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DALLA CARPENTERIA METALLICA ALLE STRUTTURE RETICOLARI SPAZIALI

Excursus storici attraverso l’evoluzione di un genere architettonico

DALLA CARPENTERIA METALLICA ALLE STRUTTURE RETICOLARI SPAZIALI


Excursus storici attraverso l’evoluzione di un genere architettonico

Poiché nell’evoluzione delle applicazioni edilizie dei metalli — principalmente, le leghe del ferro
e, solo ultimamente, quelle dell’alluminio — si intrecciano principalmente elementi legati ad
ambiti estranei all’architettura, nei paragrafi che seguono si alterneranno talvolta informazioni
provenienti da essi ad esempi emblematici di costruzioni appartenenti alla cosiddetta
“architettura in metallo”, nel tentativo di dare un quadro verosimilmente complesso della
tematica che si va affrontando, pur rispettando una necessaria volontà sintetica.

I.1 Verso un’architettura di “ferro”.

La storia della tecnologia anche nel campo dei metalli ferrosi ci restituisce un percorso
evolutivo frastagliato, caratterizzato da una successione discontinua di scoperte cercate,
impreviste, consapevoli, casuali o forzate da una quantità enorme di fattori spesso estranei ad
esse. Concorrono a complicare il panorama le differenze tra ferro, ghisa e acciaio, che andrebbero
considerati come gruppi di materiali diversi con molteplici diversificazioni interne e destini storici
differenti.
Procedendo in una grossa semplificazione potremmo dire che il ferro puro è praticamente assente
in natura1, dove lo si incontra in minerali come la limonite o ematite bruna (ossido idrato di ferro
trivalente — contenente circa il 30-40% di ferro), l’ematite o ferro oligisto (triossido di ferro —
contenente circa il 50% di ferro), la magnetite o pietra calamita (ossido di ferro — contenente
circa il 40-70% di ferro), la pirite (bisolfuro di ferro — contenente circa il 40% di ferro), e la
siderite (carbonato ferroso — contenente circa il 30-45% di ferro)2. A temperatura ambiente il
ferro cristallizza in un reticolo cubico a corpo concentrato, che gli conferisce regolarità e
compattezza, chiamato ferro , o ferrite, con buona duttilità e malleabilità, mentre oltre i 906°C si
ha un profondo cambiamento di struttura con notevoli variazioni delle proprietà fisiche. Inoltre,
allo stato puro non ha alcuna utilizzazione pratica per via delle sue basse prestazioni, per cui lo si
intende sempre legato con altri elementi ad esso compatibili.
Nell’ampia famiglia di leghe in ferro-carbonio, dove il carbonio si può presentare sotto forma di
grafite (da cui la ghisa “grigia”) o di cementite o carburo di ferro (da cui la ghisa “bianca”). Dalle
caratteristiche fisiche e meccaniche differenti, si distinguono i tre grandi gruppi suddetti,
1
Lo si rinviene solamente nelle meteoriti e nelle rocce vulcaniche, da cui il nome di ferro “meteorico” e ferro “tellurico”.

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Altri minerali di ferro di minore importanza commerciale sono l’idrato di ferro, la marcassite e la vivianite.

Arch. G.Salomoni 1
I.1 Verso un’architettura di “ferro”.

caratterizzati da una diversa percentuale di carbonio, mai superiore al 6,6%, responsabile della
rigidità e della fragilità delle leghe stesse.
Quando la percentuale di carbonio interstiziale supera il confine del 2-2,5 % e si attesta intorno al
3-4%, si parla di ghisa ; al di sotto della soglia dell’1,8% incontriamo : l’acciaio “extra-duro” (C
= 0,76-1,00%), l’acciaio “duro” (C = 0,51-0,75%), l’acciaio “semi-duro” (C = 0,26-0,50%),
l’acciaio “dolce” (C = 0,16-0,25%) e l’acciaio “extra-dolce” (C = 15%) abbastanza simili al
tradizionale ferro “saldato” o “dolce”, con scarse impurità e facilmente deformabile a freddo. Se
ne deduce che al crescere del tenore di carbonio aumentano le caratteristiche di resistenza e
durezza del materiale, ma si riduce la capacità di allungamento e tutte le caratteristiche di
deformabilità plastica, inoltre, si accentua la tendenza alla rottura fragile e si riduce la saldabilità.
L’acciaio contiene sempre anche altri elementi (ad esempio : zolfo e forforo) : se questi sono in
piccole quantità (<1%) non programmate, si parla di acciai al carbonio con piccole impurità ; se
la loro quantità supera il 5% e sono stati aggiunti deliberatamente per conferire all’acciaio
particolari proprietà e prestazioni, si parla di acciai legati, che includono gli acciai speciali ; se la
presenza di elementi chimici diversi dal carbonio è modesta (<5%) e ha lo scopo di elevare la
“temprabilità” o la resistenza a corrosione dell’acciaio, si parla di acciai “basso legati”.
L’azoto, l’ossigeno e l’idrogeno producono effetti negativi quali l’aumento della tendenza alla
rottura fragile o l’accelerazione del processo di invecchiamento (effetto che può essere
neutralizzato dall’alluminio, dal vanadio e dal niobio).
Oggi, un’utile suddivisione di massima può essere fatta sulla base degli impieghi : gli acciai da
costruzione hanno un tenore di carbonio compreso tra lo 0,1 e lo 0,3%, contengono manganese e
silicio (in percentuale rispettivamente dell’1,5% e dello 0,6%, per migliorare la saldabilità —
acciai da carpenteria), nichel, molibdeno, cromo, vanadio, manganese in proporzioni variabili —
non superiori al 5% — e comprendono gli acciai inossidabili, con elevate quantità di cromo (12-
30%) e nichel (<35%) insieme a niobio e tantalio, che assicurano l’auto-protezione contro la
corrosione ; gli acciai per utensili contengono in particolare tungsteno (10-18%), che conferisce
elevata durezza, e sono detti “rapidi” se contengono anche cromo ; gli acciai per usi particolari,
che comprendono ad esempio i “maraging” (contenenti nichel, titanio, molibdeno, alluminio e
cromo) ad altissima resistenza, tenacità e duttilità, gli acciai per cuscinetti (contenenti l’1% di
carbonio e l’1,5% di cromo), gli acciai per basse temperature (contenenti l’8-10% di nichel)3.
Si considerano acciai fucinabili quelli con contenuto di carbonio non superiore all’1,7%.

La ghisa, o “ferro colato” ad alta temperatura con l’utilizzo del carbone vegetale, era nota fin

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Un’ulteriore suddivisione di massima degli acciai può essere fatta sulla base del limite di fusione : ferro , ferromagnetico,
stabile a 768°C ; ferro , paramagnetico, o ferro , stabile fra 768°C e 918°C ; ferro , stabile fra 910°C e 1390°C ; ferro ,
stabile oltre i 1390°C con punto di fusione a 1539°C.

Arch. G.Salomoni 2
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Excursus storici attraverso l’evoluzione di un genere architettonico

dal IV secolo a.C. in Cina4. L’uso della legna e del carbone vegetale per la produzione del “ferro”
continuerà sino all’inizio della così detta Rivoluzione Industriale, producendo l’effetto di collegare
strettamente il sistema produttivo pseudo-industriale con le zone di territorio alberate.
Nel XII secolo, l’applicazione della forza idraulica all’iniezione dell’aria nei forni di riduzione del
minerale di ferro rese proficua la costruzione di nuovi forni, vincolati ai corsi d’acqua, e ridusse
l’impiego di combustibile. L’evoluzione del sistema si completò tra la fine del XIV secolo e
l’inizio del XV secolo in un’area localizzata nella regione di Liegi e lungo le rive del Reno,
riuscendo a separare la ghisa dal ferro grazie ad un altoforno di dimensioni maggiori dotato di
soffianti5. A questo fatto si aggiunse che l’uso delle vie d’acqua, acquistando una particolare
importanza per il trasporto del materiale grezzo e dei manufatti metallici a mezzo di chiatte,
determinò un primo abbassamento del costo globale del prodotto metallico.
Crescendo le città, anche la richiesta di metalli ferrosi andò aumentando, seppur confinati
all’utensileria per il lavoro agricolo ed artigianale, a piccoli oggetti fucinati, ovvero, in casi

