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INTRODUZIONE A GIOBBE

Il libro di Giobbe è un libro a sé, non è collegato a nessun altro e, perciò, è da considerarsi
unico. Molte versioni delle Bibbia ebraica pongono tale libro dopo quello dei Salmi, e
alcune dopo quello dei Proverbi, cosa che ha dato ragione ad alcuni eruditi di pensare che
esso sia stato scritto da Isaia o da qualche altro profeta successivo. Dal momento, però,
che il soggetto sembra essere stato molto più antico, noi non abbiamo motivo di non
pensare che anche la composizione del libro lo sia stata, e che perciò esso si collochi
meglio prima in questa collezione di moralità divine: inoltre, essendo dottrinale, esso è
adatto a precedere e a introdurre il libro dei Salmi, che è di meditazione, e il libro dei
Proverbi, che è pratico; perché come potremmo adorare o obbedire a un Dio che non
conosciamo? Quanto al presente libro,

I. Noi siamo sicuri che esso sia stato ispirato da Dio, anche se non siamo certi di chi sia
stato lo scrittore. Gli Ebrei, pur non amici di Giobbe poiché estraneo alla comunità di
Israele, tuttavia, da fedeli conservatori degli oracoli di Dio affidati a loro, serbarono
sempre questo libro nel loro sacro canone. La storia è riferita da un apostolo Gc 5:11 e un
brano di Gb 5:13 è citato da un altro apostolo nel tradizionale modo di riportare la
scrittura, È scritto. 1Co 3:19 È opinione di molti degli antichi che questa storia sia stata
scritta da Mosé stesso a Madian e pronunciata ai suoi fratelli sofferenti in Egitto come
supporto e conforto ai loro pesi e come incoraggiamento della loro speranza che Dio al
tempo debito li avrebbe liberati e arricchiti come fece con questo paziente malato. Alcuni
ipotizzano che esso sia stato originariamente scritto in arabo e in seguito tradotto in
ebraico da Salomone (Monsieur Jurieu) o da qualche altro scrittore ispirato a beneficio
della congregazione ebraica. Mi sembra più probabile che sia stato Eliu lo scrittore del
libro, o almeno dei dialoghi, poiché in Gb 32:15-16 egli mescola le parole di uno storico
con quelle di un contestatore: ma Mosé forse scrisse i primi 2 capitoli e l’ultimo, che
enfatizzano i dialoghi; perché qui Dio è spesso chiamato Geova, ma mai in tutti i dialoghi,
eccetto che in Gb 12:9. Quel nome era quasi sconosciuto ai patriarchi prima di Mosé. Eso

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 1


6:3 Se è stato lo stesso Giobbe a scriverlo, alcuni degli scrittori ebrei stessi lo
riconoscevano come profeta tra i Gentili; nel caso sia stato Eliu, riscontriamo in lui uno
spirito di profezia che lo riempiva di sostanza e lo stimolava. Gb 32:18

II. Noi siamo sicuri che essa sia, per la sua sostanza, una storia vera e non un romanzo,
anche se i dialoghi sono poetici. Senza dubbio ci fu un uomo come Giobbe; il profeta
Ezechiele lo nomina insieme a Noè e Daniele. Ez 14:14 Il racconto che qui abbiamo della
sua prosperità e pietà, le sue strane afflizioni e la sua esemplare pazienza, il contenuto dei
suoi incontri con gli amici e il discorso di Dio con lui dal seno della tempesta, con alla fine
il suo ritorno a una condizione molto prospera, è senza dubbio vera, anche se lo scrittore
ispirato si è preso la libertà di rendere la questione di cui Giobbe e i suoi amici parlavano
con parole proprie.

III. Noi siamo sicuri che esso sia molto antico, anche se non possiamo fissare la data
precisa né di quando visse Giobbe né di quando fu scritto il libro. Così tanti, così evidenti
sono i suoi capelli canuti, il segno della sua vecchiaia, che abbiamo ragione di pensare di
farlo risalire allo stesso libro della Genesi, e che il santo Giobbe fu contemporaneo di
Isacco e Giacobbe; anche se non era coerede con loro della promessa terra di Cana,
tuttavia anche lui restava in attesa di un paese migliore, cioè il Paradiso. Probabilmente
discendeva da Naor, fratello di Abramo, il cui primogenito fu Uz, Ge 22:21 e nella cui
famiglia la religione venne osservata per alcune epoche, come appare in Ge 31:53 dove
Dio è chiamato non solo Dio di Abramo ma anche Dio di Naor. Egli visse prima che l’età
dell’uomo venisse abbreviata a settanta o ottant’anni, poiché era al tempo di Mosé, prima
che i sacrifici fossero limitati a un altare, prima dell’apostasia generale delle nazioni dalla
conoscenza e dalla adorazione del vero Dio, e nello stesso tempo in cui non c’era altra
idolatria conosciuta se non l’adorazione del sole e della luna, punita dai Giudici. Gb 31:26-
28 Egli visse nel periodo in cui Dio era conosciuto con il nome di Dio Onnipotente più che
con il nome di Geova; poiché in questo libro egli è chiamato Shaddai l’Onnipotente per più
di trenta volte. Egli visse nel periodo in cui la conoscenza divina era trasmessa non dalla
scrittura, ma dalla tradizione; infatti tali richiami vengono fatti in Gb 8:8 21:29 15:18 5:1.
E perciò, abbiamo motivo di pensare che egli visse prima di Mosé, perché qui non c’è
menzione alcuna della liberazione di Israele dall’Egitto, o della consegna della legge. C’è
invece un brano che potrebbe alludere all’annegamento del Faraone. Gb 26:12 Con la sua
forza egli solleva il mare, con la sua intelligenza ne abbatte l’orgoglio: con il nome di mare
nella Scrittura viene spesso chiamato l’Egitto, come in Sl 87:4 89:10 Is 51:9. Potrebbe,
però, riferirsi anche alle onde orgogliose del mare. Concludiamo, quindi, che qui siamo
riportati all’età dei patriarchi e che, oltre alla sua autorità, noi riceviamo questo libro
venerandolo per la sua antichità.

IV. Noi siamo sicuri che esso sia di grande utilità alla chiesa e a ogni buon cristiano, anche
se ci sono molti brani oscuri e difficili da comprendere. Forse non possiamo fare
affidamento sul vero significato di ogni parola o frase araba che vi incontriamo. È un libro
che fornisce una gran quantità di lavoro ai critici; ma è chiaro abbastanza per renderlo a
noi utile, dal momento che è stato scritto interamente per la nostra istruzione.

1. Questo nobile poema ci rivela, in caratteri chiarissimi e vivaci, cinque cose tra tutte le
altre:

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 2


(a) Un monumento di teologia primitiva. I primi e grandi princìpi dell’illuminazione dalla
natura, su cui si fonda la religione naturale, sono qui-in una calda, lunga e sapiente
disputa-non solo presi per scontati in tutte le parti senza il minimo dubbio, ma per comune
consenso chiaramente dettati come verità eterne, illustrate ed esortate come toccanti
verità fondamentali. Furono mai l’essere di Dio, i suoi attributi gloriosi e la sua perfezione,
la sua saggezza imperscrutabile, la sua potenza irresistibile, la sua incredibile gloria, la sua
giustizia inflessibile, la sua sovranità incontestabile disquisite con più chiarezza, ampiezza,
riverenza e divina eloquenza come in questo libro? La creazione del mondo e il suo
governo sono in questa sede descritte in maniera mirabile, non in qualità di mera
speculazione ma come messa in opera dei doveri più potenti verso di noi per temere e
servire, sottomettersi e affidarsi al nostro Creatore, padrone, Signore e sovrano. La morale
buona e cattiva, la virtù e il vizio, non sono mai state desunte dalla vita (la bellezza
dell’uno e la deformità dell’altro) come in questo libro; né la legge inviolabile della giustizia
di Dio è stata più chiaramente trattata: i giusti sono uomini felici, il bene sarà con loro; il
dolore è con i malvagi, il male sarà con loro. Non si tratta di questioni che differenti
dottrine mantengono accese nell’ambito dei sapienti, né di faccende con le quali gli
apparati dello stato debbano continuare a soggiogare gli ignoranti; no, emerge invero da
questo libro l’indiscussa certezza di queste verità sacre a cui tutta la parte saggia e
assennata dell’umanità di ogni tempo ha aderito e si è sottomessa.

(b) Ci presenta un modello della pietà straniera. Questo grande santo probabilmente non
discende da Abramo, ma da Naor, oppure se da Abramo, però non da Isacco ma da uno
dei figli delle concubine che furono mandate nella regione orientale; Ge 25:6 oppure se da
Isacco, tuttavia non da Giacobbe ma da Esaù, così che egli era fuori della portata del patto
specifico: non era un Israelita, né un proselito e tuttavia nessuno era come lui per la
religione, né un prediletto del cielo su questa terra. Tuttavia era vero, prima che San
Pietro potesse avvedersene, che chi teme Dio pratica la giustizia, a qualunque popolo
appartenga, è a lui accetto. At 10:35 I figli di Dio erano dispersi oltre ai figli riuniti nel
regno dei cieli. Mt 8:11-12

(c) Ci presenta una interpretazione del libro della Provvidenza ed una chiara e
soddisfacente soluzione di molti suoi difficili e oscuri brani. La prosperità dell’empio e le
afflizioni del giusto sono state sempre considerate dei difficili capitoli del libro; ma sono
alla fine qui interpretate e riconciliate con la saggezza, la purezza e la virtù divine.

(d) Ci presenta un grande esempio di pazienza e di stretta adesione a Dio nel mezzo delle
calamità più dolorose. L’ingegnosissima penna di Sir Richard Blackmore, nella eccellente
prefazione della sua parafrasi di questo libro, rende Giobbe un vero e proprio eroe di un
poema epico; poiché egli dice « È coraggioso nella pena e valoroso nella calamità e con
una tale personalità, sotto le provocazioni più esasperanti che la malignità dell’inferno ha
potuto escogitare, ha fornito uno degli esempi più nobili di forza d’animo passiva, un
carattere in nessun modo inferiore a quello di un eroe attivo ».

(e) Ci presenta un archetipo di Cristo, le cui caratteristiche dovremo tentare di ravvisare


lungo l’esposizione. In generale, Giobbe è stato un grande sofferente, depredato e
umiliato ma per sua maggiore gloria. Così come Cristo si è umiliato, noi dovremmo essere
elevati. Il Dott. Patrick cita San Gerolamo più di una volta parlando di Giobbe come di un
archetipo di Cristo, che per la gioia di essere al suo cospetto ha sopportato le tribolazioni,
perseguitato per un periodo dagli uomini e dai demoni, abbandonato anche da Dio, ma

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 3


innalzato a intercessore persino per i suoi amici, unendo patimenti alla sua miseria.
Quando l’apostolo parla della pazienza di Giobbe, questi si riferisce immediatamente alla
morte del Signore, vale a dire del Signore Gesù (come qualcuno ha intuito), simboleggiata
da Giobbe. Gc 5:11:2 In questo libro abbiamo,

(f) La storia delle sofferenze di Giobbe e la sua pazienza nel sopportarle (Giobbe 1-2), non
senza una dose di fragilità umana (Giobbe 3).

2. Una discordia tra lui e i suoi amici in cui, [1] Gli antagonisti erano Elifaz, Bildad e Zofar.
[2] Il rispondente era Giobbe. [3] I mediatori erano, prima Eliu (Giobbe 32-37), poi Dio
stesso (Giobbe 3841).

3. La conclusione di ogni cosa nella prosperità e nell’onore di Giobbe (Giobbe 42). Nel
complesso, apprendiamo che molte sono le calamità dei giusti, ma quando il Signore li
libera da esse, la prova della loro fede porterà alla lode, all’onore e alla gloria.

Giobbe 1

La storia di Giobbe inizia qui con un resoconto:

I. Della sua grande devozione a Dio, in generale Gb 1:1 e in un esempio particolare. Gb


1:5

II. Della sua grande prosperità. Gb 1:2-4

III. Della malvagità di Satana contro di lui e del permesso che ottenne per mettere alla
prova la sua costanza. Gb 1:6-12

IV. Delle sue sorprendenti calamità, comprese la distruzione dei suoi possedimenti Gb
1:13-17 e la morte dei suoi figli. Gb 1:18,19

V. Della sua pazienza e della sua devozione a Dio che rimasero esemplari durante quelle
tribolazioni. Gb 1:20-22 In tutto questo, Giobbe ci lascia un esempio di sopportazione delle
afflizioni, da cui non c’è prosperità che ci possa salvare. L’integrità e la rettitudine ci
preservano però fino alla fine.

Gb 1:1-3

Di Giobbe sappiamo che:

I. Era un uomo, e quindi sottoposto alle stesse nostre passioni. Era Ish, un uomo
importante, grande e famoso, un magistrato, un’autorità. Viveva nella terra di Uz,
nell’Arabia orientale, verso la Caldea, vicino all’Eufrate, probabilmente non lontano da Ur
dei Caldei, da dove fu chiamato Abramo. Dio fece uscire un giusto da quel paese, ma non
si lasciò senza testimonianza: vi mise infatti un altro predicatore di giustizia. Ha un residuo
di persone segnate con il suo sigillo in ogni luogo e in ogni paese, come pure in ogni tribù
di Israele. Ap 7:9 La terra di Uz era privilegiata a ospitare un uomo giusto come Giobbe.
Era davvero un’Arabia Felix. Il fatto che Giobbe fu così retto in una terra così malvagia lo
rende ancora più elogiabile. Peggio erano gli altri, migliore era lui. Il suo nome, Giobbe, o

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 4


Jjob, secondo alcuni, significa odiato, una persona considerata nemica. Secondo altri,
significa uno che si duole o si lamenta. Quell’elemento di dolore nel suo nome serviva
forse a contenere la sua gioia durante la prosperità. Secondo Cave, deriva da Jaab:
amare, o desiderare, che indica la gioia dei genitori alla sua nascita, essendo stato il
desiderio dei loro occhi. Ci fu però un tempo in cui Giobbe maledisse il giorno della sua
nascita. Chi può predire alcunché su una giornata che inizia luminosa?

II. Era un uomo molto buono, estremamente pio e migliore di ogni altro in quella regione:
Era integro e retto. Queste parole stanno a indicare non solo la sua reputazione tra gli
uomini (era generalmente considerato un uomo onesto), ma il suo vero carattere. Si tratta
infatti del giudizio di Dio, e quindi è certamente vero.

1. Era un uomo religioso. Temeva Iddio, cioè, lo adorava secondo la sua volontà e si
conduceva in ogni circostanza secondo le regole della sua legge.

2. La sua religiosità era sincera: Era perfetto. Gb 1:1 KJV Non era senza peccato, come lui
stesso riconosce: Se dico che sono perfetto, si dimostrerà che sono perverso. Gb 9:20 KJV
Dal momento però che rispettava tutti i comandamenti di Dio e tendeva alla perfezione, la
sua giustizia non era un’apparenza, e la sua professione di fede non era un’ipocrisia. Il suo
cuore era retto e il suo occhio era puro. La sincerità è perfezione secondo il Vangelo.
Senza di essa, non c’è religione.

3. Era retto nei confronti di Dio e degli uomini. Era fedele alle sue promesse, saldo nei suoi
proponimenti, fidato e coscienzioso in tutte le sue parole e in tutti i suoi atti. cfr. Is 33:15
Pur non essendo di Israele, era un vero Israelita in cui non c’era frode.

4. Il timore di Dio che regnava nel suo cuore era il principio che governava tutta la sua
condotta. Fu quello a renderlo integro e retto, intimamente e interamente consacrato a lui,
religioso in tutto e secondo ogni punto di vista. Fu quello a mantenerlo fedele e costante
al suo dovere. Temeva Iddio, provando riverenza per la sua maestà, riguardo per la sua
autorità e terrore per la sua ira.

5. Era atterrito anche solo al pensiero di peccare. Proprio perché aveva timor di Dio Ne
5:15 fuggiva il male, evitando ogni apparenza di peccato e tenendosene lontano, con il più
grande odio e disgusto e con costanti attenzioni e cure. Il timore dell’Eterno è odiare il
male Pr 8:13 e col timor dell’Eterno si evita il male. Pr 16:6

III. Era un uomo di grande successo in questo mondo e di grande autorità nel suo paese.
Era ricco, ma pio. Anche se è difficile e raro, non è impossibile a un ricco entrare nel regno
di Dio. A Dio anche questo è possibile, e per sua grazia le tentazioni delle ricchezze non
sono insuperabili. Era pio, e la sua pietà era amica della sua prosperità, perché la pietà ha
la promessa della vita presente. Era ricco, e la sua prosperità illuminava la sua pietà,
dandogli ancor più opportunità di fare il bene. Gli atti della sua pietà erano espressioni di
gratitudine a Dio per la prosperità che gli aveva concesso. L’abbondanza dei beni che Dio
gli aveva dato gli infondeva maggior gioia per servirlo.

1. Aveva una famiglia numerosa. Pur essendo molto religioso, non era un eremita o un
recluso, ma un padre di famiglia e un possidente agricolo. La sua grande famiglia era un
esempio della sua prosperità, perché i figli sono un’eredità che viene dall’Eterno e un suo

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 5


premio. Sl 127:3 Aveva sette figliuoli e tre figliuole, Gb 1:2 maschi e femmine, in
maggioranza del sesso più nobile, che edifica la famiglia. I figli devono essere considerati
benedizioni di Dio, e lo sono, soprattutto per i giusti che danno buoni insegnamenti, li
aiutano a condursi in maniera esemplare e pregano per loro. Anche se Giobbe aveva molti
figli, non fu mai opprimente o spietato verso i poveri, ma anzi fu molto generoso. Gb
31:17 ss. Chi ha una grande famiglia da mantenere deve considerare che ciò che viene
prudentemente dato in offerte è nel migliore interesse dei figli ed è il migliore investimento
per il loro bene.

2. Aveva grandi sostanze per mantenere la famiglia. Gb 1:3 KJV Le ricchezze sono
chiamate sostanze, secondo il vocabolo comune, anche se, per l’anima e per il mondo a
venire, sono solo ombre che non sono più. Pr 23:5 Solo nella sapienza divina siamo eredi
di beni reali. Pr 8:21 In quei giorni, quando la terra non era ancora del tutto popolata, i
proprietari terrieri erano come quelli delle piantagioni di oggi: era facile avere del terreno
se si aveva abbastanza bestiame da poterne usufruire. Le sostanze di Giobbe sono quindi
descritte non in merito agli ettari di terreno che possedeva, ma in merito:

(a) Al suo bestiame: pecore, cammelli, buoi e asine. Ce ne sono date le quantità,
probabilmente non esatte, ma approssimate. Le pecore sono elencate per prime perché
erano le più utili alla famiglia, come fa notare Salomone: Gli agnelli ti danno da vestire, e il
latte basta a nutrir la tua famiglia. Pr 27:23,26,27 Giobbe, probabilmente, aveva anche
dell’argento e dell’oro, come Abramo, Ge 13:2 ma allora gli uomini valutavano i
possedimenti secondo il servizio e l’uso che ne potevano ricavare più che secondo la figura
e il prestigio di beni che si possono solo accumulare. Appena Dio fece l’uomo e provvide al
suo sostentamento con le erbe e i frutti della terra, lo rese grande e ricco facendolo
dominare su tutte le creature. Ge 1:28 Dal momento che quel dominio gli è tuttora
conferito, nonostante la sua defezione, Ge 9:2 dev’essere ancora considerato una delle
principali dimostrazioni di ricchezza, di onore e di potere. Sl 8:6

(b) Ai suoi servitori. Aveva molti servi che lavoravano per lui e che manteneva. Gli
recavano onore e benefici, ma richiedevano anche molte attenzioni e comportavano grandi
responsabilità. Notate la vanità di questo mondo: Man mano che si accrescono i
possedimenti, c’è bisogno di più persone che se ne prendano cura. Quando abbondano i
beni, abbondano anche quei che li mangiano; e che pro ne viene ai possessori, se non di
veder quei beni coi loro occhi? Ec 5:11 In breve, Giobbe era il più grande di tutti gli
orientali, che erano i più ricchi del mondo. Era infatti considerato ricchissimo chi era più
pieno dei popoli orientali. Is 2:6, nota a margine La ricchezza di Giobbe, insieme alla sua
sapienza, gli concedeva tanto onore e autorità nel paese da farne il capo, come egli
descrive nel capitolo 29. Era retto e onesto, ma anche ricco. Anzi, proprio per quello era
ricco. L’onestà è la condotta migliore, e la pietà e la carità sono di solito le migliori
garanzie di successo. Aveva molti servi e molti affari, eppure mantenne il timore di Dio e
continuò ad adorarlo, servendolo insieme a tutta la sua famiglia. Il resoconto della sua
pietà e della sua prosperità precede la storia delle sue grandi afflizioni, per dimostrare che
esse non possono prevenire le disgrazie della vita umana, per comuni o insolite che siano.
La pietà non ci protegge, come avevano erroneamente pensato gli amici di Giobbe, perché
tutto succede ugualmente a tutti, e la prosperità non ci protegge, come pensa il mondo
che si sente al sicuro e che dice: Io seggo regina e non vedrò mai cordoglio. Is 47:8 Ap
18:7

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 6


Gb 1:4,5

Troviamo qui un’ulteriore descrizione della pietà e della prosperità di Giobbe.

I. Il grande conforto che provava nei figli ci è dato come esempio della sua prosperità. Le
consolazioni temporali non sono realmente nostre, ma dipendono sempre dagli altri e sono
affidabili solo quanto lo sono questi. Giobbe stesso parla dei figliuoli d’intorno come una
delle più grandi gioie della sua prosperità. Gb 29:5 Facevano a turno a far festa a casa
loro: solevano andare gli uni dagli altri e darsi un convito. Gb 1:4 Era un conforto per
questo giusto:

1. Vedere i figli già grandi e sistemati bene. Ognuno dei figli maschi aveva la propria casa.
Probabilmente erano sposati e Giobbe li aveva aiutati ad accasarsi. Quei figli che erano
stati come piante d’ulivo intorno alla sua tavola erano ora tavole a loro volta.

2. Vederli prosperare nei loro affari, tanto da poter dare banchetti per i fratelli, oltre a
nutrire le proprie famiglie. I buoni genitori incoraggiano la ricchezza e la prosperità dei
figli, traendone gioia come se fosse la loro.

3. Vederli sani, come pure le loro famiglie, perché la malattia avrebbe mutato le loro feste
in lutto.

4. Vederli specialmente pieni di amore e di unità gli uni per gli altri, senza discordie e litigi.
Nessuno si teneva in disparte o evitava gli altri. Non c’era avarizia, ma, pur tenendo conto
dei propri beni, ognuno si comportava come se avessero tutto in comune. Vedere dei
fratelli così uniti è un gran conforto per il cuore dei genitori e uno spettacolo stupendo per
tutti. Ecco, quant’è buono e quant’è piacevole!. Sl 133:1

5. Vederli trattar bene le sorelle, che invitavano a partecipare alle feste, altrimenti, per
modestia, non vi sarebbero andate. Chi disprezza le proprie sorelle, evitando la loro
compagnia e non curandosi del loro bene, è maleducato e rozzo, e ben diverso dai figli di
Giobbe. Le loro feste erano così decorose e dignitose che la compagnia delle sorelle era
ben accetta.

6. Vederli far festa a casa loro, non in locali pubblici, poco affidabili, dove sarebbero stati
esposti alle tentazioni. Non leggiamo che Giobbe partecipasse a quelle feste. Senza dubbio
lo invitavano, e sarebbe stato l’ospite d’onore. Non si trattenne certamente dal presenziare
per astio, per scontrosità o per mancanza di affetto per i figli. Era invece vecchio e
insensibile a quei divertimenti, come Barzillai, 2Sa 19:35 e pensava che quei giovani si
sentissero più liberi e si divertissero di più da soli. Non voleva sottrarre ai figli quei piaceri
che egli negava a se stesso. Ai giovani possono essere permessi gli svaghi propri della loro
età, purché fuggano gli appetiti giovanili.

II. La grande cura che si prendeva dei figli ci è data come esempio della sua pietà. Siamo
infatti ciò che siamo in relazione agli altri. Chi è buono lo sarà anche verso i figli, e farà il
possibile soprattutto per il bene delle loro anime. Osservate la preoccupazione del pio
Giobbe per il loro benessere spirituale. Gb 1:5

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 7


1. Era geloso di loro con la gelosia di Dio, come dobbiamo esserlo anche noi per noi stessi
e per coloro che ci sono più cari, quanto ci è necessario per curarci di loro e per far loro
del bene. Giobbe li aveva educati bene, ne aveva ricevuto delle consolazioni e aveva
riposto in loro buone speranze, eppure disse: « Può darsi che i miei figliuoli abbian
peccato più del solito durante la festa. Forse sono stati troppo spensierati, si sono presi
troppe libertà nel bere e nel mangiare, e hanno rinnegato Iddio in cuor loro », cioè, « si
sono concessi dei pensieri lontani da Dio o profani o dei concetti inappropriati di Dio, della
sua Provvidenza e delle pratiche religiose ». Essendo sazi, avrebbero potuto rinnegarlo, e
dire: Chi è l’Eterno? Pr 30:9 Avrebbero potuto dimenticarlo e dichiarare: La potenza della
nostra mano ci ha acquistato queste ricchezze De 8:12 ss. Niente allontana la mente da
Dio più delle indulgenze carnali.

2. Appena le feste erano terminate, li invitava a solenni pratiche religiose. Non lo faceva
durante le feste (che festeggiassero pure: ogni cosa ha il suo momento), ma alla fine. Da
buon padre, gli ricordava che dovevano sapere quando fermarsi e non pensare di poter
gozzovigliare ogni giorno. Anche se facevano festa per tutta la settimana, non dovevano
farla tutto l’anno. Avevano altro da fare. Chi festeggia deve anche trovare tempo per la
serietà.

3. Li invitava a prepararsi per le ordinanze solenni: li faceva venire per purificarli,


richiedendo che esaminassero la propria coscienza, che si pentissero di qualunque male
commesso durante le feste, e che, messa da parte ogni occupazione vana, si
predisponessero alle pratiche religiose. Manteneva la sua autorità su di loro, per il loro
bene, ed essi vi si sottomettevano, anche se vivevano altrove. Era ancora il sacerdote
della famiglia, e tutti si radunavano al suo altare, stimando la partecipazione alle sue
preghiere più delle loro eredità materiali. I genitori non possono infondere grazia ai figli (è
Dio che santifica), ma devono assistere a quella santificazione con appropriati
ammonimenti e consigli. Con il battesimo, i figli sono consacrati a Dio. Speriamo e
cerchiamo quindi che gli siano anche santificati.

4. Offriva dei sacrifici per loro, sia per espiare i peccati che temeva potessero aver
commesso durante le feste, sia per implorare la misericordia e la grazia di Dio: la sua
misericordia per perdonare qualunque corruzione della mente o pervertimento delle
abitudini a causa delle libertà che si erano concessi, e la sua grazia per impedire quei mali
e per preservare la loro pietà e purezza. Gli ha sempre dato pena il vedere/ tra i flussi
ingannatori del piacere/ le tristi spoglie della virtù sconfitta/ e i relitti della purità trafitta
(Sir R. Blackmore). Giobbe, come Abramo, aveva un altare per la sua famiglia sul quale,
probabilmente, offriva un sacrificio quotidiano. In questa particolare occasione, però, offrì
più sacrifici del solito e con più solennità, un olocausto per ciascun d’essi. I genitori
devono pregare specificamente per ogni membro della famiglia. « Prego per questo figlio,
secondo il suo carattere, la sua indole e le sue condizioni particolari ». Bisogna adattare i
propri sforzi e le proprie preghiere a ogni figlio. Prima del sacrificio, Giobbe:

(a) Si alzava presto, per assicurarsi che i suoi figli non rimanessero troppo a lungo sotto il
peso della colpa, e perché aveva a cuore la sua opera ed era desideroso di compierla.

(b) Richiedeva che i figli partecipassero al sacrificio perché si unissero a lui nelle preghiere,
perché l’uccisione dell’animale li convincesse a pentirsi dei loro peccati, per i quali
meritavano di morire, e perché la sua offerta li potesse guidare a un Mediatore.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 8


Quell’occasione seria li aiutava a ritrovare la propria compostezza dopo quei giorni di
allegria.

5. Faceva sempre così, e non solo in particolari occasioni. Chi è lavato tutto ha bisogno
d’aver lavati i piedi. Gb 13:10 Gli atti di pentimento e di fede devono essere rinnovati
spesso, perché ripetiamo spesso le nostre trasgressioni. Offriva sacrifici ogni giorno, con
costante devozione, senza mai trascurarli. Le pratiche religiose occasionali non ci esentano
da quelle stabilite. Chi serve Dio con giustizia lo serve continuamente.

Gb 1:6-12

era non solo grande e ricco, ma anche saggio e buono. Aveva tanti beni in cielo e in terra
la sua prosperità sembrava un monte ben stabile. Si raccolse però su di lui una nube
densa, gonfia di un’orribile tempesta. Finche siamo qui sulla terra, non dobbiamo mai
considerarci al sicuro dai temporali. Prima considerare l’inaspettato assalto di tutti i guai di
Giobbe in questo mondo visibile, vediamo come furono concertati nel mondo degli spiriti,
dove il diavolo, che lo odiava profondamente per la sua grande devozione a Dio, chiese e
ottenne il permesso di tormentarlo. Considerare questo discorso tra Dio e Satana
metaforico, come quello di Micaia 1Re 22:19 e ss. e allegorico, per rappresentare la
malvagità del diavolo verso i giusti e le limitazioni che Dio vi impone, non è affatto una
deroga alla credibilità della storia in generale. Dimostra piuttosto che le vicende di questa
terra sono soggette ai disegni del mondo che è invisibile ai nostri occhi, ma al quale noi
siamo manifesti. Vediamo qui,

I. Satana tra i figli di Dio: Gb 1:6 L’avversario (secondo il significato letterale di Satana) di
Dio, dell’uomo e di tutto ciò che è buono si introdusse in un’assemblea dei figliuoli di Dio
che erano venuti a presentarsi davanti all’Eterno. Può trattarsi di:

1. Un incontro dei santi sulla terra. Nell’era patriarcale, coloro che professavano la
religione erano chiamati figliuoli di Dio Ge 6:2 e avevano riunioni religiose prestabilite. Il
Re era venuto a trovare i suoi ospiti, e il suo sguardo era su tutti loro. C’era però un
serpente in paradiso, un Satana tra i figli di Dio, proprio alla loro destra, per distrarli,
disturbarli e contrastarli. Ti sgridi l’Eterno, o Satana! Oppure, può trattarsi di:

2. Un incontro degli angeli in cielo, che sono definiti figli di Dio. Gb 38:7 Si erano
presentati per dare un resoconto delle loro trattative sulla terra e per ricevere nuove
istruzioni. Satana era originariamente uno di loro. Quanto sei caduto dal cielo, o Lucifero!
Non faceva più parte di quella congregazione, ma qui vediamo che si presenta tra di loro,
convocato da Dio come criminale o lasciato entrare temporaneamente, anche se come
intruso.

II. L’interrogatorio di Dio sulla sua provenienza: L’Eterno disse a Satana: Donde vieni? Gb
1:7 Sapeva benissimo da dove venisse e perché fosse andato là. Così come gli angeli
erano venuti per far del bene, Satana voleva il permesso di far del male. Dio però,
esigendo una risposta, voleva dimostrare che era sotto il suo controllo. Donde vieni? Lo
chiese:

1. Come se si chiedesse che cosa facesse là. Saul è anch’egli tra i profeti? Satana è tra i
figli di Dio? Sì, perché si traveste da angelo di luce, 2Co 11:13,14 e finge di esserlo. È

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 9


possibile che un figlio del diavolo si trovi nelle assemblee dei figli di Dio in questo mondo,
senza essere riconosciuto dagli uomini, anche se è riconosciuto dal Dio onnisciente. Amico,
come sei entrato qua? Oppure lo chiese,

2. Come se volesse sapere dove fosse stato prima. Forse aveva chiesto la stessa cosa agli
altri: Donde vieni? Dobbiamo rendere conto a Dio di tutte le nostre ricerche e di tutte le
vie che percorriamo.

III. La sua risposta e la descrizione dei suoi viaggi: « Vengo dal percorrere la terra ».

1. Non poteva pretendere di aver fatto del bene, come i figli di Dio che erano andati a
presentarsi davanti all’Eterno, e che avevano compiuto i suoi ordini per il bene del suo
regno e per servire gli eredi della salvezza.

2. Non voleva riconoscere di aver fatto del male ispirando gli uomini a comportarsi
slealmente verso Dio e ingannando e distruggendo le loro anime. No. Non ho fatto nulla di
male. Pr 30:20 Il tuo servo non è andato in verun luogo. Dicendo di aver percorso la terra,
lasciò intendere di essersi attenuto ai limiti a lui prescritti, senza trasgredire. Il gran
dragone fu gettato sulla terra, Ap 12:9 non essendo ancora rinchiuso nel luogo del suo
tormento. Sulla terra, siamo a sua portata di mano, ed egli si introduce in ogni suo angolo
con ingegnosità, rapidità e impegno, tanto che non possiamo mai essere al sicuro dalle
sue tentazioni.

3. Ci dà però un’idea del suo carattere. Parlò forse: (a) Con superbia, in modo altero,
come se fosse realmente il principe di questo mondo e come se tutti i regni del mondo e la
loro gloria fossero suoi, Lu 4:6 per cui aveva percorso i suoi territori. (b) Con irritazione e
scontento. Aveva percorso tutta la terra senza trovare risposo, essendo un fuggiasco e un
vagabondo come Caino nella terra di Nod. (c) Con astuzia: « Ho lavorato tanto,
percorrendo la terra », o (secondo alcuni) « cercando per tutta la terra » un’occasione di
fare il male. Satana va in giro cercando chi possa divorare. Dobbiamo quindi essere sobri e
vegliare.

IV. La domanda che Dio gli rivolse riguardo a Giobbe: Hai tu notato il mio servo Giobbe?
Gb 1:8 Quando incontriamo una persona che è stata in un paese lontano dove si trova un
amico che amiamo tanto, chiediamo: « Sei stato in quel posto. Dimmi, hai visto il mio
amico? ». Osservate:

1. Con che rispetto Dio parlò di Giobbe: È il mio servo. I giusti sono i servi di Dio, che
trova onore nel loro servizio. Sono la sua fama e la sua lode Gr 13:11 e una corona di
gloria. Is 62:3 D « Ecco il mio servo Giobbe. Non ce n’è un altro come lui. Non c’è nessuno
che io stimi quanto lui, tra tutti i principi e i sovrani della terra. Un santo come lui val più
di tutti gli altri: Non ce n’è un altro che sia giusto e realmente pio come lui. Molti agiscono
bene, ma lui li supera tutti. Non si trova cotanta fede neppure in Israele ». Cristo, molto
tempo dopo, lodò il centurione e la donna di Canaan, che erano entrambi, come Giobbe,
stranieri a quella nazione. I santi si gloriano in Dio: Chi è pari a te fra gli dèi? Dio quindi
ama gloriarsi in loro: Chi è pari a Israele tra i popoli? Qui leggiamo che non c’era altro
come Giobbe in tutta la terra, in questo stato di imperfezione. Gli abitanti del cielo gli
erano ben superiori. Anche il minimo nel regno dei cieli era maggiore di lui, ma non ce

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 10


n’era un altro come lui sulla terra. Non c’era nessuno come lui in quel paese. Certi giusti
sono la gloria della loro terra.

2. Come fece notare a Satana la giustizia di Giobbe: Hai fatto attenzione al mio servo
Giobbe? Voleva qui:

(a) Aggravare l’apostasia e la miseria di quello spirito malvagio: « Come sei diverso tu! ».
Notate: La santità e la felicità dei santi sono la vergogna e il tormento del diavolo e dei
suoi figli.

(b) Rispondere all’apparente sfoggio di autorità del diavolo sulla terra: « L’ho percorsa
tutta-aveva detto-ed è tutta mia. La carne ha avuto la sua corruzione e tutto il mondo è in
riposo e tranquillo nel peccato ». Za 1:10,11 « No, guarda-rispose Dio Giobbe è il mio
servo fedele ». Satana può vantarsi, ma non trionferà mai.

(c) Anticipare le sue accuse, come se avesse detto: « Satana, so perché sei qui. Sei
venuto ad accusare Giobbe, ma lo hai notato? Il suo carattere irreprensibile non ti fa
capire niente? ». Notate: Dio conosce tutta la malvagità del diavolo e i suoi stratagemmi
contro i suoi servi, e abbiamo in lui un avvocato pronto a difenderci prima ancora di essere
accusati.

V. L’ignobile insinuazione del diavolo contro Giobbe, in risposta all’encomio di Dio. Non
poteva negare che Giobbe temeva Dio, ma suggerì che lo faceva da mercenario, e quindi
da ipocrita: È egli forse per nulla che Giobbe teme Iddio? Gb 1:9 Osservate:

1. L’insofferenza del diavolo di fronte all’encomio di Giobbe, anche se proveniva da Dio


stesso. Chi è come il diavolo vuol essere l’unico a essere lodato e odia chi riceve la
reputazione che egli desidera avere. Furono così Saul 1Sa 18:5 ss. e i Farisei. Mt 21:15

2. Non poteva trovare un motivo per criticarlo. Non potendo incolparlo di alcun male, lo
accusò di secondi fini nel fare il bene. Se anche metà delle accuse che gli furono rivolte dai
suoi amici in un impeto d’ira e nel pieno della discussione fossero state vere, Gb 15:4,22:5
Satana le avrebbe senza dubbio elencate ora, ma non poté farlo, e quindi,

3. Lo accusò subdolamente di essere un ipocrita. Non lo disse chiaramente, ma chiese:


« Non lo è? ». È così che i diffamatori, i calunniatori e i delatori suggeriscono con
domande ciò che non hanno motivo di ritenere vero. Notate: non c’è da meravigliarsi se
chi è approvato e accettato da Dio viene ingiustamente biasimato dal diavolo e dai suoi
emissari. È facile accusare di ipocrisia delle persone altrimenti ineccepibili, come fece
Satana con Giobbe, ed esse non possono discolparsi, ma devono attendere pazientemente
il giudizio di Dio. Dobbiamo temere più che mai l’ipocrisia, ma non dobbiamo temere
affatto di essere chiamati in giudizio senza motivo.

4. Per dimostrarlo ipocrita, lo accusò ingiustamente di essere un mercenario. Era vero che
temere Dio aveva portato a Giobbe benefici. Quel timore gli aveva recato grandi vantaggi.
La pietà è infatti un gran guadagno. Era però falso dire che non avrebbe temuto Dio se
non avesse ricevuto quei benefici, come dimostra questa storia. Gli amici di Giobbe
dedussero che era un ipocrita a causa delle sue afflizioni, mentre, secondo Satana, lo era
per via della sua grande prosperità. Non è difficile trovare un motivo per delle calunnie.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 11


Non siamo mercenari se cerchiamo la ricompensa eterna della nostra ubbidienza. Cercare
invece guadagni temporali nella fede, rendendola subordinata a questi, è idolatria
spirituale. Vuol dire adorare la creatura più del creatore e quasi sempre finisce in
un’apostasia fatale. Non si può servire a Dio e a Mammona a lungo.

VI. La rimostranza di Satana riguardo alla prosperità di Giobbe Gb 1:10 Osservate:

1. Ciò che Dio aveva fatto per Giobbe. Lo aveva protetto, circondato d’un riparo, per
difendere lui, la sua famiglia e tutti i suoi averi. Notate: Dio protegge in modo particolare i
suoi figli e tutti i loro beni. La sua grazia ripara la loro vita spirituale e la sua Provvidenza
la loro incolumità fisica, per cui hanno conforto e sicurezza. Dio gli aveva permesso di
arricchirsi non con la pigrizia o l’ingiustizia (di cui il diavolo non poteva accusarlo), ma con
l’onesta diligenza: Tu hai benedetto l’opera delle sue mani. Senza quella benedizione, per
forti e abili che siano le mani, il lavoro non prospererà mai. Invece, le sue sostanze si sono
grandemente moltiplicate in quella terra. La benedizione di Dio arricchisce, come riconosce
Satana stesso.

2. Il diavolo lo aveva notato, e usava questo contro di lui. Ne parlò con irritazione: « Vedo
che l’hai circondato d’un riparo », come se ci avesse camminato intorno per trovare una
fessura per cui entrare e causargli dei guai. Era però stato deluso. Dio lo circondava
completamente. L’empio lo vide e ne ebbe dispetto, per cui disse che Giobbe serviva Dio
solo perché lo aveva arricchito. « Non ha gran merito chi è leale a un governo che lo
favorisce e chi serve un padrone che lo paga bene ».

VII. Satana affermò di poter dimostrare l’ipocrisia e lo spirito mercenario della fede di
Giobbe, se solo gli fosse stato permesso di togliergli le ricchezze. « Mettiamolo alla prova-
disse-: impoveriscilo, trattalo male, volgi la tua mano contro di lui, e vedrai come sarà la
sua fede. Tocca ciò che ha e vedrai che persona è. Se non ti rinnega in faccia, Gb 1:11
non credermi mai più, ma dichiarami apertamente bugiardo e calunniatore. Mi gioco la vita
che ti maledirà ». Alcuni aggiungono quell’imprecazione solo modestamente nascosta, che
però i profani spergiuri della nostra epoca esprimono con sfrontatezza e impudenza.
Osservate:

1. Con che leggerezza parla dell’afflizione con cui voleva mettere alla prova Giobbe:
« Tocca tutto quello che possiede, comincia con lui, minaccia di metterlo sul lastrico. Una
piccola croce gli farà cambiare musica ».

2. Con che disprezzo parla dell’effetto che avrebbe avuto: « Non solo non ti sarà più
devoto, ma ti sarà apertamente nemico. Non solo penserà male di te, ma ti maledirà in
faccia ». Gb 1:11 D Nell’originale, la parola tradotta con maledire è barac, che
normalmente significa benedire. Maledire Dio è un atto così irreligioso che quel sacro
linguaggio non ne ammetteva l’espressione. Ne comprendiamo chiaramente il significato in
1Re 21:10-13, dove Nabot fu accusato di maledire Dio e il re.

(a) Probabilmente Satana aveva pensato che Giobbe, una volta povero, avrebbe rinnegato
la sua religione e quindi negato la sua professione di fede. In quel caso (come fa notare
uno studioso nel saggio Monte degli Spiriti), Satana avrebbe stabilito il suo impero
universale tra gli uomini. Dio aveva dichiarato che Giobbe era l’uomo migliore sulla terra.
Se Satana avesse potuto dimostrare che era solo un ipocrita, sarebbe stato chiaro che Dio

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 12


non aveva nessun servo fedele tra gli uomini e che non esisteva una devozione vera e
sincera nel mondo. La religione si sarebbe dimostrata un grande imbroglio, e Satana
sarebbe stato re de facto su tutto il genere umano. Al contrario, il Signore conosce quelli
che son suoi e non si sbaglia.

(b) Se anche Giobbe si fosse attenuto alla sua religione, Satana avrebbe avuto la
soddisfazione di vederlo gravemente afflitto. Satana odia i giusti e gode delle loro
sofferenze, così come Dio si compiace della loro prosperità.

VIII. Dio permise a Satana di affliggere Giobbe per mettere alla prova la sua sincerità.
Satana voleva che fosse Dio a farlo: Stendi un po’la tua mano. Dio invece lo lasciò fare a
lui: « Tutto quello che possiede è in tuo potere. Mettilo alla prova finché vuoi, fai del tuo
peggio ». Gb 1:12

1. Sembra strano che Dio avesse voluto dare a Satana quel permesso, dando alle fiere la
vita della sua tortora, dando il suo agnello a un leone. Lo fece però per la sua gloria, per
l’onore di Giobbe, per rendere più comprensibile la sua Provvidenza e per incoraggiare il
suo popolo afflitto di tutte le epoche, creando un utile precedente. Permise a Giobbe di
essere messo alla prova, così come permise a Pietro di essere vagliato, assicurandosi però
che la sua fede non venisse meno, Lu 22:32 perché la sua prova risultasse a sua lode,
gloria e onore. 1Pi 1:7 Tuttavia,

2. È di grande conforto sapere che Dio tiene il diavolo legato con una grande catena. Ap
20:1 Non avrebbe potuto affliggere Giobbe senza chiedere e ottenere il permesso di Dio, e
anche allora poté fare solo quanto gli fu concesso: « Soltanto, non stender la mano sulla
sua persona. Non far del male al suo corpo, ma solo ai suoi beni ». Il diavolo ha un potere
limitato. Può corrompere gli uomini solo quanto essi stessi gli permettono di farlo, e può
affliggerli solo con il potere che gli è dato dall’alto.

IX. Satana lasciò quindi il raduno dei figli di Dio. Senza aspettare il termine della riunione,
se ne andò dalla presenza dell’Eterno, come Caino, Ge 4:16 senza più trattenersi, come
Doeg, 1Sa 21:7 finché non portò a compimento quel suo malvagio piano. Se ne andò,

1. Felice di avere visto esaudita la sua richiesta e orgoglioso di avere avuto il permesso di
far del male a un giusto. Inoltre,

2. Deciso a non perdere tempo, ma a mettere immediatamente in opera il suo progetto.


Se ne andò, non per percorrere la terra senza scopo, ma con un obiettivo ben chiaro:
assalire il povero Giobbe, che nel frattempo continuò a fare attentamente il suo dovere,
ignaro di tutto. Non sappiamo ciò che gli spiriti del bene e del male discutono riguardo a
noi.

Gb 1:13-19

Troviamo qui il particolare resoconto delle disgrazie di Giobbe.

I. Satana gliele inflisse lo stesso giorno in cui i suoi figli iniziarono le loro feste, in casa del
loro fratello maggiore, Gb 1:13 dove immaginiamo che, dato che aveva la doppia porzione
dei beni, c’era più abbondanza. Senza dubbio l’intera famiglia era perfettamente tranquilla

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 13


e serena, e non si aspettava guai, mentre ripetevano l’usanza dei banchetti. Fu quello il
momento prescelto da Satana, perché le sue tribolazioni potessero essere più dolorose. Il
vespro de’miei diletti mi è stato cangiato in spavento. Is 21:4 D

II. Le sciagure arrivarono tutte in una volta. Mentre un messaggero di guai stava ancora
parlando, ne arrivò un altro e, prima che quello potesse finire la sua storia, un terzo e un
quarto si susseguirono immediatamente. Satana, con il permesso divino, lo stabilì in quel
modo:

1. Perché sembrasse più di un normale segno della disapprovazione di Dio contro di lui e
perché Giobbe si esasperasse contro la Provvidenza, certo che Dio, a ragione o a torto,
fosse deciso a distruggerlo, senza dargli modo di difendersi.

2. Perché non avesse tempo di considerare le cose e di ricomporsi, persuadendosi a


sottomettersi volontariamente, ma fosse invece travolto da una serie di calamità. Se non
avesse avuto modo di trarre un respiro, avrebbe parlato avventatamente, arrivando forse
al punto di maledire il suo Dio. Notate: i figli di Dio sono spesso afflitti da numerose
tentazioni. Un abisso chiama un altro, e le onde e i flutti si susseguono. Lasciamo quindi
che ogni afflizione ci dia forza e ci prepari per la prossima. Per quanto beviamo dal calice
amaro, finché siamo in questo mondo non possiamo mai essere certi di avere bevuto
abbastanza e che sia l’ora che passi oltre.

III. Quelle disgrazie gli tolsero tutto ciò che possedeva, terminando ogni sua gioia.
Abbiamo un elenco dettagliato delle sue perdite nell’inventario dei suoi possedimenti.

1. Aveva cinquecento paia di bovi, cinquecento asine, più un buon numero di servi che se
ne prendevano cura, e li perse tutti in un momento. Gb 1:14,15 Il rapporto che ricevette
gli fece capire che:

(a) Non era stata colpa dei suoi servi, altrimenti avrebbe potuto adirarsi contro di loro. I
buoi stavano arando, non giocando, e le asine non se ne andavano in giro randagie, ma
pascevano lì appresso, sotto lo sguardo dei servi, ognuno al suo posto. I passanti
dicevano: Dio benedica l’aratro. Notate: tutte le nostre attenzioni, le nostre cure e la
nostra diligenza non possono sottrarci alle afflizioni, nemmeno a quelle che derivano
comunemente dall’imprudenza e dalla negligenza. Se l’Eterno non guarda la città, invano
vegliano le guardie, per quanto stiano all’erta. Ci può però dare un po’di conforto sapere
che le tribolazioni ci trovano attenti al nostro dovere e non distratti.

(b) Era stato un atto di malvagità dei Sabei, probabilmente una tribù di predatori lì vicino
che viveva di saccheggio e di preda. Avevano portato via i buoi e le asine e ucciso quei
servi che, con lealtà e coraggio, avevano cercato di difenderli. Solo uno era riuscito a
scampare, non perché avessero avuto pietà di lui o del suo padrone, ma affinché Giobbe
ricevesse le notizie da un testimone oculare prima di sentirne un breve, più graduale,
resoconto. Non abbiamo motivo di sospettare che Giobbe o i suoi servi avessero provocato
i Sabei a fare quella spedizione. Invece, era stato Satana a ispirarli a farlo proprio allora,
guadagnando due punti: aveva fatto soffrire Giobbe e aveva fatto peccare loro. Notate:
quando Satana ottiene da Dio il permesso di fare il male, non gli mancano uomini malvagi
da manipolare, perché è uno spirito che opera negli uomini ribelli.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 14


2. Giobbe aveva settemila pecore, più i pastori che se ne prendevano cura, e li perse tutti
lo stesso giorno a causa di un fulmine. Gb 1:16 Forse era stato pronto a condannare i
Sabei e a scagliare contro di loro la sua ira per la loro crudeltà e ingiustizia, quando le
notizie successive guidarono immediatamente il suo sguardo verso l’alto: Il fuoco di Dio e
caduto dal cielo. Così come il tuono è la voce di Dio, il fulmine è il suo fuoco. Questo però
era un fulmine così straordinario e diretto così chiaramente contro di lui, che tutte le sue
pecore e i suoi pastori furono non solo uccisi, ma carbonizzati istantaneamente, e solo un
pastore era rimasto in vita per portare le notizie al povero Giobbe. Il diavolo, nel tentativo
di fargli maledire Dio e rinnegare la sua fede, progettò questa parte della prova molto
attentamente.

(a) Le sue pecore, che aveva usato particolarmente come sacrifici per onorare Dio, gli
furono tutte tolte, come se Dio fosse adirato contro le sue offerte e volesse punirlo
prendendosi proprio ciò che aveva impiegato nel suo servizio. Dopo avere dato a Dio una
falsa immagine di Giobbe come servitore ipocrita, per raggiungere il suo vecchio fine di
creare un divario tra la terra e il Cielo Satana diede a Giobbe una falsa immagine di Dio,
presentandolo come un padrone severo che non protegge il gregge da cui ha ricevuto
tanti sacrifici. Lo voleva tentare a dire: È vano servire Iddio.

(b) Il messaggero aveva innocentemente chiamato il fulmine il fuoco di Dio, ma forse era
stato ispirato da Satana per mettere nella mente di Giobbe il pensiero che Dio si fosse
convertito in suo nemico, ed egli stesso avesse combattuto contro di lui: un pensiero più
doloroso di tutti gli insulti dei Sabei. Giobbe riconosceva che il castigo di Dio lo
spaventava. Gb 31:23 Come furono quindi tremende le notizie di quella distruzione che
venne direttamente dalla sua mano! Se il fuoco dal cielo avesse consumato la pecora
sull’altare, Giobbe avrebbe potuto interpretarlo come un segno del suo favore, ma il fuoco
che le arse al pascolo poteva apparirgli solo come un segno della sua disapprovazione.
Non si era mai visto uno spettacolo del genere, dalla distruzione di Sodoma.

3. Aveva tremila cammelli, più i servi che se ne prendevano cura, e li perse tutti allo stesso
tempo per mano dei Caldei, che erano scesi in tre bande per portarli via, uccidendo i servi.
Gb 1:17 Se il fuoco di Dio che era caduto sugli onesti servi di Giobbe mentre facevano il
loro dovere fosse caduto sui predatori Sabei e Caldei che avevano causato tanti danni, i
giudizi di Dio sarebbero stati evidenti e manifesti come le più alte montagne, ma quando
la via degli empi prospera, ed essi si portano via il bottino, mentre gli uomini giusti e
onesti sono improvvisamente distrutti, la giustizia di Dio è come il grande abisso di cui non
si può trovare il fondo. Sl 36:6

4. I suoi beni più cari e preziosi erano i suoi dieci figli. Per concludere la tragedia, gli
giunse contemporaneamente la notizia che erano morti, sepolti sotto le macerie della casa
in cui avevano fatto festa, insieme a tutti i loro servitori, tranne uno che era venuto di
corsa ad avvisarlo. Gb 1:18,19 Era la più grande perdita di Giobbe, che lo colpì più
intimamente, quindi il diavolo la serbò per ultima, di modo che, se le altre non gli avessero
fatto maledire Dio, ci sarebbe riuscita questa. I nostri figli sono parte di noi stessi. È
difficile lasciarli, e sono il punto debole anche dei giusti. Perderli tutti in una volta, in un
momento, dopo aver dedicato loro tante attenzioni e riposto in loro tante speranze per
così tanti anni, trafisse Giobbe nel cuore.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 15


(a) Erano morti tutti insieme, senza eccezioni. Davide, pur essendo giusto e saggio, fu
sconvolto dalla morte di uno dei suoi figli. Come soffrì quindi il povero Giobbe quando li
perse tutti, in un attimo, rimando senza progenie.

(b) Erano morti immediatamente. Se fossero morti dopo una lunga malattia, se lo sarebbe
aspettato e si sarebbe preparato. Invece accadde senza preavviso.

(c) Erano morti mentre facevano festa. Se fossero morti improvvisamente mentre
pregavano, avrebbe potuto accettarlo meglio. Li avrebbe ritenuti in un’ottima disposizione
d’animo se il loro sangue si fosse mescolato a quello dei sacrifici. Saperli invece morti
durante una festa, quando lui stesso aveva avuto paura che avessero peccato e rinnegato
Iddio in cuor loro; sapere che quel giorno gli era venuto addosso all’improvviso, come
viene un ladro nella notte, quando forse la loro mente era offuscata dal cibo e dal vino,
aggravò molto il suo dolore, se pensiamo quanto si era sempre preso a cuore le loro
anime. Ora non poteva nemmeno offrire, come al solito, un olocausto per ciascun d’essi.
Tutto accade ugualmente a tutti. Giobbe aveva pregato costantemente per i suoi figli, che
erano vissuti in armonia tra di loro, eppure fecero questa fine prematura.

(d) Erano morti a causa di un vento provocato dal diavolo, che è il principe della potestà
dell’aria, Ef 2:2 ma fu considerato un atto della mano di Dio e un segno della sua ira. Fu
così che lo interpretò Bildad: I tuoi figliuoli han peccato contro lui, ed egli li ha dati in balía
del loro misfatto. Gb 8:4

(e) Gli erano stati tolti quando più aveva bisogno del loro conforto, dopo tutte le altre
perdite. Tutte le creature sanno dare ben poche consolazioni. Solo in Dio abbiamo un
aiuto sempre pronto.

Gb 1:20-22

Il diavolo aveva fatto tutto ciò che voleva contro Giobbe, per provocarlo a maledire Dio.
Aveva attaccato violentemente tutto ciò che aveva. Chi all’alba era stato il più ricco di tutti
gli orientali, di sera divenne proverbiale per la sua miseria. Se, come aveva insinuato
Satana, le sue ricchezze fossero state l’unico principio della sua fede, ora che le aveva
perse l’avrebbe certamente rinnegata. La descrizione che invece troviamo qui sulla sua pia
condotta durante questa afflizione, basta a dimostrare che il diavolo è un bugiardo e che
Giobbe era onesto.

I. Si comportò da uomo, non da oggetto insensibile e indifferente, come un tronco o una


pietra, senza sentimenti naturali di fronte alla morte dei suoi figli e dei suoi servi. No, si
alzò e si stracciò il mantello e si rase il capo, Gb 1:20 secondo le consuete espressioni di
grande dolore, per dimostrare che era toccato dalla mano di Dio rivolta contro di lui. Non
si espresse però in maniera indegna, né dimostrò emozioni inopportune. Non perse
coraggio, ma si alzò, come un eroe al combattimento. Non gettò via gli abiti in un impeto
di passione, ma, con compostezza e secondo le usanze di quella terra, si stracciò il
mantello, o le vesti esterne. Non si strappò i capelli per la disperazione, ma si rase il capo
con un intento calcolato. A quanto pare, tra tutte quelle provocazioni mantenne il suo
contegno e il controllo della sua anima. Non mostrò le sue emozioni finché non sentì della
morte dei suoi figli. Fu allora che si alzò e si stracciò il mantello. Un cuore senza fede e
attaccato a questo mondo avrebbe detto: « Ora che il bestiame è perduto, è un bene che

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 16


si siano perse anche le bocche da sfamare. Se non c’è cibo, è bene che non ci siano figli ».
Giobbe era diverso, e sarebbe stato grato se la Provvidenza gli avesse risparmiato i figli,
anche se non gli era rimasto quasi niente da dare loro. Jehovah-jireh-Il Signore provvede.
Alcuni espositori, ricordando che gli Ebrei usavano strapparsi le vesti quando udivano delle
bestemmie, pensano che Giobbe si fosse stracciato il mantello in santa indignazione contro
i pensieri blasfemi che Satana gli metteva in mente, tentandolo a maledire Dio.

II. Si comportò da saggio e da giusto, da uomo integro e retto, che temeva Iddio e
fuggiva il male del peccato più dei guai esteriori.

1. Si umiliò sotto la mano di Dio, accettando gli atti della Provvidenza, come un uomo che
sa essere nella miseria e nell’abbondanza. Quando Dio lo chiamò a gemere e a far lutto,
gemette e fece lutto: si stracciò il mantello e si rase il capo. Poi, dimostrando di volersi
abbassare fino alla polvere di fronte a Dio, si prostrò a terra, con un senso penitente del
peccato e una paziente sottomissione alla sua volontà, accettando la punizione della sua
iniquità. In questo si dimostrò sincero. Gli ipocriti non implorano Iddio quand’egli
l’incatena. Gb 36:13 Si preparò inoltre a ricevere giovamento dalla sua afflizione. Come
possiamo infatti trarre del bene da un dolore che non sentiamo?

2. Ritrovò compostezza e calma con il pensiero che la sua anima non sarebbe mai stata
perduta o turbata. Pensò agli eventi comuni della vita umana, che applicò a se stesso:
Nudo sono uscito dal seno di mia madre, come tutti, e nudo tornerò in seno della terra, la
nostra madre comune, così come un bambino stanco o malato reclina il capo sul seno
materno. Eravamo polvere nel nostro stato originale, e in polvere ritorneremo quando ce
ne andremo, Ge 3:19 alla terra com’eravamo prima. Ec 12:7 Nudi torneremo all’elemento
da cui siamo stati formati, cioè all’argilla. Gb 33:6 San Paolo ne fa riferimento quando
scrive: Non abbiam portato nulla di questi beni materiali nel mondo, ma li abbiamo ricevuti
dagli altri. Certamente quindi non ne possiamo neanche portar via nulla, ma dobbiamo
abbandonarlo agli altri. 1Ti 6:7 Siamo venuti al mondo nudi, non solo indifesi, ma svestiti,
inermi e sprovveduti, meno coperti e meno protetti di altre creature. Il peccato che
ereditiamo dalla nascita ci rende nudi, in disonore, agli occhi del santo Dio. Il nostro corpo
esce dal mondo nudo, anche se l’anima santificata se ne va vestita. 2Co 5:3 La morte ci
toglie ogni gioia. I vestiti non possono scaldare o adornare un cadavere. Questa
considerazione mise a tacere Giobbe durante tutte le sue perdite.

(a) Era come era stato in partenza. Si considerava nudo, non mutilato o ferito. Era sempre
la stessa persona anche senza possedimenti, ed era solo tornato alla condizione originale.
Nemo tam pauper potest esse quam natus est$$$ Neemia ssuno può essere mai povero
quanto lo era alla nascita (Minucio Felice). Se siamo resi poveri, non ci è fatto un gran
torto o un gran male, perché siamo come eravamo alla nascita.

(b) Era come sarebbe stato alla fine: svestito o alleggerito un po’prima di quanto si fosse
aspettato. Toglierci gli abiti di dosso per andare a dormire può essere un fastidio, si
accetta meglio quando è ora di andare a letto.

3. Diede gloria a Dio ed espresse una grande venerazione per la Provvidenza divina e una
pacata sottomissione ai suoi piani. Possiamo rallegrarci di vedere Giobbe in uno stato
d’animo così ammirevole, perché la prova della sua integrità era basata proprio su questo,

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 17


anche se lui non lo sapeva. Il diavolo aveva detto che, nell’afflizione, Giobbe avrebbe
maledetto Dio. Invece lo benedisse, dimostrandosi sincero.

(a) Riconobbe la mano di Dio sia nelle sue precedenti espressioni di misericordia che nelle
sue presenti afflizioni: l’Eterno ha dato, l’Eterno ha tolto. Dobbiamo riconoscere la
Provvidenza divina: [1] In tutte le nostre consolazioni. Dio ci ha dato vita. Egli è quel che
ci ha fatti, e non noi stessi. È stato lui a darci le nostre ricchezze. Non ce le siamo
procurate con il nostro ingegno o la nostra industriosità, ma Dio ha benedetto le nostre
attenzioni e i nostri sforzi. Ci ha dato il potere di arricchirci. Non solo ha fatto le creature
per noi, ma ci ha dato quanto ci spetta. [2] In tutte le nostre croci, è la stessa mano che
dà e che toglie. Non gli è lecito far del suo ciò che vuole? Giobbe guardò oltre i mezzi e
tenne gli occhi sulla Causa principale. Non disse: « L’Eterno ha dato e i Sabei e i Caldei
hanno tolto. Dio mi ha fatto ricco e il diavolo mi ha reso povero ». Disse invece: « Colui
che ha dato ha preso ». Non aveva altro da dire, perché era stata opera di Dio. Chi ha
dato ogni cosa può prendere quello che vuole, quando vuole e quanto vuole. Seneca
scrisse: Abstulit, sed et dedit-Ha sottratto, ma ha anche dato. Epitteto spiegò
ammirevolmente: « Quando sei privato di ogni consolazione, per la morte di un figlio, o
per la perdita di parte dei tuoi beni, non dire: Apwlesa auto, l’ho perduto, ma Apedwka,
l’ho restituito al giusto proprietario. Forse obietterai: Kakov o afelomenov, me l’ha rubato
un malvagio. La risposta è: Ti de soi melei: che t’importa quale mano usa per riprendersi
ciò che ha dato? ». (cap. 15)

(b) In entrambi i casi, Giobbe adorò Dio. Quando tutto era perduto, si prostrò a terra per
adorarlo. Notate: le afflizioni non devono distoglierci dalla nostra devozione, ma devono
anzi spronarci a mantenerla. Il pianto non deve fermare la semina o l’adorazione. Nelle
sue afflizioni, Giobbe non solo vedeva la mano di Dio, ma si curava del suo nome, a cui
diede la gloria: Sia benedetto il nome dell’Eterno. Conservava lo stesso grande concetto di
Dio, ed era più che mai deciso a esprimere la sua lode. Poté benedire Dio quando gli tolse
tutto, così come aveva potuto farlo quando glielo aveva dato. Dobbiamo cantare sia la
benignità che la giustizia. Sl 101:1 [1] Benedisse Dio per quello che gli aveva dato, anche
se gli era stato tolto. Quando le nostre consolazioni ci sono sottratte dobbiamo ringraziare
Dio per avercele date e per averci concesso di tenerle più a lungo di quanto ci siamo
meritati. [2] Adorò Dio anche quando gli tolse tutto, onorandolo con una sottomissione
volontaria. Anzi, lo ringraziò per il bene che gli aveva inteso fare con quelle afflizioni, per il
suo misericordioso sostegno durante quelle sofferenze, e per la speranza di un lieto fine
che gli era rimasta. Per finire, lo Spirito Santo diede onore alla costanza e alla buona
condotta di Giobbe in quelle tribolazioni. Aveva passato la prova con lode, Gb 1:22 senza
mai agire male, perché non aveva accusato Dio di sconsideratezza, né aveva dubitato la
saggezza delle sue opere. Il non essere contenti e l’impazienza, in effetti, accusano Dio di
imprudenza. Giobbe fu molto attento a non permetterseli, come dobbiamo fare anche noi,
riconoscendo che, così come Dio agisce fedelmente, mentre noi comportiamo
empiamente, allo stesso modo agisce saggiamente, mentre noi ci comportiamo molto
stoltamente. Chi riesce non solo a controllare le proprie passioni, ma anche a conservare
un buon giudizio di Dio e a mantenersi in buona comunione con lui durante le tribolazioni
e le provocazioni, come Giobbe riceverà il suo elogio, che gli uomini lo lodino o meno.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 18


Giobbe 2

era stato onorevolmente assolto nel processo che aveva visto Dio come giudice e Satana
come pubblico ministero. Satana aveva ottenuto il permesso di toccare e di prendere tutto
ciò che Giobbe possedeva, certo che così avrebbe maledetto Dio in faccia. Al contrario,
Giobbe lo benedisse, mostrandosi per quel che era, mentre Satana si rivelò un
calunniatore. Poteva essere un lieto fine e il termine di ogni inchiesta sulla reputazione di
Giobbe. Giobbe tuttavia, noto per la sua forte corazza, fu preso di mira e processato una
seconda volta.

I. Satana cercò un’altra prova, che gli toccasse il corpo. Gb 2:1-5

II. Dio, per i suoi santi fini, la permise. Gb 2:6

III. Satana colpì Giobbe con una malattia dolorosissima e ripugnante. Gb 2:7,8

IV. La moglie di Giobbe lo tentò, incitandolo a maledire Dio, ma Giobbe resistette alla
tentazione. Gb 2:9,10

V. I suoi amici vennero a consolarlo e a confortarlo. Gb 2:11-13 In questa prova,


quell’uomo pio è messo in luce come esempio di sofferenza e di pazienza.

Gb 2:1-6

Satana, il nemico giurato di Dio e di tutti i giusti, continuò la sua malvagia accusa contro
Giobbe, che odiava perché era amato da Dio. Fece quindi tutto il possibile per separarlo da
lui, seminando discordia e creando delle frizioni. Prima, incalzò Dio ad affliggere Giobbe, e
poi incitò Giobbe a maledire Dio. Il primo tentativo, che lo aveva svergognato, lasciandolo
perplesso e deluso, sarebbe sembrato sufficiente. La malvagità però non ha tregua, e
quindi nemmeno il diavolo e i suoi emissari. Chi calunnia e diffama i giusti insiste per
avere la parola, anche se ci sono numerose e ovvie prove che lo contraddicono e anche se
finisce poi per essere giudicato nello stesso processo che ha voluto avviare. Satana voleva
che Giobbe fosse riesaminato. In Ap 12:10, la crudele e irragionevole importunità di quel
grande accusatore dei santi è manifestata nel fatto che li accusa di fronte a Dio giorno e
notte, ripetendo insistentemente delle accuse che sono già state ripetutamente dimostrate
infondate. Satana fa così con Giobbe, giorno dopo giorno. Troviamo qui:

I. Il tribunale di fronte al quale si presenta, come già prima, Gb 1:6,7 il pubblico ministero.
Gb 2:1,2 Gli angeli stavano di fronte al trono di Dio, con Satana nel loro mezzo. Ci si
aspetterebbe una sua confessione di malvagità e di errore nei confronti di Giobbe: Peccavi,
ho peccato, mentendo contro una persona di cui Dio aveva parlato così bene. Avrebbe
dovuto chiedere perdono. Invece suggerì un nuovo piano contro di lui. Dio ripeté la stessa
domanda: Donde vieni? Satana rispose di nuovo: Dal percorrere la terra, come se non
avesse fatto niente di male, mentre aveva maltrattato quell’uomo pio.

II. Lo stesso giudice difese l’accusato: « Hai tu notato il mio servo Giobbe meglio di prima?
Ti sei finalmente convinto che è un mio servitore fedele, un uomo integro e retto? Come
vedi, si mantiene saldo nella sua integrità ». Gb 2:3 Dio lo aggiunse come ulteriore merito.
Invece di avere abbandonato la fede per maledire Dio, Giobbe si era mantenuto più saldo

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 19


che mai, come se ne avesse ben più motivo. Era rimasto nelle avversità così com’era stato
nella prosperità, e ancor meglio. Aveva infatti benedetto Dio con più fervore e zelo di
prima, e le sue radici erano più salde dopo essere state scosse. Notate come Dio:

1. Condannò Satana per avere accusato Giobbe: « Tu mi hai incitato, in quanto


accusatore, per rovinarlo senza alcun motivo ». Oppure: « Mi hai incitato invano a
rovinarlo, perché non lo farò mai ». I giusti, anche se atterrati, non sono però uccisi. 2Co
4:9 Meno male che non siamo giudicati dagli uomini o dai diavoli, altrimenti ci
distruggerebbero, a ragione o a torto. Il nostro giudizio invece spetta al Signore, che non
erra e non si lascia influenzare.

2. Lodò Giobbe per la sua costanza nonostante gli attacchi subiti: « Mantiene salda la sua
integrità, come un’arma che non puoi togliergli di mano e come un tesoro che non puoi
rubargli. Anzi, i tuoi sforzi gliela fanno tenere ancora più salda. Invece di perdere terreno,
lo guadagna ». Dio ne parlò con ammirazione, con piacere e quasi con trionfo nel potere
della sua grazia. Si mantiene saldo nella sua integrità. La prova della fede di Giobbe era
risultata a sua lode e onore. 1Pi 1:7 La costanza corona l’integrità.

III. Il proseguimento dell’accusa. Che scusa poteva dare Satana per il fallimento del suo
tentativo? Che cosa poteva dire per mitigarlo, quando era stato così certo di riuscire?
Disse: Pelle per pelle! L’uomo dà tutto quel che possiede per la sua vita. Gb 2:4 In un
certo senso aveva ragione: l’amore per se stessi e l’istinto di conservazione sono eminenti
nell’animo umano. Gli uomini amano se stessi più dei loro parenti più stretti, più ancora
dei loro figli, che sono parte di loro, e non solo rischiano i propri beni per salvarsi la vita,
ma li offrono spontaneamente. Tutti amano e apprezzano la vita e, se solo hanno salute e
benessere, possono conservarsi sereni nonostante le perdite. Dobbiamo avvantaggiarci di
questa considerazione: finché Dio continua a darci vita, salute e l’uso delle nostre membra
e dei nostri sensi, dobbiamo sopportare più pazientemente la perdita di altre consolazioni.
cfr. Mt 6:25 Satana la usò invece per accusare Giobbe, rappresentandolo subdolamente
come un uomo:

1. Insensibile a quelli che lo circondavano e impassibile di fronte alla morte dei suoi figli e
dei suoi servi, come se non gli importasse quanti ci avessero rimesso la pelle, purché
potesse salvare la sua, e come se un uomo così sollecito riguardo alle anime dei figli non si
interessasse al loro corpo. Lo rappresentava come lo struzzo, indifferente ai suoi piccoli,
come se non fossero suoi.

2. Totalmente egoista e interessato solo al suo benessere e alla sua sicurezza, come se la
fede lo avesse reso aspro, scontroso e intrattabile. È così che il diavolo e i suoi emissari
rappresentano spesso le vie di Dio e il suo popolo.

IV. Satana sfidò Dio a mettere di nuovo alla prova l’integrità di Giobbe: « Stendi un po’la
tua mano (che, secondo me, è troppo corta per raggiungerlo e troppo debole per fargli del
male) toccagli le ossa e la carne (cioè l’unica cosa in cui è sensibile), rendilo dolente,
percuotendolo, Mi 6:13 e poi, credimi, vedrai se non ti rinnega in faccia, abbandonando la
sua integrità ». Gb 2:5 Satana sapeva, come constatiamo tutti per esperienza, che niente
sconvolge i pensieri e confonde la mente come un profondo dolore e malessere fisico. Non
si può discutere con i sensi. Lo stesso Paolo trovava difficile sopportare la sua spina nella
carne, e non avrebbe potuto farlo senza la grazia datagli da Cristo. 2Co 12:7,9

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 20


V. Dio diede il permesso. Satana voleva che fosse Dio a farlo di sua mano, ma Dio non
affligge volentieri, né prova piacere nell’umiliare gli uomini, e tanto meno i suoi figli. La
3:33 Se quindi doveva essere fatto, che lo facesse Satana, che ne provava soddisfazione:
« È in tuo potere, fai del tuo peggio, ma con una limitazione: soltanto, rispetta la sua vita,
o la sua anima. Affliggilo, ma non farlo morire ». Gb 2:6 Satana avrebbe voluto togliergli la
vita e l’avrebbe fatto se avesse potuto, nella speranza che le agonie della morte lo
spingessero a maledire il suo Dio. Dio invece aveva in serbo per Giobbe la sua
misericordia, dopo quella prova, e quindi lui doveva sopravvivere. Nonostante le afflizioni,
gli avrebbe dato la vita come bottino. Se Dio non avesse incatenato il leone ruggente, ci
avrebbe già divorato! Anche se Dio permette che l’ira di Satana e degli empi colpisca il suo
popolo, la farà ridondare alla lode sua e loro e conterrà ciò che ne resta. Sl 76:10 KJV
« Risparmiagli l’anima » o « la ragione » (secondo alcuni). « Lasciagli quella facoltà, o non
sarebbe una giusta prova. Se Giobbe avesse maledetto Dio nel delirio non avrebbe
dimostrato di non essere integro. Non sarebbe stata la sua mente a parlare, ma il suo
turbamento ». Giobbe, in questo attacco di Satana, era un prototipo di Cristo. La prima
profezia su Cristo fu che Satana gli avrebbe schiacciato il capo Ge 3:15 sconfiggendolo,
come nel caso di Giobbe. Satana lo tentò infatti ad abbandonare la sua integrità e la sua
relazione con il Padre: Se tu sei Figliuol di Dio. Mt 4:6 Entrò nel cuore di Giuda, il suo
traditore, e (secondo alcuni), provocò anche l’agonia di Gesù nel Getsemani con i suoi
terrori. Ebbe in quel caso il permesso di toccargli il corpo, togliendogli anche la vita,
perché Cristo, morendo, avrebbe fatto ciò che Giobbe non poteva fare: avrebbe distrutto
colui che aveva l’impero della morte, cioè il diavolo.

Gb 2:7-10

Il diavolo, avendo ottenuto il permesso di vessare e turbare il povero Giobbe, si mise


immediatamente all’opera, prima come tormentatore e poi come tentatore. Con i suoi figli,
prima tenta, attirando al peccato, e poi tormenta, nella distruzione in cui li conduce. In
questo caso, invece, tormentò prima questo figlio di Dio con un’afflizione e poi lo tentò a
reagire male. Il suo scopo era di indurlo a maledire Dio. Leggiamo ora cosa fece per
raggiungere quello scopo, operando in ogni direzione, dandogli sia la provocazione
(altrimenti non sarebbe servito a niente incitarlo) e l’idea (o non ci avrebbe pensato).
Progettò quindi la tentazione con lo stesso ingegno del vecchio serpente, cercando di fare
con Giobbe ciò che aveva fatto con i nostri progenitori (Genesi 3), cioè di sedurlo ad
abbandonare la sua lealtà verso Dio, togliendogli così la sua integrità.

I. Lo provocò a maledire Dio colpendolo con un’ulcera maligna che lo rese non
autosufficiente. Gb 2:7,8 L’attacco precedente era stato estremamente violento, ma
Giobbe aveva mantenuto la sua posizione, accettando coraggiosamente gli eventi e
riuscendo vittorioso. Satana continuò però ad armarsi, e il peggio doveva ancora venire.
Le nubi ritornarono anche dopo la pioggia. Per permesso divino, Satana colpì ancora, e un
abisso chiamò un altro abisso.

1. La malattia di Giobbe era molto dolorosa. Satana lo colpì d’un’ulcera maligna, per tutto
il corpo, dalla testa ai piedi. Era una grave infiammazione (secondo alcuni), forse una
forma acuta di risipola. Anche solo un’ulcera dà già abbastanza tormento, fastidio e
dolore. Come fu quindi tremenda la condizione di Giobbe, che era tutto coperto di ulcere,
con un bruciore infernale, come se fossero infiammate dalla geenna! Il vaiolo è una
malattia tremenda e dolorosa, ma sarebbe ancor peggiore se non sapessimo che la sua

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 21


fase acuta dura di solito solo pochi giorni. Com’era insopportabile quindi il male di Giobbe,
ricoperto totalmente da piaghe o ulcere dolorose che lo tormentavano e gli causavano
tanto malore, così fitte che non poteva nemmeno stare sdraiato! Se mai ci capitano delle
malattie penose e fastidiose, non pensiamo che Dio ci tratti diversamente da come ha
trattato a volte i suoi santi o servitori migliori. Non sappiamo quanto Satana abbia a che
fare (per licenza divina) con le malattie che affliggono gli uomini e soprattutto i figli di Dio.
Non sappiamo che infezioni può diffondere e che infiammazioni provengono da quel
serpente infuocato. Leggiamo la storia di una donna che Satana aveva tenuta legata per
diversi anni. Lu 13:16 Se Dio lasciasse che quel leone ruggente faccia di noi come
desidera, come ci renderebbe miserabili!

2. In quelle condizioni, Giobbe si comportò stranamente. Gb 2:8

(a) Invece di usare degli unguenti, prese un coccio per grattarsi, forse un coccio di
un’urna. Che brutta fine aveva fatto! È più facile sopportare le malattie e i dolori se siamo
accuditi e curati. Molti ricchi aiutano caritatevolmente e amorevolmente i poveri in
condizioni come queste. Anche Lazzaro trovò un po’di sollievo quando i cani vennero a
leccargli le ulceri. Il povero Giobbe non aveva invece assistenza. [1] L’unico sollievo era
quello che si somministrò da solo, con le sue mani. I suoi figli e i suoi servi erano tutti
morti e sua moglie lo trattava con sgarbo. Gb 19:17 Non aveva nulla per pagare un
medico e, cosa più triste, nessuna delle persone che aveva trattato con tanta benevolenza
aveva abbastanza onore o gratitudine da prendersi cura di lui nelle sue sofferenze,
aiutandolo a coprire o a pulire quelle ulcere purulente, perché la malattia era ripugnante e
disgustosa o perché la ritenevano infettiva. Allora, come negli ultimi giorni del mondo, gli
uomini erano egoisti, ingrati e senza affezione naturale. [2] Si limitava a grattarsi le ulcere.
Non le avvolse in panni morbidi, non le ammorbidì con dell’unguento, non le lavò, non le
tenne pulite e non le coprì con impiastri. Nessuno gli dava sedativi o calmanti per
alleviargli la pena e per aiutarlo a riposare, né cordiali per incoraggiarlo. Non faceva che
grattarsi le ulcere che, dopo essersi trasformate in vescicole, cominciavano a incrostarsi,
ricoprendo il corpo quasi come squame, come avviene alla fine del vaiolo. Curare le ulcere
una a una sarebbe stato un lavoro infinito. Decise quindi di trattarle tutte in una volta, un
rimedio pessimo come la malattia stessa. [3] Non aveva altro che un coccio: non uno
strumento chirurgico adatto all’uso, ma un oggetto che aggravava le sue ferite e
peggiorava il suo dolore. Chi è malato e sofferente dev’essere diretto e guidato, perché
spesso non sa prendersi cura di se stesso.

(b) Invece di riposare su un letto morbido e caldo, stava seduto nella cenere.
Probabilmente aveva ancora il suo letto (anche se i suoi campi furono derubati, non
leggiamo che la sua casa fosse stata arsa o saccheggiata), ma scelse di stare seduto tra le
ceneri, perché era stanco del letto o perché voleva stare nel luogo dei penitenti che, come
segno di disprezzo di se stessi, giacevano tra la polvere e le ceneri. Gb 42:6 Is 58:5 Gn
3:6 Si umiliò dunque sotto la potente mano di Dio, ricordandosi l’abiettezza e la povertà
della sua condizione. Si lamentò che la sua carne era coperta di vermi e di croste terrose,
Gb 7:5 per cui la polvere tornò alla polvere e le ceneri alle ceneri. Se Dio lo aveva messo
tra le ceneri, si sarebbe seduto contento. Uno spirito umile si adegua alle umili circostanze
e aiuta ad accettarle. La Versione dei Settanta traduce: stava seduto su un letamaio fuori
città (come si dice generalmente quando si narra questa storia). L’originale però dice solo
che stava seduto nella cenere, che poteva anche essere nella sua casa.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 22


II. Satana si servì della moglie di Giobbe per persuaderlo a maledire Dio. Gb 2:9 Gli Ebrei
(che pretendono di sapere più di quanto sia scritto) dicono che la moglie di Giobbe era
Dina, la figlia di Giacobbe. È così anche secondo la versione caldea. Non è probabile.
Chiunque fosse, era come Mical per Davide, che derise la sua pietà. Era rimasta al suo
fianco, quando aveva perso tutto il resto, proprio per tormentarlo e tentarlo. Se Satana
lascia qualcosa che ha il permesso di togliere, è per fare del male. Manda le tentazioni per
mano di chi ci è caro, così come tentò Adamo per mezzo di Eva e Cristo per mezzo di
Pietro. Dobbiamo quindi stare attenti a non lasciarci indurre a fare o a dire qualcosa di
male dall’influenza, dall’autorità o dalle richieste di altri, nemmeno di quelle persone di cui
valutiamo tanto le opinioni o il favore. Osservate com’era forte quella tentazione:

1. Sua moglie lo schernì per la costanza della sua fede: « Stai ancora saldo nella tua
integrità? Sei così ostinatamente religioso che niente ti può curare? Sei così docile e
arrendevole da lasciarti umiliare da un Dio che, non solo non ricompensa i suoi servizi, ma
anzi sembra felice di renderti miserabile, di toglierti tutto e di colpirti senza essere
provocato? È forse un Dio da amare, benedire e servire? Non vedi che la tua devozione è
vana? Che cosa ti hanno procurato le tue preghiere, se non guai e dolori? ». Non hai
capito ciò che ti conviene/ così ostinato a fare sempre il bene?/ Queste disgrazie ti hanno
dimostrato/ che il Cielo non si cura del tuo stato. / Il suo bastone ti aiuti a lasciare/ la tua
virtù, e ti faccia ragionare! (Sir R. Blackmore). Satana cerca ancora di distogliere gli uomini
da Dio, come fece con i nostri progenitori, descrivendolo ingiustamente come un Dio che
invidia la felicità delle sue creature e che gode della loro miseria, un’accusa che non
potrebbe essere più falsa. Un altro suo stratagemma è quello di distogliere gli uomini dalla
fede gravandoli con derisioni e rimproveri per la loro costanza. Abbiamo motivo di
aspettarcelo, ma siamo stolti a darvi ascolto. Il nostro stesso Maestro subì quegli attacchi,
di cui saremo abbondantemente ricompensati. Possiamo quindi ritorcere quelle beffe e
quei rimproveri su chi ce li dà, dicendo: « Siete così stolti da continuare nella vostra
irreligiosità, quando dovreste benedire Dio e vivere? ».

2. Sua moglie lo incitò a rinnegare la sua fede ed Era rimasta al suo fianco, e a
bestemmiare Dio, sfidandolo a fare il peggio: « Ma lascia stare Iddio, e muori! Non
continuare a dipendere da lui, non aspettarti il suo aiuto, ma salvati da solo, togliendoti la
vita e mettendo così fine ai tuoi guai. È meglio morire una volta per tutte che morire
lentamente in questo modo. Smetti di sperare nell’aiuto di Dio. Maledicilo e impiccati ».
Sono due delle peggiori tentazioni di Satana, con cui ha a volte assalito violentemente i
giusti. Niente è più contrario alla coscienza naturale che bestemmiare Dio e niente è più
contrario al buonsenso che il suicidio, per cui sono idee che devono certamente venire da
Satana. Signore, non ci esporre alla tentazione, né a questa, né ad altre, ma liberaci dal
maligno.

III. Giobbe resistette coraggiosamente alla tentazione, e vinse. Gb 2:10 Satana gli aveva
concesso l’uso della lingua, sperando che la usasse per maledire Dio. Invece Giobbe diede
una risposta che dimostrò la sua costante determinazione a rimanergli fedele, a
conservare la sua buona opinione di lui e a non abbandonare la sua integrità. Notate:

1. Come si risentì della tentazione. Ne fu indignato: « Come? Maledire Dio? Ne odio anche
solo il pensiero. Vattene via da me, Satana ». In altri casi, Giobbe aveva parlato alla
moglie con molta dolcezza, anche quando era stata scortese con lui: La supplicai per li
figliuoli del mio ventre. Gb 19:17 D Quando però lei lo incitò a maledire Dio, rispose con

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 23


gran fastidio: Tu parli da donna insensata. Non la chiamò stolta e atea, né espresse la sua
irritazione in maniera indecente, come è portato a fare chi è malato e sofferente,
pensando di poter essere scusato. Le mostrò invece quanto male c’era nelle sue parole, e
che aveva parlato la lingua dei non-credenti e degli idolatri che, quando sono affranti,
s’irritano e maledicono il loro re e il loro Dio. Is 8:21 Abbiamo motivo di supporre che, in
una famiglia pia come quella di Giobbe, sua moglie fosse stata ben influenzata dalla fede,
ma ora che ogni loro bene e ogni loro consolazione era finita, non poteva rassegnarsi
come lui. Il fatto però che cercasse di corrompergli la mente con quella sua tremenda
indisposizione d’animo era una grande provocazione, e Giobbe non poté fare a meno di
dimostrare il suo sdegno. Notate:

(a) Si adira senza peccare chi si adira solo contro il peccato, chi vede la tentazione come il
più grande affronto e chi non può sopportare i malvagi. Ap 2:2 Quando Pietro parlò come
Satana, Cristo gli disse chiaramente: Tu mi sei di scandalo.

(b) Se delle persone che reputiamo buone e sagge dicono delle cose ingiuste e stolte,
dobbiamo rimproverarle diligentemente, mostrando i loro errori, per non permettere loro
di continuare a peccare.

(c) Le tentazioni di maledire Dio devono essere respinte con la massima repulsione, senza
fermarci a parlamentare. Dobbiamo trattare chi vuole persuaderci a farlo come un nemico
al quale è pericoloso arrendersi. Giobbe non maledì Dio, pensando poi di cavarsela con la
scusa di Adamo: « La donna che tu m’hai messa accanto mi ha persuaso a farlo ». Ge
3:12 Era una tacita accusa contro Dio, i suoi decreti e la sua Provvidenza. No, se deridi o
maledici, devi assumertene la responsabilità.

2. Come usò il ragionamento per combattere la tentazione: Abbiamo accettato il bene


dalla mano di Dio, e rifiuteremmo d’accettare il male? Dobbiamo cercare di convincere le
persone che rimproveriamo, e non è difficile dare un motivo per tener salda la nostra
integrità anche quando ci è tolto tutto il resto. Giobbe capì che, anche se il bene e il male
sono contrari, non derivano da cause opposte, ma entrambi dalla mano di Dio. Is 45:7 La
3:38 Quindi, in entrambi i casi, dobbiamo tenere lo sguardo su di lui, ringraziandolo per il
bene che ci manda, senza lasciarci turbare dal male. Osservate la forza del suo
ragionamento:

(a) La sua asserzione: dobbiamo non solo sopportare, ma accettare il male: Rifiuteremmo
d’accettare il male? [1] « Non dobbiamo aspettarci di riceverlo? Se Dio ci dà tanto bene,
dobbiamo sorprenderci o meravigliarci se a volte ci affligge, quando ci ha insegnato che la
prosperità e l’avversità si guardano in faccia? ». 1Pi 4:12 [2] « Non ci predisporremmo ad
accettarlo bene? ». La parola significa accettarlo come dono, e indica un sentimento e un
atteggiamento di devozione a Dio durante le nostre afflizioni, senza disprezzarle e senza
abbatterci, considerandole dei doni, Fl 1:29 accettandole come punizioni della nostra
iniquità, Le 26:41 sottomettendoci alla volontà di Dio (« Mi faccia come gli sembra
giusto »), e adattandoci a essa, come fa chi sa essere sia nell’abbondanza che nella
penuria. Fl 4:12 Quando la Provvidenza umilia il nostro cuore, staccandolo dalle cose a cui
è attaccato, accettiamo la correzione Ca 3:2 e prendiamo la nostra croce.

(b) La sua premessa: « Abbiamo accettato tanto bene dalla mano di Dio durante tutti
quegli anni di pace e di prosperità, e rifiuteremmo di accettare il male, quando Dio ritiene

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 24


giusto mandarcelo? ». Notate: la considerazione della misericordia che riceviamo e che
abbiamo ricevuto da Dio deve aiutarci ad accogliere le nostre afflizioni con un’appropriata
disposizione d’animo. Accetteremmo la nostra parte dei beni durante i sette anni di
abbondanza, e non la nostra parte dei mali durante gli anni di carestia? Qui sentit
commodum, sentire debet et onus-Chi ottiene i privilegi deve prepararsi per le privazioni.
Abbiamo tante cose che ci fanno piacere, e non dovremmo forse accettare ciò che fa
piacere a Dio? Se accettiamo tanti beni, non dovremmo forse accettare qualche afflizione,
che serve come contrasto per renderceli più preziosi (a volte impariamo il valore degli atti
di misericordia di Dio perdendoli), e come restrizione per renderli meno pericolosi,
bilanciando le cose e trattenendoci dalla superbia?. 2Co 12:7 Se accettiamo tanto bene per
il corpo, non accetteremmo qualcosa che fa bene all’anima, cioè afflizioni che ci rendono
partecipi della santità di Dio Eb 12:10 e che, addolorandoci esteriormente, ci migliorano
interiormente? Cessiamo quindi per sempre dalle lamentele e dal vanto.

IV. Fino ad allora, Giobbe si era tenuto ben stretto alla sua integrità, e il piano di Satana
contro di lui aveva fallito: In tutto questo Giobbe non peccò con le sue labbra. Non solo
aveva parlato bene, ma tutto ciò che aveva detto era dettato dalla religione e dalla
ragione. In mezzo a tutte quelle sofferenze, non aveva detto niente di male, e
probabilmente anche i suoi pensieri erano stati pii. Anche se forse aveva provato il tumulto
della corruzione nel cuore, la grazia aveva avuto il sopravvento, e Giobbe si era assicurato
che nessuna radice velenosa uscisse a dargli molestia. Eb 12:15 L’abbondanza del suo
cuore era per Dio e aveva prodotto buoni frutti: la parte migliore di sé, essendo in
maggioranza, aveva sconfitto il male sopprimendolo. Se aveva pensato del male, si era
messo la mano sulla bocca Pr 30:32 per non lasciare uscire quei pensieri. Era chiaro quindi
non solo che aveva la grazia di Dio, ma che era forte e vittorioso. In poche parole, aveva
mantenuto il suo carattere integro e retto, il carattere di chi, tra tante tentazioni, non falla
nel parlare. Gm 3:2 Sl 17:3

Gb 2:11-13

Abbiamo qui un resoconto della visita di cortesia dei suoi tre amici durante la sua
afflizione. La notizia di quelle sue straordinarie disgrazie si era diffusa ovunque, dato che
Giobbe era un uomo così noto per la sua bontà e grandezza, e dato che le circostanze di
quei guai erano molto insolite. I suoi nemici erano trionfanti. Gb 16:10 19:18 30:1 ss.
Forse avevano addirittura composto delle ballate su di lui. I suoi amici invece si
preoccuparono per lui e cercarono di confortarlo. L’amico ama in ogni tempo, e il fratello
nasce per l’afflizione. Tre sono citati per nome: Elifaz, Bildad e Zofar. Gb 2:11
Incontreremo in seguito un quarto che, a quanto pare, era presente durante tutto il
discorso, cioè Eliu. Non sappiamo se era là come amico o solo come ascoltatore. Questi tre
sono definiti amici, conoscenti intimi, come i consiglieri intimi che Davide e Salomone
avevano nelle loro corti. Erano molto saggi e giusti, come appare dai loro discorsi. Erano
anche molto anziani e godevano di una reputazione di grande conoscenza, per cui il loro
giudizio era molto stimato. Gb 32:6 Probabilmente erano personaggi importanti nel loro
paese: principi o proprietari terrieri. Osservate:

I. La loro amicizia con Giobbe era iniziata durante la sua prosperità. Se erano suoi pari,
non era stato geloso di loro. Se erano suoi inferiori, non li aveva disprezzati, altrimenti non
avrebbe potuto avere delle discussioni profonde con loro. Quelle amicizie gli avevano dato
più gioia di tutto il suo bestiame. La conoscenza e l’amicizia di persone sagge e virtuose

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 25


rappresentano gran parte delle gioie di questa vita, e chi ha amici di quel genere deve
apprezzarli molto. I tre amici di Giobbe erano probabilmente tutti discendenti di Abramo,
che, per qualche generazione, anche nelle famiglie escluse dal particolare patto di Dio,
avevano mantenuto dei frutti di quella educazione pia che il padre dei fedeli aveva
tramandato ai suoi figli e ai suoi subordinati. Elifaz discendeva da Teman, nipote di Esaù
Ge 36:11 e Bildad probabilmente da Suac, figlio di Abramo e Chetura. Ge 25:2 Zofar,
secondo alcuni, era lo stesso Sefo che discendeva da Esaù. Ge 36:11 Il fatto che tanta
sapienza e pietà fosse diffusa tra persone estranee al patto della promessa era un gran
presagio della grazia di Dio per gli stranieri: una grazia che, negli ultimi giorni, avrebbe
abbattuto il muro di partizione. Esaù fu respinto, ma molti suoi discendenti ereditarono le
migliori benedizioni.

II. Gli si mantennero amici durante le sue avversità, quando la maggior parte dei suoi
amici lo aveva abbandonato. Gb 19:14 Dimostrarono la loro amicizia in due modi:

1. Con la visita che gli prestarono durante la sua afflizione, per fargli le condoglianze e per
consolarlo. Gb 2:11 Probabilmente lo erano andati a trovare spesso durante la sua
prosperità, non per cacciare, ballare o giocare a carte, ma per fare discussioni dotte e pie,
che trovavano interessanti ed edificanti. Ora che Giobbe era caduto in disgrazia, erano
venuti a condividere i suoi dolori, così come prima avevano condiviso le sue gioie. Erano
saggi, e il loro cuore era nella casa del duolo. Ec 7:4 Visitare i malati e i sofferenti, gli
orfani e i derelitti, nelle loro afflizioni, fa parte della religione pura e immacolata Gm 1:27
e, se motivato da un buon principio, sarà presto abbondantemente ricompensato. Mt
25:36

(a) Visitando i figli e le figlie dell’afflizione possiamo: [1] Ricevere più grazie. Molte buone
lezioni si imparano dai guai degli altri. Osservandoli e ricevendo le loro ammonizioni
possiamo diventare più saggi e sobri. [2] Accrescere le loro consolazioni. Le nostre visite li
incoraggeranno, e potremmo dire qualche parola buona che renda il peso più leggero. Gli
amici di Giobbe non erano venuti per soddisfare la loro curiosità riguardo ai suoi guai e
alle insolite circostanze, né tantomeno per fargli degli invidiosi commenti come i falsi amici
di Davide. Sl 41:6-8 Erano invece venuti a far cordoglio con lui, mescolando le loro lacrime
con le sue e dandogli conforto. È molto più piacevole visitare gli afflitti che sono già
confortati rispetto a che quelli che dobbiamo prima ammonire.

(b) Riguardo a questi amici, osservate: [1] Non erano stati chiamati, ma lo avevano
visitato spontaneamente. Gb 6:22 Caryl fa notare che dimostra buone maniere chi si
presenta senza ingiunzione alla casa del lutto, anticipando l’invito degli amici. [2] Si
diedero un appuntamento per visitarlo insieme. Notate: i giusti devono darsi
appuntamento per fare il bene, spronandosi, associandosi, aiutandosi e incoraggiandosi a
vicenda. Lavoriamo insieme per portare avanti dei progetti pii. [3] Erano venuti con
l’intenzione (molto probabilmente sincera) di consolarlo, eppure lo fecero malissimo,
affrontando male la situazione. Molti cercano di fare il bene, ma, senza volerlo, sbagliano.

2. Con la loro tenera compassione e comprensione durante quelle afflizioni. Quando lo


videro da lontano, era così deforme e sfigurato dalle piaghe che non lo riconobbero. Gb
2:12 Il suo volto era rosso di pianto, Gb 16:16 come i principi di Gerusalemme, che
avevano avuto un corpo più vermiglio del corallo, ma erano diventati più cupi del nero. La
4:7,8 Come può cambiare rapidamente il nostro aspetto per una brutta malattia o anche

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 26


solo per la vessazione dell’angoscia e del dolore! È proprio Naomi?. Ru 1:19 È proprio
Giobbe? Come sei caduto in basso! Come si è macchiata e offuscata la tua gloria, e come
giace nella polvere il tuo onore! Dio ci aiuti ad affrontare tali cambiamenti! Di fronte a
quella miserevole trasformazione, i suoi amici non lo lasciarono per paura o per
repulsione, ma si dimostrarono ancor più premurosi.

(a) Essendo venuti a condolersi con lui, dimostrarono il loro dolore in tutte le sue comuni
espressioni. Piansero ad alta voce. Come avviene di solito, la loro vista risvegliò il dolore di
Giobbe, e le sue lacrime provocarono copiosamente le loro. Si stracciarono i mantelli e si
cosparsero il capo di polvere, come per spogliarsi e umiliarsi con l’amico spogliato e
umiliato.

(b) Essendo venuti a consolarlo, rimasero seduti per terra, presso a lui, dove riceveva le
visite. Non per accontentarlo, ma per esprimere la loro sincera compassione, si misero
nella sua stessa posizione in quel luogo vile e spiacevole. Probabilmente, nella sua
prosperità, si erano seduti spesso insieme a lui sui suoi divani o al suo tavolo Avendo
quindi sempre condiviso con lui la gioia e la ricchezza, erano ora disposti a condividere il
suo dolore e la sua povertà. Non si trattava di una breve visita di cortesia, per vedere solo
come stava. Come se non potessero provare gioia sapendo che il loro amico soffriva tanto,
decisero di rimanere con lui finché la sua sofferenza fosse terminata, in un modo o
nell’altro. Si sistemarono vicino a lui, anche se egli non poteva fare loro gli onori di una
volta, ospitandoli a sue spese. Ogni giorno, per una settimana, ritornarono alla casa dove
accettava le visite e sedettero con lui, come suoi compagni di sventura, facendo eccezione
alla regola: Nullus ad amissas ibit amicus opes-Chi ha perso ogni ricchezza non deve
aspettarsi visite da amici. Si sedettero con lui, ma nessuno di loro gli disse parola.
Ascoltarono invece la sua descrizione delle sue sciagure in silenzio, attoniti e stupefatti.
Curae leves loquuntur, ingentes stupent-I dolori più lievi ci fanno parlare. I più gravi ci
lasciano muti. Muti restaron, in rispetto per quel male/ Di cui in terra non c’era stato
uguale (Sir R. Blackmore). Non dissero nulla a lui, anche se cercarono tra di loro di
comprendere quegli atti della Provvidenza. Non discussero quegli argomenti di cui in
seguito avrebbero parlato a lungo. Non dissero nulla che lo potesse infastidire, Gb 4:2
perché vedevano che il suo dolore era già molto grande, e avevano paura di affliggerlo
maggiormente. C’è un tempo per tacere, quando l’empio ci sta davanti, e le nostre parole
potrebbero indurirlo, Sl 39:1 o quando potremmo offendere la generazione dei figli di Dio.
Sl 73:15 KJV Il fatto che non fecero quei solenni discorsi fino al settimo giorno indica forse
che attesero il sabato, indubbiamente osservato nell’era patriarcale. Rimandarono a quel
giorno i loro discorsi perché probabilmente era allora che altre persone si radunavano di
solito a casa di Giobbe per unirsi a lui nelle sue devozioni, e quel discorso avrebbe potuto
giovare anche a loro. Oppure un silenzio così lungo stava a indicare che quello che dissero
in seguito era il frutto di molte considerazioni, meditazioni e ragionamenti. Il cuor del
giusto medita la sua risposta. Dobbiamo pensare due volte prima di parlare, soprattutto in
un caso come questo, riflettendo bene, per poter parlare in maniera concisa e pertinente.

Giobbe 3

« Avete udito parlare della pazienza di Giobbe », disse l’Apostolo. Gm 5:11 ND Certo, e
anche della sua impazienza. La sua pazienza ci ha colpito (Giobbe 1$; 2$), ma ci colpisce
anche il fatto che un giusto possa essere impaziente com’è lui in questo capitolo, dove
maledice il giorno della sua nascita, lamentandosi:

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 27


I. Di essere nato Gb 3:1-10

II. Di non essere morto subito dopo la nascita. Gb 3:11-19

III. Di continuare a vivere in quella misera condizione. Gb 3:20-26 In questo bisogna


riconoscere che Giobbe peccò con le sue labbra, e che queste parole furono scritte non
per essere imitate, ma per farci da ammonizione, affinché chi si pensa di stare ritto, guardi
di non cadere.

Gb 3:1-10

L’animo di Giobbe era stato a lungo in ebollizione. Più reprimeva quel fuoco, tra le sue
riflessioni, più gli ardeva dentro. Alla fine parlò, ma non giustamente come fece Davide
quando disse, nelle stesse condizioni: O Eterno, fammi conoscere la mia fine. Sl 39:3,4 Il
profeta Ezechiele dimorò per sette giorni, sconcertato, tra i deportati, finché
(probabilmente di sabato) la parola dell’Eterno gli fu rivolta. Ez 3:15,16 Mentre tutti
riflettevano in silenzio, gli amici di Giobbe avevano paura di dire ciò che pensavano per
non addolorarlo, e Giobbe non voleva esprimere i suoi pensieri per non offenderli. Erano
andati a confortarlo, ma di fronte a delle afflizioni così straordinarie, avevano cominciato a
dubitare che meritasse quel conforto, sospettando che fosse un ipocrita, e quindi non
dissero niente. I perdenti pensano però sempre di aver diritto di parlare, per cui Giobbe fu
il primo a esprimere i suoi pensieri. Sarebbe stato meglio però se se li fosse tenuti per sé,
se non poteva dire niente di meglio. In breve, maledì il giorno della sua nascita,
desiderando di non essere mai nato. Non poteva nemmeno pensare alla sua nascita o
parlarne senza rammarico e fastidio. Mentre gli uomini di solito celebrano quel giorno con
gioia, Giobbe lo considerava il più infausto dell’anno, perché era il più infausto della sua
vita, in quanto inizio di tutti i suoi guai. In quelle sue parole,

I. Si espresse già male. La sua estrema sofferenza e il turbamento del suo animo possono
in parte scusarlo, ma non giustificarlo. Aveva dimenticato ogni bene ricevuto e pensava
soltanto al male, desiderando di non essere mai nato. Le sette vacche scarne avevano
divorato le grasse. Lo stesso profeta Geremia aveva espresso l’angoscia delle sue calamità
in un linguaggio molto simile: Me infelice! o madre mia, poiché m’hai fatto nascere! Gr
15:10 Maledetto sia il giorno ch’io nacqui. Gr 20:14 ss. Probabilmente Giobbe, nella sua
prosperità, aveva spesso benedetto Dio per averlo messo in vita, considerando felice il
giorno della sua nascita. Qui invece lo marchiò con ogni possibile infamia. Se consideriamo
l’iniquità in cui siamo concepiti e dati alla luce, abbiamo abbastanza motivo per
considerare con dolore e vergogna il giorno della nostra nascita e per ritenere ben migliore
il giorno della nostra morte, Ec 7:1 che ci affranca dal peccato. Ro 6:7 Maledire invece il
giorno della nostra nascita perché ci ha fatto entrare nella sciagurata scena della vita vuol
dire contendere con il Dio della natura, disprezzando la dignità della nostra esistenza, e
indulgere in una passione di cui i nostri pensieri calmi e assennati ci farebbero vergognare.
Non c’è certamente condizione in questa vita in cui un uomo (se non vi si trova per colpa
sua) non possa onorare Dio, adoperarsi al compimento della sua salvezza e assicurarsi la
felicità di un mondo migliore. Non ha quindi motivo di desiderare di non essere mai nato,
ma piuttosto può affermare di essere in vita per un buon proponimento. Bisogna però
riconoscere che, se non ci fosse un’altra vita dopo questa, e se le consolazioni divine non
ci sostenessero con quella prospettiva, in questa esistenza ci sono tanti guai e tanti dolori
che possiamo essere tentati a definirci creati per nulla, Sl 89:47 desiderando di non

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 28


esserlo mai stati. Ci sono persone all’inferno che hanno ogni motivo di desiderare di non
essere mai nate, come Giuda. Mt 26:24 Da questa parte dell’inferno, invece, non è
ammesso un desiderio così vano e ingrato. Nel caso di Giobbe, fu un’espressione di follia e
di debolezza. Dobbiamo dire: È un’espressione della sua fragilità. Dato che le persone
rette vengono a volte meno proprio nell’esercizio di quelle virtù di cui sono più fornite, è
chiaro che se sono definite perfette significa che sono giuste e non senza peccato. Per
finire, osserviamo, per onorare la vita spirituale più di quella naturale, che anche se molti
hanno maledetto il giorno della loro prima nascita, nessuno ha mai maledetto il giorno
della seconda, desiderando di non aver ricevuto la grazia di Dio e il suo Spirito. Sono quelli
i doni più eccelsi, più della vita e dell’esistenza, e non ci saranno mai di peso.

II. Non si espresse male come avrebbe voluto Satana. Aveva maledetto il giorno della sua
nascita, ma non il suo Dio; era stanco di questa vita e l’avrebbe lasciata volentieri, ma non
della sua religione a cui si attenne saldamente e da cui non si sarebbe mai distaccato. La
questione alla base della disputa tra Dio e Satana non era se Giobbe fosse debole e
sottoposto alle nostre stesse passioni (che era ovvio), ma se fosse un ipocrita che odiava
segretamente Dio e che, sotto provocazione, lo avrebbe confermato. Messo alla prova,
invece, Giobbe dimostrò il contrario. Anzi, tutto questo può essere consistente con il suo
esempio di pazienza, perché, anche se si espresse male in quel momento, sia prima che
dopo dimostrò una grande sottomissione e rassegnazione alla santa volontà di Dio e si
pentì della sua impazienza. Si condannò da solo, per cui Dio non gli rivolse alcuna
condanna, e non dobbiamo farlo nemmeno noi. Dobbiamo piuttosto stare attenti a non
peccare allo stesso modo.

1. Le particolari espressioni che usò nel maledire il giorno della sua nascita sono pieni di
una foga, di un impeto e di uno slancio poetico eccezionali, e creano altrettante difficoltà
ai critici quante l’argomento stesso crea agli studiosi. Non dobbiamo attaccarci ai
particolari. Nel tentativo di esprimere il suo ardente desiderio di non essere mai nato,
Giobbe lancia un violento attacco contro il giorno della sua nascita, augurandosi:

(a) Che la terra potesse dimenticarlo: Perisca, Gb 3:3 non abbia la gioia di contar tra i
giorni dell’anno. Gb 3:6 « Non solo ne sia tolta l’iscrizione in caratteri scarlatti sul
calendario, come veniva marcato l’anniversario della nascita di un re (e leggiamo in Gb
29:25 che egli era un re) », « ma sia eliminato del tutto e sepolto nell’oblio. Il mondo non
si ricordi mai più della mia nascita e della mia esistenza, visto che sono uno spettacolo così
miserevole ».

(b) Che il Cielo potesse disapprovarlo: Non se ne curi Iddio dall’alto. Gb 3:4 « Ogni cosa è
in realtà come la vede Dio. I giorni onorevoli sono quelli a cui Dio dà onore e che marchia
e incorona con il suo favore e le sue benedizioni, così come contrassegnò il primo giorno
della settimana. Il mio compleanno invece non sia mai onorato. Sia nigro carbone
notandus-marchiato con carbone come giorno infausto da chi predetermina i tempi. Il
padre e la fonte di ogni luce ha designato la luce maggiore per presiedere al giorno e la
luce minore per presiedere alla notte. Che il mio giorno e la mia notte ne siano privati ».
[1] Quel giorno si converta in tenebre. Gb 3:4 Se la luce del giorno è tenebre, quanto
grandi saranno! Sarà terribile, perché ci aspetteremmo la luce. L’oscurità di quel giorno
rappresenta la condizione di Giobbe, per il quale il sole era tramontato a mezzogiorno. [2]
Anche la notte sia senza luce della luna e delle stelle. Diventi preda d’un buio cupo, di

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 29


un’oscurità fitta, quasi palpabile, che non infonderà riposo con il suo silenzio, ma lo
disturberà con i suoi terrori.

(c) Che ogni gioia potesse abbandonarlo: « Sia una notte deprimente, solitaria, senza
musica e senza danze. Non vi s’oda grido di gioia. Gb 3:7 Sia una notte lunga, e non miri
le palpebre dell’alba, Gb 3:9 che portano gioia ».

(d) Che ogni maledizione potesse possederlo: « Nessuno lo desideri o gli dia il benvenuto.
Al contrario, lo maledicano quei che maledicono i giorni. Gb 3:8 Se uno vuole maledire un
giorno, maledica anche quello della mia nascita, soprattutto chi, per occupazione,
provvede espressioni di cordoglio e di lamento ai funerali. Chi maledice il giorno della
morte di altri maledica anche quello della mia nascita ». Oppure, si riferisce a chi è così
feroce e spavaldo da evocare il Leviatan (il termine usato qui) che, in procinto di colpire la
balena o il coccodrillo, li maledice con le imprecazioni peggiori che può trovare, sperando
così di poterli indebolire e conquistare. Probabilmente il nostro poeta divino allude a
qualche usanza. « Sia odiato come il giorno in cui gli uomini compiangono la più grande
sfortuna, o come il momento in cui vedono l’apparizione più tremenda », secondo il dott.
Patrick, che forse, come altri, vide nel leviatan il diavolo, o in quelle maledizioni le
imprecazioni usate dagli stregoni e dai maghi per evocarlo, o per scacciarlo quando non
possono più liberarsene.

2. Perché Giobbe se la prende con il giorno e la notte della sua nascita? Poiché non chiuse
la porta del seno che mi portava Gb 3:10 Notate la follia e la demenza di una persona
scontenta così appassionata e l’assurdità e l’incongruenza di chi gli dà corda. È questo lo
stesso Giobbe che era stato così ammirato per la sua sapienza e che tutti avevano
ascoltato pieni d’aspettazione, tacendo per udire il suo parere, senza replicare alle sue
parole? Gb 29:21,22 La sua saggezza sembrava scomparsa nel fatto che:

(a) Si sforzò tanto di esprimere il desiderio inutile di non essere mai nato. È impossibile
togliere l’esistenza di ciò che è esistito.

(b) Maledì con tanta prodigalità un giorno e una notte che non poteva danneggiare.

(c) Desiderò crudelmente che sua madre non lo avesse messo alla luce al termine della
gravidanza, quando in effetti avrebbe significato per lei una morte tremenda.

(d) Disprezzò la bontà di Dio nel dargli un’esistenza (un’esistenza così nobile ed eccelsa e
una vita così superiore a quella di qualunque altra creatura di questo mondo), e ne svalutò
il dono, come se non valesse la pena di essere accettato, solo perché era transit cum
onere-con la clausola condizionale delle sciagure che ora gli erano capitate, dopo tanti
anni di gioie e di piaceri. Com’era folle desiderare di non aver mai visto la luce per non
vedere mai il dolore, un dolore che poteva lasciar trasparire la gioia! Giobbe credeva e
sperava che, alla fine, con la sua carne avrebbe visto Iddio, Gb 19:26 D eppure desiderò
di non avere un’essenza in grado di provare tale gioia, solo perché, momentaneamente,
quella stessa carne provava dolore? Che Dio ci armi della sua grazia contro questi assurdi,
dannosi impeti di impazienza.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 30


Gb 3:11-19

Giobbe, forse conscio dell’assurdità del suo desiderio di non essere mai nato, pensando
forse di rimediare, lo fa seguire da un altro, non molto migliore, di poter esser morto
subito dopo la nascita, su cui si dilunga in questi versetti. Parlando di una condizione di
estrema devastazione, il nostro Salvatore sostenne quasi quel ragionamento: Beate le
sterili, e i seni che non han partorito, e le mammelle che non hanno allattato. Lu 23:29
Benedire il ventre sterile e maledire quello fruttuoso sono però due cose molto diverse! È
un bene mettere in luce i vantaggi delle afflizioni, ma non trovare svantaggi nelle
benedizioni. La nostra regola è: benedite e non maledite. Di solito la vita è considerata un
bene, e la morte un male. Giobbe invece si lamenta assurdamente della vita, che
considera una maledizione e una piaga, e desidera la morte e la tomba come se fossero la
gioia più grande e desiderabile. Di certo Satana si era ingannato quando disse di Giobbe:
L’uomo dà tutto quel che possiede per la sua vita. Nessuno infatti valutava la vita meno di
lui.

I. Giobbe contende appassionatamente contro la vita, lamentandosi che non gli fu tolta nel
momento stesso in cui gli fu concessa: Gb 3:11,12 Perché non morii nel seno di mia
madre? Notate:

1. L’uomo entra nel mondo debole e indifeso. Com’è sottile il filo della vita appena appare.
Già nel grembo materno siamo pronti a morire, e il nostro primo respiro potrebbe essere
l’ultimo. Al contrario di altre creature, non possiamo far nulla da soli. Cadremmo nella
tomba se delle ginocchia non ci ricevessero. La lampada della vita si spegnerebbe subito
da sola se i seni che ci sono dati da succhiare non le dessero gli alimenti.

2. Le cure misericordiose e tenere della Provvidenza quando entriamo nel mondo. È grazie
a loro che non moriamo nel seno e spiriamo appena usciti dalle sue viscere. Perché non
moriamo al momento della nascita? Non è perché non lo meritiamo. Le erbacce sono
giustamente strappate appena appaiono, e giustamente i basilischi sono schiacciati già nel
guscio. Non è nemmeno perché possiamo prenderci cura di noi stessi e metterci al sicuro.
Nessuna creatura viene al mondo più indifesa dell’uomo. Non è la nostra forza o il potere
della nostra mano che ci mantiene in vita. È invece il potere di Dio e la sua Provvidenza a
sostenere il nostro fragile corpo ed è la sua misericordia e la sua pazienza che ci risparmia
la vita che noi stessi rifiutiamo. È per questo che le ginocchia ci hanno ricevuto. L’affetto
naturale è messo nel cuore dei genitori dalla mano del Dio della natura. È quindi per
questo che le benedizioni del seno sono di complemento a quelle del grembo.

3. La grande vanità e il tormento di spirito che accompagnano la vita umana. Se non


avessimo un Dio da servire in questo mondo e una speranza di cose migliori nel prossimo,
considerate le facoltà che possediamo e le sciagure che ci circondano, sarebbe forte la
tentazione di voler essere morti nel seno, evitando quindi molti peccati e tanta miseria. Chi
nasce oggi e domani muore, perde ore di gioia, ma mesi di dolore.

4. L’impazienza, l’agitazione e lo scontento sono mali che, se prevalgono, sono


irragionevoli, assurdi, ingrati e contrari alla religione. Chi se li concede disprezza e svaluta
il favore di Dio. Se anche la vita ci appare amara, dobbiamo dire: « È una grazia
dell’Eterno che non siamo morti nel grembo e non siamo stati interamente distrutti ».
L’odio per la vita è una contraddizione al buon senso e ai comuni sentimenti umani, che

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 31


anche noi proviamo in altri momenti. Chi è scontento strepiti pure contro la vita. Non vorrà
però lasciarla quando verrà l’ora. Nella favola, quando un vecchio, stanco del suo fardello,
lo gettò a terra invocando la Morte, quest’ultima venne a chiedergli che cosa desiderasse.
« Niente », rispose lui. « Volevo solo che mi aiutassi a portarlo ».

II. Giobbe, quasi con infatuazione, dà un fervente elogio della morte e della tomba. Il
desiderio di morire per dimorare con Cristo e per essere liberi dal peccato e sopravvestiti
della nostra abitazione che è celeste è un frutto e una prova della grazia. Quando invece
vogliamo morire solo per stare in pace nella tomba, liberi dai guai di questa vita, riveliamo
la nostra corruzione. Le considerazioni di Giobbe possono aiutarci a riconciliarci con la
morte quando viene e a renderci più facile quel momento, ma non devono essere usate
come pretesto per contendere contro la vita o per renderci intolleranti i suoi pesi. È nostro
dovere e dimostrazione di saggezza vedere il meglio di ogni cosa, in vita o nella morte, e
vivere e morire per il Signore, essendo suoi in entrambi i casi. Ro 14:8 Giobbe qui si
tormenta pensando che, se solo fosse morto al momento della nascita, e portato dal
grembo alla tomba,

1. Le sue condizioni sarebbero state le migliori: « Sarei coi re e coi consiglieri della terra,
Gb 3:14 che non sfuggono alla morte e alla tomba per il loro fasto, il loro potere o la loro
politica, né sono distinti là dalla polvere comune ». Neanche i principi, con tutto il loro oro,
possono indurre la morte a lasciarli in vita quando viene la loro ora. Anche se hanno la
casa piena d’argento, devono lasciarselo tutto dietro per sempre. Secondo alcuni, i luoghi
deserti Gb 3:14 D che i re e i consiglieri si edificano sono i sepolcri o i mausolei che si
preparano quando sono in vita, come Scebna, che si era fatto scavare un sepolcro, Is
22:16 e quindi l’oro dei principi e l’argento di cui si riempiono le case sono i tesori che di
solito si depositano nelle tombe degli uomini importanti. Quei re e quei consiglieri trovano
tanti stratagemmi per preservare la loro dignità oltre la morte, come se fosse possibile, e
per non giacere con quelli di ceto inferiore, ma non servirà a niente. La morte è e sarà
sempre un’irresistibile livellatrice. Mors sceptra ligonibus aequat-La morte rende uguali lo
scettro e la vanga. Il ricco e il povero s’incontrano nella tomba, dove un aborto nascosto,
Gb 3:16 un feto che non ha mai visto la luce, o un infante che, appena ha aperto gli occhi
sul mondo li ha richiusi disgustato, affrettandosi a uscire, giace comodo e sicuro come i re,
i consiglieri e i principi che hanno accumulato tanto oro. « Di conseguenza », disse
Giobbe, « preferirei essere là tra quella polvere che qui tra queste ceneri! ».

2. La sua condizione sarebbe stata molto migliore: « Ora mi giacerei tranquillo, cosa che
non posso fare adesso che mi rigiro sempre inquieto. Dormirei, mentre ora non riesco a
prendere sonno, e avrei così riposo, mentre ora sono irrequieto ». Gb 3:13 Ora che il
Vangelo pone in una luce più chiara la vita e l’immortalità, i credenti hanno una migliore
spiegazione dei vantaggi della morte: « Allora abiterei con il Signore, vedrei la sua gloria
faccia a faccia e non come in uno specchio, in modo oscuro ». Il povero Giobbe invece
voleva solo un po’di riposo e di pace nella tomba, senza il timore di brutte notizie e senza
il dolore delle ulcere maligne. Giacerei tranquillo. Se avesse mantenuto quella calma che
abbiamo visto nei due capitoli precedenti, quella totale rassegnazione e accettazione della
santa volontà di Dio, avrebbe potuto essere tranquillo anche allora. Almeno la sua anima
avrebbe potuto trovare benessere, anche se il corpo soffriva. Sl 25:13 Osservate come
descrive il riposo nella tomba, che (se l’anima riposa in Dio) può aiutarci a trionfare su di
essa.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 32


(a) Chi è tormentato ora non lo sarà più: Là cessano gli empi di tormentare gli altri. Gb
3:17 Da morti, i persecutori non possono più far del male. Il loro odio e la loro invidia
periranno. Erode aveva travagliato la chiesa, ma finì in preda dei vermi. Quando i
perseguitati muoiono, non sono più in pericolo di essere afflitti. Nella tomba, Giobbe non
sarebbe più stato disturbato dai Sabei e dai Caldei, e nessun nemico gli avrebbe creato dei
guai.

(b) Chi è affaticato vedrà la fine delle sue fatiche. Là riposano gli stanchi. Il Cielo è più di
un riposo per le anime dei santi, ma la tomba dà riposo ai corpi. Il loro pellegrinaggio è
duro. Sono stanchi del peccato e del mondo, fiaccati dai loro servizi, dalle sofferenze e
dalle aspettative. Nella tomba però si riposano dalle loro fatiche, Ap 14:13 Is 57:2 in pace,
senza più lamentarsi. Là i credenti dormono in Cristo.

(c) Chi è schiavo sarà libero. La morte è la liberazione del prigioniero, il sollievo
dell’oppresso e l’emancipazione del servo. Là i prigioni, che qui non sono a piede libero,
han requie tutti insieme, senza lavori forzati. Non sono più insultati e calpestati, maltrattati
e terrorizzati da crudeli sorveglianti. Non odono la voce d’aguzzino. Gb 3:18 Chi qui è
condannato a una perpetua servitù, senza essere padrone nemmeno del suo corpo, non
sarà più controllato o comandato. Là lo schiavo è libero del suo padrone. Chi ha potere
deve quindi usarlo moderatamente e chi vi è soggetto deve sopportarlo pazientemente, un
po’più a lungo.

(d) Non ci saranno più differenze di ceto: Piccoli e grandi sono là del pari, Gb 3:19 tutti
uguali, tutti uniti, tutti liberi tra i morti. La fastidiosa magnificenza e sontuosità dei grandi
avrà fine, come pure tutte le molestie di una condizione povera e umile. La morte e la
tomba non conoscono differenze. La morte uguaglia. Lo schiavo ed il padrone/ lo stolto e il
saggio, il nobile e il barbone/ son nella tomba senza distinzione. Sir R. Blackmore.

Gb 3:20-26

Giobbe, non avendo trovato utilità nel desiderio di non essere mai nato o di essere morto
subito dopo la nascita, si lamenta qui del proseguimento della sua vita. Non c’è fine alle
dispute umane. Il cuore corrotto mantiene la stessa disposizione. Dopo aver maledetto il
giorno della sua nascita, Giobbe desidera il giorno della sua morte. Cominciare una
contesa o dimostrarsi impazienti è dar la stura all’acqua.

I. In generale, pensa che sia crudele prolungare la vita ai miseri: Perché dar la luce e la
vita a chi ha l’anima nell’amarezza? Gb 3:20-22 L’amarezza, tramite la sofferenza
spirituale, rende amara la vita. Perché dà la luce (secondo l’originale)? Il soggetto è Dio,
che però Giobbe non nomina, anche se il diavolo aveva detto « Ti maledirà in faccia ».
Giobbe insinua invece tacitamente che la Provvidenza divina è ingiusta e crudele nel
permettere che la vita continui quando le sue consolazioni sono terminate. La vita è
definita luce, perché è piacevole e utile per muoverci e per lavorare. È una luce di candela.
Più la candela arde, più si accorcia e si avvicina alla fine. Questa luce ci è data. Se infatti
non ci fosse rinnovata ogni giorno con un nuovo gesto di generosità, finirebbe. Giobbe
però ritiene che, per i miseri, è doron adoron-un dono non dono, un dono di cui
potrebbero fare a meno, perché la luce serve solo a rivelare la loro miseria. La vita umana
è così vana che a volte diventa un tormento di spirito, e le proprietà della morte sono così

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 33


alterabili che, pur essendo per natura tremenda, può diventare desiderabile anche alla
nostra stessa natura. Giobbe parla di chi:

1. Aspetta la morte, quando ormai non ha più utilità né consolazioni, quando è aggravato
dall’età o dalle infermità, dal dolore o dalla malattia, dalla povertà o dal disonore, ma non
la ottiene, mentre, allo stesso tempo, essa coglie molti che la odiano e che vorrebbero
tenerla lontana. La durata della nostra vita dev’essere secondo la volontà di Dio e non la
nostra. Dio non deve chiederci quanto vogliamo vivere e quando vogliamo morire. I nostri
giorni sono in mani migliori.

2. La ricerca più che i tesori nascosti, cioè, darebbe qualunque cosa pur di lasciare questo
mondo, il che lascia intendere che allora il suicidio non era contemplato o suggerito,
altrimenti chi desiderava tanto la morte non si sarebbe disperato tanto, ma avrebbe potuto
averla a piacimento (come insegna Seneca).

3. L’accoglie con gioia, e giubila quando la trova e può entrarci. Se le miserie di questa
vita possono renderci la morte desiderabile, contro natura, non possono forse farlo ancor
maggiormente le speranze e le prospettive di una vita migliore, a cui la morte ci conduce,
distogliendoci dal suo timore? Desiderare la morte può essere un peccato, ma sono certo
che non è un peccato desiderare il Cielo.

II. Giobbe si ritiene trattato ingiustamente soprattutto perché non gli è concesso che la
morte lo liberi dal suo dolore e dalla sua miseria, quando non trova altro sollievo. Questa
insofferenza della vita, causata dai propri guai, non è solo innaturale in se stessa, ma
ingrata verso il datore di vita, e dimostra una peccaminosa tolleranza delle nostre passioni
e un’ingiusta mancanza di considerazione per la nostra condizione futura. Prepararci per il
mondo a venire dev’essere la nostra preoccupazione più grande e più costante. Lasciamo
che sia Dio invece a decidere le circostanze della nostra morte come ritiene opportuno:
« Signore, quando e come vuoi ». Anche quando la vita ci reca più conforto, la grazia ci
insegna a essere disposti a morire. Tra le più grandi croci, ci insegna a essere disposti a
vivere. Per scusarsi di questo suo intenso desiderio della morte, Giobbe indica quante
poche consolazioni e soddisfazioni ha in questa vita.

1. In quella sua triste condizione, i guai lo tormentavano e avrebbero probabilmente


continuato a farlo. Giobbe pensava di aver motivo di essere stanco della vita perché:

(a) Non vi trovava gioia: Io sospiro anche quando prendo il mio cibo. Gb 3:24 Le
sofferenze di questa vita prevenivano e precludevano il suo sostentamento. Gli avevano
tolto l’appetito per il cibo necessario. Il suo dolore era puntuale come pasti e la sua
afflizione era il suo pane quotidiano. La sua pena e la sua angoscia erano tali che non solo
sospirava, ma gemeva, e i suoi gemiti si spandevano com’acqua in un torrente pieno e
incessante. Come il nostro Maestro, dobbiamo aspettarci di essere familiari con il patire.

(b) Non aveva prospettiva di miglioramento: La sua via era oscura, e Dio lo aveva stretto
in un cerchio. Gb 3:23 Non vedeva modo di liberarsi. Non sapeva che via prendere. Dio gli
aveva sbarrato la via con delle spine, e non vedeva dove andare. cfr. Gb 23:8 La 3:7

2. Anche prima, aveva sempre avuto paura dei guai, e anche allora non era stato mai
tranquillo. Conosceva così bene la vanità di questo mondo e i mali che lo accompagnano

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 34


che non aveva avuta tranquillità, né riposo, né quiete. Gb 3:25,26 D La sua sofferenza
presente era aggravata dal fatto che non riteneva di aver manifestato, nell’ora della sua
prosperità, una negligenza o una spavalderia che avessero potuto provocare la punizione
di Dio.

(a) Non aveva trattato i suoi affari con negligenza e trascuratezza, ma aveva mantenuto
quel timore necessario alla vigilanza. Aveva avuto paura che i figli, durante le feste,
avessero potuto offendere Dio, Gb 1:5 e che i suoi servi avessero potuto offendere i vicini.
Si era preso ogni possibile cura della sua salute e aveva condotto i suoi affari con ogni
dovuta precauzione. Non gli era servito però a niente.

(b) Non si era sentito al sicuro, permettendosi comodità e piaceri. Non aveva confidato
nelle sue ricchezze, né si era illuso con la speranza di una gioia eterna. Eppure era venuto
il turbamento, per convincerlo della vanità di questo mondo, che non aveva dimenticato
anche quando stava bene. La sua via era oscura perché non sapeva perché Dio lo
contrastasse. È una considerazione che, invece di aggravare il suo dolore, avrebbe potuto
alleviarlo. Niente può alleggerire il nostro peso quanto la buona testimonianza della nostra
coscienza, che attesta che, in linea di massima, abbiamo fatto il nostro dovere nell’ora
della prosperità. I guai previsti sono inoltre più sopportabili. Meno ci sorprendono, meno ci
spaventano.

Giobbe 4

aveva sciolto il ghiaccio con lo sfogo della sua passione. Ora gli amici pronunciano il loro
giudizio, che forse avevano già discusso tra di loro, confrontando le diverse idee e
trovandosi concordi nel verdetto. Ritenevano infatti che le sue afflizioni lo dimostrassero
chiaramente un ipocrita. Non lo avevano però attaccato con quella grave accusa finché
non confermò la loro cattiva opinione di lui e del suo carattere con l’espressione del suo
scontento e della sua impazienza, che essi interpretarono come un rimprovero a Dio
stesso. Ora si accingono a farlo con gran timore. Ha inizio la disputa, che diventerà presto
animata. Gli oppositori sono i tre amici. Giobbe è l’accusato. Eliu appare, dapprima, come
moderatore, e poi Dio lo aiuta a giudicare e a dirigere la controversia. L’argomento in
questione è l’onestà di Giobbe, lo stesso argomento discusso in Cielo da Dio e Satana nei
primi due capitoli. Satana si era arreso, e non osava pretendere che la maledizione del
giorno della nascita fosse una maledizione contro Dio. Non poteva negare che Giobbe
mantenesse sempre stretta la sua integrità. Gli amici di Giobbe invece credono che, se
Giobbe fosse stato onesto, non sarebbe stato afflitto così duramente e aspramente. Lo
esortano quindi a confessare di essere stato un ipocrita nella sua professione di fede.
« No », dice Giobbe. « Non lo farò mai. Ho offeso Dio, ma il mio cuore è rimasto giusto nei
suoi confronti ». Continua quindi a mantenere la consolazione della sua integrità. Elifaz,
che è probabilmente il più anziano o il più qualificato, comincia a parlargli in questo
capitolo, in cui:

I. Dimostra pazienza. Gb 4:2

II. Lo complimenta con un riconoscimento dell’eccellenza e dell’utilità della sua professione


di fede. Gb 4:3,4

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 35


III. Lo accusa di essere stato ipocrita in quella professione, basando l’accusa sui suoi guai
attuali e sulla sua reazione. Gb 4:5,6

IV. Per convalidare la sua asserzione, sostiene che le punizioni di Dio sono sempre
provocate dalla malvagità umana. Gb 4:7-11

V. Conferma quella sua affermazione con una visione in cui ricorda l’incontestabile purezza
e giustizia di Dio e la viltà, la debolezza e la corruzione dell’uomo. Gb 4:12-21 Cerca così di
umiliare lo spirito di Giobbe e di indurlo a pentirsi, dimostrando pazienza nelle sue
afflizioni.

Gb 4:1-6

In questi versetti,

I. Elifaz chiede scusa a Giobbe per qualunque molestia che il suo discorso possa recargli:
« Se provassimo a dirti una parola, un rimprovero o un consiglio, ti darà fastidio o ti
offenderai? ». Gb 4:2 Noi pensiamo di sì, ma non c’è rimedio: « Chi potrebbe trattenere le
parole? ». Osservate:

1. Con che modestia parla di sé e dei suoi tentativi. Non vuole portare avanti la causa da
solo, ma umilmente si unisce ai suoi amici: « Se provassimo a dirti ». Chi difende la causa
di Dio dev’essere lieto di avere l’aiuto degli altri, che compensino la sua debolezza. Elifaz
non vuole promettere molto, ma chiede permesso di fare dei tentativi per proporre una
risposta pertinente al caso. Nei casi difficili è meglio non pretendere nulla, ma solo
esaminare le parole e le azioni. Molti eccellenti discorsi sono stati intitolati modestamente
Saggi.

2. Con che tenerezza parla di Giobbe, e della sua triste condizione attuale: « Se ti diciamo
ciò che pensiamo, ti darebbe fastidio? Ti offenderai? La considererai un’altra afflizione o un
nostro errore? Ci riterrai sgarbati e crudeli se ti diremo le cose chiaramente e
onestamente? Ci auguriamo e speriamo di no. Sarebbe triste se ti offendessi per delle
parole ben intenzionate ». Notate: Dobbiamo aver paura di offendere gli altri, soprattutto
quelli che sono già addolorati, per non aggravare il loro dolore, come fecero i nemici di
Davide. Sl 69:26 È giusto dispiacerci di dover dire delle cose che sappiamo dolorose,
anche se necessarie. Anche Dio, che affligge giustamente, non lo fa volentieri. La 3:33

3. Con che sicurezza parla della verità e della pertinenza di ciò che avrebbe detto: Chi
potrebbe trattener le parole? Fu senza dubbio un pio zelo per l’onore di Dio e il benessere
spirituale di Giobbe a spingerlo a parlare. « Chi può trattenersi dal parlare in difesa
dell’onore di Dio, se lo sente offeso, e per il bene di un’anima, se la si vede in pericolo »
Notate: È stolto trattenersi dal rimproverare degli amici, solo per paura di offenderli, anche
se sono afflitti, ed è un atto di falsa pietà. Dobbiamo fare il nostro dovere e dire ciò che ci
detta la coscienza a prescindere dalla reazione degli altri.

II. Elifaz lancia contro Giobbe una doppia accusa:

1. Riguardo alla sua particolare condotta durante questa sciagura. Lo accusa di essere
stato debole e di essersi lasciato abbattere. Ne aveva effettivamente motivo. Gb 4:3-5

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 36


(a) Prende nota di tutto il bene fatto da Giobbe nei riguardi degli altri. Riconosce che
aveva istruito molte persone, non solo i suoi figli e i suoi servi, ma anche i suoi vicini, i
suoi amici e tutti quelli che aveva incontrato nel corso delle sue attività. Non si era limitato
a incoraggiare gli insegnanti, sostenendoli e pagandoli perché istruissero i poveri, ma lo
aveva fatto spesso personalmente. Anche se era un personaggio importante, non lo aveva
considerato un’umiliazione (il re Salomone era un predicatore). Pur essendo un uomo
d’affari, aveva trovato il tempo di visitare i vicini, parlando delle loro anime e dando dei
buoni consigli. Che i nostri personaggi illustri imitino questo suo esempio! Se aveva
incontrato persone che stavano peccando o pronte ad accasciarsi sotto il peso dei loro
guai, le aveva sostenute. Aveva un’abilità eccezionale di offrire i consigli più giusti per
rinsaldare gli altri contro le tentazioni, per sorreggerli sotto i pesi e per confortare le loro
coscienze. Aveva una lingua esercitata con cui sapeva sostenere chi era affaticato, e lo
aveva fatto costantemente. Con i suoi buoni consigli e le sue parole di conforto, aveva
fortificato le mani stanche, dando forza di lavorare, di servire Dio e di combattere i conflitti
spirituali, e le ginocchia vacillanti, perché facessero da sostegno lungo il cammino e sotto i
gravi carichi. Dobbiamo non solo rinfrancare le nostre mani cadenti, incoraggiandoci e
spronandoci a fare il nostro dovere, Eb 12:12 ma dare forza anche a quelle degli altri,
secondo la necessità, e fare il possibile per rinfrancare le ginocchia vacillanti, dicendo a
quelli che hanno il cuore smarrito: Siate forti. Is 35:3,4 Sono espressioni che sembrano
tratte da quel versetto. Notate: Chi ha grandi ricchezze spirituali deve elargirle con
generosità. Una buona parola, espressa bene e al momento giusto, può aiutare gli altri più
di quanto possiamo immaginare. Ma perché ne parla qui Elifaz? [1] Forse vuole lodare
Giobbe per rendergli più sopportabile il rimprovero. È bene iniziare una giusta riprensione
con un valido elogio, per eliminare i pregiudizi e dimostrare che il biasimo non nasce dal
malanimo. Paolo lodò i Corinzi prima di rimproverarli. 1Co 11:2 [2] Forse vuole dargli un
giusto motivo di aspettarsi un conforto. Se un’ammonizione era necessaria per confortare,
avrebbe dovuto scusarla. Il Consolatore convincerà quanto al peccato. Gv 16:8 [3] Forse
anche per esprimere la sua pietà e il suo rammarico che Giobbe, in quella sua estrema
sciagura, non potesse confortare se stesso come aveva confortato gli altri. È più facile
dare dei buoni consigli che riceverli, ed è più facile predicare la mansuetudine e la
pazienza che metterle in pratica. Facile omnes, cum valemus, rectum consilium aegrotis
damus — Per chi sta bene, è facile fare prescrizioni agli ammalati — Terenzio. [4] Per lo
più, si pensa che Elifaz avesse voluto aggravare lo scontento di Giobbe, rinfacciandogli la
sua conoscenza e il bene che aveva fatto agli altri, dicendo quasi: « Tu che insegni agli
altri non insegni a te stesso (Non dimostra forse una certa ipocrisia il fatto che tu abbia
prescritto agli altri una medicina che non vuoi prendere tu stesso? Non ti contraddici forse,
agendo contro i tuoi stessi principi? Tu che hai insegnato a non abbattersi, ti lasci
andare?) Ro 2:21 Medico, cura te stesso ». I rimproveri dati agli altri ci saranno rinfacciati
se non accettiamo ammonizioni.

(b) Elifaz gli rimprovera il suo abbattimento. « Ora che il male piomba su te, ora che
l’afflizione tocca a te e il calice amaro che si passa di mano in mano arriva alla tua, ora
ch’è giunto fino a te, tu ti lasci abbattere, sei tutto smarrito ». Gb 4:5 [1] Minimizza le
afflizioni di Giobbe: « Ti tocca ». Gb 4:5 KJV È la stessa parola che aveva usato Satana. Gb
1:11 2:5 Se Elifaz avesse provato anche solo metà delle sofferenze di Giobbe, avrebbe
detto: « Mi trafiggono, mi feriscono ». Parlando invece di quelle di Giobbe, le sminuisce,
dicendo: « Ti toccano e tu non puoi sopportarlo ». Noli me tangere-Non toccarmi. [2]
Ingigantisce e aggrava le sue rimostranze: « Ti abbatti e perdi ogni senno. Strepiti senza
sapere quel che dici ». Bisogna fare qualche concessione a chi soffre, interpretando

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 37


favorevolmente le sue affermazioni. Quando esageriamo ogni parola, non trattiamo gli altri
come vorremmo essere trattati.

2. Riguardo al suo carattere prima di quella sventura. Lo accusa di essere stato empio e
falso, un’accusa assolutamente infondata e ingiusta. Gli parla con una crudele ironia,
rinfacciandogli la sua grande professione di fede, come se si fosse dimostrata vana e
ingannatrice: « Non è forse il tuo timor di Dio, la tua fiducia, la tua speranza e l’integrità
della tua vita? Gb 4:6 KJV Non sembra ora tutta una pretesa? Se tu fossi stato sincero, Dio
non ti avrebbe afflitto in questo modo e tu non ti saresti comportato così male durante le
afflizioni ». Era proprio ciò a cui Satana mirava. Voleva dimostrare che Giobbe era un
ipocrita e smentire la descrizione lusinghiera che ne aveva fatto Dio. Non potendo provarlo
a Dio, che lo dichiarava ancora integro e retto, cercò di dimostrarlo allo stesso Giobbe, per
bocca dei suoi amici, persuadendolo a confessare la sua ipocrisia. Se fosse riuscito,
avrebbe trionfato. Habes confitentem reum-Ti condannerò con le tue stesse labbra.
Invece, per grazia di Dio, Giobbe poté difendere saldamente la sua integrità, senza
attestare il falso contro di sé. Notate: Chi esprime critiche crudeli e sconsiderate contro i
fratelli, condannandoli come ipocriti, svolge l’opera di Satana e serve ai suoi fini più di
quanto non si renda conto. Non so perché questo verso sia tradotto diversamente in molte
edizioni della Bibbia inglese. L’originale e tutte le versioni antiche elencano la tua speranza
prima dell’integrità della tua vita. È lo stesso per la versione di Ginevra e per la maggior
parte delle edizioni dell’ultima traduzione. Ho trovato però che una delle prime edizioni, del
1612, traduce: Non è forse il tuo timor di Dio, la tua fiducia, l’integrità della tua vita e la
tua speranza? È una traduzione condivisa dalle Annotazioni dell’Assemblea e da Pool.
Un’edizione del 1660 traduce: « Il tuo timor di Dio non è forse la tua fiducia, e l’integrità
della tua vita la tua speranza? Non è forse chiaro che tutta la religiosità della tua
devozione e del tuo comportamento risiedeva solo nella speranza e nella fiducia di poterli
usare per arricchirti? Non erano intenzioni mercenarie? ». Era proprio ciò che Satana
aveva suggerito. Broughton traduce: La tua religione non è forse la tua fiducia, e il tuo
comportamento la tua speranza? Si può interpretare: « Non pensavi forse che sarebbe
stata la tua protezione? Ti sei ingannato ». Oppure: « Non avresti voluto che lo fosse? Se
la tua religione fosse stata sincera, non ti avrebbe salvato da questa disperazione? ». È
vero che se ti perdi d’animo nel giorno dell’avversità, la tua forza, cioè la tua grazia, è
poca, Pr 24:10 ma ciò non significa necessariamente che non hai per niente grazia e forza.
Non si può dedurre il carattere di un uomo da una sola azione.

Gb 4:7-11

Elifaz fa qui un nuovo ragionamento per dimostrare che Giobbe è un ipocrita, adducendo
come prova non solo la sua impazienza durante le sofferenze, ma le sue stesse afflizioni,
essendo così grandi e straordinarie, senza speranza di risolta. Per avvalorare il suo
argomento, si serve di due princípi apparentemente plausibili:

I. I giusti non avevano mai avuto una tale rovina. Per dimostrarlo, fa appello alle stesse
osservazioni di Giobbe: « Ricorda. Ripensa a tutto quello che hai visto, sentito e letto.
Dammi un esempio di una persona innocente e giusta che perì e fu distrutto come te ».
Gb 4:7 Se parliamo della distruzione finale ed eterna, era un principio valido. Nessuna
persona innocente e giusta perisce per sempre, ma solo l’uomo del peccato, il figliuolo
della perdizione. 2Te 2:3 Non si confaceva però a Giobbe, che non era morto e non era
stato distrutto in quel modo. La rovina completa è solo all’inferno. Se invece parliamo di

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 38


una distruzione temporale, il principio non è valido. Il giusto muore. Is 57:1 La medesima
sorte attende il giusto e l’empio, Ec 9:2 nella vita e nella morte. La grande, vera differenza
è dopo la morte. Anche prima dei tempi di Giobbe (per antichi che fossero) c’erano stati
sufficienti esempi che contraddicono questo argomento. Il giusto Abele non perì forse
innocente? Non fu distrutto all’inizio dei suoi giorni? Il giusto Lot non perdette forse la sua
casa a causa del fuoco, e non fu costretto a rifugiarsi in una lugubre caverna? Il giusto
Giacobbe non fu forse un Arameo sul punto di morire? De 26:5 ND C’erano poi
indubbiamente altri esempi del genere che non furono trascritti.

II. Gli empi erano spesso distrutti. Per dimostrarlo, si appella alle proprie osservazioni:
« Io ho veduto che quelli che arano l’iniquità, e seminano la perversità, la mietono. Gb 4:8
D Al soffio di Dio essi periscono. Gb 4:9 Lo vediamo ogni giorno. Di conseguenza, dato che
tu sei qui a morire e sei stato distrutto, abbiamo motivo di concludere che, nonostante la
tua professione di fede, hai solo arato iniquità e seminato perversità. Vedo in te ciò che ho
visto in altri ».

1. Parla dei peccatori in generale, che si affannano e si ingegnano per peccare. Arano
l’iniquità e seminano perversità, aspettandosi un guadagno. La arano con grandi speranze,
ma poi la mietono. Mietono dalla carne corruzione e rovina. Ga 6:7,8 La raccolta gli sfugge
nel dì dell’angoscia, del disperato dolore. Is 17:11 La mietono, cioè mietono il giusto
prodotto di quella semenza. Il peccatore non semina il corpo che ha da nascere, ma Dio
gli darà un corpo di morte, che sarà la sua fine. Ro 6:21 Secondo alcuni, l’iniquità e la
perversità significano il male e i tormenti inflitti agli altri. Chi li ara e li semina li mieterà,
cioè sarà ripagato allo stesso modo. Chi provoca guai li riceverà (2Te 1:6; Giosuè 7:25).
Chi devasta sarà devastato, Is 33:1 e se alcuno mena in cattività, andrà in cattività. Ap
13:10 Elifaz descrive poi la loro distruzione: Al soffio di Dio essi periscono. Gb 4:9 I
progetti per cui si affannano tanto vanno in fumo. Dio taglia le funi di quegli aratori, Sl
129:3,4 che sono distrutti, come giusta punizione della loro iniquità. Periscono, cioè sono
distrutti totalmente. Son consumati, cioè sono distrutti gradualmente, per mezzo del soffio
e del vento di Dio:

(a) Dalla sua ira. La sua collera è la rovina dei peccatori, che sono infatti chiamati vasi
d’ira, e il suo soffio accende il Tofet. Is 30:33 Chi conosce la forza della sua ira? Sl 90:11

(b) Dalla sua parola. Dio parla ed è fatto, facilmente ed efficacemente. Il suo Spirito, nella
parola, distrugge e uccide i peccatori. Os 6:5 Il dire e il fare non sono per lui azioni
separate. L’uomo del peccato sarà distrutto con il soffio della bocca di Cristo (2Te 2:8; cfr.
Is 11:4 Ap 19:21). Secondo alcuni, quando Elifaz attribuisce la distruzione dei peccatori al
soffio di Dio e al vento del suo corruccio, si riferisce al vento che fece crollare la casa sui
figli di Giobbe, come se fossero stati più peccatori degli altri perché avevano sofferto tali
cose. Lu 13:2

2. Parla, in modo particolare, dei tiranni e degli oppressori, che paragona a dei leoni. Gb
4:10,11 Osservate:

(a) Come descrive la loro crudeltà e oppressione. L’Ebraico ha cinque diversi nomi per i
leoni, tutti usati qui per descrivere il tremendo potere distruttivo, la ferocia e la crudeltà
degli oppressori. Ruggiscono, distruggono e fanno preda di tutti quelli che li circondano,
insegnando ai loro piccoli a fare altrettanto. Ez 19:3 Il diavolo è un leone ruggente, ed essi

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 39


sono partecipi della sua natura, adempiendo le sue concupiscenze. Sono forti e infidi come
i leoni Sl 10:9 17:12 e, pur di riuscire, seminano intorno a loro desolazione.

(b) Come descrive la loro distruzione, sia del loro potere che delle loro persone. Non
potranno fare altro male e dovranno rendere conto di quello commesso. Dio si assicurerà
che: [1] Non atterriscano più. Il loro ruggito sarà messo a tacere. [2] Non distruggeranno
più. Dio li disarmerà, togliendo ogni loro potere: Sono spezzati i denti dei leoncelli. cfr. Sl
3:7 Fermerà anche gli ultimi avanzi dell’ira. [3] Non si arricchiranno saccheggiando i vicini.
Anche il forte leone avrà fame e perirà per mancanza di preda. Chi era sopravvissuto di
saccheggio e di rapina si ridurrà forse al punto di morire di fame. [4] Non avranno una
discendenza, come si promettono: Restan dispersi i piccini della leonessa, dispersi in cerca
del cibo, che gli procuravano i genitori. Na 2:12 Il leone sbranava per i suoi piccini, ma ora
devono fare da soli. Forse Elifaz vuole fare un’allusione a Giobbe come se, essendo stato il
più grande di tutti gli Orientali, si fosse arricchito con il saccheggio e avesse usato il suo
potere per opprimere i suoi nemici. Ora il suo potere e i suoi beni erano svaniti e la sua
famiglia era dispersa. Se fosse così, com’è triste che un uomo lodato da Dio fosse tanto
maltrattato!

Gb 4:12-21

Elifaz continua qui a cercare di convincere Giobbe del peccato e della follia del suo
scontento e della sua impazienza. Per avvalorare le sue accuse, gli racconta una visione
ricevuta dal Cielo. Tutti onorano particolarmente le rivelazioni dirette di Dio, e senza
dubbio Giobbe avrebbe fatto altrettanto. Secondo alcuni, Elifaz aveva avuto quella visione
di recente, durante la sua visita a Giobbe, ed essa gli aveva dato le parole da esprimergli.
Gli sarebbe stata utile se si fosse attenuto al suo scopo, rimproverando cioè Giobbe per le
sue lamentele, senza condannarlo come ipocrita. Secondo altri, invece, l’aveva avuta
prima, perché Dio, in quegli albori del mondo, comunicava spesso i suoi pensieri con gli
uomini in quel modo. Gb 33:15 Probabilmente Dio aveva mandato a Elifaz quel messaggio
per calmarlo e rasserenarlo in un momento in cui era stato egli stesso inquieto e
scontento. Notate: Così come dobbiamo confortare gli altri con il conforto che abbiamo
ricevuto, 2Co 1:4 dobbiamo anche convincere gli altri con ciò che è riuscito a convincere
noi. Il popolo di Dio, a quel tempo, non aveva una parola scritta da citare e quindi Dio a
volte mostrava anche delle verità comuni con i mezzi straordinari delle sue rivelazioni. Noi
che abbiamo la Bibbia possiamo invece dipendere (grazie a Dio) da una parola più ferma
delle visioni e delle voci. 2Pi 1:19 Osservate:

I. In che modo e in quali circostanze quel messaggio era pervenuto a Elifaz:

1. Gli era giunto furtivamente, o segretamente. Gran parte della comunione che le anime
giuste hanno con Dio avviene in segreto, visibile solo a Colui che vede tutto. Dio convince,
consiglia e conforta in maniere impercettibili al mondo, mediante dei sussurri segreti, con
lo stesso potere e la stessa efficacia con cui opera per mezzo dei suoi ministri. Il suo
segreto è per loro. Sl 25:14 Così come lo spirito maligno spesso ruba le parole di Dio dal
cuore, Mt 13:19 lo Spirito del bene a volte ve le porta furtivamente, senza che ce ne
rendiamo conto.

2. Ne aveva colto il lieve sussurro. Gb 4:12 Anche le persone migliori ricevono poca
conoscenza divina. Sappiamo poco in confronto a tutto ciò che c’è da conoscere e a tutto

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 40


ciò che conosceremo in cielo. Quanto poco è quel che noi ne abbiamo udito! Gb 26:14 Ora
conosciamo in parte. 1Co 13:12 Notate l’umiltà e la modestia di Elifaz. Dice di non aver
compreso appieno quel messaggio, ma solo in parte.

3. Lo aveva ricevuto per mezzo di visioni notturne, Gb 4:13 quando si era ritirato dal
tumulto del mondo e tutto era calmo e quieto. Notate: Più ci ritiriamo dal mondo e dalle
sue attività, più pronti siamo per la comunione con Dio. Quando ragioniamo nel cuor
nostro sui nostri letti e tacciamo, Sl 4:4 lo Spirito Santo può comunicare con noi. Mentre
gli altri dormivano, Elifaz era pronto a ricevere quella visita dal Cielo. Probabilmente, come
Davide, meditava su Dio nelle veglie della notte. Fu nel mezzo di quei bei pensieri che
ricevette quella visione. Ascolteremmo Dio meglio se pensassimo di più a lui. Alcuni però
sono sorpresi quando Dio li rimprovera nella notte. Gb 33:14,15

4. Era stato preceduto da terrori: Uno spavento lo prese, un tremore. Gb 4:14 A quanto
pare, prima ancora di vedere o di sentire qualcosa, Elifaz fu preso da un tremore che gli
scosse le ossa e forse anche il letto. Un santo timore e una riverenza di Dio e della sua
maestà lo avevano colpito, preparandolo per quella visita divina. Dio umilia e mortifica chi
intende onorare. Vuole che noi tutti lo serviamo con un santo timore e che gioiamo con
tremore.

II. Il messaggero che aveva portato la visione-uno spirito, uno dei buoni angeli, impiegati
non solo come ministri della Provvidenza divina, ma a volte come ministri della sua parola.
Riguardo a questa apparizione, leggiamo che: Gb 4:15,16

1. Era reale, e non un sogno o una fantasia. Una figura gli stava davanti agli occhi. La vide
chiaramente. Prima gli era passata e ripassata di fronte al viso, muovendosi su e giù, ma
alla fine si fermò per parlargli. Se alcuni sono stati così disonesti da far credere a delle
false visioni, e altri così sciocchi da farsi ingannare, non vuol dire che non ci siano mai
state apparizioni di spiriti, buoni e cattivi.

2. Era indistinta e un po’confusa. Elifaz non riconobbe il suo sembiante, e non poteva
quindi crearsene un’idea nella mente, né tanto meno descriverla. Lo scopo dell’apparizione
era quello di risvegliare e informare la sua coscienza, non di soddisfare la sua curiosità.
Sappiamo poco degli spiriti. Non siamo in grado di sapere di più, e non è giusto che lo
facciamo. Per ogni cosa c’è un tempo. Presto passeremo al loro mondo, dove li
conosceremo meglio.

3. Lo aveva sconvolto tanto da fargli rizzare i capelli. Fin dal peccato originale, l’uomo è
stato atterrito da qualunque contatto diretto con il cielo, conscio di non potersi aspettare
buone notizie. Anche le apparizioni di buoni spiriti hanno sempre provocato profondo
timore anche sui giusti. È un bene che Dio ci mandi i suoi messaggi, non tramite spiriti,
ma tramite uomini come noi, il cui spavento non potrà sgomentarci! cfr. Da 7:28 10:8,9

III. Il messaggio stesso. Prima ci fu silenzio, un silenzio profondo. Gb 4:16 ND Prima di


parlare da parte di Dio o a Dio, è bene prepararci con una pausa solenne, delineando i
limiti sul monte su cui sta per scendere, senza affrettarci a dir nulla. Lo spirito aveva dato
il messaggio con una voce sommessa: « Può un mortale essere più giusto di Dio, il Dio
immortale? Può un uomo essere o pretendere di essere più puro del suo Fattore? Non sia
mai! ». Gb 4:17 ND

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 41


1. Secondo alcuni, Elifaz vuole dimostrare che le grandi afflizioni di Giobbe sono una chiara
evidenza della sua empietà. Un mortale che castigasse e punisse in quel modo un servo o
un suddito, sarebbe ritenuto ingiusto e perverso, a meno che non fosse per qualche grave
crimine: « Se quindi questo non è un castigo di Dio per un gran male che tu hai
commesso, l’uomo si dimostrerebbe più giusto di Dio, il che sarebbe inconcepibile. ».

2. Io penso invece che sia solo un rimprovero alle lamentele e allo scontento di Giobbe:
« Può un uomo pretendere di essere più giusto e più puro di Dio? Può comprendere e
osservare le leggi dell’equità meglio di lui? Enos, un uomo mortale e miserabile, può forse
essere così insolente? E Gheber, l’uomo più forte e più eminente, l’uomo nel suo stato
migliore, può forse cercare di mettersi a confronto con Dio o di competere con lui? ».
Notate: Ritenere noi o altri più giusti e più puri di Dio è assurdo ed estremamente
irreligioso. Chi contrasta e biasima le direttive della legge di Dio, le dispensazioni della sua
grazia o le disposizioni della sua Provvidenza si dichiara più giusto e più puro di Dio. Colui
che censura Iddio ha egli una risposta a tutto questo? Chi? Un peccatore (Non sarebbe
mortale se non fosse stato un peccatore)? Com’è miope! Pretenderebbe di essere più
giusto e più puro di Dio, il suo Signore e padrone? L’argilla contende forse con il vasaio?
Se l’uomo possiede mai della giustizia o della purezza, Dio, che ne è l’autore, è quindi più
giusto e puro. cfr. Sl 94:9,10

IV. Il commento di Elifaz riguardo a questa visione, almeno secondo alcuni. Altri pensano
che questi versetti facciano parte della visione stessa. Il senso non cambia.

1. Dimostra l’inferiorità degli angeli in confronto a Dio. Gb 4:18 Gli angeli sono i servitori di
Dio, che operano per lui, attenti ai suoi ordini. Sono i suoi ministri, Sl 104:4 esseri luminosi
e beati, che tuttavia non gli sono necessari o giovevoli. Dio è infinitamente superiore a
loro, per cui:

(a) Non ripone fiducia in loro, come se gli fossero indispensabili. Non c’è servizio che gli
rendano che non possa fare da solo. Non li tratta mai da confidenti o da consiglieri. Mt
24:36 Non affida a loro la sua opera, ma scorre con lo sguardo tutta la terra (2Cr 16:9,
cfr. Gb 39:11). Secondo alcuni, significa: « La natura angelica è così incostante che Dio
non lascia agli angeli la responsabilità di mantenersi integri. Altrimenti, avrebbero tutti
lasciato il loro stato originale, come fecero alcuni. Ritenne invece necessario mantenerli
saldi con la sua grazia soprannaturale ».

(b) Li accusa di follia (KJV), di essere vani, deboli e imperfetti in confronto a Dio. Se il
mondo fosse lasciato al governo degli angeli e se essi fossero gli unici a prendersi cura di
ogni cosa, farebbero errori e non tutto finirebbe bene, come ora. Gli angeli sono esseri
intelligenti, ma finiti. Anche se non possono essere accusati di iniquità, gli si può imputare
imprudenza. L’ultima clausola è resa diversamente dai critici. Secondo me, c’è una doppia
negazione, molto comune: Non ripone fiducia nei suoi santi, né si gloria nei suoi angeli (in
angelis suis non ponet gloriationem), né si vanta di loro, come se le loro lodi o il loro
servizio lo completassero. La gloria di Dio invece consiste proprio nel fatto che è
infinitamente felice anche senza di loro.

