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IL MOTO

Il moto è il cambiamento di posizione di un corpo in funzione del tempo;


dunque, un corpo si dice in moto se varia la propria posizione nello spazio, in
relazione al tempo. Per stabilire se un corpo è fermo oppure si muove, è
necessario osservare contemporaneamente sia il corpo stesso che un altro
considerato fisso. Ad esempio, osserviamo un cane in relazione ad un punto
fisso, ossia l'albero: se il cane è fermo, in quiete, la sua posizione rispetto
all'albero non cambia per tutto il tempo dell'osservazione; se invece, il cane è
in moto la sua posizione rispetto all'albero cambia continuamente. Occorre
precisare che il nostro sistema di riferimento privilegiato è la terra.
• Ad un certo istante di tempo, la distanza tra il corpo mobile e il corpo
fisso è detta SPOSTAMENTO (è la variazione di posizione del corpo).
• Il cammino che ha fatto il corpo mobile fino a quell’istante di tempo è la
TRAIETTORIA; dunque, è la linea immaginaria ottenuta congiungendo
tutti i punti toccati dal corpo in moto e può essere: rettilinea, se si
muove lungo una retta e circolare, se si muove lungo una
circonferenza.
• La lunghezza della traiettoria è lo SPAZIO PERCORSO.
Il moto può essere:
• Unidimensionale, lungo una retta;
• Bidimensionale, due dimensioni;
• Tridimensionale, nello spazio.
Infine, possiamo distinguere tre tipi di moto a cui è soggetto un corpo,
prendendo come riferimento due assi: x e y.
• MOTO DI TRASLAZIONE: il corpo trasla da A a B e gli assi si
mantengono paralleli.
• MOTO DI ROTAZIONE: un punto rimane fisso e tutti gli altri descrivono
intorno ad esso delle traiettorie circolari. In questo caso, gli assi
cambiano continuamente direzione.
• MOTO DI ROTOTRASLAZIONE: mentre un punto descrive una
qualsiasi traiettoria, tutti gli altri punti ruotano intorno ad esso. Quindi, il
corpo ruota e trasla e gli assi cambiano continuamente direzione.
Il ramo della fisica che studia i moti è la meccanica, che si suddivide
in:
• Cinematica, che descrive come avviene il moto;
• Dinamica, che indaga sulle cause del moto;
• Statica, che analizza le condizioni di equilibrio dei corpi.
Le grandezze che caratterizzano il moto sono:

• VELOCITÀ è una grandezza vettoriale dotata di direzione e verso,


definita come la variazione della posizione di un corpo in funzione del
tempo. In termini matematici, è la derivata del vettore posizione rispetto
𝒔 𝒎
al tempo. 𝒗 = , misurata in .
𝒕 𝒔

• VELOCITÀ MEDIA è il rapporto tra lo spazio percorso da un corpo e il


𝜟𝒔 𝒎
tempo impiegato a percorrerlo. 𝒗𝒎𝒆𝒅𝒊𝒂 = , misurata in .
𝜟𝒕 𝒔

• VELOCITÀ ISTANTANEA è la velocità che il corpo possiede in un


determinato istante (misura lo spostamento in un intervallo di tempo
molto piccolo).
• ACCELERAZIONE è una grandezza vettoriale che rappresenta la
variazione della velocità nell’unità di tempo, cioè quando la velocità
𝒗 𝒎
aumenta e quando diminuisce (decelerazione). 𝒂 = , misurata in .
𝒕 𝒔𝟐

• ACCELERAZIONE MEDIA è il rapporto tra la variazione della velocità di


𝜟𝒗
un corpo e l’intervallo di tempo in cui avviene tale variazione. 𝒂𝒎 = ,
𝜟𝒕
𝒎
misurata in 𝟐 .
𝒔

• ACCELERAZIONE ISTANTANEA è un modo preciso per calcolare


l’accelerazione in un determinato istante in cui si verifica.
I moti si classificano in base: alla traiettoria e ai parametri cinematici, ovvero
velocità e accelerazione.
IL MOTO RETTILINEO UNIFORME
Il moto rettilineo uniforme è il movimento di un oggetto rispetto ad un certo
sistema di riferimento che segue una traiettoria rettilinea e va a velocità
costante.
LEGGE ORARIA E GRAFICO
cioè il moto si svolge ovvero il corpo
𝒔 = 𝒔𝟎 + 𝒗 ⋅ 𝒕 con 𝑠0 ≠ 0 lungo una linea retta. percorre spazi uguali
in tempi uguali.
𝒔 = 𝒗 ⋅ 𝒕 con 𝑠0 = 0

dunque, le distanze
percorse sono
direttamente
proporzionali agli
intervalli di tempo
impiegati a percorrerle.
Il grafico velocità-tempo è caratterizzato da una retta parallela all’asse del
tempo, in quanto la velocità è costante; dunque, in qualsiasi intervallo di
tempo, ha sempre lo stesso valore.

Gli strumenti utilizzati per misurarlo sono: il cronometro, per il tempo, e la


riga metrica, per la posizione.
Le grandezze fisiche sono:

• Tempo istante 𝒕

intervallo di tempo 𝜟𝒕

• Spazio posizione 𝒔
distanza percorsa 𝜟𝒔

IL MOTO RETTILINEO UNIFORMEMENTE ACCELERATO


Il moto rettilineo uniformemente accelerato è il movimento di un punto
materiale che si sposta lungo una retta con accelerazione costante;
quindi, le variazioni di velocità sono direttamente proporzionali agli intervalli di
tempo in cui hanno luogo. Inoltre, in intervalli di tempo uguali, il corpo
percorre: distanze più lunghe se accelerato e più brevi se decelerato.
LEGGE ORARIA E GRAFICO
𝟏
𝒗 = 𝒂 ⋅ 𝒕 con 𝒗𝟎 = 𝟎 𝒔 = 𝒂𝒕𝟐 con 𝒔𝟎 = 𝟎 e 𝒗𝟎 𝒕 = 𝟎
𝟐
𝟏
𝒗 = 𝒗𝟎 + 𝒂 ⋅ 𝒕 con 𝒗𝟎 ≠ 𝟎 𝒔 = 𝒔𝟎 + 𝒗𝟎 𝒕 + 𝒂𝒕𝟐 con 𝒔𝟎 ≠ 𝟎 e 𝒗𝟎 𝒕 ≠ 𝟎
𝟐

IL MOTO CIRCOLARE UNIFORME


Il moto circolare uniforme è il moto di un corpo che si sposta lungo una
traiettoria circolare ed è caratterizzato da:
• velocità costante in modulo ma variabile in direzione e verso; essa è
una velocità tangenziale, in quanto ha sempre direzione tangente alla
traiettoria.
Quando la velocità varia subentra l’accelerazione, che è costante e
centripeta, ovvero punta verso il centro.
Inoltre, questo moto è periodico in quanto, dopo un giro completo, il corpo
ritorna nella posizione iniziale.
Le grandezze sono:
• PERIODO T è il tempo necessario per compiere un giro completo della
𝟏
circonferenza e si misura in secondi;
𝒇
𝟏
• FREQUENZA f è il numero di giri compiuti dal corpo in 1 secondo e si
𝑻
misura in hertz.
Dunque, la frequenza è il reciproco del periodo e viceversa.
FORMULE
La velocità tangenziale è il rapporto tra spazio percorso e il tempo impiegato
a percorrerlo. Dato che ci troviamo in una circonferenza:
• lo spazio corrisponde alla lunghezza della circonferenza;
• il tempo, invece, equivale ad 1 giro completo.
𝟐𝝅𝒓 𝒎
𝒗= cioè quanta strada un oggetto compie in un giro completo e si misura in .
𝑻 𝒔

La velocità angolare è riferita ad un pezzo di circonferenza; quindi, è il


rapporto tra l’angolo percorso dall’oggetto e l’intervallo di tempo impiegato a
percorrerlo.
𝟐𝝅
𝝎= cioè la velocità che un oggetto compie per un arco di circonferenza.
𝑻

L’accelerazione centripeta è l’accelerazione che caratterizza il moto circolare


𝒎
uniforme, diretta sempre verso il centro della circonferenza e misurata in .
𝒔𝟐

𝒗𝟐 𝒎
𝒂𝒄 = , dove 𝒗 è la velocità del punto (misurata in )e 𝒓 il raggio della
𝒓 𝒔
𝒎
circonferenza (misurato in ).
𝒔𝟐
IL MOTO PARABOLICO
Il moto parabolico, detto anche moto dei proiettili, è il moto di un oggetto
che, partendo con una certa velocità iniziale, percorre una traiettoria
parabolica (sotto l’azione della sola accelerazione di gravità). Ad esempio: un
oggetto che viene lanciato ha una velocità iniziale che può essere: verso l’alto,
in direzione orizzontale o obliqua.
• Un oggetto lanciato verso l’alto raggiunge un’altezza massima nel punto
in cui la velocità si annulla e, successivamente, comincia a scendere
sempre su traiettoria verticale e rettilinea: nel tratto ascendente, il moto
è uniformemente decelerato, mentre, in quello discendente, è
uniformemente accelerato.

• Il moto di un oggetto lanciato in orizzontale è la sovrapposizione di due


moti: rettilineo uniforme in orizzontale e rettilineo uniformemente
accelerato in verticale.

• Una palla da basket viene lanciata verso il canestro; innanzitutto,


scomponiamo la sua velocità iniziale 𝒗⃗ 𝟎 nei vettori componenti
orizzontale e verticale: 𝒗
⃗𝒙e𝒗
⃗ 𝒚 . In questo caso, il suo moto è la
sovrapposizione di un moto rettilineo uniforme in orizzontale e del
moto uniformemente accelerato in verticale di un oggetto lanciato
verso l’alto, con velocità iniziale diversa da 0; dunque, la traiettoria è
una parabola.

