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Antonio Royo Marín

TEOLOGIA
DELLA
PERFEZIONE
CRISTIANA

edizioni paoline
06 B 9
Questo trattato è apparso in Spagna nel 1954.
Pubblicato in prima edizione italiana nel 1960 (19656),
viene ora riproposto in edizione anastatica. Così
l’opera, che è chiaramente datata ma in un certo sen­
so è diventata «un classico», veniva recensita al­
l’epoca: «È consolante riscontrare in molti laici l’esi­
genza di una vita spirituale altamente illuminata e,
per così dire, giustificata nei suoi principi teologici; a
maggior ragione tale esigenza è sentita dal clero...
Questo libro vi risponde bene: clero e laici di una cer­
ta cultura troveranno in esso l’esposizione ragionata
e teologica di cui sentono la necessità. Il titolo stes­
so: " Teologia” della perfezione cristiana, lo dice
chiaramente; e siamo lieti di constatare che non è ri­
masto soltanto una promessa. L’opera, aperta da
un’introduzione generale e chiusa da un prospetto
storico bibliografico e da tre copiosi indici (analitico,
onomastico e generale), si divide in quattro parti... [I.
Il fine; II. Principi fondamentali della teologia della
perfezione; III. La vita cristiana nel suo sviluppo ordi­
nario; IV. I fenomeni m istici straordinari]. Possiamo
dire che l’Autore ha scritto un libro di grande valore,
perché dà una visione panoramica completa della
dottrina ascetico-mistica e della vita spirituale. Ab­
bondanza e densità di materia, solidità di dottrina
teologica, ordine e precisione espositiva sono ele­
menti indiscutibili di pregio di questo libro, al quale
auguriamo la più larga diffusione» (La Civiltà Cattoli-

ISBN 8 8 -2 1 5 -1 2 8 9 -4

L. 32.000 9 788821 512896


A n to n io R o y o M a r ì n è n a to a M o re lla (C astel-
lón, S pag na) nel 1913. E n tra to n e ll’O rd in e di
San D o m e n ic o nel 1939, o rd in a to s a c e rd o te
nel 1944, ha in s e g n a to dal '4 6 al ’67 T e o lo g ia
m o ra le e s p iritu a le a lla F a c o ltà te o lo g ic a San
E steban di S a la m a n c a . È tu tto ra c o lla b o ra to re
d e lla c e le b re B ib lio te c a de A u to re s C ris tia n o s
(BAC), p re s s o la q u a le ha p u b b lic a to d iv e rs e
o p e re p e r una tira tu ra c o m p le s s iv a di o ltre tre -
c e n to m ila c o p ie . A ttu a lm e n te v iv e a M a drid, il
tra tta to di te o lo g ia s p iritu a le c h e rip re s e n tia m o
in e d iz io n e re p rin t al p u b b lic o ita lia n o ha a v u to
in S pa g n a una d iffu s io n e s tra o rd in a ria .
ANTONIO ROYO MARIN

TEOLOGIA
DELLA
PERFEZIONE CRISTIANA

EDIZIONI PAOLINE
T itolo originale d ell’ opera:
T eologia d e la p e r fe c c ió n cristiana
© Antonio Royo M arm o.p., M adrid
Edizione italiana a cura di
G. P ettinati, S. P ìgn otti, A. G ìrlanda

P rim a ed iz io n e 1960
Sesta ed iz io n e 1965
S ettim a ed iz io n e anastatica 1987

Im prim atur
Romae, ex Aedibus Curiae Episcop.
Ostien. ac Portuen. et Rufinae
die 18.6.1965
+ Titus M ancini, Vie. G en.

s.r.l. 1987
© E d iz io n i P a o lin e
Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (Milano)
D istribuzione: Commerciale Edizioni Paoline s.r.l.
Corso Regina M argherita, 2 - 10153 Torino
P R E FA ZIO N E

Riteniamo opportuno spiegare brevemente al lettore la


natura e i l carattere del presente volume.
L a nostra prima intensione f u di scrivere un breve ma­
nuale di ascetica e mistica che potesse servire di testo nei se­
minari e negli studi generali degli ordini religiosi. Poi, voci
amiche, con affettuosa insistenza, ci fecero pressione perché
presentassimo uno studio p iù ampio, che abbracciasse tutto
i l panorama della vita cristiana in modo da poter essere utiliz­
zato non soltanto come libro di testo dagli aspiranti a l sacer­
dozio, ma anche come libro di formazione ascetico-mistica
dai laici colti, desiderosi di una dottrina spirituale solida e
teologica.
Dovemmo cedere alle loro reiterate insistenze e mutare
in parte i l piano primitivo delFopera. I l panorama veniva
ad ampliarsi in modo considerevole e f u necessario, per inevita­
bili esigenze di spazio, ridurre l ’ estensione di alcune questioni
fondamentali alle quali, secondo l ’ idea iniziale, avremmo
dato maggiore sviluppo. N on si trattava p iù di un’opera
strettamente manualistica, limitata alle questioni teoriche che
sì agitano nelle scuole di spiritualità sulla perfezione cristiana,
ma era necessario trattare molte. altre questioni teorico-pra­
tiche della vita spirituale allo scopo di offrire m a visione
d ’insieme p iù completa possibile, con le caratteristiche generali
di un’ opera diretta al pubblico colto. E ’ evidente, quindi,
che la nostra opera non è monografica e d ’approfondimento,
ma panoramica e altamente divulgativa. E ’ una sintesi
inform ativa delle grandi questioni della vita cristiana che,
in alcuni punti fondamentali, richiede p iù ampi sviluppi.
9 PREFAZIONE

Tuttavia, come oggi la presentiamo, ci sembra che essa


possa risultare di indubbia utilità in ordine al duplice fine
che ci siamo proposti: come libro di testo nei seminari e come
libro di formazione spirituale per i laici colti.

a) C o m e lib ro d i testo n ei sem in ari. Evidentemente


quest’opera è troppo voluminosa per essere u tiliz a ta in una
scuola dì ascetica e mistica come testo ordinario se a detta
materia venissero riservate soltanto una o due ore nell’ultimo
corso di teologia. Non ci sarebbe i l tempo materiale per passar­
la tutta. S i badi però che non è necessario che il professore si
soffermi su tutte le partì, e neppure che l'allievo dia l'esame di
tutta la materia al termine del corso. Come libro di testo,
l ’insegnante può limitarsi a spiegare la seconda parte dell’o­
pera, che tratta dei grandi principi teologici della vita cristia­
na e di quasi tutte le questioni fondamentali che si agitano
nelle scuole di spiritualità. L e altre tre parti non è necessario
che siano spiegate in classe, né che costituiscano materia di esa­
me; gli alunni possono servirsene per uno studio p iù calmo ed
attento, come libro di formazione personale e di lettura spiri­
tuale. In tal modo, la nostra opera non si ridurrà al sempli­
ce libro dì testo, destinato ad esser messo inesorabilmente da
parte non appena terminato i l periodo della formazione,
quasi tacita rivalsa per i sudori-che ci procurò il suo studio, ma
diverrà un libro di lettura spirituale al quale si ritornerà
spesso con affetto e gratitudine nella vita.
b ) C o m e lib ro di fo rm a zio n e sp iritu ale p e r i laici
co lti. L.’ esperienza quotidiana ci ha fatto costatare più
volte che non soltanto le anime consacrate a D io, ma anche i
laici colti lamentano spesso la mancanza di libri di solida spi­
ritualità, pur nell’abbondante produzione ascetico-mistica
dei nostri giorni. E ssi hanno fame e sete di teologia, di cibi che
nutrano i l loro spirito, e la maggior parte delle volte vengono
loro serviti, sotto titoli promettenti, semplici aperitivi, i qua­
li non fanno che aumentare la loro fame spirituale. Siamo
pienamente convìnti che un buon numero di intellettuali cat­
PREFAZIONE 8

tolici: professori, avvocati, medici, ingegneri, uomini politici,


ecc. non solo sono desiderosi di opere di solida dottrina, ma
sono anche sufficientemente preparati per intendere ed assimi­
lare le verità teologiche p iù elevate quando vengano loro presen­
tate in una forma chiara e semplice, sfrondate del tecnicismo
e della terminologia propria della scuola. Infatti, quando capi­
ta loro nelle mani un libro profondo, che espone rettamente e
con chiarezza queste verità teologiche, provano una intima sod­
disfazione, quasi avessero trovato una sorgente di acqua lim­
pida in cui possono appagare la sete di D io che tormenta
i l loro spirito.
Abbiamo scritto quest’’ opera pensando a tali anime. L a
trasparente chiarezza del pensiero ha costituito una vera os­
sessione durante tutto il nostro lavoro. C i rendevamo conto
che non scrivevamo unicamente per specialisti, ma per tutti
coloro che pur senza dedicarsi esclusivamente a questa mate­
ria hanno tuttavia diritto ad m a ampia esposizione della ve­
rità. Per questo, anche a costo di sacrificare talora la termino­
logia e la concisione della scuola, siamo scesi a dettagli e a pre­
cisazioni che non sono necessarie p er gli specialisti, ma che ri­
sulteranno di indubbia utilità per i non iniziati. C i sembra
che non ci sia in tutta l'opera una sola pagina che non possa
essere assimilata perfettamente dai laici colti. C i auguriamo,
pertanto, che questo lavoro, con la benedizione di D io , che
invochiamo per intercessione della Vergine Maria, porti un
raggio di luce alle loro intelligenze assetate di verità e un po’
di calore ai loro cuori innamorati di D io.
Ringraziamo tutti coloro che ci hanno aiutato o incorag­
giato a scrìvere queste pagine e avvertiamo ì lettori che sa­
ranno bene accetti tutti i suggerimenti e le critiche costruttive
che vorranno farci allo scopo d i migliorare il nostro studio
nelle successive edizioni.

L ’A utore
...haec et alia asceticae mysticaeque theologiae
capita si quis pernosse volet, is Angeìicum in
primis Doctorem adeat oportebit.

« ...se qualcuno vu ole con oscere a fondo


questi e altri punti fondamentali della teo­
lo gia ascetica e mistica, è necessario che
si rivo lga, anzitutto, all’ “ A n g elico D o tto ­
r e ” ».
(S. S. P io xx, nella enciclica Studiorum Ducem, del
29 giu gn o 3923: A A S 15 1923 p. 320).
IN T R O D U Z IO N E G E N E R A L E

i. - N o z io n i p r e l im in a r i

A r i n t e r o , O .P ., Cuesiiones misticas, 3 ed.3 p ag. 16-108; R a m i r e z , O .P .,


D e hominis beatitudine, Salamanca, 1942, v o i. 1, pag. 3-89; G a r r i g o u - L a -
g r a n g e , O .P ., L e tre età della vita interiore, L .I.C .E ., T o rin o , 1950, voi. 1,

pag. 1-28; Idem , Perfezione cristiana e contemplazione, M arietti, T o rin o , 1933,


pag. 1-40; M e n e s s i e r , S.J., Notes de théologie spirituelle, in « V ie Spirituelle »
lu glio 1935, pag. 56-64; D e G u i b e r t , S .J ., Theologia spiritualis ascetica et
mystica, Pont. U n iv. G regoriana, Rom a, 1939, pag. 1-38; V a l e n s i n , S.J.,
L ’ objet propre de la théologie spirituelle, in « N o u v . R evu e th éologique »,
1927, p ag. 161-19 1; R e g a m e y , Réflexions sur la théologie spirituelle, in « V ie
Spirituelle», v o i. 58, 1938, pag. 21-32; T a n q u e r e y , Teologia ascetica e misti­
ca, 8 ed., D esclée, Rom a, 1954, pag. 1-32; S c h r i j v e r s , C .S S .R ., Principi
della vita spirituale, 5 ediz., M arietti, T o rin o , pag. 1 -1 1 ; H . H e e r i n c k , O . F . M .
Introductio in Theologiam spiritualem asceticam et mysticami R om a, 19^1.

1. N ello studio di qualsiasi scienza, si im pone, anzitut


to, la necessità di fissare con esattezza e precisione il senso
dei term ini più im portanti, di cui si farà uso. L e dispute
e le controversie tra gli autori nascono la m aggio r parte
delle vo lte dal fatto che n on si accordano sul significato
delle p aro le 1.

1. L ’ espressione v it a s p ir itu a le può essere presa


in un duplice senso:
a) C om e opposta a vita materiale, e cosi parliam o
dell’attività spirituale delFuom o che pensa, ragiona
e ama n ell5ordine puram ente naturale (senso largo).
b) Per significare la vita soprannaturale, com e di-

Cf. B a l m e s , E l Criterio X I V , 5.
12 INTRODUZIONE GENERALE

stinta dalla vita puram ente naturale. In questo senso


possiede la vita spirituale ogn i anima in stato di grazia
santificante (senso stretto).
c) Per indicare la vita soprannaturale -vissuta in una
forma p iù piena e intensa. C osi parliam o di spiritualità,
di uomo spirituale, ecc., per significare la scienza che trat­
ta delle cose relative alla spiritualità cristiana, o l ’uom o
che fa di essa lo scopo della sua vita e quasi la sua p ro ­
fessione (senso strettissim o). N o i l ’userem o sem pre in
questo ultim o senso.

2. Per p e rfe z io n e c ristia n a intendiam o la vita so­


prannaturale della grazia quando ha raggiu n to, median­
te i suoi principi operativi, uno sviluppo eminente in
relazione al grado iniziale ricevu to nel battesim o o
nella giustificazione del peccatore. N e riparlerem o più
avanti.

3. Consideriam o com e o rd in a rio e n o rm a le nello


svilup po della grazia, tutto quel che rientra nelle sue
esigenze intrinseche, per quanto elevate e rare siano
di fatto le sue ultim e m anifestazioni; e com e straordi­
nario ed eccezionale tutto quel che, pur essendo a vo lte
conveniente per la santificazione dell’anima o l ’edifi­
cazione degli altri, n on rientra nelle esigenze intrinse­
che della grazia. A lla prim a categoria appartengono
tutte le grazie formalmente santificanti l ’anima che le ri­
ceve; alla seconda, quasi esclusivam ente le grazie
gratis date (visioni, rivelazioni, m iracoli, profezie, ecc.)
che n on sono direttam ente ordinate alla santificazione
dell’ind ivid uo, ma alPutilità d egli altri 2.

4. Il so p ra n n a tu ra le pu ò essere di due specie:


a) Quoad substantiam, quello, cioè, che è intrinseca­
mente ed entitativamente soprannaturale, di m od o che ec-

* Cf. I-II, 111,1.


NOZIONI PRELIMINARI 13
cede n on solo la causalità di tutte le forze efficienti crea­
te, ma la stessa essenza e le esigente naturali di ogn i es­
sere creato o possibile (la grazia, le virtù infuse, i doni
dello Spirito Santo, il lumen gloriai).
b) Quoad modum, tu tto quello, cioè, che, pur essen­
do intrinsecamente ed entitativamente naturale, viene p ro ­
dotto in un modo soprannaturale. T a le è il m iracolo (per
es.: nella risurrezione viene restituito ad un m orto,
in un m odo soprannaturale, m iracoloso, la vita pura­
m ente naturale). U n abisso separa il soprannaturale
quoad substantiam dal soprannaturale quoad modum. Il
prim o, benché m eno appariscente, vale im m ensam en­
te più del secondo 3.
È necessario tener presente che, a volte, una operazio­
ne soprannaturale quoad modum può avere com e termine
un atto già soprannaturale quoad substantiam. Tale è il caso
dei doni dello Spirito Santo, che im prim ono la loro mo­
dalità divina all’atto delle virtù infuse, che è già, di per
sé, soprannaturale quoad substantiam.

5. L e v ir tù a c q u is ite sono intrinsecamente ed enti­


tativam ente naturali (quoad substantiam e quoad modunì).
L e v ir tù in fu s e sono intrinsecam ente ed entitativam en­
te soprannaturali (quoad substantiam); però, sottratte
all’influsso dei doni dello Spirito Santo, operano di per
sè alla maniera umana o connaturale all’ uom o. I d o n i
d e llo S p irito S an to sono soprannaturali in tutti e due
i sensi (quoad substantiam e quoad modum) 4.

6. L ’o ra zio n e vien detta vocale quando è com piuta


principalm ente co n la parola, com e m anifestazione
dello spirito interiore 5; e mentale, quando è com piuta
con i soli atti interiori dell’intelletto e della volontà.
Q u est’ultim a sarà discorsiva o di meditazione quando p ro­

3 C f. I-II, in , 5.
♦C f. I-II, 63 et 68.
s Cf. II-II, 83, 12-13.
14 INTRODUZIONE GENERALE

cede per via di discorso o raziocinio connaturale al­


l ’uom o, e sarà intuitiva o di contemplazione quando
procede per via di sem plice intuizione della verità, al
m odo della conoscenza angelica 6. Q u est’ultim a è fru t­
to dei doni dello Spirito Santo, che operano n ell’ani­
ma con la loro m odalità divina o sovrum ana.

7. Per vita ascetica intendiam o quella fase della


vita soprannaturale nella quale lo svilu p po della gra­
zia si realizza m ediante l ’esercizio delle v irtù infuse
al modo umano o discorsivo; e per vita mistica, quell’al-
tra fase nella quale tale svilu p po si realizza prevalen­
tem ente sotto l ’influsso dei doni dello Spirito Santo,
che operano sulle virtù infuse al modo divino 0 sovru­
mano 7.
A ltre questioni di term inologia saranno esaminate
quando se ne presenterà l ’occasione.

2. - N a tu ra d e lla T e o lo g ia d e lla
P E R F E Z IO N E C R IS T IA N A

A) Il nome.
2. N o n c ’è uniform ità di criterio tra gli autori per
designare con un nom e com une la scienza della perfe­
zione cristiana. A lcu n i parlano di vita interiore 8; altri,
di vita spirituale 9, o vita soprannaturale l0; altri, di Teo­
logia spirituale n , o di Teologia spirituale ascetica e mistica 12;

6 C f. II-II, 180.
7 C£. A r i n t e r o , Cuestiones mìsticas, 3 e d iz ., 6 ., a. 1 , p a g . 635.
8 C osì M eynard, M ercier e Pollien.
9 L e G audier, Schrijvers.
10 Ch. de Smedt,
11 Heerinck.
12 D e Guibert.
NATURA DELLA TEOLOGIA 15
altri, di Ascetica e Mistica ls, o d i Teologìa asettica e mi­
stica 14; altri, infine, di Perfezione e Contemplazione 15.
T u tte queste espressioni hanno i loro van taggi e
i loro inconvenienti. C om unque in m ancanza di un ti­
tolo definitivam ente consacrato dall’uso, n oi preferia­
m o adottare quello di Teologia della perfezione cristiana.
Ci sembra che abbia il m erito di mettere in m aggiore
evidenza tre elem enti fondam entali:
i. C he ci troviam o alla presenza di una vera scien­
za teologica, di una parte, cioè, della T e o lo g ia una.
z. C he il suo oggetto e il suo fine è di esporre la dot­
trina della perfezione cristiana in tutta la sua am piezza
ed estensione. Sebbene la nostra scienza si occupi an­
che dei mezzi P er raggiu n gere la perfezione, è eviden­
te che i m ezzi sono specificati dal fine.
3. C he n on si pone nessuna pregiudiziale alle tanto
discusse relazioni tra l ’A scetica e la M istica; alla ne­
cessità, per la perfezione cristiana, della contem plazio­
ne infusa; all’unità o dualità di vie , ecc.
Q uesti van taggi, a nostro avv iso , giustificano pie­
nam ente la term inologia adottata facendola preferire
a tutte le altre.

B) R e la z io n i co n g li a ltri ram i d e lla T e o lo g ia .


3. Precisiam o ora le relazioni di questa parte della
T e o lo g ia con la dogmatica, la morale, e la pastorale.

1. Teologia dogmatica. - P oich é la T eo lo gia è


essenzialm ente una, com e insegna S. T om m aso 16,
a m o tiv o del com une o g g e tto form ale, è necessario che
tutte le sue p ard siano intim am ente connesse tra loro.

*3 C risógono de Jesus.
*4 N aval, Tanquerey.
: 5 G arrigou-Lagrange.
Cf. I, 1,3.
16 INTRODUZIONE GENERALE

N u lla di strano, quindi, che la T e o lo g ia della perfezione


sia sussidiaria, in buona parte, della T e o lo g ia dogm ati­
ca. D a questa prende i grandi principi della vita intim a
di D io , che deve essere partecipata all’uom o m ediante
la grazia e la visio n e beatifica; la dottrina della inabi­
tazione della SS. T rin ità nell’anima giustificata; della
reintegrazione operata da C risto redentore nella natu­
ra umana decaduta con il peccato originale; della grazia
di C risto, capo del C orp o M istico; d ell’efficacia santi­
ficante dei sacramenti; e tante altre verità che costitui­
scono com e le pietre angolari del dogm a cattolico.
A v e v a ragione il card. M anning quando affermava
che il dogm a è la sorgente della vera devozione.

2. Teologia morale. - A n co ra più strette sono le


relazioni con la T e o lo g ia m orale. C om e fa notare un
grande te o lo g o dei nostri gio rn i 17, la T e o lo g ia m orale e
la T e o lo g ia ascetica e m istica — la nostra T e o lo g ia della
perfezione cristiana — hanno lo stesso o g g e tto form ale
quod: l ’atto m orale per eccellenza, l ’atto di carità verso
D io , costituisce anche l ’o g ge tto prim ario della T e o ­
lo g ia ascetica e m istica. C ’è soltanto una differenza
modale e accidentale, d ovu ta al fatto che la T e o lo g ia
m orale studia questo atto di carità in tutto il suo sv i­
lupp o, com e incipiente, proficiente e perfetto. B enché
la m orale casìstica insista di preferenza sulla carità
incipiente, trattando del lecito e d ell’illecito, di quello,
cioè, che è com patibile o m eno con questa carità ini­
ziale; l ’ ascetica si soffermi soprattutto sulla carità pro­
ficiente, accom pagnata dall’esercizio delle altre virtù
infuse; e la mistica tratti principalm ente della carità
perfetta sotto l ’influsso dei doni dello Spirito Santo;
tuttavia, fra queste parti, n on ci sono com partim enti
stagni o arresti. È solo questione di predom inio di de­

l l Cf. R a m i r e z , D e hominis beatitudine t. I, n. 65.


NATURA DELLA TEOLOGIA 17
term inate attività loro com uni. S. Tom m aso faceva
già notare che, pur essendovi distinzione tra coloro che
si dedicano alla vita attiva e co lo ro che si dedicano
alla vita contem plativa, quest’ultim i sono in parte an­
che attivi, e gli attivi sono talvolta co n tem p la tivi18.
« E rrano quindi coloro che tra la T eo lo gia m orale e
la Teologia ascetica e mistica come scienza vo g lio n o porre
una differenza essenziale derivante dal lo ro o gg etto prima­
rio, com e errerebbe colui che volesse fare della Psicologia,
per il fatto che si occupa dell’infanzia, dell’ adolescenza e
della virilità di uno stesso individuo, altrettante scienze »J9 .

3. T e o lo g ia p a sto ra le . - È la parte della T eo lo gia


che insegna ai m inistri della Chiesa, in base ai prin­
cipi rivelati, com e si d evon o com portare nella cura
delle anime che D io ha lo ro affidate. È una scienza
em inentem ente pratica ed è intim am ente connessa con
la nostra T e o lo g ia della perfezione, d oven d o il pastore
di anime portare, alm eno le p iù generose, fino al ve r­
tice della perfezione. N o n sono tuttavia la stessa cosa.
Il com pito di condurre le anim e alla perfezione, che co ­
stituisce uno degli o g g e tti parziali della T eo lo gia
pastorale, form a l ’ o g ge tto unico ed esclu sivo della T e o ­
lo g ia della perfezione.
R icordati i punti di contatto e le principali differen­
ze esistenti tra la nostra Teologìa della perfezione e le altre
parti della T eo lo gia , cerchiam o di determ inare l ’am ­
b ito nel quale si m u ove il suo studio: da d ove deve
com inciare e d ove si deve concludere.

18 E cco le sue parole: « A c tiv i a contem plativis distinguuntur, quam vis


et contem plativi aliquìd agunt et activi aliquìd contem plentur aliquando »
(S. T h o m ., In I V Sententiarum d . 2 1 ,1 ,2 q . 2).
J9 R am irez, Ivi.
18 INTRODUZIONE GENERALE

C ) E sten sio n e d e lla T e o lo g ia d e lla p erfe zio n e.

4. A prim a vista, e interpretando in u n senso


tropp o ristretto il nom e di Teologia della perfezione,
sem brerebbe che ci si debba lim itare allo studio delle
questioni che trattano della perfezione o di quelle che
im m ediatam ente la preparano. Sarebbe però un gra­
v e errore pensare cosi. P o ich é è strettam ente legata
alla dogm atica e alla m orale, deve abbracciare per fo r­
za — se vo gliam o avere una visione com pleta ed esat­
ta delle cose — un cam po m olto più am pio di quello
che a prim a vista sembra esigere il suo o g ge tto p ro ­
prio, form ale e specifico.
P er giustificare questa am piezza di panoram a ri­
chiesto dalla T eo lo g ia della perfezione, ci sia perm es­
so di fare nostra una pagina di un grande teo lo go
contem poraneo, il P. G arrigou-L agran ge:
« Teologia significa scienza di Dio; e si distinguono
la teologia naturale o teodicea, che conosce D io con il
solo lume della ragione, e la teologia soprannaturale, che
procede dalla rivelazione divina, ne esamina il contenuto
e deduce le conseguenze delle verità di fede.
Questa Teologia soprannaturale si dice dogmatica in
quanto si occupa dei misteri rivelati, principalmente della
SS. Trinità, dell’Incarnazione, della Redenzione, dell’Eu­
carestia e degli altri sacramenti, e della vita futura. Si di­
ce morale in quanto tratta degli atti umani, dei precetti
e dei consigli rivelati, della grazia, delle virtù cristiane,
teologali e morali, dei doni dello Spirito Santo, che so­
no altrettanti principi d’azione ordinati al fine soprannatura­
le che la rivelazione fa conoscere.
Spesso, presso i moderni la teologia morale, troppo se­
parata dalia dogmatica, alla quale essa ha abbandonato i
grandi trattati della grazia, delle virtù infuse e dei doni,
è stata come mutilata e disgraziatamente ridotta alla casi­
stica, che è la meno alta delle sue applicazioni; essa è così
diventata in parecchie opere più scienza dei peccati da
evitare che quella della virtù da praticare e da svolgere
sotto l’azione costante di D io in noi; ha così perduto
della propria elevatezza e resta manifestamente insufficiente
NATURA DELLA TEOLOGIA 19
per la direzione delle anime che aspirano all’unione in­
tima con D io .
Invece, cosi com ’è esposta nella Seconda Parte della
Somma Teologica di S. T om m aso, la teologia morale con­
serva tutta la sua grandezza e tutta la sua efficacia per la
direzione delle anime chiamate alla più alta perfezione.
Infatti S. Tom m aso non considera la dogm atica e la morale
com e due scienze distinte; la dottrina sacra, secondo lui,
è assolutamente una, em inentem ente speculativa e pratica,
com e la scienza stessa di D io da cui essa deriva20. Perciò
egli, nella parte morale della sua Somma, tratta n on solo
degli atti um ani, dei precetti e dei consigli, ma ancora
della grazia abituale e attuale, delle virtù infuse in generale
e in particolare, dei doni dello Spirito Santo, dei loro frut­
ti, delle beatitudini, della vita attiva e contem plativa, delle
grazie date gratuitamente com e il dono dei m iracoli, il
dono delle lingue e della profezia, del rapim ento, come
pure della vita religiosa e delle sue diverse form e.
N ella teologia morale cosi concepita v i sono m anife­
stamente i principi necessari per guidare le anime alla più
alta santità. E la T eo lo gia ascetica e mistica non è altro
che l’applicazione di questa grande T eo lo gia morale alla
direzione delle anime verso un’unione sempre più intima
con D io . Essa suppone quello che insegna la dottrina
sacra circa la natura e le proprietà delle virtù cristiane e
dei doni dello Spirito Santo, e studia le leggi e le condizioni
del loro progresso in vista della perfezione.
Per insegnare la pratica delle più alte virtù, la perfetta
docilità allo Spirito Santo e per condurre alla vita d’unione
con D io , essa fa convergere tutti i lum i dela teologia d o g­
matica e morale della quale è l ’applicazione più alta e il
coronam ento.
In tal m odo si com pie il ciclo form ato dalle diverse
parti della teologia, la cui perfetta unità apparisce sempre
più. L a scienza sacra procede dalla Rivelazione, contenuta
nella Scrittura e nella Tradizione, conservata e spiegata dal
M agistero della Chiesa; essa ordina tutte le verità rivelate
e le lo ro conseguenze in un corpo dottrinale unico, in cui
i precetti e i consigli appariscono fondati sul mistero so­
prannaturale della vita divina, di cui la grazia è una parte­
cipazione. Finalmente dimostra com e colla pratica delle
virtù e colla docilità allo Spirito Santo, l’anima arriva non

’-O T, I, 2-8.
20 INTRODUZIONE GENERALE

più solo a credere i misteri rivelati, ma a gustarli, a cogliere


il senso profondo della parola di D io , fonte di ogn i cogn i­
zione soprannaturale, a vivere in un’unione per cosi dire
continua con la SS. Trinità che abita in noi. Cosi la misti­
ca dottrinale apparisce veram ente com e il coronam ento ultim o
di tutta la scienza teologica acquisita, e può dirigere le ani­
me nelle vie della mistica sperimentale. Q uest’ultim a è una
cognizione amante e saporosa, affatto soprannaturale, in­
fusa, che solo lo Spirito Santo, con la sua unzione, può
darci e che è com e il preludio della vision e beatifica.
T ale è manifestamente la n ozione della T eo lo gia asce­
tica e mistica che si fecero i grandi maestri della scienza
sacra, specialmente S. Tom m aso d’A q u in o » ».

N o n v ’è d ubbio dunque: l ’am bito della T e o lo ­


gia della perfezione coincide, in certo qual m odo,
con l’ am bito di tutta la T e o lo g ia una. N u lla p u ò esclu ­
dere, benché possa e debba insistere su q u egli elementi
che le appartengono in m od o tu tto particolare. N el
suo aspetto descrittivo e sperim entale, deve prendere
u n ’anima cosi com e la si p u ò incontrare inizialm ente
— forse anche in peccato m ortale — ed insegnarle
la via che conduce passo passo fino alla som m ità
della perfezione cristiana.
C osi concepì la vita spirituale la grande S. Teresa di G e ­
sù, che com incia a parlare, nelle prime m ansioni del suo ge­
niale Castello interiore, delle « anime paralitiche... alle quali
toccherà serio p ericolo e ventura assai grave » (c. 1,8) si,
attarda ad esporre « che brutta cosa sia un ’anima che si tro­
va in peccato m ortale » (c. 2), p et terminare, nella settima
mansione, con le ineffabili m eraviglie dell’unione trasfor­
mante con D io

N o n vo gliam o dire con questo che la nostra Teo­


lo g ia d e lla p e rfe z io n e debba com inciare co n il tratta­

21 G a r r i g o u - L a g r a n g e , Perfezioni cristiana ... p a g g . 1 -4 .

22 T ra g li autori che la pensano allo stesso m odo troviam o S a u d r e a u ,


I gradi della vita spirituale ina.. 1 - 1 5 ; M a r c h e t t i , I^e seuil de Vascétique, in
« R e v . Ascét. et M yst. », 1 9 2 0 , p agg. 3 6 -4 6 ; H e e r i n c k , Introductio in theolo-
giam spiritualem n. 6.
NATURA DELLA TEOLOGIA 21
re della conversione del peccatore alieno da ogni pra­
tica religiosa o che v iv e nell’incredulità o nel pagane­
simo. Riteniam o, con il P. D e G u ib ert23, che lo studio
della conversione di tale peccatore spetti alla Psico­
logia religiosa, se si tratta di descrivere i suoi svilup­
pi, i suoi m otivi e i suoi effetti; alla Teologia pastorale,
se si tratta dei m ezzi con i quali è possibile conseguir­
la; ed alla Missionologia, se si tratta della conversione
di un infedele o di un pagano. P erò, tenendo presente
la possibilità del peccato, anche m ortale, in u n ’anima che
aspira sinceramente alla perfezione cristiana, crediam o
che un trattato com pleto della vita spirituale ne debba
abbracciare tutto il panoram a, dagli inizi (giustifica­
zione del peccatore) fino all’ultim o coronam ento nel­
le sublim ità dell’unione con D io .
N o i lo farem o nella terza parte della nostra opera,
quando tratterem o delle diverse tappe della vita spi­
rituale.

D ) D e fin izio n e d e lla T e o lo g ia d e lla p erfe zio n e.

5. D o p o quanto abbiam o detto, possiam o tentare


una definizione della nostra T e o lo g ia della perfezio­
ne. V ediam o, in prim o lu o g o , le diverse definizioni
che hanno p rop osto i principali autori contem pora­
nei.
Il P . Garrigou-Lagrange dà la seguente definizione
descrittiva:
« L a T eo lo gia ascetica e m istica non è altro che l ’appli­
cazione della T eo lo g ia m orale alla direzione delle anime
verso un ’unione sempre più intim a con D io . Essa suppone
tutto quello che insegna la dottrina sacra circa la natura
e le proprietà delle virtù cristiane e dei doni dello Spirito
Santo, e studia le leggi e le condizioni del loro progresso in vista
della perfezione » 1 4.

23 Theo!, spirìt, n. 6.
Perfezione cristiana... c .i, a .i, p.3.
22 INTRODUZIONE GENERALE

In un ’altra sua opera scrive:


« Q uesta parte della T eo lo gia è, soprattutto, uno svi­
luppo del trattato deU’am or di D io e di quello dei doni
dello Spirito Santo, ed ha lo scopo di mostrarne le applica­
zioni e di condurre le anime all’ unione divina » 3 5 .

Il P . D e Guìbert:
« Si può definire la Teologia Spirituale com e la scienza che
deduce dai principi rivelati in che cosa consiste la perfe­
zione della vita spirituale e in che m odo l’uom o viatore
può tendere ad essa e conseguirla » j6.

Il Tanquerej si lim ita a dire che la scienza di cui


tratta ha il « fine di condurre le anime alla perfezione
cristiana » 27. P iù avanti però, quando cerca di d efi­
nire la. differenza tra l ’A scetica e la M istica, precisa
m aggiorm ente il suo pensiero, definendo Y Ascetica « la
parte della scienza spirituale che ha per o g g e tto p ro­
prio la teoria e la pratica della perfezione cristiana
dai suoi ini^i sino alla soglia della contemplazione infusa ».
L a Mistica è l ’altra parte della stessa scienza che « ha
per o g ge tto prop rio la teoria e la pratica della Vita con­
templativa a partire dalla prim a notte dei sensi e dalla
quiete fino al matrimonio spirituale » 2S.
L o Scbrijvers afferm a che « la scienza della vita spiri­
tuale si propone di dirigere tutta l ’attività del cri­
stiano verso la sua perfezione soprannaturale » 29.
Il P . N aval definisce la M istica com e « la scienza
che ha per o g ge tto la perfezione cristiana e la direzio­
ne delle anime verso la m edesim a » 3o.
T u tte queste definizioni co n v en go n o in ciò che è

: 5 L e ire età... v o i i , p. 9.
26 Theologia spiritualis n . 9.
27 Compendio ài teologia ascetica e mistici n. 3 c.
-8 Ivi, n. 10 e 11.
z9 I principi.., c. prel., a. 1.
3° Curso de Teologìa ascètica y misti:a n . ' i .
NATURA CELLA TEOLOGIA 23
essenziale, lim itandosi le divergenze alle sfum ature e
ai dettagli. U nificando quanto esse hanno di m eglio
e aggiu n gen d o la parte che spetta all’elem ento speri­
mentale offerto dai m istici ci sem bra che la T eo lo gia
della perfezione possa cosi definirsi:

Q u e lla p a rte d e lla T e o lo g ia c h e, basandosi su i


p r in c ip i d e lla riv ela zio n e d iv in a e su lla esp e­
rien za d e i sa nti, stu d ia l’ organism o d e lla vita
so p ra n n a tu ra le, spiega le leg gi d e l su o progres­
so e d e l suo s v ilu p p o , e descrive i l processo ch e
seg u o n o le a n im e d a g li in iz i d e lla vita cristia­
n a fin o a l vertice d e lla p erfezio n e.

Spieghiam o brevem ente i sin goli termini:


«Quella parte della Teologìa... » - Si conferm a quanto
abbiam o esposto sopra, vale a dire che la T eo lo gia della
perfezione differisce dalla T eo lo gia una soltanto com e la
parte dal tutto. N o n c’è tra loro una distinzione specifica
ed essenziale, ma solo modale ed accidentale. Tale dottrina, co ­
me vedrem o, è di grande im portanza teorica e pratica.
« ...che basandosi sui principi della rivelazione divina...» -
Diversam ente non sarebbe T eologia. E d è com pito della
T eo lo gia, facendo uso della ragione illuminata dalla fede,
rendere esplicite tutte quelle verità che sono virtualm ente
contenute nei dati rivelati. U n grande teo lo go m oderno
ha potuto definirla con due sole parole: explicatio fidei 3 1 .
« ...e sulle esperienze dei santi...» - L a T eo lo gia spirituale
ha due aspetti m olto diversi tra loro, perfettamente armo­
nici, benché subordinati. L ’elemento fondam entale è il
dato rivelato e le virtualità in esso contenute. D a esso
riceve solidità e dignità di vera scienza teologica.. Però
non è lecito prescindere dall’elem ento o dato jperimentale
offerto dai mistici, se non vogliam o costruire un sistema
aprioristico, lontano dalla realtà. Tale elemento deve es­
sere totalmente subordinato al prim o, ragion per cui il te o ­
lo go respingerà senza esitazione ogni dato proveniente dal

31 Ct. P. M a r i n S o la , O .P ., L a evolución homogènea del dogma cató/ico


B .A .C ., Madrid, pag. 612.
24 INTRODUZIONE GENERALE

campo sperimentale che non s’accordi perfettamente con i


dati certi 3'- che offre la T eo lo gia. M a è fuori dubbio che ha di
per sé una grande im portanza ed è indispensabile per ab­
bracciare in tutta la sua estensione il panorama teorico-pra-
ticó della vita soprannaturale, le cui leg g i e vicissitudini il
teo lo go non potrebbe spiegare senza i dati che gli offrono
coloro che rettamente l'hanno vissuta.
C i sembra, quindi, incom pleta qualsiasi definizione di
questa parte della T eo lo gia che non accolga e non faccia
proprio questo elemento sperimentale, che costituisce b u o ­
na parte della materia circa quam della investigazione teolo­
gica.
« ...studia l'organismo della vita soprannaturale... y> - È
quanto deve fare il teologo prima di passare allo studio
dello sviluppo e dell’incremento della vita cristiana. In que­
sta prima parte, fondam entale, egli deve attenersi, quasi
esclusivam ente, ai dati rivelati. Soltanto in base ad essi
potrà stabilire gli irreform abili principi della vita cristiana,
che non m uteranno a seconda delle diverse esperienze e
dei pregiudizi di determinate scuole.
« ...spiega le leggi del suo progresso e sviluppo... » - Una volta
indicate le caratteristiche dell’organism o soprannaturale, o c­
corre precisare il m odo secondo cui cresce e si sviluppa via
via fino a raggiungere la perfezione. L ’elem ento teologico,
derivante dai dati rivelati, conserva anche qui la sua prepon­
derante e quasi esclusiva im portanza, rispetto al dato spe­
rimentale.
« ...e descrive i l processo che seguono le anime... » - L a T eo ­
logia è una scienza speculativa e pratica ad un tem po, ben­
ché nel suo com plesso più speculativa che pratica 33. T u t­
tavia, questa parte della T eo lo gia che tratta delle questioni
attinenti la vita spirituale e la perfezione cristiana, ha m olte­
p lici aspetti che m irano alla pratica in m odo diretto e im ­
mediato. N o n basta conoscere i grandi principi della vita
soprannaturale e le leggi teoriche del suo progresso e del
suo sviluppo; è necessario esaminare il m odo secondo cui si
realizza tale evoluzione nella pratica e quali sono le vie che
effettivamente percorrono le anime nel lo ro cammino verso
la perfezione. Senza dubbio, l’ azione di D io sulle anime è
m olto varia e ogn un o ha, si può dire, la propria via; pure,

y- Sottolineam o la parola allo scopo di prevenire g li apprezzamenti


troppo precipitati emessi talora dai teologi speculativi.
33 I , i,4 .
IMPORTANZA DELLA TEOLOGIA 25
in tanta varietà e in tante sfumature, è possibile scoprire
alcuni tratti com uni, che perm ettono di indicare, almeno
nelle linee fondam entali, le fasi che si succedono nello
sviluppo normale della vita cristiana. Per questa parte de­
scrittiva sono indispensabili i dati dei m istici sperimentali.
Il teologo deve accoglierli, vagliarli alla luce dei principi
teologici e form ulare le leg gi teorico-pratiche che il diret­
tore spirituale applicherà con prudenza alle singole anime.
« ...dagli inizi della vita cristiana fino a l vertice della perfe­
zione » - L a nostra scienza deve abbracciate tutto il pano­
rama della vita spirituale, senza escludere nessuna tappa.
Tuttavia, il fine ultim o, a cui mira questa parte della T eo ­
logia sono le vette della perfezione che le anime devono
raggiungere. T ale aspetto è im portantissim o e, poiché
res denominantur a potiori, ha finito per dare il nom e alla no­
stra scienza.

3. - I m po rtan za e n e c e s s it à d e lla t e o l o g ia

D E L L A P E R F E Z IO N E

6. L a straordinaria importanza della T e o lo g ia della


perfezione si desume dalla sua stessa natura ed eccel­
lenza. N ulla per l ’uom o è tanto n obile ed elevato
quando lo studio della scienza che gli addita la via
e i m ezzi per giun gere all’intim a unione co n D io ,
suo prim o principio e ultim o fin e. In realtà, « una so­
la cosa è necessaria » (Luca 10,42): la salvezza dell’a­
nima; però soltanto in cielo saprem o apprezzare l ’e­
norm e differenza che passa tra la salvezza conseguita
nel suo infim o grad o (cristiani im perfetti) e la salvez­
za conseguita nel suo grado pieno e perfetto (santi).
Q uesti fruiranno di un grad o di glo ria m olto p iù al­
to e, soprattutto, glorificheranno im m ensam ente di
più D io per tutta l ’eternità. Il conseguim ento della
propria felicità, subordinata alla glorificazione e-
terna di D io , costituisce la ragione stessa della crea­
zione, della redenzione e della santificazione del g e ­
20 INTRODUZIONE GENERALE

nere um ano. N o n c ’è, quindi, n é ci p u ò essere un


o g ge tto più elevato e im portante di studio di quello
che costituisce l ’essenza della T eo lo g ia della perfezio­
ne.
L a sua necessità è m anifesta, soprattutto per i l
sacerdote, guida delle anime. Senza una profon d a co ­
noscenza delle le g g i speculative della v ita cristiana
e delle norm e pratiche della direzione spirituale, egli
cam minerà a tentoni n ell’ardua m issione di condur­
re le anime alla perfezione. Contrarrebbe cosi una gra­
v e responsabilità davanti a D io , frustrando forse più
di una santità c a n o n izz a rle . Per questo la Chiesa ha
disposto l ’istituzione di cattedre di T e o lo g ia asceti­
ca e m istica in tutti i grandi centri di form azione del
clero secolare e regolare 34.
A.ncbe ai fedeli risulterà utilissim o lo studio di que­
sta scienza. Si ricordi l ’im portanza che si è sem pre da­
ta nella Chiesa alla pratica della lettura spirituale. P o ­
che cose stim olano tanto il desiderio della perfezio­
ne quanto il contatto con i libri che insegnano con
m etodo, chiarezza e precisione le vie d ell’intim a u n io­
ne con D io . L a conoscenza di queste vie facilita e com­
pleta la direzione spirituale e potrebbe anche supplir­
la — almeno in gran parte — in quei n on rari casi
in cui le anime non d ispon gon o di un b u o n diret­
tore. T en en do presente la necessità di queste anime,
noi scenderem o spesso a dettagli e consigli pratici,
che non sarebbero necessari in un lib ro destinato esclu­
sivam ente ai direttori.

34 A A S 1931, 271, e Costituzione A postolica Sedes Sapientiae.


MODO I’ER STUDIARLA 27

4. - M o d o d i s t u d ia r l a

7. L ’ alunno che intraprende lo studio di questa


scienza deve possedere, anzitutto, un grande spìrito
di fede e di pietà. È tanto stretta la relazione tra la te o ­
ria e la pratica nello studio di simili questioni, che co ­
lui il quale n on possedesse una fede v iv a ed una pietà
intensa, n on sarebbe in grado di giudicare rettam ente
neppure dei principi speculativi. T rattan do della T e o ­
lo g ia in generale, S. T om m aso scrive:
« In aliis ergo scientiis sufficit quod hom o sit perfectus
secundum intellectum ; in ista vero requiritur quod sit perfectus
secundum intellectum et affectum. Loquenda sunt igitur alta
mysteria perfectis: sapientiam loquim ur inter perfectos.
Unusquisque enim, secundum quod est dispositus, sic iu-
dicat; sicut iratus aliter iudicat durante passione et aliter
ipsa cessante, et ideo dicit Philosophus quod unusquisque
qualis est talis finis sibi vid etu r» 3 5 .

A più fo rte ragione ciò vale p er la T e o lo g ia della


perfezione,
È necessario, inoltre, tener presente, durante lo
studio, le ìntime relazioni che intercorrono tra questa par­
te della Teologia e la dogmatica, la morale e la pastorale.
Ci sono dei punti fondam entali di 'dottrina ai quali
farem o soltanto accenno, supponendoli noti da un
profon d o studio delle altre parti della T e o lo g ia dove
trovan o il loro posto p rop rio ed adeguato. In nes­
sun’ altra scienza, com e nella T eo lo gia , s’applica il ce­
lebre aforism a attribuito ad Ippocrate: « Il m edico
che conosce solo la m edicina n on conosce neppure
la m edicina ». Per una proficua direzione delle anime,
occorre una approfondita conoscenza di tutta la T eo io -

35 Iti Epist. ad Hebr. c. j , lect. 3.


28 INTRODUZIONE GENERALE

già è delle scienze ausiliari, n on ultim e la P sicologia


razionale e sperimentale e la P ato lo gia som atica e psi­
chica del sistema n ervoso e delle m alattie m entali.

5. - M eto do

8. P oich é la nostra T e o lo g ia della perfezione è


una patte della T e o lo g ia una, subordinata alla dogm ati­
ca e alla m orale dalle quali prende i suoi principi fo n ­
damentali e po ich é, d’ altra parte, è prevalentem ente
una scienza pratica in quanto detta le norm e atte a
condurre le anime alla perfezione, il m etodo da usar­
si nello studiarla deve essere, ad un tem po, teo lo gico —
positivo e deduttivo — e induttivo 0 sperimentale, basato
sull’esperienza e l ’ osservazione dei fatti.
G li inconvenienti che possono derivare dall’uso esclu­
sivo di uno dei due m etodi sono gravissim i.
Il metodo descrittivo o induttivo, basato unicamente sui
dati dei mistici sperimentali, com porta questi inconvenienti:
1. D im entica che la T eo lo gia della perfezione è un ramo
della T eo lo gia una, per convertirla in una parte della Psico­
logia sperimentale. Cosi facendo l’avvilisce in una maniera
incredibile, perché le fa perdere quasi tutta la nobiltà e
la grandezza.
2. N o n può costituire, di per sé, una vera scienza.
Offre, sì, materiale per costruirla, perché presenta un com ­
plesso di fenom eni tratti dall’ esperienza che è necessario
spiegare; ma se non ne indichiam o la causa e le leggi alle
quali obbediscono, non abbiamo una scienza propriamente
detta. Per questo è indispensabile .ricorrere ai grandi prin­
cipi, secondo il m etodo deduttivo. D iversam ente, il diret­
tore di anime non riuscirebbe a superare i limiti di una ca­
sistica ristretta e sconcertante, ed andrebbe inevitabilmente
incontro a grandi equ ivoci e perplessità.
3. Inoltre, si corre facilm ente il perìcolo di dare ecces­
siva im portanza a quello che è secondario ed accidentale
nella vita cristiana (fenomeni concom itanti, grazie gratis
date) con pregiudizio di quello che è fondam entale (gra­
METODO 29
zia santificante e doni). D ifatti, uno dei più risoluti sosteni­
tori di tale m etodo, pur ammettendo la verità della dottrina
teologica dei doni dello Spirito Santo, prescinde quasi to ­
talmente da essa perché — dice — « è pressoché sterile
per i direttori» 3«, dal m om ento che non chiarisce i fatti
né le questioni pratiche di direzione. L a m aggior parte
dei teo lo gi ritiene, al contrario, che questa dottrina sia l ’u ­
nica che permetta di risolvere la questione, fondamentale
per la nostra scienza, che consiste nel determinare con la
massima precisione ciò che appartiene all’ordine della grazia
santificante e rientra nel suo normale sviluppo — anche
quando raggiunge le form e più elevate — e come tale alla
portata di tutti; e ciò che appartiene alle grazie gratis date,
che sono straordinarie ed eccezionali e superano le esigen­
ze com uni della grazia 37.
Il metodo analitico o deduttivo presenta, a sua volta,
altri inconvenienti, se lo si usa in m odo esclusivo:
1. Dim entica che i grandi principi della T eologia della
perfezione devono mirare alla direzione delle anime e,
quindi, devono concordare con i fatti sperimentali. Sareb­
be un errore accontentarsi dei principi di S. Tom m aso,
senza prendere in considerazione le m irabili descrizioni dei
grandi mistici, quali S. G iovann i della Croce, S. Teresa
di G esù, S. Caterina da Siena, S. Francesco di Sales, ecc.,
che tanto contribuiscono a chiarire e a rassodare i princi­
pi teologici.
2. Si corre il pericolo di stabilire come verità inconcusse
affermazioni aprioristiche che non concordano con l’espe­
rienza, né sono confortate dai fatti, p rovocan do un lamen­
tevole contrasto tra la teoria e ia pratica, a tutto discapito
della direzione delle anime.

S’im pone, dunque, il duplice m etodo d eduttivo


e in d u ttivo, analitico e sintetico, razionale e sperim en­
tale. Si studia, anzitutto, la dottrina rivelata quale
si trova nella Scrittura, nella T rad izion e e nel M a gi­
stero della Chiesa. Si determ ina, po i, seguendo il m e­
tod o deduttivo, la natura della vita cristiana, il suo
organism o soprannaturale, il m etodo secondo cui si

36 P. P o u la in , Delle Grafìe d 'O ra ^ io n e c . 6, n. 19 bis.


37 P . G a r r i g o u - L a g r a n g e , P erfezio n e cr istia n a ... p a g . 8.
30 IN T R O D U Z IO N E G EN ERALE

accresce, le leg g i che presiedono al suo svilu p po, l ’es­


senza della vera perfezione cristiana; g li elem enti che
rientrano nello svolgim en to norm ale della grazia san­
tificante com e esigenza intriseca della m edesim a e gli
elem enti che vanno ritenuti straordinari ed eccezio­
nali, perché fuori di questa esigenza. O g n i v o lta si
d evono esservare i fatti, raccogliere i dati dei m istici
sperim entali, esaminarne le p ro ve, le lotte, le difficol­
tà, i m etodi usati per raggiu n gere la santità, i risul­
tati conseguiti, ecc. T en en d o con to di tu tto que­
sto, si avrà la garanzia di procedere rettam ente nel-
l ’indicare e discernere l ’ essenziale dall’accidentale,
l ’ ordinario dallo straordinario, quello che è assolu­
tam ente indispensabile p er la santificazione di ogn i
anima da quello che è variabile e adattabile ai diversi
tem peram enti, alle circostanze, agli stati di vita, ecc.
Soltanto cosi si potranno dare norm e precise di dire­
zione, che n on dipenderanno da alcuni principi aprio­
ristici, n é da risultati sem pre p ro v viso ri e variabili
di una casistica rachitica e m alaticcia, m a dai grandi
principi teologici, verificati dall’esperienza e dal con ­
tatto diretto delle anime.
C i sem bra che questo sia l ’unico m etodo leg it­
tim o nello studio della perfezione cristiana e, com e
tale, sarà da n oi adottato nel corso di questo lavoro.

6. - F onti

9. Il duplice m etodo ci suggerisce le fon ti. Si p o s­


sono ridurre a due: L a Teologia e l ’esperienza. Cerchia­
m o di determ inare m eglio.

A . Fonti teologiche. O ccorre distinguere tra


quelle che sono com uni a tutte le parti della T eo -
FONTI 31
logia e quelle che sono proprie della T e o lo g ia della
perfezione 8S.
D elle com uni ricordiam o:
1. L a Sacra Scrittura. - I libri ispirati forniscono i
principi base sui quali si deve costruire la T eologia della
perfezione. In essi si tro va la dottrina speculativa riguardan­
te D io e l’uom o, fondam ento di tutta la vita spirituale.
Trattano della natura di D io , dei suoi attributi — immensità,
sapienza, bontà, giustizia, misericordia, p rovvidenza uni­
versale e particolare — della sua vita intima, delle proces­
sioni delle divine persone, dell’incarnazione, della reden­
zione, dell’incorporazione a C risto, della grazia santificante,
delle virtù infuse, dei doni dello Spirito Santo, delle ispira­
zioni attuali, dei sacramenti, delle grazie gratis date e, infine,
della consum azione della vita cristiana: la visione beatifi­
ca in Paradiso. I libri sacri, nello stesso tem po, ci fanno co ­
noscere i precetti — nei quali risiede essenzialmente la per­
fezione — e i consigli che ci aiutano a conseguirla in un
grado più elevato (soprattutto nei libri sapienziali e nel N u o ­
v o Testam ento). A n co ra, ci presentano i sublim i esempi di
virtù lasciatici dai Patriarchi e dai Profeti, nell’A n tico Testa­
m ento, e da Cristo, da M aria e dagli A p o sto li, nel N u o v o .
Q uasi ciò non bastasse, m ette a nostra disposizione una ric­
ca gamma di form ule di orazione (salmi, inni, dossologie,
Padre nostro...), atte ad alimentare nel m odo più perfetto
la nostra pietà e la nostra vita interiore. N o n c’è dubbio:
la Sacra Scrittura costituisce la fonte principale della T eo ­
logia della perfezione — com e di tutte le restanti parti
della scienza sacra — e la sorgente inesauribile della più
autentica pietà.
2. L a Tradizione e il M agistero della Chiesa. - C o ­
stituiscono u n ’altra fonte importantissim a della T eologia
e com pletano il deposito della rivelazione contenuta nella
Sacra Scrittura. L a testimonianza della Tradizione ci viene
conservata e manifestata autenticamente dalla Chiesa, sia
con il Magistero solenne (definizioni dogm atiche, simboli e
professioni di fede), sia con il Magistero ordinario esercitato
principalmente mediante Y insegnamento e la predicazione dei

38 Si dovrebbe inserire qui tutto il trattato dei Luoghi teologici, com ple­
tato da alcuni altri che sono in più stretta relazione con la nostra Teologia
della perfezione. C i accontenteremo dì brevi accenni.
32 INTRODUZIONE GENERALE

pastori della Chiesa, la vita liturgica, gli scritti dei santi Padri,
il consenso unanime dei teologi, le Congregazioni domane,
operanti sotto il controllo del Som m o Pontefice, e il consenso
unanime del popolo cristiano.
3. L a ragione illum inata dalla fede. - B enché i principi
fondam entali sui quali si basa la T eo lo gia siano stati rivelati
da D io e siano ammessi per fede, la ragione non è estranea
alla scienza sacra, anzi ne form a il sussidio indispensabile,
a cui unicamente spetta dedurre le conclusioni virtualm ente
contenute in quei principi. È necessario, inoltre, conferm are
alla luce della ragione le verità rivelate, m ostrando com e
esse non contengano nulla che si opponga alle sue legittim e
esigenze; occorre determinare, in ogn i problem a teo lo gico ,
lo stato della questione; illustrare con paragoni ed analogie
le verità della fede allo scopo di renderle più intelligibili;
respingere le obiezioni degli increduli e dei razionalisti,
che negano le verità della fede e la realtà soprannaturale
dei fenom eni della vita mistica, ecc. Il teo lo g o non può
prescindere dalla ragione, benché debba ricavare il suo
argom ento fondam entale sempre dalle fon ti autentiche
della rivelazione.

O ltre a queste fon ti prim arie com uni a tutta la T e o ­


logia, il te o lo g o che cerca di studiare e di dar form a
ad una T e o lo g ia della perfezione deve tenere presen­
ti altre fon ti più direttam ente in relazione con questa
materia. L e principali sono:
4. G li scritti dei santi e dei m istici sperim entali. - A
prescindere dal valore inestimabile che hanno dal punto di
vista descrittivo della vita spirituale, tali scritti spesso acqui­
stano una ulteriore im portanza a m otivo dell’autorità che
ha conferito loro la Chiesa, canonizzandone gii autori o
dichiarandoli dottori della Chiesa. In questo senso sono inso­
stituibili per la T eo lo gia della perfezione gli scritti spiritua­
li di S. A go stin o , S. Bernardo, S. Tom m aso d’A qu in o ,
S. Bonaventura, S. G iovann i della Croce, S. Francesco di
Sales, S. A lfo n so de’ L ig u o ri ed altri, che alla scienza teo­
logica accoppiarono una profonda esperienza delle vie di
D io . A ltrettanto va detto per le grandi maestre della vita di
orazione, com e S. G ertrude, S. Brigida, S. Caterina da
Siena e, soprattutto, S. Teresa di G esù. L a chiesa chiede u f­
ficialmente nella liturgia che « siamo alimentati con il ce­
FONTI 33
leste pascolo della dottrina » 39 della riform atrice del Car­
melo.
Il teologo non può limitarsi allo studio dei mistici speri­
mentali che sono stati canonizzati. D e ve rivolgere la sua
attenzione anche a tutto il tesoro m istico dottrinale racchiu­
so nelle opere degli autori che rappresentano le varie ten­
denze e le varie scuole.
5. Le rite dei santi forniscono anch’esse dati preziosi
per la descrizione della vita spirituale, m ettendoci innanzi
i m odelli e gli esemplari che la stessa Chiesa propone alla
nostra imitazione. T ra le altre, eccellono le autobiografie
che scrissero i santi spinti dall’obbedienza o le biografie
che hanno per autore un altro santo.
6. L a storia della m istica e della spiritualità cristiana. -
È un’altra importantissim a fonte per il teologo. Difatti,
benché la spiritualità cristiana, come la grazia di D io nella
quale si fonda, rimanga sempre la stessa nei suoi elementi
essenziali, giova m olto conoscere il m odo com e furono
applicati i suoi principi lun go i secoli e attraverso le varie
tendenze e scuole, allo scopo di controllare procedim enti,
prevenire illusioni, evitare deviazioni, intensificare i mezzi
che l ’esperienza ha dim ostrato essere più efficaci per la san­
tificazione delle anime, investigare quel che costituisce il
fondo cumune di tutte le scuole e quello che è soltanto una ten­
denza o aspirazione particolare di alcune di esse. Ricordia­
mo che la storia è la maestra della vita; e forse in nessun al­
tro campo la sua conoscenza può fornirci dati altrettanto i-
struttivi.
7. La storia dei fenomeni religiosi fuori della Chiesa. -
È una fonte sussidiaria m olto meno im portante delle altre,
dal mom ento che i principi del cristianesimo — unica re­
ligione rivelata — differiscono sostanzialmente da quelli
delle false religioni. I primi sono strettamente soprannatura­
li; i secondi sono semplicemente naturali. T uttavia, è utile
conoscere i fenomeni della psicologia religiosa del pagane­
simo (stati interni di consolazione o di tristezza, form e di
orazione, pratiche ascetiche e penitenziarie, associazioni di
vita di perfezione, ecc.) che spesso traducono le esigenze
più profonde della psicologia umana e che il teo lo go può
utilizzare per trasferirle, debitamente corrette, all'ordine
soprannaturale cristiano, o com e fonte di inform azione

39 Cf. l’orazione liturgica della festa di S. T e re sa (15 ottobre).


34 INTRODUZIONE GENERALE

per m eglio delimitare il campo soprannaturale da quello


puramente naturale o preternaturale 4°.

B. F o n ti sp e rim e n ta li. Per fonti sperimentali


intendiam o n on solo quelle che proced on o dalla
propria o altrui esperienza nelle v ie di D io , ma
i dati che ci som m inistrano le scienze fisio-psicologich e,
necessari per la retta interpretazione di m olti fenom e­
ni straodinari che si p rod u con o soprattutto negli sta­
ti m istici. Il te o lo g o d eve tenere specialm ente in consi­
derazione:
1. L a psicologia razionale e sperimentale. - L a prima
c’insegna il funzionam ento delle nostre facoltà esterne ed
interne; in che m odo si form ano le nostre idee; quali sono i
m oventi che dirigono la nostra vita affettiva e sentimentale;
la natura della nostra anima, le sue funzioni com e form a so­
stanziale del corpo; l ’influsso che da una tale unione deri­
va per entrambi. L a p sicologia sperimentale completa
i principi di quella razionale con i dati raccolti dall’osserva­
zione e dall’analisi dei fa tti in soggetti norm ali e patolo­
gici. L o studio degli stati m orbosi, tanto fisici quanto
psichici, è di capitale im portanza per distinguere il sopran­
naturale dal preternaturale e dal semplicemente naturale
in m olti fenom eni all’apparenza soprannaturali e mistici.
Si è p rovato m olte vo lte che devo n o essere attribuiti a cau­
se patologiche puram ente naturali m olti fenom eni che un
tem po si facevano risalire a cause soprannaturali o preter­
naturali (D io o il dem onio). Q uesto è di grande importan­
za per giudicare delle infestazioni diaboliche, delle visioni,
delle locuzioni, aridità, euforie, consolazioni, ecc., che
m olte volte sono dovute a semplici cause naturali in un
soggetto temporaneamente o abitualmente p atologico 41.
2. L ’ esperienza propria. - N essun’altra fonte potrà sup­
plire interamente la esperienza propria per giudicare retta-

4° C f . P . M a r e c h a l , Essai sur Véìude comparii des mysiicismes, i n « R evue


dès Quest. Scientifìques », 1526 pag. 81 ss, ed Etudes sur la psychologie des
mystiques, t. z , pag. 411-8}.
41 È u t il e a q u e s t o r i g u a r d o l e g g e r e i l l i b r o d e l P . J . d e T o n q u e d e c ,
A cciin diabòlica 0 enfermedad? , R a s ó n v F e , M a d r id , 1948.
FONTI 35
mente delle vie di D io . Q uesta affermazione è stata confer­
mata senza fine da quei scrittori razionalisti che hanno cer­
cato di interpretare, sia pure in buona fede, le esperienze
dei m istici 4*. P rivi della luce della fede, sono radicalmente
incapaci di com prendere la vita cristiana. L ’elemento so­
prannaturale, che ne costituisce l ’essenza, sfugge loro ine­
sorabilmente.
N o n basta neppure possedere la vita della grazia nei suoi
gradi iniziali per giudicare rettamente di certi fenom eni
mistici. C i sono delle cose che si com prendono soltanto se
si ha una perfetta affinità spirituale con esse. Si applica qui
quel principio tante vo lte ricordato da S. Tom m aso che
« unusquisque secundum quod est dispositus sic iudicat » 43.
Scriveva Baiteli « Ceteris paribus, doctior erit in theologia qui
caritatem habuerit quam qui non habuerit, quia sine caritate non
sunt coniuncta huiusm odi dona Spiritus Sancti cum fide,
quae illum inat m entem et intellectum dat parvulis; unde
videmus egregios theologos non mediocri sanctitate fuisse praedi-
tos » «. Se ciò vale per lo studio della T eo lo g ia in genera­
le, a fortiori lo si deve ripetere per la T eo lo gia della perfe­
zione.
3. I l contatto con le anime. - A lla propria esperienza
occorre aggiungere il contatto diretto e costante con le
anime. Chi vu ole conoscere a fo n d o le vie di D io , non
può accontentarsi dello studio teorico della mistica e nep­
pure dell’esperienza propria; s’im pone il contatto con le
anime. N o n tutte giu n gon o alla perfezione per lo stesso
sentiero e con g li stessi procedim enti ascetico-m istici. N on
basta conoscere una via; è necessario conoscerne il m aggior
num ero possibile. Benché questa induzione sia destinata
a rimanere forzatamente incom pleta — o gn i anima procede
per la sua via ed è im possibile conoscerle tutte — pure,
dalla costante osservazione delle diverse v ie attraverso
le quali D io santifica le anime, il teo lo g o apprenderà
due cose m olto im portanti: a n on proclam are in teoria de-

4* S i v e d a n o , p e r e s e m p io , g l i s t u d i d i J . B a r u z i , Saint Jean de la C ro ix
et le problème de l ’experìence mystìque, P a r i s , 18 6 0 ; d e l P . R o u s s e l o t , Les my-
jtiques espagmles, z e d ., P a r is , 1869; e q u e ll o d i H . D e l a c r o i x , Etudes d’hì-
stoire et de psychotogìe du mysticisme. I j ì s grandes mystìques chrètìennes, P a r i s ,
19 0 8 .
43 In Epist. ad Hebr. c . 5 , le c t . 2.
44 B à n e z , /« / 1. 4 ad 2 confìrmatìanem 2 a r g .
36 INTRODUZIONE GENERAI .E

terminati metodi e procedimenti com e gli unici possibili e siculi


per la santificazione delle anime e a rispettare nella pratica
l ’ iniziativa di Dio, che conduce ogni anima per una via spe­
ciale fino alla sommità della perfezione.

7. - D i v is i o n e

10 . N o n c ’è uniform ità di criterio tra g li autori


allorché si tratta di dividere la nostra scienza nelle sue
diverse parti.
Il P . D e Guibert divide la sua Theologia spiritualis
Ascetica et M jstica in quattro parti fondam entali: 1. E s­
senza della perfezione spirituale e cause che la p rom u o­
v o n o o la im pediscono. 2. M ezzi ed esercizi con i quali
l ’uom o tende alla perfezione. 3. G rad i per i quali D io
v u o le condurre l ’uom o alla perfezione. 4. D ifferen ti
stati di vita nei quali l ’uom o p u ò tendere alla perfe­
zione 45.
Il P . Schrijvers considera le quattro cause: finale,
efficiente, materiale e form ale e in base ad esse divide
i suoi Principi della vita spirituale4e.
Tanquerey divide il suo Compendio di Teologia ascetica
e mistica in due parti: una teorica, che intitola « I
principi », e u n ’altra più p sicologica e sperimentale,
che applica questi principi secondo le « tr e v i e » 4’ .
Il P . Garrigou-Lagrange adottò per T e tre età della
vita interiore la divisione in cinque parti: 1. L ’ origine
della vita interiore e il suo fine. 2. La purificazione del­
l ’anima dei principianti. 3. I progressi d ell’anima gu i­
data dalla luce dello Spirito Santo. 4. L ’unione delle

45 C f. D e G u i b e r t , o. c n . 12.
4 6 Cf. S c h r i j v e r s , o .c.t p a g . 10.
47 Cf. T a n q u e r e y , o .c.t n. 48.
DIVISIONE 37
anime perfette con D io . 5. L e grazie strord in arie48.
Il P . Crisogono divide il suo Compendio de Ascetica
y Mistica in quattro parti: 1. Principi della vita sopran­
naturale. 2. L ’ Ascetica. 3. L a M istica. 4. P rofilo stori­
co 4".
A ltri autori p ro p o n g o n o division i che, più o me­
no, si avvicinano a quelle che, a m o ’ d ’esem pio, abbia­
m o ricordate 6 °.
N o i dividerem o la nostra Teologia della perfezione
in quattro parti principali:
Prima parte: Fine della vita cristiana.
Seconda parte: Principi fondam entali della T eo lo gia
della perfezione.
Ter^a parte: L o svilu p po ordinario della vita cristia­
na.
Quarta parte: I fenom eni m istici straordinari.

4 8 G a r r i g o u - L a g r a n g e , o .c.,
pag. 26-27.
49 C f .
P. C r i s o g o n o , o .c., p r o l .
5° M olte sì possono vedere i n H e e r in c k , In tro du cilo in Theologiam sp i­
rituale?» , pag. 135 ss.
PARTE I

IL FINE
CA PITO LO I

IL FINE DELLA VITA CRISTIANA

La considerazione del fine è la prima cosa da farsi nello


studio di una qualsiasi realtà dinamica. P oich é la vita cri­
stiana è essenzialmente dinamica e perfettibile, almeno
nella attuale condizione di viatori, è necessario che anzitut­
to sappiamo dove andiamo, qual è il fine che intendiam o rag­
giungere. Per questo, S. Tom m aso com incia la parte m ora­
le del suo sistema — il ritorno dell’uom o a D io — con la
considerazione del fine ultim o

A lla vita cristiana si posson o assegnare due fini:


un fine ultimo o assoluto e un fine prossimo o relativo.
Il prim o è la gloria di D io; il secondo, la nostra san­
tificazione.

i. - L a g l o r ia d i D io , f in e u l t im o

e a sso lu to d e lla v it a c r is t ia n a

11. È divenuta classica la definizione della gloria:


clara notitìa cum laude. In forza della sua stessa de­
finizione, esprime qualche cosa di estrinseco al sog get­
to cui si riferisce. T u tta v ia in un senso m eno ristretto,
possiam o distinguere in D io una duplice gloria: V'in­
trinseca, che sgorga dalla sua vita intim a, e l ’ estrin­
seca, che procede dalle creature.
L a gloria intrinseca è quella che convien e a D io in

* I-JI. i.
42 IL FINE

seno alla SS. Trinità. Il Padre — per via di generazio­


ne intellettuale — concepisce di sé u n ’idea perfettissima:
è il suo V e rb o , nel quale si riflettono la sua vita, la
sua bellezza, la sua im m ensità, la sua eternità, tutte le
sue infinite perfezioni. D alla m utua contem plazione,
tra il Padre e il F iglio si stabilisce — per via di p ro­
cessione — una corrente di indicibile amore: lo Spirito
Santo. T ale conoscenza e tale am ore, tale lode eterna
ed incessante che D io prod iga a se stesso nel m istero
incom parabile della sua vita intim a, costituisce la g lo ­
ria intrinseca di D io , glo ria infinita e perfetta, alla quale
le creature intelligenti e l’intero u niverso non sono
in grad o di aggiu ngere nulla.
D io è infinitam ente beato iti se stesso e n on ha
alcun b isogn o delle creature, è vero; ma D io è am ore 2,
e l ’am ore, per sua natura, è comunicativo. D io è il bene
infinito, ed il bene tende a diffondersi: bonum est dif-
jusivum sui, dicono i filosofi. E cc o il m o tiv o della crea­
zione.
D io vo lle com unicare le sue infinite perfezioni
alle creature, per la sua gloria estrinseca. L a glorificazio­
ne di D io da parte delle creature è, in definitiva, la ragio­
ne ultim a della creazione 3.
L a spiegazione è evidente, anche alla luce della
sola ragione naturale, n on illum inata dalla fede. È un
fatto filosoficam ente indiscutibile che o g n i essere che
agisce, agisce per un fine, soprattutto quando questo es­

2 iG io v . 4,16.
3 Scrive S. Tom m aso: « Q uanto di desiderabile si p u ò trovare in ogni
sorta di felicità, preesiste in m odo più elevato nella beatitudine divina.
Q uanto alla felicità contem plativa, D io ha la contem plazione continua e
certissima di se stesso e di tutte le altre cose, e quanto a quella attiva, E g li
ha il go verno di tutto l’universo. D ella felicità terrena che, secondo B o ezio,
consiste in piaceri, ricchezze, dom inio, dignità e fam a, com e diletto E g li ha
il godim ento di se stesso e di tutte le altre cose; com e dom inio, ha l’o n ni­
potenza; com e dignità, ha il go verno di tutti g li esseri, e com e fama, l’am m i­
razione di tutte le creature» (I, 26,4).
IL FINE DELLA VITA CRISTIANA 43

sere è dotato d ’intelligenza. D io , dunque, prim o agente


intelligentissim o, deve operare sempre per un fine.
O ra, siccom e gli attributi di D io e le sue azioni divine
n on si distinguono, ma s’identificano pienam ente con
la sua essenza, se D io avesse inteso nella creazione
un fine distinto da se stesso, avrebbe subordinato
questa azione a tale fine — poiché o g n i agente pone
l ’azione al servizio del fine che si è p rop osto agendo —
e con l’azione avrebbe subordinato se stesso, dal m o­
m ento che la sua azione è egli stesso. T a le fine sarebbe
superiore a D io ; D io n on sarebbe p iù D io . È , quindi,
assolutam ente im possibile che D io , quando opera, ri­
cerchi un fine distinto da se stesso. D io ha crea­
to tutte le cose per la sua gloria; le creature n on posso­
no esistere se non in lui e per lui 4.
Q uesto n on soltanto n on suppone u n « egoism o
trascendentale » in D io — com e ha osato afferm are,
con blasfem a ignoranza, un filosofo — ma è il colm o
della generosità e del disinteresse. N o n cercò la propria
utilità — le creature n on potevan o aggiu n gere asso­
lutam ente nulla alla sua felicità e alle sue infinite per­

4 C f. I, 44,4. Si n o ti — per una più chiara intelligen2a della finalità


della creazione — che a D io conviene operare per il fine n on soltanto ex
parte operis seu operati, m a anche ex parte operantis; non com e le creature,
per il desiderio di un fine che ancora n o n ha conseguito perfettamente
ma per l'amore di quésto fine che possiede in form a sempre attuale e che al­
tro n on è se n o n la sua bontà identificata con la sua essenza. Perciò dice
S. Tom m aso (in D e poi. 3,15 ad 14): « Com m unicatio bonitatis non est
ultimus finisf sed ipsa divina bonitasy ex cuius am ore est quod D eus eam cóm -
municare vult; non enim ag it propter suam bonitatem quasi appetens quod
n on habet, sed quasi volens com m unicare quod habet, quia agit n on
ex appetitu finisy sed ex amore finis ». N e deriva che il fine ultim o di tutte le
creature è la gloria di D io , o , m eglio ancora, è D io che si deve glorificare:
« T o tu m universum — dice S. Tom m aso (I, 65,2) — cum singulis suis
partibus, ordinatur in Deum sicut in finem, in quantum in eis per quamdam
im itationem divina bonitas repraesentatur ad glor'tam D e i ». C f. Ram irez,
D e hominis beatitudine t. I, n. 932-38.
44 IL FINE

fezioni — ma vo lle unicam ente com unicare loro la


sua bontà. D io ha disposto in tal m odo le cose, che le
creature trovan o la loro felicità nel glorificare lui.
P erciò S. T om m aso ^afferma che solo D io è infinita­
m ente libero e generoso: non opera per indigenza,
quasi per avere qualcosa che ancora non possiede,
ma unicam ente per bontà, per com unicare alle creature
la propria felicità
L a scrittura è piena di espressioni nelle quali D io
reclama per sé la sua gloria. « I o sono il Signore; que­
sto è il m io nom e e la mia glo ria non darò ad al­
tri, n é il m io van to ai sim ulacri » (Is. 42,8); « Per ri­
spetto a me, per rispetto a me stesso lo farò; e per­
chè lascerei oltraggiare il m io nom e ? e l ’ onore a me
d o vu to n on cederò ad altri » (Is 48,11); « D a ’ retta a
me, o G iacob b e, o Israele da me chiam ato. Sono io,
sono io il prim o, e sono pu r l ’ultim o » (Ivi, 12); « Io so­
no l’alfa e l’om ega, dice il S ign ore D io; C o lu i che è,
che era, C olui che viene, l ’ O n nipoten te» (A p . 1,8), ecc.
L a gloria di D io ? E cco l’alfa e l’om ega, il principio e
la fine di tutta la creazione. L a stessa incarnazione del V e r­
bo e la redenzione non si p rop ongon o altro che la gloria
di D io: « Q uando poi siano state sottoposte a lui tutte le
cose, allora anche lo stesso F ig lio sarà sottoposto a Q uello
che sottopose a lui tutte le cose, affinché sia Iddio tutte
le cose iti tu tti» (iC o r. 15,28). L ’apostolo ci esorta a non fa­
re un solo passo che non sia ordinato alla gloria di D io:
« Sia dunque che m angiate, sia che beviate, sia che facciate
alcunché, tutto fate a gloria di D io » (iC o r . 10,31); infatti,
non siamo stati predestinati in Cristo se non per convertirci
in una perpetua lode di gloria della SS. Trinità: « Com e pure
ci elesse in lui prima della fondazione del m ondo, affinché
fossim o santi ed immacolati al cospetto suo in amore; egli

5 « A g ere propter indigentiam , n on est nisi agentis im perfecti, quod


natum est agere et pati. Sed h oc D e o n on com pctil. E t ideo ipse sotus est
maxime tiberatis: quia non agit propter suam utilitatem, sed sotum propter suam
bonìtatemyj (I, 44,4 ad 1); cf. 19,2 ad 3.
IL FINE DELLA VITA CRISTIANA 45
ci predestinò ad adozione filiale in lui mediante Gesù
Cristo, conform e al beneplacito della sua volon tà, in lode
di gloria della sua grafia » (Ef. 1,4-5; cfr - v - 12 e J4 )- T utto
deve essere subordinato a questo suprem o ideale. L ’anima
stessa non deve procurare la sua salvezza o santificazione
se non in quanto con essa glorificherà m aggiorm ente D io .
L a propria salvezza o santificazione n on può mai con ver­
tirsi in fine ultim o. O cco rre desiderarla e lavorare inces­
santemente per raggiungerla; però solo perché D io lo
vu ole, perché ha inteso glorificarsi rendendoci felici, perché
la nostra felicità risiede ne)l'eterna lode della gloria della SS.
T rinità 6.
T ale è il fine ultim o e assoluto di tutta la vita cristiana,
ad esso l’anima che aspira a santificarsi deve mirare, verso
di esso deve indirizzare i suoi sforzi e i suoi desideri. N ulla
deve prevalere. Il desiderio stesso della propria salvezza o
santificazione deve passare in secondo ordine: com e il mez­
zo più opportuno per conseguirlo pienamente. Il cristiano
deve rassom igliare a S. A lfo n so de’ L ig u o ri, il quale « non
aveva nella mente che la gloria di D io » 1, e deve fare proprio
il m otto che S. Ignazio lasciò alla sua Com pagnia: « Per la
m aggior gloria di D io ». In definitiva, è questo l’atteggia­
mento adottato da tutti i santi a partire da S. Paolo, che,
scrivendo ai Corinti, ci lasciò la consegna più importante
della vita cristiana: Omnia in gloriarti D ei facile: fate tutto a
gloria di D io s.
L a santificazione della nostra anima non è, quindi, il
fine ultim o della vita cristiana. Sopra di essa sta la gloria
della SS. Trinità, termine assoluto di tutto quanto esìste.
Q uesta verità, tanto evidente per coloro che am m ettono
la trascendenza divina, in pratica non appare dominante
nella vita dei santi se non m olto tardi, quando la lo ro ani­
ma si è consum ata d’am ore, nell’unità di D io . Soltanto al
vertice dell’unione trasform ante, identificati pienamente
con D io , i lo ro pensieri e i loro desideri procedono all’u ­
nisono con il pensiero e il volere di D io . Uniche eccezioni:
Cristo e Maria, i quali dal prim o istante della lo ro esistenza,
hanno realizzato con perfezione quel program m a di glori-

P o l l i e n L a vita interiore semplificata p . 1 , 1. 1 ;


6 C f . s u ll ’ a r g o m e n t o :
e P h ilip o n , O .P ., L a dottrina spirituale di Suor Elisabetta della Trinità c . 4 .
7 S c h r i j v e r s , Iprincipi della vita spirituale I. t , p .3 , c .4 .
8 i C o r . 1 0 ,5 1 .
46 IL FINE

fic a z io n e d iv in a , c h e è il te r m in e n e l q u a le si r is o lv e o g n i
p r o c e s s o d i s a n t i f i c a z i o n e s u q u e s t a t e r r a 9.
- N ulla, quindi, deve preoccupare ta n to . u n ’anima che
aspira alla santità quanto il costante oblio di sé e la sin­
cera ricerca della gloria di D io . « N e l cielo della mia anima,
diceva Sr. Elisabetta della Trinità, la gloria dell’Eterno,
nient’altro che la gloria dell’ E t e r n o » 10.

2 . - L a S A N T IF IC A Z IO N E D E L L ’ A N IM A ,
F IN E P R O S S IM O E R E L A T IV O D E L L A V IT A C R IS T IA N A

12 . D o p o la glorificazione di D io , e ad essa del tut­


to subordinata, la vita cristiana si propone la santi­
ficazione della nostra anima. Il battesim o, porta d ’in­
gresso alla vita eterna, pone nelle nostre anim e una
« semente di D io »: la grazia santificante. Q u esto ger­
me d ivin o è destinato a svilupparsi pienam ente, a
produrre la santità. T u tti siamo chiamati a raggiu n ­
gerla, benché in gradi diversi, secondo la m isura del­
la nostra predestinazione in Cristo n .
In che cosa consiste propriam ente la santità ? Che
cosa significa essere santi? Q u al è il suo costitu tivo
intim o ed essenziale ?
L e risposte p iù com uni sono tre: la santità consi­
ste nella configurazione a C risto, neU’unione con D io
mediante l’ am ore e nella perfetta conform ità alla v o lo n ­
tà di D io .
D elle due ultim e parlerem o diffusam ente nei para­
grafi corrispondenti 12. Q u i ci sofferm erem o sulla p ri­

9 Cf. P h IL IP O N , O.C,t c. 4.
10 Ritiro d i Laudem gloriae gio rn o 7.
11 Cf. E f. 4, 7-13; R om . 12,3; iC o r. 12,11.
13 Cf. Natura della perfezione cristiana n. 109-17, e Conformità con la VO'
Ionia di D ìo n. 495-99.
LA CONFIGURAZIONE A CRISTO 47
ma, la più profonda e teologica, che getta le sue radici
nelle fon ti stesse della rivelazione. T u tto il m essaggio
di S. P aolo si può ridurre alla necessità, per noi, di
configurarci pienam ente a C risto onde giungere alla
perfezione.

C A P IT O L O II

L A C O N F I G U R A Z I O N E A C R IS T O

L a configurazione a Cristo è lo scopo di tutta la nostra


vita cristiana ordinata alla propria santificazione e alla glo ­
ria di D io , termine ultim o e assoluto della creazione. N el
piano attuale della divina P ro vvid en za n on possiam o
santificarci n é glorificare D io se n on per m ezzo di G esù
Cristo e in lui.

13. Spesso nella predicazione e nei lib ri di pietà


si dà p o co risalto alla parte preponderante della persona
di C risto nella nostra santificazione. L a « d evozion e a
nostro Signore » vien e presentata com e u n o dei tanti
tne^yj, al pari della lettura spirituale, dell’ esame di co­
scienza o del program m a di vita. Cosi si deform a la
pietà dei fedeli i quali si fanno u n ’idea m olto confusa
di ciò che in realtà costituisce la pietra angolare dell’e-
dificio della nostra santificazione.
N o n saremo santi se non nella m isura in cui viv ia ­
m o la vita di C risto o, m eglio ancora, nella m isura in
cui C risto vive la sua vita in noi. Il processo di santifi­
cazione è un processo di crìstificas(tone. Il cristiano deve
diventare un altro Cristo: christianus alter Christus,
Solam ente quando potrem o dire « v iv o m a n on più
io , bensì v iv e in me Cristo » (G al. 2,20), saremo sicuri
di aver raggiun to la perfezione cristiana.
48 IL FINE

Esam inerem o, quindi, le linee fondam entali di quel­


lo che S. P aolo chiama il « m istero di Cristo, nel quale
sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della con o­
scenza » (C ol. 2,2-3).

A rtico lo I

l i mistero di Cristo

M a r m io n , Cristo vita delVanima; Cristo nei suoi misteri; Cristo ideale fai
monaco', M ersch , L e corps mystiqm du Christ; P r a t , Teologia di S. Paolo;
E . M u r a , I l corpo mistico di Cristo; P l u s , S.J., Cristo in noi; Cristo nei nostri
fratelli; S a u v e ’ , Jésus intime; h e Sacrè-Coeur de fesus; J a e g h e r , S .J ., L a vida
de identificación con fesucristo; A d a m , Gesti, il Cristo; Cristo, nostro fratello;
S c h u t z , Cristo; G o m a ’ , Jesutriìto redentor; S a u r a s , E l cuerpo mistico de C ri­
sto.

L ’attività che C risto sv o lge nella vita delle sue m em ­


bra v iv e costituiva l’idea ossessionante di S. Paolo.
L a sua costante preoccupazione fu di rivelare al m ondo
il «m istero di C risto » (C ol. 4,3), questo «sacram ento
n ascosto» (E f. 3,9) nel quale abita corporalm ente la
pienezza della divinità (C ol. 2,9), nel quale il cristiano
troverà tutte le cose (ivi, 10) e sarà ripieno della pienez­
za di D io (E f. 3,19).
N o i esporrem o le linee fondam entali della dottrina
cristologica in relazione alla vita spirituale, prendendo
com e punto di partenza le parole stesse di C risto conser­
vateci nel V an ge lo di G iovan ni: « Io sono la V ia, la
V erità e la V ita » (G io v . 14,6).

1. - G esù C r is t o , v ia

14 . G esù Cristo è l ’unica V ia. N essuno può andare


al Padre se non per m ezzo di lui (G io v . 14,6), giacché
LA CONFIGURAZIONE A CRISTO 49
non ci fu dato un altro nom e sotto il cielo mediante il
quale possiam o salvarci (A tti 4,12).
Secondo il piano d ivin o della nostra predestinazio­
ne, la santità alla quale D io ci chiam a con la grazia e
l ’adozione soprannaturale consiste in una partecipa­
zione alla vita divina portata al m ondo da G esù. Consta
espressamente dalla rivelazione:
« Com e pure ci elesse in lui prim a della fondazione
del m ondo, affinché fossim o santi e im m acolati al cospetto
suo in amore; egli che ci predestinò ad adozione filiale in
lui mediante G esù Cristo, conform e al beneplacito della
sua volontà, in lode di gloria della sua grazia che grazio­
samente ci elargì nell’ amato suo F ig lio » (Ef. 1,4-6).

G esù C risto ha ristabilito il piano d ivin o della n o­


stra salvezza, distrutto dal peccato di A d am o. « L ’a­
m ore di D io verso di noi si è dim ostrato in questo,
nell’ avere il Padre mandato nel m óndo il suo F iglio
unigenito, affinché noi avessi/no la vita per me%%o di lui:
ut vivamus per eumv> ( iG io v . 4,9). D ’ora innanzi, Cristo
sarà tunica via per andare al Padre: « Nessuno viene al
Padre se non per m ezzo di me » (G io v . 14,6). Senza di
lui non possiam o fare assolutam ente nulla: nihìl (G io v .
15,5). T utta la preoccupazione del cristiano deve consi­
stere nel viv ere la vita di Cristo, nell’incorporarsi a
lui, nel lasciar circolare attraverso le sue vene, senza
frapporre ostacoli, la linfa vivificatrice di Cristo. P er­
ché egli è la vite e noi i tralci; la vita del tralcio dipen­
de dalla sua unione alla vite, dalla quale riceve la linfa
vivificante. Separato da essa, secca e viene buttato nel
fu o co (G io v . 15,1-6).
S. Paolo n on tro vava parole appropriate per esprimere
l ’ineffabile realtà dell’incorporazione del cristiano alla vita
divina. La vita, la morte, la risurrezione del cristiano:
tutto deve operarsi nella più intima unione con Cristo.
N elFim possibilità di esprimere questa realtà con i ter­
mini correnti del lin gu aggio umano, coniò espressioni del
tutto nuove, anche se ancora inadeguate: Siamo morti
50 IL FINE

con Cristo: commortui (2T im . 2,11), con lui siamo stati


sepolti: consepultì (Rom. 6,4), con lui siamo risuscitati:
conresuscitati (Ef. 2,6), con lui siamo stati vivificati: convivi-
ficavit nos in Cbristo (Ef. 2,5) e compiantati: et compiantati
(Rom . 6,5), affinché viviam o con lui: et convivemus (2 Tim .
2,11), e con lui eternamente regniam o: et consedere fecit in
coelestibus in Christo lesu (E f. 2,6).

Scrive D o m C olum ba M arm ion nel suo m agnifico


volum e, Cristo, vita dell’anima:
« D obbiam o com prendere che non saremo santi che
nella misura stessa in cui la vita d i G esù Cristo sarà in noi,
D io ci domanda solo questa santità, n é ve n’è altra. Saremo
santi in G esù Cristo o non lo saremo affatto. L a creazione
non trova in se stessa nessun atom o di questa santità;
essa deriva da D io per un atto sovranam ente libero della
sua potentissim a volon tà, e perciò esso è soprannaturale.
S. Paolo rileva più di una vo lta sia la gratuità del do ­
no d ivin o dell’adozione, sia l’eternità dell’ amore ineffa­
bile, che ha risolto di renderne partecipi anche noi, e il
m ezzo am m irevole della sua effettuazione per la grazia di
G esù Cristo » 1 . [

C risto è, quindi, l ’unica via per andare al Padre,


l ’unica form a possibile di santità nel piano attuale della
divina P rovvid en za. Solam ente per lui, con lui ed in
lui possiam o raggiun gere la m èta e l ’ideale fissato da
D io nella creazione, redenzione e santificazione del
genere umano: la lode della sua gloria (cfr. E f. 1,5-6).
L a Chiesa ce lo ricorda tutti i gio rn i in uno dei m om enti
p iù augusti del sacrificio d ell’altare: « Per ipsum , et
cum ipso et in ipso est tibi D e o Patri om nipotenti in
unitate Spiritus Sancti omnis honor et gloria ». Soltanto
tram ite il Cristo il Padre accetta il n ostro am ore e j
nostri om aggi. C osi si com prende com e i grandi santi,
illum inati da D io di una luce tutta speciale per intende­
re il « m istero di Cristo », desideravano scom parire e
lasciarsi assorbire da lui affinché Cristo vivesse in loro

1 C f. M a r m io n , Cristo, vita dell’anima I, i ,6.


LA CONFIGURAZIONE A CRISTO 51

la sua vita. Sr. Elisabetta della T rin ità, una delle anime
che più a fon d o com presero tale m istero, rivolgend osi
a Cristo cosi lo pregava: « R ivestim i di te, im m edesim a
la mia anima a tutti i m ovim enti dell’ anima tua, som­
m ergim i, invadim i, sostituisciti a m e, affinché la mia
vita non sia che una irradiazione della tua vita. V ieni
in me com e adoratore, com e riparatore e com e salva­
tore. O V e rb o eterno, parola del m io D io , v o g lio pas­
sare la mia vita ad ascoltarti, v o g lio renderm i docilis­
sima ad ogn i tuo insegnam ento, per im parare tu tto da
te; e po i, nelle notti dello spirito, nel v u o to , n ell’im p o­
tenza, v o g lio fissarti sempre e starmene sotto il tuo
grande splendore. O m io astro adorato, affascinami
perché io non possa più sottrarm i alla tua irradiazione.
O fu o co consum ante, Spirito d ’am ore, discendi in me,
perch é si faccia nell’ anima mia quasi una incarnazione
del V erbo! Che io gli sia un prolungam ento di umanità,
in cui egli possa rinnovare tu tto il suo m istero. E tu,
o Padre, chinati verso la tua povera, piccola creatura,
coprila della tua om bra, n on vedere in essa che il diletto
nel quale hai posto le tue com piacenze » 2.
Com e errano, quindi, coloro i quali ritengono la « de­
vozione a nostro Signore » com e un o dei tanti eserciti di
pietà, al pari dell’esame di coscienza o della lettura spiritua­
le. La nostra devozione e incorporazione a Cristo è la pie­
tra angolare, l’alfa e l’om ega, la sostanza stessa della nostra
vita soprannaturale. In realtà è questa la vera ascetica e
la vera mistica, della quale le altre non sono che derivazio­
ni e conseguenze. L e anime che desiderano santificarsi
veram ente faranno bene a tenersi lontane dalle dispute
e dalle controversie delle diverse scuole di spiritualità, per
dedicarsi a vivere in una form a sempre più piena e profonda
la vita di Cristo. Se esse riusciranno a conseguire questo
ideale, avranno senza dubbio raggiun to le più alte vette
dell’ascetica e della m istica cristiana. A l vertice della per­
fezione tutti i santi, senza eccezione alcuna, si ritrovano

2 Suor E l i s a b e t t a d e l l a t r i n i t à , Elevazione alla Triniti. Si v e d a in


P h il ip o n ,La dottrina spirituale di Suor Elisabetta della Trinità, c . 9.
52 IL FINE

con queste due uniche consegne: « V iv o ma non più io,


v ive in me Cristo » (Gal. 2,20); e: « Su questo m onte abi­
ta soltanto l’onore e la gloria di D io » (S. G iovann i della
Croce).

2. - G esù C r is t o , v e r it à

15 . C risto n on è soltanto la via; è anche la verità.


L a verità assoluta ed integrale. Sapienza increata in
quanto V erb o , com unicò alla sua um anità santissima,
e per essa a noi, tutti i tesori della sapienza e della
scienza di D io.
C iò ci induce a parlare della causalità esemplare di
C risto, esercitata in noi a) con la sua persona; b) con le
sue opere; c) co n la sua dottrina.

a) Con la sua persona. E cco com e si espri­


me Dom C olum ba M armion:
« La filiazione divina di Cristo è il tipo della nostra f i ­
liazione soprannaturale; la sua condizione, il suo « essere »
di F iglio di D io è l’esemplare dello stato nel quale deve
stabilirci innanzi tutto la grazia santificante. Cristo è il
F iglio di D io per natura e per diritto, in virtù dell’unione
del V erb o eterno con la natura umana; noi lo siamo per
adozione e per grazia, ma lo siamo realmente e ad un ti­
tolo m olto vero. Cristo ha in più la grazia santificante;
egli ne possiede la pienezza. In noi, essa deriva da questa
pienezza più o meno abbondantemente, ma nella sua sostan­
za, la stessa grazia che riempie l ’anima creata di G esù ci di­
vinizza. S. Tom m aso dice che la nostra filiazione divina è
una som iglianza della filiazione eterna: quaedam sìmìlìtudo
filiationis aeternae 3 .
T ale è il m odo primario e sopraeminente, col quale
Cristo è il nostro m odello: n ell’incarnazione egli è costi­
tuito, per diritto, F iglio di D io . N o i dobbiam o divenirlo
con la partecipazione della grazia, che deriva da lui, e che,
divinizzando la sostanza dell’anima nostra, ci costituisce
LA CONFIGURAZIONE A CRISTO 55
nello stato di fig li di D io . Q uesta è la linea prima e fonda-
mentale di rassom iglianza, che dobbiam o avere con G esù
Cristo, il quale regola tutta la nostra attività soprannatura­
le » 4.

C osi che, « ogn i vita cristiana, com e ogn i santità,


si riduce a questo: essere per grazia ciò che G esù è
per natura: il F ig lio di D io » 6. Q uesta deve essere la-
preoccupazione fondam entale del cristiano: contem pla­
re G esù e far prop rio, anzitutto, il suo atteggiam ento
di figlio davanti al Padre celeste, che è anche nostro-
Padre. Ce lo ha detto C risto stesso: « A scen d o al Padre
m io e Padre vo stro, D io m io e D io vo stro » (G io v .
20,17).
« Q ueste realtà — continua D o m Colum ba M arm ioti
— costituiscono l ’ essenza del cristianesimo. N o n com prende­
remo mai nulla non solo della perfezione e della santità,
ma neppure del semplice cristianesimo, se non ci persua­
diamo che il fondo più essenziale è costituito dallo stato-
di fig lio di D io , dalla partecipazione per m ezzo della gra­
zia santificante alla filiazione eterna del V erb o incarnato.
T u tti gli insegnamenti di G esù e degli A p o sto li si riassumo­
no in questa verità, tutti i misteri di G esù tendono a deter­
minare questa realtà nell’anima nostra » 6.

b) Con le sue opere. Cristo praticò quel­


lo che insegnava ed insegnò quello che praticava:
« C oepit facere et docere », dicono gli A tti degli A p o sto ­
li 7. L a sua vita e la sua dottrina form avan o un tutto
arm onico ed unitario, dal quale saliva incessante verso
il cielo la più bella glorificazione di D io .
Secondo S. Tom m aso d’A q u in o , la redenzione del
genere um ano fu il fine principale, ma n on unico, del­
l’incarnazione del V e rb o 8. A ssum endo la natura urna-

4 M a r m i o n , Cristo, vita dell’anima II, 3.


5 Id ., Cristo nei suoi misteri I I I , 6 .
6 I v i.
7 A tti i , i .
8 C f. I l i , 1 , 3 .
54 IL FINE

na, Cristo intese darci nella sua persona un esemplare


perfettissim o di tutte le virtù . E questo n on senza
un disegno adorabile della divina provvid en za.
D ifatti, assolutamente parlando, il p roto tip o e l ’e­
semplare suprem o di ogn i perfezione e santità è il V e r ­
b o eterno. E g li è, se ci è lecito esprim erci cosi, l ’ideale
stesso di D io . Il Padre si contem pla nel V e rb o con
infin ito am ore. E g li è il suo ideale viven te, splendido,
infinito, personale, nel quale trova le sue com piacenze
da tutta l ’eternità. P er m ezzo suo sono stati creati
gli angeli, gli uom ini, l ’u niverso intero: « O m nia per
ipsum facta sunt, et sine ipso factum est nihil quod
factu m est» (G io v . 1,3). Ideale di D io , è anche l ’ideale
d eg li angeli e degli uom ini; e lo sarebbe, per naturale
diritto, di tutte le creature che a D io piacesse trarre
d al nulla, in tutti i tem pi e in tutti i lu oghi.
« E possibile che n oi abbiam o il medesimo ideale di
vita di D io ? — si domanda con stupore un p io autore —
Sì; e non ci è dato di eleggerne uno meno elevato. Conside­
ra, anima mia, quanto grande è la tua dignità; osserva
se nobiltà ti obbliga...
Però questo ideale sublime non eccedeva soltanto le ca­
pacità della ragione umana; era troppo alto anche per la fe­
de. jPer questo Cristo si abbassò. Si fece uom o, bam bino, ser­
vo; volle conoscere le debolezze dei nostri prim i anni; i
nostri lavori, le nostre fatiche; la povertà, l'oscurità, il
silen zio , la fam e, la sete, il dolore e la m orte. D i tutte le
nostre miserie, una sola non ne ha sperimentata: il pecca­
to e certi disordini che dal peccato derivano. N o n poten­
d o prendere in sé questa debolezza, prese la sua som iglian­
za e ne portò la pena.
N o n m i resta, quindi, che salire a -cielo per cercare là
i l pensiero di D io a m io riguardo; n on devo fare altro,
•o G esù m io, che contem plarvi. V o i siete l’ideale com pleto
nel quale io tro v o il m io » 9.

c) Con la sua dottrina. Infine, Cristo eserci­


t a su di noi la sua causalità esemplare com unican­

9 S a u v e 5, J èsu s intim e, E lev. 5 , n . 5 , c . 20 3-4.


LA CONFIGURAZIONE A CRISTO 55
d o ti, attraverso la sua dottrina, lo splendore della sua
sapienza infinita.
L ’intelligenza di C risto è un abisso nel quale la p o ­
vera ragione umana, anche illum inata dalla fede, si per­
de. In C risto esistevano quattro specie di scienza, com ­
pletam ente distinte e arm onizzate: la scienza divina,
che possed eva in quanto V e rb o di D io; la scienza bea­
tìfica, che g li spettava com e beato anche sulla terrai
la scienza infusa, che ricevette da D io in grad o superiore
a quello degli angeli; e la scienza acquisita, che andò
sviluppandosi o m anifestandosi sempre p iù perfetta­
mente durante tutto il corso della sua vita l0. A ragione
S. P aolo rimane m eravigliato nel contem plare riuniti
in C risto tutti i tesori della sapienza e della scienza
(C ol. 2,3).
Q uesti tesori infiniti non vo lle riservarli esclusiva-
m ente per sé. Piacque al Padre di com unicarli ai figli
adottivi, nella m isura e nel grad o che erano necessari
per la loro vita soprannaturale. Cristo stesso d iceva
al Padre n ell’ultim a cena: « L e parole che desti a me,
le h o date a loro; ed essi le hanno accolte, e veram ente
hanno riconosciuto che io sono uscito da te, ed hanno
creduto che tu m i hai m andato» (G io v . 17,8).
C o m ’è sublim e la dottrina di Cristo! « Nessun uomo-
ha mai parlato come lui » (G io v. 7,46). L e più famose ideo­
lo gie dei cosiddetti « geni dell’umanità » im pallidiscono
e sfumano di fron te ad un solo versetto del sermone della
m ontagna. L a sua m orale, avviata nei divini paradossi
delle beatitudini e com piuta nelle sette parole pronunciate
mentre agonizzava sulla croce, sarà sempre per l’umanità,,
assetata di D io , il codice della più eccelsa santità e perfezione.
L ’anima che vu ole trovare la vera via per andare a D io non
deve fare altro che aprire il van gelo e attingere la verità
che da esso promana. I santi, a contatto del libro divino,
perdevano il gusto dei libri scritti dagli uomini: « Quanto

10 Cf. I li, 9-12.


56 IL. SUNE

a me, diceva S. Teresa del Bam bino G esù, non tro vo più
nulla nei libri, eccetto che nel vangelo. Q uesto mi basta »».

3. - G esù C r is t o , v it a

C risto è la nostra via, la nostra verità e, soprattutto,


la nostra vita. Siamo giunti all’aspetto più profon do
e nello stesso tem po più com m ovente del « m istero
d i C risto » per quel che riguarda noi.
T re sono i principali m otivi per i quali C risto può
essere detto la nostra vita', perch é ci m eritò la grazia, vita
soprannaturale dell’anima (causa meritoria); perché que­
sta vita sgorga da lui (causa efficiente); e perché ce la co­
m unica (influsso capitale).

17. a) Gesù Cristo, causa meritoria della gra­


zia 12. Il merito, di Cristo per noi è intimam ente le­
g a to al suo sacrificio redentore. R icordiam o, b reve­
m ente, i term ini fondam entali della sua soddisfazio­
ne infinita, che ci m eritò e restituì la vita sopran­
naturale persa per il peccato di A d am o 13.
1. Im possibilità per la stirpe umana di soddisfare in
m odo adeguato il peccato di A dam o. D io poteva, se aves­
se vo lu to , condonare il debito. Invece, richiese una sod­
disfazione rigorosa, ad aequitatem. Il genere umano era nel­
la più assoluta im potenza di renderla. Solo un D io fatto
n om o avrebbe potuto colmare questo abisso infinito e
o ffrire alla giustizia divina una soddisfazione piena ed esau­
riente. L ’incarnazione del V erbo era, dunque, assolutamente
necessaria per la redenzione del genere umano 1 ♦ .
z. « E il V erb o si è fatto carne, e abitò fra n oi » (G io v.
.1,14); Unendosi in Cristo le due nature, la divina e l ’umana,

11 C f. Storia di un'anima, Novissima verba n. 740.


12 Cf. I li, 48 e 49.
” C f. M a r m io n t , C r is to , v ita d e ll’anim a c . 3.
14 Cf. I li, i, 2 a i 2, I-II, 87,4.
LA CONFIGURAZIONE A CRISTO 57
nell’unica persona divina del V erb o , tutte le sue azioni
risultavano di un valore infinito. Con il più lieve sorriso,
delle labbra, con un semplice sospiro del cuore, G esù avreb­
be p otuto redimere m ilioni di mondi. T uttavia, di fatto,
la redenzione si operò solo con il sacrificio della croce.
Piacque cosi all’eterno Padre per un disegno inscrutabile
della sua divina provvidenza. I teo lo gi si sono sforzati di
mostrare la convenienza di questa condotta divina l s>
però la sua ragione ultim a rimarrà sempre occulta ai nostri
sguardi.
3. Cristo non merita soltanto per sé, ma anche per noi,
con un rigoroso merito di giustizia: de condégno ex toto ri­
gore iustitiae, dicono i teologi. Tale merito trova il su a
fondam ento nella grafia capitale di C risto, in virtù della
quale è stato costituito capo di tutto il genere umano;
nella libertà sovrana di tutte le sue azioni e nell’amore i-
neffabile con cui, per salvarci, accettò la passione.
4. L ’efficacia della sua soddisfazione e dei suoi me­
riti è assolutamente infinita e, di conseguenza, inesauribi­
le. C iò deve essere per n o i fonte di una illimitata fiducia
nel suo amore e nella sua misericordia. N onostante le nostre
debolezze e miserie, i meriti di Cristo hanno una efficacia
sovrabbondante, capace di portarci al vertice della perfe­
zione. I suoi meriti sono i nostri: stanno a nostra disposi­
zione. E g li continua in cielo ad intercedere incessantemen­
te per noi: « Semper vivens ad interpellandum prò nobis »
(Ebr. 7,25). L a nostra debolezza e povertà costituiscono-
un titolo alla sua misericordia divina. Facendo valere i
nostri diritti ai meriti soddisfatori del suo F iglio , glorifichia­
mo immensamente il Padre e lo colm iam o di gioia, perché
in tal m odo proclam iam o che G esù è l ’unico m ediatore
che gli piacque porre sulla terra.
5. A nessuno è lecito scoraggiarsi considerando le pro­
prie miserie e deficienze. Le inesauribili ricchezze di Cristo
stanno a nostra disposizione (Ef. 3,8). « N o n chiamarti
p overa poiché tu possiedi me », diceva G esù ad un’anima
che si lamentava della sua miseria.

18. b) Gesù Cristo, causa efficiente della nostra


vita soprannaturale. T u tte le grazie che l ’u om o rice­
vette da A d a m o fino alla venuta di Cristo gli fu ro n o

15 C f. I l i , 46,}.
58 IL FINE

concesse unicam ente in vista di lui: intuitu meritorum


Chrìsti. T u tte quelle che riceverà l ’um anità fino alla
consum azione dei secoli sgorgano dal C uore di Cristo
com e dalla lo ro unica sorgente. N o n abbiam o più la
gratta D ei, com e l ’hanno gli angeli e l ’ebbero i nostri
p rogen itori nello stato di giustizia originale; la n o­
stra, quella di tutta l ’um anità caduta e riparata, è la
gratia Chrìsti, ossia, la grafia di D io attraverso i l C ri­
sto, la grazia di D io cristificata.
Q uesta grazia ci viene com unicata nelle form e più
■diverse; ma la sorgente è unica: Cristo, la sua umanità
•santissima unita personalm ente al V erbo . T ale è il sign ifi­
cato dell’espressione: « Cristo causa efficiente della grazia
o vita soprannaturale ».
G esù è fonte di vita. L a sua santa umanità è lo strumento
congiunto 16 della divinità per la produzione efficiente del­
la vita non solo soprannaturale, ma anche, volend olo, co r­
porale. Ci dice il V an gelo che da lui usciva una virtù che
sanava gli infermi e risuscitava i morti: « V irtu s de ilio exi-
bat et sanabat omnes » (Luca 6,19). Il lebbroso, il cieco
nato, il paralitico, il sordom uto, la fig lia di G iairo, il fi­
glio della ved o va di N aim e il suo am ico Lazzaro ci parlano
eloquentem ente di C risto fonte di salute e di vita corporale.

Però è com e sorgente di vita soprannaturale che qui


-ci interessa considerare Cristo. In questo senso, a lui
dob biam o interam ente la vita.
Per com unicarci la vita naturale, D io ha v o lu to ser­
virsi, com e strum ento, dei nostri genitori. Per com u­
nicarci la vita divina, ha utilizzato l ’um anità di Cristo,
d a lui costituito capo, pontefice suprem o, m ediatore
universale, fon te e dispensatore di ogn i grazia. E
questo, soprattutto, in vista della sua passione, per ave­

16 L a filosofia si serve dell’espressione strumento unito per designare lo


strum ento che aderisce per natura alla causa principale che lo usa, (per es.:
il braccio o la m ano è uno strumento mito all’uom o che pittura o scrive);
■e strumento separato per designare quello che di per sé è distinto dalla causa
principale (per esem pio, il pennello dell’artista o la penna dello scrittore).
LA CONFIGURAZIONE A CRISTO 59
re realizzato con le sue sofferenze e con i suoi m eriti la
salvezza del genere um ano: « Sem etipsum exinanivit...
hum iliavit sem etipsum ... propter quod et Deus exaltavìt
illum et donavit illi nom en, qu od est super om ne no-
men » (Fil. 2,7-9).
Il V an g elo ci mostra in che m odo Cristo, durante la sua
dim ora sulla terra, si serviva della sua umanità per conferire
la vita soprannaturale alle anime. « F iglio — dice rivo lgen do ­
si al paralitico con la sua parola — ti sono perdonati i tuoi
peccati ». Si produsse un immediato m ovim ento di sorpre­
sa e di scandalo tra coloro che lo udirono: « Chi è costui
che pronuncia bestemmie ? Chi può rimettere i peccati
se non D io s o lo ? » . E Cristo che avverte nel loro animo
quel m oto di scandalo, offre loro l ’argom ento schiacciante
per dimostrare che ha piena potestà, proprio in quanto uomo,
di perdonare i peccati. « Che cosa andate pensando nei v o ­
stri cu o ri? Che è più facile, dire: T i son rim essi i tuoi pec­
cati, o dire: A lza ti e cammina ? M a, affinché sappiate che
il Figlio dell'uomo ha sulla terra il potere di rimettere
i peccati, rivolto al paralitico esclamò: D ico a te: alzati,
prendi il tuo lettuccio e v a ’ a casa tua ». E questi fece su­
bito quanto gli aveva comandato, con la più grande mera­
viglia della folla *7 .
Cristo usa di proposito l’espressione Figlio dell'uomo.
È certo che nessuno può perdonare i peccati se non D io
solo o chi ne ha ricevuto da lui la potestà. Ora, colui che osa
perdonare i peccati non in nom e di D io , ma in nome proprio
(« Io te lo com ando ») e conferm a con un grandioso prodi­
gio di avere effettivamente tale potestà, dimostra in un
m odo inequivocabile di possedere la stessa potestà di D io,
di essere personalmente D io . Cristo è il F iglio di D io ,
l’autore della grazia, l’unico che può perdonare i pec­
cati in for^a della propria autorità. Però teniamo ben pre­
sente: questo F iglio di D io si serve della sua umanità come
strumento (congiunto alla sua divinità) per la produzione
efficiente della vita soprannaturale nelle anime. E g li usa
l ’espressione Figlio dell’uomo, com e per significare che,
se precisamente in quanto uom o opera i suoi miracoli,
perdona i peccati e distribuisce la grazia con una libertà,
un potere e una indipendenza sovrana, ciò avviene perché

T7 Cf. M a t . 9 ,1 -8 ; M a r c o 2 ,1 - 1 2 ; L u c a , 5 ,1 7 - 2 6 .
60 IL FINE

la, sua umanità è per natura sua santificante, è strumentò


atto a produrre e causare la grazia in virtù della sua unione
personale con il V erb o divino lS.

N o n presenta gravi difficoltà la spiegazione della


causalità strumentale deU’um anità di Cristo durante la
sua permanenza sulla terra, anche intendendola in
senso 'fisico, com e l’intende la scuola tom ista. M a dal
m om ento in cui l ’umanità di C risto sali al cielo, cessando
co si di avere un contatto fisico con gli uom ini, com e si
d ovrà concepire questo influsso dell’um anità di Cristo
su di noi ? Si tratterà forse di una sem plice causalità
morale, d ovuta ai suoi m eriti e alle sue soddisfazioni
infinite, o si p uò continuare a parlare di un ve ro in­
flusso fisico? E c c o la questione da esaminare.

c) Influsso vitale di Cristo sulle membra del


suo Corpo mistico. R icordiam o i principi fondam en­
tali della dottrina sul C orpo m istico.

19 . G esù C risto è il capo di un C orpo m istico. Ce


lo dice espressamente la rivelazione: « O m nia subiecit
sub pedibus eius, et ipsum dedit caput super om nem
E cclesiam , quae est corpus ipsius et plenitudo eius,
q u i om nia in om nibus adim pletur » (E f. 1,22).
L a p rova di ragione ci viene fornita da S. Tom m aso
in un m agnifico articolo in cui si risponde alla questio­
ne: « Se spetta a C risto, in quanto uom o, essere capo

18 D ice S. Tom m aso: « D are gratiam aut Spiritual Sanctum convenit


C hristo, secundum quod D eus, auctoritative', sed instrumentaliter ei convenit
secundum quod-est homo inquantum scilicet eius humanitas fuit instrumentum
divinitatis eius. E t ita actiones ipsius ex virtute divinitatis fuerunt nobis salu­
t i f e r e , utpote gratiam in ,n o bis causantes, et per m eritum et per efficientiam
quandam»(III, 8,1 ad i). In un altro articolo di questa stessa questione scrive:
•« Interior autem influxus gratiae n on est ab aliquo nisi a solo Christo
•cuius humanitas ex hoc quod est divinitati adiuncta, hahet virtutem iustificandi »
<lvì, a.6).
LA CONFIGURAZIONE A CRISTO (il

della Chiesa » 19. Per dim ostrare questa verità, il D ottore


angelico stabilisce una analogia con l ’ordine naturale.
N el capo dell’uom o, possiam o considerare tre co­
se: l ’ ordine, la perfezione e l ’influsso sul corpo. L ’ ordi­
ne, perché il capo è la prim a parte dell’u om o a par­
tire dall’alto. L a perfezione, perché in esso sono conte­
nuti tutti i sensi esterni ed interni, m entre nelle altre
m em bra si trova solo il tatto. Infine, l ’influsso su tutto
il corpo, perché la forza e il m oto delle altre membra
e il go vern o dei loro atti procede dalla testa a m otivo
della virtù sensitiva e m otrice che in essa domina.
O ra, nell’ordine spirituale, tutte queste prerogative
sono proprie di Cristo. D unque, a lui spetta essere
capo della Chiesa. Infatti:
a) G li spetta il prim ato di ordine, giacché egli è il
« prim ogenito tra m olti fratelli » (Rom . 8,29) éd è stato
costituito nel cielo « sopra ogn i principato e potestà
e virtù e dom inazione e ogn i nom e nom inato non solo
in questo secolo ma anche in quello fu tu ro » (E f. 1,21)
affinché « tenga il prim ato su tutte le cose» (Col. 1,18).
b) G li spetta il prim ato di perfezione, giacché risie­
de in lui la pienezza di tutte le grazie, secondo l’ espres­
sione di S. G iovan n i (1,14): « L o abbiam o visto pieno
di grazia e di verità ».
c) G li spetta, infine, il prim ato di influsso vitale su
tutti i m em bri della Chiesa, giacch é « dalla pienezza
di lui noi tutti abbiam o ricevu to grazia su grazia »
(G io v . 1,16).
S. P aolo riassume queste tre fu n zioni di Cristo
com e capo della Chiesa in un m agnifico passo della
lettera ai Colossesi (1,18-20): « E g li è il capo del corpo,
che è la Chiesa; com e è il principio, il p rim ogenito di
tra i m orti, affinché in tutto abbia il prim ato (ordine).
P o ich é a D io piacque di far abitare in lui tutta la pie-

■9 c f . I l i , 8 ,1 .
62 IL FINE

nezza (perfezione) e di riconciliare per m ezzo suo tutte


le cose, dirigendole verso di lui, pacificando, m ediante
il sangue della croce di lui, di lu i dico, e ciò che è sulla
terra e ciò che è in cielo (influsso) ».
A ltro v e , S. T om m aso dim ostra che C risto è capo
della Chiesa a m o tiv o della sua dignità, del suo governo
e della sua causalità 2o. L a ragione form ale per cui è
n ostro capo risiede nella pienezza della sua grazia abi­
tuale. P er il D o tto r angelico, quindi, la grazia persona­
le per cui l ’anima- di Cristo è santa e quella per cui san­
tifica gli altri in quanto capo della Chiesa è essenzial­
mente la stessa; esiste tra le due soltanto distinzione di
ragione 21.
Fin dovè si estende questa grazia capitale di Cristo ?
A chi si estende e in che form a o m isura? S. Tom m aso af­
ferma che si estende agli angeli e a tutti gli uom ini (eccetto
i dannati), benché in gradi e form e diverse.
I. Cristo è capo degli angeli. - V ien e affermato espressa-
mente dalla S. Scrittura. Parlando di Cristo, S. Paolo dice:
« E g li è il capo di ogn i principato e di ogn i potestà » (Col.
2,io).
S. Tom m aso ne dà la ragione teologica quando dice
che il corpo m istico della Chiesa non è form ato soltanto
dagli uom ini, ma anche dagli angeli, giacché tanto gli uni
quanto gli altri sono ordinati allo stesso fine: la gloria della
visione beatifica. Cristo è il capo di tutta questa moltitudine,
perché la sua umanità è personalmente unita al V erbo e,
di conseguenza, partecipa dei suoi doni in m odo m olto
più perfetto degli angeli, ai quali comunica m olte grazie:
la gloria accidentale, i carismi soprannaturali, le rivelazio­
ni dei misteri di D io , ecc., Cristo, dunque, è capo degli an­
geli

30 C f. D e ventate q. 29 a. 4.
D ice espressamente S. Tom m aso: « E t ideo eadem est secundum essen-
21
tiam gratia personalis qua anima Christi est iustificata, et gratia eius secun­
dum quam est caput Ecclesiae iustificans alios: differt tamen secundum
rationem » (111,8,5).
« C f. I li , 8,4.
LA CONFIGURAZIONE A CRISTO 63
2 . Cristo è il capo di tutti g li uomini, ma in grado diverso. -
E cco com e lo spiega S. Tom m aso *3:
a) L o è perfettamente dei beati, perché stanno uniti a lui
in m odo definitivo, essendo stati confermati in grazia e
nella gloria eterna.
b) L o è perfettamente anche dei cristiani in grafia poiché
a cagione dell’influsso di Cristo posseggono la vita sopran­
naturale, i carismi e i doni di D io e rim angono uniti a lui
come membra vive e attuali in virtù della grazia e della carità.
c) L o è in m odo meno perfetto dei cristiani in peccato,
i quali mediante la fede e la speranza inform i, conservano
ancora una certa unione attuale con lui.
d) G li eretici e i pagani, sia che si salvino sia che si danni­
no, non sono membra attuali di Cristo, ma solo in potenza.
E con questa differenza: i predestinati sono mem bra in
potenza chiamati a diventarlo in atto; i reprobi sono mem­
bra in potenza che non lo diventeranno mai in atto e, se
pur lo diventeranno, sarà solo per breve tempo.
e) I demoni e i dannati in nessun m odo saranno membra
di Cristo perché sono definitivamente separati da lui e non
gli saranno mai più uniti, neppure in potenza. L o stesso
vale per i bambini del Limbo.

20. G esù C risto esercita il suo influsso vitale sulle


m em bra v iv e che rim angono unite a lui in questa vita
con la grazia e la carità in m olti m odi, ma specialm ente
m ediante i sacramenti e la fede inform ata dalla carità.
I. Mediante i Sacramenti. - È di fede che Cristo sia au­
tore dei sacramenti Essendo « segni sensibili che signi­
ficano e producono la grazia santificante », solo Cristo,
sorgente unica della grazia, p oteva istituirli. E li ha isti­
tuiti precisamente per comunicarci, con essi, la sua vita
divina: « E g o veni ut vitam habeant, et abundantius ha-
beant » (G io v. io ,io ). Questi segni sensibili ci comunicano
la grazia per virtù intrinseca {ex opere operato), però uni­
camente come strumenti di Cristo, in virtù, cioè, dell’im pul­
so che ricevon o dall’umanità di Cristo unita al V erb o divino
e ripiena della sua vita. « Pietro battezza ? — si domanda
S. A go stin o — È Cristo che battezza. G iuda battezza?

23 C f . m , 8 ,3.
C f. Dcnz. 844.
64 IL FINE

È Cristo che battezza » z5. Q uindi, l ’indegnità del ministro


che conferisce i sacramenti — peccatore, eretico... — non
costituisce un ostacolo per la loro validità, purché abbia
l’intenzione di fare quello che fa la Chiesa, ponendo il rito
sacramentale. Cristo volle comunicare la sua grazia attra­
verso i sacramenti indipendentemente dalle debolezze e dal­
le miserie umane; la qual cosa dà a noi cristiani la più asso­
luta certezza dell’efficacia di questi segni divini se, riceven­
doli, non poniam o impedimenti.
Perché, è necessario notarlo, noi possiamo porre un
ostacolo insormontabile all’efficacia santificante dei sacra­
menti. Nessun sacramento è valido se non si ha la volontà
sincera di riceverlo 2('. La mancanza di pentimento impedi­
sce la recezione della grazia nel sacramento della penitenza
o nel battesimo di un adulto in peccato, e chi si accosta ai
sacramenti dei v iv i consapevole27 di essere in stato di peccato
mortale, non solo non riceve la grazia, ma commette
anche un sacrilegio.
Se abbiamo le disposizioni indispensabili per una vali­
da e fruttuosa recezione, la misura della grazia che in ogni
caso ci verrà comunicata dipenderà oltre che dalla m aggiore
o minore dignità del sacramento, dal grado di fervore
delle nostre disposizioni. Se l’anima v i si accosterà con un
grande desiderio di unirsi perfettamente a D io, riceverà
una misura di grazia piena e traboccante. Si ricorre spesso
alla immagine della fonte e del vaso: la quantità di acqua
che in ogni caso si raccoglie non dipende soltanto dalla fon­
te, ma dalla capacità del recipiente con cui andiamo ad at­
tingerla.
Per questo è di somma importanza una fervorosa prepa­
razione prima di ricevere i sacramenti, soprattutto quello
dell’Eucaristia, che ci conferisce non solamente la grazia,
ma la sorgente stessa della grazia. È per essi in m odo parti­

25 « Petrus baptizet, h ic (Christus) est qui baptizat; Paulus baptizet,


hic est qui baptizatj Judas baptizet, hic est qui baptizat » (Tract. in Jo. 6:
M L 35, 1428).
26 N ei bam bini che ricevono il battesimo la Chiesa supplisce questa
intenzione.
2,7 Sottolineam o questa parola perchè, secondo il consenso quasi una­
nime dei teologi, colui che in stato di peccato m ortale si accostasse in
buona fede ad u n sacramento dei v iv i (per esem pio, l’Eucarestia) con
pentim ento di attrizione soprannaturale, riceverebbe validam ente e frut­
tuosamente il sacramento, riceverebbe, cioè, la grazia sacramentale.
LA CONFIGURAZIONE A CRISTO 65
colare che Cristo esercita il suo influsso vitale su di noi.
A d essi dobbiamo ricorrere per incrementare la nostra v i­
ta soprannaturale e la nostra unione con D io . Sono le fon­
ti autentiche della grafia, che nessun altro m ezzo potrà mai
sostituire. Ci sono delle anime che non si sono rese a suffi­
cienza conto di questa verità e vo g lion o trovare in altri
esercizi o pratiche di devozione un alimento per le loro ani­
me che è di gran lunga meno efficace dei sacramenti. È
fare torto al Signore il non apprezzare debitamente o il
porre in secondo ordine questi canali autentici che egli
stesso ha voluto istituire per comunicarci le sue grazie,
la sua vita divina: ed equivale a tributargli un om aggio
di gratitudine e di amore l’accorrere a bere con avidità,
con la massima frequenza possibile, l’acqua viv a che essi
ci comunicano; acqua che sgorga dal Cuore di Cristo *8,
si riversa nelle nostre anime e zampilla per la vita eterna
(G iov. 4,14). L o stesso Cristo ci invita con insistenza:
« Colui che ha sete venga a me e beva» (G iov. 7,37).
2. Mediante la fede. - S. Paolo, in una sua epistola, ha
una espressione misteriosa. D ice che Cristo abita mediante
la fede nei nostri cuori: Christum habitare per fidem in cor-
dibus vestris (Ef. 3,17). Che significa? Si tratta di una ina­
bitazione fìsica dell’umanità di Cristo nelle nostre anime,
alla maniera della SS. Trinità in ogn i anima in grazia? Sa­
rebbe un grave errore pensarlo. L ’umanità di Cristo viene
fisicamente nelle nostre anime nel sacramento dell’Eucare­
stia, però la sua presenza reale, fisica, è così vincolata alle
specie sacramentali, che viene a cessare quando queste si
alterano sostanzialmente, rimanendo unicamente nell’anima
la sua divinità (con il Padre e lo Spirito Santo) e l’influsso
della sua grazia.
Tuttavia è un fatto — ed è affermato espressamente
nelle parole di S. Paolo — che Cristo, in qualche m odo,
abita mediante la fede nei nostri cuori. S. Tom m aso, com­
mentando le parole dell’A postolo, ne dà questa interpre­
tazione: « Per fidem Christus inhabitat in nobis, u t dici-
tur E ph. 3,17. E t ideo virtus Christi copulatur nobis.
per fidem ». Queste ultime parole ci offrono la vera soluzio­
ne. È la virtù di Cristo che abita propriamente nei nostri
cuori mediante la fede. O gn i volta che ci dirigiam o a lui
con il contatto della nostra fede vivificata dalla carità

28 « Haurietis aquas in gaudio de fontibus Salvatoris » (Is. 12,3).


« L a fede senza le opere è m orta », dice l ’apostolo S. G iacom o (2,26).
es IL FINE

promana da Cristo una virtù santificante che esercita sulle


nostre anime un influsso benefico. Il Cristo di o g g i è lo
stesso del V angelo, e tutti quelli che si avvicinavano a lui
con fede e con amore partecipavano di quella virtù che da
lui si dipartiva e sanava le infermità dei corpi e delle anime:
« Virtus de ilio exibat, et sanabat omnes » (Luca 6,19).
« Com e dunque dubitate che, quando ci avviciniam o a lui,
anche fuori dei sacramenti, per m e^o della fede, con umiltà
e confidenza, emani da lui una potenza divina capace di
rischiararci, fortificarci, aiutarci, soccorrerci ? Nessuno si è
mai avvicinato con fede a G esù Cristo senza essere stato colpi­
to dai raggi benefici, che si sprigionano continuamente da
questo focolare di luce e di calore: virtus de ilio exibat... » 3°.
L ’anima che vu ole santificarsi deve moltiplicare e inten­
sificare sempre più questo contatto con Cristo mediante la
fede ardente vivificata dall’amore. Q uesto esercizio altamen­
te santificante si può ripetere ogni m omento, infinite volte
al giorno; a differenza del contatto sacramentale con Cristo,
che può effettuarsi una sola volta.

21 . R ispondiam o ora alla questione che abbiam o


form ulata sopra 31. D i che natura è l ’influsso vitale
dell’um anità di C risto su di noi ? Si tratta di un in ­
flusso fisico o solam ente m orale, d o vu to ai suoi m eriti
e alle sue soddisfazioni ?
I teologi non sono della stessa opinione. A lcun i riten­
gono che si tratti solo di un influsso morale. L a scuola tom i­
sta sostiene, invece, con forza, l’influsso fisico dell’umanità
di Cristo, estendendo al nostro problem a la propria teoria
sulla causalità fisica dei sacramenti. Infatti, se i sacramenti,
strumenti separati da Cristo, producono fisicamente la grazia,
perché non dovrebbe produrla nello stesso m odo l’umanità
di Cristo strumento congiunto della divinità?
Contro questa teoria si potrà obiettare che l’azione fi­
sica suppone un contatto fisico tra l’agente e il paziente. Tale
contatto esisteva effettivamente durante la vita terrena di

È necessario che la fede sia vivificata dalla carità: « in caritate radicati et


fundati », aggiun ge S. Paolo dopo aver detto che Cristo abita per m ezzo
della fede nei nostri cu ori (Ef. 3,17).
3° M a r m i o n , C risto, vita dell’anima I , 4 ,4 .
31 In fine del num ero 18.
LA CONFIGURAZIONE A CRISTO 67

Cristo (per es.: quando toccava i lebbrosi e li guariva mira­


colosamente), ma ora che la sua umanità si trova gloriosa
in cielo, come si può parlare di un tale contatto fisico?
Rispondiamo:
i. Questa obiezione suppone un concetto di causalità
fisica, da parte dell’umanità di Cristo, che non si può accet­
tare, poiché immagina il contatto causale com e qualche cosa
di ordine quantitativo. Si tenga presente che all’umanità di
Cristo non appartiene soltanto il corpo, ma anche l ’anima.
E l’anima di Cristo può operare con la sua volontà, com e stru­
mento del V erb o , e causare effetti soprannaturali material­
mente distanti da essa. L a volontà umana di Cristo fu e-
levata alla produzione o alla causalità immediata delle opere
soprannaturali con la sua efficienza volitiva, alla quale parte­
cipa il resto delFumanità di Cristo sotto l’impero della v o ­
lontà umana 3 1.
z. L ’umanità di Cristo non è presente fisicamente in ogn i
parte, ma lo è il V erb o divino, al quale si trova ipostati-
camente unita. N o n c’è difficoltà ad ammettere che il V erbo
si serva ovunque della virtù strumentale della sua umanità
per la produzione della grazia nelle nostre anime. È suffi­
ciente il contatto virtuale dell’umanità di Cristo, come spiega
S. Tom m aso, a proposito della causalità efficiente della ri­
surrezione di Cristo sulla nostra 3 3 .
3. O ccorre attribuire all’um anità di Cristo gloriosa tut­
te le prerogative che aveva sulla terra e che sono compati­
bili con lo stato attuale. O ra la causalità fisica strumentale
è perfettamente com patibile con lo stato di gloria; non c’è
m otivo, quindi, per negarla. Diversam ente, questa umanità
sarebbe meno perfetta in cielo di quanto lo fosse sulla terra.
4. Il piano dell’incarnazione risulta più bello, secondo
questa teoria. L ’azione fisica di G esù non rimane, in tal m odo,
ristretta soltanto all’Eucarestia. In ogn i lu o go , in ogni
tempo e in o gn i ordine di grazie, Cristo è presente con

3- C f. S o l a n o , D e Verbo Incarnato n. 323, in Sàcrae Tbeologiae Sum m a


voi. I l i , B .A .C ., M adrid., 1953.
33 « Resurrectio Christi est causa efficiens nostrae resurrectionis virtute
divina, cuius proprium est m ortuos vivificare. Q uae autem virtus praesen-
tialiter attingit omnia loca et tempora. E t talis contactus virtualis sufficit a d
raiionem buius efficientiae» (111,56,1 ad 3).
68 IL F IN E

la sua influenza benefica e ci ricolm a di benedizioni. N on c’è


una sola anima, un solo popolo, che non sia fisicamente
visitato dall’U om o-D io. È il prolungamento senza fine,
attraverso i secoli, di quel pertransiit benefaciendo et sanando
omnes (A tti 10 , 38 ), che riassume in maniera com m ovente il
passaggio del Figlio di D io per questa valle di lacrime 3 4 .

A rtic o lo II

Come vìvere i l mistero di Cristo

L a gloria di D io com e fine ultim o assoluto, la nostra


santificazione com e fine prossim o verso il quale bisogna
tendere incessantem ente, l ’incorporazione a C risto co ­
me unica via possibile per conseguire i due fini: ecco
la perfezione della vita cristiana. In ultim a analisi tutto
si riduce a viv ere con una sem pre m aggio re intensità
e perfezione il « m istero di C risto » che assillava
S. Paolo.
22. C ’è una form ula che riassume m irabilm ente tut­
to quello che d ovrem m o fare per scalare le più alte ve t­
te della perfezione cristiana. L ’ adopera la Chiesa nel
santo sacrificio della messa, e costituisce da sola uno
dei riti più augusti. Il sacerdote im m ediatam ente prim a
di recitare l ’ orazione dom enicale fa la genuflessione da­
vanti al SS. Sacram ento p o sto sul corporale e, prenden­
do con riverenza l ’ ostia santa, traccia con essa cinque
croci, tre sul calice e due fu ori di esso, m entre pronun­
cia queste parole: « P er ipsum , et cum ipso, et in ipso

34 C f. per la causalità fisica dell’um anità di Cristo lo studio di P. H ugon :


L a causatiti instrumentale en Thèologìe, Paris, 1907, soprattutto il capitolo 3:
« L a causalité instrumentale de l’humanité sainte de Jésus »; e quello del
P. S a l t r a s , E l Cuerpo mistico de Cristo, B .A .C ., M adrid, 1 9 5 2 , c .2 , a . 3.
LA CONFIGURAZIONE A CRISTO 69
est tib i D e o Patri om nipotenti, in unitate Spiritus
Sancti, omnis hon or et glo ria ».
Sofferm iam oci un m om ento su questa form ula e
ved rem o che essa racchiude la perfezione della vita
cristiana e la via unica per g ’ungere alla santit?.

Idea ge n e ra le. L a glorificazione della SS.


T rin ità è il fine assoluto della creazione del m ondo
e della redenzione e santificazione del genere um ano.
M a n ell’econom ia attuale della p ro vvid en za e della
grazia, questa glorificazione n on si realizza se non
per me^XP di C risto, con C risto e in C risto. T u tto quello
che l’uom o cerca fuori di Cristo per glorificare D io è
fuori della via e assolutam ente inadatto p er conseguire
q uesto fine. T u tto si riduce, quindi, ad incorporarsi
sem pre più a C risto per com piere tu tto « per lui, con
lui e in lui, sotto l ’im pulso dello Spirito Santo, per la
glo ria del Padre ». L a vita cristiana è tutta qui.
« P er ip s u m ... ». Cristo è l’ unica via (G io v . 14,6).
N essun o p u ò andare al Padre senza di lui (ivi), giacché
lui solo conosce il Padre e colu i al quale egli vorrà
rivelarlo (M att. 11,27).
L a preoccupazione fondam entale, vorrem m o dire
mica, del cristiano che aspira alla santità deve essere
quella di incorporarsi sem pre più intim am ente a C ri­
sto per com piere tutto per me^xp drlui. È necessario che
noi scom pariam o, o, m eglio ancora — per togliere
a ll’espressione ogn i colore panteistico — è necessario
incorporare a C risto tutte le nostre bu one opere, onde
tutte presentarle al Padre per mev^o di Cristo, attraver­
so i l Cristo. T a le atto sarà accetto all’eterno Padre e gli
procurerà u n ’im mensa gloria. N o n dim entichiam o che
l ’eterno Padre, in realtà, n on ha che un solo am ore e una
sola preoccupazione eterna — se cosi è lecito esprim er­
ci — : il suo V erb o . N u lla lo interessa fu ori di lui, e se
ci ama infinitamente, è « perché noi amiamo C risto e
70 IL FINE

abbiam o creduto che è uscito da D io » . C risto stesso


ce l ’ ha detto: « Ipse enim Pater am at v o s quia vos me
amastis et credidistis quia ego a Deo exivi » (G io v . 16,27).
Sublim e m istero che d ovreb b e fare del nostro am ore a
C risto l ’unica vera preoccupazion e della nostra vita,
com e lo è d ell’eterno Padre e com e lo fu e lo sarà
sempre di tutti i santi! Che fa e che cosa ci insegna
la Chiesa nella sua liturgia ? N onostante che sia la spo­
sa di C risto, Ubera da o g n i più piccola m acchia e da
o g n i più piccola ruga (E f. 5,27), non osa chiedere nulla
all’eterno Padre in nome proprio, ma tutto chiede in n o ­
me del suo d ivin o sposo: per Dominum nostrum Iesum
Christum Filium tuum...

Per me^xo di Cristo: ecco la prima grande sollecitudine


che deve avere il cristiano nel compiere le opere buone. Sen­
za di essa camminerebbe fuori della via, non farebbe un solo
passo innanzi, non giungerebbe mai al vertice della perfe­
zione. Quale disorientamento, quindi, quello di coloro i quali
ritengono la « devozione a nostro Signore », come uno dei
tanti mezzi di santificazione, al pari dell’esame di coscienza
o della lettura spirituale!

« ...e t c u m ip so ... ». Fare tutte le cose per mesgo


del Cristo, è ancora p o co . B isogn a com pierle con lui,
in unione intim a con lui.
L a divinità di C risto, il V e rb o di D io , è presente in
m od o permanente ed abita in o g n i anima in grazia.
Il V erb o può utilizzare continuam ente la sua umanità,
alla quale è unito ipostaticam ente, per ricolm arci di
vita soprannaturale. N o n dim entichiam o che C risto,
u o m o -D io , è la sorgente e la fon te unica della grazia,
e che la grazia di Cristo che ci santifica n on è la sua
grazia di unione — che g li è propria ed esclusiva —
ma la sua grazia capitale, la grazia abituale, cioè, di cui
è ripiena la sua anima, e che da lui si effonde su di noi
LA CONFIGURAZIONE A CRISTO 71
com e dalla testa la vita si diffonde in tutte le m em bra
di un organism o v iv o 1.
N o n è, quindi, u n ’illusione, bella ma irrealizzabile,
quella di com piere tutte le cose con Cristo; è una realtà
profondam ente teologica. M entre restiam o in grazia,
Cristo abita in noi, dentro di noi — fisicam ente con la sua
divinità, virtualm ente con la sua um anità — e nulla si
oppon e a che facciam o tu tto con lui, intimamente uniti a
lui. L e nostre opere acquistano agli occh i d ell’eterno
Padre un im m enso valore, quando gliele presentiam o
incorporati a Cristo e in unione intim a con lui. Senza
questa incorporazione n on varrebb ero assolutam ente
nulla: nihil, per usare la parola stessa di G esù (G io v .
15,5). C on lui, invece, acquistano u n va lo re assoluta-
m ente incom parabile. È la go ccia d’ acqua che n on v a ­
le nulla per se stessa, ma che, versata nel calice e m esco­
lata con il vin o del sacrificio, si converte n el sangue di
C risto, con tu tto il suo infinito valore redentivo.
Tale verità costituiva la preoccupazione costante di
S. Paolo. L ’uom o che più di ogni altro aveva ricevuto da
D io la grazia di penetrare nell’insondabile abisso del « mi­
stero di Cristo », non sapeva come spiegare al m ondo le in­
comprensibili ricchezze racchiuse in lui: « investigabiles di-
vitias Christi» (Ef. 3,8), e in che maniera l’eterno Padre ci
ha arricchiti con esse: « Propter vos egenus factus est, cum
esset dives, ut illius inopia vos divites essetis » (2Cor. 8,9),
fino a riem pirci in Cristo della pienezza stessa di D io: « E t
estis in ilio, repleti» (Col. 2,1,0), « ut. impleamini in omnem
plenitudinem D ei » (Ef. 3,19).
T utti gli sforzi del cristiano devono essere indirizzati
ad aumentare e ad intensificare sempre più tale unione con
Cristo. E g li deve compiere tutte le sue azioni con Gesù, in
intima unione con lui: l’orazione, il lavoro, la ricreazione, la
refezione, il riposo... tutto deve essere portato a Cristo per­
ché tutto sia com piuto insieme a lui. U n solo atto di Gesù
glorifica D io più di quanto lo glorificheranno, per l’eterni­
tà, gli atti degli angeli e dei beati insieme, inclusa la Madre

I I I , 8 ,5 .
72 IL FINE

di D io. Q uali ricchezze insondabili abbiamo in Cristo e quale


povertà e miseria fuori di lui! Quand’anche ci flagellassimo
a sangue, i nostri dolori, se non li uniremo a quelli di Cri­
sto, non avranno alcun valore. Il nostro sangue è impuro,
e solamente nell’unione con quello di Cristo può trovare va­
lore agli occhi di D io. I santi approfittavano di continuo
di queste ineffabili ricchezze che l’eterno Padre ha poste a
nostra disposizione, per guardare con ottimismo al futuro,
senza lasciarsi spaventare dalla loro povertà. « N on chia­
marti povera, poiché possiedi me », disse G esù ad un’anima
che si lamentava con lui della sua miseria.
« ...et in ip s o ... ». È sublim e tutto quello che ab­
biam o detto finora, ma c’ è ancora qualche cosa che lo
supera. L e azioni com piute per mevgo di C risto e con
C risto sono di un valore incalcolabile, ma il com pierle
in lui, identificati con lui significa elevare fino al lim ite
del possibile la loro sublim ità e grandezza. L e due prim e
m odalità (per mengo, con) sono qualche cosa di estrinse­
co a noi e alle nostre opere; la terza ci pone nel Cristo,
identificando in certo qual m odo il nostro essere con il
suo essere e le nostre azioni con le sue azioni. T em a su­
blim e che v a trattato con la massima serenità ed esat­
tezza per non deform arlo, sm inuendone la dignità,
e n on oltrepassare i lim iti, cadendo in d ep lorevoli
errori.

Per intravvedere un poco questo mistero ineffabile è ne­


cessario ricordare le linee generali della nostra incorpora­
zione a Cristo come capo del Corpo M istico. In virtù di
tale incorporazione il cristiano diventa parie del Cristo, Il Cri­
sto totale, di cui parla S. A go stin o , è il Cristo più noi. Il cri­
stiano in grazia form a una sola cosa con Gesù. Tralcio di
Cristo, v iv e della sua stessa vita, circola per le sue vene la
linfa divinizzatrice della sua divina vite. Gesù Cristo non è
com pleto senza di noi. N o n raggiunge la sua pienezza di
Cristo totale se non formiamo una sola cosa con lui. Unendo­
ci a lui, siamo parti integranti della sua unità totale.
« Si dice: ” Christianus alter Christus” , ” 11 cristiano è un
altro Cristo” , e nulla è più vero. M a non bisogna lasciarsi
trarre in inganno. " A ltr o ” non significa "d iverso ” . N o i
non siamo un Cristo diverso dal Cristo vero. Siamo, per de­
LA CONFIGURAZIONE A CRISTO 73
stillazione, il Cristo, il solo che esista, il Cristo unico: Chri­
stus facti sumus, come dice S. A gostin o. N on dobbiamo di­
venire una posa diversa da lui; dobbiamo divenire lui » z.
Tenendo presente questa divina realtà, si comprendono
m eglio le misteriose espressioni di S. Paolo e del Vangelo:
le nostre sofferenze completano quello che manca alla sua
passione (Col. 1,24); egli è colui che combatte in n oi (Col.
1,29) e colui che trionfa. Quando siamo perseguitati è lui
che viene perseguitato (A tti 9,5); il più piccolo servizio reso
a noi, lo accetta e lo ricompensa come se lo avessero fatto a
lui (Mat. 10,22; 25,34-46). L ’ultim o e supremo desiderio e-
spresso da Cristo nella notte della cena è che siamo una
cosa sola con lui (G io v. 17,21) in m odo sempre più perfetto
fino a che giungiam o ad essere « consumati nell’unità »
nel seno del Padre (G iov. 17,23).
È fuori dubbio che Cristo ci ha incorporati a sé, ci ha
fatti sue membra, ci ha convertiti in qualche cosa di suo, siamo
realmente suo Corpo. Dipendiamo interamente da Cristo,
Chrìsti sumus; m eglio ancora, Christus sumus; non solo di
Cristo, ma Cristo. S. A gostin o non esita ad affermare: « Con-
corporans nos sibi, faciens nos membra sua u t in ilio et nos
Christus essemus... E t omnes in ilio et Christi et Christus su­
mus, quia quodammodo totus Christus, caput et corpus
est » ' 3.
Se le cose stanno cosi, si comprende subito che il cri­
stiano deve compiere tutte le sue opere non solamente per
mesgo di Cristo e con Cristo, ma in Cristo, identificato con lui.
D eve rivestirsi talmente di G esù Cristo (Rom. 13,14), da
apparire all’eterno Padre, quando lo contempla, come Cri­
sto stesso. E ra questa la suprema aspirazione d i Sr. Elisabet­
ta della Trinità: « N o n guardate in me se non il Figlio dilet­
to, nel quale avete posto tutte le vostre compiacenze ».
A v e v a chiesto a Cristo che « la sostituisse » e allo Spirito
Santo che realizzasse nella sua anima « quasi una incarna­
zione del V erbo », allo scopo di convertirsi per mezzo
di lui in « un prolungamento di umanità, in cui egli potesse
rinnovare tutto il suo mistero » •*.
N on è, quindi, un’aspirazione illusoria quella di voler
compiere tutte le nostre azioni in Cristo, identificate con le
sue. È , al contrario, una divina realtà, la cui attuazione,

2 P l u s , In Cristo Gesù, In tro d u zio n e .


3 S. A g o s t i n o , In P s ., 26 enarr. z ,z ; M L 3 6 ,2 0 0 .
4 S u o r E l i s a b e t t a d e l l a T r i n i t à , Elevazione alla S S . Trinità.
74 IL FINE

sempre più intensa e frequente, eleverà il cristiano fino alle


vette della santità, fino a sentirsi dominato e posseduto
da Cristo, da esclamare con S. Paolo: « M ihi vivere Christus
est»: la mia vita è Cristo (Fil. i , z i ) , perché non son più io
che v iv o , ma è Cristo che vive in me; « V iv o autem, iam non
ego; v iv it vero in me Christus » (Gal. 2,20). Il cristiano ha
raggiunto allora la sua pienezza in Cristo (Ef. 4,13), è giunto
alla sua completa e totale cristificazione, si trova al vertice
della perfezione e della santità.

« ...e st... ». L a Chiesa usa questo verb o all’indi­


cativo, e non sit, al con g iu n tivo. N o n si tratta della ma­
nifestazione di un desiderio che n on si è ancora realizza­
to, ma dell’affermazione di un fatto che è già presente in
tutta la sua realtà infinita. « Q u i, d o v e è radunata la
Chiesa, e precisam ente attorno all’ altare sul quale si
tro va il sacramento, conven uta p rop rio per offrire
devotam ente il corp o e il sangue di C risto, D io accoglie
effettivam ente tutti g li on ori e tutte le glorificazioni »
L a stessa cosa avvien e per le azioni del cristiano che
salgon o al cielo per m ezzo di C risto, con C risto e in
C risto. L a più piccola di esse acquista un valore in
certo m od o infinito e glorifica im m ensam ente D io .
V iv e re incorporati a C risto, n on ci stancherem o mai
di ripeterlo, d ovreb b e costituire l ’unica e costante
preoccupazione del cristiano. Soltanto cosi è possibile
rim anere sempre sulla v ia maestra che conduce alla
santità, v o lti direttam ente a D io , senza tentennam enti
e deviazioni.

« ...tib i D e o P a tr i o m n ip o te n ti... ». T u tto è o r­


dinato a lui. L a gloria del Padre è il pensiero dom inan­
te del Cristo, il quale non esita a rinunciare alla sua v o ­
lon tà quando questa com porta una opposizione, anche
m inima, alla vo lo n tà del Padre (M at. 26,39); lavora solo
per piacergli (G io v . 8,29); v iv e per m ezzo di lui e per

5 J u n g m à n n , S. J., Mìssarum sollemnia> v o i. II, M arietti, 1954, pag. 204.


LA CONFIGURAZIONE A CRISTO 75
lui (G io v . 6,58); e se, giu n to il m om ento, chiede al
Padre che lo glorifichi, lo fa unicam ente perch é anch’e­
gli possa glorificare il Padre (G io v . 17,1).
Il cristiano deve rassom igliare al suo d ivin o m odello
in tutto, ma specialmente in questa continua aspirazio­
ne verso il Padre celeste. S. P aolo ce lo ricorda quando
— stabilendo la gerarchia dei va lo ri di tu tto quanto
esiste — afferma: « T u tto è vo stro; ma v o i siete di
C risto, e C risto è di D io » ( iC o r . 3,22-23). U n p o ’
più innanzi, nella stessa epistola, com pleta il suo pen­
siero: « È necessario che egli (Cristo) regni, finché
non abbia p o sto sotto i suoi piedi tu tti i suoi nem ici...
Q uand o p o i tutte le cose saranno sottop oste a lui,
allora anche lui, il F ig lio , si sottom etterà a colui che
tu tto g li ha sottom esso, affinché D io sia tu tto in tut­
ti» (iC o r 15,25-28). L a gloria di D io è il fine ultim o,
assoluto, di tutta la creazione del m ondo, della reden­
zione e glorificazione del genere um ano. N e l cielo si
com pirà in tutta la sua perfezione ed integrità quello
che dice S. G iovan n i della Croce: « Su questo m onte
dim ora soltanto l ’ onore e la glo ria di D io ».
« ...in u n ita te S p iritu s S a n c ti... ». Q uesta gloria
di D io , com ’è o v v io , n on appartiene esclusivam ente
alla persona del Padre. È la glo ria della divinità, del D io
u no e trino della rivelazione. D i conseguenza, questa
gloria che riceve il Padre per m ezzo di C risto, con
C risto e in C risto, appartiene anche allo Spirito Santo,
legam e che unisce il Padre e il F ig lio in u n ineffabile
v in co lo di am ore che consum a i tre n ell’unità della stes­
sa essenza.

« ...o m n is h o n o r e t g lo r ia ». Omnis, ogni onore


e gloria; perché nel piano attuale d ell’econom ia della
grazia, tutta la gloria che la SS. T rin ità riceve dai figli
degli uom ini deve salire ad essa per m ezzo di Cristo,
con C risto e in Cristo.
76 IL FINE

N o n c ’è dubbio. N e l per ipsum della messa abbiam o


una magnifica form ula di santificazione. Il cristiano che
si sforzerà di viverla troverà in essa un program m a
com pleto di perfezione ed una manna nascosta capace
di alim entare la sua vita spirituale fino al più com pleto
sviluppo.

C A P IT O L O III

L A V E R G IN E M A R IA E L A N O STRA
S A N T IF IC A Z IO N E

S. T o m m a s o , Collationes de A ve Maria; S. A l f o n s o D e ’ L i g u o r i , L e
glorie di Maria; S . G i o v a n n i E u d e s , L e Coeur admirable; S . L u i g i G r i g n o n
d e M o n t f o r t , Trattato della vera devozione alla SS. Vergine; I l segreto di M a­

ria; L e secret admirable du tris s. Rosaire; O l i e r , Vie intérieure de la Très


Sainte Vierge; P e r a r d i , L a Vergine Madre di D io e la vita cristiana; S e g n e r i ,
I l devoto di Maria; H u g o n , Marie, pieine de gràce; A r i n t e r o , Influencia de la
Santisima Virgen en la santificacion de las almas: « L a verdadera mistica tradi-
cional», appendice; T e r r i e n , L a Mere de D ieu et la mère des bommes; M e r -
k e l b a c h , Mafiologia; G a r r i g o u - L a g r a n g e , L a Madre del Salvatore e la
nostra vita interiore; A l a s t r u e y , L a SS. Vergine Maria; S a u y é , Marie intime.

« La ragione per la quale poche anime arrivano alla pie­


nezza dell’età di G esù Cristo, è che Maria, che è più che mai
la madre di G esù Cristo e la sposa feconda dello Spirito
Santo, non è abbastanza form ata nei loro cuori. Colui che
vuole avere il frutto ben form ato e maturo, deve avere l ’al­
bero che lo produce; chi vuole avere il frutto di vita, Gesù
Cristo, deve avere l ’albero di vita, che è Maria. Chi vuole a-
vere in sé l ’opera dello Spirito Santo, deve avere la sua spo­
sa fedele e indissolubile, la divina Maria... Siate dunque
persuasi che più vo i, nelle vostre preghiere, terrete lo sguar­
do fisso in Maria com e pure nelle vostre contemplazioni,
azioni e sofferenze, se non con uno sguardo distinto e par­
ticolare, almeno con uno sguardo generale ed im percetti­
bile, tanto più perfettamente vo i troverete G esù Cristo che
M ARIA E LA NOSTRA SANTIFICAZIONE 77

è sempre con Maria, grande, potente, operante ed incom-


prensibile, più che nel cielo ed in alcuna creatura dell’u-
niverso» r.

Le parole di u n o dei più au torevoli interpreti della


d evozione a M aria, ci offrono l ’ occasione di esaminare
la parte im portantissim a della V ergin e nella santifi­
cazione delle anime. M aria rappresenta la via più bre­
v e e sicura per giungere a C risto, e per lui al Padre.
D io ha fatto ogn i cosa secondo il suo beneplacito.
E nell’attuale econom ia di salute, egli ha inteso asso­
ciare M aria alla m issione divina di redenzione e di san­
tificazione del genere um ano, cosi ch e senza di lei è
im possibile conseguirle. N o n si tratta, quindi, di una
d evozione in più, ma di qualche cosa di essenziale e
di fondam entale nella nostra vita cristiana. Per questo
abbiam o v o lu to determinare il com pito di M aria nella
nostra santificazione in questa prim a parte del nostro
lavoro.

i. - F on dam en to d e l l ’in t e r v e n t o d i M a r ia n ella

N OSTRA S A N T IF IC A Z IO N E

23. T u tti i titoli e le grandezze di M aria trovan o


la lo ro giustificazione nel som m o p rivileg io della
maternità divina. M aria è im m acolata, piena di grazia,
corredentrice dell’umanità, fu assunta anima e corp o
per essere regina del cielo e della terra, la m ediatrice
universale di tutte le grazie, ecc., perchè è la Madre di
D io. L a maternità divina la colloca tanto al disopra
delle altre creature, che S. Tom m aso d ’A q u in o , pur
cosi sobrio e discreto nei suoi apprezzam enti, non

1 S. L u i g i M . G r ig n o n de M ontfort, Trattato della vera devozione


c. 4, a. 5, § 4.
78 IL FINE

dubita di proclam are la sua dignità in un certo modo in­


finita 2. Il Card. Caietano, suo com m entatore, prosegue
dicendo che M aria in virtù della sua m aternità divina
raggiunge i confini della divinità 3. T ra tutte le creature,
M aria è, senza dubbio, quella che possiede una m ag­
giore « affinità con D io ».
M aria, infatti, in virtù della sua m aternità divina,
entra a far parte dell’unione ipostatica, è un elem ento
indispensabile, nell’attuale econom ia della p ro vvid en ­
za, per l’incarnazione del V e rb o e la redenzione del ge­
nere um ano. O ra, secondo i teologi, l ’ordine ipostatico
supera im m ensam ente quello della grazia e della gloria,
com e quest’ultim o supera im m ensam ente quello della
natura umana e angelica o quello di qualsiasi altra na­
tura creata o creabile. L a m aternità divina trascende
la filiazione adottiva della grazia, giacché questa stabi­
lisce soltanto una parentela spirituale e m istica con
D io , m entre la m aternità divina di M aria stabilisce
una tarentela di natura, una relazione di consanguineità
con Gesù Cristo, e, se si vu o le, una certa affinità con tut­
ta la SS. T rin ità*. La m aternità divina che term ina nel­
la persona increata del V e rb o fatto carne, supera, quin­
di, infinitam ente la grazia e la gloria di tutti g li eletti
e la pienezza di grazia e di gloria ricevuta dalla stessa
V ergin e M aria. A m aggio r ragione supera tutte le gra­
zie gratis date o carismi, com e la profezia, la conoscenza
dei segreti dei cuori, il dono dei m iracoli o delle lingue,

2 « Humanitas Christi ex h oc quod est unita D eo, et beatitudo creata


ex hoc quod est fruitio D ei et Beata V ir g o ex h oc quod est M ater D ei,
habent quanàam dignitatem infinita?», ex bon o infinito quod est D eus » (I,
25,6 ad 4).
3 « Sola (B.V.M aria) ad fines Deitatis propria operatione naturali at-
tigit dum D eum concipit, peperit ac genuit et lacte proprio pavit » ( C a i e -
t a n u s , In I I -I I 1 0 3 , 4 ad 2).

4 Cf. P. H u g o n , Mariepleine degràce, 5. ed., pag. 63.


M ARIA E LA NOSTRA SANTIFICAZIONE 79
ecc., perché tutti questi doni sono inferiori alla grazia
santificante, com e insegna S. Tom m aso 6.
N el p rivileg io della divina m aternità si fonda il
cosiddetto principio della cooperatone, in virtù del quale
G esù C risto associò intim am ente la V erg in e a tutta la
sua m issione redentrice e santificatrice. T u tto quello
che egli ci m eritò con u n m erito di rigorosa giustizia
•— de condigno ex toto rigore iustitiae — ci fu m eritato,
con tito lo diverso, anche da M aria 6.

2. - U f f ic io d i M a r ia SS. n e l l a n o st r a

SA N T IF IC A Z IO N E

24. Sulla questione nulla è più sintetico, più pre­


ciso e, nello stesso tem po, più pratico, dell’argom enta­
zione che S. L u ig i G rig n o n de M o n tfo rt ci ha lasciata
nel suo prezioso vo lu m etto I I segreto di M aria 7. N e
offriamo al lettore una sintesi, servendoci spesso delle
sue stesse parole.
1. Necessità dì santificarsi per m ezzo di M aria. - a) È
volontà di D io che ci santifichiamo.
b) Per santificarsi occorre praticare la virtù.
c) Per praticare la virtù abbiamo bisogno della grazia
di D io.
d) Per trovare la grazia di D io occorre trovare Maria.
2 . Perché quest’ ordine? - a) Perché soltanto Maria ha
trovato grazia presso D io , per sé e per tutti gli altri uom ini.

5 C f. P . G a r r i g o u - L a g r a n g e , L a M adre del Salvatore, p . i . , c. i , a. 2


C f. I-II, 1 1 1 ,5 .
6 Q uale sia la natura del m erito di M aria in relazione a n o i, è una que­
stione ancora discussa tra i teologi. A lcu n i am m ettono soltanto un m erito
di convenienza {de congruo)-, altri sostengono che si tratta di un m erito stret­
to , n on secondo tutto il rigore della giustizia, ma per una certa prop orzio­
nalità (de condigno e x condignitate). A n o i pare che questi ultim i abbiano ra­
gione.
7 E d iz io n i P a o lin e, R o m a , 3 ed.
80 IL FINE

N é i patriarchi, né i profeti, né i santi della legge antica, p o ­


terono trovarla in questa forma.
b) Perché Maria diede l’essere e la vita all’autore della
grazia: ella è la Mater gratiae.
c) Perché D io Padre, dal quale proviene ogn i dono per­
fetto e ogni grazia com e da fonte primario, dando a Maria
il suo divin F iglio, le diede tutte le grazie.
d) Perché D io l ’ha scelta com e tesoriera, amministratri-
ce e dispensatrice di tutte le grazie; e, conform e al potere
che ha ricevuto, ella distribuisce a chi vuole, com e vuole,
quando vuole e nella misura che vu ole le grazie dell’eterno
Padre, le virtù di G esù Cristo e i doni dello Spirito Santo.
e) Perché com e nell’ordine della natura il bambino de­
ve avere un padre e una madre, cosi nell’ordine della grazia,
per avere D io per padre, è necessario avere Maria per madre.
/ ) Perché come Maria ha form ato il capo dei predesti­
nati, G esù Cristo, cosi a lei spetta il com pito di formare i
membri di questo capo, i cristiani. L e madri non formano
delle teste senza membra né delle membra senza testa. Chi
vuole essere m embro di G esù Cristo, pieno di grazia e di
verità, deve lasciarsi formare da Maria che possiede piena­
mente la grazia di G esù e con generosità la com unica alle
vere membra di G esù e ai santi.
g) Perché lo Spirito Santo, che ha eletto Maria per sua
sposa, e in lei, per m ezzo di lei e da lei ha dato vita al suo
capolavoro, il V erb o incarnato, la considera ancora tale e
continua a produrre tutti i giorni in lei e per m ezzo di lei
i predestinati in m odo reale, anche se misterioso.
h) Perché, com e dice S. A go stin o , in questo m ondo i
predestinati sono raccolti nel seno di Maria, e non ven go ­
no alla luce se non quando questa buona madre li ha portati
alla vita eterna. D i conseguenza, com e il bambino riceve
tutto il suo alimento dalla madre, che glielo somministra
in proporzione delle sue capacità, cosi i predestinati ricevo­
no tutto il loro alimento spirituale e tutta la loro for^a da Maria.
i ) Perché lo scultore che deve fare una statua o un ritrat­
to può seguire una duplice via: scolpire un masso duro e in­
forme oppure preparare uno stampo. Il primo procedimento
è lungo, difficile, soggetto a m olti pericoli: un colpo falso di
scalpello o di martello è sufficiente, a volte, per rovinare
tutto. Il secondo è breve, facile, piacevole e progredisce sen­
za fatica, quando lo stampo è perfetto e rappresenta al na­
turale la figura, e; la materia è malleabile.
O ra, il grande m odello di D io , preparato dallo Spirito
Santo per formare al naturale un D io-U om o, mediante l ’u-
MARIA E LA NOSTRA SANTIFICAZIONE 81
mone ipostatica, e per formare un uom o-D io mediante la grafìa,
è Maria. A questo stampo non manca nessun lineamento
della divinità; chiunque viene posto in esso e si lascia plasma­
re, riceve impressa la figura di G esù Cristo, vero D io , in
modo soave e proporzionato alla debolezza umana, senza
gravi fatiche; in m odo sicuro, senza timore di illusioni, giac­
ché il demonio non avrà mai accesso dove si trova Maria;
in m odo santo e immacolato, cioè senza la minima macchia
di colpa.
Quale differenza tra l’anima che cerca di riprodurre in
sé l’immagine di Cristo attraverso le vie ordinarie e che,
come lo scultore, confida nelle proprie capacità e nel proprio
lavoro, e l ’anima malleabile, docile che, diffidando di sé,
si rifugia in M aria e si abbandona all’azione dello Spirito
Santo! Quante macchie, quanti difetti, quante debolezze,
quante illusioni, quanto di naturale e di umano nella prima!
Quanta purezza, quanta santità e quanta somiglianza con
Cristo nella seconda!
/) Perché Maria è il paradiso di D io e il suo mondo
ineffabile nel quale il F iglio di D io entrò per compiere mera­
viglie, per custodirlo e per trovare in esso le sue compiacen­
ze. E g li ha creato un m ondo per l ’uom o in cammino verso
la patria: la terra; ha creato un m ondo per l’uom o beato:
il cielo; ma per sé ha creato un paradiso e lo ha chiamato
Maria. Perciò ella è il tempio della SS. Trinità e il sacrario
del D io vivo . Felice l’anima alla quale lo Spirito Santo ri­
vela il segreto di Maria e le apre questo giardino chiuso
perché v i entri, questa fonte sigillata perché v i attinga l’ac­
qua viva della grazia e ne beva a grandi sorsi. Q uest’anima
troverà in Maria D io solo, senza le creature; ma un D io in­
finitamente santo, sublime, fatto condiscendente e alla por­
tata della propria debolezza. D io è ovunque e lo si può
trovare ovunque; ma in nessun lu o go la creatura può sentir­
lo più vicino a sé e più alla portata della propria debolezza
come in Maria. A ltro ve egli è il pane dei forti e degli angeli,
in Maria è il pane dei p ic c o li8.
m) Infine, nessuno creda, come han fatto certi pseudo­
illuminati che Maria, perché creatura, costituisca un impedi­
mento all’unione con il Creatore. N o n è più M aria che vive,

8 D a qui si vede com e il m od o m igliore per praticare lo spirito di in­


fanzia spirituale tanto inculcato da S. Teresa del Bam bino G esù sia di abban­
donarsi totalm ente tra le braccia di Maria, com e un fig lio tra le braccia di
sua madre.
82 IL FINE

ma Cristo solo, D io solo che vive in lei. La sua trasforma­


zione in D io supera quella di S. Paolo e quella degli altri
santi, assai più di quanto il cielo non disti dalla terra. Quanto
più un’anima rimane unita a Maria, tanto più intimamente
si trova unita a D io , che abita in lei. Chi trova Maria trova
G esù in lei, e D io in Gesù. N on esiste una via più sicura e
rapida per trovare D io com e quella che passa per Maria.
N ei disegni della divina sapienza, dice S. Tom m aso, D io di
regola si comunica agli uom ini, nell’ordine della grazia,
solo per m ezzo di Maria. Per salire e unirsi a lui è necessa­
rio valersi dello stesso m ezzo di cui si valse lui per scende­
re fino a noi, per farsi uom o e com unicarci le sue grazie.
Q uesto m ezzo ha un nom e dolcissimo: Maria.

P er entrare nei piani di D io è necessario, quindi,


nutrire una filiale d evozion e a M aria. E lla ci condurrà
a G esù e riprodurrà nelle nostre anime l ’im m agine di
lui, base ed essenza della nostra perfezione e santità.
E cc o com e dim ostra tale verità S. L u ig i G rig n o n
de M o n tfo rt ”, per il quale una fervid a devozion e a
M aria rappresenta u n o dei m ezzi principali per realiz­
zare l ’unione con nostro Signore. E g li afferma che questa
d evozion e è la v ia p iù facile, p iù breve, più perfetta e
più sicura.
V ia facile: è il sentiero che G esù ha tracciato venendo
a noi, e nel quale non c’è ostacolo per giungere a lui. L ’un­
zione dello Spirito Santo la rende facile e lieve.
V ia breve: sia perché non ci si smarrisce, sia perché vi
ci si cammina con più gioia e speditezza e, di conseguenza,
con più sveltezza. N e l seno di Maria le anime giovani diven­
tano mature per luce, santità, esperienza e sapienza, e noi
giungiam o in pochi anni fino alla pienezza dell’età di Gesù
Cristo.
Via perfetta: perché Maria è la più santa e la più perfetta
di tutte le creature, e perché G esù Cristo, che è venuto nella
maniera più perfetta, si è servito di questa via.
V ìa sicura: perché missione propria di Maria è di condurci
con sicurezza a suo Figlio, come quella di G esù Cristo è di
condurci con sicurezza al Padre celeste. L a dolce Madre

9 Trattato delta vera devozione alla SS. Vergine c. 5, a. 5.


M ARIA E LA NOSTRA SANTIFICAZIONE 83
di Gesù, additandoci la via, ripete sempre ai suoi veri devoti
le parole che pronunciò alle nozze di Cana: « Fate tutto quel­
lo che v i dirà» (G iov. 2,5).

T u ttavia per ottenere questi salutari effetti è ne­


cessaria un a vera d evozion e a M aria.

3. - L a vera d e v o z io n e a M a r ia

25. In questo paragrafo esporrem o ancora la dot­


trina di S. L u ig i G rig n o n de M o n tfo rt, contenuta nel
Trattato della vera devozione alla SS. Vergine: un piccolo
cap olavoro che n on d ovreb b e mancare a nessun de­
v o to di Maria.
D o p o un prim o capitolo, dedicato alla necessità
della devozion e a M aria per la salvezza e la santifica­
zione, e d op o un secondo capitolo su alcune verità
fondam entali riguardanti tale d evozion e, S. L u ig i de­
scrive nel terzo i caratteri della vera e della falsa d evo­
zione.
I. Caratteri della falsa devozione a M aria. - Il santo
segnala diverse specie di falsi devoti di Maria:
a) I devoti critici: persone orgogliose e presuntuose che
criticano le pratiche semplici di devozione a Maria, defi­
nendole con leggerezza antiteologiche ed esagerate...
b) I devoti scrupolosi: coloro che temono di disonorare
il Figlio onorando la Madre; e non avvertono che non si
onora mai tanto G esù Cristo come quando si onora Maria,
alla quale ci si rivolge unicamente perché costituisce la via
più sicura e più breve per trovare Gesù.
c) I devoti esteriori: coloro che fanno consistere tutta la
loro devozione a Maria in alcune pratiche esteriori. Si cari­
cano di medaglie e di scapolari, si iscrivono a tutte le confra­
ternite, assistono a tutte le processioni, recitano distratta-
mente interminabili preghiere... ma non fanno nulla per
emendare la loro vita, per frenare le loro passioni e per i-
mitare le virtù di Maria. Am ano soltanto l’aspetto sensibile
della devozione, senza gustarne la sostanza; e se viene a
mancare il sentimento credono di non fare più nulla, si
84 IL FINE

scoraggiano, abbandonano tutto o agiscono solo per abi­


tudine.
d) I devoti presuntuosi: sono quei peccatori che si rifu­
giano nella devozione a Maria per vivere tranquillamente
nei loro vizi e nei loro peccati. Pensano che D io perdonerà
loro, che non moriranno senza confessione e che non si
danneranno, perché recitano la corona o portano lo scapo­
lare o hanno dato il nom e ad una confraternita della V er­
gine, ecc. E non si accorgono di fare un gravissim o torto a
Maria, quasi che Ella sia disposta ad autorizzare il male e
a collaborare alla crocifissione del F iglio, salvando a tutti i
costi coloro che vo glion o vivere nel peccato.
e) I devoti incostanti: sono coloro che per leggerezza cam­
biano le pratiche di devozione o le abbandonano totalmente
alla più lieve tentazione, alla più insignificante contrarietà
o aridità. Fanno parte di tutte le confraternite, ma ben presto
lasciano di compiere i doveri e le pratiche che queste pre­
scrivono.
f) 1 devoti ipocriti: sono coloro che fanno parte delle con­
fraternite e vestono la divisa di Maria allo scopo di essere
ritenuti buoni.
g) I devoti interessati: sono coloro che ricorrono a Maria
soltanto per vincere una lite, per guarire da un’infermità
o per chiedere qualche altro bene temporale. Se non ci fos­
sero questi m otivi, si dimenticherebbero di lei.

2. Caratteri della vera devozione a M aria. - D o p o aver


ricordate e condannate le false devozioni, S. L u igi G rignon
de M ontfort esamina i caratteri della vera devozione. I prin­
cipali sono cinque:
a) Devozione interiore: nata dallo spirito e dal cuore. Pro­
viene dalla stima che abbiamo della V ergine, dall’alta idea
che ci form iam o delle sue grandezze, dall’amore sincero e
intimo che le professiamo.
b) Devozione tenera: piena di fiducia nella Vergine, come
quella di un bambino per la sua mamma. Essa ci fa ricorrere
a Maria in tutte le necessità materiali e spirituali, in tutti i
tempi, in tutti i luoghi, con grande semplicità e fiducia; nei
dubbi, perché ci illumini; negli errori, perché ci conceda
di ritornare sulla retta via; nelle tentazioni, perché ci so­
stenga; nelle debolezze, perché ci fortifichi; nelle cadute,
perché ci sollevi; negli scoraggiamenti, perché ci infonda
nuovo coraggio; negli scrupoli, perché li dissipi; nelle cro­
ci e nei travagli della vita, perché ci consoli.
c) Devozione santa: basata sulla fuga del peccato e sull’i-
M ARIA E LA NOSTRA SANTIFICAZIONE 85

irritazione delle virtù di Maria: la sua umiltà profonda, la sua


fede viva, la sua obbedienza pronta, la sua orazione continua „
la sua mortificazione completa, la sua purezza divina, la sua
carità ardente, la sua pazienza eroica, la sua dolcezza angelica,,
e la sua sapienza celeste.
d) Devozione costante: che consolida l’anima nel bene e
fa si che non abbandoni facilmente le pratiche di devozione;
le infonde il coraggio per opporsi agli assalti del demonio,
del m ondo e della carne; le fa evitare la melanconia, lo scru­
polo o la timidezza; le dà forza contro lo scoraggiam ento.
N on è detto che tale anima sarà immunizzata contro le ca­
dute e non subirà mai variazioni in quello che concerne la
parte sensibile della devozione; ma se avrà la disgrazia
di commettere il peccato si rialzerà subito, tendendo la ma­
no alla sua buona madre; e se mancherà la devozione sensi­
bile, non se ne angustierà perché il vero devoto di Maria
vive della fede in G esù e nella sua santa madre, e non delle
impressioni sensibili.
e) Devozione disinteressata: non serve Maria per interes­
se, ma unicamente perché ella merita d ’essere servita. N on
ama Maria per i favori che da lei riceve o spera di ricevere,
ma perché ella è degna di tutto il nostro amore. Il suo af­
fetto, la sua dedizione rim angono costanti nell’aridità come
nel fervore, sul calvario come alle nozze di Cana. Quanto
sono accetti agli occhi di D io e di Maria questi devoti che
nei loro servigi non cercano mai se stessi!

4 . - P r i n c i p a l i d e v o z io n i m a r ia n e

26. C on queste disposizioni dobbiam o praticare


le d evozion i mariane, scegliendo quelle che ci ispirano
più intensa pietà, sono più conform i ai d overi del n o ­
stro stato e stim olano m aggiorm ente il nostro slancio
verso la M adre di D io . L e principali d evozion i sono:
a) Il santo Rosario: d evozion e mariana per eccellen­
za, pegn o e garanzia delle p iù fecon de benedizioni
divine, al quale M aria ha vin colato in questi ultim i tem­
pi — a Lourdes e a Fatim a in m od o speciale — la sal­
vezza del m ondo. N essun d evoto di M aria dovrebbe
86 IL FINE

■omettere, anche per un solo gio rn o, la recita di alm eno


u n i terza parte di rosario.
b) I cinque prim i sabati, ai quali la V ergin e ha legato
una prom essa analoga a quella dei prim i venerdì in
on ore del S. C uore di G esù.
E cco le parole ch'ella rivolse a Lucia, la fortunata ve g ­
gente di Fàtima, il io dicem bre 1925: « G uarda, figlia
m ia, il m io cuore trafitto da spine, che g li uom ini ad ogn i
istante v i configgono con le loro bestemmie e ingratitudi­
n i. T u, almeno, procura di consolarlo e fa’ sapere che pro­
m etto di assistere nell’ora della m orte, con le grazie neces­
sarie per la salvezza eterna, tutti coloro che nei prim i sa­
bati di cinque mesi consecutivi, si confessano, ricevon o la
com unione, recitano la terza parte del rosario e mi fanno
com pagnia per un quarto d’ora m editando i quindici m i­
steri del rosario con intenzione riparatrice .■ >1 °.

c) U A v e Maria e l ’ Angelus, la pia e frequente recita


delle quali riem pie di gio ia M aria, perché le ricordano
il m om ento dell’A n nun ciazion e e il suo tito lo suprem o
di M adre di D io; le Litanie lauretane nelle quali si suc­
ced on o i titoli e le grandezze di M aria e si im plora
la sua protezione; la Salve Regina, bellissim a preghiera
piena di soavità e di tenerezza; il Sub tuum praesidium
e il 0 Domina mea, form ule che stillano am ore, fidu­
cia e dedizione totale a Maria; il Ricordatevi di San
B ernardo che, senza d ubbio, ricrea M aria a m otivo
della fiducia totale nella sua m aterna m isericordia che
con essa le manifestiam o; e, soprattutto, il Magni­
ficat, cantico sublim e che lo Spirito Santo fece sgorgare
dal cuore di M aria per esaltare le m eraviglie che l ’ A l­
tissim o op erò in lei « perché ha riv o lto i suoi sguardi
all’um iltà della sua serva ».
d) Il Piccolo Ufficio della SS. Vergine, v e ro b revia­
rio delle anime innam orate di M aria, nel quale si esal­

10 D al Manuale Ufficiale del Pellegrino dì F atim a, edito sotto il patrocinio


d el V e sco v o di Leiria, il 13 m aggio 1939.
M ARIA E LA NOSTRA SANTIFICAZIONE 87
tano le sue grandezze con le incom parabili form ule
della liturgia ufficiale della Chiesa.
e) L o Scapolare e la Medaglia della V ergin e, che co­
stituiscono com e uno scudo protettore e un pegn o
della speciale benedizione di M aria per coloro che li
portano con spirito di filiale d evozion e e con l ’intento
di m eglio praticare le sue virtù. T ra gli scapolari ec­
celle, a m otivo della sua antichità e venerazione, quel­
lo della V ergin e del Carm elo, al quale M aria vin co lò
una speciale prom essa di salvezza; e tra le m edaglie
si è orm ai im posta ovunque quella cosiddetta Mira­
colosa, che la SS. V ergin e ispirò all’um ile F iglia della
Carità, S. Caterina L abou ré.

A p p e n d ic e : La sa n t a s c h ia v it ù m a r ia n a 11

27. È un m etodo di santificazione p rop osto da


S. L u ig i G rig n o n de M o n tfo rt e basato su una totale
dedizione a M aria. « Consiste, spiega il santo, nel dar­
si interamente com e schiavo a M aria, e per m ezzo
di lei a Gesù; poi, nel fare tu tto con M aria, per m ez­
zo di M aria, in M aria e per M aria » 12.
Q uesta d evozion e im porta essenzialm ente due co­
se: a) l ’ atto di dedizione totale o perfetta consacrazione
a M aria, che è l ’atto fondam entale e più im portante
di tutti, in virtù del quale ha inizio per l ’anima com e
uno stato n u o vo (a som iglianza del religioso nel gio r­
no della sua professione); e b) lo sformo di vivere d ’ora
innanzi conforme alle esigente di questa dedizione totale,

11 Cf, S. L u i g i M . G r i g n o n d e M o n t f o r t , opere citate, e lo studio di


Lhoum eau, L a vie spirituelle à Vécole d u B . Grignon de M ontjort, dove viene e-
sposto ampiamente questo sistema di spiritualità mariana.
12 C f. I l segreto dì M aria p. II, pag. 36.
88 IL FINE

c e rca n d o sem p re l ’u n io n e co n M a ria e fa ce n d o tu tto


c o n M aria, p e r m e zz o d i M a ria , in M a ria e p e r M aria,
a l fine d i ad erire p iù in tim a m en te a G e s ù .
E c c o co m e il san to s p ie g a q u e sto a tto ch e, se si
e c c e ttu a il v o t o e le sue c o n se g u e n ze , h a l ’im p o rtan za
e i l m e rito d ell 'atto eroico fa tto in fa v o re d elle anim e
san te d el P u rg a to rio :
« Bisogna scegliere un giorno speciale per offrirsi, consa­
crarsi e sacrificarsi; e ciò si deve fare spontaneamente e per
amore, senza timore alcuno, interamente e senza nessuna ri­
serva: né di beni esterni com e casa, famiglia, guadagni;
né di beni interni dell’anima com e i meriti, le grazie, le virtù
e le soddisfazioni.
E bene notare che con questa devozione l’anima si im ­
mola a G esù per M aria con un sacrificio che non si esige
in nessun ordine religioso; con tutto quanto l ’anima ha di
più caro e il diritto stesso che avrebbe di disporre a suo pia­
cimento delle proprie preghiere e soddisfazioni: di maniera
che si mette e si lascia ogni cosa a disposizione della SS.
Vergine, la quale le applicherà come m eglio le piacerà per
la m aggior gloria di D io , che ella conosce perfettamente.
Si lascia a sua disposizione tutto il valore soddisfattorio
e impetratorio delle opere buone, di maniera che dopo che
se n ’è fatta oblazione, sebbene senza voto, uno non si con­
sidera più padrone di nulla e la V ergin e può applicarlo
tanto ad un’anima del Purgatorio per alleviarla e liberarla,
quanto ad un p o vero peccatore per convertirlo.
A nche i nostri meriti ven gono affidati con questa de­
vozione nelle mani di Maria; ma solo perché ce li custodisca,
li aumenti e li impreziosisca; p oiché di per sé, né i meriti di
grazia né quelli di gloria si possono comunicare dall’uno
a ll’altro. T uttavia le preghiere e le buone opere gliele diamo
perché le applichi a chi m eglio le piaccia. È se dopo esserci
consacrati cosi alla M adonna, desideriamo aiutare qualche
anima particolare del Purgatorio, di salvare qualche pecca­
tore oppure giovare a qualcuno dei nostri amici o nemici,
con orazioni, mortificazioni, elemosine, sacrifici, prima è
necessario dom andarlo a lei e rimetterci completamente a
ciò che lei dispone; quantunque non lo conosciamo. E stia­
mo tranquilli che il valore delle nostre azioni, amministrato
•da quelle mani di cui si serve Iddio stesso per distribuirci
le sue grazie e doni non correrà pericolo e sarà sicuramente
applicato secondo la maggior gloria di Dio.
M ARIA E LA NOSTRA SANTIFICAZIONE 89

H o detto che questa devozione consiste nell’offrirsi e


consegnarsi a Maria in qualità di schiavo. Ci sono tre classi di
schiavitù. La prima è la schiavitù di natura: buoni o cattivi
siamo tutti servi di D io in questa forma. La seconda è la
schiavitù forcata: vi sono condannati i demoni e i dannati;
e la schiavitù volontaria di amore: e con questa precisamente
noi dobbiamo consacrarci a D io per m ezzo di Maria, nella
maniera più perfetta con cui una creatura possa consacrarsi al suo
Creatore » *3.

Q u a n to al se c o n d o e le m e n to — v ita di u n io n e in ­
tim a co n M aria — c o lu i ch e a lei si è d ato co m e schia­
v o d e v e fare tutto:
P er m e^ o di M aria: ric o rre n d o sem p re a n o s tr o
S ig n o re p e r m e zz o di lei e p re se n ta n d o si a lu i sem pre
a cco m p a g n a to dalla sua M a d re ch e è an ch e la nostra.
Con M aria: p re n d e n d o la V e r g in e co m e p e r fe tto
m o d e llo di q u a n to si d e v e fare.
In M aria: en tra n d o ed a b ita n d o n e l cu o re d ì
M aria, n elle sue in te n z io n i e n e i su o i s en tim en ti, di
m o d o ch e ella sia co m e la n o s tra a tm o sfera , il n o s tr o
m o n d o , l ’aria in cu i v iv ia m o e re sp iria m o .
P er M aria: n o n ce rca n d o n o i stessi in n u lla, m a fa ­
c e n d o tu tto a g lo r ia d i M a ria , co m e fin e p ro s s im o ,
e , p e r m e zz o d i lei, ad o n o re e g lo r ia di D i o , co m e fi­
ne u ltim o e a sso lu to .

C o m e si v e d e , si tra tta d i u n a tto sin g o la re ed


e ro ic o , ch e a v rà le sue p r o fo n d e rip e rc u s s io n i sulla
n o stra v ita sp iritu ale, alla q u a le im p rim e u n a d ire z io ­
n e em in en tem en te m ariana, c o n cre ta e determ in a­
ta. P e rc iò , n o n si d e v e fare c o n e cce ssiv a le g g e re z ­
z a e p re cip ita zio n e , m a d o p o m a tu ra rifle ssio n e e
d ’a cco rd o c o n il d iretto re sp iritu a le. Q u a n tu n q u e
n on im p o rti u n v e r o v o t o ch e o b b lig h i a ll’a d em p i­

*3 1J segreto di Maria p. I I , p a g g , 3 7-4 0 ,


90 IL FINE

m e n to in fo r z a d ella v ir t ù d e lla re lig io n e , ra p p resen te­


re b b e tu tta v ia u n a g r a v e irr iv e re n z a to rn are facilm e n te
in d ie tro d a ll’im p e g n o a ssu n to o v iv e r e co m e se n o n si
fo ss e fatta tale c o n sa cra zio n e . C o lo r o i q u a li, m o ssi da
u n a sp eciale a ttra ttiv a d e llo S p irito S an to , e c o n l ’esp res­
sa a u to rizz a zio n e d e l lo r o d iretto re sp iritu a le, si d e ­
c id o n o a fare qu esta d e d izio n e to ta le a M a ria , c o n tu t­
te le su e im m en se rip e rcu ssio n i, n o n d u b itin o u n i-
stan te ch e — co m e s p ie g a m ira b ilm e n te S. L u ig i — la
SS. V e r g in e li amerà c o n p a rtic o la re p re d ile z io n e , li
provvederà co n m a g n ificen za e sp le n d o re di q u a n to a-
v r a n n o b is o g n o rig u a rd o a ll’an im a e a l c o r p o , li gui­
derà c o n m an o ferm a p e r le v ie d ella san tità, li difende­
rà e proteggerà c o n tro i p e r ic o li e le in sid ie d ei lo r o
n em ici, intercederà co n tin u a m en te p e r lo r o d a v a n ti al
s u o d iv in F ig lio e assicurerà a d e ssi la p erse v e ra n za ,
p e g n o e g a ra n zia di etern a fe lic ità 1 4.

x4 Trattato della vera devozione alla SS. Vergine, c . 6, a . 2.


PARTE II

PRINCIPI FONDAMENTALI DELLA


TEOLOGIA DELLA PERFEZIONE
28. N e lla p rim a p arte a b b iam o c o n sid e ra to il fine
p ro s s im o e r e m o to d ella v ita cristian a, a b b ia m o p re ­
c isa to g li e lem en ti fo n d a m e n ta li d ella n o stra co n fi­
g u ra zio n e a C ris to e d a b b ia m o ric o rd a to il c o m p ito
ch e co m p ete a M a ria n ella re a liz z a z io n e d ella n o stra
san tificazio n e. È n ecessa rio o ra esam in are i p rin cip i
ch e re g g o n o la T e o lo g ia d e lla p e rfe z io n e cristian a. L o
fa rem o in q u esta seco n d a p arte ch e risu lterà co s i d iv i­
sa:

1. N a tu ra e o rg a n is m o d e lla v ita so p ran n atu rale.


2. S v ilu p p o d e lF o rg a n is m o sop ran n atu rale.
3. P e rfe zio n e cristiana.
4. N a tu ra d ella m istica.
5. R e la z io n i tra la p e rfe z io n e e la m istica.
CAPITOLO I

NATU RA E O R G A N IS M O D E L L A V IT A
SO PR AN N ATU RALE

N o zion i preliminari

P rim a di in izia re lo stu d io d e ll’o rg a n is m o so p ran ­


n aturale è o p p o r tu n o ric o rd a re a lcu n e n o z io n i elem en ­
tari circa la v ita n aturale e sopran n atu rale d e ll’u o m o .

I. - La V IT A N ATURALE D E L L ’UOM O

29. L ’ u o m o è u n essere m isterio so ch e si co m p o n e


di anim a e di co rp o , di m ateria e di sp irito in tim a m e n te
associati p er fo rm a re u n a sola n atura e u n a sola p er­
sona. Si è d e tto di lu i, a ra g io n e , ch e co stitu isce u n
p ic c o lo m o n d o , u n microcosmo, sintesi m irab ile di tu t­
ta la creazio n e.
« Om nis creaturae — dice bellamente S. G rego rio —
aliquid habet homo: habet namque hom o commune esse
cum lapidibus, vivere cum arboribus, sentire cum animalibus,
intelligere cum A ngelis » '.

L ’u o m o , e ffe ttiv a m e n te , ha u n ’esisten za al p ari de­


g li esseri in an im ati; si n u tre, cresce e si rip ro d u ce
a s o m ig lia n za d elle p ian te; co m e g li an im ali co n o sce
g li o g g e tti sen sib ili, si d irig e v e rs o di lo ro c o n l ’a p p e ­
tito sen sitiv o , co n le sue e m o z io n i e p assio n i, e si

S. G r e g o r io , H om il. 29 super Evang.: M L 76 , 12 14.


94 PRINCIPI FONDAMENTALI

m u o v e di u n m o v im e n to im m a n en te e sp on tan eo ;
co m e l ’A n g e lo , seb b e n e in g ra d o in fe rio r e e in u n m o ­
d o d iv e r so , c o n o s c e in te llettu a lm en te l ’essere so p ra-
sen sib ile in q u a n to vero, e la v o lo n tà si d irig e v e r s o
tale essere d a ll’in te lle tto a p p re so co m e bene. I l m e c ­
ca n ism o e il fu n z io n a m e n to d i tu tti q u esti elem en ti
v ita li n ella lo r o trip lic e m a n ife sta zio n e vegetativa, sen­
sitiva e ragionale co stitu isce la v ita n atu rale d e ll’u o m o .
T a li m a n ife sta zio n i n o n so n o s o v ra p p o s te o d isu n ite
:tra lo r o , m a si co m p e n e tra n o , si c o o rd in a n o e si c o m ­
p le ta n o a v ic e n d a p e r c o n c o rre re ad u n o stesso fine:
la p e r fe z io n e n atu rale d e ll’in d iv id u o .

2. - L a v it a so p r a n n a t u r a l e

30. N o n c ’ è n ella n atu ra d e ll’u o m o n essu n e le m e n to


ch e rich ied a o e sig a , in m o d o p ro s s im o o re m o to ,
l ’ o rd in e so p ran n atu rale. L ’e le v a z io n e a tale o rd in e è
u n a co n ce ssio n e p u ra m e n te g ra tu ita da p arte d i D io ,
ch e su p era e tra scen d e in fin itam en te le e sig e n ze d el­
la n atu ra 2.
C ’ è, tu tta v ia , u n in tim o ra p p o r to tra l ’ o rd in e n a­
tu rale e l ’ o rd in e so p ran n atu rale . P e rc h é la g ra z ia n o n
v ie n e a d is tru g g e re la n atu ra n é a c o llo c a r s i ai m a rg i­
n i di essa, m a a p e rfe z io n a rla e ad ele va rla . L ’ o rd in e
so p ran n atu rale c o s titu isce p e r l ’u o m o u n a v e ra vita,
c o n u n o rg a n is m o a n a lo g o a q u e llo d e lla v it a n atu rale.
C o m e n ella v it a n atu rale d e ll’u o m o d istin g u ia m o q u a t­
t r o e lem en ti fo n d a m e n ta li: il s o g g e tto , il p rin c ip io
fo rm a le , le p o te n z e e le o p e ra z io n i, a ltretta n to p o ssia m o
fare n e ll’ o r g a n is m o so p ran n atu rale. I l s o g g e tto è l ’a n i­
m a; il p rin c ip io fo rm a le è la g r a z ia san tifican te; le p o ­
ten ze s o n o ra p p rese n ta te d alle v ir t ù in fu se e dai d o n i

2 C f. D e n z . 10 0 1-10 0 7, 1009, 10 2 1, 1023 s., 10 79, 16718.


NATURA DELLA VITA SOPRANNATURALE 95
d e llo S p irito Santo e le o p e ra z io n i d a g li a tti d i q u e ­
ste v ir t ù e d i q u e sti d o n i. C o n tale d iv isio n e rim an e
già tra ccia to il ca m m in o ch e p e rc o rre re m o in q u e sto
ca p ito lo , in cu i stu d ierem o tu tti g li e le m e n ti essen ziali
al n o stro o rg a n is m o so p ran n atu rale n e l su o d u p lice a-
sp etto statico e d in a m ico . E sa m in e re m o su cce ssiv a ­
m ente:

1. I l p rin c ip io fo r m a 'e d e lli n o stra v it a so p ra n ­


n aturale.
2. L e p o te n z e so p ran n atu rali.
3. L e g ra z ie attuali.
4. L ’in a b ita z io n e d ella T rin ità n e ll’anim a.

A r t ic o lo I

I I principio form ale della nostra vita soprannaturale

1. - N o z io n i p r e l im in a r i d i p s ic o l o g ia

31. L ’an im a u m an a è u n a so stan za sp iritu a le che


nel su o essere e n el suo o p erare, d i p e r sé, n o n d ip en ­
de dalla m ateria; b e n ch é , fin ta n to ch e rim an e u n ita al
co rp o , si serva d e g li o rg a n i c o rp o ra li p e r l ’ese rcizio
di certe fu n zio n i. C iò n o n o sta n te, l ’anim a n o n è uria
so stan za co m p leta , n é m erita, in sen so p ro p rio , l ’ a p p el­
la tiv o d i « p erso n a ». U io , la p erso n a n o n è d ata dal so lo
c o rp o n é dalla sola anim a, m a dal c o m p o s to ch e risu l­
ta d a ll’u n io n e so stan ziale dei d ue.
S a p p ia m o n o n s o lo dalla r a g io n e e d alla sana fi­
lo so fia 3, m a an ch e da u n a d ich ia ra zio n e so len n e d el
M a g is te ro d e lla C h ie s a 4, ch e l ’an im a è la fo rm a so stan ­
ziale d el co rp o .

3 C f. 1 , 7 6 , 1 .
4 F u d efin ito esp ressam ente d a l C o n c ilio d i V ie n n e ; c f. D e n z . 4 9 1.
96 PRINCIPI FONDAMENTALI

In v ir tù d i q u esta fo rm a so stan ziale, l ’u o m o è ad


u n te m p o u o m o , anim ale, v iv e n te , c o r p o , sostanza,
essere. L ’anim a, q u in d i, co n fe risce a ll’ u o m o tu tti i
g ra d i di p e rfe z io n e e, in o ltre , c o m u n ica al c o rp o l ’at­
to d e ll’essere co n cu i essa stessa esiste 5.
L ’ anim a p e r sé n o n d ice o p era zio n e 6. È u n a so sta n ­
za e, co m e tale, c i v ie n e data in, o rd in e all’ essere, n o n in
o rd in e a ll’a g ire . P e r o p erare h a b is o g n o d i p o te n ze
o fa c o ltà — l ’in te lle tto e la v o lo n tà — ch e em an an o
d a ll’ essenza d e ll’anim a, co m e dalla lo r o p ro p ria rad ice 7,
b e n ch é si d istin g u a n o rea lm en te d a essa e tra di lo r o 8.
T a le è il s o g g e tto su cu i si fo n d a la n o stra v ita so ­
p ran n atu rale. L a g ra zia , ch e è il p rin c ip io fo rm a le di
essa, ad erisce a ll’essen za stessa d ella n o stra anim a
in m o d o statico . L e v ir t ù e i d o n i, ch e co stitu isc o n o
l ’e lem en to d in am ico so p ran n atu rale, ris ie d o n o n elle
p o te n z e o fa c o ltà e le e le v a n o a ll’ o rd in e sop ran n atu rale.

2. - I l p r in c ip io f o r m a l e in s e s t e s so

Il p rin c ip io fo rm a le d i tu tta la n o stra v ita so p ran ­


n atu rale è la graffa santificante. Su p rem a, a n co rch é
a ccid en tale, p a rtecip a zio n e d ella n atura d i D io , q u a n d o
v ie n e in fu sa n ella n o stra anim a, ci e le v a al g r a d o di
fig li su o i e ci fa e red i d e lla g lo ria . « Siam o fig li di D io
— e scla m a va S. P a o lo — . E se fig li, siam o p u re eredi;
e red i d i D io , c o ered i di C ris to » 9. N e l d isco rso d e ll’ A ­

5 Thesìs tbom. 1 6 . È u n a d e lle 2 4 tesi tomiste p r o p o s t e d a lla S . C o n g r e g a -


z io n e d e g li S tu d i e c o stitu isc e u n p u n to d i d o ttrin a d el tu tto s ic u ro (cf.
A A S 6, 3 8 3 S S ).
6 C f. 1 ,7 7 ,1 .
7 C f. 1,7 7 ,6 .
8 C f. I , 77> , - 3.
9 R o m . 8 ,16 -17.
NATURA DELLA VITA SOPRANNATURALE 97
r e o p a g o afferm ava a n co ra ch e siam o d e lla stirp e d i D io :
« G e n u s e r g o c u m sim us D e i... » 1
Q u e sta v e rità è m essa in e v id e n z a da S. T o m m a so
q u a n d o , co m m e n ta n d o l ’e sp re ssio n e di S. G io v a n n i
« e x D e o n ati s u n t» , scriv e: « H a e c g e n e ra tio , quia
e st ex D e o , fa c it filio s D e i » u .
E sa m in e re m o la natura d e lla g ra zia , i l soggetto al
qu a le in erisce e g li effetti ch e p ro d u c e n e ll’anim a. S o n o
le tre q u e s tio n i fo n d a m e n ta li p e r il n o s tr o a rg o m e n to .

1. N a tu r a d e lla gra zia sa n tifica n te.

32. L a g ra zia p u ò essere d e fin ita co m e u n a quali­


tà soprannaturale, inerente alla nostra anima, che ci conferisce
una partecipazione fisica e form ale — benché analoga e acci­
dentale — della natura di D io in quanto propria di D io ,

i) É una qualità. - Secondo i filosofi, la qualità è « un


accidente che dispone la sostanza ». Si distinguono comune­
mente quattro specie di qualità. Se dispongono la sostanza
bene o male in se stessa, abbiamo l’abito e la disposizione; se
la dispongono in ordine all'azione, abbiam o la potenza e l ’im­
potenza; se la dispongono in ordine alla recezione, abbiamo la
passione e la qualità passìbile; se la dispongono in ordine alla
quantità, abbiamo la forma e la figura.
È evidente che la grazia santificante non può apparte­
nere a nessuna delle tre ultime specie di qualità, giacché
non è ordinata direttamente all’atto, com e la potenza o l’im­
potenza; né è un accidente corporeo, come la passione, la
qualità passibile, la form a e la figura. D eve, quindi, appar­
tenere — almeno reductive — al prim o genere di qualità,
e, più propriamente, aVHabito, non alla semplice disposizio­
ne, giacché si tratta di una qualità di per sé permanente e
difficilmente m utevole.

10 A t t i 17,29.
11 S. T h o m -, Commetti, in Evavg. Jo. 1,13 .
98 PRINCIPI FONDAMENTALI

2 ) Soprannaturale. - L a grazia è il principio formale


della nostra vita soprannaturale, quello che ci eleva e ci co­
stituisce in tale ordine. In quanto soprannaturale, supera
incommensurabilmente le cose naturali, poiché trascende
e sorpassa tutta la natura e ci introduce nella sfera del divino
e dell’increato. S. Tom m aso ha potuto scrivere che il più
piccolo grado di partecipazione alla grazia santificante, con­
siderata in un solo individuo, è superiore al bene naturale
di tutto l’universo I2.
3) Inerente a lla nostra anima. - L o negarono i prote­
stanti con la loro teoria della giustificazione mediante
l’imputazione estrinseca dei meriti di Cristo; ma è una verità
di fede, definita nel Concilio di Trento J3. S. Tom m aso, ba­
sandosi sul principio teologico: « A m o r D e i est infundens
et creans bonitatem in rebus », ne dà una profonda dimostra­
zione ,i. L a principale differenza che distingue l ’amore u-
mano e l ’amore divino è data dal fatto che mentre in noi l’a­
more nasce dall’o gg etto buono, reale o apparente, D io crea
la bontà dell’o gg etto dal m om ento stesso che l’ama. E sic­
com e l’amore si com piace di quello che gli assomiglia, ne
deriva che la grazia, a m otivo della quale D io ci ama con un
amore di amico, ci eleva in certo qual m odo al suo piano,
ci deifica mediante una form ale partecipazione della sua na­
tura divina: « Necesse est quod solus D eus deificiet, com-
municando consortium divinae naturae per quamdam simi-
litudinis participationem » Is. Più brevemente: D io ama con
un amore soprannaturale ed assoluto l ’uom o che gli è
caro e grato; però, siccome l ’amore di D io è causa di ciò
che ama, ne segue che deve produrre, nell’uom o, la ragio­
ne di questa bontà soprannaturale, cioè la grazia l6.
4 ) Che ci conferigce una partecipazione fisica e formale —

12 « B o n u m g ra tia e u n iu s m aiu s est q u a m b o n u m n atu rae to tiu s u n i­


v e r s i » (I-II, 11 3 ,9 a d 2).
1 ’ « S i q u is d ix e rit, h o m in e s iu s tific a ri v e l sola im p u t a t o n e iu stitiae
C h r is ti, v e l so la p e c c a to ru m re m is sio n e , e s c lu s a g ra tia e t caritate, q u ae in
c o rd ib u s e o r u m per S p iritu m S a n c tu m d iffu n d a tu r a tq u e illis ìnhaereat,
a u t etia m g ra tia m , q u a iu stific a m u r, esse tan tu m fa v o r e m D e i: A .S . » (D en z.
8 21).
*4 1,20,2.
*5 1-11, 112 , 1.
16 I-I I , n o , 1; cf. D e verìtate q . 27 a. 1
NATURA DELLA VITA SOPRANNATURALE 99
b e n c h é analoga e accidentale — della stessa natura di D io. -
La partecipazione è l ’assimilazione e la riproduzione im­
perfetta in un essere inferiore di qualche perfezione esi­
stente in un essere superiore. « Q uod enim, dice a questo
proposito S. Tom m aso, totaliter estaliquid, non participat il-
lud, sed est per essentiam idem illi. Q uod vero non tota­
liter est aliquid, habens aliquid aliud adiunctum, proprie
participare dicitur » 17.
L a partecipazione può essere morale e fisica. L a parte­
cipazione fisica si suddivide a sua vo lta in virtuale e formale;
e la formale può essere univoca e analoga. Sono concetti noti
e non hanno bisogno di spiegazione.
Tenendo presenti tutti questi elementi diciamo che la
grazia santificante ci dà una partecipazione fisica e formale,
benché analoga e accidentale, della natura divina.
Che la grazia ci faccia partecipi della natura divina è
una verità chiaramente affermata nella S. Scrittura. S. Pie­
tro scrive: « Per quem ■ — Cristo — maxima et pretiosa
nobis promissa donavit ut per haec efficiamini divinae con-
sortes naturae » l8.
L o conferma la liturgia della Chiesa che canta nel pre-
fazio dell’Ascensione, riferendosi a Cristo: '< E st elevatus
in coelum , u t nos divinitatis suae tribueret esse participes ».
Con quale persuasiva eloquenza cerca di inculcarlo nel­
l’anima dei suoi uditori S. Leone M agno! « A gn o sce, o
christiane, dignitatem tuam, et divinae consors factus naturae
noli in veterem vilitatem degeneri conversatione redire »'9.

33. È necessario esaminare il modo con cui la grazia


santificante partecipa della natura divina.
D io non è 'simile alle creature, giacché lui, e solo lui,
è l’essere per essenza, e tutte le creature sono esseri per par­
tecipazione. Tuttavia le creature sono in certo m odo simili
a D io; poiché ogn i agente produce qualche cosa che è simi­
le a sé, è necessario che nell’effetto si ritrovi la somiglianza
della form a a gen te10. Con ciò non si può affermare che le
creature siano simili a D io per una partecipazione alla form a
secondo lo stesso genere e la stessa specie, ma unicamente
secondo una certa analogia, in quanto D io è l’essere per es­

*7 Metapbys. I le c t. io .
18 2P iet. 1,4.
x9 S. L e o n e M a g n o , Serm. 21 c.3: M L 54,192.
J0 «N ecesse est quod in effectu sit sim ilitudo form ae agenti* » (1,4,?).
100 PRINCIPI F O N D A M E N T A L I

senza, e le creature sono esseri per partecipazione. D ice S.


Tommaso:
<( N o n d ic itu r esse s im ilitu d o c rea tu rae a d D e u m p r o p te r co m rn u n ican -
tiam in fo rm a se c u n d u m ea n d em ra tìo n e m g e n e ris e t sp e ciei, sed secu n d u m
an a lo g ia m tan tu m ; p r o u t s cilic e t D e u s est ens p e r essen tiam , et alia p e r p ar-
tìcip a tìo n em » 2I.

Ci sono tre classi di creature che imitano analogicamente


D io e in un certo m odo a lui somigliano:
a) L e creature irragionevoli. Partecipano: della perfezione
divina in quanto hanno Vessere, e questa somiglianza remota
vien detta vestigio; com e attraverso l’orma che il piede im­
prime sul terreno se ne può riconoscere, almeno imperfet­
tamente, l’autore, cosi per m ezzo delle creature si può ri­
conoscere il Creatore. In questo senso, si suol dire che le crea­
ture irragionevoli sono l ’orma, il vestigio del Creatore 2J.
b) L e creature ragionevoli, in quanto dotate di intelligenza
imitano e rappresentano più da vicin o e in m odo più deter­
minato le perfezioni di D io ; per questo ven gono dette »«-■
turali immagini dì Dio.
c) L e anime in grafia, unite a D io per m ezzo di un amore
di amicizia, lo imitano in una form a ancora più, perfetta,
e per questo ven gono chiamate e sono propriamentei/^^agZK/.
soprannaturali di Dio.
Tale immagine di D io , autore dell’ordine, soprannaturale;
per essere perfetta esige una vera partecipazione fisica e
formale della natura stessa di D io ? Indubbiamente;^si. È
questo un dato prezioso che si deduce immediatamente
dalla rivelazione e viene conferm ato dalle seguenti jàgioni
teologiche:
1. Le operazioni proprie di una natura superiore non
possono diventare connaturali ad una natura inferiore senza
che questa in qualche m odo partecipi di quella, dal momento
che l’effetto non può essere superiore alla causa e l’ope­
razione segue l’essere. O ra le operazioni proprie di D io —
almeno alcune di esse, com e la visione immediata, l’amore
beatifico, ecc. — diventano in qualche m odo connaturali
all’uom o mediante la grazia. Si deve quindi concludere
che l’uom o, mediante la grazia, riceve una qualche parteci­
pazione fisica e formale della natura di D io.
2. Dalla grazia sgorga un’inclinazione che tende a D io

M 1,4,3 ad 3-
21 S . T h o m ., In I Seni, d . 3 q . 2 a. is.
NATURA DELLA VITA SOPRANNATURALE 101
come è in se stesso. O ra, ogn i inclinazione si fonda e si
radica nella natura e ne manifesta la condizione. Quindi
un’inclinazione che tenda a percepire il divino come è in
se stesso non può fondarsi in una natura di ordine inferiore,
ma solo in una natura divina, (« saltem participative »).
E tale partecipazione deve essere fisica e formale, dal momento
che quell’inclinazione sgorga da essa in m odo fisico e for­
male.
3. Per definizione, le virtù infuse sono potenze o facoltà
mediante le quali diventiamo capaci di operare sopranna­
turalmente. O ra l’operazione segue l ’essere e un’operazio­
ne soprannaturale sgorgata vitalmente dall’anima suppone
in essa la presenza di una natura soprannaturale, la quale
non può essere che una partecipazione fisica e formale della
natura di D io.
Si potrebbe obiettare che un peccatore, sprovvisto della
grazia abituale, con la sola grazia attuale è in grado di com ­
piere un atto soprannaturale. L a difficoltà non invalida il
nostro argom ento, poiché n oi parliamo di un atto che flu i­
sce in m odo connaturale all’anima e non di una sollecitazione
violenta all’azione che faccia a meno delle disposizioni pros­
sime abituali.
C i rimane da vedere in che m odo la partecipazione del­
la natura divina mediante la grazia, benché fisica e formale,
sia analoga e accidentale.
a) Partecipazione analoga. - L a natura divina n on ci vie ­
ne comunicata univocamente, com e il Padre la trasmette al
Figlio per via di generazione naturale eterna, o com e in
Cristo l ’umanità sussiste nella divinità. L ’uom o mediante
la grazia non diventa D io né per generazione naturale,
né per unione ipostatica o personale, né per una trasmuta­
zione panteistica della nostra sostanza in quella divina,
ma per una partecipazione analogica, in virtù della quale ciò
che esiste in D io in un m odo infinito è partecipato all’anima
in un grado limitato o finito. Il ferro divenuto incandescen­
te conserva la propria natura e assume solamente la proprietà
del fuoco; lo specchio illuminato dal sole non ne acquista
la natura, ma ne riflette lo splendore. Parimenti, dice
S. Leone, « la dignità originale della nostra razza sta nel fat­
to che la form a della divina bontà brilla in noi com e in uno
specchio risplendente » J3.

23 Serm. 12 (al. 11 ) de ieiunio-c. 1: M L 54,168 .


102 PRINCIPI FONDAMENTALI

b) Partecipazione accidentale. - S. Tom m aso ne dà


chiarissima, la ragione:
« O m n is su b stan tia v e l est ip sa n atu ra re i c u iu s est su b stan tia, v e l e s t
p ars n atu rae; se cu n d u m q u e m m o d u m m ateria v e l fo rm a su b stan tia d icitu r.
E t q u ia g ra tia est s u p ra n atu ram h u m a n am , n o n p o te s t esse q u o d s it s u b ­
stan tia a u t fo r m a su bstan tialis, sed e s t fo r m a a ccid en talis ip siu s anim ae.
I d e n im q u o d s u b stan tialiter est in D e o , acc id en ta liter fit in an im a p artici-
p an te d iv in a m b o n ita te m , u t d e scien tia p a te t» 24.

D ’altra parte, il Concilio Tridentino insegna espressamente


— ■com e abbiamo già visto — che la grazia abituale è ine­
rente all’uom o >5. O ra, ciò che esiste in un altro essere non
è la sostanza, ma l 'accidente.
N é ciò diminuisce la dignità della grazia nei confronti
delle sostanze create, poiché, essendo un accidente sopran­
naturale, sorpassa e trascende infinitamente la dignità di
tutte le sostanze naturali create o creabili. N o n dimenti­
chiamo le parole di S. Tom m aso già citate: « Bonum gratiae
unius, maius est quam bonum naturae totius universi » ,6.

34. Inquanto propria di D io. - N o n tutti i teologi l’ammet­


tono, ma essa è senza dubbio la dottrina dei m igliori inter­
preti della scuola tomista, quali Caietàno, Ledesma, Marti-
nez del Prado, G iovanni V icente, ecc. che si basano su que­
sti argomenti.
1. L a grazia — l’abbiamo detto — è il principio conna­
turale delle operazioni che raggiungono D io sotto l’aspetto
specifico di deità; quindi la grazia, principio di queste o-
perazioni, deve partecipare della natura divina in quanto
divina, cioè sotto l ’aspetto specifico di deità.
' L a prima parte della nostra argom entazione è indiscuti­
bile. O g n i conoscenza e ogn i amore soprannaturale ha per
o ggetto D io in quanto tale. La fede, la carità, la visione bea­
tifica attingono direttamente D io come è in se stesso, sia
attraverso l ’oscurità della fede, sia nella chiara visione del
Paradiso.
L a seconda scaturisce com e naturale conseguenza dal fat­
to che la grazia è il principio radicale delle virtù teologali.
2. Diversam ente la partecipazione soprannaturale dell’es­
senza divina non si distinguerebbe dalla partecipazione pura­

*4 I-n, n o ,2 ad 2.
*5 D enz. 821.
16 I-II, 113,9 ad 2*
NATURA DELLA VITA SOPRANNATURALE 103
mente naturale. Infatti anche quella naturale è una parte­
cipazione form ale della natura di D io , in quanto l’uom o che
intende, ama, ecc. è semplicemente una natura intellettuale
com e D io . Q uindi il divino, formalmente in quanto tale, de­
ve essere la nota differenziale tra la partecipazione naturale
e la partecipazione soprannaturale.
3. L a form a soprannaturale, la grazia, perché possa
trascendere l’ordine naturale e costituire il soprannaturale de­
ve essere o D io o qualche cosa che attinga D io sotto l’aspet­
to specifico di deità; solo a questa condizione può tra­
scendere l’ordine naturale. Ora, la grazia non è Dio (è
evidente); quindi deve essere qualche cosa che attinga
D io sotto l’aspetto specifico di deità, una partecipazione
della natura divina in quanto divina.
Questi argom enti ci sembrano del tutto convincenti.
Tuttavia non dobbiam o pensare che mediante la grazia
partecipiamo alla natura divina cosi com e questa viene co­
municata dalla prima alla seconda Persona della SS. Trinità,
o com e in Cristo a m otivo dell’unione ipostatica con il
V erbo l ’umanità sussiste nella divinità. N é la com unicazio­
ne alla natura divina mediante la grazia ha nulla di pan­
teistico, giacché, in definitiva, si tratta di una partecipazione
analogica, accidentale, di pura somiglianza. S. Tom m aso
ha scritto: « G ratia nihil est aliud quam quaedam participata
similitudo divinae naturae » 27. Tenendo presente la natura di
D io , la grazia santificante è una imitazione perfetta che si
realizza in noi per infusione divina. In virtù di questa divina
infusione, anteriore ad ogn i operazione dell’intelletto e della
volontà, viene conferita all’anima, fisicamente e formalmente,
una perfezione reale, soprannaturale, propria di D io , in cui
si ritrova in grado superiore. In tal m odo si produce nell’ani­
ma una somiglianza specialissima con D io che trascende in­
finitamente quella che già possedeva nell’ordine di natura
come immagine naturale di D io . In virtù di questa intima
som iglianza con la natura divina, in quanto divina, l’uom o
viene ad imparentarsi con D io: ne diventa fig lio per adozione
ed entra a far parte, per cosi dire, della « fam iglia di D io ».

