci del l ' ultimo papa tentarono di
accecare e uccidere il successore. Almeno secondo gli Anna/es regni Francorum, mentre
Leone cavalcava dal Laterano verso la chiesa di S. Lorenzo, "gli furono cavati gli
occhi e mozzata la lingua" (ac linguam detruncaverunt) .
Anche Einardo racconta la medesima notizia. Tuttavia, probabilmente le cose non
ebbero un esito tanto drammatico, dal momento che lo stesso Carlo parlerà subito dopo
della "straordinaria salute del papa". Naturalmente fu messa in circolazione anche la
versione della sua guarigione miracolosa, per la quale avrebbe riacquistato la vista e 447
l ' uso della lingua. Evidentemente era stato lo stesso santo p adre a divulgare questa
favoletta alla corte di Carlo. Dall' altra parte gli avversari negarono di averlo accecato e
mutilato; gli avversari degli avversari vollero poi interpretare anche questo fatto come
un miracolo non trascurabile, sostenendo che era stato s. Pietro a sventare l ' attentato ! 33
Si sa che, mentre il seguito se la dava a gambe, Leone III fu scaraventato a terra giù
dal cavallo, accoltellato sul viso, trascinato in una chiesa, malmenato davanti all ' altare
e abbandonato. "L' istigatore di tale atto", un autentico samaritano, lo rinchiuse poi nel
monastero di S. Erasmo Martire, (il cui abate era in combutta coi congiurati), "perché
venisse curato" (Anna/es regni Francorum). Mentre le due fazioni, composte entrambe
da buoni cattolici, continuavano a battersi, il santo padre venne calato nottetempo dalle
mura del convento dal suo camerlengo Albino e condotto a Spoleto dal duca Winigis,
accorso nel frattempo. Quindi giunse finalmente da Carlo; fu il primo viaggio di un
papa nel regno dei Franchi dai tempi di Stefano Il.
Fu un corteo trionfale: tutto il popolo accorse a contemplare il miracolato e a baciarne
324 Carlo /, cosiddetto "Magno ", e i pontefici

i piedi ; a Paderborn la folla si prosternò, mentre Leone intonava il "Gloria in excelsis",


e Carlo e il pontefice, il "rex pater Europae" ed il "Summus Leo Pastor in orbe", si
abbracciavano piangendo: così si esprime il panegirico epico nato proprio allora "Karolus
Magnus et Leo Papa". (Seguirono messe solenni e banchetti con cinghiali interi su
vassoi d' argento e vino di Falerno in boccali d' oro. In seguito a scavi archeologici, nel
1 963 vennero ritrovati frammenti del trono, sul quale Carlo amava sedersi). Nel­
l ' invenzione poetica il sovrano ammira stupefatto gli occhi scavati di nuovo luminosi e
sente la lingua mozzata articolare nuovamente le parole, mentre davanti al portale della
chiesa il clero esalta con inni amebei il divino portento.
Ma presto comparvero anche i rappresentanti del partito avverso, i "maledetti figli
del demonio", come li insulta Io storiografo papali no, i quali con dovizia di particolari
448 accusarono Leone di corruzione, spergiuro e adulterio. E non si trattò di accuse campate
per aria: ne erano persuasi gli ambienti franchi ( l ' arcivescovo di Salisburgo lamentò in
alcune lettere confidenziali il comportamento del pontefice), e alla medesima conclu­
sione giunsero anche indagini condotte a Roma. Fin dal principio Carlo aveva nutrito
seri dubbi sulle virtù pastorali di Leone, tuttavia volle salvaguardare comunque l ' autorità
del santo padre. Infatti, il teologo anglosassone Alcuino, capo della Scuola Carolingia
di Corte e abate di una mezza dozzina di monasteri, una volta esclamò: "Quale pastore
della Chiesa potrebbe restare immune, se viene deposto colui che è il capo delle Chiese
di Cristo?". Però certe informazioni concernenti la scostumatezza del pontefice, perve­
nute da Roma da parte dell' arcivescovo Arno, pur saldissimo nella sua fede e rispetto­
sissimo del papato, irritarono Al cui no "per timore dello scandalo che ne sarebbe potuto
derivare".
E allora Leone, "seguendo l ' esempio dei predecessori", provvide a purgarsi "delle
colpe a lui imputate" il 23 dicembre dell ' 800 a Roma, sottoponendosi al tribunale di
Carlo e "giurando in nome della Santa Trinità" (Annales regni Francorum) : tenne il
Vangelo sopra la testa e chiamò Dio, "di fronte al cui tribunale tutti dobbiamo comparire",
a testimone della sua innocenza; poi ribadì e sottolineò energicamente la spontaneità
del proprio giuramento: "Lo faccio di mia libera volontà per cancellare ogni sospetto";
anche se, in realtà, era stato costretto a cercare questa scappatoia. Quindi condannò a
morte i suoi avversari per lesa maestà, ma li graziò esiliandoli in Francia, da dove poi
tornarono sotto il nuovo pontefice (Carlo era morto da poco tempo, quando questo
papa istruì e condusse personalmente un altro processo capitale contro nuovi congiurati,
e "ne condannò spietatamente a morte qualche centinaio" ( Kelly); e venne anche
beatificato, come s ' addice a un pontificio criminale-burocrate; la sua festa, ora soppressa,
cadeva il 1 2 di giugno) . 34
Due giorni dopo il suo giuramento purificatore, il giorno di Natale dell ' anno 800,
449 Leone III incoronò Carlo imperatore durante la messa - la cerimonia d ' incoronazione
fu "parte integrante della messa" (Benz). Con tutta evidenza il papa voleva distogliere
Un (falso) ma rtirio e una (quasi autentica) incoronazione imperiale 325

l ' attenzione dalla sua penosa giustificazione e assicurarsi così una posizione di privilegio
di fronte agli altri metropoliti, cioè una maggiore autonomia. In ogni modo quel rito
costituì per l ' Occidente l ' atto di fondazione del l ' Impero medioevale. Mentre i presenti
proclamavano Carlo Augustus, Leone lo adorò con una genuflessione, la prima e anche
l ' ultima di un papa davanti a un i mperatore d ' Occidente.
A quanto pare Carlo ne fu spiacevolmente sorpreso: perché, ovviamente, tutto ciò
apparve a Costantinopoli come un colpo di stato: Einardo ci racconta che se Carlo
avesse saputo delle intenzioni del pontefice, non avrebbe messo piede in quella chiesa.
Ma questa affermazione non è che una giustificazione, anzi una bugia; anche se probabil­
mente dovette provare un certo fastidio nel sentirsi debitore di qualcosa, specialmente
a questo papa. Tuttavia poco tempo dopo fece dono a Leone di circa centocinquanta
libbre d' oro; ma non tornò mai più a Roma e, continua Einardo; sopportò "la gelosia
del l ' imperatore d ' Oriente con ammirevole serenità".
In verità l ' interpretazione dell ' incoronazione come di un improvviso colpo di mano
del papa è stata messa in dubbio da lungo tempo, anzi rifiutata; sicuramente, come
attestano gli Annali di Lorsch, ci furono trattative preliminari , perché Carlo non era
tale da farsi imporre qualcosa contro la sua volontà. E inoltre Leone aveva buoni motivi,
anzi pessimi, per fare quel che fece: "Nell ' esaltazione del suo protettore il pontefice
può aver perseguito la propria riabilitzione, può aver vi sto nella creazione di un
imperatore una maggiore sicurezza per se stesso o, incoronandolo di sua mano, può
aver voluto cancellare l ' umiliazione del giuramento purificatore. Di sicuro dietro il suo
atto stava quella falsificazione in nome di Costantino, che trasmise al pontefice l ' autorità
di disporre di Roma e dell' Occidente, che ora veniva consegnata nelle mani del sovrano
franco" (Aubin). Il papa aveva usurpato un diritto, che avrebbe avuto effetti funesti :
come disse il Ranke, fu davvero "una ben strana pretesa quella di distribuire corone" . 450
A Natale del l ' 804 Leone visitò Carlo a Quierzy e Aquisgrana per alcune settimane,
giocò "la falsa Donazione di Costantino . . . come una carta politica vincente" (Ohnsorge)
e l ' anno seguente scoppiò la guerra con Bisanzio: si combatté per la Dalmazia e per
Venezia, che furono prese, perdute e di nuovo conquistate. Nella pace di Aquisgrana
de l i ' 8 1 2 Carlo propose di restituire i territori occupati , avendo come contropartita il
riconoscimento quale imperatore e la garanzia del titolo. Ma Michele I (8 1 1 -8 1 3) Io
riconobbe imperatore soltanto dopo che ebbe rinunciato a Venezia, alle coste dalmate e
ali ' Italia meridionale. 3 5
Per tutta la vita Carlo non fece che guerre: null' altro faceva più volentieri . 45 1
326 Note

NOTE

Einhard, Vita Karoli 22; 26.


2
B raunfe l s , Karl der Groj3e in Se/bstzeugnissen, 3 9 .
3 D a w s o n 2 1 4.
4
Ewig, Zum ch ristlichen Kon igsgedanken , 7 3 .
Daniei-Rops 247 , 493, 498, 506.
6
Lib. Pont . . Vita Pauli I sgg. LMA I I I 724 s g . Gregorov ius I 2 3 7 8 sgg. Hartmann, Gesch ichte
ltaliens, I l , 209 sgg. Seppelt Il 1 3 7 sgg. Ewig, ibid. , 46 sg. B ayac 72 sgg. Jarnut, Geschichte der
Langobarden , 1 1 6 sgg.
7
Lib. Pont. , Vita Steph. 111, 1 3 7 sgg. Mansi 1 2 , 8 1 6 sgg. MG Conc. 1 1 / 1 83 sgg. Einhard, A n n . reg.
Frane. ad an. 767. LThK V I I ' 767. LTh K V I I ' 568 sg . ; V I I I ' 884 sg . ; I X 2 1 298 sg. Kiihner, Lexikon,
7 1 . Gregoro v i u s I 2 3 8 5 sgg. Hauck I I 69. Schubert, ibid. , II, 424. Seppe[ t I I 1 46 sg., 360. Seppe l t/
Schwaiger 87 sg. Hal ler, Das Papsttum , !, 32 1 sg. Zimmermann, Papstabsetzungen, 1 3 sgg. Cfr.
anche gli esempi di carriere fu l m i nee epi scopal i in Scheibelrei ter, Der Bischof, 1 2 3 sgg. Vedi inoltre
Desch ner, Il gallo, 236 s g .

Lib. Pont. , Vita Steph. III, 4 sgg. Gregorovius I 2 3 8 7 sg. Seppelt, Geschichte des Papsttums, I l ,
1 47 s g g . Hartmann, ibid. , 23 1 sgg . Seppelt/Schwaiger 8 8 . H a l l e r I 3 2 1 sg. B ayac 76. Fuhrmann/
Martl I O. Hartmann, Die Synoden der Karolingerzeit, 8 3 .
9
Lib. Pont. , Vita Steph. 111, 5 sgg. Kiihner, ibid. , 5 2 . Hartman n , Geschichte ltaliens., I l , 236 sgg.
Carte l l ieri I 1 7 5 sg. Seppe l t I I 1 49 sgg . Seppelt/Schwaiger 8 8 . Haller I 3 2 1 s g . Kiihner, Das lmpe­
rium, 8 7 . Ferrari 2 8 1 sgg. Z im merman n , ibid. , 17 sgg . , 20 sgg. Hartman n , Die Synoden der Karo­
lingerzeit, 83 sgg. Fuhrman n/Martl I l .
'" / Tim. 3 , 1 sgg . MG Cons. 1 1 1 1 7 9 . ; 86 sgg. Kiih ner, Lexikon . , 5 2 . Seppelt II 1 5 l sgg. Seppelt/Schwaiger
8 8 sgg. Kiihner, Das lmperium, 87. Schnei der, Geistesgesch ichte, II, 246. Zimmermann, Papstab­
setzungen , 24. U l l m a n n , Die Mach tstellung, 469. Lotter, Designation , 1 48 . Cfr. anche l a nota
precedente.
11 E i n hard, Vita Karoli 3 . Ann. reg. Frane. ad an. 754; 768. LMA V 956; 996. LTh K IIF 408 . HEG I
549. Miihlbacher I 1 24 sg. Brii h l , Fodrum, 5 6 . Bayac, Kar/, 43 sg. Flecke nstein ( 1 990) 2 1 s g .
12
Cod. Ca ro/. 4 5 ; 4 7 . Ein hard, Vita Ka roli 3 ; 5 s g . , 1 8 . A nn. reg. Frane. ad an. 769. LMA I I 2202 ; I I I
7 2 5 . Gregoro v i u s I 2 393 s g . H a u c k I I 74 sg. Miihl bacher I 1 25 sgg. Carte l l ieri I 1 79 sg. Hartm a n n ,
Geschichte ltaliens, Il, 25 1 sgg. Eichmann, Das Exkommun icationprivileg, 1 64. Haller I 3 2 3 s g .
I d . , A bhandlungen, 29 sg. Voigt, Staat, 436. Wiihr, Da.f abendliindische Bildungswesen , 3 5 . Konecny
61 sgg. Classen, Karl, 545 sg. Seppe l t/Schwaiger 89. Schmidt, Zu r Ablo.mng der Langobarden ­
he rrschaft, 7 s g g . Bii ttner, Gesch ichte des Elsaj3, 1 26 . Haendler, D i e /ateinische Kirche, 69. Braun­
fel s , ibid. , 22. Id., Karl ( 1 99 1 } , 3 1 . Bayac 76 sgg. Fuhrman n/M artl 1 2 .
' -' Lib. Pon t. , Vita Steph. 111, 28 sgg . ; ibid . . Vita Hadr. c. I O sgg. Einhard, Vita Ka roli, 1 8 . Cod. Ca ro/.
4 8 . Hauck I I 7 6 s g . Gregorov ius I 2 390 sgg . , 396. M ii h l bacher I 1 28 sgg. Hartman n , ibid. , I I 253
sgg. Biittner, ibid. , 1 27 . C l assen, ibid. , 546 sg. Seppelt/S chwaiger 89 s g . Haller I 324 s g . B ayac 79
sgg. Fleckenste i n , Kar/ ( 1 990), 2 3 . Braunfe l s ( 1 99 1 ) 3 8 sg.
14
E i n hard, Vita Ka roli 4 ; 25. A nn. reg, Frane. ad an. 7 7 1 . MGH Antiquit. Poet. Lat. l 483 sgg. Taddey
624. LMA I 203 8 ; III 222; 1 7 3 7 : V 956. M ii h l bacher I 1 1 9 sgg . , 1 36 sg. Fichtenau, Das karolingi­
sche lmperium, 3 5 sgg . , 4 7 . Bayac 82 sgg . , 386. B raunfe l s , Karl ( 1 990}, 23 s g . Riché, Die Ka rolin ­
ger, 1 1 4 . Il HEG I 549 (Schieffer) non spreca parole s u l l ' i l legalità d e l l ' annessione: " . . . Carlo prese
i m medi atame nte possesso del regno del fratello . . . " .
15 Li b. Poll t. , Vita Had r. l sgg. Vita Karoli c . 3 . A nn. Lobienses ad a n . 77 1 . LMA IV 1 82 1 . M ii h l bacher
I 1 3 3 sg. Hartmann, ibid. , II 259 sg. Seppelt II 1 5 8 sgg. Seppe l t/Schwaiger 90. Stern/B artmu s s 92
sg., 2 1 . Aubi n , Die Um wandlung, 1 2 2 . Epperlei n , Kar/, 17 s g . B u l lough, Ka rl, 45 . Haller I 3 2 5 .
Note 327

Fuhrman n/Martl l 4 sgg. Steinbach, Das Frankenreieh, 59 sg. Fleckenste i n , Karl ( 1 990), 2 5 . B raun­
fel s , Karl ( 1 99 1 ) , 80.
16 Ann. reg. Frane. ad ann. 773. E i nhard, Vita Karoli 3 ; 6 . LMA I V 1 82 1 . M iih l bacher I 1 34 sgg.
Seppel t I I 1 6 1 sgg. Briihl, Fodrum , 3 9 7 . S ttirmer I 1 75 sg. B ayac 1 0 1 sgg. Fleckenste i n , ibid. , 25
sgg. B raunfe l s , ibid. , 36 sgg. Cfr. anche l a nota che segue.
17 Ann. reg. Frane. ad an. 773 sg . . Einhard, Vita Ka roli 3; 6 . LMA III 725. M ii h lbacher I 1 34 sgg.
Seppelt II 1 63 sgg. S ttirmer I 1 75 s g . Epperl e i n , Karl, 20 sgg. B ayac 1 04 sg. Fleckenste i n , Karl
( 1 990), 25 .
'" A nn. reg. Frane. ad an. 774. Cod. Caro/. 60. Kiih ner, Lexikon, 54. Ke l l y I l i . HEG I 549 sg. Pers i n o
i l HKG I I I I 1 67 sostie n e : "Carlo g i u n se a Roma non soltanto come u n postu lante". Seppe l t I I 1 63
sgg. M ii h l bacher I 1 3 8 . Carte l l ieri I 1 8 6 . H e i ler, Der Ka tholizismus, 2 9 7 . I d . , A ltkirehliehe
Autonomie, 236. Daniel-Rops 495 , 50 1 . Caspar, Das Papsttum unter friinkiseher Herrsehaft, 1 5 8 .
Haller I 3 2 7 sgg . ; I I 3 3 . Ullmann, Die Maehtstellung, 1 40 sgg. Epperlein, Karl, 6 5 . B u l lough, Ka rl,
4 9 . S e p p e l t/ S c h w a i g e r 9 o . B e u m a n n , Das Pade rborn e r Epos, 3 7 6 s g g . Fri t z e , Papst und
Frankenkonig, 49 sgg. B ayac 1 06 sgg. Riché, Die Karolinger, 1 26 s g . A ngenendt, Friihm ittelalter,
292 sg.
19 Miihlbacher I 1 40 . Schu bert, Gesehiehte der eh ristliehen Kirehe, 348 sg. Haller I 3 2 8 s g . B ayac
389.
20 Einhard, Vita Karoli 6 . Ann. reg. Frane. ad an. 774; 776. Cod. Caro/. 50; 59. Lib. Pon t. , Vita Hadr.
c. 5 sgg . , 29 sgg. LMA I 829 s g . ; 930 s g . ; I I I 1 90 sgg . , 7 24 sg. M ii h lbacher I 1 3 3 sgg . , 1 42 sg.
Hartmann, ibid. , I I 26 1 sgg. Carte l l ieri I 1 8 3 sgg. Hauck II 8 1 . Briihl, Fodrum, 392 sgg. Fisc her,
Kon igtum, 1 7 1 . Schmidt, Zu r Ab/Osung, 3 s g . , 1 2 , 1 9 sgg. Foakes-Jackson 70 1 sg. Epperl e i n , Kar/,
1 9 sgg. Haller I 1 26 sgg. Steinbach, Das Frankenreieh, 60. Schramm, Kaiser, Konige, I, 3 5 . Bul lough,
Karl, 49. B raunfe l s , Kar/ der Grofte in Selbstzeugnissen, 3 9 . Id., Karl ( 1 99 1 ), 3 9 . B ayac l O l sgg . ,
1 86 s g . Prinz, Grundlagen und A nfiinge, 9 4 . Hlawi tschka, Franken , A lemannen, 3 3 sgg . , 39 sgg . ,
7 4 , 96 sg. Fleckenstein, Karl ( 1 990 ) , 26 s g g . Deér, Zum Patrizius-Romanorum- Tite l , 27 1 s g .
21 Tutte le indicazioni delle fonti i n H l aw i tschka, ibid. , 32, 38, 44. Cfr. anche Epperl e i n , ibid. , 24.
22 Tu tte le indicazioni delle fonti in H l aw i tschka, ibid. , 30 s g . , 66. Cfr. anche Epperlein, ibid. , 24.
Schmidt, Zu r Ab/Osung, 30 sgg . Fisc her, Kiinigtum, 7 s g . , 1 7 3 sgg. Fleckenste i n , Karl ( 1 990), 28
sg.
2' Fisc her, ibid. , 1 76 sgg.
24 MG Capit. l n° 8 8 . Schmidt, ibid. , 22 sg. Fischer, ibid . , 79.
25 Miihlbacher I 1 49 s g . Sepelt I I 1 70 sg. B raunfe l s , ibid. ( 1 99 1 ) , 80
26 Ann. reg. Frane. 7 8 1 . Cod. Ca ro/. 64. Miihl bacher I 1 45 sg . , 1 50 sg. Seppelt I I 1 7 1 sg. Caspar, Das
Papsttum unte r friinkiseher Herrschaft, 45 sgg. Pri nz, Grundlagen und A nfiinge, 94. Flecken stein,
Karl ( 1 990), 29 sg. B raunfels, Karl ( 1 99 1 ), 39, 42, 80 sg.
27 Cod. Caro/. 86; 94. Ann. Lau riss. ad ann. 786 sg. Ann. Maxim. ad an. 787. Hauck I I 84 sgg . , 89
sgg. Hartman n , Geschichte /taliens, I I , 278 sgg . , 285 sgg . , 301 sgg. M ii h l bacher l 1 50. Dresdner
1 3 2 . S c h u bert, ibid. , l , 348 sg. Seppelt I I 1 68 sg., 1 74 . Seppelt/Schwaiger 91 sgg. Riché, Die
Ka rolinger, 1 28 . Haendler, Die latein ische Kirche, 7 1 , sottol inea a pag. 73 "che papa Adriano . . . è
stato sempre alle d i pendenze di Carl o " .
2" Cod. Ca ro/. 90.
29 A nn. reg. Frane. ad an. 786 sg. Ein hard, Vita Ka roli, l O . M ii h l bacher I 1 5 1 sgg. Seppelt I I 1 7 2 sg.
B ayac 1 87 sgg. Fleckenste in , ibid. ( 1 990), 3 1 . A buon diritto H . Enzensberger, Umeritalien , 7 8 8 ,
scrive: " I l vero n e m i c o di A rec hi f u i l papa Adriano l " .
'" Ein hard, Vita Caro/i I O. Cod. Ca ro[. 79 s g g . A n n . Guelfe rh. ad ann. 1 9 0 sg. A n n . Lauresham a d an.
793 . M ii h l bacher I 1 5 3 s g g . Hartmann, ibid. , I I , 3 0 6 sgg . , 3 1 5 sg. S eppe lt I I 1 7 3 . Caspar, Das
Papsttum unter friinkischer Herrsehaft, 69 sgg. Bayac 1 90 sgg. Deér, ibid. , 24 1 , note 8; 2 7 2 .
328 Note

" JE 2395 ( 2 2 . 4 . 7 7 2 ) . JE 2435 ( 1 . 1 2 . 7 8 1 ) . JE 2437 ( 1 . 1 1 . 7 8 2 ) . Just. Nov. 47 c . l . LMA IV 1 8 2 1 .


Deér, Die Vorreehte, 34 sgg . , 3 8 , 1 08 s g . I d . , Zum Patrizius-Romanoru m - Titel, 2 8 8 sgg . , 306 sg.
Ullmann, Die Maehtstellung, 1 44 .
3 2 M G Epp. IV 1 3 5 sg. n° 9 2 , 1 36 sgg . ; n ° 9 3 . L M A I 9 3 4 sg . ; V 1 87 7 . Gregorov i u s l 2 444 s g . , 2 5 3

s g g . M ii h l bacher I 2 6 3 s g . B ayac 244, 253 s g g . B raunfe l s , ibid. ( 1 99 1 ) 7 1 , 8 1 .


JJ Ann. reg. Frane. ad an. 797. MG Epp. 4 n ° 1 7 8 . Einhard, Vita Ka roli, 2 8 . Kiih ner, Lexikon, 54.
Ke l l y 1 1 3 . L M A V 1 8 7 7 . M ii h l bacher I 265 sgg . , 27 1 s g . Carte l l ieri I 2 1 5 . B e u m a n n , Das
Paderborner Epos, 31 O sgg . , 348. We i n 94. B raunfe l s , i bi d. ( 1 99 1 ) , 8 1 . Pri nz, Grundlagen und
A nfiinge, 94. B ayac 263 sg.
J4 A n n . reg. Frane. 799 sgg. Lib. Pon t. , Vita Leon. 111, I l sgg . , 21 sgg. MG Epp. V 63 s g . MG Poetae
1 ,3 66 sgg. Ann. Lauresham. ad an. 800. Ann. s. A mandi (MG SS I 1 4 ) . LThK VP 947 . Ke l l y 1 1 4 .
S i mson, Jahrbiieher, I l , 2 2 4 s g g . HEG I 580 s g . Hartm ann, ibid. , 3 3 7 s g g . Carte l l ieri I 2 1 5 sgg .
Miihl bacher I 27 1 sgg. Hauck II 9 5 . S tern/Bartmuss I l O . Gontard 1 70 sgg. Seppelt/Schwaiger 93
sgg . Ferrari 1 1 9 sgg . , 305 sgg. Zimmermann, Pap.rtabsetzungen , 27 sgg. Beumann, Die Ka iser­
.frage, 299 sgg. Haller II 2 1 8 sgg. Epperle i n , Ka rl, 67 sgg. Beumann, ibid. , 309 sgg. I d . , Nomen
lmperatoris, 1 77 sgg. Classen, Ka r/, 59. B ayac 263 sgg. Braunfe l s , ibid. ( 1 99 1 ) , 8 1 . Hartmann, Di e
Synoden, 1 22 sg. Haendler, Die /ateinisehe Kirehe, 74 sg. Herrmann, Kirehenfiirsten, 5 3 ,
H Vita Leon. III, 2 3 . Einhard, Vita KA roli 2 8 . A n n . reg. Frane. ad an. 80 l ; 804 s g g . A n n . Lauresham
ad an. 80 1 . Hartmann, ibid. , II 348 sgg. Kel ly 1 1 3 . Ploetz 7 1 sg. Korne mann II 498. Eichmann, Die
Kaiserkronung, I , 23 sgg. Haller I I 20 sgg. Gon tard 1 7 2 sg. Seppel t/Schwaiger 95 sg. Hay 338 s g .
Te llenbach, Europa, 43 1 sgg. Benz, "Cum ab oratione surgeret", 34 1 s g . , 347 sgg. S te i n bach, Das
Franken reieh , 65 sg. Classen, Romanum gubernans lmperium, 20 sg. Epperl e i n , ibid. , 69. Brack­
mann 41 sgg . M ii l ler- Mertens 56 sg. Schram m , ibid. , l , 255 sgg. Beumann, Nomen imperatoris,
1 8 2 sgg. Braunfe l s , ibid. ( 1 99 1 ) , 86 sg. Haend ler, Die /atein ische Kirche, 75 sg. A u b i n , Die Um ­
wand/ung, 1 42 s g . Fleckenste i n , Karolingerzeit, 709. Erdmann, Forsch ung zur politisehen Jdeen ­
we/t, 1 6 sgg . , soprattutto 26 sg. Dannenbauer, Grund/agen, 79 sgg . , 87 sgg. Prinz, Grund/agen und
Anfiinge, 99 sgg. Fines 5 3 sg. Ohnsorge, Ost-Rom und der Westen , 5 sgg . , non dubita "del malcontento
di Carlo s u l l ' i nsediamento dell ' i mperatore " ; cfr. inol tre I O sgg.
CAPITOLO XVI.

CARLO "MAGNO" E LE SUE GUERRE

"Fatti amici i Franchi, ma non fartel i vicini" (Proverbio greco). 1

"Di tutte le guerre condotte da Carlo, la prima fu la guerra d ' Aquitania . . .


Dopo che questa guerra finì . . . Carlo si lasciò indurre dalle preghiere
e dalle suppliche di Adriano, vescovo di Roma, a dichiarare guerra ai Longobard i . . .
Dopo venne combattuta la guerra contro i Sasson i . . . ininterrottamente per trentatre a n n i . . .
e attaccò la Spagna con l ' esercito p i ù grande di cui potesse disporre . . .
Carlo vinse anche i Bretoni . . . e mi nacciò d i assal ire i Beneventani ,
n e l caso c h e n o n volessero sottomettersi . . .
P o i scoppiò improvvisamente la guerra in Baviera . . . N o n appena queste ribellioni
furono domate, fu dichiarata guerra agli Slav i ... sicuramente la più grande mai condotta
da Carlo . . . e nelle battaglie fu conquistato tanto prezioso bottino
che si può dire a ragione, che i Franchi avevano giustamente tolto agli Unni
quel che costoro avevano ingiustamente rubato ad altri popoli . . .
Carlo i ntraprese la sua ultima campagna contro i Germani del Nord ;
vengono chiamati anche Danes i . . . originariamente corsari . . .
Queste sono state, dunque, le guerre che il potente re Carlo . . .
pianificò con grande sagacia e condusse con successo.
Ingrandì , quasi raddoppiò i l Regno dei Franchi, che aveva ereditato già grande e forte
dal padre Pipino . . . Carlo si dimostrò così . . . un grande sovrano
e fu continuamente occupato in piani di questo genere" (Einardo). 2

"Il suo obiettivo fu quello di conquistare il mondo a Dio e a Cristo


per quanto gli fu possibile con l ' impiego della stirpe germanica"
(Il gesuita Schoffel). 3 453
330 Carlo "il Grande " e le sue guerre

IL SANGUINOSO "MISSIONAMENTO" DEI SASSONI (772-804)

I Sassoni, il cui nome (forma contratta di Sahsnotas) significa "compagni d' arme, gente
d' arme" vengono menzionati per la prima volta nel II secolo dal matematico, astronomo
e geografo Claudio Tolomeo. Già i Romani temevano il loro coraggio, e Tacito esalta il
loro senso di giustizia: "Alieni dalla cupidigia e dagli eccessi, tranquilli e in disparte
non sono inclini alla guerra e non infliggono devastazioni con depredazioni e razzie".
Conducevano spedizioni armate per mare e per terra, le prime usando tronchi d' albero
scavati, che potevano contenere fino a 36 uomini.
Provenienti probabilmente dalla Scandinavia, si stabilivano preferibilmente lungo
le coste. Per un certo periodo si insediarono sul litorale del nord della Francia, chiamato
sinus saxonicus, nelle Fiandre e, dopo la migrazione dei Longobardi, nel territorio di
Ltineburg. Verso la metà del V secolo una parte di loro si trasferì in Inghilterra, ma i più
si trattennero sul continente, dove il loro regno si estendeva su tutto l ' attuale nord-ovest
della Germania, eccettuati i territori dei Frisoni. 4
Di tutte le regioni tedesche solo quelle sassoni restarono sempre soggette alla loro
influenza, e noi conosciamo i nomi di oltre un centinaio di distretti. Meno esposti di altri
all ' influenza dei Romani, conservarono più a lungo degli altri popoli insediati nel me­
ridione la propria identità nazionale. I Sassoni, ancora pagani, avevano "le leggi migliori",
455 come dice lo stesso Rodolfo, abate di Fulda. "Essi tendono all ' essenziale e vivono
conformemente alle leggi di natura, degni di rispetto per l ' onestà dei loro costumi". 5
Non erano costituiti da un' unica popolazione, bensì da una lega di tribù differenti,
(anche se la ricerca storiografica non è unanime su questo punto), alla cui formazione
contribuirono i Chauchi, gli Angrivari, i Cherusci, i Longobardi, i Turingi, i Semnoni e
più tardi gli Engerni, i Westfali orientali e occidentali e i Sassoni dell' Elba. Tuttavia
erano considerati dai Franchi componenti di una popolazione unica e chiamati indistin­
tamente "Sassoni". Dopo la loro conquista della Turingia, intrapresa insieme ai Franchi
nel 53 l (pag. 59 ss.), ne ottennero la parte orientale, che reca il loro nome ancora oggi.
Forse ebbero originariamente dei reguli, in ogni caso non crearono un regno o un
ducato unico. La loro società era suddivisa in quattro ceti : Edelinge (nobiles), Frilinge
(liberi), Laten (liti) e Sklaven (servi), di cui solo i liti erano vincolati alla terra. E furono
proprio i ceti inferiori a ribellarsi alla cristianizzazione e al dominio dei Franchi, mentre
la nobiltà tendeva a difendere i propri interessi, appoggiandosi ai nemici. 6
D' altra parte sappiamo bene che fu proprio la classe dei proprietari la prima a con­
vertirsi al cristianesimo. Mentre, per esempio, la nobiltà della Civitas Treverorum (il
vescovado di Treviri) si convertì già nel IV secolo, i sensali, i servi e i contadini conser­
varono più a lungo e con maggiore tenacia la fede tradizionale, e vennero "convertiti"
soltanto verso la metà del V secolo. Accadde la stessa cosa nel territorio di Trento, dove
i coloni vivevano ancora da pagani, mentre i proprietari terrieri erano ormai diventati
Depredare e cristianizzare 33 1

cristiani. Anche presso gli Slavi i principi precedettero in seguito le loro tribù nel sottoporsi
al battesimo. "E così fu dappertutto quando fu uno stato a guidare l ' opera missionaria";
niente di strano, dunque, che la missione franca si sia svolta "dal l ' alto in basso".
Un' attività "democratica dal basso presso i ceti popolari socialmente irrilevanti sarebbe 456
stata impossibile, perché sarebbe stata percepita come atto demagogico e rifiutata dalla
nobiltà" (Flaskamp). Non può essere un caso che, con un totale capovolgimento della
situazione dei primi secoli di cristianesimo, fosse dappertutto proprio la classe dominante
a ripromettersi i maggiori vantaggi dalla religione dell' amore. 7

DEPREDARE E CRISTIANIZZARE: "UN TRATTO DI POLITICA GOVERNATIVA DEI FRANCHI "

