“Corrosione e protezione
dei materiali”
Fig.1: Corrosione atmosferica di profilati di acciaio dopo circa 60 anni di esposizione in atmosfera marina.
Il primo si riferisce alla corrosione atmosferica di profilati di acciaio tipo IPE utilizzati dagli
inglesi nel 1939 nel golfo di Bristol per la costruzione di fortificazioni di batterie di artiglieria,
messe a difesa delle coste britanniche da prevedibili attacchi della marina tedesca. Si tratta di una
corrosione lenta nel tempo (la foto è stata ripresa dopo circa 60 anni) che mostra una pesante
distruzione del manufatto con perdita notevole di ferro tanto che in alcuni punti la trave risulta
perforata. Si tratta della tipica corrosione atmosferica, in questo caso aggravata dalla particolare
aggressività per la presenza di ioni cloruro dovuta alla vicinanza del mare.
Fig. 2: Collasso del controsoffitto della piscina di Zurigo avvenuto nel 1985 per cedimento causato da “stress
corrosion” dei tiranti di acciaio inossidabile AISI 304 che lo fissavano al tetto. A sinistra particolare di due
tiranti collassati; a destra visione d’insieme.
- Il secondo riguarda il collasso istantaneo del controsoffitto in calcestruzzo armato del peso
di 200 tonnellate della piscina di Zurigo avvenuto nel 1995 e costruito 13 anni prima. Il crollo causò
la morte di 12 persone e il ferimento di molte altre.
Il controsoffitto era appeso al tetto con tiranti di acciaio inossidabile AISI 304 ed il crollo è
avvenuto per corrosione sotto sforzo dei tiranti che si è prodotta là dove questi fuoriuscivano dal
calcestruzzo. L’analisi dei tiranti non ha mostrato perdite significative di materiale dovute a
corrosione, ma la presenza di molte cricche ramificate all’interno delle quali si evidenziava la
presenza di cloruri. Per spiegare la presenza di cloruri è necessario precisare che la piscina veniva
riservata per tre giorni alla settimana a portatori di handicap ed in tali occasioni la temperatura
dell’acqua veniva mantenuta a 37°C; per il resto della settimana era invece riportata a 27°C.
Nei giorni in cui l’acqua era a temperatura più alta si produceva una forte evaporazione di cloro
(Cl2) utilizzato per disinfettare la piscina che poi condensava sulla superficie dei tiranti e si
accumulava alla loro base, a contatto appunto con il calcestruzzo dove dismutava dando origine a
ioni cloruro e ipoclorito. E lì il cedimento catastrofico si è verificato in un giorno in cui la piscina
era aperta ai portatori di handicap.
Le perplessità di Plinio di 2000 anni fà nei confronti della corrosione oggi non hanno più
ragione di esistere, tuttavia rimangono sempre di attuale importanza alcuni aspetti come quello
economico e quello scientifico che sono strettamente legati alla prevenzione ed alla protezione.
1
Le ricerche intraprese in seguito portarono alla messa a punto, da parte dell'Associazione Britannica di Ricerca sui
Materiali non Ferrosi, dell'ottone ammiragliato (76 Cu, 22 Zn, 2 Al, 0.02-0.06 As %) che fu brevettato nel 1927 ed è
rimasto da allora un materiale standard per i tubi degli scambiatori di calore.
NEL TEMPO CHE VOI IMPIEGATE A LEGGERE QUESTO AVVISO, 760 Kg DI FERRO
HANNO INIZIATO E FINITO DI CORRODERSI.
tanto per far rendere conto al pubblico l’aspetto quantitativo del fenomeno corrosione
Oggi, stime negli USA sui costi annuali della corrosione parlano di 30 miliardi di dollari
derivanti da:
- corrosione delle armature delle solette dei ponti stradali imputabili principalmente allo
spargimento di sali disgelanti;
- corrosione e protezione degli impianti di produzione e trasporto di gas e combustibili;
- corrosione di strutture marine o in ambiente marino;
- corrosione in ambiente industriale aggressivo;
- problemi di corrosione su impianti di uso comune quali condutture di acciaio, acciaio zincato o di
rame usate per il trasporto e la distribuzione dell'acqua potabile;
- perforazione di tubi di scambiatori di calore e di boiler per l’accumulo di acqua calda;
- distruzione prematura della carrozzeria delle automobili.
Sebbene i dati riportati per gli Stati Uniti non sono direttamente trasportabili alla situazione
italiana, sono comunque molto utili per trovare indicazioni di massima sugli effetti della corrosione
nell'economia del nostro paese.
Infatti, se si ipotizza che anche nel nostro paese, come negli USA, il danno complessivo della
corrosione si aggira intorno al 4% del PIL (Prodotto Interno Lordo), il fenomeno comporterebbe in
Italia un costo annuo di circa 16 miliardi di Euro.
Il calcolo fatto si riferisce solo al costo dei danni diretti e non sono comprese le perdite
indirette, difficilmente valutabili e spesso molto più onerose. I danni indiretti infatti sono quelli che
colpiscono l'economia aziendale; essi comprendono ad esempio i danni di perdita dei prodotti
attraverso condutture ed apparecchiature corrose, perdite che, qualora i prodotti siano inquinanti per
l'ambiente, causano danni ben più gravi che la semplice perdita del prodotto. Danni indiretti sono
pure quelli derivanti ad esempio dalla caduta di rendimento di apparecchiature causata
dall'accumulo di prodotti di corrosione che fanno aumentare le perdite di carico fino a condurre
all'arresto dell'impianto. In tal caso il danno per la mancata produzione può raggiungere cifre
considerevoli anche se il danno diretto ammonta a valori modesti.
Danni indiretti di cui effettivamente il costo è incalcolabile sono quelli che provocano la perdita
di vite umane, per esempio in seguito a scoppi, perdita di sostanze tossiche radioattive o cedimenti
improvvisi come nel caso del disastro della piscina in Svizzera già citato.
Proprio per queste ultime considerazioni, l'importanza economica della corrosione è aumentata
considerevolmente negli ultimi anni, non solo come danni causati, ma anche come investimenti per
realizzare opere con gradi di affidabilità sempre maggiori per il rispetto delle norme prudenziali ed
anticorrosive. Naturalmente tali norme non debbono andare più in là del ragionevole, in modo da non
impegnare fondi di investimento astronomici e da non compromettere l'economicità del processo di
produzione: la costruzione di una batteria di scambiatori di calore in oro, invece che in acciaio,
risolverebbe il problema della corrosione, ma non sarebbe economicamente accettabile, per cui è
sempre necessario scegliere un compromesso tra il costo delle misure di anticorrosione e la loro
efficacia.
Fig. 3a: Analogia meccanica per la Fig. 3b: Effetto del profilo energetico sulla cinetica di
variazione dell’energia libera reazione
Se la sfera passa dalla posizione 1 alla posizione 2 spontaneamente a causa della gravità, si ha una
diminuzione di energia potenziale (energia libera nel caso di una trasformazione chimica). Il
passaggio inverso dalla posizione 2 alla posizione 1 non è una transizione spontanea, ma richiede
l’apporto di energia dall’esterno. La variazione di energia potenziale per un sistema meccanico, così
come la variazione di energia libera nel caso di una reazione chimica, non dipende dal percorso
compiuto dal sistema, ma soltanto dallo stato iniziale e finale del sistema stesso. Quindi facendo
riferimento alla Fig 3b, sia che il percorso della sfera è quello indicato con A che quello indicato
con B, la variazione di energia è esattamente la stessa. E’ evidente comunque che il passaggio lungo
il percorso B potrebbe essere più lento rispetto a quello lungo il percorso A
2
Un esempio: grazie alla termodinamica chimica il tedesco Haber escogitò nel 1913 una tecnica di fabbricazione
dell'ammoniaca sintetica che permise alla Germania di produrre acido nitrico ed esplosivi senza ricorrere ai nitrati del
Cile, e ne fece, nel 1914, l'uso che conosciamo.
Le reazioni chimiche e di corrosione avvengono nella stessa maniera. Non è possibile stabilire
in precedenza la velocità della reazione dalla variazione di energia libera; questi parametri si
riflettono, in maniera significativa, solo sul verso della reazione ed ogni previsione della velocità
basata sull’ampiezza della variazione di energia libera potrebbe essere errata come illustrato
appunto dalla Fig 3b.
L'affermazione che solo l'oro non ha tendenza a reagire spontaneamente in un ambiente
naturale per dare prodotti di corrosione, al contrario di tutti gli altri metalli, compresi quelli nobili,
la si può dedurre prendendo in considerazione alcune reazioni a 25 °C e ad 1 atm. (per poter
utilizzare i valori tabulati di G°):
Risulta ora più chiaro il perché la corrosione venga considerata come un ritorno alla natura dei
metalli; questi infatti vengono progressivamente distrutti dall'azione dell'acqua, dell'aria ed
eventuali altri reagenti e corrodendosi si trasformano in sostanze simili ai minerali da cui essi sono
stati estratti: ossidi, carbonati, solfuri, solfati, etc. Il ferro si trasforma in ruggine assomigliante alla
limonite che è un miscuglio di ossidi idrati e ossidi basici di ferro, mentre il rame, in atmosfera
industriale, si ricopre di una patina verde simile alla brocantite che è un solfato di rame basico.
Uno dei commentatori del convegno sulla corrosione, organizzato dalla Shell al quale si è
fatto riferimento in precedenza, ha visto in ciò un'applicazione del versetto della Bibbia: "...fino a
che tornerai alla terra perché da essa sei stato tratto, polvere tu sei e polvere tornerai" (Genesi
3:19), che non è altro che un’ espressione poco scientifica, ma molto veritiera, del secondo principio
della termodinamica.
Sfortunatamente l'aiuto che la termodinamica chimica può portare allo studio della corrosione
dei metalli in soluzioni acquose è estremamente scarso ed insufficiente. Per esempio per ciò che
riguarda la trasformazione del ferro in idrossido ferrico, in presenza di ossigeno, secondo la
reazione:
vale a dire, che la trasformazione del ferro in idrossido ferrico, tenderà a prodursi fino a che la
pressione parziale dell'ossigeno nell'atmosfera sia diventata praticamente nulla. Questa
affermazione però contrasta fortemente con l'esperienza per almeno due motivi:
- il primo è che talvolta l'ossigeno, al contrario di quanto ci si aspetta, può impedire la corrosione
del ferro;
- il secondo è che il ferro esiste, tanto che si utilizza, così come l'ossigeno esiste e ce ne serviamo
per vivere.
Le cause principali dell'insuccesso nell'impiego della termodinamica chimica per lo studio
della corrosione risiede nel fatto che i fenomeni di corrosione dei metalli in soluzioni acquose non
sono unicamente chimici, ma soprattutto elettrochimici, per cui occorre anche fare appello alla
termodinamica elettrochimica dove si tiene conto anche dei potenziali elettronici.3
Termodinamica elettrochimica
Concetto di elettrodo
L’espressione che definiva l’elettrodo come un conduttore metallico che trasportava la
corrente elettrica attraverso una soluzione non è sufficientemente precisa. Essa ignora il
meccanismo che avviene all’interfaccia metallo soluzione e conseguentemente è poco utile a un
“corrosion engineering” Per introdurre il moderno concetto di elettrodo, devono essere presi in
considerazione i fenomeni che avvengono all’interfaccia metallo/soluzione in seguito alla loro
reciproca interazione chimico-fisica.
L’elettrodo quindi viene definito come l’interfaccia tra metallo e soluzione attraverso la
quale avviene un passaggio di carica elettrica tramite l’evolversi di una o più reazioni
elettrochimiche. Non è possibile infatti alcun passaggio di corrente elettrica tra un conduttore di
prima specie (conduttore elettronico) e un conduttore di seconda specie (conduttore ionico) se non
tramite lo sviluppo di una reazione elettrochimica all’interfaccia tra i due tipi di conduttore.
ox
Cu Cu++ + 2e- (7)
red
Questo meccanismo della formazione del doppio strato risulta un semplice e utile approccio alla
moderna interpretazione degli elettrodi e dei loro processi compresi i processi di corrosione.4
3
A tal proposito U.R. Evans (uno dei maggiori studiosi dei fenomeni di corrosione) così si esprimeva: "coloro che hanno
voluto applicare la termodinamica chimica allo studio dei fenomeni di corrosione si sono trovati nelle sabbie mobili: la
base dei loro studi era reale, ma insufficiente, ed il ricercatore vi è approdato senza poter proseguire".
Fig. 4: Elettrodo metallico con rappresentazione schematica del doppio strato elettrico
Q=CV (8)
4
Deve essere sottolineato, comunque, che modelli più complessi di doppio strato sono trattati nell’elettrochimica
avanzata e che la separazione di carica può anche risultare dall’adsorbimento di ioni dall’elettrolita o dall’adsorbimento di
gas.