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Per brevità si è scelto di tralasciare nella trattazione principale la storia del ferro dalle origini. Ricorderemo soltanto che la
sua adozione per la fabbricazione di utensili ed armi tra il 1500 e il 1000 a.C., in un’ampia area posta tra il Mediterraneo, il
Caucaso e l’altopiano dell’Iran, costituì una delle svolte fondamentali della preistoria ed inaugurò l’età del Ferro di cui tuttora
resta difficile decretarne la fine. Gli Ittiti, in Asia Minore, furono i principali detentori della nuova tecnica di fusione con
carbone di legna ottenuto con le carbonaie, che permetteva di raggiungere le temperature necessarie a lavorare il ferro. Quando
il loro regno cadde sotto l’invasione delle popolazioni egee, il segreto del ferro si diffuse e permise l’installazione dei p rimi
impianti di lavorazione dei Filistei sulle coste della Palestina, a sud di Gaza.
Fino al IX secolo a.C. circa, non si registrarono ulteriori progressi nella produzione e nell’uso del metallo. Le quantità di ferro
prodotte non erano, però, sufficienti al fabbisogno e i commerci presentavano delle difficoltà per via dei rivolgimenti che,
intorno all’800 a.C., iniziarono a verificarsi nell’antico Oriente con l’ascesa degli Assiri e che finirono con l’interromper e
l’interscambio commerciale e indurre lo sviluppo di un nuovo mercato intorno ai giacimenti mediterranei, in particolare,
Etruschi.
La lavorazione veniva effettuata ponendo in appositi crogiuoli i minerali di ferro — estratto dai soli filoni superiori — insieme
a legna per poi passare alla loro fusione in presenza di una forte ventilazione, che favoriva la combinazione dell’ossigeno col
carbonio. Sino al XIII secolo, la tecnica più efficace per raffinare il ferro crudo era quella del “ripiegamento” (per
“martellamento” dapprima manuale, poi con apposite macchine) per eliminare l’eccesso di carbonio mediante la sua
combinazione con l’ossido di ferro. Il procedimento dava luogo ad un materiale ancora troppo tenero per essere impiegato per
armi ed utensili da taglio e doveva essere indurito introducendo una certa quantità di carbonio almeno sulla superficie esposta,
ovvero temprato attraverso un brusco raffreddamento per immersione in acqua o liquido organico, secondo le credenze antiche.
In un secondo tempo si passò all’uso di fornaci a vento, in cui l’aria necessaria alla combustione era convogliata al forno,
avendo cura di dislocare la fornace in posizioni geografiche battute da una forte ventilazione naturale.
Anche in epoca romana non si registrarono sostanziali progressi sia nella lavorazione che nell’uso, seppur origini qu i l’uso
accessorio del metallo nelle opere edilizie e navali. Nei secoli successivi, si perfezionarono i metodi di lavorazione artist ica.
Solo a partire dal XII secolo d.C., l’impiego della forza idraulica nell’azionamento meccanico dei mantici di insuflazione
permise la costruzione di forni di adatti a contenere forti quantità di minerali ferrosi, aumentando la produzione di ferro e
diminuendo il fabbisogno di combustibile.

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Rispetto al crogiuolo dei bassiforni, il nuovo crogiuolo poteva raggiungere anche i 5 metri nell’elemnto verticale a sezione
tronco-conica in cui venivano collocati il minerale e il combustibile. Le temperature che si potevano raggiungere in questi
primitivi altiforni avrebbero potuto portare alla produzione cospicua di ghisa, se non vi fossero stati problemi delle eccessive
impurità che la relegarono al ruolo di sottoprodotto del ferro.

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I.1 Verso un’architettura di “ferro”.

particolari, alla produzione di acciaio temperato per armi attraverso “metodo indiretto”. La
produzione dei metalli ferrosi aumentò ulteriormente grazie al miglioramento del tiraggio degli
altiforni, ottenuto nel 1550 da H.Lobsinger a Norimberga coi mantici a scatola di legno al posto di
quelli più piccoli in pelle, e alla diffusione delle metodologie di ricottura della ghisa allo scopo di
eliminarne le impurità per volatilizzazione o combinazione in scorie solide asportabili.
Un impulso importante allo sviluppo della siderurgia nei secoli XIV e XV venne, poi,
dall’introduzione nelle dotazioni militari delle armi da fuoco pesanti e leggere6. La produzione di
pezzi in ferro forgiato post-assemblati a formare i cannoni venne sostituita dalla tecnica a colata in
stampi mutuata dal bronzo con un notevole incremento della produzione.
Se durante i primi decenni del ‘600 vennero sperimentati nuovi metodi di produzione dell’acciaio,
fra cui quello ideato A.Zeller di Aschausen detto “a cementazione” per riscaldamento del minerale
ferroso in casse in presenza di carbone di faggio, e il processo che prevede l’immersione del ferro
in un bagno di ghisa fusa per elevarne il tenore di carbonio, l’efficienza produttiva dovrà essere
legata per lo più all’introduzione dei nuovi combustibili.
All’inizio del ‘700 l’industria siderurgica inglese era inadeguata alle esigenze di mercato e
costretta allo stallo dalla scarsità di risorse energetiche tradizionali. Il tentativo di sostituire il
carbone vegetale con quello fossile, abbondante in Inghilterra, si era dimostrato fallimentare per
via dell’alta percentuale di zolfo del secondo, che andava ad inquinare la ghisa e ne limitava la
produzione. L’evoluzione dei forni “a riverbero” in quelli “a cubilotto”, in cui il ferro non veniva a
diretto contatto col combustibile, risolse il problema della ridotta produzione del ferro, ma non
della ghisa. Sicché si dovette attendere la comparsa del carbone “coke”, raffinato dal carbone
fossile (litantrace) per parziale combustione a 900°C in presenza di poca aria 7, per effettuare il
transfert dal settore della produzione della birra a quello siderurgico. Abraham Darby I, un iron-
master di Bristol, nel 1708, fu il primo ad usare il nuovo combustibile nelle fornaci di
Coalbrookdale, nella contea dello Shropshire, sulla riva destra del Severn, riportando un successo
frutto in buona parte di casuali coincidenze non esportabili. Naturalmente il passaggio dal carbone
vegetale al coke indusse lo spostamento dei centri siderurgici presso i bacini carboniferi e i corsi
d’acqua, producendo il medesimo degrado ambientale che subiranno le città dopo l’introduzione

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Le prime bocche da fuoco comparvero nel XIV secolo nella battaglia di Crécy (1346), anche se la prova della loro efficacia si
ebbe soltanto nell’assedio e nella presa di Costantinopoli (1453). Fino al XVII secolo il progresso in questo settore si incentro
sull’aumento del calibro, e quindi della dimensione dell’arma, essendo che i proiettili sferici basavano la loro efficacia su lla
loro massa più che su potere penetrante, precisione, velocità e gittata.
L’impiego di metalli come i ferro e l’acciaio, in luogo del bronzo, permise di ridurre pesi ed ingombri tanto da poterli util izzare
come armi personali. È del XVI secolo il primo archibugio (1522), seguito di lì a poco dal moschetto.

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Quando si fu in grado di controllare i procedimenti di distillazione dei litantraci a 1100-1200°C, si ottenne come residuo coke
semi-metallurgico e coke metallurgico ricchi di carbonio, caratterizzati da alta compattezza e durezza necessarie per resistere
negli altiforni alle enormi pressioni di carico degli strati superiori (alti alcune decine di metri) di materiale in lavorazi one.

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Excursus storici attraverso l’evoluzione di un genere architettonico

nelle industrie della macchina a vapore.


Sebbene, quindi, già da secoli il lento evolversi della tecnologia siderurgica avesse permesso la
lavorazione del “ferro”, e quindi anche il suo limitato impiego in architettura specialmente sotto
forma di elementi di rinforzo e di collegamento (“catene” per volte ed archi, “chiavi” e “grappe”,
e “cerchioni” per cupole), nonostante il metodo Darby fosse già definito nella prima metà del
XVIII secolo e, a Sheffield, B.Huntsmann, tra il 1740 e il 1742, avesse scoperto il modo per
ottenere, col coke e opportuni fondenti, acciaio fuso in modeste quantità8, soltanto verso la fine
del ‘700 si raggiunse una chiara consapevolezza sulle differenze tra ferro, ghisa e acciaio 9, e si
poté assistere alla diffusione della produzione industriale dell’acciaio, per usi principalmente
militari10, e della ghisa d’altoforno in diversi settori di consumo, fatto che costituirà il presupposto
fondamentale alla nascita della cosiddetta “civiltà dell’acciaio” ottocentesca.
Il primo materiale innovativo in campo architettonico disponibile in considerevoli quantitativi fu,
quindi, la ghisa d’altoforno, la quale, come noto, è caratterizzata da buone capacità resistenti a
compressione, ma da un cattivo comportamento a trazione, che ne limita l’impiego come
elemento teso. Questa, oltre ad avere il vantaggio di poter essere colata aderendo perfettamente
agli stampi per lieve dilatazione al raffreddamento, a parità di sollecitazioni, permetteva comunque
una riduzione delle sezioni portanti rispetto a qualsiasi altro materiale tradizionale e, quindi,
maggiore leggerezza, spaziosità e luminosità delle costruzioni.
Un ulteriore passo importante fu la trasformazione della ghisa di prima fusione in “ferro” grezzo,
in “ferro” forgiabile, saltando la purificazione per seconda fusione in forni a cupola, e in “ferro”
forgiato, eliminando le discontinuità fra le operazioni di pudellatura, martellamento e laminazione.

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B.Huntsman introdusse in Inghilterra il metodo di fabbricazione dell’acciaio detto “al crogiuolo”. Consiste nella fusione di
pezzi di ferro in cui era stato precedentemente aggiunto carbonio (procedimento detto di cementazione) in crogiuoli di argill a e
grafite. Il limite di questa tecnica risiedeva nella possibilità di produrre solo poche centinaia di chili di materiale al giorno.

