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Aggiungi al carisma la

formazione
Quaderni di formazione continua in àmbito storico e teologico
_______________________ n° 2 ______________________

Giancarlo Rinaldi

Pagine indigeste dell’Antico Testamento.


Il Dio dei cristiani è il Dio d’Abramo, d’Isacco e di Giacobbe?

Esemplare non destinato alla vendita in quanto


corredo per attività didattiche

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Indice

Introduzione 5

1. I testi incriminati 9

2. Tentativi di spiegazione 17

3. Bibbia e Corano 23

4. Dio parla nella storia 27

5. Le colpe dei padri si riversano sui figli 31

6. Impariamo da Gesù 41

7. Parola di Dio e parola dell’uomo 45

8. Un unico Dio con diversi ritratti 49

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Introduzione

La nostra società, a differenza di quanto avveniva decenni or


sono, si sta secolarizzando o, se preferite dire pane al pane e vino
al vino, si sta ‘scristianizzando’. Il pensiero di atei e razionalisti
corrosivi della religione viene propalato in forma sovente
aggressiva, talché si ha la sensazione che si tratti di una “campagna
di evangelizzazione” al contrario, dove la buona notizia sia la non
esistenza di Dio e la conseguente inutilità, se non la dannosità, della
Bibbia. Si giunge a dubitare dell’esistenza storica di Gesù, di Paolo
e così via.
A dire il vero nella storia al cristianesimo e alle Scritture non
sono mai mancate critiche e queste sono state sempre pesanti. Io
stesso, nel corso degli anni, mi sono preoccupato di raccogliere tali
critiche nell’àmbito di una ricostruzione del conflitto tra
paganesimo e cristianesimo in età romana imperiale. In particolare
ho curato una raccolta di critiche al testo e al racconto biblico
prodotte dagli avversari della fede cristiana1.
In base a tutto ciò che ho letto, di antico e di attuale, posso
dire che le critiche degli intellettuali di età romana imperiale erano
corrosive sì, ma avevano qualcosa di elegante. Costoro erano
nostalgici della loro Tradizione vetusta e volevano porla in salvo
dall’accanita azione missionaria dei cristiani nei quali ravvisavano
dei deviazionisti dalla religione giudaica. Possiamo dire, con buona
dose di approssimazione, che questi antichi polemisti volevano
dunque, ricostruire e riparare. Al contrario, nella quasi totalità delle
critiche attuali scorgo un prevalente desiderio di abbattere,
confutare, annientare. A volte ho la sensazione che l’impresa venga
condotta prevalentemente al fine di cancellare un’etica, un sistema
di valori che dà fastidio.
Le obiezioni degli antichi alla Scrittura stimolarono lo
sviluppo dell’esegesi biblica patristica contribuendo alla stesura di
interi volumi e trattati apologetici. Il fenomeno di “azione e
1
G. Rinaldi, Biblia gentium, Roma 1989; Id., La Bibbia dei pagani. I. Il
contesto storico, Bologna 1997; II. Testi e documenti, Bologna 1998.
5
reazione” fu parallelo a quanto avvenne in connessione al fiorire
dell’eresia la quale, per reazione, diede la stura alla riflessione
teologica ed alla definizione della dottrina ortodossa.
È però innegabile che in molte pagine scritturistiche vi siano
episodi che fanno a cazzotti con la nostra moderna sensibilità etica.
Mi riferisco principalmente a tanti brani dell’Antico Testamento
dove compaiono guerre, violenze atroci, truffe, inganni, etc. Di
fronte a ciò il filosofo Bertrand Russell nel suo volume dal titolo
Perché non sono cristiano ebbe a definire la Bibbia un greve libro
di guerra. Oggi gli atei sono andati oltre e non esitano a gettare a
mare tutta la letteratura biblica rubricandola tra la paccottiglia
inaccettabile e diseducativa prodotta dall’insano sentimento della
fede. Ci si priva in tal modo di un autentico capolavoro della
letteratura mondiale, per non parlare della dimensione spirituale e
religiosa.
Quali sono le reazioni dei moderni apologeti della fede,
specialmente in campo evangelico? Sia ben chiaro che nessuno tra
costoro può negare sia l’effettiva e oggettiva esistenza di tali pagine
sia il fatto che esse contengono episodi e insegnamenti lontani anni
luce da quel che oggi riteniamo sia buono e corretto.
La prima reazione, che è di tipo ‘fondamentalista’, consiste
nel non entrare nel merito, bensì nel condannare senza pensarci
troppo i non credenti con minacce d’inferno e basta. Questa è la
maniera più rapida e sicura per alimentare l’ostilità dei razionalisti
che trovano conferma alla loro accusa di oscurantismo rivolta ai
credenti.
C’è poi chi giustifica quelle che io chiamo le “pagine
indigeste” della Bibbia dichiarando che gli episodi che vi si
leggono, anche se sembrano immorali, sono tutti giusti e legittimi
perché derivano dalla volontà di Dio. E, infatti, ‘giusto’ può dirsi
solo e soltanto quello che Dio vuole, per il solo fatto stesso che è
Dio a volerlo. Così ragionando costoro non s’accorgono di ricorrere
a una tautologia, cioè a un errore logico che consiste nel risolvere
un problema ricorrendo a un argomento che per la controparte
dialettica non è stato dimostrato e quindi non può essere accettato
(nel nostro caso l’esistenza di Dio, prima ancòra dell’accertamento
della Sua volontà eventualmente da dirsi giusta). D’altro canto

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come altro potrebbero rispondere questi ‘apologeti’ se sono
persuasi che la Bibbia va tutta letta alla lettera, quasi alla stregua di
un foglio di montaggio per mobili acquistati all’Ikea.
In questo quaderno non proverò l’inutile impresa di far da
avvocato difensore della Bibbia o di Dio. Invece mi cimenterò a
esporre quella che ritengo sia la risposta più semplice e persuasiva:
contestualizzare i brani biblici in esame e far emergere come essi
siano in sintonia con la cultura dell’epoca in cui furono composti.
Nella fase successiva del ragionamento mi sforzerò di far emergere
una linea di progresso storico nella quale il razionalista potrà
individuare un processo di elevazione morale dell’umanità, mentre
il credente potrà scorgervi la pedagogia di Dio che non solo eleva
ma è anche salvifica.
Come sempre i miei lettori sono liberi di prender da queste
paginette ciò che ritengono sia loro utile non facendosi scrupolo,
eventualmente, di concludere in senso diametralmente opposto al
mio. Buona lettura!

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Capitolo primo

I testi incriminati

Prima di affrontare il tema nelle sue linee generali è doveroso


individuare con precisione i brani incriminati, se non tutti almeno i
principali. Elencheremo gli episodi così come sono narrati, senza
aggiungere alcun commento né in chiave apologetica né in quella
denigratoria.
La conoscenza accurata dei seguenti episodi è indispensabile
per essere consapevoli di cosa parliamo, altrimenti si rischia di
disquisire a vuoto su generalità.
Si tenga ben presente che quella che qui di sèguito presento
è solo una scelta di brani senza pretesa alcuna di esaustività. Non
riporto il testo, che ciascun lettore può comodamente reperire nella
sua Bibbia, bensì mi limito a un cenno sul contenuto.

Genesi, 34,13. La strage di Sichem.


Dina era figlia del patriarca Giacobbe e di Lia. Fu ammirata
da un cananeo di nome Sichem (questo era anche il nome della sua
tribù) il quale la rapì e la violentò. Poi se ne innamorò così che il
padre di costui, Camor, di recò dal padre di Dina, Giacobbe, per
regolarizzare l’unione. Secondo le consuetudini del tempo alle
nozze era abbinata anche un’alleanza tra le tribù. I due scaltri
fratelli di Dina, Simeone e Levi, finsero di accettare di buon grado,
a patto che i sichemiti si fossero fatti circoncidere. Così avvenne.
Dopo tre giorni, mentre questi maschi erano ancòra dolenti per
l’operazione subìta nella loro carne. Simeone e Levi irruppero nella
loro città liberando Dina, ma non si limitarono a ciò: fecero una
strage; gli uomini e i bambini furono presi come bottino di guerra;
i loro beni depredati.
Genesi, capp. 6 e 7. Il diluvio.
Si racconta come Dio si sia pentito di aver creato il genere
umano e come l’abbia fatto perire tutto con un’enorme
inondazione, salvando solo Noè e il suo stretto nucleo familiare.
9
Genesi, 19,6. Sodoma e Gomorra.
A Sodoma il pio Lot ospita due angeli. Una folla scalmanata
irrompe in casa per far violenza agli ospiti. Lot, volendoli mettere
in salvo, offre le sue due figlie vergini agli insani appetiti dei
facinorosi. Nel fuggire dalla città in fiamme la moglie di Lot viene
trasformata in una statua di sale poiché si era girata a guardare lo
spettacolo.
Genesi 38, 8-10. La punizione di Onan.
Onan era figlio di Giuda. Secondo le consuetudini dell’epoca
(legge del levirato) avrebbe dovuto unirsi alla moglie del fratello
defunto e mettere al mondo un figlio che sarebbe stato considerato
figlio di quest’ultimo. Non volle procreare e fece in modo di
disperdere il suo seme, probabilmente con il coitus interruptus. Per
tale azione Dio lo castigò con la morte.
Libro dell’Esodo. Il racconto dell’esodo dall’Egitto.
Contiene i seguenti aspetti controversi. Mosè vede un
egiziano che picchia un ebreo, rendendosi conto che nessuno
l’osservava gli si scaglia contro e l’uccide nascondendone il
cadavere (2,12). Successivamente è Dio a indurire il cuore del
faraone affinché non autorizzi gli ebrei a uscire dalla terra d’Egitto
(7,2-4). È sempre Iddio a infliggere le tremende piaghe colpendo in
vario modo tutta la popolazione egiziana: trasforma l’acqua del
Nilo in sangue rendendola velenosa (7,20-21); copre la terra
d’Egitto con invasioni di rane (8,6-7), zanzare (8,16), mosche
velenose (8,24). Stermina tutto il bestiame d’Egitto (9,5). Colpisce
tutti gli uomini e gli animali con piaghe e pustole (9,10); devasta
uomini, animali e piante con una pesante grandine (9,22-25); fa
morire i primogeniti degli egiziani (12,29).

Esodo 21,20-21. Lo schiavo come ‘cosa’ appartenente al suo


padrone.
L’orribile istituto della schiavitù è mantenuto anche nelle
leggi di Dio a Israele: se uno schiavo picchiato muore dopo due o
tre giorni il padrone non è passibile di pena perché ha agito su una
cosa sua.

Esodo 32,27. Le stragi connesse al culto del vitello d’oro.


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Durante i difficili giorni della marcia nel deserto,
dall’Egitto alla terra di Canaan, gli ebrei vanno in crisi religiosa e
si affidano a forme cultuali tipiche della terra dove transitavano. Da
qui il “vitello d’oro” che si fanno costruire e che suscita le ire
dell’Eterno. L’Iddio d’Israele per distogliere i suoi dall’apostasia
non esita a ordinare ai figli di Levi un’orribile strage: «Ognuno di
voi si metta la spada al fianco; percorrete l’accampamento da una
porta all’altra di esso, e ciascuno uccida il fratello, ciascuno
l’amico, ciascuno il vicino!».

Il carattere violento e irascibile del dio ebraico.