2. Da questa osservazione, Elifaz deduce che l’uomo è ancora più inferiore e meno degno
della fiducia e della gloria di Dio. Se c’è un tale divario tra Dio e gli angeli, come sarà
quello tra Dio e l’uomo! L’uomo è rappresentato qui in tutta la sua abiettezza.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 42


(a) L’uomo è abietto nella vita. Gb 4:19 Anche nella sua condizione migliore, è spregevole
in confronto ai santi angeli, anche se è più onorevole delle bestie. È vero che sia gli angeli
che le anime umane sono spiriti, ma: [1] Gli angeli sono puramente spirituali, mentre le
anime umane stanno in case d’argilla, cioè nei corpi. Gli angeli sono liberi, mentre le anime
umane sono rinchiuse in un corpo che non è che una nuvola, una zolla, una gabbia e una
prigione. È una casa d’argilla, vile e inconsistente, un vaso di terra che il vasaio può
distruggere a piacere, con la stessa facilità con cui l’ha formato. Non è una casa di legno
pregiato o un palazzo d’avorio, ma una casupola d’argilla, che crolla facilmente se non è
costantemente riparata. [2] Gli angeli sono stabili, mentre lo stesso fondamento dell’uomo,
in quanto casa d’argilla, è tra la polvere. Una casa d’argilla costruita su una roccia può
anche durare a lungo, ma, fondata tra la polvere, crollerà più rapidamente, cedendo sotto
il proprio peso. L’uomo fu formato dalla terra ed è mantenuto e sostenuto con elementi
terreni. Senza quel sostegno, il suo corpo ritorna alla terra. Ci reggiamo sulla polvere.
Alcuni sono su un mucchio di polvere più alto degli altri, ma è sempre la polvere che ci
sostiene e che ben presto ci inghiottirà. [3] Gli angeli sono immortali, ma l’uomo viene
presto distrutto. La tenda ch’è la sua dimora terrena viene disfatta. Egli muore e perde
ogni forza, schiacciato al par delle tignuole tra le dita, con la stessa facilità e rapidità.
Basta poco a fargli perdere la vita. Letteralmente, è schiacciato di fronte alla tignola. Se
Dio permette a una lunga malattia, che consuma come la tignola, di distruggerlo, l’uomo
non può resisterla, così come non può opporsi a un’affezione acuta che lo assale come un
leone. cfr. Os 5:12,14 Si può forse riporre fiducia in una creatura del genere, o aspettarci
che svolga un compito che Dio non affida nemmeno agli angeli?

(b) L’uomo è ancora più spregevole e inattendibile nella morte. Gli uomini sono mortali. Gb
4:20,21 [1] Nella morte, sono infranti e, per quanto riguarda questo mondo, periscono per
sempre. La morte mette fine alla loro vita su questa terra, con tutte le sue attività e le sue
gioie. Il luogo dove stavano non li riconoscerà più. [2] Muoiono ogni giorno, logorandosi
continuamente: Tra la mattina e la sera sono infranti. La morte opera in noi come una
talpa, scavando man mano la nostra tomba. Siamo così esposti alla morte che continuiamo
a consumarci tutto il giorno. [3] La loro vita è breve, e ben presto si spegne. Può durare
dal mattino alla sera. Dura solo per un giorno (secondo alcuni). La nascita e la morte sono
solo l’alba e il tramonto di una giornata. [4] Nella morte, tutta la loro grandezza finisce. La
loro bellezza, la loro forza e la loro conoscenza non solo non possono conservarli in vita,
ma periscono con loro, e il loro sfarzo, la loro ricchezza e il loro potere non li
sopravvivono. [5] La loro sapienza non può salvarli dalla morte: Muoion senza posseder la
sapienza, conducendo male la propria vita e scavandosi la fossa con le proprie mani. [6]
La morte è un evento così comune che nessuno ci fa caso: Periscono senza che alcuno se
ne accorga o presti attenzione. Della morte degli altri si parla spesso, ma ci si riflette poco.
Secondo alcuni, Elifaz si riferisce alla dannazione eterna dei peccatori, oltre che alla morte
temporale: Sono distrutti o infranti dalla morte da mattina a sera, e, se non si pentono,
periscono per sempre. Gb 4:20 Muoiono per sempre perché non prestano attenzione a Dio
e al loro dovere. Non pensano alla loro fine. La 1:9 La loro unica grandezza è quella di cui
li priva la morte. Muoiono quindi la seconda morte, perché non sono abbastanza saggi da
afferrare la vita eterna. Una creatura così vile, debole, sciocca, peccaminosa e mortale
pretenderà forse di essere più giusta di Dio e più pura del suo Fattore? No, invece di
lamentarsi delle sue afflizioni, si meravigli che non è all’inferno.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 43


Giobbe 5

Nel capitolo precedente, Elifaz, per avvalorare la sua accusa contro Giobbe, aveva preso
come prova una parola ricevuta in una visione celeste. In questo capitolo, si appella a dei
testimoni terreni, ai santi, che testimoniano fedelmente la verità di Dio in tutte le epoche.
Gb 5:1 Essi attesteranno che:

I. Il peccato è la distruzione dei peccatori. Gb 5:2-5

II. Le afflizioni sono comuni a tutta l’umanità. Gb 5:6,7

III. Quando siamo afflitti, è saggio e giusto che ci rivolgiamo a Dio, che può e vuole
aiutarci. Gb 5:8-16

IV. Le afflizioni sopportate bene avranno un lieto fine. Se Giobbe, in particolar modo,
avesse dimostrato una migliore disposizione d’animo, avrebbe ricevuto con certezza la
grande misericordia che Dio era pronto a dargli. Gb 5:17-27 Elifaz conclude quindi il
discorso con una nota un po’più positiva.

Gb 5:1-5

Essendo sorta una animata contesa tra Giobbe e i suoi amici, Elifaz suggerisce di appellarsi
a estranei. È un procedimento molto efficace, se i contendenti non riescono a porre fine a
un dibattito da soli, e prima si adopera, meglio è. Elifaz è così certo della validità della sua
causa che incita lo stesso Giobbe a scegliere gli arbitri: Chiama pure! C’è forse chi ti
risponda? Gb 5:1 Cioè:

1. « C’è qualcun altro che ha sofferto come te? Puoi trovare un vero santo che fu mai
ridotto nelle condizioni estreme in cui ti trovi ora? Dio non ha mai trattato come tratta te
chi ama il suo nome, per cui tu non sei certo uno di loro ».

2. « C’è qualcun altro che parla come te? Hai mai sentito un giusto maledire il giorno della
sua nascita come hai fatto tu? Puoi trovare una persona santa che giustifichi questi tuoi
impeti di passione o li consideri distintivi dei figli di Dio? Nessun santo ti difenderà o mi
contraddirà. A qual dei santi vorrai tu rivolgerti? Cerca pure. Scoprirai che pensano tutti
come me. Ho communis sensus fidelium-il voto unanime dei fedeli. Saranno tutti d’accordo
con ciò che sto per dire ». Osservate:

(a) I giusti sono chiamati santi anche nell’Antico Testamento; e quindi non so perché,
parlando comunemente (a meno che non sia per loqui cum vulgo-parlare come i vicini),
limitiamo quel titolo ai personaggi del Nuovo Testamento, e diciamo San Matteo e San
Marco, e non Sant’Abramo, San Mosé e Sant’Isaia; diciamo San Davide vescovo
d’Inghilterra e non San Davide salmista. Aronne è chiamato specificamente il santo
dell’Eterno.

(b) I santi si rivolgeranno ad altri santi, conversando con loro come con amici e
consultandoli come giudici. cfr. Sl 119:79 I santi giudicheranno il mondo. 1Co 6:1,2
Cammina per la via dei buoni, Pr 2:20 per l’antica via, sulle tracce delle pecore. Ognuno ha

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 44


un gruppo di persone a cui cerca di raccomandarsi, e in base alle quali si valuta. Tutti i
veri santi cercano l’approvazione e il consenso di altri santi.

(c) Ci sono delle verità così evidenti, riconosciute e credute così universalmente, che
ricevono l’assenso di tutti i santi. Anche se ci sono purtroppo delle questioni su cui
discordano, ce ne sono altre, molto più numerose e importanti, su cui convengono:
l’iniquità del peccato, la vanità del mondo, il valore dell’anima, la necessità di una vita
santa, e così via. Anche se non tutti mettono in pratica queste convinzioni come
dovrebbero, sono tutti pronti ad attestarne la verità. Elifaz sostiene due affermazioni che
considera indubbiamente avvalorate da tutti i santi:

I. Il peccato contribuisce direttamente alla distruzione dei peccatori: L’ira infatti uccide lo
stolto, Gb 5:2 ND la sua ira, per cui è stolto a indulgervi. È un fuoco nelle sue ossa e nel
suo sangue che può provocare una febbre. La gelosia e l’invidia, che è il tarlo delle ossa,
fa morire lo sciocco che si lascia prendere dalle sue preoccupazioni. « È lo stesso per te »,
dice Elifaz. « Contendendo con Dio, fai male soprattutto a te stesso. La tua collera contro i
tuoi guai e la tua invidia della nostra prosperità aggravano il tuo dolore e la tua miseria.
Rivolgiti ai santi. Scoprirai che sanno meglio di te che cosa ti conviene fare ». Giobbe
aveva accusato sua moglie di parlare da donna insensata, e qui Elifaz lo accusa di
comportarsi da stolto e da sciocco. Si può interpretare: « È sempre la follia dell’uomo a
rovinarlo. Gli uomini si uccidono per le proprie passioni. Senza dubbio, Giobbe, hai fatto
qualcosa di sciocco che ti ha portato in questa condizione disastrosa ». Molti ritengono che
Elifaz parlasse dell’ira e della gelosia di Dio. Giobbe non doveva preoccuparsi della
prosperità dei ricchi, perché l’approvazione del mondo non può riparare dalla
disapprovazione di Dio, ed è stolto e sciocco chi pensa al contrario. L’ira di Dio sarà la
morte eterna di coloro su cui si attacca. L’inferno non è infatti altro che un’ira divina senza
attenuanti e senza fine.

II. La prosperità dei peccatori è breve e la loro distruzione è certa. Gb 5:3-5 Sembra che
qui Elifaz voglia uguagliare il caso di Giobbe con la sorte comune degli empi.

1. Giobbe era stato prospero, era sembrato saldo, e si sentiva sicuro di quella sua
condizione, come fanno spesso gli empi insensati: Li ho visti prendere radice li ho visti
piantati saldamente, secondo loro e secondo gli altri, con buone probabilità di rimanere
tali. cfr. Gr 12:2 Sl 37:35,36 Chi ama il mondo mette le radici sulla terra, fissando le sue
speranze sulle cose terrene e derivandone ogni consolazione. Esteriormente sembrano
fiorenti, ma un’anima radicata nella terra non prospera.

2. La prosperità di Giobbe era finita, come quella di altri empi.

(a) Elifaz aveva predetto, per fede, la loro rovina. Chi aveva guardato solo le cose
materiali aveva benedetto la loro abitazione, considerandoli felici e desiderando di essere
come loro. Elifaz invece la maledì immediatamente, appena vide che mettevano radici,
cioè, previde e predisse apertamente la loro rovina. Non pregò che fossero distrutti (non
ho desiderato il giorno funesto), ma lo pronosticò. Entrò nel santuario di Dio, dove
comprese qual’è la loro fine e sentì il loro giudizio, Sl 73:17,18 cioè che lo sviarsi degli
stolti li fa perire. Pr 1:32 Chi crede alla parola di Dio vede una maledizione nella casa
dell’empio, Pr 3:33 per lussuosa, salda e piena di ogni bene che sia, e può quindi

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 45


prevedere che la distruggerà infallibilmente, con il legname e le pietre che contiene. Za
5:4

(b) Elifaz poi aveva visto l’adempimento della sua predizione. Le sue aspettative non erano
state deluse. La famiglia dell’empio fu distrutta e la sua proprietà rovinata. In questi
particolari, Elifaz si riferisce chiaramente e ingiustamente alle sventure di Giobbe. [1] I
suoi figli erano stati uccisi. Si erano reputati al sicuro nella casa del fratello maggiore, ma
furono lungi da ogni sicurezza, essendo schiacciati alla porta. Gb 5:4 KJV Forse il portale o
il cancello della casa era molto alto, e cadde pesantemente su di loro, e nessuno poté
liberarli dalla morte tra le macerie. Questa descrizione è comunemente interpretata come
la distruzione degli empi per mezzo della spada della giustizia, che li obbliga a restituire ciò
che hanno ottenuto con mezzi malvagi. Lasciano i beni ai figli, che però non possono
fermare i giusti proprietari, da cui saranno schiacciati, senza poter trovare aiuto, con giusti
ricorsi legali o con l’oppressione Sl 109:9 ss. [2] I suoi beni furono saccheggiati. Gb 5:5 Lo
furono quelli di Giobbe. I Sabei e i Caldei, predatori famelici, se li erano presi e li avevano
portati via. Elifaz dice di aver visto molte circostanze del genere. Ciò che si ottiene con il
furto e la rapina si perde allo stesso modo. I proprietari possono recintare i propri
possedimenti e quindi ritenerli al sicuro, ma i recinti si dimostrano inutili contro l’avidità dei
predoni (se la fame fa rompere le pietre, cioè i muri di pietra, quanto più spingerà a
introdursi nei recinti), e contro la maledizione divina, che attraversa rovi e pruni, e li brucia
tutti assieme. Is 27:4

Gb 5:6-16

Elifaz aveva toccato Giobbe in un punto sensibile, parlando della perdita dei suoi beni e
della morte dei suoi figli come giusta punizione dei suoi peccati. Per non condurlo alla
disperazione, ora inizia a incoraggiarlo, eliminando ogni astio. Cambiando il tono di voce,
Ga 4:20 parla infatti con gentilezza, come per rimediare alle espressioni aspre di prima.

I. Gli ricorda che nessuna afflizione viene per caso, né può essere attribuita a cause
secondarie: Non spunta dalla terra né il dolore germina dal suolo, come l’erba. Gb 5:6 Non
ha un suo corso, secondo determinate stagioni dell’anno, come i prodotti della natura, per
una catena di cause secondarie. La proporzione tra la prosperità e le avversità non è
osservata attentamente dalla Provvidenza come quella tra il giorno e la notte, e tra l’estate
e l’inverno, ma è determinata dalla volontà e dai disegni di Dio, che le invia quando e
come ritiene giusto. Alcuni traducono: Il peccato non spunta dalla terra né l’iniquità
germina dal suolo. Se gli uomini si comportano male, non devono dare la colpa al terreno,
al clima o alle stelle, ma solo a se stessi. Se sei beffardo, tu solo ne porterai la pena. Non
dobbiamo attribuire le nostre afflizioni alla fortuna, perché vengono da Dio, né i nostri
peccati al destino, perché provengono da noi. Dobbiamo riconoscere che ogni sventura è
inviata da Dio e che siamo noi a procurarcela. La prima considerazione deve incoraggiarci
alla pazienza, e la seconda al pentimento.

II. Gli ricorda che in questo mondo abbiamo ogni motivo di aspettarci guai e afflizioni:
L’uomo nasce per soffrire, Gb 5:7 non in quanto uomo (se avesse mantenuto la sua
innocenza sarebbe nato per gioire), ma in quanto uomo peccaminoso, nato di donna, Gb
14:1 che ha trasgredito. L’uomo nasce nel peccato, e quindi per soffrire. Anche chi nasce
tra l’onore e la ricchezza nasce per soffrire nella carne. Nella nostra condizione corrotta il
peccato è naturale, e la conseguenza naturale di quel peccato è l’afflizione. Ro 5:12 Non

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 46


c’è niente in questo mondo che ci appartenga se non il peccato e la sofferenza, che sono
come la favilla che vola in alto. Le trasgressioni sono le faville che volano dalla fornace
della corruzione originale. Essendo stati chiamati ribelli fin dal seno materno, non c’è da
stupirsi se ci conduciamo perfidamente. Is 48:8 I nostri corpi sono così fragili, e le nostre
gioie così vane, che i nostri guai ne sorgono naturalmente come la favilla vola in alto,
numerosi e in rapida successione. Perché dovremmo sorprenderci di fronte alle nostre
afflizioni, lamentandoci che sono troppo dure, se siamo nati per soffrire? L’uomo è nato
per faticare (secondo la nota al margine), condannato a mangiare il pane col sudore del
suo volto, e dovrebbe quindi essere abituato alle difficoltà e sopportare meglio le sue
afflizioni.

III. Gli insegna come comportarsi durante le sofferenze: Io però vorrei cercar di Dio. Gb
5:8 Lo farei senz’altro, secondo l’originale. Troviamo qui:

1. Un tacito rimprovero a Giobbe perché aveva conteso con Dio, invece di cercarlo:
« Giobbe, se fossi stato nelle tue condizioni, non sarei stato così petulante e impetuoso. Mi
sarei sottomesso alla volontà di Dio ». È facile dire che cosa faremmo se fossimo nelle
condizioni di un altro. Quando però la prova tocca a noi, la troveremo forse meno facile di
quanto abbiamo sostenuto.

2. Un consiglio ottimo e pertinente, che Elifaz esprime in prima persona: « Se fossi nelle
tue condizioni, direi che la condotta migliore sarebbe quella di raccomandarmi a Dio ».
Notate: Dobbiamo dare ai nostri amici solo i consigli che seguiremmo noi stessi, se ci
trovassimo nei loro panni, per sopportare le afflizioni e trarne giovamento e buoni risultati.

(a) Dobbiamo cercare, con la preghiera, la misericordia e la grazia di Dio. Dobbiamo


cercare Dio come Padre e come amico, anche se contende con noi, sapendo che lui solo
può sostenerci e soccorrerci. Dobbiamo cercare il suo favore quando perdiamo tutto ciò
che abbiamo nel mondo, e rivolgerci a lui come fonte e Padre di ogni bene e di ogni
consolazione. C’è qualcuno che soffre? Preghi. È un sollievo per il cuore e un balsamo per
ogni male. La miseria non viene dalla terra e il dolore non germina dal suolo. Gb 5:6

(b) Dobbiamo raccomandare a lui, con pazienza, noi stessi e i nostri progetti. A Dio vorrei
esporre la mia causa. Poi gliela affiderei. Dopo averla deposta ai suoi piedi, la lascerei
nelle sue mani. « Eccomi. Dio faccia quello che gli parrà bene ». Se abbiamo dei buoni fini,
non dobbiamo temere di affidarli a Dio, che è sia giusto che misericordioso. Chi vuole
riuscire deve raccomandarsi a lui.

IV. Lo incoraggia a cercare Dio e ad affidargli la sua causa. Non lo farà in vano, perché in
lui troviamo vero aiuto.

1. Lo esorta a considerare l’onnipotenza e la sovranità di Dio. In generale, fa cose grandi


Gb 5:9 ed eccelse, perché può fare e fa qualunque cosa, sempre secondo la sua volontà.
Fa cose grandi, perché gli atti della sua potenza sono:

(a) Imperscrutabili, cioè non possono mai essere compresi dal principio alla fine. Ec 3:11
Le opere della natura sono misteriose. Anche le ricerche più accurate non conducono a
una conoscenza completa e anche i più saggi filosofi riconoscono di non possedere la

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 47


verità. I disegni della Provvidenza sono quindi ancora più profondi e impenetrabili. Ro
11:33

(b) Numerosi, anzi, innumerabili. Le sue opere sono senza numero. Il suo potere è
inesauribile e i suoi propositi non saranno mai adempiuti fino alla fine.

(c) Sono meraviglie che non possono riscuotere abbastanza ammirazione. L’eternità stessa
non ci darà abbastanza tempo per farlo. Con questa considerazione, Elifaz intende: [1]
Convincere Giobbe del suo errore e della sua follia nel contendere con Dio. Non dobbiamo
pretendere di giudicare le sue opere, che sono inescrutabili e sfuggono a ogni indagine.
Non dobbiamo poi contendere con il nostro Creatore, che sarebbe certamente un
avversario troppo forte e può distruggerci in un istante. [2] Esortare Giobbe a cercare Dio,
raccomandandogli la sua causa. Che cosa può essere più incoraggiante che vedere la
Fonte di ogni potere? Dio può fare cose grandi e meravigliose per risollevarci quando
siamo abbattuti.

2. Dà qualche esempio del dominio e del potere di Dio.

(a) Dio fa grandi cose nel regno naturale: Spande la pioggia sopra la terra, Gb 5:10 che
elargisce i doni della comune Provvidenza, cibo in abbondanza, con cui Dio mette letizia
nei nostri cuori. At 14:17 Osservate: Nel dimostrare i grandi atti di Dio, Elifaz inizia con la
pioggia che, essendo una cosa comune, potremmo reputare insignificante. Se invece
consideriamo come è prodotta e che cosa produce, vedremo che è una grande opera del
suo potere e della sua bontà.

(b) Dio fa grandi cose nella vita degli uomini. Non solo arricchisce i poveri e conforta i
bisognosi con la pioggia, Gb 5:10 ma, per esaltare gli umili, sventa i disegni degli astuti
(Gb 5:11 dev’essere unito al Gb 5:12). Ha disperso quelli ch’eran superbi ne’pensieri del
cuor loro, ha innalzato gli umili e ha ricolmato di beni i famelici. Lu 1:51-53 Notate come:
[1] Rende vane le macchinazioni dei superbi e dei manipolatori. Gb 5:12,14 C’è un potere
supremo che dirige e sovrasta anche chi si reputa libero e preminente, e compie i suoi
propositi nonostante i suoi piani. Osservate: Prima di tutto, i disubbidienti, che si
comportano contrariamente alla legge di Dio e agli interessi del suo regno, sono spesso
molto astuti, perché sono i discendenti del vecchio serpente, noto per la sua scaltrezza. Si
ritengono saggi, ma, alla fine, si dimostrano stolti. In secondo luogo, i disubbidienti nemici
del regno di Dio escogitano i loro espedienti, i loro intrighi e i loro piani contro di esso e
contro i suoi sudditi fedeli. Sono irrequieti e instancabili nei loro progetti, fissi nelle loro
deliberazioni, pieni di speranze, impegnati nelle loro macchinazioni e fedeli alle loro
alleanze. Sl 2:1,2 In terzo luogo, Dio può facilmente distruggere e sconfiggere tutti i
progetti dei nemici suoi e del suo popolo (e lo farà certamente se sarà per la sua gloria).
Come furono frustrati gli intrighi di Aitofel, di Samballat e di Aman! Come furono sciolte le
alleanze della Siria e di Efraim contro Giuda; di Ghelal, di Ammon e di Amalec contro
l’Israele di Dio; e dei re e dei principi della terra contro l’Eterno e contro il suo Unto! Le
mani tese contro Dio e contro la sua chiesa non hanno conseguito i loro piani e le armi
formate contro Sion non hanno prosperato. Quarto, gli intrighi che i nemici della chiesa
escogitano per la sua distruzione ricadono spesso su di loro: Prende gli abili nella loro
astuzia Gb 5:13 e li prende al laccio nell’opera delle proprie mani. Sl 7:15,16 9:15,16
L’Apostolo cita questo versetto 1Co 3:19 per dimostrare che i savi pagani erano ingannati
dalla loro vana filosofia. Quinto, quando Dio confonde gli uomini, li rende perplessi e

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 48


incerti anche nelle questioni che sembrano più chiare e più semplici. Anche di giorno essi
incorron nelle tenebre. Gb 5:14 Anzi (secondo la nota al margine), si scontrano con le
tenebre, in tutta la violenza e la precipitazione dei loro piani. cfr. Gb 12:20,24,25 [2]
Appoggia e sostiene la causa del povero e dell’umile. Prima di tutto, esalta l’umile. Gb 5:11
Innalza quelli che i superbi cercano di calpestare, e li mette al sicuro. Sl 12:5 Fa
prosperare chi è umile e chi fa cordoglio, lo conforta e lo fa dimorare in luoghi elevati, tra
le rocche fortificate. Is 33:16 È chi ha il sigillo e il marchio della salvezza di Dio a fare
cordoglio in Sion. Ez 9:4 In secondo luogo, libera l’oppresso. Gb 5:15 Gli astuti
distruggono i poveri con la lingua, la mano e la spada, ma Dio protegge particolarmente
quelli che, essendo poveri e indifesi, ma devoti alla sua lode, gli rimangono fedeli. Li salva
da chi li attacca con parole o con opere, perché, se vuole, può legare la lingua e avvizzire
la mano. Di conseguenza: Gb 5:16

1. I santi deboli e timorosi saranno confortati: Così pel misero, che aveva iniziato a
disperare, v’è speranza. Le esperienze di alcuni incoraggiano altri a sperare nel meglio nei
momenti peggiori. Dio si gloria infatti di aiutare gli indifesi e dare speranza ai disperati.

2. I peccatori audaci e minacciosi saranno confusi: L’iniquità ha la bocca chiusa, stupita da


quell’insolita liberazione, vergognandosi di aver lottato contro chi sembra essere favorito
dal Cielo, mortificata dalla delusione e forzata a riconoscere la giustizia dei procedimenti
divini, senza niente da obiettare. Chi opprime i poveri che amano Dio, terrorizzandoli,
minacciandoli e accusandoli falsamente, non avrà nulla da dire contro di loro quando Dio
apparirà in loro difesa. cfr. Sl 76:8,9 Is 26:11 Mi 7:16

Gb 5:17-27

Nel paragrafo conclusivo del suo discorso, Elifaz mostra a Giobbe la prospettiva del
conforto delle sue afflizioni, che Giobbe non poteva scorgere da solo, ma che avrebbe
potuto ottenere se le avesse accettate con serenità. Osservate:

I. Le sue opportune parole di avvertimento e di esortazione: « Non isdegnar la correzione


dell’Onnipotente. Gb 5:17 Riconosci che è una correzione inflitta con amore dal padre per
il bene del figlio. Riconosci che è la correzione dell’Onnipotente, con cui è folle contendere
e a cui è saggio sottomettersi, un Dio onnisufficiente (secondo il significato originale della
parola) per tutti quelli che confidano in lui. Non sdegnarla ». Sono parole pregne di
significato nell’originale:

1. « Non provarne avversione. Lascia che la grazia sconfigga la naturale antipatia per la
sofferenza, riconciliandoti con la volontà di Dio ». Abbiamo bisogno dei castighi e li
meritiamo, per cui non dobbiamo ritenerli inappropriati o ingiusti. Non opponiamoci a una
pillola o a una pozione amara, se ci è prescritta per il nostro bene.

2. « Non avertene a male. Non allontanarla (come se fosse dannosa o per lo meno inutile)
solo perché per il presente non è causa d’allegrezza, ma di tristizia ». Non dobbiamo mai
disprezzare la sottomissione a Dio, né disdegnare la sua correzione. Al contrario,
dobbiamo renderci conto che Dio onora l’uomo quando lo visita e lo prova. Gb 7:17,18

3. « Non trascurarla e non tralasciarla, come se fosse solo una coincidenza e il prodotto di
cause secondarie, ma prendine nota come voce di Dio e di un messaggero celeste ». Il

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 49


significato è ancora più profondo: « Riverisci la correzione del Signore. Dimostra un’umile
deferenza di fronte alla sua correzione, e trema quando rugge il leone. Am 3:8 Sottomettiti
e cerca di adattarti perché serva al suo scopo. È così che la riverirai ». Quando Dio ci
affligge per produrre in noi degli effetti determinati, dobbiamo onorare la sua decisione
con accettazione e arrendevolezza, riconsegnandogli ciò che gli appartiene quando lo
richiede.

II. Le confortanti parole di incoraggiamento che Elifaz dà a Giobbe per esortarlo ad


adattarsi a quella sua condizione, accettando il male dalla mano di Dio (per usare una sua
espressione), invece di disprezzarlo come dono senza valore.

1. Se avesse accettato le sue afflizioni,

(a) La loro natura e le loro proprietà sarebbero state alterate. Anche se sembrava una
condizione miserabile, si sarebbe rivelata una gioia: Beato l’uomo che Dio castiga, se sa
giovarsi della correzione. Il giusto è beato anche se è afflitto, perché, nonostante le sue
perdite, non perde mai la gioia che deriva da Dio né il suo posto in cielo. Anzi, è beato
proprio perché è afflitto. La correzione dimostra che è un figlio e opera la sua
santificazione, mortificando le sue corruzioni, distaccandolo dal mondo, avvicinandolo a
Dio, attirandolo alla Bibbia, inducendolo alla preghiera e producendo in lui e per lui un
sempre più grande, smisurato peso eterno di gloria. Beato l’uomo che Dio castiga. cfr. Gm
1:12

(b) Avrebbero prodotto ottimi effetti e risultati. Gb 5:18 [1] Anche se piaga il corpo con
ulcere maligne e la mente con pensieri dolorosi, Dio fascia al tempo stesso, come il
chirurgo fascia le ferite che deve fare con il bisturi. Quando ferisce con i rimproveri della
sua Provvidenza, fascia con le consolazioni del suo Spirito, che fa abbondare per
controbilanciare le afflizioni, recando al paziente un indicibile soddisfazione. [2] Anche se
ferisce, le sue mani guariscono nel momento appropriato. Così come ora sostiene il suo
popolo, alleviando le sue afflizioni, nell’ora prestabilita lo libera, offrendo una via d’uscita.
Tutto finirà bene, e Dio ci conforterà in proporzione de’giorni che ci ha afflitti. Di solito,
ferisce e poi guarisce, rimprovera e poi conforta, umilia e poi esalta. Come fa notare Caryl,
non infligge mai una ferita che non possa curare. Una eademque manus vulnus opemque
tulit-È la stessa mano che ferisce e che cura. Dio sbrana l’empio e se ne va, lasciandolo a
guarirsi da solo, se può. Os 5:14 L’umile e il penitente invece può dire: Ha percosso, ma ci
fascerà. Os 6:1 Finora, Elifaz ha fatto una considerazione generica, ma:

2. Nei versetti seguenti, si rivolge direttamente a Giobbe, dandogli molte confortanti


promesse di tutto il bene che Dio gli avrebbe fatto se si fosse umiliato sotto la sua mano.
Anche se, da quanto ci risulta, non aveva una Bibbia a cui fare riferimento, Elifaz trova
nelle rivelazioni generali di Dio abbastanza garanzie della sua benevolenza per il suo
popolo con cui assicurare Giobbe. E anche se non tutte le parole degli amici di Giobbe
furono dirette dallo Spirito di Dio (fecero infatti delle osservazioni incorrette riguardo a Dio
e a Giobbe), la loro dottrina, in generale, esprime il sentimento di pietà dell’epoca
patriarcale. Così come l’apostolo Paolo citò il versetto 13 come precetto canonico, e così
come il comandamento del versetto 17 vale indubbiamente anche per noi, anche queste
promesse possono e devono essere accettate e applicate come promesse divine, affinché
mediante la pazienza e mediante la consolazione di questa parte delle Scritture noi

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 50


riteniamo la speranza. Assicuriamo quindi di appropriarcene, e traiamo poi conforto
dall’osservazione dei particolari. Dio promette che:

(a) Con il ripetersi delle afflizioni e dei guai, ripeterà anche, puntualmente, i suoi soccorsi e
le sue redenzioni: In sei distrette egli sarà il tuo liberatore e in sette il male non ti
toccherà. Gb 5:19 Finché siamo in questo mondo, dobbiamo aspettarci una successione di
dolori. Le nubi ritornano dopo la pioggia. Dopo sette distrette può ancora essercene una
settima. Dopo molti guai, aspettatene altri. Dio però libera i suoi in ogni caso. 2Ti 3:11 Sl
34:19 Non si serve, come fanno gli uomini, dell’aiuto passato per esonerarsi da soccorsi
futuri. Anzi, ogni suo aiuto è solo un assaggio. Pr 19:19

(b) Qualunque siano le sofferenze dei giusti, male alcuno non li coglierà. Sl 91:10 Le
afflizioni non gli faranno del male. Il pungiglione del maligno sarà estratto. Potranno
sibilare, ma non ferire. Il maligno non tocca i figli di Dio. 1Gv 5:18 Essendo trattenuti dal
peccato, sono salvati dal male che i guai possono recare.

(c) Tra la desolazione degli altri, i giusti avranno una protezione speciale. Saranno nutriti
quando molti moriranno per mancanza di sostentamento. « In tempo di carestia ti
scamperà dalla morte. Gb 5:20 Qualunque sia il destino degli altri, sarai conservato in vita.
Sl 33:19 Pasturerai in confidanza e sarai saziato anche nel tempo della fame. Sl 37:3,19 In
tempo di guerra, quando migliaia di persone muoiono da ogni lato, Dio ti salverà dai colpi
della spada. Se Dio vuole, la spada non ti toccherà, o, se anche ti ferisce o ti uccide, non ti
farà realmente male. Potrà solo uccidere il corpo, e anche quello, solo con il suo
permesso ».

(d) Anche le parole dette con cattiveria non gli faranno male. Gb 5:21 « Non solo sarai
protetto dalla spada della guerra, ma sarai sottratto al flagello della lingua, che, come ogni
flagello, provoca tormento e dolore, anche se non uccide ». Neanche gli uomini migliori e
più inoffensivi possono, con tutta la loro innocenza, evitare le calunnie, le diffamazioni e le
critiche. Solo Dio può liberarci, e anche le più grandi menzogne saranno così ignorate da
non darci fastidio e da non rovinare la nostra reputazione. Dio può frenare anche gli ultimi
residui dell’ira umana, e lo fa. È proprio perché controlla la coscienza dei malvagi che il
flagello della lingua non distrugge ogni consolazione dei giusti in questo mondo.

(e) I giusti godranno di una santa sicurezza e serenità, che deriva dalla loro speranza e
fiducia in Dio, anche nei momenti peggiori. Tra le peggiori calamità, rimarranno tranquilli,
ritenendosi al sicuro, e non temeranno quando verrà il disastro, nemmeno se lo vedono
avvicinarsi, Gb 5:21 né quando le belve della terra, o uomini crudeli come bestie, si
accingono ad assalirli. Anzi, in mezzo al disastro e alla fame rideranno, Gb 5:22 non in
disprezzo delle punizioni di Dio o in scherno dei suoi giudizi, ma in trionfo per il potere e la
bontà di Dio e in trionfo sul mondo e su tutti i suoi dolori, perché, anche tra le tribolazioni,
possono non solo sentirsi tranquilli, ma gioiosi. L’apostolo Paolo rise della distruzione,
dicendo: O morte, dov’è la tua vittoria? In nome di tutti i santi, sfidò tutte le calamità di
questa vita a separarci dall’amore di Dio, concludendo che, in tutte queste cose, noi siam
più che vincitori (Ro 8:35 ss.; cfr. Is 37:22).

(f) Avendo pace con Dio, stringeranno un patto di amicizia con tutta la creazione. Gb 5:23
« Mentre cammini, non dovrai aver paura di inciampare, perché avrai per alleate le pietre
del suolo, che non urterai con il piede. Non sarai nemmeno in pericolo tra le belve della

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 51


terra, perché saranno in pace con te ». Io farò per loro un patto con le bestie de’campi. Os
2:18 Quando l’uomo è nemico di Dio, le creature inferiori sono in guerra contro di lui.
Tranquillus Deus tranquillat omnia-Un Dio riconciliato riconcilia ogni cosa. Il nostro patto
con Dio è un patto anche con tutte le creature, che non ci faranno alcun male, ma saranno
pronte a servirci e a farci del bene.

(g) Le loro abitazioni e le loro famiglie saranno una fonte di conforto, Gb 5:24 grazie alla
pace e alla pietà che vi regneranno. « Saprai certamente sicura la tua tenda, ora e in
futuro. Potrai essere sicuro della tua prosperità presente e futura ». La tua pace è il tuo
tabernacolo (secondo il significato letterale). La pace è l’abitazione di chi dimora in Dio.
« Visitando (cioè, esaminando) » « i tuoi possedimenti, osservandone l’andamento, non
peccherai ». Gb 5:24 KJV [1] Dio provvederà una dimora sicura e tranquilla per il suo
popolo, anche se umile o transitoria come una casupola o un tabernacolo. « Non
peccherai », o, secondo alcuni, non vagherai, cioè, « non sarai un fuggiasco e un
vagabondo », secondo la maledizione di Caino. « Abiterai invece nella terra, e vi pasturerai
in confidanza, senza dovere errare ». [2] Le loro famiglie saranno sotto la protezione
speciale della Provvidenza divina, e prospereranno quanto sarà bene. [3] Avranno la
certezza di una pace duratura, con tutti i suoi benefici. « Saprai, con immensa
soddisfazione, di avere una pace sicura per te e per la tua famiglia. Ne hai la parola di
Dio ». La Provvidenza può cambiare, ma non la promessa. [4] Avranno la saggezza
necessaria per governare bene le loro famiglie, per condurre prudentemente i loro affari e
per dirigere bene la servitù, tutto compreso nell’espressione: visitano i loro possedimenti. I
capifamiglia non devono essere estranei all’andamento della loro casa, ma devono
osservare attentamente i propri averi e la condotta dei propri servi. [5] Avranno la grazia
necessaria per occuparsi bene delle proprie famiglie, senza peccare. Rimprovereranno i
servi senza impeti di passione o manifestazioni di superbia, di avidità o di attaccamento ai
beni materiali. Esamineranno i loro affari senza dimostrarsi scontenti dello stato presente o
timorosi del futuro. La pietà di una famiglia è il coronamento della sua pace e della sua
prosperità. La più grande benedizione, nelle nostre opere e nei nostri piaceri, è quella di
condurci in ogni caso senza peccato. Se siamo lontani, è confortante sapere che a casa
dimora la pace. Quando ritorniamo, ci consola constatare che tutto procede bene, che i
nostri affari non sono falliti e che, in buona coscienza, non abbiamo offeso Dio.

(h) La loro posterità sarà numerosa e prospera. Giobbe aveva perso tutti i suoi figli.
« Eppure », dice Elifaz, « se ritorni a Dio, ti ridarà una famiglia. La tua progenie sarà
grande come prima e fiorirà come l’erba dei campi, Gb 5:25 e lo saprai ». Dio ha in serbo
delle benedizioni per la progenie di chi gli è fedele, se non le perdono per colpa loro e se
non le rifiutano, follemente. La prosperità dei figli, soprattutto quella spirituale, è di grande
consolazione ai genitori. Se sono giusti, sono grandi, anche se poco importanti in questo
mondo.

(i) La loro morte giungerà al momento opportuno, e finiranno la corsa con gioia e con
onore. Gb 5:26 È un segno della misericordia di Dio se ci concede di: [1] Vivere
pienamente, senza che il numero dei nostri mesi sia troncato. Se Dio, nella sua
Provvidenza, non ci concede di vivere a lungo, ma la sua grazia ci permette di essere
soddisfatti del tempo che ci è assegnato, possiamo dire di aver vissuto pienamente. Si vive
abbastanza quando si fa il proprio dovere e si è pronti per l’altro mondo. [2] Essere
disposti a morire e avvicinarci con gioia alla tomba, senza costrizioni, come l’uomo a cui
l’anima fu ridomandata. [3] Morire al momento opportuno, come il grano che è mietuto e

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 52


raccolto quando è maturo: non prima, ma nemmeno un giorno dopo, perché non gli
cadano i chicchi. I nostri giorni sono nella mano di Dio, ed è giusto, perché si assicura che
i suoi muoiano nel momento più adeguato. Lo sarà sempre, anche se a noi non sembra.

3. Nell’ultimo versetto, Elifaz esorta Giobbe ad applicare queste promesse:

(a) Come parole certamente vere: « Ecco quel che abbiam trovato, riflettendo. Così è. È
vero che questi insegnamenti ci sono stati tramandati dai nostri padri, ma non li abbiamo
accettati ciecamente. Li abbiamo ricercati attentamente, confrontando le verità spirituali. Li
abbiamo studiati diligentemente, e le nostre osservazioni, unite alla nostra esperienza, ci
hanno convinto tutti della loro validità ». La verità è un tesoro che vale tanti scavi e tante
ricerche. Se fatichiamo tanto per trovarla, sapremo come valutarla e come comunicarla
agli altri.

(b) Come parole degne di essere credute, che potevano recargli i più grandi vantaggi: Tu
ascolta, e fanne tuo pro. Non basta ascoltare e conoscere la verità. Dobbiamo anche
metterla in pratica, per acquistare e aumentare saggezza, ricevendone i marchi e
sottomettendoci alla sua imperiosa autorità. Vedi tu (secondo il significato letterale).
Applicala a te stesso e al tuo caso. Non dire solo: « È vero », ma: « È vero per me ». Se
applichiamo a noi stessi le cose che sentiamo e che impariamo, ci faranno bene, come il
cibo che nutre solo se è digerito. Le prediche sono buone se ci aiutano.

Giobbe 6

Elifaz aveva concluso il suo discorso con un’aria di sicurezza, certo di aver detto delle cose
così chiare e pertinenti che nessuno avrebbe potuto obiettarle. Sembra sempre che il
primo a perorare la propria causa abbia ragione, ma viene poi un altro e lo esamina.
Giobbe, non convinto da quelle parole, continua a giustificare le sue lamentele e accusa
Elifaz di aver fatto dei ragionamenti fiacchi.

I. Dichiara di aver avuto motivo di lamentarsi dei suoi guai, come sarebbe chiaro a ogni
giudice imparziale. Gb 6:2-7

II. Continua a esprimere il suo ardente desiderio di essere colpito rapidamente dalla
morte, per trovare sollievo a tutte le sue miserie. Gb 6:8-13

III. Rimprovera i suoi amici per averlo trattato e criticato crudelmente. Gb 6:14,30
Dobbiamo riconoscere che le parole di Giobbe erano per lo più ragionevoli, ma corrotte dai
sentimenti e delle debolezze umane. Come in quasi ogni contesa, ogni lato aveva in parte
torto.

Gb 6:1-7

All’inizio del suo discorso, Elifaz aveva trattato Giobbe con molta durezza. Da quanto ci
risulta, però, Giobbe non lo interruppe, ma ascoltò pazientemente tutto ciò che aveva da
dire. Chi vuole giudicare imparzialmente un discorso deve ascoltarlo interamente. Giobbe
Alla fine, risponde con un discorso pieno di carica emotiva.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 53


I. In generale, ritiene la sua sciagura ancora peggiore di quanto avesse dichiarato o di
quanto i suoi amici avessero compreso. Gb 6:2,3 Non poteva descriverla pienamente, ed
essi non l’avrebbero mai compresa appieno, o per lo meno non lo avrebbero mai
ammesso. Preferiva quindi appellarsi a un estraneo che potesse soppesare la sua sventura
e il suo dolore con delle bilance accurate, dei pesi giusti e una mano imparziale.
Desiderava che si mettesse il suo dolore, e tutte le sue espressioni, in una mano, e la sua
sciagura, e tutte le sue manifestazioni, nell’altra. Anche se non intendeva giustificare
interamente il suo lamento, sapeva che chiunque avrebbe constatato (come espresse poi
in Gb 23:2) che la sua piaga era più grave dei suoi sospiri. Per grande che fosse il suo
dolore, le sue sciagure sarebbero trovate più pesanti che la rena del mare: complicate,
gravose, pesanti e numerose come i granelli della sabbia del mare. « Per questo », dice,
« le mie parole sono avviluppate. Gb 6:3 KJV Dovete quindi scusare la rozzezza e
l’amarezza delle mie espressioni. Non meravigliatevi se i miei discorsi non sono fini e
garbati come quelli di un oratore eloquente, o seri e regolati come quelli di un malinconico
filosofo. Non posso fingere di essere né l’uno, né l’altro. Le mie parole sono tutte
avviluppate come sono io ». Qui Giobbe:

1. Si lamenta che i suoi amici avessero cercato di amministrargli un rimedio spirituale


prima di aver compreso pienamente la sua situazione in tutti i suoi aspetti peggiori.
Raramente chi sta bene valuta giustamente le afflizioni dei sofferenti. Il proprio peso
sembra sempre più pesante di quello degli altri.

2. Si scusa delle intense espressioni che aveva usato per maledire il giorno della sua
nascita. Anche se lui stesso non poteva giustificare tutto ciò che aveva detto, pensava che
i suoi amici non avrebbero dovuto condannarlo, dato che il suo era un caso realmente
straordinario e che era così afflitto dal dolore, ma avrebbero anzi dovuto condonargli ciò
che non sarebbe mai ammesso in una normale sofferenza.

3. Si appella alla loro comprensione, carità e compassione, sperando che, comunicando


l’intensità delle sue sciagure, potesse migliorare la loro disposizione nei suoi confronti. La
pietà degli altri dà sollievo a chi soffre.

II. Si lamenta del suo tormento e del suo terrore, come se fossero la parte peggiore delle
sue sciagure. Gb 6:4 In questo fu un prototipo di Cristo, che, in tutte le sue sofferenze, si
lamentò soprattutto delle sue agonie spirituali. Ora è turbata l’anima mia. Gv 12:27
L’anima mia è oppressa da tristezza mortale. Mt 26:38 Dio mio, Dio mio, perché mi hai
abbandonato? Mt 27:46 Il povero Giobbe si lamenta tristemente:

1. Dei suoi sentimenti: Le saette dell’Onnipotente mi trafiggono. Non erano tanto gli stessi
guai (la povertà, il disonore e il dolore fisico) a turbarlo. Ciò che più lo colpiva e agitava
era il pensiero che il Dio che amava e serviva gli avesse causato tutte quelle sciagure,
come segno della sua disapprovazione. Notate: Il tormento interiore è il peggiore. Lo
spirito abbattuto chi lo solleverà? Finché Dio continua a concederci l’uso della ragione e la
pace della coscienza, possiamo sottometterci a qualunque afflizione voglia infliggerci, fisica
o materiale. Se invece la ragione o la coscienza sono turbate, la nostra condizione è
misera e commiserabile. Possiamo prevenire i dardi infuocati delle sciagure di Dio solo
spegnendo, con lo scudo della fede, quelli della tentazione di Satana. Osservate: Li chiama
le saette dell’Onnipotente. Il fatto che Dio possa colpire l’anima con le sue frecce dimostra
che il suo potere è ben più grande di quello umano. Chi ha creato l’anima può toccarla con

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 54


la spada. Il veleno o il calore di quelle saette prosciugava il suo spirito, Gb 6:4 KJV perché
gli turbava la mente, scuoteva la sua risolutezza, esauriva le sue forze e minacciava la sua
vita. Le sue espressioni ardenti possono quindi essere scusate, anche se non giustificate.

2. Dei suoi timori. Si vedeva attaccato dai terrori di Dio, come se fosse un esercito
schieratogli intorno, in lotta contro di lui. Non trovava conforto nel suo animo, né nel cielo.
Quell’uomo che aveva sempre trovato coraggio nelle consolazioni di Dio, non solo ne era
rimasto sprovvisto, ma era sorpreso dai suoi terrori.

III. Biasima i suoi amici per le loro dure critiche dei suoi lamenti e per la loro
incompetenza.

1. I loro rimproveri erano infondati. È vero che durante quell’afflizione si era lamentato,
ma non lo aveva mai fatto durante la sua prosperità, come tanti che sono sempre
irrequieti. Non aveva ragliato quando aveva l’erba davanti, e non aveva mugghiato davanti
alla pastura. Gb 6:5 Ora invece era così privo di ogni consolazione che sarebbe stato un
ceppo o una pietra, senza nemmeno l’intelligenza di un bue o di un asino, se non avesse
espresso il suo dolore. Era costretto a mangiare del cibo scipito. Era così povero che non
aveva nemmeno un granello di sale per insaporirlo o per condire l’albume di un uovo, che
era il piatto più prelibato che poteva permettersi. Gb 6:6 Si accontentava anche di cibi che
non avrebbe mai toccato prima, anche se erano cibi dolorosi. Gb 6:7 D Notate: È saggio
non abituare se stessi o i propri figli a mangiare cibi raffinati, perché non sappiamo che
fine faremo, e forse un giorno dovremo accettare, per necessità, le cose che disprezziamo
ora.

2. Secondo alcuni, il loro conforto era debole e insipido. Gb 6:6,7 Giobbe si lamentava che
nessuno gli offriva un cordiale che lo risollevasse, lo rinvigorisse e lo rallegrasse. Gli
avevano dato un incoraggiamento insapore come la chiara di un uovo e, applicato al suo
caso, disgustoso e fastidioso come il cibo più ripugnante. Mi dispiace che avesse parlato
così dell’eccellente discorso di Elifaz, Gb 5:8 ss. ma chi è irritato maltratta spesso chi cerca
di consolarlo.

Gb 6:8-13

Le passioni incontrollate si fanno spesso più violente quando sono frenate o rimproverate.
Il mare agitato si infuria particolarmente quando si infrange contro uno scoglio. Giobbe
aveva corteggiato la morte come lieto fine delle sue miserie (Giobbe 3), cosa che Elifaz gli
aveva rimproverato duramente, e ora, invece di rimangiarsi le sue parole, le ripete con
ancor più foga, e con altrettanta follia di quasi tutti i suoi discorsi. Sono state trascritte
quindi per ammonirci e non per incoraggiarci a imitarle.

I. Giobbe desidera ancora ardentemente la morte, come se ritenesse impossibile avere


altri giorni di felicità in questo mondo o rendere positivi, tramite la grazia di Dio e la sua
devozione, quei giorni di afflizione. Vedeva la morte come unico rimedio ai suoi guai, e
non aveva abbastanza pazienza da attenderla. Ha quindi una fervente richiesta. Gb 6:8
Quale? Si penserebbe che fosse: « Piaccia a Dio di salvarmi e di ridarmi il mio benessere »
No, Giobbe dice: Volesse pure Iddio schiacciarmi. Gb 6:9 « Così come ha teso la mano per
rendermi prima povero e poi infermo, la tenda ancora per metter fine alla mia vita. Mi dia
le coup de grace-il colpo di grazia », come si dice, in Francia, il colpo finale che si infligge

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 55


a chi è su uno strumento di tortura. C’era un tempo in cui invero lo spaventava il castigo di
Dio, Gb 31:23 ma ora Giobbe desidera la distruzione della carne, mantenendo però la
speranza che il suo spirito sia salvato nel giorno del Signore Gesù. Nonostante questo suo
intenso desiderio della morte e la sua insofferenza del suo ritardo, non propone di
giustiziarsi da solo. Implora solo che Dio voglia schiacciarlo. La morale di Seneca, che
incoraggiava il suicidio come lecito sollievo ai dolori insopportabili, non era nota, né
concepita da chi avesse avuto il minimo riguardo per la legge di Dio e della natura. Per
fastidiosa che sia la prigionia dell’anima nel corpo, non dobbiamo rompere le sbarre, ma
dobbiamo attendere la nostra legittima liberazione.

II. Esprime il suo desiderio con una preghiera, chiedendo a Dio di consentire alla sua
richiesta e di degnarsi di accontentarlo. Quel desiderio fervente di anticipare la morte era
un peccato, non attenuato dal fatto che fosse espresso a Dio. Anzi, le sue espressioni
negative sembrarono ancora peggiori nella preghiera, perché dobbiamo chiedere a Dio
solo ciò che possiamo chiedere con fede, e di conseguenza solo ciò che è in accordo con la
sua volontà. L’espressione della collera è peggiore durante le preghiere, perché dobbiamo
alzare mani pure, senz’ira.

III. Vede la morte come un sollievo effettivo e un rimedio a tutti i suoi mali: « Sarebbe
questo un conforto per me, un conforto che non ho e che non mi aspetto prima di
allora ». Gb 6:10 Notate:

1. La vanità della vita umana. È un dono così effimero che a volte diventa il più grande
peso che si desidera solo sfuggire. Che la grazia ci aiuti a essere disposti a lasciarla
quando Dio ce lo chiede, perché i nostri desideri potrebbero farcela desiderare anche in
anticipo.

2. La speranza del giusto nella morte. Se Giobbe non avesse avuto una coscienza pulita,
non avrebbe potuto parlare con tanto conforto dell’al di là, dove le situazioni saranno
rovesciate, come fu per il ricco e Lazzaro: Ora qui egli è consolato, e tu sei tormentato.

IV. Sfida la morte a fare del suo peggio. Se non poteva morire senza il preambolo di
dolorose sofferenze, agonie e forti convulsioni; se doveva essere torturato prima
dell’esecuzione, lo avrebbe sopportato volentieri nella prospettiva della morte: « Esulterei
nei dolori, accoglierei a braccia aperte i suoi dardi. Non mi risparmi. Gb 6:10 KJV Non
desidero mitigare la pena che metterà un lieto fine a tutte le mie sofferenze. Una morte
dolorosa è meglio che non morire affatto ». Sono parole incontrollate che avrebbe dovuto
trattenere. Dobbiamo lasciarci intenerire dal dolore, per riceverne tutti i benefici. Quando il
viso è mesto, il cuore diventa più tenero e quindi migliore. Se invece ci induriamo,
provochiamo Dio a continuare a lottare contro di noi. Dio trionfa quando giudica. È un atto
di gran presunzione sfidare l’Onnipotente, dicendo: Non mi risparmi. Siamo noi più forti di
lui? 1Co 10:22 Gli siamo debitori se, in misericordia, ci risparmia la vita, ed è quindi un
gran male esserne stanchi. Diciamo invece, come Davide: Risparmiami.

V. Basa la sua consolazione sulla testimonianza della sua coscienza, che attestava che era
stato sempre fedele e saldo nella sua professione di fede e, in qualche modo, utile, allora,
alla gloria di Dio: Non ho nascoste le parole del Santo. Osservate:

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 56


1. Giobbe aveva ricevuto le parole del Dio santo. Il popolo di Dio, a quel tempo, riceveva,
come benedizioni, le sue rivelazioni.

2. Trovava conforto nel fatto di non averle nascoste, e quindi di non avere ricevuto invano
la sua grazia.

(a) Non le aveva nascoste a se stesso, ma aveva permesso che operassero pienamente in
lui e che lo guidassero e lo governassero in ogni cosa. Non aveva represso le sue
convinzioni, soffocando la verità con l’ingiustizia, né aveva mai fatto nulla per ostacolare la
digestione del suo cibo spirituale e gli effetti di quella medicina dello spirito. Non
nascondiamoci mai la parola di Dio, ma riceviamola sempre nella luce che essa emana.

(b) Non le aveva nascoste agli altri, ma era sempre stato pronto, in ogni occasione, a
comunicare la sua conoscenza per il bene degli altri. Non aveva mai avuto vergogna o
paura di riconoscere il dominio della parola di Dio su di lui, né era stato negligente nei suoi
sforzi di farla conoscere agli altri. Notate: Solo chi è buono e si comporta bene in questa
vita può aspettarsi conforto nella morte.

VI. Giustifica il suo estremo desiderio della morte con le sue condizioni disperate. Gb
6:11,12 Elifaz, alla fine del suo discorso, gli aveva lasciato sperare che i suoi guai
sarebbero finiti bene. Il povero Giobbe però respinge quei cordiali, rifiuta di essere
consolato, si abbandona alla disperazione e, ingegnosamente, ma perversamente,
contesta quelle parole di incoraggiamento. Chi è depresso, stranamente, si combatte da
solo. Riguardo alle piacevoli prospettive con cui lo aveva allettato Elifaz, lascia intendere
che:

1. Non aveva alcun motivo di aspettarsele: « Che è mai la mia forza perch’io speri ancora?
Vedi come sono debole e come sono stato umiliato. Non so far fronte alle mie sofferenze.
Che motivo ho quindi di sperare di vederne la fine e di godere di giorni migliori? La mia
forza è essa forza di pietra? Ho forse dei muscoli di bronzo e dei nervi d’acciaio? No,
quindi non posso reggermi tra tanto dolore e tanta miseria. Crollerò sotto il peso. Se
avessi la forza di far fronte a questa mia pena, potrei sperare di vedere oltre, ma, ahimè,
non posso. Abbattendo le mie forze durante il mio cammino, Dio certamente accorcia i
miei giorni ». Sl 102:23 Notate: Tutto considerato, non abbiamo motivo di contare su una
lunga vita in questo mondo. Che è mai la nostra forza? È una forza subordinata. Ne
abbiamo solo quanta ce ne concede Dio. In lui viviamo e ci muoviamo. È una forza che si
consuma ogni giorno, esaurendosi gradatamente fino a spegnersi. È sproporzionata agli
attacchi che riceviamo. Come possiamo dipendere dalle nostre forze, se una malattia di
due o tre giorni ci rende deboli come l’acqua? Invece di aspettarci una lunga vita, abbiamo
motivo di meravigliarci di essere vissuti fino a ora e ragione di sentirci consumati
rapidamente.

2. Non aveva alcun motivo di desiderarle: « Che fine m’aspetta perch’io sia paziente? Che
consolazioni posso aspettarmi in questa vita che siano comparabili con quelle che mi
aspetto alla morte? ». Notate: Chi, per grazia, è pronto per il mondo a venire, non trova
molto che lo inviti a rimanere in questo mondo o a cui si possa attaccare. Possiamo
desiderare che la vita ci sia prolungata, se è la volontà di Dio, per poterlo servire ancora e
per prepararci meglio per il Cielo, che è il fine principale della nostra vita. Altrimenti perché
desiderare di restare? Più lunga è la vita, più gravosi ne saranno i pesi Ec 12:1 e meno

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 57


piacevoli le gioie. 2Sa 19:34,35 Abbiamo già visto ciò che il mondo ha di meglio da offrire,
ma non siamo certi di averne visti i lati peggiori.

VII. Non vuole essere sospettato di essere delirante: Non è il mio aiuto dentro di me? Gb
6:13 ND Cioè: « Non ho forse ancora l’uso della ragione, con cui, grazie a Dio, posso
recarmi un po’d’aiuto, che voi non mi date? Pensate che non abbia più senno e che sia
impazzito? No, io non vaneggio, eccellentissimo Elifaz, ma pronunzio parole di verità e di
buon senno ». Notate: Chi ha la grazia di Dio e la certezza di quella grazia, e le mette a
buon uso, ha anche abbastanza saggezza da ricavarne aiuto nei momenti peggiori. Sat
lucis intus-C’è abbastanza luce in lui.

Gb 6:14-21

Elifaz aveva rimproverato Giobbe con molta severità e i suoi compagni, pur non dicendo
molto, avevano lasciato intendere il loro consenso. Il povero Giobbe si lamenta quindi di
quel loro sgarbo, che aveva aggravato la sua sciagura e aumentato il suo desiderio di
morire. Che soddisfazione poteva infatti aspettarsi in questo mondo se chi avrebbe dovuto
confortarlo finì per tormentarlo?

I. Si aspettava dagli amici un po’di cortesia per i principi comuni dell’umanità: « Pietà deve
l’amico a colui che soccombe, cioè a chi si strugge e si consuma tra le afflizioni, e chi non
la dimostra abbandona il timor dell’Onnipotente ». Gb 6:14 Notate:

1. La compassione è un debito verso gli afflitti. È il meno che possa offrire chi sta bene.
Dobbiamo dimostrare un interesse sincero e profondo, commiserandoli, riconoscendo le
loro condizioni, cercando di capire il loro dolore, ascoltando i loro lamenti e piangendo
insieme a loro. Dobbiamo confortarli e fare tutto il possibile per aiutarli e sollevarli. È
giusto che le membra dello stesso corpo condividano il dolore, perché le stesse sofferenze
possono toccare a tutti.

2. La mancanza di umanità è contraria alla religione. Chi non dimostra compassione per un
amico abbandona il timore dell’Onnipotente, secondo la versione caldea. Come dimora
l’amor di Dio in lui? 1Gv 3:17 Chi non ha compassione per chi soffre i colpi della verga di
Dio non ne ha certamente il timore. cfr. Gm 1:27

3. I guai mettono alla prova l’amicizia, dimostrando chi è un amico sincero e chi finge di
esserlo. Il fratello nasce per l’afflizione. Pr 17:17 18:24

II. Gli amici lo avevano fortemente deluso: « I fratelli miei, che avrebbero dovuto aiutarmi,
si son mostrati infidi come un torrente ». Gb 6:15 Si erano messi d’accordo per andare a
confortarlo e a consolarlo, con tante cerimonie. Gb 2:11 Ci si sarebbe aspettato molto da
uomini così grandi, giusti, saggi, sapienti e dotti, che erano suoi cari amici. Senza dubbio, i
loro discorsi sarebbero generalmente stati tesi a confortarlo, ricordandogli la sua
devozione a Dio, assicurandolo del suo favore e prospettandogli una fine gloriosa. Invece,
lo avevano attaccato crudelmente con critiche e rimproveri, condannandolo come ipocrita,
insultandolo nelle sue sciagure e versando aceto, invece di un balsamo, sulle sue ferite. Si
erano insomma dimostrati infidi. Notate: È una frode e un inganno non solo venire meno
alla parola data agli amici, ma anche deludere le aspettative che ripongono in noi,
soprattutto quelle che abbiamo incoraggiato. Notate inoltre: È saggio cessare di confidare

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 58


nell’uomo. Non possiamo mai riporre troppo poche aspettative negli uomini o troppe nel
Creatore. Non è una novità che dei fratelli possano mostrarsi infidi. Gr 9:4,5 Mi 7:5
Riponiamo quindi la nostra fiducia nella roccia secolare e non nelle canne rotte; nella fonte
della vita e non nelle cisterne screpolate. Dio supererà le nostre speranze, così come gli
uomini le deludono. Giobbe descrive la sua delusione come dei torrenti che si seccano
d’estate.

1. È una similitudine molto elegante. Gb 6:15-20

(a) Le finzioni degli amici sono appropriatamente paragonate alla grande appariscenza dei
torrenti gonfi d’acqua durante il disgelo, quando il ghiaccio e la neve, sciogliendosi, li
rendono torbidi e fangosi. Gb 6:16

(b) Le sue aspettative, quando li aveva visti venire così solennemente a confortarlo, sono
paragonate a quelle dei viandanti stanchi e assetati che, nell’arsura estiva, cercano un
po’d’acqua dove, d’inverno, l’avevano trovata in abbondanza. Gb 6:19 Le carovane di
Tema e di Sceba, cioè quelle dei mercanti provenienti da quei paesi, che dovevano
attraversare i deserti dell’Arabia, la cercavano con ansia. « È qui vicino », dice uno. « Un
po’più in su », dice un altro. « L’ultima volta che ero qui, c’era tanta acqua da bastare a
rinfrescarci ». Tendiamo ad aspettarci sempre gli stessi conforti, ma non c’è sicurezza.
Infatti,

(c) La delusione delle sue aspettative è paragonata alla confusione di quei poveri viandanti
quando scoprono mucchi di sabbia al posto dei rivi d’acqua. D’inverno, quando non
avevano sete, l’acqua era stata sufficiente. Tutti applaudono e ammirano chi è ricco e
prospero. Nell’arsura dell’estate, invece, quando c’è più bisogno d’acqua, viene a mancare.
Scompare Gb 6:17 e devia dal proprio percorso. Gb 6:18 ND Quando i ricchi e i potenti
sono abbattuti e impoveriti e hanno quindi bisogno di conforto, chi li aveva circondati
rimane lontano e chi li aveva lodati è pronto ad avvilirli. Chi ripone grandi aspettative in
altre creature sarà deluso, mentre chi le ripone in Dio riceverà aiuto al momento
opportuno. Eb 4:16 Chi ripone la propria speranza e la propria fiducia nell’oro, prima o poi
sarà deluso Ez 7:19 in modo proporzionale a quella fiducia. Furon delusi nella loro fiducia.
Gb 6:20 Ci creiamo le nostre stesse delusioni illudendoci con vane speranze. Le canne si
spezzano sotto il peso di chi vi si appoggia. Se costruiamo una casa sulla rena saremo
certamente delusi, perché sarà abbattuta nella tempesta. Potremo allora ringraziare solo
noi stessi per essere stati così sciocchi da aspettarci che rimanesse salda. Nessuno può
ingannarci se non ci illudiamo noi stessi.

2. L’applicazione della similitudine è molto pertinente: Ora voi siete venuti a niente. Gb
6:21 D Si reputavano di essere qualche cosa, ma non gli recarono alcun vantaggio. cfr. Ga
2:6 La loro visita non gli aveva dato saggezza o giovamento. Notate: Qualunque sia il
piacere che deriviamo dalle altre creature o la fiducia che riponiamo in loro, per grandi che
sembrino o care che ci siano, prima o poi diremo: Ora voi siete venute a niente. Quando
Giobbe era benestante, i suoi amici significavano qualcosa. Stava bene insieme a loro.
Adesso invece dice: « Ora voi siete venuti a niente. Solo in Dio posso trovare conforto ».
Sarebbe bene avere sempre quella percezione della vanità delle creature e della sua
impossibilità di renderci felici che abbiamo o avremo a volte durante una malattia, in punto
di morte, o quando ci rimorde la coscienza: « Ora voi siete venuti a niente. Non siete più
gli stessi di prima. Non siete come dovreste essere, come pretendete di essere e come

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 59


pensavo che foste. Vedete uno che fa orrore, e vi prende la paura. Mi avete lusingato
quando mi vedevate onorato. Ora invece che mi trovate abbattuto, mi state lontano e non
mi dimostrate alcuna cortesia, per paura che voglia chiedervi qualcosa in dono o in
prestito. cfr. Gb 6:22 Avete paura che, riconoscendomi come amico, siate obbligati a
tenermi come tale ». Forse avevano paura di contagiarsi o di sentire il suo odore
sgradevole. Non è giusto tenerci lontani da chi soffre e aver paura di accostarci, per
superbia o per convenienza, per amore del portafoglio o della salute. Potremmo presto
trovarci nelle stesse condizioni.

Gb 6:22-30

Il povero Giobbe continua a rimproverare gli amici per il loro sgarbo e i loro
maltrattamenti. Fa appello qui alla loro coscienza riguardo a certi fatti che tendevano a
giustificarlo e a condannarli. Se avessero riflettuto imparzialmente e avessero parlato
sinceramente, avrebbero dovuto riconoscere che:

I. Anche se si trovava in necessità, non mendicava il loro aiuto, né era di peso. Chi si serve
dei propri guai per chiedere l’elemosina degli altri riceve di solito meno pietà di chi sta in
silenzio. Giobbe era stato felice di vedere i suoi amici, ma non aveva detto: Datemi Gb
6:22 o Liberatemi. Gb 6:23 Non aveva voluto che incorressero in spese, e non aveva
insistito che:

1. Facessero una colletta per rimetterlo economicamente in sesto. Anche se poteva


affermare che le sue sciagure erano pervenute direttamente dalla mano di Dio e non per
un suo errore o una sua mancanza di buon senso; anche se era ridotto al lastrico; anche
se aveva sempre vissuto bene e quando aveva i mezzi era stato sempre caritatevole con
gli afflitti; e anche se i suoi amici erano ricchi e in grado di aiutarlo, non aveva detto: Coi
vostri beni fate un donativo a favor mio. Notate: Il giusto, anche se è nei guai, non vuole
pesare sugli amici. Non aveva insistito inoltre che:

2. Unissero tutto il paese per aiutarlo a riprendersi il bestiame dai Sabei e dai Caldei o per
compiere delle rappresaglie su di loro: « Vi ho forse chiesto di scamparmi di man dei
prepotenti? No, non mi sono mai aspettato che vi metteste in pericolo o rischiaste
qualunque cosa per aiutarmi. Preferirei starmene qui tranquillo tra le afflizioni, cercando di
adattarmi, che sfruttare i miei amici ». L’apostolo Paolo lavorò con le sue mani per non
essere di peso a nessuno. Il fatto che Giobbe non avesse chiesto aiuto non scusava i suoi
amici, che avrebbero dovuto offrirlo comunque se ne aveva bisogno e se potevano. Li
dimostrò ancora più villani il fatto che, quando chiedeva solo uno sguardo
compassionevole o una parola incoraggiante, rifiutarono di darli. Spesso, quando ci
aspettiamo poco dagli uomini, riceviamo ancor meno. Da Dio invece, anche se ci
aspettiamo molto, riceviamo ancor di più. Ef 3:20

II. Pur essendo di opinione diversa, Giobbe non era ostinato, ma era pronto ad accettare i
rimproveri e a seguire la verità appena il suo errore fosse stato evidente: Gb 6:24,25 « Se,
invece di darmi dei pensieri invidiosi e delle insinuazioni crudeli, mi deste delle chiare
istruzioni e dei saldi ragionamenti, provvisti di adeguate prove, sarei disposto a
riconoscere il mio errore e il mio torto: Ammaestratemi, e mi starò in silenzio. Ho infatti
spesso constatato, con piacere e meraviglia, quanto sono efficaci le parole rette. I vostri
metodi non vi daranno mai dei proseliti. La vostra riprensione che vale? Le vostre ipotesi

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 60


sono false, le vostre premesse sono infondate, il vostro ragionamento è debole e la vostra
applicazione è petulante e inumana ». Notate:

1. I buoni ragionamenti sono autorevoli, e c’è da sorprendersi se non hanno sempre


effetto. Gli insulti e le volgarità sono invece impotenti e folli, e non c’è da stupirsi se
rendono esasperati e incalliti.

2. Indubbiamente, ogni uomo onesto desidera sinceramente rettificare i suoi sbagli e


capire dove ha errato, riconoscendo che le parole che si rivelano giuste, anche se contrarie
ai propri sentimenti, sono sia efficaci che gradite.

III. Anche se fosse realmente stato nell’errore, non avrebbero dovuto trattarlo così
duramente: Gb 6:26,27 « Volete dunque biasimar delle parole? Volete impegnarvi con
grande ingegnosità (secondo il significato originale della parola) a biasimare delle mie
espressioni incontrollate pronunciate in queste condizioni disperate, come se fossero prove
sicure di una religiosità e di un ateismo dominante? Un po’di imparzialità e di carità
avrebbero potuto scusarle e interpretarle meglio. La condizione spirituale di un uomo può
forse essere giudicata da qualche parola affrettata, che sgorga da una sventura
inaspettata? È forse giusto, conveniente e cortese criticare un uomo in quelle condizioni?
Vorreste un trattamento del genere? ». Il loro maltrattamento di Giobbe aveva due
aggravanti:

1. Avevano sfruttato la sua condizione di debolezza e di impotenza: Voi vi gittate addosso


all’orfano, Gb 6:27 D un’espressione proverbiale che denota un trattamento del tutto
barbarico e inumano. « Gli orfani non possono proteggersi dagli insulti, per cui gli uomini
ignobili e vigliacchi ne approfittano per offenderli e calpestarli, come avete fatto con me ».
Giobbe, un padre senza più figli, si ritenne suscettibile alle ingiurie come gli orfani, Sl
127:5 e ha quindi motivo di adirarsi contro chi trionfa contro di loro. Chi opprime e
tiranneggia chi può essere considerato, in qualche modo, orfano, non solo rinnega la
compassione umana, ma lotta contro la compassione di Dio, che è e sarà sempre il Padre
degli orfani e il soccorso degli indifesi.

2. Avevano finto di essere gentili: « Scavereste una fossa per il vostro amico. Gb 6:27 ND
Non solo mi trattate male, anche se sono un vostro amico, ma, proprio fingendovi amici,
mi raggirate ». All’inizio, quando erano andati a sederglisi vicino, Giobbe aveva pensato di
potersi esprimere liberamente, credendo che, più amari fossero i suoi lamenti, più
avrebbero cercato di confortarlo. Quella certezza lo aveva spinto a sfogarsi più di quanto
avrebbe fatto altrimenti. Davide, che aveva trattenuto i suoi lamenti quando l’empio gli
stava davanti, li avrebbe probabilmente espressi a degli amici. Sl 39:1 Gli amici di Giobbe
invece, incoraggiandolo, con le loro espressioni di solidarietà, a parlare liberamente, lo
resero vulnerabile alle loro critiche, per cui, in un certo senso, gli scavarono una fossa.
Quando i sentimenti ci ribollono in cuore, tendiamo a ritenere deliberato il male che ci è
fatto.

IV. Anche se aveva espresso dei sentimenti di collera, in linea generale Giobbe aveva
ragione, e le sue afflizioni, seppur molto straordinarie, non dimostravano che era un
ipocrita o un empio. Sostenendo quindi saldamente la sua integrità, si appella, per
dimostrarla:

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 61


1. Al suo aspetto: « Vi piaccia di rivolgervi a guardarmi. Gb 6:28 Che cosa vedete che vi
dia l’idea che io sia un pazzo o un malvagio? Guardatemi in faccia, e potrete vedere i segni
di uno spirito paziente e sottomesso. Il mio aspetto attesti che, anche se ho maledetto il
giorno della mia nascita, non ho maledetto il mio Dio ». Oppure: « Guardate le mie ulcere
e le mie piaghe, e sarà chiaro che non mento, cioè che non mi lamento senza motivo.
Constatate con i vostri occhi che la mia condizione è molto triste e che non contendo con
Dio cercando di farla sembrare peggio di quanto sia ».

2. Alle sue parole: « Avete sentito quello che ho detto. V’è qualche iniquità sulla mia
lingua, Gb 6:30 l’iniquità di cui mi accusate? Ho forse bestemmiato o rinnegato Dio? I miei
ragionamenti non sono forse veri? Dalle mie parole, non pensate che io possa riconoscere
il male? Se posso vedere i vostri sbagli e i vostri errori, mi accorgerei anche dei miei.
Nonostante ciò che pensate, so quello che dico ».

3. Alla loro ragione, perché ripensassero a tutto con serietà: Gb 6:29 « Mutate consiglio,
riconsiderate le cose senza pregiudizi e senza parzialità. Non giungete a conclusioni
malvage o a sentenze ingiuste. Scoprirete che la mia giustizia sussiste, cioè che, riguardo
a questo, ho ragione. Anche se non trattengo le mie passioni come dovrei, mantengo
comunque la mia integrità, e non ho mai detto, fatto o permesso nulla che pregiudichi la
mia reputazione di uomo onesto ». Una giusta causa desidera solo una giusta udienza, e,
se necessaria, una seconda udienza.

Giobbe 7

In questo capitolo, Giobbe continua a esprimere la sua amarezza di fronte alle sue
sciagure e a giustificare il suo desiderio della morte.

I. Si lamenta, di fronte agli amici, dei suoi guai e della sua costante inquietudine. Gb 7:1-6

II. Rivolge le sue rimostranze a Dio, Gb 7:7-21 cioè:

1. Gli chiede di porre fine con la morte alla sua condizione presente. Gb 7:7-10

2. Si lamenta accoratamente delle sue miserie. Gb 7:11-16

3. Si dichiara stupito dall’antagonismo di Dio e chiede il perdono dei suoi peccati e una
rapida liberazione. Gb 7:17-21 È difficile mettere ordine ai discorsi di un uomo che si
definiva quasi disperato. Gb 6:26

Gb 7:1-6

scusa ciò che non può giustificare, compreso il suo ingiusto desiderio della morte. Perché
non avrebbe dovuto desiderare di porre fine alla sua vita, dato che avrebbe marchiato il
termine delle sue miserie? Per sostenere questo ragionamento, descrive:

I. La condizione generale dell’uomo sulla terra: « Vive pochi giorni, e sazio d’affanni. La
vita è breve per tutti, e ognuno ha qualche motivo di desiderare la morte. Perché mi
accusate quindi come se fosse un crimine orrendo? ». Oppure: « Non pensate che il mio
desiderio della morte sia un desiderio di anticipare il momento prefisso da Dio. No, so

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 62


benissimo che è determinato. È in quel senso che mi prendo la libertà di esprimere il mio
tormento presente: Non ha l’uomo un termine della sua milizia in su la terra? E non sono i
suoi giorni simili a quelli di un mercenario? ». Gb 7:1 D Osservate:

1. La sua dimora presente. È sulla terra, che Dio ha data ai figliuoli degli uomini. Sl 115:16
Già la località indica la bassezza e l’inferiorità dell’uomo, che è ben più in basso di quel
mondo nobile ed eccelso! Indica anche la misericordia di Dio, che lo ha messo sulla terra e
non sotto, all’inferno. Siamo sulla terra solo per poco tempo, confinati ai suoi limiti. In
Cielo invece non esistono misure di spazio o di tempo.

2. La sua permanenza in quella dimora. Non c’è forse un termine al nostro soggiorno nella
terra? Certo, ed è chiaro chi l’ha deciso: lo stesso che ci ha creato e che ci ha messo qui.
Non saremo qui per sempre, né a lungo, ma solo per un determinato periodo fissato da
chi ci tiene in mano. Non dobbiamo pensare di essere governati dalla cieca fortuna degli
Epicurei, ma dal saggio, santo e sovrano disegno di Dio.

3. La sua condizione durante quella permanenza. I giorni della nostra vita sono come
quelli di un mercenario. Dobbiamo considerare la nostra condizione nel mondo:

(a) Come quella dei soldati, che conducono un’esistenza dura in mezzo ai nemici. Come
loro, dobbiamo servire e ubbidire a chi ci comanda. Poi, alla fine del servizio, saremo
congedati con onore o disonore, secondo il nostro comportamento in questo corpo.

(b) Come quella dei mercenari, che lavorano a giornata e sono pagati ogni sera.

II. La sua condizione attuale. Riteneva di avere motivo di desiderare la morte quanto un
povero servo o un mercenario esausto dalle fatiche desidera le ombre della sera, per
ricevere il suo soldo e andarsene a riposare. Gb 7:2 L’oscurità della notte è gradita al
lavoratore come la luce del mattino alla sentinella, Sl 130:6 perché gli reca quel periodo di
riposo che il Dio della natura gli ha provveduto: Dolce è il sonno del lavoratore. Ec 5:12 È
un riposo che gli reca più soddisfazione di tutti i piaceri del lussurioso, così come la paga
dà più gioia al mercenario di tutte le polizze del ricco. L’applicazione è concisa e un
po’oscura, ma, con una parola o due di spiegazione, è semplice. Non dobbiamo aspettarci
una precisione di linguaggio da una persona nelle condizioni di Giobbe. « Come lo schiavo
anela l’ombra, allo stesso modo e per lo stesso motivo io desidero la morte. Infatti, così a
me toccan, ecc.. Ascoltiamo il suo lamento:

1. Le sue giornate erano state insulse già da tempo. Non svolgeva più i suoi compiti
perché non gli era più possibile. Ogni giorno era diventato un peso perché non poteva più
far del bene, né qualcosa di utile. Et vitae partem non attigit ullam — Non poteva far nulla
di proficuo nella vita. Li chiama mesi di sciagura. Gb 7:3 Per un giusto, il fatto di non poter
rendersi più utile aggrava le afflizioni della malattia e della vecchiaia. Giobbe non si
lamenta tanto del fatto di non provare più alcun piacere quanto del fatto di non poter più
fare del bene. Sono quindi mesi vani. Se però, non potendo lavorare per Dio, lo serviamo
nella nostra quiete, saremo ugualmente accettati.

2. Le sue notti erano senza riposo. Gb 7:3,4 La notte dà sollievo al travaglio e alla fatica
del giorno, non solo per chi lavora, ma anche per chi soffre. Un po’di sonno, di notte,
giova alla guarigione e incoraggia la speranza. Gv 11:12 In qualunque avversità, dà un

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 63


po’di sollievo alle preoccupazioni, alle afflizioni e alle sofferenze. È una parentesi tra i
dolori. Il povero Giobbe però non aveva neppure quella consolazione.

(a) Le sue notti erano irrequiete. Invece di riposare, si agitava smanioso fino al mattino.
Chi è tormentato dal dolore fisico o dall’angoscia mentale pensa di trovare sollievo
spostandosi o cambiando posizione. Se però la causa non è rimossa, non serve a niente. È
lo stesso per un animo scontento e agitato: continua a muoversi irrequieto, senza trovare
pace. Giobbe detestava quindi la notte quanto lo schiavo l’anela. Già andando a coricarsi,
diceva: Quando sarà passata? Gb 7:4 D

(b) Quelle notti di dolore gli erano state assegnate da Dio, che determina ogni nostro
momento. È bene capire che i momenti dolorosi ci sono assegnati, e quindi rassegnarci,
non solo perché sono inevitabili, ma perché sono stati determinati per un santo fine.
Dobbiamo fare lo stesso se abbiamo delle notti di riposo, e ringraziare Dio. Ci sono molte
persone migliori di noi che non le hanno.

3. Il suo corpo era in una condizione pietosa. Gb 7:5 Le sue piaghe erano coperte di
vermi, le sue croste sembravano zolle di fango e la sua pelle era piena di lacerazioni. Il
corpo umano, contenendo in sé la propria corruzione, è così spregevole che abbiamo ben
poco motivo di viziarlo e di esserne orgogliosi. Possiamo amarlo ora, ma un giorno forse lo
detesteremo e cercheremo di liberarcene.

4. La sua vita si affrettava verso la fine. Gb 7:6 Pensava di non aver motivo di aspettarsi
una lunga vita, perché la vedeva spegnere rapidamente: I miei giorni se ne vanno più
veloci della spola, Gb 7:6 cioè: « Mi resta poco tempo, e ci sono solo pochi grani di sabbia
nella mia clessidra ». In natura, i movimenti si fanno più rapidi vicino al centro. Giobbe
pensava che i suoi giorni fossero quasi finiti perché si riteneva al termine del suo
cammino. Li considerava anzi già passati e non sperava più di ritrovare la prosperità di una
volta. È così per ogni uomo. I nostri giorni sono come la spola del tessitore, sbattuta
rapidamente da un lato all’altro della tela, in un inquieto andirivieni, finché, alla fine,
esaurito il filo, sarà messa da parte, così come noi arrotoliamo la nostra vita. Is 38:12 Il
tempo si affretta e non può essere fermato. Quando passa, non si può ritrovare. In vita,
seminiamo Ga 6:8 e tessiamo. Ogni giorno aggiunge una linea alla tela. Molti tessono una
fragile ragnatela, che verrà meno. Gb 8:14 Se invece ci tessiamo dei paramenti sacri e dei
manti di giustizia, ne godremo quando le nostre opere saranno esaminate e ognuno
mieterà ciò che ha seminato e vestirà ciò che ha tessuto.

Gb 7:7-16

Giobbe, forse notando che gli amici, pur non volendo interromperlo, iniziavano a stancarsi
e non gli davano ascolto, si rivolge a Dio, che ascolta continuamente e che può aiutarci
quando gli altri non possono farlo, perché la sua mano non è troppo corta, né il suo
orecchio sordo. Non dobbiamo però prendere questa preghiera come modello, perché
contiene una gran mescolanza di passione e di corruzione. Se però nemmeno Dio mette in
risalto ogni parola sbagliata, facciamone l’uso migliore. Giobbe implora Dio di liberarlo o di
metter fine alla sua vita. Si presenta a Dio come:

I. Un moribondo, diretto a una morte certa e imminente. Quando siamo ammalati, è bene
pensare alla morte e parlarne, perché la malattia serve proprio a ricordarcela. Poi,

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 64


essendone debitamente consapevoli, possiamo, in fede, ricordarla a Dio, come fa qui
Giobbe: Ricordati che la mia vita è un soffio. Gb 7:7 Si raccomanda a Dio come oggetto
della sua pietà e della sua compassione, ricordandogli che è una creatura debole e fragile
con un’esistenza breve e incerta, che presto e sicuramente avrebbe lasciato, senza potersi
aspettare di ritornarvi. La sua vita, come ogni altra vita umana, è un soffio, forse anche
rumoroso e furioso come il vento, ma vano, vuoto ed effimero, e se ne va per sempre. Dio
ebbe compassione di Israele, ricordando ch’essi erano carne, un fiato che passa e non
ritorna. Sl 78:38,39 Osservate:

1. Le pie riflessioni di Giobbe sulla vita e sulla morte. Possiamo fare tesoro di verità chiare
come queste riguardo alla brevità e alla vanità della vita, e all’inevitabilità e
all’irrimediabilità della morte, traendone applicazioni pratiche. Consideriamo quindi che:

(a) Dovremo presto lasciare tutto ciò che è visibile e temporale. I nostri occhi fisici si
chiuderanno e non vedranno più alcun bene, il bene che la maggior parte delle persone
desidera, quando grida: Chi ci farà veder la prosperità? Sl 4:6 Se stupidamente riponiamo
la nostra felicità nei beni visibili, che cosa faremo quando ci saranno per sempre nascosti?
Cerchiamo quindi di vivere per quella fede che è la certezza e la dimostrazione di cose che
non si vedono.

(b) Dovremo allora passare a un mondo invisibile. Lo sguardo di chi ora mi vede non mi
potrà più scorgere. Gb 7:8 Sarà hades-l’invisibile. La morte conduce i nostri amici e
compagni tra le tenebre, Sl 88:18 e presto porterà via anche noi. Ce ne andremo, e non
saremo più. Sl 39:13 Andremo tra le realtà invisibili ed eterne.

(c) Dio può facilmente e istantaneamente metter fine alla nostra vita e mandarci a un altro
mondo: « Gli occhi tuoi mi cercheranno, ma io non sarò più. Gb 7:8 A tuo piacere, puoi
mandarmi all’al di là e nella tomba con un semplice sguardo ». Se dal tuo sguardo sarò
disapprovato/ io morirò, come fulminato — Sir R. Blackmore. Appena Dio ci toglie il
respiro, moriamo. Anche se solo riguarda la terra, essa trema. Sl 104:29-32

(d) Dall’altro mondo, non torneremo più indietro. Gli uomini passano continuamente da
questo mondo all’altro, ma vestigia nulla retrorsum-non c’è ritorno. « Quindi, Signore,
dimostrami la tua benevolenza qui, perché non la riavrò più in questo mondo ». Oppure:
« Signore, liberami con la morte, che sarà un sollievo perpetuo. Non ritornerò più alle
disgrazie di questa vita ». Non ritorneremo più: [1] Dalla nostra dimora sotto terra: Chi
scende nel soggiorno de’morti non ne risalirà Gb 7:9 fino alla resurrezione finale. Morire è
un atto che si compie una volta per tutte, e va quindi fatto bene. Ogni errore sarà
incorreggibile. Giobbe paragona la vita a una nuvola che svanisce e si dilegua, dissipandosi
nell’aria fino a scomparire per sempre. Potranno formarsi altre nuvole, ma mai la stessa.
Nuove generazioni di uomini nascono, ma quelle passate scompaiono. Se vediamo una
nuvola grande quasi da eclissare il sole e circondare la terra, che poi sparisce totalmente,
dobbiamo riflettere: « È così la vita di ogni uomo. È un vapore che appare per un po’di
tempo e poi svanisce ». [2] Alla nostra abitazione terrena. L’uomo non tornerà più nella
sua casa, Gb 7:10 per godersi dei suoi possedimenti e delle sue occupazioni. I suoi beni
passeranno ad altri che li tramanderanno a loro volta. All’inferno, il ricco chiese che
Lazzaro fosse mandato a casa sua, sapendo che non avrebbe mai potuto chiedere di
essere inviato lui stesso. I santi glorificati non ritornano più alle preoccupazioni, ai pesi e ai
dolori di questa vita, né i peccatori dannati alle sue gioie e ai suoi piaceri. Il luogo dove

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 65


stavano non li riconoscerà più e dovrà più sottostare a loro. È bene assicurarsi di avere un
posto migliore dopo la morte, perché questo non saprà più chi siamo.

2. La sua impetuosa deduzione. Avrebbe potuto trarre una conclusione migliore. Invece
dice: Non terrò chiusa la bocca; io parlerò, mi lamenterò. Gb 7:11 Il pio Davide,
meditando sulla fragilità della vita umana, dichiarò il contrario: Io me ne sto muto, non
aprirò bocca. Sl 39:9 Giobbe, sentendosi prossimo alla morte, si affretta invece a
pronunciare il suo lamento, come se fosse un testamento o come se non potesse morire in
pace senza dar sfogo ai suoi sentimenti. Se ci rimangono solo pochi respiri, dobbiamo
impiegarli nella preghiera e in espressioni di fede e non in manifestazioni di peccato e
corruzione. Meglio morire pregando e lodando Dio che lamentandosi e litigando.

II. Un uomo tormentato, tristemente e dolorosamente oppresso nel corpo e nella mente.
In questa parte del suo discorso Giobbe si dimostra petulante, come se Dio lo avesse
trattato peggio di quanto meritasse: « Son io forse il mare o un mostro marino, Gb 7:12
un mare agitato che va contenuto per dominarne le onde violente o un mostro selvaggio
che dev’essere trattenuto a forza perché non divori tutti i pesci del mare? Sono così forte
che devi darti tanto da fare per fermarmi? Sono così violento che ci vogliono delle afflizioni
così intense per calmarmi e tenermi a bada? ». Quando stiamo male, tendiamo tutti a
lamentarci di Dio e della sua Provvidenza, come se voglia ostacolarci più del dovuto. Al
contrario, ci affligge solo quando e quanto è necessario.

1. Si lamenta di non poter riposare sul suo letto, Gb 7:13,14 un luogo che si associa con il
sonno, quando si è affaticati dal lavoro, dal dolore o dai viaggi. Diciamo: « Il mio letto mi
darà sollievo, il mio giaciglio allevierà la mia pena. Il sonno mi darà un ristoro
temporaneo », come al solito. È fatto per quello. Ci ha dato conforto molte volte, e ogni
volta ci siamo risvegliati freschi e invigoriti. Dobbiamo essere grati di quel riposo. Il povero
Giobbe non ne trovava: il suo letto lo atterriva invece di confortarlo e il suo giaciglio
esasperava i suoi lamenti invece di calmarli. Se si addormentava, era disturbato da incubi
spaventosi. Quando poi quello lo svegliavano, era tormentato da apparizioni orrende. Era
per questo che odiava la notte tanto da dire: Quando mi leverò? Gb 7:4 Notate: Se Dio
vuole, può atterrirci anche quando ci aspettiamo conforto e riposo. Anzi, può far sì che
siamo noi stessi a terrorizzarci. Così come spesso delle fantasie vagabonde possono farci
peccare, Dio può addolorarci con il potere della nostra immaginazione, facendo sì che il
nostro peccato diventi anche la nostra punizione. Anche se i sogni di Giobbe erano forse in
parte causati dalla sua malattia (durante una febbre, o quando il corpo è pieno delle
piaghe del vaiolo, è normale che il sonno sia agitato), abbiamo motivo di sospettare il
coinvolgimento di Satana, che ama terrorizzare chi non può distruggere. Giobbe però si
rivolse a Dio, che aveva permesso a Satana di colpirlo (tu mi sgomenti), pensando
erroneamente che quegli atti di Satana fossero i terrori di Dio che si schieravano in
battaglia contro di lui. È giusto pregare che i nostri sogni non ci agitino con terrori e
tormenti e non ci inducano al peccato. Dobbiamo chiedere a Colui che protegge Israele e
che non sonnecchia né dorme di preservarci durante il nostro sonno. Dobbiamo pregare
che il diavolo non ci faccia peccare, come subdolo serpente o come leone ruggente, e poi
benedire Dio se possiamo giacere senza timori, e se il nostro sonno sarà dolce.

2. Desidera riposare nella tomba, in quel letto dove non ci sono agitazioni, né incubi
spaventosi. Gb 7:15,16

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 66


(a) È stanco della vita e odia anche solo pensarci: « La detesto. Gb 7:16 KJV Ne ho avuto
abbastanza. Non vivrò sempre, non solo in questa condizione di dolore e di miseria, ma
neanche in uno stato di benessere e di prosperità, con il continuo pericolo di finire ancora
in questo modo. I miei giorni sono, a dir poco, una vanità, senza salde consolazioni, e
sempre esposti alla sofferenza. Non voglio rimanere legato a un’esistenza così incerta ».
Note: Se avesse la scelta, il giusto non desidererebbe vivere sempre in questo mondo,
neanche se tutto gli andasse bene, perché è pieno di peccato e di tentazione, e ce n’è un
altro migliore che lo aspetta.

(b) Ama pensare alla morte, che lo attrae. La sua anima (secondo lui, la sua mente, ma in
realtà i suoi impulsi) preferisce soffocare e morire piuttosto che questa vita, Gb 7:15 ND
qualunque genere di morte piuttosto che una vita come la sua. Era senza dubbio un segno
di debolezza. Anche se un giusto non vuole mai rimanere per sempre in questo mondo, e
preferisce una morte violenta al peccato, come i martiri, è tuttavia contento di vivere
quanto piace a Dio, e non sceglie di morire, perché la vita è la nostra opportunità di
glorificare Dio e di prepararci per il Cielo.

Gb 7:17-21

parla ora a Dio:

I. Dei suoi atti verso l’umanità in generale: Che cosa è l’uomo perché tu lo renda grande?
Gb 7:17,18 ND Possiamo considerarla:

1. Una fervente critica contro i procedimenti della giustizia divina, come se il grande Dio si
disonorasse e si sminuisse nel contendere con l’uomo. « I grandi uomini non si abbassano
per rimproverare e correggere le follie e le indecenze di chi gli è molto inferiore. Perché
allora Dio rende tanto grande l’uomo da visitarlo, metterlo alla prova e farci tanto caso?
Perché impiega tutte le sue forze per lottare contro un uomo che non sarà mai al suo pari?
Perché gli dà afflizioni che, come una febbre malarica, ritornano con la regolarità della luce
mattutina, e perché lo mette alla prova ogni momento, per vedere quanto riesce a
sopportare? ». Non comprendiamo Dio e la natura della sua Provvidenza se pensiamo che
prestare attenzione alle sue più umili creature lo degradi. Oppure:

2. Una pia ammirazione della condiscendenza della grazia divina. cfr. Sl 8:4 144:3 Giobbe
riconosce il favore di Dio verso l’uomo in generale, anche se si lamenta delle proprie
sciagure. « Che cosa è l’uomo, una creatura così povera, vile, debole e miserabile, perché
tu, il Dio grande e glorioso, lo tratti in questo modo? Che cos’è l’uomo »,

(a) « Che tu lo onori tanto e lo renda grande, includendolo nella tua alleanza e
permettendolo di avere comunione con te? ».

(b) « Che tu ti interessi tanto a lui, prestandogli attenzione, come un essere che ti è caro e
per cui provi affetto? ».

(c) « Che tu lo visiti ogni mattina con le tue compassioni, come si visita ogni giorno un
caro amico, o come un medico visita ogni mattina i suoi pazienti? ».

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 67


(d) « Che tu lo metta alla prova a ogni istante, sentendogli il polso e osservando il suo
aspetto, come dimostrazione della tua cura attenta e scrupolosa? ». Il fatto che un
lombrico come l’uomo sia amato e favorito dal Cielo basta a riempirci di un’ammirazione
infinita.

II. Dei particolari atti di Dio verso Giobbe. Osservate:

1. Giobbe si lamenta delle sue afflizioni, che esagera (come tendiamo tutti a fare) in tre
espressioni. Si ritiene:

(a) Il bersaglio delle frecce di Dio: « Hai fatto di me il tuo bersaglio. Gb 7:20 Il mio caso è
unico, e nessuno è colpito come me ».

(b) Un peso a se stesso, schiacciato dalla propria vita. Per quante soddisfazioni possiamo
recarci, Dio può, se vuole, renderci di peso a noi stessi. Che conforto possiamo darci se
Dio ci sembra nemico e non possiamo ricevere da lui alcuna consolazione?

(c) Afflitto senza tregua: « Quando cesserai di tener lo sguardo fisso su me e di punirmi, o
quando allevierai le mie pene? Almeno, mi darai tempo d’inghiottir la mia saliva? ». Gb
7:19 Forse l’afflizione di Giobbe lo aveva colpito particolarmente alla gola, quasi
soffocandolo e impedendogli di inghiottire. Si lamentava che il suo male lo stringeva come
la scollatura del suo saio. Gb 30:18 D « Signore », implora, « Non vuoi darmi un po’di
tregua? ». Gb 9:18

2. Si preoccupa dei suoi peccati. Anche gli uomini migliori hanno dei peccati di cui
lamentarsi, e migliori sono, più se ne lamentano.

(a) Giustamente, si considera colpevole di fronte a Dio: Ho peccato. Dio lo aveva definito
un uomo integro e giusto. Giobbe però ammette: Ho peccato. Possiamo definire giusto
anche chi pecca. Chi si pente sinceramente è accettato da Dio tramite un Mediatore, ed è
perfetto in un senso evangelico. Nel ribattere ai suoi amici, Giobbe sosteneva di non
essere un ipocrita o un empio. Di fronte a Dio, però, riconosceva di avere peccato. Il fatto
di essere preservati da grandi peccati non ci dimostra innocenti. Anche le persone migliori
devono ammettere, davanti a Dio, di avere peccato. Giobbe chiama Dio il Guardiano o il
Custode degli uomini, forse come aggravante al suo peccato: « Anche se Dio mi tiene
sempre d’occhio per il mio bene, ho peccato contro di lui ». Quando siamo afflitti, è bene
confessare i peccati che possono esserne la causa. Le confessioni penitenti devono
mettere a tacere i lamenti delle nostre passioni.

(b) Vuole seriamente sapere come fare pace con Dio. « Che opererò inverso te, dopo
avere fatto tanto contro di te? ». Se siamo convinti di aver peccato, e lo riconosciamo, non
possiamo fare a meno di concludere che un’azione sarà necessaria per prevenirne le fatali
conseguenze. Le cose non possono rimanere come stanno. Un rimedio è necessario. Se ci
rendiamo realmente conto del pericolo in cui siamo incorsi, saremo lieti di fare qualunque
cosa per essere perdonati e chiederemo quindi che cosa dobbiamo fare Mi 6:6,7 per Dio,
non per soddisfare le esigenze della sua giustizia (che solo il Mediatore può fare), ma per
poter ricevere il suo favore, secondo le stipulazioni del patto evangelico. In questa nostra
inchiesta, è bene vedere Dio come il guardiano o il Salvatore degli uomini, e non come il
distruttore. Nel pentirci, dobbiamo ricordarci che Dio è buono e non ha piacere nella

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 68


distruzione delle sue creature, ma preferisce che si convertano dalle loro vie per vivere.
« Tu che sei il Salvatore dell’umanità, sii il mio. Mi metto ai tuoi piedi, supplicando
misericordia ».

(c) Implora ardentemente il perdono dei suoi peccati. Gb 7:21 Il fervore del suo spirito
che, da un lato, aveva reso più mordaci i suoi lamenti, d’altro lato rendeva più ardenti e
insistenti le sue preghiere: « Perché non perdoni le mie trasgressioni? Non sei forse un Dio
infinitamente misericordioso, disposto a perdonare? Non sei stato tu a condurmi al
pentimento? Perché allora non perdoni i miei peccati, per farmi udire di nuovo la voce
della gioia e dell’allegrezza? ». Certamente non si riferisce solo a una salvezza dai suoi
guai, ma desidera ardentemente il ritorno del favore di Dio, che aveva rimpianto. Gb 6:4
« Signore, perdona i miei peccati e dammi il conforto di quel perdono, perché possa
sopportare più facilmente le mie afflizioni ». Mt 9:2 Is 33:24 Quando la misericordia di Dio
perdona le nostre trasgressioni, la sua grazia cancella l’iniquità che regna nel nostro cuore.
Quando Dio toglie la colpa, spezza il potere del peccato.

(d) Accentua la sua richiesta di perdono con la prospettiva della sua morte imminente:
Presto giacerò nella polvere. La morte ci riporterà alla polvere, dove dormiremo, forse
presto. Giobbe si era lamentato di non poter dormire di notte e di non trovare requie. Gb
7:3,4,13,14 Chi non può dormire su un letto di piume dormirà presto in un letto di polvere,
senza più incubi o agitazioni: « Tu mi cercherai, per mostrarmi il tuo favore, ma io non
sarò più. Sarà troppo tardi. Se i miei peccati non sono perdonati finché sono in vita, sarò
perduto e rovinato per sempre ». Notate: La considerazione della nostra morte imminente
e forse improvvisa dovrebbe spronarci a cercare il perdono dei nostri peccati e la
cancellazione delle nostre iniquità.

Giobbe 8

Come i suoi messaggeri, che si erano susseguiti per portargli le brutte notizie, gli amici di
Giobbe gli rivolgono ora una lunga successione di aspre critiche, anch’essi inconsapevoli di
servire ai fini di Satana. I messaggeri erano serviti a Satana nel suo tentativo di privare
Giobbe della sua integrità, e gli amici gli erano serviti per cercare di sottrargliene le
consolazioni. Elifaz non risponde alle repliche di Giobbe, ma lascia la parola a Bildad,
sapendo che la pensava come lui a quel proposito. In un dibattito, chi insiste per avere
sempre la parola si dimostra il più debole e il più stolto. Ognuno abbia il suo turno. 1Co
14:30,31 Elifaz aveva cercato di dimostrare che la grave afflizione di Giobbe confermava la
sua malvagità. Bildad è d’accordo, e conclude che Giobbe rivelerà di essere empio se Dio
non verrà subito a salvarlo. In questo capitolo cerca di convincerlo che:

I. Le sue parole erano state troppo impetuose. Gb 8:2

II. Lui e i suoi figli avevano sofferto giustamente. Gb 8:3,4

III. Se fosse davvero pentito, Dio verrebbe ben presto a salvarlo. Gb 8:5-7

IV. C’era motivo di sospettare che fosse un ipocrita perché la Provvidenza spegne spesso
le gioie e le speranze degli empi, così come aveva spento le sue. Gb 8:8-19

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 69


V. I loro sospetti sarebbero stati confermati, a meno che Dio non fosse intervenuto
immediatamente per salvarlo. Gb 8:20-22

Gb 8:1-7

In questo brano,

I. Bildad rimprovera le parole di Giobbe Gb 8:2 e la sua impetuosità, forse (come avviene
spesso) con altrettanta veemenza. Il discorso di Giobbe era sembrato per lo più
assennato, pertinente, logico e giusto. Bildad invece, dimostrandosi ansioso di esprimere
la sua collera, inizia dicendo: Fino a quando terrai tu questi discorsi? Prendendo per
scontato il fatto che le parole di Elifaz fossero state sufficienti a metterlo a tacere,
considera impertinente la sua risposta. Come fa notare Caryl, i rimproveri sono spesso
fondati su presupposizioni errate. Si basano delle accuse di empietà su semplici malintesi.
Bildad paragona il discorso di Giobbe a un vento impetuoso. Giobbe si era scusato dicendo
che le sue parole non erano altro che vento, Gb 6:26 D e che quindi non dovevano farci
tanto caso. « È vero », dice Bildad, « ma sono un vento impetuoso, violento, imperverso,
minaccioso e pericoloso, e dobbiamo frenarlo ».

II. Giustifica gli atti di Dio. Non aveva motivo di farlo, perché Giobbe non lo aveva
condannato, come Bildad voleva lasciar pensare. Per lo meno, avrebbe potuto farlo senza
accusare i suoi figli, come fa qui. Non poteva difendere Dio senza accusare i fratelli?

1. In senso generico, ha ragione: Dio non perverte il giudizio, cioè non contrasta mai le
regole della giustizia. Gb 8:3 Non sia mai che lo faccia e non sia mai che lo sospettiamo di
farlo! Non ha mai oppresso gli innocenti e non ne ha mai aggravato le colpe. È il Dio
giudice. Il giudice di tutta la terra non farà egli giustizia? Ge 18:25 Se Dio è ingiusto, come
giudicherà egli il mondo? Ro 3:5,6 È Onnipotente, Shaddai-l’Iddio sufficiente. Gli uomini a
volte pervertono il giudizio per paura del potere di altri, ma Dio è Onnipotente e non teme
nessuno. A volte lo fanno per accattivarsi altre persone, ma Dio è del tutto sufficiente e
non ha bisogno del favore di nessuno. Le frequenti ingiustizie umane dimostrano che
l’uomo è debole e impotente, mentre l’imprescindibile giustizia di Dio è un segno della sua
onnipotenza.

2. Nell’applicazione di quel principio, Bildad non è però giusto e imparziale. Dà per certo
che i figli di Giobbe (la cui morte era stata una delle sue più grandi afflizioni) erano stati
colpevoli di qualche gran male, e che le dolorose circostanze della loro morte bastavano a
dimostrare che erano i più grandi peccatori dell’oriente. Gb 8:4 Giobbe aveva prontamente
ammesso che Dio non perverte il giudizio, ma da quel presupposto non si poteva
necessariamente dedurre che i suoi figli fossero stati dei reprobi puniti per qualche grande
trasgressione. È vero che tutti noi e i nostri figli abbiamo peccato contro Dio, ed egli è
quindi giustificato in ogni sua azione nei nostri confronti. L’eccezionalità di un’afflizione
non rappresenta però necessariamente la punizione di peccati straordinari, ma, a volte,
solo la prova di grazie prodigiose. Nel giudicare la condizione degli altri, a meno che non
abbiamo prove del contrario, dobbiamo trarre benevoli conclusioni, come ci insegna il
nostro Salvatore. Lu 13:2-4 Il ragionamento di Bildad non si regge.

III. Lascia a Giobbe la speranza che, se fosse realmente giusto come diceva di essere, i
suoi guai sarebbero finiti bene: « Anche se i tuoi figliuoli han peccato contro lui, ed egli li

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 70


ha dati in bal í a del loro misfatto (lasciandoli morire in una condizione di peccato), se tu
sei puro e integro e, per dimostrarlo, cerchi Dio e ti sottometti a lui, tutto andrà bene ».
Gb 8:5-7 Possiamo dare due interpretazioni a questo suggerimento, che poteva essere
inteso:

1. A dimostrare che Giobbe era un ipocrita e un empio, se non per l’intensità delle sue
afflizioni, certamente per la loro continuità. « Quando hai perso le tue ricchezze, compresi
i tuoi figli, se tu fossi stato puro e integro e ti fossi dimostrato tale anche durante quella
prova, Dio ti avrebbe dimostrato misericordia, confortandoti proporzionatamente alla
durata delle tue afflizioni. Dato che non l’hai fatto, abbiamo motivo di concludere che non
sei giusto e puro come pretendi di essere. Se ti fossi comportato bene durante la prima
afflizione, non ne avresti ricevuta un’altra ». Bildad si sbagliava. Un giusto può essere
messo alla prova con afflizioni non solo molto dolorose, ma lunghissime, che però, in
confronto all’eternità, durano sempre solo un momento. Dato che però Bildad seguiva quel
filo logico, Dio si compiacque in seguito di attenervisi, dimostrando, anche in quegli stessi
termini, che Giobbe era un uomo onesto. Ben presto, infatti, benedì i suoi ultimi anni più
dei primi. Oppure era inteso:

2. A consigliare e a incoraggiare Giobbe, perché non si disperasse, pensando che fosse la


sua fine. Se si fosse comportato bene, avrebbe avuto speranza. Secondo me, Bildad
voleva condannare Giobbe, lasciando però intendere di volerlo guidare e consolare.

(a) Forse senza aspettarsi che fosse accolto, gli dà lo stesso buon consiglio di Elifaz, Gb
5:8 cioè di ricorrere a Dio più volte, di ritornare a lui nel pentimento, seriamente e senza
indugi. Gb 8:5 KJV Gli consiglia di non lamentarsi, ma di pregare, implorando grazia
dall’Onnipotente con fede e umiltà, assicurandosi di mantenere ciò che Bildad sospettava
invece che gli mancasse, cioè la sincerità d’animo (« devi essere puro e integro ») e
l’onestà negli affari domestici. « Dev’essere così la dimora della tua giustizia, e non piena
di averi acquisiti ingiustamente, o Dio non ascolterà le tue preghiere ». Sl 66:18 Solo la
preghiera degli uomini retti è accettata ed esaudita. Pr 15:8

(b) Gli dà speranza che avrebbe visto dei giorni migliori, sospettando però segretamente il
contrario. Lo assicura che, se avesse cercato Dio senza esitazioni, Dio si sarebbe ricordato
di lui e sarebbe ritornato a lui, mentre ora sembrava che lo avesse dimenticato e
abbandonato. Lo assicura inoltre che, se la sua dimora fosse stata giusta, sarebbe stata
anche prospera. È sempre meglio essere onesti, e la pietà è amica della prosperità.
Quando svolgiamo il nostro dovere verso Dio abbiamo motivo di sperare che ci dimostri
misericordia. Giobbe non aveva ragione di obiettare che, essendogli rimasto così poco, non
avrebbe mai riavuto la prosperità di prima. « Anche se così sarà piccolo il tuo principio,
solo una manata di farina in un vaso, e un po’d’olio in un orciolo, le benedizioni di Dio lo
moltiplicheranno abbondantemente ». È così che Dio arricchisce il suo popolo,
concedendogli grazie e consolazioni, non per saltum con un gran salto, ma per gradum —
gradatamente. L’inizio può essere piccolo, ma si progredisce fino alla perfezione. La luce
dell’alba continua a crescere fino al mezzogiorno e un granello di senapa diventa un
grande albero. Non disprezziamo quindi il giorno delle piccole cose, ma aspettiamoci quelle
grandi.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 71


Gb 8:8-19

Bildad fa ora un ottimo discorso sulla triste distruzione degli ipocriti e dei malfattori e sulla
fine di tutte le loro gioie e speranze. Non arriva al punto di affermare, come Elifaz, che
nessun giusto fu mai distrutto. Gb 4:7 Prende però per scontato che Dio, nel corso della
sua Provvidenza, conduce alla rovina e al disonore degli empi che appaiono ricchi e
religiosi. Troncando quindi la loro prosperità, dimostra la falsità della loro religiosità. Non
dice espressamente che chi è rovinato è anche necessariamente un ipocrita, ma lo lascia
pensare, rendendone facile la deduzione.

I. Dimostra questa verità della certa distruzione di tutte le gioie e le speranze degli ipocriti
appellandosi ai sentimenti e alle osservazioni di tutti gli uomini giusti e sapienti
dell’antichità. Non c’è dubbio infatti che, se non in questa vita, certamente nella prossima,
gli ipocriti saranno privati di ogni successo e di ogni oggetto della loro fiducia. Che Bildad
lo avesse inteso in questo modo o meno, dobbiamo interpretarlo così. Osserviamo come lo
dimostra: Gb 8:8-10

1. Non insiste sul proprio giudizio o su quello dei suoi compagni: Noi siam d’ieri e non
sappiamo nulla. Gb 8:9 Aveva capito che Giobbe non aveva una gran stima delle loro
abilità. « Riconosciamo », dice quindi, « di non sapere niente. Siamo disposti a confessare
la nostra ignoranza così come tu sei pronto a condannarla. In confronto all’eternità, siamo
nati ieri, e i nostri giorni sulla terra non son che un’ombra, brevi, effimeri e transitori. Di
conseguenza »,

(a) « Non siamo prossimi alla fonte della rivelazione divina (che allora, da quanto sembra,
era tramandata oralmente) » « come gli antichi. Dobbiamo quindi scrutare le loro opinioni
e ricordare ciò che ci è stato trasmesso ». Sia lodato Dio, perché ora che abbiamo la sua
parola scritta da ricercare, non dobbiamo interrogare le passate generazioni o riflettere
sull’esperienza dei nostri padri. Anche se siamo tutti nati ieri, la parola di Dio nelle
Scritture è vicina a noi come era a loro, Ro 10:8 ed è la parola profetica, più ferma, alla
quale facciamo bene di prestare attenzione. Se ci sforziamo di osservare i precetti di Dio,
possiamo avere più intelligenza dei vecchi. Sl 119:99,100

(b) « Non viviamo a lungo quanto i nostri antenati, e quindi non possiamo fare altrettante
osservazioni sui metodi della Provvidenza divina e non possiamo giudicare un caso come
questo con la stessa competenza ». Notate: La brevità della vita e la fragilità e debolezza
del corpo ostacolano molto la nostra conoscenza. Vita brevis, ars longa-La vita è breve,
l’arte è duratura.

2. Fa riferimento alla testimonianza degli antichi e ai loro sentimenti, che Giobbe stesso
conosceva. « Interroga le passate generazioni, e lascia che ti diano non solo il loro giudizio
a questo proposito, ma il giudizio dei loro padri. Gb 8:8 T’insegneranno e quindi ti
informeranno Gb 8:10 che Dio, anche ai loro tempi, ha sempre punito i malvagi. Lo
trarranno dal loro cuore. È un insegnamento in cui hanno creduto fermamente, che li ha
colpiti e che vogliono far conoscere agli altri ». Notate:

(a) Per comprendere bene la Provvidenza divina, soprattutto nelle questioni più difficili, è
utile confrontare le osservazioni e le esperienze dell’antichità con gli eventi attuali,

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 72


consultando la storia, e particolarmente la storia sacra, che è la più antica, infallibilmente
vera e scritta specificamente per istruirci.

(b) Per ottenere la conoscenza degli antichi è necessaria un’accurata ricerca, che richiede
riflessione e impegno.

(c) Le parole che più toccano il cuore degli allievi sono quelle che sgorgano dal cuore degli
insegnanti. Insegna bene chi trae le parole dal cuore e chi parla per esperienza, e non per
ripetizione, di cose spirituali e divine. Il dott. Patrick suggerisce che Bildad, essendo un
discendente di Suac, che era uno dei figli di Abramo e Chetura, Ge 25:2 si riferisce
particolarmente alle ricompense garantite per benedizione divina alla posterità del fedele
Abramo (che era rimasto fedele alla sua religione fino ad allora e continuò a esserlo in
seguito) e all’estirpazione di quei popoli orientali, vicini di Giobbe (essendosi stabiliti nel
suo paese), come punizione per la loro empietà. Vuole quindi lasciare intendere che Dio
abitualmente fa prosperare i giusti e sradica i malvagi, anche se possono star bene
temporaneamente.

II. Illustra questa verità per mezzo di similitudini.

1. Le speranze e le gioie dell’ipocrita sono paragonate a un papiro o a un giunco, Gb 8:11-


13 i quali:

(a) Crescono tra l’acqua e il fango. L’ipocrita ha bisogno di fondamenta marce su cui
fondare le sue speranze, sostenerle e mantenerle in vita, così come il papiro ha bisogno
della fanghiglia. Le basa quindi sulla sua prosperità materiale, sulla sua ingannevole
professione di religiosità, sulle buone opinioni degli altri e sulla stima che ha di se stesso.
Sono fondamenta d’acqua e di fanghiglia, e le speranze che vi si fondano sono solo un
giunco o un papiro.

(b) Possono sembrare verdi e rigogliosi per un po’di tempo (il papiro è più alto dell’erba),
ma sono leggeri e vuoti e non servono a niente. Sono tutta apparenza.

(c) Seccano rapidamente, prima di tutte l’erbe, Gb 8:12 mentre son verdi ancora. Notate:
Anche le migliori condizioni degli ipocriti e dei malfattori si avvizziscono in fretta, mentre
sembrano ancora fiorenti. L’erba è segata e si secca, Sl 90:6 ma il papiro secca senza che
lo si tagli, prima di crescere. Sl 129:6 Non avendo utilità, non dura a lungo. Tale la sorte di
tutti quelli che dimenticano Dio. Gb 8:13 Finiscono come il papiro, perché la speranza
dell’ipocrita perisce. Notate: [1] La dimenticanza di Dio sta alla base dell’ipocrisia umana e
delle vane speranze con cui gli ipocriti si illudono e si ingannano. Si è ipocriti quando si
dimentica che Dio esamina i cuori, esigendone la sincerità, e che è uno Spirito che tiene
continuamente d’occhio il nostro. Gli ipocriti, inoltre, possono nutrire le proprie speranze
solo dimenticando che Dio è giusto e che non si lascia ingannare da chi vuole dargli in
offerta delle vittime zoppe e rubate. [2] Sono speranze ingannatrici. Anche se, per un
breve tempo, possono fiorire, alla fine crollano, trascinando gli ipocriti con loro.

2. Le speranze e le gioie dell’ipocrita sono paragonate anche a una tela di ragno o


(secondo la nota al margine) a una casa di ragno. Gb 8:14,15

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 73


(a) Sono un prodotto delle loro viscere, create dalla loro immaginazione e fondate solo su
un loro concetto di autostima e di autosufficienza. C’è una gran differenza tra l’opera
dell’ape e quella del ragno. Un Cristiano diligente, come l’ape laboriosa, trae ogni sua
consolazione dalla rugiada celeste della parola di Dio. L’ipocrita invece, come l’infido
ragno, intreccia il suo conforto su delle false ipotesi personali riguardo a Dio, come se
fosse del tutto come lui.

(b) Le amano come il ragno ama la tela. Se ne compiacciono, se le avvolgono intorno, le


considerano la loro casa, ci s’appoggiano e vi s’aggrappano. Il ragno può essere preso con
le mani, eppur si trova nei palazzi dei re. Pr 30:28 Allo stesso modo, chi ama il mondo si
tiene stretto l’abbondanza e la solidità della sua prosperità, ne è orgoglioso come se fosse
il suo palazzo, si sente al sicuro come se fosse in un castello e la usa come il ragno usa la
tela, cioè per catturare chi vuole. Allo stesso modo, chi fa solo una formale professione di
fede si lusinga da solo. Certo della propria salvezza e di poter andare in cielo, inganna il
mondo con quelle sue illusioni.

(c) Saranno facilmente e certamente distrutte, come la ragnatela è spezzata dalla scopa,
quando Dio viene a ripulirsi la casa. La prosperità di chi ama questo mondo verrà meno
proprio quando più si aspetterà di trovarvi sicurezza e felicità. Mentre cercherà di tenersi
stretti i suoi averi, Dio glieli strapperà di mano. Di chi saranno tutte le cose che si sarà
acquisito? A che cosa gli gioveranno? La fiducia degli ipocriti li deluderà. Io vi dico che non
so d’onde voi siate. La casa costruita sulla sabbia crollerà nella tempesta, quando i padroni
ne avrebbero più bisogno e si aspetterebbero di trovarvi rifugio. Quando un empio muore,
la sua speranza perisce. Il fondamento delle sue speranze si dimostrerà falso, e gli lascerà
solo delusione e interminabile disperazione. La sua fiducia sarà troncata e la sua tela, dove
avrà riposto le sue menzogne, sarà distrutta insieme a lui.

3. L’ipocrita è paragonato a un albero rigoglioso e ben radicato al suolo che, anche se non
avvizzisce da solo, sarà facilmente tagliato e il luogo dove stava non lo riconoscerà più. Il
peccatore prospero e sicuro di sé può offendersi a sentirsi paragonare a un papiro o a un
giunco. Pensa infatti di avere radici più salde. « Possiamo concedergli quell’illusione », dice
Bildad, « e dargli tutto il vantaggio che vuole, ma sarà distrutto improvvisamente ». È lo
stesso paragone del sogno di Nabucodonosor. Da 4:10

(a) È un albero imponente e rigoglioso, Gb 8:16 un albero verde, Sl 37:35 che verdeggia
al sole, cioè rimane verde nonostante l’arsura, e i suoi rami si protendono con la
protezione del muro di cinta e con il beneficio del buon suolo. È saldo e ha radici profonde.
Non teme i venti, perché le sue radici si intrecciano alle pietre. Gb 8:17 Cresce in un
terreno solido e non tra il fango e l’acqua, come il papiro. L’empio, se prospera, si sente al
sicuro: la sua ricchezza è un’alta muraglia nella sua immaginazione.

(b) Lo vediamo però abbattuto e dimenticato, divelto dal suo luogo, Gb 8:18 estirpato fino
a non lasciare nemmeno un segno della sua esistenza. Il luogo stesso dirà: Non ti ho mai
veduto, e i passanti gli faranno eco. L’ho cercato, ma non s’è più trovato. Sl 37:36 Per un
po’di tempo, era stato vistoso ed esuberante, ma poi è svanito improvvisamente, senza
lasciare loro né radice né ramo. Ml 4:1 Ecco il gaudio (cioè, la fine e la conclusione) che
procura all’empio la sua condotta. Gb 8:19 Sarà la sua unica gioia. La via degli empi mena
alla rovina. Sl 1:6 Aveva pensato che le sue speranze si sarebbero mutate in gioia, ma
l’unica gioia sarà questa. La raccolta ti sfugge nel d ì dell’angoscia, del disperato dolore. Is

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 74


17:11 È il meglio che potrà ricevere. Quale sarà allora il peggio? Non si lascerà dietro una
famiglia che goda dei suoi averi? No, dalla polvere (non dalle sue radici) altri dopo lui
germoglieranno, altri che non gli sono imparentati, e prenderanno il suo posto,
governando su ciò per cui lui ha faticato. Altri (cioè, altri di simile indole e disposizione)
verranno in sua vece, con la stessa sicurezza, senza dar retta a questo avvertimento. La
via di chi ama questo mondo è la sua follia, eppure c’è chi approva i suoi detti. Sl 49:13

Gb 8:20-22

Per concludere, Bildad riassume il suo discorso in poche parole, evidenziando la


contrapposizione tra vita e morte, e tra benedizione e maledizione, insistendo che, dato
che ci troviamo in determinate condizioni in virtù di ciò che siamo, possiamo concludere
che le condizioni riflettono ciò che siamo.

1. Da un lato, se Giobbe fosse stato un uomo retto e integro, Dio non lo avrebbe rigettato.
Gb 8:20 Anche se sembrava che lo avesse abbandonato, sarebbe ritornato a lui e, pian
piano, avrebbe mutato il suo duolo in danza. Sl 30:11 Lo avrebbe confortato tanto da
rendere ancora il sorriso alla sua bocca. Gb 8:21 Sarebbe stata una trasformazione
profonda. Sl 126:2 Chi lo amava avrebbe condiviso la sua gioia, mentre chi lo odiava e chi
era stato felice della sua distruzione si sarebbe vergognato della sua insolenza, vedendolo
nuovamente prospero. È vero che Iddio non rigetta l’uomo integro. Può abbatterlo
temporaneamente, ma non lo abbandona per sempre. È anche vero che, se non in questo
mondo, almeno nell’altro, le labbra dei giusti saranno piene di canti di esultanza. Anche se
il sole tramonterà forse tra le nubi, sorgerà in un cielo per sempre limpido. Il dolore che li
accompagnerà forse alla tomba non li ostacolerà dall’entrare nella gioia del loro Signore. È
vero che i nemici dei santi saranno coperti di vergogna quando li vedranno incoronati di
onore, ma ciò non significa che, se a Giobbe non fosse ridata la stessa prosperità di prima,
avrebbe smesso di essere un uomo integro.

2. D’altro lato, se Giobbe fosse stato un empio e un malfattore, Dio non lo avrebbe
aiutato, ma lo avrebbe lasciato morire tra i suoi guai, Gb 8:20 e la sua tenda sarebbe
sparita. Gb 8:22 È anche vero che Dio non porge aiuto a quelli che fanno il male, dato che
rifiutano di stare sotto la sua protezione e respingono il suo favore. Non prende per mano
i malvagi (secondo la nota al margine), cioè non vi si associa e non ha comunione con
loro. Qual comunione può esserci fra la luce e le tenebre? Non tenderà la mano per
salvarli da quelle miserie eterne in cui si sono gettati da soli. Saranno loro a tendergli la
mano implorando il suo aiuto, ma sarà troppo tardi: non li prenderà per mano. Fra noi e
voi è posta una gran voragine. È vero che la tenda degli empi, prima o poi, sparirà. Solo
chi fa di Dio il proprio rifugio è per sempre al sicuro. Sl 90:1; 91:1 Chi si rifugia in altre
cose sarà deluso. Il peccato porta individui e famiglie alla rovina. D’altro lato, però, non
era giusto o caritatevole concludere (come senza dubbio Bildad cercava di fare) che
Giobbe era certamente un empio solo perché la sua famiglia era stata distrutta e lui al
momento sembrava indifeso, a meno che non ci fossero altre prove della sua malvagità e
irreligiosità. Non giudichiamo nulla prima del tempo, ma aspettiamo finché tutti i segreti
degli animi umani saranno manifesti e finché gli arcani della Provvidenza saranno svelati
universalmente ed eternamente, quando si compirà il mistero di Dio.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 75


Giobbe 9

In questo capitolo e nel seguente troviamo la risposta di Giobbe al discorso di Bildad.


Giobbe parla con timore di Dio, umilmente di se stesso e appassionatamente dei suoi guai.
Non accusa però i suoi amici, rinfacciando la loro villania, né risponde direttamente alle
parole di Bildad. Saggiamente, si attiene all’argomento in questione, senza fare riferimento
a chi lo ha esposto e senza cercare di provocare un alterco. Troviamo qui:

I. Un’esposizione della dottrina della giustizia divina. Gb 9:2

II. La dimostrazione di questa dottrina, traendo prove dalla sapienza, dal potere e dalla
sovranità di Dio. Gb 9:3-13

III. La sua applicazione, nella quale Giobbe:

1. Si autocondanna, definendosi incapace di contendere con Dio a parole o in vero e


proprio conflitto. Gb 9:14-21

2. Ribatte la sua tesi che non si può giudicare il carattere di un individuo basandosi sulle
sue condizioni esteriori. Gb 9:22-24

3. Si lamenta della severità dei suoi mali, della sua confusione e della sua incapacità di
scegliere cosa dire e cosa fare. Gb 9:25-35

Gb 9:1-13

Bildad aveva iniziato rimproverando Giobbe di aver parlato troppo. Gb 8:2 Giobbe non
risponde, anche se gli sarebbe stato facile dire la stessa cosa di lui. Concorda però con lui
riguardo al fatto che Dio non perverte mai il giudizio: S ì, certo, io so ch’egli e cos ì. Gb 9:2
Notate: In ogni disputa, dobbiamo essere pronti ad ammettere ciò che riteniamo vero
nelle parole degli altri, senza minimizzare una verità sostenuta da un nostro opponente
contro di noi, né tanto meno resisterle. Dobbiamo riceverla nella sua giusta luce e per
amore di quella verità, anche se può essere applicata male. « È cos ì, l’empietà conduce
alla rovina, mentre chi ama Dio è sotto la sua protezione speciale. Sono verità che accetto.
Ma come si fa a meritarsi qualcosa da Dio? ». Nessun vivente sarà trovato giusto nel suo
cospetto. Sl 143:2 Come sarebbe il mortale giusto davanti a Dio? Secondo alcuni, è un
fervente lamento della durezza e della severità di Dio, con cui non si può venire a patti.
Non si può negare che, in questo capitolo, Giobbe abbia usato delle espressioni petulanti
che lasciano pensare a un messaggio del genere. Secondo me, invece, esprime una pia
confessione dello stato peccaminoso dell’uomo, e in particolar modo del suo, riconoscendo
che, se Dio trattasse qualunque essere umano secondo le sue iniquità, non si avrebbe
certamente speranza.

I. Giobbe sostiene come dato di fatto che l’uomo non può contendere con il suo Creatore,
né in una disputa, né in combattimento.

1. Nelle dispute: Se all’uomo piacesse di piatir con Dio, in questioni di legge o in


discussioni, non potrebbe rispondergli sovra un punto fra mille. Gb 9:3

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 76


(a) Dio può fare mille domande inquietanti alle quali chi discute con lui e critica i suoi
procedimenti non può dare risposta. Quando parlò a Giobbe dal seno della tempesta, gli
fece molte grandi domande (Sai tu? Puoi?) a cui Giobbe non poté ribattere. Gb 38,39 Gli è
facile dimostrare l’assurdità di chi più si finge saggio.

(b) Può attribuirci mille colpe e formulare contro di noi mille accuse, senza che noi
possiamo scagionarci nemmeno da una. Dobbiamo acconsentire in silenzio. Sono tutte
vere. Non possiamo dire che una non è pertinente, che un’altra è futile, o che un’altra è
falsa. Non possiamo negare di averne commessa una e dichiararci innocenti, o negare che
un’altra rappresenti una colpa, e quindi confessare, ma con una giustificazione. No, non
possiamo rispondere a Dio. Dobbiamo metterci la mano sulla bocca, come fece Giobbe, Gb
40:4,5 e dire solo: Colpevole, colpevole!

2. In combattimento: « Chi gli ha tenuto fronte e se n’è trovato bene? ». Gb 9:4 La


risposta è semplicissima. Non si può trovare un solo esempio, dall’inizio del mondo fino a
ora, di un peccatore sfrontato che si sia indurito contro Dio, insistendo a ribellarsi contro di
lui, senza però trovarsi svantaggiato e senza dover pagare caramente per la sua follia.
Quei trasgressori non hanno mai avuto prosperità, pace, consolazioni e successo. Che
cos’ha mai vinto l’uomo nel far gara di abilità o di potere con il suo Creatore? Opporsi a
Dio è come mettere rovi e pruni davanti a un fuoco. È un tentativo sciocco, inutile e
distruttivo. Is 27:4 Ez 28:24 1Co 10:22 Gli angeli apostati hanno tenuto fronte a Dio, ma
non si sono trovati bene. 2Pi 2:4 Il dragone lotta, ma è gettato giù. Ap 12:9 Gli empi
fanno resistenza a Dio, mettendo in discussione la sua saggezza e disubbidendo alle sue
leggi, senza pentirsi dei loro peccati e senza lasciarsi correggere dalle sue afflizioni.
Respingono le offerte della sua grazia e resistono agli impulsi del suo Spirito. Non si
curano delle sue minacce e ostacolano il suo dominio in questo mondo. Si trovano però
bene? Potranno mai farlo? No, si accumulano un tesoro d’ira per il giorno dell’ira. Rotolano
una pietra che ricadrà su di loro.

II. Lo dimostra facendo notare gli attributi di quel Dio di cui stavano parlando: È savio di
cuore, per cui non possiamo contraddirlo con le parole. È grande in potenza, per cui non
possiamo combatterlo. È assolutamente pazzo pensare di poter contendere con un Dio
infinitamente saggio e potente, che sa tutto, può fare qualunque cosa e non potrà mai
essere superato. Il diavolo si era aspettato che Giobbe avrebbe maledetto e denigrato Dio.
Invece, lo onora e lo esalta. Nonostante tutto il suo dolore e le sue miserie, quando ha
occasione di parlare della sapienza e del potere di Dio, dimentica le lamentele e pensa solo
alle sue gioie, dilungandosi su quell’argomento nobile e utile con un discorso
eloquentissimo. Trae delle prove della sapienza e del potere di Dio:

1. Dal regno naturale, in cui il Dio della natura agisce con un potere incontrollabile e fa
quel che gli piace, perché tutte le regole e le forze naturali derivano da lui e dipendono da
lui.

(a) A suo piacere, altera il corso della natura e riversa il flusso delle acque. Gb 9:5-7 Per
comuni leggi naturali, le montagne rimangono ferme e sono quindi chiamate monti eterni,
e la terra resta fissa e irremovibile. Sl 93:1 Il sole si alza al momento prefissato e le stelle
influenzano questo mondo. Se però Dio lo desidera, può non solo farli deviare dal corso
normale, ma invertire ogni ordine e cambiare ogni legge. [1] Niente è più fermo delle
montagne. Muoverle è sinonimo dell’impossibilità. Eppure il potere divino può sradicarle:

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 77


Trasporta le montagne senza che se ne avvedano. Le sposta, volenti o nolenti. Può
soggiogarle, abbatterle e sconvolgerle con la sua ira. Può spianarle come il lavoratore
spiana i cumuli di terra, per grandi e rocciosi che siano. Gli uomini fanno tanti sforzi per
oltrepassarle, ma Dio può addirittura eliminarle. Fece tremare il Sinai. Sl 68:8 I colli
saltarono. Sl 114:4 I monti eterni si frantumarono. At 3:6 [2] Niente rimane più fisso della
terra sul suo asse. Dio però può scuoterla dalle sue basi, sollevarla dal suo centro, e far
tremare le sue colonne. Il suo stesso sostegno avrà bisogno di essere sostenuto quando
Dio la scuoterà. Notate quanto gli siamo debitori per la sua pazienza. Dio ha abbastanza
potere da far tremare la terra sotto i piedi di questo empio genere umano che la fa
gemere sotto il peso dei suoi peccati, e da scuoterne via i malvagi, Gb 38:13 eppure la
preserva, insieme all’umanità che la abita, senza farle sempre inghiottire i ribelli come
aveva fatto una volta. [3] Niente è più costante del sorgere del sole, che non devia mai
dai tempi prefissati. Eppure Dio, se vuole, può sospenderlo. Fu il primo a farlo sorgere e
può farlo cessare. Gli comandò una volta di rimanere fermo, e un’altra di retrocedere, per
dimostrare che è ancora sotto il controllo del suo grande Creatore. Se il potere di Dio è
così grande, com’è grande la sua bontà che fa levare il sole anche sui malvagi e sugli
ingrati, mentre potrebbe trattenerlo! Chi ha creato le stelle potrebbe sigillarle e
nasconderle alla nostra vista. I terremoti e la lava sotterranea hanno a volte fatto cadere
le montagne e scosso la terra, e durante delle giornate o delle notti particolarmente scure
e nuvolose sembra quasi che Dio abbia comandato al sole di non sorgere e alle stelle di
nascondersi. At 27:20 È sufficiente dire che qui Giobbe parla di ciò che Dio può fare. Se
vogliamo però intenderla come una descrizione di ciò che ha fatto, possiamo pensare al
diluvio universale, quando le montagne furono scosse e il sole e le stelle furono oscurate.
Inoltre, questo mondo è riservato per quel fuoco che consumerà i monti e scioglierà la
terra con un calore tremendo, e che muterà il sole in tenebre.

(b) Finché vuole, Dio preserva il corso e l’ordine della natura. La sua è una creazione
continua. Da solo e per suo potere, senza alcun aiuto: [1] Spiega i cieli. Gb 9:8 Non solo li
spiegò all’inizio, ma lo fa tuttora (cioè, li mantiene spiegati), altrimenti si arrotolerebbero
come una pergamena. [2] Cammina sulle più alte onde del mare, cioè, le schiaccia e le
doma, perché non allaghino la terra. Sl 104:9 Leggiamo che è proprio per questo che
dobbiamo temerlo e considerarlo con meraviglia. Gr 5:22 È più grande delle onde più
violente. Sl 93:4 65:7 [3] Crea le costellazioni, di cui Giobbe cita tre: l’Orsa, Orione, le
Pleiadi e, in generale, le misteriose regioni del cielo australe. Gb 9:9 Ha creato all’inizio le
stelle di cui sono composte, mettendole in quell’ordine, e continua a crearle, Gb 9:9 KJV
preservandole e guidando i loro movimenti. Le rende ciò che sono per l’uomo, e dà agli
uomini una certa propensione a osservarle, che le bestie non hanno. Non solo le stelle che
vediamo e a cui diamo nomi, ma anche quelle nell’altro emisfero, vicino al polo antartico,
che non vediamo mai, e che qui Giobbe chiama le regioni del cielo australe, sono guidate
e dominate da Dio. Com’è saggio e potente!

2. Dal regno della Provvidenza, quella Provvidenza speciale che dirige gli eventi umani. Se
consideriamo il governo di Dio in questo mondo, diremo: È savio di cuore e grande in
potenza.

(a) Le sue opere sono numerose, grandi e degne di ammirazione. Gb 9:10 Giobbe ripete
ciò che aveva già detto Elifaz, Gb 5:9 parola per parola nell’originale. Non indugia a citarlo,
anche se ora è un suo antagonista. Dio è grande e fa cose grandi. È un Dio che compie

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 78


meraviglie, tante che non si possono contare e così misteriose che non si possono
comprendere. Come sono profondi i suoi disegni!

(b) I suoi movimenti sono invisibili e impercettibili: « Mi passa vicino, nei suoi atti, e io non
lo veggo. Mi scivola daccanto e non me n’accorgo. Gb 9:11 La sua via è in mezzo al
mare ». Sl 77:19 Le operazioni delle cause secondarie sono normalmente ovvie. Dio invece
opera continuamente intorno a noi e non lo vediamo. cfr. At 17:23 Le nostre menti finite
non possono comprendere i suoi disegni, i suoi atti o le sue decisioni. Siamo quindi
incompetenti nel giudicare i suoi procedimenti. Gli arcana imperii-i segreti del governo ci
sono imperscrutabili e non dobbiamo pretendere di poterli spiegare o descrivere.

(c) Agisce per incontestabile sovranità. Gb 9:12 Ci toglie ogni consolazione e fiducia
terrena quando e come vuole. Ci toglie la salute, le ricchezze, la famiglia, gli amici e
perfino la vita stessa. Qualunque cosa perdiamo, è Dio che la prende. Chiunque sia che ce
la tolga, dobbiamo riconoscere la sua mano. Il Signore afferra la preda, e chi si opporrà?
Chi può respingerlo (Al margine: Chi può farglielo restituire?)? Chi può dissuaderlo o
alterare i suoi piani? Chi può resisterlo o opporsi ai suoi atti? Chi può controllarlo o
chiedergli spiegazioni? Che procedimenti si possono prendere contro di lui? Chi oserà
dirgli: Che fai? Oppure: Perché lo fai? Da 4:35 Dio non è obbligato a darci spiegazioni. Non
conosciamo il significato dei suoi atti. Ci sarà tempo di conoscerlo in seguito, quando sarà
chiaro che ciò che ora sembra avvenire per caso è opera della sua infinita saggezza ed è
per il meglio.

(d) Dio agisce con un potere irresistibile a cui nessuna delle sue creature può opporsi. Gb
9:13 Se Iddio non ritira la sua collera (che può ritirare quando vuole, perché è padrone
anche della sua ira e può manifestarla e trattenerla a piacimento), sotto di lui si curvano i
campioni della superbia, cioè, distrugge e abbatte certamente chi, in superbia, si unisce
contro di lui. I superbi si mettono insieme per opporsi a Dio e ai suoi atti. I re della terra si
ritrovano e i principi si consigliano assieme per spezzare il suo giogo, per denigrare le sue
verità e per perseguitare il suo popolo. Uomini Israeliti, venite al soccorso. At 21:28 Sl
83:8 Se un nemico del regno di Dio cade sotto i suoi giudizi, il resto viene sfacciatamente
in suo aiuto, credendo invano di salvarlo dalla mano di Dio. Se Dio non vuole trattenere la
sua ira (che trattiene spesso, perché è il giorno della sua pazienza), i superbi sono
costretti a piegarsi sotto di lui, e cadono insieme a quelli che erano venuti ad aiutare. Chi
conosce la forza dell’ira di Dio? Chi pensa di avere abbastanza forza da aiutare gli altri a
contrastarlo, non riuscirà nemmeno ad aiutare se stesso.

Gb 9:14-21

ora applica a se stesso il suo discorso sulla totale incapacità dell’uomo di contendere con
Dio, ritenendo praticamente impossibile riacquistare il suo favore. Secondo alcuni, questi
sentimenti erano causati da quella sua concezione negativa di un Dio che lo contrastava, a
ragione o a torto, e che sarebbe stato imbattibile. Secondo me, invece, nascevano dalla
percezione di una sua giustizia imperfetta, e dai profondi, cupi turbamenti che provava
sentendosi disapprovato da Dio.

I. Non osa discutere con Dio: Gb 9:14 « Se sotto di lui si curvano i campioni della
superbia, quanto meno potrei rispondergli io, una creatura misera, debole e totalmente
inerme? Che cosa potrei dire contro i suoi atti? Se cerco di ragionare con lui, sarò

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 79


immancabilmente sconfitto ». Se Il vasaio trae dalla massa d’argilla un vaso per uso
ignobile, o se spezza il vaso che ha formato, l’argilla o i cocci possono forse ragionare con
lui? Per l’uomo, è assurdo confutare le azioni di Dio o pensare di poterle discutere con lui.
No, ogni carne faccia silenzio in sua presenza.

II. Non osa giustificarsi di fronte a Dio. Anche se, di fronte ai suoi amici, sosteneva la
propria integrità e rifiutava di definirsi ipocrita o empio, come avevano suggerito, non la
reclamava come sua giustizia agli occhi di Dio. « Non oserò mai mettermi a patti basati
sulla mia innocenza, né pensare che essa possa salvarmi ». Giobbe conosceva così bene
sia Dio che se stesso, che non osò giustificarsi di fronte a lui.

1. Conosceva così bene Dio che non osava farsi mettere alla prova. Gb 9:15-19 Sapeva
come prevalere sui suoi amici e pensava di potersela cavare con loro. Invece, anche se la
sua causa fosse stata migliore, sapeva che non sarebbe servito a niente discuterla con
Dio.

(a) Dio lo conosceva meglio di quanto lui conoscesse se stesso. « Quantunque fossi
giusto, nella mia opinione, e anche se il mio cuore non mi condannasse, Dio è più grande
del mio cuore. Conosce quegli sbagli ed errori segreti che io non posso nemmeno
comprendere, e può quindi incolparmi. Per questo, non risponderei ». Gb 9:15 D
L’apostolo Paolo disse la stessa cosa: Non ho coscienza di colpa alcuna, non sono conscio
che in me regnino delle iniquità, ma non per questo però sono giustificato. 1Co 4:4 « Non
oso nemmeno parlarne, o Dio potrebbe accusarmi di colpe che non conosco ». Giobbe
avrebbe evitato di difendersi e avrebbe chiesto grazia al suo Giudice, cioè, si sarebbe
abbandonato alla misericordia di Dio, senza pensare di potersi scagionare per un suo
merito.

(b) Non aveva motivo di pensare che le sue preghiere lo rendessero benaccetto a Dio, o
che potessero ottenere una risposta benevola per un qualche loro valore. Il loro successo
poteva essere attribuito puramente alla grazia e alla compassione di Dio, che risponde
prima che lo invochiamo e non a causa delle nostre invocazioni. Dio non risponde alle
nostre preghiere perché preghiamo: « S’io lo invocassi ed egli mi rispondesse, se anche mi
desse esattamente ciò che gli chiedo, le mie preghiere sono così deboli e imperfette che
non crederei che avesse dato ascolto alla mia voce. Gb 9:16 Non potrei dire che mi ha
salvato con la sua destra e che mi ha risposto, Sl 60:5 se non puramente per amore del
suo nome ». Il dott. Patrick lo spiega in questo modo: « Se Dio mi avesse concesso i miei
desideri in seguito alla mia preghiera, non darei credito alla preghiera stessa ». Non è per
amor di voi, siavi pur noto.

(c) La condizione miserabile a cui Dio lo aveva condotto nonostante la sua integrità gli
aveva fatto capire chiaramente che, nel determinare la condizione dell’uomo in questo
mondo, Dio agisce per il suo potere sovrano e, anche se non fa torto a nessuno, non è
esattamente equo con tutti (cioè, i migliori non ricevono sempre il meglio, né i peggiori il
peggio) in questa vita, perché serba la piena, esatta distribuzione delle ricompense e delle
punizioni per la nostra condizione futura. Giobbe non era conscio di avere commesso
qualche colpa straordinaria, eppure aveva subito delle afflizioni eccezionali. Gb 9:17,18
Ognuno deve aspettarsi qualche colpo di vento, ma Giobbe era stato colpito con la
tempesta. Gb 9:17 ND Ognuno può aspettarsi di essere graffiato dai rovi e dalle spine di
questa vita, ma Giobbe fu ripetutamente ferito. Ognuno deve aspettarsi di portare la

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 80


propria croce ogni giorno, sorseggiando a volte dal calice dell’amarezza. Le sciagure del
povero Giobbe, però, lo avevano assalito con una rapidità tale da non lasciargli respiro e
da saziarlo di amarezza. Qui cerca quindi di dimostrare che era stato tutto senza motivo,
senza che avesse fatto nulla di grave per causarlo. Finora, abbiamo interpretato
favorevolmente le sue parole, anche contrariamente al giudizio di molti ottimi studiosi. Ora
però, indubbiamente, parla sconsigliatamente con le sue labbra. Critica infatti la bontà di
Dio, dicendo che non gli lasciava riprender fiato (mentre gli era rimasta una tale facoltà di
ragione e di parola da poter dire tutto questo), e critica la sua giustizia dicendo che era
stato tutto senza motivo. È vero che, da una parte, molti commettono peccati ben più
gravi delle comuni debolezze umane, ma provano solo il dolore di comuni disgrazie,
mentre, d’altro lato, molti sono colpiti da sciagure straordinarie, senza però essere consci
di avere commesso altro che le comuni mancanze della natura umana.

(d) Non avrebbe potuto prevalere su Dio. Gb 9:19 [1] Non con la forza delle armi. « Non
oserei oppormi all’Onnipotente. Se si tratta di forza, se penso di batterlo in quel modo,
ecco, egli è potente, ben più di me, e mi sconfiggerà certamente ». Non si discute (disse
qualcuno a Cesare) con chi comanda delle legioni. Tanto meno si dibatte con chi comanda
legioni di angeli. Il tuo cuore reggerà egli (cioè il tuo coraggio e la tua forza d’animo), o le
tue mani saranno esse forti abbastanza da difenderti il giorno che io agirò contro di te? Ez
22:14 [2] Non con la forza delle discussioni. « Non oserei esaminare i meriti di questa
causa. Se parlo di giudizio, e insisto per rivendicare i miei diritti, chi mi fisserà un giorno
per comparire? Non c’è un’autorità superiore a cui fare appello, né un tribunale supremo
presso il quale fissare un’udienza. Dio è supremo e pronuncia ogni giudizio, che l’uomo
deve accettare ».

2. Giobbe si conosceva così bene che non osava farsi giudicare. « Se mi giustificassi,
rivendicando una mia giustizia personale, la mia difesa sarebbe la mia accusa, e la mia
bocca stessa mi condannerebbe proprio mentre cerca di discolparmi ». Gb 9:20 KJV Un
uomo onesto che conosce la falsità del proprio cuore e se ne cura con una sollecitudine
divina, avendolo spesso trovato macchiato di colpe segrete, sospetta sempre di
commettere più male di quanto sia consapevole, e quindi non penserà mai di giustificarsi
agli occhi di Dio. Se diciamo d’esser senza peccato, non solo inganniamo noi stessi, ma
facciamo un affronto a Dio. Quella stessa affermazione è un peccato, e dichiara bugiarde
le Scritture che hanno rinchiuso ogni cosa sotto peccato. « Se mi dichiaro perfetto, senza
colpa, esonerato dalle accuse di Dio, le mie stesse parole mi proverebbero perverso,
arrogante, ignorante e presuntuoso. Anzi, anche se fossi perfetto, anche se Dio mi
pronunciasse giusto, non conoscerei la mia anima, Gb 9:21 KJV non mi interesserebbe
prolungarle una vita piena di tanti dolori ». Oppure: « Anche se fossi innocente da gravi
peccati e anche se la mia coscienza non mi incolpasse di enormi crimini, non potrei
credere al mio cuore al punto da insistere sulla mia innocenza o da pensare di difendermi
di fronte a Dio ». In breve, è folle contendere con Dio, mentre è nostro dovere e
dimostrazione di saggezza sottometterci a lui e gettarci ai suoi piedi.

Gb 9:22-24

tratta qui brevemente l’argomento principale della sua disputa con i suoi amici. Questi
ultimi sostenevano che le persone buone e giuste prosperano sempre in questo mondo, e
che solo gli empi ricevono guai e miseria. Giobbe invece dichiarava che è normale che gli
empi prosperino, mentre i giusti sono profondamente afflitti. Era quella la loro principale

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 81


divergenza. Dato che gli amici non avevano dimostrato la loro asserzione, Giobbe insiste
sulla sua: « L’ho detto e lo ripeto: Tutto succede ugualmente a tutti ». Dobbiamo
riconoscere a questo punto che nelle sue parole:

1. C’era tanta verità. I giudizi temporali di Dio cadono sia sui buoni che sui cattivi. L’angelo
della distruzione fa raramente distinzione (come aveva fatto una volta) tra le case degli
Israeliti e quelle degli Egiziani. Nel giudizio di Sodoma, che le Scritture chiamano la pena
d’un fuoco eterno, Gd 1:7 fu lungi da Dio il far morire il giusto con l’empio, in guisa che il
giusto sia trattato come l’empio. Ge 18:25 Nei giudizi del tutto temporali, però, i giusti
hanno la loro parte dei mali, e a volte la parte maggiore. La spada or divora l’uno e ora
l’altro, Giosia come pure Acab. Dio distrugge ugualmente l’integro e il malvagio,
coinvolgendoli nella stessa rovina. Buoni e cattivi furono condotti insieme a Babilonia. Gr
24:5,9 Se un flagello, a un tratto, semina la morte, uccidendo tutti nel suo percorso, Dio
noterà con gioia che sarà sia la perdizione degli empi che la prova degli innocenti e della
loro fede, la quale risulterà a loro lode, gloria e onore. 1Pi 1:7 Sl 66:10 Al giusto, Dio le
frecce può tirare/ Per metterlo alla prova e dimostrare/ Che dai suoi guai non sarà
schiacciato, / ma, stando saldo, sarà rinforzato. — Sir R. Blackmore. I figli di Dio accettino
le proprie sciagure. Sono solo delle prove stabilite per il loro onore e il loro vantaggio. Se
Dio si compiace di loro, si compiacciano anch’essi. Se Dio ride quando l’innocente è messo
alla prova, Gb 9:23 KJV sapendo che finirà gloriosamente, ridano anch’essi della
distruzione e della carestia, Gb 5:22 e trionfino, dicendo: O morte, dov’è la tua vittoria?
D’altro lato, non solo i malvagi non sono il bersaglio dei giudizi di Dio, ma la terra è data in
loro bal í a. Gb 9:24 Hanno tanta autorità e grandi possedimenti. Possono avere ciò che
vogliono e fare ciò che vogliono. La terra è data in mano all’empio (secondo l’originale,
perché il termine è al singolare), ossia il diavolo, quell’empio che le Scritture chiamano
l’iddio di questo secolo, che si vanta di averlo tutto nelle mani. Lu 4:6 Oppure, la terra è
data in mano a un empio, cioè (secondo il dott. Patrick e le Annotazioni dell’Assemblea)
qualche famoso tiranno che viveva da quelle parti, di cui sia Giobbe e gli amici
conoscevano la grande empietà e prosperità. La terra è affidata agli empi, ma ai giusti è
dato il cielo. Se si dovesse scegliere uno solo tra i due, che cosa sarebbe meglio: la terra o
il cielo? Nella sua Provvidenza, Dio lascia che gli empi abbiano successo, mentre copre la
faccia di persone sagge, giuste e qualificate a governare, che sarebbero degne di esserne i
giudici, seppellendole nell’oblio. Anzi, permetterà forse che siano maltrattate e condannate
proprio da quegli empi a cui è affidata la terra, che copriranno i loro volti come se fossero
dei criminali. Lo vediamo ogni giorno. Se non è Dio a fare le cose in questo modo, chi è, e
dove si trova? A chi possiamo attribuirle se non a colui che regna sui governi umani e li dà
a chi desidera? Da 4:32 Eppure,

2. C’è troppa passione e petulanza. Per dichiarare che è Dio ad affliggere, Giobbe non
aveva bisogno di dire: Egli distrugge ugualmente l’integro e il malvagio. Per spiegare che
Dio si compiace di mettere alla prova gli innocenti, non avrebbe dovuto dire: Ride, perché
Dio non affligge volentieri. Nel fervore delle emozioni, durante una disputa o se siamo
scontenti, dobbiamo porre una guardia alla soglia delle nostre labbra per parlare
correttamente delle realtà divine.

Gb 9:25-35

si lamenta sempre più, e non conclude il capitolo con la stessa riverenza per la sapienza e
la giustizia di Dio con cui aveva iniziato. Chi si lascia prendere da uno spirito di lamentela

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 82


non sa a che indecenze e a che irreligiosità lo può condurre. Cominciare una contesa con
Dio è dar la stura all’acqua; perciò ritirati prima che la lite s’inasprisca. Se abbiamo dei
problemi, possiamo volgere a Dio i nostri lamenti, come faceva spesso il Salmista, ma non
possiamo mai lamentarci di Dio, come fa Giobbe.

I. Il suo lamento della fine della sua prosperità è abbastanza appropriato: Gb 9:25,26 « I
miei giorni (cioè, i miei giorni felici) sono spariti per sempre, cogliendomi di sorpresa.
Nessun celere messaggero (come Aimaas e l’Etiope) », « si affrettò tanto con delle buone
notizie come le mie consolazioni si sono affrettate a lasciarmi. Nessuna nave ritornò mai al
porto e nessun’aquila balzò mai sulla preda con una simile velocità. E dei miei beni non
restano più tracce di quante lasci un’aquila nel cielo o una nave sul mare ». Pr 30:19
Notate:

1. La celerità del tempo. Corre sempre per giungere alla fine. Non si ferma per nessuno.
Abbiamo così poco bisogno di trovare passatempi e tanta necessità invece di cogliere ogni
opportunità, perché il tempo corre verso l’eternità, quando finirà per sempre!

2. La vanità dei piaceri temporali, che possiamo perdere anche in questo mondo regolato
dal tempo. I nostri giorni potrebbero essere più lunghi della nostra prosperità, e, quando
se ne andrà, sarà come se non fosse mai stata. In seguito, ci farà piacere ricordare di
avere fatto il nostro dovere, e non di avere avuto tante ricchezze che saranno
eternamente perdute. « Fuggono via per sempre, senz’aver visto il bene e senza lasciare
traccia ».

II. Il suo lamento dei suoi dolori attuali è inescusabile. Gb 9:27,28

1. Forse aveva cercato di calmarsi e di placarsi come gli avevano consigliato di fare gli
amici. Voleva dimenticare il suo lamento, lodare Dio, deporre quell’aria triste e
rasserenarsi, per poter parlare meglio con Dio e con gli altri. Invece,

2. Scopre di non poterlo fare: « Sono spaventato di tutti i miei dolori. Quando lotto contro
la mia angoscia, si rivolta contro di me e prende il sopravvento! ». In un caso del genere,
è più facile sapere che cosa fare che farlo. È più facile sapere che stato d’animo è giusto
avere che appropriarcene e mantenerlo. È facile predicare la pazienza agli afflitti, dicendo
che devono smettere di lamentarsi e farsi coraggio. È più facile da dire che da fare. Il
dolore e la paura sono tiranni, non facilmente soggiogabili alla religione e al buon senso.
Inoltre,

III. Il suo lamento dell’implacabilità e dell’inesorabilità di Dio è altrettanto inammissibile. È


un’espressione della sua corruzione. Giobbe sapeva che cosa era giusto e, in un’altra
occasione, non si sarebbe mai permesso dei pensieri così negativi nei riguardi di Dio come
quelli che ora irrompono nel suo spirito con un’esplosione di rimostranze. Anche i giusti
non sono sempre se stessi. Dio però, conoscendo la loro natura e la forza delle tentazioni,
permette loro di rimangiarsi, con il pentimento, le parole sconvenienti, e non ne tiene
conto in giudizio.

1. A quanto pare, Giobbe:

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 83


(a) Non aveva speranza di ottenere sollievo o risarcimento da Dio, per quanto potesse
dimostrare la sua integrità: « So che non mi terrai per innocente. Le mie afflizioni sono
durate tanto, e sono aumentate così rapidamente, che non mi aspetto che tu mi
dichiarerai mai innocente liberandomi e ridandomi la prosperità di prima. A ragione o a
torto, devo essere trattato come un empio. I miei amici continueranno a pensare che lo
sono e Dio continuerà a darmi le afflizioni che li spingono a pensare in quel modo. Perché
dunque affaticarmi invano per discolparmi e per dimostrare la mia integrità? ». Gb 9:29
Non serve a niente difendere una causa già pregiudicata. Tra gli uomini, le giustificazioni
spesso non servono all’innocente, che è giudicato colpevole nonostante le prove più
evidenti. Non è così con Dio, che è il difensore degli innocenti oppressi e a cui non si affida
mai invano una giusta causa. Giobbe non solo non ha speranza di sollievo, ma si aspetta
che i suoi tentativi di scagionarsi lo rendano ancora più odiato: « Quand’anche mi lavassi
con la neve, dimostrando la mia integrità, non servirebbe a niente. La sentenza sarebbe
contro di me. Tu mi tufferesti nel fango d’una fossa (secondo alcuni, la fossa della
distruzione, oppure la fogna) », « che mi renderà così ripugnante che le mie vesti stesse
m’avrebbero in orrore e proverei disgusto anche solo a toccarmi ». Gb 9:30,31 Sapeva che
le sue afflizioni derivavano da Dio. Erano quelle a renderlo odioso ai suoi amici, e per
quello se ne lamentava, lagnandosi della loro persistenza che rovinava non solo ogni
consolazione, ma anche la sua reputazione. Le sue parole possono però essere
interpretate in modo positivo. Anche se ci diamo da fare per giustificarci di fronte agli
uomini e per preservare la nostra reputazione, evitando di macchiarci con dei gravi
peccati, visibili a tutti, Dio, che conosce il nostro cuore, può accusarci di tanti peccati
segreti da toglierci per sempre ogni pretesa di essere puri e innocenti, dimostrandoci
esecrabili al suo santo sguardo. Da fariseo, Paolo si curava della purezza esteriore.
Quando però il comandamento di Dio gli rivelò i suoi peccati più intimi, come la
concupiscenza, lo tuffò nel fango d’una fossa.

(b) Non aveva speranza di ottenere una giusta udienza da Dio, ed era un pensiero
angosciante. [1] Si lamenta di non poterlo trattare con parità: « Non è un uomo come me.
Gb 9:32 Potrei discutere con un altro essere umano (i frammenti dei vasi di terra
contendano pure tra di loro), ma Dio è ben più in alto di me e non oso contrastarlo, o
sarei certamente distrutto ». Notate: Prima di tutto, Dio non è un uomo come noi.
Possiamo dire anche dei più grandi principi: « Sono uomini anche loro ». Non possiamo
però dirlo del grande Dio. I suoi pensieri e le sue vie sono infinitamente superiori alle
nostre e non dobbiamo misurarlo con il nostro stesso metro. Al contrario di Dio, l’uomo è
sciocco e debole, fragile e incostante. Siamo creature dipendenti e mortali, mentre Dio è il
Creatore indistruttibile e indipendente. In secondo luogo, questa considerazione dovrebbe
mantenerci umili e silenziosi al suo cospetto. Non mettiamoci sul suo stesso piano, ma
ricordiamoci sempre che è infinitamente superiore a noi. [2] Giobbe si lamenta che non
c’era un arbitro che potesse risolvere il divario e metter fine alla controversia tra lui e Dio:
Non c’è fra noi un arbitro. Gb 9:33 Questo lamento è in realtà un desiderio, come lo
interpreta la versione dei Settanta: Ci fosse tra noi un mediatore! Giobbe sarebbe stato
lieto di far riferimento a un altro, ma nessuno era in grado di arbitrare. Doveva quindi
rivolgersi direttamente a Dio e accettare il suo giudizio. Il nostro Signore Gesù è quel
grande arbitro che ha fatto da mediatore tra il cielo e la terra, ponendo le mani su
entrambi. A lui il Padre ha affidato tutto il giudizio, e dobbiamo farlo anche noi. È un
concetto che solo il Vangelo ci aiuta a comprendere, non lasciando più spazio per un
lamento del genere. [3] Giobbe si lamenta che i terrori di Dio che si erano schierati contro
di lui lo avevano sconcertato tanto che non sapeva più rivolgersi a lui con la fiducia di una

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 84


volta. « Oltre a essere tenuto a distanza dalla sua infinita trascendenza, sono scoraggiato
dai suoi atti nei miei confronti: Ritiri d’addosso a me la sua verga ». Si riferisce non tanto
alle sue afflizioni quanto al peso che prova nel cuore sentendo gravare su di sé l’ira di Dio.
Era quello il terrore che lo spaventava Gb 9:34 « Toglimelo di dosso. Lasciami rivedere la
tua misericordia, invece di scorgere solo sgomenti. Allora io parlerò ed esporrò la mia
causa dinanzi a te. Ma ora non è cos ì. Gb 9:35 KJV La nube non si è affatto dissipata e la
tua ira è ancora su di me e continua a devastarmi l’animo. Non so che cosa fare ».

2. Prendiamo spunto da questo:

(a) Per considerare Dio con riverenza e per temere la forza della sua ira. Se dei giusti ne
sono stati così costernati, dove comparirà l’empio e il peccatore?

(b) Per compatire coloro che hanno l’animo afflitto e pregare per loro, perché in quella
condizione non sanno come pregare per se stessi.

(c) Per pensare sempre bene di Dio, perché questi mali sorgono da una sua concezione
negativa.

(d) Per ringraziare Dio che non siamo in una condizione disperata come il povero Giobbe,
ma camminiamo nella sua luce. Rallegriamocene, ma con tremore.