Per avere una conoscenza più perfetta di questa i-


neffabile dignità è necessario esaminare gli effetti mira­
bili che la grazia produce nell’anima dei giusti. Però

27 II I , 62,1.
104 PRINCIPI FONDAMENTALI

prim a vo gliam o vedere d ove essa risiede, quale ne è


il soggetto.

2. S ogg etto d e lla grazia.

35. L a soluzione di questa questione dipende dal­


la soluzione d ell’ altra, se, cioè, la grazia si distingue o
n o dalla carità. I te o lo gi che negano la distinzione rea­
le tra la grazia e la carità 28, affermano che la grazia ri­
siede nella vo lo n tà com e nel suo soggetto proprio.
Q uelli, invece, che ne sostengono la distinzione Z9,
rip on gon o la carità nella volon tà, e la grazia santifi­
cante nell’essenza d ell’anima. G li argom enti a favore
della seconda sentenza, che a noi sem bra la più vera,
sono:
1. L a rigenerazione dell’uom o si opera mediante
la grazia santificante. O ra, la rigenerazione riguarda
l ’essenza deH’anima e n on le potenze, perché l ’azione
generativa term ina all’essenza. L a grazia dunque risie­
de n ell’essenza dell’anim a30.
2. G li accidenti spirituali che dànno l ’essere aderi­
scono alla sostanza dell’anima e quelli che sono ordinati
all’operazione ve n g o n o ricevu ti nelle potenze. M a la
grazia santificante conferisce all’anima l ’essere sopran­
naturale e la carità è ordinata all’ azione. Q u in di la gra­
zia santificante d ovrà aderire all’essenza dell’ anima, e
la carità ad una delle sue potenze, cioè, alla volontà.
3. « O g n i perfezione delle potenze d ell’anima ha
ragione di v irtù » 31. M a la grazia santificante n on ha

*8 R ic o rd ia m o , tra g li a ltri, P ie tr o L o m b a r d o , E n r ic o d i G a n d , S c o to ,
D u r a n d o , B a c o n e e B iel.
*9 S. T o m m a s o (I-IX, 110 ,3 se^ lontra; 1 1 1 ) , E g id io R o m a n o , A r g e n t i­
n a, C a p re o lo , M e d in a , S o t o , S u a re z, V a le n c ia , S alm an ticesi e la m a g g io r
p arte d ei te o lo g i m o d e rn i.
3° I -I I , n o , 4 sed contro.
I-II, i i o ,4 c-
NATURA DELLA VITA SOPRANNATURALE 105
ragione di virtù e neppure è ordinata direttam ente al­
l’azione 32. Q uin di, la grazia santificante n on perfe­
ziona le potenze d ell’anima, ma l ’essenza.

3. E ffe tti d e lla grazia sa ntifica nte.

Il prim o effetto della grazia santificante è di render­


ci partecipi della natura divin a, di cui abbiam o già
parlato. E sso è la radice e il fondam ento di tutti gli al­
tri effetti, tra i quali occupano il prim o posto, a m o tiv o
della loro assoluta trascendenza,, quelli che S. P aolo
ricorda n ell’epistola ai Rom ani:
« N o n enim accepistis spiritual servitutis iterum in ti­
more, sed accepistis spiritum adoptionis filiorum , in quo
clamamus: A b b a (Pater). Ipse enim Spiritus testimonium
reddit spiritui nostro, quod sumus filii Dei. Si autem filii,
et haeredes: haeredes quidem D ei cohaeredes autem Còristi; si ta-
men compatimur u t et conglorificem ur » (Rom. 8,15-17).

Basati sul testo paolino, possiam o già stabilire i tre


principali effetti p rod otti in noi dalla grazia santificante.
36. 1 . La grazia ci rende ve ri fi g li adottivi di D io. -
Per essere padre è necessario trasmettere ad un altro essere
la propria natura specifica. L ’artista che scolpisce una statua
non è padre di quell’opera inanimata, ma soltanto autore. In ­
vece, coloro che ci han dato la vita sono veramente nostri
padri nell’ordine naturale, perclié ci hanno trasmesso real­
mente per via di generazione, la loro natura umana.
E la filiazione naturale di D io che ci viene comunicata
con la grazia santificante ? N o . D io Padre ha un solo Figlio
naturale: il V erbo eterno. Soltanto a lui trasmette eterna­
mente con un’ineffabile generazione intellettuale, la natura
divina in tutta la sua infinita pienezza. In virtù di questa
generazione naturale, la seconda Persona della SS. Trinità
possiede la stessa essenza divina del Padre, è D io com e lui.
Per questo, Cristo, la cui natura umana è ipostaticamente
unita alla Persona del V erbo , non è F iglio adottivo di D io ,

I-II, 1 1 0 ,3 .
106 PRINCIPI FONDAMENTALI

ma figlio naturale nel senso più rigoroso del termine JJ.


L a nostra filiazione divina per m ezzo della grazia
è di natura m olto diversa. N o n si tratta di una filiazione na­
turale, ma di una filiazione adottiva. È necessario intendere
bene questa verità onde evitare di formarcene un’idea ap­
prossimativa, sminuendone la sublime grandezza.
L ’adozione consiste nell’ammissione gratuita di un estraneo
in una famiglia, che lo considera d’ora innanzi come un
fig lio e g li dà diritto all’eredità dei beni. L ’adozione umana
esige tre condizioni:
a) D a parte del soggetto, la natura umana, perché si richie­
de una somiglianza dì natura con il padre - adottivo. Nessuno
può adottare una statua o un animale.
b) D a parte dell’adottante, un amore gratuito e di libera
elezione. Nessuno ha il diritto di essere adottato e, parimenti,
nessuno ha l’obbligo di adottare.
c) D a parte dei beni, è necessario un vero diritto all’ere­
dità del padre adottivo; diversamente l’adozione sarebbe
illusoria e fittizia.
O ra, la grazia santificante ci conferisce un’adozione di­
vina che realizza in pieno queste condizioni e le oltrepassa.
L ’adozione umana o legale si esaurisce, in ultima analisi,
in una finzione giuridica, del tutto estrinseca alla natura
dell’adottato; gli conferisce, è vero , davanti alla società
i diritti dei fig li, ma non g li infonde il sangue della famiglia,
non opera nella sua natura e nella sua personalità umana nes­
suna mutazione intrinseca reale. Invece, adottandoci come
suoi fig li, D io uno e trino u , ci infonde la grazia santifi­
cante che ci dà una partecipazione misteriosa, però realis­
sima e form ale, della sua natura divina. Si tratta di una ado­
zione intrinseca, che pone nella nostra anima, in m odo fisico
e formale, una realtà divina, che fa circolare (per usare un
linguaggio m etaforico che racchiude una sublime realtà)
lo stesso sangue di Dio nel più intimo delle nostre anime. In
virtù di questa assunzione all’ordine divino, l’anima par­
tecipa della vita di D io . È una vera generazione, una nascita
spirituale che imita la generazione naturale e ricorda, analo­
gicamente, ia generazione eterna del V erb o di D io . In
una parola, la grazia santificante non ci conferisce solo il
diritto di chiamarci fig li di D io, ma ci rende realmente talk

33 1,27,2; I I I , 23,4.
31 C f. 1,45,6; 111,23,2.
NATURA DELLA VITA SOPRANNATURALE 107
« Videte qualem caritatem dedit nobis Pater, ut fìlii Dei
nom inem ur et sìmus » 35.

37 . 2. Ci rende veri eredi di Dio. - È una conseguenza


naturale della filiazione adottiva. L o dice espressamente
S. Paolo: « S i filii et haeredes » (Rom. 8,17). Però quanto
è differente, anche sotto questo aspetto, la filiazione divina
della grazia dalle adozioni puramente umane o legali! Tra
gli uom ini, i fig li non ereditano se non quando muore il
padre, e quanto più numerosi sono gli eredi tanto minore
è la parte di eredità. M a il nostro Padre vivrà eternamente,
e con lui possederemo un’eredità tale che, nonostante il
numero dei partecipanti, non soffrirà mai nessuna diminu­
zione. Perché questa eredità, almeno nel principale dei suoi
aspetti, è rigorosamente infinita. È lo stesso D io , uno nel­
l’essenza e trino nelle persone, l’oggetto principale fruitivo
della nostra eredità eterna di fig li adottivi. L a tua ricompensa
sarà m olto grande: et merces tua magna nimis 36, disse D io ad
A bram o e ripete ad ogni anima in grazia. La visione bea­
tifica e il godim ento fru itivo di D io che essa com porta è
la parte principale dell’eredità che spetta ai fig li adottivi
di D io in virtù della grazia. Inoltre, saranno comunicate
loro tutte le ricchezze della divinità e tutto quello che costi­
tuisce la felicità stessa di D io: le perfezioni infinite, ine­
sauribili della divinità. Infine, D io metterà a nostra dispo­
sizione tutti i suoi beni esterni: il suo onore, la sua gloria,
la sua regalità. T utto ciò produrrà nell’anima una felicità
tale, che colmerà pienamente tutte le sue aspirazioni e tutti
i suoi desideri.
L ’anima riceverà questi doni com e una eredità dovuta
a titolo di giustizia. L a grazia è certamente gratuita; però
una volta posseduta, ci dà la capacità di meritare il cielo a
titolo di giustizia. Poiché l’operazione segue la natura dell’es­
sere e il valore di un’azione proviene innanzitutto dalla digni­
tà di colui che la manda ad effetto; e poiché la grazia è una
forma divina inerente all’anima giustificata, ogni azione sopran­
naturale di cui la grazia è la radice e il fondam ento, dice una
relazione intrinseca alla gloria e com porta l ’esigenza della
medesima. C ’è un perfetto parallelismo tra la grazia e la glo­
ria. Si trovano sullo stesso piano e form ano sostanzialmente
una stessa vita. La differenza è soltanto di grado: è la stessa

35 i G i o v . 3,1.
36 G en. 1 5 .1 ,
108 PRINCIPI FONDAMENTALI

vita nello stato iniziale o nello stato perfetto. Il bambino


non differisce sostanzialmente dall’uom o maturo: è un
adulto in germe. Altrettanto dicasi della grazia e della gloria.
S. Tom m aso ha scritto queste profondissime parole: « Gratia
nihil est aliud quam quaedam inchoatio gloriae in nobis » 3 7 .

38 . 3. Ci rende fratelli e coeredi di Cristo. - È la terza af­


fermazione di S. Paolo nel testo dell’epistola ai Romani
che abbiamo citato. Q uesta relazione deriva immediatamen­
te dalle due precedenti, perché, come si esprime S. A g o ­
stino, colui che dice « Padre nostro » al padre di Cristo, che
cosa dice a Cristo se non « fratello nostro » 3*.
Per il fatto stesso che la grazia ci com unica una parte­
cipazione della vita divina che Cristo possiede in tutta la sua
pienezza, n oi veniam o ad essere suoi fratelli. E g li volle far­
si nostro fratello secondo l’umanità per farci diventare suoi
fratelli secondo la divinità: « U t nos divinitatis suae tribueret
esse participes» 39. D io ci ha predestinati, afferma S. Paolo,
per « essere conform i all’immagine del F iglio suo, affinché
egli sia il prim ogenito tra m olti fratelli » 4°. È certo che noi
non siamo fratelli di Cristo secondo la natura, né siamo fi­
gli di D io come lui. Cristo è il prim ogenito fra i suoi fratelli,
però è anche il F iglio unigenito del Padre. N ell’ordine della
natura egli è il F iglio unico, in quello dell’adozione e della
grazia egli è, oltre che il nostro capo e la causa della nostra
salute, il nostro fratello m aggiore.
Questo-è il,m o tiv o per cui il Padre si dcgn^ di guardarci
com e se fossimo una stessa cosa con il F iglio suo. C i ama
com e ama lui, lo considera com e nostro fratello e ci conferi­
sce un titolo alla sua stessa eredità. Siamo coeredi di Cristo.
E g li ha il diritto naturale all’eredità divina, giacché egli è
il F iglio « che costituì erede di tutte le cose, mediante il qua­
le ha pure creato il m ondo » « E ra infatti giusto che colui,
per il quale e dal quale tutto fu creato, e che aveva condotto
un gran numero di figli alla gloria, elevasse al più alto grado
di gloria, per m ezzo della sofferenza, l’autore della salvezza.
Poiché tanto colui che santifica quanto i santificati sono fi­
gli di uno stesso Padre; m otivo per cui egli non sdegna di

37 I I -II, 24,3 ad 2.
3 8 In Jo. tr. 21 n. 3: M L 3 5,1565.
39 P re fa zio d e ll’ A scen sio n e .
4° R o m . 8,29.
41 E b t . 1.2.
NATURA DELLA VITA SOPRANNATURALE 109
chiamarli fratelli, quando dice: annunzierò il tuo nom e ai
miei fratelli, ti loderò nell’assemblea» 4*. Perciò questi fra­
telli di Cristo devono condividere con lui l’amore e l’eredi­
tà del Padre celeste. D io ci ha modellati su Cristo: noi sia­
mo con lui i figli di uno stesso Padre che sta nei cieli. In de­
finitiva, tutto si concluderà con la realizzazione del supre­
mo anelito di Cristo: che siamo una sola cosa con lui, come
egli è una sola cosa con il Padre 43 . Queste realtà divine
dovrebbero inebriarci di gratitudine e di amore!

39. 4 . Ci conferisce la v ita soprannaturale. - La parte­


cipazione fisica e form ale della natura di D io — che costitui­
sce l’essenza della grazia — sorpassa e trascende infinita­
mente l’essere e le esigenze di ogn i natura creata o creabile,
umana o angelica. Con essa l’uom o viene elevato ad un pia­
no che non supera solo la natura umana, ma anche la natura
angelica. Entra nell’ordine divino, diventa m em bro della
famìglia di Dio, incomincia a vivere il divino. L a grazia, di
conseguenza, gli ha com unicato una nuova vita, infinita­
mente superiore a quella della natura: una vita soprannatu­
rale.

40. 5 . Ci rende giu sti e graditi a D io. - Poiché è una


partecipazione fisica alla natura di D io, la grazia ci conferi­
sce necessariamente una partecipazione alla giustizia e alla
santità divina, giacché in D io gli attributi non si distinguo­
no realmente dall’essenza. L a grazia santificante, quindi, è
assolutamente incompatibile con il peccato mortale, che cau­
sa appunto la privazione di questa giustizia e santità. L a gra­
zia ci rende grati e accetti a D io perché gli dà m odo di con­
templare in noi una irradiazione della sua bellezza, uno splen­
dore della sua santità.
È questa la dottrina del Concilio di Trento il quale af­
ferma che la giustificazione del peccatore mediante la grazia
santificante « non est sola peccatorum remissio, sed et san-
ctificatio et renovatio inierioris hominis per voluntariam susceptio-
nem gratiae et donorum , unde hom o ex iniusto fit iustus
et ex inim ico amicus ». E aggiunge che l ’unica causa formale
di tale giustificazione « est iustitia D ei, n on qua ipse iustus
est, sed qua nos iustos facit, qua videlicet ab eo donati renova-

E br. 2,10 -12.


G io v - 17,21-2.-+.
110 PRINCIPI FONDAMENTALI

mur spiritu mentis nostrae, et non m odo reputamur, sed


vere insti nominamur et sumus» 44.
4 1. 6 . Ci dona la capacità di m eritare soprannatural­
m ente. Senza la grazia, le opere naturali più eroiche
-
non avrebbero nessun valore per la vita eterna 45. U n uom o
privo della grazia è un cadavere nell’ordine soprannaturale
e i morti non possono meritare nulla. Il merito sopranna­
turale suppone radicalmente il possesso della vita sopranna­
turale.
N ella vita pratica tale principio è di una portata incal­
colabile. Tanti dolori, tante sofferenze potrebbero avere un
valore straordinario per la vita eterna, ed invece rim angono,
sterili perché colpiscono un’anima priva della grazia san­
tificante. Finché l ’uom o si trova in peccato mortale e assolu­
tamente incapace di meritare nell’ordine soprannaturale.

42. 7 . Ci unisce intimamente a Dio. - Uniti già a D io


nell’ordine naturale mediante l ’azione conservatrice divina
che lo avvicina a tutti gli esseri mediante l’essenza, la pre­
senza e la potenza 46, la grazia santificante incrementa ul­
teriormente tale unione con D io trasformandola ed elevan­
dola ad un piano infinitamente superiore. In virtù di questa
nuova unione, D io si rende presente all’anima del giusto co ­
me amico (non solo com e Creatore e Conservatore), poiché
si stabilisce una reciproca corrente di am ore e di amicizia
tra l’anima e D io e una specie di reciproca trasfusione di vita:
« Deus caritas est, et qui manet in caritate, in Deo manet
et Deus in eo » 4 7 . N o n possiamo immaginare una più inti­
ma unione con D io , se si astrae da quella personale o ipo­
statica, che è propria ed esclusiva di Cristo. I più alti gradi
di sviluppo a cui può giungere la grazia in questa vita, la
stessa indissolubile unione che procede dalla visione beati­
fica in Paradiso, non differiscono sostanzialmente da quel­
la che si stabilisce tra D io e un’anima giustificata con l’in­
fusione della grazia, sia pure nel suo grado infimo. Sono
sulla stessa linea fondamentale e solo una differenza di grado
le distingue. T ali sono le vertiginose altezze alle quali ci ele­
va il semplice possesso dello stato di grazia! j

44 D e n z . 79 9 .
45 C f. iC o r . 13,1-3 . V e d i I-II, 114,2.
46 1,8,1-3.
47 iG i o v . 4,16.
NATURA DELLA VITA SOPRANNATURALE 111

4 Ì. 8. Ci trasform a in templi v iv i della SS. Trinità. ■


E’ una conseguenza di quanto abbiamo detto, e risulta chia­
ramente dalla divina rivelazione. Cristo stesso si degnò di
manifestarci il mistero ineffabile: « Si quis diligit me, ser-
monem meum servabit; et Pater meus diligit eum, et ad eum
veniemus et mansionem apud eum facìemus » ♦*. È l’increata real­
tà, rigorosamente infinita, portata con sé in m odo insepa­
rabile dalla grazia santificante.

D o p o aver esam inato l ’elem ento statico o princi­


pio form ale della nostra vita soprannaturale, che è la
grazia santificante, nella sua natura intim a e nei suoi
principali effetti, consideriam o l ’elem ento dinamico, le
potenze o facoltà soprannaturali, che si identificano con
le virtù infuse e i doni dello Spirito Santo.

A rtic o lo II

L e potente soprannaturali

44. A b b iam o già detto della perfetta analogia che


esiste tra il nostro organism o naturale e quello sopran­
naturale. N e l prim o la nostra anima n on tende im m edia­
tamente all’azione in v irtù della sua essenza, ma si vale,
per operare, delle sue potenze o facoltà — intelletto e
volontà — che emanano da esse com e dalla lo ro p ro ­
pria radice. Q ualcosa di simile avviene nel n ostro or­
ganismo soprannaturale. L a grazia santificante, che co­
stituisce l ’essenza di tale organism o, n on dice diretta-
mente attività, n on è un elem ento dinam ico, ma statico;
non ci viene data in ordine all’agire, ma all’ essere. D ifatti,
quantunque la grazia sia di per sé un accidente, n ell’o r­
dine soprannaturale fa le veci della sostanza e, al pari
di questa, per operare ha b isogn o delle potente so-

G io v. 14,23.
112 PRINCIPI FONDAMENTALI

prannaturali, che sono infuse da D io n ell’ anima insie­


me con la grazia, dalla quale sono inseparabili *. Le
potenze soprannaturali sono le v irtù infuse e i doni
dello Spirito Santo. Q uesto elem ento dinam ico della
nostra vita soprannaturale è tanto im portante nella
T eo lo g ia della perfezione, che m erita un am pio esame.

i. - L e v ir t ù in f u s e

Il prim o elem ento dinam ico della nostra vita so­


prannaturale è dato dalle virtù infuse. N e studierem o
successivamente:
1. L ’esistenza e la necessità.
2. L a natura.
3. La distinzione dalle virtù naturali o acquisite.
4. L e proprietà generali.
5. La divisione fondam entale.
Infine enum ererem o, in form a di quadri sinottici,
tutte le virtù m orali che S. T om m aso ricorda nella
Somma Teologica, raggruppan dole attorno alle princi­
pali e indicando brevem ente la funzione di ciascuna
di esse 2.

1. Esistenza e necessità.

45 . L ’esistenza e la necessità delle virtù infuse na­


sce dalla natura della grazia santificante. Semente di D io ,

1 Fanno eccezione la fede e la speranza, che possono sussistere senza


la grazia, benché in m odo informe, com e vedrem o più innanzi.
2 Supponiam o noto tutto ciò che si riferisce al trattato delle virtù, in
genere e a quello delle v irtù naturali o acquisite. Il lettore ne potrà trovare
una sufficiente inform azione in o gn i bu o n manuale di M orale, soprattutto
in quelli dei PP. Prùm m er e M erkelbach, O .P ., che riportano con m olta
fedeltà il pensiero di S. Tom m aso.
NATURA DELLA VITA SOPRANNATURALE 113
la grazia è un germ e che, per sua natura, postula una
crescita e uno sviluppo fino a raggiu n gere la perfezio­
ne. Però, siccom e la grazia n on è ordinata im m ediata­
m ente all’ operazione — ancorché lo sia radicalmente,
com e principio rem oto di tutte le nostre operazioni so­
prannaturali — ne segue che di per sé richiede alcuni
princìpi im m ediati di operazione, derivanti dalla sua
essenza e da essa inseparabili. D iversam ente, l ’uom o
sarebbe elevato all’ordine soprannaturale soltanto nel
fo n d o della sua anima, ma non nelle facoltà operati­
ve. Assolutam ente parlando, D io potrebbe elevare le
nostre operazioni all’ordine soprannaturale m ediante
grazie attuali continue. M a si avrebbe allora una vio­
lenta nella psicologia um ana a m o tiv o della enorm e
sproporzione che si verreb be a creare tra la semplice
potenza naturale e l ’atto soprannaturale da realizzare.
V iolen za che non si p uò conciliare con la soavità della
P rovvid en za divina, la quale m u ove o g n i essere con ­
form e alla propria natura. D i qui la necessità di certi
principi operativi soprannaturali m ediante i quali è dato
all’u om o di tendere al fine soprannaturale in m odo
del tutto connaturale, con soavità e senza violenze.
D ice il D o tto re A n gelico:
« N on est conveniens quod D eus minus provideat his
quos diligit ad supernaturalem bonum habendum, quam
creaturis quas diligit ad bonum naturale habendum. Crea-
turis autem naturalibus sic providet, ut non solum m oveat
eas ad actus naturales, sed etiam largiatur eis formas et vir-
tutes quasdam, quae sunt principia actuum, ut secundum
seipsas inclinentur ad huiusm odi motum; et sic motus
quibus a D eo m oventur, fiunt creaturis connaturales et facì-
les. M ulto igitur magis, illis quos m ovet ad consequendum
bonum supernaturale aeternum, infundit aliquas formas,
seu qualitates supernaturales, secundum quas suaviter et
prompte ab ipso m oveantur ad bonum aeternum consequen­
dum » 3.

3 I-II, 110,2,
114 PRINCIPI FONDAMENTALI

Più innanzi, parlando delle virtù teologali e m orali


in particolare, studierem o il fondam ento scritturi-
stico dell’esistenza delle virtù infuse e delle diverse
opinion i dei te o lo gi antichi.

2. N a tu ra .

L e virtù infuse sono abiti operativi da D io infusi


nelle potente dell'anima per disporle ad operare secondo il
dettame della ragione illuminata dalla fede.
« A b iti operativi... ». - È l’elemento generico della defi­
nizione, comune a tutte le virtù naturali e soprannaturali 4.
D al punto di vista psicologico, l’abito operativo è « una
qualità difficilmente m obile che dispone il soggetto ad ope­
rare in m odo facile, pronto e dilettevole ». Conferisce al so g ­
getto facilità di operare, perché ogni abito è un aumento
di energia in ordine alla corrispondente azione; gli confe­
risce prontezza, perché costituisce quasi una seconda natu­
ra, in virtù della quale il soggetto si vo lg e all’azione rapida­
mente; gli causa piacere, perché g li rende l’operazione sem­
pre pronta, facile, perfettamente connaturale.

« ...infusi da Dio nelle potente dell’anima... ». - C i troviam o


davanti ad uno dei principali elementi di differenziazione
tra le virtù soprannaturali e le virtù acquisite: la causa effi­
ciente 5. L e virtù naturali o acquisite si producono nell’uo ­
mo con la ripetizione degli atti. L e virtù soprannaturali
vengono date direttamente da D io; donde il loro nom e di
virtù infuse.
Diciam o che sono infuse da D io nelle potente dell’anima
perché si tratta di abiti operativi ordinati immediatamente
all’azione. H anno il com pito di soprannaturalizzare le p o ­
tenze, elevandole all’ordine della grazia e rendendole capa­
ci di produrre atti soprannaturali. Senza di esse — ovvero
senza la grazia attuale, che in certi casi ha il potere di supplir­
le nel peccatore prima della giustificazione — sarebbe im pos­
sibile all’uom o fare un atto di virtù soprannaturale, come è

4 Cf. 1-11,5 5.
5 1-11,63,4 (sed tontra e ad 3).
NATURA DELLA VITA SOPRANNATURALE 115
impossibile all’animale fare un atto intellettivo o razionale:
sorpassa le forze naturali.
D i qui si vede, una volta di più, la stretta analogia esi­
stente tra il nostro organismo psicologico naturale e l’or­
ganismo soprannaturale. S. Tom m aso si compiace di ripe­
terlo:
« Sicut ab essentia animae effluunt eius potentiae, quae sunt opcrum prin­
cipia, ita etiam ab ipsa gratia effluunt virtutes in potentias animae per quas
potentiae m oventur ad actus» 6.

« ...per disporle ad operare secondo il dettame della ragione


illuminata dalla fede». - L a distinzione specifica tra le virtù
infuse e quelle acquisite è data dall’o ggetto formale. L e virtù
infuse dispongono le potenze a seguire il dettame non della
semplice ragione naturale — come le virtù acquisite — ma
della ragione illuminata dalla fede. I m otivi che determinano
all’operazione le virtù acquisite sono puramente naturali.
Quelli che determinano le virtù infuse sono strettamente
soprannaturali. C ’è un abisso tra le une e le altre e questo
abisso è dato dal loro diverso o ggetto form ale quo o ratio
tub qua, che è l’elemento più caratteristico di ogni differen­
ziazione specifica.

Si presenta ora u n ’altra questione [interessante.


L e virtù infuse com e si uniscono alle potenze naturali
per costituire con esse un un ico principio di opera­
zione ?
Per rispondere alla dom anda occorre tenere pre­
sente che le virtù infuse hanno il com pito di perfe­
zionare le potenze naturali elevandole all’ ordine so­
prannaturale. D i conseguenza, l ’atto virtu oso sopran­
naturale sarà dato dall’unione della potenza naturale e
della virtù infusa che viene a perfezionarla. In quanto
atto vitale, ha la sua potenza radicale nella facoltà
naturale, che la v irtù infusa viene a completare essenzial­
mente dandole la potenza per l ’atto soprannaturale.
L ’atto soprannaturale, integralm ente considerato, de­
riva, quindi, dalla potenza naturale informata dalle vir-

6 1-11,110,4 !•
116 PRINCIPI FONDAMENTALI

tu infuse, o dalla potenza naturale elevata all’ordine


soprannaturale. L a potenza radicale è l ’intelletto o la
volontà; e il principio formale prossimo è la virtù infusa
corrispondente.
47 . A lcun i teologi — allontanandosi manifestamente
dal pensiero di S. Tom m aso — dicono che la potenza natu­
rale form a con la virtù infusa un solo principio form ale pros­
simo dell’atto soprannaturale: sono due elementi parziali
che concorrono in pari grado alla produzione di uno stes­
so atto (concorso simultaneo). La teoria, però, non ci sembra
ammissibile. Il principio prossimo deve essere riposto esclu­
sivamente nella virtù infusa. Diversam ente, la sostanza dell’at­
to deriverebbe dalla potenza naturale, e la virtù infusa si
limiterebbe ad aggiungerle semplicemente il modo sopranna­
turale. A lcun i teologi non si sono lasciati spaventare da que­
sta conseguenza che porta alla diretta negazione della so­
prannaturalità sostanziale delle virtù infuse e lasciano loro
una semplice soprannaturalità quoad modum. È una verità
a tutti nota che l’ordine della grazia santificante (gratia gra­
ttini faciens) è soprannaturale « quoad substantiam », intrin­
secamente superiore a tutta la natura: « supra facultatem natu­
rae ». E che le virtù infuse appartengano all’ordine della gra­
zia « gratum faciens » è tanto evidente che nessuno mai l’ha
messo in dubbio.
I teologi ai quali abbiamo fatto cenno cercano di risol­
vere tale difficoltà, insuperabile, ammettendo l’elevazione
entitativa delle virtù infuse rispetto alle acquisite, prodotta
dalla grazia elevante; non però la loro trascendenza oggettiva,
derivante dall’o ggetto materiale e formale. M a neanche que­
sta spiegazione è valida, giacché allora avremmo nelle virtù
infuse una duplice e contraddittoria specificazione: da un
lato sarebbero specificamente distinte dalle acquisite (a
m otivo della grazia elevante) e dall’altro non lo sarebbero
(a m otivo dell’o ggetto form ale e materiale). Una simile
spiegazione, inoltre, si oppone al principio universale che
g li abiti ricevono la loro specificazione dagli Oggetti formali.
È inconcepibile un concorso soprannaturale da parte di D io
nell’ordine della grazia santificante, che non raggiunga in­
trinsecamente la sostanza dell’atto.
II pensiero di S. Tom m aso è m olto più elevato. Secondo
l’Aquinate, le virtù morali infuse sono essenzialmente distinte,
a motivo del loro oggetto formale, dalle più alte virtù morali ac­
quisite, descritte dai filosofi. Queste ultime, per quanto per­
NATURA DELLA VITA SOPRANNATURALE 117

fette si vogliano supporre, potrebbero crescere e svilupparsi


indefinitamente senza raggiungere mai l’o ggetto formale
delle prime. C ’è una distanza incalcolabile tra la temperanza
aristotelica, regolata unicamente dalla retta ragione, e la
temperanza cristiana, che obbedisce ai dettami della fede
e della prudenza soprannaturale. Si legga il magnifico ar­
ticolo dedicato a tale questione nella Somma Teologica e si
vedrà l’altissima idea che il D ottore angelico si era formata
delle virtù infuse e della loro trascendenza rispetto alle corri­
spondenti virtù acquisite?. Le virtù infuse si ispirano e si
regolano sulle verità della fede — del tutto sconosciute al­
la semplice ragione naturale — per quanto concerne le conse­
guenze del peccato originale e dei peccati personali, la in­
finita dignità del nostro fine soprannaturale, la necessità
di amare D io, autore della grazia, sopra ogni altra cosa, e
le esigenze dell’imitazione di G esù Cristo che ci porta al­
l’abnegazione e alla rinuncia totale di noi stessi. Niente di
tutto questo giunge a comprendere la semplice ragione na­
turale, sia essa di Socrate, di Aristotele o di Platone. A ra­
gione scrive S. Tom m aso che « è manifesta» la differenza
specifica tra le virtù infuse e le acquisite a motivo del loro
oggetto formale:
« Manifestavi est autem quod alterius ratìonìs est m odus qui im ponitur in
huiusm odi concupiscentiis secundum regulam rationis Jhumanae, et secun­
dum regulam divinam i puta in sum ptione ciborum ratione humana modus
statuitur u t non noceat valetudini corporis, nec im pediat rationis actum;
secundum autem regulam legis divinae requiritur quod “ hom o castiget
corpus suum et in servitutem redigat ” per abstinentiam cibi et potus, et
aliorum huiusm odi. Unde manifestum est quod temperantia infusa et acqui­
sita dìfferunt specie; et eadem ratio est de aliis virtutibus » 8.

N o n vale obiettare che gli abiti si conoscono dai loro


atti e che gli atti della temperanza infusa — moderazione
della concupiscenza del tatto — sono identici a quelli della
temperanza acquisita e concludere che gli abiti non diffe­
riscono specificamente. S. Tom m aso risponde concedendo
l’identità dell’o ggetto materiale, ma affermando la differenza
specifica e radicale a m otivo dell’oggetto formale:
« A d secundum dicendum, quod alia ratione m odificat concupiscentias
delectabilium tactus temperantia acquisita et temperantia infusa ut dìctum
est (in corp. art.), unde non habent eundem actum » 9.

7 Cf. 1 -11 ,6 3 , 4 .
8 1 -11 ,6 ^ 4 .
118 PRINCIPI FONDAMENTALI

Per S. Tom m aso, le virtù infuse non differiscono soltan­


to dalle virtù acquisite a m otivo della loro elevazione enti-
tativa, ma anche a m otivo del loro oggetto formale, che le ren­
de ad esse sostanzialmente superiori 1 °.

E d ora cerchiam o di determ inare la « categoria »


alla quale d evono essere ricollegate le virtù infuse;
di vedere, cioè, qual è la lo ro essenza dal pu n to di vista
filosofico.
48. Essenza delle T Ì r t u infuse. - L e virtù infuse sono
potente o abiti? Propriamente non realizzano né la categoria
di potenze, né di abiti, benché siano m olto più vicine a
questi che a quelle. Partecipano delle potenze in quanto
ci danno il posse nell’ordine soprannaturale dinamico; ma,
propriamente parlando, non sono potenze. E questo per
varie ragioni: a) le potenze possono tendere ai loro atti
e acquistare gli abiti; se le virtù infuse fossero vere potenze,
potrebbero acquistare n uo vi abiti infusi, ma ciò è assurdo e
contraddittorio (sarebbero acquisiti ed infusi ad un tempo);
b) le potenze sono indifferenti al bene o al male, mentre le
virtù non possono operare che il bene; e c) le potenze in
quanto tali, non crescono in intensità — per es.: l ’intelletto,
in quanto potenza, non cresce benché crescano le sue cono­
s c e n z e — mentre le virtù infuse sono sempre suscettibili di
aumento. Q uindi, le virtù infuse realizzano m eglio la cate­
goria di abiti che quella di potenze.
Si differenziano tuttavia anche dagli abiti, giacché non ci
dànno quella perfetta facilità di azione che è propria di
questi. Conferiscono, è vero, l’inclinazione intrinseca, l’at­
titudine e la prontezza per il bene; ma non ci dànno l’incli­
nazione estrinseca, perché non rim uovono da n oi tutti gli o-
stacoli al bene, come è dato di vedere nel peccatore che si
converte dopo una vita depravata e che avverte gravi dif­
ficoltà nel com pim ento del bene — dovuta ai suoi abiti vi­
ziosi acquisiti — nonostante che abbia ricevuto, con la

9 1-11,63,4 ad 2. — La coincidenza degli atti è puram ente materiate,


non formate: « Q uoniam etsi sit idem actus virtutis acquisitae et infusae
materialiler: non est tamen idem formaliter », dice altrove S. Tom m aso,
(In I I I Sent. d.33 q .i a.2 q.4 ad 2).
10 Cf. sull’argom ento il P. G a r r i g o u - L a g r a n g e , O .P ., Perfezione cri­
stiana e contemplazione, t . i , c.2, a.2; e il P. F r o g e t , O .P ., D e l ’habitation da
Saint-Esprit dans tes àmes jlistes, p.4. c.5.
NATURA DELLA VITA SOPRANNATURALE 119
grazia, gli abiti di tutte le virtù infuse. S. Tom m aso distin­
gue bene tra la facilità che procede dalla abitudine e quella
che procede dalla forte adesione all’o ggetto della virtù.
La prima non è conferita dalle virtù infuse nel primo istante
della loro presenza nell’anima; la seconda, invece, si:
« Facilitas operandi opera virtutum potest esse ex duobus, sd ì.: e x con­
suetudine procedi, et hanc facilitatem n on tribuit virtus infusa in suo princi­
pio; et iterum e x f o r te inhaesione ad obiectum virtutis, et hanc est invenire in
virtute statim infusa in suo p rin cip io » 11.

L e virtù infuse non realizzano esattamente nessuna delle


due categorie — né quella di potenza né quella di abito —
perché gli enti soprannaturali propriamente non possono
quadrare con le categorie degli enti naturali, a somiglianza
di D io , del quale sono u n ’intima partecipazione. T uttavia, si
possono riportare, secondo una certa analogia, alle categorie
naturali. E cosi, la grazia santificante, benché sia un acci­
dente spirituale permanente, si riduce alla qualità come
abito entitativo; e i principi operativi soprannaturali si ridu­
cono alla qualità come abiti operativi, benché non abbiano
con essi tutte le note comuni

3. Differenza tra le virtù naturali e soprannaturali.

49. L e virtù naturali differiscono dalle virtù sopran­


naturali:
1) A motivo della loro essenza. - L e virtù na­
turali sono abiti propriam ente detti; non conferiscono la
potenza, che già p o sseggono, ma soltanto la facilità
di operare. L e virtù soprannaturali, invece, conferi­
scono la potenza di operare soprannaturalm ente —
senza di esse sarebbe im possibile, a m eno che non si
avesse una eccezionale grazia attuale — ma non sem­
pre la facilità.
2) A motivo della causa efficiente. - L e virtù

11 S. T h o m .t I n I V S e n i , d .14 q.2 a.2 ad 5. C f. D e viri,


a .io ad 15.
12 C f. M e r k e l b a c h , Summa Tbeol. Moralis, voi. I, n. 619.
120 PRINCIPI FONDAMENTALI

naturali si acquistano m ediante i principi naturali e i


nostri atti; le soprannaturali d evono essere infuse da
D io.
3) A motivo della causa finale. - C o n le v ir tù na­
tu rali l ’u o m o si c o m p o rta rettam en te in o rd in e alle
co se u m a n e e rea lizza g li atti co n v e n ie n ti alla sua na­
tu ra ra zio n a le. L e v ir t ù so p ran n atu rali, in v e c e , ci so n o
date p e r c o m p o rta rci rettam en te in o rd in e alla n ostra
co n d izio n e d i fig li d i D io destin ati alla v ita etern a, e in
o rd in e all’ e se rcizio d e g li atti so p ran n atu rali ch e si ad ­
d ic o n o alla n atura d iv in a p artecip ata 13.
4) A motivo dell’oggetto formale. - N e lle v ir tù
n atu rali è il b en e co m e v ie n e a p p re so dalla ra g io n e n a ­
tu rale, o la co n fo rm ità c o n il fine n aturale. N e lle v ir tù
so p ran n atu rali è il b e n e co m e v ie n e a p p re so dalla ra­
g io n e illu m in ata d alla Fede, o la co n fo rm ità co n il fine
sop ran n atu rale.
È , q u in d i, e v id e n te ch e le v ir t ù in fu se so n o speci­
ficamente distìnte e di g ra n lu n g a s u p erio ri alle c o rr is p o n ­
d en ti v ir tù acq u isite.

4. Proprietà generali delle virtù infuse.


SO. Prescindendo dalle quattro proprietà che hanno
in comune con le virtù acquisite — -a) risiedono nel me^xp
tra i due estremi (eccetto le teologali, e anche queste per
quanto concerne il soggetto e il modo); b) nello stato perfetto,
sono unite tra loro dalla prudenza (le virtù infuse anche
dalla carità); c) sono di perfezione diversa; e d) quelle che non
includono imperfezione perdurano nell’altra vita in ciò che
hanno di specifico 14 — esporremo brevemente alcune
caratteristiche proprie delle virtù infuse.
1) Accompagnano sempre la grazia santificante

I-II. 63,3.
1 1 C f. 1-11,64-67.
NATURA DELLA VITA SOPRANNATURALE 121
e sono infuse con essa. - È dottrina com une tra i teo­
logi, benché n on sia espressamente definita dalla Chie­
sa, com e avrem o m odo di vedere allorché tratterem o
in particolare dell 'esistenza delle virtù teologali e m orali.
2) Si distinguono realmente dalla grazia santifi­
cante. - Basta ricordare che la grazia è un abito en-
tìtatìvo che risiede nell’essenza dell’anima; e che le
virtù sono abiti operativi che hanno com e prop rio sog­
getto le potenze, distinte realmente dall’anim a *5.
3) Si distinguono specificamente dalle corri­
spondenti virtù acquisite. - L o abbiam o già dim o­
strato.
4) Sono possedute in modo im perfetto. - È que­
sta una proprietà che studierem o am piam ente quando
tratterem o della necessità dei doni dello Spirito Santo,
e che riveste una grande im portanza in ordine alla
necessità della m istica per la perfezione cristiana. A n ­
che S. T om m aso ne parla espressamente 16.
•)) Aumentano con la grazia. - Risulta dalla Scrit­
tura e dalPinsegnam ento della Chiesa. S. P aolo scrive
ai fedeli di E feso (4 , 1 5 ): « C resciam o nella carità» ;
ai Filippesi ( 1 , 9 ): « Questa è la mia preghiera, che la
vostra carità ancora più e più cresca nella conoscenza
perfetta e in o g n i intelligen za»; ai R om ani ( 1 5 , 1 3 ):
« A ffin ch é abbondiate nella speranza per la virtù dello
Spirito Santo», ecc. S. Pietro scrive (2Piet. 3 , 1 8 ):
« Crescete nella grazia e nella conoscenza di nostro
Signore e Salvatore G esù C risto ». Infine, la Chiesa chie­
de a D io , nella liturgia, « aum ento di fede, di speranza
e di carità » 17.

*5 Cf. I - I I ,iio ,4 ad 1.
16 C f. 1-11,6 8 , 2 .
*7 « ...d a nobis fìdei, spei et caritatis au gm en tum » (dom. X III post
Pent.).
122 PRINCIPI FONDAMENTALI

6) Ci conferiscono la potenza intrinseca per com­


piere gli atti soprannaturali, non la facilità estrin­
seca. - L o abbiam o già detto. Q uesto spiega perché il
peccatore pentito prova gravi difficoltà nella pratica del­
le virtù che m aggiorm ente si op pon gono ai suoi antichi
difetti. A ffin ch é tali difficoltà scom paiano è necessario
che le virtù infuse siano aiutate dalle acquisite; non
ab intrinseco — perché l ’abito naturale delle virtù acqui­
site è assolutam ente incapace di perfezionare intrinse­
camente l ’abito soprannaturale delle v irtù infuse —
ma ab exstrinseco, rim uoven do gli ostacoli: le inclina­
zioni perverse e la concupiscenza disordinata. A llo n ­
tanate le difficoltà, anche le virtù infuse incom inciano
ad operare in m odo pron to e dilettevole 18.
7 ) Ad eccezione della fede e della speranza, ven­
gono meno con il peccato mortale. - Queste virtù
costituiscono altrettante proprietà della grazia santifi­
cante; quando si distrugge o scom pare la grazia, neces­
sariamente scom paiono anch’esse. R im angon o sola­
mente — benché in stato informe ed im p erfetto-— la
fede e la speranza, com e un u ltim o don o deU’infinita
m isericordia di D io al peccatore onde possa p iù facil­
mente convertirsi. 19 Se, per i peccati direttam ente ad
esse opposti, venissero m eno anche la fede e la speranza,
allora l ’ anima rim arrebbe p riva di o g n i traccia di vita
soprannaturale.
8) Non possono diminuire direttamente. - T ale
dim inuzione sarebbe d ovuta o al peccato veniale o al
m ancato com pim ento d egli atti della v irtù corrispon­
dente, giacché il peccato m ortale n on le fa dim inuire,
ma le distrugge. O ra, n on posson o dim inuire per il
peccato veniale, perché questo è soltanto una devia-

18 C f. S. T hom ., D e virtut. in com. a. io ad 14.


T9 Cf. D enz. 838 e 1407, e I-II,7i,4 .
NATURA DELLA VITA SOPRANNATURALE 12 3

%ione dal retto cam m ino che conduce a D io e non


sopprim e la tendenza all’ultim o fine soprannaturale,
proprio delle virtù infuse; n on posson o dim inuire per
l’ assenza degli atti, dal m om ento che, trattandosi dì
virtù infuse, non fu ron o originate dagli atti umani, e
quindi non possono cessare per la sem plice cessazione
degli stessi. T uttavia, indirettamente, i peccati veniali
fanno dim inuire le virtù infuse, in quanto m ortificano
il fervo re della carità, im pediscono il progresso nella
v irtù e pred isp ongon o al peccato m ortale 2o.

5. Ditnsione delle mrtù infuse.

5 1. È analoga a quella degli abiti naturali. A lcun e


ordinano le potenze al fine, altre le dispongono in re­
lazione ai m ezzi. Il prim o aspettò specifica le virtù
teologali; il secondo, le morali. Q uelle com piono, nell’or­
dine della grazia, le fun zioni che i principi naturali
operano n ell’ordine della natura: dispongono l ’uom o
al fine; queste corrispondon o alle virtù acquisite, che
lo perfezionano in relazione ai m ezzi.
Per il m om ento lim itiam o il n ostro studio agli
aspetti generali dei vari gruppi, rim andando l ’esame
dettagliato delle singole virtù alla terza parte.

52. A ) Le virtù teologali, - i . E s i s t e n z a . -


L ’esistenza delle virtù teologali è chiaram ente affer­
mata nella S. Scrittura. V i sono, a tale prop osito, diver­
si passi delle lettere di S. P aolo che n on posson o dar
lu o g o ad equivoci: « Caritas D e i diffusa est in cordibus
nostris per Spiritum Sanctum qui datus est nobis »
(R om . 5,5); « Sine fide, autem , im possibile est piacere
D e o » (E br. 11,6); « N u n c autem m anent fides, spes,

*° Cf. 11-11,24,10.
134 PRINCIPI FONDAMENTALI

caritas, tria haec; m aior autem horum est caritas »


(iC o r. 13,13).
A lla S. Scrittura fa eco il M agistero della Chiesa.
In nocenzo III si lim ita a ricordare che i te o lo gi discuto­
no se i bam bini ricevon o nel battesim o le virtù in fu ­
se 21. Clem ente Y , nel C on cilio di V ienn e, senza defi­
nirla, ritiene più probabile la sentenza afferm ativa 22.
Il C o n cilio di T ren to insegna con form ule equivalenti
che l ’uom o riceve, con la grazia, altri doni, quali la
fede; la speranza, la carità, ecc 23. Siccom e g li atti non
si infond on o, occorre concludere che si tratta di abiti
permanenti, ossia, di virtù infuse.
I teologi discutono se questa dottrina sia o no definita
espressamente. T ra gli altri, lo affermano V ega, Ripalda,
Suarez e Benedetto X I V , richiamandosi al Concilio di T ren­
to. Però Soto, M edina e Baftez dicono che il Concilio non
ebbe l ’intenzione di definirla espressamente, benché Io abbia
detto in forma equivalente. Si tratta, quindi, di una verità
per lo meno proxima fidei. B illot ritiene che sia una conclu­
sione teologica certissima. D e l resto, nessun teologo, anti­
co o moderno, ha mai negato l ’esistenza delle virtù teologali.
Soltanto il M aestro delle Sentenze, Pietro Lom bardo, errò
quando volle identificare la carità con lo Spirito Santo, di­
struggendola cosi com e virtù.

L ’esistenza delle virtù teologali è richiesta dalla


natura della grazia santificante. Siccom e n on tende
im m ediatam ente all’operazione, ha b isogn o di princi­
pi operativi soprannaturali per crescere e svilupparsi
sino a raggiun gere la sua perfezione. O ra, di questi
principi, alcuni d evono riferirsi al fine soprannaturale
(virtù teologali) e altri ai m ezzi che v i cond u con o (vir­
tù m orali infuse). L ’argom ento acquista ancora m ag­
gio r valore se si considera che la P rovvid en za divina

21 Cf. D enz. 410.


32 Cf. D enz. 483.
23 Cf. Denz. 799, 800 e 821.
NATURA DELLA VITA SOPRANNATURALE 125
m uove tutte le cose secondo la loro natura, com e ci
insegna la rivelazione.

53 . 2. N a t u r a . - L e virtù teologali sono prin­


cipi operativi m ediante i quali ordiniam o n oi stessi
in m odo diretto e im m ediato a D ìo com e fine ultim o
soprannaturale. H anno D io per o g ge tto materiale e
uno degli attributi divin i per o g g e tto formale. In quanto
strettamente soprannaturali, soltanto D io può infon ­
derle nell’anima, e la loro esistenza p u ò essere con o­
sciuta unicam ente per rivelazione 24.

54. 3 . N u m e r o . - L e virtù teologali sono tre: la


fede, la speranza e la carità. Il num ero ternario è ne­
cessario perché si possa realizzare in m od o perfetto
quella im m ediata unione con D io richiesta dalla natura
di tali virtù. L a fede ce lo dà a conoscere e ci unisce a
lui com e Prim a V erità; la speranza ce lo fa desiderare
com e il n ostro Som m o Bene; la carità ci unisce a lui
con am ore di amicizia, in quanto infinitam ente am abile
in se stesso. N o n ci possono essere ulteriori conside­
razioni nella nostra unione con D io; quantunque in ­
finite, le perfezioni divine posson o essere raggiun te
dagli atti um ani solo sotto l ’aspetto di V erità — m e­
diante l’intelligenza — o sotto l ’ aspetto di B ene —
mediante la vo lo n tà — . E solo quest’u ltim o am m ette
uno sdoppiam ento: Bene per noi (speranza) e Bene
in se stesso (carità) 2S.
D a l momento che si possono separare realmente, non c’è
dubbio che le virtù teologali siano distinte tra loro. La fede
può sussistere senza la speranza e la carità (per es.: in colui che
compie un atto di disperazione, senza tuttavia perdere la
fede); la speranza può sussistere senza la carità (non senza
la fede), com e quando si com m ette un peccato mortale

’-4 Cf. 1-11 , 6 2 , 1 .


Cf. 1-11,62,3.
126 PRINCIPI FONDAMENTALI

non direttamente contrario alla fede o alla speranza; la carità


sussisterà eternamente nel cielo separata dalla fede e dalla
speranza, perché queste verranno meno l6. T utte le volte che
si commette un peccato mortale non direttamente contrario
alla fede o alla speranza, queste rim angono nell’animo in
stato informe — giacché la carità è la form a di tutte le virtù
— e non hanno, per lo stesso m otivo, propria e vera ragio­
ne di virtù 27.
Q uesto ci porta ad esaminare l’ordine esistente tra le vir­
tù teologali. S. Tom m aso v i dedica un articolo 2*.

55. 4. O r d i n e . - Si possono distinguere due or­


dini : quello di origine e quello di perfezione. Q uanto al­
l ’origine 29, prim a abbiam o la conoscenza (fede); p o i il
desiderio (speranza); e infine il conseguimento (carità).
Q uesta gradazione trova la sua giustificazione negli
atti; ma non cam bia se si considerano gli abiti: la fede
precede la speranza e questa la carità, giacch é l ’intel­
letto precede la vo lo n tà e l ’am ore im perfetto il perfetto.
Q uanto alla perfezione, la carità è la più eccellente
di tutte 3o, perché ci unisce più intim am ente a D io ed
è la sola a rimanere eternamente. P er le altre due,
M edina e Banez dicono che in sé, com e virtù teologica,
la fede è p iù eccellente della speranza, perché tende
p iù direttamente a D io considerato in se stesso che non
la speranza, la quale lo considera solo com e un Bene
per noi (senza mettere m olto in risalto il m otivo teolo­
gico) e, inoltre, perché è il fondamento della speranza.
Tuttavia, occorre anche notare che la speranza è più
.vicina alla carità e, in questo senso, è p iù perfetta della
fede.

16 C f. iC o r. 13,8.
*7 C f. 1-11,65,4.
C f. M I ,62,4.
29 Si tratta, evidentem ente, di una priorità di natura, non di tem po, giac­
ch é le virtù infuse ven g o n o tutte donate all'anim a co n la grazia.
a 3° « M io r autem horum est caritas » (iC o r.13 ,1 3).
NATURA DELLA VITA SOPRANNATURALE 127
56. 5. S o g g e t t o d e l l e v i r t ù t e o l o ­
g a l i . - Secondo la dottrina di S. T om m aso, condi­
visa da quasi tutti i teologi, la fede risiede nell’intel­
letto; la speranza e la carità, nella vo lo n tà 31. T ra i mi­
stici, S. G iovan n i della C roce — nonostante che sia
eminentemente tom ista in tutta la sua dottrina 32 —
ha p o sto la virtù della speranza nella mem oria, e ciò,
sembra, p iù per u n m o tiv o pratico, per p o ter parlare
della purificazione di questa potenza, che non per
allontanarsi da S. Tom m aso e dalla dottrina teologica
comune 33.

57. B) Le virtù morali infuse, - r . E s i s t e n z a .


- L ’esistenza delle virtù m orali infuse fu negata da
pochi te o lo gi antichi (Scoto, D u ràn do, B iel e qualche
altro nom inalista). O g g i, sull’esem pio di S. A g o stin o ,
S. G rego rio e S. T om m aso, è ammessa quasi da tutti.
L a dottrina trova il suo fondam ento nella Sacra
Scrittura. Il lib ro della Sapienza afferma che n on c ’è
nulla di più utile nella vita dell’u om o che la tem pe­
ranza, la prudenza, la giustizia e la fortezza:
« E t si iustitiam quis diligit, labores huius magnas ha-
bent virtutes, sobrietatem enim et prudentiam docet et
iustitiam et virtutem , quibus utilius nihil est in vita homi-
nis » 3 4.

L ’apostolo S. Pietro, im m ediatam ente d op o aver


parlato della grazia com e di una partecipazione della
natura di D io — « divinae consortes naturae » — dice
che dobbiam o porre tutto il nostro im pegn o « per m o­
strare nella nostra fede virtù , nella v irtù scienza, nella
scienza temperanza, nella tem peranza pazienza, nella

3 1 C f . 1 1 -1 1 ,4 ,2 ; 1 8 ,1 ; 2 4 ,1 .
32 C f. P . M a r c e l o d e l N i n o J e s u s , C .D ., E l tom ism o de San Juan de
la Cru^ Burgos, 1930.
33 Cf. P . M a r c e l o , o . c c . 1 1 .
34 Sap. 8,7.
128 PRINCIPI FONDAMENTALI

pazienza pietà, nella pietà fraternità e nella fraternità


carità » 35.
A bbiam o, quindi, in questi e in altri testi 36 un fon­
damento scritturistico veramente solido, che più tardi i san­
ti Padri e i teologi ridurranno ad un sistema di dottrina ben
elaborato. L a Chiesa non ha definito nulla espressamente3 7,
tuttavia o g g i l’affermazione della esistenza delle virtù morali
infuse è cosi generale e com une tra i teologi, che non la si
potrebbe negare senza una manifesta nota di temerarietà.

L a ragione l’ abbiam o già data quando trattavam o


delle virtù infuse in generale e delle teologali in par­
ticolare. L e virtù teologali sono richieste dalla grazia
santificante perché possa ordinarsi dinam icam ente al
fine soprannaturale. L e virtù m orali infuse sono richie­
ste, a lo ro vo lta, dalle teologali, perché l ’ ordine al
fine postula la retta disposizione circa i m ezzi. L a rela­
zione che intercorre tra le virtù m orali e le virtù teolo­
gali è, n ell’ ordine della grazia, la stessa che intercorre
nell’ ordine della natura, tra le virtù acquisite e gli atti
della sinderesi e della rettitudine della v o lo n t à 38.

58. 2. N a t u r a . - L e virtù m orali infuse sono


abiti che dispongono le potenze dell’u om o a seguire il
dettame della ragione illum inata dalla fede per quel
che concerne i me%%ì che cond u con o al fine soprannatu­
rale. N o n hanno com e o g g e tto immediato D io — in

35 2 P iet. 1,5 -7 .
36 C f. R om . 8,5-6; 8,15; iC o r. 2,14; G iac. 1,5, ecc.
37 T ro viam o , tuttavia, delle espressioni di una sufficiente chiarezza nel
M agistero ufficiale della Chiesa. Cosi, per esem pio, Innocenzo III parla
di fede, di carità aliasque virtutes nei bambini (D enz. 410); Clemente V ri­
tiene com e più probabile l ’opinione di coloro che dicono che con il batte­
sim o ven gon o infuse nei bam bini la grazia e le virtù (Denz. 483); ed il Cate­
chismo Romano di S. Pio V insegna ch e co l battesimo s’infonde la grazia e
« il nobilissim o corteo di tutte le virtù »: « H u ic (gratiae san tifican ti) au­
tem additur nobìlissim us omnium virtutum com itatus, quae in animam cum
gratia divinitus infunduntur » (p. 2. de sacr. bapt., c.2, § 39).
38 1-11,63,3.
NATURA DELLA VITA SOPRANNATURALE 129
questo si differenziano dalle teologali 39 — ma il bene
onesto; ordinano rettamente gli atti umani al fine ulti­
m o soprannaturale, e in questo si distinguono dalle co r­
rispondenti virtù acquisite 10.
I mes^i che d evono essere regolati dalle virtù m ora­
li infuse si riferiscon o in certo m od o a tutti gli atti
d ell’u om o, n on esclusi (alm eno per parte della pruden­
za) quelli delle virtù teologali, nonostante che queste
superino di m olto in perfezione le virtù m orali 41.
Q uantunque, considerate in se stesse, le virtù teologali
n on p osson o essere eccessive — e in questo senso n on
risiedono nel mesgp com e le m orali 42 — posson o di­
ventarlo per il m od o con cui ve n g o n o esercitate. Q u e­
sto m od o costituisce l ’ o g ge tto delle virtù m orali, le
quali dovranno essere necessariamente m olto num ero­
se, perché m olteplici sono anche i m ovim enti delle
potenze umane che occorre regolare in ordine al fine
soprannaturale.

59. 3. N u m e r o . - S. T om m aso stabilisce u n


fondam entale principio di distinzione: « u b i in actu
hom inis invenitur specialis ratio bonitatis, necesse
est q u od ad h oc disponatur hom o p er specialem v ir-
tutem » 43. L e virtù m orali sono tante, quante sono le
specie di o g ge tti onesti che si p o sso n o presentare alle
potenze appetitive com e m ezzi convenienti al fine so­
prannaturale. S. T om m aso, nella Somma Teologica,
ne studia più di cinquanta, e forse n on ha inteso far­
cene una enum erazione com pleta 44.

3 9 1 -11 , 6 2 , 2 .
4° 1 -11 , 6 3 , 4 .
41 1-11,58,3; 66,6, ecc.
I-II, 64,4; I I - I I ,i 7 ,J ad 2.
43 1 1 -1 1 , 1 0 9 , 2 .
44 L a divisione delle v irtù m orali infuse fatta da S. Tom m aso nella
Somma Teologica conserva un sorprendente parallelismo con la divisione
130 PRINCIPI FONDAMENTALI

F in dalla più rem ota antichità è invalsa l ’abitudine


di ridurre tutte le v irtù m orali alle quattro principali:
prudenza, giustizia, fortezza e tem peranza. Sono già
chiaramente ricordate nella Sacra Scrittura, che le de­
finisce « le v irtù p iù utili all’ u om o nella vita » (Sap. 8,7).
L e conobb ero anche — com e virtù naturali o acquisite
•— i filosofi pagani. Socrate, Platone, A ristotele, Ma-
crob io, P lo tin o e C iceron e parlano espressam ente di
esse considerandole com e virtù basilari. T ra i Padri,
S. A m b ro g io fu il prim o, a quanto pare, che le chia­
m ò cardinali 45. I te o lo g i scolastici sono unanim i nel
suddividere le virtù m orali in base alle quattro cardi­
nali.

Le virtù cardinali.

60. 1. N a t u r a . - Il nom e di « cardinali » deriva


dal latino cardo, cardinis, il cardine della porta; perché

delle virtù acquisite fatta dai filosofi dell’antichità, soprattutto Socrate, A -


ristotele e Platone. Q uesti la dedussero da una attenta e perspicace osserva­
zione dei m ovim enti della psicologia umana; i teo lo gi la ricavarono sulla
base dei due principi che la grazia non viene a distruggere la natura, ma a
com pletarla e perfezionarla, e che D io n on p rovvede m eno nell’ordine so­
prannaturale, che nell’ordine naturale. Tuttavia, ciò non vuol dire che le
virtù m orali infuse n o n possano essere più num erose di quelle da essi co­
munemente ricordate. Forse un esame più acuto e penetrante potrebbe
scoprirne altre.
L a cosa cam bia aspetto quando si parla delle virtù teologali. P o iché
sono strettamente soprannaturali e non hanno corrispondenza nell’ordine
puramente naturale o acquisito, i filosofi le ignorano. L a loro esistenza ci
è nota soltanto attraverso la rivelazione, la quale insegna espressamente
che le virtù teologali n on sono più di tre: fede, speran2a e carità (cf. iC o r.
1 3 ,13 )-
A ltrettanto vale per i doni dello Spirito Santo. A n ch ’essi sono stret­
tamente soprannaturali e non hanno riscontro nell’ordine puramente naturale.
Perciò n on sono n é più n é meno di settey così com e li indica la Sacra Scrit­
tura, interpretata dai S an ti Padri e dal M agistero della Chiesa (cf. n. 69).
45 Expos. in L e. I.5 n.49 et 62; M L 15 1738.
NATURA DELLA VITA SOPRANNATURALE 131
effettivam ente, su di esse, com e su dei cardini, p o gg ia
e si sv o lge tutta la vita m orale e umana.
S. T om m aso insegna 46 che tali virtù m eritano l ’ap­
pellativo di cardinali per due m otivi: a) m eno propria­
mente, perché costituiscono le cond izion i generali
necessarie ad o g n i virtù (in tutte deve risplendere la
prudenza, la giustizia, la fortezza e la temperanza);
V) più propriam ente — melius -— perché riguardano
materie speciali, nelle quali risplende principalmente la
materia generale di una determ inata virtù.
L e virtù cardinali, effettivam ente, sono virtù spe­
ciali, n on generi suprem i, capaci di abbracciare tutte le
altre virtù 47; ed hanno, di conseguenza, m aterie pro­
prie, rappresentate da q uegli o g ge tti nei quali risplen­
de in m odo tutto particolare qualcuna delle quattro
condizioni com uni ad o g n i virtù: prudenza, giustizia,
fortezza e tem peranza. T u tte le v irtù d evon o parteci­
pare, in grad o p iù o m eno elevato, delle quattro condi­
zioni generali; da ciò però n on si pu ò concludere
che ogn i specie di discrezione debba derivare im m edia­
tamente dalla prudenza, o g n i rettitudine dalla giustizia,
ogni fermezza dalla fortezza e o g n i moderazione dalla
temperanza. Q ueste virtù realizzano tali cond izion i in
un m odo em inente, ma n on esclusivo. A n ch e altre par­
tecipano, a lo ro m od o, di queste qualità, b en ch é in
grado m inore.

La superiorità delle virtù cardinali nasce dall’ influsso


esercitato sulle altre virtù ad esse annesse e subordinate.
Queste possono considerarsi partecipazioni derivate dalla
principale, che com unica loro la sua form a, il suo m odo di
essere, il suo influsso, e vengono dette parti potenziali della
virtù cardinale perché disimpegnano il loro com pito in ma­
terie secondarie, costituendo la materia principale l’oggetto

1 - 1 1 ,6 1 ,4 .
47 Insegnarono cosi Seneca, Cicerone e lo stesso S. A gostin o.
13 2 P R IN C IP I F O N D A M E N T A L I

della virtù cardinale corrispondente 4*. L ’influenza della


principale sulle subordinate è evidente; chi ha superato la
difficoltà m aggiore, con facilità supererà le minori.
In questo senso, ognuna delle virtù cardinali può esse­
re considerata com e un genere avente sotto di sé parti
integranti, soggettive e potenziali. L e parti integranti sono quei
complementi utili o necessari che devono concorrere al per­
fetto disimpegno della virtù corrispondente; perciò la pa­
zienta e la costanza sono parti integranti della fortezza. L e
parti soggettive sono le differenti specie subordinate alla virtù
principale: la sobrietà e la castità sono parti soggettive della
temperanza. Sono, infine, parti potenziali quelle altre virtù
annesse che non hanno il vigo re della virtù principale o so­
no orientate verso atti secondari. Cosi la virtù della reli­
gione è annessa alla giustizia, perché mira a rendere a D io il
culto che gli è dovuto, anche se non potrà mai raggiungere
la perfezione, non realizzandosi la condizione di uguaglianza
richiesta dalla stretta giustizia 49.
Possiamo domandarci: la superiorità della virtù cardina­
le sulle sue subordinate, si estende anche alla sua dignità
intrinsecai N o. N ella giustizia sono comprese la religione e
la penitenza, che sono virtù più eccellenti perché hanno o g­
getti più nobili; nella temperanza è compresa l’umiltà, che
è più perfetta perché fondam ento « ut removens prohibens »
di tutte le altre virtù, ecc.
O ccorre com unque riservare la preminenza alle virtù
cardinali, in quanto sono il fondam ento delle altre e realiz­
zano il loro com pito in una maniera più perfetta di quelle
annesse. Cosi, la giustizia com m utativa realizza il concetto
di giustizia più che la virtù della religione o della penitenza,
ecc. La materia o l’ oggetto di qualche virtù annessa può es­
sere più eccellente di quello della virtù cardinale; ma spetta
sempre a questa il modo più perfetto.

S. Tom m aso, in un articolo piu ttosto curioso, ac­


coglie e illustra, cristianizzandola, la dottrina di M acro-
b io — derivata dalla filosofia neoplatonica — sulle
v ir t\xpolitiche,purgative,purificative ed esemplari. L e prim e
ivirtutes politicaé) sarebbero le virtù cardinali di un buon
cittadino nell’ordine puram ente naturale. L e seconde

4* C f. 11-11,48.
49 I v i .
NATURA DELLA VITA SOPRANNATURALE 133
(virtutes purgatoriae), le cardinali infuse in un cristiano
im perfetto. L e terze (virtutes iam purgati animi), le eroi­
che dei santi. L e ultim e (vitutes exemplares), quelle di cui
sopra in quanto esistono esem plarm ente in D io 60.

61. 2. N u m e r o . - L e virtù cardinali sono quat­


tro. Possiam o provarlo:
a) D a ll’ oggetto. - Il bene razionale, che costituisce
l ’o g ge tto della virtù , p uò esistere in quattro form e:
secondo l ’ essenza, nella ragione; in m od o partecipato
nelle operazioni e nelle passioni; tra le passioni ce ne
sono di quelle che spìngono ad atti contrari alla ragione
ed altre che ritraggono dal praticare quello che la rag io ­
ne suggerisce. C i deve, quindi, essere una virtù cardi­
nale che stabilisca il bene nella stessa ragione: la pru­
denza; u n ’altra che rettifica le operazioni esteriori:
la giustizia; u n ’ altra che m u ove contro le passioni
che ritraggon o dall’ordine della ragione: la fortezza;
e u n ’altra che frena g li im pulsi disordinati: la tem pe­
ranza 51.
b) D a l soggetto. - Q uattro sono le potenze dell’u o ­
m o capaci di divenire soggetto di virtù m orali, e in
ognuna di esse deve risiedere una virtù principale:
la prudenza, nella ragione; la giustizia, nella volontà;
la fortezza, n ell’appetito irascibile; la tem peranza, nel­
l’appetito concupiscibile.
c) D alla necessità di porre un rimedio alle quattro f e ­
rite — « vulnera » — prodotte nella natura dal peccato ori­
ginale. - E cosi, opposta zìi’ignoranza dell’intelletto ab­
biam o la prudenza; opposta alla malizia della volontà,
la giustizia; opposta alla debolezza dell’ appetito irasci­
bile, la fortezza; e opposta al disordine della concu­
piscenza, la temperanza.

5° Cf. 1-11,61,5.
3» Cf. 1-11,61,2.
134 PRINCIPI FONDAMENTALI

C om e com plem ento di queste quattro fondam enta'i


appare la lu n ga serie delle v irtù derivate e annesse.
L e esam inerem o nella terza parte del nostro lavoro.
Frattanto, indicherem o qui in form a di quadri sinottici
tutte quelle virtù che S. T om m aso studia nella Somma
Teologica, raggruppan dole attorno alla principale e
indicando brevem ente il com pito di ognuna. D i pas­
saggio, accennerem o anche ai doni dello Spirito Santo
e alle B eatitudini che corrispond on o alle sin gole virtù
cardinali n onché ai v iz i che si o p p on go n o ad esse ed
alle lo ro derivate.
62 . L A P R U D E N Z A IN F U S A E L E V I R T Ù ’
D E R IV A T E
L a prudenza (II—II, 47) ha:

A . - Parti integranti, che vertono sulla conoscenza:


a) Considerata I D e l passato: Memoria (49,1).
in se stessa \ D el presente: Intelletto (a. 2).
Mediante l ’insegna- I D ^ m ( }
b) N ella sua ac­ mento degli altri: | v '
quisizione Mediante l’inven -1 Rapida: Sagacità (a.4).
zione propria (Lenta: Bigione (a.5).
, xT , f In relazione al fine: Provvidenza (a.6).
C) e SUO r e I AA lle
11,. circostanze:
ì iom f-i t r m f (et "7i
Circospezione (a.7).
to uso
A g li impedimenti: Precauzione (a. 8).

B. - Parti soggettive (o specie):


a) Per reggere se stesso: Prudenza monastica.
b) Per reggere N el principe: Prudenza reggitiva (11-11,5 0,1)
la m oltitu­ N e i sudditi: Politica (a.2).
dine: Pru­
N ella famiglia: Economica (a.3).
denza di go­
verno N ella guerra: Militare (a.4).

C. - Parti potenziali (cfr. 1-11,57,6):


a) Per il retto consiglio: Eubolia (11-11,51,1-2).
b) Per giudicare secondo le regole comuni: Sinesi (a.3).
NATURA DELLA VITA SOPRANNATURALE 135

c) Per dispensarsirettamente dalla legge comune: Gno­


me (a.4).
Dono dello Spirito Santo corrispondente: Consiglio (52,1-3).
Beatitudine corrispondente-. I misericordiosi (a.4).

V iz i o ppo st i

| I Precipitazione (a.3).
J j
1. Manifestamen- Imprudenza (a.1-2) Inconsiderazione (a.4).
te contrari (53) | ( Incostanza (a.5).
I Negligenza (54).
Prudenza della carne (a.1-2).
2. Falsamente , Do/o ( n
simili alla A
A stuzia (a.3)N . 1
prudenza (55) | Frode (a.5).
Eccessiva sollecitudine (a.6-7).

63. L A G IU S T IZ I A E L E V I R T Ù ’ D E R I V A T E

La giustizi? (11-11,5 8), ° g g etto della quale è il diritto


(5 7 ). h a =
A . - Parti integranti (79):
a) Vare il bene (non qualsiasi, ma quello dovuto a un altro).
b) Evitare il male (non qualsiasi, ma quello nocivo a un
altro).
B. - Parti soggettive (o specie):
a) Per dare alla comunità quel che le spetta: Giustizia le­
gale (58,5-6).
n T j- -j 1 r " ( D el principe verso i sudditi: D i-
b) Individuale: Giù- V
s izia par tco are j persone pjJvate: Commutativa.

C. - Parti potenziali (80):


[R ispetto a D io: Religione (81) *.
a) Per difetto di ) Rispetto ai genitori: Pietà (101).
uguaglianza | Rispetto ai superiori: I j ) uua (103).
\ Osservanza (102): j Obbedienza (104).

(1) A lla quale, dopo il peccato, si aggiunge la penitenza* di cu i S.


Tom m aso tratta nella terza parte della Somma (cj.8 5, a.1-3).
136 PRINCIPI FONDAMENTALI

Per i benefici ricevuti: Gratitudine (106).


Per le ingiurie ricevute: Giusto casti­
go (108).
N elle promesse; Fedeltà
Rispetto alla ( n o , 3 ad 5).
verità: Ve- N elle parole e nei fatti:
V) Per assenza di Tacita (109) Semplicità (109,2 ad 4;
stretto debito 111,3 ad 2).
N ella relazioni con gli altri: Affabilità
o amicizia (114).
Per moderare l’amore alle ricchezze: L i ­
beralità (117).
Per dispensarsi, per una giusta causa,
dalla lettera della legge: Equità o epi-
cheia (120).
Dono dello Spirito Santo corrispondente: Pietà (121,1).
Beatitudine corrispondente: L a mansuetudine (a.2).

V iz i o p p o s ti a l l a g iu s tiz ia

Contro la giustizia « in genere »: Ingiustizia (59).


Contro la giustizia distributiva: Accettazione di persona (63).
Omicidio (64).
a) Contro le persone
1. Con le opere
commutativa

l Incarcerazione (a.2).
b) Contro le cose: Furto e rapina (66).

D a parte dei giudici (67).


Da p. degli accusatori (68).
a) In giudizio D a p. dei rei (69).
la giustìzia

D a p. dei testimoni (70).


2. Con le parole D a p. degli avvocati (71).
Contumelia (72).
Diffamazione (73).
b) Fuori di
Mormorazione (74).
Contro

giudizio
Irrisione (75).
Maledizione (76).
3. Nelle commuta- I Frode commerciale (77).
Zioni volontarie \ Usura (78).
NATURA DELLA VITA SOPRANNATURALE 137

Superstizione (92).
Culto indebito (93).
Idolatria (94).
Divinazione (95).
a) Contro la religione Vana osservanza (96).
Tentazione di Dio (97).
Spergiuro (98).
Sacrilegio (99).
Simonia (100).
Empietà (iox, prol.).
b) Contro lapietà
Amore eccessivo (a.4).
c) Contro l ’obbedienza: Disobbedienza (105).
d) Contro la gratitudine: Ingratitudine (107).
e) Contro il giù- I Crudeltà.
sto castigo J Eccessiva indulgenza (108,2 a
Bugia ( n o ) .

,,
I Simulazione e ipocrisia ( i n ) .
Iattanza (112).

Ironia (o falsa umiltà), (113).


■• ■( Adulazione (115).
ontro amtct1V a \ Litigio 0 sp irito di contraddizione (116)
h) Contro la I Avarizia (118).
liberalità | 'Prodigalità (119).
i) Contro l ’epicheia: fariseismo legalista (120,1 ad 1).

64. L A F O R T E Z Z A E L E V IR T Ù D E R IV A T E

L a fortezza (11-11,123) ha:


Un atto principale: il martirio (124).
Non ha parti soggettive, (128), perché si tratta di una
materia m olto speciale e del tutto determinata.

Partì integrali e potenzialiI:


, _ ( Rispetto al fine: Magnanimità (129).
a) Per operare J . v . . * , \
| Rispetto ai mezzi: Magnificenza (134).
1 Sono le m edesim e v irtù , che, se si riferiscono ai p erico li di m orte, co­
stituiscono le parti integrali della fortezza, e se si riferiscono ad altre materie
meno difficili, ne costituiscono le patri potenziali.
138 l'RINCIPI FONDAMENTALI

Contro i mali ( 'Pazienza (136,1-4).


presenti | Longanimità (a. 5).
b) Per resistere
N ell’esercizio I Perseveranza (137,1,2,4).
delle virtùtù (( Costanza
- (a.3).

Dono dello Spirito Santo corrispondente: Fortezza (I 39i1)-


Beatitudine corrispondente: Fame e sete di giustizia (a.2).

V iz i o p p o s ti

Timidità (o codardia) (125).

1 Impassibilità (126).
Audacia (temerità
Presunzione (130).
b) A lla magnanimità Ambizione (131).
Vanagloria (132).
Pusillanimità (133).

e) A lla m agnificenza ( T ,T T * j
° | Sperpero (a.2).
a n„
a ) A lla pazienza
/t Insensibilità
T ^
2.
r I impazienza.
e) A lla perseveranza (138,1).
r \ Pertinacia (a.2).

65. L A T E M P E R A N Z A E L E V I R T Ù ’ D E R IV A T E

La temperanza (II-II,I4 l) ha:

A . - Parti integranti:
a) Vergogna (o timore dell’obbrobrio) (144).
b) Onestà (o amore del decoro) (145).
B. - Parti soggettive (o specie):

a) Circa la nutrizione ( £el mangiare: Astinenza (146).


J \ N el bere: Sobrietà (149).
,v , . ( Per qualche tempo: Castità (151).
b) Q rca la generazione { per ^ m pre. v J ginità (lJ 2 ) /

2 È sorprendente che S. Tom m aso non parli di questi vizi nella Som­
ma Teologica.
NATURA DELLA VITA SOPRANNATURALE 139
C. - Parti potenziali:
a) Continenza, contro i piaceri del tatto (155).
V) Mansuetudine, contro l’ira (157).
c) Clemenza, contro il rigore del castigo (157).
N ella stima di sé: Umiltà (161).
N e l desiderio della scienza: Studiosità
(166).
N e i , m ovim enti del corpo: Modestia
d) Modestia (160) corporale (168,1).
N ei giochi e nelle ricreazioni: Eutrapelia
(168,2).
N elle vesti e negli ornamenti: Mode­
stia nell’ornamento (169).

Dono dello Spirito Santo corrispondente: Timore (141,1 ad


3; cfr. q.19).
Beatitudine corrispondente: Poveri di spirito (19,12).

V iz i o p p o s ti

„ , . , ( Insensibilità (142,1).
Contro la temperanza m generale { Intemperan^ £ 4 ^ . 4 ) .
Contro l’astinenza Gola (148).
Contro la sobrietà Ubriachezza (15°)-
Contro la castità Lussuria (153-4).
Contro la continenza Incontinenza (156).
Contro la mansuetudine Ira (158).
Contro la clemenza Crudeltà (159).
Contro l’umiltà Superbia (162).
Contro la studiosità Curiosità e negligenza (167).
Contro la modestia corporaleAffettazione e rusticità
Contro l ’eutrapelia Sciocca allegria ed eccessiva
austerità (168,3-4).
Contro la modestia nell’ornamento Lusso eccessivo e disor­
dine (169).

Q uesto, secondo il D o tto re angelico, il m eraviglio­


so corteo delle v irtù infuse che si accom pagna sempre
alla grazia santificante. C on esse tutte le potenze del­
l ’uom o rim angono elevate a ll’ ordine della grazia. In
ogn i potenza, e per o g n i o g ge tto specificam ente distin­
140 PRINCIPI FONDAMENTALI

to , c’è un abito soprannaturale, che dispone l ’uom o


ad operare conform e al principio della grazia e, m edian­
te n u o vi atti, a sviluppare la vita soprannaturale.
T uttavia, l ’ organism o soprannaturale n on è ancora
com pleto. L e virtù infuse n on dànno alle potenze
dell’ anima tutta la perfezione possibile nell’ordine so­
prannaturale. C on il loro aiuto possiam o, senza dubbio,
seguire perfettam ente il dettam e della ragione illum i­
nata dalla fede; ma oltre questo criterio, soprannaturale
quanto all’essenza, umano quanto al fnodo, possiam o e
dobbiam o essere pron ti a seguire il dettam e e la m o­
zione diretta dello Spirito Santo. È il com pito parti­
colare dei sette doni.

II. - I D O N I D E L L O SP IR IT O S A N T O

D ata l ’im portanza, studierem o i doni dello Spi­


rito Santo con la massima am piezza consentitaci dal­
l ’indole del lavoro. L ’ ordine sarà il seguente:
1. Introduzione.
2. Esistenza.
3. N um ero.
4. N atura.
5. D istin zion e specifica dalle virtù infuse.
6. P ossibilità di una duplice operazione ?
7. N ecessità dei doni.
8. R elazioni vicen d evoli.
9. R elazioni con le v irtù infuse.
10. R elazioni con i fru tti dello Spirito Santo e le
beatitudini.
11. D urata.
12. Sintesi della dottrina generale sui doni.
NATURA DELLA VITA SOPRANNATURALE 141
1. Introduzione.

66. D o n o in generale è « tu tto ciò che una persona


dà ad un’ altra per propria liberalità e con benevolen­
za» 1. D iciam o « per propria liberalità » vo len d o signi­
ficare che il dono esclude, da parte del donante, ogni
carattere di debito, sia di stretta giustizia che di grati­
tudine. A g g iu n g ia m o « con benevolenza » per espri­
mere l ’intenzione del datore di beneficare chi riceve
gratuitam ente il suo dono.
L ’esclusione di ogni obbligo di giustizia o di gratitu­
dine, o — che è lo stesso — la sua assoluta gratuità, è ri­
chiesta dal concetto stesso di dono; diversamente non si di­
stinguerebbe dalla ricompensa o dal premio. Cosi pure,
non deve importare l’ esigenza di qualche com penso da parte
di colui che lo riceve gratuitamente rispetto al suo benefat­
tore. N o n si tratta di una operazione do ut des, ma di una
donazione completamente gratuita che non esige nulla in
cambio. È qualcosa di irreddibilis, com e dice S. Tom m aso
citando Aristotele 2. Tuttavia la nozione di dono non esclu­
de la gratitudine da parte di colui che lo riceve, come appare
dall’esperienza quotidiana; esclude soltanto l’esigenza della
gratitudine. P iù ancora: a volte richiede anche il buon uso
del medesimo, ciò dipende dalla natura del dono o dall’in­
tenzione del donante, com e quando si offre qualcosa perché
con il suo uso si perfezioni colui che lo riceve. T ali sono,
soprattutto, i doni che D io elargisce alle creature.

6 7 . I d o n i d i D io . - Il prim o gran don o di D io è


lo Spirito Santo, che è l ’am ore stesso con cui D io si
ama e ci ama. D i lui dice la litu rgia che è il don o del
D io altissim o: « A ltissim i donum D ei » 3. L o Spirito
Santo è il prim o dono di D io , n on solo in quanto è
l ’am ore in divinis, ma anche in quanto si trova in noi

1 Q uesta definizione equivale a quella del P. G a r d e i l : « D onner, c ’est


accorder à quelqu’un, gratuìtem ent et bénévolem ent, propriété d’une
chose » (cf. D T C , art. Dons, col.1728).
1 1 - 1 1 ,6 8 ,1 , o b .3 . Cf. A r i s t o t e l e , Topic. I V , 4 ; 125 a.18.
3 Inno Veni Creator.
142 PRINCIPI FONDAMENTALI

per missione o in vio. In altri term ini: lo Spirito Santo


è il prim o don o di D io , non solo personaliter , ma anche
essentialiter. Cerchiam o di approfondire i nostri concetti.
L ’amore di D io può essere considerato sotto un tripli­
ce aspetto:
a) Essentialiter, e in questo sènso conviene ugualm ente
alle tre divine persone.
b) Notionaliter, e cosi considerato, non è altro che la
« spirazione attiva » comune al Padre e al Figlio.
c) Personaliter, e in questo senso significa « spirazione
passiva» che si identifica con lo Spirito Santo.
Cosi pure, il dono — dice Billuart 4 — può essere con­
siderato in tre m odi diversi:
a) Essentialiter, la cosa che si dà gratuitamente.
b) Notionaliter, in quanto im porta origine passiva da
colui che offre il dono.
c) Personaliter, in quanto conviene ad una persona c o ­
me nom e proprio.
Ciò posto, diciam o che lo Spirito Santo è il primo dono
di D io personaliter (alludendo al terzo m embro della prima
serie) ed essentialiter (alludendo al prim o membro della
seconda serie).

D a questo prim o grande dono proced on o tutti g li


altri doni di D io . In ultim a analisi, tu tto quanto D io
dà alle creature, tanto n ell’or dine soprannaturale quan­
to n ell’ ordine naturale, è opera assolutam ente gratuita
del suo libero e infinito am ore.
In senso largo , quindi, tu tto quanto abbiam o rice­
v u to da D io è « dono dello Spirito Santo ». M a questa
espressione generica p u ò avere altri significati parti­
colari, che con vien e determ inare.
I principali sono q u attro 5:

4 C f. vol.2 p a g .138 (ed. 1904).


5 L a d ivisione trova il suo fondam ento nella dottrina di S. Tom m aso
« Q u am vis om nia dona et naturalia et gratuita dentur nobis a D e o per am o-
rem , qui est prim um domini; n on tamen in om nibus donis datur ipse A m or?
rsed tantum in dono quod est sim ilitudo illius amoris, scilicet in d ono cari-
tatis » ( I Seni, d.18 a.3 ad 4).
NATURA DELLA VITA SOPRANNATURALE 143
1. In senso largo, doni dello Spirito Santo sono
tutti quei doni di D io che n on includon o quel prim o
dono che è lo Spirito Santo. T a li sono, anzitutto, i
doni naturali, elargiti da D io alle creature.
2. In senso meno largo sono quei doni che, senza in ­
cludere necessariamente quel prim o grande dono e
senza supporre nell’ anima la presenza della grazia e
della carità, appartengono all’ ordine soprannaturale.
Essi son o principalm ente:
a) L e grazie gratis date.
b) L e grazie attuali prevenienti.
c) Il timore servile di D io.
d) L ’attrizione soprannaturale.
e) La fede e la speranza informi.

3. In senso p iù proprio si dicono doni dello Spirito


Santo tutti quei doni che inclu d on o il prim o gran
dono di D io e sup pon gono o causano n ell’ anima l’a­
m icizia e la grazia di D io . Essi sono:
a) L a grazaa santificante.
V) La carità.
c) L a fede e la speranza informate dalla carità.
d) L e virtù morali infuse.
e) I sette doni dello Spirito Santo.

4. Q uesti ultim i sono propriam ente i « doni dello


Spirito Santo » in senso stretto, i soli di cui ci occupere­
m o nel nostro studio.

2. Esistenza dei doni dello Spirito Santo.

68. L ’esistenza dei doni dello Spirito Santo può


essere conosciuta soltanto attraverso la rivelazione,
giacch é si tratta di realtà soprannaturali che trascendo­
no nel m od o più assoluto l ’am bito della ragione na­
turale 6. S. Tom m aso parte da questo presupposto nel­

6 « D e donis non possum us philosophari, nisi prout nobis tradii Serip-


144 PRINCIPI FONDAMENTALI

la questione speciale che dedica ai doni nella Somma


Teologica, dicendo che per quanto si riferisce ad essi
dobbiam o seguire la Sacra Scrittura « in qua nobis
traduntur » 7.
V ediam o, anzitutto, il fondam ento scritturisti-
co dell’ esistenza dei doni. P o i passerem o brevem ente
in rassegna l ’insegnam ento della T radizion e, del M a­
gistero della Chiesa e le sentenze dei teologi, che a
p o co a p o co ne elaborarono la dottrina.

a) L a S acra S crittu ra . - È classico il testo di li-


saia (11,2):
« E t requiescet super eum spiritus Dom ini:
spiritus sapientiae et intellectus,
spiritus consilii et fortitudinis,
spiritus scientiae et pietatis,
et replebit eum spiritus timoris D om in i».

Q uesto testo è chiaram ente m essianico, e quanto


in esso è detto si riferisce in senso prop rio al Messia.
T u ttavia i Santi Padri e la Chiesa ne estendono l ’ap­
plicazione ai fedeli di C risto in virtù del principio
universale d ell’econom ia della grazia enunciato da
S. P aolo quando afferma: « Q u os praescivit et praede-
stinavit conformes fie r i imaginis f i l i i sui, u t sit ipse prim o-
genitus in m ultis fratribus » (R om . 8,29). C osicché,
tutta la perfezione di C risto, se è comunicabile, si trova
pure nelle m em bra che sono unite a lui m ediante la
grazia. È evidente che i doni della Spirito Santo ap­
parten gon o alle perfezion i soprannaturali comunicabili,
soprattutto se si tiene con to della necessità che abbia­
m o di essi, com e ved rem o in seguito. E po ich é la gra­
zia è prod iga alm eno quanto la natura in quel che ci

tu ra» ( G i o v a n n i d i S a n T o m m a s o , In I - I I d.16 a.3). Cosi pure: « D e his


enim naturales philosophi et ethici nihil agnoverunt, sed solim i ex divina
revelatione nobis constat» (Ivi, a.i).
7 C f. I-II,68,i.
NATURA DELLA VITA SOPRANNATURALE 145
è necessario, dobbiam o concludere che i sette spiri­
ti che il profeta vid e riposare sul M essia sono patri­
m onio di tutti coloro che rim angono uniti a lu i m edian­
te la carità 8.
O ltre questo, che i Santi Padri e la Chiesa hanno
interpretato com e una chiara allusione ai doni dello
Spirito Santo, gli autori citano m olti altri testi del­
l ’A n tico e del N u o v o Testam ento 9. N o i preferiam o
astenercene; n on solo esula dal nostro intento u n ap­
profon d ito esame del vero significato di questi testi,
ma siamo convinti che gli argom enti tratti dalla m ag­
gior parte di essi sono gio ch i di fantasia, p rivi di ogn i
serio fondam ento. È op portun o riconoscere che la
dottrina dei doni, nella Sacra Scrittura, si fon d a quasi
esclusivam ente sul testo di Isaia: questo passo, cosi
com e è stato interpretato, conferm ato e illustrato dai

8 D e l testo, il testo di Isaia offre non poche difficoltà esegetiche. I l P .


O .P ., professore di S. Scrittura 2.WAngelicum, l’ha fatto o ggetto
C eu p p en s,
di un n o tevole studio di cui riportiam o le conclusioni:
« i. Dona realiter existunt atque originem a Jahve ducunt: Spiritus enim
Jahve in A .T . non est Spiritus Sancti persona, sed ipse D eus. C um vero in
N .T . opus gratiae m od o speciali Spiritui Sancto adscribatur, paulatim in
th eologia patristica Spiritus Sanctus ut d o no rum auctor agnitus fuit.
2. D o n a per tnodum habitus Christo conferuntur: ” Requiescet super illuni
Spiritus D o m in i” . D e horum donorum com m unicatione m embris seu fi-
delibus Christi, apud Isaiam, nulla m entio habetur.
3. Q u am vis distinctio realis donorum a virtutibus apud Isaiam explicite
nullatenus affirmetur, huius distinctionis tamen v estigium in ipsa verbi
"S piritu s” —- ruah — repetitione forsan inveniri potest.
4. Septem dona Spiritus Sancti haberi, neque apud Isaiam , neque in a-
lio S. Scripturae lo c o explicite docetur. D octrinam istam perfecte explica-
tam tem pore Scholasticorum tantum fuisse opinam ur» (« A ngelicum »
1928, pp.525-38).
9 E c co i principali:
a) D ell*A ntico Testam ento: G en . 41,38; E s. 31,3; N um . 24,2; D eut.
34,9; G iu d . 6,34; Sai. 31,8; 32,9; 118,120; 118,144; I 4 2»IOJ Sap. 7,28; 7,7;
7,22; 9,17; 10,10; E ccli. 15,5; Is. 11,2; 6 i ,i ; M ie. 3,8.
b) D e l N u o v o Testam ento: L uca 12,12; 24,25; G io v . 3,8; 14,17; 14,26
A tti 2,2; 2,38; R om . 8,14; 8,26; iC o r. 2,10; 12,8; A p . 1,4; 3,1; 4,5; 5,6.
146 PRINCIPI FONDAMENTALI

Santi Padri, dal M agistero della Chiesa e dalla elabora­


zione delle scuole, costituisce un argom ento fortis­
sim o a favore dell’esistenza dei doni, n on soltanto
in C risto, ma anche nei singoli fedeli. A lcu n i te o lo gi
riten gon o addirittura che questa duplice esistenza sia
formalmente rivelata nella Sacra Scrittura10; coloro
che non osano afferm are tanto, ricon oscon o che si
tratta per lo m eno di una conclusione certissim a e
p roxim a fid ei.
b) I S a n ti P a d ri. - Sia i greci che i latini parlano
spesso dei doni dello Spirito Santo, che chiamano dona,
munera, charismata, spiritus, virtutes, ecc. Tr? i greci si d i­
stin guono S. G iustin o, O rigen e, S. C irillo d’Alessandria,
S. G reg o rio N azianzeno e D id im o il Cieco; tra i latini
occupa il prim o posto S. A g o stin o , subito seguito da
S. G re g o rio M agno. F elici idee sui doni si trovan o
anche in S. V itto rin o , S. Ilario, S. A m b ro g io e S.
G irolam o. Sarebbe tropp o lu ngo riportare i testi 11 ;

10 II P. A ldam a, S.J., è dell’avviso che n on si tratta di una conclusione


elaborata in base ad una premessa d i fed e e ad un’altra d i ragione, ma di una
conseguenza che deriva da due verità formalmente rivelate, cioè, l’esistenza
dei doni in Cristo com e M essia (Is. 11,2) e l’affermazione di S. G iovan n i
che E g li è pieno di grazia, di verità e che di questa pienezza n oi tutti par­
tecipiam o (G io v . 1,14-16). E c co le sue parole: « I l senso conseguente sup­
pone una deduzione tratta da una premessa di ragione. M a n on è questo il
caso. C i troviam o di fronte a due verità ugualmente rivelate nella S. Scrittura.
L ’una ci descrive g li esuberanti tesori dell’organism o spirituale del Messia;
l’altra afferma la nostra partecipazione alla pienezza delle sue grazie, ossia
alla vita di questo organism o in azione. Q uando i Ss. Padri analizzano le
due verità, si apre dinanzi ai nostri occhi, in una m agnifica prospettiva, la
pienezza del senso rivelato e ci rendiam o conto che la parola di D io ci ha
m anifestato realm ente l’esigen za dei doni dello Spirito Santo n on solo in
C risto, ma anche nei cristiani. Veniam o cosi a trovarci dinanzi a un senso
pieno (sensus plenior) non dinanzi a un senso conseguente. Tale soluzione
sem bra che interpreti m eglio i dari He-’o tradizione patristica» (Los dones
del Espiritu Santo: problemas y controversias en la actual teologia de los dones
in « R evista E sp . de T eo lo g ia » , gennaio-m arzo 1949).
11 C hi desiderasse una conoscenza più approfondita del fondam ento,
NATURA DELLA VITA SOPRANNATURALE 147

è interessante però notare com e in essi si avverta


già la presenza di tutte quelle questioni che occuperan­
no più tardi g li scolastici e che S. T om m aso ridurrà
in una sintesi com pleta e perfetta.

c) Il Magistero della Chiesa. - L o suddividiam o


in tre parti: C on cili, liturgia, altri docum enti.
i. Concili. - L a Chiesa ha parlato chiaram ente
dei doni dello Spirito Santo soltanto nel sinodo rom ano
celebrato nel 382, sotto papa D am aso. Se di essi abbia
trattato o m eno il C on cilio di T ren to, non si pu ò af­
fermare con certezza; è una questione non ancora ri­
solta.
11 testo del sinodo rom ano dice:
« D ictum est: Prius agendum est de Spiritu septiformi,
qui in Christo requiescit, Spiritus sapientiae: Christus Dei
virtus et Dei sapientia (iC o r. 1,24). Spiritus intellectus: In-
tellectum dabo tibi, et instruam te in via, in qua ingredieris (Sai.
31,8). Spiritus consilii: E t vocabitur nomen eius magni consilìi
angelus (Is. 9,6: L X X ). Spiritus virtutis (ut supra): Dei vìr-
tus et Dei sapientia (iC o r. 1,24). Spiritus scientiae: Propter
eminentiam Christi scientiae Jesu apostoli (Ef. 3,19). Spiritus
veritatis: Ego via et vita et veritas (G io v. 14,6). Spiritus tì-
moris (Dei): Initium sapientiae timor Domini (Sai. 110,10) »'\

In questo testo: a) si parla dei doni dello Spìrito


Santo propriamente détti-, b) si enum erano, con Isaia,
i sette doni13, e c) si spiega ognun o di essi mediante
la Sacra Scrittura in quanto con ven go n o pienamente
a Cristo.
E d ecco il passo del C on cilio di T ren to sul quale

scritturistico e patristico circa l ’esistenza dei doni, consulti: G a r d e i l in


D T C , art. Dons du Saint Esprit col. 1728S; P a r i s , D e donis Spiritus Sancii in
genere, M arietti, To rin o , 1930; F e r r e r ò , L o s dones del Espiritu Santo, Manila,
1941; T o u z a r d , in « R evue B iblique» , apr. 1899, ecc.
12 Cf. D enz. 83.
*3 Con. la variante spiritus veritatis invece di pktaiis, e spiritus virtutis
invece di fortitudinis, del tutto equivalente.
148 PRINCIPI FONDAMENTALI

n on concordano le interpretazioni degli studiosi 14.


« H anc dispositionem seu praeparationem iustificatio ipsa
consequitur, quae non est sola peccatorum temissio (can.
l ì ) , sed et sanctificatio et renovatio interioris hominis per
voluntariam susceplionem graiiae et donorum, unde hom o
ex iniusto fìt iustus et ex inim ico amicus, u t sit heres secun­
dum spem vitae aeternae (Tit. 3,7)» :s.

D alla citazione ci sembra che si possa ragion evol­


m ente dedurre: a) il C on cilio non parla direttamente
dei doni n é li nom ina espressamente; però è evidente
dal term ine donorum il riferim ento ad essi alm eno in
form a remota e generica; b) è probabile che i padri del
C on cilio intendessero far allusione ai doni dello Spi­
rito Santo propriam ente detti, soprattutto se si tiene
presente che la nozione dei doni era fam iliare ai pa­
dri del C on cilio, e a tutta la Chiesa di quell’epoca, co­
me risulta dalla liturgia 16; c) questi « doni » (in qua­
lunque senso li si v o g lia intendere) ve n g o n o infusi e si
ricevon o con la grazia.

2. Liturgia. - M o lto p iù chiaro è il pensiero della


Chiesa, quale ci si m anifesta attraverso la liturgia.
N e ll’inno V en i Creator si parla del settiform e dono
dello Spirito Santo:
« T u septiformis munere
digitus paternae dexterae... ».

N ella sequenza della messa di Pentecoste si chie­


don o allo Spirito Santo i suoi sette doni:

*4
Si veda, per esempio, Ferrerò, O.P.,.in «Revista Espan. de Teolo­
gia», 1945, p. 43-44; e Aldama, S.J., in « Estudios Eclesiàsticos », gen-
naio-giugno 1946, pp. 241-44.
*5 Cf. D enz. 799.
16 Ci sembra un po’ esagerata l’affermazione di Suàrez: « Non est veri-
simile, ibi loqui Concilium de specialibus donis Spiritus Sancti » (cf. D e gra­
fia I.16 c.io n.4 in fine).
NATURA DELLA VITA SOPRANNATURALE 14 9

« D a tuis fidelibus
in te confidentibus
sacram septenarium ».

N e ll’inno di M attutino si insiste sulla stessa idear


« Sollemnis urgebat dies
quo mystico septemplici
orbis volutus septies
signat beata tem pora».

N e ll’inno dei V esp ri ritorna l ’allusióne ai doni:


« T e nunc D eus piissime
vultu precamur cernuo
illapsa nobis caelitus
largire dona Spiritus ».

Il ve sco vo , allorché am m inistra il sacram ento del­


la Cresim a, con le mani stese sui cresim andi, pregar
« Em itte in eos septiformem Spiritum tuum Sanctum
Paraclitum de caelis: Spiritum sapientiae et intellectus,
Spiritum consilii et fortitudinis, Spiritum scientiae et pie-
tatis; adimple eos Spiritu timoris tui » 17.
L a Chiesa, quindi, nel momento solenne dell'ammini­
strazione di un sacramento, applica ad ogn u n o dei suoi
figli il fam oso testo m essianico di Isaia.

3. A l t r i documenti ecclesiastici. - a) Il catechism o del


C oncilio di T ren to — che tanta autorità go d e tra i teo­
logi — afferm a che « questi doni d ello Spirito Santo
sono per noi com e una fon te divin a da cui attingiam o
la conoscenza dei com andam enti della vita cristiana
e per m ezzo dei quali possiam o sperim entare se Io-
Spirito Santo abita in noi » 18.
b) In tutti i catechism i cattolici si parla dei doni
dello Spirito Santo com e di u n patrim onio com une
ai fedeli.

x7 Pont. R om ., D e s. sacram. Confirm. confer.


18 Catechismo del Concilio di Trento p .i, c.9, § 8.
150 PRINCIPI FONDAMENTALI

ir) Leone X III, n ell’enciclica sullo Spirito Santo


Divinum illud munus, del 9 m aggio 1897, scrive:
« Il giusto che vive già la vita di grazia e opera con
l ’aiuto delle virtù, com e l ’anima con le sue potenze, ha bi­
sogno di quei sette doni, che si dicono propri dello Spirito
Santo. Per m ezzo di questi, l ’uom o si rende più pieghevole
e forte a seguire con m aggior facilità e prontezza il divino
istinto; essi sono di tanta efficacia da spìngerlo alle p iù alte cime
della santità; sono di tanta eccellenza da rimanere intatti,
benché più perfetti nel m odo, anche in cielo. Con questi
don i poi lo Spirito Santo ci eccita e ci solleva all’acquisto
delle beatitudini evangeliche, che sono quasi fiori sbocciati
in primavera, preannunzianti la beatitudine sempiterna » ' 9 .
1
Com e si vede, il papa fa propria la dottrina della
T radizione sull’esistenza, la necessità, la natura e gli
effetti m eravigliosi dei doni e la propone con i l suo M a­
gistero ordinario a tutta la Chiesa. R iveste, quindi, il
testo citato, un grande valore dogm atico.

d) I T e o lo g i s c o la s tic i. - L ’ opinione dei teologi


svXÌesistenza dei doni ci interessa solo com e docum ento
della Tradizione, po ich é essi n on potevan o dar vita
ad una dottrina che ha per o g ge tto realtà soprannatu­
rali.
L a teologia dei doni andò soggetta ad una lunga

r 9 C f. L e o n e x i i i , enciclica D ivinum illu d munus , v erso la fine. E c c o il


te sto la tin o d el p ara grafo da n o i citato: « H o c am plius h o m in i iu sto, vitam
scilice t v iv e n ti divin ae gratiae e t per co n gru as virtu tes tanquam facultates
agen ti, opus piane est septenis illis quae proprie dicuntur Spiritus Sancii donis.
H o ru m enim beneficio instruitur anim us e t m unitu r u t eius v o c ib u s atque
im p ulsio ni facilius p ro m p tiu sq u e obsequatur; haec p ropterea dona tantae
sunt efficacitatis u t eum ad fastigium sanctimoniae adducant, tantaeque excellentiae
u t in ca d e sti reg n o eadem , qu am qu am perfectius perseverent. Ipsoru m q u e
o pe charism atum p ro v o ca tu r anim us e t effertur ad appetendas adipiscendas-
que beatitudines evan gelicas, quae, perinde ac flores v e r n o tem p o re erum -
pentes, indices ac nuntiae su nt beatitatis p erp etuo m ensuras ». Q u e sto
testo tratta: i . della necessità dei doni: opus piane est; z . della lo ro natura:
ci rendono do cili allo S pirito Santo; 3. dei lo ro effetti: ci p osson o condurre
a l vertice della santità.
NATURA DELLA VITA SOPRANNATURALE 151
e faticosa elaborazione attraverso i secoli. L a loro-
esistenza, però, non fu mai negata. L e rarissime ecce­
zioni n on fanno che conferm are la regola. O g g i, la
dottrina dell’esistenza dei doni ha ricevu to tale im pul­
so che n on esiste un solo te o lo g o che la neghi. I punti
controversi riguardano la loro natura e il lo ro com pi­
to nella vita spirituale.
Conclusione generale sull’esistenza dei doni. -
La testimonianza di tutta la Tradizione, basata sulla Sa­
cra Scrittura, induce a ritenere con assoluta certezza l’e­
sistenza dei doni dello Spirito Santo in tu tti i fedeli
in grazia. A u to re vo li te o lo gi afferm ano che tale esisten­
za è una verità di fede 20. Infatti, anche se i C on cili
non l ’hanno definita espressam ente, la costante dot­
trina dei Padri, il sentim ento della Chiesa, espresso
nelle form ule liturgiche e nell’ am m inistrazione dei sa­
cramenti, il consenso unanim e dei teo lo gi e dei fedeli
sem brano costituire un argom ento sufficiente per ri­
tenere che si tratti, effettivam ente, di una verità dì f e ­
de del M agistero ordinario della Chiesa. C o lo ro che
non osano affermare tanto, sono costretti ad am m et­
tere che si tratta, alm eno, di una conclusione teologica
certissima e « proxima fidei ».

3. Numero dei doni.


69. È u n ’altra questione discussa tra esegeti e teo­
logi. D u e difficoltà, soprattutto, sono all’ origin e di
20 Tra g li altri, G io v a n n i di S . T o m m a so : « E x q u ibu s co llig itu r n o n solum
esse de fide haec sep tem d o n a seu spiritus q u i in C h risto fu eru nt, superna-
turalia fuìsse, qu ia Isaias expresse e t ad litteram lo q u itu r de C h risto, sed
etiam de fide esse quod in nobis dantur haec dona et quod supernaturalia sint ». C f.
I o a n n is a S a n c t o T h o m a , Cursus Theohgìcus t.6, d.18 a . z , n.4, p . 583.
(ed. V iv é s , 1885).
Il P. A l d a m a , S . J ., è della stessa opinione: « P ro u t iacet, thesis dicenda.
est de fide catholìca; cum satis affirmetur in liturgia et in M a g isterio ordinario,
u t videbim u s» (cf. Sacrae Theologiae Summa , B .A .C ., M a d rid , v o i . 3 n. 337).
152 PRINCIPI FONDAMENTALI

queste incertezze: a) nella Sacra Scrittura è classico


il num ero sette per significare una certa pienezza in ­
determinata, e b) nel testo m asoretico di Isaia non
son o enumerati sette, ma sei doni, m ancando quello
della pietà.
G li esegeti m oderni sono inclini a pensare che
il testo di Isaia si riferisca a una pienezza indeterm ina­
ta: alla pienezza di qualità di go vern o, d ovu ta al M es­
sia com e re 21.
I santi Padri e g li scolastici insistono, invece, sul
n um ero settenario, e in base ad esso stabiliscono
classificazioni e raffronti con le virtù infuse. S. T o m ­
m aso nella Somma Teologica ha un articolo per giu­
stificare tale num ero 22.
A l riguardo ci sem bra di p o ter affermare:
i. Senza dubbio, nella Scrittura il num ero sette
si usa spesso per significare piene^a, e forse ha questo
senso anche nel testo di Isaia; ma da ciò n on si può
ricavare un argom ento decisivo con tro il num ero set­
tenario dei doni.
Infatti, esiste una doppia pienezza: una del tu tto
indeterminata, che identifica il term ine « pienezza » con
un num ero indefinito qualsiasi; u n ’ altra che, basandosi

31 E c c o co m e lo sp iega T o u za rd : « L e sym b olism e d u chiffre sep t est


a n cien e t selon le rem arque des com m entateurs l’ em p lo i de ce chiffre dans
l e passage q u i n o u s o ccu pe, a p o u r b u t d e m ettre en ie lie f la plén itu d e de
rin flu e n ce d ivin e dans le ram eau so rti d u tro n c b risé d ’Isaie » in « R e v u e
B ib liq u e » , 1899, p . 250.
II P . C eup p ens fa la stessa osservazione: « I n tribus e r g o docum entis
(ossia, il testo m asoretico, la v ersio n e siriaca Pesitta e il « T a r g u m » dei g iu ­
dei) sep tem term ini dantur q u ib u s sex tan tu m d o n a ex p rim u n tu r. N u m e n is
septenarius a p u d H eb reo s fu it sem per num erus consecratus ad m u ltitu -
■dinem v e l p lenitu dinem designandam : u n d e n o n im p ossibile v id e tu r Isaiam
•septem adm isisse term inos a d d o n o ru m p lenitu dinem significandam »
<<A n g e lic u m », 1928, p . 526-7,
« I -I I , 68,4.
NATURA DELLA VITA SOPRANNATURALE 153
su un numero concreto e determinato, esprim e tutte le real­
tà possibili in quell’ ordine di cose.
L ’interpretazione unanim e dei santi Padri, l ’ inse­
gnam ento esplicito della Chiesa nella sua liturgia, nel­
l ’am m inistrazione dei sacramenti, nelle encicliche pon­
tificie e il consenso unanim e dei te o lo g i scolastici,
inducono — alm eno cosi ci sem bra — a interpretare la
pienezza ricordata da Isaia in questo secondo senso.
C om e i sacramenti sono sette, e solo sette, e in essi
è racchiusa la pienezza delle grazie che D io concede
agli uom ini ex opere operato, cosi i doni dello Spiri­
to Santo, po ich é sono sette abiti diversi, e solo sette,
esprim ono la pienezza delle m ozion i dello Spirito San­
to che per m ezzo di essi ci d evono essere com u n icate23.
2. A n ch e se nel testo m asoretico i doni enumerati
sono solo sei, nulla si p u ò dedurre contro l’esistenza
del don o della pietà. Si sono fatte diverse ipotesi per
spiegare tale om issione 24. C om unque è certo che il
dono della pietà appare nella traduzione della V o lg a ­
ta — che ha a proprio favore una dichiarazione della
Chiesa, nella quale si afferm a che n on sono contenu­
ti in essa errori dogm atici 86 — nella versione dei
Settanta, nella T rad izion e patristica, n egli insegnam enti
ufficiali della Chiesa e nel consenso unanim e dei teo­
lo g i. O ra n on è legittim o rigettare l ’autorità di tut­
te queste testim onianze solo perch é si riscontrano del­
le oscurità nel testo m asoretico. A lcu n i esegeti sembra-

23 Q u e sta sp iegazione, p rop o sta dal P . A ld a m a (cf. « R ev ista Esp an.


de T e o lo g ia » , g en n aio-m arzo 1949, p. 26), ci sem bra soddisfacente.
24 S i v eda, p er esem pio, F e r r e r ò , L os dones del Espiriti* Santo, M anila.
19 4 1, d o v e v e n g o n o riportate alcu ne di qu este ipotesi. U n a dice: « S i d ev e
distinguere tra il testo ebraico primitivo, ch e n o n co n oscia m o , e il testo ma~
soretico, ch e abbiam o attualm ente. I Settanta, anteriori alla M assora, p o sso n o
benissim o aver co n servato e trasm esso alla p osterità il testo ebraico o rig i­
nale senza i difetti che p iù tardi si p o tero n o infiltrare n el testo m asoretico »
(pag. 64).
*5 Cf. D e n z. 785 e 1787.
154 PRINCIPI FONDAMENTALI

n o dim enticare a vo lte che la Sacra Scrittura non è l ’u­


nica fonte della rivelazione e che m olte verità form al­
m ente rivelate nella Scrittura n on apparirono in piena
luce, se non attraverso le interpretazioni dei Padri
e del M agistero della Chiesa. Q u esto è il caso del do­
no della pietà. C om unque si v o g lia interpretare il
testo di Isaia, S. P aolo descrive in m od o m eraviglioso
questa realtà che la Teologia conosce con i l nome di dono
della pietà quando scrive ai Rom ani: « P oich é quanti
sono m ossi dallo Spirito di D io , sono figli di D io.
Infatti v o i non avete ricevu to lo spirito di schiavitù
per ricadere ancora nel tim ore; ma avete ricevuto lo
spirito di adozione filiale, per il quale esclamiamo:
A b b a, o Padre! L o Spirito stesso attesta con il n o ­
stro spirito che noi siam o figli di D io » (Rom . 8,14-16).

4. Natura dei doni.

70. S. Tom m aso studia la natura metafisica dei


doni allorché si chiede « se i doni dello Spirito Santo
sono abiti » 26. L a risposta è afferm ativa; e ad essa
si attengono i te o lo gi di tutte le scuole, fatta eccezio­
ne di alcuni po ch i che qui ricordiam o.
a) U g o di S. V ittore ritiene che i doni siano com e i se­
mi delle virtù; una certa preparazione ad esse, m ovim enti
e aspirazioni iniziali dell’anima 17.
b) Vasquez dice che i doni sono m ozioni attuali, non
abiti. 28 L a stessa cosa- insegnano Brancato di Laurea -> e,
ai nostri giorni, l’abate di B ellevue 3°.
c) I l cardinale Billot, che tante innovazioni introdusse
nel suo trattato De virtutìbus infusis, nonostante riconosca
e proclami che i doni dello Spirito Santo sono abiti, ne com ­

36 1 -1 1 ,6 8 ,3 .
27 D e Sacramentis I I p .13 c.2: M L 176,526.
18 C f. V a s q u e z , In I I I d.44 c.2 11.7.
C f. Commentarium t.4 de spe... d .15 n.46.
3° C f. Uoeuvre du S . E s p . ou la sanctification desàmes, dell’ A b a t e d e B e l -
ì e v u e , professore n el sem inario d i V an n es.
NATURA DELLA VJTA SOPRANNATURALE 155

promette l’esistenza identificando l’ispirazione dei doni con


le grazie attuali, le quali non presuppongono necessaria­
mente la presenza di abiti nell’anima e possono riceverle
anche i peccatori 3».

C on tro di essi, co n S. Tom m aso e la quasi totalità


dei teologi, stabiliam o la seguente

Proposizione: I doni dello Spirito Santo sono stret­


tamente soprannaturali o infusi « per se ».

C he siano strettamente soprannaturali o infusi per


se è evidente. Il lo ro o g g e tto form ale quod e quo supera
e trascende simpliciter le forze della natura e n on pos­
sono, per ciò stesso, acquistarsi con le fo rze um ane.
Q uindi, o i doni n on esistono, o debbono essere ne­
cessariamente infusi da D io .
P iù im portante è vedere se questi doni siano real­
m ente abiti. E cc o le ragioni che sem brano provarlo:

1. Troviam o, innanzi tutto, un fondamento nella


S. Scrittura. - Il Signore, parlando dello Spirito San­
to, dice ai suoi discepoli: « A p u d vo s manebit, et in v o -
bis erit» (G io v . 14,17). M a lo Spirito Santo non si tro­
va negli uom ini senza i suoi doni; e, se permangono
in loro, non sono atti o m ozioni transitorie, ma veri
abiti 32.

2 . Per analogia con le virtù morali. - Le virtù


m orali dispongono le potenze dell’anima a seguire la
regola della ragione; quindi sono abiti. I doni le di­
spongono a seguire la m ozione dello Spirito Santo;
quindi sono anche abiti. In altre parole: i doni com pio­
no n ell’anima, nei confronti dello Spirito Santo, lo
stesso ufficio che com piono le virtù rispetto alla ra-

31 C f. B i l l o t , D e virtutibus infusis q .6 8 .
32 1-11,68,3 S ed contra. Q u e s to c a ra tte r e a b itu a le sì v e d e m e g lio in I s a ia :
« E t requiescet... » .
156 PRINCIPI FONDAMENTALI

gio n e. E com e le v irtù m orali sono abiti m ediante i


quali le facoltà delFanima si d ispon gon o ad obbedire
prontam ente alla ragione, così i doni sono anche
abiti m ediante i quali l ’anima si perfeziona per obbe­
dire prontam ente allo Spirito Santo.
3. P e rc h é son o n e c e ssa ri a lla s a lv e z z a . - I doni
sono necessari ad salutem; quindi, devono rimanere nel­
l ’anima in m odo permanente, d evono essere abiti.
S. T om m aso dim ostra che sono necessari alla sal­
v e zza n ell’art. 2, com e vedrem o a suo tem po. Che si
tro v in o in m od o perm anente nell’anima, viene p rovato
nel citato articolo, m ediante l ’autorità di S. G re g o rio ,
il quale nei Moralia scrive: « In illis donis sine quibus
ad vitam perveniri n on potest, Spiritus Sanctus in
electis om nibus semper manet, sed in aliis n on sem per
m anet » 33.
4. L e q u a lità d is p o s itiv e per cui l’ uom o abitual­
m ente si m uove o p u ò esser m osso da un principio
m otore sono abiti. M a i doni sono precisam ente qualità
dispositive per le quali l ’u om o abitualm ente si m uove
o p uò esser m osso dallo Spirito Santo. Q uindi, sono
abiti.
L a m aggiore è chiara. In ciò differiscono, precisa-
m ente, gli abiti dalla sem plice disposizione.
L a m inore deriva dalla natura stessa della m o zio ­
ne che ha lu o g o per « ispirazione » o per « istinto »
dello Spirito Santo, propria dei doni.

5. I doni si dinstinguono dalle virtù infuse?

S. T o m m aso , Sum. Tbeol. I -I I , 68,i ; cfr. 55,3 e 4; 63, 3; 3; 9,4 e 6;


In I I I Seni, d.34, q . i , a .i e ad 2; cfr. ad 4 e 5 ecc.; G a r d e i l , D T C , t.4,
art. Dons; D om L o t t i n , h e dons du S. Esprit etc., « R echerches de T h é o l.

33 C .56 al. 29 in v et. 42: M L 75,598 D . — C f. 1-11,68,3


NATURA DELLA VITA SOPRANNATURALE 157
A n c ie n n e e t M é d ié v a le » , 1929, p p . 41-97; cfr. « R e v u e d ’A s c é tiq u e et
d e M y s t iq u e » , 1930, v o i. 11, p p . 269SS.; J. B o n n e fo i, L e Saint-Esprit
et ses dons selon S. Bonaventure, P a r ig i, 1929; B i a r d , Les dons du Saint-Esprit
d’après S. Thomas et S. Paul, A v ig n o n e , 1930; D r. C a r l o W eis, D e septem
donis Spir. Sancti, V ie n n a , 1895; P. P a r i s , O .P ., op. cit.t p . 19-25 e 58 s s .;
P . A l d a m a , S .J . L a distincion entre las virtudesy los dones del Espiritu Santo en
ios siglos X V I y X V I I , « G r e g o r ia n u m », 1935» p p . 562-576; I . G . M e -
n e n d e z - R e i g a d a , O .P ., Unidad especifica de la contemplacion cristiana, M a d rid ,
1926, p . i8 s s . e Diferencias generales entre virtudes y dones, « C ie n c ia T o ­
m is t a » , lu g lio - d ic e m b r e 1946 e « L a v id a S o b r e n a tu ra l » , lu g lio - a g o s to
1944; P. F e r r e r ò , O .P ., « R e v is t a E s p a n d a d e T e o lo g i a » , 1943, p p .
417-438 e 1945, p . 39SS. e 561SS.

71 . L a questione che stiam o per affrontare è fon ­


damentale nella T e o lo g ia dei doni e m erita tutta la n o­
stra attenzione. D o p o aver esposto la dottrina di S.
Tom m aso, cercherem o di determ inare quali sono i prin­
cipali punti com uni tra le virtù e i doni e quali le dif­
ferenze.
La dottrina di S. Tommaso. - Fino a S. Tom m aso la
dottrina dei teologi è stata piuttosto confusa. L e loro opi­
nioni non s’accordavano allorché si trattava di determinare
se tra i doni e le virtù esiste una distinzione reale o una di­
stinzione solo di r a g i o n e 34. Con S. Tom m aso si può dire
che la distinzione reale, specifica, tra le virtù e i doni entrò
definitivamente a far parte della teologia cattolica. È vero,
si udranno ancora alcune vo ci discordanti, soprattutto nella
scuola scotista, ma la teoria dell’A quinate finirà per prevale­
re 3 5 fino a costituire la sentenza pressoché unanime di tutti
i teologi.

Il D o tto re angelico studia il nostro problem a nel


com m ento alle Sentente, nella Somma Teologica, e in al­

34 Cf. D om L o t t i n , L e s dons du S ain t-E sp rit... in « R e c h e ic h e s d e T h é o -


logìe A ncienne et M éd iév ale» gennaio, 1929, p. 41-97.
35 II P. J. A . de A ldam a, S.J., dopo aver esaminata l ’opinione dei teologi
su tale questione nei secoli X V I e X V I I , conclude: « L a distinzione reale
tra le v irtù infuse e i doni dello Spirito Santo è, senza dubbio, n ei secoli
X V I e X V I I sententia communior theologorumy>. Cf. « G rego rian u m » , 1935,
576*
158 PRINCIÌ'I FONDAMENTALI

tri lu o g h i seco n d ari36. L a dottrina è sem pre la stessa


•— nonostante una certa varietà di espressione, com e
ved rem o p iù innanzi — , ma n on c ’è du bbio che egli
ci abbia lasciato la form a definitiva del suo pensiero
nella Somma Teologica. Esam iniam o, quindi, in prim o
lu o g o la dottrina iv i contenuta 37.
Sono riportate innanzi tu tto le opinion i form ulate
da alcuni antichi sulla natura dei doni.
1. I doni non si distinguono dalle virtù.
2. I doni perfezionano la ragione; le virtù perfezionano
la volontà,
3. L e virtù sono ordinate a ben operare; i doni a resi­
stere alle tentazioni.
4. L e virtù sono ordinate simplicìter a bene operare;
i doni a conform arci con Cristo, soprattutto nella sua pas­
sione.
E cco com e S. Tom m aso le confuta:
Quanto alla prima: perché alcune virtù sono chiamate
anche doni e altre no ? C ’è, per esempio, un dono del ti­
more, al quale non corrisponde nessuna virtù. Segno che
sono due cose distinte.
Quanto alla seconda: la distinzione potrebbe essere vera
se tutti i doni fossero intellettivi e tutte le virtù affettive.
M a non è cosi.
Quanto alla ter%a: neppure questa distinzione è valida,
poiché anche le virtù oppongono resistenza alle tentazioni
contrarie.
Quanto alla quarta'. Cristo ci esorta a conform arci a lui
nell’umiltà, nella mansuetudine e nella carità 38, tutte virtù
— non doni — che rifulsero in m odo particolare nella sua
passione. Q uindi, tale criterio di distinzione non è valido.

D o p o aver confutato gli errori, S. Tom m aso pas­


sa ad esporre la vera dottrina.
N o n manca di una certa curiosità l ’ argom ento di

36 C f. 1-11,63 ,1; III Seni, d.34 q . i a .i; In Isaiam c .n ; A d G a l. c .5 le ct 8.


37 1 -1 1 ,6 8 , 1 .
3 8 M a t. 11,29 : « D isc ite a m e, qu ia m itis sum e t hum ilis co rde »; e G io y .
13,34: « D ilig a tis in v ic em , sicut dilexi v o s ».
NATURA DELLA VITA SOPRANNATURALE 159
autorità che espone nel sed contra. C ita S. G reg o rio , il
quale nei Moralia distingue in m od o netto i sette doni
dalle tre v irtù teologali e dalle quattro v irtù cardinali.
I prim i sarebbero significati dai sette figli di G iacobbe;
le seconde dalle sue tre figlie, e le ultim e dai quattro
angoli della casa 39. L ’esegesi di S. G re g o rio n on p o ­
trebbe essere più ingenua e pittoresca, ma il suo pen­
siero sulla distinzione dei doni dalle virtù n on ammet­
te dubbi. E d è quanto v u o l provare S. T om m aso con
l’autorità di S. G rego rio.
N e l corp o dell’articolo ci avverte che se ferm assi­
mo la nostra attenzione solo sul nom e di doni, n on p o ­
trem m o scoprire la differenza che passa tra essi e le
virtù infuse, perché anche queste ultim e sono doni
in senso largo, in quanto ci sono state date gratuita­
mente da D io .
« Cosicché — egli aggiunge — per distinguere i doni
dalle virtù, dobbiam o seguire il m odo di parlare della
Scrittura, la quale ce li presenta non sotto il nom e di doni,
ma di "spiriti” . Così dice Isaia, (11,2): "Requiescet super
eum spiritus sapientiae et intellectus” , ecc. C on tali parole
ci fa comprendere che i sette spiriti ivi enumerati si trovano
in noi per ispirazione divina: e ogn i ispirazione com porta una
certa mozione dall’esterno.
Bisogna, infatti, ricordare che nell’uom o c’è un duplice
principio motore: uno interno, la ragione, e uno esterno,
D io ... È poi evidente che tutto quanto si m uove deve esse­
re proporzionato al suo principio m otore e la perfezione
del m obile in quanto tale risiede nella disposizione che gli
permette di essere mosso bene dal suo principio motore.
Quanto più alto è il principio, tanto più perfetta deve essere
la disposizione nel mobile per ricevere la sua azione. Cosi,
il discepolo ha bisogno di essere m eglio preparato per poter
ricevere una dottrina più alta dal suo maestro. N o n c’è
dubbio che le virtù umane debbono perfezionare l’uom o in
quanto esso deve governarsi per m ezzo della ragione nella
sua vita interna ed esterna. È , quindi, necessario che ci

1 5 C f. S. G r e g o r i o , Murales I c . 2 7 , a l . 1 2 , in v e t . 2 8 0 : M L 7 5 , 5 4 4 f .
160 PRINCIPI FONDAMENTALI

siano nell’uom o certe perfezioni superiori che lo dispon­


gano ad essere mosso divinamente; queste perfezioni si chiama­
no doni, non solamente perché sono infuse da D io , ma per­
ché per m ezzo di esse l ’uom o è reso capace di ricevere pron­
tamente l’ispirazione divina, com e dice Isaia (50,5): ” 11
Signore m i aprì l’orecchio... ed io non resistetti, non mi tras­
si indietro” . Aristotele dice che "co lo ro i quali sono mossi
da istinto divino non devono consigliarsi con la ragione
umana, ma devono seguire l’ispirazione interiore, che pro­
cede da un principio più alto” della ragione. Per questo al­
cuni affermano che i doni perfezionano l’uom o in ordine
ad atti superiori a quelli delle virtù » 4°.

Q uesta è la dottrina di S. T om m aso e, veram ente,


è cosi chiara che n on occorrerebbe aggiu n gere altro.
Però, data l ’im portanza della materia, estenderem o
la nostra analisi alle ragioni sulle quali si fon d a la di­
stinzione specifica tra le virtù e i doni.

72. P er com prenderne m eglio la differenza ci sarà


utile conoscere i punti in cui con ven go n o.
Elem enti comuni tr a le TÌrtu e i doni. - Ricordiam o i
principali:
a) S’accordano nel genere. Tanto le une com e gli altri
sono abiti operativi, ordinati essenzialmente all’azione da cui
vengono specificati.
b) H anno la stessa causa efficiente: D io nell’ordine sopran­
naturale. Sono abiti infusi «per se», totalmente soprannatu­
rali.
c) Hanno lo stesso soggetto in quo: le facoltà umane, nelle
quali risiedono virtù e doni.
d) H anno lo stesso oggetto materiale (materia circa quam):
tutta la materia morale, comune alle virtù e ai doni.
e) Hanno la stessa causa finale (fine remoto): la perfezio­
ne soprannaturale dell’uom o, avviata in questo m ondo e
consumata nell’altro.

A ccan to a questi elem enti com uni — nessuno dei


quali com prom ette la differenza specifica tra le virtù
e i doni, perché sono tutti estrinseci, fatta eccezione

4° I-II, 68,1.
NATURA DELLA VITA SOPRANNATURALE 161
dell’o g g e tto m ateriale e del genere che non sono spe­
cificativi — troviam o q u e s te d iffe re n z e :
1. La causa motrice. - L a causa efficiente, in quanto
sono abiti, è la medesima: D io , autore dell’ordine sopranna­
turale. M a la causa motrice è diversa. N elle virtù è la ragione
umana (illuminata dalla fede, quando si tratta delle virtù
infuse, e in ogn i caso sotto la previa m ozione divina che
nell’ordine soprannaturale prende il nom e di grafia attuale);
nei doni, invece, la causa motrice è costituita dallo Spirito
Santo, che m uove l’abito dei doni com e suoi strumenti di­
retti. In conseguenza, dell’abito delle virtù infuse possiamo
servirci quando vogliam o — presupposta la grazia attuale
che non viene negata mai a nessuno — mentre i doni ope­
rano soltanto quando lo Spirito Santo vuole m uoverli
2. L ’oggetto formale 4*. - L ’o ggetto form ale è ciò che
propriamente specifica un atto o un abito. U n atto o un abi­
to possono avere diverse da altri atti o abiti le due cause
estrinseche (efficiente e finale) e la causa materiale (che è un
elemento generico, non specifico) e tuttavia non distinguersi
specificamente; ma se hanno diverso Voggetto formale, la
differenza specifica è indiscussa benché convengano in tutto
il resto. È quanto si verifica nelle virtù infuse e nei doni
dello Spirito Santo. L e unè e gli altri hanno la stessa causa
efficiente (D io autore dell’ordine soprannaturale), la stessa
causa finale (la santificazione dell’anima, e, obiettivo supre­
mo, la gloria di D io) e la stessa causa materiale, giacché i

4r La differenza specifica tra le virtù infuse e i doni dello Spirito Santo è


cosi evidente, che l’ha ammessa persino il P. C risógono, di cui certo non
favorisce le teorie.
E g li dice: « L a differenza tra i doni e le virtù è data dal diverso princi­
pio motore al quale i lo ro abiti si riferiscono. M entre le virtù dispongono a
seguire il dettame della ragione, i doni rendono atti a seguire l’im pulso dello
Spirito Santo. Q uesta differenza di principio postula una differenza di dispo­
sizione e di ragione form ale negli atti, benché l ’oggetto materiale rimanga il
medesimo. È evidente che g li abiti che dispongono a ricevere e a seguire
l’influsso dello Spirito Santo devon o essere specificamente distinti da quelli
che dispongono a ricevere e a seguire i dettam i della ragione, ancorché
illuminata dalla fed e» ( C f . P. C r i s ó g o n o , Compendio de ascetica y mistica,
i ed., p. 19).
42 C f. P. M e n é n d e z - R e i g a d a , L os dones del Espiritu Santo y la perfe-
ación cristiana, c.3 n o tG .
162 PRINCIPI FONDAMENTALI

doni non hanno materia propria, ma hanno il com pito di


perfezionare l’atto delle virtù, nelle loro rispettive materie.
L a differenza specifica risulta dall 'oggetto formale, compieta-
mente diverso.
L ’o ggetto form ale è duplice: a) quello per cui l’atto è
costituito nella sua propria natura, distinto da qualsiasi
altro, sotto un aspetto determinato (obiectum « quo », ratio
« sub qua »); b) quello che è term inativo dell’atto o abito
sotto la ragione di essere (obiectum « quod»). Per esempio:
l’atto di rubare ha com e o ggetto formale costitutivo (obiec-
ctum quo), il prendere una cosa di altri; e com e o gg etto form a­
le term inativo (obiectum quod) la cosa altrui. Che questa cosa
p oi sia denaro o altro riguarda l ’o ggetto materiale. A p p li­
chiamo al nostro caso queste nozioni.
a) Oggetto formale terminativo (obiectum formale « quod »).
- L ’o ggetto form ale term inativo degli atti umani, in quan­
to morali, è il bene onesto ibonum honestum), in contrapposizio­
ne al bene utile e al bene dilettevole, che, in quanto tali, non
possono essere norma di moralità. Sotto questo aspetto
non differiscono le virtù e i doni, perché entrambi tendono
genericamente a codesto bene onesto.
È evidente che tale bene assume aspetti m olto diversi,
secondo che su di esso ricade la regola della ragione il­
luminata dalla fede o la regola dello Spirito Santo. M a que­
sto appartiene all’oggetto formale quo, o ratio sub qua, che è
l ’elemento propriamente specificativo.
b) Oggetto formale costitutivo (« obiectum quo »). - L ’ogget­
to formale quo, o ratio sub qua, differisce totalmente nelle vir­
tù e nei doni. N elle virtù infuse, la regola prossima e immedia­
ta degli atti è la ragione umana illuminata dalla fede; co­
sicché un atto è buono quando è conform e ad essa e cattivo
quando ne è difforme. N ei doni, invece, la regola prossima
e immediata degli atti è lo Spirito Santo, che li m uove diret­
tamente com e suoi strumenti, orientandoli e facendo in
m odo che l’atto sia com piuto non per m otivi umani, ma
per m otivi divini, che sfu ggo n o e trascendono l’ambito
della ragione umana, anche se illuminata dalla fede. L ’atto
dei doni ha origine da un motivo formale completamente
diverso e, quindi, si distingue specificamente dall’atto delle
virtù. O ra, è noto: gli abiti sono specificati dagli atti, e gli
atti dagli oggetti formali. A d oggetti formali specificamente
diversi corrispondono atti specificamente diversi, e ad atti
specificamente diversi corrispondono parimenti abiti spe­
cificamente diversi.
NATURA DELLA VITA SOPRANNATURALE 163
75. 3 . Modo umano e modo divino 43 - Questa dif­
ferenza segue necessariamente dalle precedenti. L ’operazione
deve essere proporzionata alla causa motrice dalla quale trae
origine e alla norma o regola cui si uniforma. Poiché le virtù
infuse hanno com e principio l'uomo e come norma o regola
la ragione umana, illuminata dalla fede, devono necessariamente
imprimere agli atti il modo umano loro proprio. Parimenti,
avendo i doni come causa motrice e com e norma o regola
lo Spirito Santo, necessariamente 44 i loro atti devono rivesti­
re il m odo corrispondente a tale regola e a tale causa: il
modo divino o sovrumano.
D a questa terza differenza derivano due conseguenze
della massima importanza nella T eo lo gia ascetica e misti­
ca:
a) l ’imperfezione radicale delle virtù infuse, che ope­
rano al modo umano, e la necessità che i doni dello Spirito
Santo ven gano a modificarle con la loro modalità divina,
senza la quale non potranno mai raggiungere la perfezio­
ne;
b) l’impossibilità, per i doni, di operare al modo umano
dal mom ento che la loro modalità divina è precisamente un
elemento di differenziazione specifica rispetto alle virtù
infuse. Una operazione dei doni dello Spirito Santo al
modo umano implicherebbe una contraddizione. M a su que­
sto punto ritorneremo.
76. 4 . U so libero e uso controllato d all’arbitrio divino. -
Anche questa è una conseguenza delle precedenti. Pos­
siamo servirci delle virtù quando vogliam o, come risulta
dall’esperienza (per es.: possiamo compiere quando voglia­
mo un atto di fede, di speranza, di carità o di qualsiasi altra
virtù infusa). D ei doni, invece, possiamo fare uso solo quan­
do lo Spirito Santo ce lo consente.
L a ragione è semplice. T u tti gli abiti di cui la ragione
umana è regola e causa (anche se illuminata dalla fede)
sono sottomessi al nostro arbitrio quanto al loro esercizio,

43 Per queste ultim e differenze cf. P.I. M e n é n d e z - R e i g a d a , Diferen-


cias generales entre dones virtudes, in « La V id a Sobrenatural », luglio-agosto
1944.
44 Sottolineam o deliberatamente questa parola. Proverem o a suo luo­
go che le cose sono cosi perché devono essere cosi. N o n si tratta di una m odali­
tà de facto nella m aggior parte dei casi, ma di una esigenza de iure, determina­
ta dalla natura delle cose.
164 PRINCIPI FONDAMENTALI

perché sono atti nostri in tutta la loro integrità ■». A l contra­


rio, i doni sono abiti che conferiscono all’anima solo la fa­
cilità a lasciarsi muovere dallo Spirito Santo, unica causa mo­
trice. A ll’anima non rimane che cooperare a questa m o­
zione — sia pure in una form a cosciente e libera — senza
frapporre ostacoli e assecondando con docilità l’impulso
dello Spirito Santo.
Per quanto concerne l’attuazione dei doni, noi non pos­
siamo fare altro che disporci — frenando il tum ulto delle
passioni, l’affetto alle creature, le distrazioni della fantasia
che rendono difficoltosa l ’azione di D io , ecc. — affinché
lo Spirito Santo possa tradurli in atto quando vuole. In
questo senso, possiam o anche parlare di una causalità dispo­
sitiva esercitata dai nostri atti in ordine all’attuazione dei
doni. S. Teresa scrive:
« Chiamo orazione soprannaturale quella che n on possiamo acquistare
con le nostre industrie e diligenze, benché — ciò che è assai utile — si pòs­
sa sempre far m olto co l disporsi a riceverla» 5°.

In un certo senso, i nostri atti possono essere anche


causa meritoria dell’attuazione dei doni, sia pure in una
form a indiretta: i nostri atti possono meritare l’aumento
della grazia, delle virtù infuse e degli stessi doni dello Spi­
rito Santo in quanto abiti. E a misura che i doni cresceranno
in perfezione, aumenterà la loro capacità e la loro intensità
di attuazione e con m aggior facilità supereranno gli ostaco­
li; cosi come un fuoco gagliardo non dura fatica a trasmet­
tersi ad un legno, anche se verde o bagnato. Tuttavia, qua­
lunque sia il grado di perfezione abituale raggiunto in noi
dai doni, la loro attuazione sarà sempre indipendente dal
nostro libero arbitrio. Solo lo Spirito Santo li attuerà co­
m e e quando vorrà. Sotto questo aspetto è manifesta la
differenza tra le virtù e i doni.
7. 5 . Stato attivo e stato passivo. - A nche questa dif­
ferenza è una conseguenza della prima.
N ell’esercizio delle virtù infuse, infatti, l’anima si trova
in uno stato attivo. I suoi atti sono com piuti al modo umano
ed essa ha coscienza di operare come e quando vuole. È

45 Benché sempre sotto la previa m ozione divina: naturale, se si tratta


di virtù acquisite e soprannaturale (grazia attuale), se si tratta di virtù infuse.
4 6 S. T e r e s a , Relazione i.a al P . Rodrigo n.5.
N.V1 UKA DELLA VITA SO V R A N N A ll! RALK 165
la sola causa motrice dei suoi atti, anche se non manca l’in­
flusso divino, sotto form a di grazia attuale.
N ell’esercizio dei doni le cose vanno ben diversamente.
L o Spirito Santo è l’unica causa motrice dell’abito dei doni, e
l’anima passa alla categoria di semplice soggetto ricettivo,
anche se cosciente e libero. L ’anima reagisce vitalmente quan­
do riceve la m ozione dei doni — e in tal m odo si salva la
libertà e il merito — ma solo per assecondare questa mozione
divina, l ’iniziativa e la responsabilità della quale spetta inte­
ramente allo Spirito Santo. L ’azione dei doni sarà tanto più
perfetta, quanto più ci mostreremo docili alla lo ro m ozione.
Cosicché l’anima, sotto l ’influsso dello Spirito Santo, deve
rinunciare alla propria iniziativa e limitarsi ad assecondare
passivamente la m ozione divina, senza alterarla né m odifi­
carla con interventi umani. La sua passività, ben s’inten­
de, è solo nei confronti dell’agente divino; ché, per il
resto, nel suo sforzo di adattamento, gode di un’ intensa
attività. In questo senso si può dire che l’anima opera quello
che in essa si opera, produce quello che in essa si produce,
eseguisce quello che lo Spirito Santo eseguisce in essa. Si
tratta, semplicemente, di una attività ricevuta 4?, di un as­
sorbimento dell’attività naturale da parte di una attività
soprannaturale, di una sublimazione delle potenze in un
ordine divino di operazione, che non ha assolutamente
nulla a che vedere con la sterile inazione del quietismo.

T ali sono le differenze tra le virtù e i doni dello


Spirito Santo. Il lettore si sarà già accorto che solo le
prime due sono fondam entali, dal m om ento che po n ­
go n o una distinzione specifica tra loro. L e altre tre,
per quanto chiare e utili al nostro studio, sono conse­
guenze logich e delle prime.

Studierem o ora u n ’ altra questione, sopra appena


accennata, che riteniam o di im portanza decisiva per

47 « In donis Spiritus Sancti mens humana n on se habet ut wovens, sed


magis ut mota» (11-11,52,2 ad t).
166 PRINCIPI FONDAMENTALI

la retta soluzione dei principali punti con troversi in


T e o lo g ia ascetica e mistica: la pretesa duplice operazione
nei doni dello Spirito Santo.

6. Ammettono i doni dello Spirito Santo un dupli­


ce modo di operazione?

78 . S tato d e lla q u e stio n e . - Il problem a non è


n u ovo . Se ne trovan o già degli elem enti in alcuni te o ­
lo g i e m istici dell’antichità 48. A i nostri giorn i lo ha ri­
p rop osto il P. C riso gon o 49, citando in suo favore un
testo del Card. B illo t 50.
N o n ha m olta im portanza l’ opinione di due o tre
te o lo gi di fronte al consenso unanim e di tutti gli altri.
M a po ich é si è v o lu to far passare tale dottrina niente-

48 Pochissim i senza dubbio. A suo favore il P. Crisógono, può solo ci­


tare tre nom i, oltre il card. Billot: N icolas de Jesus-Maria, José de Jesus-
Maria e D ion igi il Certosino (cf. L a perfection et la mystique... pag. 67).
A d eccezione del testo di José de Jesus-Maria — nel quale si attribui­
scono due m odi al d ono della sapienza — gtì altri due testi n on si possono
addurre in favore di questa opinione: n on hanno il senso che il P. Crisó­
g o n o attribuisce loro. E lo stesso José de Jesus-Maria, oltre a questo testo
oscuro, ha una infinità di testi nei quali afferma chiaramente che i doni ope­
rano al m odo sovrumano o divino, in contrapposizione al m odo umano delle
virtù , basandosi sulla testimonianza d i S. Tom m aso (cf. Ji-ménez D u qu e,
Acerca de la Mistica, in « Revista Espan. de T eo lo gia », aprile-giugno 1947,
p. 234-5.
L ’autorità del Cardinal B illo t in questa materia non può essere sopravva­
lutata. E g li riconosceva con grande modestia, di non aver approfondito
tali questioni: « Son Em inence a très simplement reconnu qu’elle n'avait
jamais fa it une étude approfondie de ces questions; elle avait n o té du reste, dans
son traité ” D e virtutibus infusis” , qu’elle ne voulait en dire que quelques
mots en parlant des dons » (cf. P. G a r r i g o u - L a g r a n g e , Perfezione cristia­
na e contemplazione, 1 ed. francese t.2, append.I, p. 48).
49 II P. C risógono si mantiene fedele a questa dottrina in tutte le sue o-
pere mistiche. Si veda, per esem pio, Compendio de ascètica y mistica, 1 ed.
pp. 21-24; $an J uan de la Cruz;, su °bra scientificay Uteraria, t .i p. 115-17; L a
perfection en la mystique, passim, ecc.
5° C f. B i l l o t , D e virtutibus infusis, 4 ediz., 1928, q.68, th.8, p. 173.
NATURA DELLA VITA SOPRANNATURALE 167
m eno che per quella dell’A n g e lic o , si rende necessario
un attento esame per riporre le cose al loro giu sto p o ­
sto.
N el nostro studio, prim a esam inerem o il pensiero
di S. Tom m aso per dim ostrare che il duplice m od o dei
doni n on solo non fu mai insegnato da lui ma risulta
incom patibile co n i suoi principi; poi affronterem o la
questione in sé per dim ostrare che l ’operazione dei do­
ni al m odo um ano è perfettam ente inutile, supposto
che sia possibile: filosoficam ente impossibile, è teo lo gi­
camente assurda.

79. a ) / / p e n s i e r o d i S . T o m m a s o . -
Il pensiero di S. Tom m aso sulla questione è di una tale
chiarezza che n on si com prende com e lo si sia potu to
sfigurare “ . N o n è necessario ricorrere a testi oscuri e
difficili, per m etterlo in luce; basta citare sem plicem en­
te le sue parole, senza com m enti e senza arbitrarie re­
strizioni. In una form a precisa, che n on dà lu o g o al
minimo d ubbio, S. T om m aso ha costantem ente af­
ferm ato che una delle note più caratteristiche della di­
stinzione specifica tra i doni dello Spirito Santo e le v ir­
tù infuse è il loro diverso modo di operare. C itiam o dal

51 II P. C risógono, nell’o p u scolo L a perfectionet la mystique selon les prin-


cìpes de saint Thomas, vorreb b e- attribuire a S. Tom m aso questa dottrina,
allo scopo di ricavare in seguito la conseguenza dell’esistenza di una dupli­
ce via per giungere alla perfezione. Il « Bulletin Thom iste », recensendo
questo opuscolo, scrisse: « I l nous parait tout à fait inutile de nous arféter
à cet opuscule ou le Pére Crisógono soutient que, selon saint Tbomasy il y
a deux v oies spécifiquem ent différentes p o u t a n iv e r à la perfection chré-
tienne: la v oie ordinaire o u ascétique, la v o ie extraordinaire o u mystique.
O n trouvera dans les réponses signalées (en particulier dans celles de M.
Dalbiez et du P. G arrigo u, directement v isé par Cr.) les élém ents néces-
sairespour apprécier l ’intem péran ceaveclaquelle notre th éologien espagnol
foncé à travers les doctrines — passe encore! — et à travers les textes —
ce qui ne se pardonne pas » (cf. « Bulletin Thom iste », aprile-giugno 1935,
p. 858, n.1079).
168 PRINCIPI FONDAMENTALI

C om m ento alle Sentente, che il santo scrisse in g io ­


ventù:
x. « D o n a a virtutibus distinguuntur in hoc quod vir-
tutes perficiunt ad actus modo humano, sed dona ultra huma-
num modum » s1.
2. « (Dona) sunt supra virtutes in quantum ultra humanum
modum perficiunt » 53.
3. « E t ideo cum donum non sit supra vìrtutem nisi
ratione m odi... » 54.
4. « D on a enim perficiunt ad modum altiorem quam vir-
tU S » 55.
5. «U nde cum donum elevet ad operationem qua est
supra humanum modum, oportet quod circa materias omnium
vìnatum sit aliquod donum quod habet aliquem modum
excellentem in materia illa » 56.
6. « Per donum eie va tur hom o supra humanum mo­
dum » 57.
7. « E t ideo cum dona sint ad operandum supra huma­
num modum, oportet quod donorum operationes mensu-
rentur ex altera regula quam sit regula humanae virtutis,
quae est ipsa divinitas ab homine participata suo m odo,
u t iam non humanitus, sed quasi Deus factus participatione,
operetur » s*.
8. « D ona a virtutibus, u t dictum est, differunt, in quan­
tum dona altiori modo operantur » 59.
9. « N on oportet dona quantum ad omnes conditio-
nes esse perfectiora virtutibus sed quantum ad modum operandi
qui est supra hominem » 6o.
10. « D onum in -hoc transcendit -vìrtutem, quod supra -
modum humanum opera tur; qui quidem modus ex mensura
altiori quam sit humana mensura causatur » 6l.

52I I I Sent. d.34 q .i a .l.


53ly i, ad I.
541vi, ad 5.
55Iv i, q .i a. z.
56Iv i, q .i a. 2 c.
57Iv i, q. 1 a. 3 sed contro.
5 8Iv i, q .l a. 3 c.
591 vi, q.3 a, I q. 3 sol. I.
6oIv i, d.35 q. 2 a. 3 q. 3 sol.2 ad 2.
6lIv i, d. 36 a. 3 c.
NATURA DELLA VITA S O P R A N N A T U R A L E 169
È im possibile usare u n lin g u ag g io più chiaro. Se­
condo l ’A quinate, ciò che distingue specificam ente i
doni dello Spirito Santo dalle virtù infuse è precisa-
mente il loro diverso m odo di attuare, intrinsecam ente
richiesto dal loro diverso o g g e tto form ale nonché
dalla norm a e dal principio ai quali obbediscono. Le
virtù infuse m u ovon o l ’ anima al modo umano, u n ifor­
m andosi alla regola della ragione illum inata dalla fede;
i doni, invece, la m u ovon o al modo sovrumano, seguendo
l ’im pulso dello Spirito Santo: « distinguuntur in hoc ».
Secondo S. T om m aso, è im possibile una attuazione dei
doni al m od o um ano, dal m om ento che i doni si distin­
gu o n o dalle virtù infuse precisamente per il lo ro modo
sovrumano di operare: « distinguuntur in hoc; donum
in hoc transcendit virtutem ».
L a stessa distinzione tra le virtù e i doni, a m otivo della
loro diversa modalità, non appare con altrettanta insisten­
za nella Somma Teologica, l’opera definitiva del santo. Qual­
cuno ha volu to vedervi un mutamento di pensiero 62, ma
a torto. La dottrina della Somma è la stessa delle Sentente,
anche se elaborata in una form a più perfetta. N ella Somma
insiste di più sulla differenza specifica tra le virtù e i doni,
derivante dal diverso principio motore e dalla diversa regola
alla quale obbediscono; però mantiene intatta la distinzio­
ne proveniente dalle diverse modalità stabilita nelle Senten­
te , distinzione che non è, per altro, se non una conseguenza
del diverso principio m otore e della diversa tegola cui ob­
bediscono. N ella Somma, più teologo che nelle Sentente,
S. Tom m aso pone l’accento più sulle cause che sugli effetti,
senza tuttavia rinunciare a questi che da quelle necessaria­
mente derivano. L a form ula delle modalità non ricorre spes-

Il P . G iuseppe de G uibert, S.J., in « R evue d ’ascétique et de mystì-


que », ottobre, 1922. — G li rispose il P . G arrigou-Lagrange, in « L a
vie spirituelle », m arzo, 1933. E g li dim ostra pienam ente che il santo non
m utò pensiero, m a conferm a ed amplia nella Somma la dottrina esposta
nelle Sentente- — È utile, a questo proposito, leggere quel che scrisse D om
L o ttin in « Recherches de th éo lo gie A ncienne et M édiévale », 1929,
pp. 53-60. — U n bel riassunto sulla controversia G uibert-G arrigou è stato
fa tto da Joret, O .P ., in « B u lletin T h o m iste» , 1925, pp. 245-48.
170 PRINCIPI FONDAMENTALI

so come nelle Sentente, ma non scompare del tutto nella


Somma. N e diamo qualche saggio:
Nella questione speciale dedicata ai -doni,. scrive testual­
mente:
« ...dona excedunt com m unem perfectionem virtutum n on quantum
ad genus operum , eo m odo quo consilia praecedunt praecepta, sed quantum
ad modum operandi secundum quod m ovetur hom o ab altiorì principio» 63 .

È la stessa dottrina delle Sentente espressa con identi­


che form ule. N é questa coincidenza è unica. Parlando, per
esempio, del dono della fortezza, dopo aver detto che con
la virtù dello stesso nom e l ’uom o opera « secundum pro-
prium et connaturalem sibi modum », aggiunge:
« Sed ulterius a Spiritu Sancto m ovetur animus hom inis ad h oc quod
pcrveniat ad finem cuiuslibet operis inchoati, etevadatquaecum que pericula
immìnentia: qu od quidem excedit naturam humanam » 64.

N ella risposta alla domanda « Utrum convenienter enu-


merentur beatitudines », S. Tom m aso scrive ancora:
« A sequela autem passionum irascibilis retrahit virtus, ne h o m o in
cis superfluat, secundum regulam rationis: donum autem excellentiori m od o
u t scilicet hom o secundum voluntatem divinam, totaliter ab eis tranquillus
reddatur » 65.

Si dica se queste form ule della Somma Teologica non


sono del tutto equivalenti a quelle delle Sentente 66.

63 1-11,68,2 ad i.
*4 11-11,139,1.
6 5 1-11,69,3.
66 L a cosa è tanto evidente che lo stesso P. G uibert ha d ovuto ri­
conoscerlo: « L ’article fondam ental de la I-II, q. 68 a. 1, indique expressé-
m ent le principe qui établit la continuité entre les deux séries de formules:
agir sous la motion directe du Saint-Esprit est pour l ’hom m e une maniere d'agir
plus parfaite que d ’agir sous la m otion de la raison (meme éclairée par la
fo i), et voilà p ourq uoi les dones correspondent à une manière d ’agir plus par­
faite, plus haute, que les vertus m orales, m eme infuses » (cf. « R evue d’A -
scétique e t de M ystique », ottobre 1922, p. 406).
Il P. G u ibert am m ette pure (p. 405) che nel com m ento alle Sentente
(III d.34, q .i a.2, e d.35 q .z a.4) si ritro va già il m od o d i parlare adopera
to p o i nella Somma, e che pone l’accento n on solamente sull’effetto, ma an
che sulla causa.
I l P. J. A . de A ldam a, S.J., afferma senza esitare la perfetta concordan-
NATURA DELLA VITA SOPRANNATURALE 171
Se qualche dubbio ancora rimanesse sul pensiero di
S. Tom m aso, ecco un testo contemporaneo e forse posterio­
re alla Prima secundae della Somma 67. N ella questione De
cantate, scritta mentre insegnava a Parigi, tra il 1270 e il
1272 68, poco prima, cioè, della m orte 69, leggiam o:
« ...dona perficiunt virtutes elevando eas supra m odum hum anum » 7°.

È la dottrina delle Sentente che si ripete con le stesse


formule 7*.
N on esiste il minimo dubbio sul pensiero di S. Tom m a­
so. Per lui, l’effetto più caratteristico e p iù importante del­
l’attuazione dei doni è il modo sovrumano, in opposizione al

za tra le Sentente e la Somma Teologica nel suo interessante articolo Los dones
del Espiritu Santo: problemas y controversias en la actual Teologia de los dones,
in « R evista Espan. de T eo lo gia » , gennaio-m arzo, 1949.
67 Secondo l ’eminente critico P. M andonnet, S. Tom m aso scrisse la
Prima secundae negli anni 12 6 9 -7 0 . Cf. P . B a c i c , O .P ., introducilo compendio­
sa in opera S. Tbomae Aquinatis, p. 5 1 . L a stessa cosa afferma il P. W a l z ,
San Tommaso d’Aquino y appendice « C ro n o lo g ia della v ita e degli scritti» .
68 C f. P. B a c i c , o .c ., p. 36. — I l P. W alz colloca la redazione della
questione D e cantate tra il 1266-69. In o gn i caso sarebbe contem poranea
alla Prima secundae. Il santo insegnò a Parigi dall’in izio del 1269 alla metà
del 1272.
69 S. Tom m aso m ori il 7 m arzo 1274.
7° S. T h om ., D e cantate, a.2. ad. 17.
71 Ultimamente si è ornato ad insistere sull’idea di un m utam ento so­
stanziale nel pensiero di S . Tom m aso dalle Sentente alla Somma Teologica
(cf. A . S a n C r i s t ó b a l -S e b a s t i a n , L a s dos exposiciones de santo Tomàs sabre
los dones, in « R evista Espan. de T eo lo gia » , luglio-settem bre e ottobre-di­
cembre 1952). Riteniam o sinceramente che g li argom enti addotti n o n
m utano lo stato della questione cosi com e l’abbiam o esposta nelle pagine
precedenti. Concediam o di buo n grado che nella Somma Teologica non appare
con tanta insistenza com e nelle Sentente la distinzione tra v irtù e doni quanto
al modo dell’operazione, però n o n scom pare del tutto, e questo basta perché
non si possa parlare di mutamenti sostanziali nella concezione o nello sche­
ma dei doni. S . Tom m aso nella virilità m igliora e perfeziona la dottrina
che insegnò nella sua gioventù, insistendo sulla regola e sul motore dei doni
più che sulla lo ro modalità, la quale n o n è che un effetto e una conseguenza
necessaria d i quei principi più alti. L e due esposizioni si com pletano a v i ­
cenda e rivelano uno sviluppo dottrinale perfettamente om ogeneo, che si
perfeziona e acquista caratteri più saldi e v ig o ro si nella m agnifica sintesi
della Somma Teologica (cf. l’ articolo citato del P . A ldam a, in « R e v . Espan.
de T e o lo g ia » , gennaio-m arzo, 1949 pp. 18-19).
172 PRINCIPI FONDAMENTALI

modo umano, proprio d ell; virtù infuse. Tanto i doni, quanto


le virtù sono soprannaturali entitativamente o quoad sub-
stantiam, e in questo si eguagliano, però si distinguono quan­
to al modo di operare. Le virtù attuano al modo umano o conna­
turale, seguendo la norma della ragione; i doni al modo
divino o sovrumano, seguendo l’impulso dello Spirito Santo.
In altre parole: le virtù infuse sono soprannaturali quoad
substantiam, non quoad modum operandi; i doni sono sopranna­
turali quoad substantiam et quoad modum operandi. Q uesto è
il chiaro insegnamento del D ottore angelico. Coloro i qua­
li continueranno a difendere la possibilità di una attuazione
dei doni dello Spirito Santo al modo umano, devono rinun­
ciare ad invocare S. Tom m aso a sostegno della loro tesi. P

b ) L a q u e s t i o n e i n se s t e s s a . - A n ch e
prescindendo dall’argom ento di autorità — decisivo
anche in T e o lo g ia m istica quando si tratta di S. T o m ­
m aso 73 — ed esam inando le cose nella lo ro o g ge tti­
vità, ci sembra che sia assolutam ente da scartarsi u n ’at­
tuazione dei doni al modo umano.

I2 Per alcuni testi di S. Tom m aso citati dal P. Crisógon o si vedano


i seguenti studi, d o ve sono esam inati e posti in luce in senso totalmente
opposto a quello del P. Crisógono;
P . G a r r i g o u - L a g r a n g e , Les dons ont-ils un mode humain t in « L a V ie spi-
rituelle », novem bre, 1932; A propos du mode suprahumaìtt des dons du Saint-
E sp rit, iv i, ottobre, 1933. R . D a l b i e z , in « Etudes carmélitaines, » aprile,
x9 3 3 > P- 24 7 s-> studio m agnifico, dove è m esso su due colonne il testo
principale di S. Tom m aso com e fu scritto e com e fu mutilato dal P . Crisó­
go n o. J. P e r i n e l l e , in « R evue de Sciences Philosophiques et T h éo lo -
giques », n ovem bre 1932, p. <392, breve ma valida critica al P . Crisógono.
P . I . G . M e n é n d e z - R e i g a d a , E l modo normal de obrar los hàbitos infusos,
in « Ciencia Tom ista, » gennaio-giugno, 1946, p. 83-98. P. L l a m e r a , O . P . ,
L a vida sobrenaturaly la acción del Espiritu Santo, in « R evista Espan. de T e o ­
lo gia » , ottobre-dicem bre, 1947, p. 423-31.
73 È un errore pensare che S. Tom m aso sia soltanto il principe della
T e o lo gia dogm atica o m orale. L o è anche della T eo lo gia mistica sia perchè
ai suoi tem pi egli n on conosceva altro che « la T eo lo gia », la quale, sotto
un unico o gg etto form ale, com prendeva la D ogm atica, la M orale e la Mistica,
e sia, soprattutto, perché cosi ha dichiarato il supremo M agistero della Chiesa:
« ...asceticae m ysticaeque theologiae capita si quis pernosse volet,
is angelicum in primis Doctorem adeat oportebit ». C f. P io x i, enciclica Stu-
tìorm j 4 ucem> A A S , 15 (1923), p/320.
NATURA DELLA VITA SOPRANNATURALE 173
80. i . S areb b e in u t ile e su p erflu a . - In prim o lu o ­
g o , tale attuazione al m od o um ano — am m esso che sia
possibile — sarebbe inutile e verreb be a m oltiplicare
g li enti senza necessità. Infatti: o tale attuazione al
m odo um ano si confonde con l ’attuazione al m odo u-
m ano delle virtù , oppure no. N e l prim o caso, risulta
evidente, è superflua; nel secondo caso abbiam o una
m oltiplicazione di enti senza necessità. P erché esigere
una attuazione dei doni al m od o um ano quando ab­
biam o a nostra disposizione, con l ’aiuto della grazia
ordinaria, il m odo um ano delle v irtù infuse ? Che cosa
potrà aggiu ngere alle virtù infuse l’attuazione dei doni
al m od o um ano ? L ’entità soprannaturale ? L e virtù
infuse la po sseggo n o già di per sé. Il m odo um ano
di attuare ? L e v irtù praticate dall’u om o lo hanno pure.
Q uin di se non posson o aggiu n gere nulla ad esse —
dal m om ento che è im possibile distinguere nei doni al­
tre form alità che n on siano quella quoad substantiam
e quella quoad modum, che in questo caso coincidereb­
bero con il quoad substantiam e quoad modum delle virtù
infuse — chi n on ved e che esso costituisce una m olti­
plicazione di enti senza necessità ?

Q ualcuno dirà che nella ipotesi in cui il m odo umano


si identificasse con quello delle virtù, rim arrebbe ancora
— secondo S. Tom m aso — due differenze specifiche tra
le virtù e i doni: l’o ggetto formale e il principio che li attua
o regola cui si uniformano 74. L ’osservazione non vale;
anzi, lun gi dall’ invalidare il nostro argom ento, lo raf­
forza, giacché il m otivo per cui i doni non possono avere

74 « O r saint Thom as, dans la Somme, enseigne deux autres dirfcrences


entre les dons et les vertus: prem iétem ent, celle qu i nait de la diversité
des objets form els, et secondement, celle qui nait du principe qui les actue
ou de la ràgie à laquelle s’accom ode cette opération. Par conséquent, bien
qu’il existe une opération à m ode hum ain réalisée par les dons, elle ne se
confond pas avec celle des vertus parce qu’il subsiste encore deux diffé-
rences spécifiques qui les distinguent » (cf. P. C r i s ó g o n o , L a perfection et
la mystique,., pp. 35s .).
174 PRINCIPI FONDAMENTALI

un modo umano di operare nasce precisamente dal posse­


dere un o ggetto formale, un principio attuante e una rego­
la di attuazione assolutamente divini, distinti specificamente
dall’oggetto formale, dal principio attuante e dalla regola
di attuazione delle virtù infuse, com e insegna espressamen­
te S. Tommaso. E cco le sue parole: sono state tratte dalle
Sentente, dove il santo dà m inor risalto alla distinzione che
nasce dall’oggetto form ale e dalla regola o principio m otore.
<( D icendum quod modus unìcuique rei ex propria mensura praefigitur. U nde
modus actionis sumiiur ex eo quod est mensura et regula actionis. E t ideo cum dona
sint ad operandum supra humanum modum, oportet quod donorum operationes men-
suretltur ex altera regula quam sit regula humanae virtutis, quae est ipsadivinitas
ab hom ine participata suo m od o, ut iam non bumanitus, sed quasi D eus
factus participatione operetur, u t ex praedictis patet. E t ideo om nia dona
com m unicant in m ensura operationis» 75.

I doni hanno un modo sovrumano di attuare precisamente


perché il m odo di un’azione dipende dalla regola alla quale
si conforma. Poiché questa regola non è la ragione umana
(come nelle virtù) ma lo Spirito Santo, i doni m uovono l’uo­
m o necessariamente al modo sovrumano: « u t iam non bumanitus,
sed quasi D eus factus participatione operetur ». U n’attua­
zione dei doni al m odo um ano è assurda e inintelligibile, dal
momento che il m odo di u n ’azione dipende dalla tego la
alla quale deve uniformarsi.
La causa dell’equivoco in cui sono incorsi i sostenitori
dell’opinione contraria sta nel pensare che il m odo dei doni
sia qualcosa di accidentale che non ha nulla a che vedere con
la loro intima natura. N o n avvertono che si tratta di u n
modo essenziale im posto dall’oggetto formale costitutivo dell’es­
senza stessa dei doni, che è la regola divina alla quale si adatta­
no. L o afferma espressamente S. Tom m aso, e deve affer­
marlo ognuno che abbia una nozione elementare di quello
che sono i doni.
« D onum in hoc transcendit virtutem quod supra modum humanum operaiur
qui quidem m odus ex mensura altiori quam sit humana m ensura causatur
H u ic autem mensurae quae Deus est mens hum ana per caritatem ìnnititur» 76

D i conseguenza, spogliare il dono di questo m odo es­


senziale divino equivale a distruggerlo. Se la sua ragiona

75 I I I Sent. d.34 q .i a.3 respons'to.


7 6 S. T hom ., I l i Sent. dist.36 a.3 c.
NATURA DELLA VITA SOPRANNATURALE 175
formale di essere consiste nell’adattarsi ad una regola di­
vina, non lo si può privare dei m odo che risulta da tale a-
dattamento senza incorrere in contraddizione. O si adatta
l’atto a questa regola divina, oppure no. Se si adatta, abbia­
mo il m odo divino dell’atto, che non è altro che la confor­
mità con detta regola. Se non si adatta, non potrà essere
un atto dei doni, perché gli manca semplicemente il suo
costitutivo formale (« obiectum form ale quo v e l ratio sub
qua») 77.

81 . 2. È filo so fic a m e n te im p o s s ib ile . - Se i doni


dello Spirito Santo potessero avere una operazione
al m odo um ano, questa operazione sarebbe specìfica-
mente diversa dalla loro operazione al m od o divino.
La cosa è o v v ia e l ’am m ette anche il P. C risogon o.
Secondo la filosofia scolastica, due opera%iori specifica-
mente distinte suppon gono, per necessità on tologica,
due abiti specificamente distìnti, dato che g li abiti si distin­
gu on o e si specificano precisam ente m ediante le loro
operazioni, com e queste si distin guon o e si specifi­
cano m ediante i lo ro oggetti 7s. Q uindi, se i doni dello
Spirito Santo — che sono abiti — potessero avere un
atto al m od o umano, distinto specificam ente dal loro
atto al m od o divino, ne seguirebbe, senza possibilità
di scam po, che un solo e m edesim o abito avrebbe
due atti specificamente distinti, la qualcosa è inaudita
e filosoficamente inintelligibile. Sarebbe com e se gli
occhi potessero indifferentem ente vedere e udire. Per

77 Q uesto è appunto l’argom ento opposto al P. Crisógono da una ri­


vista del suo ordine: « Nous ne pouvons donc consìdérer comme valable le premier
argum ent du P. C risógono. L e mode suprahumatn des dons, dans la pensée
de saint T hom as, p rovien t de la règie suprahumaine qu’est l ’inspiration spé-
ciale du Saint-Esprit, règie qui consti tue Vobjet formel de l ’acte des dons.
Les trois sont inséparables » (cf. « Etudes carmélitaines », art. di R . D al-
biez, aprile 1933, pag. 249).
7 8 È dottrina corrente nella filosofia scolastica. S. Tom m aso dice: « D i-
versitas ve ro objectorum secundum speciem, facit diversitatem actuum
secundum speciem et per consequens habituum » (cf. 1-11,5 4,1 1; iv i, art.
2; 1,77,3, ecc.).
170 PRINCIPI FONDAMENTALI

fare asserzioni del genere occorre rinunciare ai prin­


cipi più elem entari della filosofia perenne ,9.
L a causa di questa seconda confusione è da ricercarsi
nella mancanza di una netta distinzione tra l ’o ggetto ma­
teriale e l’o ggetto formale degli a b iti80. È chiaro che uno
stesso abito può raggiungere non già due, ma m olti oggetti
materiali specificamente distinti. Per l’atto di rubare non ha
importanza che si sia rubato un pane, un oro lo gio o una som ­
ma di denaro — oggetti specificamente distinti — perché
costituiscono soltanto l’o ggetto materiale dell’atto; l’o ggetto
formale di questi oggetti consiste nell’essere cosa altrui, ciò
che specificamente costituisce il furto. Cosicché, un abito
può produrre m olti atti materialmente distinti anche nella
specie se si considerano nel loro essere fisico, non però se
si considerano formalmente e nel loro essere morale. L ’ogget­
to form ale deve sempre essere uno, dal mom ento che spe­
cifica l’abito. D ar da mangiare all’affamato e vestire l’ignu­
do sono atti distinti nel lo ro essere fisi co, ma entrambi
procedono da uno stesso abito, che è la virtù della mi­
sericordia, la quale ha com e oggetto formale di soccorrere
l’indigente, e cosi sono atti della stessa specie morale n o ­
nostante che abbiano o g g etti materiali tanto diversi. N on
l’o ggetto materiale, ma unicam ente l’oggetto o la ragione
formale dice ordine all’abito l8. E cco com e l ’A n gelico spie­
ga questa dottrina:
« U nde sicut potentia, cum sit una, ad m ulta se extendit, secundum quod
convenimt in uno aliquo, id est, in generali quadam ratione obiecti, ita etiam ha­
bitus ad multa se extendit, secundum quod habet ordinem ad aliquoud unum
puta ad unam specialem rationem obiecti, v e l unam naturam, v e l unum princi-

79 D . B a l d o m e r o J i m é n e z D u q u e , in un articolo apparso sulla « R e ­


vista Espan. de T e o lo g ia » , 1941, pp. 963-83, respinge l’ argom ento della
d uplice operazione dei doni con queste parole: « Per fare un’asserzione
del genere circa un abito, com e sono i doni, bisogn a negare più della m età
dei principi filosofici e teo lo gici del tom ism o ». Siam o anche noi dello stes­
so parere.
80 S. Tom m aso m ette spesso in guardia contro questa confusione: « In
distinctione potentiarum v e l etiam habituum , n on est considerandum ipsum
o bjectum materia/iter, sed ratio obiecti differens specie, v e l etiam genere»
(1-11,54,2 ad 1).
81 C f. P . I. G . M e n é n d e z - R e i g a d a , B l modo normal de obrar los hàbitos
infusos, in « Ciencia T om ista», gennaio-giugno, 1946.
NATURA DELLA VITA SOPRANNATURALE 177
pium, ut ex supra dictis patet. Si igitur consideremus habitum secundum
ea ad quae se extendit (oggetti materiali), sic invcniem us in eo quandam multi-
plicitatem. Sed quia illa multiplicitas est ordinata ad aiiquid unum , ad quod
principaliter respicit habitus (oggetto form ale), inde est quod habitus est
qualitas simplex non constituta ex pluribus habitibus, etiamsi ad m ulta se
extendat. N o n enim unus habitus se extendit ad m ulta (oggetti materiali)
nisi in ordine ad unum ex quo habet unitatem (oggetto formale) » 8l.

N o n si lim itano qui gli inconvenienti di tale teoria.


Proviam o a trasferirla un m om ento nel cam po teolo­
gico per vedere le conseguenze che ne deriverebbero.

82. 3. È te o lo g ic a m e n te assu rd a . - Riduciam o


l’ argom ento in form a. U n ’attuazione dei doni dello
Spirito Santo che distrugga la natura e il fine dei medesimi
è teologicam ente assurda. M a l ’attuazione dei doni al
m odo um ano ne distruggerebbe la natura e il fine.
D unque è teologicam ente assurda.
L a m aggiore è evidente. P roviam o la m inore.
Secondo la dottrina di S. T om m aso, com unem ente
ammessa, i doni sono abiti soprannaturali che, m ossi
direttam ente e imm ediatam ente dallo Spirito Santo co­

82 1-11,54,4. — Per quanto possa apparire inverosim ile, il P. C risógono


cita due volte questo testo di S. To m m aso, che considera « capitale» per
provare il duplice m od o dei doni (!). È evidente la confusione che egli fa
tra l’o g getto materiale e l ’o g g e tto formale d egli abiti (cf. L a perfection et la
mystique... p. 77 e 79).
O cco rre notare, inoltre, la differenza tra la potenza e l’abito a m otivo
del lo ro o gg etto formale, perché quando S. Tom m aso parla della potenza,
le assegna una ragione « universale » o generica; e quando parla dell’abito
gli assegna, una ragione « particolare » o specifica; parole — ■queste ultime
— che il P . C risó go n o om ette nella traduzione francese del testo per conclu­
dere che, se la poten za p u ò avere vari atti specificamente distinti, non c’è
m otivo di negare codesta identica possibilità all’abito (cf. p. 77). L a ra­
gione è totalm ente diversa. L ’ o ggetto della potenza è generico, e un genere
deve sem pre abbracciare diverse specie; ma l’o ggetto dell’abito è specifico
o « particolare », co n specie infima, dal m om ento che l’abito non è una qua­
lità com posta, e, pertanto, n on potrà mai suddividersi in specie diverse
(cf. P. I. G . m e n é n d e z - R e i g a d a , art. cit. in « Ciencia Tom ista », gennaio-
giu g n o , 1946).
178 PRINCIPI FONDAMENTALI

me suoi strumenti, hanno lo scopo di perfezionare l ’a t­


to delle virtù infuse.
L ’ operazione dei doni al m od o um ano distruggereb­
be totalm ente la lo ro natura e il lo ro fine.
a) Distruggerebbe la loro natura. - Se i doni dello
Spirito Santo potessero avere u n ’ operazione al m odo
umano, parallela a quella delle virtù infuse, ne segui­
rebbe logicam ente e inevitabilm ente che in questa m o­
dalità umana potremmo attuarli a nostro arbitrio, con la
sem plice assistenza della grazia ordinaria, dal m om en­
to che il m od o um ano — anche nell’ ordine sopranna­
turale -— ci è connaturale: n on trascende la norm a della
ragione n é le forze dell’anima elevata dalla grazia a tale
ordine soprannaturale. E cosi, con la sola grazia or­
dinaria, potrem m o realizzare un atto che appartiene al
don o della sapienza o a quello dell’intelletto al m odo
um ano con la stessa sem plicità e facilità con cui rea­
lizziam o un atto di fede, di speranza o di carità so­
prannaturale. Se un abito con due operazioni specifi­
camente distinte era qualcosa di inintelligibile in fi­
losofia, un’ attuazione dei doni d ello Spirito Santo
operata dalFuomc con la sola grazia ordinaria è una
vera enorm ità in T eo lo gia . T u tti i teologi proclam ano
l ’assoluta im possibilità di attuare a nostro piacim ento
i doni d ello Spirito Santo; si richiede sempre un inter­
v en to speciale dello Spirito Santo indipendentemente da
ogni iniziativa umana. C osi vu o le la natura dei doni,
strum enti diretti e immediati dello Spirito d ivin o, non
dell’anima in grazia, com e le virtù infuse.
A n cora. Se i doni potessero avere un m od o um ano,
in questa modalità umana, cesserebbero di essere g li stru­
m enti diretti dello Spirito Santo, per convertirsi in
strumenti d e ll’uomo, o, se si vu o le, d ell’anima in grassa,
al pari delle virtù infuse. Il che equivale a distruggere
la natura dei doni cosi com e li ha conosciuti la tradi­
zione teologica.
NATURA DELLA VITA. SOPRANNATURALE 179
b) Distruggerebbe i l loro fine. - Secondo il D o tto re
angelico, i doni hanno com e fine di perfezionare l ’atto
delle virtù infuse, dando ad esse quell’« atm osfera
d ivin a» , necessaria per il loro pieno svilu p po. O ra,
u n ’ operazione dei doni al modo umano sarebbe del tutto
im potente a conseguire tale fine, soprattutto per quanto
concerne le virtù teologali, nel perfetto sviluppo delle
quali risiede principalm ente la perfezione cristiana.
L e virtù teologali, infatti, afferma ancora S. T om m a­
so 87, sono in sé più perfette dei doni; e se hanno biso­
gn o di questi per raggiun gere il lo ro pieno sviluppo
ciò è d ovu to al fatto che le virtù infuse sono m osse
dall’uom o al modo umano, ed è necessario che questo
elem ento um ano, che inevitabilm ente si accom pagna
alla lo ro operazione nella fase ascetica, scom paia e
sia sostituito dal modo divino, totalm ente sopranna­
turale, dei doni che le attua misticamente. Soltanto
in questo caso le virtù infuse produrranno atti perfetti,
divin i, com e reclama la lo ro natura soprannaturale,
n on viziati da riflessi um ani. M a se i doni d ello Spirito
Santo contribuissero alla perfezione delle virtù teolo­
gali apportando solo un modo umano, quale van tag­
g io queste ne ricaverebbero ? I loro atti continuerebbero
ad essere im perfetti com e prim a. U na operazione dei
doni al modo umano com e potrebbe perfezionare l ’at­
to delle v irtù teologali, dal m om ento che q uesto m o­
do sarebbe del tutto identico a quello che hanno già
tali v irtù praticate dall’uom o ? Chi n on ved e che questo
è assurdo e contrad d ittorio?
I doni dello Spirito Santo, quindi, n on hanno e non
posson o avere che un solo m od o di operazione: quello
divin o o sovrum ano, dovu to alla lo ro natura di stru­
m enti diretti e im m ediati dello Spirito Santo.

s3 1 -11, 6 8 , 8 .
180 PRINCIPI FONDAMENTALI

A ffrontiam o ora u n ’altra questione di n o tiv o le


interesse: la necessità dei doni per la perfezione cri­
stiana e la salvezza eterna.

7. Necessità dei doni dello Spirito Santo.


Proverem o le tre proposizioni seguenti:
1. I doni dello Spirito Santo sono necessari alla
perfezione delle virtù infuse.
2. Sono necessari per la salvezza eterna.
3. N o n sono necessari per tutti e singoli gli atti
salutari.
Per la T eo lo gia m istica, la proposizione più im por­
tante è la prim a, che esamineremo attentamente 84.

I3 proposizione: I doni dello Spirito Santo sono ne­


cessari alla perfezione delle virtù infuse.

83. L ’argom ento generale è m olto semplice. I


doni sono necessari alla perfezione delle virtù infuse
se queste hanno certe deficienze che posson o elim i­
nare soltanto sotto l ’influsso dei doni. M a questo è
precisam ente il caso delle virtù infuse. Q uindi...
La m aggiore è evidente. Se le virtù n on possono da
sole correggere certe im perfezioni che le accom pagnano
e queste im perfezioni scom paiono sotto l ’influsso dei
doni, bisogna concludere che i doni sono necessari
alla perfezione delle virtù.
O ccorre dim ostrare la m inore.
A n zitu tto non dim entichiam o che le virtù infuse

*4 C f. lo studio del P. I. G . M e n é n d e z - R e i g a d a Necesidad de los dones


del Espiritu Santo, Salamanca, 1940, al quale in m od o particolare ci ispiria­
m o per le nostre conclusioni, e d o ve il lettore potrà trovare un’ampia in ­
form azione.
NATURA DELLA VITA SOPRANNATURALE 181
sono abiti. È necessario, quindi, esaminare i motivi
di imperfezione che si possono ritrovare negli abiti e
vedere se qualcuno di essi è presente nelle virtù in­
fuse.
Cinque sono i principali m otivi di im perfezione che
si possono ritrovare in un abito:
1. I l m ancato raggiungim ento di tutto il suo o g­
getto materiale. T ale è il caso di uno studente di T e o lo ­
gia che non ha ancora studiato tutti i trattati. Conosce
in parte la T eo lo gia , ne possiede l’abito, però in m odo
incom pleto ed im perfetto.
2. L a scarsa intensità con cui l ’abito raggiu n ge il
suo oggetto (per es.: lo studente che ha scorso la
lezione assegnatagli, però in m odo distratto e super­
ficiale).
3. L o scarso fondam ento che ha nel soggetto (per
es.: per la mancanza di pratica).
Q ueste tre im perfezioni possono essere eliminate
direttamente dalle virtù. N o n hanno bisogn o d ell’aiu­
to dei doni p e r estendersi a n u ovi oggetti, per aumen­
tare l ’intensità degli atti o per m oltiplicarli.
4. L ’im perfezione intrinseca, essenziale, dell’abito
stesso. T ale im perfezione si ha, per esem pio, nella virtù
della fede (è oscura, o de non visis) e nella speranza
(è de non possessis). Q uesto difetto n on possono correg­
gerlo n é le virtù n é i doni; sarebbe com e distruggere
l ’abito in quanto tale.
5. L a sproporzione tra l’abito e il soggetto cui ine­
riscono. È il caso delle virtù infuse.
L e virtù infuse, infatti, sono abiti soprannaturali,
divini, e il sog getto è l ’anima umana, o più esattamente,
le potenze dell’ anima. Siccom e « quid qu id recipitur
ad m odum recipientis recipitur », le v irtù infuse, quan­
do sono ricevute nell’anima, subiscono un degrada-
m ento, ve n g o n o ad acquistare il nostro modo umano — ■
a m o tivo del loro adattam ento alla struttura psicoio-
182 PRINCIPI FONDAMENTALI

gica naturale dell’uom o — e sono com e m ortificate in


questa atm osfera umana, per esse quasi irrespirabile.
Q uesta è la ragione per cui le v irtù infuse, in se stesse
m olto più perfette delle corrispondenti virtù acquisite,
non ci dànno, com e queste, la facilità di operare: pos­
sediamo in m od o im perfetto g li abiti soprannaturali.
U n peccatore che si pente e si confessa dopo una vita
disordinata, torna facilm ente ai suoi peccati nonostan­
te che abbia ricevu to con la grazia tutte le virtù infuse.
È chiaro che, se possediam o im perfettam ente nel­
l ’anima r abito delle virtù infuse, g li atti che ne deri­
van o saranno anch’essi im perfetti, a m eno che un
agente superiore n on ven g a a perfezionarli. E cc o la
ragion d ’essere dei doni dello Spirito Santo. M ossi
e regolati, n on dalla ragione um ana com e le virtù ,
ma dallo Spirito Santo, creano alle v irtù infuse — ■so­
prattutto alle teologali — l ’« atm osfera divin a » neces­
saria per sviluppare tutta la lo ro virtualità sopranna­
turale 85.
Q uesta necessità appare * anche dalla natura del
motivo formale che determ ina l ’atto delle virtù infuse.
L ’ o g g e tto o m o tiv o form ale n on sorpassa la regola del­
la ragione umana, sia pure illum inata dalla fede, e sarà
sempre un motivo imperfetto anche se com pie m aterial­
m ente la stessa opera che si com pirebbe sotto la m o ­
zion e dei doni, fin tanto che le m ancherà quella mo­
dalità divina, che proced e dalla regola superiore propria
dei doni.
T u tto ciò n on sm inuisce il valore delle v irtù infuse
considerate in se stesse. A l contrario, sono realtà perfet­
tissim e, strettam ente soprannaturali e divine.
L a lo ro im perfezione è puram ente accidentale, de­
rivante dal modo imperfetto con cui le possediam o. D i

85 C f. 1-11,68,2 — Questa è la ragione, supposto che sia possibile, del­


l ’ inutilità di una operazione dei doni al modo umano,
NATURA DELLA VITA SOPRANNATURALE 183
qui la necessità che i doni dello Spirito Santo vengan o
in aiuto delle virtù infuse, disponendo le potenze della
nostra ànima ad essere m osse da un agente superiore
— lo Spirito Santo — che le farà attuare in un modo
divino, pienam ente rispondente al lo ro perfettissim o
o ggetto. Sotto l ’azione dei doni, le v irtù infuse si tro­
veranno — se cosi v o gliam o dire — « nel lo ro proprio
am biente ».
Per questa ragione, le virtù teologali, le quali m eglio
realizzano nel lo ro com pleto sviluppo la perfezione cri­
stiana, sono le virtù infuse che p iù necessitano dell’aiu­
to dei doni. E sse, infatti, ci dànno una partecipazione
della conoscenza soprannaturale che D io ha di sé
stesso — la fede — ce Io fanno amare com e eg li si
ama — la carità ■ — e ce lo fanno desiderare com e il n o­
stro suprem o bene — la speranza — . Q uesti o g ge tti al­
tissimi, assolutam ente trascendenti e divin i, soggiac­
ciono necessariam ente ad una m odalità um ana finché
rim angono sotto l’influenza della ragione um ana, per
quanto illum inata della fede. P er p o ter raggiu n gere la
loro perfezione divina, essi esigon o l ’influsso divino
dei doni. Q uesto è l’argom ento addotto da S. T o m ­
maso per provare la necessità dei doni in ordine alla
salvezza. E g li dice:
« Sed in ordine ad finem ultim um supernaturalem ad
quem ratio movet secundum quod est aliqualiter et imperfecte infor­
mata per virtutes theologicas, non sufficit ipsa m otio rationis
nisi desuper adsit instinctus et motio Spiritus Sancti, secundum
illud (Rom. 8,14 et 16): Q u i Spiritu D ei aguntur hi
filii D ei sunt.... et heredes » 86.

L ’argom ento vale anche per le virtù m orali infuse;


quantunque esse, nel loro o g ge tto im m ediato, n on tra­
scendano la rego la della ragione — non tendono di­
rettam ente al fine soprannaturale, ma ai me%%i per rag-

»« 1-11,6 8 ,2 .
184 PRINCIPI FONDAMENTALI

giun gerlo — pure sono per sé ordinate ad un fine


soprannaturale e ricevon o dalla carità la loro form a e
la loro vita a quest’ ordine trascendente M. H anno b i­
sogno, pertanto, per essere perfette, di ricevere un
modo divino che le p rop orzion i al fine soprannaturale e
le trasform i in « virtù eroiche o divine », secondo l ’e­
spressione di A ristotele fatta propria da S. Tom m aso.
P erciò i doni abbracciano tu tto il cam po delle virtù
infuse, sia teologali che m orali, e sul lo ro o g ge tto ma­
teriale può sempre darsi un atto dei doni che perfezio­
ni l ’atto delle virtù 92.
Com pletiam o la nostra dottrina risolven do alcune
difficoltà.

Prima obiezione. ■Com e possono, i doni, perfezionare


le virtù teologali se sono ad esse inferiori?

Risposta. - N on possono perfezionarle in m odo intrin­


seco o formale, ma estrinseco, perfezionando il soggetto in cui
risiedono. I doni elevano il soggetto al piano divino delle v ir­
tù telogali, e gli conferiscono il loro possesso pieno e
perfetto. Elim inano l’ atmosfera umana, che le mortifica,
e creano l’atmosfera divina, che permetterà loro di crescere
e svilupparsi pienamente. I doni più che la virtù perfezio­
nano la potenza nella quale risiedono per adattarla e
connaturalizzarla alla stessa virtù sotto l’azione di un agente
superiore.
A ppare, una volta di più, la necessità dei doni per la
perfezione cristiana. Senza di essi, le virtù infuse — soprattut­
to le teologali — non potrebbero sviluppare tutta la loro
virtualità e rim arrebbero imperfette. N o n per colpa loro
ma a m otivo del soggetto nel quale risiedono, che con le
sue mire egoistiche e i suoi ragionam enti umani non le
lascia crescere ed espandersi.

Seconda obiezione. - Perché le virtù infuse si sviluppi­


no e si perfezionino basta che producano i loro atti ogni
volta con m aggiore intensità e sforzo. M a questo può aver-

*7 1-11,65,2; II-II, 23,7-8.


88 « In omnibus viribus hom inis quae possunt esse principia humanorum
actuum , sicut sunt virfutes ita etiam sunt dona » (1-11,68,4).
NATURA DELLA VITA SOPRANNATURALE 185

si mediante la grazia attuale, senza i doni. Q uindi questi


non sono necessari per la perfezione delle virtù.
Risposta. - L a grazia attuale, adattandosi al m odo umano
delle virtù infuse, le farà crescere nella linea di modalità
umana. M a perché escano da questo m odo umano — che per
quanto si sviluppi sarà sempre im perfetto — e acquistino
la modalità divina che spetta loro com e virtù soprannaturali
si richiede u a n uovo abito capace di ricevere la m ozione
diretta dello Spirito Santo.
Istanza. - L o Spirito Santo non può produrre diretta-
mente nelle virtù il modo divino senza l’abito dei doni ?

R isposta. - Se ammettiamo che lo Spirito Santo vo glia


m uovere violentemente la creatura ragionevole facendola u-
scire dal suo m odo connaturale senza dotarla delle dispo­
sizioni necessarie per ricevere una modalità superiore con
soavità, si; contrariamente, no. Q uesta è precisamente la
ragione tante volte addotta da S.Tom m aso per provare la
necessità degli abiti infusi: la soavità, la dolcezza della di­
vina Provvidenza, che m uove tutti g li esseri secondo le
loro disposizioni prossime, naturali o soprannaturali. D el
resto, questa obiezione occorre risolverla tenendo presente
l’esistenza dei doni come abiti infusi, che abbiamo già dimo­
strata.
Per concludere, vediam o com e propone e risolve tali
difficoltà il m iglior commentatore dell’A n g elico , G iovanni
di S. Tommaso:
Difficoltà. - « N o n est ratio cur ipsaemet virtutes n on sufEciant dispo­
nete subiectum ad istam altiorem m otionem ex Spiritu Sancto, loquendo
de virtutibus moralibus infusis, et theologicis: nam dona, u t nos fatemur,
versantur circa eamdem materiam circa quam virtutes infusae, verbi gratia,
fortitudo dom im et fortitudo virtus infusa, consilium , seu prudentia do-
num, et prudentia infusa, intellectus, scientia, et fides, etc. E t tam virtus
infusa quam donum versantur supernaturaliter circa illam materiam. A d
hoc autem ut m oveatur altius et superiori m odo circa illam non requiritur
nova virtus, sed intentior et perfectior m odus operandi in eadem virtute,
sicut supra disputatione X V I dixim us, quod virtus heroica, et com m unis,
virtus purgatoria, et purgati animi non differunt nisi sicut rnagis et minus
circa eamdem virtutem . Cur ergo non dicemus idem de d ono et virtute,
ita qu od illa fortitudo et spiritus quo Samson interfecit, in maxilla mille
viros, n o n sit diversa virtus a fortitudine qua alii milites vicerunt praelia,
sed sit virtus fortìtudinis, licet m aior et excellentior, a D e i auxilio perfe-
ctiori adiuta».
186 PRINCIPI FONDAMENTALI

Questa è l’obiezione. E cco ora la risposta:


« A d prim am confectionem respondetur non sufficere dispositionem vir-
tutum etiam infusarum , ad recipiendam istam m otionem Spiritus Sancti,
sed requiri distinctos habitus, co quod dona Spiritus Sancti dantur ad sup-
plendum id quod non possum us ex m otione rationis humanae, etiam ut
informatae virtutibus; et sic cum virtutes lim itentur et specificentur a bono
u t regulato et attacto per rationem humanam, quidquid disponit ad attin-
gendum quod est supra m odum et attingentiam rationis petit necessario di-
stinctum habitum , quia est extra lim ites et specificationem humanae vir-
tutis......

E t pie cum dicitur quod dona et virtutes versantur circa eamdem ma-
teriam ,-concedimus, quia to tu m h o c materialiter se habet. E t rursus cum di­
citur quod ad* h oc ut m oveatur altius et perfectius n o n requiritur n o va v ir­
tus, sed eadem intensiori et perfectiori m od o operans, respondetur quod u t
m oveatur altius et perfectius intra eamdem lineam et ordìnem operandi iuxta
qu od assequi potest discursus et ratio humana in matériis supernaturalibus,
concedo quod n on requiritur n o va virtus, sed eadem perfectior v e l inten-
sior; et in hoc tenet exemplum de virtute heroica, et virtutibus purgatoriis,
e t purgati animi, de quibus supra egim us, quia non procedunt extra 89 eam­
dem mensuram rationis humanae perfectius v el im perfectius dirigentem
et discurrentem. C eterum ut altius moveatur quis extra lineam modi operandi
humani, et ad operandum in his in quibus ratio deficit et m odus eius, etiam
iequ iri virtutem altiorem om ni virtute hum ana, et haec specialiter vocatur
donumy quia n on solum datur u t qu id gratuitum ad. elevandum potentiam
ad ordinem supernaturalem, sed etiam in his in quibus deficit potentia et
ratio humana etiam elevata (quia iuxta capacitatem et m odum humanum
amplius non potest) supplet illa altior virtus quae vocatur donum seu spiri­
tus in illa materia in qua virtus humana amplius non potest 9°.

N o n c’è nulla da aggiungere a questa magistrale espo­


sizione. I doni dello Spirito Santo sono necessari perché
le virtù infuse raggiungano la loro perfezione e il loro svi­
luppo. D e l resto, questa dottrina è comunemente am­
messa da tutte le scuole di spiritualità 9*.

89 N e l testo dell’edizione che citiam o si legg e intra invece di extra, per


un evidente errore di stampa, com e risulta dal contesto.
9 ° J o annes a S. T h o m a , Cursus Tbeologicus, t.6 q.70 d .i8 a .2 §§ 44 et 49
et 50 (ed. V iv è s, Paris, 1885) pp. 596-98.
91 Si veda anche il P. C risó g o n o , Compendio de ascèticay mistici, 1 ed .,
p. z i , dove dice che i doni hanno la missione d i « perfezionare gli atti delle
v irtù ».
NATURA DELLA VITA SOPRANNATURALE 18 7

2a proposizione: I d o n i d e llo S p irito San to son o n e­


cessari p er la salvezza.

84. Il D o tto re angelico nella Somma Teologica si


pone la questione: « U trum dona hom ini sint necessaria
ad salutem » 82 e la risolve positivam ente.
Per provarlo si rifà all’im perfezione con cui noi
possediam o le virtù infuse, quale risulta dalla p ro p o ­
sizione precedente.
« I doni, come è stato detto, sono perfezioni che dispon­
gono l’uom o a seguire con docilità le ispirazioni divine.
Quindi nelle cose in cui non è sufficiente la m ozione della
ragione, è necessaria l’ispirazione dello Spirito Santo, e,
di conseguenza, dei suoi doni. La ragione umana è perfe­
zionata da D io in due modi: con una perfezione naturale
(come la virtù acquisita della scienza), e con una perfezio­
ne soprannaturale, mediante le virtù teologali. Benché que­
sta seconda perfezione sia superiore alla prima, tuttavia,
possediamo la prima più perfettamente della seconda per­
ché l’uom o possiede pienamente la sua ragione naturale,
mentre solo in una maniera imperfetta conosciam o e amia­
mo D io.
Chiunque possiede perfettamente una natura, una fo r­
ma o una virtù può operare per se stesso in tale ordine di
operazione, benché sempre, senza dubbio, sotto la mo­
zione di D io , che opera interiormente in ogn i agente
naturale o libero. Però colui che non possiede se non
imperfettamente un principio qualsiasi di attività (natu­
ra, form a o virtù), non può operare per se stesso" a- meno
che non sia mosso da un altro. N ell’ordine fisico, il sole che è
per fettamente lum inoso, può illuminare per se stesso; ma la
luna, che possiede imperfettamente la natura della luce,
non illumina se non in quanto è illuminata dal sole. N ell’or­
dine intellettuale, il medico che conosce perfettamente la
medicina può operare per se stesso: ma lo studente di medi­
cina che non è sufficientemente istruito, necessita della di­
rezione e dell’assistenza del maestro. Cosi, nelle cose che
cadono sotto il dom inio della ragione, e in relazione al suo
fine naturale, l’uom o può operare con il giudizio della sua
ragione, e se anche in tale ordine, l ’uom o fosse coadiuva*

9* 1-11,68,2.
188 PRINCIPI FONDAMENTALI

to da una speciale ispirazione di D io (per specialem instinctum)


questo sarebbe effetto di una misericordia sovrabbondante,
non necessaria (hoc erit superabundantis bonitatis). Quindi, come
dicono i filo so fi, non tutti coloro che hanno le virtù morali
acquisite hanno pure le virtù eroiche e divine.
Però, in ordine al fin e ultim o soprannaturale, la ragione
umana, che ci m uove verso di esso in quanto in qualche
m odo e imperfettamente (aliqualìter et imperfecte) informata
dalle virtù teologali, non è sufficiente per se stessa, ma
ha bisogno dell’istinto e della m ozione dello Spirito Santo,
secondo il detto di S. Paolo: « Q ui Spiritu Dei aguntur,
hi fili} D ei sunt... et haeredes » (Rom 8,14 et 16). Anche
nel Salmo si dice: « Spiritus tuus bonus deducet me in ter-
ram rectam » ''142,10); perchè nessuno può giungere all’eredità
di quella terra beata se non è mosso e condotto dalla Spìrito Santo,
Per lo stesso m otivo, per conseguire quel fine è necessario
all’uom o il dono dello Spirito Santo » 93.

Q uesta dottrina è parsa eccessiva a m olti che con ­


fon d on o la questione de iure con quella de facto. N o n
c’è dubbio, m olti si salvano senza gli atti dei doni,
anche se n on senza i lo ro abiti ma questo avviene
per accidens e n on com prom ette la tesi generale. Di
regola, in una vita norm ale e ordinaria, l’ attuazioni
più o m eno intensa dei doni è m oralm ente e a volte
fisicamente necessaria per conservare la grazia e, di
conseguenza, per la salvezza. T ale è, per esempio,
il caso del martirio: o si com pie un atto eroico di fo r­
tezza dando intrepidam ente la vita per la fede (la qual­
cosa è appena concepibile senza il dono della fortez­
za che perfeziona la virtù nel suo atto più difficile),

93 Ivi.
94 E cco alcuni casi: a) I bam bini battezzati che m uoiono prima dell’uso
della ragione, si salvano senza g li atti delle virtù dei doni, non senza i loro
abiti. b) C oloro che si convertono in punto di m orte, c) C oloro che vivo n o
una vita tiepida (senza una manifesta attuazione dei doni) e m uiono in gra­
zia. L e virtù possono produrre senza i doni atti imperfetti. Se n on si presen­
tano delle occasioni difficili che richiedono l ’aiuto dei doni, questi atti sono
sufficienti per salvarsi, ma sempre quasi per ignemy com e dice S. Paolo (iC or.
3»i5)-
NATURA DELLA VITA SOPRANNATURALE 189
o si co m m e tte u n p e cca to m o rta le, a p o stata n d o . Il
m o tiv o di tale n ecessità risied e neH’in su fficien za della
ra gio n e, p e r d irig e rc i senza in cia m p i v e r s o il fine s o ­
p rann atu rale. In o ltre , n o n d o b b ia m o d im en tica re ch e
la n atura um an a, d o p o il p e cca to o rig in a le , è ferita.
Le v ir tù n o n ris ie d o n o in u n a n atura sana, m a in u n a
natura incline al p e cca to , e q u a n tu n q u e sian o d o tate di
un sufficiente v ig o r e p er v in c e re le te n ta zio n i co n trarie,
n on p o ss o n o de facto, sen za l ’a iu to dei d o n i, superare
le d iffico ltà ch e p o ss o n o s o p r a g g iu n g e re im p r o v v is a ­
mente. In qu este situ azio n i im p re v iste, n elle q u a li la
caduta o la resisten za è q u e stio n e d i u n istan te, l ’u o m o
non p u ò serv irsi del d is c o rs o le n to e la b o r io s o della
ragion e, m a è n ecessario ch e re a g isca rap id am en te,
com e p e r istinto sop ran n atu rale, cio è, s o tto l ’in flu sso
e la m o z io n e dei d o n i d ello S p irito San to . Sen za q u e ­
sta m o z io n e , la cad u ta è q u asi sicura, data la v iz io s a
in clin a zio n e d ella n atu ra u m an a ferita dalla c o lp a o ri­
ginale.
Q u e ste situ azio n i im b a ra zza n ti e d ifficili n o n so n o
frequen ti, è v e r o , n ella v ita d e ll’u o m o . D a c iò n o n si
deve co n clu d e re ch e i d o n i d e llo S p irito San to n o n
siano n ecessari p e r la salv ezza ; t u t t ’ al p iù si p u ò dire
che n o n so n o rich iesti in tu tti e s in g o li g li atti salu tari.

3* proposizione: I doni dello Spirito Santo non so­


no necessari per tutti e singoli gli atti salutari.

85. La questione pare sia sorta di recente per una fal­


sa interpretazione della dottrina di S. Tommaso nell’ad
secundum dell’articolo sopra ricordato. Dice il Santo:
« A d secundum dìcendum , quod per virtùtes theologicas et morales non
ita perficitur hom o in ordine ad ultim um finem quìn semper indigeat moveri
quodam superiori instinctu Spìritus Sancti, ratione iam dieta » 95.

95 1-1 1 ,6 8 ,2 a d 2.
190 PRINCIPI FONDAMENTALI

I sostenitori della necessità dei doni per ogni atto sa­


lutare traducono le parole in corsivo: « che non ha bisogno
di essere mosso sempre dall’istinto dello Spirito Santo ». V er­
sione senza dubbio inesatta. Esse vanno tradotte: « che
non sempre ha bisogno di essere mosso ». S. Tom m aso non
scrisse: « ...quin indigeat semper moverì », ma « ...quìn sem-
per indigeat m overi ». L a frase significa che l’uom o non
è perfezionato dalle virtù teologali e morali al punto da
non avere bisogno, a volte, di essere ispirato dal maestro
interiore. Si sa che la parola sempre può avere due signi­
ficati m olto diversi: sempre e ad o gn i istante {semper et prò
remper), e sempre, ma non ad ogn i istante (semper sed non prò
semper). S. Tom m aso la usa qui in questo secondo senso.
Conveniam o che la redazione del testo della Somma è oscu­
ra e difficile a tradursi; ma il pensiero del Santo è chiaro
soprattutto quando si tenga presente il contesto dell’arti­
co lo e la dottrina generale della Somma E cco le prove:
1. S. Tom m aso afferma in questo articolo che i doni
sono necessari, perché senza di essi conosciam o ed amia­
m o D io solo imperfettamente. M a se senza di essi lo possiamo
conoscere ed amare, sia pure imperfettamente, essi non sono
necessari per ogni atto salutare.
2. N e llW tertium il Santo dice che, senza i doni, l’anima
non può respingere l ’umana stoltezza quantum ad omnia.
Però se non può farlo « in tutto », può farlo « in qualcosa »
e i doni non sono necessari per ogni atto di virtù.
II pensiero di S. Tom m aso risulta chiaro, quindi, dal
contesto dell’articolo. D ’altra parte, è certo che si può com ­
piere un atto soprannaturale di fede con una grazia attuale
senza alcun aiuto dei doni dello Spirito Santo. Prendete
un cristiano in peccato mortale; egli con la carità ha perso
i doni dello Spirito Santo, e tuttavia è in grado di fare ancora
atti di fede soprannaturale sotto l’influsso di una grazia at­
tuale 97.
Concludendo: i doni dello Spirito Santo non sono neces­
sari per tutti e singoli gli atti salutari, ma solo nel corso della
vita per gli atti perfetti e per vincere certe tentazioni gravi e
impreviste che potrebbero compromettere la nostra salvezza.

9 6 T r a gli altri, sostengono la. necessità dei doni per o gn i atto salutare:
L e h m k ììh l , Theol. Mor., t.1,689 (ed.1885); Card. M a n n in g , D ella mis­
sione dello Spirito Santo (ed.1878), c.7; G a u m e , Catech. Perseverantiae;
e M ons. Pierrot, in « L ’A m i du C lergé» (1892, 1898 e 1900), che fu confu­
tato dal P. F roget, O .P ., in « R evue Th om iste» , 1902.
97 C f. su tale questione P. G a r d e i l : D T C , art. D o m , C0I.T779.
NATURA DELLA VITA SOPRANNATURALE 191
8. R e la z io n e d e i d o n i fr a d i loro.

86 . S. Tom m aso studia le relazioni che intercor­


rono tra i doni negli articoli 4, 5 e 7 della questione
68 della Prima secundae.

A r t . 4. Se è conveniente la numerazione settenaria dei


doni. - L a risposta è afferm ativa e si fonda sull’autori­
tà di Isaia (11,2).
N el corp o d ell’articolo il Santo stabilisce un paral­
lelism o tra le virtù m orali e i doni, e conclude che in
tutte le facoltà dell’uom o, capaci di essere principio
degli atti umani, occorre m ettere a lato delle virtù
i corrispondenti doni. E cc o la divisione stabilita ri­
spetto ai doni:
Speculativa I Per l’apprendim ento^intelletto.
^ l b) Per il giu d izio = sapienza.
Nella ragione
p ti I P er l’apprendimento =consiglio.
ra ca |^ p gr giudizio = scienza.
In ordine agli altri = pietà.
a) Contro il tim ore dei peri­
Nella virtù coli: fortezza-
In ordine a
appetitiva
se stesso b) Contro la concupiscenza
disordinata: timore.

L a ripartizione è certam ente ingegnosa e apporta


m olta luce. Però occorre tenere presente che S. T o m ­
m aso m odifica il suo pensiero nella Secunda secundae
per quel che concerne i prim i q u a ttro 98 e assegna i
doni anche alle v irtù teologali, cosa sconosciuta nel­
la Prima secundae, d ove la divisione era fatta per ana­
logia con le virtù intellettuali e m orali •*.

98 C f.II-II, 8,6, dove S. Tom m aso avverte di aver m utato opinione su


questo punto: « Sed diligenter intuenti... et ideo oportet aliter eorum di-
stinctionem accipere ».
99 C iò non v u o l dire — naturalmente — che nella Prima secundae non si
considerino i doni in relazione alle virtù teologali; anzi, è detto che « omnia
192 PRINCIPI FONDAMENTALI

A r t . 7. Se la dignità dei doni corrisponde alla enumera­


zione di Isaia. - Isaia ha quest’ ordine:
1. Sapienza.
2. Intelletto.
3. Consiglio.
4. Fortezza.
5. Scienza.
6. Pietà.
7. Tim ore.

Introducendo una distinzione, S. T om m aso af­


ferm a che il profeta pone la sapienza e l ’intelletto com e
prim i simpliciter; il con siglio e la fortezza sono c o llo ­
cati prim a della sapienza e della pietà a m o tiv o della
materia circa quam, non a m o tiv o dei princìpi e degli
atti. Secondo g li atti, i doni d ovreb b ero avere questa
classificazione:
1. Sapienza
Nella vita 2. Intelletto Corrispondono alle virtù in ­
contem plativa 3. Scienza tellettuali.
4. Consiglio

Corrispondono alle virtù


morali.

R isp etto alla materia circa qmrn, l ’ordine è quello


di Isaia, con la seguente distribuzione:
[ 1. Sapienza.
Rispetto alle cose ardue I1 - 2'
r 3.
3 . 1Consiglio,
/>nsicr in
4. Fortezza.
1. Scienza.
Rispetto alle cose comuni j 2. Pietà.
( 3. Timore.

dona pertinent ad has tres virtutes, sicut quaedam derivationes praedicta-


rum viruitum » (I-II, 68, 4 ad 3); so lo che prescinde da esse quando ne fa
la divisione.
NATURA DELLA VITA SOPRANNATURALE 193

A r t . 5. Se i doni dello Spirito Santo sono connessi tra


loro. - L a risposta afferm ativa si basa sull’autorità
di S. G rego rio.
C om e le virtù perfezionano le facoltà d ell’anima per­
ch é siano govern ate dalla ragione, cosi i doni le perfe­
zionano perché siano govern ate dallo Spirito Santo.
P oiché lo Spirito Santo abita in noi con la grazia e la
carità, ne segue che colui il quale ha la carità possiede
lo Spirito Santo con i suoi doni. Q u in di i doni sono
connessi con la carità, com e le virtù m orali sono con ­
nesse con la prudenza. N o n è possibile, senza la cari­
tà, possedere i doni dello Spirito Santo né, con essa,
perderli.

9. Relazione dei doni con le virtù teologali e morali.


87. S. T om m aso esamina queste relazioni n ell’art.
8, d ove si dom anda se sono da preferirsi le virtù ai
doni.
Il Santo risponde distinguendo. I doni sono p iù
perfetti delle virtù intellettuali e m orali, però le virtù
teologali sono più perfette dei doni.
I doni stanno alle v irtù teologali — m ediante le
quali l ’uom o si unisce allo Spirito Santo com e princi­
pio m otore — com e le v irtù m orali stanno alle intel­
lettuali, m ediante le quali si perfeziona la ragione, prin­
cipio m otore delle v irtù m orali. D i conseguenza, com e
le virtù intellettuali sono più perfette delle m orali, che
regg on o e govern an o, cosi le virtù teologali sono più
perfette dei doni dello Spirito, che regolan o 100. M a
se confrontiam o i doni con le altre virtù , intellettuali
e m orali, i doni sono più perfetti, giacché perfezionan o
le facoltà dell’anima onde abbiano a seguire l ’im pulso
dello S p irito Santo, m entre le v irtù perezionano la

100 Cf. 1 -11 , 6 8 , a.4 ad 3.


194 l ’RINCIl'I FONDA.MINIALI

ra g io n e u m an a o le altre fa co ltà p e r c h é ab b ian o a se­


g u ire l ’im p u ls o d ella stessa ra g io n e . È e v id e n te che a
p rin cip io m o to re p iù p e rfe tto c o rr is p o n d o n o d isp o si­
z io n i p iù p erfe tte n e ll’essere ch e v ie n e m o sso lo1.
D a q u e sto a rtic o lo d o b b ia m o m ettere in evid en za:
a) I d o n i so n o p e r le v ir t ù te o lo g a li q u e l ch e le v ir ­
tù m o ra li so n o p er le v ir t ù in te llettu a li.
b) L e v ir tù te o lo g a li so n o p iù p erfe tte dei d o n i
p e rch é h an n o p e r o g g e t t o im m e d ia to D io , m en tre i
d o n i si rife ris c o n o u n ica m en te alla d o cilità n el seg u ire
le isp ira zio n i d e llo S p irito S an to . T u tta v ia i d o n i so ­
n o d i gra n lu n g a s u p erio ri alle v ir t ù in te llettu a li e
m o ra li, p e rch é c o n q u e lli fa cc ia m o re g o la d elle n ostre
a zio n i lo S p irito S a n to , c o n q u e ste la n ostra ra gio n e.
c) M e d ian te i d o n i le fa c o ltà d e ll’an im a rim a n g o n o
p erfettam en te p rep a ra te e d isp o ste a se g u ire g li im p u l­
si d ello S p irito Santo.
d) L e v ir t ù in te llettu a li e m o ra li p re c e d o n o i don i
q u a n to a ll’ o rig in e o d isp o siz io n e , p e rch é , u n a v o lta
che è b e n d isp o sto a se g u ire il d etta m e d e lla ra g io n e ,
l ’ u o m o si p rep a ra e si d isp o n e a ric e v e re la m o z io n e
d iv in a dei d o n i.