Diversi episodi parlano del suo ricorso alla violenza per
farsi ubbidire: minaccia di inviare bestie feroci per far stragi dei
figli e degli armenti dei disubbidienti (Lev. 26,22); ai recidivi farà
mangiare la carne dei propri figli, renderà un deserto le loro città
(Lev. 26,27-29); ordina di lapidare un uomo che aveva trasgredito
il riposo sabatico (Num. 15,32-36); suscita una voragine che
inghiotte uomini, donne e bambini a causa della loro disubbidienza,
poi brucia duecentocinquanta persone che offrivano incenso ad
altre divinità, poi ne fa morire altri 14.700 (Num. 16,27-35.49); gli
apostati vengono impiccati faccia al sole (Num. 25,4).

Il tremendo istituto dello herem.


Il termine ebraico herem può essere reso in italiano come
“consacrazione al fine di distruggere”. In quell’epoca dell’Israele
antico una città, un popolo, un territorio conquistato diventava
preda dei vincitori che si spartivano il bottino di guerra. L’herem
consisteva nel rinunciare a spartizione e nel dichiarare tale bottino
proprietà dell’Eterno al quale veniva ‘consacrato’ con la sua totale
distruzione. La sanguinosa epopea della conquista di Canaan da
parte degli ebrei, così com’è narrata specialmente nei libri di
Giosuè e dei Giudici, è piena di questi episodi nei quali la spada
affilata di chi esige la sua terra promessa non esita a tagliar gole di
bambini, vecchi, donne e ogni forma di vita che respiri. I casi sono
numerosi: Num 21,3; 21,35 (Basan e la città di Og); 31,9 (donne e
bambini madianiti rapiti); Dt. 2,33-34 (“votammo allo sterminio
ogni città, uomini, donne, bambini; non vi lasciammo anima viva”);

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3,6 (“votammo allo sterminio ogni città, uomini, donne, bambini”).

Numeri, 25,1-18. L’ira di Dio ispira l’omicida Fineas.


A Sittim gli ebrei vengono a contatto con i madianiti e ne
praticano i culti. L’ira dell’Eterno si accese contro Israele e colpì
24.000 (23.000 secondo 1 Cor. 10,8). In particolare Fineas, il figlio
di Eleazar, figlio del sacerdote Aaronne, in una tenda si scaglia con
una lancia contro un uomo israelita e la sua compagna madianita
colpendoli nel basso ventre.

Numeri, 31,17-18. Mosè approva l’uccisione di uomini e donne che


avevano avuto unioni carnali.
Ancora battaglia contro i moabiti: gli ebrei bruciano del
tutto i loro villaggi, fanno stragi di tutti i loro uomini, quanto alle
donne e ai bambini li riducono in condizione di schiavitù. Il bottino
di guerra viene diviso tra i vincitori e Mosè che ne dedica parte
all’Eterno. Nei versetti 14-16 leggiamo che Mosè disapprovò che
erano state lasciate in vita tutte le donne e ordinò l’uccisione di
quelle che non erano vergini.

Deuteronomio 3,6. Le stragi di Basan.


Nel territorio di Basan gli israeliti sterminano ogni città,
uomini, donne, bambini; poi si dividono i loro possedimenti e beni.
Deut. 7,2: Dio parlò ad ogni uomo d’Israele e, riguardo i nemici,
proclamò: “Tu li voterai allo sterminio; non farai alleanza con loro
e non farai loro grazia.”

Deuteronomio, 20,16. Distruzione totale dei nemici.


Il Dio degli ebrei ordina, come legge generale di guerra, lo
sterminio di ogni essere che respiri (quindi anche bambini, vecchi
e donne) e la distruzione totale di ogni città avversaria. Ciò viene
applicato ai popoli degli hittei, amorei, cananei, ferezei, hivvei,
gebusei.

Deuteronomio 28,53. La minaccia di antropofagia.


Dio commina per chi trasgredisce i suoi comandamenti una
maledizione in base alla quale durante gli assedi degli avversari, gli

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ebrei sarebbero giunti mangiare le carni dei propri figli e delle
proprie figlie.

Giosuè 6:21-27: La distruzione di Gerico.


Per comandamento di Dio, Giosuè dopo aver conquistato
Gerico ne distrugge con la spada tutti gli abitanti: inclusi donne e
bambini. L’oro e l’argento predato è offerto all’Iddio d’Israele. La
città tutta viene data alle fiamme.

Giosuè 7,19-26: La punizione di Acan.


L’israelita Acan conservò per sé di nascosto parte del
bottino di guerra (un mantello, monete d’argento, una verga d’oro).
Scoperto, per volere di Dio, venne lapidato insieme ai suoi figli e
al suo bestiame. I cadaveri vennero bruciati: «E l’Eterno s’acquetò
dell’ardente sua ira».

Numerosi episodi dal libro di Giosuè.


Il libro di Giosuè è particolarmente infarcito di episodi di
una estrema crudeltà. Il già citato istituto dello herem, regolarmente
applicato per le conquiste d’Israele della terra di Canaan, prevedeva
la distruzione totale di ogni cosa (uomini, donne, bestie, case, etc.)
e la consacrazione al Dio degli ebrei di ogni bottino di valore. È il
caso di dodicimila abitanti di Ai (8,22-25), del massacro dei
gabaoniti (10,0-27), della città di Machedda (10,28), di Libna
(10,30), di Lachis (10,32-33), di Eglon (10,34-35), del re di Ebron
e dei suoi sudditi (10,36-37), di Debir (10,38-19), dei nemici presso
le acque di Merom (11,6); cfr. anche 11,8-15.20.

Così anche nel libro dei Giudici.


L’epopea della conquista della terra di Canaan continua nel
libro dei Giudici con tutto il suo carico di stragi che, alla luce della
nostra sensibilità, sembrano oltremodo crudeli e inconcepibili.
Così, ad esempio, i diecimila cananei uccisi nella località di Bezek
tra i quali il loro re in fuga a cui fu applicato il supplizio della
mutilazione dei pollici sia delle mani che dei piedi, supplizio che il
re stesso soleva infliggere ai suoi avversari in quell’epoca di
tenebrosa barbarie (1,4-6); così l’assedio di Gerusalemme risoltosi

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nell’uccisione con la spada di tutti i suoi abitanti e nel rogo
dell’intera città (1,8), stessa sorte riservata a Sefat (1,17), a
diecimila moabiti (3,29), a venticinquemila uomini con le loro città
(20,43-48). Anche l’epopea di Gedeone è costellata di stragi e da
supplizi (capp. 7-8). Simile quella di Abimelec che uccise i suoi
stessi fratelli (9,5), distrusse l’intera città di Sichem seminandovi
sopra il sale (9,45) e poi andò egli stesso incontro a morte orrenda
(9,53-54). Iefte uccise la sua figlia unigenita, innocente, offrendola
al suo Dio quale ringraziamento per la vittoria accordatagli (11,29-
39). Sansone uccise mille uomini con una mascella d’asino (15,15),
poi fece crollare un tempio causando la morte di tremila persone
(16,27-30). Inoltre gli abitanti di Lais, definiti «gente che stava
tranquilla e in sicurezza» vengono tutti passati a fil di spada e la
loro città è data alle fiamme dagli ebrei della tribù di Dan (18,27).
Nella città di Ghibea un ebreo levita è ospitato in casa di un ebreo
efraimita con sua moglie e un servo. La casa è circondata da
gentaglia che vuole abusare sessualmente dell’ospite, allora il
padrone di casa per placare i bassi istinti di quella canaglia offre
alle loro voglie le donne che erano in casa: sua moglie e la figlia
vergine dell’ospite. Quest’ultima viene abusata per l’intera notte
fino a che cade morendo sulla soglia di casa. Il levita la carica su
un asino e la porta a casa sua. Qui la squarta in dodici pezzi che
manda in giro per tutto il territorio d’Israele.

Il libro di Samuele.
Questa epopea continua nei libri di Samuele. Non è il caso
di riportare un elenco esaustivo ma vanno ricordate le stragi dei
filistei (7,7-11; 14,31), degli abitanti di Berh Semes (6,19), degli
ammoniti (11,11), degli amalekiti (15,7-8) per i quali il Dio degli
ebrei ordinò di non aver pietà neanche delle donne e dei bambini
lattanti. Anche l’epopea di Davide è zeppa di episodi atroci: uccide
duecento filistei e ne porta i prepuzi al padre di Mical, che voleva
sposare, contandoli pubblicamente e ottenendo così la mano della
donna (18,27). Così fa tagliate testa e mani a Recab e Baana e li
espone in luogo pubblico: costoro avevano a loro volta decapitato
Ish-Bosheth (2 Sam. 4,7-12). 2 Sam. 8,1-18 è un condensato di
stragi conseguenti le vittorie di Davide, tra cui i ventimila uomini

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nella foresta di Efraim (2 Sam. 18,6-7). Il re è noto per aver voluto
la morte di Uria al fine di possederne la moglie Betsabea che gli
piaceva irresistibilmente (2 Sam. 11,14-27). Dio condanna l’azione
e fa morire il figlio (innocente) del re (2 Sam. 12,13-18). Altri
innocenti, e sono settantamila, morirono a causa di una pestilenza
mandata da Dio poiché in Israele era stato fatto un censimento (2
Sam. 24.15).

Il secondo libro dei re.


Qui si trovano episodi di violenza connessi agli antichi
profeti d’Israele. Così Elia fa scendere fuoco dal cielo per bruciare
cinquanta messi del re d’Israele Achazia che lo convocava a
palazzo (1,10-12). Eliseo invoca il suo Dio contro un gruppo di
bambini che lo prendeva in giro per la sua calvizie; è ascoltato:
dalla foresta escono due orsi che fanno strage di quarantadue di
quei ragazzini (2.23-24). Lo stesso profeta maledice il suo servo
Ghehazi con la lebbra che colpisce anche i suoi (innocenti)
discendenti (5,27). Particolarmente crudele è la morte di Gezabele
fatta uccidere la marito, il re Ieu: sangue che schizza da per tutto,
resti di cranio, piedi e mani mentre il copro è divorato dai cani
(9,30-37). Il re d’Israele Ieu, in conformità a una profezia di Elia,
per castigare il suo predecessore Acab, oramai defunto, ordina che
settanta suoi figli vengano uccisi nella peggior maniera: dopo aver
fatto tagliar loro le teste le fa porre in ceste, poi le riversa a terra in
due mucchi alle porte della città dove rimangono esposte. La
rappresaglia contro i discendenti di Acab continuò come narra il
prosieguo del racconto (10,1-11). Ieu intrappola gli adoratori di
Baal nel tempio, poi dice alle guardie: “Entrate, uccideteli. Nessuno
scappi” (10,19-27). Atalia distrugge la famiglia reale (11:1).
Menachem attacca la città di Tifsach, distruggendola, e “fece
sventrare tutte le donne incinte” (15,16).

Salmo 137,8-9. Beato chi sfracella i bambini.


Il salmo 137 fu composto all’epoca della cattività
babilonese. Gli ebrei deportati erano preda di nostalgia, profondo
sconforto e sentimenti di rivalsa. Colpisce tuttavia la fine del salmo
dove si dichiara beato colui che ucciderà i piccini dei babilonesi

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scagliandoli sulle rocce e facendoli sfracellare: «Figlia di
Babilonia, che devi essere distrutta, beato chi ti darà la retribuzione
del male che ci hai fatto! Beato chi afferrerà i tuoi bambini e li
sbatterà contro la roccia!».