5
La quantità di metallo che passa in soluzione come ione è straordinariamente piccola, perché il metallo, che diventa
progressivamente più negativo, manda in soluzione ioni positivi con sempre maggiore difficoltà; essa non è determinabile
con i metodi analitici convenzionali, anche se dà luogo a sensibili differenze di potenziale. Il doppio strato elettrico
infatti, è assimilabile approssimativamente a un condensatore la cui capacità (C), misurabile sperimentalmente, è
dell’ordine di qualche µF cm-2. Per una differenza di potenziale (V) elettrodo/soluzione di circa 1 volt (è questo l’ordine
di grandezza dei potenziali elettrodici), la carica (Q) del condensatore è dell’ordine di 10-6 coulomb cm-2. Dato che a un
equivalente di ioni è associata una quantità di elettricità di 96490 coulomb, alla quantità di 10-6 coulomb corrispondono
circa 10-11 equivalenti, cioè qualche milionesimo di milligrammo di metallo.
Si noti che il campo elettrico all’interfase metallo/soluzione è elevatissimo: infatti lo spessore del doppio strato è
dell’ordine dell’Å (10-8 cm), il potenziale dell’ordine del volt, e il campo elettrico, quindi dell’ordine di 108 V cm-1
Se il metallo è immerso in acqua pura, l’equilibrio (7) è continuamente turbato dalle
incontrollate azioni diffusive e convettive esistenti in seno al liquido; si stabilizza invece
rapidamente se il metallo è immerso in una soluzione, anche diluita, contenente ioni del metallo
stesso; in tal caso infatti gli ioni Cu++ che per diffusione o convezione si allontanano dall’interfaccia
metallo/soluzione, vengono rimpiazzati da altri ioni Cu++ presenti nella soluzione, e l’equilibrio si
mantiene praticamente inalterato e il potenziale resta costante.
L’analogia elettrica
Il doppio strato elettrico è caratterizzato da due strati affacciati di opposte cariche, come un
capacitore, ma non può essere solo un capacitore. La corrente elettrica, infatti, può passare
attraverso l’interfaccia metallo/soluzione, sebbene c’è qualche resistenza a che ciò avvenga.
L’elettrodo può quindi essere rappresentato mediante un’analogia elettrica (Fig. 5) composta
da un capacitore Cdl in parallelo a un resistore RF chiamato Resistenza Faradaica.
Fig. 5 Circuito equivalente ad un elettrodo metallico in contatto con una soluzione elettrolitica.
In Fig. 5 RF è rappresentata da un tracciato con ampiezza decrescente per indicare che questa
non è una resistenza ohmica. L’elettrodo ha un potenziale di riposo in assenza di un passaggio di
corrente, e la variazione di potenziale che risulta dal passaggio di corrente non può essere calcolata
dalla legge lineare di Ohm (V=R I); essa segue un’altra legge che sarà discussa in seguito quando si
parlerà di sovratensione.
L’analogia elettrica (Fig. 6) può essere usata per discutere l’effetto di una piccola corrente
impressa al sistema. La presenza di un resistore induce una piccola variazione di carica, dQ, e di
conseguenza sarà osservata una piccola variazione nel potenziale, dV.
Per cui la relazione (8) diviene:
6
La quantità di ioni metallici che manda in soluzione un metallo immerso in acqua dipende dalle condizioni energetiche
più o meno favorevoli che gli ioni metallici incontrano nel passare, idratandosi, dal reticolo metallico alla soluzione. Tali
condizioni risultano dal bilancio delle energie in gioco in ciascuno dei vari steps in cui può considerarsi scisso il
passaggio in soluzione dello ione metallico: metallo Æ atomo Æ ione Æ ione solvatato. Energie corrispondenti: energia
reticolare Æ energia di ionizzazione Æ energia di idratazione.
Es.: lo zinco è un metallo che (ceteris paribus) manda in soluzione ioni Zn++ in quantità maggiore di quanto il rame non
mandi in soluzione ioni Cu++; ciò indica che il bilancio energetico è più favorevole nel caso dello zinco che nel caso del
rame e che la differenza di potenziale tra zinco e soluzione è maggiore che tra rame e soluzione e inoltre che lo zinco
metallico è sede di maggiore quantità di carica negativa rispetto al rame metallico. Ciò determina alla fine un potenziale
d’elettrodo diverso.
Nel caso in cui la concentrazione degli ioni Men+ è unitaria l’equazione (11) si riduce a E = E°. In
tal caso il potenziale è uguale al potenziale standard del semielemento Me/Men+. Tale potenziale,
come verrà illustrato nel seguito viene misurato rispetto al potenziale di un elettrodo di riferimento.
Nel caso illustrato l’elettrodo prende parte alla reazione di equilibrio; esistono tuttavia dei
semielementi in cui il metallo dell’elettrodo non prende parte alla reazione di equilibrio che ha
luogo comunque sulla sua superficie. Un semielemento di questo tipo è costituito da un elettrodo
indifferente immerso nella soluzione contenente il sistema redox; ad es. da una laminetta di platino
immersa in una soluzione contenente ioni Fe2+ e ioni Fe3+ tra i quali esiste l’equilibrio redox:
L’equilibrio, come ogni equilibrio chimico è dinamico con un trasformarsi continuo di ioni Fe3+ in
ioni Fe2+ e viceversa. La superficie della laminetta di Pt funge da supporto alla reazione (12) senza
partecipare alla reazione stessa né dal punto di vista termodinamico né dal punto di vista cinetico.
Elettrodi di questo tipo si comportano come sonde elettriche, assumono cioè il potenziale del
sistema redox presente nella soluzione in cui sono immersi.7
Nel caso citato il valore del potenziale è dato da:
7
Il platino si comporta in ogni caso da elettrodo indifferente, anche in sistemi fortemente ossidanti che teoricamente
dovrebbero essere in grado di ossidarlo: questo comportamento è dovuto al fatto che l’ossidazione del platino si arresta
non appena iniziata. Infatti la superficie del metallo sottoposto ad ossidazione si ricopre immediatamente di un velo
monomolecolare o poco più di PtO, PtO2, fortemente aderente, che blocca l’ulteriore ossidazione in profondità pur non
ostacolando il passaggio di elettroni tra il metallo e la soluzione.
Per avere misure di potenziale redox ben riproducibili con elettrodi di Pt, questi, prima di essere impiegati, vengono
assoggettati a delicati trattamenti ossidativi che garantiscono la formazione di uno strato di ossido omogeneo, ben
aderente e a bassa resistenza elettrica.
8
Un elettrodo di platino platinato consiste in una laminetta di platino liscio su cui è stato depositato, per via
elettrochimica, uno strato aderente di sottilissima polvere di platino (nero di platino) a elevato sviluppo superficiale. La
ragione per la quale il platino deve essere platinato risiede nel fatto che il valore della costante di velocità (kÅ)verso
sinistra della reazione (14) è molto piccola rispetto a quella della reazione diretta verso destra, (kÆ) principalmente a
causa dell’elevata energia di legame H-H. Se l’elettrodo di platino liscio viene platinato, la sua superficie reale diventa
assai maggiore di quella geometrica e aumenta di molto il numero di centri attivi su cui si adsorbono le molecole di H2 e
sui quali l’energia di attivazione della ionizzazione dell’idrogeno diminuisce; di conseguenza aumenta il valore della
costante di velocità verso sinistra (kÅ). Allorché i valori delle due costanti di velocità divengono paragonabili (kÆ =
kÅ) l’equilibrio viene rapidamente raggiunto e il semielemento assume potenziale costante. Il platino platinato accelera
il raggiungimento dell’equilibrio, ma non altera l’equilibrio stesso, pertanto il potenziale assunto dall’elettrodo platinato
è lo stesso che avrebbe assunto l’elettrodo di platino liscio qualora le due costanti fossero state entrambe elevate.
Il potenziale che corrisponde all’equilibrio elettrodico (14) è dato, in base alla eq. di Nernst (10),
dall’espressione:
Nella Tab. 2 sono riportati i potenziali standard di alcuni sistemi Me/Men+, che sono quelli che più
interessano il corrosionista.
In base ai valori del potenziale standard d’elettrodo (potenziali redox) è possibile dare una
collocazione dei vari metalli rispetto alla loro "nobiltà termodinamica": tanto più positivo è il
potenziale tanto più nobile è un metallo e tanto più questo dovrebbe essere resistente alla corrosione
(Tab.2, Tab.3-A).
Tab. 2: Serie dei potenziali standard di alcuni metalli
Sistema Est; NHE (V) Sistema Est; NHE (V)
Li / Li+ -3.045 Co / Co++ -0.277
Ca / Ca++ -2.870 Ni / Ni++ -0.250
Na / Na+ -2.714 Mo / Mo+++ -0.200
Mg / Mg++ -2.370 Sn / Sn++ -0.136
Al / Al+++ -1.660 Pb / Pb++ -0.126
Ti / Ti++ -1.630 H2 / 2H+ 0.000
Mn / Mn++ -1.180 Cu / Cu++ +0.337
Cr / Cr++ -0.913 Cu / Cu+ +0.521
Zn / Zn++ -0.762 Ag / Ag+ +0.799
Cr / Cr+++ -0.740 Pt / Pt++ +1.190
Fe / Fe++ -0.440 Au / Au+++ +1.500
Cd / Cd++ -0.402 Au / Au+ +1.680
Tab 3 Scale di nobiltà termodinamica e pratica dei metalli
Tuttavia la termodinamica è un modello generale per sistemi materiali e comporta quindi
leggi generali; nei casi individuali bisognerà tener conto dei tanti fenomeni specifici riscontrabili
nella particolare situazione pratica. Da qui nasce, dettata dall'esperienza, una scala di "nobiltà
pratica" (Tab.3-B) che, al contrario di quella teorica, non ha nulla di scientifico.
Il problema è quindi molto più complesso ed è dovuto principalmente al fatto che le reazioni
che si verificano quando un metallo si corrode sono generalmente più di una e soprattutto
irreversibili (non all'equilibrio), al contrario di quanto considera invece la termodinamica.
Altra lacuna fondamentale della termodinamica è che, una volta stabilito che un processo può
avvenire, non permette minimamente di conoscere con che velocità si produrrà, cioè la sua
cinetica.
E' chiaro a questo punto che per completare l'interpretazione dei fenomeni di corrosione, occorre
affrontare lo studio della cinetica elettrochimica, cioè della velocità con cui avvengono le reazioni
d'elettrodo. Solo in questo modo è possibile determinare quale sarà la durata di un manufatto
metallico prima che perda le sue caratteristiche di funzionalità.
E' noto infatti che alcuni metalli, come per esempio l'alluminio o ancor di più il titanio (EAl/Al3+ = -
1.66 V (NHE); ETi/Ti2+ = -1.63 V (NHE)), pur essendo termodinamicamente "scadenti", in pratica
risultano ben resistenti agli agenti aggressivi poichè si passivano. Nella maggioranza dei casi questo
fenomeno, chiamato appunto passivazione, è dovuto ad un film di prodotti di corrosione (Al2O3 x
H2O nel caso dell'alluminio) che si forma sulla superficie del metallo, a certi valori di pH e di
potenziale caratteristici per ogni materiale metallico, schermandolo dall'attacco degli agenti
corrosivi ed ostacolando il passaggio di atomi metallici in soluzione verso l'ambiente esterno.
Questo film, di spessore variabile a seconda del tipo di materiale metallico, ma che comunque può
essere anche molto sottile (dell'ordine di unità o decine di Angstrom), rende quindi passivo il
metallo riducendo e talvolta praticamente annullando la velocità di corrosione.
Elettrodi di riferimento
In pratica, oggi, l’elettrodo di idrogeno viene impiegato solo in misure particolari, perché di
uso scomodo (il Pt spesso si avvelena, l’idrogeno non è mai purissimo, senza considerare poi la
poca praticità del sistema). Operativamente si preferiscono altri elettrodi di riferimento, pertanto
spesso, soprattutto in materia di corrosione si riportano valori di potenziale riferiti ad altri elettrodi
di riferimento come il calomelano saturo (SCE), o l’elettrodo di argento/cloruro di argento
(Ag/AgCl), o l’elettrodo di rame/solfato di rame (CSE) o l’elettrodo mercurio/solfato mercuroso
saturo (SSE).9
In Fig. 8 sono illustrati alcuni elettrodi di riferimento commerciali; mentre in Tab. 4 sono riportati i
valori dei potenziali degli elettrodi di riferimento a varie concentrazione dell’elettrolita in essi
contenuto.
9
L’elettrodo SSE è un elettrodo reversibile al catione, cioè il suo potenziale è determinato dalla concentrazione di ioni
Cu++, secondo l’equazione di Nernst, e comunque in pratica si usa sempre quello che ha una soluzione satura; gli altri
invece sono reversibili all’anione (Cl- per il calomelano e per il cloruro di argento, SO42- per quello a solfato mercuroso)
per cui il valore del proprio potenziale dipende dalla concentrazione dell’anione in soluzione secondo le relazioni
Ecal=E°cal – RT/F ln [Cl-], con E°cal=0.268 V o EAgCl/Ag=E°AgCl/Ag-RT/F ln [Cl-], con E°AgCl/Ag=0.223 V. In commercio si
trovano frequentemente elettrodi di questo tipo con le soluzioni di cloruro non solo sature, ma anche a diverse
concentrazioni di ioni cloruro.