Giobbe 10

riconosce di essere altrettanto confuso Gb 10:15 quanto il suo discorso. Non sapeva che
cosa dire e forse a volte non sapeva quasi quello che diceva. In questo capitolo:

I Si lamenta delle sue afflizioni, Gb 10:1-7 ma si conforta pensando di essere nelle mani
dello stesso Dio che lo ha creato. Si avvale quindi di quel pensiero. Gb 10:8-13

II Si lamenta di nuovo della severità della mano di Dio, Gb 10:14-17 consolandosi poi con
il fatto che la morte avrebbe messo fine a tutti i suoi guai. Gb 10:18-22

Gb 10:1-7

Troviamo qui:

I Una fervente determinazione a continuare il suo lamento. Gb 10:1 Atterrito dal timore
della maestà di Dio, tanto da non poter difendere la sua causa, Giobbe decide di
concedersi un po’di sollievo esprimendo i suoi risentimenti. Comincia con un linguaggio
molto aspro: « L’anima mia prova disgusto della vita. Sono stanco di questo corpo e non
vedo l’ora di uscirne. Questa vita mi ha deluso, addolorato e nauseato. Desidero solo la
morte ». Per la debolezza della sua grazia, va anche contro i dettami della natura stessa.
Ci comporteremmo più da uomini se ci comportassimo più da santi. La fede e la pazienza
ci impedirebbero di essere stanchi della vita (e crudeli contro la vita, come traducono
alcuni), anche quando la Provvidenza ce la rende più tediosa, perché significherebbe
essere stanchi della correzione di Dio. Giobbe, spazientito dalla vita e non trovando altro
sollievo, decide di esprimere il suo lamento. Non si sarebbe sfogato con atti di violenza,
ma con parole impetuose. Chi subisce perdite crede di avere il diritto di parlare e giustifica

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 85


le sue passioni sfrenate dicendo che non li può trattenere, come si fa per certi desideri che
sembrano incontenibili. A che ci servono la sapienza e la grazia, se non tengono a bada la
nostra lingua? In questo discorso, Giobbe rivela la sua corruzione, ma qualche parola è
dettata dalla grazia.

1. Si sarebbe lamentato, ma lasciando su di sé il suo lamento. Gb 10:1 KJV Non avrebbe


incolpato Dio, né l’avrebbe accusato di ingiustizia o di cattiveria. Anche se non conosceva
particolarmente il motivo di quella controversia e di quegli atti divini, in generale,
immaginava che la colpa fosse sua ed era pronto ad addossarsela.

2. Avrebbe parlato, ma solo per esprimere l’amarezza della sua anima, e non il suo
giudizio. Se mi esprimo male, non sono io a farlo, ma è il peccato che abita in me. Non è
la mia anima, ma la sua angoscia.

II Un’umile petizione a Dio. Avrebbe parlato, ma iniziando con una preghiera che a me
pare giusta. Gb 10:2

1. Prega che Dio lo liberi dal pungiglione delle sue afflizioni, che è il peccato: « Non mi
condannare! Non separarmi per sempre da te. Anche se sono sotto una croce, non pormi
sotto una maledizione. Anche se se sono colpito dalla verga del Padre, non lasciarmi
uccidere dalla spada del Giudice. Sopporterò come posso la tua correzione, ma non
condannarmi! ». Chi è in Gesù Cristo è confortato dal fatto che, anche nelle afflizioni, non
c’è per lui alcuna condanna. Ro 8:1 Anzi, è corretto dal Signore, affinché non sia
condannato col mondo. 1Co 11:32 Nelle afflizioni, la condanna di Dio è la cosa che più
dovremmo temere. « Fa’ciò che vuoi di me, Signore, ma non condannarmi. I miei amici
possono anche farlo, ma non farlo tu ».

2. Prega che Dio gli riveli la vera causa delle sue afflizioni, che è ancora il peccato:
Signore, fammi sapere perché contendi meco. Dio contende con noi quando ci affligge, e
c’è sempre un motivo. Al contrario degli uomini, non si adira mai senza una causa, che è
bene conoscere per poter pentirci, umiliarci e abbandonare il peccato che ne sta alla base.
Nel ricercare quella causa, lasciamo che la coscienza svolga il suo compito fedelmente. cfr.
Ge 42:21

III Una petulante protesta a Dio per il modo in cui lo trattava. Ora Giobbe parla veramente
nell’amarezza del suo animo, con qualche ingiusta accusa alla rettitudine del suo Dio.

1. Il fatto che Dio imponga a una sua creatura un peso che non può sopportare non gli
sembra consono alla sua bontà e alla sua natura misericordiosa: Ti par egli ben fatto
d’opprimere? Gb 10:3 Ovviamente no. Dio non farà qualcosa che disapproverebbe negli
uomini. La 3:34,36 « Signore, trattandomi in questo modo tu opprimi un tuo suddito,
disprezzi una tua opera e incoraggi i tuoi nemici. Che senso ha tutto questo? Non è
secondo la tua natura compiacertene, e non rende onore al tuo nome. Perché allora mi
tratti in questo modo? Che profitto avrai dal mio sangue? ». Giobbe non avrebbe mai
dovuto pensare che Dio gli avesse fatto un torto. Ora non sa come riconciliare gli atti della
sua Provvidenza con la sua giustizia, come molti altri giusti che devono attendere il giorno
in cui sarà rivelato. Non pensiamo quindi male di Dio, perché allora ci renderemo conto
che sarà stato un errore.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 86


2. Il fatto che Dio torturi un suo prigioniero come se potesse strappargli una confessione
non gli sembra coerente con la sua infinita conoscenza. Gb 10:4-6

(a) È certo che Dio investiga e giudica diversamente dall’uomo: Non ha occhi di carne, Gb
10:4 perché è uno Spirito. Gli occhi di carne non possono vedere al buio, ma l’oscurità non
gli nasconde nulla. Gli occhi di carne possono essere solo in un posto alla volta e non
vedono molto lontano, ma gli occhi dell’Eterno sono in ogni luogo, e percorrono tutta la
terra. Molte cose sono nascoste anche allo sguardo più aguzzo e più attento: c’è un
sentiero che non ha mai scorto l’occhio del falco. Niente però è nascosto allo sguardo di
Dio, di fronte al quale ogni cosa è nuda e manifesta. Gli occhi di carne vedono solo le
apparenze e possono essere ingannati da una deceptio visus-illusione ottica. Dio vede
tutto perfettamente. Non può essere ingannato, perché esamina il cuore e ne conosce i
pensieri e gli intenti. Gli occhi di carne scoprono le cose gradatamente e, quando ne
guardano una, non vedono più l’altra. Dio vede tutto allo stesso tempo. Gli occhi di carne
si stancano e devono chiudersi ogni notte per riposarsi. La vecchiaia li oscura e la morte li
chiude. Al contrario, colui che protegge Israele non sonnecchia né dorme, e non perde mai
la vista. Non vede come vede l’uomo, cioè, non giudica allo stesso modo. Nel migliore dei
casi, noi giudichiamo secundum allegata et probata-secondo fatti dichiarati e dimostrati,
secondo le apparenze e non la realtà, e fin troppo spesso secondo i sentimenti, le
emozioni, i pregiudizi e gli interessi. Sappiamo invece che il giudizio di Dio è conforme a
verità, una verità che egli non apprende per informazione, ma per ispezione. Gli uomini
scoprono le cose per mezzo di ricerche, esaminando dei testimoni, confrontando e
discutendo le prove, e cercando di ottenere, con lusinghe e con la forza, delle confessioni.
Dio non ha bisogno di quei mezzi. Non vede come vede l’uomo.

(b) È certo che Dio, al contrario dell’uomo, non è miope e non vive una vita breve: « I tuoi
giorni son essi come i giorni del mortale, pochi e dolorosi? Gb 10:5 Si susseguono e
cambiano come i giorni dell’uomo? No, per niente ». Gli uomini acquistano saggezza con
l’esperienza e conoscenza mediante l’osservazione quotidiana. La verità per loro è figlia del
tempo. Devono fare lunghe ricerche e, se un esperimento fallisce, devono provarne un
altro. Non è così per Dio. Per lui non esiste passato o futuro, ma tutto è presente. I giorni
con cui la vita umana è misurata non sono nulla in confronto agli anni della sua eternità.

(c) Ritiene quindi strano che Dio voglia prolungare la sua tortura e tenerlo in prigionia
delle sue afflizioni, senza processarlo o liberarlo, come se avesse bisogno di tempo per
investigare la sua iniquità e per informarsi del suo peccato. Gb 10:6 Non pensava che Dio
lo tormentasse solo per motivare il suo attacco, ma riteneva che, trattandolo in quel
modo, disonorasse se stesso e tentasse quindi gli uomini a considerarlo crudele.
« Signore, se non per la mia consolazione, fallo per il tuo onore, fallo per amor del tuo
nome. Non disonorare il trono della tua gloria ». Gr 14:21

3. Tenere un povero prigioniero in custodia, sapendo che è innocente, solo perché


nessuno può liberarlo, gli sembrava un abuso dell’onnipotenza di Dio: Sai ch’io non son
colpevole. Gb 10:7 Aveva già ammesso di essere un peccatore, colpevole agli occhi di Dio,
ma qui sostiene di non essere un empio, un amante del peccato, un nemico di Dio o un
ipocrita religioso. Non si era empiamente sviato dal suo Dio. Sl 18:21 « Non v’è chi mi
liberi dalla tua mano, e quindi non c’è rimedio. Devo accontentarmi di stare qui ad
aspettarti, gettandomi alla tua misericordia, in sottomissione alla tua sovrana volontà ».
Notate:

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 87


(a) Nei nostri guai, dobbiamo rasserenarci pensando che non serve a niente contendere
con l’Onnipotente.

(b) Ci sarà di grande conforto fare appello a Dio, come fa qui Giobbe, che dice: « Signore,
sai ch’io non son colpevole. Non posso dire di non avere mancanze e di non essere debole,
ma, per grazia, posso dire: Non son colpevole. Tu lo sai, perché sai che io t’amo ».

Gb 10:8-13

In questi versetti possiamo osservare:

I. Giobbe vede Dio come il suo Creatore e preservatore e dichiara di dipendere da lui come
autore e sostenitore della sua esistenza. Una delle prime cose che dobbiamo tutti sapere e
considerare è che:

1. È Dio che ci ha formato, e non i nostri genitori, che sono stati soltanto gli strumenti del
suo potere e della sua Provvidenza. È lui che ci ha fatti e non noi da noi stessi. Le sue
mani hanno formato ogni parte di questo nostro corpo, Gb 10:8 che è stato fatto in modo
meraviglioso e stupendo. Anche lo spirito che anima il corpo è un suo dono. Giobbe ne
prende nota:

(a) Il corpo è plasmato come argilla, Gb 10:9 così come un vaso è modellato secondo la
volontà e l’abilità del vasaio. Siamo vasi di terra, originariamente vili, e saremo presto
spezzati come argilla. La cosa formata non dica quindi essa a colui che la formò: Perché
mi facesti così? Non dobbiamo vantarci del nostro corpo, perché la materia è terrena, ma
non dobbiamo disonorarlo, perché lo stampo e la forma derivano dalla sapienza divina. La
formazione del corpo umano nel grembo materno è descritta con un’elegante similitudine:
M’hai tu colato come il latte e fatto rapprender come il cacio. Gb 10:10 Ne aggiunge poi i
particolari. Gb 10:11 Anche se entriamo nel mondo spogli, il corpo è rivestito e protetto.
La pelle e la carne ne sono il rivestimento e le ossa e i nervi ne sono l’armatura, non
offensiva, ma difensiva. Gli organi vitali, come il cuore e i polmoni sono anch’essi
invisibilmente rivestiti e protetti. L’ammirevole struttura del corpo umano è una grande
prova della sapienza, del potere e della bontà del Creatore. Che gran peccato quando
questi corpi, che potrebbero essere templi dello Spirito Santo, diventano strumenti
d’iniquità!

(b) L’anima è la vita, è l’uomo, ed è un dono di Dio: Mi sei stato largo di vita. Hai soffiato
in me un alito vitale, senza il quale il corpo sarebbe solo un’inutile carcassa. Dio è il Padre
degli spiriti. Ci ha creato come anime viventi e ci ha conferito la facoltà della ragione. Ci ha
dato vita e grazia, e la vita è una grazia, una grande grazia, più preziosa del cibo e del
vestimento. È una grazia particolare che ci mette in grado di riceverne altre. Giobbe è più
lucido qui di quando si lamentava che la vita è un peso, chiedendo: Perché non morii nel
seno di mia madre? Oppure, la vita e la grazia possono riferirsi alla vita e alle sue
consolazioni, cioè alla sua prosperità di prima. C’era un tempo in cui Giobbe era illuminato
dal favore divino e in cui pensava, come Davide, che, per il suo favore, Dio avesse reso
forte il suo monte.

2. È Dio che ci sostiene. Dopo avere acceso la lampada della vita, non lascia che consumi
il suo deposito di olio, ma continua a riversarne del nuovo: « La tua provvidenza ha

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 88


vegliato sul mio spirito, mi ha mantenuto in vita, mi ha protetto dai nemici della nostra
esistenza (la morte che ci circonda e i pericoli a cui siamo continuamente esposti) e mi ha
dato in benedizione tutti i necessari sostegni vitali e le provviste quotidiane di cui ho
bisogno e che desidero ».

II. Si serve di questa considerazione per implorare Dio, ricordandoglielo: Deh, ricordati che
m’hai plasmato. Gb 10:9 E allora? Ebbene:

1. « Mi hai fatto, e quindi mi conosci perfettamente. Sl 139:1-13 Non hai bisogno di


affliggermi per esaminarmi, né di torturarmi per scoprire che cosa ho nell’animo ».

2. « Mi hai formato, come argilla, con un atto di sovranità, e ora vuoi distruggermi allo
stesso modo? Se è così, devo sottomettermi ».

3. « Distruggerai forse l’opera delle tue mani? ». È un appello che troviamo


frequentemente nelle preghiere dei santi: Noi siamo l’argilla; tu, colui che ci formi. Is 64:8
Le tue mani m’hanno fatto e formato. Sl 119:73 M’hai plasmato. Vuoi quindi distruggermi?
Gb 10:8 Mi fai ritornare in polvere? Gb 10:9 « Non avrai pietà di me? Non mi aiuterai,
difendendo l’opera delle tue mani? Sl 138:8 Mi hai fatto e conosci le mie forze. Permetterai
che sia oppresso oltre misura? Mi hai fatto per rendermi miserabile? Mi hai preservato solo
per gettarmi tra queste sciagure? ». A volte possiamo ricordarlo a noi stessi per indurci a
svolgere il nostro dovere: « Dio mi ha fatto e mi sostiene, per cui lo servirò e mi
sottometterò a lui ». Possiamo poi ricordarlo a Dio per implorare la sua misericordia: M’hai
plasmato, quindi riplasmami. Io son tuo, salvami. Giobbe non sa come conciliare i favori
che Dio gli aveva elargito con la disapprovazione che gli dimostra ora, ma conclude:
« Ecco quello che nascondevi in cuore. Gb 10:13 Sia il favore che l’opposizione di Dio sono
secondo la sua volontà e sono quindi indubbiamente compatibili, anche se possono
sembrare inconciliabili ». Quando Dio cambia inspiegabilmente il suo atteggiamento verso
di noi, dobbiamo credere che ci sono dei buoni motivi nascosti nel suo cuore, che ci
manifesterà presto. Non spetta a noi determinarli, ma lo sappiamo, questo meditavi. Tutte
le opere di Dio gli sono manifeste.

Gb 10:14-22

Troviamo qui:

I. I ferventi lamenti di Giobbe, che insiste su quelle note dolorose. Anche se non possiamo
giustificarlo, possiamo scusarlo. Non si lamentava senza motivo, come gli Israeliti nel
deserto. Se lo disapproviamo, cerchiamo di controllare meglio le nostre emozioni.

1. Si lamenta della severità del giudizio divino e della durezza dei suoi procedimenti contro
di lui. Vuole quasi chiamarla summum jus-un’estrema applicazione della legge. Dice che:

(a) Dio voleva cogliere ogni occasione per punirlo: « Se avessi peccato, l’avresti ben
tenuto a mente. Gb 10:14 Se faccio anche solo un passo falso, se dico una parola
sbagliata o dò un’occhiata storta, sarò certamente ripreso. La coscienza, la tua delegata,
mi rimprovererà immancabilmente, dicendomi che questo dolore ne è la punizione ». Se
Dio ponesse mente alle iniquità, saremmo rovinati. Dobbiamo invece riconoscere che, al
contrario, anche se pecchiamo, Dio non ci giudica con estrema severità.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 89


(b) Dio voleva approfittare al massimo di quelle occasioni: Non m’avresti assolto dalla mia
iniquità. Durante quelle sciagure, Giobbe non poteva ricevere il conforto del perdono di
Dio, né udire la voce della gioia e dell’allegrezza. È difficile vedere l’amore nel cuore di Dio
quando ci appare corrucciato, con una verga in mano.

(c) Sia che fosse giusto o malvagio, la sua condizione presente rimaneva molto
sgradevole. Gb 10:15 [1] Se era empio, lo aspettava la distruzione nel mondo a venire: Se
fossi stato malvagio, guai a me. Notate: Il peccato ci mette in una condizione tremenda. È
una realtà che dobbiamo tutti accettare e applicare a noi stessi, come fa qui Giobbe: « Se
fossi stato malvagio, guai a me, anche tra le ricchezze e i piaceri ». Certi malvagi hanno
particolarmente motivo di aspettarsi una doppia porzione di mali. « Io che ho conoscenza,
che ho fatto una grande professione di religione, che sono stato così spesso rimproverato
dalla coscienza e che ho fatto tante belle promesse; io che sono nato e cresciuto in una
buona famiglia, con una buona educazione e la possibilità di usufruire tutti i mezzi della
grazia, se fossi stato malvagio, guai, e migliaia di guai, a me ». [2] Se invece Giobbe era
giusto, non avrebbe osato alzar la fronte per rispondere come prima. Gb 9:15 Era così
oppresso e gravato da tutti i suoi guai che non poteva alzare lo sguardo con conforto o
con fiducia. Intorno a lui c’erano lotte e dentro a lui timori. In mezzo, c’era confusione,
non solo la vergogna di essere stato disonorato da Dio e criticato dagli amici, ma una
confusione d’animo: i suoi pensieri erano continuamente agitati e si sentiva quasi smarrito.
Sl 88:15

2. Si lamenta della severità della punizione. Dio (secondo lui) non solo lo puniva per ogni
mancanza, ma lo puniva molto duramente.

(a) La sua afflizione era dolorosissima e del tutto sorprendente. Dio lo cacciava come un
leone, così come un fiero leone rincorre e cattura la preda. Non solo i suoi atti sembravano
inspiegabili, ma Dio si dimostrava meraviglioso contro a lui, causandogli delle sciagure
straordinarie e sbalorditive. Gb 10:16 D Tutti si meravigliavano che Dio potesse infliggere
tanto male e che Giobbe potesse sopportarlo. La cosa che più lo addolorava era la
percezione dello sdegno divino, che rendeva particolarmente amare e gravose quelle sue
afflizioni. Erano i testimoni di Dio contro di lui, i segni della sua disapprovazione, e quel
pensiero tramutava le sofferenze fisiche in ferite spirituali. Gb 10:17 D

(b) La sua afflizione cresceva e peggiorava continuamente. È un punto su cui Giobbe


insiste particolarmente. La marea si alzava proprio quando si sarebbe aspettato un
abbassamento. Le sue afflizioni crescevano insieme all’indignazione di Dio. Niente
migliorava. Quei testimoni di Dio si alternavano per condannarlo. Il mutamento e la guerra
lo assalivano. Gb 10:17 KJV Se c’era un cambiamento, non era per il meglio. Giobbe si
trovava in un continuo conflitto. Finché siamo nel mondo dobbiamo aspettarci il ritorno
delle nubi dopo la pioggia, e forse le prove più dure sono lasciate per ultime. Dio era in
guerra contro Giobbe, ed era un grande cambiamento. Non era stato così. Quel pensiero
aggravava i suoi mali e li rendeva sorprendenti. Dio di solito si dimostra benevolo verso il
suo popolo. Se mai cambia atteggiamento, è una sua opera singolare, un lavoro inaudito
in cui si dimostra meraviglioso.

3. Si lamenta della vita e di essere nato solo per avere guai e miserie: Gb 10:18,19 « Se
questo era il mio destino, perché m’hai tratto dal seno di mia madre, e non mi hai ucciso
mentre ero un feto, o durante il parto? ». Era un’espressione della sua agitazione, una

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 90


ricaduta nello stesso peccato di prima. Aveva appena chiamato la vita una grazia, Gb
10:12 e ora la considera un peso e si lamenta perché Dio gliel’ha concessa, o anzi, gliel’ha
affibbiata. Caryl lo interpreta più favorevolmente, dicendo: « Possiamo supporre, con un
atteggiamento caritatevole, che Giobbe fosse turbato dal fatto di sentirsi rinchiuso in una
condizione che gli impediva di raggiungere lo scopo principale della vita, cioè la
glorificazione di Dio. La sua cetra era appesa ai salici, e non trovava le note per lodarlo.
Anzi, aveva paura che i suoi guai lo disonorassero e incoraggiassero i suoi nemici a
bestemmiare. Sospira quindi: Fossi morto! Gb 10:18 ND Il giusto riconosce di non avere
uno scopo nella vita se non vive per la lode e per la gloria di Dio ». Se era quello che
voleva dire, c’era un errore di base, perché possiamo glorificare il Signore tra le fiamme.
Dobbiamo però prenderlo come insegnamento a non amare troppo la vita, dato che anche
le persone più sagge e più buone se ne sono a volte lamentate. Perché dovremmo temere
la morte o desiderare di essere notati dagli altri, quando può venire il momento in cui
desidereremo morire e sparire dalla vista di tutti? Perché dovremmo lamentarci tanto della
morte dei neonati, che sono come se non fossero mai esistiti, portati dal seno materno alla
tomba, mentre a volte possiamo desiderare di aver fatto la stessa fine?

II. Le umili richieste di Giobbe:

1. Prega che Dio sia spettatore della sua miseria, Gb 10:15 notando le sue condizioni e
prendendole in considerazione, con compassione. Davide pregò: Vedi la mia afflizione e il
mio affanno. Sl 25:18 Nelle nostre sventure, dobbiamo rivolgerci allo stesso modo a Dio e
consolarci sapendo che lui le conosce.

2. Prega che Dio gli conceda un po’di pace. Se non poteva salvarlo dai suoi guai, non
poteva almeno dargli tregua? « Signore, non continuare a torturarmi, non portarmi
sempre allo stremo: Mi lasci stare, ond’io mi rassereni un poco! Gb 10:20 Dammi un po’di
tregua, un po’di respiro, un po’di gioia ». Sarebbe stato un grande favore. Chi non è grato
per il benessere che ha costantemente, pensi come sarebbe lieto di una sola ora di sollievo
se fosse afflitto da una continua sofferenza. Giobbe si appella a due realtà:

(a) La vita e la sua luce sono brevissime: « Non son forse pochi i giorni che mi restano?
Gb 10:20 Certamente, sono pochissimi. Signore, non riempirli tutti di miseria, di questa
sofferenza estrema. Mi rimane poco tempo da vivere. Lasciami qualche conforto finché
posso ». È un appello che si basa sulla bontà della natura di Dio, una considerazione che
dà conforto a chi è afflitto. Se vogliamo usarlo come appello alla misericordia di Dio
(« Non son forse pochi i giorni che mi restano? Abbi pietà di me, Signore »), dobbiamo
usarlo anche come appello a noi stessi, per incitarci al dovere: « Non son forse pochi i
giorni che mi restano? Devo quindi far buon uso del mio tempo, cogliendo ogni
opportunità e facendo con tutte le forze ciò che la mia mano si trova a fare, per poter
essere pronto per i giorni dell’eternità, che sono infiniti ».

(b) La morte e la sua oscurità erano prossime e sarebbero state lunghissime: Gb 10:21,22
« Signore, dammi un po’di sollievo prima della morte », cioè, « non farmi morire di
dolore ». Davide pregò: « Ascoltami, che talora io non m’addormenti del sonno della
morte Sl 13:3 e sarà troppo tardi per aspettarmi del sollievo. Opererai tu qualche miracolo
per i morti? ». Sl 88:10 « Dammi un po’di conforto prima che muoia, perché possa lasciare
questo mondo con calma e non confuso come sono ora ». Dobbiamo desiderare tanto la
grazia di Dio, e pregare: « Signore, rinnova in me il mio uomo interiore e santificami prima

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 91


che muoia, o non avverrà mai ». Notate come parla della condizione dei morti. [1] È una
condizione fissa da cui non ritorneremo mai più alla vita che viviamo ora. Gb 7:10 Al
momento della morte, dobbiamo dare un addio definitivo al mondo. Il corpo giacerà a
lungo nella terra e l’anima sarà assegnata alla sua condizione eterna. Un atto che si
compie una volta e per sempre va compiuto bene. [2] È una condizione apparentemente
triste. Le anime dei santi vanno a una terra luminosa dove non ci sarà più morte, ma i loro
corpi rimangono in una terra delle tenebre e dell’ombra di morte. Le parole di Giobbe
dimostrano che aveva, come tutti, un gran timore della morte e della tomba, quindi era
solo la sua estrema sofferenza a fargliela desiderare. Guardiamo un attimo la tomba, e
troveremo, prima di tutto, che non è ordine alcuno. Gb 10:22 D Vi sono tenebre perpetue,
senza la successione del giorno e della notte. Tutti sono allo stesso livello, senza
distinzione tra principi e poveri. Lo schiavo è libero del suo padrone. Gb 3:19 Non si
giunge alla tomba in un particolare ordine di anzianità o di ceto, ma solo nell’ordine
stabilito dal Dio della vita. In secondo luogo, Non c’è luce. Nella tomba c’è il buio
profondo, un’oscurità quasi palpabile, che è naturalmente temuta da chi ancora gode della
luce della vita. Non c’è conoscenza, conforto, gioia o lode di Dio. Non si potrà più
compiere la propria salvezza, e quindi non ci sarà luce. Giobbe si vergognava tanto delle
sue piaghe e aveva tanta paura di vederle lui stesso, che l’oscurità della tomba, in cui
poteva nasconderle e camuffarle, gli sembrava gradita. Le tenebre ci attendono. Diamoci
quindi da fare finché abbiamo la luce. La tomba è una terra tenebrosa, per cui è un bene
che ci entriamo a occhi chiusi, senza notare distinzioni. È una terra tenebrosa per gli
uomini: quando gli amici muoiono, diciamo che se ne sono andati nelle tenebre. Sl 88:18
D Non lo è però per Dio. La polvere dei corpi dei santi, anche se sarà dispersa e mischiata
ad altra polvere, non sarà perduta, perché Dio ne vede ogni granello e li riformerà in quel
gran giorno della fine.

Giobbe 11

Gli amici del povero Giobbe non avevano portato unguenti e balsami per le sue ferite
ancora sanguinanti e per le sue piaghe suppuranti. Le loro parole erano anzi state
caustiche, comprese quelle del terzo amico, Zofar, il quale:

I. Accusa aspramente Giobbe di essere arrogante e falso nella sua autogiustificazione. Gb


11:1-4

II. Chiede a Dio di incriminarlo e di fargli prestare ascolto, Gb 11:5 per poter
comprendere:

1. La saggezza infallibile e la giustizia inviolabile di Dio. Gb 10:6

2. Le sue incomprensibili perfezioni. Gb 11:7-9

3. La sua incontestabile sovranità e il suo potere incontrollabile Gb 11:10

4. La sua conoscenza del genere umano. Gb 11:11,12

III. Gli assicura che, se si fosse pentito e riformato, Gb 11:13,14 Dio gli avrebbe ridato la
prosperità e la sicurezza di un tempo. Gb 11:15-19 Se però fosse stato empio, sarebbe
stato inutile aspettarselo. Gb 11:20

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 92


Gb 11:1-6

È triste vedere a che impulsi di passione soccombono a volte anche gli uomini saggi e
giusti nel fervore di una disputa, come dimostra qui Zofar. Elifaz aveva iniziato con una
prefazione molto modesta. Gb 4:2 Bildad era stato un po’più brusco. Gb 8:2 Zofar invece
attacca Giobbe senza pietà, con un linguaggio molto inappropriato: Un uomo loquace
sarebbe egli per ciò reputato giusto? Gb 11:2 D Varranno le tue bugie a far tacere la
gente? Gb 11:3 KJV Era forse il modo di confortare Giobbe? No, non era nemmeno il modo
di condannarlo. Era forse un linguaggio appropriato per uno che si atteggiava a difensore
di Dio e della sua giustizia? Tantaene animis coelestibus irae? Può esserci una tale ira negli
animi celesti? Chi inizia una controversia troverà difficile mantenere la calma. Tutta la
saggezza, la cautela e la determinazione serviranno poco a trattenerci dal dire delle parole
indecenti come quelle di Zofar.

I. Zofar fa di Giobbe una descrizione incorretta. Gb 11:2,3 Lo rappresenta come un uomo


dai discorsi vani e impertinenti, che ama sentirsi parlare. Gli dà del bugiardo e lo chiama
beffardo, solo per darsi un motivo per rimproverarlo. Chi vuole attaccare i fratelli, e
attaccarli ingiustamente, deve trovare il modo di imbrattare il loro carattere e le loro
azioni, rendendoli, a torto o a ragione, indesiderabili. Nei capitoli precedenti, abbiamo letto
e considerato i discorsi di Giobbe, che abbiamo trovato assennati e pertinenti. I suoi
principi erano giusti e le sue ragioni valide. Aveva parlato in modo incisivo e molto
efficace. Il suo fervore e la sua passione possono essere scusati e trascurati con un po’di
carità e di benevolenza. Zofar invece lo rappresenta malignamente come:

1. Un uomo che non soppesa le sue parole, ma dice quello che gli viene in mente, solo per
farsi sentire, sperando di portare avanti la sua causa e di mettere a tacere i rimproveri:
Cotesta abbondanza di parole rimarrà ella senza risposta? È vero che a volte non ha
importanza se lo è o meno. Il silenzio è forse la migliore risposta all’impertinenza e ne
evidenzia la sconvenienza. Non rispondere allo stolto secondo la sua follia. Se però vuoi
rispondergli, fallo con razionalità e con grazia, e non con superbia e collera. Un uomo
loquace (un uomo di labbra, secondo la nota al margine, cioè tutto lingua, vox et
praeterea nihil-tutto voce) sarebbe egli per ciò reputato giusto? Sarebbe giustificato nella
sua loquacità, come finirebbe per essere se non gli fosse rimproverata? No, nella
moltitudine delle parole non manca la colpa. Quella sua moltitudine di parole può
giustificarlo? Può essere una valida difesa? Potrà avere il sopravvento per le fioriture del
linguaggio? No, nessuno sarà accettato da Dio o da chiunque sia saggio per la moltitudine
delle sue parole. Mt 6:7

2. Un uomo che non si fa scrupoli nel parlare, un bugiardo, che spera di mettere a tacere
gli avversari con l’impudenza delle sue menzogne (Varranno le tue bugie a far tacere la
gente?) e un beffardo che schernisce tutti e che sa come rigirare le cose, senza
vergognarsi di ingannare tutti i suoi interlocutori: Farai tu il beffardo, senza che alcuno ti
confonda? Non era forse ora di parlare per far fronte a un’ondata così violenta? Giobbe
non era però un forsennato. Le sue parole erano serie e vere, e Zofar lo descriveva male.
Elifaz e Bildad gli avevano risposto, cercando di svergognarlo. Zofar non si dimostra quindi
caritatevole nell’attaccare con tanta violenza un uomo già tanto maltrattato. Erano in tre
contro uno.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 93


II. Attribuisce a Giobbe delle parole mai pronunciate: Tu dici a Dio: Quel che sostengo è
giusto. Gb 11:4 E se l’avesse detto? In realtà Giobbe aveva una fede salda, si atteneva a
principi ortodossi e aveva parlato di Dio meglio dei suoi amici. Se anche si fosse espresso
in modo avventato, ciò non significava necessariamente che la sua dottrina fosse errata.
Zofar lo accusa di aver affermato: Io sono puro nel tuo cospetto. Non era vero. Aveva
detto: Sai ch’io non son colpevole, Gb 10:7 ma aveva anche confessato: Ho peccato,
senza pretendere di essere del tutto perfetto. Aveva dichiarato di non essere ipocrita come
lo avevano accusato di essere; ma era ingiusto volerne dedurre che non riconosceva di
essere un peccatore. Dobbiamo cercare di interpretare meglio che possiamo le parole e le
azioni dei fratelli. Durante una contesa, invece, si è generalmente tentati a fare proprio il
contrario.

III. Si appella a Dio perché intervenga contro Giobbe. È così certo che Giobbe abbia torto
che vuole solo che Dio lo condanni e lo metta a tacere immediatamente. Come Zofar,
siamo tutti di solito troppo sicuri di poter coinvolgere Dio nei nostri litigi, concludendo che,
se volesse parlare, parlerebbe senz’altro in nostra difesa: Se Dio volesse parlare! Senza
dubbio aprirebbe le sue labbra contro di te. Gb 11:5 D Al contrario, quando Dio parlò, aprì
le sue labbra in favore di Giobbe contro i suoi tre amici. Dobbiamo sempre lasciare che sia
Dio a risolvere le nostre controversie, perché possiamo essere certi che il suo giudizio è
conforme a verità. Chi è pronto ad appellarsi al giudizio di Dio nella certezza che sia contro
i suoi avversari non ha sempre ragione. Zofar non ha speranza di poter convincere Giobbe,
e vuole quindi che lo faccia Dio. Ci sono due cose di cui vuole persuaderlo, che ognuno
dovrebbe considerare e confessare serenamente durante le afflizioni:

1. L’insondabile profondità dei disegni di Dio. Senza pretese di poterlo fare lui stesso,
Zofar chiede a Dio di rivelare a Giobbe tanti segreti della sua sapienza da convincerlo che
sono almeno doppi. Gb 11:6 D Notate:

(a) Ci sono segreti nella sapienza divina, arcana imperii — segreti di stato. La via di Dio è
in mezzo al mare. Le nuvole e l’oscurità lo circondano. Dio ha dei motivi di stato che non
possiamo immaginare e che non dobbiamo cercare di conoscere.

(b) Ciò che conosciamo di Dio non è niente in confronto a ciò che non possiamo sapere.
Ciò che ci è nascosto è più del doppio di ciò che è evidente. Ef 3:9

(c) Il nostro impegno ad adorare la profondità imperscrutabile di quei disegni divini ci può
tranquillizzare quando la sua mano ci affligge.

(d) Dio conosce i nostri peccati ben meglio di noi, secondo l’interpretazione di alcuni.
Davide, quando Dio gli fece vedere e percepire la sua colpa, disse che gli aveva insegnato
sapienza nel segreto del cuore. Sl 51:6

2. L’ineccepibile giustizia degli atti di Dio. « Sappi quindi che, per quanto decida di punirti,
Iddio ti fa portar pena minore che la tua iniquità non merita di ragione », Gb 11:6 D
oppure, secondo alcuni, « dimentica parte della tua colpa, e non ti dà piena condanna ».
Notate:

(a) Se un debito non è pagato per dovere, la giustizia insiste che sia pagato con la
punizione.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 94


(b) Dobbiamo riconoscere che qualunque punizione riceviamo in questo mondo è minore a
quanta meriteremmo per le nostre iniquità. Di conseguenza, invece di lamentarci dei nostri
guai, dovremmo essere grati di non essere all’inferno. La 3:39 Sl 103:10

Gb 11:7-12

Zofar parla benissimo di Dio, in tutta la sua gloria e grandezza, e poi dell’uomo, nella sua
vanità e follia. Un confronto e una giusta considerazione di queste due entità può
influenzarci enormemente a sottometterci a tutti i decreti della Provvidenza divina.

I. Osserviamo la natura di Dio, e adoriamolo.

1. È un essere incomprensibile, infinito e immenso. La nostra limitata comprensione non


può formulare una concezione adeguata della sua natura e delle sue perfezioni. Non
possiamo quindi giudicare i suoi disegni e le sue azioni senza dimostrare la massima
presunzione. Chi conosce poco la natura di Dio non può giudicarne la Provvidenza.
Criticandone gli atti, parliamo di cose che non capiamo. Non possiamo comprendere Dio.
Come possiamo quindi incriminarlo? Zofar dimostra che:

(a) La natura di Dio sorpassa infinitamente la nostra comprensione umana: « Puoi tu


scandagliare le profondità di Dio e arrivare a conoscerlo appieno? Gb 11:7 No, che cosa
puoi fare? Che cosa puoi sapere? ». Gb 11:8 ND Una creatura povera, debole e miope
come te, un lombrico di terra che è nato ieri, per interessato che sia e desideroso di
comprenderlo, oserebbe forse investigarlo e spererebbe di riuscire? Le nostre ricerche
possono condurci a Dio, At 17:27 ma non potremo mai capire ciò che ci vuole nascondere.
Possiamo trovarlo, ma non comprenderlo. Possiamo sapere che è, ma non chi è. L’occhio
può vedere l’oceano, ma non oltre. Con una ricerca umile, diligente e piena di fede
possiamo anche scoprire qualcosa riguardo a Dio, ma non possiamo mai comprenderlo
perfettamente. Possiamo conoscere la sua natura, ma non pienamente, e non possiamo
scoprire le sue opere dal principio alla fine Ec 3:11 Notate: Dio è imperscrutabile. La sua
eternità non può essere quantificata e la sua immensità non può essere misurata. Le
profondità della sua saggezza non possono essere comprese e il suo potere non può
essere trattenuto. La luminosità della sua gloria non può essere descritta e i tesori della
sua bontà non possono essere conosciuti. È per questo che dovremmo sempre rivolgerci a
lui con umiltà e cautela, senza rimproverarlo né contendere con lui, grati per le rivelazioni
che ci ha dato, e desiderosi di arrivare in quel luogo dove lo vedremo così com’è. 1Co
13:9,10

(b) La natura di Dio supera infinitamente i limiti dell’intero creato: È più alta del cielo
(secondo alcune traduzioni), più profonda del soggiorno de’morti, cioè del grande abisso,
più lunga della terra e più larga del mare, che rimane ancora in parte sconosciuto al giorno
d’oggi, e che lo era ancor più allora. Non ci è assolutamente possibile scoprire la natura di
Dio. Una tal conoscenza è troppo meravigliosa per noi. Sl 139:6 Non possiamo
comprendere i suoi piani o i suoi motivi. I suoi giudizi sono un abisso profondo. Paolo
descrive l’amore di Dio con le stesse dimensioni che Zofar attribuisce alla sua sapienza, e
tuttavia ci esorta a conoscerlo, affinché siamo resi capaci di abbracciare con tutti i santi
qual sia la larghezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità dell’amore di Cristo. Ef 3:18,19

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 95


2. Dio è un Sovrano assoluto: Se fa passare con la morte una creatura (nota al margine:
se genera un cambiamento, com’è il termine della vita, o un cambiamento nei governi,
nelle famiglie o negli affari); se la incarcera in una vera e propria prigione o nella rete
dell’afflizione; Sl 66:11 o se la rincorre come il cacciatore rincorre la preda, la catturerà
(secondo il dott. Patrick), e chi può costringerlo a restituire? Oppure, se raccoglie la
zizzania da ardere, o se ritira a sé il suo spirito e il suo soffio, Gb 34:14 chi s’opporrà? Gb
11:10 KJV Chi può bloccare la sentenza o contestare l’esecuzione? Chi può controllare il
suo potere o frenare la sua sapienza e la sua giustizia? Chi s’opporrà a colui che ha fatto
tutto dal niente se vuole riportarlo a quel nulla o alla condizione primitiva di caos? Se colui
che, all’inizio, ha separato la luce dalle tenebre e la terra ferma dal mare, volesse rimetterli
di nuovo insieme, chi gli farà cambiare idea o gli fermerà la mano? Chi può bloccare o
ostacolare gli atti di chi ha fatto il tutto, se vuole disfarlo?

3. Dio è un Osservatore giusto e attento del genere umano: Conosce gli uomini vani. Gb
11:11 D Noi sappiamo poco di lui, ma lui ci conosce perfettamente, veggendo l’iniquità,
non con approvazione, Hb 1:13 ma con condanna.

(a) Osserva gli uomini vani. Sa che lo sono tutti (ogni uomo, benché saldo in piè, non è
che vanità), e lo prende in considerazione. Conosce i progetti e le speranze che si creano
nella loro stolta immaginazione, e può sconfiggerli e farli crollare. Seduto nei cieli, li
deride. Riconosce la vanità degli uomini (secondo alcuni, i loro peccati minori), la vanità
dei loro pensieri e delle loro parole, e la loro incostanza nell’attenersi al bene.

(b) Osserva i malvagi: Vede la loro grande iniquità, anche se la nascondono e cercano
abilmente di camuffarla. L’iniquità degli empi è tutta evidente e manifesta agli occhi
onniveggenti di Dio: Non vi porrebbe egli mente? Certo, e ne terrà conto, anche se,
temporaneamente, sembra stare in silenzio.

II. Vediamo ora, con umiltà, la natura dell’uomo. Dio vede che l’uomo vano vorrebbe
essere saggio, Gb 11:12 KJV cioè vorrebbe essere considerato tale, anche se nasce simile
a un puledro di un asino selvatico, stupido e sciocco, indomabile e non ammaestrabile.
L’uomo è:

1. Una creatura vana, vuota, secondo il significato letterale. Dio lo creò pieno, ma lui si
svuotò e si impoverì da solo. Ora è raca, una creatura vuota di tutto.

2. Una creatura stolta, che è diventata simile alle bestie che periscono, Sl 49:20; 73:22 un
idiota, nato come un asino, l’animale più stupido, un puledro di un asino, troppo giovane
per servire. Se può mai essere di qualche utilità, è solo per grazia di quello stesso Cristo
che, nel giorno del suo trionfo, si servì appunto del puledro di un’asina.

3. Una creatura testarda e indomabile. Un puledro di un asino può anche avere qualche
utilità, ma il puledro di un asino selvatico non serve a nessuno e non ode grida di padrone.
Gb 39:5-7 L’uomo si ritiene libero e padrone di sé come il puledro di un asino selvatico,
cioè è avvezzo al deserto, Gr 2:24 desideroso di soddisfare le proprie voglie e le proprie
passioni.

4. Una creatura superba e presuntuosa. Vorrebbe essere saggio, cioè vorrebbe essere
considerato tale. Vorrebbe essere reputato saggio senza sottomettersi alle regole della

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 96


saggezza. Vorrebbe essere saggio, cercando la sapienza proibita che va oltre le regole
scritte, come fecero i suoi progenitori, che persero l’albero della vita per avere quello della
conoscenza. Una creatura del genere può forse contendere con Dio o chiedergli un
resoconto? Se conoscessimo meglio Dio e noi stessi, sapremmo come comportarci nei suoi
confronti.

Gb 11:13-20

Zofar, come gli altri due, incoraggia Giobbe con la speranza di giorni migliori, a patto che
migliori il suo atteggiamento.

I. Gli offre un buon consiglio, Gb 11:13,14 come avevano fatto Elifaz Gb 5:8 e Bildad: Gb
8:5 doveva pentirsi e ritornare a Dio. Osservate i passi necessari per quel ritorno:

1. Doveva guardare dentro di sé, cambiare il suo modo di pensare e far buono l’albero.
Doveva addirizzare il suo cuore, da cui deve iniziare l’opera di conversione e di riforma. Il
cuore che si allontana da Dio dev’essere umiliato. Il cuore che si macchia del peccato
dev’essere ripulito. Il cuore confuso dev’essere riordinato. Il cuore incerto e incostante
dev’essere rinsaldato e fortificato. È questo il significato della frase. Il cuore è pronto a
cercare Dio quando è deciso e pienamente convinto a farlo senza incertezze e
tentennamenti.

2. Doveva guardare in alto e spiegare le palme delle mani a Dio, cioè, sforzarsi di
raggiungerlo. Doveva pregare con fervore, importunità e vigore, aspettandosi di ricevere
grazia e misericordia. Tendere le mani a Dio denota una sottomissione e un accordo. 2Cr
30:8 Giobbe doveva farlo, con una dovuta preparazione. Aveva pregato, ma secondo Zofar
doveva pregare meglio, non appellandosi a Dio, ma presentando con umiltà le sue
suppliche e le sue petizioni.

3. Doveva rimediare alle sue parole spropositate, o le sue preghiere non avrebbero avuto
effetto: « Se vi è iniquità nella tua mano (cioè, se c’è un peccato che pratichi
regolarmente), allontanala da te, Gb 11:14 con odio e una santa indignazione,
fermamente deciso a non ricadervi e a non avervi più nulla a che fare. Ez 18:31 Os 14:9 Is
30:22 Se possiedi dei beni ottenuti con l’iniquità, con la frode o con l’oppressione,
restituiscili », come fece Zaccheo, Lu 19:8 « e scuoti le mani per non accettar regali ». Is
33:15 La colpa del peccato non è rimossa se il suo guadagno non è restituito.

4. Doveva fare il possibile per riformare anche la sua famiglia: « Non alberghi l’iniquità
nelle tue tende. Non ospitare o rifugiare a casa tua degli empi. Non permettere che vi si
svolgano delle pratiche malvage e non tenervi delle ricchezze ottenute empiamente ».
Zofar sospettava che la grande famiglia di Giobbe fosse stata governata male, e pensava
che, più fosse numerosa, più grande ne fosse l’iniquità. Riteneva quindi che la rovina della
sua famiglia fosse una punizione per la sua empietà. Se si aspettava che Dio ritornasse a
lui, avrebbe dovuto riformare i mali di casa, rifiutando di ospitarvi l’iniquità. Sl 101:3 ss.

II. Gli assicura che, se avesse ascoltato il suo consiglio, avrebbe ricevuto conforto. Gb
11:15 ss. Se si fosse pentito e riformato, avrebbe senza dubbio avuto pace e serenità, e
tutto sarebbe finito bene. Forse Zofar voleva insinuare che, se Dio non avesse cambiato
presto la condizione di Giobbe, sarebbe stata confermata l’opinione sua e dei suoi amici

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 97


che lo ritenevano ipocrita e falso di fronte a Dio. Le sue parole racchiudono però una
grande verità, cioè che il frutto della giustizia sarà la pace, e l’effetto della giustizia sarà
tranquillità e sicurezza per sempre. Is 32:17 Chi si rivolge a Dio con sincerità può
aspettarsi di avere:

1. Un santo senso di fiducia nei suoi rapporti con lui: « Allora alzerai la fronte verso il cielo,
senza macchia. Potrai accostarti con piena fiducia al trono della grazia, e non con quel
terrore e quello stupore che hai espresso finora ». Gb 9:34 Se i nostri cuori non ci
condannano come ipocriti e impenitenti, ci avvicineremo a Dio e aspetteremo le sue
risposte con fiducia. 1Gv 3:21 Se Dio, guardandoci, vede il volto del suo unto, potremo
alzare il nostro viso sporco, perché sarà senza macchia, lavato dal sangue di Cristo.
Possiamo accostarci di vero cuore, con piena certezza di fede, quando l’animo è asperso di
quell’aspersione che lo purifica dalla mala coscienza. Eb 10:22 Secondo alcuni, significa
che avrebbe riacquistato stima di fronte agli uomini. Sl 37:6 Se ci rappacifichiamo con Dio,
possiamo affrontare con serenità i nostri amici.

2. Una santa compostezza: Sarai incrollabile e non avrai paura di nulla. Non temerai alcun
sinistro rumore, perché il tuo cuore sarà fermo. Sl 112:7 Giobbe era confuso, Gb 10:15
perché vedeva Dio come un nemico e contendeva con lui. Zofar lo assicura che, se si fosse
sottomesso e umiliato di fronte a Dio, la sua mente sarebbe stata serena e non avrebbe
più avuto quel suo angosciante terrore di Dio che lo agitava tanto. Meno atterriti siamo,
più siamo calmi e quindi idonei a svolgere il nostro servizio e a sopportare le nostre
sofferenze.

3. Una visione serena delle sciagure passate: « Dimenticherai i tuoi affanni, come la madre
dimentica le doglie del parto, per l’allegrezza che sia nata al mondo una creatura umana.
Sarai libero da qualunque loro ripercussione e te ne ricorderai come d’acqua passata o
versata, che non lascia odore, né macchia, come altri liquidi. Gb 11:16 Le ferite della tua
afflizione presente saranno del tutto guarite, senza lasciare non solo cicatrici, ma
nemmeno pena ». Giobbe aveva cercato invano di dimenticare il suo dolore. Gb 9:27 La
sua anima ricordava ancora l’assenzio e l’amarezza. Qui Zofar gli suggerisce come fare:
doveva portare a Dio tutti i suoi dolori e le sue preoccupazioni, con la preghiera della fede,
e poi dimenticarli nelle sue mani. L’afflizione fa poca impressione sull’anima turbata dal
senso del peccato. Se ricordiamo debitamente i nostri peccati, dimenticheremo, al
confronto, i nostri affanni, soprattutto se abbiamo il conforto di aver ricevuto perdono e
pace. Chi è perdonato delle sue iniquità non dirà: Io son malato, ma dimenticherà i suoi
mali. Is 33:24

4. Una gioiosa prospettiva di pace futura. Zofar pensa di far piacere a Giobbe, rispondendo
alle sue numerose espressioni di sfiducia in un suo futuro luminoso. « Potrai avere », gli
dice, « altri giorni e notti di gioia ». Gli lascia sperare in un felice cambiamento.

(a) La sua luce, che si era eclissata, sarebbe tornata a risplendere più che mai. Gb 11:17 Il
suo tramonto sarebbe stato più splendente del mezzogiorno e la sua sera serena come il
mattino. Avrebbe ritrovato sia onore che gioia. La sua luce si sarebbe levata nelle tenebre.
Is 58:10 Le nubi più spesse e oscure, dietro alle quali avrebbe fatto capolino il sole,
avrebbero solo velato quello splendore che sarebbe continuato nella sua vecchiaia, in
quegli anni gravosi che invece gli avrebbero recato gioia. Notate: Chi si rivolge
sinceramente a Dio, inizierà allora a risplendere. Il suo sentiero sarà come la luce che

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 98


risplende sempre più. La fine della sua giornata sarà la sua perfezione, e il tramonto di
questo mondo marcherà l’alba di un mondo migliore.

(b) Anche se allora era continuamente atterrito e sgomento, Giobbe avrebbe avuto una
santa pace e fiducia, sentendosi continuamente sereno e al sicuro: Sarai fiducioso perché
avrai speranza. Gb 11:18 Notate: Chi, per grazia di Dio, ha buone speranze di essere con
lui in cielo, sarà certamente al sicuro, e a buon motivo, per difficile che sia il suo percorso
in questo mondo. Chi si comporta bene sarà fiducioso perché, nonostante i pericoli e i
guai, avrà speranza di un lieto fine. La speranza è un’àncora dell’anima. Eb 6:19 « Ti
scaverai intorno », Gb 11:18 KJV cioè, « sarai al sicuro come un esercito nelle trincee ».
Chi si sottomette al governo di Dio sarà sotto la sua protezione, e quindi al sicuro giorno e
notte. [1] Di giorno, durante il lavoro: « Ti scaverai intorno sicuro, insieme ai tuoi servi,
senza più esser preda dei saccheggiatori, che attaccarono i tuoi servi mentre aravano ».
Gb 1:14,15 La promessa di prosperità non era una promessa di ozio. Giobbe avrebbe
avuto un’occupazione e l’avrebbe svolta sotto la protezione divina. Ti scaverai intorno
sicuro, non ruberai sicuro, non ti divertirai sicuro. Lo svolgimento del dovere porta
sicurezza. [2] Di notte, si riposerà a casa: Ti coricherai sicuro (e dolce è il sonno del
lavoratore), nonostante i pericoli delle tenebre. La colonna di nuvola di giorno diventò una
colonna di fuoco di notte. « Ti metterai a giacere. Gb 11:19 Non dovrai vagare senza un
posto dove posare il capo, né far la guardia in attesa di un attacco. All’ora di dormire,
andrai a letto, e non solo nessuno ti farà del male, ma nessuno ti spaventerà o ti metterà
in allarme ». Notate: Le notti calme e il sonno indisturbato sono dei grandi doni della
misericordia di Dio, come può attestare chiunque senta il suono della guerra. Per avere
quella tranquillità dobbiamo cercare Dio e mantenerci nel suo amore. Chi si rifugia in Dio
per trovare riposo e lo sceglie come abitazione non ha motivo di temere.

(c) Anche se ora era disprezzato, Giobbe sarebbe stato stimato: « Molti cercheranno il tuo
favore, e daranno importanza alla tua amicizia ». Di solito, si cerca il favore di chi è saggio
o reputato tale, o di chi è ricco o potente. Zofar conosceva Giobbe così bene da prevedere
che, nonostante quel suo periodo di decadenza, con il volgere degli eventi sarebbe
ritornato come prima e sarebbe stato di nuovo amato da tutti. Chi, giustamente, supplica
Dio ora, sarà supplicato un giorno, come le vergini stolte che dissero a quelle sagge:
Dateci del vostro olio.

III. Zofar conclude con una breve descrizione della distruzione degli empi: Ma gli occhi
degli empi verranno meno. Gb 11:20 Apparentemente, sospettava che Giobbe non
avrebbe accettato il suo consiglio, e quindi gli dà questo avvertimento, ponendogli di
fronte agli occhi la morte, oltre alla vita. Notiamo il destino di chi persiste nella sua
empietà e rifiuta di riformarsi.

1. Non troverà mai il bene che si illude di poter raggiungere in questo mondo e nell’altro.
La delusione sarà il suo destino, la sua vergogna e il suo incessante tormento. I suoi occhi
verranno meno, aspettandosi ciò che non avverrà mai. Quando un empio muore, la sua
speranza perisce. Pr 11:7 La sua speranza è come un soffio (nota al margine) che svanisce
e non è più ricordato. Oppure, la sua speranza perisce e svanisce come l’ultimo respiro di
un uomo che muore. Gli mancherà quando ne avrà più bisogno e quando si aspetterebbe
di vederne il compimento. La sua speranza perirà, lasciandolo in una confusione totale.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 99


2. Non eviterà il male che a volte lo terrorizza. Non scamperà l’esecuzione della sua
sentenza, né affondandola, né fuggendola. Chi non si rifugia in Dio scoprirà che è inutile
cercare di sfuggirlo.

Giobbe 12

In questo capitolo e nei due seguenti troviamo la risposta di Giobbe all’arringa di Zofar, in
cui riprende a ragionare con gli amici cfr. Gb 13:19 e poi si rivolge al suo Dio, dirigendo a
lui la sua protesta. Parlando agli amici:

I. Condanna le loro parole e il giudizio che avevano formulato sul suo carattere. Gb 12:1-5

II. Contraddice e contesta le loro argomentazioni sulla distruzione degli empi in questo
mondo, dimostrando che spesso prosperano. Gb 12:6-11

III. Concorda con la loro descrizione della saggezza, del potere e della sovranità di Dio, e
del dominio della sua Provvidenza sugli uomini e su tutte le loro azioni. È una descrizione
che conferma ed elabora. Gb 12:12-25

Gb 12:1-5

I rimproveri di Giobbe agli amici, giustificati o meno, erano molto aspri, e possono servire
da accusa ai superbi e agli arroganti, mettendo in luce la loro follia.

I. Li rimprovera per la loro presunzione e il vanto della loro sapienza. Al contrario, non
trova niente di più debole, inappropriato e degno di essere deriso, come fa in questo
brano:

1. Li accusa di arrogarsi il monopolio della sapienza. Dice, con ironia: « È vero, sì, che voi
siete la voce del popolo. Gb 12:2 CEI Pensate di poter dettar legge a tutto il genere
umano, e che il vostro giudizio possa essere il metro con cui misurare e mettere alla prova
le opinioni degli altri, come se solo voi poteste discernere tra la verità e la menzogna, e tra
il bene e il male. Ogni vela di gabbia deve abbassarsi al vostro livello. A ragione o a torto,
dobbiamo tutti concordare con voi. Voi tre dovete essere la voce del popolo, la
maggioranza che ha il voto decisivo ». Notate: È una follia e un peccato ritenersi i più
saggi o atteggiarci a esserlo, con parole e azioni sfrontate e imperiose. Giobbe va ancor
oltre: « Non solo pensate che nessuno sia saggio come voi, ma pensate che nessuno lo
sarà mai, e che la sapienza morirà con voi. Secondo voi, alla vostra morte, tutto il mondo
sarà in preda alla stoltezza. Tutto sarà buio al calare del vostro sole ». Notate: È assurdo
pensare che la nostra morte rappresenterà una perdita irreparabile o che il mondo non
potrà quasi fare a meno di noi. Lo Spirito rimane infatti nel mondo e può spingere altri,
migliori di noi, a svolgere la sua opera. Quando delle persone sagge e buone muoiono, è
di conforto sapere che la saggezza e la bontà non periscono con loro. Secondo alcuni,
Giobbe si riferisce al fatto che Zofar (secondo lui) aveva paragonato lui e altri a puledri di
asini selvatici. Gb 11:12 « Certo », dice: « Noi siamo asini, e voi siete gli unici uomini ».

2. Si difende affermando di avere anche lui della saggezza: « Ma del senno (del
sentimento) ne ho anch’io al par di voi. Gb 12:3 Non vi son punto inferiore », secondo la
nota al margine. « Posso giudicare come voi i metodi e i significati della Provvidenza

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 100


divina, interpretando i suoi atti più difficili da capire ». Non lo dice per esaltarsi o per
applaudirsi: « Comprendo questa faccenda quanto voi ». Perché ci si dovrebbe sentire
orgogliosi di capire delle cose ovvie ed evidenti a tutti? « Cose come codeste chi non le
sa? Le verità che avete esposto sono palesi e ordinarie, e molti ne possono parlare con la
stessa perizia con cui le trattiamo noi ». Lo dice invece per umiliarli e per rimproverare la
loro presunzione e le loro arie di presidenti della cattedra. Notate:

(a) Il pensiero che molti sanno quanto noi, se non di più, e lo mettono a miglior uso, può
frenare la nostra presunzione.

(b) Quando siamo tentati a contrastare e a criticare aspramente chi pensa diversamente
da noi, dobbiamo ricordarci che tutti hanno, come noi, un senno, e una capacità e un
diritto di giudicare per se stessi. Anzi, forse gli altri ci sono addirittura superiori, e possono
aver ragione e dimostrarci nel torto. Non dobbiamo quindi giudicarli o disprezzarli, Ro 14:3
né pretendere di fare da maestri, Gm 3:1 mentre siamo tutti fratelli. Mt 23:8 Ammettere
che tutte le persone con cui conversiamo e con cui contendiamo sono creature razionali
come noi è un’ottima concessione.

II. Si lamenta del grande disprezzo che gli avevano dimostrato. Chi è arrogante e
presuntuoso è solitamente anche beffardo e pronto a calpestare tutti. È il sentimento di
Giobbe, che si riteneva schernito: Io dunque dovrei essere il ludibrio degli amici. Gb 12:4 È
un’accusa senza apparente motivo. Non vogliamo supporre che gli amici avessero inteso di
maltrattarlo o che avessero altri fini se non quello di convincerlo e quindi, giustamente, di
confortarlo. Eppure Giobbe grida: Dovrei essere il ludibrio degli amici. Notate: Tendiamo
tutti a offenderci dei rimproveri e a considerarci scherniti quando riceviamo dei consigli e
delle ammonizioni. È una permalosità che fa parte della nostra follia, e fa un gran torto a
noi e ai nostri amici. L’accusa può però essere giustificata: erano venuti a confortarlo, ma
lo avevano tormentato. Gli avevano dato dei consigli e delle parole di incoraggiamento,
senza però grandi speranze che avessero fatto effetto. Giobbe si sentiva preso in giro, e
quindi ancor più addolorato. Non c’è dolore più grande per chi cade dalle vette della
prosperità negli abissi dell’avversità di essere calpestato e insultato, ed è qualcosa che ci
rende sospettosi. Osservate:

1. C’erano due cose che aggravavano il suo dolore:

(a) Erano i suoi amici, i suoi compagni (secondo il significato letterale) a schernirlo. Spesso
gli amici sanno deridere più crudelmente degli altri, suscitando indignazione. Non è stato
un nemico che mi ha fatto vituperio, altrimenti non l’avrei preso sul serio e l’avrei
comportato, ma sei stato tu, l’uomo ch’io stimavo come mio pari, il mio compagno. Sl
55:12,13

(b) Professavano di essere religiosi: invocavano Dio e Dio rispondeva. Alcuni pensano che
questa frase si riferisca agli schernitori. « Dimostrano tanto rispetto e interesse nei
riguardi del cielo che sarei felice e grato di avere le loro preghiere e non posso fare a
meno di desiderare la loro stima. Per questo le loro critiche mi fanno soprattutto male ».
Notate: È triste che chi ama Dio schernisca i fratelli. È sempre doloroso per i giusti essere
giudicati male proprio dalle persone che essi stimano. È però una situazione comune.

2. Lo sosteneva il fatto che:

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 101


(a) Aveva un Dio a cui rivolgersi e a cui appellarsi. Secondo alcuni, le parole invoca Iddio,
ed egli gli risponderà Gb 12:4 D si riferisce a chi è schernito. In questo caso,
concorderebbe con Gb 16:20: Gli amici mi deridono, ma a Dio si volgono piangenti gli
occhi miei. Se i nostri amici sono sordi ai nostri lamenti, Dio li ascolta. Se ci condannano,
Dio conosce la nostra integrità. Se ci svalutano, Dio ci valorizza. Se ci offendono, Dio ci
parla con gentilezza.

(b) Il suo caso era molto comune: L’uomo giusto e intiero è schernito. Molti lo beffeggiano
proprio per la sua giustizia, la sua integrità, la sua onestà verso gli uomini e la sua
devozione a Dio. Sono virtù che molti deridono, considerandole sciocche occupazioni di
stolti, come se la religione fosse uno scherzo e dovesse quindi essere schernita. La
maggior parte delle persone beffeggia il giusto per ogni minima mancanza o difetto,
nonostante la sua giustizia e la sua integrità, senza preoccuparsi del suo onore. Notate: Le
persone buone e oneste erano già disprezzate e derise ai tempi antichi, e non dobbiamo
quindi meravigliarci, 1Pi 4:12 o sentirci offesi se capita anche a noi. Così hanno
perseguitato non solo i profeti, ma anche i santi dell’era patriarcale. Mt 5:12 Possiamo
aspettarci un trattamento migliore?

3. Il motivo che sospettava. In breve, i suoi amici erano ricchi e stavano bene, e quindi
disprezzavano chi era caduto nella povertà. È così in questo mondo, ogni giorno. Chi
prospera è lodato e chi fallisce è condannato. Chi sta per vacillare e per finire tra le
sciagure, anche se era stato come una lampada accesa, è considerato come il moccolo di
una candela che sta per estinguersi e che comunemente si getta a terra e si calpesta,
disprezzato nei pensieri di quelli che vivono negli agi. Gb 12:5 KJV Anche gli uomini giusti
e integri, che sono una luce fulgida e splendente per chi li circonda, sono disprezzati se
sono indotti in tentazione Sl 73:2 o sospettati. Notate:

(a) L’errore comune di chi vive in prosperità. Essendo ricchi, felici e sereni, disprezzano chi
è povero, addolorato e sofferente. Lo ignorano e fanno di tutto per dimenticarlo. cfr. Sl
123:4 Il capo dei coppieri beveva il vino dalle coppe, senza ricordare le afflizioni di
Giuseppe. Le ricchezze, senza la grazia, spesso rendono gli uomini arroganti e insensibili
alle necessità degli altri.

(b) Il destino comune di chi cade nell’avversità. La povertà eclissa ogni sfarzo. Anche se
quei giusti sono lampade, se sono tolti dai loro candelabri dorati e posti in vasi di terra,
come le fiaccole di Gedeone, non sono più stimati. Anzi, chi vive tra gli agi li disprezza.

Gb 12:6-11

Gli amici di Giobbe concordavano sul principio che gli empi non possono prosperare a
lungo in questo mondo, ma saranno colpiti improvvisamente da qualche straordinaria
punizione di Dio. Zofar aveva concluso dicendo che gli occhi degli empi sarebbero venuti
meno. Gb 11:20 È un principio che Giobbe contrasta, sostenendo che Dio, nello stabilire le
condizioni umane, agisce secondo la sua sovranità, serbando l’esatta retribuzione di
ricompense e punizioni per il futuro.

I. Afferma come verità indisputabile che gli empi possono prosperare a lungo nel mondo,
come avviene spesso. Gb 12:6 Anche i più grandi peccatori possono godere di una grande
prosperità. Osservate:

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 102


1. Come descrive i peccatori. Sono ladroni e provocano Dio, bestemmiando e
perseguitando il suo popolo, il peggior genere di peccatori. Forse si riferisce ai Sabei e ai
Caldei che lo avevano derubato e che erano sempre vissuti di saccheggio e di rapina,
continuando tuttavia a prosperare. Era una realtà evidente e indiscutibile. Un’osservazione
fondata sui fatti vale come venti nozioni fondate su delle ipotesi. Più generalmente, tutti
gli oppressori sono ladroni e pirati. Si suppone che ciò che reca ingiuria all’uomo offende
Dio, che è il patrono della giustizia e il protettore del genere umano. Non c’è da
meravigliarsi se chi infrange le leggi della giustizia trasgredisce anche le norme della
religione, sfidando Dio stesso, senza farsi scrupolo di provocarlo.

2. Descrive la loro prosperità. È grande, perché:

(a) Sono tranquille anche le loro tende, cioè chi vive con loro e i loro discendenti. Sembra
che le loro famiglie siano benedette e che i loro guadagni fraudolenti possano estendersi
alle generazioni future.

(b) Se ne stanno al sicuro, e non solo non subiscono danni, ma non li temono. Non si
sentono minacciati dalla Provvidenza, né turbati dalla coscienza. Chi provoca Iddio,
tuttavia, per quanto si senta al sicuro, non lo sarà mai davvero.

(c) Nelle loro mani egli fa cadere ciò che desiderano. Gb 12:6 D Hanno più di quanto
possano desiderare, Sl 73:7 KJV sempre per mano della Provvidenza: non solo necessità,
ma piaceri; non solo per se stessi, ma per gli altri; non solo per il presente, ma per il
futuro. Dio dà loro in abbondanza. Non si può quindi giudicare la religiosità di un uomo in
base alle sue ricchezze, e non si può sapere che cos’ha nel cuore solo guardando che
cos’ha in mano.

II. Fa appello anche agli animali perché ne diano prova. Chiedi alle bestie, agli uccelli, agli
alberi e perfino alla terra stessa, e te lo diranno. Gb 12:7,8 Possono insegnarci molte
ottime lezioni, e in questo caso:

1. Possono insegnarci che i tabernacoli de’ladroni prosperano (secondo alcuni). Infatti:

(a) Anche tra gli animali, i più grandi divorano i più piccoli, e i più forti predano i più
deboli. Gli uomini sono come i pesci dei mari. Hb 1:14 Se il peccato non fosse entrato nel
mondo, possiamo immaginare che non ci sarebbe tanto disordine tra le creature, e il lupo
giacerebbe con l’agnello.

(b) Sono creature utili all’uomo, che quindi dichiarano la sua prosperità. Chiedi alle
mandrie e ai greggi a chi appartengono, e indicheranno un certo ladrone o un certo
oppressore. I pesci e gli uccelli ti diranno che sono serviti a tavola per soddisfare gli
appetiti dei peccatori incalliti. La terra dà loro i suoi frutti, Gb 9:24 e tutta la creazione
geme sotto il peso della loro tirannia. Ro 8:20,22 Notate: Tutte le creature che gli empi
abusano, servendosene per alimentare le loro concupiscenze, testimonieranno contro di
loro. Gm 5:3,4

2. Possono insegnarci la saggezza, il potere e la bontà di Dio, e quel suo dominio assoluto
nella cui evidente verità devono risolversi queste dispensazioni. Zofar lo aveva descritto
come un mistero. Gb 11:7 « Per niente », dice Giobbe, « anzi, possiamo imparare anche

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 103


dagli animali ciò che dobbiamo sapere. Chi non impara da tutte queste creature? Gb 12:9
KJV Le creature possono chiaramente insegnarci che la mano dell’Eterno ha fatto ogni
cosa, cioè che c’è una saggia Provvidenza che guida e governa il tutto con delle regole che
non conosciamo e che non possiamo giudicare ». Notate: Il dominio assoluto di Dio sugli
animali deve insegnarci a sottometterci a tutte le sue disposizioni, anche se sono contrarie
ai nostri parametri.

III. Riporta tutto al fatto che Dio ha proprietà assoluta su tutte le creature: Tiene in mano
l’anima di tutto quel che vive. Gb 12:10 Tutte le creature, e in particolar modo l’uomo,
devono a lui la loro esistenza e dipendono dal suo sostegno. Sono alla sua mercé, sotto la
sua direzione e sotto il suo dominio, e interamente a sua disposizione, per cui devono
sottomettersi ai suoi appelli. Ogni anima gli appartiene. Non gli è lecito far del suo ciò che
vuole? L’appellativo usato qui è l’Altissimo, Gb 12:9 ed è l’unica volta che è usato nel
discorso tra Giobbe e i suoi amici, perché Dio, a quel tempo, era conosciuto soprattutto
come Shaddai-l’Onnipotente.

IV. L’orecchio non discerne esso le parole, come il palato assaggia le vivande? Gb 12:11
Queste parole possono essere intese come la conclusione del discorso precedente o la
prefazione del seguente. La mente umana sa discernere tra la verità e l’errore, se sono
bene esposti, così come il palato sa discernere tra il dolce e l’amaro. Giobbe quindi esige
che i suoi amici gli diano la libertà di giudicare da sé le loro parole, desiderando che si
prendano la stessa libertà di giudicare le sue. Anzi, sembra che faccia appello al giudizio
imparziale di chiunque. Ascoltino entrambi i lati, e vedranno che ha ragione lui. Notate:
L’orecchio deve giudicare le parole prima di accettarle. Così come il gusto ci aiuta a
determinare se un cibo è sano o avariato, il discernimento ci aiuta a giudicare se una
dottrina è valida, piacevole e retta. 1Co 10:15 11:13

Gb 12:12-25

Segue qui un nobile discorso di Giobbe sulla saggezza, il potere e la sovranità di Dio, che
decide e ordina tutti gli eventi umani secondo i decreti della sua volontà irresistibile e
inconfutabile. Se consideriamo le parole di Giobbe e dei suoi nemici fuori dal contesto della
controversia, sono tutti discorsi eccellenti. Nel corso del dibattito, invece, ci lasciano
perplessi. Sarebbe bene se i saggi e i giusti che divergono su questioni minori
comprendessero che, per il loro onore, per il loro conforto e per l’edificazione degli altri,
dovrebbero insistere soprattutto sulle grandi questioni su cui concordano. Su questo
argomento Giobbe parla secondo la sua natura. Non ci sono ferventi lamenti o espressioni
petulanti, ma solo parole grandi e decise.

I. Dichiara l’insondabile saggezza e l’irresistibile potere di Dio. È vero che tra gli uomini c’è
sapienza e intelligenza, Gb 12:12 ma solo tra pochi, cioè nei vecchi, che sono stati
benedetti con una lunga vita e hanno quindi una lunga, indelebile esperienza da cui
attingere. Purtroppo, mentre acquisiscono quella sapienza, perdono le forze fisiche
necessarie per metterla in atto. Al contrario, in Dio stanno sia la saviezza che la potenza,
la saggezza per fare i piani migliori e la potenza per attuarli. Non ottiene consiglio e
intelligenza come noi, tramite l’osservazione, ma le possiede come qualità intrinseche ed
eterne della sua essenza. Gb 12:13 La sapienza dei vecchi non è niente al confronto di
quella del Vegliardo! Sappiamo poco e possiamo fare ancor meno, ma Dio può fare
qualunque cosa, e nulla può impedirgli d’eseguire un suo disegno. Beato chi ha questo

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 104


Dio, perché potrà attingere dalla sua forza e dalla sua sapienza infinita. Qualunque
tentativo dell’uomo contro di lui è assurdo e futile. Egli abbatte, e niuno può ricostruire. Gb
12:14 Notate: Non si può contendere con la Provvidenza divina, né si possono frenare le
sue disposizioni. Giobbe aveva già detto: Afferra la preda, e chi si opporrà? Gb 9:12 E lo
ripete. Non si può contrastare le parole di Dio, né disfare ciò che fa. Non si può ricostruire
ciò che distrugge. Ricordate la torre di Babele che non poté essere completata, e la
desolazione di Sodoma e Gomorra, che non furono mai restaurate. cfr. Is 25:2 Ez 26:14
Ap 18:21 Non si può liberare chi Dio condanna a un carcere eterno. Se chiude un uomo in
prigionia della malattia, della povertà o della distretta, non v’è chi gli apra. Se rinchiude
nella tomba, nessuno può aprire quei portali sbarrati. Se rinchiude all’inferno, tra catene di
tenebre, nessuno può oltrepassare quella gran voragine.

II. Dimostra la sua dottrina con un esempio tratto dal regno naturale. Gb 12:15 Dio ha
dominio sulle acque, che racchiude nella sua veste Pr 30:4 e sostiene nel cavo della sua
mano. Is 40:12 Può quindi punire gli uomini facendole mancare o riversandole più del
normale. Così come gli uomini infrangono le leggi della virtù comportandosi in modo
estremo, per difetto o per eccesso, mentre la virtù sta nel mezzo, Dio li corregge
mandando condizioni estreme e negando quella misericordia che risiede anch’essa nel
mezzo.

1. A volte le grandi siccità sono grandi punizioni di Dio: Egli trattiene le acque, e tutto
inaridisce. Se il cielo sarà di rame, la terra sarà di ferro. Se Dio trattiene la pioggia, le
sorgenti si essiccano, i rivi si prosciugano, i campi si inaridiscono e non danno più frutto.
Am 4:7

2. A volte, anche un eccesso di pioggia è una grande punizione. Dio lascia andare le
acque, ed esse sconvolgono la terra, con tutti i suoi prodotti e i suoi edifici. Una pioggia
torrenziale non dà pane. Pr 28:3 Dio contende con un popolo di peccatori in modi diversi,
togliendo quegli atti di misericordia di cui hanno abusato e rifiutato. Ci è impossibile
contendere con lui! Se potessimo invertire l’ordine di questo versetto, potrebbe riferirsi al
diluvio universale, quel memorabile esempio del potere di Dio, il quale, nella sua ira, lasciò
andare le acque, ed esse sconvolsero la terra. Poi però le trattenne, chiudendo le cateratte
del cielo e le fonti del grande abisso, e in breve tempo si prosciugarono.

III. Trae molti esempi anche dal governo potente di Dio sugli uomini, che rovina i loro
piani per servire ai suoi, sconvolge i loro progetti, abbatte tutti i loro tentativi e sconfigge
ogni loro opposizione. Quanti grandi cambiamenti e sconvolgimenti effettua nelle vite
umane, con facilità e in maniera sorprendente!

1. In generale: Appo lui è forza e ragione, Gb 12:16, secondo alcune traduzioni, tra cui la
Diodati forza e coerenza. La parola originale è molto elegante. Dio possiede la
quintessenza e l’estratto della sapienza. Altri traducono: Presso lui c’è il potere e tutto ciò
che esiste. Dio è essenzialmente ciò che è, e tutto sussiste in lui e per mezzo di lui.
Avendo una tale forza e sapienza, sa come servirsi non solo dei saggi e dei giusti che lo
servono volontariamente secondo il suo disegno, ma anche degli empi e degli stolti che
sembrerebbero inutili ai propositi della sua Provvidenza: Da lui dipendono chi è ingannato
e chi inganna. Gb 12:16 ND Le più umili vittime dell’inganno non sfuggono al suo sguardo,
e gli astuti ingannatori, con tutta la loro furbizia, non possono evitare la sua attenzione. Il
mondo è pieno di inganni. Metà del mondo inganna l’altra, e Dio lo permette. Sia gli uni

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 105


che gli altri finiscono poi per dargli gloria. Gli ingannatori si servono degli altri, ma Dio si
servirà di entrambi, e nessuno può fermarlo. Ha abbastanza forza e sapienza da affrontare
tutti gli stolti e gli imbroglioni del mondo, sapendoli usare per raggiungere i suoi scopi,
nonostante la debolezza degli uni e la malvagità degli altri. Quando Giacobbe ottenne con
la frode la benedizione di Dio, servì ai piani della sua grazia. La falsa profezia che indusse
Acab a intraprendere una spedizione che lo avrebbe distrutto fu parte del piano della
giustizia divina, dimostrando che chi è ingannato e chi inganna sono a sua disposizione.
cfr. Ez 14:9 Dio non permetterebbe il peccato di chi inganna e la miseria di chi è
ingannato, se non sapesse come limitare entrambi, traendone gloria. Alleluia! poiché il
Signore Iddio nostro, l’Onnipotente, regna, ed è un bene, perché c’è così poca saggezza e
onestà in questo mondo che, altrimenti, tutto sarebbe già caduto nella rovina e nella
confusione da molto tempo.

2. Giobbe viene poi a esempi particolari della sapienza e del potere di Dio. Prende come
esempio il succedersi dei governi e dei regni invece delle simili operazioni della
Provvidenza nella vita di individui e di famiglie, perché più importanti e famosi sono gli
uomini, più conosciuti sono i loro eventi e più chiari gli atti della Provvidenza. È inoltre
facile dire che, se Dio può far rigirare i grandi di questa terra come una palla in uno spazio
aperto, secondo la descrizione di Isaia, Is 22:18 può ancor più far rotolare gli altri. È
quindi folle contendere con chi sottomette a sé gli stati e i regni. Secondo alcuni, Giobbe si
riferisce alla caduta di nazioni potenti come i Refei, gli Zuzei, gli Emei e i Corei, cfr. Ge
14:5,6; De 2:10; 2:20 nei confronti delle quali l’intervento divino era forse stato
particolarmente sorprendente. In quel caso, vorrebbe dimostrare che è sempre Dio che
interviene in quel modo tra le nazioni umane, facendoci notare il suo dominio assoluto
anche su chi si ritiene più potente, ingegnoso e supremo. Confrontatelo con il discorso di
Elifaz. Gb 5:12 ss. Notiamo anche i particolari cambiamenti di cui parla Giobbe, sia per
distruggere le nazioni e metterne altre al loro posto o per abbattere dei governi o ministeri
e porne altri in loro vece, forse per il bene del regno stesso. Considerate per esempio la
gloriosa rivoluzione avvenuta nel nostro paese vent’anni fa, in cui abbiamo visto il più
grande, felice esempio di questo discorso.

(a) A volte i saggi sono stranamente confusi, e dobbiamo riconoscere la mano di Dio su di
loro: Manda scalzi i consiglieri, Gb 12:17 come trofei della sua vittoria, spogli di tutto
l’onore e delle ricchezze che avevano ottenuto con i loro stratagemmi e, anzi, spogli
proprio della stessa saggezza per cui erano stati stimati e del successo che si erano
ripromessi di avere. Il consiglio dell’Eterno sussiste, mentre tutte le loro macchinazioni non
concludono niente e i loro piani sono frustrati. Saranno loro tolte quindi sia le soddisfazioni
che la reputazione della loro saggezza. Colpisce di demenza i giudici. Li svuota di ogni loro
abilità, rendendoli realmente stolti. Rigira gli eventi in modo da condurre i loro progetti a
un esito ben diverso da quello che si erano aspettati, e quindi facendoli apparire stolti. In
un grande adempimento di questa scrittura, i piani di Aitofel divennero una follia ed egli
dimostrò di essere, secondo il significato del suo nome, il fratello di uno stolto. I principi di
Tsoan sono diventati stolti. Han traviato l’Egitto, essi, la pietra angolare delle sue tribù. Is
19:13 Il savio non si glori quindi della sua sapienza, né i più abili consiglieri e giudici della
loro posizione, ma facciano dipendere tutti umilmente da Dio le loro abilità. Anche gli
anziani, che sembrano essere necessariamente saggi e pensano di avere ottenuto la
sapienza con i propri sforzi e quindi di averne un diritto incontestabile, possono esserne
privati, come avviene spesso, dalle infermità della vecchiaia, che è come una seconda
infanzia. Dio toglie il discernimento ai vecchi. Gb 12:20 Gli anziani, stimati per la loro

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 106


sapienza, spesso deludono chi vi fa affidamento. Le Scritture parlano di un re vecchio e
stolto. Ec 4:13

(b) Chi è in posizioni di potere e di autorità è stranamente abbattuto, impoverito e fatto


prigioniero per mano di Dio: Scioglie i legami dell’autorità dei re, Gb 12:18 e toglie loro
quel potere con cui avevano regnato, forse incarcerando e maltrattando i loro sudditi.
Toglie loro ogni vestigio di onore e di autorità e ogni sostegno della loro tirannia. Allenta le
loro cinture per far cadere la spada. Poi, non c’è da stupirsi se la corona cadrà dal loro
capo. Subito dopo, stringe la cinghia sopra i lor propri lombi, Gb 12:18 D un segno di
servitù, perché erano i servi a cingerseli. Mena i rettori spogliati di ogni potere, di ogni
ricchezza e di ciò che si erano compiaciuti e vantati. Gb 12:19 D Notate: I re non sono
esenti dalla giurisdizione di Dio. Per noi, sono degli dei, ma ai suoi occhi sono solo uomini,
soggetti a ben più dei comuni cambiamenti della vita umana.

(c) I forti sono stranamente indeboliti dalla mano di Dio Gb 12:21 che sovverte i possenti.
Gb 12:19 L’età e la malattia indebolisce anche i corpi più forti. Degli eserciti potenti si
sgretolano fino a estinguersi, e la loro forza non serve a salvarli dalla distruzione finale.
Nessuno, nemmeno Golia, può contrastare l’Onnipotente.

(d) Chi era noto per la sua arte oratoria e svolgeva incarichi di pubblica utilità è
stranamente messo a tacere e non ha più niente da dire: Priva della parola i più eloquenti,
Gb 12:20 che non possono quindi parlare come vorrebbero e con la stessa spontaneità e
chiarezza di prima. Faranno errori, esiteranno e falliranno. Oppure, non potranno dire ciò
che vogliono, come Balaam, che benedì chi fu chiamato a maledire. L’oratore non si vanti
della sua retorica e non la usi per cattivi fini, o Dio gliela toglierà, essendo il creatore della
bocca.

(e) Chi era stato onorato e ammirato è stranamente disprezzato: Sparge lo sprezzo sui
nobili. Gb 12:21 Lascia che si comportino male, o altera l’opinione degli altri. Se i nobili
disonorano e disprezzano Dio, insultando e calpestando il suo popolo, riceveranno poca
stima e Dio spargerà su di loro il suo disprezzo. cfr. Sl 107:40 Di solito non c’è nessuno più
abietto e più abusato quando è già a terra di chi era altezzoso e insolente quando era in
potere.

(f) Ciò che era segreto e nascosto è stranamente messo in luce ed esposto: Rivela le cose
recondite, facendole uscir dalle tenebre. Gb 12:22 I mali complottati e svolti in segreto e
poi nascosti abilmente sono scoperti e sconfitti, e i loro colpevoli finiscono per ammetterli:
tradimenti, omicidi e prostituzioni segrete. Ec 10:20 I gabinetti dei principi sono sotto lo
sguardo di Dio. 2Re 6:11

(g) I regni hanno i loro momenti di successo e di fallimento, di vittoria e di sconfitta, che
provengono sempre dalla mano di Dio: A volte ingrandisce i popoli Gb 12:23 e li amplia, di
modo che fanno figura tra le nazioni e diventano potenti, ma, dopo un po’, forse per
qualche causa inspiegabile, lascia che vengano distrutti, afflitti, decimati, impoveriti e
quindi disprezzati da chi li circonda. I capi delle nazioni finiscono per essere in coda. cfr. Sl
107:38,39

(h) Chi era valoroso, coraggioso e noncurante del pericolo è stranamente depresso e
avvilito, per mano del Signore: Toglie il senno ai capi della terra, Gb 12:24 ai capitani e ai

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 107


comandanti, famosi soprattutto per il loro fervore militare e per i loro grandi
conseguimenti. Diventano codardi di fronte al dovere e pronti a fuggire al rumore d’una
foglia agitata. Sl 76:5

(i) Chi era impegnato intensamente nei propri progetti si trova stranamente confuso e
perplesso. Non sa più dov’è e che cosa fa. Si sente irresoluto e incerto, pendolando da una
parte all’altra, vagando come in un deserto senza sentieri, Gb 12:24 brancolando come tra
le tenebre e barcollando come un ubriaco (Gb 12:25; cfr. Is 59:10). Notate: Dio può
confondere i più abili uomini politici e rendere perplessi i più grandi geni, per dimostrare la
sua superiorità anche su ciò di cui sono più superbi. Le rivoluzioni dei governi umani sono
operate in maniera soprannaturale dalla Provvidenza. Il cielo e la terra possono essere
agitati, ma il Signore regna per sempre, e per merito suo cerchiamo un regno che non è
scosso.

Giobbe 13

applica qui ciò che aveva detto nel capitolo precedente, ma con una disposizione meno
buona. Infatti:

I. Attacca apertamente gli amici, mettendosi a confronto con loro, benché lo avessero
tanto mortificato. Gb 13:1,2 Condanna la loro falsità, la loro prontezza a giudicare, la loro
parzialità e il loro ingannevole pretesto di voler sostenere la causa di Dio. Gb 13:4-8 Li
minaccia quindi con la prospettiva dei giudizi di Dio, Gb 13:9-12 richiedendo il silenzio. Gb
13:5,13,17 Si rivolge poi a Dio. Gb 13:3

II. Gli parla faccia a faccia.

1. In alcune espressioni, la sua fede è spavalda, ma sempre benaccetta. Gb 13:15,16,18

2. In altre, gli ricorda la sua miserabile condizione con una passione troppo sfacciata. Gb
13:14,19 ss. Si lamenta di essere confuso Gb 13:20-22 e di non poter determinare quale
peccato lo avesse provocato ad affliggerlo in quel modo. In breve, si lamenta del modo in
cui Dio lo ha trattato. Gb 13:23,28

Gb 13:1-12

Esprime con fervore il suo risentimento per la villania degli amici.

I. Fa notare di aver capito la questione quanto loro, e di non avere quindi bisogno dei loro
insegnamenti. Gb 13:1,2 Lo avevano costretto, come i Corinzi costrinsero Paolo, a farsi
valere e a far stimare la sua conoscenza, non per lodarsi, ma per giustificarsi. Le sue
parole erano state confermate da molti eventi e da molte autorità. Le aveva comprese e
sapeva come farne uso. Beato chi non solo vede la grandezza, la gloria e la sovranità di
Dio e ne sente parlare, ma chi la comprende. Giobbe pensava che quelle sue parole
avrebbero giustificato quelle dette prima, Gb 12:3 che ripete qui: Gb 13:2 « Quel che
sapete voi lo so pur io. Non devo farmi insegnare da voi: Non vi sono punto inferiore in
sapienza ». Notate: Chi entra in una disputa si espone alla tentazione di esaltarsi e di
vilificare gli altri più di quanto sia appropriato, e deve quindi stare attento e pregare contro
le opere della superbia.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 108


II. Si rivolge a Dio: Io vorrei parlare con l’Onnipotente, Gb 13:3 come per dire: « Non
posso aspettarmi alcuna soddisfazione parlando con voi. Se potessi ragionar con Dio! Non
mi tratterebbe altrettanto duramente ». Il principe stesso può a volte dare ascolto a un
povero supplicante con più gentilezza, pazienza e condiscendenza dei suoi servitori.
Giobbe avrebbe preferito ragionare con Dio che con gli amici. Notate:

1. Che fiducia ha nel cospetto di Dio chi non riceve dal cuore una condanna per una
radicata ipocrisia. Con umile coraggio, può presentarsi a lui e fargli appello.

2. Che conforto trova in Dio chi è condannato ingiustamente dagli altri. Se non può
aspettarsi che loro gli diano ascolto, può sempre parlare all’Onnipotente. Lo contatterà
facilmente e sarà accettato.

III. Li condanna per averlo trattato ingiustamente e crudelmente. Gb 13:4

1. Lo avevano accusato falsamente, e quindi ingiustamente: Voi siete de’fabbri di


menzogne. Avevano formulato un’ipotesi errata sulla Provvidenza divina, descrivendola
falsamente, come se, in questo mondo, affliggesse solo i malvagi. Da quell’ipotesi,
avevano poi espresso un giudizio incorretto di Giobbe, concludendo che era certamente un
ipocrita. È per quel loro grande errore di dottrina e di applicazione che Giobbe li accusa di
fabbricare menzogne contro di lui. È già un male dire menzogne sentite da altri, ma
fabbricarle artificiosamente e deliberatamente è molto peggio. Né l’innocenza, né
l’eccellenza possono offrire un riparo contro questo male.

2. Lo avevano ingannato vilmente e crudelmente. Volevano curarlo, atteggiandosi a


medici, ma erano tutti medici da nulla, « medici-idoli, che possono aiutarmi quanto
farebbe un idolo ». Erano medici inutili, che non capivano la sua condizione e non
sapevano che cosa prescrivergli. Erano solo degli empirici, che fingevano di fare grandi
cose, ma in realtà non gli recavano alcun giovamento. Tutte le loro parole non gli avevano
dato sapienza. Per i cuori infranti e le coscienze ferite, tutte le creature, senza Cristo, sono
medici da nulla, per cui si può spendere tutto ciò che si ha senza mai migliorare, o anzi
peggiorando. Mr 5:26

IV. Li prega di stare in silenzio e di ascoltarlo pazientemente. Gb 13:5,6

1. Pensa che il silenzio avrebbe fatto loro onore, dato che avevano detto anche troppo:
« Oh se serbaste il silenzio! Esso vi conterebbe come sapienza, perché vi aiuterebbe a
nascondere tutta la vostra ignoranza e petulanza, che ora è evidente in tutto quello che
dite ». Avevano detto che non potevano trattenersi dal parlare, Gb 4:2,11:2,3 ma Giobbe
ribatte che, se fossero rimasti in silenzio, avrebbero servito meglio la loro reputazione.
Meglio non dir niente che parlare a sproposito o dire qualcosa che disonora Dio o addolora
i fratelli. Anche lo stolto, quando tace, passa per savio, perché non dimostra di essere
stolto. Pr 17:28 Inoltre, il silenzio non è solo una dimostrazione di saggezza, ma anche un
mezzo per ottenerla, perché ci dà tempo per pensare e ascoltare.

2. Pensa che gli avrebbero fatto giustizia ascoltando quello che aveva da dire: Ascoltate la
difesa della mia ragione. Gb 13:6 D Forse, anche se non lo avevano interrotto, erano
sembrati distratti e non avevano prestato attenzione a quello che diceva. Li pregò quindi
non solo di ascoltare, ma di fare attenzione. Notate: Dovremmo essere disposti ad

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 109


ascoltare la difesa di chi siamo tentati a criticare. Molte persone sarebbero dichiarate
innocenti, anche dalla coscienza dei loro accusatori, se solo fossero ascoltate.

V. Cerca di convincerli che avevano compromesso l’onore di Dio, fingendo di difenderlo.


Gb 13:7,8 Si vantavano di essere i portavoce e gli avvocati di Dio e cercavano di
giustificarlo nelle sue azioni contro Giobbe. Ritenendosi suoi consiglieri, si aspettavano non
solo l’attenzione del tribunale e l’ultima parola nella questione, ma la vittoria della loro
causa. Giobbe invece dice chiaramente che:

1. Dio e la sua causa non hanno bisogno di avvocati: « Volete costituirvi gli avvocati di
Dio, come se la sua giustizia fosse offuscata e avesse bisogno di essere chiarita, o come
se Dio non sapesse che cosa dire e chiedesse il vostro intervento? Delle persone deboli e
dominate dalle passioni come voi vorrebbero forse l’onore di difendere la sua causa? ». Le
buone opere non vanno messe in cattive mani. Volete aver riguardo alla sua persona? Se
chi è nel torto riesce a portare avanti la propria causa, è solo per parzialità da parte del
giudice. La causa di Dio è così giusta che non ha bisogno di stratagemmi del genere. In
quanto Dio, può difendersi da solo. Gc 6:31 Se anche voi non parlaste mai più, i cieli
dichiareranno la sua giustizia.

2. Avevano danneggiato la sua causa. Fingendo di voler giustificare Dio nella sua decisione
di affliggere Giobbe, avevano condannato autoritariamente quest’ultimo come ipocrita e
malvagio. « Quando parlate in questo modo », dice Giobbe, « parlate iniquamente » (la
crudeltà e il biasimo sono dei grandi mali): chi fa del male ai fratelli offende Dio. « Vi
esprimete con parole di frode, perché condannate una persona che forse le vostre
coscienze, allo stesso tempo, non possono fare a meno di scagionare. I vostri principi sono
falsi e i vostri argomenti ingannevoli. Sarà forse una scusa dire: È per Dio? « No. Una
buona intenzione non giustifica, né tanto meno santifica, una parola o un’azione sbagliata.
La verità di Dio non ha bisogno delle nostre menzogne, né la sua causa ha bisogno dei
nostri metodi o delle nostre passioni peccaminose. L’ira dell’uomo non mette in opera la
giustizia di Dio, né possiamo fare il male affinché ne venga il bene. Ro 3:7,8 Gli inganni
per il bene della religione (come li chiamano alcuni) sono in realtà imbrogli irreligiosi, e le
persecuzioni dettate dalla devozione a Dio sono orrende profanazioni del suo nome, come
quelle di chi odia i fratelli e li caccia, dicendo: Il Signore sia glorificato (Is 66:5 KJV; Gv
16:2).

VI. Giobbe cerca di incutere negli amici un timore del giudizio di Dio, per migliorare la loro
disposizione. Non pensino di poter dare dettami a Dio come se fosse un altro uomo, né si
aspettino di ottenere la sua approvazione dei loro malfatti fingendosi zelanti per il suo
onore. « Pensate di poterlo abbindolare e schernire, come fanno gli uomini con le loro
adulazioni? ». Certamente chi cerca di imbrogliare Dio finisce per imbrogliare se stesso.
Non v’ingannate; non si può beffarsi di Dio. Perché non pensassero di poter prendere in
giro Dio e quindi offenderlo, Giobbe li esorta a considerare il divario che c’è tra Dio e loro,
che li dimostrerebbe incapaci di giudicarlo.

1. Considerino chi è quel Dio che si sono impegnati a servire, ma a cui in realtà causano
tanti danni, e vedano se possono dare un buon resoconto delle loro azioni. Considerate:

(a) L’intransigenza del suo scrutinio e delle sue indagini. « Sarà egli un bene per voi
quando vi scruterà a fondo? Gb 13:9 Può esaminare quei principi su cui fondate le vostre

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 110


critiche? Può andare al fondo della questione? ». Notate: Dobbiamo tutti considerare
seriamente se le indagini di Dio saranno un bene per noi. Sono un bene per il giusto che
desidera sinceramente che Dio lo esamini, e quindi prega: Investigami, o Dio, e conosci il
mio cuore. L’onniscienza di Dio è testimone della sua sincerità. Sono invece un male per
gli ipocriti, che restano confusi.

(b) La severità dei suoi rimproveri e della sua disapprovazione: « Se avete dei riguardi
personali, anche se nel vostro segreto e nel cuore, certo egli vi riprenderà severamente.
Gb 13:10 Non solo non approverà le vostre critiche, che mi rivolgete con la pretesa di
volerlo difendere, ma le considererà una grande offesa, come farebbe un principe di
questo mondo se un’ingiustizia fosse commessa nel suo nome e con la pretesa di voler
difendere i suoi interessi ». Notate: Prima o poi, in un modo o nell’altro, saremo
certamente rimproverati per le nostre malefatte, per segrete che siano.

(c) Il terrore della sua maestà. Se ne fossero stati giustamente impressionati non
avrebbero provocato la sua ira: « La maestà sua non vi farà sgomenti? Gb 13:11 Voi che
avete una tale conoscenza di Dio e professate di essere religiosi e di temerlo, come osate
parlare in questo modo e concedervi una tale libertà di parola? Non dovreste camminare e
parlare nel timore del nostro Dio? Ne 5:9 Il suo terrore non piomberà su di voi, frenando
le vostre passioni? ». Secondo me, queste parole lasciano trasparire che Giobbe conosceva
personalmente quel terrore di Dio e ne conservava un santo timore, anche se gli amici
suggerivano il contrario. Notate: [1] La superiorità di Dio è tremenda. Dio è l’Essere più
eccellente, che racchiude in sé tutte le perfezioni e supera ogni creatura. Le sue stesse
perfezioni sono ammirevoli. È l’Essere più stupendo. Se consideriamo il divario che la
natura stessa ha posto tra l’uomo e Dio, e poi la defezione e la degenerazione dell’uomo
per mezzo del peccato, le perfezioni di Dio appaiono tremende, tra cui il suo potere, la sua
santità, la sua giustizia e anche la sua bontà. Gli uomini ricorreranno tremanti all’Eterno e
alla sua bontà. [2] Dobbiamo tutti provare un santo timore di quella sua tremenda
superiorità. È un pensiero che dovrebbe risvegliare i peccatori impenitenti, conducendoli al
pentimento, e che dovrebbe esortarci tutti a impegnarci a compiacerlo e ad aver paura di
offenderlo.

2. Considerino la propria natura e la propria inferiorità di fronte a questo grande Dio: « Le


vostre memorie (tutto ciò per cui volete essere ricordati) son come cenere, fragili e senza
valore, e si possono facilmente calpestare e soffiare via. I vostri corpi son come corpi
d’argilla Gb 13:12 che si sgretolano fino a decomporsi. Pensate che le vostre memorie vi
sopravvivranno, ma, ahimè, saranno come ceneri raccolte insieme alla vostra polvere ».
Notate: La considerazione della nostra natura vile e mortale deve incuterci timore di
offendere Dio e offrirci un buon motivo per non disprezzare e calpestare i fratelli. Il dott.
Patrick dà a questo versetto un altro significato: « Le vostre lamentele in difesa di Dio
sono come polvere, e tutti i vostri ragionamenti sono solo dei mucchi di terra ».

Gb 13:13-22

riprende ora a sostenere fermamente la propria integrità, come se fosse deciso a tenersela
stretta nella lotta. La sua fermezza è elogiabile e il suo fervore scusabile.

I. Prega gli amici e i compagni di lasciarlo parlare senza interromperlo Gb 13:13 e di


ascoltarlo attentamente. Gb 13:17 Vuole difendersi con risolutezza, perché erano solo lui e

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 111


Dio a conoscere il suo cuore. « Tacete, e ascoltate con attenzione ciò che ho da dire.
Lasciate che la mia parola metta fine alla contesa ».

II. È deciso ad attenersi alla testimonianza della sua coscienza che lo dichiara integro.
Mantiene la sua risolutezza benché gli amici la chiamino ostinazione: « Parlerò in mia
difesa, e m’avvenga quello che può. Gb 13:13 I miei amici lo interpretino come vogliono e
mi diano anche il peggior giudizio possibile. Spero che Dio non consideri questa mia
necessaria difesa un attacco, come fate voi. Dio mi giustificherà Gb 13:18 e allora non
temerò alcun male ». Notate: Chi è giusto ed è certo di esserlo può accogliere con serenità
qualunque evento. In ogni caso, bene praeparatum pectus — l’animo è pronto. Giobbe è
deciso a difendere la sua condotta. Gb 13:15 Non avrebbe mai abbandonato la
soddisfazione provata nel vivere rettamente per Dio. Anche se non può giustificare ogni
sua parola, sa che in genere aveva vissuto bene e difende quindi la propria integrità. E
perché no, visto che quel pensiero lo sosteneva durante le sue prove, come sostenne
Ezechia: Signore, ricordi come io ho camminato nel tuo cospetto? No, non solo non
avrebbe rinnegato o abbandonato la sua causa, ma avrebbe dichiarato apertamente la sua
sincerità. « Se taccio, il mio silenzio mi metterà per sempre a tacere, perché vo’morire ».
Gb 13:19 « Se non posso discolparmi, lasciate almeno che le mie parole mi diano
sollievo », come dirà anche Eliu. Gb 32:17,20

III. Si lamenta dell’estremità della sua miseria e del suo dolore: Perché prenderei la mia
carne coi denti? Gb 13:14 Cioè,

1. « Perché soffro tanto? Non posso fare a meno di stupirmi che Dio mi affligga in questo
modo, quando sa che non sono malvagio ». La sofferenza era tale che voleva quasi, non
solo stracciarsi gli abiti, ma dilaniarsi la carne. Si vedeva già sull’orlo della morte, mentre
la vita gli sfuggiva tra le dita, eppure gli amici non potevano accusarlo di qualche crimine
orrendo, né poteva trovarne lui. Non c’è quindi da stupirsi che fosse così confuso.

2. « Perché dovrei reprimere questa protesta della mia innocenza? ». Quando si fa fatica a
trattenere le parole, ci si mordono le labbra. « Perché », dice Giobbe, « non dovrei
prendermi la libertà di parlare, visto che trattenendomi non faccio che torturarmi,
aggravando il mio tormento e mettendo in pericolo la mia vita? ». Notate: Essere negato il
conforto di una coscienza pulita e di una buona reputazione (se meritato) è un gran
tormento anche per l’uomo più paziente, quando ha perso tutto il resto.

IV. Trova conforto in Dio e mantiene la sua fiducia in lui. Osservate:

1. Quali sono le cose di cui fa affidamento: la giustificazione e la salvezza, le due grandi


speranze in Cristo.

(a) La giustificazione: Ho predisposto ogni elemento per la causa, e so che sarò


riconosciuto giusto. Gb 13:18 NR Lo sa perché è certo che il suo Redentore vive. Gb 19:25
Chi è integro di fronte a Dio e non cammina secondo la carne, ma secondo lo Spirito, può
essere certo che, tramite Cristo, non avrà alcuna condanna e che, nonostante qualunque
accusa, sarà giustificato.

(b) La salvezza: Egli stesso mi sarà in salvazione. Gb 13:16 Giobbe fa riferimento non solo
alla salvezza temporale (che si aspetta ben poco), ma a quella eterna. È ben certo che Dio

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 112


sarà non solo il suo Salvatore, dandogli felicità, ma la sua salvezza, e che la sua felicità
sarà quella di vedere Dio e di godere della sua presenza. Giobbe dipendeva da Dio per
ottenere salvezza proprio perché l’ipocrita non gli verrà davanti. Sapeva di non essere un
ipocrita, e che solo gli ipocriti sono respinti da Dio, per cui concludeva che non lo avrebbe
respinto. La sincerità è la nostra perfezione evangelica. Solo la sua mancanza sarà la
nostra rovina.

2. Con che costanza dipende da Dio: Uccidami egli pure; sì spererò in lui. Gb 13:15 D È
una grande espressione di fede. Dobbiamo tutti impegnarci a sperare in Dio, anche se ci
uccidesse, cioè dobbiamo rallegrarci di averlo come amico anche quando sembra che ci
attacchi come un nemico. Gb 23:8-10 Dobbiamo credere che tutte le cose cooperano al
nostro bene anche quando tutto sembra esserci contro. Gr 24:5 Dobbiamo continuare a
fare il nostro dovere, con perseveranza, anche se dovesse costarci tutto ciò che ci è caro
in questo mondo, compresa la vita. Eb 11:35 Dobbiamo fare affidamento
sull’adempimento della promessa quando ogni sentiero che vi conduce è bloccato. Ro 4:18
Dobbiamo rallegrarci in Dio quando non abbiamo nient’altro di cui essere felici, e tenerci
stretti a lui, anche se non possiamo, per il momento, trovarvi alcun conforto. Nell’ora della
morte dobbiamo trarre da lui consolazioni di vita. È così che speriamo in lui anche se ci
uccide.

V. Vuole dibattere con Dio stesso, se gli sia permesso di fissare i preliminari del patto. Gb
13:20-22 Ancora una volta, desidera ragionar con Dio. Gb 13:3 Non si sarebbe nascosto
dal suo cospetto, cioè, non avrebbe rifiutato di apparire in processo, né avrebbe temuto
l’esito. Ha solo due condizioni:

1. Che il suo corpo non sia torturato con quell’estrema sofferenza: « Ritirami d’addosso la
tua mano. In queste condizioni, non posso fare niente. Posso trovar modo di parlare con i
miei amici, ma non so come rivolgermi a te ». Per parlare a Dio, abbiamo bisogno di una
certa compostezza, eliminando qualunque cosa ci possa turbare.

2. Che la sua mente non sia terrorizzata dalla tremenda maestà di Dio: « Fa’che i tuoi
terrori non mi spaventino più. Rendimi familiari le manifestazioni della tua presenza, o
permettimi di affrontarle senza inquietudine e smarrimento ». Lo stesso Mosè tremò di
fronte a Dio, come pure Isaia e Habacuc. O Dio, tu sei tremendo dai tuoi santuari!
« Signore », dice Giobbe, « fa’che, in quest’afflizione fisica, il mio spirito non sia
costernato, altrimenti cederei e non concluderei nulla ». Vedete che follia è rimandare il
pentimento e la conversione al giorno della malattia e della morte. Come può un giusto, e
tanto meno un malvagio, ragionare con Dio per essere giustificato, se è tormentato dal
dolore e terrorizzato dalla morte? Non è il momento per un’opera così importante. È invece
di conforto, come fu per Giobbe, sapere di averla svolta. Anche se dovessero essergli
concessi solo pochi minuti, Giobbe è pronto:

(a) Ad ascoltare la voce di Dio nella sua parola e a rispondergli: Interpellami, ed io


risponderò. Oppure,

(b) A parlargli in preghiera e ad aspettarsi una risposta: Parlerò io, e tu replicherai (Gb
13:22; cfr. Gb 9:34,35). In breve, le sue misere condizioni lo frenavano tanto che non
poteva reagire. Altrimenti, era ben certo della validità della sua causa e non dubitava che,

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 113


dopo quel periodo offuscato, ne avrebbe ricevute le consolazioni. Il giusto si accosti quindi
con piena fiducia al trono della grazia, senza dubitare di ottenervi misericordia.

Gb 13:23-28.

In questo brano,

I. Giobbe prega Dio di mostrargli i suoi peccati, Gb 13:23 facendogliene conoscere il


numero (Quante sono le mie iniquità?) e i particolari (Fammi conoscere la mia
trasgressione). I suoi amici erano stati prontissimi a dirgli com’erano numerosi e tremendi.
Gb 22:5 « Signore », dice Giobbe, « dimmelo tu. Solo il tuo giudizio è conforme a verità ».
Possiamo interpretarlo come:

1. Un lamento appassionato per il fatto di essere punito per delle colpe che non gli erano
rivelate. Oppure,

2. Un saggio appello a Dio riguardo alle critiche dei suoi amici. Voleva che Dio mettesse in
luce i suoi peccati, sapendo che non sarebbero stati gravi e numerosi come sospettavano i
suoi amici. Oppure,

3. Una pia richiesta, come quella che Eliu lo esortò poi a fare: Mostrami tu quel che non so
vedere. Gb 34:32 Notate: Un vero penitente vuole sapere anche il peggio riguardo a se
stesso. Dovremmo tutti desiderare di conoscere le nostre trasgressioni, per poter
confessarle dettagliatamente e stare in guardia nel futuro.

II. Si lamenta amaramente della lontananza di Dio: Perché nascondi il tuo volto? Gb 13:24
Non parlava solo delle sue afflizioni esteriori. La privazione dei beni, dei figli e della salute
può essere coerente con l’amore di Dio. Dopo tali perdite, Giobbe aveva benedetto il nome
dell’Eterno. Ora però anche la sua anima era tutta tremante, e si lamenta appunto del
fatto che:

1. I favori dell’Onnipotente gli erano stati sospesi. Dio gli nascondeva il volto come se non
lo conoscesse, lo disapprovasse, o non si interessasse a lui.

2. I terrori dell’Onnipotente lo avevano colpito profondamente. Dio lo trattava come un


nemico, prendendolo a bersaglio Gb 7:20 con le sue frecce. Gb 6:4 Notate: Lo Spirito
Santo a volte nega i suoi favori e dimostra i suoi terrori anche ai suoi più grandi santi e
servitori che più gli sono cari in questo mondo. È vero non solo agli inizi di una nuova vita
spirituale, ma anche nel suo corso. Le garanzie del cielo sono eclissate, le comunicazioni
percettibili sono interrotte, il terrore dell’ira divina è percepito e, per il momento, non c’è
speranza di conforto. Sl 77:7-9 88:7,15,16 Sono dei gravi pesi per un’anima buona, che
ama il favore di Dio più della vita. Lo spirito abbattuto chi lo solleverà? Pr 18:14
Chiedendo: Perché nascondi il tuo volto? Giobbe ci insegna che, se mai percepiamo la
lontananza di Dio, dobbiamo chiedergliene il motivo. Per che peccato ci sta correggendo e
che bene vuole trarne? Le sofferenze di Giobbe erano un prototipo di quelle di Cristo, dal
quale nascosero il volto non solo gli uomini, Is 53:3 ma anche Dio. Pensate alle tenebre
che lo circondarono sulla croce quando gridò: Dio mio, Dio mio, perché mi hai
abbandonato? Se si fecero queste cose a quei legni verdi, che cosa si farà ai secchi?
Saranno abbandonati per sempre.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 114


III. Fa notare umilmente a Dio la sua incapacità di reggersi di fronte a lui: « Vuoi tu
atterrire una foglia o perseguitare una pagliuzza inaridita? Gb 13:25 Signore, ti rende forse
onore calpestare un individuo che è già a terra o distruggere una persona che non vuole
né può resisterti? ». Notate: Dobbiamo avere una comprensione tale della bontà e della
compassione di Dio da credere che non triterà la canna rotta. Mt 12:20

IV. Si lamenta tristemente delle severe punizioni di Dio. Riconosce che Dio contende con
lui a causa dei suoi peccati, ma ritiene crudele:

1. Che dei peccati commessi molto tempo prima siano ricordati allora, e che egli fosse
punito per delle infrazioni passate: Scrivi contro di me cose amare. Gb 13:26 ND Le
afflizioni sono amare. L’atto di scriverle denota deliberazione e determinazione, come si
scrive un mandato di esecuzione. Denota anche una continuazione delle afflizioni, perché
gli scritti rimangono. « Mi fai pesare l’eredità delle colpe della mia giovinezza, cioè, mi
punisci per averle commesse. Me le ricordi e mi obblighi a rinnovare il mio pentimento ».
Notate:

(a) Dio a volte prescrive delle cose molto amare anche ai suoi santi e ai suoi servitori più
grandi e più cari, sia con afflizioni esteriori che con tormenti spirituali, fisici e mentali, per
umiliarli, per metterli alla prova e, in seguito, per far loro del bene.

(b) I peccati della gioventù sono spesso le pene della vecchiaia, sia interiormente Gr
31:18,19 che esteriormente. Gb 20:11 Il tempo non erode la colpa del peccato.

(c) Se Dio scrive delle cose amare contro di noi, è per farci riconoscere le nostre iniquità,
per farci ricordare i peccati dimenticati, e indurci quindi a provare rimorso e ad
abbandonarli. Questo sarà tutto il frutto: cioè, che il suo peccato sarà tolto via.

2. Che i suoi errori e le sue mancanze presenti siano notati con tanta durezza e criticati
con tanta severità: « Tu metti i miei piedi nei ceppi, non solo per affliggermi, per
svergognarmi, e per trattenermi dallo sfuggire ai colpi della tua ira, ma anche per poter
criticare tutte le mie azioni e spiare tutti i miei movimenti, correggendomi per ogni passo
falso e, anzi, per ogni sguardo storto o parola fuori posto. Infatti, tracci una linea intorno
alla pianta de’miei piedi, Gb 13:27 tenendo conto di ogni mio errore, per poi punirlo. Non
appena faccio anche un minimo sbaglio, tu mi rimproveri immediatamente. La punizione
sta alle calcagna del peccato. Le colpe vecchie e nuove si uniscono per causarmi
sciagure ». In realtà,

(a) Non era vero che Dio cercasse di sconfiggerlo. Non nota le nostre mancanze con tanta
intransigenza, altrimenti non avremmo speranza. Sl 130:3 Anzi, non ci tratta nemmeno
come meriteremmo per quei peccati manifesti che non sono scoperti con una ricerca
segreta. Gr 2:34 KJV Giobbe esprimeva semplicemente il suo sconforto. A mente lucida,
non aveva mai rappresentato Dio come un padrone così crudele.

(b) Dobbiamo però osservare con gelosia e vigilanza il nostro animo e i nostri passi, sia
per scoprire dei peccati passati che per prevenirne altri in futuro. È giusto che
consideriamo tutti attentamente il sentiero dei nostri piedi.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 115


V. Si sente logorato dalla forte mano di Dio. Costui (cioè, l’uomo), contenendo in se stesso
il principio della propria putrefazione, si disfa sempre di più, come un vestimento roso
dalle tignuole. Gb 13:28 Oppure, Costui (cioè, Dio) mi consuma come un tarlo o una
tignola. Io sono per Efraim come una tignuola, e per la casa di Giuda come un tarlo (Os
5:12; cfr. Sl 39:11) Notate: L’uomo, già nelle condizioni migliori, deteriora rapidamente.
Quando poi Dio lo rimprovera, svanisce in un attimo. Se l’anima è così corrotta, non c’è da
stupirsi che lo sia anche la carne. Sl 38:3

Giobbe 14

Ormai Giobbe trova inutile parlare agli amici. Si rivolge quindi a Dio e a se stesso. Aveva
ricordato agli amici la loro fragilità e mortalità, Gb 13:12 e ora le ricorda a se stesso,
chiedendo a Dio di mitigargli le sofferenze. Abbiamo qui un resoconto:

I. Della vita umana, che è:

1. Breve. Gb 14:1

2. Dolorosa. Gb 14:1

3. Peccaminosa. Gb 14:4

4. Limitata. Gb 14:5,14

II. Della morte umana, che mette fine per sempre alla nostra vita presente, a cui non
torneremo più; Gb 14:7-12 che ci libera dalle sciagure di questa esistenza; Gb 14:13 che
distrugge ogni speranza di vita; Gb 14:18,19 che ci allontana dalle nostre occupazioni; Gb
14:20 e che ci nasconde dalla vista i nostri cari, per quanto ci possano essere stati vicini
Gb 14:21,22

III. Giobbe si giova di queste considerazioni per:

1. Fare appello a Dio che, secondo lui, lo tratta con troppa durezza e severità. Gb
14:16,17 Lo implora di tener conto della sua fragilità e quindi di non contendere con lui,
Gb 14:3 ma piuttosto di dargli tregua. Gb 14:6

2. Prepararsi per la morte Gb 14:14 e incoraggiarsi nella speranza che gli sarà gradita. Gb
14:15 È un capitolo idoneo per i funerali. Una seria meditazione ci aiuterà a trarre degli
insegnamenti dalla morte degli altri e a prepararci alla nostra.

Gb 14:1-6

Questo brano ci fa riflettere:

I. Sull’origine della vita umana, che è certamente Dio, perché soffiò nelle narici dell’uomo
un alito vitale, ed è in lui che viviamo. Noi però contiamo gli anni dal momento della
nascita, e dobbiamo quindi contare da quel momento anche la nostra fragilità e l’inizio
della nostra corruzione.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 116


1. La nostra fragilità: L’uomo, nato di donna, vive pochi giorni. Gb 14:1 Questa
espressione può riferirsi alla prima donna, che fu chiamata Eva perché era la madre di tutti
i viventi. Ingannata dal tentatore, fu lei la prima a trasgredire. Di conseguenza, noi tutti, in
quanto suoi discendenti, ereditiamo da lei quel peccato e quella corruzione che accorciano
e addolorano i nostri giorni. Oppure può riferirsi a ogni madre. La donna è il vaso più
debole, e sappiamo che partus sequitur ventrem-il figlio segue la madre. Il forte non si
glori della sua forza, né in quella di suo padre, ma ricordi che è nato di donna e che, se
Dio lo decreta, anche i prodi diventano come donne. Gr 51:30

2. La nostra corruzione: Chi può trarre una cosa pura da una impura? Gb 14:4 Se l’uomo è
nato da una donna che è peccatrice, come potrebbe non essere un peccatore? Come può
esser puro il nato dalla donna? Gb 25:4 Dei genitori impuri non generano dei figli puri, così
come da una fontana contaminata non si attinge acqua pura e dai rovi non si raccoglie
l’uva. La nostra corruzione innata è ereditata, insieme alla nostra natura, dai nostri
genitori, ed è quindi nei geni. Il nostro sangue non è solo macchiato da una condanna
legale, ma infetto da una malattia ereditaria. Il nostro Signore Gesù, essendosi fatto
peccato per noi, fu definito nato di donna. Ga 4:4

II. Sulla natura della vita umana: È un fiore e un’ombra. Gb 14:2 Il fiore appassisce e tutta
la sua bellezza avvizzisce per sempre. L’ombra è transitoria e travolta rapidamente dalle
oscurità della notte. Sono cose a cui non diamo importanza e su cui non facciamo
affidamento.

III. Sulla brevità e sull’incertezza della vita umana: L’uomo vive pochi giorni. Giobbe parla
della vita in termini di giorni, e non di mesi o di anni, perché non sappiamo mai se il
giorno presente sarà l’ultimo. I nostri giorni sono pochi, meno di quanto pensiamo, pochi
in generale, in confronto a quelli dei primi patriarchi e soprattutto a quelli dell’eternità, ma
ancora meno per la maggior parte delle persone, che non raggiungono quella che
definiamo l’età matura. A volte l’uomo è reciso appena nasce. Esce dal ventre per entrare
nella tomba, o viene sottratto al mondo appena comincia a darsi un po’da fare, strappato
all’aratro non appena vi mette mano. Se anche non è reciso immediatamente, fugge come
un’ombra, senza mai una posizione o una forma fissa. La sua apparenza fisica cambia e
vola via, come questo mondo e tutta la nostra esistenza terrena. 1Co 7:31

IV. Sullo stato disastroso della vita umana, che non è solo breve, ma piena di dolori.
Anche se l’uomo ha solo pochi giorni da trascorrere sulla terra, sarebbe una consolazione
se potesse goderne (alcuni si vantano di vivere una vita breve e gioiosa), ma non può: è
sazio d’affanni. Non è solo affannato, ma sazio di affanni, di fatiche, di preoccupazioni, di
dolori e di timori. Non passa giorno senza qualche tormento, qualche affanno, qualche
turbamento. Chi ama questo mondo finisce per esserne sazio. È satur tremore-sazio di
agitazione. La brevità dei suoi giorni crea in lui una continua agitazione e inquietudine
nell’aspettativa della fine, senza certezza della propria vita. Tuttavia, dato che i nostri
giorni sono così pieni di guai, è un bene che siano pochi, e che la prigionia dell’anima nel
corpo e il suo esilio da Dio non siano perpetui o prolungati. In cielo, godremo di molti
giorni, perfettamente liberi da qualunque affanno. Nel frattempo, la fede, la speranza e
l’amore contrappesano i dolori attuali.

V. Sulla natura peccaminosa della vita umana, che deriva dalla natura peccaminosa
dell’uomo. Secondo alcuni, la domanda: Chi può trarre una cosa pura da una impura? Gb

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 117


14:4 significa: Chi può trarre delle azioni pure da un principio corrotto? Notate: Ogni
trasgressione è il prodotto naturale della nostra corruzione innata, che chiamiamo peccato
originale proprio perché sta all’origine di tutti i nostri peccati. È di questo che il pio Giobbe
si lamenta, come fanno tutti coloro che sono santificati, risalendo alla fonte. Sl 51:5
Secondo altri, è un appello alla compassione di Dio: « Signore, non tener conto con tanta
intransigenza dei peccati che nascono dalla mia fragilità umana, perché conosci la mia
debolezza. Ricorda che sono carne! ». La parafrasi caldea contiene un’interpretazione
interessante di questo versetto: Chi può rendere puro un uomo contaminato dal peccato?
Non può forse farlo uno, cioè, Dio? Oppure: Chi può farlo se non Dio, che è uno, e lo
salverà? Dio, mediante la sua grazia onnipotente, può mutare la pelle del moro e la pelle
di Giobbe, anche se coperta dai vermi.

VI. Sulla fine prestabilita della vita umana. Gb 14:5

1. Giobbe dimostra la certezza di tre fatti:

(a) La nostra vita terminerà. I nostri giorni sulla terra non sono infiniti. Sono contati e
finiranno presto. Da 5:26

(b) Dio ha determinato, nei suoi disegni e per suo decreto, quanto vivremo e quando
moriremo. La lunghezza della nostra vita dipende da lui, dal suo potere incontrollabile, e
secondo la sua onniscienza che non può essere ingannata. È certo che la Provvidenza di
Dio determina la fine della nostra vita. I nostri giorni sono nella sua mano. I poteri della
natura dipendono da lui e agiscono in subordinazione a lui. In lui viviamo e ci muoviamo.
Le malattie sono i suoi servitori. Dio dà la vita e la toglie. Non c’è niente di fortuito,
nemmeno la morte provocata da una freccia tirata a caso. È certo che la prescienza di Dio
la determina in anticipo. A Dio son note ab eterno tutte le opere sue. Ogni sua azione è
predeterminata, con un certo riguardo al prefissato ordine della natura (il fine e i mezzi
sono determinati insieme) e alle prestabilite regole morali (con la punizione del male e la
ricompensa del bene in questa vita). Non siamo governati né dal fato cieco degli Stoici né
dalla fortuna cieca degli Epicurei.

(c) Non possiamo trapassare i limiti fissati da Dio. Le sue decisioni sono inalterabili e la sua
preveggenza infallibile.

2. Giobbe si serve di queste considerazioni per dimostrare che:

(a) Dio non avrebbe dovuto essere intransigente nel riconoscere i suoi errori e le sue
mancanze: Gb 14:3 « Considerando che ho in me questa natura corruttibile e sono
predisposto a tanto male, che mi tenta continuamente dall’esterno, tu tieni gli occhi aperti
sopra un essere così, tenendo tanto conto dei miei sbagli? Gb 13:27 E mi fai comparir teco
in giudizio, un verme così insignificante come me di fronte a un essere così pronto a
scoprire le mie minime colpe, così santo da odiarle, così giusto da condannarle e così
potente da punirle? ». La considerazione della nostra incapacità di contendere con Dio e
della nostra natura peccaminosa e debole deve incoraggiarci a pregare: Signore, non
venire a giudicio col tuo servitore.

(b) Dio non avrebbe dovuto essere così severo con lui: « Signore, mi resta solo poco
tempo da vivere. Certo, molto presto dovrò andarmene, e i pochi giorni che mi rimangono

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 118


qui sono, nel migliore dei casi, pieni di guai. Concedimi un po’di requie! Gb 14:6 Smetti di
affliggere così questa tua povera creatura e lasciala riposare, dalle un po’di respiro, perché
possa godere come un operaio la fine della sua giornata. È stabilito che io muoia una volta
sola. Fa’che basti quello. Non farmi morire continuamente, mille morti. Sia sufficiente che
la mia vita, nel migliore dei casi, sia come la giornata di un operaio, piena di fatiche e di
sudore. Mi accontento di quello e accetto le comuni difficoltà della vita umana, gli affanni e
la calura del giorno. Non infliggermi torture straordinarie. Non lasciare che la mia vita sia
come la giornata del malfattore, con una nuova esecuzione ogni giorno ». Quando siamo
angustiati, possiamo trovare un po’di sollievo affidandoci alla compassione di quel Dio che
conosce e considera la nostra natura, comprese le nostre cattive disposizioni d’animo.

Gb 14:7-15

Abbiamo visto ciò che Giobbe aveva da dire riguardo alla vita. Ora vediamo che cosa ha da
dire sulla morte, a cui pensava tanto, in quel periodo di malattia e sofferenza. Non è a
sproposito pensare alla morte quando si sta bene, ma è inescusabile considerarla lontana
quando siamo già in custodia dei suoi messaggeri. Giobbe aveva già dimostrato che la
morte viene inesorabilmente, e che la sua ora è prefissata. Ora dimostra che:

I La morte ci allontana per sempre da questo mondo. Riprende un discorso iniziato prima,
Gb 7:9,10 perché, anche se è una verità che non dev’essere dimostrata, dev’essere
considerata bene, per farne tesoro.

1. Al contrario di un albero abbattuto, un corpo reciso dalla morte non ritorna a vivere.
Giobbe ci dà una descrizione elegante della speranza che resta a un albero. Gb 14:7-9 Se
anche solo il ceppo rimane a terra, per secco e morto che sembri, tornerà a germogliare,
come se fosse appena piantato. È come se sentisse o percepisse quasi la pioggia e
l’umidità del terreno, e come se esse potessero riportarlo in vita. I cadaveri invece non le
sentono, né tanto meno ne traggono giovamento. Nel sogno di Nabucodonosor, mentre la
recisione dell’albero significava la sua perdita delle facoltà mentali, il ritorno del suo senno
fu simboleggiato dal ceppo lasciato a terra in catene di ferro e di rame e bagnato dalla
rugiada del cielo. Da 4:15 L’uomo non ha però altrettanta speranza di ritornare in vita. La
vita vegetale è semplice: basta il sentore dell’acqua per rianimarla. In certi casi, lo è anche
la vita animale: il calore del sole ridà vita a certi insetti o uccelli. L’anima razionale invece è
troppo grande e nobile per poter ritornare in vita per un potere naturale. Non può essere
raggiunta dal sole o dalla pioggia, e può essere rianimata solo da un intervento immediato
dell’Onnipotenza stessa. Gb 15:10 L’uomo muore e perde ogni forza; il mortale spira e …
dov’è egli? Le Scritture usano qui due termini diversi per indicare l’uomo: Gheber, l’uomo
potente, muore nonostante la sua forza; Adamo, l’uomo della terra, muore perché è
terreno. Notate: L’uomo è una creatura mortale. Leggiamo qui ciò che accade:

(a) Prima della morte: Perde ogni forza. Continua a logorarsi e a morire ogni giorno,
esaurendo la scarsa misura della vita. La malattia e la vecchiaia logorano il corpo, la forza
e la bellezza.

(b) Durante la morte: Spira l’anima. L’anima lascia il corpo e ritorna a Dio che l’ha data, al
Padre degli spiriti.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 119


(c) Dopo la morte: Dov’è egli? Non è più dove si trovava. Il luogo dove stava non lo
riconoscerà più. Alcuni traducono: Non è da nessuna parte? Certo, è da qualche parte, ed
è tremendo pensare dove sono ora i morti e dove saremo noi. L’anima va nel mondo degli
spiriti per tutta l’eternità, senza mai più ritornare in questo mondo.

2. Un cadavere non ritorna in vita. Gb 15:11,12 Ogni notte ci sdraiamo per dormire, e al
mattino ci svegliamo e ci alziamo. Quando moriamo invece ci sdraiamo nella tomba per
non svegliarci, né alzarci mai più in questo mondo e nello stato in cui siamo ora. Non ci
risveglieremo né alzeremo finché non vi sian più cieli, che misurano regolarmente il nostro
tempo. Il tempo stesso finirà, travolto dall’eternità. La vita di un uomo può quindi essere
giustamente paragonata alle acque di un’alluvione, che si spargono ovunque e fanno una
grande impressione, ma rimangono basse. Se sono dovute allo straripamento di un mare o
di un fiume, ben presto si asciugano, senza lasciare traccia. Anche le acque della vita
svaniscono rapidamente. Il corpo, come parte di quelle acque, viene assorbito dalla terra
dov’è sepolto. L’anima, come invece un’altra parte, è portata in alto, per unirsi alle acque
al di sopra del firmamento. Sir Richard Blackmore, tuttavia, mette in luce un contrasto. La
vita umana non è come le acque che si prosciugano d’estate, ma ritornano d’inverno.
Leggiamo la sua parafrasi nelle sue parole:

Un fiume, un lago o perfino un mare/ si può con il calore prosciugare. / Le acque salgono
lievi verso il cielo/ formando nelle nubi un bianco velo. / Dopo l’estate ritornano a colmare/
gli stessi corsi che scorrono verso il mare. / Ma non per l’uomo! Il flusso della vita/ non
scorre mai più in lui, quando è finita. / Da nuove fonti non attingerà, / né le sue forze più
lui sentirà.

II L’uomo ritornerà a vivere nell’altro mondo, alla fine dei tempi, quando non vi saran più
cieli. Allora si risveglierà e sarà destato dal suo sonno. La resurrezione dei morti faceva
indubbiamente parte del credo di Giobbe, come è evidente in Gb 19:26. Sembra quindi
che qui si riferisca a quella. In quel caso, troviamo tre elementi nel suo discorso:

1. Un’umile richiesta di un luogo dove nascondersi nella tomba. Gb 15:13 È un attestato


non solo della sua estrema stanchezza di questa vita, ma della sua pia certezza di una vita
migliore che lo attende. Oh, volessi tu nascondermi nel soggiorno de’morti! Al popolo di
Dio, la tomba offre non solo riposo, ma protezione. Dio ha le chiavi della tomba, dove fa
entrare ora e da dove farà uscire alla resurrezione. Nasconde gli uomini nel soggiorno dei
morti, come si nasconde un tesoro in un luogo segreto e sicuro. Chi lo nasconde sa come
trovarlo, e niente sarà perduto. « Oh, volessi tu nascondermi, non solo per sfuggire alle
tempeste e alle sciagure di questa vita, ma per trovare la gioia e la gloria di un’esistenza
migliore! Lasciami giacere nella tomba, in attesa dell’immortalità, nascosto dal mondo, ma
non dai tuoi occhi che videro la massa informa del mio corpo, quando mi formasti nelle
parti più basse della terra ». Sl 139:15,16 Lasciami giacere là:

(a) Finché l’ira tua sia passata. Finché i corpi dei santi giacciono nella tomba, e quindi
ancora sotto alcuni effetti del peccato, rimane ancora qualche traccia di quell’ira di cui
erano figli per natura. Alla resurrezione del corpo, tutto sarà passato. La morte, l’ultima
nemica, sarà allora totalmente distrutta.

(b) Fino al termine che avrai fissato in cui vorrai ricordarmi, come ti sei ricordato di Noè
nell’arca, Ge 8:1 dove non solo l’hai messo al riparo dalla distruzione del mondo antico,

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 120


ma l’hai salvato per la restaurazione di un nuovo mondo. I corpi dei santi non giaceranno
dimenticati nella tomba. C’è un momento prestabilito in cui saranno reclamati. Non
possiamo essere certi di poter scorgere, oltre i nostri guai presenti, un futuro sorridente in
questo mondo. Se possiamo però giungere bene alla tomba, possiamo guardare per fede
oltre a quelle tenebre, come fa qui Giobbe, e vedere dei giorni più felici, in un mondo
migliore.

2. Una santa risoluzione di attenersi pazientemente alla volontà di Dio sia nella sua morte
che nella sua resurrezione: Se l’uomo muore, può egli tornare in vita? Aspetterei fiducioso
tutti i giorni della mia sofferenza, finché cambiasse la mia condizione. Gb 14:15 NR Dato
che i suoi amici hanno dimostrato di non saperlo consolare, Giobbe decide di farlo da solo.
La sua condizione è triste, ma si rallegra nell’aspettativa di un cambiamento. Secondo me,
non si riferisce a una rinnovata prosperità in questo mondo. I suoi amici lo avevano
adulato con quelle speranze, ma lui non ci aveva mai creduto. Le consolazioni basate su
incertezze sono, nel migliore dei casi, incerti. Senza dubbio qui Giobbe si sostiene con la
speranza di qualcosa di più sicuro. Il cambiamento di condizione di cui parla può riferirsi:

(a) Alla resurrezione, quando questo corpo vile sarà mutato, Fl 3:21 e ci sarà un
cambiamento radicale e glorioso. In quel caso, la domanda: Se l’uomo muore, può egli
tornare in vita? può essere vista come un’esclamazione di ammirazione. « Com’è strano!
Queste ossa secche vivranno? Allora, per tutto il tempo determinato per la separazione
dell’anima e il corpo, la mia anima aspetterà quel cambiamento, per essere riunita al
corpo, quando anche la mia carne dimorerà al sicuro ». Sl 16:9 Oppure:

(b) Alla morte. « Se l’uomo muore, può egli tornare in vita? Non a una vita come questa.
Quindi aspetterò pazientemente quel cambiamento che metterà fine a tutte le mie
sciagure, senza desiderarne impazientemente l’anticipazione, come ho fatto prima ».
Osservate: [1] Morire è una cosa seria. È un lavoro. È una trasformazione. Comporta un
cambiamento visibile per il corpo, alterando la sua apparenza e mettendo fine alle sue
azioni, ma un cambiamento ancora più grande per l’anima, che lascia il corpo per
trasferirsi nel mondo degli spiriti, e termina quindi il suo periodo di prova per entrare nello
stato della retribuzione. Sarà un cambiamento certo e finale, non come le trasmutazioni
degli elementi, che ritornano allo stato precedente. No, dobbiamo morire per sempre. Si
muore una volta sola, e dobbiamo quindi farlo bene. Un errore sarebbe fatale e
irrimediabile. [2] Ognuno di noi deve attendere quel cambiamento, e continuare ad
attenderlo per tutto il tempo che ci è stato stabilito. La nostra vita è un periodo
determinato, che dobbiamo misurare a giorni intenti a quell’attesa. Prima di tutto,
dobbiamo aspettarcelo e tenerlo bene a mente. In secondo luogo, dobbiamo desiderarlo,
come si desidera essere con Cristo. In terzo luogo, dobbiamo essere disposti ad
attenderlo, certi che Dio lo manderà nel momento migliore. Quarto, dobbiamo prepararci
al suo arrivo con diligenza, perché sia una benedizione.

3. Una gioiosa speranza di gioia e di soddisfazioni: Tu mi chiameresti e io risponderei. Gb


14:15 Giobbe è ora così confuso che non può e non osa rispondere. Gb 9:15,35 13:22 Si
conforta però pensando che un giorno Dio lo chiamerà e lui potrà dargli una risposta. Si
riferisce:

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 121


(a) Alla risurrezione: « Mi chiamerai dalla tomba, con la voce dell’arcangelo, e io ti
risponderò e verrò a te ». Il corpo è l’opera delle mani di Dio, che Dio desidera riprendersi,
perché gli ha preparato una gloria. Oppure,

(b) Alla morte: « Chiamerai il mio corpo alla tomba e la mia anima a te stesso, e io
risponderò: Sono pronto, Signore, sono pronto. Sto arrivando, sto arrivando, eccomi ». Le
anime buone possono rispondere con gioia alle chiamate della morte e apparire al suo
mandato. Il loro spirito non è ridomandato a forza, come in Lu 12:20, ma abbandonato
volontariamente. Il loro tabernacolo terreno non è distrutto con violenza, ma deposto
spontaneamente, con questa certezza: « Tu brameresti rivedere l’opera delle tue mani.
Serbi per me misericordia, non solo in quanto creato dalla tua Provvidenza, ma in quanto
ricreato dalla tua grazia », altrimenti chi l’ha fatto non lo salverà. Notate: La grazia
nell’anima è opera delle mani di Dio, e quindi non l’abbandonerà in questo mondo, Sl
138:8 ma la desidera per perfezionarla nell’altro e per incoronarla con gloria infinita.

Gb 14:16-22

riprende qui le sue lamentele. Pur non avendo perduto ogni speranza di gioie future, trova
difficile superare i dolori presenti.

I Si lamenta dei travagli inflittigli dalla severa giustizia di Dio. Gb 14:16,17 Vuole
andarsene in quel mondo dove l’ira di Dio sarà una cosa del passato proprio perché ora la
sente continuamente, così come un bambino, punito severamente, desidera diventare
grande. « Quando verrà quel cambiamento? Ora mi sembra che tu conti i miei passi,
osservi i miei peccati, e li sigilli in un sacco, come l’atto d’accusa è tenuto al sicuro per poi
essere mostrato contro il prigioniero. cfr. De 32:34 Cogli ogni occasione per attaccarmi,
ricordi ogni mio errore, critichi ogni mia debolezza, e non posso nemmeno fare un passo
che non sia punito ». In effetti:

1. Giobbe giudica giustamente la giustizia divina quando riconosce di essere punito per i
suoi peccati e per le sue trasgressioni e di aver fatto abbastanza male da meritarsi tutto
ciò che gli accadeva. È vero che c’era del peccato in ogni sua azione e che, se si fosse
investigato sufficientemente, sarebbe stato trovato colpevole di abbastanza trasgressioni
da far cadere su di sé tutte quelle disgrazie. Non dice assolutamente di morire da
innocente. Tuttavia,

2. Giudica ingiustamente la bontà divina quando suggerisce, come ha già fatto prima, Gb
13:27 che Dio nota con troppa severità i suoi errori e interpreta ogni cosa nel modo
peggiore. Si tratta di un giudizio avventato, che quindi non ci soffermeremo ad analizzare.
È vero che Dio vede tutti i nostri peccati. Vede i peccati del suo popolo, ma non lo tratta
con severità, né si serve della legge per attaccarci. Al contrario, siamo puniti meno di
quanto meritino le nostre iniquità. È vero che Dio sigilla ermeticamente la trasgressione
dell’impenitente per il giorno della sua ira, ma fa svanire come una nuvola i peccati del suo
popolo.

II Si lamenta della condizione di decadenza dell’umanità in generale. Viviamo tra la


corruzione. Chi conosce la forza dell’ira di Dio, che ci consuma e ci atterrisce, e che fa
sparire tutti i nostri giorni? Sl 90:7-9,11 Chi può reggersi durante le sue correzioni? Sl
39:11

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 122


1. Vediamo il decadimento della terra stessa, compresi:

(a) Le sue parti più salde. Gb 14:18 Niente dura in eterno. Anche le montagne franano e
scompaiono, sgretolandosi e cadendo come foglie. Anche le rocce sono corrose e
consumate dal continuo logorio delle onde. Le acque rodono la pietra con il continuo
gocciolare, non vi, sed saepe cadendo-non per violenza, ma per il battito costante. Ogni
cosa su questa terra si logora e si deteriora. Tempus edax rerum-il tempo divora ogni
cosa. Non è così per i corpi celesti.

(b) I suoi prodotti naturali. Anche le piante che sembrano ben radicate nella terra possono
essere travolte da un eccesso di pioggia. Gb 14:19 Secondo alcuni, Giobbe chiede qui un
po’di sollievo: « Signore, la mia pazienza non durerà per sempre. Anche le rocce e le
montagne crollano. Fa’cessare questa controversia ».

2. Non dobbiamo quindi stupirci di vedere il decadimento dell’uomo sulla terra, perché ne
deriva, essendo terreno. Giobbe comincia a pensare che il suo caso non sia unico, e a
capire di dover accettare il destino comune. Ci fa capire con diversi esempi:

(a) Com’è vano riporre grandi aspettative nei piaceri di questa vita: « Tu distruggi la
speranza dell’uomo, cioè, metti fine a tutti i suoi progetti e a tutte le prospettive di
soddisfazioni con cui si era illuso ». La morte sarà la distruzione di tutte quelle speranze
che sono fondate sulla fiducia in questo mondo e limitate a consolazioni temporali. La
speranza in Cristo e nel cielo non saranno distrutte dalla morte.

(b) Com’è vano lottare contro gli attacchi della morte: Tu lo sopraffai una volta per
sempre. Gb 14:20 Notate: L’uomo è molto inferiore a Dio, che sconfigge ogni suo
contendente con certezza e senza lasciargli la possibilità di riprendersi. Notate inoltre: Il
colpo della morte è irresistibile. Non serve a niente discutere i suoi ordini. L’uomo,
sopraffatto da Dio, se ne va per sempre. Se guardiamo un moribondo, vedremo che: [1]
La sua apparenza sarà diversa: Gli muti il sembiante, in due modi: Prima di tutto, per
mezzo delle malattie. Come cambia l’aspetto di un uomo quando è malato per un po’di
giorni! Quanto più quando è già morto da qualche minuto! Un aspetto grande e maestoso
diventa ignobile e spregevole. Un’apparenza piacevole e gradita diventa orrenda e
spaventosa. Si seppellisca il mio morto e me lo si tolga d’innanzi. Dov’è quella bellezza
tanto ammirata? La morte cambia l’aspetto, facendoci uscire da questo mondo e
licenziandoci per sempre. In secondo luogo, rendendoci agitati. Notate: La vicinanza della
morte può far cambiare aspetto ai più forti e robusti. Anche le persone più giovali sono
serie e accigliate, e le più coraggiose diventano pallide e timorose. [2] Proverà poco
interesse per la propria famiglia, che prima gli stava tanto cara. Quando si è in mano ai
messaggeri della morte, colpiti da una paralisi o da una apoplessia, deliranti per la febbre
o intenti a cercare di sopravvivere, le notizie più belle o più dolorose riguardo ai figli
sembrano uguali. Non si percepiscono nemmeno. Gb 14:21 Si va in un mondo dove tutte
le cose che qui ci hanno colpito e preoccupato non ci riguarderanno più. Questo pensiero
dovrebbe placare tutte le nostre apprensioni riguardo ai nostri figli e alle nostre famiglie.
Dio sa cosa sarà di loro quando non ci saremo più. Affidiamoli quindi a lui, senza gravarci
di inutili e infruttuose preoccupazioni. [3] Le agonie della morte saranno tremende: Mentre
la carne è su di lui (si potrebbe tradurre), cioè, il corpo che non vuole deporre, avrà
dolore, e mentre la sua anima è in lui, cioè, lo spirito che non vuole consegnare, farà
cordoglio. Gb 14:22 KJV Notate: Morire è una fatica. I dolori della morte sono di solito

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 123


esacerbanti. È quindi stolto aspettare quel momento per pentirsi, e dover compiere
quell’unica cosa necessaria proprio quando non si riesce più a far niente. È saggio invece
fare pace con Dio in Cristo e mantenere una buona coscienza, raccogliendo così le
consolazioni che ci sosterranno e ci conforteranno durante i dolori della morte.

Giobbe 15

Forse Giobbe era così convinto e certo della validità della sua causa che pensò di avere, se
non persuaso, almeno messo a tacere tutti e tre i suoi amici. Apparentemente, invece, non
ci era riuscito. In questo capitolo, iniziano un secondo attacco contro di lui, assalendolo di
nuovo, uno per uno, con altrettanta foga. È naturale attaccarsi ai propri sentimenti e
quindi mantenerli saldamente, resistendo a chi vuole farceli abbandonare. Elifaz si attiene
agli stessi princípi con cui aveva condannato Giobbe, e quindi:

I. Lo rimprovera per essersi autogiustificato, attribuendogli molte colpe con ingiuste


deduzioni. Gb 15:2,13

II. Lo persuade a umiliarsi di fronte a Dio e a vergognarsi di se stesso. Gb 15:14-16

III. Gli legge una lunga diatriba sulla dolorosa condizione degli empi che induriscono il
cuore contro Dio e contro i giudizi che egli ha in serbo per loro. Gb 15:17-35 Si può
imparare molto dai suoi chiari rimproveri e dalla sua valida dottrina, anche se sono
ingiustamente applicati a Giobbe.

Gb 15:1-16

Elifaz tratta malissimo Giobbe, perché aveva contraddetto le affermazioni sue e dei suoi
colleghi, invece di accettarle e applaudirle come si erano aspettati. I superbi tendono a
irritarsi se non possono dettar legge a chi li circonda e accusano di ignoranza, di
ostinazione e di ogni altro male chi non fa eco alle loro stesse parole. Elifaz qui accusa
Giobbe di sette gravi crimini, solo perché non vuole definirsi ipocrita.

I. Lo accusa di stoltezza e di assurdità, Gb 15:2,3 affermando che, benché fosse stato


reputato saggio, si era compromesso quella reputazione, e che il suo linguaggio così
irragionevole e così poco pertinente aveva dimostrato chiaramente che aveva perso ogni
saggezza. Era la stessa premessa usata da Bildad Gb 8:2 e da Zofar. Gb 11:2,3 In una
disputa, spesso l’ira ci spinge a definire impertinenti e ridicoli i ragionamenti altrui, senza
alcun motivo, facendoci dimenticare la rovina di chi chiama il proprio fratello Raca e pazzo.
È vero che:

1. Nel mondo c’è tanta vana scienza, falsamente chiamata tale, che è inutile e quindi
senza valore.

2. È quella scienza che gonfia e spinge gli uomini a vantarsi dei propri risultati.

3. Se anche si ha questa vana scienza in mente, è saggio non rivelarla, lasciando che si
estingua com’è giusto.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 124


4. Le ciarle inutili sono sempre biasimevoli. Nel giudizio finale, dovremo rendere conto non
solo delle nostre parole dannose, ma anche di quelle oziose. I discorsi inutili, che non
rendono onere a Dio, né agli altri e non giovano a noi stessi, non essendo in grado di
edificare, non dovrebbero essere pronunciati. È un male riempire noi stessi o gli altri di
parole leggere e vuote come il vento e soprattutto di parole dannose e perniciose come il
vento orientale, perché lasceranno un brutto marchio.

5. La vana scienza e le ciarle inutili devono essere corrette e frenate, soprattutto in chi è
savio, perché non gli si confanno e causano, tramite il suo esempio, più male agli altri.

II. Elifaz accusa Giobbe di mancanza di religiosità e di devozione a Dio: « Tu respingi il


timore », cioè, « il timore di Dio e il rispetto che gli devi, e freni la preghiera ». Gb 15:4
KJV La religiosità è riassunta nel timore di Dio e nella preghiera. Il primo è il suo principio
più necessario e la seconda è il suo atto più necessario. Non ci si può aspettare alcun bene
da chi non teme Dio, e chi vive senza preghiera vive certamente senza Dio in questo
mondo. Chi evita la preghiera dimostra di respingere quel timore. Certamente, chi non
chiede a Dio di dargli grazia, non rispetta la sua maestà, non teme la sua ira e quindi non
si cura del destino eterno della propria anima. Chi non prega non ha né timore, né grazia.
Quando si respinge il timore di Dio, si apre la porta al peccato e a ogni genere di
irriverenza. È peggio per chi ha quel timore, ma lo respinge, o per chi è solito alla
preghiera, ma poi l’abbandona. Che grande caduta! Che abbandono del primo amore!
L’espressione denota uno sforzo. Il timore di Dio tenderebbe a rimanere, ma è respinto. La
preghiera vorrebbe esprimersi, ma è frenata. In ogni caso, è una lotta contro le proprie
convinzioni. Chi trascura, limita o riduce la preghiera, smorzando lo spirito di adozione e
negandosi la libertà di cui potrebbe godere in quel dovere, in effetti la frena. Frenare le
proprie preghiere è già un male, ma è peggio ancora impedire agli altri di pregare,
vietandoglielo o dissuadendoli dal farlo, come fece Dario. Da 6:7 In questo brano,

1. Elifaz rivolge questa accusa a Giobbe:

(a) Come se fosse sua abitudine farlo. Secondo lui, Giobbe aveva parlato di Dio con tanta
libertà che sembrava considerarlo suo pari, e lo aveva accusato con parole così dure e
impetuose e sfidato così spesso a fargli un giusto processo, che aveva messo da parte
ogni riguardo religioso. Era un’accusa totalmente falsa, ma convalidata dalle apparenze.
Dobbiamo assicurarci non solo di persistere nella preghiera e nel timore di Dio, ma anche
di non esprimerci mai involontariamente in modo da dare, a chi la cerca, un’occasione di
mettere in dubbio la nostra sincerità e la nostra costanza nella fede.

(b) Come se fosse sottinteso nella sua dottrina. « Se quello che Giobbe dice è vero »,
pensa Elifaz, « cioè che un giusto può essere afflitto con tanta severità, allora addio alla
religiosità, alla preghiera e al timore di Dio. Se tutto accade ugualmente a tutti, e gli
uomini migliori possono essere trattati peggio degli altri, si può dire: È vano servire Iddio;
e che abbiam guadagnato a osservare le sue prescrizioni? Ml 3:14 Invano dunque ho
purificato il mio cuore. Sl 73:13,14 Chi vuole essere onesto se sono tranquille le tende dei
ladroni? Gb 12:6 Se presso Dio non c’è perdono, Gb 7:21 chi vorrà temerlo? Sl 130:4 Se
Dio ride dello sgomento degli innocenti, Gb 9:23 ed è difficilmente accessibile, Gb 9:32 chi
lo pregherà? ». Notate: È un’ingiustizia di cui anche gli uomini saggi e giusti sono spesso
colpevoli. Nel fervore di una disputa, infatti, accusano gli avversari di atti illegittimamente

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 125


dedotti dalle loro opinioni, che, in realtà, essi stessi condannano. Non trattiamo gli altri
come vorremmo essere trattati.

2. È su queste forzate insinuazioni che Elifaz basa la sua grave accusa di irreligiosità: La
tua iniquità ti detta le parole — le insegna, secondo il significato letterale. Gb 15:5
« Insegni agli altri ad avere gli stessi pensieri negativi su Dio e sulla religione ». È già un
male violare uno di questi minimi comandamenti, ma è peggio così insegnare agli uomini.
Mt 5:19 Se abbiamo dei brutti pensieri, mettiamoci la mano sulla bocca per sopprimerli. Pr
30:32 Esprimendoli, vi mettiamo un imprimatur e li condoniamo apertamente, disonorando
Dio e danneggiando gli altri. Osservate: Quando si respingono il timore di Dio e la
preghiera, la bocca pronuncia iniquità. Chi cessa di fare il bene impara presto a fare il
male. Possiamo aspettarci ogni genere di empietà da chi non si arma con la grazia di Dio.
Adoperi il linguaggio degli astuti, cioè, « Esprimi la tua iniquità con una dimostrazione e
uno sfoggio di religiosità, mischiando del giusto con l’errore, come fanno i mercanti con la
loro merce ». Le labbra malvage non possono fare altrettanto male senza il linguaggio
degli astuti. Il serpente ingannò Eva con la furbizia. cfr. Ro 16:18 Il linguaggio degli astuti
è adoperato, in quanto è preciso e deliberato, e quindi più adeguato del linguaggio dei
giusti. Alla fine, però, si scopre che l’onestà è la scelta migliore. Nel suo primo discorso,
Elifaz aveva basato la sua accusa su un puro sospetto. Gb 4:6,7 Ora ne trova prova nei
discorsi di Giobbe: Non io, la tua bocca stessa ti condanna. Gb 15:6 Avrebbe però dovuto
tenere presente che, con i suoi amici, aveva provocato Giobbe a dire ciò di cui ora si
avvalorava, e non era giusto. Le condanne più efficaci sono quelle di chi si biasima da
solo. Tt 3:11 Lu 19:22 Per molti, la propria lingua offre una condanna sufficiente.

III. Elifaz accusa Giobbe di intollerabile arroganza e presunzione. Giobbe aveva fatto una
richiesta giusta, ragionevole e modesta, dicendo: Cercate di riconoscere che del senno ne
ho anch’io al par di voi. Gb 12:3 Ora però cercano di rigirarla per poterlo accusare, come
se avesse preteso di essere più saggio degli altri. Dato che Giobbe non gli aveva concesso
il monopolio della saggezza, Elifaz cercò di far credere che lo volesse avere lui, Gb 15:7-9
come se avesse pensato di essere superiore agli altri, per quanto riguardava:

1. La sua grande conoscenza di questo mondo, e quindi della sua esperienza: « Sei tu il
primo uomo che nacque e, quindi, più anziano di noi e più in grado di comunicare il senso
dell’antichità e le opinioni dei tempi più remoti, più saggi e più puri? Sei nato prima di
Adamo? ». Può essere un’interpretazione. « Adamo ha sofferto per i suoi peccati e tu che
soffri tanto non vuoi riconoscere i tuoi? Fosti tu formato prima dei monti, come la Sapienza
stessa?ss. Pr 8:23 I disegni di Dio, che sono come le montagne più alte, Sl 36:6 NR
irremovibili come le colline eterne, devono dipendere dalle tue nozioni e soggiogarvisi?
Conosci il mondo meglio di noi? No, sei di ieri come noi ». Gb 8:9 Oppure, per quanto
riguardava:

2. La profondità della sua conoscenza di Dio: « Hai tu udito il segreto di Dio? Pretendi di
essere uno dei suoi consiglieri celesti e di poter quindi spiegare i suoi atti meglio degli
altri? ». Gb 15:8 D Dio ha dei segreti che non ci sono svelati e che quindi non dobbiamo
pretendere di comprendere, o saremmo arroganti. Elifaz inoltre accusa Giobbe:

(a) Di attribuirsi una conoscenza maggiore degli altri: « Hai tu sottratta a te la sapienza,
come se tu fossi l’unico saggio? ». Giobbe aveva detto: Quel che sapete voi lo so pur io.
Gb 13:2 Ora glielo rinfacciano, come fa una persona infervorata che, in una disputa, crede

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 126


di avere un punto di vantaggio. Che cosa sai che non sappiamo anche noi? Che risposta
naturale nel mezzo di una contesa! Ripensandoci in seguito, però, appare insulsa!

(b) Di opporsi al consiglio degli antichi, uomini venerabili, sotto il quale ogni contestante
cerca di rifugiarsi: « Ci son fra noi degli uomini canuti e anche de’vecchi. Gb 15:10
Abbiamo i padri dalla nostra parte. Tutti gli antichi dottori della chiesa sono della nostra
opinione ». È facile dirlo, ma non provarlo. E anche se si dimostrasse vero, non è un
marchio di verità come la maggior parte delle persone immagina. Davide preferì la
conoscenza delle Scritture a quella degli antichi: Io ho più intelligenza de’vecchi, perché ho
osservato i tuoi precetti. Sl 119:100 O forse alcuni dei tre amici di Giobbe, se non tutti,
erano più anziani di lui Gb 32:6 e quindi pensavano che fosse obbligato a dar loro ragione.
È un’altra assurdità delle contese. Il fatto che uno sia più anziano di altri e che possa dire
di aver saputo qualcosa prima ancora che essi fossero nati, non è una giustificazione di
arroganza e di prepotenza. Gli anziani non sono sempre i più saggi. Gb 32:9

IV. Elifaz accusa Giobbe di avere disprezzato i consigli e le parole di conforto che i suoi
amici gli avevano dato: Fai tu sì poco caso delle consolazioni di Dio? Gb 15:11

1. È offeso dal fatto che Giobbe non avesse dimostrato di apprezzare il conforto che lui e i
suoi amici gli avevano offerto e che non avesse dato valore e importanza a ogni loro
parola. È vero che avevano fatto dei validi ragionamenti, ma, per quanto riguardava
Giobbe, gli avevano dato ben poco conforto. Notate: Spesso pensiamo di dire cose grandi
e degne di considerazione, mentre forse agli altri, a buon motivo, appaiono piccole e
insignificanti. Paolo scoprì che quelli che sono in maggiore stima non gli sopraggiunsero
nulla. Ga 2:6 D

2. Lo considera, ingiustamente, una dimostrazione di disprezzo per i conforti divini, come


se Giobbe gli desse poca importanza. Se invece non vi avesse dato un grande valore, non
avrebbe potuto sopportare tante sofferenze. Notate:

(a) Le consolazioni di Dio non sono insignificanti. Il suo conforto è grande, sia quello che
deriva da lui che, soprattutto, quello che troviamo in lui.

(b) Non essendo insignificanti, è molto triste che le consideriamo tali. Sottovalutare e
sminuire le gioie spirituali e disprezzare il paese delizioso è una grande offesa a Dio e una
dimostrazione di una mente corrotta e perversa. « Come? », dice Elifaz, « Hai tu alcuna
cosa riposta appo te? Hai un qualche elisir che ti sostiene, un proprium o un arcanum che
nessun altro può dire di avere o di conoscere? ». Oppure: « Hai qualche peccato segreto
che preservi e difendi nel cuore, che frena l’opera dei conforti divini? ». Nessuno disprezza
le consolazioni di Dio più di chi ama segretamente il mondo e la carne.

V. Lo accusa di opporsi a Dio stesso e alla religione: Gb 15:12,13 « Dove ti trascina il


cuore, con delle espressioni così indecenti di irreligiosità? ». Notate: Ognuno è tentato
dalla propria concupiscenza che lo attrae. Gm 1:14 Se fuggiamo da Dio e dal nostro
dovere per fare del male, è il nostro cuore a trascinarci via. Se sei beffardo, tu solo ne
porterai la pena. L’anima si volge quasi violentemente, per un impulso incontrollabile. Un
cuore corrotto trascina gli uomini, quasi a forza, contro le loro convinzioni. « Perché
ammiccano i tuoi occhi? Gb 15:12 D Perché non dai importanza a ciò che ti è detto, come
se tu fossi mezzo addormentato? Perché disprezzi e schernisci le nostre parole, come se ti

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 127


degradassi ad ascoltarle? Che cosa abbiamo detto che meriti tanta derisione, o anzi, che ti
faccia volgere la tua collera contro Dio? ». È già male che il cuore sia trascinato via da Dio,
ma è ancor peggio che si rivolga contro di lui. Chi abbandona Dio finisce per opporlo
apertamente. Come si manifestò? « Ti lasci uscir di bocca tali parole, riguardo a Dio, alla
sua giustizia e alla sua bontà! ». Gli empi, per indole, dirigono la loro bocca contro il cielo,
Sl 73:9 ND indicando che lo spirito è rivolto contro Dio. Elifaz pensava che l’animo di
Giobbe, contrariamente a prima, fosse irritato contro Dio ed esasperato dal suo
trattamento. Elifaz non era né sincero, né caritatevole, o non avrebbe interpretato così
duramente le parole di un uomo di ottima reputazione che era sopraffatto dalla tentazione.
Fu in effetti una dichiarazione di vittoria per Satana, riconoscendo che Giobbe si era
comportato secondo i suoi piani, cioè aveva rinnegato Dio in faccia.

VI. Lo accusa di essersi giustificato tanto da negare di aver parte alla corruzione e alla
contaminazione generale della natura umana: Che è mai l’uomo per esser puro, Gb 15:14
cioè, per pretendere di esserlo, o perché ci si aspetti che lo sia. Chi è mai il nato di donna,
da una donna peccaminosa, per esser giusto? Notate:

1. Essere giusto è essere puro, accettevole a Dio e giovevole a se stesso. Sl 18:24

2. L’uomo, nella condizione in cui è decaduto, non può pretendere di essere puro e giusto
di fronte a Dio, né per discolparsi di fronte alla sua giustizia, né per raccomandarsi al suo
favore.

3. Dev’essere giudicato impuro e ingiusto in quanto nato di donna, da cui deriva la sua
natura corrotta, che rappresenta la sua colpa e la sua corruzione. Elifaz pensò di
convincere Giobbe con queste semplici verità, mentre egli aveva appena detto la stessa
cosa: Chi può trarre una cosa pura da una impura? Gb 14:4 Vuole forse dire che Giobbe è
un ipocrita e un empio, che è proprio ciò che negava? Per niente. Anche se l’uomo, nato di
donna, non è puro, lo è quando rinasce dallo Spirito.