Qualcosa di simile in Isaia 13,15.18.


Isaia vide una profezia sulle sorti di Babilonia: “Quanti
saranno trovati, saranno trafitti, quanti saranno presi, periranno di
spada. I loro piccoli saranno sfracellati davanti ai loro occhi;
saranno saccheggiate le loro case, disonorate le loro mogli… Con i
loro archi abbatteranno i giovani, non avranno pietà dei piccoli
appena nati, i loro occhi non avranno pietà dei bambini”.

Una terribile espressione in Isaia, 49,26.


La punizione di Dio contro coloro che attaccano Israele:
“Farò mangiare le loro stesse carni ai tuoi oppressori, si
ubriacheranno del proprio sangue come di mosto”.

Il castigo per le donne adultere.


La condanna dell’adulterio è molto chiara (Lev. 18,20), la
pena stabilita è la morte dei due amanti secondo Lev. 20,10. Num.
5,11-31 prevede un elaborato rituale atto a placare la gelosia del
marito che sospetta della fedeltà della moglie: costei sarà condotta
alla presenza di un sacerdote e dovrà bere un intingolo composto di
terreno del tabernacolo sciolto in acqua. La donna berrà: se è
innocente non ne riceverà male, se colpevole le sarà perniciosa
avvelenandola. Deut. 22,23-24 taglia corto: lapidazione immediata
dei due amanti condotti alle porte della città; alla donna si
rimprovera anche il fatto che non abbia gridato. Simile trattamento
per la ragazza che non è giunta vergine al matrimonio: lapidazione
immediata davanti alla casa del padre (Deut. 22,13-22). Il profeta
Ezechiele (23,45-47) si richiama a questo complesso normativo
quando paragona l’infedeltà di Israele e di Samaria a quella di due
donne adultere e prevede, conseguentemente e crudelmente, la loro
lapidazione, lo smembramento dei cadaveri, l’uccisione dei figli e
delle figlie, il rogo delle loro case.

16
Capitolo secondo

Tentativi di spiegazione

Moltissimi tra coloro che credono nell’ispirazione letterale


della Bibbia e che invocano “il Dio d’Abramo, d’Isacco e di
Giacobbe” non hanno mai preso visione dei brani e degli episodi
ricordati nel capitolo precedente. Pertanto il problema non è per
niente palese alla loro coscienza. Di costoro non è il caso
d’interessarsi.
Le posizioni sono diverse tra chi, invece, ha una qualche
cognizione, sia pur nelle linee generali, del tema enunciato. Sta di
fatto che la morale che emerge da quei bani è molto diversa da
quella che può dirsi propria di un uomo moderno, solitamente
sensibile ai temi del rispetto della vita, alla tolleranza delle idee
altrui, al rifiuto della violenza come strumento di risoluzione dei
conflitti e così via. Per non parlare della tutela comunemente
riservata alle donne incinte e ai piccini innocenti, nel grembo o
appena fuori, a cui riserveremo il diritto alla vita.
2.1. Il ricorso all’allegoria. Se frughiamo nell’apologetica
dei primi secoli cristiani ci rendiamo conto che questa non dedicò
soverchia attenzione al tema. Tuttavia il problema fu in qualche
modo avvertito dagli antichi che non erano certo insensibili a
valutazioni di tipo etico e che la Bibbia amavano leggerla tutta.
Già i traduttori dell’Antico Testamento dall’ebraico in
greco i quali lavorarono alla famosa versione detta Septuaginta
avvertirono il carattere spiccatamente antropomorfico2 con il quale
quei scrittori ebrei avevano ritratto il proprio Dio. Questi tratti
confliggevano con alcuni esiti della filosofia greca la quale,
superando gli altri antropomorfismi presenti nella tradizione
religiosa pagana, era approdata a un concetto della divinità scevro
da turbamenti, ira, violenza e, pertanto, ritraevano questa come
2
Il termine ‘antropomorfismo’ è di derivazione greca e sta a significare:
descrizione di Dio conforme agli aspetti tipici dell’uomo.
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saggia, serena e benevola. Sotto tale aspetto la Septuaginta può
dirsi già opera di mediazione culturale e apologetica poiché, nel
lessico e nel periodare, tentò di mitigare gli aspetti ‘indigesti’ dei
testi originali.
Agli inizi del III secolo d.C. il grande esegeta cristiano
Origene, che operò prima ad Alessandria e poi a Cesarea di
Palestina, trovò nell’esegesi allegorica la chiave di volta per la
comprensione della Bibbia. L’allegorismo era un metodo esegetico,
già ampiamente usato proprio ad Alessandria per giustificare gli
antropomorfismi degli dèi di Omero; consisteva nel ritenere che la
scrittura del testo, così com’era da intendersi alla lettera, non
presentasse il significato vero e profondo il quale andava ricercato
altrove. Altre volte il significato allegorico andava a sovrapporsi a
quello letterale decisamente prevalendo. E così, per fare un
esempio, le stragi degli ebrei alla conquista della loro terra
promessa altro non erano se non simboli delle lotte che nell’animo
del credente devono compiersi tra le virtù e i vizi. Origene non
negava fede alla reale storicità di quanto la Bibbia narrava ma ne
ravvisava il significato vero in un messaggio altro e diverso, più
profondo e più edificante. Dobbiamo onestamente riconoscere che
tal tipo di applicazione dell’allegorismo (a testi che originariamente
a questo genere di spiegazione proprio non si offrivano) è servito
come scappatoia a buon mercato quando l’esegeta non individuava
altra via d’uscita. In definitiva l’interpretazione allegorica: 1. se si
limita ad aggiungere un significato ulteriore a quello
immediatamente presentato dal testo non risolve le difficoltà che
questo presenta poiché non annulla il carattere sconcertante che i
fatti storici rivestono; 2. se ammette il solo significato morale (ed
esempio: le stragi raffigurano i combattimenti al vizio) allora
negherà la sostanza storica dei fatti… un prezzo troppo alto da
pagare, una soluzione che crea più problemi di quanti non dichiari
di risolverne.
2.2. L’ira di Dio è legittima, è l’esercizio della Sua
giustizia. Successivamente, agli inizi del IV secolo d.C., un
apologeta e storico del cristianesimo, Lattanzio, affrontò il tema in
un’operetta dal titolo De ira Dei. Qui egli cercò di giustificare il
Dio biblico rubricando i suoi atti inconcepibilmente severi come
18
azioni di dovuta giustizia. Ove mai accettassimo questa risposta
dovremmo far fronte a una conseguente domanda: come mai l’ira /
giustizia di Dio si esercita (leggi: scaglia) contro un lattante
cananeo e non contro un lattante giudeo. Valga per uomini adulti,
responsabili e maturi, ma per embrioni o lattanti…
2.3. Anche i miti pagani contengono immoralità. In
generale gli apologeti cristiani difesero la Bibbia dall’accusa di
contenere pagine immorali facendo notare che anche i miti della
religione ellenica o romana erano zeppi di racconti simili. Nel
rispondere in tal modo, però, non cancellavano quei brani
imbarazzanti, né si accorgevano che all’epoca loro i loro avversari
pagani non prestavano più fede a quelle leggende tradizionali.
Queste venivano utilizzate come ornamenti dell’arte e della
letteratura laddove il concetto della divinità era plasmato in
conformità a credenze di tipo filosofico e, pertanto, più evolute.
2.4. La Bibbia non è la parola di Dio, ma la contiene.
Veniamo ora a qualche moderno tentativo di risposta apologetica.
Facciamo notare che il problema non sfiora coloro che ritengono
che la Bibbia non sia la parola di Dio ma la contenga, e questa si
espliciti, per giunta, solo quando vi sia una lettura di fede. Le
difficoltà incombono invece principalmente sul credente di tipo
fondamentalista il quale crede che la Bibbia sia stata ispirata parola
per parola, alla lettera e non contenga errori di nessun genere poiché
è parola proveniente direttamente da Dio, senza alterazione alcuna3.
2.5. ‘Giusto’ è ciò che ordina Dio per il fatto stesso che l’ha
ordinato, dunque giusta è ogni strage da Lui voluta. Tra coloro che
ritengono che la Bibbia sia sempre e comunque solo parola di Dio
inerrante in ogni aspetto, le posizioni apologetiche sono diverse:
v’è chi taglia corto affermando che ‘giusto’ e ‘sbagliato’ sono
categorie definibili a seconda della loro aderenza alla volontà di
Dio e basta. In altri termini: qualcosa è da ritenersi giusta per il solo
fatto stesso che è Dio a volerla, a prescindere da quella che possa
essere la nostra sensibilità e il nostro giudizio. Ad esempio se è Dio

3
Su questo tema si può leggere il quaderno n° ??? di questa stessa collana il
quale riguarda proprio il tema della Bibbia e della sua infallibilità.
19
a ordinare una strage, l’azione può definirsi giusta poiché è l’ordine
divino che la rende tale. Questo tentativo di spiegazione, però, si
scontra contro un vizio logico da cui è pervaso: si dà per dimostrata
l’esistenza di un Dio che tal genere di azioni gradisce laddove
questo assunto è proprio ciò di cui si sta discutendo e, pertanto, non
può dirsi già dato per certo. In logica un errore del genere si direbbe
una tautologia 4; certo una tautologia che ad alcuni può apparire
risolutiva e seducente ,ma che nei più induce il sospetto di trovarsi
di fronte a persona proclive al fanatismo e che, per tal motivo,
rinuncia serenamente a ogni tipo di propria sensibilità in tema di
morale. Ma v’è di più: questo tentativo di spiegazione invece di
scagionare Dio dall’accusa di essersi dimostrato crudele lo
inchioda irrimediabilmente in questo ruolo poiché caratterizza per
certo il Suo volere in modo conforme ad azioni indubbiamente da
giudicarsi cruente.
2.6. Chi ha patito tutto ciò se l’è meritato e basta. V’è poi
chi un tantino entra nel merito e tira in ballo le cattiverie del
faraone, la nefasta religione degli egiziani, il cruento paganesimo
delle popolazioni cananee e così via. Insomma si applica la logica
del vecchio detto: «A mali estremi estremi rimedi». Le popolazioni
cananee adoravano idoli di legno e di pietra, non esitavano a
effettuare sacrifici umani e occupavano una terra che Dio aveva
destinato ad altri. Dunque se lo sono meritato! Notiamo che tal
genere di giustificazione potrebbe eventualmente avere un senso se
le violenze volute da Dio si fossero limitate a colpire la popolazione
in armi o gli individui consapevoli e renitenti. Ma cosa dire di
bambini innocenti e di donne incinte squartare?
2.7. L’agire di Dio è incomprensibile. Quest’ultimo
atteggiamento apologetico presenta una parte di verità: certamente
tutto ciò che ci avvolge, e Dio in primis, è ben al di sopra della
nostra capacità di comprendere e giudicare, tuttavia
l’argomentazione su cui si basa è quella che conduce alla mancanza
di una risposta ben definita: ignoramus et ignorabimus…

4
La tautologia è stata definita una definizione illusoria, che ripropone in
termini solo formalmente diversi l’enunciazione di quanto dovrebbe
costituire oggetto di spiegazione o di svolgimento.
20
ignoriamo e continueremo a ignorare. Inoltre questa risposta (che
in realtà è una non risposta) ha il limite di far derivare da
un’affermazione esatta (“Dio è al di sopra della nostra
comprensione”) la necessità di mettere a tacere un problema.
2.8. E se interrogassimo la storia? Il tentare di capirci
qualcosa sembra invece non solo più ragionevole ma anche la via
più conforme a quel Signore che, dandoci un cervello dotato di
capacità di memoria e di analisi, desiderò abilitarci alla riflessione,
all’indagine, all’istinto di voler veder più chiare le cose.
Non si dimentichi mai che quando il cristiano vuole
comunicare con Dio non deve ascendere ai cieli e imparare la
lingua di Dio (non potrebbe mai farlo!) ma deve attenersi all’esatto
contrario: è Dio che entra nella storia e che si esprime con la lingua
dell’uomo. L’incarnazione è il fondamento della fede cristiana: fu
perfetta, Dio divenne veramente uomo, con tutte, proprio tutte, le
caratteristiche dell’uomo.