(b)
(a) (c)
Fig. 8: Illustrazione di alcuni elettrodi di riferimento commerciali: (a) SSE; (b) SCE; (c) Cu/CuSO4.
Tab. 4 Potenziale degli elettrodi di riferimento più usati nel settore dell’elettrochimica e della corrosione
Elettrodo - Equilibrio Soluzione acquosa Potenziale (SHE)
satura 0.242 V
3.5 M 0.250 V
Calomelano Hg/Hg2Cl2/Cl- KCl 1.0 M 0.280 V
0.1 M 0.334 V
0.01M 0.388 V
satura 0.200 V
3.0 M 0.210 V
Argento/AgCl Ag/AgCl/Cl- KCl 1.0 M 0.235 V
0.1 M 0.288 V
0.01 M 0.343 V
Mercurio/Hg2SO4 Hg/Hg2SO4/SO42- K2SO4 satura 0.655 V
Rame/Rame Cu/Cu++ CuSO4 satura 0.318 V
solfato
Applicazione della termodinamica alla corrosione
Da quanto detto nei paragrafi precedenti sembrerebbe che la termodinamica non serva a
spiegare i fenomeni di corrosione; in effetti non è così, poichè è molto utile nella previsione di come
si potrà comportare un metallo in un determinato ambiente. Infatti, se la termodinamica esclude che
in un certo ambiente un metallo si corrode, allora l'evento non potrà avvenire (se avvenisse
andrebbe contro le leggi naturali). Se, al contrario, la termodinamica ammette che un metallo si può
corrodere, allora l'evento si può verificare; non è detto comunque che avvenga o che avvenga con
velocità apprezzabile.
La spontaneità di una reazione chimica, come già detto in precedenza, dipende dal segno della
variazione di energia libera, perciò per stabilire se la reazione è termodinamicamente possibile basta
calcolare tale variazione.
Le reazioni di corrosione sono reazioni di tipo elettrochimico (reazioni redox), cioè la
trasformazione di specie chimiche è accompagnata anche da scambi di elettroni fra le specie stesse.
Tali reazioni possono essere considerate somma di due semireazioni, una di riduzione (reazione
definita catodica) ed una di ossidazione (reazione definita anodica).
La variazione di energia libera che accompagna una reazione elettrochimica può essere calcolata
con la seguente relazione:
∆G = -nF∆E (17)
Questa può aver luogo realizzando una cella elettrochimica (pila Daniell) formata da un elettrodo di
rame e uno di zinco, tenuti separati da un setto poroso, ciascuno in equilibrio con i propri ioni (Fig
9).
Fig 9: Schema della Pila Daniell
Per semplicità, per poter cioè utilizzare i potenziali standard tabulati (Tab 2), le concentrazioni degli
ioni metallici vengono prese unitarie. Prima di cortocircuitare i due elettrodi il potenziale di
ciascuno di loro sarà:
La f.e.m. di tale pila è data da ∆E = Ec - Ea ed è pertanto pari a 1.1 V. Tale valore è anche
misurabile e verificabile, purchè passi una corrente molto bassa attraverso il circuito della pila.
Cortocircuitando i due elettrodi, magari attraverso una resistenza, si osservano i seguenti fenomeni:
-passa corrente attraverso il circuito
-diminuisce la concentrazione di ioni rame in soluzione
-sull’elettrodo di rame si deposita del rame metallico
-aumenta la concentrazione degli ioni zinco in soluzione
-l’elettrodo di zinco si consuma corrodendosi.
Le semireazioni che avvengono nei due scomparti sono
Si può infine dare una definizione semplice ma comoda: "in ogni reazione elettrochimica la
specie chimica con il potenziale redox più negativo tende spontaneamente ad ossidarsi quando è
accoppiata con una specie con un potenziale redox più positivo".
Poichè nella stragrande maggioranza dei casi di corrosione l'ossidazione del metallo avviene
con la concomitante riduzione dell'idrogeno o dell'ossigeno disciolto nella soluzione acquosa
(O2), assumono particolare importanza i valori di potenziale relativi a queste due
semireazioni che sono evidenziati, a tre valori di pH, nella Tab. 5: Nel caso della riduzione
dell’idrogeno e dell’ossigeno sono stati considerati tre valori di pH, poichè il potenziale di
queste semireazioni è dipendente anche dalla concentrazione degli ioni H+ (Confrontare anche
diagramma di Pourbaix, Fig 11 e 12).
Le reazioni, pur scritte in modo diverso nei vari ambienti, esprimono sempre la riduzione
dell'idrogeno o dell'ossigeno.
Solitamente quindi le semireazioni a cui si fa riferimento in un processo di corrosione sono le
seguenti:
A meno che nel fenomeno di corrosione non intervengano altre specie chimiche a provocare
l'ossidazione del metallo (specie ossidanti, per es. ioni Cu2+, ioni NO3-, etc.) in generale si può dire
che considerando i valori di potenziale d'elettrodo per le tre reazioni riportate, tenendo conto del
segno di ∆E (∆E = Ec - Ea), è possibile conoscere a priori se una reazione è termodinamicamente
permessa o no.
Un esempio:
Il tubo di rame utilizzato per la distribuzione dell'acqua potabile o per l'impianto di
riscaldamento a circuito chiuso è nelle stesse condizioni nei confronti della corrosione?
Si può corrodere in questi ambienti a pH neutro?
Occorre considerare le specie che possono intervenire nel processo di corrosione del rame,
riducendosi: esse sono, l'ossigeno disciolto (O2) o gli ioni idrogeno della molecola dell’acqua.
1° caso (acqua del circuito di riscaldamento, con pratica assenza di ossigeno disciolto)
Considerato che ∆G < 0, risulta che il rame può essere ossidato ad opera della riduzione
dell'ossigeno.
Quindi, nel caso dell'acqua potabile la termodinamica dice che i problemi di corrosione della
tubazione derivano non dalla presenza di acqua, ma dalla presenza nell'acqua dell'ossigeno
disciolto. Ciò sta a dimostrare come un circuito chiuso, come quello degli impianti di riscaldamento
(dove l'ossigeno disciolto iniziale si consuma ben presto), le tubazioni di rame siano durature perché
termodinamicamente protette. Non è la stessa cosa per le tubazioni dell'acqua potabile invece,
perché in questo caso le tubazioni possono corrodersi e molto spesso ne sono realmente soggette e
in alcuni casi in tempi relativamente brevi (cfr. Foto di Fig. 10a e 10b ).
Le linee oblique, indicate con le lettere (a) e (b), rappresentano le condizioni di equilibrio delle
reazioni redox rispettivamente per H+ /H2 e O2/OH- (le stesse reazioni riportate nella Tab. 5). Esse
mostrano che il potenziale di equilibrio per la reazione dell’ossigeno è sempre 1,23 V più nobile
rispetto a quella dell'idrogeno, dunque è da ritenere che l’ossigeno è una specie ossidante per la
maggior parte dei metalli. E’ altresì evidente, come riportato in Tab. 5 che il potenziale di tali
reazioni dipende dal valore di pH.
Il significato pratico delle rette (a) e (b) è il seguente:
la riduzione dell’idrogeno può avvenire solo per valori di potenziale e di pH al di sotto della retta
(a), mentre la reazione di riduzione dell’ossigeno può avvenire solo al di sotto della retta (b).
Fig. 12: Diagramma potenziale/pH per il ferro in forma semplificata
Semplificando al massimo si può dire che nei diagrammi di Pourbaix si possono identificare 3
diverse zone: di immunità, di passivazione, di corrosione.
Altra utilità immediata dei diagrammi di Pourbaix è che possono dare direttamente l’indicazione se
il materiale può essere ossidato mediante la riduzione dell’idrogeno o solo da quella dell’ossigeno.
Se la zona di immunità termodinamica del materiale metallico è al di sotto della retta contrassegnata
con la lettera (a), il materiale può essere corroso anche in assenza di ossigeno per riduzione
dell’idrogeno (caso del ferro); se la zona di immunità, viceversa è più alta della retta (a), e sotto a
quella (b) allora il materiale metallico può essere corroso solo in presenza di ossigeno (caso del
rame, esempio già discusso). Solo l’oro ha la zona di immunità che si estende sopra la retta (b), per
cui è l’unico che non può essere ossidato dall’ossigeno come già del resto visto dal valore di ∆G°
nella reazione (4).
Nonostante l’utilità dei diagrammi di Pourbaix, c'è da sottolineare comunque l'estrema cautela
con cui debbono essere usate le informazioni che da essi si possono trarre, poichè sono ricavati da
relazioni termodinamiche che esprimono condizioni di equilibrio, a 25 °C, e sono validi in presenza
della sola specie H2O. In pratica però, è noto che i processi di corrosione sono tutt'altro che
all'equilibrio e gli ambienti in cui si verificano possono essere molto diversi dall'acqua pura (si
pensi ad esempio all’acqua di mare). Inoltre i diagrammi di Pourbaix sono relativi a metalli puri,
mentre in pratica i materiali metallici di interesse ingegneristico sono per la maggior parte costituiti
da leghe.
ia = i c = i 0 (31)
i0 è chiamata densità di corrente di libero scambio ed anche il suo valore non è possibile misurarlo;
si vedrà più avanti che è però possibile determinarlo tramite estrapolazioni di curve potenziale-
10
Nel testo, così come avviene comunemente parlando, delle volte si usa il termine corrente, altre volte il temine densità
di corrente (d.d.c.), tuttavia occorre tener presente che quando la corrente passa attraverso un elettrodo si deve fare
sempre riferimento all’unità di superficie per cui si deve intendere densità di corrente, soprattutto quando si riportano i
valori su grafico, mentre magari è più giusto parlare di corrente che passa attraverso un amperometro o un circuito
elettrico in genere.
11
L’equilibrio si stabilisce anche se la soluzione non contiene ioni del metallo, ma come sottolineato in precedenza il
valore del potenziale che ne risulta non è stabile a causa di moti convettivi e diffusivi.
corrente. L’equazione (31) può essere indicata graficamente con l’analogia di Fig. 14a, dove la
lunghezza delle due frecce indica il modulo delle due correnti.
Fig.14: Rappresentazione schematica delle correnti parziali sulla superficie dell’elettrodo metallico: (a)
condizione che si presenta al poteziale di equilibrio (Eeq), in cui la corrente anodica uguaglia quella catodica; (b)
condizioni di polarizzazione anodica (E > E eq); condizioni di polarizzazione catodica (E < Eeq).
Concetto di sovratensione
Se, in qualche modo, si varia il potenziale dell’elettrodo di ferro dal valore di equilibrio, o
verso valori più positivi o verso valori più negativi ovviamente le concentrazioni degli ioni
all’equilibrio deve modificarsi nel rispetto della equazione di Nernst e quindi si stimolerà una delle
due semireazioni deprimendo l’altra. Ciò corrisponde ad una situazione di non equilibrio e le
correnti ic e ia non saranno più uguali (Fig 14b e 14c). La differenza tra le due correnti è definita
come corrente netta “Inetta”, che è invece possibile misurare per esempio mediante un galvanometro
inserito nel circuito elettrico utilizzato per modificare l’equilibrio.
Nel caso in cui passa una corrente esterna attraverso l’elettrodo ed il potenziale viene modificato si
dice che l’elettrodo è polarizzato; polarizzato catodicamente quando il potenziale è spostato verso
valori più negativi rispetto a quello di equilibrio e la corrente ic>ia, anodicamente nel caso contrario
ic<ia.
Polarizzando catodicamente oltre ad aumentare la corrente ic, cioè favorire la reazione di riduzione,
si deprime la corrente ia, e la corrente impressa netta è data da:
Ic = ic - i a (32)
Le stesse considerazioni si possono fare per la polarizzazione anodica e la corrente impressa sarà in
questo caso:
Ia = ia – ic (33)
Il passaggio di una corrente esterna attraverso l’interfaccia che è assimilabile all’analogia di
Fig. 6 genera un potenziale addizionale e causa una variazione del potenziale di equilibrio. Per
essere più specifici, occorre ricordare che all’equilibrio l’elettrodo ha un doppio strato elettrico
caricato; in assenza di una corrente esterna, il capacitore Cdl è caricato.
La corrente impressa all’elettrodo, Inetta, è divisa in due parti: una attraversa il doppio strato
attraverso RF; essa viene chiamata corrente faradaica, IF perché è usata per la reazione elettrodica.
L’altra parte della corrente impressa è accumulata dal capacitore Cdl, come risultato della resistenza
RF che si oppone al passaggio di corrente. Essa è chiamata corrente di carica ICh, e usualmente è
molto piccola rispetto a IF. La corrente totale impressa è la somma delle due correnti parziali in
accordo alla relazione seguente:
Inetta = IF + ICh (34)
ICh esiste solo nell’istante iniziale del processo elettrochimico. In un tempo brevissimo, usulamente
pochi millisecondi, la carica dell’elettrodo raggiungerà uno stato stazionario (steady state),
proporzionale alla densità di corrente. Il potenziale d’elettrodo è, comunque, proporzionale alla
carica Q del doppio strato. E’ quindi facile capire che sotto una corrente elettrica esterna il
potenziale d’elettrodo cambia. Tale variazione è detta sovratensione.