LEGGE ORARIA
Lo spostamento orizzontale è dato dalla legge oraria del moto rettilineo
uniforme: 𝒔𝒙 = 𝒗𝟎 ⋅ 𝒕; invece, lo spostamento verticale è dato dalla legge
𝟏
oraria del moto uniformemente accelerato: 𝒔𝒚 = ⋅ 𝒈 ⋅ 𝒕𝟐 . In questo caso:
𝟐
𝒎
𝒗𝟎 è la velocità iniziale, misurata in ; 𝒕 è il tempo, misurato in 𝒔; 𝒈 è
𝒔
𝒎
l’accelerazione di gravità, misurata in .
𝒔
IL MOTO ARMONICO
Il moto armonico è il moto di un corpo che oscilla avanti e indietro
percorrendo continuamente una linea retta, il cui grafico spazio-tempo è
una sinusoide; dunque, può essere anche pensato come proiezione su un
diametro delle posizioni di un punto P, che si muove di moto circolare
uniforme.

Inoltre:
• il punto Q descrive un’oscillazione completa quando P percorre un giro
completo sulla circonferenza;
• il centro della circonferenza è il centro dell’oscillazione;
• la massima distanza di Q dal centro dell’oscillazione O è l’ampiezza del
moto;
• la massima distanza di Q in un istante generico si chiama elongazione
(ascisse del punto mobile);
• il periodo è la durata di un oscillazione completa mentre la frequenza è
il numero di oscillazioni complete compiute in un secondo;
• la velocità angolare del punto P si chiama pulsazione;
• l’accelerazione è direttamente proporzionale allo spostamento ma ha
segno opposto: 𝒂 = −𝝎𝟐 ⋅ 𝒔.
Come il moto circolare uniforme, anche il moto armonico è un moto
periodico ma non uniforme, in quanto la velocità e l’accelerazione variano nel
tempo.
I PRINCIPI DELLA DINAMICA
PRINCIPIO DI INERZIA → un oggetto è fermo o si muove di velocità
costante (MRU) se la somma delle forze su di esso è pari a 0.
• Esempio 1: un gruppo di bambini tirano una fune verso dx e un altro
gruppo verso sx, entrambi con la stessa forza; in questo caso, la somma
delle forze sarà 0 e, quindi, la fune resterà ferma.
• Esempio 2: un treno viaggia con una velocità k di 300km/h in quanto su
di esso agiranno varie forze con la stessa intensità e, poiché la somma di
tutte le forze sarà nulla, il treno continuerà a viaggerà a velocità k
PRINCIPIO DI PROPORZIONALITA’ → un oggetto accelera o decelera se la
somma delle forze su di esso è diversa da 0.

⃗𝑭 = 𝒎 ⋅ 𝒂

• Esempio 1: pensiamo ad un oggetto lanciato su un pavimento che, nel
corso del tempo, rallenta e si ferma; infatti, in questo caso, nella
componente orizzontale la forza d'attrito rappresenta un valore
dominante che, sommato con le altre forze orizzontali, ci dà un risultato
diverso da zero e, dunque, fa decelerare l'oggetto fino a fermarlo.
PRINCIPIO DI AZIONE E REAZIONE → ad ogni forza, detta azione,
corrisponde una forza uguale e contraria, detta reazione.
• Esempio 1: se tiriamo una molla fino ad una posizione di tensione la
forza della nostra mano rappresenta l'azione mentre la forza elastica
della molla rappresenta la reazione.
• Esempio 2: due sfere che si urtano esercitano forze uguali e opposte
l’una sull’altra.
I VETTORI
Un vettore è una grandezza che, come nel caso della forza, ha:
• una direzione → è la retta lungo la quale la forza agisce;
• un verso → è l’orientamento della forza lungo la retta;
• un’intensità o modulo→ ovvero la lunghezza del vettore, la quale si
misura con uno strumento chiamato dinamometro.
Per indicare che una grandezza è un vettore, aggiungiamo una freccia sul
⃗.
simbolo che la rappresenta: 𝑭

LE FORZE
La forza è una grandezza vettoriale che si manifesta nell'interazione tra due
corpi; dunque, è la causa che provoca il movimento di un corpo che si trova in
stato di quiete oppure, al contrario, ne determina un arresto. Quindi, la forza
può cambiare la velocità di un corpo:
• se applicata a un oggetto fermo, essa può far aumentare la sua
velocità (un pallone quando si tira un calcio di rigore);
• se, invece, è applicata a un oggetto in movimento, essa può far
diminuire la sua velocità (pallone quando è parato dal portiere)
Inoltre, la forza può deformare gli oggetti; però, ci sono oggetti che tornano
al loro stato naturale, come la molla, e oggetti che restano deformati, come la
plastilina; infine, può cambiare la direzione di un oggetto (una pallina di
tennis respinta da un giocatore), può ruotare un corpo (quando viene spinta
una porta girevole) e può modificare la forma del corpo a cui è applicata
(quando si comprime una mallo o allunga un elastico). L’unità di misura della è
il newton (N) e possiamo distinguere tra:
• forze di contatto, che agiscono attraverso il contatto diretto di due
corpi (es. una giocatrice di pallavolo colpisce la palla e ne cambia la
velocità);
• forze a distanza, grazie alle quali due corpi interagiscono senza un
contatto diretto (es. un oggetto non trattenuto cade accelerando, a causa
della forza-peso con cui la terra attrae il corpo);
TIPI DI FORZA
La forza-peso è la forza di gravità con cui la terra attrae un corpo che si trova
sulla sua superficie; essa è direttamente proporzionale alla massa:

⃗⃗⃗⃗⃗ ⃗⃗ e si misura in 𝒌𝒈
𝑭𝑷 = 𝒎 ⋅ 𝒈
• Esempio: uno oggetto appoggiato su un piano non è libero di cadere
perché su di esso agisce una forza esercitata dal piano (reazione del
vincolo); in questo caso, forza-peso e reazione vincolare sono
applicate allo stesso corpo e, poiché sono opposte, i loro effetti si
annullano e il corpo è in equilibrio.
La forza elastica è la forza con cui reagiscono i corpi quando vengono
deformati e ritornano nelle condizioni iniziali.

𝑭𝒆 = −𝒌 ⋅ 𝒙
• Esempio: quando si tira una molla fissata ad un muro, essa oppone
resistenza; quindi, è la forza elastica che si oppone alla forza di
trazione.
La legge di Hooke afferma che la forza elastica è direttamente proporzionale
alla deformazione e di verso opposto ad essa.

𝑭 = −𝒌 ⋅ 𝜟𝒙
• Esempio: prendiamo una molla elastica e la fissiamo con una estremità
alla parete, in modo che all'altra estremità si possano apprendere tre
pesetti uguali. A questo punto, consideriamo la lunghezza a riposo
della molla, l'intensità della sollecitazione esterna (peso del
pesetto) e la deformazione della molla (allungamento). Appendendo
alla molla un pesetto, notiamo che: la molla si allunga ma, maggiore è il
peso, minore è l’allungamento.
La forza d’attrito interviene quando il moto di un corpo avviene su superfici
ruvide, le quali tendono a rallentare il corpo; al contrario, una superfice liscia è
priva di attrito.
• Esempio: una forza d’attrito è la forza che l’asfalto esercita su un auto
durante una frenata.
IL DINAMOMETRO
Il dinamometro è uno strumento che misura l'intensità di una forza ed è
costituito da una molla racchiusa in un cilindro, sulla quale è disegnata una
scala graduata; dunque, applicando una forza sul gancetto attaccato alla
molla, si produce un allungamento.
ELASTICI E MOLLE
Quando tiriamo l’elastico con le due mani in direzioni opposte, esercitiamo su
di esso una forza e, a sua volta, anch’esso esercita su di noi una forza.
(notiamo che: più lo allunghiamo, più diventa difficile allungarlo finché si
spezza). Inoltre, se restiamo fermi in una posizione in cui l’elastico è allungato
tra le mani, osserviamo un equilibrio tra la forza esercitata da noi e quella
esercitata dall’elastico; a questo punto, se lasciamo una delle due
estremità, la molla salta in quanto abbiamo smesso di bilanciare la forza.
I corpi su cui esercitiamo una forza, possono subire una deformazione
permanente, come quando manipoliamo un pezzo di plastilina, e
temporanea, come quando allunghiamo un elastico. Inoltre, a parità di forza,
molle diverse si possono allungare in maniera diversa:
• quelle che si allungano di più sono dette morbide;
• quelle che si allungano di meno sono dette dure. (ammortizzatore)
Infine, quando un corpo viene deformato, esso reagisce con una forza
elastica detta forza di richiamo; quest’ultima fa ritornare il corpo nella sua
posizione iniziale.
MOLLE IN PARALLELO E IN SERIE
Molle diverse in parallelo: due molle diverse vengono tirate con la stessa
forza ma l’allungamento della prima è il doppio della seconda, in quanto più
rigida è una molla più aumenta il valore della sua costante k.
Molle uguali in parallelo: a parità di peso, due molle uguali in parallelo si
allungano la metà rispetto a quando si allungano singolarmente; quindi, la
forza che ciascuna molla esercita in parallelo è la metà rispetto alla forza che
ciascuno esercita singolarmente.
Molle uguali in serie: collegando due molle in serie, la molla che sta nella
parte superiore si allunga un poco di più perché al peso sospeso si aggiunge
anche il peso della seconda molla.
Allungamento di una slinky: osservando una slinky sospesa, notiamo che il
suo allungamento è tale che le distanze tra le singole spine sono maggiori sul
lato superiore e tendono a diminuire al lato estremo.
ENERGIA
L'energia è una grandezza scalare, dotata solo di modulo e l'unità di misura è
il joule; un corpo possiede energia quando è in grado di compiere un lavoro:

𝑳 = 𝑭 ⋅ 𝑺;
invece, la potenza è la rapidità con cui viene svolto un lavoro:
𝑻
𝑷= e si misura in watt.
𝑳

ENERGIA POTENZIALE ELASTICA


L'energia potenziale elastica è il lavoro compiuto da una molla deformata
per tornare nella posizione di riposo:
𝟏
𝑬𝝆𝒆 = 𝒌 ⋅ 𝒙𝟐
𝟐
Esempio: quando tendiamo un elastico, da usare come fionda per lanciare una
pallina, ci accorgiamo che più tendiamo l’elastico, più esso si carica di energia
potenziale; invece, quando lasciamo la presa, l’elastico scarica l’energia
accumulata trasferendola alla pallina sotto forma di energia di movimento.
ENERGIA POTENZIALE GRAVITAZIONALE
L'energia potenziale gravitazionale è il lavoro compiuto dalla forza peso per
portare un corpo (da un’altezza o ad un’altezza h) dalla sua posizione a una
posizione di riferimento scelta:

𝑼=𝒎⋅𝒈⋅𝒉
Esempio: supponiamo di spingere con la mano un corpo verso l'alto fino a che
raggiunga una certa velocità e di lasciarlo poi libero da questo movimento
finché il corpo continua a salire; in questo caso, l'energia cinetica si riduce ma
aumenta l'energia potenziale gravitazionale. Raggiunta la massima altezza,
dove l'energia cinetica e nulla e quella potenziale gravitazionale è massima, il
corpo inizia a scendere riguadagnando energia cinetica e perdendo quella
potenziale; dunque, quando ritorna a livello da cui è stato lanciato avrà la
stessa energia cinetica e potenziale al momento del lancio.
ENERGIA CINETICA
L’energia cinetica è il lavoro necessario per portare un corpo da una velocità
nulla ad una velocità nota; dunque, è l’energia posseduta da un corpo in
movimento:
𝟏
𝑬𝒄 = 𝒎 ⋅ 𝒗𝟐
𝟐
Esempio: durante una corsa ciclistica, un meccanico spinge per un breve
tratto un ciclista che si era fermato, aiutandolo a riprendere velocita; la spinta
dell’uomo compie lavoro sul ciclista e aumenta la sua energia cinetica.
ENERGIA MECCANICA
L’energia meccanica è data dalla somma dell’energia cinetica e potenziale:

𝑬𝒎 = 𝑬𝒄 + 𝑬𝒑
Esempio: un ragazzo si esibisce con lo skate su una pedana: quando è fermo
in cima alla pedana, possiede energia potenziale gravitazionale ma non
cinetica, perché la sua velocità iniziale è nulla;
invece, quando si lancia in discesa, la sua energia potenziale diminuisce e si
trasforma in energia cinetica in quanto ha acquistato velocità; infine, nel
risalire la pedana, la velocità diminuisce e l’energia cinetica si trasforma di
nuovo in energia potenziale.
PRINCIPIO DI CONSERVAZIONE DELL’ENERGIA
In un sistema isolato, l’energia meccanica si conserva in quanto si
mantiene costante anche se al suo interno avvengono trasformazioni; invece,
se un sistema non è isolato, può esserci qualche differenza tra l’energia in
entrata e uscita.
QUANTITA’ DI MOTO
La quantità di moto è un vettore che ha la stessa direzione e lo stesso verso
del vettore velocità; si ottiene dal prodotto della massa di un corpo per la sua
velocità:
𝒎
⃗ , misurata in 𝒌𝒈 ⋅
⃗ =𝒎⋅𝒗
𝒑
𝒔

Inoltre, se su un sistema fisico non agiscono forze esterne (sistema isolato), la


quantità di moto totale si conserva, ovvero la somma totale rimane costante
nel tempo.
Esempio: una ragazza lancia un pallone: prima del lancio la quantità di moto è
0 in quanto sia la ragazza che il pallone sono fermi; dopo il lancio, la quantità
di moto è ancora 0 in quanto la ragazza e il pallone hanno quantità di moto
uguali e opposte.
GLI URTI
Per urto in fisica si intende un’interazione tra due corpi senza che vi sia
necessariamente un contatto. Esso è:
• elastico → quando in esso si conserva sia la quantità di moto totale che
l’energia cinetica totale dei corpi che interagiscono; per esempio, l’urto
tra due palle da biliardo in quanto la prima cede alla seconda una certa
quantità di moto e, di conseguenza, rallenta o si ferma.
• anelastico → quando i due corpi che si urtano rimangono uniti e si
conserva la quantità di moto ma non l’energia cinetica; per esempio,
l’urto tra due pattinatori che, dopo l’impatto, si allontanano insieme in
quanto vi è un trasferimento di energia cinetica dal primo al secondo.
EQUILIBRIO
L'equilibrio è lo stato di un corpo non soggetto a forze che lo modificano; può
essere:
• statico, quando un corpo è fermo e continua a restare fermo;
• dinamico, quando un corpo si muove di moto rettilineo uniforme.
Inoltre, si possono avere tre tipi di equilibrio:
• stabile → quando un corpo, dopo un piccolo spostamento, tende a
ritornare nella sua posizione di equilibrio (pendolo);
• indifferente → quando ad ogni posizione, il corpo è in equilibrio
(bottiglia sul tavolo)
• instabile → quando un corpo non torna più nella posizione di equilibrio
iniziale.
Un punto materiale fermo rimane in equilibrio quando la risultante delle
forze che agiscono su di esso è nulla; invece, un punto materiale vincolato è
in equilibrio se la risultante di tutte le forze applicate al corpo, comprese le
reazioni vincolari, è uguale a zero.
Esempio: una mela posta sul tavolo è soggetta alla forza-peso e alla reazione
vincolare; se le due forze hanno risultante nulla, la mela è in equilibrio.
N.B. Il vincolo è un oggetto che impedisce a un corpo di compiere alcuni
movimenti e la forza esercitata da essi si chiama reazione vincolare; il
punto materiale è un oggetto che ha una massa ma non ha dimensione, è
considerato come un punto perché è piccolo rispetto all’ambiente che sto
considerando e trasla; il corpo rigido è un oggetto esteso che non subisce
deformazione ed ha sia dimensione che massa, non cambia la sua forma,
trasla e ruota attorno a un suo punto.
EQUIBILIBRIO DI UN CORPO RIGIDO
Con il termine corpo rigido si intende un corpo che non si può deformare (la
biglia e il tavolo); esso è in equilibrio se:
• non trasla e non ruota;
• la risultante di tutte le forze applicate è uguale a 0;
• la somma dei momenti di tutte le forze è uguale a 0.
Esempio: se prendiamo un piano liscio (ovvero un tavolo) ed appoggiamo su
di esso un corpo rigido (cioè una tavoletta di legno), vediamo che esso non può
cadere in quanto su di esso agisce la forza esercitata dal piano (la reazione
vincolare). Questa forza vincolare verso un l’alto si oppone alla forza-peso del
corpo diretta verso il basso; per questo motivo, i loro effetti si annullano e il
corpo è in equilibrio.
EQUILIBRIO DI UN CORPO DEFORMABILE
Se un corpo è deformabile, una coppia di forze ne perturbano l’equilibrio;
quindi, per far sì che questo sia in equilibrio, la risultante delle forze applicate
in ogni singola posizione del corpo deve essere nulla.
EQUILIBRIO DI UN CORPO PESANTE E UN’ASTA
Un corpo pesante o un’asta sono in equilibrio se tutto il loro peso è concentrato
nel loro baricentro; quest’ultimo è il centro di tutte le forze-peso parallele.
EQUILIBRIO DI UN CORPO SUL PIANO INCLINATO
Un corpo appoggiato su un piano inclinato accelera verso il basso a causa del
suo peso; dunque, affinché il corpo sia in equilibrio, la risultante di tutte le
forze deve essere nulla.

⃗⃗⃗⃗⃗
𝑭𝑷 + 𝑹⃗⃗ + ⃗⃗⃗⃗⃗
𝑭𝑨 = 𝟎
⃗⃗ è la reazione vincolare e ⃗⃗⃗⃗⃗
dove: 𝑭𝑷 è la forza-peso, 𝑹 𝑭𝑨 è la forza d’attrito.
EQUILIBRIO DI UN CORPO APPESO
Un corpo appeso è in equilibrio quando sulla retta verticale, che passa per il
punto di sospensione, si trova il suo baricentro.
LA FORZA NEI FLUIDI
Un fluido è un sistema fisico esteso che non ha una forma propria, cioè non
oppone resistenza ai cambiamenti di forza, tanto che si può dare ad esso la
forma che si vuole.
Esempio: proviamo ad appoggiare un foglio di carta su un libro delle stesse
dimensioni e, lasciandoli andare, ci accorgiamo che cadono insieme in quanto il
libro limita il contatto del foglio con l’aria sottostante in modo che quest’ultimo
non ne subisca più la spinta.
I fluidi possono essere:
• liquidi, ovvero hanno un volume proprio ma assumono la forma del
recipiente che li contiene;
• gas, occupano sempre tutto il volume a loro disposizione e possono
essere compressi.
Inoltre, i gas sono comprimibili mentre i liquidi sono incomprimibili.
Le forze che possono agire sui fluidi sono:
• forze a distanza, le quali agiscono tra due forze a distanza;
• forze di contatto, le quali agiscono quando i corpi si toccano.
LA PRESSIONE
La pressione è una grandezza scalare ed è il rapporto tra la forza esercitata e
𝑭 𝑵
l’area di contatto: 𝒑 = ; essa si misura in Pascal, cioè ed è la pressione
𝑺 𝒎𝟐
esercitata dalla forza di 1𝑵 che agisce perpendicolarmente su una superficie di
1𝒎𝟐 .
N.B. la forza deve essere perpendicolare alla superficie!
PRINCIPIO DI PASCAL
Il principio di Pascal afferma che una pressione esterna, esercitata su una
superficie a contatto con un fluido, si trasmette invariata a tutto il fluido.
Esempio: consideriamo un’ampolla con un’apertura a cilindro, in cui scorre un
pistone; se pratichiamo dei fori uguali sulla superficie del recipiente e
premiamo il pistone, il liquido zampilla perpendicolarmente sulla parete, con
velocità tanto più elevata quanto maggiore è l’intensità della forza applicata al
pistone.

LEGGE DI STEVINO
La legge di Stevino afferma che la pressione che un liquido esercita sul fondo
di un recipiente è direttamente proporzionale all’altezza del liquido e alla sua
densità.

𝒑=𝒈⋅𝒅⋅𝒉
Esempio: prendiamo una bottiglia piena d’acqua, sulla quale facciamo tre fori
ad altezze diverse e notiamo che l’acqua esce dai tre fori con getti di diversa
intensità; quindi, il getto d’acqua maggiore è quello più basso in quanto ha una
profondità maggiore nell’acqua.
PRINCIPIO DI ARCHIMEDE
Il principio di Archimede afferma che un corpo immerso in un fluido riceve
una spinta dal basso verso l’alto pari al peso del liquido spostato.