4. Per evidenziare maggiormente queste sue affermazioni, Elifaz dimostra che:

(a) Anche le creature più eccelse sono imperfette e impure di fronte a Dio. Gb 15:15 Dio
non ripone la sua fiducia nei santi e negli angeli. Li impiega, ma non affida loro il suo
servizio senza riempirli continuamente della sua forza e della sua saggezza, sapendo che,
da soli, non hanno la capacità di compierlo e che non possono mai fare più o meglio della
grazia che ricevono. Non si compiace nemmeno dei cieli stessi. Per puri che appaiano a
noi, ai suoi occhi hanno molti difetti e imperfezioni: I cieli non son puri agli occhi suoi.
Secondo Caryl, se le stelle non hanno luce quando splende il sole, che luce può avere il
sole di fronte a Dio? cfr. Is 24:23

(b) L’uomo è ancor meno degno di fiducia: Quanto meno quest’essere abominevole e
corrotto! Gb 15:16 Se non ci si può fidare dei santi, quanto meno dei peccatori. Se i cieli,
che sono come Dio li ha fatti, non sono puri, quanto meno lo è l’uomo che è degenerato.
Anzi, è abominevole e immondo agli occhi di Dio e, anche se si pente, rimane tale ai suoi
occhi, e quindi si detesta. Il peccato è detestabile e produce odio. Il corpo del peccato si
chiama corpo morto, una cosa disgustosa. Non è immondo e nauseante vedere un uomo
che mangia il mangime dei maiali o che beve qualcosa di schifoso e ripugnante? L’uomo è
così immondo che tracanna l’iniquità (quella cosa abominevole che il Signore odia) con

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 128


altrettanta avidità e altrettanto piacere di un assetato che beve dell’acqua. È la sua
bevanda costante. È naturale per i peccatori. Allevia, ma non soddisfa, l’appetito del
vecchio uomo. È come acqua per un edema. Più si pecca più si desidera peccare.

Gb 15:17-35

Elifaz, avendo rimproverato le risposte di Giobbe, sostiene ora la sua tesi, su cui ha
fondato la condanna. Secondo lui, gli empi sono certamente miserabili, da cui deduce che
chi è miserabile è certamente empio, compreso Giobbe. Osservate:

I. La sua solenne prefazione a quel discorso, in cui sollecita l’attenzione di Giobbe, che
aveva poco motivo di aspettarsi, dato che aveva ascoltato e valutato così poco ciò che
Giobbe aveva da dire: « Io voglio ammaestrarti con validi insegnamenti, invece di
ragionare, come hai fatto tu, con inutili discorsi ». Gb 15:17 Gli uomini tendono a elogiare
i propri ragionamenti quando condannano quelli degli altri. Elifaz promette di trarre i suoi
insegnamenti:

1. Dalla propria esperienza e osservazione: « Ti racconterò quello che ho visto, in varie


circostanze ». È bene notare la provvidenza di Dio verso gli uomini, da cui possiamo
imparare molto, e poi comunicare agli altri le osservazioni che ci sono state di giovamento.
Possiamo parlare con franchezza quando parliamo di ciò che abbiamo visto.

2. Dalla sapienza degli antichi: Quello che i Savi hanno riferito di quel che sapevano dai
padri. Gb 15:18 Notate: La sapienza e la conoscenza odierna è ricavata in gran parte da
quella degli antichi. I figli imparano molto dai genitori. Dobbiamo trasmettere ai posteri ciò
che impariamo dai nostri predecessori. cfr. Sl 78:3-6 Se il filo della conoscenza di molte
epoche viene troncato per la negligenza di una persona, e non si fa nulla per preservarlo
puro e intatto, le cose non possono che peggiorare. Le autorità citate da Elifaz erano
effettivamente autorevoli, uomini di grande importanza e rilievo, ai quali soli è stato dato il
paese, Gb 15:19 e quindi possiamo supporre che abbiano il favore del cielo e che possano
giudicare bene le questioni terrene. I precetti della saggezza hanno più impatto se dati da
chi si trova in posizioni di dignità e di potere, come Salomone. C’è però una sapienza che
nessuno de’principi di questo mondo ha conosciuta. 1Co 2:7,8

II. Il discorso stesso. Elifaz vuole dimostrare che:

1. I saggi e i giusti di solito prosperano in questo mondo. Fa accenno al fatto che solo le
persone come loro avrebbero ricevuto il mondo intero, che avrebbero goduto interamente
e pacificamente, senza stranieri che vogliano condividerlo o disturbarli. Gb 15:19 Giobbe
aveva detto: La terra è data in balía dei malvagi. Gb 9:24 « No », dice Elifaz, « è data in
mano ai santi, e continua con la fede affidata a loro. Non saranno derubati e saccheggiati
da invasori come i Sabei e i Caldei ». Solo perché molti uomini di Dio come Abramo,
Isacco e Giacobbe hanno goduto di prosperità in questo mondo, non vuol dire che chi
incontra problemi e povertà, come Giobbe, non appartiene a Dio.

2. Gli empi, e soprattutto gli oppressori e i tiranni, vivono scomodamente, tra tanti terrori,
e muoiono miseramente. Elifaz si dilunga su questo argomento, dimostrando che anche
chi sfida i giudizi di Dio non può fare a meno di temerli e, alla fine, ne sarà colpito. Parla al
singolare: l’empio, facendo accenno, secondo alcuni, a Nimrod, a Chedorlaomer, o a

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 129


qualche potente cacciatore nel cospetto dell’Eterno. Io temo però che parli dello stesso
Giobbe, che accusa espressamente sia di tirannia che di codardia. Gb 22:9,10 Elifaz
considerò l’esempio pertinente, pensando che Giobbe potesse riconoscersi in questa
descrizione, come guardandosi allo specchio. Consideriamo ora:

(a) La sua descrizione del peccatore che vive miseramente. Non la presenta all’inizio, ma
in seguito, come motivo della sua rovina. Gb 15:25-28 Non si tratta di un peccatore
comune, ma di uno dei peggiori, un prepotente, Gb 15:20 un bestemmiatore, un
persecutore, che non teme Iddio e non ha rispetto per alcun uomo. [1] Sfida Dio, la sua
autorità e il suo potere. Gb 15:25 Se gli parli della legge divina e dei doveri che essa
impone, spezza quei legami. Non permette che nessuno lo restringa o lo governi,
nemmeno il suo creatore. Se gli parli dell’ira divina e dei suoi terrori, sfida l’Onnipotente a
fare anche il peggio. Continuerà a fare ciò che vuole, senza lasciarsi controllare dalla
legge, dalla coscienza o dagli avvertimenti di giudizi imminenti. Stende la mano contro Dio,
come atto di sfida contro di lui e contro il potere della sua ira. Anche se non può certo
raggiungerlo, stende la mano contro di lui per dimostrare che, se potesse, lo deporrebbe
dal trono divino. È una descrizione dell’audace irreligiosità di certi peccatori che sono in
effetti nemici di Dio, Ro 1:30 la cui mente, controllata dalla carne, è l’inimicizia
personificata. Ro 8:7 Ma ahimè, la cattiveria del peccatore è impotente quanto sfacciata.
Che cosa può fare? Si rinforza (si fa valoroso, secondo alcuni) contro all’Onnipotente. Gb
15:25 D Con il suo enorme potere dispotico pensa di poter mutare i tempi e la legge Da
7:25 nonostante la provvidenza divina, di poter ottenere la vittoria per la rapina e per il
male, senza rimorsi di coscienza. Notate: Chi pecca di presunzione è completamente pazzo
a pensare di poter sfidare l’Onnipotenza divina. Guai a colui che contende col suo
creatore. È un atteggiamento che generalmente contribuisce a descrivere la sfacciata
presunzione del peccatore: Gli si slancia audacemente contro, contro Dio stesso, in totale
opposizione a lui, ai suoi precetti e agli atti della sua provvidenza, sul suo collo, Gb 15:26
KJV come un lottatore disperato che, trovandosi in posizione di svantaggio, salta addosso
all’avversario, anche se poi cade sulla sua spada o sulla punta del suo scudo. In genere, i
peccatori rifuggono Dio. I più presuntuosi invece, che peccano sfacciatamente, gli si
slanciano contro per combatterlo e per sfidarlo. È facile prevederne la fine. [2] Si circonda
di sicurezza e di sensualità: Ha la faccia coperta di grasso. Gb 15:27 È un simbolo delle
sue indulgenze quotidiane in cibi prelibati e della durezza del suo cuore contro i giudizi di
Dio. Notate: La gratificazione degli appetiti carnali, mangiando e facendo festa, spesso è
dannosa all’anima e ai suoi interessi. Dio è dimenticato e trascurato da chi si fa un dio del
ventre e ripone la felicità nei piaceri sensuali. Chi si riempie di vino e di forti bevande
abbandona tutto ciò che è serio e si illude con la speranza che il giorno di domani sarà
come questo. Is 56:12 Guai a quelli che vivono tranquilli in Sion. Am 6:1,3,4 Lu 12:19 Il
grasso che gli copre il volto lo fa apparire coraggioso e altero, mentre quello che gli copre i
fianchi gli permette di sdraiarsi comodamente senza provare disturbo. Sarà però di poco
aiuto contro i dardi dell’ira di Dio. [3] Si arricchisce con il bottino degli altri. Gb 15:28 Vive
in città che ha reso desolate cacciandone via gli abitanti, per poterci vivere da solo. Is 5:8
Gli uomini superbi e crudeli provano uno strano piacere nelle rovine, che creano
distruggendo le città, Sl 9:6 e trionfano nella distruzione, dato che sanno conquistarle solo
rendendole mucchi di sassi e terrorizzandone gli abitanti. Notate: Chi vuole accaparrarsi
tutto il mondo ne perde i piaceri, e si trova miserabile nel suo mezzo. Come fa questo
tiranno a vincere e a diventare il padrone di quelle città che hanno tutti i marchi
dell’antichità? Leggiamo che lo fa con la cattiveria e la menzogna, i due ingredienti
principali dell’empietà di chi fu bugiardo e omicida dall’inizio. Concepisce malizia, e la

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 130


mette in effetto preparandosi in seno il disinganno, fingendo di proteggere chi vuole
soggiogare e facendo accordi di pace per condurre più efficacemente le sue operazioni di
guerra. Gb 15:35 Dio liberi tutti i giusti da persone così malvage.

(b) La miserabile condizione di questo empio, nei suoi giudizi sia spirituali che temporali.
[1] La sua pace interiore è continuamente turbata. Chi lo circonda pensa che viva
comodamente, e quindi lo invidia e sogna di essere nella sua condizione. Chi invece
conosce l’animo umano ci insegna che l’empio ha così poco conforto e soddisfazione nel
cuore da dover essere piuttosto compatito. Prima di tutto, la sua coscienza lo accusa, ed
egli è tormentato tutti i suoi giorni dalle sue fitte e dai suoi rimorsi. Gb 15:20 Prova
sempre inquietudine al pensiero delle crudeltà che ha commesso e del sangue di cui si è
macchiato le mani. I suoi peccati gli sono sempre di fronte. Diri conscia facti mens habet
attonitos-La colpa di cui siamo consapevoli ci lascia attoniti e confusi. In secondo luogo, è
irritato dall’incerta durata della sua ricchezza e del suo potere: Il numero degli anni è
nascosto all’oppressore. Gb 15:20 KJV Per quanto possa fingere il contrario, sa che non
dureranno per sempre, e ha buon motivo di temere che non dureranno a lungo, per cui si
angustia. In terzo luogo, è in terribile attesa del giudizio e dell’ardore d’un fuoco, Eb 10:27
che lo mantiene in un continuo stato di terrore e di costernazione, per cui dimora con
Caino nella terra di Nod, ossia tumulto, Ge 4:16 ed è come Pascur, Magor-Missabib-un
terrore generale. Gr 20:3,4 Sempre ha negli orecchi rumori spaventosi. Gb 15:21 Sa che il
cielo e la terra sono infuriati contro di lui, che Dio è adirato e tutto il mondo lo odia. Non
ha fatto nulla per rappacificarsi, e quindi pensa che chiunque lo troverà lo ucciderà. Ge
4:14 Oppure è come un uomo che evita di pagare un debito e pensa che ogni persona sia
un esattore. Il timore viene e rimane insieme al peccato. Ge 3:10 Anche nella prosperità,
l’empio ha paura che gli piombi addosso il distruttore, qualche angelo di distruzione inviato
da Dio per fare vendetta o uno dei suoi inferiori offesi che vuole farsela da solo. Chi
spande il terrore sulla terra de’viventi, di solito scende nella fossa, Ez 32:25 e anche solo
aspettarsela rappresenta un terrore. Lo stesso concetto è poi ribadito: Si sente destinato
alla spada, Gb 15:22 perché sa che se uno uccide con la spada, bisogna che sia ucciso con
la spada. Ap 13:10 Il senso di colpa è, per il peccatore, una spada fiammeggiante che
vibra da ogni parte Ge 3:24 e che inevitabilmente lo colpirà. Sa che a lui dappresso è
pronto il giorno tenebroso (o la notte tenebrosa Gb 15:23), il suo destino inevitabile che si
fa sempre più vicino e non può essere rimandato. Quel giorno tenebroso è dopo la morte.
È il giorno dell’Eterno che, per tutti i malvagi, sarà un giorno di tenebre in cui saranno
condannati a un’oscurità totale e infinita. Notate: Alcuni malvagi, benché sembrino sicuri,
sono già sentenziati a morte, alla morte eterna, in se stessi, e vedono chiaramente
l’inferno che anela di possederli. Non c’è quindi da meravigliarsi se si legge, nel versetto
seguente, che la distretta e l’angoscia (la stessa tribolazione e la stessa angoscia interiore
citate in Ro 2:8,9, che sono un effetto dell’ira e indignazione di Dio che afferrano la
coscienza) lo riempiono di paura di un futuro peggiore. Gb 15:24 Come sarà l’inferno a
venire se è così quello presente? Anche se desidera liberarsi dai suoi timori, bevendo o
scherzando, quell’empio non potrà farlo: essi l’assalgono e lo sconfiggono a guisa di re
pronto alla pugna, con forze irresistibili. Chi vuole pace, si liberi la coscienza. Quarto, se si
trova nei guai, non ha speranza di uscirne: Non ha speranza d’uscir dalle tenebre, ma si
considera già sconfitto e perduto in una notte senza fine. Gb 15:22 I giusti si aspettano
luce di sera, luce fra le tenebre, ma chi non vuole uscire dalle tenebre del peccato, ma
continua a camminarci dentro, come può aspettarsi di uscire dalle tenebre dei guai? Sl
82:5 La sofferenza dei dannati è proprio quella di sapere che non usciranno mai da quelle
tenebre assolute e non riattraverseranno mai quella grande voragine. Quinto, si turba con

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 131


continue preoccupazioni, soprattutto se la provvidenza cessa anche minimamente di
sorridergli. Gb 15:23 Ha tanta paura della povertà e prevede tali perdite dei suoi beni che,
nella sua immaginazione, va già errando in cerca di pane, mendicando il suo cibo e
dicendo: Dove trovarne? Il ricco, nella sua abbondanza, grida: Che farò? Lu 12:17 Forse
finge di aver paura di impoverirsi, per scusare i suoi atti di ingordigia, ed è quindi giusto
che arrivi a quelle condizioni estreme. Leggiamo che alcuni eran satolli, ma si allogarono
per aver del pane. 1Sa 2:5 Questo peccatore invece non lo fa. È troppo grasso per scavare
Gb 15:27 e si vergogna a mendicare. cfr. Sl 109:10 Davide previde che il giusto non sarà
mai abbandonato al punto da dover mendicare un tozzo di pane. Infatti, chi è caritatevole
lo nutrirà senza che debba chiedere. Sl 37:3,25 Se invece gli empi hanno bisogno, non
possono aspettarsi immediati soccorsi. Come possono trovare misericordia se non l’hanno
mai dimostrata? [2] I suoi beni materiali finiranno insieme a tutta la sua sicurezza e ai suoi
conforti. Come può prosperare quando Dio lo attacca (secondo l’interpretazione di alcuni
Gb 15:26)? Dio insegue chi attacca. Il suo giudizio vince sempre. Notate che i giudizi di
Dio comprendono tutte le preoccupazioni, i desideri e i progetti di questo avido malvagio,
completando così la sua miseria. Prima di tutto, anche se vuole, non s’arricchirà. Gb 15:29
La sua mente ingorda lo trattiene dalla vera ricchezza. Chi non ha abbastanza non è ricco,
e chi non pensa di avere abbastanza non ce l’ha. Solo l’animo contento è un grande
guadagno. È interessante notare che la provvidenza impedisce ad alcuni di arricchirsi,
rovinando i loro progetti, frustrando i loro sforzi e tenendoli sempre indietro. Tanti
guadagnano molto con la frode e l’ingiustizia, ma non si arricchiscono. Le ricchezze se ne
vanno così come vengono: ottenute con un peccato, sono spese per un altro. In secondo
luogo, cerca in vano di mantenere i suoi averi: la sua fortuna non sarà stabile, ma
scemerà fino a sparire. Dio lo maledice, e quello che è nato in una notte, in una notte
perisce. La ricchezza male acquistata va scemando. C’è chi vede la rovina dei propri beni
acquisiti con l’oppressione. In altri casi, ciò che rimane è maledetto per i successori. De
male quaesitis vix gaudet tertius haeres-I beni male ottenuti saranno raramente goduti dai
terzi eredi. Compra dei possedimenti per lui e i suoi eredi, ma a che scopo? La loro
perfezione non si estenderà sulla terra, né il loro credito o il loro conforto. Gb 15:29 KJV
Quando saranno finiti, dove sarà la loro perfezione? Come possiamo aspettarci che
qualunque perfezione continui sulla terra dove tutto è transitorio e dove presto ci
accorgeremo che ogni cosa perfetta ha un limite? In terzo luogo, si preoccupa di lasciare
ai figli tutto ciò che ha ottenuto e risparmiato, ma i suoi piani sono frustrati. I rami della
sua famiglia, in cui sperava di continuare a vivere e a prosperare, con la reputazione di
averli resi grandi, periranno. Non rinverdiranno più. Gb 15:32 Il vento infuocato li farà
seccare. Gb 15:30 Gli saranno strappati come fiori mai maturati in frutto o come l’uva
ancor acerba. Gb 15:33 Moriranno in tenera età senza mai giungere alla maturità. Molti
rovinano la propria famiglia con la loro iniquità. Quarto, vuole godere la propria ricchezza,
ma anche questo non gli è concesso.

1. Dio può portarlo via: Sarà portato via dal soffio della bocca di Dio, Gb 15:30 cioè,
dall’ira di Dio che, come un torrente di zolfo, accende il fuoco che lo divora, Is 30:33 o
dalla sua parola, che è eseguita immediatamente. Dovrà quindi lasciare le sue ricchezze
agli altri. Questa notte stessa l’anima tua ti sarà ridomandata. L’empio è travolto dalla sua
sventura, la persona mondana dal suo amore delle cose terrene.

2. La sua ricchezza può essergli portata via, in volo come un’aquila verso il cielo: la sua
fine verrà prima del tempo. Gb 15:32 Quest’uomo vivrà quindi più delle sue ricchezze e se
le vedrà strappate. Quinto, quando è nei guai, si preoccupa di uscirne (e non di imparare

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 132


una lezione), ma non riesce nemmeno a questo: Non potrà liberarsi dalle tenebre. Gb
15:30 Quando inizia a cadere, come Aman, tutti dicono: « Abbasso quest’uomo! ».
Abbiamo letto che non ha speranza d’uscir dalle tenebre. Gb 15:22 Si atterrisce da solo,
immaginando una sventura senza fine, e Dio sceglierà la sua sventura, per fargli piombare
addosso quel che paventa, Is 66:4 come fece per Israele. Nu 14:28 Dio dà il suo Amen
alla sua sfiducia e disperazione. Sesto, si preoccupa di avere dei compagni fidati, che gli
facciano da garanzia, ma anche quel suo desiderio è vano: La loro radunanza, l’intera
compagnia, con tutti i suoi tabernacoli, sarà deserta e consumata dalle fiamme. Gb
15:34,35 D È una compagnia accusata qui di ipocrisia e di corruzione, cioè di falsità verso
Dio e verso l’uomo: offende Dio apparendo religiosa e danneggia gli uomini con il pretesto
di fare giustizia. È impossibile che abbia un buon fine. Anche se stringe la mano ad un
altro per un’alleanza, per appoggiare i suoi perfidi atti, il malvagio non rimarrà impunito.

(c) L’utilità e l’applicazione di questo discorso. La prosperità dei peccatori presuntuosi


finisce così miseramente? Allora non confidare nella vanità: è un’illusione. Gb 15:31 I guai
degli altri ci siano di avvertimento, e non appoggiamoci alla canna rotta che ha sempre
fatto cadere chi vi ha fatto affidamento. [1] Chi confida in fonti di guadagno peccaminose
confida nella vanità e avrà la vanità per ricompensa, e non ciò che si aspetta. Le sue
abilità finiranno per ingannarlo e forse anche rovinarlo in questo mondo. [2] Chi confida
nelle ricchezze che ha ottenuto, soprattutto se disonestamente, confida nella vanità,
perché non gli daranno soddisfazione. Il senso di colpa che le accompagna ne rovina il
godimento. Semina vento, e mieterà tempesta, riconoscendo, alla fine, quando tutto è
perduto, che il suo cuore sedotto lo ha traviato, e che si è ingannato con una menzogna
nella mano destra.

Giobbe 16

In questo capitolo ha inizio la risposta di Giobbe al discorso di Elifaz nel capitolo


precedente. È la seconda parte dello stesso lamento con cui si era già commiserato, con lo
stesso tono deprimente.

I. Rimprovera i suoi amici per la loro villania. Gb 16:1-5

II. Definisce la sua condizione totalmente deplorabile. Gb 16:6-16

III. Continua a sostenere la propria integrità, appellandosi al giusto giudizio di Dio contro
le ingiuste accuse dei suoi amici. Gb 16:14-22

Gb 16:1-5

Sia Giobbe che i suoi amici usano il solito metodo di chi disputa, cioè svalorizzano il buon
senso, la saggezza e la direzione degli altri. Le contese sono come una sega: più si tira e
più si scalda. Cominciare una contesa come questa è dar la stura all’acqua; perciò ritirati
prima che la lite s’inasprisca. Elifaz aveva definito i discorsi di Giobbe inutili, vani e a
sproposito. Giobbe dice lo stesso dei suoi. Chi si affretta a fare tali accuse può aspettarsi
che si ritorcano contro di lui. È un metodo semplice e continua in eterno, ma cui bono? a
che giova? Accende le passioni, ma non convince la mente, né dà luce alla verità. Giobbe
rimprovera a Elifaz:

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 133


1. Le sue inutili ripetizioni: « Di cose come codeste, ne ho udite tante. Non mi dici niente
che non sapessi prima, niente che tu non abbia già detto. Non hai niente di nuovo da dire.
Continui a ripetere le stesse cose ». Gb 16:2 Secondo Giobbe, avevano messo alla prova la
sua pazienza quanto avevano fatto i suoi guai. La reiterazione delle stesse cose da parte di
un avversario è effettivamente irritante e nauseante. È però spesso necessaria agli
insegnanti, e gli allievi non devono risentirsene, perché sono precetto dopo precetto,
regola dopo regola. Molte cose devono essere ripetute per aiutarci a capirle e a ricordarle,
e per colpirci e influenzarci meglio.

2. Le sue inette applicazioni. I suoi amici erano venuti per confortarlo, ma lo fecero in
maniera molto inappropriata e senza comprendere affatto la sua condizione: « Siete tutti
dei consolatori molesti. Invece di offrire qualcosa che allevi il dolore, lo aggravate,
aggiungendo altre sofferenze ». Il paziente è in cattive mani se le medicine lo avvelenano
e i medici peggiorano la sua condizione. Ciò che Giobbe dice dei suoi amici è vero di tutte
le creature, in confronto a Dio. Prima o poi, vedremo e riconosceremo tutti di essere dei
consolatori molesti. Quando il peccato ci condanna, la coscienza ci atterrisce e la morte è
vicina, solo lo Spirito Santo può confortarci efficacemente. Senza di lui, tutti gli altri lo
fanno male e cantano, inutilmente, delle canzoni a un cuore dolente.

3. La sua incessante impertinenza. Giobbe vuol mettere fine alle parole vane. Gb 16:3
Essendo vane, non avrebbero nemmeno dovuto pronuciarle, e prima smettono, meglio è.
Chi sa parlare appropriatamente saprà anche riconoscere quando avrà detto a sufficienza
e quando sarà ora di tacere.

4. La sua immotivata ostinazione. Che cosa ti provoca a rispondere? Accusare gli altri di
crimini che non possiamo provare, giudicare la condizione spirituale dagli eventi esterni e
ripetere le stesse obiezioni a cui è già stata data ripetutamente risposta, come fece Elifaz,
è un’inconcepibile dimostrazione di sfacciataggine.

5. La violazione delle sacre regole dell’amicizia. Aveva trattato un fratello come né lui
stesso, né l’altro avrebbe voluto essere trattato. Si tratta di un rimprovero tagliente e
sconcertante. Gb 16:4,5

(a) Vorrebbe che i suoi amici si mettessero nei suoi panni, scambiandosi le parti e
immaginando di essere nelle sue stesse condizioni misere, mentre lui stava bene. Non era
una supposizione assurda o impossibile. Avrebbe anche potuto avverarsi. Le vicissitudini
umane sono improvvise e imprevedibili. A ogni giro di ruota, le assi cambiano posizione.
Dobbiamo comprendere i dolori dei nostri fratelli al punto da sentirli come nostri, perché
potrebbero anche esserlo.

(b) Descrive la loro villania verso di lui, spiegando che cosa avrebbe potuto fare se fossero
stati nella sua stessa condizione: Anch’io potrei parlare come voi. È facile calpestare chi è
a terra e trovare colpe nelle parole di chi è stremato dal dolore e dall’afflizione: « Potrei
mettere assieme delle parole contro a voi, come fate voi contro di me, e vi piacerebbe?
Come reagireste? ».

(c) Dà dei suggerimenti, spiegando che cosa avrebbe fatto lui in quel caso: « Potrei farvi
coraggio, e dire ciò che posso per consolarvi, senza aggravare il vostro dolore ». Gb 16:5
Quando si soffre, è naturale pensare che cosa si farebbe se si riversassero le parti. Ma il

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 134


cuore può ingannarci e non sappiamo che cosa è giusto. È più facile capire la giustizia e
l’importanza di un precetto quando possiamo trarne i benefici di quanto non lo sia quando
dobbiamo metterlo in pratica. Notate il nostro dovere verso i fratelli afflitti. Dovremmo dire
e fare tutto il possibile per: [1] Incoraggiarli, animandoli con delle considerazioni
appropriate a ispirare fiducia in Dio e a sostenere i loro spiriti abbattuti. La fede e la
pazienza sono la forza degli afflitti e ciò che favorisce quelle grazie dà forza alle ginocchia
deboli. [2] Mitigare il loro dolore: possibilmente la sua causa, o almeno il loro risentimento
verso quella causa. Le buone parole non costano niente, ma possono essere utili a chi
soffre, non solo perché l’interesse degli amici può essere una consolazione, ma anche per
ricordare ciò che si dimentica in mezzo a tanto dolore. Anche se le parole dure (secondo il
detto) non possono rompere le ossa, quelle buone possono far festeggiare le ossa
spezzate, e chi ha una lingua esercitata sa sostenere con la parola lo stanco.

Giobbe 16:6-16

Il lamento di Giobbe è amaro come in tutti i suoi discorsi, e non sa se sopprimerlo o


sfogarlo. Sia l’uno che l’altro può portare sollievo, secondo il carattere e le circostanze. Nel
caso di Giobbe, invece, niente serviva (Giobbe 16:6).

1. A volte, parlare del proprio dolore dà sollievo. Invece, Giobbe dice: « Se parlo, il mio
dolore non ne sarà lenito, il mio spirito non sarà risollevato. Anzi, le mie parole sono
fraintese per aggravare la mia pena ».

2. Altre volte, il silenzio allevia i guai e aiuta a dimenticarli. Giobbe invece dice: Se cesso di
parlare, non mi serve a niente. Che sollievo ne avrò? Se si lamentava, lo accusavano di
essere impetuoso. Se taceva, lo ritenevano astioso. La sua confessione di integrità era
reputata un crimine, ma, se non rispondeva alle accuse, il suo silenzio era considerato
un’ammissione di colpa. Segue una mesta rappresentazione delle sue lamentele. Come
dovremmo ringraziare Dio se non abbiamo le stesse rimostranze! Giobbe si lamenta che:

I. La sua famiglia era dispersa: « Dio m’ha ridotto senza forze, senza la forza di parlare e
di sopportare il dolore, gli amici e la vita. Il mio cammino in questo mondo è così penoso
che ne sono stanco (Giobbe 16:7) ». Lo esauriva il fatto che la sua casa fosse desolata,
che i suoi figli e i suoi servi fossero stati uccisi e quei pochi che erano rimasti si fossero
dispersi. Le brave persone che si erano riunite a casa sua per le funzioni religiose erano
ora un po’ovunque, e Giobbe passava i suoi sabati in silenzio e in solitudine. Aveva dei
compagni, ma avrebbe preferito farne a meno, perché sembravano trionfare nella sua
desolazione. Se i nostri cari e i nostri amici ci sono lontani, dobbiamo riconoscere che è
Dio a rendere desolata la nostra casa.

II. Il suo corpo era consumato dalla malattia e dal dolore, tanto da sembrare uno
scheletro, tutto pelle e ossa (Giobbe 16:8). Il suo volto era scavato, non dall’età, ma dalle
infermità: M’ha coperto di grinze. La sua carne era così consunta dalle ulcere maligne, che
la sua magrezza si levava in lui, cioè, le sue ossa erano diventate visibili (Giobbe 33:21)
per accusarlo in faccia, per testimoniare la disapprovazione di Dio contro di lui e per
dimostrare, come facevano i suoi amici, che era un empio. Oppure: « Testimoniano in mio
favore, dimostrando che il mio lamento non è infondato », o « Mi testimoniano il fatto che
sono un moribondo e che presto me ne andrò (cfr. Giobbe 16:8 KJV) ».

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 135


III. Il suo nemico lo terrorizzava, lo minacciava e lo spaventava, guardandolo duramente
in faccia e dimostrando la sua ira: La sua ira mi lacera (Giobbe 16:9). Ma chi è questo
nemico?

1. Elifaz, che si era dimostrato esasperato e forse aveva manifestato dei segni di
indignazione come quelli qui citati. Se non altro, le sue parole avevano lacerato la buona
reputazione di Giobbe, portandogli solo terrore. Aguzzava gli occhi per scoprire le sue
colpe e, insieme agli altri amici, lo trattava barbaramente. Oppure:

2. Satana, il nemico che lo odiava e forse, con il permesso divino, lo terrificava con le sue
apparizioni, così come, secondo alcuni, aveva terrorizzato il nostro Salvatore,
agonizzandolo nel Getsemane. In questo caso, voleva indurlo a maledire Dio. Non è
improbabile che sia questo il nemico a cui si riferisce. Oppure:

(c) Dio stesso. In questo caso, le sue parole sono realmente avventate. Dio non odia
nessuna delle sue creature. Giobbe era però così depresso da rappresentare in quel modo
i terrori Dell’onnipotente. Niente può essere più doloroso per un giusto che sentire Dio
come un nemico. Se l’ira del re vuol dire messaggeri di morte, che cosa sarà l’ira del Re
dei re?

IV. Tutti lo trattavano male (Giobbe 16:10). Gli rivolgevano delle minacce così tremende e
gli parlavano con tanto scherno che sembrava che aprissero la bocca per divorarlo o
inghiottirlo vivo. Gli resero tutto il disonore possibile, percuotendogli perfino le guance.
Erano in gran numero, uniti insieme: Si erano messi tutt’insieme a dargli addosso, anche
le persone più abiette (Salmi 35:15). In questo, Giobbe fu un prototipo di Cristo, secondo
l’opinione di molti antichi. Le stesse espressioni sono infatti usate nelle predizioni delle
sofferenze di Cristo: Aprono la loro gola contro a me (Salmi 22:13), e colpiscono con la
verga la guancia del giudice D’israele (Michea 5:1), che furono poi adempiute
letteralmente (Matteo 26:67). Quanto numerosi erano i suoi nemici!

V. Dio, invece di liberarlo dalle loro ingiurie, come Giobbe aveva sperato, lo aveva dato
nelle loro mani: Mi getta in mano dei malvagi (Giobbe 16:11). Non avrebbero avuto alcun
potere contro di lui se non gli fosse stato dato dall’alto. Giobbe quindi volge lo sguardo
verso Dio che aveva dato loro quell’incarico, come aveva fatto Davide quando Simei lo
aveva maledetto. Ritiene però strano, e quasi crudele, che Dio avesse dato il potere di
combatterlo a chi era anche il suo stesso nemico. A volte Dio usa i malvagi come spada
per punire altri empi (Salmi 17:13) e come verga per correggere i suoi figli (Isaia 10:5).
Anche in questo, Giobbe fu un prototipo di Cristo, che fu dato in mano ai malfattori per
essere crocifisso e ucciso per il determinato consiglio e per la prescienza di Dio (Atti 2:23).

VI. Dio non solo lo diede in mano ai malvagi, ma lo prese nelle sue mani, in cui è
spaventevole cadere: « Vivevo in pace, godendomi tranquillamente i doni della generosità
di Dio, senza preoccupazioni, al contrario di altri che, quando prosperano, provocano
praticamente Dio a togliergli ogni cosa. Eppure m’ha scosso con violenza, mi ha torturato,
smembrandomi completamente (Giobbe 16:12) ». Nell’affliggere Giobbe, Dio sembrò:

1. Furioso. Anche se la furia non è un attributo di Dio, secondo Giobbe lo era, quando lo
prese per la nuca (come, impetuosamente, un uomo può prendere un bambino) e lo
scosse, trionfando nel suo irresistibile potere di fare di lui ciò che desiderava.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 136


2. Parziale. « Mi ha preso di mira con i suoi maltrattamenti, m’ha posto per suo bersaglio,
divertendosi a tirare le sue frecce. Non mi colpiscono per caso: sono dirette a me, come se
fossi il peggior peccatore Dell’oriente o se mi avesse scelto come esempio pubblico ». Poi i
suoi arcieri immediatamente lo circondarono. Dio ha degli arcieri al suo comando che
colpiscono il bersaglio che egli erige. Dobbiamo vedere i nostri nemici come arcieri di Dio,
e riconoscere che è lui a guidare la freccia. Egli è L’eterno: faccia quello che gli parrà
bene.

3. Crudele, con una collera implacabile così come il suo potere è irresistibile. Sembrava
che volesse colpirlo nei punti più deboli, trafiggendogli i reni con dei dolori acuti. Forse
erano attacchi di nefrite o di calcoli renali. Sembrava che non avesse misericordia, non
risparmiandogli né alleviandogli i dolori più estremi, e che volesse solo la sua morte, tra le
peggiori torture: Sparge a terra il mio fiele, come si fa quando si cattura e si uccide una
bestia selvaggia e se ne sparge il fiele con disgusto. Lo spargimento del suo sangue
denotava, a suo parere, non solo disprezzo, ma ripugnanza.

4. Irragionevole e insaziabile nei suoi atti: « Apre sopra di me breccia su breccia, mi


infligge una ferita dopo l’altra (Giobbe 16:14) ». Erano stati così i suoi guai: mentre un
messaggero di disgrazia parlava, ne arrivò un altro. Ed era ancora così: ogni giorno
apparivano nuove ulcere, senza speranza di sollievo. Giobbe vedeva quindi Dio come un
gigante (Giobbe 16:14 KJV) che lo attaccava e che non avrebbe mai potuto affrontare o
contrastare, come i giganti di un tempo che terrorizzavano le popolazioni vicine senza
poter essere arrestati. Notate: Anche i giusti, nei momenti di straordinaria sofferenza,
devono stare attenti a non avere un’immagine negativa di Dio.

VII. Gli aveva tolto ogni onore e ogni conforto, secondo le afflizioni della provvidenza.
Certi avrebbero potuto alleviare i propri dolori nascondendoli, alzando il capo e sorridendo
come sempre, ma non Giobbe. Ne rimase colpito e, con sincero pentimento e vera
pazienza, si umiliò sotto la potente mano di Dio (Giobbe 16:15, 16).

1. Abbandonati i suoi ornamenti e le sue vesti delicate, senza pensare a comodità o a


finezza, si cucì un cilicio sulla pelle, un abito che riteneva adatto a un corpo infetto e
infermo come il suo. La seta non si confaceva a tali ulcere. Era meglio un cilicio. Chi non
sa abbandonare i vestiti eleganti durante la malattia, la vecchiaia e, come nel caso di
Giobbe, nei momenti di grinze e magrezza, dimostra di esservi troppo attaccato (Giobbe
16:8). Non solo Giobbe indossò un cilicio, ma se lo cucì addosso, deciso a continuare a
umiliarsi finché era afflitto.

2. Non cercò onore, ma si umiliò, mortificato dalla provvidenza: Prostrò la sua fronte nella
polvere, rifiutando il rispetto che era stato dimostrato alla sua dignità, al suo potere e alla
sua eminenza. Notate: Se Dio ci mette in condizioni umili, dobbiamo umiliare il nostro
spirito. È meglio prostrare la fronte nella polvere che alzarla in contraddizione ai piani della
provvidenza divina e averla distrutta. Elifaz aveva definito Giobbe superbo e altero,
incapace di umiliarsi durante le afflizioni. « No », dice Giobbe. « So cos’è giusto. La
polvere è l’elemento che mi è più confacente in questo momento ».

3. Rifiutò l’allegria, giudicandola del tutto inopportuna, deciso a seminare con lacrime: « Il
mio viso è rosso di pianto costante per i miei peccati, per la disapprovazione di Dio e per
la villania dei miei amici: per questo sulle mie palpebre si stende l’ombra di morte (Giobbe

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 137


16:16) ». Il pianto lo aveva non solo disfigurato, ma gli aveva quasi consumato gli occhi.
Giobbe fu, anche in questo, un prototipo di Cristo, un uomo di dolore, che pianse molto e
chiamò beati quelli che fanno cordoglio, perché saranno consolati.

Gb 16:17-22

La condizione di Giobbe era molto deplorabile, ma non aveva proprio alcun sostegno o
conforto? Lo aveva, e ce lo rivela:

I. La sua coscienza testimoniava che si era comportato bene e che non si era mai
concesso nessun grave peccato. Era più che mai pronto a riconoscere i suoi peccati di
debolezza, ma, esaminandosi bene, non poteva accusarsi di enormi crimini che dovessero
renderlo più miserabile degli altri. Gb 16:17

1. Aveva la coscienza pulita:

(a) Verso gli uomini: « Le mie mani non commisero mai violenza. Non ho mai ottenuto o
conservato dei beni con l’ingiustizia ». Elifaz lo aveva descritto come tiranno e oppressore.
« No », dice Giobbe. « Non ho mai fatto male a nessuno e ho sempre disprezzato i
soprusi ».

(b) Verso Dio: La mia preghiera fu sempre pura. Nessuna preghiera può però essere pura
finché le nostre mani sono piene di ingiustizia. Is 1:15 Elifaz lo aveva accusato di ipocrisia
religiosa, ma Giobbe professa specificamente che la sua preghiera, il più grande atto
religioso, era pura, non da ogni imperfezione, ma da un inganno continuo e condonato.
Non era come le preghiere dei Farisei, usate solo per farsi vedere dagli altri e per servire ai
loro fini.

2. Questa sua dichiarazione di integrità è avvalorata da un’imprecazione solenne che la


vergogna e il disonore ricadano su se stesso se non fosse stata vera. Gb 16:18

(a) Se avesse commesso delle ingiustizie, voleva che fossero rivelate: « O terra, non
coprire il mio sangue, cioè, il sangue innocente che dicono che ho sparso ». Gli omicidi
vengono scoperti. « Lo siano pure », dice Giobbe, « se ne sono colpevole ». Ge 4:10,11
Verrà il giorno in cui la terra metterà allo scoperto il sangue che ha bevuto, Is 26:21 e i
giusti non lo temono affatto.

(b) Se c’era impurità nelle sue preghiere, non voleva che fossero accettate: Non vi sia
luogo ove si fermi il mio grido. Era disposto a essere giudicato secondo la regola: Se nel
mio cuore avessi avuto di mira l’iniquità, il Signore non m’avrebbe ascoltato. Sl 66:18 C’è
probabilmente un altro significato: accusò i suoi amici di condurlo alla morte, spezzandogli
il cuore con le loro aspre critiche, e li incolpò dello spargimento del suo sangue. Chiese
quindi a Dio di vendicarlo, e di non permettere che il suo grido si fermi in alcun luogo,
perché possa salire fino al cielo ed essere udito da chi domanda ragione del sangue.

II. Poteva appellarsi all’onniscienza di Dio per testimoniare la sua integrità. Gb 16:19 La
testimonianza del nostro cuore non dura molto, se non ne abbiamo un riscontro in cielo.
Dio è più grande del cuor nostro, e non dobbiamo giudicarci da soli. È questo il trionfo di
Giobbe: il mio Testimonio è in cielo. Notate: Sapere che c’è un Dio nel cielo che conosce la

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 138


nostra integrità e che, prima o poi, la rivendicherà, è di incredibile conforto ai giusti
accusati dai propri fratelli. cfr. Gv 5:31,37 È una testimonianza che ne vale mille.

III. Aveva un Dio a cui rivolgersi e con cui sfogarsi. Gb 16:20,21 Notate:

1. La sua relazione con i suoi amici. Non sapeva come esprimersi liberamente, né poteva
aspettarsi un giudizio imparziale o un giusto trattamento. « I miei (cosiddetti) amici mi
scherniscono. Vogliono non solo mettersi contro di me, ma denunciarmi. Si sono messi
d’accordo, e usano ogni arte ed eloquenza » (secondo il significato letterale) « per
abbattermi ». Il disprezzo degli amici è più tagliente di quello dei nemici, ma dobbiamo
aspettarcelo e reagire appropriatamente.

2. La sua relazione con Dio. Non dubitava che:

(a) Dio riconosceva il suo dolore: I miei occhi versano lacrime davanti a Dio. Aveva già
detto che aveva pianto molto. Gb 16:16 Qui ci dice come scorrevano le sue lacrime e a chi
erano dirette. Non era un dolore comune, ma era contristato secondo Dio, aveva pianto
davanti a lui, offrendogli il sacrificio di uno spirito afflitto. Notate: Anche le lacrime, se
sono santificate a Dio, alleviano l’angoscia. Se gli uomini non danno importanza alla nostra
sofferenza, ci può confortare il fatto che Dio vi presta attenzione.

(b) A suo tempo, avrebbe dimostrato la sua innocenza: Sostenga egli le ragioni dell’uomo
presso Dio! Gb 16:21 Se avesse potuto avere la stessa libertà al tribunale di Dio che gli
uomini hanno di fronte al magistrato civile, non avrebbe esitato a difendere la sua causa,
perché il Giudice stesso testimoniava la sua integrità. Il linguaggio è simile a quello di Is
50:7,8: So che non sarò svergognato: vicino è colui che mi giustifica. Secondo alcuni, c’è
un senso evangelico in questo versetto, ben comprovato dall’originale: Sosterrà (cioè, c’è
uno che sosterrà) le ragioni dell’uomo presso Dio, le ragioni del Figliuol d’uomo contro i
suoi compagni! Chi versa le proprie lacrime di fronte a Dio, anche se, per via della distanza
o dell’incapacità, non può fargli appello da solo, ha un amico che lo fa per lui, il Figliuol
dell’uomo, su cui dobbiamo fondare tutte le nostre speranze di essere accettati da Dio.

IV. Sapeva che la morte avrebbe posto fine a tutti i suoi guai. Aveva una tale fiducia in Dio
che poteva trovare conforto nella vicinanza della morte, quando sarebbe passato alla sua
condizione eterna, senza dubitare il lieto fine: Pochi anni ancora (quelli che Dio ha deciso
di concedermi), e me ne andrò per una via senza ritorno. Notate:

1. Morire vuol dire andarcene per una via senza ritorno. Vuol dire fare un lungo viaggio
definitivo, da questa terra a un’altra, dal mondo sensoriale a quello spirituale. È un viaggio
verso la nostra ultima dimora da cui non torneremo più in questo mondo, né ci
trasferiremo altrove.

2. È un viaggio che dobbiamo tutti intraprendere presto e con certezza, ed è un conforto


per chi ha la coscienza pulita, perché sarà il premio della loro integrità.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 139


Giobbe 17

In questo capitolo, Giobbe riflette:

I. Sulle aspre critiche dei suoi amici. Considerandosi in punto di morte, Gb 17:1 fa appello
a Dio e gli chiede di apparirgli prontamente per rimediare ai torti subiti a cui non sapeva
rimediare da solo. Gb 17:2-7 Spera anche che il fatto di essere così maltrattato, pur
sorprendendo i giusti, non rappresenti per loro un ostacolo. Gb 17:8,9

II. Sulle vane speranze di giorni migliori che i suoi amici avevano acceso in lui. Dichiara
invece che i suoi giorni stavano per finire e tutte le sue speranze sarebbero state sepolte
insieme al corpo nella polvere. Gb 17:10-16 Addolorato dall’incomprensione dei suoi amici,
si familiarizza con la morte e la tomba, trovandovi conforto.

Gb 17:1-9

Il suo discorso è qui interrotto. Come fa di solito chi è angosciato, Giobbe passa
improvvisamente da un argomento all’altro. Possiamo però riassumere le sue parole in tre
punti fondamentali:

I. La sua deplorabile condizione presente, che descrive per aggravare il grande sgarbo dei
suoi amici e per giustificare i suoi lamenti. Osserviamo questa condizione:

1. Era moribondo. Gb 17:1 Aveva detto: « Pochi anni ancora, e partirò per un lungo
viaggio ». Gb 16:22 Ma qui si corregge. « Ancora degli anni? Ahimè! Sto per intraprendere
quel viaggio, sto per esser offerto, e la partenza è vicina. Il mio soffio vitale si spenge, il
mio spirito viene meno. È la mia fine ». È bene considerarci sempre moribondi, soprattutto
quando siamo malati. Siamo moribondi, cioè,

(a) La nostra vita viene sempre meno. Il nostro soffio vitale se ne va continuamente. È
nelle nostre narici, Is 2:22 da cui è entrato, Ge 2:7 e rimane lì alla soglia, pronto ad
andarsene. Forse l’agitazione di Giobbe gli impediva il respiro, e il respiro che viene meno,
prima o poi, cessa. Sia l’unto dell’Eterno colui che ci fa respirare. Se soffia in noi vita
spirituale, quel soffio non si spegnerà mai.

(b) La nostra vita sta per finire: i miei giorni si estinguono, si spengono, come una candela
che, dal momento in cui è accesa, non fa che sciogliersi e consumarsi e, pian piano, finisce
per esaurirsi, o che può essere estinta da mille imprevisti. Dobbiamo quindi farne uso
attentamente e prepararci per l’eternità che non verrà mai meno.

(c) La nostra dimora definitiva ci attende: I sepolcri mi aspettano. Gb 17:1 D Non basta un
sepolcro? Sì, ma qui Giobbe parla dei sepolcri dei suoi padri a cui è destinato: « Le loro
tombe sono pronte anche per me », un gruppo di tombe, la congregazione dei morti.
Dovunque siamo, c’è solo un passo tra noi e la tomba. In ogni caso, sarà sempre pronta. È
un giaciglio allestito. Se le tombe sono pronte per accoglierci, dobbiamo prepararci ad
andarvi. Nell’originale leggiamo: i sepolcri per me, indicando che non solo Giobbe si
aspettava di morire, ma lo desiderava. « Ho avuto abbastanza del mondo e desidero solo
la tomba ».

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 140


2. Era disprezzato: « Egli » (Elifaz, secondo alcuni, o piuttosto Dio, che Giobbe aveva
sempre riconosciuto come l’autore delle sue sciagure) « m’ha reso la favola dei popoli,
sulla bocca di tutti, come oggetto di scherno e di curiosità. Sono pubblicamente menato
attorno in sul tamburo, per chi voglia suonare ». Gb 17:6 D Era diventato il soggetto delle
loro canzoni. Il suo nome era diventato proverbiale, e lo è ancora: Povero come Giobbe.
« Mi ha reso un pettegolezzo comune », un oggetto di derisione, mentre prima, nella mia
prosperità, ero come un tamburo, deliciae humani generis-la delizia del genere umano, di
cui tutti si compiacevano. Spesso chi è onorato da ricco è disprezzato da povero.

3. Era un uomo di dolore. Aveva pianto tanto da perdere quasi la vista: L’occhio mio si
oscura pel dolore (Gb 17:7, cfr. Gb 16:16). Il dolore del mondo produce oscurità e morte.
Giobbe si era addolorato tanto da ridursi a uno scheletro, tutto pelle e ossa: « Le mie
membra non son più che un’ombra. Sono così derelitto da non poter più essere chiamato
uomo. Sono solo l’ombra di un uomo ».

II. Il maltrattamento dei suoi amici. Lo avevano calpestato, insultato e condannato come
ipocrita, solo perché era afflitto duramente. Che abuso! Osservate:

1. Come lo descrive Giobbe, e come interpreta i loro discorsi. Si considera terribilmente


ingiuriato:

(a) Dalle loro ingiuste critiche. Lo avevano condannato come empio, esponendolo al
disprezzo di tutti. « Sono schernitori che deridono le mie sciagure e mi insultano perché
sono umiliato. Ne sono attorniato. Mi maltrattano in faccia, fingendo di visitarmi per
amicizia, ma intendendo farmi male. Non posso liberarmi di loro. Mi logorano
continuamente e non si convincono, per ragione o per pietà, a interrompere il processo ».
Gb 17:2

(b) Dalle loro belle promesse, che erano solo uno scherno. Giobbe li annovera tra chi parla
fra gli amici per lusinga. Gb 17:5 D Erano venuti a commiserarlo. Elifaz aveva iniziato con
una lode. Gb 4:3 Avevano tutti promesso di voler solo essere ascoltati. Ora Giobbe
percepisce quei commenti come lusinghe dirette solo a irritarlo maggiormente. Le chiama
provocazioni. Gb 17:2 D Avevano fatto il possibile per provocarlo e poi lo avevano
condannato perché si era offeso. Giobbe si sentiva giustificato perché il suo occhio aveva
dovuto sopportare le loro provocazioni incessantemente e senza tregua. Notate: Chi
calpesta e poi deride e maltratta gli amici quando sono afflitti dimostra una cattiveria tale
da mettere alla prova e stancare anche la pazienza stessa di Giobbe.

2. Come lo condanna.

(a) Era un segno che Dio aveva chiuso il cuor di costoro alla ragione Gb 17:4 e che
avevano perso ogni buon senso e ogni saggezza. La saggezza è un dono di Dio, che egli
concede e toglie a chi vuole e quando vuole. Chi non ha compassione non ha
intendimento. Se non c’è tenerezza umana, non c’è comprensione umana.

(b) Sarebbe stato un disonore e una degradazione duratura: Non li farai trionfare. Chi ha il
cuore chiuso alla ragione non riceverà onore. Dio degrada chi priva di buon senno. Delle
persone che dimostravano di comprendere così poco i metodi della provvidenza non

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 141


potevano certamente avere l’onore di metter fine a quella controversia, come avrebbe
fatto invece qualcuno più assennato ed equilibrato, come sembrò essere Eliu.

(c) Avrebbe compreso una maledizione per le loro famiglie. Chi viola le sacre leggi
dell’amicizia ne perde i benefici, non solo per se stesso, ma per i posteri: « Vedrà venir
meno gli occhi de’suoi figli. Quando cercheranno soccorso e conforto dai loro amici e da
quelli dei loro padri, non lo troveranno e saranno delusi come sono io ». Notate: Chi tratta
male i propri vicini può eventualmente far più male ai propri figli di quanto si renda conto.

3. Come si appella a Dio: O Dio, da’un pegno, sii tu il mio mallevadore presso di te, Gb
17:3 cioè, « Garantiscimi che ascolterai la mia causa e che sarai tu a decidere. Non
desidero altro. Qualcuno lo convochi a presenziare ». Se il nostro cuore non ci condanna,
possiamo accostarci a Dio con fiducia e chiedergli con umile confidenza, in fede, di
esaminarci e di metterci alla prova. Secondo alcuni, Giobbe si riferì qui alla mediazione di
Cristo, perché parla di un pegno presso Dio, senza il quale non avrebbe osato apparirgli di
fronte, né presentare la sua causa al suo tribunale. Anche se le accuse dei suoi amici
erano totalmente false, non poteva giustificarsi di fronte a Dio se non per mezzo di un
mediatore. Le note nella nostra Bibbia inglese danno questa interpretazione: « Deposita
presso di te la mia cauzione, cioè Cristo, che ha scelto di esserlo ed è con te in cielo.
Lascia che sia lui a presentare la mia causa e a difenderla. Chi sarà colui che mi toccherà
nella mano? ». Gb 17:3 D cioè, « Chi oserebbe contendere con me? Chi mi accuserà, se
Cristo è il mio difensore? ». Ro 8:32,33 Cristo è la cauzione di un patto più eccellente, Eb
7:22 un pegno stabilito da Dio. Se garantisce per noi, non dobbiamo temere alcun male.

III. La buona applicazione che i giusti possono trarre dalle afflizioni di Giobbe da parte di
Dio, dei suoi nemici e dei suoi amici. Gb 17:8,9 Osservate:

1. Come sono descritti i santi.

(a) Sono uomini retti, onesti e sinceri, che agiscono secondo saldi princípi e con coerenza.
Era così Giobbe, Gb 1:1 che probabilmente si riferiva soprattutto a dei suoi amici e
compagni.

(b) Sono innocenti, non perfetti, ma desiderosi e intenti a raggiungere l’innocenza. La


sincerità è l’innocenza evangelica, e chi è integro è puro di grandi trasgressioni. Sl 19:13

(c) Sono i giusti, che seguono la via della giustizia.

(d) Hanno mani pure, pure dalla più grande immondizia del peccato e, se mai macchiate
da imperfezioni, lavate nell’innocenza. Sl 26:6

2. Come devono reagire di fronte ai guai di Giobbe. Senza dubbio avrebbero provocato
grande curiosità e tutti ne avrebbero parlato. Che giovamento possono trarne i giusti?

(a) Sarebbero rimasti sorpresi: Gli uomini retti ne son colpiti di stupore. Li avrebbe stupiti il
fatto che il corpo, la reputazione e i beni di un buon uomo come Giobbe fossero stati così
rovinati; che la mano di Dio lo avesse colpito tanto; che i suoi amici, che avrebbero dovuto
confortarlo, avessero aggravato il suo dolore; che un uomo così grande avesse dovuto
soffrire tanto; e che a un uomo di tanto servizio a Dio fosse impedito proprio di servirlo.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 142


Che cosa potremmo dire? I giusti, pur essendo convinti, in linea di massima, che Dio è
saggio e santo in tutte le sue azioni, non possono fare a meno di sorprendersi di fronte a
certi atti della Provvidenza, dei paradossi che non saranno spiegati finché il mistero di Dio
non sarà compiuto.

(b) Sarebbero stati stimolati. Invece di essere dissuasi o scoraggiati dal servire Dio, visto il
maltrattamento di questo suo servo fedele, avrebbero continuato con maggior coraggio e
perseveranza. Giobbe, come L’apostolo Paolo, non voleva che nessuno fosse scosso dalle
sue afflizioni, 1Te 3:3 perdendo la propria santità o il proprio conforto, e che nessuno
giudicasse male i piani o le opere di Dio. La consolazione dell’apostolo Paolo fu anche la
sua, cioè che fratelli nel Signore potessero essere incoraggiati dai suoi legami. Fl 1:14
Sarebbero stati stimolati: [1] Ad opporsi al peccato e a controbattere le deduzioni corrotte
e nocive che i malvagi avrebbero tratto dalle sofferenze di Giobbe, cioè che Dio aveva
abbandonato la terra, che era vano servirlo, e così via. L’innocente insorge contro l’empio.
Non sopporta quei suoi discorsi Ap 2:2 ed è pronto a fronteggiarlo. Si sforza di capire il
significato di quegli atti della provvidenza, di studiare quei capitoli difficili per poterli
leggere più agevolmente, e di difendere da tutti i suoi oppositori la causa della religione,
una causa giusta, ma ferita. Notate: La forza degli attacchi dei profani contro la religione
dovrebbe intensificare il coraggio e la determinazione di chi la ama e la sostiene.
Dobbiamo scuoterci quando sentiamo proclamare, all’ingresso del campo: Chiunque è per
l’Eterno, venga a me! Quando il vizio lancia una sfida, la virtù non deve nascondersi. [2] A
perseverare nella religione. Il giusto, invece di ritirarsi o indietreggiare di fronte a questo
spettacolo terrorizzante, e invece di rimanere fermo a decidere se procedere o meno (con
allusione a 2Sa 2:23), si attiene saldo alla sua via, avanzando con ancora più costanza e
determinazione. « Anche se, dal mio esempio, capisce che gli toccano legami e afflizioni,
non fa conto di nulla ». At 20:24 D Chi mantiene lo sguardo sul cielo come meta finale,
camminerà per il sentiero della religione, nonostante le difficoltà e gli scoraggiamenti. [3]
A crescere nella grazia. Non solo si attiene al suo percorso, ma viepiù si fortifica. Di fronte
alle tribolazioni sue e degli altri, si fa ancora più forte, infervorato, ardente, appassionato,
deciso e irremovibile. Peggio stanno gli altri e meglio si sente lui. Trova coraggio in ciò che
lascia gli altri perplessi. Il vento di tempesta fa tenere più stretto il mantello. Chi è
realmente saggio e buono lo sarà ancora di più. L’efficienza religiosa è un buon segno di
sincerità religiosa.

Gb 17:10-16

Gli amici di Giobbe avevano preteso di confortarlo con la speranza che i suoi grandi averi
gli fossero restituiti. Vediamo qui che:

I. Era un conforto assurdo: « Tornate pure, fatevi avanti. Sappiate che vi sbagliate, e
permettetemi di persuadervi. Fra voi non troverò alcun savio, nessuno che sappia spiegare
i misteri della provvidenza divina o l’applicazione delle sue promesse ». Gb 17:10 Chi
conforta gli afflitti con l’idea di una probabile ripresa e di un progresso in questo mondo
non dimostra saggezza. Anche se non si deve del tutto perdere quella speranza, rimane
per lo meno incerta e, se crolla, crolla anche il conforto. È saggio invece confortare noi
stessi e gli altri con ciò che non può crollare: la promessa di Dio, del suo amore e della sua
grazia e una salda speranza di vita eterna.

II. Sarebbe stato ancora più assurdo ascoltarli. Infatti:

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 143


1. Aveva già perso tutto ed era sconcertato. Gb 17:11,12 Riconosceva che, nei giorni di
prosperità, si era compiaciuto al pensiero di ciò che avrebbe fatto e ciò che avrebbe
goduto, ma ora considera quei giorni passati o prossimi alla fine. Tutti i suoi piani erano
andati in fumo e le sue aspettative erano state frustrate. Aveva pensato di espandere la
sua proprietà, di accrescere i suoi beni, di sistemare i figli e, probabilmente, di far
avanzare la religione nel suo paese, di risolvere i problemi, di riformare i profani, di aiutare
i poveri e forse di raccogliere dei fondi per scopi caritatevoli. Ora però concluse che tutti
quei suoi sogni erano finiti e non avrebbe mai avuto la soddisfazione di vederli attuati.
Notate: La fine dei nostri giorni sarà la fine di tutti i nostri progetti e di tutte le nostre
speranze in questo mondo. Se però ci atteniamo al Signore con fermo proponimento di
cuore, la morte non ci fermerà. Ora che tutti i propositi di Giobbe erano finiti, si sentiva
continuamente agitato. Il fatto che i disegni cari al suo cuore fossero distrutti, sembrò
cambiare la notte in giorno e abbreviare la luce. Gb 17:12 KJV Certi cambiano il giorno con
la notte nella loro vanità o nei loro tumulti, ma Giobbe li confondeva a causa del suo
turbamento e della sua angoscia, che non gli permettevano di:

(a) Riposarsi di notte. Non riusciva a chiudere occhio, per cui la notte era stancante come
il giorno e le sue agitazioni sul letto lo fiaccavano come il lavoro della giornata.

(b) Godersi la giornata. « La luce del mattino è benvenuta, ma le tenebre interiori ne


arrestano subito il conforto, e per me il giorno è triste come la notte più buia e
tenebrosa ». De 28:67 Dobbiamo essere grati per la salute e per la calma che ci
permettono di accogliere con gioia sia le ombre della sera che la luce del mattino.

2. Tutte le sue aspettative in questo mondo sarebbero state presto sepolte nella tomba
insieme a lui, e non gli sembrava serio pensare a quelle grandi speranze con cui lo
avevano adulato. Gb 5:19 8:21 11:17 « Ahimè! Mi prendete in giro ».

(a) Si vedeva già nella tomba. Piace a tutti avere una bella casa, un letto comodo e una
buona famiglia, ma Giobbe non se li aspettava in questo mondo, dove ogni sua percezione
era dolorosa e sgradevole. Se li aspettava però sotto terra. [1] L’unica casa che si
aspettava era la morte: Gb 17:13 « Se c’è un posto dove potrò mai trovare pace, sarà la
tomba. Mi ingannerei sperando in un’altra via di uscita dai miei guai. Non c’è niente di più
certo ». Notate: Nei giorni di prosperità, è bene ricordarci la morte, che dobbiamo
includere tra tutte le nostre aspettative. È l’unica cosa che nessuno può prevenire. Giobbe
non solo cerca di riconciliarsi con la tomba, ma se la augura: « È casa mia ». La tomba è
una casa: per gli empi, una prigione, Gb 24:19,20 ma per i giusti, Betabara, un’anticamera
che conduce in casa. « È la casa che ho ereditato. È mia per nascita, è la casa di mio
padre. È mia anche per acquisto. Me la sono meritata ». Ognuno deve andarci presto ed è
saggio prepararsi. Pensiamo a quel trasloco e mandiamo dei beni alla nostra dimora
definitiva. [2] L’unico quieto giaciglio che si aspettava era tra le tenebre: « Ecco », dice.
« Mi son fatto il letto. È fatto, è pronto e devo solo andarci ». La tomba è un letto dove
dobbiamo riposare la sera del nostro soggiorno sulla terra, per poi risorgere il mattino del
nostro giorno eterno. Is 57:2 Questo pensiero deve aiutare i giusti ad accettare la morte.
È come andare a letto. Sono stanchi e assonnati, ed è ora di ritirarsi. Perché non
dovrebbero andare lietamente, quando li chiama il padre? « Anzi, mi son fatto il letto, cioè
mi sono preparato. Ho cercato di renderlo piacevole mantenendo una coscienza pulita,
pensando a Cristo, che giacque nel suo letto e lo trasformò in un’aiuola di aromi, e poi,
guardando oltre, pensando alla resurrezione ». [3] L’unica buona famiglia che si aspettava

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 144


era nell’al di là. Ormai dico al sepolcro (alla tomba dove il mio corpo si decomporrà): Tu
sei mio padre (i nostri corpi furono formati dalla terra), e ai suoi vermi: Siete mia madre e
mia sorella, a cui sono imparentato (l’uomo è un verme) e che mi stanno insieme. Infatti i
vermi ci ricopriranno. Gb 21:26 Giobbe si era lamentato della lontananza dei suoi parenti,
Gb 19:13,14 e qui dichiara di avere altri familiari che rimarranno con lui quando gli altri lo
abbandoneranno. Gb 17:14 Notate: Prima di tutto, siamo tutti imparentati con la
corruzione e i vermi. In secondo luogo, è quindi bene familiarizzarci con loro, facendone
parte dei nostri pensieri e delle nostre meditazioni, per riuscire così a superare l’eccessivo
amore per la vita e l’estremo timore della morte.

(b) Vedeva tutte le speranze di questo mondo sepolte nella tomba con lui: Gb 17:15,16
« Dato che presto dovrò lasciare questo mondo, dov’è dunque la mia speranza? Come
posso aspettarmi prosperità se non mi aspetto di vivere? ». Non aveva perso ogni
speranza, ma non sperava in ciò che gli suggerivano gli amici. Se avesse sperato per
questa vita soltanto, sarebbe stato il più miserabile di tutti gli uomini. « No, chi può vedere
questa mia speranza che mi sostiene e mi conforta? È invisibile. Non si basa su cose
visibili, che sono solo per un tempo, ma su cose invisibili, che sono eterne ». È una
speranza che Giobbe ci rivelerà in seguito: Gb 19:25 Non est mortale quod opto,
immortale peto Non cerco ciò che è mortale, ma l’immortale. « Per quanto riguarda le
speranze con cui vorreste tenermi a galla, scenderanno con me alle porte del soggiorno
dei morti. Voi siete destinati alla morte e non potete quindi mantenere le vostre promesse.
Io, essendo in punto di morte, non posso godere del bene che promettete. Dal momento,
quindi, che troveremo riposo insieme nella polvere, mettiamo da parte i pensieri di questo
mondo e interessiamoci gli uni degli altri ». Ben presto ritorneremo alla polvere, perché
siamo polvere. Siamo polvere e ceneri nella fossa, alle porte del soggiorno de’morti, dove
rimarremo, senza poter sciogliere i legami della morte, fino alla resurrezione generale. Là
troveremo riposo insieme. Giobbe e i suoi amici, che in quel momento non potevano
accordarsi, sarebbero stati in silenzio nella tomba. La polvere li avrebbe presto messi a
tacere, terminando ogni controversia. Questo pensiero calmi quindi le passioni di tutti i
contendenti e moderi le dispute di questo mondo.

Giobbe 18

In questo capitolo Bildad attacca nuovamente Giobbe. Nel suo primo discorso (Giobbe 8),
lo aveva incoraggiato a sperare che tutto sarebbe finito bene. Qui non vi fa riferimento. È
infatti più irritato di prima. I ragionamenti di Giobbe non solo non lo avevano convinto, ma
lo avevano esasperato.

I. Lo accusa duramente di superbia, di impetuosità e di ostinazione. Gb 18:1-4

II. Approfondisce la dottrina già sostenuta, sulla miseria degli empi e sulla rovina che li
attende. Gb 18:5-21 In tutto questo, sembra riferirsi alle lamentele di Giobbe sulla
condizione miserabile in cui si trovava: all’oscuro, sconcertato, ingabbiato, terrorizzato e
prossimo a lasciare questo mondo. « Questa », dice Bildad, « è la condizione degli empi.
Di conseguenza, sei empio ».

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 145


Gb 18:1-4

Bildad lancia le sue frecciate, cioè le sue parole pungenti, contro il povero Giobbe, senza
accorgersi di star servendo, pur essendo buono e saggio, ai piani di Satana per aggravare
le sue afflizioni.

I. Lo accusa, come aveva già fatto Elifaz, di discorsi incessanti: Gb 15:2,3 Quando porrete
fine alle parole? Gb 18:2 Si rivolge non solo a Giobbe, ma a tutti gli altri partecipanti al
dibattito (pensando forse che Elifaz e Zafar non avevano parlato appropriatamente) o ad
alcuni dei presenti che forse erano dalla parte di Giobbe e avevano detto qualche parola in
suo favore, anche se non fu trascritta. Bildad era stanco di ascoltare i discorsi degli altri e
impaziente di avere il suo turno. È un atteggiamento non lodevole, perché dovremmo
essere invece pronti ad ascoltare e tardi al parlare. È normale che chi contende voglia il
monopolio della saggezza, insistendo come se avesse il privilegio di esserne il dittatore.
Siamo tutti pronti a biasimare chi si comporta in questo modo. Pochi però riconoscono in
sé la stessa colpa. Prima, possedendo autorità e ricchezze, Giobbe aveva sempre avuto
l’ultima parola: Quand’avevo parlato, non replicavano. Gb 29:22 Ora invece, povero e
umiliato, non aveva quasi la possibilità di parlare, e ogni sua parola, che una volta sarebbe
stata lodata, era disprezzata. La sapienza (in questo mondo) è buona quanto un’eredità.
Ec 7:11 La sapienza del povero è disprezzata e( solo perché è povero) le sue parole non
sono ascoltate. Ec 9:16

II. Lo accusa di non dare ascolto alle parole degli altri, come lascia intendere nel
comando: Acquista intendimento e poi parleremo. Non serve parlare, per pertinenti che
siano le nostre parole, se la persona a cui ci rivolgiamo non fa attenzione e non ascolta.
L’orecchio si risvegli perché ascolti, e solo allora la lingua esercitata sarà di giovamento. Is
50:4 L’attenzione degli ascoltatori incoraggia chi parla di cose divine.

III. Lo accusa di disprezzare e disdegnare altezzosamente i suoi amici e ciò che avevano
da offrire: Perché siamo considerati come bruti? Gb 18:3 Era un commento maligno.
Giobbe li aveva chiamati schernitori, stolti e scortesi, senza la ragione e la sensibilità
proprie degli uomini, ma non li aveva considerati bruti. Bildad però usa quella parola
perché:

1. Era offeso dai discorsi di Giobbe, come se fossero i più grandi affronti immaginabili. I
superbi si considerano indebitamente oltraggiati.

2. La sua collera voleva trovare una scusa per trattarlo duramente. Chi tende a essere
severo con gli altri vuol far credere di avere ricevuto lo stesso trattamento.

IV. Lo accusa di non saper contenere le sue passioni: Nel tuo cruccio laceri te stesso. Gb
18:4 Sembra riferirsi alle parole di Giobbe: Perché prenderei la mia carne coi denti? Gb
13:14 « È colpa tua », dice Bildad. Oppure, si riferisce a ciò che era sembrata un’accusa a
Dio o, secondo alcuni, a Elifaz: La sua ira mi lacera. Gb 16:9 « No », dice Bildad. « laceri
te stesso ». La sua ira lo lacera. Notate: La collera è un peccato che si punisce da solo. Le
persone colleriche e nervose si lacerano e si tormentano da sole. Lacera la sua anima
(secondo il significato letterale). Ogni peccato ferisce, lacera e fa male all’anima, Pr 8:36 e
soprattutto la collera sfrenata.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 146


V. Lo accusa di aspettarsi, con arroganza e tracotanza, di dettar legge anche alla
provvidenza stessa: « Dovrà la terra, per cagion tua, essere abbandonata? Certamente no.
Il corso della natura non dev’essere cambiato e le regole del governo non devono essere
violate per soddisfare l’umore di un individuo. Giobbe, pensi che il mondo non si regga
senza di te? Pensi che, se tu sei rovinato, lo sia anche il mondo intero? ». Alcuni lo vedono
come un rimprovero all’autogiustificazione di Giobbe, volendo insinuare falsamente che era
un empio, o che è giusto negare l’esistenza di una Provvidenza divina, presupponendo che
Dio abbia abbandonato la terra e che la roccia eterna sia stata rimossa. È invece un giusto
rimprovero delle sue stizzose lamentele. Quando disputiamo gli atti della Provvidenza
dimentichiamo che, qualunque cosa accada, è sempre:

1. Secondo il piano e il disegno eterno di Dio.

2. Secondo la sua parola scritta. È scritto che nel mondo avremo tribolazione. Dato che
pecchiamo ogni giorno, dobbiamo aspettarci di pagarne il prezzo.

3. Secondo le normali vie della Provvidenza, comuni a tutti gli uomini. Aspettarci che i
piani e i metodi di Dio siano alterati e che la sua parola non sia mantenuta solo per far
piacere a noi è assurdo e irragionevole come sarebbe pensare che la terra sia
abbandonata e che la roccia sia rimossa dal suo luogo.

Gb 18:5-10

Il resto del discorso di Bildad contiene interamente un’elegante descrizione della miserabile
condizione dell’empio, molto vera e giovevole se consideriamo attentamente che il peccato
ci pone in un doloroso stato e che l’iniquità distrugge chi non se ne pente. Non è però vero
che tutti gli empi siano visibilmente e apertamente resi miserabili in questo mondo, né che
tutti coloro che soffrono grandi afflizioni e guai in questo mondo debbano
necessariamente, senza prove, essere considerati e giudicati empi. Anche se Bildad
pensava che lo stato degli empi fosse una chiara illustrazione della condizione di Giobbe,
non avrebbe potuto affermarlo con sicurezza, e non sarebbe stata una giusta deduzione.
In questi versetti troviamo:

I. La predizione della distruzione dell’empio, paragonata all’oscurità: Sì, la luce dell’empio


si spegne, Gb 18:5,6 perfino la sua luce, la parte migliore del suo carattere. Anche le sue
fonti di gioia verranno meno. Quel sì può anche riferirsi ai lamenti di Giobbe riguardo alle
sue grandi sofferenze e alle tenebre in cui presto avrebbe fatto il suo letto. « Sí », dice
Bildad, « è vero. Sei confuso, logorato e miserabile, ma non puoi aspettarti altro. La luce
dell’empio si spegne, e quindi anche la tua ». Osservate:

1. Gli empi possono anche avere un po’di luce: interiormente, qualche piacere, qualche
gioia e qualche speranza, ed esteriormente, un po’di ricchezza, di onore e di potere. Ma è
solo una piccola favilla Gb 18:5 D che presto si spegne. È solo una lampada Gb 18:6 che si
consuma e si estingue facilmente. Non si tratta della luce del Signore (che è come la luce
del sole), ma delle fiamme del loro fuoco e dei tizzoni che hanno acceso. Is 50:11

2. La loro luce, alla fine, si spegnerà del tutto, senza lasciare nemmeno una scintilla che
riaccenda il fuoco. Anche in questa tenda, questo corpo, che è la tenda dell’anima, 2Co
5:1 la loro luce sarà oscurata e non avranno vero conforto, vere soddisfazioni o salde

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 147


speranze. Anche la luce che è in loro è tenebre, e quelle tenebre quanto grandi saranno!
Quando però usciranno da questa tenda con la morte, la lampada che gli sta sopra si
spegnerà. La fine della loro vita sarà la fine assoluta e tramuterà ogni speranza in
disperazione eterna. Quando un empio muore, la sua speranza perisce. Pr 11:7 Giacerà
nel dolore.

II. I preparativi per quella distruzione, rappresentati da una bestia o da un uccello presi in
trappola o da un malfattore arrestato per essere punito. Gb 18:7-10

1. Satana si prepara alla loro distruzione. È il ladrone che farà loro forza e violenza. Gb
18:9 D È stato infatti, non solo un omicida, ma anche un ladrone fin dall’inizio. In quanto
tentatore, allestisce dovunque delle trappole per i peccatori, e prevale sempre. Se può
indurli a peccare come lui, li rende miserabili come lui. Sta in agguato contro un’anima
preziosa.

2. Insistendo nel peccato, si prepara per la propria distruzione, e accumula un tesoro d’ira
per il giorno dell’ira. Dio lo abbandona ai suoi piani, come lui merita e desidera, e i suoi
propri disegni lo menano a ruina. Gb 18:7 I suoi progetti e desideri peccaminosi lo
mettono nei guai. I suoi piedi lo traggono nel tranello. Gb 18:8 Si distrugge da solo, preso
al laccio nell’opera delle proprie mani. Sl 9:16 Il male fatto dalla sua lingua ricadrà su di
lui. Sl 64:8 Nella trasgressione del malvagio v’è un’insidia.

3. Dio si prepara per distruggerlo. Il peccatore, con il peccato, prepara il combustibile, e


Dio, con la sua ira, prepara il fuoco. Notate che il peccatore:

(a) È infatuato al punto da correre nella propria trappola. Dio confonde chi vuole
distruggere.

(b) È sconcertato: I passi che facea nella sua forza, in tutti i suoi piani e i suoi sforzi, si
raccorciano, per cui i suoi intenti vanno in fumo, e più cerca di liberarsi, più rimane
impigliato. I malvagi vanno di male in peggio.

(c) Non può sfuggire ai giudizi di Dio che cercano di catturarlo. Il laccio l’afferra pel
tallone. Non può evitare l’ira di Dio così come nessuno, trattenuto in quel modo, potrebbe
sfuggire a chi lo insegue. Dio sa come riserbare gli ingiusti ad esser puniti nel giorno del
giudizio. 2Pi 2:9

Gb 18:11-21

Bildad descrive qui la distruzione serbata per gli empi nel mondo a venire e, in un certo
senso, anche in questo. Osservate la condizione miserabile del peccatore, quando giunge
la sua fine. Guardatelo:

I. Sconfortato e indebolito da continui terrori che nascono dal suo senso di colpa e dal
timore dell’ira di Dio: Paure lo atterriscono d’ogn’intorno. Gb 18:11,12 I terrori della
coscienza lo molestano senza tregua. Lo inseguono dovunque vada. Lo guardano in faccia
dovunque si giri. Il fatto di vedere l’intera creazione contro di lui, la disapprovazione del
Cielo, l’inferno pronto ad inghiottirlo e la terra stanca di reggerlo lo fa tremare. Chi ha in
sé il proprio accusatore e il proprio aguzzino avrà sempre paura. Fuggirà in rotta, Gb

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 148


18:11 D come il malfattore che, conscio della propria colpa, fugge senza che alcuno lo
perseguiti. Pr 28:1 Ma la fuga non servirà a niente. È intrappolato. Gb 18:9 Il peccatore
non può sfuggire all’onniscienza di Dio, così come non può sconfiggere la sua onnipotenza.
Am 9:2,3 Non c’è da stupirsi se è sconfortato e atterrito. Infatti:

1. Si accorge che la sua rovina si fa sempre più vicina: La calamità gli sta pronta al fianco,
per catturarlo quando la giustizia lo comanda, per cui sarà distrutto in un momento. Sl
73:19

2. Si sente del tutto incapace di farvi fronte. Non può scappare, né sopportarne il furore.
Ciò su cui aveva fatto affidamento, considerando la sua forza (la ricchezza, il potere, lo
sfarzo, gli amici e la propria fortezza d’animo), nell’ora del bisogno verrà meno dalla fame,
cioè, non gli servirà più di quanto un uomo affamato possa essere utile al lavoro o in
guerra. In quelle condizioni, non c’è da stupirsi che si terrorizzi da solo. Notate: La via del
peccato è una via di timore che conduce all’eterno disonore, di cui gli attuali terrori di una
coscienza sporca e senza pace sono un esempio, come furono per Caino e per Giuda.

II. Divorato e inghiottito da una morte miserabile. La morte dell’empio è effettivamente


miserabile, per quanto sicura e allegra ne fosse stata la vita. Guardatelo:

1. Moribondo, colto dal primogenito della morte (una malattia o un attacco


particolarmente mortale, una così grande morte, secondo 2Co 1:10, un messaggero di
morte specialmente forte e terribile). È indebolito dai precursori della morte, che gli
divorano a pezzo a pezzo la pelle, cioè gli deteriorano e consumano le ossa. È strappato
dalla sua tenda che credeva sicura, Gb 18:14 cioè, da tutto ciò su cui faceva affidamento.
Non avrà nulla su cui fare appoggio, nemmeno la sua tenda. La sua anima in cui aveva
fiducia sarà strappata dalla tenda del corpo, come un albero che rende improduttivo anche
il terreno. « L’anima tua ti sarà ridomandata ».

2. Dopo la morte, con l’occhio della fede, quando:

(a) Verrà al cospetto del re degli spaventi. In vita, era stato circondato da terrori, Gb
18:11 sudditi della morte, che avevano lottato contro di lui nel suo nome. È a causa della
morte che i peccatori sono per tutta la vita soggetti a schiavitù. Eb 2:15 Saranno quindi
condotti di fronte a ciò che avevano tanto temuto, come un prigioniero è condotto al
conquistatore. La morte è terribile per la creazione naturale, come aveva lasciato
intendere il nostro Salvatore nella sua preghiera: Padre, salvami da quest’ora. Per il
malvagio è più che mai il re degli spaventi, terminando quella vita in cui aveva riposto la
sua felicità e conducendo a quella dove troverà infinito dolore. Come sono felici i santi e
come sono indebitati al Signore Gesù, che ha abolito la morte e ne ha cambiato le
proprietà, al punto che quel re degli spaventi è ora un amico e un servo!

(b) Sarà cacciato dalla luce nelle tenebre, Gb 18:18 dalla luce di questo mondo e dalla sua
prospera condizione, nelle tenebre della tomba e dell’inferno, un’oscurità totale, dove non
rivedrà mai più, senza speranza, nemmeno un raggio di luce. Sl 49:19

(c) Sarà bandito dal mondo, trascinato in fretta, contro la sua volontà, dai messaggeri
della morte, cacciato come Adamo dal paradiso, che per lui è questo mondo. L’espressione

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 149


lascia intendere che avrebbe voluto rimanere. Non vuole andarsene, ma deve. Il mondo è
stanco di lui e lo bandisce, lieto di liberarsene. È così la morte degli empi.

III. La sua famiglia crolla e ha termine. Gb 18:15 L’ira e la maledizione di Dio si incendiano
non solo contro il suo capo e il suo cuore, ma anche contro la sua casa, che consumano
col legname e le pietre che contiene. Za 5:4 La morte stessa dimorerà nella sua tenda.
Avendolo bandito, prenderà possesso della sua casa, terrorizzando e distruggendo tutto
ciò che rimane. Anche l’abitazione stessa sarà rovinata a causa del proprietario: La sua
casa è cosparsa di zolfo, che vi pioverà sopra come aveva fatto durante la distruzione di
Sodoma, a cui sembra che Giobbe faccia riferimento. Secondo alcuni, Bildad voleva
ricordare a Giobbe il fuoco dal cielo che aveva consumato le sue pecore e i suoi servitori.
Spiega poi perché la sua tenda è destinata alla rovina: perché non è sua, cioè fu
acquistata ingiustamente e tolta al suo giusto padrone. Non si aspetti quindi che duri o
che gli dia conforto. I suoi figli periranno, con lui o dopo. Gb 18:16 In basso (cioè in lui)
s’inaridiscono le sue radici, in alto son tagliati i suoi rami (ogni suo figlio). Fu così che
finirono le famiglie di Geroboamo, di Baasa e di Achab. Nessun loro discendente rimase in
vita. Chi ha radici nella terra può aspettarsi di avvizzirsi, ma la fronda di chi ha radici in
Cristo non appassirà, né tanto meno ne saranno tagliati i rami. Chi ha a cuore il vero
onore della propria famiglia e il bene dei suoi rami, starà attento a non lasciarli avvizzire
dal peccato. Bildad parla nuovamente del troncamento della famiglia del peccatore: Non
lascia tra il suo popolo né figli, né nipoti Gb 18:19 che godano dei suoi averi e che portino
il suo nome, né nessun superstite tra i suoi familiari dov’egli soggiornava. Il peccato
comporta una maledizione sui posteri, e l’iniquità dei padri è spesso punita sui figliuoli. È
anche probabile che Bildad abbia riflettuto sulla morte dei figli e dei servi di Giobbe come
ulteriore prova della sua empietà, mentre chi è senza figli non è necessariamente senza
grazia. C’è un nome che varrà meglio di figli e di figlie.

IV. La sua memoria viene sepolta insieme a lui, o è odiata. È dimenticato o ricordato con
disonore: La sua memoria scompare dal paese Gb 18:17 e svanisce interamente, perché
non fu mai scritta in Cielo, come invece i nomi dei santi. Lu 10:20 Tutti i suoi onori
saranno perduti tra la polvere o macchiati da una perpetua infamia, e più non s’ode il suo
nome per le campagne. Se ne andrà indesiderato. I giudizi di Dio lo seguiranno dopo la
morte, in questo mondo, come indicazione della miseria della sua anima e come assaggio
di quell’eterna infamia e vergogna che lo aspettano il giorno del giudizio. La memoria del
giusto è in benedizione, ma il nome degli empi marcisce. Pr 10:7

V. Tutti si meravigliano della sua caduta. Gb 18:20 Chi la vede è atterrito da quel
cambiamento così improvviso e da quella condanna così tremenda e totale. Chi ne sente
parlare in seguito, rimane sorpreso. Gli rintronano le orecchie e il cuore viene meno, tanto
da fargli gridare: Signore, come son tremendi i tuoi giudizi! Le Scritture chiamano un luogo
o una persona totalmente distrutta un oggetto di stupore. De 28:37 2Cr 7:21 Gr 25:9,18
ND I peccati orribili provocano straordinarie punizioni.

VI. Tutto questo è asserito con la certezza unanime dell’era patriarcale, che si basava sulla
conoscenza di Dio e sulle numerose osservazioni della sua provvidenza: Certo son tali le
dimore dei perversi e tale è il luogo (o la condizione) di chi non conosce Iddio! Gb 18:21
Notate l’inizio e la fine dell’empietà di questo mondo malvagio:

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 150


1. Inizia con la mancanza della conoscenza di Dio, un’ignoranza voluta, perché ciò che si
può conoscere a suo riguardo è sufficiente a lasciare per sempre inescusabili. Gli empi non
conoscono Dio, e quindi commettono ogni sorta di iniquità. Il Faraone non conosceva
l’Eterno, e quindi non ubbidì alla sua voce.

2. Finisce nella totale distruzione. Certo son tali, così miserabili, le dimore dei perversi. Dio
farà vendetta di coloro che non lo conoscono. 2Te 1:8 Riceverà onore nella distruzione di
chi non lo onora. Tremiamo quindi, e non pecchiamo, perché la fine sarà certamente
amara.

Giobbe 19

Questo capitolo contiene la risposta di Giobbe al discorso di Bildad nel capitolo precedente.
Anche se era molto addolorato e agitato dalle sue parole così irritanti, gli permise di
parlare, senza interromperlo. Alla fine, gli diede una giusta risposta, in cui:

I. Si lamentò della sua villania, che non aveva accolto con piacere. Affermò infatti che:

1. Chi aveva cercato di confortarlo lo aveva afflitto ancora di più. Gb 19:2-7

2. Il suo Dio era l’autore delle sue afflizioni. Gb 19:8-12

3. I suoi amici e parenti gli stavano lontani, come estranei, durante le sue sofferenze. Gb
19:20-22

II. Anche se, in questo mondo, trovava così poche consolazioni, si confortò con la viva
speranza di felicità in quello a venire, facendo una solenne confessione della sua fede,
perché potesse essere ricordata come prova della sua sincerità. Gb 19:23,27

III. Concluse con un ammonimento ai suoi amici a non continuare a criticarlo così
duramente. Gb 19:28,29 Se il lamento delle sue sofferenze può a volte servire a
giustificare le nostre rimostranze, le sue gioiose prospettive della vita futura possono
svergognare noi Cristiani, mettendo a tacere le nostre lagnanze, o almeno
controbilanciandole.

Gb 19:1-7

Gli amici di Giobbe lo avevano criticato molto severamente, accusandolo di essere empio
solo perché era così afflitto. Giobbe spiega come si era sentito. Due volte, Bildad aveva
iniziato i suoi discorsi con un: Fino a quando? Gb 8:2 18:2 Giobbe quindi, rispondendo
particolarmente a lui, inizia allo stesso modo: Fino a quando? Gb 19:2 I discorsi sgradevoli
sembrano sempre lunghi. Giobbe però aveva più motivo per considerare lunghi gli assalti
dei suoi amici di quanto loro non avessero motivo di considerare lunghe le sue difese.
Anche se siamo nel giusto, la nostra difesa è sempre un migliore obiettivo dell’offesa dei
fratelli. Osservate:

I. Come Giobbe descrive il loro sgarbo verso di lui:

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 151


1. Avevano afflitto la sua anima, che era peggio che affliggergli le ossa. Sl 6:2,3 Erano i
suoi amici, che erano venuti a confortarlo, pretendendo di dargli dei buoni consigli. Invece,
con grande serietà e tante pretese di saggezza e di religiosità, avevano cercato di togliergli
l’unico conforto che gli era rimasto in un buon Dio, una buona coscienza e una buona
reputazione, ferendolo profondamente.

2. Lo avevano tormentato coi loro discorsi e con parole così dure e crudeli da trafiggere
l’animo. Lo avevano addolorato e ferito. Tutti, alla fine, dovranno rendere conto delle
aspre parole pronunciate contro Cristo e contro il suo popolo. Gd 1:15

3. Lo avevano insultato, Gb 19:3 dandogli una brutta reputazione e accusandolo di colpe


di cui non era consapevole. Gli insulti feriscono chi è onesto.

4. Si erano estraniati da lui, Gb 19:3 KJV evitandolo, ora che era nei guai, e fingendo di
non conoscerlo. Gb 2:12 Non lo trattavano con la stessa familiarità di quando le cose gli
andavano bene. Chi si estranea dai propri amici, o dagli amici di Dio, quando sono nei
guai, dimostra di essere governato dallo spirito del mondo, e non da dei princípi di vero
onore o di amore. L’amico ama in ogni tempo.

5. Non solo si erano estraniati da lui, ma si erano insuperbiti contro di lui. Gb 19:5 Non
solo lo tenevano a distanza, ma lo facevano con disprezzo, insultandolo ed esaltandosi per
umiliarlo. È crudele e vile calpestare chi è a terra.

6. Gli rimproverarono la vergogna in cui si trovava, cioè, si servirono della sua afflizione
per dimostrare che era empio. Avrebbero dovuto usare la sua integrità a suo favore, per
dargli conforto nella sofferenza e per difenderlo da ogni vituperio (come fece l’apostolo
Paolo in 2Co 1:12). Invece, usarono il suo vituperio per attaccare la sua integrità,
dimostrando non solo sgarbo, ma ingiustizia. Dove si troverà infatti un uomo onesto se un
insulto può essere accettato come prova contro di lui?

II. Come mette in luce la loro villania.

1. Lo avevano maltrattato frequentemente: Son già dieci volte che m’insultate, Gb 19:3
cioè, molte volte. cfr. Ge 31:7 Nu 14:22 Avevano parlato cinque volte, e ogni discorso era
stato un doppio insulto. Sembra che avesse tenuto conto di ogni loro offesa. È un atto
scortese e petulante, che dimostra un desiderio di rappresaglia e di vendetta. Rimaniamo
più sereni dimenticando le offese e le scortesie che contandole e ricordandole.

2. Continuarono a maltrattarlo, sembrando decisi a persistere: « Fino a quando


continuerete a farlo? ». Gb 19:2,5 … « Vedo che vi esaltate contro di me, nonostante
tutto ciò che ho detto per giustificarmi ». Chi parla troppo non pensa mai di avere detto
abbastanza. Se la passione apre la bocca, l’orecchio non sente ragioni.

3. Non si vergognavano di averlo fatto. Gb 19:3 Avevano motivo di vergognarsi della loro
testardaggine, che non si confà agli uomini, della loro crudeltà, che non si confà ai giusti,
e della loro insincerità, che non si confà agli amici. Invece, no, nonostante ripetuti
avvertimenti, non sapevano che cosa volesse dire arrossire.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 152


III. Come risponde alle loro aspre critiche: Dimostra che ci potevano essere delle
giustificazioni degne di considerazione nel comportamento che condannavano.

1. Gli errori di giudizio erano scusabili: « Dato pure ch’io abbia errato, Gb 19:4 è stato per
ignoranza o per sbaglio », come è normale per gli uomini, anche giusti. Humanum est
errare — Errare è umano, e dobbiamo essere disposti ad ammetterlo. È assurdo ritenerci
infallibili. « Anche in quel caso », dice Giobbe, « il mio errore concerne me solo », cioè,
« parlo come meglio posso, sinceramente e non per contraddire ». Oppure: « Tengo per
me i miei errori, senza imporli ad altri come fate voi. Cerco solo di spiegare chi sono e
come agisco. Non mi immischio negli affari altrui, per insegnare o per giudicare ». I nostri
errori sono più scusabili se li teniamo per noi stessi, senza disturbare gli altri. La
convinzione che hai, serbala per te stesso. Secondo alcuni, significa: « Se sbaglio, sono io
che devo pagarne il prezzo. Non preoccupatevi quindi. Anzi, sto pagando caramente. Non
aggravate le mie sofferenze con i vostri insulti ».

2. La sua impulsività poteva essere, se non giustificabile, almeno scusabile, considerata la


gravità delle sue sofferenze e l’estremità della sua miseria. « Se volete cavillare ogni mia
lamentela, per farla sembrare ancora peggiore e usarla contro di me, cercate di valutarne
la causa prima di giudicarla. Sappiate ora che Iddio mi ha sovvertito ». Gb 19:6 D Li esortò
a considerare tre fatti:

(a) I suoi guai erano molto grandi. Era stato sovvertito e non poteva aiutarsi da solo. Era
avvolto in una rete da cui non poteva fuggire.

(b) Era Dio che lottava contro di lui: « È stato lui a sovvertirmi. È sua la rete che mi
avvolge. Non avete quindi bisogno di assalirmi in questo modo. Ho già abbastanza
disapprovazione da lui. Non caricatemi anche della vostra. Lasciatemi finire questa mia
controversia con Dio prima di iniziare anche voi ». È crudele perseguitare colui che Dio ha
percosso, e raccontare i dolori di quelli che ha feriti. Sl 69:26

(c) Non poteva sperare in una riparazione dei suoi torti. Gb 19:7 Si era lamentato del suo
dolore, senza trovare sollievo. Aveva implorato inutilmente di poter conoscere la causa
della sua afflizione. Aveva fatto appello al tribunale di Dio per provare la sua innocenza,
ma non aveva ottenuto un’udienza, né tanto meno un giudizio: Io grido: Violenza! e
nessuno risponde. A volte, Dio sembra sordo alla voce del suo popolo, irritato contro le
loro preghiere e indifferente ai loro appelli. In quel caso, può essere scusato chi si lamenta
amaramente. È terribile se Dio ci contrasta!

Gb 19:8-21

Bildad aveva subdolamente rigirato le lamentele di Giobbe per descrivere la miserabile


condizione degli empi. Eppure Giobbe le ripete, per suscitare la compassione dei presenti e
per appellarsi alla loro buona natura, se ne avevano ancora.

I. Si lamenta dei segni della disapprovazione di Dio verso di lui, che avevano aggiunto
veleno e assenzio alla sua afflizione e alla sua miseria. Come sono tristi i suoi lamenti!
« Ha acceso l’ira sua contro di me, che mi brucia, mi terrorizza, mi arde e mi addolora ».
Gb 19:11 Il fuoco infernale è in effetti l’ira di Dio. Le coscienze incallite che non lo sentono
ora, lo sentiranno in seguito, mentre le coscienze illuminate da Dio lo temono ora, ma non

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 153


lo sentiranno poi. Giobbe era turbato, pensando che Dio lo considerasse come suo nemico.
Dio invece lo amava e si gloriava in lui, come un caro amico. È un errore grande, ma
molto comune, quello di pensare che Dio tratti da nemici le persone che affligge. Al
contrario, tutti quelli che ama, riprende e castiga. È la correzione dei suoi figli. Dovunque
guardasse, Giobbe vedeva i segni della disapprovazione di Dio verso di lui.

1. Guardava indietro, per rivedere la prosperità perduta? Vedeva anche la mano di Dio che
vi aveva messo fine: « M’ha spogliato della mia gloria, della mia ricchezza, del mio onore,
della mia autorità e di ogni opportunità di fare del bene. Gb 19:9 I miei figli erano la mia
gloria, ma li ho perduti. Se c’era una corona sul mio capo, Dio l’ha tolta, gettando nella
polvere il mio onore ». Notate la vanità della gloria terrena, di cui presto saremo privati.
Qualunque sia l’agente di quelle privazioni, dobbiamo riconoscere la mano di Dio e
accettare il suo piano.

2. Guardava i guai che lo affliggevano allora? Vide anche Dio che li aveva incaricati di
attaccarlo. Erano le sue schiere, che agivano al suo comando e che avevano posto il
campo intorno alla sua tenda. Gb 19:12 Non lo turbava tanto il fatto che le sue sventure
fossero venute a schiere, quanto che fossero le schiere di Dio, per cui sembrava che Dio lo
combattesse e volesse distruggerlo. Le schiere di Dio avevano posto il campo intorno alla
sua tenda, come dei soldati che assediano una città fortificata, arrestando le provvigioni e
attaccando con insistente forza. Era l’assedio della sua tenda. Un tempo, le schiere di Dio
si erano accampate intorno a lui per proteggerlo: Non l’hai tu circondato d’un riparo? Ora,
invece, lo circondavano per atterrirlo e lo demolivano a brano a brano. Gb 19:10

3. Guardava oltre, per trovare una via di salvezza? Vedeva invece la mano di Dio che
troncava ogni speranza: « Dio m’ha sbarrato la via e non posso passare. Gb 19:8 Non ho
modo di salvarmi. Non posso liberarmi dai miei guai, né trovarne conforto. Se mi muovo
appena, facendo qualche passo per liberarmi, mi trovo circondato. Non posso fare ciò che
voglio. Non posso nemmeno consolarmi con il prospetto di una salvezza futura. Non solo
non posso raggiungerla, ma non posso nemmeno vederla: Dio ha coperto di tenebre il mio
cammino, e nessuno sa fino a quando ». Sl 74:9 Conclude quindi: « È la mia fine. Sono
perduto in questo mondo. Ha sradicata come un albero la mia speranza, un albero che
non potrà più ricrescere ». Gb 19:10 La speranza in questa vita è eterea, ma quella dei
giusti, anche se è sradicata da questo mondo, può essere ripiantata, come un albero, nel
giardino dell’Eterno. Non abbiamo motivo di lamentarci se Dio sradica le nostre speranze
dalla sabbia per fissarle nella roccia, dalle realtà temporali a quelle eterne.

II. Si lamenta dello sgarbo dei suoi parenti e dei suoi conoscenti. Anche in questo
riconosce la mano di Dio: Egli ha allontanato da me i miei fratelli, Gb 19:13 cioè: « Le
afflizioni che mi ha mandato li spaventano, e stanno lontani dalle mie piaghe ». Dio non
era l’autore del loro peccato. È Satana che aliena la mente degli uomini dai fratelli afflitti.
Dio però aveva stabilito quella sofferenza di Giobbe per completare la sua prova. Così
come dobbiamo riconoscere la mano di Dio in tutte le offese che riceviamo dai nostri
nemici (l’Eterno ordinò che Simei maledisse Davide), dobbiamo anche riconoscerla in tutti
gli sgarbi e le offese che riceviamo dai nostri amici, riuscendo così a sopportarli più
pazientemente. Ogni creatura si comporta con noi come Dio vuole: con gentilezza o con
sgarbo, per darci conforto o sconforto. Ciò non giustifica l’orrenda ingratitudine e
ingiustizia che i parenti e gli amici di Giobbe gli avevano dimostrato, e di cui aveva motivo

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 154


di lamentarsi. Pochi infatti l’avrebbero sopportata pazientemente come lui. Giobbe nota lo
sgarbo:

1. Dei suoi parenti, conoscenti e vicini che lo avevano frequentato e che, secondo tutte le
leggi dell’amicizia e della buona condotta, si sarebbero dovuti occupare di lui, visitandolo e
dimostrando interessamento, pronti ad aiutarlo quanto più avessero potuto. Invece, si
erano del tutto alienati da lui. Gb 19:13 Lo avevano trattato come se non lo avessero mai
conosciuto. I suoi parenti, che si erano vantati della loro parentela quando lui era
benestante, lo avevano abbandonato. Avevano rinnegato ogni promessa di amicizia e
deluso le sue aspettative di aiuto. Anche i suoi amici più intimi, che gli erano sempre stati
a cuore, lo avevano dimenticato, scordando sia le sue dimostrazioni di amicizia che le sue
sventure. Avevano sentito parlare dei suoi guai, e avevano pensato di andare a trovarlo,
ma si erano dimenticati di farlo, per mancanza di interesse. I suoi amici più intimi, quelli
che gli erano più cari e più vicini, non solo lo avevano dimenticato, ma, pieni di disgusto, si
erano tenuti più che mai lontani, perché era povero e non aveva più niente da offrire e
perché era pieno di piaghe e appariva ripugnante. Quelli che amava erano peggiori dei
pubblicani, non ricambiando quell’amore nell’ora del suo bisogno. Anzi, non solo lo
abbandonarono, ma si volsero contro di lui, facendo il possibile per renderlo ripulsivo agli
altri per giustificare la loro lontananza. Gb 19:19 L’amicizia degli uomini è incerta. Dio
invece è un amico che non abbandona nel momento della necessità. Chi si definisce
umano o cristiano non tratti mai i suoi amici come quei conoscenti trattarono Giobbe.
L’avversità è la prova dell’amicizia.

2. Dei suoi servi e dei suoi familiari. A volte scopriamo che, inaspettatamente, c’è un
amico che è più affezionato di un fratello. Un capofamiglia di solito si aspetta di essere
servito e curato dai suoi familiari anche quando la malattia fisica o mentale lo rende
spregevole. Il povero Giobbe invece fu maltrattato dalla sua stessa famiglia, e alcuni dei
suoi peggiori nemici erano gente di casa sua. Non parla dei figli, tutti morti, di cui forse la
villania dei parenti che gli erano rimasti gli faceva sentire ancor più la mancanza: « Se
fossero vivi », pensò forse, « mi potrebbero confortare ». Tra chi lo circondava:

(a) Anche i suoi servi lo disprezzavano. Le sue serve non si erano prese cura di lui quando
era malato, ma lo avevano trattato da straniero e da estraneo. Gb 19:15 Gli altri servi non
gli davano ascolto. Se li chiamava, fingevano di non sentirlo. Se chiedeva qualcosa, non
osavano rispondere. Gb 19:16 Giobbe era stato un buon padrone e non aveva
disconosciuto il loro diritto quand’erano in lite con lui, Gb 31:13 eppure loro si
comportavano con villania senza dar retta alle sue richieste. Non dobbiamo meravigliarci
se riceviamo del male da chi meriteremmo del bene. Pur essendo malato, Giobbe non
trattava con sgarbo e tracotanza i suoi servi, come fanno molti. Faceva semplicemente
delle richieste quando aveva invece l’autorità di dare comandi. Eppure, loro non si
comportarono civilmente, giustamente o cortesemente nei suoi riguardi. Notate: Chi è
triste o malato si offende facilmente, prendendosela per ogni ingiuria e risentendo la
minima scortesia. Nella sua afflizione, anche la negligenza dei servi turbò Giobbe.

(b) Sembrerebbe che, quando tutti lo abbandonarono, almeno sua moglie avrebbe dovuto
dimostrargli un po’di affetto. Invece, dato che Giobbe non aveva lasciato stare Dio per poi
morire, come lei gli aveva detto di fare, gli rimase lontana. Non voleva sentire il suo alito,
né ascoltarlo. Anche se le parlava, non con l’autorità, ma con la tenerezza di un marito,
senza darle ordini, ma supplicandola in nome di quell’amore coniugale di cui i figli erano il

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 155


pegno, lei non gli dava ascolto. Secondo alcuni, significa: « Benché mi lamentassi o facessi
cordoglio per i miei figli, per la morte dei figli del mio ventre », un male che la addolorava
quanto lui. Sembra che il diavolo gliel’avesse lasciata non solo per tentarlo, ma per
tormentarlo. Le sue parole: Lascia stare Iddio, e muori, non avevano dimostrato fede.
Come ci si può aspettare del bene e della cortesia da chi non ha il timore di Dio davanti
agli occhi e non è governato dalla coscienza?

(c) Anche i bambini nati nella sua casa, i figli dei suoi servi e quindi servi per nascita, lo
disprezzavano e parlavano male di lui. Gb 19:18 Anche se lui, cortesemente, si fermava a
discorrere amichevolmente con loro, o se li rimproverava con autorità, gli facevano sapere
che non lo temevano né lo amavano.

III. Si lamenta della distruzione del suo corpo e della perdita di ogni forza e di ogni
bellezza. Se fosse stato in buona salute e in buone condizioni, avrebbe anche potuto ridere
dello scherno degli altri. Non riusciva invece a ridere di se stesso. Le sue ossa stavano
attaccate alla sua pelle, come prima alla carne, Gb 19:20 coprendolo di grinze. Gb 16:8
Era uno scheletro, tutto pelle e ossa. Anzi, anche la pelle era quasi consumata dalle ulcere
dolorose, tranne la pelle dei denti, cioè le gengive e forse le labbra. Notate com’è inutile
viziare il corpo che, dopo tutte le nostre cure, può essere consumato dai mali che già vi
risiedono.

IV. Per questo chiede agli amici di avere compassione di lui, rimproverando giustamente la
loro durezza nei suoi confronti. Da questa descrizione della sua triste condizione, è facile
capire che:

1. Avrebbero dovuto compatirlo. Gb 19:21 Glielo chiede con parole così commoventi che
sembrerebbero sufficienti a sciogliere un cuore di pietra: « Pietà, pietà di me, voi, miei
amici! Se non potete fare altro per me, almeno compatitemi e dimostratemi un po’di
interesse. Abbiate pietà di me, perché la man di Dio m’ha colpito. Mi trovo in una
situazione tremenda, perché sono caduto nelle mani del Dio vivente. Sento la sua ira
contro di me, la più miserevole sciagura ». Notate: Nei guai, gli amici devono compatirsi a
vicenda, senza chiudere le proprie viscere.

2. Non avrebbero dovuto perseguitarlo. Se anche non volevano alleviare la sua sofferenza
con la compassione, non dovevano comunque essere così crudeli da aggravarla con
critiche e biasimi: « Perché perseguitarmi come fa Dio? Gb 19:22 Certamente, i suoi
rimproveri sono sufficienti. Non dovete aggiungere il vostro veleno e il vostro assenzio al
calice dell’afflizione che mi mette in mano. È già abbastanza amaro. Dio ha un potere
assoluto su di me e può fare ciò che vuole, ma pensate che sia lo stesso per voi? ». No,
dobbiamo cercare di emulare il Dio Santissimo e Misericordioso, ma non il Dio Eccelso e
Onnipotente. Dio non dà un resoconto delle sue opere, ma noi dobbiamo darlo delle
nostre. Se erano contenti delle sue sciagure, doveva bastargli la distruzione della sua
carne, senza cercare di ferire anche il suo spirito e di rovinare la sua reputazione.
Dobbiamo essere gentili con gli afflitti, soprattutto con chi è turbato nella mente.

Gb 19:23-29

In tutti i discorsi tra Giobbe e i suoi amici non troviamo parole più profonde e degne di
nota di queste. Chi se le sarebbe aspettate? Ci rivelano una grande comprensione di Cristo

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 156


e del cielo, e il desiderio di cercare una patria migliore, cioè una celeste, come i patriarchi
di quel tempo. Eb 11:14 Troviamo qui il credo di Giobbe, la sua confessione di fede. Aveva
già professato spesso la sua fede in Dio Padre Onnipotente, Creatore del cielo e della
terra, e nei princípi della religione naturale. Scopriamo qui che non è ignaro della religione
rivelata. Anche se la rivelazione della Progenie e dell’eredità promessa era allora solo un
albore, Dio gli aveva insegnato a credere in un Redentore vivente e ad aspettarsi la
resurrezione dei morti e, nel secolo avvenire, la vita eterna, di cui indubbiamente parla in
questo brano. Era l’aspettativa di queste realtà che lo confortava, non la liberazione dai
suoi guai o il ritorno della gioia in questo mondo, come pensano alcuni. Oltre al fatto che
le espressioni che usa a proposito di un Redentore che alla fine si leverà sulla polvere e del
fatto che avrebbe visto Dio egli stesso Gb 19:27 ND sarebbero forzate se si volessero
applicare a una redenzione temporale, è chiaro che non si aspettava assolutamente di
ritornare a una condizione di prosperità in questo mondo. Aveva appena finito di dire che
Dio gli aveva sbarrato la via Gb 19:8 e aveva sradicato come un albero la sua speranza.
Gb 19:10 Anzi, aveva appena detto di non sperare più in nessun conforto in questa vita.
Gb 23:8,9 30:23 Si riferiva quindi necessariamente alla redenzione della sua anima dal
potere della tomba e alla sua accoglienza in gloria, di cui parla il Sl 49:15. Giobbe era
probabilmente ispirato da uno straordinario impulso del santo Spirito che lo innalzò oltre il
corpo, illuminandolo e permettendogli di esprimersi in modo tale da sorprendere anche se
stesso. Secondo alcuni, dopo quella dichiarazione, i suoi discorsi non furono più lamenti
ferventi, stizzosi e inopportuni contro Dio e la sua provvidenza. Quella speranza aveva
quietato il suo spirito, calmando la tempesta. Avendo gettato l’àncora oltre la cortina, la
sua mente rimase da allora in poi salda. Osservate:

I. Lo scopo di quella confessione di fede. Non vi fu mai un momento più opportuno o uno
scopo migliore.

1. Giobbe era accusato, e questa era la sua difesa. I suoi amici gli rimproveravano di
essere un ipocrita e lo condannavano come empio. Gb 19:21 Giobbe quindi fa appello al
suo credo, alla sua fede, alla sua speranza e alla sua coscienza che non solo lo assolveva
da un’assoluta soggezione al peccato, ma lo confortava con l’aspettativa di una beata
risurrezione. Queste non son parole di un indemoniato. Dall’inizio alla fine del processo,
Giobbe si appella alla venuta del Redentore a cui è stato affidato ogni giudizio e che
certamente gli avrebbe fatto giustizia. La considerazione dell’imminente giudizio di Dio ci
farà importare pochissimo d’esser giudicati da un tribunale umano. 1Co 4:3,4 Con che
facilità possiamo sopportare le calunnie e i rimproveri ingiusti degli uomini, se aspettiamo
l’apparizione gloriosa del nostro Redentore e dei suoi redenti in quel giorno finale, quando,
insieme ai corpi, risorgeranno anche le reputazioni!

2. Giobbe era afflitto, e questo era l’elisir che lo sorreggeva sotto i pesi più gravosi: la fede
di vedere la bontà dell’Eterno sulla terra de’viventi, e non in questo mondo, che è la terra
di chi muore.

II. È una confessione che Giobbe introduce con una prefazione solenne, Gb 19:23,24
interrompendo bruscamente le sue lamentele per trionfare nelle sue consolazioni, non solo
per il proprio bene, ma per l’edificazione degli altri. Temendo che i presenti prestassero
poca attenzione alle sue parole, come avevano dimostrato di fare, desiderò lasciare un
attestato per le generazioni future. Oh se le mie parole che sto per dire fossero scritte!
Sembrò che dicesse: « So di avere detto molte cose a sproposito, che vorrei far

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 157


dimenticare, perché non mi danno credito e non giovano a nessuno. Adesso però dirò
deliberatamente ciò che voglio che sia reso pubblico in tutto il mondo e preservato per le
generazioni a venire, in perpetuam rei memoriam-a perpetuo ricordo. Desidero quindi che
sia scritto chiaramente e stampato Gb 19:23 D o impresso in caratteri grandi e ben
leggibili, perché si possa leggere speditamente. Voglio che non sia scritto su carta sciolta,
ma rilegato in un libro o, se quello è distrutto, inciso come un’iscrizione su un monumento,
con lo scalpello di ferro e col piombo nella roccia. Lo scalpellino usi tutte le sue arti per
farne un appello eterno per i posteri ». Nella sua bontà, Dio concesse a Giobbe ciò che
aveva desiderato in quell’impeto di passione. Le sue parole sono trascritte e stampate nel
libro divino, in cui parlano in sua memoria ogni volta che è letto. Aveva creduto, perciò
aveva parlato.

III. La confessione stessa, cioè le parole che voleva che fossero trascritte. Osserviamole
dunque in questo brano: Gb 19:25-27

1. Giobbe credeva nella gloria del Redentore e in ciò che rappresentava per lui: Ma io so
che il mio Redentore vive, che esiste, che è la mia vita e che alla fine si leverà, cioè per
ultimo, o nell’ultimo giorno, sulla terra. Gb 19:25 ND Sarà innalzato, o esisterà, negli ultimi
giorni sulla terra, cioè nella pienezza dei tempi (l’epoca evangelica è nota come gli ultimi
tempi perché è l’ultima dispensazione), in riferimento alla sua incarnazione. Oppure, sarà
innalzato sulla terra (riferendosi alla crocifissione), o innalzato dalla terra (riferendosi alla
risurrezione). Comunemente, si interpreta: Alla fine del mondo apparirà sulla terra, perché
verrà sulle nuvole del cielo, così vicino alla terra che ogni occhio lo vedrà. Si leverà sulla
polvere (letteralmente), cioè su tutti i nemici su cui trionferà, calpestandoli come polvere
sotto i piedi. Notiamo che:

(a) C’è un Redentore per l’umanità decaduta nel peccato, ed è Gesù Cristo. Il termine
originale è Goal, usato per indicare il parente prossimo che, secondo la legge mosaica,
aveva il diritto di riscattare una proprietà ipotecata. Le 25:25 La nostra eredità celeste è
stata ipotecata dal peccato e non possiamo riscattarla da soli. Cristo è il parente prossimo
che può attuare quel riscatto. Ha pagato il nostro debito, soddisfando la giustizia divina
per il peccato, e ha quindi tolto l’ipoteca creando una nuova stipulazione. Noi stessi siamo
stati venduti per il peccato e come schiavi al peccato e abbiamo bisogno di un Redentore.
Il Signore Gesù ha effettuato e dichiarato quella redenzione, essendo il vero Redentore.

(b) È un Redentore che vive. Creati da un Dio vivente, siamo salvati da un Redentore che
vive, un Redentore onnipotente ed eterno, che quindi ci può salvare pienamente. Di lui si
attesta che vive. Eb 7:8 Ap 1:18 Noi moriamo, ma lui vive, e ci ha assicurato che, poiché
egli vive, anche noi vivremo. Gv 14:19 ND

(c) C’è chi, per grazia, riceve questa redenzione e può giustamente chiamarlo il suo
Redentore. Anche se Giobbe aveva perduto tutta la sua ricchezza e i suoi amici, non era
separato da Cristo, né aveva perso la sua parentela: « È ancora il mio Redentore ». Quel
parente prossimo gli rimase vicino, confortandolo, quando tutti gli altri parenti lo avevano
abbandonato.

(d) Dobbiamo sapere di aver parte in quella redenzione e trionfare sapendo che è
sufficiente a controbilanciare tutti i nostri dolori: So (notate la certezza e la fiducia che
emanano dalle sue parole), so che il mio Redentore vive. I suoi amici lo avevano accusato

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 158


spesso di ignoranza o di vana scienza, ma chi sa che Cristo è il suo Redentore ha una
conoscenza sufficiente e utile.

(e) Ci saranno degli ultimi giorni, degli ultimi tempi in cui non vi sarà più tempo, Ap 10:6 D
e dobbiamo ricordarlo ogni giorno.

(f) In quel giorno, il nostro Redentore si leverà sulla terra, o vi si innalzerà al di sopra, per
chiamare i morti dalle tombe, destinandoli a uno stato immutabile, perché a lui è stato
dato il giudizio. Alla fine, si leverà sulla polvere a cui questa terra sarà ridotta dopo la
conflagrazione.

2. Giobbe crede che la felicità dei redenti, e quindi anche la sua, consista nel fatto che i
credenti risorgeranno in gloria alla seconda venuta di Cristo, resi perfettamente beati nel
vedere Dio e nel godere della sua presenza. Applica a se stesso questa sua fede.

(a) Si aspetta la corruzione del corpo nella tomba e ne parla con una beata indifferenza e
noncuranza: « Dopo la mia pelle, che è già distrutta e consunta, tranne la pelle de’denti,
Gb 19:20 questo corpo sarà roso Gb 19:26 D da chi è delegato a distruggerlo », cioè la
tomba e i vermi di cui aveva parlato in Gb 7:14. La parola corpo è aggiunta: « Se
distruggono questo scheletro, quest’ombra Gb 17:7 che sto toccando o che vedete »
(indicando forse le sue membra deboli e avvizzite), « chiamatelo come volete, mi aspetto
che presto sarà un banchetto per i vermi ». Il corpo di Cristo non conobbe corruzione, ma
il nostro la proverà. Giobbe ne parla perché la gloria della risurrezione in cui credeva e
sperava potesse risplendere maggiormente. Notate: È bene pensare spesso non solo
all’imminente morte del corpo, ma alla sua distruzione e dissoluzione nella tomba, senza
perdere per questo la speranza della sua risurrezione. Lo stesso potere che ha
originariamente creato il corpo umano dalla polvere lo può risollevare dalla polvere.
Questo corpo di cui ci prendiamo tanta cura e per cui facciamo tanti preparativi sarà
presto distrutto. « Anche le mie reni », dice Giobbe, « si consumano in me », Gb 19:27 D
le viscere più profonde che forse si putrefanno prima delle altre.

(b) Si conforta con la speranza di felicità dopo la morte e la tomba: Dopo il mio risveglio
(secondo la note al margine), quantunque questo corpo sia roso, pur vedrò con la carne
mia Iddio. [1] L’anima e il corpo saranno riuniti. Quel corpo che dev’essere distrutto nella
tomba risorgerà in gloria: Pur vedrò con la carne mia Iddio. L’anima ha degli occhi
spirituali con cui vede Dio, l’occhio della mente, ma qui Giobbe parla degli occhi della
carne: Con la carne mia, con gli occhi. Lo stesso corpo che muore risorge come corpo, ma
glorificato, adatto ai compiti e alle gioie di quel mondo, e quindi un corpo spirituale. 1Co
15:44 Glorifichiamo dunque Dio nel nostro corpo perché Dio ha assegnato una gloria
anche a esso. [2] Giobbe e Dio si ritroveranno: Pur vedrò con la carne mia Iddio, cioè, il
glorificato Redentore, che è Dio. Secondo alcuni, vedrò Dio nella mia carne, cioè il Figlio di
Dio rivestito di un corpo visibile agli occhi della carne. Anche se il corpo, nella tomba,
sembra spregevole e miserabile, troverà dignità e gioia nella visione di Dio. Giobbe si era
appena lamentato di non poter vedere Dio, Gb 23:8,9 ma sperava di vederlo presto e per
sempre, con una gioia ancor maggiore dopo l’attuale oscurità e distanza. Notate: La
felicità dei beati consiste proprio nel vedere Dio, nel vederlo com’egli è, faccia a faccia e
non come in uno specchio, in modo oscuro. Il pio Giobbe ne parla con grande piacere: « Il
quale io vedrò », Gb 19:27 D cioè, « lo vedrò con gioia, con indescrivibile conforto e
soddisfazione. Lo vedrò come mio Dio. Lo farò mio con lo sguardo ». Dio stesso sarà con

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 159


loro e sarà loro Dio. Ap 21:3 Saranno simili a lui, perché lo vedranno com’egli è, lo
vedranno personalmente. 1Gv 3:2 gli occhi miei lo vedranno, e non un altro. Prima di
tutto, « Vedranno lui e nessun altro al posto suo. Non vedranno solo un’immagine di Dio,
ma Dio stesso ». I santi glorificati sono perfettamente certi di non essere ingannati. Non è
una deceptio visus-illusione dei sensi. In secondo luogo, « Lo vedrò io e nessuno al posto
mio. Anche se la mia carne e il mio corpo saranno consumati, non avrò bisogno di
delegare un altro, ma lo vedrò con i miei occhi ». Era questa la speranza di Giobbe e il suo
intenso desiderio che, secondo alcuni, è espresso nell’ultima frase: Le mie reni si
consumano in me, cioè, « tutti i miei desideri sono conclusi in questo che ne è il culmine e
il completamento. Datemi solo questo e mi basterà. Non desidererò altro. È sufficiente ».
Finirono così le preghiere di Davide, figliuolo d’Isai.

IV. L’applicazione di questo discorso ai suoi amici. Il suo credo fu di conforto a lui, ma di
avvertimento e di terrore a chi lo contrariava.

1. Era un avvertimento a non continuare a trattarlo male. Li aveva rimproverati per le loro
parole, e ora suggerisce ciò che avrebbero dovuto dire per calmare gli animi loro e degli
altri. « Perché lo perseguitiamo noi così? Perché lo addoloriamo e lo irritiamo,
biasimandolo e condannandolo? Poiché la radice della parola, o della questione, si ritrova
in lui ». Gb 19:28 D Applichiamolo:

(a) Alle attenzioni che dobbiamo prenderci di noi stessi. Dobbiamo tutti assicurarci che la
radice della questione si trovi in noi. Quella radice è un principio di grazia vivente,
stimolante e dominante nel cuore, necessario alla religione come la radice è necessaria
all’albero, per fissarlo al suolo e per renderlo fruttuoso. L’amore per Dio e per i nostri
fratelli, la fede in Cristo e l’odio del peccato sono la radice della questione, mentre tutto il
resto, al confronto, non è che un mucchio di foglie. Una seria religiosità è l’unica cosa
necessaria.

(b) Al nostro comportamento verso i nostri fratelli. Dobbiamo credere che molti con cui
non siamo completamente d’accordo (notando i loro torti, debolezze ed errori) hanno
quella radice della questione in loro, e dobbiamo concludere che perseguitarli è un rischio.
Guai a chi scandalizza uno di questi piccoli! Dio ne sarà offeso e li vendicherà. Giobbe e i
suoi amici non si trovavano d’accordo riguardo ai metodi della Provvidenza, ma lo erano
sulla radice della questione, la fede in un altro mondo, e non dovevano quindi
perseguitarsi a vicenda per quelle discrepanze.

2. Suscitava terrore. La seconda venuta di Cristo atterrirà chi troverà nell’atto di battere i
suoi conservi, Mt 24:49 e quindi: « Temete per voi stessi la spada, la spada infuocata della
giustizia di Dio che vibra da ogni parte. Temete, perché non vi contrasti ». Gb 19:29 ND I
terrori dell’Onnipotente devono allontanare i giusti dal peccato, soprattutto da quello di un
giudizio affrettato dei fratelli. Mt 7:1 Gm 3:1 Chi è irascibile e collerico con i fratelli,
criticandoli con malignità, deve ricordare non solo che la sua ira, qualunque ne sia il
motivo, non mette in opera la giustizia di Dio, ma anche che:

(a) Può aspettarsi di pagarne il prezzo in questo mondo: L’ira porta la punizione della
spada. L’ira fa commettere dei crimini punibili dalla spada del magistrato. Spesso è Dio
stesso a punirla, e chi non dimostra misericordia non ne riceve.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 160


(b) Se non si pentono, potrà essere un presagio di cose peggiori: un giudizio, non solo un
giudizio legale qui sulla terra, ma un giudizio futuro in cui dovremo rendere conto di tutte
le nostre aspre parole.

Giobbe 20

Si penserebbe che una straordinaria confessione di fede come quella fatta da Giobbe alla
fine del capitolo precedente avrebbe soddisfatto, o per lo meno addolcito, i suoi amici.
Invece, sembra che non vi avessero nemmeno prestato attenzione. Zofar quindi prende la
parola, contrastando e attaccando Giobbe con la stessa violenza di prima.

I. La sua prefazione è breve, ma impetuosa. Gb 20:2,3

II. Il suo discorso è lungo e in tutto identico, tranne su un punto, a quello su cui si era
dilungato Bildad (Giobbe 18), trattando della certa condizione misera degli empi e della
distruzione che li aspetta.

1. In generale, Zofar afferma che la prosperità degli empi è breve e che la loro distruzione
è sicura. Gb 20:4-9

2. Dà diversi esempi per dimostrare l’infelicità di quella condizione: malattie fisiche,


turbamenti di coscienza, perdite finanziarie, famiglie ridotte al lastrico, una brutta
reputazione e la morte sotto il peso dell’ira divina. Sono esempi descritti qui, in modo
interessante, con nobili espressioni e vive similitudini, che trovano spesso riscontro in
questo mondo e sempre nell’altro, per i peccatori impenitenti. Gb 20:10-29 Il suo grande
errore e l’unico difetto del suo discorso (come scrisse il dott. Patrick) era che Zofar, come
gli altri, pensava che Dio non deviasse mai da quel metodo e, di conseguenza, che Giobbe
fosse indubbiamente molto malvagio, anche se la sua infelicità era l’unica prova.

Gb 20:1-9

In questo brano:

I. Zofar inizia con grande fervore, apparentemente irritato dalle parole di Giobbe. Essendo
deciso a condannarlo come empio, è turbato dal fatto che avesse parlato così bene.
Sembra quasi che lo interrompa, dicendo improvvisamente: Quel che tu dici mi spinge a
risponderti. Gb 20:2 Senza badare a ciò che Giobbe aveva detto per indurli a compatirlo o
per dimostrare la sua integrità, attacca particolarmente il suo rimprovero alla fine di quel
discorso, considerandolo un’offesa e ritenendosi quindi obbligato a rispondere. Giobbe li
aveva esortati a temere la spada, e Zofar non vuole apparire allarmato dalle sue minacce.
Anche i consigli migliori sono spesso respinti dai nostri avversari, e possiamo quindi, di
solito, risparmiarceli. Zofar sembra più desideroso di parlare che di comprendere. Dà due
giustificazioni per la sua impulsività:

1. Giobbe lo aveva provocato: « Ho udito rimproveri che mi fanno oltraggio, e non posso
più sopportarlo ». Gb 20:3 Gli amici di Giobbe, io credo, erano troppo altezzosi per
occuparsi di un uomo così abietto. Chi è altezzoso è impaziente verso chi lo contraddice, e
si offende se gli altri non fanno eco alle sue parole. Non sopporta i rimproveri, che chiama

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 161


rimproveri che fanno oltraggio e, per questione di onore, si sente obbligato a ricambiarli,
se non addirittura ad accattare chi li esprime.

2. Il suo cuore lo aveva istigato. I suoi pensieri lo avevano spinto a rispondere. Gb 20:2
Dall’abbondanza del cuore la bocca parla. Zofar attribuisce la risposta al suo spirito, in
base al suo intendimento, Gb 20:3 com’è giusto. Dobbiamo comprendere bene le cose e
considerarle attentamente prima di parlare. Non sappiamo se Zofar lo avesse fatto. Gli
uomini spesso confondono gli impulsi delle proprie passioni con le direttive della ragione, e
pensano quindi che sia giusto adirarsi.

II. Zofar procede a dimostrare chiaramente la rovina e la distruzione degli empi,


insinuando che, dato che Giobbe aveva sofferto distruzione e rovina, era necessariamente
empio e ipocrita. Osservate:

1. Come introduce quella dottrina. Gb 20:4 Si appella:

(a) Alla conoscenza e alle convinzioni di Giobbe: « Non lo sai tu? Non conosci una verità
così chiara? Oppure dubiti una verità favorita da tutto il genere umano? ». Chi non sa che
il salario del peccato è la morte ha poca conoscenza.

(b) All’esperienza secolare. L’uomo ha sempre avuto, fin dall’inizio, cioè dalla sua creazione
su questa terra, questa verità impressa nel suo cuore: il peccato conduce alla rovina. Dove
si trova un esempio di iniquità (ben presto dopo la creazione dell’uomo) si trova anche un
esempio di punizione, come le espulsioni di Adamo e di Caino. Con il peccato, anche la
morte entrò nel mondo. Tutti sanno che il male segue i peccatori e che la Giustizia divina
non lascia vivere, At 28:4 e tutti credono che, prima o poi, ci saranno guai per l’empio, e
male gli incoglierà. Is 3:11

2. Come lo esprime Zofar: Il trionfo de’malvagi è breve, e la gioia degli empi non dura che
un istante. Gb 20:5 Osservate:

(a) Dichiara l’infelicità non solo di chi è apertamente empio e profano, ma anche degli
ipocriti, che praticano l’iniquità segretamente con la pretesa di essere religiosi. Pensa
infatti che Giobbe sia così. È vero che una forma di pietà usata per nascondere la
cattiveria peggiora il peccato. La finta religiosità è una doppia iniquità e riceverà doppia
rovina. L’inferno più cocente è riservato per gli ipocriti, come disse il nostro Salvatore. Mt
24:51

(b) Ammette che gli empi possono temporaneamente prosperare, tra gioia e sicurezza.
Possono sembrare trionfanti e felici, gloriandosi e godendo della loro ricchezza, del loro
potere, del loro lusso, del loro successo e dell’oppressione dei loro poveri, onesti vicini.
Non sentono e non temono alcun male. Inizialmente, gli amici di Giobbe non avevano
voluto riconoscere che gli empi potessero prosperare, Gb 4:9 finché Giobbe non lo provò
chiaramente. Gb 9:24 12:6 Ora Zofar lo ammette, ma:

(c) Dichiara come certezza che non prospereranno a lungo. La loro gioia è momentanea e
si trasformerà presto in dolore incessante. Per grande, ricco e felice che sia, l’ipocrita sarà
umiliato, mortificato e abbattuto.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 162


3. Come lo dimostra: Gb 20:6-9

(a) Presuppone un’enorme prosperità. Gb 20:6 L’altezza di cui parla non è la saggezza o la
virtù, ma la ricchezza o grandezza materiale, per la quale quell’empio si stima. Possiamo
immaginare che giunga fino al cielo, e, dato che, insieme alla condizione, si eleva anche lo
spirito, che il suo capo tocchi le nubi. Ha fatto tanto progresso. Il mondo gli ha sorriso.
Guarda quindi gli altri con disprezzo, mentre loro lo guardano con ammirazione, invidia o
timore. Possiamo immaginare che sostenga una monarchia universale. Anche se non
avrebbe potuto raggiungere quello stato di prosperità senza farsi molti nemici, si considera
al sicuro dalle loro frecce, come se vivesse tra le nuvole.

(b) È certo che, essendosi innalzato tanto, la sua rovina sarebbe stata altrettanto grande e
la sua caduta tremenda: Perirà per sempre. Gb 20:7 La sua superbia e la sua sicurezza
sono sicuri presagi della sua miseria, come saranno indubbiamente per tutti i peccatori
impenitenti nel mondo a venire. Saranno rovinati per sempre. Zofar però parla di una
distruzione in questo mondo. È vero che, a volte, dei notori peccatori vengono colpiti da
improvvise calamità, e quindi è giusto temere la minaccia che fa Zofar anche per il
peccatore più trionfante, promettendogli: [1] Una distruzione infame: Perirà come lo
sterco suo, un’espressione del disgusto di Dio e di tutti i giusti verso di lui, e della gioia del
mondo nel liberarsene. Sl 119:119 Is 66:24 [2]. Una distruzione inaspettata. Sarà distrutto
in un momento, Sl 73:19 tanto che chi gli sta intorno, che lo aveva appena visto, chiederà:
« Dov’è? Un personaggio così noto può forse svanire così improvvisamente? ». [3] Una
distruzione veloce. Se ne volerà via sulle ali dei propri terrori e si dileguerà di fronte alle
giuste imprecazioni di tutti, che vorranno liberarsi di lui. Gb 20:8 [4] Una distruzione
completa. Sarà totale. L’empio sparirà come un sogno o una visione notturna, come un
fantasma che, dopo aver lasciato una breve impressione, svanisce e non lascia traccia se
non quanto serve a far ridere della sua assurdità. Sarà una distruzione definitiva: L’occhio
che lo guardava in adorazione cesserà di vederlo, Gb 20:9 e il luogo dov’era non lo
riconoscerà più, avendogli dato un addio eterno quando, come Giuda, se ne sarà andato al
suo luogo. At 1:25

Gb 20:10-22

Gli esempi della miserevole condizione dell’empio in questo mondo sono espressi con un
linguaggio ricco ed eloquente, ripetendo gli stessi concetti in altre parole. Suddividiamo
quindi i dettagli secondo l’argomento. Osservate:

I. L’iniquità per cui è punito:

1. La concupiscenza della carne, che Zofar chiama eccessi della sua gioventù. Gb 20:11 D
Sono infatti i peccati che, a quell’età, tentano più degli altri. I piaceri proibiti dei sensi sono
dolci alla sua bocca. Gb 20:12 L’empio si concede tutte le gratificazioni dei desideri carnali
e ne gode eccessivamente, come se contenessero i più grandi piaceri. È la soddisfazione
che nasconde sotto la lingua, rigirandola come se fosse il boccone più prelibato. La
trattiene sotto al suo palato. Gb 20:13 Non desidera altro. Non la lascerebbe mai per i
piaceri spirituali e divini della religione, che non desidera e non ama. Il fatto di trattenerla
in bocca rappresenta la sua persistenza nel peccato (che risparmia quando dovrebbe
distruggerlo e mortificarlo, e non lascia andar giù, trattenendolo ostinatamente), e la sua
reminiscenza del peccato, a cui ripensa e che ricorda con piacere, come la donna adultera

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 163


che moltiplicò le sue prostituzioni, ricordandosi dei giorni della sua giovinezza. Ez 23:19
Oppure, il fatto di nascondere e trattenere il male sotto la lingua denota i suoi sforzi nel
nascondere la sua amata concupiscenza. Essendo un ipocrita, ricerca segretamente il
peccato, per salvare il credito della sua professione. Chi però sa cosa c’è nel cuore sa
anche cosa c’è sotto la lingua, e presto lo renderà manifesto.

2. L’amore del mondo e delle sue ricchezze. Ripone la sua gioia, e quindi il suo cuore, nei
beni temporali. Notate:

(a) Come lo desidera: Ha trangugiato ricchezze come un affamato trangugia il cibo, Gb


20:15 ma continua a gridare: « Dammi, dammi! ». È ciò che ha sempre desiderato Gb
20:20 e, ai suoi occhi, il dono migliore, che brama intensamente.

(b) Quanti sforzi fa per ottenerlo: È ciò che con fatica aveva acquistato, Gb 20:18 D non
con fatiche oneste in un’occupazione lecita, ma con un’instancabile applicazione di ogni
mezzo e di ogni metodo, per fas, per nefas-per il bene o per il male, pur di arricchirsi.
Dobbiamo affannarci non per diventare ricchi, Pr 23:4 ma per poter essere caritatevoli,
onde abbiamo di che far parte Ef 4:28 con altri, e non di che spendere.

(c) Che grandi ricchezze si promette: ruscelli, fiumi e torrenti del miele e del burro. Gb
20:17 D La delusione nel non poterli ottenere indica che si era illuso con la speranza di
averli. Si aspettava fiumi di piaceri sensuali.

3. La violenza, l’oppressione e l’ingiustizia verso i suoi poveri vicini. Gb 20:19 Era il peccato
dei giganti di una volta, un peccato che attira particolarmente i giudizi di Dio sulle nazioni
e sulle famiglie. Elifaz accusa questo empio:

(a) Di avere abbandonato i poveri, senza prendersene cura, senza dimostrare


compassione e senza porgere aiuto. All’inizio, forse, come i Farisei, per sfoggio e per farsi
una buona reputazione, aveva dato delle elemosine. Quando però quei gesti erano serviti
ai suoi scopi, li aveva abbandonati, lasciando i poveri di cui aveva finto di interessarsi. Chi
fa del bene, ma non per un buon motivo, per quanto ne faccia, non lo farà a lungo.

(b) Di avere oppresso i poveri e di averli schiacciati, approfittando di loro per sfruttarli. Li
aveva derubati per arricchirsi, impoverendoli ancora di più.

(c) Di essersi impadronito delle loro case, su cui non aveva alcun diritto, come Acab si
impadronì della vigna di Nabot, non per qualche inganno segreto, per contraffazione, per
spergiuro o per qualche imbroglio legale, ma apertamente e con piena violenza.

II. La sua punizione per quell’iniquità.

1. Le sue aspettative saranno deluse, e non troverà, nelle ricchezze di questo mondo,
quella soddisfazione che si era inutilmente promesso: Non vedrà i ruscelli, i fiumi, i torrenti
del miele e del burro, di cui sperava di riempirsi. Gb 20:17 D Il mondo non corrisponde ai
sogni di chi lo ama, lo cerca e lo ammira. Le sue gioie sono ben inferiori alle aspettative.

2. Sarà malato e infermo. Le ricchezze portano poco conforto a chi non è in buona salute.
La malattia e la sofferenza, soprattutto se estreme, offuscano ogni piacere. Questo empio

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 164


ha tutte le gioie sensoriali da cui può trarre le massime soddisfazioni, ma come può essere
felice se le sue ossa sono ripiene degli eccessi della sua gioventù, Gb 20:11 D cioè, degli
effetti di quegli eccessi? L’ubriachezza, la ghiottoneria, le corruzioni e l’immoralità della sua
gioventù gli hanno lasciato in corpo dei mali di cui soffre ancora molti anni dopo e che
forse rendono misera la sua esistenza, come disse Salomone, consumando la sua carne e
il suo corpo. Pr 5:11 Forse, da giovane, gli piaceva lottare, e non fece caso a un colpo
sostenuto, di cui però risente nelle ossa molto tempo dopo. Non può trovare sollievo? No,
porterà i suoi dolori e i suoi mali con sé nella tomba, o piuttosto saranno loro a condurvi
lui. I peccati della sua gioventù giaceranno nella polvere con lui. Il fatto stesso che il suo
corpo finirà per putrefarsi nella tomba è l’effetto del peccato. Gb 24:19 La sua iniquità gli
rimarrà nelle ossa. Ez 32:27 Il peccato degli empi li accompagna dopo la morte.

3. Sarà inquieto e turbato: Non ha mai sentito riposo nel suo ventre. Gb 20:20 D Non ha
quella serenità che ci si aspetterebbe, ma è sempre agitato. Le ricchezze mal guadagnate
che ha inghiottito lo fanno star male e, come un cibo non digerito, continuano a
tormentarlo. Non ci si aspetti di godere tranquillamente ciò che si è ottenuto
ingiustamente. L’agitazione della sua mente nasce:

(a) Dai rimorsi di coscienza, che lo riempiono del timore dell’ira di Dio accesa contro di lui
per la sua iniquità. Anche l’iniquità che era stata commessa con piacere, trattenuta sotto la
lingua come un boccone prelibato, diventa amara al ripensarci e riempie l’animo di orrore
e di tormento. Gli si trasforma nelle viscere Gb 20:14 come il libro di Giovanni, che fu
dolce in bocca, come miele, ma quando l’ebbe divorato, le sue viscere sentirono amarezza.
Ap 10:10 È così il peccato, che diventa in corpo veleno d’aspide, più che mai fatale, e fiele
d’aspide, più che mai amaro. Gb 20:16 Ciò che aveva succhiato con tanto godimento e con
piacere, e ogni suo guadagno illecito saranno solo del veleno d’aspide. La lingua insincera
dimostra di essere una lingua di vipera. Quando si risveglia la coscienza, il fascino del
peccato si trasforma in una furia violenta.

(b) Dalle sue preoccupazioni per il futuro. Gb 20:22 Nel colmo dell’abbondanza, quando si
reputerà più felice e quando sarà più sicuro che la sua gioia continuerà, si troverà in
penuria, cioè, si riterrà povero, per le ansietà e le perplessità della sua mente, come quel
ricco che, dopo un abbondante raccolto, disse: Che farò? Lu 12:17

4. Perderà i suoi averi, che svaniranno nel nulla, e non godrà dei suoi beni. Gb 20:18 Non
solo non ne godrà mai appieno, ma presto non ne godrà per niente.

(a) Dovrà rigettare quello che aveva inghiottito ingiustamente: Ha trangugiato ricchezze,
ritenendole sue come il cibo che aveva mangiato, ma si ingannava: le vomiterà. Gb 20:15
La sua coscienza forse lo metterà così a disagio riguardo ai beni che aveva tenuto che, per
poter ritrovare un po’di pace interiore, li restituirà, non per amore della virtù, ma per il
dolore del rigurgito, con la più grande riluttanza. Oppure, se non restituirà
spontaneamente quello che ha ottenuto con violenza, Dio, nella sua provvidenza, lo
costringerà a farlo, ridando, in un modo o nell’altro, quei beni mal acquistati ai loro giusti
padroni: Iddio stesso glieli ricaccerà dal ventre, anche se l’amore del peccato non è
cacciato dal suo cuore. Le grida dei poveri che ha derubato saranno così forti che sarà
costretto a mandare i suoi figli a rappacificarli e a chiedere perdono: I suoi figliuoli
procacceranno il favor de’poveri. Gb 20:10 D Le sue mani, con imbarazzo, dovranno
restituire i loro beni: Egli renderà ciò che con fatica avrà acquistato, cioè con ogni metodo

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 165


di oppressione, senza però poterlo digerire, senza poterlo tenere. Pari alla sua ricchezza
sarà la restituzione che ne dovrà fare. Gb 20:18 Avendo, ingiustamente, ottenuto molto,
restituirà molto. Quando tutti avranno riavuto i loro beni, gli rimarrà ben poco. Essere
costretti dalla grazia santificatrice di Dio a restituire dei beni ottenuti ingiustamente, come
nel caso di Zaccheo, è un atto di misericordia divina. Zaccheo restituì volontariamente e
gioiosamente quattro volte tanto, ed ebbe ancora molto da dare ai poveri. Lu 19:8 Essere
invece costretti a fare restituzione dai terrori di una coscienza disperata, come nel caso di
Giuda, non reca alcun giovamento o conforto. Giuda infatti, lanciati i sicli nel tempio,
s’allontanò e andò ad impiccarsi.

(b) Sarà spogliato di tutto e diventerà un mendicante. Chi aveva devastato gli altri sarà
devastato. Is 33:1 La mano di tutti gli empi si leverà contro di lui. Gb 20:22 KJV Gli
innocenti che aveva fatto soffrire diranno, come Davide: Il male vien dai malvagi; io quindi
non gli metterò le mani addosso. 1Sa 24:13 Lo perdoneranno, senza vendetta. La giustizia
divina, invece, si vendicherà, spesso lasciando che siano gli empi a vendicare i torti dei
giusti, schiacciando un malvagio per mano di un altro. Tra tanti tormenti, non salverà nulla
di ciò che ha tanto bramato, Gb 20:20 assolutamente nulla. Nulla gli rimarrà da mangiare,
nessun cibo che aveva desiderato tanto e di cui si era nutrito con tanto piacere. Gb 20:21
D Tutti i suoi vicini e parenti lo considereranno così malridotto che, dopo la sua morte,
nessuno cercherà i suoi averi, nessuno si aspetterà di ricevere un centesimo e nessuno
vorrà leggere le sue istruzioni riguardo ai beni rimasti. In tutto quel discorso, Zofar si
riferisce a Giobbe, che aveva perso tutto ed era ridotto agli estremi.

Gb 20:23-29

Zofar, dopo aver descritto le numerose perplessità e i vari turbamenti che normalmente
accompagnano le malvage abitudini degli oppressori e degli uomini crudeli, descrive la loro
distruzione finale.

I. La loro rovina deriverà dall’ira e dalla vendetta di Dio. Gb 20:23 La mano di tutti gli empi
si leverà contro di lui. Gb 20:22 KJV La sua mano si era levata contro tutti, quindi ogni
mano si leverà contro di lui. Anche se, contro di loro, potrà forse riuscire a difendersi, il
suo cuore non reggerà e le sue mani non saranno forti il giorno che Dio agirà contro di lui,
Ez 22:14 quando Iddio manderà contro a lui l’ardore della sua ira e gliela farà piovere
addosso. Ogni parola di questo versetto comunica terrore. Non sarà solo la giustizia di Dio
a levarsi contro di lui, ma la sua ira, il profondo risentimento delle sue provocazioni,
l’ardore della sua ira accesa al massimo. Dio gliela manderà con forza e con furore,
facendogliela piovere addosso in abbondanza. Cadrà sul suo capo come il fuoco e lo zolfo
su Sodoma, a cui si riferì il salmista, dicendo: Egli farà piovere sull’empio carboni accesi e
vento infuocato. Sl 11:6 L’unico riparo da quell’ira è in Cristo, il solo rifugio dalla tempesta
e dall’uragano. Is 32:2 Quell’ira gli cadrà addosso quando starà per riempirsi il ventre, cioè
per gozzovigliare con ciò che si era procurato, promettendosi grandi soddisfazioni. La
tempesta lo sorprenderà proprio nel mezzo del suo pasto, quando si sentirà al sicuro e a
suo agio, senza temere alcun male. La distruzione del mondo antico e quella di Sodoma
avvennero quando gli uomini si sentivano più che mai al sicuro e quando più godevano dei
piaceri sensuali, come fa notare Cristo Lu 17:26 ss. Forse Zofar si riferisce ai figli di Giobbe
che erano morti mentre mangiavano e bevevano.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 166


II. Sarà una rovina inevitabile, senza scampo: Fuggirà dalle armi di ferro. Gb 20:24 D La
fuga dimostra colpevolezza. Non cercherà di umiliarsi di fronte ai giudizi di Dio, né di far
pace con lui. Vorrà solo sfuggire, inutilmente, alla vendetta che lo insegue. Se anche
riuscisse a scappare alla spada, un arco di rame lo trafiggerà. Dio ha ogni genere di armi:
Aguzza la spada e tende l’arco. Sl 7:12,13 Può combattere i suoi nemici cominus vel
eminus-da vicino o da lontano. Ha una spada per chi pensa di poterlo combattere con le
proprie forze e un arco per chi pensa di poterlo evitare con il proprio ingegno. cfr. Is
24:17,18 Gr 48:43,44 Chi è destinato alla distruzione, può sfuggire a un giudizio, ma ne
troverà un altro.

III. Sarà una rovina totale. Quando il dardo che lo ha trafitto (Dio non sbaglia la mira, e
quando tira, colpisce il bersaglio) gli è strappato dal corpo, e quando la punta sfolgorante
(letteralmente, il fulmine), la spada infuocata, che s’è inebriata nel cielo, Is 34:5 gli vien
fuori dal fiele, lo assalgono i terrori della morte! Come saranno gravi le sue convulsioni e
violente le agonie della sua morte! Com’è tremenda la morte per un empio!

IV. A volte, arriverà inosservata. Gb 20:26

1. Le tenebre che lo avvolgono sono nascoste. Tutte le tenebre, un’oscurità totale, senza
un solo raggio di luce, saran nascoste ne’suoi nascondimenti, dove si sarà ritirato
sperando di trovare rifugio. Non può ritirarsi nella propria coscienza senza trovarsi
all’oscuro e totalmente perduto. Gb 20:26 D

2. Il fuoco che lo consuma è un fuoco non soffiato, acceso silenziosamente, di cui tutti
vedono l’effetto, ma non la causa. Se un ricino secca, è chiaro, ma il verme che lo ha fatto
seccare, distruggendo le radici, rimane nascosto. Quest’empio è consumato da un
fuocherello leggero, efficace, ma molto lento. Se il combustibile brucia bene, non c’è
bisogno di soffiare sul fuoco. È così in questo caso: è pronto alla distruzione. Tutti i
superbi e chiunque opera empiamente saranno come stoppia Ml 4:1 Un fuoco
inestinguibile, com’è certamente il fuoco infernale, lo divorerà (secondo l’interpretazione di
alcuni).

V. Sarà una rovina non solo per lui, ma per la sua famiglia: Chi sopravvivrà nel suo
tabernacolo, capiterà male, perché la maledizione lo raggiungerà e lo distruggerà, forse
per la stessa malattia. L’ira si estende ai familiari, distruggendo sia gli eredi che l’eredità.
Gb 20:28

1. I suoi posteri non rimarranno: I frutti della sua casa se ne andranno, Gb 20:28 KJV per
una morte precoce o per un’esilio forzato. Anche le famiglie numerose e feconde, se sono
malvage e abiette, sono ben presto disperse e distrutte dai giudizi di Dio.

2. I suoi beni finiranno. Ogni cosa sua scorrerà via dalla sua famiglia con la stessa rapidità
con cui era stata acquistata. Verrà infatti il giorno dell’ira, per il quale, accrescendo i suoi
averi con la frode e l’oppressione, accumulava un tesoro d’ira.

VI. Sarà una rovina chiaramente giusta, che si sarà causato da solo con la sua malvagità.
Il cielo rivelerà la sua iniquità, cioè, il Dio del cielo, che vede tutta l’empietà segreta dei
malvagi, renderà nota, in un modo o nell’altro, l’abiettezza di quest’uomo, perché la
giustizia di Dio sia riconosciuta nei suoi provvedimenti. Gb 20:27 La terra insorgerà contro

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 167


di lui, sia per scoprire che per punire la sua empietà. La terra metterà allo scoperto il
sangue che ha bevuto. Is 26:21 La terra insorgerà contro di lui (come lo stomaco si ribella
al cibo avariato), e lo rigetterà. Il cielo rivelerà la sua iniquità, e quindi non lo riceverà.
Dove andrà allora se non all’inferno? Se il Dio del cielo e della terra sarà il suo nemico, né
il cielo né la terra gli dimostreranno favore, ma manderanno i loro eserciti a combatterlo.

VII. Zofar conclude il discorso da oratore: Tale la parte che Dio riserba all’empio, Gb 20:29
ciò che gli spetta, ciò che gli è assegnato, la sua porzione. La riceverà alla fine, come la
porzione che si dà a un figlio, eternamente. Dovrà rispettarla: Tale è il retaggio che Dio gli
destina, la regola del suo giudizio. Ne riceve un giusto avvertimento: Empio, per certo tu
morrai! Ez 33:8 Anche se i peccatori impenitenti non sono sempre colpiti da giudizi
materiali come quelli descritti qui (per cui Zofar si sbagliava), l’ira di Dio dimora su di loro
e i suoi giudizi spirituali, ben peggiori degli altri, li rendono miserabili. La loro coscienza
può terrorizzarli, lasciandoli perpetuamente confusi, o può cauterizzarsi e rimanere in
silenzio, abbandonandoli a una mente reproba e destinandoli a una distruzione eterna. È
una dottrina che Zofar spiega benissimo e applica malissimo, nel tentativo di dimostrare
che Giobbe è un ipocrita. Riceviamo quindi questa buona spiegazione e cerchiamo di
applicarla meglio, come avvertimento di temere Dio e di non peccare.

Giobbe 21

Troviamo qui la risposta di Giobbe al discorso di Zofar, in cui si lamenta meno di prima
delle proprie miserie (dato che le sue lamentele non avevano per niente mosso a
compassione i suoi amici), e tratta piuttosto la questione generica che stavano discutendo,
cioè se la prosperità materiale e la sua durata in questo mondo siano un segno così chiaro
della vera chiesa e dei suoi veri membri, che la rovina di un individuo, senza altre prove
contro di lui, possa bastare a dimostrarlo ipocrita. Era la tesi dei suoi amici, che Giobbe
negava.

I. La sua prefazione, intesa a commuoverli per attirare la loro attenzione. Gb 21:1-6

II. Il suo discorso, inteso a convincerli e a rettificare i loro errori. Giobbe ammette che Dio,
a volte, trattiene gli empi come se fossero in catene, in terrorem-per incutere terrore negli
altri, inviando qualche straordinaria punizione in questa vita, ma nega che lo faccia in ogni
caso. Anzi, afferma che, di solito, Dio agisce diversamente, permettendo anche ai più
grandi malvagi di vivere tutta la vita in prosperità e di andare all’altro mondo senza nessun
visibile segno della sua ira contro di loro.

1. Descrive la grande prosperità degli empi. Gb 21:7-13

2. Dimostra la loro grande irreligiosità, cementata dalla loro prosperità. Gb 21:14-16

3. Predice la loro eventuale distruzione, dopo un lungo intervallo. Gb 21:17-21

4. Osserva la grande varietà dei metodi della provvidenza divina verso gli uomini, compresi
i malvagi. Gb 21:22-26

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 168


5. Dimostra infondate le loro severe critiche, dimostrando che la distruzione degli empi è
serbata per il mondo a venire, e che di solito essi la sfuggono in questo mondo, Gb 21:27-
34 e aveva chiaramente ragione.

Gb 21:1-6

presenta la sua causa e il suo discorso, ciò che aveva sofferto e ciò che aveva detto, alla
considerazione compassionevole dei suoi amici.

1. La sua richiesta è molto giusta: che lo lasciassero parlare Gb 21:3 senza interromperlo
nel mezzo di un discorso, come aveva fatto Zofar. Anche i perdenti hanno il diritto di
parlare. Se non permettiamo a chi è accusato e biasimato di esprimersi in sua difesa, gli
facciamo un gran torto e non gli diamo la possibilità di giustificarsi. Giobbe li prega di
ascoltare diligentemente i suoi discorsi, Gb 21:2 cercando di comprenderlo e di rettificare
qualunque loro errore. Voleva che lo guardassero, Gb 21:5 perché non serve ascoltare
senza prestare attenzione.

2. La sua richiesta è molto ragionevole.

(a) Erano venuti a confortarlo. « No », dice lui. « Sia questa la consolazione che mi date.
Gb 21:2 Se non avete altro conforto da offrirmi, non negatemi almeno questo. Siate così
gentili e giusti da darmi pazientemente ascolto, e sarà così che mi consolerete ». Non
potevano sapere come confortarlo senza permettergli di descrivere la sua condizione e di
raccontare la sua storia. Oppure: « Sarà una consolazione per voi il sapere di aver trattato
con cortesia un vostro amico afflitto ».

(b) Voleva che parlassero quand’era il loro turno. « Dopo avermi lasciato parlare, potrete
dire ciò che volete. Non ve lo impedirò, anche se continuate a deridermi ». Chi partecipa a
una controversia deve aspettarsi dei commenti sgarbati e impegnarsi a sopportare
pazientemente le accuse. Di solito, infatti, chi deride continuerà in ogni caso.

(c) Sperava di poter convincerli. « Se mi permetterete di parlare, deridetemi pure, ma


credo di poter cambiare il vostro atteggiamento e farmi compatire invece che schernire ».

(d) Non erano i suoi giudici: « Il mio lamento si addirizza egli ad un uomo? Gb 21:4 D No,
altrimenti servirebbe a poco. Si rivolge invece a Dio, a cui mi appello. Sia lui il Giudice tra
voi e me. Di fronte a lui noi siamo allo stesso livello, e quindi ho lo stesso privilegio di
essere udito. Se il mio lamento fosse rivolto agli uomini, sarei angosciato, perché non mi
ascolterebbero e non mi comprenderebbero. È diretto invece a Dio, che mi permetterà di
parlare, anche se voi non lo fate ». Sarebbe triste se Dio ci trattasse con la stessa
scortesia con cui ci trattano a volte i nostri amici.

(e) La sua situazione era, in un certo senso, eccezionale e insolita, e richiedeva e meritava
la loro più seria considerazione. Non era un caso comune, ma era molto straordinario. [1]
Giobbe stesso era sorpreso da tutti i guai che Dio gli aveva mandato e dalle critiche dei
suoi amici: « Quando penso a quel giorno tremendo in cui fui improvvisamente spogliato
di tutti i miei beni, quel giorno in cui fui colpito da ulcere dolorose, e a tutte le aspre
parole con cui mi avete addolorato, confesso che sono smarrito, e la mia carne è presa da
raccapriccio, soprattutto quando confronto la mia condizione con quella prospera di tanti

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 169


malvagi in questo mondo, che vivono tra gli applausi generali ». Gb 21:6 Notate: Gli atti
della provvidenza divina nel governare il mondo spesso sorprendono e turbano anche gli
uomini saggi e giusti. [2] Giobbe voleva provocare il loro stupore: « Guardatemi, stupite.
Invece di spiegare i miei guai, dovreste adorare i misteri imperscrutabili della provvidenza
che affligge una persona che visibilmente non ha mai fatto alcun male. Dovreste quindi
mettetevi la mano sulla bocca per non parlarne e per non giudicare fuori tempo. Gb 21:5
La via di Dio è in mezzo al mare, e i suoi sentieri in mezzo alle grandi acque. Se non
possiamo spiegare le sue azioni, quando permette ai malvagi di prosperare e ai giusti di
essere afflitti, e non comprendiamo la profondità di quegli atti, dobbiamo fermarci ad
ammirarli. Gli uomini retti ne son colpiti di stupore. Gb 17:8 Siatelo anche voi ».

Gb 21:7-16

Tutti e tre gli amici di Giobbe, nei loro discorsi, avevano descritto profusamente la
miserabile condizione degli empi in questo mondo. « È vero », dice Giobbe, « a volte dei
notori peccatori ricevono straordinarie punizioni, ma non sempre. Ci sono molti esempi
della grande, lunga prosperità di individui apertamente e ostinatamente malvagi, che
persiste, anche se li rende ancora più incalliti ».

I. Descrive la loro prosperità dettagliatamente. « Se ciò che dite è vero, perché mai vivono
gli empi? ». Gb 21:7

1. Il fatto è preso per scontato, perché li vediamo ogni giorno.

(a) Vivono, e non sono immediatamente distrutti dalla vendetta divina. Chi parla contro il
cielo continua a vivere. Chi tende la mano contro Dio continua ad agire. Non solo vivono
(cioè, la loro morte è rimandata), ma vivono in Prosperità,1Sa 25:6 KJV Anzi,

(b) Arrivano alla vecchiaia. Hanno l’onore, la soddisfazione e il vantaggio di vivere a lungo,
abbastanza da far crescere le loro famiglie e i loro averi. Leggiamo di un peccatore a
cent’anni. Is 65:20 Ma non è tutto.

(c) Crescon di forze, sono promossi a posizioni di autorità e di fiducia e non solo fanno una
grande figura, ma hanno una grande influenza. Vivit imo, et in senatum venit-Non solo
vive, ma appare in senato. Perché? Notate: È giovevole cercare il motivo della prosperità
esteriore degli empi. Non è perché Dio ha abbandonato la terra, né perché non vede, non
odia o non può punire la loro malvagità. È perché la loro iniquità non ha raggiunto il
culmine. È il momento della pazienza di Dio che, in un modo o nell’altro, si serve di loro e
della loro prosperità per i suoi fini, mentre li prepara alla rovina. Il motivo principale è
comunque quello di far sapere che le retribuzioni appartengono a un altro mondo, e non a
questo.

2. Giobbe definisce la prosperità degli empi:

(a) Completa e totale. [1] Si moltiplicano e hanno la soddisfazione di veder crescere le loro
famiglie: La loro progenie prospera, sotto ai loro sguardi. Gb 21:8 Giobbe ne parla per
primo, perché è sia una grande soddisfazione che una piacevole prospettiva. [2] Stanno
comodi e al sicuro: Mentre Zofar aveva parlato dei loro continui terrori, Giobbe dice: La
loro casa è in pace, sicura sia dal pericolo che dal timore. Gb 21:9 Non solo non sono

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 170


colpiti dalle ferite mortali della spada o delle frecce di Dio, ma non sentono nemmeno i
colpi della sua verga. [3] Sono ricchi e benestanti. Di questo dà solo un esempio: Il
bestiame si moltiplica, senza dare delusioni e continuando a crescere. Nemmeno una
mucca abortisce. Gb 21:10 È l’adempimento di una promessa. Eso 23:26 De 7:14 [4]
Vivono felici e contenti: Mandan fuori come un gregge i loro piccini, tra i vicini, perché si
divertano. Hanno le loro feste e danze dove i loro figliuoli saltano e ballano. Il ballo è
soprattutto per i bambini, che non sanno come passar meglio il tempo e che sono
prevenuti dalla loro innocenza contro i mali che vi sono comunemente associati. Se i
genitori non sono abbastanza giovani e scherzosi da ballare, cantano a suon di timpano e
di cetra. Suonano, e i bambini ballano. Non hanno dolori che fermino la musica o
rattristino il cuore. Secondo alcuni, è una dimostrazione di vanità, oltre che di prosperità.
Non si prendono cura dei figli come faceva Abramo, che insegnava la via dell’Eterno. Ge
18:19 I loro figli non pregano e non recitano il catechismo, ma ballano, cantano e si
rallegrano al suon della zampogna. Gb 21:11,12 I piaceri sensoriali sono le uniche gioie
delle persone carnali, che allevano i figli allo stesso modo.