Matematicamente parlando la sovratensione quindi è definita come:
Esaminando come il potenziale d’elettrodo devia dal valore di equilibrio Eeq. (e quindi come
varia η) con il passaggio di una corrente catodica o anodica si ottengono i seguenti risultati:
1 – Per piccoli valori di Ic o Ia (per es. Ic < 10 i0) si osserva una relazione lineare tra η e Ic o Ia, del
tipo:
2 – Per valori di Ic o Ia più elevati (per es. Ic > 10 i0) si ha invece una relazione logaritmica tra la
sovratesione e la corrente secondo quella che viene definita come equazione di Tafel (andamento
tipico della sovratensione dovuta all’energia di attivazione dei processi elettrodici):
3 – Per valori di Ic o Ia molto elevati (per es. Ic >> i0) si ha ancora una deviazione dalla legge di
Tafel perché intervengono altri tipi di sovratensione quali quello di concentrazione o di natura
ohmica.
Riportando su un grafico Potenziale/Corrente impressa (E/Inetta) la corrente impressa (sempre sotto
forma di d.d.c.) misurata in corrispondenza dei relativi valori di potenziale si ottengono degli
andamenti tipo quelli riportati in Fig. 15. In questa figura sono riportate le correnti esterne a sinistra
e a destra dell’asse del potenziale per evidenziare il segno inverso delle correnti Ia e Ic.
Un’osservazione importante nella Fig. 15 è la seguente: in corrispondenza dell’asse del potenziale
(asse Y) la corrente netta Ic=Ia=0, ma la corrente di libero scambio i0 non è nulla.
Quanto illustrato per l’elettrodo di ferro in una soluzione dei suoi ioni, vale per un altro elettrodo,
come quello dell’idrogeno. In questo caso come già illustrato le due semireazioni di cui si deve
tenere conto sono quella di riduzione e di ossidazione dell’idrogeno:
2H+ + 2e- Æ H2 (37)
+ -
H2 Æ 2H + 2e (38)
Il potenziale d’equilibrio, secondo l’equazione di Nernst, a pressione atmosferica è:
Eeq = - 0.059 pH (39)
Come detto in precedenza questo elettrodo è un elettrodo a gas e la reazione può procedere solo su
un supporto metallico, come la laminetta di platino immersa nella soluzione. Il valore del potenziale
all’equilibrio Eeq è termodinamico e assolutamente indipendente dal metallo di supporto. Esso sarà
uguale su platino, su ferro o su rame. Questo non è lo stesso però per quanto riguarda la
sovratensione, η, che è un parametro cinetico che dipende dalla facilità con cui avvengono le
semireazioni (37) e (38). La reazione di riduzione incontra, per esempio, molta più resistenza
nell’avvenire su ferro o su zinco rispetto che sul platino (i valori stessi della corrente di libero
scambio i0 su Zn e su Pt differiscono di alcuni ordini di grandezza, come si vedrà in seguito).
Fig. 15: Rappresentazione schematica della caratteristica E/Inetta per il sistema Fe2+/Fe.
Fig. 16: Caratteristiche E/Inetta del sistema H+/H2 su diversi supporti metallici.
In Fig. 16 si vede inoltre che su supporto ferroso il sistema H+/H2 presenta delle sovratensioni
intermedie rispetto a quelle relative ai due supporti metallici considerati in precdenza, a parità di
corrente.
Fig. 17: Rappresentazione schematica della caratteristica E/Inetta per il sistema Fe2+/Fe come mostrato in Fig. 15
(a sinistra) ed in forma logaritmica (a destra).
Estrapolando le curve lungo il tratto rettilineo (tratto in cui è valida l’equazione di Tafel), queste
s’incontrano in un punto in cui la corrente anodica è uguale alla corrente catodica per cui il punto
d’incontro rappresenta la corrente di libero scambio i0. In questo grafico di tipo semilogaritmico le
curve tendono a -∞ poiché la densità di corrente netta in corrispondenza di Eeq è zero. Il punto
determinato dall’incontro delle due rette è caratterizzato dal potenziale di equilibrio e dalla densità
di corrente di libero scambio e rappresenta l’elettrodo su cui hanno luogo due semireazioni
all’equilibrio termodinamico.
Metodi di polarizzazione
Per poter contemporaneamente misurare la corrente che passa attraverso un elettrodo e il
valore del suo potenziale occorre un sistema a tre elettrodi.
Il modo di polarizzare l’elettrodo può essere di tipo galvanostatico o potenziostatico.
In entrambi i metodi una relazione stabile tra corrente e potenziale (steady-state) si può osservare
solo alcuni momenti dopo che la corrente è stata impressa o che il potenziale è stato variato. La
durata di tale periodo prima del raggiungimento dello steady-state può variare da frazioni di
secondo fino ad alcune ore, dipendendo dal sistema in studio e dall’intensità della polarizzazione.
Metodo intensiostatico
Questo metodo consiste nell’imporre una prefissata densità di corrente sull’elettrodo da
polarizzare misurando il valore di potenziale risultante quando si è stabilizzato. Tale misura di
potenziale chiaramente la si effettua con un elettrodo di riferimento. In questo caso, la variabile
indipendente è la densità di corrente e quella dipendente è il potenziale a sistema stabilizzato
(steady-state potential)..
Nella Fig. 18 è rappresentato schematicamente il circuito elettrico necessario per polarizzare in
modo intensiostatico. E’ utilizzato un sistema a tre elettrodi dove con R, W e C sono indicati
rispettivamente l’elettrodo di Riferimento, l’elettrodo di lavoro (Working = l’elettrodo da
polarizzare) e il controelettrodo. Una corrente continua è prelevata dalla sorgente elettrica
(Alimentatore) attraverso un reostato (RT) e fatta circolare tra l’elettrodo di lavoro (W) e il
controelettrodo (C).Il reostato serve a dosare la corrente da far circolare attraverso questi due
elettrodi. L’amperometro (A) misura la corrente che passa, mentre l’elettrodo di riferimento (R)
insieme all’elettrometro (V) misura il valore del potenziale che assume l’elettrodo di lavoro in
seguito al passaggio di corrente. Per avere il valore della d.d.c. il valore della corrente deve essere
diviso per la superficie dell’elettrodo di lavoro (W). Per ciascun valore della d.d.c. selezionata
mediante il reostato (RT), può essere letto mediante l’elettrometro (V) in condizioni di steady-state.
Questi valori possono essere riportati su di un grafico semilogaritmico ottenendo così la curva di
polarizzazione.
La curva di polarizzazione così ottenuta può essere influenzata da altre variabili, come ad esempio
la composizione chimica della soluzione e la preparazione della superficie dell’elettrodo che
possono avere un effetto sulla forma e posizione della curva di polarizzazione. In Fig. 19 è riportata
come esempio una curva di polarizzazione ottenuta con metodo intensiostatico.
Fig. 18: Rappresentazione schematica e semplificata di un circuito per effettuare la polarizzazione in modo
intensiostatico.
Fig. 19: Polarizzazione intensiostatica del niobio in NaOH 1N deareata.
Metodo potenziostatico
Questo metodo consiste nell’imporre un potenziale prefissato all’elettrodo di lavoro (W) e nel
misurare la corrente in condizioni di steady-state. Qui la variabile indipendente è il potenziale
d’elettrodo e la variabile dipendente è la densità di corrente. La Fig. 20 mostra schematicamente il
circuito e l’apparecchiatura necessaria per misure potenziostatiche. E’ necessario ancora un sistema
a tre elettrodi, ma questo caso necessita l’uso di un potenziostato che è uno strumento che riesce a
fissare il potenziale con uno scarto di ±1mV con un tempo di risposta di pochi microsecondi. Un
elettrometro è posto tra l’elettrodo di lavoro (W) e quello di riferimento (R) e in questo caso
particolare la corrente viene letta direttamente sull’amperometro che può essere direttamente
contenuto nel potenziostato. Un registratore è collegato al potenziostato per meglio apprezzare
quando la corrente ha raggiunto lo steady-state. Il metodo potenziostatico richiede una
strumentazione più dispendiosa rispetto al metodo intensiostatico, comunque esso permette di
apprezzare la diminuzione della d.d.c. quando avviene la passivazione del materiale metallico.
Fig. 21: Rappresentazione schematica del sistema misto costituito dai due sistemi RedOx Fe/Fe2+ e H2/2H+:
(a) rappresentazione con le caratteristiche E/I; (b) rappresentazione con le caratteristiche E/logI.
Nel caso pratico avvengono però solo due semireazioni la (29) e la (30) che sono quelle indicate nei
grafici con i numeri 2 e 3, mentre la 1 e la 2 non avvengono. Il valore del potenziale che assume
l’elettrodo di ferro che si corrode è univocamente determinato poiché esso non può essere altro che
quello per cui si verifica che la d.d.c. della semireazione anodica del ferro è uguale alla d.d.c. della
semireazione catodica dell’idrogeno (gli elettroni che vengono prodotti non possono essere diversi
da quelli consumati). Ossia Ic = Ia = Icorr
E’ evidente che il valore del potenziale di corrosione dipende dalle pendenze delle curve 2 e 3 e
quindi dalla sovratensione dei due processi, quello anodico e quello catodico. Depurando il grafico
di Fig. 21b delle curve che non servono (quelle delle semireazioni che nel processo di corrosione
non avvengono) il grafico risultante si riduce in forma estremamente semplice, Fig. 22 Tale
diagramma è indicato come diagramma di Evans. Il punto d’incontro delle due rette determina il
potenziale di corrosione, Ecorr e la d.d.c. di corrosione Icorr che è proporzionale, mediante la legge di
Faraday, alla velocità di corrosione del ferro. I segmenti ηc e ηa, rappresentano, per definizione
(relaz. (35)) rispettivamente la sovratensione del processo catodico e quella del processo anodico e
dal punto di vista fenomenologico rappresentano un po’ la resistenza che incontra ogni singolo
processo per svilupparsi.
I valori della sovratensione non dipendono solo dalla pendenza delle rette E=a+log I, ma dipendono
anche dalla corrente di libero scambio i0 dei due processi che hanno luogo sull’elettrodo che si sta
corrodendo.
Fig. 22: Diagramma di Evans della corrosione del ferro in ambiente acido.
Un caso evidente è quello dello zinco che si corrode in ambiente acido. Se lo zinco è impuro di
elementi tipo ferro o nichel, la velocità di corrosione dello zinco risulta maggiore rispetto allo zinco
puro. Questo dipende non dalla sovratensione della reazione anodica, ma da quella della reazione
catodica. Infatti la reazione di riduzione dell’idrogeno sulle impurezze avviene molto pù facilmente
poiché il valore della i0 per questa reazione è molto maggiore su ferro e nichel che sullo zinco (cfr. i
valori di i0 della reazione redox dell’idrogeno su vari metalli riportati in Fig. 23), per cui le velocità
di corrosione e i potenziali di corrosione per i due tipi di zinco risultano modificati come
evidenziato nel diagramma di Evans di Fig. 24. Dalla stessa figura si può notare che il valore della
sovratensione catodica è minore nel caso di corrosione dello zinco impuro rispetto a quella relativa
allo zinco puro (ηc2 < ηc1).
Fig. 23: Valori della densità di corrente di libero scambio dell’idrogeno su vari metalli.
Fig. 24: Diagramma di Evans della corrosione dello zinco puro e impuro in ambiente acido.
12
Le reazioni indicate per la riduzione dell’ossigeno sono diverse, a seconda del valore di pH, (cfr. Tab. 3). La modalità
di scrittura della reazione non è importante, è importante invece ricordare che comunque è l’ossigeno disciolto in acqua
a ridursi e che in tutte le reazioni, comunque esse siano scritte, avviene la riduzione del numero di ossidazione
dell’ossigeno da O0 a O2-. E’ importante altresì ricordare che il potenziale della reazione di riduzione dell’ossigeno
(d’altra parte come quello dell’idrogeno) varia con il pH.
La quantità di ossigeno presente nelle soluzioni acquose varia a seconda della loro natura (per
es. salinità), e delle condizioni ambientali (temperatura e pressione); l’ordine di grandezza, tuttavia
è 0-20 mg/l.
Dal punto di vista elettrochimico la riduzione dell’ossigeno è particolare, infatti l’ossigeno disciolto
(O2) è una molecola non elettricamente carica pertanto la sua migrazione all’interno della soluzione
non risente di nessun campo elettrico e dipende dai moti convettivi o da gradienti di concentrazione.
Al contrario di quanto avviene nel caso della riduzione dell’idrogeno in seguito alla
polarizzazione catodica, il ramo catodico del diagramma di Evans per la riduzione dell’ossigeno si
modifica sostanzialmente come mostrato in Fig. 25. Abbassando il potenziale, a partire dal
potenziale di equilibrio dell’ossigeno, si ha un primo tratto che segue l’andamento tipico della
sovratensione di attivazione, poi la corrente rimane costante per un certo tratto per tornare a
crescere quando si raggiungono valori per i quali si ha riduzione dell’idrogeno. La corrente
corrispondente al tratto verticale viene detta corrente limite (IL) ed è relativa alla massima
diffusione dell’ossigeno sulla superficie dell’elettrodo. In particolare, la corrente di diffusione non
risente del potenziale d’elettrodo, ma solo del gradiente di concentrazione tra l’ossigeno nella massa
della soluzione (bulk) e quella all’interfaccia elettrodo/soluzione.