1 0 . R e la z io n e d e i d o n i c o n i f r u t t i d e llo S p ir ito S u n ­
to e co n le b e a t it u d i n i e v a n g e lic h e .

S. T o m m a so si o c c u p a a lu n g o delle b e atitu d in i
e v a n g e lich e e dei fru tti d e llo S p irito S a n to n elle due
q u e stio n i che se g u o n o q u ella dei d o n i lo2. N o i ci
lim iterem o ad alcu n e in d ica z io n i so m m a rie, app en a
sufficien ti p er il n o stro stu d io .

101 1-11,68,8.
101 C f . 1 -11,6 9 e 70,
NATURA DELLA VITA SOPRANNATURALE 195

i. I fru tti dello Spirito Santo.

88. Q uand o l ’anima corrisponde docilm ente al­


la m ozione interiore dello Spirito Santo, prod u ce
degli atti di v irtù che si posson o paragonare ai fru t­
ti di un albero. N o n tutti g li atti che proced on o dalla
grazia m eritano l ’appellativo di fru tti, ma unicam ente
quelli che com portano una certa soavità e dolcezza.
Sono gli atti che procedon o dai doni dello Spirito
Santo lo3. D ice S. T om m aso con un lin g u ag g io che
si fa poetico:
«O pera igitur nostra inquantum sunt effectus quidam Spi-
ritus Sancti in nobis operantis habent rationem fructus:
sed inquantum ordinantur ad finem vitae aeternae, sic magis
habent rationem florum. Unde dicitur (Eccli. 24,23): " F lo ­
res mei fructus honoris et honestatis” » IO<.

Si distinguono dai doni com e il fru tto si distingue


dal ram o e l ’effetto dalla causa. Si distin guon o anche
dalle beatitudini per il grado di perfezione: queste
ultime sono più perfette dei frutti. P erché tutte 1;
beatitudini sono frutti, ma n on tutti i fru tti sono bea­
titudini lo5.
I frutti dicono totale opposizione alle opere del­
la carne: la carne inclina ai beni sensibili che sono
inferiori aH’uom o; lo Spirito Santo ci m u ove a ciò che
è sopra di noi lo6.
Q uanto al num ero, la V o lg a ta ne ricorda dodici. 107
Però nel testo paolino originale ne sono riportati

103 Benché non esclusivamente. Possono procedere anche dalle v irtù .


Secondo S. Tom m aso, sono frutti dello Spirito Santo tutti quegli atti v ir­
tuosi nei quali l ’anima trova consolazione spirituale: « Sunt enim fructus
quaecumque virtuosa opera, in quibus hom o delectatur » (1-11,70,2).
104 I -I I ,7 o ,i ad 1.
10 5 1-11,70,2.
106 1-11,70,4.
I0 7 G a l.5,22-23: « Fructus autem Spiritus est: caritas, gaudium , pax
196 PRINCIPI FONDAMENTALI

soltanto nove: am ore, gioia, pace, longanim ità, beni­


gnità, bontà, fede, m itezza, continenza. Secondo j
S. Tom m aso e S. A g o s t i n o 108, la deficienza è dovuta
al fatto che n on era intenzione d ell’apostolo enum erarli :
tutti; egli vo lle unicam ente m ostrare a titolo d’esem pio
quali frutti p rod u con o le opere della carne e quali
le opere dello Spirito. T u ttavia, agg iu n g e S. Tom m aso,
tutti gli atti dei doni e delle v irtù posson o, in qualche
m odo, ricondursi ai fru tti enum erati dall’apostolo ,09. ;

2. L e beatitudini evangeliche
89. A n cora p iù perfette dei frutti sono le beati­
tudini evangeliche. Esse rappresentano il punto cui- ■
minante e il coronam ento definitivo, sulla terra, di
tutta la vita cristiana.
C om e i frutti, le beatitudini non sono abiti, ma
atti 110 . C om e i frutti, proced on o dalle virtù e dai
doni n l. P erò sono atti tanto perfetti, che van no at­
tribuiti più ai doni che alle v irtù lla. A m o tiv o delle ‘
ricom pense ineffabili che le accom pagnano costituì- ;
scono già in questa v ita com e u n anticipo della felicità
eterna 118.
N e l discorso della m ontagna, N o stro Signore le
riduce ad otto: p o vertà di spirito, m ansuetudine, la­
crim e, fam e e sete di giustizia, m isericordia, purezza
di cuore, pace e persecuzione a causa della giustizia 1U. :

patientia, benignitas, bom tas, longanim itas, mansuetudo, fides, modestia,


continentia, castitas ». t
ios 1-11,70,3 ad 4 ;c f, art. 4 c. i
I 0 9 1-11,70,3 ad 4.
1-11,69,1.
111 1-11,69,1 ad 1.
113 1-11,70,2: « Sed beatitudines dicuntur solum perfecia opera: quae
etiam ratione suae perfectionis, m agis atttibuuntur donis quam virtuti- l
bus » (cf. 69,1 ad 1).
” 3 I-II 69,2
“ 4 Mat. 5,3-10.
NATURA DELLA VITA SOPRANNATURALE 197
Possiam o dire che si tratta di un num ero sim bolico
che non conosce lim iti. S. T om m aso dedica due ar­
tico li all’esposizione di queste o tto beatitudini e dei
prem i corrispondenti 115.
R iportiam o, schem aticam ente, la relazione che in­
tercorre tra le v irtù infuse, i doni dello Spirito Santo
e le beatitudini evangeliche, sem pre secondo la dottrina
di S. T om m aso 116.
V irtù D on i Beatitudini

Carità Sapienza I pacifici.


Teologali I Intelletto I puri di cuore,
Fede
(circa il fine) j Scienza Q uelli che piangono.
Speranza T im ore I p overi di spirito.
Prudenza Consiglio I misericordiosi.
G iustizia Pietà I mansueti.
Morali Fortezza Fortezza G li affamati e as­
(circa i mezzi) setati di giustizia.
Tem peranza Tim ore
(second.) I poveri di spirito.
N ello specchietto non figura l’ottava beatitudine — per­
secuzione a causa della giustizia — perché, essendo la più per­
fetta, contiene e abbraccia tutte le altre « 7 .

11. Durata dei doni.

9 0 . 1 doni term inano in questa vita o perdurano


anche n ell’altra ?
S. Tom m aso risponde distinguendo. Considerati
nella loro essenza, cioè, in quanto perfezionano le facol­
tà dell’ anima a seguire le m ozion i dello Spirito Santo,
i doni rim arranno in cielo in una form a perfettissim a
giacché allora saremo perfettam ente docili alle m o­
zio n i dello Spirito Santo e « D io sarà tutto in tutti »,

*■5 c f . 1-11,69,3 e 4.
116 Cf. 1-11,68-69; 11-11,8,9,19,45,52,121,139,141 ad 3.
I J7 n-11,69,3 ad 5.
198 PRINCIPI FONDAMENTALI

co m e d ice S. P a o lo lls. C o n sid e ra ti in v e c e n el lo r o


o g g e t t o m a teria le, cessera n n o in p arte, p e rc h é in cie lo
n o n esisterà p iù tale o g g e t t o , n é a v r e b b e m o tiv o di
essere. I l d o n o d el tim o re , p er e se m p io , si rid urrà
al tim o re riverenziale din an zi alla g ra n d e zz a e im m en sità
di D io ; e la stessa co sa , tnutatis mutandis, a v v e r rà d e g li
altri d o n i p e r q u e l ch e co n c e rn e la m ateria c o rr is p o n ­
den te alla vita attiva, ch e cesserà p e r sem p re in cie­
lo 119.
N o tia m o ancora:
1. L ’u o m o è m o sso ta n to p iù p erfe ttam e n te dai
d o n i, q u a n to p iù p erfe tta m e n te si s o tto m e tte a D io .
In p a ra d iso sarem o m o ssi in m o d o p e rfe ttissim o da
essi, p e r c h é starem o so tto m e ssi in m o d o p erfe ttissim o
a D io .
2. L a v ita a ttiv a term in a c o n la v it a p resen te 12°.
P e r cu i, le o p e re d ella v ita a ttiv a n o n fo rm e ra n n o
in cie lo m ateria dei d o n i, p erò essi co n se rv e ra n n o
i lo r o atti risp e tto alla v ita co n te m p la tiv a 121.

T e rm in a co si il n o s tro stu d io sui d o n i in ge n era le .


P rim a , p e r ò , d i ca m b iare a rg o m e n to v o g lia m o e sp o rre
in un a b re v e sintesi tu tto q u e llo ch e in se g n a S. T o m ­
m aso n ella Somma Teologica.

12. Sintesi della dottrina di S. Tommaso sui doni.

91. I d o n i d e llo S p irito San to s o n o sette (art. 4)


a b iti so p ran n atu rali (a rt.3), realm en te d istin ti dalle
v ir tù ( a r t .i) , co n i q u a li l ’u o m o si d isp o n e c o n v e n ie n ­

118 iC o r . 15,28: « ...u t sit D eus om nia in o m n ib u s».


I ! 9 1 -1 1 , 6 8 , 6 .
110 1-11,68,6 o b i.3.
121 I 11,68,6 ad 3.
NATURA DELLA VITA SOPRANNATURALE 199
tem en te a se g u ire in m o d o p ro n to , d ire tto , im m e d ia to
e su p erio re alle sem p lici p o ss ib ilità u m an e, l’isp irazio n e
d e llo S p irito San to ( a r t.i; art. 2 ad 1) e in o rd in e ad
u n o g g e t t o o fine ch e le v ir tù (hic et nunc) n o n p o ss o ­
n o p er sé so le r a g g iu n g e re (a r t.2), m o tiv o p e r cui
so n o n ecessari p e r la sa lv ezza (iv i). S o n o p iù p erfe tti
delle v ir tù in te lle ttu a li e m o ra li, m a n o n tan to q u a n to
le te o lo g a li, dalle q u a li d e riv a n o (art.4 ad 3) e dalle
quali so n o re g o la ti (art.8). S o n o co n n essi tra di lo ro
e co n la carità in m o d o tale ch e c o lu i il q u a le v iv e
n ella carità li p o ssie d e tu tti e ch i n o n ha la ca rità n on
ne p o ssie d e a lcu n o (art. 5); p e rd u rera n n o in p arad iso
in g ra d o p e rfe ttissim o (art. 6). I d o n i d ella sapienza
e d e ll’in te lle tto so n o i p iù p erfe tti; g li altri si p o ss o n o
ca ta lo g a re in d iv erse m aniere se c o n d o ch e si c o n s id e ­
ran o i lo r o atti o il lo r o o g g e t t o m ateriale (a rt.7). 11
p e rfe tto re g im e dei d o n i si ha q u a n d o l ’an im a si so t­
to m e tte in m o d o a b itu ale e p e r fe tto a D io (a rt.6).
I d o n i p ro d u c o n o ce rti atti sq u isiti, ch ia m a ti fru tti
d e llo S p irito S an to (q.70 ), e ce rte o p ere, p iù p e rfe t­
te a n co ra, ch e c o rr is p o n d o n o alle b e a titu d in i e v a n g e li­
che (q.69).

L o studio dettagliato di ogn u n o dei doni in par­


ticolare lo riserviam o per la terza parte di quest’ opera
con un orientam ento più pratico e vitale. C i basti
per ora notare che con essi rim ane com pletato l ’orga­
nismo della vita soprannaturale: ess' sono gli ultimi
abiti che ve n g o n o infusi n ell’anima. N e ll’ organism o
soprannaturale, la grazia santificante rappresenta il prin­
cipio e la base; le virtù infuse, le potenze; e i doni del­
lo Spirito Santo, gli strum enti di perfezione nella mano
del Suprem o A rtefice. Per possedere una visione to­
tale del m eraviglioso com plesso della nostra vita so ­
200 PRINCIPI FONDAMENTALI

prannaturale ci rimane da dare uno sguardo al prin­


cipio attivo che pone in m ovim ento questo organism o
— la grazia attuale — e penetrare nel Sancta sane-
torum, cioè nel più p rofon d o della nostra anima, per
cadere in gin occh io davanti all’augusta presenza del­
la SS. Trinità, principio e coronam ento di tutta la
vita soprannaturale.

A rtic o lo III

L e grafie attuali

Trattando delle grazie attuali non ci addentreremo


nelle questioni controverse, quali la loro natura e il m odo
di operare, che dividono da secoli le scuole teologiche.
Ci limiteremo a dare quelle indicazioni sommarie che in­
teressano più da vicino la T eologia mistica.
Esporrem o per ordine: la natura, la necessità, la divisio­
ne e le funzioni delle grazie attuali.

92. i. Natura. - L e grazie attuali possono ven ir


considerate com e dei doni che « dispongono o m u ovon o
alla maniera di una qualità transitoria a operare o
ricevere qualche cosa in ordine alla vita eterna ». O r­
dinate per lo ro stessa natura agli abiti infusi, servo n o
a disporre l’anim a a riceverli quando ancora ne fosse
sp rovvista o a m etterli in atto quando già li possedes­
se.
Sono ricevute nelle poten ze delPanima, che ele­
van o alcune v o lte a com piere atti soprannaturali in­
deliberati — grazia operante — e altre vo lte atti deliberati
— grazia cooperante.
N o n si possono ridurre a nessuna specie determ ina­
ta, giacché si tratta di qualità transitorie com unicate
da D io e im presse nelle potenze dell’anima a m od o
di m ovim enti o di passioni. Si suole riportarle in ogn i
NATURA DELLA VITA SOPRANNATURALE 201
ca so alla sp ecie d e ll’a b ito o d e ll’a tto a l q u a le m u o ­
v o n o (p er es.: alla fe d e o alla sp eran za, e cc.).
D a q u e ste n o z io n i è fa cile rile v a re le p rin cip a li
d ifferen ze esisten ti tra le g ra z ie abituali e le attuali.
1) L e g r a fie abituali (g ra zia san tifican te, v ir t ù in ­
fu se e d o n i d ello S p irito S an to ) s o n o q u a lità permanenti
(abiti) ch e p r o d u c o n o il lo r o e ffe tto in un a m aniera
c o n tin u a e in d e fe ttib ile nel s o g g e tto n el q u a le ris ie d o n o
( l’essenza d e ll’an im a o le sue p o te n ze ). L e g ra z ie at­
tu a li, in v e c e , so n o m o z io n i p a s s e g g e re il cu i e ffe tto
finale m o lte v o lte v ie n e fru stra to .
2) L e g ra zie abituali si lim ita n o a disporre a ll’a zio n e
(in m o d o ra d ica le o p ro ssim am e n te , s e co n d o ch e si
tratta d ella g ra zia v e ra e p ro p ria o d elle v ir t ù e dei
d o n i). L e attuali, al c o n tra rio , producono l ’a zio n e.
3) L e v ir tù e i d o n i h a n n o u n d o m in io lim ita to
e si e ste n d o n o a d eterm in a te p o te n z e , a d e te rm in a ti
o g g e t t i e o p e ra z io n i. L e g r a z ie attuali, in v e c e , a b b ra c­
cia n o tu tta la v ita so p ran n atu rale e tu tte le sue o p e r a z io ­
n i.
93. 2. N e c e s s ità . - L e grazie attuali so n o assolu­
tamente necessarie n e ll’ o rd in e so p ran n atu rale d in am ico .
È im p o ss ib ile ch e lo s fo r z o p u ra m e n te n atu rale d el­
l ’anim a p o ssa m ettere in e se rciz io g li a b iti in fu si,
d a l m o m e n to che l ’ o rd in e n atu rale n o n p u ò d eter­
m in are le o p e ra zio n i so p ran n atu rali. N e p p u r e è p o s ­
sib ile ch e q u e sti a b iti p o ssa n o a ttu a rsi p er se stessi,
p e r c h é u n a b ito n o n p u ò p assare a ll’a tto ss n o n in v ir tù
e m e d ian te l ’a zio n e d e ll’a g en te c h e lo causò ; e, tra tta n ­
d o s i d i a b iti in fu si, s o lta n to Id d io ch e li p ro d u sse p u ò
m e tte rli in e se rcizio . L ’a zio n e d i D io , q u in d i, è n eces-
ria co m e p u ò esserlo in m etafisica l ’in flu sso di u n es­
sere in atto p e r c h é u n a p o te n z a p o ssa a g ire . A sso lu ta -
m en te p a rla n d o , D io p o tr e b b e sv ilu p p a re e p e r fe z io ­
n are la g ra zia san tifican te, in fu sa n ell’ essen za della n o ­
2 02 PRINCIPI FONDAMENTALI

stra anim a, se rv e n d o si u n ica m en te d elle g ra zie attua­


li, sen za in fo n d e re n elle p o te n z e n essun a b ito so p ran ­
naturale o p e r a tiv o x. M a n o n p o tr e b b e sv ilu p p a rla
sen za le g ra z ie attuali anch e n e ll’ip o te s i ch e ci d o tas­
se di o g n i so rta di a b iti o p e r a tiv i in fu si, g ia c c h é tali
a b iti n o n p o tr e b b e r o m ai passare a ll’a tto senza un a
p re v ia m o z io n e d iv in a , che n e ll’o rd in e so pran n atu rale
è rap p resen tata dalla grafia attuale.
O g n i a tto di v ir tù in fu sa e o g n i a ttu a zio n e dei d o n i
d e llo S p irito San to su p p o n e, di c o n se g u e n za , un a p re ­
v ia g ra zia attu ale che ha p o sto in m o to questa v ir tù
o d o n o 2. E la g ra zia attu ale n o n èa ltro ch e l ’in flu s­
so d iv in o il q u a le h a m o s s o q u e sto a b ito a ll’o p e ra z io ­
ne.

94. 3. Divisione. - I te o lo g i h an n o in tr o d o t­
to p e r le grazie attuali va rie d iv isio n i.
1) Grazia operante e grazia cooperante. La prima è la gra­
zia nella quale il m ovim ento si attribuisce a D io solo: la
nostra anima è mossa, ma non muove. La grazia cooperante si
ha quando la nostra anima è mossa e muove a sua volta. Cosi
parlano S. Tom m aso e S. A gostin o t
^ j
1 A b b ia m o , però, rip etu to p iù v o lte — segu en do S. T o m m a so — che '
ciò sarebbe innaturale e v io len to . Parliamo ora della potenza assoluta di D io , ì
n o n di qu ello che di fatto ha realizzato nelle nostre anime.
2 A n ch e se non ogni grazia attuale produce infallibilmente un atto di
virtù. Potrebbe trattarsi dì una grazia sufficiente alla quale l’uom o resiste. f
3 I-II, i i i ,2: « In ilio ergo effectu in quo mens nostra est mota et non
movens, solus autem D eus m ovcns, operatio D eo attribuitur: et secundum
hoc dicitur gratia operans. In ilio autem effectu in quo mens nostra et mo- t
vet et movetur, operatio non solum attribuitur D eo , sed etiam animae: et
secundum h oc dicitur gratia cooperans ».
Sant’A gostin o cosi esprime lo stesso pensiero: « Cooperando (Deus)
in nobis perficit quod operando incipit; quoniam ipse, ut velimus, operatur
incipiens, qui volentìbus cooperatur perfìciens... U t ergo velim us, sine nobis
operatur, cum autem volum us, et sic volum us ut faciamus, nobiscum coopera­
tur» (cf. D e gratia et Ubero arbitrio c . i j : M L 44,901).
Questa divisione, fondam entale, ha una grande im portanza in ascetica
C mistica. La grazia cooperante è propria delle virtù infuse; l’anima ha coscien-
NATURA DELLA VITA SOPRANNATURALE 203

2) Grazia eccitante e grazia ad'uwante. La prima ci spinge


all’opera quando siamo inattivi, la seconda ci aiuta a realiz­
zarla.
3) G razia preveniente, concomitante, susseguente. La
prima precede l ’atto dell’uom o m ovendo o disponendo la
volontà a volere. La seconda accompagna l’atto dell’uom o
concorrendo con lui ad uno stesso effetto. L a terza si dice
in relazione a un effetto anteriore prodotto da un’altra gra­
zia 4.
4) G razia interna e grazia esterna. La prima aiuta intrinseca­
mente la potenza e concorre formalmente alla produzione
dell’atto. La seconda influisce soltanto esteriormente, m o­
vendo la potenza per m ezzo degli oggetti che la circonda­
no (per es.: con gli esempi di Cristo o dei santi).
5) G razia sufficiente e grafia efficace. L a sufficiente ci sol­
lecita ad operare; l’efficace produce infallibilmente l’atto.
Senza la prima non possiamo operare, con la seconda ope­
riamo in m odo libero, ma infallibile. L a prima ci lascia sen­
za scusa davanti a D io , la seconda è un effetto della sua
infinita misericordia 5.

Com e si vede, tutti questi gru pp i posson o ridursi


con facilità a quello delle grazie operanti e cooperan­
ti. Infatti, le grazie eccitanti e prevenienti sono in real­
tà grazie operanti, le adiuvanti e susseguenti coincidon o
con le cooperanti, e le grazie sufficienti ed efficaci
si riducono alle une o alle altre, secondo i casi. Sono
tutte qualità passeggere che m u ovon o le potenze del­
l’anima agli atti soprannaturali indeliberati o delibe­
rati.

95 . 4. F u n z io n i. - Le grazie attuali hanno un


triplice com pito: disporre l ’anima a ricevere g li abiti
infusi, attuarli e im pedirne la perdita.

za di muovere se stessa, co n l’ aiuto d i D io , verso questi a tti di virtù . In vece,


operante, che è propria dei d o n i e contiene emi -
so tto l ’ in flu sso della grazia
nenter le grazie cooperanti, l’anim a si sente mossa da D io , e ad essa non ri­
m ane che lasciarsi condurre da L u i. D a q u i la relativa passività, caratteri­
stica dello stato m istico.
4 1-11,111,3.
; S a lm a n t ic e n s e s , D e .gratin d.5, n.180.
204 PRINCIPI FONDAMENTALI

In prim o lu o g o d ispon gon o l ’anima a ricevere


g li abiti infusi, quando ne fosse p riva o perché n on li
ha mai posseduti o perch é li ha persi colpevolm ente.
L a grazia attuale porta con sé, in questo caso, il penti­
m ento delle proprie colpe, il tim ore del castigo, la fi­
ducia nella divina m isericordia, ecc.
In secondo lu o g o servono per attuarli quando si
p o sseg go n o già in unione con la grazia abituale o sen­
za di essa (fede e speranza inform i). Q uesta attuazione,
supposta l ’unione con la grazia abituale, porta al per­
fezionam ento degli abiti infusi e, di conseguenza, alla
crescita e allo svilup po di tutta la vita soprannaturale.
Infine, la terza fun zione della grazia attuale è quel­
la di im pedire la perdita degli abiti infusi per m ezzo
del peccato m ortale. Rafforza la vo lo n tà contro le ten­
tazioni, manifesta i pericoli, am m ortisce le passioni,
ispira buoni pensieri, ecc.
L a grazia attuale è di un valore inestim abile. A
rigore, essa conferisce efficacia alla grazia abituale,
alle virtù e ai doni e pone in m ovim ento l ’organism o
della nostra vita divina.

A rtic o lo I V

Uinabita\ione della SS. Trinità nell’ anima

Esam inerem o: l ’esistenza, la natura e il fine dell’i-


nabitazione divina nelle nostre anime.

96. i . E s is t e n z a . - L ’inabitazione della SS. T r i­


nità n ell’anima del giu sto è una delle verità p iù chia­
ramente rivelate nel N u o v o Testam ento 1. C on una in ­

1 Benché nell’Antico Testamento si possano trovare alcune tracce


del mistero trinitario — soprattutto nella dottrina dello « Spirito di Dio »
N ATURA DELLA VITA SOPRANNATURALE 205

sistenza che lascia com prendere tutta l ’im portanza


del m istero, il sacro testo si richiam a ripetutam ente a
questa realtà.
« Se uno m i ama osserverà la mia parola, e il Padre mio
lo amerà, e verrem o a lui, e dim orerem o in lui » (G iov.
14,23).
« D io è carità, e colui che vive nella carità rimane in D io
e D io in lu i» (iG io v . 4,16).
« N o n sapete che v o i siete il tem pio di D io , e che lo
Spirito di D io dimora in v o i? O ra se alcuno distrugge il
tempio di D io , D io distruggerà lui: perché è santo il tempio
di D io ; e questo tempio siete v o i» (iC o r. 3,16-17).
« O non sapete che il nostro corpo è tem pio dello Spi­
rito Santo, che è in vo i, che avete da D io , e che v o i non
vi appartenete?» (iC o r. 6,19).
« N o i siamo il tem pio del D io viven te» (2Cor. 6,16).
« Custodisci il buon deposito con la virtù dello Spi­
rito Santo* che abita in noi » (2Tim. 1,14).

L a Sacra Scrittura si serve di form u le diverse per


esprim ere la medesima verità che D io abita n ell’ani-
ma in grazia. Si attribuisce, di preferenza, tale inabi­
tazione allo Spirito Santo, n on perch é sia possibile
una presenza speciale dello Spirito Santo n on com une
al Padre e al F iglio 2, ma per appropriazione, p o ich é
essa è la grande opera deU’am or di D io verso l ’u o­
m o e lo Spirito Santo è l ’am ore essenziale nel seno
della SS. Trinità.
I Santi Padri, S. A g o stin o soprattutto, hanno delle
pagine stupende a com m ento del fatto ineffabile della
divina inabitazione n ell’anima del giusto.

e della « Sapienza » — tu ttavia, la piena rivelazione d e l m istero della v ita


intim a d i D io è stata riservata al N u o v o Testam ento.
z C o si ritennero alcuni teo lo g i, co m e L essio , Petau, T o m assin o , Schee-
ben, ecc.; però la stragrande m aggioran za, sulla scorta dei dati della fede
e della dottrina della Chiesa (D enz. 281,703), sostiene la dottrina co n tra­
ria. C f. T errien , L a gràce et la gioire 1 .6 c.6 e append. 5; F r o g e t , D e Vha-
bitation du Saint E s p r it datts les àmes justes append. pp. 442S; G altier ,
V babitation en nous des Trois Persom es R o m a , 1950, p . i , c.x.
206 PRINCIPI FONDAMENTALI

97. 2. N a tu ra . - I teologi m olto hanno discusso e


scritto sulla natura della inabitazione delle divine per­
sone nell’anima del giusto. R iportiam o alcune opinio­
ni:
1) La inabitazione consiste formalmente in una unio­
ne fisica e am ichevole tra D io e l’uom o realizzata dalla gra­
zia, in virtù della quale D io , uno e trino, si dà all’anima e
abita personalmente e sostanzialmente in essa, facendola par­
tecipe della sua vita divina.
Il P. Galtier, uno dei più fervidi sostenitori di questa
dottrina, afferma che la grazia è come un sigillo in una ma­
teria fluida. Com e è indispensabile per la permanenza del­
l’impronta nella materia fluida la costante applicazione del si­
gillo, perché diversamente scomparirebbe l’impronta, cosi
per conservare la grazia nell’anima — che è com e l ’impronta
assimilativa dell’anima alla divina natura — • è necessario
che rimanga sempre questa divina natura fisicamente pre­
sente 3.
Questa interpretazione è respinta da m olti, in quanto
non sembra trascendere la presenza ordinaria che D io eser­
cita potenzialmente in tutte le cose create.
2) A ltri teologi, a partire dal sec. X I V , interpretarono il
pensiero dell’A n gelico come se avesse posto la causa fo r­
male dell’inabitazione solo nella conoscenza e nell’amore
soprannaturale, indipendentemente dalla presenza di immen­
sità; in altri termini: nella sola presenza intenzionale. Suarez
ha voluto completare questa dottrina con quella dell’amici­
zia soprannaturale, stabilita tra D io e l’anima dalla carità.
Questa amicizia reclama ed esige, secondo lui, la presenza
reale — non solo intenzionale — di D io nell’anima, il quale
vi verrebbe veramente anche nell’ipotesi che non vi dim o­
rasse già per nessun altro titolo/*.
La spiegazione di Suarez ha lasciato insoddisfatti la
m aggior parte dei teologi; non si comprende come l’ami­
cizia, che appartiene all’ordine affettivo, abbia il potere di
rendere formalmente presenti le divine Persone. L ’amore in
quanto tale non può rendere fisicamente presente l ’amato,
appartenendo all’ordine puramente intenzionale.
3) Un gruppo della scuola tomista, a partire da

3 C f. P. G a l t ie r , L'habitation en nons des Trois Persomes, p a g . 217-240.


4 Cf. S u a r e z , D e Trìnitate, 12,5,13.
NATURA UEI.I.A VITA SOPRANNATURALE 207

Giovanni di S. Tom m aso 5, interpreta l ’A ngelico nel senso


che, supposta la presenza di immensità, la grazia santifi­
cante, con le sue operazioni intellettive ed affettive deri­
vanti dalla fede e dalla carità, è la causa formale dell’inabi-
tazione delle divine Persone nell’anima del giusto. La cono­
scenza e l ’amore non costituiscono la presenza di D io
in noi, ma questa presupposta a m otivo della presenza di
immensità, la presenza speciale delle Persone divine consiste
nella loro conoscenza e nel loro amore soprannaturale, o v ­
vero nelle operazioni provenienti dalla grazia.
Questa teoria è m olto più soddisfacente della preceden­
te, ma pare che urti contro una difficoltà insormontabile.
Se le operazioni di conoscenza e di amore derivanti dalla
grazia santificante fossero la causa formale dell’inabitazio-
ne trinitaria, si dovrebbe negare l’inabitazione nei bambini
battezzati prima dell’uso di ragione, nei giusti addormentati
o anche solo distratti e in ogn i anima santa che cessasse
di pensare e di amare, in un dato momento, le divine Perso­
ne. I suoi sostenitori rispondono dicendo che anche in
questi casi si darebbe una certa presenza stabile della T ri­
nità per via del possesso degli abiti soprannaturali della fe­
de e della carità, capaci di produrre questa presenza. La ri­
sposta, però, non soddisfa pienamente, giacché il possesso
di questi abiti soprannaturali ci darebbe unicamente la fa­
coltà o il potere di produrre l’inabitazione riducendoli
all’atto, ma sarebbe sempre vero che nel frattempo non
avremmo inabitazione propriamente detta.
4. A ltri ancora 6, per spiegare adeguatamente il fatto
della divina inabitazione, sono propensi ad unire la prima
e la terza delle teorie menzionate. Secondo costoro, le per­
sone divine si rendono presenti in qualche m odo per mez­
zo della infusione e della conservazione della grazia santi­
ficante, giacché questa grazia ci dà una vera partecipazione,
fisica e formale, alla natura divina in quanto tale — cosa che
non avviene nella creazione e nella conservazione delle cose
puramenti naturali — e, per lo stesso m otivo, ci fa parte­
cipare al mistero della vita intima di D io, anche rispettando
il principio teologico certissimo che nelle operazioni ad
extra D io opera come uno e non come trino. Essendo già
in qualche m odo la Trinità presente nell’anima per mezzo

: C f. I o a n n e s A S. T h o m a , C urili! tbeologicia in I. q.43 d .1 7 .


6 C f. G o n z a l e s , D e gratta n.229 in « S acrae T h e o lo g ia e S u m m a »,
v o i.3, B .A .C ., M ad rid , 1950, p p . 550.
208 PRINCIPI FONDAMENTALI

della grazia, il giusto entra in contatto con essa mediante gli


atti di conoscenza e di amore che sgorgano dalla stessa
grazia. Con la produzione della grazia, D io si unisce all’a­
nima come principio; con gli atti conoscitivi ed affettivi,
l’anima si unisce alle divine Persone come termine di queste
operazioni. L ’inabitazione trinitaria è, quindi, un fatto on­
tologico e psicologico: ontologico, per la produzione e conserva­
zione della grazia; psicologico, per la conoscenza e l ’amore
soprannaturale.

L e op inion i sono m olte, e forse nessuna di esse ci


fornisce una spiegazione del tu tto soddisfacente del
m odo m isterioso con cui si realizza la presenza reale
delle divine Persone n ell’anima del giusto. In ogn i
caso, per la vita di pietà e il progresso nella perfe­
zione, più che il modo con cui si realizza, interessa il fatto
d ell’inabitazione, sul quale tutti indistintam ente con ­
cordano i te o lo gi cattolici.

98 . 3. F in e . - L ’argom ento che stiamo per af


frontare è m olto interessante, d’im portanza straordi­
naria nella vita di pietà e ricco di conseguenze per la
T eo lo g ia m istica ’ .
T re sono i fini principali delPinabitazione della
SS. Trin ità n ell’anima giustificata: 1) farci partecipi
della vita divina; 2) costituirsi principio e regola dei
nostri atti; 3) costituirsi o g ge tto fru itivo di u n ’ineffa­
bile esperienza.

1. La SS. Trinità, inabitando nelle nostre anime,


ci fa partecipare alla sua vita intima.

D icen d o che D io dim ora nelle nostre anime co­


me in un tempio, esprim iam o una verità che trova il suo

7 Per redigere questa sezione ci ispiriam o principalm ente alla dottrina


d ell’A q u in ate e allo stu dio d el P. M e n é n d e z - R e i G a d a , Los dones del E sp i­

riti* Santo y la perfección cristiana c . i nota B , da cu i riportiam o talvo l a alla


lettera.
NATURA DELLA VITA SOPRANNATURALE 209
fondam ento in due noti testi di S. P aolo 8; però dobbia
m o guardarci dalPim m aginare la presenza di D io in
noi com e quella di Cristo sacram entato nel tem pio
materiale o nel tabernacolo, cioè, una presenza inerte,
con una relazione puram ente locale rispetto a ciò che
10 circonda. L a presenza di D io nelle nostre anime
mediante la grazia è infinitam ente superiore. Siamo
templi vivi di D io e in una maniera vitale possediam o le
divin e persone.
Per intendere un p o co questo m istero ineffabile
è necessario ricordare che la grazia è com e la « semente
di D io » 9 che ci genera e ci fa nascere ad una nuova
vita, alla vita divina partecipata; per cui non solo ci
chiam iam o ma realmente siamo figli di D io 1o. C on ti­
nuamente il libro ispirato richiam a alla nostra atten­
zione la verità della nostra filiazione divina com e pure
quella dell’inabitazione, con la quale conserva una in ­
scindibile relazione. Che cosa fa D io dim orando nel­
l ’anima ? L e com unica la sua vita divina, la genera
come figlia, dandole una partecipazione alla sua natura
e alla sua vita. Q uesta generazione non avviene, com e
nelle generazioni um ane, m ediante un atto m om enta­
neo, in virtù del quale il figlio com incia ad esistere
e a vivere indipendentem ente dai genitori, ma suppone
un interven to di D io continuato e ininterrotto per tutto
11 tem po in cui l ’anima si conserva nella sua am icizia.
Com e ogn i essere creato ritornerebbe ipso facto nel nul­
la, se il creatore ritirasse da esso per un istante la sua
azione conservatrice u , cosi, se D io cessasse per un m o­
m ento di esercitare il suo influsso n ell’anim a del giusto,
la grazia si estinguerebbe e l ’anima cesserebbe di es­
sere figlia di D io . L ’anima con la grazia riceve conti­

8 C f. iC o r. 3,16-17; e 6,19.
9 Cf. iG io v . 3,9.
10 Cf. iG io v . 3,i.
11 C f. I , i o 4.
210 PRINCIPI FONDAMENTALI

nuamente da D io la sua vita soprannaturale, cosi co ­


me l ’em brione nel seno m aterno riceve ad ogn i istante
la vita della madre e di essa viv e. C risto è ven u to nel
m ondo « perché viviam o per lui », com e dice l ’apostolo
S. G io v a n n i12; e lo stesso C risto ci dice nel V an gelo:
« Sono ven u to perché abbiano la vita, e l ’ abbiano in
abbondanza » 13. O ra si com prende m eglio quel che
v o le va dire S. Paolo con quella sua espressione: « N o n
sono più io che viv o ; è C risto che v iv e in me » 14.
La nostra generazione adottiva ha, quindi, qualche so­
miglianza con la generazione eterna del V erbo nel seno
del Padre e la nostra unione con D io mediante la grazia
rassomiglia in qualche m odo all’unione esistente tra lui e
il Padre tramite lo Spirito Santo. Nessun teologo avrebbe
osato affermare tanto se non ci fossero state conservate le
parole che Cristo pronunziò durante l ’orazione sacerdotale:
« N é soltanto per questi prego; ma anche per quelli che cre­
deranno in me, per la loro parola; affinché siano tutti una
cosa sola, come tu sei in me, o Padre, e io in te; che siano
anch’essi una sola cosa in noi, affinché il m ondo creda che
tu mi hai mandato. E la gloria che tu mi desti, io l’ho data
a loro, affinché siano una sola cosa, come noi siamo una
cosa sola, io in essi e tu in me; affinché siano perfetti nell’u­
nità » 1
Il Figlio è una cosa sola con il Padre per la sua unità di
natura, e noi siamo una cosa sola con D io per la partecipa­
zione fìsica e formale alla sua natura divina mediante la gra­
zia. Il Figlio vive del Padre, e noi viviam o partecipativa-
mente di D io. Fjgli abita nel Padre e il Padre in lui noi
abitiamo in D io e D io in noi ‘ 7.

M ediante la grazia siamo introd otti nella vita tri­


nitaria, che è la vita stessa di D io , e la divinità abita
in noi. Q uesta dim ora è com une alle tre divine Persone,

13 iG io v . 4,9.
G io v. io ,io .
G al. 2,20.
I; G io v. 17,20-23.
16 G io v. 14,10.
iG io v . 4,16.
NATURA DELLA VITA SOPRANNATURALE 211

perché com une è l ’azione con cui ci generano com e


figli.
L e tre divine Persone abitano, quindi, n ell’anima
giustificata in quanto la generano soprannaturalm ente,
la vivifican o con la loro propria vita, la introducon o
con la conoscenza e l ’am ore nella parte più segreta delle
loro intim e relazioni. In essa il Padre genera realm en­
te il F iglio , e dal Padre e dal F iglio procede veram ente
lo Spirito Santo, cosi che si realizza n ell’anima il subli­
me m istero dell’unità trina e della trinità una, che è
la vita stessa di D io.

2. Per la grazia dell’inabitazione, lo Spirito Santo


si unisce all’anima come principio e regola dei
nostri atti.

La vita è essenzialmente m oto, dinam ism o, attività.


Conosciam o l ’esistenza e la natura di una particolare
form a vitale dall’attività ch ’essa svolge. P o ich é la grazia
è una form a divina, deve essere divina anche la sua at­
tuazione; è u n ’intima esigenza della grazia in quanto
partecipazione form ale della medesima natura di D io .
V ivere in atto la vita divina equivale ad operare in
m odo divino.
Q uesto, l’abbiam o visto, è il com pito prop rio dei
doni dello Spiritò Santo. L a ragione umana, illum inata
dalla fede, è un principio di scarsa potenza, una regola
troppo lim itata per operazioni che ci d ebbono far rag­
giungere D io cosi com ’è in se stesso. È vero che le v ir ­
tù teologali hanno com e o g ge tto im m ediato D io com e
esiste in sé; ma esse rim angono sotto l ’influsso della
regola della ragione umana, d evono adattarsi al modo
umano che la ragione im prim e loro e n on possono svi­
luppare pienamente le loro virtualità divine. M ancano
di un clima propizio. Q uesta è la ragione invocata dal
D ottore angelico per provare la necessità dei doni
212 PRINCIPI FONDAMENTALI

dello Spirito Santo, i quali perfezionano le virtù in­


fuse com unicando loro la propria modalità divina e
collocandole nel piano e nel clim a strettam ente sopran­
naturale richiesti dalla natura della grazia e delle virtù
infuse. L a ragione umana, sotto la m ozione dei doni,
più che m uovere è mossa (potius agitur quam agii), e gli
atti che ne risultano saranno m aterialm ente um ani,
form alm ente divini. Solo cosi giu n giam o a vivere in
tutta la sua pienezza la vita divina ricevuta con la gra­
zia.
Dal che si vede come la mozione divina dei doni è
molto diversa da quella che pone in atto le virtù infuse. Nel­
la mozione divina delle virtù spetta all’uomo la piena re­
sponsabilità dell’azione in quanto principio e causa imme­
diata della medesima; e gli atti delle virtù sono totalmente
nostri, perché partono da noi, dalla nostra ragione e dal no­
stro libero arbitrio; l’azione di D io si limita all’influsso della
causa prima. Nei doni, invece, la mozione divina è d’un
genere totalmente diverso: il princìpio unico è D io, che mette
in movimento l’abito dei doni. L ’uomo si limita a ricevere
la mozione divina e ad assecondarla docilmente senza op­
porle resistenza e senza modificarla. Per questo, gli atti che
risultano dai doni sono, in certo modo, divini, cosi come la
melodia che un arpista trae dalla sua arpa, è materialmente
dell’arpa, ma formalmente dell’artista l8. Tutto ciò non di­

18 II p ara gon e s e lv e so lo co m e esem pio e n o n è il caso d i insistere tro p ­


p o nella som iglianza. L ’ u o m o , p er la m o zio n e dei do n i, n o n d ive n ta m ai
u n o strum ento in senso stretto, m a solo in senso lato, in q u anto, cio è , n o n si
m u o v e se n o n è mosso da D io , con servan d o la sua causalità principale se­
co n da. Se si con vertisse in stru m ento strettam ente detto per ciò stesso
l’ a tto dei d o n i cesserebbe d i essere vitale: p erch é è p ro p rio dell’a tto vitale
procedere d a l p rin cipio vitale co n giu n to e p rop rio , e operare p er m e ^ o
della propria form a. M arletta, O .P ., scrive: « Influere vitaliter e t influere in-
sfrumentaliter in v o lv it contradktionm m anifestai». G u m enim influere v itali­
ter im p ortet h o c q u o d est movere seipsum suamque propriam virtutem exercere,
necessario exclud it rationem instru m enti q u o d , cu m deb eat agere praecise
p er virtu tem alterius u t illam sustentans e t deferens, agit quatenus motum,
non quatenus se movens; quia n ihil p o te s t m o v ere seipsum , si careat propria
v irtu te ad m o v en d u m se » (In 1,12 ,5 , c o n tr o v .17 n. 13; citato dal P . R am i-
rez). B iso g n a, quindi, concludere ch e l ’intelletto u m ano elevato dalla grazia
NATURA DELLA VITA SOPRANNATURALE 213

minuisce minimamente il merito dell’anima che asseconda,


con docilità la divina m ozione e aderisce con tutta la forza
del suo libero arbitrio alla m ozione divina, lasciandosi
condurre senza resistenza. D el resto — l’abbiamo già visto
— la passività dell’anima sotto la m ozione dei doni è sol­
tanto relativa., riguarda l ’iniziativa dell’atto; una volta dato
l’avvio, l ’anima reagisce attivamente e vi si associa intensa­
mente, con tutta la forza vitale di cui è capace e con tutta
la pienezza del suo libero arbitrio. In questo m odo si con­
giungono e si completano a vicenda l’iniziativa divina, la
relativa passività dell’anima, la vitale reazione della m ede­
sima, l’esercizio del libero arbitrio e il merito soprannaturale-
dell’azione.
Mediante la m ozione divina dei doni, lo Spirito Santo
che abita nell’anima prende in mano, per cosi dire, le redi­
ni della nostra vita soprannaturale. N on è più la ragione u-
mana che comanda e governa; è lo Spirito Santo che si fa
regola e principio dei nostri atti, mettendo in atto tutto
l ’organism o della nostra vita soprannaturale fino al suo pie­
no sviluppo.

3. P e r V in a b ita zion e n e lle nostre a n im e, la SS. T r i ­


n ità c i costitu isce og getto fr u itiv o d i in effa b ili
esperienze.

T utti i m istici sperim entali affermano di sentire


« nel più profon d o della lo ro anima » 19 l ’augusta pre­
senza della SS. Trin ità che opera in essi in una form a
intensissima. Scrive S. Teresa:
« M i accadeva... di sentirmi invadere d’im p rovviso da
un sentimento cosi v iv o della divina presenza da non p o te r
in alcun m odo dubitare essere D io in me e io in lu i» J0.
« L o stupore dell’anima va ogni giorno più aumentando,
perché le pare che le tre divine Persone non l’abbandonino
più. L e vede risiedere nel suo interno, nella maniera già
detta, e sente la loro divina compagnia nella parte più in ti-

.e i doni dello Spirito Santo concorrono alla produzione dell’atto dei doni
come due cause principali, totali, per sé subordinate (cf. R a m i r e z , D e bominir
beatitudine t.3, n.287).
1!) Cf. S. G i o v a n n i d e l l a C r o c e , Fiam m a , strofa r v. 3.
20 S. T e r e s a , Vita 10,x.
214 PRINCIPI FONDAMENTALI

ma di se stessa, come in un abisso m olto profondo che per


difetto di scienza non sa ben definire » 21.

Potrem m o m oltiplicare senza fine i testi dei m isti­


ci 22. È tanto v iv a ed incon fon d ib ile questa esperienza
divina nelle anime contem plative, che alcune per m ez­
zo di essa giunsero a conoscere il m istero dell’inabita-
zione delle divine persone prim a ancora di averne sen­
tito parlare 23.
In realtà, i m istici non fanno altro che conferm are
con le loro esperienze i p iù elevati insegnam enti della
T eo lo gia . S. Tom m aso, principe dei teo lo gi, giunse
a scrivere nella Somma Teologica queste sorprendenti
parole:
« Per donum gratiae gratium facientis perficitur creatura
rationalis ad hoc quod libere non solum ipso dono creato
utatur sed ut ipsa divina persona fruatur »

N el corp o dello stesso articolo aveva scritto:


« Similiter, illud solum habere dicimur quo libere pos-
sumus uti vel fruì. Habere autem potestatem fruendi divina
persona, est solum secundum gratiam gratum facientem » J5.

E cco in tutta la sua sublim e grandezza il fine più


intim o dell’inabitazione divina nelle nostre anime.
D io stesso, uno nell’essenza e trino nelle persone,
si costituisce o g ge tto di una esperienza ineffabile. L e
divine persone si danno a noi onde abbiamo a godere
di esse, secondo la term inologia del D o tto re angelico.

21 S . T eresa, Settime mansioni 1 ,7 .


22 II P . P o u l a i n n e r ip o r t a u n a l u n g a s e r ie n e l l ’ o p e r a D e lle grafie d'ora­
zione c .5 n n . 2-48.
23 T ale, per esem pio, è il caso della grande m istica dei nostri gio rni,
Sr. E lisabetta della SS. T rin ità, che si sentiva « a b ita t a » senza conoscere
ancora il m istero ineffabile dell’ inabitazione divina. G liela sp ie gò il P . V a l­
lè e , O .P ., ch’ ella in terro gò circa la sua sublim e esperienza (cf. P. P h u - ip o s ,
L a dottrina spirituale di Suor Elisabetta della Trinità c . i n.8 e c.3 n .i) .
2 4 1,43,3
2-; 1,43.3-
NATURA DELLA VITA SOPRANNATURALE 215
Q u a n d o q u e sto p iacere sp erim en tale ra g g iu n g e le sq u i­
sitezze d e ll’u n io n e tra sfo rm an te, le anim e g iu n te a
tali a lte zz e n o n san n o n é v o g lio n o p iù esp rim ersi in
lin g u a g g io terren o ; p re fe ris co n o tacere e gu stare da
so le q u e llo ch e in n essu n m o d o p o tr e b b e ro fa r in ten ­
dere a g li altri. S. G io v a n n i d ella C r o c e dice:
« È impossibile ridire la delicatezza del diletto che si pro­
va in questo tocco l6, né io vorrei parlare di ciò, perché
non si giudichi che sia non più di quello che se ne dice.
Certamente, mancano i vocaboli per nom inare e spiegare
queste cose di D io cosi sublimi come quelle che passano in
certe anime sante: il linguaggio proprio di tali cose è che
chi le ha, le intenda e senta per sé, e le goda facendo... Q uin­
di con tutta verità si può solamente dire: che sa di vita eterna.
Si, quantunque nella vita presente il tocco divino non si
goda perfettamente come nella gloria, tuttavia, essendo
tocco di D io , ha sapore di vita eterna»

È in q u este su b lim i a ltezze ch e l ’anim a esp erim enta


la d iv in a in a b ita zio n e in un a m aniera in effabile. Q u e llo
che l ’ anim a g ià sap eva e c re d e v a p e r fed e, q u i lo sente q u a ­
si co n la v is ta e c o n il ta tto . L o d ice esp ressam en te San­
ta T eresa:
« Ciò che crediamo per fede, ella lo conosce quasi per
vista, benché non con gli occhi del corpo né con quelli
dell’anima, non essendo visione immaginaria. Q ui le tre
persone si comunicano con lei, le parlano e le fanno inten­
dere le parole con cui il Signore disse nel V angelo che egli
con il Padre e con lo Spirito Santo andrà ad abitare nell’a­
nima che lo ama ed osserva i suoi comandamenti (G iov.
14, 23) 18.
Q u e sta co n o sce n za sp erim en tale di D io b e n ch é
so sta n zia lm en te la m ed esim a, è in fin itam e n te su p erio re,
quanto a l modo, a q u ella che p o ssia m o a v e re p e r m e zzo
d ella ra g io n e illu m in a ta dalla fed e . S. T e r e s a esclam a:

26 II Santo parla di « to cch i sostanziali di D io » , espressione suprema e


punto culminante deH’esperienza mistica della divina inabitazione.
2? S. G i o v a n n i d e l l a C r o c e , Fiamma, strofa 2, n. 21.
28 S. T e r e s a , Settime mansioni 1,6.
"216 PRINCIPI FONDAMENTALI

« O Dio! Che differenza udire e credere a queste parole


•dall’intenderne la verità nel m odo che ho detto! » %
i.

L a ra g io n e di q u esta d is u g u a g lia n za tra la c o n o ­


scen za di fed e e la c o n o s ce n za sp erim en tale è m o lto
ch iara. E c c o co m e la esp o n e u n t e o lo g o c o n te m p o ra ­
neo:
« L a conoscenza mistica o sperimentale di D io ha come
o ggetto reale D io stesso, uno nella sostanza e trino nelle
persone, che la fede ci manifesta in m odo ideale. La fede
ci dice che in D io ci sono tre persone distinte in una sola
essenza. Per essa abbiamo una conoscenza soprannaturale
di D io qual è in se stesso, ma tale conoscenza rimane di or­
dine ideale. Quando sopravviene l’esperienza mistica, que­
sto o ggetto ideale si fa palpabile per noi venendosi ad i-
dentificare pienamente il dato della fede e il dato dell’espe­
rienza.
H o in mano una frutta che m i dicono essere m olto sapo­
rosa, ma che non ho mai assaggiata. So che è cosi perché
colui che me lo dice non m ’inganna: questi è D io conosciuto
per fede e posseduto per m ezzo della carità (fides ex auditu).
Q uando metto questa frutta in bocca e com incio ad assapo­
rarla, allora conosco per esperienza che era vero quanto mi
dicevano della sua soavità e dolcezza: tale è D io conosciu­
t o per esperienza mistica » 3».

D a q u a n to a b b ia m o d e tto si d ed u ce chiaram ente


•che l ’esp e rien za m istica è il fine n o rm a le d e ll’in ab ita-
z io n e d iv in a n elle n o stre an im e. O g n i an im a in g ra zia
p o rta la m istica in p o te n za , e o g n i p o te n z a ten d e a pas­
sare a ll’ a tto . Se n o n e sp erim en ta a n co ra la p resen za
di D io (è q u e sto il fe n o m e n o p iù ca ra tte ristico della
m istica in q u a n to fa tto psicologico), n o n è p e r c h é n o n p o s ­
s e g g a in sé tu tti g li elem en ti in fu si in d isp e n sa b ili p er

29 S. T e r e s a , Settime mansioni 1,7.


3° P. I. G . M e n é n d e z - R e i g a d a , Los dones del Espiritu Santo.., c .i, nota
3 , p. 117.
NATURA DELLA VITA SOPRANNATURALE

a v v e r tir e tale esp erien za, o p e rc h é D io g lie n e abbia,


im p e d ito l ’a ttu a zio n e , m a u n ica m en te p e r c h é n o n ha.
term in a to a n co ra di d istaccarsi co m p leta m en te dalle
co se della terra, n o n ha rim o sso g li o sta co li ch e im p e d i­
sco n o questa esp erien za in effab ile, n o n h a sp ic ca to de­
fin itiv am en te il v o lo v e rs o le a lte zze, n o n si è data p ie ­
n am en te e to ta lm e n te a D io ch e o p eri in essa tale m era­
v ig lia .
« Pensate, scrive la grande riform atrice del Carmelo,,
che il Signore invita tutti. E g li è verità e la sua parola non è
da mettersi in dubbio. Se il suo invito non fosse generale,,
non ci chiamerebbe tutti, e quand’anche ci chiamasse, non.
direbbe: ’ T o v i darò da bere” (G iov. 7,37). A vreb b e po­
tuto dire: Venite tutti, ché non avrete nulla da perdere, e
io darò da bere a chi vorrò. M a siccome non pose alcun li­
mite e disse ” tutti” , cosi tengo per certo che non ferman­
doci per via, arriveremo a bere di quell’acqua viva » 3*„

D o p o qu esta testim o n ia n za co si esp licita, n o n d i­


v e n ta q u a si r id ic o lo ch ie d e rci se siam o tu tti ch iam ati
alla m istica, se en tra n e llo s v ilu p p o n orm a le della,
grazia , se è le c ito d esid erarla, se c ’ è u n a so la v ia p e r
l ’u n io n e co n D io o se ne e sisto n o d ue, ecc. ? U n te o lo ­
g o co n te m p o ra n e o fo rm u la qu este in teressa n ti d o ­
m ande:
« Il m eraviglioso fenomeno deli’inabitazione, di cui le
Scritture assicurano la realtà, è mistico o è ascetico ? È
patrimonio di alcuni o eredità comune di tutti i figli di D io ?
Dinanzi a queste realtà che la fede illumina, quanto meschi­
ne appaiono le nostre divisioni, le nostre categorie! Il fatto-
delia missione delle divine persone unifica tutte le fasi
della vita cristiana dal battesimo fino al matrimonio spiri­
tuale » 3J .

E u n p o ’ p iù o ltre a g g iu n g e :

31 S. T e r e s a , Cammino di perfezione 1 9 ,1 5 ; c f . S. G i o v a n n i d e l l a C r o ­
ce, Fiamma , s t r o fa 2 v .2 7 .
32 p.S. L o z a n o , O .P ., Vida santa y ciencia sagrada, z ed., Salamanca,
19 0 4 , c .6 , p. 68.
21S PRINCIPI FONDAMENTALI

« Il grande, il vero dono di D io , dinanzi al quale gli altri


impallidiscono e quasi più non esistono, il dono delle di­
vine persone, non è esclusivo dello stato mistico o dello
stato ascetico, non è esclusivo neanche dello stato mistico
nelle sue forme superiori — in questi stati superiori è esclu­
siva solo la percezione, non il dono in sé — ; le divine per­
sone si dànno a quanti vivo n o in stato di grazia. Cosi inse­
gna S. Tom m aso » 3?.

R ia ssu m en d o : in q u e sto a rtico lo a b b ia m o stu d ia to


l ’ o rg a n is m o d ella v ita cristian a e d a b b ia m o v is to che,
n ella sua stru ttu ra fo n d a m e n ta le, esso è co s titu ito dalla
g r a z ia san tifican te, ch e in fo rm a l ’essenza stessa della
n o stra anim a. D a lla g ra z ia em an an o n elle p o te n z e
g li a b iti so p ran n atu rali (v irtù e d o n i), ch e D io stesso,
in a b ita n d o n e ll’anim a, m ette in m o v im e n to m ed ian te
le g ra zie attuali. G ra zia a b itu ale e attu ale, v ir t ù in fu se,
d o n i d e llo S p irito S an to , in a b ita z io n e d iv in a : so n o la
p re zio s a e red ità d e ll’an im a g iu stifica ta . C i rim an e o ra
da esam in are co m e cresce e si s v ilu p p a q u e sto m era ­
v ig lio s o o rg a n ism o in ca m m in o v e rs o la sua p e rfe ­
zio n e .

33 ° - c; pag- 72; c f- r. 4 3 .5 e 6.
SVILU PPO d e l l'o r g a n i s m o s o p r a n n a tu r a le 219

C A P IT O L O II

LO S V IL U P P O D E L L ’O R G A N IS M O
SO PRAN N ATURALE

S tu d ie re m o in u n a ltro p a r a g r a fo 1 i tne^xj p e r p r o ­
g re d ire n ella v ita cristian a. Q u i ric o rd ia m o s o lta n to
a lcu n e le g g i fo n d a m e n ta li se co n d o c u i si e v o lv e in n o i
l ’ o rg a n ism o so pran n atu rale.
P u ò crescere e sv ilu p p a rsi in n o i la v it a d e lla g ra ­
zia ? Q u a le la causa efficien te ? Q u a li le le g g i che p re sie ­
d o n o a tale s v ilu p p o ? In ch e m o d o si rea lizza ?

conclusione: La grazia tende a crescere e a svi­


lupparsi nelle nostre anime.

99. L a d im o stra zio n e è m o lto sem p lice. L a g ra zia


san tifican te è u n « sem e d i D io » 2 d e p o sto n elle n ostre
anim e dal sacram en to d el b a tte sim o . E a p p u n to p e r c h é
u n ge rm e , u n sem e, u n e m b rio n e so p ran n atu rale, è,
p er sua stessa natura, d estin ato a crescere e a s v ilu p ­
parsi.

2a conclusione: Dio è la sola causa efficiente del


nostro progresso soprannaturale.

10 0 . O g n i essere v iv e n te ch e a n c o r a n o n lo p o s s e g g a
p u ò , in circo sta n ze n o rm a li, crescere fin o a ra g g iu n g e re

1 C f. il 1.2 d ella p. 3.
2 C f. iG io v . 3,9.
220 PRINCIPI FONDAMENTALI

il suo p ien o s v ilu p p o . N e ll’ o rd in e n atu rale, il n o s tro


o rg a n is m o cresce p er sviluppo proprio, e v o lv e n d o s i se­
co n d o le le g g i n atu rali e d in c o rp o ra n d o n u o v i ele­
m en ti d el su o stesso o rd in e.
L a n o stra v ita so p ran n atu rale n o n p u ò s eg u ire l ’i ­
d e n tic o p ro ce ss o . L a g ra zia è u n essere d 'innesto e il su o
s v ilu p p o è p ro p o rz io n a to a ll’ o rig in e . N a sc e p e r in ­
fu s io n e d iv in a e p u ò crescere s o lo m ed ian te nuove
infusioni divine. L e n o stre fa c o ltà n atu rali so n o im p o ­
te n ti, an ch e c o n l ’a iu to d e lle g r a z ie attuali, ad o p erare
■questo m o to in te rio re d i crescita. S o lta n to dall’ esterno
l ’anim a p u ò ric e v e re n u o v i g ra d i d i essere d iv in o , e
s o lo D io p u ò p r o d u r li in essa 3. '

Possiamo considerare la stessa verità da un altro punto


di vista. G li abiti non possono essere attuati — di conse­
guenza, né sviluppati o perfezionati — se non dal principio
che li causò. O ra la grazia, le virtù infuse e i doni dello Spi­
rito Santo sono abiti soprannaturali causati unicamente da
D io . Q uindi solo lui potrà attuarli o svilupparli.

P e r co n se g u e n za , l ’a zio n e d i D io è il p rin c ip io e f­
fic ie n te d e llo s v ilu p p o d ella v ita so p ran n atu rale. L ’a­
n im a in g ra z ia p u ò meritare tale a u m e n to in d eterm in a ­
t e co n d iz io n i, co m e v e d r e m o , m a s o lo D io p u ò re a liz ­
z a r lo 4.
È ch ia ro ch e l ’a zio n e d iv in a , causa d iretta e im m e ­
diata d e ll’a u m e n to d e g li a b iti in fu si, n o n è arb itra ria 6.
E s s a si u n ifo rm a alle le g g i e alle c o n d izio n i stabilite
d a lla lib era v o lo n tà d ivin a.

. 3 B eaudenom , L e sorgenti della pietà, S.E .I. Torino.


4 1-11,92,1 ad i.
5 E vero, D io , assolutamente parlando, potrebbe aumentare la grazia
In un ’anima senza sottostare a nessuna lim itazione, tuttavia, in pratica, quasi
•sempre si attiene alle leg g i ch’E g li stesso liberamente ha stabilito nella sua
Chiesa.
SVILU PPO DELL'ORGANISMO SOPRANNATURALE 221

3a co n clu sio n e: In via ordinaria l’aumento della


grazia si effettua in due modi: « ex opere ope­
rato » mediante i sacramenti, e « ex opere ope-
rantis » mediante le azioni soprannaturalmente
meritorie e l’efficacia impetratoria dell’orazio­
n e 6.

10 1 . Esam inerem o separatamente i singoli ele­


m enti di questa conclusione: i sacramenti, il m erito
e l’orazione.

1 0 2 . a) I sacramenti. - I sacramenti, istituiti da


G esù C risto, conferiscono la grazia e x opere operato,
per la loro virtù intrinseca, indipendentem ente dalle
disposizioni del sog getto 7; è una verità di fede defi­
nita dal C on cilio di Trento:
« Si quis dixerit, per ipsa novae legis sacramenta ex
opere operato non conferri gratiam, sed solam fidem divinae
promissionis ad gratiam consequendam sufììcere: A .S . » 8.

E cc o i punti fondam entali della T eo lo g ia sui sa­


cram enti in generale:
1. È di fede che i sacramenti della nuova L egg e conten­
gono e conferiscono la grazia a tutti coloro che li ricevono
degnamente: « omnibus non ponentibus obicem » 9.
2. Il battesimo e la penitenza conferiscono per sé la
prima infusione della grazia; gli. altri cinque conferiscono
per sé la seconda infusione, ossia un aumento della prece­
dente. Perciò, i due prim i sono detti sacramenti dei morti
(suppongono l’anima morta per il peccato), e gli altri cin­

6 C f. D enz. 695, 698, 849 per i sacramenti; 803, 834, 842 e 1044 per le
buone opere, e 11-11,83,15-16 per l’orazione.
7 Purché, naturalmente, n o n frapponga ostacoli alla grazia (cf. D en z.
849-50); cioè, purché abbia le disposizioni indispensabili per una fruttuosa
recezione del sacramento. N ei sacramenti dei v iv i si richiede com e m inim o
lo stato di grazia; e in quello dei m orti, l’attrizione soprannaturale.
8 D enz. 851.
9 D enz. 849 e 850.
222 PRINCIPI FONDAMENTALI

que sacramenti dei vìvi (la suppongono già con la vita so­
prannaturale).
3. Tuttavia, a volte i sacramenti dei m orti causano
per accidens la seconda infusione (aumento della grazia),
e i sacramenti dei v iv i causano per accidens la prima infusione
(produzione della grazia dove ancora non esiste). Ciò si ve­
rifica in coloro che ricevono il battesimo o si confessano
quando sono già giustificati dalla carità o dalla perfetta con­
trizione, e in coloro che, avendo almeno l’attrizione sopran­
naturale, ricevono un sacramento dei viv i senza sapere
di trovarsi in peccato mortale I0.
4. I sacramenti, a parità di condizioni, producono una
m aggiore o minore infusione di grazia, secondo la loro
m aggiore o minore dignità “ . La ragione è ovvia: ad una
causa più nonile corrisponde un effetto più nobile. D icia­
m o, tuttavia, a parità di condizioni, perché un sacramento in­
feriore per dignità, se ricevuto con straordinario fervore,
può produrre una grazia più abbondante di un sacramento
di m aggior dignità, ma ricevuto con poca devozione.
5. U no stesso sacramento produce la stessa misura di
grazia in tutti coloro che lo ricevono con identiche dispo­
sizioni. Se le disposizioni di colui che lo riceve sono più
p erfette, m aggiore è l’effetto d i grazia.

Q u e s te due u ltim e c o n c lu s io n i so n o m o lto im p o r ­


tan ti p e r la p ratica. A v o lte si in siste tro p p o s u ll’effetto
e x opere operato d ei sacram en ti, co m e se fo ss e l ’u n ico e
tu tto d ip en d esse da esso . N o n v a d im e n tica to ch e l ’ e f­

10 111,7 2 ,7 ad 2 \ In I V Seni., d.9, p . i , a.3, q.2; iv i, d.23 , q . i , a .2, q .a


a d 2.
11 Che alcuni sacramenti siano più degni di altri fu espressamente de­
finito dal C on cilio Tridentino. Cf. D enz. 846.
IZ 111,69,8. — D a questa dottrina i Salmaticesi deducono che non so­
lamente riceve una m aggiore grazia colui che riceve un sacramento con una
m aggiore disposizione intensiva, ma anche e a fortìori chi lo riceve con una.
disposizione più perfetta,, ancorché meno intensa. Q uin di, se due persone
che sono in grazia di D io ricevono, per esem pio, l ’Eucarestia, una di essa
con un ’attrizione rispondente a quattro e l’altra con una contrizione rispon­
dente a due, questa seconda riceverà una m aggiore quantità di grazia della
prima; perché la contrizione, ancorché debole, è per sé una disposizione più
perfetta dèli’attrizione, ancorché intensa. (Cf. S a l m a n t i c e n s e s , D e Sacra-
wentis in communi d.4, n.127).
SVILU PPO d e l i/ o r g a n is m o soprannaturale

fe tto ex opere operato si a sso cia n ella re c e zio n e dei sa­


cram en ti a ll’effetto e x opere operantis, co n le d is p o s iz io ­
n i, cio è, di c o lu i ch e li ric e v e 13. È di gra n d e im p o r­
tan za, q u in d i, u n ’atten ta p re p a ra z io n e e u n ’in ten sità
di fe r v o r e q u a n d o ci si a cco sta ad essi. E cla ssico l ’esem ­
p io d ella fo n te e del v a so : la q u a n tità di a cq u a ch e si
a ttin g e n o n d ip en d e s o lta n to d alla fo n te , m a anch e
d a ll’am p iezza del v a s o che la ric e v e . L a n o stra anim a
a ccresce la sua cap acità ric e ttiv a c o n l ’in ten sità d el fer­
v o r e e della d e v o z io n e .

3 0 1 . b) I l m e r it o s o p r a n n a t u r a le . - L a q u e stio ­
ne è m o lto im p o rta n te p er la v ita sp iritu a le. S. T o m ­
m aso l ’esam in a a lu n g o in d iv ersi p u n ti d elle sue o p ere.
N e lla So?nma Teologica le d ed ica u n ’in tera q u e stio ­
ne, su d d iv isa in dieci a r t ic o l i14. S o tto fo rm a di b re v i
co n c lu s io n i ne rip o rtia m o i p u n ti fo n d a m e n ta li.
i. D ic e s i merito il v a lo re di u n ’ o p era ch e la ren d e
d e g n a d i ricom p en sa: « a ctio q u a efR citur u t ei q u i a git,
sit iu stu m a liq u id dari », d ice S. T o m m a s o 15.
z. E s is to n o due specie d i m erito: q u e llo de condigno,
ch e si fo n d a su ra g io n i d i g iu stiz ia , e q u e llo de congruo,
ch e n on si fo n d a su ra g io n i di g iu stiz ia e n em m e n o di
m era gratu ità , m a su un a certa co n v e n ie n z a da parte

N o n d im en tic h ia m o che il C o n c ilio d i T r e n to , tratta n d o d ella g iu ­


stificazio n e d el p e ccato re, p arla d elle d is p o s iz io n i (sop ran n a tu ra li) d i c o lu i
c h e la ric e v e c o m e d ì u n ele m e n to fo n d a m en ta le p er d eterm in are il g ra d o o
la m isura di co d e sta giu stifica zio n e: « ...iu stitia m in n o b is recip ie n tes unus-
q u isq u e suam , sec u n d u m m en su ram , q uam Spiritu: S an ctu s p artitu r sin-
g u lis p ro u t v u lt ( iC o r . 1 2 ,1 1 ) et secundum p ro p rìa m cuiusque d ispositionem et
cooperationem » (C f. D e n z . 799). E se q u e s to a v v ie n e n ella p rim a g iu stifi­
cazio n e, a f o r t i o r i a v v e r r à n ei sacram en ti d ei v iv i , ch e p re s u p p o n g o n o già
neH’anim a tu tti g li elem en ti n ecessari p er il m erito sop ran n a tu rale de con­
digno.
'4 I - I I ,T I 4 .
M S. T h o m ., ì n I V S e n t . , d .15 , q . i , a .3, ad 4.
224 PRINCIPI FONDAMENTALI

d e ll’ o p era e su u n a certa lib era lità da p arte di c o lu i


ch e r ic o m p e n s a 16.
3. I l m e rito de condigno si su d d iv id e in m e rito di
stretta giustizia (« ex to to rig o r e iu s d tia e ») e d i non stret­
ta giustizia (« e x co n d ig n ita te »). I l p rim o rich ied e u n a
e g u a g lia n z a perfetta e assoluta tra l ’a tto e la rico m p e n sa :
n e ll’o rd in e so p ran n atu rale q u e sto m e rito è p r o p r io
e d e sc lu siv o di C ris to . I l se c o n d o su p p o n e s o lta n to u n a
e g u a g lia n z a di proporzione tra l ’a tto b u o n o e la ric o m ­
pensa; p e rò , d ie tro la p ro m e ssa d iv in a d i p rem iare ta li
atti m e rito ri, la ric o m p e n sa è d o v u ta p e r g iu stiz ia I7.
4. I l m e rito de congruo da a lcu n i t e o lo g i v ie n e su d d i­
v is o in de c o n g r u o fa llib ile , se d ice o rd in e al p re m io
s o lo p e r il tit o lo di c o n v e n ie n z a , e in de c o n g r u o in­
fa llìb ile, se a q u e sta c o n v e n ie n z a si a g g iu n g e la p ro m e s ­
sa d iv in a d i co n fe rir e il p re m io 18. A lt r i t e o lo g i n o n a c ­
ce tta n o qu esta su d d iv isio n e .
5. L ’u o m o n o n p u ò c o n le sue so le fo r z e n atu rali
co m p ie re o p ere m e rito rie p e r la v ita etern a I9. N e s s u n o
p u ò m eritare so p ra n n a tu ra lm e n te , sen za u n p r e v io
d o n o d i D io : il m e rito s u p p o n e la g ra zia 2 °. In q u a n to
è fr u tto d ella g ra zia , l ’ o p era m e rito ria d ice o rd in e
alla v ita etern a se co n d o g iu stiz ia 21.
6. È d i fe d e ch e il g iu s to p u ò m e ritare c o n le sue
o p ere b u o n e l ’a u m e n to d e lla g ra z ia — e, d i c o n s e g u e n ­
za, q u e llo d e g li a b iti in fu si (v irtù e d o n i) ch e a d essa
si a cco m p a g n a n o — la v ita etern a e l ’a u m e n to d ella
g lo r ia . I l C o n c ilio di T r e n to d efin ì c o n tr o i p ro testa n ti:
« Si quis dixerit, hominis iustificati bona opera ita esse
dona D ei, ut non sint etiam bona ipsius iustificati merita,

16 1-11,114.
*7 1 -1 1,114 ,1.
18 C f. Z u b i z a r r e t a , Theol. Dog. S M . , v o i. 3, n . 304.
1-11,109,5.
20 1 - 11 , 1 1 4 ,2 .
21 I-II,ii4,3.
SVILU PPO DELL'ORGANISMO SOPRANNATURALE 225
aut ipsum iustificatum bonis opefibus, quae ab eo per D ei
gratiam et Jesu Christi meritum (cuius vivum m em bium
est) fiunt, non vere mereri augmentum gratiae, vitam ae-
ternam et ipsius vitae aeternae (si tamen in gratia decesserit)
consecutionem, atque etiam gloriae augmentum: A .S . » l2.

7. I l m e rito s u p p o n e sem p re la lib ertà; d o v e m anca


la lib e rtà n o n p u ò esserci m e rito , n é d e m erito . M a o g n i
a tto lib e r o , se è in re la z io n e a D io , p u ò essere m e rito ­
rio:
« A ctus nostri, dice S. Tom m aso, sunt meritorii in quan-
tum procedunt e libero arbitrio m oto a D eo per gratiam.
Unde omnis actus humanus qui subiicitur libero arbitrio,
si sit relatum in D eum , potest meritorius esse » J3.

8. N o n im p o rta p e r il m e rito — a lm en o p er sé — ■
la n atura d e ll’ o p era, m a il motivo e il modo c o n cu i la
si esegu e:
« O pus m eritorium a non m eritorio non distat in quid
agere, sed in qualiter agere»

N e d e riv a ch e u n ’o p e ra m a teria lm en te in sig n ifi­


ca n te fa tta c o n a rd en te carità, s o lta n to p e r p ia ce re a
D io , è m o lto p iù m e rito ria d i u n a a zio n e im p o rta n te
re a lizza ta c o n m in o re a rd o re d i ca rità o p e r u n m o tiv o
m e n o p e r fe tto . Q u in d i:
9. I l m e rito so p ran n atu rale si v a lu ta , in n a n z i tu tto ,
d alla carità. L ’in te n sità d e lP a m o r d i D io c o n c u i si
re a liz z a u n ’a zio n e d eterm in a i l g r a d o d e l su o m e rito .
I l m e rito d elle altre v ir t ù d ip en d e d a l m a g g io r e o m i­
n o re in flu sso ch e la ca rità esercita n e l co m p im e n to
d e i lo r o atti.
« V ita aeterna in D ei fruitione consistit. M otus autem
humanae meiitis ad fruitionem divini boni, est proprius
actus caritatis, per quem omnes actus aliarum virtutum or-

22 D en z. 8 42 . — C f. C o l. 3 ,2 3 -2 4 e iC o r. 3 ,8 . — Cosi pure 1 - 1 1 ,1 1 4 ,8 .
*3 1 1 -1 1 ,2 ,9 .
24 S . T h o m . , D e veritatei q .2 4 , a . i , a d 2.
226 PRINCIPI FONDAMENTALI

dinantur in hunc finem, secundum quod aliae virtutes


imperantur a caritate. E t ideo meritum vitae aeternae pri­
m o pertinet ad caritatem: ad alias autem virtutes secunda-
rio, secundum quod eorum actus a caritate imperantur »

S. T o m m a s o a g g iu n g e a n co ra q u e s t’a ltra ra g io n e .
L e o p e re c o m p iu te s o tto l ’im p u ls o d ella ca rità so n o p iù
v o lo n ta r ie , p e r c h é p r o c e d o n o d a ll’am ore; q u in d i so n o
p iù m erito rie.
« Similiter etiam manifestum est quod id quod ex amore
facinrus maxime voluntarie facimus. Unde etiam secundum
quod ad rationem meriti requiritur quod sit voluntarium,
principaliter m eritum cantati attribuitur » *6.

io . P e rc h é si re a liz z i l ’a u m e n to e ffe ttiv o d ella ca­


rità è n ece ssa rio u n a b ito p iù intenso d e ll’ a b ito ch e si
p o ssie d e attu alm en te. S c riv e S. T o m m a so :
« N o n quolibet actu caritatis caritas actu augetur: sed
quilibet actus caritatis disponit ad caritatis augmentum
inquantum ex uno actu caritatis hom o redditur promptior
iterum ad agendum secundum caritatem; et, habilitate cre­
scente, hom o prorum pit in actum ferventiorem dilectionis,
quo conetur ad caritatis profectum ; et tunc caritas augetur
in actu » 27.

Q u e s to a tto p iù in te n so su p p o n e , n atu ralm en te, u n a


p re v ia g ra zia attu ale a n ch ’essa p iù in ten sa.
Si n oti l’importanza pratica di questa dottrina. Ben
intesa, è un mezzo quanto mai efficace p er combattere la tie­
pidezza e il rilassamento nel servizio di D io . Se i nostri
atti non sono ogni volta più fervorosi, possiamo praticamente
paralizzare la nostra vita soprannaturale — almeno per lo
sviluppo dovuto al merito soprannaturale giacché per quel­
lo derivante dai sacramenti vigono altre leggi — anche nel­
l’ipotesi che si viv a in grazia e si pratichi m olte opere buone.
Un esempio chiarirà m eglio le idee. O sserviam o un ter­
mometro. Se esso segna 25 °, è assolutamente necessario,

35 1-11,114,4.
26 Ivi.
*7 11-11,24,6.
SVILU PPO DELL’ORGANISMO SOPRANNATURALE 227

perché possa salire a 28°, 3 0 ° o 35 0 che l ’aria o l ’ambiente


che lo circonda si riscaldi fino a 28°, 30 0 o 3 5 Se n on si
produce nessun aumento di calore nell’ambiente, il termo­
metro non registrerà mai nessun aumento.
Altrettanto avviene per gli abiti. Siccome è dato da ma
maggiore penetrazione del soggetto (cfr. n.106), è impossibile
che se ne effettui un aumento senza un atto più intenso, qua­
si come un martello più pesante del precedente che confic­
chi più profondam ente nell’animo il chiodo dell’abito stesso.
Ma, allora, g li atti imperfetti (quelli realizzati con rilassa­
mento e tiepidezza, con m inor intensità rispetto al passato)
non serviranno a nulla nella vita spirituale ?
O ccorre distinguere. In ordine alla crescita essenziale
del grado di grazia che si possiede attualmente e del grado
di gloria essenziale (visione beatifica) nel cielo, questi atti ri­
m angono senza effetto. T uttavia non sono inutili. Essi
im pediscono all’anima di raffreddarsi del tutto jS, con il
pericolo di cadere in peccato mortale, e causano per il para­
diso un aumento accidentale di gloria: premio « de bono
creato, non de bono infinito», com e spiega Banez.
In seguito (cfr. n.260) spiegheremo con m aggiore am­
piezza questa dottrina tanto importante nella vita pratica
e così profondamente radicata nei principi più elementari
del sistema metafisico e teologico tom istico 1'>.

11. N e ss u n o p u ò m eritare p e r se stesso la p rim a


g ra z ia 3o, la p e rse v e ra n za fin ale 31, il ris o lle v a m e n to
d o p o u n a ca d u ta g r a v e 32. In v e c e , si p u ò m eritare per

38 Si n oti che questo raffreddamento si riferisce solo alle disposizioni


dell'anima, n o n al grado di grazia anteriormente raggiunto, che non diminui­
sce mai, finché non sopraggiunge un peccato mortale che la distrugge total­
mente. Q uando si com pie un atto di v irtù meno intenso, non aumenterà il
grado di grazia, m a neppure diminuirà. A v v ie n e qualche cosa di analogo
a ciò che si verifica nei term om etri che si usano per misurare la temperatura
agli infermi: salgon o quando la febbre aumenta ma non si abbassano quan­
d o diminuisce.
29 Cf. 11-11,24,6 e i principali com m entatori di S. Tom m aso; soprattutto
Banez, che è il m igliore e il più profondo in tale questione.
3° 1 - 11 , 1 1 4 , 5 .
3* 1-11,114 ,9 .
3* 1 - 11 , 1 1 4 , 7 .
228 PRINCIPI FONDAMENTALI

g li a ltri la p rim a g ra z ia , seb b en e s o lta n to c o n u n m eri


to di co n v e n ie n z a 33.

La ragione delle tre prim e asserzioni è il noto aforisma


teologico che « il principio del merito non cade sotto il
m erito». L a cosa è evidente per la prima affermazione:
senza la grazia non si può meritare la grazia; diversamente,
il soprannaturale sarebbe richiesto dal naturale, il che è as­
surdo ed eretico Q uanto alla perseveranza finale, essa
è un effetto infallibile della predestinazione alla gloria, total­
mente gratuita. L a terza asserzione risulta anch’essa eviden­
te: il merito proviene dalla m ozione divina soprannaturale,
che rimane interrotta per il sopraggiungere del peccato.
L a ragione per cui si p uò meritare per gli altri la prima
grazia è di pura convenienza. P oiché l’uom o giusto e amico
di D io com pie la sua divina volontà, è conveniente, per le
leggi dell’amicizia, che D io esaudisca colui che desidera
la salvezza di un altro.

12. N e ss u n o , b e n c h é g iu s to e p e rfe tto , p u ò m e rita ­


re p er sé le g ra z ie a ttu a li efficaci co n u n m e rito stre tto
o de condigno, m a tu tti p o ss ia m o m eritarle c o n u n m e rito
de congruo: infallibilmente, c o n l ’o ra zio n e d o tata delle
d e b ite c o n d izio n i, e fallìbilm ente, c o n le o p ere b u o n e.
Infatti, « il principio del m erito non cade sotto il meri­
to »; e le.grazie attuali che hanno il com pito di salvaguarda­
re la grazia appartengono alla stessa grazia com e principio
del merito 35.

33 1-11, 1 1 4 ,6 .
34 Cf. D en z. 1021, 1023, 1024, 1026, 1671, ecc.
35 C f. 1-11,114,9. — Su questo articolo G io van n i di S. Tom m aso a v v e r­
te, n .i: « Principium m eriti n on potest cadere sub meritum: sed auxilium
et motio* divina, qua aliquis m ovetur a D e o , ut n on succum bat tentationibus,
nec gratiam interrumpat per peccatum, tenet se ex parte principii m eriti quia
auxilium et m otio est principium operandi, et in b o c solum consistit quod
m oveat ad opus; igitur n on potest cadete sub m eritum ». Cosi pure n.4:
« Conservaito est co n tin u a lo prim ae productionis..., unde qui m ereretur
auxilia continuativa gratiae, seu perseverantiam, consequenter mereretur
ipsam continuationem principi! meriti, q u o d est gratia secundum quod se
tenet ex parte D e i m oventis ad conservandum ... Q u o d probat non posse sub
meritum cadere motionem divinatn, non quam cum que, sed quatenus est cotiser-
SVILU PPO DELL'ORGANISMO SOPRANNATURALE 229

Quanto al secondo punto, abbiamo la promessa divina


che riceveremo infallibilmente tutto ciò di cui abbiamo bi­
sogno, se lo domandiamo con l’orazione umile, fiduciosa
e perseverante 36.
L e semplici opere buone non hanno questa promessa
spedale, perciò il loro merito è di sola convenienza fallìbile.
D io, volendo, concederà le grazie per pura misericordia, giac­
ché né le opere le meritano per sé, n é si è obbligato a darce­
le con una promessa formale.

13. L a d iffico ltà d i u n ’ o p era n o n ne au m en ta il


m e rito se n o n in d ire tta m en te e p e r accidens, in q u a n to
la sua re a liz z a z io n e ric h ie d e u n a m a g g io r e carità.
Il m e rito d e riv a sem p re d alla bontà d e ll’o p e r a in se stes­
sa e dal motivo ch e ci sp in g e a p ra ticarla.
« Plus facit ad rationem meriti et virtutis bonum quam
difficile. Unde non oportet quod omne difficilius sit magis
meritorium: sed quod sic est difficilius ut etiam sit me-
lius » 37.

Il p rin c ip io d el m e rito , in fa tti, sta n e lla carità.


P er cu i, è p iù m e rito rio co m p ie re co se fa c ili c o n una
g ran d e ca rità a n z ic h é p o rta re a term in e d elle o p ere
m o lto g r a v o s e c o n u n a ca rità m in o re . M o lte a n im e tie­
p ide p o rta n o u n a gra n d e cro c e c o n p o c o m e rito . L a
SS. V e r g in e , c o n la sua a rd en tissim a carità, m e rita v a
n elF a d em p im e n to d e g li a tti p iù sem p lici e fa c ili, p iù
dei m a rtiri n ei lo r o to rm e n ti.
14. I b en i te m p o ra li si p o s s o n o a n ch e m eritare
de condigno in q u a n to so n o u tili p e r r a g g iu n g e r e la v ita
eterna 38.
15. L e co n d iz io n i n ecessarie p e r il m e rito p o ss o n o
v e n ire co s i d ivise:

vatìva gratiae quae est principium meriti ». C o si p u re c f. S a l m a n t i c e n s e s , ivi,


n o . 89-109.
36 M a t. 7,7; G io v . 16 ,2 3, e cc.
37 11-11,27,8 ad 3. -— C f. I - I I ,i i 4 , 4 a d 2; I I - I I ,12 3 ,12 a d 2; 15 5 ,4 ad 2;
182,2 ad 1; 184,8 a d 6.
38 I-II, 1 1 4 ,1 0 .
230 PRINCIPI FONDAMENTALI

Per i l merito de condigno:


i) A tto positivo (non basta l’omissione di
un atto cattivo) 39.
, n 2) O nesto (moralmente buono).
a' ///> 6 3) L ibero
dell opera um ano' e volontario).
4) Soprannaturale (che procede dalla gra­
zia e dalla carità).
11) Che sia viatore (nell’altro m ondo
d' I s* Pu° m efitare).
che merita ] 2) G iusto e amico di D io (mediante la
l grazia).
c) Da parte di Dio: A ccettazione dell’opera in ordine al
premio per divina disposizione e promessa.

Per i l merito de congruo. — Sono le stesse che per il


m erito de condigno. Fanno eccezione lo stato di grazia
da parte di colu i che m erita 40 e la prom essa da parte
di D io rim uneratore, che, necessaria per il m erito di
convenienza infallìbile, n on si richiede per quello di
conven ien za fallibile.
16. I m eriti m ortificati dal peccato m ortale r iv iv o ­
n o in ordine al prem io eterno quando il peccatore riac­
quista la grazia. Però, secondo la sentenza p iù probabile
— che, a quanto pare, è anche quella di S. T om m aso 41
— n on sempre riv iv o n o nello stesso grad o di prim a,
m a secondo le disposizioni attuali del sog getto che riac­
quista la grazia: in grad o inferiore, uguale o superiore.

104. c) L ’ orazione. - S. T om m aso assegna all’o­


razione quattro valori: soddisfatorio, m eritorio, im pe-
tratorio e quello di produrre u n certo nutrim ento
spirituale.

39 1-11,71,5 ad 1: « M eritum non potestesse sine actu; sed peccatum po-


test esse sine actu ».
4° S. T h ., Suppl. 14,4.
41 III, 89,5 c et ad 3. — Cf. I n l l l Sent.. d-31, q .i , a.4, q.3, sol.3, ad 4.
SVILU PPO DELL'ORGANISMO SOPRANNATURALE 231
1. V a lo r e s o d d is fa to rio . - Che l ’ orazione abbia un
valore soddisfatorio è evidente, p erch é suppone sem­
pre u n atto di um iltà e di rispetto verso D io , che abbia­
m o offeso con i peccati. In oltre, essa trae origin e dalla
carità, fon te di o g n i soddisfazione, e, quando è ben
fatta, ha in sé qualcosa di penoso, alm eno per le anime
im perfette, d o v u to allo sforzo di attenzione e alla ten­
sione di vo lo n tà 42. Il concilio di T ren to parla espressa-
m ente del valore soddisfatorio d ell’orazione 43.
2. V a lo r e m e rito rio . - C om e ogni atto di virtù
soprannaturale, l ’ orazione riceve il suo valore m erito­
rio dalla carità, alla quale fondam entalm ente si ricol­
lega m ediante la virtù della religion e, di cui costituisce
l ’atto prop rio. Com e atto m eritorio, l ’ orazione è so g­
getta alle condizion i delle altre opere virtu ose e si regge
con le stesse leg g i. In questo senso, supposte le debite
condizioni, p u ò meritare de condigno tu tto quanto si p u ò
m eritare con tale m erito 44.
3. N u tr im e n to s p ir itu a le . - Il terzo effetto dell’ o ­
razione, dice S. Tom m aso, è u n certo nutrim ento spi­
rituale dell’anima. Q u esto effetto, l ’ orazione lo causa
con la sua sola presenza: presentialiter efficit 45. M a perché
di fatto si abbia è assolutam ente necessaria Vattenzione;
il diletto spirituale è incom patibile con la volon taria
distrazione della mente. L ’ orazione estatica — nella
quale l ’ attenzione dell’anima è massima per la concen ­
trazione di tutte le sue energie psico lo g ich e sull’ oggetto
contem plato — im porta il m assim o diletto possibile
a conseguire in questa vita.
E d è naturale. L ’orazione nutre la nostra intelli­

& 11-11,83,12. — In I V Sent^ d .15, q.4, a.7.


*3 D en z. 905 e 923.
44 11-11,83,7 ad 2; a. 15. — In I V Sent. d. 15, q.4, a.7,q.2.
45 H-11,83,13.
232 PRINCIPI FONDAMENTALI

genza, eccita santam ente la nostra sensibilità, stim ola e


fortifica la nostra vo lo n tà. È una vera refectio mentis,
per sua stessa natura chiam ata a colm are l ’anima di
soavità e dolcezza.
4. V a lo r e impetratorio. - È l’ effetto che m aggio r­
m ente ci interessa m ettere in rilievo com e elem ento di
svilup po della nostra vita cristiana indipendentem ente
dal m erito.
V ed iam o in prim o lu o g o le principali differenze
tra il valore meritorio e il va lo re impetratorio d ell’ora­
zione 46.
a) L ’ orazione com e atto meritorio dice relazione di
giustizia al prem io; invece, il suo valore impetratorio
dice relazione soltanto alla m isericordia di D io .
b) In quanto meritoria ha u n ’efficacia intrinseca per
conseguire il prem io; in quanto ìmpetratoria la sua ef­
ficacia si basa unicam ente sulla prom essa di D io .
c) L ’efficacia meritoria si fonda, in prim o lu o g o ,
sulla carità; l ’ìmpetratoria sulla fede.
d) L ’ o g g e tto del m erito e d ell’im petrazione n on è
sempre lo stesso, benché a v o lte possa coincidere. Il
giu sto m erita e n on sem pre ottiene; il peccatore p u ò
ottenere senza aver m eritato.

4a conclusione: L ’orazione, quando è fatta con le


debite condizioni, ottiene infallibilmente quello
che chiede in virtù delle promesse di Dio.

10 5 . Q uesta tesi p u ò essere considerata di fede


tanta è la chiarezza con cui ci vien e prop osta nella
Sacra Scrittura la prom essa divina. E cc o alcuni testi
p iù significativi:
« Chiedete e v i sarà dato; cercate e troverete; picchiate

«6 Cf. 11-11,83,15-16.
SVILU PPO DELL’ORGANISMO SOPRANNATURALE 233
e v i sarà aperto. P oiché chiunque chiede, riceve; chi cerca»
trova; e a chi bussa, verrà aperto » 47.
« T u tto quello che domanderete con fede per m ezzo
della preghiera, vo i l’otterrete » 48.
« E qualunque cosa chiederete in nom e m io, la farò,
affinché il Padre sia glorificato nel F iglio. Se m i domande­
rete qualche cosa in nom e m io, v e la concederò » 49.
« Se rimanete in me e rim angono in v o i le mie parole,
domanderete quel che vorrete e v i sarà fatto » 5 ° .
« ...affinché qualunque cosa v o i chiederete al Padre
in nom e mio, egli ve la conceda » s1.
« In verità, in Vtrità vi dico: qualunque cosa domandere­
te al Padre, egli ve la concederà in nom e mio. F ino ad ora
non avete chiesto nulla in nom e mio: chiedete ed otterrete
affinché la vostra gioia sia piena» J2.
« E n oi abbiamo in D io questa fiducia, di essere esau­
diti, qualunque cosa gli chiederem o secondo la sua vo lo n ­
tà. A n zi sappiamo che ci esaudisce, qualunque cosa gli chie­
diamo, dal fatto che sono ascoltate le richieste che gli fac­
ciamo » 53.

È im possibile parlare in una form a più chiara e con


una insistenza più pressante.
Q u a li le con d izion i che si richiedono p erch é l ’o­
razione raggiu n ga infallibilm ente il suo scopo, e si com ­
piano di fatto le divine prom esse ?
S. T om m aso ne ricorda quattro, alle quali si pos­
sono ridurre tutte le altre: che si chieda qualche cosa
per sé, necessaria alla salvezza, in m odo d evoto e per­
severante.
« E t ideo ponuntur quatuor conditiones quibus concur-
rentibus semper aliquis impetrat quod petit: u t scilicet prò
se petat, necessario ad salutem, pie, et perseveranter » 54.

47 Mat. 7,7-8.
48 M at. 21,22.
49 G io v . 14,13-14.
5° G io v . 15,7.
51 G io v. 15,16.
52 G io v. 16,23-24.
53 iG io v . 5,14-15.
54 11-11,83,15 ad 2.
234 PRINCIPI FONDAMENTALI

i. « P ro se petat». - L a concessione di una grazia


da parte di D io suppone sempre un so g ge tto ben di­
sposto, ed il prossim o p u ò non esserlo. In vece, chi pre­
g a per sé, se lo fa in m od o conveniente, si dispone
già per questo solo fatto ad essere ascoltato. D iversa-
m ente, non sarebbe vera orazione.
N o n vogliam o affermare con ciò che l ’orazione fatta a
favore di altri sia sempre inefficace. A l contrario, spesso
raggiunge il suo scopo. Però non possiamo averne una si­
curezza infallibile, dal mom ento che non conosciam o con
certezza le disposizioni degli altri. Possiamo chiedere a
D io che li disponga mediante un effetto della sua misericor­
dia infinita; ma questo egli non l’ha promesso a nessuno,
e noi non possiamo conseguirlo in modo infallibile.

z. « Necessaria ad salutem ». - T u tto quanto è


necessario o conveniente per la nostra salvezza, costitui­
sce l ’ o g g e tto im petratorio infallibile dell’orazione. C o ­
sicché, possiam o im petrare con la preghiera l ’increm en­
to delle v irtù infuse 55, dei doni dello Spirito Santo (che
p o sson o essere anche o g g e tto del m erito) e anche quelle
cose che n on p osson o in alcun m odo essere meritate 56.
T ali sono, per esem pio, le grazie attuali efficaci, mediante
le quali ci è possibile evitare il peccato grave o com pie­
re atti salutari, e il dono della perseveranza finale, ossia
la m orte in grazia di D io , connessa infallibilm ente con
la salvezza eterna.
L a Chiesa, guidata dallo Spirito Santo, chiede
continuam ente nella litu rgia queste grazie sovrane che
non costituiscon o o g g e tto rig o ro so di m erito.
3. « P ie » . - In questa b reve parola S. Tom m aso

55 L a Chiesa ci fa chiedere l ’aum ento delle virtù teologali in una bella


orazione: « D a nobis, D o m in e, fidei, spei et caritatis augm entum ... » (do­
menica 23 dopo Pentecoste).
56 In questo senso, l ’am bito dell’im petrazione è m olto più am pio che
quello del merito.
SVILU PPO DELL'ORGANISMO SOPRANNATURALE 235
com pendia tutte le cond izion i richieste ex parte subiectì
orantis. E sse sono:
a) Umiltà: « D eus superbis resistit, humilibus autem dat
gratiam » (Giac. 4,6).
b) Ferma fiducia: « Postulet autem in fide, nihil haesi-
tans » (G iac. 1,6) 57.
c) In nom e di Cristo: « Si quid petieritis Patrem in no­
mine meo, dabit vo b is» (G io v. 16,23) sS-
i ) Attenzione: la distrazione volontaria è una irrive­
renza che mal si accorda con la petizione di una elemosina.

A lc u n i autori, a queste con d izion i so g gettiv e, pre­


m ettono lo stato di grafia, senza la quale, dicono, non
si p u ò pregare piam ente. M a a to rto . E cc o com e San
Tom m aso si pose e risolse la stessa difficoltà:
« I l peccatore non può pregare piamente nel senso che
la sua orazione è informata dall’abito soprannaturale
della pietà, del quale è privo; ma la sua orazione può
essere pia in quanto chiede qualche cosa che appartiene
alla pietà; com e chi non ha l’abito della giustizia, può volere
qualche cosa giusta. E , benché la sua orazione non sia
:meritoria, può, tuttavia, essere Ìmpetratoria, perché il merito
si fonda sulla giustizia, l’im petrazione sulla grazia o libe­
ralità» (11-11,3,16 ad 2; cfr. I l i, Suppl. 72,3 ad 4).

Q uantunque lo stato di grazia sia conveniente per


l ’efficacia infallibile d ell’orazione, n on è assolutam ente
necessario. U na cosa è esigere una paga d ovu ta per
giustizia e u n ’altra è chiedere u n ’elem osina; per l ’ele­
m osina n on occorron o altri tito li che la necessità e la
miseria. Sem pre invece è necessaria la m ozione previa
della grazia attuale, che p u ò esistere ed esiste di fatto
anche nei peccatori.
4. « Perseveranter ». - L a perseveranza, veram ente,
appartiene alle cond izion i richieste ex parte subiectì;
57 II Signore di solito esigeva questa ferm a fiducia prim a di accordare
una grazia o di compiere un miracolo.
5 8 Per questo, la Chiesa non osa chiedere nulla se non in nome del suo
divino sposo: « P er D om inum nostrum Jesum Christum ».
236 PRINCIPI FONDAMENTALI

se S. Tom m aso la considera a parte, lo fa senza dubbio


per porne in risalto tutta l ’im portanza. Il Signore in ­
cu lcò ripetutam ente nel V a n g e lo la necessità di perse­
verare n ell’ orazione sino ad ottenere quello che desi­
deriam o. Si ricord i la parabola d ell’am ico che di notte
va a chiedere tre pani 59, quella del giu d ice iniqu o che
rende giustizia alla ve d o v a im portuna 60, il com m oven ­
te episodio della Cananea che insiste nonostante l ’appa­
rente diniego 61, e, soprattutto, il sublim e esem pio
di C risto il quale « erat pernoctans in oratione D ei » 62
e nel G etsem ani « factus in agon ia prolixius orabat » 6S.
Per un effetto sovrabbondante della m isericordia
divina, in pratica otteniam o da D io m oltissim i doni
anche se la nostra preghiera n on possiede tutti questi
requisiti. Però, se essa sarà fatta com e si deve, otter­
rem o infallibilmente — in forza della prom essa divina —
anche quelle grazie che non si possono assolutam ente
meritare.

51* conclusione: Con la degna recezione dei sacra­


menti, con la pratica delle opere soprannatural­
mente meritorie e con l’efficacia imperatoria del­
l’orazione gli abiti infusi si sviluppano e ineri­
scono sempre più radicalmente nel soggetto.

10 6 . L o sviluppo simultaneo di tutti g li abiti sopran­


naturali — grazia santificante, virtù e doni dello Spi­
rito Santo — è d ovu to al fatto che sono intim am ente
connessi con la grazia e la carità, e l ’aum ento di que­
ste determina l’ aum ento di tutto l’ organism o sopran­
naturale, com e lo svilu p po di un dito della mano a v­

59 Luca 11,5-13.
60 Luca 18,1-5.
61 Mat. 15,21-28.
62 Luca 6,12.
63 Luca 22,43.
SVILU PPO DELL’ORGANISMO SOPRANNATURALE 237
vien e contem poraneam ente a quello delle altre, nota
S. Tom m aso 64.
Che tale crescita consista unicam ente in una m ag­
gio re inerenza o radicam ento di abiti nel sog getto ri­
sulta dalla natura della grazia, delle virtù e dei doni.
E ssen do form e inerenti — abiti soprannaturali — non
posson o crescere che in intensità. Il sog getto parteci­
perà sempre più a tale form a m ediante un m aggiore ra­
dicam ento della medesima, che determ ina una m ag­
giore facilità e intensità nelle operazioni che da essa
proced on o 65.
D a questa dottrina possiamo trarre due im portanti con­
clusioni. L a prima è l ’impossibilità per una virtù infusa di
essere perfetta isolatamente, cioè senza che lo siano anche le
altre. U nite tra loro, radicate nella grazia, dalla quale in
certo m odo fluiscono e alla quale sono ordinate, aventi co­
me form a comune la carità, quando qualcuna di esse si svi­
luppa mediante la pratica p iù intensa del suo atto proprio,
opera uno sviluppo di tutto l’organism o soprannaturale:
aumenta la grazia, che è il suo principio, la carità, che è la
sua form a, e tutte le altre virtù e doni, connessi in modo
inseparabile con la grazia e la carità.
D a ciò però non segue che aumenti anche la facilità
nell’esercizio delle altre virtù o doni. L a facilità dipende
sempre dalla ripetizione degli atti corrispondenti a una
determinata virtù. Cosicché virtù perfette com e abiti incon­
treranno o almeno potranno incontrare nella pratica gravi
difficoltà dovute ad impedimenti estrinseci o a disposizioni
contrarie lasciate da atti p reced en ti66. U n santo può provare

64 I-II, 65; 66,2; 68,5, ecc- — Si n oti la singolare im portanza di questa


dottrina nella T eo lo g ia ascetica e mistica. A ll’aumento della grazia e della
carità si accom pagna l ’aum ento delle v irtù infuse e dei doni dello Spirito
Santo in quanto abiti. È im possibile, quindi, che la carità giunga a uno
stato di relativa perfezione senza che i doni si siano sviluppati nello stesso
grado, e, di conseguenza, senza che operino o gn i v o lta con più frequenza
e intensità, introducendo norm alm ente l ’anima in pieno stato mistico.
H 1-11,52,2; II-ir,24 ,5.
66 1-11,65,3 ad 2: « Q uandoque contingit quod aliquis habens habitum ,
patitur difficultatem in operando, et per consequens n o n sentit delectatio-
nem et complacentiam in actu, propter aliquod im pedim entum extrinsecus
238 PRINCIPI FONDAMENTALI

una certa resistenza e difficoltà nella pratica di una virtù


che non ebbe mai occasione di esercitare nonostante che di
essa possegga perfettamente l’abito soprannaturale 67 .
L a seconda conclusione — derivante dalla prima —
è che per lo sviluppo abituale della grazia e delle virtù non è
necessario la pratica di tutte. A nch e quelle che non si eser­
citano per mancanza di materia o di opportunità, si svilup­
pano con l’esercizio delle altre. U n mendicante santo, per
esempio, non potrà praticare la virtù della magnificenza,
che richiede l ’elargizione di grandi ricchezze al servizio di
D io o del prossimo; e, tuttavia, può avere e ha di fatto per­
fettamente sviluppato l’abito della medesima ed è disposto
a praticarla almeno in praeparatione animi.

E lem en ti com u ni ed elem en ti p a r t ic o l a r i n ello

S V IL U P P O DELLA V IT A C R IS T IA N A

107 . Term iniam o questa rapida rassegna dello svi­


lu pp o della vita cristiana precisando che cosa si debba
intendere per ordinario e normale e che cosa p er straor­
dinario e anormale in tale sviluppo.
P er sviluppo normale della grazia santificante inten­
diam o la sem plice attuazione delle sue virtualità intrin­
seche e dei suoi elem enti dinam ici (virtù infuse e doni
dello Spirito Santo) operata sotto l ’influsso della m o­
zione divina. T u tto quello ch e le v irtù infuse e i doni
dello Spirito Santo possono con segu ire in tale attua­
zione rientra evidentem ente nello sviluppo normale della
grafia santificante; al contrario, si d ovrà ritenere com e

superveniens: sicut ille qu i habet habitum scientiae, patitur difficultatem in


intelligendo propter som nolentiam v el aliquam infirmitatem. E t sim iliter
habitus m oralium virtutum infusarum patiuntur interdum difficultatem in
operando, propter aliquas dispositiones contrarias ex praecedentibus acti-
bus relictas. Quae quidem difficultas n o n ita accidit in virtutibus m oralibus
adquisitis: quia per exercitium actuum , quo adquiruntur, tolluntur etiam
contrariae dispositiones ».
67 1-11,65,3 ad 3 ' « A liq u i sancti dicuntur aliquas virtutes non habere,
inquantum patiuntur difficultatem in actibus earum, ratione iam dic/a;
quam vis habitus omnium virtutum habeant».
LA PERFEZIONE CRISTIANA 239

anormale e straordinario quanto non è richiesto dalle intrinse­


che virtualità della grafia nel suo duplice aspetto statico
e dinam ico.
T ale, ci sembra, è il senso dato a queste espressioni
da tutti gli autori di ascetica e m istica, a qualunque
scuola appartengano. C oloro che negano la vocazion e
universale alla m istica portan o appunto com e p io v a
il fatto che la m istica rim ane « fu ori delle esigenze
della grazia » 68. Q uin di tu tto quello che rientra nelle
esigenze della stessa sarà ordinario e normale nel suo
sviluppo.
Per adesso ci accontentiam o di fissare la term ino­
logia. D im ostrerem o in seguito com e la m istica non
esorbiti dalle esigente della grafia e sia, per conseguenza,
la via norm ale e ordinaria della santità per tutte le
anime in grazia.

C A P IT O L O III

L A P E R F E Z IO N E C R IS T IA N A

Esam inata la natura e l ’ organism o della vita sopran­


naturale e precisate le le g g i fondam entali del suo svi­
luppo, vedrem o ora in che cosa consiste la perfezione.
D o p o una b reve introduzione sul con cetto di per­
fezione in generale, esporrem o la natura della perfe­
zione cristiana, la sua obbligatorietà per tutti i cristia­

68 II P. C r i s ó g o n o dice espressamente così: « Per il suo m edesimo ca­


rattere di cosa straordinaria, la M istica n on ha in realtà un m om ento fisso per
com inciare. Poiché nessuno stato dell’anima la esige, perché per definÌ2Ìo-
ne (I) è fuori delle esigente della grafia... » {Compendio de Ascètica y Mistica,
i ediz. p.3, c .i, a .i, p.159).
240 PRINCIPI FONDAMENTALI

ni, i suoi gradi, la sua possibilità e le sue relazioni con


il problem a della predestinazione. L e questioni com ple­
m entari le esam inerem o nel corso della trattazione, man
m ano che si presenteranno.

i. - L a p e r f e z io n e in g en er ale

10 8 . a) S e n s o e t i m o l o g i c o . - Il term ine
perfezione deriva dal ve rb o latino perficere (fare fino alla
fine, fare com pletam ente, term inare), da cui viene
perfectum (quello che è term inato, com piu to; e perfectio
(qualità di perfetto). Una cosa è perfetta quando possie­
de tutto l ’essere, tutta la realtà che le convien e secondo
la sua natura. L ’uom o cieco è im perfetto perché p riv o
di u n o d egli organi richiesti dalla sua natura umana;
ma la m ancanza delle ali n on costituisce per l ’u om o
u n ’im perfezione, perché la sua natura non è fatta per
volare.

b) S e n s o r e a l e . - Il significato etim ologico ci


fa già intravved ere il significato reale. T u tta v ia per p re­
cisare m eglio le nostre idee è necessario ricordare
due im portanti principi filosofici:
i. Unumquodque in tantum est perfectum in
quantum est in actu. - L ’espressione v u o l significa­
re che le idee di realtà attuale e di perfezione sono sino-
nim e. P er questo, D io , che è atto puro, cioè l ’essere in
tutta la sua pienezza attuale, è la perfezione per essenza.
E g li è, in realtà, l ’unico essere perfetto. T u tti gli altri
esseri — risultanza di potenza e di atto — sono soltan­
to perfettibili. E po ich é da essi non scom parirà mai
qualche aspetto potenziale, la perfezione assoluta sarà
^impossibile all’essere creato. Essa rimane patrim onio
esclusivo di D io .
LA PERFEZIONE CRISTIANA 241
2. U n u m q u o d q u e d ic itu r esse p e r fe c tu m in
q u a n tu m a t t in g it p r o p riu m fin e m , q u i e s t u ltim a
te i p e rfe c tio . - È il principio che invoca S. Tom m aso
nell’articolo prim o della questione dedicata nella Som­
ma Teologica all’analisi della natura della perfezione
cristiana *. Q uando un essere ha raggiun to il suo fine,
si può dire che è giunto alla sua piena perfezione. Fin
tanto che si avvicina al fine possiede solo una perfezio­
ne relativa o progressiva.
E siste una perfezione sostanziale, in atto prim o, ed è
quella che abbraccia tutti i princìpi sostanziali richiesti
dalla natura specifica di un essere; ed esiste una per­
fezione accidentale, in atto secondo, ed è quella che si
estende anche a , tutte le perfezioni accidentali. Q ue-
st’ultim a è « la perfezione » in senso p rop rio o stretto.
L e due perfezioni si ritrovano nella vita spirituale, co­
me vedrem o.

2. N atu r a d ella p e r f e z io n e c r is t ia n a

S. T o m m a s o , Sum. Tbeol., I I - I I , 18 4 ; I d e m , D e perfectione vitae spiri-


tualis ( o p .1 8 ) ; P a s s e r i n i , D e statibus, t . i i n q .1 8 4 ; V a l l g o r n e r a , q .
4 , d . 1 ; T a n q u e r e y , Teologia ascetica e misticay n n . 2 9 6 -3 2 0 ; G a r r i g o u -
L a g r a n g e , Perfezione cristiana e c c . , c . 3; i d e m , L e tre età e c c . , 1 ,8 - 1 4 ;
F o n c k , art. Perfection i n D T C . t . 1 2 , C 0 I.12 1 9 S S .; D e G u i b e r t , Tbeologia
spiritualis n n . 4 0 -1 2 5 ; M e r c i e r , L a vita interiore, c o n f . 3 .

109 . S. T om m aso nella Somma Teologica inizia chie­


dendosi se la perfezione della vita cristiana consista
soprattutto nella carità 2. C om e si ved e, v a subito al
n occiolo della questione, lasciando da parte i pream boli
e le questioni secondarie.
La risposta è affermativa. L o p rova in prim o lu o g o

1 Cf. II-II, 184,T.


2 Ivi.
242 PRINCIPI FONDAMENTALI

con l ’ autorità di S. Paolo: « Super om nia autem haec,


caritatem habete, q u od est vin cu lu m perfectionis »
(Col. 3,14); perché la carità, com m enta il santo dottore,
in certo qual m od o lega tutte le virtù in una perfetta
unità.
N e l corp o dell’articolo stabilisce la p ro v a di ra­
gione, che n on potrebbe essere p iù sem plice. Se un es­
sere pervien e alla perfezione quando raggiu n ge il p ro­
prio fine, si deve concludere che la perfezione cristiana
consiste specialm ente nella carità, che ci unisce diret­
tamente a D io , ultim o fine soprannaturale.

l a c o n clu sio n e: La perfezione cristiana consiste so­


prattutto nella perfezione della carità.

110. Precisiamo, anzitutto, i termini della questione.


N o n è nostra intenzione affermare che la perfezione cristia­
na consista in m odo integrale ed esclusivo nella perfezione del­
la carità, ma essa è l’elemento principale, il più importante e
specifico. In questo senso, occorre dire che la carità nell’uo ­
m o è la misura della sua perfezione soprannaturale; colui il
quale ha conseguito la perfezione dell’am or di D io e del
prossim o, può essere chiamato « perfetto » nel senso più
genuino della parola (simpliciter), mentre lo sarebbe soltan­
to relativamente (secundum quid) se avesse raggiunto la per­
fezione solo in qualche altra virtù 3. Ipotesi impossibile,
d’altronde, nell’ordine soprannaturale, data l’intima connes­
sione esistente tra le virtù infuse, la grazia e la carità 4.
V alore della tesi. - Intesa in questo senso, la n o ­
stra conclusione sembra a m olti teo lo gi quasi di fede
(proxima fidei) per la chiara testimonianza della Scrittura e il
consenso unanime della Tradizione 5.

3 « Sim pliciter ergo in spirituali vita perfectus est qui est in caritate per-
fectus. Secundum quid, autem, perfectus dici potest, secundum quodcum -
que quod spirituali vitae adiungitur » (S. T h o m ., D e perfezione vitae spiri­
tualis 1).
<( E t ideo secundum caritatem simpliciter attenditur perfectio christia-
nae vitae, sed secundum alias virtutes secundum q uid » (II-II,184,1 ad 2).
4 1 -1 1 ,6 5 .
5 Cf. D e G u i b e r t , Tbeologia Spiriiualis n .5 0 .
LA PERFEZIONE CRISTIANA 243

P r o v a d e l l a t e s i . - i . L a Sacra S crittu ra .
. È una delle verità più inculcate dalle pagine ispirate.
Cristo stesso afferma che dalFam or di D io e del prossi­
mo dipende tutta la leg ge e i p r o f e t i6. I testi di S. P ao ­
lo sono num erosi e m olto espliciti.
« Super omnia autem haec, caritatem habete, quod est
vinculum perfectionis » i.
« Plenitudo ergo legis est dilectio » 8.
« N un c autem manent fides, spes, catitas, tria haec;
maior autem horum est caritas » ?.
« In caritate radicati et fundati u t possitis comprehen-
dere cum omnibus sanctis...» I0.
« Finis autem praecepti est caritas » K.

L a stessa fede riceve tutto il suo valore dalla carità:


« Nam in Christo Jesu neque circumcisio aliquid valet,
neque praeputium, sed fides quae per caritatem operatur » ” .

L e altre virtù som nulla sen^a di essa 13, ecc. “ .

2. I l M a g is te r o d e lla C h ie s a . - Questa dottrina,


ampiamente com m entata e sviluppata dai Ss. Padri 15,
è stata sanzionata dal M agistero della Chiesa. N ella
bolla A d Conditorem, di G iovan n i X X I I , si legge:
« Cum enim perfectio vitae christianae principaliter et
essentialiter in caritate consistat, quae ab A postolo « vinculum

6 M at. 22,55-40; M arco 12,28-31.


7 Col. 3,14.
8 Rom . 13,10.
9 iC o r. 13,13.
10 E f. 3,17-18.
11 iT im . 1,5.
12 G al. 5,6.
*3 Cf. iC o r. 13,1-3.
*4 Per una prova scritturistica più abbondante: P r a t , Teologia di S. Paola
p. II, 1. 6 , c.i,III; e V a n R o e y , D e viriate caritatis q. 1 c.3.
J 5 Si vedano num erose testim onianze in R o u e t d e J o u r n e l , Encbiri-
dion ascetkum, 3 ediz., nn. 89, 687, 734, 787, 789, 1262, 1314, ecc.
244 PRINCIPI FONDAMENTALI

perfectionis » dicitur (Col. 3 , 1 4 ) et quae unit seu iungit


aliqualiter hominem suo fini... » l6.

C om e si vedrà, sono la stessa dottrina e le stesse


parole di S. Tom m aso.

3. L a r a g io n e te o lo g ic a . - Secondo l’A n gelico , un


essere è perfetto quando ha con segu ito il suo fine ul­
tim o e n on ha p iù nulla da desiderare. O ra, è la carità
che ci unisce a D io , n ostro fine ultim o; quindi, in essa
specialmente consisterà la perfezione cristiana.
« Respondeo dicendum quod unum quodque dicitut es­
se perfectum in quantum attingit proprium finem, qui est
ultim a rei perfectio. Caritas autem est quae unit nos D eo,
qui est ultimus finis humanae mentis; quia qui manet in cari-
tate,, in Deo manet, et Deus in eo, u t dicitur i j o h . 4,16. E t ideo
secundum caritatem specialiter attenditur perfectio vitae
christianae »

L a ragione fondam entale addotta da S. Tom m aso


si chiarisce e com pleta con l ’esame della natura e degli
effetti della carità. Soltanto essa ci unisce totalm ente a
D io com e fine ultim o soprannaturale. L e altre virtù
d ispon gon o ed avvian o soltanto questa unione. L e
virtù morali si lim itano a rim uovere o a ridurre gli osta­
coli che ci im pediscono di andare a D io e ci avvian o
a lui soltanto indirettamente, stabilendo l ’ ordine nei
m esgi che a lui ci cond u con o ls. L a fede e la speranza
ci uniscono certamente a D io , p o ich é sono virtù teo­
logali, ma n on com e ultim o fine assoluto, com e bene
in se stesso infinitam ente am abile, ma com e prim o
principio, dal quale ci deriva la conoscenza della v e ­
rità (fede) e la perfetta beatitudine (speranza). L a carità
tende a D io e ci unisce a lui com e fine; la fede e la spe­

16 C f. D e G u ib e r t , Documenta Ecclesiastica christianae perfectionis studium


spectantia n.266.
>7 II-II,i8 4 ,!.
18 1-11,63,3 ad 2.
LA PERFEZIONE CRISTIANA 245
ranza lo co n te m p la n o e ci p o rta n o a lu i c o m e princi­
pio 19. L a fe d e ci dà u n a co n o sce n za d i D io n ecessaria­
m en te o scu ra e im p erfetta (de non visis), la speran za
è p u re ra d ica lm en te im p erfetta (de non possessis), la carità,
in v e ce , c i u n isce a lu i fin d ’o ra c o n u n v in c o lo p erfe ttis­
sim o, d o n a n d o ci il p o sse sso reale di D io 20 e stab ilen d o
un a co rren te di v ic e n d e v o le am icizia tra lu i e n o i 21.
P er tale m o tiv o , la carità è in se p a ra b ile d alla g razia ,
m entre la fed e e la speran za so n o co m p a tib ili in qualche
m o d o anch e co n il p e cca to m o rta le (fed e e speranza
informi) 22. L a carità, in fin e, su p p o n e la fe d e e la sp eran ­
za, p erò le su p era in d ig n ità e p e rfe z io n e 23.
È fu o r i d u b b io , q u in d i, ch e la carità co stitu isce
l ’essenza stessa della p e rfe z io n e cristiana; essa su p p o n e
e ra cch iu d e tu tte le altre v ir t ù e sen za di essa le altre
v ir tù n o n a v r e b b e ro a lcu n v a lo re , co m e d ice espressa-
m ente S. P a o lo 24.
Tuttavia, è necessario intendere retta mente questa dot­
trina per non incorrere in lam entevoli confusioni ed errori.
D al momento che la perfezione cristiana risiede specialmen­
te nella carità, non ne segue che le altre virtù abbiano un
com pito puramente accidentale, o che non entrino in alcun
modo a far parte della sua essenza. Specialiter non significa
totaliter, né dobbiam o scambiare l’essenza metafisica con l’es­
senza fisica di una cosa *5. L ’essenza metafisica della perfe­
zione cristiana è data dalla sola perfezione della carità;
l’essenza fisica, totale o integrale, richiede tutte le altre virtù
infuse e nello stesso grado di perfezione della carità.

■9 11-11,17,6.
=° 1-11,66,6.
21 11-11,23,1. — C f. G io v . 14,23; Cant. 2,16; 6,2; 7,10.
“ 11-11,24,12 c, et ad 5. — Cf. 1-11,65,4.
23 11 -11 , 2 3 , 6 .
C f. i C o r . 13.
3 5 N ella filosofìa scolastica per essenza metafisica s’intende quella
proprietà o predicato che si concepisce come i l primo e i l più nobile di un es­
sere ed è com e la fonte o il principio di tutte le altre perfezioni. P er es­
senza fisica s’intende il complesso delle proprietà e perfezioni che appartengono
ad un essere nell’ordine reale.
246 PRINCIPI FONDAMENTALI

N o n dobbiam o dimenticare, inoltre, che le virtù morali


e a più forte ragione la fede e la speranza, non sono prive
di valore, anche solo considerate in se stesse, indipenden­
temente dalla-carità (sia pure non senza di essa). Benché
tutti g li abiti della vita cristiana possano e debbano essere
imperati dalla carità, pure, m olti sono atti eliciti delle altre
virtù infuse; ed è evidente che v i possono essere diversi
gradi di perfezione nella maniera di prodursi l ’atto elicito
di qualche virtù anche prescindendo dal m aggiore o mino­
re influsso esercitato su di esso dalla carità imperante. Quando
la Chiesa vuole giudicare della santità di qualche servo di
D io , non limita il suo esame alla carità, ma lo estende an­
che alla eroicità delle altre virtù. C iò ci dimostra che le virtù
infuse sono parti integranti della perfezione cristiana.

2a conclusione: La perfezione cristiana integrale


abbraccia l’atto elicito di carità e quelli delle al­
tre virtù infuse imperati dalla carità che sono
di precetto 26.

H I . Preamboli. - i . O ccorre distinguere nelle virtù


cristiane ciò che è di precetto grave da ciò che è di pre­
cetto leggero o solo di consiglio. In quanto rappresentano pre­
cetti gravi, la cui trasgressione costituisce peccato mortale,
tutte le virtù dicono relazione essenziale alla carità che senza
di esse non potrebbe neanche sussistere. In quanto rappre­
sentano precetti leggeri, non sono strettamente necessarie
alla carità ma solo alla sua perfezione, giacché tale perfe­
zione male si accorda con il peccato veniale deliberato, de­
rivante dalla trasgressione di un precetto leggero. Se poi
il loro o ggetto è di semplice consiglio, la connessione con
la carità e la perfezione diventa puramente accidentale,
giacché senza questi atti la sostanza della carità e della
perfezione può rimanere intatta.
2. L ’atto delle virtù infuse può essere considerato;
a) in se stesso (atto elicito), e b) in quanto imperato dalla
carità. U n atto di um iltà com piuto com e tale, è un atto
elicito di questa virtù; lo stesso atto com piuto per amore di
Dio è un atto elicito della virtù dell’umiltà e, nello stesso
tem po, un atto imperato della carità.
3. L ’essenza di una cosa può essere considerata: a) in

26 C f. P a s s e r i n i , O .P ., D e statìbus bomìnttm in II-II, 18 4 ,1.


LA PERFEZIONE CRISTIANA 247

astratto, come principio formale: essenza metafisica; e h) in


concreto, in m odo fisico, integrale, totale.
4. L a perfezione può essere considerata come abito (in
atto primo) o come atto (in atto secondo). L a prim a è la per­
fezione sostanziale o radicale, la seconda è la perfezione acci­
dentale o simpliciter, che è propriamente quella che ci inte­
ressa. Per la prima basta il semplice stato di grazia, per la
seconda si richiede un notevole grado di sviluppo dei prin­
cipi attivi che emanano dalla grazia.
Ciò posto, diciamo che la perfezione attuale (ossia la
perfezione simpliciter, o in atto secondo) consiste essenzialmen­
te (nel senso di essenza fisica, integrale) non solo nell’atto
elicito della carità (essenza metafisica, form ale), ma anche
negli atti delle altre virtù infuse; non in se stessi (in questo
senso v i appartengono soltanto in m odo secondario e ac­
cidentale), ma in quanto imperati dalla carità (ossia, in quanto
realizzati per amor di Dio) e in quanto sono di precetto (non
di semplice consiglio).
Prova della tesi. - 1. La perfezione cristiana non va
considerata com e una forma semplice, ma com e un tutto
morale risultante da quel complesso di condizioni che
perfezionano la vita del cristiano. Si tratta evidentemente
di una pienezza che suppone la sottomissione o orientamento
perfetto di tutta la nostra vita morale. E siccome questo o-
rientamenio totale non si consegue mediante la sola carità,
che dice unicamente ordine al fine, ma suppone anche il
totale orientamento dei mezzi che conducono a questo fi­
ne, sottom ettendo e controllando le passioni disordinate che
ostacolano l’atto della carità, ne segue che g li atti di tutte le
altre virtù infuse — che hanno per o ggetto questi m ezzi21 —
entrano a fare parte dell’essenza della perfezione cristiana,
considerata nel suo aspetto fisico o integrale.
2. L a perfezione cristiana — com e insegna S. Tom m a­
so 28 — risiede essenzialmente neìprecetti, non nei consìgli. Però,
siccom e oltre la carità ci sono m olte altre virtù comandate,
bisogna concludere che anch’esse devono entrare nel con­
cetto essenziale della perfezione cristiana.
A bbiam o numerosi precetti che rientrano nell’ambito
delle virtù infuse: alcuni sub gravi (per es.: la virtù della fo r­
tezza ci comanda di soffrire il martirio anziché rinnegare

;7 O al medesimo fine, però considerato com e principio (fede e speran­


za). C f. 11-11, 17, 6.
28 H - 1 1 ,1 8 4 ,3 .
248 PRINCIPI FONDAMENTALI

la fede) e altri sub levi (per es.: la virtù della veracità ci proi­
bisce di dire anche una piccola bugia). Soltanto con l ’adem­
pim ento di questi doveri diventa possibile l’esistenza della
carità o della perfezione della medesima. Infatti la carità
iniziale, indispensabile, sostanziale è incompatibile con il
peccato mortale, e la carità perfetta è incom patibile ed esclu­
de positivam ente il peccato veniale. Q uesto suppone neces­
sariamente l ’esercizio delle virtù infuse in tutti i loro aspet­
ti e solo prescinde dagli atti virtuosi di puro consiglio.
3. Soltanto cosi si possono giustificare le espressioni
della Sacra Scrittura che attribuiscono, una parte essenziale
agli atti delle altre virtù infuse, quali la fede, l ’osservanza
dei comandamenti, l ’obbedienza, la pazienza, l’umiltà, ecc.,
e la pratica della Chiesa che per la beatificazione dei servi
di D io richiede l’eroismo in tutte le virtù cristiane e
non solamente nella carità.
Tuttavia, è opportuno non perdere mai di vista che gli
atti delle altre virtù infuse entrano nell’essenza della perfe­
zione cristiana non in se stessi — in questo senso vi appar­
tengono soltanto in m odo accidentale e secondario — ma
in quanto imperati dalla carità, che è la forma di tutte le altre
virtù *9.
L a carità in quanto form a di tutte le altre virtù ha il
com pito specifico di dirigere e ordinare all’ultim o fine sopran­
naturale tutti i loro atti, compresi quelli della fede e della
speranza, che senza di essa sarebbero informi nonostante
conservino la propria form a specifica. D ice S. Tom m aso:
« In m oralibus form a actus attenditur principaliter ex parte finis: cuius
ratio est quia principium m oralium actuum est voluntas cuius obiectum
et quasi form a est finis. Semper autem form a actus consequitur form am
a gentis. U nde oportet quod in m oralibus id quod dat actui ordinem ad fi-

29 C f. 11-11,23,8. — D icendo che la carità è la forma di tutte le virtù ,


n o n intendiam o affermare che sia la forma intrinseca e d essenziale (com e ri­
ten n ero D urando e alcuni scotisti), m a soltanto la form a estrinseca e acciden­
tale, com e insegna S. Tom m aso (effective, dice nel ad 1 di questo articolo).
N elle virtù infuse possiam o distinguere tre diversi principi inform ativi:
u n o radicale, dato dalla grazia abituale o santificante, che costituisce com e
la radice di tutti g li altri abiti infusi; uno essenziale o intrinseco, dato dalla fo r­
ma specifica propria e determinata di o gn i v irtù in particolare; e un o e-
strinseco o accidentale, dato dalla carità, che le ordina e orienta al fine sopranna--
turale. So lo in questo terzo senso si dice che la carità è form a di tutte le
altre virtù.
LA PERFEZIONE CRISTIANA 249
nem, det ci et form am . M anifestum est autem secundum praedicta quod per
caritatem ordinantur actus om nium aliarum virtutum ad ultim um fìnem.
Et secundum h oc ipsa datformam actibus omnium aliarum virtutum. E t prò tanto
dicitur esse form a virtutum : nam et ipsae virtutes dicuntur in ordine ad
actus form atos » 3°.

In che m odo la carità esercita questo impero sulle altre


virtù infuse in ordine al fin e soprannaturale? È soltanto
un impulso estrìnseco o com unica loro intrinsecamente qual­
che cosa della sua virtualità ? N o n si può accettare l ’opinione
che fa della carità la form a intrinseca ed essenziale di tutte
le altre virtù. Secondo questa dottrina, tutte le virtù sareb­
bero una sola cosa con la carità e ci troverem m o di fronte
all’assurdo che una medesima virtù possederebbe due for­
me sostanziali distinte 31. M a sarebbe ugualm ente errato pensa­
re che Tinflusso della carità sia solo estrinseco all’atto delle altre
virtù. In forza di tale im pulso la carità com unica agli atti
delle altre virtù un. modo reale ed intrinseco per cui tanto gli
atti quanto le virtù dalle quali traggono origine 3* restane
perfezionati e nobilitati 33.

3 ° 11-11,23,8.
31 « Caritas — dice espressamente S. Tom m aso — dicitur esse form a a-
lìarum virtutum non quidem exemplariter aut essentialiter, sed m agis effedive :
in quantum scilicet omnibus form am im ponit secundum m odum praedictum »
(11-11,2 3,8 ad i). E Gaetano commenta: « N o n solum caritas inform at
effective quia im perat et ordinat; h oc enim com m une est om n i im peranti
et ordinanti; sed quia participatio passiva imperii et ordinationis suae est velut
forma constituens actus alios in esse virtuoso simpliciter» (Ivi).
3* Effettivam ente, la carità non inform a soltanto Matto delle altre virtù,
ma anche le virtù in quanto abito: « Caritas non solum actum fidei, sed ipsa
/idem inform at», dice espressamente S. Tom m aso in D e peritate (14,5 ad 9).
Direttamente inform a Yatto; per derivazione (ex consequenti) inform a anche
l’abito della v irtù , che in sé è un abito operativo.
33 Si veda la spiegazione che ne dànno i Salmaticesi: « Cum aliquis
actus attingit aliquem finem, nequit n o n dicere veru m ordinem , sive habi-
tudinem realem ad talem finem; ergo quando actus virtutis inferioris or-
dinatur ad finem caritatis illum que attingit, nequit n on im portare verum
ordinem et realem habitudinem ad talem finem: cum que huiusm odi ordo
non conveniat actui virtutis inferioris ex propria ratione, sive ex parte
virtutis proxim ae a qua elicitur, opus est quod illum p articipet ex influxu
caritatis, cui per se con ven it illum finem attingere... Insuper actus virtu tis
inferioris ratione ordinis ad D eum ultim um finem consequitur valorem adae-
quatum ad merendam vitam aeternam de condigno. Sed h ic v a lo r non estens
250 PRINCIPI FONDAMENTALI

È chiaro che se non ci fosse una materia atta ad essere


ordinata al fin e, la form a direttrice non avrebbe nulla da
informare e, come tale, non potrebbe passare all’atto. La
carità dovrebbe limitarsi al suo atto. Cosicché, occorre
concludere che la perfezione cristiana non è una form a
semplice, ma una pienezza morale, costituita in prim o luogo
dall’atto della carità e, secondariamente, dagli atti delle
altre virtù infuse com piuti sotto l’influsso della carità, che
le orienta e le dirige all’ultim o fine soprannaturale.

3!l conclusione: Lo sviluppo della perfezione cristia­


na è proporzionato al fervore con cui la carità
produrrà i suoi atti eliciti e alla intensità, attua­
lità e universalità dell’influsso che esercita sugli
atti delle altre virtù.

112. Q uesta nuova conclusione ha due parti, che esa­


mineremo separatamente.
Prima p a r t e . - L o sviluppo della perfezione
cristiana è proporzionato al fervore con cui la carità p ro ­
durrà i suoi atti eliciti.
Prescindiamo qui dalla tanto dibattuta questione se
gli abiti infusi crescano ad ogn i atto o si richieda un atto
più intenso. Secondo S. Tom m aso, aumentano solo in vir­
tù di un atto com piuto con m aggior fervore; lo afferma
espressamente riferendosi alla carità si. Però anche nella
sentenza contraria la nostra conclusione conserva tutto il
suo valore; perché se un atto qualsiasi di carità è capace
di aumentare l’abito, a più forte ragione lo aumenteranno
gli atti più intensi. E poiché la perfezione cristiana consi-

rationis, nec denominatio extrinseca, sed aliquod praedicatum reale; ergo


ordo, quem actus virtutis inferioris habet ex m otione caritatis ad eius finem
est aliquid reale: cum que talis ordo non pertineat ad speciem praedicti
actus, sequitur esse aliquid sibi intrinsece superadditum » (D e cantate d.7
n.49).
34 « Non quolibet actu caritatis caritas actu augetur; sed quilibet actus cari­
tatis disponit ad caritatis augm entum , inquantum ex un o actu caritatis ho­
m o redditur prom ptior iterum ad agendum secundum caritatem; et, habi-
litate crescente, hom o prorumpit in actum ferventiorem dilectionis, quo conetur
ad caritatis profectum ; et tunc caritas augetur in actu» (11-11,24,6).
LA PERFEZIONE CRISTIANA 251
ste soprattutto nella perfezione della carità, è o v v io che,
ad una m aggiore intensità degli atti di questa, corrisponde­
rà un m aggiore sviluppo di quella. Sotto questo aspetto
è certo che la misura della santità rimane l’amore. A d un
maggiore amore di D io e del prossim o fa sempre riscon­
tro un più alto grado di santità.
P erò, oltre al suo atto elicito, che costituisce la quin­
tessenza della perfezione cristiana, la carità, com e forma
di tutte le virtù, ne deve dirigere e ordinare g li atti al fine
ultim o soprannaturale.
S e c o n d a p a r t e . - L a perfezione cristiana sa­
rà tanto m aggiore quanto più intenso, attuale e universa­
le sarà l’influsso esercitato dalla carità sull’atto delle altre
virtù infuse.
a) Più intenso. - È una semplice applicazione della dottri­
na che abbiamo considerata parlando dell’atto elicito della
carità.
b) Più attuale. - Sia che per il merito di un atto sopranna­
turale si richieda l’influsso attuale della carità sia che basti
quello abituale — questione discussa tra i teologi — non c’è
dubbio che l’influsso attuale è più perfetto. Q uindi, a misura
che l’influsso imperante della carità sulle altre virtù si farà più
attuale, più perfetti saranno i loro atti eliciti, giacché il m o­
tivo della carità è più perfetto e m eritorio di quello di tutte
le altre virtù. C ’è un abisso — in ordine alla perfezione
soprannaturale — tra un atto, per esempio, di umiltà po­
sto unicamente per il m otivo proprio e specifico di tale
virtù e il medesimo atto posto per amore di Dio, m otivo per­
fettissimo della carità.
c) Più universale. - N o n sarà mai possibile che l’influsso
attuale della carità si estenda a tutti gli atti umani, in questa
vita. Il concilio di Trento ha definito che nessuno può e-
vitare tutti i peccati veniali senza uno speciale privilegio 35.
Q uindi, non c ’è dubbio che si produrranno alcuni at­
ti — peccati veniali ■—■ che in nessun m odo saranno informati
dalla carità. Però, a misura che aumenteranno gli atti in­
formati da essa e si estenderanno ad un m aggior numero
di virtù, andrà sviluppandosi la perfezione integrale della
vita cristiana.

35 C f. D enz. 833.
252 PRINCIPI FONDAMENTALI

4 1 conclusione: La perfezione della vita cristiana si


identifica con la perfezione del duplice atto di
carità; principalmente nell’amor dì Dio, secon­
dariamente nell’amor del prossimo.

113. È dottrina comune in T eo lo gia che esiste una sola


virtù, un solo abito infuso della carità, con il quale amiamo
D io per se stesso e il prossim o e noi stessi per amore di
D io 36. T utti gli atti che p rocedono dalla carità, qualunque
sia il loro oggetto materiale, hanno un unico oggetto formale
quo, l’infinita bontà di D io considerata in se stessa. Sia che
amiamo D io j sia che amiamo il prossim o o n oi medesimi,
se si tratta di vero amore di carità, il m otivo form ale è
identico: l’infinita bontà di D io . N on ci può essere vera
carità verso il prossimo o verso di noi se non procede dal
m otivo soprannaturale dell’amore di D io ; ed è necessario
distinguere bene questo atto form ale di carità da qualsiasi in­
clinazione verso il prossimo nata da una compassione pu­
ramente umana o da qualche altra form a d’amore sbocciata
da un m otivo naturale.
Stando cosi le cose, è evidente che un aumento dell’a­
bito infuso della carità determinerà una m aggiore capacità
al suo duplice atto. N o n si può aumentare nell’anima la ca­
pacità di amare D io senza che aumenti in pari tem po e nel
medesimo grado, la capacità di amare il prossimo. Questa
verità costituisce l ’argom ento centrale della prima lettera di
S. G iovanni dove vien posta bene in luce l’intima connes­
sione dei due amori.
T uttavia, neiresercizio dell’amore c’è un ordine im posto
dalla natura stessa delle cose. Secondo tale ordine, la perfe­
zione della carità consiste innanzi tutto n ell’amore di D io ,
infinitamente amabile per se stesso e, secondariamente, nell’amo­
re del prossim o e di n oi stessi per amore di D io . A nche tra
noi e il prossimo vig e un ordine, secondo la m aggiore o
minore relazione con D io dei beni ai quali si partecipa.
Cosi occorre amare prima il bene spirituale proprio, poi il
bene spirituale del prossim o, ma il bene spirituale del pros­
simo è da preferirsi al nostro bene materiale. L a ragione di
questa gerarchia di valori — come spiega S. Tom m aso —
è data dal fatto che si ama D io com e principio del bene sul
quale si fonda l’amore di carità; si ama se stessi in quanto

ì 6 11-11,23,5; 25,12; 26,1-4.


LA PERFEZIONE CRISTIANA 253

si è partecipi direttamente di questo bene, e il prossimo in


quanto socio e compartecipe 37. Siccom e il corpo partecipa
della beatitudine unicamente per una certa ridondanza del­
l’anima, abbiamo che, per questo aspetto, è più prossima
alla nostra anima l ’anima del prossimo che il nostro stesso
corpo; quindi, occorre anteporre il bene spirituale del pros-
im o al nostro bene corporale 3 *.

5a conclusione; La perfezione cristiana consiste nel­


la perfezione della carità affettiva ed effettiva;
principalmente nell’affettiva, secondariamente
nell’effettiva.

114. È necessario, anzitutto, distinguere attentamente


i due diversi m odi di esercitate la carità. Ascoltiam o S. Fran­
cesco di Sales:
« D u e sono i principali esercizi del nostro am ore verso D io : un o affet­
tivo e l ’altro effettivo, o , com e dice S. Bernardo, attivo. Per il prim o n o i amia­
m o D io e ciò che egli ama, per il secondo osserviam o e facciam o quanto
egli ci com anda; quello ci unisce alla bontà di D io , questo ci fa eseguire la
sua volon tà. L ’un o ci riem pie di com piacenza, di benevolenza, di slancio,
di desiderio, di sospiri e di ardori spirituali, facendoci provare le sacre ef­
fusioni e com unicazioni dell’animo nostro con quello di D io ; l’altro suscita
in n oi la calda risoluzione, la ferm ezza d el co ra ggio e l ’inviolabile obbe­
dienza, richiesta per effettuare g li ordini della divina volon tà e per soffrire,
accettare, approvare e abbracciare tutto ciò ch e p rovien e dal suo bene­
placito. L ’u no ci fa com piacere in D io ; l’altro ci fa piacere a D io » 3 9.

Se si tiene presente che la perfezione cristiana è tanto


m aggiore quanto più intenso è l’atto elicito della carità e
l’influsso da essa esercitato sulle altre virtù, risulta evidente
che la perfezione dipende innanzi tutto dalla carità affettiva,
e solo secondariamente da quella effettiva. Infatti:
a) Senza l ’influsso della carità che inform a in qualche
m odo l’anima, gli atti interni o esterni di qualsiasi virtù
acquisita, per quanto perfetti nel loro genere, sono inutili
per la vita eterna.
b) G li atti soprannaturali che procedono da una virtù
infusa realizzati con un affetto di carità debole hanno un

37 H-11,26,4. C f. 184,3.
3* n-11,26,5.
39 S . F ran cesco d i Sales, Teotimo 6 ,1 .
254 PRINCIPI FONDAMENTALI

valore m eritorio ugualmente debole per quanto ardui e


penosi possano essere in se stessi. N o n dimentichiamo che
la m aggiore o minore difficoltà che si riscontra nel com pi­
mento di un atto non aggiunge per se nessun valore al suo
merito essenziale — che dipende esclusivamente dal grado
di carità con cui si com pie — benché possa aggiungerglielo
per accidens a m otivo del m aggiore slancio di carità che o r­
dinariamente l’accom pagna 4°.
c) Invece, gli atti di una virtù infusa, per quanto facili
e semplici, se sono realizzati con un affetto di carità intensis­
simo, hanno un grande valore m eritorio e rivestono u n ’al­
tissima perfezione. Cosi, la più insignificante azione di
Cristo o di Maria, avevano un valore incomparabilmente
superiore alle sofferenze dei martiri.
d) Questa verità trova la sua giustificazione nel fatto che
la perfezione cristiana consiste principalmente nell’atto eli-
cito della carità (carità affettiva) e solo integralmente negli atti
delle altre virtù imperati dalla carità (carità effettiva). Q uanto
abbiamo detto vale sul piano o gg ettivo , se si considerano
le cose quoad se.
Perché, quoad nos, la perfezione dell’amore divino si
manifesta m eglio nell’esercizio della carità effettiva, neEa pra­
tica per amore di D io delle virtù cristiane, soprattutto se essa
com porta grandi difficoltà, tentazioni o fatiche. L ’amore
affettivo, in sé più nobile, si presta a grandi illusioni e misti­
ficazioni. È m olto facile dire a D io che lo amiamo con
tutte le nostre forze, che desidereremmo essere martiri,
ecc. e poi mancare al silenzio — che costa assai meno del
martirio — oppure ostinarsi, per amor proprio, su un pun­
to di vista incompatibile con quella pienezza d’amore cosi
solennemente professata. Il nostro amore verso D io diven­
ta m olto meno sospetto quando ci spinge a praticare in si­
lenzio e con perseveranza, nonostante tutti gli ostacoli e
le difficoltà, il penoso e m onotono dovere di o gn i giorno.
Cristo stesso ci insegna che l’albero si conosce dai suoi
frutti (Mat. 7,15-20) e che non entreranno in cielo coloro
che si limitano a dire: « Signore, Signore! », ma coloro che
com piono la volontà del suo Padre celeste (Mat. 7,21).
L a stessa verità ci ricorda la parabola dei due figli (Mat.
21,28-32).
4° « Plus facit ad rationem m eriti et virtutis bonum quam difficile. Unde
non oportet quod om ne difficilius sit m agis m eritorium: sed quod sic est
difficilius u t etiam sit m elius» (11-11,27,8 ad 3: cf. I l i Sent., d.30, a.3 et
4 ad 3; D e virtutibus 2,8 ad 4).
LA PERFEZIONE CRISTIANA 255

6a conclusione: Per la sua piena espansione e svi­


luppo, quali sono richiesti dalla perfezione cri­
stiana, la carità deve essere perfezionata dal do­
no della sapienza.

115. È una applicazione della dottrina generale sulla


necessità dei doni per la perfezione delle virtù infuse. Senza
l ’influsso dei doni, le virtù infuse operano uniformandosi
alla norma della ragione naturale illuminata dalla fede, ossia
al modo umano. Poiché sono abiti soprannaturali e divini,
le virtù infuse reclamano, per loro natura, un esercizio al
modo divino o sovrumano. Quando i doni dello Spirito Santo
non comunicano loro questo modo divino che li caratterizza
e di cui mancano le virtù infuse abbandonate a se stesse *l
è impossibile che raggiungano il loro pieno sviluppo.
Q uesto è vero per tutte le virtù infuse, e in m odo spe­
ciale per la carità. D ifatti, essendo una virtù perfettissima, la
più nobile ed eccellente di tutte, reclama, con imperiosa
esigenza, l’atmosfera divina dei doni dello Spirito Santo
per realizzare tutte le sue potenzialità. L a norma della ra­
gione umana, sia pure illuminata dalla fede, è insufficiente
a darle questa modalità divina. Infatti la ragione naturale
rimane a una distanza infinita dall’ordine soprannaturale
ed è assolutamente impotente, non già a produrlo, ma ad esi­
gerlo A nche quando l ’anima è elevata all’ordine sopran­
naturale dalla grazia e la ragione è illuminata dalla fede,
l ’esercizio delle virtù infuse continua al m odo umano.
Perché si produca la modalità divina, reclamata dalla carità,
è necessario che la ragione, sotto la m ozione dello Spirito
Santo, cessi di essere norma e causa motrice dell'abito per con­
vertirsi in soggetto passivo che riceve con docilità e lascia at­
tuare senza resistenza, in tutta la sua purezza ed integrità,
la modalità divina dei doni che procede dalla norma e dal prin­
cipio al quale si uniform a e che è lo Spirito Santo stesso.
Soltanto sotto l’influsso del dono deU’intelletto, che senza

41 Tale è la dottrina di S. Tom m aso. Si ricordi, per esem pio, questo


testo: « D o n a a virtutibus distinguuntur in h o c quod virtutes perficiunt
ad actus modo humano, sed dona ultra humanum modum» {III Sent. d.34, q .i,
a.i).
42 Cf. la dottrina della Chiesa contro i pelagiani e i semipelagianì (D enz.
io is , 126S, 174S).
256 PRINCIPI FONDAMENTALI

distruggere la fede — perché non si ha ancora la visione


beatifica — le conferisce una penetrazione profonda dei
misteri soprannaturali (quasi intus legeré) « e, soprattutto,
del dono della sapienza, che le fa assaporare le cose divine
per una certa misteriosa connaturalità e simpatia — per
quondam connaturalitatem 44 — la carità raggiunge : quello
sviluppo pieno che è richiesto dalla perfezione cristiana.

7a conclusione: La carità può crescere indefinita­


mente nell’uomo viatore; di conseguenza, la per­
fezione cristiana in questa vita non ha limite.

116 . In tre m odi — dice S. Tom m aso 45 — può avere


termine l’aumento di una forma: i . per parte della form a
stessa, quando ha una capacità limitata, oltre la quale non
può progredire senza venir meno; cosi, per esempio, conti­
nuando a modificare il colore grigio, giungerem o necessa­
riamente al bianco o al nero; z. per patte dell’ agente, quando
manca del vigo re sufficiente per continuare ad aumentare
la form a del soggetto; 3. per parte del soggetto stesso,
quando non è capace di ricevere una m aggiore perfezione.
Per nessuna di queste ragioni si può assegnare un ter­
mine all’aumento della carità in questa vita. N o n per parte
della carità, giacché nella sua ragione specifica altro non è
che una partecipazione della infinita carità di D io; non per
parte dell’agente che produce l’ aumento, lo Spirito Santo,
il potere del quale è infinito; non per parte del soggetto nel
quale risiede la carità — la volontà umana — la cui capa­
cità obbedienziale nelle mani di D io è inesauribile. L a carità,
quindi, non trova alcun limite nel suo sviluppo mentre
rimaniamo in questo m ondo e può, per ciò stesso, crescere
indefinitamente *6.
In cielo le cose andranno diversamente. L ’anima sarà
giunta al suo termine, e, nell’ istante in cui entrerà in para­
diso, il suo grado di carità rimarrà fissato secondo l’intensità
posseduta nell’ultim o istante della sua permanenza sulla
terra. A nch e in cielo la carità potrebbe crescere indefinita-

43 Il-n,8 ,i.
44 11-11,45,2.
45 II-II,24,7.
46 Q uesta dottrina di S. Tom m aso fu sanzionata dalla Chiesa nel C on ci­
lio di V ienn e contro g li errori dei beguardi e delle beghine (D enz. 471).
LA PERFEZIONE CRISTIANA 257
mente, considerando i tre aspetti già ricordati, giacché
non muterà la natura della carità, com e non diminuirà il
potere di D io , né la potenza obbedienziale della creatura
nelle mani di D io ; sappiamo tuttavia con certezza che tale
crescita n on si avrà perché è stata fissata nel suo grado corri­
spondente dall’immutabile volontà di D io e perché è ter­
minato il tempo di meritare 47.

8 l conclusione: La perfezione cristiana consiste so­


prattutto nei precetti; e solo secondariamente
e strumentalmente nei consigli.

117. S. Tom m aso dedica un bell’articolo a tale questio­


ne 48. Com e prova, si rifa, nell’argom ento sed contra, al­
l’autorità della Scrittura. N e l D euteronom io (6,5) è scritto:
« D iliges D om inum D eum tuum ex toto corde tuo »; e nel
L evitìco (19,18) si aggiunge: « D ilig es proxim um tuum si-
cut teipsum ». D a questi due precetti, dice il Signore, dipen­
de tutta la legge e i profeti (Mat. 22,40). Q uindi la perfe­
zione della carità, che costituisce la perfezione cristiana, ci
viene presentata com e un comando.
N el corpo dell’articolo insiste sullo stesso argom ento
rifacendosi alla carità. Sappiamo che la perfezione cristiana
consiste per se nella carità; in prim o lu o go n ell’am or di
D io , e secondariamente nell’amor del prossim o. Però l’a-
m or di D io e del prossim o costituiscono il prim o e il più
grande di tutti i comandamenti; quindi, la perfezione cri­
stiana consiste essenzialmente nei precetti.
Il dottore A n gelico ferm a quindi la sua attenzione sulla
form a con cui ci viene presentato questo precetto: « D iliges
D om inum D eum tuum ex toto corde tuo... et proxim um tuum
sicut teipsum ». Secondo A ristotele, « tutto » e « perfetto »
si equivalgono; e ognuno ama se stesso al massimo grado.
N e conclude S. Tom m aso che l’amor di D io e del prossimo
non ci viene solo comandato in una determinata misura, cosi
che il resto possa considerarsi di semplice consiglio, ma rien­

47 Tale è la sentenza unanime del teologi di tutte le scuole. N o n esiste


al riguardo nessuna definizione esplicita della Chiesa, p erò è una verità
chiaramente contenuta nel suo M agistero ordinario, ripetuta dai Santi Pa­
dri e incorporata definitivam ente alla T eo lo g ia da tutte le scuole. C f. 1,62,9.
<8 H -11,18 4,3.
258 PRINCIPI FONDAMENTALI

tra nel precetto l ’amore in tutta la sua estensione. Fino al pun­


to che, come afferma S. A gostin o, la stessa perfezione del
paradiso non esula da questo precetto «. E lo conferma
con l’autorità di S. Paolo: « Finis praecepti est caritas.»
(iT im . 1,5).
In seguito S. Tom m aso dimostra che la perfezione
consiste, ma solo secondariamente e strumentalmente, nei
consigli. A nch’essi, com e i precetti, sono ordinati alla
carità, sebbene in maniera diversa: i precetti sono ordinati
a rim uovere ciò che è contrario alla carità, i consigli si limi­
tano ad allontanare g li ostacoli che ne impediscono l’eser­
cizio facile e pronto. A ppare, quindi, chiaro che i consigli
non sono essenziali per la perfezione cristiana, ma soltanto
strumenti utilissimi per m eglio conseguirla.
D a quanto abbiamo detto derivano m olteplici conse­
guenze d’indole pratica, soprattutto l’obbligatorietà della
perfezione per tutti i cristiani. Se la perfezione risiede prin­
cipalmente nei precetti, ai quali tutti i cristiani sono tenuti,
n on c’è dubbio che essi — a qualsiasi stato o condizione ap­
partengano — sono obbligati ad aspirare alla perfezione.
N o n è questione di consiglio, ma di precetto.
I consigli per loro natura non obbligano tutti. Nessuno
è strettamente tenuto ad abbracciare la vita religiosa, nella
quale si praticano per professione i consigli evangelici. Tutta­
via i non religiosi possono e devono santificarsi con l’os­
servanza dei precetti e con la pratica affettiva dei consigli,
cioè, con lo spirito di essi. È necessario distinguere la prati­
ca effettiva o materiale dei consigli evangelici (povertà, ca­
stità e obbedienza), che non è universalmente obbligatoria,
e la pratica affettiva, o, dello spirito dei consigli, che obbliga as­
solutamente tutti. Nessuno è obbligato a fare v o to di p over­
tà, obbedienza o castità, però tutti siamo tenuti a praticare
queste tre virtù nella misura e nel grado consentito al no­
stro stato di vita particolare.
È necessario tener presente, inoltre, che a lato dei con­
sigli evangelici esistono m olti altri consigli particolari, dettati
dall’intima ispirazione dello Spirito Santo e attinenti opere
supererogatorie. Essi non costituiscono un precetto in sen­
so stretto, dal momento che rappresèntano un invito par­
ticolare, una manifestazione concreta della volontà divina
sopra un’anima determinata, .ma non si possono trascurare

49 Cf. l ’ad 2 di questo stesso articolo.


LA PERFEZIONE CRISTIANA 259
senza commettere una infedeltà alla grafia, difficilmente con­
ciliabile con il concetto com pleto e integrale della perfe­
zione cristiana.
Crediamo opportuno riassumere, in form a di schema,
quanto abbiamo detto sul com pito che spetta alla carità,
alle altre virtù eai consigli evangelici nella perfezione
cristiana.
L a perfezione cristiana può essere:
R adicaliter: semplice possesso della grazia,
Abituale delle virtù e dei doni dello Spirito Santo.
{quoad esse) Simplìciter: sviluppo eminente della grazia,
delle virtù e dei doni in quanto abiti.
' Speciali- [ N e g li atti i y erso D io.
ter: vel di carità
In modo pri­ forma- (senza mi- ) V erso il
mario ed liter sura) l prossimo.
essenziale:
nei precetti Quasi N egli atti delle altre
Attuale mate- virtù, in quanto im-
{quoad rialiter. perati dalla carità.
operari)
Povertà.
Evangelici O bbedienza-
In modo se­
Castità.
condario e
strumentale: Ispirazioni interiori
nei consigli. Particolari dello Spirito Santo
riguardo alle opere
supererogatorie.

3. - O b b lig o d e lla p e r fe z io n e c r is tia n a

Il problem a è una conseguenza naturale della tesi


precedente, d ove è già stato risolto. Se la perfezione
cristiana n on consiste nei consigli, ma nei precetti,
essa costituisce u n o b b lig o per tu tti, giacché i precetti
sono universali. T u tta v ia p u ò essere utile un ulteriore
svilup po. A ttraverso l ’esame dei dettagli e delle q u e­
stioni secondarie perveniam o ad una sem pre più per­
fetta com prensione di ciò che è fondam entale.
260 PRINCIPI FONDAMENTALI

A ) Senso e d im o stra z io n e d e ll’o b b lig o ge n e ra le.

A n zitu tto form uliam o la


T e s i: T u t t i i cristia n i so n o o b b lig a ti a ten d e re a l­
la p erfe zio n e.

118. a) D iciam o tutti i cristiani, volendo significare


che l’obbligo di tendere alla perfezione non è esclusivo dei
sacerdoti e dei religiosi. Essi v i saranno tenuti a fortiori in
virtù dell’ordinazione sacerdotale o della professione reli­
giosa, ma l ’obbligo fondamentale nasce dalla natura mede­
sima della grazia, che a tutti è stata donata, in form a di ger­
me, nel battesim o, e che è destinata a crescere e a svilupparsi.
b) ...sono obbligati... - N on si tratta di un semplice
invito, ma di un vero obbligo, benché in gradi differenti,
secondo che si tratta di sacerdoti, di religiosi o di secolari.
c) ... atendere... - N o n siamo obbligati ad essere per­
fetti in atto all’inizio della vita cristiana o in un determinato
momento della medesima, ma soltanto a tendervi positi­
vamente com e a u n fine che ci proponiam o seriamente di
raggiungere.
d) ...a lla perfezione.cristiana. - N o n si tratta della perfezio­
ne radicale o in atto prim o, limitata alla presenza dello stato
di grazia, ma alla perfezione simpliciter, o in atto secondo,
che suppone uno sviluppo eminente di tutto il nostro organi­
smo soprannaturale, form ato dalla grazia, dalle virtù in­
fuse e dai doni dello Spirito Santo.

D opo queste prem esse, possiam o dim ostrare la


tesi.
i. L a Sacra S crittu ra . - « E stote, ergo, vo s per-
fecti, sicut ed Pater vester coelestis perfectus est »
(M at. 5,48). Q ueste parole fu ron o pronunciate da Cri­
sto nel sermone della m ontagna e, secondo l’ unanime
interpretazione dei S. Padri, fu ron o dirette a tutti gli
uom ini.
G li A p o sto li insistono sul com ando del M aestro
d ivin o. S. P o lo scrive che D io ci ha eletti in C risto
LA PERFEZIONE CRISTIANA 261
« u t essemus sancii et immaculati in conspectu eius in cari-
tate » 6o; che è necessario sforzarsi « donec occurram us
omnes in unitatem fidei et agnitionis F ilii D e i, in vìrum
perfectum, in mensuram aetatis plenitudinìs C h risti » 61,
giacché la vo lo n tà di D io è che ci facciam o tutti san­
ti: « H aec est voluntas D ei, sanctificatio vestra » I2.
S. Pietro vu o le che siam o santi in tutto, a im itazione
di D io , che è santo: « In om ni conversatione sancti
sitis, quoniam scriptum est: Sancti eritis, quoniam eg o
sanctus sum » 63. S. G iovan n i, n ell’A p ocalisse, vu o le che
nessuno si consideri tanto perfetto, da n on desiderare
di esserlo ancora di più: « Q u i iustus est iustificetur
adhuc, et sanctus sanctificetur adhuc » 64.

2. I santi Padri. - L a T radizion e conferm a que­


sta dottrina. Sarebbe facile m oltiplicare i testi. Il fa­
m oso aforism a tante vo lte citato dai Padri: « In via D ei,
non progredi est regredì » esprime in m odo inequ ivoca­
bile la necessità di andare sempre innanzi nel cam m ino
della perfezione cristiana, sotto pena di tornare indietro
e di com prom ettere la nostra salvezza eterna.

3. Il Magistero della Chiesa. - V a lg a per tutte


la testimonianza di P io X I nella sua enciclica del 26
gennaio 1923 su S. Francesco di Sales: « N ec vero quis-
quam putet ad paucos quosdam lectissim os id pertine-
re, ceterisque in inferiore quodam virtutis gradu licere
consistere. Tenentur enim hac lege omnes, nullo excepto » 56.
Il papa n on po teva parlare più chiaro.

4. La ragione teologica. - Q uando S. Tom m aso

5° E f. 1,4.
5r E f. 4,13.
5S iT ess. 4,3.
53 iPiet. 1,15-16. — Cf. L e v . 11,44; 19,2 e 20,7.
54 A p .22,11.
55 Pro x i, enciclica R eru m om nium : A A S , 15, pag. 50.
262 PRINCIPI FONDAMENTALI

dimostra che la perfezione risiede nei precetti, si basa


sul fatto che la carità con tutti i suoi gradi e con tutti
i suoi m odi « incluso quello del cielo » è di precetto
per tutti. L a carità n on cì è stata com andata solo fino
a un determ inato grad o, oltre il quale rimane di consi­
g lio , ma in tutta la sua estensione: « e x toto corde tuo,
et e x tota anima tua, et e x tota m ente tua » 56.
T ra tu tti i valori spirituali soltanto la carità ha va­
lore di fine. E ssa n on è solam ente il fine d egli altri pre­
cetti, m a anche d i tutti n oi stessi, e per essa ci uniam o
a D io , n ostro ultim o fine e nostra perfezione oggettiva
suprema. Q uan d o è in questione il fine, n on è possi­
bile stabilire una determ inata misura; e qui m eno an­
cora che in qualsiasi altra cosa perché si tratta del fine
suprem o, che partecipa in certo m od o della infinità
di D io 6?.
D a qui una conseguenza importante. L a perfezione del­
la carità è comandata come fine al quale occorre tendere, non
com e materia immediata in cui ci si deve esercitare 5®. L a dif­
ferenza è enorme. Se la perfezione della carità fosse coman­
data com e materia immediata, tutti coloro che non l’hanno
ancora raggiunta sarebbero in peccato mortale (a m otivo
della trasgressione di un precetto grave com e quello dell’a­
more). Invece, spiega S. Tom m aso 59, essendo comandata
come fine, non trasgredisce il precetto colui il quale non ha
conseguito ancora la sua piena perfezione, purché tenda ad
essa e la possegga almeno nel suo grado infimo, che consi­
ste nel non amare nulla più di D io , n é contro D io , né quan­
to D io. Solo colui che non ha raggiunto tale grado infimo
viola gravem ente il precetto della perfezione.
Però è necessario guardarsi dall’estremo opposto. Per
il fatto che non si viola il precetto, possedendo la perfe­
zione sostanziale della carità nel grado infimo, non cessa
l ’obbligo di camminare incessantemente verso la piena per­

56 D eut. 6,5; M at. 22,37.


57 11-11,184,3; cf. Opusc. 17 c.6; 16 c . l .
5 8 Cf. C a ie t a n u s , Iti I I - I I q.r84 a . 3; P a s s e r in i , D e slaìibus In JI-II
q.184 a.3 11.70S, to6s, ecc.
59 11-11,184,3 ad 2.
LA PERFEZIONE CRISTIANA 263

fezione della carità, dal momento che fine del precetto è


questa piena perfezione. Chi prendesse coscientemente e
deliberatamente la determinazione di non progredire, e si
accontentasse dell’infima perfezione, ossia del semplice sta­
to di grazia, mancherebbe, senza dubbio, al precetto della
perfezione.

B) Obbligo speciale per il sacerdote e il religioso.

Che peccato com m etterebbe colu i che si com por­


tasse in tal m odo ?

119. P er risolvere convenientem ente la questione


è necessario rifarsi ad alcuni principi 6o.
1. T u tti i cristiani sono o b b lig ati ad amare D io
sopra tutte le cose e, quindi, a tendere alla perfezione
alm eno in una maniera generale con i m ezzi a loro d i­
sposizione secondo il p rop rio stato.
2. O ltre questo o b b lig o generale, il religioso ne
contrae un altro speciale in v irtù della professione reli­
giosa che g li im pone di tendere alla perfezione propria­
mente detta con la pratica dei consigli evan gelici nella
form a determinata dalla sua regola.
3. Il sacerdote secolare, benché n on sia costitui­
to nello stato can on ico di perfezione, è ob b ligato ,
in v irtù della sua ordinazione sacerdotale e del suo
ufficio m inisteriale, a tendere alla perfezione propria­
mente detta, nella quale deve distinguersi p iù che il
religioso n on sacerdote 61.
A lla luce di questi principi, siamo già in grado
di rispondere alla dom anda form ulata sopra. L a per­
sona consacrata a D io m ediante i v o ti religiosi com ­
m etterebbe senza dubbio un peccato m ortale. L o di­

60 C f . G a r r ig o u - L a g r a n g e , De sanetificatione sacerdotum c .i a . 1 -3 ;
T a n q u e r e y , Com p endio d i T eologia ascetica e m istica, n n . 35 3 -4 0 6 .
61 C f . 1 1 -1 1 ,1 8 4 ,8 .
264 PRINCIPI FONDAMENTALI

ce espressamente S. A lfo n so dei L ig u o r i 62 e deriva


dalla natura stessa delle cose: m ancherebbe al dovere
essenziale del suo stato, che è di tendere alla perfezio­
ne 63.
A ltrettan to vale, mutatìs mutandìs, per il sacerdote
secolare. A n ch e il sacerdote è in modo speciale o b b liga­
to a tendere alla perfezione cristiana. N o n perché si
tro v i de iure in uno stato di perfezione com e il religioso,
ma per la sublim e dign ità delle fu n zio n i sacerdotali,
che esigon o da lui una santità ancora p iù distìnta di
quella del sem plice religioso non sacerdote.
D ice S. Tom m aso:
« A d idoneam executionem ordinum non sufficit bo-
nitas qualiscumque, sed requiritur bonitas excellens, u t sicut
illi qui ordinem suscipiunt super plebem constituuntur gradu
ordinis, ita et superiores sint merito sanctitatis » 64.

P er i religiosi n on sacerdoti aggiunge:


« Si vero religiosus etiam ordine careat, sicut patet de
conversis religionum , sic manifestum est excellere ptae-
minentiam ordinis quantum ad dignitatem, quia per sactum
ordinem aliquis deputatur ad dignissima ministeria, quibu?
ipsi Christo s e r v it o in. sacramento altaris, ad quod requi­
ritur maior sanctitas interior quarn requirat etiam religionis sta­
tus... unde gravius peccat, ceteris paribus, clericus in sacris
ordinibus constitutus, si aliquid contrarium sanctitati a-
gat, quam aliquis religiosus qui non habet ordinem sa-
ctum » SJ.

Se il religioso laico che trascura la sua perfezione


pecca mortalmente e, a parità di condizioni, il sacerdote
secolare che manca ai suoi d overi pecca p iù gravemente
che il religioso laico, abbiam o che la cosciente trasgres­

62 « P e c c a i m o rta lìter religiosus qui firm iter statuit non tendere ad per-
fectionem , v e l n ullo m odo de ea curare» (TbioI. Morali>, I.4, n.16).
63 II-II, 166,1 ad 3 et 4. — C f. C IC can. 487 e 593.
64 Suppl. 35,1 ad 3.
65 11 -11 , 1 8 4 , 8 .
LA PERFEZIONE CRISTIANA 265

sione del precetto della perfezione costituisce per


il sacerdote secolare un vero peccato mortale 66.
La cosa cambia quando si tratta di semplici laici. A nche
essi sono chiamati alla perfezione cristiana, non mediante
un appello speciale — com e il religioso o il sacerdote — ma
con un invito generale, im plicito nella natura stessa della
grazia. In forza di questo principio, un semplice laico va
esente dalla trasgressione grave del precetto generale quando
possegga la carità nel suo grado infimo 67, prenda i mezzi
necessari per non perderla e non disprezzi né escluda positi­
vamente la perfezione cristian a6e, che suppone una certa
tendenza alla perfezione e all’esercizio di certe opere super-
erogatorie 6l>. Q uesto non basterebbe al religioso o al sa­
cerdote, giacché essi sono tenuti alla perfezione non sola­
mente per l’obbligo generale com une a tutti i cristiani, ma
anche per un obbligo speciale. Con le disposizioni minime
richieste per i laici, potrebbero soddisfare all’obbligo ge­
nerale, ma mancherebbero all’obbligo speciale, che li chiama
alla perfezione in quanto religiosi o sacerdoti.

66 Si noti, tuttavia, che, secondo la sentenza più probabile, sia per il sa­
cerdote che per il religioso, l’o b b ligo speciale d i tendere alla perfezione si
identifica con la necessità di c o m e t e , degnamente e santamente i doveri della
vita sacerdotale e religiosa, che sono quanto m ai efficaci in ordine alla per­
fezione. In v irtù del precetto della perfezione il lo ro o b b ligo si riduce a
compiere sem pre m eglio questi doveri, seguendo il ritm o dello sviluppo
della carità, che deve crescere fino alla m orte, com e insegna S. Tom m aso
(cf. 11-11,24,7-8).
67 « N o n est transgressor praecepti qui n on attingit ad m edios perfectio-
nis gradus, dum m odo attingat ad infim um » (II-II,184,3 ad 2).
68 Se la escludesse positivamente e per dispreizo, è fuo ri dubbio che anche
il secolare violerebbe gravem ente il precetto della perfezione cristiana
(cf. 11-11,186,2 ad 2).
69 È dottrina com une, esposta da Suarez con le seguenti parole: « N on
può m oralmente avvenire che un uom o anche secolare abbia il ferm o pro­
posito di n on peccare mai m ortalmente, senza che, per ciò stesso, faccia qual­
che opera di supererogazione e abbia il proposito form ale o virtuale di
farla» (cf. S u a r e z , D e Religione, t.4, l. i , c.4, n.12).
266 PRINCIPI FONDAMENTALI

C) E’ obbligatoria per tutti la pratica di ciò che è


più perfetto « hic et nunc »?70.
120 . L a questione è p iù com plessa di quanto non
appaia a prim a vista. C on una serie di citazioni raccol­
te da differenti lu o g h i delle sue opere, cerchiam o di
ricostruire il pensiero di S. Tom m aso.
1. R ispondendo ad una obiezione, egli fa notare,
nella Somma Teologica, che vio lerebb e il precetto dell’a­
m ore chiunque, soddisfatto di possedere la perfezione
sostanziale della carità nel suo grado infim o, ne di­
spreizasse i gradi superiori e la perfezione totale 7l.
2. È ancora p o co , tuttavia, n on disprezzare la per­
fezione. Per realizzare pienam ente il precetto è neces­
sario volerla conseguire. D ice S. Tom m aso:
« L a perfezione della carità è duplice. C ’è una perfezio­
ne esterna che consiste in atti esterni come segni delle di­
sposizioni interne, per es. la verginità e la povertà vo lo n ­
taria, e a questa perfezione (materia propria dei consigli)
non tutti sono tenuti. M a c’è una perfezione interna della
carità, che consiste nell’amore sincero di D io e del prossi­
mo...; e a questa perfezione tutti sono ohbligati. In pratica:
se qualcuno non volesse amare Dio p iù di quanto lo ama, in nessun
modo soddisferebbe al precetto della carità» l 1.

3. È o b b ligato rio aspirare sem pre al più perfetto


e tradurre questa aspirazione nella realtà ? S. Tom m aso
risponde:
« O ccorre distinguere. Il bene m igliore può essere con­
siderato com e materia di anione o com e oggetto di amore. N on
siamo tutti obbligati al bene m igliore nel piano dell’azione,
si bene nel piano dell’amore. L a ragione è semplice. O gn i
regola d’azione vu ole una materia determinata e precisa.

7° C f . P. L em o n n yer, O .P ., n e lla tra d u z io n e fra n c e s e d e lla Somma


Teologica, v o i . L a vie humaine, p . 550S; e P . I. G . M e n é n d e z -R e ig a d a ,
O .P ., in 1m dirección espiri Inai, p . 15 7 S .
71 I I - I I ,i 8 6 ,2 ad 2.
7* C f . S . T f i o m ., In E p is t. ad Hebraeos 6 ,1 .
LA PERFEZIONE CRISTIANA 267

Se qualcuno fosse obbligato a praticare il bene m igliore, sa­


rebbe obbligato all’indeterminato. Q uindi in quello che
si riferisce agli atti esterni, siccome non possiamo essere
obbligati alPindeterminato, non lo siamo neanche al bene
m igliore. Invece, nel piano dell'amore siamo obbligati al bene
m igliore in tutta la sua estensione » n.

C om e si ved e avanziam o per gradi. N ella prim a


citazione, S. Tom m aso ci a vv ertiva che n on si può
dispregiare la perfezione; nella seconda, che bisogn a
desiderarla; e nel]^ terza, che bisogn a amare IT~bene
m igliore.
M a l ’aspirazione a ciò ch ’è più perfetto, si lim ita
ad una sem plice tendenza affettiva, ad un pu ro rom an­
ticism o « nel piano dell’ am ore », ad u n « vo rrei » ?
D ice S. Tom m aso:
« N o n si può chiamare perfetta la volontà che, presen­
tandosi l’occasione opportuna, non passa all’atto. Se, al
contrario, c’è la buona volontà ma manca la possibilità di
esplicarla, l’im perfezione dell’atto esterno è semplicemente
involontaria» n .

Q u esto principio ci fornisce la chiave per riso lve­


re il nostro problem a. L a vo lo n tà interiore non è vera
v o lo n tà se, presentandosi l ’ occasione opportuna, non
si risolve a ll’atto. D i conseguenza, una persona non
potrà dire di amare interiorm ente il bene m igliore
se, avendone l ’ opportunità, si astiene dal com pierlo
senza m o tiv o ragion evole. Secon do S. T om m aso, ciò
c h ’è p iù perfetto n on ci ob bliga nel piano detrazione
perché nessuno è ob b lig ato all’incerto e all’indeter­
m inato. Sono tante le azioni che potrem m o com piere
ad o g n i istante e in sé p iù perfette di quelle che di

73 S. T h om ., In Evang. Mattbaei 19,12.


74 1-11,20,4: « N o n est perfecta voluntas nisi sit talis quae, opportunìtate
data, operetur. Si vero possibilitas desit, voluntate existente perfecta u t
operaretur si posset, defectus perfectionis quae est ex actu exteriori est
sim pliciter involuntarium ».
268 PRINCIPI FONDAMENTALI

fatto stiamo facendo! Q u in di, per la ragione stessa


che sono tante, che sono incerte e indeterm inate, non
posson o ob bligarci nella pratica. M a ecco che, im ­
provvisam ente, ci si presenta u n bene m igliore ben
definito e tale da poter essere com piu to hic et nunc.
N o n si tratta p iù di quello che è più perfetto oggettiva­
mente o materialmente — indeterm inato ed incerto —
ma di quello che è p iù perfetto soggettivamente o formal­
mente — determ inato e concreto. In questo caso siamo
ob bligati a com pierlo. D iversam ente incorrerem m o in
una positiva resistenza alla gratta e ci renderem m o re­
sponsabili di una im perfezione o , addirittura, di un
peccato veniale. È chiaro, allora, che quando il più
perfetto si presenta com e conveniente hic et nunc
esso diventa ob bligato rio. D iversam ente, si dovrebbe
dire che lo Spirito Santo ci autorizza a com m ettere
delle n egligenze colpevoli.

D ) C o n c e tto d i im p e rfe z io n e .

12 1 . V i son o due correnti in seno ai teo lo gi. La


prim a afferm a che n on esistono im perfezioni positive
distinte dal peccato veniale: tutte le im perfezioni p o siti­
v e sono veri peccati veniali. L a seconda sostiene che il
peccato veniale e l ’im perfezione (anche positiva) sono
due cose diverse; in altri term ini: esistono im perfe­
zion i che n on sono in sé peccato veniale 75. T a li sa­
rebbero, principalm ente, l ’ om issione di un atto b u o ­
no di sem plice consiglio, la m ancanza di fervo re e l ’in ­
decisione n ell’adem piere un precetto.
Che cosa si deve pensare di tu tto questo ? C i sem ­
bra che la verità risulti da una sintesi degli elem enti
validi in entram be le opinioni.

75 T ra g li altri, difendono la prim a senten2a Passerini, Billuart, H u -


gueny, Verm eersch, ecc.; e la seconda, L u g o , i Salmaticesi, G arrigo u-L a-
grange, Cathrein, Richard, ecc.
LA PERFEZIONE CRISTIANA 269

In teoria, ci sembra che non si possa negare una qualche


distinzione tra il peccato veniale e l’im perfezione positiva.
Se possedendo, per esempio, l’abito della carità con una in­
tensità di trenta gradi, facciamo un atto di soli venti gradi,
abbiamo operato fiaccamente e abbiamo commesso, per lo
meno, una imperfezione, ma non si p uò dire che abbiamo
commesso un peccato veniale. Il peccato veniale è cattivo,
e l’atto da noi realizzato è buono benché un p o ’ meno di quan­
to avrebbe potuto essere. N é vale dire che siamo obbligati
a praticare quello che, hic et nunc, appare ai nostri occhi come
più perfetto, e che, di conseguenza, om ettendo di compier­
lo o praticando ciò ch’è meno perfetto senza m otivo ra­
gionevole, cessa di essere buono per noi. N o . In questo
caso, con l’imperfezione che procede dall’atto meno per­
fetto ci potrà essere un peccato veniale di imprudenza, di
pigrizia, di mancanza di carità verso se stessi, ecc. Però
l’atto buono imperfetto non cesserà di essere buono, ancorché
imperfetto. Quando recitiam o il rosario o altra orazione
non comandata, com piam o una buona azione, sebbene for­
se accompagnata da peccati veniali dovu ti alle distrazioni
volontarie. Diversam ente, bisognerebbe dire che la presen­
za del peccato veniale corrom pe totalmente l’opera buona
rendendola cattiva; nel qual caso sarebbe m eglio non pre­
gare affatto (giacché si tratta di orazioni alle quali non sia­
m o tenuti), piuttosto che pregare in m odo im perfetto; e
ciò ci sembra insostenibile. N o n bisogna confondere ciò
che è meno buono in sé con quello che è cattivo in sé, e nemmeno
quello che è meno buono per noi hic et nunc con quello che è
cattivo per noi hic et nunc. Il m inor bene non è un male, co­
me il m inor male non è un bene. N o n si devon o confondere
il bene e il male, e nemmeno i precetti e i consigli i6.
T uttavia, in pratica, sarà m olto diffìcile dire dove termi­
na la minore generosità e dove incom incia la negligenza
e la pigrizia. N ella m aggior parte dei casi ci sarà di fatto
vera negligenza, vera imprudenza, vera pigrizia, vera man­
canza di carità verso se stessi e, quindi, vero peccato veniale.
Q uesto peccato veniale non comprometterà la bontà del­
l’atto buono imperfetto, ma è qualche cosa che gli sì aggiun-

L a trasgressione di un precetto grave è peccato mortale; quella di un


precetto leggero, è peccato veniale, e quella di un semplice consiglio, è im perfe­
zione. Identificare l ’im perfezione con il peccato veniale equivarrebbe a sop­
primere nell’ordine pratico i consigli, che risulterebbero sem plici categorie
astratte.
270 PRINCIPI FONDAMENTALI

ge inseparabilmente ed esiste l ’obbligo di evitarlo. Se poi,


non considerando quest’obbligo , pratichiamo l’opera buona
imperfetta, questa non cesserà di essere buona in sé, sebbe­
ne sia m eno buona di quello che potrebbe essere e vada
accompagnata da certi peccati veniali, che procedono dalle
cattive disposizioni del soggetto. C ’è l ’obbligo di evitare
l’imperfezione per questi peccati aggiunti, non per l’im per­
fezione medesima che per sé non è male, ma un bene, ancorché
minore n .
In tal m odo, ci sembra che possano armonizzarsi le due
sentenze, accettando quello che ognuna ha di vero e respin­
gendo quanto sa di esagerato. Nessuno è autorizzato a
commettere delle imperfezioni; occorre evitarle ad ogn i co ­
sto. Non perché l’ imperfezione sia un male, ma perché
quasi sempre vi si accom pagnano i peccati veniali.

4. - I GRAD I DELLA P E R F E Z IO N E

D o p o aver considerato la natura e l ’o b b lig o del­


la perfezione cristiana, studiam one i gradi.
A n zitu tto , occorre tenere presente che, consisten­
do la perfezione cristiana form alm ente nella sola per­
fezione della carità, i gradi d ell’una e dell’ altra, nelle
linee essenziali, coincideranno. D iven ta, quindi, ne-

77 E cco com e il Card. M ercier distingue il peccato m ortale dal veniale


e dall’imperfezione:
« I l peccato m ortale è il ripudio del fine. I l peccato veniale è la debolezza
d ’una volon tà che, pur senza volgere le spalle al fine, ne devia.
L ’im perfezione n on si oppone al fine, n on se ne separa, ma n on si avan­
za nel senso d el fine, essa è la n egazione di un progresso.
I l peccato veniale trascura un bene che potrebbe e d ovrebbe esser fatto;
esso è dunque una “ privazione” , u n male: im perocché il male è, per defi­
nizione, la privazione di un bene.
L ’im perfezione è il mancato acquisto di un bene, la sem plice assenza o
negazione di un bene; strettamente parlando, essa n o n è dunque un màle.
Che l’uom o non abbia le ali, n on è un male (fisico), è la semplice assen­
za d i u n bene. Che non abbia g li occhi, è la privazione di un organo che do­
vrebbe possedere, ed è un male (fisico). L e stesse nozion i si applicano a l­
l’ordine m orale» (cf. Card. M e r c i e r , L a vita interiore, conf. terza, p. 1 0 7 )
LA PERFEZIONE CRISTIANA 271

cessano esaminare in prim o lu o g o i gradi fondam enta­


li nello sviluppo e nella estensione della carità.
S. T om m aso, trattando dei diversi gradi della cari­
tà, parte dalla divisione classica delle tre vie della vita
spirituale: la purgativa, l ’illum inativa e l ’unitiva. E g ii
sostituisce la term inologia corrente con u n ’altra equiva­
lente, allo scopo di metterla più da vicin o in relazio­
ne con la virtù della carità.

Tesi: Nello sviluppo della carità si distinguono ire


gradi fondamentali: l’incipiente, il proficiente
e il perfetto™.

122 . N e ll’argom ento sed contra, S. T om m aso cita


il noto testo di S. A g o stin o : « Caritas cum fu erit nata,
nutritur; cum fuerit nutrita, roboratur; cum fuerit robo-
rata, perficitur » 79. Sono i tre gradi corrispondenti
ai principianti, ai profìcienti e ai perfetti.
N el corp o d ell’articolo, ritorna ancora una vo lta
aH’analogia dell’ ordine naturale. N ello svilu p po fi­
sico-psicologico della vita um ana si posson o distin­
guere tre tappe fondam entali: l ’infanzia, l ’adolescenza
e la virilità, caratterizzata ognuna dalla presenza di
n uove attività sempre più perfette. Q ualcosa di simile
avviene nello svilup po della carità. L e inn um erevoli sfu­
mature che in essa si possono cogliere rientrano tutte
nei lim iti delle tre tappe fondam entali, caratterizzate
da altrettante preoccupazioni fondam entali della co­
scienza:

« Prim o quidem incumbit hom ini studium principale


ad recedendum a peccato et resistendum concupiscentiis eius,
quae in contrarium caritatis m ovent. E t hoc pertinet ad in-
cipientes in quibus caritas est nutrienda velfovenda ne corrumpa-
tur.
7 S 11-11,24,9.
79 Cf. S. A u g u s t . , In E p . i Jo. tr. 5 n.4; M L 35,2014.
272 PRINCIPI FONDAMENTALI

Secundum autem studium succedit, ut hom o princi-


paliter ìntendat ad hoc quod in bono proficiat. E t hoc studium
pertinet ad proficientes, qui ad h oc principaliter intendunt
ut in eis caritas per augmentum roboretur.
Tertium , autem, studium est ut hom o ad hoc princi­
paliter intendat ut Deo inhaereat, et eo fruatur. E t h oc perti­
net ad perfectos qui “ cupiunt dissolvi et esse cum Christo ”
(cfr. Phil. 1,23). Sicut etiam videm us in m otu corporali,
quod prim um est recessus a termino; secundum autem est
appropinquatio ad alium terminum; tertium autem quies
in termino » 80.

T u ttavia n on dobbiam o dim enticare — com e avver­


te S. T om m aso 81 — che queste tappe sono sem plici
schem i, che hanno il solo com p ito di definire, m edian­
te le note tipiche e p iù salienti, gli aspetti infinitam ente
va ri della coscienza. L ’itinerario della vita spirituale
è m olto p iù com plesso e le sue tappe abbracciano
u n ’infinità di sfum ature e di transizioni che m utano da
in d iv id u o ad in d ivid u o . N o n d ob biam o im m aginare
che questi tre gradi fondam entali siano com e altret­
tanti com partim enti stagni, cosi che i principianti
n on p osson o mai partecipare, sia pure in una form a
transitoria, alle grazie del secondo e anche del terzo
grad o 82. A v v ie n e spesso che D io conceda ai princi­
pianti d e lk grazie particolari che sono com e b ag lio ri
della v ia u n itiv a e anticipazione della perfezione della
carità. C osi pure nella via dei proficienti si posson o
verificare dei regressi p ro v o cati dalle cattive inclina­

8 0 11-11,24,9.
8r 11-11,24,9 ad 1, ad 2 et ad 3.
83 È n oto il testo di S. Teresa al riguardo: « N on dovete figurarvi queste
m ansioni le une d opo le altre, com e una fu ga di stanze. Portate il vostro
sguardo al centro, d o ve è situato l ’appartam ento o il palazzo del re... Im ­
porta m olto che un’anima di orazione, a qualunque grado sia giunta, venga
lasciata libera di circolare com e vuole, in alto, in basso e ai lati, senza v o ler­
la incantucciare e restringere in una stanza sola... N o n si deve dunque pen­
sare che g li appartamenti siano nochi: v e ne sono a m ilioni » (S. T e r e s a ,
Prime mansioni, c.2, n.8 e 12).
LA P E R F E Z IO N E C R IS T IA N A 273
zion i della natura, oppure delle punte p iù o m eno
avanzate nella vita di unione perfetta. Infine, n ell’età
dei perfetti, p u ò diventare necessaria la lotta contro
le cattive inclinazioni e l ’esercizio di certe virtù che
n on erano radicate n ell’anima quanto si pensava. La
psicologia umana è tropp o com plessa perché si possa
racchiudere in com od i schemi.

5. - L a p e r fe z io n e c r is tia n a è p o s s ib ile in
QU ESTA V IT A ?

123 . L a dottrina secondo la quale la carità può


crescere indefinitam ente in questa v ita è sublim e e
dilata senza lim iti le aspirazioni d ell’anima gen ero ­
sa. T u ttavia sem bra im plicare u n grave incon venien ­
te. Se, nonostante il continu o svilu p p o, n on rag­
giu n g e mai il suo culm ine e sempre se ne p u ò im m a­
ginare u n grad o p iù perfetto, vie n fatto di conclude­
re che la perfezione cristiana è im possibile. L a diffi­
coltà n on sfu g gi alla perspicacia del D o tto re angelico
che la prop one e la risolve in due differenti passi del­
la Somma Teologica; nel prim o, in relazione alla carità 83,
nel secondo, in relazione all’u om o 84.
N e ll’argom ento sed contro del secondo articolo San
T om m aso stabilisce la tesi della possibilità della perfe­
zion e co n una p ro v a irrefutabile di autorità. L a leg ge
d ivin a n on p u ò com andare cose im possibili; ma Cristo
nel V a n g e lo ci com anda di essere perfetti com e il Pa­
dre celeste (M at. 5,48); quindi, è indiscutibile che la
perfezione p u ò essere raggiun ta in questa vita.
N e l corp o dell’articolo, illustrando la dottrina sta-

83 11-11,24,8: « Utrum caritas in hac vita possit esse perfecta».


84 11-11,184,2: « Utrum aliquis in hac vita possit esse perfectus ».
274 PRINCIPI FONDAMENTALI

bilita nel sillogism o, v i a ggiu n ge alcune preziose di­


stinzioni:
« L a perfezione della vita cristiana consiste nella carità.
Però la perfezione com porta una certa universalità, giacché
— com e dice A ristotele — perfetto è colui al quale nulla
manca.
Si può distinguere una triplice perfezione. Una per­
fezione assoluta che suppone la totalità dell’amore, non solo
da parte di colui che ama, ma anche in relazione all’oggetto
amato: D io è amato tanto quanto è amabile. Questa per­
fezione della carità è impossibile alle creature; è un privile­
gio esclusivo di D io , nel quale si trova il bene in form a in ­
tegrale ed essenziale.
Una perfezione che suppone una totalità assoluta da
parte di colui che ama, in quanto l’affetto, sempre attuale,
tende a D io con tutto il suo essere. T ale perfezione, im possi­
bile in questa vita, sarà possibile in paradiso.
Esiste, infine, una terza perfezione che non suppone
né la totalità da parte dell’o ggetto amato n é da parte di colui
che ama nel senso che abbiamo spiegato (tendenza sem­
pre attuale), ma solo esclude ciò che impedisce il m ovim en­
to dell’amore divino, secondo il detto di S. A gostino:
” Venenum caritatis est cupiditas, perfectio nulla cupiditas” .
Tale perfezione è possibile in questa vita. In primo luogo
perché tiene lontano dal cuore dell’uom o tutto ciò che si
oppone alla carità, com e il peccato mortale; senza di essa
la carità non può esistere e quindi è necessaria per la salvez­
za. Poi, perché tiene lontano dal cuore dell’uom o non solo
ciò che si oppone alla carità ma anche tutto ciò che impe­
disce alla volontà di dirigersi a D io con tutte le forze; senza
di essa la carità non è perfetta, ancorché possa esistere
negli incipienti e nei proficienti » 85.

V o len d o , possiam o cosi schem atizzare la dottrina


di S. Tom m aso:

Ivi.
LA PERFEZIONE CRISTIANA 275

a) Da parte dell’oggetto amato: Perfezione


esclusiva di D io.
L a perfezione
i) Con la massima intensità sem­
cristiana può
pre attuale: I beati.
essere consi­
b) Da par­ che distruggono la
derata secon­
te di colui carità: T utti i giusti
do la tota­
che ama z) Con l'e- Che ritardano o
lità assoluta
sclusione degli rimpiccioliscono la to-
impedimenti talità dell’affetto: I
perfetti in questa
vita.
Secondo S. Tom m aso, quindi, p er essere perfetti
in questa vita si richiede l ’esclusione di tu tto quanto
p u ò im pedire la totalità della tendenza affettiva verso D io:
« om ne illud q u od im pedit ne affectus m entis totaliter
dirigatur ad D eu m » . Totalità che esclude per sé non
solam ente il peccato veniale, m a anche le imperfezioni
deliberate. Essa esige che l ’anima operi con il p iù grande
fervo re, se n on in una form a costante e sem pre attuale,
almeno mediante la tendenza abituale alla pratica di
ciò che è p iù perfetto.
C iò n on ci autorizza a concludere che « dal m o­
m ento che esiste una im perfezione volontaria anche
lievissim a n on si p u ò più parlare di assenza di difetti
e, quindi, di p e rfe z io n e » 85».

s5a C osi scrive il P. Crisógono (cf. Compendio de Ascètica y Mistica


p.41) il quale, quando esamina l’elem ento n egativo della perfezione — as­
senza di im perfezioni volontarie — dice che questo elem ento « d ev’essere
identico in tutte le anime perfette. L ’assenza di difetti o non esiste o, se esi­
ste, deve essere totale, assoluta, universale. Se tra due anim e perfette ci
p u ò essere differenza nel grado di carità senza che nessuna di esse cessi
di essere perfetta, nell’assenza di difetti volontari n o n p u ò esistere diffe­
renza alcuna: tutte le anime perfette devon o essere im m uni da difetti volon ­
tariamente accettati; la presenza in esse di un o , anche lievissim o, distrugge­
rebbe la perfezione, perché n on ci sarebbe più assenza di difetti».
N o n possiam o sottoscrivere queste parole. M entre viviam o è di fede
che n on possiam o evitare tutti i peccati veniali, senza uno speciale p rivile­
gio , di cu i fu adorna la SS.m a V ergin e (D enz. 833), e m olto m eno tutte
le imperfezioni volontarie. E allora o bisogna concludere che la perfezione non
è possibile in questa la vita (contro tesi la tradizionale, che è anche quella del
276 PRINCIPI FONDAMENTALI

Se cosi fosse, sarebbe im possibile la perfezione cri­


stiana in questa vita, data la debolezza umana. A n che
sulle più alte vette della perfezione trovan o p o sto del­
le negligenze volontarie, com e com provan o le vite
dei santi. I te o lo gi che am m ettono la conferm azione
in grazia delle anim e giunte all’unione trasform ante,
a gg iu n g o n o che essa si riferisce solo ai peccati m ortali,
non ai veniali, tanto m eno alle im perfezioni volontarie.
« In m olte cose pecchiam o tutti », ci dice l’apostolo
S. G iacom o 86; e S. G iovan n i aggiu nge: « Se dicessim o
che n on abbiam o peccati, ingannerem m o noi stessi
e la verità non sarebbe in noi » 87. L a ragione è che le
facoltà dell’anima n on sono mai ordinate verso D io in
m odo tanto perfetto da n on distrarsi e n on vo lg ersi
mai verso le creature, dando lu o g o ad im perfezioni e
peccati veniali. Soltanto la visione beatìfica esaurirà total­
mente la capacità dell’anima, im pedendole ogn i distra­
zione o deviazione 88.
Q ueste im perfezioni e questi peccati veniali non
fanno scendere l ’anima trasform ata dallo stato sublim e
in cui si trova, perché sono atti transitori che n on la­
sciano traccia nelPanima, e ve n g o n o im m ediatam ente
consum ati dal fu o co della carità. Sono com e gocce
d ’acqua che, cadendo in un grande braciere, evapo-
rizzano all’istante e ne rav viva n o la fiamma 89.
Consideriamo ora alcune obiezioni da S. Tom m aso
proposte e risolte neH’articolo dedicato alla perfezione della
carità 5°.

P . C risógono), o è necessario ammettere che certe im perfezioni volontarie


n on sono incom patibili con lo stato d i perfezione. D i fatto, tutti i santi,
anche ip iu grandi, ebbero delle im perfezioni.
86 Giac. 3,2.
87 iG io v . i,8.
88 C f. 1-11,4,4; S u a r e z , D e beatitudine, d .io , sect. i; B i l l o a r t , D e ul­
timo fine, d.2, a.4, § 2.
89 P .I.G . M e n é n d e z - R e i g a d a , L a direeeión spiritual, pp. 78-79.
9° Cf. 11 -11 , 2 4 , 8-
LA PERFEZIONE CRISTIANA 277

Prima - Sembra che la carità non possa


obiezione.
essere perfetta in questa vita. D ifatti, se mai esistettero
persone perfette, esse furono gli apostoli; ma S. Paolo
ci confessa di sé che non era tale (Fil. 3,12-13). Quindi non
è possibile in questa vita la perfezione della carità.
Risposta. - L ’apostolo si riferisce alla perfezione totale
e assoluta, propria del cielo (ad 1).
Seconda obiezione. - In questo m ondo non possiamo
vivere senza peccato, com e dice l ’apostolo (1 G io v . 1, 8);
quindi non è possibile la perfezione della carità che è contra­
ria al peccato.
Risposta. - L ’apostolo parla dei peccati veniali, che non
contrariano l ’abito della carità, ma solo l ’atto e cosi non
ripugnano alla perfezione della vita terrena, ma soltanto
à quella del cielo (ad 2).
N e 'deriva, ancora una volta, che, per S. Tom m aso,
i peccati veniali — e a fortiori le im perfezioni volontarie —
n on sono incompatibili con la perfezione di questa vita:
« et ita non repugnat perfezioni vitae sed perfectioni patriae ».
Terza obiezione. - C iò che è già perfetto non è suscetti­
bile di sviluppo; ma la carità in questa vita può crescere
indefinitamente; quindi non raggiungerà mai la perfezione
in questa vita.
Risposta. - L a perfezione di questa vita non è la per­
fezione simpliciter. Perciò può sempre crescere (ad 3).
L ’obiezione m uove da un falso presupposto. N é San
Tom m aso né gli altri teologi hanno mai considerato la per­
fezione di questa vita com e una perfezione assoluta, ma sol­
tanto relativa. L a prima non è possibile in questo m ondo
— e per quanto concerne la totalità dell’oggetto amato
nemmeno nell’altro, perché è propria della divinità — ;
la perfezione relativa è possibile anche in questa vita, giac­
ché essa non esclude, ma suppone la possibilità di ulteriori
progressi nel cammino dell’unione con D io .

6. - L a p e r fe z io n e c r is tia n a e la p r e d e s tin a z io n e

124. A b b iam o visto com e la perfezione cristiana


non consiste nella perfezione assoluta della carità per parte
278 PRINCIPI FONDAMENTALI

dell’oggetto amato, giacch é D io è infinitam ente ama­


bile e non potrà mai essere am ato quanto merita.
N eppure consiste nell 'ultimo grado della carità possi­
bile in questa vita, p o ich é n on esiste tale grado e p u ò
aumentare indefinitam ente.
N em m eno consiste in un grad o che corrisponda
alla capacità dell’anima, poiché, com e insegna S. T o m ­
m aso 91, o g n i n u o vo aum ento di carità accresce la ca­
pacità dell’anima, la cui potenza obedienziale nelle ma­
ni di D io è inesauribile.
M a allora che co s’è che determ ina il grado di per­
fezione delle singole anime ?
L a risposta possibile è una sola: la liberà volontà
di D ìo.
C i troviam o di fronte ad uno degli aspetti più m i­
steriosi della divina predestinazione. D io distribuisce
le sue grazie alle creature in gradi differentissimi,
senz’altri criteri che la sua vo lo n tà illim itata: prout vult,
dice l ’apostolo S. P aolo 92.
L a ragione um ana n on riuscirà mai a penetrare nel
profon d o di questo m is te ro 93. Per S. P aolo il m otivo
fondam entale di questa sconcertante disuguaglianza
va ricercato nella dottrina del C orpo m istico. Scrisse
ai fedeli di E feso:
« A ciascuno poi di n oi è stata conferita la grazia conform e
alla misura del dono fattoci da Cristo... È lui che alcuni
costituì apostoli, altri profeti, altri evangelisti, altri pastori

9r H-11,24,7 ad 2: « Capacitas creaturae rationalis per caritatem augetur


quia per ipsam cor dilatatur...; et ideo adhuc ulterius m anet habilitas ad
maius augm entum ».
92 iC o r. 12,11: « H aec autem om nia operatur un usatque idem Spiritus,
dividens singulis p rou t v u lt» .
S. Tom m aso espone la medesima dottrina in relazione alla carità: « E t
ideo quantitas caritatis n on dependet ex conditione naturae v e l ex capaci­
tate naturalis virtutis, sed solum ex voluntate Spiritus Sancti distribuentis
sua dona prout v u lt» (11-11,24,3. — Cf. IH>7>10)-
93 Cf. Rom . 11,33: « O altitudo... ».
1A PERFEZIONE CRISTIANA 279

e dottori, per render atti i santi a com piere il loro ministero


affinché sia edificato il corpo di Cristo; finché non giungia­
m o tutti insieme all’unità della fede, alla piena conoscenza
del F iglio di D io , allo stato di uom o perfetto, sino a raggiun­
gere la misura della piena statura di Cristo » 9*.

Secondo l ’apostolo, la disuguale distribuzione delle


grazie ha, prim a di tutto, una finalità d’insieme, è fatta
in vista del C orpo m istico di C risto. Si potrebbe af­
ferm are che D io , quando stabili il destino degli uom ini,
non tenesse conto che di una sola im m ensa realtà:
quella di Cristo nel suo duplice aspetto personale e
m istico. T u tto il resto passa in second’ordine, ai suoi
occhi. E perché tutto è subordinato e orientato a Cri­
sto, si rende necessaria la présenza, tra le sue membra,
di un ordinatissim o disordine, una dissonanza arm o­
niosissim a — se ci sono perm essi questi paradossi —
al fine di ottenere la bellezza suprem a, la grandiosa sin­
fonia d ell’insiem e 95. Se a questo aggiu ngiam o che la
realizzazione del C orpo di C risto n on è ancora il fine
suprem o della creazione, ma che il C risto totale — il
C apo e le m em bra — è subordinato e orientato alla
gloria di D io , tèrm in e'u ltim o dei disegni divini nelle
operazioni ad extra “6, avrem o co lto nelle sue linee
essenziali il m eraviglioso piano d ivin o della nostra
predestinazione in C risto, il solo capace di darci una
giustificazione — sebbene rem ota ed oscura per la n o­
stra p o vera intelligenza — dello sconcertante problem a
della disuguaglianza con cui D io elargisce le sue grazie
tra i figli degli uom ini. Solo quando contem plerem o
faccia a faccia la divinità nella visione beatifica vedrem o

94 E f. 4,7 e 11-13. C f. tutto il c . i z di iC o r.


95 C f. 1,47,1;
96 Si leggano di seguito questi due versetti di S. Paolo: « Om nia enim
vestra sunt... v o s autem Christi. Christus autem D e i» (iC o r. 3,22-23).—
« Cum autem subiecta fuerint illi omnia, tunc et ipse Filius subiectus erit
ei, qui subiecit sibi omnia, ut sit D eus omnia in om nibus» (iC o r. 15,28).
280 PRINCIPI FONDAMENTALI

m eravigliosam ente arm onizzate nell’em inenza d ell’es­


senza divina l ’iniziativa di D io e la libertà d ell’uom o,
i diritti inalienabili del creatore e la cooperazione m eri­
toria della creatura.

7. - I PRESU PPO STI D E L L A P E R F E Z IO N E C R I S T IA N A

L a disuguaglianza nella distribuzione delle grazie


è un fatto indiscusso. Possiam o in qualche m odo v e ­
rificarne il grado stabilito da D io per le singole anim e ?
Assolutam ente no. N é la creatura, n é la grazia com ­
portan o un determ inato grad o di perfezione; rim ane
quindi im possibile verificarlo. D ipen d e unicam ente dal­
la libera vo lo n tà di D io , che n on possiam o conoscere
se non per divina rivelazione.
T uttavia, conservando la validità di questo prin­
cipio, possiam o fare quattro im portanti affermazio
1. L a perfezione cristiana suppone sem pr
sviluppo eminente della grafia.
2. Suppone la perfezione delle virtù infuse.
3. R ichiede delle purificazioni passive.
4. Im plica una vita mistica p iù o m eno intensa.

1. La perfezione, alla quale tutti .siamo chiamati,


suppone sempre uno sviluppo eminente della
grazia.

125 . Q uan to affermiamo sembra che tro v i la sua


dim ostrazione nei dati stessi della rivelazione. Q u el
« siate perfetti com e il vo stro Padre celeste è perfetto »
del V an ge lo *% suppone un ideale altissim o, per sé
inaccessibile all’uom o, trattandosi di una esemplarità

97 M at. 5,48.
LA PERFEZIONE CRISTIANA 281
sem plicem ente infinita. T ale ideale abbagliante, senza
lim iti, il Signore lo presenta a tutti g li uomini.
D a l discorso della m ontagna risulta ancora che
C risto offri a tutti l ’altissim o ideale delle « beatitudi­
n i » 98, le quali — secondo il pensiero di S. T om m a­
so #9 — sup pon gon o una perfezione eminente, dal m o­
m ento che suppon gono il coronam ento di tu tto l’edi­
ficio della nostra santificazione. L a santità, quindi, che
C risto prop one a tutti noi com e ideale da realizzare
suppone uno sviluppo della grazia fino a raggiu n gere
l’altissim a perfezione delle « beatitudini » evangeliche.
A parte l ’argom en to ricavato dalla Scrittura, si
com prende che deve essere cosi per analogia con la
vita naturale, che esige uno svilu p po com pleto di tutte
le sue virtualità perché si possa dire perfetta. N e ll’o r ­
dine soprannaturale, com e in quello naturale, ciò che
è anorm ale e difettoso è il rachitism o.
Com e si conciliano questi dati della rivelazione e della
ragione naturale con quanto afferma S. Paolo circa i diffe­
renti gradi di perfezione alla quale Iddio ci ha predestinati
«secundum mensuram donationis C h risti?» ’ 00. Suppo­
nendo, per esempio, che lo sviluppo eminente della grazia
iniziale ricevuta nel battesimo si trovi al grado cinquan­
ta si dovrà dire che coloro che sono predestinati da D io
« secondo la misura della donazione, di Cristo » soltanto
al grado venti, trenta, o quaranta non sono chiamati alla
perfezione ?
Per risolvere la difficoltà è necessario distinguere tra
chiamata e predestinazione. Q uesti due termini non si i-
dentificano, come non si identificano volontà antecedente di
D io e volontà conseguente. L a volontà antecedente corrisponde
alla chiamata, la volontà conseguente è quella che produce
la predestinazione.
È fuori dubbio che D io non ci ha predestinati tutti a
un medesimo grado di perfezione, com e non ci ha prede­
stinati tutti alla gloria. L a predestinazione n on si può fru­

9 8 M at. 5,1-10.
99 C f. 1 -11 , 6 9 .
100 E f. 4,7.
282 PRINCIPI FONDAMENTALI

strare da parte della creatura, giacché dipende dalla volontà


conseguente di D io , alla quale nulla resiste; ed è un fatto che
possiamo verificare ogn i giorno com e moltissimi cristiani
m uoiono senza essere giunti alla perfezione, anzi alcuni di
essi concludono la loro vita addirittura impenitenti e con
manifesti segni di riprovazione. Forse che n on erano stati
chiamati da D io alla perfezione o alla vita eterna ? N o , asso­
lutamente. S. Paolo afferma che D io vu ole la salvezza di
tutti gli uomini: « Omnes homines vult salvos fieri et ad agoi-
tionem veritatis venire» I01. L a stessa verità insegnano i
Concili 102 e i teologi. Se qualcuno la negasse sarebbe pros­
simo all’eresia. E che D io chiami anche tutti alla perfezione
risulta in m odo chiaro dalle fonti della rivelazione ed è am­
messo da tutte le scuole di spiritualità.
C om e si spiega, allora, che m olti cristiani m uoiono
senza aver raggiunto la perfezione, e altri dando segni ma­
nifesti di dannazione eterna?
Ci sembra si possa rispondere che tutti siamo chiamati
ai gradi più alti della santità e della perfezione in una forma
remota e sufficiente dalla volontà antecedente di D io (« remote
et secundum voluntatem D ei antecedentem »). Però in
una form a prossima ed efficace, come effetto della volontà
conseguente — ■alla quale corrisponde la predestinazione in con­
creto, con tutte le circostanze individuali — a ciascuno
D io ha determinato il grado di perfezione alla quale deve
giungere conform e al grado di gloria alla quale lo ha de­
stinato IOJ. In pratica, soltanto questi ultim i raggiungeranno
infallibilmene il grado stabilito 10 4. G li altri resisteranno
alla chiamata remota e sufficiente, rimanendo indietro nella

101 iT i m . 2,4.
102 E cco , per esempio, le parole del Concilio Carisiaco (anno 8 53 ) con ­
tro G ottescalco e i predestinazianisti: « D eus omnipotens omnes homines
sine exceptiorfe vult salvos fieri, licet n on omnes salventur. Q u o d autem qui­
dam salvantur, salyantis est donum , quod autem quidam pereunt, pereun-
tium est m eritum » (D enz. 3 1 8 . — C f. n. 79 4 S , 1 0 9 6 , 13 8 0 , 1 3 8 2 ecc.). N o n
sembra che sia stato espressamente definito dai Concili ciò, ma è dottrina
certissima e unanime tra i teologi cattolici, e n on si potrebbe negare senza
manifesta temerità, e probabilm ente senza manifesto errore nella fede.
103 « Sic igitur unaquaeque creatura rationalis a D e o perducitur ad fi-
nem beatitudinis, u t etiam ad determinatum gradum beatitudinis perducatur ex
praedestinatione D ei. Unde consecuto ilio gradu ad altiorem transire non po-
test » (1,62,9).
104 Cf. 1,19,6 ad 1.
LA PERFEZIONE CRISTIANA 283
via della perfezione o anche uscendo da essa. In altri ter­
mini possiamo dire: « de iure, remote, sufficienter et se­
cundum voluntatem D ei antecedentem », tutti siamo chia­
mati alla salvezza eterna e alla perfezione cristiana e a tutti
sono date le grafie sufficienti per raggiungerle, se non pon­
gono ostacoli al dono e cooperano liberamente all’azione
divina; però « de facto, proxim e, efficaciter et secundum
voluntatem D ei consequentem », non tutti siamo predesti­
nati alla vita eterna, e tanto meno alla perfezione cristiana.
Una cosa è essere chiamato e un’altra essere di fatto eletto;
lo dice espressamente il Vangelo 10 5. Com e si vede, ricadia­
mo, senza volerlo, nel mistero della divina predestinazione
inesorabilmente ostruito aU’intelligenza creata I06.

2. La perfezione cristiana suppone sempre la per­


fezione delle virtù infuse.

126 . È un corollario della dottrina sulla natura'


della perfezione che risiede — l ’abbiam o detto — nel
pieno svilup po delle virtù infuse, principalm ente del­
la carità. Q uin di, o teniam o che la perfezione cristiana
è data dal pieno svilup po delle virtù infuse o dobbiam o
negarne l ’esistenza.

3. La perfezione cristiana richiede sempre delle pu­


rificazioni passive.

127 . Secondo S. G iovan n i della C ro ce e l ’esperienza


quotidiana a contatto co n le anime, « per quanto il prin­
cipiante si eserciti nel correggere e m ortificare in sé
tutte le suddette azioni e passioni, non pu ò mai riu­
scirvi del tutto e neppure in gran parte, finché ciò
non avv en g a in lui passivam ente, per opera di D io ,
mediante la purgazion e della notte oscura » l0?.

105 « M u lti enim sunt vocati, pauci vero electi» (M at. 20,16 e 22,14.
— C f. A p . 17,14).
106 « Quare hunc trahat, et illum n on trahat, n oli velie diiudicare, si non
vis errare» (S. A g o s t i n o , Super I o . 6,44 tr. 26: M L 35,1607).
107 S. G i o v a n n i d e l l a C r o c e , Notte oscura, l.r , c.7, n.5
284 PRINCIPI FONDAMENTALI

4. L a p e r fe zio n e cristia n a im p lic a necessa ria m ente


la v ita m istica.

128 . Q uesta proposizion e è una conseguenza delle


precedenti. Prescindendo dal fatto che le purificazioni
passive sono di ordine mistico, le virtù infuse n on pos­
sono raggiun gere la lo ro perfezione se n on sotto l’in­
flusso dei doni dello Spirito Santo che le attua al m od o
d ivin o. T a le attuazione dei doni al m od o d ivin o rap­
presenta l ’ essenza della m istica. Q u in di, è im possibile
la perfezione delle virtù — e, di conseguenza, la per­
fezione cristiana — ail’infuori della m istica.
L a p ro v a della m inore di questo sillogism o costi­
tuirà l ’ argom ento del seguente capitolo.

C A P IT O L O IV

NATURA DELLA M IS T IC A

i. - I n tr o d u z io n e e q u e s tio n e d i m e to d o

129 . A ffrontiam o una delle questioni fondam entali


della T e o lo g ia della perfezione cristiana, forse la più
im portante di tutte dal p u n to di vista teorico e specu­
lativo. Siamo ferm am ente persuasi che la m agg io r parte
delle controversie m istiche che ten gon o ancora divise
le principali scuole di spiritualità, hanno avu to origin e
dal mancato accordo sui term ini del problem a. C he cosa
si v u o le propriam ente intendere con il term ine mistica?
F acciam o nostre queste parole di un te o lo g o contem ­
poraneo:
NATURA DELLA M ISTICA 285
« Il problem a centrale, direi unico, è quello di intenderci
sul contenuto e sull’o ggetto del problem a. Che cosa è la
” mistica” ? In che cosa consiste il ” problema mistico” ì...
D ico che è l’unico problem a, perché in realtà tutte le
questioni nate su tale argom ento dipendono dalla definizio­
ne che se ne dà.
Cosi, per esem pio, il problem a pratico della questione
se la vita mistica è il termine normale della perfezione, se la
vocazione, almeno remota, alla mistica è universale o, che
è lo stesso, se la via della perfezione è ad un tem po ascetica
e mistica si riduce nella sua soluzione a quest’altro più
semplice: Che cosa si intende per ” mistica” ? L e altre questioni
non saranno che conseguenze »

Siam o com pletam ente d’accordo con il citato au­


tore, soprattutto se ad una esatta messa a punto del
problem a, farà riscontro un m etodo rigorosam ente
scientifico, razionale, che n on lascia adito a sotterfugi.
Si è abusato tropp o, in questi ultim i tem pi, del me­
tod o di autorità — facendo appello ai m istici sperimen­
tali — e n on si è perven uti a nessun risultato pratico
nel tentativo di trovare un principio di soluzione o di
accordo. L ’illustre te o lo g o già citato scrive ancora:
« Senza dubbio, bisogna coavenire che i problem i mi­
stici si debbono studiare, in quanto è possibile, quasi esclu­
sivamente su una base di principi teologici A lm en o in m olti
casi potrem o precisare che cosa questi fenomeni non possono
essere 3. I dati sperimentali sono troppo vagh i ed impre­
cisi, dato lo sfondo profondam ente personale e psicologi­
co su cui si presentano, e possono appena fornirci una
luce elementare e indispensabile » 4.