(b) Continua e costante: Trascorrono nel benessere i loro giorni, senza conoscere il
bisogno, e nella gioia, senza conoscere tristezza. Alla fine, senza avvertimenti che li
spaventino e senza angoscia o agonia, in un momento scendono nello Sceol, e non vi sono
dolori nella loro morte. Gb 21:13 ND Se non ci fosse altra vita dopo questa, la morte
migliore sarebbe la più rapida possibile. Dato che dobbiamo scendere nello Sceol, se non
ci fosse altro dopo di quello, dovremmo desiderare di andarci in un momento, inghiottendo
la pillola amara senza masticarla.

II. Descrive come abusano della prosperità, che li rende più incalliti e imperterriti nella loro
irreligiosità. Gb 21:14,15

1. L’oro e l’argento servono a indurirli, rendendoli più insolenti e impudenti nella loro
malvagità. Giobbe ne parla:

(a) Per complicare la perplessità. È già strano che degli empi prosperino tanto, ma
soprattutto che prosperino quelli che arrivano al punto da sfidare apertamente Dio stesso,
dicendogli in faccia che non gli importa niente di lui, ed è strano che la loro prosperità
continui, anche se si sorreggono con quella per opporsi a Dio. La usano come arma contro
di lui, e non sono disarmati. Oppure:

(b) Per alleviare la perplessità. Dio gli permette di prosperare, ma non meravigliamoci: La
prosperità degli stolti li farà perire, rinsaldandoli nel peccato. Pr 1:32 Sl 73:7-9

2. Notate come quei prosperi peccatori prestano poca attenzione a Dio e alla religione,
come se, avendo tanto in questo mondo, non avessero bisogno di fare provvedimenti per
il prossimo. Notate come:

(a) Disprezzano Dio e la religione, abbandonandoli ed evitando di pensarci. [1] Odiano la


presenza di Dio. Gli dicono: « Ritirati da noi. Non vogliamo preoccuparci di essere visti da
te o trattenuti dal tuo timore ». Oppure gli dicono di andarsene perché pensano di non
averne bisogno. Hanno scelto il mondo e pensano di esserne felici. Finché ce l’hanno,
possono vivere senza Dio. Dio dirà quindi giustamente: Andate via Mt 25:41 a chi ha
mandato via lui, e giustamente li prende in parola. [2] Odiano la conoscenza di Dio, della

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 171


sua volontà e del loro dovere verso di lui: Noi non ci curiamo di conoscer le tue vie. Chi
non vuole seguire le vie di Dio non desidera conoscerle, perché quella conoscenza sarebbe
un continuo rimprovero alla loro disubbidienza. Gv 3:19

(b) Contrastano Dio e la religione: Che è l’Onnipotente? È strano che delle creature parlino
con tanta insolenza e che degli esseri ragionevoli si esprimano in modo così assurdo e
irrazionale. I due grandi legami che ci attirano e uniscono alla religione sono il dovere e
l’interesse, e questi empi cercano di romperli entrambi. [1] Non credono che essere
religiosi sia il loro dovere: Che è l’Onnipotente perché lo serviamo? Gb 21:15 Il Faraone
aveva detto: Chi è l’Eterno ch’io debba ubbidire alla sua voce? Eso 5:2 Osservate: Prima di
tutto, con che disprezzo parlano di Dio: Che è l’Onnipotente?, come se fosse solo un
nome, una sigla, o qualcosa con cui non avevano niente a che fare e che non significava
niente per loro. In secondo luogo, con che durezza parlano della religione. Lo chiamano
servizio, come se fossero duri lavori. Non basta, pensano, comunicare con l’Onnipotente,
ma devono anche servirlo, che è per loro una fatica e un peso. In terzo luogo, con che
superbia parlano di se stessi: « Perché lo serviamo? Noi che siamo ricchi e potenti
dobbiamo sottometterci e rendere conto a lui? No, siamo signori ». Gr 2:31 [2] Non
credono che sia nel loro interesse essere religiosi: Che guadagneremo a pregarlo? Tutti
cercano un guadagno, e i beni della saggezza sono trascurati perché non danno un
apparente profitto. È vano servire Iddio. Ml 3:13,14 La preghiera non paga i debiti e non
dà figli. Anzi, forse un’intensa religiosità può compromettere la fama e provocare perdite.
E allora? Solo la ricchezza e l’onore di questo mondo sono guadagni? Se otteniamo il
favore di Dio e delle benedizioni spirituali ed eterne, non abbiamo motivo di lamentarci di
perdite causate dalla religione. Se la preghiera non ci giova a nulla, è colpa nostra, Is
58:3,4 perché domandiamo male. Gm 4:3 La religione di per sé non è vana. Se lo è per
noi, possiamo ringraziare noi stessi perché ne restiamo al di fuori. Gm 1:26

III. Dimostra la loro follia e nega assolutamente di avere a che fare con loro: Non hanno
in mano il loro benessere, Gb 21:16 KJV cioè, non l’hanno ottenuto senza l’intervento di
Dio, e sono quindi molto ingrati nel disprezzarlo. Non era stata la loro forza e la potenza
della loro mano ad arricchirli, e avrebbero dovuto ricordare il Dio che lo aveva fatto. Non
possono nemmeno conservare quelle ricchezze senza l’intervento di Dio, e sono quindi
molto stupidi ad abbandonarlo e a mandarlo via. Secondo alcuni, significa: « I loro beni
sono nei granai e nelle borse, al sicuro. Non sono nelle loro mani, dove potrebbero essere
usati per aiutare gli altri. Che bene possono quindi fargli? ». « Di conseguenza », dice
Giobbe, « il consiglio degli empi sia lontano da me. Lungi da me che sia d’accordo con
loro, parlando e agendo come loro, e che accetti le loro direttive. I loro successori
approvano i loro detti, anche se questa loro condotta è una follia, Sl 49:13 ma io non
seguo i loro consigli ».

Gb 21:17-26

Dopo aver dato una lunga descrizione della prosperità degli empi, in questi versetti
Giobbe:

I. La confronta con le affermazioni dei suoi amici sulla loro certa rovina in questa vita:
« Quando avviene mai che la lucerna degli empi si spenga? Non brucia spesso fino alla
fine, spegnendosi da sola? Quando avviene mai che piombi loro addosso la ruina, e che
Dio, nella sua ira, li retribuisca di pene? Gb 21:17 Non li vedete spesso felici e prosperi

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 172


fino alla fine? ». Forse ci sono altrettanti esempi di notori peccatori che finiscono la vita tra
lo sfarzo quanti ce ne sono che la terminano in miseria, il che già basta a contraddire i loro
ragionamenti contro Giobbe e a dimostrare che non si può giudicare accuratamente il
carattere di un uomo basandosi sulla sua condizione esteriore.

II. Lo dimostra coerente con la santità e la giustizia di Dio. Anche se gli empi prosperano
tutta la vita, non dobbiamo pensare che Dio permetta alla loro iniquità di continuare senza
essere punita. No,

1. Anche quando prosperano sono come paglia e pula portate via dall’uragano. Gb 21:18
Non hanno peso, né valore e non contano agli occhi di Dio o degli uomini saggi e giusti.
Sono destinati alla distruzione e ne sono continuamente esposti. Anche al culmine del loro
sfarzo e del loro potere sono solo a un passo dalla rovina.

2. Anche se passano tutta la vita tra le ricchezze, Dio serba castigo per i loro figli, Gb
21:19 distruggendo la loro prosperità dopo la loro morte. L’oppressore tiene i suoi beni per
i figli, a cui vuole assicurare un certo prestigio, ma Dio tiene a mente la sua iniquità per
farne dei mendicanti. Tiene un esatto conto dei peccati dei padri, sigillandoli nei suoi
tesori, De 32:34 e punisce giustamente i figli che si ritrovano in mano quelle ricchezze
contro cui si attacca la maledizione.

3. Anche se prosperano in questo mondo, Dio farà i conti con loro nel prossimo. Alla fine
renderà a loro secondo le loro opere, Gb 21:19 D anche se la sentenza contro le loro
cattive azioni non sarà eseguita prontamente. Forse ora non possono temere l’ira a venire,
illudendosi con la speranza di avere pace perpetua, ma la proveranno nel giorno della
rivelazione del giusto giudizio di Dio. Se ne accorgeranno: Che vegga con gli occhi propri
la sua ruina a cui non aveva voluto credere. Gb 21:20 Non vogliono vederla, ma la
vedranno. Is 26:11 KJV Gli occhi ostinatamente chiusi alla grazia di Dio saranno aperti alla
sua distruzione. Beva egli stesso l’ira dell’Onnipotente. Sarà la sua porzione (cfr. Sl 11:6
con Ap 14:10). La miseria dei peccatori dannati è presentata in poche, ma terribili, parole.
Sono sotto l’ira di un Dio Onnipotente che, distruggendoli, manifesta la sua collera e rende
noto il suo potere. Se questa è la loro condizione nell’altro mondo, che giovamento
ricaveranno dalla loro prosperità in questo? Che piacere prova nella sua casa dopo la
morte? Gb 21:21 KJV Il nostro Salvatore ci dice come fu scarno il piacere del ricco, nella
sua dimora infernale, quando il ricordo dei beni ricevuti in vita non gli rinfrescarono la
lingua, ma aggravarono la sua miseria, e il doloroso pensiero dei cinque fratelli rimasti in
vita lo seguì in quel luogo di tormento. Lu 16:25-28 I guadagni di questo mondo giovano
poco a chi perde la sua anima.

III. Lascia che sia la saggezza e la sovranità di Dio a determinare se la Provvidenza dovrà
trattare un empio diversamente da un altro: S’insegnerà forse a Dio la scienza? Gb 21:22
Osiamo dire a Dio cosa fare o biasimare la sua condotta? Gli diremo come governare il
mondo e quale peccatore salvare e quale punire? Dio ha l’autorità e la capacità di
giudicare chi sta in alto. Gli angeli in cielo e i príncipi e i magistrati sulla terra devono
rendergli conto delle proprie azioni e accettare il destino che ha stabilito. Dio li amministra
secondo il suo piacere. Dovrà quindi rendere conto delle sue azioni a noi, o ricevere i
nostri suggerimenti? È il Giudice di tutta la terra e quindi indubbiamente farà ciò che è
giusto, Ge 18:25 Ro 3:6 dimostrando che quegli atti della provvidenza che sembrano
contraddittori sono non solo in armonia tra di loro, ma anche utili ai suoi fini. Giobbe

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 173


confronta la minima differenza che c’è tra un empio che muore tra il dolore e la miseria [e
un altro], quando si incontreranno poi entrambi all’inferno, con la minima differenza che
c’è tra un uomo che muore improvvisamente e uno che muore lentamente, mentre
finiranno entrambi nella tomba. C’è una sproporzione tale tra il tempo e l’eternità che, se
ogni peccatore finirà all’inferno, non importa se uno ci va cantando e un altro sospirando.
Notate:

1. Le diverse circostanze della morte. Si dice spesso che c’è un solo modo per entrare nel
mondo, ma ce ne sono molti per uscirne. Alcuni però nascono con un parto facile e veloce
e altri con un parto lungo e doloroso. Allo stesso modo, la morte è più tremenda per alcuni
che per altri. Dato che è in realtà la nascita dell’anima in un altro mondo, l’agonia della
morte può essere giustamente paragonata alle doglie del parto. Notiamo le differenze:

(a) Uno muore rapidamente, nel suo pieno vigore, non indebolito dall’età o dalla malattia,
Gb 21:23 ND tutto tranquillo e sicuro, senza pensare alla morte e senza timore. Al
contrario, dato che ha i seni pieni di latte e fresco il midollo delle ossa, Gb 21:24 KJV cioè,
è sano, robusto e di forte costituzione (come una mucca da latte, grassa e ben fatta), si
aspetta di vivere a lungo tra la gioia e il piacere. Ha grandi speranze di vita, ma è troncato
in un attimo dal colpo della morte. Notate: Molti muoiono al pieno delle forze e al massimo
della salute, quando meno se l’aspettano e quanto più si sentono sicuri, pronti, non solo a
tenere lontana la morte, ma a sfidarla. Non riteniamoci quindi mai al sicuro, perché
vediamo molte persone sane che muoiono nel giro di una settimana, di un giorno, di
un’ora e perfino di un minuto. Teniamoci quindi sempre pronti.

(b) Un altro muore lentamente, tra grande dolore e miseria, con l’amarezza nell’anima,
come il povero Giobbe in quel momento, senza mai gustare il bene, Gb 21:25 KJV senza
appetito o desiderio di cibo, per via della malattia, dell’età o del dispiacere. Come abbiamo
motivo di essere grati se siamo in buona salute e mangiamo sempre con piacere! E come
non abbiamo motivo di lamentarci se a volte non riusciamo a mangiare, quando tanti altri
non riescono mai!

2. La minima differenza nella tomba. Ricchi e poveri, sani e malati, tutti vi arrivano: Gb
21:26 Ambedue giacciono ugualmente nella polvere, e i vermi li ricoprono, nutrendosene
con piacere. Se quindi un empio muore in un palazzo e un altro in una cella, si
incontreranno nella congregazione dei morti e dei dannati, e il verme immortale e il fuoco
inestinguibile li tratteranno allo stesso modo, rendendo quelle differenze insulse e le
nostre perplessità inutili.

Gb 21:27-34

In questi versetti:

I. Giobbe contrasta la persistente opinione dei suoi amici, cioè che gli empi, e solo gli
empi, subiranno indubbiamente una rovina visibile e straordinaria come quella di Giobbe,
in base alla quale lo condannavano come malvagio. « Conosco i vostri pensieri », dice
Giobbe. Gb 21:27 « So che non sarete d’accordo con me, perché i vostri giudizi sono
screziati e inquinati dalle vostre passioni, dai vostri pregiudizi contro di me, e dai piani che
formate per abbattere il mio onore e ogni mia consolazione. Come potrete mai
convincervi? ». Gli amici di Giobbe erano pronti a chiedere, in risposta al suo discorso sulla

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 174


prosperità dell’empio: « Dov’è la casa del potente? Gb 21:28 NR Dov’è la casa di Giobbe, o
quella del suo primogenito, in cui i suoi figli facevano festa? Esamina la condizione della
casa e della famiglia di Giobbe, e poi chiedi: Dov’è la tenda che ospitava gli empi? Fai un
confronto, e scoprirai che la casa di Giobbe è come quelle dei tiranni e degli oppressori, da
cui si può concludere che Giobbe era indubbiamente tale ».

II. Giobbe afferma il contrario e, come prova, si appella ai sentimenti e alle osservazioni
più comuni. È così sicuro di avere ragione che è disposto a interrogare la prima persona
che passi: « Non avete interrogato i passanti delle persone indifferenti, chiunque vi
potesse rispondere? Gb 21:29 KJV Non chiedo, come Elifaz, Gb 5:1 a che santi vorrete
rivolgervi, ma a che uomini? Chiedete a chi volete, e scoprirete che pensano, come me,
che la punizione degli empi sia più che altro serbata per l’altro mondo, secondo la profezia
di Enoc, settimo dopo Adamo. Gd 1:14 Non riconoscete i segni di questa verità, che vi può
presentare chiunque abbia osservato gli atti della provvidenza divina riguardo al genere
umano? ». Notiamo ora:

1. Giobbe afferma due cose:

(a) I peccatori impenitenti saranno certamente puniti nell’al di là e, di solito, non prima.

(b) Non dobbiamo quindi trovare strana la loro prosperità in questo mondo, senza visibili
segni dell’ira di Dio. Sono risparmiati ora perché dovranno essere puniti allora. Gli
operatori d’iniquità fioriscono, per esser distrutti in perpetuo. Sl 92:7 Vediamo qui un
peccatore che: [1] In vita, ha molto potere, tanto da essere non solo il terrore dei prodi
sulla terra dei viventi, Ez 32:27 ma anche il terrore dei saggi e dei giusti, suscitando tanta
ammirazione che nessuno osa rimproverargli in faccia la sua condotta. Gb 21:31 Nessuno
si prende la libertà di rimproverarlo e di rivelargli la sua empietà e la fine che gli spetta.
Continua quindi a peccare tranquillamente, senza conoscere vergogna o timore. La
prosperità degli stolti li fa perire, rendendoli (ai loro occhi) superiori a ogni rimprovero, che
potrebbe invece condurli a quel pentimento essenziale a prevenire la distruzione. Chi è
lasciato solo a peccare è destinato alla rovina. Os 4:17 E se nessuno ha il coraggio di
rivelargli apertamente le sue colpe, tanto meno avrà il coraggio di fargli rimediare ai suoi
danni e ripagare ciò che ha ottenuto con l’ingiustizia. È uno di quei mosconi che sfugge
alle ragnatele della legge, che intrappolano solo le mosche piccole. Il fatto di poter
intimidire le autorità giudiziarie al punto che hanno paura di affrontarlo lo rinsalda nella via
del peccato. Ma verrà il giorno in cui chi non vuole sentir parlare delle sue colpe dovrà
ascoltarle. Chi non vorrà vedere i propri peccati e riconoscere apertamente la propria
condotta, per convincersi del proprio errore, li vedrà e la riconoscerà allora, per
vergognarsene eternamente. Chi non vuole rimediare al male commesso qui sulla terra
dovrà pagare allora. [2] Muore ed è sepolto tra grande sfarzo e magnificenza. Gb 21:32,33
Deve inevitabilmente morire. È il destino di tutti. Farà però il possibile per morire
dignitosamente. Prima di tutto, avrà un funerale stupendo-una prospettiva ben scarna di
cui vantarsi, che per certi è però importante. È portato alla sepoltura con onore, con tutte
le cerimonie ufficiali e le condoglianze degli amici. Morì il ricco, e fu seppellito, ma non si
parla della sepoltura del povero. Lu 16:22 In secondo luogo, gli sarà eretto un grande
monumento. Rimarrà nella tomba con un’iscrizione su di lui: Hic jacet-Qui giace, e un
grande encomio. Gb 21:32 KJV Forse si riferì all’imbalsamatura del corpo, un’onorificenza
conferita dagli antichi egizi agli uomini più grandi. Si farà la guardia sulla sua tomba
(secondo il significato letterale), solo e silenzioso, come una sentinella sulla torre. In terzo

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 175


luogo, i cespi della valle gli son dolci. Useranno più spezie che potranno per eliminare il
fetore della tomba e lampade per alleviare l’oscurità, a cui forse si riferì Giobbe, dicendo:
Si farà la guardia nella tomba. Ma è tutto inutile. A che giova un profumo o una luce a un
morto? Quarto, per alleviare il trauma della morte, si afferma che è un male comune. È
soltanto un destino. Dopo, tutta la gente segue le sue orme; e, anche prima, una folla
immensa fu come lui. Notate: La morte è comune a tutti: Attraversando quella valle
oscura dobbiamo considerare che:

1. Una folla immensa ci ha preceduto. È un sentiero battuto, per cui forse meno tremendo.
Morire è ire ad plures-andare dov’è la maggioranza.

2. Tutti seguiranno le nostre orme. Abbiamo di fronte un sentiero ben tracciato, e dietro a
noi una lunga fila. Non saremo i primi, né gli ultimi a passare per quella porta oscura.
Ognuno deve passarci a suo turno, secondo l’ordine stabilito da Dio.

2. Da tutto questo, Giobbe deduce l’assurdità dei loro discorsi. Gb 21:34

(a) Le loro basi erano marce, e la loro ipotesi era errata: « Delle vostre risposte altro non
resta che falsità. Le vostre affermazioni non solo non sono comprovate, ma sono smentite,
e non potete disdire le accuse di falsità ».

(b) Il loro edificio era quindi debole e malfermo: « Mi offrite consolazioni vane. Le vostre
parole non mi hanno dato conforto. Mi dite che prospererò di nuovo se mi rivolgerò a Dio,
ma la vostra supposizione che la religiosità sia premiata con la prosperità è falsa. Come
può quindi confortarmi la deduzione che ne derivate? ». Notate: Possiamo aspettarci poco
conforto da parole non vere.

Giobbe 22

Elifaz conduce qui un terzo attacco al povero Giobbe, seguito da Bildad. Zofar si era invece
ritirato. L’incomprensione dei suoi amici era uno dei dolori di Giobbe, come lo è di molti
uomini onesti. Giobbe aveva parlato della prosperità degli empi in questo mondo come un
mistero della Provvidenza. Gli altri però, interpretando le sue parole come una critica o un
condono della malvagità, lo avevano rimproverato. In questo capitolo,

I. Elifaz riprende Giobbe per essersi lamentato di Dio e dei suoi provvedimenti, come se
pensasse che Dio gli avesse fatto torto. Gb 22:2-4

II. Lo accusa di molti grandi crimini e reati per i quali pensava che Dio lo stesse punendo,
cioè di:

1. Oppressione e ingiustizia. Gb 22:5-11

2. Ateismo e infedeltà. Gb 22:12,14

III. Paragona la sua condizione a quella del mondo antico. Gb 22:15-20

IV. Gli dà degli ottimi consigli, assicurandolo che, se li avesse accettati, Dio avrebbe avuto
misericordia di lui e gli avrebbe restituito la prosperità di un tempo. Gb 22:21-30

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 176


Gb 22:1-4

Elifaz insinua che i lamenti di Giobbe per le sue afflizioni indicavano che riteneva Dio
ingiusto nell’affliggerlo. Era un’insinuazione forzata e assolutamente falsa. Le parole di
Elifaz non possono quindi essere giustamente applicate a Giobbe, ma di per sé sono valide
e vere. Dice infatti che:

I. Se Dio ci fa del bene, non è perché ci è indebitato. Altrimenti potremmo aver ragione a
dire, quando ci affligge: « Non ci tratta giustamente ». Chi pensa di essersi indebitato Dio
con delle opere meritorie, lo dimostri, e sarà certo di essere ripagato: Chi gli ha dato per
primo, e gli sarà contraccambiato? Ro 11:35 Elifaz dice invece che anche la giustizia e la
perfezione della persona migliore del mondo non sono di giovamento o di vantaggio a Dio
e non possono quindi meritare nulla da lui.

1. La devozione umana non giova a Dio. Gb 22:1,2 Se ci fosse una virtù in grado di
meritare il suo favore, sarebbe la nostra devozione a lui, la nostra giustizia e i nostri sforzi
di essere perfetti. Se ciò non serve, non ci sarà altra via. Se non possiamo indebitarci Dio
con la nostra religiosità, onestà e ubbidienza alle sue leggi, non potremo mai farlo con la
nostra abilità, conoscenza e diplomazia. Elifaz chiede se un uomo possa mai recar qualche
vantaggio a Dio. Certamente no, senza eccezioni. Il savio non reca vantaggio che a se
stesso. Notate: Sono la nostra saggezza e la nostra religiosità a procurarci un grande
guadagno. La sapienza è cosa eccellente per addirizzar le cose. Ec 10:10 La pietà è utile
ad ogni cosa. 1Ti 4:8 Se sei savio, sei savio per te stesso. Pr 9:12 I vantaggi della religione
sono infinitamente più grandi dei suoi sacrifici, ed è chiaro se li confrontiamo. Può un
uomo giovare a Dio? No, prima di tutto perché Dio è perfetto. Che cosa si può aggiungere
all’Infinito? Inoltre, l’uomo è troppo debole e imperfetto da recargli alcun vantaggio o
beneficio. La luce di una candela può forse giovare al sole, o una goccia che cade da un
secchio può servire all’oceano? La saggezza è di vantaggio a noi stessi, per guidarci,
difenderci, darci buon credito e confortarci. La nostra saggezza può darci gioia e ricchezze.
Può però far del bene a Dio? No, Dio non ha bisogno né di noi, né dei nostri servizi. Senza
di lui siamo per sempre rovinati, mentre Dio è eternamente felice anche senza di noi. Se
sei integro nella tua condotta, ne ritrae egli un guadagno? Riceverà forse più gloria o più
ricchezze? Se anche noi fossimo assolutamente perfetti, come potremmo migliorare Dio?
Tanto meno possiamo farlo essendo così imperfetti.

2. La devozione umana non gli reca piacere. È vero che Dio, nella sua parola, dice di
compiacersi del giusto. Lo osserva, dimostrando il suo favore, e gradisce le sue preghiere,
ma tutto ciò non accresce la soddisfazione e la gratificazione che la Mente Eterna trova in
se stessa. Dio può trovare gioia in se stesso senza di noi, mentre noi, senza amici,
proveremmo ben pochi piaceri. Il fatto che, non ricavando alcun profitto e alcun piacere,
Dio ci invita, ci incoraggia e ci accetta rende ancora più grande la sua condiscendenza.

II. Quando Dio ci frena o ci rimprovera, non è perché abbia paura o sia geloso di noi: « È
forse per la paura che ha di te ch’egli ti castiga? Ti toglie forse le tue ricchezze affinché tu
non rappresenti una minaccia, come fanno spesso i principi che cercano di fermare la
buona fortuna di un suddito prima che diventi troppo grande? ». Gb 22:4 Lo stesso Satana
aveva suggerito ai nostri progenitori che Dio aveva proibito di mangiare il frutto dell’albero
della conoscenza per paura che diventassero dèi e quindi suoi rivali. Era un’insinuazione
meschina. Dio rimprovera i giusti perché li ama, ma non rimprovera mai i grandi perché li

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 177


teme. Non viene in giudizio con gli uomini, cioè non fa loro causa, cercando di ostacolarli,
per paura che eclissino il suo onore o che compromettano i suoi interessi. I magistrati
puniscono i trasgressori perché li temono. Il Faraone oppresse Israele perché ne aveva
paura. Fu per timore che Erode uccise i neonati di Betlemme, e che gli Ebrei
perseguitarono Cristo e gli apostoli. Dio invece non perverte la giustizia per timore di
alcuno. cfr. Gb 35:5-8

Gb 22:5-14

Elifaz e i suoi compagni avevano condannato Giobbe, in generale, come empio e ipocrita.
Nessuno però era mai sceso nei particolari, adducendo dei capi d’accusa. Lo fa qui Elifaz,
che lo incolpa espressamente di molti crimini e contravvenzioni, che, se fossero stati veri,
avrebbero giustificato le loro aspre critiche. « Su », dice Elifaz, « abbiamo tergiversato
anche troppo. Siamo stati troppo gentili con Giobbe per paura di addolorarlo, e abbiamo
solo rinforzato la sua autogiustificazione. È ora di parlargli chiaramente. Lo abbiamo
condannato con delle parabole, ma non ci siamo fatti capire. Non è arrivato a condannarsi.
Dobbiamo quindi dirgli esplicitamente: Tu sei quell’uomo, il tiranno, l’oppressore e l’ateo di
cui abbiamo parlato. La tua malvagità non è essa grande? Senza dubbio, o non avresti
tanti guai. Mi appello a te e alla tua coscienza. Le tue iniquità non sono esse infinite, in
numero e in gravità? ». Propriamente, solo Dio è infinito. Elifaz intendeva dire che i suoi
peccati erano innumerevoli e di una malvagità inconcepibile. Il peccato, essendo
commesso contro l’Infinita Maestà, racchiude in sé una cattiveria quasi infinita. Elifaz
accusa tanto Giobbe, scendendo a particolari e incolpandolo senza conoscere i fatti, che
possiamo prenderne spunto per:

1. Adirarci con chi critica e condanna ingiustamente i fratelli. Infatti Elifaz, accusando
falsamente Giobbe, come fece qui, si rese colpevole di un peccato e di un’ingiustizia pari a
quelli dei Sabei e dei Caldei che lo avevano derubato. La reputazione di un uomo è infatti
più preziosa e pregiata di tutte le sue ricchezze. Pronunciare o accogliere delle calunnie,
delle espressioni di gelosia o delle supposizioni ingiuste riguardo agli altri è contrario a
ogni legge della giustizia, della carità e dell’amicizia, soprattutto se ce ne serviamo per
tormentare gli afflitti, rendendoli ancor più miserabili. Nei particolari che seguono, Elifaz
non poté produrre prove della colpevolezza di Giobbe, ma sembrò deciso a calunniarlo e a
biasimarlo più che potesse, certo di colpirlo in qualche modo.

2. Compatire chi è biasimato e condannato in quel modo. L’innocenza non basta a


proteggere contro una lingua ingiusta e bugiarda. Giobbe, che Dio stesso aveva lodato,
dichiarandolo il migliore sulla terra, fu rappresentato da uno dei suoi amici, un uomo
saggio e giusto, come uno dei peggiori furfanti. Non meravigliamoci se siamo calunniati in
questo modo, ma impariamo piuttosto a trascurare i giudizi negativi e positivi, lasciando la
nostra causa, come fece Giobbe, a colui che giudica giustamente. Notiamo i particolari
capi di accusa.

I. Elifaz lo accusa di oppressione e di ingiustizia, dicendo che, quando era ricco, non solo
non aveva usato i suoi averi e il suo potere per il bene, ma li aveva adoperati per fare
molto male. Fu un’accusa del tutto falsa, come è chiaro dal resoconto dato dallo stesso
Giobbe Gb 29:12 ss. e dalla descrizione che ce ne dà Dio (Giobbe 1). Eppure,

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 178


1. Elifaz elenca con sicurezza diversi capi di accusa, come se potesse chiamare dei
testimoni ad attestarne la verità sotto giuramento. Gli dice che:

(a) Era stato crudele e spietato con i poveri. Come magistrato, avrebbe dovuto proteggerli
e assicurarsi che avessero il necessario. Elifaz però sospetta che Giobbe non lo avesse mai
fatto, ma che al contrario avesse fatto tutto il male che gli era possibile, esigendo il
pagamento di enormi debiti ed estorcendo dei pegni di grande valore anche da dei fratelli
chiaramente onesti e responsabili. Tu, per un nulla, prendevi pegno da’tuoi fratelli, Gb
22:6 oppure, come nella versione dei Settanta, Hai preso in pegno i tuoi fratelli, senza
motivo, imprigionandoli e rendendoli schiavi perché non potevano pagare. Elifaz lo accusa
di avere tolto le vesti di dosso ai suoi affittuari e debitori, se non potevano pagarlo,
spogliando delle lor vesti i mezzo ignudi, e lasciandoli così. La legge di Mosè lo proibiva
espressamente. Eso 22:26 De 24:13 Secondo Elifaz, Giobbe non era stato caritatevole
verso i poveri, i poveri viandanti e le vedove: « Allo stanco non davi a bere nemmeno un
bicchiere d’acqua (che non ti sarebbe costato niente), quando te lo chiedeva, in punto di
morte. Anzi, all’affamato rifiutavi del pane, Gb 22:7 non solo negandolo, ma proibendo agli
altri di darne, che vuol dire rifiutare un benefizio a chi vi ha diritto. Pr 3:27 Hai mandato
via a mani vuote delle povere vedove, che, quando i mariti erano in vita, non avevano
disturbato nessuno, ma ora erano costrette a chiedere aiuto. Gb 22:9 Hai mandato via
quelli che vennero a chiederti aiuto, senza assisterli e senza ascoltarli. Anzi, se avevano
qualcosa, glielo toglievi e li mandavi via a mani vuote. Quel che è peggio, le braccia degli
orfani eran spezzate. Hai reso disabile chi poteva già aiutarsi ben poco ». L’accusa più
tremenda è solo insinuata: Le braccia degli orfani eran spezzate. Non disse: « Le hai
spezzate », ma era sottinteso. Se erano spezzate, chi aveva l’autorità di aiutarli fu
colpevole se non la esercitò. « Sono state spezzate dai tuoi subordinati e tu ne hai
consentito, per cui sei colpevole ».

(b) Aveva dimostrato parzialità verso i ricchi e i grandi: « La terra apparteneva al più forte,
e l’uomo influente vi piantava la sua dimora. Se fosse stato colpevole di un crimine,
nessuno lo avrebbe imputato. Gb 22:8 Se avesse commesso un’azione ingiusta, o se fosse
stato accusato giustamente, se la sarebbe certamente cavata in tribunale. I poveri
rimanevano senza cibo alle sue porte, mentre i ricchi facevano festa alla sua tavola ». Era
contrario alle regole di ospitalità lasciateci da Cristo. Lu 14:12,14 Salomone disse: Chi dà
al ricco, certamente impoverirà. Pr 22:16 ND

2. Elifaz attribuisce tutti i guai di Giobbe ai suoi presunti peccati: Gb 22:10,11 « Di solito,
chi è colpevole di quelle azioni finisce nello stato in cui sei ora, quindi concludiamo che tu
sia colpevole ».

(a) « La provvidenza di Dio normalmente turba e sconcerta chi è colpevole, e tu sei


circondato di lacci, tanto che, dovunque tu guardi o dovunque tu vada, sei in mezzo alle
avversità, e gli altri ti trattano con la stessa durezza che tu hai dimostrato per i poveri ».

(b) « La coscienza spaventa e accusa i colpevoli, e soprattutto chi è stato spietato. Tu sei
spaventato da súbiti terrori. Che tu lo riconosca o meno, è questo senso di colpa che ti
atterrisce tanto ». Zofar lo aveva già insinuato prima. Gb 20:19,20

(c) « Chi è colpevole giunge al limite delle proprie forze, così sconvolto e sconcertato che
non sa che cosa fare, ed è lo stesso per te. Non vedi le tenebre che t’avvolgono, con cui

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 179


Dio ti punisce, e non sai cosa fare, perché la piena d’acque ti sommerge. Sei in mezzo a
delle acque oscure, tra nubi cupe ». Notate: Chi non dimostra misericordia può
giustamente essere privato della speranza di un conforto dalla misericordia divina. Può
solo aspettarsi insidie, tenebre e continuo terrore.

II. Elifaz aveva accusato Giobbe di essere un ateo e un infedele senza devozione a Dio,
ritenendolo il motivo della sua ingiustizia e della sua oppressione. Chi non teme Dio non
ha riguardo per gli uomini. Elifaz riteneva che Giobbe fosse come gli Epicurei, che
riconoscevano l’esistenza di Dio, ma negavano la sua provvidenza, immaginando che si
occupasse soltanto del mondo sovrastante, senza mai interferire con gli affari di questo
mondo e con la vita dei suoi abitanti.

1. Elifaz fa riferimento a una verità importante che, se presa in considerazione, avrebbe,


secondo lui, mitigato l’impeto delle lamentele di Giobbe e la foga delle sue giustificazioni:
Iddio non è egli lassù ne’cieli? Indubbiamente lo è. Gb 22:12 Non c’è cielo troppo alto per
Dio. Nei cieli supremi, nei cieli dei beati, dove risiede la sua gloria, Dio è presente in modo
speciale. Là, si compiace di manifestarsi in una maniera particolare a quel mondo, mentre
qui sceglie di manifestarsi in maniera adeguata a questo. Là è il suo trono e qui la sua
corte. Le Scritture chiamano Dio stesso il Cielo. Da 4:26 Elifaz dimostra quindi che gli
uomini non possono giovare a Dio, Gb 22:2 che non devono contendere con lui (sarebbe
un’assurdità) e che devono sempre rivolgersi a lui con grande riverenza. Quando
guardiamo lassù le stelle eccelse, come stanno in alto, dobbiamo anche considerare la
maestà trascendente e l’eccellenza di Dio, che è più alto delle stelle.

2. Elifaz accusa Giobbe di avere usato male questa utile dottrina. « Hai soffocato la verità
con l’ingiustizia, lottando contro la religione con le sue stesse armi, rigirando la sua
artiglieria contro di essa. Riconosci che Iddio è egli lassù ne’cieli, ma poi chiedi: Iddio che
sa? ». Gb 22:13 I malvagi si tolgono il timore di Dio dal cuore allontanando i suoi occhi dal
mondo. Ez 8:12 Non si curano delle proprie azioni, fintanto che possono convincersi che
Dio non le conosce. Elifaz sospettava che Giobbe avesse quella stessa opinione e che
pensasse che Dio, essendo così in alto nei cieli,

(a) Non potesse vedere e udire quello che accade sulla terra che gli è lontana, soprattutto
dato che, tra noi e lui, ci sono una caligine Gb 22:13 D e molte fitte nubi Gb 22:14 che lo
coprono, come se avesse occhi di carne Gb 10:4 Se non può vedere, tanto meno può
giudicare gli affari di questo mondo. Al contrario, il firmamento è per lui come un cristallo
trasparente. Ez 1:22 La distanza non crea difficoltà a colui che riempie l’immensità, così
come il tempo non ostacola colui che è eterno. Oppure, secondo i sospetti di Elifaz, Giobbe
pensava che:

(b) Interessarsi a questa parte inferiore della sua creazione fosse degradante per Dio,
sminuendo la sua gloria: Passeggia sulla volta de’cieli, e si tiene occupato compiacendosi
di se stesso, delle sue perfezioni e della sua gloria in quel mondo luminoso e sereno.
Perché vorrebbe quindi disturbarsi per pensare a noi? Immaginare che il governo sia un
peso e un disonore per il governatore supremo e che gli atti di giustizia e di misericordia
siano una fatica per una mente infinitamente saggia, santa e giusta è un ragionamento
assurdo e una grande irreligiosità di cui Elifaz accusa Giobbe. Se il sole, una creatura
inanime, può illuminare e influenzare ogni parte di questa terra Sl 19:6 dall’altezza dei cieli

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 180


visibili in cui risiede e dal suo giro intorno al mondo, nonostante molte nuvole fitte e
oscure, dobbiamo dubitare che possa farlo il Creatore?

Gb 22:15-20

Elifaz, dopo aver cercato di convincere Giobbe, mostrandogli (o pensando di mostrargli) i


suoi peccati, tenta ora di fargli comprendere la miseria e il pericolo in cui quei peccati lo
spingono. Confronta infatti la sua condizione con quella dei peccatori di un tempo, come
per dire: « Sei in brutte condizioni ora, ma, se non ti penti, sarà peggio, come fu per i
malvagi di una volta, il cui fondamento fu inondato da un diluvio, Gb 22:16 KJV e per
quelli rimanenti che il fuoco aveva consumato », Gb 22:20 cioè i Sodomiti che, in
confronto ai popoli antichi, erano solo un rimasuglio. Questi due esempi dell’ira di Dio
contro il peccato e contro i peccatori sono spesso citati insieme, come avvertimenti per un
mondo noncurante. Li citarono infatti insieme il nostro Salvatore Lu 17:26 ss. e l’apostolo
Paolo. 2Pi 2:5,6 Elifaz voleva che Giobbe ponesse mente al cammino che gli uomini iniqui
hanno tenuto d’ogni tempo, Gb 22:15 D perché vedesse che fine avevano fatto. Notate:
C’è un cammino che gli uomini iniqui hanno percorso in ogni epoca. Già agli albori della
religione, il peccato seguì immediatamente. Anche se però è un cammino antico, spazioso
e battuto, è pericoloso e conduce alla distruzione. È bene quindi porci mente, per non
seguirlo. Elifaz lo ricorda a Giobbe, forse come contrapposizione a ciò che aveva detto
riguardo alla prosperità degli empi, come per dire: « Puoi forse darmi un esempio di empi
che finiscono l’esistenza in pace, ma che cos’è in confronto a questi due grandi esempi
della loro rovina finale: il diluvio del mondo intero e la distruzione di Sodoma? ». Furono
stragi di massa, con le quali Elifaz pensa che Giobbe possa identificarsi, come in uno
specchio. Osservate:

1. La rovina di quei peccatori: Furon recisi fuor di tempo, cioè, nel fiore degli anni. A
quell’epoca, molti di loro avrebbero potuto vivere centinaia di anni in più, per cui quella
morte prematura fu ancor più dolorosa. Furon recisi fuor di tempo, per essere catapultati
nell’eternità, mentre il loro fondamento, la terra su cui avevano basato tutte le loro
speranze, fu inondato da un diluvio Gb 22:16 KJV che venne sul mondo degli empi. 2Pi 2:5
Notate: Chi costruisce sulla rena sceglie un fondamento che sarà inondato quando cadrà la
pioggia e verranno i torrenti. Mt 7:27 Il loro edificio cadrà ed essi moriranno tra le rovine,
pentendosi troppo tardi della loro follia.

2. Il peccato di quei peccatori, che li condusse alla rovina: Dicevano a Dio: Ritirati da noi!
Gb 22:17 Giobbe aveva parlato di persone che si esprimevano in quel modo, ma
continuavano a prosperare. Gb 21:14 « Questi invece no », dice Elifaz. « Hanno scoperto
a loro scapito che cosa vuol dire sfidare Dio. Quegli individui decisi a dar redine ai propri
desideri e alle proprie passioni iniziarono proprio dicendo a Dio: Ritirati! Abbandonarono
ogni religiosità, odiandone anche solo il pensiero e volendo vivere senza Dio nel mondo.
Evitarono la sua parola e misero a tacere la coscienza, che è il suo delegato. Chiedevano
che mai potesse far per loro l’Onnipotente ». Secondo alcuni, questa frase si riferisce alla
giustizia della loro punizione. Dicevano a Dio: Ritirati da noi. Che mai poteva far per loro
l’Onnipotente, se non reciderli? Chi non vuole sottomettersi allo scettro dorato di Dio deve
aspettarsi di essere fatto a pezzi dalla sua verga di ferro. Secondo altri, indica l’ingiustizia
del loro peccato: Che mai ha fatto contro di loro l’Onnipotente? Quale iniquità hanno
trovato in lui, e in che li aveva travagliati? Mi 6:3 Gr 2:5 Secondo altri ancora, denota il
motivo del loro peccato: Dicevano a Dio: Ritirati da noi, chiedendo che mai potesse far per

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 181


loro l’Onnipotente. « Che cos’ha fatto di cui dobbiamo essergli debitori? Che male può farci
per renderci miserabili, o che favore per farci felici? ». Dicevano: L’Eterno non fa né bene
né male. Elifaz dimostra l’assurdità di questo ragionamento in una parola, cioè, chiamando
Dio l’Onnipotente. Se è onnipotente, che cosa c’è che non possa fare? Non c’è da
meravigliarsi se chi non teme l’ira di Dio, né desidera il suo favore, rigetta ogni
espressione religiosa.

3. L’aggravante di questo peccato: Eppure Iddio avea riempito le loro case di beni. Gb
22:18 Sia gli uomini prima del diluvio che gli abitanti di Sodoma avevano ogni piacere
sensoriale: Si mangiava, si beveva, si comprava, si vendeva, ecc. Lu 17:27 ss. Non
avevano quindi motivo di chiedere che mai potesse far per loro l’Onnipotente. Vivevano
infatti della sua generosità, senza motivo di chiedergli di andarsene, quando aveva
dimostrato tanta bontà verso di loro. Molti hanno la casa piena di beni, ma i cuori vuoti di
grazia, e sono quindi destinati alla rovina.

4. La protesta di Elifaz contro i princípi e le pratiche di quegli empi: Ah lungi da me il


consiglio degli empi! Giobbe lo aveva già detto, Gb 21:16 ed Elifaz non voleva essergli da
meno. Se anche quei due non furono d’accordo nel loro concetto di Dio, concordarono
invece nel rifiutare le idee di chi vive senza Dio nel mondo. Notate: Anche coloro che
hanno diverse opinioni in materia religiosa che discutono tra di loro devono esprimersi
contro l’ateismo e l’irreligiosità, senza permettere che il loro vigore e la loro unità in quella
causa comune designata da Dio, la giusta causa, vengano frenati.

5. Il piacere e la soddisfazione dei giusti nel vedere:

(a) La distruzione degli empi. La vedranno, Gb 22:19 cioè, la noteranno, Os 14:9 e


gioiranno, non perché amino vedere la sofferenza degli altri, né perché vogliano servire ai
propri interessi secolari o prendersi una rivincita, ma perché desiderano che Dio sia
glorificato, che la sua parola sia adempiuta, e che il potere sia tolto agli oppressori, dando
sollievo agli oppressi. Vogliono vedere il peccato svergognato, gli ateisti e gli infedeli
umiliati, e un avvertimento dato a tutti di evitare quelle vie malvage. Anzi, si faranno beffe
di loro, giustamente e santamente, come si fa beffe Dio. Sl 2:4 Pr 1:26 Ne approfitteranno
per dimostrare la follia dei peccatori e l’assurdità dei loro princípi, per intelligenti che si
definiscano. Ecco l’uomo che non avea fatto di Dio la sua fortezza Sl 52:7 Notate la sua
fine. Secondo alcuni, questo brano si riferisce al giusto Noè e alla sua famiglia, che videro
la distruzione del mondo antico e ne gioirono, così come si erano addolorati per la loro
mancanza di fede. Anche Lot, che vide la distruzione di Sodoma, aveva lo stesso motivo di
gioire. 2Pi 2:7,8

(b) La distinzione dei giusti: « Vedete se non son distrutti gli avversari nostri, come i loro,
e i vostri. Noi continuiamo a prosperare, il che dimostra che siamo i favoriti del Cielo e che
abbiamo ragione ». Gb 22:20 Per glorificare se stesso e i suoi compagni si servì della
stessa regola usata per condannare Giobbe. I suoi beni sono distrutti, quindi è empio. I
nostri non lo sono, quindi siamo giusti. È una falsa regola. Non si può dedurre l’amore o
l’odio dalle apparenze. Se gli altri sono distrutti e noi non lo siamo, invece di condannarli,
esaltando noi stessi, come fa qui Elifaz, dobbiamo ringraziare Dio e prenderlo come
avvertimento a tenerci pronti per affrontare simili calamità.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 182


Gb 22:21-29

L’ottimo consiglio e incoraggiamento che Elifaz dà a Giobbe nei versetti conclusivi del suo
discorso, che non potrebbe essere più pertinente o meglio espresso, può quasi farmi
perdonare le sue aspre critiche all’inizio del capitolo, per ingiuste e cattive che fossero.
Anche se lo riteneva empio, aveva motivo di continuare a sperare che Giobbe sarebbe
stato pio e prospero. È strano che dalla stessa bocca, e quasi allo stesso tempo, possano
uscire contemporaneamente acque dolci e amare. Le persone buone, anche se possono
lasciarsi prendere dalla passione, a volte riescono a calmarsi con le proprie parole, forse
meglio di quanto possano calmarle gli altri. Elifaz aveva descritto a Giobbe la miserabile
condizione degli empi, perché il terrore lo conducesse al pentimento. Ora invece gli parla
della sicura felicità di chi si pente, per persuaderlo e incoraggiarlo a fare altrettanto. I
ministri devono usare entrambi i metodi: devono parlare dal Sinai con i terrori della legge,
e da Sion con il conforto del Vangelo. Devono presentare di fronte agli occhi la vita e la
morte, il bene e il male, la benedizione e la maledizione. Osservate:

I. Il buon consiglio che Elifaz dà a Giobbe, ottimo anche per noi, anche se, per quanto
riguarda Giobbe, era basato sulla falsa presupposizione che era malvagio e un nemico di
Dio.

1. Fa’conoscenza con Dio. Gb 22:21 D Secondo alcuni: Sottomettiti a Dio. Dobbiamo


sempre, e soprattutto quando siamo afflitti, accettare serenamente gli atti della divina
provvidenza. Secondo altri: Unisciti a Dio. Mettiti dalla sua parte e non opporti a lui. I
nostri traduttori l’hanno espresso bene: « Fa’conoscenza con Dio. Non estraniarti da lui,
come hai fatto finora rifiutando di temerlo ed evitando di pregarlo ». Conoscere Dio è il
nostro dovere ed è nel nostro interesse. Dobbiamo conoscerlo, amarlo e unirci a lui in un
patto di amicizia, e poi istaurare e mantenere un continuo dialogo con lui con i mezzi da
lui stabiliti. È un onore e un privilegio che tristemente abbiamo perso per mezzo del
peccato, ma che siamo invitati a riprendere per mezzo di Cristo. È una conoscenza che,
acquisita e coltivata, ci darà gioia indescrivibile.

2. « Rappacificati con te stesso, senza più affanni, inquietudini o turbamenti. Il tuo cuore
non sia turbato, ma sia sereno, calmo e tranquillo. Rappacificati con Dio. Riconciliati con
lui. Non continuare questa guerra non santa. Ti lamenti che Dio è tuo nemico. Diventagli
amico ». Dobbiamo tutti rappacificarci con Dio. È necessario per poter conoscerlo bene.
Due uomini camminano eglino assieme, se prima non si sono concertati? Am 3:3
Dobbiamo farlo presto, subito, prima che sia troppo tardi. Fa’presto amichevole accordo
col tuo avversario mentre sei ancora per via con lui. Dio ci esorta ardentemente a farlo.
Alcuni traducono: « Fa’conoscenza con Dio, ti prego, e rappacificati con lui ». Dio stesso ci
prega di farlo. I ministri, che fanno le veci di Cristo, ci pregano di riconciliarci con lui.
Possiamo opporci a tali implorazioni?

3. Ricevi istruzioni dalla sua bocca. Gb 22:22 « Essendoti rappacificato con Dio,
sottomettiti alla sua autorità e stabilisci di lasciarlo regnare su di te, per conservarti nel
suo amore ». È Dio che ci ha creato e ci mantiene in vita. È da Dio che speriamo di
ricevere gioia e che dobbiamo ricevere leggi. Signore, che vuoi tu ch’io faccia? At 9:6 Ad
ogni suggerimento della sua volontà dobbiamo rivolgere lo sguardo su di lui. Se ci parla
tramite le Scritture, i suoi ministri, la coscienza o la Provvidenza, dobbiamo accettare
quelle parole come se provenissero direttamente dalle sue labbra e sottometterci. Anche

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 183


se non sappiamo se al tempo di Giobbe ci fosse stata una parola scritta, c’era comunque
una rivelazione della volontà di Dio. Elifaz considerava Giobbe malvagio, e insisteva perché
si pentisse e cambiasse. La conversione di un peccatore consiste appunto nel ricevere la
legge dalla bocca di Dio e non dal mondo e dalla carne. Elifaz, trovandosi in opposizione a
Giobbe, fa appello alla parola di Dio per terminare la controversia. « Accettala, e basati su
di essa ». Alla legge! Alla testimonianza!

4. Riponi le sue parole nel tuo cuore. Non basta riceverle. Dobbiamo ritenerle. Pr 3:18
Dobbiamo conservarle al sicuro come oggetti preziosi, riponendole nel cuore come attrezzi
utili che potremo raggiungere facilmente al momento opportuno, senza trovarcene
sprovvisti nell’ora del bisogno.

5. Torna all’Onnipotente. Gb 22:23 « Non limitarti ad abbandonare il peccato, ma torna a


Dio e al tuo dovere. Non accontentarti di rivolgerti all’Onnipotente con dei buoni pensieri o
delle buone intenzioni, ma torna a lui. Torna a casa da lui, tanto da poter raggiungerlo con
una riforma totale, un cambiamento effettivo del cuore e dell’esistenza e una ferma
determinazione di rimanergli accanto », secondo Poole.

6. Allontana l’iniquità dalle tue tende. Era stato anche il consiglio di Zofar: « Non alberghi
l’iniquità nelle tue tende. Gb 11:14 Allontanala il più possibile, non solo dal tuo cuore e
dalla tua mano, ma dalla tua casa. Non devi cercare solo tu di non fare il male, ma devi
rimproverare e fermare il peccato di chi è sotto la tua direzione ». Notate: La riforma della
famiglia è necessaria. Noi e la nostra casa dobbiamo servire all’Eterno.

II. L’incoraggiamento che Elifaz dà a Giobbe, dicendo che sarà felice se solo darà ascolto
al suo consiglio. È una promessa generica: « Ti sarà resa la prosperità, Gb 22:21 tutto il
bene che hai perduto e tutto il bene che il tuo cuore desidera: materiale, spirituale ed
eterno. Dio stesso ritornerà a te, nel patto e in comunione con te, portando con sé e in sé
ogni bene. Ora sei distrutto e abbattuto, ma, se ritornerai a Dio, sarai ristabilito, e la tua
rovina sarà restaurata. Avrai altri figli, nuove ricchezze e santità e conforto nell’animo ».
L’incoraggiamento che Elifaz dà a Giobbe può essere riassunto in tre promesse:

1. Avrebbe avuto un’abbondante prosperità materiale. La pietà ha infatti la promessa della


vita presente. Elifaz promette che:

(a) Sarebbe stato molto ricco: « Riporrai oro come polvere, Gb 22:24 KJV con altrettanta
abbondanza, e avrai molto argento, Gb 22:25 KJV mentre ora sei povero e destituito ».
Giobbe era stato ricco. Elifaz sospettava che si fosse procurato quelle ricchezze con la
frode e l’oppressione e che per quello gli fossero state tolte. Pensava quindi che, se fosse
ritornato a Dio e al suo dovere, [1] Avrebbe avuto più ricchezze che mai: non solo migliaia
di pecore e di buoi, la ricchezza di un contadino, ma migliaia di pezzi d’oro e d’argento, la
ricchezza dei príncipi. Gb 3:15 Il servizio di Dio dà ricchezze più abbondanti e più vere che
il servizio del mondo. [2] Avrebbe avuto ricchezze più sicure: « Riporrai le ricchezze
ottenute con la pietà in buone mani, e saranno più al sicuro di quelle che avevi ottenuto
con la tua iniquità ». Avrai l’argento forte (secondo il significato letterale), che, ottenuto
onestamente, sarà resistente come acciaio. [3] La grazia di Dio gli avrebbe evitato di
esservi attaccato quanto Elifaz pensava che fosse stato. Le ricchezze sono vere benedizioni
quando non ci lasciamo intrappolare dal loro attaccamento. Riporrai oro, ma come? Non
come tuo tesoro e tuo bene, ma come polvere, e come sassi del torrente. Gli darai così

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 184


poco valore e vi riporrai così poche aspettative che lo terrai ai tuoi piedi At 4:35 e non nel
cuore.

(b) Sarebbe stato al sicuro. Mentre le ricchezze di solito mettono in pericolo, e Giobbe
stesso aveva riconosciuto che, nella sua prosperità, non aveva avuto tranquillità, Gb 3:26
D sarebbe potuto stare al sicuro, perché l’Onnipotente sarebbe stato la sua difesa Gb
22:25 KJV e il suo oro (secondo la nota al margine). La parola è la stessa tradotta nel
versetto 24 come oro, ma significa anche fortezza, perché il danaro offre un riparo. Ec
7:12 Le persone di questo mondo fanno dell’oro un Dio, ma i santi fanno di Dio il loro oro.
Chi è ricco del suo favore e della sua grazia può dire giustamente di avere un’abbondanza
di oro finissimo, ben riposto. Lo interpretiamo: « Sarà la tua difesa contro le incursioni dei
predatori. Le tue ricchezze non saranno incustodite come lo furono di fronte ai Sabei e ai
Caldei ». Secondo alcuni, è questo il significato della frase: Se allontani l’iniquità dalle tue
tende, interpretata come promessa. « L’iniquità o il male deliberato contro di te sarà
frenato e non avrà effetto ». Notate: Chi ha l’Onnipotente come sua difesa sarà al sicuro.
Sl 91:1-3

2. La sua anima avrebbe prosperato e sarebbe stata arricchita di benedizioni spirituali, che
sono le migliori.

(a) Avrebbe vissuto una vita di soddisfazione in Dio: « Allora farai dell’Onnipotente la tua
delizia. Proprio perché ti compiacerai di lui come la gente di questo mondo si compiace
delle ricchezze, l’Onnipotente sarà il tuo oro. Sarà la tua ricchezza, la tua difesa e il tuo
onore, perché sarà la tua gioia ». Gb 22:26 Per appagare i desideri del cuore dobbiamo
trovare gioia in Dio. Sl 37:4 Se Dio si dà a noi come nostra gioia, non ci negherà niente
che sia per il nostro bene. « Adesso Dio ti atterrisce, come dici tu stesso, Gb 6:4 16:9
19:11 ma, se ritornerai a lui, allora, e solo allora, sarà la tua delizia, e il suo pensiero ti
darà gioia così come ti ha dato dolore ». Non c’è gioia più grande di quella che trova
nell’Onnipotente chi è toccato dalla sua grazia. Chi lo conosce e si sottomette interamente
a lui scoprirà che il suo favore darà non solo forza, ma un canto.

(b) Avrebbe avuto una santa, umile fiducia in Dio, come coloro che il cuore non condanna.
1Gv 3:21 « Allora alzerai la faccia verso Dio, con coraggio, senza paura, per avvicinarti a
lui così come sei. Ora sei depresso e sembri abbattuto. Quando però ti rappacificherai con
Dio, non proverai più vergogna o timore. Non andrai più a capo chino, come fai ora, ma ti
presenterai a lui con gioia e una beata sicurezza, pregandolo e aspettandoti le sue
benedizioni ».

(c) Sarebbe rimasto in costante comunione con Dio. « Quel dialogo, una volta instaurato,
continuerà con tua massima soddisfazione. Tra te e il cielo ci sarà una corrispondenza sia
abituale che occasionale ». Gb 22:27 [1] « Pregando, manderai lettere a Dio: Lo
pregherai » (letteralmente: Moltiplicherai le tue preghiere), « e non gli causerai mai
disturbo, per frequenti o lunghe che siano le tue preghiere. Più spesso ci rechiamo al trono
di grazia, più siamo benvenuti. Ogni volta che proverai ansie, desideri, preoccupazioni e
timori, chiederai al cielo di darti guida, forza, saggezza, conforto e successo ». [2] « Con la
sua grazia e la sua provvidenza, Dio risponderà alle tue lettere, dandoti ciò che chiedi, in
un modo o nell’altro: Egli t’esaudirà, e sarà chiaro in ciò che farà per te e in te ». [3]
« Allora, lo loderai per le sue generose risposte: Tu scioglierai i voti che avrai fatto. Ciò gli
sarà gradito, e ti dimostrerà ancor più misericordia ». Notate: Quando Dio risponde a ciò

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 185


che gli chiediamo nell’ora dell’angoscia dobbiamo ricordarci di mantenere le nostre
promesse, o non saremo onesti. Se non altro, avremo promesso di essergli grati, ed è una
promessa sufficiente perché comprende tutto il resto. Sl 116:14

(d) Avrebbe avuto una soddisfazione interiore nello svolgimento dei suoi affari: « Quello
che imprenderai, ti riuscirà », Gb 22:28 cioè, « Condurrai tutti i tuoi progetti e i tuoi piani
con tanta saggezza, grazia e sottomissione alla volontà di Dio, che il loro risultato sarà
sempre secondo i tuoi desideri, proprio come vuoi. Rimetterai le cose tue nell’Eterno, con
fede e con la preghiera, e i tuoi disegni avranno buona riuscita. Sarai sereno e contento in
ogni caso. Pr 16:3 Sarà la grazia di Dio che opererà in te. Anzi, a volte, la provvidenza di
Dio ti darà proprio ciò che avrai desiderato e per cui avrai pregato, come e quando lo
vorrai. Ti sia fatto come vuoi ». Quando qualcosa avviene proprio secondo i nostri piani, e
i nostri progetti non devono essere modificati o sostituiti, dobbiamo riconoscere
l’adempimento della promessa: Quello che imprenderai, ti riuscirà. « Ora ti lamenti di
essere all’oscuro, ma allora sul tuo cammino risplenderà la luce » cioè, « Dio ti guiderà e ti
dirigerà, e quindi, naturalmente, ti renderà prospero e ti darà successo in ogni tua
impresa. La saggezza di Dio ti farà da guida, il suo favore ti darà conforto e sul tuo
cammino avrai tanta luce da permetterti di percorrerlo con facilità e con piacere, e di
pensare con tranquillità al futuro ». Sl 90:17

(e) Anche nei momenti di calamità e di pericolo pubblico, avrebbe avuto abbondante gioia
e speranza: « Quando gli altri saranno abbattuti, nei loro affari o nel loro animo; quando
saranno avviliti, depressi e prossimi alla disperazione, dirai, C’è un sollievo. Gb 22:29 KJV
Troverai in te una forza che non solo ti sosterrà nei tuoi guai, per non farti crollare, ma
che ti innalzerà al di sopra di loro, aiutandoti ad avere sempre gioia ». Quando gli uomini
verranno meno per la paurosa aspettazione di quel che sarà per accadere, i discepoli di
Cristo leveranno il capo con gioia. Lu 21:26-28 Dio li farà così passare in cocchio sulle
alture del paese. Is 58:14 A sollevarli sarà la fede che Dio salva gli umili. Chi si umilia sarà
esaltato, ricevendo non solo onore, ma conforto.

3. Sarebbe stato una benedizione per il suo paese e uno strumento di bene per molti: « In
risposta alle tue preghiere, Dio libererà l’isola dell’innocente, per la purità delle tue mani,
Gb 22:30 che è necessaria perché le preghiere siano accettate ». 1Ti 2:8 Dato che però
immaginiamo che l’innocente non abbia bisogno di essere liberato (erano i colpevoli di
Sodoma che avevano bisogno dell’intercessione di Abramo), tendo a convenire con la nota
al margine: L’innocente libererà l’isola con i suoi consigli, Ec 9:14,15 le sue preghiere e il
suo contatto con il cielo. At 27:24 Oppure, libererà anche chi non è innocente, egli sarà
salvo per la purezza delle tue mani, secondo alcune traduzioni, molto probabili. Notate: Un
giusto è un bene pubblico. I santi fanno del bene ai peccatori, che questi se ne rendano
conto o meno. Se Elifaz avesse voluto insinuare (come pensano alcuni) che le preghiere di
Giobbe non erano udite e che le sue mani non erano pure (altrimenti avrebbe aiutato gli
altri e tanto più se stesso), avrebbe compreso in seguito il suo errore, quando Giobbe
sembrò più vicino al cielo di lui. Infatti, Elifaz e i suoi amici, che in questo non erano
innocenti, furono liberati proprio per la purezza delle sue mani. Gb 42:8

Giobbe 23

Questo capitolo dà inizio alla risposta di Giobbe a Elifaz. Qui Giobbe non presta attenzione
ai suoi amici, o perché aveva capito che non sarebbe servito a niente, o perché gli era

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 186


piaciuto tanto il buon consiglio di Elifaz alla fine del suo discorso che non voleva
rispondere ai commenti irritanti espressi all’inizio. Fa invece appello a Dio, implorandolo di
ascoltare la sua causa, certo che lo avrebbe esaudito, perché la sua coscienza
testimoniava la sua integrità. Tutto il capitolo sembra contenere una lotta tra la carne e lo
spirito, il timore e la fede.

I. Si lamenta della sua condizione disastrosa e soprattutto della lontananza di Dio, che gli
impedisce di fargli udire il proprio appello, Gb 23:2-5 di capire il significato dei suoi atti, Gb
23:8,9 e di avere una qualche speranza di sollievo. Gb 23:13,14 Si sente quindi
profondamente turbato e atterrito. Gb 23:15-17 Tuttavia,

II. Tra quelle lamentele, si conforta con la certezza della clemenza divina Gb 23:6,7 e della
propria integrità, che Dio stesso aveva attestato. Gb 23:10-12 La sua luce era come quella
di cui le Scritture parlano in Za 14:6,7 (D), che non era perfettamente serena, né piena di
caligine, ma al tempo della sera ci fu luce.

Gb 23:1-7

è certo che i suoi amici lo avessero trattato ingiustamente e quindi, per malato che sia,
non vuole cedere, né dar loro l’ultima parola. In questi versetti:

I. Giustifica il suo risentimento dei suoi guai: Anche oggi, lo so, il mio lamento è amaro,
Gb 23:2 CEI perché è amara l’afflizione, che ne è la causa. Ci sono assenzio e fiele
nell’afflizione e nella miseria, e la mia anima se ne ricorda ancora con amarezza. La
3:19,20 KJV Anche oggi il mio lamento è considerato una rivolta (secondo alcuni). I suoi
amici avevano interpretato le innocenti espressioni del suo dolore come accuse contro Dio
e contro la sua provvidenza, e le avevano definite una ribellione. « Invece », dice Giobbe,
« non mi lamento più del dovuto. La mia piaga è più grave dei miei sospiri. Gb 23:2 KJV
Anche dopo tutto quello che avete detto per convincermi e per confortarmi, le mie
sofferenze fisiche e le mie ferite spirituali sono tali da giustificare dei lamenti ancora più
amari ». Facciamo torto a Dio se i nostri lamenti sono più gravi delle nostre piaghe, come i
bambini capricciosi che, quando piangono per niente, ricevono giustamente un motivo per
farlo. Non facciamo invece torto a noi stessi se le nostre piaghe sono più gravi dei nostri
lamenti. È più facile aggiungere che togliere parole.

II. Di fronte alle critiche dei suoi amici, Giobbe si appella al giusto giudizio di Dio,
pensando così di poter dimostrare di non essere un ipocrita, altrimenti non avrebbe osato
farlo. Paolo si confortò nel fatto che colui che lo giudicava era il Signore 1Co 4:3,4 Non
diede quindi valore al giudizio degli uomini, ma fu disposto ad attendere il giudizio nel suo
giorno stabilito. Giobbe invece è impaziente e desidera ardentemente che quel giorno sia
anticipato e che la sua causa sia giudicata prima delle altre, come se potesse avere una
commissione speciale. L’apostolo Giacomo ritenne necessario insistere sul fatto che i
Cristiani sofferenti devono attendere pazientemente la venuta del Giudice. Gm 5:7-9

1. Giobbe è così certo della giustizia del tribunale divino che desidera apparirvi: Oh sapessi
dove trovarlo! Gb 23:3 Questa esclamazione può esprimere bene i pii aneliti di un’anima
convinta di aver perduto Dio a causa del peccato e di essere condannata per sempre se
non potrà riguadagnarsi il suo favore. « Se solo sapessi come rimettermi nelle sue grazie e
ritornare a far parte del suo patto, in comunione con lui »! Mi 6:6,7 È il grido di una

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 187


povera anima abbandonata: « Avete visto colui che l’anima mia ama? Oh sapessi dove
trovarlo! Chi ha aperto la via che conduce a se stesso mi diriga e mi guidi nel
percorrerla! ». Giobbe però sembra lamentarsi troppo del torto subito da parte dei suoi
amici e di non sapere come ottenere giustizia da Dio, mentre sarebbe potuto recarsi
direttamente al suo trono per chiederglielo. Aspettare pazientemente la morte e il giudizio
è il nostro dovere, e dimostra saggezza. Considerando però bene le cose, possiamo farlo
solo con un santo senso di timore e di tremore. Desiderarli invece impulsivamente, senza
quel senso di timore, è un peccato ed è una follia che ci nuoceranno. Sappiamo che cosa
sono, e siamo così pronti ad affrontarli che non abbiamo bisogno di prepararci meglio?
Guai a voi che desiderate, in un impeto di passione, il giorno dell’Eterno. Am 5:18

2. Giobbe è così certo della validità della sua causa che desidera presentarla al tribunale di
Dio: « Esporrei la mia causa dinanzi a lui, così com’è veramente. Darei giusta prova della
mia sincerità, e riempirei d’argomenti la mia bocca per dimostrarlo ». Gb 23:4 Possiamo
trarne degli insegnamenti riguardo al dovere della preghiera, che ci dà libertà d’entrare nel
santuario, fino ai piedi del trono della grazia. Abbiamo non solo libertà di accesso, ma
libertà di parola. Possiamo fare:

(a) Richieste dettagliate. Possiamo esporre la nostra causa dinanzi a Dio, dicendogli tutto,
narrandogli tutte le nostre sofferenze nel modo che giudichiamo più giusto. Non
oseremmo mai prenderci con i príncipi di questa terra le stesse libertà che un’anima umile
e santa può prendersi con Dio.

(b) Richieste importune. Possiamo non solo pregare, ma implorare; non solo chiedere, ma
discutere. Anzi, possiamo riempire d’argomenti la nostra bocca, non per convincere Dio
(che conosce benissimo i meriti di ogni causa senza il nostro aiuto), ma per convincere noi
stessi, per animarci e per incoraggiare la nostra fede nella preghiera.

3. Giobbe è così certo che la sentenza sarebbe stata in suo favore che desidera sentirla:
« Saprei quel che mi risponderebbe », Gb 23:5 cioè, « Sarei ben felice di sentire che cosa
avrà da dire Dio su questa faccenda che stiamo discutendo, e accetterò interamente il suo
giudizio ». È una condotta da imitare in ogni controversia: la parola di Dio deve essere il
giudice, e noi dobbiamo cercare di comprendere le sue risposte e i suoi insegnamenti.
Giobbe sapeva bene che cosa avrebbero detto i suoi amici: lo avrebbero condannato e
criticato. « Invece », dice lui, « vorrei sapere quel che mi risponderebbe Dio, perché sono
certo che il suo giudizio, al contrario del loro, è conforme a verità. Non capisco i miei
amici. Fanno ragionamenti inconclusivi. Le parole di Dio saranno invece comprensibili e del
tutto soddisfacenti ».

III. Si conforta con la speranza che Dio lo avrebbe trattato favorevolmente. Gb 23:6,7
Notate: In ogni nostro rapporto con Dio, è bene vederlo sempre in luce positiva. Giobbe
crede che:

1. Dio non lo avrebbe soggiogato con la forza, imponendo la sua assoluta sovranità o
esercitando con violenza o alterigia una rigida giustizia: Contenderebbe egli meco con la
sua gran potenza? No! Gli amici di Giobbe avevano impiegato tutte le loro forze per
cercare di persuaderlo, ma Dio farà lo stesso? No, il suo potere è del tutto giusto e santo,
a prescindere da quello umano. Contende con gran potenza contro chi si ostina a non

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 188


credere e a non pentirsi, che distruggerà con la gloria del suo potere. Tratta invece con
tenera compassione il suo popolo che lo ama e confida in lui.

2. Anzi, gli avrebbe dato la forza di presentargli la sua causa: « Invece, mi darebbe forza,
una forza che mi appoggerà e sosterrà in difesa della mia integrità ». Notate: Dio impiega
la stessa potenza contro i peccatori arroganti e in favore degli umili santi, che, come
Giacobbe, ottengono la vittoria in virtù della forza che derivano da lui (Os 12:3; cfr. Sl
68:35).

3. L’esito sarebbe stato certamente positivo. Là, nel tribunale del cielo, quando sarà dato il
giudizio finale, l’uomo retto potrà discutere con Dio ed essere discolpato in virtù della sua
giustizia. Gb 23:7 ND Ora, anche i giusti sono spesso corretti dal Signore, senza poter
ribattere. L’integrità non è di per sé una protezione contro la sciagura o la calunnia. In
quel giorno invece, i giusti non saranno condannati col mondo, anche se Dio conserva la
prerogativa di poterli affliggere. E voi vedrete la differenza che v’è fra il giusto e l’empio,
Ml 3:18 una differenza enorme nella loro condizione di vita eterna, mentre ora che la
differenza esteriore è così minima, ci è difficile distinguerli. Qui infatti tutto succede
ugualmente a tutti. « Quando il giudizio finale sarà pronunciato », Giobbe dice, « sarei dal
mio giudice assolto per sempre », cioè, « sarò salvato dalle ingiuste censure dei miei amici
e da quella sentenza divina che ora mi terrorizza ». Chi si arrende a Dio come suo re e
padrone sarà libero dal suo giudizio e dalla sua vendetta. Non si può sfuggire alla sua
giustizia, se non rifugiandosi nella sua misericordia.

Gb 23:8-12

In questi versetti:

I. Giobbe si lamenta di non poter comprendere il significato degli atti della provvidenza
divina nei suoi confronti, e si sente disorientato: Se vo ad oriente, egli non c’è, ss. Gb
23:8,9 Elifaz lo aveva esortato a fare conoscenza con Dio. « Lo farei di tutto cuore », dice
Giobbe, « se sapessi come ». Desiderava tanto apparire di fronte a Dio e ottenere
un’udienza del suo caso, ma il Giudice era introvabile. Dovunque guardasse, non lo vedeva
comparire per dichiarare la sua innocenza. Senza dubbio, Giobbe credeva
nell’onnipresenza di Dio, ma qui sembra che si lamenti particolarmente di tre cose:

1. Non riusciva a mettere ordine alle sue idee, né a formulare un chiaro giudizio. I suoi
guai gli tormentavano e confondevano tanto la mente che era come un uomo terrorizzato
o senza scampo, che corre da una parte e dall’altra, così disorientato da non risolvere
niente. Il turbamento e il tumulto che aveva nell’animo non gli permettevano di fissare la
mente sugli attributi di Dio che conosceva e che avrebbero potuto sostenerlo, se avesse
potuto anche solo avere un minimo di fede e se avesse riflettuto. Spesso chi è malato o
depresso si lamenta che, quando cerca di pensare a qualcosa di positivo, non riesce a
trovarvi senso.

2. Non riusciva a scoprire la causa dei suoi guai, né il peccato che aveva provocato Dio a
contendere con lui. Aveva analizzato la sua condotta, esaminandola da ogni punto di vista,
senza capire come avesse peccato più degli altri, tanto da dovere essere punito più degli
altri. D’altra parte, non poteva capire che altro motivo potesse avere Dio per affliggerlo in
quel modo.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 189


3. Non poteva prevedere l’esito finale, cioè se Dio lo avrebbe salvato, né quando e come.
Non ne vedeva alcun segno, e nessuno gli diceva quanto avrebbe dovuto attendere. Fu
anche il lamento della chiesa. Sl 74:9 Giobbe non sapeva che cosa Dio avesse in serbo per
lui. Ogni idea che poteva venirgli in mente era contrastata da un’altra.

II. Si accontentava di sapere che Dio stesso testimoniava la sua integrità. Non dubitava
quindi che l’esito sarebbe stato positivo.

1. Dopo essersi quasi perduto nel labirinto dei disegni divini, Giobbe trova finalmente
appagamento in questo pensiero: « Anche se io non conosco le sue vie (La sua via è in
mezzo al mare, i suoi sentieri in mezzo alle grandi acque, i suoi pensieri e le sue vie sono
infinitamente più alti delle nostre, e saremmo presuntuosi se pretendessimo di poterli
giudicare), la via ch’io batto ei la sa ». Gb 23:10 In altre parole,

(a) Dio la conosce bene. Gli amici di Giobbe giudicavano ciò che non conoscevano, e
quindi lo accusavano di colpe mai commesse. Dio invece non lo avrebbe mai fatto, perché
conosceva ogni suo passo. Sl 139:3 Notate: Sapere che Dio comprende i motivi, anche se
gli uomini non possono o non vogliono farlo, è un gran conforto per chi ha intenzioni
oneste.

(b) Dio la approva: « Sa che, anche se a volte ho fatto qualche passo falso, seguo una
buona strada e ho scelto la via della verità ». La sa, cioè, la accetta e se ne compiace.
Conosce la via dei giusti. Sl 1:6 Fu un conforto per il profeta Geremia, che disse: Tu provi
qual sia il mio cuore verso di te. Gr 12:3 Giobbe quindi deduce: Se mi mettesse alla prova,
ne uscirei come l’oro. Nell’afflizione, chi si attiene alla via dell’Eterno può confortarsi con
questi tre pensieri: [1] È solo una prova, intesa non a fargli del male, ma a recargli onore
e beneficio. È la prova della sua fede. 1Pi 1:7 [2] Quando sarà stato messo
sufficientemente alla prova, uscirà dalla fornace, senza essere consumato come scorie o
argento di rifiuto. La prova finirà. Dio non contenderà in perpetuo. [3] Ne uscirà come
l’oro, puro e prezioso per chi lo raffina. Ne uscirà come oro approvato e perfezionato. Le
afflizioni ci influenzano secondo la nostra natura. L’oro che entra nella fornace non ne
uscirà meno prezioso.

2. Fu la testimonianza della sua coscienza a incoraggiare Giobbe a sperare che i suoi guai
sarebbero finiti, perché aveva vissuto una buona vita nel timore di Dio.

(a) Aveva seguito la via di Dio: « Il mio piede ha seguito fedelmente le sue orme », cioè,
« vi si è attenuto attentamente. Ho cercato di conformarmi al suo esempio ». Gb 23:11 I
giusti seguono Dio. Oppure: « Mi sono adeguato agli atti della sua provvidenza, cercando
di soddisfare tutti i suoi intenti, seguendola passo per passo ». Oppure: « I suoi passi sono
quelli che ha stabilito per me. Ho seguito la via della religione e della seria devozione a
Dio, senza deviare » Non solo non sono ritornato indietro in una totale apostasia, ma non
sono nemmeno uscito di strada con una deliberata trasgressione ». Il fatto che si fosse
attenuto saldamente alle vie di Dio, seguendo le sue orme, lascia intendere che il
tentatore aveva usato tutte le sue arti, con l’inganno e con la violenza, per trarlo fuori
strada. Giobbe invece, con attenzione e deliberazione e per grazia di Dio, aveva
perseverato. Chi vuole seguire il suo esempio deve attenersi a quella via e mantenersi in
essa con determinazione e vigilanza.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 190


(b) Aveva tenuto come sua regola la parola di Dio. Si era condotto secondo i
comandamenti delle sue labbra, Gb 23:12 e non se ne sarebbe ritratto. Anzi, avrebbe
proseguito. Qualunque siano le difficoltà nel seguire i comandamenti di Dio, anche se ci
guidano per un deserto, non dobbiamo mai pensare di abbandonarli, ma dobbiamo
proseguire verso la meta. Giobbe era stato ispirato a condursi secondo la legge di Dio sia
dal suo giudizio che dai suoi sentimenti: Aveva riposte appo sé le parole della sua bocca,
più caramente che la sua provvisione ordinaria, cioè, le considerava necessarie come il
cibo. Non poteva farne a meno, così come non avrebbe potuto vivere senza mangiare. Le
aveva conservate (secondo il significato letterale), come si conservano provvigioni per
sopravvivere a un assedio, o come aveva fatto Giuseppe prima della carestia. Elifaz gli
aveva detto di riporre le parole di Dio nel suo cuore. Gb 22:22 « Lo faccio », risponde
Giobbe, « e l’ho sempre fatto, per non peccare contro di lui e, come un buon padrone di
casa, per recare beneficio agli altri ». Notate: La parola di Dio è per l’anima ciò che il cibo
è per il corpo: sostiene la vita spirituale e ci dà forza per affrontare gli eventi di questa
vita. Non possiamo farne a meno, e non ha sostituti. Dobbiamo quindi comprenderne il
valore e sforzarci di ottenerla, desiderandola e alimentandocene con gioia, nutrendo le
nostre anime. Sarà la nostra gioia anche nei giorni più brutti, come fu per Giobbe.

Gb 23:13-17

Secondo alcuni, Giobbe si lamenta qui del fatto che Dio lo aveva trattato ingiustamente,
mandandogli una punizione così incessante, anche se aveva delle prove inconfutabili della
sua innocenza. Io esito a credere che il pio Giobbe avesse accusato il santo Dio di avere
agito male. Il suo lamento è effettivamente arrogante e pieno di risentimento, e dimostra
una rassegnazione forzata a un Dio che gli infligge delle punizioni severe, che egli accetta
solo perché non può fare altrimenti. Dice però solo che Dio si comporta con lui in maniera
incomprensibile.

I. Dichiara delle ottime verità, da cui possiamo trarre buoni insegnamenti: Gb 23:13,14

1. La volontà di Dio è immutabile: La sua decisione è una; chi lo farà mutare? Egli è uno
(secondo alcuni) o in uno. Non ha consiglieri che possano influenzarlo con i propri interessi
o alterare i suoi propositi. È coerente con se stesso e non cambia mai idea o regola. La
preghiera ha potuto cambiare le sue disposizioni o gli atti della sua provvidenza, ma mai la
sua volontà o il suo scopo. A Dio son note ab eterno tutte le opere sue.

2. Il potere di Dio è irresistibile: Quello ch’ei desidera o stabilisce, lo fa, e niente può
ostacolarlo o fargli cambiare idea. Ci sono tante cose che gli uomini desiderano, ma che
non possono o non osano fare. Dio invece ha una sovranità incontestabile. La sua volontà
è così perfettamente pura e retta che è giusto che ogni suo proposito vada a compimento.
Ha inoltre un potere incontrollabile. Non v’è alcuno che possa fermare la sua mano.
L’Eterno fa tutto ciò che gli piace Sl 135:6 e continuerà a farlo, perché è sempre la cosa
migliore.

3. Ogni sua azione è secondo la sua volontà: Egli eseguirà quel che di me ha decretato.
Gb 23:14 Tutto ciò che ci accade, avviene per sua mano. Sl 57:2 Potremo ammirare la sua
opera intera quando il mistero sarà finito. Dio compie tutto ciò che ha stabilito, e solo ciò
che ha stabilito, nel momento prefissato e con il metodo determinato. Questo pensiero
deve metterci a tacere, perché i suoi piani non possono essere alterati. Anzi, sapere che,

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 191


quando Dio ha stabilito di darci vita e gloria eterna, ha deciso anche le condizioni e le
afflizioni che troviamo sul percorso, deve non solo metterci a tacere, ma convincerci che
tutto è per il bene. Anche se ora non sappiamo che cosa Dio sta facendo, lo sapremo in
seguito.

4. Ogni sua azione è secondo le consuetudini della sua provvidenza: Di cose come queste
ne ha molte in mente, cioè, provvidenzialmente fa molte cose che non possiamo capire,
ma che dobbiamo lasciare alla sua assoluta sovranità. Qualunque siano i nostri guai,
qualcun altro li ha già avuti. La nostra condizione non è unica. Le medesime sofferenze si
compiono nella nostra fratellanza. 1Pi 5:9 Siamo malati, sofferenti, poveri o derubati?
Compiangiamo la morte dei nostri figli? I nostri amici ci trattano male? È quel che di noi ha
decretato Dio; e di cose come queste ne ha molte in mente. Dovrà la terra, per cagion
nostra, essere abbandonata?

II. Giobbe fa cattivo uso di queste ottime verità. Se le avesse considerate bene, avrebbe
detto: « Sono sereno e contento, accettando pienamente le azioni del mio Dio nei miei
confronti. Mi rallegrerò quindi nella speranza che i miei guai finiranno per il bene ». Invece
dice: Nel suo cospetto io sono atterrito. Gb 23:15 Sono gli spiriti veramente turbati ad
agitarsi alla presenza di Dio, come il salmista, che si ricordò di Dio, e gemette. Sl 77:3
Notate la costernazione che il povero Giobbe, che si contraddice: aveva appena detto di
essere sconvolto dall’assenza di Dio, Gb 23:8,9 e ora è turbato dalla sua presenza. Quando
ci penso, ho paura di lui. I suoi sentimenti aggravano il suo timore. Ci sono effettivamente
dei giusti motivi per avere paura di Dio, quando confrontiamo la sua giustizia e la sua
purezza, che sono infinite, con la nostra natura vile e peccaminosa. Se però consideriamo
la sua grazia nell’averci dato un Redentore e la nostra accettazione di quella grazia, i
timori svaniscono e troviamo motivo di sperare in lui. Notate i marchi che gli avevano
lasciato le ferite del suo spirito:

1. Aveva molta paura: L’Onnipotente lo aveva spaventato, togliendogli il coraggio. Gb


23:16 Non riusciva a sopportare nulla, e temeva ogni minima cosa. A volte è la grazia di
Dio a renderci particolarmente sensibili, come nel caso di Giosia, che si era intenerito
nell’animo e tremava di fronte alla parola di Dio. Qui troviamo invece una sensitività
negativa che fa percepire ogni cosa presente come un peso e ogni cosa futura come una
minaccia.

2. Era molto ansioso, perfino petulante. Si lamentò con Dio perché:

(a) Non era morto prima di tutti quei suoi mali. Perché non sono io stato troncato, per non
veder le tenebre? Gb 23:17 Se però, quando era più prospero, avesse ricevuto una
chiamata alla morte, gli sarebbe stato difficile rispondere. Possiamo vedere la morte con
meno contrarietà, in qualunque momento, se pensiamo che non sappiamo ai mali da cui
forse può sottrarci. Quando però i mali arrivano, è assurdo desiderare di essere già morti,
ed è meglio imparare ad adattarci.

(b) Perché era rimasto in vita così a lungo tra tante sofferenze, e perché la tomba non gli
aveva nascosto le tenebre. Possiamo sopportare le tenebre meglio di Giobbe se ci
ricordiamo che, per i giusti, a volte sorge una luce miracolosa tra le tenebre e, in ogni
modo, li aspetta una luce ancora più stupenda dopo.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 192


Giobbe 24

Giobbe, avendo dato sfogo alla sua passione con i lamenti del capitolo precedente, e
avendovi trovato un po’ di sollievo, si interrompe improvvisamente per ritornare a
discutere con gli amici la controversia dottrinale sulla prosperità degli empi. Aveva già
dimostrato che molte persone irreligiose e profane, che disprezzano ogni segno di
devozione a Dio, vivono in pace e in tranquillità (Giobbe 21$). Ora va oltre, spiegando che
molti fanno del male agli altri, vivendo in aperta opposizione a tutte le leggi della giustizia
e dell’onestà, eppure prosperano e hanno successo, senza un’apparente punizione in
questo mondo. Amplia quindi il discorso a cui aveva accennato prima, quando aveva
detto: Sono tranquille le tende de’ladroni. Gb 12:6 Dichiara prima la sua tesi generica, Gb
24:1 che cioè la punizione dei malvagi non è visibile e apparente come i suoi amici
pensavano che fosse, e la dimostra poi con dei particolari esempi:

I. Chi fa apertamente del male ai poveri non deve render conto del suo operato, né
rimediare alle sue offese, Gb 24:2,12 per crudeli che siano state. Gb 24:21,22

II. Chi fa il male in segreto spesso non è scoperto e non è punito. Gb 24:13-17

III. La punizione di quegli empi è segreta e il giudizio è riservato al futuro. Gb 24:18-


20,23,25 Non possiamo quindi dire che tutti gli afflitti siano malvagi, dato che chiaramente
non tutti quelli che stanno bene sono giusti.

Gb 24:1-12

Gli amici di Giobbe avevano affermato con certezza che, per quanto gli empi possano
apparentemente prosperare per un po’di tempo, sono presto distrutti. « No », dice Giobbe,
« anche se sono dall’Onnipotente fissati dei tempi in cui renda la giustizia, quelli che lo
conoscono non veggono quei giorni ». Gb 24:1

1. Giobbe prende per scontato il fatto che i tempi prefissati non sono nascosti
all’Onnipotente: il passato non sfugge al suo giudizio, Ec 3:15 il presente non elude la sua
provvidenza Mt 10:29 e il futuro non è nascosto alla sua prescienza. At 15:18 Dio governa
il mondo, e possiamo quindi essere certi che lo conosce. I brutti tempi non gli sono
nascosti, anche se gli empi che li rendono brutti dicono tra di loro: Ha abbandonato il
paese. Ez 8:12,sl 94:6,7 I giorni di ognuno sono nelle sue mani e sotto il suo sguardo, e
può quindi rendere misera la vita degli empi in questo mondo. Conosce il momento della
morte di ognuno, quindi se gli empi muoiono prima di essere puniti, non possiamo dire:
« Gli sono sfuggiti ». Ha previsto, anzi, stabilito la loro morte. Prima di trattare i motivi
della prosperità degli empi, Giobbe dichiara l’onniscienza di Dio, così come un profeta, in
una simile occasione, aveva dichiarato la sua giustizia, Gr 12:1 un altro la sua santità, Hb
1:13 e un altro ancora la sua bontà verso il suo popolo. Sl 73:1 Dobbiamo attenerci
saldamente alle regole generali, anche se possiamo avere difficoltà nel riconciliarle con dei
particolari eventi.

2. Giobbe dichiara tuttavia che le persone che conoscono Dio (cioè, quelle buone e sagge
che ne hanno fatto conoscenza e alle quali egli ha affidato il suo segreto) non vedono quei
giorni, cioè il giorno del giudizio. Se ne era già lamentato parlando di se stesso, Gb 23:8
perché Dio non gli appariva per difenderlo. Il giorno del giudizio divino contro dei peccatori

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 193


manifesti e notori è definito il suo giorno. Sl 37:13 Crediamo che quel giorno verrà, ma
non lo vediamo, perché è un giorno futuro e le sue premonizioni sono segrete.

3. Anche se è un mistero della Provvidenza, c’è un motivo per cui il giudizio è rimandato, e
presto lo sapremo. Anche le persone più sagge e più vicine a Dio non lo sanno ancora. Dio
esercita la loro fede e la loro pazienza e ispira le loro preghiere per la venuta del suo
regno, per cui devono gridare a lui giorno e notte. Lu 18:7 Per dimostrare che gli empi
prosperano, Giobbe parla specificamente di due categorie di malvagi che tutto il mondo
vede vivere felicemente:

I. I tiranni e tutti quelli che fanno il male con la pretesa di dettare legge e di esercitare
autorità. È uno spettacolo triste che si è spesso visto sotto il sole: l’empietà nel luogo
stabilito per la giustizia, Ec 3:16 le lacrime inconsolate degli oppressi, la violenza dei loro
oppressori, Ec 4:1 e la violazione del diritto e della giustizia. Ec 5:8

1. Tolgono ai vicini i possedimenti che hanno ereditato dagli antenati. Ne spostano i


termini, con il pretesto che sono incorretti, Gb 24:2 calpestando i loro diritti. Pensano poi
di poter tramandare ai propri posteri quei terreni ottenuti così ingiustamente, stabilendo
così un’eredità che apparteneva invece ai giusti proprietari. Era un atto proibito dalla legge
di Mosè, De 19:14 a cui era affissa una maledizione. De 27:17 Oggi, falsificare o
distruggere degli atti di proprietà è un crimine equivalente.

2. Li spogliano dei loro averi con il pretesto di fare giustizia. Rapiscono greggi, dicendo che
non sono realmente loro, e se ne cibano, Gb 24:2 KJV come fece il ricco che prese
l’agnella del povero. 2Sa 12:4 Se un povero orfano non ha che un asinello che gli può dare
un po’di reddito, trovano qualche scusa per portarglielo via, perché il proprietario non può
contestarli. Non importa se una vedova ha soltanto un bue in suo possesso. Fingendo di
dover riscuotere qualche piccolo debito o di ritirare un pagamento di affitto, lo prendono in
pegno. Tra i suoi titoli onorifici, Dio si definisce Padre degli orfani e difensore delle vedove.
Non considererà quindi amici quelli che non fanno tutto il possibile per proteggerli e per
aiutarli. Anzi, considererà certamente nemici quelli che li tormentano e li opprimono.

3. Colgono ogni occasione per maltrattare i poveri e i bisognosi, Gb 24:4 cercando di


imbrogliarli ogni volta che li incontrano, per cui essi, non avendo altra via di scampo, sono
costretti a nascondersi da loro. Per natura, amano schernire e prendere in giro,
procurando ogni sorta di guai. Amano soprattutto trionfare sui poveri: bloccano ogni loro
fonte di soccorso, minacciano di punirli come vagabondi e li costringono a nascondersi,
deridendoli poi alla fine. Secondo alcuni, quegli atti barbarici furono svolti con
un’apparenza di legalità. Strappano dalla mammella l’orfano, Gb 24:9,10 cioè, dopo aver
tolto il padre a dei poveri infanti, li strappano dalle braccia materne. Dopo aver tolto la vita
al padre, spezzano il cuore della madre, lasciando che i piccoli muoiano di fame. Il
Faraone ed Erode tolsero i figli alle madri con la spada, e le Scritture parlano di figliuoli
menati a colui che li ucciderà. Os 9:13 Chi può versare con tanto piacere del sangue
innocente è un assassino inumano. Prendono pegni da poveri, e derubano i miseri. Anzi,
secondo alcuni, prendono i poveri stessi in pegno. Probabilmente è con questo pretesto
che strappano dalla mammella gli orfani, catturandoli come schiavi. cfr. Ne 5:5 La crudeltà
verso i poveri è una grande malvagità che esige una vendetta. Chi non dimostra
misericordia per chi la implora sarà giudicato senza pietà. Un altro esempio del loro
trattamento barbarico verso tutti quelli che possono sfruttare è la privazione del loro

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 194


sostentamento e dei loro panni. Estorcono tanto da lasciarli ignudi, senza vestiti, Gb 24:10
esposti alle intemperie e quindi alla morte. Se una povera famiglia affamata raccoglie un
fascio di grano per farsi un’ultima pagnotta, portano via anche quello, contenti di vederla
morire di fame, mentre essi si mantengono pieni zeppi.

4. Opprimono duramente i lavoratori. Non solo non li pagano, anche se l’operaio è degno
della sua mercede (e privarlo è un grave peccato, secondo Gm 5:4), ma non danno loro
nemmeno da mangiare e da bere: Chi porta i loro fasci è affamato, secondo
un’interpretazione Gb 24:10 che si accorda con il versetto seguente, dove leggiamo che
chi fa l’olio nel recinto dell’empio e fatica a pigiare l’uva patisce la sete. È peggio che
mettere la musoliera al bue che trebbia il grano. Quei tiranni dimenticano che hanno un
Padrone nei cieli che non permetterà che tolgano ogni sostentamento ai loro servitori e
operai, senza curarsi se possano sopravvivere o meno.

5. Le lacrime degli oppressi sono versate non solo nella campagna, ma anche nelle città:
Sale dalle città il gemito de’morenti, Gb 24:12 dove i ricchi mercanti e commercianti
trattano i poveri debitori con la stessa crudeltà con cui i padroni delle tenute agricole
trattano i poveri affittuari. Nelle città, queste crudeltà sono più ovvie che negli angoli
oscuri delle campagne, e gli oppressi possono più facilmente ricorrere all’aiuto delle
autorità giudiziarie, ma gli oppressori non temono i vincoli della legge, né le giuste critiche
dei vicini. Le loro vittime gemono e gridano come se fossero ferite, senza poter far nulla,
perché quei tiranni sono inesorabili e sordi ai loro lamenti.

II. Giobbe parla dei ladri e di chi fa il male con manifesta violenza, come le bande dei
Sabei e dei Caldei che lo avevano derubato. Non li cita specificamente, per non dimostrare
parzialità a se stesso e per non giudicare gli altri basandosi solo sul loro comportamento
verso di lui (come siamo tutti portati a fare). Tra gli Arabi, però, le tribù dell’oriente (dove
viveva Giobbe) erano quelle che vivevano di furto e di rapina, facendo incursioni sui vicini
e derubando i viandanti. Notate come li descrive Giobbe e che mali commettono: Gb 24:5-
8

1. Di carattere, sono come onagri del deserto, indocili, intrattabili e irragionevoli, com’era
Ismaele. Ge 16:12 Sono violenti e impetuosi, senza leggi o governi. Gr 2:23,24 Scelgono
di vivere nel deserto per vivere da soli, senza regole, e per commettere quindi più male. Il
deserto è infatti il luogo ideale per degli individui selvatici. Gb 39:6 Non c’è però deserto
che allontani dallo sguardo e dalla mano di Dio.

2. Il furto e la razzia sono le occupazioni che si sono scelti, perché possono trarne più
profitto, e più facilmente, di quanto potrebbero trarre da una professione onesta. Li
praticano attentamente come normali occupazioni: Escono al lor lavoro, come fanno tutti,
Sl 104:23 e lo svolgono con diligenza e fatica: Si levano la mattina per andare alla preda.
Gb 24:5 D Se un viandante si mette in viaggio di buon ora, si alzano anche loro per
derubarlo. È il loro mezzo di sostentamento: Il deserto (non il terreno, ma le sue strade)
dà pane ai lor figliuoli. Mantengono se stessi e le proprie famiglie derubando i viandanti,
senza rimorsi di compassione o di coscienza, e traendone una sicurezza pari a quella di
un’occupazione onesta. Faceva così Efraim. Os 12:7,8

3. Notate che male possono fare alla loro nazione. Non solo derubano i viandanti, ma
fanno incursioni sui vicini e raccolgono nei campi la loro pastura, Gb 24:6 cioè, entrano nei

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 195


campi altrui, raccolgono il grano e lo portano via come se fosse loro. Anche l’empio, come
atto di malvagità, vendemmia nella vigna. Oppure, secondo la nostra traduzione:
Raspollano nella vigna dell’empio, per cui un malvagio punisce l’altro. Ciò che gli empi
ottengono con l’estorsione (il loro modo di rubare), quei ladroni prendono con il furto.
Spesso quindi i devastatori sono devastati. Is 33:1

4. Notate la misera fine di chi cade tra le loro mani: Fanno passar la notte agl’ignudi, a cui
hanno tolto anche i panni che avevano addosso, senza vestimenti, Gb 24:7 D finché,
bagnati dagli acquazzoni di montagna, per mancanza di rifugio, si stringono alle rocce, lieti
di trovare anche solo una grotta o una caverna per ripararsi dalle intemperie. Gb 24:8
Elifaz aveva accusato Giobbe di simili atti di crudeltà, concludendo che la Provvidenza non
gli avrebbe tolto ogni cosa se lui non avesse spogliato delle lor vesti i mezzo ignudi. Gb
22:6 Giobbe risponde che ci sono delle persone realmente colpevoli di quei crimini che
invece prosperano e continuano ad avere successo nelle loro empietà, perché la
maledizione che si sono tirati addosso opera invisibilmente. Giobbe, il quale affermava che
degli atti di malvagità ben noti e manifesti comportano una punizione segreta e futura,
considerava il suo ragionamento più valido di quello di Elifaz, che sosteneva invece che le
afflizioni presenti sono sufficienti prove di iniquità segrete del passato. L’impudenza di
quegli oppressori e di quei ladroni è espressa in una semplice frase: Dio non si cura di
codeste infamie, Gb 24:12 cioè, non le punisce immediatamente con i suoi giudizi
prestabiliti e non ne fa degli esempi per gli altri, dimostrando a tutti la loro follia. Chi
acquista ricchezze, ma non con giustizia, quando arriva la sua fine, non è che uno stolto.
Gr 17:11 Mentre però prospera, sembra saggio, e Dio non lo punirà per la sua stoltezza
fino alla fine, quando dirà: Stolto, questa notte stessa l’anima tua ti sarà ridomandata. Lu
12:20

Gb 24:13-17

Questi versetti descrivono un altro tipo di peccatori che non sono puniti perché non sono
scoperti. Si ribellano alla luce. Gb 24:13 Secondo alcuni, la frase ha un significato
simbolico: peccano contro la luce della natura, la luce della legge di Dio e della loro
coscienza. Dicono di conoscere Dio, ma si ribellano a quella conoscenza e non lasciano che
li guidi, li governi, li comandi e li controlli. Secondo altri, quell’espressione ha un significato
letterale: scelgono la notte piuttosto che il giorno per compiere le loro malvagità. Le opere
peccaminose sono chiamate opere delle tenebre, proprio perché chiunque fa cose malvage
odia la luce Gv 3:20 e non ne conosce le vie, cioè, se ne tiene lontano. Se gli capita di
essere visto, va altrove. Giobbe descrive qui i peccatori peggiori, quelli che peccano di
proposito e contro coscienza, per cui aggiungono al peccato la ribellione. Peccano
deliberatamente, a ragion veduta e con grande premeditazione, usando mille stratagemmi
per nascondere le loro malefatte, immaginando di essere al sicuro se possono nasconderle
agli uomini, dimenticando però che non vi son tenebre e non v’è ombra di morte, ove chi
opera iniquamente possa nascondersi dallo sguardo di Dio. Gb 34:22 In questo paragrafo,
Giobbe parla specificamente di tre tipi di peccatori che rifuggono la luce:

1. Gli assassini: Si levano sul far del giorno, Gb 24:14 di primo mattino, per uccidere i
poveri viandanti che si alzano presto per andare al mercato con un po’di soldi o di
mercanzie. Anche se hanno così poco da poter essere giustamente chiamati poveri e
bisognosi, e anche se ricavano ben poco dalla loro mercanzia, gli assassini gli tolgono la
vita e rischiano la propria per quel poco, preferendo cacciare poco che non cacciare per

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 196


niente. Anzi, uccidono tanto per uccidere, assetati più di sangue che di bottino.
Osserviamo fino a che punto si spingono gli empi per compiere i loro piani malvagi, e
vergogniamoci della nostra negligenza e pigrizia nel fare il bene. Ut jugulent homines,
surgunt de nocte latrones, Tuque ut te serves non expergisceris? — I ladroni si svegliano
di notte e uccidono per denaro. Non ti alzerai anche tu per il tuo bene?

2. Gli adulteri. Gli occhi pieni d’adulterio, 2Pi 2:14 con sguardi provocanti e impuri, spiano
il crepuscolo. Gb 24:15 Fece così l’adultera in Pr 7:9. L’adultero nasconde il capo per la
vergogna. Anche i peccatori più impudenti fanno il possibile per nascondere il loro
peccato: si non caste, tamen caute se non castamente, cautamente. Anche dopo tutti gli
sforzi infernali di togliergli il disonore, anche solo dire le cose che si fanno da costoro in
occulto è e sarà sempre disonesto. Ef 5:12 L’adultero nasconde il capo anche per timore,
sapendo che la gelosia rende furioso il marito, il quale sarà senza pietà nel dì della
vendetta. Pr 6:34 Notate gli sforzi di chi ha cura della carne per soddisfarne le
concupiscenze, per ottenere e poi nascondere ciò che, dopo tutto, condurrà alla morte e
all’inferno. Sono necessari meno sforzi per mortificare e crocifiggere la carne, sforzi che,
alla fine, condurranno alla vita e al cielo. Il peccatore trasformi il proprio cuore, e non avrà
bisogno di camuffarsi il volto, ma potrà tenerlo alto, senza macchia.

3. I saccheggiatori. Segnano le case di giorno, Gb 24:16 D i percorsi e le entrate più facili


da aprire. Poi, di notte, vi penetrano per uccidere, rubare o commettere adulterio. La notte
favorisce l’attacco e rende più difficile la difesa. Il padron di casa non sa a che ora verrà il
ladro, quindi dorme, Lu 12:39 senza difendere se stesso o le sue cose. È per questo che la
nostra legge considera il furto con scasso intenzionale un delitto senza esonero per i
membri del clero. Per finire, Giobbe osserva (forse come parte della punizione attuale,
benché segreta, di questi peccatori) che sono in continuo timore di essere scoperti: Il
mattino è per loro come ombra di morte. Gb 24:17 La luce del giorno, benvenuta dalle
persone oneste, atterrisce i malvagi. Gli empi maledicono il sole, non perché brucia la
pelle, come potrebbero maledirlo gli Africani, ma perché li mette allo scoperto. Se alcuno li
riconosce, la coscienza li attacca, e sono pronti ad accusarsi da soli, perché hanno
spaventi dell’ombra della morte. La vergogna venne nel mondo insieme al peccato, e
culminerà nel disonore eterno. Notate la miseria dei peccatori, presi da continui terrori.
Osservate però la loro follia: hanno paura di farsi vedere dagli uomini, ma non temono lo
sguardo di Dio, che è sempre su di loro. Non hanno paura di commettere delle azioni che
hanno invece un gran terrore di rivelare.

Gb 24:18-25

qui, concludendo il suo discorso,

I. Presenta altri esempi della malvagità di quegli uomini crudeli e sanguinari.

1. Ci sono dei pirati e dei predatori dei mari. È a questo che, secondo molti dotti interpreti,
si riferisce questa difficile espressione: Passano velocemente sulla superficie delle acque.
Gb 24:18 ND I corsari scelgono le navi più veloci, con le quali navigano da un canale
all’altro, raccogliendo il bottino. Accumulano così tante ricchezze che la loro parte sulla
terra è maledetta, e non prenderanno più la via delle vigne, cioè (come spiega il dott.
Patrick), disprezzano il lavoro di chi coltiva la terra e pianta vigne, considerandolo misero e
infruttuoso. Secondo altri, è un’ulteriore descrizione della condotta di quei peccatori che

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 197


hanno paura della luce. Se sono scoperti, fuggono il più rapidamente possibile, scegliendo
di appiattarsi, non tra le vigne, per paura di essere scoperti, ma in qualche luogo
maledetto, solitario e desolato, dove non va nessuno.

2. C’è chi abusa di chi è nei guai, aggiungendo afflizioni agli afflitti. La sterilità era
considerata un grande disonore, e questi empi scherniscono le persone che ne sono
afflitte, come fece Peninna con Anna, di proposito, per vessarla e preoccuparla,
crudelmente. Sono individui che divorano la sterile, priva di figli, Gb 24:21 la quale
desidera tanto le frecce che gli altri hanno nel loro turcasso e che li permette di parlare
con i nemici alla porta. Sl 127:5 Sfruttano e opprimono chi è senza figli, che, in un certo
senso, è indifeso come gli orfani. È per questo che è crudele far del male alle vedove, a
cui dovremmo far del bene. Non fare il bene che possiamo fare è fare del male.

3. Ci sono quelli che, abituati alla crudeltà, diventano così prepotenti da essere il terrore
de’prodi sulla terra de’viventi: « Traggono giù i possenti con la lor forza. Neanche i potenti
possono resistere alla loro ira. Si levano con impeto e si infuriano con tanto vigore che gli
altri non si assicurano della vita. Gb 24:22 D Neanche loro possono però essere sicuri della
loro, perché la loro mano sarà contro tutti, e la mano di tutti contro di loro ». Ge 16:12
Sembra strano che uno provi piacere nel terrorizzare gli altri, ma accade.

II. Giobbe dimostra che quei peccatori sfrontati prosperano e stanno bene per un po’di
tempo e, anzi, spesso terminano la loro esistenza in pace, come Ismaele che, anche se
aveva il carattere descritto in questo capitolo, visse e morì in presenza di tutti i suoi
fratelli. Ge 16:12 25:18 KJV Di questi peccatori, Giobbe dice che:

1. Dio dà loro sicurezza. Gb 24:23 Sembrano essere sotto la protezione speciale della
Provvidenza divina. Ci si domanda come possano sopravvivere con tutti i pericoli in cui
incorrono.

2. Ne fanno affidamento come licenza per agire violentemente. Siccome la sentenza contro
una mala azione non si eseguisce prontamente, pensano che non sia poi un gran male, e
che Dio non li disapprovi e non esiga mai un resoconto dei loro atti. La loro prosperità è la
loro sicurezza.

3. Per un poco di tempo sono innalzati. Gb 24:24 D Sembrano i favoriti del cielo, e
credono di fare una gran figura. Sono onorati, e si sentono al sicuro da ogni pericolo, gonfi
della propria superbia.

4. Alla fine, escono dal mondo in quiete e in silenzio, senza gran disonore o terrore.
« Scendono alla tomba così come la neve, sciolta dal sole, è assorbita dal’arido suolo »,
spiega il dott. Patrick, Gb 24:19 che parafrasa anche il prossimo brano: Il seno che lo
portò l’oblia, ss. Gb 24:20 « Dio non esprime la sua disapprovazione tanto da rendere
quegli empi odiosi alla propria madre. La mano della giustizia non li appende alla forca,
lasciandoli in pasto agli uccelli. Scendono nella tomba come gli altri, per essere divorati dai
vermi, e vi rimangono, silenziosi. Nessuno ripensa a loro o alla loro empietà più di quanto
si ricordi un albero frantumato in schegge ». Son mietuti come gli altri mortali, Gb 24:24
cioè, « sono rinchiusi nelle tombe come tutti gli altri. Anzi, muoiono come una spiga di
grano è raccolta da una mano, senza dolorose sofferenze ». Confrontatelo con

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 198


l’osservazione di Salomone: Poi ho visto degli empi venire sepolti, i quali erano entrati e
usciti dal luogo santo; essi pure erano stati dimenticati. Ec 8:10 ND

III. Predice però la loro caduta, e che la morte, per facile e onorevole che possa essere,
sarà la loro rovina. Gli occhi di Dio vegliano sul loro cammino. Gb 24:23 Anche se Dio non
parla, e sembra quasi che li approvi, osserva e tiene conto di tutta la loro malvagità. Ben
presto, renderà evidente che i loro peccati più segreti, che pensavano che nessuno
avrebbe visto, Gb 24:15 erano sotto il suo sguardo e sarebbero stati riportati in scena.
Giobbe non parla della punizione di questi peccatori nel mondo a venire, ma la lascia
intendere nelle particolari conseguenze della loro morte.

1. Il loro corpo si decomporrà nella tomba. Anche se è un evento normale, per loro è una
punizione. Il soggiorno de’morti inghiottisce chi ha peccato. Quella terra oscura sarà la
dimora di chi ama le tenebre più che la luce. I corpi che avevano viziato saranno divorati
dai vermi, che li consumeranno con lo stesso gusto con cui loro avevano consumati i
piaceri e i guadagni dei loro peccati.

2. Benché avessero pensato di diventare famosi per la loro ricchezza, il loro potere e i loro
grandi successi, perfino la memoria sarà perita. Sl 9:6 Benché si fossero resi così popolari,
dopo la morte nessuno più li ricorderà con rispetto. Il loro nome marcisce. Pr 10:7 Chi non
ha osato dirgli le cose come stavano quando erano in vita non li risparmierà dopo la
morte, tanto che il seno che li portò, le loro stesse madri, lo dimenticheranno, cioè,
eviteranno di parlarne, considerandolo il più grande ossequio, dato che non si potrà dire
nulla di bene. L’onore ottenuto con il peccato si trasforma presto in vergogna.

3. L’empietà che hanno pensato di instaurare nelle loro famiglie è spezzata come un
albero. Tutti i loro progetti malvagi sono distrutti e le loro perfide speranze sono abbattute
e sepolte con loro.

4. La loro superbia è umiliata e gettata tra la polvere. Gb 24:24 Per misericordia verso il
mondo, sono tolti di mezzo, e il loro potere e la loro prosperità sono interrotti. Chi li cerca
non li trova. Giobbe riconosce che gli empi, dopo la morte, saranno miserabili, ma nega
totalmente ciò che affermano i suoi amici, cioè che di solito sono miserabili in questa vita.

IV. Giobbe conclude con una gran sfida a tutti i presenti a smentire le sue parole: « Se
così non è, Gb 24:25 se non è come ho detto e se non si può concludere che sono
condannato e biasimato ingiustamente, dimostratemi, se potete, che il mio discorso è:

1. Di per sé falso, e provatemi bugiardo, oppure dimostratelo:

2. Inappropriato e per niente pertinente, e quindi futile e insulso ». Ciò che è falso non
vale niente. Se non c’è verità, come può esserci giustizia? Chi invece si esprime con verità
e serietà non deve temere di essere messo alla prova, ma può sottomettersi serenamente
a qualunque giusta investigazione, come fa qui Giobbe.

Giobbe 25

Bildad, apparentemente stanco della discussione, dà una breve risposta al discorso di


Giobbe. Non potendo confutare le prove che Giobbe aveva dato nel capitolo precedente,

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 199


abbandona la questione principale sulla prosperità degli empi. Pensando però che Giobbe,
nei suoi appelli al tribunale di Dio, si fosse rivolto con troppa impudenza alla maestà divina
(Giobbe 23), dimostra in poche parole l’infinita distanza che c’è tra Dio e l’uomo,
insegnandoci:

I. A considerare Dio con riverenza e rispetto. Gb 25:2,3,5

II. A umiliare noi stessi. Gb 25:4,6 Questi insegnamenti, anche se male applicati nel caso
di Giobbe, sono importanti per noi tutti.

Gb 25:1-6.

Bildad dev’essere lodato per due cose:

1. Per avere abbandonato l’argomento sul quale Giobbe e gli altri erano in contrasto. Forse
aveva iniziato a pensare che Giobbe avesse ragione, e che quindi fosse giusto non
continuare il discorso. Chi discute per la verità, e non per vincere la discussione, è felice di
perdere pur di scoprirla. Oppure, anche se avesse pensato di avere ragione, sapeva
quando fermarsi e non avrebbe continuato a disputare incessantemente per avere l’ultima
parola. Forse tutti e tre gli amici avevano abbandonato quella discussione perché avevano
capito che l’alterco tra loro e Giobbe non era in realtà una differenza di opinioni, come
avevano pensato. Riconoscevano che gli empi possono prosperare per un po’di tempo, e
Giobbe riconosceva che sarebbero stati distrutti alla fine. Che minima differenza! Se i
litiganti si comprendessero meglio, si troverebbero forse più d’accordo di quanto
immaginino.

2. Per avere parlato così bene sulla questione su cui Giobbe concordava. Se noi tutti ci
riempissimo il cuore dell’eccellenza di Dio e della nostra bassezza, non tenderemmo tanto
a litigare su questioni di opinioni, che sono banali o intricate. Bildad si impegna a esaltare
Dio e a umiliare l’uomo in due modi:

I. Dimostra la grandezza di Dio, da cui deduce la colpevolezza e l’impurità dell’uomo di


fronte a lui. Gb 25:2-4 Notiamo quindi:

1. Come esalta l’eccellenza di Dio, per riempire Giobbe di riverenza e per farlo riflettere
sulle sue opinioni riguardo a Dio e riguardo ai suoi atti nei suoi confronti:

(a) Dio è sovrano assoluto, circondato da una maestà terribile. A Dio appartiene il dominio
e il terrore. Gb 25:2 Chi ha dato l’esistenza ha un’incontestabile autorità di dare leggi e di
metterle in vigore. Chi ha creato ogni cosa ha il diritto e la sovranità assoluta di farne ciò
che vuole. Fa e può fare ciò che vuole, e nessuno può dirgli: Che fai? or Perché agisci in
questo modo? Da 4:35 Il fatto che ha dominio (in quanto Dominus — Signore) rivela che
ha anche possesso di tutte le creature e che le governa. Gli appartengono e sono tutte
sotto la sua direzione e a sua disposizione. È chiaro quindi che deve essere temuto (cioè,
riverito e ubbidito). Lo teme già chi lo conosce (i serafini si coprono il volto al suo
cospetto), e, prima o poi, lo temeranno tutti. Il dominio degli uomini è spesso spregevole
e quindi disprezzato, ma quello di Dio provoca sempre timore.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 200


(b) I gloriosi abitanti del mondo sovrastante lo rispettano tutti perfettamente e si
sottomettono totalmente alla sua volontà: Egli fa regnare la pace ne’suoi luoghi altissimi.
Dio gode di se stesso in una tranquillità perfetta. I santi angeli non litigano mai con lui, né
tra di loro, ma si piegano totalmente al suo volere e lo eseguono unanimemente senza
lamentarsi o discutere. È così che la volontà di Dio è fatta in cielo, e dobbiamo quindi
pregare che noi tutti la eseguiamo così sulla terra. Il sole, la luna e le stelle mantengono il
proprio corso senza mai scontrarsi tra di loro. Anche in questo mondo inferiore, spesso
scosso da burrasche e da tempeste, c’è pace quando Dio la comanda, e la tempesta è
mutata in quiete. Sl 107:29 65:7 Osservate: Giobbe parla dei suoi luoghi altissimi. I cieli
sono i cieli dell’Eterno, Sl 115:16 in modo particolare. La pace è opera di Dio. È creata da
lui. Is 57:19 In cielo c’è una pace perfetta perché c’è una santità perfetta, e c’è Dio, che è
amore.

(c) Dio ha un potere irresistibile: Le sue legioni si posson forse contare? Gb 25:3 La
grandezza e il potere dei principi sono giudicati dai loro eserciti. Dio non è solo
onnipotente, ma ha innumerevoli truppe al suo comando, che non si disperdono mai. È un
esercito permanente, ben disciplinato, sempre pronto, sempre presente, senza
ammutinamenti. È un esercito di veterani, che hanno servito a lungo. È un esercito
vittorioso, senza sconfitte e senza insuccessi. È un esercito composto da tutte le sue
creature, e soprattutto dagli angeli. Dio è il Signore assoluto, l’Eterno degli eserciti. Ha
eserciti senza numero, ma fa la pace. Potrebbe combatterci, ma è disposto a fare pace con
noi. Anche gli eserciti celesti furono inviati a proclamare pace in terra, benevolenza inverso
gli uomini. Lu 2:14 D

(d) La sua provvidenza comprende tutti: Su chi non si leva la sua luce? La luce del sole si
diffonde in ogni parte del mondo e, durante il corso dell’anno, ugualmente per tutti. cfr. Sl
19:6 È un fievole esempio della conoscenza e della cura di Dio per tutta la sua creazione.
Mt 5:45 Ogni cosa è esposta alla luce della sua conoscenza, scoperta e manifesta al suo
sguardo. Questo brano sembra riferirsi particolarmente al fatto che tutti ricevono la luce
della sua bontà. Dio è buono verso tutti. La terra è piena della sua benignità. È Deus
optimus — Dio di suprema bontà, e maximus — di suprema grandezza: Ha il potere di
distruggere, ma ama dimostrare misericordia. Tutte le creature vivono per la sua
benevolenza.

2. Le sue espressioni di disprezzo nei confronti dell’uomo, tutte vere e giuste: Come può
dunque l’uomo esser giusto dinanzi a Dio? Come può esser puro il nato dalla donna? Gb
25:4 L’uomo non è solo mediocre: è spregevole. Non è solo terreno: è impuro. Non può
essere giusto o puro:

(a) In confronto a Dio. Anche la più grande giustizia e la più eccelsa santità dell’uomo non
sono niente in confronto a quelle di Dio. Sl 89:6

(b) In contrasto con Dio. Chi contende con la parola e la provvidenza di Dio sarà
inevitabilmente il perdente. Dio sarà giustificato e l’uomo sarà condannato. Sl 51:4 Ro 3:4
Il giudizio di Dio è senza errori, senza eccezioni e senza ricorso.

(c) Agli occhi di Dio. Se Dio è così grande e glorioso, come oserà apparire al suo cospetto
l’uomo, che è colpevole e impuro? Notate che l’uomo: [1] A causa delle sue trasgressioni,
si è reso detestabile alla giustizia divina e non può giustificarsi da solo. Non può dichiararsi

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 201


innocente, né addurre qualche suo merito per controbilanciare o diminuire la colpa. Le
Scritture ci definiscono tutti peccatori. [2] A causa della sua corruzione originale, in quanto
nato da una donna, provoca l’odio della santità di Dio e non può essere puro ai suoi occhi.
Dio vede la sua impurità, che certamente lo rende inidoneo alla comunione con lui in
grazia qui sulla terra e alla visione e al godimento della sua presenza in gloria nel futuro.
Dobbiamo quindi rinascere d’acqua e di Spirito Santo, immergendoci più volte nel sangue
di Cristo, quella fonte aperta.

II. Dimostra l’oscurità e le imperfezioni anche dei corpi celesti di fronte a Dio e in
confronto a lui, da cui deduce l’esiguità, la viltà e l’inutilità dell’uomo.

1. Gli astri del cielo, per stupendi che siano, di fronte a Dio sono come zolle di terra: Ecco,
la luna stessa, Gb 25:5 che avanza tra lo splendore, e le stelle, quelle gloriose lampade del
cielo, di cui gli antichi furono tanto affascinati da adorarle, agli occhi di Dio e in confronto
a lui, non hanno luce, né purezza. Non hanno gloria di fronte alla gloria suprema, così
come una candela non risplende se è posta in piena luce del sole. La gloria di Dio, che
risplende negli atti della sua provvidenza, eclissa la gloria anche delle creature più
luminose. La luna sarà coperta di rossore, e il sole di vergogna; poiché l’Eterno degli
eserciti regnerà sul monte di Sion. Is 24:23 I corpi celesti sono spesso offuscati. Vediamo
chiaramente delle macchie sulla luna e, con lenti speciali, possiamo a volte scoprire delle
macchie anche sul sole. Dio vede delle macchie che noi non notiamo. Come poteva quindi
Giobbe appellarsi con tanta sfrontatezza, sapendo che poteva rivelare dei suoi difetti di cui
non era al corrente?

2. Gli uomini, pur essendo creature nobili, di fronte a Dio sono come dei vermi di terra:
Quanto meno di Dio risplende l’uomo, e quanto meno è puro in giustizia il figliuol d’uomo,
chiunque sia, ch’è un verme, un vermicciuolo, un parassita (secondo alcuni), non solo vile
e spregevole, ma dannoso e detestabile; un acaro (secondo altri), un animale minuscolo,
invisibile a occhio nudo. È così l’uomo: Gb 25:6

(a) È piccolo, mediocre e insulso, in confronto a Dio e ai santi angeli, ignobile e


disprezzabile, nato nella corruzione e diretto alla corruzione. Ha quindi ben poco motivo di
essere superbo, e un gran motivo di essere umile!

(b) È debole, impotente e fragile, e quindi ben inferiore al Dio Onnipotente. Sarà così
stolto da disputare con il suo Creatore, che può farlo a pezzi con più facilità di quanto noi
possiamo fare a pezzi un verme?

(c) È sordido e impuro perché è un verme, nato nella putrefazione e quindi disgustoso agli
occhi di Dio. Dobbiamo stupirci della condiscendenza di Dio, che stringe un patto con dei
vermi come noi e ci accoglie in comunione con lui, e soprattutto della condiscendenza del
Figlio di Dio, che si sminuì tanto da dire: Io sono un verme e non un uomo. Sl 22:6

Giobbe 26

Troviamo qui la concisa risposta di Giobbe al breve discorso di Bildad. Giobbe non lo
contraddice, anzi, conferma ciò che ha detto e glorifica Dio e il suo potere ancor più di lui,
per dimostrare che aveva ben motivo di dire: « Quel che sapete voi lo so pur io ». Gb 13:2
Giobbe dimostra che il discorso di Bildad era:

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 202


I. Estraneo alla questione di cui trattava. Era ottimo e vero, ma non pertinente. Gb 26:2-4

II. Inutile al suo interlocutore. Giobbe sapeva già quelle cose. Ci credeva e poteva
parlarne con la stessa eloquenza, se non meglio, citando altre prove del potere e della
grandezza di Dio, come fa nel resto di questo discorso. Gb 26:5-13 Conclude quindi che,
anche dicendo tutto ciò che potevano dire, i suoi amici non avrebbero comunque reso
onore all’argomento e non lo avrebbero assolutamente esaurito. Gb 26:14

Gb 26:1-4

Non si immaginerebbe mai che Giobbe, tra tanta miseria e sofferenza, potesse schernire il
suo amico in quel modo, e prendere in giro la sua impertinenza. Bildad pensava di aver
fatto un discorso così espressivo su un argomento così profondo da meritarsi una
reputazione sia di oracolo che di oratore. Giobbe invece gli dimostra, con petulanza, che
non era stato utile come credeva, e lo deride, dimostrando che:

I. Il contenuto non era poi così eccellente: Con che abbondanza hai dichiarato le cose
come stanno! Gb 26:3 KJV Lo dice con ironia, rimproverando a Bildad la buona opinione
che aveva delle sue parole. Bildad infatti:

1. Pensava di aver parlato molto chiaramente, dichiarando le cose come stanno. Amava
(come facciamo tutti) le proprie idee, e pensava che fossero le uniche giuste, vere e
comprensibili, mentre le altre erano false, errate e confuse. Quando però parliamo della
gloria di Dio, non possiamo dichiarare le cose come stanno, perché vediamo come in uno
specchio, in modo oscuro, o in un’immagine riflessa. Non vedremo Dio così com’è finché
non saremo in cielo. Qui invece non possiamo bene ordinare i nostri ragionamenti. Gb
37:19 D

2. Pensava di aver parlato esaurientemente, con abbondanza di espressioni, anche se in


poche parole. Ahimè! Si era invece espresso male e in maniera incompleta, in confronto
all’estensione e alla ricchezza dell’argomento.

II. Il suo discorso non era stato molto utile. Cui bono-Che bene hai fatto con tutte le tue
parole? Con tutta la tua eloquenza, Come hai aiutato il debole? Gb 26:2 Come hai ben
consigliato chi è privo di sapienza con le tue massime profonde? Gb 26:3 Giobbe voleva
convincerlo che:

1. Non era stato di servizio a Dio, né gli aveva fatto il minimo piacere. Parlare per conto di
Dio è in effetti il nostro dovere e un grande onore, ma non dobbiamo pensare che Dio
abbia bisogno del nostro servizio, o che ci sia indebitato. Non lo accetterà nemmeno, se è
motivato da uno spirito di contesa e di contraddizione, e non da una sincera sollecitudine
per la sua gloria.

2. Non era stato di servizio alla sua causa. Pensava che i suoi amici gli sarebbero stati
molto grati per il suo aiuto nella contesa contro Giobbe, in quel momento difficile, quando
si erano bloccati, senza più forza e senza sapere cosa fare. Anche i disputanti più mediocri,
se accesi dal fervore, pensano di poter esprimere più verità di quanto sia vero.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 203


3. Non era stato di servizio a Giobbe. Aveva cercato di convincerlo, ammonirlo e
confortarlo, ma, ahimè, le sue parole erano state così poco pertinenti che non avevano
rettificato alcun errore, né lo avevano aiutato a sopportare le sue afflizioni o a ricavarne
qualche beneficio: « Ma a chi ti credi di aver parlato? Gb 26:4 Ti sei rivolto a me? Mi
prendi per un bambino, che mi devi istruire? O pensi che siano parole appropriate per chi
si trova nelle mie condizioni? ». Non ogni verità è opportuna e adeguata. A una persona
avvilita, ferita e addolorata come Giobbe, Bildad avrebbe dovuto predicare la grazia e la
misericordia di Dio più della sua grandezza e della sua maestà. Avrebbe dovuto mostrargli
il conforto e non il terrore dell’Onnipotente. Cristo sa come parlare a chi è stanco, Is 50:4
e i suoi ministri devono imparare a dispensare rettamente la parola della verità, senza
rattristare chi Dio non intende rattristare, come aveva fatto Bildad. Giobbe quindi gli
chiede: Che spirito viene in sé per merito tuo? cioè, « Che anima travagliata sarà mai
ravvivata, sollevata e rianimata da discorsi come questi? ». Spesso gli amici che
dovrebbero confortarci deludono le nostre aspettative. Tuttavia, il Consolatore, lo Spirito
Santo, non fa mai errori e non viene meno al suo scopo.

Gb 26:5-14

e i suoi amici avevano messo in luce molta verità discutendo argomenti su cui erano in
contrasto. Ora invece trattano un argomento su cui si trovano tutti d’accordo, cioè la gloria
e il potere di Dio. Come trionfa la verità, e con che luce risplende, quando le contese
riguardano solo l’eccellenza e l’onore di Dio e l’eloquenza nell’esprimere le sue lodi!
Sarebbe bello se tutte le dispute in materia religiosa finissero così, glorificando Dio come
Signore supremo e Signor nostro, d’un solo animo e d’una stessa bocca. Ro 15:6 Lo
facciamo quando andiamo d’accordo.

I. Giobbe ci dà molti grandi esempi della saggezza e del potere di Dio nella creazione e
preservazione del mondo.

1. Se guardiamo la terra e le acque che ci circondano, vediamo degli eccezionali esempi di


onnipotenza, che troviamo in questi versetti:

(a) Sospende la terra sul nulla. Gb 26:7 Il vasto globo terraqueo non è sorretto da colonne
e non è sospeso da un asse. Tuttavia, per l’onnipotente potere di Dio, è saldamente fisso
nella sua posizione, in equilibrio stabile. L’uomo, con tutte le sue arti, non potrebbe
sospendere nemmeno una piuma dal nulla, ma la sapienza divina tiene sospeso un mondo
intero. La terra è ponderibus librata suis-equilibrata sul suo peso, secondo il poeta;
sostenuta con la parola della sua potenza, secondo l’apostolo. Noi appoggiamo i piedi e il
peso di tutto il corpo su qualcosa che è appeso al nulla, su cui però è inutile appoggiare i
cuori, perché non sosterrà mai il peso delle nostre anime.

(b) Ha tracciato un cerchio sulla faccia dell’acque, con cui le racchiude, Gb 26:10 perché
non ritornino a coprire la terra. È un confine che non sarà mai spostato, scosso o
consumato, infine alla fine della luce e delle tenebre, quando il tempo non esisterà più. È
chiaro qui il dominio della Provvidenza sulle violente acque del mare, che dimostra il
potere di Dio. Gr 5:22 Vediamo anche la premura della Provvidenza per i poveri peccatori
che abitano la terra. Anche se si sono resi odiosi alla sua giustizia e giacciono alla sua
mercé, Dio continua a salvarli da una rovina come fu quella del diluvio universale, perché li
ha destinati alla distruzione per mezzo del fuoco.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 204


(c) Forma creature morte sotto le acque. Gb 26:5 KJV Refaim-I giganti sono formati sotto
le acque, cioè delle grandi creature, di straordinarie dimensioni, come le balene, che sono
gigantesche tra gli innumerevoli abitanti delle acque, secondo il dott. Patrick.

(d) Scuote le montagne con grandi bufere e tempeste, che Giobbe qui chiama le colonne
del cielo, Gb 26:11 e solleva il mare e ne abbatte l’orgoglio. Gb 26:12 Di fronte all’Eterno,
il mare fugge e le montagne saltano (Sl 114:3,4; cfr. At 3:6, ss.). Una tempesta divide le
acque, e poi la calma le colpisce e le quieta. cfr. Sl 89:9,10 Chi pensa che Giobbe fosse
vissuto intorno all’epoca di Mosè ritiene che si riferisca qui alla divisione del Mar Rosso di
fronte agli Israeliti e alla morte degli Egiziani nelle acque. Con la sua intelligenza abbatte
Raab, secondo l’originale. Il nome Raab è spesso usato per indicare l’Egitto. Sl 87:4 Is
51:9

2. Se consideriamo l’inferno sotto di noi, benché non possiamo vederlo, possiamo


comprendere il potere di Dio. Il soggiorno dei morti e l’abisso, Gb 26:6 che rappresentano
la tomba e chi vi è sepolto, sono sotto lo sguardo di Dio, anche se non sotto il nostro. Ciò
può quindi rinsaldare la nostra fede nella resurrezione dei morti. Dio sa dove trovare tutti
gli atomi dispersi dei corpi deteriorati. Possiamo considerarlo anche un riferimento al luogo
dei dannati, dove le anime separate degli empi sono nella miseria e nel tormento. Si tratta
dell’inferno e della distruzione, che, secondo le Scritture, sono dinanzi all’Eterno, Pr 15:11
e che qui Giobbe definisce nudi dinanzi a lui, un concetto a cui probabilmente si allude in
Ap 14:10, dove i peccatori sono tormentati nel cospetto dei santi angeli (che presenziano
alla Shechinah) e nel cospetto dell’Agnello. Questo può spiegare il versetto 5, che alcune
antiche versioni interpretano in questo modo (secondo me, più coerente con il significato
del termine Refaim): Ecco, i giganti gemono sotto le acque, insieme a quelli che dimorano
con loro. Leggiamo poi: Dinanzi a lui il soggiorno dei morti è nudo, come fu appunto
durante la distruzione dei giganti nel diluvio. È l’interpretazione dell’illustre Giuseppe Mede,
che si serve di questo versetto per spiegare Pr 21:16, dove l’inferno è chiamato
l’assemblea dei trapassati. È lo stesso vocabolo usato qui, per cui Mede proporrebbe di
tradurlo l’assemblea dei giganti, in riferimento alla distruzione dei peccatori nel diluvio. C’è
mai manifestazione della maestà di Dio più tremenda dell’eterna rovina degli empi e dei
gemiti di chi dimora nella terra delle tenebre? Chi non vuole temere e adorare Dio insieme
agli angeli, lo temerà con terrore insieme ai diavoli, e Dio sarà glorificato.

3. Se guardiamo i cieli che ci sovrastano, troviamo degli esempi della sovranità e del
potere di Dio.

(a) Egli distende il settentrione sul vuoto. Gb 26:7 Lo fece all’inizio, quando distese i cieli
come un padiglione, Sl 104:2 e li mantiene stesi fino alla conflagrazione universale, si
ritrarranno come una pergamena che si arrotola. Ap 6:14 Giobbe parla del settentrione
perché viveva (come noi) nell’emisfero settentrionale. L’aria è il vuoto su cui i cieli sono
stesi. cfr. Sl 89:12 Com’è vuoto questo mondo in confronto all’altro!

(b) Trattiene le acque che sono sopra la distesa dal riversarsi sulla terra, come avevano
fatto. Rinchiude le acque nelle sue nubi, Gb 26:8 come se fossero chiuse in una borsa, fino
al momento necessario. Nonostante tante acque siano sospese là in alto, le nubi non
scoppiano per il peso, altrimenti le acque scenderebbero a getto. Invece, sono distillate
nelle nubi e scendono goccia a goccia, in un atto di misericordia per la terra, con piogge
abbondanti o leggere, come Dio vuole.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 205


(c) Cela la gloria del mondo che ci sovrasta, lo splendore accecante che noi poveri mortali
non potremmo sostenere: Nasconde l’aspetto del suo trono, Gb 26:9 la luce in cui dimora,
e vi distende sopra le sue nuvole, attraverso le quali giudica. Gb 22:13 D Dio vuole che
viviamo per fede e non secondo i nostri sensi, perché siamo in uno stato probatorio. Non
sarebbe una giusta prova se l’aspetto del trono di Dio ci fosse visibile ora così come sarà in
quel grande giorno finale. Perché il suo trono, che splende oltre misura, non lasci ogni
mortale qui abbagliato, Dio stende un velo di penombra scura, delle sue nubi tutto
variegato. — Sir R. Blackmore

(d) I luminosi ornamenti del cielo sono opera delle sue mani: Egli ha adornato i cieli col
suo Spirito, Gb 26:13 D lo Spirito Eterno che aleggiava sulla superficie delle acque, e che è
il soffio della sua bocca. Sl 33:6 Non solo li ha creati, ma li ha abbelliti, illuminandoli di
notte con una straordinaria distesa di stelle e dipingendoli di giorno con la luce del sole.
Avendo creato l’uomo come essere eretto (Os homini sublime dedit-Dio sollevò il volto
dell’uomo), ha decorato i cieli per invitarlo a sollevare lo sguardo, affinché, ammirando la
luce splendente del sole e quella scintillante delle stelle, e la quantità, l’ordine e le
meraviglie degli astri celesti che, come bottoncini d’oro, adornano la volta celeste stesa su
di lui, sia portato ad ammirare il grande Creatore, il Padre e la fonte di ogni luce, dicendo:
« Se il marciapiede è intarsiato con tante gemme, come sarà il palazzo? Se i cieli visibili
sono così gloriosi, come saranno quelli invisibili? ». Dai preziosi ornamenti dell’anticamera
deduciamo il fine arredamento della sala delle udienze. Se le stelle sono così luminose,
come saranno gli angeli? Non è chiaro che cosa sia il serpente guizzante formato dalle sue
mani. Secondo alcuni, è parte degli ornamenti celesti: la via lattea o qualche particolare
costellazione. Il termine è lo stesso usato per il leviathan, Is 27:1 e può indicare la balena
o il coccodrillo, che riflettono in gran parte la potenza del Creatore. Giobbe avrebbe potuto
terminare il suo discorso con quell’insinuazione, come fece in seguito Dio stesso (Giobbe
41).

II. Giobbe conclude con un imponente eccetera: Ecco, questi non son che gli estremi
lembi dell’azione sua, Gb 26:14 le frange della sua saggezza e del suo potere, le
manifestazioni con cui si fa conoscere agli uomini. In questo versetto:

1. Riconosce, con adorazione, le rivelazioni di Dio. Le cose di cui lui e Bildad avevano
parlato erano parte delle sue opere manifeste. D’altro lato,

2. Ammira la profondità delle cose non rivelate. Avevano parlato solo di una minima parte
delle opere di Dio. Ciò che sappiamo di lui non è nulla in confronto a ciò che egli è e ciò
che racchiude in sé. Dopo tutte le rivelazioni che ci ha dato e tutte le scoperte che
abbiamo fatto, siamo ancora all’oscuro per quanto riguarda la sua natura, e dobbiamo
concludere: Ecco, questi non son che gli estremi lembi dell’azione sua. Sappiamo qualcosa
di lui tramite le sue opere e la sua parola, ma, ahimè, non ce ne giunge all’orecchio che un
breve sussurro! È così poco a essere espresso a noi e da noi! Conosciamo in parte, e
profetizziamo in parte. Anche dopo aver detto tutto ciò che possiamo riguardo a Dio,
dobbiamo fare come l’apostolo Paolo che, incapace di vedere il fondo della conoscenza
divina, rimase sull’orlo, ammirandone la profondità: O profondità della sapienza e della
conoscenza di Dio! Ro 11:33 Nella nostra condizione presente, possiamo avere solo una
minima conoscenza di Dio, che è infinito e incomprensibile, mentre la nostra capacità di
comprensione è limitata e superficiale. La rivelazione totale della gloria divina è quindi
riservata al futuro. Non possiamo comprendere nemmeno il tuono delle sue potenti opere,

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 206


cioè, il suo tuono potente, una delle sue manifestazioni qui sulla terra. cfr. Gb 37:4,5
Tanto meno possiamo comprendere l’enorme impatto e l’estensione del suo potere, i suoi
immensi sforzi e procedimenti, e particolarmente la forza della sua ira. Sl 90:11 Dio è
grande, e noi non lo conosciamo.

Giobbe 27

si era a volte lamentato che i suoi amici erano così desiderosi di discutere che quasi non
gli permettevano di dire una parola. Aveva detto: « Sopportatemi, lasciate ch’io parli » e:
« Oh se serbaste il silenzio! ». Ora sembra invece che essi fossero rimasti senza fiato,
lasciandogli dire quello che voleva. O erano convinti che aveva ragione, o avevano perso
ogni speranza di convincerlo che aveva torto. Avevano quindi deposto le armi e
abbandonato la discussione. Giobbe era un osso troppo duro, e li aveva costretti a ritirarsi.
La verità è grande e vince sempre. Le risposte di Giobbe avevano confutato a sufficienza
le obiezioni di Bildad (Giobbe 26). Giobbe ora pausa per un attimo, per vedere se Zofar
volesse parlare di nuovo. Poi, dato il suo silenzio, riprende la parola, trattando liberamente
l’argomento senza interruzioni o disturbi.

I. Inizia con una solenne dichiarazione della sua integrità e della sua risoluzione a
mantenerla saldamente. Gb 27:2-6

II. Esprime il suo terrore di quella stessa ipocrisia di cui era accusato. Gb 27:7-10

III. Dimostra la fine miserabile degli empi, nonostante la loro lunga prosperità, e la
maledizione che li accompagna e che rimane come eredità per le loro famiglie. Gb
27:11,23

Gb 27:1-6

Il vocabolo usato per definire il discorso di Giobbe è mashal, o parabola, Gb 27:1 KJV che
è anche il titolo dei proverbi di Salomone, perché era un discorso serio, profondo e molto
istruttivo, espresso con autorità. Il termine deriva da una parola che significa governare, o
avere dominio. Secondo alcuni, indica che Giobbe aveva trionfato sui suoi opponenti e li
aveva lasciati perplessi. Di un ottimo predicatore, si dice che sa come dominari in
concionibus-dominare il pubblico. Giobbe fa lo stesso. C’era stata una lunga contesa tra lui
e i suoi amici, che ora sembrano disposti a scendere a compromessi. Quindi, dato che il
giuramento è la conferma che pone fine ad ogni contestazione, Eb 6:16 Giobbe conferma
con un giuramento solenne tutto quello che aveva detto in difesa della sua integrità, per
mettere a tacere ogni contraddizione, addossandosi ogni colpa per qualunque sua
ambiguità. Osservate:

I. La forma di quel giuramento: Come vive Iddio che mi nega giustizia. Gb 27:2 Qui
Giobbe:

1. Esprime la sua grande concezione di Dio, chiamandolo il Dio vivente (cioè eterno, che
ha vita in se stesso), e appellandosi a lui come unico Giudice supremo. Non possiamo
giurare su nulla di più grande, e gli rechiamo offesa se giuriamo su qualcos’altro.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 207


2. Allo stesso tempo, ne parla duramente e ingiustamente, dicendo che gli aveva negato
giustizia (cioè, che aveva rifiutato di fargli giustizia in quella controversia e di apparire in
sua difesa), e che, prolungando i suoi guai, su cui i suoi amici fondavano i loro biasimi, gli
aveva tolto l’opportunità di discolparsi. Eliu gli rimprovererà queste parole, Gb 34:5 perché
Dio è giusto in tutte le sue azioni e non nega giustizia a nessuno. Notate però come,
essendo deboli e stancandoci presto di aspettare, tendiamo a perdere speranza del favore
divino se non ce lo dimostra immediatamente. Giobbe accusa Dio anche di avergli
amareggiato l’anima, perché non solo non era apparso in sua difesa, ma sembrava che lo
avesse accusato, e perché, con quelle dolorose afflizioni, aveva amareggiato la sua vita e
ogni bene che avrebbe potuto trarne. Siamo noi ad amareggiarci l’anima con l’impazienza,
mentre poi ci lamentiamo che è Dio a farlo. Giobbe dimostra però fiducia nella bontà sia
della sua causa che del suo Dio. Anche se Dio sembrava adirato e intento ad agire contro
di lui in quel momento, Giobbe poteva rimettergli la sua causa.

II. Il contenuto di quel giuramento. Gb 27:3,4

1. Non avrebbe detto nulla d’ingiusto, o proferito falsità. In genere, non avrebbe mai
mentito. Così come, in questa discussione, aveva sempre detto quello che pensava, non
avrebbe mai offeso la sua coscienza parlando in altro modo. Non avrebbe mai sostenuto
una dottrina o un fatto che non riteneva vero. Non avrebbe negato la verità, a qualunque
costo. Anche se i suoi amici lo avevano accusato di essere un ipocrita, era pronto, se
necessario, a rispondere sotto giuramento a tutti i loro interrogatori. Da un lato, non
avrebbe mai confutato delle accuse che riconosceva vere. Avrebbe detto la verità, tutta la
verità e nient’altro che la verità, accettando l’onta della sua ipocrisia. Dall’altro lato,
essendo certo della sua integrità e di non essere come gli amici lo avevano rappresentato,
non lo avrebbe negato per accettare accuse di cui era innocente. Le loro critiche ingiuste
non lo avrebbero costretto ad accusarsi falsamente. Non dobbiamo attestare il falso né
contro il nostro prossimo, né contro noi stessi.

2. Si sarebbe attenuto a quella risoluzione per tutta la vita: finché avrò fiato. Gb 27:3 Le
nostre risoluzioni contro il peccato devono essere costanti fino alla morte. In questioni
incerte o senza importanza, non dobbiamo essere così perentori. Non sappiamo se
qualcosa potrà farci cambiare idea. Dio potrebbe rivelarci qualcosa che non conosciamo
ora. In un proponimento chiaro come questo di non voler mai dire il male, invece, non
possiamo essere troppo certi. Un motivo per questa risoluzione è sottointeso: non avremo
sempre fiato. Presto trarremo l’ultimo respiro. Finché quindi ci sarà possibile, non
dobbiamo mai proferire malvagità o menzogne, né dire qualcosa che potrà essere usata
contro di noi quando non avremo più fiato. Le Scritture chiamano il respiro lo spirito di
Dio, perché lo ha soffiato in noi. È un altro motivo per non parlare male. È Dio che ci dà
vita e respiro, e quindi, finché abbiamo fiato, dobbiamo lodarlo.

III. La spiegazione di quel giuramento: « Lungi da me l’idea di darvi ragione nelle vostre
critiche maligne, riconoscendo di essere un ipocrita. No, fino all’ultimo respiro non mi
lascerò togliere la mia integrità. Ho preso a difendere la mia giustizia e non cederò ». Gb
27:5,6

1. Giobbe sarebbe sempre stato onesto, attenendosi alla sua integrità, senza maledire Dio,
come Satana, per bocca di sua moglie, lo aveva esortato a fare. Gb 2:9 Pensando alla
morte e ai suoi preparativi per lasciare questa vita, si propone di non allontanarsi mai dalla

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 208


sua religione, anche se aveva perso ogni suo possedimento in questo mondo. Notate: Il
miglior preparativo per la morte è la perseveranza nella nostra integrità. « Fino all’ultimo
respiro », cioè, « anche se questa afflizione mi uccide, non perderò il mio amore per Dio e
per la religione. Uccidami egli pure; sì spererò in lui » 2. Avrebbe sempre riconosciuto di
essere onesto. Non si sarebbe allontanato dalla consapevolezza, dalla consolazione e dalla
fede nella sua integrità. Era deciso a difenderlo fino alla fine. « Dio sa, e il mio cuore
conferma, che ho sempre cercato di agire bene e non mi sono mai permesso di omettere
un dovere che sapevo di dover fare o di commettere un peccato che riconoscevo. È la mia
gioia, di cui nessuno mi deruberà. Non mentirò mai per negare ciò che è giusto ». Spesso i
giusti sono criticati e condannati come ipocriti, ma è bene che si difendano
coraggiosamente contro quelle accuse, senza lasciarsi scoraggiare e senza avere una
brutta opinione di se stessi, come fece l’Apostolo quando disse: Abbiamo una buona
coscienza, desiderando di condurci onestamente in ogni cosa. Eb 13:18 Hic murus
aheneus esto, nil conscire sibi. Sia questo il tuo muro di difesa: mantenere la tua conscia
innocenza. Giobbe si era lamentato tanto dei rimproveri degli amici, ma ora dice: Il cuore
non mi rimprovera, cioè, « Non darò mai al mio cuore motivo di rimproverarmi, ma
manterrò una coscienza pulita. Di conseguenza, non gli permetterò di rimproverarmi ». Chi
accuserà gli eletti di Dio? Iddio è quel che li giustifica. Decidere di non lasciarci
rimproverare dal cuore quando gli diamo motivo di farlo è un’offesa a Dio, che invece
delega la coscienza. È bene che il cuore colpisca chi pecca. 2Sa 24:10 D’altro lato,
decidere di non lasciarci rimproverare dal cuore mentre manteniamo salda la nostra
integrità vuol dire mandare a monte i piani dello spirito malvagio (che tenta i buoni
Cristiani a mettere in dubbio la loro adozione: Se tu sei Figliuol di Dio) e favorire le
operazioni dello Spirito del bene, che ne è testimone.

Gb 27:7-10

Giobbe, dopo essersi solennemente dichiarato certo della sua integrità, per discolparsi
ulteriormente, esprime il terrore di essere dichiarato ipocrita.

I. Era sconvolto anche solo a quel pensiero, perché la condizione dell’ipocrita e dell’empio
era per lui la peggiore che ci fosse: Sia trattato da malvagio il mio nemico. Gb 27:7 Era
un’espressione proverbiale, come: Il sogno s’avveri per i tuoi nemici. Da 4:19 Giobbe era
così lungi dal permettersi della malvagità e dal lusingarsi di averla commessa che, se
avesse potuto augurare il più grande male possibile al suo peggior nemico, gli avrebbe
augurato il fato dell’empio. Non possiamo certamente augurare a nessuno di essere
empio, o che una persona non empia sia trattata come tale, ma dovremmo tutti preferire
di essere nella condizione di un mendicante, di un fuorilegge o di uno schiavo piuttosto
che nella condizione del malvagio, per quanta fama e prosperità possa avere.

II. Ce ne dà i motivi:

1. Le speranze dell’ipocrita non saranno esaudite: Quale speranza rimane mai all’ipocrita?
Gb 27:8 KJV Bildad lo aveva condannato, Gb 8:13,14 Zofar gli aveva fatto eco, Gb 11:20 e
qui Giobbe conviene con loro, affermando con la stessa certezza la fine della speranza
dell’ipocrita. Era un ottimo motivo per tener salda la sua integrità. Notate: La
considerazione della condizione misera degli empi, e soprattutto degli ipocriti, dovrebbe
spingerci a essere giusti (altrimenti, saremo rovinati per sempre) e a ottenere una
risollevante prova della nostra giustizia. Come potremmo mai stare tranquilli se la più

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 209


grande preoccupazione rimane incerta? Gli amici di Giobbe volevano persuaderlo che tutta
la sua speranza era la stessa degli ipocriti. Gb 4:6 « No », dice lui. « Per tutto l’oro del
mondo, non sarei mai tanto stupido da edificare su un fondamento così marcio. Quale
speranza rimane mai all’ipocrita? ». Notate:

(a) L’ipocrita è illuso. Ha speranza perché ha ben guadagnato. Gb 27:8 D In questo le


cose gli vanno bene. Con la sua ipocrisia ha ottenuto la lode e l’applauso degli uomini e le
ricchezze di questo mondo. Ieu si era guadagnato il regno con la sua ipocrisia e i Farisei si
erano procurati le case di molte vedove. Su quei guadagni, l’ipocrita fonda le sue
speranze. Spera che le cose gli andranno bene nel mondo a venire, perché gli vanno bene
qui, e si benedice da solo, a modo suo.

(b) L’ipocrita è disilluso. Capirà infine di essersi tremendamente ingannato. Infatti, [1] Dio
gli rapirà l’anima, contro la sua volontà. L’anima tua ti sarà ridomandata. Lu 12:20 Dio, in
quanto Giudice, lo rapisce per processarlo e per destinarlo alla sua condizione eterna.
Cadrà nelle mani del Dio vivente, che lo giudicherà immediatamente. [2] Quale sarà la sua
speranza? Sarà vana, inutile e menzognera. Dovrà abbandonare la ricchezza di questo
mondo, in cui aveva riposto le sue speranze, Sl 49:17 e perderà certamente la felicità del
mondo a venire, che aveva sperato di ottenere. Spera di andare in cielo, ma sarà
grandemente deluso. Ogni sua pretesa di un’esterna professione di fede, di privilegi e di
buone azioni sarà vana: Non so d’onde voi siate; dipartitevi da me. In genere, è certo che
i veri e propri ipocriti, con tutti i loro conseguimenti e le loro speranze, saranno miserabili
al momento della morte.

2. La preghiera dell’ipocrita non sarà ascoltata: Iddio presterà egli orecchio al grido di lui,
quando gli verrà sopra la distretta? Gb 27:9 No, ovviamente no. Se si pentisse veramente,
Dio ascolterebbe il suo grido e lo accetterebbe. Is 1:18 Se invece continuerà impenitente e
immutato, non pensi di godere del favore di Dio. Osservate:

(a) Finirà certamente nei guai. I guai di questo mondo spesso sorprendono chi più è sicuro
di una prosperità ininterrotta. Verrà però la morte, e con essa i guai, quando dovrà
lasciare il mondo e tutti i suoi piaceri. Verrà il giudizio universale, e un tremito
s’impadronirà degli ipocriti. Is 33:14

(b) Allora invocherà Dio, pregando ardentemente. Chi disprezza Dio nella prosperità,
evitando di pregare o facendolo con freddezza e noncuranza, lo cercherà quando sarà nei
guai, invocandolo ardentemente. Tuttavia,

(c) Dio lo ascolterà? Nelle tribolazioni di questa vita, ci dice che non ascolta le preghiere di
chi ha di mira l’iniquità, Sl 66:18 di chi innalza idoli nel suo cuore, Ez 14:4 né di chi volge
altrove gli orecchi per non udire la legge. Pr 28:9 Andate a gridare agli dèi che avete
scelto. Gc 10:14 Nel giudizio futuro, è certo che non ascolterà il grido di chi è stato ipocrita
nella vita e nella morte. Non avrà compassione per i suoi tristi lamenti: Mi riderò delle
vostre sventure. Respingerà tutte le loro importune richieste e rifiuterà le loro petizioni. La
giustizia inflessibile non può essere piegata e la sentenza irreversibile non può essere
revocata (cfr. Mt 7:22,23 Lu 13:26 e la storia delle vergini stolte: Mt 25:11).

3. La religione dell’ipocrita non reca conforto e non è duratura: Potrà egli prendere il suo
diletto nell’Onnipotente? Gb 27:10 Non lo è mai (l’ipocrita ama i guadagni del mondo e i

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 210


piaceri della carne più di Dio), e soprattutto non nei momenti difficili. Potrà invocare Iddio
in ogni tempo? No, anzi, lo schernisce nella prosperità e lo maledice nell’avversità. Si
stanca della religione quando non ne può trarre profitto, o quando è in pericolo di
perderla. Notate:

(a) Sono ipocrite le persone che professano di abbracciare la religione, ma non ne


traggono piacere, né vi persistono; che vedono la religione come un peso e una fatica e la
seguono con risentimento; che se ne servono solo quando ne hanno bisogno e la mettono
da parte quando non è più utile; che invocano Dio quando è di moda o quando ne sentono
l’impulso, ma smettono quando sono con gli altri o quando non hanno più crucci.

(b) Gli ipocriti non persistono nella religione perché non ne provano alcun piacere. Chi non
prova gioia nell’Onnipotente non lo invoca continuamente. Più consolazioni troviamo nella
religione, più ce la teniamo stretta. Chi non trova gioia in Dio viene facilmente distolto
dalla religione quando i piaceri dei sensi lo adescano, e ne viene facilmente allontanato
quando le croci di questa vita lo abbattono.

Gb 27:11-23

Gli amici di Giobbe avevano visto tanta miseria e distruzione nella vita degli empi, e
soprattutto degli oppressori. Giobbe invece, nel fervore della disputa, aveva sostenuto con
uguale fervore e certezza la loro prosperità. Ora che il conflitto è quasi finito, è disposto a
riconoscere quanto è d’accordo con loro, e a distinguere le differenze di opinione.

1. Conviene con loro che gli empi sono miserabili, che Dio punirà certamente gli oppressori
crudeli e che, prima o poi e in un modo o nell’altro, la sua giustizia si vendicherà di tutti gli
affronti fatti a Dio e di tutto il male fatto agli altri. È una verità ampliamente confermata
dall’opinione unanime anche di questi adirati disputanti. Tuttavia,

2. Fa notare la differenza tra le due opinioni. I suoi amici sostenevano che quegli empi
oppressori ricevono le meritate punizioni presentemente e visibilmente, essendo
tormentati tutti i loro giorni. Elifaz aveva detto che, nella prosperità, il distruttore piomba
addosso a quei malvagi, per cui non si arricchiscono e i loro rami non rinverdiscono, ma,
anzi, la loro fine viene prima del tempo. Gb 15:20,21,29,32 Bildad aveva affermato che i
passi che fanno nella loro forza si raccorciano e che delle paure lo atterriscono
d’ogn’intorno. Gb 18:7,11 Zofar aveva aggiunto che avrebbero vomitato le loro ricchezze e
che, nel colmo dell’abbondanza, si sarebbero trovati in penuria. Gb 20:15,22 Giobbe
invece ribadisce che spesso le loro punizioni non sono immediate, ma rimandate per un
po’di tempo. Aveva già dimostrato che la vendetta divina colpisce lentamente (Giobbe
21$; 24$), e ora aggiunge che colpisce con certezza e con severità, e che le sospensioni
delle esecuzioni non sono amnistie.

I. Cerca di chiarire la questione: Io vi mostrerò. Gb 27:11,12 Non dobbiamo disdegnare gli


insegnamenti validi e giusti di chi è malato, povero o anche petulante. Osservate:

1. Che cosa avrebbe mostrato Giobbe: « I disegni dell’Onnipotente » cioè, « i suoi piani e i
suoi progetti nei confronti degli empi, che solo lui conosce e che non si possono giudicare
in fretta, e i soliti metodi della sua provvidenza nei loro riguardi ». Non ve lo nasconderò.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 211


Non dobbiamo nascondere nei nostri insegnamenti ciò che Dio non ci ha nascosto nei suoi.
Le cose rivelate sono per noi e per i nostri figliuoli

2. Come lo avrebbe mostrato: Per mezzo della mano di Dio, Gb 27:11 KJV cioè, con il suo
potere e con la sua assistenza. Chi vuole insegnare agli altri deve cercare la direzione della
mano di Dio, chiedendo che gli apra le labbra e che apra le orecchie dei suoi ascoltatori. Is
50:4 I migliori insegnanti sono quelli a cui Dio insegna con mano ferma. Is 8:11

3. Che motivo avevano i suoi amici di apprendere ciò che Giobbe stava per mostrare. Gb
27:12 Era un insegnamento confermato dalla loro osservazione: Voi tutti le avete
osservate. Abbiamo sempre bisogno di insegnamenti anche riguardo a ciò che sentiamo,
vediamo o conosciamo, per poter apprendere in modo perfetto. Giobbe avrebbe inoltre
corretto il loro giudizio riguardo a lui: « Perché dunque vi perdete in vani discorsi,
condannandomi come empio solo perché sono afflitto? ». La verità, se ben compresa e
messa in pratica, ci può curare da i vani pensieri generati dai nostri errori. Giobbe vuole
evidenziare particolarmente la parte che Dio riserba all’empio, e ancor più specificamente
quella dell’uomo violento (Gb 27:13; cfr. Gb 20:29). In questo mondo, gli empi e gli
oppressori possono essere ricchi e famosi, ma Dio ha in serbo per loro distruzione e
miseria. Sfuggono forse al controllo delle autorità terrene, ma l’Onnipotente può fare i
conti con loro.

II. Giobbe cerca di chiarire la questione dimostrando che gli empi, in alcuni casi, possono
anche prosperare, ma è proprio in quella prosperità che li colpisce la distruzione. È un
destino e un’eredità a cui non possono sfuggire.

1. Possono avere molti figli, ma sarà una rovina. Forse hanno figli in gran numero Gb
27:14 or grandi (secondo alcuni); numerosi e allevati tra gli onori e le ricchezze. Le
Scritture insegnano che gli uomini di questo mondo hanno figliuoli in abbondanza, Sl
17:14 e che, secondo la nota al margine, i loro figli sono ben nutriti. È in loro che sperano
di continuare a vivere i genitori ed è dal loro successo che sperano di ricevere onore. Ma
più figli hanno e più ricchi sono, più marchi lasciano per le frecce del giudizio di Dio, cioè
per le sue tre aspre punizioni: la spada, la carestia e la pestilenza. 2Sa 24:13

(a) Alcuni saranno uccisi dalla spada: dalla spada della guerra (avevano insegnato loro a
vivere della spada, come Esaù, in Ge 27:40, e chi lo fa di solito, prima o poi, muore per la
spada), dalla spada della giustizia, come punizione dei loro crimini, o dalla spada degli
assassini che vogliono le loro ricchezze.

(b) Altri saranno uccisi dalle carestie: I suoi discendenti non saranno satollati di pane. Gb
27:14 Quegli empi avevano pensato di garantire ai posteri delle grandi proprietà, mentre
forse essi si ridurranno in povertà, senza il necessario sostentamento, o per lo meno
vivranno male. Saranno così poveri da non avere nemmeno il cibo indispensabile, e così
avidi o scontenti da non essere soddisfatti di quello che avranno, perché lo riterranno
insufficiente o poco gustoso, in confronto a quello a cui erano abituati. Voi mangiate, ma
senza saziarvi. Ag 1:6 NR

(c) I superstiti son sepolti dalla morte, cioè, saranno uccisi dalla pestilenza, che le Scritture
chiamano morte, Ap 6:8 e saranno sepolti segretamente e di fretta, immediatamente
dopo, senza cerimonie, come si seppellisce un asino, e nemmeno le vedove loro li

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 212


piangeranno. Nessuno farà cordoglio per loro. Oppure significa che questi empi che
nessuno vuole in vita, non ricevono nessun lamento quando muoiono, e anche le loro
vedove saranno felici di essersi liberate di loro.