Se nel 53 1 i Franchi avevano combattutto insieme ai Sassoni per annientare il regno dei
Turingi (pag. 60), nel 555/556 Clotario I guidò due campagne militari contro di loro:
nella prima subì una notevole sconfitta, ma con la seconda li rese suoi tributari (pag.
65). Verso il 629, durante una razzia, Clotario II fece ammazzare tutti i Sassoni più alti
della sua spada. Quando nel 632/633 essi appoggiarono Dagoberto I contro un esercito
dei Wendi guidato da Samo, il sovrano rinunciò al tributo ormai secolare di 500 vacche,
benché i Sassoni non avessero fornito un contributo apprezzabile al la sua campagna. In
ogni caso ora i Sassoni furono di nuovo completamente indipendenti. Ma dopo che nel
7 1 5 invasero la regione della Ruhr, Carlo Martello intraprese contro di loro devastanti
campagne belliche, costringendoli al pagamento dei tributi e alla consegna di ostaggi.
Come coi Frisoni, anche coi Sassoni (considerati "arcipagani": paganissimi) gli
attacchi non ebbero alcun successo: tutti codesti attacchi da parte dello stato franco
"avevano un che di disperatamente inutile" (Schieffer). Come coi Frisoni, ben presto
anche il clero contribuì alla sconfitta dei Sassoni, operando fianco a fianco dei conqui­
statori: prima si procedeva a depredare il paese con le armi, poi il dominio comune
veniva consolidato dall' ideologia cristiana e dall' organizzazione ecclesiastica, con le
quali venivano politicamente amalgamati conquistatori e "convertiti", col conseguente
sfruttamento economico. 457
I sovrani e i nobili franchi non ebbero collaboratori più devoti dei preti , mai tanto
favoriti quanto dalla loro organizzazione feudale. La vittoria militare apriva immedia­
tamente la strada alla cristianizzazione; e dove non giungeva la spada dei Franchi, come
nel caso dei Danesi, i vi era da escludere qualsiasi opera missionaria. Come per i Frisoni,
anche per i Sassoni la lotta per la libertà era nello stesso tempo lotta contro il cristianesimo,
considerato addirittura simbolo di asservimento e di coercizione. Perciò Frisoni e Sassoni
odiavano particolarmente il clero, e tutte le loro sollevazioni finivano con la distruzione
delle chiese e la cacciata dei missionari ; e non erano rari i casi in cui uccidevano vescovi
e preti , perché la presenza di predicatori cristiani appariva immediatamente sospetta:
332 Carlo " il Grande " e le sue guerre

quasi sempre, infatti, erano al servizio di una minacciosa potenza nemica e fungevano
da avanguardia stabilizzatrice. Non si può immaginare contraddizione più stridente con
le missioni del cristianesimo antico, quando singoli predicatori si sforzavano di guada­
gnarsi faticosamente una comunità dopo l ' altra.
Ora invece si mirava alle "conversioni" di massa di intere tribù e popolazioni: come
poi accadrà sempre nel Medioevo, lo scopo finale era il successo totale. Nel corso dell ' VIII
secolo si tese sempre più a spianare la strada al cristianesimo a tutti i costi, anche col
battesimo coatto dei vinti : "Lo stretto legame fra guerra e Cristianesimo annuncia la
nuova forma di cooperazione tra Stato e Chiesa" (Steinbach), definita eufemisticamente
"protezione dei confini" o "contromisure" (Schlesinger). La sottomissione procedeva di
pari passo con la cristianizzazione, per incatenare tanto più saldamente i vinti al regno:
"Un tratto di politica governativa dei Franchi, che partiva dal convincimento che la
dottrina evangelica del dovere ali ' obbedienza fosse in grado di domare la fierezza del
ribelle più che il potere della spada" (Naegle). 8
Presso i Sassoni, tra i quali erani numerosissimi i contadini asserviti, furono proprio
458 i ceti subalterni a opporsi con particolare risolutezza all ' espansione dei Franchi e al
battesimo coatto. Essi subivano una sorta di servitù della gleba, mentre la nobiltà sassone,
il cui dominio era più minacciato da una lotta di classe sempre più aspra, fu assai più
incline alla nuova religione, sostanzialmente feudale, e agli accordi. In parte già
cristianizzata e imparentata coi Franchi (almeno in Turingia), la nobiltà sassone favorì
da subito l ' opera missionaria, per consolidare il suo dominio sulle classi inferiori . Fu
questo il suo comportamento durante tutta la guerra, e nel 782 e nel l ' 898 essa consegnò
addirittura ai Franchi i compatrioti ritenuti più infidi, facendo inoltre alla chiesa parecchie
donazioni. Al contrario gli strati più bassi della popolazione sassone (plebeium vulgus)
rifiutavano il cristianesimo ancora nella prima metà del secolo IX. 9
Il popolo si attenne ancora alle proprie tradizioni e ai sacrifici, odiando i preti cristiani.
Fu solo la spada di Carlo a ottenere lo scopo prefissato: sottomissioni e rivolte si succe­
dettero dopo le singole campagne militari di questa guerra più che trentennale, che devastò
il paese e decimò la popolazione, assumendo rapidamente il carattere di guerra di
religione, per diffondere ancora un po' la lieta novella e il regno di Dio, per "condurre i
Sassoni ali' Unico Vero Dio, per convincerli che c ' era qualcosa di più alto delle battaglie,
delle vittorie, della morte sul campo di battaglia e della beatitudine del Walhalla"
(Bertram). Einardo, intimo di Carlo, nella sua " Vita Caro/i Magni", la prima biografia
medioevale di un sovrano, scrive che fu la più lunga e la più sanguinosa di tutte le guerre
dei Franchi. E questa "predicazione con lingua d' acciaio", come si diceva nel IX secolo,
con la quale fu convertito il paese dei Sassoni , divenne il modello di tutta la prassi
missi onaria medioevale. È opportuno ricordare che di questa avventura bellica
possediamo notizie esclusivamente di fonte franca; e ben presto i cronisti religiosi
trasformarono tale missione condotta col ferro e col fuoco in un' opera di conversione
Esordio della cultu ra carolingia presso gli "A rcipagani " 333

10
assolutamente non violenta e pacifica. 459

EsORDIO DELLA CULTURA CAROLINGIA PRESSO GLI "ARCIPAGANI" OVVERO


"TRA I SASSONI CON I VESSILLI CRISTIANI"

L' esercito di Carlo, che nelle campagne più impegnative contava appena 3000 cavalieri
e dai 6000 ai l 0000 fanti, comprendeva normalmente non più di 5/6000 uomini, cosa
che consentiva di compiere la distanza di un giorno di marcia con le salmerie. Essi erano
"ben" guidati . Diversamente da quanto accadeva ancora ai tempi del nonno Carlo
Martello, il nucleo principale era costituito dalla cavalleria pesante, armata di maglia
ferrea, elmo, scudo, gambiere, lancia e ascia (per un controvalore complessivo di 1 8,20
buoi), il tutto gettato sul piatto della bilancia per Jesus Christus. Le numerose unità di
fanteria combattevano con clave e archi (Soltanto dopo che Carlo il Calvo nell' 866 ebbe
obbligato al servizio militare tutti i Franchi possessori di un cavallo, la fanteria non ebbe
più un ruolo importante). I guerrieri carolingi non ricevevano un soldo, ma parteci­
pavano alla spartizione del bottino. 1 1
La strage cristiana ("Missione con la spada"), con la quale Carlo proseguì la guerra
sassone del padre, iniziò nel 772, quando il "mite sovrano", come lo chiamano spesso
gli Annali del Regno, conquistò la fortezza confinaria sassone di Eresburg (oggi
Obermarsberg an der Diemel), importante punto di partenza delle sue operazioni militari
nella prima metà della guerra. Probabilmente nello stesso luogo abbatté la quercia sacra
Irminsul, sacrario nazionale dei Sassoni : un albero straordinariamemte alto in un sacro
bosco, che essi veneravano a cielo aperto come "la colonna che regge l ' universo". In
seguito Carlo affidò all ' abate Sturmi di Fulda il comando di Eresburg, più volte conqui­
stata, perduta, distrutta e ricostruita.
Infatti, anche vescovi e abati facevano il servizio militare per lui, ed erano obbligati,
come i conti e persino le badesse, al mantenimento di un deposito d ' armi . L' esercito
franco era accompagnato da schiere di preti, "affinché essi" - come racconta il biografo 460
di Sturmi - "col santo ammaestramento della fede piegassero al delicato e dolce giogo
di Cristo quel popolo avvinto dai lacci del Demònio fin dal principio del mondo ". Da
quell' anno Carlo portò con sè un sigillo della vittoria con l ' iscrizione: "Cristo protegga
Carlo, re dei Franchi".
Dopo aver completamente devastato i sacrari, incendiato il sacro bosco e distrutto la
colonna, i cristiani si allontanarono con i doni votivi e i ricchi tesori d' oro e d' argento;
gli Annali del Regno dicono semplicemente che "il buon re Carlo portò via con sé l ' oro
e l ' argento che vi trovò". Subito dopo sopra il sacrario saccheggiato e distrutto s ' i nnalzò
una chiesa "sotto il patrocinio di Pietro" (Karpf) : il guardiano del paradiso al posto della
divinità sassone Irmin (probabilmente da identificare col dio germanico Saxnoth/Tiwas):
334 Carlo " il Grande " e le sue guerre

davvero un grande progresso ! 1 2


Durante i due anni successivi il "mite Carlo" combatté soprattutto in Italia, dove,
tramite l ' ambasciatore Pietro (si chiamava proprio così), papa Adriano lo aveva chiamato
in soccorso "contro il re Desiderio in nome dell' amore di Dio e dei diritti di S. Pietro e
della Chiesa" (Annales regni Francorum). Ma già nel 774, appena tornato dalle razzie
longobarde, il buon re Carlo mosse di nuovo contro i malvagi Sassoni con quattro colonne
armate, tre delle quali riuscirono "vittoriose con l ' aiuto di Dio", come narra l ' annalista,
l ' altra tornò nella fida patria senza nemmeno combattere, "senza aver subito perdite, ma
con ricco bottino".
E quindi Carlo recò per così dire personalmente "i vessilli cristiani tra i Sassoni"
(Groszmann), così che "la guerra assunse ai suoi occhi la forma sempre più evidente di
una guerra per la fede", come riconobbe nel 1 899 il canonico Adolf Bertram. 1 3
Lo stesso Carlo, preoccupato del corso ulteriore della guerra, per mezzo di un corriere
interpellò un esperto, per sapere se fosse un segno premonitore il fatto che Marte avesse
accelerato la sua orbita e avesse già raggiunto la costellazione del Cancro. Conquistò
461 Sigiburg sulla Ruhr e si spinse oltre il Weser verso la Ostfalia (''molti Sassoni vi furono
uccisi"), non volendo "interrompere la campagna fino a che non avesse sconfitto i Sassoni,
piegando li al Cristianesimo, oppure non li avesse completamente sterminati": era questo
il programma di una guerra trentennale "sempre più fondata anche su motivazioni reli­
giose" (Haendler) ; anzi, almeno nelle sue intenzioni, si trattava di qualcosa di assoluta­
mente nuovo nella storia della chiesa, cioé "di una diretta guerra di missione, non preordi­
nata a una successiva opera di conversione, ma essa stessa strumento di missionamento"
(H.-D. Kahl).
Proprio in quel decennio una preghiera contenuta in un Sacramentario (= Messale)
definisce i Franchi addirittura il popolo eletto. D' altra parte le guerre sassoni di Carlo
furono allora considerate campagne contro i pagani e quindi ovviamente giustificate:
"Lèvati, uomo eletto da Dio, e difendi la sposa di Dio, Tuo Signore" - lo esortò Alcuino,
uno dei suoi consiglieri più intimi . E più tardi il monaco Widukind di Corvey scrisse: "E
quando vide che il nobile popolo vicino dei Sassoni era prigioniero di una vacua super­
stizione, si sforzò in tutte le guise di condurlo sulla verace via della salvazione".
In tutte le guise. Nel 775 l' annalista ne fornisce una spiegazione lapidaria: "Dopo
aver preso gli ostaggi, essersi impadronito di un ricco bottino e aver per tre volte perpetrato
un bagno di sangue fra i Sassoni, il suddetto re Carlo ritornò in Francia con l ' aiuto di
Dio (auxiliante Deo)".
Bottino, bagni di sangue, aiuto di Dio: sono espressioni che si ripetono di continuo.
L' amore di Dio sta sempre dalla parte del più forte. Per il 776 leggiamo: "Ma la forza di
Dio ebbe ragione di loro . . . e della massa [dei Sassoni ] , che terrorizzati si diedero alla
fuga e si ammazzarono l ' un l ' altro . . . , colpendosi a vicenda: così furono colti dalla
punizione divina. Nessuno può dire quanto sia stata efficace la potenza di Dio nella
Missionamento oltre " le linee militari d 'attacco . . . " 335

salvezza dei Cristiani". E per il 778: "Ebbe inizio una battaglia, poi condotta felicemente
a termine con l ' aiuto di Dio: i Franchi riuscirono vincitori e venne abbattuta una molti­
tudine di Sassoni..."; per il 779: " . . . con l ' aiuto di Dio . . . ", etc. Dopo gli abituali massacri
estivi, durante l ' inverno "il suddetto benevolo sovrano" festeggiava "il Natale . . . " in una 462
città o nell ' altra.
La lotta contro i pagani giustificava ogni cosa. Schiere di preti accompagnavano i
carnefici, e non mancavano i miracoli. Ogni spedizione si concludeva immancabilmente
con un ricco bottino. Sulla Lippe si procedette a un battesimo di massa, soprattutto di
nobili: "I Sassoni giunsero innumerevol i (innumerabilis multitudo) con le mogli e i
figli, si fecero battezzare e consegnarono il numero di ostaggi preteso dal suddetto
sovrano".
Nella magnifica sessione parlamentare di Paderborn del 777 affluirono da ogni parte
e rinnegarono solennemente "Donar, Wotan, Saxnot e tutti i demòni loro sodali"; poi
promisero fede e fedeltà "a Dio Padre onnipotente, a Cristo figlio di Dio e allo Spirito
Santo". Già, era questo il principio irrinunciabile: prima la battaglia con le armi, poi la
battaglia missionaria; ed era tipico dei metodi missionari praticati dal re franco prima il
battesimo, poi l ' istruzione religiosa, con una sequenza ancor oggi caratteristica della
chiesa (che nei primissimi tempi predicava il contrario, il battesimo degli adulti solo
dopo l' ammaestramento religioso).

MISSIONAMENTO OLTRE "LE LINEE MILITARI D'ATTACCO •••"

La sottomissione costò ai Sassoni non solo "la libertà e la proprietà", ma alla presenza di
numerosi vescovi tutto il territorio occupato, a seconda della posizione geografica, venne
suddiviso in dipartimenti missionari tra i vescovadi di Colonia, Magonza, Wtirzburg,
Liegi, Utrecht, nonché fra i monasteri di Fulda e Amorbach, e incorporato definitivamente
nel regno franco. Sempre sotto Carlo sorsero i vescovadi di Mtinster, Osnabrtick e Brema,
quest' ultimo "centro strategico" di propaganda cristiana fra i Sassoni. A partire dal 777
tale suddivisione dei vescovadi di missione coincise "con le linee militari d' attacco dei
Franchi del basso Reno e del Meno" (Lowe). 463
Carlo chiamò nei territori conquistati preti da ogni contrada, Frisoni e Anglosassoni,
e missionari da Magonza, Reims, Chalons-sur-Marne; i propagandisti clericali si precipi­
tarono da ogni parte, dalle città vescovili e dai monasteri, che già nell ' antichità erano
"rocche fortificate" (Schultze) e che nel primo Medioevo svolgevano spesso funzioni
che in seguito, quando la politica medioevale diverrà parte importante della politica
cittadina, saranno di competenza delle città vere e proprie. I messaggeri della lieta no­
vella accorsero nel confinante paese dei pagani da Colonia, Liegi, Utrecht, Wtirzburg,
Echternach, Corbie, Viesbeck, Amorbach, Fulda, Hersfeld. Alla spada seguì ovunque
336 Carlo "il Grande " e le sue gue rre

"l' opera missionaria, con un legame indissolubile" (Petri) ; l ' evento salvifico si intrecciò
"ora inseparabilmente con la conquista violenta di terre straniere, comune impresa di
Chiesa e Stato feudale" (Donnert). Le guerre espansionistiche e la politica missionaria,
la spada e la croce, i soldati e i preti sono ora realmente inscindibili, in un' opera, per
così dire, di mutuo sostegno. La predicazione preservava la preda della battaglia. "La
missione aveva avuto inizi promettenti" (Beumann). 1 4
La spina dorsale militare delle guerre di Carlo, "autentici bagni di sangue" (Grierson),
furono le fortificazioni sui confini (secondo il modello romano), costruite sui monti e
lungo i fiumi, spesso pressoché inespugnabili. Non è un caso che i primi e più saldi
vescovadi siano stati innalzati presso le due porte della fortezza sul Weser: Paderbom,
dove Carlo era solito sostare con le truppe di ritorno dalla Sassonia orientale e dove non
costruì un palazzo reale, ma (nel 777) una "chiesa di meravigliosa altezza" (Anna/es
Laureshamenses), la chiesa del Salvatore; Osnabrtick e Minden, i due monasteri più
antichi d' epoca franca in Sassonia, Corvey e Herford. "Sotto il regno di Carlo Magno i
nuovi monasteri sorsero quasi esclusivamente come capisaldi nelle regioni pagane appena
conquistate" (Fichtenau).
Infatti, i vescovadi di Wiirzburg, Erfurt e Biiraburg (presso Fritzlar) erano stati edificati
proprio dove pochi anni dopo Carlomanno e Pipino condussero le prime campagne contro
464 i Sassoni (743 , 744, 748). Accanto ai centri missionari, in Sassonia svolsero un ruolo
particolare il monastero di Fulda e Magonza, che presto (nel 78 1 ) divenne sede arcive­
scovile, cui furono sottoposti i vescovadi sassoni di Paderbom, Halberstadt, Hildesheim
e Verden, sì che la provincia ecclesiastica di Magonza fu la più estesa di tutta la cristianità
fino al suo scioglimento nel 1 806; invece le nuove fondazioni in Westfalia di Miinster,
Osnabriick e Minden passarono sotto la giurisdizione del vescovado di Colonia.
È ovvio che vennero confiscati a favore della chiesa latifondi sempre più vasti, protetti
da fortezze. Carlo fece ricche donazioni ai monasteri più importanti e li sostenne nelle
contese coi loro servi; ed era perciò naturale che i Sassoni non solo scorgessero in ogni
missionario franco una spia o un fautore della dominazione straniera, ma considerassero
"tutti gli insediamenti cristiani capisaldi degli eserciti invasori dei Franchi" (Hauck).
Ogni guerra contro i cristiani era per i Sassoni una sorta di guerra di religione e la lotta
in difesa del paganesimo e della libertà era la stessa cosa. Proprio questo rendeva più
salda la resistenza dei Sassoni, che perciò ogni volta distruggevano le chiesa e cacciavano
o uccidevano i preti . 1 5
Come già nei primi anni del conflitto sassone Carlo aveva ripetutamente condotto
spedizioni militari contro i Longobardi, così ora, nel 788, fece una celebre "scorreria"
contro i Mori nella Spagna settentrionale, un' escursione armata che però andò diversa­
mente dal previsto.
La batosta spagnola, ovvero " Ora cominciano le Crociate " 337

LA BATOSTA SPAGNOLA, OVVERO "ORA COMINCIANO LE CROCIATE"

In Spagna si contendevano la supremazia diversi gruppi arabi. L' uomo forte era l ' ultimo
degli Omaiadi, Abd ar-Rahman ben Muaj ia, il quale, quando a Damasco nel 750 ebbero
il sopravvento gli Abbasidi (discendenti dello zio del Profeta Mohammed, che aveva 465
sistematicamente massacrato gli Omaiadi), fuggì in Spagna e nel 756 pervenne al potere,
diventando Emiro di Cordoba. Intanto però combatteva contro di lui l ' opposizione
filoabbaside e uno degli avversari più temibili era Suleiman Ibn al-Arabi, governatore
di Barcellona e di Gerona. Ormai da lungo tempo in lotta e incalzato dal suo nemico,
Suleiman, insieme ad altri illustri oppositori, aveva invocato l ' aiuto del sovrano franco
durante la seduta parlamentare di Paderborn nel 777. Pronto e disposto all ' intervento,
Carlo non indugiò e intraprese una vera e propria guerra di conquista con l ' intento di
allargare i confini del regno fino all ' Ebro.
Ovviamente fu mosso da motivazioni esclusivamente politiche: egli comandava un
esercito indubbiamente assai addestrato, ma che tuttavia poteva conservare un' elevata
capacità operativa solo se continuamente impegnato in battaglia; inoltre le campagne
militari fornivano ricchi bottini, e nulla appariva più necessario. "I grandi del regno
dovevano ricevere di tanto in tanto la loro pastura per mantenere il buonumore, e i nuovi
v assalii potevano essere comprati solo con manifestazioni di grande liberalità" (de Bayac ) .
Il regno carolingio fu fin dal principio uno stato predatore, e tale rimase, anzi l o divenne
sempre di più. Proprio sotto Carlo "Magno" si mantenne esclusivamente con la rapina,
e con l ' aiuto di Dio.
Oltre i Pirenei, nelle regioni montagnose del nord-ovest, nelle Asturie e in Galizia, si
trovava una sottile striscia territoriale abitata da cristiani, ai quali però "gli Infedeli"
garantivano la libertà religiosa e un trattamento benevolo. In generale "gli Arabi di Spagna
dimostrarono sempre una tolleranza ben maggiore di quella in seguito usata dai Cristiani
nei loro confronti". Furono i successivi cronisti cristiani a rappresentare i compagni di
fede soffocati "in Spagna dal giogo saraceno" e Carlo "correre in soccorso di una Chiesa
sofferente". In realtà il buon sovrano non prestò mai alcuna forma d' aiuto al regno
cristiano fondato dai Visigoti nelle Asturie; al contrario, attaccò prima una città cristiana 466
e poi alla fine, già sulla via del ritorno, i Baschi cristianizzati gli impartirono una lezione
sanguinosa. 1 6
Con u n esercito poderoso, d i gran lunga il più grande che mai avesse raccolto sotto
i propri vessilli - come raccontano i cronisti - al principio del l ' inverno del 777 si mise
in marcia e valicò i Pirenei "con l ' aiuto di Dio", come scrisse nell' 840 il biografo di
Ludovico il Pio. "Infatti il sovrano . . . non voleva essere né inferiore a Pompeo né più
lento di Annibale, i quali un tempo superarono le asperità di questa regione con gran
fatica e numerose perdite". Secondo Einardo, Carlo conquistò tutte le città e i castelli
assediati, ma non riuscì a penetrare oltre Saragozza, il cui wali, al-Husain gli aveva
338 Carlo " il Grande " e le sue guerre

sbarrato le porte. Dopo pochi giorni, a quanto pare, fece marcia indietro e resta fino a
oggi misteriosa la ragione dell'improvvisa interruzione "della spedizione sicuramente
più impegnativa della sua vita" (Braunfels).
Sulla via del ritorno distrusse la città basca di Pamplona. E quando nell' agosto del
778 il suo ferreo esercito, scompigliato in una fila interminabile, si mosse attraverso gli
stretti sentieri delle fitte boscaglie pirenaiche, i Baschi, guidati dai figli di Suleiman
liberarono il padre e forse a Roncisvalle, in seguito indicato dalla leggenda come luogo
della battaglia, (probabilmente il 1 5 agosto), lungo una stretta gola si precipitarono giù
nella valle sui soldati della retroguardia colti alla sprovvista e in preda al panico e "nel
successivo combattimento li sterminarono fino all ' ultimo uomo" (Einardo).
Caddero molti dei Franchi più illustri : il maniscalco di corte Ekkehard, la cui tomba
reca solo il giorno della morte ( 15 agosto), il comes palatinus Anselmo, comandante
della guardia di palazzo e il conte Hruotland (Orlando), luogotenente di Bretagna,
immortalato nel XII secolo dal poema epico francese "Chanson de Roland'' e dal tedesco
"Ruolantes liet'', il "Rolandsl ied" del prete Konrad di Regensburg: il monumento del
protagonista si trova ancor oggi davanti allo splendido municipio di Brema. Il solito
467 Einardo lamenta: "È restato fino ad oggi invendicato l ' infausto evento, poiché dopo
l ' azione il nemico si sparpagliò in modo tale che nessuno fu in grado di sapere dove
cercarlo". E gli "Annali del Regno" affermano: "Come un nuvola questa sconfitta oscurò
nel cuore del re gran parte dei successi di Spagna". Ma Ranke osserva: "Si può dire che
qui hanno inizio le Crociate". 1 7
L' intermezzo spagnolo di Carlo fu un falli mento; andarono presto perdute anche le
conquiste realizzate e tutti quelli che avevano collaborato col nemico, cristiani o saraceni,
furono lasciati in balìa degli Omaiadi. Allora Carlo cercò tanto più ostinatamente di
rivalersi sui Sassoni.

IL MASSACRATORE DEI SASSONI, "UN PAIO D I ZERI DI TROPPO" E


"LA SEMPLICE SERENITÀ DI UN 'ANIMA GRANDE "•••

Mentre Carlo compiva le sue conquiste nella Spagna settentrionale e poi veniva sconfitto
- l ' unica disfatta subita da un esercito franco sotto il suo comando - il nobile di origine
westfalica Widukind, (menzionato per la prima volta nel 777 in occasione della sua
mancata partecipazione alla sessione parlamentare di Paderborn), rientrò dall' esilio danese
e dilagò coi suoi Sassoni a sud fino a Fulda e a ovest fino a Coblenza, distruggendo
chiese e fortezze e lasciando alle sue spalle villaggi fumanti e rovine. Ma fu più una
scorreria che un' azione vendicativa di rivalsa.
Nel 779 Carlo si spinse fino al Weser e nel 7 80 fino all ' Elba, procedendo ancora una
volta al battesimo non soltanto dei Sassoni orientali, ma anche dei Wendi d' altr' Elba e
Il massacratore dei Sassoni, " Un paio di zeri di troppo " 339

di "popoli del Nord", e pretendendo altri ostaggi e i l giuramento di fedeltà. Nell' assemblea
tenuta presso le sorgenti della Lippe il sovrano si propose di "favorire energicamente" la
diffusione del cristianesimo in Sassonia "e di accelerare così lo sviluppo dei rapporti
feudali" (Epperlein). I preti cristiani diffusero la nuova "cultura" nei borghi occupati, "bran­
dendo croci e cantando inni di devozione, scortati da soldati pesantemente armati e 468
corazzati, che con le loro facce minacciose sollecitavano la cristianizzazione" (de Bayac ).
I territori depredati furono di nuovo distribuiti a vescovi e abati, vennero organizzati
distretti missionari, edificate chiese e creati anche piccoli monasteri come a Hersfeld,
Amorbach e Neustadt sul Meno, poi impiegati da Carlo nella conversione dei pagani.
Fu più che mai attiva soprattutto Fulda, il cui abate Sturmi ebbe fino alle soglie della
morte il comando militare ed ecclesiastico sulla sassone Eresburg. Nel nord-ovest operò
il vescovo Alberico di Utrecht, che annientò i residui di paganesimo nella Frisia occi­
dentale: forti del mandato di Carlo e protetti dai militari, i monaci di Alberico distrussero
i simulacri degli dèi e i sacrari pagani, depredando tutto quel che ritenevano di un qualche
pregio; e il sovrano lasciò al vescovo e alle chiese una parte dei tesori dei templi. Il santo
anglosassone Willehad, che già in precedenza aveva cercato senza molto successo di
indottrinare i Frisoni, nel 780 riuscì a organizzare in provincia ecclesiastica la regione
settentrionale della Sassonia; mentre nella Frisia centrale, sempre per incarico di Carlo,
operò allo stesso fine s. Liudgero.
Ma quando i Frisoni orientali e numerosi altri gruppi della Frisia centrale si ribellarono
insieme ai Sassoni, distruggendo le chiese e riprendendo le loro antiche pratiche religio-
se, i predicatori cristiani abbandonarono precipitosamente il paese. L' inglese Willehad,
poco tempo dopo ordinato vescovo missionario di Sassonia e primate di Brema, fuggì
prima a Roma e poi a Echtemach "per due anni di studio e di preghiera" ( "Lexikon fiir
Theologie und Kirche "). San Liudgero, poi vescovo di Miinster, si rifugiò a Roma e
Montecassino: senza la protezione delle armi franche questi apostoli della lieta novella
non erano in grado di imporsi; ma appena gli occupanti riuscivano a controllare nuova­
mente il paese, con i soldati rientravano anche questi signori dello spirito a riorganizzare
il fronte della propaganda: Willehad rioccupò il proprio seggio a Brema e s. Liudgero,
per ordine di Carlo, prese possesso dei territori a oriente del Lauwer, dove abbatté i
santuari pagani ifana ), spingendosi fino alle isole e devastando con l ' appoggio dei soldati 469
franchi le are sacrificali della divinità frisone Fosete, sullo Helgoland.
È probabile che non pochi religiosi si recassero malvolentieri tra i Sassoni così indocili.
Quando nel 782, guidati da Widukind, si sollevarono di nuovo coi Wendi, la loro collera
si riversò specialmente contro il clero e i simboli del cristianesimo: le chiese furono date
alle fiamme e i preti costretti alla fuga. Un esercito franco venne sbaragliato sul Stinte!;
gli Annali narrano che "furono trucidati quasi fino ali ' ultimo uomo", e proseguono: "La
sconfitta fu ancor più grave di quanto apparisse dal numero dei caduti". Vennero uccisi
anche una ventina di cosiddetti illustres et principes, ma ancor prima che sopraggiungesse
340 Carlo "il Grande " e le sue guerre

Carlo la nobiltà sassone e le truppe franche domarono la rivolta: i "nobili" sassoni conse­
gnarono i ribelli e Carlo proseguì la sua guerra espansionistica e missionaria fino al
massacro di Verden sull ' Aller, per poi celebrare, come d' abitudine, il Natale e la Pasqua,
la Nascita e la Resurrezione di nostro Signore. 1 8
Ancora nel X X secolo cattolici e d evangelici "esperti" hanno tentato d i negare tout
court quest' orribile strage, col contributo fattivo di predicazioni episcopali e di "teologi
specialisti", soprattutto durante il Nazismo.
Nel 1 935 il vicario vescovile di Osnabriick parlò della"leggenda dell' orgia di sangue
di Verden", come fece anche lo storiografo della chiesa Karl Bauer dell' Università di
Miinster, che definì il termine dei manoscritti "decollare" un lapsus calami in luogo di
"delocare" o "desolare", per cui 4500 Sassoni sarebbero stati semplicemente "trasferiti".
Ma questa parola o altre definizioni analoghe non vengono mai usate in altre fonti e,
inoltre, altri quattro annalisti narrano di una "uccisione" (decollare oppure decollatio)
dei Sassoni: gli Annali del Regno, gli Anna/es Amandi, gli Anna/es Fuldenses della
470 prima metà del IX secolo, nonché gli Anna/es Sithienses, i quali per motivi misteriosissimi
e in regioni differenti avrebbero tutti commesso lo stesso "lapsus calami". 1 9
Un altro studioso suppone che s i trattò d i u n "lapsus" d i natura diversa, dal momento
che l ' autore delle fonti, per una lettura errata dell' originale, ne abbia "tratto un paio di
zeri di troppo" (H. Ulmann). Ma Donald Bullough obbietta giustamente che "non
attribuire al sovrano un atto simile significherebbe considerarlo molto più virtuoso di
tutti gli altri re medioevali, per i quali era consuetudine abbattere i nemici vinti sul
campo di battaglia, a meno che non si ripromettesse maggiori vantaggi rendendoli schiavi
o rilasciandoli dietro riscatto. E si dimentica troppo facilmente che la maggior parte
degli ostaggi annualmente consegnati al re venivano regolarmente ammazzati, mentre
si ribellavano di nuovo coloro della cui fedeltà si erano fatti garanti". 2 0
In realtà, in una tarda serata autunnale del 782, 4500 Sassoni ammassati come bestie
da macello e circondati dalla stessa "nobiltà", che li aveva traditi, e dagli eroi del "Grande
Carlo", il "faro d' Europa" (come lo definisce un manoscritto di San Gallo del IX/X
secolo), furono abbattuti e gettati nella Aller, che li trascinò nel Weser e poi in mare :
"4500, così accadde" (quod ita factum est - dice laconicamente l ' annalista del regno,
per poi continuare serenamente: 'Ed egli celebrò il Natale .. . ' ). In quel luogo il futuro
"Santo" fece erigere una chiesa (non una cappella espiatoria, ma un trofeo di vittoria),
dove oggi s ' innalza il duomo di Verden. Costruito letteralmente sopra un torrente di
sangue, come da lungo tempo tutti i templi cristiani, in senso metaforico.
Immaginiamo 4500 uomini decapitati - e poi la santificazione dell' omicida. Anche
Frantisek Graus, spesso un "raggio di luce" all ' interno della sua oscura consorteria, non
concede al massacro "nessuna attenuante, nemmeno "storica" a distanza di tanti secoli,
e i l genocidio è un fenomeno che non può mai essere sufficientemente bollato
47 1 d' infamia . . . "
.
" Ovunque fu allora pace . . . " 34 1

Il presunto privilegio carolingio del 786 per la fondazione del vescovado di Verden
è un falso apparecchiato nella cancelleria del vescovo Ermanno fra il 1 1 55 e il 1 1 57.
Appare poi in stretta relazione con la santificazione di Carlo anche il gran numero dei
documenti falsificati in suo nome, coi quali le chiese riuscirono ad estorcere numerose
franchigie. Ma a prescindere dalla loro autenticità, Ranke scrive: "È vero, ha assassinato
4500 Sassoni", e subito dopo aggiunge: "Ma in seguito sgorgò in lui la semplice serenità
di un ' anima grande". 2 1

"OVUNQUE FU ALLORA PACE •••"

L'atroce delitto del re cristiano, celebrato per tutto il Medioevo quale "Apostolo del
popolo sassone", in un primo tempo fallì completamente anche il proprio obiettivo po­
litico. Infatti, la resistenza degli "Arcipagani" al cristianesimo e alla dominazione franca
non fu indebolita, ma addirittura accentuata: la rivolta esplose di nuovo in tutto il paese
ancora una volta sotto la guida di Widukind, che coinvolse anche i Frisoni; e fu ancora
sacrificato agli dèi tutto quel che c ' era fra il Lauwers e il Fii: qualsiasi traccia che
ricordasse Franchi o cristiani venne seguita, bandita, sradicata.
Carlo accorse in Sassonia, lasciandosi alle spalle la fossa ancor fresca della giovane
seconda moglie, la beata Hildegard, morta a Diedenhofen il 30 aprile 783, la cui perdita
forse lo turbò, diversamente dallo sterminio dei 4500 Sassoni (Ma lo stesso anno si
risposò ed ebbe un altro figlio). In Sassonia riprese i bagni di sangue "con l' aiuto di
Dio" : "Con l ' aiuto di Dio i Franchi riuscirono vincitori : cadde un gran numero di Sassoni
e pochissimi si salvarono. Quindi il suddetto glorioso sovrano avanzò verso Paderborn,
dove raccolse un esercito, continuando la spedizione fino alla Haase, dove i Sassoni si 472
erano nuovamente raccolti insieme. Vi fu un' altra battaglia e caddero non pochi Sassoni
e i Franchi rimasero vittoriosi sul campo, con l ' aiuto di Dio".
Gli Annali del Regno sopra citati (per l ' anno 783) si riferiscono alle due uniche
grandi battaglia di tutta la guerra presso l ' odierna Detmond e sulle rive della Haase, nel
cuore del territorio fortificato presso il Weser. I cronisti narrano della disfatta dei Sassoni
presso Detmond, precisando che "della enorme schiera [dei nemici] pochi si salvarono
e caddero a migliaia"; secondo un altro cronista anche sulle rive della Haase il campo di
battaglia fu ricoperto "da un numero infinito di Sassoni, di nuovo molte migliaia, più del
combattimento precedente". Carlo aveva vinto ancora "con l ' aiuto di Dio", ritornò in
Francia e "celebrò il Natale . . . ". Molte altre migliaia di uomini vennero trascinati via
come schiavi.
Anche l ' anno seguente (784) il sovrano devastò la Sassonia, soprattutto la Ostfalia,
mentre il figlio, sulle orme del padre, saccheggiava la Westfalia, anch ' egli, ovviamente
"con l ' aiuto di Dio": "Con l' aiuto di Dio Carlo, figlio del grande re Carlo, rimase vincitore
342 Carlo " il Grande " e le sue guerre

coi suoi Franchi, dopo aver ucciso molti Sassoni. Assecondato dalla volontà di Dio
tornò indenne da suo padre nella città di Worms".
Carlo trascorse l ' inverno successivo del 7841785 presso Eresburg insieme con la
giovane sposa Fastrada e i figli. Solo allora cominciò lentamente a sgretolarsi la resistenza
dei Sassoni; e mentre celebrava la festività pasquale, le sue soldatesche proseguirono le
scorrerie ed egli stesso intraprese "una campagna militare", saccheggiando, depredando,
ripulendo le vie di comunicazione, incendiando intere foreste, distruggendo i campi
seminati , prosciugando i pozzi, ammazzando i contadini e occupando fortificazioni
e vil laggi trincerati "perché l' ordine era la condizione irrinunciabile della sua opera"
(Daniei-Rops). 22
Nel 785 la capacità di lotta del popolo sassone così pesantemente sconfitto sembrò
pressoché spenta: parve piegarsi definitivamente "al giogo mite e dolce di Cristo", come
da tempo aveva sostenuto il biografo dell' abate Sturmi, di quel fanatico missionario in
473 terra di Sassonia, che predicò la lotta contro i pagani con la distruzione dei loro templi,
l ' abbattimento delle loro antiche foreste sacre e l ' edificazione di chiese.
L' indomito Widukind, sfuggito nella Albingia settentrionale, dopo le trattative inter­
corse con i plenipotenziari di Carlo a Natale del 785 nel palazzo di Attigny sull ' Aisne, si
lasciò battezzare da Carlo in persona, che gli fece da padrino, venne ricoperto di magnifici
doni e scomparve per il resto dei suoi giorni nei suoi possedimenti e dalla storia. Le sue
reliquie furono conservate e la leggenda narra che fu anche fondatore di numerose chiese;
il pronipote Wichert (morto nel 908) diverrà persino vescovo di Verden . Carlo comunicò
la vittoria al pontefice, che gli inviò le sue felicitazioni e alla fine di giugno del 786
ordinò un triduo di ringraziamento in tutta la cristianità occidentale, anche al di là del
mare, dovunque ci fossero comunità cristiane. 2 3
Ma le guerre continuarono.
Nello stesso anno Carlo inviò un esercito in Bretagna a sottomettere i ribelli Bretoni
già suoi tributari, che comprensibilmente non intendevano farsi ulteriormente dissanguare.
Dopo Pipino III, con Carlo e Ludovico il Pio, furono necessari ininterrotte spedizioni
militari contro di loro, cui seguivano ogni volta nuove sollevazioni. Nel 786 Carlo dovette
soffocare "una grande cospirazione" (Einardo) in Turingia capeggiata dal conte Hardrard,
nella quale, a quanto pare aizzato dalla brutale terza moglie Fastrada, intervenne con
durezza, esiliando e - punizione piuttosto rara in Francia - accecando i ribelli. 24
"Poiché la pace regnava dappertutto" - ci informano gli Annali del Regno - "Carlo
decise di recarsi a Roma e di attaccare quella parte dell' Italia, che allora si chiamava
Benevento, ritendo opportuno assoggettarsi anche il resto del regno . . . , la cui massima
parte aveva già sotto il proprio dominio in Lombardia". In effetti, "il Grande Carlo"non
474 poteva stare senza guerre. E come poteva diventare "Grande" senza le guerre?
Le ultime rivolte, guerra di sterminio 343