C om e p rova d i'q u a n to stiam o dicendo, riporte­


rem o alcuni testi di S. G io v an n i della C ro ce e di S. T e ­

1 B a l d o m e r o J i m é n e s D u q d e , Actrca di la mistica in « Revista Espan.


d e T eo lo gia », aprile-giugno 1947, p. 222.
2 II corsivo è nostro.
3 II corsivo è dell’autore.
♦ B a l d o m e r o J i m é n e s D u q d e , Probltmas misticos in tomo a la figura de
San Juan di la C ru z ’n « R evista Espan. de T eo lo gia » , 1941, p. 970.
286 PRINCIPI FONDAMENTALI

resa dalle differenti scuole di spiritualità in vocati per


provare con l ’autorità d egli illustri riform atori carm e­
litani, afferm azioni opposte. S. G io v an n i della C roce
scrive:
« N on tutti quelli che si esercitano di proposito nel cam­
mino dello spirito sono portati da D io fino alla contempla­
zione; anzi neppure la metà, e il perché è noto a lui solo » 5.
« Q u i è bene notare la causa per cui tanto pochi sono
coloro che giungon o a si alto stato di perfetta unione con
D io . Ciò avviene, non perchè, Dio voglia che pochi siano gli spi­
riti eletti, che an^i vorrebbe che tutti fossero perfetti; ma perchè,
trova pochi vasi capaci di un’opera simile » 6.

S. T eresa a sua vo lta dice:


« N o n bisogna credere che le m onache di questo monaste­
ro siano tutte contem plative per il fatto che.fanno tutte ora­
zione. N o n è possibile. E sventurata colei che non lo fosse,
se non fosse pure persuasa che si tratta di un puro dono
di D io , non comandato, non necessario alla salute e che
nessuno potrà mai richiederle. Se fa quello che ho detto di­
verrà m olto perfetta anche senza essere contem plativa » ?.

E un p o ’ più innanzi, al term ine del capitolo 19


della stessa opera, aggiu nge:
« Pensate che il Signore invita tutti. E g li è verità e
la sua parola non è da mettersi in dubbio. Se il suo in­
vito non fosse generale, non ci chiamerebbe tutti, e quan­
d’anche ci chiamasse non direbbe: Io vi darò da bere.
A vreb b e potuto dire: V enite tutti, che non avrete nulla da
perdere, ed io darò da bere a chi vorrò. M a siccome non pose
alcun limite e disse ” Tutti” , cosi tengo per certo che non
fermandoci per via, arriverem o a bere di quell’acqua viva.
Il Signore che la promette ci dia la grazia, per Q uegli che è,
di cercarla com e si deve » 8.

C om e si ved e, in base ai testi dei m istici sperimentali

5 Notte oscura 1,9,9.


6 Fiamma viva d'amore, strofa 2, n.27.
7 Cammino di perfezione, 17,2.
8 Cammino di perfezione, 19,15.
NATURA DELLA M ISTICA 287

è im possibile giu n gete ad una conclusione sicura. I


testi di S. G iovan n i della C roce e di S. Teresa rip or­
tati per prim i sono apertam ente a favore della scuola
che nega la chiamata universale alla m istica, gli altri
non potrebbero essere più espliciti n ell’asserire questa
chiamata universale. Se non avessim o altro criterio
di investigazione che quello dei testi dei m istici, quale
soluzione dovrem m o adottare ? 9 Se tanta incertezza
si nota in S. G iovan n i della C roce e in S. Teresa, che
cosa si deve dire degli altri che sono m o lto m eno ac­
curati e precisi nelle loro afferm azioni?
Perciò noi preferiam o il m etodo te o lo g ico , che m uo­
v e da principi certi e da conclusion i logicam ente de­
dotte. I dati dei m istici saranno accolti sem pre con
grande interesse e venerazione, però solo in quanto
sono com patibili con le verità certe dedotte certamente
da principi certi. T u tte le afferm azioni che si allontana­
no da queste verità teologicam ente dim ostrate si do­
vranno respingere a priori, dal m om ento che è im pos­
sibile, per la verità, di essere in contraddizione con se
stessa. E , messi nell’alternativa di scegliere tra una con­

9 In S. Teresa e S. G iovanni della Croce si possono trovare elem enti


di giudizio sufficienti per risolvere con successo la questione. L a santa si
incarica di togliere questa apparente contraddizione all’inizio del c.20 del
Cammino di perfezione, immediatamente dopo il secondo testo che abbiamo
citato: « Pare che nel capitolo precedente affermi il contrario di quanto ho
detto prima. Consolando le anime che non arrivano alla contemplazione»
ho detto che diverse sono le v ie che conducono a D io e ch e in cielo vi sona
molte mansioni. E d è vero, perché il Signore, conoscendo la nostra debolezza*
ha v olu to appunto, da Q uegli che è, m oltiplicarci g li aiuti. Però n on disse
“ Per questa via verranno gli uni e per questa gli altri” . A n z i, fu sì grande la
sua bontà da n on impedire ad alcuno d’attingere a questa fonte d i vita»
(1Cammino dì perfezione, c.20, n .i).
Q uanto a S. G io van n i della Croce basta legg ere senza prevenzione la
sue opere per comprendere com e sia intenzione del santo condurre l’anima
all’unione mistica co n D io . Questa unione n on si può ottenere se n on tra­
mite le purificazioni passive, che sono di carattere mistico, com e riconoscono
tutte le scuole di spiritualità.
288. PRINCIPI FONDAMENTALI

clusione teologicam ente certa e una afferm azione con­


traria di un m istico sperim entale, n on abbiam o difficol­
tà ad aderire alla prim a, dato che il principio teo lo gico
dal quale si deduce quella conclusione ha il suo fo n ­
dam ento ultim o nella rivelazione. D iversam ente ca­
drem m o in u n im m anentism o m istico incontrollabile,
che ci condurrebbe alle più perniciose illusioni.

2. - I l c o s t it u t iv o e s s e n z ia l e d e lla m ìs t ic a

A) Stato attuale della questione,


130 . Prim a di form ulare e dim ostrare la nostra tesi,
crediam o op portun o fare un esam e dello stato attuale
della questione. Passerem o in rassegna g li autori p iù rap­
presentativi che hanno trattato il n ostro prob lem a dal
pun to di vista speculativo nel n ostro secolo o n ell’u l­
tim a parte del secolo scorso, senza fare distinzione di
scuole o di tendenze. In questi ultim i tem pi si in c o ­
m inciò a studiare a fo n d o tali questioni in base ai
m oderni m etodi di in vestigazion e critica. Sotto questo
aspetto, le op inion i dei te o lo g i m oderni hanno u n va ­
lore m olto superiore a quelle d egli antichi te o lo g i m ì­
stici che n on disponevano di tanti elem enti di giu d izio
n é parlavano con la precisione e co n il rig o re scienti­
fico di o g g i. M o lti te o lo g i, fra quelli che citerem o,
hanno fa tto p ro fo n d i studi sulla storia della teologia
m istica cristiana e son o, quindi, preparati per dirci che
cosa debba intendersi quando si parla di mistica nel sen­
so tecnico e rig o ro so della parola.
N on ostante la grande varietà delle form ule, si ri­
scontra in essi un fo n d o com une e costante, ben defi­
nito, per quanto riguarda la natura o costitu tivo essen­
ziale della mistica cristiana. L e divergen ze nascono
solo quando si tratta della necessità della m istica per la
NATURA DELLA M ISTICA 289
p e r fe z io n e cristia n a , o d i altri p ro b le m i d el ge n ere .
L o ved rem o.
P er c o m o d ità di tra tta z io n e , ra g g ru p p e r e m o gli
a u to ri se c o n d o le d iv e rse fa m ig lie re lig io s e alle quali
a p p a rte n g o n o , an ch e se n o n sem p re s e g u o n o l ’in d iriz ­
z o d e lla p ro p ria « s cu o la d i sp iritu a lità ». A lla fine ri­
p o rte r e m o la te stim o n ia n za dei ra p p rese n ta n ti d el c le ro
seco la re e d e g li a ltri a u to ri in d ip e n d e n ti.

13 1 . Benedettini:
Dom Vital Leliodey. - Per l’insigne abate cistercense del­
la Trappa di Bricquebec, l ’orazione mistica è una contem­
plazione passiva, o m eglio, una contemplazione manife­
stamente soprannaturale, infusa e passiva, d ove D io , che
fa sentire in generale la sua presenta a ll’anima, è in un m odo
ineffabile conosciuto e posseduto in una unione amorosa,
che com unica all’anima il riposo e la pace e influisce sui sen­
si I0.
Dom Columba M arm im i. - In nessuna delle sue opere il
celebre abate di Maredsous tratta espressamente il proble­
ma della mistica. Però sappiamo dalla testimonianza di D o m
Thibaut, suo storico e confidente intimo, che D o m Marmion
vedeva nella contem plazione infusa « il complemento nor­
male — benché gratuito — di tutta la vita spirituale »
Riportiamo il prezioso frammento di una lettera, nella qua­
le D om Marmion ci manifesta quel che pensava al riguardo
e ci dà una definizione esatta e precisa della contem plazione
mistica:
« Potrebbe essere presunzione e temerarietà desiderare
per le proprie forze sia una pienezza di unione, che dipende
soltanto dalla libera e sovrana volontà di D io , sia i feno­
meni accidentali che a volte accom pagnano la contempla­
zione. M a se si tratta della sostanza medesima della contem­
plazione, vale a dire, della conoscenza purissima, semplicissi­
ma e perfettissima che Dio offre di sé e delle sue perfezioni e del­
l ’amore intenso che ne risulta per l ’anima, allora l ’anima aspiri
con tutte le sue forze a possedere un cosi alto grado di ora­

10 L e vie dell’ orazione mentale p. 3, c.4.


11 Cf. D om R. T h ib a u t , O .S .B ., L ’unione con D io nelle lettere di Direzio­
ne di Dom Marmion, Libr. Editrice Fiorentina, Firenze. 1934.
290 PRINCIPI FONDAMENTALI

zione e a godere delia contemplazione perfetta. D io è il prin­


cipale autore della nostra santità, egli opera nelle sue co­
municazioni, e non aspirare ad essa equivarrebbe a non desidera­
re di amare Dio con tutta la nostra anima, con tutto il nostro spi­
rito, con tutte le nostre forze, con tutto il nostro cuore » I!.
Dom J. Huijben. - L ’ essenza della m istica consiste, se­
condo lui, in « una confusa percezione della realtà medesi­
ma di D io . Questa percezione confusa della realtà divina può
rivestire differenti sfumature. A volte l ’anima sentirà o per­
cepirà la prossimità di D io , altre volte la sua presenza, altre
volte la sua azione, altre volte il suo essere, secondo che
Yesperienza del divino è più o m eno profonda » *3.
D om Anseim o Stolz. - « V i è una certa uniform ità nella
definizione essenziale della mistica. È comunemente am ­
messo che una conoscenza sperimentale della presenta dì Dio e
della sua anione sull’anima appartenga all’essenza della mistka ».
Più innanzi precisa ancora m eglio il suo pensiero: « L a
mistica è una esperienza dell’inserzione, effettuata dai sacra­
menti, e soprattutto dall’Eucarestia, nella corrente della
vita divina».
Infine, D o m Stolz è fermamente persuaso che la mistica
entra nello sviluppo normale della grazia: « Com e perfe­
zionamento dell’essere cristiano la mistica n on è una se­
conda via alla santità, riservata solo ad una piccola schiera
di eletti; essa è la via che tutti devono percorrere. I fedeli
che non saranno riusciti quaggiù a condurre la loro esisten­
za cri ian a e la loro conoscenza della fede fin o all’esperien­
za di divino, dovranno deporre tutti gli ostacoli nel purga­
torio per prepararsi in tal lu o g o all’unione con D io nella
visione beatifica » 1 4.
Dom Cuthher Butler. - N e l suo libro II misticismo d ’ Oc­
cidente (W estern Mysticisme) esamina la dottrina mistica
della Chiesa prim itiva d’occidente, e riporta alcune defi­
nizioni della contem plazione e della mistica estratte dai
diversi trattatisti e dai Ss. Padri.
« Una intuizione intellettuale diretta e oggettiva della
realtà trascendente ».
« L a stabilizzazione di relazioni coscienti con l’assolu­
to ».

11 D om T h ib a u t , o . c .,

*3 Cf. « L a vie spirituelle» (sappi, ad agosto-settem bre 1930) p. 24.


*4 D om A . S t o i z , Teologia della mistica, Morcelliana, 1947, p. 10,210,214.
NATURA DELLA M ISTICA 291
« U nione dell’anima con l’assoluto, in quanto è possi­
bile in questa vita ».
« Percezione sperimentale della presenza e dell’ essere
di D io nell’anima ».
« Unione con D io non puramente psicologica, ma onto­
logica, spirito con spirito » r5.
Dom S. Louismet. - « In sé, la T eologia mistica è di
ordine sperimentale. È un fenom eno che ha lu o go in ogni
anima fervente e fedele. Consiste semplicemente ncWespe-
rienza di un'anima pellegrina sulla terra che giunge a gustare Dio
e costatare per se stessa quanto soave egli sia: Gustate et videte
quoniam suavis est D om inus, com e dice il Salmista (Sai.
33.9) »•
E d ancora: « L a vita mistica è la vita cristiana normale,
la vita cristiana nella sua pienezza, la vita cristiana come
dovrebbe essere vissuta da tutti gli uom ini, in tutti i paesi,
in m ezzo alle circostanze più diverse » l6.

132 . Domenicani:
P. Gardeil. - Il teologo domenicano pone in questi termini
il problem a dell’esperienza mistica: « Possiamo raggiun­
gere D io in questa vita mediante un contatto immediato,
avere di lui un’esperienza veramente diretta e sostanziale ?
I santi lo affermano e le loro descrizioni dell’orazione di
unione, di estasi, del "m atrim onio spirituale” sono piene di
questa specie di percezione quasi-sperimentale di Dio in noi » '7.
P. Garrigou-Lagrange. - L ’insigne professore dell’A n-
gelicum distingue tra mistica dottrinale, « che studia le leggi
e le condizioni del progresso delle virtù cristiane e dei doni
dello Spirito Santo in vista della perfezione » l8, e mìstica
sperimentale, che è « una cognizione amante e saporosa, del
tutto soprannaturale, infusa, che solo lo Spirito Santo, con
la sua unzione, può darci e che è com e il preludio della
visione beatifica»
P. Joret. - Secondo il P. Joret, l’elemento essenziale

■5 D om C . B u t l e r , IVestirti Mysticisme, c it. d a l P . A lb in o in « L a v id a


s o b r e n a tu r a l» , lu g lio - a g o s to 1 9 45, p . 25 2-3 .
16 L a vìe mystique, T o u r s , 19 22, p re f. p . 10, e c . i , p . 36.
*7 L a structure de l ’àme et Vexpérience mystique, 2 e d iz ., 1 9 27, t,2 , p . 235.
18 Perfezione cristiana e contemplazione, t . l , p a g . 3.
19 Ivi, p . 4.
292 PRINCIPI FONDAMENTALI

dello stato mistico è l’amore infuso, spesso preceduto da una


luce ricevuta passivamente nell’anima. E g li scrive:
« M a se la meditazione contemplativa, frutto delle virtù,
ha il suo principio nella carità, la contemplazione mistica
procede dai doni e trae da essi la sua origine. N e l primo caso
si tratta di un amore attivo, cercato, eccitato dal nostro
sforzo; nel secondo abbiamo un amore passivo che è sgor­
gato spontaneamente, da sembrare che ci sia stato donato
già fatto. Teologicam ente tale esperienza si spiega dicendo
che nel primo caso c’era semplicemente una grazia attuale
cooperante, e nel secondo, una grazia operante: l’anima è stata
mossa totalmente dallo Spirito Santo e non ha dovu to fare
altro che consentire a questa m ozione.
« N o n c’è stata in precedenza una luce infusa, passiva­
mente ricevuta, che aveva il com pito di dirigere tale amore ?
Si; almeno nei casi più frequenti. È una intuizione mistica
che ci fa contemplare D io come nostro fine ultim o, come
nostro tutto. M a essa non è necessaria. Secondo S. G io ­
vanni della Croce, l’atto ordinario della virtù della fede
può essere sufficiente. L ’anima sperimenterebbe allora un
impulso amoroso nella volontà senza avere sperimentato
un’azione diretta nell’intelligenza».
U n p o ’ più avanti aggiunge: « A lm eno, i l sentimento della
realtà divina pare che esista sempre nella vita mistica » J0.
P . G erest. - « La vita mistica pare sia caratterizzata
da un’azione di D io sull’anima e le sue facoltà mediante
la fede, l’amore e l’orazione. In questa maniera, tutta l’at­
tività dell’anima e delle sue potenze è impegnata a ricevere
e a utilizzare questo influsso divino per seguire la sua di­
rezione e tradurlo in tutti gli atti della vita fino al punto
d i poter dire veramente: non sono più io che viv o , ma è
D io che vive in me » ” .
P . A riniero. - I l grande restauratore degli studi misti­
ci in Spagna ci dice nelle sue Cuestiones mìsticas che l’elemen­
to costitutivo della vita mistica « è il predom inio dei doni
nella psicologia soprannaturale, ossia, il procedere il più
delle volte sotto l ’altissima m ozione e direzione dello Spi­
rito Santo »
N ella sua opera Evoluciàn mistica aveva già scritto che
la mistica non è altro che la vita cosciente della grafia, « una

20 C f. « L a vie spirituellc» (suppl. a novem bre 1929) pag. 99 e 101.


31 C f. « L a v ie spirituelle» (suppl. ad aprile 1930) pag. 41.
M Cuestiones mìsticas, 3 ediz., 6, 1, pag. 635.
NATURA DELLA M ISTICA 293
certa esperienza intima dei misteriosi influssi divini e della
reale presenza vivificatrice dello Spirito Santo » 23.
P . Albino M enéndez-Reigada. - Secondo il vescovo di Cor­
doba, « la mistica è l’attuazione in n oi dei doni dello
Spirito Santo, o l’ operazione dello Spirito Santo in noi
per m ezzo dei suoi doni, o la perfetta incorporazione a
Cristo come membri del suo Corpo mistico ».
Un p o ’ più avanti aggiunge: « L a mistica potrebbe
forse definirsi dicendo che è un predom inio della grazia
nelle azioni, tale da rendere più o meno percettibile in esse il
suo m odo soprannaturale e divino » *■ ».
P. Ignacio M enéndez-Reigada. - E g li, già professore di mi­
stica nella facoltà di T eologia di S. Stefano di Salamanca,
pone l’essenza della mistica nella vita della grazia vissuta
in una form a cosciente. È caratterizzata principalmente
dall’« attuazione dei doni della sapienza e dell’intelletto,
per cui l’uom o ha coscienza di possedere D io e di rimanere
unito a lui, sperimentando in sé la vita di Dio » 15.
P . Sabino Lozano. - Secondo il direttore de L a vida so-
brenatural, « vita mistica e vita nella quale prevale l’azio­
ne dello Spirito Santo si identificano » j6.
P . M arcellino Lam era. - Riassume il suo pensiero nei
seguenti punti, che considera, a ragione, « le nozioni mi­
stiche generali della T eologia tom ista »:
1. L a vita mistica è costituita dall’attività dei doni della
grazia; cioè, è la vita della grazia sotto il regim e dello Spi­
rito Santo esercitato per m ezzo dei suoi doni.
2. Il costitutivo della vita mistica è l’attuazione dei doni.
3. A tto mistico è o gn i atto dei doni.
4. Stato mistico è l’attività dei doni permanente o abi­
tuale n ell’anima. Oppure, è la condizione dell’ anima sotto
l ’attività permanente o abituale dei doni.
5. Distintivo o caratteristica della vita mistica è la sopran­
naturalità dell’operazione; e dello stato m istico, il predo­
m inio di questa soprannaturalità.
L e manifestazioni mistiche più generali e rilevanti
sono:
a) la passività dell’anima mossa all’atto da D io;
d) la ricca esperienza della vita di D io nell’anima.
23 Evolnción mistica, B .A .C ., M adrid, p .i c .i, p. 18.
24 Cf. « L a rid a sobrenatural», novem bre-dicem bre 1944, pag. 441-2.
25 Cf. « R evista Espan. de T e o lo gia » , gennaio-m arzo 1946, p. 99.
26 Vida santay ciencia sagrada, 2. ediz., c.2, p. 14.
294 PRINCIPI FONDAMENTALI

6. Anima mistica è in potenza ogni anima cristiana in


grazia; ed in pratica, quella che vive la vita dei doni.
7. Ogni anima è chiamata, per legge generale, alla vita
mistica e può e deve aspirarvi.
8. In particolare, il segno principale della chiamata e
dell’ingresso di un’anima nello stato m istico, è la passiva
incapacità di praticare a suo m odo la vita spirituale.
9. Nella vita abitualmente ascetica, soprattutto se fervo­
rosa, ci sono frequenti interventi dei doni, più o meno a v ­
vertiti. Nella vita abitualmente mistica, ci sono degli intervalli
ascetici, più o m eno lunghi. N on c’è dubbio che in essa
si pratichino tutte le virtù della vita ascetica, con m aggior
perfezione, soprattutto interiore, essendo dirette dallo Spi­
rito Santo.
10. La contemplazione mistica è una intuizione amorosa
e prolungata di D io , infusa dallo Spirito Santo mediante
i doni della sapienza e deH’intelletto.
11. Grafie mistiche normali o ordinarie sono quelle che
attuano i doni dello Spirito Santo, senza eccedere le possi­
bilità della loro attività. Sono straordinarie quelle che eccedo­
no tale attività. L e grazie straordinarie, in genere non neces­
sarie, non sempre sono gratis date, talvolta tendono diret­
tamente alla santificazione dell’anima che le riceve, per
la quale divengono necessarie o almeno convenienti.
12. Grafia attuale dei doni. L a forza motrice della vita
mistica è la grazia attuale dei doni che l’attua e la regge 27.

1 3 3 . C a r m e lit a n i:
P. Gabriele di S. M aria Maddalena. - Il dotto carmeli­
tano belga, già professore nel Collegio internazionale di
S. Teresa a Rom a, pensa che la mistica sia caratterizzata
innanzi tutto dalla contem plazione infusa:
« Si è d’accordo ai nostri giorni nel riconoscere che la
contemplazione infusa, intesa in tutta la sua ampiezza, sia
fatto saliente e caratteristico nel campo della mistica » 38.

27 Cf. La vida sobrenaiuraly la accióndel Espiritu Santo in « Revista Espan.


de T eo lo gia» , ottobre-dicem bre 1947, p.473-5.
a8 Cf. « Etudes Carm elitaines», aprile 1933, p. 1. — In un articolo
apparso su un’altra rivista, il P. G abriele insiste ancora sulla sua tesi: « In
essa — nella contemplazione — n on v i è altro che una attività intensa delle
virtù teologali, virtù preziose che m ettono la nostra anima a contatto con
D io , accompagnata da un delicato influsso dei doni dello Spirito Santo ».
NATURA DELLA M ISTICA 295
Il P. Gabriele è convinto che la mistica entra nello svi­
luppo normale e ordinario della vita della grazia; e scrisse
un importante articolo in L a vie spirituelle per dimostrare
che questo è il pensiero genuino e autentico di S. G iovan ­
ni della Croce
P . Girolam o della M adre di D io. - L a mistica consiste
in una conoscenza sperimentale di D io che si esplica attra­
verso l’amore infuso, sia pure con certe restrizioni. Ecco
le sue parole:
« Q uesta conoscenza sperimentale è l’elemento distin­
tivo di ogni stato mistico ? A me sembra di n o. N o n pare
che sia la proprietà costitutiva di questo stato, ma una delle
sue proprietà consecutive, un proprium nel senso filo so fico
della parola. D ico la stessa cosa del "sentim ento della pre­
senza di D io ” : non costituisce la nota essenziale dello stato
mistico benché in una form a o in u n ’altra accompagni
la contemplazione...
D io per le anime contem plative, soprattutto nei m o­
menti in cui sono elevate alla contemplazione — sia saporo­
sa che arida — è la realtà. E cco perché preferisco all’espres­
sione “ sentimento della presenza di D io ” quest’altra: “ sen­
timento della realtà di Dio” » 3°.
P . Crisogono di Gesù Sacramentato. - N on ci ha lasciato
una propria definizione della mistica. Tuttavia, riunendo
due o tre testi, possiamo giungere alla ricostruzione del suo
pensiero:
« L a mistica come pratica è lo sviluppo della grazia rea­
lizzato mediante certe operazioni, il m odo delle quali rima-

E aggiunge ancora: « Possiam o, quindi, concludere dicendo che la vita


mistica è la vita di amore perfetto che trasforma l ’anima in D io cui si accom­
pagna connaturalmente il fiorire della contem plazione » (cf. Che cos’è
la vita mistica? in « V ita cristiana», gennaio-febbraio, 1948, p. 1 0 - n e 16).
29 Cf. Uunion de transformation dansla doctrine de Saint jean de la Croix, in
« La vie spirituelle» (suppl. a m arzo 1925) pp. 127-44. Si veda anche l’ar­
ticolo Uunion transformante, apparso sulla stessa rivista nel m aggio del 1927,
pp. 223-54. L a semplice enunciazione dei titoli delie tre parti in cui esso si
suddivide ne rivela il suo pensiero ‘fondamentale: 1. L ’unione trasformante,
centro di prospettiva nella dottrina del Santo (S. G iovan n i della Croce);
2. L ’unione trasformante, perfetta espansione della grazia delle v irtù e dei
doni; 3. L ’unione trasformante, partecipata in maniera diversa.
C f. « L a v ie spirituelle» (suppl. a settembre 1929) p . 282-
296 PRINCIPI FONDAMENTALI

ne fuori delle esigenze della grazia, ossia con mezzi straor­


dinari » 31.
« La mistica è un particolare sviluppo della grazia ed
è essenzialmente costituita dalla conoscenza e dall’amore
infuso... » 3*.
« L a contem plazione infusa è una intuizione affettuosa
delle cose divine che risulta da uno speciale influsso di D io
sull’anima » 33.
P. Claudio di Gesù Crocifisso. - « La teologia mistica
sperimentale è una conoscenza intuitiva e un amore di D io
infusi... per cui l ’intelletto percepisce un essere e una bontà
ineffabile, ma reale e presente nell’anima, un essere e una
bontà che sorpassa ogn i essere e bontà » 3 4.
P . Lucinio del SS. Sacramento. - Secondo il P . L ucinio,
l’esperienza mistica è solo un effetto del m odo sovrum ano
con cui operano i doni dello Spirito Santo. E g li efferma:
« Che la attuazione soprannaturale dei doni sia la nota
caratteristica della mistica, non lo dicono solamente i dot­
tori carmelitani. È una tesi com une » 35.

31 Compendio de Ascètica y Mistica p.3. pream b. p. 155.


32 Ivi, p. 3, a. i , p. 160.
33 h i, p. 3, a. z , p. 164.
34 C f. Hacia una definición claray precisa de la Teologia mistica
in. « R evista
Espan. de T e o lo g ia » , 1940, p. 598.
35 C f. « R ev ista de E spiritualidad», 1946, p. 556. — Si noti l’im por­
tanza tutta particolare di questa affermazione. I l P. L u cin io dichiara che il
m odo sovrum ano di operare dei doni dello Spirito Santo rappresenta la
nota caratteristica della m istica. E aggiunge che questa n on è solo una opi­
nione dei d ottori carmelitani, ma una tesi comune.
Riteniam o ch ’egli sia nel vero. A n oi sembra, inoltre, che questo « tesi
com une » potrebbe costituire un ottim o punto di convergenza e la base
di una « intesa » tra le diverse scuole di spiritualità, tanto utile nella pratica.
È un vero peccato che, pur am m ettendo tutti una cosa tanto fondam entale,
non riusciam o a raggiungere l’accordo su altre questioni che, a nostro a v v i­
so, sono solo corollari e naturali conseguenze. Per n o i il principio ammesso
dal P. Lucinio e presentato com e « tesi com une », costituisce il fondam ento
teologico e la base su cui p oggia la scuola mistica tomista, Perché se la m i­
stica n on è altro che la semplice attuazione dei doni dello Spirito Santo al
m odo sovrum ano, e abbiamo dim ostrato che questo m odo sovrum ano è
Yunico possibile nei doni, chiunque possiede i doni possiede già i principi del
l ’esperienza mistica: e siccom e i doni opereranno regolarm ente in tutti
i cristiani in grafia, giungerà un m om ento in cui tutti — se n on frappongono
N ATURA DELLA M ISTICA 297
Il Congresso Teresiano di M adrid. - Com e rappresentante
e autentico portavoce della scuola mistica carmelitana, si
è invocata sempre l’autorità del famoso Congresso-Teresiano
celebrato a M adrid nel marzo del 1923. E cco il testo inte­
grale delle conclusioni approvate sul tema quinto, nelle
quali, espone la dottrina della scuola circa la contemplazione:
1. L a contemplazione infusa è l’operazione mistica per
eccellenza.
2. Questa contemplazione è la conoscenza sperimentale
delle cose divine prodotta da Dio soprannaturalmente nell’anima
e lo stato di m aggiore prossimità e unione tra l’anima
e D io che sia dato raggiungere in questa vita.
3. D i conseguenza, è, nell’ordine dei mezzi, l ’ultimo
ideale 0 l ’ultima tappa della vita cristiana in questo mondo per le
anime chiamate all’unione mistica con D io .
4. L o stato della contem plazione è caratterizzato dal
predomìnio crescente dei doni dello Spirito Santo e dal modo so­
vrumano con cui per loro m ezzo si com piono tutte le buone
azioni.
5. Siccom e le virtù trovano la loro ultima perfezione nei doni
e questi raggiungono la loro attuazione perfetta nella con­
templazione, abbiamo che la contemplazione è la vita ordi­
naria della santità e della virtù abitualmente eroica 36,

1 3 4 . G e s u it i:
P . D e M aumigny. - D efinisce la contem plazione infusa
come « uno sguardo semplice e am oroso rivolto a D io ,
per m ezzo del quale l ’anima, assorbita dall’ammirazione
e dall’amore, lo conosce sperimentalmente e gusta una pace
profonda, un preludio della felicità eterna» 37.
P . Poulain. - « G li stati mistici, che hanno per oggetto
D io, attirano subito l’attenzione per l’impressione di racco­
glimento e di unione che fanno sperimentare. D i li il nome
di unione mistica. La vera loro differenza dal raccoglim ento
dell’orazione ordinaria sta in ciò, che nello stato mistico
Iddio non si accontenta più di aiutarci a pensare a lui e a

ostacolo alla grazia — entreranno nello stato mistico, caratterizzato appunto


dall’ attuazione predom inante dei doni dello Spirito Santo a l m od o divino
o sovrum ano. D a qui F« unità della vita spirituale » e la « chiamata
universale alla mistica », tesi basilari della scuola mistica tom ista.
3 6 C f. « E 1 M onte Carm elo», m aggio 1 9 2 3 , p. 2 1 1 .
37 Pratica delVorazione mentale> t r .2 , p. 1, c .io , p. 32S.
298 PRINCIPI FONDAMENTALI

ricord a rci della sua presenza; ma ci dà, di questa presenza,


una n o tiz ia in te lle ttu a le sperim en ta le; in una parola, f a sen tire
che s i entra realm ente in com u n ica zion e con lu ì. T uttavia, nei
gradi inferiori (quiete), questa manifestazione rimane piut­
tosto oscura; si fa più chiara man mano che si progredisce
nell’unione » 3*.
P. De la Taille. - Il P. M aurizio de la Taille pone l ’essenza
della mistica in una esperienza del divino. Per lui la contem ­
plazione nasce dall’amore: è uno sguardo amoroso. Ma
che cos’è che distingue tale amore dall’amore im plicito che
si ritrova in o gn i atto di fede ? N o n è la sua m aggiore perfe­
zione o intensità. L ’amore d el contem plativo può essere
meno perfetto di quello del semplice fedele. Però questo
amore contem plativo è un amore « coscientemente infuso...
Il m istico ha coscienza di ricevere da D io un amore g ià
f a t t o {to u i f a i t ) . . . L ’anima avverte sensibilmente di essere
investita dall’amore divino. E per questo... sente la p r e s e n z a
d i D i o in se s te s sa ... L ’anima riceve il dono d a lla m ano del
datore, che è presente in essa in una form a che esperìm en-
ta » 39.
P. Kleutgen. - Crede di trovare l’essenza della mistica
in. una misteriosa unione con D io , nella quale l’anima è
elevata, per un effetto straordinario della grazia, ad ” na
contemplazione più alta di D io e delle cose divine, che viene
a conoscere non solo mediante la fede, ma sp erìm en ta lm en =
te 4°.
P. Bainvel. - « L o stato m istico è costituito dalla coscien za
d e l soprann aturale in n oi »
P. Marechal. . « Basandoci sulle dichiarazioni unanimi
dei contem plativi ■— unici testim oni delle loro esperienze
interne — crediamo che l ’alta contem plazione im plichi un
elemento nuovo, qualitativamente distinto dalle attività psi­
cologiche normali e dalla grazia ordinaria; vogliam o dire la
presenza attiva, non simbolica, di D io nell’anima con il

ì 8 D elle grafie d ’ orazione, c.5, n.3.


3> Citato da Bainvel nella sua «Introduzione» alla10 ed. dell’opera del
P. Poukin: Delle grafie d ’orazione n.25, p. 56.
4
° Otato dal P. Claudio, carmelitano, in « Revista Espan. de Teologia»,
1940, pag. 591-2.
4
1 Cf. ' Rei uè Ascétique et Mystique », gennaio 1923, p. 45.
N ATURA DELLA M ISTICA 299
suo correlativo psicologico: l'intuizione immediata di Dio
da parte dall’anima »
P. D e Guibert. - Per il professore della Gregoriana,
nella contem plazione mistica « l’anima ejperimento la presen­
za di D io in se stessa. Prima conosceva l’inabitazione e
l ’azione di D io indirettamente, dalla testimonianza della
fede; ora Yesperimento in se stessa... Questa percezione diret­
ta e sperimentale della presenza di D io è generale, confusa,
non apporta concetti n u o vi, n on insegna cose nuove, ma
è costituita da una profonda e intensa intuizione, semplice
e ricchissima ad un tempo. L a volontà n on è distratta da
una m olteplicità di affetti, ma è orientata e com e im m obi­
lizzata nell’unico atto semplice, per m ezzo del quale aderi­
sce tutta a D io.
T u tto ciò l’ anima lo riceve passivamente; nessuno
sforzo potrebbe procurarle questo dono; non può preve­
dere quando lo riceverà, né trattenerlo quando svanisce,
né farlo rivivere quando già lo ha godu to... » «.
P. D e Grandmaison. - « L ’uom o sente di entrare, non
mediante uno sforzo, ma mediante una chiamata, in contatto
immediato senza immagine, senza discorso, benché non
senza luce, con una Bontà infinita » ♦■
*.
P. Valensin. - Secondo il professore della facoltà d 1
T eo lo gia di L ion e, la mistica, « dal punto di vista p s ic o io '
gico, com porta, oltre ad un sentimento ineffabile della presen "
%a di Dio, un raccoglim ento in D io che può giungere fin °
all’assorbimento delle potenze dell’anima, em igrando, p er
cosi dire, dalla regione delle om bre e delle im m agini verso
e realtà divine ».
1 E d aggiunge:
« Per definire teologicam ente la caratteristica essenziale
è necessario risalire dagli effetti alla causa e chiarire la na­
tura m edesim a di questa causa n on già con le sole luci
dell’esperienza, m a anche con quelle della dottrina.
D a questo punto di vista teologico, l’orazione di cui
parliamo sarà chiamata mistica, nel senso che l’anima pene­
tra con essa in quello che c’è di più profondo e misterioso
nella relazione intima del F iglio di D io con l’adorabile T ri­
nità, che l’ aiuta a pregare il Padre nello Spirito Santo, in

44 Etudes sur la Psycbologie des Mystiques t.i p . 253.


43 Tbiologia spiriiualis ascetica et mystica q.7, sect.i,n.382.
44 Religione personale c.5, § 2.
300 PRINCIPI FONDAMENTALI

nome di G esù, e ad abbozzare fin d’ora l’unione che costi­


tuirà la sua beatitudine. Cosi, la Teologia mistica, definita
attraverso il suo o ggetto formale, si presenterà come la
scienza dell’essere divino che, mediante la sua grazia, vive
nel cristiano e lo eleva, stimolandone la collaborazione,
fin o alla perfezione, mentre si dovrà riservare il nome di
Teologia ascetica alla scienza della collaborazione umana so-
prannaturalizzata dalle iniziative dello Spirito di D io.
D al mom ento che il problem a delle essenze è meta­
fisico, diremo che la mistica è l’ontologia della vita spirituale.
E aggiungerem o — per m eglio determinarla — che Vasce­
si sarà la logica, e Vascetismo la metodologia » -*5.
P. Pacheu. • « È un possesso sperimentale di Dio, una co­
municazione che D io fa di se stesso alle anime privilegiate,
e nella quale l ’anima riceve questo gratuito favore divino,
senza potersi elevare da se stessa qualunque sia la sua appli­
cazione e lo sforzo personale ».
In questo stato, l ’anima vien detta « passiva », non per­
ché se ne stia oziosa, priva di conoscenza, annientata; al
contrario, si trova in un prodigioso aumento di vita, i suoi
atti di conoscenza e di amore sorpassano g li atti ordinari
delle sue facoltà. Però « riceve, non prende nulla per suo
conto; entra, ma è introdotta; non opera, ma è posta in
azione; non agit sed agitur » *6.

1 3 5 . A u t o r i in d ip e n d e n t i:
P. Schrijvers, C. SS. R. - « L a contemplazione è essen­
zialmente una conoscenza e un amore prodotti direttamen­
te da D io , grazie ai doni dello Spirito Santo, nelle facoltà
dell’intelligenza e della volontà. O g n i vera contemplazione
è, quindi, necessariamente infusa ».
E un p o ’ più oltre, quando precisa la natura delle gra­
zie mistiche in genere, scrive:
« Il più frequente di questi segni sembra sia la soavità
sperimentale al contatto di D io . Sono rare, credo, le anime
contem plative che non hanno gustato D io in questa maniera
almeno alcune volte. Q uesta intima esperienza di Dio è tanto
caratteristica, che l ’anima la quale ne è stata favorita, sia
pure in m odo transitorio, la distingue facilmente dalle con­

45 C f. « L a v ie spirituelle » (suppl. a m arzo 1930), pp. 139-40.


46 Psychologie des Mystìques, Parigi, 1901, p. 41. L e ultim e parole sono
prese dal P. Bonniot.
NATURA DELLA M ISTICA 301

solazioni ordinarie e conserva di essa una profonda impres­


sione » 47.
P. Ivo de Mohon, 0 . M. C. - « L a T eologia mistica è una
conoscenza infusa sperimentale e amorosa di D io prodotta
in noi dai doni intellettuali dello Spirito Santo, in m odo speciale
dal dono della sapienza » 48.
P. Teotimo di S. G iusto, 0 . M. C. - « Secondo il mio
modesto parere, lo stato mistico è costituito essenzialmente
dalla conoscenza amorosa infusa, cioè da un’alta idea di
D io abitualmente generica ed infusa, associata ad un amore
passivo e persistente ».
E d ancora:
« D a dove proviene nell’anima lo stato m istico ? D al
pieno sviluppo dei doni dello Spirito Santo, particolarmente
dal dono della sapienza » 49.
P. Cayré, A . A . - L ’illustre agostiniano assunzionista,
autore della famosa Patrologia, crede che l’essenza mistica
com porti i seguenti elementi:
« a) U n senso di Dio prodotto nell’anima da D io stesso.
S. A go stin o ci offre la formula: sentire Deum, avere il sen­
timento di D io .
b) Un tale sentimento suppone la presenza di colui
che si manifesta in qualche maniera, non solamente com e
essere perfetto, ma com e ospite dell’anima. Benché la grazia
non sia percepita in se stessa, si avverte che D io abita
nell’anima: capitur habitans, dice ancora S. A go stin o . Un
tale dono non può venire che da D io; il senso mistico di
D io è evidentemente soprannaturale...
c) Il senso mistico di D io è anche distinto dalle con­
solazioni sensibili, che suppongono la grazia com e ogn i ve­
ro atto di pietà, ma che sono pure, in gran parte, effetto
dell’attività umana, secondo la dottrina di S. Teresa» 5».
P . Lam balle, radiata. . Fa propria la definizione di
S. Francesco di Sales: « La contem plazione n on è altro che

47 C f. « L a vie spirituelle» (suppl. a settembre 1929) p. 284. — Si


Teda anche la stia opera I principi detta vita spirituale, d o ve sono esposte
con m aggior ampiezza le stesse idee.
4 8 L e don di sagene, Parigi, 1928, p. 19.
49 C f. « L a v ie spirituelle» (suppl. a dicembre 1929) p. 152-3.
5° Cf. « L a v ie spirituelle» (suppl. a giugn o 1930) p. 132-3.
302 PRINCIPI FONDAMENTALI

una amorosa, semplice e permanente attenzione dello spi­


rito alle cose divine» 51.
P . Lucas, cudista. . « T utti sono d’accordo con San
Tom m aso nell’insegnare che la contem plazione infusa è
un effetto dei doni dello Spirito Santo ».
D e g li stati mistici in generale, dice che « sono quelli nei
quali predominano i doni dello Spirito Santo, e nei quali
l’anima ha coscienza di ricevere un amore ” già fatto” , se­
condo l’esoressione del P. D e la Taille » 5*.
P . Boulexteix. - La mistica consiste « in una conoscen­
za e in un amore m isteriosi che ci fanno percepire D io in
una maniera veramente ineffabile» 53.
P . N aval, C.M .F . - « M istica propriamente detta nel
campo sperimentale è la conoscenza intuitiva, congiunta al­
l’amore intensissimo di D io , ottenuti per infusione divina,
ossia, con m ezzi straordinari della divina Provviden za» 5 4.
P . A ugusto A . Ortega, C .M .F . - « Sembra che, fra le
altre, la mistica abbia la proprietà di prendere coscienza
della presenza d i D io nell’anima in una maniera sopranna­
turale fino a giungere alla piena conoscenza e godim ento
di D io per amore, che si com pie nell’altra vita».
E qualche riga più innanzi aggiunge: « L a vita mistica,
cosi com e appare sviluppata nei mistici sperimentali, ci si
mostra com e lo svolgim en to naturale e lo gico della grazia
santificante» ss.
Mona. R ibet. - « L a T eo lo gia mistica, dal punto di
vista soggettivo e sperim entale, ci sembra che possa essere
definita: un’attrazione soprannaturale e passiva dell’anima
verso D io dovuta ad una illuminazione e ad un ardore
(iembrasement) interiori, che prevengono la riflessione, sor­
passano lo sforzo umano e possono avere sul corpo una me­
ravigliosa e irresistibile ripercussione» 56.

5 1 L a contemplation, Parigi, 1912, p. 48. — Cf. S. F r a n c e s c o d i Sa-


Teotimo, 1. 6 , c .3 .
le s ,
5a C f. « L a v ie spirituelle» (suppl. a dicembre 1930) p. 157-9.
53 L a defìnition de la mystique, in « R evu e Augustinienne », 15 novem bre
1906. (Citato da A r in t e r o , Cuestiones mlsticas, 3 ediz., 6, a.2, p. 657.
54 Curso de Teologia ascèticay mistica n.3.
55 P . O rt e g a , Ra^ón teològica y experiencia mistica, Editora Nacional,
M adrid, 1944, p. 76.
56 L a mystique divine, t.i, pag. 26 (ed. 1895).
NATURA DELLA M ISTICA 303
Mona. Saudreau. - « C ’è nello stato m istico e in ogni
stato mistico questo duplice elemento: conoscenza superio­
re di D io , che, benché generica e confusa, dà un ’idea m olto
alta delle sue incom prensibili grandezze; un amore non ra­
gionato, però intenso, che D io medesimo comunica, e al
quale l ’anima, nonostante tutti i suoi sforzi, non potrebbe
mai elevarsi» 5 7 .
M ons. Paulot. - « Che cos’è la contemplazione ? Una
conoscenza d’amore, oscura, infusa, semplice, dovuta sia
alla connaturalità dell’anima con D io , frutto dell’esercizio
predominante del dono della sapienza, sia alla grazia attuàle
operante, corrispondente a questo dono » 58.
Mons. Farges. - È uno degli autori più indecisi e in
seguito ad una controversia con il P. G arrigou-Lagrange,
nella quale non esitò a riconoscere che; il dotto domenicano
aveva ragione, mutò radicalmente la sua opinione 59. L ’ul­
tima parola sembra essere questa:
« C i sono degli stati contem plativi caratterizzati dal pre­
dominio, in gradi diversi, dei doni dello Spirito Santo, nei
quali l ’anima è più passiva che attiva, e che sono richiesti per
la p iù eminente santità. In questo siamo tutti d’accordo » 6o.
A . Tanquerey. - N on ha espressioni precise. Possiamo
tuttavia ricostruire il suo pensiero da questi due testi:
« L a mistica è quella parte della scienza spirituale che ha
per oggetto proprio la teoria e la pratica della vita contem­
plativa, a partire dalla prim a notte dei sensi e dalla quiete
fino al matrimonio spirituale » 6r.
« L a contem plazione infusa è una visione semplice,
affettuosa e prolungata di D io e delle cose divine, che si fa
sotto l’influsso dei doni dello Spirito Santo e di una grazia
attuale speciale, la quale s’impossessa di n oi e ci fa operare
più passivamente che attivamente » 62.
D . Baldomero Jiménez Duqiie. - « Che cos’è la mistica ?
Essenzialmente e primariamente, l’opera divinizzatrice di D io

57 L ’ état mystìquc c.8 n .6 o pag. i n (ed. 1903).


58 C f. « L a v ie spirituelle» (suppl. a ottobre 1929) p. 30-31.
59 C f. P. G a r r i g o u - L a g r a n g e , Perfezione cristiana e contemplazione
app. 1 p. 1-51.
60 Autour de notre livre p. 96.
61 Teologia ascètica y mistica n .ix .
62 Ivi, n.1386 B.
304 PRINCIPI FONDAMENTALI

in noi quando è giunta a quello stadio intenso, caratteriz­


zato dal predom inio dell’azione dei doni...
Procediam o oltre. T u tti gli autori, speculativi e non
speculativi, parlano dell’esperienza di Dio. E subito si pre­
senta la tentazione del problem a p sicologico puro, descrit­
tivo, empirico, sperimentale: ” 1 mistici sono i testimoni
della presenza amorosa di D io nei nostri cuori ” (D e Grand-
maison). Fin ora siamo restati nel campo dei principi. Un
p o ’ di metafisica teologica o di teologia metafisica e niente
più. C ’è qualcosa da aggiungere sul problem a mistico ?
SI, la mistica è anche questo e qualcosa di più di questo, ma
solo qualcosa di più. L a mistica è anche essenzialmente, ma
secondariamente, un’esperienza di D io » 6i.
Mons. Lejeuue. - « L ’elemento costitu tivo della vita
mistica è il sentimento che l ’anima esperimento della presenza
di Dio in sé, l’esperienza di D io presente nell’anima, una spe­
cie di tocco divino nel più intim o dell’anima. L a vita m i­
stica è, quindi, una esperienza, una percezione di D io pre­
sente nell’anima... È D io stesso e non la sua immagine che
percepiamo in questa contem plazione e sentiamo nel nostro
interiore » 6■*.
Mons. W affelaert ( Vescovo di Bruges). - L a mistica
è una « vita di unione intima, costante e cosciente con
D io » 65.
A . Fonck. - « N o i riteniamo com e mistico ogn i fatto
psicologico nel quale l’uom o pensa di essere in diretto e
immediato contatto con D io; in una parola ” esperimenta”
D io , sia mediante uno sforzo personale di intelligenza o di
amore che ci eleverà fino a lui, perm ettendoci di "tro va rlo ” ,
di abbracciarlo in qualche maniera, sia mediante una condi­
scendenza di D io, che si abbassa verso di noi, ci ” tocca” ,
ci fa sentire la sua presenza e la sua azione e ci inonda di
consolazioni e di luci.
E cosi giungiam o a distinguere due specie di misti­
cism o, che si potrebbero chiamare il misticismo attivo e il
m isticismo passivo. N on ci sarà nessun inconveniente nel

63 Acerca de la mistica in « Revista Espan. de T eo lo gia », aprile-giugno


1 9 4 7 . P- 236.
64 Introduction a la vìe mistique (Citato da A r in t e r o , Cuestiones mlsticas,
3 ediz., 6, a.2, p. 651).
65 L a mystique et laperfection chrètienne (Citato da D om L o u ism et , O .S .B .,
nel libro L a vie mystique, c .i, p. 29).
NATURA DELLA M ISTICA 305

riservare il nome di mistici propriamente detti ai fatti misti­


ci della seconda categoria» 66.
F. X . M aquart. - L ’illustre filosofo, professore nel se­
minario m aggiore di Reims, crede che la definizione della
teologia mistica dipenda dal concetto che uno s’è formato
dell’efficacia della grazia, dal mom ento che la mistica altro
non è che lo studio della vita della grazia nelle anime. E g li
dice:
« Se si ammette con la scuola tomista, l’efficacia intrìn­
seca della grazia attuale, rimane facile spiegare la natura della
vita mistica. Siccom e i teologi sono unanimi nel riporre
la vita mistica in una certa passività vitale dell’anima, i to­
misti, che cercano la causa di questa passività, la trove­
ranno nell’interiore sviluppo della grazia. L a loro dottrina
sull’efficacia della grazia attuale li autorizza a tanto. Se la
grazia è efficace per natura, si richiede per ogn i atto della
vita della grazia. Sebbene la grazia santificante e gli abiti
che l ’accom pagnano (virtù e doni) diano solamente il po­
tere di operare soprannaturalmente, la volontà ha bisogno di
essere mossa in actu secundo da una grazia attuale efficace.
A l contrario, i sostenitori della grazia efficace ab ex-
trinseco, cioè, per l’apporto della volontà, insegnano, con­
forme alla loro dottrina, che la grazia abituale e le virtù
bastano. Com e potrebbe essere diversamente ? Se la grazia
efficace non è altro che la grazia attuale sufficiente che dà il
posse agere, alla quale si aggiunge la cooperazione della v o ­
lontà, chiunque possiede un abito infuso che gli dà questo
posse agere non ha bisogno per operare che dell’intervento
della volontà. D ’altra parte, siccome nella teoria molinista
l’efficacia della grazia proviene dalla volontà, non ci può es­
sere nell’econom ia normale della vita della grazia uno stato
nel quale l ’anima che opera vitalmente sia passiva; la vita
mistica rimane esclusa » 67 .

66 A . F o n c k : Mystique (Théologie) in D T C voi. 10-2, col. 2600.


67 Cf. « L a vie spirituelle » (suppl. a gennaio 1930) pp. 37-8. — B en ch é
ci sia m olto di vero in tutto ciò, ci sembra che la conclusione finale sia ecces­
siva; e, senza dubbio, i sostenitori della efficacia della grazia ab estrinseco
protesterebbero se fossero tacciati di antimistici. È vero che, secondo co ­
storo, la volon tà umana ha il com pito di trasformare la grazia « sufficiente »
in grazia « efficace », e questo accentua fortem ente l’azione dell’ uomo
(ascetica), rilegando in second’ordine l’azione di D io (mistica); però esige
anche un concorso di D io durante l’azione della creatura, e ciò basta perchè
non si possa parlare di esclusione della mistica da parte loro. Senza dubbio
306 PRINCIPI FONDAMENTALI

H enri Joly. - « L a mistica è l’amor di D io ».


« O g n i cristiano in stato di grazia ama D io e, in una
misura più o meno grande, è un mistico. Però ” il mistico”
per eccellenza, colui che chiameremo d’ora innanzi ” il
santo” , è un uom o che ha la vita avvolta e penetrata dall’a-
m or di D io » 68.
Jacques M aritain. - Per il professore dell’Istituto catto­
lico di Parigi, lo stato m istico è costituito dal predominio
dell’azione dei doni. E g li dice:
« L o stato mistico non viene inserito nell’anima in gra­
zia com e un ramo estraneo, ma è la fioritura della grazia
santificante; non è caratterizzato dalla presenta dei doni,
che sono inseparabili dalla carità, ma soltanto dal predominio
dell’esercizio dei doni su quello delle virtù (morali infuse).
Il momento preciso nel quale comincia lo stato mistico non
cade sotto osservazione.
« O g n i cristiano che cresce in grazia e tende alla perfe­
zione, se viv e per un tem po sufficientemente lungo, giun­
gerà all’ordine mistico e alla vita del predom inio abituale
dei doni » 6?.

In tanta varietà di form ule e di opinioni, u n a verità


è posta bene in rilievo: la m istica come fatto psicologico è,
anzitutto, una esperienza del divino. In questa affermazione
coincid on o quasi tutte le opinioni, nonostante che gli
autori appartengano alle scuole più diverse e talora op­
poste in punti fondam entali. È u n ’esperienza passiva,
n on attiva; dal m om ento che — e in questo c’è anche
uniform ità di pareri — solamente lo Spirito Santo può
produrla in noi mediante Tinflusso e Fattuazione dei doni.

la teoria tom ista della grazia efficace ab intrinseco porta spontaneamente e


con una logica m olto m aggiore alla necessità della mistica com e fatto nor­
male per tutti i cristiani in grazia.
68 Psychologit des Saìnts, 6 ediz., 1900, c . i , p. 40 e 43.
69 C f, « L a v ie spirituelle», m arzo 1923, pag. 642. — Jacques Maritain
t stato uno di coloro che m eglio hanno precisato la distinzione tra « mistica»
e « contemplazione infusa».
NATURA DELLA. M ISTICA 307
N o n è poca cosa per tentare una sintesi, p sicolog ico -
teologica, per quanto concerne l ’essenza o natura in ­
tima della mistica.

B) Sintesi teologica.

Tesi: I l costitutivo essenziale della mistica, ciò che


la distingue e la separa da tutto il resto, è dato
dall’attuazione dei doni dello Spirito Santo al
modo divino o sovrumano, che produce ordi­
nariamente un’esperienza passiva di Dio o del­
la sua azione divina nell’anima.

« Il costitutivo essenziale... ». - N o n ci riferiam o


ad una caratteristica esterna o ad un segno p sico lo g ico
che serva a distinguere la m istica dal resto, m a alla sua
nota tipica, essenziale, che la costituisce intrinsecam ente
nella sua ragione specifica.
« ...è dato dall’attuazione dei doni dello Spirito
Santo al modo divino o sovrumano... ». - C he l’espe­
rienza m istica sia effetto d ell’attuazione dei doni dello
Spirito Santo al m odo divino o sovrum ano è una con­
clusione certissima, da tutti ammessa 7o.
Q uesta attuazione dei doni costituisce l ’ essenza
della m istica. O g n i vo lta che un d on o opera, abbiam o
un atto mistico p iù o m eno intenso secondo l ’intensità
dell’ operazione stessa del dono. E quando l ’attuazione

7° Ricordiam o al lettore le parole del P. Lucinio, C .D ., riportate più


sopra: « È una tesi com une che la nota caratteristica della mistica è il m odo so­
vrumano con cui i doni attuano» in « R evista de Espiritualidad », 1946,
pag. 556.
L o stesso P. C risógono, che, senza dubbio, occupa la posizione più
estremista nella negazione della chiamata universale alla m istica, afferma:
« Questa operazione dei doni, che si realizza in un m odo sovrum ano, è
l’atto m edesimo della contemplazione infusa » (Compendio de Ascètica y
Mistica p. 3, c .i, a.2; cf. L a escuela mistica Carmelitana, p. 356-7).
308 PRINCIPI FONDAMENTALI

dei doni è tanto frequente da predominare sull’esercizio


al m od o um ano delle v iitu infuse (caratteristica dell’a­
scetica), l ’anima è entrata in pieno stato mistico, anche
se relativo, giacché i doni n on operano mai — neppure
nei grandi m istici — in una m aniera continua e inin­
terrotta.
\J esperienza del divino non è essenziale, dal m om ento
che può mancare, e m anca di fatto, in alcuni stati che
sono indubbiam ente m istici, com e le notti dell’anim a e
altre p rove purificatrici passive ,l . C iò che non manca
mai è il modo sovrumano co n cui l ’anim a pratica le virtù
com e effetto naturale dell’ attuazione su di esse dei doni
dello Spirito Santo. In questo m odo sovrum ano di
operare sono evidentem ente possibili m olti gradi, p ro ­
porzion ati al grado di perfezione dell’anima ed alla
intensità con cui il dono ha operato. Il direttore spi­
rituale prudente e sperim entato, dalla condotta dell’ a­
nima, potrà scoprire senza fatica la presenza dei doni l
anche in quei m om enti in cui alla p o vera anima pare di
stare lontanissim a da D io e dalla sua am icizia.
« ...c h e p r o d u c e o rd in a ria m e n te ... ». - L ’ esperienza
del divino è una delle m anifestazioni più frequenti e or- 1
dinarie nell’attuazione sovrum ana dei doni. P erò si

71 D ire, com e il P. D e G uibert, che queste notti appartengono alla m i- j


stica « reductive tantum, ut eius praeparationem, v el quatenus in eis sicut in J.
illa anima passive se habet » (Theologia spiritualis n.403) è un espediente fa- j
cile e com odo per salvare l'esperienza com e elem ento essenziale della m i- j
stica, però è manifestamente contraria al sentire di S. G io van n i della C roce \
e di tutta la tradizione posteriore, che ha visto sempre nelle notti dell’anima \
fenomeni di ordine essenzialmente m istico. >
N o n ci sem bra neppure ammissibile l’opinione di D . Baldom ero Jim é- 1
nez, che considera questa esperienza com e un elem ento secondario, però s
essenziale, allo stato mistico (Revista Espan. de T eo lo gia, 1947). L ’essenziale \
anche se secondario, n on manca mai; e l’esperienza del d ivin o m anca per lo '
meno nelle notti dell’anima che sono essenzialmente mìstiche com e am m ette
lo stesso Jiménez.
NATURA DELLA M ISTICA 30»
possono dare, e si dànno di fatto, degli stati mistici
nei quali questa esperienza n on si produce. D urante
le terribili notti e purificazioni passive — soprattutto
nella notte dello spirito — l ’anima è portata ad attribuire
a qualsiasi causa, m eno che a D io , il suo stato. N o n
solam ente n on lo sente e n on sente la sua azione, ma
ha l ’im pressione di stare lontanissima e, alle vo lte, per­
sino di essere riprovata da D io, secondo certe espres­
sioni di S. Teresa 72 conferm ate da S. G iovan n i della.
Croce. E cc o com e il D o tto re m istico descrive le lanci­
nanti torture della notte dello spirito:
« Ciò che per altro affligge di più l’anima in tale stato, è
il sembrarle evidente che Iddio l’abbia riprovata e, aborren­
dola, l’abbia rigettata nelle tenebre: e certamente non v ’è
pena tanto grave per lei quanto il pensiero di essere stata
abbandonata da D io ... E veramente, quando la contempla­
zione purgativa opprime », l’anima prova m olto al vivo-
l’om bra di morte e i gem iti di morte e i dolori dell’inferno,
che consistono nel sentirsi senza D io , punita, ripudiata e
indegna di lui, e nel credere che egli sia sommamente sde­
gnato contro di lei. T utto ciò l’anima sente in questo sta­
to. M a v ’è di più: le sembra che cosi sarà per sempre » 7 4.

L ’anima, quindi, in questi stati m istici, è lu n gi dal­


l’avere u n ’esperienza di D io o della sua azione in sé.
E non si dica che, sebbene l ’anima n on la senta e n o n
la percepisca, di fatto si tro va sotto l ’azione divina, che
le produce simili angustie e torture. È vero , m a l ’anima,
di fatto non la sente, non ha esperienza di ciò; anzi, le pare
di stare lontanissim a da D io e di essere abbandonata da.
lui per sempre. Se tutto questo lo si v u o le chiam are
esperienza, confessiam o la nostra ignoranza sul senso o v ­
v io delle parole ,5.

72 Cf. Vita, 20,9; Seste mansioni, 1,9.


73 Rifletta bene il lettore che si tratta di uno stato contemplativo, mistico-
in tutta l ’estensione della parola.
7 * Notte oscura, 2,6,2.
75 È necessario notare, tuttavia, che anche nel periodo delle « n o tti >v
310 PRINCIPI FONDAMENTALI

L ’anima, in m ezzo a queste spaventose torture


causate dai sentim ento della totale assenna di D io , con ­
tinua a praticare le virtù in grado eroico, in maniera
più sovrumana che mai. L a sua fed e è vivissim a; la sua
speranza è superiore ad o g n i speranza (dal m om ento
c h e la conserva in piedi nonostante che le sem bri di ave­
re perduto D io per sempre), e la sua carità è superiore
a d o g n i misura. G iu n g e persino a rassegnarsi ad an­
dare all’inferno pur di continuare ad amare e glo ri­
ficare D io .
L ’un ico elem ento m istico sem pre presente — an­
ch e in queste terribili notti — è l ’attuazione sovrum ana
■dei doni, intensissim a n egli stati di purificazione.
A d ogn i m od o, è certo che, se escludiam o queste
notti e qualche altro fenom eno purificativo isolato, l ’e­
sperienza del d ivin o è l ’effetto p iù ordinario e frequente
d ell’attuazione sovrum ana dei doni. N e vo gliam o ora
esam inare la natura e stabilire il m o tivo per cui alcune
v o lte si produce e altre no.
« ...u n a esp erien za... ». - È l’elemento differenziale
p iù decisivo tra lo stato m istico e Io stato ascetico.
L ’ asceta v iv e la vita cristiana in una form a puram ente
umana e ne prende coscienza solo m ediante la riflessione.
Il m istico, invece, esperimenta in se stesso l ’ineffabile real­
tà di questa vita della grazia. « I m istici sono i testim oni
della presenza am orosa di D io in n oi » (D e G randm ai-
son). C on che grazia e precisione S. T eresa nelle Set­
time mansioni parla delle com unicazioni della SS. T r i­
n ità all’anima trasformata!
« Ciò che crediamo per fede, l ’anima mistica lo conosce
•quasi per vista, benché non con gli occhi del corpo né con
quelli dell’anima, non essendo visione immaginaria. Q ui le

«è possibile l ’esperienza di D io , perché in esse ci sono parentesi di coscten- ■


%a soprannaturale, m om enti nei quali si percepisce l’influsso divino, ora lu ­
m inoso e piacevole, ora purificatore e doloroso.
NATURA DELLA M ISTICA 311
tre Persone si comunicano a lei, le parlano e le fanno inten­
dere le parole con cui il Signore disse nel V angelo che egli
con il Padre e con lo Spirito Santo andrà ad abitare nell’a­
nima che lo ama ed osserva i suoi comandamenti (G io v.
r4>23)- . . .
O h D io! Che differenza udire e credere a queste parole
dall’intenderne la verità nel m odo che ho detto. L o stupore
dell’anima va ogn i giorno più aumentando, perché le pare
che le tre divine Persone non l’abbandonino più. L e vede
risiedere nel suo interno, nella maniera già detta, e sente la
loro divina com pagnia nella parte più intima di se stessa,
come in un abisso m olto profondo che per difetto di scienza
non sa ben definire» ~6.

È vero che non sem pre le com unicazioni m istiche


sono tanto alte com e questa, però p rod u con o sem pre
— fu ori delle purificazioni passive o notti d ell’anima —
un sentim ento sperimentale della v ita della grazia. Udi­
re e credere: ecco la caratteristica d ell’asceta. Intendere
in m a maniera ineffabile, sperimentare: ecco il p rivileg i»
del m istico. R icordi il lettore il caso di Sr. Elisabetta,
della Trinità, che giunse ad esperimentare l ’inabitazione
di D io nell’anima prim a di averne sentito parlare 77.
« ...passiva... ». - II m istico ha coscienza che l ’e­
sperienza di cui go d e non e stata prodotta da lui. Si lim ita
a ricevere u n ’azione prodotta da un agente a lui total­
m ente estraneo 78, e n on la potrà conservare un secondo
in p iù di quanto perm ette il m isterioso agente che la
produce 79.
Scrive a tale prop osito il P. Joret:

76 Settime' mansioni 1 ,6 - 7 .
77 C f. P . P h i l i p o n , L a dottrina spirituale di Suor Elisabetta della Trinità
c . i , n.8 e c.3 , n . i .
7 8 « L a stessa volon tà n on ha da far altro che accettale le grazie che le:
ven g on o date» (S. T e r e s a , V'ita, 17 ,1).
79 « N o n osa m uoversi né distrarsi per paura che quel bene le sfugga di
m ano, e talora non osa neppure respirare. Ma non sa la poverina che come:
non p otè fare nulla per procurarselo, molto meno potrà fare per ritenerlo,,
più di quanto il Signore vorrà lasciarglielo» (S. T e r e sa , V ita , 15 ,1)
312 PRINCIPI FONDAMENTALI

« Leggete attentamente le descrizioni che le persone favo-


lit e dal cielo ci hanno lasciato e giungerete presto a scoprire
tra tanti elementi diversi, questo fondo comune nella loro
•contemplazione. Essa appare sempre e innanzi tutto come
u n ’espfrietina, vissuta attraverso una specie di passività psì-
xologica dell’amore che domina e investe tutta la loro vita.
I mistici hanno l’impressione, più o meno avvertita, di un
intervento estraneo ad essi, che pur tuttavia si m uove dalle
profondità del loro essere e li porta ad unirsi a D io e a go ­
dere di lui. La loro anima si stabilisce in una perfetta quie­
t e » 80. ' l

T u tti am m ettono, com e nota particolare d ell’espe­


rienza m istica, la passività dell’anima. N el più antico
trattato di m istica in n ostro possesso, il classico D e
Alvinis nominibus, dello pseudo A reop agita, si ritrova già
la fam osa espressione patiens divina, com unem ente ac­
cettata in seguito dai te o lo gi e dai m aestri di vita
spirituale 81.
Si tratta, com ’è o v v io , di una passività relativa,
soltan to nei confron ti della causa agente principale,
c h e è lo Spirito Santo; ma n on di una passività assoluta,
giacch é l ’ anima reagisce vitalmente sotto la m ozione
d ello Spirito Santo — « consente la vo lo n tà », dice Santa
"Teresa nel testo che abbiam o citato — cooperando
alla sua divina azione in una m aniera libera e volontaria.
C osi rimane salva la libertà e il m erito sotto l ’azione
dei doni.
« ...di Dio o della sua azione divina nelFanima ».
- A lcu n e vo lte l ’anima sente D io che abita in essa in un
m o d o chiarissim o ed in con fon d ib ile. A ltre v o lte è la

80 L a contemplazione mistica secondo S. Tommaso d ’ Aquino (S e i, T o tin o ,


1942, p: 145S.).
81 Cf. D e divinis nominibus c.2: M G 3,648. N ella traduzione latina si legge
i l seguente testo: « ...partim etiam diviniore quadam inspiratione hausit
ìsta n on discendo tantum, veruni etiam divina patiendo assecutus, necnon
eorum (si dictu fas sit) compassione, ad illam quae doceri, nequit fidem m y-
’Sticam atque unionem informatus » (col. 647).
NATURA DELLA M ISTICA 313
sua divina anione 82, che va abbellendola e perfezionan­
dola con una m eravigliosa destrezza. Si direbbe che
avverte nella parte più profon da del suo spirito il con­
tatto del pennello del d ivin o artista, che v i disegna i
tratti della fisionom ia di C risto. E quasi istintivam ente
la m ente si riporta a quel verso del Veni Creator Spiritus
in cui si parla del dito della destra del Padre — digitus
paternae dexterae 83 •— che è quello dello Spirito Santo,
che sta tracciando la figura adorabile di Cristo.
Q u a l è la ragione per cui i doni dello Spirito Santo
prod ucon o una simile esperienza passiva del divino e per­
ché n on fanno sentire la lo ro azione nelle p rove passi­
ve o notti dell’anima ?
L a spiegazione, per quel che concerne il prim o
punto, è abbastanza semplice. I doni prod u con o l’e­
sperienza m istica a causa della loro modalità divina o sovru­
mana. L e virtù infuse, nello stato ascetico, operano
sotto l ’influsso della ragione, al modo umano; è im possibile,
quindi, che possano produrre l ’esperienza del divino.
Chiariam o m eglio il nostro pensiero.
È dottrina costante di S. T om m aso che l ’un ione
deU’anima con D io , iniziata dalla grazia santificante, si
attiva e perfeziona m ediante g li atti di conoscenza e
di am ore soprannaturali, m ediante, cioè, l ’esercizio
delle virtù infuse, principalm ente della fede e della
carità 8*.
O ra, le virtù infuse, benché siano strettam ente
soprannaturali quanto all’ essenza, n on lo sono quanto al
modo di operare; non perché non esigano una m odalità

82 In definitiva, D io essa stessa, giacché in L u i non si distinguono real­


mente l’essere e l ’operare (cf. per es., 1-11,3,2, ad 4).
s 3 Nella liturgia domenicana si legge dextrae D ei tu digitus.
« U nio nostra ad D eum est per operationem , inquantum scilicet eum
cognoscim us et amamus... » (111,6 ad 1).
« G ratia coniungit nos D e o per m odum assimilationis, sed requiritur
quod uniamur ei per operationem intellectus et affectus » (D e cavitate 2 ad 7).
314 PRINCIPI FONDAMENTALI

divina, che è l ’unica proporzionata e conveniente alla


lo ro natura strettam ente soprannaturale, ma perch é
sono partecipate in m odo im perfetto dall’ anima in gra­
f i a 85. Q uesta partecipazione im perfetta dipende dalla
regola umana, alla quale le virtù infuse si conform ano.
Sotto l ’influsso della grazia attuale, che D io n on ne­
ga a nessuno 86, n oi possiam o esercitare queste virtù
quando vogliam o. G li atti, b ench é soprannaturali o
d ivin i nella loro essenza, ve n g o n o realizzati secondo
il nostro m odo connaturale umano, e perciò n on ci pos­
sono :dare una esperienza passiva del divino.
In vece i doni sono soprannaturali n on solo quanto
alla lo ro essenza {quoad substantiam), ma anche quanto
al modo di operare {quoad modum operandi), p o ich é
n o n dipendono dalla ragione um ana — com e le virtù
in fuse — ma sono m ossi direttam ente dallo Spirito
Santo. Se per l ’essenza son o superiori alle virtù m orali
rna inferiori alle v irtù te o lo g a li,87 per il m od o di op e­
rare sono superiori a tutte le virtù infuse. Infatti, l ’u­
nico m odo prop rio e caratteristico dei doni è quello
divino o sovrumano.
Q uesto m odo d ivin o è un elem ento estraneo alla
nostra p sicologia umana. N o n è un m od o connaturale
alla nostra maniera di essere e di operare, ma distinto
e trascendente; per cui, quando com piam o un atto dei
d o n i 8S, l ’anima percepisce questo elemento estraneo com e

*5 1-11,68,2.
86 L a grazia attuale è un d ono di D io che, in quanto efficace, nessuno può
strettam ente meritare. Però la m isericordia di D io ce la offre « per l’adem­
pim ento del dovere del m om ento presente, com e l ’aria giun ge di continuo
ai nostri polm oni onde possiam o respirare e rinnovare il nostro sangue »
'( P . G a r r i g o u - L a g r a n g e , L e tre età, v o l.i, c. 3, a.5).
®7 1 -11 , 6 8 , 8 ; cf. a.4 ad 3.
88 È necessario che i doni operino per poterli percepire. N o n basta pos­
sed erli in quanto abiti. N o n si percepiscono le realtà entitative, ma soltanto
le dinamiche. La nostra anima non percepisce la sua essenza né g li abiti che
-modificano le sue potenze se non attraverso Ì propri atti (cf. 1,87, 1-2). Per
NATURA DELLA M ISTICA 315
qualche cosa del tutto alieno da sé, qualche cosa che
n on ha causato e che n on p u ò regolare com e vuole.
In questo senso, parliam o di esperienza passiva del
divino.
L ’intensità di questa esperienza è sem pre prop or­
zionata all’intensità con cui il don o ha operato. G li atti
m istici im perfetti che si hanno nello stato ascetico so­
glion o produrre solo un « piccolo gu sto », che non si
può qualificare com e vera esperienza m istica. L a ra­
gione è che il dono ha com piuto il suo atto, m a data la
scarsa disposizione del soggetto, in m od o im perfetto,
con poca intensità. H a prod otto u n ’ esperienza del divino,
però tanto debole ed im perfetta che l ’anima l ’avverte
appena. Trattandosi di uno dei doni di ordine intellet­
tivo, ci troverem o di fronte ad un atto passeggero di
contem plazione infusa ma di grado m olto dim esso e
quasi im percettibile. S. G iovan n i della C roce lo spiega
in questi termini:
« V ero è che al cominciare di tale stato, n uo vo per l ’a­
nima, non si riesce troppo bene a discernere questa notizia
amorosa, e per due ragioni. L ’una, perché sul principio essa
suole essere m olto sottile e delicata, quasi insensibile; l’al­
tra, perché l’anima, essendo stata abituata all’esercizio della
meditazione, che è affatto sensibile, non percepisce quasi
quest’altra novità insensibile, che è già puramente spiritua­
le. Ciò accade maggiorm ente quando l’anima, non inten­
dendo tale notizias non ne rimane quieta e tranquilla, e si
va procurando l’esercizio più sensibile della meditazione;
onde per quanto l’interna pace amorosa sia abbondante,
non è possibile sentirla e goderla. M a, quanto più l’anima
si andrà tranquillizzando, tanto più avvertirà e sentirà
aumentare in sé quella notizia amorosa generale di D io ,
della quale ella gode più di ogn i altra cosa, perché le apporta
pace, riposo, sapore e diletto senza fatica» 89.

lo stesso m otivo n o n percepiam o la grazia santificante, benché sia divina,


né le virtù infuse.
*9 Salita 11,13,7.
316 PRINCIPI FONDAMENTALI

T ale è, in realtà, la natura d ell’esperienza mistica.


I n principio, è fievole e delicata, quasi insensibile, per
effetto dell’attuazione im perfetta dei doni dello Spirito
Santo; quindi, a p o co a p o co , si va sempre più intensir
ficando di grado e m oltiplicando di num ero, fino
ad im porsi e predominare nella vita dell’anima 9 °.
Per sé i doni dello Spirito Santo, se non c’ eiqualche
ragione in contrario da parte di D io o delle disposizioni
deir anima, tendono a produrre u n ’esperienza del di­
vin o . Però esistono delle eccezioni, d ovu te ora alla
m ozione divina ora alle disposizioni dell’anima, com e
è dato costatare nelle purificazioni passive o notti del
senso e dello spirito. L a m ozione divina dei doni tende
in queste notti a purificare l ’anima da tutti i suoi attac­
camenti sensibili e dai diletti spirituali che scaturiscono
dalla contem plazione. Si im pone, quindi, una m ozione
che non solo n on le faccia avvertire l’ esperienza del
divino (sempre piena di soavità e diletto), ma che le
dia il sentim ento di assenna e abbandono di D io , che le
causerà una sofferenza di grande valore purificativo.
In questi casi, il dono si lim iterà a produrre l ’effetto
essenziale e prim ario — disporre l ’anima all’ esercizio j
sovrumano delle virtù — ed om etterà l ’effetto accidentale
e secondario — l ’esperienza del divino — per una logica e
naturale esigenza della purificazione che D ìo intende
realizzare nell’anima. L o Spirito Santo è padrone dei

9° Siamo perfettamente d’accordo con il P. Lucin io quando scrive: r


« N o n lo dicono soltanto Ì dottori carmelitani, ma è una tesi com une che il i
m od o sovrum ano con cui i doni dello 'Spirito Santo operano, è la nota I
caratteristica della Mistica. Infatti, per m ezzo di questa m odalità sopranna­
turale il m istico esperimento le realtà divine che passivam ente e senza il
su o concorso D io g li fa gustare, m entre prima, com e succede alla m aggior
parte dei cristiani, non era possibile tale esperienza data la connaturalità i
co n cui si associava alla sua norm ale attività. Perciò, il m istico ha una !
prospettiva della predestinazione m olto diversa (si può vedere in S. G io - ‘
vanni della Croce) da quella che abbiamo noi, che, se sentissimo Ì doni, sen- |
tirem m o la grazia» («R evista de Espiritualidad», 1940, p . 556). 1
NATURA DELLA M ISTICA 317

suoi doni e p u ò disporre di essi com e vuole. A lcu n e v o l­


te li attua in tutta la loro pienezza producendo tutti e
due gli effetti; altre vo lte si lim ita al solo effetto essen­
ziale, lasciando in sospeso quello accidentale, o addirit­
tura producendone uno diam etralm ente opposto.
Se a questa diversa m ozione divina aggiu ngiam o le
■disposizioni dell’anima nel period o delle notti passive,
rim arrà evidente il m o tivo per cui ella non percepisce
in tali stati la divina m ozione dei doni. C om e spiega
S. G iovan n i della C roce, quando sorgono le prim e
lu ci della contem plazione (notte del senso), l ’anima non
è abituata a quella luce spirituale « tenue, delicata e
quasi im percettibile » che le viene com unicata; e poiché,
d ’altra parte, è incapace dell’esercizio discorsivo della
m editazione alla quale era abituata, avverte un senso di
v u o to , ha l ’im pressione di m uoversi nella più fitta
oscurità; solo al term ine del processo purificativo, se
avrà avuto la forza di m antenere il suo spirito in un
semplice sguardo am oroso, percepirà, in una form a sem­
pre più chiara, la m ozione divina dei doni, che le
daranno una franca e inconfondibile esperienza del divino.
Q ualche cosa di analogo avviene nella notte dello
spirito. D io si propone di spingere la purificazione del­
l ’anima fino alle sue ultim e conseguenze prim a di
am m etterla all’unione trasform ante o m atrim onio spi­
rituale. A um enta straordinariam ente la potenza della
luce infusa. L a povera anima, investita da tanta luce,
non ved e altro che il cum ulo di m iserie e d i im perfe­
zion i di cui è ripiena e di cui prim a n on a veva nean­
che sospettato; cosi « com e l’acqua di u n bicchiere
che messa sotto i raggi del sole appare piena di p u lv i­
scoli », per usare una espressione di S. Teresa 91. Il con ­
trasto tra la santità e grandezza di D io e la propria m i­
seria e piccolezza è tanto grande, da sem brarle im possi­

9r Vita, 20,28.
318 PRINCIPI FONDAMENTALI

b ile che la luce giunga ad unirsi alle tenebre, la san­


tità al peccato, il tutto al nulla, D io alla sua povera
anima. Q uesta costatazione causa una sofferenza in ­
dicibile, che costituisce il fo n d o sostanziale della
notte dello spirito s2. L ’anima non avverte che è p rop rio
l ’intensità di luce contem plativa quella che le produce
un simile stato. E lla n on ved e altro che grandezze inef­
fabili da un lato e miseria e corruzione dell’ altro. Si
crede irrim ediabilm ente perduta e rigettata da D io .
T uttavia, continua a praticare in grado eroico, in una
maniera più sovrum ana che m ai, le v irtù infuse, soprat­
tutto le teologali. I doni operano intensam ente anche
in questa fase m a l ’anima n on ne ha coscienza, perché
la loro attività si lim ita all’effetto essenziale.

3. - Q u e s t io n i c o m p l e m e n t a r i

D a quanto abbiam o detto derivano alcune im p o r­


tanti conseguenze, che è necessario m ettere in lu ce
per com prendere perfettam ente la natura della m istica.

1. « Atto mistico » e « stato mistico » non sono la


stessa cosa.

137. L ’esperienza mistica è frutto dell’attuazione dei


doni dello Spirito Santo secondo la modalità divina, del tutto
estranea alla psicologia umana. D i conseguenza, abbiamo un
atto mistico — più o meno intenso o manifesto — tutte le
volte che un dono dello Spirito Santo opera nell’anima.
Infatti, l’attuazione di tale dono al modo divino — unico
possibile — darà all’anima, se nulla lo impedisce, in una
form a più o meno intensa, ma realissima, Vesperienza passiva
del divino, che costituisce, dal punto di vista psicologico,
il fenom eno più frequente e ordinario della mistica.
M a è evidente che non basta questa o quell’altra attuazio-

5» S . G i o v a n n i d e i - l a C r o c e , N o t t e I I , 5 , 5 .
NATURA DELLA M ISTICA 319

ne isolata dei doni per costituire l’anima nello stato mistico.


Uno stato suppone sempre qualche cosa di fisso e di abi­
tuale e mal s’accorda con pochi atti fiacchi e passeggeri.
N on c’è uno stato mistico finché l’attuazione dei doni non sarà
tanto intensa e frequente, da predominare sul semplice esercizio
delle virtù infuse al m odo umano.
O ccorre intendere rettamente l ’espressione stato mistico.
Siccome si tratta di un semplice predominio dell’influsso dei
doni, tale espressione non va presa in senso assoluto, ma re­
lativo. N o n si tratta di una situazione psicologica propria­
mente abituale, ma solo di una form a predominante di opera­
re. L o stato mìstico inteso in un m odo permanente ed abi­
tuale, senza intermittenze, non si verifica mai. I doni dello
Spirito Santo non attuano in m odo continuo ed ininterrotto
in nessun mistico per quanto progredito egli sia. L a ragione
è chiara: perché i doni operino si richiede sempre una mo­
zione speciale dello Spirito Santo, corrispondente alla m o­
zione delle grafie attuali, che sono per sé transitorie.
Quando i teologi e i mistici sperimentali parlano dello
stato mistico, prendono il termine stato in un senso largo,
equivalente a uno stato abituale di semplice predominio dei doni.
Si vuole intendere che d’ordinario, abitualmente, predominano
nell’anima del mistico gli atti dei doni sulla iniziativa pri­
vata, che mette in esercizio — con l’aiuto della grazia —
le virtù infuse al m odo umano. Intesa in questo senso, la
espressione è esatta e vera, ed ha il vantaggio di suggerirci
immediatamente l’idea di un’ anima che v iv e già, la m aggior
parte delle volte, sotto la regola e la m ozione dello Spirito
Santo. Riducendo a form ule precise e brevi la distinzione
tra atto e stato mistico, potrem m o dare le seguenti definizio­
ni:
a) Chiamiamo atto mistico la semplice attuazione, più o
meno intensa, di un dono dello Spirito Santo al m odo di­
vino o sovrumano.
b) Intendiamo per stato mistico il manifesto predominio
dell’attuazione dei doni al m odo divino sul semplice eser­
cizio delle virtù infuse al m odo umano.
L a dimenticanza di questa distinzione tanto semplice
ha dato origine alla m aggior parte degli errori nei quali
sono incorsi m olti autori di spiritualità, soprattutto di questi
ultimi tempi.
320 PRINCIPI FONDAMENTALI

2. « Mistica » e « contemplazione infusa » non si


identificano.

138. M olti autori usano indifferentemente i due termini,,


quasi si trattasse di una medesima realtà, mentre sono
due cose distinte e in certo qual m odo anche separabili. N on
si dà contem plazione infusa senza mistica, giacché la contem­
plazione è l ’atto mistico per eccellenza; può esservi, /invece,
la mistica senza la contem plazione infusa.
L a ragione di questa apparente antinomia è semplice.
T utti i teologi sono d’accordo nell’affermare che la contem­
plazione infusa viene prodotta dai doni intellettivi — soprat­
tutto da quelli della sapienza e dell’intelletto — non dai do­
ni affettivi 93.
Nella pratica potrebbe avvenire che l’anima operi se­
condo un dono affettivo (quello della pietà, per esempio)
e provoch i un atto mistico, senza che causi la contemplazione
infusa, giacché questa procede unicamente dai doni intellet­
tivi. Potrebbe anche darsi il caso che gli atti dei doni affet­
tivi si m oltiplichino e si intensifichino sino a portare l’anima
allo « stato mistico », senza che in essa si riveli — almeno
in una form a chiara e manifesta — l ’influsso abituale dell’o ­
razione contem plativa 94. Tale fu, ci sembra, il caso di S. T e-

93 Questa dottrina viene ripetuta, per esem pio, anche dal P. C risógono.
Parlando della grazia attuale che inette in m oto i doni intellettivi per p ro ­
durre la contem plazione, scrive: « Q uesta grazia attuale è ricevuta negli
abiti dei doni di intelletto, scienza e sapienza, i quali si attuano secondo la lo ro
straordinaria operazione, in corrispondenza alla grazia e all’influsso d ivin o
ricevuto. Questa operazione dei doni, che si realizza in m odo sovrum ano,
costituisce l’atto di contem plazione infusa » {Compendio de Ascètica y M ì­
stica p. 165).
94 Si veda a proposito l’im portante articolo di Jaques M aritain Une
question sur la vie mystiqne et la contemplation, publicato in « L a v ie spiri-
tuelle» (marzo 1923, p p. 636-50), e sapienti rilievi aggiun tivi dal P . G ar-
rigou-Lagrance. L ’illustre professore dell’istituto Cattolico di Parigi scrive:
« L a notion de vie ou d ’ordre mystique a une extention plus grande que
celle de contemplation, du m oins s’il s’ agit de la contem plation proprem ent
dite, fru it du don de Sagesse. Car si tous le dons du Saint-E sprit son con-
nexes entre eux et grandissent avec la charité (elle-m em e superieure aux
dons), cependat l ’exercise de tei don peut briller davantage chez l ’un o u
chez l’autre, et une àme en qui apparaissent avant to ut les dons qui se
rapportent à l’action (Conseil, Force, Crainte...) sera entrée dans l ’ordre
NATURA DELLA M ISTICA 321
resina di Lisieux, che aveva raggiunto un perfetto stato mi­
stico, perché posseduta dallo Spirito Santo, e tuttavia non
godeva delle abituali dolcezze della contemplazione. In
essa brille in una maniera straordinaria il dono della pietà,
che è un dono affettivo, e com e tale incapace a produrre
la contemplazione.
T uttavia, riconosciam o che non è questa la condizione
ordinaria nella vita dei santi. Regolarm ente essi non entra­
no nello stato mistico — almeno in una maniera piena e
perfetta — senza ricevere di fatto la contemplazione infusa.
L a ragione è che i doni dello Spirito Santo stanno in inti­
ma connessione con la carità, e si sviluppano tutti contem­
poraneamente, com e le dita di una mano 95. D i conseguenza,
benché si possano dare degli atti mistici non contemplativi,
a m otivo dell’attuazione di qualcuno dei doni affettivi, è
m olto diffìcile, e quasi moralmente impossibile, che l’anima
entri in pieno stato mistico senza che operino alcune volte i
doni intellettivi, producendo la contem plazione infusa.
Diversam ente, tali doni intellettivi non avrebbero ragione
di essere in queste anime. C osì vediam o com e nella prati­
ca, anche in quei santi nei quali si è avuto un netto predo­
minio dei doni affettivi, nella m aggior parte dei casi n on è
mancata la contem plazione infusa. S. Teresina di Lisieux
— per restare al nostro esempio— confessò alla sorella m ag­
giore, Madre A gn ese d i G esù, che aveva goduto varie volte
dell’orazione di quiete — secondo grado di contemplazione
infusa, secondo S. Teresa di G esù 96 — e che conosceva
per esperienza il « volo dello spirito », fenom eno contempla­
tivo elevatissimo, di ordine estatico 97.

mystique sans ètre parvenuc pour cela à la contemplation proprem ent dite qui
dépend principalem ent des dons d'Intelligence et de Sagesse » (p. 639-40).
95 1-11,68,5; Cf. 66,2.
96 Cf. S. T e r e s a , Relazione al P . Rodrigo Alvare% v , 4.
97 C f. Seste mansioni c.5, e Relazione al P . Rodrigo v , 11. — E cco il testo
che si riferisce a S. Teresina riportato in Novissima verbo'. « M i ricord ò — ■
è Sr. A gn ese di G esù che parla — alcuni dei suoi passaggi di orazione men­
tale le n o tti d’estate durante il silenzio rigo ro so , e m i disse di avere com ­
preso per esperienza quello che è ” v o lo di spirito” . M i parlò ancora di un’al­
tra grazia simile ricevuta nella cappella di S. Maddalena, nell’o tto d el m o­
nastero, nel mese di luglio 1880, alla quale seguirono molti giorni di quiete ».
Si noti che nel mese di lu glio 1889 la Santa si trovava ancora nell’anno di
noviziato.
322 PRINCIPI FONDAM ENTALI

3. L ’ascetica e la mistica si compenetrano vicende­


volmente e non si dà mai un puro stato ascetico
o un puro stato mistico. L ’asceta procede a volte
misticamente, e il mistico asceticamente. Chia­
miamo, tuttavia, stato ascetico quello nel quale
predominano gli atti ascetici, e stato mistico
quello nel quale predominano gli atti mistici.
j
139 . È un’altra conseguenza della dottrina già esposta.
I doni dello Spirito Santo possono operare, e operano di
fatto, in pieno stato ascetico, producendo per un momento
un atto mistico, forse im perfetto e quasi inavvertito, soprat­
tutto agli inizi della vita spirituale, in cui l’anima non è
ancora ben preparata 98. Viceversa, le anime mistiche, an­
che quelle che sono pervenute alle più alte vette dell’unio­
ne trasformante, hanno bisogn o a volte di procedere come
gli asceti perché non avvertono in un determinato momen­
to l’influsso soprannaturale dello Spirito Santo. S. Teresa
si riferisce di certo a questo caso quando scrive che « non
c ’è stato di orazione tanto sublime da non sentire spesso il
bisogno di tornare agli inizi » 99, e quando avverte le sue m o­

9 8 II P . G arrigou-Lagrange, d opo avere detto che i doni dello Spirito


Santo di regola intervengono nella v ita ascetica in una form a latente e p o ­
c o intensa a causa dei peccati veniali, della m ancanza di raccoglim ento,
ecc., che ostacolano l’azione della Spirito Santo, scrive:
« Tuttavia, alle volte, nella v ita ascetica e nei principianti l’ispirazione
d ello Spirito Santo e il m odo d ’operare sovrum ano sono abbastanza ap­
parenti, sia che si tratti dei doni inferiori, per esem pio, del d ono dei tim o­
re e della scienza, per farci vedere la gravità del peccato, sia che si tratti
d ’illum inazioni passeggere dei doni dell’intelletto e della sapienza, per
manifestarci la grandezza di D io e dei suoi comandamenti. A llo ra v i sono
d eg li atti mistici isolati e di breve durata che non costituiscono uno stato; v i
so n o atti di contemplazione infusa in ciò che parecchi chiam arono con­
tem plazione acquisita.
M a per lo più nella vita ascetica Yispirazione dello Spirito Santo e il
modo sovrumano d*operare Testano latenti, -Allora non bisogna dire che i d o ­
n i n on operino ” m odo suprahumano*’ ; perché questo m od o esiste ma resta
nascosto. È com e quando una brezza leggera accom pagna il lavo ro dei re­
m atori; si ha più coscienza di operare che di essere m ossi » {Perfezione cri­
stiana e contemplazione c.6 a.5 677 s.).
99 S. T e r e s a , V ita 13,15.
NATURA DELLA M ISTICA 323
nache che, anche le anime giunte alle sublimi altezze delle
Settime mansioni del suo Castello interiore, possono essere ab­
bandonate dal Signore alla loro natura TO°.

« C iò che in realtà costituisce lo stato mistico è il predom inio dei doni dello
Spirito Santo (e le lo ro conseguenze: i frutti già m aturi e stagionati delle
beatitudini) sulla semplice fede e le corrispondenti opere di carità e di spe­
ranza, mentre il predom inio di queste su quelle caratterizza lo stato asce­
tico. Però, a volte, 1’ "asceta” , sotto la m ozione dello Spirito d ivin o, può
procedere misticamente senza che lo avverta; com e, al contrario, i misti­
ci anche più elevati, quando cessa l ’influsso dello Spirito — ancorché si ri­
trovin o ricchi di grandi affetti e frutti, che conferiscono a tutti i lo ro atti
più intensità e valore — devon o procedere e procedono com e gli asceti...
C osi, l’anima che cammina ancora per i sentieri ordinari, com pie, a volte, dei
v eri atti mistici, com e un m istico com pie in m olte occasioni degli atti asce­
tici; questi atti a p o c o a p oco si perfezionano e si accrescono fino a conver­
tirsi in abiti. E quando ciò si verifica, quando abitualmente produce d egli atti
d i virtù e, rinnegata se stessa, si lascia m uovere senza resistenza dagli im ­
pulsi dello Spirito santificatore, che la m aneggia a su o piacim ento com e uno
strum ento musicale m olto sensibile, ricavandone m elodie divine, allora po­
tremo dire che si trova già in pieno stato mistico, benché a tratti debba an­
cora ritornare a quello ascetico» l01.

4. La mistica non è una grazia anormale e straor­


dinaria, come le grazie « gratis datae ». M a la
troviamo già nello stato ascetico, e tutti i cri­
stiani partecipano più o meno di essa anche
quando si trovano agli albori della vita spirituale.

140 . Se colui che si tro va ancora nello stato ascetico


compie a volte degli atti mistici e il mistico più progredito
deve ritornare a volte agli atti ascetici, abbiamo che tra l’a­
scetica e la mistica non c’è una barriera insormontabile. Dal
momento che la mistica non si differenzia- dall’ascetica se
non per il predom inio di certi atti che si ritrovano, benché
di rado e con poca intensità, agli inizi stessi della vita cri­
stiana, il passaggio dall’una all’altra si com pie in una form a
del tutto normale e quasi insensibile. Il P. A rintero cosi
si esprime:

100 S. T eresa , Settime mansioni, 4,1.


101 P. A rintero , Cuestiones misticas, 3 ediz, 6, a.3, p. 663
324 PRINCIPI FONDAMENTALI

« D a l m om ento che i doni in m aggiore o m inor grado, sono infusi con la


grazia santificante e crescono con la carità, tutti co lo ro che p osseggo n o que­
sta possono operare, a v olte, in m odo eroico e mistico. E cosi, benché in
un o stato m olto im perfetto, agii albori stessi delta vita spirituale si inizia la
mistica, la quale, in realtà, com prende tutto lo svolgimento della vita cristiana
e tutta la via della perfezione evangelica, p er quanto le sue principali mani­
festazioni (che sono quelle che soglion o richiamare l’attenzione e si è soliti
prendere com e tipiche) siano quasi tutte riservate alla via unitiva, nella quale
l'anim a ha già l ’abito di ciò cbe è eroico e divino ed opera chiaramente j supra
modum humanum »I0Z.

Questa dottrina, piena di luce e di armonia, restituisce


alla vita cristiana tutta la grandezza e la sublimità che ammi­
riamo all’epoca della Chiesa prim itiva, quando lo spirito
cristiano raggiunse indubbiamente la sua massima fioritura
e splendore. A l tem po degli apostoli e nei prim i secoli del
cristianesimo, il « soprannaturale » — inteso com e sinoni­
mo di quanto è eroico o sovrum ano — era l’atmosfera nor­
male che si respirava nella Chiesa di Cristo. In seguito, si
andarono introducendo delle com plicazioni e delle divi­
sioni in quello che di per sé era facile e semplice. Si altera­
rono e si com plicarono le vie del Signore e com inciarono a
scarseggiare i santi. D a l punto di vista della dottrina asce-
tico-mistica, l ’epoca di maggior confusione e disordine si
apre con i prim i anni del secolo X V I I e si estende qua­
si fino agli inizi del nostro secolo, quando prese l ’avvio la
reazione che ci riportò ai grandi principi della vera mistica
tradizionale. O g g i, la verità si è aperta un varco e sono po­
chissimi gli autori che ancora presentano la mistica come un
fenom eno del tutto anormale e straordinario, riservato da
una provvidenza arcana di D io ad un piccolo gruppo di ari­
stocratici dello spirito. L a grande m aggioranza afferma che
l’ascetica e la mistica non costituiscono due vie indipenden­
ti che conducono ognuna a suo m odo fino alle vette della
perfezione cristiana, ma solo due tappe di un ’unica via di
perfezione, che tutti devono percorrere per gradi sempre
più intensi fino a raggiungere la santità.

101 Cuestiones mlsticas, 3 ediz., 6, a .j, p. 663.


RELAZIONI TRA LA PERFEZIONE E LA M ISTICA 325

C A P IT O L O V

R E L A Z IO N I T R A L A P E R F E Z IO N E C R IS T IA N A
E L A M IS T IC A

i. - Im p o s t a z io n e e im p o r t a n z a d e lla q u e s t io n e

14 1 . U na delle questioni attualmente più con tro­


verse tra le scuole di spiritualità è, senza dubbio,
quella che si riferisce alle relazioni tra la m istica e la
perfezion e cristiana.
D u e sono le sentenze principali. L a prim a prop u ­
gn a che la via della vita spirituale è unica; l ’ascetica e
la m istica rappresentano due tappe dello stesso cam m i­
no che tutti debbono percorrere per raggiu n gere la
perfezione; la tappa ascetica serve com e di base e di
preparazione alla mistica, nella quale solo risiede la
perfezione cristiana
L a seconda sentenza, invece, afferma l ’esistenza d i
due vie — quella ascetica e quella m istica — ognuna
delle quali è in grado d i condurre fino alle p iù alte
vette della perfezione cristiana. L a v ia ascetica nelle
intenzioni della P rovvid en za rappresenterebbe il cam­
m ino norm ale e com une riservato ai più. L a via m istica
costituirebbe un m ezzo straordinario e fu o ri del n or­
male, p rop rio dì alcune anime p rivilegiate.
N o n possiam o nasconderci l ’im portanza eccezio­
nale della questione non solo n ell’ ordine teorico, ma
anche in quello pratico. D alla soluzione che daremo
al problem a n ell’ordine speculativo dipenderà in b u o­
na parte la nostra condotta nella direzione delle ani­
me

1 Tuttavia, queste controversie non devono m ai essere portare nell*am-


326 PRINCIPI FONDAMENTALI

z. - S e n so d e ll a q u e s tio n e

142 . A n zitu tto è necessario m ettere bene in chia­


ro il v e ro senso della questione, perch é n on tutti la
intendono allo stesso m odo 2.
a) A lcu n i pensano che si tratti di stabilire se esista­
n o una o p iù form e di santità, dipendenti dall’ ev o lu zio ­
ne di una o più specie di grazia santificante. N o n è
questa la questione. L a grazia santificante è unica tan­
to per co lo ro che affermano quanto p er coloro che ne­
gano l ’unità della vita spirituale, dal m om ento che uni­
co è il m odo di partecipare alla natura divina.
N o n si tratta, quindi, di sapere se esiste nella vita
mistica una grazia santificante specificam ente distinta
da quella della via ascetica. In questo senso, tutti i teo­
lo g i, di tutte le scuole, am m ettono l ’unità della vita
spirituale, perché una è la grazia, una la fede e una la
carità, poste alla base di questa vita, dal principio alla
fine.
b) N em m eno si tratta di sapere se esiste nella, vita
m istica una chiamata alla perfezione sconosciuta alla
via ascetica. O p iù chiaram ente ancora: n on si tratta
di sapere se tutte le anime — siano o no m istiche —
sono chiam ate alla perfezione cristiana. T u tti rispon­
don o affermativamente a questa dom anda. C iò che si
discute è se questa perfezione è solo prerogativa della
m istica o si p uò raggiun gere anche senza uscire dalla
via ascetica.
c) Infine, n on esaminiam o la questione de facto —
se sono po ch i o m olti quelli che cam m inano per le vie

b i t o d e lla d ir e z i o n e s p ir it u a le , p o i c h é i l d i r e t t o r e s i d e v e l im it a r e a l l ’ a p ­
p l ic a z i o n e d e i g r a n d i p r in c ip i c o m u n i a t u t t e l e sc u o J e ( c f. n . 5 2 2 ,2 ).
'* Cf. P. C r i s ó g o n o , L a perfection et la mystìque selon es principes de Saint
Thomas, B r u g e s , 19 3 2 .
RELAZIONI TRA LA PERFEZIONE E LA M ISTICA 327
m istiche — ma unicam ente la questione de iure, se,
cioè, g li stati m istici rientrano nello sv ilu p p o norm ale
della grazia santificante o, al contrario, sono effetto di
una p rovvid en za straordinaria, fu ori delle v ie com uni
accessibili a tu tti i cristiani in grazia.
Scartate le false im postazioni della questione, e-
sporrem o la vera essenza del problem a. Facciam o n o­
stre le parole del P. C riso gon o, b enché le nostre con ­
clusioni siano opposte alle sue:
« T utti siamo chiamati alla perfezione cristiana. L a per­
fezione o sviluppo della grazia e delle virtù nelPanima è il
termine della vita spirituale. Per conseguire questa perfe­
zione, è necessario che l’anima esperimenti i fenom eni mi­
stici oppure può farne a meno ? In altri termini, l'ascetica
e la mistica, sono due parti di un unico sentiero che porta
al termine della vita spirituale — la perfezione della carità
— o sono due sentieri differenti che conducono al medesi­
m o termine ?
Com e si vede, la questione non si pone in relazione al
principio o al termine della vita spirituale. N é nell’uno né
n ell’altro può esistere una differenza specifica, dal momento
che la grazia e la carità non possono essere essenzialmente
diverse. L a discussione verte sui m ezzi necessari da impie­
gare affinché il principio della vita spirituale che è la grazia
giunga al termine di questo sentiero, al suo perfetto svolgi­
mento: la perfezione della carità.
Per questo m otivo l’espressione usata per designare la
nostra questione ci sembra impropria. Sarebbe più esatto
dire che si tratta dell 'unità della v i a spirituale più che della
unità della v i t a spirituale » 3 .

3. - C o n c l u s io n i

T en en do presenti i principi che abbiam o fissati


nelle pagine precedenti, ci sembra che le principali
relazioni esistenti tra La perfezione cristiana e la m isti­

3 Cf. P. C r i s ó g o n o , o.c., p. 7-8.


PRINCIPI FONDAMENTALI

ca si possano sintetizzare nelle seguenti conclusioni.


1. L a m istica rientra nello svilu p po ordinario della
grazia.
2. L a perfezione cristiana risiede solo nella vita m i­
stica.
3. T u tti siamo chiam ati, alm eno in m od o rem oto e
sufficiente, alla vita mistica. j
!
l a c o n c lu s io n e : La m is tica r ie n tr a n e l lo s v ilu p p o
o r d in a r ie d e lla gra z ia sa n tifica n te.
143 . Questa conclusione ci appare del tutto ev i­
dente.
T re sono gli elementi che entrano in essa e che
abbiam o ampiamente studiati nei paragrafi corrispon­
denti: la grafia, il suo sviluppo normale e la mistica. Ba­
sterà ricordare qui quanto abbiam o detto e dim ostrato
in tali paragrafi perché la conclusione si im pon ga da
sola.
1. A bbiam o detto che la grazia santificante ci viene da­
ta in form a di seme, di germe soprannaturale, che richiede
ed esige, per la sua stessa natura, crescita e sviluppo. Ciò
è tanto chiaro che viene ammesso da tutti senza difficoltà.
Se la grazia ci fosse stata infusa nell’anima già perfettamen­
te sviluppata, sarebbe inutile e assurdo l ’obbligo che tutti
abbiamo di tendere alla perfezione. .Ne deriverebbe che l’a­
scetica e la mistica in quanto scienze non esisterebbero né
avrebbero ragione di esistere.
2. Sappiamo pure in che cosa consiste la mistica. È la
semplice attuazione dei doni dello Spirito Santo al m odo
divino o sovrum ano che produce ordinariamente una espe­
rienza passiva del divino.
A nche questo punto è ammesso da tutti, salvo alcune dif­
ferenze di sfumature che non toccano la sostanza delle cose.
C oloro che negano la chiamata universale alla mistica esco­
giteranno la possibilità di una modalità umana nei doni o
qualche altro espediente, però tutti ammettono sostanzial­
mente che la mistica è frutto delia modalità divina o sovru­
mana dei doni.
3. Perfetto accordo vige pure tra le scuole quando si
RELAZIONI TRA LA PERFEZIONE E LA M ISTICA 329
tratta di determinare che cosa si deve intendere per sviluppo
normale della grazia santificante. T utto ciò che non supera
le esigente della grafia rientra evidentemente nello svo lgi­
mento normale e ordinario. T u tto quello che sta fuori e
al margine delle esigente della grafia sarà qualche cosa di straor­
dinario ■ *.

Chi p u ò negare che la sem plice attuazione dei doni


dello Spirito Santo rientra nelle esigente della g ra fia ?
C hi oserà dire che la semplice attuazione di un dono dello
Spirito Santo è un fenom eno « anorm ale » e « straor­
dinario » nella v ita della grazia ? V arreb b e la pena di
prendere sul serio e ferm arsi a confu tare una sim ile
afferm azione ?
D ifatti, nessuno finora ha osato sostenere tanto.
T u tte le scuole di spiritualità rico n o sco n o che la sem­
plice attuazione di u n don o dello S pirito Santo n on
può catalogarsi tra i fenom eni straordinari — com e si
fa, ad esem pio, per le grazie gratis datae — ma è qua’che
cosa di perfettam ente normale e ordinario nella vita della
grazia 5.
P erché si rendono con to delle inevitabili conseguen­
ze che derivano da questo fatto tanto evidente, co lo ro
che n egan o la chiamata universale alla m istica si af­
frettano a dire che i doni posson o avere una doppia
attuazione: una al modo umano ■ — che n o n trascende

4 Cf. P . C r i s ó g o n o , Compendio de Ascètica y Mistica p . i , c.z, a .2 .


5 C o m e p o tr e b b e e s s e re d iv e r s a m e n te , d a l m o m e n to c h e , c o m e in s e g n a
S . T o m m a s o , u n a p a r t e c ip a z io n e p iù o m e n o in t e n s a d e i d o n i è n e c e s s a r ia
a n c h e p e r l a s a lv e z z a ** (.cf, 1 -1 1 ,6 8 ,2 ) . — L o s t e s s o P . P o u l a i n — - ir r i d u c i ­
b il e a v v e r s a r io d e l l ’u n i v e r s a l e c h ia m a t a a l l a m is t ic a — a m m e tte co m e
p e r f e t t a m e n t e n o r m a l e l ’ a t t u a z io n e d e i d o n i i n o g n i a n im a i n g r a z ia , e c i t a
S u arez {D e gratta 1 . 6 , c . i o , n .4 ) e B illo t {D e virtutibus infusis n .6 3 , p p .
1 6 9 - 7 0 ) , i q u a li in s e g n a n o c h e i d o n i d e v o n o a t t u a r e e a t t u a n o lungo tutta la
vita cristiana ( c f. Delle grazie d ’ orazione V I , i 9 b is ) . P e r q u e s t o , i t e o l o g i c h e
n e g a n o l a c h ia m a t a u n iv e r s a l e a lla m is t ic a s i a f fr e tt a n o a s p i e g a r e l ’ in t e r v e n ­
t o d e i d o n i n e l l a v i t a a s c e t ic a p e r m e z z o d e ll a l o r o a t t u a z io n e a l modo umano,
e c e r c a n o i n t a l m o d o d i s f u g g i r e a lla d i f f i c o l t à c h e a v r e b b e r e s a in s o s t e n i­
b i l e l a l o r o t e s i fo n d a m e n t a le .
330 PRINCIPI FONDAMENTALI

l ’am bito dell’ascetica — e una al modo divino, prop rio


della m istica. D i conseguenza, conclu d on o, dal m o­
m ento che l ’ attuazione dei doni dello Spirito Santo rien­
tra nello svilu p po norm ale e ordinario della grazia non
si p u ò concludere che di tale svilu p po faccia parte
anche la m istica — alm eno in una m aniera necessaria —
perché potrem m o trovarci di fron te ad una attuazio­
ne dei doni al modo umano, p ossibile sul piano ascètico.
L a spiegazione sarebbe ineccepibile se i principi
su cui si fon d a fossero veri; ma il lettore sa che non
siam o di questa idea.
I don i d ello Spirito Santo n on hanno n é posson o
avere una operazione al modo umano. N o n è solo una
questione di fatto m a anche di principio. A b b ia m o già
v isto che tale attuazione dei doni al modo umano, oltre
che essere inutile e superflua (am m esso che fosse possi­
b ili), è filosoficamente impossibile (perché d istru ggereb be
la natura stessa d eg li abiti ) e teologicamente assurda (per­
ch é distruggerebbe la natura dei doni). Perciò: o i doni
n on attuano — e allora siam o fu o ri della questione —
0 attuano necessariamente al modo divino, e allora rien­
triam o nella m istica, perché questa attuazione al m odo
d ivin o produrrebbe necessariam ente u n atto mistico,
sia pure di varia intensità e durata. N e llo stato ascetico,
1 doni attuano rare vo lte, in m od o im perfetto e con
p o ca intensità a m o tiv o delle im perfette disposizioni
delle anim e 6. M an m ano che queste, con l ’ aiuto della
grazia, perfezionan o le lo ro disposizioni, i doni in­
tensificano e moltiplicano la lo ro attuazione. N o n d evon o
cam biare specie, n on hanno b iso g n o che ven gan o ad
a ggiu n gersi alla lo ro intim a natura u lteriori elem enti
p erch é l ’anim a entri in m o d o insensibile e graduale
in pieno stato mistico.
Q uesta spiegazione fondata sulla natura stessa delle

6 S i v e d a n .1 3 9 n o t a .
RELAZIONI TRA LA PERFEZIONE E LA M ISTICA 331
cose ci sem bra definitiva. F in o a quando i nostri a v­
versari n on ci dim ostreranno che la semplice attuazione
dei d on i dello Spirito Santo è u n fen om en o « anorm ale »
e « straordinario » nella vita della grazia, riposerem o
tran quilli sulla nostra conclusion e com e in un a fo rtez­
za inespugnabile.

2 a c o n c lu s io n e : L a p e r fe z io n e cr is tia n a r i s ie d e s o lo
n e l la v ita m istica .
144 . A n ch e questa conclusion e si deduce dai prin ­
cipi te o lo gici che abbiam o già fissati seguen do le orm e
di S. T om m aso. C i basti ricordare alcune idee fo n ­
damentali.
1. L a perfezione cristiana consiste nel pieno sviluppo
della grazia santificante ricevuta nel battesimo in form a di
seme o germe.
2. Q uesto sviluppo si realizza con la crescita delle virtù
infuse, teologali e morali, principalmente della carità, la
virtù per eccellenza, la cui perfezione coincide con la per­
fezione della vita cristiana.
3. L o stato mistico è caratterizzato dal predominio del­
l’ attuazione dei doni dello Spirito Santo al modo divino o
sovrumano sull’attuazione delle virtù infuse al modo umano,
che caratterizza lo stato ascetico.
4. L e virtù infuse, teologali e morali, non possono rag­
giungere la perfezione se non sotto l’influsso dei doni dello
Spirito Santo. Senza di essi non potranno uscire dalla mo­
dalità umana alla quale devono sottostare nello stato ascetico
a causa del controllo esercitato su di esse dalla ragione u-
mana. Solamente la modalità divina crea alle virtù infuse l ’at­
mosfera propizia, proporzionata alla loro perfezione, soprat­
tutto alle teologali, che sono virtù per sé divine.

D o p o quanto abbiam o esposto la conclusione v ie ­


ne da sola. L e v irtù infuse n on p osson o raggiu n gere
la lo ro perfezione se n on sotto l ’influsso dei doni
dello Spirito Santo che le m u ove all’ atto al m odo
divin o o sovrum ano. M a l ’attuazione dei doni dello
Spirito Santo al m od o d ivin o o sovrum ano costituisce
332 PRINCIPI FONDAMENTALI

l ’essenza della m istica. Q uin di le v irtù infuse non


po sson o rag giu n gete la lo ro p erfezione fu o ri della
vita mistica.
Siccom e p o i la perfezione cristiana coincide con
la perfezione delle v irtù infuse, soprattutto della ca­
rità, se queste v irtù n on posson o raggiu n gere la lo ­
ro perfezione fu o ri della vita m istica, ne segue che
la perfezione cristiana è im possibile fu o ri d i'q u esta .
C he è quanto vo le va m o dim ostrare.
Q uesta seconda conclusione, dim enticata duran­
te g li ultim i tre secoli, è tornata di n u o vo alla luce
e si è im posta con forza tra gli autori di spiritualità
contem poranei. Solo p o ch i si rifiu tan o di am m et­
terla, ma i lo ro argom en ti n on persuadono. I padri
G arrigo u -L ag ra n ge 7 e L am balle 8 hanno anche dim o­
strato che la solida costruzione di S. T om m aso coin ­
cide con quella dei grandi m istici, quali S. G io v an n i
della C roce, S. Teresa di G esù e S. F rancesco di Sales.
145. S. Giovanni della Croce. - Il pensiero di S. G io ­
vanni della Croce non si può mettere in dubbio. T u tto il suo
sistema è orientato verso la mistica considerata com e il ter­
mine normale e indispensabile per giungere alla perfezione
cristiana. Fissarsi su un testo isolato, senza considerare il
complesso, potrebbe essere m olto com odo per difendere
una tesi preconcetta, ma non è una cosa seria e neppure
rispettosa per il genuino pensiero del grande mistico. Chiun­
que ne leg ge senza pregiudizi le opere, deve convincersi
che per il D ottore mistico nessuno può giungere alla per­
fezione cristiana, « per quanto si sforzi », se non attraverso
le purificazioni passive, che sono di ordine mistico.
« P o i c h é , p e r q u a n t o i l p r in c ip i a n t e s i e s e r c i t i n e l c o r r e g g e r e e m o r t i ­
f ic a r e i n s é t u t t e l e s u d d e t t e a z io n i e p a s s io n i , n o n p u ò m a i r i u s c i r v i d e l t u t t o
e n e p p u r e i n g r a n p a r t e , f in c h é c i ò n o n a v v e n g a i n l u i p a s s iv a m e n t e , p e r
o p e r a d i D i o , m e d ia n t e l a p u r g a z i o n e d e ll a n o t t e o s c u r a » 9.

7 C f . Perfezione cristiana e contemplazione p a s s im .


8 C f . L a contemplation c.z.
9 Notte oscura 1,7,5-
RELAZIONI TRA LA PERFEZIONE E LA M ISTICA 333
« M a d a ll e s u a c c e n n a te im p e r f e z io n i , c o m e d a lle a lt r e , l ’ a n im a n o n si
p o t r à p u r ifi c a r e c o m p le t a m e n t e , f in o a c h e I d d i o n o n l a in t r o d u c a n e l l a p u r ­
g a z i o n e p a s s iv a d e ll a n o t t e o s c u r a , c o m e s u b i t o d i r e m o . C o n v i e n e p e r ò c h e
l ’ a n im a , p e r q u a n t o p u ò , p r o c u r i d a l c a n t o s u o d i p u r g a r s i e d i p e r f e z io n a r s i,
a f in e d i m e r i t a r e d i e s s e r e s o t t o p o s t a d a D i o a q u e ll a c u r a d i v i n a , c h e l a g u a ­
r ir à d a t u t t o c i ò c h e e lla n o n a r r i v a a s a n a r e . I n f a t t i, p e r q u a n t o l ’ a n im a si
a d o p e r i, c o n l a s u a in d u s t r ia n o n p u ò p u r if i c a r s i a t t i v a m e n t e i n m o d o d a
e s s e r e d i s p o s t a , n e p p u r e i n m in i m a p a r t e , a l l a d i v i n a u n io n e d e l p e r f e t t o
a m o r e , s e I d d i o n o n n e a s s u m e l ’ im p r e s a , p u r g a n d o l a i n q u e l f u o c o , o s c u r o
p e r l e i, n e l m o d o c h e i n s e g u it o v e d r e m o » 10.

S. G iovanni della Croce non poteva esprimere con mag­


giore forza la necessità delle purificazioni mistiche per rag­
giungere la perfezione. E g li parte dal presupposto di una
anima che lavora e si sforza seriamente per purificarsi dalle
sue im perfezioni, di un’anima, cioè, che è giunta alla vetta
delTascetismo; e di quest’anima generosa dice che non può'
disporsi minimamente alla divina unione del perfetto amore
fino a quando D io non P introdurrà nelle purificazioni mi­
stiche. V o ler schivare la difficoltà dicendo che il santo parla
« solo di coloro che si devono santificare nella via misti­
ca », equivale a « torcere e tormentare le parole del mistico
D o t t o r e » 11. Per S. G iovann i della Croce, la perfezione cri­
stiana è im possibile fuori degli stati m isticix*.
146. S. Teresa. » A ltrettanto occorre dire della rifor­

10 N otte oscura 1 ,3 ,3 .
11 Cf. P. C r i s ó g o n o , San Juan de la Cruz, su obra cientifica y literarìa
t . i , p p . 2 2 2 -2 6 .
12 N é v a l e o p p o r r e — c o m e s ì è f a t t o m o l t e v o l t e — il f a m o s o t e s t o d e l­
la Notte oscura (1 , 9 , 9 ).’ « n o n t u t t i q u e ll i c h e s i e s e r c i t a n o d i p r o p o s i t o ... »,
d o v e i l s a n t o s e m b r a c h e n e g h i l a c h ia m a t a u n iv e r s a l e a l l a m is t ic a . L ’ in ­
t e r p r e t a z io n e d a d a r s i a q u e sto , testo ci v ie n e s u g g e r ita d a ll o stesso
S . G i o v a n n i d e ll a C r o c e i n Fiamma viva d ’amore ( s t r o f a 2 n .2 7 ) d o v e s ì a f ­
f e r m a c h e l a c a u s a p e r c u i s o n o t a n t o p o c h i i c o n t e m p l a t iv i v a r ic e r c a t a s o l o
n e l l a m a n c a n z a d i g e n e r o s it à d a p a r t e d e lle a n im e , n o n n e l l a v o l o n t à d i D i o ,
i l quale anzi vorrebbe che tutti fossero perfetti ( c f. i d u e t e s t i a l n . 1 2 9 d i q u e s t a
o p e r a ) . SÌ n o t i , in o l t r e , c h e l a r e d a z io n e d i Fiamma viva d'amore è posteriore a
q u e ll a d e ll a Notte oscura. L a Notte i l S a n t o l ’ a v e v a t e r m in a t a n e l 1 5 8 3 , e la
Fiamma la r e d a s s e d u r a n t e il s u o p r im o v i c a r i a t o p r o v i n c i a l e ( 1 5 8 5 - 8 7 ) ,
mentre r is i e d e v a a G r a n a t a ( c f. V id a y obras de San Juan de la C ru z , 2 e d i z . ’
B . A . C . , M a d r id , p . 537 e 1 1 5 8 ) , I l d e f i n it i v o p e n s ie r o d e l s a n t o s i d e v e ,
q u i n d i , c e r c a r e in Fiamma e n o n n e lla Notte.
334 PRINCIPI FONDAMENTALI

matrice del Carmelo, alla quale sembran « pagliuzze » e


« considerazioncelle » tutto quello che possiam o fare con
l’ascetica nelle vie di D io *3. Che la mistica sia il termine
normale della vita cristiana, e, perciò, che non sia riservata
ad alcuni aristocratici dello spirito, ma aperta a tutte le ani­
me in grazia, lo afferma in mille passi delle sue opere 1 4.
A n zi, ci avverte che il fine che persegue con i suoi libri
è di «allettare le anime a questo bene così grande»,15.
A lcun e volte la santa sembra contraddire se stessa. M a
si tratta, è evidente, di contraddizioni solo appareiiti. La
stessa Teresa ritorna talora sulle sue asserzioni e spiega con
chiarezza e precisione il vero senso delle sue parole. E cco
un esempio:
« Pare che n el capitolo precedente affermi il contrario di quanto h o detto
prima. C onsolando le anime che non arrivano alla contem plazione, h o detto
che diverse sono le vie che conducono a D io e che in cielo v i sono molte
m ansioni (G io v. 14,2). E d è v e ro , perché il Signore, conoscendo la nostra
debolezza, ha v olu to appunto, da Q u egli che è, m oltiplicarci g li aiuti.
Però n o n disse: « per questa v ia verranno g li uni, e per questa gli altri».
A n z i, fu si grande la sua bontà da n o n im pedire ad alcuno di attingere a
questa fon te di vita. E sia E g li per sempre benedetto! Con quanta ragione
avrebbe potuto im pedirlo a m eì» l6.

x3 « V algo n o di più per m eglio infiammarci in am ore alcune pagliuzze


messe insieme con um iltà (e se le m ettiam o n o i saranno m eno ancora che
p agliuzze)...» (cf. V ita 15,7). — « Q uando è lo spirito di D io che agisce
in noi, n on è necessario cercar considerazioni per eccitarci a confusione e a
um iltà, perché ci um ilia e ci confonde L u i e in un m odo assai diverso di
com e potrem m o n o i con le nostre povere considerazioni, neppure confron­
tabili co n l’um iltà vera e piena di luce che qu i il Signore concede, produt­
trice d’una confusione che annienta» ( V ita 15,14; cf. 31,23).
*4 E cco uno dei brani più significativi: « Pensate che il Signore invita
tutti. E g li è Verità e la sua parola n o n è da m ettersi in dubbio. Se il suo
in v ito n on fosse generale, n o n ci chiam erebbe tutti, e quand’anche ci chia­
masse, n on direbbe: ” I o v i darò da bere” . A v reb b e potuto dire: Venite
tutti, ch é n o n avrete nulla da perdere, e io darò da bere a chi v orrò. M a sic­
com e n on pose alcun lim ite e disse ” tutti” , cosf tengo p er certo che non
ferm andoci per via, arriverem o a bere di quell’acqua v iv a » (Cammino di
perfezione 19,15).
*5 « I l Signore sa che io n on h o altra intenzione, dopo il com pim ento
dell’obbedienza, che di allettare le anime a questo bene cosi gran d e» (V ita
18,8).
16 Cammino di perfezione 20,1.
RELAZIONI TRA LA PERFEZIONE E LA M ISTICA 335
Si noti la singolare importanza di questo brano per
comprendere il genuino pensiero di Teresa. La santa si rende
conto che quanto afferma nel paragrafo precedente (che
è il più chiaro e significativo per quanto concerne la chia­
mata universale alla mistica, sim boleggiata nell’« acqua »
della contemplazione) sembra contrastare con quanto ha
detto « consolando quelle che non vi giungono », e chiarisce il suo
pensiero dandoci Vinterpretazione autentica delle sue parole.
Preoccupata di esprimersi con esattezza, cosciente di quello
che sta per dire, asserisce che il Signore invita tutti a bere
l ’acqua limpida e cristallina della contemplazione mistica:
« ...non disse: ” Per questa via verranno gli uni, e per que­
sta g li altri” . A n zi, fu si grande la sua bontà da non impe­
dire ad alcuno di attìngere a questa fonte di vita ». Il più acceso
difensore della chiamata universale alla mistica non riu­
scirebbe ad esprimersi con m aggiore energia e precisione.
147 . S. Francesco di Sales. - Per conoscere il pensiero
di S. Francesco di Sales, si veda lo studio del P. Lamballe
nell’opera già citata 1?. Secondo il vesco vo di G inevra
« l’orazione si chiama meditazione finché non dà origine al
miele della devozione; dopo la quale si converte in contem­
plazione... L a meditazione è la madre dell’amore, ma la
contem plazione ne è la figlia... L a santa contemplazione è
il fine e il termine (la fin et le but) a cui tendono tutti questi
esercizi e tutti si riferiscono a quella » l8.
L a stessa dottrina ritroviam o in S. B onaventura
— com e ha dim ostrato recentem ente un illu stre fran­
cescano 19 — , in S. Caterina da Siena, m aestro E c-
kart, T au lero , Susone, R u ysb ro eck, B lo sio , il beato G io ­
van ni d ’A v ila , il P . L apuen te, e, in generale, in tutti
i te o lo g i m istici vissuti prim a del sec. x v n , epoca
in cui si in iziò il disorientam ento e la decadenza.
A i nostri giorn i, ripetiam o, sono tornate in v ig o ­

*7 L a contemplation. — Cf. c.z § 5: « Sentiment de Saint Francois de


Sales: la contem plation est le terme auquel tendent tous les exercices de la
v ie spirituelle ».
18 S . F r a n c e s c o d i S a l e s , Teotimo 1.6 c . 3, e 6 .
* 9 I I P . I . O m a e c h e v a r r i a , O .F .M ., Teologia mistica de San Buenaventura,
studio pubblicato com e introduzione generale al vol.4 delle Obras de San
Buenaventura, nell’edizione B .A .C ., M adrid, 1947.
336 PRINCIPI FONDAMENTALI

re le dottrine genuine della m istica tradizionale, e


già ve n g o n o fatte proprie dalle figure più rap­
presentative della spiritualità contem poranea. C itia­
m o solo qualche nom e: i benedettini D o m Colum -
ba M arm ion, D o m Y ita l L eh od ey e D o m Louism et;
i dom enicani P P . G ard eil, G a rrigou -L ag ran ge, A rin te­
ro, Joret e P hilipon; i francescani D e B esse e Perialta;
i carm elitani G abriele di S. M aria M addalena, G iro la ­
m o della M adre di D io e B ru n o di G esù e M aria 20;
i gesuiti Garate, D e L a T aille, Jaegher; il redentorista
Scbrijvers e l ’agostiniano C ayré, oltre il Card. M ercier
e M ons. Saudreau.

3a conclusione: Tu tti siamo chiamati, almeno in


modo remoto e sufficiente, agli stati mistici.

148 . P er negare la chiamata universale alla m isti­


ca dovrem m o negare la chiam ata universale alla per­
fezione. Se D io n on v u o le che tutti siam o perfetti,
è evidente che n on v u o le neppure che siam o tutti
m istici. M a se la chiam ata alla perfezione è universale
— com e proclam ano tutte le scuole senza eccezione
— b isogn a dire che la chiam ata alla m istica è anche
universale. C rediam o di avere chiaram ente dim ostrato
alla luce dei principi del D o tto re angelico che la per­
fezio n e cristiana è im possibile fu o ri d egli stati m i­
stici.
L a questione, certissim a in linea di principio, im ­
pone delle restrizioni in cam po pratico. A v v ie n e qui,
anzi direm m o soprattutto qui, d ove le debolezze
e le lim itazioni umane hanno tanta parte, quel che
si verifica in altri campi; la considerazione tropp o

20 II lettore sappia che le figure attualmente più rappresentative dell’O r-


dine Carmelitano condividono le tesi tom iste, che sono anche quelle di S.
Teresa e di S. G iovan n i della Croce.
RELAZIONI TRA LA PERFEZIONE E LA M ISTICA 337
ideale delle cose non sempre rispecchia la realtà.
C i sem bra che la dottrina p iù serena, p iù equili­
brata, p iù aderente alla realtà delle cose, avanzata
su questo punto particolare della chiamata universale
alla m istica sia quella del P. G arrigou -L agran ge. Il
capitolo che eg li dedica alla soluzione di tale questione
in Perfezione cristiana e contemplazione 21 potrebbe es­
sere accettato da tutti con un p o ’ di bu ona vo lo n tà e di
sincero am ore per la verità.
L ’illustre domenicano comincia con il precisare i diversi
significati che si possono dare al termine « chiamata ».
A nzitutto, non è la stessa cosa essere « chiamato » alla
vita mistica, ed essere « elevato », condotto, eletto, prede­
stinato. L a chiamata è universale, com e lo è la chiamata alla
perfezione, che non si può conseguire fuori della mistica.
Siccom e questa chiamata alla perfezione corrisponde alla
volontà di D io antecedente, che viene frustrata m olte volte
dalla libera volontà dell’uom o, abbiamo che non tutti i
chiamati giungon o de facto alla vita mistica, ma solo quelli
che, dopo la chiamata, hanno corrisposto fedelmente alle
ispirazioni della grazia e v i sono stati condotti mediante
l’infallibile grazia efficace, effetto infrustrabile della volontà
conseguente di D io . La form ula del Vangelo: « M olti sono i
chiamati e pochi gli eletti » ” vale tanto per la chiamata alla
vita eterna quanto per la chiamata alla perfezione. T u tti sia­
mo chiamati all’una e all’altra secondo la volontà anteceden­
te di D io , e a tutti sono date le grazie sufficienti per conseguirle;
però D io non ha l ’obbligo di darci, n é ci dà di fatto, le grazie
infrustrabili, che ci porterebbero di fatto infallibilmente alla
salvezza eterna e alle vette della perfezione cristiana. A b ­
biam o detto che D io non può e non deve salvarci tutti, né
tanto meno è obbligato ad elevarci tutti alla perfezione, per
l’assurdo e l’immoralità che ne deriverebbero. Perché se
D io fosse obbligato a dare a n oi tutti, tanto se corrispon­
diamo alla sua grazia quanto se la rigettiam o, tanto se vivia­
m o in perfetta castità quanto se ci abbandoniamo ad ogni
specie di nefandezze, tanto se adempiamo la sua legge quan­

21 Cf. il c.5: L a chiamata alla contemplatone ossia alla vita mistica, soprat­
tutto i prim i tre articoli.
22 M at. 20,16; 22,14.
338 PRINCIPI FONDAMENTALI

to se la violiam o, le grazie efficaci per risollevarci dai pec­


cati volontariamente commessi e raggiungere di fatto la
salvezza eterna, dovrem m o concludere, senza possibilità
di smentita, che l ’uom o è autorizzato a burlarsi del suo crea­
tore.
E non si obietti che D io ha sbalzato da cavallo qualcuno
dei suoi persecutori proprio nel momento in cui lo perse­
guitava. E g li è libero di manifestare, in via eccezionale, la
sua misericordia nei confronti di questa o quell’anima an­
che se priva di disposizioni convenienti o addirittura con
disposizioni contrarie. Però non è obbligato a farlo fcon nes­
suno in particolare, e neppure è conveniente che lo faccia
con m olti, per il grave rischio a cui esporrebbe l’osservanza
dei suoi comandamenti qualora tali grazie fossero troppo
frequenti e diventassero quasi ordinarie. D io può, se vuole,
disporre interiormente un peccatore perché si converta,
ma non ne ha l’obbligo e neppure è conveniente che lo
faccia con tutti o con molti. Per qual m otivo sceglie questo,
preferendolo a quello ? A n ch e S. Paolo si pose la stessa
domanda e, sotto la luce dell’ispirazione profetica, rispose:
« O hom o, tu quis es, qui respondeas D eo ? » Prima
di S. Paolo ci aveva detto Cristo nella parabola del Vangelo:
« A u t non licet mihi quod v o lo fa ce re ?» »4. È l ’imperscru­
tabile mistero della divina predestinazione, che, secondo la
form ula di S. Tom m aso, dipende unicamente dalla volontà
illimitata di D io *5.
N ella chiamata alla vita mistica, com e nella vocazione
alla vita cristiana, possiamo distinguere una chiamata ester­
na (mediante il V angelo, la predicazione, la direzione spiri­
tuale, la lettura, ecc.) e una chiamata interna (mediante la
grazia di illuminazione e di attrazione) 26.
L a chiamata esterna sarà generale se si dirige a tutti indi­
stintamente, e particolare o individuale se si dirige ad una per­
sona determinata. Q uesta seconda chiamata è posteriore e
più concreta della prima, e la completa. Cosi, per esempio,
tutti i pagani sono chiamati in generale alla vita cristiana
mediante il V angelo, prima che questo o quello sia chiamato
in particolare, mediante il missionario.

a3 R om . 9,20.
2<* M at. 20,15 J
*5 « ...n o n habet rationem nisi divinarci voluntatem ...», « dependet ex
sim p lid divina voluntate» (1,23,5 ac* ?)•
26 C f. S. T h o m ., I Seni, d.4 1, q .i, a.2, ad 3; e in Eptst. ad Rom. c.8, lect.6
RELAZIONI TRA LA PERFEZIONE E LA M ISTICA 339
L a vocazione può essere speciale se è rivolta a un gruppo
ridotto di uom ini (come la vocazione al sacerdozio); spe­
cialissima, se è rivolta a poche anime e per opere m olto
concrete (ad esempio, per fondare un ordine religioso);
mica, se è rivolta ad una sola persona (come la vocazione di
Maria alla divina maternità o quella di S. Giuseppe all’uf­
ficio di padre putativo di G esù e di casto sposo di Maria).
La vocazione interna può essere remota o prossima, e que-
st’ultima ancora sufficiente ed efficace. Se le virtù e i doni non
possono raggiungere il loro pieno sviluppo all’infuori
della vita mistica, saranno chiamati ad essa, almeno median­
te una vocazione remota, tutti coloro che posseggono quelle
virtù e quei doni, cioè, tutte le anime in grazia. L a chiamata
prossima l ’avranno solo quando si ritroveranno in esse i tre
segni classici di cui parlano S. G iovanni della Croce e Tau-
lero 27. Questa chiamata prossima sarà sufficiente se l’anima
le resiste, e sarà efficace se di fatto introduce l’anima nella
vita mistica lS.
L a vocazione prossima si può dividere in precoce (fatta
« all’ora conveniente ») o tardiva (fatta « all’ultim a ora ») *9.
Infine, la vocazione prossima ed efficace alla vita mistica
si può ancora considerare in relazione ai gradi p iù alti della
medesima o soltanto ai gradi inferiori, ciò dipende, in ogn i
caso, dalla divina predestinazione.
Per m aggior chiarezza riportiamo tutte queste divisioni
e suddivisioni in -jn quadro sinottico, disponendole in or­
dine progressivo a partire dal basso. ( Vedi pagina seguente) _
Queste distinzioni gettano m olta luce sul nostro problema.
In un passo fam oso, sembra che S. G iovanni della Croce
neghi la chiamata universale alla mistica. Considerando il
contesto e i principi del suo sistema, risulta che egli nega
solo la chiamata prossima ed efficace, non la chiamata remota
e neppure la prossima sufficiente. Se di fatto queste anime
cosi_chiamate « non progrediscono », la ragione è da ricer­

27 C f . n. 207; si veda S. G i o v a n n i d e l l a C r o c e , Salita del Monte Car­


melo 11,13; e Notte oscura 1,9. — Q uanto a T a u l e r o , si veda il libro che rias­
sume la sua dottrina: L e istituzioni divine c.35.
28 Si n oti che questa dottrina è valida, sia che si prendano le espressioni
sufficiente ed efficace in senso tom ista che in senso molinista. N el senso
m olinista, l’efficacia della grazia p roverrà esclusivamente dalla creatura {ab
estrinseco)', in quello tom ista, p roverrà da se medesima (ab intrinseco). M a in
un caso e nell’altro, l’anima sarà entrata di fatto nella vita mistica.
a 9 C f. M at. 20,6-7.
340 PRINCIPI FONDAMENTALI

carsi nella mancanza di generosità e di fedeltà alla grazia,


com e spiega ancora S. G iovanni della Croce 3°.

Prossima (i Efficace f A i gradi superiori,


tre segni di (precoce !
Taulero e o tardiva) \ A i gradi inferiori.
Interna G iovanni
dellaCroce) Sufficiente: alla quale m olti resistono.
Remota: mediante il semplice stato di grazia (che
ha in germe la mistica e la gloria);
Individuale (per es., mediante il direttore spi­
'Esterna rituale).
Generale (per es., mediante la Sacra Scrittura).

C iò po sto, possiam o così riassumere:


1. T u tti abbiam o la vo cazion e alla m istica, com e
alla norm ale espansione della grazia santificante, con
una chiamata remota e sufficiente per il sem plice fatto
che siamo in grazia di D io .
2. Se l ’anima è fedele e n on frappone ostacoli
ai disegni divini, giun gerà un m om ento in cui tale
chiamata remota si convertirà in prossima sufficiente per
la presenza dei tre fam osi segni ricordati da T au lero
e da S. G io v an n i della C roce (cfr. n. 20~).
3. T a le chiamata prossima sufficiente si convertirà in
prossima efficace se l ’anima, quando riceve la prim a,
v i corrisponderà fedelm ente e n on frapporrà ostacoli
all’ azione divina.
4. L a m aggiore o m inore altezza che l ’anima d o­
vrà raggiun gere nella vita m istica dipenderà dalla sua
generosità à corrispondere agli im pulsi della grazia e
dalla libera predestinazione di D io 81.

3° Si vedano al n. 129 i due testi, dei quali il secondo è l’autentica spie­


gazione del primo.
31 L a dottrina rimane vera tanto se la predestinazione avviene ante prae-
vìsa merita (scuola tomista), quanto se avviene post ^praevìsa merita (scuola
molinista).
PARTE III

LA VITA CRISTIANA
NEL SUO SVILUPPO ORDINARIO
INTRODUZIONE

149. N elle parti precedenti abbiam o studiato il fi­


ne e i grandi principi che regg on o la vita cristiana; ci
rimane ora da vedere com e essa si sviluppa e si rea­
lizza nella pratica. È quello che farem o in questa
terza sezione del nostro lavoro.
L ’ ordine della trattazione di questa terza parte, piut­
tosto estesa, varia a seconda d egli autori. A lcu n i pre­
feriscono ripartire la m ateria in base alle tre vie tra­
dizionali: purgativa, illuminativa e unitiva, e descrivono,
di v o lta in vo lta, lo stato e le principali p rerogative
delle anime che v i si trovan o 1. A ltri considerano que­
sti tre periodi prim a sotto l ’aspetto ascetico e poi
sotto quello m istico, facendo di ogn u n o di essi una
via distinta e sufficiente per giungere alla perfezione a.
A ltri trattano tutto il processo della vita spirituale
in relazione alla vita di orazione 3. A ltri, infine, prescin­
don o dall’ ordine cro n o lo g ico secondo cui si possono
produrre i fenom eni, per fare una trattazione organica
dei principali m ezzi di santificazione4.

1 Per esem pio, S a u d r e a u in I gradi della vita spirituale, e T a n q u e r e y


nel suo Compendio di Teologia ascetica e mistica,
2 II P. C r i s ó g o n o nel suo Compendio de Ascètica y Mistica. I l P. N a v a l
parla dette tre vie unicamente nella parte ascetica, e n on ne tratta più in
quella mistica (cf. Curso de Ascètica y Mistica).
3 Cosi il P. A r i n t e r o nei suoi Gradi di orazione.
4 Fanno cosi, benché con diversi m etodi e orientamenti, il P. G a r r i -
g o u - L a g r a n g e in Perfezione e contemplazione e in L e tre età della vita spiritua­

le; Il P. D e G u i b e r t in Theologia spiritualis ascetica et mystica e il P. S c h r i j -


v e r s in I principi della vita spirituale.
344 LA VITA CRISTIANA N EL S U O SVILU PPO ORDINARIO

T u tti questi m od i di procedete — se prescindiam o


dal secondo, che n on possiam o assolutam ente accet­
tare — hanno i loro va n tag gi e i lo ro inconvenienti. C o ­
loro che seguono il processo delle tre vìe tradizionali pos­
sono con m aggior facilità avvicinarsi ai fatti cosi com e si
prod ucon o nella realtà. Però corron o rischio di isolare
tropp o questi tre aspetti della vita spirituale, che nella
pratica non form an o m ai com partim enti stagni, ma
si com penetrano e com pletano a vicen da, di m odo
che in qualsiasi m om ento della vita spirituale si riscon­
trano elem enti della fase purificativa, illum inativa e
unitiva. D a qui ripetizion i inevitabili e continui ri­
torni su questioni già trattate.
C oloro i quali descrivon o il processo della vita spi­
rituale secondo i gradi di orazione si basano sull’ espe-
rienza e su di un testo di P io X nel quale si parla di
un ’intima relazione esistente tra i gradi progressivi
di orazione ricordati da S. T eresa e la crescita d i tutta
la vita spirituale 5. Però hanno l ’inconveniente di la­
sciare insoluti m olti problem i concom itanti o, nel ten­
tativo di colm are tali lacune, di perdere di vista i
gradi di orazione.
C oloro che preferiscono raggruppare g li argom en­
ti in sezioni om ogenee proced on o con m olta chiarez­
za ed evitano le ripetizioni. P erò sono costretti a se­
parare ciò che nella vita reale è intim am ente associato.
Insomma, non esiste e non può esistere un metodo che
assommi tutti i vantaggi ed eviti tutti gli inconvenienti.
L a vita spirituale è troppo misteriosa e complessa e allorché
ven go n o a contatto l’azione divina e la psicologia di una
determinata anima si riveste di troppe sfumature, perché

5 P ic e S. Pio « D o ce t enim (S. Theresia): gradus orationis q u o t nu-


merantur, veluii totidem superiores in christiana perfectione ascensus esse » (in una
lettera al Generale dei Carmelitani Scalzi del 7 m arzo 1914; si veda in D e -
G u i b e r t , Doiumenta Ecclesiastica cbristianae perfectììtnis studium spectantia
n. 636).
INTRODUZIONE 345
possa essere ridotta a schemi e a categorie umane Lo Spiri­
to Santo soffia dove vuole (G iov. 3,8) e conduce le anime
alla perfezione attraverso le vie più impensate. Si può affer­
mare che ogni anima ha la propria via, che non si identifica
mai con quella di un’altra.
A d ogni m odo, si impone un m etodo per procedere
con quell’ordine e soprattutto con quella chiarezza indispen­
sabile in queste difficili questioni. E noi, nonostante gli in­
convenienti lamentati, studieremo gli argom enti per sezio­
ni omogenee, in quanto, tale m odo di procedere ci sembra-
più rispondente all’indole e ai fin i del nostro lavoro.
D o p o uno sguardo panoramico a tutto il processo della
vita spirituale, dividerem o questa terza parte in due libri.
N el primo esporremo Vaspetto negativo della vita cristiana e
nel secondo l’aspetto positivo, con riferimento ai più importan­
ti problem i che ad essi si riconnettono.

ID E A G E N E R A L E SU L L O S V IL U P F O DELLA
V I T A C R IS T IA N A

150 . O g n i anima, lo abbiam o detto, sotto la direzio­


ne e l ’im pulso dello Spirito Santo, segue la propria via
nel cam m ino verso la santità. N o n ci sono due fisiono­
m ie identiche nel corp o com e nello spirito. Tu ttavia,
i maestri della vita spirituale, considerando le d isp o si
zion i predom inanti nelle anim e, hanno tentato delle
classificazioni che n on sono p rive di utilità, quando
si tratta di stabilire il grad o approssim ativo di vita
spirituale raggiun to da u n in d ivid u o in particolare.
T a le conoscenza ha m olta im portanza nella vita pratica,
giacché la direzione da dare ad u n ’anima che cammina
per i prim i gradi della v ita spirituale è m olto diversa
da quella che conviene a delle anime più progredite e
perfette.
T re sono le principali classificazioni proposte nel
corso della storia della spiritualità cristiana: quella
classica delle tre vie: purgativa, illum inativa e unitiva;
quella di S. T om m aso, in base ai tre gradi di princi­
346 LA VITA CRISTIANA NEL S U O SVILU PPO ORDINARIO

pianti, proficienti e perfetti 6; e quella descritta da S.


Teresa di G esù nel suo geniale Castello interiore o libro
delle Mansioni.
Riunendo in una le tre classificazioni, si potrebbe
proporre questo quadro schem atico della vita cristia­
na 7.

1. N ei dintorni del castello «. /

Sono le anim e dei peccatori induriti, che v iv o n o


abitualm ente in peccato, senza preoccuparsi di uscir­
ne. L a m aggio r parte di essi peccano per ignoranza
o fragilità, però n on mancano coloro che si abbandona­
no al male con fredda indifferenza e persino con ostina­
ta e satanica malizia. In qualche caso, si riscontra la
totale assenza di rim orsi e la volontaria om issione
di .orazione.

2. Vernice cristiana.

Peccato mortale. - R itenuto di poca im portanza ò


facilm ente perdonabile, ci si m ette im prudentem ente in
o g n i specie di occasioni pericolose e si cede alla ten­
tazione con facilità.
Pratiche di pietà. - Si om ette spesso la messa dom eni­
cale per fu tili pretesti; la confessione annuale, quando
non si tralascia, si fa per abitudine, senza devozion e,
senza il prop osito di lasciare definitivam ente il pec­

6 II-II,24,9.
7 N o i ci ispiriamo principalmente a S . Tom m aso, a S . Teresa di Gesù,
all’opera di S a u d r e a u , Igradi della vita spirituale e allo schema di Dom C h a u -
t a r d , Uanima di ogni apostolato p. 4, § f.

8 A llu d e a un testo di S. Teresa che si trova nel Castello interiore;


« M olte anime stanno soltanto nei dintorni del castello... senza curarsi
d’andare più innanzi, n é sapere che cosa si racchiuda ìn^quella splendida
dim ora...» (Prime mansioni 1,5).
INTRODUZIONE 347

cato. Si recitano alcune orazioni v o ca li senza atten­


zione, senza vera pietà e dom andando sempre beni
tem porali: salute, ricchezza, benessere...

V ia p u r g a t iv a : c a r it à in c ip ie n t e

Q uando l’anima comincia a desiderare con sincerità


di vivere una vita cristiana entra nella via purgativa o primo
grado di carità. S. Tom m aso ne descrive così le disposizio­
ni fondamentali: « N el primo grado, la preoccupazione fon ­
damentale dell’uom o è quella di allontanarsi dal peccato e
resistere alle concupiscenze che si oppongono alla carità.
E ciò appartiene agli incipienti nei quali la carità deve essere
alimentata e fomentata affinché non venga meno » 9.
Q uesta fase della vita spirituale abbraccia diversi gradi.

3. L e anime credenti (prime mansioni di S. Teresa).


Peccato mortale. - L o si com batte con fiacca, tu t­
tavia il pentim ento è sincero e le confessioni ben
fatte. Spesso ci si m ette volontariam ente nelle occasio­
ni pericolose.
Peccato veniale. - N o n c ’è nessun im pegn o per ev i­
tarlo e g li si dà poca im portanza.
Pratiche di pietà. - Si soddisfa a quelle prescritte
dalla Chiesa. Q ualche omissione. A vo lte si aggiu n gon o
delle pratiche volontarie.
Premiere. - Fanno solo quelle vo cali, di rado e con
m olte distrazioni. Per lo più si chiedono grazie di o r­
dine tem porale.

9 E cco il testo latino: « D iversi gradus caritatis distinguuntur secun­


dum diversa studia ad quae hom o perducitur per caritatis augmentum.
Nam prim o quidem incum bit hom ini studium principale ad recedendum
a peccato et resistendum concupiscentiis eius, quae in contrarium caritatis
m ovent. E t hoc pertinet ad incipientes, in quibus caritas est nutrienda vel fovenda
ne corrumpatur » (II-II,24,9).
348 LA VITA CRISTIANA NEL S U O SVILU PPO ORDINARIO

4 . L e a n im e b u o n e (seco n d e m a n sio n i).

Peccato mortale. - L o si com batte sinceramente,


A vo lte, tuttavia, ci si espone a delle occasioni peri­
colose e si registrano delle cadute. Segue un sincero
pentim ento e una pron ta confessione.
Peccato veniale. - A v o lte è pienam ente deliberato.
Si lotta debolm ente p er evitarlo e il pentim ento è super­
ficiale; frequenti sono le ricadute nelle m orniorazioni,
ecc;
Pratiche di pietà. - Si frequentano i sacramenti nei
prim i venerdì, nelle feste principali, ecc. A vo lte, si
v a anche a messa tutti i giorn i, p erò con poca prepa­
razione. Il rosario in fam iglia viene om esso con fre­
quenza.
Orazione. - In genere, le lo ro orazioni sono vo cali.
Talora, dedicano qualche m inuto alla m editazione,
ma con poca fedeltà e m olte distrazioni volontarie.

5. L e a n im e p ie (terze m a n sio n i).

Peccato mortale. - L o com m ettono rarissim e vo lte,


se ne pentono e confessano subito, e prendono le pre­
cauzioni per evitare le ricadute.
Peccato veniale. - V ien e sinceram ente com battuto.
L ’esame particolare, però, è fatto con poca costanza
e scarso frutto.
Pratiche di pietà. - A scoltan o la messa e fanno la
com unione quotidiana, p erò con un certo spirito di
abitudine. Si confessano tutte le settim ane, ma m et­
ton o scarso im pegn o per emendarsi. D ico n o il rosario
in fam iglia, fanno la visita al SS. Sacram ento, la via
Crucis settimanale, ecc.
’ /
Orazione. - Fanno la m editazione quotidiana, sia
INTRODUZIONE 349

pure senza grande im pegno. H anno m olte distrazioni.


Q uando sop raggiun gon o aridità o occupazioni la om et­
tono. L a loro orazione è spesso affettiva e tende a sem pli­
ficarsi sempre più. C om incia la notte del senso, preludio
alla via illum inativa.

V ia il l u m in a t iv a : c a r it à p r o f ic ie n t e

Quando l’anima è decisa a intraprendere una solida vita


di pietà e a perfezionarsi nella virtù, è entrata nella via illu­
minativa. L a sua principale preoccupazione, secondo
San Tom m aso, è di crescere e di progredire nella vita cristia­
na, aumentando e corroborando la carità 1 °.
E cco i gradi in cui si suddivide.

6. Le anime ferventi (quarte mansioni).

Peccato mortale. - N o n lo com m ettono mai. T u tt’al


più sono vittim e di qualche sorpresa im p rovvisa e
violenta. In questi casi, il peccato m ortale è d u bbio ed
è seguito da un vivissim o pentim ento, dalla confes­
sione im m ediata e da penitenze riparatrici.
Peccato veniale. - V ig ila n o per evitarlo. Rare v o lte
è deliberato. Il lo ro esame particolare è diretto seria­
m ente a com batterlo.
Imperfezioni. - L ’anima evita di esaminarsi a lu n go
su di esse per n on sentirsi obbligata a com batterle.
A m a l ’abnegazione e la rinuncia di sé, ma fino ad un
certo punto e senza grandi sforzi.
Pratiche di pietà. - A scoltan o la messa e fan n o la
com unione quotidiana con fervorosa preparazione e

10 « Secundum autem studium succedit, ut homo principaliter intenda


ad hoc quod in bono proficìat. E t h oc studium pertinet ad proficientest qui ad ho
principaliter intendunt ut in eis caritas per augmentum roboretur » (11-11,24,9).
350 LA VITA CRISTIANA N EL S U O SVILU PPO ORDINARIO

ringraziam ento. Sono fed eli alla confessione setti­


manale. L a lo ro direzione spirituale è diretta a progred i­
re nella virtù . N u tro n o una tenera d evozion e a M aria.
Orazione. - V i si m antengono fedeli nonostante
le aridità della notte del senso. L a lo ro è una orazione
di semplice sguardo, preparazione all’ orazione contem ­
plativa. In m om enti di particolare intensità, fanno
orazioni di raccoglimento infuso e di quiete. !

7. L e a n im e rela tiv a m e n te p e r fe tte ( q u in te m a n ­


sio n i).

Peccato veniale. - N o n lo com m ettono mai deliberata-


mente. A lcu n e vo lte v i cadono perch é prese alla sp rov­
vista, ma vivam ente lo pian gon o e seriamente lo ri­
parano.
Imperfezioni. - L e rip rovano seriamente, le com batto­
n o con im pegn o per piacere a D io . A lcu n e vo lte sono
deliberate, ma rapidam ente deplorate. Fanno atti fre­
quenti di abnegazione e di rinuncia. Il lo ro esame
particolare tende al perfezionam ento di una determ ina­
ta virtù.
Pratiche di pietà. - D ettate da u n ardente am ore,
si fanno via via più sem p lici e m eno num erose. L a cari­
tà esercita u n in flu sso sem pre più intenso e attuale
sulle lo ro azioni. A m an o la solitudine e il distacco,
desiderano il possesso di D io e del cielo, cercano la
croce, sono disinteressate, sospirano la com unione.
Orazione. - C on ducon o una vita abituale di preghie­
ra, che costituisce com e il respiro della lo ro anima.
T a lo ra si riscontra in esse l’orazione contem plativa
d 'unione. C on frequenza van n o soggette a purificazioni
passive e a epifenom eni m istici.
/
INTRODUZIONE 351

V ia u n it iv a : c a r it a per fetta

Q uando la vita d’orazione costituisce il clima naturale


di un’anima, quando l’intima unione con D io e il raggiun­
gimento della perfezione costituisce la suprema aspirazione
della sua vita, l’anima è entrata nella via unitiva. L a sua fon ­
damentale preoccupazione, secondo S. Tom m aso, è quella
di unirsi a D io e di goderlo II.
E cco i due gradi principali che la costituiscono.

8. L e a n im e er o ich e (seste m a n sio n i).

Imperfezioni. - N o n v i acconsentono mai. Certi


im pulsi sem iavvertiti sono da loro rapidam ente re­
spinti.
Pratiche di pietà. - C om pion o con fedeltà tutte quel­
le pratiche che sono consentite dalla lo ro condizione
di vita. Si preoccupano di unirsi sempre p iù intim am ente
a D io . Si disprezzano fin o alla dim enticanza di sé;
hanno sete di sofferenze e di tribolazioni, di penitenze
durissim e, di totale im m olazione per la conversione
dei peccatori. Si offron o com e vittim e.
Orazione. - H anno il don o della contem plazione
quasi abituale, dell’ orazione di unione, delle estasi fre­
quenti. V an n o soggette alle p u rificazion i passive e
alla notte dello spirito. C on traggon o lo sposalizio spiri­
tuale ed esperim entano tutti quei fenom eni che ad
esso si accom pagnano. Sono anche favorite di grazie
gratis datae.

9. I g ra n d i sa n ti (settim e m a n sio n i).

Imperfezioni. - Sono solo apparenti.

11 « Tertium autem studium est u t hom o ad h oc principaliter intendat


ut Deo inhaereat et eo fruatur. E t hoc pertìnet ad perfectos, qui cupiunt dissolvi
et esse cum Christo » (11-11^4,9).
352 LA VITA CRISTIANA N EL S D O SVILU PPO ORDINARIO

Pratiche di pietà. - Si rid u con o all’esercizio dell’ a­


m ore: « Il m io esercizio consiste solo n ell’ amare » (San
G io v an n i della C roce). Il lo ro am ore è di u n ’incredi­
bile intensità, eppure tranquillo; la fiam m a n on em et­
te p iù scintille, perch é si è con vertita in brace. G o d o ­
no di una pace inalterabile e v iv o n o in una profon d is­
sima um iltà e sem plicità d ’intenzione: « Su questo m on­
te dim ora soltanto l ’ onore e la glo ria di D ioj» (San
G io v an n i della Croce).
Orazione. - U sufruiscono della visio n e intellettuale
della SS. T rin ità n ell’anima <m ediante una certa ma­
niera di rappresentazione della verità » (S. Teresa).
P erven go n o all’unione trasform ante, al m atrim onio spi­
rituale e, a vo lte, alla conferm azione in grazia.

T a le è, nelle sue linee essenziali, la via che soglion o


percorrere la anime nella lo ro ascesa alla santità. Si
danno in essa infin ite sfum ature, m a il direttore esper­
to che rifletterà sulle m anifestazioni generali descrit­
te potrà scoprire con m olta approssim azione il grado
di vita spirituale a cui è pervenuta una determinata
anima.

/
LIBRO PRIM O

ASPETTO NEGATIVO DELLA


V IT A CRISTIAN A

L ’aspetto n egativo della vita cristiana si riduce al­


la lotta contro tutto quanto costituisce u n im pedim en­
to alla nostra santificazione. A d esso possiam o anche
riportare le p urificazion i passive (notte del senso e
n otte dello spirito) che nelle intenzioni divin e hanno
il com pito di operare nell’ anima quelle purificazioni
che l ’uom o da solo n on sarebbe in grado di com piere.
Ten en d o presenti questi principi, dividerem o que­
sto libro in sei capitoli.
Capitolo I. - L otta contro il peccato (mortale e veniale)
e contro le imperfezioni.
Capitolo II. - L otta contro il m ondo.
Tentazioni.
Ì Ossessioni.
Possessioni

Capitolo IV . - L otta contro la carne.


Capitolo V . - Purificazione attiva delle potenze.

I. D ei sensi

II. D elle passioni.


Intelletto.
III. D elle potenze dell’anima
V olontà.
N otte del senso
Ì N otte dello spi­
rito.
C A P IT O L O I

LA LO TTA CONTRO IL PECCATO

S. T Sum. Tbeol. I-II, 71-89; V a l l g o r n e r a , Mystica Theologia,


o m m a so ,

q .2 , d . i , a . 3 -4 ;l v a r e z d e P a z , D e abiezionepeccatorum; A n t o n i o d e l l o
A
S p i r i t o S a n t o , Directorium Mysticum, d . i , s e c t. 3 ; M o n s . D ’ H u l s t , Carème
1892; P . J a n v i e r , Carènte 1907, c o n f . 1; Carm e 1908, p e r in t e r o ; S a u d r e a u ,
I gradi della vita spirituale, c . i .

151 . Il peccato è « il nem ico num ero uno » della


nostra santificazione e, in realtà, il nem ico unico, giac­
ch é tutti gli altri lo sono solo in quanto derivano dal
peccato o ad esso conducon o.
Il peccato è una « trasgressione volontaria della
leg g e di D io ». Suppone sem pre tre elem enti essenziali
materia proibita (o alm eno ritenuta tale), avvertenza da
parte dell’intelletto e consenso o accettazione da parte
della vo lo n tà. Se la m ateria è grave e l ’avvertenza
e il consenso perfetti, abbiam o il peccato mortale; se
la m ateria è leggera o l ’avverten za e il consenso im per­
fetti, il peccato è veniale.

A rtic o lo I

I l peccato ■
mortale

152 . 1. I p e c c a to r i. - Sono troppi, p u rtrop ­


po, g li uom ini che v iv o n o abitualmente in peccato
m ortale. A sso rb iti quasi com pletam ente dalle preoc­
cupazioni della vita, occupati negli affari professionali,
LA LOTTA CONTRO IL PECCATO 355
divorati da una sete insaziabile di piaceri e di diverti­
m enti e im m ersi in una ign oran za religiosa che giunge
spesso a estrem i incredibili, n on si p o n g o n o neppure
il problem a dell’al di là. A lcu n i, soprattutto se hanno
ricevu to nell’infanzia una certa educazione cristiana
e conservano ancora un barlum e di fede, sogliono
reagire dinanzi alla m orte im m inente e ricevon o con
dubbie disposizioni g li ultim i sacram enti prim a di com ­
parire davanti a D io ; ma m olti altri scendono nel se­
p o lcro rattristati solo dal pensiero di d o v er abbando­
nare per sempre questo m ondo, al quale avevan o p ro­
fondam ente attaccato il cuore.
Q uesti infelici sono delle « anim e paralitiche —
dice S. T eresa — alle quali se il S ign ore n on com anderà
di alzarsi, toccherà serio pericolo e sventura assai
grave » 1.
Infatti, li sovrasta il pericolo dell’eterna dannazione.
Il peccato m ortale abituale ha talm ente adom brato
le lo ro anim e, che « n on v i sono tenebre si fo l­
te, n é cose tanto tetre e buie, che n on siano supe­
rate e di m olto » 2. S. T eresa afferm a che, se i pec­
catori conoscessero la cond izion e di u n ’ anim a che
pecca m ortalm ente, « sarebbe im possibile che alcuno
potesse ancora peccare, anche se per fu g girn e le oc­
casioni dovesse soffrire i m aggio ri torm enti im m agina­
b ili » 3.
T u ttavia, n on tutti co lo ro che v iv o n o abitualm ente
in peccato hanno contratto la m edesim a responsabilità
davanti a D io . Possiam o distinguere qu attro specie
di peccati rappresentanti altrettanti categorie di pec­
catori.
a) l peccati di ignoranza. - N o n ci riferiam o all’igno­
ranza totale e invincibile — che toglierebbe ogn i responsa-
1 Prime mansioni 1 , 8 .
2 Ivi, II, i.
3 h i , 11,2.
356 I.A VITA CRISTIANA N EL S U O SV ILU PPO ORDINARIO

bilità morale ■— ma a quella che è frutto di una educazione


antireligiosa o indifferente e che si associa ad una intelligen­
za m ediocre e ad un ambiente ostile e refrattario ad ogni in­
fluenza religiosa. C oloro che v iv o n o in tali condizioni av­
vertono, di solito, una certa malizia nel peccato. Si rendono
perfettamente conto che certe azioni ripetute di frequente
non sono moralmente rette. Sentono, forse, ogni tanto, il
pungolo del rim orso. H anno, quindi, una sufficiente capa­
cità per commettere liberamente un vero peccato mortale
che li allontana dalla via della salvezza.
Però è necessario riconoscere che la loro responsabilità è
m olto attenuata davanti a D io . Se hanno conservato l’orrore
per quello che pareva loro più ingiusto e peccaminoso; se il
fondo del loro cuore, nonostante le debolezze esterne, si è
mantenuto retto in quello che è fondamentale e se hanno
coltivato, sia pure in m odo superficiale, qualche devozione
alla Vergine; se si sono astenuti dall’attaccare la religione e
i suoi ministri, e, soprattutto, se nell’ora della morte innal­
zano il loro cuore a D io pentiti e fiduciosi nella sua miseri­
cordia, non v ’è dubbio che saranno giudicati con benigni­
tà allorché si troveranno di fronte al tribunale divino. Se
Cristo ha detto che m olto sarà chiesto a chi m olto fu dato
(Luca 12,48), è lecito pensare che poco sarà chiesto a chi
poco ha ricevuto.
C ostoro sogliono tornare a D io con relativa facilità
quando se ne presenta l’occasione. Siccom e la loro vita dis­
sipata non proviene da vera malvagità, ma da una profonda
ignoranza, tutto ciò che impressiona fortem ente la loro
anima — come la morte di un familiare, la predica di un
missionario, un dissesto finanziario — d’ordinario basta
per riportarli sul retto cammino. T uttavia non brilleranno
mai né per fervore né per dottrina e il sacerdote deve ammo­
nirli spesso dell’obbligo che hanno di completare la loro
form azione onde non correre rischio di ritornare al loro
stato prim itivo.
b) I peccati di fragilità. - Sono m olte le persone suf­
ficientemente istruite in fatto di religione i cui disordini
n on si possono attribuire alla semplice ignoranza o miscono-
scenza dei propri doveri. Ciononostante, non peccano per
calcolata e fredda malvagità. Sono deboli, di scarsa energia
di volontà, fortem ente inclinate ai piaceri sensuali, irri­
flessive. Lamentano le loro cadute, ammirano i buoni,
« vorrebbero » essere come loro, però poco si impegnano per
divenirlo veramente. Q ueste disposizioni non le scusano
LA LOTTA CONTRO IL PECCATO 357

dal peccato; anzi, sono più colp evoli di coloro che peccano
per ignoranza, dal m om ento che vi si abbandonano con
m aggior cognizione di causa. T uttavia, in fondo, sono più
deboli che cattive. Chi ha il com pito di vigilare su di esse
deve preoccuparsi, anzitutto, di renderle salde nei loro buoni
propositi, portandole alla frequenza dei sacramenti, alla
riflessione, alla fuga delle occasioni, ecc., onde sottrarle
definitivamente alla loro triste condizione e orientarle ver­
so le vie del bene.
c) I peccati dii indifferenza. - Là terza categoria è costi­
tuita da coloro che peccano non per ignoranza o per fragilità,
ma per meditata indifferenza. Peccano p ur sapendo di pec­
care; non perché voglian o il male in quanto offesa di D io ,
ma perché non sanno rinunciare ai propri piaceri e poco si
curano se la loro condotta non è accetta agli occhi di D io.
Peccano con meditata indifferenza, senza rim orsi di coscien­
za e se anche questi sopraggiungono li m ettono a tacere
per continuare indisturbati sulla lo ro via.
L a loro conversione è m olto diffìcile, data la continua
infedeltà alle m ozioni della grazia, la consapevole noncu­
ranza dei principi m orali e il disprezzo sistematico dei buo­
ni consigli che possono ricevere da coloro che hanno a
cuore il loro bene.
Il m ezzo più efficace per ricondurli a D io sarebbe forse
di persuaderli a prender parte ad un corso di eserciti spiri­
tuali con persone della medesima professione e condizione
sociale. Benché la cosa possa apparire strana, non è raro che
essi, magari per curiosità — « per vedere che cosa è questo »
— accettino di farli. E qui li aspettano spesso le grazie divine
più straordinarie. Si registrano conversioni strepitose, cam­
biamenti radicali di condotta: individui che prim a vivevano
completamente dimentichi di D io intraprendono una vita
di pietà e di fervore. I l sacerdote che ha avuto la buona ven­
tura di essere lo strumento della divina misericordia dovrà
vigilare sul n u o vo convertito e, mediante una saggia e op­
portuna direzione spirituale, cercare di consolidare il frutto
d i quel m eraviglioso ritorno a D io.
d) I peccati di ostinazione e di malizia. - C ’ è, infine,
una quarta categoria di peccatori, la peggiore di tutte. So­
no coloro che si dànno al male per raffinata malizia e satani­
ca ostinazione. Il loro peccato più abituale è la bestemmia,
intesa come espressione di odio verso D io . A ll’inizio furo­
no forse buoni cristiani, però sdrucciolarono a p o co a poco;
le passioni, sempre più accontentate, acquistarono propor­
358 LA VITA CRISTIANA N EL S U O SVILU PPO ORDINARIO

zioni gigantesche, e arrivò il mom ento in cui si considera­


rono definitivamente perduti. Erutto della disperazione, la
defezione e l’apostasia. Infrante le ultim e barriere che li trat­
tenevano sull’orlo del precipizio, si abbandonarono, per
una specie di vendetta contro D io e contro la propria co­
scienza, ad ogn i sorta di delitti e di disordini. A ttaccano
fieramente la religione, com battono la Chiesa, odiano i buo­
ni, fanno parte delle sètte anticattoliche e, perseguitati
dai rim orsi della propria coscienza, si im m ergono sempre
più nel male. È il caso di G iuliano l ’ Apostata, L utero, Cal­
vin o, V oltaire e di tanti altri che hanno trascorso ;la vita
rifiutando ostinatamente la luce e odiando D io è tutto
quanto è santo. Si direbbe che sono com e un’incarnazione
di Satana. U no di questi disgraziati giunse a dire: « Io non
credo nell’esistenza dell’inferno; però, se esiste ed io vi
andrò, almeno avrò il piacere di non curvarm i mai davanti
a D io ». E un altro, prevedendo forse che nell’ora della
m orte gli sarebbe giunta dal cielo la grazia del pentimento,
si precluse volontariam ente la possibilità del ritorno a D io,
dicendo ai suoi familiari: « Se nell’ora della morte chiedessi
un sacerdote per confessarmi, non chiamatelo perché starò
delirando ».
Solo un m iracolo della grazia può convertire uno di que­
sti infelici. L a persuasione e il consiglio riescono inutili;
anzi, potrebbero conseguire un effetto contrario. N o n ri­
mane che la via soprannaturale: l’orazione, il digiuno, le
lacrime, l’incessante ricorso alla Vergine Maria, avvocata
e rifugio dei peccatori.

Facciam o astrazione da questi infelici e vo lg iam o il


n ostro sguardo a co lo ro che peccano per fragilif à o
per ign oran za, a quella fo lta schiera di gente che in
fon d o ha fede, pratica qualche d evozion e, r iv o lg e ta­
lora il pensiero alle cose d ell’ anim a e dell’ eternità,
m a che, assorbita in affari e p reoccu pazion i m ondane,
conduce una v ita quasi puram ente naturale, sollevan­
dosi e ricadendo continuam ente, rim anendo forse per
lu n gh i anni in stato di peccato m ortale. È la con d izio­
LA LOTTA CONTRO IL PECCATO 359

ne dei cristiani dal « program m a m inim o »: messa d o­


menicale, confessione annuale, qualche preghiera. In
essi è p o co sviluppato il senso cristiano, e si abbando­
nano ad una vita senza orizzonti soprannaturali, nella
quale gli istinti hanno il sop ravven to sulla ragione e
la fede e m olti corron o rischio di perdersi.
Che cosa si potrà fare per portare queste anime
ad una vita più cristiana, più in arm onia con le esigen­
ze del battesim o e i loro interessi eterni ?
Innanzi tutto occorre ispirare loro u n grande orro­
re per il peccato mortale.
153 . 2. L ’orrore p e r i l p e c c a to m o rta le . - Per
conseguirlo, non c ’è niente di m eglio, d op o l ’orazio­
ne, che la considerazione della sua gravità e delle
sue terribili conseguenze. A scoltiam o S. Teresa:
« N on v i sono tenebre si folte, n é cose tanto tetre e buie,
che non ne siano superate e di m olto (parla dell’anima in
peccato mortale)... Finché dura in peccato m ortale, non le
giovano a nulla per l’acquisto della gloria neppure le sue
buone opere, perché non procedono da quel principio
per cui la nostra virtù è virtù... Io so di una persona (parla
di se stessa) a cui il Signore volle far vedere lo stato di una
anima in peccato mortale. Secondo lei, sarebbe impossibile,
com prendendolo bene, che alcuno potesse ancora peccare,
anche se per fuggirne le occasioni dovesse soffrire i mag­
giori torm enti immaginabili. A nim e redente dal sangue
di G esù Cristo, aprite g li occhi ed abbiate pietà di vo i stesse.
Com ’è possibile che persuase di questa verità, n on procu­
riate di togliere la pece che copre il vostro cristallo ? Se la
m orte v i sorprende in questo stato, quella luce non la go-
drete mai più!... O h Gesù!... Che spettacolo vedere un’a­
nima priva di quel lume! Com e rim angono le povere stanze
del castello! Che turbamento s’impossessa dei sensi che ne
sono gli abitanti! In che stato di accecamento e mal go ver­
no cadono le potenze che ne sono le guardie, i m aggiordo­
mi e gli scalchi! M a siccome l ’albero è piantato nella stessa
terra del dem onio, che altro potrebbe dare? U dii una volta
una persona spirituale meravigliarsi non tanto di ciò che
faccia un’anima in peccato mortale, quanto di ciò che non
faccia. C i liberi Iddio, nella sua misericordia, da un male
360 LA VITA CRISTIANA N E L S U O SVILU PPO ORDINARIO

così funesto, il solo che quaggiù possa meritare questo nome,


degno di castighi che non avranno fine in eterno » *.

A vverten ze per il d ir e t t o r e s p ir it u a l e

E cc o alcune verità che il sacerdote d o v rà incu l­


care all’anima se v u o le sottrarla al peccato mortale:
1. Il peccato mortale deve essere un male gravissimo
dal mom ento che D io lo punisce con tanto rigore. N o n o ­
stante la sua infinita giustizia e la sua sconfinata misericordia,
che non g li consentono di castigare i colpevoli più di quel
che meritino s, sappiamo che per un solo peccato mortale:
a) M utò g li angeli ribelli in orribili demoni per
tutta l’eternità.
V) Cacciò dal paradiso i nostri progenitori e sommerse
l’umanità in un mare di lacrime, d i malattie e di morte.
c) Alim enterà per tutta l’eternità il fuoco dell’infer­
no onde punire coloro che furono sorpresi dalla morte
in peccato mortale.
d) G esù Cristo, nel quale il Padre aveva riposto tutte
le sue compiacenze (Mat. 17,5), quando volle rendersi malle­
vadore per l ’uom o colpevole, dovette soffrire i tormenti della
passione e, soprattutto, sperimentare su di sé l ’indignazione
della divina giustizia, fino ad esclamare: « D io mio! Perché
mi hai abbandonato ? » (Mat. 27,46).
2. T utto questo perché il peccato è un’ingiuria fatta a
D io , maestà infinita, e racchiude una malizia in certo m odo
infinita 6.
3. Il peccato mortale nell’anima che lo commette causa:
a) L a perdita della grazia santificante, delle virtù
infuse e dei doni dello Spirito Santo.
b) L a perdita dell’amorosa presenza della SS. Trinità.
c) L a perdita di tutti i meriti acquistati nella vita
passata.

4 Prime mansioni II,i,2 ,4 e 5.


5 Cifra condignum, dice S. Tom m aso parlando anche dei dem oni e dei
dannati deirinferno (cf. Suppl. 99,2 ad 1).
6 « Peccatum contra D eum com m ìssum quondamt infìnìtatem babet ex
infinitate divinae maiestatis », dice S. Tom m aso (III,1,2 ad 2).
LA LOTTA CONTRO IL PECCATO 361
d) Una bruttissima macchia (macula animai), che la
ottenebra e la rende orribile.
é) L a schiavitù di Satana, il rafforzamento delle cat­
tive inclinazioni, i rim orsi di coscienza.
f ) L a pena eterna: il peccato m ortale è l ’inferno in
potenza.
Il peccato mortale rappresenta il crollo di tutta la nostra
vita spirituale e costituisce un vero suicidio dell’anima.

O ltre che farle concepire u n grave orrore per il


peccato, il confessore deve raccom andare all’anima la
fu g a delle occasioni pericolose, la frequenza ai sacra­
m enti, l ’esame di coscienza quotidiano che serva a
p reven ire le sorprese ed evitare le cadute, una tenera
d ev o zio n e a M aria, l ’allontanam ento dell’ ozio, padre
di tu tti i v izi, e la preghiera fervente al Signore perch é
le conceda la grazia efficace di n on m ai p iù offenderlo.
T ratterem o diffusamente di questi m ezzi di santifica­
zione nei paragrafi corrispondenti, ai quali fin d’ora ri­
m andiam o il lettore ’ .

A rtic o lo II

I l peccato veniale

D o p o il peccato mortale non c’è nulla che debba essere


evitato con m aggior cura che il peccato veniale. Benché
m olto m eno disastroso del peccato mortale, esso si trova
ancora sul piano del male morale, che è il m aggiore di tutti
i mali. A l suo confronto impallidiscono tutti i mali e le di­
sgrazie di ordine fìsico che possono ricadere su di noi e sul
m ondo intero. N é le malattie, né la morte sono cosi gravi.
L a conquista di tutte le ricchezze del m ondo e il controllo
sull’intera creazione non riuscirebbero a compensare il

5 C f. il nostro indice alfabetico delle materie.


362 LA VITA CRISTIANA NEL S U O SVILU PPO ORDINARIO

danno soprannaturale arrecato all’anima da un solo peccato


veniale.
È necessario, quindi, studiarne la natura, la specie, la
malizia e le conseguenze, onde concepirne un grande orrore
e adottare tutti i mezzi per evitarlo.

154 . i. N a tu r a d e l p e c c a to v e n ia le . - Ci tro ­
viam o di fronte ad una delle questioni più difficili.
T u ttavia possiam o affermare che, a differenza del m or­
tale, il peccato veniale rappresenta una semplice de­
viazion e, n on una totale opposizione all’ultim o fi­
ne; è una malattia, n on la m orte dell’a n im a 8, i r pecca­
tore che si rende responsabile di una m ancanza grave
som iglia al via gg iato re che, vo len d o raggiu n gere una
determ inata meta, si a vvia per la strada che conduce
al lato opposto. C hi com m ette un peccato veniale,
invece, devia solo dal retto sentiero, senza perdere
l ’ orientam ento fondam entale alla meta.

155 . 2. D iv is io n e . - Si danno tre specie di pec­


cati veniali:
a) E x genere suo: sono quelle m ancanze che per
lo ro stessa natura non im plicano se n on un leg gero di­
sordine o una leggera deviazione (per es.: una b ugia
che n on reca pregiu d izio a nessuno).
b) E x parvitate materiae: sono quelle mancanze
che, di per sé gravem ente p roibite, p er l ’esiguità della
m ateria n on im plicano se n on u n leg gero disordine
(per es.: il fu rto di una piccola som m a di denaro).
c) E x imperfectione actus: sono quelle mancanze
che difettano del pieno consenso o della piena avver­
tenza in materia per sé grave (per es.: i pensieri im puri
sem ideliberati o sem ia w ertiti).
I peccati veniali non mutano di specie anche se vengono
ripetuti con frequenza. M ille peccati veniali non faranno

/
LA LOTTA CONTRO IL PECCATO 363
mai un peccato mortale. Tuttavia un peccato veniale potreb­
be diventare mortale:
a) Per la coscienza erronea o anche seriamente dubbiosa
riguardo alla malizia grave di un’azione che tuttavia si ese­
guisce.
b) Per il suo fine gravem ente cattivo (per es.: colui che
ingiuria leggerm ente il prossimo allo scopo di fargli pro­
nunciare una bestemmia).
c) Per il pericolo prossimo di cadere in peccato mortale.
d) Per lo scandalo grave cui potrebbe dare occasione (per
es.: un sacerdote che per semplice curiosità entrasse durante
la festa in una sala da ballo malfamata).
e) Per il dispreizo formale di una legge che obbliga leg­
germente 9 .
f ) Per Vaccumularsi della materia di m olti peccati veniali
(per es.: colui che commette a ripetizione piccoli furti sino
a giungere alla materia grave).

156. 3. Malizia del peccato veniale. - U n


abisso separa il peccato veniale dal m ortale. La
Chiesa ha condannato la seguente prop osizion e di
Baio: « N o n esiste un peccato che sia per natura sua
veniale, ma tutti i peccati m eritano la pena eterna » 1o.
T u ttavia, il peccato veniale costituisce una vera offesa
di D io , una disobbedienza volontaria alle sue le g g i e una
ingratitudine ai suoi benefici. D a una parte, ci si propone
la vo lo n tà di D io e la sua gloria, dall’altra, i nostri g u ­
sti e le nostre soddisfazioni; e volontariam ente pre­
feriam o questi ultimi! È certo che n on li preferirem m o
se sapessimo che ci allontanerebbero radicalm ente da
D io (e in questo si distingue il peccato veniale dal m or­
tale); però n on c ’è d ubbio che la m ancanza d i rispetto
e di delicatezza verso D io è di per sé grandissima anche
nel peccato veniale. A ragione scrive S. Teresa:

9 II disprezzo è detto formale quando ricade sull’autorità considerata in


se stessa, materiale quando ricade su un altro aspetto, per esem pio, sulla cosa
com andata, che pare di poca im portanza, ecc. N e l prim o caso, se si agisce
co n piena avvertenza e deliberazione, si ha sempre un gra ve disordine.
10 C f. D e n z . 1020.
364 LA VITA CRISTIANA N EL S U O SVILU PPO ORDINARIO

« M a per piccoli che siano, dai peccati avvertitamente


volu ti si degni Iddio di preservarci. Che v i può essere di
p iccolo nell’offesa di una Maestà cosi grande, i cui sguardi
sono sempre fissi su di noi ? Con questa considerazione il
peccato è già fin troppo premeditato. È com e se dicessi;
"Sign o re, io so che questo v i dispiace, capisco che mi ve­
dete, so che non lo volete, ne sono pienamente convinto,
ma lo vo g lio fare ugualmente: amo m eglio seguire il m io
capriccio e il m io appetito che la vostra volontà” . E un pec­
cato di tal fatta sarà p iccolo ? Io per me non lo credo. Per
leggero che possa essere com e colpa, io lo trovo! grave
assai » 11. /

È tanto grave la m alizia di un peccato veniale per


l ’ offesa che arreca a D io , che n on lo si dovrebbe mai
com m ettere, anche se con esso fosse possibile liberare
tutte le anime del p urgatorio o estinguere per sempre
le fiamme d ell’inferno.
T uttavia, occorre distinguere tra i peccati veniali
di pura fragilità e quelli che si com m ettono con piena
avvertenza. I prim i n on li potrem o evitare mai del
tutto 12 e D io , che conosce il fan go di cui siamo im pa­
stati, facilm ente ce li com patirà. L ’unica cosa che con ­
viene fare è cercare di diminuirne i l numero ed evitare lo
scoraggiam ento, che suppone sempre un fo n d o di a-
m or prop rio p iù o m eno dissim ulato che si rivelerebbe
fatale nel conseguim ento della perfezione. Scrive San
Francesco di Sales:
« Sebbene la ragione vo glia che, quando commettiamo
errori, ne proviam o dispiacere e rincrescimento, bisogna
però che ci guardiam o dall’averne un dispiacere amaro,
affannoso, dispettoso, collerico...
Credetemi, Filotea, che com e le am m onizioni fatte da
un padre con dolcezza e cordialità ad un figliuolo, per cor­
reggerlo, hanno m aggior forza delle collere e degli sdegni;

11 Cammino 41,3.
13 Sarebbe necessario per questo un privilegio speciale di D io, com e quello
(che ricevette la SS. V ergine. È .una verità definita dal C oncilio di T ren to
D en z. 833).
LA LOTTA CONTRO IL PECCATO 365

cosi quando il nostro cuore avrà commesso qualche fallo,


se lo riprenderemo con maniere dolci e tranquille, avendo
più di compassione per lui, che di passione contro di lui,
c animandolo ad emendarsi, il dolore che ne concepirà,
sarà m olto più v iv o e profondo di un dolore dispettoso,
collerico e tempestoso...
Rialzate, dunque, dolcemente il vostro cuore quando
cadrà, um iliandovi davanti a D io per la cognizione della
vostra miseria, senza punto stupirvi della vostra caduta;
n on è da m eravigliarsi che l ’infermità sia inferma, la debo­
lezza debole, e miserabile la miseria; nondim eno detestate
con tutte le forze l’offesa che D io ha ricevuto da vo i e con
gran coraggio e fiducia nella sua misericordia rim ettetevi
sul sentiero della virtù che avete abbandonato » l3.

R eagendo prontam ente, con un pentim ento v iv o


m a pieno di m ansuetudine, di um iltà e di fiducia nella
m isericordia del Signore, queste mancanze di fragilità
lasciano appena una traccia nell’anima e n on costi­
tuiscono un serio ostacolo per la nostra santificazione.
Q uando, invece, i peccati veniali sono fru tto di
una piena avvertenza e di u n deliberato consenso, rap­
presentano un grave im pedim ento al perfezionam ento
dell’anima. È im possibile progredire nella via della
santità. T ali peccati contristano lo Spirito Santo, com e
dice S. P aolo 14, e paralizzano com pletam ente la sua
azione santificatrice neU’anima. Il P. L allem ant scrive:
« U no si m eraviglia al vedere tanti religiosi che, dopo
aver vissuto quaranta o cinquanta anni in grazia, dicendo
messa tutti i giorni e praticando tutti i santi esercizi della
vita religiosa e, di conseguenza, possedendo tutti i doni dello
Spirito Santo in un grado fisico m olto elevato e corrispon­
dente a questa specie di perfezione della grazia che i teologi
chiamano graduale, o di crescita fisica; uno si meraviglia,
dico, nel vedere che questi religiosi non dànno nulla a co­
noscere dei doni dello Spirito Santo nei loro atti e nella loro
condotta; al vedere che la loro vita è completamente natu-

*3 Filotea p. 3, c.9; « L a mansuetudine verso noi stessi».


*4 « E t nolite contristare Spiritum Sanctum D ei, in quo signati estis
in diem redemptionis » (Ef.4,30).
366 LA VITA CRISTIANA N EL S U O SVILU PPO ORDINARIO

tale; che, quando sono ripresi o disgustati, mostrano il


loro risentimento; che manifestano tanta sollecitudine per
le lodi, per la stima e il plauso del m ondo, si dilettano in
questo, amano e cercano le proprie com odità e tutto quello
che favorisce l ’am or proprio.
N o n c’è m otivo di meravigliarsene: i peccati veniali
che com m ettono continuamente trattengono com e legati
i doni dello Spirito Santo; non m eraviglia che non se ne
vedano in essi g li effetti. E vero che questi doni 'crescono
insieme con la carità abitualmente e nel lo ro essere fisico,
ma non attualmente e nella perfezione che corrisponde al
fervore della carità e che aumenta in noi il m erito, perché
i peccati veniali, opponendosi al fervore della carità, impe­
discono l’operazione dei doni dello Spirito Santo.
Se questi religiosi procurassero la purezza del cuore,
il fervore dèlia carità crescerebbe in essi sempre più e i doni
dello Spirito Santo brillerebbero in tutta la loro condotta;
però non si vedranno mai m olto appariscenti, perché v iv o ­
no senza raccoglim ento, senza attenzione al loro interno,
lasciandosi portare e trascinare dalle loro inclinazioni, non
evitando se non i peccati più gravi e trascurando le piccole
c o s e » 1J.

157. 4 . E ffetti del peccato veniale deliberato16. -


In questa vita. Q uattro sono le principali conseguen2e
del peccato veniale deliberato ripetuto con frequen­
za:
1) Ci p riva di m olte grazie attuali che lo Spirito Santo
aveva condizionate alla nostra fedeltà. Questa privazione
determinerà alcune volte la caduta in una tentazione; altre
volte, l’assenza di un ulteriore progresso nella vita spiritua­
le; sempre, una diminuzione del grado di gloria eterna.
Solo alla luce dell’eternità ci renderemo conto che si trat­
tava di un tesoro di gran lunga superiore a tutti i beni di
questo m ondo, da n oi sciupato con incredibile leggerezza!
2) D im inuisce il fervore della carità e la generosità nel
servizio di D io . G enerosità e fervore che suppongono un
sincero desiderio di perfezione e uno sforzo costante verso di
essa, incom patibili con il peccato veniale deliberato, che rap-

x5 P. L a l l e m a n t , h a dottrina spirituale princ. 4, c.fy a.3.


16 C f. T a n q u e r e y , Compendio di Teologia ascetica e mistica, nn. 729-35»
LA LOTTA CONTRO IL PECCATO 367

presenta una rinuncia all’ideale di santità e un arresto volon ­


tario nella lotta intesa a conseguirla.
3) Aum enta le difficoltà per l’ esercizio delle virtù. -
Privati di m olte grazie attuali di cui avrem m o bisogno
per mantenerci sulla via del bene e dim inuito il fervore
e la generosità nel servizio di D io , l ’anima a poco a poco
si debilita e perde sempre più energie. L a virtù appare più
difficile, l’esperienza dei passati falli porta allo scoraggiam en­
to e l’anima, per poco che il m ondo l’attiri con le sue sedu­
zioni e il demonio intensifichi i suoi assalti, abbandona il
cammino della perfezione e forse si lascia andare senza resi­
stenza in balia del peccato.
4) Predispone a l peccato m ortale. - Afferm a lo Spirito
Santo che « chi non fa conto del poco cadrà in miseria »
(Eccli. 19,1). L ’esperienza conferma appieno la parola di­
vina. Rare volte si registra la caduta im provvisa in un’a­
nima ricca di vita e di rigo glio soprannaturale, per quanto
violento sia l ’attacco dei suoi nemici. L e cadute che debili­
tano l’anima quasi sempre sono state preparate lentamente.
L ’anima ha ceduto sempre più terreno al nemico, ha dimi­
nuito sempre più il vigo re con le sue imprudenze volontarie
in cose che giudicava di poca importanza; si sono affievo­
lite le luci e le ispirazioni divine, si sono smantellate le difese
che la presidiavano finché giunse il momento in cui il ne­
m ico, con un assalto più vigoroso, se ne impadronì.

N e ll’altra vita. Il peccato veniale ha, ancora, una tri­


ste ripercussione nel pu rgato rio e nel cielo.
1) N el purgatorio. - L ’unica ragion d’essere delle pene
del purgatorio è il castigo e la purificazione dell’anima.
O g n i peccato, oltre la colpa, com porta un reato di pena
che occorre soddisfare in questa vita o nell’altra. « T utto si
paga», diceva Napoleone prigioniero nell’isola di S. Elena;
e in nessun campo questa sentenza è tanto vera quanto in
quello relativo al peccato. D io non può rinunciare alla sua
giustizia e l ’anima dovrà pagare fino alFultimo quadrante.
L e pene che dovrà soffrire nel purgatorio per le mancanze
che adesso commette con tanta disinvoltura definendole
« bagattelle », « scrupoli », peccata minuta, sorpassano ogn i al­
tra pena di questo m ondo. L o insegna S. Tom m aso >7

■7 « I n purgatorio erit duplex poena: una damni, inquantum scilicet


retardantur a divina visione; alia sensus, secundum quod ab igne corporali
368 LA VITA CRISTIANA N EL S U O SVILU PPO ORDINARIO

e le sue ragioni sono confortate dal fatto che le pene di que­


sta vita, per quanto terribili possano apparire, non trascen­
don o il carattere proprio della natura umana, mentre le
pene del purgatorio appartengono alPordine soprannaturale
della grazia e della gloria. E l ’abisso esistente tra i due
ordini si ritroverà nelle pene corrispondenti.
2) N el cielo. - G li aumenti di grazia santificante di cui
l’anima rimase priva in questa vita per la sottrazione di tante
grazie attuali in pena dei suoi peccati veniali, avranno una
ripercussione eterna. L ’anima avrà in paradiso una ! gloria
minore di quella che avrebbe p otuto conseguire con una
m aggiore fedeltà alla grazia e, realtà ancora più deprecabile,
glorificherà meno Dio per tutta l’eternità. Il grado di felicità
propria e di gloria divina sono commensurati al grado di
grazia conseguito in questa vita. Perdita irreparabile, che
causerebbe un vero torm ento ai beati se potessero soffrire!

15 8. 5 . Mezzi per combattere il peccato ve­


niale. - A n zitu tto, è necessario concepirne u n gran­
de orrore, senza di cui n on farem o nessun vero
progresso nella perfezione. A tal fine, ci sarà di gran­
de aiuto la considerazione delle ragioni che abbiam o
esposte sulla malizia e le conseguenze del peccato.
D o b b ia m o lottare contro il peccato veniale con insi­
stenza, senza m ai darci pace, con il pretesto di « ri­
prendere fiato ». In realtà a « riprendere fiato », in que­
ste soste, è solo il peccato, fatto fiero della nostra in d o­
lenza e codardia. O ccorre, inoltre, essere fedeli all’ esa­
me di coscienza, generale e particolare; increm entare lo
spìrito dì sacrificio e di orazione; conservare il raccogli­
mento interno ed esterno nella m isura che lo perm ettono
g li ob b lig h i del p rop rio stato; essere disposti, sull’e­
sem pio dei santi, a tutto sostenere p u r di n on com m et­
tere un solo peccato veniale deliberato. Q u and o saremo
giun ti a radicare nella nostra anima questa disposizio-

punientur. E t quantum ad utrum que poena purgatoti! minima excedit ma­


ximam poenam buius vitae» (In I V Sent. d.21 q .i; cfr. append. ad Suppl. Sum-
mae Tbeologicae, quaestio « de purgatorio » a.3).
LA LOTTA CONTRO IL PECCATO 369
ne in m odo perm anente e abituale, quando saremo in
grad o di praticare, con prontezza e facilità, qualsiasi
sacrificio pur di evitare un peccato veniale vo lo n tario,
anche lievissim o, saremo giu n ti al secondo grado ne­
g a tiv o della nostra v ita di pietà. N o n è u n ’im presa fa­
cile. T uttavia, m ediante u n lav o ro costante e l ’um ile
orazione, è possibile avvicinarci a questo ideale e con ­
seguirlo nella m isura in cui v i riuscirono i sa n ti18.

A rtic o lo III

L e imperfezioni

159 . Il terzo grad o di perfezione, nel suo aspetto


negativo, è l ’ assenza di imperfezioni volontarie.
B enché sia una questione ancora vivam ente dibat­
tu ta tra i teologi, riteniam o che l ’im perfezione, anche
volontaria, si differenzia dal peccato v e n ia le 18. U n atto
buono in se stesso n on cessa di essere sulla linea del bene
anche se po teva essere migliore. Il peccato veniale, anche
il p iù lieve, si trova, invece, sulla linea del male. In
teoria, quindi, la distinzione tra peccato veniale e im ­
perfezione sembra n on am m ettere dubbi.
C iò n on to g lie che, nella pratica, l ’im perfezione
volontaria abbia delle conseguenze funeste, im pedendo
a ll’anima di dirigersi con slancio verso la santità.
Secondo S. G iovan n i della C roce, peccato veniale
e im perfezione si distin guon o nettam ente. E g li scrive:
« M a tutti gli altri appetiti volontari, o che siano di pec­
cati m ortali e perciò più gravi, o siano di peccati veniali,
e quindi meno gravi, o siano solamente di im perfezioni che
sono i più lievi, tutti si devono eliminare: da tutti, per mini­

18 C f. P o l l ie n , L a tiìa interiore semplificata p . i , I.3, c .i.


'9 Cf. n .i2 i , dove spieghiamo i m otivi che ci inducono a pensare cosi.
370 LA VITA CRISTIANA NEL S U O SVILU PPO ORDINARIO

m i che siano, l’anima deve essere affatto immune, per giun­


gere all’unione perfetta con D io . L a ragione di ciò che or
ora abbiamo detto è che lo stato dell’unione divina consiste
precisamente nel tenere l’anima secondo la volontà del tutto
trasformata in quella di D io , in m odo che non v i sia in lei
alcuna cosa contraria alla volontà divina, ma bensi i suoi
m oti siano in tutto e per tutto solamente volontà di D io » 20.

Il santo dà la ragione fondam entale per cui è ne­


cessario rinunciare nel m odo più assoluto all’im perfe­
zione volontaria. Chiarendo il suo pensiero, aggiu nge:
« O ra, se l’anima desiderasse qualche im perfezione, che
D io senza dubbio non può volere, non si form erebbe una
unica volontà divina, perché l’anima vorrebbe ciò che D io
non vuole. Evidentem ente, quindi, affinché l’anima venga
ad unirsi perfettamente con D io per volontà ed amore, fa
d’uopo soprattutto che si vu o ti di ogn i appetito di volontà,
per piccolo che sia, cioè si richiede che non consenta con co­
gnizione e avvertenza a veruna imperfezione, e che abbia
anche il potere e la libertà di non consentirvi mentre l’av­
verte» (ivi, n.3).

C om e si ved e, il santo sottolinea con forza la v o lo n ­


tarietà di queste im perfezioni per distinguerle da quelle
di pura fragilità e inavvertenza, che è im possibile ev i­
tare del tutto. E d ancora:
« D ico cosi, perché, senza avvertenza e cognizione e
senza libertà, l’anima potrà di certo cadere in im perfezioni
e peccati veniali e negli accennati appetiti naturali, essendo
che di tali peccati non tanto volontari sta scritto che il giusto
v i cadrà sette volte al giorno, e se ne rialzerà (Prov. 24,16).
M a, in quanto agli appetiti volontari, che sono peccati ve­
niali avvertiti, benché di minime cose, basta un solo appetito
immortificato per impedire l’anima» (ivi, n.3).

È chiaro che occorre distinguere tra qualche atto


isolato, benché vo lo n tario, e l’abito radicato di v o lo n ­
taria im perfezione. Q u est’ultim o im pedisce la per­
fetta unione con D io .

/
10 Salita I
LA LOTTA CONTRO IL PECCATO 371
« Per appetito immortificato, però, qui intendo il tale
abito, perché alcuni atti sporadici di appetiti differenti non
sono di tanto impedimento quando gli abiti sono mortifi­
cati: quantunque, diciamo, anche di questi atti l ’anima deve
al fine giungere a non commetterne, perché sempre proce­
dono da abito di imperfezione. A lcun i abiti di im perfezioni
volontarie, se non si finisce col vincerli, non soltanto impe­
discono l’unione divina, ma anche il progresso nella perfe­
zion e» (ivi, n.3).

In seguito, a m od o di esem pio, indica alcune di


queste im perfezioni volontarie:
« T ali im perfezioni abituali sono, per esempio, l’abitu­
dine di parlare spesso, l’attaccamento a piccole cose che l’a­
nima mai si decide di superare, com e sarebbe l ’affetto ad
una persona, ad un vestito, ad una stanza, a quel tale genere
di cibi, di relazioni, a quelle piccole soddisfazioni, alla mania
di udire novità, e simili » (ivi, n.4).

E torna nuovam ente ad esaminare i danni che tali


abiti di im perfezioni volontarie causano all’anima,
usando l ’esem pio dell’uccello legato a un filo che gli
im pedisce di prendere il vo lo :
« Se l ’anima porta affetto abituale a qualsivoglia di queste
im perfezioni, incontra m aggiore ostacolo a crescere in virtù,
che se cadesse ogn i giorno in molte altre im perfezioni e pec­
cati veniali saltuari, i quali n on procedessero da mala consue­
tudine. Finché duri uno degli accennati abiti, è impossibile
che l’anima progredisca nella perfezione, benché l’imper­
fezione sia piccolissima. D ifatti, che im porta se u n uccellino
stia legato ad un filo sottile piuttosto che ad un grosso ?
Per quanto il filo sia sottile, è sempre vero che l’uccellino
è legato, e sino a che non lo spezzi, non potrà volare. Senza
dubbio, il filo più tenue è più facile a rompersi, ma pur deve
rompersi, ché altrimenti l’uccello non si potrà liberare.
Cosi avviene all’anima unita con l’affetto a qualche cosa:
benché fornita di m olte virtù, non giungerà alla libertà
dell’unione divina» {ivi, n.4).

L a dottrina di S. G iovan n i della C roce tro va la sua


m igliore conferm a nella dottrina tom ista d ell’aum en­
372 LA VITA CRISTIANA N EL S U O SVILU PPO ORDINARIO

to degli abiti. Secondo S. Tom m aso 21, la carità e tutti


gli altri abiti infusi crescono soltanto per un atto p iù in­
tenso d ell’abito che attualm ente si possiede 22. L ’im per­
fezione è, per sua natura, un atto debole, la negazion e v o ­
lontaria d ell’atto più intenso. È im possibile, quindi,
progredire nella perfezione se n on si rinuncia alle
im perfezioni volontarie.
Q uesta è la causa per cui nella pratica si frustrano
tante santità in poten za e scarseggiano i veri' santi.
Sono m oltissim e le anim e che v iv o n o abitualm ente
in grazia di D io , che n on cadono mai in peccati m or­
tali e si sforzano anche di evitare i veniali. T u ttavia,
si ve d o n o paralizzate nella vita spirituale; passano
g li anni m a rim an gon o sem pre ugu ali se n on con
m aggio ri im perfezioni. C he cosa è avven u to ? È sem­
plice: n on si son o preoccupate dì sradicare le lo ro im ­
perfezioni volontarie; non hanno cercato di spezzare « il
filo sottile » che le teneva legate alla terra e non han­
no potuto spiccare il v o lo verso le altezze. C on quale ac­
cento di tristezza se ne lam enta S. G io v an n i della Croce:
« È un peccato vedere alcune anime che, mentre a guisa
di navi cariche di ricche mercanzie sono ricolm e di tesori di
opere ed esercizi spirituali, di virtù e doni celesti, non di me­
no, perché non hanno il coraggio di finirla con qualche piccolo
gusto o attacco o affetto (il che è tutt’uno), non vanno mai
innanzi, e non arrivano al porto della perfezione. Eppure il
porto sarebbe tanto vicino! Basterebbe non più che spiccare
un buon vo lo , rom pere quel filo di affetto, staccarsi da quella
remora di appetito.
Cosa veramente lacrimevole! Il Signore ha loro con­
cesso di spezzare ben altre funi più grosse di affetti a peccati

21 C f. quanto abbiamo detto sopra al n, 103, conclus. 10, e quanto di­


rem o ai nn. 255-256.
22 Q uesta m aggiore intensità è data dall’im pulso di una grafìa attuale
più intensa dell’abito; diversamente, sarebbe im possibile. D a qui la grande
im portanza dell’orazione, unico m ezzo a nostra disposizione per impetrare
queste grazie attuali, che sono fuori del merito propriamente detto (cf.
n. 103, conclus. 12).
LA LOTTA CONTRO IL PECCATO 373
e vanità; ed esse poi, non volendo staccarsi da un’inezia
che D io chiede loro di vincere per amor suo, n on volendo,
dico, recidere quel filo, quel capello, trascurano di arrivare
a un tanto bene! E d il p eggio è che, non solamente non van­
no innanzi, ma bensi a cagione di queiraffetto tornano in­
dietro, perdendo cosi il vantaggio del cammino che con
tanto tem po e fatica avevano percorso 2®. Poiché si sa bene
che, in questo cammino, il non andare avanti è un tornare
indietro; il non guadagnare è perdere. C iò appunto il Si­
gnore volle significare quando disse: ” Chi non è con me,
è contro di me; e chi non raccoglie con me, disperde” (Mat.
12,30). C olui che non si cura di riparare la fenditura di un
vaso, benché sottilissima, vedrà trapelarne a poco a poco tut­
to il lìquido in esso contenuto. Giustamente F 'Ecclesiastico
ci ammonisce dicendo: ” Chi disprezza le cose piccole, a
poco a poco andrà cadendo” (19,1). E altrove il medesimo
ci rammenta che da una sola scintilla si sviluppa un incen-

23 Queste parole hanno biso gn o di una spiegazione. I m eriti contratti


davanti a D io non dim inuiscono mai, qualunque sia il num ero dei peccati
veniali. Finché il peccato mortale non distrugge totalmente la vita della gra­
zia, i m eriti acquistati rim angono intatti al pari del grado abituale degli abiti
infusi. L o dice espressamente S. Tom m aso parlando della carità (cf. II-II,
24,10): « U trum caritas possit dim inuì». Q uesto avviene perché « la conser­
vazione di una cosa dipende dalla sua causa. O ra, la causa delle virtù acqui­
site sono g li atti umani; quindi, se g li atti um ani ven gon o a mancare, le
virtù acquisite dim inuiscono e possono, anche, scom parire del tutto. M a
questo n on vale t er la carità, perché la carità, com e v irtù infusa, non è
frutto degli atti umani; m a è causata unicamente da D io . Perciò, anche se
cessano gli atti, non dim inuisce né si corrom pe, a m eno che alla cessazione
d egli atti n o n si accom pagni il peccato ». S. Tom m aso continua a spie­
gare com e in realtà il peccato veniale n on faccia dim inuire l ’abito della ca­
rità— e, quindi, neanche delle altre virtù infuse — n é effettivamente n é me­
ritoriamente. D unque, a m aggior ragione, bisogna dire che n on lo fanno
dim inuire le semplici im perfezioni.
Tuttavia, rettamente inteso, è vero quello che dice S. G iovann i della
C roce perché — com e viene spiegato nella continuazione del brano che ab­
biam o or ora citato — una im perfezióne commessa volontariam ente quasi
mai rimane sola; ad essa se ne aggiun gono m olte altre, che indeboliscono le
forze dell’anima e la predispongono sempre più a cadere in peccati veniali
e, infine, nel m ortale. In questo senso anche S. Tom m aso concede che il
peccato veniale — e quindi anche le im perfezioni volontarie, benché in u-
na form a m eno immediata — dim inuiscono indirettamente la carità, in quan­
to la predispongono alla scomparsa per m ezzo del peccato mortale.
374 LA VITA CRISTIANA NEL S U O SVILU PPO ORDINARIO

dio. Una sola imperfezione basta a trarne con sé un’altra,


e tutte e due un’altra ancora: dim odoché quasi mai si vedrà
un’anima negligente nel reprimere un appetito, che non ne
abbia insieme m olti altri, i quali scaturiscono dalla stessa
imperfezione e fiacchezza che l ’anima mostra nel vincere
il prim o, e cosi va sempre cadendo. N o i stessi abbiamo già
visto m olte persone, a cui Iddio faceva grazia di condurle
m olto innanzi con grande distacco e libertà di spirito. E b ­
bene, avendo esse cominciato ad infischiarsi in qualche pic­
colo affetto, sotto colore di bene, di conversazione e jamici-
zia, si sono andate affievolendo nello spirito e nel | gusto
di D io e della santa solitudine; e decaddero cosi dalla pri­
miera devozione e diligenza negli esercizi spirituali. E d in­
fine, per non essersi arrestate in tem po, sono arrivate al pun­
to di perdere tutto quel bene che avevano; e ciò, perché non
troncarono quel principio di piacere e di appetito sensiti­
vo , e non seppero custodirsi in solitudine per il Signore »
{ivi, n. 4, e 5).
S’im pone, quindi, com e qualche cosa di indispen­
sabile, se vo gliam o giu n gere alla perfetta unione con
D io , la lotta incessante con tro le im perfezioni vo lo n ta ­
rie. L ’anim a deve porre tu tto il suo im pegn o e spiegare
tutte le sue energie, facendo u so di tutti i m ezzi a sua
disposizione, per dim inuirne il num ero e tendere sempre
verso quello che è p iù perfetto, procurando di fare tutte
le cose con la maggiore intensità possibile. N aturalm ente,
n on si deve pensare questa m aggiore intensità com e
qualcosa di ordine fisico o d organ ico, quasi sia neces­
sario scuotere il sistema n ervoso e stringere co n forza
i denti per com piere u n atto di am ore d i D io . N o n
è questo. Si tratta solo di perfezionare i motivi che ci
spin gono ad operare, facendo tutte le cose o g n i vo lta
con maggior purezza d ’intenzione, co n l ’ansia di glorifi­
care D io , con il desiderio di rim anere sotto l ’azione
dello Spirito Santo nel tem po e p er l ’eternità, senza ri­
gu ard o per i nostri gu sti e i nostri capricci. C onsiste
sem plicem ente in una conform ità sem pre p iù perfetta
e docile alla vo lo n tà di D io su di n oi, fino a lasciarci
portare da lui, senza resistenza, ovu n q u e eg li vorrà;
LA LOTTA CONTRO IL MONDO 375

fino alla m orte totale dei nostri personali egoism i e alla


piena trasform azione in C risto, che ci perm etta di dire
con S. Paolo: « N o n sono p iù io che v iv o ; è C risto che
v iv e in m e» (G al. 3,20).
È evidente che questa profon da trasform azione del
n ostro essere e questo rinnegam ento totale del nostro
io egoista è u n ’im presa superiore alle forze um ane, an­
che se sostenute dalla grazia attuale. F in ch é l ’uom o
conserva l’iniziativa della sua vita cristiana mediante
l ’esercizio ascetico delle v irtù al modo umano, n on può
conseguire la purificazione della parte più intim a del suo
essere. È necessario che lo Spirito Santo com pia questa
trasform azione profon da nel suo duplice aspetto nega­
tiv o e positivo. C osi ritiene S. G iovan n i della C roce 24
e cosi dovrebbe ritenere chiunque si renda conto
della elevatezza dell’impresa.

C A P IT O L O 11

LA LOTTA C O N T R O IL M O N D O

F r . D ie g o d é E s t e l l a , Tratado de la vanidad del mando; R ib e t , L ’ascé-


tique, c.15; T a n q u e r e y , Compendio di Teologia ascetica e mistica> nn. 210-218;
H e l l o , Uuomo 1,13; M a r m i o n , Cristo , ideale del monaco, c.5.

24 E cco le parole del santo D ottore, che costituiscono una irrefuta­


bile p rova della necessità della mistica per la perfezione: « Basti avere riferi­
to queste im perfezioni tra le m olte in cui v ivo n o i principianti. D a quan­
to abbiamo detto, si vedrà com e sia loro necessario che Iddio li ponga nello
stato di proficienti, introducendoli nella notte oscura. Q u iv i il Signore, di­
vezzandoli dal latte dei loro gusti e sapori con pure aridità e tenebre interio­
ri, toglie lo ro tutte queste im perfezioni e piccinerie, e con m ezzi m olto di­
versi fa loro acquistare le virtù. Poiché, per quanto il principiante si eserci­
ti nel correggere e mortificare in sé tutte le suddette azioni e passioni, non
376 LA VITA CRISTIANA N EL S U O SVILU PPO ORDINARIO

D op o aver trattato, nelle sue linee fondamentali, la


lotta cotro il peccato mortale e veniale — principali nemici
della nostra anima — e aver ribadito la necessità di com bat­
tere le im perfezioni volontarie, che ne sono com e la prepa­
razione, rimane da considerare le caratteristiche dei nemici
secondari della nostra santificazione: il mondo, il demonio e la
carne nonché i mezzi più efficaci per neutralizzare le loro
malsane influenze.

16 0 . i. C h e c o s ’ è i l m o n d o . - È diffi­
cile definirlo a m o tiv o della sua stessa com plessità.
Si tratta, in ultim a analisi, del clim a anticristikno che
si form a tra le persone che v iv o n o dim entiche di D io
e dedite solo alle cose della terra. Q u esto am biente m al­
sano è costituito e si m anifesta in quattro form e prin­
cipali:
a) False massime, in diretta opposizione a quelle
del V an ge lo . Il m ondo esalta le ricchezze, i piaceri, la i

violen za, l ’ingann o e la frod e po sti al servizio del p ro ­


prio egoism o, l ’illim itata libertà per darsi ad ogn i spe­
cie di eccessi e di peccati. « Siam o gio van i, dobbiam o
go d erci la vita »; « D io è b u on o e com pren sivo e n on t
ci dannerem o solo perch é god iam o e ci divertiam o »;
« O cco rre guadagnare m olto denaro, in qualsiasi m o­
do »; « L a cosa p iù im portante è la salute, la vita lun­
ga, il m angiare e il vestire bene, il divertirsi più possi­
bile »; ecc. Q ueste sono le massime consacrate dal
m ondo. N o n riesce a concepire nulla di p iù n obile e
di p iù elevato; lo stancano e lo infastid iscon o le m assime
contrarie, che sono appunto quelle del V an ge lo . E si i
spinge tanto avanti, il m on do, nella sovversion e dei i
valori, che u n v o lg a re ladro vien e reputato « un u om o t
abile nei suoi affari », u n seduttore, « un u om o allegro »; *

!■
può mai riuscirvi del tutto e neppure in gran parte, finché ciò non avven ga j_
in lu i passivamente, per opera di D io , m ediante la purgazione della notte k
oscura» (N otte 1,7,5).
LA LOTTA CONTRO IL MONDO 377

u n em pio e u n libero pensatore, « uno spirito forte »;


una donna abbigliata in m od o indecente e provocan te,
una persona che « segue la m oda »; e cosi via.
b) B u rle e p e rs e c u z io n i contro la vita di pietà;
i vestiti decenti ed onesti; g li spettacoli m orali, defi­
niti rid icoli e noiosi; la delicatezza di coscienza negli
affari; le le g g i sante del m atrim onio, giudicate antiqua­
te e im possibili a praticarsi; la vita cristiana del fo c o ­
lare; la sottom issione e l ’obbedienza della gio ven tù , ecc.
c) P ia c e r i e d iv e r tim e n ti sempre più num erosi,
raffinati e immorali: teatri, cinema, balli, centri di per­
versione, spiagge e piscine con prom iscuità di sessi;
giorn ali, riviste, rom anzi, m ode indecenti, conversazio­
ni turpi, barzellette procaci, frasi a d oppio senso, ecc.
N o n si pensa e n on si v iv e se n on per il piacere e il di­
vertim ento, a cui si sacrifica spesso il rip oso e lo stes­
so stipendio indispensabile alle necessità p iù urgenti
della vita.
d) S ca n d a li e c a ttiv i e s e m p i quasi continui, fino
al punto che non è possibile uscire sulla strada, aprire
u n periodico, guardare una vetrina, udire una conver­
sazione senza che appaia in tutta la sua crudezza l ’isti­
gazion e al male. A ragione diceva S. G io v an n i che il
m ondo è im m erso nel male: « M undus totus in m a­
lign o positus est» ( iG io v . 5,19). Il d ivin o M aestro ci
ha m esso in guardia contro le seduzioni del m ondo:
« V a e m undo a scandalis! » (M at. 18,7), annunciandoci
il terribile destino che attende g li scandalosi (M at. 18,
6-9).