𝑭𝑨 = 𝒅 ⋅ 𝑽 ⋅ 𝒈
Esempio: immergiamo un sasso nell’acqua contenuta in un recipiente;
dunque, possiamo notare come il recipiente dell’acqua si innalza, poiché una
certa quantità d’acqua viene spostata dal sasso. In realtà, il volume dell’acqua
spostata è uguale al volume del sasso; dunque, un corpo immerso
completamente in un fluido sposta sempre un volume di fluido uguale al
proprio volume. Inoltre:
• se il peso di un corpo è minore del peso di un liquido in cui è immerso →
galleggia;
• se il peso volumico di un corpo è maggiore del liquido in cui è immerso →
affonda;
• se il peso volumico di un corpo è uguale a quello del liquido in cui è
immerso → non affonda e non galleggia.
N.B. L’equilibrio si ha quando il corpo ha la stessa densità del fluido.
ONDE E OSCILLAZIONI
L’onda è una perturbazione che si propaga nello spazio con velocità costante,
mentendo immutata la sua forma; essa trasporta energia ma non materia. Due
tipi di onde sono:
• il suono, ovvero energia che raggiunge le orecchie;
• la luce, cioè energia che raggiunge gli occhi.
N.B. la perturbazione è spesso una forma di oscillazione.
L’oscillazione è un moto periodico di andirivieni ed è tipica di un corpo che
inverte periodicamente la direzione di moto (campana che suona).
OSCILLAZIONE DI UN PENDOLO
Se sospendiamo un sasso ad un filo, otteniamo un pendolo semplice che
oscilla avanti e indietro, con una certa regolarità. L’intervallo di tempo
impiegato per compiere un’oscillazione completa è detto periodo e dipende
solo dalla lunghezza del filo e dall’accelerazione di gravità; inoltre, un pendolo
più lungo ha un periodo più lungo di quello di un pendolo corto.
Graficamente, un’onda è rappresentata da una sinusoide, in cui:
• punti più alti sono detti creste mentre i più bassi sono le valle;
• la posizione di riposo è il punto medio dell’oscillazione;
• la distanza tra la posizione di riposo e una cresta o una valle è detta
ampiezza;
• la distanza tra due creste consecutive è la lunghezza d’onda;
• l’intervallo di tempo che intercorre tra due creste o due valli consecutive
dell’oscillazione è il periodo;
• il numero di oscillazioni che vi sono in un intervallo di tempo è la
frequenza;
• la velocità di un’onda dipende dal mezzo attraverso il quale l’onda si
propaga ed è in relazione con la frequenza e la lunghezza d’onda (λ)
dell’onda.
𝝀 𝟏
𝒗= ma poiché 𝑻 = , si può scrivere anche 𝒗 = 𝝀𝒇
𝑻 𝒇

N.B. un onda meccanica è un onda che si propaga in un mezzo elastico e può


essere longitudinale o trasversale.
Le onde possono essere:
• trasversali, quando l’oscillazione avviene lungo una direzione
perpendicolare a quella in cui l’onda si propaga;
• longitudinali, quando l’oscillazione avviene lungo la stessa direzione in
cui l’onda si propaga;
• periodica, se ripetiamo più volte lo stesso movimento;
• armonica, si tratta di un un’onda periodica che si genera quando la
sorgente oscilla di moto armonico;
• smorzata, ovvero un onda elettromagnetica, la cui ampiezza di
oscillazione decresce con il tempo, fino ad arrivare a 0;
• sferica, che produce fronti d’onda (luogo geometrico dei punti raggiunti
dalla perturbazione allo stesso istante) sferici;
• stazionaria, quando non si propaga e rimane sempre nella stessa zona
di spazio (corde di una chitarra); inoltre, i punti fissi sono detti nodi
mentre i ventri sono le posizioni in cui l’onda stazionaria ha ampiezza
massima.
La direzione locale di propagazione dell’onda si chiama raggio di
propagazione.
L’INTERFERENZA
L’interferenza riguarda i fenomeni ondulatori; ad esempio: se lanciamo due
sassi nell’acqua, le onde prodotte da ciascuno di essi possono sovrapporsi e
formare un’interferenza. Quest’ultima può essere:
• costruttiva, quando le creste di un’onda si sovrappongono alle creste di
un’altra onda, i loro effetti si sommano, producendo un’onda di maggiore
ampiezza;
• distruttiva, quando la cresta di un’onda si sovrappone alla valle di
un’altra onda, i loro effetti si riducono poiché la parte alta di un’onda
riempie la parte bassa di un’altra.
LA RISONANZA
La risonanza si ha ogni volta che un sistema ha una frequenza di oscillazione
caratteristica e, su di esso, con la stessa frequenza (o poco diversa), agisce
una forza esterna: allora l’ampiezza di oscillazione del sistema aumenta.
Esempio: chitarre, violini e altri strumenti hanno una cassa di risonanza, che
sfrutta questo fenomeno per amplificare il suono e renderlo chiaramente
udibile.
L’EFFETTO DOPPLER
L’effetto doppler è il cambiamento della frequenza percepita da un
osservatore, il quale è raggiunto da un’onda emessa da una sorgente in moto,
rispetto all’osservatore. (ambulanza)

IL SUONO
Tutti i suoni vengono prodotti dalle vibrazioni di corpi materiali; ad esempio,
come in un pianoforte o in un violino, l’onda sonora è prodotta dalle corde
vibranti. In questi casi, una sorgente vibrante emette una perturbazione
attraverso il mezzo circostante, di solito l’aria, sotto forma di onde
longitudinali. Il suono è costituito da onde meccaniche periodiche che
hanno origine da oscillazioni elastiche longitudinali, la cui energia si
propaga unicamente attraverso un mezzo elastico.
Le onde sonore percepibili dall’orecchio umano come suono hanno una
frequenza compresa tra 20 hertz e 20.000 hertz: quelle con frequenza
minore di 20 hertz sono dette infrasuoni mentre quelle al di sopra dei 20.000
hertz sono dette ultrasuoni; inoltre, quanto più la frequenza è bassa, tanto
più il suono è grave mentre quanto più la frequenza è alta, tanto più il suono è
acuto.
• La grandezza che ci permette di distinguere tra suoni gravi e acuti è
l’altezza (misurata in hertz), la quale dipende dalla frequenza dell’onda;
invece, ciò che ci permette di distinguere tra suoni aventi la stessa
altezza e stessa intensità ma emessi da sorgenti diverse è il timbro di
un suono (come la voce delle persone).
• La grandezza che ci permette di distinguere tra un suono forte e un
suono debole è l’intensità (misurata in decibel) ed è legata alla quantità
di energia che giunge all’orecchio e, quindi, all’ampiezza dell’onda
sonora.
Quest’ultima è inversamente proporzionale alla distanza dalla sorgente in
quanto: più l’onda si allontana dalla sorgente, più il suono si affievolisce.
• Se la pressione e le particelle del mezzo variano con una legge
sinusoidale, il suono si dice suono puro.
• Se la pressione e le particelle del mezzo variano con una legge periodica
non sinusoidale, il suono si dice suono complesso.
• Infine, quando la perturbazione non presenta periodicità, si dice rumore.
IL SUONO NELL’ARIA
Quando la membrana di un altoparlante vibra mette in vibrazione anche le
molecole d'aria circostanti, che comunicano il loro movimento ad altre molecole
vicine, le quali, a loro volta, vibrano; dunque, l'onda sonora si propaga
nell'aria.
VELOCITA’ DEL SUONO
La velocità del suono è la velocità con cui il suono si propaga in un certo
ambiente, detto mezzo.
Esempio: prendiamo il caso del fulmine, udiamo il tono solo dopo aver visto il
lampo; dunque, la velocità del suono è molto minore della velocità della luce.
Inoltre, la velocità del suono varia in base al mezzo e alle sue proprietà:
• nel vuoto è nulla, in quanto non è un mezzo di trasporto per le onde;
• nell’aria dipende dalla temperatura;
• nell’acqua, essendo meno comprimibile, si propaga più velocemente
rispetto all’aria;
• nei solidi si propaga in due modi: tramite onde longitudinali, in cui il
solido viene sollecitato con sforzi di compressione e tramite onde
trasversali, in cui la sostanza è sottoposta a sollecitazioni di taglio;
• nei fluidi si propaga solo tramite onde longitudinali, in quanto le molecole
sono libere e, quindi, le onde trasversali non si possono manifestare.
𝒅
𝝂= , dove d è la distanza percorsa mentre t è il tempo.
𝒕