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Nonostante tutto, il passaggio dal tecnico artigiano al tecnico scienziato avverrà assai più tardi. Il precursore della metal lurgia
scientifica fu l’inglese H.C.Sorby, che lavorava a casa propria a contatto coi produttori di ferro di Sheffield. Nel 1863-1864
identificò al microscopio sette tipi diversi di acciaio in relazione alla percentuale di carbonio, ma il suo lavoro non ebbe
conseguenze pratiche.
Nel 1887, F.Osmond stabilì l’interdipendenza tra modificazioni strutturali e temperatura.
Nel 1899, l’americano W.Gibbs costruì il diagramma in cui la micro-struttura dell’acciaio viene fatta dipendere
contemporaneamente dalla temperatura e dalla percentuale di carbonio.
Contemporaneamente, le proprietà del materiale — durezza, resistenza, duttilità — cessano di essere oggetto di
approssimazioni qualitative e divengono precise determinazioni quantitative, misurate su apposite scale, e l’elasticità divie ne
oggetto di teorizzazione matematica.

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Di nuovo, la spinta allo sviluppo del settore viene dalla domanda bellica causata, questa volta, dalla guerra dei Sette Anni
(1753-1763), che oppose la Gran Betagna e la Prussia alla Francia, all’Austria e ai loro alleati. È in questa occasione, ad
esempio, che nascono gli stabilimenti Wilkinson a Broseley e che viene brevettato (1775) il metodo per l’alesatura cilindrica
dei cannoni, fondamentale nella preparazione dei cilindri per le macchine a vapore tipo Boulto & Watt.

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I.1 Verso un’architettura di “ferro”.

Il problema fu risolto prima da P.Onions nel 1782 e poi da Henry Cort intorno al 1783-1784,
modificando l’alto forno a coke in modo da permettere il contatto dei minerali di ferro soltanto
con la fiamma prodotta dal carbone e introducendo un tratto concavo orizzontale nel quale si
raccoglieva la ghisa fusa, e brevettando il metodo di “pudellaggio” per mescolamento della ghisa
fusa con ossido di ferro (sotto forma di scaglie di ruggine) per mezzo di appositi “raschiatoi” in
ferro, associato alla “laminazione” con cilindri scanalati e alla “pressatura” in piastre o in barre.
Questo metodo, insieme al brevetto del forno “a cubilotto” (1794) di John Wilkinson e al
perfezionamento della produzione d’acciaio attraverso il metodo della fusione in crogioli (1790-
1800) riscaldati in forni “a riverbero” di B.Huntsman, apriranno la strada all’impiego economico e
diffuso dei metalli ferrosi in diversi settori, dal militare, ai trasporti, all’edilizia.
Nel 1839 Joseph Hall di Tipton, rivestendo i forni di pudellaggio della ghisa con ossido di ferro
parzialmente fusibile rifondendo i pani di ghisa, otterrà ferro “dolce” eliminando fosforo e zolfo.
Contemporaneamente, in Danimarca, l’impiego del forno “a tunnel” permetterà un ulteriore
risparmi energetico.
Queste invenzioni faranno sì che, già nel 1802, Jean B.Rondelet potrà sostenere nel suo Trattato
l’intercambiabilità a livello strutturale del ferro “dolce” col legno, grazie alle “armature” 11 ideate
da M.Ango sul finire del ‘700 per ovviare alla differenza di peso fra i due materiali, C.Whitehouse
brevetterà (1825) il proprio processo per la produzione di tubi in “ferro” trafilati e saldati — utili
per il trasporto del gas —, e Robert Stevens di Mobokenns, costruttore di ferrovie, potrà
inaugurare nel 1830 il proprio commercio di putrelle in “ferro laminato”, prodotte nel Galles del
sud, che precederanno di un decennio (1840-1850) i primi laminati in acciaio per case
d’abitazione — fra cui i famosi profilati e laminati “Zorés”, dell’ingegnere Ferdinand Zorés,
pubblicizzati dalla Dumond di Parigi dal 1848—, e di sedici anni (1846) le prime travi a traliccio
metallico — con triangoli a 60° — realizzate da B.Neuville e poi riprese (1848) da J.Warren.

«Se non si fosse affermata la mentalità analitica dell’Illuminismo, sarebbe difficile spiegare il
passaggio così repentino nella seconda metà del Settecento dalla tradizionale architettura delle
superfici e dei volumi alla estetica delle membrature e delle linee di forza che ha caratterizzato

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Il sistema ideato da Ango, già documentato nell’Encyclopédie... (1751-1772) di D.Diderot e J.D’Alambert alla voce Volte e
Solai in ferro, prevedeva, nella versione più semplice, l’associazione di due sole sbarre, l’una tesa fra le estremità della
seconda arcuata, nella versione più complessa, la realizzazione di arcate ribassate reticolari piane con ampiezza anche superiore
ai 20 piedi. In tutti i casi i solai erano completati con laterizi.
Nel 1789 N.Goulet sperimentò un sistema analogo in una casa di rue des Marais, a Parigi, per evitare gli incendi. In ques to
caso, fra le travi di ferro, fu posto un tamponamento in laterizi cavi e fu sostituito al tradizionale parquet un pavimento in cotto.
Queste esperienze non ebbero seguito per via della Rivoluzione francese (1789-1799), durante la quale i metalli divennero
introvabili. L’accento posto da Rondelet a questo genere di strutture va, quindi, inserito in un processo di rinascita produt tiva
post-rivoluzionari che troverà stabilità solo dopo il 1836, quando le officine francesi cominceranno a produrre industrialmente
le travi in ferro a doppio ‘T’ e i solai in ferro inizieranno a sostituire gli antichi impalcati in legno.

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Excursus storici attraverso l’evoluzione di un genere architettonico

il modo specifico in cui fu impiegato il ferro in edilizia nel tardo XV III secolo ed oltre».
(A.CASTELLANO, op cit., 1988. p 29)

Nonostante non vi sia certezza su quali siano le prime applicazioni dei metalli ferrosi in ambito
edilizio, e si conosca l’impiego di colonne in ghisa da parte di Christopher Wren già nel 1706 per
la distrutta House of Commons, nel camino della cucina del monastero cistercense di Santa Maria
ad Alcobaça nell’Estremadura portoghese nel 1752, e nei piedritti (1770-1772) della scomparsa
chiesa di Sant’Anna, a Liverpool, ovvero il progetto di un traliccio di “ferro” (1779) 12 di Jacques-
G.Soufflot, è certo che sino alla fine del ‘700 essi non entrarono a far parte visibilmente del
patrimonio tecnologico dei costruttori13.
Facendo, poi, uno sforzo di semplificazione, riconosceremo che l’architettura del “ferro” nella
“età contemporanea” si produsse, almeno inizialmente, in tre campi fondamentali d’applicazione,
innanzitutto quello dei ponti, quindi quello degli edifici multi-piano e quello delle coperture, e,
con un certo ritardo, quello residenziale14. Perciò, se non proprio prima concezione, il più noto e
concreto “manifesto” della nuova arte costruttiva, che taluni indicano come “architettura
dell’ingegneria”, è rappresentato dal Ponte sul Severn15, a Coalbrookdale, costruito da Abraham

12
Il traliccio, di 4,7 metri di lunghezza, serviva per portare tetti “a mansarda”, soffitti “a volta” e lucernari con larghezza di 5,2
metri. L’intelaiatura era fatta di barre in “ferro” le cui estremità erano fissate insieme con cavicchi.
Soufflot incorporò un traliccio di “ferro” nella muratura della Sainte-Geneviève (iniziata nel 1757) e di Saint-Sulpice (1732-
1777), a Parigi.

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«L’impiego del ferro come materiale da costruzione per l’edilizia non era evidentemente una novità assoluta, ché da molto tempo quel
metallo era stato usato per la realizzazione di catene, tiranti e collegamenti negli edifici lapidei. Esso era persino comparso in evidenza, con
chiara noncuranza per la sua evidenza figurativa, in edifici famosi del Quattrocento toscano come il brunelleschiano portico dell’Ospedale
degli Innocenti di Firenze o il portico di Santa Maria delle Grazie in Arezzo ; catene occulte in ferro aveva proposto Francesco di Giorgio
Martini nel 1487 per rinforzare il tiburio del Duomo di Milano e catene metalliche parzialmente invisibili aveva predisposto Giorgio Vasari
nelle murature del portico degli Uffizi di Firenze ; catene cerchiate nascoste erano state suggerite e poste in opera da Luigi Vanvitelli per il
consolidamento statico della cupola di San Pietro a Roma e notevoli rinforzi metallici accuratamente occultati erano stati predisposti da
J.G.Soufflot negli architravi del portico di Sainte Géneviève in Parigi. Ma si era trattato sempre di accorgimenti a carattere tecnico-
costruttivo, il cui occultamento non era stato neppure posto in discussione : quando esso non poteva essere attuato per ovvie ragioni di
posizione, l’incidenza figurativa degli elementi metallici era stata semplicemente ignorata dagli artefici».
(L.VAGNETTI, op.cit., 1980, pp.474-475)

14
Notevole difficoltà presentava l’inserimento di travi di ferro nella muratura : quest’ultima infatti. non impedendo totalmente
il passaggio dell’aria e dell’umidità, specialmente nei giunti, a contatto del ferro, determina la formazione di ruggine che,
accrescendo il volume del metallo da cui si produce, tende a spaccare la muratura in cui la trave è inserita ; ne conseguono
giunti aperti e fenditure che permettono il passaggio di aria ed acqua che accelerano il processo di degrado dell’edificio. Questi
rischi, già osservati nel medioevo, scoraggiarono l’uso del metallo soprattutto in ambito residenziale.
D’altra parte il “ferro”, combinato con laterizi forati — introdotti nel 1785 da Saint-Fart, a Parigi — legati con malta offriva un
notevole grado di resistenza al fuoco.