L E ULTIME RIVOLTE, GUERRA DI STERMINIO ••• E "LA SERENA ALTEZZA DEL PASTORALE"

Mentre il sovrano operava nel sud (pag. 320 ss.), il nord continuava a ribollire. Dopo
l ' annuncio del battesimo di Widukind fu proclamato che "tota Saxonia subiugata est",
ma in realtà non era stata "pacificata", nonostante il fiume di sangue, o forse proprio per
questo. Lo stesso vale per la Frisia, dove negli anni Novanta si verificarono nuovi tumulti,
con la distruzione delle chiese e la cacciata dei missionari. Lo stesso Liudgero dovette
svignarsela; fuggì non appena i pagani avanzarono, per tornare dopo l ' ondata persecutoria
(una prassi antica propria già dei primi cristiani), a proseguire con zelo apostolico "l' opera
di conversione", cancellando fanaticamente anche i residui di paganesimo, abbattendo
"i templi degli idolatri" e rendendo la vista a ciechi ; insomma, "dappertutto asciugò le
lacrime" e "stabilì una pace gioiosa". E infine divenne anche santo. 25
Favorita dalla guerra contro gli Avari, scoppiò in Sassonia un' altra rivolta, che tuttavia
restò essenzialmente circoscritta alle regioni nord-orientali finora poco coinvolte nella
guerra, lungo il corso inferiore dell' Elba e in Holstein, abitati dall' antico ceppo sassone
degli Albingi, ma che si estese alla massa della popolazione, nonostante le fortissime
riserve della nobiltà.
"Come il cane che torna al proprio vomito" (Il Pietr. 2, 22) narrano gli Annali di
-

Lorsch - "allo stesso modo quelli tornarono al paganesimo, prima rinnegato, abbando­
narono il Cristianesimo e si allearono coi popoli pagani tutt' intorno. Inviarono messaggeri
anche presso gli Avari e osarono ribellarsi prima contro Dio, poi contro il re e i cristiani . . .".
In quel tempo si ribellò anche il figlio maggiore di Carlo, Pipino (illegittimo), un giovine
bello ma gobbo. Mentre i suoi compagni furono in parte giustiziati, fustigati e esiliati,
Pipino fu tonsurato e spedito nel monastero di Priim, dove morì dopo quasi vent' anni di
prigionia (8 1 1 ).
La più che decennale lotta dei Sassoni non fu propriamente diretta né contro la domi- 475
nazione franca né contro il cristianesimo come tale; quanto piuttosto contro i suoi
rappresentanti e le sue istituzioni, contro la chiesa, la sua ingerenza nei patrimoni dei
privati e la cinica riscossione delle decime, già biasimata dal consigliere di Carlo, l' anglo­
sassone Alcuino, che vedeva nei missionari più dei predoni (praedones) che dei predicatori
(praedicatores). Sembra che tra i Franchi fosse diventata proverbiale la frase: "Le decime
hanno distrutto la fedeltà e la fede". Quanto più crudele era stata la chiesa, tanto più
ferocemente fu ora combattuta dagli Albingi del Nord : le nuove chiese furono ovunque
distrutte e i preti cacciati; spesso venivano uccisi anche Sassoni cristianizzati e i loro
beni saccheggiati : in breve, tutta l ' organizzazione ecclesiastica a nord dell' Elba fu
radicalmente estirpata.
La ri volta si trasformò in una crudelissima guerra di sterminio da entrambe le parti .
La controffensiva, iniziata nell' autunno del 794, durante la quale Carlo recò con sé an­
che delle reliquie, si risolse in pure e semplici scorrerie e devastazioni. Spesso il sovrano
344 Carlo "il Grande " e le sue guerre

impiegò persino Slavi pagani, i Wilzi e gli Obodriti, il cui re Witzin fu attaccato e ucciso
dai Sassoni durante il passaggio dell ' Elba: Carlo si abbandonò ai saccheggi, alle di­
struzioni, agli incendi, mietendo migliaia di vittime. Dopo una vittoria presso Kiel si
disse che 4000 cadaveri di Sassoni ricoprissero il campo di battaglia; ogni anno, inoltre,
vennero trascinati via innumerevoli ostaggi (anche col metodo della decimazione: uno
ogni tre Sassoni), "ne prese quanti ne volle", come racconta un cronista, e per la maggior
parte "venivano poi regolarmente uccisi" (Bullough). Fino al 799 "l ' Apostolo" dei Sas­
soni, "che predicò il Vangelo con lingua d' acciaio" (Bertram) intraprese ogni anno spe­
dizioni punitive contro di loro; e nell ' 802 inviò nuovamente un esercito, mentre per tut­
ta l' estate si dedicava alla caccia nelle Ardenne. Nell' 804 guidò personalmente le truppe
e i Sassoni dovettero definitivamente soccombere alla sua soverchiante potenza. 26
Alla fine, per prevenire ulteriori sollevazioni, il sovrano franco attuò deportazioni di
476 massa e spietati trasferimenti di intere popolazioni, come erano soliti fare anche i Bizantini
cristiani. Si racconta che "la quantità degli ostaggi era tale, quale mai fu portata via
durante il suo regno o quello di suo padre e nei giorni di tutti i sovrani franchi". L' uomo,
che già nel Sinodo di Francoforte del 794 si era presentato come il "capo della Chiesa
d' Occidente", negli anni 795, 796, 797, 798, 799 e 804 fece trascinar via dalle sue
soldatesche migliaia di Sassoni con mogli e figli (circa diecimila famiglie), deportandoli
negli antichi territori dei Franconi e da una parte e dall' altra del Reno, in Gallia e in
Germania, ridotti a tributari dei signori laici ed ecclesiastici (Ancor oggi alcuni toponimi
della Franconia recano la memoria della loro presenza: Sachsendorf, Sachsenfahrt,
Sachsenmtihle). Molti furono rinchiusi dentro campi di concentramento rigidamente
sorvegliati ; qualche fonte parla addirittura di "sterminio totale". Non poche donne sasson i,
purtroppo non ancora mondate della sozzura pagana dal battesimo, durante tutta la guerra
vennero ammassate a Verdun per il mercato degli schiavi.
Al termine delle operazioni militari i rapporti di proprietà nel nord erano quasi
completamente mutati : infatti, anche le terre depredate lungo l' Elba vennero da Carlo
distribuite a vescovi, preti e vassalli laici, e per tutto il IX secolo vennero poi fondati in
Sassonia numerosi monasteri autonomi, esclusivamente riservati ai nobili. 27
E dunque, dopo una guerra trentennale, Carlo riuscì a convincere gli "Arcipagani"
"che c ' era qualcosa di più elevato delle battaglie, delle vittorie e della morte sul campo",
perché, come ci assicura il cardinale Bertram, patrocinatore di Hitler e focoso fautore di
due guerre mondiali, Carlo "piantò la croce vittoriosa e benefica nel vergine paese dei
Sassoni". E infine la cosa più importante: "La serena altezza del pastorale governò
477 vittoriosa e conciliante accanto al potere regale dello scettro e della spada". 28
Le leggi sanguinarie di Carlo 345

LE LEGGI SANGUINARIE DI CARLO

Durante le sue guerre Carlo emanò leggi draconiane, con severità crescente quando
credeva di aver definitivamente soggiogato i Sassoni e di poter quindi ristabil ire
"l' ordine": anzitutto la "Capitulatio de partibus Saxoniae" (782) e il "Capitulare
Saxonicum" (797). Dal momento che i passaggi al cristianesimo erano stati ottenuti con
i battesimi coatti di massa, ma il popolo sassone continuava a seguire segretamente il
paganesimo e aborriva il clero, Carlo impose lo sradicamento totale dell' antica fede e
dei suoi riti, e una completa rieducazione ideologica. Delle quattordici norme della
"Capitulatio" comminanti la pena capitale, ben dieci riguardano trasgressioni della fede
cristiana: prima aveva chiesto i consigli del pontefice, orientandosi poi apertamente
verso i metodi missionari dei monaci di Fulda, tesi unicamente alla totale eliminazione
del paganesimo, iniziata coi battesimi di massa e con la distruzione completa di tutti i
sacrari.
Uno stereotipato "morte moriatur" incombeva su tutto quel che avesse voluto in
qualche modo opporsi ai messaggeri della Buona Novella: la spoliazione e l' incendio
delle chiese, l ' incinerazione, il rifiuto del battesimo, la segreta elusione del battesimo,
l ' oltraggio al cristianesimo, l ' occupazione dei beni della chiesa, l ' offerta di sacrifici
pagani, l ' esercizio di pratiche pagane, etc. etc.
Ecco alcuni esempi:
3 - Se qualcuno penetra con la forza dentro una chiesa e vi sottrae o ruba qualcosa,
oppure vi appicca il fuoco, "morte moriatur".
4 Se qualcuno, in segno di disprezzo del Cristianesimo, non rispetta il digiuno
-

quaresimale e mangia carne, "morte moriatur" . . .


7 - S e qualcuno, secondo il costume dei Pagani, fa divorare dal fuoco il corpo d i un
defunto e ne incenerisce le ossa, "morte moriatur". 478
8 - Se in futuro qualcuno del popolo sassone volesse restare segretamente non­
battezzato e trascurasse di sottoporsi la battesimo, perché intende rimanere un Pagano,
"morte moriatur" . . .
l O - S e qualcuno trama qualcosa contro i l Cristianesimo insieme ad altri Pagani e
cerca di restare fra loro per ostilità contro i Cristiani, "morte moriatur". E se qualcuno
assentisce a questo medesimo delitto contro il sovrano e il popolo cristiano, "morte
moriatur".
È prevista la pena di morte persino per la mancata osservanza del digiuno ! (Al quale
era contrario lo stesso Carlo, lamentando che il suo fisico non poteva tollerarlo).
Inoltre vennero emanate le seguenti disposizioni: battesimo entro il primo anno di
vita, frequentazione della chiesa tutte le domeniche e i giorni festivi, prestazione del
giuramento nelle chiese e il rispetto delle norme matrimoniali ecclesiastiche. L' imposi­
zione di "severe penitenze anche per le più lievi infrazioni" fu a suo tempo aspramente
346 Carlo " il Grande " e le sue guerre

criticata dallo stesso Alcuino (Ma alla corte di Carlo si scopava alla rinfusa anche du­
rante i banchetti, ai quali prendevano parte le stesse figlie del sovrano, e che talvolta
vedevano "coinvolti" anche i preti).
Dal momento che al popolo sassone, convertito con la forza, importava poco o nulla
del cristianesimo, fu necessario usare ulteriore violenza per garantire il sostentamento
delle chiese: nobili, liberi e liti, tutti avevano l ' obbligo di pagare la decima su tutte le
entrate patrimoniali e inoltre ogni chiesa doveva ottenere due mansi, cioé due poderi , e
un servo e una serva ogni 1 25 abitanti, cosicché i Sassoni si videro sfruttati più duramente
che mai . 29
Di fronte a tali crudeli leggi contro i Sassoni il cristiano Johannes von Walter si
domanda con apparente candore: "Forse che Carlo agì secondo gli intenti dei rappre­
sentanti della Chiesa? È arduo supporre che il suo comportamento vi abbia trovato molti
consensi": tanta ipocrisia e menzogna racchiuse in due sole righe ! Questa domanda si
trova nel volume "La Nazione davanti a Dio. Il messaggio della Chiesa nel Terzo Reich",
anno domini 1 934. Carlo aveva perpetrato il decennale sterminio dei Sassoni e di altri
popoli con l ' appoggio incondizionato della chiesa, favorendone naturalmente gli interessi
479 in tutto e per tutto: "Per la Chiesa l' essenziale era la lotta per il Cristianesimo, perseguita
chiaramente da Carlo sia contro i Sassoni che in Spagna. La sua guerra contro il Pagane­
simo corrispondeva alla concezione ecclesiastica dell' Impero Cristiano . . . " (ZOIIner) . 30
Nulla appare più evidente. Ed Einardo, ai cui resoconti delle imprese di Carlo si
deve attribuire una particolare importanza, osserva una volta che una guerra condotta
per tanti anni sarebbe stata conclusa soltanto a patto che i Sassoni avessero rinnegato il
loro "culto del demonio" (Daemonum cu/tum), accettato la fede cristiana e i santi sacra­
menti, e fossero divenuti un unico popolo coi Franchi. Difficilmente si potrebbero definire
con maggiore chiarezza e persuasività gli obiettivi delle guerre di Carlo: sradicamento
del paganesimo, espansione del cristianesimo e annessione territoriale.
Nel (cattolico) "Handbuch der Kirchengeschichte" le guerre contro i Sassoni appaiono
sotto il titolo: "Completamento del grande regno dei Franchi" 3 1 • È certo possibile intito­
lar)o così, senza traccia alcuna di barbarie e di sangue: semplice e pulito ! Questo "comple­
tamento" suona nitido, quasi elegante; possiede qualcosa di giocoso, di artistico quasi .
Come se si trattasse di un' opera d' arte, di un capolavoro statuale. D ' altronde, forse che
a un "grande regno" non è tutto lecito, almeno finché "gli va bene"?

LA SPOLIAZIONE E LO STERMINIO DEGI AVARI (791 -803)

Mentre era impegnato ad assoggettare sanguinosamente la Sassonia e la Frisia, tra il 79 1


e 1 ' 803 Carlo distruggeva contemporaneamente in Ungheria il regno degli Avari, con
480 cui era venuto direttamente in contatto dopo la liquidazione del duca di Baviera.
Carlo elimina senza tanti scrupoli il duca Tassilone 347

CARLO ELIMINA SENZA TANTI SCRUPOLI IL DUCA T ASSILONE

La Baviera si era giuridicamente e socialmente costituita e sviluppata come entità statuale


sotto la guida incontrastata degli Agilulfidi. Ma con le due campagne militari di Carlo
Martello il paese finì per cadere se non sotto l ' egemonia dei Franchi, sicuramente sotto
la loro dipendenza, poi notevolmente accentuata dalla pesante sconfitta dell' esercito
bavarese del 743 (cfr. pag. 236 s.). Il papato, che aveva allora ignominiosamente tradito
il duca Odilone, abbandonò a se stesso anche il figlio Tassilone, quando questi venne
rovesciato da Carlo.
Tassilone III (748-788), ultimo degli Agilulfidi, che esercitò il proprio potere sotto
la sovranità dello zio, il maestro di palazzo Pipino, fu devoto al clero come ben pochi
altri prìncipi soprattutto "per sfuggire alla sentina del demonio e meritare il banchetto
celeste, spinto da un amore eterno e da un tremendo orrore". Egli favorì i religiosi in
tutti i modi: protesse i preti con un elevato guidrigildo e i vescovi con donazioni
esorbitanti, appoggiò le missioni degli Anglosassoni e di Bonifacio, procurò corpi di
martiri, ad esempio il cadavere di s. Valentino a Passau (746) e quello di Corbiniano a
Frisinga (765), e inoltre riempì la Baviera di chiese e di insediamenti monacali, dotandoli
più dispendiosamente di qalunque altro dei predecessori. Probabilmente fondò i monasteri
di Mattsee, Mi.inchsmi.inster, Pfaffenmi.inster e Wessobrunn, di certo nel 769 quello di
Innichen, nel Pustertal, "per ricondurre sul sentiero della verità la stirpe infedele degli
Slavi", e nel 777 il convento di Kremsmi.inster, nel Traungau, poi beneficato in maniera
insolitamente generosa: si trattò ancora una volta di avamposti e capisaldi per la missione
fra gli Slavi e per il consolidamento del suo dominio sui pagani. Le ragioni di natura
missionaria, politica ed economica, come sempre, sono strettamente interconnesse.
Tassilone ampliò soprattutto verso sud e verso est la dominazione bavarese, utilizzando
proprio la fondazione di monasteri come primo, importante passo preliminare; ma fu
una guerra a costituire il momento decisivo della sua volontà espansionistica. Nel 772, 481
infatti, il duca, i vescovi e la nobiltà bavarese vennero esortati da un certo "Clemens
peregrinus" a organizzare una "Crociata" contro i pagani della Carantania, regione
comprendente soprattutto l ' odierna Carnia e parti della Stiria settentrionale e centrale,
dove regnarono principi slavi fino ali ' 828, quando subentrarono i conti tedeschi. "Conceda
Iddio ai Bavaresi la vittoria contro i nemici, come un tempo a Gedeone; possa Iddio
infondere coraggio in Tassilone, come un tempo in Sansone; possa Iddio essere con loro
come con Davide, che sconfisse Golia; possa Iddio . . ." etc. etc . A capo della "Crociata",
Tassilone mosse contro la Carnia e privò i Carantani della loro indipendenza politica
"inaugurando così la dominazione tedesca fino a tempi recentissimi" (Waldmiiller).
"Questa vittoria di Tassilone III sugli Slavi ha determinato per più di un millennio il
dominio tedesco sugli Slavi ed ha contemporaneamente posto sul medesimo fronte di
battaglia la Germania e l ' opera missionaria del Cristianesimo" (Klebel). 3 2
348 Carlo "il Grande " e le sue guerre

Al principio degli anni settanta Tassilone aveva fatto battezzare e ungere il figlio
Teodone da papa Adriano l, e il suo ducato esercitava quindi "un potere quasi monarchico,
cui mancava soltanto il nomen regium" (Schlesinger). Ma in occasione del suo viaggio
romano del 78 1 Carlo si accordò con Adriano per un' azione comune contro Tassilone:
nello stesso anno due ambasciatori del sovrano e due vescovi, inviati dal pontefice, si
presentarono da Tassilone, imponendogli di rinnovare il giuramento di vassallagio a suo
tempo prestato a Pipino. In un primo momento Tassilone acconsentì, ma poi si rifiutò, e
nel 787 invocò la mediazione del papa, il quale non solo gli oppose un netto rifiuto, ma
minacciò addirittura di scomunicarlo insieme ai suoi "complici" nel caso non avesse
obbedito ciecamente a Carlo; aggiunse inoltre che una eventuale guerra di aggressione
dei Franchi sarebbe stata una "guerra giusta" : "Se il duca non si lascerà indurre dalle
mie parole a compiere il proprio dovere, Carlo il Grande ed il suo esercito saranno
assolti da qualsiasi colpa e sollevati dalla responsabilità di saccheggi, uccisioni e danni
inflitti a Tassilone e ai suoi complici". Per contro promise a Carlo la preventiva assoluzione
482 per qualsivoglia sciagura inflitta ai Bavaresi. E quando nel 787 invase la Baviera con la
manovra a tenaglia di tre eserciti, non incontrò nessuna resistenza apprezzabile: i magnati
bavaresi, "vale a dire i vescovi" (Heuwieser), si schierarono ovviamente col più forte e
Tassilone si arrese senza combattere, rinnovò il giuramento di fedeltà e riottenne il ducato
in qualità di vassallo. 33
Ma l' anno seguente Tassilone venne citato ali' assemblea regia di Ingelheim, dove fu
disarmato e arrestato; quindi furono catturati in Baviera anche i figli, la moglie e il
seguito, e condotti presso Carlo. Solo a questo punto fu ufficialmente accusato davanti
al consesso riunito "dai seguaci del partito avverso a Tassilone, capeggiato dali' episcopato
bavarese" (Brigade): tutti quanti costoro, sia detto en passant, erano personaggi del suo
seguito, che lo accusarono di presunte alleanze con gli Avari, dando formalmente inizio
al processo: ma non per alto tradimento, che non poteva essere provato, bensì per un atto
di "diserzione" (harisliz; cfr. pag. 238) in Aquitania, risalente al 753, 25 anni prima !
Una cupa tenebra si addensò su questo giorno "come sulla scomparsa dei duchi degli
Hedenen (Franchi sul Meno) e degli Alemanni dopo il 740" (Bosl) : l ' assemblea lo
condannò a morte all ' unanimità, ma Carlo "spinto dalla compassione" - come narra
l ' Annalista - "e dali' amore per Dio e anche perché era un suo consanguineo" commutò
la pena capitale in una carcerazione nelle celle di un monastero, equivalente a una sorta
di ergastolo. Ai contemporanei ciò apparve come un atto degno di una padre della patria
bonario e ti moroso di Dio. In realtà fu indotto a comportarsi così per mera bramosia di
potere, spietatamente, e tutto "appare come uno spettacolo artificiosamente montato
con sottile intelligenza" (Epperlein).
Il 6 luglio Tassilone fu monacato in Sankt Goar e quindi condotto nel monastero di
Jumièges, presso Rouen. Dopo sei anni di detenzione, probabilmente a Lorsch, nel 794
Carlo lo fece portare all ' assemblea reale ed ecclesiastica di Francoforte, dove, durante
Una esplicita Guerra Santa 349

una ripugnante cerimonia farsesca, lo costrinse a chiedere perdono di tutto quel che
aveva commesso contro il sovrano e il popolo franco e a rinunciare per iscritto anche a
nome dei figli e delle figlie al ducato di Baviera e al suo patrimonio personale (Il tesoro 483
ducale era stato ovviamente confiscato già nel 788). Il rex piissimus, la cui magnanimità
viene esplicitamente esaltata in questa circostanza dagli Anna/es Laures-hamenses, non
fece altro che annientare non soltanto Tassilone, ma anche tutta quanta la sua dinastia:
Carlo lo perdonò anche adesso, gli garantì la propria benevolenza e lo riaccolse, come
viene raccontato, "nella sua stima, giacché era ormai certo anche per il futuro della
misercordia divina".
Ma Tassilone dovette fare a meno della compassione di Carlo: per poter definiti­
vamente incamerare il suo paese, Carlo fece rinchiudere dentro le mura del chiostro non
solo il duca, ma anche la moglie Liutperga (figlia del re longobardo Desiderio) e i figli
e le figlie: Rotrude a Soissons e Gotani a Chelles, proprio sotto la sorveglianza della
sorella di Carlo. Il figlio maggiore di Tassilone, Teodone, fu condotto a S. Massimino
(Treviri), mentre nulla sappiamo della prigionia dell ' altro figlio Teoperto.
Tassilone morì nel monastero di Laurisham sul Reno (Lorsch) in un anno imprecisato;
anche il re Desiderio era finito in una prigione monasteriale, come anche Unaldo, padre
del duca di Aquitania Waifar (pag. 270), essendosi lasciato coinvolgere in un' altra
sollevazione dopo una prigionia di più di 25 anni. La Baviera divenne una provincia
franca, di cui Carlo fu prima "governatore", poi viceré; la chiesa bavarese, lo strumento
più importante del governo di Tassilone e tanto riccamente da lui dotata, passò armi e
bagagli nel campo di Carlo. 34
Con la deposizione e l' arresto di Tassilone III a Ingelheim nel 788 la Baviera, ormai
provincia franca, venne a trovarsi direttamente in contatto col vicino regno degli Avari . 484

UNA ESPLICITA GUERRA SANTA

Sotto la pressione dei Turchi, gli Avari, di ceppo unno, provenienti probabilmente dalle
steppe dell' Asia Centrale, si riversarono in Occidente. Nella seconda metà del VI secolo
occuparono per più di duecento anni le pianure lungo il Tibisco e tutta la regione centrale
del Danubio. Nel 550 erano già insediati anche nei territori della Germania Orientale e
nel decennio successivo, quando cominciarono a creare fra le Alpi orientali e il Mar
Nero un regno governato energicamente dal khagan Baian, vennero combattuti dal re
merovingio Sigeberto , il quale riuscì a sconfiggerli lungo il corso medio dell ' Elba, ma
cinque anni dopo fu costretto ad accontentarsi della pace in cambio di un tributo.
Con larghe masse di truppe ausiliarie slave essi continuarono a spingersi nei Balcani,
mentre una parte dei Germani e dei Sarmati insediati sul Danubio erano confluiti nelle
loro file. Nel 506, alleati coi Longobardi, annientarono la popolazione germanica dei
350 Carlo " il Grande " e le sue guerre

Gepidi (pag. 72); e quando i Longobardi invasero l ' Italia nel 568, Slavi e Avari s' impa­
dronirono dei territori abbandonati della Pannonia e del Norico, diventando i vicini
orientali dei Bavaresi . Tuttavia la loro spinta espansiva proseguì in un primo momento
verso sud, soprattutto verso Costantinopoli (di cui erano stati alleati), che nel 626
circondarono dal versante europeo con Slavi, Gepidi, Bulgari e altre tribù ausiliarie,
mentre i Persiani la serravano dalla parte asiatica. La piccola flotta slava venne distrutta
e le truppe di terra si arresero di fronte alla possenti e invincibili mura della città. Allorché
la fame e le pestilenze costrinsero gli Avari a ritirarsi, imitati subito dopo dai Persiani, il
prestigio del khagan presso i sudditi e gli alleati ricevette un duro colpo, e il suo governo
fu travolto dalle truppe ausiliarie fra i Sudeti, i Bulgari e i Dalmati . Tuttavia gli Avari
riuscirono a riconquistare un certo vigore intorno al 750, imponendo la propria egemonia
sugli Slavi nella loro sfera d ' influenza mediante nove campi fortificati, circondati da un
485 vallo a forma d' anello, il cosiddetto "Anello degli Avari", avamposti, nei quali venivano
accumulati viveri, bottini di guerra e immensi tesori, e che costituivano probabilmente il
nucleo centrale del dominio avaro a est del Wienerwald. Ma poi Carlo mosse contro di
loro, infliggendo il colpo di grazia. 35
Dopo aver strappato la Baviera (dal 788 nei documenti bavaresi gli anni vennero
calcolati "da quando Carlo ha conquistato la Bavaria"), che venne organizzata al servizio
delle missioni fra gli Avari e gli Slavi, guerra e predicazione cristiana marciarono di pari
passo: gli Anna/es regni Francorum indicano come causa fondamentale delle ostilità il
presunto intollerabile delitto "che gli Avari hanno commesso contro la santa chiesa e il
popolo cristiano e del quale neppure gli ambasciatori avevano ottenuto alcuna soddi­
sfazione . . . ". In realtà, il sovrano, famigerato conquistatore, si proponeva evidentemente
di espandere i suoi territori e voleva trasformare il paese fra l ' Enns e il Danubio in una
"Marca pannonica".
Nel 788 gli Avari era corsi in aiuto di Tassilone, penetrando con due eserciti in Baviera
e in Italia; ma era troppo tardi e furono respinti . Molte migliaia di loro perirono sui
campi di battaglia o durante la fuga verso il Danubio. Nel 79 1 Carlo irruppe in Ungheria
con due grossi contingenti di truppe, mentre contemporaneamente altre truppe italiane,
comandate dal duca d' lstria, avanzavano da sud-ovest nel regno degli Avari . Quindi
devastò tutto il paese fino alla Raab, non senza aver prima opportunamente preparato
l' azione della chiesa.
Come sempre tutto iniziò "con l' aiuto di Dio". E quando il 5 settembre Carlo giunse
sulle sponde dell' Enns (che definiva il confine degli Avari), ci furono tre giorni di
processioni, alle quali - come il sovrano scrisse alla moglie Fastrada - "tutti" parteci­
parono "a piedi nudi". Seguirono messe su messe: ogni vescovo dovette recitare tre
messe, ogni canonico e monaco tre Salmi "per stornare la miseria della guerra" (Ahlheim),
che però cominciò a diffondersi per vastissime regioni. Si imponeva un digiuno universale,
486 ma ben presto fu possibile violarlo, comprando la "licenza" di ber vino e mangiar carne;
Una esplicita Guerra Santa 35 1

e nonostante tutto questo si invocò "il conforto divino", come narra l ' Annalista del ·

Regno, "per la salvezza dell' esercito e il soccorso di nostro Signore Gesù Cristo, e per la
vittoria e la vendetta sugli Avari", sui quali si abbattè ben presto "il terrore del Signore",
giacché proprio "Cristo guidava il suo popolo", e anche, aggiungiamo noi, il cristianissimo
re Carlo, accompagnato dal gran cappellano, il vescovo di Metz Angilram (poi morto in
guerra), dal vescovo Sindperto di Regensburg (anch 'egli morto in battaglia), dai vescovi
Arno di Salisburgo e Atto di Frisinga, nonché da innumerevoli preti . Tutti costoro, alla
fi ne, si dedicheranno alle opere pie: "Venne compiuto un lavoro enorme, che fece
germogliare il seme del Cristianesimo dove la spada di Carlomagno aveva tracciato il
solco" (Daniel-Rops). 3 6
Poiché gli Avari non si schierarono in battaglia campale, le foreste e le paludi osta­
colarono l ' offensiva e nell' esercito scoppiò un' epidemia, che falcidiò gli uomini, ma
soprattutto migliaia di animali (morirono i nove decimi di tutti i cavalli), il primo attacco
dovette essere interrotto senza aver ottenuto risultati decisivi, ma solo un primo successo
parziale. In ogni caso sembra che Carlo, che "conduceva evidentemente una guerra
santa, che non poteva concludersi se non con la completa vittoria sui nemici e con la
loro conversione" (Kalckhoff), abbia tratto da questa sacra intrapresa un immenso bottino
e innumerevoli prigionieri .
Eppure non si lasciò scoraggiare. L' anno successivo (792) fece approntare un ponte
di barche per attraversare più agevolmente il Danubio, e nel 793 ordinò di congiungere
il centro della Franconia col sud-est mediante un "lungo canale" (il "Canale di Carlo")
fra il Main e il Danubio; questo tentativo, il primo noto dell' Alto Medioevo, (prevalen­
temente motivato da esigenze strategiche), fallì a causa di continui nubifragi e di notevoli
difficoltà tecniche. 3 7
Ne1 795 le truppe franche al comando di Pipino, figlio di Carlo e viceré d' Italia, e di 487
Erich, margravio del Friuli, attaccarono nuovamente gli Avari nell' Ungheria meridionale;
in tale circostanza scoppiò una rivolta fra gli Avari, che finì con l ' uccisione dei loro
principi . "L' Anello" principale (kiirijiin = campo fortificato), la roccaforte più importante
dell ' interno, venne conquistato, il castello reale posto a sacco e depredata una massa
enorme d' oro, d' argento e armi, accumulata nei secoli, e quindi inviata a Carlo in Aqui­
sgrana. Il sovrano ne donò "con mano munifica" ai vescovi, fino in Inghilterra, e una
"gran parte" al signor pontefice. L' intera cristianità occidentale godette "del tesoro
ottenuto per grazia di Cristo".
Ben presto avrà occasione di gioire di nuovo. Infatti, già l ' anno successivo, allorché
il principe degli Avari, Tudun, si fece battezzare in Aquisgrana, il figlio di Carlo, Pipino,
accompagnato ancora una volta da vescovi e dai prelati di Salisburgo, Passau e Aquileia,
mosse dall' Italia, penetrando neii"'Anello" e distruggendolo. Ma prima aveva provveduto
a raccogliere un altro immenso bottino di gioielli e metalli nobili, inviandolo ad Aqui­
sgrana, dove per l ' occasione fu probabilmente apparecchiata una specifica sala del tesoro
352 Carlo " il Grande " e le sue guerre

(Nel VI e VII secolo i khagan degli Avari avevano ricevuto annualmente da Bisanzio
pagamenti fino a 1 20.000 solidi d' oro; a causa dell ' afflusso improvviso di tali ricchezze
sembra che nel regno franco il valore dei metalli nobili sia diminuito di un terzo). L'enorme
preda della "guerra santa" fu trasportata da quindici carri trainati da quattro bovi a s.
Carlo in Aquisgrana. Einardo, entusiasta, ci dice di non ricordare che i Franchi si siano
arricchiti tanto in alcun' altra guerra; e aggiunge con perfetto stile clericale (benché laico
fu a capo di numerose chiese) "che si può affermare a buon diritto che i Franchi avevano
giustamente tolto agli Unni quel che questi avevano ingiustamente rubato ad altri popoli".
Tuttavia le campagne militari contro gli Avari continuarono ancora nel 797, 799,
802 e 803 : "I margravi del Friuli e delle Marche Orientali furono continuamente impegnati
488 in battaglia" (Zollner); "quasi ogni anno una nuova azione" (Brackmann).
Eppure la durezza della guerra è oggetto di discussioni: gli Annali del Regno ne
nascondono le difficoltà, mentre altre fonti narrano di grandi atti di crudeltà perpetrati
dai Franchi. Anche Ei nardo scrive che Carlo condusse quel l ' impresa bellica con maggiore
passione, con mezzi più consistenti che nelle altre guerre e "con la massima tenacia".
"La Pannonia, completamente desertificata, e la devastazione della residenza del khan,
dove oggi non è più possibile ritrovare qualche traccia di vita umana, sono testimoni di
molte battaglie sanguinose combattute in quegli anni . L' intera nobiltà unna svanì per
sempre insieme alla sua gloria".
Gli Avari si sollevarono più volte contro i loro oppressori, sconfissero nel 799 il
margravio del Friuli presso Fiume vicino alla fortezza di Tersatto ( Tarsatica}, e subito
dopo anche il governatore della Baviera Geroldo I, cognato di Carlo, un luogotenente
particolarmente dotato e di namico, la cui memoria sopravvisse nel monastero di
Reichenau "esaltata come quella di un martire" (Stormer). Perirono in battaglia anche i
margravi Erich Kadaloh e Gotchramm. Ma nel l' 803 tutta l ' Ungheria occidentale fin
quasi a Belgrado divenne una "Marca Pannonica" e fu incorporata nel regno dei Franchi.
Gli Avari vengono menzionati per l ' ultima volta nell' 826: in effetti scomparvero
dalla storia. Durante il regno di Carlo nulla impressionò gli storiografi e i poeti contem­
poranei e posteriori, i quali magnificarono in numerosi poemi il duce di quelle campagne
militari, il figlio del re, Pipino, più ancora del gigantesco bottino e della totale distruzione
del regno degli Avari : un secolo dopo si parlerà ancora del "deserto" a oriente della
Baviera. E ancora nel XX secolo gli storici si entusiasmano per l ' impresa del "grande
Franco", incantati dalle conseguenze, conseguenze di miseria, della rinnovata miseria,
dell ' ininterrotto spargimento di sangue, della continua rapina. Anzi, si trattò naturalmente
di una "grande impresa", di "un merito incomparabile di Carlomagno per la storia tedesca"
(Heuwieser), perché "senza la guerra di Carlo contro gli Avari non ci sarebbe stata
489 nessuna impresa di Enrico il Leone, nessuna impresa dei Cavalieri Teutonici" ( Klebel) .
E naturalmente proprio tale azione del sovrano costituisce anche "una cesura storica per
la storia della Chiesa austriaca" (Tomek).
Ancora una volta una Chiesa projittatrice di guerra 353

Ma mentre il sovrano e la chiesa nuotavano nella ricchezza sanguinosamente rapinata,


miseria e carestie si diffondevano fra il popolo; come sempre durante il regno di Carlo
regnava la carestia, dominavano la denutrizione e la miseria, ma non determinate da
catastrofi naturali come inondazioni o pestilenze, ma proprio dagli spaventosi rapporti
sociali e dal continuo salasso imposto dai potentes: con le imposte, i dazi, l ' inflazione,
la falsificazione delle misure e dei pesi, l ' indebitamento, il pignoramento e la rapina
delle proprietà. I poveri, già oppressi e disprezzati dalla cristianità merovingia, erano
considerati sgradevoli, e contro i mendicanti era costume scatenare i cani, tanto che
persino alcuni vescovi dovettero proibire di aizzare le mute dei mastini contro i poveri .
Le chiese e i monasteri difendevano "solo poche persone scelte dal clero" (Mollat), per
quanto sappiamo, di solito 1 2 in epoca merovingia : ma questo privilegio doveva essere
ripagato con innumerevoli prestazioni.
In periodi di carestia i poveri mangiavano pane di vinaccioli, felci ed erba. Non
pochi Annali parlano di queste catastrofi alimentari : nel 784 "in Gallia e in Germania
perì un terzo della popolazione . . ."; "molti accolsero in casa gli affamati , li assassinarono
e li misero sotto sale" ; "uomini divorarono altri uomini, fratelli i propri fratelli, madri i
propri figli". Che si poteva fare? Pierre Riché scrive: "Si poteva solo intensificare la
preghiera, per giungere alla fine di tali tempi bui".
Solo che a coloro che insegnavano le preghiere al popolo affamato e denutrito, le
cose andavano bene, anzi benissimo, perché approfittarono dello sterminio dei Sassoni
e della guerra contro gli Avari : la cosa fu assai redditizia soprattutto per la chiesa austriaca, 490
tanto che fino all ' azione secolarizzatrice del 1 803 restò immensamente ricca. 3 8

ANCORA UNA VOLTA UNA CHIESA PROFITTATRICE DI GUERRA

Ranke ritiene che come le guerre sassoni di Carlo hanno schiuso la Sassonia alle missioni
cristiane, così hanno fatto anche le guerre quasi religiose contro gli Avari, aprendo ad
esse i territori fino alla Raab, la nuova "Marca di Pannonia" (Ungheria occidentale), una
vasta regione a quanto pare più slava che avarica. In verità la predicazione era stata
iniziata da altri, ad esempio dai monasteri di Innichen o di Kremsmilnster, fondati da
Tassilone III, i quali avevano perseguito un' opera sistematica di conversione, cui era
seguita l ' azione dei vescovadi. Sembra tuttavia che la Pannonia degli Avari fosse già
stata cristianizzata dal monaco e vescovo irlandese di Salisburgo Virgilio (cfr. pag. 232
s.), osteggiato da Bonifacio e da Roma.
È più difficile dire chi abbia ulterioremente ampliato tale "colonizzazione a sud e a
est", questa "tedeschizzazione" del territorio delle Alpi Orientali e anche oltre, se i
monasteri , le chiese episcopali oppure alcuni (altri) eminenti aristocratici . Ma non v ' è
dubbio che dovunque soldati e missionari, poteri mondani e spirituali cooperarono alla
354 Carlo " il Grande " e le sue guerre

germanizzazione e alla cristianizzazazione: infatti la chiesa, che aveva ottenuto vastissimi


latifondi, aveva tutto l ' interesse all ' opera di cristianizzazione delle regioni predate con
la violenza e al i ' annessione al regno dei Franchi della popolazione asservita.
Già prima degli scontri del 796, nel suo accampamento sulle rive del Danubio, Pipino
aveva discusso con i vescovi Arno di Salisburgo, Paolino di Aquileia e altri prelati della
cristianizzazione degli Avari e aveva ventilato il progetto di suddivisione dei territori
conquistati in diocesi missionarie. D' altronde gli arcivescovi e i vescovi delle regioni
confinanti avevano accompagnato gli invasori : Arno di Salisburgo, un favorito di Carlo
(dal 798 arcivescovo, per meriti di guerra contro gli Avari), era a capo delle truppe bava-
491 resi e il patriarca di Aquileia Paolino comandava il contingente italiano (Il suo successore,
il patriarca Urso, ben presto entrò in conflitto con l ' arcivescovo Arno, perché i loro mis­
sionari, probabilmente nel territorio di Villach, avevano dato vita a controversie in quanto
nessuno di loro riteneva di aver ricevuto abbastanza ! ) .
Dopo l a guerra Aquileia aveva incamerato vasti latifondi ; anche i grandi vescovadi
bavaresi di Salisburgo, Frisinga, Regensburg e Passau avevano intascato dappertutto
ricchi possedimenti, che nel IX secolo andarono estendendosi sempre di più : Regensburg
nel Burgenland e nella Slovacchia meridionale; Frisinga nella Carinzia; Passau fino al
Wienerwald e alla Raab; Salisburgo in Pannonia fino al Lago Balaton e alle foci della
Drava: tutti frutti genuini di quelle vittoriose razzie. Codesti "contadini" dei monasteri
si insediarono fino al Balaton e alle Fi.infkirchen: i Tedeschi preferirono stabilirsi lungo
il Danubio, mentre gli Slavi si ritirarono presso gli affluenti. "Sciavi" diventò sinonimo
di "servi", "servi della gleba"; schiavizzazione e diffusione della Lieta Novella proce­
dettero di pari passo, stato e chiesa lavorarono fianco a fianco: al conquistatore seguiva
il missionario, a entrambi l' asservimento . w .