161 . 2. M o d o d i c o m b a t t e r l o . - Il ri­
m edio p iù efficace sarebbe di fu g g ire m aterialm ente
da esso. P o ich é ciò n on è possibile, i cristiani devono
cercare di far p rop rio lo spìrito di Gesù Cristo, che è
diam etralm ente op posto allo spirito del m ondo.
378 LA VITA CRISTIANA N EL S U O SVILU PPO ORDINARIO

Per questo, con o g n i decisione e im pegno, cer­


cheranno di:
a) F u g g ir e le o c c a s io n i p e ric o lo se . - Soprattutto,
l ’anima che aspira alla santità deve rinunciare vo len ­
tieri agli spettacoli, nella m agg io r parte dei qu^li il
m ondo inocula il suo velen o , semina i suoi errori ed
eccita le passioni p iù basse. Q u i più che altrove vale il
detto dello Spirito Santo: « C o lu i che ama il pericolo
in esso perirà» (E ccli. 3,27). È istru ttivo il caso di A li­
pio, intim o am ico di S. A g o stin o , che, sollecitato da
alcuni am ici, acconsenti ad assistere ad u n o spettacolo
p ericoloso con l ’intenzione di dim ostrare lo ro che a ve­
v a sufficiente forza di vo lo n tà per rim anere tutto il
tem po con gli occhi chiusi. M a alla fine si ritro v ò
che aveva tenuto g li occhi spalancati più d egli altri e
più degli altri aveva applaudito e grid ato 1.
È necessaria una severa m ortificazione per raggiu n ­
gere l ’unione con D io . A nessuno sem bri eccessiva la
rinuncia alla m aggio r parte degli spettacoli e dei di­
vertim enti. In realtà, a nulla rinuncia chi lascia tutte le
cose per D io , giacché tutte le creature, al dire di S. G io ­
van ni della C roce 2, sono com e se n on esistessero da­
van ti a lui. Soltanto alla nostra cecità appare tropp o
caro il p rezzo della santità.
b) R a v v iv a re la fe d e , che ci dà la vera vittoria con­
tro il m ondo. « H aec est victo ria quae v in c it m undum ,
fides n ostra» ( iG io v . 5,4). Illum inati da essa, dobbiam o
op porre alle false m assim e del m on d o le parole di
C risto; alle sue lusinghe e seduzioni, le prom esse eter­
ne; ai suoi piaceri e divertim enti, la pace e la serenità
di una buona coscienza; alle sue ironie e ai suoi disprez­
zi, il co rag gio dei figli di D io ; ai suoi scandali e cattivi

1 C f. S. A g o stin o , Confessioni 6 ,8 . /
* Salita 1,4,
LA LOTTA CONTRO IL MONDO 379
esem pi, la condotta dei santi e la costante afferm azione
di una vita irreprensibile davanti a D io ed a g li uom ini.
c) C o n s id e r a r e l a v a n it à d e l m o n d o . - Il m ondo
passa velocem ente: « Praeterit enim figura huius m un­
d i» (iC o r . 7,31) e con esso svaniscono i suoi piaceri e
le sue concupiscenze: « E t m undus transit et concupi-
scentia eiu s» ( iG io v . 2,17). N o n c ’è niente di stabile
sotto il cielo; tutto si m u ove e si agita com e il mare
quando infuria la tem pesta. Il m ondo, inoltre, cam bia
continuam ente i suoi giud izi, le sue afferm azioni, i suoi
gu sti e capricci; a v o lte rinnega quello che prim a aveva
applaudito con frenesia, andando da un estrem o all’al­
tro senza scrup olo, rim anendo solo costante nella fa ­
cilità della m en zogna e nell’ostinazione p er il male.
T u tto passa e svanisce, solo « D io n on m uta », diceva
S. Teresa. E con lu i rim ane per sem pre la sua verità:
« E t veritas D o m in i m anet in aeternum » (Sai. 116,2);
la sua parola: « V erb u m autem D o m in i m anet in ae­
tern um » (iP ie tr. 1,25); la sua giustizia: « Iustitia eius
m anet in saeculum saeculi» (Sai. 110,3), e colu i che
com pie la sua divina vo lo n tà: « Q u i autem facit volu n-
tatem D e i m anet in aeternum » ( iG io v . 2,17).
d) C a lp e s ta r e i l r is p e t t o u m a n o . - Il prestare at­
tenzione a quello che diranno gli altri sm inuisce la nostra
dign ità di cristiani e reca offesa a D io 3. P er n on « di­
sgustare » quattro esseri insignificanti, che v iv o n o in
peccato m ortale, si calpesta la le g g e di D io e si ha ros­
sore di m ostrarsi discepoli di G esù C risto. I l divino
M aestro ci avverte chiaram ente nel V a n g e lo che m isco­
noscerà davanti al Padre colu i che lo avrà rinnegato
davanti agli uom ini (M at. 10,33). O cco rre assumere
un atteggiam ento franco e deciso davanti a G esù , p e r­

3 Cf. il capitolo che dedica al rispetto umano E. H e l l o nella sua opera


L'uomo , .
1 3
380 LA VITA CRISTIANA N EL S U O SVILU PPO ORDINARIO

ch é chi non è con lui è contro di lui (M at. 12,30).


S. P aolo afferma di se stesso che n on sarebbe disce­
p o lo di Cristo se cercasse di piacere agli uom ini (G al.
1,10). Il cristiano desideroso di conseguire la santità
non deve tenere in considerazione quanto il m ondo
p uò dire o pensare. E d è m eglio adottare fin dal prim o
m om ento una condotta chiara e risoluta affinché nessuno
sia tentato di dubitare dei nostri veri p rop ositi e delle
nostre reali intenzioni. « I l m ondo v i odierà e v i |perse­
gu iterà» ci ha detto il M aestro d ivin o (G io v . 15,18-20);
però se troverà in n o i delle persone decise e irrem o vib i­
li finirà cori il lasciarci in pace. Solo con i codardi torna
continuam ente alla carica per attrarli nelle sue file.
Il m ezzo m igliore per vin cere il m on d o è quello di non
cedere un solo passo, di affermare con fo rza la propria
v o lo n tà, di rinunciare per sempre alle sue massime e
alle sue vanità *.

CA PITO LO III

L A L O T T A C O N T R O IL D E M O N IO

R ib e t , Uascétique, c .1 6 ; id e m , L a mystique divine, t . 3 ; T a n q u e r e y ,


Compendio di Teologia ascetica e mistica, nn. 219-225 e 1531-1549; D e s . Co­
st a , I l diavolo; G a r r ig o u - L a g r a n g e , L e tre età della vita interiore, 5,6; S a u -
d r e a u , L ’ étatmystique, cc. 22-23; S c h r a m , Thèologie mystique I, p.i §§ 174-
204; J. D e T o nquedec , Acción diabòlica 0 enfermedad?; E t u d e s C a r m e l i -
t a in e s , Satan.

Il secondo nemico esterno contro il quale dobbiam o


rivolgere la nostra lotta è il demonio.
Supponendo noto quanto insegna la T eo lo gia dogm a­
tica circa resistenza dei demoni, la loro natura e la loro ini­

4 Cf. S . F r a n c e s c o d i S a l e s : « Non bisogna badaré alle parole dei


figli del mondo » (Filotea p.4, c.i).
LA LOTTA CONTRO IL DEMONIO 381
micizia nei riguardi dell’uom o lim iteremo il nostro stu­
dio all’azione che essi esercitano sulle anime mediante la
tentazione, Possessione e la possessione.

A r t ic o lo J

L a tentazione 2

162 . Il D o tto re angelico afferma che è com pito


specifico del dem onio quello di tentare 3. M a aggiu n ge
subito 4 che n on tutte le tentazioni che assalgono l ’u o ­
m o ve n g o n o dal dem onio; alcune trag go n o origine
dalla propria concupiscenza, com e dice l ’ apostolo San
G iacom o: « O g n u n o è tentato dalle proprie concupi­
scenze, che lo attraggon o e sed u con o» (G iac. 1,14).
È fu o ri d ub bio, tuttavia, che m olte tentazioni sono
suscitate dal dem onio, che in vid ia l ’u om o e detesta
D io 5. L o attesta espressam ente la divina rivelazione:
« R ivestitevi d ell’armatura di D io per poter resistere
agli agguati del d iavolo. P o ich é n on abbiam o noi da
lottare con tro la carne e il sangue ma contro i principati
e le potestà, contro i dom inatori di questo m ondo
tenebroso, contro g li spiriti m aligni sparsi n ell’aria»
(E f. 6,11-12). E S. Pietro paragona il dem onio ad un

1 Cf. 1,63-64; 109; 114.


4 Non conosciamo nulla di migliore sulla tentazione in tutte le sue for­
me degli articoli del P. M asso n , O .P ., in « La vie spirituelle » (da novembre
1923 ad aprile 1926); ne riportiamo l’indice:
I. L a tentazione in generale: natura, universalità; II. Sue fonti. L a carne
(natura della concupiscenza); I l mondo e le sue armi (la violenza, la seduzione);
I l demonio (la figura e la sua storia, l’opera del tentatore, sua azione sull’intel­
ligenza, l’appetito sensibile e il corpo materiale); III. I l procedimento della
tentazione*, IV. Fine della medesima (da parte del demonio, da parte di Dio).
Il piano di Dio: opera di giustizia e di misericordia.
3 1,114,2.
4 Ivi, 3.
5 I v i, 1.
382 LA VITA CRISTIANA N EL S U O SVILU PPO ORDINARIO

leone ru ggen te che gira attorno cercando di divorarci


(iP ie t. 5,8).
N o n c’è una norm a fissa o un segno chiaro che ci p er­
metta di riconoscere quando una tentazione proviene dal
dem onio o da un’altra causa. T uttavia, quando essa è re­
pentina, violenta e tenace; quando non si è posta nessuna
causa prossima o rem ota capace di suscitarla, quando tur­
ba profondam ente l’anima, suggerisce il desiderio di cose
straordinarie e appariscenti, o spinge a diffidare dei Superio­
ri, a tacere con il direttore spirituale la si può ritenere come
un intervento più o m eno diretto del demonio.

D io n on tenta m ai nessuno incitand olo al male


(G iac. 1,13). Q uand o la Scrittura parla delle tentatemi
di D io usa il term ine « tentazione » in un senso lato,
com e sem plice esperim ento di una cosa — tentare,
id est experimentum sumere de alìquo 8 — n on per perfezio­
nare la scienza divina, m a per accrescere la conoscenza
e l ’utilità dell’u om o. D io consente che siam o p rovati
dai n ostri nem ici spirituali per offrirci l ’ occasione di
m aggio ri m eriti. E g li n on perm etterà m ai che sia­
m o tentati sopra le nostre forze: « D io è fedele,
e n on perm etterà che siate tentati oltre il vo stro
p otere, ma con la tentazione p rovved erà anche il
b u on esito d and ovi il potere di sostenerla» (iC o r.
10,13). Son o inn um erevoli i v a n tag gi della tentazione
superata con l ’aiuto di D io . U m ilia Satana, fa risplen­
dere la glo ria di D io , purifica la nostra anim a, ci riem pie
di um iltà, pentim ento e fiducia n ell’aiuto divino; ci
o b b lig a a star sem pre v ig ili, a diffidare di n oi stessi,
sperando tu tto da D io , a m ortificare i nostri gu sti e
capricci; stim ola all’ orazione; aum enta la nostra espe­
rienza, e ci rende p iù circospetti e cauti nella lotta. A
ragione afferma S. G iacom o che è « beato l ’u om o che
sopporta la tentazione, perch é una vo lta p ro v ato rice-
/
LA LOTTA CONTRO IL DEMONIO 383
verà la corona della vita che D io ha prom esso a coloro
che lo am an o» (G iac. 1,12).

163 . 1. P s ic o lo g ia d e lla te n ta zio n e . - Forse in


nessun’altra pagina ispirata appare con tanta evidenza
la strategia usata dal dem onio com e nel racconto del­
la tentazione della prim a donna, che cagion ò la rovina
di tutta l ’um anità. L ’esame della narrazione b ib lica è
ricco di insegnam enti 7.
a) Si avvicina il tentatore. - N o n sempre lo abbiamo
al nostro fianco. A lcu n i Padri e teologi hanno ritenuto che
accanto all’angelo custode, deputato da D io per p rovvede­
re al nostro bene ci sia un dem onio, designato da Satana
per tentarci e spingerci al male 8. Tale supposizione
non trova, però, riscontro nelle pagine della Scrittura. È
più probabile che la presenza del demonio non sia conti­
nua ma circoscritta ai momenti della tentazione. N e l Vangelo
si legge che il demonio, dopo aver tentato il Signore nel de­
serto si ritirò da lui per qualche tempo: « D iabolus secessit
ab ilio usque ad tempus » (Luca 4,13).
Però, benché a volte se ne allontani, rimane il faitto
che il demonio spesso ci tenta. A volte si presenta im prov­
viso allo scopo di sorprenderci; più sovente si insinua
cauto e, piuttosto che proporre subito l ’o gg etto della ten­
tazione, preferisce avviare un colloquio con l’anima.
b) Prim a insinuazione: « Perchè Dio vi ha comandato di
non mangiare del frutto di tutti g li alberi del paradiso? ».
Il demonio non tenta ancora, però fa scivolare la con­
versazione sul terreno a lui più propizio. La sua tattica
rimane la stessa o g g i com e sempre. A persone particolar­
mente proclive alla sensualità o ai dubbi contro la fede
proporrà in termini generici, senza istigarle ancora al ma­
le, il problem a della religione o della purezza. « È vero
che D io esige il consenso cieco della vostra intelligenza
o l’illimitata im m olazione dei vostri appetiti naturali? ».
c) L a risposta dell’ anima. - Se l’anima, quando avverte
che il semplice fatto che il problem a sia posto rappresenta
un pericolo, rifiuta di iniziare il dialogo con il tentatore —

1 C f. G en. 3.
8 Cf. P e t a u , D e angilis 1.4,0.27:
384 LA VITA CRISTIANA N EL S U O SVILU PPO ORDINARIO

deviando, per esempio, il suo pensiero e la sua immaginazio­


ne ad altri argom enti — - la tentazione viene soffocata nella
sua stessa preparazione e la vittoria è tanto facile quanto
manifesta: il tentatore si ritira umiliato. M a se l’anima im­
prudentemente accetta il dialogo si espone ad un grave
pericolo.
« E la donna al serpente: I frutti d egli alberi del giardino possiam o m an­
giarli; m a d el frutto dell’albero che sta in m ezzo al giardino, D io disse
di n on mangiarne e d i non toccarlo, p er n o n averne a m orire ».

L ’anima si rende conto che D io le proibisce di cbmpie-


re quell’azione, d’intrattenersi su quel dubbio, di fomentare
quel pensiero o di alimentare quel desiderio. N o n vuole
disobbedire a D io , però sta perdendo tem po ricordando che
non deve fare questo.

d) Proposta diretta del peccato. - L ’anima ha ceduto


terreno al nemico, che si fa più audace e tenta apertamente
l’assalto:
« E il serpente alla donna: N o , che n on m orireste. A n zi Iddio sa che quan­
d o ne mangiaste, si aprirebbero i v o stri occh i e diverreste com e lui, co n o ­
scendo il bene a il m ale ».

Il demonio riesce a persuadere l’anima che dietro il


peccato si occulta la felicità. N o n le suggerisce il pensiero
che « sarà com e D io » — una simile utopia ha potuto far­
la credere soltanto una volta — però le dice che sarà felice
se si abbandonerà in quella circostanza al peccato. « A d
o gn i m odo — ■aggiunge — D io è infinitamente m isericor­
dioso e ti perdonerà facilmente. G o d i ancora una volta
del frutto proibito. N o n ti succederà niente di male. N o n
hai l ’esperienza delle altre v o lte ? Q uanto godrai e quanto
facile cosa sarà per te uscire dal peccato con un immedia­
to pentimento! ».
Se l’anima accondiscende a queste insinuazioni, è per­
duta. Assolutam ente parlando, è ancora in tem po per re­
trocedere — la volontà non ha dato ancora il suo consen­
so — ; ma il pericolo si è fatto gravissim o. L e sue forse van ­
no indebolendosi, le grazie di D io sono meno intense e
il peccato le appare sempre più suggestivo.

e) L ’esitazione. - D ice il sacro testo:


« A llo ra la donna osservò che il frutto dell’albero era/ buon o a m angiare
c piacevole a vedere e appetibile per acquistare conoscenza... ».
LA LOTTA CONTRO IL DEMONIO 385

L ’anima incom incia a vacillate e a turbarsi intimamente.


Il cuore batte con violenza nel petto. Uno strano nervosi­
smo si impossessa di tutto il suo essere. Non vorrebbe offen­
dere D io , ma d’altra parte, è tanto seducente la visione
che le si para davanti! H a inizio una lotta troppo violenta
perchè possa durare a lungo. Se l’anima, in un supremo
sforzo e sotto l’influsso di una grazia efficace, della quale
si è resa indegna per la sua imprudenza, si decide a rimane­
re fedele al suo dovere, ne uscirà sostanzialmente vincitri­
ce, ma con un peccato veniale sulla coscienza (negligenza,
semiconsenso, esitazione davanti al male). Il più delle v o l­
te com pirà il passo fatale verso l’abisso.
f) I l consenso della volontà.

« Perciò ne colse un frutto e ne m angiò, e ne diede anche a suo marito


insieme con lei, ed egli pure ne m angiò ».

L ’anima ha ceduto alla tentazione, ha commesso il peccato,


e m olte volte — a m otivo dello scandalo e della com plicità —
lo fa commettere anche agli altri.

g) L a disillusione. - N ella sua realtà, il peccato quanto


differisce dalla rappresentazione che ne aveva fatta la sug­
gestione diabolical D o p o averlo consumato, l’anima espe-
rimenta d’im provviso una grande delusione e prova un
immane sconforto.
« Subito si apersero g li occhi ad am bedue e si avvidero di essere nudi
onde intrecciarono fo glie di fico e se ne fecero cinture ».

L ’anima si rende conto d’aver perso tutto. È rimasta


completamente nuda davanti a D io: senza la grazia santifi­
cante, senza le virtù infuse, senza i doni dello Spirito Santo,
senza l’amorosa inabitazione della SS. Trinità, senza i me­
riti acquistati in tanti anni di penosi sacrifici. L a sua vita so­
prannaturale è crollata di schianto. In m ezzo ad un cumulo
di rovine rimane solo la delusione e il soggh ign o sarcasti­
co del tentatore.

h) L a vergogna e il rim orso. - Inesorabile si fa sentire


la vo ce della coscienza, che rim provera il delitto commesso:
« U dirono il suono del Signore Iddio che trascorreva p er il giardino
alla brezza giornaliera; e si nascose, A dam o con la sua com pagna, dalla
vista del Signore Iddio tra g li alberi del giardino. M a il Signore Iddio
chiam ò A dam o dicendogli: D o v e sei ? ».

L a stessa domanda pone la coscienza al peccatore che


386 LA VITA CRISTIANA NEL SUO SVILU PPO ORDINARIO

invano cerca una risposta. N o n gli rimane che cadere in


ginocchio e domandare perdono a D io per l’infedeltà com ­
messa, imparando dalla dolorosa esperienza a resistere al
tentatore sin dal primo momento per l’avvenire.

164 . 2. C o n d o tta p r a tic a d a v a n ti a lla te n ta z io ­


n e . - V o glia m o precisare m eglio la condotta dell’anima
prima, durante e dopo la tentazione. N o n solo servirà
a com pletare le nostra trattazione, ma riuscirà di gran­
de utilità nella lotta contro il nem ico. '

i) P r i m a d e l l a t e n t a z i o n e . - La m igliore
strategia per prevenire le tentazioni fu suggerita dal
S ign ore stesso ai discepoli nel Getsem ani: « V igilate
et orate u t n on intretis in tentationem » (M at. 26,41):
vigilanza e preghiera.
a) L a vigilan za. - Il demonio non rinuncia mai al posses­
so della nostra anima. Se a volte sembra che ci lascia in pace,
è soltanto per ritornare all’assalto nel momento in cui meno
ce l ’aspettiamo. È necessario stare all’erta per non lasciarsi
sorprendere.
Q uesta vigilanza ci deve portare alla fuga di tutte le
occasioni più o meno pericolose; al controllo di n oi stessi,
particolarmente della vista e della immaginazione; all’esa­
me preventivo; alla frequente rinnovazione del proposito
di non peccare mai, alla lotta contro l’ozio, ecc.
b) L ’ orazione. - L a vigilanza da oola non basta. Il con ­
trollo più attento e gli sforzi più generosi risulterebbero
vani se non ci soccorresse l’aiuto divino. L a vittoria sulla
tentazione richiede una grafia efficace e solo la preghiera
può ottenercela. S. A lfo n so de’ L igu o ri, trattando della
necessità della grazia efficace, afferm ava che essa si può
conseguire soltanto con l’orazione e ripeteva: « Chi prega si
salva e chi-non prega si danna ». Q uando si trovava di fron­
te ad un’anima in dubbio se aveva ceduto alla tentazione, so­
leva domandarle semplicemente: « A v e te fatto orazione chie­
dendo a D io la grazia di non cadere ? ». C i si rende conto,
allora, perché il Signore nel « Padre nostro » ci abbia esorta-
a chiedere a D io di « non indurci in tentazione ».
In questa orazione preventiva è opportuno invocare
anche l ’aiuto di Maria, che mai conobbe il peccato, e del
LA LOTTA CONTRO IL DEMONIO 387
nostro A n gelo custode, che ha la missione di difenderci
contro gli assalti del demonio.

2) Durante la t e n t a s^i 0 n e . - L a nostra


condotta durante la tentazione si p u ò riassum ere in
una sola parola: resistere. N o n basta m antenere un at­
teggiam ento puramente passivo, m a è necessaria una
azione positiva, che p u ò essere diretta o indiretta.
a) L a resistenza diretta ci porta ad affròntare la stessa
tentazione e a superarla facendo il contrario di quanto ci
suggerisce. Per es.: ci faparlar b en ed iu n a persona quando
avremmo una gran vo g lia di criticarla; ci spinge a fare
un’abbondante elemosina quando l’avarizia cerca di serrar­
ci la mano; ci induce a prolungare l’orazione quando il
nemico suggerisce di abbreviarla o di ometterla; ci dà il
coraggio di manifestare in pubblico la nostra fede quando
il rispetto umano vorrebbe renderci succubi, ecc. Questa
resistenza diretta è sempre consigliabile, a meno che non
si tratta di tentazioni contro la fede o la purezza.
b) La resistenza indiretta, più che ad affrontarla, ci in­
duce a fuggire la tentazione, rivolgendo la nostra attenzione
altrove. L a si consiglia di preferenza nelle p rove contro la
fede e la castità nelle quali non è indicata la lotta diretta,
dato il carattere pericoloso e sdrucciolevole della materia.
In questi casi è m eglio impegnare con serenità e calma le
facoltà interne, soprattutto la memoria e l ’immaginazione,
con altri pensieri, richiamando alla mente l’elenco delle
province d’Italia, il titolo dei libri che abbiamo letto su un
determinato argom ento, i quindici m igliori monumenti
di nostra conoscenza, ecc. Sono tutti accorgim enti che dan­
no risultati positivi ed eccellenti, soprattutto se si adot­
tano fin dal prim o apparire della tentazione.

A vo lte la tentazione perdura, nonostante i nostri


sforzi, e il dem onio ritorna alla carica con una instan­
cabile tenacia. N o n ci si deve scoraggiare. Q uesta insi­
stenza costituisce la m igliore p ro v a che l ’ anim a n on
ha ceduto. Insista nel suo diniego una e m ille vo lte se
è necessario, con grande serenità e pace, evitando il
nervosism o e il turbam ento. O g n i assalto ricacciato co ­
stituisce un n u o vo m erito davanti a D io e u n n u o vo
388 la VITA CRISTIANA N EL SUO SVILU PPO ORDINARIO

irrobustim ento per l ’ anima. E il dem onio finirà con il


lasciarci in pace, soprattutto se n on riesce neppure a
turbare la pace del n ostro spirito, che era forse l ’unico
ob iettivo dei suoi reiterati assalti.
C on vien e sempre, specialm ente quando abbiam o a
che fare con tentazioni prolun gate, m anifestare quello
che passa nella nostra anima al direttore spirituale.
Il Signore suole com pensare con n u o vi v ig o ro si aiuti
tale atto di um iltà e sem plicità, dal quale il dem onio
cerca di ritrarci. D o b b ia m o avere il corag gio di mani­
festare ogni cosa senza circon locuzion i, soprattutto
quando ci sentiam o fortem ente inclinati a tacere. N on
dim entichiam o quello che insegnano i maestri della
vita spirituale: una tentazione manifestata, è già per metà
superata.
3) D 0 p 0 l a t e n t a z i o n e . - Ci troviam o in
uno di questi tre casi: o abbiam o vin to; o siamo stati
vinti; o siamo nel dubbio.
a) Se abbiamo vinto non dimentichiamo che la vittoria p
è unicamente opera della grazia. D obbiam o ringraziare il j
Signore con un atto semplice e breve, accom pagnando il '
nostro ringraziamento con una n uova richiesta di aiuto per '
altre occasioni del genere. Potrem m o compendiare il nostro j
atto in questa o in una equivalente invocazione: « Grazie, j
o Signore; devo tutto a voi; continuate ad aiutarmi in tutte
le occasioni pericolose e abbiate pietà di me ».
b) Se siamo caduti n on dobbiam o scoraggiarci. R icor­
dando l ’infinita misericordia di D io , gettiam oci come il fi-
gliuol p rodigo tra le sue braccia paterne, chiediam ogli sin­
ceramente perdono e promettiamo con il suo aiuto di non 1
offenderlo mai più. Se la caduta è stata grave, non possiamo '
limitarci a un semplice atto di contrizione; accorriamo quan- >
to prima al tribunale della penitenza e approfittiamo della
nostra caduta per raddoppiare la vigilanza e intensificare il :
fervore 9.

9 C f. al rig u a rd o il lib re tto d i T is s o t U a r te utilizzare le proprie col-


p e, in c u i è la rgam en te esp o sta la d o ttrin a d i S. F ra n c e sc o di Salcs. '
LA LOTTA CONTRO IL DEMONIO 389

c) Se siamo nel dubbio di avere o meno acconsentito,


non tormentiamoci con un esame m inuzioso ed estenuante,
perché un’imprudenza cosi grande provocherebbe un’al­
tra volta la tentazione e aumenterebbe il pericolo. Lascia­
mo passare un certo tempo, e quando sarà tornata la calma,
la coscienza ci dirà con sufficiente chiarezza se siamo caduti
oppure no. In ogni caso conviene fare un atto di contrizione
perfetta e manifestare al confessore, al momento opportuno,
quello che ci è capitato, cosi come l’ha avvertito la nostra
coscienza.
Nota. - U n ’anima che fa la com unione quotidiana, po­
trebbe continuare a comunicarsi fino al giorno stabilito per
la confessione nel dubbio di aver acconsentito ad una ten­
tazione ?
N o n si può dare una risposta assoluta, che valga per
tutte le anime e per tutti i casi. Il confessore giudicherà
di volta in volta tenendo presente il temperamento e le dispo­
sizioni abituali del penitente ed applicando il principio m o­
rale della presunzione. Se si tratta di un’anima abitualmen­
te ben disposta e piuttosto propensa agli scrupoli, dovrà
comandarle di fare la com unione, senza tener conto di tali
dubbi e limitandosi a fare un previo atto di contrizione. Se,
invece, ci si trova alla presenza di un’ anima che cade con fa­
cilità in peccato mortale, di coscienza larga e senza scrupoli,
la presunzione sta contro di essa; è probabile che abbia ac­
consentito alla tentazione e non le deve permettere di fare
la com unione senza avere prima ricevuto l’assoluzione sa­
cramentale. Il penitente dovrà attenersi sempre con umiltà
a quello che gli manifesterà il suo confessore o direttore
spirituale, senza discutere con lui.

A rtico lo II

L ’ ossessione diabolica

L a sem plice tentazione è la form a più com une di


cui si serve il dem onio per esercitare la sua nefasta
azione sul m ondo. N essuno ne va esente, neppure i più
grandi santi. L ’anima sperim enta i suoi assalti in tutte
le tappe della vita spirituale. V arian o le form e, aum en­
390 LA VITA CRISTIANA NEL S U O SVILU PPO ORDINARIO

ta o dim inuisce la intensità, m a il fatto della tentazione


rimane. A n ch e il Signore v o lle essere tentato per in­
segnarci com e vin cere il nem ico delle nostre anime.
A vo lte p erò il dem onio n on si accontenta della
sem plice tentazione. C on tro le anime m olto p rogredi­
te, che le tentazioni ordinarie appena im pressionano,
dispiega tutto il suo potere infernale, e giu n ge, con la
perm issione divina, fino all’ ossessione e alle vo lte alla
possessione corporale delle sue vittim e. N e ll’ossessione l ’ a­
zione diabolica rimane estrinseca alla persona che la
patisce, m entre nella possessione il dem onio entra real­
mente nel corp o della sua vittim a e la controlla dal di
dentro.

165 . i. N a t u r a d e l l ’ o s s e s s i o n e . - C ’ è
ossessione o g n i vo lta che il dem onio torm enta l ’uom o
dal di fuori in una maniera tanto forte, sensibile e certa
da n on lasciare d u b bi sulla sua presenza e sulla sua
azione.
N ella tentazione n on sempre appare chiara l ’azione
diabolica; perché, assolutam ente parlando, essa potreb ­
be dipendere da altre cause. M a nella ossessione, la pre­
senza e l ’azione di Satana è cosi m anifesta e cosi ben
caratterizzata, che n é l ’anima n é il suo direttore ne p o s­
sono dubitare. L ’anima conserva la coscienza della sua
azione vitale e m otrice su gli organi corporali, ma
avverte in pari tem po l ’azione esterna di Satana, che
cerca di sopraffarla con una veem enza inaudita.
« L ’ossessione — avverte m olto bene R ib e t10 — è
l’attacco del nem ico, che si sforza di entrare in una piazza­
forte della quale non è ancora padrone; e questa piazzafor­
te da conquistare è l ’anima. L a possessione, invece, è la
presenza del nemico nel cuore stesso della piazzaforte che
governa in m odo dispotico; e questa piazzaforte invasa e
ridotta in schiavitù è il corpo. C ’è, com e si vede, una notevole

10 L a mystique divine 111 ,9, n,;.


LA LOTTA CONTRO IL DEMONIO 391

differenza tra questi due interventi diabolici. Uno è esterno,


l ’altro interno; l’ uno si dirige al corpo, che m uove e agita;
l ’altra si dirige all’anima, e ha per fine immediato di solle­
citarla al male. L ’ossessione è più pericolosa della possessio­
ne: la schiavitù del corpo è da temersi infinitamente meno di
quella dell’anima».

166 . 2. S p e c i e . - L ’ ossessione p u ò essere in­


terna ed esterna. L a prim a si riv o lg e alle potenze inte­
riori, in m odo particolare all’im m aginazione, p ro v o ­
cando im pressioni intime. L a seconda tende ai sensi
esterni in form e e gradi svariatissim i. È raro che l ’ e­
sterna si tro v i sola, dal m om ento che il tentatore m e­
diante i sensi intende turbare la pace dell’anima. T u t­
tavia le vite dei santi ci offrono esem pi in cui ai più
fu rio si attacchi di ossessioni esterne si accom pagnava
la più serena pace dell’anima.

i) L ’o sse ssio n e in te rn a si distingue dalle tentazio­


ni ordinarie soltanto per la sua vio len za e durata.
N o n è facile determinare con esattezza fin d ove giunga
la sem plice tentazione e d ove incom inci la vera osses­
sione, tuttavia, quando il turbam ento dell’anima è
m olto p ro fo n d o e l ’attrattiva verso il m ale m olto v io ­
lenta è lecito pensare ad una ossessione diabolica.
L ’ossessione interna può prendere gli aspetti più diversi.
A lcun e volte si manifesterà in form a di idea fissa sulla
quale sembrano concentrarsi tutte le energie intellettuali;
altre volte in form a di immagini e rappresentazioni tanto
viv e, che s’im pongono con la forza delle più toccanti a as­
sorbenti realtà; ora causa una ripugnanza quasi insuperabile
per i doveri del proprio stato, ora fa desiderare con ardore
ciò che è proibito, ecc.
Il turbamento dello spirito, dato l ’intimo nesso che lega
le facoltà, si riflette nella vita affettiva. L ’anima, suo malgrado,
si sente ricolma di immagini importune, ossessionanti, che
la spingono al dubbio, al risentimento, alla collera, all’anti­
patia, all’odio, alla disperazione, e talora anche a pericolose
tenerezze e al richiamo seducente della voluttà.
Il m iglior rimedio contro tali assalti è l’orazione, l’u­
392 LA VITA CRISTIANA N E L S U O SVILU PPO ORDINARIO

miltà di cuore, il disprezzo di sé, la fiducia in D io e nella


protezione di Maria, la frequenza ai sacramenti e la cieca
obbedienza al direttore spirituale, che deve essere tenuto
al corrente di tutto.

2) L ’ o ss e ssio n e e ste rn a e sensibile è più appari­


scente e im pressionante, ma in realtà m eno pericolosa.
P u ò estendersi a tutti i sensi esterni, com e ci dim o­
strano le v ite dei Santi.
a) L a vista è vittim a di tutta una serie di apparizioni dia­
boliche. A volte si tratta di im m agini abbaglianti, piacevoli.
Satana non esita a trasformarsi in angelo di luce per ingan­
nare l’anima e ispirarle sentimenti di vanità, di compiacenza
di sé, ecc. D a questi effetti e facendo uso delle norme che
esamineremo parlando del discernimento degli spiriti “ ,
l’anima riconoscerà la presenza del nemico. A ltre volte
Satana prende form e orribili e minacciose per intimorire i
servi di D io e allontanarli dall’esercizio delle virtù, com e si
legge nella vita del Santo Curato d’A rs, di S. G em m a G al-
gani e di altri. A ltre volte, ancora, si presenta in form e
seduttrici e voluttuose per trascinare al male, com e fece
con S. Uarione, S. A n to n io A bate, S. Caterina da Siena e
Sant’A lfon so Rodriguez.
b) L ’udito è tormentato con strepiti e rum ori spaventosi
(Curato d’A rs), con oscenità e bestemmie (S. Margherita
da Cortona), oppure è ricreato con canzoni e musiche v o ­
luttuose che eccitano la sensualità.
c) Uolfatto percepisce alcune vo lte i profum i più soavi,
altre volte un lezzo intollerabile.
d) A nch e il gusto è provato in vari modi. Talora il de­
m onio cerca di eccitare sentimenti di gola producendo la
sensazione di cibi succulenti o di liquori deliziosi. Più spesso
produce nell’anima una forte sensazione di nausea per im ­
pedirle di prendere il sostentamento necessario, o fa apparire
nel cibo cose ripugnanti (vermi, im mondizie di ogni specie),
difficili a trangugiare o im possibili a digerire (spine, aghi,
pietre, frammenti di vetro, ecc.).
e) Il tatto, diffuso per tutto il corpo, risente in mille ma­
niere la nefasta influenza del dem onio. Si avvertono percosse
terribili com e risulta dalla vita di S. Caterina da Siena,

n C f . n n . 5 3 1 -5 3 6 ,
LA LOTTA CONTRO IL DEMONIO 393
di S. Teresa, di S. Francesco Saverio e di S. Gem m a G algani;
abbracci e carezze voluttuose, come racconta di se stesso
Sant’A lfo n so Rodriguez. A ltre volte l’azione diabolica giun­
ge a estremi e turpitudini incredibili, senza colpa alcuna da
parte di colui che le subisce IJ.

167 . 3. C ause d e l l ’ o s s e s s io n e d i a ­
b olica. - L ’ ossesio n e d ia b o lic a p u ò a v e re m o lte
cause:
a) L a p e rm issio n e d i D io che intende cosi purifi­
care l’ anima e aumentare i suoi m eriti. In questo caso
acquista il valore di una p ro v a passiva o notte m istica
dell’ anima. D a G io b b e al C urato d ’A rs si p u ò dire
che n on ci sia stato santo che, in una form a più o m eno
intensa, n on l ’abbia sperimentata qualche vo lta in vita.
b) L ’in v id ia e la su p e rb ia d e l d e m o n io che n on
può tollerare la vista delle anime che cercano con im ­
pegno la propria santificazione, la gloria di D io e la
salvezza del prossim o.
c) L ’ im p r u d e n z a d e ll’o sse sso , che ebbe l ’ audacia
di provocare o sfidare Satana com e se fosse cosa sem­
plice il vin cerlo. A b b iam o va ri esem pi di queste im pru­
denze, che le anime veram ente um ili n on si perm ette­
ranno mai.
d) B en ch é p iù di raro, p u ò avere origine anche dalla
p ro p e n s io n e n a tu ra le dell’ ossesso, che offre a Satana il
punto debole per attaccarlo. Questa ragione n on vale per
le ossessioni esterne, che n on hanno nulla a che vedere
col tem peram ento di colu i che le patisce; ma è im por­
tante per le ossessioni interne, che trovan o il terreno
favorevole in u n tem peram ento m elanconico e incline
agli scrupoli, alle inquietudini, alle tristezze. In ogni
caso, l’ ossessione, per quanto violenta, n on p riva mai

12 C f. R i b e t , L a mystique divine, III, 9, n.6.


394 I.A VITA CRISTIANA N EL SUO SVILU PPO ORDINARIO

il soggetto della sua libertà, e con la grazia di D io può


sempre essere vinta.

168 . 4. C o n d o t t a d e l d i r e t t o r e . - A n ­
zitutto è necessaria m olta discrezione e perspicacia
per distinguere la vera ossessione dalle m alattie nervose
e dagli squilibri m entali, con i quali ha m olti aspetti
com uni. Sarebbe eretico negare la realtà dell’azione dia­
bolica nel m ondo, dal m om ento che risulta espressa-
m ente attestata dalle fon ti della rivelazione ed è stata
com provata m ille vo lte con fatti indiscutibili nelle vite
dei s a n ti13. Però bisogn a riconoscere che numerosi
fenom eni apparentem ente diabolici hanno u n ’ origine
m olto più m odesta. Prudenza vu o le che n on si attribui­
sca all’ ordine soprannaturale o preternaturale quello
che in qualche m od o si pu ò spiegare m ediante cause
naturali.
U n direttore agirà con prudenza se si atterrà a queste
norme:
1) L ’ossessione non si produce ordinariamente se non
in anime m olto progredite nella virtù. Il demonio per per­
seguitare le anime ordinarie e m ediocri si accontenta di ten­
tazioni ordinarie.
2) O ccorre esaminare con ogn i diligenza se ci troviam o
di fronte ad un’anima normale, perfettamente equilibrata,
di sano giudizio, nemica delle esagerazioni, o se si tratta,
al contrario, di uno spirito inquieto, squilibrato, malaticcio,
isterico, tormentato dagli scrupoli, oppresso moralmente
da qualche complesso d’inferiorità.
T uttavia non si deve emettere un giudizio precipitato:
anche un soggetto isterico e squilibrato può essere vittima
dell’ossessione diabolica. L a diagnosi per stabilire quello
che spetta all’azione del dem onio e quello che dipende dallo
squilibrio nervoso in pratica non sarà facile, ma neanche

J3 A i n o s tri g io r n i si e sag era u n p o ’ t r o p p o la ten d en za a sp ieg a re tu t­


to p e r m e z z o d i cau se p u ra m en te ^naturali. A ra g io n e u n g ra n d e te o lo g o
la m en ta ch e « fo r s e q u esta, d i essere c io è riu sc ito a scu o te re in n o i la fed e
n e l s u o p o te re , è l a p iù p e ric o lo s a v itto r ia d i Satan a » (cf. D om Sto lz,
Teologia della mistica, al term in e d el c a p ito lo « L ’im p e ro d i S atan a» ).
LA LOTTA CONTRO IL DEMONIO 395

impossibile. In ogni caso, il direttore dovrà guardarsi da


una soluzione semplicistica attribuendo tutto a una causa
o tutto all’altra. Suggerisca all’anima tribolata le norme di
carattere morale richieste dal suo ufficio e per il resto la in­
dirizzi ad uno psichiatra o m edico cattolico.
;) M anifestazioni indiscusse di vera ossessione diaboli­
ca devono ritenersi certi segni visibili (traslazione da un
luogo all’altro di un oggetto mediante una mano invisibile),
o certe impronte (lividure, ferite) che si riscontrano nel pa­
ziente e che non trovano altra spiegazione plausibile, all’in-
fuori della crudeltà del demonio. A bbiam o già detto che il
demonio in genere non prende di mira le anime mediocri.
Potrebbe essere, tuttavia, che il Signore permetta l’ossessio­
ne diabolica in esse e persino nei peccatori induriti come
espiazione dei loro peccati, allo scopo di incutere loro un sa­
lutare orrore dell’inferno e convincerle della necessità di
uscire dal peccato per liberarsi dalla schiavitù di Satana.
4) Com provata la realtà dell’ossessione diabolica, il di­
rettore procederà con la massima pazienza e delicatezza.
T ali anime tormentate hanno bisogno dell’aiuto di qualcuno
che sappia cattivarsi la loro fiducia e sappia parlare lo ro in
nom e di D io . Il suo com pito principale sarà quello di rido­
nare la fiducia all’infelice e di sollevare il suo animo. Farà
vedere all’anima com e tutti g li assalti delFinferno risulteran­
no inutili se porrà la sua fiducia in D io e se non perderà la
serenità. L e parlerà dell’insensatezza del demonio, il quale
con i suoi assalti non farà altro che aumentare i meriti e la
bellezza della sua anima. L e ricorderà che D io sta con lei e
l’aiuta a vincere; che al suo lato si trovano M aria e l’A n gelo
custode, ben più potenti di Satana. L e raccomanderà di
disprezzare il dem onio, di sputargli in faccia qualora le si
presentasse in form a visibile, di armarsi del segno della
croce e dell’acqua benedetta, di frequentare i sacramenti,
di non cessare mai di com piere quello che il nemico vorreb­
be impedirle di fare, e di omettere quello che le suggerisce.
E siga da lei un resoconto dettagliato di tutto quello che av­
viene senza tacere nulla, per quanto duro ciò possa riuscir­
le. L e faccia vedere, infine, com e Iddio si serva spesso proprio
del demonio per purificare" l ’anima, e com e il m iglior m odo
per assecondare i piani divini sia quello di abbandonarsi
interamente alla sua santissima volontà, rimanendo nell’u­
miltà e nella confidenza, chiedendo solo la grazia di non
soccom bere alla violenza delle tentazioni.
5) N ei casi più gravi e persistenti il direttore spirituale
396 LA VITA CRISTIANA N EL S U O SVILU PPO ORDINARIO

dovrà far uno degli esorcismi prescritti dal Rituale Romano o


di altre form ule approvate dalla Chiesa. Però sempre iti
privato m e senza avvisare il paziente per non impressionarlo
o turbarlo. Basterà dirgli che si recita per lui un’orazione
approvata dalla Chiesa.

A r t ic o lo III

L a possessione diabolica

M olto più impressionante dell’ossessione, ma anche me­


no pericolosa e più rara, è la possessione diabolica. L a diffe­
renza fondamentale è data dal fatto che la prima è costituita
da una serie di assalti esterni del dem onio, mentre nella se­
conda c’è una vera presa di possesso del corpo della vittima
da parte di Satana,

169. i . E s is t e n z a . - L ’ esistenza della p o sse ssio ­


n e d ia b o lic a n o n si p u ò p o r r e in d is cu s s io n e e sem ­
b ra ap p arten ere al d e p o sito d e lla fe d e l5. N e l V a n g e lo
risco n tria m o va ri casi di v e ra p o sse ssio n e d ia b o lic a
e d u n o dei caratteri p iù im p re ssio n a n ti d e lla m issio n e
d iv in a d i C ris to è l ’a sso lu to d o m in io da lu i e se rcita to
su i d em o n i. C r is to li in te rr o g a c o n a u to rità: « Q u o d
tib i n o m en est ? E t d icit ei: le g io m ih i n o m en est,
q u ia m u lti sum u s » (M a rco 5,9); li o b b lig a ad a b b a n d o ­
nare la lo r o vittim a : « O b m u te s c e et e xi de h o m in e »
(M a rco , 2,25); p ro ib is c e lo r o di p ro cla m a rlo M essia:
« E t ve h e m e n te r co m m in a b a tu r eis n e m a n ife sta re n t
illu m » (M a rco 3,12); lib era u n g ra n n u m e ro d i in d e ­
m o n iati: « E t o b tu le r u n t e i... et q u id a e m o n ia h a b e b a n t...
e t c u r a v it eos » (M a t. 4,24); co n fe ris c e ai s u o i d is c e p o li
il p o te re di cacciare i d em o n i: « In firm o s cu ra te ... dae-

:4 Per g li esorcismi solenni si ^richiede il permesso espresso dell’ordinario


c l’uso delle dovute precauzioni (cf. C IC can. 1151-2).
15 C osi afferma Sch ràm : « I l est de fo i que le dém on peut, posséder
et obséder le corps des hom m es» (Théologie Mystìque, Paris, 1874, 1.1,
c.3; § 184 p. 4 3 ;).
LA LOTTA CONTRO IL DEMONIO 397

m o n es e iicite » (M at. i o , 8), i q u a li se ne v a lg o n o a


p iù riprese: « D o m in e , etiam d a em o n ia s u b iiciu n tu r
n o b is in n o m in e t u o » (L u ca 10 ,17); co m e p u re lo c o n ­
ferisce a S. P a o lo : « D o le n s a u tem P au lu s et co n v e rs u s
sp iritu i dixit: P ra e cip io tib i in n o m in e Ie s u C h risti
exire ab ea. E t e x iit e ad em h o ra » ( A t ti 16 ,18 ).
N e lla sto ria d ella C h iesa si s o n o re g is tra ti n u m e ro ­
sissim i ca si d i p o sse ssio n e d ia b o lic a e i san ti so n o in te r­
v e n u ti sp esso a lib erare le s fo rtu n a te v ittim e . In fin e
la C h iesa h a is titu ito g li esorcismi ufficiali c o n tr o Satana,
co n te n u ti n e l P o n tific a le e n e l R itu a le. N o n si p u ò ,
q u in d i, sen za m an ifesta tem e rità e p ro b a b ilm e n te senza
il risch io di in co rre re n elP eresia, n e g a re la realtà della
p o sse ssio n e d ia b o lica.
N é , d ’a ltro n d e , a m m etten d o la , ci tr o v ia m o d i fr o n ­
te ad in c o n v e n ie n ti d i o rd in e metafisico (n o n im p lica
c o n tra d d izio n e ), fìsico (n o n su p era le fo r z e d e l d e m o ­
n io ) , o morale (D io la p erm ette co m e p u n izio n e del
p e cca to o p e r ricav arn e u n m a g g io r bene).

170. 2. N a t u r a . - L a p o sse ssio n e d ia b o lica è u n


fe n o m e n o so rp re n d en te in v ir tù d el quale il d e m o n io
in v a d e il c o rp o d i u n u o m o v iv o e ne m u o v e g li o rg a ­
n i s eco n d o il su o a rb itrio co m e se si trattasse d i un a
co sa p ro p ria . I l d e m o n io si in tr o d u c e e risie d e rea l­
m en te n e ll’in te rn o del c o rp o d ella su a v ittim a e in
esso o p era e p arla. C o lo r o ch e s o ffr o n o q u e sta in v a s io ­
ne d isp o tica p re n d o n o il n o m e d i possessi, indemoniati
o energumeni.
L a p o sse ssio n e s u p p o n e e c o m p o rta d u e elem en ti
essenziali: a) la p resen za d e l d e m o n io n el c o rp o della
v ittim a e b) il su o im p e ro d is p o tic o su d i esso . Senza
d u b b io , n o n c ’è u n ’in fo rm a z io n e in trin se ca (co m e l ’a­
n im a è fo rm a so sta n zia le d e l c o rp o ), m a s o lta n to una
p e n e tr s z io n e o presa di possesso d el c o rp o . L ’ im p e ro su
d i esso è dispotico, p erò n o n co m e p rin c ip io in trin se co
398 LA VITA CRISTIANA NEL SU O SVILU PPO ORDINARIO

d e i su o i atti o m o v im e n ti, m a s o lta n to p e r u n d o m in io


v io le n to e d e ste rn o a lla so sta n za d e ll’a tto . S i p o tr e b ­
b e p a ra g o n a re a ll’a zio n e d e ll’a u tista ch e m a n e g g ia il
v o la n te d e ll’a u to m o b ile e n e d irig e l ’e n e rg ia d e l m o to ­
re d o v e v u o le le.
In ogn i caso, la presenza intima del dem onio rimane
circoscritta al solo corpo. L ’anima resta libera e se per l ’in­
vasione degli organi corporei l ’esercizio della sua vita co­
sciente è sospeso, non ne resta invasa ella stessa. Solo D io
ha il potere di penetrare nella sua essenza con la sua virtù
creatrice e di stabilirvi la sua dimora con l’unione speciale
della g ra z ia 17.
Il fine perseguito dal demonio con le sue violenze è di
perturbare l’anima e di trascinarla al peccato. M a l’anima
rimane sempre padrona di sé e, se si conserva fedele alla
grazia, trova nella sua libera volontà un asilo inviolabile l8.

N e lla p o sse ssio n e p o ssia m o d is tin g u e re d u e m o ­


m enti: lo stato d i crisi e lo stato d i calma. I periodi
d i crisi si m a n ifesta n o c o n e sp lo s io n i v io le n te d e l m ale
e la lo r o stessa v io le n z a ne im p e d isco n o la c o n tin u ità

16 « Talis assum ptio terminatur ad aliquam unionem quae esc motoris


ad m otum u t nautae ad navem , n on autem u t form ae ad m ateriam » (S,
T h ., In I I Sent. d.8, q .i , a.2, ad i).
x7 Cf. S. T h ., In I I Sent. d.8, q .i , a.5, ad 3: « Esse intra aliquid est esse
intra terminos eius. Corpus autem habet terminos duplicis rationis, scili-
cet quantitatis et essentiae; et ideo angelus operans intra terminos corpora-
lis quantitatis, corpori illabitur; n o n autem ita quod sit intra terminos
essentiae suae nec sicut pars, nec sicut virtus dans esse; quia esse est per
creationem a D eo . Substantia autem spiritualis non habet terminos quanti­
tatis, sed tantum essentiae; et ideo in ipsam non intrat nìs't ille qui dat esse, sci-
licet Deus creator, qui habet intrinsecam essentiae operationem; aliae autem
perfectiones sunt superadditae ad essentiam; unde angelus illuminans non
dicitur esse in angelo et in anima sed extrinsecus aliquid operari».
1 8 Cf. S. T h ., l.c .y ad 7: « Daem ones dicuntur incentores, in quantum
faciunt fervere sanguinem: et sic anima ad concupiscendum disponitur,
sicut etiam quidam cibi libidinem provocant. In voluntatem autem imprimere
so/ius D ei est, quod est propter libertatem voluntatis quae est domina sui
actus, et n on cogitur ab obiecto, sicut intellectus cogitur demonstratione.
U nde patet ex praedictis quod daemones im prim unt in phantasiam, sed
angeli etiam in intellectum; D eus autem solus in voluntatem ».
LA LOTTA CONTRO IL DEMONIO 399

e la durata. È il m om ento nel quale il dem onio si ri­


vela apertamente con atti, parole, convu lsion i, scatti
di ira e di empietà, oscenità e bestem m ie innom inabili.
N ella m aggio r parte dei casi, i pazienti perdono la
nozione di quello che avviene in essi, com e capita
nei m om enti acuti di certe m alattie e di certi dolori;
e rientrando in sé non conservano nessun ricordo
di quello che hanno detto o fatto, o m eglio di quello
che il dem onio ha detto o fatto per m ezzo loro.
Q ualche vo lta avverton o la presenza dello spirito
infernale all'inizio della crisi, quando com incia ad
usare dispoticam ente delle loro membra.
In certi casi, tuttavia, lo spirito del possesso rimane
libero e cosciente di sé durante il period o in cui l’azio­
ne diabolica si fa più violenta ed assiste con trepida­
zione a questa dispotica usurpazione dei suoi organi da
parte del male. T a le fu il caso del P. Surin, che, mentre
esorcizzava le O rsoline di L oudun, rimase possesso
egli stesso e restò in quella odiosa schiavitù per dodici
anni. Scrivendo al P. A ttich y, u n gesuita di Rennes,
il 3 m aggio 1635, fa una descrizione im pressionante
del suo stato interno.
« Io non so dire quello che passa in me durante questo
tempo né come tale spirito si unisca al mio senza toglierm i
né la coscienza né la libertà. E g li sta là come un altro io.
M i pare allora di aver due anime, una delle quali, priva
dell’uso dei suoi organi corporali, e mantenendosi come a
distanza, contempla quello che fa l’altra. I due spiriti com ­
battono sul medesimo campo di battaglia, il corpo. L ’ani­
ma rimane come divisa: aperta, da una parte, alle impressioni
diaboliche; libera di seguire, dall’altra, i propri m ovim enti
e quelli di D io . N ello stesso tempo, con il beneplacito di D io,
sperimento una grande pace e non acconsento alle sollecita­
zioni che tentano di separarmi da lui, con grande sorpresa
di coloro che mi vedono. Sono allo stesso tempo pieno d ’al­
legria e im bevuto d’una tristezza che si manifesta in lamenti e
grida, secondo il capriccio dei demoni. Sento in me lo stato
di condanna e lo temo; questa anima estranea, che mi pare
la mia, è trapassata dalla disperazione come da una freccia,
400 LA VITA CRISTIANA N E L S U O SVILU PPO ORDINARIO

mentre l’altra, piena di fiducia, disprezza tali impressioni e


maledice con piena libertà colui che le eccita. Riconosco
che le grida che escono dalla mia bocca partono ugualmente
da queste due anime, e non mi è possibile precisare se è
l’allegria o il furore a determinarle. Il tremore che mi in­
vade quando si avvicina a me l’Eucarestia proviene, mi pare,
dall’orrore che mi ispira questa prossimità e da un rispetto
pieno di tenerezza, senza che possa dire quale di questi due
sentimenti predomini. Se, sollecitato da una di queste due
anime, voglio fare il segno della croce sulla bocca, l’altra mi
ritiene il braccio con forza, e mi induce a prendere il dito coi
denti e a morderlo quasi con rabbia. Durante queste tem­
peste, l’orazione costituisce la mia consolazione; ad essa ri­
corro mentre il mio corpo rotola per terra e i ministri della
Chiesa mi parlano come ad un demonio e pronunziano ma­
ledizioni su di me. Non posso esprimervi quanto mi sento
felice di essere un demonio di tale sorta, non per una ribel­
lione contro Dio, ma per un castigo che mi scopre lo stato
nel quale mi ridusse il peccato; e mentre faccio proprie le
maledizioni che si pronunciano, la mia anima si può inabis­
sare nel suo nulla. Quando gli altri possessi mi vedono in
questo stato, bisogna vedere come trionfano: "Medico, cu­
ra te stesso; sali ora sul pulpito; sarà interessante sentirti
predicare dopo essere rotolato cosi per terra” . Il mio stato
è tale, che mi rimangono ben poche occasioni in cui possa
dirmi libero. Se voglio parlare, la mia lingua si ribella; du­
rante la messa mi vedo costretto a sostare repentinamente
e non posso avvicinare l’ostia alla bocca. Se mi confesso,
dimentico i peccati; e sento che dentro di me sta il demonio
come in casa sua, che entra ed esce quando e come gli gar­
ba. Se mi sveglio mi sta aspettando; se faccio orazione, agita
il mio pensiero a suo capriccio. Quando il mio cuore si apre
a D io, egli lo riempie di furore; se voglio vegliare, mi addor­
mento; e si gloria per bocca degli altri ossessi di essere il
mio padrone, la qualcosa in realtà non posso negare » “9.
N e i p e r i o d i d i c a l m a , nulla rivela la p re­
senza del dem onio nel corp o del possesso. Si direb­
b e che se n’ è andato. L a sua presenza si manifesta
m olte v o lte m ediante una strana malattia cronica che
esula dalle categorie patologiche registrate dalla scien­
za medica e resiste a tutti i rim edi terapeutici.

*9 Citato da R ib e t , L a mystique divine II I,io , n .ìo .


LA LOTTA CONTRO I L DEMONIO 401
A d ogn i m odo, la possessione n on è sem pre con ­
tinua, e il dem onio che ne è l ’autore p u ò uscire dall’e­
nergum eno per un certo tem po, per farvi ritorno e
riprendervi le sue odiose vessazioni, fin c h é dura la
perm issione divina. L ’elem ento essenziale della pos­
sessione, secondo il Cardinal D e B éru lle, « consiste pre­
cisamente in un diritto che ha lo spirito m aligno di
risiedere in un corp o e di farlo agire in qualche maniera;
p o co im porta che la perm anenza e l ’azione siano con ­
tinue o interrotte, violen te o m oderate, che si accom ­
pagnino alla privazion e di qualche atto debito alla
natura oppure aggiu n gan o u n torm ento sensibile » 20.
Si dà spesso il caso che siano molti i dem oni che
p o sseg go n o la medesima persona. Il V a n g e lo dice che
la M addalena fu liberata da C risto da sette dem oni
(M arco 16,9), e che erano una « legione » quelli che
s’im padronirono dell’uom o di G erasa ed entrarono
p o i in una m andra di due m ila p o rci (M arco 5,9-13).
Q uesti esempi evangelici si sono ripetuti lu n g o i se­
coli. Facciam o notare, tuttavia, che n on sem pre me­
ritano credito le dichiarazioni del dem onio, padre della
m enzogna.

17 1. 3. Segni della possessione diabolica. -


Per n on esporre la nostra fede al discredito de­
g li increduli, occorre andare m olto cauti prim a di
pronunciarsi sull’autenticità di una possessione dia­
bolica. V i sono num erose m alattie nervose che
presentano caratteri esterni m olto sim ili a quelli
della possessione, n é m ancano p o veri squilibrati
e spiriti perversi che hann o tale abilità nel sim u­
lare g li orrori della possessione, da indurre in errore
il più circospetto osservatore. P er fortuna, la Chiesa

20 Traiti des Energum. c.6, n .i, p .14 . Citato da R ib e t , L a mystique divine


I I I,io , n .iz .
402 LA VITA CRISTIANA NEL SUO SVILU PPO ORDINARIO

è venuta in nostro aiuto e ha dettato norm e sapientis­


sime per scoprire la frode. Si tenga com e regola che
i casi di vera possessione sono molto rari e che, dovend o
sbagliare, è preferibile peccare di diffidenza che di
credulità. N o n bastano le stranezze del male, le agita­
zion i del paziente, le bestem m ie, l ’orrore per le cose
sante. T u tte queste m anifestazioni a v o lte si accom ­
pagnano alla vera possessione, ma n on presentano i
caratteri della certezza e dell’infallibilità, giacché nes­
suno oltrepassa le possibilità della m alvagità o delle
fo rze umane.
Il Rituale R om ano, nel capitolo D e exorcì%andis ob-
sessis a daemonio, dop o aver raccom andato prudenza
e discrezione prim a di em ettere un giu d izio 21, elenca
alcuni segni che perm ettono di diagnosticare con una
certa sicurezza l ’esistenza di u n ’autentica possessione:
parlare « con ricchezza di vo cab oli » una lingua scono­
sciuta al paziente, o intendere perfettam ente colui che
la parla; scoprire cose occulte o distanti; ostentare fo r­
ze m olto superiori alla propria età e condizione, e
altri del genere. P iù questi segni sono num erosi più
forti diventano g li indizi 22.

Diam o una breve spiegazione di tali segni:


a) Parlare lingue sconosciute. - Bisogna essere molto
cauti nella valutazione di questo segno. L a psicologia speri­
mentale ha registrato casi sorprendenti di soggetti patolo­
gici che all’im provviso com inciarono a parlare in un idioma
che avevano studiato e che poi avevano dimenticato o nel
quale avevano udito parlare o leggere altri che lo sapevano.
La serva di un pastore protestante recitava in greco e in

21 « I n p rim is, n e fa cile cred a t aliq u em a d a e m o n io o b se ssu m esse, sed


n o ta h ab eat ea sig n a, q u ib u s ob sessu s d ig n o sc itu r a b iis q u i v e l atra b ile
v e l m o rb o a liq u o la b o ra n t ».
23 « S ig n a au tem ob sid en tis d a em o n is sunt: I g n o ta lin g u a lo q u i p lu -
rib u s v e rb is, v e l lo q u e n te m in tellig ere; d istan tia et o c c u lta p atefa cere,
v ire s su p ra aetatis seu co n d itio n is n atu ram esten d ere; e t id g en u s alia;
qu ae, c o m e p lu rim a co n c u rru n t, m aio ra s u n t in d ic ia » .
LA LOTTA CONTRO IL DEMONIO 403

ebraico brani che aveva udito leggere dal suo padrone. Per­
ché questo segno costituisca una prova decisiva dev’essere
ben assodata la mancanza di ogni precedente relazione del
soggetto nei confronti di tale idioma e la presenza di altri
segni inequivocabili di possessione, quali lo spirito di be­
stemmia, l’orrore istintivo e incosciente per le cose san­
te, ecc.
b) R ivelazione di cose occulte o distanti senza una causa
naturale che le possa spiegare. Occorrono anche qui i pie­
di di piombo. Si sono dati singolari fenomeni di telepatia
e di cumberlandismo la cui spiegazione è puramente natu­
rale. D ’altra parte, la conoscenza dei futuri contingenti e
del segreto dei cuori sfugge anche agli angeli, che ne hanno
solo una cognizione congetturale 23 .
Occorre ancora tenere presente la possibilità di una di­
vinazione puramente fortuita e casuale. Perché questo segno
rivesta carattere di vera certezza deve essere molto vario e
deve essere accompagnato da altri segni non dubbi di posses­
sione. Da solo non sarebbe sufficiente a dare una certezza
assoluta. Il Rituale Romano si comporta con molta accor­
tezza quando esige la presenza di più cause per generare
una vera certezza.
c) L ’uso di forze notevolmente superiori a quelle natu­
rali del soggetto si presta anche all’equivoco. Ci sono stati
patologici di particolare frenesia che raddoppiano e tripli­
cano persino le forze normali di un soggetto. Tuttavia, al­
cuni fatti, come volare ad una grande altezza e distanza quasi
si avessero le ali, mantenersi sospesi a lungo nell’aria senza
punto d’appoggio, camminare con i piedi sul soffitto o con
la testa all’ingiù, sollevare con facilità pesi che più uomini
non potrebbero muovere, ecc., sono manifestamente preter­
naturali.
Quando qualcuno di questi fenomeni si presenta unito
ad altri segni sicuri di possessione (soprattutto l’istintivo
orrore di quello che è santo e lo spirito di bestemmia),
si potrà pensare, senza imprudenza, ad un’azione diabolica.

*3 S. TH ., In 1 1 S*nt. d.8, q .i , a.5, ad 5: « Cogitùtiones cordium scire solini


D ei est. Possunt tamen angeli aliquas earum coniicere ex signis corporali-
bus exterioribus, scilicet ex im m utatione vultus, sicut dicitur: ” In vultu
legitur hom inis secreta voluntas” ; et ex m otu cordis, sicut per qualitatem
pulsus etiam a m edicis passiones animae- cognoscuntur » (Cf. 1,14,13).
24 A ffinché l ’orrore per le cose sante (acqua benedetta, reliquie, ecc.)
costituisca un segno manifesto di possessione deve essere veram ente /-
404 LA VITA CRISTIANA N EL S U O SVILU PPO ORDINARIO

L a form a con cui si presenta non è costante. A vo lte


sopravviene im provvisa e coincide co n la causa che
la origina. Il segno precursore, quando esiste, è d ’ord i­
nario r ossessione in una delle form e sensibili che abbia­
m o descritte. Prim a di entrare e stabilire la sua dim ora
nell’uom o si agita al di fu ori, com e il nem ico che pre­
para l ’assalto alla piazzaforte che v u o le occupare. D io
perm ette queste m anifestazioni esterne allo scopo di
far conoscere l ’invasione interna, della quale sono il
preludio, e per ispirarne un più p rofon d o orrore.

172. 4. Cause della possessione diabolica. -


D i regola, la possessione si riscontra soltanto nei p e c­
catori, ed è data com e castigo per i peccati; però ci
sono delle eccezioni, com e quella del P. Surin e di
Suor M aria Crocifissa, carm elitana araba, m orta in con ­
cetto di santità a Betlem m e nel 1878. In tali casi la
possessione acquista il valore di una prova purificatrice.
L a possessione è sempre regolata dalla perm issione
divina. Se gli spiriti m aligni potessero realizzarla a
loro arbitrio, tutto il genere um ano ne sarebbe vittim a.
M a D io li trattiene, ed essi n on posson o dispiegare
le loro violenze se n on nella m isura che la sua p ro v ­
videnza perm ette. È difficile in pratica stabilire la ra­
gione ultim a di una determ inata possessione. In m olti
casi si tratta di un segreto che D io serba per sé, di
una profonda unione di m isericordia e di giustizia.
Indicherem o, tuttavia, le principali cause dalle quali
suole dipendere:

1) L a richiesta della stessa vittim a. - Per quanto strano


possa apparire, si sono dati parecchi casi nei quali è stata

stintivo e incosciente in colui che lo soffre, ossia, deve reagire dinanzi ad esse
ten^a sapere che viene sottomesso a tale trattamento e che n on esperimenti nes­
suna reazione quando g li viene applicato un altro o ggetto non sacro. D i­
versamente, non si può escludere in m odo assoluto l’im postura e l’inganno.
LA LOTTA CONTRO IL DEMONIO 405
fatta una simile richiesta. Sulpizio Severo ra cco n ta 25 che
un santo uom o il quale esercitava sui demoni un meravi­
glioso potere, un giorno fu preso da un sentimento di vana­
gloria e chiese al Signore che lo consegnasse per cinque mesi
in balia del demonio e lo rendesse simile ai miserabili che egli
aveva tante volte curato. Immediatamente il demonio s’im-
padroni di lui facendogli subire tutte le violenze della pos­
sessione. Passati i cinque mesi fu liberato non solamente
dalla possessione diabolica, ma anche da ogn i sentiménto di
vanità.
Talora questa richiesta viene rivolta a D io da persone
in buona fede, specialmente donne, con il pretesto di patire
per Cristo. A ragione avverte Schramm che una tale domanda
è almeno imprudente. G li esempi di certi santi sono più da
ammirarsi che da imitarsi, perché suppongono uno speciale
istinto dello Spirito Santo che sarebbe temerario presu­
mere l6.
A ltre volte la petizione è diretta al demonio stesso, col
quale si stabilisce una specie di patto in cambio di qualche
vantaggio temporale, quasi sempre di indole peccaminosa.
Questi disgraziati conferiscono volontariamente al demonio
uno spaventoso potere su di sé, dal quale sarà difficilissimo
liberarsi, e si espongono al pericolo della dannazione eterna.
2) I l castigo per il peccato. - È la causa più comune.
Ordinariamente D io non permette questo grande male se
non per castigare il peccato e per ispirare un grande orrore
verso di esso.
Fra i peccati, ce ne sono alcuni i quali sembrano merita­
re in modo speciale questa punizione. Un grande specialista
in materia, T hyrée J7, ricorda l’infedeltà e l ’apostasia, l’a­
buso della SS. Eucarestia, la bestemmia, l’o rgo glio , gli ec­
cessi della lussuria, dell’invidia e dell’avarizia, la persecu­
zione contro i servi di D io , l ’empietà dei figli verso i geni­
tori, le violenze dell’ira, il disprezzo di D io e delle cose sante,
le imprecazioni e i patti con i quali una persóna si consegna
al demonio. In generale, tutti i grandi delitti predispongono
a questa servitù orribile, che converte il corpo dell’uom o
in una dimora di Satana. La storia registra numerosi esempi
di questi spaventosi castighi, che fanno presentire ai pec­
catori quello che sarà l’inferno.

Cf. Dialog. 1 c.20: M L 20,196.


26 Cf. Tbéologie mystique t . i , p. i , c.3 , § 187?
27 Cf. D e daemoniacis p . 2, c.30, nn. 9-23.
406 LA VITA CRISTIANA N EL S U O SVILU PPO ORDINARIO

3) L a provvidenza di D io che vuole purificare un’ a n i­


ma santa. - N o n sono frequenti, ma si danno di questi casi.
Il più noto è quello del P . Surin.
D io abbandona, allora, il corpo di un o dei suoi servi
alla crudeltà di Satana, per santificarlo m aggiorm ente. Q u e­
sta terribile prova risulta di una m eravigliosa efficacia per
ispirare orrore verso il dem onio, tim ore del giudizio di D io ,
umiltà e spirito di orazione. D io sostiene con la sua grazia
questi servi fedeli che si vedono assaliti con tanto furore
dal nemico infernale.
Q uesta possessione risulta anche utile al prossimo.
L o spettacolo di una creatura che soffre le più atroci vio ­
lenze mostra, da una parte, l’odio, la rabbia, la furia
del demonio contro l’uom o, e, dall’altra, la misericordiosa
protezione di D io , il quale, com e nel caso di G iobbe, non
permette che il nemico incrudelisca più di quanto possano
sopportare le forze dei suoi servi. Inoltre il furore del de­
m onio che si scatena sui corpi dei possessi dà un’idea di quel
che avverrà nell’iriferno e fanno comprendere a tutti quanto
degne di compassione siano le anime schiave del peccato,
in continuo pericolo di dannarsi. Com e avverte S. A g o sti­
no «, gli uom ini carnali temono più i mali presenti che quel­
li futuri, e D io li ferisce nel tem po, onde si rendano conto di
quel che li attende nell’eternità.
L e possessioni, infine, servono per mettere in risalto
la divinità di G esù Cristo, il potere della Chiesa e il credito
dei santi. Il nom e di G esù Cristo invocato negli esorcismi
dai sacerdoti fa tremare i demoni e li costringe ad abbandona­
re i corpi che tormentano. D io non permette mai il" male
se non per ricavarne un bene m aggior.

173. 5 . Rimedi contro la possessione diaboli­


ca. - T u tto quanto tende a neutralizzare l ’azione del
dem onio sull’anima, purificandola, potrà utilizzarsi co ­
me rim edio generale e remoto contro la possessione >,
diabolica. Il Rituale ricorda alcuni rim edi più diretti '•
e specifici 29, ai quali si possono ricondurre tutti quel- ;

28 Contra Adimantum c. 17: M L 42, 159. c,


2 9 « A d m oneatur obsessus, si m ente et corpore valeat, u t prò se oret
D eum , ac ieiunet, et sacra confessione et com m unione saepius ad arbitri- j
um sacerdotis se com m uniat» (Rituale, D e exorcii(andis obsessis). ;
LA LOTTA CONTRO IL DEMONIO 407

li che ven g o n o suggeriti dagli autori specializzati in


materia.
E cc o i principali:
1) L a confessione sacramentale. - Poiché la causa più
comune della possessione è il castigo del peccato, si deve
anzitutto rim uovere questa causa mediante una confessione
umile e sincera. Si consiglia di farla generale: l’umiliazione e
la profonda rinnovazione dell’anima ch’essa suppone, le
conferiscono una m aggiore efficacia.
2) L a santa comunione. - Il Rituale Rom ano la racco­
manda con frequenza — saepius — sotto la direzione del
sacerdote. E se ne comprende la ragione. L a presenza e il
contatto di G esù Cristo, vincitore del dem onio, ha una par­
ticolare efficacia per liberare dalla schiavitù le sue disgra­
ziate vittim e. Tuttavia, la com unione va distribuita al pos­
sesso solo nei momenti di calma, evitando o gn i pericolo di
irriverenza o di profanazione 30.
3) L ’ orazione e il digiuno. - Certi dem oni si possono
cacciare solo con questi mezzi (Mat. 17,20). L ’orazione u-
mile e perseverante, accompagnata dal digiuno e dalla m orti­
ficazione, ottiene infallibilmente dal cielo la grazia della
guarigione. Q uesto rim edio non si deve mai omettere an­
corché si usino tutti gli altri.
4) I sacramentali. - G li oggetti consacrati dalle orazioni
della Chiesa hanno la virtù di neutralizzare l ’azione di Satana.
Particolarmente adatta si è rivelata Vacqua benedetta. S. T e ­
resa ne era devotissima, avendone esperimentato il suo
straordinario potere contro gli assalti diabolici 31.

3 ° « Sanctissima vero Eucharistia super caput obsessi aut aliter eius


corpori n on adm oveatur, ob irriverentiae periculum » (Rituale, D e exor-
ci^atidis obsessis).
31 « H o sperimentato varie v o lte che per volgere in fu g a il dem onio
e im pedirgli di tornare, n on v ’è m ezzo m igliore dell’acqua benedetta...
C iò fa vedere quanto sian grandi le pratiche della Chiesa e com e potent i
le parole liturgiche che com unicano all’acqua tanta virtù da renderla cosi
diversa da quella n on benedetta. Q uando v i penso m i sento inondare di
gioia » (S. T e r e sa , Vita, 31,4). E cco le parole del Rituale a cui allude la
Santa: « E x o rcizo te, creatura aquae... u t fias aqua exorcizata ad effu-
gandam om nem potestatem inim ici, et ipsum inim icum eradicare et ex-
lantare valeas cum angelis suis apostaticis... U t ubicum que fuerit aspersa,
408 LA VITA CRISTIANA N EL S U O SVILU PPO ORDINARIO

5) L a santa croce. - Il Rituale prescrive agli esorcisti


di tenere tra le mani e sotto gli occhi il Crocifisso Si è com ­
provato m olte volte che la sua sola vista basta a mettere in
fuga i demoni. Il segno della croce tracciato con la mano
è stato sempre in uso tra i cristiani e la Chiesa, che se ne
serve nella m aggior parte delle benedizioni, lo moltiplica
particolarmente n egli esorcismi. I santi liberavano molte
vo lte i possessi col solo segno della croce.
6) L e reliquie dei santi. - Il Rituale ne raccomanda
Fuso agli esorcisti 33. Il contatto di questi resti benedetti
e santificati produce nei dem oni la sensazione di carboni
accesi. L e reliquie della vera croce sono, tra tutte, le più pre­
ziose e venerate tra i cristiani e quelle che ispirano più orrore
agli angeli decaduti. R icordano ad essi l ’umiliante sconfitta
subita ad opera del Salvatore del m ondo che m ori appunto
inchiodato alla croce.
7) I santi nomi di Gesù e di M aria. - Il nom e di G esù
ha un’efficacia sovrana per mettere in fuga i demoni. L o
promise il Salvatore nel V angelo: « In nom ine meo dae-
monia eiicient» (M arco 16,17); 1° invocarono gli apostoli:
« Praecipio tibi in nom ine Jesu Christi exire ab eo. E t exiit
eadem hora» (A tti 16,18), e sempre lo si è invocato nella
Chiesa.
A nch e il nom e di M aria riesce odioso e terribile ai de­
moni. G li esempi della sua salutare efficacia sono innumere­
vo li e giustificano pienamente il comune sentiménto della
pietà cristiana, che vede nell’invocazione del nom e di Maria
un rim edio sovrano contro gli assalti del serpente infernale.

O ltre a questi m ezzi che o g n i cristiano p u ò usare


per suo conto con tro le vio len ze dei dem oni, la Chiesa
ne ha istituiti altri ufficiali, l ’uso solenne dei quali
riserva ai suoi legittim i m inistri: g li esorcismi.

per invocationem sancti nominis tui, omnis infestatio im m undi spiritus


abigatur, terrorque venenosi serpentis procul pellatur » (Orda ad facien-
dam aquam benedictam).
31 « H abeat prae manibus v el in conspectu crucifixum (D e exorci^an-
dis obsessis).
33 « Reliquiae quoque sanctorum , ubi haberi possint, decenter ac tuto
colligatae et coopertae, ad pectus v e l caput obsessi reverenter adm ovean-
tur; sed cayeatur ne res sacrae indigne tractentur, aut illis a daemone ulla
fia t iniuria» (D e exorcizandis obsessis).
LA LOTTA CONTRO IL DEMONIO 409
G li e so rc ism i. - La Chiesa, in virtù della potestà
di cacciare i dem oni ricevuta da G esù C risto, isti­
tuì l’ordine degli esorcisti, il terzo dei quattro ordini
minori S4. C on ferendolo, il v e sc o v o consegna all’ ord i­
nando il libro degli esorcism i e pronuncia queste pa­
role: « A ccip e, et com m enda m em oriae, et habe pote-
statem im ponendi manus super energum enos sive bap-
tizatos, sive cathecum enos ».
T u ttavia, siccom e l ’ esercizio di tale potestà suppone
m olta scienza, virtù e discrezione, la Chiesa non per­
m ette che se ne faccia uso pubblico e solenne se n on da
sacerdoti espressamente designati a questo com pito dal
ve sco vo diocesano 35. In privato qualsiasi sacerdote
pu ò fare uso degli esorcism i. In questo caso non
sono propriam ente sacramentali, ma sem plici orazio­
ni private, e la lo ro efficacia è, d i conseguenza, m olto
m inore.
A ltra cosa è lo s c o n g iu r o , che, con le debite con­
dizioni 36, p uò essere praticato anche dai laici. H a lo
scopo di cacciare il dem onio e di ridurre la sua azione
in virtù del nom e d ivin o, onde non abbia ad arrecare
danni spirituali e corporali. Si noti, tuttavia, che lo
scongiuro non va mai fatto in form a di supplica o
di deprecazione, trattando quasi il dem onio con be­
nevolenza e sottom issione, ma in ton o autoritario e
di ripulsa (« vattene, taci, esci d i qui »), e co n espres­
sioni di disprezzo e di disistima 37.
Il Rituale determ ina il rito da seguire n egli esor­
cism i solenni ed a ggiu n ge sapienti consigli. È ne­

34 C f. C IC can. 949.
35 C f. C IC can. 1151-3.
36 « Privatim omnibus quidem licitum est adiurare; solem niter autem
tantum Ecclesiae ministris ad id constitutis, e t cum E piscopi expressa
licentia» (S. A lfo nso d e ’ L ig u o r i , Tbeologia moralis I.3, tr.2, c .i, dub.7.
A ppendi*, D e adiuratione n.4, t.2, p.56).
37 C f. 11 -11 ,9 0 , 2 .
410 LA VITA CRISTIANA NEL SUO SVILU PPO ORDINARIO

cessario, anzitutto, provare bene la realtà della posses­


sione. O ttenuta l ’autorizzazione espressa del vesco vo ,
ci si prepari diligentem ente con la confessione sacra­
mentale, l ’ orazione e il digiuno. G li esorcism i si fac­
ciano di preferenza in una chiesa o cappella, alla pre­
senza di alcuni testim oni prudenti e pii, sufficiente-
mente robusti per insm obilizzare il paziente nei m o­
menti di crisi. L e interrogazioni siano fatte in form a
autoritativa e forte, ricalcando quelle indicate dal R i­
tuale. I testim oni resteranno in silenzio e in preghiera
senza mai interrogare il dem onio. Si ripeteranno le
riunioni fin o a quando il dem onio n on esce o dichiara
di essere disposto ad uscire. O ttenuta e com provata
la liberazione 38, l ’esorcista ringrazierà D io e lo p regh e­
rà perché im pedisca al dem onio di far ritorn o nel cor­
p o che d ovette abbandonare; ed esorterà, in pari tem ­
po, colui che è stato gu arito a benedire il Signore e
a fu g gire con ogn i diligenza il peccato per non cadere
di n u o vo in potere dello spirito infernale.

3 8 Si tenga presente che n on sempre la si otterrà. L ’esorcism o n on ha


l’efficacia infallibile dei sacramenti che operano ex opere operato. P u ò avveni­
re che n on sia conform e ai disegni di D io su una determinata anima o su
coloro che la circondano concedere la grazia della liberazione. N o n dim enti­
chiam o che il P . Surin rimase dodici anni sotto l ’odiosa schiavitù di Sata­
na. Tuttavia, g li esorcism i — com e insegna S. A lfo n so (I.3 n.193) — pro­
ducono sempre qualche effetto salutare, alm eno attenuando le fo rze del de­
m onio sul corpo del possesso.
LA LOTTA CONTRO LA PROPRIA CARNE 411

C A P IT O L O IV

LA LOTTA CONTRO LA P R O P R IA C A R N E

B ossuet , Traiti de la concupiscence; R ib e t , Uascétique cbrétienne c. 13;


T an qu erey , Compendio di Teologia ascetica e mistica nn. 193-98.

I l m ondo e il dem onio sono i nostri principali ne


m ici esterni. Però ne portiam o tutti uno interno m ille
vo lte p iù terribile: la nostra carne. I l m ondo si può
vincere con relativa facilità disprezzando le sue massi­
m e e le sue vanità; il dem onio si arrende al potere
soprannaturale di u n p o ’ d ’acqua benedetta; ma
la nostra carne ha le sue esigen te ed è difficilissimo
trionfare dei suoi assalti.
In due m aniere la nostra carne ci m u ove guerra:
a) con l ’orrore istin tivo per la sofferenza, e b) con
la sua insaziabile bram a di godere. Esam iniam ole par­
ti tamente.

A rtic o lo I

L a sete insaziabile di godimenti

È la tendenza caratteristica della nostra sensualità.


L ’orrore della sofferenza n on è che la conseguenza
lo g ica e l ’aspetto n egativo di questa sete. R ifu ggiam o
dal dolore perchè am iam o il piacere. Q uesta tendenza
al piacere prende il nom e di concupiscenza.

174. 1. N a tu r a d e lla c o n c u p is c e n z a . - S. T o m ­
maso, sulle orme di Aristotele, definisce la concu ­
4 12 LA VITA CRISTIANA NEL S U O SVILU PPO ORDINARIO

piscenza com e l ’appetito del piacere: « concupiscentia


est appetitus delectabilis ». Risiede propriam ente nel­
l ’ appetito sensitivo; ma appartiene anche all’anima,
giacché, data l ’intim a unione dell’anima e del corp o, il
bene dei sensi è pure il bene del tutto *.
Il piacere — anche sensibile e corporale — per sé
n on è cattivo. È stato D io , autore della natura, a po rlo
nell’esercizio di certe attività naturali — quelle che ten­
dono soprattutto alla conservazione d ell’in d ivid u o e
della specie — per facilitarle e stim olarle. T u ttavia,
d op o la colpa originale, venne m eno l'equ ilibrio del­
le nostre facoltà, che sottom etteva pienam ente alla
ragione i nostri appetiti inferiori; da allora la concu ­
piscenza o appetito del piacere si leva m olte v o lte con­
tro le esigenze della ragione e ci spinge al peccato. N es­
suno mai ha espresso con m aggio re vivacità e dram­
maticità di S. P aolo questo contrasto tra la carne e
lo spirito, questa lotta accanita e incessante che tutti
dobbiam o sostenere con tro noi stessi onde sottom et­
tere i nostri istinti corporali al controllo e al go vern o
della ragione illum inata dalla fede 2.
È difficile stabilire il limite che separa il lecito dall’il­
lecito nel piacere e mantenersi sempre nella sfera dall’one­
sto. Questa difficoltà appare evidente qualora si consideri
che l’uso dei piaceri leciti serve spesso di attrattiva e d’in­
centivo per quelli disordinati e illeciti. La mortificazione
cristiana consigliò sempre di privarsi di m olte cose lecite e
di m olti piaceri onesti; non perché si ostini a vedere il pec­
cato dove non c’è, ma a difesa e garanzia del bene, troppo
esposto al pericolo quando ci si avvicina imprudentemente
ai confini del male.
L e soddisfazioni concesse ad un senso risvegliano spes­
so gli appetiti degli altri. Il m otivo è che il piacere, localiz­
zato nei cinque sensi, si trova diffuso per tutto il corpo, e
quando se ne tocca uno si fa vibrare tutto l’organismo.
L ’affermazione vale soprattutto per il senso del tatto, che è

1 I -II .jo .i.


2 C f. Rom . 7,14-25; 2Cor. 12,7-10.
LA LOTTA CONTRO LA l'ROPRIA CARNE 413
presente in ogni punto del corpo e che, dopo il peccato ori­
ginale, tende ai piaceri animaleschi con una vivacità e una
violenza di gran lunga superiore a quella degli altri sensi.

N on ostante la m olteplicità degli istinti corporali,


la lotta principale s’ orienta attorno alle due tendenze
che presiedono alla conservazione dell’in d ivid u o e del­
la specie: la nutrizione e la generazione. L e altre si
m ettono quasi sempre al servizio di queste, che assor­
b on o e tiranneggiano l ’uom o. E d è necessario a gg iu n ­
gere che in queste due operazioni vitali, la concupi­
scenza cerca unicam ente il piacere e il godim ento,
senza nessun riguardo per il suo fine p rovvid en ziale e
m orale, che è la conservazione dell’in d ivid u o e della
specie. E cc o com e il B ossuet descrive questi due ec­
cessi che costituiscono la v e rg o g n a d ell’uom o:
« Il piacere del cibo li rende schiavi; invece di mangiare
per vivere, sembra — come dice un antico e dopo di lui
S. A go stin o — che vivano per mangiare. A nche coloro che san­
no regolare i loro desideri e prendono il cibo per sovvenire
alle necessità della natura, ingannati e sedotti dal piacere,
vanno oltre i giusti limiti; si lasciano vincere insensibilmente
dal loro appetito, e non credono mai di aver soddisfatto
interamente alle loro necessità finché i cibi e le bevande sol­
leticano i loro gusti. Cosi, dice S. A go stin o , la concupiscenza
non sa mai dove termina la necessità: ” nescit cupiditas ubi
finitur necessitas” . C i troviam o alla presenza di una malattia
che il contagio della carne com unica allo spirito: una ma­
lattia contro la quale non si deve mai cessare di combattere
adottando come rimedi la sobrietà e la temperanza, l’asti­
nenza e il digiuno.
Chi oserà pensare agli eccessi che si presentano in for­
ma m olto più perniciosa in un altro piacere dei sensi? Chi
avrà l’ardire di parlare o di pensare ad essi, dal momento
che non se ne può parlare senza vergogna e non si possono
pensare anche solo per fuggirli e detestarli, senza pericolo ?
O h Dio! Chi avrà il coraggio di parlare di quella piaga profon­
da e vergognosa della natura, di quella concupiscenza che
assoggetta l’anima al corpo con legami tanto dolci e stretti,
cosi difficili a spezzare e fonte di tanti spaventosi disordini
nel genere umano ? Maledetta la terra, maledetta la terra,
414 LA VITA CRISTIANA N EL S U O SVILU PPO ORDINARIO

una e m ille volte maledetta la terra, dalla quale sale continua­


mente un fum o tanto denso, vapori tanto neri, che si spri­
gionano da queste tenebrose passioni, occultandoci il cielo
e la luce, e attirandoci i fulm ini della giustizia divina! » 3.

Q ueste due specie di piaceri v e rg o g n o si stanno in


intim a relazione tra loro: una lauta m ensa prepara i
b o llo ri della carne; la go la è l ’anticamera della lussu­
ria. L a S. Scrittura spesso li associa 4 e l ’esperienza
conferm a o g n i gio rn o la parola ispirata. L a radice di
questa m utua e perniciosa influenza v a ricercata nella
natura stessa dell’uom o.
È incalcolabile il danno che tali appetiti n on m or­
tificati ci p o sson o arrecare: n on solo ci im pediscono la
perfezione, m a m ettono a repentaglio la stessa eterna
salvezza. T a le slittam ento verso il fan g o della terra è
diam etralm ente op posto alla perfezione cristiana, che
distacca l ’uom o dalle creature inferiori e lo eleva fino
all’intim a unione con D io . L ’u om o sensuale n on sola­
m ente n on sta u n ito a D io , ma perde il senso delle cose
divine, com e dice S. P aolo 6; la sua v ita riposa nei pia­
ceri del corpo. Schiavo delle sue passioni, ha abbando­
n ato le altezze lum inose dello spirito per im m ergersi
nella vo lu ttà della carne. Il m ondo della fede rimane
chiuso per lu i e n on ved e in esso che contraddizioni e
assurdità.
Q uanto abbiam o detto della sensualità in genere
risulta particolarm ente ve ro nella degradazione d ell’im ­
purità. E ssa sovverte com pletam ente i sensi e distrae
g li occhi dell’anim a dal cielo e dalle verità eterne 6.

3 B o ssu et, Traité de la concupiscence c.4.


4 « L u xurio sa res vinum , et tum ultuosa ebrietas» (Prov. 20,1); « V i-
num et mulieres apostatare faciunt sapientes, et arguent sensatos » (Eccli.
19,2); « E t nolite inebriari vin o, in quo est luxuria» (Ef. 5,18), ecc.
5 « Anim alis hom o n on percipit ea quae sunt Spiritus D ei; stultitia est
illi, et n on potest intelligere» (iC o r. 2,14).
6 « E t everterunt sensum suum , et declinaverunt oculos suos u t non
LA LOTTA CONTRO LA PROPRIA CARNE 415
« Volere che un uom o carnale — dice Bourdaloue —
nutra pensieri spirituali è volere che la carne diventi spirito;
ed ecco perché l’apostolo afferma che un uom o posseduto
da questa passione, anche se intelligente per altri aspetti,
non comprende e non conosce le cose di D io; esse non hanno
a che vedere con quelle che costituiscono il suo infelice pa­
trim onio... E cosi vediam o queste persone, schiave della
loro sensualità, quando la passione le sollecita, chiudere gli
occhi a tutte le considerazioni divine e umane... Perdono,
soprattutto, tre fondamentali conoscenze: di se stessi, del
proprio peccato, di D io » 7.

175 . z. Rimedi contro la concupiscenza. - L a


lotta contro la propria sensualità term ina solo con la
m orte. Essa tuttavia assume un carattere di partico­
lare violenza agli inizi della vita spirituale (via purga­
tiva), soprattutto per u n ’anima tornata a D io dopo
una vita di disordini e di peccati. L a ragione naturale
ci suggerisce alcuni rim edi utili nella pratica; i più ef­
ficaci, però, ci p roven gon o dalla fede e sono d ’indole
soprannaturale 8.
i) M ortificarsi nelle cose lecite. - L a prima precauzione
da prendere nella lotta contro la propria sensualità è quella
di non giungere mai al limite delle soddisfazioni permesse.
Pretendere di fermarsi in tem po e, con l’ausilio della ra­
gione, di avvertire il limite preciso oltre il quale comincia
il peccato, è una stoltezza. A ragione afferma Clemente A -
lessandrino che « ben presto faranno quello che n on è per­
messo coloro i quali fanno tutto quello che è permesso » 9.
D ’altra parte, com e si può conciliare con la perfezione
una condotta che non fa caso dei consigli e non tiene in con­
siderazione se non i precetti gravi ?
È incredibile fin dove si può giungere nella mortifica­
zione dei propri gusti e capricci senza com prom ettere af­
fatto, favorendo anzi, la salute del corpo e il benessere del­
l’anima! Se vogliam o mantenerci lontani dal peccato e cam-

viderent caelum , neque recordarentur iudiciorum iustorum » (Dan. 13,9).


7 B o u r d a lo d e , Serra, sur l ’impureté t.3, pp. 97-99.
8 C f. R ib e t, L ’ascéligue c.13 , nn .11-16.
9 Paeàagogus 1.2 c .i M G 8,399): « Cito enim adducuntur, u t ea faciant
quae n on licet, qui faciunt omnia quae l ’ cet ».
416 LA VITA CRISTIANA N EL S U O SVILU PPO ORDINARIO

minare a grandi passi verso la perfezione, è necessario sba­


razzarsi senza esitazione di un gran numero di sensazioni in­
tese a soddisfare la vista, l’udito, l’olfatto, il gusto e il tatto.
Ritornerem o su questo argom ento quando tratteremo della
purificazione dei sensi e ste rn iI0.
2) A m are la sofferenza e la croce. - N ulla si oppone tan­
to agli assalti della sensualità quanto il soffrire con calma
e costanza d’animo gli assalti del dolore e l’im porselo vo lo n ­
tariamente. T ale è stata sempre la condotta di tutti i santi,
che giunsero, a vo lte, fino all’incredibile nella pratica po­
sitiva della m ortificazione cristiana. La ricompensa per tali
privazioni è splendida anche su questa terra. V iene un m o­
mento in cui n on possono più soffrire perché hanno trovato
la loro gioia nel dolore. Frasi com e queste: « O patire o
m orire » (S. Teresa), « N o n morire, ma patire » (S. Maria
M addalena de’ Pazzi), « Patire, Signore, ed essere disprez­
zato per v o i » (S. G iovann i della Croce), « Sono giunta al
punto di non poter più soffrire, perché m i è dolce o gn i pa­
tim ento» (S. Teresina del Bam bino Gesù) suppongono un
m eraviglioso dom inio di sé e rappresentano la m igliore sal­
vaguardia contro g li assalti della sensualità.
3) Combattere l’ ozio. - Il seme della sensualità trova
un terreno propizio n ell’anima oziosa. L ’ozio è il padre di
tutti i vizi: « M ultam enim malitiam docuit otiositas » (Ec-
cli. 33,29), ma specialmente della voluttà della carne.
T ra tutte le occupazioni, quelle di indole intellettuale
sono particolarmente indicate per ostacolare la sensualità.
Infatti l’esercizio predom inante dell’intelletto sottrae alle
passioni sensuali gli oggetti che le alimentano. E l’espe­
rienza quotidiana sta li ad insegnarci che le voluttà della
carne oscurano e debilitano lo spirito, mentre la tempe­
ranza e la castità predispongono in m odo mirabile al lavoro
intellettuale.
4) Fuga delle occasioni pericolose. - È il più im por­
tante e decisivo rim edio d’ordine naturale. La volontà più
energica cade con facilità se viene sottomessa imprudente­
mente alla dura prova di una occasione suggestiva. S. A -
gostino parlando del suo amico A lip io , ci ha lasciato una
pagina drammatica a questo proposito «. N o n tengono pro­
positi energici n é determ inazioni irrem ovibili: tutto cede

10 C f. nn. 181-186.
11 C f. Confessioni 1.6 c.8.
LA LOTTA CONTRO LA PROPRIA CARNE 417
davanti alla forza terribile affascinatrice di un’occasione.
I sensi si eccitano, la fantasia si accende, la passione aumenta
di forza, si perde i controllo di sé e soggiunge, inevitabile
la caduta.
Soprattutto bisogna esercitare la più rigorosa vigilanza
sul senso della vista. Si ricordi la profonda sapienza racchiu­
sa nell’adagio popolare: « O cchio non vede, cuore non
duole ». C i sono dei temperamenti che non hanno difficoltà
a mantenersi buoni quando i loro occhi non incontrano in­
ciampi, ma soccom bono con incredibile facilità quando una
immagine suggestiva ferisce il loro sguardo.

F inora abbiam o parlato di m ezzi naturali. O ra v o ­


gliam o ricordare quelli che ci propone la fede. L a fede
ci consiglia:
5) Considerare la dignità del cristiano. - L ’uom o dotato
di un’anima razionale è superiore al m ondo animale. N on
dovrebbe quindi lasciarsi sopraffare dalla sensualità, che ha
in comune con le bestie, abbassando e sminuendo la sua di­
gnità.
Che dire poi della sua vocazione cristiana? Mediante la
grazia è stato elevato all’ordine soprannaturale, ha ricevuto
una misteriosa, ma reale, partecipazione alla natura divina
è divenuto figlio di Dio mediante un ’adozione intrinseca,
di gran lunga superiore alle adozioni umane. Finché si con­
serva in tale stato è erede del cielo per diritto proprio:
« si filii et heredes » (Rom. 8,17). L a sua dignità è tanto alta,
che non trova riscontro in tutto il resto della creazione, su­
pera anche la natura angelica considerata in sé stessa I2.
Per questo, S. Tom m aso non esita ad affermare che il bene
soprannaturale di un solo individuo, frutto della grazia san­
tificante, vale più del bene naturale di tutto l’universo l3.
O ra, sarà mai possibile che un cristiano, il quale crede
e pensa seriamente a queste verità, si lasci trascinare dalle
passioni più vili, privandosi alPim provviso della sua divina
grandezza e abbassandosi al livello dei bruti ? S. Paolo n on
trovava argom ento più forte per tener lontani dai disordini
della carne i primi cristiani: « N o n sapete che i vostri corpi

12 Ossia prescindendo dalla grazia santificante che hanno ricevuto anche


gli angeli, e considerando la lo ro natura angelica in quanto tale.
*3 « Bonum gratiae unius, maius est quam bonum naturae totius U n i­
versi» (I-II,ii3 ,9 ad 2)-
418 IjV VITA CRISTIANA NEL S U O SVILU PPO ORDINARIO

sono le membra di Cristo ? Prenderò io dunque le membra


del Cristo per farne le membra di una meretrice ?... O non
sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo,
che è in vo i, che avete da D io , e che vo i non vi appartenete ?
Poiché siete stati com prati a caro prezzo. Glorificate dunque
D io nel vostro co rp o » (iC o r. 6,15-20).
6) Considerare il castigo del peccato. - Se la nobiltà
di m otivi tanto elevati non impressionasse le intelligenze
avvilite dal peccato, potrà tornare utile considerare i castighi
riservati ai vizi della gola e della lussuria nel purgatorio
o nell’inferno. L a S. Scrittura ce ne offre numerosi esempi.
Il salmista chiede a D io che il timore dei suoi giudizi penetri
nella sua carne allo scopo di rimanere fedele ai suoi comanda-
menti " 4 . S. Paolo castigava il suo corpo e lo riduceva in
servitù, per non perdere se stesso dopo aver predicato agli
altri “5, ecc. Contro l’im peto della passione che ricerca avi­
damente il piacere, noti v ’è nulla di più opportuno che richia­
mare alla mente i tormenti dell’inferno o del purgatorio.
Perché, anche nell’ipotesi in cui l’uom o si sollevi dalla colpa
e conseguisca la remissione del peccato — cosa m olto in­
certa e che può mancare con facilità — , gli rimane ancora
un reato di pena temporale, che dovrà espiare in questa vita
con una dura penitenza o nell’altra con le terribili pene del
purgatorio. E il dolore che dovrà sopportare supera di gran
lunga il brevissim o piacere che ha conseguito peccando.
A nche da questo solo punto di vista, il peccatore realizza
un cattivo affare: la sua perdita è sicura.
7) I l ricordo della passione di Cristo. - I m otivi ispirati
dall’amore sono m olto più nobili di quelli che provengono
dal timore. G esù Cristo fu inchiodato sulla croce a causa
dei nostri peccati. Il peccatore approva tale misfatto dal
m om ento che crocifigge di n uovo G esù Cristo, rinnovando
la causa della sua morte. La più elementare gratitudine e la
delicatezza verso il Redentore deve trattenerci dal male. A n ­
che nella supposizione che nulla abbiano a che vedere i no­
stri peccati con la sua sofferenza, la considerazione di un
capo coronato di spine dovrebbe farci arrossire o gn i volta

r4 Sai. 118,120: « Confìge tim ore tuo carnes meas; a iudiciis enim tuis
tim ui ».
J 5 iC o r. 9,27: « Castigo enim corpus meum et in servitutem redigo, ne
forte cum aliis praedicaverim , ipse reprobus elficiar ».
LA LOTTA CONTRO LA PROPRIA CARNE 419
che andiamo alla ricerca del piacere, com e dice S. Bernardo ,6.
S. Paolo fa della mortificazione della carne la prova decisi­
va della reale appartenenza a Cristo *7. E S. Pietro afferma
che è necessario farla finita con il peccato perché Cristo pari
nella carne l8.
8) L ’ orazione um ile e perseverante. - Senza la grazia
di D io è impossibile trionfare della concupiscenza; e questa
grazia D io la concede infallibilmente a colui che prega con
le dovute disposizioni.
L ’autore della Sapienza riconosce apertamente di non
poter rimanere continente se D io non l’aiuta 's. L ’Ecclesia­
stico im plora d i essere preservato dalla concupiscenza e
dai desideri la s c iv i10. S. Paolo chiese tre volte al Signore di
essere liberato dallo stim olo della carne, e il Signore g li ri­
spose che gli bastava la sua grazia, la quale si perfeziona
nell’infermità ».
L ’efficacia dell’orazione ben fatta fu già ampiamente di­
mostrata nel paragrafo corrispondente “ .
9) L a devozione filiale a M aria. - L ’Immacolata, Ma­
dre di D io e Madre nostra, è anche la M ediatrice di tutte
le grazie, l’A vvocata e il R ifugio dei peccatori. Una profonda
e tenera devozione a Maria, la invocazione fiduciosa ed ar­
dente del suo nome nell’ora del pericolo costituisce una
infallibile garanzia di vittoria. S. A lfo n so Maria de’ Liguo-
ri soleva domandare a chi temeva di avere acconsentito al­
la tentazione: « Hai invocato M aria?» . L a risposta affermati­
va rappresentava per il santo una prova decisiva della v it­
toria di quell’anima.
10) La frequenza a i sacramenti. - È il rim edio più

16 In festo omnium Sanctorum serm.5 11.9 (M L 183,480): « Pudeat sub spi­


nato capite, membrum fie ri delicatum ».
*7 G al. 5,24: « Q u i autem sunt Christi, carnem suam crucifixerunt
cum vitiis et concupiscentiis ».
18 iP ie t. 4,1: « Christo igitur passo in carne, et v o s eadem cogitatione
armamini; quia qui passus est in carne, desiit a peccatis ».
r 9 Sap. 8,21: « E t u t scivi quoniam aliter non possem esse continens,
elisi D eus det; ...adii D om in um et deprecatus sum illum ».
20 Eccli. 23,6: « A u fer a me ventris concupiscentias et concubitus con-
cupiscentiae ne apprehendant m e, et animae irreverenti et infrunitae ne
tradas me ».
21 2Cor. 12,7-8.
22 Cf. n.105.
420 LA VITA CRISTIANA N EL SUO SVILU PPO ORDINARIO

sicuro ed efficace contro ogn i specie di peccato, soprattutto


contro gli assalti della concupiscenza.
L a Confessione non solamente cancella le mancanze passate,
ma ci dà forze ed energie onde preservarcene in futuro.
L ’anima che si sente schiava dei vizi della carne deve accor­
rere anzitutto a questa fonte di purificazione, regolando la
frequenza delle sue confessioni secondo le forze di cui ha
bisogn o per non cadere, non per sollevarsi dalla colpa dopo la
caduta. È errata l ’abitudine di accostarsi al sacramento solo
dopo che si è registrata la caduta; cosi facendo non si giungerà
mai all’estirpazione dell’abito vizioso, anzi esso andrà sem­
pre più radicandosi, per la ripetizione degli stessi atti. È
necessario prevenire le cadute, avvicinandosi ;al sacramento
della penitenza ogn i qualvolta l ’anima avverte che sta ca­
lando di forze e non si sente più sicura di ricacciare la ten­
tazione. Se, per conseguire la stabilità spirituale, agli inizi lo
si ritiene necessario, non bisogna esitare a confessarsi anche
due o tre volte alla settimana. N é si pensi di esagerare.
N o n si è mai troppo solleciti quando si tratta di liberarsi
dalla schiavitù del peccato e incominciare a respirare l’aria
pura della libertà propria dei figli di D io.
Sarà di grande utilità avere un confessore fisso al quale
manifestare tutta la nostra anima e dal quale ricevere l’aiu­
to e il consiglio. Il dover sempre rendere conto della pro­
pria anima allo stesso confessore impedisce i v o li dell’im-
maginazione e frena l’im peto delle passioni.
La S. Comunione ha un’efficacia sovrana contro le con­
cupiscenze della carne, poiché in essa riceviam o, vero e
reale, l’agnello di D io che toglie i peccati del m ondo.
L a sua anima santissima trasmette alla nostra le grazie di
fortezza e di resistenza contro il potere delle passioni.
L a sua carne purissima a contatto con la nostra peccatrice
la spiritualizza e divinizza. N o n per nulla l’Eucaristia è
stata chiamata il pane degli angeli e il vin o che genera i
vergini. I giovani, soprattutto, necessitano di questo divino
rimedio. L ’esperienza nella direzione delle anime mostra
chiaramente che non c’è nulla di tanto utile ed efficace per
mantenere un giovane nella temperanza e nella castità quan­
to la Com unione frequente e quotidiana.
LA LOTTA CONTRO LA PROPRIA CARNE 421

A rtico lo II

L ’ orrore della sofferenza

L'aseétique chrétimm c . 4 2 ; Z a c c h i , O .P ., I l problema del dolore;


R ib e t ,
T an qu erey, I.a divinizzarne della sofferenza; G a r r i g o u - L a g r a n g e , U a -
mour de D ieu et la croix de Jésus.

È il secondo aspetto della lotta contro la carne. Q uan­


tunque non v i si opponga cosi direttamente com e la ricerca
del piacere, l’orrore della sofferenza rappresenta il m aggior
ostacolo per la nostra santificazione. L a m aggior parte
delle anime si arresta nel cammino della perfezione perchè
non riesce a dominare l’orrore della sofferenza. Solamente
colui che. al dire di S. Teresa *3, sa prendere la « risoluzio­
ne ferm a e decisa » di affrontare la sofferenza e, se è neces­
sario, la morte, riuscirà a raggiungere le supreme altezze
della santità. C olui che manca di questo coraggio, può ri­
nunciare in partenza alla santità: non v i giungerà mai.

D a qui la necessità di trattare con una certa am­


piezza questo punto.

176 . 1. N e c e s s i t à della s o f f e r e n ­
z a . - L a sofferenza ha un valore n on com une sia per
riparare il peccato che per conseguire la santità.
a) P e r rip arare i l p e c c a to . - Il peccato è sempre la
conseguenza di una sm odata ricerca del piacere. È
quasi naturale, quindi, che debba venir riparato m edian­
te l ’accettazione di una sofferenza. L a principale ripa­
razione è stata operata da Cristo con la suà dolorosa
passione e m orte, il cui prezzo infinito ci viene com u-

23 S. T e r e s a , Cammino 2 1 , 2 : « D ic o che si deve prendere una risoluzio­


ne ferma e decisa di non mai fermarsi fino a che n on sì sia raggiunta quella
fonte. A v v e n g a quel che v u o l avvenire, succeda quel che v u o l succede­
re, m orm ori chi v u o l m ormorare, si fatichi quanto bisogna faticare: ma a c o ­
sto di m orire a m ezza strada, scoraggiati per i m olti ostacoli che si pre­
sentano, si tenda sempre all? meta, ne vada tutto il m ondo! ».
422 LA VITA CRISTIANA NEL S U O SVILU PPO ORDINARIO

nicato nei sacramenti; però anche il cristiano, com e


m èm bro di C risto, n on p u ò ign orare la riparazione of­
ferta dal suo C apo. M anca qualcosa — afferma S. P ao­
lo (Col. 1,24) — che deve essere posto dalle sue m em ­
bra cooperando con C risto alla propria redenzione. E ,
infatti, l ’assoluzione sacramentale — a m eno che non
si verifichi una contrizione m olto intensa 24 ■ — n on ci
rim ette tutta la pena d ovu ta per il peccato che in qual­
che m odo deve essere espiata in questa vita o nell’ al­
tra (M at. 5,26).
b) P e r sa n tifica re l ’a n im a . - La santificazione, co­
me abbiam o visto nella prim a parte di quest’ opera 25,
consiste in un processo o g n i vo lta p iù intenso di in cor­
porazione a C risto. Si tratta di una vera cristificazione,
alla quale d evon o pervenire tutti quelli che vo g lio n o
conseguire la santità. Il santo, in ultim a analisi, n on è
che una fedele riproduzione di C risto, un altro Cristo.
O ra il cam m ino che ci unisce e ci trasform a in lui,
ci è stato indicato da C risto stesso in una form a che non
ammette equivoci: « Se qualcuno v u o l venire dietro di
me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e m i segua »
(M at. 16,24). N o n ci sono alternative: dobbiam o andare
incon tro al dolore caricandoci sulle spalle la croce e
seguire C risto fino alla som m ità del Calvario; n on per
contem plare com e lo crocifiggon o, ma per lasciarci
crocifiggere con L u i. U n santo in gegn o so ha p o tu to
stabilire la seguente uguaglianza: santificazione, uguale
a cristificazione; cristificazione, uguale a crocifissione.
L o spirito m oderno e l ’am or p rop rio um iliato p o ­
tranno scovare e prop orre sistem i di santificazione
com od i e facili: essi saranno tutti inesorabilm ente
condannati all’insuccesso. N o n è possibile una san-

24 III, 86,4-5.
*5 Cf. nn. 13-22.
LA LOTTA CONTRO LA PROPRIA CARNE 423

tificazione senza l ’im m olazione con Cristo. S. G iovan ni


della C roce ne era tanto con vin to che giunse a scrivere:
« Se le accadesse, fratello m io, di sentirsi indotto da
qualcuno, sia o non sia prelato, a dottrina di larghezza
e di m aggiore com odità, non la creda né l ’abbracci, anche
se confermasse le sue parole con i miracoli.
A l contrario, penitenza, m aggior penitenza e distac­
co da tutte le cose! Giamm ai, se vuole arrivare a possede­
te Cristo, lo cerchi senza la Croce... » j6.

177. 2 . E c c e l l e n z a d e l l a s o f f e r e n z a .
- Il dolore cristiano appare in tutta la sua eccellenza so­
lo se lo m ettiam o in relazione con i num erosi v a n ta g ­
gi che procura all’anima. I santi, che se ne erano resi
consapevoli, erano assetati di sofferenza. C onsideran­
do bene le cose, il dolore dovrebbe avere più attratti­
ve per il cristiano che il piacere per il pagano. L a soffe­
renza passa; l’ avere ben sofferto n o n 'p a sse rà mai;
lascerà la sua orm a nell’eternità.
1) E spia i nostri peccati. - L o abbiamo già considera­
to. Il reato di pena temporale che lasciano i peccati, come
triste ricordo della loro presenza nell’anima, occorre pa­
garlo a prezzo di dolore in questa vita o nell’altra. Se ab­
bracceremo la sofferenza in questa vita, soffrirem o m olto
meno che nel purgatorio e aumenteremo nello stesso tem­
po i meriti e il grado di gloria per tutta l ’eternità.
2) Sottomette la carne allo spirito. - E una esperienza
che già doveva aver fatto S. Paolo quando scriveva ai C o ­
rinti: « Castigo il mio corpo e lo riduco in servitù » (iC o r.
9,27). L a carne tende a dominare lo spirito. Solo a forza
di m ortificazioni e di privazioni è possibile ridurla all’or-
dine e farle lasciare in libertà l’anima. È un fatto com pro­
vato mille volte nella pratica che più si consentono com odi­
tà al corpo, più esso diventa esigente, S. Teresa lo fa
notare con molta grazia alle sue monache, persuasa della
grande importanza che questa verità ha nella vita spiritua­
le *7. Invece, quando il corpo viene sottomesso a un regime

;f; Lettera al P. G iovan n i di S. A nna, n.23. •


27 « I l nostro corpo ha questo di brutto, che p iù si ved e contentato,
più si mostra esigente. È cosa di averne m eraviglia osservare quanto desi-
424 LA VITA CRISTIANA NEL SU O SVILU PPO ORDINARIO

di sofferenze e di severe restrizioni, finisce col . ridurre


al minimo le sue esigenze *8.
3) Ci distacca dalle cose terrene. - N on c’è nulla che
ci faccia sperimentare con tanta forza che la terra è un e-
silio quanto gli stimoli del dolore. L ’anima solleva i suoi
occhi al cielo, sospira alla patria eterna e impara a di­
sprezzare le cose di questo m ondo im potenti a soddisfare
le sue aspirazioni.
4) Ci purifica e ci abbellisce. - Com e l’oro si purifica nel
crogiuolo, così l’anima si affina nel dolore. O gn i peccato
è un disordine e, quindi, una deformità, una vera brutterà
dell’anima, mentre la bellezza è data dallo « splendore del­
l’ordine ». Per conseguenza, tutto quello che tende a distrug­
gere il peccato o a cancellare i suoi effetti coopera all’ab­
bellimento dell’anima.
5) Ottiene tutto da D io. - D io non respinge mai i gemiti
di un cuore che soffre. E g li stesso dichiara nella S. Scrit­
tura di non saper negare nulla a coloro che ricorrono
a lui con gli occhi pieni di lacrime *9. G esù Cristo operò
tre volte il m iracolo della risurrezione di un m orto, commosso
dalle lacrime di una madre (Luca 7, 11-17), di un padre
(Mat. 9, 18-26) e di due sorelle (G iov. 11,1-44). E procla­
m ò beati coloro che soffrono e piangono perché saranno
consolati (Mat. 5,5).
6) C i fa veri apostoli. - Una delle più meravigliose rea­
lizzazioni delPeconomia della grazia è la comunione dei
santi. In forza di questa solidarietà soprannaturale, D io
accetta il dolore che gli viene offerto da un’anima in grazia,
per la salvezza di un’altra anima particolare o per quella
dei peccatori in generale. È incalcolabile la forza redentrice
del dolore offerto alla divina giustizia con fede viva e con
ardente amore tramite le piaghe di Cristo. Quando tutto
sembra fallito, rimane sempre il dolore per ottenere la sal­
vezza di un’anima che si ostina nel male. A un parroco
che si lamentava della indifferenza dei suoi fedeli e della

d eli di essere contentato! E siccom e pretesti non g li m ancano, al minim o


bisogno che sente, inganna la povera anima e le im pedisce di avanzare!
('Cammino 11,2).
28 « Persuadetevi, figliu ole, che quando il nostro corpo com incerà ad es­
sere vin to, ci lascerà in pace, né pili ci torm enterà» (S. T e r e s a , iviy 11,4).
29 « Q uoniam ... em ollitum est cor tuum , et humiliatus est in cons
ctu D ei... et flevisti coram me, ego quoque exaudivi te » (2Par. 34,27).
LA LOTTA CONTRO LA PROPRIA CARNE 425

sterilità del suo zelo, il santo Curato d’A rs rispose: « A v e ­


te predicato ? A ve te pregato ? A ve te digiunato ? V i siete
disciplinato ? A v e te dorm ito su un duro giaciglio ? Fin­
ché non v i risolverete a fare questo, non avete il diritto
di lamentarvi » 3°, L ’efficacia del dolore è sovrana per ri­
suscitare un’anima morta per il peccato. Furono le lacrime
di S. M onica ad ottenere la conversione di A go stin o . E
g li esempi si potrebbero moltiplicare 3>.
7) C i rende sim ili a Gesù e a M aria. - L e anime illuminate
da D io , che hanno compreso profondam ente il mistero
della nostra incorporazione a Cristo, hanno sentito sempre
una vera attrattiva per il dolore. S. Paolo considera come
una grazia specialissima la sorte di poter soffrire con Cri­
sto 3> per configurarsi con lui nei suoi patimenti e nella
sua morte 33. E g li Stesso dichiara di vivere crocifisso con
Cristo 34 e di non gloriarsi se non nella croce di G esù per mez­
zo della quale vive crocifisso al m ondo 35. E quando pensa
che la m aggior parte degli uom ini non com prende la sublime
missione del dolore i suoi occhi si riem piono di lacrime 36.
A ccan to a G esù il Redentore, sta Maria, la Correden­
trice dell’umanità. L e anime innamorate dell’A ddolorata
sentono una particolare inclinazione ad imitarla nei suoi
ineffabili dolori. D avanti alla Regina dei martiri sentono
vergo gn a di andare sempre in cerca di com odità e di pia­
ceri. Sanno che, se vo g lion o rassomigliare a Maria, devono
abbracciare la croce, e l’abbracciano realmente con vera
passione 37.

Si noti la singolare efficacia santificatrice che, sotto

3° T r o c h u , V ita del Curato d’A r s c . 1 5 .


31 C f. P l u s , L ’ idea riparatrice; Cristo nei nostri fratelli p. 2, 1. 3; E . Le-
seu r, Lettere sulla sofferenza.
33 « Q u ia vobis donatum est p rò Christo, non solum u t in eum cre-
datis, sed u t etiam prò ilio patiamini » (Fil. 1,29).
33 « A d cognoscendum illum , et virtutem resurrectionis eius, et societa-
tem passionum illius, configuratus m orti eius » (Fil. 3,10).
34 « Christo confixus sum cruci » (Gal. 2,19).
35 « M ih i autem absit gloriati, nisi in cruce D o m in i N o stri Jesu Chri-
sti, per quem m ihi mundus crucifixus est, et ego m undo » (Gal. 6,14).
36 " ... nunc autem et flens dico, inim icos crucis C h risti» (Fil. 3,18).
3 7 C f. S. L u i g i M . G r i g n o n d e m o n t f o r t , Lettera circolare agli A m ici
della Croce.
426 LA VITA CRISTIANA NEL S U O SVILU PPO ORDINARIO

questo aspetto, acquista il dolore. L a sofferenza ci


configura con Cristo in un m odo perfettissim o, e ci
eleva ad un alto grado di santità. N o n c ’è, n é ci p u ò
essere, una via di santificazione che prescinda e dia
m inore im portanza alla propria crocifissione.
È questo il m o tiv o per cui scarseggiano tanto i
santi. L a m aggio r parte delle anime vorreb bero santi­
ficarsi senza entrare per la via del dolore. V orreb b ero
essere santi, ma di una santità com oda e facile, che
n on esiga quella totale rinuncia di sé che giu n ge fino
alla crocifissione. E quando D io le p ro v a con malattie,
aridità di spirito, persecuzioni, calunnie, o altre cose
del genere, retrocedono codardam ente. N o n c ’è altra
possibilità di spiegare il clam oroso fallim ento di tante
anime che pur avrebbero v o lu to raggiu n gere le più
alte vette della santità. F orse erano giunte fino al
punto di chiedere al Signore che inviasse lo ro qualche
croce. M a i fatti dim ostrarono in m odo inequivocabile
che si trattava di una croce conforme ai loro gusti, e quan­
do non la trovaron o tale si dissero ingannate e abban­
donarono la via della perfezione.
È necessario, quindi, abbracciare il d olore come
D io ce lo manda, nella form a e nel tem po che l^i p r e ­
ferisce. L ’anima deve solo abbandonarsi senza riserve
nelle braccia della P rovvid en za di D io , affinché faccia
di lei quello che vu o le nel tem po e n ell’eternità 36.

178. 3. I g r a d i di a m o r e p e r l a s o f ­
f e r e n z a . - E sponiam o ora, in ordine ascendente,
i principali gradi di am ore per la sofferenza:
1) Non omettere nessuno dei nostri doreri perchè ci
causa dolore. - B il prim o
grado indispensabile per la con­
servazione dello stato di grazia. C olui che omettè un
dovere grave (per esempio, l’assistenza alla Messa in un

38 Cf. nn. 491-94, d o ve palliam o della conform ità alla volon tà di D io ,


LA LOTTA CONTRO LA PROPRIA CARNE 427
giorno festivo, il digiuno o l’astinenza nei giorni indicati
dalla Chiesa, ecc.) per la molestia che il suo adempimento
gli causerebbe, com m ette un peccato mortale e perde lo
stato di grazia.
M a anche quando si tratta di doveri lievi è necessario
adempierli nonostante le difficoltà che possono presentare.
Sono numerosissime le anime illuse che trascurano i doveri
del proprio stato e poi chiedono ai loro direttori l’auto­
rizzazione di praticare penitenze e m ortificazioni di propria
scelta 39. Costoro non giungeranno mai alla perfezione:
sono fuori via. N o n possiamo parlare di santità finché
non siamo in grado di praticare a perfezione i doveri del
nostro stato.
2) Accettare con rassegnazione le croci che D io permette o
ci manda. - Il com pim ento fedele dei nostri doveri, n on o ­
stante le difficoltà che esso com porta, rappresenta già un note­
vole progresso nella pratica dell’amore alla croce. T uttavia è
m olto più perfetta la piena accettazione di quanto D io
ci manda direttamente o permette che venga su di noi:
malattie, persecuzioni, freddo, caldo, pubbliche um iliazio­
ni, lavori faticosi e inattesi, ecc. Tutte queste piccole contra­
rietà, che costituiscono la trama della nostra vita, hanno un
alto valore santificativo, se v i sappiamo scoprire la mano
provvidenziale di D io che se ne serve com e altrettanti stru­
menti per la nostra santificazione. A tal fine, D io si vale spes­
so anche delle persone che ci circondano, le quali, sia che
agiscano con retta intenzione e buona fede, sia che si lasci­
no guidare da sentimenti meno nobili, ci rendono, con le
loro molestie, un incalcolabile servizio per il nostro pro-

39 S. Teresa a ragione si lamenta di questo abuso scrivendo alle sue


m onache: « N o n osserviam o la regola neppure in certi punti cosi leggeri
che, com e il silenzio, n o n ci sarebbero di alcun danno, c i dispensiamo subi­
to dal coro appena avvertiam o un d olor di tesia, cosa che ancora non uc­
cide; e p oi vogliam o inventare penitenze di nostro arbitrio!... Forse per
Bon osservare n é queste né quelle!... » (Cammino 10,6).
D a parte sua. S. G iovann i della Croce am monisce colui che v u ole giun ­
gere alla perfezione: « Se nelle opere venisse a m ancarti quel gusto che v i
trov av i, non devi per questo tralasciarle, quando conviene che si facciano
per la gloria e il servizio di D io ; né d evi farle per il solo gusto che potreb­
bero darti, ma perché è altrettanto necessario com pierle, quanto quelle
disgustose. Senza questa cautela, è im possibile che tu acquisti costanza
e Vinca la tua fiacchezza » {Seconda cautela, contro la carne).
428 LA VITA CRISTIANA NEL SU O SVILU PPO ORDINARIO

gresso nella perfezione. S. G iovann i della Croce fa notare al


religioso al quale dirige le sue famose Cautele:
« L a prim a cautela è ch e ti persuada di n o n essere v en u to in co n ven to
se n o n per essere esercitato e raffinato da tutti nella virtù . Q u in d i, a fine di
liberarti dalle im perfezioni e dai turbam enti che ti si p o sso n o offrire intorno
all’in d ole e al tratto dei religio si, e per cavar p rofitto da o g n i avven im en to ,
pensa ch e q u an ti stanno in co n v e n to abb iano l ’ufficio, co m e in verità lo
hanno, d i m etterti alla p ro v a , la v o ra n d o ti g li u n i co n la parola, g li altri con
l ’ opera, altri infine c o l pensiero; e ch e in q u esto d e v i essere so g g e tto a tutti,
co m e l’ im m agine lo è a chi la la vora o d ip in ge o indora. Se ciò n o n osservi,
n o n saprai vincere la tua sensualità e i tu o i sentim enti, n o n ti diporterai bene
co n i religio si d el tu o co n v e n to , n é otterrai la santa pace, n é andrai libero da
m o lti m ali e da passi fa lsi» 4°.

3) Praticare la mortificazione volontaria. - L a rasse­


gnata accettazione delle croci che D io ci manda suppone
una certa passività da parte dell’anima. È m olto più per­
fetto prendere l’iniziativa e, nonostante la ripugnanza che
può provare la natura, andare incontro al dolore praticando
volontariam ente la m ortificazione in tutte le sue forme.
N o n si può assegnare una norma che valga per tutti.
Il grado e l’intensità della mortificazione volontaria saranno
dati dallo stato dell’anima che va perfezionandosi. Più essa
corrisponderà alle ispirazioni divine, più lo Spirito Santo si
mostrerà esigente dandole, in pari tempo, le forze sufficienti
per assecondarlo nelle sue richieste. T occa al direttore spi­
rituale vigilare sui progressi dell’anima: da una parte deve
stare attento a non im porle sacrifici superiori alle sue forze,
dall’altra deve guardarsi dal frenare i suoi slanci di immola­
zione obbligandola a segnare il passo. In questo caso, grave
sarebbe la sua responsabilità davanti a D io e non ne rimar­
rebbe senza castigo, com e avverte S. G iovann i della Cro­
ce 41. Il cilicio, la disciplina, le catenelle, i digiuni e le asti­
nenze, la privazione di sonno e altre austerità del genere
sono state praticate da tutti i santi; e, in scala m aggiore o
minore, secondo le proprie forze e le proprie condizioni,
devon o praticarle tutte le anime che aspirano seriamente
alla santità.
4) Preferire il dolore a l piacere. - A ncora più perfetto
della m ortificazione volontaria è l’appassionarsi per il do­
lore, il desiderarlo e amarlo preferendolo al piacere. Per quan-

4° C f. Prima cautela, co n tro la carne.


41 C f. Fiamma c. 3,30-62.
LA LOTTA CONTRO LA PROPRIA CARNE 429

to la cosa possa sembrare contraria alla natura, i santi sono


giunti al punto di sentire un istintivo orrore per tutto
quello che tendeva a soddisfare i loro gusti e le loro com o­
dità. Si sentivano a loro agio quando si vedevano totalmen­
te immersi nel dolore. Q uando tutto andava a rovescio
e tutti li perseguitavano e calunniavano erano allegri e bene­
dicevano il Signore dal profondo del cuore. Se erano lodati
o applauditi incominciavano a spaventarsi, quasi che ciò fosse
da D io permesso in castigo dei loro peccati. Si rendevano
appena conto dell’eroismo che la loro posizione richiedeva;
avevano acquistato tanta familiarità con il dolore che sem­
brava loro naturale sentirne lo stimolo. E d uscivano in
espressioni che sconcertano la nostra sensibilità: « O patire
o morire »; « N on morire, ma patire »; « Patire, o Signore,
ed essere disprezzato per te ». Senza dubbio, tali altezze
suppongono un’anima già avanzata nella santità, che vive
abitualmente e quasi senza accorgersi nell’eroism o, ma non
sono impossibili.
L o sforzo personale, coadiuvato dalla grazia divina,
può avvicinarsi sempre più a questo sublime ideale. E cco
come S. G iovann i della Croce ne traccia il cammino:
« L ’anima deve essere propensa:
non al più facile, ma al più difficile;
non al più saporito, ma al più insipido;
non al più dilettevole, ma al più disgustoso;
non al riposo, ma alla fatica;
non a ciò che consola, ma a ciò che sconforta;
non al più, ma al meno;
non alle cose più nobili e preziose, ma alle più vili e
spregevoli;
non a voler alcuna cosa, ma a non volere nulla.
L ’anima non cerchi il m eglio delle cose temporali, ma
il peggio; e desideri, per amore di Cristo, di essere povera,
nuda e vuota di tutto ciò che esiste in questo m ondo » 4*.
5) O ffrirsi a D io come vittim e di espiazione. - L ’u l­
timo grado di amore alla croce consiste nell’offrire se stessi
come vittim e di espiazione per i peccati del m ondo. D icia­
mo subito che quest’atto sublime non è comune nelle vie
della grazia. Sarebbe presunzione per un principiante o per
un’anima imperfettamente purificata inoltrarsi per queste
vie. « Definirsi vittima, è facile e lusinga l’amor proprio;

42 Salita 1,13,6.
430 LA VITA CRISTIANA NEL SUO SVILU PPO ORDINARIO

ma divenir vittim a richiede una purezza, un distacco dalle


creature, un eroico abbandono alla sofferenza, all’umilia­
zione, alle aridità più inattese, che io reputo pazzi o mira­
colati coloro che, al principio della loro vita spirituale, v o ­
gliono fare quello che il D iv in o M aestro ha fatto solo gra­
dualmente » «.
Il fondamento dogmatico dell’offerta di se stessi come
vittim e di espiazione per la salvezza delle anime o per un
altro m otivo soprannaturale (riparare la gloria di D io of­
fesa, liberare le anime del Purgatorio, attirare la misericor­
dia divina sulla Chiesa, sul Sacerdozio, sulla Patria, su una
fam iglia o un ’anima determinata, ecc.) risiede nella solida­
rietà soprannaturale stabilita da D io e che unisce tutti i membri
del Corpo mistico di Cristo attuali o in potenza. Posta tale
solidarietà in Cristo, D io sceglie alcune anime sante — parti­
colarmente quelle che gli si sono offerte, consapevoli del
valore del proprio gesto — ed affida loro la missione di con­
tribuire con i loro meriti e i loro sacrifici a rendere efficaci
gli effetti della Redenzione. U n esempio tipico ce lo offre
S. Caterina da Siena, il cui più ardente desiderio era quello
di dare la vita per la Chiesa. « L ’unica causa della mia morte
— diceva — è il m io zelo per la Chiesa di D io , che m i di­
vora e consuma. A ccetta, o Signore, il sacrificio della mia
vita per il Corpo m istico della tua santa Chiesa » L a sua
offerta tornò anche a favore di anime particolari, com e lo
dimostra la salvezza del padre e la promessa ricevuta che
nessun membro della sua fam iglia sarebbe andato perduto.
A ltri esempi troviam o in tempi a noi più vicini, soprattutto
nella vita di S. Teresa del Bam bino G esù, di S. Gemm a
G algani e di Suor Elisabetta della Trinità.
Q ueste anime costituiscono per G esù Cristo come
«u n a nuova sopraggiunta umanità » *s nella quale egli può
rinnovare tutto il suo m istero redentore. Il Signore in
genere accetta questa offerta eroica che conduce le sue for­
tunate vittim e ad uno spaventoso m artirio di anima e di
corpo. Solo mediante grazie straordinarie esse possono
sopportare per lun go tem po le loro incredibili sofferenze, e
finiscono sempre con il soccom bere sulla vetta del Calvario

43 C o s i d i c e v a M a d i e M a r ia T e r e s a d e l C u o r e d i G e s ù , f o n d a t r ic e d e l ­
P. P l u s , Cristo
l ’A d o r a z i o n e R ip a r a t r ic e , c h e m o r i a r s a v i v a . C i t a t a d a l
nei nostri fratelli p . 2 7 7 .
44 C f. P . A . R o j o , Tres insigne* hijas de la Iglesia, Salamanca, 1 9 3 4 , p 52.
45 È una felice espressione di Sr. Elisabetta della Trinità.
LA LOTTA CONTRO LA PROPRIA CARNE 431

totalmente trasformate in Cristo crocifisso. Tuttavia, pur al


culmine della sofferenza, ripetono le parole che S. Teresina
ebbe a pronunciare qualche istante prima di morire: « N o ,
non mi pento di essermi data all’A m ore » 4«. Si rendono per­
fettamente conto dell’ efficacia redentrice del loro martirio.
M olte anime, che senza la loro eroica offerta si sarebbero
perdute per tutta l’eternità, otterranno il perdono di D io e
la vita eterna. Questa consapevolezza non può non riem­
pire il loro animo di contento. E in Paradiso saranno pro­
prio le anime che hanno beneficiato della loro sofferenza a
formare la loro più bella corona di gloria «.
In pratica, questa offerta si deve permettere soltanto alle
anime che lo Spirito Santo invita con una profonda, persi­
stente ed irresistibile attrattiva interiore. In un principiante
o in un’anima imperfettamente purificata sarebbe solo ridi­
cola presunzione. Si noti che, più che alla propria santifi­
cazione, l’offerta di se stessi è ordinata al bene degli altri.
Ciò significa che l’anima che si offre per la salvezza dei fra­
telli deve restare intimamente unita a Cristo e deve aver fatto
m olto progresso sulla via della propria purificazione. D eve
aver avuto una lunga esperienza del dolore e deve provare
per esso una vera attrattiva. Solo a queste condizioni, il
direttore potrà consentirle di compiere il passo che, ratifi­
cato dall’accettazione divina, convertirà la sua vita in una
fedele riproduzione del Cristo.

46 Storia di un'anima c.12 .


47 E c c o u n c o m m o v en te aneddoto che si p u ò applicare a chi si è offer­
to in olo cau sto per Id d io e per le anime. M e n tre M o n s. L e R o y n ei primi
anni del su o apo sto lato in A fric a orientale assisteva u n m issionario m ori­
b o n d o , q u esti g li disse: « L a m ia v ita finisce... S o n o co n ten to dell’ uso
ch e ne h o fa tto ». P o i, im p rovvisam ente, i su oi occh i si fissarono , im m o ­
bili, in u n p u n to dello spazio, m entre il su o v iso si trasfigu rava. « Padre —
g li chiese M o n s ig n o ie — ch e cosa v e d e te ? » « V e d o — rispose — una lu n­
g a processione di negri che scende dal cielo... Im m agin o che siano coloro
che h o battezzato...: v e n g o n o a prenderm i... ». E cosi dicendo spirò
(cf. G o ib u r u , -C /problema misionero, 2 e d iz., n.8 p ag , 36).
432 LA VITA CRISTIANA NEL S U O SVILU PPO ORDINARIO

C A P IT O L O V

L A P U R IF IC A Z IO N E A T T I V A D E L L E P O T E N Z E

A rtic o lo I

Necessità della purificazione delle potente

179. Per giungere all’unione intim a con D io non


basta la vittoria sopra il peccato ed i suoi principali
alleati: il m ondo, il dem onio e la carne. È necessario
giungere ad una purificazione intensa e profonda di
tutte le potenze e le facoltà dell’anima e del corpo.
N o n è assolutam ente indispensabile — e neppure pos­
sibile — che tale purificazione si operi appieno prim a
che si attui l’unione intim a con D io . N el lu n g o cam m i­
no che l ’anima deve percorrere per conseguire la san­
tità, il processo purificativo va di pari passo con quello
della sua illum inazione e co n quello dell’intim ità della
sua unione con D io . Però c’ è sempre u n ’intima rela­
zione tra loro: a misura che l ’anima si purifica, aum en­
tano le sue luci e il suo amore.
L a spiegazione è sem plice. Q uando l ’anima s’avvia
per il sentiero della vita spirituale, è già in possesso del­
la grazia santificante, che l ’ha elevata al piano sopranna­
turale e l ’ha arricchita del tesoro inestim abile delle
v irtù infuse e dei doni dello Spirito Santo. L a SS.
Trinità abita in essa trasform andola in tem pio v iv o
di D io.
N onostante queste m eravigliose grandezze, l ’ ani­
ma è piena di im perfezioni e di difetti. Siccom e la grazia
per sé n on esclude che il peccato m ortale, l ’uom o ri­
mane con tutte le im perfezioni naturali e acquisite
LA PURIFICAZIONE ATTIVA DELLE POTENZE 433

possedute al m om ento della giustificazione. L ’anima


è ancora soggetta a ogn i sorta di tentazioni, di cattive
inclinazioni, di abiti viziosi, ecc. e la pratica della
virtù le riesce difficile e penosa. L e virtù infuse che ha
ricevuto con la grazia santificante le dànno la possibilità
di com piere gli atti soprannaturali corrispondenti, ma
non le to lg o n o i cattivi abiti acquisiti n é le indisposi­
zioni naturali che le rendono difficile la pratica della
virtù. Q uesti abiti acquisiti e queste indisposizioni na­
turali ven g on o eliminati soltanto con l’ esercizio o la
ripetizione degli atti naturali o soprannaturali delle
virtù opposte le quali, liberando la potenza dall’abito
vizio so contrario, la m ettono in condizione n ell’or­
dine naturale o psicologico di operare conform e a
una determinata virtù. Q uando l ’abito soprannaturale
non troverà più nel suo esercizio la resistenza o l ’ osta­
colo dell’abito naturale contrario, l ’atto virtu oso non
solo si produrrà con facilità e senza sforzo, ma anche
con vero diletto della relativa potenza *.
L a ragione di queste resistenze e ribellioni della
natura di fronte alla virtù va ricercata nel dogm a del
peccato originale. L a natura umana, cosi com e usci
dalle mani creatrici di D io , era perfettissim a, un vero
capolavoro della sapienza divina; il peccato originale
le tolse l ’ equilibrio ferendola profondam ente. S. T o m ­
maso scrive:
« In virtù della giustizia originale, la ragione controllava
perfettamente le forze inferiori dell’anima ed era a sua volta
perfezionata da D io , al quale stava soggetta. Q uesta giusti­
zia originale fu persa a causa del peccato del prim o uom o.

1 C f 1-11,65,3 ad 2 e t 3. — C iò è conferm ato dall’esperienza. C h i ha


contratto il v iz io dell’ubriachezza, b en ch é si penta e si confessi sin­
ceramente, p ro v a grande d iffico ltà nella pratica della sobrie­
della v irtù
tà nonostante che abbia ricevu to, insiem e co n la grazia, l’ab ito infuso co r­
rispondente. R iuscirà a estirpare il v iz io e ad acquistare la vir tù contraria
soltanto a p rezzo di grandi sforzi e rinunce.
434 LA VITA CRISTIANA NEL S U O SVILU PPO ORDINARIO

E , cosi, tutte le forze dell’anima rimasero prive, in qualche


m odo, dell’ordine secondo cui naturalmente inclinavano
alla virtù. Questa privazione va sotto il nom e di vulnerario
naturae. Ora, quattro sono le potenze dell’anima che posso­
no essere soggetto di virtù: la ragione, nella quale risiede la
prudenza; la volontà, nella quale risiede la giustizia; l’appetito
irascibile, nel quale risiede la fortezza, e l’appetito concupisci­
bile, nel quale risiede la temperanza. In quanto la ragione
rimane priva del suo ordine alla verità, abbiamo la ferita
dell’ignoranza (vulnus ignorantiae)-, in quanto la volontà ri­
mane priva del suo ordine al bene, abbiamo la malizia
(vulnus malitiae'); in quanto l ’appetito irascibile rimane privo
del suo ordine a ciò che è arduo e difficile, abbiamo la de­
bolezza (vulnus infirmitatis'), e in quanto l’appetito concupisci­
bile rimane p rivo del suo ordine a ciò che è dilettevole se­
condo ragione, abbiamo la ferita della concupiscenza disor­
dinata (vulnus concupiscentiae). Queste sono le quattro ferite
inflitte dal peccato originale a tutta la natura umana.
Però, siccome l ’inclinazione al bene della virtù dimi­
nuisce in ognuno per il peccato attuale, queste ferite proven­
gono anche dagli altri peccati. Per il peccato la ragione si o f­
fusca principalmente nelle cose da realizzare, la volontà
s’indurisce per il bene, aumenta la difficoltà per il retto ope­
rare e si accende la concupiscenza » z.

N o n si tratta, quindi, di ferite m ortali o di cor­


ruzione sostanziale della natura, com e insegnarono i p ro ­
testanti ed altri eretici condannati dalla Chiesa 3, m a di
una sensibile dim inuzione dell’inclinazione naturale
al bene che la natura um ana aveva nello stato di giu sti­
zia originale e un considerevole aum ento degli ostacoli
per la virtù.
N e deriva la necessità di una profon d a purificazio­
ne delle potenze dell’anima e delle facoltà sensitive,
in cui si radicano i cattivi abiti e le inclinazioni viziose.
In questo processo di purificazione D io si riserva la
parte m aggiore (purificazioni passive); l ’u om o, però,
co n l ’aiuto della grazia, deve cooperare, per quanto

1 1-11,85,3.
3 C f. D e n z. 7 7 1 , 772, 77 6 , 788, 789, 793, 79 7, 815, 1643, ecc.
LA PURIFICAZIONE ATTIVA DELLE POTENZE 435

gli è possibile, con l ’azione divina (purificazione attiva).


D o p o quel che abbiamo detto, rimane già tracciato
il cammino da seguire in questi due ultimi articoli dello
studio sull’aspetto negativo della nostra santificazione. N el
primo tratteremo della purificazione attiva delle potenze,
ossia, quello che l ’uom o può e deve fare, con l ’aiuto della
divina grazia, per liberarsi dalle sue imperfezioni. N el se­
condo studieremo la parte di D io in questo processo puri­
ficativo, ossia, il complesso terribilmente doloroso delle
purificazioni passive.

A rtico lo II

Purificazione attiva dei sensi

Incom inciam o dalla parte m eno n obile del nostro


essere: i sensi ir terni ed esterni.

180 . N o z io n i p r e lim in a ri. - Ricordiam o, anzitut­


to, alcune nozioni fondam entali di psicologia razionale
utili in questo studio.
a) Sensi esterni. - Sono quelli i cui organi, situati in di­
verse parti esterne del corpo, percepiscono direttamente le
proprietà materiali delle cose esterne.
Facendo astrazione dalla possibilità metafisica di altri
sensi corporali diversi ' da quelli che possediamo, la nostra
attenzione si rivolge à questi cinque: vista, udito, odorato,
gusto e tatto 4. Per dignità, occupa il prim o posto la vista,
a m otivo della sua m aggiore spiritualità e lontananza dagli
oggetti materiali che contempla; seguono in scala discen­
dente l’udito, l’odorato, il gusto e il tatto. Per certezza,
ven gono prima la vista e il tatto: niente ci sembra tanto cer­
to quanto quello che abbiamo visto o toccato. Per impor­
tanza, nella vita fisica i principali sono il tatto e il gusto,
presenti anche negli animali meno perfetti; nella vita in­
tellettuale e sociale, i principali sono la vista e l ’udito; nulla
ci isola dagli altri uom ini come la cecità e la sordità.

4 Cf. 1,78,3.
436 LA VITA CRISTIANA NEL SUO SVILU PPO ORDINARIO

La sensazione ha origine dall’immediata percezione del


senso delle qualità esterne dei corpi ad esso proporzionate
(per es.: il colore per la vista, il suono per l’udito, ecc.);
non è qualche cosa di puramente soggettivo, ma reale e
oggettivo , come dimostra l’esperienza, la coscienza e i pro­
cedimenti scientifici della moderna psicologia sperimentale.
b) Sensi interni. - Sono quelli i cui organi non appaio­
no all’esterno del corpo e nei quali si ricevono, si conser­
vano, si valutano e si fanno rivivere le sensazioni già passate.
D ifferiscono, quindi, dai sensi estèrni per l ’organo in cui
risiedono e per l ’oggetto.
I sensi interni sono quattro, realmente distinti tra loro:
il senso comune, la fantasìa o immaginatone, Vestimativa e la
memoria sensitiva 5. Risiedono tutti nel cervello, ancorché
non se ne conosca ancora l’ubicazione precisa.
II senso comune è la facoltà che percepisce come nostri e
riunisce in uno solo tutti i fenom eni già sperimentati sen­
sibilmente negli organi dei sensi. Per esempio, quando suono
un campanello, l’udito si limita ad ascoltare il suono; la vista,
ad ammirarne il colore e la forma; il tatto, a rilevarne la resi­
stenza. Il senso comune riunisce tutte queste diverse sensazio­
ni e le applica a un solo oggetto: il campanello che suona
prem uto dalla mia mano. È , quindi, per usare una espres­
sione incisiva di S. T om m aso, com e « la radice comune »
dei sensi e ste rn i6.
L a fantasia o immaginazione è la facoltà che conserva, ri­
produce, com pone o divide le immagini acquisite attraver­
so i sensi esterni. E cosi, conserva l’immagine di una cat­
tedrale — che la memoria sensitiva riconoscerà come già
vista; la ricorda o la riproduce a piacimento; combina ele­
menti sensitivi diversi per creare una nuova entità imma­
ginaria, come una m ontagna d’oro. Q uest’ultima funzione,
che può esplicare con o senza la cooperazione delPintelletto,
valse alla fantasia il titolo di « facoltà creatrice ». I grandi
artisti, di solito, hanno m olto sviluppato questo potere
creativo dell’immaginazione. Quando le creazioni fantasti­
che non sono controllate dall’intelletto e dalla volontà pos­
sono assumere form e stravaganti, da giustificare l’appella­
tivo di « pazza di casa » dato all’immaginazione.
Mediante 1 ’estimativa apprendiamo le cose sensibili in
quanto utili o nocive per noi. In virtù dell’estimativa,

5 C f. 1,78,4.
6 C f. 1,78,4 ad 1 et 2.
LA PURIFICAZIONE ATTIVA DELLE POTENZE 437
la pecora avverte Istintivamente che il lupo è un suo nemico.
N egli animali si tratta di un istinto cieco, puramente naturale
che, tuttavia, riveste un’incalcolabile utilità per la conservazio­
ne della vita. N ell’uom o, l’estimativa subisce l ’influsso del­
l’intelletto, che la rende m olto più perfetta e penetrante.
Per questo, viene chiamata anche cogitativa o ratio partìcu-
laris 7.
L a memoria sensitiva è la facoltà organica che riconosce il
passato come passato, ossia, com e già anteriormente percepi­
to. H a il com pito di conservare il ricordo di una cosa, di ri­
produrla o evocarla (mediante una lenta e penosa reminiscenza,
se è necessario) e di riconoscere tale cosa come passata o già
vista. Si distingue dall’immaginazione in quanto questa
conserva e riproduce le immagini, senza tuttavia riconoscerle
come passate, e ne può creare delle n uove che sfuggono nel
m odo più assoluto alla memoria.
c) L e nozioni su ll’appetito sensitivo saranno date più
a v a n ti8.

A ) P U R IF IC A Z IO N E A T T I V A D E I SEN SI E ST E R N I
S. G io v a n n i d e l l a C roce, Salita 1 1 1 , 2 4 - 2 6 ; V a l l g o r n e r a , Theologia
divi Thomae q . 2 d . 2 ; S c a r a m e l l i , Direttorio Ascetico t .2 , a . 1 - 5 ; T a n q u e r e y ,
Compendio di Teologia ascetica e mistica n n . 7 7 1 - 7 9 .

1. Fine di questa purificazione. - L a purificazio­


ne attiva dei sensi ha lo scopo di contenere i lo ro ecces­
si e sottom etterli al controllo della ragione illuminata,
dalla fede.

181. 2 . Necessità. - Il corpo um ano ben discipli­


nato è un eccellente strum ento di santificazione. M a
nello stato attuale della natura decaduta, è male in­
clinato e tende quasi irresistibilm ente verso tutto c iò
che, attraverso i sensi, gli p u ò procurare qualche di­
letto. Se non si assoggetta diventa indom abile, e le sue
esigenze, sempre più pressanti, costituiscono un osta­
colo incom patibile con la perfezione spirituale dell’a­

7 C f. 1,78,4; 81,3; 83,1.


8 C f. n. 190.
438 LA VITA CRISTIANA N EL SUO SVILU PPO ORDINARIO

mima. S. P aolo parla della necessità di m ortificare il


co rp o per liberarsi dalla sua tirannia e assicurare la
propria salvezza: « C astig o corpus m eum et in servitu-
tem red igo, ne, forte, cum aliis praedicaverim , ipse
reprobus efficiar » (iC o r . 9,27). E altrove agg iu n g e che
« coloro che sono di C risto hanno crocifisso la loro
carne con i suoi v iz i e le sue concupiscenze » (G al.
5 , 2 4 )-
S. G iovan n i della C roce insiste sulla dottrina pao-
lina, e ne dà una ragione profonda:
« È necessario presupporre una verità, spesso da noi
ripetuta, cioè che il senso della parte inferiore dell’uom o
non è né può essere capace di conoscere e comprendere
D io com e E gli è. D i maniera che né l’occhio può vedere
lu i o cosa che gli rassomigli, né l ’udito può udire la sua v o ­
ce o suono che le sia simile; e rispetto agli altri sensi, non
esiste odore si soave, né gusto tanto squisito, né tocco si
delicato e dilettevole che possa paragonarsi a D io ; com e pure
n on può cadere nel pensiero o nell’immaginazione nessuna
form a o figura che ce lo rappresenti, conform e al detto di
Isaia che ” né occhio lo vide, né orecchio lo udì, e mai egli
passò in pensiero um ano” (Is. 64,4; iC o r. 2,9) » 9.

Sicché, a parte i gra vi inconvenienti che seguireb­


b ero al fatto di non aver m ortificato bene i sensi del
co rp o , è chiaro che tutto quanto tali sensi posson o
apportare all’ anima n on è D io « n é cosa che g li assom i­
g li ». Per cui S. G io v an n i della C roce conclude con
inflessibile logica che « ferm are la vo lo n tà nel go d i­
m ento del piacere causato dalle apprensioni sensibili,
sarebbe una cosa vana, per lo m eno, e un im pedire che
la forza della vo lo n tà si applichi a D io , riponendo il
su o gaudio soltanto in lui: ciò che essa n on p u ò fare
interam ente se n on offuscandosi e purgandosi dal gau­
d io dei beni sensibili, com e da tutto il resto » 1

9 Salita 1 1 1 , 2 4 , 2 .
10 Salita 111,24,3.
LA PURIFICAZIONE ATTIVA B ELLE POTENZE 439

O cco rre intendere rettam ente questa dottrina per


evitare delle conclusioni im possibili e p er n on cadere
in un nichilism o delle potenze di colore orientale.
N o n si tratta, in realtà, di privare i sensi dei lo ro o g g e t­
ti propri, m a solo di evitare che ripongano il loro g o ­
dim ento e la lo ro quiete finale nel pu ro piacere sensi­
bile senza elevarsi a D io . L e creature sono « briciole
che caddero dalla mensa di D io », dice pittorescam ente
S. G iovan n i della C roce u . Q uando si sa scoprire in
esse tale im pronta divina, non solo cessano di essere
un ostacolo per la santificazione d ell’anima, ma si con ­
vertono in preziosi strum enti per realizzare l ’unione
con D io . Il male, il disordine, consiste nel fare delle
creature il nostro ultim o fine, astraendo dalla loro re­
lazione al Creatore. Q uando ci serviam o della loro b el­
lezza o del piacere che ci causano per risalire più fa­
cilmente a D io , possiam o e dobbiam o utilizzarle com e
eccellenti aiuti per la nostra propria santificazione.
A scoltiam o S. G iovan n i della C roce, a torto accusato
di essere un nem ico im placabile delle potenze e dei
sensi:
« H o detto con avvertenza, e lo tjaeto, che se la volontà
fermasse il gaudio in qualche apprfl«Bone dèa/sensi, sarebbe
una vanità. A l contrario però, è cw im a cdla quando essa
non si ferm a in ciò, ma tosto che sente piacere di quel che
vede, ode o tratta, ne trae m otivo e forza per innalzarsi a
godere in D io . A llo rch é le em ozioni sensibili eccitano lo
spirito a devota orazione, l’uom o non solo non deve evitar­
le, anzi può e deve approfittarne per un si santo esercizio.
V i sono infatti delle anime che si m uovono m olto verso
D io, per m ezzo degli oggetti sensibili» IS.

I sensi, è o v v io , tendono e si fissano unicam ente


sul piacere sensibile, -senza alcuna considerazione di
carattere superiore. Spetta all’anima vigilare e stare

i
11 Ivi , 1,6,3.
13 Ivi, 111,24,4.
440 LA VITA CRISTIANA NEL SUO SVILU PPO ORDINARIO

a ll’erta per rettificare di continuo l ’intenzione ed ele­


vare a D io il piacere che essi sperim entano. S. G io ­
van n i della C roce scrive:
« Però bisogna avere molta discrezione, é mirare sola­
mente ai buoni effetti che se ne possono ricavare; e dico co­
si, perché ben spesso m olti spirituali, col pretesto di darsi
all’orazione e a D io , fanno uso dei beni sensibili in m odo tale
che la loro non è orazione, ma si può chiamare piuttosto
ricreazione, perché d^nno gusto più a se stessi che a D io.
E benché la loro intenzione sembri buona e diretta al Si­
gnore, nondimeno l ’effetto dell’opera loro si riduce in real­
tà ad uno spasso e sollievo sensibile, da cui ritraggono fiac­
chezza d’ imperfezione, anziché risvegliare e dirigere la v o ­
lontà a D io.
Per la qual cosa ci piace dare qui una norma, con la quale
si possa conoscere quando il sapore delle percezioni sensi­
b ili sia di utilità, e quando no. Se l’uom o ogn i volta che ode
belle musiche, o vede cose gradevoli, o sente soavi profum i,
o gusta grati sapori e tocchi delicati, subito, al prim o m oto
dei sensi, indirizza la notizia e l’affetto della volontà a D io,
è segno che da quelle apprensioni ritrae profitto per lo spi­
rito, perché ha più piacere della notizia che del m otivo sen­
sibile che la cagiona, e non gusta di tal m otivo se non in gra­
zia di essa. A llora può benissimo usare degli oggetti sensi­
bili, in quanto lo aiutano per il fine per cui furono creati
e a noi largiti, cioè affinché per loro m ezzo Iddio sia più
conosciuto e amato... v,?
Chi, invece, non gode questa libertà di spirito negli
o gg etti o gusti sensibili, ma v i trattiene la sua volontà e si i
pasce di essi, deve ben guardarsi dal farne uso, perché al­
trim enti gli farebbero danno. Poiché, se da una parte la ra­
gione vuole valersi di essi per dirigersi a D io , dall’altra
però l’appetito ne gusta secondo la loro parte sensibile: i
perciò, essendo l ’effetto sempre conform e al godim ento, i
è cosa più certa che essi gli apporteranno più impedimento
che aiuto, più danno che utile. A llo rch é, quindi, vedrà
regnare in sé il desiderio di simili svaghi e ricreazioni, deve
mortificarlo, perché quanto più esso è forte, tanto m aggiore i
im perfezione e debolezza contiene » 15.

Facciam o ora una rassegna dei sensi esterni indi-

r ì Ivi, 11.4, 5 e 6.
LA PURIFICAZIONE ATTIVA DELLE POTENZE 441

cando quello che in essi occorre rettificare, elevare e


orientare verso D io.

182 . i. L a v i s t a . - È il più nobile dei sensi


esterni, ma anche il più pericoloso per la forte sedu­
zione che le sue rappresentazioni esercitano sull’anima.
Esam iniam o le differenti specie di sguardi e la condotta
pratica dell’ anima in ognuna di esse.
a) Sguardi gravemente peccaminosi. - O gn i sguardo
volontario ad una persona o ad un o ggetto che provoca gra­
vemente alla lussuria, soprattutto se è accompagnato da
un cattivo desiderio, costituisce peccato grave. D ichiara
G esù nel Vangelo: « M a io vi dico che chiunque avrà guar­
dato una donna, per desiderarla, ha già commesso adulterio
con lei, nel suo cuore» (Mat. 5,28).
N o n è neanche necessario aggiungere che tali sguardi
devono essere ad ogni costo evitati. Diversam ente, non so­
lo la perfezione, ma anche la salvezza eterna è in pericolo.
b) Sguardi pericolosi. - Q uando sen%a cattivo desiderio,
ma anche senza ragione sufficiente, si fissa lo sguardo su
una persona, una fotografia, una vetrina, uno spettacolo,
ecc., capaci di indurre al peccato, si commette un’impru­
denza straordinariamente pericolosa. N ella m aggior parte
dei casi, in pena di tale imprudenza, l’anima rimarrà priva
della grafia efficace necessaria per resistere alla tentazione
e soccomberà miseramente. L a Scrittura ricorda gli esempi
di D avide, di Sansone, di Salomone, ecc.; e l’esperienza quo­
tidiana conferma le pagine ispirate: « Propter speciem mu-
lieris, multi perierunt: et ex h o c ,.concupiscentia quasi ignis
exardescit » (Eccli. 9,9). A llo sguardo segue il tum ulto del­
l ’immaginazione, il desiderio irresistibile, la caduta vergo ­
gnosa. Senza il controllo e il freno degli occhi è, impossibile
mantenersi nella virtù e anche nel semplice stato di grazia.
G iobbe ne era ben consapevole se « strinse un patto con i
suoi occhi di non fissare una vergine » (G iob. 31,1).
L ’anima che tende seriamente alla santità fuggirà con
ogni cura le occasioni pericolose. E per quanto il sacrificio
sia grave, rinuncerà senza esitare a spettacoli, riviste, spiag­
ge, amicizie o relazioni con persone frivole e mondane che
possono esserle occasione di peccato. Per strada, soprattutto
nelle popolose città moderne, sarà estremamente modesta
negli sguardi per non inciampare nella procacità delle vetri­
442 LA VITA CRISTIANA NEL SUO SVILU PPO ORDINARIO

ne, nella sfacciata immodestia del vestire, nella sfrenata li­


cenza dei costumi. E senza giungere a estremi ridicoli o at­
teggiam enti innaturali (come sarebbe, il contare i paracarri
o omettere di salutare una persona conosciuta), camminerà
cauta per non lasciarsi sorprendere. Il m iglior espediente
per non attirare l’attenzione e controllare perfettamente gli
occhi è quello di dirigere lo sguardo lontano — a una cin­
quantina di metri più avanti — ; si evita in tal m odo l’incon­
veniente di portare gli occhi bassi e il pericolo d’imbattersi,
da vicino, in un o ggetto provocante.
c) Sguardi curiosi. - Sono quelli che, pur senza ricer­
care oggetti cattivi o pericolosi, hanno lo scopo di ricreare
la vista. T ali sono, per esempio, le visite ai monumenti ar­
tistici di una città, le gite turistiche, ecc.
Per sé, queste cose non contengono nulla di riprensibile,
anzi, rettificate dall’intenzione, possono esserci di aiuto per
elevarci a D io. L a visione di un bel paesaggio, di una catena
di montagne, dell’immensità del mare, delle geniali crea­
zioni dell’arte, possono elevare il nostro spirito all’Artista
supremo e al creatore di tutte le m eraviglie. Però, per l’a­
nima che si abbandona ad esse con eccessiva passione o fre­
quenza, possono rappresentare un serio ostacolo alla vita di
raccoglim ento e di orazione. È difficile che un turista di pro­
fessione giunga a santificarsi.
« D a te m i un a p e rs o n a c h e v a d a v a g a n d o c o n g li o c c h i sop ra tu tti g li
o g g e tt i ch e le si p resen tan o d a v a n ti; è im p o ssib ile ch e essa ab b ia ra c c o g li­
m e n to n e ll’o ra z io n e , p e rc h è d u ra n te la m edesim a, le p asse ran n o p e r la m en ­
te le sp e cie d i q u elle co se m o n d a n e c h e h a v e d u te , e sta n d o d a v a n ti a D io
c o n il c o r p o , se n e an d rà in q u esta o in q u e lla p arte c o n il cu o re.
M a am m ettiam o p u re ch e I d d io , c o n tr o o g n i su o m erito , le c o m u n ic h i
q u a lc h e sen tim en to d e v o to ; q u esto n o n p o tr à rim an ere a lu n g o n e l suo cu o re
p e r c h è to rn a n d o essa d o p o l ’ o ra zio n e aL.con&ueto'jcostum e d i g u a rd a re sen­
z a r ite g n o a lc u n o , s v a n irà s u b ito o g n i affetto attra v e rso g li o c c h i, p o te n d o si
rasso m ig lia re lo spirito d el S ig n o re a c erti liq u o ri spiritosi, i q u a li, q u an d o
n o n son ch iu s i, svapo ran o .
V iv e n d o , d u n q u e, q u e ll’in felice ab itu alm en te c o s i d istratta, c o m e è pos*
s ib ile c h e c o s i riesca a d a tte n d ere seriam en te d u ra n te il g io r n o all’ es e rc iz io
d e lla m o rtific a z io n e , d ella carità, d e ll’ u m iltà, d ella p azien za e d elle altre v ir tù
c ristia n e , n o n a v e n d o d e n tro d i sè n è p en sieri, n è affetti c h e v e l ’in c itin o ;
e c o n seg u en te m e n te ch e p o ssa m en ar v it a r e lig io s a se si tr o v i n e l c h io s tro ,
o v it a sp iritu a le se d im o ri n e i s e c o lo ? » 14.

*4 S c a r a m e ll i , Direttorio Ascetico t .z , c .2 , n .13 4 .


LA PURIFICAZIONE ATTIVA DELLE POTENZE 443
Si rende necessaria, quindi, la m ortificazione del senso
della vista anche nelle cose lecite o per sé non pericolose.
A nche qui, tuttavia, occorre procedere con oculatezza ed equi­
librio, senza mai lasciarsi andare ad estremi ridicoli. A lcu n i
episodi che si leggon o nelle vite dei santi — S. L u igi non
fissava mai sua madre, S. Pietro d’Alcantara non sapeva co­
me era fatto il soffitto della sua abitazione, ecc. — sono
più da ammirare che da imitare. Senza giungere a questi
estremi, che D io non richiede da tutti, è certo che la m orti­
ficazione e la custodia degli occhi è un punto importantissi­
mo, non solo nel suo aspetto negativo, per preservarci dai
pericoli, ma anche nel suo aspetto positivo, per fomentare
intensamente il raccoglim ento e la vita di orazione, indispen­
sabili per conquistare la santità *s.

2. L ’ u d i t o e l a l i n g u a . - L i riuniam o
insieme perché anche nella loro attività sono intim a­
mente associati; la lingua fornisce all’u d ito il pascolo
principale.

183 . M eno n obile della vista, ma p iù universale, è


il senso deH’udito. A ttra verso l ’udito riceviam o la fe ­
de: fides ex auditu (Rom . 10,17), e attraverso l ’udito
acquistiam o la m aggior parte delle nostre nozioni.
È m olto im portante, quindi, che sia controllato dalla
ragione illum inata dalla fede. « Se qualcuno n on pecca
con la lingua, è un uom o perfetto » dice S. G ia co ­
m o (3,2).
L a purificazione d ell’u d ito e della lingua abbraccia
diversi gradi progressivi:
a) Conrersazioni cattire. - Per conservare lo stato di
grazia, si debbono evitare tutte le conversazioni peccam ino­
se. Quando si dicono o si ascoltano volontariam ente e con
piacere cose che offendono gravemente la purezza, la carità,

*5 E c c o , s e c o n d o S. G io v a n n i d ella C ro c e , i dan n i c h e p o s s o n o d e riv a re


d a ll’ im m o rtifica z io n e d ella v ista : <t D a l p iace re d e lle c o s e v is ib ili, n o n rin n e­
g a n d o le p e r an d are a D i o , n e c o n s e g u e d ire ttam en te v a n ità d i an im o e di*
stra zio n e d ella m en te, cu p id ig ia d iso rd in ata, d iso n està, s co m p o ste z z a in
terio re e d esterio re, im p u rità d i p e n sie ri e in v id ia » (Salita 111,2 5,2).
444 LA VITA CRISTIANA NEL S U O SVILU PPO ORDINARIO

la giustizia o qualche altra virtù cristiana, si commette un


peccato mortale, con l ’obbligo , com e nella calunnia, della
restituzione. L e bugie, la iattanza, i discorsi inutili, la m or­
morazione, la calunnia, la violazione del segreto, le conver­
sazioni oscene, troppo libere, grossolane, devono essere
bandite da coloro che aspirano alla santità l6.
b) Conversazioni frivole. Sono quelle conversazioni
che, senza essere gravem ente illecite per l’o ggetto o l’in­
tenzione, non sono giustificate né dalla necessità né dal­
l ’utilità propria o degli altri. A d esse si possono ricondurre
le parole odiose, delle quali il Signore dice che dovrem o dare
con to nel giorno del giudizio (Mat. 12,36).
L e parole oziose e le conversazioni frivole costituiscono
senza dubbio un peccato veniale. Spiega S. Basilio:
« Q u a n d o si p a rla senza u tilità p ro p ria o d el p ro s sim o si d e v ia la p aro la
d a l fin e c h e D i o , n e l p ia n o d ella su a P r o v v id e n z a , le h a asse g n ato . I n v e c e di
s e r v ir c e n e co m e s tru m e n to di b en e, la u s ia m o p e r c o se fu tili. D a l m o m en to
c h e si p arla p e r n o n d ire n u lla , l 'atto e reprensibile» *7.

Questa dottrina vale anche per la mania delle vìsite alla


quale sembrano particolarmente inclinate le persone devote.
Sono innum erevoli gli inconvenienti che derivano dalle
continue e interminabili visite. A parte la perdita di tempo
e la mancanza di raccoglim ento, esse sono la causa princi­
pale della mediocrità di tante persone devote, le quali si
confessano con frequenza, fanno la com unione quotidiana,
praticano m olti esercizi di pietà, ma non avanzano mai di
un passo nella propria santificazione.
« V i c o n fe s so — s cr iv e a tale p ro p o s ito il P .L e je u n e 18 — c h e r im a n g o s o r-
p re s o q u a n d o m i p arlan o d i u n a v isita d i p u r a co rtesia c h e è d u ra ta u n ’ o ra
e a lcu n e v o lte p iù an co ra. C h e c o s a si p u ò d ire d i u tile o d i in teressan te p er
u n ’ o ra in tera ? U n a d e lle due: o la c o n v e rs a z io n e si alim en ta c o n critic h e
m a le v o li o d e g e n e ra in u n a c o n v e rs a z io n e ta n to in su lsa q u a n to n o io s a » .

L e anime che si annoiano rim anendo da sole; che hanno


bisogn o della com pagnia degli altri per dare libero sfogo
alFincontinenza verbale, che torm entano le loro vittim e con
conversazioni interminabili, che stanno al corrente di tutto,

16 A l rig u a rd o si p u ò le g g e r e c o n p r o fitto i l lib r o d i L e je u n e La Un-


gua: sus pecadosy excesos> B a rce llo n a , 19 27.
x7 C ita to d a L e j e u n e , o. c., p . 27.
18 0 .c.y pp . 30-31.
LA PURIFICAZIONE ATTIVA DELLE POTENZE 445
che sanno tutto, che commentano e criticano tutto, possono
già dare l’addio alla perfezione cristiana. N o n solo non vi
perverranno loro, ma saranno d’inciampo anche agli altri ’ 9.
Il direttore spirituale deve essere deciso con queste anime.
Poiché non si tratta di mancanze di pura fragilità, ma di leg­
gerezza volontaria, dopo cinque o sei ricadute si rifiuti nel
m odo più assoluto di continuare una direzione che sarebbe,
d’altra parte, completamente inutile.
c) Conversazioni utili. - T u tto quanto può tornare ad
utilità spirituale o materiale del prossimo e nostra è lecito,
conveniente e consigliabile. Q uesto principio può trovare
svariate applicazioni e può risolvere m olti casi, specialmente
durante le ricreazioni. Rallegrare il prossim o con una bar­
zelletta di buon gusto può essere un eccellente atto di carità
se si è saputo rettificare in tempo l’intenzione. A l contrario
non ci permetteremo mai — neppure con il pretesto di con­
solare una persona offesa — di criticare il prossim o, proferire
parole offensive per qualcuno, insinuare un sospetto, ali­
mentare un’invidia o fomentare un rancore. T ra le persone
che si dedicano agli studi un m ezzo eccellente per evitare le
conversazioni m eno convenienti è quello di avviare il di­
scorso su problem i scientifici ancora discussi e capaci di su­
scitare l’interesse e l’attenzione di tutti; si evitino, però,
con cura, le discussioni troppo animate o le frasi poco ri­
guardose nei confronti di coloro che tengono l ’opinione
contraria.
d) Conversazioni sante. - Sono quelle che hanno come
fine immediato il profitto spirituale proprio o del prossimo.
N o n c’è nulla che conforti tanto un ’anima, che la infervo­
ri per la virtù quanto la conversazione con persone animate
da un sincero desiderio di santificarsi. L ’intelligenza si
illumina, il cuore si riscalda e la volontà piende sante ed
energiche risoluzioni. È incalcolabile il bene che si può
compiere con una parola discreta e con un consiglio oppor­
tuno dato ad u n ’anima agitata dalla tentazione o abbattu­
ta dallo scoraggiam ento. Con soavità e discrezione, senza
rendersi pesante con una insistenza im portuna, più nell’at­

19 E c c o g li in c o n v e n ie n ti c h e d e riv a n o d a ll’ im m o rtific a z io n e d e ll’ u d i­


to s e c o n d o S. G io v a n n i d ella C ro ce: « D a l c o m p ia c e rsi d i u d ire c o s e in u ­
tili, d ire ttam en te n a s c o n o d istra z io n e d e ll’ im m a g in a z io n e , lo q u a c ità , in ­
v id ia , in certe zz a d i g iu d iz io e m u ta m e n to d i p en siero : e d a q u esti, m olti
a ltri p e rn icio si d a n n i» (Salita 111,2 5,3).
446 LA VITA CRISTIANA NEL SUO SVILU PPO ORDINARIO

teggiam ento del discepolo che del maestro, l ’anima che aspi­
ra alla perfezione procurerà di fomentare queste sante
conversazioni, che tanto bene recano alle anime e tanto
rallegrano il cuore di D io .

M o rtific a z io n e d e ll’u d ito e d e lla lin g u a . - N o n


basta astenersi dalle conversazioni sconvenienti, o fare
di tanto in tanto qualche santo ed utile trattenim ento
spirituale. È necessario praticare anche la m ortifica­
zione positiva dell’udito e della lingua.
i) A stenersi a v o lte dall’udire qualche m elodia gra­
ta aU’udito, un concerto radiofon ico, una conversazio­
ne piacevole, ecc. per am ore di D io . Si proceda sempre
per gradi, n on esigendo dall’anima più di quanto p u ò
fare nella condizione in cui si trova. Certe ricreazioni
innocenti, che forse sarebbero sconvenienti ad anime
già progredite nella virtù , p o sson o e d evon o essere
perm esse a quelle p iù im perfette. « In tutto occorre di­
screzione », diceva S. T eresa di G esù.
z) O sservare per alcuni istanti u n rig o ro so silenzio
durante il gio rn o, se si tratta di persone secolari, e ogn i
vo lta che la rego la lo prescrive, se si tratta di religiosi.
Senza lo spirito di raccoglim en to è im possibile la
vita interiore e il progresso nella virtù .
3) Rinunciare a notizie o a curiosità n on necessarie
quando sia facile evitarle. Se n on è possibile, si procuri
di dim enticare prontam ente ciò che si è ud ito, per ri­
manere in pace nella solitudine con D io .
4) Tenere presenti questi avvisi di S. G iovan n i
della C roce 2 °:
« Il Padre pronunciò una parola, che fu il suo F iglio ,
e questa parola parla sempre in eterno silenzio e in silen­
zio dev’essere ascoltata dall’anima ».
« Parla poco, e non introm etterti nelle cose riguardo
alla quali non sei interrogato ».

20 N n . 307-321 nell’ed. dì Segovia, 1929.


LA PURIFICAZIONE ATTIVA DELLE POTENZE 447

« N on lamentarti di nessuno; non chiedere nulla, e se


sarà necessario chiedere, fallo con poche parole ».
« N on contraddire. N on dire assolutamente parole in­
decenti ».
« Bada di parlare in maniera da non offendere nessuno;
e da non doverti vergognare anche se tutti venissero a
sapere quello che hai detto ».
« Ricava tranquillità spirituale pensando amorosamente
a D io; e quando sarà necessario parlare, fallo con la mede­
sima tranquillità e pace ».
« Conserva il silenzio su quello che D io ti ha dato
e ricordati del detto della Scrittura: Il mio segreto è per
me ».
« Considerate com e dovete essere nemici di v o i stessi.
Camminate secondo il santo rigore della perfezione e ri­
cordatevi che D io v i domanderà conto di ogn i parola che
avrete detto senza l’ordine dell’obbedienza ».
« A nessuno, per quanto santo fosse, ha fatto del bene
il trattare con la gente più dello strettamente necessario
o più di quanto la ragione esigeva ».
« È impossibile trarre p rofitto senza fare e soffrire tut­
to in silenzio ».
« Per progredire nelle virtù, è importante tacere e opera­
re, perché il parlare distrae e il tacere e l’operare raccolgono ».
« A llorché una persona sa quello che hanno detto per
il suo profitto, non è più necessario che continui a chiedere
altre spiegazioni, ma deve metterlo in pratica in silenzio
e con attenzione, umiltà, carità e disprezzo di sé ».
« Sopra ogni cosa è necessario e conveniente servire
D io in silenzio, frenando cioè sia gli appetiti che la lingua,
onde percepire soltanto parole di amore ».
« Q uesto ho compreso: che l ’anima la quale è m olto
incline a parlare e a conversare, è poco incline verso D io.
Infatti, quando lo è, subito con forza è trascinata dall’in­
tim o a tacere e a fuggire da qualsiasi conversazione ».
« D io vuole che l’anima goda più di lui che di qualsia­
si altra creatura, per quanto notevole essa sia e per quanto
faccia al caso suo ».

Massime difficili, la cui pratica tuttavia porta alla


santità. C o lo ro che n on hanno il co ra g g io di abbrac­
ciarle rim angono lu n g o la via, stretti nei lacci che li
legano alla terra.
448 LA VITA CRISTIANA NEL SUO SVILU PPO ORDINARIO

184 . 3. L ’ o d o r a t o . - È il senso m eno peri­


coloso, quello che p o n e m inori ostacoli alla nostra
sa n tifica to n e. T u tta via , è op portu n o m ortificare an-
c h ’esso e renderlo docile a questi due estremi: a) a
tollerare i cattivi odori quando la carità o la co n v e­
nienza lo esigon o (per es.: quando si visitan o i po veri
nei loro tu g u ri o nei lo ro abbaini m aleodoranti, gli
inferm i n egli ospedali, i detenuti nelle carceri, ecc.)
senza m anifestare esteriorm ente la m inim a ripugnanza
e senza lamentarsi; e b ) rinunciare all’uso di profu m i
sulla persona, nella abitazione o nelle lettere, i quali,
ben ch é n on costituiscano peccato, denotano tuttavia
sensualità, sono indice di uno spirito effem inato e m o n ­
dano e posson o m olte v o lte convertirsi in incen tivi
di tentazioni. S oprattutto le persone consacrate a D io
(sacerdoti e religiosi) d ev o n o tenere com e norm a in ­
d erogabile di n on fare mai uso di profum i. Il profu m o
dei fiori è di per sé più spirituale di quello dei prod otti
artificiali, e potrebbe essere utilizzato se fosse in grado
di elevare il nostro spirito a D io , autore di tali delica­
tezze e m eraviglie; però, si faccia bene attenzione
a rettificare l’intenzione n on perm ettendo al senso di
pascersi nel suo prop rio gu sto senza riferim ento alcu­
no a D io . Ci fu ron o dei santi che per m ortificare il
loro odorato non si sarebbero mai perm essi di aspi­
rare il soave profum o dei fiori “ .

185 . 4. 1 1 g u s t o . - Il s;n so del gu sto, a m otivo


della sua im m oderata ansia di m angiare e bere, può

21 S. Giovanni della Croce descrive cosi gl’inconvenienti che derivano


daU’immortificazione dell’odorato: « Dal dilettarsi di grati odori ne viene
aborrimento dei poveri, il che è contrario alla dottrina di Cristo, riluttan­
za alla sottomissione, poca disposizione di cuore alle cose umili e una certa
insensibilità spirituale, almeno a proporzione di quel vano diletto » (Salita,
IH,M,4).
LA PURIFICAZIONE ATTIVA DELLE POTENZE 449
costituire u n ostacolo alla perfezione, e va, quindi,
regolato. L ’im m ortificazione di questo senso prende
il nom e di gola.
N a tu r a d e lla g o la . - Secondo il D ottore angelico,
la g o la è « l ’appetito disordinato di m angiare e bere »aa.
È u n o dei tanti v iz i che si o p p on go n o alla virtù della
temperanza.
D io pose n egli alim enti m ateriali una certa soddi­
sfazione al fine di garantire la fu n zio n e n utritiva ne­
cessaria alla conservazione dell’ind ivid u o. Per sé, quin­
di, sentire tale piacere non costituisce nessuna im per­
fezione, anzi, sarebbe una deform ità fisiologica il n on
sentirlo. Però, d op o la caduta originale, l ’appetito con ­
cupiscibile — com e già dicem m o ■ — è stato sottratto
al con trollo della ragione, e tende ad evadere dai
giusti lim iti. Q uando ciò avviene, abbiam o il peccato.
Perché la natura dell’uom o è razionale, e quello che v a
contro la ragione è m ale per la natura um ana ed è con ­
trario alla vo lo n tà di D io . L a m ortificazione del senso
del gu sto presenta particolari difficoltà, perch é n on
possiam o prescindere interam ente da esso. D a una
parte, abbiam o l ’o b b lig o di alim entarci per conser­
vare la vita; dall’altra, dobbiam o m antenerci dentro i
limiti della ragione, senza perm ettere al naturale dilet­
to che ci offrono i cibi di eccedere. S. A g o stin o in una
pagina delle Confessioni ritrae al v iv o questa lotta tra la
ragione e il diletto sensibile:
! « T u m i hai insegnato ad accostarmi al cibo per usarne
come medicina. M a durante il passaggio dalla molestia,
creata dal bisogno, alla calma, donata dalla sazietà, ecco
che la concupiscenza mi insidia. Q uesto passaggio è un v e ­
ro piacere e non ve n’è uno simile per il quale si possa
passare, poiché la necessità ci obbliga. M entre, però, la salu­
te è causa del mio mangiare e del m io bere, v i si aggiunge,
come pericolosa com pagna il diletto che spesso, anzi, ten-
450 LA VITA CRISTIANA NEL S U O SVILU PPO ORDINARIO

ta di precedere, affinché io faccia nell’interesse suo quello


che io dico di fare o v o g lio fare nell’interesse della mia sa­
lute. N é l’una né l’altra hanno la stessa misura; ciò che è
sufficiente per la salute, è insufficiente per il piacere; infatti
spesso è incerto dire se il bisogno necessario del corpo ri­
chiede ancora altro aiuto o se lo vu ole la brama della cu­
pidigia con falsi pretesti. U na povera anima si allieta a que­
sta incertezza e si prepara una difesa per scusarsi, soddisfat­
ta, forse, che non appare quanto può bastare alla giusta re­
gola per la salute, per poter nascondere il van taggio del
piacere con delle esigenze di salute » 33.

In cinque maniere, secondo S. G reg o rio e S. T o m ­


m aso 24, si p uò incorrere nel vizio della gola:
i) M angiando fu o ri orario senza necessità: prae-
propere.
2.) M angiando con tropp o ardore: ardenter.
3) R icercando cibi squisiti: laute.
4) Preparati con eccessiva raffinatezza: studiose.
5) M angiando eccessivam ente: nimis.
Se, poi, si inducessero altri a fare altrettanto, b iso­
gnerebbe aggiu ngere la circostanza dello scandalo.

M a liz ia d e lla g o la . - Secondo il D ottore angeli­


co 25, la go la può essere un peccato m ortale o veniale.
È peccato mortale quando si antepone il diletto a D io
e ai suoi precetti:
a) Quando si viola un precetto grave per il piacere di
mangiare e bere (per es.: il digiuno e l ’astinenza).
b) Quando si causa volontariam ente un grave danno al­
la salute.
c) Quando si perde l’uso della ragione (per es.: nell’u­
briachezza perfetta).
d ) Quando suppone un grave sperpero dei beni mate­
riali.
e) Quando si dà con essa grave scandalo.

23 S. A g o s t i n o , L e Confessioni I.10, c.31, n.44.


*« Cf. n-11,148,4.
>5 Cf. 11-11, 148,2.
LÀ 'PURIFICAZIONE ATTIVA DELLE POTENZE 451

Sarà peccato veniale quando, senza giungere a nessuno '


di questi estremi, si oltrepassano i lim iti del discreto e del
ragionevole. Ordinariamente, il disordine nel mangiare e
nel bere non eccede i limiti del peccato veniale; però, l ’im-
m ortificazione del gusto costituisce un grande ostacolo
alla santificazione.

C o n s e g u e n z e fu n e ste d e lla g o la . - Siccom e è un


vìzj0 capitale, la go la dà origin e a m olti altri vizi. D i­
fatti l ’intelletto, ottenebrato dalla pesantezza del cer­
v e llo , d ovuta dall’eccessivo bere e m angiare, perde
il controllo dei nostri atti.
S. T om m aso, citando S. G rego rio , ricorda le se­
gu enti principali « figlie della go la » 26:
a) T orpore o stupidità dell’intelletto, per la ragione
già detta.
b) Disordinata allegria dalla quale seguono grandi im­
prudenze.
c) Eccessiva loquacità, nella quale non mancherà il
peccato, come dice la Scrittura (Prov. 10,19).
d) Grossolanità e volgarità nelle parole e nei gusti, che
proviene dalla mancanza di ragione o dalla debolezza
dell’intelletto.
e) Lussuria ed impudicizia, che è l’ effetto più frequente
e pernicioso del vizio della gola.

Ino/tre, l ’eccesso nel m angiare e nel bere danneggia


l ’ organism o, im poverisce l ’ affettività, degrada i senti­
menti, distrugge la pace nelle fam iglie, m inaccia le
fondam enta della società, rende incapaci all’ esercizio
di ogn i sorta di virtù , abbassando l ’uom o al livello
dei bruti 27.

*6 Cf. 11-11,148,6.
2? « Dai riporre il godimento nei sapore dei cibi barino origine diletta-
mente la gola e l’ubriachezza, l’ira, la discordia, la mancarla di carità
verso il prossimo e i poveri, sino al punto a cui giunse il ricco Epulone,
il quale, mentre banchettava tutti i giorni splendidamente, lasciava morire
di fame il povero Lazzaro (Luca 16,19). Parimenti derivano lo sconcerto
del corpo e la infermità; si suscitano i moti turpi, perché crescono gl’incen­
tivi alla lussuria; si genera direttamente grande torpore di spirito e si de-
452 LA VITA CRISTIANA N EL S U O SVILU PPO ORDINARIO

R i m e d i p r in c ip a li. - Senza d u b b io è d ifficile c o n ­


tr o lla te p erfe tta m e n te le d e v ia zio n i d el p ia ce re d el g u ­
sto , p e r il fa tto ch e n o n p o ssia m o p re scin d e re in te ra ­
m en te da esso. T u tta v ia , ci sarà di g ra n d e a iu to la p ra ­
tica ferm a e co stan te di q u e sti co n sig li:
1) N o n mangiare e non bere mai senza aver prima
rettificato l’intenzione, orientandola al com pim ento della
volontà di D io anche quando provvediam o alle nostre
necessità corporali. N o n omettere mai una breve preghie­
ra prima e dopo i pasti.
2) E vitare con cura i difetti che abbiamo ricordati so­
pra; non anticipare senza m otivo l ’ora dei pasti; non man­
giare solo per gusto — ancorché si possa mangiare con gu­
sto — o con avidità; moderarsi nella quantità e nella qualità.
3) N on portare mai la conversazione sui cibi e sulle
bevande, né prolungare le ultime portate allo scopo di de­
gustare con voluttà n uove pietanze o n uove bevande.
4) Cercare di ridurre progressivam ente il cibo — come
consigliano gli igienisti — fin o a raggiungere la pura quan­
tità richiesta dal nostro organismo.
5) E vitare le distinzioni e le singolarità nella qualità
o nella quantità del cibo, soprattutto quando si vive in com u­
nità. È m olto facile diventare vittim e delle illusioni su, que­
sto punto. Ci sono m olte persone « malate » la cui unica
malattia è la gola, la smania di rendersi singolari, o lo squili­
brio del sistema nervoso. « Persuadetevi, figliuole, che quan­
do il nostro corpo comincerà ad essere vinto, ci lascerà
in pace, né più ci tormenterà. A ven d o chi si interessa dei vo ­
stri bisogni, lasciatene ogni cura, a meno che non si tratti
di una necessità evidente. Se non ci risolviam o a non cu­
rarci più della morte e della perdita della salute, non faremo
mai nulla » *8.
Però si eviti con cura e delicatezza di mancare alla cari­
tà con burle indiscrete o trascurando i veri malati. Questi
ultimi hanno una norm a infallibile per orientarsi rettamente:
lasciarsi guidare in tutto dall’obbedienza ai legittim i su-

prava l’appetito delle cose spirituali, tanto che l’uomo non vi trova più
sapore, e non può nemmeno fermarvisi o trattarne. Da tale gaudio, infine,
nasce distrazione degli altri sensi e del cuore, e scontentezza intorno a mol­
t e c o s e » (S. G i o v a n n i d e l l a C r o c e , Salita 1 1 1 ,2 5 ,5 ) .
18 S. T e r e s a , Cammino 11,4.
LA PURIFICAZIONE ATTIVA DELLE POTENZE 453

periori. È lecito e a vo lte obbligatorio manifestare con um il­


tà le proprie debolezze e i propri acciacchi; ma atteniamo­
ci, poi, serenamente a quanto disporranno i superiori.
6) M ortificarsi positivamente nel mangiare, la qualco­
sa può farsi in diverse maniere, senza richiamare l ’attenzio­
ne di chi ci sta vicino. A nzitutto, « non lamentarsi mai
delle vivande, se bene o mal preparate; ma ricordarsi del
fiele e dell’aceto bevuto da G esù Cristo » 29. Rinunciare
a qualche soddisfazione anche lecita (come può essere l’ag­
giungere sale ai cibi insipidi), astenersi da qualche cibo
squisito o diminuirne la razione; rinunciare al vin o e
ai liquori o ridurre il loro uso al minimo; mettere da par­
te per i p overi il boccone più squisito, ed altre cose del
genere. L a generosità della propria rinuncia e, soprattutto,
il crescente amor di D io ispireranno all’anima m ille ingegno­
si espedienti per m ortificarsi progressivam ente, senza cofl-
promettere affatto la salute e con grande p ro fitto spirituale.

186 . 5. I l t a t t o . - È il senso più grossolano


e, data l ’estensione e la veem enza di alcune sue m anife­
stazioni, il più pericoloso. È necessario, quindi, eser­
citare su di esso una oculata vigilan za onde evitare le
funeste conseguenze che ne potrebb ero derivare 3
Rim andiam o il lettore per quel che si riferisce alla

29 S. T e r e s a , Avvisi per le sue monache n.39.


3° Ecco le principali, secondo S. Giovanni della Croce: « Dal gaudio
circa il tatto di cose piacevoli provengono detrimenti maggiori di numero
e più perniciosi ancora, i quali in breve pervertono il senso, e rovinano lo
spirito spegnendone ogni forza e vigore. Di qui trae origine l’abominevo­
le vizio della mollezza e gl’incentivi ad essa, più o meno a proporzio­
ne di detto gaudio. Si genera la lussuria, l’animo si rende effeminato e tì­
mido, ed il senso diventa lusinghiero e molle, disposto a peccare e a nuoce­
re. Inoltre lo stesso gaudio infonde nel cuore vana gioia e allegrezza, pro­
duce stoltezza di lingua, libertà di occhi, e rende stupidi e ottusi gli altri sen­
si. Impaccia il giudizio, mantenendolo in una certa insipienza e ignoranza
spirituale, e crea, moralmente, pusillanimità e incostanza. Ottenebrando
l’anima e indebolendo il cuore, fa temere anche dove non v ’è nulla da teme­
re. Alcune volte crea spirito di confusione e insensibilità di coscienza e di
spirito, in quanto che debilita molto la ragione, riducendola al punto di non
saper dare o ricevere un buon consiglio; e la rende incapace dei beni spi­
rituali e morali, ed inutile come un vaso ridotto in frantumi» (Solita III,
25,6).
454 LA VITA CRISTIANA N EL S U O SVILU PPO ORDINARIO

lussuria a quanto abbiam o detto parlando della lotta


contro la carne 31. Q u i ci occuperem o, soprattutto,
di quel che si riferisce alle penitenze o alle m ortifica­
zio n i corporali, intim am ente connesse con la purifi­
cazione del senso del tatto.
Il tatto p uò essere m ortificato in due m odi:
a) P rivan dolo di quello che lo alletta, com e può
essere il letto soffice, la sedia com oda, il contatto
d egli o g getti m orbidi e le carezze sul p rop rio o su]
corp o degli altri. Q ueste ultim e, a m o tivo dei pericoli
gravissim i che com portano, d evono essere evitate nel
m od o p iù assoluto, soprattutto se si tratta di persone
di diverso sesso.
b) Praticando la m ortificazione positiva del tatto
c o n le penitenze corporali, il cilicio, le discipline, il
fred d o, il caldo, il lav o ro fisico, ecc. Q uesta m orti­
ficazione è necessaria in m od o particolare ai principian­
ti onde possano tenere a freno le passioni, sottom etten­
do pienam ente la carne allo spirito. M a sarebbe un
errore pensare che interessi soltanto loro. A parte il
valore espiatorio per i peccati passati, la m ortificazione
corporale ha due com piti nobilissim i: operare l’im m ola­
zion e di se stessi ad im itazione di C risto, contribuire
al benessere del C orpo m istico m ediante l ’apostolato
del dolore. A d essi sono interessati i santi ancor più
delle anime im perfette. S. V in cen zo de’ P aoli soleva
ripetere che « colui il quale fa poca stima delle m orti­
ficazioni corporali con il pretesto che le m ortificazioni
interne sono più perfette, m ostra chiaram ente di n on
essere m ortificato né interiorm ente n é esteriorm en­
te » “2.
T u ttavia, è necessario operare con prudenza e in ­

31 C f. n .1 7 4 -1 7 5 .
32 M e y n a r d , Vertus et dottrine spirituelh de S. Vincent de Gouì, 10 e d iz .,
T c q u l, P a rigi, c . z j , p . 362.
LA PURIFICAZIONE ATTIVA DELLE POTENZE 455
crementare gradualm ente g li esercizi di penitenza, a
misura che crescono le fo rze delPanim a e g li in viti
interni della grazia si fanno p iù pressanti. A lP in izio,
soprattutto, si eviti l ’effusione di sangue, a m eno che
la vo lo n tà di D io n on si m anifesti con chiarezza in
tal senso; n on si riduca eccessivam ente il sonno o la
quantità di cibo, po ich é ciò potrebbe pregiudicare la
salute e rendere inabili al com pim ento dei d o veri del
prop rio stato che sono più im portanti delle pratiche
volontarie di m ortificazione, e ci si gu ard i bene dal m u­
tare in fine quello che è soltanto un m ezzo, quasi che
la santità consista nel torturare crudelm ente il corpo,
com e fecero alcuni santi. C i sono nelle vite dei santi
m olti fatti degni di am m irazione, ma che sarebbe
im prudente v o le r imitare. E ssi p o tevan o contare su di
una particolare ispirazione e assistenza di D io che non
è data a tutti. Se lo Spirito Santo vu o le condurre
un’anima per la via delle penitenze straordinarie, glie­
ne farà sentire tutta l ’attrattiva e la doterà delle re­
lative forze. I p iù d evono esercitarsi nella m ortifica­
zione corporale ordinaria, fatta di m ille piccole rinun­
ce praticate con assiduità e perseveranza. Q u est’u l­
tim o particolare è m olto im portante. È preferibile pra­
ticare con perseveranza e continuità le piccole m orti­
ficazioni quotidiane anziché alternare p eriod i di r ig o ­
rose penitenze con periodi di rilassatezza.

B) P U R IF IC A Z IO N E A T T I V A D E I S E N S I IN T E R N I

S. G i o v a n n i d e l l a C r o c e , - S a lita II, 1 2 -2 2 ; III, 1-15/ V a l l g o r n e r a ,


Mystica Theologia 'divi Thomae q . 2 d . 3; M e y n a r d , Trattato della vita interiore
t. 1 nn. 5 1 -5 8 ; G a r r i g o u - L a g r a n g e , L e tre età... II, 8; N a v a l , Cur so de a-
scéticay mistica n . 1 3 1 e 1 3 4 ; M a h i e u , Probatio caritatis n .1 4 6 .

Com e abbiamo già visto (n. 180, b), i sensi interni


sono quattro: il senso comune> la fantasìa o immaginazione,
l’estimativa e la memoria sensitiva.
456 LA VITA CRISTIANA N EL S U O SVILU PPO ORDINARIO

187 . i . I l s e n s o c o m u n e e l ’ e s t i m a ­
t i v a . - D e l senso comune e dell’ estimativa non c’è
nulla di speciale da dire in ordine alla lo ro purificazio­
ne. I l prim o dipende dai sensi esterni, le cui im pressio­
ni accoglie e unifica. L a m ortificazione di questi è
sufficiente quindi per preservarlo da ogni inform azione
pericolosa o inutile. E quanto all’ estimativa scompa­
riranno da essa g li apprezzam enti falsi o ridicoli se
l ’im m aginazione sarà ben regolata e il giu d izio intellet­
tiv o eserciterà senza intralci il suo legittim o im pero.

188 . 2. L ’ i m m a g i n a z i o n e o f a n t a ­
s i a . - Tratterem o dell’importanza e della necessità della
sua purificazione e dei m ezzi necessari per conseguirla
in ordine alla perfezione cristiana.
i) Im p o rta n z a . - L ’im m aginazione o fantasia è
na facoltà im portantissim a, date le intim e relazioni esi­
stenti tra l ’anima e il co rp o nelle condizioni attuali
della natura umana. A d ogn i idea acquisita mediante
il m eccanism o naturale delle nostre facoltà fa riscontro
una precedente im m agine dall’im m aginazione som m i­
nistrata all’intelletto. Senza im m agini, l ’intelletto non
pu ò naturalmente 33 conoscere. D a qui l ’im portanza
di usare im m agini sensibili per far com prendere, so­
prattutto alle persone rudi, le idee astratte e i princi­
pi speculativi. G esù si valse continuam ente d ell’im m a­
ginazione p er rendere accessibili al p o p o lo semplice
e b en disposto i grandi m isteri del regn o di D io .
L ’im m aginazione esercita pure un grande influsso
sull’appetito sensitivo che tende con m aggio r ardore
verso i prop ri o g g e tti quando son rivestiti e colorati
d’incanti e d ’attrattive sensibili.

33 S otto lineam o intenzionalm ente questa parola p erch é D i o p u ò co m


nicare all’anim a, soprannaturalm ente, delle specie intelligibili senza alcun
in terven to dell’im m aginazione.
LA PURIFICAZIONE ATTIVA DELLE POTENZE 457

z) N e c e s s it à d i p u rifica rla . - A p pu n to per la sua


raggu ard evole influenza su tu tto il com po sto um ano,
l ’im m aginazione è una delle facoltà che ha b iso gn o di
una p iù profon d a purificazione. Posta al servizio del
bene, p u ò prestarci incalcolabili servizi; m a n on v ’è
nulla che ci possa ostacolare tanto sulla via della santi­
ficazione quanto una im m aginazione esaltata e non
controllata dalla ragione illum inata dalla fede. Ferita
profondam ente dal peccato originale, tro va difficoltà
a soggiacere all’im pulso della ragione e della volon tà,
che n on esercitano nei suoi riguardi u n im pero dispo­
tico, com e sui sensi esterni, m a solam ente politico.
D u e sono i principali inconvenienti di una im m aginazio­
ne insufficientem ente controllata:
a) E ’ causa di dissipazione. - Senza un profondo racco­
glim ento è im possibile la vita interiore. O ra, non v i è nulla che
impedisca tanto questo raccoglim ento quanto l’incostanza
delPimmaginazione, che non riesce a concentrarsi un m o­
mento. S. Teresa la paragona a « quelle farfallette notturne
im portune e irrequiete », e a una « battola da mulino » 3♦ ,
che n on cessa mai di sbattere finch é il m ulino è in m ovi­
mento. Il P. Granada dice che è « una potenza m olto libera
e girovaga, com e un bestia selvaggia, che se ne va di colli­
na in collina », e la paragona a uno « schiavo fu g g itivo che
se ne parte dalla nostra casa senza permesso » 35. È « la
pazza di casa » che « scatena una guerra incredibile, cer­
cando di mettere tutto a soqquadro », aggiunge ancora
S. Teresa 36.
b) E ’ causa di tentazioni e di peccati. - Spesso si attri­
buiscono al dem onio tante tentazioni che, in realtà, traggo­
no origine solo dalla nostra im m aginazione priva di control­
lo. L e passioni disordinate si accendono e si alimentano
attraverso l ’im m aginazione, che ritrae al v iv o il piacere
che il peccato procurerà all’appetito concupiscibile, o au­
menta le difficoltà che l ’appetito irascibile dovrà sostenere
per la virtù, riem piendolo di tristezza e di sfiducia. D ice

34 C f. V ita 17,6 ; Quarte mansioni 1,13.


35 Guta de jecidores 1.2, c .1 5 , § 7.
36 V ita 17,5.
458 LA VITA CRISTIANA NEL SU O SVILU PPO ORDINARIO

il D a Kempis che l’unico ostacolo che ritrae tante anime


dal cammino della perfezione è l’« orrore delle difficoltà »
ingigantite dall’im m aginazione 37.

3) M e z z i p e r p u r if ic a t e l ’im m a g in a z io n e . - I
p rin cip a li sono:
a) La custodia dei sensi esterni. - È di capitale im portan­
za, giacché attraverso i sensi esterni, principalmente la v i­
sta, entrano immagini vane o sconvenienti che la fantasia
ritiene, riproduce e com bina in mille form e, eccitando l’ap­
petito sensibile e richiamando l ’attenzione dell’intelletto
e il consenso della volontà.
b) L ’attenta selezione delle letture. - B isogna evitare
ad ogn i costo, non solamente le letture cattive o pericolose,
ma anche le frivole e le vane, che riem piono l’im m aginazio­
ne di inutili fantasie. A questa categoria appartiene la m ag­
gior parte dei romanci, la lettura dei quali rappresentano
un vero impedimento alla vita di raccoglim ento e di orazio­
ne. O ltre che a farci vivere in un m ondo irreale, pieno di
sogni m orbosi, le scene più impressionanti di quella fin zio ­
ne letteraria ritornano com e fantasmi im portuni nell’ora
del dovere e della riflessione. È quasi impossibile che p o s­
sa santificarsi un lettore appassionato di romanzi.
c) Combattere l ’ozio. - L ’ immaginazione non resta mai
quieta; se non la sfruttiamo offrendole una buona ed utile
occupazione, essa stessa andrà alla ricerca di ciò che le è
necessario per esplicare la propria attività. E siccom e è mal
orientata e avverte una naturale propensione verso tutto
quanto alletta gli appetiti meno nobili, ben presto ci indur­
rà in pericolose tentazioni.
d) Offrirle oggetti buoni. - Per avere un pieno co n tro llo
dell’immaginazione non basta sottrarle la materia nociva
e non permetterle di divagare oziosa; è necessario fornirle
materia santa e utile onde abbia a dirigersi positivam ente
al bene. A questo mira la cosiddetta « com posizione di lu o ­
go » vivam ente raccomandata prim a di iniziare l ’orazione.
Una rappresentazione vivace di ciò che stiamo per meditare
oifre tale pascolo all’im m aginazione da impedirle di pertur­
bare la pace e la tranquillità dello spirito con im portune
divagazioni. L a lettura di libri devoti, nei quali sono descrit­

37 « U n u m est q u o d m ultos ab em endationé retrahit: h o rror difficulta-


tis seu labor certam inis» [D e ìmitatìone Chrisli l . i , c . 2 5 ■
LA PURIFICAZIONE ATTIVA DELLE POTENZE 459

te con forza e colore scene edificanti, può contribuire a edu­


care positivam ente l’immaginazione e a m etterla al servizio
deU’intelletto e della volontà, ai quali può prestare un vali­
do aiuto.
e) Abituarsi ad operare sempre con attenzione a quello
che si sta facendo. - L ’age quod agìs degli antichi racchiude
una profonda sapienza. L ’abitudine a riflettere a quello che
stiamo facendo ha il doppio vantaggio di m oltiplicare le
nostre energie intellettuali e di disciplinare l’immaginazione,
impedendole di vagare da un o ggetto all’altro. N o n conoscia­
mo niente di più sintetico ed esatto sull’attenzione che le
mirabili pagine scritte da Balmes nel capitolo 2 0 della sua
famosa opera E l criterio. A d esse rim andiam o il lettore.
f) Non dare troppa importanza alle sue distrazioni e im­
pertinenze. - A vo lte l’unica form a valida per com batte­
re certe fantasie esaltate è quella di disprezzarle e di non
affrontarle direttamente per non eccitarle m aggiorm ente;
è il consiglio di S. Teresa 3*. La volontà miri all’amor di
D io anche in m ezzo alle distrazioni più stravaganti e non
faccia caso all’im m aginazione finché D io non la trasfor­
merà profondamente mediante le purificazioni passive.

4) In o r d in e a l la p e r f e z io n e c r is t ia n a . - S. G io ­
v a n n i della C r o c e tratta diffusam en te del m o tiv o p er
cu i le ap p ren sio n i im m a g in a tiv e n o n p o ss o n o essere
u n m e zzo p ro p o rz io n a to a ll’u n io n e co n D io — n o n p o ­
ten d o Id d io essere rap p resen tato in u n a sp ecie fa n ta sti­
ca — e d e l d an n o ch e p ro d u c e n e ll’anim a il n o n saperse­
ne liberare a n c o r c h é le sian o state p resen tate p e r v ia
sopran n aturale. Si le g g a e si m ed iti la d o ttrin a d el D o t ­
to re M istico 39.

1 8 9 . 3. L a m e m o r ia .
Tratterem o della purificazione della memoria in generale,
esponendo i principi che si possono applicare indistinta­
mente sia alla memoria sensitiva che alla m emoria intellettiva.

3 8 « L ’ u n ico rim edio ch e d o p o tanti an n i di fatica h o p o tu to trovare


è qu ello d i cu i h o parlato nell’ orazione di quiete, cio è trattare la fantasia
da p azza e abbandonarla a se stessa. Solo Id d io la p u ò calmare! In fin e essa
n o n è ch e una sch ia v a » ( V ita 17,7 ).
39 C f. Salita I I , 12 e 16 principalm ente.
460 LA VITA CRISTIANA NEL SUO SVILU PPO ORDINARIO

Q uest’ultima, secondo S. Tom m aso, non è una facoltà di­


stinta dall’intelligenza, ma soltanto una attività della me­
desima che ha per oggetto di conservare e ritenere le specie
intelligibili 4°. Un abisso separa la memoria sensitiva ■ — che
ha per oggetto unicamente il sensibile, il particolare, il con­
creto — dalla memoria intellettiva — ■che ha per o ggetto
il soprasensibile, l’astratto, l ’universale — ; tuttavia il pro­
cesso purificativo è identico

1) I m p o r ta n z a d e lla m e m o r ia . - L a m em o ria è
u n a fa c o ltà im p o rta n tissim a . N o n si s p ie g a la le g g e ­
re z za d i a lcu n i ch e la c o n sid e ra v a n o c o m e « il tale n to
d ei to n ti ». P u ò p restare, e in re a ltà p resta, in estim a b ili
s e rv iz i a ll’in te llig e n z a , d ella q u a le co stitu isce il p iù
v a lid o a iu to . Sen za d i essa, il n o s tro sp irito p o tr e b b e
p a ra g o n a rsi a d u n re cip ien te b u c a to , ch e rim an e sem ­
p re v u o t o n o n o s ta n te v i si v e r s i a cq u a in co n tin u ità .
P e r a lcu n e fo rm e d i co n o s c e n ze — lin g u a , sto ria, scien ­
z e fisich e e n atu rali, ecc. — è asso lu ta m en te in d isp e n ­
sabile p o sse d ere u n a fe lice m em o ria.
2) N e c e s s it à d i p u r if ic a r la . - P o ic h é la m em o ria
c o n se rv a n e llo sp irito o g n i sp ecie d i c o n o s ce n ze , b u o ­
n e e ca ttiv e , è n ecessa rio so tto m e tte rla a u n a ttiv o
p ro ce ss o d i p u rifica zio n e . N e l c o rs o d ella v ita si è
p ro d o tta in to r n o a n o i u n a serie d i fa tti il ric o r d o d ei
q u a li n o n p u ò fa v o r ir e l ’anim a n el su o d e sid erio di
e le v a z io n e . S aran n o a v o lt e i tristi e p is o d i d e lle n o stre
co lp e; a v o lte , le scen e di ce rti s p etta co li o di atti sca n ­
d a lo si c u i a b b ia m o assistito; a v o lte , le m alsan e in fo r ­
m a zio n i ch e a b b ia m o ric e v u to a ttra v e rso le lettu re, le
fo to g ra fie , e cc., ch e la scia ro n o il n o s tro sp irito p r o fo n ­
d am en te tu rb a to ; a v o lte , a n co ra, i tris ti a v v e n im e n ti

40 1,79 ,7- — I l riconoscere le specie in quanto passate, ossìa, co m e an ­


teriorm ente p ercep ite, n o n è una cosa prop ria della m em oria in tellettiva,
m a soltanto della sensitiva. T u tta v ia , anche la m em oria in tellettiva ha c o ­
scienza d el passato, n o n a m o tiv o del su o o g g e tto — che astrae sem pre
dall’iw et nunc — m a da parte del su o atto intellettuale, ossia, secundum quod
intellìgit se prius intellexisse, co m e dice S. T o m m a so (I, 79,60 e t ad 2).
LA PURIFICAZIONE ATTIVA DELLE POTENZE 461

d e lla v ita in d iv id u a le , fam ilia re o sociale: le d isg ra ­


zie, le d im e n tica n ze, le in g ra titu d in i, le in g iu r ie , e c c .,
d i cu i è in tessu ta la p o v e r a v ita um ana.
N e ss u n o d i q u e sti ric o rd i è c o n v e n ie n te o u tile
a ll’anim a. T u tti te n d o n o , in u n m o d o o n e ll’a ltro , a
strap p arle la p a ce e la tra n q u illità , in d isp e n sa b ili p er
il ra c c o g lim e n to e la v ita di o ra zio n e.
3) M e z z i p e r p u r ific a r la . - D ia m o , in o rd in e p ro ­
g r e s s iv o , i p rin cip a li m e zz i p er p u rifica re la m em oria:
a) Eliminare i ricordi peccaminosi. - È il prim o, indi­
spensabile passo. Il ricordo dei peccati propri o altrui, come
pure quello degli spettacoli, delle riviste e delle scene im ­
morali, ha una forza spaventosa per suggestionare e far di
n uovo cadere nel peccato, soprattutto se v i si associa una
vigorosa immaginazione capace di colorare con n uove pen­
nellate gli avvenim enti trascorsi. L ’anima deve ricacciare
subito con energia questi ricordi, poiché la semplice approva­
zione o il piacere volontario dei peccati passati è sufficiente per
renderla nuovam ente rea di essi anche senza giungere a
commetterli materialmente un ’altra volta.
b) Combattere i ricordi mutili. - C i sono m olte cose che,
senza essere peccaminose in se stesse, possono rappresenta­
re una difficoltà per l’anima, quando sono richiamate alla
mente. T ali sono, per esempio, gli avvenim enti tristi della
nostra vita passata, le disgrazie familiari, le um iliazioni, gli
smacchi, ecc., o i felici successi, che ci riem pirono, forse,
di eccessiva e smodata allegria. Il loro ricordo perturba la
pace dell’anima senza alcun vantaggio. Perché nessuna pena
riuscirà mai ad annullare quanto di triste può esserci accaduto
e nessuna allegria saprà far rivivere i lieti eventi che la m oti­
varono. Se l’anima corre dietro a simili vane tristezze o alle­
grie sarà incapace di darsi all’orazione con raccoglim ento
di spirito.
c) Dimenticare del tutto le ingiurie o i disprezzi rice­
vuti. - Q uesto atto trascende la virtù comune, ma non può
essere omesso dall’anima che desidera davvero santificarsi.
Nonostante il perdono offerto e forse concesso in misura
superiore a quella strettamente obbligatoria, il ricordo del­
l ’offesa ricevuta può turbare ancora la pace della coscienza
e farci apparire poco simpatica la figura del colpevole. È
necessario dimenticare allora il torto e superare l’antipatia,
462 L A VITA CRISTIANA N EL S U O SVILU PPO ORDINARIO

trattando con particolare riguardo colui che volontariam en­


te ce lo causò. S. G iovanna di Chantal volle diventare ma­
drina di battesimo del figlio di colui che le aveva ucciso il
marito. Per attirarsi la simpatia di S. Teresa c ’era un m ezzo
di infallibile efficacia: insultarla o disprezzarla pubblicamen­
te. Am m iriam o e cerchiamo di imitare questi m eravigliosi
esempi che ci hanno lasciato i santi. Dim entichiam o per sem­
pre le offese ricevute pensando che più gravi sono quelle
che n oi abbiam o com m esso nei confronti di D io . L ’anima
che alimentasse un rancore, per quanto giustificato le pos­
sa sembrare, può rinunciare alla santità; e se si tratta di una
grave inim icizia, manifestata anche all’esterno, c’è da temere
persino della sua salvezza eterna.
d) Ricordare i benefìci ricevuti da Dio e la nostra ingra­
titudine verso di lui. - N o n è forse vero che il ricordo degli
im m ensi benefici ricevuti da D io , nel corso della nostra
vita, del perdono delle nostre colpe, dei pericoli da cui sia­
m o stati scampati, delle amorose tracce della sua provviden ­
za su di noi e sugli esseri che amiamo, costituisce un m ezzo
eccellente per eccitare la nostra gratitudine verso di lui
e stimolare il desiderio di corrispondergli con una delica­
tezza sempre più squisita ? Se a ciò aggiungiam o il ricordo
del nostro nulla, delle nostre disobbedienze, delle nostre
continue ingratitudini e resistenze alla grazia, l’anima nostra
si riempirà di um iltà e sentirà la necessità di raddoppiare la
sua vigilanza e i suoi sforzi onde essere m igliore per l’av­
venire.
e) Far rivivere i motivi della speranza cristiana. - È ,
forse, l’espediente più efficace per ordinare la nostra memoria
a D io purificandola dal contatto delle cose terrene. S. G io ­
vanni della Croce fa della memoria la base della speranza
cristiana; e ancorché ciò non sia esatto v , è fuori dubbio
che si possano trovare m olti punti di contatto tra di esse
in ordine alla purificazione della memoria. I l ricordo dell’e­
ternità beata — o ggetto prim o della speranza — è m olto
adatto per farci disprezzare i vani ricordi delle cose della
terra ed elevare il nostro spirito a D io . Scrive un illustre
autore contemporaneo:
« L a dim enticanza di D i o fa si ch e la nostra memoria sia come immersa m i

41 Si v e d a la prim a n o ta d el n. 196, nella quale u n carm elitano espone


la ragion e fondam entale per cu i questa do ttrina n o n p u ò essere accettata e
i l m o tiv o ch e indusse S. G io v a n n i della C ro ce a utilizzarla.
LA PURIFICAZIONE ATTIVA DELLE POTENZI: 463

tempo, di cu i essa n o n v e d e p iù ii rapporto con Veternità, co n i benefizi e co n le


prom esse d i D io . T a le d ifetto porta la nostra m em oria a vedere tutte le
co se orizsontalmente sulla linea d el tem p o che fu g g e , e di cu i so lo il presente
è reale, tra il p assato scom parso e l ’ a vven ire che ancora n o n è ven u to . L a
dim enticanza di D i o ci im p edisce di v ed ere che il m o m en to presente si
tro v a anche su una linea verticale che lo rannoda all’u n ico istante dell’ im ­
m obile eternità, e che v i è u n m o d o d iv in o d i v iv e r e il m in u to presente,
affinché, p er m ezzo d el m erito, possa far parte dell’ eternità. M en tre la di­
m enticanza di D io c i lascia in questa veduta banale e orizzontale delle cose sul­
la linea d el tem p o ch e scorre, la contemplazione di D io è co m e una veduta ver-
ficaie delle cose che passano e d el lo ro lega m e con D io che mai non passa. Essere
im m erso nel tem p o , è u n dim enticare il v a lo re del tem p o , vale a dire, il suo
rapp o rto co n l ’eternità.
C o n quale v irtù d ev e essere guarita questa g ravissim a co lp a della di­
m enticanza d i D i o ? S. G io v a n n i della C ro ce risponde: ” L a m em oria che
dim entica D io d ev e essere guarita dalla speranza della beatitudine eterna,
co m e l’intelligenza d ev e essere purificata dal progresso della fede, e la v o ­
lo n tà d a l p rogresso della carità..
N o i siam o dei v ia gg ia to ri, e ci dim entichiam o d i essere in v ia g g io , c o ­
m e qu elli che si ritro va n o nei gran d i treni internazionali, d o v e si d o rm e e si
p ren d o n o i pasti co m e in u n alb ergo . E s s i dim enticano ta lvo lta d i trovarsi
in v ia g g io ; m a guardan do attraverso i g ran d i finestroni v e d o n o che il
treno corre rapido; p o i q u alcuno di tanto in tanto scende dal treno stesso
e allora q u ei v ia g g ia to ri pensano ch e presto arriveranno anche alla lo ro m eta.
C o s i n el v ia g g io d ell’eternità, q u an d o q u alcu n o discende, v ale a dire quan­
d o m uore, ci ricorda che n o i pure d o bb iam o m orire, e ch e siam o in cam m ìna-
tiverso l'eternità» 42.