VIBRAZIONI FORZATE
Se colpiamo un diapason non appoggiato su un sostegno, il suono prodotto dal
diapason è debole; invece, se lo appoggiamo su un tavolo, il suono è forte.
Questo è dovuto al fatto che: il piano del tavolo è forzato a vibrare e la sua
superficie, essendo più ampia, mette in moto una maggiore quantità di aria.
FREQUENZA PROPRIA
Se lasciamo cadere sul pavimento una chiave inglese e una mazza da baseball,
udiamo due suoni diversi; questa differenza è dovuta al fatto che i due corpi
vibrano in modi diversi quando colpiscono il pavimento. Dunque, si tratta di
frequenza propria di un corpo, ovvero una frequenza a cui è sufficiente
un’energia minima per produrre vibrazioni forzate; essa dipende dall’elasticità
e dalla forma del corpo.
RISONANZA
Quando la frequenza delle vibrazioni forzate di un corpo è uguale alla
frequenza propria del corpo, si produce un aumento dell’ampiezza, detto
risonanza (risonare = suonare di nuovo). Affinché un corpo risuoni, sono
necessarie una forza che lo riconduca alla posizione di partenza e un’energia
sufficiente per mantenerlo in vibrazione.
Esempio: quando ci dondoliamo su un’altalena, lo facciamo con una frequenza
uguale alla frequenza propria dell’altalena; in questo caso, è importante il
ritmo con cui ci dondoliamo.
INTERFERENZA
Come le onde, anche le onde sonore possono presentare un’interferenza ma,
nel suono:
• la cresta di un’onda corrisponde ad una condensazione;
• la valle di un’onda, invece, corrisponde ad una rarefazione.
BATTIMENTI
Un battimento si ha quando interferiscono due onde di frequenza diversa
generate simultaneamente e consiste nella percezione di un suono di intensità
variabile: prima è forte, poi è debole, poi forte ecc.
RIMBOMBO ED ECO
Il suono si riflette sulle pareti e sulle superfici e le conseguenze sono: il
rimbombo e l’eco.
Esempio: un osservatore posto in un punto emette un suono di fronte alla
parete:
• se l’osservatore prova una sensazione sonora più intensa, si ha il
rimbombo, in quanto le onde si sovrappongono e il suono è confuso;
• se l’onda riflessa arriva dopo 1/10 di secondo, egli percepisce il suono
riflesso in modo distinto da quello diretto e, quindi, sentendolo due volte
si ha l’eco. (il sonar è uno strumento che rivela la presenza di corpi non
visibili grazie all’eco).
LA LUCE
La luce è un’onda elettromagnetica che si propaga nel vuoto; un’onda
elettromagnetica è la propagazione di energia attraverso un campo elettrico e
un campo magnetico. Esse, a differenza delle onde meccaniche elastiche (che
possono essere longitudinali e trasversali), possono essere solo trasversali e
sono più veloci nel vuoto che nei mezzi più densi; quindi, ci sono diversi fattori
che influenzano la propagazione della luce, quali la densità (stato di fluidità) e
la frequenza (numero di eventi che si ripete in un’unità di tempo).
Esempio: consideriamo due mezzi di diversa densità, ovvero aria e acqua:
l’aria è il mezzo con densità minima e, quindi, la luce si propaga più
velocemente; l’acqua ha una densità maggiore e, quindi, la luce si propaga più
lentamente.
Se consideriamo, invece, onde di diversa frequenza, queste produrranno
effetti fisici diversi, percepiti come luce di diverso colore.
Esempio: a frequenze più piccole avremo il rosso, mentre a frequenze più alte
avremo il violetto; quindi, lo spettro visibile è proprio quella parte dello
spettro elettromagnetico che cade tra il rosso e il violetto, includendo tutti i
colori percepibili dall'occhio umano, che danno vita al fenomeno della luce.
La luce, essendo un’onda, ha bisogno di una sorgente e di un rilevatore:
• la sorgente di luce è un qualsiasi corpo in grado di emettere onde
elettromagnetiche in maniera naturale (sole), o in maniera artificiale
(dinamo della bicicletta che emette luce quando ci mettiamo in
movimento).
Inoltre, può essere: puntiforme, sei raggi di luce si propagano in linea retta
(come il laser); estesa, che viene trattata come una serie di sorgenti
puntiformi; primaria, se emette la luce grazie alla trasformazione di energia;
secondaria, se sé colpita dalla luce emessa dalla sorgente primaria e la
diffonde.
• il rilevatore di luce è un sistema che riceve la luce (come gli occhi).
Inoltre, ci sono dei corpi che fanno passare la luce (trasparenti o traslucidi) e
corpi che non la lasciano passare (opachi).
CORPI TRASPARENTI (aria, vetro) E TRASLUCIDI (carta pergamena)
Possono avere due tipi di comportamenti:
• trasparente diafani (limpidi) che permettono di vedere attraverso di
essi, indipendentemente dalla distanza tra di essi e ciò che guardiamo;
ad esempio, un panorama oltre la finestra.
• trasparente traslucidi (torbidi) che non fanno vedere chiaramente ciò
che c’è oltre di essi e, quindi, la visione è meno nitida; ad esempio,
vedere il panorama oltre una tenda.
CORPI OPACHI
I corpi opachi non lasciano passare la luce, per cui fanno da ostacolo e formano
le ombre; quest’ultima è un’area scura proiettata da un corpo che,
interponendosi tra la superficie e la sorgente, impedisce il passaggio della
luce. Quando la luce colpisce un oggetto, esso può essere:
• riflesso o diffuso, che è ciò che ci permette di vedere gli oggetti;
• assorbito;
• trasmesso, quando attraversa il corpo.
Quindi, tutti i materiali assorbono e riflettono una parte di luce ma in maniera
diversa, a seconda dello spessore e del tipo:
• se la superficie è liscia, si comportano come specchi, respingendo quasi
tutta la luce che ricevono (riflessione);
• se la superficie è scabra (non uniforme), la luce che incide su di essa si
riflette secondo le leggi della riflessione ma, poiché la superficie ha
inclinazioni differenti, i raggi riflessi si propagano in tutte le direzioni e si
ha la diffusione.
PROPAGAZIONE RETTILINEA
La luce si propaga in linea retta e può essere immaginata come una serie
infinita di raggi luminosi che si dipartono in tutte le direzioni.
Esempio: immaginiamo un fascio di luce che penetra dalla finestra, il quale è
rettilineo e, per questo, parliamo di raggi; se tra la sorgente luminosa (S)
poniamo un oggetto opaco (quadrato dell’immagine), vediamo che si produce
un cono d’ombra, che si proietta sulla parete come una figura scura.

Invece, se consideriamo una sorgente estesa (lampadina) e poniamo un


oggetto tra di essa e una parete, si origina su quest’ultima una zona d’ombra
(raggi intercettati dal corpo) e una zona di penombra, dove arriva solo la luce
proveniente dai bordi della sorgente.
VELOCITA’ DELLA LUCE
Durante un temporale percepiamo prima la luce del lampo e poi il suono del
tuono, perché la luce si propaga con una velocità maggiore; dunque, la velocità
della luce nell’aria è:
𝒎
𝒄 = 𝟑 ⋅ 𝟏𝟎𝟖
𝒔
LA RIFLESSIONE DELLA LUCE
La riflessione si ha quando il raggio d’onda (es. raggio del sole) colpisce una
superfice (es. lo specchio); in questo caso, osserviamo il fenomeno della
riflessione.

Dunque, notiamo che il raggio incidente colpisce la superficie in un punto e si


riflette dall’altra parte, formando l’angolo di incidenza rispetto alla
perpendicolare della superfice di riflessione.
LEGGI DI SNELL RIFLESSIONE
• Il raggio incidente, il raggio riflesso e la perpendicolare alla superficie
giacciono sullo stesso piano;
• l’angolo d’incidenza è uguale all’angolo di riflessione 𝒊̂ = 𝒓
̂.
LO SPECCHIO
Lo specchio fa sì che i raggi luminosi, che sono tra loro paralleli, arrivino tutti
con lo stesso angolo di incidenza e si riflettano tutti nella stessa direzione.
Esempio: osservando un oggetto riflesso in uno specchio, si ha l’impressione
che l’oggetto che vediamo si trovi in quella direzione; in realtà, non vediamo
l’oggetto ma la sua immagine riflessa. Questa è detta immagine virtuale in
quanto non si torna sui raggi riflessi ma sul prolungamento (la vediamo come
se fosse dietro allo specchio).
Due specchi uniti tra loro in modo da formare un angolo danno origine ad
immagini multiple, perché l’immagine virtuale si riflette a sua volta nell’altro
specchio; inoltre, il numero delle immagini che si formano dipende
dall’ampiezza dell’angolo (esempio catarifrangenti, in cui il raggio incidente
riemerge sempre parallelo a sé stesso).
Quello che abbiamo precedentemente descritto è il comportamento che
assume uno specchio piano ma esistono anche specchi sferici, la cui
superficie riflettente non è piana ma curva; essi si dividono in specchi:
• concavi, se la superficie è rivolta verso il centro della sfera;
• convessi, se la superficie riflettente è rivolta verso la parte opposta al
centro della sfera.

Gli specchi sferici sono usati per ingrandire il campo visivo (concavi), dare
più visibilità negli incroci rimpicciolendo (convesso, es specchietto retrovisore)
e mettere in luce gli angoli nascosti per evitare i furti nei negozi. Inoltre, la
legge di Snell vale anche per gli specchi curvi ma, su di essi, i raggi incidenti
paralleli si riflettono convergendo in un punto detto fuoco e danno immagini
rimpicciolite, ingrandite o deformate.
PRINCIPIO DI FERMART
Il principio di Fermart afferma che ogni volta che un raggio luminoso si
sposta da un punto all’altro, segue il percorso per il quale impiega il tempo
minore.
Esempio: immaginiamo che un bagnino A veda annegare un bagnante B, il
cammino più breve sarebbe il segmento AB ma si deve arrivare a B nel minor
tempo possibile; dunque, percorrendo il tratto ACB (C=spiaggia, sabbia), egli
allunga il percorso sulla spiaggia dove può muoversi più velocemente,
accorciando il tratto in acqua, dove si muove più lentamente. Se tutto il
percorso avviene su un unico mezzo, il tratto più breve è AB ma se interviene
un altro mezzo, allora il più breve è ACB.