La Marca Pannonica, così predata e cristianizzata da Carlo, ne1 1 ' 895 andò di nuovo
perduta con l' occupazione compiuta dai Magiari , e il cristianesimo venne in gran parte
eliminato ; tuttavia i vescovadi e i monsteri bavaresi mantennero ancora "i propri
possedimenti nella regione, bene o male che andassero le cose" (Dannenberg), e dopo la
cacciata degli Ungari si riunirono di nuovo a Passau, Salisburgo, Brixen, Regensburg,
Eichstatt, Frisinga e a molti monasteri, soprattutto Niederalteich e Tagernsee. Infatti,
avevano a disposizione tutti i presupposti necessari per ogni forma di "colonizzazione"
in grande sti le: gli uomini e i mezzi, i servi e il denaro indispensabile; nel X e nel l ' XI
secolo il cristianesimo poté nuovamente espandersi e stabi lirsi definitivamente con
Stefano il Santo, costituendo una base per ulteriori devote "spinte" verso est mediante le
Crociate ! Le prime tre ( 1 096- 1 099, 1 1 47- 1 1 49, 1 1 89- 1 1 92), infatti, raggiunsero l' Oriente
proprio attraverso l' Ungheria ormai completamente cristianizzata. 40
492 Ma prima si dovette procedere alla liquidazione del problema degli Slavi.
Inizia la sistematica offensiva contro gli Sla vi 355

INIZIA LA SISTEMATICA OFFENSIVA CONTRO GLI S LAVI

Anche molto tempo prima di Carlo si erano verificati occasionali conflitti tra Franchi e
Slavi (cfr. pag. 1 68 s.), tuttavia la loro progressiva infiltrazione in Turingia e in Baviera
fino alla Naab, alla Regen, al Main e alla Regnitz e la penetrazione di popoli di origine
serba e boema nel VII e nell' VIII secolo non vennero bloccate dallo stato franco sia
perché non ne ebbe la forza sia perché non volle. Sembra addirittura che l ' occupazione
slava dei territori lungo il corso superiore del Meno nel secolo VIII sia avvenuta dopo
un accordo reciproco. E Carlo fu dunque il primo sovrano franco a perseguire una
sistematica politica contro gli Slavi, interferendo nelle loro questioni interne e rendendo
tributarie alcune tribù vicine fino aii ' Oder.
Fu lo sterminio degli Avari a inaugurare la cristianizzazione degli Slavi di Moravia,
i quali vennero costretti a sottomettersi ai Franchi poco dopo la prima campagna contro
gli Avari del 79 1 . 4 1
Ma questo primo successo non spense né attenuò la spinta aggressiva del sovrano, e
fu quindi il turno della Boemia, ormai circondata dal regno franco da tre lati : aveva
appena concluso il definitivo asservimento di Sassoni e Avari, allorchè Carlo mise in
moto un' altra grande intrapresa bellica: ne11 ' 805 , anno in cui col Capitolare di Diedenhof
limitò il commercio delle armi con gli Slavi, si scagliò con tre eserciti contro i Boemi,
chiamati nelle fonti franche Beheimi (Boemani) e Cichu- Windones (Wendi cechi). Sotto
il comando del figlio maggiore, Carlo ordinò di aggredire la Boemia da tre direzioni e di
devastarla fin oltre l ' Elba, dove una quarta armata navale penetrò fino a Magdeburgo. E
mentre le sue truppe si abbandonavano a ogni sorta di saccheggio, uccidendo anche il
duca di Boemia, Lecho, ancora una volta Sua Maestà si dilettava a caccia sui Vosgi.
Per lui, in verità, "la caccia vera e propria era la caccia al l' uomo, la guerra" (Riché). 493
Nell' 806 seguì una nuova campagna contro la Boemia, che fu solo la ripetizione della
precedente: muovendo dalla Baviera, avanzò di nuovo con tre eserciti oltre il Fichtel­
gebirge, attaccando anche da nord i Boemi, i quali riuscirono a sfuggire rifugiandosi
nelle impenetrabi li boscaglie vicine. Furono assoggettate anche le tribù slave in sediate a
est del limes sorabicus e costrette a pagare tasse, oro, argento e bestiame; il tributo
imposto fu corrisposto dai Boemi almeno fino al l ' XI secolo. Seguirono poi altri attacchi
vittoriosi contro i pagani dell'est e del nord. Sempre ne11 ' 806 Carlo fece guerra contro i
vicini dei Boemi, gli Slavi dell' Elba, i quali si sottomisero dopo l ' uccisione di uno dei
loro principi . Infine si piegarono anche i Wilzi. 42
Boemi, Wilzi ed Avari furono "falciati come l ' erba sui prati", come Notker il Balbo,
monaco di S. Gallo, glorifica Eishere di Thurgau, duce dei prodi guerrieri del seguito
imperiale, che soleva innalzare "infilzati con la lancia" sette, otto o nove di questi
"ranocchi" (ranunculi) . Il nostro Monachus Sangallensis fa dire al suo eroico paladino
di Thurgau parole cristianissime: "Il re nostro sovrano ed io indarno ci sforzammo con
356 Carlo "il Grande " e le sue guerre

tale verminaio" (vermiculos). 43


Per moltissimi cristiani gli Slavi rimarranno per secoli "ranocchi" e "verminaio",
quali erano stati definiti da codesto monaco del IX secolo, pur sempre un beato della
chiesa cattolica.
La "missione slava" fu in primo piano nei disegni del l ' imperatore fin dai primissimi
anni del IX secolo: lasciamo impregiudicato se si trattò di cristianizzazione oppure di
imposizione di tributi ; in ogni caso qualsiasi rifiuto di pagare i balzelli venne considerato
un atto di ribellione e quindi ragione sufficiente per una nuova guerra. Ma le campagne
militari ininterrotte e il "principio del divide et impera" (Novy), applicato lucidamente
per tutto il secolo, avevano soprattutto il fine di impedire qualsiasi forma più salda di
sinecismo delle tribù sorabe.
È particolarmente significativo il fatto che la guerra contro i Boemi ebbe inizio subito
494 dopo la visita pontificia di Leone III a Carlo nell' 804 e che a differenza di tutte le pre­
cedenti, risoltesi in rapidi scontri , adesso le offensive contro gli Slavi furono condotte in
maniera sistematica: "Soltanto dopo l ' invio al papa del bottino predato agli Avari e la
fondazione dell' arcivescovado di Salisburgo si giunse ad un' azione pianificata, e tali
eventi a loro volta sono strettamente connessi . . . con la coalizione fra Carlo e Leone III
del 796". "Alla base della missione slava del Carolingio sta l ' alleanza di Carlomagno
con Roma" (Brackmann).
Alla fine di tutte queste razzie un quarto dell ' attuale Europa sud-orientale si trovò
sotto il predominio franco: la Boemia, la Moravia, l ' Ungheria occidentale e i Balcani
nord-occidentali. 44
Nell' 80S e nel l' 8 1 0 Carlo condusse alcune campagne militari contro i Danesi, e si
trattò eccezionalmente di guerre difensive: nell' 80S il re Gottrik aveva attaccato l' Albin­
gia del Nord, distruggendo sul Mar Baltico il porto degli Abodriti, che faceva concorrenza
ai porti danesi; due anni dopo aveva messo a sacco la Frisia a capo di una flotta di due­
cento navi e sconfitto i Frisoni in tre successive battaglie. La controffensiva di Carlo
non ebbe molto successo, e Gottrik minacciava di muovere contro Aquisgrana; il sovrano
franco, che paventava un attacco denso di pericoli e fors ' anche disastroso, passò in
rassegna la sua flotta e raccolse truppe da tutto il regno; ma il re danese non venne: una
guardia del corpo lo aveva assassinato.
La "spinta espansionistica" dei Franchi si era intanto esaurita a causa delle gravi
perdite subite soprattutto fra i contadini liberi, e anche perché la fame di terre della
nobiltà era stata ormai abbondantemente saziata. L' anno seguente Carlo concluse una
pace coi Danesi (lacerati dalle fazioni in lotta per la successione), e subito dopo inviò tre
eserciti in ogni direzione: "Uno oltre l ' Elba contro i Linoni, devastandone il territorio e
ricostruendo le roccaforti di Hohbeck distrutte un anno prima dai Wilzi; l ' altro nelle
regioni pannoniche per farla finita con le scaramucce con Unni e Slavi ; il terzo, infine,
contro i Bretoni, per punirli del loro tradimento. Tutti condussero a buon fine le loro
Insieme nel delitto - insieme nella santità 357

imprese e tornarono senza perdite" (Anna/es regni Francorum). 4 5 495


Le perdite erano sempre della parte avversaria, in modo assolutamente prevalente. E
anche le calamità: ma le fonti franche ne parlano pochissimo, vi alludono talvolta; come
fanno di solito gli storiografi ancora oggi (e parlo, come sempre, della regola), che si
attengono a quanto leggono. A che cosa se no? Forse che non è un procedimento corretto?
No, proprio no ! Perché dove si narrano tanti trionfi, vittorie e salvazioni, c ' è anche il
contrario: e non solo fra i vinti. Ma di tutto questo tacciono i panegiristi, gli annalisti
antichi e i moderni dotti, abitualmente prostemati davanti a Carlo "Magno".
Perché? Non per la "Rinascenza Carolingia", tanto per menzionarla, finalmente? La
quale, sia nelle sue motivazioni che per il rapporto di interdipendenza, si collega soprat­
tutto alla "Riforma" della chiesa franca, avendone sostanzialmente le medesime finalità
e giovando solo ad essa: ai monaci e ai religiosi, ai quali - solitamente ! - poté garantire
un minimo di conoscenze e una qualche formazione culturale per la "emendatio" delle
opere cristiane, del Vecchio e del Nuovo Testamento e dei padri della chiesa . . . Mentre,
per esempio, la compilazione di una Grammatica Tedesca e la Raccolta della Letteratura
Germanica vennero meno già col figlio e successore di Carlo, Ludovico il Pio. 46
Ovviamente nessuno intende negare che ci sia stato un certo progresso culturale, ad
esempio nella tradizione degli antichi testi classici ; ma non fu questo l' obbiettivo primario,
e in generale anche la cosiddetta "Rinascenza Carolingia" fu il frutto delle guerre caro­
lingie. E qualunque cosa si possa dire a favore di questo re dei Franchi, resta il fatto che
essa non è nemmeno pensabile senza codeste guerre. Soltanto ed esclusivamente le
guerre, soltanto ed esclusivamente queste brutali violenze con le infinite ingiustizie e le
inenarrabili sofferenze che ne seguirono, soltanto ed esclusivamente questo indicibile
terrore diffuso e instillato ad uso e consumo del regno e della chiesa valsero a Carlo I
l ' appellativo di "Grande". Ma chi fu, in realtà, "grande"? Il regno? La chiesa? Furono la
nobiltà e il clero ! Anzi, unicamente l ' aristocrazia nobiliare e prelatesca, perché essa sola
fu la "grande" profittatrice ! La grande massa del suo popolo, il 90/95% e fors' anche più, 496
non ebbe nulla. Nemmeno la pace nelle proprie terre, dal momento che le guerre in
Baviera e in Sassonia furono, almeno in certi periodi, vere e proprie guerre civili.

INSIEME NEL DELITIO - INSIEME NELLA SANTITÀ

Carlo, o meglio, come recita il titolo regale dopo 1 ' 80 1 , "Carolus serenissimus augustus
a Deo coronatus magnus pacificus", con l ' immancabile "per misericordiam Dei" e
dall' 802 anche "imperator christianissimus", morto, a quanto si disse, bisbigliando le
parole del Salmo 3 1 : "Nelle Tue mani, Signore, raccomando lo spirito mio" ; ebbene,
quest' uomo fu il promotore di stragi ininterrotte: durante i suoi 46 anni di regno (dal 768
ali' 8 1 4) condusse quasi sempre campagne di guerra, circa cinquanta, astenendosene
358 Carlo "il Grande " e le sue guerre

soltanto nel 790 e nel l ' 807, "un ' età felice per la Chiesa" (Daniel-Rops) . Perciò non
desta meraviglia che nelle "Chansons de Geste", l ' epopea francese dell ' Alto Medioevo,
cavalchi in battaglia ormai "vecchio di duecento e più anni". Mosse guerra a Longobardi,
Frisoni, Sassoni, Bavaresi, Avari, Slavi, Baschi, Arabi di Spagna, Bizantini dell' Italia
meridionale, spingendo ad una morte spesso crudele e straziante schiere innumerabili di
uomini. E i suoi assassinii non si limitarono soltanto alla guerra, ma fece ammazzare
4500 prigionieri e deportare migliaia di famiglie, ovvero, come narra una delle più antiche
celebrazioni poetiche delle sue gesta: "a migliaia li abbatté, la terra purificò dalla mala
erba pagana ( ! ) . . . , convertì gli infedeli, frantumò gli idoli, cacciò le divinità estranee".
Secondo il biografo Einardo, le guerre contro i Sassoni e gli Avari furono per lui più
497 importanti di tutti gli altri doveri politici . E in seguito proprio gli ambienti ecclesiastici
del X secolo considerarono la guerra contro i Sassoni la sua opera più significativa per
la missione cristiana. 47
Non si tratta soltanto di questo, benché già di per sé abbastanza grave, e cioé che
Carlo "il Grande" massacrò, soggiogò, schiavizzò senza pause (fatta eccezione per le
stagioni invernali) e che non fu altro che un guerriero, un conquistatore, un assassino, un
bandito in grande stile: tutto questo, come ci insegnano da molto tempo i più dotti fra i
dotti, era allora un fatto normale, era, per così dire, lo stile (buono) dei tempi, e sarebbe
perciò grossolanamente anacronistico emettere una condanna muovendo dalla nostra
epoca "illuminata" (in realtà altrettanto conquistatrice, assassina e banditesca), sarebbe
tribunalizio, rigoristico, moralistico, pedantesco, meschino. No, si tratta anche del fatto
che Carlo "il Grande" perpetrò tutto questo mostruoso versamento di sangue con la più
convinta adesione della cristianità e del la chiesa del suo tempo (ovviamente anch' esse
"condizionate" dai tempi ! ), che questa chiesa non osò mai levare una protesta, al contrario,
ne trasse un enorme profitto; si tratta del fatto che lo stato feudale cristiano e la chiesa
cristiana feudale erano una cosa sola, una sola cosa anche nel delitto.
Carlo, il cui "codice statuale" era la Bibbia ed il libro preferito "La Città di Dio" di
Agostino, governò e agì non solo come re dei Franchi, ma anche come patrono illuminato
della chiesa e partner e alleato del pontefice, come attestano le sue leggi, la sua corri­
spondenza tenuta dai preti, e i suoi più stretti collaboratori . Questo monarca fu una sorta
di re-sacerdote, "rector et devotus, sanctae ecclesiae defensor et adiutor in omnibus".
Impero e Chiesa sono indissolubilmente legati nell Jmperium Christianum, i raduni
'

di corte pressoché indistinguibili dai Concili: Carlo convoca Si nodi, li presiede, nomina
498 a suo piacimento vescovi e abati, crea in Sassonia i vescovadi che gli servono. Quando
attaccò gli Avari e sentì il bisogno di un arcivescovado, indusse il papa a eleggere
Salisburgo come sede episcopale. Inoltre dispose dei beni ecclesiastici, coi quali arricchì
papi e vescovi, cui conferì numerosi privilegi e immunità; e minacciò un' ammenda di
600 solidi contro chi violasse tal i prerogative ecclesiastiche. Ai vescovi concesse
l ' esenzione fiscale e il diritto di coniare moneta; il furto e l ' incendio di una chiesa furono
Insieme nel delitto - insieme nella santità 359

puniti con la pena capitale. Ma soprattutto dispose per legge l ' obbligo generalizzato
delle decime a favore del clero e le riscosse a nome delle sedi episcopali attraverso la
stessa burocrazia statale. Lasciò inoltre in eredità alla chiesa, la quale fu negli ultimi
anni al centro delle sue attenzioni, i tre quarti di tutto il denaro liquido, mentre ai figli e
ai nipoti toccò in dote soltanto un dodicesimo dei beni mobili ereditari, una quantità
equivalente a quella legata alla servitù di corte. Anche i prelati dipesero totalmente da
lui e la loro influenza su di lui, riconosciuto almeno da tutto il clero franco quale capo
universale della chiesa, andò via via crescendo nel corso degli anni: lo accompagnarono
in guerra, esercitarono la funzione di giudici accanto ai conti e ricoprirono i ruoli
fondamentali alla corte del sovrano. 4 8
Fra gli amici e i collaboratori più stretti del re troviamo l ' arcivescovo Beornrad di
Sens, il patriarca di Aquileia Paolino, il vescovo di Orléans Teodolfo, l ' anglosassone
Alcuino, già direttore della scuola monastica di York e poi abate di San Martino di
Tours, il quale esercitò un'influenza quasi determinante sulle scelte politiche dell' im­
peratore. Appartengono alla cerchia dei più intimi, che dominarono la vita di corte,
pochi altri abati, fra i quali il cugino Adalhard, abate di Corbie, e il successore abate
Wala, anch ' egli cugino di Carlo. Svolse un ruolo ancor più importante Angilberto, abate
di Saint Riquier, che, fra l' altro, ebbe due figli dalla giovane figlia di Carlo, Berta (Hartnid
e Nitardo, lo storiografo), e fu poi venerato come santo grazie ai suoi "miracoli". Infatti,
in una "Vita" del XII secolo viene descritto proprio come "Santo".
L' abate Fulrad di Saint-Denis fu cappellano generale della chiesa di corte e "fu
inizialmente la figura dominante fra i collaboratori di Carlo. Gli successero il vescovo 499
di Metz Angilram, morto nel 79 1 durante la campagna contro gli Avari, e l ' arcivescovo
di Colonia Hildibald, il quale occupò "un posto di assoluta preminenza nel palazzo reale
di Aquisgrana" (Fleckenstein). La cappella di corte, in sé un'istituzione di natura squi­
sitamente spirituale, andò progressivamente acquistando un notevolissimo peso politico:
il cappellano generale (di rango arcivescovile, ma senza una sede ufficiale) divenne il
primo consogliere del monarca e uno dei più elevati dignitari del regno. Sotto il governo
di Carlo l ' attività amministrativa, cui sotto i Merovingi provvedevano i cosiddetti refe­
rendarii, perlopiù laici, venne svolta esclusivamente da un personale religioso. La cappella
di corte fu inoltre strettamente collegata con il centro direttivo del governo, la cancelleria
di corte, che sotto i Carolingi venne completamente clericalizzata e diretta da un Can­
celliere o Gran Cancelliere, solitamente un chierico (A partire dalla metà del IX secolo
in Germania l ' ufficio del Gran Cappellano e del Gran Cancelliere vennero esercitati
dalla medesima persona, e infine il Primate del Regno, l ' aricivescovo di Magonza, fu
contemporaneamente anche il funzionario più alto in grado di tutto il regno). 49
Tuttavia il clero franco esercitò un influsso vasto e molteplice sulla vita pubblica
anche al di fuori del governo centrale e della cappella e della cancelleria di corte, così
profondamente clericalizzate. I dignitari ecclesiastici ebbero funzioni anche esclusiva-
360 Carlo "il Grande " e le sue guerre

mente politiche: insieme ai Conti provvedevano alla giurisdizione nelle trecento contee
del regno; fungevano da missi dominici, svolgendo funzioni particolarmente efficaci del
governo centrale, ma assolutamente sgradite, non da ultimo a causa delle spese altissime
(un vescovo con tali prerogative poteva esigere per sé e per il suo seguito quaranta pa­
gnotte al giorno, tre verri, tre maialini da latte, tre galline, tre modi i di bevande e quattro
modii di foraggio per i cavalli). Nel tardo secolo IX e nei primi anni del X la missio
dominica in Italia finì addirittura col coincidere con l' ufficio episcopale: "Siamo stati
inviati dal nostro Signore, l ' imperatore Carlo" - così esordisce il discorso a noi tramandato
500 di uno di questi missi - "per la vostra eterna salvezza, e vi ordiniamo di vivere virtuo­
samente secondo la legge di divina e giustamente secondo la legge mondana. Vogliamo
in primis farvi sapere che dovete credere nell' Unico Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo . . . ".
Tali missi dominici, la cui attività iniziava solitamente con un servizio divino, control­
lavano più volte ali ' anno la giurisdizione, gli affari militari e l' amministrazione e presiede­
vano perciò anche dei tribunali inquisitori . Unitamente ai Conti, i vescovi e gli abati
partecipavano ogni primavera agli Stati generali del regno, aperti dall' ingresso delle
truppe, o nella sede ufficiale del re oppure in un qualsiasi territorio invaso dali' esercito.
Infatti, soprattutto vescovi e abati si occupavano di faccende militari e naturalmente
provvedevano anche alla costituzione di contingenti armati, che sovente conducevano
personalmente in battaglia, violando il diritto ecclesiastico, e anzi non di rado erano essi
stessi capi supremi di interi eserciti .
Ma se il clero interveniva negli affari dello stato, il re, a sua volta, si intrometteva in
quelli del la chiesa: nei suoi Capitolari norma va la santificazione della domenica, i canti
ecclesiastici oppure anche l ' accettazione dei novizi nei monasteri ; si occupava dei corredi
delle chiese, dell'allestimento degli uffici divini, della formazione e della condotta dei
preti. Ne1 790 introdusse il cosiddetto Sacramentarium Hadrianum, cioé l' ordinamento
fondamentale della messa romana; trasformò molte norme ecclesiastiche in leggi statali,
la violazione era soggetta anche alle pene comminate dalla chiesa.
Carlo si intromise anche nelle questioni dogmatiche, per esempio nella polemica
adozionistica, e impose di "estirpare ad ogni costo tale insana pestilenza" e addrittura di
consegnare ai saraceni gli "Eretici" di Spagna. Si impegnò attivamente nel dissidio
iconoclasta (pag. 253 ss.), schierandosi contro il pontefice; in seguito un grande Concilio
dei vescovi occidentali, convocato dal monarca a Francoforte ne1 794, confutò le dottrine
degli iconofili . Infatti, si sentiva "Vicario di Dio", come scrisse nella prima lettera a
Leone III, come "Signore e Padre, Re e Sacerdote, Duce e Protettore di tutti i Cristiani".
50 1 Dall' altra parte il papa Adriano I già nel 785 esaltò Carlo, re dei Franchi e dei Longobardi
e Patricius Romanorum, che, "dando ascolto alle nostre esortazioni" aveva "annesso
sotto il proprio dominio i barbari di tutto l' Occidente e l ' Oriente".
Il nostro "Magno" non per nulla fu anche personalmente un cattolico credente, che
ostentava volentieri la sua morale cristiana, instillandola nelle anime dei sudditi ; tuttavia
Insieme nel delitto - insieme nella santità 361

non ebbe remore nel deprivare di metà del regno i figli del fratello Carlomanno e nel
togliere di mezzo tutto quel che gli si opponeva, come la franca Imiltrude, la quale, già
prima del suo primo matrimonio, gli aveva generato un figlio (Pipino il Gobbo), come la
prima moglie legittima, figlia del re dei Longobardi. E in seguito consumerà altre tre
mogli, tutte morte di malattia; la quarta, Liutgarda, condivideva il suo letto anche prima
che Fastrada, la terza, fosse passata a miglior vita. Inoltre, senza che il clero di corte
avesse nulla da obiettare, si aggiungevano altre mogli "secondarie", che l ' anziano mo­
narca teneva presso di sé a corte: ci sono noti i nomi di quattro concubine, ma ce ne furo­
no anche altre, dalle quali ebbe otto figli illegittimi (quattro maschi e quattro femmine),
nati prima e, soprattutto, dopo gli undici figli legittimi, quattro maschi e sette femmine.
Alla morte dell ' amatissima Hildegard (783), la santa dell' altrettanto santa chiesa
cattolica, persino "i cuori ferrei dei guerrieri furono mossi alle lacrime e si poterono
scorgere le stille del loro pianto scorrere fra gli scudi e le spade". La commozione di
Carlo fu indescrivibile ! Ed è naturale, dal momento che l ' aveva messa incinta quasi
ogni anno o almeno ogni due ! (Nei libri di tre storiografi ho letto in proposito tre cifre
diverse: sei, otto e dieci figli). Ma poi, tre mesi dopo arrivò la terza moglie.
Codesto monarca cristianissimo, cui stette(ro) tanto a cuore la (le) virtù dei suoi
Franchi, tollerò in casa propria una vita piuttosto molle, edonistica: e mentre la sua
chiesa consentiva soltanto il rapporto sessuale matrimoniale senza che, per altro, allo
scopo di generare altri cristiani, si usasse il coitus interruptus, (e ovviamente sempre
nello stesso "vas"), le figlie di Carlo puttaneggiavano coi loro amanti, tanto che lo stesso 502
Alcuino invitò a guardarsi "dalle coronate colombe che svolazzano pei meandri del
palazzo". Nei palagi regali si aggiravano anche le prostitute. E perché no? In fondo, esse
davano soddisfazione all ' esercito franco e persino ai pellegrini devoti presso i luoghi
sacri, come, per esempio, a san Martino di Tours; d' altra parte, allora si verificavano nei
monasteri (e non solo) numerosi episodi di "sporca lussuria", compresi i casi di sodomia
tra i monaci (cfr. anche pag. 227). Da questo punto di vista la condotta dei pagani germani
era davvero assai differente !
Carlo, il "Padre della Chiesa", come lo definì nell ' anno 800 Teodolfo d' Orléans, fu
personalmente un cristiano zelante, un cattolico praticante, che, a quanto pare, osservava
rigorosamente i digiuni ecclesiastici prescritti, e nei suoi innumerevoli viaggi visitava
prima di tutto le chiese, assistendo regolarmente alla messa mattutina. La Marienkirche
di Aquisgrana vedeva la sua ripetuta frequentazione quotidiana, anche di notte. Amava
leggere il "De civitate Dei" di Agostino ed era in possesso di un vasto arsenale di reliquie:
come talismano recava al collo "in vita e in morte" un medaglione con alcuni capelli
(ovviamente fasulli) della madre di Dio. Riempì la basilica di Aquisgrana con (presunte)
reliquie di apostoli, martiri, confessori e vergini a protezione del regno ed a remissione
dei peccati. Alcune reliquie furono inserite sotto il suo trono lapideo e un reliquiario fu
collocato persino nella sua tomba.
362 Carlo " il Grande " e le sue guerre

La stessa Aquisgrana venne definita nel secolo XII "sacra civitas" e, avvolta da
un' aura leggendaria, diverrà poi, soprattutto in Germania, una "città mitica", una "sorta
di sacrario nazionale" (Meuthen), un'importantissima meta di pellegrinaggi, non da ultino
in nome di san Carlo. Il quale fu esaltato oltremisura dalla chiesa quale "rex et sacerdos",
"onorato dal nome di Cristo"; il suo regno fu definito "Corpus Christianum", "imperium
Christianum", anzi, nei "Libri Caro lini" "noster rex" e "noster imperator" è Cristo stesso.
"Cristo è vincitore, Cristo è re, Cristo è imperatore": suonano così i ritornelli delle Laudes
503 e delle litanie intonate in Francia alla fine dell' VIII secolo alla presenza del monarca
durante le festività ecclesiastiche. Di lui si ricordano le preghiere romane durante la
messa, e nella liturgia quaresimale del sabato i fedeli si inginocchiano alla pronuncia del
suo nome per ordine del papa Adriano l. Il Si nodo di Magonza deli' 8 1 3 Io esalta quale
"devota guida della Chiesa", il monaco Notker di San Gallo (morto nel 9 1 2) quale
"episcopo degli episcopi", anzi, "non secundum verbum, sed secundum rem, imaginem
Dei" (Lowe); e l ' arcivescovo di Milano Odilberto lo definisce "illuminato dallo Spirito
Santo". 50
E non basta. Dopo che, alla fine, circolarono le voci di guarigioni di malati e di altri
miracoli presso la tomba di Carlo, nel 1 1 65 il pontefice Pasquale III, antipapa di
Alessandro III, Io santificò dietro insistenza di Federico I e del cancelliere Rainald di
Dassel . Il B arbarossa fu indotto alla canonizzazione per i meriti di Carlo verso la chiesa
e la fede: grazie alla conversione dei barbari divenne un "autentico apostolo" (verus
apostolus), la sua tensione missionaria fece di lui "un martire" (eum martyrem fecit) e
un osso del braccio di s. Carlo fu custodito dentro un prezioso scrigno. Gregorio IX
confermò la canonizzazione, papi successivi non la invalidarono, e anzi singole chiese
consentirono la venerazione di Carlo come santo. Nei libri di preghiera del tardo Medioevo
appare con una sua preghiera e in Aquisgrana divenne patrono della città, venerato come
tale ancora nel XVII secolo. Nel 1 899 il canonico Adolf Bertram, nella sua storia del
vescovado di Hildesheim, scrive che "questo episcopato venera profondamente Carlo
"il Grande" quale suo primo fondatore e Santo". 5 1
Una ricerca del 1 967 enumera non meno di l 09 "luoghi di culto" di s. Carlo, fra i
quali Aquisgrana (dove ancor oggi si celebra a Mtinster l' anniversario della morte di
Carlo, il 28 di gennaio, che da bambino festeggiavo come mio onomastico), Brema,
Bruxelles, Dortmund, Francoforte, Fulda, Halle, Ingelheim, Colonia, Costanza, Liegi,
Magonza, Minden, Mtinster, Norimberga, Regensburg, Strasburgo, Treviri, Vienna,
504 Wtirzburg, Zurigo. È degno di nota il fatto che Carlo godette di venerazione e di culto in
tutta la regione di Sassonia. 5 2
Per secoli Carlo "Magno" fu il modello ideale del sovrano, e per molti, troppi, lo è
ancora oggi.
Voltaire e Gibbon bollarono la sua barbarie, contestando in lui qualsiasi forma di
grandezza; ma Ranke trovò poi che fosse "troppo grande per una biografia", definendo
Note 363

la sua azione "forse il governo più grandioso mai esistito" e trovando nella sua "Storia
Universale", nella quale non attribuisce né ad Alessandro né a Cesare né agli eroi cristiani
Costantino o Ottone I l ' attenzione e il significato dedicati a Carlo, che al suo nome è
addirittura legata "incontestabilmente l ' idea della grandezza storica e morale ( ! )".
Nella Francia degli inizi del XIX secolo Napoleone fu celebrato come "nuovo
Carlomagno" ; dopo la fondazione dell ' impero tedesco nel XIX secolo i Tedeschi
scoprirono il "Germanesimo" di Carlo e i l suo spirito guerriero, e dotti britannici
discussero se fosse preferibile chiamarlo "Karl" invece di "Charles".
In era fascista, quando il 2 aprile del 1 942 ci fu la ricorrenza del 1 200° anno dalla
nascita del "Magno", egli divenne "Carlo l ' Unico", l "Europeo", sfruttato in senso
anticomunista, soprattutto antisovietico, tendenza poi utilizzata anche ai tempi di
Adenauer, allorché ci fu la mobilitazione crescente "dell' Occidente Cristiano" contro
"il Comunismo Ateo". Significativamente fu proprio il cardinale Frings di Colonia che
non soltanto si pronunciò pubblicamente a favore del riarmo tedesco, ma nel settembre
del 1 952 affermò: "La realizzazione del l ' ideale di innalzare l ' impero di Carlomagno
non è mai stata tanto vicina come ora". 5 3
L' impero carolingio, l ' "imperium Christianum", come lo definì Alcuino nel 798, il
"regnum sanctae ecclesiae" (Libri Carolini) si estendeva dal Mare del Nord fino ai
Pirenei e ali ' Adriatico, comprendendo nei suoi confini l ' attuale Francia, il Belgio,
l ' Olanda, la Germania Occidentale, la Svizzera, gran parte dell' Italia, la Marca spagnola 505
e la Corsica. Abbracciava una superficie di 1 .200.000 kilometri quadrati, quasi quanto
l ' Impero Romano d' Occidente; e pressoché tutto del nord-est e del sud di tale "regno
della chiesa " era stato messo insieme con un' immensa rapina. 54 506