2. Possono prosperare materialmente, ma anche i loro beni saranno distrutti. Gb 27:16-18

(a) Li immaginiamo pieni di soldi, di argento, di vestiti e di mobilia. Accumulano l’argento


come polvere, e ammucchiano vestiti come fango. Ne hanno tanti, come mucchi di fango.
O può essere sottointeso che ne hanno tanti che diventano quasi un peso. Si ammasserà
egli addosso dello spesso fango. At 2:6 D Chi ama questo mondo si preoccupa e si affanna
di accumularne la ricchezza. Molti vogliono sempre di più, finché l’argento si arrugginisce e
gli abiti sono rosi dalle tignole. Gm 5:2,3 Ma a che serve? Non saranno utili a nessuno. La
morte li toglierà, se non vengono rubati prima. Lu 12:20 Anzi, Dio farà sì che dei suoi abiti
si vesta il giusto, e dell’argento abbia come sua parte l’innocente. [1] I giusti li otterranno
e li divideranno tra di loro. In un modo o nell’altro, la Provvidenza farà sì che i giusti
ottengano onestamente quelle ricchezze che gli empi avevano accumulato
disonestamente. La ricchezza del peccatore è riserbata al giusto. Pr 13:22 Dio usa i beni
degli uomini come vuole, e spesso scrive i loro testamenti contro il loro volere. I giusti che
essi avevano odiato e perseguitato amministreranno il frutto delle loro fatiche e
riprenderanno presto con interessi ciò che essi gli avevano tolto con la violenza. I gioielli
degli Egiziani servirono a pagare gli Israeliti. Salomone fa notare che Dio fa in modo che i
peccatori sgobbino per i giusti. Infatti al peccatore dà la cura di raccogliere, d’accumulare,
per lasciar poi tutto a colui ch’è gradito agli occhi di Dio. Ec 2:26 [2] I giusti li useranno
per il bene. Gli innocenti non ammasseranno l’argento come aveva fatto chi se lo era
accaparrato, ma lo divideranno tra i poveri, facendone parte a sette, e anche a otto,
accumulando quindi le migliori garanzie. Il denaro è come il letame: serve solo se è
sparso. Se i giusti sono arricchiti, devono ricordarsi che sono solo dei custodi di quelle
ricchezze, di cui dovranno dare un resoconto. I beni con cui gli empi impartono una
maledizione sulle proprie famiglie perché ottenuti male, conferiscono una benedizione sulle
famiglie dei giusti perché usati bene. Chi accresce i suoi beni con usura e guadagni
ingiusti, li accumula per colui che ha pietà dei poveri. Pr 28:8 ND

(b) Probabilmente, si erano costruiti delle abitazioni solide e imponenti, ma erano come le
abitazioni della tignola in un panno vecchio, da cui è ben presto cacciata. Gb 27:18 Come
la tignola, si sentono sicuri e non temono alcun pericolo, ma la loro sicurezza durerà poco,
come il capanno che fa il guardiano della vigna, che è presto abbattuto, e il luogo dov’era
non lo riconoscerà più.

3. La distruzione li attende personalmente, anche se erano vissuti a lungo in buona salute


e tra gli agi. Il ricco giacerà per dormire e per riposarsi tra le sue grandi ricchezze (Anima,
riposati), come in una fortezza, sembrando felice e tranquillo, ma non sarà raccolto, Gb
27:19 KJV cioè, non potrà raccogliere i suoi pensieri, in calma, per godere le sue ricchezze.
Non dormirà contento come gli altri pensano che faccia. Giacerà, ma la sua sazietà non lo
lascerà dormire, almeno non quanto il lavoratore. Ec 5:12 Giacerà, ma solo per rigirarsi
fino all’alba, e poi aprirà gli occhi e non sarà più. Si vedrà svanire, con tutto ciò che avrà,
quasi in un batter d’occhio. Le sue preoccupazioni accrescono i suoi timori e lo agitano
tanto che, anche sul letto, non trova serenità. Per finire, Giobbe ci esorta a notare la sua
partenza da questo mondo e la sua miseria nella morte e dopo.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 213


(a) È miserabile nella morte, che è per lui il re dei terrori. Gb 27:20,21 Se una malattia
mortale lo assale, com’è atterrito! Terrori lo sorprendono come acque, come se forse
circondato da una marea crescente. Ha paura di lasciare questo mondo, e ancor più di
andare a un altro. I fastidi e i crucci si mischiano ai suoi malanni, come nota Salomone. Ec
5:17 Sono terrori che lo spingono a una disperazione: [1] Cupa e silenziosa. La tempesta
dell’ira di Dio e della morte lo rapisce nel cuor della notte, quando nessuno se ne accorge.
Oppure: [2] Aperta e rumorosa. È portato via, spazzato via quasi da un turbine e da un
vento d’oriente, violento, fragoroso e tremendo. La morte, per un giusto, è come una
dolce brezza che lo trasporta alla terra celeste. Per un empio, invece, è un vento orientale,
un uragano o una tempesta che lo porta alla distruzione, tra la confusione e lo
sbalordimento.

(b) È miserabile dopo la morte. [1] La sua anima giace sotto la giusta indignazione di Dio,
ed è il terrore di quell’indignazione che lo atterrisce quando la morte si avvicina: Iddio gli
scaglia addosso i suoi dardi, senza pietà. Gb 27:22 Finché era in vita, Dio lo aveva
preservato nella sua misericordia. Ora invece il giorno della pazienza divina è terminato, e
Dio riversa su di lui le sue coppe colme d’ira. Non si può sfuggire, né sopravvivere a ciò
che Dio getta addosso. Leggiamo che fece cader dal cielo delle grosse pietre sui Cananei
(Giosuè 10:11), sterminandoli. Ma anche quello fu niente in confronto all’ira che scaglia
con tutto il suo peso sulla coscienza dei peccatori, come una piastra di piombo. Za 5:7,8 I
peccatori dannati, vedendo l’ira di Dio su di loro, vorrebbero sfuggire alla sua mano, ma
non possono. Le porte dell’inferno sono sbarrate e chiuse a chiave. È stata posta una gran
voragine, ed è inutile cercare rifugio nelle spelonche e nelle rocce dei monti. Chi non è
persuaso ora a volare tra le braccia della grazia divina, che sono tese per riceverlo, non
potrà fuggire dalle braccia dell’ira divina, che si tenderanno presto per distruggerlo. [2] La
sua memoria è distrutta dalla giusta indignazione di tutto il genere umano: La gente batte
le mani quando cade, Gb 27:23 cioè, si rallegra dei giudizi di Dio che lo distruggono.
Quando periscono gli empi son gridi di giubilo. Pr 11:10 Quando Dio lo seppellisce, gli
uomini gli fischiano dietro, lasciando sulla sua reputazione i marchi perpetui dell’infamia.
Lo deridono proprio dov’era stato lusingato e applaudito, Sl 52:7 e le sue ceneri sono
calpestate.

Giobbe 28

Lo stile di questo capitolo è molto diverso dagli altri. Giobbe dimentica i suoi dolori e tutte
le sue sofferenze e parla da filosofo o da virtuoso. Il suo discorso contiene molti pensieri
filosofici riguardo al mondo naturale e a questioni etiche. Com’è passato a questo? Senza
dubbio non solo per piacere o per distogliersi dalla controversia, anche se non sarebbe poi
stata una brutta idea. Quando le dispute si fanno troppo animate, è meglio perdere il
dibattito che perdere le staffe. Questo discorso è però pertinente all’argomento discusso.
Giobbe e i suoi amici avevano parlato degli atti della Provvidenza nei riguardi degli empi e
dei giusti. Giobbe aveva dimostrato che alcuni empi vivono e muoiono nella prosperità,
mentre altri sono arrestati immediatamente e apertamente dai giudizi di Dio. Perché solo
alcuni sono puniti in questo mondo non si sa. Dio non ci permette di conoscere i motivi
delle sue azioni e non dobbiamo esigere, né sforzarci di farlo. Zofar aveva desiderato che
Dio mostrasse a Giobbe i segreti della sua sapienza. Gb 11:6 « No », dice Giobbe. « Le
cose occulte non ci appartengono, ma solo quelle rivelate ». De 29:29 Qui parla:

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 214


I. Delle ricchezze di questo mondo, che gli uomini ricercano e inseguono con frenesia, con
intensi sforzi, con numerosi stratagemmi e con grandi pericoli. Gb 28:1-11

II. Della sapienza. Gb 28:12 In generale, è molto costosa, di un valore inestimabile, Gb


28:15-19 e riposta in luoghi segreti. Gb 28:14,20,22 In un senso più particolare, c’è una
sapienza nascosta in Dio Gb 28:23,27 e una rivelata agli uomini. Gb 28:28 Dobbiamo
trattenerci dall’indagare sulla prima e sforzarci di ricercare la seconda, perché è il nostro
dovere farlo.

Gb 28:1-11

Qui Giobbe dimostra:

1. Che espedienti ingegnosi escogita l’uomo per scavare nelle profondità della terra e
appropriarsi dei suoi tesori, e quanta conoscenza e ricchezza può ottenere con delle
ricerche intraprendenti e industriose. Possiamo però dedurne che, con la sua sagacia,
possa capire il motivo per cui alcuni empi prosperano e altri sono puniti, e alcuni giusti
stanno bene mentre altri sono afflitti? Assolutamente no. Possiamo esplorare le caverne
della terra, ma non i disegni del cielo.

2. Quanti sforzi e quanti sacrifici fa l’uomo per ottenere quelle ricchezze. Giobbe aveva già
detto che l’empio accumula l’argento come polvere. Gb 27:16 Ora spiega da dove deriva
quell’argento così amato e come si ottiene, per dimostrare che gli empi hanno ben poco
motivo di vantarsi della propria ricchezza e del proprio sfarzo. Osservate:

I. Le ricchezze di questo mondo sono nascoste nella terra. È dalla terra che si estraggono
l’argento e l’oro, che vengono poi raffinati. Gb 28:1 Giacciono là tra tanta polvere e tante
scorie, come oggetti senza valore e zolle senza importanza e spesso vi rimangono senza
essere notati, finché la terra con tutto ciò che contiene sarà arsa dal fuoco. Il pio George
Herbert, nella sua poesia Avarizia, mette in risalto questo fatto per ispirare vergogna in chi
ama il denaro: Denaro, fonte di dolore e di tristezza, Da dove vieni, così bello e raffinato?
So che sei nato tra viltà e bassezza. Povero e sporco l’uomo ti ha trovato. Ben poco là
poteva adoperarti Per questo regno di cui ora sei signore. Fu quindi molto felice di sottrarti
A quella grotta buia e al disonore. L’uomo ti adora, e scava a più non posso, E mentre
scava, cade nel tuo fosso. Il ferro e il rame, metalli meno costosi, ma più utili, sono cavati
dal suolo Gb 28:2 in grande abbondanza, per cui sono più economici. È un bene per
l’uomo, che può fare a meno dell’oro più facilmente di quanto possa fare a meno del ferro.
Dalla terra esce anche il pane, cioè, il grano, necessario per la sopravvivenza. Gb 28:5 I
mezzi di sostentamento dell’uomo sono ricavati dalla terra per ricordargli le sue origini:
dalla terra proviene e alla terra ritorna in fretta. La terra disotto è rivolta sottosopra, e
pare tutta fuoco, Gb 28:5 D essendo piena di gemme preziose che splendono come
fiamme, di zolfo, un elemento facilmente infiammabile, e di carbone, che alimenta il fuoco.
Dalla terra deriviamo cibo e combustibile. Si trovano là inoltre gli zaffiri, le altre gemme e
la polvere d’oro. Gb 28:6 Nella sua saggezza, il Creatore ha posto queste cose:

1. Lontane dallo sguardo, per insegnarci a non fissare gli occhi su di loro. Pr 23:5

2. Sotto i nostri piedi, per insegnarci a non tenerle care nel cuore, ma a calpestarle con un
santo disprezzo. La terra è piena delle ricchezze di Dio. Sl 104:24 Possiamo quindi dedurre

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 215


non solo com’è grande quel Dio a cui appartiene la terra e tutto ciò ch’è in essa, Sl 24:1
ma come dev’essere pieno delle sue ricchezze il cielo, che è la città di quel grande Re, in
confronto al quale la terra è ben povera.

II. La ricchezza nascosta nella terra può essere ottenuta solo con grandi sforzi.

1. È difficile trovarla. Le miniere d’argento sono rare. Gb 28:1 Le pietre preziose, per
brillanti che siano, sono definite le pietre che son nel buio, nell’ombra di morte, perché
sono sepolte nelle tenebre, lontane dallo sguardo. Spesso bisogna cercare a lungo prima
di vederle risplendere.

2. Quando si trova, è difficile estrarla. Ci vuole ingegno per appropriarsi di quei tesori
nascosti. Bisogna porre fine alle tenebre con delle lampade. Se un espediente non
funziona e un metodo non ha successo, bisogna provare ancora, esplorando i più profondi
recessi e guardando sotto ogni pietra fino a riuscire. Gb 28:3 Bisogna lottare contro le
acque sotterranee Gb 28:4,10,11 e spingersi attraverso rocce che sembrano radici di
montagne. Gb 28:9 Dio ha reso così difficile l’estrazione dell’oro, dell’argento e delle pietre
preziose:

(a) Per ispirare e stimolare l’industriosità. Dii laboribus omnia vendunt-La fatica è il prezzo
che affigge ogni cosa. Se le cose preziose si ottenessero facilmente, gli uomini non
imparerebbero mai a sforzarsi. La difficoltà di ottenere le ricchezze di questa terra può
farci capire la forza con cui viene preso il regno dei cieli.

(b) Per moderare e contenere lo sfarzo e la lussuria. Ciò che è necessario si ottiene con
poca fatica dalla superficie della terra, ma ciò che è decorativo dev’essere estratto con
grandi sforzi dalle sue viscere. Il cibo costa poco, ma il lusso è caro.

III. Gli uomini desiderano le ricchezze sotterranee anche se sono difficili da ottenere. Chi
ama l’argento non è saziato con l’argento, ma nemmeno senza. Chi ha tanto vuole sempre
di più. Notate:

1. I loro espedienti per ottenere quelle ricchezze. Esplorano i più profondi recessi. Gb 28:3
Hanno sistemi e stratagemmi per prosciugare le acque e per allontanarle quando
irrompono nelle miniere e minacciano di inondarle. Gb 28:4 Usano pompe, tubature e
canali e, quando ogni ostacolo è rimosso, percorrono il sentiero che l’uccello di rapina non
conosce, Gb 28:7,8 nonostante la sua vista rapida e aguzza, e che i leoncini, che girano
per tutte le zone selvagge, non hanno mai calcato.

2. Che sforzi devono fare, e a che gran prezzo, per ottenere quei tesori. Traforano le rocce
e passano sotto le montagne. Gb 28:10

3. Che pericoli devono correre. I minatori rischiano la vita. Devono infatti turare i fiumi
perché non gocciolino, Gb 28:11 D e sono continuamente in pericolo di essere soffocati da
esalazioni o sepolti vivi da frane. Gli stolti aggravano il loro peso. L’uomo è condannato a
procurarsi il pane con il proprio sudore, ma, come se non bastasse, rischia la vita per
ottenere dell’oro e dell’argento, anche se, più ne trova, più diminuiscono di valore. Al
tempo di Salomone, l’argento era come una semplice pietra.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 216


4. Che cosa li spinge ad affrontare tante fatiche e tanti pericoli: L’occhio loro scorge
quanto v’è di prezioso. Gb 28:10 Danno un grande valore all’oro e all’argento, che tengono
a mente in tutti i loro sforzi. Li vedono già scintillare davanti ai loro occhi e, nella speranza
di ottenerli, non si curano di tutte queste difficoltà, perché, alla fine, le loro fatiche
saranno ricompensate. Le cose nascoste traggono fuori alla luce. Gb 28:11 Portano in
banca ciò che era nascosto sotto terra e raffinano e purificano nella fornace il metallo
nascosto dalle scorie. A quel punto, sentono che tutti i loro sforzi ne sono valsi la pena.
Vai quindi al minatore, tu che sei pigro nella pratica religiosa. Considera il suo fare, e
diventa savio. Il suo coraggio, la sua diligenza e la sua costanza nel cercare le ricchezze
che periscono ci fanno vergognare della nostra pigrizia e indolenza nel faticare per quelle
vere. L’acquisto della sapienza, oh, quanto è migliore di quello dell’oro! Com’è più semplice
e più sicuro! Eppure si cerca l’oro e si trascura la grazia. Se la speranza dei tesori della
terra (come li chiamano, anche se sono in realtà insignificanti e corruttibili) ci spinge tanto
a darci da fare, non dovrebbe spingerci ancora di più la prospettiva sicura dei veri tesori
del cielo?

Gb 28:12-19

Giobbe, dopo aver parlato della ricchezza del mondo, che gli uomini valutano tanto e si
sforzano tanto di ottenere, parla di gioielli ben più preziosi, cioè della sapienza e
dell’intelligenza, della gioiosa conoscenza di Dio e di noi stessi. Chi escogita tanti sistemi
per arricchirsi si considera molto saggio, ma Giobbe non è d’accordo. È vero che ha
raggiunto il suo scopo e ha portato alla luce ciò che ha cercato, Gb 28:11 ma Giobbe
chiede: « Dov’è la Sapienza? Non è qui ». Le vie degli uomini dimostrano la loro follia.
Dobbiamo cercare la sapienza altrove, e la troveremo solo nei princípi e nelle pratiche
religiose. C’è più vera conoscenza, soddisfazione e gioia nella corretta teologia, che mostra
come raggiungere le gioie del cielo, che nella filosofia o nella matematica di questo
mondo, che ci aiutano a raggiungere le viscere della terra. Di questa sapienza, ci sono due
cose che non possiamo conoscere:

I. Il prezzo, perché è inestimabile e vale infinitamente più di tutte le ricchezze del mondo:
L’uomo non conosce il prezzo di essa, Gb 28:13 D cioè,

1. Pochi possono stabilirne il valore. Gli uomini non ne conoscono il pregio e l’innata
superiorità. Non sanno quanto ne hanno bisogno e quanto bene può procurare. Anche se
hanno in mano tutto il denaro necessario per poterla acquistare, non hanno abbastanza
senno da farlo. Pr 17:16 Il gallo della favola non conosceva il valore della pietra preziosa
che aveva trovato nel letamaio, e avrebbe preferito trovare un chicco d’orzo. Gli uomini
non conoscono il valore della grazia, e quindi non si sforzano di ottenerla.

2. Nessuno potrebbe mai darne un valido corrispettivo, nemmeno con tutte le ricchezze
del mondo. Giobbe si dilunga sull’argomento, Gb 28:15 ss. facendo un inventario dei bona
notabilia-i più grandi tesori del mondo. Cita l’oro cinque volte, poi parla dell’argento e di
diverse pietre preziose: l’onice, lo zaffiro, le perle, i rubini e il topazio etiope. Sono tra le
pietre più costose del mondo, ma se uno volesse anche darne a mucchi, insieme a ogni
suo avere, per ottenere la sapienza, la sua offerta sarebbe del tutto disprezzata. Possono
forse essere di aiuto nella ricerca della sapienza, come lo furono per Salomone, ma non
possono comprarla. È un dono di Dio che non si acquista con danaro, At 8:20 così come la
sapienza non si eredita di padre in figlio. I doni spirituali sono conferiti senza prezzo,

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 217


perché nessuna somma di denaro potrebbe mai bastare. La sapienza è un dono più
grande dell’oro e delle pietre preziose, e rende più ricchi e più felici. L’acquisto della
sapienza è migliore di quello dell’oro. L’oro è utile materialmente e temporaneamente, ma
la saggezza è utile spiritualmente e in eterno. Valutiamo dunque ciò che valuta Dio. cfr. Pr
3:14 ss.

II. Il luogo dove si trova, che non può essere scoperto. La Sapienza, dove trovarla? Gb
28:12 Giobbe lo chiede

1. Con il gran desiderio di scoprirla. È una domanda che dovremmo fare tutti. La maggior
parte delle persone chiede: « Dove possiamo trovare dei soldi? ». Noi dovremmo chiedere:
La Sapienza, dove trovarla? Dobbiamo cercare e trovare la vera religione, e non la vana
filosofia o il ragionamento di questo mondo. La vera sapienza, infatti, è quella che più
migliora le nostre facoltà e più garantisce il nostro benessere spirituale eterno. È questa
che dobbiamo desiderare e ricercare. Pr 2:3,4

2. Sapendo di poterla trovare solo in Dio e nella sua rivelazione: Non la si trova sulla terra
de’viventi Gb 28:13 Possiamo conoscere bene Dio, la sua volontà, noi stessi, il nostro
dovere e il nostro interesse, non leggendo delle opere umane, ma leggendo il suo libro e
gli scritti di uomini a lui devoti. La natura umana è degenerata tanto che solo chi è nato di
nuovo ha vera sapienza, perché, tramite la grazia, è partecipe della natura divina. Nessun
altro, nemmeno le persone più ingegnose e industriose, può rivelarci questa sapienza
perduta.

(a) Chiedi ai minatori e, per bocca loro, l’abisso dirà: Non è in me. Gb 28:14 Anche chi
scava fino alle viscere della terra per estrarne i tesori, non può trovare questo raro gioiello
in quegli angoli oscuri, né farsene padrone, nonostante tutti i suoi artifizi.

(b) Chiedi ai marinai e, per bocca loro, il mare dirà: Non sta da me. Non si può trovare con
il commercio per mare o con l’osservazione subacquea. Non può essere succhiata dalla
dovizia del mare e dai tesori nascosti nella rena. Né la sapienza, né la grazia possono
essere estratte da un filone d’argento. Gli uomini superano più facilmente le difficoltà che
incontrano nell’arricchirsi di quelle che incontrano nel ricevere la sapienza celeste, e si
sforzano di più a imparare a vivere bene in questo mondo che a imparare come vivere per
sempre in un mondo migliore. L’uomo è diventato così cieco e stolto che è inutile
chiedergli: Dov’è la saggezza, e che via mi ci conduce?

Gb 28:20-28

ripete una domanda già fatta. Gb 28:12 Era troppo importante da lasciar perdere. È un
argomento che dobbiamo ricercare fino a trovare delle risposte soddisfacenti. È proprio
con quella sua ricerca diligente che Giobbe giunge alla conclusione che ci sono due tipi di
sapienza, una nascosta in Dio, che è segreta e non ci appartiene, e un’altra che Dio rivela
all’uomo, che è per noi e per i nostri figliuoli.

I. La conoscenza della volontà segreta di Dio, o della sua provvidenza, ci è incomprensibile


ed è riservata a lui solo. Appartiene all’Eterno, al nostro Dio. La conoscenza di cui Giobbe
parla per prima è la conoscenza particolareggiata delle opere future di Dio e dei motivi
delle sue azioni attuali.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 218


1. È una conoscenza che ci è nascosta. È superiore alla nostra comprensione: È nascosta
agli occhi d’ogni vivente, Gb 28:21,22 anche dei filosofi, degli uomini politici e dei santi. È
celata agli uccelli del cielo. Anche se volano così alti in uno spazio immenso e sembrano
più che mai prossimi a quel mondo che ci sovrasta e da cui proviene questa sapienza, e
anche se vedono da lontano, Gb 39:29 non possono conoscere i disegni di Dio. L’uomo è
più savio degli ucccelli del cielo, eppure non ha questa sapienza. Anche chi si eleva sugli
altri con le proprie speculazioni, come gli uccelli si elevano sulla terra, non può dire di
averla ottenuta. Giobbe e i suoi amici avevano discusso i metodi e i motivi della
Provvidenza nel suo governo del mondo. « Come siamo sciocchi », dice Giobbe, « a lottare
alla cieca, discutendo cose che non comprendiamo! ». La lenza e il piombo della ragione
umana non possono mai penetrare gli abissi dei piani divini. Chi può cercare di descrivere
la logica della Provvidenza, o di spiegare i precetti, i provvedimenti e i metodi del governo
di Dio, quegli arcana imperii segreti di stato della sapienza divina? Accontentiamoci di non
conoscere le sue opere future prima che il tempo ce le riveli At 1:7 e di non conoscere i
suoi motivi segreti finché non li apprenderemo nell’eternità. Per ora, Dio si nasconde. Is
45:15 Nuvole e oscurità lo circondano. Anche se questa sapienza è celata a ogni essere
vivente, l’abisso e la morte dicono: Ne abbiamo avuto qualche sentore. Anche se non
possono spiegarla (poiché nel soggiorno dei morti non v’è più né pensiero, né scienza, né
sapienza, e tanto meno questa sapienza), quelle regioni tenebrose confinano con il mondo
che segue la morte e la tomba e che raggiungeremo dopo averle attraversate, un mondo
dove vedremo chiaramente tutto ciò che ora ci appare offuscato. « Abbi un po’di
pazienza », dice la Morte all’anima che cerca risposte: « Presto ti porterò a un posto dove
anche questa sapienza sarà rivelata ». Ci sarà manifestata quando si compirà il mistero di
Dio, e conosceremo come siamo stati conosciuti. Quando la cortina di questa carne sarà
squarciata e le nuvole saranno disperse, conosceremo le azioni di Dio, anche se non le
comprendiamo ora. Gv 13:7

2. È una conoscenza nascosta in Dio, come ci insegna l’Apostolo. Ef 3:9 A Dio son note ab
eterno tutte le opere sue, anche se noi non le conosciamo. At 15:18 Ha dei buoni motivi
per fare ciò che fa, anche se non li possiamo capire: Dio solo conosce la via che vi mena.
Gb 28:23 A volte gli uomini non sanno quel che fanno, ma Dio lo sa sempre. Gli uomini
agiscono contrariamente ai loro intenti. Le circostanze cambiano i loro piani e li obbligano
a cambiare corso. Dio invece agisce secondo il proposito che ha determinato in se stesso e
che non altera mai. A volte gli uomini non sanno dare un buon motivo per le loro opere,
ma in ogni volontà di Dio c’è un disegno, ed egli sa ciò che fa e perché lo fa, in ogni
dettaglio, compresi l’ordine e il luogo di ogni evento. Questa sua conoscenza è perfetta,
ma segreta. Giobbe elenca due motivi per cui Dio, e solo Dio, deve necessariamente
comprendere le sue vie:

(a) Tutti gli eventi sono diretti da una Provvidenza onnisciente e onnipotente. Gb 28:24,25
Colui che governa il mondo è: [1] Onnisciente. Il suo sguardo giunge sino alle estremità
della terra, in termini di spazio e di tempo. Le epoche e le regioni più remote sono sotto il
suo sguardo. Noi non comprendiamo le nostre azioni, né tanto meno quelle di Dio, perché
siamo miopi. Capiamo già poco le sue opere in questo mondo, e tanto meno quelle future.
Al contrario, gli occhi dell’Eterno sono in ogni luogo. Anzi, percorrono tutta la terra. Niente
è nascosto o può essere nascosto al suo sguardo. Solo lui sa perché alcuni empi
prosperano tanto in questo mondo e altri ricevono severe punizioni. Noi non possiamo
comprenderlo. Gli eventi di un giorno e le vicende di un uomo sono così interconnesse e
interdipendenti che solo chi vede tutti gli eventi e tutte le vicende chiaramente e

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 219


apertamente, con una visione completa e perfetta del tutto, può essere il Giudice
competente di ogni particolare. [2] Onnipotente. Può fare qualunque cosa, e agisce
sempre con precisione. Giobbe adduce come prova la sua influenza sui venti e sulle acque.
Gb 28:25 Che cosa può essere più leggero del vento? Dio però sa placarlo. Sa come
regolare il peso del vento, che fa uscire dai suoi tesori, Sl 135:7 tenendone accuratamente
conto, come si fa quando si ritirano dei soldi dalla banca, e non a caso, come quando si
porta fuori la spazzatura. Non c’è nulla in questo mondo naturale più inesplicabile del
vento. Ne odi il rumore, ma non sai né d’onde viene né dove va. Dio invece ne regola il
peso, decidendone saggiamente il punto di origine e la forza. Soppesa e misura anche le
acque del mare e la pioggia, determinando la proporzione di ogni flusso e di ogni rovescio.
C’è una comunicazione intensa e costante tra le nuvole e il mare, cioè tra le acque sopra la
distesa e quelle sotto la distesa. I vapori salgono e la pioggia discende. L’aria si condensa
nell’acqua, e l’acqua si rarefà nell’aria, e il grande Dio tiene un esatto resoconto di questo
processo per il bene pubblico, assicurandosi che nessun elemento sia disperso. Se la
Provvidenza può essere così precisa in queste faccende, quanto più lo sarà nel
somministrare agli uomini dolori e favori, ricompense e punizioni, secondo le regole
dell’equità.

(b) Tutti gli eventi sono designati e determinati fin dall’eternità con una prescienza
infallibile e un decreto immutabile. Gb 28:26,27 Quando Dio stabilì il corso della natura,
fissò anche tutte le operazioni del suo governo. [1] Per quanto riguarda il corso della
natura, Giobbe parla particolarmente di una legge per la pioggia e una strada per il lampo
e per i tuoni. Le regole e i metodi generali di quegli occasionali fenomeni, e i loro usi e le
loro disposizioni particolari, comprese le loro cause e i loro effetti, furono stabiliti per
proposito divino. Leggiamo che Dio prepara i lampi per la pioggia. Sl 135:7 Gr 10:13 [2]
Decise anche i provvedimenti della sua Provvidenza, delineando un preciso disegno della
sua opera, dall’inizio alla fine. Dall’eternità, vede in se stesso e dichiara a se stesso il suo
piano. Lo ha preparato, fissato e stabilito, sistemando ogni dettaglio per l’esecuzione di
tutte le sue opere. Di conseguenza, in ogni evento, non può mancare niente e non
possono esserci imprevisti che cambino i suoi metodi o il suo orario. Ogni cosa è stata
stabilita come Dio l’ha progettata e designata. In ogni sua opera, niente v’è da aggiungervi
e niente da togliervi, e quindi è per sempre. Ec 3:14 Alcuni ritengono che Giobbe dia qui
una personificazione della sapienza, per cui traducono: Allora la vide e la rivelò, ecc. In
questo caso, il versetto è parallelo all’affermazione di Salomone sull’essenziale sapienza
del Padre, la Parola eterna: Quand’egli ancora non avea fatto la terra, io ero presso di lui
(Pr 8:22 ss.; Gv 1:1,2).

II. La conoscenza della volontà rivelata di Dio, racchiusa nei suoi precetti e comprensibile
anche a noi. È alla nostra portata e per il nostro bene. Dio disse all’uomo: Ecco: temere il
Signore: questa è la Sapienza. Gb 28:28 Non pensiamo che avesse nascosto i suoi piani
all’uomo e che gli avesse proibito l’albero della conoscenza perché non aveva voluto
concedergli nulla che gli desse vera gioia e soddisfazione. No, anzi, gli lasciò conoscere
tutto ciò che era importante per svolgere il suo dovere e per essere felice. Rivela all’uomo i
suoi sommi pensieri quanto quella conoscenza è necessaria e giusta per un suddito.
L’uomo non deve ritenersi un suo consigliere. Dio disse chiaramente ad Adamo (secondo
alcuni), cioè al primo uomo, il giorno stesso in cui lo creò, che non avrebbe dovuto
trastullarsi con ricerche troppo curiose sui misteri della creazione, né pretendere di
spiegare tutti i fenomeni naturali. Lo avrebbe trovato impossibile e inutile. Secondo
Tillotson, una mente inferiore a quella che creò il mondo non potrebbe mai comprendere

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 220


interamente la sua filosofia. L’uomo consideri sapienza il timore dell’Eterno e l’abbandono
del male, e gli saranno sufficienti. Lasci che quella conoscenza operi in lui. Quando Dio
proibì all’uomo di mangiare il frutto dell’albero della conoscenza, gli permise quello
dell’albero della vita, che è questo. Pr 3:18 Possiamo avere la vera sapienza solo per
rivelazione divina. L’Eterno dà la sapienza, Pr 2:6 la cui essenza non si trova nei segreti
della natura o della provvidenza, ma nelle regole che dobbiamo praticare. Dio non disse
all’uomo: « Vai in cielo per trovare la felicità », o: « Scendi negli abissi per attingerla ».
No, questa parola è molto vicina a te. De 30:14 O uomo, egli t’ha fatto conoscere non ciò
che è eccelso, ma ciò ch’è bene; non ciò che farà di te, ma ciò che richiede da te. Mi 6:8
Chiamo voi, o uomini. Pr 8:4 Signore, che cos’è l’uomo che Dio se ne curi tanto!
Prendetene nota e fate attenzione. Chi ha orecchie per udire ascolti ciò che il Dio del cielo
dice ai figli degli uomini: Temere il Signore: questa è la Sapienza. Troviamo qui:

1. La definizione della religione vera, pura e immacolata: Temere il Signore e fuggire il


male. Coincide con la descrizione che Dio aveva dato di Giobbe. Gb 1:1 Il timore
dell’Eterno è la fonte e il riassunto di tutta la religione. C’è un timore di Dio servile, che
nasce dalla concezione di un Dio duro e che è contrario alla religione. Mt 25:24 C’è poi un
timore di Dio egoistico, che nasce dalla concezione di un Dio tremendo e che può condurre
alla religione. At 9:5 C’è infine un timore di Dio filiale, che nasce dalla concezione di un Dio
grande ed eccelso e che rappresenta la vita e l’anima di tutta la religione. Quando questo
timore regna nel cuore, è evidente nella costante attenzione a fuggire il male, Pr 16:6
essenziale alla religione. Non potremo mai comportarci bene senza cessare prima di tutto
di fare il male. Virtus est vitium fugere-C’è della virtù anche nella fuga dal vizio.

2. L’elogio della religione: È sapienza e intelligenza. La vera religione è vera sapienza. Così
come la sapienza di Dio è manifesta nell’istituzione della religione, allo stesso modo la
sapienza dell’uomo è manifesta nella sua pratica e nella sua osservanza. È intelligenza,
perché è la più vera conoscenza della verità. È sapienza, perché è la migliore condotta.
Niente ci guida e ci permette di raggiungere il nostro fine più della religione.

Giobbe 29

Dopo il suo eccellente discorso sulla sapienza nel capitolo precedente, Giobbe fa una
pausa, non perché fosse rimasto senza fiato, ma perché non voleva essere l’unico a
parlare senza il permesso degli altri. Voleva dare agli amici la possibilità di commentare,
ma non ebbero niente da dire. Dopo un momento di riflessione, riprende a descrivere la
sua condizione in questo capitolo e nei due seguenti:

I. Descrive la sua grande prosperità perduta.

II. Narra le dolorose avversità che gli erano capitate, per suscitare la pietà dei suoi amici e
per giustificare o per lo meno scusare i suoi lamenti. Poi,

III. Per ribattere alle loro critiche, fa una grande e dettagliata protesta della propria
integrità. In questo capitolo, ripensa ai giorni della sua prosperità, descrivendo:

1. Le consolazioni e le soddisfazioni che aveva ricavato a casa sua. Gb 29:1-6

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 221


2. Il grande onore e la grande autorità che aveva avuto nel paese, e il rispetto che tutti gli
avevano dimostrato. Gb 29:7-10

3. Tutto il bene che aveva fatto come magistrato. Gb 29:11-17

4. Le sue giuste aspettative della continuazione di quelle consolazioni a casa Gb 29:18-20


e di quella sua autorità fuori. Gb 29:21,25 Si dilunga su ognuno di questi punti per
aggravare le sue disgrazie, come Naomi, che disse: « Io partii nell’abbondanza, e l’Eterno
mi riconduce spoglia di tutto ».

Gb 29:1-6

Se i perdenti hanno occasione di parlare, non c’è niente che amino descrivere più dei beni
di cui sono stati privati. La prosperità perduta è uno degli argomenti su cui amano
riflettere e discutere. Era così per Giobbe, che inizia con un desiderio: Oh foss’io come nei
mesi d’una volta! Gb 29:2 Descrive quindi quella prosperità. Sospira:

1. « Oh, se stessi ancora bene come allora! Se avessi ancora altrettante ricchezze, onore e
soddisfazioni! ». Lo desidera pensando non tanto al suo conforto quanto alla sua
reputazione e alla gloria del suo Dio, che riteneva eclissato dalle sue sofferenze. « Oh, se
potessi ritornare alla mia prosperità! Allora, anche secondo la loro logica, i miei amici
smetterebbero per sempre di criticarmi e di rimproverarmi! ». Se desideriamo avere vita,
salute e prosperità perché Dio possa essere glorificato e perché la reputazione della nostra
professione di fede possa essere salvata, preservata e migliorata, si tratta di un desiderio
non solo naturale, ma spirituale.

2. « Oh, se fossi felice come allora! ». Giobbe si era lamentato soprattutto del suo
abbattimento, sentendo che Dio gli si era allontanato. Desidera quindi che il suo spirito
possa essere rinforzato e incoraggiato nel suo servizio come era una volta e che possa
avvicinarsi a lui con la stessa libertà e intimità che gli aveva dato tanta gioia prima, al
tempo della sua giovinezza, Gb 29:4 D quando più aveva potuto godere e gustare quelle
cose. Notate: Chi prospera durante la giovinezza non sa che giorni foschi e oscuri lo
aspettano. Due cose gli avevano resi piacevoli quei mesi passati:

I. Aveva trovato conforto nel suo Dio. La sua più grande gioia al tempo della sua
prosperità era stata il fatto di avere il favore di Dio e i segni che lo confermavano. Era
stato proprio quel favore a generare quella prosperità e a renderla piacevole. Giobbe non
la attribuiva a un colpo di fortuna, né a un atto della sua forza o del suo potere.
Riconosceva infatti, come Davide: Per il tuo favore, avevi reso forte il mio monte. Sl 30:7
Un’anima buona si compiace dei sorrisi di Dio e non di quelli del mondo. C’erano quattro
cose in particolare che rallegravano il pio Giobbe:

1. La sua fiducia nella protezione divina. Erano giorni in cui Dio mi proteggeva. Gb 29:2
Anche allora aveva riconosciuto i pericoli. Non aveva fatto dei suoi beni la sua città forte,
né aveva confidato nell’abbondanza delle sue ricchezze. Il nome dell’Eterno era la sua
forte torre. Solo in quel nome si era sentito al sicuro, e solo a quel nome aveva attribuito
la sua sicurezza e le sue consolazioni. Il diavolo lo aveva visto circondato da un riparo
edificato da Dio, Gb 1:10 che Giobbe stesso riconosceva, ammettendo che era stata la
provvidenza di Dio a vegliare sul suo spirito. Gb 10:12 Solo chi Dio protegge è sicuro e

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 222


tranquillo. Anche chi ha tutto ciò che il mondo ha da offrire non deve ritenersi al sicuro
senza la protezione di Dio.

2. La sua soddisfazione nel favore divino: La sua lampada mi risplendeva sul capo. Gb
29:3 Dio aveva levato su di lui la luce del suo volto, dandogli la certezza del suo amore,
con delle stupende dimostrazioni. Anche la più grande espressione del favore divino per i
santi in questo mondo è solo la luce di una candela in confronto a ciò che li aspetta in
futuro. Giobbe però aveva trovato tante soddisfazioni in quel favore che, alla sua luce,
aveva attraversato le tenebre. Era una luce che lo aveva guidato nei dubbi, lo aveva
confortato nei dolori, lo aveva sorretto sotto i pesi e lo aveva aiutato in ogni difficoltà.
Anche chi gode della più luminosa prosperità deve aspettarsi dei momenti di tenebre. Tutti
si trovano contraddetti, confusi o depressi. Chi però vuole ottenere il favore di Dio e sa
valutarlo può, con quella luce, attraversare con gioia e con conforto l’oscurità di questa
valle di lacrime. La gioia di quel favore è sufficiente a controbilanciare tutti i dolori di
quest’epoca presente.

3. La sua comunione con la parola di Dio: Il consiglio segreto di Dio vegliava sulla mia
tenda. Gb 29:4 Dio aveva conversato liberamente con lui, come un caro amico. Giobbe
aveva conosciuto i suoi pensieri e non si era sentito confuso come ora. Le Scritture
insegnano che il segreto dell’Eterno è per quelli che lo temono, ed egli fa loro conoscere
degli elementi del suo patto che gli altri non sanno riconoscere. Sl 25:14 Dio comunica al
suo popolo il suo favore e la sua grazia e ne ricompensa la devozione in un modo segreto
a questo mondo. Alcuni traducono: La compagnia di Dio era nella mia tenda. Secondo il
rabbino Solomon, si trattava di un’assemblea del popolo di Dio che si incontrava
solitamente a casa di Giobbe per adorare sotto la sua direzione. Era un’assemblea che egli
amava molto, e fu addolorato quando fu dispersa. Oppure si può interpretare come
un’assemblea degli angeli di Dio che si accampavano intorno alla sua abitazione.

4. La sua certezza della presenza divina: L’Onnipotente stava ancora meco. Gb 29:5 Ora,
Giobbe credeva che Dio lo avesse lasciato, ma allora era stato certo della sua presenza,
che era la cosa più importante. Quando Dio è presente in una casa, per piccola e umile
che sia, la trasforma in un castello e in un palazzo.

II. Aveva trovato conforto nella sua famiglia. Tutto si era sempre svolto bene: aveva
abbastanza bocche da sfamare con i suoi beni e abbastanza beni per tutte. È triste quando
mancano le une o gli altri.

1. Aveva avuto molti discendenti che avrebbero potuto godere dei suoi beni: Avevo i miei
figliuoli d’intorno. Aveva avuto molti figli, abbastanza da circondarlo, obbedienti e
ossequiosi, che gli erano stati intorno per conoscere i suoi desideri e per sapere come
servirlo. La vicinanza dei figli è un gran conforto per i genitori che li amano. Giobbe ne
parla con tanta emozione ora che ne è privato. L’aveva considerata una prova della
presenza di Dio. È invece un male se, quando perdiamo i nostri figli, non possiamo
consolarci pensando che non abbiamo perso il nostro Dio.

2. Aveva avuto grandi possedimenti per mantenere la sua numerosa famiglia. Gb 29:6 Il
suo bestiame era stato così produttivo che Giobbe avrebbe potuto quasi lavarsi i piedi nel
latte. I suoi uliveti erano stati così fruttuosi, oltre ogni aspettativa, che sembrava che dalla
roccia fluissero ruscelli d’olio. Giobbe non parla della sua ricchezza in termini di oro e

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 223


argento, che si accumulano soltanto, ma in termini di latte e olio, che si usano. A che
servono i possedimenti se non possono essere utili a noi e agli altri?

Gb 29:7-17

Qui troviamo Giobbe in una posizione di onore e di autorità. Anche se aveva trovato
abbastanza soddisfazioni a casa, non si era limitato a stare là. Non siamo nati per noi
stessi, ma per gli altri. Se c’era qualche questione che doveva essere risolta alle porte della
città, cioè al luogo del giudizio, Giobbe usciva per andarvi, Gb 29:7 non per sfoggio, ma
per amore della giustizia. Osservate: I processi erano svolti alle porte della città, per
strada, nei luoghi di raduno a cui ognuno poteva avere accesso, perché tutti
testimoniassero ciò che era detto e fatto, e potessero provare timore quando i colpevoli
erano puniti. Giobbe era un principe, un giudice e un magistrato, con grande autorità tra i
popoli orientali. Notiamo qui:

I. Il profondo rispetto che gli avevano dimostrato tutti, non solo per i suoi titoli onorifici,
ma per il suo merito personale, la sua somma saggezza, la sua integrità e la sua abilità
organizzativa.

1. Il popolo lo aveva onorato e temuto. Gb 29:8 La sua apparenza seria e maestosa e la


sua nota intransigenza nel punire tutto ciò che era malvagio e indecente esigeva decoro. I
giovani, che erano irrequieti o forse consci di essersi comportati male, si ritiravano da lui. I
vecchi, pur mantenendo la propria compostezza, non restavano seduti, ma s’alzavano e
rimanevano in piedi per rendergli omaggio. Quegli anziani che si aspettavano la riverenza
degli altri rendevano omaggio a lui. La virtù e la devozione a Dio esigono, e di solito
ottengono, il rispetto di tutti. Inoltre, chi non solo è giusto, ma fa il bene, è degno di
doppio onore. La modestia si confà a chi è giovane o subordinato quanto la maestà si
confà a chi è anziano e in posizione di autorità. Dobbiamo rendere ai magistrati la
riverenza e l’onore che gli sono dovuti. Ro 13:7 Se un uomo grande e giusto come Giobbe
riceveva tanto ossequio, quanto più va temuto il grande, giusto Dio!

2. I príncipi e i nobili lo avevano trattato con grande rispetto. Gb 29:9,10 Secondo alcuni,
erano dei suoi inferiori che lo rispettavano per la sua posizione di autorità su di loro.
Sembrerebbero però piuttosto dei suoi pari, che svolgevano i suoi stessi compiti, ma che
gli rendevano tanto onore in virtù delle sue straordinarie abilità e delle sue grandi opere.
Era chiaro che li superava nella perspicacia, nel buonsenso, nell’ubbidienza alle regole, e
nella chiarezza e nell’abbondanza delle sue espressioni. Era quindi considerato un oracolo
da cui ricevere consigli e direttive in materia di legge e di giustizia. Le sue parole erano
osservate e rispettate da tutti. Quando entrava in tribunale, e soprattutto quando si alzava
per esprimere il suo giudizio, i maggiorenti cessavano di parlare e la voce dei capi
diventava muta, per poter ascoltarlo più attentamente e per accertarsi di comprenderlo
bene. Anche chi era sempre pronto a esprimere le proprie idee e amava sentirsi parlare,
senza curarsi di ascoltare gli altri, quando Giobbe prendeva la parola, desiderava
conoscere le sue opinioni con lo stesso ardore con cui desiderava esprimere le sue. Chi
non era certo delle proprie convinzioni si riteneva soddisfatto delle sue e ammirava la sua
sottigliezza d’ingegno e la sua abilità a sciogliere i nodi che li lasciavano perplessi. Quando
i príncipi e i nobili disputavano tra di loro tutti erano sempre d’accordo a lasciare a Giobbe
la questione e a sottomettersi al suo giudizio. Beato l’uomo che è benedetto con grandi
doni come questi, con cui ha grandi opportunità di onorare Dio e di fare del bene. Deve

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 224


però stare molto in guardia contro la superbia. Beato il popolo che è benedetto con degli
uomini così eminenti. È un buon segno in suo favore.

II. Quanto bene aveva fatto nella sua posizione. Con la sua autorità, era stato di grande
servizio al suo paese. Osserviamo ora le cose per cui si era valutato nell’ora della sua
prosperità. È naturale provare una certa stima per noi stessi, e possiamo giudicare il
nostro carattere in base ai valori per i quali ci valutiamo. Giobbe non si era stimato in
merito all’onore della sua famiglia, ai suoi grandi possedimenti, alle sue copiose entrate,
alla sua ricca mensa, al numero dei suoi servi, alle sue insegne d’onore, alle sue scorte, ai
suoi entourage, ai suoi sontuosi ricevimenti e alle lusinghe degli altri. Si era valutato
invece in base al suo servizio. La bontà è la gloria di Dio, e sarà la nostra. Se siamo
misericordiosi come Dio, siamo perfetti come lui.

1. Si era valutato in base alla stima, all’affetto e alle preghiere delle persone serie e alle
aperte lodi di tutti quelli che lo circondavano, e non in base agli artificiosi panegirici dei
geni e dei poeti. Tutti quelli che lo avevano udito o visto sacrificarsi per il bene del paese
con tutta l’autorità e la tenerezza di un padre gli avevano reso testimonianza e lo avevano
chiamato beato. Gb 29:11 Avevano parlato benissimo di lui e avevano pregato per lui. Non
aveva considerato un onore avere il timore di tutto il popolo (Oderint dum metuant-Odino
pure, purché temano), essere dispotico e fare sempre il proprio volere senza curarsi delle
opinioni altrui. Come Mardocheo, si era sentito onorato di essere amato dalla moltitudine
dei suoi fratelli. Et 10:3 Non aveva valutato l’applauso di chi gli era lontano quanto
piuttosto gli attestati di chi era testimone della sua condotta. Chi gli era sempre vicino lo
vedeva e sentiva continuamente e poteva quindi parlare per esperienza, soprattutto quelli
che lui aveva aiutato. Era la benedizione che gli dava chi era stato salvato da lui in punto
di morte. Gb 29:13 Le persone ricche e importanti facciano del bene, e saranno lodate. Chi
poi ha ricevuto del bene dagli altri si consideri indebitato ai suoi protettori e benefattori, e
li benedica, testimoniando i loro atti. Si serva di ciò che ha su questa terra per onorarli e
del suo contatto con il cielo per pregare per loro e per lodarli. È ingrato chi vuol negare
queste piccole ricompense.

2. Si era valutato in base alle cure che si era preso per chi era meno in grado di aiutarsi,
cioè i poveri e i bisognosi, le vedove e gli orfani, i ciechi e gli storpi, che non avevano
potuto meritare il suo favore né avrebbero mai potuto ricompensarlo.

(a) I poveri, se offesi o oppressi, avrebbero potuto rivolgersi a lui. Se poi lui avesse
trovato le loro lamentele giustificate, non si sarebbe limitato a dare ascolto e a dimostrare
simpatia, ma avrebbe dato soccorso. Aveva salvato il misero che gridava aiuto, Gb 29:12
non permettendo che fosse calpestato. Anzi, era stato il padre de’poveri, Gb 29:16 non
solo un giudice che li proteggesse e che tutelasse i loro diritti, ma un padre che si curasse
di loro, assicurandosi che non avessero bisogno di niente, che offrisse consigli e direttive e
che apparisse sempre in loro favore. Far da padre ai poveri non è denigrante per il figlio di
un principe.

(b) Gli orfani senza aiuto lo avevano trovato pronto a soccorrerli. In mezzo ai guai, lo
avevano trovato pronto a liberarli. Li aveva aiutati ad avvantaggiarsi di quel poco che
avevano, a pagare i debiti e a riscuotere ciò che gli era dovuto. Li aveva aiutati a farcela
nel mondo e a trovare e a mantenere un lavoro. È questa la giusta assistenza che bisogna
dare agli orfani.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 225


(c) Aveva salvato la vita di chi era in punto di morte, dando cibo agli affamati, prendendosi
cura dei malati, degli emarginati, di chi era accusato falsamente e di chi rischiava di
perdere ingiustamente le sue proprietà. L’intensità del pericolo, che aveva spinto Giobbe a
difenderli con più vigore, aveva anche reso i suoi atti di gentilezza ancor più toccanti e più
degni di essere ricambiati, ispirando gli altri a benedirlo ancor di più.

(d) Aveva protetto tanto le vedove addolorate e intimorite, aveva provveduto tanto per
loro, e si era interessato alla loro causa con tanto sentimento da farle cantare con gioia.
Far gioire chi conosce più dolore è un piacere per un giusto, e dovrebbe essere un piacere
per ogni grande uomo.

(e) Aveva dato adeguato e pronto sollievo a tutti i non autosufficienti: Era l’occhio del
cieco, Gb 29:15 dando consigli a chi non sapeva cosa fare, e il piede dello zoppo, offrendo
denaro e l’assistenza di amici a chi sapeva cosa fare, ma non come effettuarlo. L’aiuto più
efficace è quello diretto alle necessità più grandi. Potremmo anche diventare ciechi o zoppi
noi stessi, e dobbiamo quindi aver pietà di chi lo è e prestargli soccorso. Is 35:3,4 Eb
12:13

3. Si valutava in base al suo impegno ad agire sempre con equità e rettitudine. I suoi
amici lo avevano ingiustamente criticato come oppressore. « Anzi », ribatte, « mi sono
sempre impegnato a mantenere e a sostenere la giustizia ».

(a) Si era dedicato all’amministrazione giudiziaria: La giustizia era il mio vestimento. Gb


29:14 Aveva amministrato la giustizia con costanza e con determinazione. Era la cintura
delle sue reni, Is 11:5 che lo manteneva fermo e saldo in ogni movimento e che Giobbe
indossava continuamente. La giustizia è come una veste per chi la indossa. Riscalda, copre
comodamente, protegge contro le intemperie e abbellisce, ottenendo il favore di Dio e
degli altri.

(b) L’aveva svolta con piacere, anzi, un piacere santo. Far giustizia a tutti e non far male a
nessuno era per lui la sua più grande gloria: La probità era come il mio mantello e il mio
turbante. Forse non indossava davvero un mantello e un turbante, essendo molto
indifferente a quei segni onorifici. Chi più li ama ha meno valore intrinseco da conferirgli.
Giobbe preferiva invece i fermi princípi della giustizia da cui era governato e che imponeva
sugli altri. L’adempimento del proprio dovere è per un magistrato un onore ben più grande
dell’oro e della porpora, e dovrebbe essere anche la sua gioia. Se invece non svolge
coscientemente il suo dovere e viene meno alle responsabilità della sua posizione, il suo
mantello e il suo turbante, la sua toga e il suo tocco, la sua spada e la sua mazza sono
solo un segno di disonore, come il manto di porpora e la corona di spine con cui gli Ebrei
vollero deridere il nostro Salvatore. Così come i vestiti non possono scaldare un morto, i
mantelli non conferiranno mai onore a un individuo meschino.

(c) Aveva svolto il suo compito con impegno: Investigavo la causa che mi era sconosciuta.
Gb 29:16 D Aveva investigato diligentemente tutti i fatti, ascoltando pazientemente e
imparzialmente entrambi i lati, mettendo ogni cosa nella giusta luce e collegando tutte le
circostanze per scoprire la verità e per giudicare ogni causa secondo i suoi meriti, prima di
esprimere un giudizio. Non aveva mai risposto prima di avere ascoltato, e non aveva mai
dato ragione a una persona solo perché era la prima a perorare la propria causa. Pr 18:17

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 226


4. Si valutava in base al suo successo nel frenare la violenza dei malvagi e dei superbi:
Spezzavo la ganascia all’iniquo. Gb 29:17 Non dice di avergli rotto il collo. Non li aveva
uccisi. Gli aveva rotto la mandibola, impedendogli di fare il male. Li aveva umiliati e
mortificati. Aveva frenato la loro insolenza e gli aveva tolto la preda dai denti, salvando gli
uomini onesti e i loro beni che essi erano golosamente pronti a ingoiare. Li aveva salvati
con coraggio e con bravura, come Davide salvò l’agnello dalla bocca del leone, anche se
ruggivano furiosi come un leone privato della preda. I buoni magistrati devono essere un
terrore e un freno per i malfattori e una protezione per gli innocenti. Devono quindi
armarsi di zelo, di determinazione e di indomabile coraggio. Un giudice in tribunale ha
bisogno di coraggio e di ardimento come un comandante sul campo di battaglia.

Gb 29:18-25

La prosperità di Giobbe era coronata dalla piacevole prospettiva di una sua continuazione.
Sapeva, in genere, che potevano sempre capitare dei guai, e quindi non aveva una vera
sicurezza: Io non ho avuta tranquillità, né riposo. Gb 3:26 D Tuttavia, non aveva
nemmeno un particolare motivo di temere, ma poteva contare come molti altri su un lungo
periodo di tranquillità.

I. Notate i suoi pensieri nell’ora della prosperità: Dicevo: Morrò nel mio nido. Gb 29:18
Essendosi fatto un nido comodo e caldo, sperava che niente potesse disturbarlo o
spostarlo, fino alla morte. Non aveva del carbone rubato dall’altare che potesse
bruciarglielo. Non prevedeva una tempesta. Concluse quindi: Il giorno di domani sarà
come questo, come fece Davide, quando disse: Hai reso forte il mio monte. Non sarò mai
smosso. Sl 30:6,7 Osservate:

1. Nel mezzo della sua prosperità aveva pensato alla morte, ma senza turbarsi. Sapeva
che, per alto che fosse il suo nido, non avrebbe potuto sfuggire ai suoi dardi.

2. Si era illuso però con la vana speranza:

(a) Di poter vivere a lungo: Moltiplicherò i miei giorni come la rena, la sabbia del mare.
Dobbiamo invece contare i nostri giorni con la sabbia della clessidra, che finisce presto.
Notate come anche i giusti hanno la tendenza a considerare la morte distante e a
tenersela lontana, mentre per loro sarebbe un giorno di festa.

(b) Di poter morire nella stessa condizione prospera in cui era vissuto. È una buona
aspettativa, se scaturisce da una fede viva nella provvidenza e nelle promesse di Dio. Se si
basa invece sulla nostra sapienza e sulla stabilità di queste cose terrene, è mal fondata e
diventa un peccato. Speriamo che la sua fiducia fosse stata come quella di Davide, che
chiese: Di chi temerò? Sl 27:1 E non come quella del ricco stolto, che disse: Anima,
riposati. Lu 12:19

II. Notate la base di quei suoi pensieri.

1. Guardando la sua casa, trovava un buon fondamento. Tutto ciò che aveva era suo, e i
suoi vicini non potevano rivendicarsi nulla. Di salute stava bene. Non aveva problemi
finanziari e non ne prevedeva. I suoi affari progredivano continuamente. La sua
reputazione era sempre migliore. Non conosceva alcun rivale che volesse eclissare il suo

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 227


onore o ridurre il suo potere. Notate la sua descrizione. Era come un albero con radici non
solo ben distese, per tenerlo fermo e saldo, senza pericolo di essere sradicato, ma distese
verso l’acque che lo nutrivano, rendendolo fruttuoso e rigoglioso, senza pericolo di
avvizzirsi. Non riceveva solo i favori della terra, ma anche quelli del cielo: La rugiada infatti
passava le notte sui suoi rami. Gb 29:19,20 La Provvidenza gli sorrideva, dandogli felicità e
successo. Nessuno cerchi di sostenere la propria prosperità con conseguimenti terreni
senza la benedizione di Dio. La gloria di Giobbe si era mantenuta viva in virtù del continuo
favore di Dio. Chi lo circondava aveva sempre avuto nuovi motivi per lodarlo, senza dover
ripetere le stesse cose. Solo quando la nostra rettitudine è costante, la nostra gloria si può
mantenere fresca, senza avvizzirsi o invecchiare. Anche il suo arco rinverdiva nella sua
mano, cioè il suo potere di proteggersi e di combattere ogni assalitore. Pensava quindi di
non aver più motivo di altri di temere gli insulti dei Sabei e dei Caldei.

2. Guardando fuori casa, rivedeva la sua salda posizione di autorità. Così come non aveva
motivo di temere la violenza dei suoi nemici, allo stesso modo non aveva motivo di
dubitare la lealtà dei suoi amici. Fino alla fine della sua prosperità continuarono a
dimostrargli rispetto e sottomissione. Che cosa poteva temere, quando i suoi suggerimenti
erano legge per chi gli stava attorno? Non si poteva far nulla contro di lui se, senza di lui,
non si poteva far niente.

(a) Era l’oracolo del paese. Era consultato come un oracolo, e le sue parole erano
considerate con lo stesso rispetto. Gb 29:21 Anche quando altri non potevano prendere la
parola, tutti ascoltavano lui, tacendo per udire il suo parere, sapendo che non poteva
essere contraddetto e che era sempre esauriente. Quindi, quand’aveva parlato, non
replicavano. Gb 29:22 A che serve discutere un argomento trattato in modo così
completo?

(b) Era benvoluto da tutti. Tutti quelli che lo circondavano approvavano ogni suo atto e
ogni sua parola, come fu per Davide. 2Sa 3:36 Aveva l’affetto di tutti i vicini, dei suoi servi,
dei suoi affittuari e dei suoi subordinati. Non c’era uomo più ammirato e amato. [1] I suoi
interlocutori si ritenevano ed erano considerati fortunati. Nemmeno la rugiada del cielo è
mai stata accolta da un arido terreno con la stessa gioia con cui i suoi saggi discorsi erano
accolti da chi li ascoltava, soprattutto quelli a cui erano particolarmente diretti. Le sue
parole scendevano su di loro come una rugiada, ed essi le attendevano come si attende la
pioggia, Gb 29:22,23 meravigliandosi della loro eccellenza. Le coglievano e le tenevano
strette, facendone tesoro come aforismi. I suoi servi, che ascoltavano ogni giorno la sua
sapienza, non avrebbero invidiato quella di Salomone. È sapiente, o può esserlo, chi sa
valutare i discorsi saggi e desidera ascoltarli, aspettandoli e assorbendoli come la terra
assorbe la pioggia che viene spesse volte su lei. Eb 6:7 Chi, come Giobbe, è stimato tanto
che il suo ipse dixit, ossia la sua semplice parola, ha tanto effetto, deve stare attento. Ha
infatti molte opportunità di fare non solo del bene, ma anche del male, perché una sua
brutta affermazione sarebbe molto contagiosa. [2] Si riteneva ed era considerato ancor più
fortunato chi riceveva un suo sorriso. « Se io ridevo verso loro, dimostrando la mia
approvazione, o se li trattavo cordialmente, lo consideravano un tale favore che non lo
credevano », Gb 29:24 D per gioia o perché era raro veder sorridere quell’uomo così
grave. Molti cercano il favore del principe. Giobbe era un principe, e il suo favore era
ricercato e stimato moltissimo. Chi riceveva un bacio da un grande principe era invidiato
da chi riceveva solo una coppa d’oro. L’eccessiva familiarità fa spesso perdere il rispetto.
Nel caso di Giobbe, invece, se voleva mai trattare gli altri con disinvoltura, per suo piacere,

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 228


ciò non diminuiva affatto la venerazione che avevano per lui. Non facevano scader la
chiarezza della sua faccia. Dimostrava il suo favore con cautela, per non farlo sembrare a
buon mercato, e gli altri lo ricevevano con attenzione per non rendersi indegni delle sue
cortesie future.

(c) Era il capo del paese. Indicava loro la via da seguire, Gb 29:25 CEI stava al timone e li
dirigeva, mentre tutti facevano riferimento alla sua condotta e si sottomettevano ai suoi
comandi. Forse questo esempio generò la nascita della monarchia in molti paesi. Un uomo
come Giobbe, così superiore a tutti i suoi concittadini in saggezza e in integrità, non
poteva non esserne il capo. Lo stolto sarà lo schiavo di chi ha il cuor savio. Se la saggezza
per un po’di tempo si tramandò di padre in figlio, l’onore e il potere certamente la
accompagnarono e quindi, in un certo senso, diventarono ereditari. Giobbe meritava di
essere sovrano per due motivi: [1] Aveva l’autorità di un comandante o di un generale.
Era come un re fra le sue schiere, dando ordini indiscussi. Non tutti i saggi sanno
governare, ma Giobbe aveva entrambe quelle qualità e, in caso di necessità, poteva
prendere il comando, come un re fa con l’esercito, e dire: « Vai », « Vieni » e « Fai
questo ». Mt 8:9 [2] Aveva tuttavia la tenerezza di un consolatore. Era pronto a soccorrere
chi era in distretta, come se consolare gli afflitti fosse il suo compito. Elifaz stesso aveva
riconosciuto che si era comportato molto bene a quel riguardo: Hai fortificato le mani
stanche. Gb 4:3 Ora che Giobbe era lui stesso afflitto, ci ripensava con piacere. Ci è però
più facile consolare gli altri mediante la consolazione con cui noi stessi siamo stati
consolati che confortare noi stessi con la consolazione con cui abbiamo confortato gli altri.
Possiamo forse considerare Giobbe come un prototipo e un’immagine di Cristo nel suo
potere e nella sua prosperità. Il nostro Signore Gesù è un Re com’era Giobbe, il re dei
poveri, che ama la giustizia e odia l’iniquità, su cui scende la benedizione di un mondo
prossimo alla distruzione. cfr. Sl 72:2 ss. Diamogli quindi ascolto e lasciamo che regni nel
nostro cuore.

Giobbe 30

C’è una grande tristezza nelle prime parole di questo capitolo: E ora. Le avversità sono
descritte qui con lo stesso realismo della prosperità nel capitolo precedente, la grandiosità
del quale non fa che accrescere la disperazione di questo. Sia Dio che Giobbe li mettono a
confronto per evidenziare il dolore delle afflizioni di quest’ultimo e, di conseguenza,
rendere più commiserevole la sua condizione.

I. Giobbe, che era vissuto tra grandi onori, è ora caduto in disgrazia, vilipeso anche dalle
persone più abiette, così come prima era stato esaltato dalle persone più grandi. È un
fatto su cui insiste particolarmente. Gb 30:1-14

II. Il suo animo, che era stato pieno di consolazioni e di gioie, è ora la propria causa di
terrore e di pena, Gb 30:15,16 ed è gravato dal dolore. Gb 30:28-31

III. Giobbe era sempre stato in ottima salute, ma ora è malato e sofferente. Gb 30:17,18
29-30

IV. C’era un tempo in cui Dio gli aveva rivelato i suoi segreti, ma ora la sua comunicazione
con il cielo è troncata. Gb 30:20-22

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 229


V. Si era promesso una lunga vita, ma ora la morte sembra alle soglie. Gb 30:23 Lo aveva
sorpreso mentre cercava pace, aggravando così le sue afflizioni. Giobbe trova però sollievo
ricordando che:

1. Le sue sciagure non lo seguiranno nella tomba. Gb 30:24

2. La sua coscienza attesta la compassione che, al tempo della sua prosperità aveva
dimostrato ai miseri. Gb 30:25

Gb 30:1-14

Troviamo qui un lungo, triste lamento di Giobbe per la grande disgrazia in cui era caduto,
sprofondando dall’apice dell’onore e della reputazione. Era una disgrazia estremamente
dolorosa e pungente per una persona sincera come Giobbe. In particolar modo, due cose
aggravavano la sua afflizione:

I. La viltà delle persone che lo ingiuriavano. Così come, al tempo della sua prosperità, il
fatto che i principi e i nobili gli dimostrassero rispetto aveva accresciuto il suo onore, allo
stesso modo, il fatto di essere disprezzato da dei pedoni e calpestato da persone non solo
inferiori a lui, ma annoverate tra le più abiette e spregevoli di tutto il genere umano
aggravò la sua disgrazia. Nessuno può essere mai rappresentato in peggior luce di questi
oltraggiatori di Giobbe.

1. Erano giovani, più giovani di lui, Gb 30:1 dei giovanetti, Gb 30:12 che avrebbero dovuto
dimostrargli rispetto, data la sua età e la sua serietà. Anche i bambini, giocando, lo
schernivano, come fecero i ragazzini di Betel con il profeta, canticchiando: Sali calvo! I
bambini imparano presto a schernire se i genitori ne danno l’esempio.

2. Erano di origini abiette. I loro padri erano così spregevoli che una persona come Giobbe
non si sarebbe degnata di assumerli nemmeno per i mestieri più triviali, come il servizio
delle pecore e dei pastori, insieme ai cani del gregge. Gb 30:1 Erano così volgari da non
meritare di essere visti tra i suoi servitori, così sciocchi da non meritare un impiego e così
falsi da non meritare fiducia, nemmeno nei compiti più bassi. Giobbe parla di che cosa
avrebbe potuto fare, e non di ciò che fece. Non avrebbe mai messo un essere umano tra i
cani del suo gregge, riconoscendo la dignità della natura umana.

3. Erano, insieme alle loro famiglie, dei pesi inutili sulla terra, buoni a nulla. Lo stesso
Giobbe, con tutta la sua saggezza e pazienza, non ne trovò un’utilità. Gb 30:2 I giovani
non potevano essere assunti perché erano pigri e maldestri: A che m’avrebbe servito la
forza delle lor mani? Agli anziani non si potevano affidare nemmeno cose di minima
importanza, perché erano incapaci a raggiungere l’età matura. Erano due volte bambini.

4. Erano estremamente poveri, Gb 30:3 dei morti di fame, perché non volevano zappare e
si vergognavano di mendicare. Se si fossero ridotti in povertà per provvidenza di Dio, i loro
vicini li avrebbero considerati degni di carità e li avrebbero aiutati. Essendosi invece ridotti
in miseria per pigrizia e spreco, nessuno li voleva assistere. Dovettero quindi rifugiarsi nei
luoghi inabitati per trovare cibo e riparo, arrivando al punto di strappare erba salsa presso
ai cespugli, felici di cibarsene, perché non avevano niente di meglio. Gb 30:4 A che cosa
conduce la fame! Metà del mondo non sa come vive l’altra metà, eppure chi gode di

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 230


abbondanza deve pensare a volte a chi non ha che cibi grezzi, e in poche quantità.
Dobbiamo però riconoscere, senza meravigliarci, la giustizia di Dio nel fatto che i pigri
siano vestiti di cenci e gli indolenti patiscano la fame. Questo mondo mendicante è pieno
dei poveri del diavolo.

5. Erano persone empie e scandalose: non solo pesi, ma piaghe per le società in cui
vivevano, furfanti matricolati, la feccia del paese, scacciati di mezzo agli uomini. Gb 30:5
Erano dei tali ladri e bugiardi, sempre in agguato e pronti a far del male che, per i
magistrati, la cosa migliore da fare era quella di tenerli lontani, dato che la gente gridava
dietro di loro come si fa con dei ladri: Togli via tali uomini dal mondo; perché non sono
degni di vivere. Erano pigri e non volevano lavorare, per cui erano trattati, giustamente,
come ladri. Chi non si guadagna il pane onestamente, in effetti lo ruba dalla bocca degli
altri. I pigri creano un disturbo al bene pubblico. È meglio però forzarli in un’officina che,
come in questo caso, in un deserto, una punizione che non riforma. Erano costretti a
vivere nelle caverne della terra, dove ragliavano come asini fra i cespugli. Gb 30:6,7
Notate il destino di coloro che hanno contro di sé le grida del proprio paese e della propria
coscienza. Li aspettano solo un terrore e una confusione incessanti. Gemono tra gli alberi
(Broughton), soffrendo tra i rovi, punti e graffiati proprio nei luoghi dove cercavano rifugio
e protezione. Osservate la miseria che gli empi si causano da soli in questo mondo. E non
è niente in confronto a ciò che li aspetta nel prossimo.

6. Non meritavano stima. Erano una gente abietta, anzi, senza fama, di cui nessuno
poteva dire una parola buona. Erano banditi dalla terra perché erano più vili della terra. Gb
30:8, KJV Non sembrerebbe possibile che la natura umana possa scendere così in basso e
degenerarsi tanto. Quando ringraziamo Dio del fatto di essere uomini, possiamo
ringraziarlo di non essere come quelli. Maltrattarono Giobbe:

(a) Per vendetta perché, quando era ricco e benestante, da buon magistrato, aveva
eseguito le leggi vigenti contro i vagabondi, i malfattori e i mendicanti di professione, e
ora se lo ricordavano.

(b) In trionfo, pensando che fosse diventato uno di loro. Is 14:10,11 Gli abietti, i vili,
insultano i miserabili. Sl 35:15

II. L’inconcepibile intensità dei loro affronti.

1. Inventarono della canzonette su di lui, per divertirsi insieme ai loro compagni: Gb 30:9
Io sono il tema delle loro canzoni, il soggetto dei loro discorsi. Chi trae divertimento dalle
calamità dei suoi onesti vicini e scherza sui loro dolori rivela un’enorme meschinità.

2. Lo evitarono come uno spettacolo disgustoso, detestandolo e tenendolo lontano, Gb


30:10 come se si trattasse di un mostro orrendo o di una persona infetta. Quegli individui
cacciati dagli uomini volevano cacciarlo da loro. Infatti,

3. Dimostrarono il massimo disprezzo e la più grande indignazione contro di lui. Gli


sputarono in faccia, o desiderarono farlo. Gli fecero lo sgambetto, lo incalzarono, Gb 30:12
lo presero a calci, con rabbia, perché lo odiavano, o per divertimento, per prenderlo in
giro, come facevano con i compagni, giocando a calcio. I santi, anche i migliori, ricevono

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 231


spesso le peggiori ingiurie e offese da un mondo sprezzante, dileggiante e malvagio, e non
devono meravigliarsene. Fu lo stesso per il nostro Maestro.

4. Lo trattarono con crudeltà, non solo come oggetto di scherno, ma come preda. Non
solo lo offesero, ma si prepararono a fargli tutto il male che potessero immaginare: Si
appianano le vie contro di me per distruggermi, o, secondo alcuni, Gettano su di me la
causa dei loro guai, cioè: « Mi incolpano del fatto di essere stati cacciati via ». È normale
che i criminali odino i giudici e le leggi che li hanno puniti. Così facendo,

(a) Lo accusarono falsamente, denigrando la sua condotta precedente o, secondo il testo,


sovvertendo il suo cammino. Lo rappresentarono come tiranno e oppressore perché aveva
eseguito la giustizia nel loro caso. Forse fu proprio sulle ingiuste calunnie di questa
gentaglia che gli amici di Giobbe fondarono le loro spietate accuse, Gb 22:6, ss.
dimostrando così una grande povertà d’animo e mancanza di riguardo. Chi infatti può
essere innocente se si ascoltano le accuse di persone come quelle?

(b) Non solo trionfarono nella sua rovina, ma l’assecondarono, facendo tutto il possibile
per accrescere le sue miserie e renderle più dolorose. Contribuire alle sciagure altrui è un
grande peccato, soprattutto quando si tratta di persone giuste. Nessuno li soccorse,
nessuno li spronò o li incoraggiò a farlo, nessuno li sostenne o li difese. Lo fecero di
propria volontà. Erano stupidi in altre cose, ma abbastanza furbi da fare del male, e non
avevano bisogno di aiuto per escogitarlo. Secondo alcuni, il significato è: Considerano la
mia rovina un vantaggio, anche se non gli servirà a niente. Gli empi godono delle sciagure
altrui, pur non guadagnandoci nulla.

5. Erano numerosi, unanimi e violenti: Gb 30:14 Sono entrati come per una larga rottura,
come acque attraverso una breccia nella diga, o « come dei soldati attraverso un’apertura
nel muro di una città sotto assedio, irrompendo con estrema furia ». Lo fecero con
orgoglio e con piacere: Si sono rotolati sotto le ruine come un uomo si rigira su un letto
soffice e comodo, ruzzolando su di lui con tutto il peso della loro cattiveria.

III. Il loro grande disprezzo verso di lui a causa dei guai che gli erano capitati: Gb 30:11 D
« Perciocché Iddio ha sciolto il mio legame, svestendomi dell’onore e dell’autorità di cui mi
ero cinto, Gb 12:18 disperdendo ciò che avevo messo insieme e scombinando tutti i miei
affari; proprio perché Dio mi ha afflitto, essi hanno scosso il freno, per non riverir più la
mia faccia », cioè « si sono presi la libertà di dire e di fare ciò che vogliono contro di me ».
Chi è svestito di ogni onore dalla provvidenza può aspettarsi il grande disprezzo di persone
maligne e irriverenti. « Dal momento che Dio ha sciolto il suo legame » (così anche
nell’originale), cioè, « dal momento che ha tolto il suo freno alla loro cattiveria, loro hanno
rigettato ogni mio freno », in altre parole, « non hanno avuto riguardo per la mia autorità,
né mi hanno dimostrato alcun rispetto ». Giobbe accredita il controllo di Dio sulla
coscienza anche dei malvagi e il suo freno su di loro per il fatto che i loro insulti e abusi
non sono continui. Se ci capita di esserne vittime, dobbiamo riconoscere che la mano di
Dio ha tolto quei freni, come riconobbe Davide quando Simei lo maledì: S’ei maledice, è
perché l’Eterno glielo ha detto. In tutto questo possiamo notare:

1. L’incertezza degli onori di questo mondo e soprattutto degli applausi del popolo. Con
che rapidità si può cadere dall’apice della gloria all’abisso della rovina! Com’è inutile quindi
bramare onori che si possono perdere così facilmente, o vantarsi di loro! Quanto poco

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 232


dobbiamo farvi affidamento! Chi oggi grida: Osanna, domani può gridare: Crocifiggilo. C’è
però un onore che deriva da Dio e che, una volta ottenuto, sarà immutabile e garantito.

2. Gli uomini saggi e giusti sono sempre calpestati e maltrattati.

3. Chi cerca solo le cose visibili disprezza quelle disdegnate dal mondo, anche se sono
preziose in Cielo. Il disprezzo inasprisce le pene della povertà. Turba Remi sequitur
fortunam, ut semper odit damnatos$$$ Levitico turbe romane seguono i giri della fortuna,
odiando sempre i dannati.

4. Giobbe è un prototipo di Cristo, che fu reso il vituperio degli uomini, da loro disprezzato,
Sl 22:6 Is 53:3 senza proteggersi il volto dagli sputi e dagli oltraggi, ma sopportando il
disonore meglio di Giobbe.

Gb 30:15-31

Nella seconda parte del lamento di Giobbe, pieno di amarezza e di note dolorose,
possiamo notare le sue numerose rimostranze e le sue poche consolazioni.

I. Le sue numerose rimostranze:

1. In generale, era un periodo di grande afflizione e dolore. Le tribolazioni:

(a) Lo avevano colto: Gb 30:16 Mi hanno colto i giorni dell’afflizione, mi hanno catturato
(secondo alcuni), mi hanno arrestato, come il funzionario arresta il debitore,
ammanettandolo e mettendolo in prigione. Quando i guai ci toccano in sorte, ci colgono in
fretta e ci tengono stretti. Lo avevano colto di sorpresa: Gb 30:27 D « I giorni
dell’afflizione mi hanno incontrato », cioè, « mi sono venuti addosso senza avvertimento.
Non me li aspettavo. Non avevo fatto preparativi per dei tempi così brutti ». Giobbe si
riferì alla sua afflizione in giorni, contati e presto finiti, che non son niente in confronto
all’eternità. 2Co 4:17

(b) Lo avevano colmato di dolore. Le sue viscere bollivano dal tormento e non avevano
requie. Gb 30:27 La percezione delle sue sciagure gli devastava continuamente e
incessantemente lo spirito. Andava in giro in lutto, giorno dopo giorno, tra lacrime e
sospiri. Era come una nube che gli opprimeva la mente, tanto da poter dire che era senza
il sole. Gb 30:28 KJV Non aveva fonte di conforto. Si era abbandonato a un dolore
perpetuo, deciso, come Giacobbe, a scendere, facendo cordoglio, nel soggiorno de’morti.
Secondo alcuni, fuggì la luce del sole per rifugiarsi al buio, come fa chi è depresso. Se
frequentò la congregazione per unirsi a loro nel culto solenne, invece di alzarsi con calma
per richiedere le loro preghiere, si levò e gridò a voce alta, per il dolore fisico o il tormento
psichico, come preso da uno smarrimento. Se apparì in pubblico per ricevere visite,
durante i suoi attacchi non riuscì a trattenersi, né a mantenere il giusto decoro, ma si alzò
strillando. Fu per questo fratello degli sciacalli, compagno degli struzzi, Gb 30:29 sia per il
fatto di aver scelto la solitudine e il ritiro, Is 34:13 sia per i suoni fastidiosi e terrificanti che
emetteva. Le sue sconsiderate lamentele sono giustamente paragonate ai versi
incomprensibili di quegli animali.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 233


2. Il terrore e il tormento che lo avevano colto erano la parte peggiore della sua sciagura.
Gb 30:15,16

(a) Davanti ai suoi occhi, tutto appariva spaventoso. Se cercava di allontanare il terrore,
esso si riversava su di lui con maggior furia. Se cercava di fuggirlo, lo rincorreva con la
forza e la rapidità del vento. Si era già lamentato che i terrori di Dio si erano schierati in
battaglia contro di lui, Gb 6:4 e lo attaccavano ancora, dovunque si volgesse; lo
rincorrevano, dovunque fuggisse. L’anima mia, Gb 30:15 D l’onor mio (in Ebraico, il mio
capitale, la mia principessa). L’anima è la parte più importante dell’essere umano. È il
nostro onore e la nostra gloria, in ogni senso superiore al corpo. Di conseguenza,
dobbiamo temere soprattutto ciò che l’assedia e la minaccia.

(b) Dietro di sé, vedeva ogni bene che gli era stato tolto, di cui gli restava solo un ricordo
amaro: La mia felicità e la mia prosperità sono passate come una nube, rapide e per
sempre.

(c) Dentro di sé, trovava un’anima depressa e incapace di sopportare l’infermità. Non solo
era ferita, ma si versava sopra di lui. Gb 30:16 D Giobbe era non solo fievole come
l’acqua, ma, secondo la sua descrizione, si sentiva disperso come l’acqua sul terreno. Il
mio cuore si strugge come la cera. Sl 22:14

3. Le sue infermità erano molto dolorose. Infatti,

(a) Era tormentato dalla sofferenza, una sofferenza acuta che gli penetrava nelle ossa, in
tutte le ossa. Era come una spada che gli trafiggeva le ossa di notte, quando invece il
sonno avrebbe potuto dargli riposo e sollievo. I suoi nervi erano in preda a forti
convulsioni. I suoi nervi non gli davano riposo. Gb 30:17 KJV Il dolore non gli permetteva
di riposare e di dormire. Le sue ossa erano calcinate dall’arsura. Gb 30:30 Era in preda a
una febbre costante che lo disidratava, consumandogli anche il midollo delle ossa. Notate
la fragilità del corpo umano, che contiene il seme della malattia e della morte.

(b) Era coperto di piaghe. Certi soffrono di dolori alle ossa, ma hanno la pelle intatta. Il
mandato di Satana contro Giobbe si estendeva però sia alle ossa che alla carne, e non
venne meno. La sua pelle era nera. Gb 30:30 Il sangue si era coagulato e le piaghe
purulenti erano intercalate da spesse croste, dando un colore nerognolo alla pelle. La
suppurazione continua delle sue pustole aveva cambiato anche il colore delle sue vesti, e i
soffici tessuti che indossava erano così rigidi da stringerlo come un colletto. Gb 30:18 ND
Sarebbe penoso descrivere la condizione del povero Giobbe per mancanza di igiene e di
cure, e la condizione delle sue vesti che erano come stracci immondi. Secondo alcuni,
Giobbe, oltre agli altri malanni, aveva anche un’angina o un’infiammazione della gola, che
gli dava questa sensazione di costrizione intorno al collo. Fu gettato nel fango Gb 30:19 o,
secondo alcuni, paragonato al fango, perché il suo corpo sembrava un mucchio di melma.
Nessuno si vanti dei propri vestiti o della propria pulizia, perché un malanno potrebbe
sformare la sua veste e gettarlo nel fango, rendendolo detestabile a sé e agli altri. Invece
del profumo s’avrà fetore. Is 3:24 Il meglio che possiamo essere è polvere e cenere, e i
nostri corpi sono impuri, ma tendiamo a dimenticarlo, finché Dio, con qualche malattia, ce
lo fa capire e riconoscere. « Rassomiglio già alla polvere e alla cenere in cui sarò presto
trasformato. Dovunque vado, porto con me la mia tomba ».

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 234


4. Lo addolorava particolarmente il fatto che Dio sembrava essergli nemico e avversario.
Era Iddio che lo aveva gettato nel fango, Gb 30:19 dove sembrò calpestarlo. Lo crucciava
soprattutto la constatazione che Dio:

(a) Non veniva in suo soccorso. Lo invocava, senza ricevere risposta. Gli si appellava,
senza ricevere sentenza. Era molto importuno nelle sue richieste, ma invano: « Io grido a
te, disperatamente, ti sto davanti, attendendo una risposta, ma tu non mi ascolti e non mi
consideri, per quanto mi risulta ». Gb 30:20 Non dobbiamo stupirci se le nostre preghiere
più ferventi non ottengono risposte rapide e pertinenti. La progenie di Giacobbe pensò
spesso di aver pregato invano, e che Dio fosse non solo sordo, ma irritato contro le
preghiere del suo popolo, anche se le Scritture ci insegnano il contrario. Sl 80:4

(b) Sembrava essersi messo contro di lui. Le parole che Giobbe esprime qui a proposito di
Dio sono le peggiori che abbia mai proferito: Ti sei mutato in nemico crudele verso di me.
Gb 30:21 Non sia mai che il Dio di misericordia e di grazia dimostri crudeltà (le sue
compassioni non sono esaurite), soprattutto non verso i suoi figli. L’accusa di Giobbe era
ingiusta e ingrata. Quei suoi pensieri negativi di Dio erano il peccato che allora lo
avvolgeva più facilmente. Giobbe infatti: [1] Pensava che Dio lottasse contro di lui,
facendo di tutto per rovinarlo: Mi perseguiti, o mi combatti, con la potenza della tua mano.
Aveva avuto un’opinione migliore di Dio quando aveva concluso che non avrebbe conteso
con lui con la sua gran potenza. Gb 23:6 Dio ha sovranità assoluta e una forza irresistibile,
ma non le usa mai per distruggere o opprimere un essere umano. [2] Pensava che Dio gli
avesse fatto affronto: Mi alzi per aria, mi fai cavalcare sul vento, come una piuma o la pula
trasportata via. Si sentiva a cavallo sulle ali del vento, non in trionfo, ma in terrore, in
un’immagine di totale inadeguatezza e inettitudine di fronte all’Onnipotenza di Dio, mentre
i giudizi di Dio dissolvevano i suoi beni, come una nube che svanisce, dispersa dal vento.
Gb 30:22 KJV I beni dell’uomo, anche dei più ricchi, non sono nulla di fronte al potere di
Dio, che li disperde facilmente.

5. A quel punto, non si aspettava altro che la sua fine, per mano di Dio: « Se devo
cavalcare il vento, prima o poi mi romperò il collo ». Parla come se Dio non avesse altri
piani per lui: « Lo so, tu mi conduci, terrorizzandomi al massimo, alla morte, anche se
potevi portarmi senza tanto travaglio, dato che è la casa di convegno di tutti i viventi ». Gb
30:23 La tomba è una casa angusta, buia, fredda e spoglia, ma sarà la nostra dimora,
dove riposeremo al sicuro. È la nostra dimora permanente, casa nostra. È il grembo della
madre che ci conduce ai nostri padri. È una casa stabilita per noi da chi ha determinato i
confini di tutte le nostre abitazioni. È una casa istituita per tutti i viventi. È la casa di
convegno dei ricchi e dei poveri, per la riunione finale. Presto ci arriveremo tutti. È Dio che
ci conduce là, prima o poi, e lo sappiamo, perché le chiavi della morte e della tomba sono
nelle sue mani. È bene rifletterci. I viventi sanno che morranno. Sappiamolo quindi anche
noi, in termini pratici.

6. Due cose accrescevano il suo dolore, rendendolo meno tollerabile:

(a) Era stata una grande delusione alle sue aspettative: « Speravo il bene, altro bene, o
per lo meno la continuazione di quello che avevo, ma è venuto il male ». Gb 30:26 Tutti i
nostri beni in questo mondo sono temporanei, ed è sciocco nutrire grandi aspettative a
loro proposito. Chi si aspetta di trovare la luce nelle scintille delle consolazioni terrene sarà
terribilmente deluso e finirà per farsi il letto nelle tenebre

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 235


(b) Era stato un grande travolgimento nella sua vita: « La mia cetra non è solo messa da
parte, appesa ai salici, ma non dà più che accenti di lutto, e la mia zampogna voce di
pianto ». Gb 30:31 Giobbe, nell’ora della sua prosperità, aveva cantato a suon di timpano
e di cetra, e si era rallegrato al suon della zampogna. Gb 21:12 Nonostante la sua serietà
e il suo decoro, aveva trovato il tempo per far festa. Ora però le sue note eran ben
diverse. Chi si rallegra sia quindi come se non si rallegrasse, perché non sa con che
rapidità il suo riso sarà convertito in lutto, e la sua allegrezza in mestizia. Sono queste le
lamentele di Giobbe. D’altro lato,

II. Trovava anche alcuni, seppur pochi, motivi di consolazione.

1. Prevedeva, con sollievo, che la morte avrebbe posto fine a tutte le sue sciagure: Anche
se Dio lo colpiva allora con forza, Giobbe disse: « Non stenderà la sua mano alla tomba ».
La mano dell’ira di Dio lo avrebbe condotto alla morte, ma non oltre. La sua anima
sarebbe stata sana e salva nel mondo degli spiriti, e il suo corpo al sicuro tra la terra.
Anche se gli uomini nella sventura gridano in cerca di aiuto (anche se, cioè, nella morte
provano tanta agonia da gridare, sospirare, gemere e lamentarsi), nella tomba non
sentono più niente e non hanno più timori. Gb 30:24 ND Ci sarà solo silenzio. « Anche se
all’inferno, che è chiamato sciagura, gridano in cerca di aiuto, non gridano nella tomba. E
per me che sono liberato dalla seconda morte, la prima sarà un vero e proprio sollievo ».
Giobbe desiderava quindi essere nascosto nel soggiorno de’morti. Gb 14:13

2. Trovava conforto nel riguardo che aveva sempre avuto per gli altri nelle loro sciagure,
quando stava bene: Gb 30:25 Non piangevo io forse per chi era nell’avversità? Secondo
alcuni, è un lamento verso Dio, non riuscendo a capire perché lui che aveva sempre
dimostrato misericordia per gli altri non la ricevesse allora. Secondo me invece, è una sua
riflessione personale. La sua coscienza confermò il fatto che aveva sempre dimostrato
compassione per i miseri, facendo il possibile per aiutarli, e aveva quindi motivo di
aspettarsi che, prima o poi, Dio e i suoi amici avrebbero avuto pietà di lui. Chi fa cordoglio
con gli afflitti sopporterà meglio i propri dolori quando verrà la sua ora di bere dal calice
amaro. La mia anima non ardeva forse per i poveri? Alcuni lo interpretano così,
confrontandolo con le parole dell’apostolo Paolo: Chi è scandalizzato, che io non arda? 2Co
11:29 Così come chi è spietato e insensibile può aspettarsi i rimorsi della propria coscienza
quando si trova egli stesso nei guai, chi invece si è preso cura dei poveri, tendendogli la
mano, troverà conforto in quel pensiero sul letto della malattia. Sl 41:1,3

Giobbe 31

aveva spesso dichiarato la propria integrità in linea generale. Qui ne dà degli esempi
specifici, non per vantarsi (non proclama le proprie buone opere), ma per una giusta e
necessaria difesa, per assolversi da quei crimini di cui i suoi amici lo avevano falsamente
accusato, un debito che ogni uomo deve alla propria reputazione. Così come i suoi amici
erano stati specifici nelle loro imputazioni, Giobbe è specifico nella sua difesa, che sembra
diretta particolarmente alle accuse di Elifaz. Gb 22:6 ss Non avevano testimoni contro di
lui, né prove che confermassero le loro incriminazioni. Giobbe avrebbe potuto quindi
assolversi sotto giuramento, che fa qui solennemente, con molte tremende imprecazioni
dell’ira di Dio su di lui se fosse colpevole di quei crimini. Questa difesa conferma la
descrizione che Dio aveva dato di lui, dicendo che non ce n’era altro uomo sulla terra

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 236


come lui. Forse alcuni dei suoi accusatori non lo conoscevano bene. Infatti, Giobbe non
solo si discolpa dei peccati ovvi, evidenti agli occhi di tutti, ma di molti peccati segreti di
cui, anche se fosse stato colpevole, nessuno avrebbe potuto accusarlo, dimostrando così
di non essere un ipocrita. E non solo difende l’innocenza delle sue azioni, ma dimostra che
erano fondate su buoni principi, che aveva evitato il male perché temeva Dio e che la sua
devozione a Dio era al fondamento della sua giustizia e della sua carità, coronando così le
prove della sua sincerità.

I. I peccati di cui si discolpa sono:

1. La lascivia e l’impurità di cuore. Gb 31:1-4

2. La frode e l’ingiustizia negli affari. Gb 31:4-8

3. L’adulterio. Gb 31:9-12

4. La superbia e la severità verso i suoi servitori. Gb 31:13-15

5. La mancanza di pietà verso i poveri, le vedove e gli orfani. Gb 31:16-23

6. L’affidamento nelle ricchezze terrene. Gb 31:24,25

7. L’idolatria. Gb 31:26-28

8. La vendetta. Gb 31:29-31

9. L’indifferenza verso i poveri forestieri. Gb 31:32

10. L’ipocrisia nel nascondere i propri peccati e la codardia nella connivenza nei peccati
degli altri. Gb 31:33,34

11. L’oppressione e infrazione violenta dei diritti altrui. Gb 31:38-40 Verso la fine, si
appella al giudizio di Dio riguardo alla sua integrità. Gb 31:35-37

II. In tutto questo possiamo notare:

1. La concezione del bene e del male dell’era patriarcale e ciò che era fin da allora
condannato come peccato, cioè sia dannoso che motivato dall’odio.

2. Un buon modello di devozione e di virtù da imitare. Se la nostra coscienza ci dichiara


conformi a tale modello, ci sarà motivo di gioia, come lo era per Giobbe nei suoi giorni del
dolore.

Gb 31:1-8

I desideri della carne e l’amore del mondo sono i due scogli fatali su cui si infrangono le
moltitudini. Giobbe dichiara di essere sempre stato attento a evitarli.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 237


I. I desideri della carne. Non solo si era tenuto lontano dall’adulterio, non contaminandosi
con le mogli altrui, Gb 31:9 ma da qualunque atto impuro con qualunque donna. Non
aveva concubine, né amanti, ma era totalmente fedele al legame del matrimonio, anche se
sua moglie non era particolarmente saggia, buona o gentile. Fin dall’inizio, l’uomo aveva
dovuto avere solo una moglie e unirsi solo a lei. Giobbe mantenne fedelmente
quell’istituzione, non pensando nemmeno a trasgredirla. Anche se la sua grandezza poteva
tentarlo, la sua bontà lo trattenne. Nella sofferenza e nella malattia, lo sollevava il fatto
che la sua coscienza attestava la sua attenzione nel preservarsi casto e nell’usare il corpo
in santificazione e con onore, conservandolo puro dai desideri immondi. Osserviamo:

1. Le risoluzioni a cui si era attenuto a quel proposito: Io avevo stretto un patto con gli
occhi miei, cioè, « Sono stato attento a non espormi al peccato. Come dunque avrei fissati
gli sguardi sopra una vergine? ». Gb 31:1 Cioè, « Per grazia di Dio, mi sono trattenuto dal
primo passo ». Era così lungi dal permettersi leggerezze lascive, o qualunque atto di
libidine, che non aveva ammesso nemmeno:

(a) Uno sguardo impuro. Aveva stretto un patto con i suoi occhi, permettendo loro il
piacere di ammirare la luce del sole e la gloria di Dio che risplende nella creazione, a
condizione che non si fissassero su alcun oggetto che potesse ispirare dei pensieri o, tanto
meno, dei desideri impuri. La punizione, in caso contrario, sarebbe stata un’espiazione con
lacrime penitenziali. Notate: Chi vuole mantenere l’animo puro deve fare attenzione agli
occhi, veicoli di impurità. Le Scritture parlano infatti di sguardi provocanti Is 3:16 e di
occhi pieni d’adulterio. 2Pi 2:14 Il primo peccato iniziò con uno sguardo. Ge 3:6 Non
dobbiamo desiderare ciò da cui dobbiamo star lontani: la ricchezza proibita, Pr 23:5 il vino
negato Pr 23:31 o la donna illecita. Mt 5:28

(b) Un pensiero impuro: « Perché dovrei pensare a una vergine con voglie o desideri
osceni? ». La vergogna e il senso dell’onore potevano trattenerlo dal rincorrere la castità di
una bella vergine, ma solo la grazia e il timore di Dio potevano trattenerlo dal pensarci.
Non è realmente casto chi lo è nel corpo, ma non nello spirito. 1Co 7:34 Notate come
l’applicazione di Cristo del settimo comandamento combacia con la percezione che ne
avevano già gli antichi, che Giobbe aveva capito meglio dei Farisei, anche se sedevano sul
seggio di Mosé.

2. Quali erano le sue motivazioni. Non temeva il biasimo degli uomini, anche se degno di
considerazione, Pr 6:33 ma piuttosto l’ira e la maledizione di Dio. Sapeva molto bene che
la lascivia è un peccato che:

(a) Allontana ogni bene e ce ne nega la speranza: Che parte mi avrebbe assegnata Iddio
dall’alto? Gb 31:2 Che benedizione possono aspettarsi dal Dio puro e santo quei peccatori
impuri, e che segno del suo favore? Che eredità possono aspettarsi di ricevere
dall’Onnipotente che è in alto? L’unico bene, l’unica eredità e l’unica, vera felicità
dell’anima deriva da Dio Onnipotente e proviene dall’alto. Chi passa il tempo nell’impurità
si squalifica completamente per la comunione con Dio, sia qui per sua grazia che dopo, in
gloria, e si mette dalla parte degli spiriti immondi, per sempre separati da lui. Che bene e
che eredità può quindi ottenere da Dio? Nella Nuova Gerusalemme, la città santa, non
entrerà mai nulla di impuro.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 238


(b) Provoca la vendetta divina. Il peccatore che non se ne pente in tempo sarà certamente
rovinato. La ruina, una distruzione rapida e sicura, non è ella per lo perverso, e gli
accidenti strani per gli operatori d’iniquità? Gb 31:3 D Gli stolti deridono questo peccato,
scherzandoci sopra. Per loro è solo un peccatuccio, un vizio della gioventù. Si ingannano
con delle parole vuote, perché proprio a causa di queste azioni, per insignificanti che le
facciano sembrare, l’insostenibile ira del Dio eterno viene sugli uomini ribelli. Ef 5:6 Ci
sono dei peccatori che Dio raggiunge anche al di fuori delle normali vie della Provvidenza,
come in questo caso. La distruzione di Sodoma era una punizione strana. Alcuni
traducono: Non è l’alienazione per gli operatori di iniquità? È un peccato che allontana la
mente da Dio, Ef 4:18,19 quindi i peccatori sono puniti con un’eterna lontananza da lui. Ap
22:15

(c) Non può essere celato dal Dio onnivedente. Non c’è pensiero licenzioso abbastanza
segreto, né sguardo lascivo abbastanza segreto da sfuggire alla sua conoscenza, né tanto
meno atto osceno abbastanza furtivo da evitare il suo sguardo. Se Giobbe fu mai tentato
con questo peccato, si trattenne però dal commetterlo, in tutte le sue forme, pensando
giustamente: Iddio non vede egli le mie vie? Gb 31:4 Fece così anche Giuseppe, quando
disse: Come dunque potrei io fare questo gran male e peccare contro Dio? Ge 39:9
C’erano due cose che Giobbe teneva a mente: [1] L’onniscienza di Dio. È vero che le vie
dell’uomo stan davanti agli occhi dell’Eterno, Pr 5:20,21 e in questo caso Giobbe applica il
principio a se stesso e alle sue azioni: Iddio non vede le mie vie? O Eterno, tu m’hai
investigato e mi conosci. Dio vede le regole che ci prefissiamo, la compagnia che
frequentiamo, il fine che ci proponiamo e, di conseguenza, le vie che percorriamo. [2] La
sua attenzione. « Dio non solo vede, ma prende nota: Conta tutti i miei passi, tutti i miei
passi falsi sulla via del dovere e tutti i miei passi errati nella via del peccato ». Non solo
vede le nostre vie in generale, ma, in quelle vie, prende nota di ogni nostro passo, di ogni
nostra azione, di ogni nostro movimento. Tiene conto di tutto, perché ci porterà alla resa
dei conti, giudicando ogni nostra opera. Nota più di quanto non notiamo noi stessi. Chi
conta mai i suoi passi? Dio li conta. Cerchiamo quindi di camminare con diligenza.

II. Era stato in guardia contro l’amore del mondo, evitando attentamente ogni forma di
guadagno peccaminosa e indiretta. Detestava il guadagno illecito quanto il piacere illecito.
Notiamo:

1. La sua difesa. In linea generale, era stato onesto e giusto in tutti i suoi affari e, per
quanto sapesse, non aveva mai fatto ingiustizie a nessuno.

(a) Non aveva mai camminato insieme alla menzogna, Gb 31:5 cioè, non aveva mai
mentito per trarre vantaggio. Non era tipo da usare parole scherzose, equivoche o
eccessive negli affari. Certe persone ingannano abitualmente. Dicono di avere più del vero,
per ottenere la fiducia degli altri, o meno del vero, per non essere obbligate a dare.
Giobbe era diverso. Le sue ricchezze non erano state accumulate con l’inganno, anche se
allora gli erano venute meno. Pr 13:11

(b) Non si era mai affrettato dietro alla frode. Chi inganna dev’essere sempre pronto e
rapido, ma la prontezza e la rapidità di Giobbe non furono mai impiegate in quel modo.
Non si affrettò mai ad arricchirsi con l’inganno, ma agì sempre con cautela per non
comportarsi ingiustamente. Notate: Ciò che abbiamo in questo mondo può essere sia
usato che perduto senza inquietudine, se ottenuto onestamente.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 239


(c) I suoi passi non erano mai usciti dalla retta via, la via della giustizia e dell’equità da cui
non deviò mai. Gb 31:7 Non solo fece attenzione a non percorrere abitualmente la via
dell’inganno, ma non mise piede fuori dalla strada dell’onestà. In ogni azione e in ogni
affare, dobbiamo attenerci strettamente alle regole della giustizia.

(d) Il suo cuore non era andato dietro ai suoi occhi, cioè, non aveva desiderato ciò che
aveva visto, ma che apparteneva a un altro. La cupidigia è la concupiscenza degli occhi.
1Gv 2:16 Acan vide e prese l’oggetto della maledizione. Il cuore che segue gli occhi è
destinato a vagare, perché vede solo le cose visibili, mentre dovrebbe essere in cielo, dove
lo sguardo non può arrivare. Dovrebbe seguire le regole della religione e della buona
ragione. Se segue gli occhi, sarà sviato a far cose per cui Iddio lo chiamerà in giudizio. Ec
11:9

(e) Nessuna sozzura mi s’è attaccata alle mani, cioè, non poteva essere accusato di avere
ottenuto nulla disonestamente, o di avere tenuto ciò che apparteneva a un altro, anche
quando poteva essercene l’apparenza. L’ingiustizia è una macchia ai possedimenti e al
proprietario, che li deturpa e quindi dev’essere detestata. Chi opera molto nel mondo può
trovarsi una macchia tra le mani, che può lavare con il pentimento e la restituzione, senza
lasciare che si attacchi. cfr. Is 33:15

2. Come ratifica la sua protesta. È così convinto della propria onestà che è disposto:

(a) A permettere un’investigazione sui suoi averi: Iddio mi pesi con bilancia giusta, Gb
31:6 cioè, « Si faccia pure un’indagine sui miei possedimenti. I risultati saranno
soddisfacenti », dimostrando che non sono stati ottenuti con l’inganno, o ci sarebbe scritto
sopra Tekel — pesato con la bilancia e trovato mancante. Un uomo onesto non solo non
teme un processo, ma lo desidera, certo che Dio conosce la sua integrità e lo appoggerà,
dandogli infine lode e onore.

(b) È disposto a perdere tutti i suoi beni se se ne trovasse uno illecito o di contrabbando, o
qualcosa ottenuta disonestamente: « Lasciatemi seminare, che ne goda un altro »,
secondo il destino degli oppressori, Gb 5:5 « e quel ch’è cresciuto nei miei campi, tutti gli
alberi che ho piantato, sia sradicato ». Gb 31:8 Vediamo qui che Giobbe conveniva che il
peccato meritava quella comune punizione. Anche se i suoi possedimenti erano stati
distrutti (e di solito la coscienza, in momenti del genere, ci ricorda dei nostri peccati), si
riconosceva innocente ed era pronto a rischiare quel poco che gli era rimasto per
dimostrarlo.

Gb 31:9-15

Troviamo due altri esempi dell’integrità di Giobbe:

I. Detestava totalmente il peccato dell’adulterio. Così come non aveva disonorato il suo
letto con una concubina (non aveva fissato lo sguardo sopra una vergine, secondo il
versetto 1), era stato attento a non offendere il letto del suo vicino. Notiamo:

1. Come aveva evitato quel peccato. Gb 31:9

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 240


(a) Non aveva desiderato la moglie del suo vicino. Il suo cuore non s’è lasciato sedurre per
amor d’una donna. La bellezza della moglie di un altro non aveva risvegliato in lui dei
desideri impuri, né era mai stato turbato dal fascino di una donna adultera, come quella
descritta in Pr 7:6 e nei versetti seguenti. La nostra vita è impura quando il cuore cade
nell’inganno. Ogni peccato è ingannevole, ma soprattutto quello della lascivia.

(b) Non aveva mai tramato o progettato dei piani impuri. Non aveva mai spiato la porta
del suo prossimo, per sedurne la moglie quando lui non era in casa (Pr 7:19; cfr. Gb
24:15).

2. Come detestava quel peccato, e con che terrore ne percepiva l’empietà: la considerava
una scelleratezza, Gb 31:11 uno dei peccati più grandi e più spregevoli di cui si possa
essere colpevoli, terribilmente offensivo a Dio e distruttivo per il bene dell’anima. Riguardo
alla sua iniquità e alla sua punizione, Giobbe riconosce che, se ne fosse stato colpevole,

(a) La sua famiglia avrebbe potuto giustamente soffrire le massime umiliazioni: Che mia
moglie giri la macina ad un altro. Gb 31:10 Diventi pure una schiava (secondo alcuni), o
una prostituta (secondo altri). Dio spesso punisce i peccati di una persona con quelli di
un’altra, l’adulterio del marito con quello della moglie, come nel caso di Davide. 2Sa 12:11
Ciò non giustifica minimamente il tradimento dell’adultera. Tuttavia, per quanto lei sia
ingiusta, Dio rimane giusto. Le vostre spose commetteranno adulterio. Os 4:13 KJV
Notate: Chi non è giusto e fedele verso i suoi familiari non deve meravigliarsi se essi non
sono giusti e fedeli verso di lui.

(b) Il suo caso avrebbe potuto servire da avvertimento agli altri: Era un misfatto punito dai
giudici, anche se commesso da un giudice come Giobbe. Notate: L’adulterio è un crimine
che i magistrati civili devono riconoscere e punire, come fecero già nell’era patriarcale,
prima che la legge di Mosè ne facesse un delitto capitale. È un reato da atterrire con la
spada della giustizia.

(c) Avrebbe potuto essere giustamente la rovina di tutti i suoi beni. Anzi, sapeva che lo
sarebbe stata: Gb 31:12 Era un fuoco. La lascivia è un fuoco nell’animo che brucia chi
l’accoglie, consumando ogni suo bene (ogni certezza e ogni consolazione) e devastando la
coscienza. È un fuoco che accende la vampata dell’ira di Dio, la quale, se non è estinta dal
sangue di Cristo, continuerà ad ardere fino a raggiungere l’inferno più profondo.
Consumerà fino alla perdizione eterna. Consumerà il corpo Pr 5:11 e ogni bene: distrugge
fin dalle radici ogni fortuna. L’ardore della lascivia provoca il fuoco del giudizio. Può essere
un’allusione alla distruzione di Sodoma con il fuoco, che doveva essere un avvertimento a
chi in seguito avesse vissuto altrettanto empiamente.

II. Giobbe aveva dimostrato affetto per i suoi servi, governandoli con gentilezza. Aveva
una grande casa che dirigeva bene, dimostrando di avere effettivamente la grazia
necessaria per governare le sue passioni e i suoi desideri. Chi sa controllare il suo spirito in
queste due cose val più di chi espugna città. Pr 16:32 Osservate:

1. La sua condiscendenza verso i suoi servi: Gb 31:13 Non disconobbe il diritto del suo
servo, né della sua serva, quando litigavano con lui. Se anche lo contraddicevano, era
disposto ad ascoltarli. Se lo offendevano, o erano accusati di averlo fatto, ascoltava
pazientemente la loro difesa o le loro giustificazioni. Anzi, anche se si lamentavano di

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 241


qualche sua imposizione, non li minacciava, comandando loro di tacere, ma permetteva
che esponessero la loro opinione, riparando qualunque effettivo torto. Li trattò con affetto,
non solo quando lo servirono e lo compiacquero, ma anche quando lo contraddissero.
Lasciò quindi un ottimo esempio per altri padroni, dando ai suoi servi ciò che era giusto ed
equo, anzi, trattandoli come si aspettava di essere trattato, Cl 4:1 Ef 6:9 invece di
governarli con severità e con durezza. Molti di essi erano stati uccisi nel corso del loro
servizio, Gb 1:15-17 e gli altri lo trattavano con villania e con sgarbo, disprezzando la sua
condizione, anche se lui non aveva mai disprezzato la loro. Gb 19:15,16 Lo confortava
però il ricordo che, nella sua prosperità, si era comportato bene verso di loro. Notate:
Quando parenti e amici ci abbandonano o si volgono contro di noi, sapere di avere fatto il
nostro dovere verso di loro ci sostiene e ci consola.

2. Le considerazioni che lo avevano motivato a trattare i suoi servi con gentilezza. Aveva lo
sguardo fisso su Dio, in quanto suo Giudice e loro Creatore.

(a) Come suo Giudice. Giobbe pensò: « Se sono tirannico e severo con i miei servi, che
cosa farei quando Dio si levasse contro di me? ». Ricordava di avere un Padrone in cielo a
cui avrebbe dovuto rendere conto e che lo avrebbe esaminato. Anche noi dobbiamo
pensare a che faremo nel giorno che Dio ci visiterà. Is 10:3 Sapendo che, se Dio sarà
severo e duro con noi, sarà la nostra fine, dobbiamo comportarci bene e con gentilezza
verso ogni persona con cui abbiamo a che fare. Che sarebbe di noi se Dio annotasse
esattamente ogni nostro fallo, usando ogni suo potere contro di noi, se insistesse nella
perfetta ubbidienza alle sue giuste richieste, se esaminasse ogni nostra offesa e accettasse
ogni nostra resa, se contendesse in eterno, serbando la sua ira in perpetuo. Non
dobbiamo essere severi con i nostri inferiori. Che sarà di noi se tratteremo i nostri fratelli
con crudeltà e insensibilità? Le grida di chi è offeso saranno udite e i peccati dell’empio
saranno puniti. Chi non dimostra misericordia non la riceverà. E che faremo allora?

(b) Come Creatore suo e dei suoi servi. Gb 31:15 Quando fu tentato a essere severo con i
suoi servitori, negando i loro diritti e rifiutando di ascoltare i loro ragionamenti, pensò,
molto appropriatamente: « Chi ha fatto me nel grembo materno, non ha fatto anche loro?
Sono una creatura come loro, subordinata e dipendente come loro. Essi sono partecipi
della mia stessa natura e sono opera delle stesse mani. Non abbiam noi tutti uno stesso
padre? ». Notate: Per diverse che possano essere le condizioni esterne, le facoltà mentali,
la forza fisica o il ceto sociale, tutti gli uomini sono creati dalla stessa mano. È bene quindi
non deridere le infermità naturali degli altri, né calpestare i nostri inferiori. In ogni cosa,
dobbiamo trattare gli altri come vogliamo essere trattati. È una regola della giustizia.
Parium par sit ratio-Chi è al nostro pari sia trattato come pari. Dal momento quindi che
esiste una tale parità tra gli uomini, essendo tutti formati dallo stesso stampo, per mezzo
dello stesso potere e per lo stesso fine, nonostante le diversità esteriori, dobbiamo
metterci allo stesso livello degli altri in ogni senso, così come vogliamo che essi facciano
con noi.

Gb 31:16-23

Elifaz aveva accusato Giobbe soprattutto di crudeltà verso i poveri: Gb 22:6 ss.
All’affamato rifiutavi del pane, spogliavi delle lor vesti i mezzo ignudi e rimandavi a vuoto
le vedove. Era sembrato così certo da far apparire la sua accusa, almeno in parte, fondata.
Giobbe la dichiara completamente falsa e insussistente, proclamandosi innocente. Notate:

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 242


I. La testimonianza della sua coscienza. Giobbe si dilunga in questa difesa perché si tratta
dell’accusa principale. Protesta infatti solennemente che:

1. Non aveva mai mancato di far del bene ai poveri, ogni volta che poteva ed entro il
limite delle proprie capacità. Aveva sempre dimostrato compassione e premura verso di
loro, e soprattutto verso le vedove e gli orfani, a cui mancava ogni soccorso.

(a) Era sempre stato pronto ad appagare i loro desideri e a rispondere alle loro richieste.
Gb 31:16 Se un povero gli aveva chiesto aiuto, era stato pronto a porgerlo. Se, dallo
sguardo imploratore di una vedova senza il coraggio di chiedere aiuto, aveva capito che si
aspettava un obolo, glielo aveva dato con compassione, senza lasciarla languire.

(b) Li aveva sempre rispettati e onorati. Aveva invitato gli orfani a mangiare le sue stesse
vivande al proprio tavolo, trattandoli con familiarità e godendo della loro compagnia, come
se fossero stati figli suoi. Gb 31:17 Così come il disprezzo è uno dei più grandi dolori della
povertà, il rispetto è uno dei più grandi doni che si possono dare ai poveri.

(c) Era stato premuroso verso di loro, come un padre verso i figli. Gb 31:18 Aveva fatto da
padre agli orfani, prendendosene cura e guardandoli crescere, dando loro non solo
assistenza, ma un’educazione. Aveva fatto da guida alle vedove, consigliandole negli affari,
ascoltandole e dirigendole. Chi non ha bisogno di offerte può avere bisogno di consigli,
altrettanto utili. Giobbe disse che lo aveva fatto fin da giovane, fin dal seno di sua madre.
Erano una premura e una compassione innate. Da quanto potesse ricordare, aveva
sempre fatto del bene e si era sempre preso cura delle vedove e degli orfani. I suoi
genitori gli avevano insegnato ripetutamente ad avere compassione dei poveri e avevano
allevato altri orfani insieme a lui.

(d) Aveva provveduto il cibo necessario, condividendo il suo pane. Gb 31:17 Non avevano
mangiato dopo di lui, le briciole che cadevano dal suo tavolo, ma insieme a lui, i suoi piatti
migliori. Chi ha in abbondanza non deve mangiare da solo, come se non dovesse prendersi
cura di nessun altro, né deve godere da solo delle sue prelibatezze. Deve invece invitare
altri a condividerle, come fece Davide con Mefiboset.

(e) Si era assicurato particolarmente di vestire chi non aveva abiti, più costosi del cibo. Gb
31:19 I poveri possono morire per mancanza di vestiti o di coperte quanto per mancanza
di cibo. Se Giobbe era stato al corrente di quelle necessità, era stato anche pronto a
provvedere. Invece di dare delle livree costose ed elaborate ai suoi servitori, lasciando che
i poveri si vestissero di stracci pronti per la spazzatura, aveva dato loro degli abiti fatti su
misura con la lana dei suoi agnelli, Gb 31:20 tanto che i loro fianchi, così coperti, lo
benedivano, lodando la sua carità, ringraziando Dio per averlo ispirato a dare e pregando
che Dio lo benedicesse. Anche se le sue pecore erano state divorate da un fuoco caduto
dal cielo, Giobbe poté consolarsi pensando che le aveva ottenute onestamente e usate
caritatevolmente, nutrendo i poveri con la loro carne e rivestendoli con la loro lana.

2. Non aveva mai contribuito a far torto ai poveri. Forse si può pensare che avesse fatto
del bene di tanto in tanto a qualche favorito, opprimendo gli altri. Invece no, era stato
gentile con tutti e non aveva recato offesa a nessuno. Non levò mai la mano contro gli
orfani, Gb 31:21 non li minacciò, spaventò, né cercò di colpire. Non usò mai la sua
autorità per abbattere chi gli intralciava la via o per sfruttarli, anche se si sapeva sostenuto

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 243


alla porta, cioè, aveva abbastanza appoggio tra il popolo e tra i giudici da poterlo fare
impudentemente. Chi, pur avendo l’autorità di commettere il male senza subire
conseguenze, si comporta giustamente, amando la misericordia, senza vacillare, può in
seguito trarre grande conforto dalle sue scelte, come fa qui Giobbe.

II. L’imprecazione con cui conferma la sua protesta: « Se ho oppresso i poveri, la mia
spalla si stacchi dalla sua giuntura, e il mio braccio si spezzi e cada », Gb 31:22 cioè, « la
mia carne marcisca, staccandosi dall’osso, e le ossa stesse si sloghino ». Se non fosse
stato perfettamente innocente in questo caso, non avrebbe potuto sfidare la vendetta
divina. Giobbe sembra sottintendere qui che è giusto che Dio spezzi il braccio che colpisce
gli orfani, così come aveva seccato la mano che Geroboamo aveva steso contro un
profeta.

III. I princípi che trattennero Giobbe dall’egoismo e dalla crudeltà. Non osava maltrattare i
poveri perché, anche se, con tutti i suoi sostenitori, avrebbe potuto sopraffarli, non
avrebbe potuto trovare il favore di quel Dio che è il patrono dei poveri oppressi e che non
permette che gli oppressori rimangano impuniti: « Invero mi spaventava il castigo di Dio,
se ero mai tentato a commettere questo peccato, ed ero trattenuto dalla maestà di lui,
non volendolo volgere contro di me ». Gb 31:23 Giobbe era colpito:

1. Dalla maestà di Dio, il Dio che lo sovrastava. Ricordava quanto era infinitamente più
alto di lui, un pensiero che lo riempiva di riverenza, rendendolo attento alle proprie azioni.
Chi opprime i poveri, pervertendo il giudizio e la giustizia, dimentica che sopra un uomo in
alto veglia uno che sta più in alto e sovr’essi sta un Altissimo che può fare i conti con lui.
Ec 5:8 Giobbe se lo ricordava.

2. Dall’ira di Dio, un Dio che l’avrebbe certamente contrastato se avesse fatto un torto ai
poveri. Il castigo di Dio, che avrebbe certamente e totalmente distrutto Giobbe, se fosse
stato colpevole di quel peccato, era per lui un terrore costante che lo trattenne dal
commetterlo. Notate: Anche gli uomini migliori devono trattenersi dal peccato con il timore
della distruzione afflitta da Dio, e lo fanno anche poco. È un timore che deve fermarci da
ogni atto di ingiustizia e di oppressione di cui Dio stesso è il vendicatore. Anche quando la
salvezza di Dio ci è di conforto, la distruzione che manda Dio deve rimanere un terrore.
Adamo, nella sua innocenza, fu colpito da una minaccia.

Gb 31:24-32

In questi versetti troviamo quattro altri aspetti della difesa di Giobbe che, come gli altri,
non solo ci assicurano delle sue parole e delle sue azioni, ma ci insegnano come
comportarci. Giobbe dichiara che:

I. Non aveva mai desiderato le ricchezze di questo mondo, né si era attaccato ai suoi beni
come sua aspirazione e fonte di felicità. Aveva dell’oro fino. Le sue ricchezze erano grandi
e la sua mano aveva accumulato molto. Le nostre ricchezze possono esserci utili o
dannose, secondo l’effetto che hanno su di noi. Se vi riponiamo la nostra fiducia e ci
lasciamo dominare da loro, saranno la nostra rovina. Se ne facciamo i nostri servitori e
strumenti di giustizia, saranno una benedizione. Giobbe ci dice come aveva considerato i
suoi beni terreni.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 244


1. Non vi aveva fatto grande affidamento: non aveva riposto la sua fiducia nell’oro. Gb
31:24 Chi fa affidamento nell’oro, facendone dipendere la propria felicità e sentendosi
sicuro, rispettato e tranquillo nell’abbondanza dei beni di questo mondo, è stolto e fa del
male a se stesso. Certi ripongono in essi la propria speranza anche per il mondo a venire,
come se fossero un certo segno del favore divino. Altri, pur avendo abbastanza buon
senso da non arrivare a quel punto, ne fanno affidamento in questa vita come fonte di
sicurezza, mentre qui ogni cosa è incerta, e soprattutto la soddisfazione che possiamo
ricavarne. È difficile avere ricchezze senza farne affidamento. È per questo che è così
difficile per un ricco entrare nel regno di Dio. Mt 19:23 Mr 10:24

2. Non ne aveva tratto grandi soddisfazioni: Non mi son rallegrato che le mie ricchezze
fossero grandi e non mi sono vantato che la mia mano avesse molto accumulato. Gb
31:25 Non era stato orgoglioso della sua ricchezza, come se potesse accrescere il suo
valore, né l’accreditò alle sue forze e alla potenza della sua mano. De 8:17 Non se ne era
compiaciuto, perché erano i beni spirituali a dar gioia al suo cuore. La sua soddisfazione
non si era fermata al dono, ma si era estesa al donatore. Tra l’abbondanza, non aveva mai
detto: Anima, riposati tra questi tuoi beni, mangia, bevi e godi, né si vantò delle sue
ricchezze. Non si era rallegrato eccessivamente dei suoi beni, riuscendo quindi a
sopportarne pazientemente la perdita. Per poter piangere come se non si piangesse
bisogna rallegrarsi come se non ci si rallegrasse. Meno gioia traiamo dai piaceri, meno
dolore ricaveremo dalle delusioni.

II. Non aveva mai dato a delle creature l’adorazione e la gloria che spettano solo a Dio.
Non era colpevole del peccato dell’idolatria. Gb 31:26-28 Non leggiamo che i suoi amici lo
avessero accusato di esserlo. Al suo tempo però c’erano persone così stupide da adorare il
sole e la luna, o Giobbe non ne avrebbe parlato. L’idolatria è sempre stata una delle vie
dei malvagi, e l’adorazione del sole e della luna è una delle sue forme più antiche, che
apparentemente rappresentava una forte tentazione. In De 4:19, infatti, Mosé parla del
pericolo di tale tentazione tra il popolo. Fino ad allora, era stata praticata segretamente,
ma in seguito lo fu apertamente, nelle sue forme più abominevoli. Osservate:

1. Fino a che punto Giobbe si era trattenuto da quel peccato. Non solo non si era mai
inginocchiato davanti a Baal (che, secondo alcuni, rappresenta il sole), e non aveva mai
adorato il sole, ma aveva mantenuto puri lo sguardo, il cuore e le labbra.

(a) Non aveva mai ammirato lo sfarzo e lo splendore del sole o della luna se non per
glorificare Dio per la loro bellezza e la loro utilità. Aveva fatto un patto con i suoi occhi non
solo contro l’adulterio fisico, ma anche contro quello spirituale. In fedeltà a quel patto,
guardando gli astri celesti, alzò lo sguardo, per fede, fino al Padre degli astri.

(b) Aveva custodito il suo cuore più d’ogni altra cosa, per non cedere alla seduzione
segreta di voler attribuire una gloria divina allo splendore di quegli astri o un potere divino
al loro influsso, dando loro onori che spettano a Dio. L’idolatria inizia nel cuore. Ognuno vi
è tentato, come in altri peccati, quando la propria concupiscenza lo attrae e lo adesca.

(c) Non aveva reso omaggio a quelle finte divinità, né aveva dimostrato alcun atto di
adorazione: La sua bocca non aveva posato un bacio sulla mano, probabilmente usanza
comune anche tra persone che non si riterrebbero idolatre. Il baciamano, accompagnato
da un inchino, è tra noi una forma di reverente saluto, apparentemente usata dagli antichi

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 245


per dare onorificenze divine al sole e alla luna. Non potevano baciarli, così come gli uomini
che sacrificavano baciavano i vitelli. Os 13:2 1Re 19:18 Per dimostrare però la propria
buona volontà, facevano un baciamano, onorando come signori oggetti creati da Dio per
servire, come candelabri, questo mondo sottostante. Giobbe non lo fece mai.

2. Quanto detestava quel peccato. Gb 31:28 Lo vedeva come:

(a) Un’offesa civile, un misfatto anche questo punito dai giudici, un danno pubblico, nocivo
ai governi. L’idolatria seduce la mente, corrompe il comportamento, distrugge quel giusto
senso religioso che cementa la società, e provoca Dio ad abbandonare gli uomini alla loro
mente reproba e a condannare le nazioni. Chi vuole preservare la pace pubblica deve
quindi fermare l’idolatria, punendola.

(b) Un’offesa ancor più grave contro il Dio del cielo, praticamente un alto tradimento
contro la sua corona e la sua dignità. Avrei difatti rinnegato l’Iddio ch’è di sopra, negando
la sua divinità e la sua sovranità come tale. L’idolatria è, in effetti, ateismo. È per questo
che i Gentili sono definiti senza Dio (ateisti) nel mondo. Notate: Dobbiamo temere
qualunque cosa che tacitamente nega l’esistenza di Dio, della sua provvidenza o delle sue
perfezioni.

III. Era stato così lungi dal commettere o progettare delle ingiurie verso gli altri che non
aveva augurato il male nemmeno ai suoi peggiori nemici. A quanto pare, perdonare chi ci
fa del male era un dovere dell’Antico Testamento, anche se i Farisei avevano annullato
quella regola, insegnando: Ama il tuo prossimo e odia il tuo nemico. Mt 5:43 Osservate:

1. Giobbe era lontano dal vendicarsi. Non solo non aveva ricambiato le offese che gli
erano state recate e non aveva distrutto chi lo odiava, ma:

(a) Non si era rallegrato dei loro guai. Gb 31:29 Molti, pur non facendo del male di
proposito a chi li ostacola o a chi fa loro uno sgarbo, si rallegrano segretamente, ridendo
sotto i baffi (come diciamo noi) se gli altri gli recano danno. Giobbe era diverso.
Nonostante la sua integrità, era odiato da alcuni che, prima o poi, erano finiti male. Giobbe
aveva visto la loro distruzione, ma non se ne era rallegrato, altrimenti la distruzione
sarebbe ricaduta su di lui. Pr 24:17,18

(b) Non si era permesso nemmeno una segreta speranza delle loro sciagure. Non aveva
mai desiderato una maledizione per la loro anima (Giobbe 31:30KJV, le maledizioni rivolte
verso l’anima sono le peggiori), né la loro morte. Sapeva che sarebbe stato un peccato.
Aveva fatto attenzione a non recare offesa con la sua lingua Sl 39:1 e a non permettere
alle sue labbra di peccare. Non osava quindi imprecare nemmeno contro il suo peggior
nemico. Se gli altri ci fanno cattiverie, non siamo giustificati a ricambiarli.

2. Aveva ricevuto furiose incitazioni alla vendetta, ma si era trattenuto dal prenderla: La
gente del suo tabernacolo, i suoi domestici, i suoi servi, e tutti quelli che lo circondavano
erano così furiosi contro quei nemici di Giobbe, che avrebbero potuto mangiarli vivi, se li
avesse incoraggiati a farlo o glielo avesse permesso. « Chi ci darà della sua carne! Il
nostro padrone è soddisfatto con il perdono, ma noi non ce ne potremmo giammai
satollare ». Gb 31:31 D Notate quanto i suoi cari lo amavano e lo difendevano, e quanto

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 246


contrastavano i suoi oppositori. Giobbe però controllò fermamente le sue passioni, deciso
a non vendicarsi, anche se alcuni soffiavano sul fuoco del suo risentimento. Notate:

(a) Di solito un giusto non si infuria contro gli affronti che gli sono rivolti quanto i suoi
amici.

(b) Spesso i grandi di questo mondo sono circondati da persone che li incitano alla
vendetta, come avvenne per Davide. 1Sa 24:4 26:8 2Sa 16:9 Se però controllano le
proprie passioni, nonostante le pungenti insinuazioni di chi li attornia, finiscono per evitarsi
dolori e per guadagnarsi lode.

IV. Non era mai stato sgarbato o inospitale verso gli stranieri: Lo straniero non passava la
notte fuori, come, poco prima, avrebbero fatto gli angeli nelle strade di Sodoma se Lot,
unico tra tutti, non li avesse invitati. Gb 31:32 Forse quell’esempio aveva insegnato a
Giobbe (come noi impariamo in Eb 13:2) a non dimenticarsi l’ospitalità verso gli stranieri.
Chi è a casa deve ricordarsi quelli lontani da casa, mettendosi nei loro panni e trattandoli
come vorrebbe essere trattato. L’ospitalità è un dovere cristiano. 1Pi 4:9 Giobbe, nella sua
prosperità, era stato famoso per l’ottima gestione della sua casa: Le sue porte erano
aperte verso la strada (secondo alcuni). Aveva tenuto aperte le porte per vedere chi
passava per strada e invitarlo a entrare, come fece Abramo. Ge 18:1

Gb 31:33-40

Troviamo qui la protesta di Giobbe contro tre altri peccati, il suo appello generico al
giudizio di Dio e la sua petizione per un’udienza che, probabilmente, fu intesa come
conclusione del discorso (e quindi ne parleremo per ultimo), ma poi si rivelò un altro
peccato da cui ritenne importante scagionarsi. In questo brano si scagiona:

I. Dall’accusa di finzione e ipocrisia. Il crimine generico di cui lo accusavano i suoi amici


era una finta professione di religione, usata per mascherare dei continui peccati segreti,
essendo in realtà empio come gli altri, e solo più abile a nasconderlo. Zofar aveva
insinuato che nascondeva il male sotto la lingua. Gb 20:12 « No », disse Giobbe. « Non
l’ho mai fatto. Non ho mai coperto la mia trasgressione come Adamo, cercando attenuanti
per un peccato con futili scuse, nascondendo la vergogna dietro a delle foglie di fico, né
ho mai nascosto la mia iniquità nel mio seno, come cosa preziosa da cui non volevo
allontanarmi, o come il ricavato di un furto che avevo paura di svelare ». Gb 31:33
Nascondere i nostri peccati è un atto naturale che abbiamo ereditato dai nostri primi
genitori. Odiamo tutti confessare i nostri errori, preferendo minimizzarli per mostrarci nella
luce migliore e passare la colpa agli altri, come fece Adamo con sua moglie, biasimando
tacitamente Dio stesso. Chi copre le sue trasgressioni non prospererà. Pr 28:13 Con
questa sua protesta, Giobbe rivela due prove convincenti della sua integrità:

1. Non era colpevole di grandi trasgressioni o iniquità che fosse riuscito abilmente a
nascondere, compromettendo la sua sincerità. La sua protesta era onesta: pur negando
certi peccati, non era conscio di essersene permessi altri.

2. Era sempre stato pronto a riconoscere le trasgressioni e le iniquità di cui era


effettivamente stato colpevole (Chi mai vive senza peccato?) e a rimediare, per quanto gli
fosse possibile, alle sue colpe commesse in parole o in azioni, non appena se ne

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 247


accorgeva, pentendosene, confessandole a Dio e agli uomini e abbandonandole. Lo fece
onestamente.

II. Dall’accusa di codardia e pusillanimità. La sua sincerità è evidente dal suo coraggio
nell’agire bene: Avevo paura della folla al punto da starmene quieto? Gb 31:34 No, chi
conosceva Giobbe sapeva che era un uomo di fermi propositi nel fare il bene, coraggioso
nel parlare e nell’agire in difesa della religione e della giustizia, senza timore di alcuno.
Non c’era stata minaccia o intimidazione che lo avesse mai convinto ad abbandonare il suo
dovere. Era rimasto duro come la pietra. Osservate:

1. Con che coscienza aveva svolto il suo compito di magistrato, o personalità stimata, del
luogo in cui risedeva. Non aveva mai osato rimanere in silenzio quando aveva dovuto
difendere una giusta causa, né restare al sicuro quando aveva dovuto recarsi da qualche
parte a fare del bene. A volte è un peccato tacere e ritirarsi, come, per esempio, quando
dobbiamo rimproverare il male e testimoniare contro di esso, per vendicare le verità e le
vie di Dio, per far giustizia agli offesi o agli oppressi, per servire gli altri o per onorare la
nostra religione.

2. La noncuranza di Giobbe per gli scoraggiamenti che aveva incontrato nel corso del suo
dovere. Non aveva dato valore alle grida delle folle, non aveva temuto le grandi
moltitudini, e non si era curato delle minacce dei potenti: Non ebbe paura dello sprezzo
delle famiglie. Non si era lasciato bloccare dalla quantità o dal tipo di persone che lo
ostacolavano, dalle loro beffe o dai loro insulti. Non aveva permesso che chi commetteva
un’ingiuria lo fermasse dal difendere la vittima. Aveva disdegnato tali considerazioni, non
lasciandosi sviare o influenzare. Non aveva mai permesso a un potente di abbattere una
giusta causa. Aveva temuto il grande Dio, e non le folle. Aveva temuto la sua maledizione,
e non il disprezzo delle famiglie.

III. Dall’accusa di oppressione, violenza, e ingiustizia verso i poveri. Osservate qui la sua
protesta:

1. Aveva ottenuto e usato i suoi beni onestamente, per cui la sua terra non poteva
gridargli contro, né i suoi solchi potevano piangere, Gb 31:38 come fanno contro chi li
acquista con la frode e l’estorsione. At 2:9-11 Tutta la creazione geme per il peccato
dell’uomo. Ciò che è acquistato e tenuto ingiustamente grida invece contro l’uomo,
accusandolo, condannandolo ed esigendo che venga punito per il male commesso. Non
solo l’oppressore non rimarrà impunito, ma la stessa terra e i suoi solchi gli
testimonieranno contro, facendogli da accusatori. Riguardo ai suoi possedimenti, poteva
dire con sicurezza che:

(a) Non ne aveva mai mangiato il frutto senza pagarlo. Gb 31:39 Aveva pagato per tutti i
suoi acquisti, come avevano fatto Abramo e Davide, comprando del terreno. Ge 23:16 2Sa
24:24 Aveva compensato diligentemente i suoi lavoratori e, se mai aveva usato i frutti dei
terreni che aveva dato in affitto, li aveva pagati, o ne aveva dedotto il prezzo dalla
pigione.

(b) Non aveva mai ottenuto un terreno con l’omicidio, Gb 31:39 KJV come aveva fatto
Acab con la vigna di Nabot, uccidendo l’erede per ottenere l’eredità. Non fece mai morire

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 248


di fame chi si era preso cura dei suoi terreni, né li aveva fatti morire imbrogliandoli o
trattandoli male. Non c’era affittuario, lavoratore o servo che potesse lamentarsi di lui.

2. Come conferma la sua protesta. Come aveva già fatto spesso, usa un’imprecazione
idonea: « Se ho ottenuto i miei beni ingiustamente, che invece di grano mi nascano spine,
le peggiori erbacce invece dei migliori cereali ». Gb 31:40 Chi ottiene i propri beni per vie
malvage sarà giustamente privato delle loro consolazioni e deluso nelle sue aspettative.
Può seminare dei semi, ma non il corpo che ha da nascere. Dio forma il corpo.
Semineranno grano, ma ricaveranno spine. I guadagni disonesti non giovano a nulla.
Giobbe, verso la fine della sua protesta, si appella al giudizio di Dio per provarne la verità:
Oh, avessi pure chi m’ascoltasse! L’Onnipotente mi risponda! Gb 31:35-37 Era il suo
desiderio, che spesso si lamentava di non potere ottenere. Avendo appena terminato una
difesa così dettagliata, lo registra, in attesa di un’udienza.

(a) Presenta insistentemente la sua mozione per il processo: « Oh, avessi pure chi
m’ascoltasse, chiunque! Ho una causa così ottima e delle prove così convincenti che sono
disposto ad affidare il mio caso a chiunque, pur desiderando che l’Onnipotente stesso mi
risponda ». L’animo giusto non teme uno scrutinio (chi ha intenti onesti vorrebbe avere
una finestra nel cuore aperta a tutti), ma desidera soprattutto essere giudicato da Dio, che
riconosciamo veritiero. Davide pregò piamente: Investigami, o Dio, e conosci il mio cuore.
Paolo si confortò pensando: Colui che mi giudica è il Signore.

(b) Si convoca l’accusa e si cita in giudizio il querelante, ordinandogli di rivolgere le proprie


imputazioni contro il prigioniero, che insiste su ciò che aveva asserito: « Scriva l’avversario
mio la sua querela! I miei amici, che mi accusano di ipocrisia, lo scrivano, per renderlo ben
chiaro, e per facilitare la discussione ». Giobbe sarebbe stato ben lieto di vedere la
diffamazione e di ottenere una copia dell’atto di accusa. Non se la sarebbe nascosta sotto
il braccio, ma l’avrebbe portata attaccata alla spalla, perché tutti potessero vederla e
leggerla, anzi, se ne sarebbe cinto come di un diadema, come un ornamento da portare
con piacere. Infatti, [1] Se tale accusa avesse messo in luce una sua effettiva colpa di cui
non si era reso conto, sarebbe stato felice di conoscerla, per pentirsene e ottenere il
perdono. Chi è giusto vuole conoscere anche le sue colpe peggiori ed è grato a chi gliele
indica diligentemente. [2] Se tale accusa si fosse dimostrata falsa, avrebbe indubbiamente
smentito tutte le calunnie, rivelando la sua innocenza come si rivela la luce e conferendogli
maggiore onore. Inoltre, [3] Era convinto che, dovendo mettere le loro accuse per scritto,
i suoi avversari sarebbero stati costretti a esaminare la questione così minuziosamente,
che le accuse sarebbero sembrate minime e trascurabili, e che tutti avrebbero convenuto:
« Se le imputazioni si limitano a questo, gli hanno causato tanta angustia per niente ».

(c) L’imputato è pronto a presentarsi in giudizio, accondiscendendo a ogni richiesta dei


suoi accusatori. Gli avrebbe reso conto di tutti i suoi passi. Gb 31:37 Li avrebbe messi al
corrente di ogni particolare della sua vita, passo per passo. Avrebbe dichiarato ogni sua
azione, a suo favore o sfavore, lasciando che ne facessero ciò che volevano. Era così
convinto della sua integrità che si sarebbe appressato come un principe che si avvicina alla
corona, e non come un prigioniero che si presenta ai suoi accusatori, per sentire
l’imputazione, e al giudice, per sentire la sentenza. La sua coscienza gli dava gioia. Hic
murus aheneus esto, nil conscire sibi La difesa sia questo muro di bronzo per sostenere
l’innocenza della coscienza. Chi, come Giobbe, non si contamina con questo mondo, può
levare il volto senza macchia di fronte a Dio, consolandosi con l’aspettativa del suo giudizio

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 249


se deve sottostare alle ingiuste critiche degli uomini. Se il cuor nostro non ci condanna, noi
abbiam confidanza dinanzi a Dio. Qui finiscono i discorsi di Giobbe. Aveva detto cioè tutto
ciò che aveva da dire ai suoi amici. Parlò ancora in seguito, ma per rimproverarsi e
condannarsi. Gb 40:4, 542:2 ss. Termina quindi la sua difesa. Che bastasse o meno, non
avrebbe detto altro. Sapeva di aver detto abbastanza e la sottomise alla giuria. Secondo
alcuni, lo stile rivela un’aria di sicurezza e di trionfo. Restò in campo senza dubitare di
ottenere la vittoria. Chi accuserà gli eletti di Dio? Iddio è quel che li giustifica.

Giobbe 32

C’è una pausa nella scena. Giobbe e i suoi tre amici si siedono, senza dire altro. È il
momento ideale per l’intervento di un moderatore, in questo caso Eliu. Troviamo qui:

I. Una descrizione sua, della sua famiglia, della sua presenza nel dibattito e dei suoi
sentimenti al proposito. Gb 32:1-5

II. Una spiegazione della sua audacia nell’affrontare un argomento così ampiamente ed
eloquentemente trattato dai suoi anziani. Eliu afferma che:

1. Pur non avendo l’esperienza di un anziano, aveva la conoscenza comune a tutti gli
uomini. Gb 32:6-10

2. Aveva ascoltato pazientemente tutto ciò che gli altri avevano da dire. Gb 32:11-13

3. Aveva qualcosa di nuovo da offrire. Gb 32:14-17

4. Aveva tanto da dire, e gli sarebbe stato di sollievo esprimerlo. Gb 32:18-20

5. Era deciso a parlare imparzialmente. Gb 32:21,22 Parlò infatti così bene che Giobbe non
gli rispose, e Dio non lo rimproverò quando invece riprese sia Giobbe che gli altri tre amici.

Gb 32:1-5

Di solito, sono i giovani a discutere e gli anziani a fare da moderatori. Qui invece, come
rimprovero alla sconveniente foga di questi anziani, il moderatore è un giovane. Erano
presenti diversi amici di Giobbe, che erano andati a trovarlo e a ricevere istruzione.
Troviamo qui:

I. Il motivo del silenzio dei tre amici. Avevano cessato di rispondere, lasciandolo dire,
perché egli si credeva giusto. Gb 32:1 Era quella la loro giustificazione. Non serve a niente
discutere con una persona così ostinata. È effettivamente difficile convincere un
presuntuoso. C’è più da sperare da uno stolto (reso tale da Dio) che da persone che
oscurano la propria comprensione. Pr 26:12 Non lo avevano però giudicato giustamente,
perché Giobbe era veramente giusto agli occhi di Dio, e non solo ai suoi. Usarono quindi
quella giustificazione solo per salvarsi la faccia, come fanno di solito certe persone irascibili
se, in un dibattito, si trovano alle strette e non vogliono riconoscere di non poter vincere.

II. Il motivo per cui Eliu, il quarto, prese la parola. Il suo nome, Eliu, significa Egli è il mio
Dio. Avevano tutti cercato invano di convincere Giobbe, ma solo il mio Dio poteva e voleva

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 250


farlo, come dimostrò alla fine: solo Dio può far comprendere. Eliu era un Buzita,
discendente di Buz, il secondogenito di Naor, Ge 22:21 della tribù di Ram, o Aram
(secondo alcuni), da cui erano discesi e avevano preso nome i Siriani, o Aramei, Ge 22:21
oppure della tribù di Abramo, come troviamo nella parafrasi caldea, secondo la quale il
patriarca fu chiamato prima Ram — sommo, poi Abramo-sommo padre, e infine Abraamo
il sommo padre di una moltitudine. Eliu era meno noto degli altri, per cui ne abbiamo una
descrizione più particolareggiata. Parlò perché:

1. Era, a suo parere, giustamente adirato. Non lasciò il dibattito per calunniarne i
partecipanti, attaccandoli in segreto con critiche malefiche, ma disse ciò che doveva dire di
fronte a loro, perché potessero difendersi.

(a) Era adirato contro Giobbe perché, secondo lui, non aveva dimostrato abbastanza
rispetto per Dio, ed era vero: giustificava sé stesso anzi che Iddio, Gb 32:2 D cioè si era
sforzato di smentire l’accusa che le sue afflizioni indicassero una sua mancanza di giustizia,
più di quanto non si fosse sforzato di difendere Dio dall’imputazione di essere ingiusto nel
dargli quelle afflizioni, come se il suo onore gli interessasse più di quello di Dio. Avrebbe
dovuto invece, prima di tutto, giustificare Dio e ribadire la sua gloria, lasciando poi che la
sua reputazione si difendesse da sola. Notate: L’animo giusto desidera l’onore di Dio e si
infuria quando è trascurato, rimandato o ferito. Non pecchiamo per mancanza di mitezza
se ci adiriamo contro amici che offendono Dio. Vattene via da me, Satana, disse Cristo a
Simone. Eliu riconobbe che Giobbe era uomo giusto, ma non si trattenne dal dirgli che lo
riteneva nel torto. Se non indichiamo ai nostri amici i loro errori, rendiamo loro un
complimento fuori posto.

(b) Era adirato contro i suoi amici perché pensava che non si fossero dimostrati
abbastanza caritatevoli: Non avean trovato che rispondere, sebbene condannassero
Giobbe. Gb 32:3 Lo avevano giudicato un ipocrita e un empio, e avevano insistito su quella
condanna, senza poter dimostrarlo, né negare le sue prove di integrità. Avevano ribadito
la conclusione senza le giuste premesse. Non potevano contraddire le sue ragioni, ma non
volevano cedere. Nel giusto o nel torto, lo avrebbero condannato, e sbagliavano. È raro
che una contesa continui fino a questo punto, senza che entrambe le parti siano
nell’errore. Eliu, in quanto moderatore, rimase imparziale, ma fu ugualmente addolorato
dagli spropositi e dalle scorrettezze di entrambi i lati. Chi cerca sinceramente la verità deve
rimanere imparziale nel giudicare un disaccordo, senza respingere il bene e la verità, da
qualunque parte siano sostenuti, solo perché ci sono degli errori, e senza approvare o
difendere gli sbagli, solo perché ci sono anche della verità e delle giuste affermazioni.
Deve invece imparare a separare ciò che è prezioso da ciò che è spregevole.

2. Pensava che era giunto il suo momento di farlo. Gb 32:4,5

(a) Aveva aspettato che Giobbe finisse di parlare e lo aveva ascoltato pazientemente fino
alla fine.

(b) Aveva anche aspettato che gli altri amici riprendessero la parola. Non aveva voluto
interrompere Giobbe, e non aveva voluto frenare gli altri, non perché fossero più saggi di
lui, ma perché erano più anziani e quindi, di regola, dovevano parlare per primi. Eliu era
molto modesto e non voleva privarli del loro privilegio. Certe regole di precedenza devono
essere osservate, per il mantenimento dell’ordine. Anche se il vero onore interiore è

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 251


accompagnato dalla vera saggezza e dal vero valore, dato che ogni uomo attribuisce
saggezza e valore soprattutto a se stesso e ai suoi amici, un riconoscimento di quell’onore
non rappresenta una valida regola per le cerimonie esterne. È quindi meglio basarsi
sull’anzianità o sull’sperienza. È un rispetto che gli anziani possono esigere giustamente
perché lo hanno reso agli altri quando erano giovani, e che i giovani possono rendere
facilmente perché lo riceveranno quando saranno anziani.

Gb 32:6-14

Qui Eliu ci appare come:

I. Un individuo molto umile e modesto. Benché fosse giovane e intelligente, non era
impertinente, arrogante e presuntuoso. Irradiava luce e, come Mosé, non lo sapeva,
apparendo quindi ancora più splendente. Come esempio degno di nota per noi tutti, e
soprattutto per i giovani, osserviamo come Eliu:

1. Riguardava se stesso e il proprio giudizio con grande modestia: « Io son giovine d’età;
perciò mi son tenuto indietro e non ho ardito esporvi il mio pensiero, per paura di essere
nell’errore o di esprimermi in modo sconveniente ». Gb 32:6 Aveva osservato e ascoltato
ogni cosa con tanta attenzione da formulare una propria opinione, che ritenne pertinente e
non complessa. Anche però se le cose gli sembravano chiare, aveva paura di esporre la
propria idea, perché era diversa dai suoi anziani. Notate: È giusto mettere in dubbio il
nostro giudizio, quando si discutono delle opinioni ed essere pronto ad ascoltare il parere
degli altri più che a esprimere il nostro, soprattutto se contraddice il giudizio di chi
dobbiamo giustamente venerare, per la loro grande conoscenza e devozione a Dio.

2. Dimostrava grande rispetto per le persone più anziane e si aspettava molto da loro:
Dicevo: Parleranno i giorni, e il gran numero degli anni insegnerà la sapienza. Gb 32:7
Notate: L’età e l’esperienza migliorano il giudizio, sia perché permettono di attingere da
una conoscenza molto più ampia, sia perché affinano e perfezionano le capacità critiche. È
per questo che gli anziani devono cercare di insegnare oltre che di continuare a imparare
(o i vantaggi della loro età finiranno per svergognarli), ed è per questo che i giovani
devono ascoltare i loro insegnamenti. È bene albergare con un antico discepolo. At 21:16
Tt 2:4 La modestia di Eliu fu evidente nella sua paziente attenzione alle parole di quegli
anziani. Gb 32:11,12 Aveva atteso le loro parole con grandi aspettative, secondo la grande
opinione che aveva di loro. Aveva ascoltato i loro ragionamenti, per comprenderne il
significato e per coglierne il senso esatto e il valore. Li aveva considerati con attenzione e
con cura, anche se quegli anziani:

(a) Avevano parlato con lentezza, impiegando tanto tempo a ricercare le parole. Anche se
il loro discorso era stato intercalato da frequenti pause ed esitazioni, ed erano sembrati
impreparati, non ci fece caso, ma ascoltò i loro argomenti, che non avrebbe considerato
meno convincenti solo per la povertà dell’espressione.

(b) Anche se si erano persi indifferentemente in quisquilie, e nessuno di loro aveva


risposto alle parole di Giobbe, né gli aveva detto qualcosa che potesse convincerlo, Eliu
aveva seguito attentamente i loro ragionamenti, nella speranza che, prima o poi,
conducessero a qualcosa. Spesso dobbiamo essere disposti ad ascoltare discorsi che non
ci piacciono, per poter esaminare ogni cosa. Eliu fece notare la sua pazienza nell’ascoltare

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 252


quei discorsi per rivendicare: [1] Un suo diritto a prendere la parola e a richiedere la loro
attenzione. Hanc veniam petimusque damusque vicissim-È una libertà che permettiamo e
richiediamo reciprocamente. Chi ha ascoltato può parlare e chi ha imparato può insegnare.
[2] Un suo diritto a giudicare ciò che avevano detto. Aveva osservato il loro intento e
sapeva quindi come ribattere. Dobbiamo conoscere bene i sentimenti dei nostri fratelli
prima di criticarli. Chi risponde prima d’aver ascoltato, o senza avere sentito tutta la storia,
mostra la sua follia, e rimane confuso, dimostrandosi impertinente e arrogante.

II. Un individuo pieno di buon senso e di coraggio, che sapeva quando e come parlare,
così come quando e come tacere. Anche se rispettava i suoi amici tanto da non
interromperli, rispettava anche la verità e la giustizia (un’amicizia più grande) tanto da non
tradirle con il suo silenzio. Affermò quindi chiaramente che:

1. L’uomo è una creatura razionale. Ogni individuo ha un proprio discernimento e


dev’essergli concessa libertà di prendere parola. Quando Eliu disse: Certo lo spirito è negli
uomini, Gb 32:8 D il significato era lo stesso di quello dell’affermazione di Giobbe: Ma del
senno ne ho anch’io al par di voi. Gb 12:3 Si espresse però con un po’più di modestia,
dicendo che ogni uomo ha una capacità di comprensione e nessuno può pretendere di
avere il monopolio della ragione o di potersene assumere la diffusione. Se avesse voluto
dire: Ho altrettante rivelazioni di voi (come interpretano alcuni), avrebbe dovuto
dimostrarlo. Se invece intese solo: So ragionare quanto voi, gli altri non avrebbero potuto
negarlo, perché è un privilegio di ogni uomo e chi lo rivendica non dimostra presunzione.
Non avrebbero nemmeno potuto negare la sua conclusione: Perciò dico: Ascoltatemi. Gb
32:10 Impariamo qui che:

(a) L’anima è uno spirito, che non è materiale e non dipende dalla materia, ma è in grado
di comprendere le cose spirituali, non percepite dai sensi.

(b) È uno spirito dotato di comprensione, che sa percepire e ricevere la verità, discorrerne
e farne ragionamenti, guidando e governando di conseguenza.

(c) Questo spirito di comprensione è in ogni uomo. È la luce che illumina ogni uomo. Gv
1:9

(d) È uno spirito che ci è dato dall’inspirazione dell’Onnipotente. Dio è infatti il Padre degli
spiriti e la fonte della comprensione. cfr. Ge 2:7 Ec 12:7 Za 12:1

2. Chi supera gli altri in grandezza e serietà non sempre li supera in conoscenza e
saggezza: I maggiori non son sempre savi. Gb 32:9 D È un peccato, altrimenti non
userebbero mai la loro grandezza per far del male, e potrebbero anzi fare tanto bene con
la loro saggezza. La saggezza dovrebbe essere il criterio di stima. Chi più è onorato e
potente non sempre la possiede, anche se ne ha più bisogno degli altri e ha più possibilità
di trarne vantaggio. È quindi assurdo seguire gli ordini di chiunque con una fede cieca. Il
giudizio degli anziani non è sempre giusto. Anche loro possono sbagliarsi, e non devono
quindi aspettarsi un’ubbidienza assoluta. Perciò, non devono offendersi se sono
contraddetti, ma apprezzare l’istruzione di chi gli è inferiore in ogni senso, e darvi ascolto:
Perciò dico: Ascoltatemi. Gb 32:10 Una persona dalla vista aguzza ha una visione più
ampia, in pianura, di un mezzo cieco sulla più alta montagna. Meglio un giovinetto povero
e savio d’un re vecchio e stolto. Ec 4:13

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 253


3. Qualcuno doveva parlare, per risolvere giustamente quella controversia che, dopo tante
parole, era solo più complessa e confusa: « Devo parlare, che talora non diciate: Noi
abbiamo trovata la sapienza. Gb 32:13 D Devo parlare perché non pensiate che i vostri
ragionamenti contro Giobbe siano stati conclusivi e irrefutabili. Devo parlare perché Giobbe
non sia umiliato e condannato semplicemente perché voi dite che è scacciato da Iddio e
non da un uomo, e che le sue grandi afflizioni dimostrano che Dio è contro di lui e, di
conseguenza, che egli è empio. Devo dimostrarvi che è una falsa ipotesi e che non è
necessaria per convincerlo ». Oppure, « Devo parlare, perché non pensiate di avere
trovato la soluzione, rimanendo cioè in silenzio e lasciando che Dio lo distrugga ».
Dobbiamo parlare quando delle affermazioni errate sono difese e sostenute, soprattutto
con il pretesto di voler appoggiare la causa di Dio. Dobbiamo parlare nel nome di Dio
quando si fa riferimento ai suoi giudizi per il patrocinio della superbia, delle passioni
umane e delle ingiuste, impietose critiche dei fratelli.

4. Aveva qualcosa di nuovo da dire, e avrebbe cercato di condurre il discorso meglio di


quanto non fosse stato condotto prima. Gb 32:14 Pensò di potersi aspettare una reazione
favorevole, perché:

(a) Non intendeva ribattere alle proteste di Giobbe in difesa della sua integrità. Ammetteva
che erano vere, e quindi non si mise contro di lui: « Egli non ha diretto i suoi discorsi
contro a me. Non ho niente da ridire contro il senso generale del suo discorso, né contro i
suoi princípi. Voglio solo porgerli un gentile rimprovero per le sue espressioni focose ».

(b) Non avrebbe ripetuto i loro ragionamenti, né avrebbe seguito i loro princípi: « Io non
gli risponderò colle vostre parole. Non dirò le stesse cose, o potreste accusarmi di
impertinenza, né parlerò nello stesso modo, cioè con quella stessa vostra irritabilità che mi
dà così fastidio ». Chi è saggio lascia perdere le controversie già pienamente discusse, a
meno di non poter cambiare o migliorare i risultati. Perché actum agere-fare ciò che è già
stato fatto?

Gb 32:15-22

Ci sono tre validi motivi per l’intromissione di Eliu in una controversia già esaurientemente
sostenuta da dei partecipanti così eruditi e arguti:

1. C’era una pausa nella scena, per cui Eliu non interruppe nessuno. Gli altri, sconcertati,
Gb 32:15 restarono e non risposero più. Gb 32:16 Non solo avevano smesso di parlare,
ma aspettavano di sentire se qualcun altro volesse prendere la parola. Eliu ebbe quindi lo
spazio e l’opportunità necessari. Non sembrarono pienamente soddisfatti di ciò che
avevano detto, altrimenti non sarebbero rimasti ad aspettare, ma avrebbero chiuso il caso.
Eliu disse: « Ma ora risponderò anch’io per mio conto. Gb 32:17 Non pretendo di dare una
sentenza definitiva. No, il giudizio spetta al Signore, ed è lui che determina chi ha ragione
e chi ha torto. Dato però che avete tutti dato la vostra opinione, darò anche la mia, da
aggiungere alle altre ». Quando una persona, anche la più abietta, offre la propria
opinione così modestamente, è triste se non è ascoltata e presa in considerazione. Non
nego la supposizione che Eliu fosse l’autore di questo libro, che avrebbe quindi scritto
come storico, riportando il fatto che, dopo avere attirato la loro attenzione nei versetti
precedenti, li aveva lasciati sbalorditi e bisbiglianti, e che gli avevano non solo concesso la

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 254


libertà di parola che desiderava, ma lo avevano ascoltato in silenzio, colpiti dalla
sorprendente combinazione di audacia e di modestia che apparve in quella sua prefazione.

2. Provava un desiderio quasi doloroso di esprimersi. Dovevano lasciarlo parlare, perché


non poteva più trattenersi. Mentre meditava, un fuoco s’era acceso, Sl 39:3 chiuso nelle
sue ossa, come disse il profeta. Gr 20:9 Neanche una madre con il seno gonfio di latte
desidera sgorgarlo con la stessa intensità con cui Eliu volle esprimere le sue opinioni
riguardo a Giobbe. Gb 32:18-20 Se chiunque altro avesse trattato quei punti che egli
riteneva fondamentali, se ne sarebbe stato tranquillamente in silenzio. Vedendo invece che
nessuno ne aveva parlato, volle provare a farlo. Dichiarò infatti che:

(a) Aveva tanto da dire: « Son pieno di parole. Ho ascoltato tutto attentamente, e ho
formulato delle mie riflessioni ». Quando gli anziani non hanno più parole a riguardo della
divina Provvidenza, Dio può servirsi di altri, anche più giovani, dando loro insegnamenti
per l’edificazione della sua chiesa. È infatti un argomento che non può essere esaurito,
anche se chi ne parla può trovarsi senza parole.

(b) Doveva dirlo: « Lo spirito ch’è dentro di me non solo mi dice che cosa dire, ma mi
stimola a dirlo. Se non lo faccio, i miei pensieri sono in tale fermento da rendermi come un
otre pieno di vin nuovo, che sta per scoppiare ». Gb 32:19 Quanto soffre un buon ministro
del Vangelo, se viene messo a tacere e lasciato in un angolo. È pieno di cose da dire,
pieno di Cristo, pieno del Cielo e desideroso di parlarne, ma non può farlo.

(c) Parlarne gli sarebbe stato di sollievo e di sfogo: Parlerò dunque e mi solleverò. Gb
32:20 Non solo gli avrebbe alleviato la pena di quei pensieri trattenuti dentro, ma gli
avrebbe dato la soddisfazione di cercare di fare del bene, per quanto il suo ceto e le sue
capacità gli permettessero di farlo. La libertà di parlare per la gloria di Dio e per
l’edificazione degli altri dà gran sollievo ai giusti.

3. Era deciso, con tutta la libertà e la sincerità che gli era concessa, a dire ciò che riteneva
vero, e non ciò che avrebbe fatto piacere agli altri: « Lasciate ch’io parli senza riguardi
personali, Gb 32:21,22 al contrario di certi giudici parziali che pensano solo ad arricchirsi e
non a fare giustizia. Sono deciso a non adulare ». Non avrebbe mentito:

(a) Per compassione verso Giobbe, povero e afflitto. Non lo avrebbe lusingato per paura di
addolorarlo maggiormente. « Dirò la verità, che l’accetti o meno ». Chi è afflitto non ha
bisogno di adulazione, ma di sincerità. Permettere di peccare a una persona che è nei guai
è una falsa compassione. Le 19:17 Il peccato è la peggior cosa da aggiungere alla loro
sciagura. Non si deve né favorire, né sfavorire il povero nel suo processo, Eso 23:3 né
lasciarsi influenzare da sguardi tristi o alteri, tanto da pervertire la giustizia. Si
dimostrerebbe infatti di avere dei riguardi personali. Eliu non avrebbe mentito nemmeno:

(b) Per soddisfare gli amici di Giobbe, data la loro ricchezza e la loro reputazione. Non
dovevano aspettarsi una ripetizione delle loro parole, dato che non era convinto che
avessero parlato bene, né un elogio delle loro esortazioni solo per onorarli. No, anche se
Eliu era giovane e aveva strada da fare, non avrebbe mascherato la verità per ottenere il
favore di persone importanti. Aveva fatto un buon proponimento: « Adulare io non so.
Non sono abituato a lusingare ». Era buono anche il motivo di quel proponimento: se lo
facessi, il mio Fattore tosto mi toglierebbe di mezzo. È bene conservare un santo timore

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 255


dei giudizi di Dio. Chi ci ha creato ci toglierà di mezzo nella sua ira, se non ci comportiamo
come dovremmo. Dio odia la finzione e l’adulazione. Ben presto ammutolirà le labbra
bugiarde e reciderà tutte le labbra lusinghiere. Sl 31:18 12:3 Più consideriamo la maestà di
Dio come nostro Creatore e più temiamo la sua ira e la sua giustizia, meno corriamo il
pericolo di temere ciò che non dovremmo o di adulare gli altri.