21
22
Capitolo terzo

Bibbia e Corano

Non sembri al lettore che si stia improvvisamente cambiando


argomento. Il mutamento è solo apparente poiché è possibile
definire un concetto anche in base a ciò che lo differenzia da un
altro.
Quando si assiste a uno dei numerosi dibattiti che oggi
vengono svolti, specialmente in televisione, tra gli apologeti della
fede islamica e i loro oppositori si tirano spesso in ballo versetti
coranici connessi alla violenza specialmente come mezzo di
repressione e di castigo. Di fronte alla innegabile presenza di tal
genere di attestazioni nel loro testo sacro, i devoti del profeta
Maometto contrattaccano e sovente citano versetti biblici (inutile
dire: tutti tratti dall’Antico Testamento) che contengono episodi di
lapidazioni, incitazioni alla guerra contro chi non condivide la fede
d’Israele, insomma un po’ tutto quell’armamentario di pagine
‘indigeste’ sulle quali ci siamo precedentemente soffermati prima
dandone anche un parziale ma ampio elenco.
Questa strategia tenta di mettere sullo stesso piano Corano
e Bibbia e sortisce il seguente duplice esito: si condannano le due
scritture insieme alle religioni che su queste si basano, oppure si
accredita il Corano come testo venerabile al pari della Bibbia.
Questo secondo esito ha un particolare effetto se l’uditorio è
cristiano o, comunque, appartiene a un tipo di civiltà, quella
occidentale, che con il cristianesimo è collegata.
Talvolta la polemica prosegue e si fa notare, da parte dei
musulmani, che anche i cristiani si sono resi colpevoli di misfatti e
uccisioni; vengono messe solitamente in conto in primis le crociate
e l’inquisizione.
I dibattiti televisivi si basano più su eccitazioni di stati
d’animo e incitamenti di opposte tifoserie che sulla pacatezza di un
ragionamento acuto e approfondito. Così l’ascoltatore medio
conclude per un “pari e patta” e sùbito ritorna a interessarsi d’altro
23
avendo presto presto rubricato sia cristianesimo che islam tra le
cose assurde e inaccettabili. Noi preferiamo soffermarci con calma
su questo coacervo di argomentazioni.
Intanto è facile fare notare che la violenza connessa alle
crociate e all’inquisizione ebbe a dispiegarsi nel lontano medioevo
e nei secoli della Controriforma. Per un cristiano evangelico
sarebbe anche facile chiamarsi fuori da tutto ciò facendo notare che
ad agire in tal modo fu il papato e le autorità a lui collegate. Calvino
e i calvinisti, certo, qualche rogo l’accesero ma si trattò di orrori
relegati al Cinque Seicento. Quanto alla tradizione evangelica
arminiana, che al calvinismo s’oppose, non risulta che essa abbia
determinato l’uccisione di una sola una zanzara. Insomma, per farla
breve, sono secoli che la cristianità ha voltato le spalle alla violenza
della spada per colpire infedeli, eretici e dissenzienti religiosi5.
Veniamo ora all’altro argomento, quello che vuole mettere
sullo stesso piano Bibbia e Corano a motivo delle pagine violente
che essi parimenti contengono. Certo è innegabile che se volessimo
far valere per noi oggi i precetti di violenza delle scritture
giudaiche, in quanto parola di Dio ispirata e infallibile, non
potremmo concludere altrimenti che dando ragione al nostro
interlocutore islamico. Ma così non possiamo, non vogliamo e non
dobbiamo fare, almeno, per i seguenti motivi che differenziano
profondamente il Corano dalla Bibbia e che, di conseguenza,
palesano profondamente diversa l’immagine di Allah da quella
dell’Iddio che si rivelò nelle Scritture care ai cristiani.
I musulmani credono che il Corano sia il frutto della
dettatura da parte di Dio della Sua volontà, una dettatura che riflette
parola per parola, virgola per virgola l’originale celeste. Dunque
Maometto non fu autore in nessun senso del Corano, ma si limitò a
trascriverlo fedelmente e passivamente registrando la voce di Dio.
Il Corano è del tutto parola divina e per niente opera di uomo.

5
Non si tirino in ballo i cappellani militari presenti negli eserciti delle nazioni
(sedicenti) cristiane e le loro benedizioni di armi. Si tratta, in primo luogo,
di azioni che poco hanno a che fare, a mio avviso, con il vangelo di Gesù;
e poi si tenga presente che la violenza degli eserciti è rivolta a militari di
nazioni dichiarate nemiche per motivi politici, non a infedeli per motivi
religiosi.
24
Non credo che si possa dire lo stesso della Bibbia o, almeno,
nessun teologo onesto e a malapena un po’ informato lo farebbe: i
vari libri biblici non sono il frutto di una dettatura da parte di Dio
che ha visto scomparire la componente umana dello scrittore e dello
scritto. Se leggessimo i libri biblici nell’originale, avendo la
possibilità di gustarne le sfumature letterarie, coglieremmo la
peculiarità di ciascun libro, connessa all’identità dei vari singoli
autori. Ne consegue che mentre il musulmano legge il suo testo e
lo applica, il cristiano lo legge, lo contestualizza e s’impegna a
farne un’esegesi. Il termine ‘esegesi’, di derivazione greca, è
connesso all’azione del “trarre fuori”: il lettore, l’esegeta trae fuori
dal testo che gli è davanti il suo significato avvalendosi di una
pluralità di competenze che vanno dalla filologia alla storia, dalla
teologia alla storia del pensiero, dall’archeologia alla spiritualità.
Altra osservazione: la Bibbia non è un manuale di
precettistica teorica, un formulario di saggezza astratta o di filosofia
perenne; essa, al contrario, è principalmente una narrazione di
eventi di cui si compone la storia. Ne consegue che chi vuol
comprendere il suo messaggio deve attentamente soffermarsi a
sfogliare le pagine, valutare i contesti, apprezzare i colori, intendere
i chiaroscuri dell’umana vicenda. Conoscere il contesto di un libro
o anche di una sola pagina della Scrittura è indispensabile al fine di
comprenderne il significato. Esempio: il messaggio di Gesù non si
comprende se non alla luce della sua personale vicenda. Il fatto del
calvario conferisce significato a tutto il suo annuncio.
Quei lettori della Bibbia (e purtroppo sono numerosi) che
su un determinato argomento sciorinano una quantità di versetti
limitandosi ad accorparli l’uno a fianco dell’altro fanno opera di
disinformazione poiché omettono sia la ricostruzione del contesto
proprio di ciascun brano sia, di conseguenza, il senso di sviluppo
diacronico di quegli insegnamenti che tra loro sono legati da un
naturale rapporto di prima e poi il quale indubbiamente incide
complessivamente sul loro significato.
Il cristiano che su un determinato argomento trae fuori dalla
Bibbia un profluvio di versetti e li accorpa senza curarsi delle loro
specificità peculiari si rende in ciò simile al musulmano ingenuo
che, considerando il suo testo sacro, caduto sic et simpliciter dal

25
cielo, lo legge senza porsi problemi di contestualizzazione e di
esegesi storica.
Il concetto fondamentale che sorregge l’idea stessa della
Bibbia come rivelazione non vede l’uomo elevarsi al livello di Dio
ma, al contrario, vede Dio scendere al livello dell’uomo per operare
con progressiva pedagogia secondo i ritmi e le crescenti capacità di
comprensione dell’uomo stesso. Questo, ritengo, è l’aspetto più
grandioso della fede cristiana: lo ‘svuotamento’ di Dio nell’uomo
Gesù, come apprendiamo da un famoso versetto paolino:
5 Abbiate in voi lo stesso sentimento che è stato
anche in Cristo Gesù, 6 il quale, pur essendo in forma di
Dio, non considerò l’essere uguale a Dio qualcosa a cui
aggrapparsi gelosamente, 7 ma svuotò se stesso,
prendendo forma di servo, divenendo simile agli
uomini; 8 trovato esteriormente come un uomo, umiliò se
stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte
di croce. Filippesi 2,5-8.

26
Capitolo quarto

Dio parla nella storia

Prima di tentare di formulare una risposta al problema posto


dalle tante pagine ‘indigeste’ delle scritture giudaiche bisogna far
chiarezza su alcune premesse senza le quali il discorso che sto per
svolgere sarebbe improponibile. Eccole enunciate in sintesi
estrema:
1. La peculiarità del Dio, come concepito nella tradizione
giudaico cristiana, è quella di parlare nella storia
dell’umanità. Non ci troviamo di fronte a un concetto
filosofico astratto, immutabile per il fatto stesso di
sussistere in un universo di pensiero logico.
2. La Bibbia non presenta solo il linguaggio di Dio, altrimenti
noi uomini non potremmo comprenderla; si tratta di una
raccolta di diversi testi che, a prescindere dalla qualità di
essere ‘ispirati’, presentano tutte le caratteristiche della
condizione umana, furono scritti da uomini veri che non
rinunciarono alla loro umanità (con tutti i connessi meriti e
limiti) quando presero carta e penna in mano.
3. L’idea che la Bibbia abbia ad un tempo piena sostanza
divina e piena sostanza umana può dirsi parallela al
seguente articolo di fede che è la base stessa del
cristianesimo: Gesù fu perfettamente Dio e perfettamente
uomo6.
Mettendo insieme ciò che consegue dalle precitate tre
premesse possiamo dedurre che: la rivelazione di Dio, così come