NOTE

1
E i nhard, Vita Karoli 1 6 .
2 Ibid. 5 sgg.
3
Schoffel , Kirchengeschichte Hamburgs, l, 4 .
4
Ptolem. geogr. 2 , 1 1 1 ,7 . P l i n . , hist. nat. 1 6,76. Tac i t . , Germ . 3 5 . Schmidt, Die Westgermanen, 3 7
sgg . , 6 0 s g . B e h n 74 sg. S tern/B artmuss 94 sg. Zoll ner, D i e politische Stellung, 1 70. Nj eussyc h i n ,
D i e Entstehung, 23 1 .
5
Greg . Tur. 4, 1 0. Fredeg. 4,74. Mari u s Ave n t . , Chron. an. 555 sg. HEG I 97,283 s g . Hauck 11328.
S c h m i d t , Die Westgernanen, 46 sgg. P e t r i , Der Rhein, 594. Demm 64. Werneburg 15 sg. Aubin, Die
Umwandlung, 1 23 . Hauck, Ein Utrechter, 7 3 5 . Zolnner, Die politische Stellung, 1 70. Cram 1 5 8 .
6
Taddey 1 050. HEG I 1 47 sgg. ( s ul l ' ordi namento corporativo germanico in generale) e 5 5 2 s g .
S c h m i d t , ibid. , 62 s g . , 69. Behn 7 3 sg. Jordan 530. Zoll ner, ibid. , 1 7 1 . Haendler, Die lateinische
Kirche im Zeitalter der Karolinger, 1 02 . Novy, Die A nfiinge, 4 1 sgg.
7
Flaskamp, Di e friihe Friesen- und Sachsenmission , 1 94. Fleckenste i n , Grundlagen 1 62 .
8
Cont. Fredeg. 1 3 ; 2 7 , 3 5 . A nna/. reg. Frane. an. 744; 747 ; 7 5 3 ; 7 5 8 . Ann. Mett. ad an. 748; 7 5 3 ;
364 Note

7 5 8 . Naegle I 3 6 . Schubert, Geschichte der christlichen Kirche, l, 3 3 8 . Schi mdt, ibid. , 53 sgg. Holl
1 25 . Buchner, ibid. , 1 62 . S ante 204 sgg. Lowe, ibid. , 1 43 . Schieffer, ibid. , 2 7 3 .
Epperl e i n , Herrschaft u n d Volk, 54 . B l e i ber, Friinkisch - karolingische Kloster, 1 28 s g g . A nn. reg.
Frane. ad an. 743 sg . ; 747. Transl. s. Liborii, c . 7 . Vita Lebuini antiquo c. 6. Hauck II 3 3 2 sg.
B ertram 1 7 . Schu bert, I , 1 3 5 . Ahleim 1 62 . Dannenbauer, Grundlagen, 1 47 sgg. S tern/B artmuss 96
sgg. Drogereit, Die schriftlichen Quellen, 466 sg. Zol l n er, ibid. , 1 72 sg. S te i n bach, Das Franken­
reich, 49 sg. Patze/Schlesinger I 34 1 . Schlesinger, Zur politischen Geschichte, 47 sg. Id., Die Franken
im Gebiet, l sgg. Kosmi nski/Skaskin 90. Schulze, Die En rwicklung, 32. Epperl e i n , ibid. , 54 sg. In
en trambi gli u l t i m i due autori rimandi alla fonti e ad u lteriore bibliografia.
1 0 E i nhard, Vita Caro/i c . 7. Transl. s. Liborii c. 5. M ii h lbacher I 1 59 sg. B ertram 1 7 . Schubert, ibid. ,

I, 334. Hauck II 35 1 . Wiedemann I l . Brandi 6 sg. Epperlein, ibid. , 5 5 . Zol l ner, ibid. , 1 72 sg. Flecken­
stei n , Ka rolingerzeit, 707.
11 HEG I 1 5 5 , ( i v i indicazioni bibliografiche nota 1 8 ) e 560. Montgomery I 1 63 , 1 68 . B raunfels, Karl
der Groj3e in Selbstzeugnissen, 34 sgg. In dettagl i o Riché, Die Karolinger, 1 1 7 sgg. A l c u n i studiosi
"calcolarono" fi no a 1 00.000 combattenti ; vedi ibid. Angenendt, Friihmittelalter, 326 , parla di c i r­
ca 2000 vassal l i d i retti e di c irca 30.000 valvassori "questi u l t i m i in massima parte della Chiesa".
1 2 A nnal. reg. Frane. ad an. 7 7 2 . LMA III 2 1 29 s g . ; V 663 ( K A rpf) . Miihl bacher I 1 63 s g . Fichtenau,

Das karolingische lmperium, 1 3 6. Kaminski, Studien zur Reichsabtei Corvey, 19 sgg. Beumann,
Die "Hagiographie " bewiiltig t " , 1 5 1 . Dobler 1 04 . Prinz, Herrschaftsformen der Kirche, 1 9 . Braun­
fel s , ibid. , 34. Riché, ibid. , 1 34 . Bemman 84 sgg . , 88, 1 20 . A proposito "del botti n o straordi­
nariamente ricco ... " Kahl scrive i n Karl der Groj3e und die Sachsen, 5 7 , che "esso aveva fatto
deporre i l senso della pietas: chi si lascia sfuggire s i m i l i cose purché si trovi n o in qualche modo a
portata di mano?".
1 3 A nna/. reg. Frane. ad an. 773 sg. Groszmann, Kloster Fu/da , 344. Bertram 1 8 . Le al tre c i tazioni di

Bertram i n Deschner, Die Politik der Piipste, I l , 202.


1 4 A nnal. reg. Frane. ad an. 775 sg. Vita Wigberti c . 1 3 . Widukind 1 , 1 5 . Schultze I 298 s g . M ii h l bacher

I 1 63 sgg. Hauck I I 328 sgg. Schu bert, ibid. , l , 3 3 5 . Lowe, ibid. , 1 43 . Jordan 5 3 3 . B iittner, Mission
und Kirchenorganisation , 468. A tale m i ssione erano col legati "spesso battesimi di massa. Bemmann
75. I d . , Di e politische und kirchliche Erfassung , 29, 4 3 . Petri , Der Rhein, 604 sg. Ahlheim 1 6 1 sgg.
S tern/B artmuss 9 8 sg. Dol l i nger, Sch warzbuch, 1 1 8 sg. B randi 8 , 14 s g . Steinbach, ibid. , 6 1 .

Tel lenbac h , Europa, 429. Donnert 309. Novy, Die A nfiinge, 2 1 s g . Kah l , ibid. , 6 5 . Steinbach, ibid. ,
62. Ebner 56 , 70. Cfr. anche Backes 1 5 sgg. Haendler, ibid. , 99 sg. Beumann, Das Paderborner
Epos, 3 1 4 . Epperlei n , ibid. , 33 sgg . , 46; 92; 9 5 . B raunfe l s , ibid. , 43 sg. Fichtenau , ibid. , 45 . Molti,
forse la maggior parte, deg l i stori c i si mostrano entusiasti degli eccidi dei Sassoni perpetrati da
Carlo. Per H . D . Kahl a codeste guerre sassoni "per g l i effetti e l a grandiosità, e quindi per i l loro
s i g n i ficato e il loro rilievo storico, non molti altri eventi s i m i l i del passato della Germania possono
essere accostati " . Tuttavi a sottolinea e lamenta u n a cosl "radicale costrizione alla fede" quale "forse
mai è avvenuta in nessun ' altra c i rcostanza della storia u n iversale". E poi aggiunge ancora: "Il se­
me di un A mbrog io o di un Agostino produsse i suoi frutti nella politica sassone di Carlo; eppure si
desi dererebbe sapere in che modo lo avrebbero g iudicati questi medesimi padri della C h i esa". Ma
questo non è un problem a ! Per al tro Kahl prende le sue di stanze da Carlo con suffi c i ente c h iarezza.
" Anna/. Lauresham. ad an. 799. Montgomery I 1 64 . Grierson, Der groj3e Konig, 290 . B randi 22.
S tern/Bartmuss 99 sg . . Jordan 533. Lowe, ibid. , 1 43 . B l e i ber, Friinkisch- karolingische Kloster,
1 29 ; qui la c i t azione di Hauck. Cfr. anche Hauck, Die friinkisch- deutsehe Monarchie, 423 . Patze/
Schlesinger I 34 1 sg. Falck, Mainz, 28 s g . , 3 5 . Epperl e i n , ibid. , 92 sg. Fichtenau, ibid. , 1 97 .
1 6 Anna/. reg. Frane. a d an. 7 7 7 sg. Einhard, Vita Ka roli, 9 . M ii hl bacher I 2 0 5 s g g . Kalckhoff 4 5 sgg.

B ayac 1 29 sgg.
1 7 Annal. reg. Frane. ad a n . 7 7 8 . E i nhard, Vita Karoli 9 . dtv-Lexikon, 1 5 , 2 1 8 s g . M iil b acher I 207
Note 365

sgg. Epperlein, i b i d . , 2 8 sgg. Ranke .. c i tai. da B orst 460. B u l lough, Karl, 5 7 sg. B raunfe l s , ibid. , 40
sgg. Bj orkam 674 sg. Kalckhoff 46 sg. B ayac 1 3 1 sgg.
' " A nn. reg. Frane. ad an. 7 7 8 sgg. LThK VI' 9 1 7 sg. LMA I I 324, 3 3 8 sgg. Schubert, ibid. , l, 334 sgg.
Carte l l ieri I 1 94 sg. Miihlbacher I 1 70 sgg. Lowe, ibid. , 1 42 . B randi 14 sg. Coler 2 8 sg. B le i ber,
Friinkiseh- karolingisehe Kloster, 1 3 3 sg. Zol l n er, Die poi. Stellung, 1 8 8 sg. Schulze, Die Besied­
lung der A ltmark, 1 46 sg. Epperl e i n , ibid. , 1 3 5 sgg. Steinbach, ibid. , 60 sg. Fines 5 2 sg. B ayac 1 43
sgg. Riché, Die Karolinger, 1 34 sg. Kahl, ibid. , 54 sg.
1 9 A nn. reg. Frane. ad an. 7 8 2 . B auer, K . , Die Quellen fiir das sogen. Blutbad von Verde n , 1 09 sgg.

Ullmann, Zur Hinriehtung der Saehsen, 1 889 (da Ahlheim 1 64 ) . Cfr., ad esempio, anche la m iserevole
apologia di Dorries, Germanisehe Religion, 293 , 298 e passim . Ugualmente nel X I X sec. g i à Doni n
I 26 1 . Di recente ancora u n a volta il HEG l, nel quale Schieffer s m i n u i sce di continuo le guerre
sassoni e cons idera fra "le notizie fantasiose" anche "il n u m ero assurdo di 4 . 5 00", c i fra c h e
risulterebbe g i à a partire dal Vecchio Testamento: v e d i p a g . 5 5 3 sgg . e la n o t a 2 1 . C fr a n c h e le
attenuanti i n H K G III/ l 74. Anche B ii ttner, Friihmittelalterliehes Christentum, sostiene che " i l
nu mero di 4 . 500 u c c i s i è enormemente esagerato", s e n z a addurre , ovviamente, n e s s u n a prova. E
nel suo saggio vasto e naturalmente fondamentale su Carlo a questo proposito B iittner parla solamente
di "un duro i ntervento del re dei Franch i , i l quale nel tribunale penale di Verden appl icò tutta la
severità del diritto di guerra". B iittner, Mission und Kirehenorgan isation des Franken reieh, 469.
Nient ' altro. Dalla menzione del "diri tto d i g uerra" si dovrebbe ricavare che i l massacro è stato
giusto. A l contrario, per l a critica, i n dettag l i o von Klocke, Um das Blutbad von Verden , 1 5 1 sgg . ,
soprattutto 238 s g . S c h m i tt, W. , Das Gerieht zu Verden , 243 sgg . , secondo i l quale i n o g n i caso il
n umero delle vittime "dovrebbe essere s i g n ificativamente p i ù ridotto". U n a gran quantità bibl io­
grafica nuova e diversa i n H . D. Kahl, Karl der GrojJe, 1 04, nota 2 . Ved i anche K. F. Werner, Das
NS- Gesehiehtsbild, 74 sgg.
20 B u l lough, Kar/, 80. Sul concetto di "ostaggio" cfr. ad esempio, Dobler 1 2 1 sg.

2 1 Ann. reg. Frane. ad an. 782. Hauck I I 348 sg. B ertram 19. Carte l l ieri, Weltgesehiehte, l , 1 9 8 s g .

Rundnagel, Der Tag von Verden , 237. Zender, Die Verehrung des hg. Karl, 1 02 sg. S tei nbach, ibid. ,
6 1 . Epperlein, ibid. , 40. Braunfels, ibid. , 45 sg. B ayac 1 47 . Ranke c i t . da B orst, Ranke und Karl der
GrojJe, 462. Grau s , Die Einheit der Gesehiehte, 639. G. Wolf, Karl, 1 1 2 , non vuole certo giustificare
il "macellaio dei Sassoni", tuttav i a dichiara che la sua "durezza" fu g i u s ti fi cata dalla "ragion di
stato" e dalla "consapevolezza della missione". Cfr. anche Angenendt, ibid. , 29 sg. K . Bemman
scrive che oggi l a polemica "per g l i spec i a l i s t i è ormai c h iusa". Secondo l u i non c i sarebbe "nessun
motivo di fatto razionalmente accettabi l e contro l a g i ustezza delle fonti" (86 sgg . ) . Deschner, Die
Politik der Piipste, I l , 236 sgg.
22 A nna/. reg. Frane. ad an. 783 sgg. LTh K V' 3 2 sg. Sales Doye, Heilige, 5 1 7 . Hauck 322, 349.

Schubert, ibid. , l, 336. Klocke 1 8 8 sg. A h l h e im 1 64. Hampe 70. Brandi 1 7 . Dol l inger, ibid. , 1 20 sg.
Epperlein, ibid. , 40. Kalckhoff 8 1 . Steinbach, ibid. , 6 1 . B ayac 1 48 sg.
23 Cod. Ka rol. 76. Hauck I I 349, 365. Carte l l ieri I 1 99 . Neuss/Oediger 1 47 , 1 5 2 . Ahlheim 1 62, 1 64.

Hampe 7 1 . Epperl e i n , ibid. , 4 1 . Riché, ibid. , 1 3 5 sg. Hauck, K., Die A usbreitung des Glaubens,
1 5 8 sgg. A l thoff, Der Saehsenherzog, 25 1 sgg. Angenendt, Taufe und Politik, 1 59 .
24 A nna/. reg. Frane. ad an. 7 8 6 . E i nhard, Vita Ka roli, 2 0 . LMA II 6 1 6 s g . Carte l l ieri I 200. Dhondt

73. Kalckhoff 99.


25 Keller, Reclams Lexikon, 3 3 8 sg. Donin I I 294 sgg. B l ei ber, ibid. , 1 3 3 sg.
26 E i nh ard, Vita Karoli, 20. Alkuin, ep. 1 74 ; 1 84. A nna/. reg. Frane. ad an. 794 sgg . ; 802; 804. A nna/.

Lauresham. ad an. 7 9 2 ; 795 . A nna/. Guelfe rbytani ad an. 792. A nna/. Mosellan i ad an. 79 1 .
M ii hlbacher I 1 89 sgg . , 248 sg. Hauck I I 364 sg. B ertram 1 8 . Schubert, ibid. , I , 3 3 7 . Carte l l ieri I
206. SchOffe l , Hamburg , l, 3 7 . Meyer, Kirehengesehiehte, 1 8 . Winter-Giinther 1 2 sgg . , 1 9 , 23 sg.
Hampe 7 1 . Lowe, ibid. , 1 4 1 . Dawson 2 1 8 . S tern/Bartmuss 1 03 , 26 1 , nota 62. Epperle i n ibid. , 42
366 Note

sg. Kalckhoff 99, 1 0 1 . B u llough, ibid. , 60. Hellmann, Die politiseh- kirchliehe Grund/egung, 86 1 sg.
27 E i nhard, Vita Karoli, 1 . A nna/. reg. Frane. ad an. 797 ; 804. A nna/. Lauresham. ad an. 794; 796;
799. A nna/. Mosel/ani ad an. 794. A nna/. Mett. prior. ad an. 804. Chron. Moissiaeense, 804. HEG
I 554 (Schieffer). Hauck I I 366 sg. Schu bert, ibid. , I 3 3 8 . Carte l l ieri I 226 sg. Beissel I I l . Grupp II
5 s g . Ahlheim 1 64 s g . Hampe 7 1 . Lowe, ibid. , 1 42 . B randi 6 sg. SchOffel I 8 . S tern/B artmuss 1 03 .
Kohler, Die Ottonisehe Reiehskirehe, 1 54. Epperle i n , ibid. , 4 3 . Braunfe l s , ibid. , 4 7 . I n dettag l i o
Wi nter-Gii nther 24 sgg . , 3 2 sgg, 7 8 , 85 s g g .
2" B ertram 1 7 , 2 1 .
29 Capir. de pa rt. Sax. M G Font. rea. Germ . 3 7 sgg. Capir. Sax, ibid. , 45 sgg. L M A I I 1 48 1 , 1 4 8 3 .
Hauck II 3 5 0 s g g . Schubert, ibid. , l , 3 3 6 s g g . Schniirer, Kirche u n d Kultur, l , 3 9 5 s g . Meyer, Kir­
ehengesehiehte, 1 8 sg. Voigt, Staat, 332. Drogereit, Die sehriftliehen Quel/en , 457 sg. S tern/B artmuss
1 00 sgg. Epperl e i n , Kar/, 3 7 sg., 1 34. Id., Herrsehaft und Volk, 54. Braunfe l s , ibid. , 45. Riché, Die
Karolinger, 1 3 5 . Hartmann, Die Synoden, I O ! s g .
30 E i n hard, Vita Karoli, c . 7 . J . v. Wal ter 3 0 1 s g . Zol l n er, Die politisehe Stel/ung, 229 r i m a n d a i n
proposito a H irsch, H . , D e r mittelalterliehe Kaisergedanke i n den liturg isehen Gebeten, e a L .
B i e h l , D a s liturgisehe Gebetfur Kaiser u n d R e ieh , 1 93 7 . S p e s s o l a ricerca storica moderna e s a l t a i l
sovrano: "Con le guerre sassoni Carlo ha c reato l a Germania" ( a d esmpio, Braunfe l s , i b i d . , 4 3 ) .
31 H K G 1 1 1/ 1 7 1 .
32 A nna/. lu vav. Maximi ad an. 7 7 2 . Vita Corb. , c . 3 9 ; 4 1 . HEG I 556. Hauck I I 3 7 6 sgg . ; 4 1 8 sg.
Schubert, ibid. , l , 3 3 9 . Waldmiiller 1 22 sg. Ho Iter 43 sgg. Zim mermann, Der Gunzwitigau , 39 sgg .
S parber, Zur ii/testen Gesehiehte, 54 sgg. Bosl, Gesehiehte Bayerns, I, 45 s g . I d . , Die Grundung
lnniehens , 45 1 sgg . , 467 sgg. Lowe, ibid. , 1 45 . Huter 450 sgg. I d . , Die karoling. Reiehsgrundung,
27 sgg. Klebe l , Siedlungsgesehiehte, 42 sgg. (sotto l i n eato da Klebe l ) . Kanzenbach, Gesehiehte der
christliehen Kirehe im Mittelalter, 80. Reinde l , Grund/egung, 1 42 , 1 5 5 sgg . , 207 sgg . , 223 . I d . , Die
Bistumsorganisation , 277 sgg. I d . , Herzog A rnulf, I, 2 1 4 . Oettinger 90. S tern/B artmuss 1 04 s g .
M a ier, Kirehengesehiehte von Kiirnten, I I , 6. Lech ner, Studien zur Besitz- und Kirehengesehiehte,
1 95 sgg. Wol fram, Das Furstentum, 1 65 sgg. Zol l ner, Der bayerisehe A de/, 362 sgg. Prinz, Ent­
wieklung, 355 sgg. Lechner, Der "pagus Grunzwiti", 302 sgg. Korosec, Die slawisehe A nsiedlung,
1 03 sgg . , soprattutto 1 05 .
33 Anna/. reg. Frane. a d a n . 7 8 1 . Heuwieser, Gesehiehte, I , 1 27 . Wol fram, ibid. , 1 69 s g g . Schlesi nger,
Di e Auflosung, 805 sg. B u l lough, Karl, 61. B ayac 1 94 sgg. Riché, Di e Ka rolinger, 1 30 sg. Haendler,
Die /ateinisehe Kirehe, 10 sg. Cfr. anche l a nota seguente.
34 E i n h ard, Vita Karoli c . I l . Conc. di Frane. (794), ean . 3 . A nna/. reg. Frane. ad an. 763, 7 8 1 , 787
sgg. A nna/. Lauresham ad an. 787 sg. ; 794. A nna/. Mosel/. ad an. 7 8 7 (con i ndicazione errata dei
l u o g h i ) . Anna/. Nazar, ad an. 788. Anna/. Petav. ad an. 788. A nna/. A dmunt. ad an. 772. HEG I 5 6 3 .
M ii h l bacher I 240 sgg . , 25 1 . Carte l l ieri I 2 0 2 sgg. Grupp I I 6. Hartmann, Gesehiehte ltaliens, I I ,
305 sg. L o w e , ibid. , 1 45 sg. FauBner 362 sgg. Sprigade, D i e Einweisung, 60 s g g . S tern/B artmuss
1 05 s g . Zol l n e r, ibid. , 1 5 4 sgg. A u b i n , Die Ve rwandlu ng, 1 2 7 . Tom e k , Kire h engesehiehte
Oesterreiehs, 7 1 . Uffelmann, Das Regnum, 3 2 sgg. B arac lough, Die mittelalterliehen Grundlagen ,
6. M i ttei s , Lehnreeht, 68 sg. Kraw inkel 5 7 . Reindel, Bayern und Karolingerreieh, 224 sg. I d . ,
Grund/egung, 1 3 1 sgg. I d . , Herzog A rnulf, 2 1 5 s g g . , 246. B u n d 3 8 8 sgg . Graus , Herrsehaft und
Treue, 1 1 . Steinbach, ibid. , 63. Fleckenste i n , Grundlagen, 1 1 7 sg. B o s l , Bayerisehe Gesehiehte,
59. Epperlei n , ibid. , 47 sg. Reinde l , Die politisehe Entwieklung, 250 sg. Braun fe l s , ibid. , 37, 49, 52
sgg. A l thoff, Der Saehsenherzog , 27 1 . Appena 20 pagine prim a l ' autore aveva parlato, riferendosi
a Desiderio, Tassilone e a l carolingio Pipino, delle "condizioni u m i l ianti" della "prigionia mona­
steriale"; ibid. , 255. S u l l a "alienazione dag l i scopi" dei monasteri, usati come carceri, vedi anche
Goetz, Leben im Mittelalter, 8 7 .
35 Greg. Tur. 4 , 2 3 ; 4,29. Meyers Tasehen Lexikon, l , 1 93 ; V I 1 30. L M A I 1 28 3 sgg . ; I I 9 1 5 . Erben 3 .
Note 367

Stadtm ii ller 9 3 s g . , 1 00, 1 30 sg. Klebel, Langobarden, Bajuwaren, Slawen, 1 0 1 sgg. I d . , Siedlungs­
geschiehte, 29, 46. Dannenbauer I I 9 sg. Vernadsky 262 sgg . , 303 sg. Herrma n n , Sla wiseh - germa­
nisehe Beziehungen, 2 1 sgg. N umerose indicazioni ibid. , 33 sgg. Donnert 295. Reindel, ibid. , 1 0 1 ,
1 2 1 , 1 47 , 1 5 2, 1 7 1 . Zoll ner, ibid. , 1 93 . Ewig, Die Merowinger, 5 5 . Schlesi nger, Zur politisehen
Gesehiehte, 22, pone l a g uerra contro gli Avari nel 562 o nel 563. Hellmann, Neue Kriifte in Osi­
europa, 357 sgg.
36 A nna/. reg. Frane. ad an. 788; 79 1 . A nna/. Lauresham. ad an. 79 1 . A nna/. qu. die. Einh. ad an. 79 1 .
La notizia a Kastrada da parte di Carlo s u l l a guerra: M G epist. I V 5 2 8 . HEG I 5 5 7 . Hauck I I 4 1 9 sg.
Hartmann, ibid. , I I , 3 1 4 sgg. S i mson, Jahrbiieher des Friinkisehen Reiehes, I I , 20 sgg. M ii h l bacher
I 246 sg. Carte l l ieri I 205 . Naegle I 39 sg. LMA I 635. Tomek, ibid. , 77. Heuw ieser, ibid. , l , 1 28 sg.
Stern/B artmuss l 06 sg. Ahlheim 1 65 sgg. S tadtmiiller, 1 35 , indica l ' e l i m inazione del pericolo avarico
come "l ' i mped i mento pri ncipale al m i ssionamento e alla penetrazione nella regione danubiana".
Winter-Gii nther 20. Daniei-Rops 5 1 5 sgg. Kalckhoff 5 2 s g . Klebel, Siedlungsgesehiehte, 49 sg.
Reindel , Bayern im Karolingerreieh, 63 sg. Epperl e i n , Karl, 53. Bayac 1 98 s g . , 206 sgg. Riché, Die
Karolinger, 1 1 6, 1 39 . Steinbach, ibid. , 63 sg. Mckitterick, The Frankish Kingdoms, 62. Erdé l y i ,
Sla wen, Ungarn, 1 54 sg. H e l l m a n n , ibid. , 3 6 0 . Dal tardo periodo merovingio i vescovi vennero
c h i amati sempre di più ad attuare m i sure m i l i tari e a spedizioni bel l i c h e ; addirittura furono in
grado "di organizzare una propria potenza m i l i tare" : Kaiser, Bisehofsherrsehaft, 73 sgg . , soprattutto
76. S u l l a "redemptio" cfr. anche Angenendt, Das Mittelalter, 2 1 1 .
37 A nn. reg. Frane. ad . an. 792 sg. M ii hlbacher I 249 sg. Hofmann, Fossa Ca rolina, 437 sgg. Riassu nto
a pag. 45 1 sgg. Epperl e i n , Karl, 5 3 sg. B ayac 2 1 8 .
38 Einhard, Vita Karoli 1 3 . A nna/. reg. Frane. ad an. 796; 805 ; 826. A nna/. Lauresham. ad an. 796.
LTh K I I P 748. LMA I I I 2 1 44 sg., 2 1 63 ( D i rlmeier); IV 1 3 50 sg. ( S tormer). M ii h lbacher I 25 1 sgg.
Hauck II 420. C artel l ieri I 209 . Naegle I 74. Maier, Kirehengesehiehte von Kiirnten, I l , 6 sgg.
Tomek, Kirehengesehiehte Oesterreiehs, 77 s g . Herrmann, Sla wiseh - german isehe Beziehungen,
68 sgg . , 76 sgg (con n u merose attestazioni delle fon t i ) . Stadtmii l ler 1 36 . Lowe, ibid. , 1 46. Sterb/
B artm u s s 1 97 sg. Ahl h e im 1 66 sg. Zol lner, Die politisehe Stellung, 224 sg. Kosm i nski I 1 95 .
Epperl e i n , ibid. , 5 4 s g . Heuwieser, Gesehiehte, I 1 30, 298. B u l lough, Ka rl, 1 66 s g . Klebel, Die
Ostgrenze, 2 sgg. I d . , Siedlungsgesehiehte, 49 (sottoli neato da K . ) . Preidel, Sla wisehe A ltertums­
kunde, I , 1 20 sgg. Vàczy, Die A nfiinge, 1 9 . B rackmann 60 s g . , 65 s g . , 90 sgg. Riché, Die Welt der
Karolinger, 61 sgg. Kalckhoff, Karl, 23 sgg . , 53 sg. Steinbach, ibid. , 64. S u i tesori addirittura
leggendari degl i Avari cfr. anche Kol l autz, Die A waren, 1 43 sgg . , inol tre 1 64 sgg. S u l l a povertà
delle masse cfr. ol tre Riché soprattutto anche M o l l ai, spec i al mente 3 1 sgg . , 38 s g . , 4 1 sgg.
39 Alkuin, ep . 1 07 . Cfr. ep . 1 1 0 sg. Hauck I I 420 sgg. Stadtmiiller 1 3 2 sgg. Vàczy I 3 sgg. M a ier,
Kirehengesehiehte von Kiirnten , II, 6 s g g . , 1 2 sgg. Tomek, ibid. , 7 8 sg. Zagiba 280 sgg. Preidel I
1 24 sg. Kawerau, Gesehiehte der mittelalterliehen Kirehe, 1 30. Reindel, Bayern im Karolingerreieh,
242 sgg. B o s l , Gesehiehte Bayerns, I , 46 sg . , 67. Id., Europa im Mittelalter, 1 75 . I d . , Bayerisehe
Gesehiehte, 60 sgg. Brackmann 6 1 sgg . , 82 sgg . , 94 sgg. Epperl e i n , ibid. , 5 5 . S tormer I 2 1 5 . H u ter
45 3 . Heuwieser, Gesehiehte, I , 1 30 sgg . , 1 48 sg., 206 sg. Novy, Die A nfiinge, 1 8 sg. Fleckenste i n ,
Grundlagen u n d Beginn, 96. Borst, Ranke, 477. S u l l ' u l teriore accrescimento della riccheza dei
vescovad i e dei monasteri bavaresi nel corso dei secoli successivi cfr. Prinz, Entwieklung, 355
sgg . , 373 sgg.
40 S tadtmii l ler 1 29 . Kawerau , ibid. , 1 30. Dannenbauer, Grundlagen, 438 sg.
4 1 A nna/. reg. Frane. 789. LMA III 1 779 sgg. S tadtmiiller 1 3 7 . Heuwieser I 1 48 sg. Preidel I 89.
R e i n d e l , Grundlegung, 1 5 1 .
42 A nna/. reg. Frane. ad an. 805 sgg. Chron. Moiss. ad an. 805 . Anna/. Mett. ad an. 805 . A nna/.
Quedlinb. ad an. 805 . A nna/. Lobiens. ad an. 805 . LMA II 335 sg. Carte l l ieri I 227. Aufhau ser,
B ay. , Missionsgeseh ieh te, l. Stadtmii l ler 1 3 7 . Naegle I 39 sgg. Hellmann, Karl und die slawisehe
368 Note

Welt, 7 1 7 s g . Herrma n n , ibid. , 84 . B rackmann 67 s g . , 9 7 . Reinde l , Die politisehe Entwieklung, 1 8 8


sg. I d . , Grundlegung, 256 sg. Jenkins 39. B ayac 294 sg. Riché, Die Welt der Ka rolinger, 95 . Cfr.
anche Friedmann, Untersuehungen zur Gesehiehte, 25 sgg. Chropovsky, Das GrojJmiihrisehe Reieh ,
1 62 . Herm, Deutsehlands Hertz, 1 7 sg.
43 N otker, Gesta Karoli, 2 , 1 2 . Taddey, Lexikon, 869. dtv-Lexikon, X I I I 1 70 . Ztill ner, Die politisehe
Stellung, 1 50.
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5 2 Zender, ibid. , 1 02 , 1 96 sgg.
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390 Abbreviazioni

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kunde , 1 9 1 1 sgg .
Saec . : Saeculum, Ja h rbuch fii r Un iversa/ge-
39 1

INDICE DEI NOMI


L' elenco che segue comprende tutti i nomi di persona (anche fi ttizi, l eggendari o fal s i ) contenuti nel
presente vol. I V, nonché i nomi di tu tte le figure p i ù o meno fi ttizie o m i tiche delle letterature antiche
o di al tre tradizioni.
Poiché l e c i tazioni sono state fedelmente assunte dalle fon t i, alcuni nomi possono presentarsi i n
forme d i fferenti.
Per fac i l i tare la ricerca, i n alcuni casi uno stesso personaggio viene c i tato nelle sue varianti . S i è
ampiamente rinunciato a rimandi i ncrociati onde risparmi are al lettore qualsiasi i ntral c i o .
Nomi, titol i , cariche, rapporti di parentela, datazioni completano i n m o d o pratico, non si stematico,
c i ascun lemma, affi nché i l lettore non sia costretto a consul tazioni superfl u e . Di norma i personaggi
secondari vengono caratterizzati meglio di q u e l l i pri ncipa l i .
Importante p e r il lettore italiano: i n o m i di m o l t i personaggi s o n o s t a t i italianizzati u sando come
riferi mento l a Storia Un iversale edita da F. Val l ardi i n diversi vol u m i . Quello che tratta i l periodo in
questione è i l volume terzo, tomo pri m o : l Germani - Migrazini e regni nell ' Occiden te già romano - l
Franchi, M i lano 1 96 5 . Tutti i nomi non trovati in questo volume si è preferito !asciarli nella grafia
originale usata da Deschner.