4) I n o r d in e a lla p e r f e z io n e , la n ecessità d i p u ri­


ficare la m em o ria , v u o ta n d o la da tu tte le fo rm e terren e
ch e p o ss o n o tu rb are l’ u n io n e co n D io , o b b e d is ce
alla fo n d a m e n ta le ra g io n e delle altre p o te n ze : n essun a
fo rm a creata, sen sibile o in te llig ib ile , p u ò servire d i
m e zz o p ro s s im o e p r o p o r z io n a to a lla d iv in a u n io n e .
F o rte d i q u e sto p rin c ip io , S. G io v a n n i d e lla C r o c e
esig e dalla m e m o ria la d im en tica n za d i tu tto q u a n to
p u ò a v e r a p p re so p e r v ia n atu rale o so p ran n atu rale,
p e r g u id a rsi un icam en te co n i m o tiv i d e lla speran za
c r is tia n a 43.

42 G a r r ig o u - L a g r a n g e , L e tre età ... 1 1 , 8 .


43 C f. Salita
464 LA VITA CRISTIANA N EL S U O SVILU PPO ORDINARIO

Articolo III
Purificazione attiva delle passioni

S . T h . 1 -11,22-48; R ib e t , L a psycologie des sentìments; P a y o t , L'éducalìon


de la volonté; J a n v i e r , Carime, 1 9 05; H , D . N o b lh , L ’ éducalìon des passions;
F r o b e s , Psicologìa empirica y experìmental; F .T .D ., Psicologìa pedagògica.

Esaminata la purificazione attiva dei sensi esterni ed


interni, passiamo a studiare la riform a e l’ordinamento di
un ’altra importante facoltà organica: Vappetito sensitivo, nel
quale risiedono le passioni.

190. 1. N o z i o n i p r e l i m i n a r i . - Comin­
ciamo col ricordare alcune brevi nozioni di psicologia.
a) L’appetito sensitivo è la facoltà organica per
cui ricerchiamo il bene in quanto materiale e appreso
dai sensi. Si distingue genericamente dall’appetito ra­
zionale, o volontà, che cerca il bene in quanto appreso
dall’intelletto 1. L ’appetito sensitivo ignora ogni ra­
gione di bene che non sia quello puramente sensuale
o grato ai sensi. Di qui la lotta condotta contro l’ap­
petito razionale, che cerca il bene razionale o dello
spirito: « Caro concupiscit adversus spiritum; spiritus
autem adversus carnem: haec enim sibi invicem adver-
santur » (Gal. 5,17).
L’appetito sensitivo, chiamato anche sensualità s,
è una forza generica distribuita in due potente, che
costituiscono le due forme dell’appetito sensitivo, cioè:
Y appetito concupiscìbile e Vappetito irascibile. Il primo ha
per oggetto il bene dilettevole, di facile conseguimento;
il secondo il bene arduo, difficile a raggiungersi.
Queste due inclinazioni non si possono ridurre ad un

1 I,6o,2.
a 1,8i , i : « E t sic sensualitas est nom en appetitus sensitivi».
LA PURIFICAZIONE ATTIVA DELLE POTENZE 465

principio unico, ma esigono necessariamente due po­


tenza distinte tra loro s.
L ’intelletto e la volontà possono influire ed influi­
scono di fatto sull’appetito sensitivo; non però in
una forma dispotica (come sulle mani e sui piedi che
si muovono senza resistenza alla decisione della volon­
tà), ma solo con un impero politico, a somiglianza di
quello esercitato da un superiore nei confronti di un
suddito che può sempre rifiutarsi di ubbidire4.
I differenti moti dell’appetito sensitivo verso il
bene appreso dai sensi dànno origine alle passioni.
Regolare e purificare l’attività di queste, equivale, quin­
di, a regolare e a purificare l’appetito sensitivo.
b) Le passioni. - In senso filosofico esse sono energie
che possiamo usare per il bene o per il male. Consi­
derate in se stesse, non sono né buone né cattive:
tutto dipende dall’orientamento che viene loro dato 5.
Poste al servizio del bene, possono prestarci incalco­
labili vantaggi. Anzi si può affermare che è moralmen­
te impossibile per un’anima giungere alle grandi altez­
ze della santità se non è dotata di una grande risorsa
passionale orientata verso Dio. Poste al servizio del
male, si convertono in forze distruttrici, dalle conse­
guenze incalcolabili.
Nel linguaggio comune, e in quello di buona parte
degli autori di spiritualità, il termine passione è preso
in senso peggiorativo, come sinonimo di passione
cattiva, di un qualche cosa che è necessario combat­
tere e dominare.
Noi lo useremo in senso filosofico come forza in sé
indifferente che va incanalata per le vie del bene, in-

3 C f. 1,8 1,2 , d o v e S. T o m m a so dà ragione della d istinzione specifica


tra l ’app etito co ncup iscib ile e l ’a p p etito irascibile.
4 1,81,3 c e t ad 2. — C f. 1-11,17 ,7 ; 56,4 ad 3.
5 C f. 1 -1 1 ,2 4 .
466 LA VITA CRISTIANA NEL SU O SVILU PPO ORDINARIO

dicando, in pari tempo, le deviazioni di cui potreb­


bero soffrire e i mezzi per evitarle.
1 9 1 . 2. N a t u r a delle passioni.
- Le passioni si possono definire come i l movimento
dell’ appetito sensitivo sorto dall’apprensione del bene o del ma­
le sensibile con una ripercussione p iù o meno intensa sull’ or­
ganismo.
G li psicologi moderni sogliono adoperare il termine
passione per designare i m ovim enti passionali più veem enti
e intensi, riservando per quelli meno intensi e più com uni
il nom e di emozione. Com unque, suppongono sempre qualche
conoscenza, almeno sensitiva, del bene che si ricerca o del
male che si fugge.

Il movimento passionale propriamente detto è sem­


pre intenso. E la ripercussione nell’organismo è una
conseguenza naturale. Cosi, l’ira avvampa la faccia
d’indignazione e pone i nervi in tensione; il timore
fa impallidire; l’amore dilata il cuore, e il timore lo
restringe, ecc. Tuttavia l’intensità di tale commozio­
ne non è sempre uniforme: dipenderà in ogni caso
dalla costituzione fisiologica dell’individuo, dalla vio­
lenza del moto passionale e dal maggior o minor con- i
trollo che si ha di se stessi.
192 . 3 . N u m e r o . - S. Giovanni della Croce,
uniformandosi a Boezio, ne enumera quattro: il pia­
cere, la speranza, il dolore e il timore 6. Però è classi- !
ca la divisione scolastica, che ne enumera undici, di
cui sei appartengono all’appetito concupiscibile e cin­
que all’irascibile. >

6 N e l 1.1 D e consolatìone phiìosophiae B o e z io esp o n e la sua teoria co n q u e- ;


sti versi: « T u q u o q u e si v is — lu m ine claro — cernere v e ru m — tram ite :
recto carpere callem : — G a u d ia pelle — p elle tim orem — spem que
fu g a to — nec do lo r a d sit» ( M L 63,657 A -6 5 8 A ) . C f . 1-11,25 ,4 , e S. G i o ­
vanni della C roce, Salita I I I , 16.
LA PURIFICAZIONE ATTIVA DELLE POTENZE 467

a) N ell’appetito concupiscibile il bene dà vita a


tre movimenti passionali; quando è presente, genera
Yamore; quando è futuro, dà origine al desiderio; quan­
do è posseduto produce il piacere. Al contrario, il male
quando è presente, produce Yodio; quando è futu­
ro, produce un movimento di fuga; quando ci rag­
giunge, causa tristezza.
b) N ell’appetito irascibile, il bene assente, se è
conseguibile, genera la speranza; se è impossibile, pro­
duce la disperazione. Anche il male arduo assente, se
è superabile, accende Vaudacia; se è insuperabile, pro­
duce il timore. Infine, la presenza del male arduo pro­
duce l’ira nell’appetito irascibile, oltre la tristezza nel
concupiscibile. La presenza del bene arduo non può
eccitare nessun movimento nell’appetito irascibile, ma
unicamente il piacere nel concupiscibile; per questo,
l’appetito irascibile ha soltanto cinque passioni, e sei
il concupiscibile.
Per maggior chiarezza possiamo fare questo sche­
ma delle passioni: ■
Il bene appreso sem plicem ente.. ,A.more.
Il male, opposto al bene. Odio.
N e ll’ appetito Il bene futuro................ . . . Desiderio.
concupiscibile Il male futuro.............. Avversione o fuga.
Il bene presente.......... .. .Piacere
I l male presente............. . ..T ristezza
I l bene ar- ( Possibile. Speranza.
duo assente { Im possibile............ Disperazione.
N e ll’ appetito
irascibile Il male ar- f Superabile...............Audacia.
duo assente \ Insuperabile............. Timore.
Il male arduo presente.............. Ira.

Bossuet ha fatto osservare che tutte le passioni


possono ridursi slYamore, che ne costituisce come il
fondamento e la radice. Egli scrive;
« Possiamo dire, se consultiamo quello che avviene
dentro di noi, che le nostre passioni si riducono al solo
468 LA VITA CRISTIANA NEL SUO SVILU PPO ORDINARIO

amore, che le racchiude ed eccita tutte. L 'odio per un oggetto


nasce dall’amore che si porta ad un altro. O dio la malattia
perché amo la salute. P ro vo avversione per qualcuno perché
mi ostacola il possesso di ciò che amo. Il desiderio è soltanto
un amore che si estende ad un bene che non si possiede
ancora, cosi com e il piacere è un amore che aderisce al bene
posseduto. L a fuga e la tristezza sono un amore che si allon­
tana dal male, che lo priva del suo bene, e che si affligge.
\Jaudacia è un amore che affronta, per possedere l’o ggetto
amato, quello che v ’è di più diffìcile, e il timore è un amore
che, vedendosi minacciato di perdere quello che cerca, è
tormentato da questo pericolo. L a speratila è un amore che
confida di possedere l’oggetto amato, e la disperazione è
un amore desolato al vedersi p rivo per sempre di esso, la
qual cosa gli causa un abbattimento dal quale non si può
rialzare. U ira è un amore sdegnato al vedere che gli si vuole
togliere il suo bene e si sforza di difenderlo. E allora, sop­
primete l’amore, e non esisteranno più passioni; ristabili­
telo e le farete rinascere tutte » 7.

193 . 4. I m p o r t a n z a d e l l e p a s ­
s i o n i . - La grande im portanza delle passioni si
ricava dalla lo ro influenza sulla vita fisica, intellettuale
e m orale dell’uom o.
a) Nella rita fisica. - Se manca lo stim olo degli appetiti
è appena concepibile la vita fisica, mentre l’eccitazione pas­
sionale ci rende straordinariamente attivi per il bene o per
il male. Inoltre, alcune passioni, come la tristezza, eserci­
tano un influsso decisivo sulla salute del corpo e possono
anche produrre la morte: « quae magis nocet corpori quam
aliae passiones », dice S. Tom m aso 8.
b) N ella v ita intellettuale. - È incalcolabile l’influsso
delle nostre passioni sulle nostre idee. Balmes lo ha messo
ben in luce nel suo E l criterio 9. L a m aggior parte dei tradi­
menti e delle apostasie hanno la loro più profonda radice
nel disordine delle proprie passioni. A v v e rte il P. Bourget:
« È necessario vivere com e si pensa; diversamente, o pre­
sto o tardi, si finirà col pensare com e si è vissuto » I0. Com e

7 B o s s u e t , Connaìssance de Dieu et de sot-mème c . i , n .6 .


8 1-11,37,4.
9 C f. principalm ente i c. 19 e 22, sop rattutto a partire dal § 37.
10 P. B o u r g e t , L e démon de midi II, p. 253.
LA PURIFICAZIONE ATTIVA DELLE POTENZE 469

si spiega diversamente la triste defezione di Lutero e di


tanti altri ?
c) N ella vita m orale. - L e passioni aumentano o dimi­
nuiscono la bontà o la malizia, il merito o il demerito dei
nostri atti 11. L o diminuiscono quando operiamo il bene o
il male più sotto lo stimolo della passione che per la libera
elezione della volontà; lo aumentano quando la volontà
consente all’impulso della passione e lo utilizza per operare
con m aggiore intensità.

194. 5. E d u c a z i o n e delle p assio ­


n i . - Se le passioni hanno tanta im portanza nella
nostra vita, nasce spontanea la necessità di una con ve­
niente educazione che le ritragga dal male e le ponga
al servizio del bene.
a) Possibilità di educarle. - Innanzi tutto diciamo
che è possibile educare le passioni, perché di per sé in­
differenti nelPordine morale. L a lo ro stessa natura
esige una direzione e un ordinam ento. È ve ro che non
possiam o esercitare su di esse un potere dispotico,
m a solo politico; tuttavia una saggia organizzazione
di tutte le nostre risorse p sicologich e 12 p u ò portare
ad un perfetto controllo di esse, eccezione fatta dei
cosiddetti « m oti prim i », che per altro non toccano la
m oralità delle nostre azioni.
L ’esperienza quotidiana conferm a questi principi.
T u tti abbiam o coscienza della responsabilità dei nostri
im pulsi passionali. Q uando ci lasciam o trasportare da
un m oto disordinato, avvertiam o subito il tarlo del
rim orso; quando, al contrario, g li resistiam o, sperim en­
tiam o la soddisfazione e la gioia del d overe com piuto.
È la p ro v a m igliore che ci sentiam o liberi nei confron-

11 1-11,24,3.
12 II m ezzo p iù efficace di cu i p ossiam o disporre per dom inare e diri­
gere le passioni è la grazia di D io . O ra p erò stiam o esam inando i m o v e n ­
ti p sic o lo g ic i che ci p osson o aiutare nel co n segu im en to di qu esto fine.
L a grazia n o n distru g g e la natura, m a la eleva e la perfeziona.
470 LA VITA CRISTIANA NEL SUO SVILU PPO ORDINARIO

ti della passione e che, quindi, dipende da noi orientar­


la nel suo giusto senso. A n ch e la storia delle con ver­
sioni è li a conferm arlo. U om ini che, dal disordine
delle lo ro passioni, si erano lasciati trascinare nel fango,
riprendono, dal m om ento della conversione, a condur­
re una vita casta e m origerata; all’inizio provan o,
forse, grandi difficoltà, ma pian piano giu n go n o a
riconquistare il pieno dom inio e il perfetto controllo
di se stessi.
b) Princìpi psicologici fondamentali. - Il P. E y-
m ieu che ha esposto accuratam ente questa im portante
dottrina 13, nella sua opera si dilunga su tre princìpi:
i) Ogn{ idea 11 inclina a ll’atto, di cui essa è la rappre­
sentazione.
Principio particolarmente vero quando questa idea o
sentimento si accom pagna a forti em ozioni e a vive rappresen­
tazioni.
D a esso si deduce, com e norm a pratica, la necessità di
fomentare idee conformi alle anioni che si vogliono realizzare, ed
evitare attentamente quelle che si riferiscono ad anioni che si voglio­
no evitare. In questo m odo si governano gli atti per mezX0 del­
le idee.

z) U a tto suscita i l sentimento, di cui è l'espressione nor­


male.
Per acquistare un determinato sentimento — ossia per
intensificare una determinata passione — è necessario ope­
rare come se la si possedesse già: si governano i sentimenti per
me’z zp degli atti.

3) L a passione porta al massimo le for%e psicologiche


umane e le utilizza per i l suo scopo.

J3 C f. A . E y m i e u , I l governo di se stesso, 4 v o li.: I. L e grandi leggi; I I. L 'o s­


sessione e lo scrupolo; I II. L ’arte del volere;lV. L a legge della vita, E d iz io n i
Paoline, R om a, 1958. Q u i si fa riferim ento a l I vo lu m e: Prim o, S eco n d o e
T e r z o principio.
x4 L ’ autore intende p er idea qualsiasi fen o m en o co n o s citiv o , intellet­
tuale o sensibile {Le grandi leggi, In tro d u zio n e , n o ta 9).
LA PURIFICAZIONE ATTIVA DELLE POTENZE 471

Q uindi, la necessità pratica di scegliere bene una passio­


ne onde sfruttare quanto m eglio possibile le nostre energie
psicologiche. In questo m odo, si governano le idee e gli atti
per me^o dei sentimenti.
Q uesti sono i princìpi fondam entali nel controllo
e nel g o ve rn o delle passioni. T u ttavia preciserem o me­
glio le norm e di condotta in ordine al m ale e al bene.
c) La lotta c o n tro il disordine delle passioni. -
A n zitu tto è necessario convincersi dell’ assoluta neces­
sità di com battere le passioni disordinate per i grandi
inconvenienti che ne deriverebbero qualora fossero
lasciate in balìa di se stesse15. Esse perturbano lo spirito,
im pediscono la riflessione, rendono im possibile il g iu ­
dizio sereno ed equilibrato, snervano la volon tà, ec­
citano perniciosam ente l’im m aginazione, alterano i n o ­
stri organi corporali com prom ettendo la pace e la
tranquillità della nostra coscienza: « C hi non ha m ale­
detto queste ore di sfrenatezza e di ubriacatura tanto
crudelm ente espiate ? Chi n on ha pianto queste rovin e
interiori, unica realtà che si ritrova in sé quando svanisce
la chim era, alla quale si era sacrificato tutto, gli affet­
ti, i doveri, forse l ’ onore, e con la propria fortuna
anche quella del prossim o ? » (T . Bernard).
« I rimedi da adottare dipendono dalla natura delle
passioni che si devono combattere. Si lotterà contro quelle
che provengono dall 'ambiente, con l ’allontanam ento, le di­
strazioni, i viaggi; contro quelle che procedono dall’ organi­
smo, con un regim e particolare, il lavoro, la custodia dei
sensi e dell’immaginazione; contro quelle che hanno o ri­
gine dal temperamento e dal carattere, con la riflessione e la
forza di volontà. Contro tutte valgon o, inoltre, i mezzi di
ordine soprannaturale » l6.

x 5 S. G io v a n n i della [Croce parla diffusamente della necessità d i p u ­


rificare g li app etiti, che stancano, tormentano, oscurano, macchiano e indeboli­
scono l’anim a {Salita 1,6 -13 ), e q u attro passioni fondam entali: il piacere,
la speranza* il dolore e il timore, l’im m ortificazione o il disordine dei
quali im pedirebbe l ’u n io n e dell’anim a co n D io {Ivi, 111,16 -4 5).
16 F . T . D ., Psicologia pedagògica n.379.
472 LA VITA CRISTIANA N EL S U O SVILU PPO ORDINARIO

D a l pun to di vista p sico lo g ico , n on v ’è dubbio


che il principale rim edio con tro le passioni disordina­
te sarà sempre una volontà ferma e decisa a vincere. E s­
sa sarà l ’unica barriera capace di contenere l ’im peto
della passione. P erò n on è sufficiente una vo lo n tà
puram ente teorica o sognatrice; si richiede una deci­
sione energica e inflessibile, che si traduce n ell’uso
dei procedim enti tattici per ottenere la vittoria, soprat­
tutto quando si tratta di com battere una passione fo r ­
tem ente radicata. E cc o le linee fondam entali di questa
strategia pratica 17 •
1) Lavorare senza sosta sulle cause della passione. - P os­
sono essere costituite dal temperamento, dall’atavismo,
dalle influenze esterne, dalle facoltà intellettuali e sensibili,
dalle occasioni prossime e remote. La fuga delle occasioni
è fondamentale. Una volontà debilitata da una passione
violenta soccomberà con facilità davanti ad un’occasione
pericolosa. E indispensabile, quindi, la fuga più assoluta
di tutto quanto si può convertire in incentivo per la passio­
ne. Diversam ente, la ricaduta è certa, il fallimento sicuro.
2) Impedire con energia nuove manifestazioni della passione. -
O gn i n uovo atto fornisce alla passione n uove e raddop­
piate energie. N o n si fa m orire una bestia feroce —
farla morire, nel nostro caso, è impossibile — gettandole
ogn i tanto un tozzo di pane... Q uesto è il m otivo dell’in­
successo di tanti giovani nella lotta contro l’impurità.
Q uando si sentono fortem ente tentati, cedono ai richiami
della passione « per rimanere tranquilli alcuni giorni ».
È un grave errore. L u n g i dal calmare le loro passioni, ne
aumentano le esigenze e prolungano indefinitamente una
lotta alla quale è negata in partenza la vittoria: hanno sba­
gliato tattica. Se è necessario, dobbiam o essere disposti
a resistere « fino allo spargimento di sangue », per usare una
energica espressione di S. Paolo (Ebr. 12,4). Solo cosi
si affievolirà l’ardore delle passioni e riconquisterem o la
pace.
3) Dare alla passione oggetti diversi da quelli dai quali
la si vuole allontanare. - Certe passioni devono solo cam-

■7 C f. F .T .D ., Ivi.
LA PURIFICAZIONE ATTIVA DELLE POTENZE 473

biare o ggetto per convertirsi in virtù. L ’amore sensuale si


può trasformare in soprannaturale e divino. L ’ambizione
è una virtù eccellente quando è diretta all’estensione del
regno di D io . Il timore del pericolo può risultare utilissimo
nella fuga delle occasioni peccaminose.

d) Orientamento delle passioni verso il bene. -


Indichiam o distintam ente i principali o g getti ve rso i
quali dobbiam o dirigere le nostre passioni:
1) L 'amore va diretto: a) n ell’ordine naturale: al­
la fam iglia, alle buone am icizie, alla scienza, a ll’arte,
alla patria...; b) nell’ordine soprannaturale: a D io , a
G esù C risto, a M aria, agli A n g e li e ai Santi, alla C hie­
sa, alle anime...
2) 'L’ odio v a orientato verso il peccato, i nem ici della
nostra anima (il m ondo, il dem onio e la carne) e tutto
ciò che ci p u ò degradare e avvilire n ell’ordine naturale
o soprannaturale.
3) Il desiderio occorre trasform arlo in legittim a
am bizione: naturale, di essere utile alla fam iglia e al­
la patria; e soprannaturale, di raggiu n gere ad ogn i co ­
sto la perfezione e la santità.
4) L a fuga o avversione ha il suo o g g e tto p iù n o­
bile nella fu g a delle occasioni pericolose, n ell’evitare
attentam ente tutto ciò che pu ò com prom ettere la n o­
stra salvezza e la nostra santificazione.
5) Il piacere d obbiam o farlo ricadere sul com pim en­
to perfetto della vo lo n tà di D io a n ostro riguardo,
sul trion fo della causa del bene nel m ondo, sulla fortuna
di sentirci, mediante la grazia santificante, figli di D io
e m em bra v iv e di G esù Cristo.
6) L a tristezza e il dolore trovan o la lo ro espressio­
ne adeguata nella contem plazione della passione di
G esù, dei d olori di M aria, delle sofferenze e delle
persecuzioni di cui è vittim a la Chiesa e i m igliori dei
suoi fig li, del trion fo del m ale e dell’im m oralità nel
m ondo...
474 LA VITA CRISTIANA NEL SUO SVILU PPO ORDINARIO

7) L a speranza deve trovare alim ento nella p rosp et­


tiv a della felicità che ci attende nella v ita eterna, nel­
l ’illim itata fid u cia in D io durante l ’esilio, nella sicu­
rezza della protezion e di M aria « adesso e n ell’ora
della n o stra m orte ».
8) L a disperazione va trasform ata in una ragionevole
sfiducia in noi medesim i, fondata nei nostri peccati
e nella debolezza delle nostre forze; ad essa deve
far riscontro una fiducia illim itata n ell’am ore e nel­
la m isericordia di D io e n ell’aiuto della sua grazia.
9) Uaudacia d eve convertirsi in anim osa intrepi­
dezza per affrontare e superare tutti g li ostacoli che si
frap p on go n o al com pim ento del n ostro d overe o al­
la realizzazione della nostra santificazione, ricordando
che « il regn o dei cieli si acquista con la forza e sono
i vio len ti che se ne im p ad ro n iscon o» (M at. 11,12 ).
1 o) I l timore deve ricadere sulla possibilità del p e c­
cato, l ’unico ve ro m ale che ci p u ò colpire, e sulla per­
dita tem porale o eterna di D io , senza per altro lasciar­
ci abbattere, ma stim olandoci a m orire piu ttosto che
peccare.
r i) U ira, infine, bisogn a trasform arla in santa in­
dignazione per il male.

195 . 6. A v v e r t e n z e p r a t i c h e p e r
il d i r e t t o r e s p i r i t u a l e . - Il direttore
deve esaminare attentamente quali sono le passioni
che predom inano nell’anima che si affida alla sua di­
rezione. U na vo lta accertate, deve im porre com e ma­
teria di esame particolare, a colu i che viene diretto, n on la
loro distruzione (sarebbe un lavoro inutile e contro­
producente), ma il loro orientam ento nel senso che
abbiam o indicato. Pur senza trascurare le altre, p o ­
larizzi i suoi sforzi sulla riform a della passione predominan­
te, affrontandola direttamente. Insista spesso, chieda
conto dei progressi e dei regressi fin quando n on ab­
LA PURIFICAZIONE ATTIVA DELLE POTENZE 475

bia orientato verso D io tutta la vita passionale della perso­


na diretta. N o n è un lav o ro facile né breve, perché
durerà tutta la vita; però è di im portanza capitale.
U na delle cause più frequenti per cui tante santità
rim angono frusttrate è quella di non aver saputo dare
la debita im portanza all’orientam ento e all’u tilizzazio­
ne delle energie della vita passionale. Senza forti pas­
sioni messe al servizio del bene, n on si diventa santi.

A rtic o lo I V

Purificazione attiva delle potente dell’ anima

S. G io v a n n i d e l l a C r o c e , Salita II e III; V a l l g o r n e r a , Mysiica n e o ­


logia divi Thomae q.2 d. 4; M e y n a r d , Trattato della vita interiore, t. I l . l c.4;
G a r r ig o u -L a g r a n g e , L e tre età... 11,9-10; T an q u e re y , Compendio di Teo­
logia ascetica e mistica, 806-16.

196. Con la purificazione dei sensi esterni, dei sensi in­


terni e delle passioni si è com piuto un notevole pro­
gresso suvUa via della perfezione. M a non sarà ancora termina­
to. È necessario che il processo purificativo pervenga fino
alla parte più profonda del nostro spirito, adoperandoci di
rettificare k deviazioni dell’intelligenza e della volontà nella
massima misura consentitaci dai mezzi attivi a nostra disposi­
zione. L e purificazioni passive, frutto della grazia divina, com ­
pleteranno quello che l’uom o non può fare da solo.

Secondo la filosofia tradizionale aristotelico-to-


mista, le potenze o facoltà d ell’ anima sono due; l ’in­
telletto e la volontà. A lcu n i autori ne enum erano una ter­
za, la memoria intellettiva 1, ma questa, in realtà, n on è
che l ’attività d ell’intelletto in quanto conserva le spe-

1 T ra questi v a annoverato anche S. G io van n i della Croce, che su que­


sto punto si allontana dalla dottrina com une per seguire — a quanto pare —
il carmelitano inglese G iovan n i Bacone, facendo della memoria il soggetto
della speranza teologica (cf. Salita II I,i). Tuttavia, il p. M arcello del Bam­
b in o G esù, C .D ., afferma che il pensiero del santo è in perfetta armonia
476 LA VITA CRISTIANA N EL S U O SVILU PPO ORDINARIO

eie in telligibili 2. Solo la m em oria sensitiva, com e sen­


so interno, è una poten za a sé stante, distinta dagli al­
tri sensi interni e dalla m em oria intellettiva 3. D e l re­
sto, la purificazione della m em oria intellettiva segue
un processo analogo a quello della m em oria sensitiva,
di cui abbiam o già parlato.

A ) P U R IF IC A Z IO N E A T T I V A D E L L ’ IN T E L L E T T O

197. i . Nozioni preliminari. - L ’intelletto è


la facoltà d ell’anima m ediante la quale apprendia­
m o le cose in quanto im m ateriali. Il suo effetto
p rop rio sono le idee, che ricava dagli o g ge tti esterni
m ediante i fantasm i d ell’im m aginazione illum inati dal-
l'intelletto agente 4. L a conoscenza intellettuale è di­
stinta e incom m ensurabilm ente superiore a quella dei
sensi. L a conoscenza sensitiva si porta sem pre su o g ­
getti particolari, concreti e determ inati (questo albero
che ved o; questa m elodia che ascolto; questo o g ge tto
che tocco), m entre le idee — o g ge tto della conoscenza
intellettiva — sono sem pre universali, astratte e in ­
determinate: r albero (com une a tutti gli alberi), la me­
lodìa (com une a tutte quelle possibili), ecc. L a conoscen ­
za sensitiva è com une agli uom ini e agli anim ali, quel­
la intellettiva è propria ed esclusiva degli esseri intelli­
genti (D io, l ’angelo e l ’uom o).

con la tesi aristotelico-tom ista, ancorché le sue parole sem brino indicare
diversamente. Q uesto si spiega perché « al santo parve più adeguata la sua
d ivisione o adattazione delle tre virtù teologali alle tre potenze dell’anima
per esporre co n più ordine e chiarezza la purificazione che si propose di
operare in esse, e attribuì la speranza alla m emoria, n on perché in essa si
tro v i com e nel suo p rop rio soggetto. Com e si può unire la speranza, che
è de futuris, co n la m emoria, che è de praeteritisH (P. M a r c e l l o , E l Tomi-
smo de San Juan de la Cruz, B urgos, 1930, c. 1 1 , p. 128; cf. c.io ).
3 .1 79.7-
3 1,78,4. — Cf. 79,6.
4 C f. 1 , 8 4 - 8 8 .
LA PURIFICAZIONE ATTIVA DELLE POTENZE 477

Q uando l ’intelletto associa due idee affermando o


negando la lo ro convenienza, em ette un giudizio; per
esem pio, D io è buono, l ’animale non è intelligente.
Se si associano due giu d izi per dedurne un terzo,
allora abbiam o un raziocinio; per esem pio, o g n i uom o
è m ortale; G iovan n i è un u om o, quindi, G iovan n i
è m ortale. Q uando il raziocinio, com e nel n ostro caso,
è esplicito, prende il nom e di sillogismo. L a nostra in ­
telligenza non p u ò mai avere due pensieri contem po­
raneamente. Se stiamo pensando ad una cosa, ci è
im possibile nello stesso m om ento prendere coscienza
di u n ’altra. Q uesto fenom eno costituisce la base del-
Vattenzione, che n on è se non « l ’applicazione della mente
ad un o g g e tto » 6. L a custodia dei sensi, il silenzio e la
tranquillità dello spirito la favoriscon o assai e possono
conservarla a lungo.
L ’intelletto è sottile quando scopre senza sforzo
una m oltitudine di aspetti in u n ’idea; è profondo quando
facilm ente scom pone, fin nei suoi ultim i elem enti,
una n ozione concreta; è solido se sa concatenare i suoi
ragionam enti in m odo da giun gere, di conclusione
in conclusione, ad un principio sicuro ed inoppu gn a­
bile; è previdente se dall’ osservazione degli a vv en i­
m enti passati e presenti deduce quello che avverrà nel
futuro.
N on ostante la sua p iù assoluta sem plicità, i teo lo gi
m istici, per spiegare alcuni fenom eni che diversam ente
rim arrebbero di difficile com prensione, hanno in­
trod otto delle distinzioni nella p oten za intellettiva
dell’anima 6. L e principali sono tre: la mente, la ragione
superiore e la ragione inferiore
a) C h ia m ia m o mente la p arte p iù s p iritu a le e d e le ­
v a ta , a lla q u a le n o n g iu n g o n o m ai le p e rtu rb a zio n i

5 C f . B a lm je s , E l criterio c .z , c h e h a d e i b e i p e n s ie r i s u l l ’a t t e n z i o n e .
6 C f . 1 ,7 9 ,8 - 1 2 d o v e s o n o e s a m in a te a l c u n e d i q u e s t e d i v i s i o n i .
478 LA VITA CRISTIANA NEL S U O SVILU PPO ORDINARIO

del m ondo sensibile. Illum inata da D io , riflette sem pre


i suoi d ivin i splendori, lu n g i dalle cose della terra.
In m ezzo alle p ro v e p iù d olorose e alle oscurità più
intense, questa parte dello spirito rim ane sem pre « im ­
m obile e tranquilla, com e se si trovasse già n ell’eter­
n ità» 7. V ien e anche detta caelum supremum e lumen
intellìgentìae.
b) L a ragione superiore ricava sem pre le sue con clu ­
sioni dai principi delPintelletto pu ro, rim anendo im ­
mune dall’influsso delle passioni. È anche n ota con il
n om e di cielo medio, e tende sem pre verso l ’alto, verso
quello che è n obile ed elevato.
c) L a ragione inferiore, invece, giu d ica attraverso le
esperienze dei sensi e d ell’influsso delle passioni; per
questo tende sem pre verso quello che è più utile e
d ilettevole per il so g ge tto . È il cielo ìnfimo, spesso più
vicin o alla terra che al cielo.

198 . 2. A s p e tt o n e g a tiv o d e lla p u r ific a z io n e


d e ll’in te lle tto . - Consiste nella rim ozione d egli osta­
coli o delle cattive inclinazioni che p ro v en go n o dal
peccato originale e dai nostri peccati personali, che
si o p p on go n o alla perfetta sottom issione d ell’in tel­
ligen za a D io . I principali sono;
a) I pensieri mutili. - L a nostra mente è spesso assor­
bita dai pensieri inutili. O ltre che farci perdere un tempo
prezioso, deviando la nostra attenzione verso quello che è
caduco e perituro, essi rappresentano un pericolo per i fon­
damentali interessi della nostra anima in ordine alla santi­
ficazione. N on dimentichiamo che l’intelletto non può de­
dicarsi simultaneamente a due pensieri diversi: la preferen­
za accordata a uno costituisce un pregiudizio per l ’altro.
L a m aggior parte delle distrazioni che lamentiamo negli e-
sercizi di pietà p roven gono dai pensieri inutili nei quali ci
siamo attardati in precedenza. L o spirito non può passare

7 È un’espressione di Sr. Elisabetta della Trinità.


LA PURIFICAZIONE ATTIVA DELLE POTENZE 479

bruscamente da u n ’attività ad un’altra totalmente diversa;


ha bisogno di un certo periodo di adattamento. D a qui la
necessità di combattere continuamente i pensieri inutili
e tutto quanto può dissipare l’intelletto. O ccorre rinunciare
nel m odo più assoluto alla lettura dei romanci e alle conversa­
zioni frivole, che riempirebbero il nostro spirito di pensieri
vani; ai castelli in aria, frutto della sola immaginazione, nei
quali facciamo quasi sempre la parte degli eroi; alla lettura
dei giornali e delle riviste di attualità 8. Ci rendiamo conto che
tutto ciò non è sempre piacevole; ma appunto perché mol­
ti non hanno il coraggio di operare tale distacco, rim angono
a metà del cammino spirituale. L a santità è un tesoro cosi
grande che solo colui che per essa è disposto a rinunciare
a tutto è in grado di conseguirla. È la « perla preziosa »
di cui parla il V angelo (Mat. 13,45-46), per l’acquisto della
quale il mercante accorto vendette tutto quanto possedeva.
b) L ’ ignoranza. - Fomentare l’ignoranza dell’anima al­
lo scopo di non perturbarne la tranquillità e la calma è un
errore assai più dannoso del precedente.
N o n ogni ignoranza è volontaria e, pertanto, non sem­
pre costituisce un peccato dinanzi a D io 9. N o n tutti sono
obbligati a frequentare le scuole di teologia per acquistare
una conoscenza approfondita delle verità divine, ma tutti
devono possedere quelle nozioni che, secondo le loro ca­
pacità attuali e gli obblighi del proprio stato, possono con­
tribuire al loro perfezionamento intellettuale e morale. La
sfiducia o il disprezzo della vera scienza ha sempre rivelato
uno spirito poco accorto e ha causato m olti mali nella
Chiesa. L a S. Scrittura riprova questo atteggiamento 10 e
S. Paolo insiste spesso sull’utilità della scienza nel servizio
di D io 11.
T uttavia, non ogni scienza è utile o conveniente alla
propria santificazione. S. Paolo parla di una scienza che

8 A m eno che il contatto con le anime, la condizione sociale o i doveri


del proprio stato consiglin o diversam ente. Però anche in questi casi bisogna
evitare quello che n on è necessario e mantenere lo spirito il p iù libero possi­
bile dalle n o tizie e dagli avvenim enti puram ente umani.
9 Cf. S. T h o m ., D e malo 3,7.
10 O s. 4,6: « I l m io p op olo è rim asto m uto perché era p riv o di scienza.
Perché tu rigettasti la scienza per questo ti rigetterò, affinché tu non e-
serciti il m io sacerdozio».
11 Cf. 2C or. 6,6; 8,7; 11,6; Fil. 1,9; Col- 1,10. ecc.
480 LA VITA CRISTIANA N EL S U O SVILU PPO ORDINARIO

gonfia, in contrapposizione alla carità, che e d ifica IJ. N e l­


l ’acquisto della scienza, infatti, si può commettere un dupli­
ce peccato: a) uno nelle intenzioni, perché chi studia si lascia
guidare non dalla virtù della studiosità «, ma da m otivi meno
retti com e la vanità, la curiosità, la soddisfazione di cono­
scere — la qualcosa si può ben qualificare com e gola intel­
lettuale — ; b) un o nell’o ggetto , perché ciò che si studia è
dannoso all’anima o, almeno, inutile.
D obbiam o com battere l’ignoranza soprattutto in materia
di religione e di spiritualità. Certo che, nell’ambito della
purificazione dell’intenzione, rientra anche lo studio delle
scienze umane; soprattutto quelle concernenti la propria
professione o i doveri del proprio stato; ma dobbiam o ap­
plicarci anzitutto alla scienza che c’insegna la via della sal-
yezza. Sarebbe, un assurdo dedicare tutti i nostri sforzi
alla scienza umana, che presto verrà a mancare (iC o r. 13,8),
e trascurare la scienza dei nostri interessi eterni. È un o spet­
tacolo pietoso quello che offrono tanti cristiani eminenti
per cultura letteraria, artistica o scientifica, i quali difet­
tano delle più elementari cognizióni religiose. A ltri si dedi­
cano forse febbrilmente all’acquisto della scienza sacra,
ma con uno spirito che definiremmo anticontemplativo. Si
limitano al puro apprendim ento speculativo della verità,
senza alcuna preoccupazione di far discendere nel cuore i
raggi benefici del suo influsso vivificante. Rim angono teo­
lo g i a metà. L e loro anime periscono per anemia spirituale,
senza rendersi conto che hanno dinanzi una splendida men­
sa, alla quale si sono serviti solo per appagare la loro curio­
sità intellettuale. E magari il male finisse lì! A vo lte costoro
trascurano del tutto l’orazione col pretesto di non pregiu­
dicare lo studio, o riducono al minimo il tem po ad essa de­
stinato per dedicare il resto ad opere di apostolato, non av­
vertendo che, com e insegna S. G iovann i della Croce, « m ol­
to più utilità alla Chiesa apporterebbero, e riuscirebbero
assai più graditi a D io (anche a prescindere dal buon esem­
pio che darebbero), se spendessero almeno la metà del loro
tem po nello starsene con D io in orazione, ancorché non fos­
sero giunti a tanto alta orazione, com e questa di cui parlia­
mo. A llo ra certamentè otterrebbero di più e con m inor fa­
tica, più con u n ’opera che con mille, e ciò per il merito della
lo ro orazione e per le forze spirituali in essa acquistate:

11 « Scientia inflat, caritas vero aed ifica t» ' iC o r. 8,1).


-3 Cf. II-II,166.
LA PURIFICAZIONE ATTIVA DELLE POTENZE 481

altrimenti, tutto si ridurrà ad ui, martellare e a fare poco più


di niente, e alle volte proprio niente, anzi, non di rado,
anche danno »
Si applichi, dunque, l’anima con intensità allo studiò
della verità rivelata, deponendo però ogni insana curiosità,
e ricercando nell’acquisto della scienza unicamente la m ag­
gio r gloria di D io , la vittoria sulla propria ignoranza e il
m ezzo per un ulteriore progresso nella via della santità.
c) La curiosità. - A lla virtù della studiosità si oppone la
curiosità15, o desiderio immoderato di sapere quello che
non interessa o può essere n ocivo. Purtroppo, questo pec­
cato è m olto frequente e ne possono essere vittim e tanto
quelli che si dànno alla ricerca di conoscenze inutili, come
co lo ro che si preoccupano di sapere solo ciò che solletica
i sensi e fomenta le passioni. A lla curiosità appartiene lo
smodato desiderio di leggere ogn i sorta di rom anzi e di
libri ameni e la sete insaziabile di spettacoli (cinema, teatri,
sports), spesso pericolosi o addirittura opposti alla morale
cristiana l6.
È anche effetto di una malsana curiosità il voler investi­
gare la condotta e le parole del prossimo per trovare di che
criticare e morm orare. S. G iovanni della Croce riprende
severamente questo viziò m olto frequente anche fra le per­
sone devote:
« N o n s’introm etta mai, né con parola n é co n pensiero, nelle cose che
succedono nella com unità. R iguardo p o i ai singoli ind ivid ui, n on faccia
attenzione n é alla lo ro indole, né alle loro qualità buone o cattive. A nch e
se tutto il m ondo si subissasse, non c i badi e n on v i s’im m ischi affatto, a
fine di custodire la quiete dell’anima sua; si ricordi della m oglie di L o t,
che per aver v o lto il capo ai clam ori di quelli che perivano, fu m utata in dura
pietra. In questo bisogna si faccia non poca violenza, perché so lo con questo
i si libererà da m olti peccati ed im perfezioni, e m anterrà inalterata la pace e
la calma dell’anima sua, con m olto profitto davanti a D io e davanti agli
uomini. È cosi im portante questo consiglio, che m olti religiosi, per non aver­
lo praticato, n on solo n on si distinsero mai per le altre opere di virtù e d i

"• Cantico 29,3.


r •! c f . 11-11,167.
16 « Inspectio spectaculorum vitiosa redditur inquantum per h oc h o ­
mo fit pronus ad vitia vel lasciviae v el crudelitatis, per ea quae ibi reprae-
sentantur» (II-II, 167,2 ad 2).
482 LA VITA CRISTIANA NEL SUO SVILU PPO ORDINARIO

teligione che fecero, ma tornarono indietro, andando sempre di male in


p e g g io » 11.

N o n sempre, tuttavia, è proibito osservare quello che


fanno gli altri; anzi, alcune volte potrebbe essere un dovere,
soprattutto per coloro che, com e i Superiori, hanno il com­
pito di correggere il prossim o. Tuttavia lo si deve fare sem­
pre per un fine elevato e santo, quale può essere l’edifica­
zione di se stesso o l’utilità spirituale altrui, e con la massi­
ma carità l8.
Una form a di curiosità peggiore di tutte le precedenti,
è quella di voler controllare con m ezzi assolutamente ina­
deguati (divinazione, magia, spiritism o, vana osservanza,
ecc.) cose occulte o eventi futuri. Che se poi si volesse per­
venire alla conoscenza d i qualche cosa per via soprannaturale
(per es.: interrogando D io ), si tenterebbe D io e si commet­
terebbe un peccato direttamente contrario alla virtù della
religione *9. S. G iovanni della Croce insiste a lungo sulla
necessità di rinunciare ad ogni notizia che si acquista per
via soprannaturale (visioni, rivelazioni, profezie, ecc.), per­
ché diversamente non si giungerebbe mai alla semplicità
della pura fede, solo m ezzo adeguato per l’unione del no­
stro intelletto con D io 10. I direttori spirituali che sotto
qualsiasi pretesto fom entano nelle anime questi desideri
incorrono in un grande errore e contraggono una grave
responsabilità davanti a D io M.
d) I giudizi affrettati. - U n altro grave difetto intelle
tuale, dal quale occorre correggersi, è la precipitazione nel
giudicare, che è una form a di imprudenza, secondo S. T om ­
maso »*. Il D o tto re angelico ne mette in rilievo gli inconve­
nienti, stabilendo un’analogia con l’ordine naturale. Se
scendiamo a salti per la scala, senza percorrere ad uno ad
uno gli scalini, operiamo in m odo precipitato e temerario.
Parim enti, nell’ordine spirituale, la ragione occupa il luogo
più alto e l’azione il lu o g o più basso. G li scalini intermedi
per i quali si deve scendere con ordine sono: la memoria

J 7 S. G i o v a n n i d e l l a C r o c e , Consigli ad un Religioso per acquistare la


perfezione 11.2.
18 II-II, 167,2 ad 3.
*9 C f. 11-11,95,96 c 97.
ao Salita e Notte oscura passim.
21 Cf. Salita 1,12,6; II,i8-22.
» C f. 11 -11 , 5 ?,3.
LA PURIFICAZIONE ATTIVA DELLE POTENZE 483

del passato, la conoscenza del presente, la salacità nel conside­


rare le possibili eventualità, il raziocinio che mette a con­
fronto una cosa con l ’altra e la docilità per accettare il consiglio
di chi ne sa più di noi. Se om ettiamo uno di questi gradini
facciamo un giudizio precipitato e imprudente.
A ltri difetti con questo intimamente connessi sono l’in­
considerazione, che giudica senza riflettere, senza rendersi
conto dello stato della questione e senza possedere elementi
sufficienti, per cui spesso si fanno apprezzamenti falsi o
incom pleti, fonte di numerose illusioni e disgusti >3; e
l’incostanza, la quale, benché m uova dalla volontà, trova il
suo com pim ento nell’intelletto che non sa tener fede ai
principi secondo i quali si era proposto di operare, lascian­
dosi trasportare dai capricci e dalle velleità della passione 24.
Il m odo m igliore per combattere questi difetti è quello
di abituarsi ad agire sempre con calma e ponderatezza, evi­
tando la leggerezza e la precipitazione nel giudicare, l’in­
costanza e la volubilità nel m odo di pensare: tutte cose che
rivelano come i principi che devono guidarci nell’azione
non siano ancora saldi nel nostro spirito.
e) L ’ attaccamento a l proprio giudizio. - È una delle
manifestazioni più frequenti di superbia, dalla quale nes­
suno va totalmente esente. N elle sue form e più spinte
giunge fino al punto d i voler mettere in discussione i dogm i
della fede e le decisioni dei legittim i superiori. Quando non
giunge a tanto, prom uove e conserva lo spirito di setta,
non con una esposizione serena e una difesa ragionata dei
punti di vista di una determinata scuola o corrente che sem­
bra essere nella verità, ma a base di ingiurie per l’avversa­
rio, e di disprezzo o di ironico sdegno per le opinioni con­
trarie. Sono rarissime le anime che amano e cercano solo la
verità, e non si lasciano vincere, quando giudicano o deb­
bono ribattere le opinioni degli altri, dalla soddisfazione del-
l’amor proprio e dal trionfo delle proprie idee, le quali han­
no forse la sola ragione di essere proprie o della scuola
cui si appartiene. Si dimentica spesso che nelle questioni
che D io lasciò alla libera discussione degli uom ini nessuna
scuola filosofica o teologica si può vantare di possedere in­
teramente la verità. Quasi sempre c’è nell’opinione contra­
ria ma parte di vero a cui non si è dato sufficiente rilievo a
m otivo dei pregiudizi con cui la si esamina. L a sincerità

*3 Cf. 11-11, 53,4-


*4 Cf. 11-11,53, 5.
484 LA VITA CRISTIANA N EL SUO SVILU PPO ORDINARIO

intellettuale, l’amore della verità, l’umiltà e la carità consi­


gliano di ascoltare con attenzione e imparzialità gli avver­
sari e ammettere di buon grado quello che di vero ci fosse
nelle loro affermazioni.
Nella condotta individuale ha pure m olto valore il ri­
nunciare spesso al proprio giudizio e il prendere in conside­
razione le idee altrui. P oich é la prudenza, dice S. Tom m aso,
verte su cose particolari e concrete, che vanno realizzate e
sono quasi infinite di num ero, non è possibile che un solo
uom o possa esaminarne tutti gli aspetti, cosi da sapere sem­
pre quel che in pratica deve fare o evitare. Abbiam o bi­
sogno di essere illuminati dagli altri, principalmente dagli
anziani, ai quali l ’esperienza ha insegnato tante cose che
sfuggono ai giovani *5.

199 . 3. A s p e tto p o s itiv o d e lla p u r ific a z io n e


d e ll’in te lle tto . - D o p o aver esam inato l ’aspetto ne­
gativo della purificazione dell’intelletto con i difetti
che van no evitati, ved iam on e l’aspetto positivo, la n or­
ma di condotta, cioè, che dobbiam o seguire per con ­
seguire, già in questa vita, la totale sottom issione
della nostra intelligen za a D io .
Possiam o com pendiarla in queste b revi parole d ’im ­
portanza fondam entale nella vita cristiana: l'anima
deve lasciarsi condurre esclusivamente dalla fede.
N essuno ha esposto con tanta fo rza questo princi­
pio com e S. G io v an n i della C roce, che v i ritorna sopra
in tutte le sue opere. I term ini fondam entali della sua
argom entazione sono:
1) L a trascendenza e la incom prensibilità di D io è
infinita. L ’intelletto um ano n on p u ò com prendere
l ’ essere divino:
« Prima di trattare dell’unico proporzionato m ezzo per
l’unione con D io , ossia della fede, è conveniente dimostrare
che nessuna cosa creata o pensata può servire all’intelletto
com e di mezzo proprio per unirsi con D io , e com e tutte le
cose che l’intelletto può conoscere, non che di m ezzo, gli

s 5 C f. 11-11,49,3 c et ad 2.
LA PURIFICAZIONE ATTIVA DELLE POTENZE 485

servono piuttosto di impedimento, qualora ad esse voglia


attaccarsi » 2é.

2) O g n i m ezzo prossim o deve avere una relazione


prossim a e proporzionata con il suo fine. Q u in di, è
indispensabile p er l ’unione d ell’intelletto con D io tro ­
vare qualche m ezzo che abbia una relazione prossim a
e proporzionata con lui:
« D unque, è da sapersi che, secondo un principio di
sana filosofia, tutti i mezzi debbono essere proporzionati al
loro fine, vale a dire devono avere con esso qualche conve­
nienza o som iglianza, tale che basti per conseguire il fine
a cui si tende... Per conseguenza, acciocché l’intelletto
venga ad unirsi con D io , per quanto si può in questa vita,
bisogna che scelga il m ezzo che a lui congiunge ed ha con
lui prossima somiglianza » »?.

3) O ra, nessuna creatura materiale o spirituale ha


una som iglianza prossim a con l ’essere infinito di D io .
Q u in di nessuna di esse p uò servire all’intelletto di m ez­
zo prossim o per la divina unione:
« A tal proposito, è da avvertire che fra tutte le creature
superiori e inferiori nessuna ve n ’è che prossimamente uni­
sca a D io , o abbia somiglianza con il suo essere. Poiché,
quantunque sia vero che tutte hanno, come dicono i teologi,
una certa relazione con D io e un suo prestigio qual più
qual meno, a misura del loro essere, tuttavia tra esse e
D io non v ’è nessuna convenienza o somiglianza essenziale;
anzi la distanza che intercede tra l’essere divino e quello
delle creature è infinita, e perciò è im possibile che l’intellet­
to possa comprendere D io per m ezzo delle creature, o ter­
rene o celesti che siano, perché non v ’è proporzione alcuna
tra loro e l’essere divino » 3*.

4) N o n potendo servire da m ezzo prossim o per


l ’unione dell’intelletto con D io le creature reali, lo
potranno forse le creature della fantasia ? M eno ancora:

Salita
*7 Ivi 11,8,2.
18 h i 11,8,3-
486 LA VITA CRISTIANA N EL SUO SVILU PPO ORDINARIO

« L a ragione di questo è che la fantasia non può fabbri­


care o immaginare cosa alcuna fuori di quelle che ha speri­
mentato con i sensi esterni, cioè, ha visto con gli occhi, ha
udito con le orecchie ecc., o , tutt’al più, può comporre
cose simili a quelle viste, udite o com unque sentite: le quali
somiglianze, però, non hanno altrettanta, né m aggiore en­
tità delle cose apprese dai sensi esterni... N e consegue che,
non avendo tutte le cose create alcuna proporzione con
l’essere di D io , tutto ciò che si può immaginare a loro somi­
glianza non può servire di m ezzo prossimo per l’unione con
lui, anzi m olto meno » 2'K

5) Scartato il m ondo reale e im m aginario potrem o


alm eno adoperare le pure idee com e m ezzo prossim o
per l ’unione del nostro intelletto con D io ? N em m eno,
dal m om ento che sono racchiuse negli stretti lim iti di
una specie intelligibile astratta, e D io trascende ogni
limite.
« N é più né m eno, tutto ciò che la fantasia può imma­
ginare, tutto ciò che l ’intelletto può ricevere e intendere in
questa vita non può essere m ezzo prossimo per l ’unione
divina. Naturalmente parlando, l’intelletto non può intendere
alcunché, se non astraendo dalle form e e dai fantasmi delle
cose impresse nei sensi corporei, le quali cose, come già
dicemmo, non possono servire di mezzo: perciò non si può
trarre profitto dall’intelligenza naturale » 3°.

6) C i rim ane il m ondo soprannaturale. Per questa


v ia il nostro intelletto o ha una diretta visio n e di D io ,
o una notizia di lui chiara, particolare e distinta, o una
notizia oscura, generale e confusa. L a prim a n on ap­
partiene a questa vita, ma all’ altra: è la visione beatifi­
ca *l . La seconda (che abbraccia visio n i, rivelazioni,
locu zion i e sentimenti spirituali) non p u ò costituire un
m ezzo, perché « la sapienza di D io , alla quale l ’intel­
letto deve unirsi, n on ha m odi o maniere, n é cade sotto

2 9 Ivi 11,12,4.
3° Ivi 11,8,4.
3 1 Ivi 11,8,4-
LA PURIFICAZIONE ATTIVA DELLE POTENZE 487
alcun lim ite di cogn izion e distinta o particolare, es­
sendo affatto sem plice e pura » aa. Rim ane la notizia
soprannaturale oscura, generica e confusa, che ci viene
dalla fede. Essa soltanto p u ò servire di m ezzo prossim o
e proporzionato all’unione del nostro intelletto con
Dio:
« D a quanto abbiamo detto sopra, si deduce che l’in­
telletto, per essere disposto alla divina unione, deve restare
mondo e vu o to di tutto ciò che può cadere nel senso, e spo­
gliato di tutto quello che esso stesso può capire con chiarez­
za, e intimamente quieto, tranquillo, e posto in fede. Q ue­
sto soltanto è il m ezzo prossimo e proporzionato all’unio­
ne dell’anima con D io; perché è tanta la som iglianza che
esiste tra lei e D io, che altra differenza non v ’è, se non quella
che passa tra D io veduto e D io creduto. Poiché, com e D io
è infinito, cosi essa ce lo propone infinito; come è T rino e Uno,
cosi ce lo manifesta T rino e Uno; com e D io è tenebra per ii
nostro intelletto, cosi anche la fede l ’offusca ed acceca. E
cosi, con questo solo mezzo, Iddio si manifesta all’anima
in luce divina, che eccede ogn i intendimento. L ’anima, quin­
di, quanto più avrà fede, tanto più sarà unita a D io » ».
L ’an im a, quindi, deve cam m inare per le v ie della
fede se vu o le giun gere alla perfetta purificazione del­
l’intelletto ed unirsi intim am ente a D io . S. T om m aso
dimostra che « la purificazione del cuore è effetto della
fede » 3*. L ’im purità di una cosa risulta dalla m escolan­
za con altre più vili di sé. D ifatti non è detto im puro
l’argento che si mescola con l ’oro, ma quello che si un i­
sce al piom h o o alloi stagno,, che sono materie» p ìù vili.
O ra, la creatura ragionevole è più nobil,e di tutte le
creature tem porali e corporali. Essa diventa irrtpura
tutte le v o lte che, per am ore, si as&oggetta a lo ro . Q u e­
sta im p u rità . scompare quando, m ediante la fede, ten­
de a ciò che sta sopra di sé, cioè a D io . Per lo stesso

3a Ivi II,l6 ,7 .
33 Ivi 11,9,1.
34 C f. n -II.7,2.
488 LA VITA CRISTIANA NEL SUO SVILU PPO ORDINARIO

m otivo l ’inizio della purificazione del cuore parte dal­


la fede, che viene consum ata e perfezionata dalla carità.
N o n im porta che la fede sia de non visis 35, e, di con­
seguenza, essenzialm ente oscura e indistinta. A n zi,
prop rio per questa oscurità essa è in grado di offrire
a noi m ortali l ’unica conoscenza possibile della vita
ìntima di D io. N o n si dà una conoscenza chiara e distin­
ta fuori della visione beatifica, a m otivo d ell’infinita
trascendenza di D io , che non p u ò esprim ersi attraver­
so una specie creata intelligibile. In cielo vedrem o
D io com ’ è in se stesso 36, senza alcuna specie creata,
perché l ’essenza divin a si unirà direttam ente al nostro
intelletto. L a fede ci perm ette fin d ’ora di attingere in
qualche m od o il m istero della vita intim a di D io , sia
pure in una form a im perfetta e velata, per cui la con o­
scenza che ci viene dalla fede è di per sé im m ensam ente
superiore a tutte le conoscenze di carattere sensibile ed
intellettuale che possiam o avere in questa vita. La fede,
nonostante la sua inevitabile oscurità, illum ina la nostra
anima e la riem pie di splendori celesti.
« È un poco com e la notte che pur circondandoci di
tenebre, ci permette tuttavia di vedere le stelle, e per m ezzo
loro la. profondità del firmamento. V ’è qui un chiaroscuro
di una bellezza m eravigliosa. Per vedere le stelle è neces- i
sario che il sole si nasconda e che incom inci la notte. Cosa =
stranal N ell’oscurità della notte il nostro sguardo si spinge
assai più oltre che nella luce del giorno; di notte vediam o >
le stelle che si trovano ad enorme distanza da noi e che ci !
rivelano l’estensione immensa dei cieli. D i giorno non ;
vediam o che a pochi chilom etri di distanza, di notte vediam o
a m ilioni di leghe. i
A llo stesso m odo i sensi e la ragione non ci permettono
di vedere se non quello che è di ordine naturale, alla lo ro (
portata, mentre la fede, benché sia oscura, ci apre il m ondo i
soprannaturale con le sue profondità infinite, il regno di
I
35 Cf. 11 -11 , 1 , 4 .
36 « Videbim us eum sicuti est» (lG iov.3,2). J
LA PURIFICAZIONE ATTIVA DELLE POTENZE 489

D io , la sua vita intima, ciò che vedrem o senza velo e con


chiarezza nell’eternità » s?.
T u tta la preoccupazione delPanima deve consistere,
quindi, nel curare che la fede in fo rm i la sua vita con
sempre m aggiore intensità e in una form a sem pre più
perfetta. A lla sua luce va considerata la nostra vita, quel­
la dei nostri fam iliari e degli am ici, g li avvenim enti
prosperi e gli avversi, il corso della storia, ecc. B isogn a
giungere al pun to di perdere, se cosi v o g lia m o dire, la
visione um ana delle cose per sostituirla — per una
specie di istinto d ivin o che è fru tto dei doni d ello
Spirito Santo — con la chiarezza della fede, l ’ unica
che in tutte le cose ci offre il punto di vista di D io 38.

B) P U R IF IC A Z IO N E D E L L A V O L O N T À ’

200. i. N o z i o n i p r e l i m i n a r i . - L a vo­
lontà — detta anche « appetito razionale » — è la facoltà
mediante la quale ricerchiamo i l bene conosciuto dall'intelletto.
Si distingue realmente dall’appetito sensitivo che ri­
cerca istintivam ente il bene appreso m ediante i sensi
ign oran d on e la ragione di bene 3B. Q u est’ ultim o lo
p o sseg go n o anche g li animali; il prim o è p ro p rio ed
esclusivo dell’essere intelligente.
'L’ oggetto proprio della vo lo n tà è il bene presentatole
d all’intelletto com e conven ien te. T u tta via , n ell’ esti­
m azione di questo bene è possibile l ’errore. L ’intel­
letto p u ò scam biare per v e ro bene qualche cosa che lo è
soltanto apparentemente; e la vo lo n tà — che è una p o ­
tenza cieca e segue sem pre le apprensioni d ell’intellet­
to — si dirigerà verso di esso riputandolo un vero
bene 1 °. Il peccato si spiega solo con il fatto che la

Le tre età... 11,9 -


37 G a r r i g o u - L a g r a n g e ,
3 8 Cf. S. T h o m . , In Boetium, de Trinitate 3,1 ad 4.
3 9 C f . 1 ,8 0 ,1 -2 .
40 Cf. I-II,6,i.
490 LA VITA CRISTIANA N EL S U O SVILU PPO ORDINARIO

vo lo n tà ha ritenuto per un v e ro bene quello che in


realtà era un m ale. O g n i peccato vien e consum ato nella
vo lo n tà m ediante il libero consenso; ma ha la sua radice in
un errore dell'intelletto. C oloro che go d o n o la visione
beatifica sono intrinsecamente impeccabili, perché nella lo ro
in telligen za tutta presa dalla verità infinita che contem pla­
no, n on può pili infiltrarsi l ’errore; e la lo ro vo lo n tà, sazia­
ta dal bene infinito di cui go d o n o , non p u ò desiderare
nulla d ’altro; quindi il peccato è in essi intrinsecam ente
im possibile 41.
L 'atto specifico della vo lo n tà è Yamore, ossia, Yunione
affettiva con i l bene conosciuto. T u tti i m oti o aspetti par­
ziali d ell’atto um ano che hanno lu o g o nella vo lo n tà
— sem plice vo lizio n e, tendenza efficace, consenso,
elezione dei m ezzi, uso attivo delle potenze e fru i­
zione — proced on o d all’am ore o sono una conseguenza
di esso.
L ’am ore abbraccia m olte divisioni. In ordine al­
l ’ o g g e tto p u ò essere sensuale e spirituale; in ordine al
fine, naturale e soprannaturale ; in ordine all’ o g g e tto
form ale, di concupiscenza, di benevolenza e di amicizia.
È detto di concupiscenza quando desideriam o il bene in
quanto bene per noi (m otivo egoista); di benevolenza,
se lo am iam o unicam ente in quanto in sé è b u on o e
am abile (m otivo perfetto perch é disinteressato); di
am icizia, se am iam o il n ostro am ico n on soltanto p er­
ché è b uon o in sé m edesim o, ma anche perch é da par­
te sua corrisponde al n ostro am ore (m otivo interm e­
dio tra gli altri due). E cosi, l ’uom o sensuale ama con
un am ore di concupiscenza l ’ o g g e tto che g li procura
piacere; i beati nel cielo am ano abitualm ente D io con
un am ore di benevolenza, perché si com piacciono delle
sue infinite perfezioni e si rallegrano della sua infinita
LA PURIFICAZIONE ATTIVA DELLE POTENZE 491

felicità senza lim iti 42; e g li stessi beati nel cielo e l’ u o ­


m o santificato dalla grazia sulla terra am ano D io con
un am ore di am icizia secondo g li im pulsi della virtù
della carità 43.
G li atti vo lo n tari possono essere di due specie:
elìciti e imperati. Sono eliciti quelli che proced on o di­
rettam ente dalla vo lo n tà, sono da essa em essi e in
essa ricevu ti (per es.: l ’acconsentire, lo scegliere, l ’a­
mare); sono detti imperati quelli che sono realizzati da
qualsiasi altra poten za sotto l ’im pero d ell’intelletto e
la m ozione della vo lo n tà (per es.: studiare, dipingere,
m ortificarsi volontariam ente). L ’im pero è essenzialm en­
te un atto della ragione pratica — perché m ette ordine
in quello che si deve fare, e solo la ragione percepisce
l ’ ordine — , ma perché la ragione m uova im perando
ha b isogn o d ell’im pulso della vo lo n tà 44.

201. 2. N e c e s s i t à della p u r i f i c a z i o ­
n e d e l l a v o l o n t à . - Com e abbiam o già visto
(n. 179), la natura umana e tutte le sue potenze sono
state profondam ente intaccate dal peccato originale.
La vo lo n tà fu inclinata al male (vulnus malitìae)
D istrutto l ’ orientam ento verso D io , che la sottom et­
teva perfettam ente al controllo della ragione, essa
perdette, a sua vo lta, il dom inio sulle facoltà sensibili
di cui era in possesso 46, e conserva soltanto su di
esse un certo potere m orale o politico, n on dispoti-

4* Q uesto am or di D io talmente disinteressato da astrarre da qualsiasi


van taggio che ci potrebbe arrecare, è anche possibile in questa vita e lo
hanno praticato tutti i santi, m a solo com e atto transitorio, n on com e stato
abituaky che renderebbe inutile la virtù teologale della speranza. L a Chiesa
condannò Terrore contrario, difeso da Fénelon (Cf. D en z. 1327).
43 Cf. 11-11,23,1. — C f. D e Cantate.
44 Cf. 1 -11 , 1 7 , 1 .
45 C f. 1-11,85,3.
C f. 1 , 9 5 , 2 .
492 LA VITA CRISTIANA N EL S U O SVILU PPO ORDINARIO

co, com e dice S. Tom m aso citando A ristotele i l .


D a qui la necessità innanzi tutto di sottom ettere
pienamente a D io la vo lo n tà m ediante una totale
conform ità al suo d ivin o beneplacito, e quindi di raf­
forzare la sua -autorità nei confronti delle potenze in ­
feriori fino a dom inarle interam ente in m odo da ricon ­
durla il più possibile alla rettitudine di cui go d eva quan­
do usci dalle mani di D io . N o n è un com pito lieve,
né facile; ma è indispensabile per raggiungere la per­
fezione.
D i questo duplice com pito tratterem o ampiamente
nei paragrafi corrispondenti 48. Q u i vo gliam o insistere
sulla necessità, da parte della volontà, di m orire a tutte
le cose esterne o interne che le possono im pedire il
v o lo verso D io , mediante il perfetto distacco da tutto quel­
lo che è creato; di m orire al prop rio egoismo, origine e cau­
sa di tutti i nostri difetti, m ediante la perfetta abnega- li
%ìone dì se stesso. i:
202. a) I l distacco da tutto ciò che è creato. -
È una delle condizioni più im portanti per giungere «
alla santità. S. G iovan n i della Croce riduce tutto il suo \
sistema m istico al distacco dalle creature, com e ele­
m ento n egativo, e all’unione con D io mediante l ’amore,
com e elem ento p o sitivo 49. t
L ’insigne m istico è inflessibile nell’esigere il distac­
co totale dell’anima che vu o le andare a D io . Ricordan- :
do la sim ilitudine dell’uccello che non p u ò volare anche

47 1 - 1 1 ,1 7 ,7 : « U nde Philosophus dicit, in I Polit. quod ratio praeest ira- ;i


scibili et concupiscibili n o n principatu dispotico, qui est dom ini ad servum; 1
sed principatu politico aut regali, qui est ad liberos; qui non totaliter subdun-
tur im perio ». i:
4 8 C f. per la sottom issione delle passioni alla volontà, n. 1 9 4 , e per la
totale conform ità alla volontà di D io , nn. 4 9 0 -9 4 .
49 Si ricordi la sua Somma di perfezione espressa in poesia: « D im enticarsi
affatto del creato — per ricordarsi sol del Creatore; — occultarsi in un v i ­
vere interiore — per am arvi Colui che ha tanto am ato» (cf. Poesie n.21).
LA PURIFICAZIONE ATTIVA DELLE POTENZE 493
se legato a un filo sottile 6 °, egli non tollera nessun
attaccamento vo lo n tario per nessuno o g ge tto terreno.
La sua fedele discepola, Suor E lisabetta della Trinità,
giunse a scrivere che basta « un desiderio qualsiasi »
per im pedire la perfetta unione con D io 61.
L a ragione di questo distacco dalle creature, ne­
cessario per la perfetta unione con D io , ci viene fornita
da S. G iovan n i della Croce. E cco in b reve il suo pen ­
siero 52:
1) D io è il tutto, l ’essere necessario ed assoluto, atto pu­
rissimo senza om bra di potenza, che esiste per sé e possiede
la pienezza assoluta dell’essere; e le creature, paragonate a
lui, sono un nulla: esseri contingenti dotati più di potenza
(non essere) che di atto (essere).
2) N o n esistono due cose contrarie in un soggetto:
si eliminano a vicenda. E cosi, la luce è incompatibile con
le tenebre e il tutto con il nulla.
3) Se, quindi, le creature sono il nulla e le tenebre,
e D io è il tutto e la luce, ne segue che l ’anima che pensa di
unirsi a D io deve distaccarsi dalle creature. Senza di ciò,
l’unione con D io è impossibile.
4) « È necessario che il cammino e la salita verso D io
sia un assiduo studio di rintuzzare e mortificare gli appe­
titi; e tanto più presto l ’anima toccherà la mèta, quanto
più in detto studio sarà sollecita e premurosa. M a finché
gli appetiti non saranno cessati, l’anima non arriverà al ter­
mine, per quante virtù eserciti, perché le manca di acqui­
starle in perfezione, la quale consiste nel tenere l’anima v u o ­
ta, nuda, purificata da ogn i appetito » 53.
5) « E assai da com piangere l’ignoranza di certuni, i
quali si caricano di penitenze straordinarie e di m olti altri

5° C f. Salita 1 ,1 1 ,4 .
51 « U n’anima che scende a patti col proprio io, che si occupa delle sue
sensibilità, che v a dietro- a un pensiero inutile, a un desiderio qualsiasi,
quest’anima disperde le proprie forze: n on è concentrata in D io . L a sua lira
non vibra all’unissono; e quando il D iv in o M aestro la tocca, non può trar­
ne armonie divine. V i è ancora troppo di um ano, e si produce una disso­
nanza » (C f. S r . E l i s a b e t t a d e l l a T r i n i t à , ultim o ritiro di Laudem glo-
rìaet secondo giorno).
C f. S a lila 1,4.
53 Iv i 1 ,5 ,6 .
494 LA VITA CRISTIANA N EL SUO SVILU PPO ORDINARIO

esercizi di proprio arbitrio, pensando che solo questo,


senza, la mortificazione dei propri appetiti, sia sufficiente
per tendere all’unione con la sapienza divina. C iò, al contra­
rio, non avverrà mai, se non si studiano di rinnegare i loro
desideri con ogn i diligenza: se in questo studio impiegasse­
ro almeno la metà della sollecitudine e della fatica che spre­
cano negli esercizi di loro genio, profitterebbero più in
un mese, che con tutte le loro penitenze in m olti anni.
Com e è necessario che la terra, affinché renda frutto, venga
dissodata, ché altrimenti non produce se non male erbe,
cosi è indispensabile la mortificazione degli appetiti, accioc­
ché l’anima faccia profitto. A n zi oserei dire che chi intendes­
se progredire nella perfezione e nella notizia di D io e di se
stesso, senza la detta m ortificazione, •n on riceverebbe mai
frutto m aggiore di quel che si possa sperare dal seme spar­
so in un terreno mal dissodato » 5 4 .
6) Q uindi, la principale cura che i maestri di spirito
si prendono, è di mortificare senza indugio i loro discepoli
in qualsivoglia appetito, facendoli rimanere vu oti di ciò
che prima desideravano, al fine di liberarli da tanta miseria ss.

Q uesti pensieri, largam ente sviluppati, si ritrovano


in tutta l ’opera del santo che su di essi im pernia l ’ele­
m ento n egativo della sua robusta spiritualità. M olti
si sono spaventati dinanzi alle terribili negazioni della
Salita al monte Carmelo e della N otte oscura e hanno ab­
bandonato u n sistema di spiritualità ritenuto eccessi­
vam ente duro e n on adatto. Però, a parte il fatto che
a nessuno è consentito ascendere al vertice del m ónte
se non attraverso la m ortificazione dei propri appe­
titi e affetti disordinati, il pensiero del D ottore m istico
va integrato dagli splendori del Cantico spirituale e
della Fiamma viva dì amore, che proiettano una vivid a
luce nelle notti tenebrose delle due opere precedenti.
In realtà, il sistema di S. G iovan ni della C roce si riduce
a una sola affermazione: D io è il tutto. L e sue negazioni
sono in fon d o delle affermazioni, dal m om ento che

54 Iv i 1,8 ,4 .
55 Ivi I f 1 2 ,6 .
LA PURIFICAZIONE ATTIVA DELLE POTENZE 495

hanno lo scopo di distaccare l ’anima dalle creature, il


nulla, per fargliele ricuperare u n ’altra volta, purifica­
te e nobilitate, nelle profondità del tutto. Il D ottore
m istico non disprezza le creature; vu o le unicam ente
ritrarre lo sguardo da quello che hanno di im perfetto
e lim itato, per non vedere in esse se non la traccia
dell’Am ato, il quale, passando lo ro vicin o « e guardan­
d ole, co n la sola sua figura, le lasciò vestite della sua
bellezza ». D alla vetta di quel m onte, sul quale, una
vo lta scom parsa la visio n e terrena delle cose, solo a-
bita « l ’ onore e la glo ria di D io », la bellezza della crea­
zione si riveste di accenti lirici:

« O fonte cristallino,
Se tra queste tue immagini d’argento
Formassi repentino
I cari occhi bramati,
Che sfammi in cor, ma sol confusi e ombrati!
L ’A m ato è come i monti
Per me, com e le om brose erme vallette,
Le strane isole, e i fonti
D i schiette acque sonore,
E l’am oroso sibilar dell’òre.
Dehl godiam oci, o Ben mio;
A ndiam o (e sia m io specchio il tuo bel viso)
A l monte, al colle, al rio
D o v e um or puro è accolto;
Penetrar non ti spiaccia o v ’è più folto ».

P erò per giu n gere a tanto, per ritrovare le crea­


ture in D io , purificate e nobilitate, bisogn a n on gu ar­
darle p iù con occhi carnali e troncare decisam ente i
legam i con cui cercano di tenerci legati alla terra.
N o n si pervien e al tutto se non attraverso lo stretto
sentiero d ell’assoluta negazione del nulla:
« Per assaporare tutto, non aver gusto in cosa alcuna.
Per possedere tutto, non posseder nulla di nulla.
Per essere tutto, sii nulla di nulla.
Per sapere tutto, non voler sapere nulla di nulla.
496 LA VITA CRISTIANA NEL SUO SVILU PPO ORDINARIO

Per giungere a ciò che non godi, devi passare per dove
non ti aggrada.
Per prendere ciò che non sai, cammina per quello che
ignori.
Per ottenere ciò che non possiedi, è necessario che pas­
si per quel che non hai.
Per diventare quello che non sei, devi andare per dove
non sei.
E quando tu giunga ad avere tutto, hai da possederlo
senza voler null’altro.
Poiché se vu o i avere qualche cosa nel tutto, non tieni
puramente in D io il tuo tesoro » 56.

N o n è quindi intenzione di S. G iovan n i della C ro ­


ce annientare le naturali tendenze della vo lo n tà, pri­
van dole del lo ro o g ge tto e lasciandole com e sospese
nel nulla, ma orientarle verso D io , fare di D io l ’unico
lo ro o g getto , riducendone in tal m odo le forze all’uni­
tà. È ve ro che non si conseguirà la perfetta unione
finché l ’anima n on sarà introdotta da D io stesso nelle
oscurità della notte passiva e n on le avrà felicem ente
superate 57; ma si p uò fare m olto con il prop rio sforzo
coadiuvato dalla grazia. D io d ’ ordinario non inter­
viene a com pletare la purificazione d ell’anima con le
notti passive se non d op o che questa ha fatto tutto
quanto d o v eva com piere da parte sua con i m ezzi
ordinari a sua disposizione. Per questo, S. G iovan ni
della C roce ripete con tanta insistenza la necessità di
mortificare gli appetiti che tengono com e divisè le fo r­
ze dell’anima fino ad ottenere il distacco da tutte le
cose terrene. Q uando avrà fatto il vu o to di tu tto ciò
che è creato la sua anima rim arrà piena di D io sul v e r­
tice della perfezione.

56 Salita 1,13 ,11.


57 È detto espressamente da S. G iovann i della Croce e rappresenta uno
d egli argom enti più forti per dimostrare che, secondo il D o tto re m istico, la
perfezione cristiana non si può conseguire fuori della vita mistica, dove
hanno lu o go queste purificazioni passive (Cf. Notte 1 , 7 , 5 ).
LA PURIFICAZIONE ATTIVA DELLE POTENZE 497

203. b) La perfetta abnegazione di sé. - Il di­


stacco reale o affettivo 88 da tutte le cose create è un e-
lem ento im portante ed assolutamente indispensabile per
giungere alla perfezione cristiana. Però poco varrebbe
svincolarsi dal m ondo esterno, se il nostro spirito non
riuscisse a sbarazzarsi anche del proprio io che rappre­
senta il m aggior ostacolo per andare a D io.
S. Tom m aso afferma che l ’egoism o o l ’am ore disor­
dinato di se stessi è all’origin e di tutti i peccati 59. Infatti,
og n i peccato procede dall’ appetito disordinato di qual­
che bene tem porale. E questo non sarebbe possibile
se non amassimo disordinatam ente il p rop rio io, per
il quale cerchiam o un determ inato bene. D a esso
proced on o le tre concupiscenze di cui parla S. G io v a n ­
ni ( iG io v . 2,16): quella della carne, quella degli occhi,
quella della superbia della vita, in cui si com pendiano
tutti i disordini 60.
L ’am ore disordinato di sé ha costruito, secondo San
A g o stin o , la città del m ondo in opposizione a quella
di D io: « D u e am ori hanno innalzato due città: l ’ am or
proprio, portato fino al disprezzo di D io , la città
del m ondo; l ’amor di D io , portato sino al disprezzo
di sé, la città di D io . L ’una si gloria in se stessa; l ’ altra,
nel Signore » 61.
S. A g o stin o ha indicato in queste ultim e parole la
tendenza più perniciosa dell’am or proprio. Precisa-
m ente perché è la radice e la fonte di tutti i peccati,
esso si manifesta sotto svariatissim e form e. T u ttavia,

5 8 Si n o ti che l’essenza del distacco sta nell’affetto della volon tà più


che nella carenza reale delle cose create. L a semplice povertà materiale non
è virtù, ma soltanto Vamore alla povertà, ancorché si posseggano material­
mente m olte ricchezze (C f. S. G i o v a n n i D e l l a C r o c e , Salita 1,13,4).
59 Cf. 1-11,77,4.
60 c f. 1-11,77,5.
61 S. A g o s t i n o , La città di D io I.14, c.28.
498 LA VITA CRISTIANA NEL SUO SVILU PPO ORDINARIO

nessuna risulta tanto n ociva alla propria santificazione


quanto il « gloriarsi di se stesso », il considerare il
proprio io com e il punto attorno al quale deve gra vi­
tare ogn i cosa. C i sono delle anime che cercano se
stesse in tutto, persino nelle cose più sante, quali l ’ora­
zione, che prolun gano quando v i trovan o soavità e
consolazione e abbandonano quando sperim entano
desolazione o aridità; la recezione dei sacramenti, nella
quale cercano unicam ente le consolazioni sensibili;
la direzione spirituale, che reputano com e una nota di
distinzione, e per la quale cercano sempre il direttore
« di m oda » o che perm ette di viv ere in pace con le lo ro
m ire egoistiche e capricciose; le stesse aspirazioni alla
santità, che non subordinano interamente alla m aggior
gloria di D io e al bene delle anime, ma orientano verso
se stesse, com e il m iglior ornam ento qui sulla terra e
la più sicura garanzia di felicità e glo ria nel cielo; ecc.
L ’anima che aspira alla perfetta unione con D io ,
deve guardarsi dall’am or proprio. Esam ini il m oven ­
te delle sue azioni, rettifichi spesso le intenzioni e pon ­
ga al centro di tutte le sue azioni e di tutti i suoi sforzi
soltanto la glo ria di D io e il perfetto com pim ento
del suo d ivin o beneplacito. Richiam i continuam ente
alla mente le chiare parole del d ivin o M aestro, che fan­
no della perfetta abnegazione di sé la condizione indi­
spensabile per seguirlo: « Se uno v u o l venire dietro di
me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni g io r ­
n o e mi segua!» (Luca 9,23).
LE PURIFICAZIONI PASSIVE 499

C A P IT O L O VI

L E P U R IF IC A Z IO N I P A S S I V E

Finora abbiamo esaminato le purificazioni attive, o , in


altri termini, quello che può e deve fare l’anima con l’aiu­
to della grazia, per liberarsi dai suoi difetti e dalle sue mi­
serie. O ra vedrem o la parte che D io riserva per sé. Sono
le cosiddette purificazioni passive, che, m olteplici di numero
e varie per l ’aspetto sotto cui si presentano, raggiungono
le loro massime manifestazioni nelle notti dell’anima: la not­
te dei sensi e la notte dello spirito.

A rtico lo I

Necessità delle purificazioni passive

S. G i o v a n n i d e l l a C r o c e , Notte oscura; S c a r a m e l l i , Direttorio asce­


tico tr.5; M e y n a r d , Trattato della vita interiore t.2 I.2; G a r r i g o u - L a g r a n g e ,
Perfezione cristiana e contemplazione c.3 a.3; N a v a l , Carso de ascètica y ml~
stica n. 13 8 e 225.

204. È questo uno dei punti più im portanti della


T eo lo g ia della perfezione cristiana. D alla sua retta
im postazione e risoluzione dipende in gran parte
l’esatta visione di tutto l ’ organism o della vita sopranna­
turale.
Per am ore di chiarezza e di precisione fissiamo la
nostra dottrina in una

P ro p o s iz io n e : L a p e r f e t t a p u rifica z io n e d e ll ’a n im a
n o n si p u ò c o n s e g u i r e sen z a le p u rifica z io n i p a s­
siv e.
500 LA VITA CRISTIANA NEL SUO SVILU PPO ORDINARIO

Lo dimostrano:
i.
L ’autorità di S. Giovanni della Croce. - Il pen­
siero del D o tto re m istico è chiarissim o. N el capitolo
i del libro I della N otte oscura « com incia a trattare delle
im perfezioni dei principianti». E dopo averle descritte
am piamente nei capitoli seguenti (dal 2 al 7), term ina
con queste parole:
« Basti avere riferito queste im perfezioni tra le molte
in cui v iv o n o i principianti. D a quanto abbiamo detto,
si vedrà com e sia lo ro necessario che Iddio li p onga nello
stato dei proficienti, introducendoli nella notte oscura. Q u i­
v i il Signore, divezzandoli dal latte dei loro gusti e sapori
con pure aridità e tenebre interiori, toglie loro tutte que­
ste im perfezioni e piccinerie, e con m ezzi m olto diversi
fa loro acquistare le virtù. Poiché, per quanto il principian­
te si eserciti nel correggere e m ortificare in sé tutte le sud­
dette azioni e passioni, non può mai riuscirvi del tutto e
neppure in gran parte, finch é ciò non avvenga in lui passi­
vamente, per opera di D io , mediante la purgazione del­
la nottej3scura »

Secondo S. G iovan n i della C roce, i principianti non


potranno purificarsi del tutto, per quanto vi si esercitino
(ossia, benché facciano quanto è in loro potere), finché
non interverrà l ’azione divina 2.
C h i sono questi principianti, che hanno bisogn o
delle purificazioni passive, per giu n gere alla perfetta
1 Notte 1,7,5.
2 S. G io van n i della Croce ripete continuam ente questa dottrina nella
Notte oscura'. « M a, dalle suaccennate im perfezioni, com e dalle altre, l ’ani­
ma non si potrà purificare com pletamente, fino a che Iddio n on la introdu­
ca nella purgazione passiva della notte oscura, com e subito direm o. C o n vie­
ne p erò che l ’anima, per quanto può, p rocuri dal canto suo di purgarsi e
di perfezionarsi, a fin e di meritare di essere sottoposta da D io a quella cura
d ivina, che la guarirà da tutto ciò che ella n on arriva a sanare. Infatti per
quanto l’anima si adoperi, con la sua industria n on può purificarsi attiva­
mente in m odo da essere disposta, neppure in minima parte, alla divina u-
nione di perfetto amore, se Iddio n on ne assume l’impresa, purgandola in
quel fu oco, oscuro per lei, nel m odo che in appresso ved rem o» (Notte
1,3,3).
LE PURIFICAZIONI PASSIVE 501

purificazione d ell’anima ? C oloro che cam m inano per


le vie dell’ ascetica, la cui form a ordinaria di orazione
mentale è la m editazione. V ien detto espressam ente
all’inizio della N otte oscura:
« L e anime incominciano a entrare in questa notte o -
scura quando Iddio le va cavando dallo stato di principian­
ti, cioè di quelli che nella vita spirituale si esercitano con
la meditazione, per collocarle in quello dei proficienti, che
è già dei contem plativi, affinché passando per quest’ultim o
giungano allo stato dei perfetti, che è quello della sublime
unione dell’anima con D io » 3.

P er S. G iovan n i della C roce quelli che meditano


sono i principianti nella vita spirituale. Per essere anno­
verati nella categoria dei proficientì è necessario essere
passati attraverso le prim e purificazioni passive (notte
del senso) e possedere l ’orazione contemplativa. A lla som ­
m ità della perfezione, cioè « alla divina unione d ell’a­
nim a con D io », si perviene dopo aver sofferto le terri­
b ili purificazioni passive, che costituiscono la notte
dello spirito 4. Parlare di « perfezione » e di « santità »
in piena fase ascetica, prim a che l ’anima abbia esperi-
m entato una delle due purificazioni passive, significa
essere totalm ente fu o ri della dottrina del D o tto re
m istico.
E n on si dica — com e, per eludere la grande diffi­
coltà cui andavano incon tro, hanno affermato i sosteni­
tori della « duplice via » e della « santità ascetica » —

3 Cf. Notte 1 ,1,1.


4 S. G iovan ni delia Croce, parlando della differenza tra la « notte del
senso » e quella « dello spirito », scrive: « L a notte sensitiva è com une a
m olti, ossia ai principianti, e di essa parleremo in prim o luo go . La notte
spirituale è riservata a ben pochi, a quelli cioè che sono già m olto esercitati
e provetti nella perfezione: ne tratteremo in seguito. La prima notte è a-
mara e terribile per il senso; la seconda però non le si può paragonare, per­
ch é è semplicemente orrenda e spaventevole per lo spirito» {Notte 1 , 8 ,.
1-2). Più avanti spiega diffusamente la necessità della notte dello spirito
per giungere all’unione divina (cf. 11,1-3).
502 LA VITA CRISTIANA NEL SUO SVILU PPO ORDINARIO

ch e la n ecessità delle p urifica2Ìon i p a ssiv e p ro cla m a ta


d a S. G io v a n n i d ella C r o c e riguarda solo le anime che de­
vono giungere alla perfezione per la via mistica, e n o n q u e l­
le ch e v i d e v o n o p e rv e n ire p e r la v ia ascetica. I l rip ie g ò
n o n v a le d al m o m e n to ch e, se co n d o S. G io v a n n i della
C r o c e , « per quanto faccia, per quanto sì eserciti » l ’anim a
n o n p u ò c o rr e g g e rs i d elle sue im p e rfe z io n i « fin ch é
c iò n o n a v v e n g a in lei passivamente, p e r o p era d i D io ».
D o b b ia m o a llo ra dire che o è p o ss ib ile u n a perfezione
piena di imperfezioni (la q u a l co s a è rid ic o la e co n tra d ­
d itto ria ), o esiste s o lta n to la p e rfe z io n e che risu lta
dalle p u rifica zio n i passive, ossia, ch e è manifestamente
mìstica. I l p e n sie ro d el san to , p e r ch i sap p ia le g g e r lo
co n sem p licità e sen za p re g iu d iz i, n o n p o tr e b b e essere
p iù ch iaro .

2. L a r a g io n e te o lo g ic a . - L a ra g io n e te o lo g ic a
c o n fe rm a a p p ien o le afferm a zio n i d el g ran d e m istico
s p a g n o lo . Q u a le triste e red ità d e l p e c c a to o rig in a le,
la n atu ra um an a è fo rte m e n te in clin a ta v e r s o il m ale.
Uegoismo, s o p ra ttu tto , ch e si ra d ica n elle p iù seg rete
p ro fo n d ità d el n o s tro essere, o ffu sca la ch ia rezza d el­
l ’in te lle tto , im p e d e n d o ci la v is io n e re tta e o g g e ttiv a
d elle co se, sp ecialm en te q u a n d o l ’ am o r p ro p rio è
in te re ssa to a fa rcele v e d e re in u n d e te rm in a to m o d o
e so tto u n a p a rtic o la re lu ce . S c riv e u n a u to re c o n te m ­
p o ran eo :
« Sono innum erevoli i vizi e i difetti dei quali la nostra
anima manda cattivo odore, e che nella loro grande mag­
gioranza, sfuggono alla considerazione dei principianti e
anche dei proficienti e dei perfetti. Se ben si considera, non
facciamo un’opera che ci sembra buona che non sia piena
di im perfezioni e di peccati a m otivo del disordine del
nostro amor proprio e dell’attaccamento alle cose ter­
pene; cosicché anche le anime già purificate e, apparente­
mente, libere di tali difetti, rim angono sorprese quando
il Signore con una straordinaria luce ne scopre loro la
m oltitudine, simile al pulviscolo che il raggio diretto del
LE PURIFICAZIONI PASSIVE 503

sole fa scoprire in un bicchiere d’acqua, secondo l’espres­


sione di S. Teresa 5. Q uindi, tutto l’im pegno e il lavoro
dell’anima nella purificazione attiva dei suoi vizi è insuffi­
ciente in ordine alla perfezione, perché ella non conosce i
difetti dì cui si deve emendare ne'giunge fino alle loro radici »s.
È necessario, di conseguenza, che dal di fuori dell’a­
nima venga un’azione più energica ed efficace a rim uovere
dal fondo della medesima tutte le scorie occulte. Questo
lavoro si chiama purificazione passiva. Essa non rappresenta
uno stato di inerzia spirituale o di sofferenza inattiva, ma
significa soltanto che l’azione purificatrice si riceve nell’a­
nima, senza che ella la causi, ancorché v i debba cooperare
attivamente. D io nella sua adorabile provvidenza, volendo
in ogn i m odo per sé l’anima, le concede amorosamente
n uovi ed efficaci mezzi con cui sciogliersi dalle creature
e daU’am or proprio per darsi interamente alla sua divina
Maestà. Questi mezzi saranno tanto più penosi e purgativi,
quanto m aggiore sarà la purezza che il Signore richiede
dall’anima e quanto minore sarà stato il lavoro di p u rifi­
cazione attiva che essa esplicò nei suoi esercizi, com pien­
dosi cosi alla lettera quello che insegnano S. A go stin o e
S. Tom m aso quando parlano del peccato: quello che mancò
da parte dell’azione bisogna supplirlo con la passione o
la pena »?.
L a natura stessa delle cose, quindi, richiede lunghe
e m ultiform i purificazioni passive. È naturale: n on tutte
le anime dovranno soffrirle col m edesim o rigore,
giacché sono m olto vari i gradi di im purità che sono
stati contratti o i gradi di perfezione alla quale esse so­
no predestinate. Tuttavia, fa notare il P. G arrigou -
Lagrange, che per « vincere com pletam ente l ’egoism o,
la sensualità, la pigrizia, l ’im pazienza, l ’invidia, l ’in g iu ­
stizia nel giu d izio, i m oti della natura, la fretta naturale*

5 C f. V ita 20,28.
6 S. G io v a n n i d e l l a C r o c e , N otte I,iss.
7 P. N a v a l , Curso de ascèticay mistican. 1 3 8 . Cf. 1 - 1 1 ,8 7 ,1 e 6. — N o n
sapremmo com e conciliare queste parole tanto assennate sulla necessità
delle purificazioni passive con la teoria della possibilità di una santità a-
scetica che parteciperebbe in una form a soltanto incom pleta alla notte del'
senso e n on parteciperebbe affatto a quella dello spirito sostenuta dal P -
N a v a l (/ w , n. 18 e 2 1 ).
5)04 LA VITA CRISTIANA NEL S U O SVILU PPO ORDINARIO

l ’ a m o r p ro p rio , le sto lte p retese, e d anch e la ricerca


-di sé n ella p ietà, il d e sid erio sm o d a to delle c o n s o la z io ­
ni sen sib ili, l ’o r g o g lio in te llettu a le e sp iritu ale, tu tto
-ciò che si o p p o n e a llo sp irito di fe d e e alla co n fid e n za
in D io , p e r g iu n g e r e ad am are il S ig n o re perfettamente
c o n tu tto il cu o re, c o n tu tta l ’anim a, c o n tu tte le fo rz e ,
co n tu tta la m ente, e il p ro s s im o , co m p re si i n em ici,
co m e se stessi, fin alm en te p er restare saldi, p azien ti e
p erse v e ra re n ella carità, q u a lu n q u e co sa su cced a » s,
è a sso lu ta m en te in d isp e n sa b ile la p ien a rin n o v a zio n e
d e ll’an im a m ed ian te le p ro fo n d e e d o lo ro s e purifica­
z io n i passive, ch e l ’in tro d u rra n n o o fa ra n n o p ro g re d ire
n ella vita mistica, aperta a tu tte le anim e co m e n atu rale
s v ilu p p o ed esp a n sio n e della g ra zia san tifican te.
Q u e sta d o ttrin a, o ltre ch e esser v e ra , ha il v a n ta g ­
g i o d i a p rire v a s ti o riz z o n ti alle a n im e ritraen d o le
da n o n p o c h i p e r ic o li n ei q u a li p o tr e b b e ro facilm e n te
ca d e re se si o b b lig a s se ro a rim an ere, c o n tr o l ’a ttrat­
tiv a d ella g ra zia , n ella co sid d e tta « v ia o rd in a ria » d el­
la santità. A lc u n i a u to ri g u a rd a n o c o n d iffid e n za al­
la v ita m istica p e rc h é la rite n g o n o p ien a di p e ric o li
p e r le anim e, m en tre in realtà a v v ie n e tu tto il c o n tra ­
r i o *. N e g li stati m istici le anim e so n o g u id a te in m o d o

8 Perfezione cristiana e contemplazione c.3 a.3.


9 S. Teresa a ragione esclama parlando della vita di orazione: « Se qual­
c u n o v i dicesse che ciò è pericoloso, riguardate lui stesso com e un pericolo
■ e fu ggitelo. N o n dim enticatevi m ai di questo consiglio che v i sarà forse ne-
•cessario. I l pericolo è nell’essere p rivi di umiltà e di o gn i altra virtù, ma
n o n mai nel cam mino dell’orazione. Q uesto è uno spauracchio inventato dal
•demonio, co l quale m olte volte riesce a far cadere anime che sem bravano
d ’orazione. Considerate quanto il m ondo sia cieco! N o n fa alcun caso delle
m olte m igliaia d’infelici che invece di praticare l ’orazione si abbandonano
alla dissipazione, terminando co l cadere nell’eresia e in altri gravi disordini.
M a, se fra questa m oltitudine v ’è qualcuno che prima faceva orazione e poi
il dem onio ha ingannato per m eglio raggiungere i suoi fini, ciò gli basta
p e r diffondere il terrore nelle anime e di stornarle dalla virtù. M a stia ben
atten to che si vale del pretesto di evitare pericoli, perché con la scusa di
LE PURIFICAZIONI PASSIVE 505-

tutto particolare dallo Spirito Santo. Illum inate dal­


le luci della contem plazione con splendori celesti,
acquistano m aggiore coscienza del lo ro nulla e della
loro miseria, com e pure delle insidie che m uovono
dai nem ici esterni e dalla propria sensualità, sono
m olto più caute, giudiziose, prudenti e docili alle loro
guide spirituali, proprio a m otivo delle d olorose pu­
rificazioni passive alle quali si sono viste sottoposte
prim a di penetrare o di fare n u o vi progressi negli
stati mistici.
« G rave questione! — scrive il P. G arrigou-Lagrange —
Sostenere che si arriva al pieno sviluppo normale della vita
cristiana, senza passare, sotto una form a o un’altra, per le
purificazioni passive, che sono d’ordine mistico, senza es­
sere stati elevati alla contemplazione infusa, iniziazione o -
scura e segreta al mistero di D io presente in noi, non è
questo sminuire notevolissimamente l ’ideale della perfe­
zione ? E sotto pretesto di evitare le illusioni, di seguire
la via comune, i sentieri battuti, non è forse un proporre
alle anime una buona piccola via illum inativa e unitiva,
che è di tale natura da dar loro un’illusione contraria a
quelle che si vo g lion o elim inare? Sotto pretesto di combat­
tere una form a di presunzione, non è forse cadere in un’al­
tra? N on è un portare le anime a credere di essere sul pun­
to di conseguire la perfezione, d’essere già nella via uniti­
va, quando forse non sono ancora se non fra i principianti
e hanno appena un’idea della vera vita illum inativa ossia
dei proficienti ? N on è forse un esporle anche ad essere
completamente sconcertate, quando verranno le dolorose
purificazioni passive, durante le quali esse crederanno-
d’indietreggiare, quando queste prove sono la porta stret­
ta che conduce alla vera vita ? Qttam angusta porta et ar­
da via est, quae ducit ad vitam, et pauci sunt qui inveniunt eaml
A questo proposito si meditino le parole di S. G iovanni
della Croce che abbiamo citato nelle pagine precedenti » 1°.

È , quindi, fuori dubbio che le purificazioni passi­


ve , di ordine mistico, siano indispensabili per la puri-
scansare il male, fu g g e dal bene. Io non ho mai visto nulla di più insidioso:
l ’arte del dem onio è evidente» (Cammino 21, 7-8).
10 Perfezione cristiana e contemplazione c.3, a.3.
506 LA VITA CRISTIANA NEL S U O SVILU PPO ORDINARIO

ficazio n e d ell’anima e conseguentem ente per la perfe­


zione cristiana u .
V ed rem o ora in particolare le due principali manife­
stazioni di queste purificazioni passive, quelle che S.
G iovan n i della C roce chiam a notte del senso e notte dello
spirito.

A rtic o lo II
L a notte del senso

S. G io v a n n i d e l l a c r o c e , Notte oscura I ; S c a r a m e l l i , Direttorio mi­


stico t f .5 cc. i - i 5 ; M e y n a r d , Trattato della vita interiore t.z 1.2 c.z\ L e h o d e y ,
L e vie dell'orazione mentale p.3 c.3; T a n q u e r e y , Compendio di Teologia asceti-
ca e mistica nn. 420-34; G a r r ig o u - L a g r a n g e , L e tre età... p.3 cc. 4-5.

205. 1. N a t u r a . - L a notte del senso consiste in


m a serie prolungata di aridità e di oscurità sensibili pro­
dotte in un soggetto ancora imperfetto dalla contemplazio­
ne infusa iniziale.
Psicologicamente è caratterizzata da una serie di ari­
dità profon de, persistenti, che som m ergono l ’anima
in una grave tristezza e m ettono a dura p rova la sua
perseveranza nel desiderio della santificazione. È tan­
t o d ifficile sopportare questa crisi del senso, che la
m a gg io r parte delle anim e retrocede spaventata e ab­
bandona la vita di orazione

11 A nch e lo S c a r a m e l l i riconosce quest» necessità. E g li scrive; « N on


p u ò l’uom o, per quanto si aiuti e per quanto si sforzi, giungere con le sue
industrie a riform are i disordini della sua natura corrotta per il peccato di
A dam o, e m olte volte da lu i stesso più sconcertata co i peccati e con g li ab i­
ti cattivi, per m ezzo loro contratti, e conseguentem ente n on può co n le
fo rze ordinarie della grazia rendersi abile al dono della contemplazione
infusa. È necessario che Id d io ci m etta la sua m ano potente e con alcune
purgazioni, che dai M istici si chiam ano passive, com pisca la riform a del suo
naturale disordinato e guasto; e in questo m odo lo renda atto alle divine
•com unicazioni» {Direttorio mistico tr.5, c .i, n.10).
13 G o d in b z esagera quando f a ascendere al 9 9 % le anime pusillanimi
•che retrocedono dinanzi alle prime difficoltà. E g li scrive: « D i mille persone
LE PURIFICAZIONI PASSIVE 507

L a causa d i qu esta n o tte è la c o n te m p la z io n e in ­


fu sa in izia le ch e v ie n e ric e v u ta in un s o g g e tto im p e rfe t­
t o o a d essa n o n p re p a ra to . Q u e s ti d u e ele m e n ti so n o
a sso lu tam en te n ecessari. Sen za la c o n te m p la z io n e in ­
fu sa ci p o tr e b b e essere p u rific a z io n e a ttiv a o ascetica,
m a n o n p assiva o m istica. E sen za la d is p o s iz io n e
im p erfetta d e ll’anim a, la co n te m p la z io n e n o n cau se­
re b b e to rm e n to , o s cu rità e arid ità, m a d ile tto , lu c e
e so a v ità in effa b ile . Q u e s to s e co n d o p u n to e s ig e u n ’u l­
terio re sp ie ga zio n e.

206. 2. C a u s e . - N e ssu n o co m e S. G io v a n n i
d ella C ro ce ha d e sc ritto c o n tan ta p re cisio n e e ch ia ­
re zza la n atu ra, la n ecessità, le cau se e g li e ffe tti d ella
p u rific a z io n e p a s s iv a d el sen so. I l lib r o p rim o d e lla
N o tte oscura rim an e il c o d ic e in s o s titu ib ile dal q u a le
si d o v ra n n o trarre i ca n o n i fo n d a m e n ta li ch e re g o la n o
la notte del senso. C i p ia ce q u i rip o rta re , a lm en o in p a r­
te, il su o p en siero .
A n z itu tto è n ecessario a v v e r tir e ch e e g li c o n la
p aro la senso, in te n d e n o n so lam en te i sen si estern i
e in te rn i, m a anch e l ’a p p etito s e n s itiv o e l ’ intelletto in­
quanto discorsivo 13, il q u a le, co m e è n o to , si v a le del
c o n c o rs o d e ll’im m a g in a z io n e p e r trarre le sue c o n c lu ­
sioni.
S. G io v a n n i d e lla C r o c e d e sc riv e in n a n z itu tto la
s o a v ità e la p a ce ch e s o g lio n o sp erim en tare i p rin c i­
p ian ti n e l s e r v iz io d i D io :
« Bisogna dunque sapere che, dopo che l’anima si è

che D io chiama alia perfezione, appena dieci corrispondono; e di cento per­


sone che D io chiama alla contemplazione novantanove vengono meno:
per questo dico che sono m olti i chiamati, ma m olto p ochi gli eletti» (Pràctic<r
de la Teologia mistica I.7 c .i) . Senza essere tanto pessimisti è certo che l’insuc­
cesso di m olte anime chiamate da D io alla perfezione è d o vu to alla lo ­
ro mancanza di co raggio nel sopportare le dolorose purificazioni passive*
del senso e dello spirito.
,r3 Si leggano attentamente 1 capitoli 6 e 9 della Notte oscura.
508 LA VITA CRISTIANA NEL SU O SVILU PPO ORDINARIO

convertita a D io e ha deciso seriamente di servirlo, in via


ordinaria il Signore la va nutrendo nello spirito e l’accarez­
za, come fa una madre amorosa con il suo tenero bambino.
La madre, infatti, riscalda il suo pargoletto al calore del suo
seno, lo nutre del suo latte e di cibi dolci e delicati, lo por­
ta e stringe tra le braccia e lo copre di baci e di carezze.
A misura, però, che il bambino cresce, lo divezza dal latte
con amaro aloè, e calandolo dalle braccia, gli insegna a
camminare da sé; affinché, perdendo le maniere proprie
di un bam bino, si abitui a cose m aggiori e sostanziali » 1

I p rin cip ia n ti, p e r ò , n o n san n o fare b u o n u so di


q u e sto tra tta m e n to , d o lce e co n so la n te , ch e r ic e v o n o
d a D io a g li in iz i d e lla lo r o v ita sp iritu a le . Si attac­
ca n o fo rte m e n te alle c o n so la z io n i sen sib ili, le qu ali,
fo rs e , sen za ch e se ne re n d an o c o n to v e n g o n o a c o s ti­
tu ire r unico motivo ch e li sp in g e a p ra ticare g li esercizi
di p ietà . A l sen tirsi ta n to fa v o r iti da D io , la lo r o
fia c c a v ir t ù li sp in g e a riten ere ch e s o n o g ià san ti o
ch e p o c o v i m an ca. E in ta n to si n o ta n o g ra n d i im p e r­
fe z io n i rig u a rd o ai sette v iz i ca p ita li 15.
S ’im p o n e u n a p u rific a z io n e . S icco m e essi n o n la
ce rch e re b b ero m ai — ■sia p e r c h é ig n o ra n o in g ra n p arte
le lo r o p ro p rie im p e r fe z io n i, sia p e rc h é n o n sareb b ero
in g ra d o d i su p erarle a p p ie n o c o n le so le lo r o fo r z e 16,
— in te rv ie n e l ’a m o ro sa P r o v v id e n z a d iv in a co n
le prim e luci della contemplazione infusa. P u ra c o m u n i­
ca zio n e sp iritu a le, ch e g iu n g e d irettam en te a ll’in te l­
le tto sen za il c o n c o rs o dei sensi, a c o n ta tto d i u n s o g ­
g e tto fo rte m e n te a tta cca to al sen sib ile, n o n p u ò fare
a m en o di p r o d u r v i o scu rità , v u o to , n e g a z io n e ed
a b b a n d o n o . S iam o alla p re se n za d ella notte del senso.
D ic e S. G io v a n n i d ella C ro ce:
« Abbiam o già visto che i principianti usano nella via
del Signore una maniera m olto bassa e troppo confacente

T4 Notte I,i,2 .
*5 Ivi, 1,2-7.
16 Ivi, 7,5.
LE PURIFICAZIONI PASSIVE 509

al loro gusto e amor proprio. E cco che Iddio nella sua


bontà vu ol portarli innanzi, elevarli ad un più alto grado
di amore divino, liberarli dal basso esercizio del senso e
del discorso dove finora hanno cercato il Signore in m odo
imperfetto e limitato, collocandoli nell’esercizio dello spi­
rito, nel quale, più liberi da im perfezioni, possano più ab-
dondantemente comunicare con lui. G ià si sono esercitati
per qualche tempo nelle virtù; mossi dal piacere che v i pro­
vavano, hanno perseverato nell’orazione e nella medita­
zione, si sono distaccati dalle cose del m ondo ed hanno
acquistato in D io un p o ’ di forze spirituali, mediante le
quali, come tengono abbastanza a freno g li appetiti verso
le creature, cosi sapranno soffrire ormai un p o ’ di pena
e di aridità per amore di D io , senza volgere il passo indietro
sul più bello. O rbene, quando essi con più gusto e sapore
godono negli esercizi spirituali, quando più chiaro risplen­
de, a quanto loro sembra, il sole dei divini favori, allora
appunto Iddio ottenebra tutta questa luce e chiude loro la
porta e la sorgente delle dolci acque spirituali, che gusta­
vano in D io tutte le volte e per tutto il tempo che vo le ­
vano: che, invero, essendo ancor teneri e deboli, non v ’era
porta chiusa per loro, secondo il detto di S. G iovanni
in A p . 3,8. Il Signore, quindi, li lascia al buio, tanto
che non sanno per dove andare con il senso dell’immagina­
zione e con il discorso. N o n sanno più dare un passo
nel meditare com e prima solevano, essendo già abnegato
il senso interno in questa notte. L i lascia in tanta aridità
che, non solo non ritraggono succo e piacere dalle cose
spirituali e dai devoti esercizi in cui prima provavano
gran diletto, ma invece v i trovano disgusto e amarezza.
E la ragione è che Iddio, com e già ho detto, vedendoli un
p o’ grandicelli, affinché vieppiù si rafforzino ed escano
dalle fasce, li stacca dal suo dolce petto e, calandoli dalle
braccia, li stimola a camminare coi loro piedi; per il che
essi restano m olto sorpresi della novità della cosa, vedendo
che tutto va a rovescio di prim a» I".

Causa d i q u e sto d is g u sto e v u o to d ei sensi è la c o n ­


tem p la zio n e in fu sa.
« Iddio ormai comincia a comunicarsi a lei, non già
per via del senso e per m ezzo del discorso con il quale l’a-

*7 Ivi, 1,8,3.
510 LA VITA CRISTIANA NEL SUO SVILU PPO ORDINARIO

nima prima com poneva e divideva le idee, ma per m ezzo


del puro spirito, in cui non v ’è discorso successivo: le si
comunica, cioè, con atto di semplice contemplazione, al­
la quale i sensi esterni e interni della parte inferiore non pos­
sono giungere. Q uindi è che l ’im m aginazione e la fantasia
non trovano app oggio in alcuna considerazione, né più
in avvenire potranno ferm arvi il piede » lS.

L e cause della notte del senso sono quin di due: la


contemplazione infusa iniziale e l ’imperfezione del sogget­
to che n on è preparato a riceverla.

207. 3. Segni per riconoscerla. -


D a quali segni potrem o riconocere la notte del senso
e distinguerla dalle aridità che p roven gon o da altre
cause, quali la dissipazione d ell’anima, l’indisposizione
fisica del soggetto, l’influsso del dem onio, ecc. ?
Il prim o a trattarne fu il tedesco G io v an n i Taule-
ro 1B. M a S. G iovan n i della C roce ne fece una più accu­
rata descrizione in un capitolo della N otte oscura 2°.
a) Il prim o segno è che « com e l’anima non sente piace­
re e consolazione nelle cose di D io , cosi non lo sente in
alcuna delle cose create ». Se il suo desiderio venisse appa­
gato da queste ultime è evidente che il disgusto di D io è
frutto della dissipazione dell’anima. I tiepidi non provano
gusto per le cose di D io , bensi per quelle del m ondo.
Però, siccome questo disgusto universale « potrebbe de­
rivare da qualche indisposizione o da um ore melanconico,
il quale spesso non permette di trovar piacere in nessuna
cosa, è necessario anche il secondo segno ».
b) Il secondo segno è che « ordinariamente l ’anima vol­
ge il pensiero a Dio con sollecitudine e cura penosa, temendo di
no» servirlo ma di tornare indietro, giacché si vede insipida
nelle cose divine. È manifesto che tale dispiacere e aridità
non procede da tiepidezza perché è proprio di questa non
prendersela tanto e non darsi pensiero delle cose di D io ».
E quando dipende da una infermità, « tutto si risolve in

18 Ivi, 9,8.
’ 9 C f. G . T a u l e r o , Istituzioni divine c . 3 5 .
10 Cf. 1,9. N e parla anche in II, 13 della Salita del Monte Carmelo.
LE PURIFICAZIONI PASSIVE 511

disgusti e strazi della natura, senza quei buoni desideri


di servire D io che accompagnano l’aridità purgativa». Il de­
monio, d’altra parte, non può ispirare desideri di servire
D io. Per cui, questo secondo, è uno dei segni più chiari
e più sicuri.
c) Il terzo segno è « il non poter più meditare né discorrere
valendosi del senso dell’immaginazione, come soleva, no­
nostante tutti gli sforzi ». La causa di questa impotenza
discorsiva è la contem plazione infusa iniziale.

Q uando questi tre segni sono m anifesti e duratu­


ri, l ’anima e il suo direttore possono ritenere di tro v a r­
si alla presenza della notte del senso e regolarsi in conse­
guenza. Per m aggior chiarezza e precisione, tuttavia,
vo gliam o approfondire l ’ esame dei m ezzi con cui con­
trollare se le grandi aridità esperim entate d all’anima
in questo stato p roven gon o effettivam ente dalla not­
te del senso o da un’ altra causa.
1) Se si tratta di un effetto della tiepidezza che
sta im padronendosi d ell’anima, si riconoscerà facil­
mente, perché il tedio per le cose divine è accom pagna­
to da una forte passione per i divertim enti m ondani,
nei quali trova piacere e soddisfazione, e da una gran­
de dissipazione dell’anima, che fa appena caso del pec­
cato m ortale e si abbandona al veniale senza alcuna
resistenza. Il rim edio consisterà nel pentirsi sincera­
m ente della cattiva condotta e nel tornare a ripren­
dere con n u o vo fervo re il cam m ino della vita spiri­
tuale.
2) N o n è neanche d ifficile distinguere dalle aridi­
tà della notte del senso una m alattia mentale o uno squi­
librio n ervoso. Scrive il P. G arrigou -L agran ge:
« Per distinguere la nevrastenia dalle purificazioni pas­
sive dobbiam o osservare che i sintom i più frequenti nei
nevrastenici sono la stanchezza quasi continua, anche quando
non hanno lavorato, unita ad un senso di abbattimento e
di scoraggiam ento; un mal dì testa abituale (sensazione di
un casco, di una calotta di piom bo sulla testa, dolori sordi
alla nuca o alla colonna vertebrale); l'insonnia al punto che
512 LA VITA CRISTIANA NEL S U O SVILU PPO ORDINARIO

il nevrastenico si sveglia più stanco di quando si età coricato;


difficoltà nell’esercizio delle facoltà intellettuali a sostenere un’at­
tenzione continuata; l ’impressionabilità, em ozioni intense
per cause minime e tendenza a credere di avere malattie
che non esistono; analisi eccessiva di se stesso sino alle minu­
zie, preoccupazione costante di non prendere qualche malat­
tia
I nevrastenici non sono tuttavia dei malati immagi­
nari; l’impotenza da loro provata è reale e sarebbe cosa
assai imprudente lo spingerli a non tener conto della loro
stanchezza e ad usare delle loro forze fin o all’estremo limite.
N o n è già la volontà che fa loro difetto, ma è che realmente
non possono.
L e cause della nevrastenia possono essere organiche
to m e le intossicazioni, i disturbi endocrinici o epatici, la
preparalisi; ma altrettanto spesso sono psichiche: eccessivo
lavoro intellettuale, noie morali, em ozioni penose, tutte
cose che costituiscono un grave peso per il sistema ner­
voso. A nch e in questi ultim i casi in cui la causa del male è
p s ic h ic a ,'il male stesso intacca l’ organism o. E cco perché
è sommamente necessario far riposare i nevrastenici; per
condurli poi progressivam ente a com piere qualche lavoro
facile e proporzionato alle loro forze, facendo loro coraggio
per com pierlo.
D obbiam o pure notare che le psiconeurosi possono as­
sociarsi ad una vita intellettuale assai sviluppata e ad una
vita morale elevata.
Vediam o dunque, com e ha notato S. G iovann i della
Croce parlando dei tre segni della notte passiva dei sensi,
che questa può esistere simultaneamente con la malinconia,
che o g g i si direbbe nevrastenia; ma vediam o ancora che si
distingue da questo stato di affaticamento nervoso per il
secondo segno (conservare ordinariamente il ricordo di
D io , con una sollecitudine ed un’ansia penosa di andare a
ritroso), e per il terzo segno (quasi im possibilità di meditare,
ma uno sguardo semplice ed am oroso verso D io , principio
di contem plazione infusa). Il v iv o desiderio di D io e della
perfezione, che viene manifestato da questi segni, distingue
notevolm ente questa purificazione passiva dalla nevrastenia
che però può talvolta coesistere con essa »

21 Cf. R. DE S i n e t y , Psychopatbologie et direction (1934) p p . 66-87 (n o ta


del P. Gariigou-Lagrange.
M L e tre età... 111,4.
LE PURIFICAZIONI PASSIVE 513

3) L e tentazioni o perturbazioni diaboliche si r ic o ­


nosceranno dal fa tto che l ’aridità coincide con fo rti sug­
gestioni peccaminose di una insolita tenacia, unite ad
un istintivo orrore dell’anima per esse. L ’azione del
m aligno ha lo scopo di perturbare la pace e la tran­
quillità del?anim a e di allontanarla d all’esercizio del­
l’orazione. L ’anima lo vin cerà se, nonostante tutte le
ripugnanze sensibili, continuerà nei suoi esercizi di
pietà ed adotterà g li altri espedienti che abbiam o
ricordato parlando delle tentazioni e dell’ossessione
diabolica.
4) A lcu n e cause surricordate, soprattutto la secon­
da e la terza, posson o coesistere con la notte del
senso. In tal caso u n ’attenta e penetrante analisi
saprà discernere quello che appartiene all’una o al­
l ’altra e suggerirà i rim edi opportuni. Insiem e alla
notte del senso si nota ancora la presenza di alcune
p rove dette accessorie o concom itanti: a) da parte
del demonio, fo rti tentazioni con tro la fede, la speranza
e la carità; veem enti suggestion i contro la purezza,
con innom inabili rappresentazioni nell’im m aginazione;
spirito di bestemmia cosi im petuoso e vio le n to da
spingere talvolta « fin quasi a pronunciarle »; oscurità,
che riem piono l ’anima di m ille scrupoli e perplessità 2!;
b) da parte degli uomini, burle e persecuzioni anche da
parte dei buoni, che, secondo S. P ietro d ’A lcan tara,
vanno annoverate tra le pili gravi tribolazion i che
siano date di patire sulla terra a4; i superiori, g li amici
e persino il direttore spirituale, che torm entano l ’anim a
scambiando il suo stato con la tiepidezza o non riuscen­
do ad alleviarla con i rim edi opportuni; e c) infin e

33 Notte 1,14,
24> « Ebbe per me la più viva com passione, perché quello che io aveva
sofferto, cioè la contraddizione dei buoni era, secondo lui, la prova più gran ­
d e della vita » (S . T e r e sa , Vita 30,6).
514 LA VITA CRISTIANA N EL SUO SVILU PPO ORDINARIO

l’ infermità, g l’'insuccessi, la perdita della fama, delle ric­


chezze, delle amicizie, ecc. V erreb b e fatto di pensare
che il cielo e la tetra abbiano congiu rato con tro la
povera anima, che si sente com e schiacciata. M a dietro
tutte le contrarietà si nasconde la m ano di D io che
v u o l distaccarla dalle cose della terra e ricordarle che
nulla p u ò senza di lui e senza la sua m isericordiosa
assistenza.
N o n tutte le anim e soffron o la notte del senso con
tanto intenso rigore. D ipen d e dal grad o di perfezio­
ne al quale D io vu o le elevarla, dal m aggiore o m inore
num ero di im perfezioni da cui d ;v o n o essere purificate,
dal v ig o re dell’anim a e dalla loro docilità e pazienza
nel sopportare la prova. In pratica, ci sono sempre
g li alti e i bassi in questa purificazione. Conviene,
inoltre, ricordare che D io concede sem pre la sua gra­
zia e la sua forza, nel grad o e nella m isura necessaria.

208. 4. Condotta pratica d e ll’a


nima. - L ’anima opererà con prudenza quando si
atterrà alle seguenti norme:
1) Sottomissione completa e amorosa alla vo
lontà di Dio, accettando con pazienza e rassegnazione
la dolorosa prova per tutto il tem po che a D io piacerà.
L ’anima n on deve dim enticare che le difficoltà rappresen­
tano un va lid o aiuto per fortificare e progredire nel­
la vita spirituale. L o fa notare bene S. G iovan ni
della Croce:
« Si consolino, dunque, perseverando nella pazienza e,
senza angustiarsi, confidino in D io , che non abbandona mai
quelli che lo cercano con cuore semplice e retto, né ometterà
di somministrare loro il necessario per il viaggio , sino a con­
durli alla chiara e pura luce di amore, che loro darà per mez­
zo dell’altra notte oscura dello spirito, se meriteranno da
D io si alto favore » *5.

35 N ette 1 ,10,3.
LE PURIFICAZIONI PASSIVE 515
2 ) Perseveranza nell’orazione a im itazione di G e ­
sù nel G etsem ani, il quale entrato in agon ia pregava
con m agg io r intensità: « Factus in agonia prolixius ora-
bat» (L u c a 2 2 ,4 3 ). L ’ orazione 'n rn ezzo aq u este terribili
aridità diventa u n torm en to per l’ anim a, e solo u n o
sforzo generoso p u ò m antenerla in vita; p e rò que­
sto sforzo è necessario se n on si vu o le tornare indie­
tro e perdere tutto. È qui d ove m olte anim e v e n g o ­
no m eno. Sopraffatte dalle angustie della notte, ab­
bandonano l ’ orazione e desistono dai lo ro propositi,
p rop rio nel m om ento in cui stanno p er ricevere i
prim i rag gi del sole nascente, che inonderebbero le
loro anime di splendori celesti e le farebbero avan­
zare a passi da gigan te verso la vetta della santità.
In pari tem po l ’anima deve rendersi con to di com e
com portarsi n ell’ orazione, perch é è entrata in una
n uova fase, m olto diversa dalla precedente e sareb­
be pericoloso v o le r conservare ad ogn i costo gli
stessi m etodi. E cc o quanto essa deve fare secondo
S. G iovan n i della Croce:
3 ) « Lascino l’anima libera e tranquilla..., si con­
tentino solo di una quieta ed amorosa avvertenza in D io »,
sen^a una particolare considerazione e « desiderio di sentirlo
e goderlo ». - L a ragione è che l ’anim a sta ricevendo
la luce della contemplazione infusa, che non ha nulla
a che vedere con i procedim enti d iscorsivi delPorazio-
ne ascetica o meditazione, praticata fino a quel m om en­
to. Se vorrà continuare a discorrere e a m editare, le
sarà im possibile percepire la luce della contem plazio­
ne, e non riuscirà neppure a m editare com e desidere­
rebbe, perché non è più il tem po di fare questo.
« Inoltre, quantunque nascessero loro moltissimi scru­
poli di sciupar tem po, e che sarebbe m eglio im piegarsi in
altre cose giacché nell’orazione non possono fare n é pensare
niente, sappiano sopportarsi e rimanere calmi, perché ora
è tempo di starsene a bell’agio e con grande larghezza di
516 LA VITA CRISTIANA NEL SUO SVILU PPO ORDINARIO

spirito. Che se dal canto loro volessero operare alcunché


con le potenze interne, ciò sarebbe un impedire e distruggere
i beni che Iddio imprime nell’anima per m ezzo di quella tran­
quilla pace; sarebbe come se un’immagine dipinta si dime­
nasse mentre il pittore la v a ritoccando: certo non gli lasce­
rebbe far nulla e gli guasterebbe l’opera che sta facendo.
Similmente, quando l’anima sta in pace e in ozio interiore,
qualsiasi operazione o affetto o sollecita avvertenza ch’essa
allora vo g lia avere, le sarà di distrazione ed inquietudine, e
le dovrà far sentire l ’aridità e il vu o to dei sensi; e quanto più
pretenderà di avere appoggio in qualche affetto o notizia,
tanto più sentirà il vu o to , il quale non può essere più col­
mato per quella via.
Bisogna, quindi, che l’anima non si dia alcun pensiero
se perde le operazioni delle sue potenze, anzi dev’essere con­
tenta di perderle presto. Se l’anima non disturba l’atto della
contemplazione infusa da D io , la riceve con più abbondanza
pacifica, e fa si che arda del fuoco di amore, che questa o-
scura e segreta contem plazione trae con sé e appicca all’a­
nima; perché la contem plazione non è altro che una infu­
sione segreta, pacifica e amorosa di D io , la quale, se le si
apre la strada, infiamma l ’anima nello spirito d’amore » l6.

L ’anima n on faccia, quindi, inutili sforzi per m e­


ditare. R im anga tranquilla e in pace d avanti a D io
con un semplice sguardo amoroso, senza pensare né
discorrere di nulla. E , quantunque abbia l ’im pres­
sione di perdere tem po o di andare indietro, rim an­
g a in questo stato tutto il tem po destinato all’ ora­
zione. In realtà, com pirebbe un lav o ro n egativo se
si dedicasse a ll’esercizio discorsivo delle sue potenze.
Si tenga presente, tuttavia, che spesso, agli inizi
della sua vita contem plativa, l ’anima n on sentirà tut­
ta l ’attrattiva dello Spirito Santo che l ’in vita a rim aner­
sene quieta e tranquilla; nel qual caso, com e avverte
S. G iovan n i della C roce 27, deve praticare la m edi-

36 Notte 1,10,5-6.
37 « Però, fintanto che con piacere può discorrere nella meditazione non
d eve abbandonarla eccetto quando l ’anima fosse stabilita nella pace e quie­
te di cui si parla nel terzo segno » (Salita 11,13,2). S. Teresa è dello stesso
LE PURIFICAZIONI PASSIVE 517

tazione nella form a solita per n on rim anere senza


una cosa e senza l’altra.
4) D ocilità a un direttore prudente e sperimen­
tato. - M ai com e in questi periodi di transizione si
rende necessaria la presenza di un direttore spirituale.
In m ezzo a tante oscurità, l ’anima non è in grad o di
trovare il rim edio e la soluzione ai mali che l ’ a fflig ­
gono; e se, invece di un direttore prudente e sperim en­
tato che l ’in co rag gi a rimanere tranquilla nella sem pli­
ce attenzione am orosa a D io , tro va chi le dice che re­
trocede 2S, « la pena e l’ affanno crescerà a dism isura,
tanto da essere p e gg io re della m orte stessa » 29.
« Se costoro in questo tempo non hanno chi li intenda,
tornano indietro, lasciando l’intrapreso cammino o dive­
nendo tiepidi in esso; se non altro da se stessi p ongono osta­
colo al loro progresso, a cagione delle m olte industrie che
usano per seguire il primo cammino della meditazione e del
discorso, stancando eccessivamente la natura, e attribuendo
la vanità dei loro sforzi ai propri peccati e alla propria negli­
genza. M a, ripeto, è inutile che essi ritornino sui lo ro passi,
perché Iddio ormai li mena per la strada della contempla­
zione che è differentissima da quella di prima, perché l’uno
è di meditazione e discorso mentre l ’altra non cade sotto
l’immaginazione o il discorso »3°.’

L ’anima che vu o le progredire nella perfezione « de­


ve necessariamente badare alle mani di chi si affida,
perché quale è il m aestro, tale sarà il discepolo, e quale

avviso quando consiglia di sospendere l ’esercizio d iscorsivo soltanto d o p o


che è sorto l'amore. « Se il Signore n on ha ancora com inciato a sospenderci,
non so se si potrà cosi fermare il pensiero da non averne più danno che van ­
taggio» (Quarte mansioni 3,4).
18 « N o n mancherà chi le dica ch’ella, giacché orm ai non p rova più
gusto e consolazione nelle cose di D io , torna indietro. C ostoro n o n fanno
altro che rincarare la dose, raddoppiando il dolore di quella pov-e**-«lima »
(Salita proem io n.5).
29 Salita ivi.
3° Notte 1,10,2.
518 LA VITA CRISTIANA NEL SU O SVILU PPO ORDINARIO

il p a d re, tale il fig lio » 31. P e rc h é , « b e n c h é q u e sto danno


sia p iù g r a v e di q u a n to si p o ssa esp rim ere, è co s i co­
m u n e e fre q u e n te , ch e a p p en a si tro v e r à u n m aestro
sp iritu ale ch e n o n lo a p p o rti alle a n im e ch e D io com in cia
in ta l m o d o a ra c c o g lie re in co n te m p la z io n e » 32.
T u tta v ia , te n g a p resen te ch e D io n o n abban dona
n essu n o , e ta n to m e n o c o lu i ch e d esid era sinceram en­
te san tificarsi, p e r la su a g lo r ia . Se n o n h a u n d irettore
sp iritu a le, o n o n è co s i e sp e rto co m e d esid erereb b e,
e g li su p p lirà p e r a ltre v ie , p u rc h é sia v e ra m e n te um ile
e n o n ce rch i i p r o p r i in teressi, m a so lo il b en ep la cito
d iv in o .

209. 5. E f f e t t i . - S. G io v a n n i della C ro ce esa­


m in a i v a n ta g g i a rreca ti a ll’a n im a d alla notte del senso
n ei c a p ito li 12 e 13 d e l lib r o p rim o della N o tte oscura.
a) Conoscenza di sé e della propria miseria al vedersi cosi
piena di oscurità e di im potenze (12,1-2).
b) N ei confronti di Dio, una condotta più attenta e cortese
di quella che aveva quando nuotava nelle consolazioni sen­
sibili.
c) L u ci m olto più v iv e sulla grandezza ed eccellenza di Dio,
p rodotte dalla contem plazione infusa incipiente (12,4-6).
d) Profonda umiltà, « perché, vedendosi tanto arida e
miserabile, neanche per prim o m oto le passa in pensiero di
essere m igliore degli altri e di superarli in qualche cosa,
come prima credeva» (12,7).
e) Amore del prossimo, « perché lo stima e non lo giudica,
com e prima soleva, quando cioè vedeva se stessa con gran
fervore e gli altri n o » (12,8).
f) Sottomissione e obbedienza, perché « vedendosi si misera
e vile, non soltanto ascolta ciò che le viene insegnato, ma de­
sidera altresi che qualsiasi persona l’indirizzi e le suggerisca
ciò che deve fare» (12,9).
g) Purificazione dall’avarizia, dalla lussuria e dalla gola spi­
rituale, di cui era ripiena prim a della notte dei sensi (13,1-3).

3 r Fiamma 3,30.
3* Ivi, 3,43.
LE PURIFICAZIONI PASSIVE 519

La stessa cosa si dica dell’«Va, dell'invidia e della pigrizia


(13.7-9)-
h) « Costante ricordo di Dio, con tim ore di tornare indie­
tro nel cammino spirituale», m olto utile all’anima (13,4).
i) « Esercizio di tutte le virtù » (13,1-5).
1) « Libertà di spirito, e con essa i dodici frutti dello Spirito
Santo » (13,11).
m) Vittoria contro i tre nemici dell’anima: il mondo,
il demonio e la carne (13,12).

P e rta n to , l ’anim a, alla v is ta d i si p re z io s i fru tti ha


la felice sorte d i salire sen^’ essere notata (senza, cio è, che
la m o le stin o i su o i a p p etiti e le sue p a ssio n i) « p e r in ­
tra p ren d ere i l ca m m in o d e llo sp irito , q u e llo dei p ro fi-
cie n ti, ch ia m a to an ch e v ia illu m in a tiv a o d i co n te m ­
p la z io n e in fu sa , d o v e Id d io p e r sé s o lo v a p a sce n d o e
risto ra n d o l ’a n im a » (1 4 ,1 ) , p e rc h é ha g ià ca lm ato
p erfe ttam e n te i su o i bassi istin ti e le p assio n i:
In una notte oscura,
Con ansie, d’amor tutta infiammata,
O felice ventura!
U scii né fui notata,
Stando già la mia casa addormentata.

210. 6. D u r a t a . - L a durata della notte del sen­


so v a ria da ca so a caso. S. G io v a n n i d ella C r o c e a v v e r ­
te ch e essa d ip en d e dal g r a d o d i am o re al q u a le D io v u o ­
le e le v a re le anim e e dal m a g g io r e o m in o re b a g a g lio
di im p e r fe z io n i da cu i d e v e p u rifica rle . L e an im e d e b o li
n o n v e n g o n o p u rifica te c o n la p ro n te zz a e in ten sità
d elle anim e fo r ti, m a in esse D io altern a p e rio d i
d i lu ce e di o scu rità o n d e n o n si s c o ra g g in o e to rn in o
in d ie tro in cerca delle co n so la zio n i d el m o n d o 33.
Q u e ste a lte rn ativ e di lu ce e d i ten eb re so n o m o lto
fre q u e n ti n ella v ita sp iritu ale. C i so n o d elle anim e che
a ttrav ersa n o la notte dello -spirito sen za ch e si p o ssa d i­
re co n p re cisio n e q u a n d o l’ h a n n o in co m in cia ta , n é

33 Notte T,i4»5.
520 LA VITA CRISTIANA NEL S U O SVILU PPO ORDINARIO

q u a n d o l ’h a n n o term in ata. C o m e a v v ie n e n ella natura, il


g io r n o e la n o tte si a lte rn an o in q u este anim e; il di­
re tto re d e v e ten ere in c o n sid e ra zio n e la p o ssib ilità e il
fa tto d i queste a lte rn a tiv e p e r n o n in g a n n a rsi su l v e r o
stato d e ll’ anim a.
C o m u n q u e , q u a n d o D io v u o le e le v a re u n ’anim a
a g ra n d e p e rfe z io n e su o le s o tto m e tte rla a u n a p ro lu n ­
g a ta e d o lo ro s a p u rifica zio n e d el sen so. I l C ard in al
B o n a dice che S. F ra n cesco di A ss is i rim ase d ie ci anni
in tali p r o v e p u rg a tiv e ; S. T e re sa , d icio tto ; S. C h iara
di M o n te fa lc o , q u in d ici; S. C a terin a da B o lo g n a , cin ­
que; S. M a d d a len a d e ’ P a zzi, d ap p rim a cin q u e e p o i
sedici; il V e n e ra b ile B a ld assa rre A lv a r e z , sed ici 3 4.
N u lla im p ed isce di p re g a re D io ch e a b b re v i qu e­
sta p r o v a d o lo ro sa q u a n d o la n o stra rich iesta è c o n d i­
zio n a ta e la n o stra v o lo n tà d isp o sta a fare tu tto c iò che
D io d esid era da n oi: « P a d re m io , se è p o ssib ile , passi
da m e q u e sto calice; tu tta v ia n o n q u e llo ch e io v o g lio
m a q u e llo ch e v u o i t u » (M at. 26,39). È preferibile,
p e r ò , a b b a n d o n a rsi in te ra m e n te n elle m ani di D io e
rim ettersi a q u e llo ch e e g li d isp o n e p er tu tto il te m ­
p o ch e cred erà o p p o r tu n o . Si ten g a p resen te ch e la
notte del senso n o n è u n m ale, m a u n a lo tta d o lo ro sa
d alla q u a le d e riv a n o gra n d issim i b en i. In o g n i e v e ­
n ien za l ’a tte g g ia m e n to m ig lio r e p e r la n o stra v ita sp i­
ritu a le è q u e llo ch e ci s u g g e r ì N o s tr o S ign o re : « F iat
v o lu n ta s tua sicu t in c o e lo et in te r ra » (M at. 6,10).

211. 7. P o s t o c h e o c c u p a n e l l a v i t a
s p i r i t u a l e . - N o n tu tti g li a u to ri co n co rd a n o
q u a n d o si tratta d i d eterm in are il p o sto che sp etta alla
notte del senso n ella v ita sp iritu ale. A l c u n i 36 la in c lu d o n o

34 Cf. Card. B o n a , Via compendii ad Deum c. io , n .6 ; citato da T anqcjerev ,


Compendio di Teologia ascetica e mistica n.1434.
35 Com e Filippo della SS. Trinità, A n tonio dello Spirito Santo V all-
gornera e A n tonio dell’Assunzione.
LE PURIFICAZIONI PASSIVE 521

n el p e r io d o p u rific a tiv o , e q u e sta è l ’ o p in io n e p iù


co m u n e; altri d ic o n o ch e a p p artien e alla v ia illu m in a ­
tiv a 3S; a ltri a n co ra h a n n o v o lu to e le v a rla fin o alla v ia
u n itiv a 37.
A n o i sem bra ch e , s e co n d o S. G io v a n n i d ella C r o c e ,
la notte del senso seg n i il passaggio tra la via purgativa e quel­
la illuminativa: e p a rtecip a , p er c iò stesso , alla n atura
delle due. Q u a n d o l’ anim a v i fa il su o p rim o in g re sso
si t r o v a a n co ra n ella via purgativa, è ca rica di im p e rfe ­
zio n i e di d ifetti, dai q u a li a p p u n to d o v r à lib e ra rla la
notte del senso. E q u a n d o ne esce, p u rifica ta dalle im p e r­
fe z io n i e illu m in ata d a g li sp le n d o ri d e lla c o n te m p la ­
z io n e in fu sa , è g ià in p ien a via illuminativa 38. L a n o tte
segn a il p a s s a g g io tra l ’un a e l ’ altra. A s c o ltia m o il
D o tto r e m istico :
« L e anime incom inciano ad entrare in questa notte
oscura quando Iddìo le va cavando dallo stato di principian­
ti, cioè di quelli che nella via spirituale si esercitano con la
meditazione, per collocarle in quella dei proficienti, che è
già dei contem plativi, affinché passando per quest’ultim o
giungano allo stato dei perfetti, che è quello della sublime
unione dell’anima con D io »

Il p en siero d i S. G io v a n n i d e lla C r o c e g ià ch ia ro in
relazio n e alle tre v ie , si p re cisa a n co r m e g lio in rela­
zio n e a lla notte del senso:
« ...Per m ezzo della fortunata notte della purgazione
sensitiva, l’anima usci per intraprendere il cammino dello
spirito, quello dei proficienti, il quale con altro nom e è
chiamato via illum inativa o di contem plazione infusa, dove
Iddio per sé solo va pascendo e ristorando l’anima, senza

36 G iuseppe dello Spirito Santo, Francesco di S. Tom m aso, ecc.


37 Cosi T a n q u e r e y nel suo Compendio di Teologia ascetica e mistica (n.
1420SS.) e in uno schema di un trattato di spiritualità apparso con la sua fir­
ma in « R evu e d ’A scétique et de M ystique», gennaio 1921, p. 35.
3 8 Errano, quindi, coloro che collocano la notte del senso nella via unitiva
o dei perfetti.
39 Notte I , i , i .
522 LA VITA CRISTIANA NEL S U O SVILU PPO ORDINARIO

che questa v i cooperi attivamente, né con discorso, né


con altre sue industrie» 4».

S tu d ie re m o o ra la seco n d a sp ecie di p u rifica zio n e


p assiva , la trem en d a notte dello spirito, rise rv a ta alle
anim e ch e d e v o n o ra g g iu n g e re i v e rtic i p iù elevati
d e ll’e ro ism o e d ella santità.

A r tic o lo II I

L a notte dello spirito

S . G i o v a n n i d e l l a C r o c e , Notte oscurali-, S c a r a m e l l i , Direttorio mi­


stico tr.5 cc. 16-22; M e y n a r d , Trattato della vita interiore t.z ì.z c.3; Sau-
d r e a u , I gradi della vita spirituale I. 6 cc. 2-3; G a r r i g o u - L a g r a n g e , Perfe­

zione cristiana e contemplazione c.3 art. 3 e c.5 art. 2 § 2; L e tre età... p.4
c. 1-6; T a n q u e r e y , Compendio di Teologia ascetica e mistica nn. 1463-68.

Poiché la notte dello spirito interessa solo poche anime


privilegiate, ci lim iterem o ad alcuni brevi accenni. Più
abbondanti inform azioni il lettore troverà nella bibliografia
citata.

212. 1. N a t u r a . - L a notte dello spirito è co sti


tu ita da u n a serie di purificazioni passive estrem am en te
d o lo ro se , ch e h a n n o p e r fine d i co m p leta re la p u rifica ­
z io n e d ell’ anim a, in izia ta d alla notte del senso. M edian te
le te r rib ili p r o v e d i q u esta seco n d a notte, i d ife tti e le
im p e rfe z io n i, ch e a n co ra rim a n e v a n o d o p o la p rim a
p u rifica zio n e d ei sensi, v e n g o n o e stirp a ti fin dalle
radici. S c riv e S. G io v a n n i d ella C ro ce:
« Perciò la notte del senso può e deve chiamarsi una
certa riform a ed un raffrenamento degli appetiti, piuttosto
che purgazione. L a ragione è che tutte le im perfezioni e i
disordini della parte sensitiva attingono la loro forza nello
spirito, dove hanno radice gli abiti buoni e cattivi; e perciò,

4° Ivi 1 , 14, 1 .
LE PURIFICAZIONI PASSIVE 523

finché questi ultim i non si purghino, nemmeno le ribellioni


ed i sinistri del senso si possono ben purgare »

213. 2. C a u s e . - L e cause della n otte d ello spi­


rito s o n o id e n tich e a q u e lle d e lla n o tte d e l sen so: la
co n te m p la z io n e in fu sa e l ’im p e r fe z io n e deH’anim a.
L ’in te n sità d e lla lu ce c o n te m p la tiv a to rm e n ta e acceca
l ’an im a m e n tre le m o stra al v i v o le p iù p ic c o le e in si­
g n ifica n ti im p e rfe z io n i di cu i si v e d e rip ie n a 42. I l c o n ­
tra sto tra la g ra n d e zz a in effab ile di D io , in tr a v v is ta at­
tra v e rs o q u e g li sp le n d o ri c o n te m p la tiv i, e la sen tina
di im p e r fe z io n i ch e l ’anim a sco p re in se stessa, p o rta ­
n o alla c o n v in z io n e ch e non sarà mai possibile l’u n io n e
di tan ta lu c e c o n tan te ten eb re, ch e, q u in d i, è irrep a ra ­
b ilm e n te co n d an n ata a v iv e r e sem p re sep arata da D io .
Q u e s ta id ea, ch e a ll’an im a app are evidentissima e sen%a
possibilità di rimedio, la so m m e rg e in u n o stato di a n g u ­
stia e d i to rtu ra ta n to s p a v e n to se ch e su p era i to rm e n ti
d el p u r g a to r io e tr o v a ris co n tro s o lo n ella pena del dan­
no dell’inferno 43.
C ’è da a v e re u n sacro sp a v e n to q u a n d o si le g g o n o
le d e sc riz io n i ch e di q u e sto stato fa n n o c o lo r o ch e v i
s o n o p assa ti 1 4. 3 e l ’anim a n o n si a b b a n d o n a a lla p iù

41 /w,11,3,1.
4* S. Teresa scrive: « Se in un stanza entra m olto sole, non c’è ragnatela
che rim anga nascosta» (V ita 19,2). « Se quel sole (D io) la colpisce in pieno,
l’anima si vede tutta torbida nonostante o gn i suo sforzo per tendere alla
perfezione, com e l ’acqua di un bicchiere che messa sotto i raggi del sole
appare piena di p ulviscoli, mentre tenuta all’om bra è m olto chiara. I l pa­
ragone è m olto esatto» (Ivi, 20,28).
43 « L ’anima si sente a tal punto miserabile e im pura da sembrarle che
D io si sia m esso con tro di lei, e che essa sia divenuta contraria a L u i. Q ue­
sto dubbio di essere ributtata da D io è causa d ’indicibile affanno e dolore...
L ’anima, vedendo chiaramente (benché al buio) la sua im purezza per m ezzo
di quella lim pida e pura luce divina conosce ad evidenza di n on essere de­
gn a di D io , n é di creatura alcuna; e quel che più l’affligge è il pensare che
n on lo sarà mai, e che già è finito per lei ogn i bene» (Notte 11 ,5 ,5 ). N ei
capitoli seguenti (6-8) il santo descrive i torm enti dell’anima.
44 S i possono leggere i n S a u d r e a u , I gradi della vita spirituale (1. 6 , c.2,
524 LA VITA CRISTIANA N EL SUO SVILU PPO ORDINARIO

tetra disperazione lo si deve solo ad una particolare


assistenza di D io , il quale sottom ettendola a cosi ter­
ribili p ro v e la sostiene e la conforta.

214 . 3. E ffe t t i. - Per spiegare « radicalmente » la


natura e gli effetti di queste p rove purificatrici, San
G iovan n i della C roce usa l ’im m agine del legno messo
nel fuoco:
« Per m aggior chiarezza di ciò che si è detto e si dirà,
gio va qui notare che la purgativa e amorosa notizia o luce
divina di cui parliamo, cosi opera nell’anima, purgandola e
disponendola per unirla a sé perfettamente, com e il fuoco in
un legno per trasformarlo in sé. Quando il fuoco materiale
si applica al legno, prima di ogn i cosa comincia a disseccar­
lo, traendone fuori l ’umidità e facendo gemere l’um ore che
contiene. D i poi lo annerisce e gli fa tramandare anche cat­
tivo odore: e mentre a p oco poco lo dissecca, ne trae alla luce
e toglie tutti gli spiacevoli ed oscuri accidenti, contrari al
fuoco. Finalmente com incia a riscaldarlo al di fuori, l’in­
fiamma, lo trasforma in sé rendendolo tanto bello com e il
fuoco stesso. R idotto a questo termine, il legno ormai non
ha più alcuna azione o passione sua propria, ma eccetto la
gravità e la quantità che è più densa, del fuoco possiede
tutte le proprietà ed azioni: è secco e dissecca; è caldo e ri­
scalda; è chiaro e rischiara, ed è m olto più leggero di prima,
avendogli il fu o co com unicato tutte queste proprietà » 45.

Il santo D o tto re applica questa im m agine all’a­


zione purificatrice della notte dello spirito. L ’anim a ne
esce risplendente e, bellissim a, totalm ente trasform ata
in D io , libera per sempre dalle sue debolezze, im per­
fezioni e m iserie. In forza di questa purificazione, è
pervenuta alle più alte cime della santità, e viene
conferm ata in grazia 46. N o n le rimane che attendere

6), i casi di S. Veronica Giuliani, S. Caterina da G en o va, S. A n gela da


F oligno, S. Teresa, S. G iovanna di Chantal e S. Paolo della Croce.
*5 N o t t e I I , i o , i .
A lm eno così ritiene S. G iovanni della Croce. D ice infatti: « Sono di
parere che questo stato non avvenga mai senza che in esso l’anima non sia
LE PURIFICAZIONI PASSIVE 525

il m om ento in cui si rom peranno i lacci che la tratten­


go n o ancora in questo m on do, per penetrare — senza
ulteriori purificazioni 47 — n eg li eterni splendori della
visione beatifica.

215. 4 . Necessità. - È assolutamente necessa­


ria la notte dello spirito per raggiu n gere la perfezione
cristiana ?
O ccorre distinguere. P er raggiu n gere una perfe­
zione relativa quale è quella delle anim e che hanno
scalato le quinte e le prim e m anifestazioni delle seste
mansioni di S. Teresa (orazione contem plativa di quie­
te e di unione), n on è necessaria. D ìo supplisce le pu ri­
ficazioni della notte dello spirito con altre p ro v e dolorose
interm ittenti, alternando la luce con le tenebre, « p ro ­
ducendo con frequenza la notte e il gio rn o » 48 fino ad
elevarle al grado di purezza e perfezione alle quali le
ha predestinate. M a è indispensabile per salire fino alle
settime mansioni e raggiun gere le p iù alte vette della san­
tità. L o afferma S. G io v an n i della C roce, e risulta dalla
natura stessa delle cose: l ’anima non p u ò aderire a
D io mediante una unione trasformante fino a quando n on
si purifica di tutte le sue m iserie e debolezze. E questo
è il com pito della notte dello spirito.

216. 5. Durata. - N o n si dà una regola fissa,


p oiché dipende da m olteplici circostanze. D i solito
queste dolorose purificazioni durano a lu n go — talora

confermata in grazia » (Cantico spirituale strofa 22 n.3). I l santo parla indub­


biamente di una sicurezza morale, n on di una assoluta im peccabilità. S.
Teresa non è altrettanto sicura di questa conferm azione in grazia, e parla
con molta cautela, a m otivo forse di alcune definizioni del C oncilio dì
Tren to (cf. D enz. 825, 826 e 833) che ha potuto udire da qualcuno dei suoi
confessori (cf. Settime mansioni 2,9 e 4,3). — Cf. n.468 di quest’opera.
47 « C o tali anime (e sono poche), essendo già purgatissime per l’am ore,
non entrano in purgatorio» {Notte 11,20,5; c^- 6,6).
48 Notte I I ,1,1. Bisogna leggere attentamente questo capìtolo.
526 LA VITA CRISTIANA N EL SUO SVILU PPO ORDINARIO

interi anni — prim a che l ’anima sia ammessa all’unione


trasform ante o m atrim onio spirituale. O g n i tanto D io
perm ette che queste anime tro vin o un p o ’ di sollievo;
se si tratta della vera notte dello spirito, questi periodi di
pace saranno b revi. L ’anim a tornerà subito a sentirsi
a vv o lta nelle torture, finché term ina la p ro v a con l ’en­
trata nell’ultim a fase della vita di perfezione, l ’ unione
trasformante con D io .

217. 6. Posto che occupa nella vita spirituale.


- L e purificazioni passive dello spirito quando sono
interm ittenti si estendono lu n g o tutta la via illu­
m inativa e un itiva, ma quando si tratta dell’ auten­
tica notte dello spirito trovan o il loro posto tra le
seste e settime mansioni di S. Teresa 4% im m ediatam ente
prim a che l ’anima rag giu n ga l ’unione trasformante. A
prim a vista p otrebbe sem brare che S. G iovan n i della
C roce collo ch i la notte dello spirito tra la via illum ina­
tiv a e unitiva, com e passaggio dall’una all’ altra. Però
dal contesto della sua opera risulta chiaram ente che,
quando afferma che D io p o n e l ’ anima in questa orrenda
notte « per portarla all’unione divina » 50, n on si rife­
risce alla vita unitiva in genere, ma all’unione trasfor­
mante, che è l ’unione finale verso la quale l’ anima
s’incamm ina. D iversam ente, si dovreb b ero escludere

49 S. Teresa, parlando delle anime giunte alle seste mansioni e facendo al­
lusione a i torm enti della notte dello spirito (pur senza usare quest’espressione
materiale, propria di S. G io van n i della Croce, esclama: « O h m io D io!
Q u ali pene interiori ed esteriori deve m ai ella soffrire prim a d ’entrare nella
settim a mansione!... In verità, quando v i penso, tem o che, prevedendole, sia
assai difficile che la nostra debolezza si risolva a sopportarle, neppure con la
prospettiva di un ’infinità di van taggi, a m eno che non sia già arrivata alla
settima mansione, d o ve n on si ha più paura di nulla e d o ve l ’anima è deci­
samente risoluta a sopportare qualsiasi cosa per am ore di D io » {Seste man­
sioni 1,1-2). N o n c ’è dubbio quindi che p er S. Teresa la notte dello spirito
n on sia situata tra le seste e le settim e m ansioni del suo Castello interiore.
5° Notte II, 1,1 in fine.
L E PURIFICAZIONI PASSIVE 527

dalla via unitiva anche i m eravigliosi fenom eni d ell’«-


nione estatica — ■che n on appaiono più n é hanno lu o g o
n ell’unione trasform ante, com e dice ancora S. G io v an ­
ni della C roce 61 ■ — e che, tuttavia, appartengono
m anifestam ente alla via un itiva secondo la testim o­
nianza della tradizione.

51 Ivi,II, 1 , 2 .
LIB R O SECONDO

ASPETTO POSITIVO DELLA


V IT A CRISTIAN A

218 . D o p o aver esam inato l ’aspetto n egativo della


vita cristiana, che com prende tu tto ciò che dobbiam o
eliminare o rettificare in noi per m etterci sul cam m ino
della perfezione cristiana, dobbiam o ora trattare del­
l ’aspetto positivo, che com prende tutto ciò che si deve
praticare per giun gere fino alle vette più alte della
santità.
N o n tutti i m ezzi di perfezione hanno la stessa im ­
portanza: il seguente schema m ostra sinteticam ente la
gerarchia dei lo ro valori ed anche l ’ordine della m ate­
ria trattata in questo secondo libro.

I. Mezzi fon­ A ) E x open ■Penitenza.


dameli t a l i
operato: 1 1
per l ’aumen­ T-. ■, • ( Sacramento.
sacramenti Eucaristia J Sacrifido_
to e lo svi­
luppo d e l l a ' L ’esercizio delle virtù infuse e
B) E x opere
vita della dei doni dello Spirito Santo
operantis
grazia. La vita di orazione.
I SACRAMENTI 529

Intel-(Presenza di D io.
letto i Esame di coscienza.
Naturale: Energia di ca­
Psicoio rattere.
gici Desiderio della
Vo­
perfezione.
lontà
In tern i Conformità con
Sopran­
la volontà di
li. M e^ i naturale
D io.
secondari Fedeltà alla gra­
zia.
Fisiologico: M iglioram ento del proprio
temperamento,
i) Piano di vita.
z) Lettura spirituale.
EST E RN I1
3) A m icizie sante.
4) D irezione spirituale.
Appendice: Il discernimento degli spiriti.

1. Mezzi fondamentali per l’aumento e lo sviluppo


della vita della grazia
Sono di due ordini: a) i sacramenti, che aum entano
la grazia e x opere operato; b) la pratica delle virtù , dei
doni dello Spirito Santo e della vita di orazione, che
prod u con o il loro effetto santificante e x opere operantis.

C A P IT O L O I

I SACRAM EN TI

S. T h .,I I I , 8 4 -9 0 . Suppl. 1-16; S c a r a m e l l i , Direttorio ascetico, i , 8; R i-


bet, Vascétìque chrétienne, c .4 5 ; M a h i e u , Probatio charitatis, n n . 124-28;
G a r r i g o u - L a g r a n g e , L e tre età, II, 13; T a n q u e r e y , Compendio di Teologia
ascetica e mistica, nn. 262-69; S c h r i j v e r s , Princìpi... II, p .2.a c .6, art.3;
C o l u m b a M a r m i o n , Cristo vita dell’anima, 4; Cristo, ideale del monaco, 8;
B e a u d e n o m , Pratica progressiva della confessione e direzione spirituale.

219 . Rim andiam o il lettore alle b revi n ozion i g e ­


nerali sui sacramenti che abbiam o dato sopra (n.102).
530 LA VITA CRISTIANA N EL S U O SVILU PPO ORDINARIO

C i occuperem o ora solam ente dei due sacramenti che


i fedeli ricevon o con m aggio r frequenza: la penitenza
e l ’Eucaristia. Il battesim o, la cresim a e l ’ ordine infatti
si ricevon o una v o lta sola nella vita p o ich é im prim ono
n ell’anima il carattere e g li altri due ordinariam ente non
si ricevon o più di una vo lta, benché, assolutam ente
parlando, l ’estrem a u n zione possa essere ricevuta più
v o lte in pericoli di m orte diversi, ed il m atrim onio
possa essere nuovam ente contratto quando il preceden­
te v in co lo ven ga sciolto per la m orte di uno dei coniugi.

A rtic o lo I

I l sacramento della penitenza

O m ettiam o quanto si riferisce al m odo di ottenere il


perdono dei peccati gravi, al precetto ecclesiastico che obbli­
ga alla confessione annuale e le altre questioni trattate espres­
samente dai moralisti, per considerare la confessione sacra­
mentale com e m ezzo di progresso spirituale.

i. V alo r e s o s t a n z ia l e d e l sacr a m en to d e lla

P E N IT E N Z A

220. Sarebbe un errore grossolano pensare che il


fine della confessione sacram entale sia unicam ente quel­
lo di assolvere dai peccati com m essi o di disporre m e­
g lio a ricevere l ’ Eucarestia. Il sacram ento della peni­
tenza ha per se stesso, indipendentem ente dagli altri,
un grande valore sostanziale ed una straordinaria efficacia
per lo svilu p po della vita cristiana.
È n o to che i sacram enti aum entano la grazia —
se l ’anima già la possiede — con u n ’efficacia di per sé
infallibile (ex opere operato). In questo senso, com e stru­
m enti di D io che applicano i m eriti di C risto, i sacra­
I SACRAMENTI 531

m enti hanno una capacità infinita di santificare g li uo­


mini. D i fatto però la misura del loro effetto è p ro p o r­
zionata alle disposizioni (ex opere operantis) di chi ri­
ceve il sacramento; non che queste disposizioni p ro ­
ducano la grazia, che p roviene esclusivam ente da D io ,
m a costituiscono la previa disposizione materiale x: in
maniera simile il sole, n ell’ ordine fisico, riscalda più
il m etallo che il fan go perché il m etallo è m igliore con­
duttore di calore 2. È di estrem o interesse quindi
nella teologia spirituale lo studio di queste disposizioni,
che nella pratica am m ettono una vastissim a graduato­
ria, al fine di ottenere il massim o fru tto dalla pratica
dei sacramenti.

2. D is p o s iz io n i p e r r ic e v e r l o fru ttu o sam en te

221 . L e disposizioni per ricevere c o l m assim o fru t­


to il sacram ento della penitenza sono di due specie:
abituali ed attuali.

A) D i s p o s i z i o n i a b i t u a l i . - Le
principali sono tre e coincid on o con l ’esercizio delle
tre v ittu teologali:
a) S p irito d i fed e : - Il tribunale della penitenza è
il tribunale di Cristo. N el confessore d obbiam o vedere
lui, po ich é fa le sue ve ci ed esercita il potere che da
lui ha ricevuto (G io v . 2 0 ,2 2 - 2 3 ) . I farisei dicevano, con
ragione, che solo D io p u ò perdonare i peccati (Luca
5 ,2 1 ) ; d obbiam o quindi accettare i consigli del con ­
fessore com e se provenissero da C risto stesso. Il con ­
fessore da parte sua ricordi la sublim e dignità di tale
m inistero e lo eserciti c o l tim ore e la riverenza che

1 « Q uasi dìspositio materialis », dice espressamente S. Tom m aso (cf.


I V Seni, d.4 q.2 a.3 q.a2 ad 1).
2 Cf. B il l o t , D e Bcclesiae Sacramentts> R om a 1900, t . i , pag.92.
532 LA VITA CRISTIANA NEL S U O SVILU PPO ORDINARIO

esig e la sua co n d izio n e di le g a to di C risto : prò Christo


ergo legatione fungimur (2 C o r. 5,20).
b) M a ssim a fid u cia . - È il tribunale della misericor­
dia, l'u n ico nel quale si assolve sempre i l reo, sinceram ente
pentito. Per questo il confessore non si chiama giudice
ma padre, e deve, com e G esù C risto, essere pieno di
m isericordia, m entre il penitente deve accostarsi a
lui con la fiducia più assoluta e filiale.
c) A m o r d i D io . - Sia sempre più v iv o e tale da
escludere l ’affetto a qualsiasi peccato ravvivan d o nelle
nostre anime un vero dolore per quelli che abbiam o
avu to la disgrazia di com m ettere.

B) D i s p o s i z i o n i a t t u a l i . - A n zitu t­
to dobbiam o avvicinarci al tribunale della penitenza co ­
me se si trattasse dell’ultim a confessione della nostra
vita, di quella che ci prepara al V iatico ed al giu d izio
di D io . È necessario com battere energicam ente lo
spirito di abitudine ponendo il m assim o im pegn o per
ottenere, con la grazia di D io , una vera conversion e e
rinnovam ento della nostra anima.
Le disposizioni fondam entali che si richiedono
per fare una buona confessione sono:
a) L ’ esame di coscienza. - Per farlo bene é necessaria
la massima sincerità ed umiltà: un atteggiam ento sereno ed
imparziale che non scusi i difetti o li veda dove non ci sono.
Il tempo richiesto varia secondo la frequenza delle con­
fessioni, l’indole di ciascun’anima ed il grado di perfezione
in cui si trova. U n mezzo eccellente per semplificare questo
lavoro è l ’esame di coscienza quotidiano con l ’annotazione di
tutto ciò che si deve sottomettere al tribunale della peniten­
za. Basteranno cosi pochi m omenti per fare il riassunto men­
tale delle mancanze prima di avvicinarsi al confessore. Tale
m etodo ha inoltre il vantaggio di scaricare la memoria du­
rante la settimana e di eliminare l’inquietudine che ci potreb­
be arrecare la dimenticanza di qualcosa.
Si abbia tuttavia la cura di non perdersi in minuziosi
dettagli, trattandosi di peccati veniali. Più che il numero e­
I SACRAMENTI 535
satto delle distrazioni nella preghiera, interessa controllarne
la causa. Sono le cattive tendenze dell’anima che devono es­
sere corrette e ciò si ottiene m olto m eglio attaccando le loro-
cause che verificando il numero delle loro manifestazioni
esterne 8. Trattandosi di peccati gravi, invece, è d’obbligo-
precisare il numero con esattezza o con la massima appros­
simazione.
b) L a contrizione del cuore. - È la principale disposi­
zione richiesta, assieme al proposito, per ricavare il m aggio r
frutto possibile dalla confessione. L ’assenza di dolore —
se cosciente e volontaria — rende sacrilega la confessione,
ed anche in caso di buona fede rende invalida l ’assoluzione
per mancanza di materia prossima 4 . T ra le persone che si
confessano in genere di colpe veniali, è più facile di quanto
si creda l ’invalidità dell’assoluzione per mancanza di vero pen­
timento; la stessa levità di tali colpe e l’abitudine con cui
vengono accusate spesso non valgon o ad eccitare il penti­
mento. Per la validità, quindi, dell’assoluzione è preferibile
non accusarsi delle mancanze leggere che non si ha la capa­
cità di evitare, dato che la loro accusa non è obbligatoria,
mentre è più utile orientare il pentimento ed il proposito
su qualche grave peccato della vita passata di cui si torna
ad accusarsi oppure su qualche mancanza attuale della quale
ci si duole veramente e che si ha il serio proposito di non
commettere più.
L ’intensità del pentimento, soprattutto se sgorga da
m otivi di contrizione perfetta, è in proporzione diretta co l
grado di grazia che l’anima riceverà con l’assoluzione sa­
cramentale. Con una contrizione m olto intensa l ’anima
può ottenere non solamente la remissione totale delle colpe
e della pena temporale, da scontare in questa vita o in pur­
gatorio, ma anche un aumento considerevole di grazia santi­
ficante capace di farla avanzare a grandi passi nel cam m ino
della perfezione. Secondo la dottrina di S. T om m aso, quan­

3 Si rileggano a questo proposito le pagine di Pollien in L a vita interiore-


semplificala p.3,a 1.2, cc.6-io, che riporterem o in parte al n. 48 i d i quest’o ­
pera.
4 S. Tom m aso insegna (111,84,2) che la materia prossima del sacramento
della penitenza non sono i peccati del penitente (materia remota), ma g li atti
con cui li respinge (contrizione, confessione e soddisfazione). Le form e
sacramentali ricadono direttamente sulla materia prossima, n on su quella
rem ota. Q uindi, quando manca la materia prossima — benché senza colpa —
non c ’è sacramento.
534 LA VITA CRISTIANA NEL S U O SVILU PPO ORDINARIO

do il peccatore ricupera la grazia nel sacramento della peni­


tenza (o fuori di esso mediante la contrizione perfetta unita
al proposito di confessarsi) non necessariamente la riceve
nello stesso grado di prima, ma in grado m aggiore, uguale
■o inferiore secondo le sue attuali disposizioni s.
È quindi m olto importante eccitarsi al massimo dolore
possibile per ricuperare il medesimo grado di grazia, o
anche m aggiore di quello che si aveva prima del peccato.
Questa dottrina vale anche per l ’aumento della grafia nel­
l ’anima che si avvicina al confessionale già in possesso della
medesima. Chi tende alla santità nulla deve ricercare con
-tanto im pegno quanto questa intensa contrizione, che sgor­
ga dall’amore di D io , dalla considerazione della sua infi­
nita bontà e misericordia, dall’amore e dalle sofferenze di
Cristo, dalla mostruosa ingratitudine del peccatore verso
u n padre tanto buono, che ci ha ricolm ati dei suoi benefì­
ci, ecc. E poiché questa grazia si può impetrare solo con la
preghiera, è necessario umiliarsi profondam ente davanti alla
D ivina Maestà, im plorandola con insistenza per interces­
sione di Maria, mediatrice di tutte le grazie.
c) I l proposito fermo. - Per mancanza di esso risultano
invalide un gran numero di confessioni soprattutto tra
persone che frequentano spesso il confessionale. O ccorre
qui la massima diligenza: non ci si deve accontentare del
prop osito generale di non peccar più, troppo vago per es-
-sere efficace; occorre prendere la risoluzione concreta, ener­
gica, di usare tutti i mezzi necessari per evitare questa o
quella mancanza particolare, o di progredire in una deter­
minata virtù. Controlliam oci su questo punto nell’esame di
coscienza quotidiano e diamo conto al confessore della no­
stra fedeltà o indolenza.
d) L a confessione orale. - San Tom m aso (Suppl. 9,4)
esamina e giustifica le sedici qualità che gli antichi esigevano
jnell’accusa dei peccati, e che sono contenute nei seguenti
versi:
« Sit sim plex, hum ilis confessio, pura, fidelis,

5 E c co le sue parole: « Contingìt autem intensionem m otus paenitcntis


■quandoque proportionatam esse m aiori gratiae quam illa a qua cecidit per
peccatum; quandoque v e ro aequali; quandoque vero m inori. E t ideo pae-
-nitens quandoque resurgit in m aiori gratia quam prìus habuerat; quandoque
autem in aequali; quandoque etiam in minori. E t eadem ratio est de virtu-
tibu s, quae ex gratia consequuntur » (111,89,2).
I SACRAMENTI

atque frequens, nuda, discreta, libens, vereconda,


integra, secreta, lacrimabilis, accelerata,
fortis et accusans, et sit parere parata ».

N on tutte queste condizioni rivestono la medesima im­


portanza, ancorché siano tutte utili. Le principali in ordine
alla santità sono le seguenti:

t ) Profondamente umile - Il penitente deve riconoscere


sinceramente le sue miserie e incominciare a ripararle ac­
cettando volontariamente la propria abiezione agli occhi del
confessore. Com m ettono quindi un grave errore le persone
che, quando cadono in una colpa umiliante, vanno in cerca
di un altro confessore, affinché quello ordinario non sospetti
di nulla e non perdano cosi la sua stima. È impossibile che-
in questo m odo riportino il dovuto frutto dall’assoluzione
sacramentale. N o n faranno mai un passo nella via della per­
fezione le anime che conservano ancora tanto radicato l’a-
m or proprio e sono tanto lungi dalla vera umiltà di cuore.
C oloro che desiderano santificarsi veramente, pur senza
mancare alla verità esagerando volontariam ente la qualità
e il numero dei loro peccati, se ne accusano nella maniera più
umiliante possibile. N on solamente « non cercano di colorar­
li abilmente, affine di non apparire tanto cattivi, il che è un
andare piuttosto a scusarsi che ad accusarsi » 6, ma « hanno
m aggior voglia di palesare candidamente i loro peccati e
difetti che non le virtù; e quindi sono più propensi ad apri­
re il cuore con chi meno stima le cose dello spirito loro » 7.
2) Integra. ~ N o n ci riferiamo tanto all’integrità nell’ac­
cusa della specie e del numero dei peccati mortali — assolu­
tamente indispensabile per non convertire la confessione in
sacrilegio — ma alla manifestazione delle cause e m otivi
che hanno determinato questi peccati, affinché il confessore
possa applicare il conveniente rimedio.
« N o n è dunque sufficiente un’accusa vaga che nulla rivela al confessore
com e sarebbe: H o avuto delle distrazioni nella preghiera. D obbiam o dire
piuttosto: Sono stato distratto in m od o particolare, per negligenza, durante
il tale esercizio di pietà; l’h o com inciato male, senza raccoglim ento, oppure
non ho com battutto le distrazioni, cagionate da un piccolo rancore o da un
affetto troppo sensibile, o dallo studio. È bene ricordare anche le risoluzioni

6 Cf. Notte oscura 1,2,4. Si legg a questo capitolo che tratta della super­
bia dei principianti.
7 Ivi, n.7.
536 LA VITA CRISTIANA NEL S U O SVILU PPO ORDINARIO

già prese e dire se v i abbiamo più o m eno m ancato. E viterem o in tal m odo
d i confessarci per pura abitudine e con negligenza » 8.

3) Dolorosa. - L e parole devono manifestare il penti­


mento sincero di cui l’anima è pervasa. È possibile eccitarsi
sem pre più a sentimenti interiori di contrizione a misura
che si manifestano i propri peccati.
4) Frequente. - Perché la confessione sia un esercizio
santificante, è necessario farla frequentemente. Il codice di
diritto canonico fa obbligo agli O rdinari del lu o go di « pro­
curare che tutti i loro chierici purifichino frequentemente le
lo ro coscienze nel sacramento della penitenza» (can. 125) e,
parlando dei religiosi e dei seminaristi, determina espressa-
mente che tale confessione d ev’essere almeno settimanale:
« sem el saltem in hebdom ada» (can. 545 e 1367).
C i furono dei santi — come San V incenzo Ferreri, San­
ta Caterina da Siena, Sant’Ignazio di L oyola, San Francesco
Borgia, San Carlo Borrom eo, e Sant’A lfo n so M aria de’
L igu o ri — che si confessavano tutti i giorni non perché
fossero scrupolosi o avessero dubbi di coscienza, ma perché
avevano sete di D io, e sapevano che uno dei mezzi più ef­
ficaci per progredire nella perfezione è il sacramento della
penitenza. L ’anima che aspira seriamente alla santità non
si dispenserà mai dalla confessione almeno settimanale.

e) La soddisfazione sacramentale. - Essa ha un valore


vendicativo, in quanto ristabilisce l’ordine distrutto dal pec­
cato; un valore remissivo della pena temporale dovuta per il
peccato — e questo effetto lo produce ex opere operato,
però in gradi m olto diversi secondo le disposizioni del peni­
tente — e un valore medicinale, perché preserva dal peccato
futuro e sana le ferite mediante l’applicazione degli oppor­
tuni rimedi. Per questo occorre compiere la penitenza im­
posta quanto prima e col m assimo fervore possibile.
Tenendo presente la grande benevolenza o g g i vigente
nell’im posizione della penitenza sacramentale, sono da lo ­
dare i penitenti che chiedono ai loro confessori una peniten­
za più grave, giacché come insegna San Tom m aso, il valore
soddisfattorio delle opere im poste com e penitenza sacra­
mentale è m olto m aggiore di quelle che si com piono di pro-

8 G a r r ig u o -L a g r a n g e , L e tre età 1 1 ,1 3 .
I SACRAMENTI 537

pria iniziativa, poiché formano parte integrante del sacra­


mento dal quale ricevono la loro forza 9.

3. E f f e t t i d e lla c o n fe s s io n e s a c r a m e n ta le

222. N o n v ’è d u b b io ch e la co n fe ssio n e co s i p ra ­
ticata sia u n m e zz o e ccelle n te di san tificazio n e. In fatti:
a) V e r s a il san gu e di C ris to sulla n o stra anim a, la
p u rifica e santifica. P e r q u e sto i san ti, p artico la rm en te
illu m in ati sul v a lo re in fin ito del san gu e re d e n to re di
G e s ù , a v e v a n o u n a v e ra fam e e sete d e ll’ a sso lu z io n e
sacram entale.
V) A u m e n ta la g ra z ia e x opere operato, b e n c h é in
g ra d i differen ti, s eco n d o l ’in ten sità d el p e n tim e n to e
d el g ra d o di u m iltà di c o lu i che si a v v ic in a al sacra­
m ento.
c) R ie m p ie l ’anim a di p ace e di co n so la zio n e . È q u e ­
sta un a d isp o siz io n e p s ic o lo g ic a in d isp e n sa b ile p er rea­
lizza re u n v e r o p r o g r e s s o sp irituale.
d) A c c re s c e la lu ce n elle v ie di D io . D o p o esserci
co n fe ssa ti, p e r e sem p io, co m p re n d ia m o m e g lio la n e­
cessità di p erd o n a re le in g iu r ie , p e rc h é v e d ia m o co n
qu an ta m iserico rd ia ci ha p e rd o n a to il S ig n o re , o a v ­
v e rtia m o c o n m a g g io r ch ia re zza la m a lizia d e l p e c c a to
ven iale.
e) A u m e n ta co n sid e re v o lm e n te le fo r z e d e ll’an im a
da n d o le e n e rg ie p e r v in c e re le ten ta z io n i e fo rte z z a
p er il p e rfe tto c o m p im en to d el d o v e re . S icco m e q u e ­
ste fo rz e te n d o n o a in d e b o lirsi a p o c o a p o c o , è ne­
cessario rin n o v a rle c o n la co n fe ssio n e frequente.

9 D ice S. Tom m aso: « Cum enim satisfaccio a sacerdote absolvente


iniuncta sit pars paenitentiae, manifestum est quod in ea operatur vis cla-
vium , ita quod amplius valet ad expiandum peccatum quam si proprio
arbitrio hom o faceret idem opus» (Quodl'tb. 3, a.28).
538 LA VITA CRISTIANA NEL S U O SVILU PPO ORDINARIO

4. L a v ir tù d e lla p e n ite n z a e l o s p ir ito di


c o m p u n z io n e

223. L a c o n fe s s io n e — p u r e sse n d o u n mezzo


stra o rd in ariam e n te efficace d i san tificazio n e — è tu t­
ta v ia u n atto tra n sito rio : n elP an im a d e v e rim an ere a b i­
tu a lm en te in v e c e la virtù della penitenza e lo sp irito di
c o m p u n z io n e , ch e terra n n o v iv i i fru tti d el sacram en ­
t o 1 °. R iassu m iam o b re v e m e n te a lcu n e id e e fo n d a m e n ­
tali ch e co n v ie n e a v e r sem p re p r e s e n ti11 :
1) L a Virtù della penitenza è un abito soprannaturale
per cui ci pentiamo dei peccati passati con l’intenzione di
rim uoverli dall’a n im a 12. Com porta quindi l’im plicito desi­
derio di espiarli.
2) Questa virtù deve manifestarsi mediante gli atti che
le sono propri. Pero in se stessa è un atteggiam ento abituale
dell’anima che ci mantiene nella tristezza di aver offeso D io
e nel desiderio di riparare le nostre mancanze. Q uesto spi­
rito di com punzione è necessario a tutti coloro che hanno per­
duto l’innocenza, ossia, più o meno, a tutti gli uomini.
3) Quando questo sentimento di contrizione è profondo
ed abituale, dà aU’anima una grande pace, la mantiene nel­
l ’umiltà, è un eccellente strumento di purificazione, l’aiuta
a mortificare i suoi istinti disordinati, la fortifica contro le
tentazioni, la spinge ad usare tutti i mezzi a sua disposizio­
n e per riparare i suoi peccati, ed è una garanzia di perse­
veranza nel cammino della perfezione.
4) M olte anime sperimentano una istintiva ripugnanza
per la penitenza e la rinuncia. M a tale m ovim ento istintivo,
che ha la sua origine nelle radici più profonde della natura
umana, che rifugge naturalmente il dolore, non è un osta­
co lo alla pratica della penitenza, la quale in quanto è virtù,
risiede nella volontà, e non ha nulla a che vedere con le ri­
bellioni dell’istinto.
5) L o spirito di com punzione è proprio di tutti i santi;

10 Cf. 111,84,8-9.
11 D om C. M a r m io n , Cristo, vita dell’anima c. §§ 3-6; Cristo, ideale d I
monaco c.8.
» cf. irr,8j,i.
I SACRAMENTI 539

tutti si sentivano peccatori davanti a D io . L a Chiesa stessa


ha disseminato nella sua liturgia form ule di contrizione, so­
prattutto nel sacrificio della messa ( C o n f i t e o r A u f e r a no-
bis..,-, Kyrie...; Q u i tollis peccata mundi, miserere nobis...; Pro-
innumerabilibuspeccatis meis...; A b aeterna damnatione nos eripi...-r
Nobis quoque peccatorìbus...; Agnus Dei...; Domine non sum
dignus...).
6) La penitenza ci fa partecipare alle sofferenze e ai
meriti di Cristo. Questa unione oltre ad essere una condi­
zione indispensabile per meritare, è una fonte di ineffabili
consolazioni. I santi non riuscivano a vivere senza croci.
7) Seguendo l’intenzione e il pensiero della Chiesa —
manifestati nella form ula che accom pagna l’assoluzione sa­
cramentale — dobbiam o riferire, mediante una esplicita
intenzione, gli atti della virtù della penitenza al sacramento
medesimo. Questa pratica è di singolare efficacia per la
remissione dei nostri peccati, per l’aumento della grazia e
del premio della vita eterna: « quidquid boni feceris et mali
sustinueris sit tibi in remissionem peccatorum , augmentum
gratiae et praemium vitae aeternae ».
8) I principali mezzi per acquistare lo spirito di peniten­
za e di com punzione sono: a) l’orazione, giacché si tratta
di un dono di D io. (Cfr. nel Messale la form ula « prò peti-
tione lacrymarum » r3); b) la contem plazione delle soffe­
renze patite da Cristo a causa dei nostri peccati e della sua
infinita misericordia; c) la pratica volontaria della m orti­
ficazione compiuta con spirito di riparazione in unione con
Cristo.

A rtico lo II

U Eucarestia, fonte di santificazione


S. T h . 111,73-83; R ib e t , L ’ascétique cbrétienne 46; M a h ie u , Probatio cha-
ritatis, nn. 129-32; T an q u e r e y , Compendio di Teologia ascetica e mistica,
nn.277-88; G a r r ìg o u -L a g r a n g e . L e tre età, 11,15; 111,25; S a u v é , V E u ca ri­
stia intima; H u g ó n , L a Sainte Eucharistie; M a r m io n , Cristo, vita dell’anima
c.8; B e r n a d o t , D a ll’Eucarestia alla Trinità; G o m a , L a Eucaristìay la vida
cristiana; A n to n io H e r n a n d e z , C .M .F ., Por la Eucaristia a la santìdad

*3 Eccola, tradotta in italiano: « D io onnipotente e m isericordioso, che


per il popolo assetato facesti sgorgare dalla pietra una fon te di acqua
540 LA VITA CRISTIANA N EL SUO SVILU PPO ORDINARIO

i. E f f ic a c ia s a n t if ic a n t e d e ll ’E u c a r e s t ia

224. N o n c ’è e se rcizio d i p ietà ch e si p o ssa p ara­


g o n a r e , p er la sua efficacia san tifican te, alla d e gn a re ce ­
z io n e d el sacra m en to d e ll’ E u ca re stia . In essa ric e v ia ­
m o n o n so lam en te la g ra zia , m a la so rg en te e la fo n te
stessa da cu i d e riv a. N e l su o d u p lice a sp e tto di sacra­
m en to e di sacrificio , l ’ E u ca re stia d e v ’essere il p u n to di
c o n v e r g e n z a di tu tta la v ita cristian a, la quale d eve
g r a v ita r e co m p leta m en te a tto rn o ad essa.
T ra la scia m o le q u e stio n i d o m m a tich e e m o ra li
re la tiv e alla E u ca re stia , e rich iam ia m o alcu n e n o z io n i
fo n d a m en ta li:
1) L a san tità co n siste n el p artecip are in m aniera
sem p re p iù p ien a e p erfe tta alla v ita d iv in a ch e ci v ie ­
ne co m u n ica ta m ed ian te la grazia.
2) Q u esta g ra z ia s g o r g a co m e dalla sua fo n te u n i­
c a p er n o i, dal cu o re di C ris to , n e l q u a le risied e la
p ie n e z za d ella g ra zia e della d iv in ità.
3) C ris to ci c o m u n ica la g ra zia m edian te i sacra­
m e n ti, p rin cip a lm e n te m ed ian te l ’ E u ca re stia , n ella q u a ­
le si dà a n o i co m e a lim en to delle n o stre anim e. P e rò
a d ifferen za d e ll’a lim en to m ateriale, n o n siam o n o i che
a ssim ilia m o C ris to , m a è lu i ch e ci d iv in iz za , e ci tra ­
sfo rm a in sè stesso. P e r m e z z o d e ll’E u ca re stia il c r i­
stia n o ra g g iu n g e la sua m assim a c o n fo r m ità c o n G e s ù
C r is to , in cu i co n siste la santità.
4) L a c o m u n io n e m ette a n o stra d is p o s iz io n e tu tti
i te so ri di santità, d i sap ien za e di scien za racch iu si
in G e s ù C risto . L ’anim a ric e v e q u in d i n ella co m u -

viva: fa ’ che sgorghino dal nostro cuore indurito lacrime di com punzione,
affinché possiam o piangere i nostri peccati e meritare di ottenere la rem is­
sione per la tua m isericordia » (cf. M essale R om ano, tra le orazioni « ad
diversa »).
I SACRAMENTI 541

n io n e u n te s o ro rig o ro sa m e n te e asso lu tam en te in fin i­


t o ch e le v ie n e dato in p ro p rietà .
5) C o l V e r b o In ca rn ato , n e ll’E u ca re stia v e n g o n o
a n o i anch e le altre due p erso n e d ella San tissim a T r i­
nità, il P a d re e lo S p irito S anto, in v ir tù d e ll’in effabile
m istero della circuminsessione, ch e le ren d e in sep ara ­
b ili. M a i il cristia n o d iv ien e te m p io d e lla San tissim a
T r in ità co si p erfettam en te co m e d o p o la c o m u n io n e .
P e r q u e sto d iv in o e d in effab ile c o n ta tto , l ’ anim a ed
an ch e il c o rp o del cristia n o d iv e n ta n o p iù sacri della
p issid e e della stesse specie sacramentali, le q u a li, p u r c o n ­
te n e n d o il c o r p o di G e s ù , n o n r ic e v o n o da lu i a lcu n
in flu sso santificante.
6) L ’u n io n e e u caristica ci asso cia in m a n iera m i­
steriosa, m a realissim a alla v ita in tim a d ella Santissim a
T rin ità . N e ll’an im a di c o lu i ch e ha fa tto la c o m u n io n e ,
il P ad re g e n era il su o F ig lio U n ig e n ito e da en tram b i
p ro c e d e lo S p irito S anto. Il cristia n o d o p o la co m u ­
n io n e d o v r e b b e cadere in estasi d i a d o ra zio n e e d i a m o ­
re, lim ita n d o si a lasciarsi tra sp o rta re dal P a d re al
F ig lio , e dal F ig lio al P a d re n e ll’u n ità d e llo S p irito
Santo. N o n si d e v e fare il rin g ra z ia m e n to c o n d e v o -
z io n a ri o fo rm u le usuali, m a c o n u n sem p lice a tto di
am o re e d i in tim a a d o ra zio n e, ch e p o tr e b b e ro e sp ri­
m ersi, an ch e c o n la sem p lice p re g h ie ra d el Gloria
Patri.
7) C o s i co n ce p ita l ’u n io n e eu caristica è g ià l ’in i­
z io del cie lo , il « faccia a faccia n elle ten eb re » (S u o r
E lisa b e tta della T rin ità).
Q u e ste id e e b en m ed itate b a ste re b b e ro da so le a
to n ifica re la n o stra v ita cristian a ch e d e v e essere essen ­
zialm en te eucaristica.
542 LA VITA CRISTIANA NEL S U O SVILU PPO ORDINARIO

z. D is p o s iz io n i p er fa r e la c o m u n io n e

225. D is tin g u ia m o u n a d u p lice p re p a ra z io n e , re ­


m o ta e p ro ssim a:

A) Preparazione remota. - San P io X c o n il


d e cre to Sacra Tridentina Synodus d el 20 die. 1905
h a ris o lto p e r sem p re la s to rica c o n tr o v e rs ia sulle
d is p o s iz io n i rich ieste p e r ric e v e re la c o m u n io n e an ch e
tu tti i g io r n i. L e c o n d iz io n i ric h ie ste so n o : a) lo stato
d i grazia ; b) la retta in te n z io n e (ossia ch e n o n si fa ccia
la co m u n io n e p e r v a n ità o a b itu d in e , m a p e r p iace re
a D io ); c) è m o lto c o n v e n ie n te esser lib e r i d a p ecca ti
v e n ia li, m a n o n è a sso lu ta m en te n ecessa rio : la c o m u ­
n io n e aiu terà a v in c e rli; d) si ra cco m a n d a la d ilig e n te
p re p a ra z io n e e d il rin g ra z ia m e n to . A n essu n o ch e a b ­
b ia ta li d is p o s iz io n i si p u ò n e g a re la c o m u n io n e fr e ­
q u e n te e d a n ch e q u o tid ia n a 1 4. È e v id e n te ch e le p e r­
so n e le q u a li v o g lio n o p r o g r e d ir e seriam en te n ella
p e rfe z io n e cristian a, d e v o n o p ro c u r a r e d i in ten sifica re
qu e ste d is p o s iz io n i. L a lo r o p re p a ra z io n e re m o ta d e ve
co n sistere n e l co n d u rre u n a v ita d e g n a di c o lu i ch e ha
fa tto la co m u n io n e al m a ttin o e ch e si co m u n ich e rà di
n u o v o il g io r n o seg u en te; o c c o rr e in sistere p rin c ip a l­
m en te n el so p p rim ere o g n i a tta cca m en to al p e cca to
ve n ia le , s o p ra ttu tto a q u e llo p ien a m e n te d e lib era to
e n e l c o m b a tte re la tiep id e zza ; q u e sto s u p p o n e u n a

H Per rimediare agli abusi che dalla com unione frequente e quotidiana
potrebbero sorgere nei collegi/ nei seminari, nelle com unità religiose, ecc.,
d o ve può avvenire che qualcuno si accosti alla com unione in cattive condi­
zion i per n on attirare l’attenzione dei com pagni o dei superiori, la S. C on ­
gregazione dei Sacramenti 1*8 dicem bre 1938 ha dato una prudentissima
Istruzione riservata agli ordinari del lu o g o e ai superiori m aggiori di religio­
n i clericali, che n o n fu pubblicata in A cta Apostolicae Sedis. SÌ può vedere
u n am pio estratto della medesima nel com m ento al can. 1367 dell’edizione
del Codice pubblicata dalla B A C .
I SACRAMENTI 543

p e rfe tta a b n e g a zio n e d i se stessi e la ten d e n za a p ra ti­


ca re q u e llo ch e è p iù p e rfe tto p e r n o i in o g n i caso,
te n e n d o c o n to d elle circo sta n ze.

B) Preparazione prossima. - L e p rin cip a li dis­


p o s iz io n i p ro ssim e ch e l ’ anim a fe r v e n te d e v e eccitare
in sé, im p lo ra n d o le da D io c o n u m iltà e p erse v e ra n ­
z a so n o qu attro :
a) Fede viva . - Cristo richiedeva sempre questa virtù
com e condizione indispensabile prima di concedere una
grazia anche di indole materiale. L ’Eucarestia è per antono­
masia il mysterium fidei, giacché in essa nulla di Cristo per­
cepiscono la ragione naturale né i sensi. S. Tom m aso ricor­
da che sulla croce era invisibile solamente la divinità, ma
sull’altare è nascosta anche la santissima umanità di Gesù:
« Latet simul et humanitas ». Ciò esige da noi una fede viva,
impregnata di adorazione.
La fede inoltre è assolutamente indispensabile anche
riguardo agli effetti del contatto con G esù: dobbiam o consi­
derare nelle nostre anime la lebbra del peccato e ripetere con
il lebbroso del Vangelo: « Signore; se tu vuoi, puoi mondar­
m i »; o col cieco di Gerico: « Signore, che io veda! » (Marco
10,51).
b) U m iltà profonda. - Se la Santissima V ergin e si pre­
parò a ricevere nel suo seno verginale il V erb o di D io con
quella profonda umiltà che la fece esclamare: « E cco la schia­
va del Signore» (Luca 1,38), noi di fronte alla comunione
anche se ci siamo perfettamente pentiti dei nostri peccati e
ci troviam o in stato di grazia, anche se la colpa ci fu rimessa
e forse anche la pena, pensiamo che il fatto storico di aver
com m esso quel peccato non scomparirà mai. N o n dimenti­
chiam o, qualunque sia il nostro grado di santità, che siamo
stati schiavi di Satana, che siamo stati riscattati dall’inferno.
Q uando ci accostiamo perciò al banchetto eucaristico, ripe­
tiamo con profonda umiltà e v iv o dolore le parole del cen­
turione: « D om ine non sum dignus ».
c) Fiducia illim itata. - È necessario che il ricordo dei
nostri peccati ci porti all’umiltà, non all’abbattimento, che
sarebbe una form a mascherata di orgoglio. G esù Cristo è
la stessa infinita misericordia che accolse con tenerezza tutti
i peccatori che gli si avvicinavano chiedendo perdono.
A vviciniam oci con umiltà e riverenza, ma soprattutto con
544 ' LA VITA CRISTIANA NEL S U O SVILU PPO ORDINARIO

immensa fiducia a Lui, che è il nostro padre, pastore, medico


e amico divino. L a fiducia lo fa arrendere e lo vince: non può
resisterle perché lo com m uove.
d) F a m e e s e te d e lla c o m u n io n e . - È questa la disposi­
zione che più direttamente riguarda l ’efficacia santificante
della com unione. Questa fame e sete di ricevere G esù sacra­
mentato, che procede dall’amore, dilata la capacità dell’ani­
ma e la dispone a ricevere la grazia sacramentale in grande
abbondanza. L a quantità di acqua che si attinge alla fontana
dipende sempre dalla grandezza del recipiente. Se ci preoc­
cupassimo di chiedere al Signore questa fame e sete dell’E u ­
caristia, cercando di fomentarla con tutti i mezzi a nostra
disposizione, m olto presto diventerem m o santi. S. Cateri­
na da Siena, S. Teresa di G esù, e m olte altre anime sante,
avevano desiderio cosi ardente della com unione, che si sa­
rebbero esposte alle m aggiori sofferenze e pericoli, pur di
non perdere un giorno solo l’alimento divino che le soste­
neva. D obbiam o vedere precisamente in queste disposizio­
ni n o n solo un effetto, ma anche una delle più efficaci cause
della loro eccelsa santità. L ’Eucarestia ricevuta con tanto
desiderio aumentava la grazia nelle loro anime in grado
incalcolabile; facendole avanzare a grandi passi sulla via
della santità.
O gnuna delle nostre com unioni dovrebbe essere più
fervorosa delle precedenti, perché o gn i nuova com unione
aumenta la grazia santificante e ci dispone a ricevere il
Signore nel giorno seguente con un amore m aggiore di quel­
lo del giorno precedente. A n ch e qui, com e in tutto il pro­
cesso della vita spirituale, l’anima deve avanzare con un m o­
vim ento uniformemente accelerato, simile al m oto di una
pietra che cade con m aggiore rapidità a misura che si avvi­
cina a s u o lo 1 s.

3. I l r in g r a z ia m e n t o

226. D a l pun to di vista d ell’ aum ento della g razia


che il sacram ento produce in noi ex opere operato è

XS D ic e S. Tom m aso: « M o tu s naturalis (v.gr., lapidis cadentis) quanto


plus accedit ad terminum , tanto magis intenditur. Contrarìum est de m o tu
violento (v .g r. lapidis sursum proiecti). G ratia autem inclinat in m odum
naturae. E r g o qui sunt in gratia, quanto plus accedunt ad finem plus debent
crescere » (In epist. ad Hebr. 1,25).
I SACRAMENTI 54 3

più im portante la preparazione che il ringraziam en­


to, p o ich é questo aum ento sta in relazione con le di­
sposizioni attuali dell’anim a che si avvicin a al banchet­
to eucaristico 16. T u tta v ia anche il ringraziam ento è
m olto im portante. « N o n v o gliate perdere una cosi
buona occasione per trattare i vo stri interessi com e
quella che v i si offre d op o la santa com unione » diceva
alle sue m onache S. T e r e s a 17. C risto è presente nei
nostri cuori e desidera riem pirli di benedizioni.
Il m od o m igliore di ringraziare è quello di iden­
tificarsi p e i m ezzo d ell’am ore con C risto stesso e o f­
frirlo al Padre con tutte le sue infinite ricchezze, com e
oblazione soavissim a per i quattro fini del sacrificio
(adorazione, ringraziam ento, riparazione e petizione).
L a forza d ell’ abitudine spesso rende sterile il rin­
graziam ento. M o lte anime d evote ricorron o abitual­
m ente alle preghiere dei lib ri di d evozion e, e non sono
tranquille se n on dopo averle recitate tutte. N o n a v­
vien e nessun contatto intim o con G esù, nessuna con ver­
sazione cordiale con lui, nessuna effusione di cuori,
nessuna um ile petizione delle grazie di cu i abbiam o
b isogn o o g g i, che forse sono com pletam ente diverse
da quelle dì cui avrem o b iso g n o dom ani. « Io n on so
che cosa dire al Signore », rispondono esse, quando si

16 C erti teo lo gi affermano che il sacram ento p u ò produrre n u o vi au­


m enti di grazia ex opere operato tutto il tem po in cui rim angono incorrotte
le specie sacramentali in colui che ha fatto la com unione (se sono prodotte
n uo ve disposizioni da parte sua). M a questa teoria non è m olto probabile.
È m olto p iù teologico dire che l ’effetto ex opere operato lo produce il sacra­
m ento una sola volta, nel m om ento stesso della recezione (cf. 111,80,8 ad6).
Sono in vece possibili n u o vi aum enti di grazia ex opere operantis (intensifi­
cando le disposizioni), ma questo n on ha nulla a che vedere con l'effetto
p roprio dei sacramenti, e si può produrre anche indipendentem ente da essi
per m ezzo di qualsiasi atto di virtù più intenso dell’abito della medesima che
attualmente si possiede. Q uesto atto più intenso suppone, naturalmente,
una previa grazia attuale pure più intensa, che lo tenda possibile.
11 Cf. Cammino 34,10.
546 LA VITA CRISTIANA N EL S U O SVILU PPO ORDINARIO

inculca loro di abbandonare il lib ro di d evozion e, e di


darsi ad una am orosa conversazione con L u i. E cosi
rinunciano ad uscire dal lo ro consueto form ulario.
Se tante anime amassero veram ente il Signore e si sfor­
zassero di iniziare un dialogo am ichevole con L u i,
ben presto sentirebbero ripugnanza per le form ule dei
libri di preghiera; la v o c e di C risto soavissim a e in­
confondibile risuonerebbe allora nel più profon d o
della loro anima, le am m aestrerebbe nella via del cielo,
e concederebbe lo ro quella pace che « sorpassa o g n i in ­
telletto » (Fil. 4,7).
Un altro mezzo eccellente di ringraziare è quello di ri­
pensare in silenzio a qualche scena del Vangelo, immagi­
nando di essere noi i protagonisti davanti a Gesù, realmente
presente in noi: « Signore, colui che ami è infermo » (le
sorelle di Lazzaro: Giov. 11,3); « Signore, datemi sempre di
quest’acqua» (la samaritana: G iov. 4,15); « Signore, aumenta­
ci la fede » (gli Apostoli: Le. 17,5); « Credo, Signore, però au­
menta tu la mia poca fede » (il padre del lunatico: Me. 9,24).

D u ra ta . - È conveniente prolu n gare il ringraziam en­


to, se si può, alm eno per m ezz’ora. È irriverenza e in­
delicatezza verso il d ivin o ospite term inare affrettata­
mente la visita che E g li si è degnato di farci. C on le
persone del m ondo che m eritano qualche rispetto, non
ci com portiam o cosi, m a aspettiam o che esse sospen­
dano la visita. G esù resta nella nostra anima finché
le specie sacram entali n on si corrom p ono. B enché
n on si possa stabilire u n lim ite fisso per tutti, è bene
n on prender cib o alm eno per una m ezz’ora dopo la
co m u n io n e18. Trascorriam o questo tem po ai piedi

j8 È intoUerabile la pratica di certe persone che escono di chiesa quasi


immediatamente d opo la com unione. S. F ilipp o N eri una volta com andò
a due chierichetti di accom pagnare per la strada con due condele accese una
persona che era uscita dalla chiesa subito dopo la com unione. Se in qualche
caso eccezionale fossim o o bbligati a interrom pere il nostro ringraziam ento,
procu'réremo di conservare per un buon tratto lo spirito di raccoglim ento
e di orazione anche in m ezzo alle nostre inevitabili occupazioni.
I SACRAMENTI 547

del M aestro, ascoltando i suoi d ivin i insegnam enti


e riceven do il suo influsso santificante. Solo in circo­
stanze straordinarie — un lavo ro , o una necessità ur­
gente ■— potrem o accorciare il ringraziam ento anziché
lasciare la com unione, pregando allora il Signore che
supplisca co n la sua bontà e m isericordia il tem po che
quel giorn o n on g li possiam o dare.

4. L a c o m u n io n e s p ir it u a l e

227. È un ottim o com plem ento della com unione


sacramentale, di cui prolu n ga l ’influenza e assicura
l ’efficacia. C onsiste essenzialm ente n ell’ardente desi­
derio delPEucaristia, e n ell’im m aginare il Signore real­
m ente presente nel nostro cuore. Q uesta pratica appro­
vata e inculcata dalla Chiesa, è di grande efficacia, ed ha
il van tag gio di potersi ripetere inn u m erevoli v o lte al
gio rn o. A lcu n e persone la associano a qualche pratica
che ricorre di frequente nella lo ro giornata (per esem­
p io alla recita dell’A v e M aria, al suono delle ore, ecc.).
N o n si loderà mai abbastanza questa d evozion e, però
si eviti con attenzione l ’abitudine e la fretta, che le to­
glierebbero o g n i valore.

5. La v is it a al Sa n t is s im o

228. È un ’ altra eccellente pratica che n on om ettono


mai le persone desiderose di santificarsi. Consiste nel
trascorrere b reve tem po, varie v o lte al gio rn o se è
possibile, ai piedi del M aestro presente n ell’ E ucare­
stia. L ’ ora p iù opportuna è quella sul far della sera,
quando la lam pada del Santissim o com incia a farsi
notare nella penom bra vespertina 19. In tale ora tutto

I9 Evidentemente, si può variare Torà secondo le necessità e le obbliga­


zioni di colui che pratica la visita al SS. Sacramento.
548 LA VITA CRISTIANA N EL S U O SVILU PPO ORDINARIO

invita al raccoglim en to e al silenzio, condizioni indi­


spensabili per udire la v o ce del Signore nel più intim o
delPanima. Per com piere la visita basta dare libero corso
agli affetti del cuore in un fervente collo qu io con G esù.
N o n occorre essere istruiti n é avere m olta eloquenza
per far questo; basta amare m olto il Signore e avere
verso di lui la fiducia e la sem plicità che un bam bino
ha verso i suoi genitori. I libri posson o aiutare una
certa categoria di persone 2°, però in nessuna maniera
potranno supplire la spontaneità di u n ’anima che
apre il suo cuore all’am ore di G esù Sacramentato.

A rtic o lo II I

L a Santa Messa come me^ZP di santificazione

G a r r i g o u - L a g r a n g e , L e tre età I I ,14; III, 24; T a n q u e r e y , Compendio


di Teologia ascetica e mistica nn. 271-6; M a r m i o n , Cristo, vita dell’anima c .j;
J u n g m a n n , I l sacrificio della messa; R o j o , L a misa y su liturgia; M o n e t a ,
L a misa vivida; A r a m i , V ivi la tua vita c .2 1 .

1. N o z io n i p r e l im in a r i

229. Richiam iam o anzitutto alcune n ozioni dogm a­


tiche:
1) L a M essa è sostanzialm ente lo stesso sacrificio
della croce. È diverso soltanto il m od o dell’ offerta 21.
2) L a M essa essendo u n v e ro sacrificio ne realizza
in m odo prop rio le finalità: adorazione, ringraziam en-

30 Ce ne sono degli eccellenti. È fam oso quello di S. A lfo n so de’ L i-


guorL
21 « Una enim eademque est hostia, idem nunc offerens sacerdotum
m inisterio, qui se ipsum tunc in cruce obtulit, sola offerendi ratione diversa »
(D enz. 940).
I SACRAMENTI 549
to, riparazione e petizione (D enz. 948 e 950).
3) Il valore della M essa è in sé stesso rigorosa­
m ente infinito. P erò i suoi effetti in quanto dipendono
da noi n on ci ve n g o n o applicati se n on nella m isura del­
le nostre interne disposizioni.

2. F i n i e d e f f e t t i d e l l a s a n t a M e s s a

230. L a M essa ha gli stessi fini e produce gli stessi


effetti del sacrificio della croce, che sono quelli del
sacrificio in generale com e atto suprem o di religione,
però in grado incom parabilm ente superiore.
1. A d o r a z io n e . - Il sacrificio della M essa rende a
D io un ’adorazione degna di L u i, rigorosam ente infi­
nita. Q uesto effetto è p rod otto infallibilm ente ex opere
operato, anche se celebra un sacerdote in peccato m or­
tale, perch é questo valore latreutico o di adorazione
dipende dalla dignità infinita del Sacerdote principale
che lo offre e dal valore della V ittim a offerta.
C on la M essa possiam o dare a D io tu tto l ’onore che
gli è d o vu to in riconoscim ento della sua infinita mae­
stà e del suo suprem o dom inio, nella m aniera più per­
fetta possibile e in grad o rigorosam ente infinito. U na
sola M essa glorifica più Id d io di quanto lo glorifiche­
ranno in cielo, per tutta l ’eternità, tutti g li angeli, i san­
ti e i beati insiem e, com presa M aria SS.
D io risponde a questa incom parabile glorificazione
curvandosi am orosam ente verso le sue creature. D i
qui l ’im m enso valore di santificazione che racchiude
per noi il santo sacrificio della Messa.
Conseguenza. - L a Messa è un grande tesoro: molti
cristiani, la m aggior parte delle persone devote non ne sono
ancora persuasi, e preferiscono compiere le loro pratiche abi­
tuali di devozione invece di unirsi a questo sublime sacri­
ficio che costituisce l 'atto principale della religione e del
culto cattolico!
550 LA VITA CRISTIANA N E L SUO SVILU PPO ORDINARIO

2. R in g r a z ia m e n to . - G li immensi benefici di
ordine naturale e soprannaturale che abbiam o ri­
cevu to da D io ci hanno fatto contrarre verso di lui
un debito infinito di gratitudine che possiam o saldare
soltanto con la M essa. Infatti per m ezzo di essa offria­
m o al Padre un sacrificio eucaristico, cioè di ringrazia­
m ento, che supera infinitam ente il nostro debito;
perché è C risto stesso che, im m olandosi per noi, rin­
grazia Id d io dei benefici che ci concede. A sua vo lta il
ringraziam ento è fon te di n u ove grazie perché al bene­
fattore piace la gratitudine. Q uesto effetto eucaristico
è sempre p rod otto infallibilm ente ex opere operato in­
dipendentem ente dalle nostre disposizioni.
3. R ip a r a z io n e . - D o p o l ’ orazione e il rin­
graziam ento non c ’è d overe più urgente verso il
C reatore che la riparazione delle offese che da noi ha
ricevuto. A n ch e sotto questo aspetto il valore della
santa M essa è assolutam ente incom parabile, giacché
con essa offriamo al Padre l ’infinita riparazione di C ri­
sto con tutta la sua efficacia redentrice.
Conseguenza. - Dice un pio autore che «la terra è inon­
data dal peccato di empietà e di immoralità. Perché Iddio
non ci castiga? Perché ogni giorno, ogni ora, il Figlio di
D io, immolato sugli altari, placa l’ira del Padre suo e disar­
ma il suo braccio pronto a castigarci »

Q uesto effetto n on ci vien e applicato in tutta la sua


pienezza — basterebbe infatti una sola M essa per ripa­
rare tutti i peccati del m ondo e liberare dalle loro pene
tutte le anime del P u rgatorio — m a ci viene applicato
in grad o lim itato secondo le nostre disposizioni. T u t­
tavia:
a) C i ottiene, per sé ex opere operato, se n on incontra
ostacoli, la grazia attuale necessaria per il pentim ento

22 A r a m i , Vive tu vida c.21.


I SACRAMENTI 551

dei nostri p e c c a ti23. L o insegna il C on cilio di Trento:


« H uius quippe oblatione placatus D om inus, gratiam
et donum paenitentiae concedens, crim ina et peccata
etiam ingentia dim ittit » (D enz. 940).
Conseguenza. - Per ottenere da D io la conversione di
un peccatore n on vi è nulla di più efficace dell’offerta del
santo sacrificio della Messa e della preghiera fatta al Signore
durante la sua celebrazione, affinché tolga dal cuore del
peccatore stesso quanto si oppone alla grazia del penti­
mento.

b) Rim ette sempre, infallibilm ente se non incontra


ostacoli, alm eno parte della pena tem porale che si
deve pagare per i peccati in questo m ondo o n ell’altro.
L a Messa è quindi utile anche alle anime del P u rgato­
rio (D enz. 940 e 950). Il grad o e la m isura di questa
rem issione dipende dalle nostre disposizioni 24.
Conseguenza. - N essun suffragio è tanto utile alle ani­
me del Purgatorio quanto l’applicazione della Messa e nes­
sun’ altra penitenza sacramentale possono im porre i confes­
sori ai loro penitenti, che abbia il valore soddisfattorio di
una sola Messa offerta a D io .

4. Petizione. - « L a nostra indigenza è im ­


mensa: noi abbiam o continuam ente b isogn o di luce,
di forza, e dì consolazione. T ro verem o questi soccorsi
nella Messa: li infatti c ’è veram ente C olu i che ha detto:
“ Io sono la luce del m ondo; io sono la V ia , la V erità
e la V ita; venite a me v o i tutti che soffrite, io v i co n fo r­
terò; se qualcuno viene a m e io n on lo respin gerò” » •a5.

23 Si n oti che ci riferiam o alla grafia attuale, non all’abituale, che è frut­
to d el perfetto pentim ento e dell’assoluzione sacramentale.
24 A lm eno relativamente alle pene dovute per i peccati propri. Perchè,
relativamente alla rem issione accordata alle anime del Purgatorio, la cosa
più probabile è che l’effetto ex opere operato dipenda unicam ente dalla v o ­
lon tà di D io , ancorché ex opere operantis serva pure m olto la d evozione di
colui che dice la messa o di colui che la raccom anda (cf. 111,79,5: Suppl.
71,9 ad 3 et 5).
25 M a r m io n , Critfo, vita dell’anima c.7 n . 4.
552 LA VITA CRISTIANA N EL S U O SVILU PPO ORDINARIO

G esù Cristo si offre al Padre nella M essa per ot­


tenerci con il m erito della sua infinita oblazione tut­
te le grazie di cui abbiam o bisogn o. « Sem per viven s
ad interpellandum prò nobis » (E br. 7,25), e valoriz­
za le nostre suppliche con i suoi m eriti infiniti. L a M es­
sa di per sé, ex opere operato, m u ove infallibilm ente
D io a concedere agli uom ini tutte le grazie di cui han­
no b isogn o, ma il don o effettivo di queste grazie
dipende dalle nostre disposizioni, la m ancanza delle
quali p uò im pedire com pletam ente che queste grazie
giun gan o fino a noi.
« La ragione si è che l’influenza di una causa universale
è limitata unicamente dalla capacità dei soggetti che la ri­
cevono. Cosi il sole rischiara e riscalda sopra una piazza
tanto mille persone quanto una sola. Ora, essendo il sacri­
ficio della Messa sostanzialmente lo stesso di quello della
croce, è, per m odo di riparazione e di preghiera, una causa
universale di grafie, di luce, di attrazione e di forza. L a sua
influenza non è dunque limitata che dalle disposizioni e dal
fervore di coloro che la ricevono. Una sola Messa può essere,
quindi, cosi vantaggiosa per un gran num ero di persone
com e se fosse offerta per una sola; com e il sacrificio della
croce non fu meno vantaggioso al buon ladrone che se fos­
se stato offerto per lui soltanto. Se il sole riscalda sopra una
piazza tanto una com e mille persone, l’influenza dì questa
sorgente di calore spirituale che è la Messa, non sarà certa­
mente da meno nel proprio ordine. Più v i assistiamo con
fede, confidenza, religione ed amore, più grandi saranno
i frutti che ne trarremo » *6.

L a nostra orazione inserita nella santa Messa, non


solo entra nel fium e im m enso delle orazioni liturgiche
— il che le conferisce già una dignità ed una efficacia
speciale ex opere operantis Ecclesiae — ma si confonde
con l ’ orazione infin ita di C risto che il Padre esaudi­
sce sempre: « E g o autem sciebam quia sem per me

16 G a r r i g o u - L a g r a n g e , L e tre età 1 1 ,1 4 .
I SACRAMENTI 553

audis » (G io v . n , 42), e per riguardo a L u i ci conce­


derà quanto ci è necessario.
Conseguenza. - N on c ’è novena o triduo che si possa
paragonare all’efficacia impetratoria di una sola Messa.
Quale disorientamento c’è tra i fedeli riguardo al valore o g­
gettivo delle cose. È ottim o l’uso di tutti i m ezzi benedetti
e approvati dalla Chiesa, è fuori dubbio che D io concede
molte grazie attraverso di essi: però mettiamo o gn i cosa al
suo posto, la Messa soprattutto.