6
Il termine ‘anticristo’ ricorre una sola volta nel Nuovo Testamento e sta a
indicare coloro che negano l’umanità di Gesù, cfr. 1 Giov. 4,3. Nella chiesa
antica costoro erano chiamati doceti poiché insegnavano che Gesù aveva
soltanto l’aspetto, la sembianza umana ma in realtà non aveva un vero corpo
materiale.
27
esposta nelle pagine bibliche, è caratterizzata da tutti i colori e i
sapori della storia umana; non è una rivelazione ‘disincarnata’. Non
si è trattato dell’uomo che, in virtù di una sua personale
intelligenza, si è elevato a Dio quasi rinunciando alla sua umana
natura ma, al contrario, di Dio che ha voluto entrare nel fango e
nella polvere della storia, che si è voluto abbassare per adeguarsi
alla capacità dell’uomo di comprendere. Se così non avesse fatto il
Suo linguaggio ci sarebbe rimasto incomprensibile.
Ora è ben evidente che questa umana capacità di
comprendere il pensiero di Dio e l’altra, ben più elevata, di
esprimerlo con autorevolezza, non si coglie già matura e definita
agli albori della storia, quasi come la mitica Minerva che nasceva
tutta bella e pronta in armi dal capo del padre Zeus. No, la storia
umana è costituita da un lunghissimo cammino durante il quale
all’uomo è stato dato di evolversi quanto a costumi e idee. Insomma
è come un percorso in salita su una scala nel corso del quale la
visuale dei primi gradini era bassa e limitata laddove quella offerta
dai pioli più alti è stata più elevata e chiara. Se è vero che
l’individuo umano rimane immutabile quanto alle sue
caratteristiche ed esigenze naturali, è però innegabile che egli
attraverso i secoli abbia accresciuto la sua capacità di apprendere,
conoscere, interagire con il mondo circostante.
Non possiamo mettere sullo stesso piano orizzontale il Dio
che parlava ai patriarchi, a Mosè, a Giosuè e così via con l’Iddio
che “nella pienezza dei tempi” ha palesato il suo autentico volto in
quello amorevole di Gesù. L’Iddio di Gesù è lo stesso di quello di
Aramo e Mosè (e diversamente non potrebbe essere poto che si
crede nell’esistenza di un solo Dio), tuttavia il ritratto dell’uno e
diverso da quello dell’altro poiché i due sono stati prodotti in
diverse e successive epoche della storia. I capitoli della storia
biblica sono senz’altro raggruppabili in un’unica epopea, ma
costituiscono di questa tappe successive e progressive.
Noi non notiamo una contraddizione tra il ritratto del
Signore degli eserciti ebraico e il Dio d’amore e di perdono di Gesù.
Questa posizione sarebbe quella del teologo Marcione che visse nel
secondo secolo d.C. Noi notiamo invece un’evoluzione la quale è
28
proporzionale alla capacità di comprensione del recipiendario del
messaggio, cioè dell’uomo; nel nostro caso dello scrittore biblico.
Valga un esempio: tra un professionista serio e affermato che scrive
le sue opere ed esercita con autorevolezza la sua attività lavorativa
e il ragazzino che lui stesso era a otto anni, quando con la fionda
tirava le pietre ai nidi degli uccellini, non v’è contraddizione, v’è
semplicemente evoluzione. Io ad esempio, non posso considerarmi
contraddittorio se non faccio più la raccolta delle figurine dei
giocatori o se non gioco più con i soldatini di piombo:
semplicemente sono cresciuto, evoluto, maturato. E ciò si riverbera
anche nella mia capacità di concepire il mondo e Dio, anzi anche
nella mia maniera di ricevere la rivelazione di Dio. E questo è il
caso degli agiografi7 i quali vissero in epoche lontanissime e furono
condizionati, di conseguenza, da civiltà e modi di concepire ben
diversi

7
Con il termine ‘agiografi’ s’intendono gli scrittori ei vari libri entrati nel
canone biblico.
29
30
Capitolo quinto

Le colpe dei padri si riversano sui figli

5.1. Colpire i figli per le colpe dei padri?


Un cardine della nostra civiltà giuridica è costituito dal
principio secondo il quale le responsabilità penali sono personali,
cioè ricadono su chi commette la colpa e non sui suoi discendenti.
Se, ad esempio, mi sarò macchiato di omicidio è giusto che sia io a
pagare la pena ed è conseguentemente giusto che questa non venga
comminata a mio figlio o a mio nipote, né, tantomeno, al mio
pronipote. Per semplificare al massimo possiamo affermare che
nessuno di noi, dotato di un minimo di buon senso, se riceve uno
sgarbo da un amico la fa pagare al suo nipote, che neanche ci
conosce, affibbiandogli un sonoro ceffone.
Posta questa premessa risulterà davvero strano come negli
strati più antichi della letteratura veterotestamentaria di questo
principio della “responsabilità individuale” non v’è traccia, anzi
abbondano le minacce da parte del Dio giudaico di riversare le
colpe dei padri sui loro discendenti.
Il caso più esemplare è costituito dai dieci comandamenti
che tutti noi crediamo di conoscere. Si tratta di un codice normativo
restituitoci da due diverse pagine bibliche: Esodo 20,2-17 e
Deuteronomio 5,6-21. Le trascrivo qui di sèguito in due colonne
parallele per consentire un più agevole confronto:

Esodo 20,2-17 Deuteronomio 5,6-21


2 Io sono il Signore, il tuo Dio, 6 Io sono il Signore, il tuo Dio,
che ti ho fatto uscire dal paese che ti ho fatto uscire dal paese
d'Egitto, dalla casa di schiavitù. d'Egitto, dalla casa di schiavitù.
3 Non avere altri dèi oltre a me. 7 Non avere altri dèi oltre a me.

4 Non farti scultura, né 8 Non farti scultura, immagine


immagine alcuna delle cose che alcuna delle cose che sono lassù
sono lassù nel cielo o quaggiù nel cielo o quaggiù sulla terra o
31
sulla terra o nelle acque sotto la nelle acque sotto la terra.
terra. 5 Non ti prostrare davanti 9 Non ti prostrare davanti a loro
a loro e non li servire, perché io, e non li servire, perché io, il
il Signore, il tuo Dio, sono un Signore, il tuo Dio, sono un Dio
Dio geloso; punisco l'iniquità geloso; punisco l'iniquità dei
dei padri sui figli fino alla terza padri sui figli fino alla terza e
e alla quarta generazione di alla quarta generazione di quelli
quelli che mi odiano, 6 e uso che mi odiano, 10 e uso bontà
bontà, fino alla millesima fino alla millesima generazione,
generazione, verso quelli che mi verso quelli che mi amano e
amano e osservano i miei osservano i miei comandamenti.
comandamenti.
7 Non pronunciare il nome del 11 Non pronunciare il nome del
Signore, Dio tuo, invano; perché Signore, Dio tuo, invano, poiché
il Signore non riterrà innocente il Signore non riterrà innocente
chi pronuncia il suo nome chi pronuncia il suo nome
invano. invano.
8 Ricòrdati del giorno del riposo 12 Osserva il giorno del riposo
per santificarlo. 9 Lavora sei per santificarlo, come il Signore,
giorni e fa' tutto il tuo lavoro, il tuo Dio, ti ha comandato.
10 ma il settimo è giorno di 13 Lavora sei giorni, e fa' tutto il
riposo, consacrato al Signore tuo lavoro, 14 ma il settimo è
Dio tuo; non fare in esso nessun giorno di riposo, consacrato al
lavoro ordinario, né tu, né tuo Signore Dio tuo; non fare in esso
figlio, né tua figlia, né il tuo nessun lavoro ordinario, né tu,
servo, né la tua serva, né il tuo né tuo figlio, né tua figlia, né il
bestiame, né lo straniero che tuo servo, né la tua serva, né il
abita nella tua città; 11 poiché in tuo bue, né il tuo asino, né il tuo
sei giorni il Signore fece i cieli, bestiame, né lo straniero che
la terra, il mare e tutto ciò che è abita nella tua città, affinché il
in essi, e si riposò il settimo tuo servo e la tua serva si
giorno; perciò il Signore ha riposino come te. 15 Ricòrdati
benedetto il giorno del riposo e che sei stato schiavo nel paese
lo ha santificato. d'Egitto e che il Signore, il tuo
Dio, ti ha fatto uscire di là con
mano potente e con braccio
steso; perciò il Signore, il tuo
Dio, ti ordina di osservare il
giorno del riposo.

32
12 Onora tuo padre e tua madre, 16 Onora tuo padre e tua madre,
affinché i tuoi giorni siano come il Signore, il tuo Dio, ti ha
prolungati sulla terra che il ordinato, affinché i tuoi giorni
Signore, il tuo Dio, ti dà. siano prolungati e affinché
venga a te del bene sulla terra
che il Signore, il tuo Dio, ti dà.
13 Non uccidere. 17 Non uccidere.
14 Non commettere adulterio. 18 Non commettere adulterio.
15 Non rubare. 19 Non rubare.
16 Non attestare il falso contro 20 Non attestare il falso contro il
il tuo prossimo. tuo prossimo.
17 Non concupire la casa del tuo 21 Non concupire la moglie del
prossimo; non desiderare la tuo prossimo; non bramare la
moglie del tuo prossimo, né il casa del tuo prossimo, né il suo
suo servo, né la sua serva, né il campo, né il suo servo, né la sua
suo bue, né il suo asino, né cosa serva, né il suo bue, né il suo
alcuna del tuo prossimo». asino, né cosa alcuna del tuo
prossimo».

Nei brevi catechismi della nostra infanzia questi testi sono


stati riassunti all’osso, accorpati e semplificati. Questa versione
‘semplificata’ è quella che comunemente circola ed è nota. Ma il
nostro discorso deve necessariamente basarsi direttamente sul testo
della Bibbia, non sui suoi rimaneggiamenti.
Nella versione dei dieci comandamenti in uso presso la
Chiesa Cattolico Romana, ad esempio, il secondo, che vieta la
produzione d’immagini, è stato del tutto soppresso. Così anche
nell’ultimo comandamento s’è badato a separare il divieto di
desiderare la moglie del prossimo da quello di bramare i beni
materiali dello stesso. In realtà si trattava di un comandamento
unico poiché in quell’epoca arcaica e tribale la donna era
considerata non secondo le moderne categorie di pensiero che ne
rispettano appieno l’autonomia e la piena dignità bensì come una
sorta di bene afferente il patrimonio della grande famiglia,
principalmente finalizzato alla riproduzione specialmente di figli
maschi, adatti a sostenere il nucleo familiare con la dura fatica dei
campi o a difenderlo con l’esercizio delle armi.

33
Se tuttavia istituissimo un paragone tra questo codice
normativo ebraico e quello vigente in quell’epoca antica presso
altre etnie potremmo meglio apprezzare i tratti di elevatezza morale
che pur esso presenta e che hanno giovato alla sua conservazione e
vigenza durante molti secoli.
Insomma, tutto ciò non può impedirci di rilevare come sia
inaccettabile per la nostra coscienza e sensibilità moderna quella
clausola proprio del secondo comandamento che minaccia il
castigo sui discendenti (fino alla quarta generazione) di chi
trasgredisce il divieto di farsi immagini di Dio. È tutto ciò è
giustificato dal carattere ‘geloso’ di Dio, come leggiamo. Insomma
un artigiano fabbrica un’immagine cultuale e il pronipote viene
castigato
Sembra evidente, secondo ogni buon senso, che ci troviamo
di fronte a una prosa dal carattere arcaico la quale rappresenta Dio
con tratti antropomorfici i quali sono gli unici che l’ebreo di quel
tempo poteva cogliere e comprendere vista la differenza tra l’epoca
sua e la nostra. Nella nostra epoca, infatti, una gelosia che conduce
dapprima all’ira e quindi alla vendetta non è certo rubricabile tra le
virtù d’un uomo saggio, figuriamoci poi di Dio!
Per comprendere la ratio di questa arcaica visione bisogna
comprendere il concetto di personalità corporativa che era proprio
dell’Israele antico. Nelle società moderne l’individuo è portatore di
diritti e doveri in piena autonomia personale. Non così allora,
quando un ampio nucleo familiare, una tribù necessariamente
condivideva un comune destino di prosperità o di sciagura.
Immaginiamo una tribù in marcia nel deserto (e il paragone calza
con gli ebrei peregrinanti): in caso di siccità o di carestia possiamo
immaginare che si salvino alcuni e periscano altri sotto lo stesso
tetto o, meglio, sotto lo stesso cielo? Il precetto biblico non fa altro
che applicare al linguaggio di Dio questa normale, comune
necessaria realtà di fatto.
Noi oggi a buon diritto parliamo di responsabilità e di
relativi destini che ineriscono soltanto l’individuo e non il più
ampio aggregato a cui questo appartiene. Ne consegue un certo
disappunto per i citati brani veterotestamentari che sembrano
accumunare interi gruppi e un affine destino. Tuttavia la prospettiva

34
di questi vetusti brani biblici reca anche a noi un rilevante,
pregevole ammaestramento: spesso crediamo di essere
indipendenti l’uno dall’altro, ma sempre più frequentemente siamo
testimoni eventi, anche causati dall’uomo, che colpiscono tutti,
proprio tutti senza distinzione. Ricordiamoci della nube tossica di
Chernobyl che fece piovere veleni, è il caso di dire, sui giusti e sugli
ingiusti. Chi ha dimenticato la bomba atomica scagliata dagli
americani su Hiroshima e la sua popolazione civile e che produsse
i suoi orrori sulle successive generazioni? Forse possiamo
realmente dire, parafrasando il noto titolo di Thomas Merton, che
No man is an island. Sì, nessun uomo è un’isola così che tanto il
male quanto il bene si diffonde e si riverbera anche attraverso le
generazioni.