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Che il materiale metallico e le nuove tecniche costruttive venissero usati innanzitutto per la costruzione dei pont i, è
giustificato dallo sviluppo dei sistemi di trasporto ferroviario parallelo alla Rivoluzione Industriale. Non si trattò soltan to di
impiegare tecniche rapide adatte alla domanda di ampliamento della rete e di diversificazione funzionale — prima semplice
collegamento fra zone industriali e minerarie, poi trasporto passeggeri e pendolari —, ma anche della necessità di trovare

Arch. G.Salomoni 7
I.1 Verso un’architettura di “ferro”.

soluzioni adeguate a sopportare il carico dei nuovi e più grandi convogli — fattore che si ripercuoterà con effetti differenti
anche sulle dimensioni delle nuove stazioni ferroviarie.
Sicché, se nella trattazione per coerenza tematica si tralascerà di descrivere diffusamente il destino storico del “ponte
metallico” nelle sue espressioni emblematiche, si ritiene qui opportuno farne almeno un cenno cronologico (per i ponti “a cavi”
si veda la nota relativa) :

PONTI IN GHISA :

1777-1779, Ponte di Coalbrookdale sul Severn, di Abraham Darby II, T.F.Pritchard e John Wilkinson: primo ponte interamente realizzato in ghisa
— gli seguirà l’Ironbridge a Staffs (1779) dello stesso autore.
1795, Ponte di Buildwas, sul Severn, di Thomas Telford : lungo 130 piedi, pesava 173 tonnellate, contro le 378 del ponte di Darby.
1793-1796, Ponte Sunderland sul Wear, di Rowland Burdon (lunghezza : 130 piedi) : questo ponte impiegava, in peso, la metà del materiale
occorso per la realizzazione del primo ponte di Darby e Wilkinson.
1801-1803, Pont des Arts a Parigi, di L.A.De Cessart e J.Dillon : primo ponte in ghisa costruito in Francia.
1833-1834, Pont du Carrousel a Parigi, di Antoine-Rémy Polonçeau : primo ponte in ghisa francese costruito su grandi archi (portata 151 metri).
1846-1850, Ponte a via superiore sul Tyne (1846-1849), a Newcastle, di Robert Stephenson, il più notevole dei ponti ferroviari in ghisa e ferro :
costituito da 6 campate in forma di arco con catena, di 42,5 metri di luce, dove la ferrovia scorre sopra l’altezza della chiave, mentre il
piano stradale è posto a livello del tirante.

PONTI IN “FERRO” (ferro “dolce” dalla metà del XIX secolo — acciaio dopo il 1875) :

1846-1850, Britannia Tubular Bridge sul Menai, in Galles, di Robert Stephenson (e William Fairbairn - Eeton Hodgkinson) : primo ponte ad
utilizzare una struttura in ferro “a cassone” di 9x4,5 metri in 4 luci di cui le due centrali di 126 metri e le due laterali di 70 metri.
1852, Ponte sulla Senna a Ansières, di Eugène Flachat : primo ponte francese in ferro laminato.
1853-1857, Viadotto di Crumlin in Gran Bretagna, di Charles Liddel e Thomas W.Kennard : primo esempio di utilizzazione di piloni metallici.
1854-1855, Ponte d’Arcole a Parigi, di Alphonse Oudry.
1854-1859, Ponte Royal Albert sul Tamar a Saltash, vicino a Plymouth, in Gran Bretagna, di Ismard Kingdom Brunel : uno dei tipi di ponte più
originali che unisce archi “a traliccio” tubolari e catene.
Ponte Victoria sul Saint-Laurent a Montréal, di Robert Stephenson & Ross : il più grande ponte tubolare (lunghezza : 2740 metri).
1855, Ponte di Langon in ferro laminato, di Eugène Flachat.
1859-1860, Pont-Rail “La Passerelle” a Bordeaux, di Gustave Eiffel : fatto di travate di 77 metri (lunghezza : 500 metri)
1859-1861, Ponte mobile detto “Pont Napoléon III”, nel porto di Brest, di Alphonse Oudry.
1865, Ponte “Bowsting” a Moerdyck, in Olanda.
1867, Ponte sul Meno, a Hassfurt (Baviera), di H.Gerber : il primo ponte con travi del tipo “gerber”, costituito da una serie di luci alternate
continue e “a sbalzo”
1867-1869, Viadotto della linea Commentry-Gannat, di Gustave Eiffel.
1867-1874, Ponte Saint Louis, sul fiume Mississippi, di James B.Eads : fu il primo ponte ad arcate in ferro (di cui quella centrale con una luce di
153 metri) erette secondo il metodo della trave a sbalzo.
1868-1872, Ponte sull’Elbe a Hambourg, costruito secondo il sistema “Lohse” ad archi simmetrici.
1876-1877, Ponte sul Duoro a Porto, di Gustave Eiffel e T.Seyrig (portata : 160 metri — altezza : 61 metri).
“Old Tay Bridge” presso Dundee, in Gran Bretagna, di Sir Thomas Bouch.
1880-1884, Viadotto Garabit su La Truyère, di Gustave Eiffel (portata : 165 metri — altezza : 112,5 metri).
1883-1885, Ponte “cantilever” (a sbalzo) di Niagara, di C.Schneider e E.Hayes.
Viadotto della Tardes, di Gustave Eiffel.
1883-1890, Ponte “cantilever” Firth of Forth (Ecosse), di B.Baker e J.Fowler : primo grande ponte in acciaio realizzato in lamiere di forte spessore
chiodate in tronchi cilindrici a formare 2 travate principali di 521 metri di portata.
1884-1886, Viadotto tubolare sull’Olona, presso Malnate.
1886, Ponte di Trezzo d’Adda, realizzato dagli ingegneri Pattini e Röthlisberger — seguito dal ponte di Paderno d’Adda (1889), degli stessi
realizzatori.
1893-1896, Ponte Mirabeau a Parigi, di Louis-Jean Resal e M.Alby — seguito dal Ponte Alexandre III (1898-1900), degli stessi autori, in acciaio
molato.
1897-1902, Viadotto di Viaur, dell’ingegnere Bodin : composto da un arco centrale “cantilever” a timpano rigido (portata : 220 metri — altezza :
110 metri).
1901, Gokteik Viaduct, in Birmania, allora, il più alto ponte del mondo : era un tipico ponte americano “a traliccio” (fabbricato in

Arch. G.Salomoni 8
DALLA CARPENTERIA METALLICA ALLE STRUTTURE RETICOLARI SPAZIALI
Excursus storici attraverso l’evoluzione di un genere architettonico

Darby III e Thomas Farnolls Prichard di Shrewsbury su disegno di John Wilkinson, e realizzato
tra il 1777 e il 1779 dalla fonderia Darby in una sola arcata in ghisa “a getto” composta con i
criteri degli pseudo-archi e dei ponti in carpenteria lignea16, usando cioè un gran numero di sub-
elementi prefabbricati connessi ad incastro “a coda di rondine”, con nodi “a mortasa” e chiavi “a
cuneo”.
Da questo esempio si evince la duratura e diffusa tendenza che farà della ghisa un materiale
sussidiario dell’architettura, privo di personalità autonoma e impiegato in modo strumentale
inconsapevole delle sue effettive qualità. Tant’è vero che addirittura essa sarà usata : alla maniera
allusiva e mimetica dei ponti in muratura (metodo voussoir a conci squadrati di “pietra metallica”
vuoti) da Thomas Paine nel 1791 per un Ponte sul Schuylkill, a Philadelphia — i cui conci in
ghisa, commissionati ai Rotherham Ironworks (Walker), e fusi a Paddington, furono riutilizzati da

Pensylvania), con le strutture reticolari che si stendevano tra piloni “a traliccio” a quattro e a sei gambe controventati —
il pilone più alto raggiungeva i 97 metri di altezza.
1901-1908, “Queensboro Bridge” sull’East River a New York, dell’ingegnere Gustav Lindenthal.
1901-1909, Viadotto dei Fades sulla Sioule : presenta i più alti piloni in muratura dell’epoca (93,33 metri) e una lunghezza di 376 metri.
1903, Connel Ferry Bridge, attraverso le cascate di Lora, in Scozia : una notevole struttura “a sbalzo” di un’unica luci di 153 metri.
1903-1904, Viadotto d’Austerlitz a Parigi, dell’ingegnere Louis Biette, dell’architetto Jean-Camillo Formigé e dell’impresa Dayde & Pille (luce :
140 metri).
1907-1917, Ponte “cantilever” del Québec sul Saint-Laurent, dell’ingegnere E.S.Hoare e T.Cooper (portata : 548 metri).
1909, Blackwell’s Island Bridge, attraverso l’East River, a New York : ponte a due luci “a sbalzo” (360 metri di lunghezza ciascuna) a due
piani (inferiore : strada e tram — superiore : ferrovia) lungo complessivamente 1137 metri, con struttura chiodata,
Queen Alexandra Bridge, attraverso il Wear : con la struttura “a traliccio” tipo “Linville” più pesante in Inghilterra (29,9 tonnellate di
acciaio per ogni metro di luce).
1910, Ponte basculante Scherzer per il New York Huron and Hartford Railway.
1910-1912, Ponte sul Po alla Becca, presso Pavia, realizzato secondo il progetto della Società Larini Nathan di Milano.
1911, Ponte Roche-Bernard : uno dei rari ponti metallici ad arco del XX secolo (distrutto nel 1944).
1915, Viadotto di Caronte a travata mobile, della Société des Forges et Ateliers du Creusot (ricostruito nel 1946).
1918, Ponte di Quebec, in Canada : allora, il punte “a sbalzo” più lungo al mondo con le sue due luci di 547,4 metri.
1929-1931, Ponte sul Kill van Kull, degli ingegneri Othmar Amman e Allston Dana e dell’architetto Cass Gilbert : costituito da un arco a due
articolazioni di 495 metri di portata.
1932, Ponte di Sydney, dell’ingegnere F.Freemann : costituito da un arco a due articolazioni di 495 metri di portata.
1935, Ponte di Birchenough (Rodesia del Sud) : costituito da un arco metallico di 329 metri di portata.