Giobbe 33

Spesso, le prefazioni enfatiche, simili a montagne brulicanti, sono seguite da povere


esposizioni. Il discorso di Eliu, invece, non delude le aspettative. È solido, energico e molto
pertinente. Nel capitolo precedente, Eliu aveva detto ciò che aveva da dire ai tre amici di
Giobbe. Ora si rivolge a lui direttamente.

I. Prevede la reazione favorevole di Giobbe alle sue parole e chiede di essere accettato
come la persona che egli aveva spesso desiderato, un intercessore che ricevesse le sue
richieste da parte di Dio. Gb 33:1-7

II. Gli rivolge un’accusa nel nome di Dio per delle sue parole espresse nel fervore della
disputa, che rappresentavano un Dio duro nei suoi confronti. Gb 33:8-11

III. Cercò di convincerlo del suo errore e della sua follia, dimostrandogli:

1. Il dominio assoluto di Dio sull’uomo. Gb 33:12,13

2. La cura che Dio si prende dell’uomo e i diversi metodi e mezzi che impiega per fargli del
bene, che evidentemente si prefigge quando infligge dei mali fisici. Gb 33:14

(a) Giobbe si era a volte lamentato di sogni inquieti. Gb 7:14 « Ebbene », disse Eliu, « Dio
a volte persuade e ammonisce gli uomini proprio nei sogni ». Gb 33:15-18

(b) Giobbe si era specialmente lamentato dei suoi malanni e dei suoi dolori. A questo
riguardo, Eliu dimostra esaurientemente che non erano affatto un segno dell’ira di Dio,
come pensava Giobbe, né dimostrazioni dell’ipocrisia di Giobbe, come dicevano i suoi
amici, ma che erano in realtà dei metodi saggi e amorevoli della grazia divina per aiutarlo
a conoscere meglio Dio e per generare in lui pazienza, esperienza e speranza. Gb 33:19-
30 Eliu conclude con la richiesta che Giobbe gli risponda o gli permetta di continuare. Gb
33:31-33

Gb 33:1-7

Eliu si serve di diversi argomenti per persuadere Giobbe non solo ad ascoltarlo
pazientemente, ma a credere che gli aveva dato un buon suggerimento, ad accettarlo
bene e a essere disposto a ricevere le istruzioni che stava per offrirgli. Giobbe doveva
considerare che:

1. Eliu non si era messo insieme agli altri tre amici contro di lui. Nel capitolo precedente,
aveva dichiarato la sua disapprovazione dei loro procedimenti, confutando le loro ipotesi e
censurando il loro sistema di portare guarigione a Giobbe. « Ma pure, ascolta, o Giobbe, il
mio dire. Gb 33:1 Gli altri hanno cantato lo stesso ritornello. Io ho una proposta diversa:

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 256


Porgi orecchio a tutte le mie parole, e non solo ad alcune ». Non possiamo giudicare un
discorso se non lo ascoltiamo interamente e non prestiamo attenzione a tutto il contenuto.

2. Voleva fare un discorso solenne e non solo dire una parola o due per dimostrare la sua
abilità. Dopo un lungo silenzio, aveva aperto la bocca, Gb 33:2 con proposito e
deliberazione. Aveva riflettuto bene prima di parlare, ed era pronto a continuare, se
Giobbe lo avesse incoraggiato a farlo, prestandogli attenzione.

3. Era deciso a dire quello che pensava: « Nelle mie parole è la rettitudine del mio cuore, il
prodotto sincero delle mie convinzioni e dei miei sentimenti ». Gb 33:3 C’era motivo di
sospettare che i tre amici di Giobbe non pensassero, in coscienza, che Giobbe fosse così
empio come lo avevano descritto per sostenere la loro ipotesi. E non era giusto. È ignobile
condannare, solo per servire a uno scopo, delle persone che, in tutta coscienza, non
possiamo fare a meno di stimare. Eliu è onesto, e disdegna un comportamento del genere.

4. Avrebbe parlato chiaramente, senza ambiguità o incomprensioni: Le mie labbra diranno


sinceramente quello che so. Giobbe avrebbe potuto capirne facilmente il significato e
comprenderne gli intenti. Chi parla di questioni divine deve evitare attentamente di far
nascere incomprensioni o perplessità sui concetti o sull’espressione, ma deve parlare con
la massima chiarezza, dimostrando così la propria sincerità e comprensione di quegli stessi
insegnamenti, per il giovamento degli ascoltatori.

5. Nel suo discorso, avrebbe fatto il miglior uso possibile della ragione e della
comprensione che Dio gli aveva dato, cioè di quell’anima razionale che aveva ricevuto
dallo spirito di Dio e dal soffio dell’Onnipotente. Gb 33:4 Si considerava indegno di entrare
in competizione con i suoi anziani. Non voleva però essere disprezzato per la sua età.
Come gli altri, era stato creato da Dio, formato dalla stessa mano, dotato degli stessi nobili
poteri e delle stesse facoltà e inteso per lo stesso, grande fine. Perché quindi il Dio che
l’aveva creato non avrebbe potuto usarlo per fare del bene a Giobbe? Con quello stesso
pensiero dobbiamo spronarci (come forse fece Eliu) a fare del bene dovunque siamo,
secondo le nostre abilità. Dio ci ha creato e ci ha dato una vita che dobbiamo cercare di
usare per qualche buon fine e di trascorrere rendendogli gloria e servendo il nostro
prossimo secondo la sua volontà. Raggiungeremo così lo scopo della nostra creazione e
non si dirà che siamo stati formati invano.

6. Sarebbe stato ben disposto ad ascoltare qualunque obiezione di Giobbe: « Se puoi,


rispondimi. Se ti è rimasta un po’di forza di corpo e di spirito, e i tuoi mali e la disputa non
ti hanno del tutto esaurito, prepara le tue ragioni, e le prenderò in considerazione ». Gb
33:5 Chi parla razionalmente ascolta la voce della ragione.

7. Giobbe aveva spesso desiderato che qualcuno gli apparisse nelle veci di Dio per potergli
parlare liberamente e per potergli affidare il giudizio, come a un arbitro. Eliu era quel
qualcuno: Secondo il tuo desiderio, io sono qui al posto di Dio. Gb 33:6 KJV Giobbe aveva
chiesto ardentemente: Oh! potesse pur l’uomo patire con Dio! Gb 16:21 e: Oh sapessi
dove trovarlo! Gb 23:3 Lo desiderava però solo perché i suoi terrori non lo spaventassero
più. Gb 13:21 « Guardami », dice Eliu, « una volta sola, come rappresentante di Dio.
Cercherò di presentarti la sua causa e di mostrarti come lo hai accusato e che cos’ha
contro di te. Le richieste o le lamentele che vuoi fare a Dio, puoi farle a me ».

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 257


8. Eliu era un suo pari: « Anch’io, fui tratto dall’argilla, come il primo uomo Ge 2:7 e come
te ». Giobbe aveva addotto questo motivo a Dio perché non lo trattasse con troppa
durezza: Ricordati che m’hai plasmato come argilla. Gb 10:9 « Anch’io », dice Eliu, « sono
stato tratto dall’argilla come te », dalla stessa argilla, secondo alcuni. È bene ricordarci che
siamo stati tratti dall’argilla. È anche un bene che chi sulla terra rappresenta Dio è stato
formato allo stesso modo. Dio ci parla tramite uomini come noi, secondo la richiesta di
Israele, che domandò un pieno processo. De 5:24 Nella sua saggezza, Dio ha posto il
tesoro in vasi di terra come noi. 2Co 4:7

9. Giobbe non doveva temere il suo assalto: « Spavento di me non potrà quindi
sgomentarti ». Gb 33:7 Non ti sgomenterò:

(a) « Come gli altri amici con le loro discussioni. Non ti rimprovererò come loro. Non ti
accuserò di gravi colpe ».

(b) « Come farebbe Dio se venisse a parlarti in persona. Io sono qui al tuo livello, fatto del
tuo stesso stampo, e non posso quindi incutere lo stesso terrore che proveresti
giustamente di fronte alla Maestà divina ». Per persuadere giustamente gli uomini,
dobbiamo usare la ragione e non il terrore, le giuste considerazioni e non la forza.

Gb 33:8-13

In questi versetti,

I. Eliu accusa particolarmente Giobbe di avere parlato impropriamente della giustizia e


della bontà di Dio nei suoi confronti. Non basa la sua accusa sulle parole di altri. Lo aveva
sentito lui stesso: « Davanti a me e di fronte a tutti i presenti tu dunque hai detto ». Gb
33:8 Se lo avesse sentito da altri, avrebbe potuto sperare che non fosse così negativo
come sembrava. Non lo aveva sentito in una conversazione privata con Giobbe, perché
non sarebbe stato così rude da ripeterlo pubblicamente. Giobbe lo aveva detto
apertamente e doveva quindi essere rimproverato apertamente. Riprendi di fronte a tutti
chi pecca davanti a tutti. Se sentiamo delle parole che tendono a disonorare la dignità di
Dio dobbiamo contrastarle pubblicamente. Dobbiamo riprendere le affermazioni errate. Voi
mi siete testimoni, dice l’Eterno, contro gli accusatori.

1. Giobbe si era definito innocente. Tu hai detto: Io sono puro, senza peccato. Gb 33:9
Non lo aveva ripetuto totidem verbis-con tante parole. Anzi, aveva riconosciuto di avere
peccato e di essere stato impuro di fronte a Dio. Aveva però detto: Sai ch’io non son
colpevole, difendo la mia giustizia, e altre cose del genere, sulle quali Eliu poteva avere
fondato la sua accusa. Era vero che Giobbe era un uomo giusto e perfetto, e non come lo
avevano rappresentato i suoi amici, ma non avrebbe dovuto insistere su quel fatto, come
se Dio gli avesse fatto torto nell’affliggerlo. Non sembra però giusta l’accusa di Eliu che
Giobbe si fosse dichiarato puro e senza alcun peccato, perché si era solo detto giusto e
innocente della grande trasgressione. Chi parla con foga e senza cautela si rende prono a
essere travisato. Si deve fare più attenzione.

2. Aveva descritto un Dio severo nel tener conto dei suoi sbagli e pronto ad andargli
contro, Gb 33:10,11 come se fosse in cerca di un’opportunità di contrastarlo. Trova contro
me degli appigli ostili, il che presuppone che li aveva cercati. Aveva detto: Tu osservi i miei

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 258


peccati. Gb 14:16,17 Mi tiene per suo nemico. Anche questo aveva già dichiarato
espressamente. Gb 13:24 19:11 « Mi mette i piedi nei ceppi, per impedirmi sia di lottare
con lui, che di fuggire da lui », un concetto che aveva già affermato. Gb 13:27 Spia tutti i
miei movimenti, come lo aveva già accusato di fare. Gb 13:27

II. Eliu cerca quindi di convincerlo che aveva parlato ingiustamente e che avrebbe dovuto
umiliarsi di fronte a Dio, rimediando con il pentimento: Ecco, in questo tu non sei stato
giusto. Gb 33:12 D In questo non hai ragione, secondo alcuni. Notate la differenza tra
l’accusa di Eliu contro Giobbe e quella degli altri suoi amici, che non gli attribuirono alcuna
giustizia. Eliu dice solo: « In questo, in questa tua affermazione, non sei stato giusto ».

1. « Non sei stato giusto verso Dio ». La giustizia rende ciò che è dovuto. Se non
riconosciamo la rettitudine e la bontà di Dio in tutte le espressioni della sua provvidenza
verso di noi, dichiarandolo giusto in tutte le sue vie e buono in ogni caso, non gli rendiamo
ciò che gli è dovuto, e quindi non siamo giusti verso di lui.

2. « Non parli il linguaggio di un giusto. Non nego che tu sia giusto, ma in questo caso
non lo sembri ». Molte persone giuste, in certi casi, parlano e si comportano diversamente
dal solito. Da un lato quindi non dobbiamo trattenerci dal far notare anche a un giusto le
sue mancanze e i suoi sbagli, senza lusingarlo nei suoi errori e nelle sue passioni, o non gli
dimostreremmo vera cortesia. D’altro lato invece non dobbiamo classificare o giudicare il
carattere di un uomo basandoci solo su un caso o su qualche parola mal detta, o non
saremmo giusti. Tutti falliamo in molte cose, e dobbiamo quindi essere onesti nel
biasimare. Eliu fa notare a Giobbe due cose, per convincerlo di avere parlato male:

(a) Dio è infinitamente superiore a noi ed è quindi assurdo contrastarlo. Se infatti ci


venisse contro con il suo grande potere, non potremmo resistergli. Io ti risponderò, dice
Eliu, con una frase che da sola si dimostra vera: Dio è più grande dell’uomo. Non c’è
dubbio al proposito. Tra Dio e l’uomo non c’è confronto. Giobbe aveva detto molte parole
giuste sulla grandezza di Dio, sul suo potere e sulla sua incontestabile sovranità. « Ora »,
dice Eliu, « considera semplicemente le stesse tue parole, riferendole a te stesso. Se Dio è
più grande dell’uomo, è anche più grande di te, e devi quindi pentirti di quei tuoi pensieri
negativi e sgradevoli sulla sua natura, vergognandoti della tua follia e tremando di fronte
alla tua presunzione ». Notate: Questa verità semplice e incontestabile: Dio è più grande
dell’uomo, se accettata, basta a mettere a tacere e a svergognare tutte le nostre
lamentele contro la sua provvidenza e le nostre obiezioni contro i suoi procedimenti nei
nostri confronti. Dio è non solo più saggio e potente di noi, per cui lottare contro di lui
sarebbe troppo arduo e non servirebbe a niente, ma ha anche più saggezza, più giustizia e
più bontà, che sono le glorie e le perfezioni trascendenti della natura divina, per cui è
superiore all’uomo. È quindi folle e assurdo criticarlo, perché ha certamente ragione.

(b) Dio non ci deve spiegazioni. Perché contendi con lui? Gb 33:13 Chi si lamenta degli atti
di Dio lotta contro di lui, gli fa causa, lo incrimina e intenta un processo. E perché? Per che
motivo e a che proposito? Notate: È assurdo che noi deboli, sciocche creature
peccaminose cerchiamo di lottare contro un Dio infinitamente saggio, potente e buono.
Guai all’argilla che lotta contro il vasaio, poich’egli non rende conto d’alcuno dei suoi atti.
Dio non è obbligato a darci una giustificazione delle sue opere, né a rivelarci i suoi piani
(in che modo, a che ora, con quali mezzi), né a dirci perché ci tratta in un certo modo.
Non deve giustificare i suoi atti, né soddisfare le nostre pretese e le nostre inchieste. I suoi

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 259


giudizi si giustificheranno da soli. Se non ci soddisfano, è colpa nostra. Siamo quindi
sfacciatamente malvagi se chiamiamo a giudizio Dio, esigendo una spiegazione delle sue
azioni, o dicendogli: Che fai? o, Perché fai così? Egli non dichiara tutte le sue ragioni
(secondo alcuni): rivela quanto ci spetta di conoscere, come leggiamo nel versetto
seguente, Gb 33:14 ma ci sono delle cose occulte che non ci appartengono e che non
dobbiamo cercare di conoscere.

Gb 33:14-18

si era lamentato del fatto che Dio non gli aveva rivelato il significato delle sue azioni verso
di lui, e aveva quindi concluso che lo trattava da nemico. « No », dice Eliu, « ti parla, ma
tu non ci fai caso. La colpa è tua, non sua. E anche in quelle sue dispensazioni che tu
giudichi così duramente, vuole farti del bene ». Osservate in generale,

1. Come si sforza Dio di farci del bene: Iddio parla, bensì, una volta e anche due. Gb
33:14 Il fatto che voglia parlarci, nonostante la distanza e la breccia che ci separano, è un
segno del suo favore. Il fatto che voglia parlarci di ciò che ci sta a cuore, mostrandoci il
nostro dovere e il nostro interesse, ciò che vuole da noi e ciò che possiamo aspettarci da
lui, indicandoci i nostri errori e avvertendoci dei pericoli, mostrandoci la via e guidandoci
nel cammino dimostra la sua bontà nei suoi piani. Lo fa una volta e anche due, cioè
ripetutamente. Se non ascoltiamo un avvertimento, ce ne dà un altro, non volendo che
alcuni periscano. È un continuo dar precetto dopo precetto, regola dopo regola, perché i
peccatori non abbiano scuse.

2. Che male facciamo a noi stessi: l’uomo non ci bada, cioè non dà ascolto, non ci fa caso,
non distingue e non capisce, non si accorge che è la voce di Dio e non accetta ciò che gli
viene rivelato. Per lui, è follia. Si tura le orecchie, blocca la propria luce, respinge a suo
danno il consiglio di Dio, e non acquista saggezza dagli insegnamenti della saggezza
stessa. Dio ci parla tramite la nostra coscienza, tramite i suoi atti provvidenziali e tramite i
suoi ministri, di cui Eliu trattò esaurientemente per dimostrare a Giobbe che Dio gli stava
parlando e gli stava facendo un favore, anche quando sembrava che lo tenesse all’oscuro,
trattandolo da straniero, e che lo tenesse nei guai, trattandolo da nemico. Non esisteva
allora, che si sappia, una rivelazione divina scritta, per cui Eliu non la elenca tra i metodi
che Dio impiega per parlare agli uomini, mentre ora è il metodo principale. In questi
versetti, Eliu spiega come Dio insegna e ammonisce gli uomini tramite la loro coscienza.
Osservate:

I. Il momento e l’opportunità migliori per queste ammonizioni: per via di sogni, quando sui
loro letti essi giacciono assopiti, Gb 33:15 quando si ritirano dal mondo, dalle sue
occupazioni e dalle sue relazioni. E un momento ideale per ritirarsi nel proprio intimo e
meditare da soli, sul letto, in silenzio. Sl 4:4 È l’ora in cui Dio ci parla personalmente. Di
solito:

1. Mandò gli angeli, i suoi inviati speciali, a portare dei messaggi agli uomini di notte,
quando il sonno profondo inibisce i sensi e la mente è più libera di ricevere quelle
immediate comunicazioni di luce divina. Fu così che si rivelò ai profeti in visioni e sogni. Nu
12:6 Fu così che avvertì Abimelec, Ge 20:3 Labano Ge 31:24 e Giuseppe. Mt 1:20 Fu così
che fece conoscere al Faraone e a Nabucodonosor ciò che sarebbe avvenuto.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 260


2. Risveglia la coscienza, il suo comune delegato, che spinge l’animo umano a svolgere il
suo volere, quando gli uomini sono profondamente addormentati (anche se i sogni
vengono soprattutto dall’immaginazione, a volte vengono dalla coscienza) o sonnecchianti,
in un dormiveglia, riflettendo, di notte, sugli affari del giorno precedente o, al mattino, su
quelli del nuovo giorno. È il momento ideale per sentire i rimproveri del cuore e le sue
istruzioni sul da farsi. cfr. Is 30:21

II. Il potere e la forza di quelle ammonizioni. Quando Dio usa le persuasioni e i comandi
della coscienza per il bene degli uomini, fa anche in modo che:

1. Il cuore li accetti e li ascolti: Allora egli apre le orecchie degli uomini, che erano prima
chiuse alla voce di quell’incantatore. Sl 58:5 Apre il cuore, come fece per Lidia, e le
orecchie. Toglie ogni occlusione, perché la persuasione possa trovarne o forzarne l’entrata.
Anzi, opera nell’anima la sottomissione alla coscienza e il rispetto delle sue regole, che
segue l’apertura delle orecchie: l’Eterno m’ha aperto l’orecchio, e io non sono stato ribelle.
Is 50:5

2. Rimangano fissi nel cuore: Sigilla gli ammonimenti che dà loro (Giobbe 33:16L ND), cioè
l’istruzione stabilita e preparata per loro. Fa sì che le loro anime ne ricevano la profonda,
duratura impressione, come quella di un sigillo. Quando il cuore si adatta alle istruzioni
divine come a uno stampo, l’opera è completa.

III. Il proposito e il fine di queste ammonizioni. Sono inviate per trattenere l’uomo:

1. Dal peccato, soprattutto dalla superbia: per distoglier l’uomo dal suo modo d’agire, Gb
33:17 cioè dai suoi intenti malvagi. Possono infatti mutare il suo modo di pensare e il
corso della sua vita, la sua disposizione e inclinazione, o prevenire qualche peccato
particolare in cui è in pericolo di cadere. Possono anche distoglierlo dal suo lavoro e fargli
abbandonare le sue occupazioni umane per il mondo e per la carne, persuadendolo a
dedicarsi all’opera di Dio. Molti sono fermati nel mezzo di un atto peccaminoso dai
tempestivi avvertimenti della loro coscienza, che dice: Non fate questa cosa abominevole
che Dio odia. Particolarmente, in questo modo, Dio nasconde la superbia, cioè allontana
l’uomo da ciò che l’alimenta, distogliendo la sua mente e ricordandogli il motivo della sua
umiltà. Gb 33:17 KJV Gli tiene lontano la superbia (secondo alcuni), per estirpare quella
radice di amarezza che causa tanti peccati. Dio umilia tutti coloro per cui serba
misericordia, allontanandoli dalla superbia. La superbia rende desiderosi e risoluti nel
perseguimento dei propri scopi. Il superbo vuole fare a modo suo. Dio quindi lo allontana
dai suoi intenti, mortificando il suo orgoglio.

2. Dalla rovina. Gb 33:18 Mentre i peccatori cercano di svolgere i loro piani malvagi,
soddisfando la superbia, le loro anime si affrettano verso la fossa, la spada e la
distruzione, sia in questo mondo che in quello a venire. Quando però Dio, mediante gli
avvertimenti della coscienza, li allontana dal peccato, salva l’anima dalla fossa, dal pozzo
dell’abisso, e la vita dal dardo mortale della sua vendetta. L’iniquità non sarà quindi la loro
rovina. Ciò che allontana dal peccato salva dall’inferno, salva l’anima dalla morte. Gm 5:20
Che espressione di misericordia sono i freni di una coscienza sveglia. Fedeli sono le ferite e
amorevoli i legami di quell’amica che salva l’anima dalla morte eterna.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 261


Gb 33:19-28

Prima, Dio parla ai peccatori tramite la coscienza, per trattenerli dalle vie del distruttore,
ma non ci fanno caso. Non si accorgono che è Dio ad avvertirli, mentre percorrono la via
del peccato. Pensano che si tratti di depressione, o di un loro eccessivo riguardo alle
buone maniere. Dio quindi parla una seconda volta, cercando di convincerli in altro modo,
cioè con le opere della sua provvidenza, che affliggono, ma con misericordia, e con le
giuste istruzioni dei suoi buoni ministri. Giobbe si lamentava dei suoi mali, deducendo,
come ribadirono anche i suoi amici, che Dio era adirato contro di lui. I suoi amici lo
ribadirono. Eliu dimostrò invece che si sbagliavano tutti. Spesso Dio affligge il corpo per
amore e con piani benefici per l’anima, come in questo caso. Questa parte del discorso di
Eliu è ottima per aiutarci ad avvantaggiarci della malattia, nella quale e tramite la quale
Dio parla all’uomo. Troviamo qui:

I. La descrizione del paziente nelle sue peggiori condizioni. Notate come opera la malattia
Gb 33:19 ss. quando Dio la manda con un incarico. Fa’questo, e lo fa. Il malato:

1. È assalito dal dolore. L’uomo è anche ammonito sul suo letto. Gb 33:19 Il dolore lo
costringe a stare a letto, oppure è così intenso da non dargli riposo nemmeno a letto. Il
dolore e la malattia trasformano un letto di piume in un letto di spine, su cui chi prima
dormiva bene si rigira fino all’alba. La condizione qui descritta è molto grave. Il dolore si
sopporta più difficilmente della semplice malattia, ed è proprio il castigo di cui parlano
questi versetti: non un dolore costante e opprimente, ma acuto e penetrante. Spesso, più
forte è il paziente, più aspro è il dolore. Di solito, più sanguigno è il carattere, più violenta
è la malattia. Eliu non parla di dolori muscolari, ma di dolori delle ossa. Si tratta di una
sofferenza interna e radicata, non solo di un gruppo di ossa, ma di una moltitudine. Gb
33:19 KJV Com’è debole e abietto il nostro corpo che, senza intervento esterno, è afflitto
da cause interiori! Che guai causa il peccato, di cui il dolore è un frutto. Tuttavia, per
grazia di Dio, il dolore fisico diventa spesso un portatore di bene per l’anima.

2. Perde l’appetito, un effetto di molte malattie: Ha in avversione il pane, il cibo più


necessario, e i cibi più squisiti, che più amava. Gb 33:20 È un buon motivo per non
bramare i bocconi delicati che sono un cibo ingannatore. Pr 23:3 Potremmo un giorno
provarne un disgusto pari al desiderio che proviamo ora. Chi vive nel lusso quando sta
bene di salute, ma finisce, nella malattia, per provare repulsione di fronte ai cibi più
squisiti può riconoscere, con dolore e vergogna, il proprio peccato nella punizione. Non
amiamo troppo il sapore dei cibi, perché un giorno potremmo odiarne anche solo la vista.
Sl 107:18

3. Diventa uno scheletro, pelle e ossa: Dopo forse diversi giorni di malattia, la carne, bella
e piena, gli si consuma e sparisce, quasi stranamente, mentre le ossa, prima invisibili tra la
carne, gli escono fuori e si possono contare e riconoscere. Gb 33:21 La malattia non
consuma l’anima ben nutrita con il pane della vita, ma trasforma il corpo. Chi prima era
piacevole e sereno e, viziato dagli agi, bello e pieno, lascia tutti gli amici sconcertati, con
guance pallide e occhi infossati. Le ossa sporgono orrende tra la pelle che le celava tra le
carni belle. — Sir R. Blackmore

4. È ritenuto già morto, senza più speranza: L’anima sua si avvicina alla fossa, Gb 33:22
cioè ha già tutti i sintomi della morte. Tutti, lui compreso, lo considerano moribondo. I

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 262


dolori della morte, o quelli che danno la morte, stanno per assalirlo. Sono alle soglie. Sl
116:3 È forse un’espressione delle terribili angosce che, all’ultimo momento, fanno
apparire distruttiva la stessa morte che, quando era lontana, era oggetto di scherzo.
Quando giunge l’ultima ora, tutti, qualunque fossero stati i loro pensieri in precedenza,
concordano sulla serietà dell’evento.

II. Le sue fonti di istruzione, perché l’afflizione possa produrre santificazione e perché Dio
non parli invano, ma sia udito e compreso quando gli si rivolge in quel modo. Il malato è
felice se allora vi è appresso di lui alcun messo ad assisterlo nella malattia e a dargli
consigli, persuasione e conforto, Gb 33:23 D un interprete che gli riveli la provvidenza di
Dio e lo aiuti a comprenderne il significato, un uomo assennato che conosce la voce
dell’afflizione e la sua interpretazione. È un linguaggio che ci è così poco familiare che
abbiamo bisogno di un interprete per comprenderlo. I consigli e l’aiuto di un buon ministro
del Vangelo sono necessari e opportuni e devono essere accolti, nella malattia, come quelli
di un buon medico, soprattutto se il ministro è abile nell’arte di spiegare e mettere in
pratica gli atti della provvidenza. Sarà uno solo fra i mille, da essere valutato come tale. In
quei casi, dovrà mostrare all’uomo la sua giustizia, Gb 33:23 KJV cioè la giustizia di Dio,
che lo affligge nella sua fedeltà e non gli fa torto. È un concetto di cui dobbiamo essere
convinti per poter trarre giovamento dalle nostre afflizioni. Può anche significare,
nell’uomo, la giustizia o la rettitudine:

1. Che egli possiede. Se il malato è ovviamente devoto a Dio, l’interprete non parlerà come
gli amici di Giobbe, che cercarono di dimostrarlo ipocrita solo perché era afflitto. Al
contrario, gli indicherà la sua giustizia, nonostante le afflizioni, perché possa trarne
conforto e stare sereno, in ogni circostanza.

2. Che dovrebbe avere, per trovare vita e pace. Quando gli uomini riescono a vedere la via
della giustizia come unica via e certezza di salvezza, e scelgono di percorrerla, l’opera è
svolta.

III. La misericordiosa accettazione di Dio, dopo il pentimento. Gb 33:24 Se Dio vede che il
malato è realmente convinto che il pentimento sincero e la giustizia, che è la perfezione di
cui parla il Vangelo, sono nel suo interesse oltre a essere un suo dovere, ha pietà di lui, e
gli dimostra favore e considerazione in eterno. Dio vuole essere misericordioso e dimostra
pietà alla prima indicazione di vero pentimento. In un buon cuore, si rivela un buon Dio.
Inoltre:

1. Darà ordine di rilascio. Dirà: Risparmialo, che non scenda nella fossa! Quando le
afflizioni avranno servito al loro scopo, saranno tolte. Quando ritorniamo a Dio in
obbedienza, egli ritorna a noi in misericordia. A chi riceve i suoi messaggeri e comprende
bene i suoi interpreti, accettando la sua giustizia, sarà risparmiata la fossa.

2. Darà un generoso motivo per quell’ordine: Ho trovato il suo riscatto, la sua


propiziazione, Gesù Cristo. Eliu lo chiama Riscatto, così come Giobbe lo aveva chiamato il
suo Redentore. Cristo è infatti il compratore e il prezzo, il sacerdote e il sacrificio. Dio
valuta tanto le anime umane che nient’altro potrebbe riscattarle, e ritiene così grande
l’offesa resa dal peccato che può essere espiata solo con il sangue di suo Figlio, che diede
la sua vita come prezzo di riscatto per molti. È un riscatto provveduto da Dio, un’idea della
Saggezza Infinita. Non avremmo mai potuto trovarla da soli, né con l’aiuto degli angeli. È

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 263


la sapienza di Dio misteriosa ed occulta, un’idea che è e sarà sempre la meraviglia eterna
di quei principati e quelle potestà che cercano di esaminarla. Notate come si gloria Dio in
quella sua idea: heureka, heureka. « Ho trovato, ho trovato il riscatto. Io, proprio io, l’ho
fatto ».

IV. La conseguente guarigione del malato. Togliete la causa, e terminerà l’effetto. Quando
il paziente diventa penitente, si nota un grande cambiamento.

1. La salute fisica è, non sempre, ma a volte, una conseguenza del pentimento e del
ritorno a Dio. Gb 33:25 La guarigione è una vera espressione di misericordia quando
scaturisce dalla remissione dei peccati. È per amore dell’anima che il corpo è liberato dalla
fossa della corruzione, perché Dio si getta dietro alle spalle tutti i miei peccati. Is 38:17 È il
metodo tipico di una guarigione divina, prima: Figliuolo, sta’di buon animo, i tuoi peccati ti
sono rimessi, e poi: Lèvati, prendi il tuo letto e vattene. Mt 9:2,6 In questo caso, avendo
trovato interesse nel riscatto, la sua carne diverrà fresca più di quella d’un bimbo. Non
rimarrà più traccia di indisposizione, ma tornerà ai giorni della sua giovinezza, alla bellezza
e alla forza di allora. Quando la natura è liberata dai suoi mali, c’è uno strano processo di
autoguarigione in cui dobbiamo riconoscere il potere e la bontà di Dio. Tramite questi atti
misericordiosi della sua provvidenza, durante le afflizioni, Dio parla agli uomini una volta e
anche due, perché conoscano (volendo) la loro dipendenza da lui e la sua amorevole
compassione verso di loro.

2. La sua anima ritrova la pace. Gb 33:26

(a) Il paziente, in quanto penitente, è anche un supplicatore, avendo imparato a pregare.


Sa che i favori di Dio devono essere richiesti, e quindi lo implora, chiedendo perdono e
salute. C’è fra voi qualcuno che soffre ed è infermo? Preghi. Se poi guarisce, non deve
pensare che la preghiera non sia più necessaria. Abbiamo bisogno della grazia di Dio per
la santificazione di una misericordia quanto per la santificazione di un’afflizione.

(b) Le sue preghiere sono accettate. Dio gli è propizio si compiace di lui. La sua ira è
placata e la luce del suo volto gli risplende sull’anima. Di conseguenza,

(c) Ha il conforto della comunione con Dio. Vede il suo volto, che gli era stato nascosto,
con gioia, perché non c’è visione più rivitalizzante. Come uno vede la faccia di Dio. Ge
33:10 Tutti i veri penitenti gioiscono più nel rinnovato favore di Dio che in qualunque
ricchezza o piacere. Sl 4:6,7

(d) Ha una grande tranquillità d’animo che sorge dal suo senso di giustificazione di fronte
a Dio, che lo considera di nuovo come giusto. Riceve l’espiazione, cioè il conforto. Ro 5:11
Gli sarà imputata la giustizia, gli si parlerà di pace, e udrà la gioia e l’allegrezza che non
aveva potuto udire ai tempi della sua afflizione. Dio lo tratta come un giusto per il quale
tutto andrà bene. Riceverà benedizione dall’Eterno, e giustizia. Sl 24:5 Dio gli darà la
grazia necessaria per andare e non peccare più. Forse questo indica il cambiamento della
sua vita dopo la guarigione. Avendo pregato il Dio che aveva trascurato, farà giustizia a
chi aveva fatto del male, restituirà il dovuto e agirà giustamente.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 264


V. La regola generale che Dio segue nel trattare gli uomini. Gb 33:27,28 Così come Dio
guarisce i malati che si sottomettono a lui, allo stesso modo dimostra misericordia verso
tutti coloro che si pentono sinceramente dei propri peccati. Notate:

1. Che cos’è il peccato e perché non dobbiamo peccare. Conosciamo la natura del peccato
e la sua malvagità? È la perversione del bene. È un atto totalmente ingiusto e
irragionevole. È la ribellione della creatura contro il Creatore, l’usurpazione del dominio
della carne su quello dello spirito, e una contraddizione alle regole e alle ragioni eterne del
bene e del male. È una perversione delle diritte vie del Signore, At 13:10 per cui le vie del
peccato sono chiamate tortuose. Sl 125:5 Sappiamo che cosa ci rende? Non ci giova
punto. Gb 33:27 D Le opere delle tenebre sono infruttuose. Se soppesiamo i profitti e le
perdite, tutti i guadagni del peccato non bilanceranno mai il danno. È qualcosa che tutti i
veri penitenti devono ammetterlo, per umiliante che sia. Qual frutto dunque avevate allora
delle cose delle quali oggi vi vergognate? Ro 6:21

2. Che cos’è il pentimento e perché dobbiamo pentirci. Vogliamo essere dei veri penitenti?
Dobbiamo confessare i nostri peccati a Dio con un cuore rotto e contrito. 1Gv 1:9
Dobbiamo confessare il fatto di avere peccato (Ho peccato), senza negare l’accusa o
rivendicare la nostra giustificazione. Dobbiamo confessare l’errore, l’iniquità e la disonestà
del peccato (Ho pervertito la giustizia). Dobbiamo confessare la follia del peccato: « Sono
stato sciocco e ignorante, perché non mi ha giovato. Perché quindi dovrei continuare? ».
Non abbiamo forse un buon motivo di fare un simile atto di pentimento? Infatti:

(a) Dio se l’aspetta. Si volge verso gli uomini, quando peccano, per vedere che cosa
faranno, se continueranno o se si fermeranno e torneranno indietro. Sente se qualcuno
dice: Che ho fatto? Gr 8:6 Li guarda con compassione, desiderando sentire quelle parole,
perché non ha piacere nella loro rovina. Li tiene d’occhio e, appena nota questi atti di
pentimento, li incoraggia ed è pronto ad accettarli, Sl 32:5,6 come il padre del prodigo che
uscì a incontrarlo.

(b) Ci renderà un grande vantaggio. La promessa è generale. Chiunque si umilierà in quel


modo, [1] Non sarà condannato, ma sarà salvato dall’ira a venire: Iddio riscuoterà l’anima
sua, che non passi nella fossa, la fossa infernale. L’iniquità non sarà la sua rovina. [2]
Godrà di vita e gioia eterne: E la vita sua vedrà la luce, cioè tutto il bene, nella visione e
nel godimento di Dio. Se il profeta ci avesse chiesto di fare qualcosa di grande per
ottenere tale gioia, non l’avremmo fatto? Quanto più se solo ci dice: Làvati, e sarai
mondato, confessa e sarai perdonato, pentiti e sarai salvo?

Gb 33:29-33

Troviamo qui la conclusione della prima parte del discorso di Eliu, in cui,

1. Riassume brevemente ciò che ha già detto, dimostrando che il grande, amorevole piano
di Dio, in tutto l’operato della sua provvidenza verso i figli degli uomini, è intento a salvarli
da una miseria eterna e a condurli a una gioia senza fine. Gb 33:29-30 Tutto questo Iddio
lo fa all’uomo. Dio parla tramite la coscienza, gli atti della provvidenza, i suoi ministri, i
suoi atti di misericordia, le afflizioni. Fa ammalare e guarisce. È tutto il suo operato. Ha
fatto l’uno contrapposto all’altro, Ec 7:14 D ma la sua mano è su di tutti. È lui che fa ogni
cosa per noi. Tutti gli atti della provvidenza devono essere visti come le opere di Dio verso

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 265


l’uomo, le sue contese con lui. Dio usa diversi metodi per il nostro bene. Se un’afflizione
non funziona, ne proverà un’altra. Se neanche quella servirà al caso, farà un atto di
misericordia, mandando un messaggero per interpretare entrambi. Spesso ripete le cose
due o tre volte. È così nella versione originale, che fa riferimento al versetto 14: Parla una
volta ed anche due. Se poi non basta, continua due o tre volte. Cambia metodo (abbiam
sonato il flauto, abbiam cantato de’lamenti) e ritorna allo stesso, ripetendo ogni
applicazione. Perché si affanna tanto per l’uomo? Per ritrarre l’anima di lui dalla fossa. Gb
33:30 Se Dio non si curasse di noi più di quanto noi non ci curiamo di noi stessi, saremmo
miserabili e ci autodistruggeremmo. Dio però vuole salvarci, ed escogita dei mezzi per
rimediare, tramite la sua grazia, al danno che ci rechiamo da soli. I metodi citati prima, i
sogni e le visioni, erano per salvargli l’anima dalla fossa, Gb 33:18 cioè per prevenire il
peccato, impedendogli di cadere. Questi altri metodi, la malattia e la parola, servono a
riportare indietro l’anima, per salvare chi è caduto nel peccato, perché non vi rimanga e
non perisca. Con il pentimento, Dio trae gli uomini dalla fossa perché su di loro splenda la
luce della vita, e perché possano avere conforto presente e felicità eterna. Dio porta in
cielo, che è l’eredità luminosa di tutti i santi, tutti coloro che salva dal peccato e
dall’inferno, che sono tenebre. È questo il suo fine in tutte le sue istituzioni e le sue
dispensazioni. Signore, che cos’è l’uomo, che tu lo visiti così? È un pensiero che dovrebbe
incoraggiarci ad assecondare i suoi piani, operando con lui per il nostro bene, senza
contrastarlo, e che rende eternamente imperdonabile chi perisce, rifiutando di essere
guarito, quando tanto è stato fatto per salvarlo.

2. Lascia intendere che Giobbe aveva accettato le sue parole e lo pregò di stare attento.
Gb 33:31 Dobbiamo prestare attenzione a ciò che è per il nostro bene.

(a) Se Giobbe voleva prendere in considerazione quelle parole, Eliu lo invita a fare
qualunque obiezione: « Se hai qualcosa da dire in tua difesa, rispondimi. Io sono giovane,
e tu sei anziano. Non intendo denigrarti: Parla, ché io vorrei poterti dar ragione. Non sono
come gli altri che hanno voluto condannarti ». Gb 33:32 Eliu voleva la verità, e non la
vittoria. Notate: Dovremmo essere contenti di poter dar ragione alle persone che
rimproveriamo e di scoprirle innocenti di ogni accusa, e dobbiamo quindi dar loro ogni
opportunità di discolparsi, e incoraggiarle a farlo.

(b) Se non Giobbe non aveva obiezioni da fare, Eliu gli dice che aveva altro da dire, e
chiede di essere ascoltato pazientemente: Taci, e t’insegnerò la saviezza. Gb 33:33 Chi
vuole dimostrare e apprendere saggezza deve ascoltare in silenzio, pronto ad ascoltare,
tardo al parlare. Giobbe era saggio e giusto, ma anche i saggi e i giusti possono
migliorare, e devono cercare di farlo, tramite la grazia e la sapienza.

Giobbe 34

Probabilmente Eliu aveva fatto una pausa per vedere se Giobbe avesse avuto qualcosa da
ridire contro il suo discorso nel capitolo precedente. Dato che era rimasto in silenzio,
probabilmente incoraggiandolo a continuare, Eliu riprese a parlare.

I. Parlò non solo dei suoi ascoltatori, ma della loro assistenza. Gb 34:2-4

II. Accusò Giobbe di altre sue espressioni spropositate. Gb 34:5-9

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 266


III. Cercò di convincerlo che aveva parlato ingiustamente, mostrandogli chiaramente:

1. L’incontestabile giustizia di Dio. Gb 34:10-12,17,19,23

2. Il suo dominio assoluto. Gb 34:13-15

3. Il suo potere onnipotente. Gb 34:20,24

4. La sua onniscienza. Gb 34:21,22,25

5. La sua severità contro i peccatori. Gb 34:26-28

6. La sua sovrana provvidenza. Gb 34:29-30

IV. Gli insegnò che cosa dire. Gb 34:31,32 Per finire, lasciò la cosa alla coscienza di
Giobbe, concludendo con un aspro rimprovero della sua permalosità e del suo scontento.
Gb 34:33-37 Giobbe non solo ascoltò pazientemente, ma lo accettò bene, vedendo che
Eliu aveva buone intenzioni. Inoltre, mentre le accuse degli altri amici avevano trovato una
discolpa nella sua coscienza, Eliu lo aveva accusato solo di cose che, probabilmente, il suo
cuore aveva già cominciato a fargli notare.

Gb 34:1-9

In questi versetti:,

I. Eliu si rivolse umilmente ai suoi ascoltatori, cercando, come un oratore, di ottenerne il


favore e l’attenzione.

1. Li chiamò savi e intelligenti. Gb 34:2 È piacevole parlare a chi comprende. Vi parlo come
a persone intelligenti; che sanno giudicare quello che dico. 1Co 10:15 Li chiamò savi e
intelligenti, anche se non condivideva la loro opinione. Le persone irascibili considerano
stupido chi non condivide le loro idee. È giusto invece riconoscere chi ha abbastanza buon
senno da capire, anche se non siamo d’accordo.

2. Si appellò al loro giudizio, sottomettendosi al loro processo. Gb 34:3 L’orecchio di chi ha


buon senso giudica dei discorsi, per determinare se sono veri o falsi, giusti o sbagliati, e
chi parla deve sottostare a quell’esame. Così come dobbiamo esaminare ogni cosa che
udiamo, dobbiamo anche permettere un esame delle nostre affermazioni.

3. Li invitò a unirsi a lui nell’esame e nella discussione di quella faccenda. Gb 34:4 Non
pretese di essere il solo dittatore, l’unico che potesse determinare che cosa è giusto e che
cosa è sbagliato, ma fu disposto a collaborare con loro e desiderò consigliarsi:
« Accordiamoci a mettere da parte le animosità e i feudi, i pregiudizi e le finte
contraddizioni, e tutta la nostra rigidità di opinione. Scegliamo quello ch’è giusto, i giusti
princípi su cui basarci, e i giusti metodi per scoprire la verità. Riconosciamo fra noi,
confrontando note e discutendo i nostri ragionamenti, quello ch’è buono e quello che non
lo è ». Notate: È più facile scoprire la verità quando ci si aiuta nella ricerca.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 267


II. Accusò con insistenza Giobbe di aver parlato aspramente del governo divino, chiedendo
ai presenti se chiamarlo a giudizio per esaminarlo.

1. Citò le parole di Giobbe, per quanto potesse ricordarle.

(a) Giobbe aveva insistito sulla sua innocenza. Aveva detto: Sono giusto. Gb 34:5 A chi lo
esortava a confessare la sua colpa, si era sempre pronunciato non colpevole. Mentirei io
intorno alla mia ragione? Gb 34:6 D Aveva anche detto: Ho preso a difendere la mia
giustizia e non cederò. Gb 27:6

(b) Aveva accusato Dio di essere ingiusto nei suoi confronti, di avergli fatto un torto che
non era stato riparato: Iddio mi nega giustizia. Gb 27:2

(c) Aveva perso ogni speranza di sollievo, concludendo che Dio non poteva o non voleva
aiutarlo: La mia ferita è incurabile, probabilmente mortale, ma sono senza peccato. Le mie
mani non commisero mai ingiustizia. Gb 16:16,17 KJV

(d) In effetti, aveva detto che non si guadagna nulla a servire Dio: Gb 34:9 Aveva detto, e
quindi probabilmente pensato, che non giova nulla all’uomo l’avere il suo diletto in Dio. È
chiaro che esiste una gratificazione immediata nella religione: la gioia che troviamo in Dio,
in comunione e, in accordo con lui, camminando con lui come Enoc. È una giusta nozione
della religione come fonte di piacere. Giobbe però ne negò i vantaggi, come se fosse vano
servire Iddio. Ml 3:14 Eliu pensò che fosse questa l’opinione di Giobbe, basandosi sulle sue
parole: Egli distrugge ugualmente l’integro ed il malvagio. Gb 9:22 Era una frase vera (le
cose accadono ugualmente a tutti), ma espressa male, lasciando troppo spazio per questa
accusa. Giobbe rimase in silenzio senza cercare di difendersi. Caryl osserva giustamente
che le persone buone, a volte, non si esprimono come vorrebbero. Nota anche che esse
preferiscono addossarsi più colpe di quante meritino, piuttosto di scusarsi, se le accuse
sono, anche solo in parte, vere.

2. Accusò Giobbe molto duramente. In generale, disse: Dov’è l’uomo al par di Giobbe? Gb
34:7 « Avete mai incontrato qualcuno come Giobbe, o avete mai sentito altri parlare in
questo modo? ». Lo rappresentò:

(a) Seduto sul banco degli schernitori: « Tracanna gli empi scherni come l’acqua », cioè,
« si prende una grande libertà di rimproverare sia Dio che i suoi amici, con gran piacere e
generosità di espressione ». Oppure: « È desideroso di conoscere e ascoltare gli scherni e
il disprezzo degli altri verso i loro fratelli, compiacendosene e appoggiandoli ». Oppure,
secondo altri: « Con queste sue stolte espressioni si rende un oggetto di scherno,
esponendosi al biasimo e dando occasione alla derisione. La sua religione ne soffre,
perdendo la propria reputazione ». Dobbiamo pregare che Dio non ci permetta mai di dire
o fare qualcosa che possa far di noi il vituperio dello stolto. Sl 39:8

(b) In cammino secondo il consiglio degli empi e fermo nella via dei peccatori: Cammini in
compagnia de’malfattori. Gb 34:8 Non si associò a loro nel comportamento, ma li favorì, li
appoggiò e li sostenne con le sue opinioni. Se (come Eliu cita Giobbe nel versetto 9, per
dimostrare il versetto precedente) non giova nulla all’uomo l’avere il suo diletto in Dio, che
cosa lo trattiene dall’appagare i suoi desideri e dall’unirsi agli operatori d’iniquità? Chi dice:

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 268


Invano ho purificato il mio cuore, non solo è infedele alla schiatta dei figli di Dio, Sl 72:13-
15 ma gratifica i suoi nemici, parlando come loro.

Gb 34:10-15

Il discorso di Eliu era inteso a riconciliare Giobbe con le sue afflizioni e a rappacificare il
suo spirito. A questo proposito, nel capitolo precedente, aveva dimostrato che Dio non
voleva fargli del male, ma desiderava il suo bene spirituale. In questo capitolo, dimostra
che Dio non gli ha fatto un torto, né lo ha punito più di quanto meritasse. Se l’argomento
precedente non poté servire a soddisfarlo, questo avrebbe dovuto metterlo a tacere. Eliu si
rivolse a tutti i presenti: « Ascoltatemi dunque, o uomini di senno, Gb 34:10 e dimostratevi
intelligenti assentendo alle mie parole ». Disse quindi che il giusto Dio non fece, né farà
mai, torto a nessuna delle sue creature. Le sue vie, e non le nostre, sono eque per tutti.
Questa verità riguarda la giustizia di tutte le sue azioni. Osservate quindi:

I. Con che chiarezza espose questa verità, negativamente e positivamente.

1. Dio non fa torto a nessuno: Lungi da Dio il male, lungi dall’Onnipotente l’iniquità, Gb
34:10 che sarebbero inconsistenti con la perfezione della sua natura e con la purezza della
sua volontà: Iddio non commette ingiustizie! Gb 34:12 L’Onnipotente non perverte il
diritto. Non può né vuole far torto, né trattare alcuno con durezza. Non infligge mai il male
come punizione se non contro il male del peccato, e non sproporzionatamente, perché
sarebbe un’iniquità e un atto di cattiveria. In caso di appello, o di sentenza definitiva,
considererà i meriti della causa, senza riguardi personali, altrimenti pervertirebbe il
giudizio. Non farà mai un torto e non negherà mai ad alcuno un suo diritto. Presto, invece,
i cieli proclameranno la sua giustizia. Essendo Dio, e quindi infinitamente perfetto e santo,
non può fare ingiustizie, né condonarle in altri, così come non può morire o rinnegare se
stesso. Pur essendo Onnipotente, non usa mai la sua autorità, come fanno spesso i potenti
di questo mondo, per sostenere delle ingiustizie. È Shaddai il Dio più che sufficiente, e
quindi non può esser tentato dal male Gm 1:13 a commettere un’ingiustizia.

2. Amministra a tutti la sua giustizia: Rende all’uomo secondo le sue opere. Gb 34:11 Le
buone opere saranno ricompensate e le opere cattive saranno punite o ripagate. Prima o
poi, in questo mondo o nel prossimo, renderà a ogni uomo secondo la sua condotta. È la
regola fissa della giustizia retributiva: a ognuno secondo le proprie opere. Ditelo che il
giusto avrà del bene. Guai all’empio! Male gl’incoglierà. Se i servizi costanti non sono
ancora ricompensati e i peccati incalliti non sono puniti, verrà il giorno in cui Dio renderà
pienamente a ogni uomo secondo le sue opere, ripagando il ritardo con un interesse.

II. Con che ardore espresse:

1. La sua certezza della verità: Sì veramente. Gb 34:12 Il fatto che Dio non può operare
iniquità è una verità innegabile e incontestabile, sulla quale possiamo tutti accordarci,
prendendola per certa.

2. La sua ripugnanza di un solo pensiero contrario: Lungi da Dio l’iniquità Gb 34:10 e lungi
da noi il minimo sospetto o la minima sembianza di un’accusa.

III. Con che certezza lo dimostrò, presentando due prove:

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 269


1. La sovranità e il dominio di Dio, indipendenti e assoluti: Chi gli ha dato il governo della
terra, incaricandolo di governare gli affari degli uomini? Gb 34:13 Oppure, chi, tranne lui,
ha tutto il mondo a sua disposizione? Dio è l’unico amministratore dei governi umani, ed è
un incarico che si è dato da solo. È certo che:

(a) A lui spetta il governo, che conduce secondo la sua volontà, in tutte le sfere celesti e
terrestri. Non deve quindi essere accusato di ingiustizia: Il giudice di tutta la terra non farà
forse giustizia? Ge 18:25 Come può governare o giudicare il mondo se c’è o può esserci
ingiustizia in lui? Ro 3:5,6 Chi ha, come prerogativa, un potere così illimitato, è anche
certamente del tutto puro. Questo è quindi un ulteriore motivo per accettare le sue azioni
nei nostri confronti. Chi può disporre di tutto il mondo non può forse disporre di noi e di
ciò che ci riguarda?

(b) Dio non trae il suo potere da nessun altro, e non gli è stato conferito, ma è
originalmente suo, come tutta la sua essenza. Se non fosse perfettamente giusto, il
mondo e i suoi affari sarebbero in totale confusione. Le più alte autorità terrene hanno un
Dio sopra di loro a cui devono rendere conto, perché sono prone a commettere iniquità.
Dal momento invece che nessun atto di Dio ha bisogno di essere controllato, Dio non ha
nessuno sopra di lui. Se quindi è un sovrano assoluto, dobbiamo sottometterci a lui,
perché non c’è autorità superiore a cui appellarci. La virtù diventa quindi una necessità.

2. Il suo potere irresistibile: Se egli ponesse mente all’uomo, per contendere con lui, e
soprattutto se (come interpretano alcuni) ponesse mente contro l’uomo, Gb 34:14 D per
distruggerlo; se lo trattasse con summa potestas-somma autorità, o con summum jus-
somma giustizia, nessuno potrebbe reggersi al suo cospetto. Sia lo spirito che l’alito
umano svanirebbero subito e ogni carne perirebbe d’un tratto. Gb 34:15 Molti sono onesti
solo perché non possono fare altrimenti. Non fanno del male perché non saprebbero
tollerarne le conseguenze, o perché non hanno la possibilità di farlo. Dio invece, pur
avendo il potere di distruggere qualunque essere umano senza problemi e senza indugi,
non lo fa arbitrariamente, rivelando così l’infinita perfezione della sua immutabile natura.
Notate:

(a) Che cosa può fare di noi. Può polverizzarci senza indugio. Non dev’essere un ovvio atto
della sua onnipotenza. Se solo ci togliesse quel suo atto provvidenziale che dona la vita, se
ritirasse a sé quello spirito e quel soffio che provengono dalla sua mano e sono ancora
nelle sue mani, moriremmo immediatamente, come un animale in una pompa pneumatica
quando l’ossigeno finisce.

(b) Che cosa può fare di noi senza farci torto. Può riprendersi la vita che ha dato, che ci è
solo stata affidata e di cui abbiamo perso il diritto. Finché quindi ce la concede per suo
semplice favore, non abbiamo motivo di protestare se ci vengono tolte le altre
consolazioni.

Gb 34:16-30

Eliu si rivolse quindi più direttamente a Giobbe. Aveva chiamato gli altri uomini di senno.
Gb 34:10 Parlando a Giobbe, sollevò un dubbio sulla sua capacità di comprensione: Se tu
sei intelligente, ascolta queste parole e mettile in pratica. Gb 34:16

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 270


I. Ascolta: gli atti di Dio non devono essere disputati. È arrogante e presuntuoso criticare e
condannare le sue azioni, come aveva fatto Giobbe con le sue lamentele. Era assurdo:

1. Come sarebbe elevare al potere un nemico giurato della giustizia: Uno che odiasse la
giustizia potrebbe governare? Gb 34:17 Il giusto Dio ama tanto la giustizia che, in
confronto a lui, anche lo stesso Giobbe, che era integro e retto, sembrava odiarla. Avrebbe
quindi potuto governare? Avrebbe potuto pretendere di guidare o correggere Dio? Delle
creature ingiuste come noi possono forse dettar legge al giusto Dio? Deve forse attenersi
alle nostre regole? Se consideriamo la corruzione della nostra natura e la contraddizione
che esiste in noi alla regola eterna della giustizia, non possiamo fare a meno di notare
l’impudenza e l’irreligiosità di un nostro tentativo di dargli direttive.

2. Come sarebbe chiamare in giudizio la persona più giusta per condannarla, nonostante il
processo dimostri chiaramente la sua rettitudine: Osi tu condannare il Giusto, che non può
essere altrimenti?

3. Più di quanto sarebbe assurdo chiamare un sovrano assoluto scellerato, e i giudici empi.
Gb 34:18 Sarebbe considerato un affronto intollerabile alla maestà e ai magistrati. Nessun
re o principe lo condonerebbe. Per rispetto per il governo, si presume che le sentenze
siano eque, a meno che non ci siano prove del contrario. In ogni caso, non è appropriato
chiamare un re empio faccia a faccia. Natan rimproverò Davide con una parabola. Inoltre,
per quanto possano fare sommi sacerdoti o profeti, un suddito comune non deve
dimostrarsi così audace con le autorità costituite. Quanto più assurdo è comportarsi in quel
modo con Dio, imputandogli iniquità, mentre egli, non tributando speciale onore a
nessuno, non è nemmeno tentato a fare ingiustizie! Non considera il ricco più del povero.
È quindi giusto che governi, e non è giusto che noi lo critichiamo. Gb 34:19 Notate: I ricchi
e i poveri stanno allo stesso livello di fronte a Dio. Un grande non avrà un trattamento
migliore, né riceverà favoritismi, per la sua ricchezza e per la sua potenza. Allo stesso
modo, un povero non sarà trattato peggio per la sua povertà, e una causa onesta non
verrà abbandonata. Giobbe, diventato povero, avrebbe avuto altrettanto favore e riguardo
divino di quanto aveva quando era ricco, perché son tutti opera delle sue mani. È così per
gli uomini: i poveri sono creati dalla stessa mano e con lo stesso stampo dei ricchi. Ed è
così per le condizioni: è la provvidenza divina che ha dato povertà ai poveri e ricchezze ai
ricchi. I poveri quindi non saranno trattati peggio per avere ricevuto ciò che gli è stato
dato. Non è colpa loro.

II. Ascolta: Dobbiamo riconoscere Dio e sottometterci a lui in tutte le sue azioni. Eliu
propose a Giobbe diverse considerazioni per ispirare in lui un concetto di un Dio grande e
supremo, persuadendolo a sottostargli e a smettere di discutere con lui.

1. Dio è onnipotente e può giudicare benissimo anche i più forti. Gb 34:20 Anche una
gente del popolo, un’intera nazione, per numerosa che sia, è scossa, disgregata e confusa,
quando Dio parla. Anche i potenti, i principi, per rispettati e grandiosi che siano tra gli
uomini, alla parola di Dio son portati via non solo dal trono, ma dalla terra dei viventi.
Moriranno. Sarà la loro fine. Che cosa non può fare chi ha tutti i poteri della morte al suo
comando? Notate com’è improvvisa questa distruzione: In un attimo, essi muoiono. Dio
non indugia ad abbattere i suoi superbi nemici. Se vuole, lo fa rapidamente. Non da
nemmeno il minimo avvertimento. Questa notte stessa l’anima tua ti sarà ridomandata.
Notate quando avverrà: Nel cuor della notte, quando si sentono al sicuro, senza

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 271


preoccupazioni, e quando non possono salvarsi, come avvenne per gli Egiziani quando i
primogeniti furono uccisi. È un’opera totalmente di Dio: sono portati via, senza man
d’uomo, impercettibilmente, per giudizi segreti. Dio può umiliare il più grande tiranno,
senza l’aiuto o la cooperazione di altri. Anche se a volte impiega dei mezzi per compiere i
suoi propositi, non ha bisogno di farlo. Può farlo senza mano d’uomo. E può sconfiggere
non solo un potente, ma un gran numero di essi: Fiacca dei potenti senza numero. Gb
34:24 KJV Nessun potere, nemmeno unito ad altri, può reggersi contro la sua
Onnipotenza. Quando però Dio distrugge la tirannia, non stabilisce l’anarchia. Se abbatte
dei reggenti che governano male, non significa che il popolo non deve avere dei capi.
Quando fiacca i potenti, ne stabilisce altri al loro posto, che governino meglio. Se poi non
lo fanno, abbatte anche loro nella notte, o in una notte, e son fiaccati. Gb 34:25 Guardate
Baldassar. Oppure, se lascia loro tempo per pentirsi, non li distrugge subito, ma li colpisce
come dei malvagi. Gb 34:26 Ricevono dei giudizi umilianti e mortificanti. Quegli empi capi
sono colpiti come dei malvagi, con la stessa certezza e la stessa pena. Dio colpisce i loro
corpi, i loro beni e le loro famiglie, come avvertimento ai loro vicini. Li colpisce in
terrorem-in terrore per gli altri, e quindi in presenza di tutti, perché possano vedere,
temere e tremare di fronte alla giustizia di Dio. Se i re non possono reggersi di fronte a lui,
come possiamo reggerci noi?

2. Dio è onnisciente e può scoprire i più grandi segreti. Così come i più potenti non
possono opporsi alla sua forza, i più astuti non possono sfuggire al suo sguardo. Se quindi
certe persone sono punite più o meno di quanto noi reputiamo giusto, invece di discutere
con Dio, dobbiamo attribuirlo a qualche motivo segreto che solo Dio conosce. Infatti,

(a) Ogni cosa gli è manifesta: Tiene gli occhi aperti sulle vie dei mortali. Gb 34:21 Non
solo sono a sua portata d’occhio, dove può vederli, ma li tiene d’occhio, osservandoli e
ispezionandoli. Ci vede tutti, e vede ciò che facciamo. Dovunque andiamo, siamo sotto il
suo sguardo. Ogni nostra azione, buona o cattiva, è considerata e registrata per essere poi
giudicata all’apertura dei libri.

(b) Niente è o può essere nascosto da lui: Non vi son tenebre, non v’è ombra di morte
abbastanza scura, fitta e remota, lontana dalla luce o dallo sguardo che possa nascondere
chi opera iniquamente dallo scrutinio e dalla vendetta del giusto Dio. Gb 34:22 Osservate:
[1] Chi opera iniquamente si nasconderebbe, se potesse, dallo sguardo del mondo per la
vergogna (e forse certi lo fanno), e dallo sguardo di Dio per timore, come fece Adamo tra
gli alberi del giardino. Verrà il giorno in cui i capi e i potenti chiederanno ai monti e alle
rocce di nasconderli. [2] Preferirebbero essere nascosti dall’ombra della morte, nella
tomba, per sempre, piuttosto di apparire di fronte al giudizio di Cristo.

(c) È inutile pensare di sfuggire alla giustizia divina, o di nascondersi quando ci cerca la
sua ira. Chi opera iniquamente può escogitare dei mezzi per nascondersi dagli uomini, ma
non da Dio: Conosce le loro azioni, Gb 34:25 ciò che fanno e ciò che pensano di fare.

3. Dio è giusto e si attiene sempre alle regole dell’equità. Anche quando sconvolge i
potenti, facendoli a pezzi, non fa più di quanto è giusto. Gb 34:23 KJV Così come non
punisce un innocente, allo stesso modo non infligge ai colpevoli una pena maggiore di
quanto meritino le loro iniquità. È la sua Infinita Saggezza a giudicare la proporzione tra il
peccato e il castigo. I suoi atti non lasciano spazio a lamentele. Nessuno può trarlo davanti
a lui in giudizio, o fargli causa. Se anche si volesse farlo, Dio sarà riconosciuto giusto

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 272


quando parla, e irreprensibile quando giudica. Giobbe era da condannare per essersi
lamentato di Dio. Eliu gli consigliò giustamente di lasciar perdere, perché non gli sarebbe
servito a niente. Non spetta all’uomo di entrare in giudizio contro l’Onnipotente, secondo
l’interpretazione di alcuni. Giobbe aveva spesso desiderato di presentare la sua causa a
Dio. Eliu chiese: « Perché? Il giudizio che ti è già stato dato sarà certamente confermato.
Non si possono trovare errori o eccezioni. Deve rimanere così com’è ». Tutte le azioni di
Dio sono buone e si dimostreranno tali. Per provare che, quando Dio distrugge i potenti e
li colpisce come dei malvagi, non fa più di quanto è giusto, Eliu mise in luce la loro
malvagità. Gb 34:27,28 Confrontatela con il castigo e poi giudicate se lo meritano o meno.
In breve, quei giudici ingiusti che Dio giudicherà giustamente non temevano Iddio né
avevano rispetto per alcun uomo. Lu 18:2

(a) Si ribellavano a Dio. Si erano sviati da lui, non lo temevano più e non lo prendevano
più in considerazione. Non hanno posto mente ad alcuna delle sue vie. Non facevano caso
né ai suoi precetti né agli atti della sua provvidenza, ma vivevano senza di lui. Alla base di
tutta la malvagità degli empi c’è questo abbandono di Dio: non gli pongono mente, non
perché non possono, ma perché non vogliono. Dalla mancanza di considerazione
scaturisce l’irreligiosità, che conduce a ogni genere di immoralità.

(b) Erano tiranni su tutto il genere umano. Gb 34:28 Non invocavano Dio per se stessi, ma
facevano salire a lui il gemito del povero, un gemito rivolto contro di loro. Erano violenti e
oppressivi verso i poveri. Li trattavano ingiustamente, li abbattevano e li impoverivano
ancor maggiormente, aggiungendo afflizioni agli afflitti che dirigevano i loro lamenti a Dio.
Dio li udì e sostenne la loro causa. Guai a chi ha le preghiere e le lacrime dei poveri contro
di sé. Il grido degli oppressi, prima o poi, attirerà la vendetta divina sul capo degli
oppressori, e nessuno potrà dire che è più di quanto è giusto. Eso 22:23

4. Dio ha un incontrollabile dominio su tutti gli affari degli uomini, e guida e governa ciò
che riguarda sia le comunità che gli individui. Così come i suoi piani non possono essere
frustrati, i suoi atti non possono essere mutati. Gb 34:29 Osservate:

(a) Le occhiate corrucciate del mondo intero non possono turbare chi Dio calma con i suoi
sorrisi. Quando Dio dà pace, chi può creare guai? Gb 34:29 KJV È una sfida a tutti i poteri
infernali e terrestri a scuotere coloro a cui Dio dà pace e per cui la pace è stata creata. Se
Dio dà pace a una nazione, può renderla duratura e impedire ai suoi nemici di turbarla. Se
dà pace interiore a una persona, né le accuse di Satana, né le afflizioni dell’epoca
presente, né il freno della morte stessa possono turbare la tranquillità e la certezza eterna
che sono gli effetti della giustizia. Che cosa può agitare quelle anime che, in Dio, dimorano
nel benessere? cfr. Fl 4:7

(b) I sorrisi del mondo intero non possono calmare chi Dio turba con il suo cipiglio. Se,
dispiaciuto, nasconde il suo volto e toglie la consolazione del suo favore, chi potrà
contemplarlo? Chi può contemplare un Dio adirato, sopportandone o distogliendone l’ira?
Chi può fargli rivelare il volto se decide di nasconderlo? Chi può vedere oltre le nubi e le
tenebre che lo circondano? Oppure, chi può guardare un peccatore turbato, per portargli
un sollievo effettivo? Chi può rimanere amico di chi ha Dio per nemico? Nessuno può
alleviare l’angoscia di una condizione senza Dio. Se non t’aiuta l’Eterno, come posso
aiutarti io? 2Re 6:27 Nessuno può alleviare l’angoscia di una mente che lotta contro Dio e i
suoi terrori. Se comunica la sua ira a una coscienza colpevole, nessuna consolazione

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 273


terrena può servire. Cantar delle canzoni a un cuor dolente è come mettere aceto sul
nitro. L’irresistibilità delle operazioni divine dev’essere riconosciuta nei suoi atti verso
comunità o persone, verso una nazione, nei suoi affari pubblici, o verso un individuo in
questioni private: nessuno può controllarle. La stessa Provvidenza che governa dei grandi
regni presiede a tutto ciò che riguarda il più umile individuo. La forza di un’intera nazione
non può resistere al suo potere e la piccolezza di una sola persona non sfugge alla sua
conoscenza. In ogni sua azione, Dio opera effettivamente e vittoriosamente.

5. Dio è saggio, e si interessa al bene pubblico, e quindi provvede a impedire all’ipocrita di


regnare Gb 34:30 Notate:

(a) La superbia degli ipocriti. Vogliono regnare. La lode degli uomini e il potere terreno
sono la ricompensa che ricercano.

(b) La condotta dei tiranni. Nell’ascesa al potere, a volte usano la religione per mascherare
la loro ambizione, conquistando il trono con la loro ipocrisia.

(c) Il pericolo per il popolo quando gli ipocriti regnano. Sono spesso irretiti dal peccato, dai
guai o da entrambi. Il potere, nelle mani degli ipocriti, distrugge spesso i diritti e le libertà
di un popolo, che si possono togliere più facilmente con l’adulazione che con la forza.
Molto danno è stato recato alla potenza della pietà con la pretesa di averne l’apparenza.

(d) Le premure della divina provvidenza per il popolo, per prevenire questo pericolo, cioè
per impedire all’ipocrita di regnare, o per impedirgli di regnare a lungo. Se Dio vuole avere
pietà di un popolo, previene il regno degli ipocriti o ne affretta la rovina.

Gb 34:31-37

In questi versetti:

I. Eliu suggerì a Giobbe che cosa avrebbe dovuto dire durante la sua afflizione. Gb
34:31,32 Avendolo rimproverato per il suo linguaggio impetuoso e collerico, gli propose
delle parole migliori. Quando rimproveriamo gli errori di qualcuno, dobbiamo indicare ciò
che è giusto, per dare le correzioni della disciplina. Pr 6:23 Eliu non costrinse Giobbe a
usare quelle parole, ma gliele suggerì, come si conveniva. In linea generale, gli chiese di
pentirsi del suo cattivo comportamento e delle sue espressioni sconvenienti durante
quell’afflizione. Gli altri amici di Giobbe volevano fargli riconoscere di essere empio, e nel
pretendere troppo non ottennero niente. Eliu gli domandò solo di ammettere che, nel
corso di questa controversia, aveva parlato sconsigliatamente con le sue labbra.
Ricordiamocene quindi nel rimproverare gli altri, e cerchiamo di non peggiorare le cose.
Aggravare il crimine può annullare l’accusa. Eliu colpì il centro e continuò nella giusta
direzione. Incoraggiò Giobbe:

1. A umiliarsi di fronte a Dio per i suoi peccati e ad accettarne la punizione: « Io porto la


mia pena. Porto la mia sofferenza perché è ben meritata. Non solo giustificherò Dio per
avermela assegnata, ma riconoscerò la sua bontà ». Molti non accettano le loro punizioni,
non le sopportano bene e, in effetti, non le sopportano affatto. I penitenti, se sinceri,
reputano giusto ogni atto di Dio e sopportano il castigo come un procedimento medico
inteso per il loro bene.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 274


2. A pregare che Dio gli riveli i suoi peccati: « Mostrami tu quel che non so vedere. Gb
34:32 Signore, tutto considerato, vedo in me molte carenze e molti errori, ma ho motivo di
temere che ci sia altro di cui non mi rendo conto, delle abominazioni più grandi che, per
ignoranza, errore e parzialità, non riesco ancora a vedere. Signore, aiutami a vederle,
risveglia la mia coscienza perché svolga diligentemente il suo compito ». Chi è giusto vuole
conoscere i suoi più grandi errori. Soprattutto quando è afflitto, vuole che Dio gli dica il
perché e gli mostri il suo piano in quella correzione.

3. A promettere una riforma: non farò più il male. Gb 34:31 « Se (o dato che) mi sono
comportato male, non lo farò più. Gli errori che mi mostrerai, per tua grazia eviterò in
futuro ». Sono sottointesi una confessione dell’offesa, un vero pentimento, un pio
rincrescimento e un’umile accettazione del piano di Dio nell’infliggerci l’afflizione che ci
separa dai nostri peccati. Il penitente completa quindi il suo pentimento, perché non basta
rincrescersi dei peccati, ma bisogna andare e non peccare più, vincolandosi, come in
questo caso, con l’impegno di una ferma risoluzione a non ritornare più alla propria follia.
Tutto questo dev’essere detto con un forte proponimento, in una promessa e in un voto
solenne a Dio.

II. Discusse lo scontento e lo sconforto di Giobbe durante quell’afflizione. Gb 34:33 KJV


Siamo propensi a credere che tutto ciò che ci riguarda debba essere esattamente come
vorremmo. Eliu dimostrò invece che aspettarcelo:

1. È assurdo e irragionevole: « Dovrà forse Iddio render la giustizia a modo tuo? E


perché? ». Eliu parlò con grande rispetto della volontà e della saggezza divina, e una certa
soddisfazione: è giusto che ogni cosa sia secondo i piani di Dio. Espresse inoltre un giusto
disprezzo delle pretese dei superbi che vorrebbero forgiare il proprio destino: Dovrà forse
Iddio render la giustizia a modo tuo? Dovremmo sempre avere il bene che desideriamo?
Abuseremmo degli altri e intrappoleremmo stupidamente noi stessi. Dovremmo sfuggire le
afflizioni, solo perché non le vogliamo? È giusto che i peccatori non provino dolore e che
gli alunni non abbiano disciplina? Se siamo afflitti, è giusto che scegliamo la verga che
deve colpirci? No, è giusto invece che tutto sia secondo i disegni di Dio, non i nostri. Dio è
il Creatore e noi siamo le creature. Dio è infinitamente saggio e sapiente e noi siamo
sciocchi e miopi. Dio ha una mente sola e noi diverse.

2. È vano e inutile: « Ricompenserà, che tu lo scelga o che tu lo rifiuti. Dio farà le cose a
suo modo, seguirà i suoi piani e ricompenserà secondo la propria giustizia, che ti piaccia o
meno. Non chiederà il tuo permesso né il tuo parere. Farà ciò che vuole. Ti conviene
quindi arrenderti e fare della necessità una virtù, trarne il meglio, perché non puoi fare
altrimenti. Se esigi di scegliere e di rifiutare, cioè di dare ordini a Dio e di protestare contro
le sue azioni, non sono con te. Io accetterò ciò che Dio fa. Perciò di’ciò che sai. Di’quello
che vuoi fare, che tu ti opponga o ti sottometta. Sta interamente a te. Decidi tu. Sei nelle
mani di Dio e non nelle mie ».

III. Fece appello a tutte le persone intelligenti e imparziali, chiedendo se non ci fosse
molto peccato e molta follia nelle parole di Giobbe.

1. Desiderò un esame accurato e un giudizio conclusivo: « Bene, Giobbe sia esaminato


fino in fondo. Gb 34:36 CEI Se qualcuno vuole giustificare le sue parole, lo faccia.
Altrimenti, accordiamoci su un giudizio negativo ». Secondo molti, si riferì alla prova delle

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 275


sue afflizioni: « I suoi guai continuino finché sarà del tutto umiliato e il suo animo superbo
sarà abbattuto, finché vedrà il suo errore e ritirerà le parole così presuntuose che aveva
detto contro Dio e contro la sua provvidenza. La sua prova continui fino al conseguimento
del fine ».

2. Fece appello sia a Dio che agli uomini, chiedendo a entrambi un giudizio.

(a) Secondo alcuni, tra cui la nota al margine della nostra Bibbia, il versetto 36 è un
appello a Dio: O Padre mio, sia Giobbe provato. La stessa parola infatti significa mio
desiderio e mio padre. Certi pensano che Eliu avesse alzato gli occhi, dicendo: « O Padre
mio che sei nei cieli, sia Giobbe provato fino a essere soggiogato ». Quando preghiamo
che le afflizioni nostre o altrui servano al loro scopo, dobbiamo vedere Dio come Padre,
perché sono correzioni paterne e parte della nostra educazione filiale. Eb 12:7

(b) Fece appello ai presenti: « Gli uomini di senno mi dicano Gb 34:34 KJV se si può dare
alle parole di Giobbe un significato migliore di quello che ho dato io. Ditemi se non ha
parlato male e se non dovrebbe gridare: Peccavi-Ho peccato ». Secondo lui, dalle parole di
Giobbe traspariva: [1] Incomprensione e stoltezza. Gb 34:35 Non poteva dire che Giobbe
fosse privo di conoscenza e di saggezza, ma in quella faccenda aveva parlato senza
giudizio e, qualunque fossero i suoi sentimenti, le sue parole sono senza intendimento.
Poteva ripetere a se stesso ciò che aveva detto a sua moglie: Parli da persona insensata,
per lo stesso motivo dato a lei: Abbiamo accettato il bene dalla mano di Dio, e
rifiuteremmo d’accettare il male? Gb 2:10 A volte abbiamo bisogno degli stessi rimproveri
che facciamo agli altri, e li meritiamo. Chi rimprovera la saggezza divina rimprovera in
realtà la propria. [2] Mancanza di rispetto per Dio, perché aveva parlato male. Se le sue
parole fossero state provate fino alla fine, cioè esaminate attentamente, fino all’ultimo, si
sarebbe scoperto, prima di tutto, che si era messo dalla parte dei nemici di Dio. Le sue
risposte son quelle degli iniqui. Le sue parole avevano rinsaldato le mani e il cuore degli
empi nella loro malvagità, avendo esagerato la questione della loro prosperità. Gli empi,
come Baal, possono difendersi da soli. Non siamo mai noi a fargli da portavoce o a parlare
in loro favore. In secondo luogo, aveva insultato gli amici di Dio, trattandoli con
prepotenza: « Batte le mani in mezzo a noi e, se non sarà totalmente provato e umiliato,
si farà sempre più insolente e imperioso, come se l’avesse avuta vinta e ci avesse messo a
tacere ». È già un male parlare in modo sconveniente, ma è peggio ancora battere le mani
in trionfo, come se l’errore e la foga avessero ottenuto la vittoria. In terzo luogo, aveva
parlato contro Dio stesso e, insistendo sulle sue parole, aveva aggiunto al peccato suo la
ribellione. Dire anche solo una parola contro Dio, che ci ha dato quella facoltà di parlare
che dovremmo usare in suo favore, è già un grande peccato. Che peccato saranno allora i
lunghi discorsi, quasi intenti a vincere con l’eloquenza? Che peccato sarà la ripetizione di
parole che si sarebbero dovute tirare indietro? I peccatori che, chiamati al pentimento,
continuano imperterriti, aggiungono la ribellione al peccato, rendendolo ancora più grave.
Errare possum, Haereticus esse nolo-Posso errare, ma non cadrò nell’eresia.

Giobbe 35

Dato che Giobbe era rimasto in silenzio, Eliu continuò a sferzare colpi. Per la terza volta,
cercò di dimostrargli che aveva parlato male e che doveva pentirsi. Lo accusò
particolarmente di tre discorsi impropri, confutandoli individualmente.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 276


I. Aveva rappresentato la religione come qualcosa di inutile e vano, che Dio incoraggia per
il proprio bene e non per il nostro. Eliu lo negò. Gb 35:1-8

II. Si era lamentato che Dio era sordo alle grida degli oppressi, un’accusa che Eliu confutò
per giustificare Dio. Gb 35:9-13

III. Aveva perso ogni speranza di un rinnovato favore di Dio verso di lui, avendo aspettato
tanto. Eliu gli mostrò la vera causa del ritardo. Gb 35:14-16

Gb 35:1-8

Troviamo qui:

I. Le parole inappropriate di cui Eliu condannò Giobbe. Gb 35:2,3 Per dimostrarne l’errore
si appellò allo stesso Giobbe e al suo buon senno, dicendo: Credi tu d’aver ragione?
Notiamo qui la sicurezza di Eliu che il suo rimprovero era giusto, perché poteva lasciare il
giudizio anche a Giobbe stesso. Chi è dalla parte della verità e della giustizia otterrà anche
il favore di ogni coscienza. Notiamo anche la buona opinione che aveva di Giobbe,
ritenendolo più giusto delle sue parole e sapendo che, se anche aveva parlato male, una
volta riconosciuto il suo errore, non lo avrebbe difeso. Se, impetuosamente, parliamo in
modo sconveniente, dobbiamo riconoscere che in un secondo luogo ci rendiamo conto di
aver sbagliato. Eliu rimprovera Giobbe di due cose:

1. Si era ritenuto più giusto di Dio, cosa che aveva inizialmente spinto Eliu a parlare. Gb
32:2 « In effetti, hai detto: La mia giustizia è superiore a quella di Dio », Gb 35:2, NR
cioè, « Ho fatto per Dio più di quanto abbia mai fatto per me. Se soppesiamo i fatti, è lui a
essermi debitore ». Pensò, in effetti, che i suoi servizi fossero stati ripagati meno del
dovuto e che i suoi peccati fossero stati puniti più di quanto meritasse, un pensiero
ingiusto ed empio, soprattutto se espresso. Insistendo tanto sulla sua integrità e sulla
severità degli atti divini, Giobbe disse in effetti: La mia giustizia è superiore a quella di Dio,
mentre, anche se noi fossimo delle persone ottime afflitte da grandi mali, solo noi, e non
Dio, possiamo essere accusati di ingiustizia.

2. A causa delle sue sofferenze, Giobbe aveva negato i benefici e i vantaggi della religione:
Che guadagno io di più a non peccare? Gb 35:3 L’aveva già detto prima: Quand’anche mi
nettassi le mani col sapone, a che mi servirebbe? Tu mi tufferesti nel fango d’una fossa.
Gb 9:30,31 Se fossi stato malvagio, guai a me, Gb 10:15 ma se sono giusto, non accade
niente. Il salmista, confrontando le sue afflizioni con la prosperità degli empi, fu tentato a
dire: Invano dunque ho purificato il mio cuore. Sl 73:13 Facendo tali affermazioni, Giobbe
disse effettivamente: La mia giustizia è superiore a quella di Dio. Gb 35:2 NR Se infatti la
sua religiosità non fosse servita a niente, Giobbe avrebbe stimato Dio più di quanto Dio
avesse stimato Giobbe. Anche se poteva sembrare vero, non era giusto attribuire a Giobbe
quelle parole, che egli stesso aveva invece ascritto ai peccatori nella loro prosperità: Che
guadagneremo a pregarlo? Gb 21:15 Le aveva poi immediatamente confutate: Lungi da
me il consiglio degli empi! Gb 21:16 Non è giusto accusare qualcuno delle conseguenze di
opinioni che egli stesso nega specificamente.

II. La corretta risposta di Eliu: « Io ti darò la risposta: a te ed agli amici tuoi », Gb 35:4
cioè, « a tutti quelli che approvano le tue parole e sono disposti a giustificarti, insieme a

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 277


tutti coloro che dicono le stesse cose. Ho qualcosa che metterà tutti a tacere ». Ricorse
quindi alla stessa massima di prima: Dio è più grande dell’uomo. Gb 33:12 È una verità
che, usata appropriatamente, serve a molti buoni scopi, e soprattutto a dimostrare che Dio
non è debitore a nessuno. Il più grande essere umano può essere debitore alla persona
più insignificante. La sproporzione tra Dio e l’uomo è però tale che il primo, nella sua
grandezza, non potrà trarre alcun beneficio dal secondo e non potrà quindi essergli
debitore. Se Dio ha un obbligo verso il suo piano e le sue promesse, è solo un obbligo che
ha verso se stesso. Chi gli ha dato per primo, lo dimostri, e gli sarà contraccambiato. Ro
11:35 È una sfida che nessun uomo può accettare. Perché esigiamo un guadagno dalla
nostra religiosità (come sembrava esigere Giobbe), come se ci fosse dovuto, se lo stesso
Dio che serviamo non ci guadagna niente?

1. Eliu non aveva bisogno di dimostrare la superiorità di Dio, su cui tutti concordano. Cercò
invece di far riflettere Giobbe e noi con una dimostrazione visibile dell’altezza dei cieli e
delle nuvole. Gb 35:5 Sono sopra di noi, e Dio è sopra di loro. Quanto sarà quindi
irraggiungibile dai nostri peccati o dai nostri servizi: Considera i cieli, e guarda le nuvole.
Dio ha creato l’uomo eretto, coelumque tueri jussit-facendo sì che alzasse gli occhi verso il
cielo. Gli idolatri guardarono il cielo e adorarono l’esercito celeste del sole, della luna e
delle stelle. Noi dobbiamo invece guardare oltre, e adorare il Signore di quell’esercito. I
cieli sono più alti di noi, ma Dio è infinitamente più alto di loro. La sua maestà è sopra i
cieli Sl 8:1 D e la sua conoscenza è più alta del cielo. Gb 11:8

2. Eliu ne dedusse quindi che Dio non è influenzato, in un modo o nell’altro, dalle nostre
azioni.

(a) Riconobbe che le nostre azioni possono aiutare o danneggiare gli altri: La tua
malvagità può forse nuocere al tuo simile e causargli qualche guaio esterno. Gb 35:8 Un
empio può ferire, derubare, denigrare o indurre al peccato, danneggiando l’anima. La
giustizia, l’equità, la carità, la saggezza e la pietà possono forse giovare ai figli degli
uomini. La nostra bontà si estende ai santi che sono in terra. Sl 16:3 Possiamo fare del
bene o del male a persone come noi, e il Signore e Giudice supremo ci ricompenserà nel
primo caso e ci punirà nel secondo. Eliu però:

(b) Negò completamente che Dio possa trarre alcun danno o beneficio dalle azioni di
qualunque persona, per grande che sia. [1] I peccati dei peggiori peccatori non possono
recargli alcun danno: « Se pecchi deliberatamente, con cattiveria e con prepotenza contro
di lui, e se anzi moltiplichi i tuoi misfatti, e commetti ripetutamente dei peccati, che torto
gli fai? ». Gb 35:6 È una sfida alla mente carnale, che provoca il peccatore più accanito a
fare il peggio possibile. Il fatto che i peggiori nemici di Dio non hanno il potere di recargli
un vero danno rivela la sua grandezza e la sua gloria. Le Scritture insegnano che il peccato
è contro Dio perché il peccatore lo intende, e Dio lo vede, come ribellione contro di lui. È
un’offesa al suo onore, ma non può fargli alcun torto. La cattiveria dei peccatori è
impotente: non può distruggere la sua essenza o le sue perfezioni, non può togliergli il suo
dominio e il suo potere, non può diminuire le sue ricchezze e i suoi possedimenti, non può
disturbare la sua pace e la sua compostezza, non può fermare i suoi piani e i suoi propositi
e non può sminuire la sua gloria perfetta. Giobbe sbagliò quindi, dicendo: Che guadagno
io di più a non peccare? La sua riforma non giovò a Dio. Chi quindi ne avrebbe tratto
profitto? [2] I servizi degli uomini più pii non rendono giovamento a Dio: Se sei giusto, che
gli dai? Gb 35:7 Non ha bisogno dei nostri servizi e, se vuole compiere qualcosa, ha a sua

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 278


disposizione delle mani migliori delle nostre. La nostra religiosità non ci dà alcun accesso ai
suoi benefici. Non solo Dio non ci deve niente, ma noi dobbiamo tutto a lui per averci fatti
giusti e per avere accettato la nostra giustizia. Non possiamo quindi esigere niente da lui e
non abbiamo motivo di lamentarci se non abbiamo ciò che ci aspettiamo. Dobbiamo invece
essere grati, perché abbiamo più di quanto meritiamo.

Gb 35:9-13

Eliu rispose poi a un’altra affermazione di Giobbe che, secondo lui, pregiudicava molto la
giustizia e la bontà di Dio, e non doveva quindi essere trascurata. Osservate:

I. Di che cosa si lamentava Giobbe, cioè che Dio non ascolta il grido degli oppressi contro
gli oppressori: « Si grida per le molte oppressioni, per le numerose privazioni che i superbi
tiranni infliggono ai poveri e per il loro trattamento barbarico, si levano lamenti,
inutilmente, perché non sembra che Dio faccia giustizia. Gli oppressi gridano e gridano per
l’intensa violenza dei grandi ». Gb 35:9 Sembra che Eliu si riferisse alle parole di Giobbe:
Sale dalle città il gemito de’morenti; l’anima dei feriti implora aiuto contro gli oppressori, e
Dio non si cura di codeste infamie, non ne tiene conto. Gb 24:12 È qualcosa che Giobbe
non riesce a capire. Non sa riconciliare la giustizia di Dio con il suo governo. C’è un Dio
giusto? E può essere lento a udire e lento a vedere?

II. Eliu risolve il problema. Se le grida degli oppressi non sono ascoltate, non è colpa di
Dio, che è disposto ad ascoltarli e ad aiutarli. È colpa degli stessi oppressi, che domandano
e non ricevono, perché domandano male. Gm 4:3 Si levano lamenti per la violenza dei
grandi, ma sono lamenti e gemiti, e non delle grida di preghiera penitente. Sono grida
della natura e della passione e non della grazia. Essi non gridano a me col cuor loro, ma si
lamentano sui loro letti. Os 7:14 Come possiamo aspettarci che siano ascoltati e soccorsi?

1. Non cercano Dio, né cercano di conoscerlo, durante la sua afflizione: Ma nessuno dice:
Dov’è Dio, il mio creatore? Gb 35:10 Le afflizioni sono inviate per dirigerci e spronarci a
tornare bramosi di ritrovare Iddio. Sl 78:34 Molte persone però soffrono grandi oppressioni
senza curarsi di Dio e senza notare il suo intervento. Altrimenti, sopporterebbero i guai più
pazientemente e ne trarrebbero più giovamento. Di tutte le persone afflitte e oppresse,
solo poche ne ricavano i benefici. Le afflizioni dovrebbero avvicinarle a Dio, ma lo fanno
raramente. È triste vedere così poca religione tra i poveri e i miseri. Ognuno si lamenta dei
suoi guai, ma nessuno dice: Dov’è Dio, il mio creatore? Nessuno, cioè, si pente dei propri
peccati. Nessuno si rivolge a colui che li colpisce. Nessuno cerca il volto e il favore di Dio e
quel suo conforto che allevierebbe le afflizioni esterne. Sono del tutto presi dalla miseria
della loro condizione, come se li scusasse del fatto che vivono senza Dio, mentre dovrebbe
invece avvicinarli maggiormente a lui. Osservate:

(a) Dio è il nostro Creatore, l’autore del nostro essere. Dobbiamo quindi rispettarlo e
ricordarlo come tale. Ec 12:1 Dio i miei creatori, al plurale. Secondo alcuni, si tratta, se
non di un’indicazione, almeno di un suggerimento della Trinità compresa nell’unità divina.
Facciamo l’uomo.

(b) È quindi nostro dovere cercarlo. Dov’è, che possiamo rendergli omaggio, riconoscendo
la nostra dipendenza da lui e i nostri obblighi verso di lui? Dov’è, che possiamo rivolgerci a
lui per il nostro sostenimento e la nostra protezione, che possiamo ricevere le sue leggi,

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 279


che possiamo cercare la nostra felicità nel suo favore, così come abbiamo ricevuto il nostro
essere dal suo potere?

(c) È triste che Dio sia così poco ricercato dagli uomini. Tutti chiedono: Dove possiamo
trovare felicità o ricchezza? Dove si trova un buon affare? Nessuno però chiede: Dov’è Dio,
il mio creatore?

2. Non notano i suoi atti misericordiosi durante le loro afflizioni, e non ne sono grati. Non
possono quindi aspettarsi che Dio li liberi.

(a) Dio ci dà consolazioni e gioie interiori durante i nostri problemi esterni. Dobbiamo
quindi avvantaggiarcene, e aspettare che ci liberi dai nostri guai al momento che ritiene
opportuno. Nella notte concede canti di gioia. Quando le nostre condizioni sono difficili,
tristi e deprimenti, Dio, la sua provvidenza e le sue promesse sono sufficienti non solo a
sostenerci, ma a riempirci di gioia e di consolazione, aiutandoci a ringraziarlo in ogni cosa
e a gioire anche nella tribolazione. Se ci limitiamo a riflettere sulle nostre afflizioni,
trascurando le consolazioni che Dio ha riservato per noi, è giusto che egli rifiuti le nostre
preghiere.

(b) Continua a concederci l’uso della ragione e della comprensione: Ci fa più intelligenti
delle bestie dei campi, Gb 35:11 cioè, ci ha dotato di poteri e di facoltà più eccellenti di
loro e ci ha permesso di godere di piaceri e di occupazioni più nobili, ora e in eterno.
Vediamo qui: [1] Un motivo per ringraziare Dio, anche nelle peggiori afflizioni. In
qualunque privazione, abbiamo ancora la nostra anima immortale, un gioiello più prezioso
del mondo intero. Anche coloro che uccidono il corpo non possono far del male all’anima.
Se poi la nostra afflizione non disturba l’esercizio delle sue facoltà, e noi continuiamo a
godere dell’uso della nostra ragione e della pace della nostra coscienza, abbiamo motivo di
essere grati, per gravi che siano le nostre calamità esterne. [2] Un motivo per cercare Dio
nostro Creatore durante le nostre afflizioni. È la nostra più grande facoltà intellettiva, che
ci permette di avere una religione e soprattutto ci insegna più delle bestie e degli uccelli.
Gli animali hanno dei grandi istinti e delle eccellenti abilità di cercare cibo, rimedi e riparo,
ma non possono chiedere: Dov’è Dio, il mio creatore? Si è scoperto che hanno anche una
certa logica, filosofia e politica, ma non un senso della divinità o della religione, che sono
proprie dell’uomo. Se gli oppressi levano solo lamenti per la violenza dei grandi, senza
cercare l’aiuto di Dio, sono come le bestie (che si lamentano se sono colpite),
dimenticando l’istruzione e la saggezza che li elevano al di sopra di loro. Dio risponde a
quelle bestie perché lo invocano quanto meglio sono capaci di fare. Gb 38:41 Sl 104:21
Perché gli uomini dovrebbero invece aspettarsi sollievo, se hanno l’abilità di cercare Dio
come loro Creatore, ma lo invocano solo come le bestie?

3. Sono superbi e non si umiliano durante le afflizioni, che sono intese proprio a
mortificarli e a combattere il loro orgoglio: Si grida gridano contro i loro oppressori,
comunicando a tutti le loro rimostranze, senza farsi scrupolo di non gettare discredito su
Dio stesso e sulla sua provvidenza — ma egli non risponde. Gb 35:12 Dio non li libera e
forse gli uomini non li stimano molto. Perché? A motivo della superbia dei malvagi. Sono
malvagi, nel cuore hanno di mira l’iniquità, e quindi il Signore non li ascolta. Sl 66:18 Is
1:15 Dio non dà ascolto a peccatori come loro. Sembra che si causino guai con la propria
malvagità. Sono i poveri del diavolo. Chi può avere pietà di loro? In più, continuano a
essere superbi e quindi non cercano l’Eterno. Sl 10:4 ND O anche se lo invocano, Dio non

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 280


li ascolta perché esaudisce solo il desiderio degli umili Sl 10:17 e libera quelli che, nella
sua provvidenza, prepara, con la sua grazia, a tale liberazione. Non siamo pronti a essere
liberati se, durante le nostre umilianti afflizioni, il nostro cuore e la nostra superbia non si
lasciano umiliare. È chiaro che se invochiamo Dio, chiedendogli di liberarci dalla nostra
oppressione e dalle nostre afflizioni, ed egli non lo fa, non è perché la sua mano è troppo
corta o il suo orecchio è troppo duro di udito, ma perché l’afflizione non ha ancora
completato la sua opera. Non siamo stati umiliati abbastanza, e quindi dobbiamo
ringraziare solo noi stessi.

4. Dio non li ascolta perché non sono sinceri, giusti e vicini a lui nelle loro preghiere. Non
vuole quindi ascoltarli e rispondere: Dio non dà ascolto a lamenti vani, Gb 35:13 a
preghiere ipocrite e inutili che provengono da labbra di frode. È vano pensare che il Dio
che scruta i cuori e richiede la sincerità nell’interiore le ascolti.

Gb 35:14-16

Troviamo qui:

I. Un’altra espressione impropria di Giobbe che Eliu rimprovera: Dici che non lo scorgi, Gb
35:14 cioè:

1. « Ti lamenti che non capisci il significato, il senso e il proposito di queste severe azioni
di Dio nei tuoi confronti ». Gb 23:8,9

2. « Non hai speranza di vedere la sua misericordia e dei giorni migliori. Sei quindi pronto
a ritenerlo tutto perduto, come fece Ezechia quando disse: Non vedrò più l’Eterno. Is
38:11 Così come, nella prosperità, abbiamo la tendenza di pensare che la nostra
montagna non sarà mai abbattuta, allo stesso modo, nella nostra avversità, siamo
propensi a credere che la nostra valle non sarà mai colmata. In ogni caso, tendiamo a
concludere che niente cambia dall’oggi al domani, che è altrettanto assurdo quanto
sarebbe dire che il bel tempo rimarrà sempre bello e il brutto tempo brutto, o che l’alta
marea continuerà ad alzarsi e la bassa marea ad abbassarsi.

II. La risposta di Eliu alle sconsolate parole di Giobbe:

1. Di fronte a Dio, non aveva motivo di esprimersi con tanto sconforto: La causa tua gli sta
dinanzi, cioè, « Sa che cosa deve fare e agirà sempre con infinita saggezza e giustizia. Ha
di fronte agli occhi tutto il piano e il disegno della provvidenza e sa ciò che farà. Noi, al
contrario, non sappiamo ciò che avverrà e non possiamo comprendere le sue azioni. Ci
sarà un giudizio universale, quando tutte le apparenti dissonanze della provvidenza divina
appariranno nella giusta luce e le pagine oscure saranno chiarite. Allora vedrai il pieno
significato di questi tristi eventi e la conclusione di questi avvenimenti sconfortanti. Vedrai
il suo volto con gioia. Sappilo aspettare, dipendi da lui e confida in lui, credendo in un lieto
fine ». Se pensiamo che Dio è infinitamente saggio, giusto e attendibile, e che è un Dio di
giustizia, Is 30:18 non avremo motivo di perdere fiducia nel suo soccorso. Avremo invece
ogni ragione di sperare che il suo aiuto verrà al momento giusto.

2. Se non aveva ancora visto la fine dei suoi guai, era perché non aveva confidato in Dio,
sperando in lui: « Dato che ciò non avviene, dato che non confidi in lui, l’afflizione che era

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 281


inizialmente stata motivata dall’amore contiene ora un elemento d’ira. Ora Dio ti ha
visitato nella sua collera, dispiaciuto che tu non riesca a confidare in lui e che tu mantenga
di lui un’opinione così brutta e sbagliata ». Gb 35:15 KJV Se, nelle nostre afflizioni,
possiamo riconoscere, anche in parte, l’ira divina, possiamo ringraziare noi stessi, perché
non abbiamo reagito bene. Disputiamo con Dio, siamo ansiosi e impazienti, e non
confidiamo nella sua provvidenza. Era il caso di Giobbe. La stoltezza dell’uomo ne perverte
la via, quindi il cuor di lui s’irrita contro l’Eterno. Pr 19:3 Eliu pensava che Giobbe, nella
sua condizione critica, non avesse riflettuto sufficientemente e non avesse capito che era
colpa sua se non era ancora stato liberato dai suoi guai. Concluse quindi che aveva aperto
vanamente le labbra, Gb 35:16 lamentandosi dei suoi problemi ed esigendo un’ammenda,
o giustificandosi e rivendicando la propria innocenza. Era tutto vano, perché non confidava
in Dio, non sperava in lui e non lo considerava sufficientemente nelle sue afflizioni. Aveva
parlato tanto, accumulando parole, ma senza conoscimento, senza scopo, perché non si
era fatto forza in Dio e non si era umiliato di fronte a lui. Ci è inutile fare appello a Dio o
scagionarci da soli se non cerchiamo di capire lo scopo della nostra afflizione, così come ci
è inutile chiedere a Dio di salvarci se non confidiamo in lui. Chi non confida in Dio non
pensi di ricever nulla dal Signore. Gm 1:7 Oppure, Eliu si riferì a tutte le parole di Giobbe.
Avendo dimostrato l’assurdità di certe parti del suo discorso, concluse che c’erano molte
altre sue affermazioni che avevano dimostrato altrettanto errore e ignoranza. Non lo
condannò, come avevano fatto gli altri amici, come ipocrita, ma lo accusò soltanto dello
stesso peccato di Mosè: aveva parlato sconsigliatamente con le sue labbra quando il suo
spirito fu inasprito. Quando ci comportiamo in quel modo (chi non offende con le sue
labbra?), è un bene saperlo e, come Giobbe, accettare pazientemente e benevolmente chi
ce lo dice, senza ribadire, ma ritirando le nostre affermazioni errate.

Giobbe 36

Eliu, dopo avere rimproverato Giobbe per alcune sue affermazioni errate, che egli non
difese, rettifica ora più genericamente le sue concezioni degli atti di Dio nei suoi confronti.
I suoi altri amici avevano sostenuto che le sue afflizioni erano così gravi e lunghe perché
Giobbe era malvagio. Eliu disse invece semplicemente che le afflizioni gli erano state
inviate per metterlo alla prova e che quindi erano prolungate solo perché Giobbe non si
era ancora completamente umiliato e adattato. Eliu presenta diversi motivi, tra cui la
saggezza e la giustizia di Dio, la sua cura del suo popolo e soprattutto la sua grandezza e il
suo infinito potere, per persuadere Giobbe, in questo capitolo e nel seguente, a
sottomettersi alla mano di Dio. Troviamo qui:

I. La sua prefazione. Gb 36:2-4

II. Il resoconto dei metodi della provvidenza di Dio verso gli uomini, secondo la loro
condotta. Gb 36:5-15

III. Il giusto avvertimento e il buon consiglio che dà a Giobbe. Gb 36:16-21

IV. La sua presentazione della sovranità e dell’onnipotenza di Dio, di cui offre degli esempi
nelle comuni operazioni della provvidenza, e per cui dobbiamo tutti sottometterci a lui
quando agisce nei nostri confronti. Gb 36:22,33 Sono concetti che continua a esporre e ad
approfondire nel prossimo capitolo.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 282


Gb 36:1-4

Eliu chiese ancora una volta ai presenti, e particolarmente a Giobbe, di avere pazienza,
perché non aveva finito il suo discorso. Non volle però trattenerli a lungo. Seguitemi
ancora un poco (secondo alcuni Gb 36:2). « Concedetemi la vostra presenza e la vostra
attenzione ancora un poco. Parlerò solo una volta ancora, con quanta più chiarezza e
intendimento mi sia possibile ». A questo proposito, affermò che:

1. Aveva una buona causa e un argomento eminente e fecondo: C’è da dire ancora a pro
di Dio. Parlando come avvocato di Dio, poteva giustamente aspettarsi l’attenzione del
tribunale. Certi fingono falsamente di parlare da parte di Dio, ma chi difende sinceramente
la sua causa e sostiene il suo onore, la sua verità, le sue vie e il suo popolo non sarà mai
senza istruzioni (in quell’ora stessa gli sarà dato ciò che avranno a dire), non subirà
perdite di alcun genere e non dovrà preoccuparsi di rimanere senza parole. C’è sempre
altro da dire in difesa di Dio.

2. Aveva qualcosa di insolito da offrire, diverso dalle solite osservazioni: Io trarrò la mia
scienza da lontano, Gb 36:3 cioè, « Ricorrerò ai più alti principi e alle più grandi nozioni ».
È bene estendersi per trovare questa conoscenza di Dio, faticando e girando: alla fine,
ricompenserà i nostri sforzi. È lontana, ma è costosa.

3. Il suo proposito era ovviamente onesto. Voleva solo attribuire giustizia al suo Creatore,
sostenendo e chiarendo la sua verità, cioè che Dio è giusto in tutte le sue vie. Parlando di
Dio e per Dio, è bene ricordare che è il nostro Creatore, chiamarlo tale e quindi essere
pronti a rendere a lui e al suo regno il miglior servizio possibile. Se è il nostro Creatore, gli
dobbiamo ogni cosa e dobbiamo usare ogni cosa per lui, intenti a rendergli onore.

4. La sua condotta sarebbe stata giusta e retta: « Le mie parole non son bugiarde, e
faranno giustizia sia all’argomento stesso che ai miei pensieri e ai miei sentimenti. Io mi
batto per la verità e a giovamento della verità, con tutta sincerità e chiarezza ». Gb 36:4
Avrebbe usato dei ragionamenti saldi e comprensibili, senza tutte le sottigliezze e le
finezze delle accademie. « Ti sta parlando una persona dalla conoscenza perfetta e giusta.
Dagli quindi modo di parlare e accetta le sue parole in quanto bene intenzionate ». Una
conoscenza perfetta in questo mondo è la ricerca onesta e sincera della verità, applicata a
noi stessi e adoperata per il bene degli altri.

Gb 36:5-14

Eliu, parlando per Dio e particolarmente per attribuire giustizia al suo Creatore, dimostra
che le disposizioni della provvidenza divina sono tutte non solo secondo l’eterno disegno
della sua volontà, ma secondo le eterne regole dell’equità. Dio opera come un governatore
giusto. Infatti:

I. Non ritiene degradante prendere nota dei più umili sudditi, e la povertà o l’oscurità non
li allontanano dal suo favore. I grandi tendono a disprezzare chi non si distingue e non
conta, ma Iddio, che è infinitamente potente, non disdegna nessuno. Gb 36:5 Si abbassa
a conoscere le condizioni dei più abietti, per far loro giustizia e dimostrare bontà. Giobbe
pensava che Dio avesse trascurato lui e la sua causa perché non gli era immediatamente
apparso. « No », dice Eliu, Dio non disdegna nessuno. È per questo che dobbiamo onorare

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 283


ogni essere umano. È potente per la forza dell’intelletto suo, ma non disprezza chi ha poca
forza e poca intelligenza, se le intenzioni sono oneste. Anzi, non disprezza nessuno proprio
perché la sua potenza e il suo intelletto sono indubbiamente infiniti. Le distribuzioni della
sua grazia non lo sminuiscono. Chi è saggio e buono non schernisce e non disprezza.

II. Se uno è malvagio, per grande che sia, non ha il favore di Dio, che non lascia viver
l’empio. Gb 36:6 Anche se la vita dell’empio può essere prolungata, non è un atto speciale
della provvidenza divina, ma solo una normale protezione. Giobbe aveva detto che gli
empi arrivano alla vecchiaia ed anche crescon di forze. Gb 21:7 « No, » dice Eliu: « Dio
permette raramente agli empi di raggiungere la vecchiaia. Non preserva la loro vita quanto
si aspettano, né continua a dare quelle consolazioni e soddisfazioni che sono realmente
vitali. Anche la loro preservazione è solo fino al giorno dell’ira ». Ro 2:5

III. Dio è sempre pronto a fare giustizia a chi è offeso e a sostenere la sua causa: Fa
ragione ai miseri, Gb 36:6 li fa vincere contro i loro persecutori, costringendo questi ultimi
a restituire ciò di cui li hanno derubati. Se gli uomini non fanno giustizia ai poveri
maltrattati, la farà Dio.

IV. Si prende cura di proteggere soprattutto i suoi buoni sudditi. Ha lo sguardo


costantemente fisso su di loro: Non storna lo sguardo suo dai giusti. Gb 36:7 Anche se a
volte possono sembrare trascurati e dimenticati, e gli eventi della loro vita sembrano sviste
della Provvidenza, l’occhio attento e amorevole del Padre celeste non li perde mai di vista.
Se teniamo gli occhi su Dio nel nostro dovere, Dio tiene su di noi il suo sguardo pietoso.
Anche nelle condizioni peggiori, non ci abbandonerà.

1. A volte innalza i giusti a posizioni di onore e fiducia: Li pone coi re sul trono, Gb 36:7 e
ogni covone si inginocchia davanti al loro. Dio li mette in quelle posizioni come atto di
misericordia verso di loro, perché la sua grazia li arma contro le tentazioni che
accompagnano le promozioni e li aiuta a servirsi di quelle opportunità per fare del bene. È
anche un atto di misericordia verso i loro inferiori: Quando i giusti sono in autorità, il
popolo si rallegra. Quando salgono al potere, il popolo è al sicuro. Chi mantiene una buona
coscienza anche quando è onorato rimane saldo, e non trova le posizioni elevate
sdrucciolevoli come gli altri. Dato però che i giusti che diventano grandi in questo mondo
sono rari, questo versetto può riferirsi all’onore che i giusti riceveranno quando il loro
Redentore alla fine si leverà sulla polvere. Solo allora infatti saranno esaltati e stabiliti per
sempre, risplendendo tutti come il sole, resi re e sacerdoti per il nostro Dio.

2. Se Dio li affligge, è per il bene delle loro anime. Gb 36:8-10 Alcuni giusti sono elevati a
posizioni di onore e di potere, mentre altri hanno problemi. Osservate:

(a) La supposizione di questa miseria: Se gli uomini son talora stretti da catene, in
prigione, come Giuseppe, o se son presi nei legami dell’afflizione, Gb 36:8 bloccati dal
dolore e dalla malattia, legati dalla povertà, costretti dalle proprie macchinazioni e,
nonostante tutti i loro sforzi, trattenuti a lungo nei guai. Era il caso di Giobbe, catturato e
trattenuto dai legami dell’angoscia (secondo alcuni). Osservate:

(b) Il piano di Dio nel dare al suo popolo simili pene. È per il bene delle loro anime. Questo
concetto dovrebbe riconciliarci con le nostre afflizioni, dandocene un’opinione positiva. Dio
ci affligge con tre intenti. [1] Vuole rivelarci e ricordarci i peccati passati, e mostrarci i falli

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 284


che non vediamo da soli. Rivela il fatto del peccato: dichiara loro i lor fatti. Il peccato è
opera nostra. Se c’è del bene in noi, è opera di Dio. Noi dobbiamo preoccuparci delle
conseguenze dei nostri peccati. Dio rivela anche l’errore del peccato, cioè i misfatti contro
la sua legge, e il male del peccato, che si accumula e diventa eccessivo. Gb 36:9 D I veri
penitenti aggravano il peso della propria colpa. Non minimizzano, ma peggiorano i propri
peccati, riconoscendo che ne hanno tanti. L’afflizione a volte è proporzionale al peccato. In
ogni caso, serve a risvegliare la coscienza e a far riflettere. [2] Vuole preparare il cuore a
ricevere le attuali istruzioni: Apre così i loro orecchi ai suoi ammonimenti. Gb 36:10 Dio
ammaestra chi corregge. Sl 94:12 L’afflizione rende docili e disposti a imparare,
ammorbidendo la cera che riceve il marchio del sigillo. Non ne è però l’autrice. È la grazia
di Dio che agisce in noi. È Dio, che ha la chiave di Davide, ad aprire le orecchie e il cuore.
[3] Vuole fermarci e farci evitare futuri atti di iniquità. È questo il compito principale
dell’afflizione. Ci esorta ad abbandonare il male, a non avere niente a che fare con il
peccato e ad allontanarlo con ripulsione, decisi a non ritornarvi mai più. Os 14:8

3. Se l’afflizione funziona e raggiunge il suo fine, Dio manda di nuovo il suo conforto,
proporzionale alla durata di quell’afflizione. Se gli uomini l’ascoltano; se si sottomettono;
se cooperano con i suoi piani; se servono al suo scopo secondo i suoi ordini; se, quando
l’afflizione ha fine, mantengono la stessa buona disposizione d’animo che avevano quando
più erano colpiti e i voti che avevano fatto allora; se vivono in ubbidienza ai comandamenti
di Dio, soprattutto a quelli annessi al suo servizio e alla sua adorazione, cercando sempre
di svolgere il loro dovere verso di lui, finiscono i loro giorni nel benessere, e gli anni loro
nella vera gioia. Gb 36:11 La devozione a Dio è l’unica certezza di prosperità e di gioia. È
una verità inconfutabile, a cui tuttavia pochi credono. Se serviamo Dio diligentemente,
abbiamo:

(a) La sua promessa di prosperità, la promessa di questa vita con tutte le sue consolazioni,
fintanto che è per la gloria di Dio e per il nostro bene. Chi può chiedere di più?

(b) Il possedimento di gioie interiori, il conforto della comunione con Dio e di una buona
coscienza e quella grande pace che appartiene a chi ama la sua legge. Se non ci
rallegriamo del continuo nel Signore e nella speranza della vita eterna, è colpa nostra. Che
gioie più grandi possiamo avere?

4. Se l’afflizione non serve, possono aspettarsi di essere consumati in una fornace sette
volte più ardente: Gb 36:12 Se non l’ascoltano, se le loro afflizioni non li migliorano, se Dio
non li riprende a sé e non li riforma, saranno uccisi dalla spada della sua ira. La spada
uccide chi la verga non cura, e il fuoco annienta chi non raffina. Al giudizio, Dio è sempre
vincitore. Nel tempo in cui si trovava alle strette, questo medesimo re Acaz che continuò
più che mai a commettere delle infedeltà contro l’Eterno fu condannato alla distruzione.
2Cr 28:22 Gr 6:29-30 Dio manda le afflizioni per ammonire, ma, se gli uomini non
ricevono la sua istruzione e i suoi suggerimenti, muoiono senza conoscenza, senza
rendersene conto, senza ricevere altri avvertimenti, oppure per mancanza d’intendimento,
nonostante i mezzi e le facoltà che possiedono. Chi muore per mancanza d’intendimento
muore senza grazia ed è distrutto per sempre.

V. Distrugge gli ipocriti, i segreti nemici del suo regno (descritti nel versetto 12). Anche se
erano stati enumerati tra i giusti di cui Eliu aveva parlato prima, non avevano ubbidito a
Dio, ed, essendo figli della disubbidienza e delle tenebre, diventarono figli dell’ira e della

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 285


perdizione. Sono gli ipocriti di cuore che accumulano l’ira. Gb 36:13 KJV Notate la natura
dell’ipocrisia: risiede nel cuore, che è per il mondo e per la carne mentre esteriormente
finge di essere per Dio e per la religione. Molti santi in apparenza o a parole sono ipocriti
di cuore. Sono fonti inquinate che nascondono un tesoro di empietà. Notate anche la
malvagità dell’ipocrisia: gli ipocriti accumulano l’ira. Ogni giorno, provocano Dio con le loro
azioni, per cui saranno puniti nel giorno del giudizio. Accumulano un tesoro d’ira per il
giorno dell’ira. Ro 2:5 I loro peccati sono tenuti in serbo presso Dio, nei suoi tesori (De
32:34; cfr. Gm 5:3). Così come il vapore che sale ritorna a terra nella pioggia, il peccato
che sale senza il pentimento fa scendere l’ira. Chi pensa di accumulare ricchezze o meriti,
si accorgerà, quando i tesori saranno rivelati, di avere accumulato ira. Osservate:

1. Come si accumula ira. Che cosa provoca tanto Dio? Non implorano Iddio quand’ei
gl’incatena. Quando cioè li affligge e li incatena con le catene dei guai, restano duri di
cuore e ostinati, non si umiliano e non invocano il suo aiuto. Sono sciocchi e insensibili
come pietre e pezzi di legno e disprezzano la correzione del Signore.

2. Quali sono gli effetti di quell’ira? Gli ipocriti, a cui Cristo ha predetto tanti guai, muoiono
nel fior degli anni, e la loro vita finisce tra gli impuri. Gb 36:14 KJV Se continuano a non
pentirsi,

(a) Moriranno improvvisamente, nel fior degli anni, quando la morte coglie di sorpresa. Per
gli ipocriti la morte (cioè le sue conseguenze) è sempre inaspettata. Così come i giovani
muoiono quando si aspetterebbero di vivere, allo stesso modo gli ipocriti vanno all’inferno
aspettandosi di andare in cielo. Quando un empio muore, la sua speranza perisce.

(b) Moriranno la seconda morte. La loro vita, dopo la morte (perché qui si parla di quella),
è tra gli impuri, tra i fornicatori (secondo alcuni), nonostante le loro speciose e ingannevoli
professioni di fede, tra i sodomiti (secondo la nota al margine), quegli immondi miserabili
che, essendo andati dietro a vizi contro natura, sono posti come un esempio, portando la
pena d’un fuoco eterno. Gd 1:7 Le anime degli empi vivono dopo la morte, ma tra gli
spiriti immondi, tra il diavolo e i suoi angeli, separate per sempre dalla nuova
Gerusalemme, in cui niente d’immondo entrerà.

Gb 36:15-23

Eliu parla ora più direttamente a Giobbe:

I. Gli dice che cosa avrebbe già fatto Dio per lui se si fosse umiliato durante la sua
afflizione. « Sappiamo tutti che Dio è pronto a liberare gli afflitti nella loro afflizione. Gb
36:15 D Lo ha sempre fatto. Dio tratta con tenerezza i poveri in spirito e chi ha un cuor
rotto e contrito, ed è pronto ad aiutarli se sono afflitti. Apre loro l’orecchio, e fa sì che
odano gioia e allegrezza, anche nell’oppressione. Anche se non li libera, dà loro delle
buone parole di conforto per incoraggiare la loro fede e la loro pazienza, per mettere a
tacere i loro timori e per controbilanciare i loro dolori. A te pure Gb 36:16 lo avrebbe fatto,
se tu ti fossi sottomesso alla sua provvidenza e ti fossi comportato bene. Ti avrebbe
liberato e confortato, e non saresti qui a lamentarti. Se ti fossi adeguato alla volontà di
Dio, avresti di nuovo libertà e abbondanza, con tanto di guadagno ».

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 286


1. « Non saresti più confinato qui dalla malattia e dalla sventura: Dio ti vuol trarre dalle
fauci della distretta, al largo, dove non è più angustia. Non saresti qui in questo luogo
ristretto, anzi, non avresti più confini ».

2. « Ti avrebbe arricchito, invece di lasciarti in questa misera condizione. Avresti avuto una
tavola imbandita non solo del pane necessario, ma del fior di frumento », cfr. De 32:14
« e delle carni più grasse ». Notate: Durante le afflizioni, dovrebbe metterci a tacere il
pensiero che, se ci fossimo comportati meglio, saremmo in condizioni migliori. Se
l’afflizione avesse raggiunto il suo scopo, potrebbe terminare. La liberazione viene se
siamo pronti ad accettarla. Dio ci avrebbe fatto del bene se avessimo agito bene. Sl
81:13,14 Is 48:18

II. Lo accusa di intralciare la propria luce e di causare la continuazione dei suoi guai: « Ma
tu colmi il giudizio del malvagio », Gb 36:17 ND cioè, « che tu lo sia o meno, in questo
caso ti sei comportato come un malvagio, hai parlato e agito come un malvagio e hai
gratificato i malvagi, servendo alla loro causa. Per questo il giudizio e la giustizia ti
afferreranno come si afferra un malfattore, perché ti sei messo insieme a loro,
comportandoti come se tu fossi dalla loro parte, aiutandoli e istigandoli. Hai fatto ragione
all’empio, e per questo il giudizio di Dio sarà su di te », secondo il dott. Patrick. È
pericoloso trovarsi dalla parte sbagliata. Gli accessori al tradimento sono trattati come i
colpevoli principali.

III. Lo avverte a non continuare nella sua ostinazione, dando diversi ammonimenti:

1. Non minimizzi la vendetta divina e non si senta al sicuro, come se non fosse in pericolo:
« Dato che c’è l’ira » cioè, « dato che Dio governa con giustizia, offendendosi per tutti gli
affronti contro il suo governo, dato che ha rivelato la sua ira dal cielo contro ogni empietà
e ingiustizia degli uomini, e dato che hai motivo di temere la sua disapprovazione, guarda
che talora egli non ti atterri con i suoi colpi. Rappacificati subito, saggiamente, con lui,
perché distolga da te la sua collera ». Gb 36:18 KJV Giobbe aveva dato un simile
avvertimento ai suoi amici: Temete per voi stessi la spada, perché l’ira porta la punizione
della spada. Gb 19:29 ND Molti contendenti hanno la troppo audace tendenza a esporre i
propri opponenti al giudizio di Dio e a minacciarli con la sua ira. Chi ha la coscienza pulita
non deve temere le impotenti intimidazioni dei superbi. Quello di Eliu era un avvertimento
amichevole e necessario. Anche le persone migliori hanno bisogno del timore dell’ira di Dio
per restare fedeli al proprio dovere. « Sei saggio e giusto, ma stai attento che non ti
colpisca, perché anche nei più saggi e nei più giusti c’è abbastanza da meritare i suoi
colpi ».

2. Non si aspetti, se l’ira di Dio si accende contro di lui, di poter trovare il modo di
sfuggirne ai colpi.

(a) Il denaro non servirà. Non si compra il perdono con l’argento, l’oro o altri oggetti
corruttibili: « Anche una gran somma di denaro non potrebbe allontanare i giudizi di Dio.
Non si può corrompere la sua giustizia, né chi l’amministra. Farebbe egli caso delle tue
ricchezze, accettandole per cambiare la punizione? Non l’oro. Gb 36:19 Anche se tu avessi
il massimo della ricchezza, non ti aiuterebbe e non ti proteggerebbe dai colpi dell’ira di
Dio, nel giorno della rivelazione, quando le ricchezze non servono (Pr 11:4; cfr. Sl
49:7,8) ».

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 287


(b) Nessuno potrà dare soccorso: « Se tutta la possanza dell’opulenza fosse a tua
disposizione, se tu riuscissi a radunare tanti servitori e vassalli da cercare di sottrarti alle
mani della vendetta divina, sarebbe tutto invano. A Dio non importerebbe. Nessuno può
liberare dalla sua mano ».

(c) Non ci si potrà nascondere: Gb 36:20 « Non anelare a quella notte, che spesso assiste
e nasconde la ritirata di un esercito in fuga. Non pensare di poter sfuggire al giusto
giudizio di Dio, perché le tenebre stesse non possono nascondere nulla (Sl 139:11,12; cfr.
Gb 34:22) ». « Non pensare che, solo perché di notte gli uomini si ritirano nelle loro case e
vanno a letto, per cui è facile nascondersi da loro, anche Dio faccia lo stesso e non possa
vederti. No, Dio non sonnecchia né dorme. Ha gli occhi fissi sul genere umano, non solo
dappertutto, ma sempre. Non ci sono rocce o montagne che possano nasconderci dal suo
sguardo ». Secondo alcuni, si tratta della notte della morte, quando gli uomini sono portati
via. Giobbe aveva voluto tanto quella notte, come l’operaio aspetta la sera. Gb 7:2 « Non
desiderarla », dice Eliu. « Non sai che cos’è ». Chi desidera ardentemente la morte,
sperando di potersi nascondere dall’ira di Dio, può sbagliarsi. Alcuni sono trascinati in
quella notte proprio dalla sua ira.

3. Non continui a discutere con Dio e con la sua provvidenza, come aveva continuato a
fare invece di sottomettersi all’afflizione: « Guardati bene, con gran cura del tuo spirito,
dal volgerti all’iniquità Gb 36:21 Non ritornarci (secondo alcuni), è pericoloso ». Non
osiamo pensar bene del peccato, non concediamocelo, non accettiamolo. Eliu pensò che
Giobbe avesse bisogno di questo avvertimento, dato che sembrava preferire l’iniquità
all’afflizione, avendo scelto di gratificare la propria superbia e i propri sentimenti in quella
discussione con Dio piuttosto di mortificarli sottomettendosi a lui e accettando la
punizione. In senso più generico, possiamo osservare che chi sceglie l’iniquità invece
dell’afflizione fa una brutta scelta. Chi allevia le proprie ansie con dei piaceri peccaminosi,
accresce le proprie ricchezze con metodi corrotti, fugge i propri guai con sistemi perversi
ed evita di soffrire a causa della giustizia con compromessi peccaminosi e contro
coscienza, si pentirà delle sue scelte. C’è più male nel più piccolo peccato che nella più
grande afflizione. Non è altro che male.

4. Non dia ordini o limitazioni a Dio: « Vedi, Iddio è eccelso nella sua potenza », Gb
36:22,23 cioè, « Può innalzare e abbattere chi vuole, quindi non spetta a te discutere con
lui ». Più magnifichiamo Dio, più umiliamo e mortifichiamo noi stessi. Considerate:

(a) Dio è sovrano assoluto: Iddio è eccelso nella sua potenza, con una forza che non
deriva da altri. Esalta chi desidera, gli afflitti e gli oppressi, con la forza e il potere che dà
al suo popolo, quindi chi gli prescrive la via da seguire? Chi sovrintende alle sue vie? Ha
forse qualche superiore che gli dà ordini e a cui deve fare rapporto? No, è supremo e
indipendente. Chi gli suggerisce la via da seguire?, secondo alcuni. La Mente eterna ha
forse bisogno di promemoria? No, la sua via, come pure la nostra, è sempre davanti ai
suoi occhi. Nessuno gli ha dato ordini o istruzioni Is 60:13,14 e non deve rendere conto a
nessuno. È lui che prescrive alle creature la via da seguire. Non cerchiamo di fare il
contrario. Lasciamo che sia lui a governare il mondo, che è idoneo a farlo.

(b) È un insegnante incomparabile: Chi può insegnare come lui? È assurdo cercare di dare
insegnamenti alla fonte di luce, verità, conoscenza e istruzione. Chi insegna agli uomini
conoscenza, come nessun altro può fare, non sa? Sl 94:9,10 KJV Accenderemo una

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 288


candela per far luce al sole? Osservate: Glorificando Dio come sovrano, Eliu lo loda anche
come insegnante, perché chi governa deve insegnare, e Dio si investe di entrambi i ruoli.
Lega con corde umane. Anche in questo, è incomparabile. Nessuno può dirigere le sue
azioni. Sa che cosa deve fare e come farlo, e non ha bisogno di informazioni o consigli. Lo
stesso Salomone aveva un gruppo di consiglieri, ma il Re dei re non ne ha. Nessuno può
dirigere le nostre azioni meglio di lui. Nessuno insegna con altrettanta autorità, con prove
altrettanto convincenti, con altrettanta comprensione e compassione e con altrettanto
potere e altrettanta efficacia. Insegna tramite la Bibbia, il più grande libro, e tramite suo
Figlio, il miglior Maestro.

(c) È indiscutibilmente giusto in tutte le sue azioni: Chi gli può dire: Tu hai operato
perversamente? Gb 36:23 D Non: Chi osa dirgli (Molti si comportano male, e chi lo dice lo
fa a suo rischio)? Ma: Chi gli può dire? Chi ha motivo di dirlo? Chi può dirlo e dimostrarlo?
C’è un proverbio indubbiamente e assolutamente vero: Il Re dei re non può agire male.

Gb 36:24-33

Eliu cerca di comunicare a Giobbe la grandezza e la supremazia di Dio, persuadendolo così


a sottomettersi serenamente alla sua provvidenza.

I. Definisce l’opera di Dio, in genere e nella sua interezza, nobile e pregevole. Gb 36:24
Dio non commette alcun male. È per questo che dobbiamo accettare tutti gli atti della sua
provvidenza, soprattutto nei nostri confronti. Ammiriamo e lodiamo le sue opere visibili,
quelle naturali, che influenzano il mondo in generale, dalle quali notiamo la saggezza, il
potere e la bontà del Creatore. Dobbiamo forse trovare da ridire sui suoi atti verso di noi e
sui suoi piani per la nostra vita? Siamo esortati a considerare l’opera di Dio: Ec 7:13

1. È un’opera evidente e visibile, totalmente ovvia, che il mortale contempla. Anche un


mezzo cieco può vederla e contemplarla da lontano. Dovunque volgiamo lo sguardo,
vediamo i frutti della saggezza e del potere di Dio, e non possiamo fare a meno di dire: È
l’opera di Dio, il dito di Dio, l’opera dell’Eterno. Tutti possono riconoscere, anche da
lontano, che il cielo con tutte le sue luci, e la terra con tutti i suoi frutti sono opera
dell’Onnipotente. Quanto più lo comprendiamo quando siamo vicini. Osservate i più piccoli
elementi della natura al microscopio. Non sono singolari? L’eterna potenza e divinità del
Creatore si vedono chiaramente, essendo intese per mezzo delle opere sue. Ro 1:20 Ogni
uomo può vederle, anche chi non ha il beneficio della rivelazione divina: Non c’è gergo o
linguaggio in cui questi predicatori naturali e perseveranti non possono essere uditi. Sl
19:3 KJV

2. Dovrebbe suscitare la nostra meraviglia. Dobbiamo ricordarci di esaltare e di


magnificare la bellezza e la perfezione dell’opera di Dio e l’armonia di tutte le sue parti,
non solo giustificandola in quanto giusta, ottima e ineccepibile, ma celebrandola in quando
piena di sapienza e di gloria, un’opera che nessuna creatura potrebbe mai ideare o
produrre. L’uomo, che, al contrario delle bestie, sa riconoscere la mano di Dio nelle sue
opere, deve quindi ammirarle e glorificare Dio per averle compiute.

II. Definisce Dio, l’autore di quelle opere, infinito e inscrutabile. Gb 36:26 I rivi
dell’esistenza, della potenza e della perfezione devono condurre alla loro fonte. Iddio è
grande, infinitamente grande. È grande in potenza, essendo onnipotente e indipendente,

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 289


ed è grande in ricchezza, essendo autosufficiente e completo. È grande in se stesso e in
tutte le sue opere. È grande e degno di sovrana lode. È grande, e noi non lo possiamo
conoscere. Conosciamo la sua esistenza, ma non la sua essenza. Sappiamo che cosa non
è, ma non che cos’è. Conosciamo in parte, non perfettamente. È un motivo per cui non
dobbiamo criticare o biasimare i suoi atti, perché è dir male di quel che ignoriamo e
rispondere prima d’aver ascoltato. Non conosciamo la durata della sua esistenza, che è
infinita. Incalcolabile è il numero degli anni suoi, perché è eterno. È un essere senza inizio
o successione di tempo, che sempre è stato, sempre sarà e rimane sempre lo stesso, il
grande IO SONO. Non dobbiamo dirgli che cosa fare, né discutere con lui perché i suoi
atti, come lui stesso, ci sono del tutto incomprensibili.

III. Eliu presenta, come esempi della saggezza, del potere e del dominio sovrano di Dio,
delle opere della natura e dei normali atti della provvidenza, iniziando, in questo capitolo,
con le nuvole e la pioggia. Non dobbiamo esaminare l’espressione o la filosofia di questo
nobile discorso con un occhio critico. L’idea generale è quella di dimostrare che Dio è
infinitamente grande e Signore assoluto, l’origine e la guida suprema di tutte le creature,
con ogni potestà in cielo e sulla terra, per cui dobbiamo adorarlo, lodarlo e onorarlo con
assoluta umiltà e rispetto. Saremmo quindi presuntuosi a dettargli le regole e i metodi
degli ordinamenti della sua provvidenza verso il genere umano, o ad aspettarci che ce ne
dia un resoconto, quando anche i normali atti della provvidenza che riguardano i fenomeni
meteorologici sono svariati, misteriosi e inspiegabili. Eliu, per far comprendere a Giobbe la
sublimità e la sovranità di Dio, lo aveva già invitato a guardare le nuvole. Gb 36:5 Nei
seguenti versetti, ci mostra dei particolari, nelle nuvole, che ci aiuteranno a considerare le
gloriose perfezioni del loro Creatore. Vediamo ora le nuvole,

1. Come fontane su questo mondo, sorgenti e recipienti della sua umidità e la grande
banca che la fa circolare: cosa importantissima, perché se l’acqua rimanesse stagnante
sarebbe, per il mondo, altrettanto problematico che se il sangue cessasse di circolare nel
corpo. È bene osservare quindi che:

(a) Le nuvole gocciolano sulla terra. Se il cielo sarà di rame, la terra sarà di ferro. È quindi
valida la promessa di abbondanza: Risponderò al cielo, ed esso risponderà alla terra.
Vediamo qui che ogni buon dono viene dall’alto, da chi è sia Padre degli astri che Padre
della pioggia. Dobbiamo quindi dirigere a lui le nostre preghiere e dirigere lo sguardo
verso l’alto.

(b) Le nuvole gocciolano in su gli uomini. Gb 36:28 D Anche se Dio fa cadere la pioggia
sulla terra inabitata, sul deserto ove non sta alcun uomo, Gb 38:26 Sl 104:11 presta
particolare attenzione al genere umano, che le bestie sono create per servire e da cui è
richiesto un tributo di lode. Tra gli uomini, fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Mt 5:45

(c) Le nuvole distillano l’acqua in gocciole, non in torrenti, come quando le cateratte del
cielo s’aprirono. Ge 7:11 Dio innaffia la terra con la stessa acqua con cui l’aveva annegata.
La distribuisce solo diversamente, per farci capire quanto dipendiamo dalla sua
misericordia e quanto è generoso nel mandarcela in gocce, per estenderla e diffonderla
più equamente, come con un annaffiatoio.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 290


(d) Anche se, a volte, la pioggia scende a piccole gocce, altre volte cade a dirotto. La
differenza tra una pioggia e un’altra dev’essere attribuita agli ordini della divina
provvidenza.

(e) Anche se cade a gocce, la pioggia cade sugli uomini copiosamente. Gb 36:28 D Le
Scritture la chiamano i ruscelli di Dio che son pieni d’acqua. Sl 65:9

(f) Le nuvole versano la pioggia secondo il vapore che hanno tratto in alto. Gb 36:27 KJV
Il cielo è giusto verso la terra, che non lo ricambia.

(g) Il prodotto delle nuvole è, per la terra, a volte un grande terrore, e altre volte un
grande favore. Gb 36:31 Quando vuole, per tal modo punisce i popoli con cui è adirato. I
temporali, le tempeste e i diluvi che distruggono i frutti della terra e causano alluvioni,
vengono dalle nuvole. D’altro lato, le stesse nuvole danno del cibo in abbondanza. Stillano
il grasso sui pascoli rivestiti di greggi, e su valli coperti di frumento. Sl 65:11-13

(h) A volte abbiamo un annuncio della pioggia: Il rombo del tuono, tra l’altro, annunzia
ch’ei viene. Gb 36:33 Leggiamo di un rumor di gran pioggia, o (secondo la nota al
margine) il suono di un rumore di pioggia, prima ancora che scendesse. 1Re 18:41 In quel
caso, era un benvenuto eraldo. Oltre al rumore, anche l’aspetto del cielo la predice. Lu
12:56 Anche le bestie, per uno strano istinto, sentono i cambiamenti di tempo imminenti e
cercano riparo, svergognando l’uomo che non vede venire il male, e non si nasconde.

2. Come ombre del mondo sovrastante: Chi può capire lo spiegamento delle nubi? Gb
36:29 Si distendono sulla terra come una tenda o un baldacchino. Come possono essere
così calme e distese, non possiamo capire, anche se le vediamo ogni giorno. Dovremmo
quindi fingere di comprendere tutti i motivi e i metodi dei giudizi di Dio verso gli uomini,
con una gran varietà di casi e di caratteri, se non sappiamo nemmeno spiegare la distesa
delle nubi con cui copre la luce? Gb 36:32 KJV Sono nubi che dividono (Gb 36:32 KJV; Gb
26:9). Comprendiamo quindi che l’interposizione delle nuvole tra noi e il sole è:

(a) A volte un bene, perché, come un ombrello, ci protegge dal violento calore del sole,
che altrimenti ci opprimerebbe. Una nube di rugiada nel calor della mèsse è considerata
un grande sollievo. Is 18:4

(b) A volte un male, perché oscura la terra nel mezzo della giornata e nasconde la luce del
sole. Il peccato è paragonato a una nube, Is 44:22 perché ci separa dalla luce del volto di
Dio e copre il suo splendore. Anche se le nuvole oscurano temporaneamente il sole e
riversano pioggia, post nubila Phoebus-dopo le nubi risplende il sole, e dopo aver svuotato
la nube, spande sopra essa la sua luce. Gb 36:30 C’è uno splendore dopo la pioggia. 2Sa
23:4 I raggi del sole trafiggono le nubi e arrivano a coprire anche le profondità del mare,
rilasciando nuovi vapori, nuove reclute per le nubi. Gb 36:30 In tutto questo, dobbiamo
ricordare di celebrare l’opera di Dio.

Giobbe 37

Eliu continua a decantare la meravigliosa potenza di Dio evidente nei fenomeni


meteorologici e nei cambiamenti di tempo. Se, durante quei mutamenti, ci sottomettiamo

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 291


alla volontà di Dio, accettando il tempo così com’è e cercando di trarne vantaggio, perché
non lo facciamo durante altri cambiamenti? Eliu descrive l’opera di Dio:

I. Nel tuono e nei lampi. Gb 37:1-5

II. Nel ghiaccio e nella neve, nella pioggia e nel vento. Gb 37:6-13

III. Fa riferimento a Giobbe e lo sfida a spiegare quei fenomeni naturali, affinché,


confessando la sua ignoranza, possa riconoscere di non poter giudicare gli atti della
provvidenza divina. Gb 37:14-22 Infine,

IV. Conclude con un principio che si era sforzato di puntualizzare: Dio è grande e deve
infondere grande timore. Gb 37:23,24

Gb 37:1-5

I tuoni e i fulmini, che di solito vanno insieme, sono chiare indicazioni della gloria, della
maestà, del potere e del terrore del Dio Onnipotente. I primi colpiscono l’udito e gli altri la
vista, testimoniando la grandezza di Dio, così come la pioggia e le stagioni feconde
testimoniano la sua bontà anche alle persone più stupide e sconsiderate. At 14:17 Anche
se hanno delle cause naturali e degli effetti benefici, che i filosofi cercano di riconoscere,
sembrano principalmente ideati dal Creatore per scuotere e risvegliare l’umanità assopita
perché consideri il Dio che la sovrasta. L’occhio e l’orecchio sono i due sensi
dell’apprendimento. Pur essendo possibile, sembra che nessuno sia nato cieco e sordo.
L’istruzione divina è comunicata alla mente in parole tramite l’orecchio e in opere tramite
l’occhio. Dal momento però che le visioni e i suoni ordinari non impressionano
sufficientemente gli uomini, Dio a volte decide di colpire la loro vista con i fulmini e il loro
udito con i tuoni. Probabilmente c’erano tuoni e fulmini proprio mentre Eliu parlava,
perché ne parlò al presente. Dato che Dio stava per parlare, Gb 38:1 erano delle giuste
prefazioni, che adoperò in seguito anche sul Sinai, per richiamare l’attenzione e la
meraviglia degli ascoltatori. Osservate:

1. Lo stesso Eliu ne era colpito, e voleva impressionare Giobbe con il senso della gloria di
Dio: Gb 37:1,2 « Per quanto mi riguarda », dice Eliu, « il mio cuore trema. Li ho sentiti e
visti molte volte, ma mi spaventano ancora, mi riempiono di tremiti, e il cuore mi batte
come se volesse balzare fuor del suo luogo ». Quei fenomeni hanno atterrito molti
malvagi. L’imperatore Caligola correva a nascondersi in un angolo o sotto il letto. Chi è
colpito al punto da non poter reagire si dice fulminato. I tuoni e i fulmini spaventano
spesso anche chi è buono, soprattutto per i danni che i fulmini possono causare,
provocando spesso anche la morte. Tra i fulmini, Sodoma e Gomorra furono ridotte in
rovina. Sono una dimostrazione visibile di ciò che Dio può fare a questo mondo
peccaminoso e di ciò che farà, alla fine, con il fuoco che ha in serbo per loro. I nostri cuori
dovrebbero tremare, come quello di Eliu, nel timore dei suoi giudizi. Sl 119:120 Eliu esorta
Giobbe a prestare attenzione: Odi, odi il fragore della sua voce. Gb 37:2 Forse c’erano
tuoni a distanza che potevano essere sentiti solo ascoltando attentamente. Oppure, anche
se i tuoni erano chiari e facilmente udibili, bisognava ascoltare con grande attenzione e
concentrazione per percepire e comprendere le istruzioni di Dio. Il tuono è detto la voce
dell’Eterno, Sl 29:3, ss. perché Dio se ne serve per esortare gli uomini a temerlo, e deve
ricordarci quella grande parola, che è definita un tuono, per mezzo della quale il mondo fu

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 292


creato: Alla voce del tuo tuono le acque fuggirono spaventate, Sl 104:7 quando Dio disse:
Siano raccolte in un unico luogo. Chi è colpito dalla grandezza di Dio deve cercare di
comunicarla agli altri.

2. Come descrive:

(a) Le loro cause originali, non secondarie. Dio guida i tuoni e i fulmini gli appartengono.
Gb 37:3 Non esistono e non si propagano a caso, ma secondo il piano di Dio e sotto la
direzione e il governo della sua provvidenza, anche se a noi sembrano accidentali e
incontrollabili.

(b) La loro estensione. I colpi del tuono si diffondono sotto tutti i cieli, e si odono
dappertutto. I fulmini sono lanciati fino ai lembi della terra, risplendendo da un’estremità
all’altra del cielo. Lu 17:24 Anche se lo stesso fulmine e lo stesso tuono non si estendono
ovunque, percorrono grandi spazi in un solo momento, e ogni angolo del mondo, prima o
poi, riceve questi allarmi celesti.

(c) Il loro ordine. Prima viene il lampo, e poi una voce rugge. Gb 37:4 Il bagliore del fuoco
e il suo rumore all’interno della nuvola sono in realtà simultanei. Dato però che la luce
viaggia a una velocità molto più rapida del suono, vediamo il lampo prima di sentire il
tuono, così come vediamo la scintilla di una grande arma da fuoco a distanza, prima di
udirne il colpo. Il tuono è chiamato la voce maestosa di Dio, perché Dio se ne serve per
proclamare il suo straordinario potere e la sua grandezza: Egli fa risuonare la sua voce, la
sua voce potente. Sl 68:33

(d) La loro forza: Non e già più nella sua mano, cioè, non ha bisogno di contenerli o di
trattenerli, perché non diventino irrefrenabili e non gli sfuggano dal controllo, ma li lascia
liberi. Dice: Va’, ed essi vanno; Vieni, ed essi vengono; Fa’, ed essi fanno. Secondo
l’interpretazione di alcuni, non trattiene la pioggia e il temporale che di solito segue il
tuono (di cui aveva parlato in Gb 36:27-29), ma la riversa sulla terra quando s’ode la voce.
I temporali sono piogge violente, per le quali Dio fa i lampi. Sl 135:7

(e) Le conclusioni che dobbiamo trarne. Gb 37:5 Se la voce di Dio tuona con tanta
violenza, dobbiamo concludere che anche le altre sue opere sono grandi e incomprensibili.
Da questo esempio possiamo spiegare a tutti che, negli ordinamenti della sua provvidenza,
ci sono delle cose troppo grandi e potenti da poter opporre o lottare, e troppo alte e
profonde da poter criticare o contestare.

Gb 37:6-13

I cambiamenti di tempo, con gli estremi di umido e secco, caldo e freddo, sono un
argomento di comune conversazione e osservazione. Raramente però, come Eliu,
riflettiamo e discutiamo su queste cose con un tremendo rispetto del Dio che le dirige e
che le adopera per dimostrare il suo potere e per assistere gli ordinamenti della sua
provvidenza! Dobbiamo notare la gloria di Dio non solo nei tuoni e nei fulmini, ma nei più
comuni cambiamenti di tempo, che non sono altrettanto terribili e fanno meno rumore. Per
esempio,

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 293


I. Nella neve e nella pioggia. Gb 37:6 KJV I tuoni e i lampi sono soliti d’estate, ma Eliu
parla ora del clima invernale. Dio dice alla neve: Cadi sulla terra! Le dà quel compito,
quell’ordine, determinando dove cadere e per quanto tempo deve restare. Parla, ed è
fatto. Come fu durante la creazione del mondo: Sia la luce, così è nelle opere della
comune provvidenza: Neve, cadi sulla terra! Il dire e il fare non sono due azioni separate
per Dio, come invece sono per noi. Al suo comando, la pioggia leggera gocciola e le
piogge torrenziali si riversano, o le piogge invernali (secondo la versione dei LXX), perché,
in quei paesi, con l’inverno se ne andava anche la pioggia. Ca 2:11 La distinzione nel testo
ebraico tra la pioggia leggera e le piogge torrenziali è una distinzione tra il singolare e il
plurale, tra uno scroscio di pioggia e molti acquazzoni tutti insieme. Sono tutte piogge
della sua potenza: il potere di Dio è evidente nella pioggia leggera che penetra nella terra
quanto nelle piogge torrenziali che picchiano sui tetti e trascinano via tutto sul loro
sentiero. Notate: La provvidenza di Dio dev’essere riconosciuta sia dai contadini nei campi
che dai viaggiatori per strada, in ogni pioggia, che gli sia di servizio o di impedimento. È
un peccato e una follia contendere con la provvidenza di Dio sulle condizioni del tempo.
Possiamo fermare la neve o la pioggia, se ce le manda? Possiamo prendercela con loro? È
altrettanto assurdo discutere con qualunque altro ordinamento della provvidenza per
quanto riguarda noi o le nostre cose. L’estremo clima invernale costringe sia gli uomini che
le bestie a ritirarsi, rendendo le condizioni esterne spiacevoli e pericolose.

1. Gli uomini cessano di lavorare i campi e si ritirano in casa: Arresta la mano di ogni
uomo. Gb 37:7 ND Tra il ghiaccio e la neve, i contadini non possono lavorare, e quando il
clima è estremamente freddo anche certi mercanti e viaggiatori devono smettere i loro
affari. Si mettono da parte gli aratri e le spedizioni. Non si può operare né guadagnare,
affinché tutti i mortali, avendo abbandonato il lavoro, possano conoscere le sue opere,
contemplarle, e glorificarlo, lodando quindi anche i suoi altri atti grandi e stupendi. Notate:
Quando, per qualunque motivo, non possiamo proseguire i nostri affari mondani,
dobbiamo passare il tempo in devozione a Dio (nella conoscenza delle sue opere e nella
sua lode), piuttosto che in inutili svaghi e diversivi. Quando le mani sono chiuse il cuore si
deve aprire. Meno abbiamo da fare in questo mondo, più dobbiamo fare per Dio e per la
nostra anima. Quando siamo costretti a stare in casa, dobbiamo gravitare verso la nostra
Bibbia e le nostre ginocchia.

2. Le bestie selvagge vanno nel covo, e stan ritirate entro le tane. Gb 37:8 Devono
cercarsi un riparo, che trovano per istinto, mentre l’uomo dà alle bestie domestiche, che
gli sono di servizio, dimora e protezione. cfr. Eso 9:20 L’unico riparo dell’asino è la stalla
del padrone, dove va per trovare protezione, calore e cibo. La natura spinge tutte le
creature a cercare riparo dal temporale. Non proteggerà quindi l’uomo con un arca?

II. Tra i venti, che soffiano da diversi angoli e producono diversi effetti: Dai più remoti
recessi (secondo alcuni) viene il turbine, Gb 37:9 KJV, modificato da M. H. che gira su se
stesso, per cui è difficile determinarne la provenienza. Viene comunque dalla stanza
segreta, secondo il significato della parola, che non sono molto incline a tradurre come il
sud, perché nel versetto 17 leggiamo che il vento del sud non solo non è un turbine, ma è
un vento calmo e caldo. Forse però in quel momento Eliu aveva visto un turbine che
veniva dal sud verso di loro, da cui provenne poi la voce di Dio. Gb 38:1 Oppure, se i venti
tumultuosi portatori di pioggia vengono dal sud, le raffiche fredde e secche vengono dal
nord per disperdere i vapori e purificare l’aria.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 294


III. Tra il ghiaccio. Gb 37:10 Ne vediamo la causa: Deriva dal soffio di Dio, cioè, dalla
parola della sua autorità e dall’ordine della sua volontà. Altri interpretano che viene dal
vento, che è l’alito di Dio, così come il tuono è la sua voce. Sarebbe quindi causato dai
venti gelidi del nord. Ne vediamo gli effetti: Si contrae la distesa dell’acque, cioè le acque
che si diffondevano e scorrevano liberamente sono congelate, paralizzate, arrestate e
costrette in catene di cristallo. È una tale dimostrazione del potere di Dio che, se non fosse
comune, sarebbe quasi un miracolo.

IV. Tra le nuvole, il ventre in cui tutti questi fenomeni meteorologici sono concepiti, di cui
Eliu aveva parlato in Gb 36:28. Qui parla di tre tipi di nubi:

1. Nuvole fitte, nere e dense, piene di pioggia, che egli stanca quando la riversa Gb 37:11
D Le nuvole, cioè, si svuotano e si esauriscono nella pioggia che le dissolve. Versano
acqua finché, stanche, non possono più farlo. Che fatiche fanno le creature, anche quelle
sovrastanti, per servire il genere umano. Le nubi annaffiano la terra finché sono stanche.
Versano e si svuotano per il nostro bene, svergognandoci e condannandoci per il poco
bene che facciamo qui dove siamo, anche se ci sarebbe di giovamento. Chi annaffia sarà
egli pure annaffiato.

2. Nuvole luminose e sottili, senz’acqua, che Dio disperde. Si disperdono e non diventano
pioggia. Non si sa che fine fanno. Di sera, quando il cielo arrossisce, le nubi luminose si
disperdono, dando un presagio di bel tempo. Mt 16:2

3. Nuvole girovaghe, che non si dissolvono, come le nubi fitte, in pioggia, ma sono
condotte sulle ali del vento da un posto all’altro, portando con sé l’umidità. Queste nuvole
sono guidate dai suoi piani. Gb 37:12 Comunemente, si ritiene che siano i pianeti a
determinare le piogge, secondo una teologia e filosofia errata. È infatti la volontà di Dio,
che si estende anche alle cose più minime e triviali, a dirigerle e a governarle, per eseguir
quanto ei loro comanda. I venti di tempesta e le nuvole che essi guidano adempiono
infatti la parola di Dio. È così che egli fa piovere sopra una città, e non sopra un’altra. Am
4:7,8 La sua volontà è fatta così sopra la faccia di tutta la terra, cioè tra gli uomini, che
Dio considera in tutti questi suoi atti, i quali sono stati sparsi su tutta la faccia della terra.
At 17:6 Le bestie, incapaci di atti morali, sono anche incapaci di ricevere ricompense e
punizioni. Tra gli uomini, invece, Dio fa scendere la pioggia per correggerli o per
dimostrare misericordia. Gb 37:13

(a) A volte la pioggia è un giudizio di Dio, un flagello per una terra di peccato. Così come
una volta distrusse tutto il mondo, ora corregge o punisce alcune regioni, rovinando la
semina o la mietitura, causando inondazioni e danneggiando i frutti. Secondo alcuni, la
nostra nazione ha ricevuto più danno dall’eccesso di pioggia che dalla sua mancanza.

(b) Altre volte è una benedizione alla sua terra, per renderla fruttuosa, o, quando fa più
del necessario, come prova della sua bontà, per arricchirla e renderla ancora più fertile.
Possiamo notare quanto siamo necessariamente dipendenti da Dio, dato che la stessa
cosa, secondo la proporzione con cui è data, può essere una grande punizione o una
grande misericordia. Senza Dio, non potremmo avere né pioggia né un raggio di sole.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 295


Gb 37:14-20

Eliu parla ora direttamente a Giobbe, desiderando applicare a lui quei suoi discorsi. Lo
esorta quindi a fermarsi ad ascoltare: fermati, e considera le maraviglie di Dio. Gb 37:14
Non possiamo trarre giovamento da ciò che udiamo se non ci fermiamo a riflettere, e non
possiamo riflettere sufficientemente senza fermarci a considerare ogni cosa attentamente.
Le opere di Dio, così stupende, meritano ed esigono la nostra riflessione, che ci aiuterà a
riconciliarci con tutti i suoi atti provvidenziali. Per umiliare Giobbe, Eliu gli mostra che:

I. Non poteva capire le cause, le origini o gli effetti dei fenomeni naturali: Gb 37:15-17 Lo
sai, e conosci le meraviglie di colui la cui scienza è perfetta? Possiamo notare:

1. La perfezione della conoscenza divina. L’onniscienza di Dio è una delle sue più gloriose
perfezioni. La sua conoscenza è intuitiva: vede, e non deve ottenere un resoconto. È una
conoscenza profonda e completa: conosce le cose come sono, e non come appaiono;
interamente, e non in modo frammentario. Per lui, tutto è vicino, tutto è presente, tutto è
manifesto. Dobbiamo riconoscerlo in tutte le sue grandi opere. Se non ne comprendiamo il
significato, dobbiamo accontentarci di sapere che sono le opere di chi sa quel che fa.

2. L’imperfezione della nostra conoscenza. Anche i più grandi filosofi sono molto all’oscuro
per quanto riguarda i poteri e le opere della natura. Siamo un paradosso per noi stessi, e
tutto ciò che ci riguarda è un mistero. La gravità dei corpi e la coesione delle parti della
materia sono verità certe, ma incomprensibili. È bene riconoscere la propria ignoranza. Chi
non la confessa la rivela. Se quindi comprendiamo così poco delle operazioni di Dio,
dobbiamo riconoscere la nostra incompetenza nel comprendere i suoi metodi.

(a) Non conosciamo le disposizioni che Dio ha dato o darà riguardo alle nuvole. Sappiamo
con certezza che tutto è svolto con un proposito e con un piano, di cui però non
conosciamo i dettagli, né la data di stesura. Dio spesso fa risplender la luce della sua
nuvola, Gb 37:15 nell’arcobaleno (secondo alcuni) o nel lampo (secondo altri), ma
abbiamo mai previsto, o possiamo predire quando? Anche se possiamo prevedere un
cambiamento di tempo qualche ora prima che avvenga, per semplice osservazione, o,
quando delle seconde cause sono già all’opera, con un barometro, questi metodi ci
mostrano ben poco gli intenti di Dio!

(b) Non sappiamo come le nuvole sono poste nell’aria, in equilibrio, un’altra meraviglia di
Dio. Sono così equilibrate, così diffuse, che non ci privano mai dei benefici del sole (anche
le giornate nuvolose rimangono luminose), così bilanciate che non lasciano cadere la
pioggia tutte insieme, né scoppiano tutte in diluvi o cateratte. L’arcobaleno è un simbolo
del favore di Dio nell’equilibrio delle nuvole, perché non inondino il mondo. Sono anzi così
equilibrate che distribuiscono imparzialmente la pioggia sulla terra, di modo che, prima o
poi, ogni luogo la riceva.

(c) Non sappiamo come il clima si mitiga dopo l’inverno. Gb 37:17 [1] Come si riscalda
dopo il freddo. Sappiamo come possiamo riscaldare i nostri abiti, ossia, esserne riscaldati:
tramite il calore dell’aria che respiriamo. Senza la benedizione di Dio, i vestiti non ci
riscalderebbero. Ag 1:6 Quando però Dio lo comanda, gli stessi abiti che non ci
riscaldavano nel gran freddo, diventano caldi. [2] Come si calma dopo un temporale: la
terra s’assopisce sotto il soffio dello scirocco, in primavera. Dio ha un vento del nord,

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 296


gelido e violento, e un vento del sud, calmo e caldo. Lo Spirito è paragonato a entrambi,
perché convince e conforta. Ca 4:16

II. Non era stato presente agli albori del mondo: « Hai tu con lui distesi i cieli? Gb 37:18 D
Non puoi dire di averli stesi, né con Dio, né senza. Dio non ha avuto bisogno di aiuto nei
suoi piani o nelle sue opere ». La creazione della vasta distesa dei cieli visibili, Ge 1:6-8
che possiamo osservare ancor oggi, è una dimostrazione gloriosa del suo potere, dato
che:

1. Pur non essendo solidi, sono saldi, sodi. La parola firmamento denota fermezza. Il cielo
è ancora com’era, incorrotto, e i suoi regolamenti rimarranno uguali fino alla fine del
nostro contratto.

2. Pur essendo vasto, il cielo è luminoso e ha una particolare finezza: È uno specchio di
metallo, liscio e lucente, senza il minimo difetto o la minima incrinatura. Come in uno
specchio, possiamo vedere la gloria di Dio e la saggezza dell’opera delle sue mani. Sl 19:1
Guardando il cielo, dobbiamo ricordare che non è uno specchio che riflette il nostro volto,
ma che rappresenta vagamente la purezza, la nobiltà e lo splendore del mondo che ci
sovrasta, con i suoi gloriosi abitanti.

III. Né Giobbe, né gli altri erano in grado di parlare della gloria di Dio con il dovuto
riguardo. Gb 37:19,20

1. Se voleva parlarne, Eliu lo sfida a fare da guida. Dice ironicamente: « Insegnaci tu, se
puoi, che dirgli! Gb 37:19 Vuoi discutere con Dio, o che lo facciamo noi per te? Dicci allora
che cosa dobbiamo dire. Puoi vedere più di noi in questo abisso? Rivelaci allora le tue
scoperte, dacci delle istruzioni ».

2. Riconosce la sua inadeguatezza nel parlare sia a Dio che di Dio: Nelle tenebre nostre,
noi non abbiam parole. Notate: Anche gli uomini migliori sono ignari delle gloriose
perfezioni della natura divina e delle amministrazioni del suo governo. Anche chi, per
grazia, conosce bene Dio, conosce sempre poco, anzi, niente, in confronto a ciò che si
potrà conoscere e si conoscerà quando tutto sarà perfetto e il velo sarà squarciato.
Parliamo di Dio in modo confuso e molto incerto, interrompendoci subito, senza più sapere
cosa dire, non perché si esaurisca l’argomento, ma perché mancano le parole. Così come
dobbiamo sempre cominciare a parlare con timore e tremore, per non fare errori (De Deo
etiam vera dicere periculosum est-Anche nel dire il vero riguardo a Dio corriamo dei
rischi), dobbiamo anche concludere i nostri discorsi con imbarazzo e vergogna per non
aver parlato meglio. Eliu aveva parlato bene in favore di Dio, eppure è così lungi
dall’aspettarsi una ricompensa, dal ritenerlo suo debitore, o dal reputarsi idoneo a farsi da
suo consigliere, che:

(a) Si vergogna addirittura, non tanto del soggetto, ma dell’espressione del suo discorso:
« Gli sarebbe egli rapportato quando io avessi parlato? Gb 37:20 D Gli sarà riferito come
una fonte di merito, degna della sua attenzione? Assolutamente no. Non parliamone
nemmeno ». Eliu temeva infatti di aver rovinato il suo argomento, come un pittore
inesperto può rovinare un bel volto. Invece di meritare un ringraziamento, pensò di avere
bisogno di un perdono. Anche quando facciamo tutto ciò che possiamo per Dio, dobbiamo
riconoscere di essere servi inutili e di non avere niente di cui vantarci. Eliu aveva paura di

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 297


dire altro: Se vi fosse alcuno che ne parlasse, che parlasse per Dio e, peggio ancora,
contro Dio, certo egli sarebbe abissato. Se uno parla con presunzione, l’ira di Dio lo
distruggerà, ma anche chi parla bene è facilmente sconcertato dal mistero di Dio e
sopraffatto dal suo splendore, rimanendo accecato e ammutolito.

Gb 37:21-24

Eliu concluse il suo discorso con delle brevi, ma profonde affermazioni sulla gloria di Dio,
come se ne fosse stato colpito e volesse comunicarla agli altri, con un senso di sacro
timore. Le frasi sono concise e rapide perché, apparentemente, capiva che Dio stava per
continuare il discorso.