5.2. I profeti e Gesù rettificano.


Anche se le azioni di noi esseri umani si riverberano
necessariamente su coloro che ci sono vicini, sia geograficamente
che per via parentale, l’idea di un Dio che si proclama giusto e che
nello stesso tempo minaccia di colpire i discendenti per le colpe dei
loro padri non ci mette allegria.
Eppure questa concezione era tanto diffusa in Israele che di
bocca in bocca corse il proverbio I padri hanno mangiato uva
acerba e i denti dei figli si sono allegati. L’espressione voleva
rappresentare l’assurda situazione di una persona che mangia uva
acerba e l’asprezza del frutto si fa sentire nella bocca dei figli.
Il profeta Geremia (VII-VI secolo a.C.) ha riflettuto a lungo
sulla cattività babilonese. La prigionia nel grande regno
mesopotamico degli ebrei era vissuta da questi deportati come
l’espiazione di una colpa commessa a monte dai loro padri. Egli,
illuminato dall’ispirazione divina, pervenne alla visione di un Dio
che castigava il colpevole e non i suoi discendenti. Una più elevata
sensibilità morale, così possiamo ipotizzare, si era prodotta per
impulso divino ma a che per una più profonda riflessione e una
maturazione della sensibilità etica. Questi fattori, all’opera
congiuntamente, avevano prodotto una malinconica riflessione e
quasi un moto di rifiuto per quello schema arcaico che non teneva
in debito conto la responsabilità personale delle azioni. Posso

35
credere che questa interiore sofferta macerazione abbia reso il
profeta ricettivo di una rivelazione di Dio più piena, più vera in
quanto più adatta alla ricettività dei tempi nuovi.
Così Geremia, guardando al futuro d’Israele riferì da parte
di Dio: «In quei giorni non si dirà più: “i padri hanno mangiato uva
acerba e i denti dei figli si sono allegati”, ma ognuno morirà per la
propria iniquità; chiunque mangerà l'uva acerba avrà i denti
allegati» (31,29-30).
Questa stessa riflessione agitò l’animo di un altro grande
profeta: Ezechiele. Ancòra una volta si ripropose il quesito: perché
i figli devono pagare per colpe da loro non commesse. La voce di
Dio si fece sentire questa volta in modo ancòra più articolato:
La parola del Signore mi fu rivolta in questi termini:
«Perché dite nel paese d’Israele questo proverbio: I padri
hanno mangiato uva acerba e i denti dei figli si sono
allegati? Com’è vero che io vivo - dice il Signore, Dio -
non avrete più occasione di dire questo proverbio in
Israele. Ecco, tutte le vite sono mie; è mia tanto la vita
del padre quanto quella del figlio; chi pecca morirà.
Se uno è giusto e pratica l’equità e la giustizia,
se non mangia sui monti e non alza gli occhi verso gli
idoli della casa d’Israele, se non contamina la moglie del
suo prossimo, se non si accosta a donna mentre è impura,
se non opprime nessuno, se restituisce al debitore il suo
pegno, se non commette rapine, se dà il suo pane a chi ha
fame e copre di vesti chi è nudo, se non presta a interesse
e non dà a usura, se allontana la sua mano dall’iniquità e
giudica secondo verità fra uomo e uomo, se segue le mie
leggi e osserva le mie prescrizioni agendo con fedeltà,
egli è giusto; certamente vivrà - dice il Signore, Dio
Ma se ha generato un figlio che è un violento,
che sparge il sangue e fa a suo fratello qualcuna di queste
cose (cose che il padre non commette affatto): mangia
sui monti, e contamina la moglie del suo prossimo,
opprime l’afflitto e il povero, commette rapine, non
restituisce il pegno, alza gli occhi verso gli idoli, fa delle
abominazioni, presta a interesse e dà a usura, questo
figlio vivrà forse? No, non vivrà! Egli ha commesso tutte

36
queste abominazioni, e sarà certamente messo a morte; il
suo sangue ricadrà su di lui.
Ma se egli ha generato un figlio, il quale, dopo
aver visto tutti i peccati che suo padre ha commesso, vi
riflette e non fa tali cose: non mangia sui monti, non alza
gli occhi verso gli idoli della casa d’Israele, non
contamina la moglie del suo prossimo, non opprime
nessuno, non prende pegni, non commette rapine, ma dà
il suo pane a chi ha fame, copre di vesti chi è nudo, non
fa pesare la mano sul povero, non prende interesse né
usura, osserva le mie prescrizioni e segue le mie leggi,
questo figlio non morrà per l’iniquità del padre; egli
certamente vivrà. Suo padre, siccome è stato un
oppressore, ha commesso rapine a danno del fratello e ha
fatto ciò che non è bene in mezzo al suo popolo, ecco che
muore per la sua iniquità.
Se voi diceste: Perché il figlio non paga per
l’iniquità del padre? Ciò è perché quel figlio pratica
l’equità e la giustizia, osserva tutte le mie leggi e le mette
a effetto. Certamente egli vivrà. La persona che pecca è
quella che morirà, il figlio non pagherà per l’iniquità del
padre, e il padre non pagherà per l’iniquità del figlio; la
giustizia del giusto sarà sul giusto, l’empietà dell'empio
sarà sull'empio (Ezech. 18,1-20).
Questa rivelazione attesta il superamento di quella
concezione arcaica dalla quale siamo partiti e che, innegabilmente,
contrastava una norma di giustizia per noi elementare. Attraverso
la bocca di Ezechiele Iddio parla con chiarezza su questo tema a un
popolo oramai maturo per ascoltare, comprendere, far tesoro. Il
concetto è ben chiaro ed emerge dai versetti sottolineati nel testo
sopra riportato: morirà (cioè: sarà castigato) colui che ha
trasgredito, quindi i figli non pagheranno per i padri né questi
ultimi per la loro progenie.
Cosa concludere? Forse s’è trattato di due divinità che
ragionavano diversamente? O di un dio che nel corso del tempo ha
cambiato idea e pertanto atteggiamento? Risulta difficile crederlo.
Sembra ben evidente che a mutare sia la pedagogia di Dio,
cioè la sua maniera di relazionarsi con l’umanità, in particolare con
37
il popolo d’Israele. Questa pedagogia è rispettosa dei ritmi con cui
un individuo, un popolo muta evolvendosi. La voce di Dio non
tuona dall’alto seminando terrore e facendosi ascoltare poiché è
rumorosa e paurosa. Tutt’altro: la vera voce di Dio, quella destinata
a lasciar traccia nei cuori e a plasmare le vite, si fa intendere
nell’intimo della coscienza, sovente nel silenzio di una riflessione
sofferta. E ciò vale tanto per l’individuo quanto per un popolo
intero.
Se nel mio intero ciclo scolastico i miei insegnanti m’hanno
impegnato dapprima a compitare con le vocali in bella grafia e poi,
soltanto successivamente, a risolvere complesse equazioni
algebriche non vuol dire che ho ricevuto un’istruzione
contraddittoria e incoerente ma, al contrario, che la pedagogia ha
prestato attenzione ai miei ritmi di crescita fisica e mentale,
rispettandoli e adeguando i contenuti alla cangiante mia maturità.
Così è nel rapporto di Dio con Israele.
Un concetto fondamentale è che Dio rispetta l’individuo, la
sua creatura in maniera molto più profonda di quanto noi possiamo
pensare: la nostra salvezza non è forse condizionata dal nostro
personale dire sì alla Sua grazia che sola può operare la
conversione? Non è forse nostro còmpito mantenerci nel sentiero
indicatoci da Dio nel corso della nostra vita accettando quel divino
soccorso che solo può conferirci tale capacità?
Da ciò emerge anche la meravigliosa bellezza della Bibbia
che non appare un libro piovuto dall’alto bell’e pronto, quasi una
rivelazione metastorica e astratta. No. Al contrario è un messaggio
teandrico, cioè divino e umano, che si plasma in conformità alle
capacità dell’uomo, varie e progressive. E Dio che si avvicina alla
cittadella dell’umanità e non è quest’ultima a elevarsi, con la
propria forza, all’altezza di Dio.
La Bibbia è voce di Dio, sì. Ma è voce che ha deciso di
risuonare attraverso quella dell’uomo, anche assumendo le
caratteristiche e i limiti di quest’ultima. E se così non fosse stato
noi uomini non avremmo potuto comprenderla, così come un
bambino di prima elementare non può comprendere le già citate
temibili equazioni algebriche, non perché sia stupido o perché
l’insegnante non sia adeguato ma, semplicemente, perché la

38
pedagogia tiene conto dei ritmi di crescita del soggetto che è al
centro del processo educativo: l’allievo.
Ad onta di queste precisazioni dei profeti, Geremia e più
ancòra Ezechiele, nel popolino rimase sempre una certa proclività
a ritenere che sull’umanità la colpa si riverberasse a cascata da
padre in figlio, inseguendo le generazioni. Di fronte al mistero
della nascita di un bimbo malato o deforme il ricorso a questo
arcaico modo di pensare sembrava risolutivo e quasi appagante
poiché rendeva ragione di qualcosa che appariva ingiusto.
Persino i discepoli di Gesù erano vittime di siffatti giudizi
o, per meglio dire, pregiudizi. Il nono capitolo del vangelo di
Giovanni, infatti, narra che un giorno Gesù s’imbatté in un uomo
che era cieco dalla nascita. I suoi discepoli s’affrettarono a
chiedergli chi avesse peccato: “lui o i suoi genitori, perché sia nato
cieco?”. La risposta di Gesù fu chiara e immediata e fece piazza
pulita di quel vecchio modo di concepir le cose che già Geremia ed
Ezechiele avevano ben chiarito rettificandolo. Per Gesù la malattia
non era da riferirsi a nessun peccato del povero cieco, né tantomeno
a colpe dei suoi genitori. In questa occasione Gesù non spiegò il
mistero della sofferenza che non è collegata a una colpa con un
nesso, diremo, eziologico8. Egli si limitò a inserire l’episodio del
conseguente miracolo tra i semeia, cioè tra i segni attestanti il suo
ruolo di inauguratore di una nuova economia, quella del Regno di
Dio che andava instaurandosi “già e non ancòra”. Credo che a
sèguito di questo episodio i discepoli di Gesù abbiano capito che il
mistero della sofferenza o di un male inspiegabile non si risolve
certo chiamando in causa colpe di antenati, tra l’altro neanche ben
precisate, bensì considerando l’inspiegabile alla luce di una nuova
economia nella quale il retaggio oscuro del male e della sofferenza
non avrebbe avuto più luogo. Non così i farisei i quali, secondo
Giov. 9,34, continuarono ostinatamente a imputare la cecità al
peccato del poveretto ritenendosi loro, superbamente, immuni da
ogni colpa! Questi farisei, simili in ciò a tanti moderni