T ali, a grandi linee, le infinite ricchezze racchiuse


nella Messa. Per questo i santi, illum inati da D io , ne
avevano una grandissim a stima. Facevano del sacri­
fic io d ell’altare il centro della lo ro vita, la fo n te della
loro spiritualità, il sole splendente attorno al quale
sviluppavano tutta la lo ro attività. Il santo Curato
d’A rs ne parlava con tale fervo re e convinzion e che
ottenne da quasi tu tti i suoi parrocchiani l ’ assistenza
quotidiana ah santo sacrificio. P erò per ottenere dal­
la sua celebrazione o assistenza il m assim o fru tto,
occorre insistere sulle disposizioni da parte di colui
che celebra o ascolta la santa Messa.

3. D i s p o s i z i o n i p e r il s a n t o s a c r if ic io d e l l a M essa

231 . Q ualcuno ha detto che per celebrare o ascol­


tare degnam ente una sola Messa occorrerebbero tre
eternità. Una per prepararsi, u n ’altra per celebrarla
o ascoltarla e u n ’ altra per fare il ringraziam ento. Cer­
to ogn i preparazione per quanto accurata e fervorosa
sarà sempre insufficiente.
L e principali disposizioni sono di due specie: e-
sterne ed interne.
554 LA VITA CRISTIANA N EL S U O SVILU PPO ORDINARIO

a) Esterne. - Il sacerdote che celebra dovrà osser­


vare le rubriche e le cerim onie stabilite dalla Chiesa.
Il sem plice fedele assisterà alla M essa in silenzio, con
rispetto e attenzione.
b) Interne. - L a m igliore di tutte è quella di i-
dentificarsi con G esù C risto che si im m ola sull’ altare,
offren d olo al Padre e offren d osi con L u i, in L u i e
per L u i. C hied iam ogli che con verta anche noi in pa­
ne per essere cosi a com pleta disposizione dei nostri
fratelli m ediante la carità. U niam oci intim am ente con
M aria ai piedi della croce, con S. G io v an n i il discepo­
lo prediletto, c o l sacerdote celebrante, n u o vo Cristo
in terra. U niam oci a tutte le M esse che si celebrano
nel m ondo intero. N o n chiediam o mai nulla a D io
senza a ggiu n gere com e p rezzo in fin ito della grazia
che desideriamo: « Sign ore, per il sangue adorabile
di G esù, che qualche sacerdote in questo m om ento
sta innalzando sulla terra ».
L a santa M essa celebrata o ascoltata con queste
disposizioni è indubbiam ente tr a i principali strum enti
di santificazione.

D o p o i sacramenti, che aum entano in noi la grazia


ex opere operato, è necessario esam inare i m ezzi fo n ­
damentali che la sviluppano ex opere operantis, e cioè:
le v irtù infuse, perfezionate dai doni dello Spirito San­
to, e la vita di orazione.
VIRTÙ CRISTIANE E DONI DELLO SPIRITO SANTO 555

C A P IT O L O lì

L A P R A T I C A D E L L E V I R T Ù IN F U S E E D E I
DONI DELLO S P I R IT O SAN TO

A b b iam o esam inato nella seconda parte della nostra


opera la teoria generale sulle v irtù infuse e sui doni
dello Spirito Santo. V ed rem o ora il m o d o di praticare
le virtù e quello che da parte nostra possiam o fare
per disporci a ricevere i doni d ello Spirito Santo.
Insisterem o soprattutto sulle sette virtù p rin cip a ­
li (teologali e cardinali), pu r senza om ettere le indica­
zioni relative alle virtù derivate ed annesse. D o p o
ciascuna virtù studierem o il corrispondente don o del­
lo Spirito Santo, com e fa San T om m aso nella Somma
Teologa.

A) LE V IR T Ù ’ T E O L O G A L I

Son o le virtù più im portanti della vita cristiana, ba­


se e fondam ento di tutte le altre: infatti ci uniscono in ­
tim am ente a D io verità infin ita, beatitudine suprema
e som m o bene, in sè stesso. Esse sole si riferiscon o
in maniera immediata a D io ; tutte le altre hanno per
o g g e tto im m ediato cose distinte da D io .

A rtic o lo I
L a virtù della fede

S . T h . I I - I I , i - i 6 ; S c a r a m e l l i , Direttorio ascetico I V , a r t . i ; M o n s . G a y ;
V ita e V irtù cristiane t . i , tr . 3 ; C h . d e S m e t, Notre vie surnat. t . i , p p . 170-221
J a n v i e r , Carémes 1911 e 1 9 1 2 ; B a r r é , Tractatus de virtutibus, te r tia p a r s ;
556 LÀ VITA CRISTIANA N EL S U O SVILU PPO ORDINARIO

L e tre età I I I , 1 7 ; I V , 10 ; T a n q u e r e y , Compendio di


G a r r ig o u - L a g r a n g e ,
Teologia ascetica e mistica, nn. 116 9 -8 9 ; P r u m m e r , Manuale Theologiae Moralis,
I , nn. 478-532.

232. 1. Nozioni. - Ricordiam o an2Ìtutto alcuni


punti fondam entali sulla T e o lo g ia della fede:
1) L a fede è una virtù teologale infusa da D io nell’in­
telletto mediante la quale diamo i l fermo assenso alle verità
divinamente rivelate per l'autorità o la testimonianza di D io
stesso che le rivela.
In queste parole sono raccolti tutti gli elementi essenzia­
li che devono far parte di una buona definizione: il genere
prossimo (virtù teologale infusa); la differenza specifica (assen­
so intellettuale); Voggetto materiale e formale « quod » (D io cono­
sciuto in m odo soprannaturale com e verità prima, e tutte
le verità rivelate in ordine a D io); l'oggetto formale « quo »
(l’autorità di D io stesso che non può ingannare né ingan­
narsi).

2) Q uando ci rivela la sua v ita intim a e i grandi m i­


steri della grazia e della gloria, D io ci fa vedere le cose
per cosi dire dal suo punto di Dista divino, cosi com e
E g li le vede; ci fa percepire delle arm onie soprannatura­
li e divin e che nessuna intelligenza umana od angelica
avrebbe mai p o tu to sospettare.
« C in quantann i fa, un uom o che non conosceva ancora il
telegrafo senza fili avrebbe fatto grandi m eraviglie senten­
dosi dire che un giorno a Rom a avrebbe potuto udite una
sinfonia eseguita, per esempio, a Vienna. Per m ezzo della
fede infusa possiamo ascoltare una sinfonia spirituale la cui
origine è nei cieli. G li accordi perfetti di questa sinfonia si
chiamano i misteri della Trinità, dell’Incarnazione, della
Redenzione, della Messa, della V ita eterna.
Con questa audizione superiore l ’uom o è guidato verso
l ’eternità e deve avvicinarsi o gn o r più a quella vetta da
cui proviene l’armonia» 1.

3) L ’assenso alle verità della fede è di per sèferm is-

1 G a r r ig o u -L a g r a n g e , Le tre età 1,3 .


VIRTÙ CRISTIANE E DONI DELLO SPIRITO SANTO 557

simo e certissimo perché fondato sull’autorità stessa di


Dio che rivela. Ma poiché le verità rivelate rimangono
per noi oscure, non evidenti, deve intervenire la vo­
lontà, mossa dalla grafia, per imporre all’intelletto quel­
l’assenso fermissimo basato sull’infallibile autorità di
Dio. In questo senso l’atto di fede è libero, soprannatu­
rale e meritorio.
4) La fede è incompatibile con la visione intellet­
tuale o sensibile. Per sé si riferisce a cose che non si
vedono 2. Perciò in cielo la fede sarà sostituita dalla
visione di Dio faccia a faccia.
5) La fede è la prima virtù cristiana, è il fondamento
positivo di tutte le altre (senza di essa non ne può esi­
stere alcuna come senza fondamento non ci può es­
sere edificio) s. Tuttavia la carità è più eccellente della
fede e di tutte le altre virtù infuse, perché si riferisce
a Dio in maniera più perfetta ed è la form a di tutte le
altre virtù 4. Senza la carità nessuna virtù può essere
perfetta 5.
6) Il Concilio di Trento dice che la fede è l’inizio,
il fondamento e la radice della giustificazione *. È
l'inizio perché stabilisce il primo contatto tra noi e
Dio in quanto autore delFordine soprannaturale. È
il fondamento perchè tutte le altre virtù (compresa la
carità) presuppongono la fede: senza la fede è impos­
sibile sperare o amare. È la radice perché da essa, in­
formata dalla carità, derivano tutte le altre.
7) La fede informata dalla carità produce tra gli
2 C f. I I - I I ,i,4 . Se n e d ed u ce che le v is io n i e le riv e la z io n i private, s o ­
p ra ttu tto se s o n o ch ia re e d istin te, s e r v o n o p iu tto s to d i o s ta c o lo c h e di
aiu to alla fede pura, c o m e sp ie g a S. G io v a n n i d ella C r o c e (cf. Salita I I e III).
3 Cf. 11-11,4,7 c et ad 4>
4 C f. 11-11, 23, 6- 8.
5 C f. 11-11,23,7.
6 « F id es est h u m a n ae salu tis in itiu m , fu n d a m e n tu m et ra d ix o m n is
iu stifica tion is, sine qua impossibile est piacere D e o (E b r. 11 ,6 ) e t a d filio ru m
eius c o n s o rtiu m p e rv e n ire » (D e n z . 801).
558 LA VITA CRISTIANA N EL SUO SVILU PPO ORDINARIO

altri due grandi effetti: infonde all’anima un timore


filia leverso Dio che la spinge ad allontanarsi dal pec­
cato, e purifica i l cuore dall’affetto alle cose terrene
8) Conviene avere idee chiare sui diversi aspetti
della fede che si sogliono distinguere in Teologia. La
fede si può considerare anzitutto da parte del sogget­
to che crede (fede soggettivò) o da parte dell’oggetto
creduto (fede oggettiva). Quella soggettiva presenta le se­
guenti divisioni:
a) Fede divina, per cui crediamo quanto è stato rivelato
da D io , e fede cattolica, per cui crediamo quanto la Chiesa
ci propone com e divinamente rivelato.
b) Fede abituale, che è un abito soprannaturale infuso
da D io nel battesim o, e fede attuale, che è l’atto soprannatu­
rale che procede da quell’abito infuso (per es. l ’atto sopran­
naturale per cui crediamo hi e et nunc che D io è U no e
Trino).
c) Fede formata (o viva), quando è unita alla carità (sta­
t o di grazia) ed è perfezionata da essa com e form a estrinse­
ca di tutte le virtù, e fede informe (o morta) quando è se­
parata dalla carità in un’anima credente, ma in peccato m or­
tale.
d) Fede esplicita, per la quale si crede questo o quel mi­
stero concreto rivelato da D io , e fede implicita per la quale
si crede tutto quanto è stato rivelato da D io , benché lo si i-
gnori nei suoi particolari.
è) Fede interna se rimane nell’interno della nostra anima,
e fede esterna se la manifestiamo esteriormente con parole
e segni.

A sua volta la fede oggettiva si suddivide come se­


gue:
a) Fede cattolica, che è costituita dalle verità rivelate
proposte da D io a tutti gli uom ini per ottenere la vita eterna
(ossia tutto quello che è contenuto nella Scrittura e nella
Tradizione in m odo esplicito o im plicito), e fede privata,
che è costituita dalle verità che D io manifesta alle volte,
in m odo soprannaturale, ad una determinata persona. La

7 Cf. 11-11,7.
VIRTÙ CRISTIANE E DONI DELLO SPIRITO SANTO 559

prima obbliga tutti, la seconda soltanto la persona che la


riceve direttamente da D io.
b) Fede definita che riguarda quelle verità che la Chiesa
propone esplicitamente alla fede dei fedeli sotto pena di
peccato di eresia e di scomunica (per esem pio il dogm a
dell’Immacolata Concezione), e fede definibile che si riferisce
a quelle verità non ancora definite dalla Chiesa com e dogm i
di fede, ma che possono essere definite perché si trovano in
m odo esplicito o im plicito nel deposito della rivelazione
(tali sono tutti i dogm i cattolici prima della loro definizio­
ne).
c) Fede necessaria per necessità di m e^o, che riguarda
quelle verità la cui ignoranza anche incolpevole impedisce
la salvezza dall’anima8, e fede necessaria per necessità di
precetto, che è costituita dalle verità che la Chiesa propone
ai fedeli, l’ignoranza incolpevole delle quali n on com pro­
mette l’eterna salvezza.

2. Peccati contro la fede. - Secondo san


Tommaso, i peccati che si oppongono alla fede
sono8 1’ infedeltà o paganesimo (II-II,io) che quan­
do è volontaria costituisce il maggiore dei peccati
dopo l’odio verso Dio (art.3); Yeresìa che nega
qualche dogma rivelato o dubita volontariamente
di esso (II-II,11); Vapostasia, che è l’abbandono totale
della fede cristiana ricevuta nel battesimo (II-II, 12); la
bestemmia, (II-II, 13), soprattutto quella contro lo Spi­
rito Santo (II-II, 14), r accecamento del cuore e l’abbru­
timento dei sensi che si oppongono al dono dell’in­

8 Q u a li sian o certa m e n te q u este v e rità è u n a q u e s tio n e d iscu ssa tra


Ì te o lo g i. T u t t i s o n o c o n c o r d i— g ia c c h é la d o ttrin a c o n tra r ia è c o n d a n n a­
ta d a lla C h ie s a (D e n z . 11 7 2 ) — c h e si ric h ie d e , a lm en o , la f e d e nelF esisten -
z a d i D i o rim u n e ra to re , ossia, ch e p rem ia i b u o n i e c a s tig a i c a ttiv i. A lc u ­
n i te o lo g i e s ig o n o a n ch e la c o n o sc e n z a (sia p u re im p e rfe tta e rudim en tale)
d el m istero d ella S S . T r in ità e d i q u e llo d i C ris to R e d e n to re . P a re c h e S.
T o m m a s o d ic a la stessa co s a (cf. 11-11,2,7-8 ), e s ig e n d o p e r g li in fed e li
n o n u n a fe d e es p lic ita , m a u n ic a m en te implicita n e lla d iv in a P ro v v id e n z a
« C red en tes D eu m esse liberatorem hominum secundum modos sibi placitos et
secu n d u m q u o d aliq u ib u s v e rita te m c o g n o sc e n tib u s ip se re v e la s s e t» (I-
v i, a. 7 a d 3).
560 LA VITA CRISTIANA N EL S U O SV ILU PPO ORDINARIO

telletto (II-II,i5,i-2), e sono conseguenza soprattut­


to dei peccati delle carne (art.3).

233. 3. L o s v ilu p p o d e l l a f e d e . - La fede tan-


to oggettiva quanto soggettiva può crescere e
svilupparsi nelle nostre anime sino a raggiungere una
straordinaria intensità. Il santo giunge a vivere di
fede: «Iustus ex fide vivit » (Rom. 1,17). Occorre però
intendere bene questa dottrina cosi come l’ha spie­
gata S. Tommaso 9.
« L a quantità di un abito si può considerare in due
m odi: da parte dell’o ggetto e da parte della partecipazio­
ne del soggetto (nel nostro caso la fede oggettiva e la fede
soggettiva).
O ra l’o ggetto della fede (le verità rivelate o fede
oggettiva) si può considerare in due modi: secondo la sua
ragione o m otivo form ale (l’autorità di D io che rivela),
o secondo le cose che ci ven gono proposte materialmente
da credere (tutte le verità della fede). L ’o ggetto formale
della fede è uno e semplice, cioè la verità prima. Quindi
sotto quest’aspetto la fede non si diversifica nei credenti,
ma è ima specificamente in tutti (o si accetta l’autorità di
D io oppure no: non c’è un m ezzo termine per nessuno).
M a le cose che ci sono proposte materialmente da credere
sono m olte e si possono conoscere più o meno esplicita­
mente (il teologo conosce molto più e m olto m eglio del sem­
plice fedele). E cosi un uom o può conoscere e credere espli­
citamente più cose di un altro, e ci può essere in lui mag­
g io r fede secondo la m aggio r comprensione che di essa
possiede.
Però se si considera la fede secondo la partecipazione
del soggetto (fede soggettiva), si può dire che è diversa in
ciascun individuo: infatti l’atto di fede procede dall’intellet­
to che assente alle verità rivelate, e dalla volontà la quale,
mossa da D io e dalla libertà dell’uom o, im pone codesto
assenso all’intelligenza. Q uindi la fede può essere m aggiore
in un individuo che in un altro; da parte dell’intelletto,
a m otivo della m aggior certezza e ferm ezza, e da parte
della volontà, a m otivo della m aggior prontezza, devozione
o fiducia ».

9 C f. 11-11,5,4: « U t rum fid e s p o s s it esse m a io r in u n o q u am in alio ».


VIRTÙ CRISTIANE E DONI DELLO SPIRITO SANTO" 561

Conviene indicare ora il modo con cui le anime


devono intensificare la loro fede in tutto lo sviluppo
della vita cristiana.
i) I principianti. - A som iglianza di quello che avviene
con la carità incipiente I0, la principale preoccupazione
dei principianti in relazione alla loro fede, deve essere
quella di nutrirla e fomentarla perché non si perda o si
corrompa. Perciò:
a) Convinti anzitutto che la fede è un dono di D io
che nessuno p uò meritare ll, chiederanno al Signore con
ferventi orazioni che conservi sempre nelle loro anime
questa luce divina (la loro giaculatoria preferita e ripetuta
m olte volte al giorno deve essere quella del Vangelo: « Cre­
do o Signore, ma aiuta la mia poca fede » (Marco 9,23).
V) Respingeranno con energia quanto rappresenta un
pericolo per la loro fede: suggestioni diaboliche, dubbi
e tentazioni contro la fede, che combatteranno indirettamen­
te distraendosi, pensando ad altre cose, e mai direttamente,
ossia affrontando la tentazione e discutendo con essa, cer­
cando ragioni le quali avrebbero il solo effetto di aumentare
il turbamento dell’anima e la violenza dell’attacco nemico;
eviteranno le letture pericolose o im prudenti che giudica­
no con criterio anticristiano o m ondano le verità della fe­
de o della religione in generale; infine combatteranno la
superbia intellettuale che è l’ostacolo più grave al dono della
fede e la via più spedita per perderla. D ice la Scrittura che
« D io resiste ai superbi e dà la sua grazia agli um ili » (Giac.
4,6; 1 Piet. 5,5).
c) Procureranno di aumentare la conoscenza delle veri­
tà della fede con tutti i mezzi a loro disposizione (catechi­
smi spiegati, opera di form azione religiosa, conferenze,
ecc.).
d) Favoriranno l’aumento della fede soggettiva con la
frequente ripetizione degli atti di fede seguendo per esem­
pio i suggerim enti per « sentire cum Ecclesia », che S. I-
gnazio dà nei suoi Esercizi Spirituali. Potranno ripetere
con fervore la supplica degli A p o sto li al D iv in Maestro:
« Signore, aumentaci la fed e» (Luca 17,5).

10 c f. 11-11,24,9.
11 « È p e r gra zia sua che siete stati s a lv a ti p e r m e z z o d ella fed e; e q u e­
s to n o n v ie n e da v o i: è d o n o 41 D i o » (E f. 2,8).
562 LA VITA CRISTIANA N EL S U O SVILU PPO ORDINARIO

2) I proficienti. - Si preoccuperanno dell’ incremento


di questa virtù in m odo da riuscire ad informare tutta la
loro vita per m ezzo di un autentico spirito di fede, che la ele­
v i sul piano soprannaturale dal quale si sforzeranno di giu­
dicare tutte le cose.
a) D evo n o vedere D io attraverso il prisma della fede, sen­
za badare all’instabilità del sentimento o delle idee capric­
ciose. D io è sempre il medesimo, infinitam ente buono
e misericordioso. L e consolazioni o le aridità che sperimen­
tano nell’orazione, le lodi o le persecuzioni di coloro che li cir­
condano, i successi o le avversità di cui si com pone la loro
vita, non mutano la sua natura:
b) D evo n o inoltre abituarsi a giudicare tutte le cose
in conform ità con g li insegnamenti della fede non con quel­
li del m ondo. Cosi devono convincersi che in ordine alla
vita eterna è preferibile la povertà alla ricchezza, la man­
suetudine all’ira, le lacrime del pentimento ai piaceri,
la pace alle risse, ecc. D e vo n o vedere nel dolore un’auten­
tica benedizione di D io , benché il m ondo non riesca a
comprendere questo. D e vo n o essere convinti che è una di­
sgrazia m aggiore commettere volontariam ente anche un so­
lo peccato veniale che perdere la salute e la vita stessa; che
il minimo grado di grazia santificante vale di più del bene
naturale di tutto l’universo che la vita lunga importa
m olto meno che la vita santa; e che non bisogna rinunciare
alla nostra vita di m ortificazione e di penitenza, ancorché
queste austerità abbrevino un poco il tem po del nostro
esilio. In una parola devono vedere e giudicare le cose dal
punto di vista di D io , rinunciando nel m odo più assoluto
ai criteri mondani e anche ai punti di vista puramente u-
mani. Solo con la fede vincerem o definitivam ente il mondo:
« H aec est victoria quae vincit mundum, fides nostra »
(iG io v . 5,4).
c) Q uesto spirito di fede intensamente vissuto sarà una
fonte di consolazione nei dolori e nelle infermità corporali,
nelle p rove dell’anima e nelle persecuzioni degli uomini,
nelle dolorose perdite dei familiari ed amici. C i farà com ­
prendere che il soffrire passa, però il prem io di avere ben
sofferto non passerà mai; che le cose sono cosi come le vede
Iddio, e non come credono di vederle gli uom ini con ilo ro
criteri puramente naturali; che coloro i quali ci hanno prece­
duto col segno della fede ci attendono in una vita m igliore.

12 Cf. 1-11 , 113,9 2.


VIRTÙ CRISTIANE E DONI DELLO SPIRITO SANTO 563

L a vita dell’uom o, secondo la gemale frase di S. Teresa,


si può paragonare ad « una notte in un cattivo alber­
go » lì.
N el regno di D io si entra solo dopo molte tribolazioni
sopportate con v iv a fede nel premio. G li apostoli di Cristo
e dopo di loro tutti i martiri, forti di questa fede hanno af­
frontato le carceri, i supplizi e la m orte più dolorosa lieti
di patire per il nom e di Cristo (A tti 5,41).
3) I perfetti. - illuminati da doni dell’ intelletto e della
scienza raggiungono la massima intensità della fede, prelu­
dio ed aurora della visione beatifica.

I L D O N O D E L L ’I N T E L L E T T O

S . T h . , I I - I I , 8 ,9 ,1 9 ,4 5 ,5 2 ,1 2 1 ,1 3 9 ; J o a n . A S . T h o m a , C ursus theologicus
i n l - I I , d .; 1 8 . G a r r i g o u - L a g r a n g e , L e tre età; Perfezione cristiana e contempla-
Zione; T a n q u e r e y , Compendio di Teologia ascetica e mistica, n . 1 3 0 7 - 1 3 5 8 ; A k i n -
t e r o , Evolucion mistica, p . i . a , c . 3; P h i l i p o n , L a dottrina spirituale di Suor
E lisabetta della Trinità c . 6 ; M a r t i n e z , E l E s p lr itu Santo II; Sa v a r e s e
E I E sp iritu Santificador X X V - X X X I I ; B arre, Tractatus de virtutibus,
p . i c .2 a .4 ; P o ttie r , V ie et doctrine spirituelle du P . L. Lallem ant
( P a r is 1 9 2 4 ) p r in c . 4 , c c . 3 - 4 ; M e s c h l e r , E l don de Pentecostes.

234. 1. Natura. - Il dono d e ll’in te lle tto si p u ò


defin ire un abito soprannaturale, infuso con la grafia
santificante, per cui Fintelligenza delFuomo, sotto l ’azione
illuminatrice dello Spirito Santo è capace di intuire le ve­
rità rivelate speculative e pratiche ed anche le verità naturali
in ordine al fine soprannaturale.
a) E* un abito soprannaturale infuso con la grazia santifican­
te... - Q ueste parole esprim ono la natura in genere,
dei doni dello Spirito Santo (abiti soprannaturali) e la ra­
dice dalla quale derivano, che è la grazia santificante.
Per questo in quanto abiti, tutte le anime in grazia posseg­
go n o i doni dello Spirito Santo che crescono con e ss a 11;
b) ...per cui l ’intelligenza dell’uomo... Il dono dell’in­
telletto risiede nell’intelletto speculativo già inform ato dal­
la virtù della fede (soggetto in quo), che viene perfezionato

x3 C f. Cammino 40,9.
*4 C f. 11- 11, 8, 4; 1- 11, 68, 6.
564 LA VITA CRISTIANA NEL S U O SVILU PPO ORDINARIO

perché possa ricevere in m odo connaturale la m ozione del­


lo Spirito Santo, la quale metterà in atto questo dono.
c) ...sotto l ’azione illum inatrice dello Spirito Santo... -
Solo lo Spirito Santo può attuare i doni. Senza la sua m o­
zione g li abiti dei doni non agiscono, giacché l ’uom o non
può metterli in esercizio con l’aiuto della grazia ordinaria.
Essendo strumenti con cui lo Spirito Santo agisce
direttamente e immediatamente nell’anima, l’uom o non
può fare altro, con l’aiuto della grazia, che disporsi a questa
azione divina togliendo gli ostacoli e im plorandola um il­
mente.
d) ...è capace di intuire... - È l’o ggetto form ale del dono
dell’intelletto, ciò per cui si differenzia dalla fede. L a virtù
della fede infatti ci fa conoscere le verità soprannaturali
in maniera imperfetta, in m odo umano, che è quello proprio
e caratteristico delle virtù infuse, mentre il dono dell’intel-
letto ci fa penetrare, in m odo profondo e intuitiv o (superio­
re alla capacità della nostra ragione), queste stesse veri­
tà* 5. È i a cosiddetta contemplazione infusa, che consiste in
una semplice e profonda intuizione della verità: « simplex
intuitus veritatis » l6. Il dono dell’intelletto si distingue
a sua volta dagli altri doni intellettivi (sapienza, scienza
e consiglio), perché la funzione sua propria è la profonda
penetrazione nelle verità della fede sul piano della semplice
conoscenza (senza emissione di giudizio) mentre agli altri
doni intellettivi spetta il retto giudizio su di esse. Questo
giudizio, per quanto si riferisce alle cose divine, appartiene
al dono della sapienza, in quanto riguarda le cose certe ap­
partiene al dono della scienza, per l’applicazione di queste ve­
rità alle singole opere appartiene al dono del co n sig lio 1 7.
e) ...le verità rivelate speculative e pratiche ed anche
le verità naturali in ordine a l fine soprannaturale. - È l ’o g ­
getto materiale del dono dell’intelletto. A bbraccia quindi
tutto quanto appartiene a D io , a Cristo, all’uom o e a tutte
le creature; si estende primariamente alle verità della fede
e secondariamente a tutte le altre cose che hanno qualche
relazione col fin e soprannaturale l8.

« D o n u m intellectus est circa prim a principia cognitionis gratuitae


aliter tamen quam fides. Nam ad fidem pertinet eis assentire; ad donum vero,
intellectus pertinet penetrare mente ea quae dicmtur » (11-11,8,6 ad z).
16 Cf. I I - I I , i 8 o,3 ad i.
'7 Cf. 11 -11 , 8 , 6 .
Cf. 11 -11 , 8 , 3 .
VIRTÙ CRISTIANE E DONI DELLO SPIRITO SANTO 565

235. i . N e c e s s ità . - L a fede, p er quanto si e-


setciti al m odo um ano o discorsivo (via ascetica),
non potrà mai giungere al suo perfetto sviluppo, per
il quale è indispensabile il dono dell’intelletto (via
mistica).
L a conoscenza umana è di per sé discorsiva, perché
si com pie per m ezzo di com posizione e divisione,
analisi e sintesi, non per sem plice intuizione della
verità. A questa condizione generale della nostra co ­
noscenza. n on sfu g go n o Je virtù infuse, finché sotto­
stanno al dom inio della ragione. P erò siccom e l ’oggetto
prim ario della fede, cioè la V erità prim a in quanto
si manifesta in noi ( Veritas prima in dicendo) 19, è sempli­
cissima, il m odo discorsivo di conoscerla n on p u ò ,
essere che inadeguato ed im perfetto. L a fede è per sé
abito intuitivo, non discorsivo 2 e per questo le v e ri­
tà della fede n on possono essere apprese in tutta la loro
perfezione, se non m ediante la visione intuitiva e pe­
netrante del don o dell’intelletto. La fede una volta
libera da tutti g li elementi discorsivi che la intorbida­
no, diventa contemplativa. A llo ra si giu n ge alla fede
pura che S. G io v an n i della C roce raccom anda com e
u n ico m ezzo proporzionato all’unione del nostro in­
telletto con D io 21.

*9 Si può considerare D io com e prima V erità in un triplice senso: in


essendo, in cognoscendo et in dicendo. Si chiama V erità prim a in essendo D io stesso
in quanto distinto dalle false divinità (Deus Verus); in cognoscendo, l’infi­
nita sapienza di D io , che n on si può ingannare; in dicendo, la somma veracità
di D io , che n on ci può ingannare. N el prim o senso (in essendo Deus Verus)
costituisce l ’o ggetto form ale quod della fede; nel secondo e nel terzo, ossia,
l’autorità di D io rivelante, che procede dalla sua sapienza (in cognoscendo)
e dalla sua veracità (in dicendo) è l ’o ggetto form ale quo, o propriamente spe­
cificativo, della fede (cf. Z u b i z a r r e t a , Tbeologia Dogmatico-Scholastica,
V0K3, nn.357-8).
20 Cf. n. 428.
21 A ltre ragioni per provare la necessità che la fede sia perfezionata
per m ezzo del dono dell’intelletto vengono m agistralmente esposte dal
566 LA VITA CRISTIANA NEL S U O SVILU PPO ORDINARIO

Un autore contemporaneo ha saputo spiegare bene in


che cosa consista questa fede pura: « Per fede pura s’intende
l’adesione dell’intelletto alla verità rivelata, adesione fon­
data unicamente sull’autorità di D io che rivela. Esclude
quindi ogni discorso. D a l mom ento in cui entra in azione
la ragione scompare la fede pura, perché si mescola con
essa un elemento estraneo alla sua natura. Il raziocinio
può precedere e seguire la fede, ma non può accompagnarla
senza snaturalizzarla. Q uanto più c ’è di ragionam ento tan­
to minore sarà l ’adesione alla verità basata sull’autorità di
D io e di conseguenza tanto meno la fede sarà pura » ” .
Peccato che questo autore non abbia saputo ricavare
tutte le conseguenze da questa dottrina che porta inevita­
bilmente alla necessità della contemplazione mistica per
giungere alla fede pura e di conseguenza alla necessità
della mistica per la perfezione cristiana.

236. 3. E ffe t t i. - II dono dell’intelletto per­


feziona la virtù della fede in som m o grado, manifesta
infatti le verità rivelate con tale chiarezza da lasciare
nell’anima una sicurezza assoluta a loro riguardo. L e
anime m istiche che possedevano questo dono in grado
eminente erano disposte a credere il contrario di quel­
lo che ved evan o anziché dubitare delle p iù piccole v e ­
rità della fede.
Q uesto dono è utilissim o ai teo lo gi — S. Tom m aso
10 possedeva in grado straordinario — per poter pe­
netrare nel più profon d o delle verità rivelate e de­
durre con il discorso teo lo gico le conclusioni in esse
im plicite.
Il D o tto re angelico indica sei m odi diversi con. cui
11 dono dell’intelletto ci fa penetrare n egli aspetti
più profon d i e m isteriosi delle verità rivelate 23.

P. I. M e n é n d e z - R e i g à d a nella sua opera: L o s dones del Bspiritu Santo y la


perfectón cristiana, M adrid, 1948, c.5, n .i , pp. 427-48.
22 P. C r i s ó g o n o , Compendio de Ascéticay Mistica, i.a e d iz .,p .2 .a c.2, a.3,
pag. 104.
23 Cf. 11-11,8,1: « Sunt autem m ulta genera eorilm quae interius latente
ad quae oportet cognitionem hom inis quasi intrinselus penetrare. N am sub
accidentibus latet natura rerum substantialis, sub verbis latent significata
VIRTÙ CRISTIANE E DONI DELLO SPIRITO SANTO 567

i) Ci fa percepire la sostanza delle cose nascoste sotto gli


accidenti. - In virtù di questo istinto divino i mistici per­
cepiscono la divina realtà celata sotto i veli eucaristici.
Si comprende perciò il loro desiderio per l’Eucarestia che
diventa in essi un vero martirio di fame e di sete. Nelle
loro visite al Santissimo non recitano, non meditano, non
pensano, si limitano a contemplare ii divino Prigioniero
d’amore con uno sguardo semplice, sincero e penetrante
che riempie la loro anima di una infinita soavità e pace:
« Io guardo lui e lui guarda me » com e disse al santo Cura­
to d’A rs quel semplice contadino, posseduto dal divino
spirito.
a) Ci scopre il senso occulto delle divine Scritture. -
È quello che fece il Signore con i suoi discepoli di Emmaus,
quando « apri loro l’intelligenza perché intendessero le
Scritture» (Luca 24,45). T u tti i mistici hanno sperimentato
questo fenom eno. Senza discorsi, senza studi, senza aiuto
umano, lo Spirito Santo scopre loro im provvisam ente e con
vivissim a intensità il senso profondo di qualche sentenza
scritturistica, che li sommerge in un abisso di luce. Nella
Bibbia sogliono trovare il motto che dà senso e orientamento
a tutta la loro vita: « Misericordias D om in i in aeternum can-
tabo» per S. Teresa (Sai. 88,1); « Si quis est parvulus veniat
ad me » per S. Teresina (Prov. 9,24); « Laudem gloriae »
per Suor Elisabetta della Trinità (Ef. 1,6)... È spiegabile
quindi che non nei libri scritti dagli -uomini, ma soltanto
nelle parole ispirate questi santi trovassero pascolo alle loro
anime 1 4.
3) Ci m anifesta il m isterioso significato delle som iglianze e
delle figu re . - Cosi San Paolo vide Cristo nella pietra da
cui sgorgava acqua v iv a per dissetare gli Israeliti nel deser­
to: « Petra autem erat Christus» ( iC o r . 10,4). S. G iovanni
della Croce ci scopre, con una m eravigliosa intuizione mi­
stica, il senso morale, anagogico e parabolico di una m olti­
tudine di sentenze e di figure dell’A n tico Testam ento che
sono realizzate nel N u o v o , o nella vita misteriosa della grazia.

verborum , sub sim ilitudinibus et figuris latet veritas figurata: res etiam in-
telligìbiles sunt quodam m odo interiores respectu rerum sensibilium quae
exterìus sentiuntur et in causis latent effectus et e converso ».
*4 « I o n on tro v o nulla nei libri, eccetto che nel V an gelo. Q uesto li­
bro m i basta» (S.T eresina del Bam bino Gesù; cf. « N ovissim a V e r b a » 15
m aggio).
568 LA VITA CRISTIANA N EL S U O SVILU PPO ORDINARIO

4) Ci scopre sotto le apparenze sensibili le realtà spiri­


tuali. - L a L itu rgia della Chiesa è piena di simbolism i su­
blim i che sfuggono in gran parte alle anime superficiali.
I santi invece veneravano anche le più piccole cerimonie
della Chiesa 25 perché in virtù del dono dell’intelletto, at­
traverso i simbolismi, e le apparenze sensibili vedevano le
sublimi realtà in essi racchiuse.
5) Ci fa contemplare g li effetti contenuti nelle cause. -
« V i è un altro aspetto del dono dell’intelligenza, particolar­
mente sensibile nei teologi contem plativi. D o p o le dure fa­
tiche della scienza umana, d’un tratto, sotto un forte im pul­
so dello Spirito, tutto si illumina: ed ecco che un m ondo n uo­
v o appare in un principio o in una causa universale: quali
ad esempio, Cristo-Sacerdote, unico mediatore fra il cielo
e la terra; oppure il mistero della V ergin e Corredentrice che
porta spiritualmente nel suo seno tutti i membri del Corpo
mistico; o ancora il mistero dell’identificazione degli innu­
m erevoli attributi di D io nella sua sovrana semplicità e la
conciliazione dell’Unità d’essenza con la Trinità delle Per­
sone, in una D eità che oltrepassa all’infinito le indagini più
acute e profonde di tutti gli sguardi creati.
E cco altrettante verità che il dono dell’intelletto ap­
profondisce senza sforzo, saporosamente, nella gioia beati­
ficante di una ” vita eterna iniziata sulla terra” , alla luce
stessa di D io » s6.
6) Ci fa vedere le cause attraverso g li effetti. - « In
senso inverso, il dono dell’intelletto rivela D io e la sua onni­
potente causalità negli effetti, senza bisogno dei lunghi rag­
giri discorsivi del pensiero um ano abbandonato alle proprie
forze, ma con un semplice sguardo com parativo e per in­
tuizione ” alla maniera di D io ” . N e g li indizi più im percet­
tibili, nei minimi avvenim enti della sua vita, un’anima; at­
tenta allo Spirito Santo, scopre d’un tratto tutto il piano della
Provvidenza a suo riguardo. Senza ragionam ento dialettico
sulle cause, la semplice vista degli effetti della giustizia o
della misericordia di D io le fa intravvedere tutto il mistero
della predestinazione divina, [del troppo grande amore (Ef.

2 5 « E ro dispostissim a ad affrontare m ille v o lte la morte piuttosto di


dar a credere che trasgredissi una minima cerim onia della Chiesa o andassi
contro una verità della Sacra Scrittura» (S. T e r e s a , V ita 33,5).
26 P . P h i l i p o n , L a dottrina spirituale di Suor Elisabetta della Trinità c.8,
n.7.
VIRTÙ CRISTIANE E DONI DELLO SPIRITO SANTO 569
2,4) che insegue, instancabile, le anime per unirle alla beati­
ficante Trinità. A ttraverso a tutto, D io conduce a D io » *7.
Q uesti sono i principali effetti che produce nel­
l’anima il dono delPintelletto. Si com prende che, cosi
perfezionata, la virtù della fede raggiu n ga una gran­
dissima intensità. In questa vita n on si possono mai
rom pere i ve li del m istero («V idem us nunc per specu-
lum in aenigm ate » iC o r. 13,12), però le sue insondabili
profon dità sono penetrate dall’anima con u n ’esperien­
za tanto chiara ed intim a che si a vvicin a m olto alla v i­
sione intuitiva. S. Tom m aso dice: « In questa vita,
purificato l ’occhio dello spirito m ediante il dono del­
l ’intelletto, si p uò in un certo senso vedere D io » 28.
Q uando giun ge a queste altezze la fede influisce su
tutti i m ovim enti dell’anima, la quale sembra perde­
re la sensibilità verso tutto ciò che è um ano, per com ­
portarsi in tutto secondo un istinto divino. La sua
maniera di pensare, di parlare, di reagire di fronte
agli avvenim enti della vita propria o altrui, sconcerta
il m ondo incapace di com prenderla. Si direbbe che
patisca di strabism o spirituale perché giudica tutte le
cose al rovescio del m ondo. In realtà la visione stor­
ta è quella di quest’ultim o. Essa ha avu to l ’ineffabile
fortuna di avere avuto dallo Spirito Santo, m ediante
il dono delPintelletto, il senso di Cristo: « N o s autem
sensum Christi habemus » (1 Cor. 2,16), che fa loro v e ­
dere tutte le cose attraverso il prism a della fede.

237. 4. Beatitudini e frutti del dono dell’in­


telletto. - A l dono delPintelletto si riferisce la
sesta beatitudine: « Beati i pu ri di cuore, perché essi
vedranno Iddio » ( M at. 5,8). In questa beatitudine
sono indicate due cose: una, a m od o di disposi-

Ivi. ,
27 P . P H IL IPO N ,
28 « In hac etiam vita purgato oculo per donum intellectus, D eus q u o -
d am m odo videri p otest» (II-II,6c),2 ad 3).
570 LA VITA CRISTIANA N EL S U O SVILU PPO ORDINARIO

zione e di m erito (la purezza del cuore), e l ’altra, a


m odo di prem io, (il vedere D io); e nei due sensi appar­
tiene al dono d ell’intelletto. D ifatti ci sono due specie
di purezza: quella del cuore, per cui si espellono tutti i
peccati e g li affetti disordinati, realizzata dalle virtù
e dai doni che regolan o la parte appetitiva dell’uom o;
e quella della mente, per cui si espellono i fantasm i cor­
porei e g li errori contro la fede. E questa è propria
del dono dell’intelletto. A n ch e la visione di D io è duplice:
una perfetta, per cui si ved e l ’essenza stessa di D io , e
questa è propria del cielo; e l ’altra imperfetta, propria
del dono dell’intelletto, per cui, ancorché n on vediam o
che cosa sia D io , vediam o che cosa n o n è; conosciam o
D io in questa vita tanto p iù perfettam ente quanto m e­
glio com prendiam o che supera tutto quanto l’intel­
letto p u ò com prendere 29.
Q uanto ai fru tti dello Spirito Santo, appartengono al
dono dell’intelletto la fides, ossia la certezza della fede;
e com e fru tto ultim o e perfettissim o il gaudium (la gioia
spirituale) che appartiene alla vo lo n tà 3 °.

238. 5 . V izi contrari al dono dell’intellet­


to. - San Tom m aso dedica una questione intera
allo studio di questi v i z i 31. Sono due: la cecità
spirituale e Vaffievolimento della sensibilità spirituale. \
L a prim a è la privazion e totale della visione (acce­
camento); la seconda è un forte indebolim ento del­
la medesima (miopia). T u tt’e due proced on o dai pec­
cati del senso (gola e lussuria), per il fatto che n on v i è
nulla che oscuri m aggiorm ente la capacità dell’intel­
letto anche naturalm ente parlando quanto la disordina­
ta applicazione alle cose corporali. Per questo la lussuria

I
*9 C f . 11 - 11 , 8 , 7 .
3° C f . 11 - 11 , 8 , 8 .
3i C f . i i - n , i 5 .
VIRTÙ CRISTIANE £ DONI DELLO SPIRITO SANTO 571
produce la cecità spirituale che esclude quasi com ple­
tamente la conoscenza dei beni spirituali; e la gola
produce l ’affievolim ento della sensibilità spirituale ren­
dendo difficile all’uom o questa conoscenza co m ’è diffi­
cile per un chiodo spuntato penetrare in una parete 32.
«Questa cecità della mente è propria di tutte le anime
tiepide le quali hanno in sé il dono dell’intelletto; però sic­
come sono ingolfate nelle cose di questa terra e prive di rac­
coglimento interiore e di spirito di orazione, mancano di
una considerazione attenta e costante delle verità eterne e
quindi non giungono mai a scoprire tutta la luce che esse
racchiudono. Per questo facilmente si ingannano quando
parlano dell’amor divino, della vita mistica, della santità,
che forse fanno consistere in alcuni atti più o meno esterni,
considerando come esagerazioni ed eccentricità le delica­
tezze che lo spirito di D io chiede alle anime.
Questi sono coloro che vogliono andare per il sentiero
delle vacche, come si suol dire, ben piantati nella terra, af­
finché lo Spirito non possa sollevarli in aria col suo soffio
divino; completamente occupati nel fare monticelli di sabbia
coi quali si illudono di scalare il cielo, sono affetti da questa
cecità spirituale che impedisce loro di percepire la santità
infinita di D io, le meraviglie che la sua grazia opera nelle
anime, gli eroismi di abnegazione che egli chiede, le pazzie
dell’amore per colui che l’amore condusse alla pazzia della
croce. Tengono in poco conto i peccati veniali, avverten­
do solo quelli di maggior rilievo e trascurano ciò che chia­
mano imperfezioni. Sono ciechi perché non fanno uso di
quella "torcia che brilla in luogo caliginoso” (2 Pietr. 1,19)
e molte volte presumono guidare altri ciechi (Mat. 15,14).
« Chi patisce quindi di questa cecità o miopia nella sua
vista interiore, che gli impedisce di penetrare le cose della
fede non è senza colpa, poiché alla radice sta la negligenza
e il fastidio verso le cose spirituali e l’attaccamento a quelle
materiali » **.

239. 6. Mezzi per fomentare questo dono. -


Lo sviluppo dei doni in noi dipende dallo Spiri­

si cf. 11-11,15,3.
33 P. I. M e n é n d e z -R e ig a d a , L os dones del Esplritu Santo y la perfeccìón
sristiana c.9, n .T , pp. 593-4.
572 LA VITA CRISTIANA N EL S U O SVILU PPO ORDINARIO

to Santo, L ’anima tuttavia p u ò disporsi, con l’aiu­


to della grazia, a questa azione divina 34 in m olti
m odi
a) I*a pratica di una fede viva. - L e virtù infuse si svi­
luppano e perfezionano con la pratica sempre più intensa
degli atti loro propri; è vero che questi atti non superano
il modo di agire umano, non raggiun gon o la loro perfezione,
tuttavia il com piere quanto sta da noi per via ascetica costi­
tuisce una eccellente preparazione al perfezionamento da
parte dello Spirito Santo. È un fatto che secondo la p ro vv i­
denza ordinaria, D io dà le sue grazie a chi m eglio v i si
dispone 3 5 .
b) Perfetta purezza di anim a e di corpo. - A l dono del­
l’intelletto corrisponde la sesta beatitudine, che si riferisce
ai puri di cuore. Solo con la perfetta purezza di anima e di
corpo si diventa capaci di vedere Dio: in questa vita con la
profonda illum inazione del dono dell’intelletto, e nell’altra
con la chiara visione della gloria.
c) Raccoglim ento interno. - L o Spirito Santo ama il rac­
coglim ento e la solitudine: in tali condizioni parla alle ani­
me (« D ucam eam in solitudinem et loquar ad cor eius »:
O s. 2,14). L ’anima che ama la dissipazione e il tum ulto non
percepirà mai la vo ce di D io . È necessario fare in n oi il
vu o to di tutte le cose create, ritirarsi nella cella del cuore per
vivere con l’O spite divino fino a raggiungere una unione
continua con lui, anche in m ezzo alle occupazioni più assor­
benti. Quando l’anima avrà fatto quanto potrà per racco-

34 « Quantunque in quest’operazione di D io nell’anima noi non possia­


m o fare nulla, tuttavia per ottenere che il Signore ce ne favorisca, possiamo
fare m olto co l disporci» (S. T e r e s a , Quinte mansioni 2 , 1 ) . L a santa parla
dell’orazione contem plativa di unione, effetto dei doni dell’intelletto e della
sapienza.
35 S. Teresa lo dice graziosam ente in m olte maniere: « Se avete fatto
il possibile per d isporvi alla contem plazione, n on dovete temere d’aver
lavorato inutilm ente» (Cammino 18,3). « È trop po bella questa loro dispo­
sizione (l’ esercizio delle virtù) per n o n attirarsi tutte le grazie di D io » (Ter­
ze mansioni 1,5). « O h i com e sono vere queste parole! Com e le intende e le
sperimenta l’anima in questa orazione! A n ch e n oi le intenderem m o se non
fosse per nostra colpa... M a siccom e manchiamo noi, non disponendoci...,
cosi n on riusciam o a vederci in questo specchio, nel quale la nostra imma­
g in e è pure im pressa» ^Settime mansioni 2,8).
VIRTÙ CRISTIANE E DONI DELLO SPIRITO SANTO 573

' gliersi e isolarsi, lo Spirito Santo interverrà con la sua a-


zione.
d) Fedeltà alla grazia. - L ’anima non deve mai sottrar­
si allo Spirito Santo qualunque sia il sacrificio che le chiede:
« H odie si vocem eius audieritis, nolite obdurare corda ve-
stra» (Sai. 94,8). N o n soltanto deve evitare qualsiasi man­
canza volontaria, che secondo S. Paolo contristerebbe lo
Spirito Santo: « N o lite contristare Spiritum Sanctum D ei» :
(Ef. 4,30), ma deve assecondare positivam ente tutte le sue
divine ispirazioni, cosi da poter dire con Cristo: « Quae
placita sunt ei facio semper »; (G io v. 8,29). I sacrifici che alle
volte egli ci chiede sembrano superare le nostre forze,
ma tutto si può in colui che ci dà la forza (Fil. 4,13). D el
resto possiamo ricorrere sempre alla preghiera per chie­
dere al Signore anticipatamente la cosa stessa che egli vu ole
da noi: «D a, D om ine, quod jubes et jube quod vis » 3®. In ogni
caso, per evitare inquietudini in questa fedeltà positiva al­
la grazia, affidiamoci sempre al controllo e ai consigli di un
sapiente direttore spirituale.
e) Invocazione dello Spirito Santo. - N o n potrem o pra­
ticare questi mezzi senza l’aiuto della grazia preveniente
dello Spirito Santo. Perciò dobbiam o invocarlo frequente­
mente e col massimo fervore possibile, ricordando al V erb o
Incarnato' la sua promessa di inviarcelo (G io v. 14,16-17).
L a sequenza di Pentecoste (Veni, Sancte Spiritus), l ’inno di
Terza (Veni, Creator Spiritus), e l’orazione liturgica di que­
sta festa (Deus qui corda fidelium...) dovrebbero essere, dopo
il Padre nostro, le orazioni predilette delle anime interiori.
Ripetiamole m olte volte fino ad ottenere quel recta sapere
che ci viene dallo Spirito Santo. E come gli apostoli nel cena­
colo associamo alle nostre suppliche quelle del Cuore Im ­
macolato di Maria («C um Maria matre Jesu»: A tti 1,14),
la Vergine fedelissima 37 e Celeste Sposa dello Spirito Santo.

I L D O N O D E L L A SCIENZA

S. T h ., 1 1 -11,9. — Sì veda inoltre la nota bibliografica del n.234.

S. A g o s t i n o , L e Confessioni 1.10, c.29.


3 7 L ’invocazione delle litanie: Virgo fidelis, ora prò nobis, dovrebbe es­
sere una delle giaculatorie preferite delle anime assetate di D io . L o Spirito '
divino si comunicherà loro nella misura della fedeltà alla grazia.
574 LA VITA CRISTIANA N EL S U O SVILU PPO ORDINARIO

A lc u n i a u to ri a sse g n an o al d o n o d e lla scien za il


c o m p ito di p e rfe z io n a re la v ir t ù d ella speranza- P e rò
S. T o m m a s o l ’a ttrib u isce a lla fede, a sse g n a n d o alla spe­
ra n za il d o n o d e l tim o re 3S. N o i s e g u ia m o q u e sto c r i­
te rio d e l D o t t o r e a n g e lic o , ch e m e g lio si fo n d a , a
n o s tr o a v v is o , su lla n atu ra d elle cose.

240. i . N a t u r a . - I l d o n o della scien za è un abit


soprannaturale infuso con la grafia, mediante i l quale l'in ­
telligenza dell'uomo, sotto l'azione illuminatrice dello S p i­
rito Santo, giudica rettamente delle cose create in ordine al
fine soprannaturale.
a) E ’ un abito soprannaturale infuso con la gra zia ... -
N o n si tratta della scienza umana, che dà origine ad una co ­
noscenza certa ed evidente delle cose dedotta mediante il
raziocinio naturale dai loro principi o dalle loro cause pros­
sime, né della scienza teologica, che deduce dalle verità ri­
velate le conclusioni che esse contengono valendosi del di­
scorso o del raziocinio naturale; ma di una certa conoscenza
soprannaturale, che procede da una speciale illuminazione
dello Spirito Santo, il quale ci scopre e ci fa apprezzare ret­
tamente il nesso delle cose create col fine ultim o sopranna­
turale. In breve, è la retta stima della vita presente in ordine
alla vita eterna. È un abito infuso, soprannaturale, insepara­
bile dalla grazia, che si distingue essenzialmente dagli abi­
ti acquisiti della scienza e della teologia.
b) ...mediante il quale l ’ intelligenza dell’uom o... - Il
dono della scienza com e abito risiede nell’intelletto, così
come la virtù della fede che perfeziona. È anzitutto specula­
tivo, e in secondo lu o go pratico 39.
c) ...sotto l’ azione illum inatrice dello Spirito Santo... - È la
causa agente che mette in atto l’abito soprannaturale del dono.
In virtù di questa jnozione divina, diversa da quella della
grazia ordinaria che pone in m ovim ento le virtù, l’intelli­
genza umana apprende e giudica le cose create con un certo
istinto divino, con una certa connaturalità, che il giusto possiede
potenzialm ente, mediante le virtù teologali. Per m ezzo di

38 C f. H-11,9 e 10.
39 Cf. 11-11,9,3:
VIRTÙ CRISTIANE E DONI DELLO SPIRITO SANTO 57 5

questo dono, l’uom o non procede con laborioso raziocinio,


ma giudica rettamente di tutto il creato mediante un im pul­
so superiore e una luce più alta di quella della semplice
ragione illuminata dalla fede.
a ) ...giudica rettamente... - Q uesta è la ragione specifi­
ca che distingue il dono della scienza dal dono delFintellet-
to. Q uest’ultim o ha lo scopo di apprendere le verità rivelate
mediante una profonda intensione soprannaturale, ma senza
emettere alcun giudizio su di esse (simplex intuitus veritatis).
Q uello della scienza invece, sotto la m ozione speciale dello
Spirito Santo, giudica rettamente delle cose create in ordine
al fine soprannaturale 4°.
« L a sapienza e la scienza hanno qualcosa in comune; ambedue fanno
conoscere D io e le creature. M a quando si arriva alla conoscenza di D io
attraverso le creature, elevandoci dalla conoscenza delle cause seconde a
quella della causa prim a ed universale, allora si ha un atto del dono della
scienza. Q uando invece si arriva alla conoscenza delle cose umane attra­
verso il gusto che si ha di D io , giudicando g li esseri creati dalla propria
conoscenza dell’essere suprem o, allora si ha un atto del d ono della sapien­
za» 4*.

e) ...delle cose create in ordine a l fine soprannaturale. -


È " l’o ggetto materiale del dono della scienza. Comprende
tutte le cose create, in quanto hanno relazione co l fine so­
prannaturale. M a poiché le creature possono tendere al
fine come allontanarsi dal medesimo, il dono della scienza
dà all’uom o la capacità di giudicare rettamente in entram­
bi i casi ♦*. Il don o della scienza si estende anche alle per­
fezioni divine, che si scoprono negli esseri che D io ha crea­
to per manifestare la sua gloria «, secondo il detto di S. Pao­
lo: « Invisibilia enim ipsius a creatura m undi, per ea quae
facta sunt, intellecta conspiciuntur » (Rom. 1,20).
« Questa capacità di giudicare rettamente delle creature è la scienza dei
santi. Si fonda in quel gusto spirituale che n on riposa solamente in D io
ma che si riversa anche sulle creature ordinandole a lui, e form andosi un
giudizio di esse, secondo le loro proprietà» 44.

4° Cf. 11 -11 , 8 , 6 .
41 P. L a l l e m a n t , L a dottrina spirituale princ.4,c,4, a. 3; cf. 11-11,9,2

ad 3.
4’- C f. 11 -11 , 9 ,4 .
43 C f. 11-11,9,2 ad 3.
44 G i o v a n n i d i S. T o m m a s o , In /-//, d.18 a.4, § 3, n .io . C f. M e n é n -
576 LA VITA CRISTIANA N EL SUO SVILU PPO ORDINARIO

2 4 1 . 2. N e c e s s i t à . - I l d o n o della scien za è as­


so lu tam e n te n ece ssa rio a ffin ch é la fe d e p o ss a r a g g iu n ­
ge re il suo p ie n o s v ilu p p o , s o tto u n a sp e tto d iv e r so da
q u e llo ch e a b b ia m o v is to co n sid e ra n d o il d o n o d e ll’in ­
te lle tto . N o n b asta a p p re n d ere le v e r ità riv ela te; è
n ece ssa rio ch e ci v e n g a p u r e d a to u n is tin to so p ra n ­
n atu rale per scoprire e giudicare rettamente delle relazioni
di queste verità divine con i l mondo naturale e sensibile che et
circonda. Senza q u e sto is tin to so p ran n atu rale , la fe d e
co rre re b b e serio p e r ic o lo , p e r c h é , ig n o ra n d o i l m o d o di
m e tte re le crea tu re in re la z io n e c o l m o n d o so p ran n a ­
tu rale , n o i a b b a n d o n e re m m o p ra tic a m e n te la lu ce
d ella fe d e affid a n d o ci c o m p leta m en te alle creatu re.
L ’e sp erien za q u o tid ia n a lo co n fe rm a tr o p p o ch iara­
m e n te .-

2 4 2 . 3. E f f e t t i .

l) Ci insegna a giudicare rettamente delle cose in o r­


dine a - È la caratteristica specifica del dono della
D io.
scienza. « Sotto il suo im pulso, un duplice m ovim ento si de­
termina nell’anima: da una parte l’esperienza del vu o to della
creatura e del suo nulla; dall’altra la rivelazione nel creato
deirorm a di D io . Q uesto medesimo dono della scienza
strappava le lacrime a S. D om enico quando considerava
la sorte dei p overi peccatori, mentre ispirava a S. Francesco
d’A ssisi il suo magnifico Cantico di Frate Sole, dinanzi allo
spettacolo della natura. Entram bi questi sentimenti si tro­
vano espressi in quel noto passo del Cantico Spirituale di
S. G iovann i della Croce, in cui descrive il conforto e in­
sieme il tormento dell’anima mistica dinanzi al creato, per­
ché le cose dell’universo rivelano il passaggio del D iletto,
mentre lui si è involato e si cela invisibile fino a che l’anima
trasformata in lui lo incontrerà, nella visione beatifica» 4S.

d e z - R e ig a d a , L os dones del Espirìtu Santo y la perfección cristiana, 5 0 5 .


45 P . P h ilip o n , L a dottrina spirituale di Suor Elisabetta della Trinità c. 8,
n.6.
VIRTÙ CRISTIANE E DONI DELLO SPIRITO SANTO 577

Il p iim o aspetto faceva esclamare S. Ignazio di Loyola,


quando contem plava la notte stellata: « Q uanto m i sembra
vile la terra, quando contem plo il cielo »; il secondo rende­
va estatico S. G iovann i della Croce dinanzi alla bellezza di
una piccola fonte, di una montagna, di un paesaggio, di un
tramonto, o quando udiva « il carezzevole soffio dell’aria ».
L e cose create viste attraverso il dono della scienza, appari­
vano a S. Paolo com e spalatura che egli disprezzava pur
di guadagnare Cristo (Fil. 3,8); la bellezza di D io , riflessa
nella bellezza e fragranza dei fiori, obbligava S. Paolo della
Croce a dire con trasporto amoroso: « Tacete fiorellini,
tacete ». Q uesto medesimo sentimento dava al Poverello
d’A ssisi quel senso sublime di fraternità universale con tutti
gli esseri usciti dalle mani di D io: « Frate Sole, Frate Lupu,
Sora M orte... ».
Questo dono dava a S. Teresa quella straordinaria faci­
lità a spiegare le cose di D io , valendosi di paragoni e di si­
militudini prese dalle cose create.
2) Ci indica con certezza quello che dobbiamo credere. -
Le anime che godono di questo dono hanno istintivamente
il senso della fede. Senza avere studiato teologia o lettere,
si rendono subito conto se una devozione, una dottrina, un
consiglio, una massima qualunque vanno d’accordo con la
fede o se si oppon gon o ad essa. N o n ne conoscono le ra­
gioni, ma sentono che è così, con una forza ed una sicurezza
irrem ovibile. S. Teresa, nonostante la sua um iltà e la sua sot­
tomissione ai suoi confessori, non potè mai accettare l’erro­
nea dottrina che in certi stadi di orazione conviene prescin­
dere dalla considerazione dell’adorabile umanità di Cri­
sto •t6.
3) Ci fa vedere con prontezza e certezza lo stato della
nostra anim a. - T u tto appare trasparente e chiaro alla pene­
trante introspezione del dono della scienza: « I nostri atti
interni, i m ovim enti segreti del cuore, la loro qualità, i loro
principi, i m otivi e i fini, gli effetti e le conseguenze, il meri­
to e il demerito » 47 . A ragione diceva S. Teresa che in una

46 « ...alcuni m i hanno fa tto o p p o sizio n e e m i hanno detto che n o n m e


ne intendo, ch e diverse so n o le v ie del S ign ore e che q u an d o le anim e han­
no oltrepassati i p rin cipi è m e g lio ch e si distacch in o da tu tte le co se c o r­
poree per n o n esercitarsi che in quelle della D iv in ità . T u tta v ia n o n m i fa ­
ranno m ai confessare che q u esto sia u n b u o n ca m m in o » (Sesie mansioni
7,5; cf. V'ita c . 22,23 e 24, d o v e spiega am piam ente il suo pensiero).
47 P . L a l l e m a n t , L a dottrina spirituale princ.4, c.4, a. 3.
578 LA VITA CRISTIANA NE L S U O SVILU PPO ORDINARIO

camera in cui entra m olto sole non ci sono ragnatele nascoste


{V ita , 19,2).
4) Ci ispira il modo più sicuro di comportarci con il
prossimo in ordine alla vita eterna. - In questo senso, il
dono della scienza, nel suo aspetto pratico, fa sentire il suo
influsso sulla virtù della prudenza, che viene perfezionata
direttamente dal dono del consiglio.
« U n predicatore arriva a conoscere, per m ezzo di que­
sto dono, ciò che deve dire e com e deve insistere presso i
suoi ascoltatori; un direttore conosce Io stato delle anime
affidate alle sue cure; i loro bisogni e i rimedi ai loro difetti;
gli ostacoli che oppongono alla propria perfezione; la via
più breve e più sicura per ben dirigerle; come consolarle o
sgridarle; ciò che D io opera in esse e ciò che esse per conto
proprio devon o fate per cooperare con D io , attuando i suoi
disegni. U n superiore, per il dono della scienza, viene a com ­
prendere com e deve guidare i propri sudditi.
G o d o n o di una m aggiore partecipazione a questo do­
no quelli che p osseggon o una m igliore conoscenza di tutti
questi problem i. Essi infatti v i scoprono diversi gradi di
perfezione, che rim angono sconosciuti agli altri; rintracciano
g li eroismi nella pratica delle virtù; con un semplice sguar­
do hanno la chiara percezione se le azioni sono ispirate da
D io e conform i ai suoi disegni; avvertono subito quando si
scostano, o poco o tanto, dalle vie del Signore. V ed on o
inoltre im perfezioni anche dove g li altri non ne scorgono,
e non succede ad essi di lasciarsi ingannare nei loro senti­
menti o di lasciarsi sorprendere dalle illusioni, cosi diffuse 1
nel m ondo. Se avviene che un’anima scrupolosa si rivolga 1
ad essi, tosto sanno trovare la parola appropriata per gua­
rirla dagli scrupoli. D ovessero rivolgere un’esortazione a
religiosi o a religiose, troverebbero sempre pensieri confor­
mi ai bisogni spirituali di questi ceti e allo spirito del loro
O rdine. Se si p ropongono ad essi casi difficili di coscienza,
li sanno subito risolvere in m odo eccellente. Chiedete loro
la ragione di simili risposte e non v i sapranno rispondere
nulla, perché conoscono tutto ciò senza una particolare ra­
gione, ma per una luce superiore ad ogni ragione. 1
E ra per questo singolare dono che S. V in cen zo Ferreti
otteneva nella predicazione i successi che rileviam o nella sua
biografia. Si affidava allo Spirito Santo nella preparazione 1
delle sue prediche e nella recitazione, e tutti ne rimanevano
commossi. N on tornava difficile convincersi che lo Spirito
Santo era l’anima dei suoi concetti e delle sue parole. Cosi
VIRTÙ CRISTIANE E DONI DELLO SPIRITO SANTO 579

un giorno, dovendo predicare alla presenza di un principe,


credette opportuno un m aggior studio e una diligenza uma­
na per preparare la sua predica a cui si applicò con im pegno
straordinario: m a né il principe n é l ’uditorio furono cosi
soddisfatti di quel discorso, com e invece lo furono quando
udirono il discorso che egli, come di solito, tenne il giorno
seguente, animato unicamente dallo Spirito di D io . E a
chi gli faceva notare il diverso rendimento dei due discorsi:
” G li è che ieri, rispose, era P. V in cen zo che predicava:
o g g i è stato lo Spirito Santo” » ♦
>.
5) Ci distacca dalle cose della terra. - In realtà, questo
non è che una conseguenza dì quel retto giudizio delle cose,
che costituisce la nota tipica del dono della scienza. T utte le
creature sono un nulla davanti a D io «. Per questo occorre
distaccarsene per riposare soltanto in L ui. Però unicamente
il dono della scienza dà ai santi questa profonda convinzio­
ne sulle necessità dell’assoluto distacco che ammiriamo, per
esempio, in S. G iovann i della Croce. Per l’anima illuminata
dal dono della scienza, la creazione è un libro aperto nel
quale scopre senza sforzo il nulla delle creature e il tutto
del Creatore. « L ’anima sua vuole attraversare le creature
senza vederle, per non fermarsi che nel Cristo... L e cose
create, tutte quante valgo n o mai la pena di uno sguardo
per chi, fosse pure una volta sola, ha sentito il Signore ?» 5°.
È curioso leggere l’effetto che produssero in S. Teresa
i gioielli che le mostrò a T o ledo la sua amica D onna Luisa
de la Cerda:
« Una volta, mentre ero con la signora di cui ho parlato,
mi accadde di andar soggetta a quel forte mal di cuore che,
com e ho detto, mi travagliava spessissimo e che ora si è al­
quanto calmato. A llo ra ella, nella sua grande carità, mi fece
vedere gioielli d’oro, pietre di gran prezzo e diamanti di
grandissimo valore, pensando con ciò di sollevarm i, mentre
io nel m io interno, ricordandom i di ciò che il Signore ci tie­
ne preparato, sorridevo di com passione nel vedere in che
miserie m ettono gli uom ini la loro stima, e pensavo che,
m algrado ogn i m io sforzo, non sarei mai riuscita a tenere
quelle cose in qualche conto, a m eno che il Signore non m i
avesse tolto di mente il ricordo di quei beni. Q uesto pensie­
ro conferisce all’anima una superiorità cosi grande da non

48 P . L a l l e m a n t , Ivi.
49 C f. Salita 1,4-
5° Cf. P. P h i l i p o n l .c .
580 LA VITA CRISTIANA N EL S U O SV ILU PPO ORDINARIO

poter essere compresa se non da chi la possiede: un distacco


totale e assoluto effettuato non per propria virtù, ma unica­
mente da D io , il quale non solo fa vedere la nullità delle cose
terrene, ma ne imprime pure nell’anima una persuasione
profonda, facendoci insieme capire che tale noi con le nostre
forze non potrem m o produrcela in cosi breve spazio di
tem po» (V ita 38,4).
6) Ci insegna a usare santamente delle creature. - È
questa un’altra conseguenza naturale e spontanea del retto
giudizio sulle cose create, proprio del dono della scienza.
L ’ essere delle creature è un nulla paragonato con quello di
D io; è certo però che tutte le creature sono briciole cadute
dalla mente di D io P, di cui ci parlano e a cui ci innalzano,
se sappiamo usarne rettamente.
L a contem plazione delle cose create, anche le più insi­
gnificanti che passano inavvertite per la m aggior parte degli
uom ini eleva a D io le anime dei santi.
7) Provoca la contrizione e il pentimento delle colpe pas­
sate. - A lla luce del dono della scienza l’anima scopre il
nulla delle creature, la loro fragilità, la loro vanità, la loro
corta durata, la lo ro im potenza a renderci felici, e quindi
il danno che l’attaccamento ad esse causa all’anima. E quando
pensa al tem po della sua vita, in cui rimase soggetta a tanta
vanità e miseria, sente nell’intim o un vivissim o pentimento,
che si manifesta esternamente con atti di contrizione e di
disprezzo di sé. T ali sentimenti diventano un’esigenza, quasi
una necessità p sicologica e liberano l’anima dal peso che^la
opprime s>.

243. 4 . Beatitudini e frutti che derivano da


tale dono. - A l dono della scienza corrisponde la
terza beatitudine: « Beati quelli che piangon o perché
saranno consolati (M at. 5,5). In quanto il dono della
scienza im porta una retta stim a delle creature in
ordine alla vita eterna, spinge l ’u om o giu sto a pian­
gere le sue colpe passate e le sue illusioni n ell’uso
delle creature (merito della beatitudine).
D a questo retto giud izio e subordinazione delle crea-

51 C f. Salita 1,6,3.
51 C f. 11-11,9,4 ad r.
VIRTÙ CRISTIANE E DONI DELLO SPIRITO SANTO 581

tute al fine soprannaturale, deriva la spirituale consola­


zione, che com incia in questa vita e raggiu n gerà la
sua piena consum azione n ell’altra (premio della beati­
tudine) ,3.
I frutti dello Spirito Santo che si riferiscon o al
dono della scienza sono g li stessi che corrispondono
ai doni dell’intelletto e della sapienza, giacch é tutti e
tre hanno per o g ge tto il vero, in ordine al fine ultim o
soprannaturale. Q uesto don o genera quindi n ell’in­
telletto quella certezza speciale riguardo alle verità
soprannaturali che si chiama fides , e nella vo lo n tà p ro­
duce un certo gusto che è il gaudium o godim ento
spirituale 5 4.

244. ;. V izi contrari al dono della scien­


za. - S. Tom m aso nel p ro lo g o della questione rela­
tiva ai peccati contro il dono d ell'intelletto (II-II, 15),
allude all’ ignoranza com e v izio opposto alla scien­
za, rim andando a quello che di essa aveva già
detto altrove (1-11,76).
II don o della scienza è indispensabile per dissipare
gli errori che in materia di fede e di costum i si infil­
trano in noi a causa della nostra ignoranza. N o n sola­
m ente tra persone incolte, ma anche tra i teo lo gi di
fama, nonostante la sincerità della loro fede e lo sforzo
del loro studio, sono possibili opinioni e pareri m olto
discutibili, che n on possono essere tutti veri, poiché
la verità è una sola. N elT ord iae personale e soggetti­
v o 55 solo lo Spirito Santo, per m ezzo del dono della
sapienza, ci p u ò infondere a m odo di istinto divino
un giusto criterio per n on declinare dalla verità. Certe
persone quasi analfabete fanno m eravigliare i più gran­

53 C f. 1 1 4 1 , 9 , 4 c e t ad i.
54 C f. 1 1 -1 1 ,8 ,8 c e t ad 3.
55 N e ll’ ordine universale e o g g e ttiv o è u n ’ altra cosa m o lto diversa, in
virtù del M a gistero della Chiesa, criterio infallibile d i verità.
582 LA VITA CRISTIANA N EL S U O SVILU PPO ORDINARIO

di te o lo gi per la sicurezza e profon d ità con cui risolvon o


quasi d ’istinto intricate questioni di fede e di m orale.
A quante illusioni van no soggetti nelle vie del Signore
co lo ro che n on sono stati illum inati dal dono della
scienza!
L ’ignoranza volontaria è colp evole e costituisce
un ve ro v izio contrario al dono della scienza 6e; ma an­
che quando il nostro spirito si occupa di van e curiosità
oppure delle scienze umane, ma senza la debita m o­
derazione e trascurando la scienza p iù im portante
della propria santificazione, pone un ostacolo alla lu­
ce dello Spirito Santo. P er questo abuso della scienza
um ana, i m istici di solito si trovan o tra le persone
sem plici e ign oran ti piuttosto che tra g li intellettuali.
F in ch é costo ro n on rinunciano alla lo ro volontaria
cecità e superbia intellettuale, i doni dello Spirito
Santo non opereranno in essi. È spiegabile che G esù
C risto esclami: « T i rendo lod e, o Padre, Signore del
cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose
ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli » (M at.
11,25).

245. 6. Mezzi per fomentare questo dono. -


O ltre il racco gli m ento, la fedeltà alla grazia, l’in ­
vo cazion e allo Spirito Santo, m ezzi generali per fo ­
m entare i suoi doni in n oi, ne ricorderem o alcuni
specifici:
a) Pensare a l la - T a l l i t a delle cose create. - M ai, nonostan­
te tutti i nostri sforzi potrem o con le nostre povere conside-
razioncelle 57 avvicinarci alla penetrante intuizione del
dono della scienza sulla vanità delle cose create; però pos­
siamo fare qualche cosa meditando seriamente su questo
argom ento con le nostre possibilità intellettuali. D io non

56 C f. P . M e n é n d e z - R e i g a d a , L os dones del Espiriti 1 Santo... c.9, n .T ,


p p . 596-600.
57 L ’espressione, di una forza realista insuperabile, è di S. Teresa (Vita,
15, 14)*
VIRTÙ CRISTIANE E DONI DELLO SPIRITO SANTO 583

ci chiede più di quanto possiamo dargli, e chi com pie quanto


può riceverà l ’aiuto per ulteriori progressi 5».
b) A bituarsi a considerare tutto in ordine a D io. - È
un altro procedim ento psicologico per avvicinarci poco a
poco al punto di vista nel quale ci collocherà definitivamente
il dono della scienza. N o n dobbiam o ferm arci alle creature;
la loro bellezza è solo un pallido riflesso di quella divina.
Se ci sforziam o di scoprire in tutte le cose l’orm a di D io ,
prepareremo la via alla sovrum ana azione dello Spirito
in noi.
c) Opporsi allo spirito del mondo. - Il m ondo ha il
triste p rivilegio di vedere tutte le cose esattamente al ro­
vescio di quello che sono. N o n si preoccupa che di godere delle
creature riponendo in esse la sua felicità e voltando com ple­
tamente le spalle a D io . N o n c’è quindi atteggiam ento più
contrario al dono della scienza che ci fa disprezzare le crea­
ture o usare di esse unicamente in ordine a D io . F uggiam o
per quanto ci è possibile le riunioni mondane, nelle quali
si diffondono com e m oneta illegittim a false massime, total­
mente contrarie allo spirito di D io . Rinunciam o a spettacoli
e divertim enti tante volte saturi o almeno influenzati dall’am­
biente malsano del m ondo. Siamo sempre guardinghi per
non lasciarci sorprendere dagli assalti di questo nemico astu­
to che cerca di allontanare là nostra vita dal m ondo sopran­
naturale.
d) Vedere la mano della provvidenza nel governo del m on­
do e in tutti gli avvenim enti prosperi o avversi della nostra
vita. - È piuttosto difficile collocarsi da questo pun­
to di vista, e non v i riuscirem o del tutto senza il dono della
scienza e soprattutto quello della sapienza. D obbiam o ra v vi­
vare la nostra fede nel dogm a della P rovviden za di D io a
nòstro riguardo. Essendo nostro Padre conosce m eglio di
noi ciò di cui abbiamo bisogn o e ci go vern a con infinito
amore, benché n on riusciamo a conoscere i suoi disegni.
e) Preoccuparsi molto della purezza del cuore. - Q ue­
sta attenzione attirerà la benedizione d i D io su di noi. C ’è
una relazione m olto stretta tra la custodia del cuore, il com-

58 Può aiutare in questa fatica la lettura di certe opere che trattano del
m edesimo so g getto. TI V en . P. Granada scrisse m irabili pagine in varie
sue opere, e Fr. D ie g o de Estella com pose il suo Tratado de la vanidad del
mundot ancora attuale.
584 LA VITA CRISTIANA N EL S U O SVILU PPO ORDINARIO

pimento esatto dei nostri doveri, e le illum inazioni che ven­


gono dall’alto: «Super senes intellexi, quia mandata quaesi-
vi» (Sai. 118,100).

A rtico lo II

L a virtù della speranza

S. Th. 1 1 - 1 1 ,1 7 - 2 2 ; S c a r a m e l l i , Direttorio ascetico t .4 a r t . 2; M o n s .


G ay, V ita e virtù cristiane, t . i , t r . 5; C h . d e S m e t , Notre vie Stirnat, I ,
p p . 2 7 2 -3 6 4 ; B a r r e , Tractatus de virtutibus, t e r t i a p a r s c.2,; J a n v i e r , Cavè­
rne 1 9 1 3 ; G a r r i G o u -L a g r a n g e , L e tre età, I I I , i 8 ; I V , i i ; T a n q u e r e t , Com­
pendio di Teologia ascetica e mìstica, n.n. 1190-1 2 0 6 ; P r u m m e r , Manuale Theo-
logiae Moralis, I , nn. 533-5 50.

246. x. N o z io n i. - i ) L a speranza è una virtù


teologale infusa da D io nella volontà, per cui confidiamo
con certezza di ottenere la vita eterna e i mes^i necessari
per giungervi con l'aiuto di D ìo.
Soggetto materiale primario della speranza è la beati­
tudine eterna e quello secondario tutti i m ezzi che ad essa
conducono. L ’oggetto formale « quod » è D io stesso, in quanto
beatitudine oggettiva d ell’uom o, e il m otivo form ale della
speranza (oggetto formale « quo ») è l’onnipotenza ausiliatrice
di D io m isericordioso e fedele alle sue promesse.

2) L a speranza risiede nella volontà, giacché il suo


atto p rop rio è un m ovim ento d ell’appetito razionale
verso il bene, o g ge tto proprio della v o lo n tà 1.
3 ) L a carità e la fede sono più perfette della spe­
ranza 2. Assolutam ente parlando, la fede e la speranza
possono sussistere senza la carità (fede e speranza
informi), però nessuna virtù infusa può sussistere sen­
za la fede 3.

1 C f . I I - I I , i 8 ,i .
3 C f. 11-11,17,7-8.
3 c.f. 1-11,65,4-5.
VIRTÙ CRISTIANE E DONI DELLO SPIRITO SANTO 585

4) L a speranza tende con certezza assoluta al suo o g ­


getto 4, quantunque non possiam o essere certi che ci
salverem o effettivam ente, senza una rivelazione spe­
ciale (D enz. 305), possiam o e dobbiam o avere la
certezza assoluta che, appoggiati alFonnipotenza ausilia-
trice dì D io , nessun ostacolo ci p u ò im pedire di raggiu n ­
gere la salvezza. È quindi una certezza di inclinazione o
di motivo, non basata sulla conoscenza infallibile dì un
even to futuro 5.
5) A n ch e i beni di questo m ondo form an o l ’oggetto
secondario della speranza, ma unicam ente in quanto
possono essere utili alla salvezza. Per questo, dice
S. Tom m aso che fu ori della salvezza dell’anim a non
dobbiam o chiedere a D io nessun altro bene, a meno
che non sia in ordine alla medesima 6.
6) L a speranza teologale è im possibile negli infe­
deli e negli eretici, perché nessuna virtù infusa sussiste
senza la fede. Possono averla (benché inform e) i
fedeli peccatori, che non sono disperati. Si trova p ro­
priam ente nei giusti della terra e nelle anim e del Pur­
gatorio. N o n ce l ’hanno i dannati dell’inferno, perché
non possono sperare, n é i beati del cielo perché g o ­
dono già il bene infinito che hanno sperato. N em m eno
Cristo ebbe questa virtù sulla terra, perché anche
nella sua vita terrena go d eva della visione beatifica ’ .
7) L ’ atto di speranza (benché inform e) è per sé
stesso onesto e virtuoso (contro C alvin o, Baio e i
G iansenisti, i quali afferm avano che qualsiasi atto
di virtù realizzato per la speranza del prem io eterno
è egoista e im m orale). Ce lo dice espressamente la Sa­
cra Scrittura ,8 e lo dim ostra la ragione teologica, giac­

4 Cf. 11-11,18,4. C f. D enz. 806.


5 Cf. R a m i r e z , D e certìtudine speì christianae, Salamanca, 1938.
6 Cf. II-II,i7 ,2 ad 2.
7 Cf. H-11,18,2-3.
- Si vedano, per esempio i seguenti testi: « In clin avi cor meum ad fa-
586 LA VITA CRISTIANA N EL S U O SVILU PPO ORDINARIO

ché la vita eterna è il fine ultim o soprannaUirale dell’u o­


mo: quindi operate con lo sguardo riv o lto a questo fi­
ne non solo è onesto, m a necessario. L a dottrina contraria
è stata condannata dalla Chiesa (D enz. 1303).
8) N o n c ’è quindi in questa vita nessuno stato di
perfezione che abitualm ente escluda i m otivi della
speranza. Tale fu l ’errore dei Q uietisti e Sem iquietisti,
condannati anch’essi dalla Chiesa (D enz. 1227, 1232,
1327 ss.).
I Giansenisti e Quietisti affermavano che l’operare per
la speranza è immorale o almeno im perfetto, perché imma­
ginavano che in questo m odo si desidera Iddio com e un
bene per noi, subordinando Iddio alla nostra propria felicità.
N o n è cosi. Spiega il card. G aetano (In Il-II, 17,5 n .6)
« A liu d est concupiscere h oc mihi, et aliud concupiscere:
propter me». Desideriam o D io per noi, non però a causa
o a m otivo di n oi stessi, ma per sé stesso. D io è il fine del­
l’atto di speranza, non noi; invece quando desideriamo una
cosa inferiore (per es. l ’alimento materiale), la desideriamo
per noi stessi e a causa di noi: nobis et propter nos.

2. P e c c a t i c o n tr o l a s p e r a n z a . - San Tom m aso


spiega che alla speranza si o p p on go n o due vizi: uno
per difetto, la disperazione, che considera im possibile la
salvezza eterna e p roviene specialm ente accidia
(pigrizia spirituale) e dalla lussuria; e un altro p e r ecces­
so, h.presunzione, che riveste due form e principali: quella
che considera la beatitudine eterna com e raggiu n gib ile
con le proprie forze e senza l ’aiuto della grazia (presun­
zione eretica), e quella che spera di salvarsi senza
il pentim ento dei peccati o di ottenere la gloria
senza m erito alcuno (peccato con tro lo Spirito

ciendas iustificationes tuas in aetfemum propter retributionem » (Sai. 118-


112); «Q uaerite prim um regnim i D ei et iustitiam eius... » (Mat. 6 ,33);
« Q u a e sursum sunt quaerite... » (Col. 3,1); « A spiciebat (M oyses) in remu­
nera tionem » (Ebr. 11-26) ecc.
VIRTÙ CRISTIANE E DONI DELLO SPIRITO SANTO 587

Santo). L a presunzione provien e dalla vanagloria e


dalla superbia 9.

247. 3. L o s v ilu p p o d e lla sp era n za . - V ed rem o


le principali fasi del suo svilu p po attraverso le d if­
ferenti tappe della vita spirituale.

oc) I principianti.
1) Anzitutto cercheranno di evitare due scogli che
fanno naufragare la speranza: la presunzione e la dispera­
zione. Per evitare il prim o, devono considerare che senza la
grazia di D io non possono assolutamente far nulla nell’o r­
dine soprannaturale: « Sine me nihil potestis facere » (G io v.
15,5), neppure avere un buon pensiero o pronunciare frut­
tuosamente il nom e di G esù (iC o r. 12,3). T engano presente
che D io è infinitamente buono e m isericordioso, m a anche
infinitamente giusto, che nessuno quindi può burlarsi di L u i
(Gal. 6,7). E g li vu o le salvarci, ma a condizione che n oi coope­
riamo volontariam ente alla sua grazia (iC o r , 15,10) e ope­
riamo la nostra salvezza con tim ore e trem ore (Fil. 2,12).
Contro la disperazione e lo scoraggiam ento ricorderanno
che la m isericordia di D io perdona sempre al peccatore pen­
tito, che la violenza dei nostri nemici non potrà mai vincere
l’aiuto di D io , perché con la sua grazia noi possiam o tutto
(Fil. 4,13). D o p o le cadute occorre riprendere il cammino
con m aggiore slancio, prendendo occasione dalla stessa man­
canza per raddoppiare la vigilanza e lo sforzo: « D iligentibus
D eum omnia cooperantur in bonum » dice S. P aolo (Rom.
8,28) e S. A go stin o aggiunge coraggiosam ente: « etiam
peccata ».
2) Procureranno di innalzare il loro sguardo a l cielo:
a. Per dispreizare le cose della terra. - Nessuna creatura può
soddisfare il cuore dell’u om o, nel quale D io ha posto una
aspirazione all’infinito. E quand’anche riuscisse a soddisfar­
lo del tutto si tratterebbe pur sempre di una felicità fugace
e transitoria, com e la vita stessa dell’uom o e della terra.
Piaceri, denaro, onori e applausi, tutto passa e svanisce
come il fum o. A v e v a ragione S. Francesco B orgia di escla­
mare: « N o n servirò più a un signore che può morire ».

9 Cf. 11-11,20-21.
588 LA VITA CRISTIANA N EL S U O SVILU PPO ORDINARIO

In fin dei conti: « Che gio va all’uom o guadagnare tutto il


m ondo, se perde la sua anima per tutta l’eternità ? » (Matt.
16,26).
b. Per consolarsi nei travagli della vita. - La terra è un
luogo d’esilio, una valle di lacrime e di miserie. Il dolore ci
accom pagna inevitabilmente dalla culla alla tomba. Però
la speranza cristiana ci ricorda che tutte le sofferenze di que­
sta vita sono un nulla in paragone della gloria che si manife­
sterà in noi (Rom. 8,13). e che se sappiamo sopportarle san­
tamente, queste tribolazioni ci preparano una sublime e
incomparabile felicità (2Cor. 4,17).
c. Per animarsi ad essere buoni. - Costa m olto praticare
la virtù, occorre rinunziare ai propri gusti e ricacciare i con­
tinui assalti del m ondo, del demonio e della carne, soprat­
tutto al principio della vita spirituale. T uttavia sollevar?
un p o ’ i n o s tri1occhi' al cielo infonde coraggio e fiducif
Più innanzi, quando l ’anima avanzerà per le vie dell’union
con D io , i m otivi dell’amore disinteressato prevarranno su
quelli della propria felicità, che tuttavia non saranno mai
del tutto abbandonati (errore quietista). T utti i santi tro­
vano nella nostalgia del cielo uno dei più forti stimoli per
progredire senza soste sulla via della santità.

fi) L e anime proficìentì.


A misura che l’anima progredisce nelle vie della perfe­
zione, procurerà di coltivare la virtù della speranza intensi­
ficando per quanto può la sua fiducia in D io e nel suo aiuto.
Perciò:
1) Non si preoccuperà eccessivamente del domani. -
Siamo nelle mani del nostro buon D io : nulla ci mancherà
se abbiamo fiducia in L u i e speriamo tutto da Lui: sia nell’o r­
dine temporale: (vedete i gig li del cam po... vedete gli uccelli
dell’aria... «quanto più v o i,u o m in i di poca fede»(M at.6,25-
34j, sia nell’ordine della grazia: « fig o veni ut vitam habeant
et abundantius habeant» (G io v. 10,10); « E t estis in ilio re-
pleti, qui est caput omnis principatus et potestatis » (Col.
2,10).
2) Semplificherà sempre più la sua orazione. - « Q uando
pregate non parlate m olto... perché il vostro Padre celeste
già conosce le cose dì cui avete bisogn o prima che gliele
chiediate » (Mat. 6,7-16). Il Padre nostro sarà la sua preghie­
ra preferita, insieme con le altre preghiere del V angelo
VIRTÙ CRISTIANE E DONI DELLO SPIRITO SANTO 589

tanto brevi, semplici e piene di fiducia nella bontà e miseri­


cordia di D io: « Signore colui che ami è ammalato...; Se
tu vu oi puoi m ondarm i...; Fa’ che io veda...; Insegnaci a
pregare...; Aum entaci la fede...; M ostraci il Padre e questo
ci basta». L ’anima deve sforzarsi di conseguire quella fi­
ducia ingenua, semplice e infantile che strappava i miracoli
al Cuore di Gesù.
3) Praticherà più dei principianti il suo distacco dai beni del­
la terra. - Che cosa valgon o tutte le creature dinanzi ad
un sorriso di D io ? « D a quando ho conosciuto G esù Cristo,
nessuna c o s a , creata m i è parsa sufficientemente bella da
doverla guardare con cupidigia » (P. Lacordaire). A l pen­
siero della bellezza di D io l’anima potrà rinunciare con fa­
cilità a tutte le cose terrene, ai piaceri e ai divertim enti, agli
applausi e agli onori, alla ricchezza e alle com odità, le tre
concupiscenze che tengono soggette tante anime impeden­
do loro di volare verso il cielo (iG io v . 2,16).
4) Avanzerà con grande fiducia per le vie dell’unione con
D io. - N ulla può trattenerla se ella vu ole avanzare ad
ogni costo. D io che la chiama ad una vita di intima unione
con L ui, le tende la sua mano divina con l’assoluta garanzia
della sua onnipotenza, della sua misericordia e della sua fe­
deltà alle promesse. Il m ondo, il demonio e la carne le di­
chiareranno guerra spietata però « quanti sperano nel Si­
gnore rinnovano le loro forze, m ettono ali di aquila, corrono
senza stancarsi e avanzano senza fatica» (Is. 40,31). S. G io ­
vanni della Croce diceva che, rivestito della verde livrea
della speranza, l ’anima è tanto gradita all’A m ato, che da' lui
ottiene tutto ciò che s p e ra » 10. L ’anima che, nonostante
tutte le contrarietà e tutti gli ostacoli, segue animosamente
il suo cammino confidando in D io , giungerà senza alcun dub­
bio alla vetta della perfezione.

y) L e anime perfette.

In esse la virtù della speranza, rafforzata dai doni dello


Spirito Santo, raggiunge la sua massima intensità e perfe­
zione e riveste le seguenti caratteristiche:
1) Illim itata fiducia in D io. - N ulla può scoraggiare
queste anime quando si dedicano ad una impresa nella quale è

10 Notte 11,21,8.
590 LA VITA CRISTIANA NEL S U O SV ILU PPO ORDINARIO

in gio co la gloria divina. Si direbbe che le contraddizioni e


g li ostacoli anziché infiacchirle, intensifichino e aumentino
la loro fiducia. Si ricordino per esempio gli ostacoli che do­
vette superare S. Teresa di G esù per la riform a carmelitana e
la fermissima sicurezza dell’esito con cui intraprese quell’o ­
pera superiore alle sue forze, confidando unicamente in
D io ” . G iun gono, com e S. Paolo dice di A brafno, « a spe­
rare contro ogn i speranza» (Rom. 4,18). Sono disposte in
ogn i mom ento a ripetere la frase eroica di G iobbe: « A nche
se mi uccidesse spererò in L u i» (G iob. 13,15).
2) Pace e serenità inalterabili. - È una conseguenza
della loro illimitata fiducia in D io . N iente può turbare la
calma del lo ro spirito: burle, persecuzioni, calunnie, ingiurie
malattie, insuccessi, tutto scorre sulla loro anima com e l ’ac­
qua sul marmo, senza lasciare la minima traccia né alterare
la serenità del loro spirito. A l santo Curato d’A rs dànno
uno schiaffo ed egli si lim ita a dire sorridendo: « A m ico,
l’altra guancia ne avrà invidia ». S. L u igi Beltran bevette
inavvertitam ente una bibita avvelenata e rimase tranquillo
quando lo seppe. S. Carlo Borrom eo continua imperturba­
to la recita del Rosario dopo che un colpo d’archibugio gli
ha sfiorato il viso. S. G iacinto di Polonia non si difende
p ur sapendo di essere calunniato e spera che D io farà luce
sul m istero. Che pace, che serenità e che fiducia in D io sup­
p ongon o questi esempi eroici dei santi. Si direbbe che le
lo ro anime hanno perduto il contatto di questo m ondo e

, IX E cco alcune espressioni, nelle quali la santa m ostra la sua incrollabile


fiducia nel Signore: « Si fa ben p o co se n on deponiam o o gn i fiducia di noi
stessi per riporla tutta nel Sign o re» {V ita 8,12);« m ettevo o gn i mìa fiducia |
in D io » (Ivi, 9,3).; « s e le rendite prom esse erano scarse, bisognava fidarsi :
della Pro vvid en za» (Ivi, 37,17); « n o n ved o ragioni per cui temere che D io
d ebba mancare alle sue serve» (Relazione 2); « se finora m i sem brava d’a- |
v er bisogn o d egli altri sino ad appoggiarm i m olto su gli aiuti del m ondo, !
o ra invece m ’accorgo che g li uom ini non sono che aridi fuscelli di rosmari­
n o » (Ivi, 3,1); « ero persuasissima che Id d io n on avrebbe mai m ancato ad
anime che d’altro n on si preoccupavano che di piacergli» (Fondazioni 1,2); i
« il co raggio n on m i venne m ai m eno: speravo sem pre» {Ivi, 2,6); « m ona­
steri senza rendite ne fonderei in gran num ero senza che m i mancasse il ì
c o ra ggio e la confidenza» (Ivi, 20,13); « n o n m i aveva ancora abbandonata f
la confidenza che sono solita avere nel Signore» (Ivi, 25,1); « se metterete
in L u i o gn i vostra fiducia... m ai temerete che v i venga a mancare qualche
co sa » (Ivi, 27,12).
VIRTÙ CRISTIANE E DONI DELLO SPIRITO SANTO 591
«rim angono im m obili e tranquille com e se si trovassero
nell’eternità » (St. Elisabetta della Trinità).
3) Desiderio di m orire per cambiare l’ esilio con la pa­
tria. - È uno dei più chiari segni della perfezione della
speranza. La natura sente un istintivo orrore per la morte.
Solo quando la grazia si impossessa profondam ente di un’a­
nima le dà una visione più esatta e reale delle cose, ed essa
incom incia a desiderare la morte terrena per vivere la vera
vita.
A llora il « m orior quia non m orior» di S. A go stin o ri­
petuto più tardi da S. Teresa e da S. G iovanni della C roce,
costituisce lo spasimo ardente di tutti i santi.
4) I l cielo iniziato sulla terra. - I santi desiderano dì
morire per volare al cielo; in realtà la loro vita celeste inco­
mincia già sulla terra. U n responsorio della liturgia domeni­
cana dice che i servi di D io vivo n o sulla terra soltanto'
con il corpo; però la loro anima e il loro desiderio sono già
fissi in cielo È la traduzione pura e semplice del detto
paolino: «N ostra conversatio in coelis est» (Fil. 3,20) che
costituiva il program m a dell’A postolo delle genti.

IL DONO DEL TIM OR E

S. T h ., 11-11,19. — Si veda inoltre la nota bibliografica del n. 234.

L e sublim i disposizioni dei santi che abbiam o ri­


cordato sono evidentem ente effetto dei doni dello-
Spirito Santo: le virtù per sé stesse n on arrivano mai
a queste altezze, e sfu g go n o alla regola della povera,
ragione umana, anche illum inata dalla fede.
Secondo S. Tom m aso il dono che perfeziona la.
virtù della speranza è quello del timore.

248. 1. N a tu r a . - Il dono del tim ore è un abi­


to soprannaturale per cui i l giusto, sotto l ’influsso dello Spi­

12 « Quonìam in hac peregrinatione solo corpore consiiiutus, cogitatione


et aviditate in illa aeierna patria conversata* est » (Comune di un confessore
nel Breviario Domenicano).
592 LA VITA CRISTIANA NEL S U O SVILU PPO ORDINARIO

rito Santo, acquista una speciale docilità per sottomettersi


totalmente alla divina volontà a cagione della riverenza dovu­
ta alla maestà di D io che può infliggere un male.
Per intendere questa definizione è necessario risolvere
con S. Tom m aso una questione preliminare: « È possibile
che D io sia tem uto ? ». Si può rispondere dicendo che D io
in sé stesso com e suprema ed infinita bontà, non può essere
oggetto di tim ore, ma soltanto di amore. Tuttavia, può e
dev’essere tem uto, poiché in pena delle nostre colpe ci può
infliggere qualche male N el rispondere ad una obiezione,
S. Tom m aso armonizza il timore e la speranza — che a pri­
ma vista sembrano incom patibili — dicendo che in D io c’è
giustizia e misericordia, la prima delle quali eccita in noi il
tim ore e la seconda la speranza. Cosi per ragioni diverse
D io è o ggetto di timore e di speranza.

È necessario esam inare la natura di questo tim ore


perché ce ne sono di m olte specie e non tutti sono doni
dello Spirito Santo. S. T om m aso nella questione ci­
tata ne distingue quattro: il tim ore mondano, servile,
filiale e iniziale.
Il timore mondano è quello che non esita a offendere D io
per evitare un male temporale (per esempio apostatando dalla
fede per evitare i torm enti del tiranno). Q uesto timore è
sempre cattivo, giacché pone il suo fine in questo m ondo,
opponendosi a D io (art. 3). Yugge la pena temporale a prezzo
dell'offesa di Dio.
Il timore servile serve D io e com pie la sua volontà per
evitare i mali che diversamente cadrebbero su di noi: ca­
stighi temporali ed eterni. Q uesto timore benché imperfetto
è buono nella sua sostanza (art.4); infatti ci fa evitare il pec­
cato ed è ordinato a D io com e a suo fine, non considerando
la pena come l’unico male; se cosi fosse, sarebbe cattivo e
peccaminoso (art. 6) 1 <.

C f. 11-11,19,1 c et ad 2.
M L a retta intelligenza delia m oralità del timore servile offre qualche d if­
ficoltà, Per dissiparla si tenga presente che il timore della pena può influire
in tre maniere su colui che realizza una buona azione o non com m ette un
peccato: a) C o m e causa unica; per esem pio: « Com m etterei il peccato se non
ci fosse l’inferno». In questo senso si chiama tim ore servilmente servile
VIRTÙ CRISTIANE E DONI DELLO SPIRITO SANTO 593

Il tim ote filiale, chiamato anche riverenziale e casto, ser­


ve D io e compie la sua volontà fuggendo la colpa solo per­
ché è offesa di D io e per il timore di essere separato da L ui.
Si chiama filiale perché è proprio dei figli temere la separa­
zione dal loro padre. Q uesto timore evidentemente è buono
e perfetto: fugge la colpa anche prescindendo dalla pena.
Il timore iniziale occupa un posto interm edio tra gli ul­
timi due. F u gge dalla colpa principalmente in quanto offesa
di D io , però v i mescola un certo timore della pena. Q uesto
timore è m igliore di quello servile, ma inferiore a quello
filiale.
O ra quale di questi tim ori è dono dello Spirito Santo ?
Evidentem ente non lo possono essere il timore mon­
dano né quello servile. 11 prim o perché è peccaminoso; il
secondo perché, quantunque per sè non sia cattivo, può
esistere nel peccatore in quanto una grazia attuale lo m uove
al dolore di attrizione per il timore della pena. Q uesto timore
però non è connesso ancora con la carità né, per conseguen­
za, coi doni dello Spirito Santo.
Secondo S. Tom m aso (art.9) solo il timore filiale entra
a far parte del dono del timore, perché si fonda nella carità
e nella riverenza dovuta a D io come padre e teme di sepa­
rarsi da L u i con la colpa. M a siccome il tim ore iniziale non
differisce sostanzialmente da quello filiale (art.8), anche quel­
lo fa parte del dono del timore, benché solo nelle sue mani­
festazioni incipienti e imperfette. A misura che cresce la
carità, questo timore iniziale si va purificando, perde il suo
aspetto servile, per fissarsi unicamente nel tim ore della col­
pa in quanto offesa a D ìo.

ed è cattivo e peccam inoso, perchè, sebbene di fatto eviti la materialità


del peccato, incorre formalmente ’n esso per l ’affetto che gli piofessa.; non
g l’importerebbe nulla l’offesa di D io se non portasse con sé la pena, b)
Com e causa remota aggiunta alla prossim a e principale; per esem pio, « N o n
vo g lio peccare, perchè è offesa di D io e inoltre ridonderebbe a m io danno ».
In questo senso il tim ore è buono e onesto (è il tim ore iniziale), c) Com e
causa prossima, benché non escluda u n ’altra ragione suprema; per esempio:
« N o n v o g lio com m ettere questo peccato perché mi condurrebbe all’infer­
n o, oltre ad essere offesa di D io ». Questo è il timore semplicemente ser­
vile; è senza dubbio im perfetto, però è sostanzialmente onesto, dal m om ento
che, sia pure remotamente (per questo è im perfetto), respinge anche com e ra­
gione suprema l ’offesa d i D io in quanto tale. U n fine prossimo inferiore può
essere subordinato a un altro fine remoto superiore: sono due cose perfetta­
mente compatibili.
594 LA VITA CRISTIANA N EL S U O SVILU PPO ORDINARIO

N ella Sacra Scrittura è detto che « il timore di D io è


il principio della sapienza» (Sai. n o ,io ) . Però non quanto
zlVesien^a della sapienza speculativa (i primi principi della
quale sono gli articoli della fede), ma quanto alla sapienza
pratica il cui prim o effetto è quello di assoggettarci alla leg­
ge di D io che si consegue imperfettamente per m ezzo del
timore servile e con ogn i perfezione co l timore filiale
(art.7).
Il dono del timore rimarrà in cielo. Escluso il timore
servile che non è dono dello Spirito Santo e quello iniziale,
giacché nessuna pena sarà allora possibile, resterà il timore
filiale e unicamente nel suo aspetto riverenziale, verso la
maestà di D io , non nel suo aspetto di tim ore dell’offesa,
che sarà im possibile per l ’impeccabilità connessa alla bea­
titudine (a rt.n ).

249. 2. N e c e s s ità . - L a necessità dei doni, in


generale, si desume d all’im perfezione con cui senza di
essi pratichiam o le virtù infuse.
T re virtù specialm ente hanno b isogn o di essere raf­
forzate mediante il dono del tim ore: la speranza, la
temperanza e l ’ um iltà 15.
d) L a s p e r a n z a . - L ’uom o sente una naturale p ro­
pensione ad amare disordinatam ente se stesso, a presu­
mere di essere, di valere o dì potere qualche cosa per
raggiun gere la felicità eterna. È il peccato di presun­
zione contrario alla virtù della speranza che soltanto il
d ono del tim ore potrà sradicare in noi, dandoci il
sentimento soprannaturale della nostra impotenza- T ale sen­
tim ento ci indurrà ad appoggiarci unicam ente all’ on­
nipotenza di D io , m otivo form ale della speranza, la
quale senza il dono del tim ore n on giungerà mai alla
perfezione 16.
b) L a t e m p e r a n z a . - S T om m aso dice che il do­
no del tim ore mira principalm ente a D io di cui ci fa

*5 C f . M e n é n d e z -R e ig a d a , L os dones del Esplritu Santo... c .8 , n .T ,


PP- 5 75-8 4 .
16 C f . I I - I I si 9 ,9 a d 1 et 2; 1 4 1 , 1 ad 3.
VIRTÙ CRISTIANE E DONI DELLO SPIRITO SANTO 595

evitare l’ offesa, e in questo senso appartiene alla v ir­


tù della speranza. Però secondariam ente p u ò riferirsi
a un’altra cosa dalla quale l’uom o si allontana per
evitare l ’ offesa di D io . In questo senso il dono del ti­
m ore corregge la tendenza più disordinata che l’ uom o
sperim enta in sé stesso, quella dei piaceri carnali, aiu­
tando e rafforzando la virtù della tem peranza 17.
c) L ’ u m i l t à . - U n autore contem poraneo scrive:
« L ’uom o ama anzitutto la sua grandezza, tende a dila­
tarsi, ad allargarsi più di quanto gli conviene, il che costi­
tuisce l’orgo glio e la superbia; l’umiltà lo riconduce ai suoi
giusti lim iti, affinché non pretenda di essere più di quello
che è, secondo la retta ragione. In questo senso conduce
allo stesso fine del timore, il quale sommerge l’anima nel­
l’ abisso del suo niente dinanzi al tutto di D io , nelle pro­
fondità della sua miseria dinanzi all’infinita giustizia e mae­
stà di D io . L ’anima cosi penetrata da questo dono, avver­
tendo il proprio nulla dinanzi a D io e non avendo di suo
che miserie e peccati, non cerca per sé stessa né grandezza
né gloria alcuna fuori di D io , e si ritiene m eritevole sola­
mente di disprezzo e castigo. Cosi l’umiltà può giungere
alla sua perfezione » l8.

Il dono del tim ore fa inoltre sentire la sua influenza


su altre virtù connesse in qualche m aniera con quelle
ora considerate. N o n c ’è v irtù m orale che, attraverso
una virtù teologale o cardinale, non riceva l ’influsso
di qualche d on o dello Spirito Santo. A ttraverso la tem ­
peranza il dono del tim ore opera sulla castità, portan­
dola sino alla più squisita delicatezza; sulla mansuetu­
dine, reprim endo totalm ente l ’ira disordinata; sulla
modestia, sopprim endo nella maniera più assoluta
qualsiasi m ovim ento disordinato interno o esterno,
com batte infine le passioni che con la van agloria sono
le figlie della superbia: la iattanza, la presunzione, l ’ipo­

*7 Cf. II-II,141,1 ad 3.
18 C f. G . M é n e n d e z - R e i g a d a pp. 579-80; c f . 11-11,19,9 ad 4.
596 LA VITA CRISTIANA NEL S U O SVILU PPO ORDINARIO

crisi'», la pertinacia, la discordia e la disobbedienza 19.

250. 3. E ft e t t i. - Sono inapprezzabili gli ef­


fetti santificanti p rod otti nelle anim e dal dono del
tim ore, sebbene sia l ’ultim o e il m eno perfetto di
tutti 2 “. I principali sono;
l) Un vivo sentimento della grandezza e della maestà di Dio
che ci porta ad una profonda adorazione, piena di riverenza e di
umiltà.
È l’effetto più caratteristico del dono del timore: l’a­
nima sotto la sua azione si sente trasportata irresistibilmente
davanti alla grandezza e maestà di D io , che fa tremare
gli stessi angeli: <( tremunt potestates ». D inanzi a tale in­
fin ita maestà si sente nulla e meno di nulla. A llo ra si im­
padronisce di lei un sentimento tanto forte e penetrante
di riverenza e sottom issione che desidererebbe distrugger­
si e patire mille volte la morte per D io.
L a sua um iltà raggiunge le vette desiderando immen­
samente « di patire ed essere disprezzata per D io » (S. G iovan ­
ni della Croce). N o n la tormenta più alcun pensiero di va­
nità o presunzione. V ed e tanto chiaramente la sua mise­
ria, che quando, la lodano, le pare che si burlino di lei
(Curato d’A rs). S. D om enico si inginocchiava all’ingres­
so dei paesi chiedendo a D io che non castigasse quella popo­
lazione presso la quale sarebbe rimasto un peccatore tanto
grande. S. Teresa dice che il m odo m igliore per attirarsi
la simpatia e l ’amicizia di questi servi di D io è quello di
ingiuriarli e coprirli d’im properi.
Q uesto rispetto e riverenza per D io si manifesta anche
in tutte le cose che in qualche m odo sono in relazione con
lui: i luogh i, le persone, le cose sacre ven gono considera­
ti e trattati con grandissimo rispetto e venerazione. A nche
il dono della pietà produce effetti simili, ma da un altro
punto di vista 3I.
2) Un grande orrore per il peccato e un vivissimo dolore
di averlo commesso.
Illuminata dai doni dell’intelletto e della scienza e sot­
tomessa all’azione del timore, l’anima comprende la malizia

Cf. 11-11,132,5.
» Cf. n-11,19,9.
-1 Cf. II-IX, 19, n .
"VIRTÙ CRISTIANE li DONI DELLO SPIRITO SANTO 597

in certo m odo infinita che racchiude qualsiasi offesa di


D io , per quanto insignificante appaia. L o Spirito Santo
che vuole purificare l’anima per portarla all’unione divina
per m ezzo del dono del timore, le fa sperimentare in anti­
cipo il rigore con cui la divina giustizia offesa per il peccato
dovrà castigarla nell’altra vita, se non com pie in questa
la dovuta penitenza. L a povera anima sperimenta allora
angosce mortali, che raggiungono la massima intensità
nell’orrenda notte dello spirito. L e pare di essere irrimedia­
bilmente dannata e di non poter più sperare nulla. L a spe­
ranza allora giunge realmente ad un incredibile grado di
eroismo perché l’anima « spera contro ogni speranza », co­
me A bram o (Rom. 4,18).
L ’orrore che sperimentano queste anime per il peccato
è enorme: S. L u igi G onzaga sveniva ai piedi del confessore
dopo essersi accusato di due lievi mancanze veniali; S. A l­
fonso de’ L igu o ri sperimentò un simile fenom eno quando
udì pronunciare una bestemmia; S. Teresa di G esù scrive
che « non v ’è m orte più dura del pensiero di aver offeso-
il Signore » (V ita 34,10); S. L u igi Beltran tremava talmente
quando pensava alla possibilità di dannarsi, che faceva
tintinnare i vetri della sua abitazione.
Il pentim ento anche per le mancanze più piccole è vi­
vissim o. D a esso procede l’ansia riparatrice, la sete di espia­
zione, la tendenza irresistibile a crocifiggersi in mille manie­
re che p rovan o queste anime. N on sono pazze: tutto ciò
è una conseguenza naturale delle em ozioni dello Spirito San­
to attraverso il dono del timore.
3 ) Una estrema vigilanza per evitare le più piccole occasio­
ni di offendere Iddio.
Queste anime non tem ono nulla quanto la più piccola
offesa di D io. H anno visto chiaramente alla luce dei doni
dello Spirito Santo che in realtà il peccato è l’unico male
sulla terra. Una vigilanza estrema e una costante attenzione
fanno si che queste anime vìvano sotto la m ozione speciale
dello Spirito Santo con una purezza di coscienza tanto
grande che a volte rende loro im possibile — per mancanza
di materia — ricevere l’assoluzione sacramentale, a meno
che non si accusino di qualche mancanza della vita passata.
4) Distacco perfetto da tutte le creature.
A nche il dono della scienza produce questo effetto nel­
l’anima, però da un altro punto di vista: il m otivo è che.
i doni sono connessi tra loro e con la carità e quindi si
598 LA VITA CRISTIANA NEL S U O SVILU PPO ORDINARIO

influenzano vicendevolmente “ . L ’anima che, attraverso


il dono del timore, ha intravvisto un raggio della grandezza
e maestà di D io, deve necessariamente stimare come spaz­
iatura tutte le grandezze, gli onori, le ricchezze e i piaceri
di questa terra. Si ricordi l’effetto che produssero in S.
Teresa i gioielli che le mostrò a Toledo Donna Luisa de
la Cerda; non poteva concepire come la gente possa pro­
vare stima per alcuni piccoli cristalli che brillano un po’
più di quelli ordinari (Vita 38,4).

251 . 4. B e a titu d in i e fr u tti c h e d eriv a n o da


q u e s to d o n o . - Secondo il D o tto re angelico con il
don o del tim ore stanno in relazione due beatitudini:
la prima: « Beati i p o veri di spirito perché di essi è
il regn o dei cieli» (M at. 5,3) e la terza: « Beati
quelli che piangon o, perché saranno consolati » (Mat.
5,5). L a prim a corrisponde direttamente al don o del
tim ore, giacché, in virtù della riverenza filiale che
esso ci fa sentire dinanzi a D io , ci spinge a non
cercare la grandezza nella esaltazione di n oi stes­
si, n é nei beni terreni (onori e ricchezze). T u tto
questo appartiene alla p o vertà di spirito, sia intesa
com e annientam ento dello spirito superbo e gonfio
di sé, sia intesa com e distacco da tutte le cose tem ­
p orali per istinto dello Spirito Santo 23.
Indirettamente, al dono del tim ore corrisponde an­
ch e la terza beatitudine 24. Infatti dalla conoscenza
della divina eccellenza e della nostra miseria deriva
i l disprezzo di tutte le cose terrene e la rinuncia ai
piaceri sensibili, accom pagnata dal dolore e dal pianto
p e r le colpe passate. Il dono del tim ore raffrena quindi
tutte le passioni, sia quelle dell’appetito irascibile,
•come quelle dell’appetito concupiscibile.
T ra i fru tti dello Spìrito Santo, che si riferiscono al

» c f . 1-11,68,5.
>3 Cf. 11 -11 , 1 9 , 1 2 .
-4 Cf. 11-11,19,12 ad 2.
V IR T Ù C R IS T IA N E E D ON I D E L L O S P IR IT O SA N T O 599

dono del tim ore, c ’è la modestia, conseguenza della,


riverenza che l ’uom o deve avere dinanzi alla divina-
maestà; la continenza e la castità, che derivano dalla ret­
ta m oderazione delle passioni concupiscibili 25.

252. 5 . Vizi opposti. - A l dono del tim ore


si oppone principalm ente la superbia secondo S. G re ­
go rio 26, ma in una maniera anche più profonda che
alla virtù dell’um iltà. Q uesto dono si fissa anzitutto-
sull’infinita maestà di D io , dinanzi al quale l ’ uomo-
per istinto dello Spirito Santo, sente la sua nullità. L ’u­
m iltà si fissa anche di preferenza sulla grandezza di
D io , in contrasto co l prop rio nulla, ma alla lu ce della,
ragione illum inata dalla fede e quindi in m od o um ano
e im perfetto 2\ Il dono del tim ore esclude perciò la
superbia in una maniera p iù alta di quella della v ir tii
dell’umiltà; esclude persino la radice e il principio della,
superbia 28. La superbia quindi si oppone al dono del
tim ore in una maniera più assoluta e radicale di quanto-
si oppon ga alla v irtù dell’um iltà.
Indirettam ente al dono del tim ore si oppone anche
la presunzione, che ingiuria la giustizia di D io p e rch é
confida in m odo eccessivo e disordinato nella sua m i­
sericordia. In questo senso S. Tom m aso dice che la.
presunzione, si oppone a motivo della materia, ossia in
quanto disprezza qualche cosa di d ivin o, al d o n a
del tim ore, del quale è prop rio il riverire Iddio 29.

25 C f. II-II,i9 ,i2 ad 4.
36 Cf. S. G r e g o r i o , I Mor. c.32: M L 75,547 A B ; cf. S. T h . , 1 -11 , 6 8 ,^
ad 2.
27 Cf. I I -I I ,l6 l, 1-2.
z8 Cf. II-II,19,9 ad 4; 161,2 ad 3.
2 9 « N o n quaelibet praesum ptio ponitur peccatum in Spiritum Sanctum*.
sed illa qua quis divinam iustitiam contem nit ex inordinata confidentia di-
vinae m isericordiae. E t talis praesum ptio, ratione materiae, in quantum sci-
licet per eam contem nitur aliquid divinum , opponitur caritati, v e l potius
dono tirnoris, cuius est D eum revereri» (11-11,130,2 ad 1, cf. iv i, 21,3)-
600 LA VITA CRISTIANA N E L SU O SV ILU PPO ORDINARIO

253. 6 . Mezzi per fomentare questo dono. -


O ltre i m ezzi generali quali il raccoglim ento, la pu ­
rezza del cuore, la fedeltà alla grazia e la frequen­
te in vocazion e allo Spirito Santo, ce ne sono altri
•che si riferiscono più direttam ente al dono del
timore:
a) Meditare con frequenza l’ infinita grandezza e maestà
•di D io. - N o n potrem o mai giungere ad acquistare con
i nostri sforzi la conoscenza contemplativa, vivissim a e
penetrante che offrono i doni dello Spirito Santo 3°.
Possiamo però fare qualche cosa riflettendo sul potere e
■sulla maestà di D io che trasse dal nulla tutte le cose (Gen.
1,1), che chiama con il nom e le stelle ed esse accorrono im­
mediatamente tremando di rispetto (Bar. 3,33-36), che è
p iù temibile del mare infuriato (Sai. 92,4), che verrà sulle
n ubi del cielo con grande potenza e maestà a giudicare i
v iv i e i m orti (Luca 21,27), e davanti al quale tremano
■eternamente di rispetto i principati e le potestà,
b) A bituarsi a trattare con D io con fiducia filiale, piena di
riveren za e rispetto. - N o n dimentichiamo mai che D io
è nostro Padre, ma anche il D io di terribile grandezza Spes­
so le anime pie dimenticano questo attributo e si permet­
tono nelle relazioni con D io eccessive familiarità, piene
di irriverente audacia. È certamente incredibile la confiden­
za e familiarità che il Signore usa con le anime che gli sono
care, ma è necessario che l’iniziativa parta da Lui. Frattanto
l ’anima deve rimanere in u n ’attitudine riverente e sotto­
messa la quale d’altra parte non pregiudica la dolce intimità
propria dei figli adottivi.
c) M editare con frequenza sull’ infinita m alizia del pec­
cato e concepire un grande orrore contro di esso. - I m otivi
dell’amore sono per sé più forti ed efficaci di quelli del timore
per evitare il peccato. A nch e questi però contribuiscono
efficacem ente a trattenerci dall’offendere Iddio. Il ricordo
dei terribili castighi preparati per coloro che disprezzano
le sue leg gi dovrebbe essere sufficiente a farci fuggire il

3° « Meditare sull’inferno, per esem pio, è com e vedere un leone dipinto;


.m en tre contemplare l ’in fe rn o è c o m e v e d e r e u n le o n e vìvo » (P. L a l l e m a n t ,
L a dottrina spirituale p rin c , 7 ,0 .4 , a .5 ). S i s a ch e la c o n te m p la z io n e è u n e f­
f e t t o d e i d o n i d e llo S p irito S a n to .
VIRTÙ CRISTIANE E DONI DELLO SPIRITO SANTO 601

peccato se meditassimo con prudente riflessione. È orrendo,


dice S. Paolo, cadere nelle mani del D io offeso (Eb. 10,31).
D obbiam o pensarvi frequentemente, soprattutto quando la
tentazione ci solletica con le attrattive del m ondo e della
carne. O ccorre concepire un orrore tanto grande del peccato
da essere disposti a perdere tutto, persino la vita, piuttosto,
che com m etterlo. È di capitale importanza a questo scopo,
la fuga delle occasioni pericolose, la fedeltà all’ esame di coscienza
quotidiano, per prevenire le mancanze volontarie e pentirci
di quelle che ci sono sfuggite, e soprattutto la considerazione
di Gesù crocifisso, vittim a dei nostri peccati.
d) N elle relazioni col prossimo conservarsi m ansueti ed
um ili. - Colui che ha coscienza di aver ricevuto da D io la
remissione di 10.000 talenti, come oserà esigere con alteri­
gia e disprezzo i cento denari che forse gli deve un suo
co n servo ? (Mat. 18,35). D obbiam o perdonare di cuore
le ingiurie, trattare tutti con dolcezza, umiltà e mansuetu­
dine, ritenendo tutti m igliori di noi, (almeno perché non
avrebbero resistito alla grazia tanto quanto noi, forse, se
avessero ricevuto i doni che D io ci ha dato con tanta abbon­
danza e prodigalità). Colui che nella sua vita ha commesso
qualche peccato mortale, non potrà mai umiliarsi sufficien­
temente: è un « riscattato dall’inferno » e nessun lu o go fuori
dell’inferno può essere tanto basso che non sia troppo
alto per colui che meritò un posto eterno ai piedi di Satana.
e) Chiedere frequentemente allo Spirito Santo il timore rive­
renziale di D io. - O gn i perfetta disposizione è un dono di D io
che potrem o ottenere soltanto con l’umiltà e la preghiera
perseverante. La liturgia è piena di form ule sublimi: « Confi-
ge timore tuo carnes meas; a iudiciis enim tuis timui » (Sai.
ii8 ,I2 o );« Statue servo tuo eloquium tuum in timore tuo »
(Sai. 118,38) ecc. Quéste e altre simili form ule devono sgor­
gare frequentemente dal nostro cuore e dalle nostre labbra
convinti che « il timore di D io è principio della sapienza »
(Eccli. 1,16) e che è necessario operare la nostra salvezza
con timore e tremore (Fil. 2,12), seguendo il consiglio dello
Spirito Santo: « Servite D om ino in timore et exsultate ei
cum trem ore» (Sai. 2,11).
«02 L A V IT A C R IS T IA N A N E L S U O S V I L U P P O ORDIN ARIO

A rtic o lo III

L a virtù della carità

S. T h . 1-11,23-46; S. F r a n c e s c o d i S a i .k s , Teotimo; S c a r a m e l l i ,
Direttorio ascetico, t.4 c c . 3-5; M o n s . G a y , V ita e virtù cristiane, t.2 tr.12;
■Ch . d e S m e t , N otte vie surnat., t . i p p . 365-593; B a r r e , Tractatus de virtuti-
.bus t e r t i a p a r s c.3; J a n v i e r , Carènes 1915-16; G a r r i g o u - L a g r a n g e ,
L e ire età 111,19-20; V I ,12; T a n q l ' l ;r j :,y , Compendio di Teologia ascetica e mìstica
n n . 1207-61; P r u m m e r , Marnale Theoloyjae M oralis,l n n . 551-624; M a h i e u ,
Probatio charitatis (5.a e d . , B r u g i s 1949); M a s s o u l i e , Traitè de l ’amour de
D ieu (1703).

A bbiam o già trattato ampiamente altrove (nn. 109-117) del­


l e intime relazioni esistenti tra la perfezione cristiana e la carità.
È necessario però studiare anche gli altri aspetti questa virtù
fondamentale, la più importante ed eccellente di tutte. Seguire­
m o l ’ordine di S. Tom m aso. Per non m oltiplicare i richiami,
darem o tra parentisi la citazione corrispondente alla Som ­
m a teologica (continuerem o ad usare tale sistema in tutto il
trattato delle virtù).

254. 1 . La carità in se stessa. - i) San T o m ­


m aso incom incia la sua trattazione dicendo che la
carità è un 'amicizia tra D io e l ’uom o. C om e o g n i am ici­
zia essa im porta una vicen d evo le benevolenza fondata
sulla comunicazione di beni (II-II,2 3 ,i). P erciò la carità
suppone necessariam ente la grazia che ci fa figli di D io
■ed eredi della gloria.
L ’uom o, che per sua natura è servo del Creatore, giunge
■ad essere, mediante la grazia e la carità, fig lio ed am ico d ìD ìo .
Se questa servitù già lo nobilita tanto (servire a D io è regna­
re), chi potrà misurare l’altezza cui lo eleva la carità di D io ,
la quale « è largamente diffusa nei nostri cuori per mezzo
■dello Spirito Santo che ci è stato d a to » ? (Rom. 5,5).

2) L a carità è una realtà creata, un abito sopranna­


tu rale infuso da D io nell’anima (a. 2). Si p u ò defini­
re: una virtù teologale infusa da D io nella volontà per età
VIRTÙ CRISTIANE E DONI DELLO SPIRITO SANTO 603

amiamo D io per sé stesso sopra tutte le cose e noi e i l prossimo


per amor di D io.
L'oggetto materiale della carità è anzitutto D io e poi
noi stessi e tutte le creature razionali che sono giunte o pos­
sono giungere all’eterna beatitudine, ed anche in certo
modo tutte le creature in quanto si possono ordinare al­
l’amore di D io. L'oggetto formale « quod » è D io stesso co­
me sommo bene in sè, come fin e ultim o nostro. Il moti­
vo formale (ratio sub qua, obiectum formale quo) dell’amo­
re di carità è la bontà increata di D io considerata in se
stessa, in quanto abbraccia l ’essenza divina, tutti i divini at­
tributi e le tre divine persone.
L a carità, com e abito infuso, risiede nella volontà, giac­
ché si tratta di un m ovim ento di amore verso un som m o bene
e l’amore e il bene costituiscono l’atto e l’oggetto della vo lo n ­
tà (24,1). Inoltre è una virtù soprannaturale che D io infonde
nella misura e nel grado che gli piace senza tener conto del­
le doti o delle qualità naturali di colui che le riceve (24,.
2 -?)-

3) L a carità è una virtù specificam ente una, in d ivi­


sibile (23,3-5). Infatti ancorché abbracci soggetti tanto
vari (D io, noi e il prossim o) il motivo dell’amore, cioè
la ragione form ale, è unico: la divina bontà.
N e deriva che quando amiamo noi stessi o il prossimo
per qualche m otivo diverso dalla bontà di D io n on facciamo
un atto di carità, ma di amore naturale, di filantropia, o
forse di puro egoism o (per i vantaggi che ci può porta­
re). Q uanti atti che sembrano fatti in virtù di una carità
eroica, sono ben lontani dall’esserlo! L ’eroismo puramente
umano non vale nell’ordine soprannaturale: è com e una
moneta falsa che non circola nelle banche del cielo.

4) L a carità è la p iù eccelle n te di tu tte le v ir tù


n on so lam en te p e r la sua b o n tà in trin se ca (è q u ella ch e
più ci un isce a D io ) , m a p e r c h é senza di essa n essuna
virtù p u ò essere p erfe tta , g ia c c h é è la forma d i tu tte le
altre v ir tù in fu se (23,7-8).
A bbiam o già spiegato altrove (n. m ) in che senso la ca­
rità è la form a di tutte le virtù. Il prim ato potrebbe esserle
conteso solamente dalle altre due virtù teologali: la fede e
604 LA VITA CRISTIANA N EL S U O SVILU PPO ORDINARIO

la speranza, ma la carità è superiore anche ad esse. Infatti


la fede, che è una conoscenza intellettuale, rim picciolisce
Iddio, dovendo adattare la sua infinita grandezza alla pic­
colezza del nostro intelletto, mentre per m ezzo della carità
la volontà esce da sé stessa e riposa in D io; inoltre la cono­
scenza della fede è oscura, mentre la carità ama D io così
com e è in se stesso. Q uanto alla speranza, basta dire che è
un desiderio della divina bontà di cui la carità ci dà il posses­
so reale: imperfettamente in questa vita e perfettamente nel­
l ’altra (23,6-8).
L ’eccellenza e la superiorità della carità sulle altre vir­
tù teologali e quindi a fortiori sopra tutte le altre virtù è
un dato che appartiene al deposito della rivelazione. Lo
dice espressamente S. Paolo: « Queste tre cose adunque
rim angono: la fede, la speranza, la carità. L a più eccellente
d i tutte però è la carità» (1 Cor. 13,13).
5) P er m e zz o d e ll’a tto p r o p r io d ella carità, la v o lo n ­
tà esce da sé stessa p e r rip o sare in D io co s i c o m ’è in
s é stesso (23,6).
Q uesta dottrina di S. Tom m aso ci offre la soluzione
della tanto dibattuta questione se l ’intelletto è superiore
alla volontà o viceversa. L a volontà in se stessa è senza dub­
bio inferiore all’intelletto, perché la volontà è potenza cie­
ca e non può produrre un atto se l ’intelletto non le propone
l ’o ggetto appetibile. Q uindi l’intelletto antecede e guida
la volontà, la quale senza di esso non potrebbe amare nul­
la (nessuno ama ciò che non conosce). Tuttavia l ’operazione
dell’intelletto è diversa da quella della volontà: l’intelletto
attrae a sé le cose, modellandole, per cosi dire, nel suo proprio
stampo intellettuale. Perciò, quando conosce gli esseri infe­
riori a lui (per esempio le cose materiali), li nobilita facen­
d o li ascendere all’ordine intellettuale; ma quando conosce
gli esseri superiori a lui (D io, gli angeli, le verità sopran­
naturali), li rim picciolisce obbligandoli a entrare nei suoi
schemi intellettuali inferiori.
Con la volontà avviene esattamente il contrario. In vir­
tù del suo atto, l’amore, la volontà esce da sé stessa per ripo­
sare nell’oggetto amato cosi com ’è in sé. Q uindi, se ama gli
esseri che sono inferiori a lei (per esempio le cose della terra),
si degrada, abbassandosi al lo ro livello inferiore; ma se ama
g li esseri superiori a lei (D io, gli angeli ecc.), si sublima per­
ché si eleva al loro livello, in essi riposa mediante l ’amore.
Per questo diceva acutamente S. A gostin o: « Se ami la terra
VIRTÙ CRISTIANE E DONI DELLO SPIRITO SANTO 605

sei terra, ma se ami D io , che cosa devo dire, tu sei Iddio! ».


O ccorre perciò concludere che quantunque com e poten­
za naturale sia più perfetto l’intelletto della volontà, in que­
sta vita e per la natura stessa dell’operazione, è più perfet­
to amare D io con la volontà che conoscerlo con l’intelletto.
Ci sono teologi che sanno molte cose su D io , però in una
maniera fredda, puramente speculativa, e ci sono delle
anime semplici ed umili che non sanno quasi nulla di teo­
logia, però amano intensamente Iddio. Q uesto loro atteg­
giamento è indubbiamente m igliore.
D a questa dottrina si deduce inoltre che l’unica maniera
per non avvilirci nell’amore delle creature è quella di amarle
in D io , per m ezzo di D io , e per D io . L a carità sarà cosi
la bacchetta magica che converte in oro tutto ciò che tocca,
anche le cose inferiori a noi, che possono essere riferite e
ordinate all’amore e alla gloria di D io .

2 . L ’ a u m e n t o d e lla c a r it à . - A . P r i n c i p i . - N e
abbiam o g ià p arlato in u n ’altra p arte d ella n ostra o p e ­
ra (cfr. n .10 3 ,10 ). P e rò data l ’ im p o rta n za d e ll’a r g o ­
m ento ci rito rn ia m o s o p ra ).

255. 1) L a carità p u ò aum en tare in q u e sta v ita


(24,4). P o ic h é è u n m o v im e n to di ten d en za a D io c o ­
me u ltim o fin e , m en tre siam o v ia to r i è p o ss ib ile a v v i­
cin arci sem p re p iù al term in e, e q u e sto m a g g io re
a v v icin a m en to si v e rific a co n l ’a u m e n to d e lla carità.
In q u e sto a u m e n to , la carità n o n p u ò in co n tra re
in ciam p i in questa v ita : p u ò crescere in infinitum (2 4 , 7 ).
A b b ia m o p arlato d iffu sam e n te di c iò in a ltri p a ra g ra ­
fi ai q u a li rim an d iam o il le tto re (cfr. n. 1 1 6 e 123).
2) L a carità, co m e tu tti g li altri a b iti, n o n cresce
per a d d izio n e di fo rm a a fo rm a , m a p e r u n a maggiore
radicazione nel s o g g e tto (24,5).
N o n può crescere per addizione perché questo è possibi­
le unicamente nelle cose quantitative, non nelle qualitative,
come sono gli abiti. Infatti perché una cosa si possa addizio­
nare a un’altra è necessario che si distingua realmente da essa
(per es. il granello che si aggiunge al m ucchio è realmente
distinto da esso; in questo caso, più che di unione bisogna
parlare di riunione (giacché il granello non si è unito intririse-
€06 LA VITA CRISTIANA NEL S U O SVILU PPO ORDINARIO

camente agli altri, ma è stato collocato accanto ad essi).


N elle form e qualitative ciò è im possibile (per esempio la
bianchezza non si può assommare alla bianchezza, la carità
non si può assommare alla carità). È soltanto possibile un
aumento a m otivo di una m aggiore radicazione nel soggetto.
L ’anima — in questo caso la volontà — partecipa sempre
più alla carità se questa virtù si radica e penetra sempre più
profondam ente in essa.

3) L a carità, co m e le a ltre v ir tù , n o n au m en ta co n
qualsiasi a tto , m a s o lta n to c o n atti p iù in ten si
d e ll’a b ito ch e a ttu alm en te si p o ss ie d e (24,6).
Se la carità crescesse per addizione, qualsiasi atto della
medesima, per quanto im perfetto, l’aumenterebbe. In questo
m odo in poco tempo e in base unicamente alla m oltiplica­
zione di atti anche tiepidi e imperfetti, la carità abituale rag­
giungerebbe altezze favolose. M olto diversa è la vera natura
dell’aumento della carità. Siccom e è una form a qualitativa,
può solo crescere mediante una m aggiore penetrazione nel
soggetto. E questo è im possibile senza un atto più intenso
dei precedenti. Il term om etro non può segnare un n uo vo
grado di calore se la temperatura dell’ambiente non au­
menta effettivamente di un grado. Se uniam o due term om e­
tri, uno dei quali segna trenta gradi e l ’altro quindici, non
riuniamo quarantacinque grandi di calore, ma unicamente
trenta, p oiché i quindici gradi di calore del secondo non ag­
giungono nulla ai trenta del prim o.
Im portantissima conseguenza pratica. - Se operiamo con
tiepidezza, possiamo parali%xare completamente la nostra vita
cristiana, anche se viviam o abitualmente in grazia di D io e
pratichiam o m olte buone opere imperfette. Il grado es­
senziale di carità e di conseguenza quello della grazia e di
tutte le altre virtù (giacché crescono tutte assieme con la
carità), resterà invariato r.
Questa conseguenza, corollario inevitabile dei princìpi
che abbiamo stabiliti, acquista nell’ esperienza quotidiana la
sua conferma più lampante. V ediam o infatti una m oltitudine
di anime buone che v iv o n o abitualmente in grazia di D io ,
che forse da quaranta o cinquantanni conducono una vita
religiosa senza aver commesso in tutto quel tem po una sola

1 Tuttavia è possibile un aum ento per la virtù ex opere operato dei sa­
cramenti.
VIRTÙ CRISTIANE E DONI DELLO SPIRITO SANTO 607

mancanza grave, che praticano m olte opere buone, ma che


sono ben lungi dalla santità. Se sono molestate o contrariate
si disgustano, se manca loro qualche cosa protestano ener­
gicam ente, se i superiori ordinano qualche cosa che non
piace loro m orm orano e borbottano o , almeno interior­
m ente se l ’hanno a male; nessuno le critichi o le um ìlii, se
n on vuole farsi loro nemico, ecc. T utto ciò dimostra chia­
ramente che sono ancora m olto lontane dall’avere raggiunto
la perfezione cristiana. Ora, come si spiega questo feno­
meno dopo tante buone opere praticate durante lunghi anni
di vita religiosa o sacerdotale ? L a spiegazione teologica è
m olto semplice: è vero che queste anime hanno praticato
una m oltitudine di opere buone, ma le hanno compiute
in m odo tiepido, con atti non sempre più ferventi. N e è
risultata la paralisi, la stasi della loro carità e di conseguenza
del grado di grazia e delle altre virtù.
Si obietterà: allora gli atti imperfetti, inferiori al grado
abituale di carità che si possiede, saranno completamente
inutili e sterili per queste anim e?
Rispondiam o che tali atti im perfetti n on sono compieta-
mente inutili e sterili. In questa vita servono a non lasciar
raffreddare del tutto le disposizioni dell’anima, che diver­
samente cadrebbe nel peccato mortale. È certo che colui il
quale non realizza un atto p iù intenso dell’abito che possiede,
non riuscirà mai a farlo crescere in se stesso; però se si man­
tiene in una zona temperata, ottiene per lo meno che non si
perda del tutto. D ice S. Tom m aso (24,10) che il grado di
carità raggiunto non diminuisce mai in se stesso, ancorché si
viv a per anni nella tiepidezza o si pratichino atti inferiori
o meno intensi, a m eno che si com m etta un peccato mor­
tale, nel qual caso non solo diminuisce, ma scompare total­
mente (24,12). A vv ien e qualche cosa di simile a ciò che si
verifica nei termometri, che si usano per misurare la febbre:
salgono se aumenta la febbre, però non si abbassano che con una
scossa brusca e violenta (peccato mortale). Q ualunque grado
di carità una volta raggiunto im porta un diritto a un pre­
m io eterno che l’anima non perde mai, ancorché in tutta
la sua vita non ne meriti uno m aggiore. Tale diritto rimane
dinanzi a D io ; si può perdere tutto col peccato mortale, però
se si conserva la grazia, i meriti acquisiti dinanzi a D io avran­
no il loro premio nella vita eterna. N o n è poca cosa in questa
vita che anche con simili atti tiepidi l’anima possa mantener­
si in una zona temperata conservando la grazia di D io e il
grado essenziale dei meriti acquistati, benché non sia riu­
608 LA VITA CRISTIANA NEL SUO SVILU PPO ORDINARIO

scita a far salire la scala term om etrica di un solo grado.


Nem m eno nell’altra vita questi atti im perfetti rimarranno
senza premio. È certo che per quanto numerosi siano stati
non hanno la forza sufficiente di aumentare di un solo grado
la gloria essenziale (visione beatifica), che corrisponde esatta­
mente al grado abituale di grazia e di carità raggiunto in
questa vita. Però, oltre a questo premio essenziale, nel cielo
ci sono m olte altre specie di premi accidentali. O gn u n o di
quegli atti deboli in sé buoni e m eritori, dal m om ento che
furon o realizzati in stato di grazia e sotto l ’influenza della
carità avrà il suo corrispondente premio accidentale in quella
varietà infinita di premi secondari (dell’anima e del corpo)
che costituiscono la gloria accidentale dei beati. Q uindi gli
atti imperfetti non sono del tutto inutili né in questa né
nell’altra vita.
A d ogn i m odo la differenza tra gli atti più perfetti e me­
no perfetti, è immensa in ordine alla vita eterna. Banez*
dice che agli atti p iù intensi spetta un aumento di gloria es­
senziale (premio del bene infinito), mentre agli atti imper­
fe tti spetta un aum ento di gloria accidentale (premio di beni
creati). È una perdita immensa e irrimediabile quella causa­
ta dalla tiepidezza!

256. E sa m in e re m o o ra a lcu n e o b ie z io n i ch e si p o s ­
so n o fare a q u esta d o ttrin a.
Obiezione 1 . - « Se questa teoria fosse certa, il santo si
troverebbe in condizioni peggio ri del tiepido.
N ella supposizione che il Santo possieda un grado di
carità corrispondente a cento, per giungere a un grado
superiore dovrebbe com piere uno sforzo immenso, mentre
per il tiepido che supponiam o abbia una carità corrisponden­
te a cinque sarebbe più facile com piere un atto di m aggiore
intensità ».
Risposta. - È m olto più facile per il santo com piere un
atto di carità superiore al grado che possiede di quanto lo
sia per il tiepido: l’obiettante ha dimenticato che la grazia
e la carità sviluppano contemporaneamente le forze dell’ani­
ma, la cui capacità obbedienziale nelle mani di D io è inesau-

2 Cf. B a n e z , D e fide, spe et charitate in q.24, a.6 (Salmanticae 1584),


nella quale dim ostra che la vera dottrina di S. Tom m aso è questa; e Relectio
de merito et augmentum charitatis (ivi, 1590), in cui risponde alle obiezioni
che g li furon o fatte.
VIRTÙ CRISTIANE E DONI DELLO SPIRITO SAN TO 609
ribile. A nch e nell’ordine puramente umano un bambino
non può sopportare un peso di 5 chilogram m i mentre un
facchino si carica facilmente il peso di cento chili. E se nel­
l ’ordine naturale ci può essere un lim ite insorm ontabile
per la lim itazione delle forze umane, questo non ha luogo
nell’ordine della grazia. I santi com piono atti di am or di
D io di un’incredibile intensità, con grande facilità e dolcezza.
Obiezione 2 . - « Supponiam o che un santo faccia un atto
di amor di D io m olto inferiore al grado della sua carità
abituale, e che un’anima tiepida faccia un atto superiore al
grado di carità che già possiede, ma inferiore all’intensità
dell’atto com piuto dal santo. L ’anima tiepida riceve per il
suo atto un considerevole aumento di grazia e di gloria,
mentre il santo non riceve nulla per questo suo atto che pure
è superiore a quello dell’anima tiepida. Q uindi il santo vie­
ne a trovarsi in condizioni peggiori».
Risposta. - In questo m ondo tutto è relativo. Il santo
che com pie l’atto inferiore al grado di carità che possiede
opera in m odo fiacco rispetto a quello che potrebbe fare.
Perciò non merita di essere com pensato con il prem io es­
senziale. Invece l ’anima imperfetta, la quale com pie un atto
p iti intenso, merita un aumento essenziale per lo sforzo e il
fervore con cui lo ha realizzato. N o n dimentichiamo che il
Signore nel V an gelo richiese cinque talenti dal servo che
ne aveva ricevuto cinque e soltanto due da colui che ne ave­
va ricevuto due (cfr. Mat. 25,14-23). In o gn i caso l’atto imper­
fetto del santo non è del tutto inutile com e abbiamo spiegato
sopra.
Obiezione 3 . - « Il Concilio di Trento ha definito che il giu­
sto per le sue buone opere merita l’aumento della grazia e della
gloria (Denz. 842) senza fare accenno alla m aggiore o minore
intensità della carità. Q uindi non è necessario che sia più
intensa».
Risposta. - T re secoli prima che la Chiesa definisse
questa dottrina, S. Tom m aso s’era già posta questa diffi­
coltà e l’aveva risolta. E cco le sue precise parole (24,6 ad 1):
« A d primum ergo dicendum quod quilibet actus caritatis
meretur vitam aeternam, non quidem statim exhibendam
sed suo tempore. Similiter etiam quilibet actus caritatis mere­
tur charitatis augm entum , sed quando aliquis conatur ad huius-
modi augmentum » ossia, quando si com pie l’atto più intenso,
come ha spiegato nel corpo dell’articolo. A vv ien e esattamen­
te la stessa cosa con la vita eterna. Il giusto la merita con le
610 LA VITA CRISTIANA N EL S U O SVILU PPO ORDINARIO

sue buone opere, però non g li viene data subito, ma a suo


tempo, ossia quando muore in. grazia di D io; tuttavia potreb­
be avvenire che muoia in peccato mortale e perda per sempre
la vita eterna, benché l’abbia meritata con le sue precedenti
opere buone. C osi pure, tutti gli atti di carità, anche i meno
intensi, meritano l’aumento della grazia e della carità abi­
tuale, ma questo aumento non sarà conferito di fatto fino
a tanto che non sarà prodotta la disposizione fisica indispen­
sabile, a ciò, ossia l’ atto più intenso. E se questo atto non si
produce, l ’atto debole avrà un premio accidentale, ma non
aumenterà il premio essenziale, com e già abbiamo spiegato 3.
Obiezione 4 . - « È di fede che i sacramenti aumentano
la grazia ex opere operato, senza necessità di un atto disposi­
tivo più intenso. Basta semplicemente non porre ostacoli,
com e dice il Concilio di Trento (Denz. 849). Quindi la stessa
cosa può avvenire con l’aumento della carità fuori dei sa­
cramenti ».
Risposta. - N eghiam o nella maniera più assoluta la pa­
rità. I sacramenti producono o aumentano la grazia per la
loro virtù intrinseca (ex opere operato), mentre le virtù au­
mentano per m ezzo del merito, prodotto dallo sforzo di
colui che le pratica con l’aiuto della grazia (ex opere operan-
tis). Il caso è m olto diverso: nel prim o infatti non si richie­
de altra disposizione che lo stato Ai grafia, per il sacramento
dei v iv i o l’attrizione soprannaturale per quella dei morti;
ma nell’aumento della grazia extrasacramentale si richiede
la disposizione fisica più intensa affinché questo si possa produr­
re effettivamente.
Si tenga presente, inoltre, che anche nella recezione dei
sacramenti, il grado di grazia che in ogni caso conferiscono
varia secondo le disposizioni di colui che li riceve. L ’effet­
to ex opere operato dei sacramenti è proporzionato alle dispo­
sizioni ex opere operantis di colui che li riceve. L ’effetto m ini­
m o ex opere operato del sacramento sarà in tutti uguale; è
il caso dei bambini che si battezzano senza che essi lo sap­
piano: ricevono tutti ex opere operato il ■medesimo 'grado

3 N o n ci convince la teoria, difesa anche da m olti tom isti, secondo cui


l’anima entrando in cielo farà un intensissimo atto d i carità, che sarà la
disposizione fisica immediata perché le venga dato l’aum ento m eritato sulla
terra per tutti quegli atti im perfetti. Questa affermazione è completamente
gratuita. M o lto più lo gica e profonda appare la dottrina di Bànez, che esi­
g e la disposizione fisica in questa vita.
VIRTÙ CRISTIANE E DONI DELLO SPIRITO SANTO 611

di grazia che porta con sé il sacramento ♦


; ma il m aggiore o
m inore grado di grazia che g li adulti ricevono ex opere
operanti* dipende nel m odo più assoluto dalle loro dispo­
sizioni 5.
Obiezione 5 . - « Com e un atto più intenso p uò essere pro­
dotto da un abito m inore? L ’effetto potrà essere m aggiore
della sua causa ? »
Risposta. - Si comprende che questo atto più intenso
non può essere prodotto dall’abito m inore a m eno che non
intervenga una previa grafia attuale più intensa. Senza la
grazia attuale preveniente, l’uom o non potrebbe fare assolu­
tamente nulla nell’ordine soprannaturale, e senza una grazia
più intensa è impossibile l ’atto più intenso (cfr. n.93 e
103,10). Questa grazia attuale più intensa non si può meri­
tare (sarebbe una cosa contraddittoria); però si può impetra­
re infallibilmente, benché a titolo gratuito, mediante l ’orazio­
ne fatta con le dovute condizioni (cfr. n .103,12 e 105).

257. B. C o n s e g u e n z e p r a t i c h e . - 1) Vale di p iù un
atto intenso che mille tiepidi 0 imperfetti.
Ragione. - L ’atto intenso aumenta il nostro grado abi­
tuale di carità, mentre gli atti tiepidi sono assolutamente im ­
potenti a ciò. Y a le quindi infinitamente di più una sola A v e
M aria con ardente devozione che un Rosario intiero reci­
tato distrattamente e per abitudine. Per questo è con ve­
niente non sovraccaricarsi di preghiere volontarie e d evo ­
zioni particolari. Q uello che interessa è la devozione non le
devozioni f.

4 C f. 111,69,8.
5 Cf. D enz. 799, d o ve il Con cilio di T rento, parlando della giustifica­
zione, dice che ogn un o la riceve nella misura e nel grado che lo Spirito
Santo v u ole e secondo le sue proprie disposizioni. « secundum mensuram quam
Spiritus Sanctus partitur singulis prout v u lt (iC o r, 12,11) et secundum pro-
priam cuiusque dispositionem et cooperationem ». B isogna dire esattamente
la stessa cosa anche dei sacramenti (cf. 111,69,8).
6 C f. 11-11,83,14, dove S. Tom m aso si domanda se l’ orazione debba
essere m olto lunga. E g li risponde che deve durare tanto quanto è utile per
eccitare l’interno desiderio del fervore e della devozione: né più, n é meno.
Bisogna, quindi, premunirsi sia contro l’eccesso che contro la negligenza,
che può trovare facili pretesti per accorciate il tem po destinato all’orazione.
6 12 LA VITA CRISTIANA NEL SUO SVILU PPO ORDINARIO

2) È p iù gradito a D io un giusto perfetto che molti


giusti tiepidi e imperfetti 7.
Ragione. - Infatti se un atto ardente di carità vale di
più dinanzi a D io che m ille atti imperfetti, chi com pie con­
tinuamente atti fervorosi dev’essere più gradito a D io che
g li altri coi loro atti imperfetti. Sappiamo del resto che l’amor
di D io verso le creature non è solamente affettivo, ma ef­
fettivo, cioè produce in esse il bene che desidera loro, come spie­
ga profondam ente S. Tom m aso (I,2o); si deve perciò con­
cludere che D io ama m aggiorm ente i più perfetti giacché
concede loro grazie attuali più intense che valgon o di più
che quelle meno perfette.

3 ) L a conversione di un peccatore a una grande perfe­


zione piace di p iù a D io e lo glorifica di p iù che la conversio­
ne di molti peccatori a una vita tiepida e imperfetta 8.
Ragione. - È un semplice corollario dei princìpi che ab­
biamo stabilito.

4) Piace di p iù a D io e lo glorifica dì p iù il predica­


tore 0 il maetsro di vita spirituale che converte un solo pec­
catore e lo porta fino allo stato di perfezione che colui il qua­
le converte molti, ma li lascia nella tiepidezza *•
Ragione. - È un’altra conseguenza dei princìpi stabiliti,
che è di grande consolazione e di stim olo ai direttori di ani­
me, che non hanno doti di eloquenza per il pubblico. N el
silenzio di un confessionale possono fare il bene m aggiore
e glorificare m olto di più Iddio che i predicatori di cartello,
che forse ricercano sé stessi nei loro apparenti trionfi ora­
tori.

258. 3 . Oggetto della carità. - S. T o m m a so de­


dica a ll’ o g g e tto d ella ca rità u n ’in te ra q u e stio n e (II-
11,2 5), di cu i d ia m o u n b re v e riassu n to

7 Cf. S a l m a n t ic e n s e s , D e caritate d.5, n.76.


8 Ivi, n.8o.
9 Ivi, n.85. D a questa dottrina n on sì può evidentem ente dedurre che
non abbia im portanza tutto l’apostolato per la conversione dei peccatori.
VIRTÙ CRISTIANE E DONI DELLO SPIRITO SANTO 613
i) L a carità non si riferisce unicam ente a D io ma
anche al prossim o. Infatti l ’am or di D io ci fa amare
tutto quello che appartiene a D io o riflette la sua bon ­
tà. O ra il prossim o è un bene di D io e partecipa o può
partecipare all’ eterna beatitudine fondam ento della n o­
stro am icizia soprannaturale. Per questo l ’am ore di
carità con cui amiamo il prossim o è specificamente
identico a q uello con cui amiamo D io . N o n ci sono due
carità, m a una sola, giacch é il m o tiv o form ale di amore
verso il prossim o è sem pre la bontà di D io in quanto si
riflette in esso.
Corollario. - Q uando amiamo il prossim o per qualsia­
si altro motivo diverso da Dio non lo amiamo con amore di
carità. Q uanti amori puramente naturali che m olte volte
nascondono soltanto dell’egoismo!

z) D ob biam o amare anche l ’abito stesso della cari­


tà, cioè la virtù in quanto tale. N o n in qualità di amico,
com e è o v v io , ma com e un bene che v o gliam o per
noi medesimi e per i nostri amici.
Corollario. - Desiderare al prossimo i beni soprannatura­
li: codesto è il vero amore e la vera amicizia.

3) A n ch e le creature irrazionali possono e debbono


essere amate in carità. N o n con am ore di amicizia,
che suppone la natura ragion evole e la com unicazio­
ne di beni, principalm ente la beatitudine eterna, ma
in quanto sono beni che possiam o utilizzare per la
glo ria di D io e il servizio del prossim o. In questo sen­
so S. Tom m aso non esita affermare: « et sic etiam ex
caritate Deus eas diligìt ».
Corollario. - Si com prende cosi il m otivo per cui il
Poverello d’A ssisi chiamava col nom e di fratello il lupo, il
sole, e con il nom e di sorella la morte...

4) D ob biam o anche amare noi stessi con amore


di carità. D ifatti, benché non possiam o am arci com e
amici (l’am icizia suppone sempre pluralità di esseri),
614 LA VITA CRISTIANA N EL SUO SVILU PPO ORDINARIO

siamo u n bene di D io , capaci della sua grazia e della


sua gloria; e in questo senso possiam o e dobbiam o
amarci.
Corollario. - Q uando per un piacere calpestiamo la leg­
ge di D io , sia pure leggerm ente, in realtà noi odiamo noi
stessi. D ifatti ci danneggiam o perché ci procuriam o un ma­
le, il che va precisamente contro la carità. C i amiamo vera­
mente solo quando ci amiamo in D io , per m ezzo di D io e
per D io.

5) P er lo stesso m otivo, dobbiam o amare con am o­


re di carità il nostro corp o, in quanto che per sua na­
tura è opera di D io , destinato a cooperare alla nostra
beatitudine eterna, la quale ridonderà anche su di lui.
T u ttavia in quanto è naturalm ente inclinato al male
e ostacola la nostra salvezza, n on dobbiam o amarlo,
ma piuttosto desiderare di uscire da lui, com e diceva
S. P aolo: « Q uis me liberabit de corpore m ortis hu-
ius ? » (Rom . 7,24).
Corollario. - L a mortificazione cristiana che ha lo scopo
di dominare le tendenze del corpo e di ridurle in servitù,
non costituisce un atto di odio contro di lui, ma di vero ed
autentico amore. « Povero corpo m io, diceva S. Francesco
d ’Assisi, perdonami. Però sappi che ti tratto tanto male in
questo m ondo perché ti voglio tanto bene, e vo g lio che tu sia
eternamente felice ». E S. Pietro d’Alcantara, che per le dure
penitenze cui sottoponeva il suo corpo « pareva che fosse
fatto di radici di alberi », com e dice S. Teresa con una punta
di um orism o 10 apparve dopo m orte alla santa e le disse
pieno di gioia: « Benedetta penitenza, che mi ha procurato
una cosi grande gloria! »

6) I peccatori in quanto tali n on sono degni del n o ­


stro am ore giacché sono nem ici di D io e p o n gon o
ostacolo vo lo n tario alla lo ro beatitudine eterna (nel­
la partecipazione della quale si fon d a l’ am ore di carità).
P erò in quanto uomini sono creature di D io , capaci

10 S. T e r e s a , V ita 2 7 ,1 8 .
11 Ivi, 36,20.
VIRTÙ CRISTIANE E DONI DELLO SPIRITO SANTO 6 15

di raggiun gere l ’eterna beatitudine, e in questo senso


si posson o e si d ebbono amare.
Corollario. - S. Tom m aso non esita ad aggiungere:
« Quanto alla colpa che lo rende avversario dì Dio è degno di odio
qualsiasi peccatore, ancorché si tratti del padre, della maire,
dei parenti, com e ci dice il V an gelo (Luca 14,26). D obbia­
m o quindi odiare nei peccatori quello che hanno di peccato­
ri e amare quello che hanno di uom ini, capaci ancora (me­
diante il pentimento) dell’eterna beatitudine. E questo si­
gnifica amarli veramente per D io con un amore di carità » (Ivi).
Questa dottrina ha una particolare applicazione allor­
ché i genitori si oppongono illegittimamente alla vocazione
religiosa o sacerdotale dei loro figli, com m ettendo cosi
un gravissim o abuso di autorità. In questi casi occorre ob­
bedire prima a D io che agli uomini.

7) I peccatori amano naturalmente se stessi, in quan­


to che desiderano la lo ro conservazione; p e rò in realtà
incorrono in un grande eq u ivoco p o ich é credono pra­
ticam ente che la parte m igliore di lo ro stessi consi­
sta nella loro natura sensitiva, alla quale per conseguenza
offron o ogn i specie di soddisfazioni, in opposizione
alla lo ro natura ragionale, che è evidentem ente la parte
m igEore di o g n i uom o. In tal m odo causano a sé stes­
si una grave perdita n ell’ ordine soprannaturale. In
realtà odiano sé stessi com e dice la Sacra Scrittura:
« Q ui d iligit iniquitatem od it anim am suam » (Sai. 10,6)
Corollario. - Il card. Gaetano nel com m ento a questo
articolo, indica i cinque segni del vero am ore verso sé
stessi: a) amare l’uom o interiore, ossia vivere secondo la
parte razionale; b) cercare per sé ii bene della virtù; c) lavo­
rare in questo senso; d) trattenersi volentieri con sé stessi
nel raccoglim ento interiore; e) essere perfettamente co­
erenti con sé stessi per m ezzo della tendenza totale al
bene. Esam ina attentamente se per caso tu non sia tuo
nemico; pensaci spesso, anche quotidianamente.

8) L a carità ci ob bliga ad am are, con l’am ore ge­


nerale d o v u to a tutti g li uom ini, anche i nem ici, ossia
co lo ro che ci desiderano, ci hanno fatto o cercano farci
6 16 LA VITA CRISTIANA NEL SU O SVILU PPO ORDINARIO

del male non precisam ente in quanto nemici, ma in quanto


uomini. E quando il nostro nem ico ha b iso gn o del nostro
am ore particolare perché è in pericolo spiritualm ente
0 corporalm ente, abbiam o l ’ o b b lig o di soccorrerlo in
particolare com e se n on fosse nostro nem ico. E ccettuati
questi casi di necessità, n on abbiam o l ’ o b b lig o di
dargli dei segni speciali di am ore (perché non siam o
obbligati ad amare con am ore particolare tutti e ciascun
uom o, il che sarebbe im possibile); è necessario uni­
camente n on n egargli quei segni generali di affetto
che sono d ovu ti a tutti i nostri simili; per es. il saluto
cortese e cristiano.
Corollario. - I santi tuttavia amavano tanto D io che pre­
scindevano nella maniera più assoluta dalla cattiva volontà
che vedevano nei lo ro simili. Si sentivano anzi attratti
da particolare predilezione verso coloro che li perseguitavano
e calunniavano. Q uesto eroismo non è obbligatorio per tut­
ti, però l’anima che vu ole santificarsi veram ente deve ten­
dervi con tutte le sue forze per essere perfetta figlia di colui
che « fa sorgere il sole sopra i buoni e sopra i cattivi, fa pio­
vere sui giusti e sui peccatori» (Mat. 5,45).

9) Q uin di è assolutam ente ob bligato rio per tutti,


sotto pena di peccato grave, n on negare ai nostri ne­
mici i benefici o i segni d i affetto che si dànno a tutti
1 simili, (per es., non escludendoli dalle orazioni gene­
rali che facciam o per tutti i peccatori, ecc.).
Corollario. - Sarebbe un peccato grave escludere il ne­
mico dalle orazioni comuni o dalle elemosine, dalle comuni
relazioni commerciali, ecc.; però non sono obbligatori se­
gni di amicizia speciali, eccetto che si desse scandalo negan­
doli, o fosse questo l ’unico m ezzo per far deporre al nemico
il suo odio, oppure che questi abbia chiesto perdono o dato
speciali segni di pentimento e di affetto. In questi casi non
corrispondervi sarebbe ordinariamente segno di vero o d io I!.
L a perfezione della carità esige m olto più di questo.
Insegna S. Tom m aso che il perfetto non solamente si guar­

11 A r r f . g u i , Com pendiitm Tbeologiac M o r a lis , n .i ^ q .


VIRTÙ CRISTIANE E DONI DELLO SPIRITO SANTO 6 17

da AsiSì essere vinto dal male, ma aspira anche a vincere il mah


col bene (Rom. 12,21), perché non solamente evita l’odio ma
procura di cattivarsi l’amore del suo prossim o benefican­
dolo.

10) B isogn a amare gli angeli, i beati e le anime


del p urgatorio con u n vero am ore di carità, giacché
questo si fon d a nella com unicazione della beatitudi­
ne eterna, che abbiam o com une con loro.
Corollario. - L ’amore verso gli angeli e i beati in quanto
tali è segno di una perfetta carità. Ci sono delle anime che
praticano certi atti penosi di virtù per amore dei beati, e
per offrire loro cosi una gioia accidentale. Per la stessa ra­
gione è un atto squisito di carità l ’amore e la compassione
verso le anime del purgatorio, manifestato con la frequente
applicazione di suffragi.

11) N o n è lecito amare i dem oni n é i dannati con


un am ore dì carità. Infatti benché la loro natura sia
opera di D io ed eseguiscano e riflettan o la giustizia
divina, sono ostinati nel male e incapaci dell’ eterna
beatitudine, che è il fondam ento dell’am ore di carità.
A m are essi significherebbe odiare D io , e respingere
la sua infin ita giustizia che è adorabile quanto la sua
divina misericordia.
Corollario. - Se ne deduce quale orrenda disgrazia sia la
condanna eterna. Q uesti disgraziati hanno perso per sem­
pre il diritto di essere amati. In quanto nem ici ostinati di
D io , abbiamo l’obbligo di odiarli eternamente con il mede­
simo odio con cui respingiam o il peccato, co l quale sono
identificati.

12) L ’elenco generale degli esseri o degli o g g e t­


ti ai quali si estende la carità è quindi il seguente:
in prim o lu o g o Id d io, che è la fon te della beatitudine;
quindi la nostra propria anima, che partecipa diretta-
mente a questa beatitudine; in terzo lu o g o i nostri
sim ili (uom ini e angeli), com pagni della nostra bea­
titudine, e in fin e il nostro corp o, nel quale ridonda
la gloria dell’ anima e gli esseri irrazionali, in quanto
618 LA VITA CRISTIANA NEL SUO SVILU PPO ORDINARIO

si possono ordinare all’am ore e alla glo ria di D io .


Corollario. - L a carità è la virtù per eccellenza che ab­
braccia in tutta la loro immensità i cieli e la terra, che sono
contenuti nel cuore di D io.

259. 4 . O r d in e d e lla c a r it à . - L ’ultim o articolo


della questione precedente fa da ponte con la seguen­
te, la quale tratta dell’ ordine della carità (II-II, 26).
E ccon e un b reve riassunto.
1) L a carità deve avere u n ordine, giacch é si esten­
de a una serie di o g ge tti che partecipano in maniera
m olto diversa a ll’eterna beatitudine che ne è il fon d a­
m ento (26,1).
2) In .primo lu o g o si deve amare Id d io nel m odo
più assoluto e sopra tutte le cose, giacch é è som m a­
mente am abile in sé stesso e prim o principio dell’e­
terna beatitudine, che consiste essenzialm ente n ell’e­
terno possesso di D io m edesim o (26,2). D ob biam o
quindi am arlo p iù di noi stessi, giacch é noi siamo
dei sem plici partecipanti alla beatitudine che si trova
in D io in tutta la sua pienezza (26,3).

D obbiam o amare Iddio con tutte le forze e in tutte le


maniere possibili con cui si può amare. E cosi dobbiam o pra­
ticare:
a) l’amore penitente, dolendoci di averlo offeso nel
passato e proponendoci di non tornare più a disgustarlo;
b) l’amore di conformità, com piendo con esattezza
i divini voleri e accettando non solo con rassegnazione, ma
con gioia e gratitudine, tutte le p rove che D io vorrà inviarci,
per quanto penose e dure esse siano, chiedendo la grazia
di essergli fedeli in ogn i momento;
c) l’amore di benevolenza, per cui desidereremmo
se fosse possibile, offrire a D io qualche n uo vo bene e felici­
tà che ancora non avesse, e siccom e questo non è intrinse­
camente possibile, ci sforzerem o per lo meno di aumentare
la sua gloria estrinseca, lavorando per la salvezza e la santifi­
cazione delle anime e per estendere il suo regno di amore in
tutti i cuori. L o zelo, dice S. Tom m aso, proviene dall’inten­
sità dell’amore (1-11,28,4);
VIRTÙ CRISTIANE E DONI DELLO SPIRITO SANTO 6 19

d) U amore di amicìzia, che si fonda in quello di bene­


volenza e aggiunge la vicendevole corrispondenza e com u­
nicazione di beni;
e) Uamore di compiacenza, che è l’amor puro, e senza
mescolanza di interessi, per cui ci com piaciam o delle infi­
nite perfezioni di D io che lo rendono felice e beato, senza pen­
sare ai vantaggi che da codesta felicità sua possono riflui­
re su di noi. Q uesto am or puro non può esistere come sta­
to abituale (D enz. 1327), perché non possiamo né dobbiamo
prescindere dalla speranza e dal desiderio della nostra feli­
cità, che troverem o solo in D io; può però esistere com e atto
isolato e transitorio, nel m odo sperimentato da tutti i santi.

3) In secondo lu o g o dobbiam o amare per Id d io il


bene spirituale della nostra anima più ancora che quel­
lo del prossim o, perch é la nostra anim a partecipa
direttamente alla beatitudine, m entre il prossim o è sol­
tanto nostro com pagn o nella partecipazione a questo
bene (26,4).

Corollario. - S. Tom m aso scrive che l’uom o non deve


com m ettere mai un peccato, neppure per liberare il prossi­
mo dal peccato (Ivi). L ’uom o non dovrebbe quindi mai
dire una piccola bugia volontaria, ancorché con essa potesse
convertire tutti i peccatori del m ondo, liberare le anime
del purgatorio e persino chiudere per sempre le porte del­
l’inferno. E se, in vista di questi grandi vantaggi, l’uom o
si decidesse a com m ettere quel piccolo peccato, farebbe
una grande ingiuria a D io stimando di più il bene delle crea­
ture che l’onore di lui e causerebbe a sé stesso un danno che
non si potrebbe compensare con tutti quei beni.

4) P er la medesima ragione occorre am are d i più


il bene spirituale del prossim o che il bene del nostro
corpo. D ifa tti l ’anima del prossim o partecipa diret­
tamente con n oi all’eterna gloria, m entre il nostro
corp o v i partecipa soltanto indirettamente per ridondanza
della glo ria deU’ anima (26,5).
Corollario. - Quando lo richiede la salvezza eterna del
prossim o, che si trova in estrema o quasi estrema necessità
(per esempio un bam bino che m orirebbe sènza battesimo
se non glielo amministrassimo), siamo obbligati per carità,
620 LA VITA CRISTIANA NEL SUO SVILU PPO ORDINARIO

sotto pena di peccato m ortale, a soccorrerlo, anche con grave


pericolo della nostra vita. V ale di più la vita eterna del pros­
simo che la nostra vita temporale.
Q uesto principio trova le sue applicazioni soprattutto
nel campo della ginecologia (è un crimine l’aborto vo lo n ­
tario, anche quello chiamato terapeutico, per salvare la vita
della madre, dal m om ento che si sacrifica la vita eterna del
bambino che m uore senza battesimo per salvare la vita
temporale della madre, che vale infinitamente di meno);
e nell’assistenza spirituale a infermi contagiosi.

5) N ella carità verso il prossim o esiste una certa ge­


rarchia. N o n tutti partecipano ugualm ente alla divina
bontà, né tutti sono uniti a noi con i m edesim i v in c o ­
li. E cosi, oggettivam en te parlando, b isogna deside­
rare beni m igliori ai più buoni, ancorché possiam o
amare con m aggiore intensità soggettiva i nostri genitori
secondo la carne e desiderare con piacere e senza
invid ia che giu n gan o ad essere p iù santi di qualsiasi
altra persona. A parità di condizioni, bisogn a sempre
amare di p iù i genitori, e dopo di loro i com patrioti,
i com pagn i d’arme o di professione, ecc. (26,9-8).
6) T ra i parenti, l’ ordine oggettivo reclam a il prim o
posto per i genitori, a cui dopo D io dobbiam o l ’es­
sere. T ra essi viene prim a il padre che la madre, per­
ché il principio attivo della generazione è più eccellen­
te di quello passivo. Q u esto però non im pedisce che
si possa amare con una m aggio re intensità soggettiva
la sposa e i fig li invece dei genitori, o la m adre invece
del padre (26,9-11).
7) L ’ordine stabilito sulla terra dalla carità rimarrà
anche in cielo. Siccom e però Iddio lassù sarà « tutto
in tutte le cose » (iC o r . 15,28), l’ordine sarà desunto
esclusivam ente in relazione a L u i, n on in relazione a
noi. Perciò amerem o di p iù — e non solo o g g e t­
tivam ente, ma anche soggettivam en te — quelli più
vicin i a D io di quelli più vicin i a noi (parenti, ami-
VIRTÙ CRISTIANE E DONI DELLO SPIRITO SANTO 621

ci...), i quali tuttavia saranno amati da noi per un du­


plice m o tivo (26,13).

260. 5. L ’a m o re , a tto p r in c ip a le d e lla c a rità -


A tale questione S. Tom m aso dedica 8 articoli (H- (I,
27). Riassumiamo brevem ente le sue conclusioni:
1) È proprio della carità amare più che l’essere amato:
in quanto la carità è anche amicizia suppone necessariamen­
te tutte e due le cose, però solo il prim o atto è proprio men­
tre il secondo è dell’amico (27,1).
2) L ’ amore, in quanto atto di carità, suppone la bens-
volew^a (volere il bene) verso l’amico, ma include anche l’u­
nione affettiva. Perciò la benevolenza è il principio dell’ami­
cizia (27,2).
3) D io è infinitamente amabile per se stesso, e la carità
lo ama in quanto tale, senza nessuna subordinazione ad al­
tro fine. Però è possibile che qualche cosa di diverso da D io
ci disponga a progredire in questo amore: i benefici che da
lui abbiamo ricevuto o speriamo di ricevere,, e le pene che
cerchiam o di evitare (27,3).
4) Possiamo amare D io in una maniera immediata an­
che in questa vita. D ifatti a differenza dell’intelletto, che at­
trae a sé le cose, la volontà esce da sé stessa mediante l’amo­
re per riposare immediatamente nell’o ggetto amato cosi
com ’è in sé stesso (27,4).
5) D io non può essere amato dalle creature tanto quanto
merita, cioè infinitamente, ma possiamo e dobbiam o amarlo
totalmente (tutto ciò che egli è e che in qualunque maniera
gli si riferisce) e con tutto il nostro essere, giacché, almeno abi­
tualmente, dobbiam o ordinare noi stessi e tutte le cose a
lui (27,5).
6) N ell’amore di D io non ci può essere misura in sen­
so oggettivo, poiché egli è infinitamente amabile per sé stesso.
Però tale misura deve esistere necessariamente da parte no­
stra, non quanto alla carità interna, che sarà tanto più
perfetta quanto più sarà intensa, ma quanto alle sue manife­
stazioni esterne, che non possono essere continue, perché
nella nostra vita dobbiam o com piere certe azioni che so­
spendono l’esercizio attuale della carità, ancorché vengono
orientate verso D io dalla carità abituale e dall’influsso di
quella virtuale (27,6).
7) T ra l’amore verso l’ amico e quello verso il nem ico
622 LA VITA CRISTIANA NEL SUO SVILU PPO ORDINARIO

quale è m igliore e più m eritorio ? B isogna distinguere: se


si ama il nem ico unicamente per Dio, e l’amico per D io ed
anche per qualche altra ragione umana, è m igliore il prim o
dal m om ento che ha D io com e sua ragione esclusiva; se si
amano entrambi unicamente per Dìo, sarà più perfetto e meri­
torio l’amore che si pratica con maggiore intensità (che ordina­
riamente sarà l ’amore verso il nem ico, dato che per questo
si richiede uno slancio m aggiore di am or di D io); però sup­
p osto che si am ino unicamente per D io e con la medesima in­
tensità, sarà più perfetto e m eritorio l’amore verso l’amico,
poiché il suo o gg etto è m igliore e più prossim o a n oi (27,7).
8) Se si considerano separatamente l ’amore di D io e l’a­
m ore del prossim o, si conclude ovviam ente che il prim o è
m igliore; ma se si considerano uniti, l’amore del prossimo
per D io è m igliore che l’amore di D io solo, perché il primo
include entrambi g li am ori, ciò che non si può dire necessa­
riamente del secondo; inoltre è più perfetto l’amore di D io
che si estende anche al prossim o giacché egli ha comandato
che chi ama D io ami anche il prossim o ( iG io v . 4,21) (27,8).

261. 6 . E f f e t t i d e lla c a r it à . - Secon do S. T o m ­


maso (11-11,2 8 -3 3) g li effetti che produce l ’a tto prin­
cipale della carità, cioè l ’am ore, sono di due specie:
interni ed esterni. I prim i sono:

1 ) i l godimento spirituale di Dio ( 2 8 , 1 - 4 ), che p uò es­


sere accom pagnato da qualche tristezza, per il fatto che non
abbiam o ancora raggiunto il perfetto possesso di D io , che
ci sarà dato dalla visione beatifica;
2) la pace (29,1-4), che è la « tranquillità dell’ordine ».
e risulta dalla concordia di tutti i nostri desideri ed appetiti
unificati dalla carità e da essa ordinati a D io ;
3) la misericordia (30,1-4), che è una virtù speciale —
effetto della carità, ma distinta da essa — la quale ci inclina
a com patire le miserie e le disgrazie del prossim o, consideran­
dole in certo m odo com e proprie, sia perché affliggono un
nostro fratello, sia perché n oi stessi potrem m o trovarci
un giorno in uno stato simile. Si può dire che è la virtù
per eccellenza, tra quante si riferiscono al prossimo;- D io
stesso manifesta in som m o grado la sua onnipotenza quando
co n infinita m isericordia com patisce i nostri mali e soccorre
le nostre indigenze.

G li effetti esterni sono pure tre:


VIRTÙ CRISTIANE E DONI DELLO SPIRITO SANTO 623

1) la beneficenza (31,1-4), che consiste nel fare del bene


agli altri com e segno esterno deH’interna benevolenza; a
volte sta in relazione con la giustizia (quando è obbligatoria
o dovuta al prossim o), a volte è in relazione con la miseri­
cordia (quando questa ci spinge a soccorrere il prossim o nel­
le sue necessità);
2) l’elemosina (32,1-10), che è un atto di carità co­
mandato a tutti (benché in grado e misura diversi), e si prati­
ca con le opere di misericordia corporale e spirituale (quelle
spirituali sono per sé più perfette di quelle corporali);
3) la correzione fraterna (33,1-8), che è una eccellente
elemosina spirituale, che aiuta il prossim o a correggere i
suoi difetti. Richiede m olta prudenza nello scegliere il mo­
mento opportuno ed i mezzi adatti affinché la correzione
raggiunga realmente il suo scopo. N o n solo i Superiori so­
no tenuti ad esercitare questa virtù verso i loro sudditi, ma
anche i sudditi verso i loro Superiori, purché si osservino
le dovute attenzioni e si possa fondatamente sperare qualche
frutto; diversamente sono dispensati dalla correzione e
debbono astenersi effettivamente dal farla. I Superiori inve­
ce hanno l’obbligo di correggere i sudditi, applicando le
sanzioni del caso a chi resistesse, per salvare l ’ordine della
giustizia e prom uovere il bene comune.

262. 7. P e c c a ti o p p o s ti a lla c a rità . - L o stadio


dettagliato dei peccati opposti alle singole virtù appar­
tiene alla T e o lo g ia m orale nel suo aspetto negativo.
N o i quindi ci lim iterem o — sulla traccia del D ottore
A n g e lico (11-11,34-43) — ad indicarli brevem ente:

1) l ’ odio, che quando si riferisce a D io , costituisce il


più grave peccato che l ’uom o possa commettere; e quando
si riferisce al prossim o, com porta il m aggior disordine in­
terno verso di esso, quantunque non sia il peccato che lo
danneggia m aggiorm ente. D i solito quest’odio ha le sue
radici nell’invidia (34,1-6);
2) l’accidia (o pigrizia spirituale), che è un vizio capi­
tale, e proviene dal gusto depravato degli uom ini che non
trovano piacere alcuno in D io e considerano pesanti e noio­
se le cose che gli si riferiscono. D a questa accidia derivano
la malizia, il rancore, la pusillanimità, la disperazione, l’in­
dolenza nell’osservare i comandamenti e la divagazione della
mente in cose illecite (35,1-4);
624 LA VITA CRISTIANA NEL SUO SVILU PPO ORDINARIO

3) Finvidia che è quelPorribile vizio che contrista l’anima


p e rii bene del prossim o, non perché ci sovrasti qualche male,
ma unicamente perché oscura la nostra gloria ed eccellen­
za. Per sé è un peccato mortale contro la carità, la quale ci
com anda di rallegrarci del bene del prossim o. Sono veniali
i prim i m oti indeliberati della sensibilità o quelli che si ri­
feriscono a cose insignificanti (parvità di materia)... Essen­
do l ’invidia un vizio capitale, da essa derivano l’odio, la m or­
morazione, la diffamazione, il piacere per le avversità del
prossim o e il disappunto per la sua prosperità (36, 1-4).
4) la discordia, che si oppone alla pace e alla concordia,
per il dissenso della volontà in ciò che si riferisce al bene di
D io o del prossimo (37,1-2).
5) la contesa, che si oppone alla pace con le parole (di­
scussioni e alterchi) ed è peccato quando si fa per solo spi­
rito di contraddizione, quando si offende il prossim o o si
danneggia la verità, oppure quando si difende quest’ulti-
ma con alterigia e con parole mortificanti (38,1-2).

6) lo scisma, la guerra, la rissa e la sedizione, che si oppon­


gon o alla pace con le opere. L o scisma allontana dall’unità
della fede e semina la divisione in materia di religione; la
guerra tra gli stati, quando è ingiusta, costituisce un gravis­
simo peccato contro la carità, per i danni innum erevoli che
porta con sé; in determinate condizioni però potrebbe es­
ser lecita (40,1-4); la rissa, piccola guerra tra individui, p ro ­
cede quasi sempre dall’ira, ed è un peccato grave, per sé,
in colui che la provoca, senza legittim o mandato della pub­
blica autorità (41,1-2). Il caso più grave è il duello (rissa o
sfida previamente pattuita in cui si usano armi mortali);
esso viene punito dalla Chiesa con la pena della scomunica,
che raggiunge i colp evoli, tutti i loro com plici e tutti gli
spettatori volontari (can.2351). L a sedizione consiste nell’or-
ganizzare in seno alla nazione dei partiti o fazioni con lo
scopo di cospirare, o prom uovere confusione e tum ulti
tra i cittadini o rivolte contro il potere legittim o (42,1-2).
7) lo scandalo, che molte volte si oppone alla giusizia,
ma che è anzitutto un grave peccato contro la carità (dia­
metralmente opposto alla beneficenza) e che consiste nel dire
o fare qualcosa di meno retto, che per il prossim o è occasio­
ne di rovina spirituale (43,1-8).
VIRTÙ CRISTIANE E DONI DELLO SPIRITO SANTO 62 5

I L D O N O D E L L A SAPI ENZA

II-II, 45. Si veda inoltre la nota bibliografica al n. 254.

Il dono che porta la carità alla sua massima perfezione è


quello della sapienza. Poiché la carità è la più eccellente del­
le virtù, si comprende che il dono della sapienza sarà, a sua
volta, il più eccellente dei doni.

263. 1. N a tu ra . - Il don o della sapienza è


un abito soprannaturale inseparabile dalla carità, per cui
giudichiamo rettamente di D ìo e delle cose divine nelle loro
ultime e altissime cause, sotto uno speciale istinto dello
Spìrito Santo che ce le f a gustare per una certa connatu­
ralità e simpatia.
a) Un abito soprannaturale... - È il genere prossimo
della definizione, comune a tutti i doni dello Spirito Santo.
V) ...inseparabile dalla carità... - Il dono infatti ha il pre­
ciso com pito di perfezionare la virtù, comunicandole una
modalità divina, della quale manca finché rimane sottomessa
al solo regim e della ragione umana illuminata dalla fede.
Per questa sua connessione con la carità, il dono della sa­
pienza, in quanto abito, si trova in tutte le anime in grazia
(II-II, 45,5) ed è incom patibile col peccato mortale, come
tutti gli altri doni.
c) ...per cni giudichiamo rettamente... - A bbiam o qui
la distinzione dal dono dell’intelletto, di cui è proprio l’in­
tuire profondam ente le verità della fede, sul piano della
semplice apprensione, senza emettere alcun giudizio su di esse.
Tale giudizio è proprio degli altri doni intellettuali. In spe­
cie: riguardo alle cose divine giudica il dono della sapienza,
riguardo alle cose create giudica il dono della scienza, mentre
il dono del consiglio interviene quando ci applichiamo con­
cretamente alle nostre anioni (11-11,8,6).
In quanto suppone un giudizio, il dono della sapienza risiede nell’intel­
letto, com e nel suo soggetto prop rio; siccom e però il giudizio per connaturalità
con le cose divine suppone necessariamente la carità, il d ono della sapienza
causaliter ha la sua radice nella carità, che risiede nella volon tà (45, 2). E
n on si tratta di una sapienza puramente speculativa, ma anche pratica, giac­
ché al d ono della sapienza appartiene anzitutto la contemplazione delle cose
626 LA VITA CRISTIANA NEL SUO SVILU PPO ORDINARIO

d iv in e ch e è c o m e la visione dei princìpi; e p o i la d irez io n e d e g li a tti u m a n i


in b a s e a m o tiv i sopramaturali. I n v ir t ù d i q u e s ta s u p re m a d irez io n e d e lla
sa p ie n z a , l ’a m a re z z a d e g li a tti u m a n i s i tra s fo r m a in d o lc e z z a , e la f a tic a
in ^ rip o so (45,3 c e t a d 3).

d) ...di Dio... - Questa è la nota specifica del dono del­


la sapienza. G li altri doni percepiscono, giudicano o si rife­
riscono a cose diverse da D io . Il dono della sapienza invece
ha per oggetto principale D io stesso del quale ci dà una co ­
noscenza saporosa e sperimentale che riempie l ’anima di
indicibile dolcezza. Precisamente in virtù di questa inef­
fabile esperienza di Dio l’anima giudica di tutte le altre cose
che gli si riferiscono, nelle lo ro ragioni supreme, ossia me­
diante le ragioni divine; perché, com e spiega S. Tom m aso,
colui che conosce ed assapora la causa altissima per eccel­
lenza, che è D io , è capace di giudicare tutte le còse nelle loro
ragioni divine (45,1).

e) ...e delle cose divine... - Il dono della sapienza si


riferisce propriamente alle cose divine, ma questo non gli
impedisce di estendere il suo giudizio anche sulle cose
create, scoprendo . le loro ultime cause e ragioni, che le
m ettono in relazione con D io , nella m eravigliosa unità
della creazione. È com e una visione che dalla eternità ab­
braccia tutto il creato, con uno sguardo penetrante, nel
suo significato più profondo e lo mette in relazione a D io:
la sapienza dunque fa contemplare divinamente le cose crea­
te.
L ’o ggetto prim ario — detto o ggetto formale « quod ■ ->— del d o n o della sa­
pienza contiene l ’o ggetto formale « quod » e quello materiale della fede; p o i­
ché la fede mira primariamente a D io e secondariamente alle altre verità
rivelate. Il d ono però si differenzia dalla virtù per l’ o g g e tto formale « quo »,
giacché la fede porta unicamente a credere, mentre la sapienza fa sperimen­
tare ed assaporare ciò che la fede fa credere.
L ’oggetto prim ario o formale « quod » del d ono della sapienza contiene
inoltre l’o ggetto formale « quod » e quello materiale della T eo lo gia , che com ­
prende Id d io, le verità rivelate e le conclusioni che da esse si possono trarre.
L a T eo lo gia però considera le verità rivelate com e principi primi, da cui con
retto ragionam ento deduce le sue conclusioni; la sapienza in vece fa contem ­
plare g li stessi principi sotto l ’illum inazione dello Spirito Santo e non
deduce propriamente delle conclusioni teologiche, ma le percepisce in maniera
intuitiva mediante la suddetta illuminazione.
Infine l ’oggetto secondario o materiale del dono della sapienza si p u ò
estendere a tutte le conclusioni delle altre scienze, che sono contemplate
VIRTÙ CRISTIANE E DONI DELLO SPIRITO SANTO 627

sotto questa stessa luce divina, la quale mostra la loro relazione co l fine
ultimo soprannaturale I3.

f) ...nelle loro ultime ed altissime cause... - È l’aspetto


proprio e caratteristico di ogn i vera sapienza.
Sapiente, in generale, è colui che conosce le cose attra­
verso le loro ultime cause. I filosofi definiscono la sapien­
za: « cognitio certa et evidens rerum per altissimas earum
causas ». Colui che contempla una cosa senza conoscerne
le cause ha di essa una conoscenza volgare o superficiale
(per esempio chi osserva un ’eclissi senza sapere a che cosa
sia dovuta); chi conosce una cosa e ne sa indicare le cause
prossime, ha di essa una conoscenza scientifica (l’astronomo
di fronte all’eclissi); colui che sa ricondurre le sue conoscenze
agli ultim i principi dell’essere naturale, possiede la sapienza
filosofica o naturale (metafisica); colui che, guidato dalla luce
della fede, scruta con la sua ragione naturale i dati rivelati,
per esplicitare quanto essi contengono, deducendo nuove
conclusioni, possiede la massima sapienza naturale che si pos­
sa raggiungere in questa vita (Teologia): sapienza già in­
serita — radicaliter — nell’ordine soprannaturale (cfr. S.
T h . I, 6). Colui che, già in possesso della fede e della grazia,
giudica per istinto divino le cose divine ed umane attra­
verso le loro ultime ed altissime cause — ossia attraverso
le loro ragioni divine — possiede la sapienza soprannaturale,
Q uest’ultima è precisamente quella propria del dono della
sapienza. In questa vita non v ’è conoscenza superiore a
questa: essa infatti è inferiore soltanto alla visione beatifica
ed alla sapienza increata di D io.

L a conoscenza quindi che dà all’anima il dono della sapienza è incom pa­


rabilm ente superiore a quella di tutte le scienze umane, inclusala, teologia,
che pure ha già qualcosa di divino 1 4. Perciò avviene talvolta che un ’anima
sem plice ed ignorante, sprovvista nella maniera più assoluta di n ozioni teo­
logich e, possieda, per il d ono della sapienza, una conoscenza cosi profonda
delle cose divine da m eravigliare i più em inenti teologi.

g) ...sotto uno speciale istinto dello Spirito Santo... - A nche

T3 B a r r e t , Tractatus de virtutibus, Paris 1 8 8 6 , v o l . i , p ag 2 2 9 .


*4 L'abito. della T eo lo gia è entitativamente naturale, perché procede dal
discorso naturale della ragione, che esamina i dati della fede dai quali estrae
le loro virtualità intrinseche, che sono le conclusioni teologiche; però radica­
liter è soprannaturale, in quanto parte dai princìpi della fede che illumina
tutto il processo teologico (cf. 1,6 ad 3).
628 LA VITA CRISTIANA NEL SUO SVILU PPO ORDINARIO

questa caratteristica è comune a tutti i doni detti precisamente


« dello Spirito Santo »; ma è in m odo speciale propria
della sapienza per la sublimità del suo oggetto. L ’anima non
procede in questa conoscenza con lento e faticoso razioci­
nio, ma in m odo rapido e intuitivo, per un istinto speciale
che proviene dallo Spirito Santo. Chi è mosso da questo
istinto non saprebbe, forse, esporre le ragioni che lo deter­
minano ad agire in tal m odo, oppure a pensare o dire la
tal cosa: egli ha sentito che n on poteva agire, pensare e
parlare diversamente con una chiaroveggenza e sicurez­
za infinitamente superiore all’evidenza di qualsiasi ragio­
namento umano.
h) ...clie ce le fa gustare per una certa connaturalità e
simpatia. - È un’altra nota tipica di tutti i doni, che raggiunge
la sua massima perfezione in quello della sapiènza. L e anime
che sperimentano questa saporosa conoscenza di D io com ­
prendono m olto bene il senso di quelle parole del Salmo:
« Gustate e vedete quanto soave è il Signore » (Sai. 33,9).
Esse provano una gioia spirituale che le rapisce e fa loro
presentire l’ineffabile felicità del paradiso.
S. Tom m aso, con precisione ammirabile spiega: « Com e abbiamo già
detto, la sapienza im porta una certa rettitudine del giudizio secondo le ra­
gion i divine. O ra la rettitudine del giud izio deriva o dal perfetto uso della
ragione o da una certa connaturalità tra chi giudica e le cose che deve giudicare.
E cosi vediam o che mediante la ragione discorsiva giudica rettamente
delle cose che riguardano la castità colui che possiede la scienza morale;
ma, per una certa connaturalità con questa virtù, giudica rettamente anche
colui che pratica abitualmente la castità. Cosi pure giudicare rettamente delle
cose divine mediante la ragione discorsiva appartiene alla sapienza, in quan­
to è una virtù intellettuale; ma giudicare rettamente delle cose divine per una
certa connaturalità con esse, appartiene alla sapienza in quanto dono dello
Spirito Santo; com e dice D io n igi (nel secondo capitolo del D e D ìv. N om .)
che Ieroteo è perfetto nelle cose divine non soltanto perchè le conosce, ma perchè
le sperimenta in sé stesso » (45, 2).

264. 2. N e c e s s ità . - Il dono della sapienza è


assolutamente necessario affinché la carità possa svi­
lupparsi in tutta la sua pienezza e perfezione. Pre­
cisamente perché è la virtù più eccellente, la più per­
fetta e divina di tutte, esige, per la sua stessa natu­
ra, di essere regolata dal don o d ivin o della sapien­
za. A bbandonata a sé stessa, ossia praticata dall’u o ­
VIRTÙ CRISTIANE E DONI DELLO SPIRITO SANTO 629

m o n ello stad io a scetico , d e v e so tto stare alla re g o la


d e lla ra g io n e u m an a, al modo umano ch e necessariam ente
l ’u o m o le im p rim e . O ra questa a tm o sfera u m an a la
s o ffo c a , im p e d e n d o le di v o la re v e rs o le altezze; e m en ­
tre p er sua n atura p o tr e b b e slan ciarsi fin o al cie lo ,
è co stre tta a m u o v e rs i fatico sam en te rasen te al su o lo :
ra g io n i u m a n e... fin o a u n ce rto p u n to ..., sen za c o m p ro ­
m ettersi tr o p p o ..., co n g ra n p ru d e n za ... e cc. S o ltan to
q u a n d o co m in cia a ric e v e re l’in flu s s o d el d o n o della
sap ienza, ch e la tra sp o rta in u n ’a tm o sfera d iv in a —
di cu i ha b is o g n o p er la sua stessa n atura di v ir tù teo ­
lo g a le p erfettissim a — la carità in co m in cia , p e r cosi
dire, a resp irare a p ien i p o lm o n i, cresce, si svilu p p a
ra p id am en te e p o rta l’anim a ad u n a p e rfe z io n e che
n o n era m ai riu scita a s fio ra re d u ran te il p e r io d o asce­
tico 15.
D a questa dottrina si deduce che lo stato mistico (regime
abituale o predominante dei doni) non solo è qualche cosa
' di anormale e straordinario nello sviluppo della vita cristia­
na, ma è precisamente l ’atmosfera normale che la grazia e-
sige per poter sviluppare tutta la divina potenza che essa
racchiude attraverso i suoi principi operativi (virtù infuse),
principalmente le virtù teologali. D alla stessa dottrina si
deduce inoltre che la realizzazione dei doni dello Spirito
Santo al m odo umano, oltre che impossibile e assurda,
sarebbe completamente inutile per la perfezione delle vir­
tù infuse, soprattutto di quelle teologali; infatti queste ulti­
me sono superiori ai doni per loro stessa natura (I-II, 68,
8) : l’unica perfezione, quindi, che possono ricevere da essi
è la modalità divina, non quella umana che le virtù hanno
già di per sé allo stato ascetico.

265. 3. E f f e t t i . - Il d o n o della sapienza p ro d u ­


ce, tra g li a ltri, i se g u e n ti effetti:
i) Comunica alle anime una divina sensibilità con cui giu­
dicano tutte le cose.

*5 Cf. lo studio del P. G . M e n é n d e z - R e i g a d a , Necesìdad de losdones de


Espiritu Santo, Salamanca, 1940.
6 30 LA VITA CRISTIANA NEL SU O SVILU PPO ORDINARIO

È questo l’effetto più appariscente del dono della sa­


pienza. Si direbbe che chi lo possiede abbia perduto com ­
pletamente il senso dell’umano e giudichi tutte le cose con
un istinto divino. V ed e dal punto di vista di D io tanto i pic­
coli episodi della vita quotidiana, quanto i grandi eventi
storici, in cui riconosce, attraverso il gro vig lio delle cause
seconde, la mano di D io che tutto regge e governa. Solo
il peccato, la tiepidezza, l’infedeltà alla grazia, sono per lui
vere disgrazie, n on ciò che abitualmente si chiama con
questo nom e (malattie, persecuzioni, morte ecc.). N o n com ­
prendono com e il m ondo possa chiamare ricchezze e gioie
alcuni piccoli cristalli che brillano un p ò più degli a ltr il6;
poiché vedon o chiaramente che non esiste altro vero te­
soro all’infuori di D io e di quanto ci conduce a lui.
Q uesto dono brillò in m odo tutto speciale in S. Tom m aso
d’A quino. E m eraviglioso l’istinto con cui scoprì in tutte
le cose l ’aspetto divino che le mette in relazione con D io.
Ciò non si può spiegare sufficientem ente per m ezzo di una
sapienza umana per quanto elevata essa sia; è necessa­
rio ricorrere all’istinto divino proprio del dono della sa­
pienza 1i.
Sorprendente, e attuale, è anche il caso di Suor Elisabet­
ta della Trinità.
Secondo il P. Philipon — che ha studiato a fondo quan­
to riguarda la celebre carmelitana di D igion e — il dono
della sapienza è il più caratteristico della sua dottrina e del­
la sua vita lj. L a sua anima, seguendo una sublim e vocazio­
ne contem plativa, fu trasportata fin o al seno della SS.
Trinità, in cui stabili la sua dim ora permanente, e da cui
contem plava e giudicava quanto accadeva sulla terra. L e
m aggiori p rove, sofferenze e contrarietà, non riuscivano
a pertubare un solo m om ento l ’ineffabile pace della sua
anima: tutto passava su di essa lasciandola « im m obile e
tranquilla com e se vivesse già nell’eternità ».
2 ) Fa loro vivere in modo divino i misteri della^nostra
fede.
Scrive il P. Philipon: «Il dono della sapienza è il dono
regale, quello che più di ogn i altro mette le anime in posses-

16 Si r ic o r d i l ’e p is o d io d i S. T e r e s a ch e a b b ia m o g ià r ife r ito
n . 2 4 2 ,5 ).
1 ' C f. P . G a r d e i l , J j/ s dones del H sp irìtu Santo en los santos dominicos c.8
V e r g a ta , 1907.
18 C f. P . P h il ip o n , J.a dottrina spirituale ec c . c .8 , n .8 .
VIRTÙ CRISTIANE E DONI DELLO SPIRITO SANTO 631

so della maniera deiforme del sapere divino. È l’estremo


culmine, oltre il quale è im possibile innalzarsi al di qua
della visione intuitiva e beatificante di D io , massimo gra­
do della sapienza. È lo sguardo del « V erb o che spira l’amo­
re » partecipato ad un’anima, la quale giudica tutte le cose
dalle cause più alte, più divine, dalle ragioni supreme,
a quel m odo che le conosce e giudica D io stesso.
Introdotta per m ezzo della carità, nell’abisso infinito
delle D ivin e Persone, quasi nella lo ro vita intima, l’anima
divinizzata, sotto l’impulso dello Spirito di Am ore,
tutto contem pla da questa altezza; gli attributi divini, la
Creazione, l’Incarnazione, la Redenzione, la gloria ed anche
gli eventi temporali siano essi piccoli o grandi. Per quanto
è consentito ad una semplice creatura, essa partecipa della
visione e conoscenza che D io ha di sé stesso e dell’univer­
so, sperimentando in sé stessa una dolcezza ineffabile: « per
quandam experientiam dulcedinis » com e si esprime so­
briamente S. Tom m aso (I-II,xi2,5).
Per comprendere questo occorre tener presente che D io
conosce tutte le cose in sé stesso, com e loro causa. N on
conosce direttamente le creature in sé stesse e nemmeno
nel complesso delle cause contingenti che regolano la loro
attività, ma le contem pla eternamente nel suo V erb o , giu­
dicando nella sua essenza le disposizioni della sua p ro vv i­
denza ' 9.
3) Le conduce a partecipare ineffabilmente a lla vita trin i­
taria.
« Mentre il dono della scienza prende un m ovim ento a-
scensionale per elevare l ’anima dalle creature fino a D io,
mentre il dono dell’intelletto penetra, con semplice sguardo
d’amore, tutti i misteri di D io neU’intim o e al di fuori, il
dono della sapienza non esce mai, per cosi dire, dal cuore
stesso della Trinità. T u tto è visto da questo centro indivi­
sibile. E l’anima, resa in tal m odo deiforme, n on conside­
ra mai le cose che nel loro perché, nei loro m otivi più
alti, più divini. T utto il m ovim ento dell’universo fino ai
minimi atomi cade quindi sotto il suo sguardo alla luce
purissima della Trinità e dei divini attributi, ma con ordi­
ne, secondo il ritmo con cui le cose procedono da D io.
Creazione, Redenzione, ordine ipostatico, tutto, anche il
male, le appare ordinato alla m aggior gloria della Trinità.
Elevandosi infine con uno sguardo supremo, al di sopra

19 Ivi.
632 LA VITA CRISTIANA NEL S U O SVILU PPO ORDINARIO

della giustizia, della misericordia, della provvidenza e di


tutti g li attributi divini, l’ anima scopre d’im provviso tutte
queste perfezioni increate nella loro sorgente eterna: in
D io stesso, Padre, F iglio e Spirito Santo, che supera
all’infinito tutte le nostre umane concezioni le quali lo
rim piccioliscono e lo circoscrivono; mentre egli rimane
incom prensibile, ineffabile, anche allo sguardo dei beati,
anche allo sguardo beatifico di Cristo... quel D io che,
nella sua semplicità sovraem inente, è insieme Unità e T r i­
nità, essenza indivisibile e società delle T re Persone v i­
venti, realmente distinte secondo un ordine di processione
che non infrange la lo ro uguaglianza consustanziale. L ’ oc­
chio umano non avrebbe p otuto scoprire mai un tale mi­
stero, né l ’occhio percepire tali armonie, né il cuore sup­
porre una tale beatitudine, se la D ivinità non si fosse in­
chinata, con la grazia, fin o a n oi in Cristo, per farci pene­
trare negli insondabili abissi di D io , sotto la condotta
stessa del suo Spirito » 20.
L ’anima giunta a queste altezze non e sc e p iù da D io . Se
i doveri dello stato lo richiedono, si dà esternamente a o-
gn i specie di lavoro, anche ai più assorbenti, con una in­
credibile attività; però sente in m odo permanente la divina
com pagnia dei « suoi tre » e n on li abbandona un solo istan­
te: la sua vita su questa terra è già l’inizio dell’eternità
beata.
4) Spinge fino a ll’ eroismo la virtù della carità.
È precisamente lo scopo ultim o del dono della sapienza.
Liberata da zavorre umane e ricevuto il so ffio dello Spirito, la
carità, acquista in breve proporzioni gigantesche. L ’amor di
D io giunge allora ad estinguere completamente l ’amor pro­
prio; l’anima ama il Signore unicamente per la sua infinita
bontà, senza mescolanza di interessi o m otivi umani. N on
rinuncia alla speranza del cielo, anzi lo desidera più che mai,
perché lassù potrà amare D io con m aggiore intensità sen­
za soste ed interruzioni. M a se per assurdo potesse ama­
re di più Iddio nelPinferno che nel cielo, preferirebbe senza
esitazione i torm enti e te rn i11. A llo ra si accorge che comincia

10 Ivi.
21 Q uesto sentim ento lo hanno esperimentato m olti santi. Si veda, per
esem pio, con che semplice e sublime delicatezza lo espone S. Teresina del
Bam bino Gesù: « U na sera, che n on sapevo com e fare a dire a G esù quanto
l’amassi, e quanto fosse intensa la mia brama di vederlo ovun que servito
e glorificato, pensai con dolore che dagli abissi infernali non si sarebbe
VIRTÙ CRISTIANE E DONI DELLO SPIRITO SANTO 633

ad osservare il primo comandamento della legge con tutta


la perfezione com patibile con la debolezza e le miserie
dell’esilio.
A nche la carità verso il prossim o giunge alla sua più al­
ta perfezione attraverso il dono della sapienza. I mistici
amano il prossimo con tenerezza soprannaturale e divina,
lo osservano con eroica abnegazione, che si mimetizza sotto
la più grande semplicità e naturalezza. V ed on o Cristo nei
poveri, in coloro che soffrono, lo riconoscono in tutti i
fratelli. Si privano con piacere delle cose più necessarie
ed utili per offrirle al prossimo, i cui interessi preferiscono
ai propri. A volte la carità che li infiamma è tanto grande che
si manifesta all’esterno in « divine pazzie » che sconcer­
tano la prudenza ed i calcoli umani. S. Francesco abbrac­
ciò un albero — creatura di D io — : esprimendo così il suo
desiderio di stringere in un immenso abbraccio tutta la
creazione uscita dalle mani di D io .
5) Dà a tutte le virtù l'ultim a perfezione rendendole ve­
ramente divine.
Perfezionata dal dono della sapienza, la carità fa sentire
la sua divina influenza su tutte le altre virtù, di cui è vera­
mente forma, benché estrinseca ed accidentale. T utti gli
aspetti della vita cristiana risentono di questo benefico in­
flusso. Il dono della sapienza, attraverso la carità, eleva
tutte le virtù cristiane com unicando loro un m odo di agire
deiform e, pur lasciando sussistere tutte le diverse sfumatu­
re che possono assumere secondo il carattere personale
ed il genere di vita di ciascun santo.

266. 4 . Beatitudini e frutti che derivano da


questo dono. - S. Tom m aso, seguendo S. A g o sti­
no, attribuisce al. dono della sapienza la settima bea­
titudine: « Beati i pacifici perché saranno chiam ati fi­
g li di D io » (M at. 5,9), e prova^che g li conviene nel
suo duplice aspetto: quanto al m erito e quanto

levato mai un solo atto di amore; allora esclamai che volentieri avrei ac­
cettato di vederm i im mersa in q uel lu o g o di bestem m ie e d i tormenti,
perché E g li v i fosse eternamente amato. È vero che ciò n on potrebbe glo ­
rificarlo, perché E g li non desidera che la nostra felicità; ma quando il cuore
am a m olto, prova il b isogn o di d ite m ille pazzie» (Storia di un*anima c.5
n.196).
634 LA VITA CRISTIANA N EL SUO SVILU PPO ORDINARIO

al prem io. G li conviene quanto al m erito (« beati i


pacifici »), perché la pace è la tranquillità dell’ordine;
ed appartiene alla sapienza stabilire il retto ordine
nelle nostre relazioni verso D io , verso il prossim o
e verso noi stessi. G li conviene inoltre quanto al
prem io (« saranno chiamati fig li di D io »), perché
diventiam o fig li ad ottivi di D io precisam ente per la
nostra partecipazione e som iglianza co l F iglio un ige­
nito. del Padre, che è la Sapienza eterna 22.
1 frutti dello Spirito Santo che appartengono al
dono della sapienza sono principalm ente tre: la ca­
rità, il gaudio spirituale e la pace 23.

267. 5. V i z i o p p o sti. - A l dono della sapienza


si oppon e il v izio della stoltezza, 0 ignoranza spiritua­
le che consiste in un certo oscuram ento del giu d izio e
del senso spirituale che ci im pedisce di discernere e di
giudicare le cose divine con quel gu sto e sicurezza,
proven ienti dalla connaturalità, che sono prop ri del
dono della sapienza. P egg io re ancora è la fatuità che è
a totale incapacità a giudicare delle cose divine.
« C i mostriamo malati di questa stupidità ogni volta
che apprezziamo per qualche cosa le nullità di questo m on­
do, attribuendo del valore a qualsiasi cosa che non ci por­
ti al possesso del Som m o Bene. Se non siamo santi, dobbiam o
perciò riconoscere di essere veram ente stupidi, per quanto
questa constatazione urti il nostro amor proprio ». 2s.

Q uando questa stupidità è volontaria, perch é ci


si som m erge nelle cose terrene fin o a perdere com ple­
tamente di vista quelle divine, costituisce un vero,
peccato (46,2) secondo l ’espressione di S. Paolo: « L ’uo-

“ C f. 11 -11 , 4 5 ,6 .
23 Cf. 1-11,70,3; II-II,28, i e 4; 29,4 ad 1.
*4 Cf. 11 -11 ,4 6 .
? 5 Cf. G . M e n é n d e z - R e i g a d a , L os dones del Espirltu Santo... 0.9, n .T
P- 5 9 5 -
VIRTÙ CRISTIANE E DONI DELLO SPIRITO SANTO 635

m o animale n on percepisce le cose dello Spirito di D io »


( i C or 2,14). E siccom e non v ’è cosa che abbrutisca
di più l ’uom o che la lussuria da essa principalm ente p ro­
viene la stoltezza o ignoranza spirituale; sebbene v i
contribuisca anche l ’ira, che offusca la m ente per la
violenta com m ozione fisica, im pedendole di giudica­
re con rettitudine (46,3 c et ad 3).

268, 6. Mezzi per fomentare questo dono. -


O ltre i m ezzi generali (raccoglim ento, vita di orazione,
fedeltà alla grazia, frequente in vocazion e dello Spirito
Santo, profon d a um iltà, ecc.) possiam o disporci al
dono della sapienza nei seguenti m odi:
1) Sforzandoci di vedere tutte le cose dal punto di vista di
D io. - Quante anime pie e persino anime consacrate
a D io vedono e giudicano tutte le cose da un punto di vista
puramente naturale ed umano! L a loro m iopia spirituale è
tanto grande che non riescono mai a spingere lo sguardo
oltre le cause puramente umane per vedere i disegni di D io
in tutto ciò che avviene. Se ven gono molestate, anche inav­
vertitamente, perdono la pazienza e se l’hanno a male. Se
un superiore le corregge di qualche difetto, dicono che non
ha un briciolo di comprensione, che non sa comandare.
Se ven gono umiliate protestano. Con esse bisogna procede­
re sempre con tutte le attenzioni, com e si trattasse di perso­
ne del m ondo, interamente sprovviste di spirito sopranna­
turale. In tali anime il dono della sapienza non opera perché
col loro spirito tanto imperfetto ed umano hanno soffocato
completamente l ’abito dei doni. Finché non si sforzeranno
di sollevare un p o ’ i loro sguardi al cielo, andando oltre
le cause seconde, non cercheranno di vedere la mano di D io
in tutti gli avvenim enti prosperi o avversi che loro capita­
no, continueranno sempre a vivere mediocremente la loro
vita spirituale.

2) Combattendo la sapienza del mondo che è stoltezza dinan­


zi a D io . - L a frase è di S. Paolo (iC o r. 3,19). Il mon­
do chiama sapienti coloro che dinanzi a D io sono stolti
(iC o r. 1,25); e per una inevitabile antitesi, sono sapienti
dinanzi a D io coloro che il m ondo chiama stolti (iC o r. 1,27;
3,18). E poiché il m ondo è pieno di sapienza che è stoltezza
636 LA VITA CRISTIANA N EL S U O SVILU PPO ORDINARIO

dinanzi a D io , la S. Scrittura non esita ad affermare che « il


numero degli stolti è infinito» (Eccl. 1,15).
« Infatti — scrive il P. Lallem ant — la m aggior parte degli uom ini ha
il gusto depravato, e si possono, a bu o n diritto, chiamare stolti, perché
agiscono con stoltezza, cercando, alm eno in pratica, il lo ro ultim o fine
non in D io , ma nella creatura. Ciascuno ha sempre un qualche oggetto a cui
si affeziona ed a cui tutto riferisce, in m odo da n on aver quasi attacco o
passione che dipendentemente dall’o gge tto stesso. E questa è vera stoltezza.
Esaminando i nostri gusti e le nostre ripugnanze, sia nei confronti di
D io e delle cose divine, sia nei confronti delle creature e delle cose della
terra, Comprenderemo se apparteniamo al num ero dei sapienti o degli stol­
ti. Q u al’è la sorgente dei nostri piaceri e dei nostri turbamenti ? In che cosa
il nostro cuore trova il proprio riposo e la propria soddisfazione ?
Q uesto esame diventa un indicatissimo m ezzo per acquistare la purezza
del cuore. D ovrem m o rendercene familiare l ’uso; indagando sovente lun go
la giornata i nostri gusti e le nostre ripugnanze, sforzandoci p o i di riferirle
a p o co a p oco al Signore.
« T re sono le form e di sapienza riprovate dalla S. Scrittura (Giac. 3,15),
che si possono chiamare vere stoltezze: terrena, la sapienza-materiale che con ­
siste nel solo gusto delle ricchezze; animalis, la sapienza animale cioè il solo
gusto dei piaceri del corpo; diabolica, la sapienza diabolica, propria di chi
non gode che della propria eccellenza.
C ’è p oi ima stoltezza, che è vera sapienza agli occhi del Signore. A -
mare la povertà, il disprezzo, le croci, le persecuzioni, è essere pazzo secon­
do il m ondo. E tuttavia la sapienza, che è dono dello Spirito Santo, non è
altro che questa stoltezza, la quale n on ama che ciò che è piaciuto a N ostro
Signore ed ai santi. O ra G esù Cristo, in tutto ciò che ha praticato durante la
sua vita m ortale, com e nella povertà, nell’um iliazione, nella croce, ha lasciato
un profum o soave, un sapore delizioso, che sono di un ordine soprannatu­
rale. I santi hanno seguito le attrattive di questo profum o, com e un S. I-
gnazio che godeva nel vedersi burlato; S. Francesco, che am ò l’um iliazione
con tanto ardore, da compiere azioni che lo rendessero ridicolo; S. D om en i­
co che preferiva soggiornare a Carcassonne, o ve di solito era beffeggiato,
che n on a Tolosa, d o ve tutti lo veneravano » i6.

3) Non affezionarsi troppo alle cose di questo mondo ben­


ché buone ed oneste. - L a scienza, Parte, la cultura uma­
na, il progresso materiale ecc., sono per sé cose buone
ed oneste. M a se ci lasciamo assorbire eccessivamente da esse
danneggeranno fortem ente la nostra vita spirituale: abituan­
do il palato al gusto delle creature, si proverà una certa
nausea ad assaporare le cose divine. L ’appetito disordinato

26 Cf. P. L allem an t, h a dottrina spirituale princ.4, c.4, a .i.


VIRTÙ CRISTIANE E DONI DELLO SPIRITO SANTO 637

della scienza — sia profana che sacra — paralizza la vita


spirituale di molte anime, che perdono il gusto della vita
interiore, accorciano l'orazione, si lasciano assorbire dal
lavoro intellettuale, e trascurano l’« unica cosa necessaria »
di cui ci parla il V angelo
« Com e sono diversi — continua a dire il P. Lallem ant — i criteri di D io
dai criteri degli uomini! L a sapienza di D io diventa follia, secondo il criterio
d egli uom ini, ma anche la sapienza d egli uom ini diventa follia, secondo
il giudizio di D io . Spetta a n oi scegliere a quale di questi due giudizi confor­
mare il nostro. D obbiam o eleggere o l ’uno o l ’altro com e regola delle n o­
stre azioni.
Se gustiam o le lo d i e g li onori, diventiam o d egli stolti in questo cam­
p o; e possiamo dirci tanto stolti quanto è il pi icere che prendiam o ad esse­
re onorati e stimati. Com e al contrario, possiamo dire di avere tanta sapienza,
quanto è l ’amore che proviam o per l’um iliazione e per la croce.
È una cosa mostruosa che anche tra religiosi v i siano persone che si
com piacciono soltanto per ciò che può procacciare credito agli occhi del
m ondo, che intraprendono tutto ciò che fanno nei trenta o quarantanni
della loro vita religiosa solo per assecondare le mire umane a cui aspirano,
provando gioia o tristezza solo in rapporto ad esse, o d almeno mostrandosi
più sensibili per esse che per ogn i altra cosa. T u tto quanto si riferisce a D io
o d alla perfezione è per essi insipido, n on trovan dovi gusto alcuno.
È terribile questo stato e meriterebbe di essere com pianto con lacri­
me di sangue. D i qual perfezione possono essere suscettibili sim ili religiosi ?
C he frutti di bene possono prom uovere tra il prossim o ? M a anche quale
confusione proveranno nell’ora della m orte, quando sarà loro dimostrato
che durante l ’intero corso della vita non hanno cercato nè gustato che lo
splendore della vanità, com e fanno i mondani! V i capitasse di sorprendere
queste persone nella tristezza, p rovatevi a dir loro una parola che insinui
la speranza di qualche prom ozione, n on im porta se destituita di fonda­
mento! V o i le vedrete tosto cambiare fisionomia, v i accorgerete che il loro
cuore si apre alla gioia com e all’arrivo della notizia di un grande successo.
D e l resto, com e non sanno coltivare il gusto della v ita devota, cosi
\ «trattano le pratiche com e inezie e manifestazioni di spirito debole; e co­
storo non soltanto regolano se stessi su questi principi errati di sapienza
mondana e diabolica, ma arrivano a far partecipi anche gli altri dei lo ro sen­
tim enti, insegnando massime affatto contrarie a quelle di N ostro Signore e
d el V an gelo, di cui tentano di m itigare il rigore con interpretazioni forzate
e conform i alle inclinazioni della natura corrotta, basandosi su passi della
S. Scrittura male intesi, sui quali costruiscono la propria r o v in a » 28.