In cui D è il coefficiente di diffusione della specie in esame, K è la costante che lega il flusso di
materia al flusso di carica (K=nF; n: num. di elettroni, F:Faraday), Cb è la concentrazione dell’O2
nella massa della soluzione, C0 è la concentrazione dell’O2 all’interfaccia elettrodo/soluzione e δ è
lo spessore dello strato di diffusione.
Nel caso in cui la concentrazione all’interfaccia è nulla C0=0, si ha il massimo gradiente di
concentrazione e la corrente Id raggiunge un valore massimo, chiamato appunto corrente limite
IL = K D Cb/δ (40)
Il valore della corrente limite è molto importante nel fenomeno della corrosione, perché di solito chi
regola la velocità di corrosione è proprio la disponibilità dell’ossigeno sul materiale metallico.
Anche nel caso della corrosione dovuta alla riduzione dell’ossigeno, la corrente di corrosione,
e quindi la velocità di corrosione, è determinata dall’incontro tra la curva anodica di ossidazione del
metallo con quella catodica di riduzione dell’ossigeno (Fig. 26). Dai diagrammi di Evans è anche
possibile osservare come la velocità di corrosione si possa individuare con la corrente di diffusione
dell’ossigeno.
Fig. 26: Nel caso in cui il tratto anodico incontra il tratto catodico nel tratto di diffusione la corrente di
corrosione del materiale metallico corrisponde alla corrente limite
I parametri che influenzano la corrente limite sono, oltre alla concentrazione dell’ossigeno, la
temperatura, l’agitazione e la salinità della soluzione. Un aumento di temperatura in un sistema
aperto determina un aumento di corrente limite (aumento di moti convettivi in seno alla soluzione),
per lo meno fino a circa 60°C; a temperature più alte, prevale la diminuzione di solubilità
dell’ossigeno disciolto che conduce ad una diminuzione della corrente limite. Quando si raggiunge
la temperatura di ebollizione la concentrazione delle specie gassose disciolte scende a zero ed anche
la IL diventa nulla.
L’agitazione della soluzione, intesa come la velocità relativa tra soluzione e metallo, influenza la
corrente limite di diffusione poiché una maggiore agitazione rende più piccolo lo spessore dello
strato di diffusione δ e quindi secondo la (40) determina un aumento di IL, pertanto un maggior
contenuto di ossigeno o un incremento di agitazione della soluzione corrispondono ad un aumento
di velocità di corrosione del materiale metallico che si comporta in modo attivo, come indicato nella
Fig. 27.
Fig. 27: Fattori che incrementano il valore della corrente limite dell’ossigeno, come l’agitazione dell’acqua o la
concentrazione dell’O2 stesso, aumentano la velocità di corrosione
La salinità influenza la corrosione dovuta all’ossigeno; le soluzioni di cloruro di sodio
provocano un massimo di velocità di corrosione a concentrazioni di sale simili a quelle dell’acqua
di mare, (un buon esempio di perversità delle leggi della natura). Con l’aumento della
concentrazione di sale, la corrosione aumenta a causa dell’aumento della conducibilità elettrica
della soluzione, poi a concentrazioni di sale piuttosto alte, la velocità di corrosione è ridotta a causa
della diminuzione di solubilità dell’ossigeno e quindi della sua corrente di diffusione.
Passivazione
Moltissimi materiali metallici resistono molto bene alla corrosione nonostante siano in
contatto con soluzioni comunemente considerate aggressive e comunque non si corrodono anche se
la termodinamica ne prevede la corrosione. Ciò è dovuto al fatto che tali materiali metallici si
passivano.
La passività è quindi definita come una condizione di resistenza alla corrosione dovuta alla
formazione di film superficiali sotto condizioni sufficientemente ossidanti. Tali film sono costituiti
per lo più da ossidi o idrossidi di bassissimo spessore, delle volte dell’ordine dei nm, e quindi anche
invisibili che schermano efficacemente la superficie sottostante dall’attacco dell’ambiente
aggressivo.
Composti insolubili formati per dissoluzione e riprecipitazione come ad esempio i sali non sono
generalmente tenaci e protettivi come gli ossidi formati “sul posto”.
Interessante è la dimostrazione di Faraday relativamente alla passivazione del ferro in
presenza di acido nitrico (Fig. 28). La termodinamica prevede che il ferro immerso in una soluzione
acida si corrode, ma in acido nitrico, che è un acido molto ossidante, le cose possono andare in
modo diverso. In presenza di acido nitrico “fumante” (molto concentrato), il ferro è virtualmente
inerte, nonostante le condizioni altamente ossidanti della soluzione, Fig. 28a. Quando l’acido viene
diluito, mediante aggiunta di acqua, il ferro rimane inizialmente inerte, Fig. 28b, ma si corrode
vigorosamente con sviluppo di ossidi nitrosi, gassosi, di colore brunastro, se la superficie del ferro
viene graffiata anche leggermente, Fig. 28c. La stessa cosa accade se il ferro viene immerso sin
dall’inizio in acido nitrico diluito. Faraday suggerì che un film di ossido sottilissimo si forma sulla
superficie del ferro in acido nitrico concentrato (condizioni molto ossidanti), ma che tale film non
riesce a formarsi o è instabile quando il ferro è in presenza dell’acido meno ossidante perché più
diluito. Per cui il film distrutto meccanicamente mediante il graffio non riesce più a riformarsi.
Fig. 28: Condizioni di passività o corrosione per il ferro immerso in soluzioni di acido nitrico concentrato o
diluito in seguito al suo stato di passività
Occorre sottolineare che le usuali condizioni che si incontrano in pratica (acqua e ossigeno) non
sono sufficientemente ossidanti per il ferro per cui questo generalmente, ricoprendosi di prodotti di
corrosione come la ruggine con scarsissime proprietà protettive, si corrode molto facilmente.
Il cromo, al contrario del ferro, è noto per la formazione di un ossido superficiale molto
sottile, molto stabile e resistente in condizioni molto meno ossidanti rispetto al ferro e questo
soprattutto se il cromo è in lega con altri metalli come il ferro e il nichel. Il diagramma di Pourbaix
del ferro in Fig. 29 è sovrimposto con quello del cromo (le linee tratteggiate sono corrispondenti al
cromo, mentre quelle unite al ferro). Il cromo forma un ossido a più bassi valori di potenziale, come
indicato dall’area tratteggiata, dove il ferro invece presentava una zona di probabile corrosione.
Così l’aggiunta di cromo al ferro costituisce le basi per gli acciai inossidabili e altre leghe resistenti
alla corrosione.
Fig. 29: Diagramma di Pourbaix sovrimposti del ferro e del cromo con l’area tratteggiata che evidenzia le
condizioni di passività del cromo
Il cromo è utilizzato quasi esclusivamente come elemento in lega, perché è troppo fragile e
difficile da produrre come metallo puro. Il cromo metallico si usa per lo più come rivestimento
prodotto per via galvanica con il processo che va sotto il nome di cromatura. Già leghe di ferro
contenenti il 12% di cromo sono chiamate acciai inossidabili e sono passive nella maggior parte di
soluzioni diluite e aerate. Ulteriori aggiunte di nichel, circa l’8%, favoriscono la stabilità
dell’austenite a temperatura ambiente (la fase γ del ferro) ed incrementano le caratteristiche di
passività della lega (acciai inossidabili austenitici) e di resistenza alla corrosione. Comunque come
si vedrà in seguito, gli ioni cloruro riescono a restringere la stabilità dell’ossido di cromo generando
corrosione localizzata mediante distruzione del film di passivazione.
Anche altri metalli formano superficialmente film che rispecchiano le condizioni di passività,
inclusi alluminio, silicio, titanio, tantalio e niobio. Per l’alluminio e il silicio il film passivo è stabile
anche a potenziali caratteristici di soluzioni acquose deareate. In queste condizioni la polarizzazione
anodica nei loro confronti è da considerarsi alta perché il potenziale di equilibrio di questi metalli è
molto basso.
Il titanio, il tantalio e il niobio formano film superficiali molto stabili e isolanti che sono resistenti a
potenziali molto ossidanti, permettendo il loro uso come anodi per corrente impressa nei sistemi di
protezione catodica. In modo simile, ghise contenenti silicio, che sono resistenti ad elevati valori di
potenziale e bassi valori di pH, sono ugualmente usate come anodi a corrente impressa (anodi Fe-Si
e Fe-Cr-Si).
Comportamento attivo-passivo
Quando un materiale metallico si comporta in modo attivo, quando cioè chi regola la cinetica
di dissoluzione del metallo è la sovratensione di attivazione, il processo segue per lo più la legge di
Tafel, come appunto evidenziato per la Fig.22 e 24.
Fortunatamente non tutti i materiali metallici si comportano in tal modo, sia per le loro
caratteristiche sia per quelle dell’ambiente in cui si trovano ad operare. In pratica, moltissime leghe
commerciali resistenti alla corrosione si comportano in modo attivo-passivo e nelle condizioni di
lavoro permangono allo stato passivo. E’ questa la situazione che permette di utilizzare la maggior
parte dei materiali metallici nella pratica di tutti i giorni.
Fig. 30: Tipica curva a “S”, caratteristica per materiali con comportamento attivo-pasivo
Il comportamento attivo o passivo di un materiale metallico dipende sia dalla caratteristica anodica
del materiale, sia dall’ambiente in cui si trova a lavorare (e questo è ben evidente dall’esperimento
di Faraday con il ferro in acido nitrico).
In pratica, facendo riferimento alla Fig. 31 che potrebbe essere relativa ad un acciaio inossidabile in
acqua di mare deareata e aerata (assenza e presenza di ossigeno), si possono avere diverse
condizioni di lavoro a secondo di dove la curva anodica incontra la curva catodica di riferimento:
- in ambiente deareato il materiale si corroderà in modo attivo, con velocità di corrosione
proporzionale a Ia poiché la curva di riduzione dell’idrogeno, a più bassi valori di potenziale,
incontra il tratto attivo della curva di polarizzazione anodica;
- in ambiente aerato sono possibili diverse condizioni, a seconda della corrente limite
dell’ossigeno, in particolare nelle condizioni 4, 5 e 6 il materiale si comporterà in maniera
passiva, poiché la curva catodica di riduzione dell’ossigeno incontra univocamente la curva
anodica nel tratto passivo. Nei casi 1, 2 e 3 la curva anodica incontra le varie curve catodiche di
riduzione dell’ossigeno in vari punti e il materiale può comportarsi in modo passivo o attivo a
seconda dei casi. Nel caso in cui il materiale si mantiene passivo la condizione è univoca e la
velocità di corrosione è pari alla corrente di passivazione Ipass, nel caso in cui, invece, si
comporta in modo attivo le velocità di corrosione sono diverse: nel caso 3 la velocità di
corrosione risulta la più elevata rispetto ai casi 1 e 2 perché maggiore è la corrente limite di
riduzione dell’ossigeno.
Dalla Fig. 31 si evince, come capita nei fenomeni di corrosione, un’altra contraddizione: l’ossigeno
è una specie che provoca corrosione, e tanto più è, tanto più aumenta la velocità di corrosione, ma
non è così per un materiale inossidabile; in questo caso, per poter assicurare la passivazione,
occorre che sia molto abbondante in modo da superare il naso ( la corrente critica) della curva di
polarizzazione.
Fig. 31: Casi di corrosione o passivazione per l’acciaio inossidabile a seconda dell’ambiente in cui si trova
Metodo intensiostatico
Il metodo intensiostatico di polarizzazione consiste nel variare la corrente in modo
indipendente e registrare il potenziale come grandezza dipendente.
Facendo riferimento alla Fig. 32, applicando una corrente imposta nel verso anodico, al
materiale metallico, a partire dal potenziale di corrosione, questa genera un corrispondente
incremento del potenziale. Tuttavia quando la corrente applicata è pari alla corrente di picco, il
potenziale subisce un rapido incremento per variazioni molto piccole di corrente.
Fig. 32: Polarizzazione di una lega con comportamento attivo-passivo con metodo intensiostatico
Metodo potenziostatico
Operando una polarizzazione anodica potenziostatica, la variabile indipendente è il potenziale
e quella dipendente la corrente. In questo caso all’incremento del potenziale corrisponde una
variazione di corrente come quella indicata con il tratto continuo in Fig. 33, che è del tutto simile a
quella teorica (linea tratteggiata). In questo caso è possibile apprezzare tutti i parametri caratteristici
dei materiali con comportamento attivo-passivo compresa la corrente di passivazione.
Attualmente esistono delle strumentazioni molto sofisticate per tracciare le curve di
polarizzazione come quelle riportate nelle Foto di Fig. 34 e 35 e si preferisce tracciarle in modo
potenziodinamico, variando il potenziale con velocità prefissate o standardizzate.