LA RIFRAZIONE
I fenomeni di rifrazione della luce fanno parte della nostra esperienza
quotidiana.
Esempio: la cannuccia nel bicchiere d’acqua che, fondamentalmente, vista da
fuori appare spezzata ma vista dall’alto sembra che cambi direzione, come se
si piegasse.
Nel fenomeno della rifrazione succede che: il raggio incidente, quando tocca
una superficie e l’attraversa, va oltre e non torna indietro; dunque, passa
attraversando altro materiale. Inoltre, il raggio rifrange ma:
• se il materiale nel quale il raggio passa è più denso del materiale da cui
parte, il raggio rifratto si avvicina alla normale;
• se, invece, il materiale è meno denso, il raggio rifratto si allontana dalla
normale.
La rifrazione si manifesta perché esistono mezzi trasparenti che riescono a
deviare la traiettoria dei raggi luminosi; infatti, sappiamo che la luce è in
grado di propagarsi attraverso alcuni materiali trasparenti, che vengono anche
indicati come mezzi di propagazione.
Esempio: consideriamo un raggio luminoso che attraversa due differenti mezzi
di propagazione, come un raggio che passa dall’aria all’acqua. In
corrispondenza della superficie di separazione dei due mezzi, il raggio
incidente viene in parte riflesso e in parte si trasmette nel secondo mezzo;
quest’ultimo prende il nome di raggio rifratto.
LEGGI DI SNELL RIFRAZIONE
• Il raggio incidente, il raggio rifratto e la perpendicolare alla superficie
giacciono sullo stesso piano;
• il rapporta tra il seno dell’angolo incidente e il seno dell’angolo rifratto è
uguale al rapporto tra l’indice di rifrazione del secondo mezzo e l’indice di
rifrazione del primo mezzo:
𝒔𝒆𝒏𝒊̂ 𝒏𝟐
=
𝒔𝒆𝒏𝒓̂ 𝒏𝟏
N.B. l’indice di rifrazione è il rapporto tra la velocità della luce nel vuoto e la
velocità della luce nel mezzo:
𝒄
𝒏=
𝒗
Inoltre, quando il mezzo in cui passa il raggio è più denso, l’angolo di
rifrazione ha un valore più basso e si avvicina alla normale; invece, quando il
mezzo è meno denso, l’angolo di rifrazione ha un valore più alto e si
allontana dalla normale.
RIFLESSIONE TOTALE
Si ha la riflessione totale quando un raggio entra in un mezzo meno denso e
l’angolo d’incidenza è maggiore dell’angolo limite, ovvero un angolo di
rifrazione di 90°.
In pratica: se l’angolo di rifrazione aumenta tanto da superare i 90°, non c’è
più rifrazione.
LA DIFFRAZIONE
La diffrazione è quando un’onda modifica la sua forma geometrica nel
momento in cui trova un ostacolo o fenditura.
IL COLORE
Il colore è la percezione visiva che è generata dai segnali nervosi che vengono
inviati al nostro cervello quando assorbono determinate lunghezze d’onda;
dunque, percepiamo il colore in base alla diversa eccitazione che il colore attua
sui nostri tre tipi di recettori:
• il primo recettore è sensibile alle lunghezze d’onda più corte e
suscita la percezione del blu;
• il secondo recettore è sensibile alle lunghezze d’onda medie e suscita
la percezione del verde;
• il terzo recettore è sensibile alle lunghezze d’onda lunghe e suscita la
percezione del rosso.
Inoltre, se sommati questi colori, con uguale intensità, formano il colore
bianco:
• un corpo appare bianco, quando assorbe e riflette tutte le componenti
della luce bianca;
• un corpo, invece, appare nero, quando assorbe senza riflettere tutte le
componenti della luce.
Il colore di un oggetto dipende dal colore della luce che lo illumina: se il vetro
della finestra è attraversato da luce bianca, non appare colorato; se si lascia
attraversare dalla componente verde, appare verde. Inoltre, abbiamo:
• sintesi additiva, in cui a luce si aggiunge luce; esempio:
sovrapponendo i colori primari, si ottiene il bianco.
• sintesi sottrattiva, in cui a luce si sottraggono radiazioni; esempio:
sovrapponendo i tre colori complementari dei primari (giallo, ciano e
magenta), si ottiene il nero.
Newton scoprì il fenomeno della dispersione: collocando un prisma in
corrispondenza di un raggio luminoso, scoprì che questo si scindeva in diversi
colori, ognuno con una deviazione diversa, tanto maggiore quanto più piccola
era la lunghezza d’onda corrispondente;
dunque, dimostrò che: ciascun colore non era ulteriormente scomponibile
poiché monocromatico, ovvero formato da una sola lunghezza d’onda. A
questo punto, se in un punto in cui sono proiettati i colori, si dispone un
secondo prisma capovolto, si assiste alla ricomposizione della luce bianca.
LA CARICA ELETTRICA
Un corpo che ha acquistato la capacità di attirare oggetti leggeri è detto
elettrizzato, o elettricamente carico.
Esempio: se strofiniamo una bacchetta di vetro con un panno di lana, essa
riesce ad attirare oggetti molto leggeri, come dei coriandoli; in questo caso, si
parla di elettrizzazione per strofinio. Inoltre, se prendiamo due bacchette di
vetro elettrizzate con la lana e le avviciniamo, vediamo che le due bacchette si
respingono; invece, se a una bacchetta di vetro elettrizzata ne avviciniamo una
di plastica, anch’essa elettrizzata con la lana, vediamo che le bacchette si
attraggono.
Dunque, questo fenomeno si spiega con l’esistenza di due tipi di cariche:
• carica elettrica positiva, ovvero quello degli oggetti che si comportano
come il vetro;
• carica elettrica negativa, cioè quella degli oggetti che si comportano
come la plastica.
A questo punto notiamo che: se due corpi hanno cariche elettriche dello
stesso segno, essi si respingono (forza repulsiva); invece, se hanno
cariche elettriche di segno opposto si attraggono (forza attrattiva).
L’esistenza delle due cariche elettriche si spiega conoscendo il modello
microscopico dell’atomo. Innanzitutto, dobbiamo ricordare che: la materia è
composta di atomi, che a loro volta contengono due tipi di particelle: i protoni
con carica positiva e gli elettroni con carica negativa. I protoni si trovano nel
nucleo insieme ai neutroni, che hanno carica nulla; invece, gli elettroni si
muovono intorno al nucleo. I protoni e gli elettroni interagiscono tra di loro
mediante delle forze attrattive; a questo punto, poiché gli atomi contengono
tanti protoni quanti elettroni, essi sono elettricamente neutri. Inoltre, un
corpo elettricamente neutro messo a contatto con uno carico, si carica dello
stesso segno.
CONDUTTORI ED ISOLANTI
Non tutte le sostanze si possono elettrizzare per strofinio: le sostanze che si
caricano sempre quando sono strofinate si dicono isolanti; quelle che non si
elettrizzano sempre vengono definite conduttori. Inoltre:
• negli isolanti (plastica o ceramica) le cariche non possono spostarsi;
• nei conduttori (ferro e corpo umano) vi sono cariche elettriche libere di
muoversi.
Dunque, nei conduttori, l’elettrizzazione avviene per contatto.
Esempio: se prendiamo un primo conduttore carico, che teniamo per un
manico isolante, e un secondo neutro, notiamo che: quando li mettiamo a
contatto, una parte della carica del primo passa al secondo.
LA LEGGE DI COULOMB
La legge di Coulomb afferma che la forza elettrica fra due puntiformi dotati di
carica elettrica è direttamente proporzionale al prodotto fra le loro cariche
𝒒𝟏 e 𝒒𝟐 e inversamente proporzionale al quadrato della distanza 𝒓 che li
separa:
𝒒𝟏 ⋅𝒒𝟐
𝑭=𝒌⋅ ,
𝒓𝟐

• dove 𝒌 è una costante che dipende dal mezzo in cui sono immerse le
cariche;
• 𝒒𝟏 e 𝒒𝟐 sono le cariche;
• 𝒓 è la distanza tra le cariche.
Esempio: consideriamo due oggetti piccoli (in confronto alla distanza r che li
separa) e indichiamo con 𝒒𝟏 e 𝒒𝟐 le cariche elettriche che si trovano su di essi;
notiamo che ciascuno dei due oggetti risente di una forza elettrica dovuta alla
presenza dell’altro e ciò si esprime con la legge di Coulomb.
Inoltre, la forza elettrica, che si esercita tra due cariche, diminuisce
rapidamente con l’aumentare della distanza ed è:
• positiva (forza repulsiva), se le due cariche hanno lo stesso segno;
• invece, è negativa (forza attrattiva) se le cariche hanno segno opposto.
PRINCIPIO DI SOVRAPPOSIZIONE
Per la forza di Coulomb vale il principio di sovrapposizione, ovvero: la
forza totale che agisce su una carica elettrica è uguale alla somma
vettoriale delle singole forze che agirebbero su di essa, se ciascuna delle
altre cariche fosse presente da sola.
Infatti, una carica può risentire contemporaneamente di più forze elettriche.
Inoltre, la forza elettrica è molto simile alla forza gravitazionale:
𝒒𝟏 𝒒𝟐 𝒎𝟏 𝒎𝟐
𝑭 = 𝒌𝟎 ∙ 𝑭=𝑮⋅
𝒓𝟐 𝒓𝟐

Ci sono però delle differenza: la forza gravitazionale è solo attrattiva,


mentre quella elettrica è sia attrattiva che repulsiva; inoltre, la forza
elettrica agisce solo fra corpi elettricamente carichi, mentre quella
gravitazionale agisce sempre.
L’ELETTRIZZAZIONE PER INDUZIONE E POLARIZZAZIONE
L’induzione elettrostatica è la ridistribuzione di carica in un conduttore
neutro (sfera metallica), causata dalla vicinanza di un corpo carico (plastica);
dunque, essa permette di caricare un conduttore neutro.
La polarizzazione, invece, è la ridistribuzione di carica in un isolante neutro,
causata dalla vicinanza di un corpo carico; dunque, spiega perché piccoli
oggetti (come pezzettini di carta) sono attratti da un corpo carico (penna
strofinata).
CAMPO ELETTRICO
Una carica 𝑄 posta in un punto dello spazio modifica le proprietà dello spazio
che la circonda; infatti, se poniamo una seconda carica 𝑞 come nelle vicinanze
di 𝑄, osserviamo che 𝑞 è soggetta a una forza elettrica che:
• l'attira verso 𝑄, se le due cariche hanno segno opposto;
• da allontana da 𝑄, se le due cariche hanno lo stesso segno.
Dunque, la carica 𝑄 genera nello spazio intorno un campo elettrico;
quest'ultimo è un campo vettoriale ed è definito come il rapporto tra la forza
𝐹 , che agisce sulla carica di prova, e la carica stessa:

⃗𝑭
⃗𝑬
⃗ =
𝒒
Inoltre, questa formula ci permette di calcolare la forza elettrica che agisce su
qualsiasi carica che si trova nella zona in cui è attivo il campo elettrico:

⃗𝑭 = 𝒒 ⋅ ⃗𝑬

Il campo elettrico si rappresenta mediante linee di campo, che sono:
• in ogni punto tangenti al vettore campo elettrico;
• escono dalle cariche positive ed entrano in quelle negative;
• la loro densità è direttamente proporzionale all’intensità del campo.
DIFFERENZA DI POTENZIALE
In un campo elettrico, la forza elettrica sposta una carica da A a B; dunque, il
campo compie un lavoro 𝑳𝑨𝑩 , che si calcola con il prodotto tra la carica, il
campo elettrico e la distanza tra A e B:

𝑳𝑨𝑩 = 𝒒 ⋅ 𝑬 ⋅ 𝒓.
A questo punto, possiamo definire la differenza di potenziale come il
rapporto fra il lavoro necessario a spostare la carica e la carica stessa:
𝑳𝑨𝑩
𝑽 𝑨 − 𝑽𝑩 = , che si misura in volt 𝑽.
𝒒

LA CORRENTE ELETTRICA
La corrente elettrica è un flusso di elettroni lungo un materiale conduttore;
essa può essere:
• continua → quando fluisce sempre nello stesso verso;
• alternata → quando fluisce avanti e indietro.
INTENSITA’ DI CORRENTE
L’intensità di corrente è il rapporto tra la quantità di carica elettrica che
attraversa una sezione del conduttore e l’intervallo di tempo impiegato:
𝜟𝑸 𝟏𝑪
𝒊= e si misura in ampere, ovvero 𝟏𝑨 = .
𝜟𝒕 𝟏𝒔

Lo strumento che misura l’intensità di corrente è l’amperometro, che deve


essere inserito in serie all’utilizzatore.
GENERATORE DI TENSIONE
Una differenza di potenziale ai capi di un conduttore genera una corrente
elettrica; per mantenerla, è necessario un generatore di tensione continua,
ovvero un dispositivo capace di mantenere ai capi del conduttore una
differenza di potenziale costante. Inoltre, per funzionare, un generatore di
tensione consuma energia.
Esempio: una pila ha due poli contraddistinti, ovvero positivo e negativo; se
colleghiamo ad essi un filo conduttore, le cariche positive si muovo dal polo
positivo a quello negativo.
LA POTENZA ELETTRICA
La potenza elettrica è la rapidità con cui l’energia elettrica viene convertita in
un’altra forma di energia; dunque, è il prodotto tra l’intensità di corrente
elettrica e la differenza di potenziale elettrico (o tensione):

𝑷 = 𝒊 ⋅ 𝜟𝑽 e si misura in watt.
ENERGIA POTENZIALE ELETTRICA
L’energia potenziale elettrica è il lavoro compiuto dalla forza elettrica,
quando la carica di prova si sposta da un punto A ad un punto B:

𝑼𝑬 = 𝑼𝑨 − 𝑼𝑩
IL POTENZIALE ELETTRICO O TENSIONE
Il potenziale elettrico è definito come il rapporto tra il lavoro compiuto dal
campo elettrico per spostare una carica e il valore della carica:
𝑳
𝑽=
𝒒
CIRCUITI ELETTRICI + in serie e parallelo
Il circuito elettrico è un insieme di conduttori collegati in modo continuo e
connessi ad un generatore; esso è:
• chiuso → quando in esso fluisce corrente continua (la lampadina si
accende);
• aperto → quando in esso non c’è corrente (la lampadina non si accende)
I conduttori di un circuito possono essere collegati:
• in serie → se più conduttori sono posti in successione tra loro e, in essi,
passa la stessa corrente elettrica; esempio, se consideriamo una fila di
lampadine, se una si fulmina anche le altre non si accenderanno più.
• in parallelo → quando la corrente si ramifica in tre cammini; dunque, se
si fulmina una lampadina, le altre continueranno ad accendersi.
LAMPADINE IN SERIE E PARALLELO
BATTERIE IN SERIE E PARALLELO
PRIMA E SECONDA LEGGE DI OHM
• la tensione è uguale al prodotto tra la resistenza e l’intensità di corrente:

𝑽=𝑹⋅𝒊
• la resistenza è direttamente proporzionale alla lunghezza del conduttore
ed inversamente proporzionale alla sua sezione:
𝒍
𝑹=𝝆 ,
𝑨

dove 𝜌 è la resistività cioè una proprietà che dipende dal particolare materiale
con cui è fatto il filo e si misura in 𝛺 ⋅ 𝑚. Inoltre, i conduttori hanno resistività
bassa, mentre negli isolanti la resistività è molto elevata.
PRIMA LEGGE DI KIRCHHOFF (legge dei nodi)

La somma delle intensità di corrente entranti e uscenti in un nodo è uguale a 0.

SECONDA LEGGE DI KIRCHHOFF (legge delle maglie)

La somma di tutte le differenze di potenziale che si incontrano percorrendo una maglia


è uguale a 0.

N.B. un nodo è un punto in cui convergono tre o più conduttori; un ramo è un


conduttore che congiunge due o più nodi; infine, una maglia è un percorso chiuso
composto da più rami.

EFFETTI DELLA CORRENTE IN UN CIRCUITO


Quando la corrente elettrica circola in un circuito, produce tre effetti:
• l'effetto joule o termico → è quel fenomeno per cui, qualsiasi
conduttore percorso da corrente elettrica, si riscalda (es. lampadina in
quanto al suo interno vi è un filamento conduttore attraversato da
corrente elettrica che la fa riscaldare ma non bruciare);

• l’effetto chimico-elettrolisi → se in una soluzione sono sciolti acidi o


sali, la soluzione si dice elettrolitica e può condurre l’elettricità (es. se
immergiamo due lamine di matallo nell’acqua distillata, collegate ad una
batteria con una lampadina, notiamo che la lampadina non si accende in
quanto l’acqua non è un conduttore; però aggiungendo del sale, vediamo
che gli ioni di quest’ultimo, che trasportano la corrente, permettono alla
lampadina di accendersi);
• l’effetto magnetico.
MISURA DI TENSIONE E CORRENTE
IL MAGNETISMO
In natura esistono sostanze dette ferromagnetiche che possono essere
magnetizzate, cioè attirano piccoli pezzetti di ferro e diventano calamite o
magneti artificiali.
Esempio: in condizioni normali, una sbarretta di acciaio non attira delle
puntine di ferro ma, se la mettiamo a contatto con un magnete, si magnetizza
diventando una calamita.
Ogni magnete ha un polo nord e un polo sud:
• due poli nord o due poli sud disposti uno di fronte all’altro, si respingono;
• al contrario, un polo nord e un polo sud, vicini tra loro, si attraggono.
Dunque, poli dello stesso tipo si respingono, poli di tipo diverso si
attraggono. Questo tipo di forza, che si manifesta tra oggetti posti a distanza
tra loro, è chiamata forza magnetica.
Inoltre, non è possibile suddividere un magnete in modo da ottenere un polo
nord o sud isolato.
Esempio: se dividiamo una calamita in due parti, ciascuno dei frammenti avrà
un polo nord e un polo sud e, quindi, diventerà a sua volta un magnete.
IL CAMPO MAGNETICO
Ogni magnete genera nello spazio che lo circonda un campo magnetico; esso
è un campo vettoriale dotato di:
• direzione, ovvero la retta che unisce i poli sud e nord del magnete di
prova;
• verso, che va dal polo sud al polo nord del magnete di prova.
Il campo magnetico, come quello elettrico, si rappresenta mediante linee di
campo, le quali si disegnano utilizzando un magnete di prova (piccolo ago
magnetico); quest’ultime sono:
• in ogni punto tangenti alla direzione del campo magnetico;
• escono dai poli nord dei magneti ed entrano nei poli sud;
• hanno densità direttamente proporzionale all’intensità del campo
magnetico.
CAMPO ELETTRICO E MAGNETICO
Il campo elettrico e il campo magnetico hanno proprietà simili:
• vi sono due tipi di poli magnetici e due tipi di cariche elettriche; poli
dello stesso tipo si respingono mentre poli di tipo diverso si attraggono,
come avviene per le cariche elettriche;
• un conduttore scarico può essere elettrizzato da un corpo carico, come
una sbarretta d’acciaio può essere magnetizzata da una calamita;
I due campi, però, differiscono per alcuni aspetti, quali:
• si possono separare le cariche dello stesso segno da quelle di segno
opposto mentre lo stesso procedimento non può avvenire con i poli
magnetici.
Esempio: se spezziamo una calamita a metà, si ottengono due calamite;
• quando si ha l’elettrizzazione per contatto, parte della carica elettrica
del primo corpo passa al secondo, mentre nella magnetizzazione non si
ha alcun passaggio di poli magnetici.
• esistono oggetti carichi positivamente o carichi negativamente, mentre
una calamita ha sempre entrambi i poli sud e nord.
FORZA TRA MAGNETI E CORRENTI
Il fisico Oersted scoprì un legame tra fenomeni elettrici e fenomeni magnetici:
• un filo percorso da corrente genera un campo magnetico (che fa
ruotare un ago magnetico)
L’anno successivo Faraday scoprì il fenomeno inverso:
• un filo percorso da corrente, posto in un campo magnetico,
subisce una forza.
Le esperienze di Oersted e Faraday mostrano che esiste una relazione fra
corrente elettrica e campo magnetico, in quanto una corrente elettrica genera
un campo magnetico e subisce una forza magnetica; dunque, esiste una forza
magnetica tra due fili percorsi da corrente.
Ciò venne verificato da Ampère, da cui prende il nome la legge di Ampère:
• due fili rettilinei e paralleli si attraggono se attraversati da
correnti nello stesso verso, si respingono se le correnti hanno
versi opposti.
𝒊𝟏 𝒊𝟐
𝑭 = 𝒌𝒎 ⋅𝒍
𝒅
Inoltre, la carica elettrica è soggetta a facile dispersione nell’aria in quanto:
una bacchetta elettrizzata per strofinio, tende a perdersi subito, mentre una
bacchetta metallica magnetizzata rimane magnetizzata in maniera indefinita;
dunque, la carica magnetica non si disperde nell’aria.
LA DINAMO
La dinamo o alternatore è un dispositivo in grado di trasferire energia
meccanica in energia elettrica, costituito da:
• un magnete di forma cilindrica, libero di ruotare attorno al proprio asse;
• una bobina fissa di rame, avvolta attorno al cilindro magnetico.
Quando il magnete viene messo in rotazione, fa variare il flusso del campo
magnetico attraverso la bobina e genera una corrente elettrica; inoltre, la
legge su cui si basa la dinamo è quella di Faraday.
LA TEMPERATURA
La temperatura è una grandezza fisica scalare che misura lo stato di
agitazione termica delle molecole; infatti, più grande è l’agitazione termica,
maggiore è la temperatura di una sostanza.
Esempio: gli atomi di un cucchiaio caldo vibrano più velocemente degli atomi
dello stesso cucchiaio freddo.
Inoltre, quando una sostanza calda viene messa a contatto con una sostanza
fredda, dopo un certo tempo le due sostanze assumono la stessa temperatura;
dunque, hanno raggiunto un equilibrio termico.
IL TERMOMETRO
Lo strumento per misurare la temperatura è il termometro che, in genere,
sfrutta il fenomeno della dilatazione termica. La scala del termometro viene
costruita fissando delle temperature di riferimento e un unità di misura; quelle
più usate sono:
• celsius, in cui si assegnano il valore 0 alla temperatura del ghiaccio
fondente e il valore 100 alla temperatura dell’acqua bollente;
• kelvin, in cui si assegnano valore 273,15 alla temperatura del ghiaccio
fondente e 373,15 alla temperatura dell’acqua bollente.