16
Il ponte deriva dalla giustapposizione arcate composte da semi-archi per una luce complessiva di 30,5 metri, una freccia di
13,7 metri e una larghezza di 2 metri ; vi sono cinque nervature principali di 30,5x16,5 centimetri di sezione incernierate
virtualmente all’altezza dell’imposta e della chiave ; vi sono anche nervature libere ed elementi di collegamento. I getti delle
nervature principali furono realizzati in forme di sabbia aperte direttamente dall’altoforno, che dovette essere costruito
appositamente per lo scopo.
Le parti del ponte, congegnate in modo da passare l’una nell’altra e collegarsi con giunti a mortasa, bloccate per mezzo di
cunei, vennero portate sul posto per via d’acqua, fissate alla base e sollevate con funi. Il peso totale dell’opera, compreso il
piano stradale, fu calcolato in circa 380 tonnellate.
Il primato in leggerezza di questo ponte fu battuto dal Ponte di Buildwas (1795), sul Severn, di Thomas Telford, con 173
tonnellate circa per una luce di 39,6 metri. Il sostegno del piano stradale per mezzo di elementi verticali coll egati tra loro, che
partivano dalle nervature controventate, costituiva un maggiore miglioramento rispetto al tentativo di combinare due nervatur e
di raggio diverso, che si comportavano diversamente a seconda del carico e delle variazioni termiche e dieder o continui
problemi di rottura.

Arch. G.Salomoni 9
I.1 Verso un’architettura di “ferro”.

Rowland Burdon nel 1796 per lo scomparso Ponte Sunderland sul Wear (72 metri di luce con una
frecciadi 10,5 metri), a Monkwearmounth, presso Sunderland, progettato da Thomas Wilson — ;
o, ancora, alla maniera del legno nel Pont des Arts, a Parigi, sulla Senna, progettato da Alexandre
De Cessart e Jacques Dillon nel 1801, prima struttura francese in ghisa17.
Per incontrare in campo infrastrutturale un’inversione convincente di questa tendenza alla
sottovalutazione bisognerà rivolgersi al progetto del Ponte sul Jacob’s Creek (1797), in
Pennsylvania, di M.James Finley, sorretto da catene18 per rispondere meglio alle sollecitazioni
dinamiche, mentre il primo caso analogo europeo sarà rappresentato dal Ponte sul Tweed (1813),
a Kelso, del capitano inglese Samuel Brown, lungo 110 metri19 .
L’impiego del ferro “dolce” e della ghisa nelle costruzioni innanzitutto trovò impulso nel costo
globale della manodopera più contenuto, nel fatto che fossero gli unici materiali ignifughi
disponibili per la realizzazione di strutture soggette ad alto rischio di incendio, e nello sviluppo
della produzione standardizzata di elementi costruttivi semplici secondo metodi già collaudati20 o

17
Distrutto nel 1981.

18
Precursore di questo tipo di costruzione d’ingegneria moderna fu il Modello di ponte sospeso realizzato da Faustus
Verantius di Dalmazia del 1617. Il primo esempio di passerella sospesa a catene metalliche sembra essere quello del Ponte sul
Tees (1741), in Inghilterra.
La sostituzione della catena con la fune metallica a filamenti ritorti diede il via alla realizzazione di ponti che, già nel 1870,
sfiorarono i 500 metri di luce (v. Ponte di Brooklyn , a New York).

19
Rispetto alle origini di questa antica tipologia, nella versione metallica, oltre al menzionato ponte di Brown —sostenuto da
dodici catene ad anelli di 5 centimetri di diametro lunghe 4,5 metri, fornite alle estremità di barre a occhiell o chiodate su
maglie piatte — sono degni di nota : il Ponte sul Menai Strait (1818-1826), di Thomas Telford : lungo 176,7 metri — utilizza
il brevetto (1817) per catene ad anelli di ferro piatti di Brown ; il Ponte di Tourton (1825), sul Rodano, di Marc Séguin ; il
Ponte sul Sarine (1834), a Friburgo, dell’ingegnere francese Joseph Charley : lungo circa 273 metri, con piano stradale appeso
a cavi di fili metallici “a mazzi” ; il Ponte Clifton (1836), sull’Avon, a Bristol, di Isambard K.Brunel : lungo 213 metri, e
sospeso su catene in ferro “dolce”, inizialmente, tolte al Ponte Hungerford, sul Tamigi ; Ponte sul fiume Ohio (1848), a
Wheeling, in Virginia occidentale, di Charles Elet : lungo 307 metri ; il Ponte di Chepstow (1852), di K.Brunel : per le
fondazioni furono impiegati i cassoni ad aria compressa introdotti (1830) da Sir Thomas Cochrane e già utilizzati da Cubitt e
Wright nel Ponte di Rochester (1851), sul Medway ; il Grand Trunk (1855), sul Niagara, di John A.Roebling : dotato di due
livelli di scorrimento (ferroviario e stradale) e una luce di 250 metri e sostenuto da cavi a fascio (diametro : 25 centimetri) in
ferro “dolce”, filati e montati in situ ; il Ponte Transbordeur (1902-...), a Marsiglia, di Ferdinand Arnodin e G.Leinekugel le
Coq : una sorta traghetto aereo sospeso ad una trave sostenuta da funi d’acciaio agganciate all’estremità superiore di due piloni
“a traliccio” — dello stesso genere sono : il Ponte di Nantes (1902), di 166 metri di luce, il Ponte sul Mersey e il Ponte sul
Manchester Ship Canal (1903), a Runcorn, il Ponte sul Usk (1906), a Newport, nel Galles, il Ponte sul Tees (1911), a
Middelesbrough, con luce centrale di 143 metri ; il Manhattan Bridge (1909), attraverso l’East River, nella città di New York :
primo ponte sospeso (con una luce di 447 metri) per il quale il progetto prevedesse una tolleranza per lo scostamento
orizzontale dei cavi sotto carico.

20
La ghisa fu impiegata nella produzione seriale di cannoni fin dalla metà del XVI secolo e nei fondi di fornaci nel XVII
secolo. Nel 1684 Rannesqin la usò per le tubazioni e i serbatoi delle pompe dell’impianto di Marly la Machine presso

Arch. G.Salomoni 10
DALLA CARPENTERIA METALLICA ALLE STRUTTURE RETICOLARI SPAZIALI
Excursus storici attraverso l’evoluzione di un genere architettonico

per diretta derivazione dalle tecnologie dei sistemi di trasporto ferroviari ; anche se non deve
essere sottovalutata la portata degli studi (1729) di Belidor sull’andamento degli sforzi su ponti
reticolari, scomponendo e ricomponendo in unico diagramma il poligono delle forze, degli studi
(1757) di L.Euler sul comportamento sotto carico e sulla deformazione di colonne lunghe e sottili,
e della relazione (1773) “sull’applicazione delle regole di massima e di minima, riferita ad alcuni
problemi di statica in architettura”, con cui C.A. De Coulomb esaurisce i problemi della teoria
delle travi e formula il controllo della stabilità di un arco.
Sicché, il primo fatto costruttivo notevole, dopo il grande incendio di Londra del 1666, fu la
comparsa dal 1780 ca. della colonna in ghisa21, sottile e a sezione piena, che sostituì i pilastri di
legno nelle filande inglesi, e che, in seconda battuta, acquisì la sezione vuota ; il secondo fu
l’invenzione della trave metallica dai prodotti della sperimentazione per riuscire ad aumentare la
portata di binari22 come il binario Jessop (1789) di ghisa, da cui originarono il binario
Birkenshaw a ‘T’ (1820), in ferro dolce, e il primo binario americano (1831) laminato in Galles
con sezione a doppio ‘T’ con base allargata, che, in via generale, non trovò applicazione edilizia
sino al 1854, quando riuscì la laminazione di tipi più pesanti e di maggior portata 23.
Le innovazioni che avevano segnato il progresso tecnico dei macchinari di lavoro implicavano la
messa a punto di un contenitore edilizio di nuovo tipo, che offrisse vasti ambienti con minimi
ingombri e grande luminosità, non esclusivamente relegati al piano attico, disposti ad accogliere

Versailles ; altrettanto fece John Sorocold nel 1704 nell’impianto del Ponte di Londra, mentre Smeaton se ne servì, verso il
1750, nella costruzione di ingranaggi e macchine.