Fig. 33: Polarizzazione di una lega con comportamento attivo-passivo con metodo potenziostatico
Fig. 34: Sistema modulare per tecniche di polarizzazione elettrochimica (AUTOLAB) esistente presso la MTS
Fig. 35: Sistema per tecniche di polarizzazione elettrochimica e per misure di impedenza (EG&G P.A.R. +
Solartron) esistente presso UNIAN
veramente scarsa; la densità di corrente di passivazione è ben lontana da quella della lega Fe-Cr che
mostra valori tipici delle leghe inossidabili (1µA/cm2).
In questa stessa figura è ben evidente come già una percentuale del 10% di cromo conferisca alla
lega ferrosa un film passivante tipico del cromo. E’ quindi chiaro il motivo per cui in tutte le leghe
inossidabili si trova sempre il Cr e tanto maggiore è la sua percentuale, maggiore è solitamente la
resistenza alla corrosione della lega.
13
ASTM Standard Reference Test Metod for Making Potentiostatic and Potentiodynamic Anodic Polarization Curves,
Standard Method G5-94, Annual Book of ASTM Standards, Vol. 3.02, p. 63, ASTM, Philadelphia, 1994
Fig. 36: Curve di polarizzazione potenziostatiche per il Fe puro e per una lega binaria Fe-10.5%Cr in una
soluzione di acido solforico 1N.
Fig. 37: Effetto della diminuzione della velocità di scansione del potenziale da (1) a (7) sulla curva di
polarizzazione anodica per l’acciaio inossidabile AISI 304 in una soluzione deareata di H2SO4 1N, a 25°C
Fig. 38: Riproducibilità di curve di polarizzazione anodica potenziodinamiche effettuate da diversi
laboratori su acciaio inossidabile AISI 430 in una soluzione deareata di H2SO4 1N, a 25°C. Tutte le curve
cadono all’interno della zona tratteggiata.
ACCIAI INOSSIDABILI
Gli acciai inossidabili rappresentano una porzione molto limitata della produzione di acciaio (circa
il 2%), ma a seguito delle loro peculiari caratteristiche hanno un’importanza tecnologica ed
economica che va ben oltre la loro quota di produzione.
Sono essenzialmente leghe Fe-C-Cr o Fe-C-Cr-Ni, caratterizzate da un’ottima resistenza alla
corrosione, per cui trovano applicazione in tutti i settori.
La resistenza alla corrosione è garantita soprattutto dalla presenza di un tenore minimo del 12% di
Cr che conferisce al materiale un’ ottima passivabilità. Ciò vuol dire che sulla superficie del metallo
si forma un film di ossido (dello spessore di 10-100 Ǻ), che protegge il materiale dalla corrosione.
Gli acciai inossidabili possono essere suddivisi, in dipendenza della loro microstruttura, a
temperatura ambiente in quattro categorie:
acciai inossidabili ferritici, martensitici, austenitici e austeno-ferritici (o duplex).
L’unificazione maggiormente usata per designare gli acciai inossidabili è quella americana AISI
(American Iron and Steel Institute), valida per i prodotti ottenuti per laminazione; la corrispondente
unificazione ACI (Alloy Casting Institute) vale invece per gli acciai per getti. L’unificazione AISI
designa i tipi di semilavorati standard con un numero di tre cifre. Gli autenitici sono designati da
numeri nella serie 200 e 300 (2xx e 3xx), mentre i ferritici ed i martensitici nella serie 400 (4xx).
Gli acciai inossidabili duplex (austeno-ferritici), e le leghe con più alti tenori di elementi in lega
vengono designati generalmente con sigle e nomi scelti dal produttore.
Da un punto di vista generale si può anticipare che, gli acciai austeno-ferritici sono quelli che
presentano migliore resistenza alla corrosione, seguiti nell’ordine dagli austenitici, dai ferritici e dai
martensitici; questi ultimi, in compenso, sono quelli dotati di migliori caratteristiche meccaniche.
Per completare il quadro è opportuno ricordare che anche gli acciai inossidabili austenitici e duplex
possono non sopportare alcune condizioni di elevata aggressività ambientale, è allora necessario
ricorrere a superleghe a base di nichel, cromo, e molibdeno.
Nella Tab. 6 viene riportato un quadro sintetico dei vari tipi di acciai inossidabili con indicati anche
leghe di ultima generazione superferritiche e superaustenitiche.
TIPI DI CORROSIONE
La classificazione dei tipi di corrosione può essere fatta in modo abbastanza netto a seconda del
meccanismo con cui si verificano i fenomeni:
# Corrosione a secco (ossidazione a caldo)
# Corrosione a umido (corrosione elettrochimica in presenza di elettrolita)
Corrosione a secco (ossidazione a caldo)
Si ha corrosione a secco dei materiali metallici quando l'attacco ha luogo in assenza di umidità.
Questo tipo di corrosione si produce in generale con velocità sensibile solo ad alta temperatura, per
cui si parla anche frequentemente di corrosione a caldo ed in particolare, nel caso più comune in cui
la sostanza che si combina con il materiale metallico sia l'ossigeno, di ossidazione a caldo.
La cinetica dei processi di corrosione a caldo è particolarmente complessa, perchè si riferisce ad una
reazione eterogenea con formazione di uno strato di prodotti di corrosione sulla superfice metallica.
Se il film di prodotti di corrosione (ossidi) è poroso e/o fessurato, la corrosione può procedere anche
con velocità elevata che corrisponde alla velocità con cui arriva l'ossigeno alla superfice metallica.
Comunque anche nel caso in cui lo strato non è poroso, la corrosione può procedere se l'ossido
possiede caratteristiche di conducibilità sia ionica che elettronica, che dipendono soprattutto dalla
struttura e dalla difettosità dell'ossido stesso. Infatti, anche nel caso in cui si abbia formazione del
film, la corrosione può procedere attraverso un meccanismo che prevede una serie di processi
complementari:
* Una reazione anodica all'interfaccia metallo/ossido, dove un atomo del metallo M che forma
l'ossido MO cede due elettroni all'ossodo con formazione di uno ione M2+,
* il passaggio di due elettroni attraverso l'ossido fino alla superfice catodica (interfaccia
ossido/atmosfera),
* una reazione catodica all'interfaccia ossido/atmosfera gassosa dove l'ossigeno acquista i due
elettroni e forma ioni O2-,
* il passaggio degli ioni così formati (M2+ e O2-) all'interno dell'ossido rispettivamente dall'area
anodica a quella catodica e viceversa.
Il processo di ossidazione è pertanto attribuibile al funzionamento di una particolare cella galvanica
nella quale le due diverse funzioni di conduttore elettronico e di conduttore ionico, che sono
separate nel caso della corrosione ad umido, sono svolte contemporaneamente dall'ossido.
Corrosione ad umido
La corrosione ad umido è il fenomeno che avviene con meccanismo elettrochimico in presenza
quindi di un elettrolita.
La corrosione procede attraverso un meccanismo che prevede una serie di processi complementari:
* una reazione anodica all'interfaccia metallo/soluzione,
* il passaggio degli elettroni attraverso il materiale metallico fino a raggiungere la superficie
catodica,
* una reazione catodica che utilizza gli elettroni generati dall'ossidazione del metallo che si
corrode,
* la chiusura del circuito mediante passaggio di corrente per conduzione ionica attraverso
l'elettrolita.
Fig. 40. Corrosione generalizzata di Fig. 41. Corrosione della parete Fig. 42. Corrosione uniforme di un
una catena per ancora; l’attacco interna di un tubo di acciaio di bullone di acciaio zincato,
corrosivo benché generalizzato ha carbonio dovuta ad acqua aggressiva utilizzato in un sistema di
evidenziato i piani disfogliatura non incrostante, povera di ossigeno raffreddamento ad acqua. Il bullone
disciolto è stato oggetto di un intenso attacco
dovuto all’accoppiamento
galvanico tra l’acciaio al carbonio
ed un telaio di acciaio inossidabile
di un filtro.
Fig. 43. Diagramma di Evans che schematizza la corrosione per accoppiamento galvanico dello zinco con il ferro in
ambiente acido.
Questi concetti possono essere estesi anche all'accoppiamento di metalli e leghe con materiali da
loro differenti, quali ossidi e solfuri, purché dotati di conducibilità elettronica (es. Fe3O4, ossidi e
solfuri di rame, grafite), cfr. foto di Fig. 44-46.
La nobiltà relativa dei diversi materiali metallici non risulta essere univocamente definita dai valori
termodinamici riportati nella serie elettrochimica dei potenziali d'equilibrio di ossido-riduzione dei
vari metalli (cfr. Tab. 1 e 2). La maggior parte delle volte la nobiltà dipende dai valori dei potenziali
che i diversi materiali assumono una volta che si trovano negli ambienti "reali" (es. in Fig. 47, per
l'acqua di mare), stabilendo in questo modo delle serie galvaniche "pratiche", relative al
comportamento dei vari materiali metallici qualora vengano accoppiati nei differenti ambienti in
esame.
Fig. 44. Attacco per pitting di un Fig. 45. Corrosione per Fig. 46. Corrosione galvanica, dopo 3 anni,
tubo di rame dopo 9 mesi di pitting, dopo 10 anni, di un della parte esterna di un tubo di acciaio
servizio. L’ambiente era tubo di rame in acqua inossidabile AISI 316. L’ambiente era una
consistito da acqua calda di tipo potabile fredda. La causa è atmosfera umida; la causa dell’attacco è stata
aggressivo. I pit sono originati a la scarsa qualità del rame su una contaminazione della superficie con
causa di depositi di particelle cui si originano delle particelle carboniose.
rugginose provenienti da tubi di microcelle galvaniche
rame che agiscono come catodo. Cu/Cu2O.
Fig. 48. Situazione elettrochimica dell’inversione di coppia tra zinco e ferro in acqua potabile.
Fra i fattori che regolano la corrosione per contatto c'é la conducibilità elettrica dell'ambiente
aggressivo. Infatti, in mezzi dotati di elevata conducibilità l'attacco è intenso e si fa sentire a
distanze elevate, mentre in ambienti con alta resistività la corrosione risulta limitata alla zona
anodica in prossimità della giunzione con l'area catodica (Fig. 49); grossolanamente si può fare
l’esempio passando da acqua distillata ad acqua di rubinetto ad acqua di mare gli effetti
dell’accoppiamento si fanno sentire orientativamente a distanze dell’ordine rispettivamente del
millimetro, del centimetro e del metro dalla zona di contatto.
Fig. 49. Corrosione galvanica della lamiera di ferro nell’intorno delle rondelle di ottone in ambiente a bssa
conducibilità.
Un altro fattore importante è il rapporto fra le aree catodiche e quelle anodiche; le condizioni
sfavorevoli si hanno quando l'area anodica è piccola rispetto a quella catodica in quanto l'attacco
corrosivo si concentra su un'area limitata. Esempi tipici sono le giunzioni in acciaio (chiodi o
bulloni) su strutture in rame o in acciaio inossidabile (Figg. 42, 49-52), le saldature dei tubi, Fig. 53
o lo stesso caso della perforazione dell’acciaio zincato.
Fig. 50. Severo attacco corrosivo Fig. 51. Corrosione galvanica, dopo Fig. 52. Corrosione galvanica,
dovuto ad accoppiamento galvanico due anni, di un tratto di tubo di dopo 10 anni, fra una cerniera di
tra una vite di acciaio al carbonio ed acciaio in contatto con un raccordo di lega di rame e il telaio di
una staffa di acciaio inossidabile al ottone. L’ambiente era acqua potabile alluminio di una finestra.
cromo (AISI 410). La staffa calda aggressiva. I prodotti di L’ambiente era costituito da
apparteneva ad una colonna di corrosione hanno ostruito la atmosfera industriale.
distillazione e l’ambiente aggressivo tubazione.
era costituito da idrocarburi
contaminati da cloruri.
Fig. 53. Corrosione di tipo galvanico del cordone di saldatura di un tubo di acciaio al carbonio in acqua potabile.
Fig. 54. Dezincificazione (corrosione galvanica dovuta a microcelle) di un bullone di ottone del diametro di 12 mm. La
corrosione è penetrata ad una profondità di 12 mm. L’ambiente era acqua aggressiva per CO2.
Corrosione per vaiolatura o "pitting"
La corrosione per vaiolatura, indicata comunemente con il nome "pitting", costituisce una forma di
attacco localizzato di tipo perforante, che può portare alla messa fuori servizio di una struttura
metallica anche in tempi molto brevi e con perdite di materiale metallico veramente esigue. Le
dimensioni dei punti di attacco sono in genere compresi fra 0,1 e 2 mm di diametro e la morfologia
dell'attacco può essere sia penetrante che cavernizzante, come schematizzato in Fig. 55.
Fig. 55. Rappresentazione schematica di attacco per pitting penetrante (a) e per pitting cavernizzante (b).
Fig. 56. Famiglia di pit in sviluppo sulla superficie Fig. 57. Corrosione per pit, cresciuto sotto deposito, di
interna di un tubo di acciaio inox AISI 304 in un tubo di acciaio zincato in un impianto di distribuzione
soluzione clorurata. dell’acqua calda. Il tempo di perforazione di due anni e
mezzo.