Abd ar-Rahman ben M u aj i ra, signore omaiade di Agapeto I , papa ( 5 3 5 - 5 3 6 ) : 96, 1 5 8


Cordova: 304, 465 Agapeto I I , papa (946-9 5 5 ) : 396, 403
Abdul Melik, cal i ffo omaiade di B agdad ( 6 8 5 - Agapio di Digne, vescovo: 264
705 ) : 303 Agatone, santo, papa (678-68 1 ) : 263
Abu Bekr, genero del profeta M uhammad, pri mo Agerich di Verd u n , vescovo: 1 23 , 1 25
califfo (573-634): 302 Agila, re dei Visigoti (549-5 5 4 ) : 1 3 9, 1 40
Abu Tal i b , padre putativo e zio del profeta Mu- A g i l berto di Pari g i , vescovo: 269
hammad: 30 1 A g i l u l fo, re dei Longobardi (59 1 -6 1 5/6 1 6) : 42,
Adalberto di Amburgo e Brema, arcivescovo: 403 1 84, 1 90, 1 92, 1 93
Adal berto d i Magdeburgo, arcivescovo: 402 A g i v u l fo, governatore deg l i S v e v i : 1 4 1
Adalgiso, fig l i o di Desiderio, re dei Longobard i : Agnello d i Terrac i n a : 1 76
43 1 , 436, 444 Agnese, monaca: 260
Adalgiselo, duca d ' Austria: 234 Agostino, Aurelio, santo, dottore della chiesa: 2 1 ,
Adalhard, di Corbie, abate: 499 2 3 , 26, 1 7 3 , 1 74, 1 76, 3 9 5 , 498, 503
Adaloaldo, pri ncipe longobardo: 1 9 3 , 336 Agostino, priore del convento di Sant' Andrea a
Adel c h i , fi g l i o del re longobardo Desiderio: 42 1 Roma, poi arc i vescovo di Canterbury: 1 99 ,
Adel perga, fig l i o del re longobardo Desiderio: 200, 202, 206, 208, 400
435 Agrec io di Trev iri, vescovo: 27
Adriano, fig l i o del dux Exhilarato : 3 5 6 Agrippina M i nore, madre di Nerone, mog l i e i n
Adriano I , p a p a (772-79 5 ) : 326, 374, 407 , 428, seconde nozze de l l ' i mperatore C l audio, da lei
429, 430, 4 3 3 , 434, 43 6-445 , 447, 45 3 , 46 1 , avvelenato: 1 1 8
482, 50 1 , 504 Ahlheim, Klaus: 486
Adriano I I I , papa ( 8 6 7 - 8 7 2 ) : 396 Alahis, duca di Trento: 347, 348
Adriano I V, papa ( 1 1 54- 1 1 5 9 ) : 24 Aland, Kurt: 47, 7 7
Aeddi ( E d d i ) Stefano. prete e monaco a n g l o - A l arico I , r e dei Visigoti (395-4 1 0) : 65, 7 2 , 1 06
s a s s o n e : 285 A l arico I I , re dei Visi goti (484-507 ) : 5 3 , 64, 68,
Aerssen , Jakob v a n : 304 69, 70, 7 2 , 92, 1 06 , 1 1 2
Aethelbald di Merc i a , re: 3 1 3 A l berico di Utrecht, vescovo: 469
Afiarta, Paolo, camerlengo pontificio: 424 s . , 428 Albino, camerlengo di papa Leone I I I : 448
392 Indice dei nomi

Al bofled i s , sore l l a di C l odoveo l, monaca: 56 A n s fled, suocera di Berchar, mog l i e di Waratto:


A l b o i n o , principe l o ngobardo ( 5 60-5 7 2 ) : 1 05 , 2 93 , 294
1 06, 1 07 , 1 08 , 1 1 0- 1 1 2 A n s frit, ribelle longobardo: 348
Alcuino, dotto anglosassone e scri ttore : 3 1 1 , 449, An sgar d i Amburgo, primo vescovo, poi arc i ­
462, 476, 479, 499, 50 3 , 505 vescovo: 403
A l deberto, eretico di Neustria: 327 An sprando, re dei Longobardi ( 7 1 2 ) : 348, 349
Aldgise l , principe dei Frisoni : 295 Anstrud, figl i a di A nsfled, pri ma mog l i e d i Ber-
Alessandro Magno, re di Macedo n i a : 505 char, seconda moglie di Drogo : 294
Alessandro I I I , papa ( 1 1 59- 1 1 8 1 ): 504 Antemio, i mperatore d ' Occidente (467-472 ) : 252
Alessandro VI, papa ( 1 492- 1 50 3 ) : 4 1 1 Antemio, suddiacono: 1 92
Aleteo, patrizio burgundo: 23 1 Antidio di Agen, vescovo : 1 27
A l fredo il Grande, re anglosassone (87 1 -899): 1 8 Anton, H. H . : 79, 22 1 , 229
A l germissen, Konrad: 44, 60, 7 1 Antonino di Grado, metropolita del regn o d i Ve-
A l i v isatos, Hamilcar Spyridon o s : 1 5 nezia: 364
A ltaner, B erthol d : 206 Apo l l i n are S idonio, vedi Sidonio Apol l i n are
A l tendorf, H . - D . : 1 66 Apol l i nare di Valence, santo, vescovo : 5 8 , 59, 7 1
Amalaberga, mog l i e di Ermenefrido: 89 Apollo, div i nità greca : 3 8
Amalarico, re dei Vis igoti (522-5 3 1 ) : 92, 1 3 9 Aprunculo d i Langres, vescovo: 265
Amal berga, santa, sore l l a di sant' Arnolfo : 2 3 2 Ard u i n n a , d i v i n i tà celtica (= Diana): 40
Amando, santo, abate e vescovo missionario pres- Arechi II di B enevento, duca: 435 s., 440, 442,
so i Fri son i : 42, 43, 44, 234, 237 443, 444
Ambrog i o di M i lano, santo, dottore della chiesa: Aregunda, mog l i e di Clotario : 9 8 , 99
20, 1 5 9 , 1 6 1 , 206, 208, 4 1 6 Arg i m undo, d u x : 1 49, 1 50
Anastasio, patriarca d i Costanti nopol i : 3 5 6 Ariès, Philippe: 4 1 2
Anastasio, patriarca di Antioc h i a : 1 63 Ari g i s , duca; 1 7 3
Anastasio l, i m peratore bizantino (49 1 -5 1 8 ) : 7 3 , A r i o , presbi tero a l e s s a n dri n o , fo ndatore d e l ­
84 l ' Arianes i m o : 25 1 , 342
Anastasio I l , papa (496-49 8 ) : 5 8 Arioaldo, re ariano dei Longobardi ( 6 2 5/626-
Anastasio di Pavia, u l t i m o vescovo ariano: 347 636): 336
Anastasio, u n abate : 265 s. Ari perto l , duca di Asti, r e cattolico dei Longo­
Anastasio S i naita, santo, abate, padre della chie- bardi (653-66 1 ) : 347
sa: 397 Ari perto I l , re dei Longobardi (70 1 -7 1 2 ) : 3 4 8 ,
Andrea, santo, apostolo: 2 1 6 349
Andrea di Taranto, vescovo: 1 70, 1 7 1 Ari u l fo di Spoleto, duca pagano dei Longobard i :
Angenendt, A . : 77, 2 3 5 , 26 1 1 90, 1 9 1 , 1 92
A n g i l berto di Saint-Riqu ier, abate e cappel lano A r n a l d o da B r e s c i a , c a t to l i c o ere t i c o ( I l 0 0 -
di corte di Carlo Magno: 4 8 7 , 500 1 1 55): 4 1 1
A n g i l ram di Metz, vescovo, gran c appe l lano di Arno di Sali sburgo, vescovo : 49 1 s .
Carlo Magno: A r n o , arc i vescovo: 449
Aniano di Orléans , vescovo: 69 Arno di Sali sburgo, vescovo 487
Annibale, generale c artaginese: 467 Arnolfo, figlio di Drogo, nipote di Pipino Il: 2 3 2 .
Ansegiso, secondo fig l i o di sant' Arnolfo di Metz 305
e di Doda, marito della fig lia d i Pipino, Begga, Arnolfo di Metz, santo, vescovo: 22 1 , 2 2 6 , 2 2 8 ,
padre d i Pipino Il: 233, 279, 282 2 3 0 , 23 1 , 2 3 2 , 2 3 3 , 2 3 5 , 2 7 9 s s . , 2 8 2 , 2 9 2
Anselmo, conte del Palati nato, comandante della Ars i c i no, duca, comandante della Pentap o l i : 1 67
guard i a di palazzo di Carlo Magno: 467 Artabasdo, usu rpatore bizantino, c o g n a t o d e l ­
Anselmo di Nonantola, abate fondatore, già duca l ' i mperatore Costantino V : 3 5 7
del Fri u l i : 430 Astarot, u n a d e a : 3 1 6
Indice dei nomi 393

Astolfo ( l at i n i zzato H e i s t u l fu s ) , re dei Longo­ di Meroveco: 1 24, 27 1 , 272


bardi (749- 7 5 6 ) : 369, 377-379, 3 8 5 , 386, 3 8 8 , B auer, Karl : 470
415 B au s , Karl : 1 94, 207 , 2 1 3 , 2 1 8 , 264
Atanagi ldo, antiré v i s igoto (55 1 -567), successore B ayac, J . D . de : 3 7 3 , 434, 466, 469
di re Agila, padre di B runechilde: 1 1 8 , 1 40, Beck, M . : 63
1 44, 1 45 Beda i l Venerabi l e , santo, storico anglosassone,
Ataulfo, re dei Visigoti (4 1 0-4 1 5 ) : 6 5 , 66 dottore della chiesa ( * 6 7 3 - t 7 3 5 ) : 1 97 , 1 99,
Athaloc di Narbona, vescovo ari ano: 1 49 202, 296
Attanasio il Grande di Ales sandri a, padre della Begga, fi g l i a di Pipino i l Vecchio, moglie di A n ­
chiesa: 40 s e g i s o , madre di Pipino I I : 2 3 2 , 2 3 3
Attila, re deg l i Unni (434-45 3 ) : 3 9 8 B e g g a , s a n t a , fig l i a d i s . Arnolfo e di s . l t t a , m o ­
A t t o di Fri s i nga, v e s c o v o : 487 g lie di P i p i n o I I : 282
Aubin, H . : 2 5 5 , 450 Benedetto V I , papa (972-974): 396
Audoino di Rouen, vescovo: 230, 285, 286 B e n edetto IX, papa ( 1 03 2 - 1 044, 1 04 5 , 1 04 7 -
Audomaro, santo: 43 1 04 8 ) : 1 9
Audoveco di Langres, vescovo: 270 Benedetto d a Norcia, santo, fondatore del l ' ordine
Audovera, mog l i e di C h i l perico I di Soissons : dei B e nedettini (480- 5 5 0 ) : 4 1 , 209, 2 1 0, 2 1 1 ,
1 1 8 , 1 1 9 , 1 22 , 1 24, 27 1 273
Augu sto, Gaio Ottavio, i mperatore romano ( * 6 3 Benno d i Osnabriick, vescovo ( 1 068- 1 08 8 ) : 397
a . C . - t l 4 d . C . ) : 1 95 , 4 1 3 Benz, K . J.: 450
Au nachar d i A u xerre, vescovo: 1 3 2 B eornrad di Sens, arc i vescovo: 499
Aunemundo di Lione, arc i vescovo: 285 Berchar, abate di Der: 265
Aureliano di Arles, vescovo: 94, 96 Berchar, maestro di pal azzo di Neustria: 293 s.
Aurona, sorel l a di Liutprando, re dei Longobard i : Berchilde, moglie d i re Dagoberto 1: 234
348 Berec i nthia (= Cibele), una dea: 28
Austrichi lde, seconda moglie di re Guntram : 1 1 6, Berlinde, santa: 399
1 29 Bernardo, fratel l astro i l l egittimo di Pipino I I I , zio
Autari , fig l i o del C l efi , re dei Longobardi ( 5 84- di Carlo Magno: 430
590): 1 08 , 1 1 2, 1 34, 1 92 , 3 1 9 Bernardo di Chiaraval le, santo, m i stico e rifor-
Av ito, A l c i m o Ec d i c i o , santo, metropo l i t a d i matore ( 1 090- 1 1 5 3 ) : 2 3 , 2 1 8
Vienne : 54, 5 7 - 5 9 , 6 3 , 6 4 , 275 Bernardo di Halberstadt, vescovo (923 -968 ) : 402
Av ito, M arco Mec i l i o , i mperatore d ' Occidente Bernward di Wiirzburg, vescovo: 40 1
(455-45 6 ) : 2 5 , 5 8 , 5 9 , 8 3 , 84, 85 B erta, pri ncipessa cattolica dei Merovingi, prozia
di C lodoveo l , n i pote di B runechi lde, fig l i a del
B adeg iselo di Le Mans, vescovo: 269 re franco Cariberto di Pari g i : 1 98
B aderich, re dei Tu ri n g i : 89 Berta, fig l i a di Carlo Magno, amante di Angil­
B aetke, W. : 3 7 berto, abate di Saint-Riquier: 446, 499
B a i a n , khagan deg l i Avari : 4 8 5 B ertetrud, regi n a dei B urgu n d i : 23 1
B a l l esteros y B eretta, Antonio: 1 3 7 , 1 50 Berthachar, fi g l i o di B i s i no, re dei Turi n g i : 89,
Balti lde, schiava anglosassone, regina d ' Austria, 90
madre di Chi lderico II: 2 8 2 , 284-287 B ertrada, fig l i a del conte Cariberto di Laon, le­
B arbarossa, vedi Federico I gata a Pipino I I I , madre di Carlo Magno: 42 1 ,
B ardenhewer, Otto: 2 5 2 425 , 427, 428
B arnaba, santo, miss ionario protocristiano, c o m - Bertrada = Desiderata o Ermengarda
pagno di v i a g g i o del l ' apostolo Paolo: 3 9 9 B e r t ra m , A d o l f, c a rd i n a l e t e d e s c o (* 1 8 5 9 -
B aron i a , Cesare , card i nale ( 1 5 3 8 - 1 607): 3 3 9 t l 945 ) : 1 1 1 , 459, 46 1 , 476, 477, 504
Basilio, d u x : 3 5 5 B ertram di B ordeau x , vescovo: 1 27 , 264
B a s i n a , figlia di Chilperico e di Audovera, sore l l a Bertram di Le Mans, vescovo: 259
394 Indice dei nomi

Besso, u n franco: 92 B uchner, R . : 8 1 , 296, 3 1 3


Beumann, H.: 464 B u l lough, Donald: 3 7 2 , 47 1 , 476
B i l , u n dio: 3 1 6 Bund, K.: 1 22 , 245 , 37 1
B i l i c h i l d e , c u g i n a e m o g l i e d i C h i lderico I l , B u rc h ard di Wiirzburg, vescovo : 374
madre di Dagoberto: 2 8 8 s . B u rkhard di Passau, vescovo: 40 1
B i sino, r e d e i Turi n g i : 8 9 B urr: 379
B l adast, d u c a di C h i l perico 1 : 1 27 , 1 29 B ii ttner, H.: 1 34, 2 8 7 , 370, 3 7 1
B l anke, F. : 29 B u tzen, R . : 3 3 0
B l e i ber, H . : 69, 248
B l och, Mare, storico francese (* 1 8 86-t 1 94 4 ) : C a l l i n i c o d i B a a l b e k , i n v e n t o r e d e l " fu o c o
394 greco": 303
Bobo di Valence, vescovo: 2 64 , 289, 2 92 C a l l i sto Il, papa ( 1 1 1 9- 1 1 24 ) : 396
Bobo, duca di A l vern i a : 2 80 Calpaida, vice-moglie di Pipino II, madre di Carlo
Bobo, duca dei Fri son i : 297 M arte l l o : 298
Bodilo, magnate franco: 289 Campolo, sace l l ario sotto papa Leone I I I : 447
Bod mer, J . - P. : 76, 245 Candido, rettore gallico: 1 84
B o n i facio (= Wyn freth= Winfred ) , santo, bene­ Cararico, re dei Tongri : 5 2
dett i n o anglosassone, i l cosiddetto "apostolo Caratene, mog l i e cattolica d i r e C h i l perico I I ,
dei Tedeschi" ( * c irca i l 6 7 5 - t 7 5 4 ) : 2 1 1 , 2 1 2 , madre di Chlotilde: 6 4
269, 300, 306, 307-332, 370, 3 7 3 , 3 7 5 , 48 1 , Cariatto, armigero di r e Guntram d ' Orléan s : 1 2 8
49 1 Cariberto di Lao n , conte, padre di B ertrada : 427
B o n i facio di Ferentino, vescovo: 2 1 1 Cari berto l , n i pote maggiore d i Clodoveo, fi glio
B o n i facio I I I , papa (607 ) : 1 97 , 3 3 5 maggiore di re Clotario I , fratello di Chilperico
B o n i facio I V, santo, papa (608-6 1 5 ) : 1 96, 3 3 5 d i S o i s s o n s , re d i Parigi ( 5 6 1 - 5 6 7 ) , ebbe 4
B o n i facio V, papa ( 6 1 9-625 ) : 4 5 , 3 3 5 "reg i nae", padre di Berta: 1 1 6, 1 1 7 , 1 2 1 , 1 25 ,
Bonifacio V I I I , papa ( 1 294- 1 30 3 ) : 23 1 9 8 , 2 4 5 , 27 1
Bonifacio, notaio pontificio: 1 7 5 C a r i berto I l , frate l l o m i nore di Dago berto I ,
Borg i a , Cesare, fi g l i o di papa A l e s sandro V I , viceré d ' Aquitania (630-63 2 ) : 2 3 3 , 234
principe italiano d e l l a chiesa, uomo pol i t i c o : Carlo, fig lio maggiore di Carlo Magno: 1 8
121 Carlo I "Magno": 1 7 , 56, 234, 2 3 7 , 26 1 , 292, 297,
Borst, A . : 2 5 7 , 290 3 1 3 , 372, 375, 376, 3 8 1 , 3 84, 397, 40 1 , 402,
B o s l , Karl : 43, 77, 223, 246, 262, 395, 483 495, 407, 4 1 2 , 4 1 3 -506
Boudriot, W. : 250 Carlo II il C a l v o , re dei Franchi d ' Occidente
Brackmann, A.: 405 , 488, 495 (dal l ' 84 3 ) , i mperatore ( 8 7 5 - 8 7 7 ) : 4 1 1
B raunfe l s , Wol fgang: 277, 299, 372, 374, 4 1 3 , Carlo I I I il Grosso, re dei Fra n c h i d ' Oriente
439, 467 (dal l ' 876), i mperatore ( 8 8 1 - 8 8 8 ) : 4 1 1
Brod u l f, zio e mentore del v icerè aquitano Cari- Carlo V, i mperatore tedesco ( 1 5 1 9- 1 5 5 6 ) : 1 65
berlo II: 234 Carl o m a n n o , beato, fi g l i o di Carlo M arte l l o ,
Brithwald di Canterbu ry, vescovo: 295 frate l l o d i P i p i n o I I I , frate l l astro di Grifone
Briih l , C . : 260 ( 7 1 5 - 7 5 4 ) : 3 1 1 , 326, 3 2 8 , 3 3 1 , 369-370, 37 1 ,
Brunec h i l de, pri ncipessa v i sigota, sore l l a di Ge­ 3 7 2 , 373, 3 7 5 , 8 5 , 464
lesvi nta, moglie cattol ica di re S igeberto I di Carlomanno, fi g l i o di Pipino I I I , fratel l o mi nore
Rei m s , fece sposare i l ni pote Meroveco, fig l i o di Carlo Magno (75 1 -77 1 ): 376, 384 s . , 420,
di C h i l perico, con A n dovera, madre di C h i l de­ 4 2 1 , 424, 4 2 5 , 426, 427, 429, 430, 43 1 , 4 3 3 ,
berlo I I : 4 1 , 1 1 7- 1 1 9 , 1 2 1 - 1 2 3 , 1 24, 1 30, 1 34, 502
1 40, 1 43 , 1 46, 1 90, 1 99, 2 1 6, 2 1 8 , 22 1 -239, Carlo M arte l l o ( C arolus Marte l l u s , Tude, Tud i ­
267 t e s ) , fi g l i o d i P i p i n o I I e d e l l a s u a a m a n t e
Brun ner, H.: 249 C a l p a i d a , nonno di Carlo M a g n o (689-74 1 ) ,
Indice dei nomi 395

maestro di palazzo dal 7 1 4: 2 3 3 , 2 5 3 , 264, 270, Cibele, dea frig i a : 28


292, 297- 300, 304, 305, 306, 3 1 O, 3 1 1 , 3 1 2 , C iriaco, santo, patriarca "ecumenico" di Costan-
3 1 3 , 3 1 9 , 3 2 1 , 3 2 8 , 3 3 1 , 3 6 5 , 36� 36� 369, tinopo l i : 1 64
3 7 5 , 376, 379, 3 8 1 , 3 8 2 , 426, 457, 460 C laude, D . : 1 39, 1 48
Carte l l i eri, A . : 59, 1 2 1 , 3 3 7 , 429 C l au d i ano, Claudio, poeta romano (ca. 400 ) : 35
C aspar, Eric h : 206, 374 Claudio, Tiberio nerone Germanico, i mperatore
C atone di Tours, antivescovo: 2 5 8 romano (4 1 -54): 1 98
Cautino di Avern (=Clermont), arc i vescovo: 2 5 8 , C lefi , successore di Alboino: l 08, 1 1 2
264, 270 C lemente, apostolico fondatore di Metz: 399
Cesare, G a i o G i u l i o , u o m o politico romano ( * c a . C lemente, vescovo i t i nerante irlandese: 327
I OO-t44 a . C . ) : 1 4 1 , 505 C l oderico, fig l i o di re S igeberto d i Colonia: 70,
Cesario di Arles, santo: 30, 69, 70, 1 95 , 249 , 273 74
Cetego di A m i terno, vescovo: I l O Clodione, regu l o (ca. 425-ca. 455 ) : SO
C hadij a , moglie del profeta Muhammad: 30 1 C l odomero di Orléans, penultimo fig l i o di Clo­
C h i l deberto l, fig l i o di C l odoveo, re di Neustria doveo I ( 5 1 1 -5 24 ) : 8 2 , 85-88, 9 3 , 2 5 8
( 5 1 1 -5 5 8 ) : 4 5 , 8 2 , 85, 8 7 , 89, 92, 9 3 , 94, 97, Clodomero, fig l i o di s a n t a Clotilde: 8 8
99- 1 0 1 , 249 C l odosinda, fig l i a di C lotario I , p r i m a mog l i e di
C h i ldeberto Il, fi g l i o di S igeberto e di Brune­ Alboino: 1 06
childe, a c i nque a n n i diventa re d i A u stri a ; Clodosvinta, n ipote di re C l odoveo 1: 60
n i pote maggiore di G u n tram , ne di venta fig l i o C l odosv i nta, principessa catto l i c a dei Franc h i ,
adott i v o e perc i ò r e d i due parti del reg n o : m o g l i e di A l b o i n o : 1 1 2
Austria e Franco- B urgundia ( 5 7 5 - 5 9 6 ) : 1 1 9 , Clodosvinta, sore l l a di C h i ldeberto I I : 1 34
1 22, 1 23 , 1 24, 1 25 , 1 27 , 1 28 , 1 30, 1 3 3 , 1 34, Clodovaldo, terzultimo fig l i o di C l odomero : 8 8
1 3 5 , 1 46, 1 8 7 , 2 1 6 , 2 2 3 , 224, 2 2 5 , 227, 256, C l odoveco, fig l i o di Audovera e di r e C h i l perico
267, 272, 384 I di Soissons, fi g l i astro di Fredegonda: 1 1 9 ,
C h i l deberto ( I I I ) = " C h i l debertus adopt i v u s " , 1 24, 25 1
fig l i o di Grimoaldo, adottato da r e S i geberto C l odoveo l, re dei Merovingi ( 466-5 I l ) : 1 8 , 2 8 ,
I I I , re (656-66 1 ) 28 1 , 282 34, 44, 46-7 8 , 82, 84, 8 5 , 87, 9 1 , 1 1 2 , 1 1 6, 1 3 9,
Childerico l , re dei Franchi (460-482), padre di 396
C l odoveo 1 : 5 l , 5 2 C lodoveo Il, re di Neustria e B urgundia (639-
Childerico I l , fig l i o d i r e Clodoveo I I e di B a l ­ 657); fig l i o di Dagoberto I e d i Nantilde, fra­
t i l d e , frate l l o di C l otario III e d i Teoderic o ; a te l l o di Sigeberto I I I , sposato con la schiava
7 anni d i venne re d ' Austria (662-67 5 ) : 2 8 2 , anglosassone Baltilde; padre di C lotario I I I ,
284, 2 8 5 , 2 8 8 , 289, 29 1 Teoderico I I I , C h i lderico I I : 3 3 , 1 98 , 2 3 8 , 245 ,
Chi lderico III, ultimo re dei Merovingi (743-75 l ) : 2 5 8 , 284
374, 3 7 5 Clodulfo, figlio di sant ' Arnolfo, terzo successore
Chilperico I di Soissons, fi glio mi nore di Clotario del padre sul seggio epi scopale di Metz: 232
l , re dei Merov i n g i ( 5 6 1 - 5 8 4 ) : 20, 62, 63, 64, C lotario l , fig l i o m i nore di C l odoveo l , re dei
1 1 3 , 1 1 6 , 1 1 7 , 1 1 8 , 1 1 9- 1 2 1 , 1 23- 1 29, 1 40, Merovin gi ( 5 1 1 -5 6 1 ) : 8 2 , 8 5 , 87-89, 92, 9 3 ,
1 43 , 263, 267, 27 1 94, 97, 1 0 1 , 1 06, 1 1 2 , 1 1 6- 1 25 , 1 26, 245 , 2 5 8 ,
Chilperico I l , co-reggente burgundo in Valence, 295, 3 1 9, 457
padre di santa Clotilde: 54, 62, 64 Clotario II, figlio di Fredegonda e di re Chi lperico
C h i l perico II, da prete "Daniele", re (nominale) I d i Soissons, divenne (ancora mi norenne) co­
di Neu stria (7 1 6-72 1 ) : 298, 299 r e g g e n t e d i N e u s t r i a ( 5 8 4 - 6 2 9 ) ; padre d i
Chram l i n di Embru n , vescovo: 269 Dagoberto 1 : 1 20, 1 23 , 1 24, 1 3 5 , 223, 227, 228,
C h u n s i n a , m o g l i e d i re C l o tario I, m adre di 229, 230, 23 1 , 2 3 2 , 2 3 3 , 2 3 5 , 2 5 8 , 264, 457
Cram no: 98 Cl otario I I I , fig l i o di re C l odoveo I I e di B a l t i l de,
Chusrau vedi Cosroe fratello di Teoderico III e Childerico I I ; diventò
396 Indice dei nomi

- m i norenne - re di Neustria (657-67 3 ) : 90, 9 1 , s . , 42 1 422, 425


'
9 8 , 99, 2 8 2 , 284, 2 8 5 , 287 Cristo: I l , 2 2 , 25, 30, 32, 33, 34, 3 6 , 4 1 , 2 7 7 ,
C l otario I V, re d ' A ustria (7 1 7 -7 1 9) : 298, 299 2 8 8 , 2 90 , 29 1 , 3 0 4 , 305, 3 2 1 , 326, 3 2 7 , 3 3 0 ,
Clotilde, fig l i a di C l odoveo l , moglie di Amala­ 3 3 8 , 3 3 9 , 34� 3 5 � 35 1 , 3 5 3 , 3 5 5 , 3 6 1 , 3 6 5 ,
rico, re dei Visigot i : 92 3 7 1 , 3 7 3 , 3 7 7 , 379, 3 8 7 , 3 8 9 , 3 9 7 , 4 3 3 , 446,
Clotilde, santa, pri ncipessa burgu nda, mog l i e di 449, 4 5 3 , 460, 46 1 , 473, 487, 4 8 8 , 503. Vedi
C l odoveo l , che convertì al cattolicesimo: 54, anche Gesù:
5 6 , 62, 6 3 , 64, 7 7 , 8 5 , 8 7 , 8 8 , 93 C rodeberto di Pari g i , vescovo: 2 8 5 , 2 8 6
Coifi, arciprete i n Northumbri a : 45 Crodegang di M e t z , vescovo: 379
Colombano, santo, m i ssionario irl andese e scrit- C rodichi lde, fig l i a di re Cari berto 1 : 258, 27 1 ,
tore (543-6 1 5 ) : 4 1 , 42, 1 93 , 229, 3 3 5 272, 283
Concordio di Arles, vescovo : 2 5 7 C rodoaldo, u n agi l u l fide, padre di Fara, nel 6 2 5
Contumelioso di Riez, vescovo: 269 assassi nato a Treviri p e r ordine del re : 2 3 2 , 28 1
Copioso, u n monaco: 1 69 Cudberto di Canterbury, arcivescovo: 269, 3 1 4
Corb i n iano, santo, vescovo iti nerante, vescovo C u l ican, Wi l l i a m : 1 3 7
monasteriale: 48 1 C u n i berto d i C o l o n i a , vescovo ( 6 2 3 -663 ) ,
Corrado I l , re tedesco (dal 1 024) e i m peratore precettore d i Dagoberto I e d i S igeberto I I : 22 1 ,
( 1 027- 1 039): 1 9 234, 2 3 5 , 236, 279-282
Cosma, anti mperatore : 3 5 6 C u n i mondo, re dei Gepi d i : 1 05 , 1 06, 1 08
Cosroe ( = C h u s r a u ) I l , G r a n Re sassanide ( 5 9 1 - C u n i perto, fig l i o del re Pertarito: 347, 348
6 2 8 ) : 1 94
Costante I l , imperatore bizantino (64 1 -668 ) : 303, Dagoberto l , re dei Merovingi (623-639), fig l i o
34 1 , 344, 345, 346, 354 d i C lotario I I : 22 1 , 2 3 2 - 2 3 8 , 245 , 2 6 8 , 2 7 9 ,
Costantina, imperatrice bizantina: 1 60, 1 76, 1 94, 3 8 2 , 457
216 Dagoberto II, re dei Merov ingi (675-679), fig l i o
Costant ino I i l Grande, imperatore romano ( 306- d i S igeberto I I I : 28 1 , 282, 289, 292, 2 9 5
3 3 7 ) : 2 1 , 55, 57, 60, 6 1 , 74, 76, 77, I SO, 1 89, Dagoberto I I I , re dei Merovi n g i ( 7 1 1 -7 1 5 ) , fig l i o
200, 3 80, 389, 406, 407 , 408 , 409, 4 1 1 , 439, di Chi ldeberto I I I : 2 9 8
450, 505 Dagoberto, fig l i o di r e C h i l derico I I e di B i l i ­
Costantino Il, papa (767-768 ) : 4 1 6, 4 1 8 , 4 1 9 c h i l d e : 289
Costantino I V, fig l i o del l ' i mperatore bizantino Dal fi no, fratello de li' arc ivescovo Aunemundo di
assas s i n ato Costante I I : 346 Lione, "praefectus" i n Lione: 285
Costantino V (iconoclasta, copronimo, cabal l i no), Daniele di Winche ster, vescovo: 3 1 3
fig l i o e successore de li' imperatore Leone I I I Daniel-Rops, H . : 76, 8 3 , 1 30, 1 45 , 2 1 9 , 24 1 , 247 ,
(74 1 - 7 7 6 ) : 3 5 3 , 3 5 7 , 364, 3 7 8 304, 3 3 7 , 37 1 , 4 1 3 , 47 3 , 4 8 7 , 497
Costantino, patriarc a : 3 5 8 Dannenbauer, Heinrich: 32, 1 49 , 1 5 5 , 206, 208 ,
Costantino, fratello d e l duca Toto di Nepi, succes­ 492
sore di Paolo I come papa (767-768 ) : 4 1 6, 4 1 8 , Dante Al ighieri, poeta italiano: 58
419 Dawson, Chri stopher: 307 , 4 1 3
Costantino d i Nakoleia, vescovo: 3 5 2 Deér, J . : 42 1 , 445
Costanzio di M i lano, d i acono, poi vescovo della Demetrio di Napol i , vescovo: 1 70
stessa c i ttà: 1 9 3 Demougeot, E . : 2 8
Costanzio I I I , i mperatore romano ( t42 1 ): 1 98 Deodato, santo, papa (6 1 5-6 1 8 ) : 3 3 5
Cramno, fig l i o di C l otario l, vi cerè d ' Aquitan i a : Deoteri a, i ntrattenne rapporti adu l teri n i c o n re
9 7 , 98 Teodeberto: 2 5 2
Crescenzio, santo, di scepolo di Paolo, fondatore Desi derata, nome probabi lmente fi ttizio di una
de l l ' abbazia di Magonza: 399 fig l i a di Desiderio, re dei Longobard i : 42 1
Cristoforo, pri micerio di papa S tefano I I I : 4 1 7 D e s i derato ( D i d d o ) di C h a l o n - s u r- S a o n e , ve-
Indice dei nomi 397

scovo: 289, 292 Ecdicio, cognato d e l vescovo S i donio: 6 7


Desiderato di Verd u n , vescovo: 266 Edw i n , r e deg l i Angl i : 4 5
Desiderio, ultimo re longobardo (757-774): 330, Edw i n di Northumbria, vedi Ead w i n
4 1 5 -4 1 7 , 420-430 Egburg, di scepola di san B o n i fac i o : 3 1 5
Desiderio d i C ahors , vescovo: 230, 283 Egidio di Reims, vescovo, metropolita: 5 1 , 5 3 ,
Desiderio di Vienne, santo, arcivescovo, martire : 1 1 8 , 1 23 , 1 25 , 1 27 , 1 30 , 264
204, 2 2 5 , 2 5 7 Einardo, storiografo franco, intimo e biografo di
Desiderio, d u c a d i Tolosa, generale d e l r e C h i l - Carlo Magno : 4 1 3 , 42 1 , 427 s . , 432, 436, 443 ,
perico I : 1 23 , 1 27 , 1 29 447, 450, 45 3 , 459, 467 , 474, 4 8 8 , 489, 497
Diana, dea romana: 40 Eishere di Thurgau , u n veterano : 494
Di do di Poi tiers, vescovo: 28 1 , 2 8 3 , 287 Ekkehard, mani scalco di Carlo Magno: 467
Diesner, Hans-Jioac h i m : 28 Ekkehard di Rab i l , vescovo: 40 1
Dietrich, margrav i o : 40 l Elena, santa: 200
D i namio, patri zio g al l ico: 2 1 6 Eligio di Noyon- Tournai , vescovo : 43, 44, 230,
Diocleziano, Gaio Aurelio Valeria, imperatore ro­ 285, 286
mano ( 284-305 ) : 1 20 Eligio di Tours, vescovo: 235
Dionigi, santo, primo vescovo di Pari g i : 230, 2 3 5 , E l m i c h i , scudiero e assassino di Alboino: l 08
243, 420 E m i l i a n a , m o n a c a , zia d i papa Gregorio I i l
Dionigi Areopagita, primo, i mmaginario, vescovo ' G rande ' : 1 5 8
di Atene nel I sec . , presunto neofita convertito Ennodio di Pavia, vescovo: 69
da Paolo: 398 Enrico I I , il Santo, re tedesco (dal l 002) e i mpera­
Doda, mog l i e di Sant' Arnolfo : 233 tore ( 1 0 1 4- 1 024): 24, 40 1
Dodo, conte franco, i n v i ato di Carlomanno: 425 Enrico I I I , re tedesco (dal l 0 3 9 ) e i mperatore
Domnio, d i scepolo di Pietro: 399 ( 1 046- 1 05 6 ) : 403
Domnolo di Le Mans, vescovo: 258 Enrico I V, re tedesco (dal 1 05 3 ) e imperatore
Donar, dio germanico: 46, 463 ( 1 084- 1 1 06 ) : 408
Doni n , Ludwig: 329 Enrico i l Leone, re di Sassonia e Baviera ( 1 1 42-
Donnert, E.: 464 1 1 95 ) : 489
Dopsch, A l fo n s: 245 , 249 , 255 Eoban, vescovo di Utrec ht: 3 3 1
Driinsdorf, Johannes : 4 1 1 s . Eonio di Vannes, vescovo: 269
Droctigiselo di Soissons, vescovo: 270 Epifania di Pav ia, santo, abate : 64, 1 25
Drogerei t , R.: 394, 395, 402 Epifania di Salamina, arc i vescovo: 1 27 , 35 1
Drogo, duca di Champagne, fig l i o maggi ore di Epperl e i n , S . : 3 2 3 , 468, 483
Pipino II: 294, 297, 305 Erac l i o , i mperatore d ' Oriente ( 6 1 0-64 1 ) : 336,
Drogo, u n fig l i o di Carlomanno, nipote di Pipino 337, 34 1
III: 3 7 2 , 3 8 5 Erac l i o di Angouleme: 266
Erasmo, santo e martire: 448
Eadbal d , r e d e l K e n t , fi g l i o e s u c c e s s ore d i Erchinoaldo, maestro di palazzo alla corte neustro­
Aethelberht: 200 burgunda di re Clodoveo I I : 2 3 8 , 283, 284, 2 8 5 ,
Eadburg di Thanet, badessa: 3 3 1 289
Eadw i n (Edw i n ) di Northu mbria, re inglese: 34, Eremberto di Fri singa, vescovo: 3 2 1
336 Ere m w u l f, scismatico bavarese ai tempi di san
Eberhard, monaco a F u l d a nella p r i m a m e t à d e l Bonifacio: 320
X I I sec . , c u i s i attri buisce i l "Codex Eber­ Erich del Fri u l i , margrav i o : 4 8 8 , 489
hard i " : 404 Erich Kadaloh, margrav i o : 489
Ebling, H . : 85 Ermanno di Salm, secondo antirè di Enrico IV:
Ebro i n o , m aestro di palazzo di Neustria: 2 8 5 , 408
286-29 1 , 2 9 2 , 2 9 3 Ermanno di Verden , vescovo: 472
398 Indice dei nomi