21
Meno diffuso sarà l’impiego della colonna in ghisa a sezione cava con un diametro medio di circa un metro che,
rastremandosi verso l’alto in un capitello (dorico), doveva servire da appoggio per archi e volte tradizi onali in muratura. Una
tale soluzione verrà adottata nel 1828 da Thomas Telford nei ST.Katharine Docks, a Londra, progettati con l’architetto Philip
Harwick.

22
È utile ricordare che la necessità di sviluppare la produzione delle rotaie divenne pressante con l’invenzione (James Outran,
1775) e la diffusione del tram a cavalli per il trasporto urbano di merci e persone, il quale, appunto, viaggiava su binari
metallici ancor prima che venisse inventata la locomotiva a vapore (R.Trevithick, 1804) e perfezionat a a servizio pubblico da
George Stephenson, nel 1825.
La locomotiva a vapore di Stephenson entrò in servizio fra Liverpool e Manchester — 48 chilometri — nel 1830.

23
I laminati a ‘T’ e a ‘L’ entrarono in commercio verso il 1820, mentre le piccole travi a doppio ‘T’ furono prodotte a Parigi
dal 1847, ma potevano servire solo in opere “leggere”. Ad ogni modo, l’evoluzione del tipo fu tanto rapida che già poco dopo la
metà dell’800, i tentativi di ottenere “travi composte” per chiodatura di legno e ferro “dol ce”, di travi, piattine e angolari —
brevetto di Henry Fielder (1847)—, o di più binari “leggeri”, che potessero coprire ampie luci, furono messi in secondo piano
dalla produzione di travi laminate in ferro dolce di altezze di 17.5 cm.
«Contemporaneamente, delle sperimentazioni volte a ottenere sempre maggiori esiti dalle possibilità del materiale furono
tentate usando lastre standard di ferro dolce e angolari utilizzati nelle costruzioni navali allo scopo di ottenere delle tra vi.
Fairbairn presumibilmente costruì e provò queste travi a doppio ‘T’ composte fin dal 1839» (M.NERI-M.SOLE, op.cit.,
1992,p.14).

Arch. G.Salomoni 11
I.1 Verso un’architettura di “ferro”.

macchine a motore e trasmissione unici e lineari24. Per questo motivo la fabbrica, ancora priva di
modelli tipologici e precisi riferimenti culturali, costituì il primo terreno ideale di sperimentazione
di un’architettura civile in metallo che solo l’ingegnere poteva controllare pienamente. Solo in un
secondo tempo, nella logica dell’investimento, assumendo un valore commerciale anche
l’“estetica”, richiederà l’intervento dell’architetto 25.
Sicché, quasi contemporaneamente al porsi dei fatti predetti, nella Filanda di lino (1796),
costruita a Shrewsbury dall’ingegnere dilettante Charles Bage, alta cinque piani, lunga 660 metri e
larga 12, i tradizionali elementi strutturali in legno (travi e pilastri) furono sostituiti con colonne in
ghisa e travi in “ferro” a sezione a ‘T’, mentre nel Cotonificio Philip & Lee (1801), a Salford,
presso Manchester, realizzato dalla ditta di ingegneria meccanica Boulton & Watt, comparvero
per la prima volta travi in ghisa con sezione a doppio ‘T’ alte 33 cm lunghe 2,70 metri, che
insieme ai pilastri a sezione circolare cava di 9 pollici di diametro formavano la prima struttura ad
intelaiatura ortogonale interamente metallica per un edificio di notevoli dimensioni — 140 piedi di
lunghezza per 42 di larghezza e 7 piani di altezza —, con pavimenti su volte sottili in cotto e
pareti perimetrali di contenimento in muratura, con un guadagno notevole in luce e superficie
utile26.

24
«Il principio del motore unico (fosse la ruota idraulica o la macchina a vapore) che azionava le macchine presupponeva, ad esempio, una serie di
collegamenti verticali e orizzontali che comunicasse il moto ad ogni punto della fabbrica, trasformandola in un volume determinato dall’incrocio
ortogonale delle trasmissioni, un volume uniformemente animato, quasi “un organismo vero e proprio — come scriveva Edward Baines — [...] in
cui le singole operazioni potessero venire sempre più compiute automaticamente mediante macchine messe in moto da una forza motrice comune
esterna ad esse”». (O.SELVAFOLTA, op.cit., 1982, p.181)

Il prototipo della fabbrica ottocentesca, concentrata principalmente sul dato funzionale, fu il Setificio a Derby (1718)
dell’imprenditore John Lombe. Dotato di una ruota idraulica di cinque metri di diametro, esso si sviluppava in altezza per
cinque piani, era lungo 33 metri e largo 12, ed era costruito in pietra locale con intelaiatura portante a travi e pilastri lignei.

25
Esemplare è il caso Pullman, comunità alla periferia di Chicago attiva a partire dal 1880 nella produzione di vagoni-letto
ferroviari. Poiché il progetto dello stabilimento, unitamente a quello delle abitazioni operaie e dei servizi collettivi, avrebbe
dovuto trasmettere un’immagine aziendale positiva (efficienza, modernità, razionalità e pulizia) degna della miglior campagna
auto-pubblicitaria, fu affidato a due architetti, Solon Beman e Nathan Barret, assolutamente inesperti di edifici industriali, ma
professionisti capaci nel campo delle ristrutturazioni e delle sistemazioni paesaggistiche. Dunque, pur nella caratteristica
essenzialità, la fabbrica si avviava a diventare un luogo da visitare ed ammirare, dimentico del degrado e della pericolosità che
aveva caratterizzato le prime realizzazioni.

26
«Le strutture in legno delle prime fabbriche con i loro tralicci, sostegni ed architravi, la scansione dello spazio interno per il contenimento dei
macchinari sempre più ingombranti si trovavano già in numerose strutture agricole : dalle Barns di ampie proporzioni atte a contenere
animali, attrezzi e foraggio, alle unità produttive rurali per la lavorazione e trasformazione di alimenti».
(O.SELVAFOLTA, op.cit., 1982, p.179)

Ad onor del vero, il Cotonificio Philip & Lee fu anticipata da altri edifici che, però, non adottarono ab origine un sistema
strutturale totalmente metallico. Ne sono d’esempio : la Filanda vicina a Manchester (1783), i Cotonifici di Milford e Belper
(1778-1786), e la Filanda (1792) presso Derby, a sei piani, dello strutturalista e meccanico William Strutt erano caratterizzate
da colonne in ghisa che sostenevano travi in legno protetto da più strati di intonaco che, a loro volta, portavano sottili volte di

Arch. G.Salomoni 12
DALLA CARPENTERIA METALLICA ALLE STRUTTURE RETICOLARI SPAZIALI
Excursus storici attraverso l’evoluzione di un genere architettonico

Uno dei primi utilizzi di strutture reticolari per la copertura di ampie luci fu la cupola emisferica
della Halle aux Blés, a Parigi, progettata con un diametro di 40 metri dall’architetto François-
J.Bélangère e dall’ingegnere Brunet nel 1806 e realizzata entro il 1811, in sostituzione di quella
preesistente distrutta da un incendio, laddove sorgeranno, tra il ‘51 e il ‘59, le Grandes Halles
Centrales di Victor Baltard e Felix Callet 27. In essa troviamo riattualizzata la carpenteria lignea
detta “alla Philippe Delorme”, inventata dallo stesso Delorme nel XVI secolo e utilizzata nella
precedente cupola della Halle (1783) degli architetti Legrand e Molinos.
Per la prima metà dell’800, a questa struttura se ne potrebbero affiancare numerose altre, tra cui il
tipico tetto in “ferro” a spioventi (1821 ca.) per attici di stabilimenti attribuito a J.B.Papworth e
la “capriata Polonçeau”, inventata da C.Polonçeau nel 1837 per la copertura di un hangar della
ferrovia Parigi-Versailles — leggera e pratica ma d’esecuzione delicata e dalle articolazioni fragili
—, e usata anche nella Halle (1845-1847) della Gare du Nord I a Parigi da Francois-L.Reynaud.
Soluzioni strutturali speciali legate per lo più ad infrastrutture ferroviarie, mercati coperti, edifici
industriali e per lo spettacolo, caratterizzate da un comportamento statico di tipo misto,
intermedio tra quello della struttura “ intelaiata” e quello della struttura “reticolare”, dove
l’eventuale tridimensionalità delle unità modulari era legata alle forme curve e non alla spazialità
dei reticoli. La loro prima comparsa in Francia soltanto nei primi decenni dell’800 è, certo, da
collegarsi ai fattori materiali che abbiamo descritto in apertura di paragrafo, ma anche alla
diffusione dell’unico Sistema Metrico Decimale28, introdotto dalla Rivoluzione, che facilita la
diffusione delle conoscenze, all’assimilazione delle regole della geometria descrittiva formulate da
Gaspard Monge nelle Leçons de géométrie descriptive (1794) e nel testo Géometrie descriptive
(1799), che permettono il totale controllo grafico del progetto, alla pubblicazione del Traité
élementaire de statique (1786) di G.Monge e, più tardi, delle Leçons sur l’application de la
mécanique (1826) di Louis-Marie H.Navier, considerato il fondatore della moderna scienza delle
costruzioni determinante nella tecnica delle costruzioni. La successiva diffusione troverà
giustificazione scientifica nel testo A Work Upon Bridge Building (1847) di S.Whipple, nel quale
si approfondisce lo studio degli sforzi sulle travi reticolari.
Tra il 1818 e il 1821, l’architetto John Nash usò colonne e carpenteria in ghisa per realizzare il

mattone (ispirate al Roussillon o alla volta catalana). In tutti i casi, l’irrigidimento era assicurato dall’involucro estern o in
muratura e da tiranti in ferro che bloccavano gli scorrimenti laterali della gabbia strutturale.