La pericolosità dell’attacco per pitting è dovuta soprattutto al fatto che nonostante la perdita di
materiale metallico rappresenti una percentuale trascurabile del peso totale del materiale stesso, la
profondità delle cavità può giungere in breve tempo a interessare l’intero spessore della parete
metallica. Inoltre nel caso di strutture o manufatti meccanicamente sollecitati, le caverne possono
costituire l’innesco da cui partono le cricche che provocano la rottura di schianto, quelle di fatica o
di tensocorrosione.
Il pitting ha un'elevata capacità perforante e si individua in esso la formazione di aree anodiche e
catodiche. L'area anodica è quella interessata al fenomeno della corrosione, mentre l'area circostante
è quella catodica sulla quale hanno luogo le reazioni di riduzione delle specie presenti
nell'ambiente, quali l'ossigeno disciolto o gli ioni di metalli nobili. A causa dell'elevato rapporto fra
area catodica ed area anodica si crea su quest'ultima un flusso di corrente di elevata densità (la
densità di corrente anodica può essere più alta anche di 4 o 5 ordini di grandezza rispetto a quella
catodica) che crea un rapido effetto perforante (Fig. 58).
Il fenomeno del pitting si manifesta in due stadi temporali successivi, il primo di innesco e il
secondo di propagazione (Fig. 59).
Fig. 58. Meccanismo classico di sviluppo di corrosione Fig. 59. Velocità di accrescimento del pit in funzione del
per pitting tempo
AlCl3 Æ Al 3+ + 3 Cl
-
+ 3 H2O Æ Al(OH)3 + 3H
+
+ 3 Cl
-
(41)
3 H+ + 3 Cl
-
+ Al Æ AlCl3 + 3/2 H2 (42)
Lo stadio di innesco è imputabile all'intervento degli ioni ad azione specifica (es. Cl-) e si verifica in
corrispondenza dei punti più deboli del film superficiale con rottura dello stato di passività con
formazione di composti non protettivi e parzialmente solubili che liberano ioni metallici liberi. In
questo stadio il materiale reagisce all’attacco cercando di ripassivarsi, per cui la velocità di
corrosione è fluttuante. Lo stadio successivo di sviluppo e di accrescimento, procede velocemente
assumendo un andamento autostimolante, il quale appare imputabile alle condizioni locali di acidità
che si manifestano all'interno del pit, a seguito dei fenomeni di idrolisi dei prodotti di corrosione,
costituiti dagli alogenuri dei vari metalli presenti nella lega, con formazione di ioni H+.
La corrosione per pitting si verifica solamente.
- su materiali con comportamento attivo-passivo,
- in presenza di ioni specifici quali cloruri o altri alogenuri,
- in ambiente ossidante.
L’approfondimento degli aspetti elettrochimici permette di chiarire perché queste condizioni
sono necessarie.
Si considerino le curve caratteristiche, riportate in Fig. 60, che schematizzano il comportamento
anodico di un materiale attivo-passivo, rispettivamente in assenza e in presenza di cloruri. In
presenza degli anioni depassivanti la curva caratteristica risulta più spostata verso destra; inoltre, in
particolare, l’intervallo di passività diminuisce perché risulta più basso il potenziale di
transpassivazione (potenziale di rottura o di pitting), rispetto a quello in assenza di Cl-.
L’esperienza mostra che l’attacco per pitting si produce solo quando il materiale è portato ad un
potenziale superiore a quello di transpassivazione. In assenza di polarizzazioneesterna questi valori
di tensione sono raggiungibili solo per valori elevati del potere ossidante ambientale cioè solo se il
processo catodico è tanto nobile che l’intersezione della sua caratteristica con quella del processo
anodico avviene a valori di potenziale superiore al potenziale di transpassivazione. Ad esempio, dei
due processi riportati in Fig. 60, solo il processo 1 provoca un attacco per pitting; il processo 2
lascia il materiale in condizioni passive, nonostante la presenza di cloruri.
Negli ambienti promotori di corrosione per pittino è quindi necessaria la presenza di specie
ossidanti; tra queste in particolare si ricorda l’ossigeno e gli ioni suscettibili di passare a forme di
valenza inferiori caratterizzati da un elevato potenziale redox come gli ioni Fe3+ e Cu2+.
Il potenziale di rottura (o di pitting) può dare una misura della suscettibilità alla vaiolatura dei
materiali metallici, nel senso che al crescere di Et, ne diminuisce la suscettibilità.
Il potenziale di pitting dipende dal tipo di materiale metallico e dal tipo di ambiente in cui il
materiale opera.
Per quanto concerne il materiale, per esempio, se il materiale è un acciaio inossidabile, il potenziale
di pitting sarà più elevato al crescere del contenuto del Cr del Ni e soprattutto del Mo 14. La
composizione chimica del materiale non è però la sola a influire sulla resistenza al pitting, poiché
questo dipende anche dalla presenza delle inclusioni, di zone incrudite, di film superficiali difettosi
o alterati termicamente che abbassano il potenziale di pittino. Gli elevati valori del potenziale di
pitting degli acciai inossidabili ferritici (senza Ni!!!), a valori controllati di di elementi interstiziali o
degli austenitici ad elevata purezza, sembrano proprio essere dovuti alla presenza in questi materiali
di inclusioni in quantità estremamente ridotta.
14
Esiste un parametro per classificare la resistenza al pitting degli acciai inossidabili che si basa sulla loro
composizione chimica ed è indicato come PRE (Pitting Resistance Equivalent) che dipende dalle percentuali in peso di
Cr, Mo e N secondo le formule seguenti:
PRE1 = Cr% + 3 Mo% o
PRE2 = Cr% + 3.3 Mo% + 16 N% (se si tiene conto anche dell’azoto).
Come esempio viene riportata di seguito la graduatoria tra diverse leghe inossidabili di uso comune basate sul
parametro PRE1 e PRE2:
Lega Cr% Mo% N% PRE1 PRE2 Graduatoria
SAF 2205 22 3.0 0.14 31 34.1 1
Incoloy 825 21.5 3.0 - 30.5 31.4 2
AISI 317L 18 3.5 - 28.5 29.5 3
AISI 316L 17 2.5 - 24.5 25.2 4
AISI 304L 17 - - 17.0 17.0 5
La graduatoria è stata confermata da test elettrochimici di laboratorio per la determinazione del potenziale di pitting.
Questo tipo di calcolo rappresenta un approccio per una valutazione preventiva della qualità di un acciaio inossidabile
nei confronti degli altri, molto utile quando si deve operare una scelta del materiale da impiegare, tuttavia non deve
essere considerato come un metodo rigoroso e decisivo per la scelta.
Fig. 60. Caratteristiche anodiche in presenza ed in assenza di cloruri: condizioni di attacco per pitting (1) e di passività
(2).
In allegato sono forniti dei DATA SHEET relativi a leghe inossidabili che danno informazioni
relativamente alla loro composizione e resistenza alla corrosione per pitting.
Per quanto riguarda l’ambiente, il potenziale di pitting diminuisce al crescere della concentrazione
di cloruri e all’aumentare della temperatura. Quest’ultima, in particolare, viene anche adottata come
parametro per la valutazione della resistenza al pitting; a parità di concentrazione di cloruri e di
potenziale avere una temperatura critica di pitting bassa vuol dire avere a che fare con una lega
poco resistente alla corrosione per pitting, la Fig 61 mette in evidenza come possono essere
utilizzati i parametri che condizionano l’attacco per pitting per scegliere quali sono i materiali
idonei in un determinato ambiente.
Fig. 61. Temperature critiche di pitting per il SAF 2205, AISI 304 e AISI 316 a varie concentrazioni di cloruro di sodio
(determinazione potenziostatica a +300 mV). pH ≈ 6.
Di fatto si osserva che una volta il fenomeno di pitting si è innescato esso può procedere
anche se il materiale viene portato a valori di potenziale inferiori a quello di rottura. Viene pertanto
definito come potenziale di protezione, Epr, quel valore della tensione al di sotto della quale si deve
portare il materiale per far cessare qualsiasi attacco per pitting già innescato.
Allora, con l’introduzione di questa grandezza si viene a suddividere l’intervallo di passività in tre
regioni (Fig. 62).
- la regione di passività perfetta compresa tra il potenziale di passività Ep e il potenziale di
protezione Epr nella quale i fenomeni di pitting non si possono propagare ne tantomeno
innescare;
- la regione di passività imperfetta tra il potenziale di protezione Epr e quello di rottura Et, dove il
processo di vaiolatura può procedere se innescato;
- la regione di pitting al di sopra del potenziale di rottura Et.
Fig. 62. Curva di polarizzazione anodica con isteresi negativa. Es. acciaio inossidabile AISI 304 in acqua di mare.
L’attacco per pitting può essere prevenuto se si fa in modo che i materiali metallici non lavorino in
condizioni di potenziale superiori a quelli di rottura. A questo fine si può agire sia aumentando il
potenziale di rottura che diminuendo il potenziale di lavoro.
L’aumento del potenziale di rottura si ottiene utilizzando materiali metallici opportuni. Ad esempio
un aumento di Et si riscontra passando da un acciaio inossidabile tipo AISI 304 (18Cr-10Ni) ad uno
del tipo AISI 316, che rispetto al primo contiene solo un 2.5% di Mo in più. La differenza di
comportamento che ne deriva è tale che, ad esempio, il primo è da sconsigliare per impieghi in
acqua di mare, mentre il secondo si può utilizzare in questo ambiente anche in condizioni di elevata
turbolenza. Gli acciai inossidabili alto legati, i duplex, hanno un potenziale di rottura ancora
maggiori e ancora più elevato è quello delle leghe inossidabili tipo Hastelloy e soprattutto del
titanio.
La prevenzione mediante diminuzione del potenziale di lavoro si ottiene diminuendo il potere
ossidante dell’ambiente, attraverso il controllo delle specie ossidanti (ossigeno, ioni ferrici, etc.). E’
possibile anche ottenere una snobilitazione del materiale metallico al di sotto di Et, mediante una
protezione catodica effettuata per accoppiamento con un metallo meno nobile o con corrente
impressa. Si tratta, come si vedrà in seguito, di una protezione catodica particolare detta “protezione
in passività perfetta”, in quanto non si porta, come nella protezione catodica convenzionale, il
materiale in condizioni di immunità, ma solo al di sotto del potenziale di rottura nel campo passivo.
Corrosione interstiziale o "crevice"
Questo tipo di attacco localizzato si manifesta su numerosi materiali ferrosi e non ferrosi con
caratteristiche attivo-passive, in corrispondenza delle zone nelle quali risultano limitati sia il volume
che la mobilità dell'elettrolita.
Gli interstizi che provocano la corrosione sono molto sottili, normalmente di dimensioni tra 0.025 e
0.1 mm e possono essere causati:
- dalla particolare conformazione del pezzo (intagli, saldature porose o incomplete);
- dall’assemblaggio di due parti metalliche (giunti di sovrapposizione saldati o rivettati,
filettature, frangiature) o di metallo-non metallo (guarnizioni di tenuta, etc);
- dalla precipitazione dei prodotti di corrosione o di corpi estranei trascinati da fluidi circolanti
(sabbia, polveri, fango) o dalla crescita di molluschi o alghe in acqua di mare; in tutti questi casi
si parla anche di corrosione sotto deposito.
Alcuni esempi tipici di fessure che possono provocare attacchi corrosivi sono riportati in Fig. 63
mentre nelle foto delle Fig. 64-67 sono riportati casi pratici di corrosione per cervice.
Fig. 63. Tipi di fessure dovute a: a) incompleta penetrazione della saldatura, b) e c) giunzioni, d) guarnizione, e)
presenza di una sonda.
Fig. 64. Corrosione interstiziale (cervice), dopo 2 anni Fig. 65. Corrosione per cervice, dopo 1 anno, di una
di servizio, di una flangia di acciaio inossidabile AISI piastra di uno scambiatore di calore in acciaio
316. L’ambiente era acqua di mare a 40 °C e la causa è inossidabile AISI 316 nel lato acqua. L’ambiente era
stata la non perfetta sigillatura della guarnizione. costituito da acqua con 100 ppm di cloruri e la
corrosione si è generata nel punto di contatto tra due
piastre.
Fig. 66. Corrosione per cervice, in acqua di mare, su Fig. 67. Corrosione per cervice di un bullone e di un
asse di acciaio inossidabile per eliche. La zona corrosa dado di acciaio inossidabile AISI 430 dopo 3 anni di
era schermata da un premistoppa. permanenza in acqua di mare.
Fig. 68. Determinazione di un potenziale di corrosione nel campo dei potenziali passivi, all’esterno di un interstizio, per
un intervento del processo catodico che fornisce iL,III > icrit e determinazione di un potenziale di corrosione nel campo
dei potenziali attivi, all’interno dell’interstizio, a causa di difficoltà di afflusso di ossigeno, (iL,II < icrit).
Fig. 69: Tempi di sensibilizzazione di acciai inossidabili, Fig. 70: Variazione della percentuale di Cr al bordo dei
a vari tenori di C, in funzione della temperatura grani durante il fenomeno della sensibilizzazione
Fig. 71. Rappresentazione schematica delle diverse zone strutturalmente e chimicamente diverse in vicinanza di un
riporto di saldatura.