1. Osservò che Dio, che aveva detto che avrebbe abitato nell’oscurità, facendone il suo
padiglione 2Cr 6:1 Sl 18:11 è in quel tremendo carro che avanza verso di noi, preparando
il suo trono per il giudizio, circondato da nuvole e oscurità. Sl 97:2,9 Aveva visto la nuvola
che veniva dal sud con il turbine. Ora però le nubi erano così fitte e scure su di loro che
nessuno poteva vedere la luce splendente che era stata poco prima nelle nubi. La luce del
sole si era eclissata, ricordando a Eliu l’oscurità che lo aveva lasciato senza parole Gb
37:19 e timoroso di continuare. Gb 37:20 I discepoli temettero quando quelli entrarono
nella nuvola. Lu 9:34 Eppure, verso il nord, il cielo sembrava scoperto, dandogli speranza
che le nuvole non si radunassero per un diluvio. Li coprivano, ma non li circondavano. Eliu
si aspettò che il vento sarebbe passato (come si può interpretare) a renderli tersi, come
quello che passò sulla terra per asciugare le acque del diluvio, Ge 8:1 per indicare il ritorno
del favore di Dio, e che dal settentrione sarebbe venuta la dorata serenità. Gb 37:22 D
Tutto quindi sarebbe andato bene. Dio non rimane adirato, né contendente in perpetuo.

2. Si affrettò quindi a concludere, dato che Dio sta per parlare. Disse quindi molto in
poche parole, come per riassumere tutti i suoi discorsi. È una conclusione che, se ben
considerata, non solo ribadirà lo stesso chiodo che aveva battuto, ma preparerà a ricevere
le parole di Dio. Osservate:

(a) Iddio ha intorno a sé una tremenda maestà. È un Dio glorioso, così perfetto che non
può che sbalordire chi lo cerca e atterrire chi lo oppone. Ha intorno a sé una tremenda
lode (secondo alcuni), perché è maestoso nelle lodi. Eso 15:11 ND

(b) Parlando dell’Onnipotente, dobbiamo ammettere che non lo possiamo scoprire. Le


nostre menti finite non possono comprendere le sue infinite perfezioni. Gb 37:23 Possiamo
forse mettere il mare in un guscio d’uovo? Non possiamo seguire le tracce della sua
provvidenza. La sua via è in mezzo al mare.

(c) È grande in forza. Ha tanta autorità da poter fare ciò che vuole in cielo e in terra. Il
suo potere universale e la sua forza irresistibile dimostrano la sua superiorità. Il suo
braccio è lungo e forte, senza uguali.

(d) È altrettanto eminente in saggezza e in rettitudine, in equità, in perfetta giustizia, o il


suo potere non sarebbe così eccelso. È certo che Colui che può fare qualunque cosa farà
tutto per il bene, perché è infinitamente saggio, e non farà alcun male, perché è
infinitamente giusto. Anche nell’esecuzione dei peccatori c’è una grande giustizia, e non
infligge più di quanto meritino.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 298


(e) Non opprime alcuno, cioè, non affligge di proposito. Non trae piacere nell’addolorare
gli uomini, tanto meno i suoi figli. Affligge solo quando c’è un motivo e una necessità, e
non affligge mai troppo, perché conosce la nostra natura. Alcuni traducono:
« L’Onnipotente, che noi non possiamo scoprire, è grande in forza, ma non opprime nel
giudizio. In lui c’è sempre giustizia, e non è estremo nell’annotare i nostri sbagli ».

(f) Non si cura delle censure di chi si crede savio: Non lo degna d’uno sguardo. Gb 37:24
Non cambia i suoi piani per compiacere gli altri, e chi vuole dargli ordini non riuscirà mai a
farlo sottostare. Presta attenzione alla preghiera degli umili e non alle tattiche degli astuti.
No, la pazzia di Dio è più savia degli uomini. 1Co 1:25

(g) Da tutto questo possiamo facilmente capire che, se Dio è grande, deve infondere
grande timore. Anzi, gli uomini lo temono proprio perché è buono e non opprime. Presso
di lui v’è perdono, affinché sia temuto. Sl 130:4 È il dovere di tutti gli uomini, e nel loro
interesse. Gli uomini lo temeranno (secondo l’interpretazione di alcuni), prima o poi. Chi
non teme il Signore e la sua bontà tremerà per sempre quando riverserà le coppe della
sua ira.

Giobbe 38

In quasi tutte le dispute, si cerca sempre di avere l’ultima parola. Gli amici di Giobbe, in
questa controversia, la lasciarono arrendevolmente a Giobbe, e Giobbe a Eliu. Infine, dopo
tutti quegli alterchi del collegio dei giurati, l’ultima parola spettò al giudice, cioè a Dio, che
presiede a ogni contesa umana. È infatti Dio a giudicare ogni uomo ed è la sua sentenza
decisiva a determinare lo stato di ogni imputato e l’esito di ogni processo. Giobbe gli aveva
fatto spesso appello, sostenendo arditamente di volergli presentare la sua causa e, come
un principe, di volere apparire al suo cospetto. Quando però Dio salì sul trono, Giobbe
rimase in silenzio, senza più altro da dire in sua difesa. Discutere con l’Onnipotente non è
facile come alcuni pensano. Gli amici di Giobbe gli si appellarono spesso: « O se Dio
parlasse! ». Gb 11:7 Finalmente Dio parla, quando Giobbe, grazie ai discorsi chiari e densi
di significato di Eliu, si è un po’mitigato e umiliato, ed è quindi pronto ad ascoltare le sue
parole. I ministri preparano la via del Signore. Lo scopo di questo discorso è di umiliare
Giobbe, conducendolo a pentirsi e a ritirare le sue parole pungenti e sconvenienti sugli atti
provvidenziali di Dio verso di lui. È uno scopo che Dio ottiene esortando Giobbe a
confrontare la sua eternità con i propri limiti di tempo, la sua onniscienza con la propria
ignoranza e la sua onnipotenza con la propria impotenza.

I. Inizia con un’ardente sfida e una generica richiesta. Gb 38:2,3

II. Presenta poi diversi particolari esempi e prove per dimostrare che Giobbe, per sua
ignoranza e debolezza, è del tutto incapace di disputare con Dio. Giobbe infatti:

1. Non sapeva niente della fondazione del mondo. Gb 38:4-7

2. Non sapeva niente dei confini dei mari. Gb 38:8-11

3. Non sapeva niente della luce mattutina. Gb 38:12,15

4. Non sapeva niente delle profondità del mare e della terra. Gb 38:16-21

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 299


5. Non sapeva niente delle acque nelle nubi, Gb 38:22-27 né dei segreti che le dirigono.

6. Non poteva controllare la produzione della pioggia, del ghiaccio o dei fulmini, Gb 38:28-
30,34,35,37,38 dirigere le stelle e i loro influssi, Gb 38:31-33 sostenere la propria anima,
Gb 38:36 né provvedere per i leoni e i corvi. Gb 38:39-41 Se quindi Giobbe rimase
disorientato di fronte a quei comuni atti della natura, come poteva pretendere di
esaminare e giudicare le direttive del governo di Dio? Come osserva il dott. Patrick, Dio
continua il ragionamento di Eliu (che, più degli altri, si era avvicinato alla verità),
dimostrandolo con delle opere incomparabili e superandolo (come sempre) nell’eccellenza
dello stile, come un tuono supera un bisbiglio.

Gb 38:1-3

Osserviamo:

1. Chi parlò: l’Eterno, l’Altissimo, non un angelo creato da Dio, ma la stessa Parola eterna,
la seconda persona della santa Trinità, mediante la quale i mondi sono stati formati, lo
stesso Figlio di Dio che in seguito parlò dal Sinai. Iniziò qui con la creazione del mondo.
Sul Sinai, cominciò con la liberazione di Israele dall’Egitto. In entrambi i casi, ci fa
comprendere la necessità della nostra soggezione a lui. Eliu aveva detto: Iddio parla, ma
l’uomo non ci bada. Gb 33:14 I presenti non poterono però fare a meno di badare a
questo discorso. D’altro canto, noi abbiamo la parola profetica, più ferma. 2Pi 1:19

2. Quando parlò: Allora. Dopo tutti i loro discorsi, che non erano serviti a niente, era ora
dell’intervento di Dio, il cui giudizio è conforme a verità. Quando non sappiamo chi ha
ragione, e dubitiamo la nostra opinione, possiamo trovare conforto nel fatto che Dio
presto giudicherà nella valle del Giudizio. Gl 3:14 Giobbe aveva messo a tacere i suoi tre
amici, ma non aveva potuto convincerli che era fondamentalmente integro. Eliu aveva
messo a tacere Giobbe, ma non era riuscito a fargli ammettere di essersi espresso male in
quel dibattito. Dio invece riuscì in entrambi i casi. Fece capire a Giobbe che aveva parlato
male e gli fece gridare: Peccavi-Ho peccato. Poi, avendolo umiliato, gli rese onore,
convincendo i suoi tre amici di averlo trattato male. Dio agisce sempre così, prima o poi,
per il suo popolo: mostra i loro peccati, perché se ne vergognino, e mostra agli altri la loro
giustizia, facendola risplendere come la luce, perché si vergognino delle loro critiche
ingiuste.

3. Come parlò: Dal seno della tempesta, quella nuvola vorticosa e turbolenta che Eliu
aveva notato. Gb 37:1,2,9 Un vento di tempesta aveva preceduto le visioni di Ezechiele Ez
1:4 e di Elia. 1Re 19:11 L’Eterno cammina nel turbine. Na 1:3 Per dimostrare che anche i
venti di tempesta adempiono ai suoi ordini, ne fa ora il suo veicolo. Notiamo qui la potenza
della voce di Dio, perfettamente udibile anche nel frastuono di un turbine, con cui volle
colpire Giobbe e attirare la sua attenzione. A volte Dio dà ai suoi delle correzioni
tremende, come in un turbine, ma sempre con giustizia.

4. A chi parlò: Rispose a Giobbe, rivolgendosi a lui per convincerlo dei suoi errori, prima di
assolverlo dalle calunnie ingiuste che gli erano state rivolte. Solo Dio può convincere
efficacemente del peccato, e umilia chi vuole esaltare. Chi vuole sentire la voce di Dio,
come voleva Giobbe, la sentirà abbondantemente.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 300


5. Che cosa disse. Possiamo immaginare che Eliu, o qualcun altro dei presenti, avesse
scritto parola per parola ciò che fu detto in seno alla tempesta. Leggiamo infatti che,
quando i tuoni fecero udire le loro voci, Giovanni era in procinto di scrivere. Ap 10:4 Anche
nel caso che le parole non fossero trascritte allora, possiamo essere certi, dato che lo
scrittore di questo libro fu ispirato dallo Spirito Santo, di avere un resoconto esatto e
accurato di ciò che fu detto. Cristo disse: Lo Spirito vi rammenterà, come in questo caso,
tutto quello che v’ho detto. Questa prefazione fa riflettere.

(a) Dio accusa Giobbe di essersi espresso con ignoranza e presunzione: « Chi è costui che
parla in questo modo? Giobbe? Come? Un uomo? Quella creatura debole, sciocca e
spregevole vuole dirmi che cosa fare o mettere in discussione ciò che ho fatto? Giobbe?
Come? Il mio servitore, un uomo integro e retto? Dimenticando la sua natura, può agire
con tanta incoerenza? Chi è e dov’è questa persona che oscura i miei disegni con parole
prive di senno? Gb 38:2 Si faccia vedere se ne ha il coraggio, e ribadisca ciò che ha
detto ». Notate: Chi oscura i disegni della saggezza di Dio con la propria follia gli fa un
grande affronto e lo inasprisce. Per quanto riguarda i suoi piani, dobbiamo riconoscere che
siamo senza conoscenza. Sono di una profondità imperscrutabile. Se cerchiamo di
spiegarli, siamo fuori dal nostro elemento, fuori mira. Eppure tendiamo a parlarne come se
li comprendessimo, con grande facilità e spavalderia, e, purtroppo, finiamo per oscurarli.
Confondiamo e disorientiamo noi stessi e gli altri quando discutiamo l’ordine dei suoi
decreti e i piani, i motivi e i metodi della sua provvidenza e della sua grazia. Una fede
umile e un’ubbidienza sincera hanno una visione più profonda e accurata dei segreti
dell’Eterno di tutta la filosofia delle accademie e le ricerche della cosiddetta scienza. Le
prime parole proferite da Giobbe sono particolarmente significative perché, nel suo
pentimento, ribadì ciò che lo aveva umiliato e messo a tacere. Gb 42:3 Vi fece eco,
ripetendolo come la freccia che gli era penetrata nel cuore: « Sono lo stolto che ha
oscurato i suoi disegni ». Le parole di Dio potevano anche essere state rivolte a Eliu, che
aveva parlato per ultimo, e che stava ancora parlando quando arrivò il turbine, ma Giobbe
le riferì a se stesso, come è giusto fare quando sono dati dei rimproveri, invece di affiggerli
ad altri (come fa la maggior parte delle persone).

(b) Dio sfida Giobbe a dimostrare la sua conoscenza abbastanza da giustificare le sue
inchieste sui suoi piani: « Cingiti i lombi come un prode. Preparati per lo scontro. Io ti farò
delle domande, e tu insegnami se puoi, prima che io risponda alle tue ». Gb 38:3 Chi
chiede un resoconto a Dio deve aspettarsi che Dio chieda un resoconto a lui, per fargli
ammettere la sua ignoranza e arroganza. Dio ricorda a Giobbe che aveva detto:
Interpellami, ed io risponderò. Gb 13:2 « Attieniti alla tua parola ».

Gb 38:4-11

Per umiliare Giobbe, Dio gli mostra la sua ignoranza riguardo alla terra e al mare. Pur
essendo entità enormi e proprio sotto i suoi occhi, non poteva spiegarne le origini. Tanto
meno poteva spiegare quelle di entità lontane come il cielo che ci sovrasta o l’inferno sotto
a noi, elementi minuscoli come i diversi componenti della materia, o i piani divini.

I. Sulla fondazione della terra: « Se ha tutta quella comprensione dei piani di Dio che finge
di avere, spieghi la terra su cui cammina, che è stata data agli uomini ».

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 301


1. Dica dov’era quando questo mondo fu creato, e se aveva dato consigli o assistenza
durante quell’opera straordinaria: « Dov’eri tu quand’io fondavo la terra? Gb 38:4 Hai delle
grandi presunzioni. Pretendi di aver fatto anche questo? Eri presente quando il mondo fu
creato? ». Notiamo:

(a) La grandezza e la gloria di Dio: Fondavo la terra. Ciò dimostra che Dio è l’unico vero
Dio vivente, e un Dio potente, Is 40:21 Gr 10:11,12 che ci incoraggia a confidare sempre
in lui. Is 51:13,16

(b) La condizione vile e spregevole dell’uomo: « Dov’eri tu? Tu che facevi bella figura tra i
popoli dell’Est, innalzandoti come oracolo e giudice dei disegni divini, dov’eri quando
fondavo la terra? ». Non solo non abbiamo avuto alcuna parte nella fondazione del
mondo, che possa darci il diritto di dominarla, né una sua prima visione, che possa
darcene un’idea più accurata, ma non esistevamo nemmeno. L’uomo non era ancora in
esistenza, e tanto meno noi. Il fatto che Cristo fosse stato presente dimostra la sua
grandezza (Pr 8:22, ss.; Gv 1:1,2). Noi invece siam d’ieri e non sappiamo nulla. Non
critichiamo quindi le opere di Dio, e non cerchiamo di dargli consigli. Non si è consultato
con noi nel creare il mondo, che è ben fatto. Perché ci aspetteremmo quindi di essere
consultati nel suo governo?

2. Spieghi come fu creato il mondo, e riferisca dettagliatamente come questo edificio saldo
e statuario fu formato ed eretto: « Dillo, se hai tanta intelligenza quanta pensi di avere:
com’è proceduta quell’opera? ». Chi finge di capire più degli altri deve darne prova.
Mostrami la tua fede con le tue opere e la tua conoscenza con le tue parole. Giobbe
dichiari, se può:

(a) Come il mondo fu formato con tanta perfezione e precisione, e con una tale simmetria
e proporzione di tutte le sue parti: « Di’chi ne fissò le dimensioni e chi tirò sovr’esso la
corda da misurare ». Gb 38:5 Sei tu l’architetto che progettò il modello e ne definì le
dimensioni? L’enorme massa terrestre è stata formata con un’esattezza tale che sembra
essere stata progettata dettagliatamente.

(b) Come il mondo fu fissato così saldamente. È stabile e irremovibile, anche se non è
appeso a nulla. Chi può spiegare su che furon poggiate le sue fondamenta, affinché non
crolli sotto il proprio peso, o chi ne pose la pietra angolare, affinché le sue parti non si
separino? Gb 38:6 Tutto quello che Dio fa è per sempre. Ec 3:14 Così come non possiamo
trovare errori nella sua opera, non dobbiamo avere timori al suo riguardo. Le opere della
provvidenza, come quelli della sua creazione, dureranno fino alla fine, e le loro misure non
possono mai essere infrante. Altrettanto salda è la sua opera di redenzione, di cui lo
stesso Cristo è sia il fondamento che la pietra angolare. La chiesa è salda quanto la terra.

3. Ripeta, se può, gli inni di lode celebrati in quell’occasione solenne, quando le stelle del
mattino cantavano tutte assieme. Gb 38:7 Si trattava dei beati angeli (le prime creature
del Padre degli astri luminosi), che, agli albori del tempo, risplendevano come stelle
mattutine, immediatamente prima della luce a cui Dio comandò di squarciare l’oscurità per
risplendere sui primordi di questo mondo, cioè sulla terra, che era informe e vuota. Erano i
figli di Dio che diedero in gridi di giubilo quando videro le fondazioni della terra perché,
anche se non fu creata per loro, ma per il genere umano, e anche se avrebbe accresciuto
le loro fatiche e il loro servizio, sapevano che la Saggezza e la Parola eterna, che dovevano

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 302


adorare, Eb 1:6 si sarebbe rallegrata nella parte abitabile della sua terra, e avrebbe
trovato la sua gioia particolarmente tra i figliuoli degli uomini. Pr 8:31 Gli angeli sono
chiamati figli di Dio perché gli sono molto simili, dimorano con lui sopra di noi e lo servono
come un figlio serve il padre. Osservate:

(a) La gloria di Dio, che è il creatore del mondo, dev’essere celebrata con gioia e trionfo
da tutte le sue creature razionali, che hanno l’abilità e l’incarico di adunare le lodi delle
creature inferiori, capaci di lodare Dio solo come riflessioni della sua opera.

(b) Gli angeli hanno il compito di lodare Dio. Più gli diamo sante, umili, grate e gioiose
lodi, più facciamo la sua volontà come loro. Anche se le nostre lodi sono carenti e piene di
errori, è un conforto sapere che essi lo lodano molto meglio.

(c) Erano unanimi nel cantarne le lodi, tutti insieme, senza stonature. I concerti più belli
sono quelli che lodano Dio.

(d) Lo lodarono tutti, anche gli angeli che in seguito caddero e abbandonarono la loro
condizione iniziale. Anche chi loda Dio può, per mezzo del potere ingannatore del peccato,
finire per bestemmiarlo. Dio però sarà lodato in eterno.

II. Sui limiti stabiliti per le acque del mare. Gb 38:8 ss È un riferimento all’opera del terzo
giorno, quando Dio disse: Le acque che son sotto il cielo siano raccolte in un unico luogo.
E così fu. Ge 1:9

1. Dall’abisso o dal caos, in cui la terra e l’acqua erano mischiate, le acque balzarono fuori,
in ubbidienza al comandamento di Dio, come un neonato dal seno materno. Gb 38:8 Le
stesse acque che avevano coperto gli abissi e avevano sovrastato le montagne si ritirarono
in fretta. Alla tua minaccia si ritirarono. Sl 104:6,7

2. Quel neonato è vestito e fasciato: Gli detti le nubi per vestimento, per ricoprirlo, e per
fasce l’oscurità (cioè delle rive lontane, remote e oscure le une dalle altre Gb 38:9). Notate
con che facilità il grande Dio controlla la furia del mare. Nonostante la violenza delle
maree e la forza delle onde, lo controlla come una balia controlla il neonato con le fasce.
Non disse: Gli diedi rocce e montagne per vestimento, ma le nubi e l’oscurità, che non
notiamo e non riterremmo idonee a quello scopo.

3. Quel neonato ha anche una culla: Gli tracciai de’confini. Gb 38:10 Delle valli furono
scavate nella terra, abbastanza spaziose da contenerlo, dove fu messo a dormire. Anche
se a volte è scosso dai venti, è solo il dondolio della culla (secondo il dott. Patrick), che lo
aiuta a dormire. Anche per ognuno di noi, come per il mare, è stato determinato un luogo
di abitazione. Chi ha fissato i tempi ha fissato anche i nostri confini.

4. Dato che questo neonato è diventato incontrollabile e rischioso per via del peccato
umano, che è l’origine di ogni agitazione e pericolo in questo mondo, Dio gli ha fatto
anche una prigione: Gli misi sbarre e porte. Gb 38:10 Per poi frenare la sua insolenza, gli
dice: Fin qui tu verrai, e non oltre. L’oceano è di Dio che lo ha fatto e lo trattiene. Gli dice:
Qui si fermerà l’orgoglio dei tuoi flutti. Gb 38:11 Si può considerare come una
manifestazione del potere di Dio sull’oceano che, pur essendo vasto e a volte
estremamente violento, è sotto il suo controllo. Le sue onde non si innalzano e le sue

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 303


maree non avanzano più di quanto Dio permetta. Comprendiamo quindi perché Dio deve
incuterci timore, Gr 5:22 e allo stesso tempo ci dà coraggio. Chi ferma il boato del mare e
il ruggito delle onde può anche, volendo, calmare il tumulto dei popoli. Sl 65:7 Può anche
essere considerato un atto della misericordia di Dio per il genere umano e una
dimostrazione della sua pazienza verso quella razza ribelle. Anche se Dio potrebbe
facilmente coprire di nuovo la terra con le acque dell’oceano (e, a mio parere, ogni alta
marea ci minaccia, due volte al giorno, ricordandoci che cosa potrebbe e vorrebbe fare il
mare, se Dio glielo permettesse), le trattiene, non volendo che alcuni periscano, e avendo
riservato questo mondo al fuoco. 2Pi 3:7

Gb 38:12-24

Il Signore fa ora a Giobbe molte domande sconcertanti, per convincerlo della sua
ignoranza e per svergognare la sua follia nel dargli ordini. Anche noi, rivolgendoci gli stessi
interrogativi, dobbiamo riconoscere che la nostra conoscenza non è niente in confronto
alla nostra ignoranza. Dio sfida Giobbe a spiegare sei fenomeni:

I. La luce dell’aurora. Gb 38:12,15 Non può esserci entità visibile di cui possiamo essere
più certi della luce, e allo stesso tempo ci troviamo più che confusi nel descriverla, e più
che mai incerti nel definirla. Il mattino e l’aurora ci danno gioia, ma:

1. Non sono iniziati durante la nostra vita, ma hanno origini ben più lontane. Non sono
stati creati da noi, né principalmente per noi, ma li prendiamo così come sono e come i
nostri predecessori hanno sempre fatto. L’aurora conosceva il suo luogo prima che noi
conoscessimo il nostro. Siamo nati ieri.

2. Non siamo stati noi, né altri uomini, a comandare la sua prima apparizione o a fissare il
luogo o l’ora della sua luce. La costante, regolare successione del giorno e della notte non
è stata idea nostra. I cieli raccontano la gloria di Dio e il firmamento annunzia l’opera delle
sue mani, e non delle nostre. Sl 19:1,2

3. Non potremmo assolutamente alterarne il corso: « Hai tu mai, in vita tua, comandato al
mattino? Hai mai fatto sorgere il sole prima dell’ora stabilita, se lo aspettavi con ansia? Hai
mai cercato di farlo sorgere in un luogo che ti era più conveniente? Mai. Perché allora
cerchi di dirigere i piani divini, o ti aspetti che Dio alteri i metodi della sua provvidenza per
farti un piacere? ». Non possiamo infrangere il trattato del giorno e della notte, così come
non possiamo infrangere alcuna clausola del trattato di Dio con il suo popolo, e
particolarmente questa: Lo castigherò con verga d’uomo.

4. È Dio che ha stabilito l’aurora sulla terra e che diffonde la luce mattutina per
l’atmosfera, la quale la riceve come la creta riceve un sigillo, Gb 38:14 accettandone
immediatamente il marchio ed essendone quindi improvvisamente illuminata. E appare
come vestita d’un ricco manto o di un vestito. La terra cambia aspetto e si riveste, come
noi, ogni mattina. Si veste di luce, per essere vista.

5. È una fonte di terrore per i malfattori. Non c’è niente di più piacevole per noi uomini
della luce del mattino, gradevole agli occhi e utile alle attività, universalmente, perché
afferra i lembi della terra. Gb 38:13 Decantando la luce, dobbiamo evidenziare il bene che
fa alla terra. Dio fa però notare com’è sgradevole e odiosa per chi fa il male. La luce è un

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 304


ministro della sua giustizia, oltre che della sua misericordia, costituita per scuotere via i
malvagi dalla terra. È per questo che ne afferra i lembi, come noi afferriamo i lembi di un
panno per scuotere la polvere e le tarme. Giobbe aveva già notato quanto la luce
mattutina terrorizzava i criminali, mettendoli allo scoperto. Gb 24:13, ss. Ora Dio conferma
quell’osservazione, chiedendogli se il mondo gli fosse quindi debitore. No, è il grande
Giudice della terra a mandare i raggi dell’aurora come suoi messaggeri per rivelare i
criminali, e non solo per fermarli e svergognarli, ma perché ricevano un’adeguata
punizione. Gb 38:15 Saranno quindi privati della luce (perdendo cioè ogni consolazione,
ogni sicurezza, ogni libertà e perfino la vita). Il loro braccio, che avevano alzato contro Dio
e l’uomo, sarà spezzato, lasciandoli impotenti di fare altro male. Non posso dire se questo
riferimento alla luce mattutina voglia rappresentare allegoricamente la luce del Vangelo di
Cristo, dandocene un prototipo, ma sono certo che ci aiuta a ricordare l’encomio datogli,
proprio ai suoi albori, da Zaccaria nel suo Benedictus: Grazie alle viscere di misericordia
del nostro Dio, l’Aurora dall’alto ci visiterà, per risplendere su quelli che giacciono in
tenebre, Lu 1:78,79 che la riceveranno come creta sotto il sigillo. 2Co 4:6 Ci ricorda anche
l’elogio datogli dalla vergine Maria nel suo Magnificat, che dimostra che Dio, con il
Vangelo, ha operato potentemente col suo braccio, ha disperso quelli ch’eran superbi e ha
tratto giù dai troni i potenti per mezzo della stessa luce intesa a scuotere i malvagi,
scrollando la malvagità stessa dalla terra, e a spezzare il loro braccio. Lu 1:51,52

II. Le sorgenti del mare: « Sei penetrato fino là? Hai passeggiato in fondo all’abisso? Gb
38:16 Sai che cosa risiede sul fondo dell’oceano? Conosci i tesori nascosti là tra la sabbia?
Puoi spiegare le origini delle sue acque? Il mare emette costantemente dei vapori. Sai
come può rilasciarli ed esserne continuamente rifornito? I fiumi continuano a scorrere
nell’oceano. Sai dove sono mandati, per non inondare la terra? Conosci i sotterranei
segreti in cui circolano le acque? ». Leggiamo che, nel governo del mondo, le vie di Dio
sono in mezzo al mare, e in mezzo alle grandi acque. Sl 77:19 Sono quindi nascoste ai
nostri occhi e non devono essere indagate.

III. Le porte della morte: Ti son esse state scoperte? Gb 38:17 La morte è un grande
segreto.

1. Non sappiamo in anticipo quando, come e in che modo ci arriveremo, che cammino ci
condurrà alla terra senza ritorno e che malattia o disastro ci visiterà per portarci nella casa
stabilita per tutti i viventi. L’uomo non conosce la sua ora.

2. Non possiamo descrivere che cos’è la morte, come si scioglie il legame tra l’anima e lo
spirito, e come il soffio dell’uomo sale in alto, Ec 3:21 per essere non sappiamo cosa è
vivere. Non sappiamo come, Norris dice, che l’anima si lancia nel vasto oceano dell’eternità
con una tremenda singolarità, lasciandosi andare in un abisso sconosciuto! Assicuriamoci
che le porte del cielo ci siano aperte dopo questa vita, per non temere i portali della
morte, anche se si attraversano solo una volta.

3. Non siamo in contatto con le anime dei defunti e non ne conosciamo la condizione.
Sono in una regione sconosciuta e inesplorata, con cui non siamo in comunicazione. In
questo mondo sensoriale, parliamo del mondo dello spirito come un cieco parlerebbe dei
colori. Saremo sorpresi, quando vi arriveremo, di scoprire quanto ci siamo sbagliati.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 305


IV. L’ampiezza della terra: L’hai abbracciata collo sguardo? Gb 38:18 È una conoscenza
che può sembrare accessibile, ma Dio sfida Giobbe a rivelarla. Abitiamo sulla terra che Dio
ha dato al genere umano, ma chi l’ha misurata o può rivelarne la superficie? È solo un
puntino nell’universo? È vero, ma, per piccola che sia, non possiamo darne le esatte
dimensioni. Nessuno a quel tempo, Giobbe compreso, aveva mai fatto la
circumnavigazione del mondo. Gli uomini conoscono così poco l’ampiezza della terra che
solo da poco è stato scoperto il grande continente americano che, per un tempo
incalcolabile, era rimasto segreto. Le perfezioni divine sono più grandi della terra e più
vaste del mare. Se quindi non conosciamo l’ampiezza della terra, siamo presuntuosi a
indagare la profondità della volontà di Dio.

V. La dimora della luce e delle tenebre. Dio parla di nuovo della luce di cui aveva già
parlato prima: Gb 38:12 Dov’è la via che guida al soggiorno della luce? Gb 38:19 Per quali
vie si diffonde? Gb 38:24 Sfida Giobbe a spiegare:

1. Come furono create la luce e le tenebre. Quando Dio, all’inizio, diffuse l’oscurità
sull’abisso, per poi dare alla luce il grande comando di uscirne: Sia la luce, Giobbe era
forse là a guardare? Sa da dove scaturirono la luce e le tenebre, e dove risiedono i loro
regni separati, se in questo mondo si alternano il governo? Per quanto possiamo
desiderare la luce del mattino o le ombre della sera, non sappiamo dove andare a
prenderle, né conosciamo i sentieri per ricondurle a casa. Gb 38:20 Non eravamo ancora
nati, e non abbiamo vissuto abbastanza da poter descrivere la nascita di quella prima
creatura visibile. Gb 38:21 Dovremmo quindi mettere in discussione gli eterni piani di Dio,
o cercare di scoprirne i sentieri, per richiederne un’alterazione? Dio si gloria nella
formazione della luce e nella creazione delle tenebre. Se prendiamo quelle due cose come
sono, senza discutere, cercando di trarne il meglio che possiamo, dovremmo, allo stesso
modo, accettare il benessere e l’avversità che sono stati ugualmente creati da Dio. Is 45:7

2. Come continuano a intercalarsi. È Dio che fa giubilare i luoghi ond’escono la mattina e


la sera. Sl 65:8 È per ordine suo, e non nostro, che la luce esce al mattino e le tenebre alla
sera. Noi non possiamo nemmeno sapere da dove vengono o dove vanno: Per quali vie si
diffonde la luce del mattino quando, istantaneamente, balena nell’aria fino all’orizzonte,
come a cavallo di un vento orientale, disperdendo le tenebre della notte con la rapidità e
la forza con cui quel vento disperde le nubi? Gb 38:24 Le Scritture parlano delle ali
dell’alba, Sl 139:9 che trasportano la luce alle estremità del mare, e la spargono come il
vento orientale sulla terra. Il ritorno della luce ogni mattina e quello delle tenebre ogni
sera sono trasformazioni stupende. Dato che però ce le aspettiamo, non ci sorprendono e
non ci inquietano. Se ci aspettassimo, allo stesso modo, i cambiamenti delle nostre
condizioni esteriori, non penseremmo, nel mezzogiorno più luminoso, che la luce non si
spenga mai, né perderemmo speranza, nella notte più buia, che l’alba possa mai sorgere.
Dio ha creato degli opposti, come il giorno e la notte, e noi dobbiamo riconoscerli. Ec 7:14
D

VI. I depositi della neve e della grandine: « sei entrato a visitarli? ». Gb 38:22,23 La neve
e la grandine provengono dalle nuvole, così copiosamente da far pensare all’esistenza di
depositi. Sono invece prodotte extempore — improvvisamente, potrei dire, e pro re nata-
per l’occasione. A volte scendono così provvidenzialmente, al momento opportuno, nel
combattimento di Dio a favore del suo popolo e contro tutti i suoi e i loro nemici, che
sembrerebbero contenute in magazzini o in arsenali, come armi, munizioni e

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 306


approvvigionamenti riposti per momenti critici, per il giorno della battaglia e della guerra.
Dio se ne è servito infatti per combattere il mondo in genere (come avvenne durante il
diluvio, quando le cateratte del cielo s’aprirono e le acque furono riversate da quei depositi
per annegare un mondo malvagio, in lotta contro il Cielo), o per combattere delle
particolari persone o fazioni, come quando fece cadere dei grossi chicchi di grandine per
sconfiggere i Cananei (Giosuè 10:11). È assurdo combattere contro Dio, che è ben
preparato alla guerra. Ci conviene invece far pace con lui e tenerci stretti al suo amore.
Qualunque strumento Dio scelga per il suo combattimento è efficace: la neve e la
grandine, i tuoni e i fulmini, o la spada di un angelo!

Gb 38:25-41

Finora Dio ha fatto a Giobbe delle domande intente a convincerlo della sua ignoranza e
cecità. Ora, allo stesso modo, cerca di dimostrare la sua impotenza e debolezza. Così
come il fatto di sapere ben poco avrebbe dovuto trattenerlo dal criticare i piani di Dio, il
fatto di avere limitatissime capacità avrebbe dovuto impedirgli di opporsi agli atti della sua
provvidenza. Consideri le grandi opere di Dio e veda se può fare lo stesso, o essere suo
pari.

I. Dio, al contrario di Giobbe, ha i tuoni, i fulmini, la pioggia e il ghiaccio al suo comando.


Giobbe non cerchi quindi di mettersi a confronto in gara con lui. Niente è più incerto e
meno prefissabile delle condizioni metereologiche. Saranno come vuole Dio, e non come
vogliamo noi, a meno che, come sarebbe giusto, la nostra volontà coincida con quella di
Dio. Osservate quindi:

1. La grandezza di Dio.

(a) Ha un dominio assoluto sulle acque, di cui ha stabilito il corso, anche quando
sembrano straripanti e incontrollabili. Ha aperto i canali all’acquazzone, Gb 38:25
indicando anche alle piogge più violente dove cadere, con la stessa certezza con cui le
acque si convogliano nei canali o nei tubi. È per questo che il cuore degli uomini è nella
mano dell’Eterno, che lo volge dovunque gli piace, come fa con le piogge, i suoi corsi
d’acqua. Ogni goccia cade dov’è diretta. Dio ha promesso che le acque di Noè non
ritorneranno più a coprire la terra, e sa mantenere le sue promesse. Ha infatti incanalato
la pioggia.

(b) Ha dominio sui tuoni e sui fulmini, che non appaiono senza regola, ma secondo le sue
direzioni. Dio ne parla qui perché fa i lampi per la pioggia. Sl 135:7 Chi teme Dio non deve
avere paura dei fulmini o dei tuoni, perché non sono proiettili sparati alla cieca, ma diretti
da lui, che non li adopera per far male.

(c) Dirigendo il corso della pioggia, Dio non dimentica i luoghi inabitati ove non sta alcun
uomo, Gb 38:26,27 cioè: [1] Dove non c’è nessuno che si occupi della produzione. La
provvidenza di Dio va oltre l’industriosità dell’uomo. Se Dio non si curasse degli animali più
dell’uomo, finirebbero male. Può rendere fertile un terreno senza il nostro ingegno o le
nostre fatiche. Anche quando non c’era alcun uomo per coltivare il suolo, un vapore salì
dalla terra per innaffiarla. Ge 2:5,6 Noi invece non possiamo renderla fruttuosa senza
l’intervento di Dio. È Dio che fa crescere. [2] Dove non c’è alcun uomo che ne tragga
vantaggio. Anche se Dio visita l’uomo e lo considera con un favore particolare, non

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 307


dimentica gli animali, ma fa che germogli e cresca l’erba per dar cibo ad ogni carne, e per
il servizio dell’uomo. Anche gli asini selvatici si dissetano. Sl 104:11 Dio ha abbastanza cibo
per tutti e provvede benissimo anche per quelle creature che non sono di servizio o di
utilità all’uomo.

(d) È, in un certo senso, il Padre della pioggia, Gb 38:28 il suo unico padre. La produce
con il suo potere, la governa, la dirige e l’adopera come vuole. Come Dio della natura,
distilla sulla terra anche le più piccole gocce di rugiada. Come Dio di grazia, fa piovere su
di noi la giustizia ed è egli stesso la rugiada di Israele. cfr. Os 14:5,6 Mi 5:7

(e) Il ghiaccio e la brina, che hanno congelato le acque e incrostato la terra, sono prodotti
della sua provvidenza. Gb 38:29-30 Sono fenomeni comuni, per cui non sembrano strani.
Date però le trasformazioni che possono causare in breve tempo, nascondendo le acque
sotto una pietra, una pietra tombale (come sembra il ghiaccio spesso e solido che le
ricopre) e congelando, a volte, anche la superficie dell’abisso, è naturale chiedere: « Dal
seno di chi esce il ghiaccio? Che potenza del creato potrebbe produrre un’opera così
stupenda? ». Solo il potere del Creatore stesso. È lui a generare e a inviare la neve e la
brina, dei fenomeni così grandi e incomprensibili che devono farci rivolgere i nostri pensieri
e le nostre meditazioni su di lui. Imparando a farlo, sopporteremo anche meglio gli
inconvenienti del clima invernale.

2. La debolezza dell’uomo. Può fare le stesse cose? Poteva farle Giobbe? No. Gb 38:34,35

(a) Non poteva far scendere una sola pioggia per il sollievo suo o dei suoi amici: « Puoi tu
levar la voce fino alle nubi, quei contenitori celesti, e far che abbondanza di pioggia ti
ricopra, per innaffiare i campi secchi e inariditi? ». Se chiediamo a Dio di mandarci la
pioggia, la possiamo ottenere, Za 10:1 ma se la chiediamo alle nuvole, ci faranno sapere
che non sono al nostro comando e che possiamo anche dimenticarcela. Gr 14:22 I cieli
non risponderanno alla terra se Dio non risponde a loro. Os 2:21 Che creature povere,
misere e dipendenti siamo! Non possiamo fare a meno della pioggia, ma non possiamo
averla quando vogliamo.

(b) Non poteva far cadere un solo fulmine per terrorizzare i suoi nemici: « I fulmini
partono forse al tuo comando, per fare ciò che vuoi? Gb 38:35 Quando li chiami, diranno:
Eccoci qua? ». No, gli agenti dell’ira di Dio non somministreranno la nostra. E perché
dovrebbero farlo, dato che l’ira dell’uomo non mette in opera la giustizia di Dio? cfr. Lu
9:55

II. Solo Dio conosce le stelle del cielo e le tiene al suo comando. Dobbiamo pensare ora a
qualcosa di ben più alto delle nuvole: alle gloriose luci che ci sovrastano. Dio parla
particolarmente non dei pianeti, nelle loro orbite, ma delle stelle fisse, che sono ben più in
alto. Nonostante la loro grande distanza, si dice che abbiano un’influsso sulla terra, non
sulla mente degli uomini o sugli eventi della provvidenza (il destino degli uomini non è
determinato dalle stelle), ma sul normale corso della natura. Furono stabilite come segni e
stagioni, e per i giorni e per gli anni. Ge 1:14 Se le stelle, pur risiedendo nei cieli ed
essendo solo materiali, hanno un tale dominio su questa terra, Gb 38:33 quanto più ne
avrà il loro e il nostro Creatore, che è una Mente eterna. Notiamo ora la nostra debolezza.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 308


1. Non possiamo alterare l’influsso delle stelle. Gb 38:31 Non possiamo cambiare quelle
che contribuiscono a produrre i piaceri della primavera: Sei tu che stringi i legami delle
Pleiadi, le nove stelle di una costellazione piccolissima (la più piccola) che tuttavia ha un
influsso benefico sulla terra? Non possiamo cambiare nemmeno quelle che introducono i
rigori invernali: Potresti tu scioglier le catene d’Orione, quella magnifica costellazione che
fa una figura così grande (la più ricca del cielo) e ha degli influssi dannosi e malefici che
non possiamo controllare o evitare. Sia l’estate che l’inverno avranno il loro corso. Dio può
cambiarle come vuole. Può raffreddare la primavera, trattenendo gli influssi mitiganti delle
Pleiadi, e riscaldare l’inverno, sciogliendo le catene di Orione. Noi però non possiamo farlo.

2. Non possiamo ordinare il movimento delle stelle e non spetta a noi guidarle. Dio, che
chiama le stelle per nome, Sl 147:4 le chiama durante le rispettive stagioni, decidendo il
momento in cui sorgono e tramontano. Noi non ne abbiamo niente a che fare. Non
possiamo far apparire Mazzarot, le stelle meridionali, né condurre fuori Arturo, quelle
settentrionali. Gb 38:32 Solo Dio può condurre le stelle in battaglia (come quando, nel loro
corso, combatterono contro Sisera) e guidarle nelle offensive per cui furono create.

3. Non solo non abbiamo niente a che fare con il governo delle stelle (il governo a cui
sono soggette e il governo a loro affidato, perché governano e sono governate), ma non
ne sappiamo niente. Non conosciamo gli ordini costituiti de’cieli. Gb 38:33 Non solo non
possiamo cambiarli, ma non sappiamo quali sono. Ci rimangono segreti. Possiamo
pretendere di conoscere i piani di Dio e i loro motivi? Se spettasse a noi stabilire il dominio
delle stelle sulla terra, non sapremmo cosa fare. Possiamo quindi insegnare a Dio come
governare il mondo?

III. Dio è l’autore, il datore, il padre e la fonte di ogni saggezza e comprensione. L’animo
umano è più grande, nobile e luminoso delle stesse stelle del cielo. I poteri e le facoltà
mentali e intellettive dati all’uomo, lo uniscono ai santi angeli. Da chi viene la luce, se non
dal Padre degli astri? Chi ha messo nella mente la sapienza o chi ha dato intendimento al
cuore? Gb 38:36 ND

1. L’anima razionale e le sue capacità derivano da Dio in quanto Dio della natura, che
forma lo spirito all’interno dell’uomo. Non abbiamo creato le nostre anime e non possiamo
descrivere come agiscono e come sono unite ai nostri corpi. Solo chi le ha fatte le conosce
e sa come dirigerle. Ha creato l’animo umano con comuni somiglianze in certi casi, e con
diversità in altri.

2. La vera saggezza, con tutti i suoi profitti e i suoi giovamenti, deriva da Dio in quanto
Dio di grazia e Padre di ogni dono buono e perfetto. Possiamo pretendere di essere più
saggi di Dio, se deriviamo da lui tutta la nostra saggezza? Anzi, possiamo pretendere di
sapere più del dovuto e di capire ciò che sorpassa i limiti della nostra comprensione? Dio
ce l’ha data per poter servirlo e fare il nostro dovere, ma non per dare ordini alle stelle o ai
fulmini.

IV. Solo Dio conosce e governa le nuvole. Gb 38:37 Può forse un uomo, con tutta la sua
saggezza, contare le nubi, o (come si potrebbe interpretare) dichiararne e descriverne la
natura? Per vicine che ci siano, nella nostra atmosfera, non le conosciamo più delle stelle
che ci sono molto distanti. Dopo aver riversato un’abbondanza di pioggia, tanto che la
polvere stemperata diventa melma e le zolle de’campi si saldano fra loro, Gb 38:38 chi

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 309


posa i barili del cielo? Gb 38:37 D Chi può fermarli, perché smetta di piovere? Dobbiamo
riconoscere qui il potere e la bontà di Dio, che dà abbastanza pioggia alla terra, senza
eccessi, per ammorbidirla senza inondarla, e per prepararla all’aratro senza
compromettere la semina. Dipendiamo tanto e così costantemente da Dio che, senza di
lui, non possiamo ordinare né un acquazzone, né una bella giornata.

V. Dio provvede alle bestie e le ciba per opera della sua provvidenza e non per nostra cura
o affanno. Tutto il capitolo seguente contiene degli esempi del potere e della bontà di Dio
verso gli animali. In parte, è trattato già negli ultimi tre versetti di questo capitolo, che
rivela la provvidenza di Dio:

1. Verso i leoni. Gb 38:39,40 « Tu non pensi che le nuvole e le stelle dipendano da te,
perché sono più alte di te. Sulla terra però ti consideri sovrano. Vediamo allora: Sei tu che
cacci la preda per la leonessa? Ti reputi grande per via del bestiame che possedevi: i buoi,
gli asini e i cammelli che si nutrivano nelle tue stalle, ma ti prendi cura dei leoni e dei
leoncelli, quando si appiattano nelle tane, attendendo la preda? Non hai bisogno di farlo,
perché possono arrangiarsi da soli. Non puoi farlo, perché non ne hai i mezzi. Non osi
farlo, perché ti salterebbero addosso. Io però lo faccio ». Notate la sufficienza assoluta
della provvidenza divina, che ha modo di soddisfare il desiderio di ogni vivente, anche dei
più rapaci. Notate anche la sua generosità: avendo dato vita, dà sostentamento anche a
quelle creature che non solo non sono di servizio all’uomo, ma gli sono pericolose. Notate
infine la sua sovranità, che permette la morte di alcune creature per il sostentamento di
altre. Le pecore inoffensive sono fatte a pezzi per saziare la fame de’leoncelli, che a volte
devono soffrire penuria e fame, come punizione per la loro crudeltà, mentre quelli che
cercano l’Eterno non mancano d’alcun bene.

2. Per i piccoli dei corvi Gb 38:41 Gli uccelli rapaci, come le bestie feroci, sono nutriti dalla
provvidenza divina. Chi se non Dio provvede il pasto al corvo? Non certo l’uomo, che si
prende cura solo delle creature che gli sono o gli possono essere utili. Dio invece si cura di
tutte le opere delle sue mani, anche delle più umili e spregevoli. I piccini dei corvi hanno
particolarmente bisogno di aiuto, e Dio li soccorre. Sl 147:9 Il fatto che Dio nutre gli
uccelli, e soprattutto questi, Mt 6:26 ci incoraggia a confidare in lui per il nostro cibo
quotidiano. Notate:

(a) Le frequenti difficoltà dei corvi: Vanno errando senza cibo. I genitori li trascurano e
non provvedono per loro come gli altri uccelli fanno per i loro piccoli. Le bestie rapaci,
contro natura, sono solitamente barbariche verso la loro progenie.

(b) Che cosa devono fare in quelle difficoltà: Gridano, perché sono creature chiassose e
rumorose. Qui è interpretato come un grido a Dio. Essendo un grido naturale, è
considerato un grido al Dio della natura. Il suo favore verso le grida dei piccoli corvi ci
incoraggia a pregare, anche se possiamo solo gridare: Abba, Padre.

(c) Che cosa fa Dio per loro. In un modo o nell’altro, provvede alle loro necessità, affinché
possano crescere e giungere all’età matura. Chi si prende tanta cura dei piccoli corvi
certamente non trascurerà il suo popolo o i loro piccoli. Questo esempio della compassione
divina, essendo solo uno tra tanti, ci può far comprendere quanto bene ci fa Dio ogni
giorno, più di quanto non ci rendiamo conto.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 310


Giobbe 39

Dio fa ora capire a Giobbe che ha avuto ben poco motivo di accusare di insensibilità chi ha
tanta compassione per le bestie e si prende tanta cura di loro, e che ha avuto poco motivo
di vantarsi di se stesso e delle sue buone azioni per Dio, che non sono niente in confronto
agli atti di misericordia divina. Gli mostra anche che gran motivo ha di umiliarsi,
conoscendo così poco la natura delle creature che lo circondano e avendo così poca
influenza su di loro, e di sottomettersi al Dio da cui tutte dipendono. Parla in particolar
modo:

I. Delle capre selvatiche e delle cerve. Gb 39:1-4

II. Degli asini selvatici. Gb 39:5-8

III. Del liocorno. Gb 39:9-12 D

IV. Del cavallo. Gb 39:19-25

V. Dello sparviere e dell’aquila. Gb 39:26-30

Gb 39:1-12

Dio dimostra a Giobbe quanto poco ha a che fare con le creature selvatiche che
percorrono le terre inabitate e vivono libere, ma sotto le cure della provvidenza divina. Per
esempio:

I. Le capre selvatiche e le cerve. Parla particolarmente del parto e della cura dei loro
piccoli. Così come ogni individuo è nutrito, ogni specie di animali è preservata per cura
della provvidenza divina e, per quanto ne sappiamo, finora nessuna specie è rimasta
estinta. Osservate:

1. La nascita dei loro piccoli:

(a) L’uomo non sa assolutamente quando nasceranno. Gb 39:1,2 Pretenderemmo forse di


sapere che cos’è in seno alla provvidenza e che giorno sarà il parto di una capra selvatica
o di una cerva, se non sappiamo i tempi della loro gravidanza?

(b) Anche se partoriscono con grande difficoltà e dolore, e senza assistenza umana, danno
alla luce dei piccoli per provvidenza di Dio, e i loro dolori sono dimenticati. Gb 39:3
Secondo alcuni, le Scritture mostrano che Dio aiuta le cerve a partorire per mezzo del
tuono. Sl 29:9 Notiamo, per il conforto delle donne durante il parto, che Dio aiuta anche le
cerve a dare alla luce i loro piccoli. Non aiuterà e salverà durante il parto le sue figlie con
cui ha stretto un patto?

2. La crescita dei piccoli: Si fanno forti. Gb 39:4 Anche se sono nati tra il dolore, dopo
avere allattato per un po’di tempo, imparano a nutrirsi da soli nei campi di grano e non
pesano più sulle madri. È un buon esempio per i nostri figli, quando crescono, a non
restare sempre attaccati ai genitori, chiedendo ogni cosa, ma a cercare di provvedere a se
stessi e di ripagarli.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 311


II. L’asino selvatico, una creatura che compare spesso nelle Scritture, secondo alcuni
indomabile. Leggiamo che l’uomo nasce simile al puledro di un asino selvatico, che non
può essere addomesticato. La provvidenza dà due cose all’asino selvatico:

1. Una libertà frenata: Chi, se non Dio, manda libero l’onagro? Gb 39:5 Gli ha dato un
certo temperamento, e poi un governo che gli è conforme. L’asino domestico deve
lavorare, ma quello selvatico non ha legami. Notate: Sono gli asini selvatici a essere
esonerati dal servizio e liberi di fare ciò che vogliono. È triste che degli uomini desiderino
quella libertà o ammirino chi ne gode. È meglio lavorare ed essere di servizio che
gironzolare senza concludere niente. Se però la provvidenza libera certi uomini, lasciando
che vivano comodamente, mentre altri sono condannati alla servitù, non dobbiamo
meravigliarci. È lo stesso per le bestie.

2. Una dimora senza confini: Al quale ho dato per dimora il deserto, dove ha abbastanza
spazio da percorrere, e dove può sorbire il vento a sua voglia, come leggiamo che ama
fare, Gr 2:24 D come se vivesse d’aria, perché ha la terra salata per abitazione. Gb 39:6
Osservate: L’asino domestico, che lavora ed è di servizio all’uomo, trova cibo e riparo nella
stalla del padrone e vive in una terra fertile. L’asino selvatico invece, che vuole essere
libero, dev’esserlo in una terra deserta. Chi non lavora non mangia. Chi invece lavora può
godere del frutto delle sue mani e avere abbastanza da dare ai bisognosi. Giacobbe, il
pastore, aveva tanta buona minestra rossa, mentre Esaù, il cacciatore, stava per morire di
fame. Troviamo qui una descrizione della libertà e dei mezzi di sussistenza dell’asino
selvatico. Gb 39:7,8

(a) Non ha padrone e non è soggetto a nessuno: Si beffa del frastuono della città. Se
cercano di catturarlo, circondandolo anche in tanti, si libera subito di loro, e le grida del
padrone non servono a niente. Ride di chi vive nel frastuono e nella frenesia delle città
(secondo il dott. Patrick), ritenendosi più felice nel deserto. L’opinione determina il valore.

(b) Non avendo un padrone, non ha nessuno che gli dia cibo o che si prenda cura di lui.
Deve arrangiarsi da solo: Batte le montagne della sua pastura, un pascolo scarso, dove va
in traccia d’ogni filo di verde, per raccoglierlo uno a uno. L’asino che lavora ha invece
abbondanza di cibo, senza doverlo cercare. Dall’indocilità di queste creature e di altre
come loro comprendiamo che, se non possiamo imporre delle regole a un puledro di un
asino selvatico, non possiamo certamente dettar legge alla provvidenza.

III. Il liocorno, rhem, una creatura forte Nu 23:22 e fiera, Sl 92:10 che può, ma non vuole
servire. Dio sfida Giobbe a costringerlo a farlo. Giobbe si era aspettato che tutto sarebbe
andato secondo i suoi piani. « Dato che pretendi », dice Dio, « di dominare ogni cosa,
comincia con il liocorno. Ora che non hai più buoi o asini, vedi se vuole servirti al loro
posto, e se si accontenta di quello che davi a loro: Passerà la notte presso alla tua
mangiatoia Gb 39:9 No »?

1. « Non puoi addomesticarlo, legarlo con una corda, o farlo erpicare ». Gb 39:10 Ci sono
delle creature disposte a servire l’uomo, che sembrano felici di farlo e che amano i loro
padroni. Ci sono invece altre che, come effetto del peccato, non serviranno mai. L’uomo
ha rifiutato di soggiogarsi al suo Creatore ed è quindi giustamente punito con il rifiuto
degli animali a soggiogarsi a lui. Eppure, come esempio della benevolenza di Dio, ce ne
sono alcuni disposti a servirlo. Anche se il bufalo (che, secondo alcuni, sarebbe questo

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 312


liocorno) non lo serve e non si lascia guidare tra i solchi, ci sono i buoi che lo fanno, e altri
animali non ferae naturae-di natura selvaggia, che l’uomo può possedere e di cui si prende
cura, aspettandosi i loro servizi. Signore, che cos’è l’uomo che tu ne abbia tanta memoria?

2. « Non osi fidarti di lui. Anche se la sua forza è grande, non lascerai a lui il tuo lavoro e
tutte le fatiche, come puoi fare con gli asini o i buoi, che anche un bambino può condurre
o guidare. Non puoi contare che il bufalo si rechi al tuo terreno e tanto meno che lo
percorra perché ti porti a casa la raccolta e ti ammonti il grano sull’aia ». Gb 39:11,12 Non
volendo servire tra il grano, non è ben nutrito come il bue, che non doveva portare la
museruola quando trebbiava. Non vuole perché il suo Creatore non intese che lo facesse.
La voglia di lavorare è un dono di Dio come la capacità di farlo. È un suo atto di grande
misericordia se la concede insieme alla forza. Dobbiamo chiedere a Dio di darcela, e
convincerci ad averla, cosa che le bestie non possono fare. Come per le bestie, anche gli
uomini che non vogliono faticare o agire bene possono essere considerati selvatici e
abbandonati nei deserti.

Gb 39:13-18

Lo struzzo è un animale stupendo, un grandissimo uccello che non sa volare. C’è chi lo
chiama cammello alato. Dio ce ne parla, facendoci notare:

I. Le sue belle piume, simili a quelle del pavone: Le ali dei pavoni sono gloriose per opera
tua? Gb 39:13 D, modificato da M. H. secondo alcuni. Il bel piumaggio rende superbi gli
uccelli. Il pavone è un simbolo di vanità. Quando incede mostrando le sue piume, neanche
Salomone, con tutta la sua gloria, è rivestito come lui. Anche lo struzzo ha delle belle
piume, ma è sciocco. Non sempre la saggezza accompagna la bellezza e l’appariscenza. Gli
altri uccelli non invidiano i colori sgargianti degli struzzi o dei pavoni e non si lamentano se
non li hanno. Perché allora ci lagniamo se gli altri hanno dei vestiti più belli di quelli che
noi possiamo permetterci? Dio distribuisce i suoi doni in modo diverso, e i più appariscenti
non sono sempre i più preziosi. Chi non preferirebbe la voce di un usignolo alla coda di un
pavone, o l’occhio e le potenti ali dell’aquila e l’affetto della cicogna alle piume e alle ali
bellissime dello struzzo, che non può innalzarsi in volo ed è senza affezione naturale?

II. Delle sue particolarità:

1. Non si cura dei suoi piccoli. È un suo carattere particolare, terribile. Osservate:

(a) Come abbandona le sue uova. Non si ritira in qualche luogo privato, come i passeri e le
rondini, Sl 84:3 per costruire un nido dove deporre le uova e far nascere la nidiata. La
maggior parte degli uccelli, come altri animali, è stranamente guidata da un istinto
naturale per la preservazione dei piccoli. Lo struzzo invece è un mostro della natura,
perché depone le uova da qualunque parte e non cerca di covarle. Se la sabbia e il sole
fanno nascere i piccini, bene, Gb 39:14 ma lui non cerca neanche di difenderle: Il piede
del passante le potrà schiacciare, e le bestie dei campi le potranno calpestare. Gb 39:15
Come possono nascere dei piccoli, e come può preservarsi quella specie? Possiamo
immaginare, come fanno alcuni, che Dio, per provvidenza speciale, riscaldi con il sole e la
sabbia quelle uova abbandonate, così come nutre i piccoli trascurati dei corvi. Oppure
possiamo pensare che lo struzzo le abbandoni spesso, ma non sempre.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 313


(b) Perché abbandona le uova: [1] Per mancanza di affezione naturale: è spietato inverso i
suoi figli. Gb 39:16 D È già un male che un animale sia spietato, e tanto più che lo sia una
creatura razionale che si vanta di essere umana, soprattutto quanto è spietata contro dei
piccoli che sono indifesi e quindi meritano compassione, e che non offendono e quindi non
meritano asprezza. È però peggio ancora essere spietati contro i propri figli, quasi
ripudiandoli, mentre sono parte di noi stessi. La fatica di deporre le uova è inutile e senza
scopo, perché lo struzzo non prova la dovuta apprensione e il dovuto affetto. Chi meno
teme di perdere il lavoro è più a rischio degli altri. [2] Per stoltezza: Iddio l’ha privato di
sapienza. Gb 39:17 Possiamo dedurre da questo che l’arte di nutrire e preservare i propri
piccoli è un dono di Dio e che, se non esiste, è perché Dio non lo concede, per farci
imparare a essere saggi osservando sia la stoltezza dello struzzo che il buon senso della
formica. Prima di tutto, molti trascurano la propria anima come lo struzzo trascura i suoi
piccoli. Non se ne curano, non preparano un nido per tenerla al riparo, ma la lasciano
esposta agli attacchi e alle tentazioni di Satana, dimostrando la loro mancanza di
saggezza. In secondo luogo, molti genitori trascurano i propri figli. Alcuni li trascurano
fisicamente, non provvedendo per quelli di casa loro, per le proprie viscere, e sono quindi
peggiori degli increduli e spietati come lo struzzo. Molti altri li trascurano spiritualmente e
non si curano di educarli, mandandoli nel mondo senza insegnamenti e senza munizioni,
dimenticando la corruzione che è nel mondo per via della concupiscenza, che li distruggerà
inevitabilmente. Le loro fatiche nell’allevarli diventano vane. Sarebbe meglio per la loro
nazione se non fossero mai nati. In terzo luogo, molti ministri del Vangelo trascurano la
propria gente con cui dovrebbero invece risiedere. Li lasciano andare, dimenticando che
Satana è intento a seminare zizzania quando gli uomini formano. Trascurano chi
dovrebbero sorvegliare, trattandoli, in effetti, duramente.

2. Si cura di se stesso. Espone le sue uova al pericolo, ma, se la sua vita è a rischio, si
sforza più di qualunque altra creatura di salvarla. Alza le ali (la cui forza gli è più giovevole
della loro bellezza) e, con il loro aiuto, corre così in fretta che nemmeno un cavaliere a
tutta velocità potrebbe catturarlo: si beffa del cavallo e di chi lo cavalca. Gb 39:18 Chi
meno prova un istinto di affezione naturale spesso mantiene più che mai l’istinto di
conservazione. I cavalieri non si vantino della velocità dei loro cavalli quando un animale
come lo struzzo può superarli.

Gb 39:19-25

Dio, avendo dimostrato il suo potere in creature forti che disprezzano l’uomo, ora lo
dimostra in un’altra, poco meno forte di loro, ma docile e di servizio agli esseri umani: il
cavallo, e soprattutto quello pronto per il dì della battaglia, in un’occasione così
straordinaria. Apparentemente, dove viveva Giobbe, c’era una razza particolarmente nobile
di cavalli. Probabilmente lui stesso ne aveva molti, anche se non sono citati tra i suoi beni,
perché le mandrie usate per il lavoro dei campi erano valutate più di quelle usate per
prestigio o per la guerra, come, a quel tempo, i cavalli, che non erano impiegati in servizi
militari come oggi (al tempo del M. H.). Sul cavallo, quella bestia magnifica e grandiosa,
leggiamo qui che:

1. Ha molta forza e temerità: Sei tu che dai al cavallo il coraggio? Gb 39:19 La forza che
adopera per assistere l’uomo non è forza sua. Gliel’ha data Dio, la fonte di ogni potere
naturale, che tuttavia non si compiace della forza del cavallo, Sl 147:10 ma ci insegna che
è cosa fallace per salvare. Sl 33:17 Nessuna creatura comunemente impiegata al servizio

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 314


dell’uomo ha altrettanta forza nel correre, nel trainare e nel trasportare carichi, e
altrettanto coraggio e ardimento del cavallo, che non è timoroso come una locusta, ma
intrepido e impavido di fronte al pericolo. È un dono della misericordia di Dio per l’uomo,
essendo fortissimo, ma soggiogato anche a un bambino, senza ribellarsi al suo padrone.
Non confidiamo però nella sua forza:. Os 14:3 Sl 20:7 Is 31:1,3

2. Ha un grande collo e un fiero nitrito. Il suo collo è rivestito d’una fremente criniera, una
chioma ricca e fluente, che lo adorna e lo rende più tremendo. Il fiero suo nitrito, quando
sbuffa, getta indietro il capo e sprizza schiuma, incute spavento. Gb 39:20 Forse in quel
luogo e a quel tempo c’era una razza di cavalli più imponenti di adesso.

3. È aggressivo e impetuoso in battaglia, e attacca con indomito coraggio, anche a


imminente rischio della vita. Notate:

(a) Com’è scherzoso: Gb 39:21 Raspa la terra nella valle, come se non sapesse dove
mettere i piedi. È orgoglioso della sua forza, e ha più motivo di esserlo, dato che la usa nel
servizio dell’uomo e sotto la sua guida, contrariamente all’asino selvatico che la usa nel
disprezzo dell’uomo e in ribellione a lui. Gb 39:8

(b) Com’è intrepido nell’attacco: Si slancia incontro alle armi, animato, non dalla validità
della causa, né dal desiderio di onore, ma solo dallo squillo della tromba, dalla voce
tonante dei capi, e dal grido di guerra dei soldati, che alimentano il fuoco del suo coraggio
innato, e lo fanno balzare in avanti con gran foga, come se gridasse: Aha! Gb 39:25 Con
che ingegno gli animali sono preparati e predisposti ai servizi per cui furono creati!

(c) Com’è coraggioso e impavido di fronte alla morte e ai più grandi pericoli: Della paura si
ride, Gb 39:22 come un oggetto di scherno. Lo colpisca la spada, gli risuoni addosso la
faretra, si brandisca anche una lancia per farlo indietreggiare, continuerà ad avanzare,
ispirando coraggio anche al cavaliere.

(d) Com’è irruente. Corvetta e si impenna, correndo con tanto impeto e tanta foga da
lasciar credere di voler divorare la terra con fremente furia. Gb 39:24 La focosità è una
virtù per il cavallo, ma non per l’uomo, a cui non si confanno la furia e l’irruenza. Questa
descrizione del cavallo da guerra ci aiuta a capire il paragone biblico dei peccatori
presuntuosi: Ognuno riprende la sua corsa, come il cavallo che si slancia alla battaglia. Gr
8:6 Quando il cuore dell’uomo è pieno della voglia di fare il male, ed è trasportato sulla via
del male dalla violenza dei desideri e delle passioni sfrenate, non si può fargli temere l’ira
di Dio e le fatali conseguenze del peccato. Anche se la sua coscienza gli pone di fronte agli
occhi la maledizione della legge, quella morte che è il salario del peccato, e tutti i terrori
dell’Onnipotente schierati in battaglia, lui ride di quella paura, non trema e non
indietreggia davanti alla spada fiammeggiante del cherubino. Anche se i ministri alzano la
voce come un suono di tromba per proclamare l’ira di Dio contro di lui, non può credere
che sia il suon della tromba, Gb 39:24 D né che Dio e i suoi messaggeri lo stiano
inseguendo. È facile però prevederne le conseguenze.

Gb 39:26-30

Come gli animali della terra, anche gli uccelli dell’aria dimostrano l’enorme potere e i
grandi atti di provvidenza di Dio. Qui Dio ne descrive particolarmente due:

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 315


1. Lo sparviere, un nobile uccello di grande forza e acume, ma predatore. Gb 39:26 È
messo in luce particolarmente per il suo volo veloce e potente, soprattutto verso
mezzogiorno, quando segue il sole d’inverno, lasciando le terre fredde del nord,
soprattutto prima di perdere e rinnovare le sue piume. È una saggezza datagli da Dio e
non dall’uomo. Forse l’intelligenza straordinaria dello sparviero nell’inseguire la preda non
era usata per il divertimento e la ricreazione dell’uomo, com’è ora. È un peccato che lo
sparviero ammaestrato, che vola per comando dell’uomo e per divertirlo, venga abusato
per disonore di Dio, dato che è proprio da Dio che ha ricevuto quell’acume che rende il
suo volo utile e interessante.

2. L’aquila, un uccello regale, anch’esso un predatore. Il fatto che Dio non solo gli
permetta di far preda, ma gliene dia il potere, ci aiuta ad accettare la prosperità degli
oppressori umani. Dio fa notare l’aquila per:

(a) L’altezza del suo volo. Nessun altro uccello sale così in alto, è così forte nel volo e
sopporta altrettanto la luce del sole. « È forse al tuo comando che l’aquila si leva in alto?
Gb 39:27 Le dai tu la forza di farlo? Dirigi tu il suo volo? No, sparisce dalla vista, quindi
ancor meno puoi comandarla, per una forza e un istinto che le ha dato Dio ».

(b) La robustezza del suo nido. La sua casa è il suo castello e la sua fortezza. La stabilisce
nei luoghi elevati, nelle rocce e sulla punta delle rupi, Gb 39:28 dove lei e i suoi piccoli
sono lontani da ogni pericolo. Certi peccatori si sentono sicuri nei propri peccati come
l’aquila nel suo nido su in alto, nelle fessure delle rocce. Ma io ti farò precipitar di lassù,
dice l’Eterno. Gr 49:16 Più i malvagi si allontanano dall’ira degli uomini, più devono
considerarsi vicini alla vendetta del Cielo.

(c) La sua vista aguzza: I suoi occhi mirano lontano, Gb 39:29 non verso l’alto, ma verso il
basso, in cerca di preda. È in questo un simbolo dell’ipocrita che, dimostrandosi religioso,
dà mostra di salire verso il cielo, mentre tiene gli occhi e il cuore puntati su qualche preda
terrena, qualche bene temporale, la casa di qualche vedova o di qualcun altro che spera di
divorare, fingendosi devoto.

(d) Si procura del cibo per sé e per i suoi piccoli. Cattura degli animali che poi fa a pezzi e
porta ai suoi piccini, che imparano ad abbeverarsi di sangue, per istinto e innocentemente.
Sarebbe difficile credere che degli uomini, forniti di ragione e di coscienza, possano essere
assetati di sangue, ma in ogni epoca ce ne sono stati dei terribili esempi. L’aquila fa anche
preda dei cadaveri: Dove son de’corpi morti, ivi ella si trova. Come il cavallo, ma in un
altro senso, quegli uccelli predatori fiutano da lontano la battaglia. Gb 39:25 Quando si
farà quindi una grande carneficina dei nemici della chiesa, gli uccelli saranno invitati per il
gran convito di Dio, per mangiar carni di re e carni di capitani. Ap 19:17,18 Il nostro
Salvatore fece riferimento a questo istinto dell’aquila quando disse: Dovunque sarà il
carname, quivi si raduneranno le aquile. Mt 24:28 Ogni creatura cerca il cibo che le è
conveniente, per istinto stabilito da chi glielo provvede. Come tanti altri esempi del potere
e dell’intelligenza innata degli animali, che non possiamo spiegarci, anche questo ci
costringe a confessare la nostra debolezza e la nostra ignoranza e a dare gloria a Dio
come fonte di ogni essenza, di ogni potere, di ogni saggezza e di ogni perfezione.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 316


Giobbe 40

Nel capitolo precedente, Dio ha rivolto a Giobbe delle domande inquietanti e umilianti. In
questo capitolo:

I. Esige una risposta. Gb 40:1,2

II. Giobbe si sottomette in umile silenzio. Gb 40:3-5

III. Dio gli parla per convincerlo dell’infinita distanza e sproporzione tra sé e lui, per cui
una competizione era assurda. Lo sfida, Gb 40:6,7 se può, a gareggiare con la sua
giustizia, Gb 40:8 con il suo potere, Gb 40:9 con la sua maestà Gb 40:10 e con il suo
dominio sui superbi, Gb 40:11-14 dando dimostrazione della sua potenza in un particolare
animale, che qui chiama « behemoth ». Gb 40:15-24

Gb 40:1-5

Troviamo qui:

I. L’umiliante sfida che Dio dà a Giobbe. Dopo avergli rivolto molte domande difficili per
dimostrargli, data la sua ovvia ignoranza circa le opere della natura, la sua incompetenza
nel giudicare i metodi e i piani della Provvidenza, ribatte ora il chiodo con un’altra
richiesta, che appare riassuntiva. Sembra che pausi un poco, come aveva fatto Eliu, per
dare a Giobbe l’opportunità di ribadire o di riflettere sulle sue parole. Giobbe però,
confuso, rimane in silenzio. Dio quindi gli chiede di rispondere. Gb 40:1,2 Non parla, come
aveva fatto prima, dal seno della tempesta. Alcuni quindi pensano che parlò con un suono
dolce e sommesso, che fece più effetto su Giobbe, come su Elia, della tempesta. 1Re
19:12,13 Si spanda il mio insegnamento come la pioggia, e farà meraviglie. Anche se
Giobbe non aveva ancora detto niente, leggiamo che Dio gli rispose, perché conosce i
pensieri dell’uomo e può dare la risposta giusta anche al loro silenzio. In questi versetti,

1. Dio fa a Giobbe una domanda convincente: « Il censore dell’Onnipotente vuole ancora


contendere con lui? Pretende forse di dare ordini alla saggezza di Dio o di stabilire la sua
volontà? Dio deve forse ricevere istruzioni da ogni stizzoso querelante e cambiare i suoi
piani per compiacerlo? ». È una domanda ironica. S’insegnerà forse a Dio la scienza? Gb
21:22 È un accenno al fatto che chi contende con Dio cerca, in effetti, di insegnargli come
fare il suo lavoro. Infatti, se discutiamo con altri uomini come noi, accusandoli di non
avere agito bene, dovremmo aiutarli a migliorare. È però plausibile che un uomo insegni al
suo Maestro? Chi contende con Dio è giustamente considerato un suo nemico. Pretenderà
quindi di aver vinto la contesa tanto da dargli ordini? Siamo ignoranti e ciechi, ma, ai suoi
occhi, tutto è scoperto e manifesto. Siamo delle creature dipendenti, mentre lui è il
Creatore sovrano. Possiamo quindi pretendere di dargli istruzioni? Alcuni traducono: C’è
forse saggezza nel contendere con l’Onnipotente? La risposta è semplice: No. È la più
grande follia del mondo. È forse saggio contendere con lui, sapendo che opporsi vuol dire
essere distrutti e sottomettersi è assolutamente nel nostro interesse?

2. Gli chiede una risposta immediata: « Colui che arguisce Iddio risponda a questa
domanda, in coscienza, Gb 40:2 D e in questo modo: Lungi da me contendere con
l’Onnipotente o dargli istruzioni. Risponda a tutte quelle mie domande, se può. Spieghi la

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 317


sua presunzione e la sua insolenza di fronte a Dio, e si vergogni ». Chi critica tutto ciò che
Dio fa o dice ha una grande opinione di se stesso e una cattiva opinione di Dio.

II. L’umile sottomissione di Giobbe, che torna in sé e inizia a intenerirsi, colto da un giusto
dolore. Non si era sottomesso quando i suoi amici gli avevano parlato, ma la voce del
Signore è potente. Quando sarà venuto lo Spirito della verità, convincerà. I suoi amici lo
avevano condannato come empio. Lo stesso Eliu era stato molto duro con lui. Gb
34:7,8,37 Le parole di Dio, invece, non erano state aspre. A volte possiamo aver motivo di
aspettarci un trattamento migliore e una più imparziale interpretazione delle nostre azioni
da Dio che dai nostri amici. Queste parole hanno effetto su questo buon uomo, che si
arrende come prigioniero della grazia di Dio.

1. Giobbe sa di essere colpevole e non ha giustificazioni: « Ecco, io son troppo meschino,


non solo ignobile e spregevole, ma gretto e detestabile ai miei occhi ». Gb 40:4 Riconosce
di avere peccato e si definisce quindi troppo meschino. Il peccato ci degrada, e i penitenti
si umiliano, si rimproverano e si vergognano, sentendosi indegni. « Sono troppo meschino,
perché ho agito male verso mio Padre, sono stato ingrato verso il mio benefattore e
stupido nei miei riguardi ». Giobbe si degrada ora quanto si era giustificato e lodato prima.
Il pentimento cambia l’opinione che abbiamo di noi stessi. Giobbe era stato troppo
sfrontato, esigendo un’udienza da Dio, e pensando di poterne ottenere il favore. Ora
invece è convinto del suo errore e riconosce di essere il più grande verme da letamaio che
abbia mai strisciato sul terreno di Dio, assolutamente incapace di reggersi di fronte a lui o
di fare qualcosa degno della sua nota. Aveva riposto ai suoi amici, ritenendosi pari a loro.
Ora che invece è Dio a parlare, non ha niente da dire perché, in confronto a lui, si
considera un niente, meno di niente, peggio di niente, l’espressione stessa della vanità e
della viltà. Dice quindi: Che cosa ti posso rispondere? Dio aveva richiesto una risposta, Gb
40:2 e Giobbe dà il motivo del suo silenzio. Non è imbronciato, ma convinto di essersi
comportato male. Chi riconosce realmente il proprio peccato e la propria viltà non osa
giustificarsi di fronte a Dio. Anzi, si vergogna anche solo di pensare di farlo e, per
dimostrarlo, si mette la mano sulla bocca.

2. Promette di non ripetere più lo stesso peccato. Era una promessa che Eliu gli aveva
consigliato di fare. Se parliamo ingiustamente, dobbiamo pentircene e non ripetere o
difendere le stesse parole. Si prescrive il silenzio: « Mi metto la mano sulla bocca, come
una briglia, per sopprimere tutti i pensieri ardenti che possono venirmi in mente e per
trattenermi dal pronunciare discorsi impazienti ». Gb 40:4 È già un male avere dei brutti
pensieri, ma è ancor peggio esprimerli, perché vuol dire concederseli e dar loro un
imprimatur-una sanzione. Vuol dire pubblicare diffamazioni sediziose. Di conseguenza, se
hai pensato del male, mettiti la mano sulla bocca e non lasciare uscire quei pensieri, Pr
30:32 dimostrando così di non approvarli. Giobbe aveva espresso i suoi brutti pensieri:
« Ho parlato male una volta e due volte », cioè, « più volte, nel corso di diverse
conversazioni, ma ho finito. Non riprenderò la parola. Non difenderò ciò che ho detto e
non lo ripeterò. Non lo farò piú ». Il vero pentimento significa:

(a) Rettificare i nostri errori e i falsi principi che hanno sostenuto le nostre azioni. Appena
capiamo di esserci sbagliati, dobbiamo ritirare ciò che abbiamo detto spesso, a lungo e
con foga, una volta e due volte, senza continuare a sostenerlo, ma anzi, vergognandoci di
avervi insistito tanto.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 318


(b) Abbandonare ogni sentiero che ci ha portato fuori strada, senza più farvi nemmeno un
passo: « Non aggiungerò » (secondo il significato letterale). « Non indulgerò più nelle mie
passioni, né mi permetterò tanta libertà di parola, parlando e agendo come ho fatto
finora ». Se non lo facciamo, non siamo pentiti. Notate anche che chi discute con Dio sarà
sempre messo a tacere. Giobbe era stato sfrontato e diretto nell’esigere un’udienza con
Dio, dicendogli, con impudenza, che avrebbe esposto il suo caso chiaramente e che era
certo che sarebbe stato giustificato. A lui si sarebbe appressato come un principe, Gb
31:37 arrivando fino al suo trono, Gb 23:3 ma ora non vuole più saperne. Ritira il suo
appello e non risponde. « Signore, a te spettano la saggezza e la giustizia. Sono stato
stolto ed empio nel dubitarle ». Gb 40:6-14

Gb 40:6-14

Fino a quel punto, le parole di Dio avevano umiliato e sottomesso Giobbe, ma non
abbastanza. Dio quindi gli parla ancora, allo stesso modo e con lo stesso scopo. Gb 40:6
Osservate:

1. Chi riceve le parole di Dio e ne fa buon uso, ne otterrà altre.

2. Anche chi è veramente convinto del proprio peccato e se ne pente deve avere una
convinzione e un pentimento più profondo. Chi è ripreso da Dio, vede chiaramente i suoi
peccati e se ne affligge, deve imparare, da questo esempio di Giobbe, a non cogliere
troppo in fretta il conforto. Quando verrà, sarà eterno, e dobbiamo quindi prepararci ad
accoglierlo umiliandoci profondamente, per pulire la ferita fino in fondo e non
superficialmente e per non allontanarci troppo in fretta dalla nostra convinzione. Quando
l’animo inizia a struggersi e ad addolcirsi, soffermiamoci su quelle meditazioni che lo
aiuteranno a sciogliersi ancor meglio. Come aveva già fatto, Gb 38:3 Dio inizia con una
sfida: « Orsù, cingiti i lombi come un prode Gb 40:7 Se hai tutto il coraggio e la sicurezza
che hai preteso di avere, dimostralo. Finirai solo per riconoscere che non puoi gareggiare
con me ». Ogni animo superbo deve arrivare a questo punto, tramite il pentimento o
tramite la distruzione, e, prima o poi, ogni monte e ogni colle dev’essere abbassato.
Dobbiamo riconoscere che:

I. Non possiamo competere con la giustizia di Dio, che è giusto e santo verso di noi,
mentre noi siamo ingiusti ed empi verso di lui. Abbiamo molto di cui incolparci, ma niente
di cui incolpare lui: « Vuoi tu proprio annullare il mio giudizio? Gb 40:8 Criticherai le mie
parole e le mie azioni, dichiarando solennemente il mio errore e rifiutando il mio giudizio in
quanto fallace e ingiusto? ». Molte lamentele di Giobbe erano così. Aveva detto: Io grido:
Violenza! e nessuno risponde. È un linguaggio assolutamente inammissibile. Il giudizio di
Dio non può e non deve essere annullato, perché sappiamo con certezza che è conforme a
verità, quindi è del tutto ingiusto e sfrontato metterlo in dubbio. « Vuoi condannare me »,
dice Dio, « per giustificar te stesso? Il mio onore deve soffrire per salvare la tua
reputazione? Devo essere accusato di essere ingiusto verso di te perché non puoi
giustificarti in altro modo dalla tua condanna? ». Dobbiamo condannare noi stessi, per
dimostrare la giustizia di Dio. Davide fu pronto a riconoscere il male che aveva fatto agli
occhi di Dio, affinché Dio potesse essere riconosciuto giusto quando parla, e irreprensibile
quando giudica (Sl 51:4; cfr. Ne 9:33 Da 9:7). Chi condanna Dio per giustificare se stesso
è superbo e non conosce né Dio né sé. Verrà il giorno in cui, se questo errore non sarà
rettificato in tempo con il pentimento, il giudizio eterno sarà sia la confutazione dell’appello

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 319


che la vergogna del prigioniero. I cieli dichiareranno infatti la sua giustizia e il mondo
intero sarà colpevole ai suoi occhi.

II. Non possiamo competere con la potenza di Dio. Gareggiare con lui è un atto non solo
di grande irreligiosità, ma di grande impudenza, ed è contro il nostro interesse, oltre ad
essere contro ogni logica e ogni giustizia: « Hai tu un braccio pari a quello di Dio,
altrettanto lungo e forte? O una voce che tuoni come la sua, come quella con cui si era già
presentato, Gb 37:1,2 e con cui parla ora in seno alla tempesta? ». Gb 40:9 Per
convincere Giobbe che non poteva contestare con lui come pensava di poter fare, Dio gli
mostra che:

1. Non avrebbe mai potuto vincere un combattimento o sostenere la sua causa con le
armi. A volte, tra gli uomini, le controversie sono concluse da una battaglia, e si ritiene che
il vincitore abbia la giustizia dalla sua parte. Se però si facesse lo stesso nelle controversie
tra Dio e l’uomo, quest’ultimo finirebbe male, perché tutte le sue forze contro
l’Onnipotente sarebbero come dei rovi e dei pruni contro un fuoco consumante. Is 27:4
« Hai forse, povero e debole lombrico, una forza comparabile a quella di chi sorregge ogni
cosa? ». Il potere delle creature, anche degli stessi angeli, deriva e dipende da Dio, che ne
prefigge i limiti. La potenza di Dio invece è originaria, indipendente e illimitata. Dio può
fare qualunque cosa senza il nostro aiuto, mentre noi non possiamo fare niente senza il
suo. Il nostro braccio non è come il suo.

2. Non avrebbe mai potuto vincere un dibattito, sostenendo la sua causa con voce alta o
grandi parole, che a volte servono, tra gli uomini, a raggiungere uno scopo: « Hai una
voce che tuoni come la sua? No. La sua soffocherà la tua e anche solo uno dei suoi tuoni
coprirà tutti i tuoi bisbigli ». La voce dell’uomo non potrà mai essere convincente, potente,
imponente e poderosa come quella di Dio, che parla, ed è fatto. La sua voce nell’atto della
creazione è definita un tuono, Sl 104:7 come anche la voce con cui terrorizza e sconfigge i
suoi nemici: Tuonerà contr’essi dal cielo. 1Sa 2:10 L’ira di un re può essere, a volte, come
il ruggito di un leone, ma non può mai pretendere di imitare il tuono di Dio.

III. Non possiamo competere con la bellezza e la maestà di Dio. « Se vuoi gareggiare con
lui nell’aspetto, preparati come meglio puoi: Adornati di maestà, di grandezza. Rivelati
nella pompa marziale, il tutto il tuo sfarzo regale, negli abiti più appariscenti: Rivestiti di
splendore, di magnificenza, tra la meraviglia dei tuoi nemici e l’ammirazione dei tuoi amici.
Gb 40:10 Ma che cos’è in confronto alla maestà e alla bellezza divina? Non più della luce di
una lucciola in confronto a quella del sole che risplende nella sua forza ». La maestà e la
gloria di Dio sono il terrore dei diavoli e di tutti i poteri delle tenebre e li fanno tremare. La
sua gloria e la sua bellezza sono la meraviglia degli angeli e di tutti i santi e li fanno gioire.
Davide poteva dimorare nella casa dell’Eterno tutti i giorni della sua vita, per mirare la sua
bellezza. Che cos’è, in confronto a quello, tutta la maestà e la grandezza con cui i principi
pensano di potersi far temere, e tutta la gloria e la bellezza con cui gli amanti pensano di
potersi rendere affascinanti? Se Giobbe pensava, gareggiando con Dio, di poter vincere
con una grande appariscenza e una bella figura, si sbagliava. Il sole sarà coperto di
vergogna, e la luna di rossore, quando Dio risplenderà.

IV. Non possiamo competere con il dominio di Dio sui superbi. Gb 40:11-14 Qui Dio dice
semplicemente che, se Giobbe avesse potuto umiliare e mortificare i tiranni e gli

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 320


oppressori con la stessa facilità ed efficacia con cui poteva farlo lui, avrebbe avuto motivo
di competere. Osservate:

1. L’atto di giustizia che Giobbe è sfidato a svolgere: Avrebbe dovuto abbattere i superbi
con uno sguardo, se avesse voluto rivaleggiare Dio, e soprattutto giudicare le sue azioni.

(a) È sottointeso che Dio può farlo e lo farà, altrimenti non lo avrebbe chiesto a Giobbe.
Dio dimostra di essere Dio perché resiste ai superbi, presiede come loro Giudice e può
condurli alla distruzione. Osservate: [1] I superbi sono empi. La superbia è alla radice di
molta empietà contro Dio e contro l’uomo. [2] I superbi saranno certamente abbattuti e
schiacciati. La superbia precede la rovina. Se non si piegano, saranno spezzati. Se non si
umiliano con un vero pentimento, Dio li umilierà in una vergogna eterna. Gli empi saranno
schiacciati dovunque stanno, dovunque si trovano, anche se pretendono di avere un luogo
tutto loro, dove si sono stabiliti. Anche là saranno calpestati, e tutta la ricchezza, il potere
e i beni di cui per certo avevano il diritto non saranno la loro sicurezza. [3] L’ira di Dio,
rivolta contro tutti i superbi, li umilierà, li spezzerà e li abbatterà. Quando quell’ira infuria,
come nel giorno del giudizio e, a volte, in questa vita, anche l’animo più forte non può
resistere. Chi conosce il potere della sua ira? [4] Dio può facilmente abbattere i tiranni
altezzosi, e lo fa. Può mirarli e umiliarli, ricoprendoli di vergogna e di timore,
distruggendoli completamente con un solo sguardo adirato, così come, con uno sguardo
amorevole, può risollevare gli animi afflitti. [5] Può farlo e lo farà efficacemente: non solo
li getterà nella polvere, da cui possono sperare di rialzarsi, ma li seppellirà nella polvere,
Gb 40:13 come l’Egiziano arrogante che Mosè uccise e nascose nella sabbia. Eso 2:12 In
altre parole, arriveranno non solo alla morte, ma alla tomba, all’abisso senza ritorno. Erano
orgogliosi della loro bella figura, ma saranno sepolti nell’oblio e dimenticati come chi è
seppellito nella polvere, lontano dagli occhi e dalla mente. Si erano uniti in leghe e
confederazioni per fare il male, e ora sono sepolti in gruppo. Sono seppelliti insieme,
trovando nella polvere non riposo, ma vergogna. Gb 17:16 Anzi, sono trattati come i
malfattori ai quali, se condannati, si copriva il volto, come fu per Aman, o come i cadaveri
(la faccia di Lazzaro, nella tomba, era avvolta in fasce): Copre di bende la lor faccia. Dio
completerà quindi, alla fine, la sua vittoria sui peccatori superbi che gli si sono opposti,
dimostrando così di essere Dio. Odia i superbi? Allora è santo. Li punirà? Allora è il Giudice
supremo del mondo. Li può umiliare? Allora è il Signore Onnipotente. Quando Dio abbatté
l’arrogante Faraone, seppellendolo nella sabbia del Mar Morto, Ietro riconobbe che l’Eterno
era indubbiamente più grande di tutti gli dèi. Tale si era mostrato, e imbattibile, quando gli
altezzosi nemici di Israele avevano agito orgogliosamente contro di loro (Eso 18:11; cfr.
Ap 19:1,2).

(b) Dio sfida Giobbe a farlo. Giobbe aveva conteso appassionatamente con Dio e con la
sua provvidenza, dando libero corso ai furori della sua ira contro il cielo, come se pensasse
di poterlo persuadere. « Su », dice Dio, « prova prima a persuadere i superbi, e ti
accorgerai subito che la tua ira gli importa ben poco. Dovrei quindi preoccuparmene io, o
esserne colpito? ». Giobbe si era lamentato della prosperità e del potere dei tiranni e degli
oppressori, ed era pronto ad accusare Dio di cattiva amministrazione per averli permessi,
ma non era giusto biasimare ciò che non poteva rimediare. Se solo Dio ha abbastanza
potere da umiliare e abbattere i superbi, indubbiamente ha anche abbastanza saggezza da
sapere quando e come farlo, e non spetta a noi dargli ordini o insegnargli come governare
il mondo. Se il nostro braccio non è lungo come il suo, non dobbiamo pensare a togliergli il
lavoro di mano.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 321


2. La giustizia che Dio promette di fargli se può compiere quei grandi atti: « Allora, anch’io
ti loderò, perché la tua destra può salvarti, anche se, dopo tutto, sarebbe troppo debole
per contendere con me ». Gb 40:14 L’uomo, per orgoglio e ambizione innati, vuole essere
il proprio salvatore, facendo da solo ed essendo indipendente, ma è presuntuoso fingere di
esserlo. Le nostre mani non possono salvarci, né raccomandandoci alla grazia di Dio, né
tanto meno sottraendoci alla sua giustizia. Se, con le nostre forze, non possiamo umiliare i
nostri nemici, non possiamo pretendere di salvarci. Se potessimo farlo, Dio lo avrebbe
detto. Non ha mai privato nessuno della sua giusta lode o del dovuto onore. Dato che noi,
invece, non possiamo fare altrettanto, dobbiamo confessargli che non possiamo salvarci
da soli e dobbiamo quindi abbandonarci nelle sue mani.

Gb 40:15-24

Dio, per dimostrare ulteriormente il suo potere e la sua disapprovazione delle pretese di
Giobbe, conclude il suo discorso con la descrizione di due animali grandi e potenti, ben più
dell’uomo, che chiama behemoth e leviathan (ND). In questi versetti troviamo la
descrizione del primo. « Guarda behemoth, e vedi se puoi gareggiare con chi l’ha creato e
gli ha dato tutti i suoi poteri, o se non ti conviene sottometterti e rappacificarti con lui ».
La parola behemoth significa bestie in generale, ma qui può essere intesa come una
specie particolare. Secondo alcuni, si tratta del toro. Secondo altri, si tratta di un anfibio
noto (dicono) in Egitto, con il nome di cavallo del fiume (ippopotamo), che vive tra i pesci
del Nilo, ma viene a cibarsi sulla terra. Devo confessare che non vedo motivo di
abbandonare l’opinione antica e più generalmente accettata che si tratti dell’elefante, una
creatura fortissima e maestosa, più grande delle altre, e così famosa nel regno animale
che, data la descrizione di tanti altri quadrupedi in Giobbe 38 e 39, non possiamo
immaginare che volesse essere tralasciata. Osservate:

I. La descrizione del behemoth.

1. Ha un corpo forte e robusto. La sua forza è nei suoi lombi. Gb 40:16 Le sue ossa, in
confronto a quelle di altre creature, sono tubi di rame. Gb 40:18 La sua spina dorsale è
così forte che, anche se la sua coda non è grande, la stende imperiosamente come un
cedro. Gb 40:17 Alcuni pensano che si riferisca alla proboscide dell’elefante, perché il
vocabolo significa qualunque estremità, e la proboscide è in effetti fortissima. L’elefante ha
tanta forza nella schiena, nei fianchi e nei muscoli delle cosce, che può trasportare una
torre di legno con dentro un gran numero di soldati. Nessun animale ha altrettanta forza
fisica, l’attributo principale qui descritto.

2. Si ciba dei prodotti della terra e non di preda: Mangia l’erba come il bove Gb 40:15 e i
monti gli producono la pastura. Gb 40:20 Le bestie dei campi non lo temono e non
fuggono come di fronte al leone, ma gli scherzano intorno, sapendo che non è pericoloso.
Possiamo qui:

(a) Riconoscere la bontà di Dio che, per prevenire un grande sterminio, ha stabilito che
una creatura così enorme, che ha bisogno di tanto cibo, non si alimenti di carne (altrimenti
moltitudini dovrebbero morire per mantenerlo in vita), ma si accontenti dell’erba del
campo.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 322


(b) Lodare un’alimentazione vegetariana, secondo ciò che fu originariamente stabilito. Ge
1:29 Anche la forza di un elefante, di un cavallo e di un bue può essere mantenuta senza
alimentarsi di carne. Perché quindi non quella dell’uomo? Anche se usiamo la libertà che
Dio ci ha permesso, non dobbiamo esser di quelli che son ghiotti mangiatori di carne. Pr
23:20

(c) Lodare una vita calma e pacifica. Chi non preferirebbe avere, come l’elefante, il favore
dei vicini, invece di terrorizzarli come il leone?

3. Egli giace sotto gli alberi ombrosi, Gb 40:21 D che lo coprono dell’ombra loro, Gb 40:22
all’aperto e all’aria fresca, mentre i leoni, che sono predatori, devono ritirarsi in spelonche
buie e chiuse per riposarsi, per dimorare e per stare in agguato. Gb 38:40 A volte, chi
terrorizza gli altri vive nel timore. Invece, chi è affabile può rilassarsi in pace. I canneti, le
paludi e i salici del torrente, pur essendo rifugi deboli e radi, bastano a difendere e a
tenere al sicuro chi non teme alcun male perché non cerca di farlo agli altri.

4. È un avido bevitore, non di vino o di bevande alcoliche (che solo l’uomo desidera,
diventando una bestia con la sua ubriachezza), ma d’acqua pura.

(a) È enorme, e quindi deve avere adeguato nutrimento. Beve tanto che sembrerebbe di
poter asciugare un fiume intero, se gli si concedesse il tempo, senza affrettarlo. Oppure,
quando beve, non si affretta, come chi ha paura. È certo della sua forza e della sua
sicurezza, e quindi beve senza più fretta di quanta sia conveniente. Gb 40:23 KJV

(b) Ha gli occhi più grandi dello stomaco, in senso figurato, perché, se sta a lungo
senz’acqua, si fida di potersi attrarre il Giordano nella gola Gb 40:23 D e lo prende con gli
occhi. Gb 40:24 KJV Così come chi è avido passa lo sguardo sulle ricchezze del mondo, di
cui è assetato, questa grande bestia cattura o prende il fiume con lo sguardo.

(c) Il suo naso ha una forza tale che, quando va a bere avidamente, strappa i lacci o le reti
messe nell’acqua dai pescatori. È così forte e ha un appetito così grande che non si cura
degli ostacoli che incontra.

II. Che cosa dobbiamo imparare da questa descrizione. Abbiamo visto quest’enorme
bestia, questo gigantesco animale che qui non è semplicemente messo in mostra per
soddisfare la nostra curiosità e per divertirci (come si fa a volte in questo paese), ma ci è
presentato per persuaderci a umiliarci di fronte al grande Dio. Infatti:

1. È Dio che lo ha creato in modo meraviglioso e stupendo. È l’opera delle sue mani,
progettato dalla sua sapienza e prodotto con il suo potere. È il behemoth che ho fatto. Gb
40:15 ND La sua forza, come quella di ogni creatura, deriva da Dio, che quindi dev’essere
riconosciuto come fonte originaria e infinita di ogni potenza, un braccio con cui non
possiamo competere. Questa bestia è chiamata il capolavoro, nel suo genere, di Dio, Gb
40:19 un’illustre dimostrazione della potenza e della saggezza del Creatore. Se leggiamo
attentamente i resoconti datici dagli storici sull’elefante scopriamo che ha una mente più
razionale di tutti gli animali e può quindi essere chiamato il capolavoro di Dio tra la
creazione inferiore. Nessuna creatura inferiore all’uomo è più grande di lui.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 323


2. Dio lo ha fatto, come gli altri quadrupedi, lo stesso giorno in cui ha creato l’uomo, Ge
1:25,26 mentre i pesci e gli uccelli erano stati creati il giorno prima. L’ha creato perché
potesse vivere sulla stessa terra e nello stesso elemento dell’uomo. L’uomo e le bestie
sono infatti preservati insieme dalla provvidenza divina come concittadini. Sl 36:6 « È il
behemoth che ho fatto insieme a te. Gb 40:15 KJV L’ho creato insieme a te, e non litiga
con me. Perché tu litighi? Perché esigi dei favori particolari per il fatto che ti ho plasmato,
Gb 10:9 quando ho fatto il behemoth insieme a te? Ti ho creato così come ho creato lui e
posso quindi far di te quel che voglio, come faccio di lui, e lo farò, che ti piaccia o meno.
L’ho creato con te, perché tu possa osservarlo e trarne insegnamenti ». Non è difficile
trovare prove ed esempi dell’onnipotenza e del dominio assoluto di Dio. Sono accanto a
noi, vicino a noi, proprio sotto gli occhi dovunque siamo.

3. Colui che l’ha fatto può accostargli la sua spada. Gb 40:19 La stessa mano che lo ha
creato può, nonostante la sua grandezza e la sua forza, annientarlo come vuole. Dio può
uccidere un elefante con la stessa facilità con cui può uccidere un verme o una mosca,
senza difficoltà e senza essere accusato di spreco o di delitto. Chi ha dato vita a tutte le
creature, può toglierla. Non può forse fare ciò che vuole con quello che è suo? Certo che
può. Chi ha potere di creare con una parola indubbiamente ha potere di distruggere allo
stesso modo, e con una parola può annientare nel nulla ciò che ha tratto dal nulla. Il
behemoth forse vuole rappresentare (come il leviathan dopo) quei superbi tiranni e
oppressori che Dio aveva appena sfidato Giobbe ad abbattere e a umiliare, i quali si
sentono fortificati contro i giudizi di Dio come un elefante con le sue ossa di rame e di
ferro. Chi ha fatto l’animo umano ne conosce però tutte le vie e può accostargli la spada
della giustizia, la sua ira, per colpirlo nelle sue parti più delicate e sensibili. Chi costruisce
un motore con tutte le sue parti, sa come smontarlo. Guai a chi lotta contro il suo
Creatore, perché chi lo ha fatto ha il potere di renderlo miserabile e non gli darà felicità
senza governarlo.

Giobbe 41

La descrizione del leviathan, un pesce o un animale acquatico grande, forte e straordinario


vuole convincere ancor maggiormente Giobbe della sua impotenza e dell’onnipotenza di
Dio, per umiliarlo per la sua folle sfrontatezza verso di lui.

I. Per convincerlo della sua debolezza, Dio lo sfida a sottomettere e a soggiogare il


leviathan, facendosi suo domatore. Gb 41:1-9 Non potendo farlo, deve riconoscere di non
potere assolutamente reggersi di fronte al grande Dio. Gb 41:10

II. Per convincerlo del proprio potere e della propria grandiosa maestà, gli dà diversi
esempi della forza e dell’imponenza del leviathan, una forza che egli ha dato e che può
controllare. Gb 41:11,12 Il muso del leviathan incute terrore, Gb 41:12,14 le sue scaglie
sono unite strettamente, Gb 41:15-17 il suo respiro e i suoi starnuti sprizzano scintille, Gb
41:18-21 la sua carne è solida, Gb 41:22-24 la sua forza e il suo coraggio sono insuperabili
quando è attaccato Gb 41:25-30 e i suoi movimenti sono turbolenti e agitano le acque. Gb
41:31,32 Nel complesso, è una creatura terribile, con cui l’uomo non può competere. Gb
41:33,34

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 324


Gb 41:1-10

Gli studiosi discutono se questo leviathan sia una balena o un coccodrillo. Io non cercherò
di risolvere la disputa. Alcuni dettagli suggerirebbero l’uno, e altri l’altro. Sono entrambi
animali forti e feroci, in cui appare evidente il potere del Creatore. Il geniale Sir Richard
Blackmore, seppur ammettendo la più comune opinione sul behemoth, cioè che fosse un
elefante, concorda con la nozione di Bochart che considera il leviathan un coccodrillo, ben
noto nel fiume egiziano. Devo confessare di reputarlo invece una balena, non solo perché
è un animale molto più grande e nobile, ma anche perché, nella storia della Creazione,
viene nominata specificamente come se non appartenesse ad altre specie animali: Iddio
adunque creò le grandi balene. Ge 1:21 D Sembrerebbe quindi non solo che le balene
fossero ben conosciute da quelle parti al tempo di Mosè, che visse poco dopo Giobbe, ma
che la loro creazione fosse generalmente considerata una prova straordinaria del potere e
della divinità eterna del Creatore. Possiamo dunque concludere che Mosè citò
specificamente la creazione della balena perché Dio ne aveva poco prima evidenziato le
dimensioni e la forza come prova del suo potere (sembra infatti l’unico motivo valido).
Inoltre, il leviathan è descritto come un abitante del mare, Gb 41:31 e il coccodrillo non lo
è. Là, nel mare grande e ampio, è quel leviatan. Sl 104:25,26 In questi versetti,

I. Dio dimostra che Giobbe non poteva domare il leviathan.

1. Non poteva catturarlo come un pesciolino, con un amo. Gb 41:1,2 Non aveva un’esca
per attirarlo, un amo per pescarlo, un filo per tirarlo fuori dall’acqua, né una spina per
forargli le branchie e trasportarlo a casa.

2. Non poteva imprigionarlo, né costringerlo a implorare pietà o ad arrendersi


incondizionatamente. Gb 41:3,4 « Conosce troppo la sua forza per rivolgere molte
supplicazioni e per fare con te un patto di servirti pur di salvarsi la vita ».

3. Non poteva ingabbiarlo per il divertimento dei bambini. Gb 41:5 Ci sono delle creature
così piccole e deboli che possono facilmente essere catturate e messe in gabbia, ma non il
leviathan, che è stato creato per terrorizzare gli uomini, e non per divertirli.

4. Non poteva servirlo a tavola, né a un banchetto con i suoi compagni. La sua carne era
troppo coriacea e, comunque, non era facile catturarlo.

5. Non poteva trarne un profitto: Lo spartiranno essi fra i negozianti, le ossa a uno, l’olio a
un altro? Certo, se lo cattureranno. Probabilmente però a quel tempo l’arte della pesca
delle balene non era ancora perfetta com’è ora.

6. Non potevano distruggerlo e coprirgli la testa di ramponi. Gb 41:7 Si teneva lontano dai
loro strumenti micidiali o, anche se lo colpivano, non potevano colpirlo a morte.

7. Non serviva a niente cercare di farlo: Fallace è la speranza di chi l’assale. Gb 41:9 Se gli
uomini cercano di catturarlo, è così spaventoso da terrorizzarli e da far quasi svenire
anche i più forti: basta scorgerlo e s’è atterrati. Non si tratterranno quindi dal farlo? Dio
sfida Giobbe a mettergli le mani addosso. « Toccalo se puoi. Ricordati il combattimento.
Ricordati la tua debolezza contro una tale forza, pensa al probabile esito della lotta, e non
tornarci, ma lascia perdere ». Gb 41:8 Prima di iniziare una guerra, è bene ricordare il

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 325


combattimento e deporre le armi in tempo se prevediamo che non serviranno a niente.
Dio esorta Giobbe a non continuare quella sua controversia contro di lui, ma a far pace
con lui, ricordando quale sarà certamente l’esito del combattimento. cfr. Is 27:4,5

II. Giobbe conclude quindi di non poter contendere con l’Onnipotente. Nessuno è tanto
ardito e temerario da provocare il leviathan, Gb 41:10 sapendo che ne sarà certamente
sopraffatto. E chi dunque oserà star di fronte a Dio, per denunciare e biasimare le sue
azioni o per sfidare il potere della sua ira? Se gli animali, che sono messi sotto i piedi
dell’uomo e sui quali egli ha dominio, ci meravigliano tanto, come sarà terribile la maestà
del nostro grande Signore che ha un dominio assoluto su di noi e contro il quale l’uomo si
è così a lungo ribellato! Chi può reggere davanti alla sua indignazione?

Gb 41:11-33

Dio, avendo dimostrato a Giobbe, nei versetti precedenti, che non poteva affrontare il
leviathan, dichiara ora il suo potere su quella creatura enorme e forte. Troviamo qui:

I. Il dominio assoluto e l’indipendenza di Dio. Gb 41:11

1. Non è debitore a nessuna delle sue creature. Se qualcuno pensa che Dio gli sia in
debito, lo dimostri, e sarà risarcito completamente e senza condizioni: « Chi mi ha
anticipato alcun che? ». cioè, « Chi mi ha messo in obbligo per dei servizi che mi abbia
fatto? Chi può dire di essermi creditore? Non gli sarei certo creditore a lungo, ma li
ripagherei subito ». L’apostolo cita questo versetto per mettere a tacere ogni carne nel
cospetto di Dio: Chi gli ha dato per primo, e gli sarà contraccambiato? Ro 11:35 Così come
Dio non ci infligge il male che meritiamo, allo stesso modo ci concede dei favori che non
meritiamo.

2. È il giusto Signore e padrone di tutte le creature: « Sotto tutti i cieli, ogni cosa, animata
e inanimata, è mia (e soprattutto questo leviathan), al mio comando e a mia disposizione,
e ne ho la proprietà e il dominio incontestabile ». Tutto è suo. Noi siamo suoi, con tutto
ciò che possediamo e facciamo. Non possiamo quindi fare di Dio il nostro debitore. Al
contrario, Signore, noi t’abbiam dato quello che dalla tua mano abbiam ricevuto. Tutto è
suo, quindi, se anche fosse debitore a qualcuno, avrebbe di che ripagare. Il debito è in
mani affidabili. Tutto è suo, quindi non ha bisogno dei nostri servizi e non ne può trarre
giovamento. Se avessi fame, non te lo direi, perché il mondo, con tutto quel che contiene,
è mio. Sl 50:12

II. La prova e l’illustrazione del suo dominio, nella meravigliosa struttura del leviathan. Gb
41:12

1. Dio non manca di far notare le parti del suo corpo, la sua forza, soprattutto quando è
attaccato, e le sue gradevoli proporzioni, per cui dobbiamo prestarvi attenzione,
riconoscendovi il potere di Dio. Anche se è una creatura di dimensioni mostruose, ha una
certa bellezza. Generalmente, riteniamo soprattutto belle le cose minute (inest sua gratia
parvis-le cose piccole hanno una grazia tutta loro), perché siamo piccoli anche noi. Agli
occhi di Dio, invece, anche il leviathan è bello. Se considera belli la balena e il coccodrillo,
non spetta a noi dire che un’opera delle sue mani è brutta o sgradevole. Possiamo dirlo, se
ne abbiamo motivo, delle nostre opere. Dio ci dà ora una descrizione praticamente

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 326


anatomica del leviathan. Le sue opere appaiono infatti più belle e grandiose, manifestando
più che mai la sua saggezza e il suo potere, quando sono analizzate separatamente nelle
loro diverse parti e applicazioni.

(a) Il leviathan, anche prima facie-a prima vista, appare spaventoso e inaccessibile. Gb
41:13,14 Chi osa avvicinarglisi quando è vivo, per scoprire o scrutare la sua corazza, la
pelle che lo ricopre, o per metterlo alla briglia come un cavallo e guidarlo via? Chi osa
avvicinarsi ai suoi denti, che sono in doppia fila? Chi ha il coraggio di guardargli in bocca,
come si fa ai cavalli? Chi gli apre i due battenti della gola vedrà, intorno alla chiostra dei
suoi denti, forti, aguzzi e pronti a divorare, il terrore. È terribile pensare che possano
morderci una gamba o un braccio.

(b) Le sue scaglie sono la sua forza, la sua bellezza, e quindi il suo orgoglio. Gb 41:15-17
KJV Le scaglie del coccodrillo sono davvero straordinarie. Se invece si trattasse della
balena, questi scudi (la traduzione letterale) potrebbero essere i diversi spessori della sua
pelle. O forse in quel paese c’erano delle balene con scaglie. La meraviglia di queste
scaglie è che sono strettamente unite, non solo per trattenere il calore, impedendo all’aria
di penetrare, ma per protezione, perché non c’è spada che possa forarle. I pesci dell’acqua
sono fortificati secondo la saggezza della Provvidenza, che riveste quando manda il freddo.

(c) Il suo alito e la sua apparenza incutono terrore. I suoi starnuti o getti d’acqua sono
come sprazzi di luce, per via della schiuma o dei riflessi del sole. Gb 41:18 Si dice che gli
occhi della balena risplendano di notte come fiamme o, leggiamo qui, come le palpebre
dell’aurora. È lo stesso per il coccodrillo. L’alito di questa creatura è così caldo e ardente,
per il gran calore interno, che delle vampe e scintille di fuoco, fumo e fiamme, sembrano
uscire dalla sua bocca, abbastanza caldi da accendere i carboni. Gb 41:19-21
Probabilmente queste espressioni iperboliche sono usate per indicare il terrore dell’ira di
Dio, di cui questo discorso vuole persuaderci. Un fuoco consumante gli esce dalla bocca. Sl
18:7,8 Il soffio dell’Eterno, come un torrente di zolfo, accende Tofet, ardendo per sempre.
Is 30:33 L’empio sarà distrutto col soffio della sua bocca. 2Te 2:8

(d) È di una forza invincibile e di una ferocia tremenda, che atterrisce chiunque lo incontri.
Per quanto lo riguarda, niente lo spaventa. Nel suo collo risiede la forza, Gb 41:22
reggendo saldamente la testa sul corpo. La doglia tresca (o trionfa) davanti a lui, perché la
sua opera è tremenda. Gb 41:22 D Oppure, ciò che produce dolore negli altri gli dà gioia.
Ciò che fa cadere gli altri lo fa danzare. La sua carne è soda. Gb 41:23 Le parti flosce sono
così compatte e gli stanno così salde addosso che è difficile ferirlo. È come se fosse
tutt’ossa. La sua carne è di rame, mentre Giobbe si era lamentato che la sua non lo era.
Gb 6:12 Il suo cuore è duro come il sasso. Gb 41:24 Il suo spirito è pari alla sua forza. Pur
essendo voluminoso, è vivace e non impacciato. Così come la sua carne e la sua pelle non
possono essere perforate, allo stesso modo il suo coraggio non può venir meno. Al
contrario, terrorizza tutti quelli che incontra, lasciandoli costernati: Gb 41:25 Quando si
rizza come una montagna che naviga sull’oceano, anche i più forti tremano per paura che
rovesci le loro navi o che faccia altro danno. Per il gran fracasso che fa nell’acqua, come
minaccia di morte, si purgano de’lor peccati, li confessano, si danno alla preghiera e si
preparano a morire. Gb 41:25 D In Gb 3:8 (ND), leggiamo che alcuni, evocando il
leviathan, ne rimanevano così terrorizzati da maledire quel giorno. Era un terrore che
provocava maledizioni e preghiere. Anche oggi, i terrori del mare hanno diversi effetti su

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 327


diverse persone. Tutti però sono d’accordo che, quando si alza il leviathan, c’è grande
sgomento.

(e) Nessun’arma può ferirlo, né, quindi, spaventarlo. Gb 41:26-29 La spada e la lancia, che
feriscono da vicino, non gli importano affatto. Il giavellotto, le frecce e le pietre della
fionda, che feriscono a distanza, non gli recano danno. La natura lo ha armato da capo a
piedi, completamente e contro tutto. Le armi difensive, come la corazza, sono spesso
altrettanto inutili contro di lui. Il ferro e il rame sono come paglia e legno tarlato, di cui lui
ride. È un’immagine del peccatore impenitente che disprezza i terrori dell’Onnipotente e
ride alle minacce della sua parola. Il leviathan si cura così poco delle armi usate contro di
lui che, per dimostrare la sua resistenza, sceglie di giacere su testi pungenti, cocci acuti,
Gb 41:30 D, CEI come se fosse su un molle pantano. Chi vuole sopportare le difficoltà
deve abituarsene.

(f) Il suo movimento agita le acque e le fa ribollire. Gb 41:31,32 Quando si gira e rigira,
scuotendo le acque, o quando cerca la preda, fa bollire l’abisso come una caldaia, con
tanta schiuma, come una pentola o soprattutto un vaso di unguento che bolle. Si lascia
dietro una scia di luce, che nemmeno una nave in mezzo al mare può lasciare. Pr 30:19 Si
sa che il leviathan è sott’acqua notando le bollicine in superficie. Eppure chi può avvalersi
di quel vantaggio per catturarlo? Si possono seguire le tracce della lepre sulla neve per
ucciderla, ma chi vede le tracce del leviathan non osa avvicinarglisi.

2. Dopo aver descritto così dettagliatamente le sue membra, la sua gran forza e la bellezza
della sua armatura, Dio conclude con quattro commenti generici su questo animale:

(a) E incomparabile tra gli altri: Non vi è alcuno animale in su la terra che gli possa essere
assomigliato. Gb 41:33 D Non c’è altra creatura altrettanto forte e terribile. Forse la terra è
distinta dal mare: Il suo dominio non è sulla terra (secondo alcuni), ma nelle acque.
Nessun’altro animale selvaggio della terra gli si avvicina per mole e forza. È quindi un bene
per l’uomo che la Provvidenza divina lo abbia confinato alle acque e gli abbia posto intorno
una guardia. Gb 7:12 Se infatti una creatura così tremenda potesse girare devastando la
terra, questa sarebbe una dimora malsicura e scomoda per gli uomini, per i quali è stata
creata.

(b) È più coraggioso e temerario di qualunque altra creatura: È stato fatto per non aver
paura. Le creature sono come sono create. Il leviathan ha un coraggio innato e niente può
spaventarlo. Al contrario, altre creature sembrano create per prendere il volo. Anche tra gli
uomini, alcuni sono naturalmente coraggiosi e altri timorosi.

(c) È molto superbo. Benché viva negli abissi, guarda in faccia tutto ciò ch’è eccelso. Gb
41:34 D Considera con disprezzo le ondate del mare, gli scogli sovrastanti, le nubi del cielo
e le navi alte e vistose, perché non le vede come competizioni o minacce. I grandi tendono
a essere sprezzanti.

(d) È re su tutte le belve più superbe, cioè, è il più superbo dei superbi. Ha più di cui
vantarsi (secondo Caryl) delle persone più superbe, mortificando l’arroganza e l’alterigia
degli uomini. Qualunque siano le abilità fisica di cui sono orgogliosi e di cui si vantano, il
leviathan le supera, essendo re su di loro. Secondo alcuni, si riferisce a Dio: Colui che
guarda in faccia tutto ciò ch’è eccelso, è re su tutti i superbi. Dio può domare il behemoth

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 328


Gb 40:19 e il leviathan, per grandi e coraggiosi che siano. Questo discorso su quelle due
creature è inteso a dimostrare che solo Dio può mirare tutti i superbi, umiliarli, schiacciarli
e seppellirli nella polvere. Gb 40:11-13 Si conclude quindi con un quod erat
demonstrandum-com’è stato dimostrato: C’è chi guarda in faccia tutto ciò ch’è eccelso e
superiore e tutto ciò che agisce con alterigia. Dio è Re su tutti i superbi, esseri razionali o
meno, e può farli piegare o distruggerli al suo cospetto. Is 2:11 Lo sguardo altero
dell’uomo del volgo sarà abbassato, e l’orgoglio de’grandi sarà umiliato, quindi l’Eterno
solo sarà esaltato.

Giobbe 42

Come disse Salomone, « Meglio vale la fine d’una cosa, che il suo principio ». Ec 7:8 Fu
così per Giobbe. La luce venne di sera. In questo libro, tre cose, devo confessare, mi
hanno turbato molto. Ne troviamo però una riconciliazione finale e completa in questo
capitolo, dove tutto ritorna a posto.

I. È stato doloroso vedere un uomo pio come Giobbe così agitato, stizzoso e inquieto, e
soprattutto sentirlo discutere con Dio e parlargli in modo sconveniente. Se cadde, non fu
però atterrato. Qui infatti riprende i sensi, ritorna in sé e torna a ragionare mediante il
pentimento, si rincresce di essersi espresso male, ritira le sue parole e si umilia di fronte a
Dio. Gb 42:1-6

II. È stato altrettanto doloroso vedere un tale conflitto tra Giobbe i suoi amici, con uno
scambio non solo di opinioni diverse, ma di grandi offese e di duri rimproveri, pur
trattandosi di uomini giusti e saggi. Anche questo male è qui rimediato: le controversie
sono felicemente riconciliate, la contesa ha termine, gli stizzosi rimproveri reciproci sono
perdonati e dimenticati, e tutti, uniti nei sacrifici e nella preghiera, sono accettati da Dio.
Gb 42:7-9

III. È stato doloroso vedere un uomo devoto e dedito come Giobbe afflitto così
duramente, tra il dolore, la malattia, la povertà, il disprezzo e il biasimo, al centro stesso di
tutte le calamità umane. Anche questo male è rimediato. Giobbe è guarito da ogni
malattia, più onorato e amato di prima, con il doppio di prima, circondato da ogni conforto
di questa vita, ed è un esempio altrettanto grande di prosperità come lo era stato di
afflizione e di pazienza. Gb 42:10-17 Tutto questo è stato scritto per nostro
ammonimento, affinché, trovandoci in situazioni altrettanto scoraggianti, possiamo avere
speranza tramite la pazienza e con il conforto di queste Scritture.

Gb 42:1-6

aveva cessato di giustificarsi Gb 31:40 e non aveva detto più niente a quel proposito.
Aveva invece cominciato a giudicarsi e a condannarsi Gb 40:4,5 e continua ora allo stesso
modo. Anche se la sua pazienza non aveva compiuto appieno la sua opera, il suo
pentimento per la sua impazienza lo aveva fatto. Giobbe, del tutto umiliato per le sue
parole folli e imprudenti, fu perdonato. Alla fine, anche se con difficoltà, i giusti vedono e
riconoscono le loro colpe. Allora, dopo tutti i discorsi di Dio sulla propria grandezza e la
propria potenza espresse nel creato, Giobbe rispose all’Eterno, Gb 42:1 senza contraddirlo,
secondo la sua promessa, Gb 40:5 ma con sottomissione; come dobbiamo tutti rispondere
alle sue chiamate.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 329


I. Ribadì la verità del potere, della conoscenza e del dominio illimitato di Dio, per
manifestare lo scopo del suo discorso dal centro della tempesta. Gb 42:2 Le passioni e le
pratiche corrotte nascono da princípi corrotti o dalla mancanza di attenzione o di fede in
quelli veri. Il vero pentimento inizia quindi con il riconoscimento della verità. 2Ti 2:25
Giobbe riconobbe di essere convinto, nella sua mente, della grandezza, della gloria e della
perfezione di Dio e, di conseguenza, di essere convinto, nella coscienza, della follia della
sua irriverenza.

1. Riconobbe che Dio può fare ogni cosa. Che cosa può essere troppo arduo per chi ha
creato il behemoth e il leviathan, e ne fa ciò che vuole? Giobbe lo sapeva, e ne aveva già
discorso bene, ma a quel punto ne aveva una conoscenza pratica. Dio aveva detto una
volta e anche due che la potenza appartiene a Dio e che quindi contendere con lui è la più
grande pazzia e presunzione immaginabile. « Tu puoi tutto, e quindi mi puoi tirar fuori da
questa condizione misera, anche se spesso ne ho stoltamente perso ogni speranza. Ora
credo che puoi farlo ».

2. Riconobbe che nessun pensiero può essergli ostacolato, Gb 42:2 KJV cioè:

(a) Non c’è nostro pensiero che Dio possa essere trattenuto dal conoscere. Non c’è una
preoccupazione, uno scontento o un dubbio nella nostra mente che lui non sappia. È
inutile contestare con lui. Non possiamo nascondergli i nostri piani e i nostri progetti. Se
quindi li conosce, può fermarli.

(b) Non c’è suo pensiero che possa essere ostacolato. L’Eterno fa tutto ciò che gli piace.
Giobbe lo aveva sostenuto vivamente, lamentandosene: Quello ch’ei desidera, lo fa. Gb
23:13 Ora lo dice con piacere e con soddisfazione: Il consiglio dell’Eterno sussiste. Se i
pensieri di Dio nei nostri confronti sono pensieri di bene, per darci una fine inattesa, non si
tratterrà dal portarli a compimento, nonostante le apparenti difficoltà.

II. Si riconobbe colpevole di ciò che Dio lo aveva accusato all’inizio del discorso: « Signore,
hai iniziato a parlare dicendo: Chi è costui che oscura i miei disegni con parole prive di
senno? Non c’è stato bisogno di altro. Quelle parole mi hanno convinto. Sono io a essere
stato così stolto. Le tue parole mi hanno toccato la coscienza e mi hanno rivelato il mio
peccato. È troppo chiaro per essere negato e troppo empio per essere scusato. Senza
intendimento, ho offuscato il tuo disegno. Con ignoranza, ho trascurato i tuoi piani e i tuoi
progetti riguardo alla mia afflizione e quindi ho cercato di contendere con te, insistendo
troppo sulla mia giustificazione. Ne ho parlato; ma non lo capivo Gb 42:3 Ho giudicato gli
atti della Provvidenza, senza comprenderne affatto i motivi ». Allora Giobbe:

1. Riconobbe la sua ignoranza dei piani divini, che è anche la nostra. I giudizi di Dio sono
un grande abisso che non possiamo immaginare, né tanto meno esplorare. Possiamo
vederne gli atti, ma non capire perché li compie, che cosa cerca di fare e quali saranno i
risultati. Sono cose troppo meravigliose, che non possiamo scoprire o alterare e che non
abbiamo il diritto di giudicare. Sono cose a noi sconosciute, sulle quali non possiamo
assolutamente emettere una sentenza. Contendiamo con la Provvidenza perché non la
comprendiamo. Dobbiamo accontentarci di rimanere all’oscuro, finché il mistero di Dio
sarà completo.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 330


2. Riconobbe di essere stato imprudente e presuntuoso nel cercare di parlare di cose che
non capiva e nell’accusare ciò che non poteva giudicare. Chi risponde prima d’aver
ascoltato, mostra la sua follia, e rimane confuso. Danneggiamo noi stessi e il caso che
cerchiamo di concludere, se non lo giudichiamo con competenza.

III. Non rispose, ma intese chiedere mercé al suo giudice, come aveva detto che avrebbe
fatto. Gb 9:15 « Deh, ascoltami, io parlerò, Gb 42:4 non come un querelante o un
imputato, Gb 13:22 ma come un umile supplicante; non cercando di insegnare e di
istruire, ma desiderando imparare ed essendo disposto a ricevere ammonizioni. Signore,
non mi fare altre domande difficili, perché non posso rispondere nemmeno a un millesimo
di quelle che mi hai fatto. Permettimi invece di chiederti istruzione e non negarmela. Non
mi rimproverare la mia follia e la mia presunzione ». Gm 1:5 Passò quindi alla preghiera
che Eliu gli aveva insegnato: Mostrami tu quel che non so vedere.

IV. Si presentò, giustamente, come penitente. Nel vero pentimento dev’esserci non solo il
riconoscimento del peccato, ma la contrizione e un pio dolore, secondo Iddio. 2Co 7:9 Era
così il dolore di Giobbe per i suoi peccati. Nel suo pentimento,

1. Giobbe rivolse lo sguardo a Dio, con un grande riguardo, che mantenne come suo
fondamento: « Il mio orecchio avea sentito parlar di te molte volte, dai miei insegnanti
quando ero giovane e dai miei amici ora. Gb 42:5 Ho conosciuto, in parte, la tua
grandezza, il tuo potere e il tuo dominio assoluto. Eppure non è stato ciò che ho udito a
convincermi a sottomettermi a te come è giusto. La mia conoscenza di queste cose mi ha
permesso solo di parlarne, senza influenzare i miei pensieri. Ma ora ti sei manifestato con
una rivelazione diretta in tutta la tua gloriosa maestà. Ora l’occhio mio t’ha veduto, e sento
il potere di quelle verità di cui prima avevo solo una nozione. Ora quindi mi pento,
ritirando ciò che ho detto stoltamente ». Notate:

(a) È un gran bene avere una buona educazione e conoscere le verità di Dio mediante
l’istruzione della sua parola e dei suoi ministri. La fede vien dall’udire, e quindi più
facilmente quando ascoltiamo attentamente con l’orecchio.

(b) Quando la comprensione è illuminata dallo Spirito di grazia, la nostra conoscenza delle
verità divine supera quella precedente come ciò che si impara vedendo supera ciò che si
apprende per dicerie o per sentito dire. Dio rivela suo Figlio a noi per mezzo di
insegnamenti umani, ma lo rivela in noi con gli insegnamenti del suo Spirito, Ga 1:16 e
quindi ci trasforma nell’istessa immagine di lui. 2Co 3:18

(c) A volte Dio sceglie di manifestarsi più pienamente al suo popolo mediante i rimproveri
della sua parola e della sua provvidenza. « Ora che sono stato afflitto e che ho conosciuto
le mie colpe, i miei occhi ti vedono ». La verga e la riprensione danno sapienza. Beato
l’uomo che tu correggi e ammaestri.

2. Giobbe rivolse lo sguardo verso sé, giudicandosi con severità, e quindi espresse il suo
dolore per i suoi peccati: Perciò mi ritratto, mi pento sulla polvere e sulla cenere. Gb 42:6
Osservate:

(a) Dobbiamo umiliarci profondamente per i peccati che riconosciamo di aver commesso,
senza accontentarci di una leggera e superficiale disapprovazione. Anche le persone

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 331


perbene, che non hanno grandi mostruosità di cui pentirsi, devono sentirsi profondamente
addolorate dalle opere e dalle manifestazioni della superbia, della passione, dell’irritabilità
e del malcontento, come pure dai loro discorsi impulsivi e imprudenti, che devono toccare
l’animo e causare dispiacere. Finché il nemico non sarà totalmente umiliato, la pace sarà
incerta.

(b) Le manifestazioni esteriori di vero pentimento si addicono ai penitenti: Giobbe si pentì


tra la polvere e le ceneri. Senza un cambiamento interiore, sono solo una derisione di Dio.
Se derivano invece da una sincera contrizione dell’anima, aiutano il peccatore a glorificare
Dio, svergognando se stesso, e possono incoraggiare altri al pentimento. Le afflizioni di
Giobbe lo avevano già condotto tra le ceneri, in Gb 2:8 D, era assiso per mezzo le ceneri
ma ora sono i suoi peccati a condurcelo. I veri penitenti si dolgono dei loro peccati con la
stessa intensità con cui si lamentano di afflizioni esterne, rammaricandosene come della
morte di un figlio unico o di un primogenito. Vedono infatti più male nei loro peccati che
nei loro guai.

(c) L’avversione per se stessi accompagna sempre il vero pentimento: Avranno disgusto di
loro stessi, per i mali che hanno commessi. Ez 6:9 Dobbiamo non solo adirarci con noi
stessi per il male e il danno che causiamo alla nostra anima con il peccato, ma dobbiamo
odiarci perché, con il peccato, ci siamo resi odiosi al Dio puro e santo, che non può
sopportare di vedere l’iniquità. Se detestiamo davvero il peccato, odieremo soprattutto il
nostro. Più ci è vicino, più lo aborriamo.

(d) Più vediamo la gloria e la maestà di Dio e più vediamo la viltà e la malvagità del
peccato (e la nostra, per via del peccato), più ci umilieremo e ci detesteremo. « Ora i miei
occhi vedono il Dio che ho offeso, lo splendore di quella maestà alla quale, con il mio
peccato ostinato, ho sputato in faccia, e la gentilezza di quella misericordia che ho
disprezzato. Ora vedo che Dio santo e giusto ho provocato alla collera, e mi detesto. Ahi,
lasso me, ch’io son perduto. Is 6:5 Dio aveva sfidato Giobbe a guardare i superbi e ad
abbatterli. « Non posso pretendere di farlo », dice Giobbe. « È già difficile umiliare,
abbattere e tenere soggiogato il mio cuore altero ». Lasciamo che sia Dio a governare il
mondo, e preoccupiamoci invece, con la forza della sua grazia, di governare bene noi
stessi e i nostri cuori.

Gb 42:7-9

Giobbe, nei suoi discorsi, si era lamentato molto delle accuse dei suoi amici e delle loro
aspre parole, facendo appello a Dio come giudice tra lui e loro, e risentendosi del fatto che
non avesse emesso immediatamente una sentenza. Dall’ammonizione di Dio, dal centro
della tempesta, sembrò che Giobbe fosse solo nel torto e che il caso si svolgesse
decisamente a suo sfavore. Con nostra grande sorpresa, invece, scopriamo il contrario: la
sentenza definitiva gli fu favorevole. Non giudichiamo quindi in anticipo. Le afflizioni
insolitamente gravi, le severe accuse di altre persone, le proprie debolezze e stupide
passioni, i pungenti rimproveri della parola e della coscienza e la profonda umiliazione
dello spirito nel percepire i terrori di Dio possono velare ed eclissare la giustizia anche di
chi è realmente buono di fronte a Dio. Eppure, al tempo prefissato, queste nuvole saranno
disperse e Dio farà risplendere la sua giustizia come la luce, e il suo diritto come il
mezzodì. Sl 37:6 In questo brano, riaffermò la giustizia di Giobbe perché, giustamente, se
l’era tenuta stretta. Troviamo qui:

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 332


I. Il giudizio contro i tre amici di Giobbe, riguardo alla loro controversia con lui. Eliu non è
accusato perché si era distinto dagli altri nella gestione della disputa, facendo da
moderatore invece di contendente. I moderatori sono lodati da Dio, anche se non dagli
uomini. In questo giudizio, Giobbe è esaltato e i suoi tre amici sono umiliati.
Nell’esaminare i diversi discorsi non abbiamo potuto capire, né, quindi, determinare, chi
avesse ragione. Apparentemente, c’era del vero un po’in tutti, ma non siamo riusciti a
definirlo. Non abbiamo nemmeno voluto, per alcun motivo, pronunciare la sentenza
definitiva in questo caso, per non dimostrarci nel torto. È un bene che il giudizio spetti a
Dio, e sappiamo che il suo è conforme a verità. Possiamo quindi farvi riferimento e
affidamento. In questo particolare giudizio:

1. Giobbe è esaltato e onorato. Era solo uno contro tre, un mendicante contro tre príncipi,
eppure, con Dio dalla sua parte, non doveva temere i risultati, anche se mille persone
fossero contro di lui. Osservate:

(a) Quando Dio gli appare: Dopo che ebbe rivolto questi discorsi a Giobbe. Gb 42:7 Solo
dopo averlo accusato, umiliato e condotto al pentimento delle sue espressioni errate, Dio
riconosce le sue buone parole, lo conforta e gli rende onore. Non siamo pronti per
l’approvazione di Dio finché non ci giudichiamo e condanniamo da soli. Poi Dio difende la
sua causa: Chi ha lacerato ci risanerà e chi ha percosso ci fascerà. Il Consolatore avrebbe
convinto il mondo. Gv 16:8 Notate che, per aspettarci l’approvazione divina, dobbiamo
prima umiliarci ai suoi rimproveri. Dopo aver detto quelle parole dolorose, Dio si rivolge a
Giobbe con compassione, secondo la moltitudine delle sue misericordie. Non contende
infatti in perpetuo, ma con misura, e ferma il suo soffio impetuoso nel giorno del vento
orientale. Ora che Giobbe si era umiliato, Dio lo esalta. Dimostra favore ai veri penitenti, e
non ripete più contro di loro le loro parole e azioni ingiuste. Si compiace quando arriviamo
a detestarci.

(b) Come gli appare. Si prende per scontato il perdono di tutte le sue offese. Se infatti fu
onorato, come in questo brano, senza dubbio sarà giustificato. Aveva a volte insinuato,
con grande certezza, che Dio, alla fine, lo avrebbe assolto e che egli non sarebbe stato
confuso nella sua speranza. [1] Dio lo chiama ripetutamente il suo servo Giobbe, quattro
volte in due versetti, apparentemente con piacere, come aveva fatto prima dei suoi guai:
« Hai tu notato il mio servo Giobbe? Gb 1:8 Pur essendo povero e disprezzato, è sempre il
mio servo e mi è caro come quando era prospero. Anche se ha le sue colpe, e
chiaramente è un uomo sottoposto alle stesse passioni degli altri, e anche se ha conteso
con me, cercando di annullare il mio giudizio, e ha oscurato i miei disegni con parole prive
di senno, vede il suo errore e se ne pente, e quindi è ancora il mio servo Giobbe ». Se,
come Giobbe, ci manteniamo integri e fedeli come servi di Dio, anche se possiamo perdere
temporaneamente la sicurezza e il conforto della nostra relazione con lui, alla fine, come
Giobbe, la ritroveremo. Il diavolo aveva cercato di dimostrare che Giobbe era un ipocrita e
i suoi tre amici lo avevano condannato come empio, ma Dio riconosce chi accetta e non
permetterà che sia schiacciato dalla malizia dell’inferno o della terra. Se Dio dice: Va bene,
buono e fedel servitore, importa poco chi dice il contrario. [2] Dio riconosce che Giobbe
aveva parlato di lui secondo la verità, ben più dei suoi antagonisti, dando un resoconto più
esatto e accurato della Provvidenza divina. Gli altri avevano fatto torto a Dio facendo della
prosperità un marchio della vera chiesa e dell’afflizione una certa prova della sua ira.
Giobbe invece aveva sostenuto giustamente che l’amore e l’odio di Dio vanno giudicati da
ciò che è all’interno dell’uomo e non da ciò che gli sta davanti. Ec 9:1 Osservate: Prima di

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 333


tutto, le persone che tengono lo sguardo sulle ricompense e sulle punizioni del mondo a
venire più che su quelle di questo mondo e, con quel pensiero, risolvono le difficoltà di
questa vita, sono quelle che fanno più giustizia a Dio e alla sua provvidenza. Giobbe, più
dei suoi amici, aveva lasciato le cose al giudizio futuro e a ciò che sarebbe stato, e di
conseguenza aveva parlato di Dio secondo verità più di loro. In secondo luogo, anche se,
in certe cose, si era espresso male, anche nei riguardi di Dio, che aveva trattato con
troppa spavalderia, Dio lo loda per le sue parole giuste. Non solo non dobbiamo respingere
ciò che è vero e giusto, ma non dobbiamo trascurare di lodarlo, anche se sembra corrotto
dalla debolezza e dall’infermità umana. In terzo luogo, Giobbe aveva ragione, e i suoi
amici avevano torto, eppure lui fu afflitto mentre loro stavano bene, dimostrando
chiaramente che non possiamo giudicare gli uomini e i loro sentimenti dal loro volto o dal
loro portafoglio. Solo chi scruta il cuore umano può giudicare infallibilmente. [3] Dio
garantisce che Giobbe, nonostante tutto il male che i suoi amici gli avevano fatto, era così
buono, umile, affabile e pronto a perdonare, che avrebbe pregato volentieri per loro,
avvantaggiandosi del suo contatto con il cielo per fare intercessione: « Il mio servo Giobbe
pregherà per voi. Ne sono certo. L’ho perdonato, per cui ha questo conforto, e quindi
perdonerà anche voi ». [4] Dio stabilisce Giobbe come sacerdote di quella congregazione,
promettendo di accettare sia lui che la sua mediazione per i suoi amici. « Portate i vostri
sacrifici al mio servo Giobbe, perché avrò riguardo a lui ». Dio fa re e sacerdoti di chi
monda dal peccato. I veri penitenti non solo trovano favore nelle loro richieste per se
stessi, ma sono accettati come intercessori per gli altri. Dio conferisce un grande onore a
Giobbe, incaricandolo di offrire il sacrificio per i suoi amici, come era solito fare per i suoi
figli. Gb 1:5 Il fatto che gli fu riassegnato il sacerdozio era un felice presagio del ripristino
della sua prosperità e, in effetti, un passo verso di essa. Giobbe divenne così un prototipo
di Cristo, il solo che rende sia noi che i nostri sacrifici accettevoli a Dio. cfr. 1Pi 2:5
« Venite a trovare il mio servo Giobbe, il mio servo Gesú » (dal quale Dio nascose
temporaneamente il volto), « mettete i vostri sacrifici nelle sue mani, fatene il vostro
Difensore, perché io lo accetto. Senza di lui, potete aspettarvi di essere trattati secondo la
vostra follia ». Così come Giobbe pregò e offrì un sacrificio per chi lo aveva addolorato e
ferito, Cristo pregò e morì per i suoi persecutori, e continua a vivere per intercedere per i
trasgressori.

2. Gli amici di Giobbe sono umiliati e svergognati. Erano uomini giusti e figli di Dio, per cui
non li avrebbe abbandonati nell’errore così come non avrebbe abbandonato Giobbe. Dopo
aver umiliato lui con il suo discorso dal centro della tempesta, si impegna a umiliare loro.
Rimproverò prima Giobbe, che gli era più caro, e poi gli altri. Probabilmente, sentendo che
Dio parlava a Giobbe, si erano lusingati pensando di avere avuto ragione e che Giobbe
fosse totalmente nel torto. Dio invece rimproverò ben presto anche loro, affermando il
contrario. Nella maggior parte delle dispute e delle controversie, ci sono errori in entrambi
i lati, nell’obiettivo, nella sua gestione o in entrambi. È giusto quindi che entrambi i lati lo
sappiano e vedano i propri sbagli. Dio si rivolge a Elifaz, non solo perché è il più anziano,
ma perché aveva presieduto all’attacco contro Giobbe. A questo punto, Dio:

(a) Rivela chiaramente che non avevano parlato di lui secondo la verità, come aveva fatto
invece Giobbe. Infatti, biasimando e condannando Giobbe basandosi su un’ipotesi falsa,
avevano rappresentato Dio come un nemico in lotta contro di lui, mentre lo stava solo
mettendo alla prova come un amico. Non era giusto. Chi rappresenta i castighi paterni di
Dio verso i suoi figli come punizioni giudiziarie e, per questo, li allontana dal suo favore,
non ne parla giustamente. Notate: È pericoloso giudicare male la condizione spirituale ed

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 334


eterna degli altri, perché potremmo condannare chi Dio ha accettato, provocandolo all’ira.
È un’offesa ai suoi piccoli, e Dio considera le ingiustizie fatte a loro come se fossero fatte a
lui.

(b) Manifesta la sua ira contro di loro: L’ira mia è accesa contro te e contro i tuoi due
amici. Dio si adira contro chi disprezza e rimprovera i fratelli, trionfando su di loro e
giudicandoli male per le loro sfortune o le loro infermità. Anche se erano uomini giusti e
saggi, quando si espressero male, Dio si adirò e glielo fece sapere.

(c) Richiede un sacrificio per espiare le loro parole ingiuste. Ognuno di loro doveva portare
sette tori e sette montoni da offrire a Dio in olocausto. Apparentemente, prima della legge
di Mosè, tutti i sacrifici, anche quelli espiatori, erano bruciati interamente ed erano quindi
chiamati olocausti. Gli amici di Giobbe avevano pensato di aver parlato bene, e che Dio
fosse loro debitore per aver promosso la sua causa. Si aspettavano quindi una bella
ricompensa. Al contrario, Dio si definì scontento e richiese un sacrificio, minacciando, in
caso contrario, di punire la loro follia. Spesso Dio si adira proprio per ciò di cui noi siamo
orgogliosi e vede molte mancanze negli atti che a noi sembrano buoni.

(d) Comanda loro di andare da Giobbe, implorandolo di offrire i loro sacrifici e di pregare
per loro, o non sarebbero stati accettati. Dio lo intese: [1] Per umiliarli e abbassarli.
Pensavano di essere gli unici favoriti del Cielo, e che Giobbe non ne avesse parte. Dio
invece fece comprendere che Giobbe ne aveva più parte di loro e gli era più accettevole.
Un giorno, forse, chi disprezza e biasima il popolo di Dio vorrà ottenerne il favore e
conoscerà che Dio lo ha amato. Ap 3:9 Le vergini stolte chiederanno olio alle avvedute. [2]
Per obbligarli a far pace con Giobbe, come condizione per potersi rappacificare con lui. Se
tuo fratello ha qualcosa contro di te (come Giobbe contro di loro), va’prima a riconciliarti
col tuo fratello; e poi vieni ad offrir la tua offerta. Bisogna rimediare il male commesso,
secondo la natura dell’atto, prima di poter sperare di ottenere da Dio il perdono dei
peccati. Notate fino a che punto Dio abbraccia la causa del suo servo Giobbe,
impegnandosi a difenderlo. Non si sarebbe riconciliato con coloro che lo avevano offeso
finché non gli avessero chiesto perdono e non si fossero riconciliati con lui. Giobbe e i suoi
amici si erano trovati in disaccordo su molte cose e si erano scambiati dei rimproveri
troppo pungenti, ma ora dovevano riconciliarsi. Dovevano quindi smettere di discutere gli
stessi argomenti, prendendoli da angoli diversi (possibilmente all’infinito), e accordarsi in
un sacrificio e una preghiera di riconciliazione. Se non potevano condividere gli stessi
sentimenti, dovevano rimanere uniti in affetto e in devozione. Anche coloro che hanno
opinioni diverse su questioni di minore importanza rimangono uniti in Cristo, il grande
sacrificio, e si incontrano allo stesso trono di grazia. Devono quindi amarsi e accettarsi con
pazienza. Osservate ancora una volta: Dio, adirato contro gli amici di Giobbe, fece sì che si
rappacificassero con lui. Le nostre dispute con Dio cominciano sempre da noi, ma è lui a
iniziare la riconciliazione.

II. L’acquiescenza degli amici di Giobbe in giudizio. Gb 42:9 Erano uomini giusti e, appena
capirono la volontà del Signore, seguirono i suoi ordini rapidamente e senza ribattere,
anche se non era facile cercare il favore di chi avevano appena condannato. Notate: Chi
vuole riconciliarsi con Dio deve farlo usando attentamente i mezzi e i metodi stabiliti. La
pace con Dio si ottiene solo a suo modo e secondo le sue stipulazioni, che non saranno
mai difficili per chi ne conosce il valore e quindi accetta lietamente qualunque termine, per
umiliante che sia. Tutti gli amici di Giobbe, che si erano accordati nell’accusarlo, si unirono

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 335


nel chiedergli perdono. Le persone che peccano insieme devono pentirsi insieme. Chi fa
appello a Dio, come avevano fatto spesso Giobbe e i suoi amici, deve accettare il suo
giudizio, che gli sia gradito o meno. Chi osserva coscienziosamente i suoi comandamenti
non deve dubitare il suo favore. L’Eterno ebbe riguardo a Giobbe, e ai suoi amici in
risposta alla sua preghiera. Non leggiamo che ebbe riguardo a loro (anche se è
sottinteso), ma che ebbe riguardo a Giobbe per loro. Ci ha resi graditi a sé, in colui che è
l’amato. Ef 1:6 Mt 3:17 Giobbe non approfittò del giudizio di Dio sui suoi amici e del suo
ordine che si sottomettessero a lui per insultarli. Dato che Dio si era misericordiosamente
riconciliato con lui, si riconciliò anch’egli prontamente con loro, e allora Dio gli ebbe
riguardo. In ogni nostra preghiera e in ogni nostro sacrificio dobbiamo cercare di renderci
accettevoli al Signore. Il culmine della nostra ambizione dev’essere, non ricevere la lode
degli uomini, ma compiacere Dio.

Gb 42:10-17

Avete udito parlare della costanza di Giobbe (dice l’apostolo in Gm 5:11) e avete veduto la
fine riserbatagli dal Signore, cioè, la fine dei suoi guai. All’inizio di questo libro, la sua
pazienza tra le sue afflizioni ci è data come esempio. Qui, alla fine del libro, la lieta fine di
quelle afflizioni e la prosperità che gli fu restituita ci sono date per incoraggiarci a seguire
quell’esempio e a chiamare beati quelli che soffrono con costanza. Forse, la straordinaria
prosperità conferita a Giobbe dopo le sue sofferenze fu intesa, per noi credenti, come
prototipo e immagine della gloria e della felicità celesti prodotte dalle nostre afflizioni
presenti e a cui esse ci condurranno alla fine, più che raddoppiando tutte le gioie e le
soddisfazioni attuali, così come la prosperità di Giobbe, dopo le afflizioni, superò più del
doppio quella precedente, anche se era stato il più grande degli Orientali. Chi sostiene
bene la prova, essendosi reso approvato, riceverà una corona della vita. Gm 1:12 Giobbe,
essendosi reso approvato, ricevette tutte le ricchezze, gli onori e le consolazioni di cui
leggiamo in questo capitolo.

I. Dio lo risarcì con espressioni di misericordia, e i suoi erano pensieri di bene e non di
male, per dare la fine attesa (o anzi, inattesa Gr 29:11 KJV). I guai di Giobbe erano iniziati
con la cattiveria di Satana, limitata da Dio. La sua restaurazione ebbe inizio con la
misericordia di Dio, a cui Satana non poté opporsi. La più grande lamentela di Giobbe e la
nota più dolorosa di tutte le sue rimostranze, su cui insisté particolarmente, era che Dio
sembrava essere contro di lui. Ora Dio gli apparve chiaramente, vegliando su di lui per
edificare e per piantare, così come prima (almeno secondo lui) aveva vegliato su di lui per
svellere e per rovesciare. Gr 31:28 Immediatamente tutto appare diverso: ogni cosa, che
era sembrata terribile e deprimente, diventa bella e promettente.

1. Il Signore trasse Giobbe della sua cattività, Gb 42:10 D cioè rimediò alle sue
rimostranze, eliminando ogni causa di malcontento. Lo liberò dalle catene con cui Satana
lo aveva a lungo legato e da quelle mani crudeli in cui lo aveva lasciato cadere. Possiamo
immaginare che tutti i suoi dolori e i suoi malanni fisici furono guariti così improvvisamente
e così completamente da sembrare una guarigione miracolosa. La sua carne divenne
fresca più di quella d’un bimbo ed egli tornò ai giorni della sua giovinezza. Per di più, i suoi
pensieri erano ben diversi. La mente era calma e serena. Il tumulto era finito, le sue ansie
erano svanite, i suoi timori si erano quietati e le consolazioni di Dio lo rallegravano come i
suoi terrori lo avevano gravato. Ci fu un cambio di marea: quando Giobbe pregò per i suoi
amici, sul sacrificio offerto per loro, i suoi guai scomparvero con la stessa rapidità con cui

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 336


erano saliti a riva. La misericordia di Dio non ritornò mentre disputava con loro, anche se
aveva ragione, ma quando pregò per loro. Serviamo e compiacciamo Dio più con delle pie
e sincere devozioni che con delle virulenti dispute. Quando Giobbe completò il suo
pentimento perdonando agli uomini i loro falli, Dio completò il suo perdono ritraendolo
dalla sua cattività. Notate: Facciamo realmente del bene a noi se preghiamo bene per i
nostri amici, perché in quelle preghiere non c’è solo fede, ma amore. Insegnandoci a dire:
Padre nostro, Cristo ci ha insegnato a pregare con gli altri e per gli altri. Chiedendo
misericordia per gli altri, possiamo trovarla noi stessi. Il nostro Signore Gesù è esaltato e
governa proprio dove vive sempre per intercedere. Secondo alcuni, Giobbe fu tratto dalla
sua cattività perché i Sabei e i Caldei, per miracolosa disposizione di Dio, restituirono il
bestiame che avevano rubato, con cui rincominciò daccapo. Probabilmente era vero. Quei
predatori avevano trangugiato ricchezze, ma furono costretti a vomitarle. Gb 20:15 Io
penso piuttosto che si riferisca più generalmente a questo cambiamento.

2. Dio raddoppiò i suoi averi: l’Eterno gli rese il doppio di tutto quello che già gli era
appartenuto. È probabile che gli avesse mostrato prima, in un modo o in un altro, di
volerlo amorevolmente ricondurlo, pian piano e a tempo debito, al doppio della sua
ricchezza, per incoraggiare la sua speranza e stimolare la sua industriosità, e per
dimostrare che quella miracolosa abbondanza era un segno speciale del suo favore.
Poteva essere inteso:

(a) Come compensazione delle sue perdite. Aveva sofferto per la gloria di Dio, quindi Dio
gli diede un risarcimento con un’enorme interesse. Dio si assicura di non causare mai
perdite.

(b) Come ricompensa della sua pazienza e della sua fiducia in Dio, che (nonostante l’opera
della corruzione) non abbandonò, ma tenne stretta, ricavandone una grande ricompensa.
Eb 10:35 CEI I suoi amici lo avevano spesso biasimato, dicendo: Se proprio sei puro e
integro, certo egli sorgerà in tuo favore, Gb 8:6 ma, dato che non lo fa, è chiaro che non
sei giusto. « Ebbene », dice Dio, « anche se il vostro ragionamento non è valido, lo userò
per dimostrare ancora una volta l’integrità del mio servo Giobbe. I suoi ultimi anni saranno
molto prosperi, dimostrando, secondo la vostra logica, che non fu a causa della sua
ingiustizia che aveva perso ogni cosa ». Comprendiamo ora che Giobbe aveva avuto
motivo di benedire Dio per le sue perdite (come aveva fatto in Gb 1:21), dato che ne ebbe
un tale risarcimento.

II. Le sue vecchie conoscenze, i suoi vicini e i suoi parenti lo trattarono con gentilezza. Gb
42:11 Tra le sue afflizioni, la loro lontananza gli avevano provocato un dolore non
trascurabile, di cui si era lamentato amaramente. Gb 19:13 ss. Ora invece lo visitarono con
ogni possibile espressione di affetto e di rispetto.

1. Lo onorarono, andando a cena da lui come facevano prima, ma (immaginiamo)


portando le proprie vivande, perché potesse avere l’onore di ospitare una festa, senza le
spese.

2. Vennero a esprimere la loro simpatia e la loro premura, come si addice a dei fratelli. Lo
compiansero, parlando di tutte le calamità che lo avevano afflitto, e lo confortarono,
notando il misericordioso perdono di Dio. Piansero sui suoi dolori e si rallegrarono delle
sue gioie, al contrario dei tre amici che, dapprima, erano stati così diretti e invadenti.

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 337


Questi parenti non erano grandi, dotti ed eloquenti come quelli, ma si dimostrarono molto
più abili e generosi nel confortarlo. Dio a volte sceglie le cose pazze e deboli del mondo sia
per convincere che per confortare.

3. Fecero una colletta per compensare alle sue perdite e per rimetterlo in sesto. Non
ritennero sufficiente dirgli: Scaldati e satollati, ma diedero ciò che pensavano che potesse
essergli utile. Gm 2:16 Ognuno d’essi gli dette un pezzo d’argento (probabilmente di
misure diverse, secondo le loro possibilità) e un anello (o orecchino, KJV) d’oro (un
ornamento molto comune in Oriente), che poteva servirgli quanto il denaro. Erano oggetti
superflui, di cui potevano fare a meno. Di regola, la nostra abbondanza deve supplire alla
necessità dei nostri fratelli. Perché i parenti di Giobbe gli di mostrarono tante premure?

(a) Furono ispirati da Dio. Ogni creatura si comporta con noi come Dio stabilisce. Giobbe
aveva riconosciuto che era stato Dio ad allontanarli da lui, e Dio quindi lo ricompensò
riconducendoli a lui.

(b) Forse alcuni di loro lo avevano abbandonato perché lo ritenevano un ipocrita, ma, ora
che fu apertamente dichiarato integro, ritornarono a frequentarlo. Quando Dio gli fu amico
vollero tutti fare altrettanto. Sl 119:74,79 Altri forse se ne erano andati perché era povero
e malato e uno spettacolo deprimente. Ora che invece stava riprendendosi, volevano
rimettersi in contatto con lui. Gli amici superficiali se ne vanno d’inverno e tornano in
primavera, anche se la loro amicizia vale poco.

(c) Forse il rimprovero di Dio a Elifaz e agli altri due per il loro sgarbo verso Giobbe aveva
stimolato gli altri a fare il loro dovere. Dobbiamo considerare i rimproveri fatti agli altri
come ammonizioni e istruzioni per noi.

4. Giobbe pregò per i suoi amici, che lo circondarono, commossi dalla sua generosità e
desiderosi delle sue preghiere. Più preghiamo per i nostri amici e parenti, più conforto
possiamo aspettarci da loro.

III. I suoi averi accrebbero insolitamente, in virtù della benedizione di Dio su quel poco
che i suoi amici gli avevano dato. Giobbe accettò con gratitudine il loro aiuto, senza
sentirsi sminuito dal fatto di essersi rimesso in sesto con delle offerte. D’altro lato, non le
sollecitò. Negò di averlo mai fatto, dicendo: V’ho forse detto: "Datemi qualcosa" o "Coi
vostri beni fate un donativo a favor mio"? Gb 6:22 Accettò con riconoscenza i loro doni,
senza rinfacciare la loro precedente scortesia e senza chiedere perché non lo avessero
fatto prima. Non era così avido e rapace da chiedere aiuti, né tanto superbo e bisbetico da
rifiutarli se gli erano offerti. Infatti, fu così ben disposto che Dio gli diede ben più di denaro
e anelli, cioè la sua benedizione. Gb 42:12 Lo confortò secondo la misura con cui lo aveva
afflitto, e benedì gli ultimi anni di Giobbe più de’primi. Osservate:

1. Quel che fa ricchi è la benedizione dell’Eterno. È Dio che ci permette di arricchirci e che
dà successo ai nostri onesti sforzi. Chi quindi vuole riuscire deve cercare la benedizione di
Dio e non allontanarsene mai, nemmeno quando splende il sole. Chi ha già successo non
deve poi adorare la propria rete, ma riconoscere di dovere ogni suo bene a Dio.

2. La benedizione di Dio può dare grandi ricchezze anche ai giusti. Chi si arricchisce con i
propri guadagni pensa di poter facilmente farsi ancora più ricco risparmiando. Invece, così

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 338


come chi ha poco deve dipendere da Dio per avere molto, chi ha molto deve dipendere da
lui per continuare ad aumentare e a raddoppiare i suoi averi. Altrimenti, avete seminato
molto e avete raccolto poco. Ag 1:6

3. A volte, gli ultimi giorni di un uomo si dimostrano i migliori, le sue ultime opere le più
grandi e le sue ultime consolazioni le più preziose. Il suo sentiero, come la luce che
spunta, risplende sempre più fino al giorno perfetto. Per il malvagio, l’ultima condizione
diviene peggiore della prima, Lu 11:26 ma per il giusto, il suo futuro sarà pace e, a volte,
più è vicino, più è evidente. Per quanto riguarda la prosperità materiale, a volte Dio si
compiace di rendere gli ultimi giorni della vita più facili dei primi. Sorprendentemente,
eccede le aspettative del suo popolo afflitto, che pensa di non poter vedere tempi migliori,
per non fargli perdere speranza, nemmeno nelle più grandi avversità. Non sappiamo che
gioie ci sono in serbo alla fine. Non, si male nunc, et olim sic erit-Se ora stiamo male, non
vuol dire che sarà sempre così. Giobbe, nella sua afflizione, aveva desiderato, senza più
speranza, di essere come nei mesi d’una volta, ricco come prima. Dio però spesso ci tratta
meglio di come temiamo, anzi, di come speriamo. I beni di Giobbe furono infatti
raddoppiati. Il numero del suo bestiame: pecore, cammelli, buoi e asine, fu proprio il
doppio. Gb 1:3 È un esempio straordinario della cura della provvidenza divina per cose che
sembrano minuscole, come il numero esatto del bestiame di un uomo, e della sua
armonia, nel far riferimento a eventi passati. A Dio son note ab eterno tutte le opere sue.
Indubbiamente, anche gli altri beni di Giobbe furono accresciuti nella stessa proporzione
del suo bestiame: terreni, denaro, servi, ecc. Se Giobbe era prima il più grande di tutti gli
Orientali, che cos’era ora?

IV. Si rifece una famiglia e i suoi figli gli diedero grandi consolazioni. Gb 42:13-15 L’ultima
delle sue afflizioni descritte in questo libro (Giobbe 1) e la più dolorosa di tutte fu la morte
dei suoi figli, tutti insieme. I suoi amici gliel’avevano rinfacciata, Gb 8:4 ma Dio rimediò
anche a quello nel corso del tempo, con la stessa moglie o, se lei era morta, con un’altra.

1. Ebbe uno stesso numero di figli, sette figliuoli e tre figliuole. Secondo alcuni, non ne
ricevette un numero doppio, come il bestiame, perché i figli morti non erano perduti, ma
lo avevano preceduto in un mondo migliore. Ricevendo quindi lo stesso numero,
raddoppiò effettivamente il primo. Aveva infatti due gruppi di figli (direi io), mahanaim-due
eserciti, uno in cielo e uno in terra, che lo arricchivano entrambi.

2. I nomi delle sue figlie sono annotati, Gb 42:14 perché, con i loro significati, sembravano
scelti per perpetuare la memoria della grande benevolenza di Dio verso di lui nel
cambiamento sorprendente della sua condizione. Chiamò la prima Gemima-il giorno (forse
la stessa derivazione del nome Diana Gb 42:14, D), perché la sua prosperità era tornata a
splendere dopo una buia notte di afflizione. Chiamò la prossima Cassia, il nome di una
spezia profumatissima, perché (secondo il dott. Patrick) Dio aveva guarito le sue ulcere
maleodoranti. La terza fu Cornustibia (cioè Abbondanza ristorata, o Corno di cosmetici),
perché (Giobbe disse) Dio aveva asciugato le lacrime che gli avevano imbrattato il viso. Gb
16:16 Di queste figlie leggiamo che:

(a) Dio le adornò di grande bellezza: In tutto il paese non c’eran donne così belle. Gb
42:15 Nell’Antico Testamento molte donne furono lodate per la loro bellezza, tra cui Sara e
Rebecca, mentre nel Nuovo Testamento non si mette in risalto la bellezza di nessuna,

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 339


neppure della stessa vergine Maria, perché il Vangelo mette in luce la bellezza della
santità.

(b) Il loro padre (per merito di Dio) diede loro grandi eredità: Assegnò loro una eredità tra
i loro fratelli, e non le lasciò andare con misere doti, come la maggior parte delle persone.
Probabilmente avevano dei grandi meriti personali che Giobbe ricompensò favorendole in
modo particolare. Forse erano più sagge e devote dei fratelli e quindi Giobbe le fece
coeredi con loro affinché rimanessero nella famiglia per portarvi stabilità e giovamento.

V. Visse a lungo. Leggiamo qui che visse 140 anni Non sappiamo quanti anni avesse avuto
all’inizio dei suoi guai, ma, secondo alcuni, ne aveva avuti 70, per cui la sua età fu
raddoppiata come gli altri beni.

1. Godette di molte gioie di questa vita. Vide infatti quattro generazioni di posteri. Gb
42:16 Anche se i figli non gli furono raddoppiati, ebbe un numero ben più che doppio di
nipoti (la gloria degli anziani). Così come Dio aveva dato ad Adamo un altro erede al posto
del figlio che era stato ucciso, Ge 4:25 diede ancor più a Giobbe. Sa come rimediare alle
perdite e controbilanciare i dolori di chi è senza figli, come fu Giobbe quando seppellì tutti i
suoi.

2. Visse una vita piena. Fu sazio di giorni, sazio di essere vissuto in questo mondo e
disposto a lasciarlo, non con amarezza, come al tempo della sua afflizione, ma con
devozione. Quindi, come Elifaz lo aveva incoraggiato a sperare, scese nella tomba, come
com
la bica di mannelle che si ripone a suo tempo.
tempo

( Commentario Biblico MATTHEW HENRY ) Pagina 340

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