27
Ampliate tra il 1860 e il 1866.

28
La confusione generata dai molti dei sistemi di misura in uso in Francia indusse l’Assemblea Costituente della Rivoluzione
francese ad incaricare due commissioni di determinare sia l’esatta misura di quella che avrebbe dovuto essere l’unità di
lunghezza fondamentale, ossia la quarantamilionesima parte del meridiano terrestre, sia le regole per ricavarne le unità
multiple e sottomultiple della fondamentale. Nel 1795 una commissione stabilì il sistema del metro, del metro quadrato, del

Arch. G.Salomoni 13
I.1 Verso un’architettura di “ferro”.

Padiglione Reale, a Brighton, sancendo l’ingresso della ghisa negli spazi monumentali di
rappresentanza29. A questo padiglione, nel quale il materiale veniva usato con funzione non
esclusivamente statica, ma anche ornamentale, s’accompagnano e seguono un gran numero di
altre esperienze in cui ferro e ghisa vengono usate in associazione col vetro, anch’esso prodotto
industrialmente e su larga scala soltanto a partire dalla seconda metà del ‘700 30. L’associazione di

metro cubo e del chilogrammo, con multipli e sottomultipli a base 10. Nel 1799 la seconda commissione stabilì la lunghezza
del metro e ne realizzo un esemplare in platino-iridio.
29
Anche in questo caso, possiamo intravedere degli antecedenti nelle tra chiese (1813-1818) in stile gotico, a Liverpool, di
Jhon Cragg, padrone della fonderia Mersey, e dell’architetto Thomas Rickman. In esse le colonne, i portici, l’orditura del te tto,
e le decorazioni delle finestre erano in ghisa. «Cragg brevettò questo sistema di fabbricazione, col tetto e le pareti in piastre di
color ardesia inserite fra le modanature esterne e interne, con un metodo simile a quello odierno dell’incastro di lastre di vetro
entro profili metallici. I lastroni di metallo erano ricoperti di polvere di marmo per renderli più simili alla muratura in pietra
tagliata ; ma le colonne erano troppo esili, gli archi troppo angusti e le pareti troppo sottili per essere scambiati con l’autentica
muratura “gotica”» (C.SINGER, et alii, op,cit., vol.V, p.480).

30
Sebbene sia fuori luogo occuparsi in questa sede della storia del vetro, da essa estrarremo alcuni passaggi fondamentali
necessari a fare un minimo quanto opportuno parallelo con l’architettura in metallo, con cui ha stretto un forte connubio dai
tempi di Wright, della “Catena di Vetro”, di Mies Van der Rohe, Walter Gropius, Alvar Aalto.

Alcuni oggetti ricoperti di pasta vitrea opaca (“vetrina”) si fanno risalire al IV-III millennio a.C. e provengono dalla
Mesopotamia e dall’Egitto. In particolare in Egitto, si manifesta una vera e propria industria del vetro colorato con ossidi
metallici, dal Nuovo Impero fino al periodo tolemaico, grazie alla disponibilità di minerale.
La tecnica di fabbricazione di piccoli oggetti si diffuse in tutto il bacino mediterraneo, per mezzo dei traffici commerciali prima
dei Fenici, cui la leggenda attribuisce il merito dell’invenzione occidentale del vetro, e poi dei Greci.
Nella penisola italica, uno dei centri di importazione più importanti era l’Etruria nelle cui tombe (databili fra il VII e il V
secolo a.C.) sono stati rinvenuti balsamari molto simili a quelli egizi. D’altra parte la tecnica matura del vetro soffiato d iverrà
nota in quest’area soltanto dopo l’occupazione romana dell’Egitto (I secolo a.C.) e della Palestina. A questa tecnica si
accompagno ben presto quella della ruota, trasferita dalla lavorazione delle terre, e della soffiatura in stampi. Sicché nell ’epoca
romana si potevano produrre contenitori di varie forme geometriche (“romane”), ma anche lastre vitree di piccole dimensioni
per finestre e volte.
La produzione di oggetti continuò, con le tecniche conosciute, anche nell’era cristiana (fino al IX secolo), tanto per oggett i di
arredo, che per l’edilizia, e, in oriente, per la fabbricazione delle tessere per i mosaici, che, integrandosi con l’edificio,
andavano determinando nuove e diverse spazialità.
Dopo la caduta dell’impero romano e un periodo di relativo abbandono, durante il quale venne inventato solo un nuovo
procedimento di produzione del vetro piano (500-600 d.C.) — per soffiatura in sfera e allargamento per rotazione in forno —,
il Mille vide il rifiorire della produzione del vetro in tutto l’Occidente, con la scoperta di nuove tecniche realizzative.
Nel XII secolo il così detto monaco Teofilo descrive il procedimento di fabbricazione delle lastre piane per taglio, stesura e
ricottura di cilindri prodotti per azione simultanea del soffiatura e della forza di gravità, procedimento s eguito fino all’epoca
moderna. Risale alla stessa epoca l’introduzione della produzione del vetro a Venezia, che, per sicurezza contro gli incendi e
protezione dei segreti di fabbrica, decise (1291) di concentrare i forni nell’isola di Murano. Qui la prod uzione riguardò tanto il
“vetro d’arte”, quanto quello d’uso comune ed edilizio.
Nel XV secolo la produzione vetraria iniziò a svilupparsi anche in Germania e in Boemia, dove raggiunse elevati livelli
qualitativi grazie a materie prime purissime e del carbonato di potassio in luogo del carbonato di sodio.
Nel frattempo, in Francia, dove fra l’altro l’esercizio dell’arte di vetraio non costituiva deroga alla nobiltà, Filippo Coqu erai
ideò il processo detto “della corona” mediante il quale venivano prodotte lastre di modeste dimensioni, molto spesse, colorate
in pasta, che, montate a piombo, venivano usate per le vetrate delle cattedrali.

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DALLA CARPENTERIA METALLICA ALLE STRUTTURE RETICOLARI SPAZIALI
Excursus storici attraverso l’evoluzione di un genere architettonico

questi tre materiali genererà il gusto per un’architettura caratterizzata da leggerezza, trasparenza e
immaterialità adatti ad assecondare la necessità di il rapporto con l’ambiente naturale promosso
dal movimento romantico inglese.
Nel 1818 John Claudius Loudon costruisce vicino alla sua Casa, a Bayswater, una serra con
struttura in ghisa. Non solo questa soluzione finirà per influenzare le composizioni architettoniche
degli architetti paesaggisti inglesi, ma sarà di insegnamento anche per l’amico Josef Paxton, che
nel Cristal Palace impiegherà le soluzioni tecniche inventate da Loudon per realizzare tetti
ondulati in telaio metallico, legno naturale e stratificato incollato, e vetro — il sistema divenne
noto col nome di “ridge-and-furrow” (a ‘V’ rovesciata).
Altrettanto avverrà in Francia dal 1833 data di ultimazione della Serres du Museum d’Histoire
Naturelle, del Jardin des Plantes agli Champs Elysées di Parigi, progettata da Charles Rouhault de
Fleury in ghisa senza mascheramenti con una portata di 15 metri. Essa costituirà il prototipo di
tutte le successive serre di grandi dimensioni a struttura metallica ed ampie vetrate come la Great
Stove (1836-1840), a Chatsworth, di Joseph Paxton, o la Palm Stove (1844-1848), a Kew
Gardens, Surrey, di Decimus Burton e Richard Turner.
Degni di nota, perché anticipatori ora delle gallerie pubbliche ottocentesche ora delle più note
Grandes Halles (1851-1859) di Parigi o del Mercato Coperto (1865-1868) di Berlino31, sono la

Sul finire del XVII secolo, quasi tutte le industrie del settore accrebbero la loro produzione in virtù del miglioramento della
loro organizzazione interna e dell’aumento della manodopera. L’unica officina che, sotto la protezione reale (dal 1665),
introdusse un importante innovamento tecnico al processo produttivo e la Saint-Gobain, che adottò (1688) il metodo di Lucas
De Nehou — per la colata e laminazione del vetro per soffiatura di cilindri —, con cui era possibile ottenere lastre di vetro di
grandezza sino ad allora sconosciuta (200x125 cm), seguito nel ‘700 dalla produzione di lastre da vetro colato su tavolo, st eso
a rullo e quindi lucidato in superficie.
Se nei secoli XVI e XVII i maestri lorenesi e veneziani diffusero la produzione del vetro in Inghilterra e, nel ‘770, in Belgio,
sarà con la Rivoluzione Industriale che l’industria del vetro avrà grandissimo sviluppo e diffusione, orientandosi decisamente
verso la produzione di lastre per finestre, che fino alla seconda metà del XVIII secolo erano ancora considerate soluzioni di
lusso (la prassi prevedeva la più economica carta oleata), e per superfici vetrate mega-strutturali, ovvero rispondendo alla
domanda di nuovi oggetti quali bottiglie, tubi, lampadine, isolatori, fiale, e, più tardi, componenti per l’industria
automobilistica, elettronica e televisiva, edile (microclimatica).
Dall’inizio del XX secolo sino alla seconda guerra mondiale si diffonderà la produzione meccanica di cilindri in vetro — di un
metro di diametro e dodici di altezza — per lastre fino a 3x12 metri di ampiezza, cui si affiancheranno la fabbricazione di vetro
tirato secondo il procedimento Fourcault (1913) o secondo il procedimento Libbey-Owens (1916), con forti spessori e buona
ricottura, la fabbricazione di lastre di vetro fuso per laminazione in forno (1920), la fabbricazione di vetro tirato second o il
procedimento Pittsburgh (1925), con riduzione dei difetti ottici, e la fabbricazione di fibre di vetro (1936).
Nel secondo dopoguerra si fanno i primi esperimenti sul “Float Glass” — composto da prodotti minerali (sabbia, calcare,
dolomite, feldspato) e prodotti chimici (carbonato e solfato di sodio, ossido di ferro, allumina) —, secondo il metodo Pilkington
(1959), che verrà adottato dalla Saint Gobain Italia (Pisa) tra il ’64 e il ’65.