I sistemi più diffusi per prevenire la corrosione intergranulare tendono ad evitare la presenza o la
formazione dei carburi di cromo.A tale scopo si può:
--utilizzare acciai austenitici a basso contenuto di carbonio (C < 0.03%) i quali, limitando la
possibilità di formazione di carburi, diminuiscono anche la probabilità di sensibilizzazione;
--riscaldare il manufatto di acciaio inossidabile già sensibilizzato a 1050 °C per un tempo
sufficiente in modo da risolubilizzare i carburi precedente formati, facendo quindi seguire un
raffreddamento molto rapido a temperature inferiori di 400 °C;
--utilizzare acciai inossidabili "stabilizzati" che contengono in lega elementi stabilizzanti quali il
niobio o il titanio capaci di dar luogo a carburi più stabili di quelli del cromo ed in grado di
precipitare sia nel bordo che nel corpo dei grani.
Fig. 72. Corrosione Fig. 72. Corrosione intergranulare di Fig. 74. Corrosione intergranulare di
intergranulare di una paletta di un tubo di acciaio al cromo-nichel 18- un acciaio inossidabile (20 Cr, 25 Ni,
acciaio inossidabile AISI 316 di 10 (AISI 304) in zona limitrofa alla 4,5 Mo, 1,5 Cu) a contatto con una
una pompa dovuto all’attacco di saldatura dopo 3 anni di servizio. soluzione al 50% di acido solforico
una miscela contenente acido L’ambiente aggressivo era costituito contenente sensibili quantità di cloruri
fluoridrico. da glicol etilenico a 190 °C. a 50 °C.
Come gli acciai austenitici, anche i ferritici possono essere soggetti a sensibilizzazione e quindi a
corrosione intergranulare, ma per questi tipi di acciai l’intervallo di temperatura di sensibilizzazione
è tra 900 e 1200°C.
Per gli acciai inossidabili stabilizzati che subiscono la saldatura multipassata la corrosione
intergranulare avviene a temperature prossime a quelle di fusione 1300-1500°C e quindi la zona
sensibilizzata risulta essere quella di confine tra materiale di riporto e materiale base. La corrosione
in questo caso è definita a lama di coltello perché stacca il materiale base di netto dalla saldatura
(Fig. 75).
Fig. 75. Andamento del gradiente termico prodotto in una lamiera di acciaio inossidabile da un processo di saldatura e
localizzazione delle zone sensibilizzate e dei conseguenti attacchi intergranulari nel caso di acciai inossidabili
austenitici, ferritici ed austenitici sensibilizzati.
Corrosione sotto sforzo
La corrosione sotto sforzo o sotto tensione, definita anche tensocorrosione o "stress corrosion
cracking", è un tipo di attacco localizzato fessurante, che si manifesta per l'azione contemporanea di
una sollecitazione meccanica nel senso della trazione e di un ambiente scarsamente corrosivo e tale
che, in assenza della sollecitazione, avrebbe determinato attacchi corrosivi differenti e sicuramente
meno pericolosi.
Le cricche che si formano nel materiale soggetto a corrosione sotto tensione possono essere di tipo
intergranulare, transgranulare, semplici o ramificate, mentre la parte rimanente della superfice
metallica risulta esente da attacco. In ogni caso le cricche risultano orientate in direzione
perpendicolare a quella della sollecitazione. Quest'ultima può essere dovuta a tensioni interne,
dilatazioni termiche, tensioni di saldatura, deformazioni elastiche o a carichi meccanici (Fig. 76-79).
Fig. 76. Corrosione sotto sforzo, dopo alcuni mesi di Fig. 77. Corrosione sotto sforzo, dopo 1 anno, di un
esercizio, della corazza di una resistenza elettrica di tubo di acciaio inossidabile AISI 304 di un impianto di
una lavatrice, causata da stress termico. Il materiale è Ketchup. Le condizioni di processo erano: pH 3,5, T =
acciaio inossidabile al cromo-nichel-molibdeno 18-10- 45 – 90 °C.
2 (AISI 316). L’ambiente era costruito da acqua
potabile calda contenente 150 ppm si ioni cloruro.
Fig. 78. Fessurazione transcristallina in un acciaio AISI Fig. 79. Bollitore di una macchina per il caffè in
304, sviluppata dopo una prova in una soluzione al acciaio inossidabile AISI 304 che mostra corrosione
40% di CaCl2 a 100 °C. sotto sforzo. La concentrazione degli ioni Cl- contenuti
nell’acqua del mantello riscaldante era originariamente
50 mg/L, ma era aumentata considerevolmente con
l’evaporazione.
Come per altri tipi di corrosione localizzata, il processo di corrosione sotto sforzo si manifesta
attraverso due stadi successivi: il primo di incubazione o di innesco delle cricche ed il secondo di
propagazione delle stesse.
Il processo di innesco delle cricche, in modo simile a quanto accennato per altri processi di
corrosione localizzata, può essere attribuito a rottura locale della passività in presenza di ioni
specifici, con instaurazione di un processo localizzato di dissoluzione anodica. Nel caso della
corrosione sotto sforzo, lo stadio di innesco è reso più probabile per la presenza della sollecitazione
meccanica.
Il tempo di incubazione delle cricche, che può essere dell'ordine di ore o di anni, oltre che dalla
natura di eventuali difetti superficiali e dall'entità della sollecitazione meccanica, dipende dalla
temperatura e dalla composizione dell'ambiente (concentrazione ionica, pH, O2 disciolto, etc.).
La propagazione delle cricche può partire direttamente dalla superfice o in corrispondenza di
inclusioni, di attacchi puntiformi o di intagli creati artificialmente. Viene generalmente ammesso
che il meccanismo di propagazione delle cricche coinvolga uno stadio elettrochimico lento, relativo
alla dissoluzione del metallo all'apice della cricca ed uno stadio rapido dovuto a intervento di
fratture fragili. La superfice catodica chiaramente è tutta la parte della superfice esterna facilmente
raggiungibile dall'ossigeno.
I metodi di prevenzione e di protezione nei confronti della corrosione sotto tensione possono
riguardare una scelta appropriata dei materiali metallici in sede di progettazione, l'eliminazione di
sollecitazioni eventualmente presenti, un intervento su strutture già costruite o un'intervento
sull'ambiente.
L’aggressività delle acque è strettamente legata alla loro composizione. Le varie specie chimiche
presenti nell’acqua, infatti oltre che a definire la natura e quindi le caratteristiche protettive o meno
dei prodotti di corrosione, determinano pure una serie di proprietà direttamente o indirettamente
influenzanti l’aggressività, quali: il potere incrostante, cioè la capacità di separare depositi, il potere
ossidante, l’effetto tampone, etc. Inoltre il contenuto salino delle acque è strettamente legato alla
loro conducibilità elettrica, che a sua volta determina l’entità e la distribuzione della corrosione per
contatto galvanico.
Nelle acque naturali si trovano solitamente i bicarbonato e i carbonati il cui tenore è strettamente
legato a quello dell’anidride carbonica e degli ioni calcio e magnesio presenti in soluzione e, che
come si vedrà in seguito, sono soprattutto importanti nel definire la tendenza incrostante o viceversa
aggressiva (nei confronti dei depositi protettivi) delle acque.
Un altro ione corrosionisticamente importante è lo ione cloruro, a causa della caratteristica di questi
anioni di impedire la formazione di strati protettivi. Il tenore di questi ioni è variabilissimo a
seconda del tipo di acqua, passando dalle tracce nelle acque piovane a una o due decine di p.p.m. in
acque di fiume, ad un centinaio in quelle potabili fino a 35000 ppm in quella di mare. Hanno una
certa importanza anche i solfati, di solito presenti in tenori inferiori a quelli dei cloruri e i nitrati.
Tra i cationi importante è la presenza di quelli di calcio e di magnesio, cioè dei costituenti che con il
loro contenuto determinano la durezza totale delle acque.
D’altra parte una specie importantissima tra quelle passate nell’acqua dall’atmosfera, oltre alla già
citata anidride carbonica, è l’ossigeno, che come noto può giocare un ruolo di agente corrosivo
oppure quello di agente protettivo nei confronti dei materiali metallici a seconda della sua
concentrazione e del comportamento attivo-passivo dei materiali stessi.
Il contenuto di ossigeno in un’acqua naturale satura è dell’ordine di 12 ppm in acqua dolce e di 8
ppm in acqua di mare a 25°C. Lo scambio con l’atmosfera può risultare molto lento, in particolare
in acque stagnanti, per cui tenori inferiori a quello di saturazione si possono riscontrare anche in
acque di superficie e non solo in quelle profonde in cui lo scambio può risultare impossibile.
Indice di Langelier
Ritornando all’equilibrio della Fig. 80 occorre sottolineare che l’equilibrio viene spostato verso
destra da un aumento di pH e da un aumento di temperatura, mentre accade il contrario con una
diminuzione di questi due parametri.
Ora, per la formazione di un’incrostazione calcarea (acqua incrostante) sulle pareti di un recipiente
o una conduttura metallica occorre che la quantità di ioni Ca2+ e CO32- superino il prodotto di
solubilità del CaCO3 solido, altrimenti l’acqua risulta aggressiva. Da qui si evince che è bene che
l’acqua, per essere incrostane e quindi non aggressiva, debba avere un leggero grado di
sovrassaturazione in CaCO3.
A tal proposito risulta utile ricorrere all’indice di Langelier o” indice di saturazione” definto come
Is = pH - pHs
dove pH rappresenta il pH effettivo dell’acqua, e pHs il pH di saturazione, ossia quello che essa
dovrebbe avere se si trovasse all’equilibrio con il corpo di fondo costituito da CaCO3 solido.
Se Is>0 l’acqua è incrostante, se Is<0 essa è aggressiva.
L’indice di Langelier può essere agevolmente calcolato mediante il nomogramma riportato nella
Fig. 81. Esso permette di riferire l’indice alla temperatura effettiva d’impiego dell’acqua.
Fig. 81. Nomogramma per il calcolo dell’indice di Langelier.
Come si può constatare, il potere incrostante di un’acqua aumenta con la temperatura; ciò spiega
perché molte acque, aggressive a temperatura ambiente, divengono incrostanti quando sono
riscaldate e rende anche ragione del fatto che generalmente le incrostazioni calcaree si trovano in
corrispondenza delle superfici riscaldate degli scambiatori di calore. Talvolta le incrostazioni
risultano talmente sviluppate che le tubazioni o i boiler risultano messi fuori sevizio dal troppo
calcare depositato (Fig. 82, Fig. 83). L ragione di questo fenomeno risiede nel fatto che
all’aumentare della temperatura i bicarbonati presenti nell’acqua, che sono sali solubili, si
decompongono liberando anidride carbonica e carbonato di calcio che è praticamente insolubile,
secondo la reazione:
Fig. 82. Ostruzione di una tubatura di impianto Fig. 83. Ostruzione di un tubo di acciaio zincato in uscita
domestico di distribuzione di acqua calda, per da un bollitore di acqua calda per uso sanitario da parte
incrostazioni calcaree. del calcare.
L’indice di Langelier è divenuto oggi di uso comune, grazie alla sua semplicità e praticità. Tuttavia,
esso non è preciso, la sua validità subisce molte limitazioni ed inoltre non si può attribuirgli, a detta
dello stesso Langelier, un valore quantitativo.
L’inesattezza dell’indice di Langelier dipende dal fatto che esso non tiene conto, se non rozzamente,
delle attività degli ioni interessati nelle reazioni del sistema. Il suo significato, quindi è quello di un
“indice direzionale” valido per acque aventi valori di pH da 6.5 a 9.5 ed una salinità massima di
circa 800 ppm.. Una dimostrazione ne è l’acqua di mare che nonostante sia soprassatura di
carbonato di calcio, non è tuttavia incrostante, come è ben noto a tutti gli utenti di impianti di
raffreddamento alimentati con acqua di mare.
Un altro indice a cui si fa ricorso per stabilire se l’acqua è aggressiva o no è l’indice di stabilità di
Ryznar definito dalla relazione empirica seguente:
Ist = 2pHs – pH
Se il valore Ist <6 l’acqua è incrostante, se Ist>6 l’acqua è aggressiva. L’espressione di Ryznar può
sembrare a prima vista priva di qualsiasi fondamento teorico, ma in realtà è giustificata dal fatto che
dando maggior peso al termine pHs mediante il moltiplicatore 2, si tiene conto del potere tampone
dell’acqua, dal quale pHs dipende in modo approssimativo.
Per evitare equivoci è molto opportuno chiarire che i termini “aggressiva” e “corrosiva” riferiti
ad un’acqua non sono affatto equivalenti, benché molti ne facciano un uso indiscriminato.
Corrosiva è infatti un’acqua che provoca l’attacco delle superfici metalliche costituenti il
recipiente,<mentre l’acqua aggressiva ha il potere di disciogliere il carbonato di calcio. Queste due
caratteristiche si trovano spesso riunite in una stessa acqua, ma non sempre. Un esempio tipico è
quello dell’acqua di mare, fortemente corrosiva verso le leghe ferrose, ma non aggressiva nei
riguardi del calcare.