8
Nesso eziologico è un’espressione tecnica che significa collegamento tra
causa ed effetto. V’è un nesso eziologico tra il fumo delle sigarette e il
tumore ai polmoni, così come tra il mangiare frutti di mare avariati ed
essere poi affetti da epatite virale.
39
fondamentalisti, accorpavano in modo acritico versetti degli strati
più vetusti dell’Antico Testamento con le parole, nuove e
illuminanti, con le quali Gesù ora voleva illuminarli.
Concludiamo: il messaggio di Dio parla all’uomo
all’interno della sua storia; si esprime con vocaboli umani e questi,
si sa, sottendono sempre concetti che sono anche umani. In epoche
arcaiche il ritratto di Dio ricalcava le concezioni della personalità
corporativa che caratterizzavano i livelli di comprensione
dell’epoca; successivamente fu reso chiaro che le responsabilità
etiche (e le relative loro conseguenze) ineriscono l’individuo in
quanto tale. Il messaggio dell’intero Nuovo Testamento, che
riecheggia e incornicia la rivelazione fatta da Gesù nella “pienezza
dei tempi” è estremamente chiaro: l’appello alla conversione e
l’offerta della salvezza è individuale. Non posso convertirmi per
mio padre o per mio figlio. Devo essere pronto ad assumermi le
mie responsabilità, personalmente.
Che differenza con l’età arcaica da cui la nostra analisi è
partita. Ed è per questo che ci sentiamo cristiani! Se niente fosse
mutato sarebbe stata pleonastica e inutile la rivelazione
neotestamentaria.

40
Capitolo sesto

Impariamo da Gesù

Noi possiamo avere un’idea efficace della interazione tra aspetto


umano e aspetto divino della Bibbia se istituiamo un parallelo con
la persona di Gesù e se ci mettiamo, poi, alla suo scuola.
L’evangelista Giovanni presenta la figura di Gesù in una
prospettiva che è diversa da quella degli altri tre scrittori di vangeli,
detti ‘sinottici’. Nel suo prologo Giovanni parla di Gesù come del
Logos, cioè la ‘parola, la quale era Dio ma si è “fatta carne”, cioè
s’è fatta uomo. Dunque il quarto vangelo insegna che Gesù è
autentico Dio ma anche autentico uomo, quel che si dice un
composto ‘teandrico’. L’incarnazione di Dio in Gesù è il
fondamento della fede cristiana senza il quale quest’ultima non
regge. Si pensi che una sola volta nel Nuovo Testamento ricorre il
termine ‘anticristo’ (con tutto il suo carico di orrido significato) ed
è in un documento che pure appartiene al corpus giovanneo, la
Prima epistola di Giovanni 4,2-3, dove leggiamo:

Da questo conoscete lo Spirito di Dio: ogni spirito,


il quale riconosce pubblicamente che Gesù Cristo è venuto
nella carne, è da Dio; e ogni spirito che non riconosce
pubblicamente Gesù, non è da Dio, ma è lo spirito
dell’anticristo.

Dunque è assolutamente conforme alla retta dottrina e,


pertanto, indispensabile per un cristiano credere che Gesù sia stato
veramente, realmente, effettivamente uomo.
Cosa significa e cosa comporta questa affermazione?
Significa che Dio, per il suo piano d’incontro con l’umanità,
ha voluto assumere tutti i limiti propri della condizione umana.
Gesù da bambino crebbe progressivamente quanto a statura
e quanto a ‘sapienza’, proprio come un bambino che va a scuola per
imparare:
41
Poi discese con loro, andò a Nazaret, e stava loro
sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo
cuore. E Gesù cresceva in sapienza, in statura e in grazia
davanti a Dio e agli uomini. Lc. 2,52.

A Betania, di fronte alla morte del suo amico Lazzaro egli


fu preso da un autentico sentimento umano, come la tristezza, e
pianse di dolore:

Quando Gesù la vide piangere, e vide piangere


anche i Giudei che erano venuti con lei, fremette nello
spirito, si turbò e disse: «Dove l'avete deposto?» Essi gli
dissero: «Signore, vieni a vedere!». Gesù pianse. Perciò i
Giudei dicevano: «Guarda come l’amava!». Gv. 11,33-36.

Nel deserto, dopo quaranta giorni di digiuno, Gesù ebbe


davvero fame:

Gesù, pieno di Spirito Santo, ritornò dal Giordano,


e fu condotto dallo Spirito nel deserto per quaranta giorni,
dove era tentato dal diavolo. Durante quei giorni non
mangiò nulla; e quando furono trascorsi, ebbe fame. Lc.
4,1-2.

Nel giardino del Getsemani, di fronte alla prospettiva di


una morte atroce, come un vero uomo, Gesù ebbe paura e per due
volte pregò il Padre di evitare un così atroce epilogo, pur
rimettendosi alla fine alla Sua volontà:

E, andato un po’ più avanti, si gettò con la faccia


a terra, pregando, e dicendo: «Padre mio, se è possibile,
passi oltre da me questo calice! Ma pure, non come voglio
io, ma come tu vuoi». Poi tornò dai discepoli e li trovò
addormentati. E disse a Pietro: «Così, non siete stati capaci
di vegliare con me un'ora sola? Vegliate e pregate,
affinché non cadiate in tentazione; lo spirito è pronto, ma
la carne è debole». Di nuovo, per la seconda volta, andò e
pregò, dicendo: «Padre mio, se non è possibile che questo

42
calice passi oltre da me, senza che io lo beva, sia fatta la
tua volontà». Mt. 26,39-42.

Gesù affermò di non conoscere il momento della fine di


questa dispensazione asserendo che solo Dio ne era a conoscenza:

Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non


passeranno. Quanto a quel giorno e a quell’ora, nessuno li
sa, neppure gli angeli del cielo, neppure il Figlio, ma solo
il Padre. Mc. 13,31-32.

Fermiamoci qui. Risulta ben evidente che l’assunzione del


carattere umano da parte di Gesù fu totale e autentica, essa pertanto
comportò anche quella di tutti i limiti connessi necessariamente a
questa condizione. La storia del cristianesimo antico ne offre una
prova: la più perniciosa tra le dottrine che sarebbero state poi
dichiarate ereticali fu quella degli gnostici il cui tratto
caratterizzante era la negazione della venuta di Gesù in carne, in
altri termini Gesù avrebbe avuto solo un’apparenza di corpo
materiale (docetismo). Probabilmente questa dottrina risentiva di
quella tradizione platonica secondo la quale tutto ciò che era
materiale costituiva un disvalore mentre l’elemento spirituale era
da considerarsi alto e nobile; quindi un Dio che assumeva natura
umana era per quella mentalità pagana inconcepibile, e così per gli
gnostici. Tertulliano di Cartagine, un apologeta latino degli inizi
del terzo secolo, si profuse in un’opera specificamente intesa a
confutare lo gnosticismo a cui diede per titolo De carne Christi.
Torniamo al nostro tema centrale: se accettiamo che Gesù
Cristo, la parola di Dio, ebbe realmente natura e carattere umano,
perché allora dovremmo gridare allo scandalo di fronte alla
dottrina parallela secondo la quale la Bibbia, Parola di Dio, sarebbe
dotata parimenti anche di carattere umano?
Se Cristo non fosse stato anche uomo e se non si fosse
espresso con termini umani non avrebbe potuto essere compreso
dagli uomini, così se la Bibbia non si esprimesse anche con tutte le
caratterizzazioni (e pertanto i limiti) del linguaggio umano non
avrebbe per noi (uomini) significato e comprensibilità.

43
Riconoscere alla Bibbia anche il carattere di documento
umano significa dir qualcosa di palese a tal punto da risultare
addirittura ovvio. Significa dare risposta al quesito da cui siamo
partiti, interpretando nella giusta luce di una progressione storica
quelle pagine ‘difficili’ di cui abbiamo prima stilato un lungo
elenco.

44
Capitolo settimo

Parola di Dio e parola dell’uomo

V’è tuttavia un prezzo caro da pagare se ci disponiamo a


riconoscere, come buona logica ed evidenze esigono, il carattere
teandrico della Scrittura. Questo prezzo, che è indispensabile
corrispondere, consiste nella difficoltà che volta per volta ci si
prospetta quando desideriamo ascoltare la voce di Dio attraverso i
paludamenti delle umane lettere. V’è un rischio duplice: da un lato
ritenere che un volere divino valido per noi oggi venga considerato
alla stregua di una marginale consuetudine di un’epoca tramontata,
dall’altro – al contrario - attribuire a Dio atteggiamenti, azioni e
pensieri proprio dell’uomo di altri tempi. E tuttavia non vedo altra
strada!
Domandiamoci: perché Dio ha voluto che fosse prodotta la
raccolta di scritti denominata Bibbia? Qual è lo scopo delle
Scritture? Dalla risposta a queste domande dipende l’acquisizione
della chiave ermeneutica per comprendere appieno il messaggio di
quelle pagine.
È presto detto: la Bibbia è un messaggio del Creatore alle
creature finalizzato a far loro ritrovare la strada di una piena e
salvifica comunione con Dio stesso. Il sesto dei trentanove Articoli
di fede della Chiesa d’Inghilterra è molto chiaro nella sua
semplicità:
La Sacra Scrittura contiene tutte le cose necessarie
alla salvezza: cosicché tutto ciò che né in essa si legge, né
può per essa provarsi, non debba esigersi che sia da alcuno
creduto come articolo di Fede, né deve essere riputato
come richiesto di necessità alla salvezza. Sotto il nome di
sacra Scrittura noi intendiamo quei Libri canonici del

45
Vecchio e del Nuovo Testamento, dell’autorità del quali
non fu mai alcun dubbio nella Chiesa9.
Dello stesso tenore il quinto degli Articles of Religion della
Chiesa Metodista stabilito nel 1784:
La Sacra Scrittura contiene tutto ciò che è
necessario alla salvezza; pertanto tutto ciò che non vi si
legge e che non può essere da essa provato non può essere
ritenuto un articolo di fede o un requisito necessario alla
salvezza. Con l’espressione Sacre Scritture noi facciamo
riferimento ai libri canonici dell’Antico e del Nuovo
Testamento la cui autorità non è mai stata posta in dubbio
dalla chiesa10.