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Questo edificio a sei navate (per una superficie complessiva di 5300 metri quadrati), dotato di acqua corrente, impianti
igienici e illuminazione a gas, venne trasformato in un circo nel 1874, e ristrutturato da Hans Poelzig per farne il Teatro Max
Reinhardt (1919). Infine, venne distrutto nel 1938 dai lavoratori del Deutsche Arbeitsfront per installare nell’ar ea un
“Führerloge”.

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I.1 Verso un’architettura di “ferro”.

Galerie d’Orléans (1829) del Palais Royal di Parigi, di Charles Percier e P.F.L.Fontaine, e gli
edifici che formavano il Mercato Coperto della Madeleine (1824), a Parigi, insieme a quelli del
Mercato del Pesce di Hungerford (1835), a Londra, edifici destinati a servire innanzitutto allo
scopo di accogliere grandi quantità di merci, offrire un facile e chiaro colpo d’occhio sugli articoli,
sbrigare attività commerciali cui partecipano numerosi pedoni e facilitarne gli spostamenti.
Assolvendo alla loro funzione, l’uno è tra i primi tentativi di combinare eleganza ed economia dei
materiali a produrre una leggerezza della costruzione non è turbata da alcuna aggiunta puramente
decorativa ; l’altro è particolarmente notevole per i trentadue piedi di luce della copertura a falde
pressoché piane, leggermente inclinate in modo da far defluire la pioggia attraverso le colonne
cave.
Da quando, nel 1830, fu inaugurata la prima linea ferroviaria Liverpool-Manchester, la
costruzione di ferrovie anche ad uso civile continuò a ritmo rapido fino alla prima guerra mondiale
ed oltre. All’avanguardia nel processo furono Inghilterra e Stati Uniti, seguiti dai paesi
dell’Europa occidentale e, verso la fine del secolo, dalle colonie europee negli altri continenti.
Questo fenomeno orientò un crescente interesse sull’evoluzione delle stazioni ferroviarie.
Inizialmente furono abbastanza modeste, ma già nel 1840, con la Tettoia32 della stazione di Bristol
di Ismard K.Brunel, entrarono a far parte del campo di sperimentazione delle nuove e più audaci
tecniche costruttive33.

Nonostante queste applicazioni di interesse storico e tecnico, fino alla metà dell’800 l’uso del
“ferro” sarà dovuto più a necessità contingenti per realtà funzionali particolari d’ambito
ingegneristico, o ad amore della novità, che alla ricerca di espressioni progettuali caratteristiche di
un nuovo genere architettonico autonomo e con una propria dignità.
La ragione della difficile introduzione dei nuovi materiali risiedette nella tradizionale tendenza
conservatrice dell’architettura unita alla fedeltà caparbia ai sistemi formali e normativi della
tradizione accademica neoclassica, incompatibili con la spoglia, scheletrica ed impersonale qualità
estetica propria del “ferro”, l’inconsistenza del vetro, e, tutto sommato, l’apparente mancanza di
materialità e solidità degli edifici derivanti dal loro impiego. Il gusto e l’estetica della leggerezza
insieme con la scomposizione dell’insieme in unità di base specializzate collegate gerarchicamente

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La copertura — 22 metri di luce —, che appariva ad “hammer-beam” del tipo di quella della Westminster Hall (1838) —
cioè con sostegni intermedi dei puntoni, appoggiati su mensole, sporgenti all’interno di un muro perimetrale —, consisteva in
realtà di una struttura ad arco con tiranti.

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Meritano di essere ricordate : la Stazione Euston (1839), le cui travi reticolari — in origine lunghe solo 12 metri — di
“ferro” erano sostenute da travi maestre e da colonne in ghisa, e la Stazione Lime Street (1846-1849) , a Liverpool, con una
capriata reticolare a forma di falce con una luce di 46 metri — soluzione che verrà sviluppata ad una luce di 64,5 metri nel
tetto della Stazione New Street (1854), a Birmingham.

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Excursus storici attraverso l’evoluzione di un genere architettonico

secondo una logica meccanica, presupponevano il radicale superamento dell’ideale monumentale,


fondamento essenziale della sensibilità storicista, spingendo in maniera troppo repentina verso una
nuova anti-monumentalità, un relativismo formale, iconografico e significativo, e una scientificità
costruttiva tipicamente positivista estranee alla cultura architettonica contemporanea. La
resistenza al nuovo materiale architettonico da parte dei più numerosi e diversi conservatori,
intrecciata alle dispute fra ingegneri ed architetti34, più forti in Francia che in Inghilterra, ebbe
come risultato che soltanto in virtù di poche espressioni del revival neo-gotico e dell’influente
avvallo sub condicione di Viollet-le-Duc35, oggi, si possa dire che il “ferro” sia entrato a far parte
del codice strutturale e formale neoclassico, essendosi piegato però ad un ornamentalismo
dissimulante.

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La propensione storicistica degli architetti ha l’aspetto di una fuga in forme costruttive nelle quali i metodi di calcolo sempre
più raffinati della statica analitica e della scienza delle costruzioni — di cui erano pressoché totalmente digiuni — non erano
necessari, e di una posizione protezionistica nei confronti di dell’affermazione della figura dell’ingegnere come professionista
concorrente, dotato di una formazione tecnica più aggiornata e di una creatività pragmatica non prevenuta.

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«Nel campo dell’architettura, Viollet-le-Duc si interessa soprattutto al problema della costruzione, e tende a dimostrare come la buona
architettura sia l’espressione appropriata dei principi strutturali.
[...] Le-Duc è tra i primi ad accettare l’idea che i nuovi materiali, specialmente il ferro, debbano svolgere un ruolo essenziale nella nuova
architettura e si dimostra disposto a usare il ferro per le finestre della Madeleine di Vézelay nel 1845, come già aveva fatto Lassus per Saint-
Germain-l’Auxerrois. Peraltro nel 1850, in un rapporto alla Commission des Monuments Historiques sulla ridicola guglia in ghisa introdotta
nel 1824 da J.A.Alavoine (1778-1834) nella Cattedrale di Rouen, egli respinge fermamente — nello stesso modo di Pugin — la proposta di
impiegare il ferro per riprodurre forme e ornamenti concepiti in circostanze storiche diverse. Rifiuta categoricamente la squallida immagine
di un Gotico in ghisa». (R.MIDDLETON - D.WATKIN, op.cit., pp.362-365)

«Abbiamo sotto mano un materiale prezioso quando si tratta di costruzioni, e in particolare di muratura, e cioè il ferro, sia colato, sia forgiato.
[...] Il problema è perfezionare il sistema d’equilibrio consentito dai maestri del medioevo, con l’aiuto del ferro, ma tenendo conto delle
qualità di questo materiale, ed evitando un accoppiamento troppo intimo della muratura e del metallo ; poiché questo ultimo diverrebbe non
solo una causa di deterioramento della pietra, ma si altererebbe velocemente se non è lasciato libero... Ora il ferro è chiamato a sostenere un
ruolo più importante nei nostri fabbricati.
[...] Impadroniamoci francamente dei mezzi forniti dal nostro tempo, applichiamoli senza fare intervenire le tradizioni oggi non più vitali, e
soltanto allora potremoinaugurare una nuova architettura.
[...] Se il ferro è destinato a prndere un posto importante nelle nostre costruzioni, studiamo le sue proprietà è utilizziamole francamente, con
quel rigore di giudizio che i maestri di tutti i tempi hanno messo nelle loro opere...
Il ferro permette degli ardimenti davanti ai quali sembra che noi indietreggiamo. Sembrerebbe che non ci si fidi che a metà delle proprietà di
questo materiale ; non lo si impiega che come mezzo in più o con riserva ; così, invece di ottenere delle economie, si finisce spesso a spendere
di più.
[...] Dal momento in cui il pubblico vede apparire il ferro in un monumento, come mezzo principale di struttura è anzitutto portato a
paragonare questa struttura a quelle impiegate nelle stazioni ferrovierie, nei mercati o nelle officine. È forse nascondendo questi materiali,
come molti di noi hanno tentato di fare, che si deve evitare questa critica ? Io non lo penso, ma ritengo al contrario che si debba riconoscere
francamente la vera funzione propria di questo materiale...». (E.VIOLLET-LE-DUC, Entretiens sur l’Architecture, Parigi, 1863)

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