Erme l i nda, santa: 399 Faileuba, mog l i e di re Chi ldeberto I l : 1 30


Erme nefrido, fig l i o di B i sino, re d i Turi ngia: 89, Falck, L . : 3 3 0
90 Fara, a g i l u l fide, fig l i o di Crodoaldo: 280 s .
Ermenegildo, fig l i o di Leovigildo, dal 572 coreg­ Faroaldo I l , padre di Trasmondo I l di Spoleto:
gente col fratel l o Reccaredo: 1 40, 1 43 , 1 44, 364
1 45 , 1 46, 1 48 Fastrada, terza moglie di Carlo Magno: 4 7 3 , 474,
Ermenfredo, alto fu n z ionario di Neustria: 293 486, 502
Ermengarda, vedi Desiderata Federico I B arbarossa, i mperatore tedesco ( 1 1 5 5-
Ermerico, re deg l i S v e v i : 1 4 1 1 1 90 ) : 4 1 1 , 504
Ernst, abate del monastero d i Reinhardsbru n n : Federico Il, i mperatore tedesco ( 1 220- 1 250): 4 1 1
404 Fe lice I l , anti papa ( 3 5 5 - 3 5 8 ) : 344
Erode , re g i udeo: 1 24 , 263 Fe lice I I I , papa (483-49 2 ) : 1 5 8
Etel berto, re del Kent: 1 9 8 , 1 99, 200, 202 Felice di Nantes, vescovo: 267
Eterio di L i s i e u x : 265, 267 Fe lice di Treviso, vescovo : I l O , I I I
Eterio d i Lugdu n u m , vescovo: 225 Fel ice, u n diacono: 1 7 2
Etico, santo, duca, padre di s . Odi l i a : 267 Festo di capua, vescovo: 1 09
Ettore di Mars i g l i a , conte: 289 Fichtenau, H . : 464
Eude di Aquitania, duca: 2 3 3 , 298, 299 Fichti nger, C . : 2 1 4
Eufrasio d ' A l vernia, vescovo: 69 Fi l i berto, abate d i Rebai s : 265
Eufro n i o di Tours, vescovo, c u g i n o e predeces- Filippo, prete romano, pretendente al papato: 4 1 7 s.
sore di Gregorio di Tours : 257 Finley, Moses 1 . : 345, 346
Eugenio l , santo, papa (654-65 7 ) : 344, 345 Fischer, B . : 205 , 4 3 8
Eugenio Il, papa ( 8 24- 8 2 7 ) : 396 Fischer, J . : 76, 29 1
Eugenio, i m peratore d ' Occidente (392-394 ) : 35 Flaocado, maestro di palazzo in B urgu ndia sotto
Eulogio, patri arca di Alessandri a : 1 63 , 1 98 C l odoveo I l : 2 3 8
Eunio M u m molo, duca di re G u ntram: 1 27 , 1 2 8 , Flaskamp, F. : 4 5 7
131 F l a v i o di Chalon-sur-Saòne, vescovo: 1 28
Eurico, fratello e assassino di Teoderico, i l vero Fleckenste i n , J . : 59, 264, 4 3 5 , 500
fondatore del regno dei Visigoti (466-484): 5 3 , Fiorentina, santa: 1 44
6 6 , 67, 6 8 , 1 39, 1 40, 2 5 2 Fiorentino, prete in Montecassino: 4 1
E u s e b i o d i Cesarea, v e s c o v o e storico d e l l a Flori berto d i Liegi, vescovo: 264
chiesa: 3 5 1 Foca, i m peratore bizantino(602-6 1 0) : 1 7 2 , 1 94-
Eusebio di Nicomedia, vescovo ariano: 406 1 96 , 1 97 , 2 1 8 , 2 1 9, 224, 3 3 5 , 3 3 6 , 3 3 7
Eusebio d i Pari g i , vescovo: 264 Foi llan, santo, abate d i Fosses presso Namur: 2 8 3 ,
Eusicio, santo: 99, 249 284
Eutichio, esarca di Ravenna: 3 6 8 Fol rad, u n prete : 427
E u t i c h i o , patri arc a " e c u m e n i c o " d i C o s t a n t i - Fortu nato di A q u i l e i a-Grado, vescovo: 3 3 6
nopo l i : 1 62 Fortunato di Tod i , vescovo: 2 1 1
Evans, G . R . : 203 Fosete, dio fri sòne: 470
Evino di Trento, duca Iongobardo: 3 1 9 Foz i o di Costantinopo l i : 4 1 7
Ewig, Eugen: 3 5 , 5 2 , 70, 72, 7 5 , 9 3 , 245, 2 5 3 , Franc i l i o d i Tours, vescovo: 268
29 1 , 3 0 4 , 372 , 4 1 3 Franco, Francisco: 1 5 1 , 393
Exhil arato, d u x : 3 5 6 Frank, K. Suso: 209
Ezechiele , profeta veterotestamentario: 3 3 6 Fredegar, supposto autore di u n a cronaca l a t i n a
Ezio, Flavio, generale e u o m o di stato del l ' impero del regno dei Merov i n g i , pri ma metà del V I I
d ' Occidente: 50 sec . : 72, 7 3 , 7 7 , 8 3 , 8 5 , 8 7 , 8 8 , 9 2 , 1 23 , 1 2 8 ,
1 30, 2 2 1 , 2 2 8 , 2 2 9 , 2 3 4 , 2 3 5 , 2 3 6 , 2 7 7 , 2 8 1 ,
Fabio di Fermo, vescovo: 1 09 2 8 2 , 293, 2 9 8 , 304, 3 1 3 , 330, 366
Indice dei nomi 399

Frede g o n d a , p r i m a m aitre s s e , poi m o g l i e di Geroldo l , cognato di Carlo Magno, prefetto di


C h i l perico I d i Soissons, matrigna di Merove­ Baviera: 489
co, madre di C lotario II: 1 1 8 , 1 1 9, 1 2 1 - 1 23 , Geroldo d i Magonza, vescovo: 264
1 24, 1 25 , 1 27 , 1 47 , 2 2 3 , 2 2 4 , 2 2 8 , 2 2 9 , 2 3 2 , Gertrude di Nivelles, santa, fig l i a di s . Arnolfo e
2 3 8 , 264, 266 di s. Itta: 2 3 2 , 282, 2 8 3 , 284, 294
Fri ngs, Joseph, cardinale: 505 Gervasio, santo: 1 5 9
Fritze, W. H.: 380 Gerw i n g , M . : 2 1 0
Froni m i o di Agde, vescovo: 1 43 Gesù (Cristo ) : 1 6, 29, 42, 54, 76, 1 5 9, 1 64, 1 76,
Frontonio di Angoulène, vescovo: 268 1 77 , 1 7 8 , 1 93 , 1 95 , 204, 205 , 206, 207 , 2 1 1 ,
Fru mari , n i pote e forse assassino del re Maldra: 2 1 2, 2 1 5 , 2 1 6, 267 , 274, 2 8 3 , 3 0 1 , 3 3 8 , 3 7 3 ,
1 42 3 7 9, 3 8 7 , 397, 3 9 8 , 446, 460, 4 8 7 . Vedi anche
Fuhrmann, H . : 3 9 3 , 399 Cristo
Fulgenzio d i S i v i g l i a , vescovo: 1 44 Gevil ibo di Magonza, vescovo: 325, 330
Fu l rad, abate franco: 4 1 5 Ghennadio, esarca bizantino del Nordafrica: 1 76
Fulrad d i Saint-Denis, cappellano d i corte d i Car­ Gianuario di Cagl iari , arc i vescovo, metropo l i ta
lo Magno: 374, 3 8 9 della Sardegna: 1 70, 1 7 5
Funk, Josef: 209 Gibbon, Edward, storico i nglese ( 1 7 3 7 - 1 79 4 ) :
Funkenste i n , J . : 3 84 505
Giesebrecht, Wilhelm von : 4 7
Gailen, cortigiano di Meroveco: 1 22 Giesecke, H . -E. : 6 6
Gaireno ( Wari n ) , conte di Pari g i : 2 8 7 Gilda, s a n t o : 2 6 9
Galactorio di B é a r n , v e s c o v o : 70 G io b b e , personaggio veterotestamentari o : 1 99,
G a l l i c i no, esarca di Ravenna: 1 92 206, 207 , 208
Gallo, avversario del vescovo Lamberto di Maas­ Giona di Bobbio, monaco, autore di una vita di
tricht: 268 Colombano: 4 1 , 4 3 , 229, 263
Gallo, santo: 40, 42, 249 Giordane, cartolario antipapale: 355
Gallo di C lermont, santo, vescovo, zio paterno Giorgio, santo: 3 3
d i Gregorio di Tours: 256, 2 5 8 Giovan n i , u n re l i g i oso: 1 7 2
Garibaldo l , agi l u l fide, duca bavarese (ca. 5 5 0 - Giovanni I I I , papa (56 1 -574): 270
590): 99, 3 1 9 G iovan n i I V, i l "Digiu n atore", patriarca "ecume­
Gaubaldo d i Regensburg, vescovo: 3 2 1 n ico" di Costantinopoli ( 5 82-595 ) : 1 6 1 , 1 62 ,
Gaudino di Soissons, vescovo: 268 1 63 , 1 64, 224
Gaugerich d i Cambra i , vescovo: 44 Giovanni X I I I , papa (965-97 2 ) : 402
Gawibald di Regensburg, vescovo: 329 Giovan n i XV, papa, (985-996): 403
Gaw l i k , A l fred : 394 Giovanni XIX (papa), ( 1 024- 1 03 2 ) : 1 9
Gelasio I , santo, papa (492-496 ) : 20, 1 63 , 1 7 3 Giovanni Battista: 2 1 6
Gelesvinta, principessa visigota, sorella di Brune- Giovanni C l i maco, monac o : 1 7 1
cb ilde, moglie cattol i ca del re C h i l perico I di Giovanni Crisostomo, santo, arc ivescovo, dottore
Soissons: 1 1 7 , 1 1 8 , 1 40, 1 43 del l a chiesa: 20, 395
Genesio di Lione, metropo l i ta/vescovo: 2 3 3 , 29 1 Giovanni D i acono ( H y mmonides), biografo d i
Genoveffa, santa patro n a di Par i g i : 3 9 8 Gregorio I i l Grande: 1 5 5 , 202
Gerberga, m o g l i e di Carlomanno: 427-43 1 Giovanni "D itamozze", d i acono: 1 76, 41 O s.
Gerberto di Reims, poi papa S i l vestro I I : 4 1 0 Giovan n i , duca, fratello di papa S tefano I I I : 425
Germano d i Costantinopo l i , santo, patriarca (7 1 5 - Giovanni Luri on , suddiacono: 3 5 5
730): 3 5 3 , 3 5 5 , 3 5 6 Giovanni, magister militu m : 1 3 3
Germano di Pari g i : 249 Giovan n i , notaio pontifi c i o : 1 79
G e rm a n o : a b a t e d e l m o n a s t e r o di M ii n s t e r ­ Giovanni di B i c l aro, vescovo: 1 46
granfelden i n Alsazia: 2 6 6 Giovanni di Pri ma J u s t i n i ana, arc i vescovo: 1 8 8
400 Indice dei nomi

G i o v a n n i di S a l i s b u ry, v e s c o v o di C h a r t re s , 1 4, 58, 64, 1 03 , 1 09- 1 1 1 , 1 45 , 1 46, 1 5 1 , 1 5 5 -


scolastico inglese ( 1 1 76- 1 1 80 ) : 2 0 3 , 204 2 2 0 , 2 2 4 , 2 2 5 , 2 2 6, 2 3 0 , 268, 3 3 5 , 3 3 6 , 3 3 9 ,
Giovan ni di Sal zburg, vescovo : 3 2 1 3 4 3 , 3 67 , 400
Giovanni d i S i n n ada, metropo l i ta ; 3 5 3 Gregorio I I , santo, papa (7 1 5 - 7 3 1 ): 1 7 , 309, 3 1 O,
G i o v e , d i v i n i tà romana: 3 8 , 4 3 , 4 6 , 54, 204 3 1 1 , 3 1 2 , 320, 324, 3 3 3 , 344, 354, 3 5 5 , 3 5 6 ,
Girolamo, santo, dottore latino della chiesa: 36 3 5 7 , 3 6 3 , 364, 368
G i s e l h e r di M a g d e b u rg o , a r c i v e s c o v o ( 9 8 1 - Gregorio III, santo, papa ( 7 3 1 -74 1 ) : 3 1 2 , 3 1 3 ,
1 004) : 402 3 1 6, 320, 3 2 1 , 3 2 2 , 3 5 7 , 364, 3 6 5 , 366, 367
G i s l a , sore l l a di Carlo Magno: 4 1 5 , 42 1 , 423 Gregorio I V, papa (927- 844) : 402 , 403
G i s l e mar, fig l i o del maestro d i palazzo Waratto Gregorio V I I , santo, papa ( 1 07 3 - 1 08 5 ) : 23, 24,
di Neustri a : 293 408 , 434
G i u l iano ( A postata ) , imperatore romano ( 3 6 1 - Gregorio I X , papa ( 1 2 27- 1 24 1 ) : 409, 504
3 6 3 ) : 43 Gregorio di Langres, vescovo, b i s nonno da parte
G i u l iano di Toledo, santo, arcivescovo: 274 di madre di Gregorio di Tours: 256
G i u s t i n iano I , i m peratore bizantino (527-565 ) : Gregorio d i Tours, santo, vescovo e storiografo
6 5 , 9 4 , 95, 1 05 , 1 07 , 1 40, 1 60, 1 62 , 1 86, 1 87 , ( 5 3 8-594 ) : 40, 5 1 , 5 2 , 5 3 , 54, 5 6 , 5 7 , 60, 6 3 ,
25 1 , 445 6 5 , 6 8 , 69, 7 1 72, 7 3 , 7 5 , 76, 8 3 , 84, 8 8 , 90,
'
G i u s t i n i ano I I , imperatore bizantino (685-695, 92, 93, 96, 9 7 , 9 8 , 99, 1 09, 1 1 2 , 1 1 3 , 1 1 6, 1 1 8 ,
705-7 1 1 ) : 3 5 0 1 1 9- 1 2 1 , 1 2 3 - 1 25 , 1 27 , 1 28 , 1 29 , 1 30, 1 3 1 ,
Giustino I I , ni pote di G i u s t i n i a n o 1 : 1 07 1 3 3 , 1 34 , 1 3 9, 1 40, 1 43 , 1 44 , 1 45 , 1 46, 1 47 ,
Gi usto, monaco, medico nel monastero di S. An­ 1 5 7 , 1 5 9, 245 , 250, 25 1 , 2 5 2 , 2 5 3 , 2 5 5 , 256,
drea: 1 69 2 5 8 , 259, 2 6 3 , 264, 267, 268, 270, 272, 275,
Godigiselo, fig l i o di Gundiok: 62, 63, 64 276
Godofredo, fi g l i o di Drogo, n i pote di Pipino II i l Gregorio (antimperatore ) : 34 1 , 342
Medio: 305 Gregorio, esarca i n Africa: 34 1
Godomaro, fi g l i o di G u n d i o k : 62, 86, 93 Gregorovius, Ferdinand: 1 4, 1 5 9 , 202, 3 6 8
Godschalk, ribel l e di Benevento: 364 Grierso n : 464
Goetz, H . W. : 254 Grifone, fi g l i o di Carlo Marte l l o e di Swanah i l t ,
Gogo, maestro di pal azzo i n Au stria, reggente per fratell astro d i P i p i n o I I I e di Carlomanno: 3 1 9
il m i norenne C h i l deberto I I : 1 22 Grimoaldo, figlio del duca bavarese Teodone: 3 1 9
Gomatrude, mog l i e ripudiata di Dagoberto 1 : 234 Gri moaldo I ( i l Vecchio), fig l i o d i Pipino i l Vec­
Gontard, F. : 1 8 3 , 204 chio e di s. Itta, maestro di palazzo in Austras ia
Gordiana, zia di papa Gregorio 1 : 1 5 8 sotto Sigeberto III: 238, 279-2 8 3 , 284, 2 8 5 ,
Gos w i n tha, vedova d i Atanagildo, seconda mo- 292
glie di Leovigi ldo: 1 44 , 1 49 Gri moaldo Il, maestro di pal azzo i n Neustria,
Gota n i , fi g l i o di Tassi lone I I I : 484 fratel l o m i n ore di Pipino I I i l Medio, frate l l o
Gotchramm, margrav i o : 489 di Drogo, padre (extraconiugale) d i Teodebal­
do: 294, 297 s .
Gotfried, duca deg l i Aleman n i , padre di H i lde- Grimoaldo, fig l i o di Ari c h i s , fratel l o d i Romual-
gard, suocero d i Carlo Magno: 424 do: 443 s .
Gtittri k, re dei Danes i : 495 Gri sar, Hartmann (gesuita): 47, 1 44, 1 47
Gra n i sta, conte: 1 49 G roszmann: 46 1
Graus, Frantisek : : 44, 4 7 1 Grupp, G . : 1 7 1
Graziano, Flavio, i m peratore d ' Occidente ( 3 7 5 - Gudula, santa: 399
383): 27 Guglielmo I i l Conquistatore, re i nglese ( 1 066-
Grazioso, arc h i v i ario ecc lesiastico, assassino del 1 08 7 ) : 24
duca Toto: 4 1 7 , 4 1 8 G u g l i e l mo di Corbe i l , arc i vescovo: 400
Gregorio I , "il Grande", santo, papa ( 5 90-604 ) : Gu ido di Vienne, arcivescovo, poi papa Call isto
Indice dei nomi 40 1

II ( 1 1 1 9- 1 1 24 ) : 400 g l i e di Carlo Magno: 424, 43 1 , 4 7 2 , 502


Gu ndahar (= Gu nther), re dei B u rg u n d i : 62 H i ldibald di Colonia, arc ivescovo, gran cappel -
Gundegiselo di Bordeaux, metropo l i la: 272 lano di C a r l o M a g n o : 500
Gu ndeperga, pri ncipessa longobarda, fig l i a di re H i ldic h is , re dei Longobard i : 1 08
Autari e di Teodel i nda: 1 9 3 H i l d u i n di Saint-Denis, abate : 396
Gundiok (= Gundovech ) , re dei B urgundi 443 - H i nkmar di Reims, arc i vescovo: 57, 396
470: 62, 63 H i tler, Adolf: 36, 3 9 3 , 4 1 3 , 44 1 , 477
Gundobado, fig l i o di Gundiok, princeps di Lione Hlawitschka, E.: 437
(480-5 1 6) : 54, 62, 63, 64, 65, 83, 1 1 2 Hoen sborec h, P. conte d i , gesuita: 39 1
Gundowald, duca d ' Austria: 1 22 , 1 26, 1 27 , 1 2 8 , Hotz, W. : 40 1
1 30 Hrodgaud del Fri u l i , duca: 436
Gundowech, vedi Gundiok Hruotland (= Orlando) , margrav i o : 467
Gunth ar, fig l i o di C l odomero, fratel l o di Teode­ H ugbert di Tongern e Lowe n : 44
baldo: 87 Hugdietrich, nome di Teoderico I nella saga leg-
Guntheuka, vedova di C l odomero, poi mog lie di gendaria: 8 1
Cl otari o : 8 7 H u i z i nga, Johan : I l
Gu nther (= Gu ndahar), r e dei B urgu n di: 6 2 Hiimmeler, Hans: 283
Gunther di Tours, abate e vescovo : 2 7 0 H u tt e n , U l ri c h v o n , u m a n i sta tedesco ( 1 4 8 8 -
Gunthram B o s o , d u c a di Childeberto I I : 1 23 , 1 26, 1 523): 4 1 2
1 27
Guntram d ' Orléans, santo, secondo fig l i o di Cio­ Ibba, comandante i n capo del re ostrogoto Teode­
lario I , coreggente ( 5 6 1 -592): 1 1 6- 1 3 2 , 1 34, rico: 73
1 46 , 2 2 3 , 224, 2 3 5 , 267, 270, 276 Iduberga, vedi Itta
I l ario di Poi tiers, santo, dottore della chiesa lati-
Haendl er, G.: 1 43 , 25 1 , 462 na ( 3 1 5-367 ) : 70, 7 2 , 89, 1 29 , 272
Hainmar di Au xerre : 233 I l ario, santo, papa (46 1 -46 8 ) : 62
Haller, Johanne s : 1 5 5 , 1 5 7 , 1 6 1 , 205, 206, 207, I l debrando, duca di Spoleto: 432, 436, 444
2 1 3 , 3 1 6, 36 1 , 369, 379, 3 8 3 I l derico, duca di Spoleto: 365
Hardrard, conte di Turi n g i a e congiurato: 474 I l trude, sore l l a del fi g l i o di Carlo Martello, Pipi­
Harnack, Adolf von : 206, 2 1 8 no, e mog l i e del duca di Baviera Odilone: 328
Hartmann, Ludo Moritz: 1 62, 1 8 1 , 3 3 3 , 3 5 5 , 369, I m i l trude, franca, moglie i l legittima di Carlo Ma­
442 gno, madre del gobbo Pipino: 424, 502
Hartn id, fi g l i o di Berta, l a fi g l i a di Carlo M agno, Ingi urioso, santo: 99
e dell ' abate A n g i l berto di Saint-Riquier: 499 I ngoberga, regi n a merov i n g i a ripudiata da Cari­
Hauck, A . : 45, 84, 24 1 , 245 , 250 berlo I: 1 1 6
Hauck, K.: 76, 1 25 , 3 8 5 , 465 Ingunda, moglie di C l otari o : 9 8 , 99
Heer, Friedric h : 1 76 Ingunda, fi gl i a cattol ica di re S igeberto I di Metz
Heinsius, M . : 34, 250 e d i B runechilde, dal 579 sposata col visigoto
H e l v é t i u s , C l a u d e Adrien, fi l o s o fo fra n c e s e Ermeneg ildo: 1 43 , 1 44, 1 45 , 1 47
( 1 7 1 5- 1 77 1 ): 1 8 Innocenzo I I I , papa ( 1 1 98- 1 2 1 6) : 384, 409
Herchenefreda, vescovo al tempo di re Dagoberto Ippolito di Roma, vescovo: 205
I: 268 Ireneo di Lione, dottore della chiesa latina: 44
Herde, P. : 394 Irm i n , dio sassone : 46 1
Herpo, duca del re di B urgundia C l otario I I : 2 3 1 Irmina di Oeren presso Treviri, badessa, protet­
Herrmann, Johann Wilhel m : 1 7 2 trice di s. W i l l ibrord, probabi l mente madre di
Heuw ieser, M . : 4 8 3 , 489 Plectrude, mog l i e di Pipino II: 296
H i ldegar di Colonia, vescovo: 3 3 1 , 372 Isacio, esarca di Rave nna: 336, 340
H i ldegard, beata, fi g l i a di Gotfried, seconda mo- Isaia, profeta veterotestamentario: 336
402 Indice dei nomi

lsichio di Vie nne, arc ivescovo: 5 8 74 1 ) : 350, 354, 3 5 7 , 3 5 8


Isidoro di Siviglia, santo, vescovo, zio di Ermene­ Leone V I I , papa (936-939 ) : 3 9 6
g i ldo, dottore della chiesa: 28, 1 39 , 1 40, 1 42 , Leone V I I I , papa, (963-965 ) : 4 1 7
1 44, 1 46, 1 47 , 1 48 , 1 50, 1 5 1 , 274 Leone I X , santo, papa ( 1 049- 1 05 4 ) : 408
ltalica, moglie del l ' ex-monaco Venanzio: 1 69 Leone X I I I , papa ( 1 878- 1 903 ): 23
Iterio, cance l l i ere di Carlo Magno: 4 3 3 Leone di Ravenna, arc i vescovo: 3 2 7 , 428, 43 1 ,
ltta ( = l d uberg a ) , santa, mog l i e di s . A r n o l fo , 44 1
madre d i Grimoaldo: 2 3 2 , 2 8 3 Leone di Verce l l i , vescovo: 409
Leonzia, i m peratrice d ' Oriente, mog l i e di Foca:
Jarnut, J . : 3 4 8 1 94, 1 95
Jesabel (Jezabel ) , m o g l i e d e l r e Achab n e l l ' A . T. : Leonzio, dux: 1 77
4 1 , 285 Leonzio di B ordeaux, vescovo : 92
J e z i d ( Yazid) I I , c a l i ffo omaiade (720-724 ) : 3 5 3 Leov igildo, fratello e successore di Liuva l , re
dei Visigoti (568-586): 1 40- 1 5 2
Kah l , H . - D . : 462 Leubovera, badessa d e l m o n a s tero di S a i n te­
Kalckhoff, A.: 487 Croix a Poitiers : 27 1 , 272
Kantzenbach, F. W: 39 1 Leudegasio di Magonza, vescovo: 224, 227, 2 2 8 ,
Karpf, E. : 46 1 230
Kavadh Scheroe ( S i roes), fig l i o del re pers iano Leudegiselo, duca di Lione: 2 6 6
Cosroe II: 337 Leudemondo d i S i tten, vescovo: 230, 23 1
Kawerau, Peter: 5 6 , 382 Leudesio, fig l i o del maestro di palazzo di Neu-
Kel ler, H.: 1 60, 398 stria Erc h i noaldo, maestro d i pal azzo a s u a
Kel l y, John: 369, 433, 449 v o l t a i n A u stri a : 2 8 5 , 2 8 9
Klebel, E . : 482, 489 Leunast, arc i d i acono di Tours: 2 7 6
Kober, F. : 1 8 Leutari, d u c a di Aleman n i a : 280 s .
Kon i g , K . : 307 Levison, Wilhel m : 2 9 6 , 3 9 4 , 403
Konrad i l Prete ( Konrad di Regensburg ) , poeta Li berio, papa ( 3 5 2-366): 344
medio-alto-tedesco del XII secolo: 467 Li udgero, santo, miss ionario fri sone, primo ve­
Kotzsche: 504 scovo di M ti nster (Westfa l i a ) : 469, 475
Kraft, Heinrich: 1 5 5 Liutardo, vescovo franco: 1 98 , 200
Ktih ne� H . : 1 7 7 , 420 L i utgarda, dopo Fastrada l a q uarta moglie di Car­
lo Magno: 502
Lamberto, santo, martire: 298 Liutperga, fig l i a di Desiderio, re dei Longobard i ,
Lam berto di Maastricht, vescovo: 268 m o g l i e del d u c a Tass i lone I I I : 3 3 0 , 42 1 , 484
Landberto di Lione, arc i vescovo: 44 L i u tperto, fig l i o di C u n i perto: 348
Lan tec hi lde, sore l l a di Clodoveo 1: 56 Liutprando, fig l i o di re Ansprando, re dei Longo­
Lasko, P. : 24 1 , 260 bard i (7 1 2-744) : 348, 349, 363-369, 377, 3 7 8
Leandro di S i v i g l i a , santo, vescovo, metropol i ta; Liutvino di Trev iri, vescovo: 264
zio d i Ermeneg i l d o : 1 44, 1 45 , 1 50, 1 5 1 Liuva ( Leowa) l , fratello di Leo v i g i ldo, re v i s i -
Lec ho, duca di Boemia: 493 g o t o (567-5 6 8 ) : 1 40
Leo ba, badessa di Tauberbischofshe i m : : 3 1 6 Lopez, Robert: 394
Leodegaro d i Autun, vescovo : 2 3 3 , 286-29 1 , 292 Lorenzo, santo: 2 1 6, 2 1 7 , 447
Leone I i l Grande, santo, papa (440-46 1 ) : 1 5 7 , Lorenzo, arc i d i acono: 1 69
218 Lortz, Joseph: 307, 3 2 3 , 327
Leone I I , santo, papa (682-68 3 ) : 3 3 9 Lotario, fig l i o di Ludovico i l Pio, i mperatore
Leone I I I , santo, p a p a (795-8 1 6) : 1 7 , 446-45 1 , franco ( 840- 8 4 3 ) : 1 7 , 396
494 s . , 50 1 Lowe, H . : 52, 463, 504
Leone I I I l ' l saurico, imperatore b i zantino ( 7 1 7- Luca, santo, evangelista: 2 1 6
Indice dei nomi 403

Ludovico i l Pio, fig l i o di Carlo Magno, i mpera­ Massimo di Salona, vescovo: 3 6 8


tore tedesco ( 8 1 4-840 ) : 396, 403, 467, 474, 496 M aterno d i Colonia, s a n t o , v e s c o v o , presunto
Ludovico di Turi ngia, langrav i o : 40 1 di scepolo di Pietro: 27
Ludovico ( I V ) il Bambino, ultimo re caro l i ngio Maurisio di Perusia, duca: 1 90
tedesco (900-9 1 1 ) : 40 1 Maurizio, imperatore bizantino ( 5 8 2-602 ) : 1 6 ,
Lul di Magonza, vescovo: 3 26 1 3 3 , 1 60, 1 6 1 , 1 7 2, 1 7 3 , 1 86, 1 87 , 1 94, 1 95 ,
Lupo di Sens, santo, vescovo: 4 3 , 44 1 97 , 2 1 6
Lupo di Troyes, vescovo : 69 Mauro, santo, d i scepolo d i s . B enedetto : 2 1 1
Mauro, comandante m i l i tare : 1 76
Macario di Antiochia, patriarca: 3 3 8 , 397 Mayer, Theodor: 375 s .
Macco, conte di Poitiers: 272 Medardo, santo protettore della casa reale
Madelgario di Laon, vescovo: 326 merovingia: 9 9 , 1 1 8
Maggioriano, G i u l i o , i m p e ratore d ' Occidente Meginhard, monaco in Fu lda: 405
( 457-46 1 ): 2 5 2 Melanzio di Rouen, vescovo: 266
Magnachar, magnate franco: 1 1 6 , 1 30 Melchisedech, re di Salem n el l ' A . T. : 1 00
Magnatrude, moglie di vescovo: 269 M e l l ito, abate e poi vescovo di Londra: 200, 20 1
Maier, Franz Georg : 1 95 Menzer: 445
Maleo, vescovo, rettore (cioè a m m i n i stratore) i n Merc urio, d i v i n ità romana: 3 8 , 43, 46
Dalmazia: 1 67 , 1 68 Meroflede, seconda moglie di re Cariberto 1: 1 1 6
Mal dra, re deg l i Svev i : 1 4 1 , 1 42 Meroveco, figlio di re Chilperico 1: 1 1 9, 1 22- 1 24,
Mango, C . : 3 3 7 , 3 5 2 228, 229
Mann, Thomas: 3 3 5 , 3 9 6 Meroveo, avo dei Mero v i ng i : 50, 5 1
M arachar d ' Angouleme, vescovo: 2 6 6 , 268 Messal i na, Valeria, i m peratrice romana fam ige-
M arcatrude, fi g l i a di Magnachar, moglie di Gun- rata per la sua scostum atezza (25-48): 1 1 8
tram d ' Orléan s : 1 1 6 Meu then , Eri c h : 503
Marco l ' evangelista, santo, discepolo deg l i apo­ Meyer, 0.: 40 1
stol i : 2 1 6 Mezezio, un armeno antim peratore di B i sanzio:
Marcovefa, prima monaca, poi terza moglie d i re 346
Cari berto 1 : 1 1 6 Michele I , i m peratore bizantino ( 8 1 1 - 8 1 3 ) : 1 7 ,
Maria, santa, madre di Gesù: 1 96, 2 1 0, 2 1 2, 350, 45 1
357, 387 M i c hele di Ravenna, vescovo: 4 1 9
Martina, i mperatrice bizantina: 34 1 M i Ione di Treviri e Reims, vescovo, intimo amico
Martino I, santo, papa ( 649-65 3 ) : 42, 224, 275 , d i Carlo Marte l l o : 264, 270, 3 3 1
28 1 , 342, 343, 344, 3 4 5, 346, 354 Mi nerva, dea romana: 43
Martino, dux di Champagne e duca d ' Austri a : M i ro, re c atto lico svevo: 1 45
269, 292, 293 M i sch, Jiirge n : 29, 1 5 9
Martino d i Tours, santo ( 3 1 6-397 ) : 33, 43, 44, Moawijah I, califfo omaiade ( 660-680): 303
70, 7 1 , 73, 76, 89, 9 3 , 99, 304 M o l l at, M . : 490
Marziano di Arles, vescovo: 243 Mommsen, Th . : 1 5 7
Massenzio, M arco Aurelio Valerio, i m peratore Montgomery di El A l amein ( 1 8 8 7 - 1 976): 1 07
romano ( 306-3 1 2 ) : 5 5 Mosé, legisl atore ebreo nel l ' A .T. : 30 1
Massi m i l iano l , imperatore tedesco ( 1 493- 1 5 1 9) : M u hammad ibn Abdal l a h , il profeta di A l l a h ,
402 fondatore del l ' I s l a m : 3 0 0 s s . , 3 3 9 , 465
Massi m i l i ano, santo ipotetico al tempo de l l ' i m ­ M ii h l bacher, Engelbert: 1 1 8 , 2 3 2 , 304, 366, 3 7 3 ,
peratore Ottone I I : 3 9 6 404, 466
M a s s i m i n o , santo: 4 0 M u s sol i n i , Benito: 393
M a s s i m o " i l Confessore" ( = M a x i m u s Confes­
sor), monaco: 34 1 , 342, 344, 345 Naegle, August: 4 5 8
404 Indice dei nomi

Nanctus, abate cattolico d ' Africa: 1 43 Ommazio di Tours, fi g l i o di vescovo e vescovo a


Nantilde, moglie di re Dagoberto 1 : 234, 2 3 8 sua volta: 2 5 8
Nantino, conte: 266 Omobono, suddiacono: l 00
Napoleone I , i m peratore francese: 4 1 3 , 505 Onorato di M i l ano, arc i vescovo: 1 09
Narsete, genera l e e governatore d i Giustiniano I Onorio I, papa (625-63 8 ) : 336, 3 3 8 , 339, 340, 397
(47 8 - 5 7 3 ) : 1 0 1 , 1 05 , 1 26, 1 3 3 , 1 60, 1 64 Onorio di Augustodun u m , scolastico del primo
Natale di Salona, arc i vescovo: 1 67 , 1 68 X I I secolo: 408
Nepote, G i u l i o , i mperatore d ' Occidente (474- Orland is, J . : 262
475): 68 Orlando, vedi Hruotland
Nerone, C l audio Cesare Druso German ico, impe- Ormisda, santo, papa ( 5 1 4- 5 2 3 ) : 58, 396
ratore romano (54-6 8 ) : 1 24, 263 Oros io, scrittore ecc lesiastico latino ( c i rc a 400 ) :
Nestorio, patriarca: 1 9 3 5 , 36
Neuss, Wilhelm: 307 Orsola, santa: 398
Nicasio d ' Angou leme, vescovo: 1 27 Osred, re di Northumbria: 3 1 4
Niceforo, patri arca di Costanti nopol i : 349, 3 5 1 , Othman, c a l i ffo (646-656): 303
417 Otloh di St. Em meran a Regensburg ( c i rc a IO I O­
N iceta, patriarca: 3 5 8 c i rc a 1 070): 397
Nicezio di Lione, santo, vescovo, prozio materno Otmar, abate di S . Gallo: 326
di Gregorio di Tours: 257, 270 Ottone I i l Grande, re tedesco (dal 936) e i mpera­
Nicezio di Treviri, santo, vescovo, metropolita: tore (962-973 ): 1 8 , 505
59, 60, 1 1 2 , 249, 250 Ottone Il, re tedesco (dal 96 1 ) e i mperatore (967-
Nicolò l , papa ( 8 5 8-867): 2 1 , 402 9 8 3 ) : 396
Nicomaco Flaviano, prefetto del pretorio: 3 5 Ottone III, re tedesco (dal 983) e imperatore (996-
Nietzsche, Friedrich: 1 8 1 00 2 ) : 40 1 , 409, 4 1 0 s .
Nitardo, figlio il legittimo del l ' abate Angilberto di Ottone, ribelle d ' Austri a : 2 8 0 s .
Saint-Riquier e di Berta, fig lia di Carlo Magno:
499 Palanque, J . - R . : 3 3 9
Nitzsch: 224 Palatina, vedova di Urbico: 1 82
Nonn, U . : 304 Palatino, fratel l o di papa Gregorio 1 : 1 6 1
Nonnoso, pri ore del monastero sul monte Soratte Palladio d i Sai ntes, vescovo : 1 27
presso Roma: 2 1 1 Palladio, conte: 266
Norberto, maestro di pal azzo in Neustria: 294 Pantaleo, prefetto i n Afri ca: 1 7 3
Nothe l m di Can terbury, arcivescovo: 400 Pao l i no, patriarca di Aquleia: l 09, 3 2 7 , 49 1 , 499
Notker il Balbo ( = Monachus Sangal l e n s i s ) , mo- Pao l i n a di Nola, santo, vescovo e poeta latino:
naco di S. Gal l o : 494, 504 209
Novy, R . : 37 1 , 494 Paolo, santo, apostolo: 202, 2 1 6, 2 1 7 , 274, 3 5 2 ,
3 6 3 , 380, 4 1 0
Od i l berto di M i lano, vescovo: 5 04 Paolo I , papa (757-767): 330, 3 7 8 , 3 8 3 , 3 8 9 , 4 1 5 ,
Odi l i a , santa: 267 416
Odilone, duca di Baviera: 3 1 9 , 3 2 1 , 328, 329, Paol o V I , papa ( 1 963- 1 97 8 ) : 4 1
330, 48 1 Paolo I l , patriarc a : : 342, 343
Odi no, dio germanico: 34, 46 Paolo Afiarta, camerlengo pontificio: 424 s., 428
Oediger, F. W. : 40, 3 3 9 Paolo, esarc a : 3 5 5 , 356
O e x l e , O . G . : 379 Paolo, comes : 5 1 , 67
Ohnsorge, W. : 45 1 Paolo, vescovo: 230
Olaf I l , il santo, re norvegese ( l O 1 5 - 1 0 2 8 ) : 1 8 Paolo Diacono, storiografo l o n gobardo ( 7 20-
Olimpio, esarca: 343 799 ) : 1 05 , I I I , 1 3 3 , 1 34, 1 93 , 220, 2 3 2 , 294,
Ornar I , califfo (634-644 ) : 302, 303 304, 348, 349, 3 6 3 , 366, 367, 428
Indice dei nomi 405