Per passare da una temperatura espressa in gradi centigradi (𝑻𝑪 ) a una


espressa in gradi kelvin (𝑻𝑲 ) si utilizza l’equazione:

𝑻𝑲 = 𝑻𝑪 + 𝟐𝟕𝟑, 𝟏𝟓;
al contrario, per passare da una temperatura espressa in gradi kelvin (𝑻𝑲 ) a
una espressa in gradi centigradi (𝑻𝑪 ), si utilizza l’equazione:

𝑻𝑪 = 𝑻𝑲 − 𝟐𝟕𝟑, 𝟏𝟓.
DILATAZIONE TERMICA
La dilatazione termica è un fenomeno fisico dovuto ad un aumento di
temperatura; in generale, le sostanze si dilatano quando la temperatura
aumenta e si contraggono quando la temperatura diminuisce. Inoltre,
esistono due tipi di dilatazione:
• Lineare, che avviene solo nei solidi di forma allungata (ferro) e si
manifesta nella direzione della lunghezza:

∆𝒍 = 𝝀 ∙ 𝒍𝟎 ∙ ∆𝑻 , dove 𝝀 è il coefficiente di dilatazione lineare.


Dalla formula si deduce che l’allungamento (𝜟𝒍) è direttamente proporzionale
alla lunghezza iniziale (𝒍𝟎 ) del corpo e alla variazione di temperatura (𝜟𝑻)
subita dal corpo; inoltre, dipende dalla sostanza di cui è composto il corpo.
• Volumica, che avviene nei solidi e nei liquidi e si manifesta in tutte le
direzioni:

𝜟𝑽 = 𝒌 ⋅ 𝑽𝟎 ⋅ 𝜟𝑻 , dove 𝒌 è il coefficiente di dilatazione volumica.


Dalla formula si deduce che la variazione di volume (𝜟𝑽) è direttamente
proporzionale al volume iniziale (𝑽𝟎 ) e alla variazione di temperatura (𝜟𝑻);
inoltre, dipende dalla sostanza di cui è composto il solido o il liquido.
Infine, i liquidi hanno coefficienti di dilatazione volumica maggiori di quelli dei
solidi; ciò dipende dal fatto che nei liquidi le forze di coesione molecolare sono
più deboli e, per questo, si dilatano più facilmente.
LA DILATAZIONE TERMICA DELL’ACQUA
L’acqua è l’unico liquido che presenta un comportamento anomalo, rispetto al
fenomeno della dilatazione termica; infatti:
• fra 0 °C e 4 °C → mentre la temperatura aumenta, il volume dell’acqua
diminuisce;
• per temperature superiore ai 4 °C → l’acqua si comporta come gli altri
liquidi.
IL FUNZIONAMENTO DEL TERMOMETRO
Il funzionamento del termometro si basa sul fenomeno della dilatazione
termica. Il termometro comune è formato da un bulbo di vetro sormontato da
un tubicino sottile che contiene il liquido (mercurio o altro), effetto per il quale,
quando scaldiamo un corpo, esso si dilata.
Esempio: mettendo a contatto il termometro con un corpo caldo, si scaldano
sia il vetro che il fluido; quest’ultimo riscaldandosi si dilata e risale nel tubicino,
indicando il valore della temperatura su una scala graduata.
N.B. Il fluido si riscalda perché tende a raggiungere la stessa temperatura del
corpo con cui è a contatto (equilibrio termico).
L’EQUILIBRIO TERMICO
Quando due sostanze a diversa temperature sono poste a contatto, una certa
quantità di calore passa dal corpo più caldo a quello più freddo e dopo un
tempo t i due corpi raggiungono la stessa temperatura, detta di equilibrio.
Il valore della temperatura di equilibrio dipende:
• dalle masse delle due sostanze;
• dal calore specifico di ciascuna sostanza;
• da eventuali dispersioni di calore nell’ambiente.
Inoltre, per calcolare la temperatura di equilibrio di due sostanze con masse
uguali e temperature differenti, si procede con la media aritmetica:
𝒎𝟏 ⋅ 𝑻𝟏 + 𝒎𝟐 ⋅ 𝑻𝟐
𝑻=
𝒎𝟏 ⋅ 𝒎𝟐
Al contrario, per calcolare la temperatura di equilibrio di due sostanze con
masse e temperature differenti, si procede con la media pesata:
𝒎𝟏 ⋅ 𝑻𝟏 + 𝒎𝟐 ⋅ 𝑻𝟐
𝑻=
𝒎𝟏 + 𝒎𝟐
DIFFERENZA TRA CALORE E TEMPERATURA
La temperatura dipende dallo stato di agitazione termica di un corpo e,
quindi, è una grandezza fisica caratteristica del corpo stesso; invece, il calore è
energia che si trasferisce spontaneamente da un corpo a temperatura più alta
a uno a temperatura più bassa.
SISTEMI TERMODINAMICI
I sistemi termodinamici possono essere classificati in:
• Sistema isolato → quando non permette il flusso né di energia né di
massa (forno);
• Sistema chiuso → quando vi può essere solo uno scambio di energia
(pentola che bolle con il coperchio chiuso);
• Sistema aperto → quando è in relazione con l’ambiente esterno con uno
scambio di materia ed energia (piscina piena d’acqua che può essere
riscaldata con un sistema di riscaldamento e raffreddata dal vento).
IL CALORE
Il calore è l’energia termica che si trasferisce da un corpo caldo a un corpo
freddo fino all’equilibrio termico.
Esempio: in una fredda giornata d’inverno, per riscaldarci, appoggiamo le
mani sul termosifone, che trasmette calore alle mani e ne aumenta la
temperatura; dunque, un corpo più caldo trasmette calore a uno più freddo.
Per misurare la quantità di calore da un corpo all’altro usiamo il calorimetro,
un recipiente che contiene acqua ed ha le seguenti caratteristiche:
• ha una capacità termica piccola per assorbire poco calore;
• è ben isolato termicamente verso l’ambiente;
• ha un termometro e un agitatore per rendere uniforme la temperatura.
Invece, quando non si conosceva ancora la natura del calore, la sua misura era
basata sul riscaldamento dell’acqua ed era espressa in calorie.
CAPACITA’ TERMICA
La capacità termica è il rapporto fra l’energia che acquista una sostanza e
l’aumento di temperatura:
𝜟𝑬 𝑱
𝑪= e si misura in
𝜟𝑻 𝑲

La capacità termica è direttamente proporzionale alla massa del corpo in


quanto: più grande è la massa che viene riscaldata, maggiore è l’energia
necessaria per aumentare la temperatura di un grado.
CALORE SPECIFICO
Il calore specifico, invece, è la quantità di energia che la massa di 1kg di
sostanza deve acquistare perché la sua temperatura aumenti di 1K:
𝐂 𝐉
𝐜 = 𝐦 e si misura in .
𝐤 𝐠 ⋅𝐊

DIFFERENZA TRA CAPACITA’ TERMICA E CALORE SPECIFICO


La capacità termica è il calore necessario per aumentare di 1 K la
temperatura di un corpo, qualunque sia la massa; invece, il calore specifico
di una sostanza è il calore necessario per aumentare di 1 K la temperatura di 1
kg di quella sostanza. Inoltre, capacità termica (C) e calore specifico (c) di
un corpo di massa m sono legati dalla relazione: 𝑪 = 𝒎 ⋅ 𝒄

LEGGE FONDAMENTALE DELLA TERMOLOGIA


La legge fondamentale della termologia afferma che: l’energia scambiata è
direttamente proporzionale alla massa della sostanza e alla variazione di
temperatura; inoltre è legata alla natura della sostanza attraverso il
coefficiente c.

𝜟𝑬 = 𝒄 ⋅ 𝒎 ⋅ 𝜟𝑻
Se l’energia è fornita sotto forma di calore Q, la legge può essere scritta come:

𝑸 = 𝒄 ⋅ 𝒎 ⋅ 𝜟𝑻
Dunque, essa permette di calcolare la quantità di calore che un corpo acquista
o cede, quando la sua temperatura cambia; non può essere applicata se
nell’intervallo ΔT avviene un cambiamento di stato.
PROPAGAZIONE DEL CALORE
Il calore si propaga spontaneamente da un corpo caldo a uno freddo e,
all’interno dello stesso corpo, da punti a maggiore temperatura a punti a
minore temperatura. La propagazione avviene nei:
• solidi → per conduzione ovvero tra due corpi a contatto fra loro ma con
diversa temperatura;
• liquidi → per convenzione, ovvero per spostamento di materia;
• vuoto → per irraggiamento, ovvero attraverso onde elettromagnetiche
(sole).
PRINCIPI DELLA TERMODINAMICA
PRINCIPIO 0 → se il corpo A è in equilibrio termico con il corpo B ed il corpo
B, a sua volta, è in equilibrio termico con il corpo C allora anche A e C sono in
equilibrio termico tra loro.
N.B. due corpi sono in equilibrio termico se hanno la stessa temperatura.
PRINCIPIO 1 → la variazione dell’energia interna di un sistema è uguale alla
differenza tra calore fornito il lavoro compiuto dal sistema:

𝜟𝑼 = 𝑸 − 𝑳
PRINCIPIO 2 → non è possibile trasformare completamente il calore in lavoro
senza che parte di esso venga rilasciato nell’ambiente.

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