Come meglio esamineremo in un altro quaderno di questa stessa


serie Aggiungi al carisma la formazione, la chiesa cristiana ha
sempre ravvisato nella Bibbia il suo solido fondamento per tutto
quanto concerneva la salvezza e la santificazione, la dottrina e
condotta del credente. Nella letteratura cristiana antica la centralità
delle Scritture è dimostrata, ove mai ve ne fosse bisogno, dalla gran
quantità di scritti esegetici laddove avrei difficoltà a reperire testi
simili a quello che noi oggi chiameremo “manuale di teologia
sistematica”. Proprio così: la teologia della chiesa antica era
teologia esegetica, non ‘sistematica’. L’esigenza di quest’ultimo
approccio si affermò in àmbito cattolico romano con la Scolastica
medioevale, una grande avventura del pensiero teologico e
filosofico tendente a sistemare in un complesso organico e coerente
i dati della Bibbia, della Patristica e della filosofia classica. In
àmbito protestante questa esigenza fu avvertita un secolo circo
dopo l’esplosione della Riforma. Infatti si definisce “Scolastica

9
Segue qui un dettagliato elenco dei libri da inserirsi nel canone biblico.
10
Testo originale: The Holy Scripture containeth all things necessary to
salvation; so that whatsoever is not read therein, nor may be proved
thereby, is not to be required of any man that it should be believed as an
article of faith, or be thought requisite or necessary to salvation. In the
name of the Holy Scripture we do understand those canonical booksof the
Old and New Testaments of whose authority was never any doubt in the
church. Segue l’elenco dei libri biblici.
46
protestante” quel complesso di tentativi teologici, di parte sia
luterana che calvinista, di ‘sistemare’ le dottrine desumibili dalla
Bibbia e consolidate dai primi concili ecumenici, il tutto come
recepito dai riformatori di riferimento. Questa Scolastica
protestante definì la centralità della Bibbia, la sua sufficienza ai fini
della salvezza e della vita cristiana, la sua piena attendibilità in
riferimento a questi scopi che, in concreto, erano gli scopi stessi di
Dio nel dar vita al processo che definiremo dell’ispirazione, cioè
della redazione dei testi biblici.
Fu soltanto negli anni ’20 del Novecento che negli Stati
Uniti d’America il movimento ‘fondamentalista’ integrò la
tradizionale dottrina sulla Scrittura con la dichiarazione che questa
era da considerarsi infallibile e inerrante su qualsiasi argomento:
geologia, scienza, biologia, matematica, medicina, storia,
geografia, etc. Questa ‘inerranza’ era limitata ai testi ‘autografi’
delle Scritture, cioè ai manoscritti così come usciti direttamente
dalla penna degli autori. Inutile dire che tali manoscritti sono tutti
smarriti, quindi si attribuivano qualità a un testo non disponibile.
Delle due l’una: 1. Dio aveva accuratamente e miracolosamente
assicurato nei secoli una qualità a testi lasciati poi scomparire (tanto
lavoro per niente!); 2. Dio avrebbe estesa la Sua assistenza
procurando che il requisito dell’infallibilità fosse conferito alle
copie ed alle copie delle copie fino a pervenire al testo a stampa che
oggi è nelle nostre mani (allora perché enfatizzare il carattere
infallibile in modo limitativo, cioè ai soli ‘autografi’?).
La pretesa fondamentalista da un lato ha introdotto negli
articoli di fede di alcune denominazioni evangeliche ‘conservatrici’
un elemento nuovo estendendo l’spirazione divina (e pertanto
l’inerranza) su temi non pertinenti al processo di salvezza /
santificazione, anzi del tutto ‘profani’; dall’altro ha dato la stura a
un’infinità di controversie, critiche alle Scritture, contestazioni
sovente approdate, in modo alquanto ridicolo, nelle aule dei
tribunali statunitensi dove giudici togati sono stati chiamati a
sentenziare sui giorni della creazione.

47
I fondamentalisti, specialmente se di stampo calvinista, non
hanno attinto al patrimonio della tradizione della chiesa 11 ma si
sono avvalsi di un sillogismo che può così riassumersi: 1. la Bibbia
è il libro di Dio; 2. Dio non può mentire; 3. Quando la Bibbia si
esprime anche su temi non inerenti la vita spirituale afferma il vero
senza errori.
Abbiamo così assistito alla trasformazione di quella che era
mirabilmente definita dagli antichi cristiani come “la lettera del
Creatore alle creature” in quella che in mani più sprovvedute si
trasforma facilmente in un talismano se non in un pericoloso “papa
di carta”.

11
In questo caso avrebbero dovuto far tesoro del processo contro Galileo
Galilei sui movimenti della terra e del sole, però mettendosi contro Galilei
dalla parte dell’Inquisizione cattolica che difendeva la verità d’ordine
‘scientifico’ del moto del sole intorno al pianeta terra.
48
Capitolo ottavo

Un Dio unico con diversi ‘ritratti’

Siamo giunti al momento conclusivo del nostro percorso. Senza giri


di parole e discorsi elaborati, con quella fedeltà a quel Gesù che ci
esortò a parlar chiaro dicendo “Sì, sì oppure no, no” 12 ci
domandiamo ora: l’Iddio che ordinò di non lasciar anima vivente a
Gerico13 sventrando donne incinte e sfracellando lattanti è quello
stesso che avrebbe poi insegnato a porgere l’altra guancia 14 e
sarebbe stato definito semplicemente come ‘amore’15?
Abbiamo superato le tentazioni di Marcione, crediamo che
l’Iddio del giudaismo sia lo stesso di quello dei cristiani, il
medesimo nell’Antico e del Nuovo Testamento. Ma se vogliamo
essere onesti non possiamo negarne le differenze profonde che
appaiono sovente addirittura antiteticità.
Come concludere? La maniera più semplice, se dunque
crediamo che si tratti di un unico Agente, è ammettere che i ‘ritratti’
di Costui siano diversi e che tale diversità sia determinata dal
diverso livello di evoluzione ‘morale’ dei soggetti che ne parlarono:
una tribù nomadica del Vicino Oriente antico di duemila anni circa
era necessariamente, naturalmente adeguata ai suoi tempi nel
concepire il carattere e la volontà di Dio. Dio ha rispettato i tempi
di maturazione morale dell’umanità, e anche del popolo d’Israele,
Suo privilegiato interlocutore.
Facciamo un paragone con quel che potrebbe dirsi di un
individuo. Da ragazzo egli ascolta l’esortazione dei genitori ad
andare in giardino a giocare. Credendo di essere obbediente prende
la sua fionda, la carica con le pietre che trova a terra e inizia a

12
Mt. 5,37.
13
Giosuè 6.
14
Mt. 5,29; Lc. 6,39.
15
1 Gv. 4,8.
49
colpire i nidi degli uccelli sui rami degli alberi. Questo stesso
ragazzino col passare degli anni, magari seguendo il consiglio dei
suoi genitori, si sarebbe poi iscritto alla Facoltà di Veterinaria
diventando poi un brillante medico veterinario che, con passione e
professione, avrebbe curato la salute dei suoi pazienti animali.
Magari egli diventerà anche socio benemerito della LUPU, Lega
per la protezione degli uccelli.
Cosa pensare di questo veterinario? Ci troviamo di fronte a
un personaggio incoerente? Magari uno schizofrenico? Molto più
semplicemente: ha attraversato momenti evolutivi diversi ed ha
recepito le esortazioni dei genitori in conformità al livello di
sensibilità di cui, volta per volta, era dotato, sempre credendo di
mettere in pratica l’intenzione di papà e mamma.
Cos’altro significa che Gesù è venuto “nella pienezza dei
tempi” 16 ? L’espressione non si riferisce all’epoca dell’impero
romano, come una lunga tradizione esegetica ha ritenuto, bensì al
momento preciso stabilito da Dio per la storia dell’umanità.
Se oltre al sacrificio del Calvario c’è stata la predicazione,
cioè l’insegnamento, di Cristo, se c’è stata la stesura di ventisette
libri del Nuovo Testamento e se questo corpus è a buon diritto
chiamato nuovo, allora tutto ciò qualcosa vuol dire!
Il Nuovo non cancella l’Antico ma lo illumina, lo illustra, lo
palesa come un documento in sé stesso incompleto e parziale. La
componente ‘umana’ di quella raccolta che, come abbiamo visto,
s’affianca a quella di carattere ispirato, ci consegna un ritratto di usi
e costumi coerenti con quelle epoche antiche: la schiavitù, la
poligamia, la lapidazione, la legge del levirato e così via.
Magari se confrontiamo le istituzioni d’Israele con quelle
delle culture contemporanee dell’epoca possiamo concludere in
base al paragone che esse erano più ‘evolute’. Certamente la
condizione degli schiavi era più mite, certamente era più equo
attuare una giustizia “occhio per occhio, dente per dente” anziché
reagire a un omicidio con una strage e, tuttavia, il progresso ha
continuato a camminare, così la rivelazione ha continuato pure, così
anche la capacità dell’uomo di recepire ed esternare.

16
Gal. 4,4.
50
Non ci si lambicchi il cervello sforzandosi di attribuire a Dio
e di inserire nel Suo messaggio di salvezza quel ritratto bellicoso e
fosco che libri come Giusuè e Giudici, ad esempio, ci consegnano.
Molti episodi che vi leggiamo non rientrano nel messaggio di
salvezza ma lo preparano attestando un livello di ferinità che
sarebbe poi stato del tutto superato. L’istituto dello herem di cui
abbiamo parlato, cioè la consacrazione all’Eterno degli eserciti di
un intero popolo da sterminare, non ha niente a che fare con la
nostra salvezza e santificazione se non perché ci fa apprezzare il
carattere diverso del nostro Salvatore e dell’economia di amore che
ha instaurato riflettendo, questa volta in pieno e completamente, il
ritratto di Dio autentico.
Restituiamo alla componente umana della Scrittura i tanti
episodi che grondano sangue e trasudano inaudita violenza. Sono
attestazioni di come ogni uomo, non importa se sia greco o giudeo,
abbia bisogno della grazia salvifica di un Dio che, finalmente,
abbiamo conosciuto come amore.
Concludiamo:
Sì, il Dio dei cristiani è lo stesso Dio d’Abramo, d’Isacco e
di Giacobbe, è lo stesso Eterno degli eserciti e, tuttavia, i ritratti
che ci consegnano i libri biblici sono diversi. Tale diversità attesta
il carattere progressivo e il valore storico della rivelazione biblica,
il rispetto di Dio per i tempi di maturazione delle Sue creature, la
necessità di Gesù e del Suo insegnamento al fine di acquisire la
pienezza della verità.

51
Aggiungi al carisma la formazione
Quaderni di formazione continua in àmbito storico e teologico
a cura di Giancarlo Rinaldi
Docente di Storia del cristianesimo Università degli Studi di Napoli l’Orientale

I volumetti possono essere richiesti all’autore o scaricati dal blog:


master.unior@gmail.com - blog: giancarlorinaldiblog
_________________________________________________

Programma della collana:

N° 1 – Infallibile?
L’autorità della Bibbia alla luce della Bibbia stessa, della storia e
della ragione. (In preparazione).
N° 2 – Pagine indigeste dell’Antico Testamento.
Il Dio dei cristiani è il Dio d’Abramo, d’Isacco e di Giacobbe?
N° 3 – Esiste una teologia pentecostale?
Sulle tracce della spina dorsale teologica del pentecostalesimo.
(In preparazione).
N° 4 – Glossolalia.
Cosa significa realmente “parlare in lingue?”. (In preparazione).
N° 5 – Fede evangelica e massoneria.
Possibile un incontro? (Disponibile).
N° 6 – Testimonianza evangelica e impegno politico.
Come conciliare i doveri del cittadino con quelli del credente?
(In preparazione).
N° 7 – “Preghino a capo coperto”.
Le donne devono portare il velo in chiesa? (In preparazione).
N° 8 – La donna pastore.
Possibile e desiderabile? (In preparazione).
N° 9 – Bibliografia ragionata sulla storia del movimento pentecostale
italiano.
(Disponibile).
N° 10 – Pre- destinati ?
Note sulla storia del dibattito sulla predestinazione.
(Disponibile).

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