Paolo di Costantinopo l i , patriarca: 3 3 8 Pipino I I I il Giovane o il B reve (74 1 -768}, fig l i o


Paolo di Narbona, vescovo: 243 di C a r l o M artello, fratel l o d i Carlomanno e di
Partenio, m i n i s tro delle fi nanze di Teodeberto 1: Grifone; sposato con Bertrada, padre di Carlo
96 Magno e di Carlomanno: 328, 3 29 , 3 3 0 366,
Partenio d i Javols, vescovo: 266 369, 370, 3 7 1 - 3 7 7 , 379, 3 80, 3 8 1 , 3 8 3 - 3 8 9 ,
Pasquale II, papa ( l 099- 1 1 1 8 ) : 400 39 1 , 40 1 , 405 , 4 1 2, 4 1 5 , 4 1 6, 420, 42 1 , 426,
Pasquale, n i pote di papa Adriano I , pri micerio: 4 2 8 , 429, 430, 43 1 , 4 3 3 , 436, 439, 44 1 , 45 3 ,
428, 447 464, 474, 48 1
Pasquale I I I , antipapa ( 1 1 64- 1 1 68 ) : 504 Pipino, vicerè d ' I talia, figlio maggiore ma adulte­
Passivo, fratel l o del duca Toto: 4 1 8 rino e anche gobbo di Carlo Magno e del l a
Pateria, zia d i papa Gregorio 1 : 1 8 2 franca I m i l trude: 440, 444 s . , 4 8 7 , 4 8 8 , 49 1 ,
Pelagio l, papa (556-56 1 ) : 1 00, 1 0 1 , 2 1 7 502
Pelagio I l , papa (579-590): 1 3 1 , 1 3 2 , 1 3 3 , 1 35 , Pirenne, Henri: 300
1 5 8 , 1 60, 1 62, 2 1 7 Pirm i n o , ' vescovo: 299, 306
Pertari to, fi g l i o del re Ariperto I , re dei Longo- Pirro I di Costantinopo l i , patri arca: 3 3 8 , 34 1 , 342
bardi (67 1 - 6 8 8 ) : 347 Plectrude, fi g l i a del poi vescovo Ugoberto di
Petas io, vedi Tiberio Petasio Maastricht, mog l i e di Pipino II: 294, 298
Petri : 464 Ponta l , Odette : 7 2 , 8 7 , 253, 260
Pfi s ter, Friedrich: 249 Poppo di Aquileia, patriarca: 1 9
Pietro, discepolo di papa Gregorio 1 : 220 Pretestato d i Rouen, arc i vescovo, metropo l i ta :
Pietro, amministratore di S i c i l i a : 1 65 1 1 9, 1 22 , 2 5 7 , 266
Pietro, santo, apostol o : 2 3 , 3 5 , 42, 8 8 , 1 64, 1 65 , Pri b i l l a , Max, gesuita: 36
1 66, 1 80, 1 85 , 1 96 , 202, 209, 2 1 0, 2 1 1 , 2 1 3 , Pri ncipio, santo, vescovo di Soissons: 57, 58
2 1 5 , 2 1 6, 2 1 7 , 2 1 8 , 224, 292, 294, 3 1 2 , 3 2 8 , Prinz, F. : 245 , 246, 256
3 3 5 , 3 3 9 , 354, 3 5 6 , 3 6 3 , 3 6 5 , 3 6 6 , 3 6 9 , 37 1 , Prisco di Lione, vescovo: 266
3 7 5 , 379, 380, 3 8 1 - 3 8 9 , 405 , 406, 4 1 0, 422, Prisco, generale i n s i eme a Narsete: 1 60
423, 425, 426, 429, 4 3 3 , 434, 439, 440, 446, Procopio, storiografo bizantino ( 5 00-5 6 2 ) : 94,
448, 46 1 349
Pietro D i acono, fratello di s. Gregorio : 267 Proc u1o di Tours: 258
Pietro, abate i n u n monastero presso Canterbu­ Procu l o , u n prete: 82
ry: 202 Proculo, u n re l i g ioso di Mars i g l i a : 265
Pietro Diacono, bibliotecario e archiv ista del mo- Prospero Tiro, monaco d i Mars i g l i a : 28
nastero di Montecassino nel XII sec . : 404 Protad io, maestro di palazzo di B urgundia: 230
Pietro di Costantinopo l i , patriarca: 3 3 8 Protas io, santo: 1 59
Pietro, dux: 3 5 6 Prudenzio (Clemente), nativo spagnolo, poeta di
P i l g r i m di Passau, vescovo: 3 9 6 i n n i cristiani (348-405 ) : 1 47
Pil itrude, duchessa, m o g l i e di Grimoaldo: 3 1 9 Pseudo Dionigi: 345
Pio l , papa ( 1 40- 1 5 5 ) : 400
Pio X l , papa ( 1 922- 1 93 8 ) : 3 93 , 396 Q u i nziano di Rodez, vescovo, poi vescovo di
Pio XII, papa ( 1 9 39- 1 95 8 ) : 1 5 1 C lermont: 69, 8 2 , 92
Pipino I , i l Vecchio, maestro d i pal azzo i n Au­ Quirino, santo im maginario dei tempi di Ottone
stria dal 622; morto nel 640: 1 8 , 3 5 , 22 1 , 2 2 8 , II: 396
23 1 2 3 2 , 2 3 3 , 234, 279 s s . , 2 92
'
Pipino I l , i l Me d i o , n i pote di Pipino I i l Vecchio, Rac h i , re dei Longobardi (744-749): 368 s., 377,
maestro di palazzo d ' A u s tria poi di tu tto il 378
regno franco, padre di Carlo Marte l l o ; morto Radbod, duca, poi re dei Fri son i : 295 , 297, 3 1 0
nel 7 1 4: 226, 2 3 3 , 2 5 3 , 282, 292-295 , 296, 297, Radegonda, santa, pri ncipessa turi ngia: 40, 90,
298, 305, 3 1 0, 3 1 1 , 3 1 9 9 1 , 249, 27 1 , 272
406 Indice dei nomi

Rad u l f, duca di Turi n g i a : 280 s . Rosmunda ( R o s e m u n d ) , fig l i a di C u n i mondo,


Raganfredo, maestro di pal azzo d i Neustria: 298 moglie d i Alboino: 1 06 , 1 08
Ragnacar di Cambrai, re: 5 2 , 53, 7 5 Rost, H a n s : I l
Ragnemondo di Pari g i , vescovo : 1 1 9, 1 25 , 264 Rotari , duca d i Bergamo: 348
Rahner, Karl : 44 Rotrude, pri ncipessa bavarese, figlia di Tassi lone
Rainald di Dasse l , cance l l i ere di Federico I B ar- III e d i L i utperga: 484
barossa: 504 Rottruda, fi g l i a del re longobardo R ac h i : 369
Ramos-Lisson, D . : 262 Rtic kert, H . : 257, 265
Ran i m i r, successore d i Vincenzo di Leò n : 398 Rufina [Tiran n i a ] , scri ttore ecclesiastico latino
Ranke, Leopold von: 450, 468, 4 7 2 , 49 1 , 505 (345-4 1 1 ) : 2 1
Rantgar, u n fri sone, sicario: 298 Rtiger, Leo: I l
Rau, R . : 332 Ruricio di Li moges, vescovo: 96
Rauc h i n g , duca: 1 30 Rustico d i Cahors, vescovo: 268
Reccaredo l, fig l i o di Leo vig il do, dal 5 7 2 coreg­
gente col fratel l o Ermenegildo e re dei Visigoti Sabaudo di Arles, vescovo : 1 1 8
( 5 86-60 1 ) : 1 34, 1 3 5 , 1 40- 1 5 3 , 1 7 9, 2 1 6 Sa b in iano, papa ( 604-696): 1 63 , 3 3 5
Rec h i ar, re cattolico deg l i S vev i : 66 S acerdote, santo, vescovo, z i o e predecessore d i
Rechi ar, re svevo (448-456 ) : 1 4 1 Gregorio di Tours: 270
Rec h i l a , re svevo pagano (44 1 -448 ) : 398 Sagi ttario d i Gap, vescovo: 1 27 , 1 2 8 , 267, 269,
Reginbaldo di Chiusi, duca: 436 270
Regina di Prti m, abate: 37 1 Sales Doye, Franz von: 8 8
Reinde l , K . : 3 2 1 Salomone, r e n e ll ' A . T. : 237
Remigio di Reims, santo, vescovo: 5 2 , 5 3 , 54, Salonio di Embrun, vescovo e assass i n o : 267,
56-59, 76, 249 , 396 269, 270
Remism undo, fig l i o del re svevo Maldra: 1 42 S a m o , merc a n te franc o , fo nd atore d e l p r i m o
Reo lo di Reims, vescovo e metropolita: 269, 292, regno slavo: 236, 4 5 7
293 Samson, fi g l i o di Fredegonda e di r e C h i lperico
Reto, un dio: 3 1 6 di Soissons: 1 1 9
Reu ter, Ti mothy: 307 Satana, capo degli ange l i ribe l l i : 2 1 1 s s .
Richar, frate l l o di re Ragnacar: 75 Saturnino di Tolosa, vescovo : 243
Richards, Jeffrey: 15, 30, I I I , 1 55 , 1 76, 1 77 , 1 82, Saturno, dio romano: 4 1
1 8 5 , 1 95 , 202, 205 , 21 O, 22 1 , 224 Savarich d i Au xerre, vescovo : 2 3 3 , 267
Riché, Pierre : 490, 494 Saxnot [ h ) , d i v i nità sassone: 46 1 , 463
Rignomer, frate l l o di Ric har e d i Ragnachar: 75 Scheibelrei ter, Georg: 246, 255, 273
Riguntide, fi g l i a di Fredegonda e del re C h i l - Scherr, Johan nes: 1 4
perico di Soi ssons : 1 1 9, 1 27 Schieffer, T. : 40, 250, 3 1 3 , 457
R i o l d o , avversario d e l v e s c o v o L a m berto d i S c h i l ler, Friedric h : 2 1 8
Maastricht: 268 Schlesi nger, Wal ter: 407 , 4 5 8 , 482
Rodolfo di Fulda, abate: 405 , 455 Schmid, K.: 423
Rodol fo di Svevia, pri mo antirè di Enrico IV: 408 Schmidt, K. D.: 3 2 , 62, 69
Romano, generale bizantino, esarca di Ravenna: Schoffe l , J . B . gesuita: 453
1 8 7 , 1 92 Schramm, Percy Ernst: 2 1 8 , 309
Romistan, un aquitano, zio di Wai far: 3 7 3 Sc hrei ner, Josef: 394, 395
Romualdo, d u c a di Benevento: 3 4 6 Schubert, Hans von: 434
Romualdo, figlio di Arechi, frate l l o di Grimoaldo: S c h u l tze, Victor: 57, 60, 97, 99, 244, 464
442-444 Schulze: 8 1
Romula, santa: 2 1 7 Schwai ger, G . : 2 1 8 , 374, 39 1
Rosa, Peter de: 204 Secondo (Secundus), monaco, c o n s i g l i ere della
Indice dei nomi 407

regi n a longobarda Teode l i n d a : 1 93 S i g i mondo d i Magonza, vescovo: 224


See, K. von: 3 1 S i g i prando, fig l i o di An sprando: 348
Segga, conte: 1 49 S i g i smondo, santo: 98
S e m ml er, Josef: 327 S i g i smondo, re tedesco (dal 1 4 1 0) e i m peratore
Seppelt, Franz Xaver: 2 1 , 1 5 5 , 1 68 , 1 77 , 200, ( 1 43 3 - 1 43 7 ) : 235
206, 2 1 8 , 3 3 6 , 374, 39 1 , 4 1 9 , 43 1 , 444 S i g i smondo, fi g l i o di Gundobado, dal 50 1 vicerè
Sergio I, santo, papa (687-70 l ) : 296, 348 a G i nevra al posto di Godeg iselo ( 5 1 6-523 ) :
Sergio, patriarca di corte di Costanti nopol i : 3 3 7 , 6 4 , 83-86
3 3 8 , 3 3 9 , 343 Sigrada, madre di san Leodegaro : 29 1
Sergio, fu nzionario papale, sacellario, fig l i o del S i l verio, santo, fig l i o di papa e papa a sua volta
pri micerio Cristoforo : 4 1 7 , 425 ( 5 3 6 - 5 3 7 ) : 96
Sergio, presbi tero, legato papale: 35, 328, 3 29 S i l vestro I , santo, papa ( 3 1 4- 3 3 5 ) : 406, 408, 434
Sergio, stratega in S i c i l i a dell ' i mpero d ' Oriente: S i l vestro Il, santo, papa (999- 1 00 3 ) : 409
357 S i l via, la madre d i papa Gregorio 1: 1 5 8
Serg i o di Ravenna, vescovo: 4 1 9 S i m maco, santo, papa ( 498-5 1 4 ): 84, 354, 396
Severiano, prefetto: 397 S i mp l i c i o di Autun, vescovo : 28
Severiano, comandante i n capo della Cartha- S i ndperto di Regensburg, vescovo: 487
giniensis: 1 42 S i n foriano, santo, martire, protettore di Autun:
Severino di Colonia, vescovo: 27 287
Severino, papa ( 640-64 2 ) : 340 S i ri valdo, avversario del suo assassino S i agrio:
Severo di Aquileia, arc i vescovo: 1 72 266
Severo, un prete che risusci tava i mort i : 2 1 1 S i roes, vedi Kavadh Scheroe
S i agrio, u l t i m o govern atore romano di Gal l i a S isberto, duca v i s igoto: 1 45
(430-487 ) : 5 1 , 5 3 , 7 5 , 1 1 6 S i sebuto, re dei Visigot i : 1 5 2
S i agrio di Autun, santo, vescovo : 1 28 , 2 2 5 , 265 Si sto V, papa ( 1 5 8 5 - 1 590): 1 46
S i agrio fi g l i o del vescovo Desiderato di Verdu n , S m aragdo, esarca di Ravenna: 1 72 , 1 87
assassino di S i ri v a l d o : 266 Sofro n i o , monaco, patriarca di Geru s a l e m m e :
S i donio Apo l l i nare (Gaio Soli io Modesto Apo l l i ­ 3 3 8 , 340, 34 1
nare S idonio), padre del vescovo Apol l i nare: Sombart, Werner: 3 1
64, 67, 7 1 , 252 Southern, R . W. : 39
S i donio di Magonza, vescovo: 27, 326 S peyer, Wol fgang: 394
S i donio di Passau, vescovo-monaco scolo­ Sprande l , R . : 249, 259
irlandese: 3 2 9 Sprigade, K.: 483
S iemers, C l e m e n s : 3 6 8 Staubach, N.: 59
S i geberto I di R e i m s , terzo fi g lio di C l otario l , re S tefano di Dor, vescovo : 340, 342
dei Merov ingi ( 5 6 1 - 5 7 5 ) : 1 1 6, 1 1 7 , 1 1 8 , 1 1 9- Stefano I, il santo, re d ' Ungheria (997- 1 03 8 ) : 492
1 26, 1 40, 1 43 , 485 S tefano I l , santo, papa (752-7 5 7 ) : 36 1 , 374, 378,
S i geberto, regu l o a Colonia: 55, 74, 75 380-386, 39 1 , 4 1 5 , 428, 429, 433. 436, 439,
S i geberto Il, proni pote d i Brunec h i l d e , fi g l i o 448
maggi ore di r e Teoderico ( I l ) d ' Au stria e B u r­ S tefano I I I , papa (768-772): 4 1 8 , 420-426
gundia: 228 S tefano di Auxenti osberg, abate : 3 5 8
S i geberto lll, santo, fig l i o di Dagoberto 1: 234, S tefano di Lione: 64
2 3 8 , 279, 28 1 , 2 8 3 Stefano di Napo l i , vescovo: 4 1 9
S i gerico, successore di Atau lfo, r e cattolico d e i Steinbach, F. : 3 1 3 , 458
Visigoti (4 1 5 ) : 66 Stern, L.: 255
S i gerico, fi g l i o maggiore di primo letto del re St i1 icone, Flavio, generale e statista dell ' i mpero
burgundo Sigi smondo, principe ariano, conver­ d ' Occidente ( 3 65-40 8 ) : 1 9 8
titosi al cattolicesimo nel 5 1 6/5 1 7 : 8 3 Stonner, An ton: 25
408 Indice dei nomi

S ttirmer, W. : 2 3 7 , 330, 43 1 , 489 di re Cariberto 1: 1 1 6


S tratmann, F. M.: 1 5 5 , 1 77 , 1 97 , 2 1 8 Teodel i nda, pri ncipessa bavarese, sposata ( 5 89)
Stuffo, u n d i o : 3 1 6 col re longobardo A u tari ; reg i n a catto l i c a e
Stuiber, A l fred : 206 scismatica: 1 92, 1 93 , 209, 3 1 8 , 3 1 9 , 347
Sturmi di Fulda, abate: 326, 460 s . , 469, 473 Teoderada, moglie di A nsprando : 348
Suavegotta, fi g l i a di S i g i s mondo, mog l i e di Teo- Teoderico l , figlio maggiore di C lodoveo I (con
derico 1: 85 u n a concubina), re di Reims ( 5 1 1 -5 3 3 ) : 40, 8 1
Sulei man lbn al-Arabi, governatore di B arcel lona s s . , 89, 90-9 3 , 249
e Gerona: 466 s. Teoderico l, il Grande, re deg l i O strogoti (474-
Sulpicio di Bourges, vescovo : 230 5 2 6 ) : 1 8 , 55, 70, 73, 83, 89, 90, 9 1 , 92, 1 06,
Sulpicio Severo, stroriografo latino, biografo di 1 85
s . Martino di Tours: 43 Teoderico I l , re dei Visigoti (453 -466 ) : 66, 1 4 1
S u n n a d i Merida, vescovo: 1 49 , 1 5 2 Teoderico I l , n i pote d i B r u n ec h i l d e , fi g l i o d i
Swanah i l t , n i pote de l l a duchessa bavarese P i l i ­ Childeberto I l , coreggente di B u rg u n d i a ( 5 9 5 -
trude, seconda m o g l i e di Carlo Martello, madre 6 1 3 ) : 1 3 0, 1 99 , 223, 227, 2 2 8 , 229
di Grifone: 3 1 9 , 369, 3 7 3 Teoderico III, fig l i o di re Clodoveo I l e di Bal­
ti lde, fratello di Clotario II e d i C h i lderico Il,
Tabacco, G . : 347 successore del frate l l o Cl otario I I come re di
Tac ito, Cornel io, storico romano: 455 Neustria e Burgundia (637-69 1 ) : 284, 287, 288,
Tai o di Saragozza, vescovo : 207 289, 292, 294
Tarasio, segretario particol are dell ' i mperatrice Teoderico I V, v i cerè di Neustria (720-7 3 7 ) : 299
bizantina Ire n e ; patriarca d i Costantinopo l i : Teoderico, fig l i o de li' u l t i mo re merov i ng i o C h i l -
417 derico I I I : 3 7 5
Tariq ibn Ziyhad, vicecomandante arabo, dal c u i Teodolfo d ' Orléans, vescovo: 5 0 3
nome d e r i v a G i b i l terra: 304 Teodolfo, d i acono: 270
Tars i l l a , monaca, zia di Gregorio 1 : 1 5 8 Teodone, fig l i o di Tas s i l one III, duca d i B aviera:
Tassia, moglie del re longobardo Rac h i : 369 3 1 9, 320, 4 8 2 , 484
Tas s i Ione l , duca di Bavi era (dal 592): 3 1 9 Teodoro l , papa, (642-649 ) : 34 1 , 342
Tas s i lone I I I , fi g l i o del duca di B aviera Odilone, Teodoro, vescovo, fautore di papa Costantino I I :
nomi nato duca di Baviera a 8 anni da Pipino 418
III ( 749-788), ultimo degli Agil ulfidi : 330, 42 1 , Teodoro, n i pote d i papa Adriano 1 : 4 2 8
43 1 48 1 -484, 486, 49 1 Teodoro C a l l i opa, esarc a : 343
'
Tatone, re dei Longobardi ( m orto nel 5 1 2 ) : 1 08 Teodoro di Canterbury, arc i vescovo: 295
Tec l a , ba d essa a K i t z i n g e n e O c h s e n fu rt s u l Teodoro di Chur, vescovo : 265
Meno: 3 1 6 Teodoro di Efeso, vescovo : 352
Tel l e n bach, G . : 3 3 1 , 37 1 , 3 7 6 Teodoro di Marsiglia, vescovo: 1 27 , 2 6 6
Teodardo di Maastricht, vescovo: 2 6 8 Teodoro di Tou rs , vescovo : 2 5 8
Teodato, pri micerio, c o n s o l e , dux; zio di papa Teodosio l , il Grande, i m peratore r o m a n o (379-
Adriano 1: 428 395 ) : 27, 3 5 , 77
Teodebaldo, figlio i llegittimo di Grimoaldo II: 298 Teodosio, fi g l i o e coreggente d e l l ' i m pe ratore
Teodeberto, fig l i o di C h i l perico di Soissons e di d ' Oriente Maurizio: 1 94, 1 98
Audovera: 1 20 Teofane, abate : 3 5 8
Teodeberto l, tig l i o di Teoderico l, re di Reims Teofane Confessore: 349
( 5 3 3 - 5 4 8 ) : 90, 93 s., 96, 1 3 5 , 2 5 2 , 3 1 7 Teoperto, fi g l i o di Tassilone I I I : 484
Teodeberto I I , n i pote di Brunechilde, fig l i o di Tertul liano, scrittore latino cristiano ( 1 60-220): 208
Childeberto I l , re d ' Austria (595-6 1 2) : 42, 1 30, Terwel, khan de B u lgari : 3 5 0
1 99, 2 2 3 , 227 2 2 8 , 23 1 Teudegiselo, r e dei Vi sigoti (548-549 ) : 1 3 9
'
Teodec h i lde, fig li a di un pastore, q uarta moglie Teu d i , re dei Visigoti ( 5 3 1 -548 ) : 1 3 9
Indice dei nomi 409

Teudobaldo, duca deg l i Alemann i : 3 7 2 Valderada, pri ncipessa longobarda; mog l i e poi
Teutperto, duca di Baviera: 349 ripudiata di re Clotario l , q u i n d i moglie del
Theoc t i s t a , sore l l a de l l ' i mperatore d ' Oriente duca di Bav iera Garibaldo 1: 99, 3 1 9
Maurizio: 1 60 Valentin iano I I , Flavio, i mperatore romano ( 3 8 3 -
Thietmar di Walbeck, vescovo ( 1 009- 1 0 1 8 ) : 68 392): 4 1 2
Thiudigotha, fig l i a del re dei Visigoti Teoderico Valentino, santo e martire : 48 1
II: 68 Val l a , Lorenzo, umanista italiano ( 1 407- 1 45 7 ) :
Thompson, E. A . : 1 5 3 412
Tiberio I l , i mperatore bizantino ( 5 7 8 - 5 8 2 ) : 1 26, Val l i a , re dei Visigoti (4 1 5 -4 1 8 ) : 66
1 3 1 , 1 45 , 1 60 Vedasto, santo: 43
Tiberio Petasio, pretendente italico al trono: 3 5 6 Veloce, generale, magister militum : 1 90, 1 9 1
Ti was, d i v i n i tà s a s s o n e : 46 1 Venanzio, patrizio d i S i racusa: 1 69
Tolksdorf, M . : 245 Venanzio Fortunato, vescovo di Poitiers, poeta
Tolomeo, Claudio, geografo e matematico greco latino cristiano ( 5 30-600 ) : 9 1 , l 00
( metà del II sec. d. C . ) : 455 Veneranda, concubina di re Guntram : 1 1 6
Tomek: 490 Venere, dea romana: 43
Tommaso, abate : 34 1 Verano di Cavai llon, vescovo : 227
Tom maso di C l audiopo l i , metropol ita: 3 5 2 Vero di Tours, vescovo : 69
Torismundo, fratello maggi ore del r e d e i Visi goti Vigi l i o , papa ( 5 3 7 - 5 5 5 ) : 94, 96, 1 00, 1 0 1 , 1 3 3 ,
Teoderico (453-466 ) : 66 204
Totila, re deg l i Ostrogoti (54 1 - 5 5 2 ) : 95 Vig i l i o di Trento, santo, vescovo : 4 1
Toto, duca di Nep i : 4 1 6 ss. Vignier, abbé Jérome : 5 8
Touts, T. F. : 395 Vincenzo di Agen, santo: 44, 9 2 , 9 8 , 1 29 , 2 3 3
Traiano, Marco Ulpio, i mperatore romano (98- Vincenzo di Leòn, santo ipotetico abate , martire:
1 1 7 ) : 1 60 398
Trasmondo II di Spoleto, duca ribel l e : 364, 365, Vincenzo di S aragozza ovvero Caesaraugusta,
367 arc i m artire : 99, 1 42 , 1 5 2, 1 5 3
Tudun, pri ncipe deg l i Avari : 488 Virg i l i o d i Arles, arcivescovo: 225
Virg i l i o di Sali sburgo, vescovo-monaco scolo-
Uberto di Liegi, santo e vescovo: 264 irlandese (767-7 8 9 ) : 329, 49 1
Udalrich di Dapfen, abate: 404 Vita l i ano I, papa (657-672 ) : 345, 346
Ugo, abate del m o n astero di S a i n t- M a rt i n d i Vitaliano, generale: 1 90
Autun : 2 2 5 Vitige, re deg l i Ostrogoti (5 36-540 ) : 94, 95
Ugo di Rouen, arc i vescovo, vescovo di Parigi e Vittore di Troies-Chateau, vescovo: 270
Bayeux, abate di St. -Wandri lle e Jum ièges: 305 Vittore l , santo, papa ( 1 89- 1 99 ) : 339
Uldida di Toledo, vescovo ari ano: 1 49, 1 5 2 Viviana, vedova di Fel i c e : 1 8 2
U l l mann, Walter: 376 s . , 3 8 3 , 405 , 434 Viv i l o di Passau, vescovo : 3 2 1
Ullmann, H . : 47 1 Vogt, H. J . : 209, 2 1 4
U mbol u s , duca longobardo : 1 1 0 Vol lmann, B . K . : 248, 255
U naldo, padre del duca Wai far d ' Aquitania: 484 Voltaire, fi losofo francese: 505
Urbano II, beato, papa ( l 088- 1 099 ) : 408 Vol u s iano di Tours, vescovo : 69
Urbico, u n romano dei tempi di papa Gregorio 1 :
1 82 Waddo, maestro d i pal azzo del l a p r i n c i pe s s a
Uro, domestico: 280 Riguntide: 1 27
U rsmaro, santo: 43 Waifar, fig li o di Hunald, duca d ' Aquitania: 3 7 3 ,
Urso di Aquileia, patriarc a : 492 4 1 6, 484
Uytfanghe, M . va n : 2 8 3 Wai mar di Champagne, duca: 289
Wala di Corbie, abate ; cugino e intimo di Carlo
410 Indice dei nomi

Magno: 499 Zaccaria, papa (74 1 - 7 5 2 ) : 2 1 0, 3 1 4, 320, 3 2 2 ,


Waldipert, prete italico ribel l e : 4 1 7 , 4 1 8 3 2 3 , 3 2 4 , 326, 3 2 7 , 3 2 8 , 329, 3 5 7 , 3 6 7 , 3 6 8 ,
Wal d m ii l ler, L . : 482 370, 3 7 1 , 374, 3 7 5 , 3 7 8 , 380, 3 8 5 , 405
Wal l ce-Hadri l l , J . M.: 280 Zach, Franz: 79, 24 1
Wal l u c , duca del l a marca di S lovenia: 2 3 7 Zefirino, santo, papa ( 1 98-2 1 7 ) : 3 3 9
Wal ter, Johannes von : 479 Zol l n er, E . : 4 8 , 9 6 , 4 8 8
Wal terscheid, J . : 43 Zoroastro (Zarathustra), fondatore della religione
Wampach, Cami l l : 295 , 297 iranica: 337
Wand, N . : 3 1 3 Zotz, Th . : 5 9
Waratto, successore di Ebroin o come maestro di Zwolfer, T. : 3 2 , 34, 2 9 6 , 3 1 3 , 3 8 3
pal azzo di Neustria: 293, 294
Warnachar, maestro di palazzo di re Teoderico
I I : 227, 229
Warnehar, abate franco: 3 8 6
Wel i d l , c a l i ffo (705-7 1 5 ) : 3 0 3
Wetzer, H . J . : 6 9 , 8 8
We l te, Bernhard : 69, 88
Weze l , u n romano, d i s c e p o l o d i A r n a l d o d a
B rescia: 4 1 1
Wic hert di Verden, vescovo ; pronipote di Widu­
kind: 474
Wido di St. Vaast e S t . Wandri l l e , abate : 366
Widukind, nobile westfalico: 468, 470, 472, 474,
475
Widukind di Corvey, monaco: 462
Wild igern, conte: 1 49
Wilfrid di York, vescovo : 295, 296
Wilhar di Sedu n u m , vescovo: 427
W i l lehad, santo, primo vescovo d i B rema: 469
Wi l l i bald di Magonza, prete: 309, 3 3 1 , 3 3 2
Wi l l i brord di Northumbria, santo, "Apostolo dei
Fri s o n i " : 296, 297 , 306, 3 1 0, 370
Winfrid (Wynfreth) vedi B o n i facio
Winigis di Spoleto, duca: 448
Witte, K.: 307
Wi t z i n , re degli S l avi Obodri t i : 476
Wodan (Wota n ) , dio germanico: 34, 325, 463
Wol f, G.: 77
Wulfetrude, badessa del monastero di N iv e l l e :
283
Wu l fgu nde, m o g l i e di r e Dagoberto 1 : 2 3 4
Wu l filaich, d i acono: 4 0
Wu l foald, maestro d i pal azzo d ' Au stria: 292
Wu l fo, patri zio burgundo: 230
Wy n freth vedi B o n i facio

Yazdgard (Je zdegerd ) I I I , u l t i m o re d i Pers i a


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Letteratura is/andese • Laxdrela saga - pp. 220
Letteratura nederlandese • K . van de Woestij n e : I Cavall i di Diomede [bilingue] - pp. 1 44
• J. van den Vonde l : Luci fero [bilingue] - pp.220
Letteratura persiana • Poeti della Pleiade ghaznavide - pp. 472
• B i d e l : I l canzoniere del l ' alba - pp. 202
• Mahsati : La luna e le perle - pp. 1 3 2
Letteratura francese • J - M . de Heredia: I Trofei [bilingue] - pp. 376
• Ch. Leconte de Lisle: Poemi barbari [bilingue] - pp. 504
Letteratura tedesca • Ch. Reuter: Schelmuffsky [bilingue] - pp. 292
• J . Ch. Giinther: Poesie scelte [bilingue] - pp. 280
• W . Raabe : S topfkuchen - pp. 200
Letteratura svedese • M . L . Koc h : La l irica di E. J. S tagnelius [bilingue] - pp. 304
• E . G . Geijer: Poesie [bilingue] - pp. 1 28
Letteratura sanscrita • L ' e l i s i r del furto secondo il dharma [bilingue] - pp. 1 40

Collana "il Viandante" (una collana per chi ama andare in cerca)
l . Dr. M. Luther: Sermoni - pp. 3 5 2
2 . Golbadan Begu m : L a storia di Humayun - pp. 1 1 2
3 . K. Deschner: S toria criminale del Cristianesimo - t. I : L' età arcaica - pp. 480
4. M . Korth : Il giovane Capo - pp. 1 92
5 . K. Deschner: S toria criminale del Cristianesimo - t. I I : Il tardo antico - pp. 432
6 . K . Deschner: S toria criminale del Cristianesimo - t . III: La chiesa antica - pp. 552
7 . A . Schlatter: La lettera ai Romani - pp. 1 92
8. Ibn Warraq: Perché non sono musul mano - pp. 400
9. K. Deschner: S toria criminale del Cristianesimo - t. IV: L' alto Medioevo - pp. 434
Collana "Libretto" (edizioni b i l ingue)
l. L . van Beethove n : Fidelio - pp. 1 50
2. J . S . Bach: Cantate - t. I [BWV I .;- B WV40] - pp. 220
3. F. Mendelssohn: Gli Oratori - pp. 1 28
4. C . M . von Weber: Der Freischiitz - pp. 1 44
5 . J . S . Bach: Cantate - t. II [B WV4 l + BWV I OO] - pp. 2 3 2
6 . W. A . Mozart: Die Zauberflote - pp. 1 80
7. J . S . Bach: Cantate - t. III [ B WV I O I + BWV I 70] - pp. 256
8. H . Berlioz: Les Troyen s - pp. 1 40
9. J . S . Bach: Cantate - t. IV [ B WV I 7 l + B WV249] - pp. 276
I O. C . W. Gluck: Armide - pp. 96
I l. A. Berg : Wozzeck - pp. I l O
1 2 . Ch. Gounod : Faust - pp. 1 42
1 3. M. Mu sorgskij : Chovanchina - pp. 1 42
1 4. S. Prokof' ev : L' Angelo di fuoco - pp. 1 1 2
15. P. I . Chai kovskij : Mazeppa - pp. 1 1 2
1 6. J. Massenet: Manon - pp. 1 52
17. R. Strau s s : La donna sen z ' ombra - pp. 1 60
1 8. B . B ritten : Peter Grimes - pp. 1 28
1 9. C. Sain-Saen s : S ansone e Dal i l a - pp. 96
20. R. Straus s : Salome • Elettra - pp. 1 68
21 . M . Mu sorgskij : Boris Godunov - pp. 1 68
22. C. W. Gluck: Ifigenia in Aul ide • Ifigenia in tauride - pp. 1 60

Collana "l Libretti di Armonia" (edizioni b i l ingue)


l . R . Wagner: Gotterdammerung (Il Crepuscolo degli Dèi) {con guida tematica] - pp. 1 60

"Fuori collana"
l . F. S abah i : La pecora e il tappeto - pp. 1 60
2. O ltre i campi, dove la terra è rossa - Canti d ' amore e d ' estasi dei Baul del Bengala ­
pp. 1 60

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