J 7 Cf. Luca 10,42.


28 P. L a l l e m a n t , 1. c.
638 LA VITA CRISTIANA NEL S U O SV ILU PPO ORDINARIO

4) Non attaccandosi alle consolazioni spirituali, m a andan­


do a D io attraverso ad esse. - D io ci vuole per sé di­
staccati da tutte le cose create e persino dalle consolazioni
spirituali che tanto abbondantemente, a vo lte, ci prodiga
nelForazione. Queste consolazioni sono certamente im por­
tantissime per il nostro progresso spirituale 29, però unica­
mente com e incoraggiam ento e stim olo per cercare D io con
più ardore. A ndarne in cerca per assaporarle com e fine ul­
timo della nostra orazione sarebbe immorale; e, anche consi­
derarle com e fine intermedio, subordinato a D io , è una cosa
m olto imperfetta, da cui è necessario purificarsi se vogliam o
arrivare alla perfetta unione con D io 3». B isogna essere
pronti e disposti a servire D io tanto nell’oscurità come
nella luce, tanto nell’aridità com e nelle consolazioni. O c­
corre cercare direttamente il D io delle consolazioni, e non
le consolazioni di D io . L e consolazioni e diletti spirituali
sono com e la salsa o il condim ento, che serve soltanto per
prendere m eglio gli alimenti forti, che nutrono veramente
l’organismo; da sole non alimentano, anzi possono guastare
persino il palato, rendendo insipide le cose convenienti
quando l’anima non v i trovi tali gioie sensibili.

B) L E V I R T Ù ’ M O R A L I

Subito dopo lo studio delle virtù teologali, S. T o m ­


m aso inizia la trattazione delle virtù m orali. C osi esige
infatti l ’ ordine logico: rettificate le nostre potenze
in ordine al fine soprannaturale per m ezzo delle virtù
teologali, è necessario rettificarle anche in ordine ai
m ezzi per raggiun gerla. T a le è il com pito delle virtù
m orali infuse.
L e virtù m orali sono m olte (cfr. n. 59): S. T om m aso
nella Summa Theologica, ne studia 54; m a è probabile
che n on abbia inteso darne l ’elenco com pleto. T ra
tutte, em ergono per la lo ro im portanza, le quattro

29 Cf. P. A r i n t e r o , Cuestioms misticas i , a .6 .


3° Cf. S. G io v a n n i d e l l a C r o c e , Salita del Monte Carmelo e Notte o-

cura p a s s im .
VIRTÙ CRISTIANE E DONI DELLO SPIRITO SANTO 639

virtù cardinali: prudenza, giustizia, fortezza e tem pe­


ranza.
Studierem o ora queste quattro virtù ed alcune delle
v irtù più im portanti che da esse derivano.

A rtico lo I V

L,a virtù della prudenza

S. T h ., 11-11,47-56; S c a r a m e l l i , Direttorio ascetico, t.3 , a . i ; C h . d e


S m et, Notre vie surnaturelle, t . i , p p . 1 -13; B a r r e , Tractatus de virtutibus,
p . 2 .a c. 1 ; J a n v i e r , Carime, 19 17; T a n q u e r e y , Compendio di Teologia asceti­
ca e mistica, n n .1 0 1 6 -3 6 ; G a r r i g o u - L a g r a n g e , L e tre età, 1 1 1 , 8 ; P r u m m e r ,
Manuale Tbeologiae Moralis, I , n n . 6 2 5 -3 6 ; L u m b r e r a s , D e prudentia.

269. 1. N a tu ra . - L a prudenza naturale, o ac­


quisita, fu definita da A ristotele con m olta esattezza
e precisione: « recta ratio agibilium » 1. Q uesta defini­
zione è essenzialm ente valida anche per la prudenza
infusa o soprannaturale. N o i però adotterem o la se­
guente definizione più dettagliata: la prudenza è una
virtù speciale, infusa da D ìo nell’intelletto pratico, per il
retto governo delle nostre anioni particolari in ordine a l fine
soprannaturale.
a) U na virtù speciale... cioè distinta da tutte le altre 3.
b) ...infusa da Dio n ell’ intelletto pratico... - A nche la
prudenza acquisita risiede neirintelletto pratico, giacché
entrambe si riferiscono al medesimo o gg etto materiale,
che sono gli atti umani individui e concreti; però differi­
scono sostanzialmente sia per la loro origine (ripetizione degli
atti per la prudenza naturale; infusione da parte di D io per
quella soprannaturale), sia per la loro estensione (la prima ab­
braccia l’ordine naturale, la seconda anche quello sopranna­
turale) e sia soprattutto per il loro m otivo od oggetto for­

1 Etb'tc. 1.6 , c.5, n.4.


2 Cf. 11-11,47,4-;.
£40 LA VITA CRISTIANA N EL SUO SVILU PPO ORDINARIO

male (la sinderesi e l’ appetito naturale del bene per la prima,


i m otivi della fede inform ata dalla carità per la seconda) 3.
c) ...per il retto governo delle nostre azioni particolari... -
L ’atto proprio della virtù della prudenza è quello di
dettare, cioè intimare o comandare com e si deve agire in
concreto, hic et nunc tenendo conto di tutte le circostanze,
dopo matura riflessione e consiglio ■ >.
d) ...in ordine a l fine soprannaturale. - È l ’oggetto for­
male o motivo prossimo che la distingue radicalmente dalla
prudenza naturale o acquisita, la quale bada soltanto alle
cose di questo m ondo.

270. 2, Im p o rta n z a e n e c e ssità . - La prudenza


è la virtù m orale più perfetta e necessaria. L a sua
influenza si estende su tutte le altre, p o ich é indica il
giusto me^KP che fa lo ro evitare ogn i eccesso o difet­
to. In certo senso anche le -vitto, teologali hanno
b isogn o del controllo della prudenza, n on perché
esse consistano in un giusto me^XP (poiché la m isura del­
la fede, della speranza e dell’am or di D io è quella di
credere, sperare ed amare senza m isura), ma perché
da parte del soggetto che le pratica e del modo con cui
ve n g o n o praticate, si d evon o tener presenti tutte le
circostanze: sarebbe una illusione im prudente dedi­
care tutto il gio rn o all’esercizio delle virtù teologali,
trascurando l ’adem pim ento dei d overi del prop rio
stato 5.
L ’importanza e la necessità della prudenza risulta da
m olti brani della S. Scrittura. G esù Cristo stesso ci avverte
di essere « prudenti com e serpenti e semplici com e colom ­
be»: (Mat. 10,16). Senza questa virtù nessun’altra può essere
perfetta.
Benché sia una virtù intellettuale, la prudenza è tuttavia
eminentemente pratica essa ci dice in ogni caso particolare
quello che si deve o conviene fare o d omettere per raggiun­

3 C f. 11 -11 , 4 7 , 1 -2 .
4 Cf. 11-11,47,3 e 8.
5 C f. 1-11,64; II-II,47,7.
VIRTÙ CRISTIANE E DONI DELLO SPIRITO SANTO 641

gere la vita eterna. Per questo viene chiamata auriga vir-


tutum; essa infatti governa tutte le altre virtù.
Se essa è necessaria nell’ordine naturale 6, è indispensa­
bile nell’ordine soprannaturale:
a) Per evitare il peccato. - Ammaestrata dall’esperienza,
questa virtù ci fa conoscere le cause e le occasioni del peccato,
e ce ne indica i rimedi opportuni. Q uanti peccati com m ette­
remmo senza di essa, e quanti ne commetteremo di fatto se
non seguiremo i suoi consigli!
V) Per progredire nella virtù. - La prudenza ci detta in ogni
caso particolare quello che occorre fare od omettere in or­
dine alla nostra santificazione. A volte è diffìcile trovare la
maniera di conciliare, nella pratica, due virtù apparentemente
opposte, com e l’um iltà e la magnanimità, la giustizia e la
misericordia, la fortezza e la soavità, il raccoglim ento e lo
zelo apostolico. È la prudenza che deve risolvere questi
conflitti, indicando il m odo concreto di conciliare entram­
be le tendenze senza distruggerle.
Pascal scrisse queste p rofonde parole: « I o non ammiro l ’eccesso di unai
virtù, com e il coraggio, se non ved o nello stesso tem po l ’eccesso della virtù
opposta, com e in Epam inonda, che univa l ’estremo valore alla estrema be­
nignità. Poiché, altrimenti, non è un salire, ma uno scendere. N o n si dimo­
stra la propria grandezza stando ad una estremità, ma toccandole ambedue-
insieme e riem piendo il vu oto tra esse » 7 . L a realizzazione di questo equi­
librio è com pito specifico della prudenza.

c) Per la pratica d ell’ apostolato. - Il sacerdote, soprattut­


to, ha assoluto bisogno di questa virtù: sul pulpito per sape­
re ciò che deve dire, e ciò che deve tacere, ed in quale forma;
alla scuola di catechismo, per form are convenientem ente l’a­
nima dei bambini; nel confessionale per essere veramente giu­
dice, padre, medico e maestro; n ell’esercizio del ministero-
parrocchiale, in occasione di battesimi, m atrim oni, funerali,
in cui- possono facilmente sorgere conflitti tra il m odo di
com portarsi dei fedeli e quanto stabiliscono le leg gi divine
ed ecclesiastiche; nella cura degli infermi, perché possano es­
sere loro amministrati in tempo gli ultim i sacramenti; nel-
l’amministrazione dei beni temporali (benefici, collette, diritti
di stola, offerte ecc.) per conservarsi disinteressato e carita­
tevole verso tutti. *

6 Cf. 1-11,57,5.
7 P a s c a l , Pensieri, Edizioni Paoline 1 9 5 5 , p . 1 2 2 .
8 Cf. T a n q u e r e y , Compendio di Teologìa ascetica e mistica, n.1028.
642 LA VITA CRISTIANA N EL SUO SVILU PPO ORDINARIO

271. 3. Parti della prudenza. - O g n i virtù car­


dinale è c o stitu ita 9 da parti integranti (elem enti che
la integrano o l ’aiutano per il suo perfetto eser­
cizio), da parti soggettive (o diverse specie in cui si
suddivide) e potenziali (virtù dipendenti o annesse).

a) Parti integranti.

L e parti integranti che contribuiscono al perfetto


esercizio della prudenza, sono otto. Cinque si riferi­
scono ad essa in quanto virtù intellettuale (memoria
del passato, intelligenza del presente, docilità, sagacità e
ragioni), le altre tre si riferiscono ad essa in quanto
virtù pratica o precettiva ( provvidenza, circospezione e
cautela o precauzione) 1 °. L e passerem o brevem ente in
rassegna, citando fra parentesi i relativi passi della
Somma Teologica (II-II):
1) M em oria d e l passato (49,1). N o n v ’ è nulla che
orienti tanto saggiam ente su quanto si deve fare,
quanto il ricordo dei passati successi o insuccessi. L a
esperienza è madre della scienza.
2) I n t e ll i g e n z a d e l p re se n te (49,2), per saper di­
scernere, alla luce della sinderesi e della fede, se quello
che ci proponiam o di fare è b uono o cattivo, lecito
o illecito, conveniente o sconveniente.
3) D o c i l it à (49,3), per chiedere ed accettare il con­
siglio dei sapienti e di co lo ro che hanno esperienza,
giacché essendo indefinito il num ero dei casi che ci si
possono presentare nella pratica, nessuno p u ò presu­
mere di saperli risolvere tutti da sè.
4) S a g a c ità (49,4), — chiamata anche solerzia ed
eustochia — che è la prontezza di spirito per risolvere

9 cf. 11 -11 ,46 ,1 .


■» Cf. 11 -11 ,48, j.
VIRTÙ CRISTIANE E DONI DELLO SPIRITO SANTO 643

da sé i casi più urgenti, per i quali non è possibile chie­


dere immediatamente consiglio ad altri.
5) R agio n e (49,5), come la precedente, conduce
l’uomo a prendere da sé la risoluzione, però riguarda,
i casi ordinari nei quali c’è tempo per una matura ri­
flessione ed esame.
6) P ro v v id e n z a (49,6) — da procul videre, vedere da
lontano — che consiste nel riflettere bene al fine cui si
tende, ordinare ad esso i mezzi opportuni, e prevedere
le conseguenze che possono derivare dall’agire in un
modo o nell’altro. È questa la parte principale della pru­
denza, giacché tutte le altre cose che si richiedono
per agire prudentemente sono necessarie per poter or­
dinare rettamente i mezzi al fine, che è compito spe­
cifico della provvidenza.
7) C ircospezione (49,7), che é l’attenta considera­
zione delle circostanze, per giudicare se è conveniente
o meno compiere un déterminato atto. M olti atti
sono buoni e convenienti in sé stessi, per il fine cui
mirano; ma in certe circostanze sarebbero dannosi o
controproducenti (per esempio, obbligare un uomo
ancora dominato dall’ira, a chiedere perdono).
8) C a u tela o precauzio ne (49,8), contro gli impedi­
menti estrinseci che potrebbero costituire un ostacolo
o compromettere l’esito di ciò che intendiamo compie­
re (evitando, per esempio, l’influsso dannoso delle cat­
tive compagnie).

Avvertenza pratica. - Sebbene in cose di minore


importanza si possano praticamente trascurare alcune
di queste condizioni, trattandosi di importanti deci­
sioni da prendere per sé o per altri, non si avrà un
prudente giudizio se non si tengono tutte presenti.
644 LA VITA CRISTIANA N EL SUO SVILU PPO ORDINARIO

fi) P a r ti soggettive.

L a prudenza si d ivid e in due specie fondam entali:


prudenza personale o monastica, e prudenza sociale,
o di governo. C om e indicano i term ini stessi, la prim a
serve a governare s e stessi, m entre la seconda è ordina­
ta al go vern o degli altri; e quindi la prim a ha per o g ­
getto il bene personale, la seconda il bene com une.
D ella prim a abbiam o già parlato. L a seconda am­
m ette tante sottospecie quante sono le diverse specie
di organizzazione che possono sorgere tra gli uom i­
ni. S. Tom m aso parla perciò della prudenza propria
dei governanti (50,1) affinché reggan o i loro sudditi con
leg g i giuste che p ro m u o vo n o il bene com une; di quella
politica ò civile (50,2) che deve possedere il po p olo
per sottom ettersi agli ordini e decisioni dei govern an ­
ti, cooperando cosi al bene com une; di quella economica
o fam iliare (50,3) che deve avere il capofam iglia per
govern are rettam ente il suo focolare; di quella mili­
tare (50,4), propria del com andante in capo dell’eser­
cito, per dirigerlo nelle giuste guerre in difesa del be­
ne comune.

y) P a r ti potenziali.

L e parti potenziali o virtù annesse riguardano gli


atti preparatori e sono tre:
1) E u b u l i a o buon consiglio, che dispone l’ uom o a
trovare i m ezzi più adatti per il fine da conseguire;
è una virtù distinta dalla prudenza perché ha un oggetto
diverso: 1’ eubulia ha il com pito di consigliare, m entre la
prudenza ha quello di com andare ciò che si deve fare.
C ’è chi sa consigliare, ma non sa com andare (51,1-2).
2) S i n e s i o buon senso pratico che inclina a giudicare
rettamente secondo le leg g i com uni e ordinarie. Si
VIRTÙ CRISTIANE E DONI DELLO SPIRITO SANTO 645

distingue dalla prudenza e dall’eubulia, perch é ha il


com pito specifico di giudicare, non di consigliare o
com andare (51,3).
3) gn o m e o giudizio perspicace che giudica retta-
mente, secondo principi più alti di quelli com uni e or­
dinari. P osson o presentarsi infatti casi insoliti che
la leg ge com une ignora, o nei quali non ob b liga per
circostanze speciali, la conoscenza delle quali suppone
una certa perspicacia, che esige per sé una virtù spe­
ciale (51,4). Sta in intim a relazione con Yepicheia (120)
di cui dirige rettamente l ’atto (cfr. n.319).

272. 4 . Vizi opposti. - S. T om m aso, seguen­


d o S. A g o stin o , divide i v izi opposti alla prudenza
in due gruppi: alcuni le si op p on go n o manifestamente,
altri — pur essendole sostanzialm ente contrari —
hanno qualche somiglianza con essa (53 prol.).
a) I v izi manifestamente contrari alla prudenza so
no due:
1. L ’imprudenza (53,1-2), che si manifesta in tre diverse
maniere: a) la precipitazione — che si oppone all’eubulia —
per cui si agisce in m odo irriflessivo e precipitoso, sotto lo
stim olo della passione o del capriccio (53,3); Pj la sconside-
ratezzay Per ca‘ s' disprezza o si trascura di badare alle cose
necessarie per giudicare rettamente, e si oppone al giudizio,
alla sinesi ed alla gnome; c) l ’incostanza, per cui si abbandona­
no facilmente, e per futili m otivi, i buoni propositi e le ri­
soluzioni dettate dalla prudenza (53,5). T utti questi vizi
hanno la loro radice principale nella lussuria, il vizio che
m aggiorm ente ottenebra la ragione poiché attira violente­
mente l ’uom o verso le cose sensibili opposte a quelle intel­
lettuali; tuttavia anche l’ira e l’invidia hanno la loro parte
in questi difetti (53,6).
2. La negligenza, che suppone la mancanza di sollecitu­
dine nel comandare efficacemente ciò che si deve fare ed il mo­
do con cui si deve fare. Si distingue dall’incostanza perché,
mentre quest’ultima non com pie quello che viene effettiva­
mente comandato dalla prudenza, la negligenza si astiene
anche dal comandare. Se quello che si omette è necessario
646 LA VITA CRISTIANA NEL S U O SVILU PPO ORDINARIO

alla salvezza, il peccato di negligenza è mortale (54,1-3).


b) I vizi che assom igliano in qualche maniera alla
prudenza, sono cinque:
1. L a prudenza della carne11, che consiste nella diabolica
ibilità di trovare i m ezzi opportuni per soddisfare le passioni
disordinate della natura corrotta dal peccato (55,1-2).
2. U astuzia, che consiste nella speciale abilità di conse­
guire un fine, buono o cattivo, per vie false, simulate o appa­
renti (55,3). È un peccato anche quando il fine è buono,
poiché esso non giustifica i m ezzi, e si deve ottenere il bene
per vie rette e non tortuose (ivi, ad 2).
3. L ’inganno, che è l ’astuzia praticata principalmente con
le parole (55,4).
4. La frode, o astuzia nelle anioni (55,5).
5. L ’eccessiva sollecitudine per le cose temporali presenti
o future, che proviene dalla sopravvalutazione imprudente
delle cose terrene e dalla mancanza di fiducia nella divina
Provvidenza (55,6-7).
Questa seconda categoria di vizi contrari alla prudenza,
ha le sue origini prevalentemente nell’avarizia.

273. 5 . Mezzi per sviluppare in noi la virtù del­


la prudenza. - Sebbene le virtù siano sostanzialm ente
le stesse durante tutto il corso della vita spirituale, è m ol­
to diverso lo stato dell’ anima nelle sue diverse tappe. La
pratica di una virtù acquista perciò orientam enti e
sfum ature diverse secondo il grado di vita spirituale
cui l’anima è giunta.
A. I p r i n c i p i a n t i che hanno la preoccupazione
di conservare la grazia e di non volgersi indietro, 11 procu­
reranno anzitutto di evitare i peccati contrari alla prudenza:
a) Riflettendo sempre prim a di fare qualche cosa o di
prendere qualche importante decisione, non lasciandosi tra­
sportare dall’im peto della passione o dal capriccio, facen­
dosi guidare dalla ragione illuminata dalla fede.
b) Considerando con calma il prò ed il contro, le conse­
guenze buone o funeste che possono derivare da questa o
quell’azione.

11 Cf. Rom . 8,5-13; G al. 5,16-21.


« Cf. II-II,24,9.
VIRTÙ CRISTIANE E DONI DELLO SPIRITO SANTO . 647

c) Perseverando nei buoni propositi, senza cedere al­


l’incostanza, alla negligenza cui la natura viziata dal peccato
è tanto proclive.
d) Vigilando attentamente contro la prudenza della
carne, che cerca pretesti di ogn i genere per esimersi dal com ­
pim ento del dovere e per soddisfare le sue disordinate pas­
sioni.
e) Procedendo sempre con semplicità, evitando ogni
simulazione, astuzia o inganno, indizi di animo vile e mal­
vagio.
f ) Vivendo giorno per giorno senza preoccuparsi ecces­
sivamente di un domani di cui non siamo sicuri, e che co­
m unque sarà retto dalla P rovvidenza di D io .
Però neppure i principianti si devono accontentare di
evitare i peccati, ma devono orientare positivam ente la lo ­
ro vita verso la pratica della prudenza, almeno nelle sue pri­
m e e fondam entali manifestazioni. Perciò:
1) R iferiranno a ll’ultim o fine tutte le loro azioni, ri­
cordando il principio ed il fondam ento che S. Ignazio pone
all’inizio dei suoi Eserciti: « L ’uom o è creato per lodare,
riverire e servire D io nostro Signore e, facendo questo,
salvare la sua anima. L e altre cose poste sulla faccia della
terra sono state create per l’uom o, perché lo aiutino a conse­
guire il fine per cui è stato creato. Perciò l’uom o deve usare
di queste cose tanto quanto servono a questo scopo e ritrar­
sene quando esse diventano un im pedimento » J3.
2) Procureranno di condensare in una massim a, che li
impressioni e che sia facile da ricordarsi, la necessità assoluta
di orientare e subordinare tutto al grande problem a della
propria salvezza: « Che gio va all’uom o guadagnare il mon­
do.intero, se perde l’anima sua ? » (Mat. 16,26); « Che mi ser­
virà questo per la vita eternar? )>, ecc.
B. L, e a n i m e p r o f i c i e n t i che tendono a per­
fezionarsi sempre più nella virtù “t, oltre ad intensificare i
mezzi precedenti, procureranno di elevare i m otivi della
loro prudenza. Più che della loro salvezza si preoccuperanno
della gloria di D io , e questa sarà la finalità suprema verso la
quale orienteranno tutti i loro atti. N o n si accontenteranno
semplicemente di evitare le manifestazioni della prudenza
della carne, ma la schiacceranno definitivamente praticando la

*3 Cf. Eserciti di Sant'Ignaro di Loyola, n.23.


« c f . 11-11,24,9.
648 LA VITA CRISTIANA NEL S U O SVILU PPO ORDINARIO

mortificazione cristiana. Cercheranno soprattutto di assecon­


dare con docilità le interne ispirazioni di D io che li chiama
ad una vita più perfetta, rinunciando a tutto ciò che distrae
o dissipa, dandosi totalmente alla propria santificazione, che
è il m odo m igliore per procurare la gloria di D io e la sal­
vezza delle anime.
C. I p e r f e t t i praticheranno in grado eroico la virtù
della prudenza, mossi dal dono del consiglio.

IL DONO DEL CONSIGLIO

S. T h . II-II, 52, — Si veda inoltre la nota bibliografica-del n. 234.

Il dono che perfeziona la virtù della prudenza è quello


del consiglio (52, 2).

274. 1. N a tu r a . - Il dono del consiglio è un abi­


to soprannaturale per cui l ’anima in grafia, sotto l ’ispi­
razione dello Spìrito Santo, giudica rettamente, net casi par­
ticolari, quello che conviene fare in ordine al fine ultimo so­
prannaturale.
a) Un abito soprannaturale... - I doni dello Spirito
Santo non sono m ozioni transeunti — cioè semplici grazie
attuali — ma abiti soprannaturali infusi da D io nell’anima
con la grazia santificante. È il genere prossimo della definizione,
comune a tutti i doni.
b) ...per cui l’ anim a in grazia, sotto l’ ispirazione dello
Spirito Santo... - È contenuta in queste parole la duplice
causa che mette in atto i doni: lo Spirito Santo, com e causa
motrice, e l’anima in grazia, che riceve la divina m ozione per
produrre un atto soprannaturale. Tale atto, quanto alla sua
sostanza, appartiene alla virtù della prudenza; quanto invece
alla sua modalità divina (qualità soprannaturale), appartiene
al dono del consiglio. Quando sono in atto i doni dello Spi­
rito Santo, gli atti di virtù ven gono com piuti con prontezza,
quasi per istinto, senza il lento e laborioso processo della
ragione (cfr. Mat. 10,19-20).
c) ...giudica rettamente, nei casi p articolari... - Q uesto
è il com pito proprio della virtù della prudenza e quindi
VIRTÙ CRISTIANE E DONI DELLO SPIRITO SANTO 649

anche del dono del consiglio. Però la prudenza giudica ret­


tamente ciò che si deve fare hic et nunc, alla luce della ragione
illuminata dalla fede, mentre il dono del consiglio comanda
sotto l ’istinto e la m ozione dello Spirito Santo, ossia per
m otivi divini, a volte ignorati dall’anima stessa che compie
quel determ inato atto. Per questo il m odo di agire della
virtù è umano, mentre il m odo di agire dei doni è sovrumano
o divino.
« In diversi passi della S. Scrittura si possono scorgere mirabili mani­
festazioni del d ono del consiglio, com e nel silenzio di G esù dinanzi ad E-
rode : 5, nelle risposte che dà agli accusatori dell’adultera, o a coloro che lo
avevano interrogato sul dovere di pagare il tributo a Cesare; nel giudizio
d i Salom one; neirim presa di G iuditta per salvare il pop olo d ’Israele dall’e­
sercito di O loferne; nella condotta di Daniele per provare l’innocenza di
Susanna; in quella di S. Paolo quando seppe mettere in im barazzo Farisei
e Sadducei, o quando appellò dal tribunale di Festo a quello di Cesare» l6.

d) ...quello che conviene fare in ordine al fine ultimo sopran­


naturale. - A nch e in questo il dono e la virtù coincidono,
nonostante la differenza fondamentale suddetta. Il dono del
consiglio non è lim itato alla vita terrestre, ma nella sostanza
continuerà eternamente in cielo. I beati — angeli ed anime
umane — chiedono a D io m olte cose di cui noi in questa
vita abbiamo bisogno, e che non conoscerebbero se non
fossero illuminati da D io per m ezzo del dono del consiglio.
E , dopo la fine del m ondo, avranno ancora bisogno di es­
sere illuminati eternamente da D io per conservare la cono­
scenza delle cose che già conoscono e per apprenderne al­
tre in relazione all’attività eterna che essi dovranno esplica­
re (cfr. 52,3 c et ad i).

275. 2. Necessità. - È indispensabile l’interven-


to del dono del consiglio onde perfezionare la virtù
della prudenza, soprattutto in certi casi difficili da ri­
solvere e che richiedono, tuttavia, una soluzione ra­
pidissima, poiché il peccato o l’eroismo, a volte, so­
no questione di un istante. Questi casi — meno rari di

*5 Com e consta dal testo di Isaia (11,2) e com e spiega S. Tom m aso,
G esù Cristo possedeva in grado perfettissim o la pienezza dei doni dello Spi­
rito Santo. C f. 111,7,5-5.
T* P. L a l l e m a n t , L a dottrina spirituale princ.4, c.4, a.4.
650 LA VITA CRISTIANA NEL S U O SVILU PPO ORDINARIO

q u a n to co m u n e m en te si cred a — n o n si p o ss o n o ri­
s o lv e re co n il p ro ce ss o le n to e la b o r io s o d e lla v ir tù
d e lla p ru d en za; è n ecessa rio l ’in te rv e n to del d o n o del
co n sig lio , ch e ci in d ich i istan tan eam en te c iò ch e d o b ­
bia m o fare, p e r q u e lla sp ecie di is tin to o co n n a tu ra lità
caratteristica d ei d o n i.
È m o lto difficile alle v o lte co n cilia re la s o a v ità
c o n la ferm ezza , la n ecessità di co n se rv a re un se g re to
senza m an care a lla ve rità , la v ita in te rio re co n l ’ a p o ­
sto la to , l’affetto c o n la castità, la p ru d en za d el serp en ­
te c o n la sem p licità d ella c o lo m b a . P e r tu tte q u este c o ­
se n o n b astan o certe v o lte le lu ci della p ru d en za ; si
rich ied e l ’in te rv e n to d el d o n o d el c o n sig lio .
C o lo r o ch e esercita n o fu n z io n i d i governo — so p rat­
tu tto n ella d irezio n e di an im e — n ecessita n o , p iù di
qualsiasi a ltro , d e ll’a iu to d el d o n o del c o n s ig lio . D ic e
il P . L allem an t:
« È un errore il credere che i più abili alle cariche ed alla
direzione delle anime siano i più dotti. Servono poco nella
direzione spirituale i talenti della natura, la prudenza e la
scienza umana, in confronto dei beni soprannaturali com u­
nicati dallo Spirito Santo, i cui doni superano l’efficacia
della ragione.
L e persone più abili nella direzione degli altri e nel dar
consiglio in ciò che ha rapporto con D io , sono coloro che,
pur sufficientemente dotati di scienza e di talenti naturali,
anche senza possederli in un grado eminente, vivo n o in
grande unione con D io per mezzo della preghiera, docilis­
simi agli im pulsi dello Spirito S a n t o » 1?.

276. 3. E f f e t t i . - S o n o m irab ili g li e ffe tti che


p ro d u c e il d o n o d el c o n s ig lio n elle fo rtu n a te anim e
in cui o p era. In fatti:
1) Ci preserva dal pericolo di una falsa coscienza.
E facilissimo illudersi su questo punto tanto delicato, so­
prattutto se si hanno profonde conoscenze di teologia m o­
rale. N on esiste una passioncella disordinata che non si possa

*7 Ini.
VIRTÙ CRISTIANE E DONI DELLO SPIRITO SANTO 651

giustificare con qualche principio di morale, certissimo forse


in se medesimo, però male applicato a codesto caso parti­
colare. A ll’ignorante è m olto diffìcile, però il tecnico e l’e­
sperto trova m olto facilmente un « titolo colorato » per
giustificare l’ingiustificabile. A ragione diceva S. A gostin o
che « quodcum que volum us, bonum est; et quodcum que
placet, sanctum est ». Solo il dono del consiglio, che so r­
passa la luce della ragione naturale, ottenebrata dal capric­
cio o dalla passione, suggerisce quello che bisogna fare con
una sicurezza e forza inappellabile e ci preserva dal con­
fondere la luce con le tenebre. In questo senso, nessuno
ha tanto bisogno del dono del consiglio, quanto i sapienti
ed i teologi, che tanto facilmente si possono illudere p o ­
nendo falsamente la loro scienza a servizio della passione.
2) R isolve con infallibile sicurezza m olti casi difficili ed
im previsti.
In certe intricatissim e situazioni — dalla giusta o errata
soluzione delle quali dipende forse la salvezza di un’anima
— non basta la semplice luce della prudenza soprannaturale.
In simili casi, le anime abitualmente fedeli alla grazia e sotto­
messe all’azione dello Spirito Santo, ricevon o prontamente
l’ispirazione dal dono del consiglio riguardo a quello che
devono fare. Q uesto fenom eno si verificò più volte nella
vita del S. Curato d’A rs, il quale, nonostante la mediocrità
delle sue conoscenze teologiche, risolveva al confessionale
con prontezza, i casi più spinosi di morale.
3) Ci suggerisce i m ezzi più opportuni per governare san­
tamente g li altri.
Il campo d’azione de dono de consiglio non s limita
alla vita strettamente privata, ma si estende anche alla dire­
zione di altre anime, soprattutto nei casi im previsti e diffi­
cili. Quanta prudenza occorre al superiore per conciliare
la paternità con l’energia nell’esigere il com pim ento del
dovere da parte dei sudditi, per non venir m eno alla beni­
gnità senza ledere la giustizia! E il direttore spirituale, com e p o ­
trà giudicare con sicurezza ciò che turba le anime, consi­
gliare loro come devono com portarsi, capirle e guidarle,
ciascuna per la propria via, verso D io ?
Certi santi ebbero questo dono in grado eminente:
S. A nton in o di Firenze si distinse tanto per la mirabile ispi­
razione dei suoi consigli, che è passato alla storia col sopran­
nom e di Antoninus consiliorum-, S. Caterina da Siena era il brac­
cio destro ed il m iglior consigliere del Papa; S. G iovanna
d’A rco — assolutamente ignara di strategia e di tattica —
652 LA VITA CRISTIANA NEL S U O SVILU PPO ORDINARIO

tracciò piani e diresse operazioni militari tanto difficili da


sbalordire i più esperti generali; S. Teresa di G esù Bam bino
ancor giovanissim a, disim pegno con sicurezza il difficile
com pito di maestra delle novizie che richiede tanta maturità
ed esperienza.
4) Aum enta straordinariamente la nostra docilità e sottomis­
sione ai legittim i superiori.
L ’anima governata direttamente dallo Spirito Santo pare
che non abbia l ’o b b ligo o necessità di consultare altre per­
sone; invece nessuno è tanto docile e inclinato a chiedere
e seguire il parere dei superiori quanto le anime sottomesse
all’azione del dono del consiglio.
L o Spirito Santo le spinge a comportarsi cosi. D io ha
determinato che gli uom ini siano retti e governati da altri
uomini. N ella S. Scrittura abbiamo m olti esempi al ri­
guardo: S. Paolo viene sbalzato da cavallo da una luce di­
vina; però gli viene detto solamente di entrare in città dove
gli sarà manifestata la volontà di D io (A tti 9,1-6). Con gli
altri santi D io non si com porta diversamente: ispira loro
umiltà, sottom issione ed obbedienza ai suoi legittim i rappre­
sentanti ed in caso di conflitto tra quello che E g li ispira
loro e il com ando del superiore o del direttore, vuole che si
obbedisca a questi ultimi. S. Teresa ha scritto: « Quando il
Signore mi dava un com ando nell’orazione ed il confessore
me ne im poneva un altro, Sua Maestà tornava a dirm i di
stare alla parola del confessore; poi lo faceva cambiare di
parere conducendolo a darmi il suo. m edesimo com ando »
{V ita, 26,5). A nche quando alcuni confessori comandarono
alla santa di burlarsi delle apparizioni del Signore (poiché
le ritenevano di origine diabolica), ella confessa: « É g li mi
diceva di non angustiarmi, che facevo bene ad obbedire e
che presto avrebbe fatto vedere la verità» {V ita 29,6).
L a Santa apprese tanto bene la lezione, che quando il Signore
le com andava di fare qualche cosa, si consultava immediata­
mente con i suoi confessori, sen^a dire loro che gliela aveva
imposta il Signore. D o p o che essi le avevano detto ciò che
avrebbe d ovu to fare, se il giudizio coincideva con ia volontà
di D io , li inform ava della com unicazione divina, in caso
contrario chiedeva al Signore di far cambiare parere ai
confessori, attenendosi nel frattempo al giudizio di que­
sti ultimi.
Questa docilità è la m igliore garanzia di spirito retto ed
anche dell’autenticità delle ispirazioni che crediamo venirci
VIRTÙ CRISTIANE E DONI DELLO SPIRITO SANTO 653

da D io . Rivelazioni e visioni che spingono alla ribellione


devono essere respinte come false e diaboliche.

277. 4. Beatitudine e frutti corrispondenti. -


S. A g o stin o assegna al don o del consiglio la quin­
ta beatitudine (« Beati i m isericordiosi... »). S. T o m ­
maso tuttavia pensa che questa beatitudine si riferi­
sca al dono del consiglio solo genericam ente, in quan­
to tutte le cose convenienti al fine cadono sotto il
suo rag gio d ’azione e la m isericordia è certam ente tra
queste; in senso stretto però la m isericordia appartie­
ne al dono della pietà 18.
A l dono del consiglio non corrisponde propria­
mente alcun fru tto dello Spirito Santo, trattandosi di
una conoscenza pratica, la quale non ha altro fine,
propriam ente parlando, che l’ operazione che dirige
e nella quale termina. T u ttavia, siccom e questo dono
sta in relazione con le opere di m isericordia, si p u ò
dire che gli spettano in qualche maniera i fru tti della
bontà e della benignità (52, 4 ad 3).

278. 5. Vizi opposti. - S. T om m aso asse­


gna v izi contrari unicam ente ai doni speculativi (sa­
pienza, intelletto e scienza), non a quelli pratici, la
materia dei quali coincide pienam ente con quella delle
virtù che perfezionano. Per conseguenza, il m edesi­
m o v izio che si oppone alla virtù nel suo grad o im per­
fetto, si oppone anche al dono corrispondente quando la
virtù è perfetta 19.
Perciò si oppone al dono del con siglio, per difetto,
la precipitazione n ell’ operare che segue il m ovim en­
to d ell’attività naturale, trascurando di consultare
lo Spirito Santo; e la tenacità, che suppone mancanza di
attenzione alle luci della fede e all’ispirazione divina

18 C f. II-II,121,2.
r9 C f. G . M e n é n d e z-R e ig a d a , Los dones del Espiritu Santo... n.T.
654 LA VITA CRISTIANA NEL S U O SVILU PPO ORDINARIO

per eccessiva fiducia in se stessi e nelle proprie forze.


Per eccesso si oppone al dono del consiglio la lentezza,
perché, quantunque sia necessaria una matura riflessio­
ne prima di operare, una volta presa una determinazio­
ne secondo la luce dello Spirito Santo, è necessario
procedere rapidamente all’esecuzione prima che le
circostanze cambino e le occasioni sfumino 20.
279. 6. Mezzi per fomentare questo dono.
- Oltre i mezzi generali, i seguenti ci aiuteranno
molto per disporci alla realizzazione del dono del
consiglio nelle nostre anime:
i) Profonda umiltà per riconoscere la nostra ignoranza
e domandare le luci dall’alto. N ei Salmi numerose form ule
ce la inculcano: « D o ce me fa cere voluntatem tuam quia
D eus meus es tu. Spiritus tuus bonus deducet me in terram
rectam » (142,10); « Vias tuas, D om ine, demonstra mihi, et
semitas tuas edoce me » (24,4); « D o ce me iustificationes tu­
as» (118,12.26.64.124.125). L ’umile e perseverante orazione
ha una forza irresistibile dinanzi a D io . È necessario invoca­
re lo Spirito Santo al m attino quando ci alziamo per chieder­
gli il suo consiglio per tutta la giornata; all’inizio di ogni a-
zione; nei m omenti difficili o pericolosi; prima di prendere
una decisione o dare qualche direttiva ad altre persone, ecc.
z) A bituarci a procedere sempre con riflessione e senza
fretta. - T utte le industrie e le diligenze umane risulteran­
no m olte volte insufficienti per operare con prudenza; però
a chi fa quello che può, D io non nega la sua grazia. Se sarà
necessario interverrà senza dubbio co l dono del consiglio
per supplire alla nostra ignoranza e impotenza; però non ten­
tiam o D io sperando dai m ezzi divini quello che possiamo
fare coi m ezzi posti a nostra disposizione con l’aiuto della
grazia ordinaria.
3) Ascoltare in silenzio il M aestro interiore. - Se riu­
scissimo a fare il vu o to nel nostro spirito e a mettere a
tacere i rum ori del m ondo, udirem m o con frequenza la v o ­
ce di D io, che ordinariamente parla al cuore nella solitu­
dine (Os. 2,14). L ’anima deve fuggire il tum ulto esterno e

20 Cf. P. L a lle m a n t , Le.


VIRTÙ CRISTIANE E DONI DELLO SPIRITO SANTO 655

calmare il suo spirito per udire le lezioni di vita eterna,


che il M aestro D iv in o le impartirà.
4) Obbedire « m ostrarsi docili a coloro che D io lia posto
nella sua Chiesa per governarci. - Imitiamo gli esempi dei
santi. S. Teresa obbediva ai suoi confessori di preferenza che
al Signore, il quale lodò la sua condotta. L ’anima docile,
obbediente e umile si trova nelle m igliori condizioni per ri­
cevere le illustrazioni dall’alto. N o n v ’è nulla, al contrario,
che allontani tanto da noi l’eco misteriosa della vo ce di D io
quanto l ’autosufficienza e l’insubordinazione ai suoi legit­
timi rappresentanti sulla terra.

A rtic o lo V .

L a virtù della giustizia

S. T h ., II-XI, 57-122; D o m i n g o d e S o to , D e iustitìa et iure; S c a r a m e l l i ,


Direttorio ascetico, t.3 a.2; B a r r e , Tractatus de virtutibus, p.2.a c.z; J a n v i e r
Careme, 1918; T a n q u e r e y , Compendio di Teologia ascetica e mistica, n n .1037-74
G a r r i g o u - L a g r a n g e , L e tre età, 111,9; P r u m m e r , Manuale Tbeologiae M o-
ralis, 11,1-619.

280 . 1. N atu ra. - La parola giustizia nella Sa­


cra Scrittura viene spesso usata com e sinonim o di
santità : i giusti sono i santi. Il Signore nel discorso
della m ontagna dice cosi (M at. 5,6): « Beati coloro che
hanno fam e e sete di giustizia» (cioè, di santità). P erò
in senso stretto, ossia, com e virtù speciale, la giustizia
si p u ò definire: un oblio soprannaturale che inclina in mo­
do costante e perpetuo la volontà a dare a ciascuno ciò che stret­
tamente g li appartiene *■.
a) U n abito soprannaturale..., come tutte le altre virtù
infuse e i doni dello Spirito Santo.
b) ...che inclina in modo costante e perpetuo... - N o n
basta infatti — osserva S. Tom m aso — per avere la virtù
della giustizia, voler praticarla sporadicamente, solo in qual­

1 Cf. 11-11, 58, 1 .


fi5 6 LA VITA CRISTIANA NEL SUO SVILU PPO ORDINARIO

che occasione, perché si troverà difficilmente chi voglia agire


sempre ingiustamente; è necessario invece che l’uom o abbia
la volontà di osservarla sempre, in ogni circostanza (cfr.
58,1 ad 3). L a parola costante designa la fermezza di tale pro­
posito, mentre la parola perpetuo indica l’intenzione di con­
servarlo per sempre (ivi ad 4).
c) ...la volontà... - L a giustizia, com e virtù, risiede
nella volontà, non neH’intelletto, giacché non è ordinata a
dirigere un atto conoscitivo (come la prudenza), ma a re­
golare le relazioni con gli altri, ossia, il bene onesto nelle ope­
razioni, che è l’oggetto della volontà (58,4).
d ) ...a dare a ciascuno ciò che strettamente g li appartie­
ne. - In ciò si distingue dalle sue virtù annesse, come la
gratitudine, l’affabilità, ecc., che non si fondano su uno
stretto diritto del prossim o, ma su una certa onestà e conve­
nienza; si distingue inoltre dalla carità o beneficenza, che
ci obbliga a soccorrere il prossim o come fratello, senza che
abbia stretto diritto ad una determinata elemosina.
L e note caratteristiche della giustizia propriam ente detta sono tre: deve ri­
ferirsi sempre ad altra persona; deve trattarsi di uno stretto diritto (non è
un regalo, ma qualcosa di d ovu to); deve esserci perfetta uguaglianza tra ciò
che si dà e ciò che si deve dare, né più né m eno del dovuto.

281. 2. I m p o r t a n z a e n e c e s s it à . - D o p o la
prudenza, la giustizia è la virtù cardinale più eccel­
lente (58 ,12 ), ancorché sia inferiore alle virtù teolo­
gali e anche ad alcune delle sue virtù derivate com e
la religione, che ha un o g ge tto im m ediato più n o b i­
le (81,6).
La giustizia ha una im portanza fondam entale ed è
di assoluta necessità tanto nell’ ordine individuale quan­
to in quello sociale. Essa pone ordine e perfezione nel­
le nostre relazioni con D io e con il prossim o, fa si
che rispettiam o vicen d evolm ente i nostri diritti; p ro i­
bisce la frod e e l’inganno; prescrive la sem plicità,
la veracità e la m utua gratitudine; regola le relazioni
private degli in d ivid ui tra di loro, di ogn u n o con la
società e della società con g li ind ivid u i. P one ordine
in tutte le cose e, per conseguenza, porta con sé la
VIRTÙ CRISTIANE E DONI DELLO SPIRITO SANTO 657

p a ce e il b en essere d i tu tti, g ia c c h é la p ace n o n è che


« la tra n q u illità d e ll’ o rd in e ». P e r q u e sto d ice la S crit­
tu ra ch e l ’ o p era d ella g iu stiz ia è la pace: « o p us iu sti-
stiae, p a x » (Is. 3 2 ,17); S. T o m m a s o s p ie g a ch e la p ace
è o p era d e lla g iu stiz ia indirettamente, in q u a n to la g iu ­
stizia r im u o v e g li o s ta co li che ad essa si o p p o n g o n o ;
m a in m an iera p ro p ria e d iretta la p ace p ro v ie n e dalla
carità, la v ir tù ch e re a lizza p e r se stessa l ’u n io n e d i tu tti
i c u o ri 2.

282. 3. P a r t i d e lla g i u s t i z i a . - C o m e n elle al­


tre v ir t ù ca rd in ali, 'b is o g n a d istin g u ere n ella giu stizia
le p arti integrali, soggettive e potenziali.

a ) P a r ti integranti 3.

In o g n i g iu stiz ia , sia g e n era le ch e p a rtic o la re , si


r ic h ie d o n o d u e co se p e r c h é q u a lcu n o p o ss a essere
ch ia m a to giusto in tu tta l ’e sten sio n e d ella p aro la: e v i­
tare il male nocivo al p ro s s im o o alla so cietà e. fa re i l bene
d o v u to ad altri. Q u e s te so n o , q u in d i, le p a rti integranti
d ella g iu stiz ia , sen za le quali rim arre b b e im p erfetta.
N o n b asta n o n n u o ce re al p ro ssim o (declinare a maio)-,
è n ecessario d a rg li p o sitiv a m e n te q u e llo ch e g li ap­
p artien e (fac ere bonum).
Si noti che, com e avverte S. T om m aso, evitare il male
non significa qui la pura e semplice astensione dal male,
ch e non suppone nessun m erito ancorché eviti la pena
che ci causerebbe la trasgressione, ma un m ovim ento della
volontà rhe rigetta positivamente il male come quando sente
la tentazione di farlo, e questo è virtuoso e m eritorio (79,1
ad 2 ).
Si n oti pure che per sè è più grave il peccato di trasgres­
sione (fare il male) che quello di omissione (non fare il bene).
E cosi pecca più gravem ente il fig lio che ingiuria i suoi

2 Cf. 11-11,29,3 ad 3.
3 Cf. H-11,79.
658 LA VITA CRISTIANA NEL SUO SVILU PPO ORDINÀRIO

genitori di colui che nega loro il dovuto onore, però senza


ingiuriarli positivam ente. T uttavia, può avvenire che il pec­
cato di omissione sia più grave che quello di trasgressione;
per esempio, è più grave omettere colpevolm ente la messa
una domenica che dire una piccola bugia giocosa (79,4).

/?) P a rtì soggettive 4.

Q u e s te so n o le sp ecie o p arti s o g g e ttiv e d ella g iu s ti­


zia: legale (o gen erale) e particolare, su d d iv isa in altre
due: commutativa e distributiva.
La giustizia legale è la virtù che inclina i membri del
corpo sociale a dare alla società tutto quello che le è dovuto
in ordine al bene comune. Si chiama legale perché si fonda
nell’esatta osservanza delle leggi, che quando sono giuste
obligano in coscienza. A n zi, siccome il bene com une pre­
vale — nel medesimo ordine di beni — sul bene particolare,
i cittadini sono obbligati, per giustizia legale, a sacrificare
alle volte una parte dei loro beni e persino a mettere in
pericolo la loro vita in difesa del bene comune (per esempio,
in una guerra giusta). L a giustizia legale risiede principal­
mente e « architettonicamente » nel principe o nei go ver­
nanti, e secondariamente o « ministerialmente » nei sudditi
(58.6).
L a giustizia distributiva è la virtù che im pone, a chi
è responsabile, di distribuire i bèni comuni proporzional­
mente alla dignità, ai meriti e alla necessità di ognuno. A d es­
sa si oppone il peccato dell’ accettazione di persone (63) che di­
stribuisce i beni sociali e le cariche a capriccio, per fa v o ­
ritismo puramente personale, senza tener in considerazio­
ne i veri meriti degli individui né le regole dell’equità. In
questo senso, le cosiddette raccomandazioni, in virtù delle
quali si concede forse un beneficio a chi meno lo merita (solo
per compiacere colui che raccomanda), costituiscono un
vero peccato e un oltraggio alla giustizia distributiva.
L a giustizia commutativa, che realizza in tutta la sua pienez­
za e perfezione il concetto di giustizia, regola i doveri
e diritti dei cittadini tra di loro. L a sua definizione coin ­
cide quasi totalm ente con quella che abbiamo dato della
giustizia in generale: è la costante e perpetua volontà di

4 Cf. cf. 58, a. 5,6,7 .


VIRTÙ CRISTIANE E DONI DELLO SPIRITO SANTO 659

una persona privata di dare a un’altra anche privata quello


che le appartiene per stretto diritto e in perfetta uguaglianza.
E cosi, per esempio, colui che ha ricevuto in prestito mille
lire deve restituirne altre mille, né più né meno 5. L a sua tra­
sgressione implica sempre l’obbligo di restituire. A d essa si
oppon gon o un buon numero di peccati: l’om icidio, la mu­
tilazione, la flagellazione, l’ingiusto im prigionam ento, il
furto e la rapina, le ingiustizie dinanzi ai tribunali, l’ingiu­
ria e la contumelia, la diffamazione o la calunnia, la m orm o­
razione, la burla, la maledizione, la frode commerciale e
l’usura 6.
N .B . — A volte gli autori parlano di giustizia sociale,
internazionale, vendicativa, ecc. N o n sono specie distinte da
quelle indicate da S. Tom m aso. L a giustizia sociale coin­
cide sostanzialmente con quella legale, benché riceva —
secondo alcuni autori — una certa influenza da quella di­
stributiva; c ’è persino chi la identifica con essa. L a giu­
stizia internazionale, che regola il diritto tra le nazioni, deve
appoggiarsi ai grandi principi del diritto delle genti e regger­
si per m ezzo delle norm e della giustizia legale, distributiva
o com m utativa secondo che si tratta dei doveri che le na­
zioni hanno per il bene com une di tutta l’umanità, o dei
doveri della Società Generale delle N azioni — qualora
esista e funzioni onoratamente — di fronte ad ognuna
di esse in particolare o dei contratti particolari delle nazioni
tra loro. E , infine, la cosiddetta giustizia vendicativa '—
che regola le pene che bisogna applicare ai trasgressori
delle leggi — appartiene, sotto diversi aspetti, a qualcuna
delle tre specie tradizionali 7.

y) P a r ti p o te n zia li 8.

Sono le virtù annesse alla giustizia, le quali stanno


in relazione con essa in quanto convengono con qualcu­
na delle note caratteristiche suindicate, ma non con tutte
tre contemporaneamente.

5 O ccorre, naturalmente, pagare i giusti redditi o legittim i interessi


previam ente convenuti.
6 C f. 11 -11 , 6 4 , 7 8 .
7 Cf. II-II,80 ad 1; 102,2 ad i; M e r x e l b a c h , Summa Tbeolozìae M o­
rali*, t.2, n.256.
8 C f. 11 -11 , 8 0 .
660 LA VITA CRISTIANA NEL SU O SVILU PPO ORDINARIO

Si d ivid on o in due gruppi: a) quelle in cui non si


verifica la perfetta uguaglianza tra quello che si dà e
q uello che si riceve, e b) quelle che non si riferiscono
ad un diritto stretto del prossim o.
A l prim o grupp o appartengono la religione, che re­
go la il culto d ovu to a D io; la pietà che regola i doveri
verso i genitori; Vosservanza, la dulia è Vobbedienza che
regolan o i doveri verso i superiori.
A l secondo grupp o appartengono la gratitudine per
i benefici ricevuti; la vendetta o giusto castigo inflitto
ai colpevoli; la verità, Vaffabilità e la liberalità nelle
relazioni con i nostri simili; Yepicheia ò equità, che in­
clina ad allontanarsi, per una giusta causa, dalla lettera
della leg g e per osservarne m eglio lo spirito.

283. 4. M e z z i c o n c u i p e r f e z io n a r s i n e lla g i u ­
s t iz ia . -
Sono di due specie: a) negativi: evitare i
difetti opposti; b) positivi: praticare la virtù in tutti
i suoi aspetti.

a) M e z z i negativi.
1) Evitare qualsiasi ingiustizia, per quanto insignificante
possa apparire.

Forse in nessun’altra materia è tanto facile formarsi


una falsa coscienza com e in questa. « È una cosa da nulla »,
si dice con leggerezza, e intanto si vanno m oltiplicando le pic­
cole ingiustizie che a volte si accumulano fin o a giungere
al peccato grave, com e nei piccoli furti, e soprattutto ci si
abitua a non dare al peccato veniale tutta l ’importanza
che esso ha nella vita spirituale.
Questa prima norma trova numerose e facili applica­
zion i nella vita quotidiana: si deve, per esempio, chiamare
il fattorino dei trasporti pubblici per pagare il biglietto
qualora ne fossim o abusivamente sprovvisti; si deve
restituire il denaro che per inavvertenza ci venisse dato
in più di quanto ci spetta; qundo si trova un o ggetto smar­
rito è necessario ricercarne il proprietario, ecc. T utti questi
atti sono richiesti dalla più elementare giustizia, e non si
VIRTÙ CRISTIANE E DONI DELLO SPIRITO SANTO 661
devono cèrto considerare com e atti eroici di virtù, ma stret­
to com pim ento del proprio dovere.

2) Non contrarre debiti e soddisfare quanto prima a quelli che


si sono contratti.

È preferibile mancare di qualche cosa, che non sia di


stretta necessità, anziché possederla col gravam e di u n
debito. È ingiustizia non pagare i debiti contratti col pre­
testo che non si può, quando in realtà si sperpera denaro in
m olti capricci. Soprattutto grida vendetta al cospetto di D io
defraudate il giusto salario agli operai. Se non si possono
pagare non si tengano, ma se si tengono si consegni loro
a tempo la paga.

3) Trattare le cose altrui con maggiore attenzione delle


proprie*

M olte ingiustizie si com m ettono, soprattutto da persone


che vivo n o assieme, per la poca cura di ciò che appartiene
alla comunità. « N o n è mio, quindi non me ne im porta
m olto » dicono o pensano tanti, e passano sopra con disin­
voltura ad evidenti ingiustizie. Tale noncuranza, a parte la
cattiva educazione che manifesta, è frequente occasione di
scandalo, di dissapori con i superiori e soprattutto di offesa
a D io . C oloro invece che praticano la virtù della giustizia,
trattano le cose altrui con più attenzione delle proprie, poiché
sciupando ciò che è proprio si può mancare alla povertà,
ma non alla giustizia, che è una virtù più eccellente.

4) A vere la massima cura di non danneggiare mai il buon n o­


me o la fama del prossimo.

La fama e la buona opinione tra gli uom ini vale m olto di


più dei beni materiali, e quando si offende direttamente o
indirettamente tale fama si commette u n ’ingiustizia m aggio­
re di quanto si danneggi il prossim o nei beni materiali.
Ci si deve guardare quindi dai giudici temerari ■ — anche
puramente ' interni — che condannano il prossim o sulla
base di semplici indizi o apparenze (II-II,60,3-4); dal-
l’ingiuria o contumelia (72), che con parole o azioni offen­
de, umilia e rattrista il prossimo; dalla burla o derisione (75)
che lo am areggia col ridicolo ed il sarcasmo; dalla male­
dizione (76), per cui desideriamo con parole qualche male
al nostro prossimo (questo peccato è tanto più grave quan­
662 LA VITA CRISTIANA NEL SUO SVILU PPO ORDINARIO

to m aggiore è l’obbligo di amare e venerare le persone


che si maledicono); dalla mormorazione \ 74), tema obbligato
di innum erevoli conversazioni, non solo tra secolari;
dalla diffamazione (73), che si com piace di mettere in luce
gli occulti difetti del prossim o, calpestando la sua reputa­
zione col pretesto stupido e anticristiano che « si tratta di
cosa pubblica, risaputa da tutti, ecc ». A nch e se cosi fosse,
non abbiamo nessun diritto ad estendere la cattiva fama
del prossim o tra persone che ancora ne ignorano i difetti,
soprattutto se pensiamo che una eventuale « scoperta » dei
nostri peccati occulti ci metterebbe m olto al di sotto del
livello di coloro che critichiamo; « chi di v o i è senza pecca­
to, scagli la prima pietra » (G io v. 8,7). In ogni caso ricor­
diam o che G esù Cristo avverti espressamente: « secondo
il giudizio col quale giudicate, sarete giudicati » (Mat.
7,1-2). Consideriam o inoltre, che non basta pentirsi e con­
fessarsi di queste colpe: la diffamazione e la calunnia obbligano
in coscienza a restituire. E poiché spesso tale restituzione
diviene praticamente im possibile — la calunnia lascia sem­
pre qualche traccia dietro di sé anche quando viene smenti­
ta — coloro che com m ettono questi peccati non rimarranno
senza grave castigo in questa vita o nell’altra.

5) Evitare ad ogni costo i favoritismi.

Favorire o danneggiare una persona senza considerare


i suoi meriti o demeriti, ma unicamente per la simpatia o
l ’antipatia che ci ispira, è una evidente mancanza che va con­
tro la giustizia distributiva. Ordinariamente è occasionata
dalle raccomandazioni. È sempre lecito e lodevole aiutare una
persona, purché facendo questo non si vada contro i diritti di
xin’altra (cosa che può facilmente avvenire, per esempio,
nei cosiddetti esami di concorso per determinati im pieghi,
per i quali ven gon o assunte persone « raccomandate », con
l ’ingiusta esclusione di altre più m eritevoli). Eppure spesso
co n leggerezza incredibile si fanno e si accettano « raccoman­
dazioni », che causano gravi ingiustizie ed obbligano quindi
alla restituzione, cioè a risarcire i danni della persona lesa

9 Essendo purtroppo tanto frequente questa ingiustìzia, si potrebbe


forse^ utilizzare la raccom andazione com e legittim a difesa contro coloro che
si sono procurati o gn i specie di raccom andazioni. L e persone di timora­
ta coscienza — soprattutto se aspirano alla perfezione cristiana — sentono
tuttavia un istintivo orrore per questa specie di « legittim a difesa », che pre­
giudica forse un innocente invece del vero colpevole.
VIRTÙ CRISTIANE E DONI DELLO SPIRITO SANTO 663

L e pubbliche autorità dovrebbero castigare severamente


questi abusi, senonché molte volte sono proprio esse che
li favoriscono.

fi) M e^ xj positivi.

1) In relazione alla giustizia commutativa. - « Dare a


ciascuno il suo »: questo deve essere il principio fondamenta­
le che deve regolare la nostra condotta col prossim o. Chi
tende alla perfezione cercherà di osservarlo per amor di D io
e della virtù, non per il castigo o per il rim orso che ci cau­
serebbe l’ingiustizia commessa. È necessario essere delicati
anche nei particolari più insignificanti, poiché nulla è insi­
gnificante dinanzi a D io quando si agisce per piacergli.
Perfezionando i m otivi ed elevando sempre più le intenzio­
ni, crescerà e si svilupperà nella nostra anima questo aspetto
fondamentale della virtù della giustizia.
2) In relazione alla giustizia distributiva. - I responsa­
bili della distribuzione degli uffici, degli obblighi e dei bene­
fici della comunità, osserveranno la stretta giusti-zia, senza
lasciarsi mai guidare dalla simpatia o antipatia, né da pres­
sioni o raccomandazioni di sorta. T engano presente che non
sono padroni, ma semplici amministratori dei beni e degli uf­
fici che distribuiscono, e che perciò dovranno rendere a
D io stretto conto della loro amministrazione (cfr. Luca,
16,1-2). Per progredire in questo aspetto della virtù della
giustizia, intensificheranno la loro delicatezza ed attenzione,
e cercheranno soprattutto di elevare i motivi della loro con­
dotta.
3) In relazione alla giustizia legale. - N on solo non si
deve far nulla contro la legge scritta, ma col proprio buon
esempio si devono indurre anche gli altri ad osservarla.
« Se intendessimo il danno di una cattiva abitudine, vorrem ­
mo piuttosto morire che introdurla» diceva S. T e r e s a 10.
L ’anima desiderosa della sua santificazione deve temere le
violazioni della giustizia legale: soprattutto le persone con­
sacrate a D io , non sperino di santificarsi fuori dell’ esatto
compimento della regola e delle costituzioni. Ci furono dei
santi che hanno fatto solo questo per raggiungere la vetta
della perfezione: di S. G iovanni Berchmans si diceva che
aveva fatto tutto bene — « bene omnia fecit » — poiché

10 Cammino ài perfezioni 13 ,4 .
'664 LA VITA CRISTIANA NEL SUO SVILU PPO ORDINARIO

n on fu mai sorpreso in alcuna mancanza alla più piccola re­


gola o alle costituzioni.
P a ssiam o o ra a trattare b re v e m e n te d elle v ir tù
a n n esse alla g iu s tiz ia (p arti p o te n z ia li).

I. L A V IR T Ù ’ D E L L A R E L IG IO N E 11

2 8 4 . i . N a t u r a . - Si p u ò definire: una virtù mo­


rale che inclina l'uomo a dare a D io i l culto che g li è
dovuto come prim o principio di tutte le cose (8 1,3).
È la p iù im p o rta n te d i tu tte le v ir tù ch e d e riv a n o
d a lla g iu stiz ia e su p era in p e rfe z io n e qu esta stessa
v ir t ù ca rd in ale 12 e tu tte le a ltre v ir t ù m o ra li p e r l ’ec­
c e lle n za d el su o o g g e tto : il c u lto d o v u to a D io (81,6).
In q u e s to sen so è q u e lla ch e p iù si a v v ic in a a lle v ir tù
te o lo g a li, e o ccu p a , di co n se g u e n za , il q u a rto p o sto
n e lla classifica ge n era le delle v ir tù in fu se.
A lcu n i teologi considerano la religione com e vera virtù
teologale, senza fondam ento. N o n avvertono che la reli­
gion e non ha per oggetto Dìo stesso — com e le teologali — ,
ma il culto d ovu to a D io . A d ogn i m odo, è certamente la
virtù che più rassomiglia alle teologali (81,5).

L ’ o g g e t t o materiale d ella v ir tù d ella re lig io n e è


•costituito d a g li atti in te rn i o estern i d el c u lto ch e tri­
b u tia m o a D io ; il su o o g g e t t o fo rm a le è co stitu ito
d a lla su p rem a e ccelle n za d i D io p rim o p rin cip io di
•quanto esiste.

2 8 5 . 2. A t t i d e l la v i r t ù d e l la r e l ig i o n e . - Q u e ­
sta v ir tù si m anifesta in v a r i atti in te rn i e d estern i.

C f. II-II,8 i.
12 Per l’eccellenza del suo oggetto, non per la realizzazione di tutte le
condizioni richieste per la virtù cardinale. In quest’ultim o senso è più per­
fetta la giustizia.
VIRTÙ CRISTIANE E DONI DELLO SPIRITO SANTO 665

G li in te rn i so n o due: la devozione e Yora%ione 13.


G li estern i so n o sette: l ’adorazione, il sacrificio, le offerte
o d oblazioni, il voto, il giuramento, lo scongiuro e la in­
vocazione del n om e di D io 1 4.

286 . a) L a d e v o z i o n e 15 co n siste in una prontezza


d ’ animo nel darsi alle cose che appartengono a l servizio di
D io (8 2,1). Saran n o, q u in d i, devoti c o lo r o ch e si d à n n o
o si co n sa cran o in tera m en te a D io e rim a n g o n o to ta l­
m ente so tto m essi a lui: « d e v o ti d icu n tu r q u i seip so s
q u o d a m m o d o D e o d e v o v e n t, u t ei se to ta lite r sub-
dan t » (ivi). L a sua caratteristica essen ziale è la pron­
tezza della volontà, d isp o sta sem p re a darsi al s e r v iz io
d i D io . I v e r i d e v o ti so n o sem p re disposti a tu tto q u an ­
to si riferisce al c u lto o al s e r v iz io d i D io . L ’e se m p io
p iù su b lim e di d e v o z io n e è q u e llo di C ris to c h e disse
en tran d o n el m o n d o : « E c c o m i, S ig n o re , d isp o sto a
co m p iere la tu a v o lo n tà ; in q u e sto p o n g o la m ia c o m ­
p iace n za e d en tro il m io cu o re sta la tua le g g e » (Sai.
39,8-9; E b r . 10,5-7). Si n o ti, tu tta v ia , ch e qu esta p r o n ­
ta v o lo n tà di darsi a D io p u ò an ch e p r o v e n ire dalla v ir ­
tù d ella carità. Se si ce rca Yunione amorosa con D io , è
u n a tto d i carità; se si ce rca il culto o il s e rv iz io d i D io ,
è u n a tto di re lig io n e 16. S o n o due v ir tù che si in flu e n ­
zan o v ic e n d e v o lm e n te ; la carità causa la d e v o z io n e ,
p e rc h é l ’am o re ci ren d e p ro n ti a servire l ’a m ico , e,
a sua v o lta , la d e v o z io n e au m en ta l ’am o re, p e r c h é
l ’a m icizia si co n se rv a e aum en ta c o n i se rv iz i p restati
a ll’a m ico (82,2 ad 2).

H C f. 11-11,82 prol.
*4 Cf. 11 -1 1 ,8 4 prol- 1S Cf. 11 -11 , 8 2 .
16 « A d caritatem pertinet immediate quod hom o tradat seipsum D e o
adhaerendo ei per quandam spiritus unionem. Sed quod hom o tradat-
seipsum D eo ad aliqua opera divini cultus, h oc immediate pertinet ad reli-
gìonem: mediate autem ad caritatem, quae est religionis principium ( 2,2
ad 1).
666 LA VITA CRISTIANA NEL SUO SVILU PPO ORDINARIO

M olta gente illusa fa consistere la propria devozione nel


sovraccaricarsi di pie pratiche, di preghiere interminabili,
fatte per abitudine, nelTappartenere a tutte le confraternite,
nel passare lunghe ore nelle chiese, senza farsi scrupolo
di ricominciare, per esempio, a parlar male del prossimo,
appena terminate le preghiere. Ci troviam o di fronte al tipo
classico della falsa devozione, che confonde la devozione con
le devozioni, e non sospetta neppure che quella vera e au­
tentica consiste nella totale dedizione di sé stessi a D io, e
nella costante disposizione a com piere con fedeltà e prontez­
za tutto ciò che appartiene al suo santo servizio.

S. T o m m a s o a v v e r te ch e la d e v o z io n e — essen d o
u n a tto di r e lig io n e — si rife risce sem p re a D io , n o n
alle creatu re. Q u in d i la devozione verso ì santi, n o n d e ­
v e ferm a rsi ad essi, m a g iu n g e r e a D io p e r m e zz o lo ro .
N e i san ti in fa tti n o i v e n e ria m o p ro p ria m en te ciò che
hanno di D io , c io è o n o r ia m o D i o in lo r o 17.
È evidente quindi quanto siano in errore coloro che ri­
v o lg o n o la loro devozione esclusivamente a qualche santo,
senza risalire a D io , e quanto più siano in errore coloro
che legano la loro devozione ad una particolare immagine
d i questo o quel santo, fuori della quale non hanno devozio­
ne alcuna. I sacerdoti e le altre persone responsabili della
pietà dei fedeli non devono permettere simili aberrazioni
co l pretesto che sono ignoranti, che non s’intendono di
queste cose, ecc. Istruiscano piuttosto i loro fedeli con dol­
cezza e con ferm ezza, per correggere questi abusi.

L a causa estrinseca principale d e lla d e v o z io n e è D io ,


c h e ch ia m a c o lo r o ch e v u o le e accen d e n elle lo r o an i­
m e il fu o c o d ella d e v o z io n e . M a la causa intrinseca da
p a rte n o stra è la m e d ita zio n e e co n te m p la z io n e della
b o n tà e dei b e n e fici d iv in i, o ltre la c o n sid e ra zio n e d el­
la n o stra m iseria, ch e esclu d e la p re su n z io n e e ci sp in ge
a so tto m e tte rci to ta lm e n te a D io , dal quale ci ve rrà
l ’a iu to e il rim e d io (82,3). I l su o effetto p rin cip a le

*7 « D evo tio quae habetur ad sanctos D ei, m ortuos v e l v ivo s, non ter­
m inator ad ipsos, sed transit ad Deum: inquantum scilicet in mirJstris D e i
Deum veneram ur » (82,2 ad 3}
VIRTÙ CRISTIANE E DONI DELLO SPIRITO SANTO 667

quindi è quello di riempire l’anima di gioia spirituale,


ancorché a volte possa causare accidentalmente tri­
stezza (82,4).
Sono interessanti le obiezioni che S. Tom m aso risolve
nell’a. 3.
Obiezione 1 . - Nessuna causa impedisce il suo effetto; ma
le sottili m editazioni di cose intelligibili im pediscono m olte
volte la devozione; quindi la contem plazione o meditazione
non è causa della devozione.
Risposta. - « La considerazione delle cose che sono atte
a eccitare l’amor di D io causa la devozione. M a la conside­
razione di qualsiasi altra cosa che non appartiene a questo,
distrae la mente, impedisce la devozione » (ad 1).
È impossibile, quindi, che raggiungano la vera devozio­
ne le persone che si dànno con brama alla lettura di romanzi,
che frequentano spettacoli m ondani, ecc.
Obiezione 2 . - Se la contem plazione fosse la causa
propria della devozione, le verità più alte dovrebbero ecci­
tare di più la devozione. Invece, frequentemente eccita
di più la devozione la considerazione della passione di Cri­
sto e di altri misteri della sua umanità, che la considerazione
delle sue grandezze; quindi la contem plazione non è causa
propria della devozione.
Risposta. - « L e cose che appartengono, alla divinità
sono per sé (secundum sé) più proprie ad eccitare l’amore e,
di conseguenza, la devozione, poiché D io deve essere amato
sopra tutte le cose. A vvien e però che l’uom o, come ha biso­
gno di essere condotto alla conoscenza delle cose divine
per m ezzo di quelle sensibili m eglio conosciute, cosi ne ha
pur bisogno per eccitarsi all’amore. T ra queste ha un posto
preminente l’umanità di G esù Cristo: “ u t dum visibiliter
D eum cognoscim us, per hunc in invisibilium amorem ra-
piamur” . Ciò che riguarda l’umanità di Cristo ci porta
più facilmente alla devozione, perché ci conduce quasi per
mano (« per m odum cuiusdam manuductionis »). Ciò non to­
glie però che la devozione si riferisca principalmente e di­
rettamente a D io in sé stesso » (ad 2).
Se avessero tenuto presente questa dottrina di S. T om ­
maso quei teologi che cercarono di allontanare S. Teresa dal­
la considerazione dell’umanità di Cristo, non sarebbero mai
incorsi in un simile ertole. La divinità è infinitamente su­
periore all’umanità, ma se consideriamo la condizione della
668 LA VITA CRISTIANA N EL SUO SVILU PPO ORDINARIO

m ente umana, che va sempre dal sensibile all’intelligibile,


vedrem o allora che la considerazione dei misteri dell’uma­
nità di Cristo sarà sempre un m ezzo m olto efficace per ri­
svegliare in n oi la devozione. Afferm a S. Teresa che non
esiste uno stato di perfezione tanto elevato in cui la conside­
razione dell’umanità di Cristo possa costituire un distur­
bo l8.
Obiezione 3. - Se la contemplazione fosse la causa pro­
pria della devozione, ne seguirebbe che coloro i quali sonò
più atti alla contemplazione, sarebbero anche i più atti alla
devozione. Invece non è cosi, perché la devozione si trova
più frequentemente in tante persone semplici, nelle quali
manca la scienza e la contemplazione.
Risposta. - « L a scienza e tutto ciò che contribuisce alla
grandezza, diventa facilmente per l ’uom o occasione di con­
fidenza in se stesso, per cui non si dà totalmente a D io.
Per questo nelle persone semplici si trova la devozione, la
quale comprime l ’esaltazione di se stessi. M a se l’uom o
sottom ette a D io la scienza e qualsiasi altra perfezione, au­
menta per ciò stesso la sua devozione » (ad 3).
È veramente deplorevole che la scienza, la quale dovreb­
b e stimolarci alla devozione, la ostacoli. È l ’o rg o glio uma­
n o che, pago di se stesso, riceve il giusto castigo di D io , il
quale toglie la grazia deila devozione. A ragione S. A g o ­
stino lamenta che « sorgono gli ignoranti e rapiscono il re­
gno, e noi col nostro sapere senza senno, ecco dove ru zzo­
liamo: nella carne e nel sangue. Q ual vergogn a per noi Tes­
serci lasciati da essi precedere! M a qual vergogn a m aggiore
il non seguirli, almeno! » *9.

287. b) L ’ o r a z i o n e 2 0 è il secondo atto interno della


virtù della religione, ed appartiene propriamente al­
l ’intelletto, mentre la devozione si fonda sulla volontà.
A m otivo della sua straordinaria importanza nella vita
spirituale tratteremo in un capitolo a parte le questioni
che ad essa si riferiscono.

18 Cf. V ita 22,1-14; Seste mansioni 7,5-15.


*9 <£{. Confessioni 1. 8 , c.8.
2° c f. 11-11,83.
VIRTÙ CRISTIANE E DONI DELLO SPIRITO SANTO 669

288 . c) L ’ a d o r a z i o n e 21 è un atto esterno della


virtù della religione con cui testimoniamo /’onore e la rive­
renza che merita l'eccellenza divina (8 4,1). Q u a n tu n q u e ,
p e r sé, fa cc ia a strazio n e d a l c o rp o — a n ch e g li a n g eli
a d o ra n o — in n o i, co m p o sti d i sp irito e m ateria,
o rd in a ria m en te si m an ifesta co n atti estern i d el co rp o .
Q u e s ti atti d i a d o ra zio n e estern a e sp rim o n o l ’a d o ra ­
z io n e in tern a, ch e è q u ella p rin cip a le, e s e r v o n o anche
ad e ccita rla (84,2). E p o ic h é D io si tr o v a o v u n q u e ,
p o ssia m o a d o ra rlo in te rio rm e n te ed este rio rm e n te o-
v u n q u e , sebben e il lu o g o p iù ad atto sia la C h iesa,
p e r c h é essa è la d im o ra di D io in m o d o sp eciale — so ­
p ra ttu tto se v i si co n se rv a l ’ E u ca re stia — , ci separa dal
fra s tu o n o m o n d an o , in essa tr o v ia m o m o lti o g g e tti e
la p re se n za d i altre p e rso n e c h e fa v o r is c o n o la n ostra
d e v o z io n e (84,3).

289 . d) I l s a c r i f i c i o 22 è l’ atto p rin cip a le del


c u lto estern o e p u b b lic o : co n siste n e ll’oblazione esterna
di una cosa sensibile, con la sua reale mutazione 0 distruzione,
realizzata dal sacerdote in onore a D io , p er testimoniare i l
suo supremo dominio e la nostra umile sottomissione dinanzi
c; lui. N e lla N u o v a L e g g e n o n c ’è che il sacrificio della
S. M essa, che, essen do l ’in cru e n ta rin n o v a zio n e d el sa­
c rificio d el C a lv a rio , dà a D i o un a g lo r ia in fin ita ed
ha un v a lo re s o v ra b b o n d a n te p e r attirare s u g li u o m in i
tu tte le g ra zie d i cu i h an n o b is o g n o (cfr. n n. 229-31).

290 . é) L e o f f e r t e 23. - O fferta, in gen erale, è la d o ­


n a z io n e sp on tan ea di u n a cosa. In sen so re lig io s o , q u in ­
d i, è la spontanea donazione di m a cosa per i l culto divino.
P u ò essere immediata e p ro p ria m en te d etta se si offre

« Cf. 11-11,84.
» C f. 11-11,85.
*3 Cf. 11-11,86-87.
670 LA VITA CRISTIANA NEL SUO SVILU PPO ORDINARIO

q u a lch e co sa in o n o re a D io , ch e p o trà serv ire p er il


c u lto , p e r le o p ere d i carità e cc., (co m e le an tich e
p rim iz ie d ei fru tti d e lla terra e le m o d e rn e co lle tte p e r
le o p ere p ie), e p u ò essere mediata, q u a n d o v ie n e fa tta
al sacerdote p e r il su o so ste n ta m en to (co m e le an tich e
d e cim e, o le offerte m o d e rn e p e r fa r ce leb rare S. M e s ­
se o a ltri uffici r e lig io s i). L a d e te rm in a zio n e d i q u este
o fferte, u n te m p o stab ilita dalla C h iesa, v ie n e la scia ta
o g g i alle le g ittim e co n su e tu d in i d i cia scu n p o p o lo !4.

2 9 1 . f ) I l v o t o 25 è la promessa deliberata e libera fa tta


a D io di un bene possibile e migliore del suo contrario (can.
1307). F a tto c o n le c o n d izio n i rich ieste, è u n e ccelle n ­
te a tto d i re lig io n e ch e au m en ta il m e rito d elle b u o n e
o p e r e ,- p e r c h é le o rd in a al c u lto e d a ll’ o n o re di D io .
P e rc iò la sua v o lo n ta r ia tra sg re ssio n e è u n p e cca to c o n ­
tro la v ir t ù della re lig io n e , e se si riferisce ad un a
m ateria g ià co m a n d a ta da a ltre v ir t ù (p er e se m p io la
castità) co stitu isce u n s e co n d o p e c c a to ch e è n ecessario
d ichiarare in co n fe ssio n e. Se i v o t i v io la ti s o n o q u e lli
d i u n a p erso n a co n sa crata p u b b lica m e n te a D io , il
p ecca to co m m e sso c o n tr o la re lig io n e è u n sacrilegio
(cfr. ca n .13 2 e 1308, i° ). N o n co n sta ch e lo sia anch e
la v io la z io n e d el v o t o d i castità em esso da u n a p e r so ­
na privata, a n c o rc h é co stitu isca certam en te u n p e cca to
g r a v e c o n tro la re lig io n e — d i in fe d e ltà o d i p erfid ia
v e rs o D io (88,3) — che b is o g n a d ich iarare in co n ­
fessio n e.

2 9 2 . g) I l g i u r a m e n t o 26 è l ’invocazione del nome di


D io in testimonio della verità e si p u ò p restare so lta n to al­
le c o n d izio n i rich ieste dal D ir itt o C a n o n ic o (ca n .13 16 ):

2 4 « Quanto al pagamento delle decime e delle prim izie, si osserveranno


g li statuti particolari e le lod evoli usanze di ogn i regione» (can. 1502).
M Cf. 11 -11 , 8 8 .
*6 Cf. 11-11,8 9 .
VIRTÙ CRISTIANE E DONI DELLO SPIRITO SANTO 671

v e rità , g iu d iz io e g iu stizia . A q u e ste c o n d iz io n i è u n


a tto di re lig io n e . Il g iu ra m e n to p u ò essere assertorio
o promissorio, seco n d o ch e è p re sta to p e r g a ra n tire
la v e rità d i c iò ch e si dice, o p e r im p e g n a rs i a co m p iere
q u a lch e a zio n e. L a v a lid ità , la liceità , l'o b b lig a t o r ie ­
tà e la d isp en sa p e r il g iu ra m e n to p ro m is s o rio c o in c i­
d o n o q u a si co m p leta m en te co n le ris p e ttiv e qu alità
d el v o to .

293 . h) L o s c o n g i u r o 27 è u n a tto d i re lig io n e


ch e co n siste n e ll’invocazione del nome di D io o di qual­
che cosa sacra per indurre altri a compiere qualcosa o a desi-
sistere da qualche proposito. F a tto c o l d o v u to risp etto
e co n le co n d iz io n i n ecessarie — v e rità , g iu stiz ia e
g iu d iz io — è le c ito ed o n e sto . L a C h iesa ne fa u so
sp ecia lm en te n e g li esorcismi co n tro il d e m o n io (cf. n.
178).

294 . i) L ’ i n v o c a z i o n e d e l n o m e d i D i o 28 co n siste
p rin cip a lm e n te n ella lode esterna — come manifestazione
del fervore interno — del santo nome di D io nel culto pubbli­
co o privato (9 1 ,1). È u tile e co n v e n ie n te a c co m p a g n a r­
la c o n canto « u t an im i in fir m o ru m m a gis p r o v o c e n -
tu r ad d e v o tio n e m » (92,2).
C o n tra rio a q u e sto a tto d i re lig io n e è l ’in v o c a z io ­
n e d el n om e di D i o invano. I l n o m e di D io è san to e
n o n lo si d e v e m ai p ro n u n cia re sen za m o tiv o e senza
la d o v u ta riv eren za: « N o n a v v e z z a re la tu a b o cca
a l g iu ra m e n to , n o n p re n d e re l’ a b itu d in e di p ro fe r ire
il Nom e santo; p e rc h é co m e lo s c h ia v o m esso spesso
a lla to rtu ra n o n sarà esen te da liv id u re , co s i c h i g iu ra
e n o m in a D io co n tin u a m en te n o n sarà del tu tto li­
b e ro dal p e c c a t o » (E c c li. 2 3 ,9 -11).

cf. 11-11,90.
*8 Cf. 11-11,91.
672 la VITA CRISTIANA NEL SUO SVILU PPO ORDINARIO

295 . 3. Peccati opposti a lla virtù della religione. - I princi­


pali sono i seguenti: la superstizione, che si oppone per ecces­
so alla virtù della religione, dando a D io un culto indegno di
lui o dando alle creature ciò che spetta a lui solo (92). H a
varie specie:
a) il culto indebito reso a D io in m odo falso o indebito (93);
V) l’idolatria, che consiste nel tributare ad una creatura
il culto dovu to a D io , e costituisce un gravissim o peccato,
anzi — sotto un certo aspetto — il più grave peccato che si
possa commettere (94);
(") la divinazione, che consiste nel pretendere di control­
lare i futuri contingenti con mezzi sproporzionati e indebi­
ti. L a divinazione ha varie sottospecie (95);
d) la vana osservanza, che consiste nel fissarsi su alcune
circostanze del tutto sproporzionate o fortuite (per esem­
pio, il venerdì, il numero tredici, ecc.) per fare congetture
riguardo a successi prosperi o avversi e governare per m ezzo
di que'ste congetture la propria vita o quella degli altri (96).
Per difetto si oppongono alla virtù della religione:
a) la tentazione di Dio, che consiste nel chiedere e nel-
Fesigere, senza rispetto alla divina maestà, l’intervento dì
D io , mettendo a prova la sua onnipotenza o sperandola in
circostanze indegne di D io . Tentiam o D io quando confi­
diamo nel suo aiuto senza fare da parte nostra tutto quello
che possiamo o dobbiam o fare (97);
b) lo spergiuro, che consiste nel chiamare D io in testi­
m onio del falso (è sempre un peccato mortale, a m otivo
della grave ingiuria a D io , benché la cosa che si conferma
con giuram ento sia una piccola bugia senza importanza)
o nel rifiutarsi di com piere quello che si è promesso co n
giuramento (98);
c) il sacrilegio, che consiste nella violazione o trattamento
indegno di ciò che è sacro; e può essere personale, locale o
reale, secondo che si profana una persona, un lu o go o una
cosa sacra (99);
d) la simonia, che consiste nella deliberata intenzione
di comperare o vendere per un prezzo temporale una cosa
intrinsecamente spirituale (per esempio, i sacramenti) o
una cosa temporale unita inseparabilmente a una spirituale
(per esempio, un calice consacrato) (100).
VIRTÙ CRISTIANE E DONI DELLO SPIRITO SANTO 673

II. L A V IR T Ù ’ D E L L A P I E T À ’

296. i. N a tu ra . - L a parola pietà si p u ò usare


in sensi m o lto diversi: a) com e sinom ino di devozione,
religiosità, dedizione al cu lto di D io; e cosi parlia­
m o di persone pie e devote; b) com e equivalente a
com passione o m isericordia; e cosi diciam o: « S ign o­
re, abbiate pietà di noi »; c) per designare una virtù
speciale derivata dalla giustizia: la v irtù della pietà,
che ora studierem o; oppure d) uno dei sette doni dello
Spirito Santo: il d on o della pietà.
C om e v irtù speciale derivata dalla giustizia, si p u ò
definire: un abito soprannaturale che ci inclina a tributare
ai genitori, alla patria e a tutti coloro che stanno in relazione
con essi l ’ onore e il servigio dovuto (101,3).
L ’o ggetto materiale di questa virtù è costituito da tutti
gli atti di onore, di riverenza, di servizio, di aiuto materiale
o spirituale, ecc., che si tributano ai genitori, alla patria e a
tutti i consanguinei.
L ’oggetto formale quo, o il m otivo di codesti atti, è
costituito dal fatto che i genitori e la patria sono il principio
secondario del nostro essere ed educazione (101,3). A D io ,
com e primo principio di entrambe le cose, si deve il culto
speciale che gli tributa la virtù della religione 30. A i genitori
e alla patria, com e principi secondari, è d ovu to il culto speciale
della virtù della pietà. A i consanguinei è dovu to pure questo
culto, in quanto procedono da una stirpe com une e si ri­
flettono in essi i nostri genitori (101,1).
Il foggetto sul quale ricadono i doveri della pietà è dunque
triplice;
a) i genitori, ai quali si riferisce principalmente, perché
sono, dopo D io , i principi del nostro essere, della nostra
educazione e del nostro governo;
i b) la patria, perché anche essa è, in un certo senso, prin-

*9 C f. 11 -11 , 1 0 1 .
3 ° Q uesto è certo considerando D io unicam ente com e nostro Creatore,
prim o principio di quanto esiste. P erò in quanto ci ha elevato per m ezzo
della grazia alla categoria di figli suoi adottivi, D io è nostro vero Padre, e in
questo senso abbiamo verso di lui veri doveri di pietà (cf. 101,3 ad 2).
674 LA VITA CRISTIANA N EL SUO SVILU PPO ORDINARIO

cipio del nostro essere, della nostra educazione e del nostro


governo, in quanto dà ai nostri genitori — e per m ezzo di
essi a n oi — m olte cose necessarie o convenienti a ciò.
In essa sono compresi tutti i com patrioti e gli amici della
nostra patria. Il patriottism o bene inteso è una vera virtù
cristiana;
c) i consanguìnei, perché, quantunque non siano il prin­
cipio del nostro essere e del nostro governo, in essi sono rap­
presentati, in qualche m odo, i nostri genitori, giacché
procediamo tutti da un ceppo comune. Per estensione si
possono considerare come parenti coloro che form ano una
medesima fam iglia spirituale (per esempio, i membri di
un ordine religioso, che chiamano « padre » comune il fon ­
datore).

La pietà è perciò una virtù distinta dalle virtù af­


fin i, com e la carità verso il prossim o e la giustìzia lega­
le. Si distingue dalla prim a perch é la pietà si fonda nella
unione che risulta dalla stirpe familiare comune, m entre la
carità si fon d a nei legam i che un iscon o a D io tutto il
genere umano. L a pietà verso la patria si distingue dal­
la giustizia legale perché quest’ultim a sta in relazione
alla patria in quanto considera il bene della medesima
com e u n bene comune a tutti i cittadini, m entre la pietà
la considera com e principio secondario del nostro proprio
essere. E p o ich é la patria conserva sempre questo
secondo aspetto in relazione a noi, bisogn a concludere
che l ’uom o ancorché v iv a lontano dalla patria ed ab­
bia acquistato cittadinanza in un altro paese, è sempre
o b b lig ato a conservare la pietà verso la sua patria di
origine, m entre n on è p iù ob bligato ai d overi che
proced on o dalla giustìzia legale, p erch é ha cessato di
essere suddito del g o v e rn o della sua patria.
P oich é la pietà è una virtù speciale, anche i peccati che si
com m ettono contro di essa sono peccati distinti, che oc­
corre dichiarare in confessione. E cosi, picchiare o maltrat­
tare il padre o la madre è un peccato speciale contro la pietà,
distinto e m olto più grave che battere un estraneo. A ltret­
tanto si dica dei peccati che si com m ettono contro la patria
e i parenti.
VIRTÙ CRISTIANE E DONI DELLO SPIRITO SANTO 675

297. 2. P e c c a ti o p p o s ti. - A lla pietà familiare per


eccesso si oppone l 'amore esagerato ai parenti (101,4),
che induce a trascurare ob bligh i più gra vi di quelli lo­
ro d ovu ti (per es.: rinunciare alla propria vocazione
religiosa o sacerdotale per non disgustare i familiari);
e per difetto si oppone l 'empietà familiare, che trascu­
ra i d overi di onore, di riverenza, di aiuto econom i­
co o spirituale, ecc., pur poten d oli adem pire.
A lla pietà verso la patria si oppon e per eccesso il
nazionalismo esagerato, che disprezza con parole od at­
ti tutte le altre nazioni; e per d ifetto, il cosmopolitismo
degli uom ini senza patria, che fanno p ro p rio il vecch io
adagio dei pagani: « u b i bene ib i patria ».

298. 3. M e z z i p e r s v ilu p p a r e la p ie tà . - È con­


veniente che i figli m editino con frequenza g li im­
mensi benefici che hanno ricevu to dai genitori, che
n on potranno mai ricam biare com pletam ente 31. Per­
ciò si sforzeranno di non venire mai m eno al rispet­
to , alla venerazione ed a ll’affetto loro d ovu ti, soppor­
tando anche, se occorra, il lo ro tem peram ento forse
difficile, e dim enticando qualche ingiuria o m altratta­
m ento subiti. I genitori com e tali, hanno sem pre di­
ritto alla stim a e al rispetto dei figli. Il m edesimo
rispetto, affetto e venerazione, si deve inoltre m ostrare
verso tutti i fam iliari, soprattutto quelli che viv o n o
sotto lo stesso tetto, ricordando che « siam o tut­
ti di una medesima carn e» (G en . 37,27), e che nulla
contribuisce tanto al benessere, alla felicità propria e
all’edificazione del n ostro prossim o, quanto lo spet­

31 A lle volte, tuttavia, p u ò avvenire che un figlio faccia più betiefici ai


genitori di quanti ne riceva; p er esem pio, convertendoli dall’eresia Ò dal
paganesimo, alla vera fede, o dalla vita di peccato a quella di pietà. In que­
sta maniera li m ette in condizione di ottenere la vita eterna, che vale infini­
tamente di più della vita temporale che da lo ro ha ricevuto.
676 LA VITA CRISTIANA NEL SUO SVILU PPO ORDINARIO

tacolo di una fam iglia cristiana, intim am ente unita


al Signore.
D ob biam o coltivare anche l ’am ore verso la patria,
studiandone la storia, sforzandoci di servirla e onorar­
la, difendendola, quando fosse necessario, anche col
sacrificio della propria vita. L ’am ore cristiano verso
la patria esclude però ogn i invid ia e disprezzo per le
altre nazioni.

IL DO NO DELLA P IE T À ’

S . T h ., — S i v e d a in o ltre la n o ta b ib lio g r a fic a al n . 234.

S. Tom m aso studia il dono della pietà al termine di tutto


il trattato della giustizia, dopo aver parlato di tutte le virtù
annesse, e questo è il posto che g li spetta logicam ente nella
disposizione della Somma Teologica. Però, data la sua affinità
con la virtù della pietà, n oi ne trattiamo a questo punto.

299. 1. N a t u r a . - I l jdono della pietà si può


definire un abito soprannaturale infuso con la grafia
santificante per eccitarè nella volontà, sotto la mozione del­
lo Spirito Santo, un affetto filiale verso Dio considerato come
Padre e un sentimento di fraternità universale verso tutti gli
uomini in quanto nostri fratelli e figli dello stesso Padre
che sta nei cieli.
a) Un abito soprannaturale... È il genere prossimo
della definizione, comune a tutti i doni.
b) ...infuso con la grazia santificante... - T u tti i giusti
sono in possesso dei doni dello Spirito Santo in quanto
abiti, giacché vengono infusi con la grazia e sono da essa
inseparabili.
c) ...per eccitare nella volontà... - Siccom e è un dono
affettivo, risiede nella volontà con le altre virtù infuse.
d) ...sotto la mozione dello Spirito Santo... - È l’aspet­
to proprio e caratteristico dei doni dello Spirito Santo, in
contrapposizione alle virtù acquisite che sono regolate dalla
ragione naturale ed alle virtù infuse, che sono controllate
dalla ragione illuminata dalla fede.
VIRTÙ CRISTIANE E DONI DELLO SPIRITO SANTO 677

e) ...un affetto filiale verso Dio considerato come Padre... -


È l’aspetto form ale e proprio del dono della pietà,
che lo distingue dalla virtù della religione acquisita o infusa,
che venera D io com e creatore, ossia com e prim o principio
di tutto quanto esiste, conosciuto per m ezzo della ragione
e della fede, mentre il dono della pietà lo considera piutto­
sto com e Padre, che ci ha generato alla vita soprannaturale,
dandoci con la grazia santificante una partecipazione fisica
e form ale della sua natura divina. In questo senso D io è
veramente il nostro Padre che sta nei cieli; e questa fa si
che il culto che gli tributiam o com e Padre mediante il dono
della pietà sia più nobile ed eccellente di quello che gli of­
friamo mediante la virtù della religione, com e nota S. T om ­
maso 32.
/ ) ...e un sentimento di fraternità universale verso tutti gli
uom ini... - È questo l’effetto secondario più notevole
del dono della pietà. S. Tom m aso scrive che « com e per m ez­
zo della virtù della pietà l’uom o offre un culto ed una venera­
zione, non solo al proprio padre, ma anche a tutti i consan­
guinei, in quanto appartengono al padre, cosi il dono della
pietà non si lim ita al culto ed alla venerazione di D io , ma
estende questi atti anche a tutti gli uom ini, in quanto appar­
tengono a D io » ( i2 i,i,a d 3).
I l d o n o d e lla p ie tà s i e s te n d e in o ltr e a tu tto q u a n to a p p a rtie n e a l cui-
t o d i D i o e d in flu isce su tu tti g li atti d ella g iu s tiz ia e d e lle v ir t ù annesse,
p o ic h é m u o v e a so d d isfa re a g li o b b lig h i da esse d e riv a n ti, p e r u n m o tiv o
p iù n o b ile e p iù a lto , c o n s id e ra n d o li c io è c o m e d o v e r i v e r s o i p r o p r i fra­
telli, fig li e fam iliari d i D io » 33.

g) ...in quanto nostri fratelli e figli dello stesso Padre che


sta nei cieli. - È ancora il m otivo formale della pietà che
illumina questo effetto secondario. Com e la pietà è la virtù
familiare per eccellenza, cosi il dono della pietà, su un piano
più alto ed universale, è quello che unisce sotto lo sguardo a-
m oroso del Padre celeste tutta la grande fam iglia di D io.

32 E c c o le sue stesse p aro le: « O ffr ir e u n c u lto a D i o c o m e creatore,


c o m e fa la v ir tù d ella re lig io n e , è p iù ec c ellen te ch e o ffrirlo a l p ad re carn ale,
c o m e fa la v ir t ù d ella p ietà. M a o ffrire u n c u lto a D i o c o m e P a d re è p iù
eccellen te a n co ra ch e o ffrirg lie lo c o m e c rea to re e s ig n o re . Q u in d i, la re­
lig io n e è p iù im p o rta n te c h e la v ir t ù d ella p ietà; m a il d o n o d ella p ietà è
p iù im p o rta n te ch e la r e lig io n e » ( 1 2 1 ,1 ad 2).
33 C f. G i o v a n n i d i S . T o m m a s o , I n l -11 d .18 , a.6, § i , n.26.
678 LA VITA CRISTIANA NEL S U O SVILU PPO ORDINARIO

300. 2. N e c e s s ità . - Il dono della pietà è neces­


sario per perfezionare fin o a ll’eroism o g li atti del­
la v irtù della giustizia e tutte le altre che da essa
derivano, specialmente la religione e la pietà, cui si rife­
risce p iù direttam ente. Q u anto è diverso praticare il
culto di D io unicam ente sotto l ’im pulso della virtù
della religione, che ce lo presenta com e creatore e
sovrano di tu tto l ’un iverso, dal praticarlo sotto la m o­
zione del dono della pietà, che ci fa sentire in lui un
padre am oroso che ci ama con affetto infinito! M ossi
da questo sentim ento si com pie quasi senza sforzo
alcuno, con perfezione e delicatezza, tu tto ciò che
si riferisce al servizio di D io: il culto, l ’ orazione, il
sacrificio, ecc.: si tratta del servizio del Padre, non di
un D io m aestosam ente terribile.
N elle nostre relazioni con g li uom ini, il sentim ento
che siamo tutti fratelli e f ig li di uno stesso Padre,
alle esigenze, per sé già sublim i, della giustizia e della
carità, porta una nota di affettuosa gentilezza. A n ch e
le cose materiali cam biano aspetto: per chi è guidato
dal don o della pietà, la terra è « la casa del Padre »,
nella quale tu tto quanto esiste parla di lui e della sua
bontà. Sotto l ’im pulso di questo dono le virtù acquista­
no quella squisita perfezione che sarebbe im possibile
esigere da lo ro senza l ’influsso del dono della pietà.

301 . }. E f f e t t i . - Sono m eravigliosi g li effetti


che produce n ell’anima il don o della pietà. E cco i
principali:
i) Pone nell’anima una tenerezza veramente filiale rer-
so i l Padre celeste.
È l’effetto primario e fondamentale. L ’anima comprende
perfettamente e viv e quelle parole di S. Paolo: « V o i non
avete ricevuto lo spirito di schiavitù per ricadere ancora
nel timore; ma avete ricevuto lo spirito di adozione filiale,
per il quale esclamiamo: A bba, Padre! L o Spirito stesso
VIRTÙ CRISTIANE E DONI DELLO SPIRITO SANTO 679

attesta co l nostro spirito che noi siamo figli di D io »


(Rom. 8,15-16).
S. Teresina non poteva pensare a questo senza piangere
di consolazione. L eggiam o nella Storia di uri anima che una
novizia — entrata un giorno nella cella della santa — rimase
sorpresa della celestiale espressione del suo volto. Stava
cucendo m olto in fretta e tuttavia pareva assorta in una
profonda contemplazione. « A che cosa pensa ? », le domandò
la giovane suora. « M edito il Pater » rispose; « è così dolce
chiamare D io Padre nostro ». E le lacrime le brillavano negli
occhi
Anche D . Colum ba M arm ion possedeva in alto grado il
sentimento della nostra filiazione adottiva. Per lui, D io è
anzitutto nostro Padre; il monastero è « la casa del Padre »
e tutti i suoi abitanti form ano la famiglia di D io . La stessa
cosa si deve dire del m ondo intero e di tutti gli uomini.
N ei suoi scritti insiste frequentemente sulla necessità di co l­
tivare questo spirito di adozione, che deve essere la fonda-
mentale attitudine del cristiano di fronte a D io. E g li stesso
chiedeva questo spirito di adozione in m odo particolare ogni­
qualvolta si inchinava per la recita del Gloria Patri alla fi­
ne di ogn i salmo 35. N ella sua opera Cristo nei suoi misteri;
riassume cosi il suo pensiero: « N on dimentichiamo giammai
che ogn i vita cristiana come ogn i santità si riduce a questo:
essere per grazia ciò che G esù Cristo è per natura, il F iglio
di D io . D i qui deriva l’aspetto più sublime della nostra re­
ligione. L a sorgente di tutte le grandezze di G esù, del valore
di tutti i suoi stati, della fecondità di tutti i suoi misteri è
la sua generazione divina, la sua qualità di F iglio di D io.
A llo stesso m odo il santo più sublime del cielo è colui che
qui sulla terra è stato figlio di D io nel m odo più perfetto
e che ha fatto fruttificare m eglio la grazia della sua adozione
soprannaturale in C r is to » 36.
La preghiera prediletta di queste anime è il Padre nostro.
S. Teresa dì G esù Bam bino confessa che il Padre nostro e
l’A v e M aria erano le sole orazioni che elevavano e nutri­
vano la sua anima, e che perciò le bastavano 37. Una povera

34 C . 12 , n.4 75.
35 Q u e s ti d a ti li a b b ia m o d esu n ti d a llo s tu d io d i D o m R. T h ib a u t ,
Un maitre de la vie spiritatile: Dom Columba Marmion, D e s c lé e 1929, so p ra t­
tu tto dal c.16 .
36 C f. M a r m i o n , Cristo nei suoi misteri 3,6.
37 Storia di un’anima c .io , n.401.
680 LA VITA CRISTIANA NEL SUO SVILUPPO ORDINARIO

. guardiana di mucche non riusci per cinque anni a terminare


- il Padre nostro, perché quando pronunciava la parola Padre,
pensando che C olui che stava nei cieli era suo Padre, si com ­
m uoveva fino al pianto e rim aneva in quello stato tutto il
giorno mentre custodiva le sue mucche 3 8.
2) Ci fa adorare l ’ ineffabile m istero della paternità esistente
in seno alla Trinità.
N elle sue manifestazioni più sublim i, il dono della pietà
ci fa penetrare nel mistero della vita intima di D io , dandoci
un sentimento vivissim o, pieno di rispetto e di adorazione,
della paternità del Padre rispetto al V erbo eterno. L ’anima si
compiace del mistero dell’eterna generazione del Figlio
che costituisce la stessa felicità del Padre. D inanzi al mistero
di questa generazione sempre eterna e sempre attuale, l’ani­
ma sente la necessità di annientarsi, di tacere e di amare ripeten­
do nel più profondo di sé stessa: « Gratias agimus tibi, propter
magnam gloriam tuam ». È il culto e l ’adorazione della
D ivin a Maestà per sé stessa, senza considerazione alcuna dei
benefici che da essa ci p rovengono. Q uesto era l’atteggia­
mento interiore abituale di Suor Elisabetta della Trinità 39.
3) Pone n ell’ anim a lo spirito di filiale abbandono nelle
braccia del Padre celeste.
Intimamente penetrata dal sentimento della sua filia­
zione adottiva, l’anima si abbandona tranquilla e fiduciosa
nelle braccia di D io . N iente preoccupa o turba la pace inal­
terabile di cui gode. N o n chiede nulla e non respinge nulla:
salute o malattia, vita breve o lunga, consolazioni o aridi­
tà di spirito, attività o im m obilità, persecuzioni o lodi:
tutto riceve da D io . Si affida totalmente a lui chiedendogli
soltanto di poterlo glorificare con tutte le sue forze, desidera
che tutti g li uom ini riconoscano la loro filiazione adottiva
e vivano com e veri figli di D io , lodando e glorificando il
Padre celeste. « N o n m etodi rigidi, né form ule complicate,
capaci solo di paralizzare gli slanci del cuore, ma correre
verso D io com e fa il bim bo col padre suo» 4°.
4) Ci fa vedere nel prossimo un figlio di Dio ed un fr a ­
tello di Gesù Cristo.
Se D io è nostro Padre, noi siamo tutti figli suoi e fratelli

38 C f. H . B r é m o n d , H i s t . littéra ire t .2 , p a g . 6 6 , c i t a t o d a T a n q c e r f . y ,
o s., 11.1349, n o t a 3.
39 C f . ,P. P h i l i p o n , L a dottrina spirituale ... c.8, n.4.
4° Ivi.
VIRTÙ CRISTIANE E DONI DELLO SPIRITO SANTO 681

di G esù Cristo, in atto o almeno in potenza. L ’anima ripiena


del dono della pietà, percepisce e viv e questa verità tanto su­
blime, ama tutti gli uom ini con tenerezza vedendo in essi
altrettanti fratelli che vorrebbe colmare di grazie e di benedi­
zioni e verso i quali esercita tutte le opere di misericordia
corporale e spirituale. T utti i sacrifici che richiede il servizio
del prossim o le sembrano lievi, e li com pie, pensando al
Padre com une, com e dovuti ai familiari di D io (Ef. 2,19).
Q uesto sentimento rende queste opere altrettanti atti su­
blim i di religione. A nch e l’amore e la pietà verso i propri
familiari e consanguinei sono profondam ente penetrati da
questa visione più alta.
Q uesto è il dono per cui S. Paolo si affliggeva con chi
era afflitto, piangeva con chi era in lacrime, si rallegrava con
chi era lieto, sopportava con pazienza le debolezze e miserie
del prossim o, facendosi tutto a tutti per salvare tutti (cfr.
1 Cor. 9,19-22).
5) Ci spinge a ll’ amore e alla devozione verso le persone
e le cose che partecipano in qualche modo a lla paternità
di D io o alla fraternità cristiana.
In virtù del dono della pietà, l’anima si perfeziona nel­
l’amore filiale verso la Vergine Maria, che considera come
madre ed alla quale ricorre con filiale fiducia; ama gli an­
geli e i santi, com e fratelli m aggiori, che godon o della con­
tinua presenza del Padre; le anime del purgatorio, che soccorre
con continui suffragi, perché le considera com e sorelle sof­
ferenti; il Papa, il dolce Cristo in terra, capo visibile della
Chiesa e padre di tutta la cristianità; i superiori, nei quali vede
i rappresentanti del Padre celeste, più che dei capi o ispettori;
la patria che vorrebbe vedere im bevuta dello spirito di Gesù
Cristo nelle sue leg gi e nei suoi costumi; la J’. Scrittura che
legge con rispetto e amore, perché la considera com e una
lettera del Padre inviata dal cielo, per manifestarle la sua
volontà; e infine le cose sante, soprattutto quelle che apparten­
gono al culto ed al servizio di D io . S. Teresina era contenta
del suo ufficio di sacrestana perché le perm etteva di toccare
i vasi sacri.

302. 4. B e a titu d in i e fr u tti c h e d a esso d eri­


va n o . - Secondo S. Tom m aso (121,2), col dono della
pietà stanno in relazione tre delle beatitudini evan­
geliche:
a) la seconda: Beati i mansueti, perché la m ansuetu­
682 LA VITA CRISTIANA NEL S U O SVILU PPO ORDINARIO

dine toglie gli im pedim enti per l’esercizio della pietà;


b) la quarta: B eati quelli che hanno fam e e sete di giu­
stizia, perché il d on o della pietà perfeziona le opere
dì giustizia;
c) la quinta: B ea ti i misericordiosi, perché la pietà si
esercita anche n elle opere di m isericordia.
I fru tti dello Spirito Santo che si d evon o attribu i­
re direttam ente al dono della pietà sono la bontà e la
benignità e, indirettam ente, la mansuetudine, in quanto
allontana g li im pedim enti per gli atti di pietà (121,2
ad 3).

303. 5. V iz i o p p o s ti. - I v iz i che si o p p o n g o ­


n o al dono della pietà si posson o raggruppare sot­
to il nom e generico di empietà. D ifatti siccom e al
dono della pietà spetta propriam ente l ’offrire a D io
con filiale affetto quello che g li appartiene com e n o ­
stro Padre, chiunque in u n m od o o in un altro vio la v o ­
lontariam ente questo d overe m erita il nom e di empio.
D ’altra parte S. T om m aso dice 41 che « la pietà, in
quanto è dono, consiste in. una certa benevolenza so­
prannaturale verso tutti g li uom in i » p o ich é li consi­
dera com e fig li di D io e nostri fratelli in lu i. In tal
senso S. G reg o rio M agn o oppone al don o della pietà
la durezza del cuore quando dice che lo Spirito Santo c o i
suoi doni in fond e « contra duritiam , pietatem » 42.
II P. L allem ant ha scritto una bella pagina sulla
durezza del cuore:
« Il vizio contrario al dono della pietà è la durezza di
cuore, che nasce dall’amore sregolato di noi stessi, il quale
tende naturalmente ad assorbirci nei nostri propri interessi
ed a lasciarci com m uovere solo da ciò che ci riguarda; che

41 « Pietas, secundum quod est donum , consistit in quadam benevolen­


z a supra m odum humanum ad o m n es» , {III Sent. d»9, q .i , a .i. q .i. ad 4).
43 II Morale c.49; M L 75,593. — Cf. S. T h ., 1-11,68,2 ad 3; 6 ad 2; II-
II 159 ad 1.
VIRTÙ CRISTIANE E DONI DELLO SPIRITO SANTO 683

ci fa assistete insensibili all’offesa di D io ; per colpa del


quale non ci lasciam o incom odare per fare dei piaceri agli
altri, dei quali ci rende insopportabili i difetti; che ci pro­
voca contro di essi per futili m otivi; che ci fa conservare
nel cuore sentimenti di asprezza, di vendetta, di odio e di
antipatia.
Invece, quanto più un’anima è inondata dalla carità
e dall’amore di D io , tanto più è sensibile agli interessi del
Signore ed a quelli del prossimo.
Questa durezza è massima nei grandi del m ondo, nei
ricchi avari, nelle persone sensuali, in tutti coloro insomma
che non vo g lio n o nutrire in cuore teneri sentimenti, perché
non praticano la vita della pietà e non tengono il contatto
con le cose spirituali.
Capita di trovarla spesso anche nei dotti, che non v o ­
gliono unire la devozione con la scienza e che tentano di ma­
scherare questo difetto, considerandolo come una manife­
stazione di fortezza di carattere; ma i veri dotti furono anche
m olto pii, come un S. A gostin o, un S. Tom m aso, un S.
Bonaventura, un S. Bernardo, e nella Com pagnia il P. Lay-
nez, il Suarez, il Bellarm ino, il Lessio.
U n ’anima che non può piangere, almeno con le lacrime
del cuore, i propri peccati, è infetta o di empietà o di impurità
o dell’una e dell’altra, com e succede di solito a coloro che
hanno il cuore indurito.
È una vera disgrazia quando nelle anime consacrate
a D io si ha una m aggiore stima dei talenti naturali od acqui­
siti che non della pietà. V edrete alle volte dei semplici reli­
giosi ed anche dei Superiori, che ci proclameranno di tener
in m aggior considerazione uno più portato agli affari ma­
teriali che non alle piccole devozioni, le quali servono, vi
ditanno costoro, al più per le donnicciole, ma non per
un’anima solida, confondendo cosi la durezza d el'cu o re,
assai opposta alla pietà, con la fortezza di spirito. D o v reb ­
bero costoro ricordarsi che la devozione è un atto di reli­
gione, o frutto della religione e della carità, e perciò preferi­
bile a tutte le virtù morali, perché, in ordine di dignità,
la religione segue immediatamente le virtù teologali.
Q uando un padre anziano e di grande autorità per l’ età
e le cariche ricoperte proclam a davanti ai giovan i religiosi di
stimare le belle doti e le cariche onorifiche, oppure di prefe­
rire quelli che hanno doti eccellenti di spirito e di scienza
ad altri che, non avendone, sono però di m aggiore virtù
e pietà, sappia che egli nuoce grandemente a quei poveri
giovani. È un veleno che inocula in cuore ad essi e di cui
684 LA VITA CRISTIANA NEL SUO SVILU PPO ORDINARIO

forse non guariranno mai. Può bastare alle volte anche una
parola, detta in confidenza ad una persona, per gettarla nel
disagio, nel turbamento» 43.

304. 6. M e z z i c o n c u i fo m e n ta re q u e s to d o ­
n o. - O ltre ì m ezzi generali (raccoglim ento, orazio­
ne, fedeltà alla grazia, ecc.) ricorderem o i seguenti:
1) Coltivare in noi lo spirito di figli adottivi di D io. -
Nessuna verità viene inculcata tanto insistentemente nel
V angelo come questa: D io è nostro Padre. N e l solo discorso
della montagna, G esù ce lo ricorda ben quattordici volte.
Q uesto atteggiam ento di figli dinanzi al Padre è messo tan­
to in rilievo nella N u o v a L egge, che qualcuno ha visto in
esso la nota essenziale del cristianesimo.
D io è nostro creatore e sarà nostro giudice nell’ora della
morte; però è anzitutto il nostro Padre. Il dono del timore ci
ispira verso di lui una rispettosa riverenza, non la paura, in­
compatibile con la tenerezza e la fiducia filiale che ci infonde
il dono della pietà. Soltanto sotto l’azione di questo dono
l’anima si sente figlia di D io e v iv e con serenità pensando a
questa sua condizione. Chiediam o continuamente lo spìrito
di adozione, abbinando questa petizione a qualche esercizio
che dobbiam o ripetere frequentemente nella giornata 44,
e sforziam oci di fare tutte le cose per compiacere il nostro
Padre celeste.
2) Coltivare lo spirito di fratellanza universale con tutti
gli uomini. - Prima di praticarlo in tutta la sua perfezione
per mezzo del dono, possiamo dilatare m olto il nostro cuore
con l’aiuto della grazia ordinaria fino ad abbracciare tutti
gli uomini. S. Paolo inculcava insistentemente ai primi cri­
stiani: « T utti v o i siete figli di D io , mediante la fede in G esù
Cristo, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, v i sie­
te rivestiti di Cristo. N on c’è più né giudeo né gentile, non
c’è più schiavo né libero, non c’è più uom o né donna:
tutti vo i siete uno in Cristo G esù » (Gal. 3,26-28). D a parte
nostra dobbiam o fare tutto il possibile per trattare i nostri

43 L a dottrina spirituale princ.4, c.4, a.5.


44 Si ricordi che D o m C. M arm ion — che visse questo spirito di adozio­
ne — aveva vincolato la sua petizione a ogni Gloria Patri che recitava
alla fine dei Salmi e in altre m olte occasioni cf. D o m T h is a u t, o.c., n.16,
pp. 455-4.
VIRTÙ CRISTIANE E DONI DELLO SPIRITO SANTO 685

simili come veri fratelli. G esù stesso vuole che il m ondo co­
nosca che siamo suoi discepoli dall’amore sincero che nu­
triamo gli uni verso gli altri (G io v. 13,35).
3) Considerare tutte le cose, anche quelle puramente m a­
teriali, come appartenenti a lla casa del Padre, quale è l’ in ­
tera creazione. - Le anime che possiedono il dono della
pietà nutrono un profondo sentimento religioso verso tutte
le creature. S. Francesco un giorno abbracciò un albero,
perché in esso vedeva un «fratello » in D io . S. Paolo della
Croce andava in estasi quando contem plava i fiori del giar­
dino, che gli parlavano del Padre celeste. S. Teresina pian­
geva di tenerezza al contemplare una gallina che raccoglieva
i pulcini sotto le sue ali, perché le ricordava i sentimenti
di G esù verso tutti gli uom ini, ma specialmente il suo amo­
re verso i peccatori. A nch e senza giungere a tanto, potremmo
dare un senso ben diverso alle nostre relazioni con le crea­
ture, se ci sforzassimo di scoprire alla luce della fede il loro
aspetto religioso. L a creazione è la casa del Padre, tutto quan­
to esiste gli appartiene e contiene in sé qualche cosa di
divino. Q uesto pensiero ci aiuterebbe tanto ad usare sempre
rettamente delle creature, ci terrebbe lontani dal peccato,
che è una specie di sacrilegio contro D io e le creature che
gli appartengono.
4) Coltivare lo spirito di totale abbandono nelle braccia
di D io. - Q uesto atteggiamento dell’anima sarà perfetto
solo col possesso del dono della pietà. Essa però deve fare
quanto può per convincersi sempre più profondam ente
della cura amorosa del Padre verso di lei e della impossibilità
che le succeda qualche cosa di contrario al suo vero bene.
Cercherà di conseguenza di mantenersi, per quanto può, in-
diiferente di fronte agli eventi lieti o tristi della sua vita,
ripetendo continuamente: « Fiat voluntas D ei ».

III. L A V IR T Ù ’ D E L L ’O S S E R V A N Z A 45

305. Q uesta virtù è la parte potenziale della g iu sti­


zia che ha lo scopo di regolare le relazioni d egli infe­
riori verso i superiori (eccettuati però D io , i genitori
e le autorità civili a cui si riferiscono le virtù della re­
ligione e della pietà).

45 C f. I I-I I, 10 2 .
6S6 LA V IT A C R IS T IA N A NEL SU O S V IL U P P O O R D IN AR IO

Si p uò definire com e la virtù per cui prestiamo culto


e venerazione alle persone che hanno qualche dignità (102,1).
Qualsiasi persona costituita in qualche dignità m e­
rita per ciò stesso il nostro rispetto e venerazione:
il servo deve rispettare il padrone, il soldato deve ri­
spettare il capitano, il suddito il prelato, il giovane
l’ anziano, il discepolo il m aestro. O ra questa abituale
attitudine, rispettosa e sottom essa verso co lo ro che
in qualche maniera ci sono superiori, procede dalla
virtù dell’ osservanza.
S. Tom m aso avverte che, alle persone costitu ite
in dignità, è d ovu to onore a m o tivo della loro eccel­
lenza, mentre il culto, l ’ obbedienza ed il servizio sono
loro d ovu ti a m o tiv o dell’autorità che esse esercitano
su di noi (102,2). Perciò l ’onore è d ovu to a qualsiasi
persona eccellente, ma l ’obbedienza e il servizio sono
d o v u ti soltanto a co lo ro che hanno su di noi autorità
o giurisdizione (ad 3). L ’osservanza si distingue quindi
in due specie: la dulìa e l ’ obbedienza-

a) L a dulia. 46

306. C om e indica il vo ca b o lo stesso dal greco (ò o v -


Xeìo. = servitù), la dulia in senso stretto consiste nel­
la riverenza che il servo deve al suo padrone. In senso
più largo significa l ’ onore d o vu to a qualsiasi per­
sona costituita in dignità, ed in senso ecclesiastico
significa il culto e la venerazione che si d eve ai santi
d el cielo. A lla V ergin e SS.m a, assolutam ente superiore
a tutti i santi, si rende un culto chiam ato di ìperdulia
(ossia, più che di sem plice dulia) ed a S. G iuseppe u n
culto di protodulia (ossia, il p rim o tra quelli di dulia).
N ella sua accezione filo so fica , il culto di dulia sup­
pone sempre qualche superiorità o eccellenza nella

Cf. 11-11,10}.
V IR T Ù C R IS T IA N E E DONI D E L L O S P IR IT O SANTO 687

persóna onorata. N o n è necessario che chi la riceve


sia più eccellente di chi la offre, ma che abbia realmente
qualche superiorità su altri (il generale onora il capita­
no in quanto è superiore al sem plice soldato) o anche
su colui che l ’ offre, in qualche aspetto particolare (il
principe che rende om aggio al suo professore in quan­
to tale) (103,2).
L ’onore ed il culto d ovu to a D io (latria) pu ò es­
sere puram ente interno, giacché e g li conosce perfet­
tamente i m oti del n ostro cuore. M a quello d o v u to
ai superiori umani deve m anifestarsi in qualche m aniera
per m ezzo di segni esterni, perchè si d evon o onorare
n on solo dinanzi a D io , ma anche dinanzi agili uom i­
ni (103,1).

/5) Uobbedienza.

S . T h ., I I - I I ,i0 4 ; S c a r a m e l l i , D irettorio ascetico, t . 3, a .7 ; C h . d e S m e d i


N o tre vie surnaturelle , t.2 , p p . 1 2 4 - 1 5 1 ; M o n s . G a y , V ita e virtù cristiane,

tr.1 1 T a n q u e r e y , Teologia ascetica e mistica , n n . 1 0 5 7 - 7 4 ; G a r r i g o u - L a -


g r a n g e , L e tre età , I I I , 1 5 , M a r m i o n , C risto , ideale del monaco, c o n f .1 2 ;

C o l i n , I l culto dei votif c c . 1 7 - 2 2 .

307. 1. Natura. - Secondo S. T om m aso, l ’ob­


bedienza è una virtù morale che rende la volontà pron­
ta ad eseguire i precetti dei superiori (104,2 ad 3). C on la
parola precetto n on s’intende solam ente il com ando
rigoroso che ob b lig a sotto pena di colpa grave, ma
anche la sem plice vo lo n tà del superiore, m anifestata
all’esterno in m odo espresso o tacito. L ’ obbedienza
sarà tanto più perfetta, quanto p iù prontam ente si ese­
guirà la vo lo n tà del superiore (104,2).
« N é creda già il lettore che o ggetto dell’obbedienza
siano soltanto i precetti dei superiori regolari verso i loro
' religiosi, che con solenne vo to si sono obbligati all’esecu­
zione di essi. M a tali sono anche i com andi dei principi
verso i loro sudditi, dei padri verso i loro figlioli, dei mariti
verso le loro m ogli, dei padroni verso i loro servi, dei capi­
688 LA V IT A C R IS T IA N A N EL SU O S V IL U P P O ORDIN ARIO

tani verso i loro soldati, dei sacerdoti verso i secolari, in­


somma tutti gli ordini di chiunque ha legittim a facoltà di
prescriverli; purché però tali precetti non trascendano la
sfera di quelle cose a cui si estende l’autorità di chi li im­
pone» 47.

Il fondamento dell’ obbedienza è Vautorità del superiore,


ricevuta direttam ente o indirettam ente da D io . In real­
tà è a D io che si obbedisce nella persona del legittim o
superiore, giacché o g n i potestà viene da lu i (Rom .
13 ,1). Per questo, a ggiu n ge S. P aolo, che chi resiste al­
l ’autorità, resiste a D io stesso (Ivi, 13,2).
Se si eseguisce esteriorm ente il com ando del su­
periore, ma con ribellione interna dell’intelletto o
della vo lo n tà, l ’obbedienza è puram ente materiale, non
v irtu osa, pur essendo sufficiente a salvare il v o to di o b ­
bedienza, qualora il suddito v i fosse legato; se invece
si obbedisce interiorm ente ed esteriorm ente perché si
tratta di una cosa comandata dal superiore, l ’obbedienza- si
chiama formale ed è un eccellente atto di virtù.
Corollario. - Q uanti atti che sembrano fatti per obbedien­
za in realtà non lo sono davanti a D io! O gn i volta che si ese­
guisce soltanto esteriormente quello che è stato comandato,
borbottando e lamentandosi della « mancanza di com pren­
sione » dell’« im prudenza » del superiore, ecc., si priva au­
tomaticamente l’atto della sua bontà. L a stessa cosa avviene
quando si obbedisce esclusivamente per la simpatia che si sente
verso la persona del superiore, o perché quello che ha co­
mandato pare ragionevole, o perché quadra coi propri
gusti. In tutti questi casi manca all’obbedienza il motivo
formale — che è l’autorità del superiore, in quanto rappresen­
tante di D io — , e quindi non esiste come virtù soprannatu­
rale (104,2 ad 3). S. Tom m aso afferma che persino il martirio
non avrebbe alcun valore se non fosse ordinato al com pi­
mento della divina volontà: « nisi haec ordinaret ad impletio-
nem divinae voluntatis quod recte ad oboedientiam per-
tinet» (104,3).

308. 2. E c c e lle n z a . - L ’ obbedienza è una vir-

47 S c a r a m e l l i , Direttorio ascetico t .3 , a.7 , n .2 6 2 . — C f. 1 1 -1 1 , 1 0 4 , 5 .


V IR T Ù C R IS T IA N E E D O N I D E L L O S P IR IT O SANTO 689
tu m eno perfetta delle teologali. Da parte del suo
oggetto è inferiore anche ad alcune virtù m orali (per
esem pio, la religione), ma da parte di quello che si
sacrifica o s’immola a D io , è la prim a e più eccellente di
tutte le virtù m orali. Infatti per m ezzo delle altre si
sacrificano i beni esterni (povertà) o i beni corporali
(castità) o certi beni d ell’anima, invece con l ’ obbedien­
za si sacrifica quello che è più im portante: la propria
vo lo n tà (104,3). Per questo S. T om m aso n on esita
di affermare che lo stato religioso, in virtù principal­
m ente del v o to di obbedienza, è un ve ro olocausto
che si offre a D io 48.

309. 3. Gradi di obbedienza. - I tre princi­


pali sono: a) sem plice esecuzione esterna; b) sottom is­
sione interna della volontà; c) sincera sottom issio­
ne del giu d izio interno. S. Ign azio di L o y o la li spie­
g ò in una lettera chiamata dell’« obbedienza », diretta
« ai padri e fratelli del P orto ga llo », scritta da Rom a
il 16 m arzo 1553 “ . N e presentiam o qui lo schem a ri­
portato nell’edizione citata.
1) S. Ignazio desidera che l’obbedienza sia la virtù ca­
ratteristica della Com pagnia per i vantaggi che essa porta,
essendo quasi un com pendio delle altre virtù.
2) Principio fondamentale dell’obbedienza: vedere Cristo nel
v superiore, senza fermarsi ai lati buoni o cattivi della sua
persona.
3) Gradi dell’ obbedienza:
Primo grado: obbedienza di pura esecuzione: il valore di
questo grado è scarso.
Secondo grado: obbedienza di volontà. Il sacrificio dell’ob­
bedienza ha un grande valore intrinseco ed il suo merito è
tale che, per obbedienza, si può rinunciare a qualsiasi atto
virtuoso. C on l’obbedienza si perfeziona il libero arbitrio.
Pericolo di trarre la volontà del superiore alla propria.

<8 C f. 11 -11 , 1 8 6 , 7 - 8 .
49 Si può leggere integra in Obras completai de San tenario de Loyola.
B A C , M adrid, 1952, pp. 833-43.
69 0 LA V IT A C R IS T IA N A N EL SU O S V IL U P P O ORDIN ARIO

Terzo grado: obbedienza di intelletto. Sua natura:


a) E ’ possibile: la volontà può influire sull’intelletto.
b) E ’ giusta: è ragionevole dare una regola sicura al
giudizio e conform are la propria volontà con quella di D io.
c) E ’ necessaria: per rendere perfetta la subordinazione,
per sfuggire alle illusioni dell’amor proprio, per mantenere
l ’unione.
d) E ’ perfetta: l’uom o immola a D io quello che ha di
più eccellente, com pleta l’olocausto, suppone una grande
vittoria.
4) M ezzi generali per il suo conseguimento: umiltà e mansue­
tudine.
5) M ezzi particolari: vedere D io nei superiori; cercare
le ragioni favorevoli al comando; accettare ciecamente
l’ordine, senza volere investigarne le ragioni, con una do ­
cilità simile a quella necessaria in materia di fede.
6) Esporre ai superiori 5° le ragioni che abbiamo da
opporre ad un ordine dato, non è contrario all’obbedienza,
purché si faccia con le dovute condizioni. È inoltre neces­
sario farne l’esposizione con piena libertà e assoluta indif­
ferenza.
7) Osservazioni finali: l ’obbedienza si estende anche a
coloro che sono stati preposti dai superiori a qualche u ffi­
cio. D all’obbedienza dipende la prosperità delle fam iglie
religiose.
8) Esortazione finale: esempio di G esù Cristo; ricompen­
sa dell’obbedienza.

310 . 4 . Qualità dell’obbedienza. - L ’ obbedienza


deve ispirarsi essenzialm ente a m o tiv i soprannaturali.
S oltanto allora sarà vera virtù. L ’ obbedien2a che si
ispira a qualche m o tiv o um ano, per quanto nobile, ret­
to e legittim o, cessa di essere soprannaturale.
L e caratteristiche più im portanti d ell’ obbedienza
soprannaturale sono:
1) L o spirito di fede che vede Cristo nel superiore. D .
Colum ba M arm ion si inchinava rispettosamente dinanzi al

5° S. Ignazio usa la parola « representacion » per indicare l ’um ile


esposizione ai superiori delle ragioni che potrem m o avere per suppli­
carli dì desistere dall5ordinare una cosa.
V IR T Ù C R IS T IA N E E D ON I D E L L O S P IR IT O SAN TO 691
suo superiore e diceva dentro di sé: « A v e , O liste » 5'.
z) 1^3. ferma persuasione che obbedendo si com pie la volon ­
tà di D io . Colui che comanda si può sbagliare; colui cne ob­
bedisce non si sbaglia mai.
3) L ’amore che si dilata nell’immolazione e nel totale
olocausto del nostro essere a D io.
4) La prontezza-, per cui si lascia, per esempio, incom piu­
ta un’azione al suono della campana, e ci si alza da letto come
spinti da una molla per iniziare una n u o va giornata al ser­
vizio di D io.
5) L a devozione, per la pronta sottomissione e la totale de­
dizione alla volontà del superiore, rappresentante di D io.
6) L a spontaneità e la gioia nell’indovinare i desideri del
superiore e nel prevenirli, nell’accettare con gio ia i suoi
com andi, manifestando cosi che l’obbedienza rende felici.
7) U um iltà e la semplicità, per cui non si dà molta im­
portanza all’eroismo richiesto dall’im m olazione, perché la
si considera la cosa più naturale di questo mondo.
8) L a virilità, per l ’energia eroica e la fortezza di martire
che im pone a volte l’obbedienza.
9) L ’universalità, per la sottomissione a qualunque su­
periore, ad ogn i specie di comandi, senza alcuna eccezione.
10) L a perseveranza, sia nelle consolazioni com e nelle
aridità, nella salute com e nella malattia, quando si prova
ripugnanza com e quando ci si sente attratti. L ’ obbedienza
infonde forza: (rV ir oboediens loquetur victoriam » (Prov.
21,28).

D u e aneddoti, riportati da un m oderno autore,


p o sson o riassumere la dottrina della perfetta obbe­
dienza:
« In una Casa madre appena terminati gli esercizi spiritua­
li in comune, la superiora sale sulla cattedra con la lista dei
cambiamenti. A ogni nom e, una cornetta bianca si alza,
ascolta, fa un inchino, p o i si rimette in fila con le altre.
N o n un .lamento, un rim pianto. Q ualche volta, una sorpre­
sa, una lacrima furtiva. In fine silenzio generale: le interes­
sate prendono il fo g lio di viaggio , perché in giornata devo­
no raggiungere la nuova destinazione, senza neanche ri­
vedere l’antica residenza.

51 Cf. D o m T h i b a u t , Un maitre de la vie spirituelle: Dom Columba Mar-


mìon c.5, p.83.
692 LA V IT A C R IS T IA N A NEL SU O S V IL U P P O ORDIN ARIO

E cco un tipo di ubbidienza rigida, ed esemplare che può


essere, a volta a volta, mitigata dalla bontà del superiore,
ma ricorda la disciplina militare con in più una fede profonda
e una carità ardente.
A uno di quei cambiamenti assisteva una volta una suo­
ra veneranda di 65 anni, già superiora, rotta alle fatiche,
ma che ora, ritirata in una piccola Com unità, aspettava
nell’umiltà, nel silenzio e nella preghiera, l ’ora del grande
viaggio. E ra incom inciato l’appello... « Suor M argherita... »
M io D io , è proprio lei!
D o p o un p o ’ di em ozione, si alza: « M ia cara sorella,
vorrebbe andare a Buenos A yres per una nuova fondazio­
n e ? » . U n inchino profondo, un sorriso... e poi via, all’im­
barco. A rriverà a destinazione ? N o n lo sa. M a almeno
farà onore alla sua firma e non si riprenderà nulla di ciò
che ha dato » 52.

3 11 . 5 . Vantaggi dell’obbedienza53. - G ran d i so ­


no i van taggi dell’ obbedienza sia per l ’intelligenza che
per la vo lo n tà e per il cuore:
1) F e r l ’ i n t e l l i g e n z a . - a) D à la certezza di co n o ­
scere e com piere infallibilm ente la vo lo n tà divina.
b) D à la certezza del soccorso divino: « E g o ero
tecum » (Es. 3,12).
r) D à la certezza d ell’esito: « O m nia cooperantur
in bonum » (R om . 8,28) anche se il superiore si sbaglia.
z ) P e r l a v o l o n t à . - a ) È fon te di vera libertà.
N iente rende schiavi tanto quanto l’attaccam ento alla
propria volontà.
b) È fon te di fortezza: per obbedire sino all’eroi­
smo occorre essere m olto valorosi.
c) È garanzia di perseveranza nel bene.
3) P e r i l c u o r e . - a ) È fonte di pace individuale e
collettiva. Q uanta tranquillità nel cuore e quanta pa­

52 C f . C o l i n , I l culto dei voti c .1 8 , p .2 6 1 .


53 C f . C O L IN , O .C ., C .2 2 .
V IR T Ù C R IS T IA N E E DON I D E L L O S P IR IT O SAN TO 693

ce in una casa o in un m onastero d ove si pratica la per­


fetta obbedienza!
b) È principio di ordine, perché ogn i cosa sta al
suo posto: il superiore che com anda ed il suddito che
obbedisce. N e deriva la pace che è la tranquillità nel­
l ’ ordine.
c) Elim ina ogni responsabilità e tutti g li scrupoli.
L ’unico conto che dovrem o rendere a D io sarà quello
di avere obbedito.

312 . 6 . Cristo modello supremo. - « Abbiate in vo i


gli stessi sentimenti, che furono in Cristo Gesù. Poiché
egli, sussistendo nella natura di D io , non stimò di dovere
ritenere come preda gelosa l’ essere in uguaglianza con D io;
ma spogliò se stesso, prendendo la natura di schiavo, di­
venendo simile agli uom ini e, riconosciuto com e uom o
da tutto il suo esterno, si abbassò facendosi obbediente
sino alla m orte, e sino alla morte di croce. E perciò D io lo
ha esaltato e gli ha dato il nom e, che è al di sopra di ogni
altro nom e affinché nel nom e di G esù ogn i ginocchio si
pieghi in cielo e sulla terra e n ell’inferno, ed ogni lingua
confessi che Cristo G esù è il Signore a gloria di D io Padre»
(Fil. 2,5-11).

313 . 7. Contraffazioni dell’obbedienza. - Sen­


za giungere agli eccessi della disobbedienza form ale,
che è il peccato diam etralm ente opposto all’ obbedien­
za 54, si p u ò facilm ente falsificare o deform are questa
virtù in vari m odi 55. E ccon e i principali:
1) U obbedienza abitudinaria: com piuta senza spirito in­
teriore, per puro automatismo, com e l’orologio che segna
puntualmente le ore, ignorando di segnarle.
2) L ’obbedienza sapiente: fatta col codice di diritto canonico
o la regola sempre alla mano, per sapere fin dove si è ob­
bligati ad obbedire, o dove il superiore comincia ad « ecce­
dere ».

54 C f. 11-11, 105.
55 C f. C o lin , 0 c.t c .2 0 , dove son o a m p ia m e n te e sp o sti i c o n ce tti che
r ia s s u m e r e m o .
694 LA V IT A C R IS T IA N A NEL SU O S V IL U P P O ORDIN ARIO

3) Uobbedienza crìtica:« Il superiore è superiore, benin­


teso, però ciò non impedisce che possa essere poco simpatico,
gretto, im perioso, im pulsivo, senza tatto e senza cuore...,
che gli manchi frequentem ente bontà, prudenza, discrezio­
ne e carità » (Colin). G li si ubbidisce al tem po stesso che lo
si disprezza.
4) 11 obbedienza mummificata: è quella di coloro che hanno
trovato il m odo di non esercitarla più o perché i superiori,
per non recar loro dispiaceri e disturbi, non osano più
comandare o perché questi sudditi riescono scaltramente a
sottrarsi agli ordini dati.
5) L ’ obbedienza pseudomistica: disubbidisce al superiore,
sotto il pretesto di obbedire allo Spirito Santo. Vana illu­
sione!
6) Uobbedienza camuffata: propria di chi conduce abil­
mente il superiore, a forza di scuse ed obiezioni, a ritirare
o m odificare i suoi com andi (Colin).
7) L ’obbedienza paradossale: propria di chi pretende di
obbedire facendo quello che vuole.
8) Uobbedienza farisaica: com piuta da una volontà co ­
stretta, ma non sottomessa.
9) L o spirito di opposizione: veramente satanico, che ci fa
volere sempre il contrario di ciò che vu ole il superiore e
perché lo vu o le il superiore. A volte può assumere form e
palesi, giungendo ad organizzare « gruppi di opposizione ».
10) Uobbedienza egoista: ispirata cioè a m otivi interessati
come: l’entrare nelle grazie dei superiori, ottenere quel
determinato u fficio , farci comandare ciò che è conform e
ai nostri gusti.
11) L ’ obbedienza mormoratrìce: che accetta di mala voglia
gli ordini m orm orando internamente e a volte anche ester­
namente, con scandalo degli altri e danno al bene comune.
12) Il sabotaggio e la mancanza di precisione: nell’eseguire
gli ordini: « Scopare consisterà nel cambiare la polvere
di posto e fare la meditazione nel dorm ire dolcemente »
(Colin).
13) Uobbedienza pigra: propria di chi non trova mai il
tempo di eseguire un ordine, forse ricevuto già più volte:
non credevo che fosse tanto urgente..., stavo per farlo ora...,
ecc.

Q ueste sono le principali contraffazione dell’ ob be­


dienza. U n giorn o il Signore disse a S. Caterina da
Siena: « O mia amata figlia, quanto sono num erosi co­
V IR T Ù C R IS T IA N E E DON I D E L L O S P IR IT O SAN TO 695

loro che v iv o n o nella pratica dell’obbedienza, ma


quanto sono rari invece quelli che obbediscono perfet­
tamente! » 56, C ostoro però offrono a D io u n sacrifi­
cio di lode che sale al cielo in odore di soavità, per la
perfetta e totale im m olazione di sé stessi.

IV . LA G R A T IT U D IN E 57

314 . E u n ’altra virtù cristiana, parte potenziale della


giustizia, p er cui si ricompensa iti qualche maniera i l bene­
fattore per i l beneficio ricevuto. Il benefattore dandoci gra­
tuitam ente qualche cosa, cui n on avevam o diritto,
divenne creditore della nostra riconoscenza ed ogni
cuore n obile sente la necessità di dim ostrarla quando se
ne presenti l ’occasione, com e sente quanto sia vile l ’in­
gratitudine.
Sia la gratitudine, che il vizio opposto, hanno d i­
verse graduazioni che S. T om m aso cosi riassume:
« La gratitudine richiede anzitutto che l’uom o riconosca
il beneficio ricevuto, poi che lo lodi e ringrazi di esso; infi­
ne che lo ricompensi a tem po e lu o g o debito, secondo le sue
possibilità. Siccome però, ciò che è ultim o nell’esecuzione
deve essere prim o nell’intenzione, il prim o grado di ingra­
titudine consiste nel non ricompensare il beneficio ricevuto;
il secondo nel dissimularlo, non dimostrando di aver ricevuto
il beneficio; terzo, più grave di tutti, nel non riconoscerlo
neppure... E siccome nell’affermazione s’intende necessaria­
mente la negazione opposta, ne deriva che al prim o grado
di ingratitudine corrisponde il render male per bene; al
secondo disprezzare e criticare il beneficio; al terzo ritenere
come male il bene ricevuto » 58.

In un altro articolo S. Tom m aso si dom anda se è


più obbligato a ringraziare D io un innocente o un
penitente. Risponde dicendo che a motivo della gran­

56 S . C a t e r i n a D a S i e n a , Dialogo 0 .1 6 2 , n . i .
57 Cf. I M I , 106.
58 11- 11 , 1 0 7 .,2 .
696 LA V IT A C R IS T IA N A NEL SU O S V IL U P P O O RDIN ARIO

de-ìga del dono ricevuto è più ob bligato l ’innocente p o i­


ché ha ricevuto da D io un dono più grande; però a
motivo della gratuità del dom è p iù ob bligato il penitente,
giacché pur m eritando il castigo, gli vien e concesso
gratuitam ente il perdono 59.
S. Teresa del Bam bino G esù, senza aver studiato teo­
logia, intuì m eravigliosam ente questa dottrina quando scris­
se che il Signore « le aveva perdonato di più che alla M ad­
dalena », perché l’aveva perdonata anticipatamente, impeden­
dole di commettere m olti peccati, in cui avrebbe potuto
cadere 60.

V . L A V E N D E T T A O IL G IU S T O C A S T IG O *

315 . E difficile spiegare questa virtù , perché p u ò


essere facilm ente confusa con un peccato contro la ca­
rità. Essa ha lo scopo di punire i l malfattore del peccato
commesso. S. T om m aso ne parla in questi termini:
« L a vendetta si fa per m ezzo di qualche pena che si
in fligge al colpevole. Si deve badare però all’animo di colui
che la in fligge. Se la sua intenzione ha per o ggetto principa-
mente il male del colpevole che viene castigato, è cattiva,
perché è proprio dell’ odio com piacersi del male di un altro
e questo si oppone direttamente alla carità per cui dobbiam o
amare tutti gli uom ini... M a se l ’intenzione di chi castiga
si riferisce principalmente a qualche bene, cui si giunge
per m ezzo dell’applicazione della pena, cioè 1’emendamento
del peccatore, o almeno la sua sottomissione e la tranquillità
degli altri, il mantenimento della giustizia o dell’onore di Dio
allofa la vendetta può essere lecita tenendo conto delle d o vu ­
te circostanze » 63.

A d ogn i m odo, nella pratica, rare v o lte sarà co n v e­


niente che l ’uom o privato eserciti o chieda questo
castigo. D ifatti, sotto il pretesto di giu stizia e di equi-

59 c f . 11-11, 100, 2.
60 C f .Storia di un’anima 0 .4 , n n . 1 5 1 - 5 2 .
61 Cf. II-II,io8.
62 Cf. II-II,xo 9,i.
V IR T Ù C R IS T IA N E E DONI D E L L O S P IR IT O SAN TO 697

tà, m olte v o lte si nasconderà un am or p rop rio esacer­


bato e forse un vero odio al prossim o. Per questo, la
vendetta si chiam a « piccola virtù » ed è sem pre m eglio
consigliare di perdonare le in giu rie del prossim o in v e­
ce di castigarle, a m eno che l ’am or di D io , del prossim o
o del bene com une esigano la riparazione d ell’ingiuria.
A questa virtù si op pon go n o due vizi: uno per ec-
so, la crudeltà, e u n altro per difetto, la eccessiva indulgen­
za, che p u ò animare il colpevole a continuare le sue cat­
tive azioni.

LA V E R A C IT À ’ ^

316. È la virtù che inclina a dire sempre la verità e a


manifestarci a ll’esterno cosi come siamo nelFinterno (109,1,
3 ad 3). Sta in intim a relazione con la semplicità, che. ret­
tifica l’intenzione allontanandoci dalla doppiezza, la
quale ci spinge a manifestarci esternam ente in opposi­
zione alle nostre vere intenzioni (109,2 ad 4; 113,3
ad 2), e con la fedeltà, che inclina la vo lo n tà ad adem ­
piere le prom esse fatte (110,3 ad 5)-
N o n siamo sempre ob bligati a dire il vero , ma sia­
m o sem pre ob bligati a non dire il falso (110,3). Q uando
la carità, la giustizia o qualche altra v irtù esigon o che
n on si m anifesti la verità, per occultarla si potrà ri­
correre al silenzio, alla circon locu zion e, alla restrizio­
ne mentale, ecc. ma n on è mai lecito m entire diretta-
m ente e positivam ente neppure per conservare la vita
o qualsiasi altro bene tem porale.

P e c c a ti o p p o s ti. - A lla veracità si op pon go n o


vari peccati:
a) L a bugia ( i t o ) , che consiste nei m anifestare ester­
namente con le parole una cosa contraria a quella che

«3 cf. H-11 , 109.


698 LA V IT A C R IS T IA N A NEL SU O S V IL U P P O ORDINARIO

si p en sa in tern a m en te. Si d iv id e in giocosa, ufficiosa e


dannosa, s eco n d o ch e si d ice p e r d iv e rtire g li a ltri, p er
u tilità p ro p ria o a ltru i o p e r d a n n e g g ia re q u a lcu n o .
L e d u e p rim e o rd in a ria m en te n o n o ltre p a ssa n o il p e c ­
ca to ve n ia le , la te rza è p e r sua n atu ra u n p e cca to m o r­
tale, q u a n tu n q u e alle v o lt e p o ssa essere s o lta n to v e n ia le
a m o tiv o d ella p a r v ità d e l d a n n o ca u sato (110 ,4 ).
b) L a simulazione e l’ipocrisia ( m ) , ch e c o n sis to n o
n el m e n tire n o n c o n le p a r o le , m a c o n ì f a t t i (s im u la z io ­
n e), o n el v o le r e sem b rare q u e llo ch e n o n si è (ip o ­
crisia).
c) L a iattanza (1 1 2 ), ch e co n siste n e ll’a ttrib u irsi
q u alità ch e n o n si p o s s e g g o n o o n e ll’ e le v a rsi so p ra
q u e llo ch e si è.
d) L a ironia ò fa lsa u m iltà (1 1 3 ), ch e co n siste n el
n eg are ch e si p o s s e g g a n o q u a lità o m e riti ch e in real­
tà si h a n n o . L ’ u m iltà a p p a re n tem en te e sa ge ra ta dei
santi n o n h a n u lla in c o m u n e c o n q u e sto d ife tto . L a
m e n z o g n a co n siste n e l p arlare c o n tr o q u e llo c h e si
p en sa; e co m e u n p ro fe s s o re di T e o lo g ia si p u ò ch ia m a ­
re teologo in re la z io n e ai su o i a lu n n i, a n c o r c h é fo rs e
sia m e n o ch e apprendista in re la z io n e a S. T o m m a so ,
co si i san ti, illu m in a ti da lu ce v iv is s im a su lla san tità
d i D io , v e d e v a n o s estessi p ie n i d i m iserie e di d ifetti
ch e n o i n o n riu sc ia m o a s co p rire .

V II. L ’A M IC I Z I A O A F F A B I L IT A ’

317. È? la v ir t ù ch e ci sp in g e a mettere nelle nostre


parole e nelle nostre azioni esterne quanto può contribuisce
a rendere amabili e piacevoli le relazioni con i nostri sim i­
l i ( 1 1 4 ,1 ) . È la v ir tù so cia le p e r eccelle n za e u n o
dei p iù in c o n fo n d ib ili se g n i d e ll’a u te n tico sp irito c r i­
stian o.

6-> cf. 11-11,114.


V IR T Ù C R IS T IA N E E D ON I D E L L O S P IR IT O SANTO 699

I su o i a tti s o n o sva ria tissim i, m a tu tti e ccita n o la


sim p atia e l ’affetto dei n o stri sim ili. L a b e n ig n ità , il
tatto d e licato , la lo d e sin cera, la b u o n a a c co g lie n z a ,
l ’in d u lg e n z a , il g ra d im e n to m a n ife sta to c o n e n tu sia ­
sm o, la rip a ra zio n e, la p a ce , la p a zien za , la m a n su etu ­
din e, l ’ e d u ca zio n e n elle p a ro le e n e i m o d i, e c c ., eser­
citan o u n p o te re d i a ttra zio n e e sim p atia a tto rn o a n o i,
che n o n p o tr e m m o o tte n ere in n e ssu n ’altra m aniera.
G o u n o d h a s critto ch e « l ’u o m o si in ch in a d a v a n ti al
ta le n to , m a si in g in o c c h ia s o lta n to d a v a n ti a lla b o n ­
tà » 66.
Q u e s ta virtù, h a due v iz i o p p o sti: u n o p e r ecces­
so , Vadulazione, p e r c u i si ce rca d i p iace re a q u a lc u n o
in m an iera d iso rd in ata e d e ccessiv a p e r o tte n e re da lu i
q u alch e v a n ta g g io (1 15 ); u n o p e r d ife tto , il litìgio o
spìrito di contraddizione, ch e cerca d i co n trista re o al­
m e n o di n o n p iacere a ll’a v v e m r i o (116 ).

L A L IB E R A L I T À ’ 68

318 . È u n ’a ltra v ir t ù cristian a, p arte p o te n z ia le


d ella g iu stiz ia , ch e modera l'amore verso le cose esterne,
principalmente le ricchezze, e inclina l'uomo a distaccarsifa c il­
mente da esse, secondo i l retto ordine, a vantaggio degli altri.
Si d ifferen zia dalla misericordia e d alla beneficenza
p e r il su o d iv e r so m o v e n te . L a m ise rico rd ia è m o ssa
dalla co m p a ssio n e , la b e n e fice n za d a ll’a m o re , e la
lib era lità dalla p o c a stim a ch e si fa d e l d e n a ro , la
q uale m u o v e a d a rlo fa cilm e n te n o n so lta n to a g li a m i­
ci, m a a n ch e a g li s c o n o s c iu ti. S i d is tin g u e a n ch e d alla
magnificenza in q u a n to q u e sta si rife risce a g ra n d i spe-

65 C ita to d a G u i b e r t n ell’ o p e ra L a bontà, 1 ,4 . C o n le d o v u te ris e rv e —


p e r alc u n i c o n s ig li m e n o retti e p e r la m an ca n za d i s p irito s o p ran n a tu rale — •
si p u ò le g g e r e c o n p r o f it t o l ’ o p e ra d i D a l e C a r n e g i e , L'arte di conqui­
start g li amici, B o m p ia n i, M ila n o .
*6C f. 11 -11,117 .
70 0 LA V IT A C R IS T IA N A N EL SU O SV IL U P P O ORDIN ARIO

se fatte p er sp le n d id e o p ere, m e n tre la lib era lità si r i­


ferisce a q u a n tità p iù m o d e ste di den aro.
Q u e s ta v ir t ù é ch ia m a ta lib era lità p e r c h é , d istacca n ­
d o l ’u o m o d a l d en a ro e dalle co se estern e, lo libera
da co d e sti im p e d im e n ti, ch e a ss o rb o n o tu tta la sua at­
te n zio n e (1 1 7 ,2 ).
H a d u e v iz i o p p o s ti: u n o p e r d ife tto , l'avarizia (118 ),
c h e c o m e p e c c a t a capitale è p rin c ip io d i m o lti altri,
p a rtic o la rm e n te d e lla d u re z z a di cu o re , d e ll’in q u ie tu ­
d in e,' d ella v io le n z a , d e ll’in g a n n o , d ella fro d e , d ello
s p e rg iu ro :e d e l tra d im e n to (118 ,8 ); e u n a ltro , p e r e c­
ce sso , la prodigalità (1 1 9 ), ch e sp erp era il d en aro fu o ri
d e ll’ o rd in e , d el te m p o , d el lu o g o e d elle p erso n e d o ­
v u te .

IX . L ’E Q U I T À ’ O E P IC H E IA ‘ 7

319. È la virtù che ci inclina ad allontanarci rettamente,


in circostante speciali, dalla lettera della legge p er osser­
varne meglio lo spirito. I l leg is la to re , in fa tti, n o n p u ò
n é d e v e p re v e d e re tu tti i casi e cce z io n a li ch e p o ss o n o
ca p ita re n ella p ratica. C i s o n o delle c irco sta n ze n elle
q uali l ’atten ersi a lla lette ra d ella le g g e e q u iv a rre b b e
ad u n a v e ra in g iu stizia : « su m m u m iu s, sum m a in iu ria »,
d ice l ’a d a g io g iu rid ic o . I l le g is la to re stesso l ’a v re b b e
a m ale se in tali c irco sta n z e si o sserv a sse la sua le g g e .
L a v ir t ù d e ll’ ep ich eia c i d ice in q u a li circo sta n ze e in
q uale m aniera sia le c ito e p e rsin o o b b lig a to r io a llo n ­
tanarsi dalla lettera d ella le g g e . Sta in in tim a re la z io ­
ne c o n la v ir t ù ch iam ata gnome, ch e è u n a p arte p o te n ­
ziale della p ru d en za (cfr. n .2 7 1 ,7 ,3 ), ch e dà a ll’epi-
c h e ia .il re tto g iu d iz io p er o p erare o n estam en te. L a gno­
me d irig e , l ’ep ich eia esegu isce.
E s is te u n v iz io c o n tra rio a ll’ep ich eia: la eccessiva

67 Cf. II-II,i20.
V IR T Ù C R IS T IA N E E D O N I D E L L O S P IR IT O SANTO 701

rigidità o fariseismo legalista, ch e s i afferra sem p re al­


la lette ra d ella le g g e a n ch e in q u e i casi n ei q u a li, la
carità, la p ru d en za , la giu stizia c o n sig lia n o u n ’altra
co sa (12 0 ,1 ad i).

A r t ic o lo V I

L a virtù della fo r te zz a

S . T h . , 1 1 * 1 1 ,1 2 3 -4 0 ; S c a r a m e l l i , D irettorio ascetico t.3 a .3 ; Ch. de

S m e d t , N o tre vie surnatureìle t .z p p . 2 1 0 - 6 7 ; B a r r e , Tractatus de virtutibus,


p .2 .a c .3 ; J a n v i e r , Carènte; 19 2 0 ; T a n q u e r e y , Compendiodi Teologia ascetica
e mistica n n . 10 7 5 -9 8 ; G a r r i g o u - L a g r a n g e , L e tre età I V , I 3 ; P ru m m er,
Manuale Theologiae M oralis I I n n . 6 2 6 -4 2 .

320. 1. N a t u r a . - L a p a ro la fo r te z z a si P u °
p ren d ere in due sensi p rin cip a li: a) in q u a n to sign ifi­
ca, in gen era le, u n a certa fe rm e z z a d ’a n im o o en ergia
di carattere. In ta l sen so n o n è u n a v ir tù sp eciale, m a
p iu tto s to u n a condizione generale ch e a cco m p a g n a o g n i
v ir tù , la q u a le su p p o n e sem p re fe rm e z z a ed energìa;
b) in q u a n to d e sig n a u n a sp eciale v ir t ù ch e p o rta lo
stesso n o m e. C o s i in tesa, si p u ò defin ire: una virtù car­
dinale infusa con la gra fia santificante che spinge l ’appetito
irascibile e la volontà a non desistere dal conseguire i l bene ar­
duo 0 difficile neppure quando è in pericolo la vita corporale.
a) U na virtù cardinale... - D al mom ento che esige p e r
sé, in maniera specialissima, una delle condizioni comuni
a tutte le altre virtù, qual è la ferm erà nell’operare (II-II,
123,11).
b) ...infusa con la grazia santificante... - Per distinguerla
dalla fortezza naturale o acquisita.
c) ...che spinge l’ appetito irascibile e la volontà... - L a fortez­
za risiede, propriamente, ne\Y appetito irascibile, perché deve
dominare il timore e Yaudacia, che in esso risiedono. É
chiaro che deve intervenire la volontà perché sia una virtù
razionale; ma interviene senza un abito speciale, per la sua
naturale tendenza al bene (123,3).
70 2 LA V IT A C R IS T IA N A NEL SU O S V IL U P P O ORDINARIO

d) ...a non desistere dal conseguire il bene arduo o d if­


ficile... - Il bene arduo costituisce l’o ggetto dell’appetito
irascibile (I-II,23,1). O ra la fortezza ha lo scopo di irrobu­
stirlo affinché non desista dal conseguire il bene difficile,
per quanto grandi siano le difficoltà e i pericoli che vi si
frappongono.
e) ...neppure quando è in pericolo la v ita corporale. -
A l di sopra di tutti i beni del corpo bisogna cercare sempre
il bene della ragione e della virtù che è immensamente
superiore; e poiché il m aggior pericolo per il corpo — e
quindi il più tem uto — è la m orte, la fortezza irrobustisce
la volontà principalmente contro questo tim ore (123,4).

D u e s o n o g li atti p ro p ri d ella fo rte z z a : assalire e


resistere. L a v ita d e ll’u o m o su lla terra è u n a m ilizia
(G io b . 7 ,1). A so m ig lia n z a d el so ld a to in p rim a linea,
ta lv o lta o c c o rre attaccare g li a v v e rsa ri, ta lv o lta in v e c e
è n ecessa rio resistere co n fe rm e z z a p e r n o n p erd ere c iò
ch e si è co n q u ista to . N o n o s ta n te q u e llo ch e si p en sa
co m u n e m en te, è p iù p e n o s o e d e ro ic o — e rich ied e
p e rc iò m a g g io r fo rte z z a — resistere ad u n n em ico che
p re su m iam o p iù fo r te di n o i, p e r il fa tto stesso ch e ci
assale, ch e a ttaccare u n n e m ico ch e co n sid e ria m o p iù
d e b o le di n o i, p e r il fa tto stesso ch e siam o n o i a p re n ­
d ere l ’in iz ia tiv a (126 ,6 c et a d 1). P e r q u e sto l ’a tto del
martirio, ch e co n siste n e l resistere fin o alla m o rte p iu t­
to s to ch e a b b a n d o n a re la fed e , co stitu isce l 'atto prin­
cipale della v ir tù d ella fo rte z z a (124).
L a fo rte z z a si m a n ife sta p rin cip a lm e n te n ei casi
im p r o v v is i. È e v id e n te ch e ch i re a g isce im m e d iata m en ­
te al m ale, d im o stra di essere p iù fo r te d i c o lu i che
re a g isce s o lo d o p p m a tu ra riflessio n e (123,9).
C h i è fo r te p u ò a n ch e eccitarsi a ll 'ira p e r il su o atto
di fo rte z z a n e ll’atta cca re, p u rc h é qu esta rim a n g a c o ­
stan tem en te s o tto il c o n tr o llo d ella r a g io n e (12 3 ,10 ).

321. 2. I m p o r t a n z a e n e c e s s it à . - L a fo rte z z a è
u n a v ir t ù m o lto im p o rta n te e d e ccellen te, sebben e
n o n sia la p rim a tra le v ir t ù m o ra li. In fa tti il bene
V IR T Ù C R IS T IA N E E D ON I D E L L O S P IR IT O SA N T O 70 3

d ella ra g io n e — o g g e tto della v ir tù — app artien e


essentialiter a lla p ru d en za , effettive alla g iu stiz ia , e so­
lo conservative alla fo rte z z a e d alla tem p eran za, in
q u a n to c io è qu este d u e v ir tù to lg o n o g li o sta co li al
b e n e . T r a di esse in o ltre p re v a le la fo r te z z a , p e rch é
n ella v ia del b en e è p iù d ifficile sup erare i l p e r ic o lo
d e lla m o rte ch e i p e r ic o li che d e riv a n o d alla d iletta ­
z io n e dei sen si. D i q u i si v e d e ch e la g e ra rc h ia delle
v ir t ù card in ali è la seg u en te: p ru d en za , g iu stizia , f o r ­
tezza e tem p eran za (12 3 ,12 ).
La fortezza, nel suo duplice atto di assalire e resistere,
è m olto importante e necessaria nella vita spirituale. N ella via
della perfezione si incontrano m olti ostacoli e difficoltà
che occorre superare con coraggio se si voglion o raggiungere
le vette. Per questo occorre molta decisione nell’intraprendere
la via della perfezione, m olto valore per non spaventarsi
dinanzi al nemico, m olto coraggio per attaccarlo e vincerlo
e m olta costanza per sopportare lo sforzo sino alla fine, senza
abbandonare le armi in m ezzo al combattimento.

3 2 2 . 3. V i z i o p p o s t i. - A lla fo rte z z a si o p p o n ­
g o n o tre viz i: u n o p e r d ife tto , il timore o l a codardia
(12 5 ), p e r cu i n o n si s o p p o rta n o le n ecessarie m o le ­
stie p er co n se g u ire u n b en e d ifficile o si trem a d is o r­
d in atam en te d in an zi ai p e ric o li di m o rte; e due p e r e c­
cesso: l ’impassibilità o indifferenza (126 ), ch e n o n si cura
di e vita re i p e ric o li p u r p o te n d o lo e d o v e n d o lo fa r e , e
Vaudacia o tefnerità (12 7 ), ch e n el? a ffro n ta re il p e rico lo
d isp re zza i dettam i d ella p ru d en za .

3 2 3 . 4. P a r t i d e lla f o r t e z z a . - L a fo rte z z a n o n
ha parti soggettive o sp ecie p e rc h é si tra tta di un a
m ateria g ià d el tu tto determ in ata, co m e s o n o i p e ­
ric o li di m o rte. H a p e r ò p arti integranti e potenziali, c o ­
stitu ite en tra m b e dalle m ed esim e v ir tù . T u tta v ia se
i lo r o atti si rife ris c o n o ai p e r ic o li di m o rte , co s titu i­
sco n o le p a rtì integranti della fo rte z z a ; se si rife risco n o
ad atti m en o d ifficili, co stitu isc o n o le sue p a rti poten-
70 4 LA V IT A C R IS T IA N A N EL SU O S V IL U P P O O R DIN ARIO

%iali o v ir t ù ann esse (128 ). L e u n e e le altre si d istri­


b u is c o n o n ella seg u e n te m aniera:
a) grandi opere con prontezza d’ani­
m o e fiducia n ell’esito: magnanimità
1. Per intrapren­ (I2 9 )-
dere b) senza desistere nonostante le grandi
spese che cagionano: m agnificenza
(i34)-
a) causate dalla tristezza
senti: pazienza e longanimità (13 6 ).
2. Per resistere al- I .
le difficoltà senza perdersi d animo per 11 prolun­
gamento della sofferenza: perseTeran-
z a e co sta n za (137).

324. 1) L a m a g n a n i m i t à (129 ). - È la virtù che


inclina a intraprendere opere grandi, splendide e degne di o n o ­
re in ógni genere di virtù. S p in g e sem p re a c iò ch e è g r a n ­
de e s p le n d id o , alla v ir t ù em in en te; è in c o m p a tib ile co n
la m e d io crità . In q u e sto sen so è la c o ro n a , l ’ o rn a m en to
e lo sp le n d o re d i tu tte le altre v ir tù .
L a magnanimità suppone un’anima nobile ed elevata.
Si chiama ordinaria mente « grandezza d’animo » o « nobiltà
di carattere ». Il magnanimo non è invidioso, non è rivale di
nessuno, perché non si sente um iliato a m otivo del bene degli
altri. È tranquillo e non si dedica a m olte cose alla volta,
ma a poche e grandi. È u n amico fedele che non mente mai,
che dice quello che pensa, senza preoccuparsi dell’opinio­
ne altrui. È aperto e franco, non imprudente né ipocrita.
O g g e ttiv o nella sua amicizia, non chiude gli occhi per non
vedere i difetti dell’amico. N o n si m eraviglia eccessiva­
mente degli uom ini, delle cose o degli avvenim enti. Am m ira
soltanto la virtù, quello che è nobile, grande, elevato: nien-
t’altro. N o n si ricorda delle ingiurie ricevute: le dimentica
facilmente; non è vendicativo. N o n si rallegra eccessivamen­
te degli applausi né si rattrista per i vituperi; entrambe le
cose sono mediocri. N o n si lamenta per le cose che gli man­
cano n é le mendica presso alcuno. C oltiva l’arte e le scien­
ze, ma soprattutto la virtù. L a magnanimità è m olto rara tra
gli uom ini perché suppone l’esercizio di tutte le virtù, alle
quali dà quasi l’ultim a perfezione. In realtà, veramente ma­
gnanimi sono soltanto i santi.
V IR T Ù C R IS T IA N E E D O N I D E L L O S P IR IT O SAN TO 705
A lla m a gn an im ità si o p p o n g o n o q u a ttro v iz i: tre
p e r eccesso e u n o p e r d ife tto . P e r e ccesso si o p p o n g o ­
n o direttam ente:
a) la presunzione (130 ), ch e in c lin a a in tra p ren d ere
c o se s u p erio ri alle n o stre fo rz e ;
b) Vambizione (1 3 1 ), c h e c i s p in g e a p ro c u r a r c i o -
n o ri n o n d o v u ti al n o s tro stato e ai n o s tr i m eriti;
c) la vanagloria (13 2), ch e cerca fam a e rin o m a n za
sen za i m e riti su cu i fo n d a rla o sen za o rd in a rla al su o
v e r o fine, che è la g lo r ia di D io e il b en e d el p ro s s im o .
P o ic h é è un v iz io cap itale, da esso p r o c e d o n o m o lti
altri p ecca ti, p rin cip a lm e n te la ia tta n za, la b ra m a di
n o v ità , l ’ip o c ris ia , la p ertin a cia, la d isco rd ia , le d isp u te
e la d iso b b ed ie n za (13 2 ,5).
A lla m a gn an im ità si o p p o n e p er d ife tto la p u sil­
lanimità (133 ), ch e è il p e cca to di c o lo r o ch e p e r e cces­
siv a sfid u cia in sé m ed esim i o p e r u n a u m iltà m alin tesa
n o n fa n n o fru ttifica re tu tti i talen ti ch e h a n n o rice ­
v u t o da D io ; il ch e è co n tra rio alla le g g e n atu rale, che
o b b lig a tu tti g li esseri a sv ilu p p a re la p ro p ria a ttiv ità
g io v a n d o s i di tu tti i m e zz i e tu tte le e n e rg ie d i cu i
D io li ha do tati.

325. 2) L a m a g n i f i c e n z a (134 ). - È la virtù


che inclina a intraprendere opere splendide e difficili da
eseguire senza indietreggiare dinanzi alla grandezza del
lavoro 0 delle spese che sarà necessario sostenere. Si d istin ­
g u e dalla m a gn an im ità p e r c h é qu esta ten d e a c iò
c h e è gra n d e in q u alsiasi v ir tù , m e n tre la m a g n ific e n ­
za si rife risce u n ica m en te alle g ra n d i o p ere fa ttib ili, ta­
li co m e la co s tru z io n e d i tem p li, d i o sp e d a li, di u n iv e r­
sità, d i m o n u m e n ti artistici, ecc. (134 ,2 ad 2). È la v ir t ù
p ro p ria dei r i c c h i 1, ch e n o n p o ss o n o im p ie g a re m e g lio

1 T u tta v ia an ch e i p o v e r i p o s s o n o e d e v o n o p o ssed ern e lo spirito,,


o d is p o s iz io n e di anim o.
706 LA V IT A C R IS T IA N A N EL SU O S V IL U P P O O RDIN ARIO

le lo r o ric ch e z z e ch e n el c u lto di D io o in o p ere u tili


a l p ro ssim o .
È incredibile l’accecamento di m olti ricchi che trascor­
rono la vita accumulando ricchezze, che dovranno abbando­
nare nell’ora della morte, invece di fabbricarsi una splendida
casa in cielo con il loro distacco e la loro generosità in que­
sto m ondo. Sono numerosi coloro che preferiscono essere
milionari settanf anni sulla terra invece di esserlo per tutta
l'eternità in cielo.

A lla m a g n ificen za si o p p o n g o n o due v iz i: u n o p e r


d ife tto , la taccagneria o meschinità (1 3 5 ,1 ) ch e n elle spese
d a effettuare rim an e m o lto a l d i so tto di q u e llo che è
s p le n d id o e m a g n ific o , fa ce n d o tu tto co n grettezza;
e u n a ltro p e r e ccesso , lo sperpero (135 ,2 ) ch e p o rta al­
l ’estrem o o p p o s to , fu o r i d ei lim iti d ella p ru d en za .

326. 3) L a p a z i e n z a . - È la virtù che inclina a sop­


portare sen^a tristezza ed abbattimento le sofferente fisiche
e morali. È u n a delle v ir t ù p iù n ecessarie n ella v ita
cristian a p e rc h é , essen d o in n u m e re v o li le sofferenze
ch e tu tti d o b b ia m o so p p o rta re in qu esta v a lle di la ­
crim e , a b b ia m o b is o g n o d i qu esta v ir tù p e r n o n la ­
scia rci a b b attere d a llo s co ra g g ia m e n to . M o lte anim e
c h e n o n le d àn n o l ’im p o rta n za ch e m erita, p e r d o n o tu t­
t o il m e rito dei lo r o p atim en ti, so ffro n o m o lto d i p iù
p e r la m an can za d i co n fo rm ità co n la v o lo n tà di D io
e n o ti fa n n o u n p asso a v a n ti n ella v ia d ella lo ro san ti­
ficazio n e .
I motivi p rin cip a li d ella p a zien za cristiana so n o i se­
gu en ti:
a) L a conform ità con la volontà di D io, il quale sa m eglio
di noi quello che ci conviene e per questo ci invia tribola­
zioni e dolori.
b) Il ricordo delle sofferenze di G esù e di Maria, modelli
incom parabili di pazienza, e il desiderio di imitarli.
<r) L a necessità di riparare i nostri peccati mediante la
volontaria e virtuosa accettazione della sofferenza in com ­
V IR T Ù C R IS T IA N E E D ON I D E L L O S P IR IT O SA N T O 70 7

penso degli illeciti piaceri che ci siamo permessi commetten­


doli.
d) L a necessità di cooperare con Cristo all’applicazione
dei frutti della Redenzione a tutte le anime, unendo i nostri
dolori ai suoi per completare ciò che manca alla sua passione,
com e dice S. Paolo (Col. 1,24).
e) Il pensiero della beata eternità che ci attende se sapre­
mo soffrire con pazienza. L a sofferenza passa, ma il suo frut­
to rimane.

Si p o s s o n o d istin g u e re v a r i gradi n ella p ra tic a p r o ­


g r e s s iv a di q u esta v ir t ù a:
a) La rassegnazione, senza lamentele n é impazienze di
fronte alle croci che il Signore ci manda o permette che ci
cadano sulle spalle.
b) L a pace e la serenità, di fronte alle pene, senza quel­
l’aspetto melanconico che si accom pagna alla semplice ras­
segnazione.
c) L a lieta accettazione, per cui, dinanzi alle croci che
D io ci manda per il nostro m aggior bene, si com incia a p ro ­
vare una gioia interna.
d) 11 pieno godimento, che porta a ringraziare D io perché
si degna di associarci al mistero redentivo della croce.
e) La pazzia della croce, per cui si preferisce il dolore al
piacere e si p on gon o tutte le proprie delizie nella sofferen­
za interna ed esterna che ci rende simili a Cristo: « M ihi
autem absit gloriari, nisi in cruce D om in i nostri Jesu Chri-
sti, per quem m ihi mundus crucifixus est, et ego mundo »
(Gal. 6,14). « O patire o m orire» diceva S. Teresa; « Patire,
Signore, ed essere disprezzato per v o i» ripeteva S. G iovanni
della Croce.

D u e v iz i si o p p o n g o n o alla p azien za: u n o p e r d i­


fe tto , r impa^ien^a, ch e si m a n ifesta all’ este rn o co n ira,
lam en tele, m o rm o ra z io n i e re crim in a zio n i; e u n o p er
eccesso , la insensibilità o durezza di cuore, ch e p e r m an can ­
za d i sen tim en to u m a n o o so ciale, n o n si c o m m u o v e

3 C f. T ó u b l a n , L a s vìrtudes cristìanas c.86. P o ic h é q u esta m ateria è


m o lto affine a q u ella d e i gradi di amore alla sofferenza t rim a n d iam o il le tto re
a q u a n to d ice m m o n e l n .17 8 .
70 8 LA V IT A C R IS T IA N A NEL SU O S V IL U P P O ORDIN ARIO

n é si im pressiona dinanzi alle calamità proprie o altrui.

327. 4) L a l o n g a n i m i t à (136,5) è u n a virtù che ci ani­


il conse­
m a a tendere verso qualche bene m o l t o distante d a noi,
guim ento del quale, cioè, si farà attendere m olto tem po.
In questo senso, rassom iglia di più alla m agnanim ità
che alla pazienza; ma, tenendo presente che, se il bene
sperato tarda m olto a venire, si produce n ell’anima
una certa tristezza e dolore, la longanim ità, che soppor­
ta virtuosam ente questo dolore, rassom iglia di più alla
pazienza che a qualsiasi altra virtù.
« L a longanimità è una virtù che consiste nel saper at­
tendere. Sapere attendere D io , il prossimo e n oi medesimi.
In che cosa? N el bene che da essi speriamo. Per conseguen­
za, la longanim ità consiste nell’evitare l ’impazienza che
il ritardo di questo bene potrebbe causarci. Il sapere soffrire
questo ritardo è quello che, in realtà, costituisce la longani­
mità. Per questo alcuni la chiamano lunga speranza.
È la virtù di D io , che sa attenderci tutti alla nostra
ora; è la virtù dei santi, sempre pazienti con tutti. Nella
•lettera ai Galati (5,22) S. Paolo colloca questa grande e mi­
rabile virtù tra i dodici frutti dello Spirito Santo » 3.

328 . 5) L a p e r s e v e r a n z a (137). - È una virtù che


inclina a persistere nell’esercizio del bene nonostante la m o l e ­
L a ferm ezza nella pratica
stia che la s u a diuturnità ci causa.
della virtù suppone una grande costanza d’anim o,
che viene offerta precisam ente dalla v irtù della perse­
veranza.
T u tte le virtù hanno b isogn o d ell’aiuto e del com ­
plem ento della perseveranza, senza la quale nessuna
p otrebbe essere perfetta e neppure m antenersi per m ol­
to tem po. D ifatti quantunque ogn i abito o virtù , in
paragone al soggetto nel quale risiede, sia una qualità
difficilm ente m obile e quindi per sé perm anente, la
speciale difficoltà che p roviene dal m antenerci nella vita

3 C f. T o u b l a n , Las vitudes crisì'tanas c .9 0 .


V IR T Ù C R IS T IA N E E D ON I D E L L O S P IR IT O S A N T O 70 9

virtu osa fino al term ine, deve essere vin ta per m ezzo
d i una virtù pure speciale, che è la perseveranza (137,1
ad 3).
È impossibile la perseveranza nel bene senza uno spe­
ciale aiuto della grazia. S. Tom m aso si propone tale questio­
ne e la risolve magistralmente (137,4). D alla dottrina che
espone in questo articolo, com pletata con quella dei passi
paralleli, si deducono le seguenti verità:
a) L a virtù della perseveranza, com e abito soprannaturale,
è inseparabile dalla grafia santificante; persa la grazia, si perde
la perseveranza con tutte le altre virtù (137,4).
b) Per esercitare qualsiasi virtù infusa si richiede il pre­
vio impulso della grafia attuale ordinaria, che D io , d’altra
parte, non nega a nessuno purché non si frappongano osta­
co li (i-II, 109,9).
c) Per perseverare a lungo nel bene si richiede una gra­
fia attuale speciale; senza di essa la perseveranza è, di fatto,
impossibile, mentre con essa è sempre possibile -t.
d) Per perseverare nel bene fino alla morte (perseveranza
finale) si richiede uno specialissimo aiuto di D io del tutto gra­
tuito, che nessuno può meritare strettamente, ma che si può
impetrare infallibilmente per m ezzo della preghiera fatta
con le dovute condizioni 5.

329. 6) L a c o s t a n z a (137,3) è una virtù che sta


in intima relazione con la perseveranza, dalla quale
si distingue, tuttavia, a m o tivo della diversa difficoltà
che cerca di superare. Infatti è p rop rio della perseve­
ranza irrobustire l ’anima contro la difficoltà di m ante­
n e rsi a jju n go nella via del bene, m entre-è p rop rio del­
la costanza fortificare l ’anima contro le difficoltà che
p ro v en go n o da qualsiasi altro im pedim ento esteriore
(per esem pio, dall’influsso dei cattivi esempi); e questo
fa si che la perseveranza sia parte principale della for-

4 Questa dottrina è stata definita dal C oncilio di Trento: « Si quis di-


xerit, iustificatum vel strie speciali ausilio D e i in accepta iustitia perseverare
posse, vel cum eo non posse: A . S. » (Denz. 832).
5 Cf. 1-11,109,10; II-II,i3 7 ,4. Il C oncilio di T ren to chiama la perseve­
ranza finale « m agnum illud donant» (D enz. 806; e 826 e riguardo all’orazio­
ne D enz. 183 e 804).
710 LA V IT A C R IS T IA N A NEL SU O S V IL U P P O ORDIN ARIO

tezza a m aggior diritto della costanza, perch é la diffi­


coltà che p rovien e dalla diuturnità della pratica del­
la v irtù è m aggio re di quella che p roviene da im pedi­
m enti esterni che si possono più facilm ente neutra­
lizzare.
Vi%i opposti. - A lla perseveranza ed alla costanza
si o p p on go n o due vizi: uno per difetto, l'incostanza — •
che S. Tom m aso chiam a molletta (138,1) — la quale
inclina a desistere facilmente dalla pratica del bene al
sorgere delle prim e d ifficoltà, provenienti principal­
mente dal d o v er astenersi da m olti piaceri; l ’altro le
si oppone per eccesso, ed è la pertinacia o testardaggine
(138 ,2 ), per cui ci si ostina a non cedere quando sareb­
be ragion evole farlo.

330. 5 . Mezzi con cui perfezionarsi nella for­


tezza e nelle virtù derivate. - I principali sono i
seguenti 5:
1) Chiederla incessantemente a D io. - Certamente, que­
sto è un m ezzo generico che si applica a tutte le virtù, giac­
ché ogn i dono soprannaturale viene da D io (Giac. 1,17);
tuttavia riguardo alla fortezza abbiamo bisogno di uno spe­
ciale aiuto di D io , data la debolezza della natura umana ferita
dal peccato. Senza l ’aiuto della grazia non possiamo nulla
(G io v. 15,5), però con D io possiamo tutto (Fil. 4,13). La
S. Scrittura ci esorta con insistenza a chiedere la fortezza
a D io per n oi — « quoniam fortitudo mea et refugium meum
es tu » (Sai. 30,4) — e per tutto il suo p opolo — « ipse dabit
virtutem et fortitudìnem p lebisuae » (Sai. 67,36).
2) Prevedere le difficoltà che incontreremo sulla v ia della
virtù, ed accettarle anticipatamente. - Il D o tto re A ngelico
dice che questa cosa è utile a tutti, ma principalmente a co­
loro che non hanno ancora acquistato l’abito della fortez­
za (123,9). Cosi facendo si perderà poco a poco il timore e
quando sopraggiungeranno di fatto tali difficoltà, si supe­
reranno con coraggio, essendo già state previste.

6 C f. S c a r a m e ll i , Direttorio ascetico t .3 , a .3 , c . 3 .
V IR T Ù C R IS T IA N E E DON I D E L L O S P IR IT O SANTO 711

3) Abbracciare con generosità le piccole molestie della


vita quotidiana per fortificare il nostro spirito contro il
dolore. - Diversam ente non si farà mai un serio progres­
so nella fortezza cristiana.
4) Guardare frequentemente a G esù crocifisso. - N ori
v ’è nulla che conforti e animi tanto le anime delicate quanto
la contemplazione dell’eroismo di G esù, l’uom o dei dolori
(Is. 53,3), che ci lasciò l’esempio perché seguissimo i suoi
passi (1 Pietro 2,21). N o n soffriremo mai nel nostro corpo di
peccato dolori paragonabili a quelli che egli volle volon ­
tariamente sopportare per nostro amore. N elle sofferenze
dell’anima o del corpo, innalziamo g li occhi al Crocifisso
ed egli ci darà la forza di sopportarle senza lamenti né
amarezze. A nche il ricordo dei dolori di M aria è una fonte
inesauribile di consolazione e di fortezza.
5) Intensificare il nostro am ore verso D io. - L ’ amore è
forte com e la m orte (Cant. 8,6) e non retrocede davanti a
nessun ostacolo pur di accontentare l’amato. Tale amore
dava a S. Paolo la sovrumana fortezza di superare la tribola­
zione, l’angustia, la persecuzione, la fame, la nudità, il peri­
colo e la spada: « Sed in his omnibus superamus propter
eum qui dilexit n os» (Rotti. 8,35-37). Quando si ama vera­
mente D io , le difficoltà nel suo servizio non esistono e la
debolezza stessa dell’anima diventa un m otivo in più per
sperare tutto da lui: « Libenter gloriabor in infirmitatibus
meis, ut inhabitet in me virtus Christi... cum enim infirmor,
tunc potens sum » (2 Cor. 12,9-10). Q uesto eroismo è già
frutto della fortezza.

IL D O N O DELLA FORTEZZA

S. T h ., 39. — Si veda la nota bibliografica del n. 234.

331 . 1. N a tu r a . - I l dono della fortezza è un


abito soprannaturale che irrobustisce l'anima affinché pra­
tichi, per istinto dello Spìrito Santo, ogni specie di virtù
eroiche con l'invincibile fiducia dì superare i maggiori pe­
ricoli 0 le maggiori difficoltà che possono sorgere.
a) U n abito soprannaturale... - Come per gli altri doni
712 LA VITA CRISTIANA NEL SU O SVILU PPO ORDINARIO

e virtù infuse costituisce il genere prossimo della definizione.


b) ...che irrobustisce l’ anim a... - Ha precisamente il com ­
pito di elevare le sue forze, per cosi dire, fino al piano divino.
c) ...affinché pratichi, per istinto dello Spirito Santo... -
È il com pito proprio e specifico dei doni. Sotto la loro azio­
ne, l’anima non discorre né ragiona: opera istintivamente per
un impulso interno, che procede direttamente e immediata­
mente dallo Spirito Santo, che pone in m oto i suoi doni.
d) ...ogni specie di virtù eroiche... - A n corché il dono
della fortezza perfezioni direttamente la virtù che porta il
medesimo nom e, tuttavia, la sua influenza giunge a tutte le
altre virtù, la cui pratica in grado eroico suppone una for­
tezza d’animo veramente straordinaria, che non potrebbe
dare la sola virtù. L o dice S. Tom m aso ?, e si comprende fa­
cilmente che deve essere cosi. Per questo, il dono della for­
tezza, che deve abbracciare tanti e cosi diversi atti di vir­
tù, ha bisogno, a sua volta, di essere governato dal dono
del consiglio (139,1 ad 3).
« Questo dono — avverte il P. Lallem ant — è una disposizione abituale
che lo Spirito Santo m ette nell’anima e nel corpo per affrontare e soppor­
tare eventi straordinari, intraprendere le azioni più difficili, per esporsi
ai pericoli più terribili, per superare le fatiche più rudi, per sopportare le
pene che più affliggono: e tutto ciò con costanza e in una maniera eroica » 8.

e) ...con l ’ invincibile fiducia di superare i m aggiori pericoli


o le maggiori difficoltà che possono sorgere. - È una delle più
chiare note di differenziazione tra la virtù e il dono della
fortezza. A nche la virtù, dice S. Tom m aso, ha il com pito
d’irrobustire l’anima affinché sopporti qualsiasi difficoltà
0 pericolo; però chi le dà l ’invincibile fiducia di superarli
effettivamente è il dono della fortezza (139,1 ad 1).
L a fortezza naturale o acquisita irrobustisce l’anima affinchè sopporti
1 m aggiori travagli e si esponga ai m aggiori pericoli — com e vediam o in
m olti eroi pagani — , ma non senza un certo tremore o ansietà, nato dalla
chiara percezione della debolezza delle proprie forze, che sono le uniche

7 « Quanto aliqua potentia altior est, tanto ad plura se extendit... E t


ideo unum donum fortitudinis se extendit ad omms diffimltates quae in hu-
manis rebus possunt accidere, etiam supra facultatem humanam... A ctus doni forti -
tudinis principalis est sustinere omnes diffìcultates sive in passionibus sive in
operaiionibus » (In I I I Sent. d.34, q.3, a. 1, q.2, sol.).
8 Cf. P. L a l l e m a n t , I.a dottrina spirituale princ.4, c.4, a.6.
VIRTÙ CRISTIANE E DONI DELLO SPIRITO SANTO 713
sulle quali si fa affidamento. La fortezza infusa si appoggia certamente al­
l’aiuto divino — che è per sè onnipotente e invincibile — , però si comporta
nel suo esercizio al modo umano,, ossia, secondo. U regola, della ragione illu­
minata dalla fede, che non riesce a togliere del tutto dall’anima il timore e il
tremore. Il dono della fortezza, invece, le fa sopportare i maggiori mali,
la fa esporre ai più inauditi pericoli con grande fiducia e sicurezza, perché
lo stesso Spirito Santo la muove non mediante il dettame della semplice
prudenza, ma mediante l’altissima direzione del dono del consiglio, ossia
per mezzo di motivi del tutto divini >> 9 .

332. 2. N e c e s s ità . - Il dono della fortezza è


assolutam ente necessario per la perfezione delle v ir­
tù infuse e a vo lte per la sem plice perm anenza nel­
lo stato di grazia.
a) P e r l a p e r f e z i o n e d e l l e v i r t ù i n f u s e . - Si può
chiamare perfetta una virtù soltanto quando il suo atto
sgorga dall’anima con energia, prontezza e irrem o vi­
bile perseveranza. O ra, questo eroism o continuo e so­
prannaturale, n on si p u ò spiegare in m od o soddisfa­
cente se non m ediante l’ azione dei doni dello Spirito
Santo, particolarm ente del dono della fortezza
b) F e r l a p e r f e z i o n e d e l l a v i r t ù d e l l a f o r t e z z a .
- L a dottrina esposta è valid a per tutte le v irtù e quindi
anche per la fortezza. S. T om m aso spiega che la virtù
della fortezza tende per sé a irrobustire l’ anima contro
ogn i specie di d iffico ltà e di pericoli, ma n on riesce
a conseguir del tutto il suo scopo finché rimane sot­
tom essa al regim e della ragione illum inata dalla fede
(m odo di agire umano). È p rop rio del don o della fo r­
tezza eliminare o g n i m o tiv o di tim ore o di indeci­
sione dall’anima, sottom ettendola alla m ozion e diretta
e im m ediata dello Spirito Santo (m odo di agire divino),
che le dà una fid u cia e una sicurezza irrem o vibili
(139 ad 1). S crive un autore contem poraneo:
« Certo la virtù della fortezza si applica allo stesso o g ­

9 C f. G io v a n n ì d i S. Tom m aso, In I-II , d . 1 8 , a.6 .


714 LA VITA CRISTIANA NEL SUO SVILU PPO ORDINARIO

getto del dono; essa lascia tuttavia neU’anima una certa


debolezza. Per vincere le difficoltà, affrontare i pericoli, sop­
portare le avversità, la virtù si basa in parte sopra le risorse
umane, in parte sopra le risorse soprannaturali e divine.
Ma, non essendo che una virtù, non possiede mai compieta-
mente queste risorse divine ed agisce (Sempre in m odo uma­
no.
Il dono supplisce a questa deficienza della virtù della
fortezza, togliendo all’uom o questa esitazione istintiva, que­
sta naturale debolezza che la virtù stessa non giunge mai a
vincere del tutto. A questo scopo essa si serve della fortez­
za di D io come se fosse la sua, o piuttosto è lo Spirito Santo
che, con la sua m ozione, ci riveste della sua potenza e ci fa
energicamente e costantemente tendere senza timore verso
il nostro fine » 1 °.

c) P e r r i m a n e r e i n s t a t o d i g r a z i a . - C i sono delle
occasioni nelle quali si pone in m odo repentino e ine­
sorabile il dilemma: l ’eroism o o il peccato m ortale.
In questi casi — m olto più frequenti di quanto non si
creda — non basta la sem plice virtù della fortezza.
Precisam ente a m o tiv o della violenza, della rapidità
della tentazione — l ’accettazione o la repulsa della qua­
le, d ’altra parte, è questione di un m om ento — . non
è sufficiente il m od o lento e discorsivo delle virtù del­
la prudenza e della fortezza; occorre il rapidissim o inter­
ven to dei doni del consiglio e della f o r t e t o . Il D ottore
A n g e lico si fonda precisam ente su questo argom ento
per proclam are la necessità dei doni anche per la sal­
vezza eterna (1-11,68,2).
« Q u esto dono — scrive il P. Lallem ant — è assoluta-
mente necessario in certe occasioni, in cui dobbiam o lot­
tare contro tentazioni violente, per resistere alle quali, dob­
biamo saperci decidere a perdere i beni, gli onori e anche
la vita. E allora che lo Spirito Santo assiste potentemente
con il dono del suo consiglio e della sua fortezza l’anima
fedele, che, diffidando di sè stessa e convinta della propria
debolezza e del proprio nulla im plora il suo soccorso e met­
te in lui ogn i sua fiducia.

10 C f. S c h r ij v e r s , I princìpi della vita spirituale 1.2 , p .2 .a, c . 4 , a.2 ,III.


VIRTÙ CRISTIANE E DONI DELLO SPIRITO SANTO 715
In queste circostanze non bastano le grazie comuni,
ma occorrono suggerim enti e soccorsi straordinari; ecco
perché il profeta unisce assieme il dono del consiglio e quel­
lo della fortezza, l’uno per illuminare la mente, l’altro per
rischiarare il cuore » rl.

333. 3. E f f e t t i - R icorderem o i principali effet­


ti che prod u ce n ell’anima il dono della fortezza:
i) Conferisce all’ anima un’ irremovibile energia nella pra­
tica della virtù.
È una conseguenza inevitabile del m o d o so vru man o c o n
cui, attraverso il dono, si pratica la virtù della fortezza. L ’a­
nim a non conosce debolezze nell’esercizio della virtù.
Sente, naturalmente, « il peso del giorno e del calore », ma
con energia s o v rum ana contìnua imperterrita ad avanzare nono­
stante tutte le difficoltà.
Forse nessuno ha saputo esporre con tanta energia le
disposizioni di queste anime com e S. Teresa di G esù la quale
scrive: « D ico che si deve prendere una risoluzione ferma e
decisa di non mai fermarsi fino a che non sia raggiunta quella
fonte (la perfezione). A v v e n g a quel che vu ole avvenire, suc­
ceda quel che vu o l succedere, m orm ori chi v u o l m orm o­
rare, si fatichi quanto bisogna faticare: ma a costo di morire
a mezza strada, scoraggiati per i m olti ostacoli che si presen­
tano, si tenda sempre alla méta, ne vada tutto il mondo! » IJ.
Il P. M eynard cosi riassume i principali effetti di questa
energia sovrumana: « G li effetti del dono della fortezza
sono interiori ed esteriori. A ll’interno v i è un vasto campo
aperto a tutte le generosità, a tutti i sacrifici che giungono
fino all’eroismo; v i sono lotte incessanti, ma vittoriose, con­
tro le sollecitazioni di satana, contro l’amore e la ricerca di
sé stesso, contro l ’impazienza. A ll’esterno si realizzano splen­
didi trionfi, riportati dallo Spirito Santo contro l’errore e
il vizio. A nch e il nostro povero corpo partecipa agli effetti
della fortezza divina e, sotto l’azione di questa grazia, si
porta con ardore alle pratiche della mortificazione, o soffre,
senza venir meno, i più crudeli dolori. Il dono della fortez­
za quindi è veramente il principio e la sorgente delle grandi
cose intraprese r> sofferte per D io » '3.

11 P. L a l l e m a n t , L a dottrina spirituale princ. 4, c.4, a .6.


12 Cammino di perfezione 21,2.
*3 Cf. M e y n a r d , Trattato della vita interiore 1, n.192.
716 LA VITA CRISTIANA NEL S U O SVILU PPO ORDINARIO

2) Distrugge completamente la tiepidezza nel servizio


di Dio.
La tiepidezza — vera tubercolosi dell’anima che paraliz­
za tante anime nella via della perfezione — è dovuta quasi
sempre alla mancanza-di -energia e di fortezza nella pratica
della virtù. A troppe anime sembra eccessivamente arduo
vincersi in tante cose, com piere il dovere fino ai più m inuti
dettagli. E cosi vengono m eno per la stanchezza e rinuncia­
no alla lotta dandosi ad una vita abitudinaria e meccanica.
Solo il dono della fortezza, che potenzia in m odo sovru­
mano le forze dell’anima, costituisce il rim edio prop or­
zionato ed efficace per eliminare questa malattia dall’anima.
3 ) Rende l’anima intrepida e coraggiosa dinanzi a tutti i
pericoli e a tutti i nemici.
G li A postoli, codardi e tim orosi, che abbandonarono il
Maestro nella notte del tradimento, si presentano dinanzi
al popolo, la mattina di Pentecoste, con coraggio sovrum ano,
senza alcun timore; né prendono in considerazione la proi­
bizione di predicare il nom e di G esù, fatta loro dai capi della
Sinagoga, perché « bisogna obbedire prima a D io che agli
uom in i» (A tti 5,29). V en g o n o battuti ed insultati, ma essi
escono dal concìlio « contenti e gioiosi per aver sofferto
qualche oltraggio per il nom e di G esù» (A tti 5,41). T utti
resero al loro M aestro la testimonianza del martirio, e Pie­
tro, che dinanzi ad una servetta l’aveva vilm ente rinnegato,
muore con incredibile ferm ezza, crocifisso con la testa al-
l ’ingiù, riscattando abbondantemente la sua debolezza.
T u tti i santi si posero ah loro seguito. Si pensi alle dif­
ficoltà e pericoli che dovettero superare S. L uigi, re di Fran­
cia, per organizzare una crociata; S. Caterina da Siena per
ricondurre a Rom a il Papa; S. Teresa per riform are un O r­
dine religioso; S. G iovann a d’A rco per lottare contro i ne­
mici di D io e della sua patria, ecc. N ulla poteva trattenerli:
riponendo tutta la loro fiducia in D io , avanzavano con slan­
cio fino alla vittoria.
4) Fa sopportare i più grandi dolori con piacere e con
gioia.
L a rassegnazione, pur essendo una virtù m olto lodevole,
è imperfetta. I santi non la conoscono. N on si rassegnano
al dolore: lo vanno a cercare volontariamente. A volte que­
sta p a lic i della croce si manifesta con penitenze e m acerazio­
ni incredibili, altre volte con una pazienza eroica nelle m ag­
giori sofferenze, nelle malattie e nei dolori. « Sono giunta a
VIRTÙ CRISTIANE E DONI DELLO SPIRITO SANTO 717

non poter più soffrire — diceva S. Teresina del Bam bino


G esù — , perché ogni sofferenza mi è dolce » 1 4.
5) Dà all’anima P« eroismo nelle piccole cose», oltre che
l ’ eroismo nelle grandi.
Si ha bisogno di una eguale fortezza sia per soffrire in
un attimo il martirio che per sopportare senza debolezze
il martirio lento costituito dalla pratica eroica del dovere
di ogni giorno specialmente nella vita religiosa.
Scrive un autore contemporaneo: « L a vita religiosa è un
vero m artirio; e le anime sante v i trovano ampia messe di
sacrifici crocifiggenti il cui merito può uguagliare e persino
sorpassare quello del martirio di sangue. D io sa determinare
per ogn i anima, nella cornice della propria vocazione, la
via del calvario che la condurrà diretta, senza indugi, alla
conform ità perfetta col crocifisso, a condizione che non
venga trascurata nessuna occasione di mortificare la natura e
d i abbandonarsi senza riserva alle esigenze dell’amore.
A nche la sola pratica — assolutamente fedele — di una
regola religiosa, approvata dalla sapienza della Chiesa, ba­
sterebbe per condurre le anime alle più alte vette della san­
tità; tanto è vero che il Som m o Pontefice G iovann i X X I I
diceva: "D atem i un frate dell’ordine dei predicatori che os­
servi la sua regola e le sue costituzioni e, senza bisogno di
altro m iracolo, lo canonizzo” .
A ltrettanto si potrebbe dire delle sante regole del Car­
melo e di ogn i altra form a della vita religiosa. Il compimen­
to perfetto dell’ oscuro dovere di ogni giorno esige l’ eserci­
zio quotidiano del dono della fortezza. N on sono le cose
straordinarie, lo sappiamo, che formano i santi, ma la ma­
niera divina nel fare le cose ordinarie.
Q uesto "eroism o di piccolezza” di cui Santa Teresa
di G esù Bambino rimane nella Chiesa l’esempio forse più
luminosamente noto, trovò nella Carmelitana di D igion e
un’attuazione nuova. P oich é le mortificazioni straordinarie
non le erano permesse, essa v i supplì con una fedeltà eroica
alle minime osservanze del suo ordine, sapendo trovare nella
regola del Carmelo ” la forma della sua santità” e il segreto
di ” dare il sangue a goccia a goccia per la Chiesa, fino a
morirne” .
« La fortezza, infatti, questo dono dello Spirito Santo,
consiste meno nell’intraprendere coraggiosamente grandi
opere per il Signore, che nel sopportare con pazienza e con

*4 Cf. S toria d i un’anim a, c .1 2 n . 500 .


718 LA VITA CRISTIANA N EL SUO SVILU PPO ORDINARIO

il sorriso sul labbro, tutto ciò che la vita ha di crocifiggente;


essa poi si manifesta stupendamente nei santi all’ora del mar­
tirio e, nella vita di G esù, al mom ento della sua morte
sulla croce. S. G iovanna d’A rco è più intrepida sul ro go che
alla testa del suo esercito che entra vittorioso ad Orléans » '5.

3 3 4 . 4. B e a t it u d in i e f r u t t i c o r r is p o n d e n ti. -
S. Tom m aso, seguendo S. A g o stin o , attribuisce al
d on o della fortezza la quarta beatitudine: « Beati
co lo ro che hanno fam e e sete della giustizia perché
saranno saziati» (M at. 5,6). L a fortezza ha per o g g e t­
to cose ardue e d ifficili; ora il desiderio di santificar­
si, non in qualsiasi m aniera, ma con vera fam e e se­
te, è una cosa esternam ente ardua e d ifficile 16. E cosi,
vediam o effettivam ente che le anim e, dom inate dal
don o della fortezza, hanno un insaziabile desiderio
di fare e di soffrire grandi cose per D io . R icevon o
già in questo m on d o la ricom pensa con l ’aum ento
delle v irtù e i god im en ti spirituali intensissim i con
cui D io ricolm a frequentem ente le loro anime.
I frutti che corrispond on o a questo dono sono
la pazienza e la longanimità. Il prim o fa sopportare
con eroism o le sofferenze e i mali; il secondo non
lascia venir m eno nella pratica diuturna del bene
(139,2 ad 3).

3 3 5 . 5. V iz i o p p o s ti. - Secondo S. G reg o rio 17,


al dono della fortezza si oppone il timore disordi­
nato o timidezza, accom pagnata m olte v o lte da una
certa fiacchezza naturale, che proviene dall’amore
alla propria com odità, e ci im pedisce di intraprendere
grandi cose per la glo ria di D io e ci spinge a fu g ­
gire dall’abiezione e dal dolore.

x5 P . P h il ip o n , L a dottrina spirituale... c .8 , n .3 .
16 Cf. H-11,139,2.
x7 Cf. Mor. c.49; M L 75,593.
V IR T Ù C R IS T IA N E E D ON I D E L L O S P IR IT O SAN TO 719

« M ille paure •— scrive a tale proposito il P. Lallemant


— ci ostacolano in ogn i mom ento e ci im pediscono di pro­
gredire nella via del Signore e di compiere m olte opere
buone che non mancheremmo di fare, se ci lasciassimo gui­
dare dal dono del consiglio e se avessimo il coraggio com u­
nicato dal dono della fortezza; ma ci lasciamo vincere troppo
dalle mire umane e tutto ci fa paura. Si teme che un incari­
co, che l’obbedienza ci vuole affidare, non ci debba riuscire:
ed il timore ci induce a rifiutarlo. Si viv e in apprensione per
la salute, e perciò ci si lim ita a piccole, com ode incom benze,
senza che lo zelo e l’obbedienza possano poi im pegnarci in
altre più serie. A bbiam o paura di scom odarci e questo ti­
more ci allontana dalle penitenze corporali oppure ci per­
suade a risparmiarci troppo nella loro pratica. Q uesto timore
diventa anche la causa di m olte omissioni. Sono pochissime
le persone che facciano esclusivamente per D io e per il
prossimo tutto ciò che possono fare. Bisognerebbe, ad imi­
tazione dei santi, non temere che il peccato, com e S. G io ­
vanni Crisostomo; affrontare ogn i pericolo, com e S. Fran­
cesco Saverio; desiderare gli affronti e le persecuzioni come
S. Ignazio » l8.

3 3 6 .6 . Mezzi con cui fomentare questo do­


no. - O ltre i m ezzi generali già ricordati, i seguenti
riguardano più da vicin o il dono della fortezza:
i) A bituarsi a ll’ esatto compimento del dovere nonostan­
te tutte le ripugnanze. - Ci sono degli eroismi che forse
non sono alla portata delle forze di cui disponiamo attual­
mente; però è fuori dubbio che con il semplice aiuto della
grazia ordinaria possiamo fare m olto di più di quello che
facciamo. Tuttavia per giungere all’eroismo dei santi è
indispensabile il dono della fortezza. A colui che fa quanto
può non mancherà l’aiuto di D io , ma nessuno potrà lamen­
tarsi di non sperimentare questo aiuto se rimane volonta­
riamente pigro.
z) Non chiedere a D io che ci tolga le croci, m a che ci dia
la forza di sopportarle. - Il dono della fortezza viene dato ai
santi affinché possano sopportare le tribolazioni, attra­
verso le quali devono passare per giungere alla santità.
Q uando un dolore ci affligge o sentiamo più pesante la no*

18 L a dottrina spirituale princ.4 , c.4 , a.6 .


720 LA V IT A C R IS T IA N A NEL SU O S V IL U P P O ORDINARIO

stra croce, se ci lamentiamo e chiediamo a D io che ce ne li­


beri, non verranno in nostro aiuto i doni dello Spirito Santo.
Se D io ci trova fiacchi quando ci prova nelle piccole cose,
com e potrà continuare la sua divina azione purificatrice ?
N o n lamentiamoci delle croci; chiediamo al Signore sol­
tanto che ci dia la forza di portarle, ed attendiamo tranquil­
li, perché D io non si lascerà mai vincere in generosità.
3) Pratichiam o, con coraggio o con debolezza, m ortifica­
zioni volontarie. - N on c ’è nulla che fortifichi tanto con­
tro il freddo quanto bituarsi a vivere alle intemperie.
C olui che abbraccia vo i tariamente il dolore finisce col non
tremare davanti ad esso e persino col trovarci un ver g to.
N on si tratta di disciplinarsi o di praticare le grandi macera­
zioni dei santi; l’anima non si trova ancora preparata a ciò.
M a possiamo con l ’aiuto della grazia e lo sforzo nostro os­
servare il silenzio quando si ha vo glia di parlare; non lamen­
tarci dell’inclemenza del tem po, della qualità del cibo, della
povertà del vestito; recitare le orazioni vocali con raccogli­
mento e attenzione; mostrarci affettuosi e servizievoli con le
persone antipatiche; ricevere con umiltà e pazienza le burle,
le riprensioni, le contraddizioni e forse i castighi che non ab­
biam o meritato.
N on occorre essere coraggiosi per praticare queste cose,
essendo possibili anche alla nostra debolezza. S. Teresina
si rallegrava di sentirsi tanto debole e priva di forze, perché
cosi poteva riporre la sua fiducia solamente in D io e sperare
tutto da lui
4) Cerchiamo n ell’ Eucarestia la fortezza per le nostre a n i­
me. L ’Eucarestia è il pane degli angeli, ma è anche il
-
pane dei forti che irrobustisce e conforta l’anima. S. G iovann i
Crisostom o dice che dobbiam o alzarci dalla sacra mensa con
le forze del leone per darci a imprese, eroiche per la gloria
di D io 20, perché il contatto diretto e intimo con Cristo,
vero leone di G iuda (A poc. 5,5), trasfonde nelle nostre ani­
me la sua divina fortezza.

' !<> Ct. tra l’aitro, le prime quattro lettere dirette dalla santa a sua sorella
Celina, Storia di m'anima, n n.771-780,
20 ;« À b illa mensa recedamus tam quam leones, ignem spirantes, dia­
bolo terribiles » (In Io. hom.61,3; M L 59,260).
V IR T Ù C R IS T IA N E E DON I D E L L O S P IR IT O SAN TO 721

A rt'c o lo V II

L a virtù della temperanza

Direttorio ascetico t.3 a .4 ; C h . d e .


S . t h . , 1 1 - 1 1 ,1 4 1 - 7 0 ; S c a r a m e l l i ,
S m e d t, Notre vie surnaturelle II, p p .2 6 8 - 3 4 2 ; B a r r é , Tractatus de virtutibus
p . 2 a c .4 ; J a n v i e r , Caréme, 1 9 2 1 e 19 2 2 ; T a n q u e r e y , Compendio di Teologia
ascetica e mistica 0 1 1 .1 0 9 9 - 1 1 6 6 ; G a r r i g o u - L a g r a n g e , L e tre età 1 1 , 1 1 - 1 3 ;
P r u m m e r , Manuale Theologiae Moralis II n n .6 4 3 - 7 1 1 .

337. 1. Natura. - L a parola t e m p e r a n z a si può


usare in due sensi: a) per significare la m oderazio­
ne che im pone la ragione in ogn i azione e passione
(senso largo), nel qual caso non si tratta di una virtù
speciale, ma di una condizione generale che deve ac­
com pagnare tutte le virtù m orali (141,2); b) per de­
signare una v irtù speciale cioè una delle quattro v ir­
tù m orali principali che si chiam ano cardinali (senso
stretto). In questo senso si p u ò definire: U n a virtù
s o p r a n n a t u r a l e che m o d e r a /’ '.nclinazjone ai piaceri sensibi­
li, specialmente del tatto e del gusto, contenendola entro i
limiti della ragione i l l um ina ta dalla fede.

a) Una virili soprannaturale..., per distinguerla dalla tem­


peranza naturale o acquisita.
b) ...che modera l’ inclinazione ai piaceri sensibili... - Il
com pito proprio della temperanza è quello di controllare
i m ovim enti dell’appetito concupiscibile in cui risiede;
mentre quello della fortezza è di eccitare l’appetito irascibile
al conseguim ento di un bene onesto (141,2-3).
c) ...specialmente del tatto e del gusto... - L a temperan­
za, in genere, modera tutti i piaceri sensibili, ai quali inclina
l ’appetito concupiscibile, ma riguarda in m odo speciale quelli
del tatto e del gusto (gola e lussuria) che sono i più forti, e
perciò stesso m aggiorm ente in grado di trascinare l’appetito
ad atti disordinati, qualora, n on sia frenato da una virtù spe­
ciale: la temperanza propriamente detta (141,4).
d ) ...contenendola entro i lim iti della ragione illuminata
dalla fede. - La temperanza naturale o acquisita si governa
722 LA V IT A C R IS T IA N A NEL SU O S V IL U P P O ORDINARIO

unicamente per m ezzo della retta ragione, e mantiene l’appe­


tito concupiscibile dentro i lim iti ragionevoli o umani
(141,6); la temperanza soprannaturale o infusa, al lume della
retta ragione aggiunge quello della fede, che ha esigenze
più delicate *.
L a temperanza è una virtù cardinale, e quindi una virtù
eccellente; ma, poiché ha per o ggetto la moderazione degli
atti dell’individuo che non hanno relazione col prossimo,
occupa l’ultim o posto nella scala delle virtù cardinali (141,8).

338. 2 . Importanza e necessità. - La tem pe­


ranza è una delle virtù più im portanti nella vita
individuale, perché d eve m oderare — contenendo­
li dentro i lim iti della ragione e della fede — gli
istinti più fo rti della natura umana. L a p ro v vid en ­
za ha v o lu to unire un piacere agli atti um ani necessari
per la conservazione dell’in d ivid u o e della specie; di
qui deriva la forte inclinazione d ell’u om o ai piaceri
del tatto, e del gu sto ordinati al fine v o lu to dall’A u ­
tore stesso della natura tuttavia p o ich é tale inclinazione
erom pe con veem enza dalla stessa natura umana, tende
spesso ad oltrepassare i lim iti del giu sto e del ragio­
n evole, trascinando l ’u om o verso atti disordinati e
quindi illeciti e peccam inosi.
L a tem peranza infusa ci fa perciò usare del pia­
cere per un fine onesto e soprannaturale, nella form a
indicata da D io a ognun o secondo il suo stato e con­
dizione. E siccom e il piacere è per sé seduttore e ci
trascina facilm ente oltre i giusti lim iti, la tem peranza
ci inclina alla m ortificazione anche in m olte cose le­
cite affinché possiam o più facilm ente controllare la
vita passionale.

339. 3 . Vizi opposti. - S. T om m aso ne indica


due: uno per eccesso, Vintemperanza (1 4 2 , 2 ), che ol­
trepassa i lim iti della ragione e della fede nell’uso

1 Cf. 1 -11 ,63,4; II-II, 142,1 c et ad 1 et ad 2.


V IRTÙ C R IS T IA N E E DONI D E L L O S P IR IT O SANTO 723

dei piaceri 4*1 gusto e del tatto, e che, pur n on essen­


do i l peccato più grande, è tuttavia il più vile e ob ­
brobrioso, dal m om ento che abbassa l ’uom o al livello
delle bestie (142,4); e un, altro per difetto, la eccessiva
insensibilità (142,1), per cui si rifu g g o n o anche i pia­
ceri necessari alla conservazione d ell’in d ivid u o o del­
la specie com e richiede il retto ordine della ragione.
Si p uò rinunciare a questi piaceri unicam ente per un
fin e onesto com e sarebbe il ricupero della salute e l ’ au­
m ento delle forze corporali, o per un m o tivo più alto
com e sarebbe il bene della virtù essendo questo al­
tamente conform e alla ragione e alla fede (ivi).

4. Parti della temperanza (143). - L a temperanza,


essendo una v irtù cardinale, consta di parti integranti,
soggettive e potenziali.

a) Partì integranti.
Integrano la virtù della temperanza o l'aiutano nel suo
esercizio: la vergogna e l ’onestà.
340. 1) L a v e r g o g n a (144) non è propriam ente
una virtù , ma una certa passione lodevole che ci f a temere
l ’obbrobrio e la confusione che deriva dal peccato turpe. È
una passione, perch é la v e rg o g n a im porta una m uta­
zione corporea (rossore, trem ore...); ed è lod evole,
perché questo tim ore, regolato dalla ragione, infonde
orrore alla turpitudine (144,2).
Si noti che ci vergogn iam o di più di rim anere in ­
fam ati dinanzi a persone sapienti e virtuose — a m otivo
della rettitudine del loro giu d izio e del valore della
loro stima — che dinanzi ai bam bini, agli ignoranti
e ai cattivi. E , soprattutto, sentiam o la v e rg o g n a del­
l'o b b ro b rio dinanzi ai nostri familiari, che ci con osco­
no m eglio e coi quali dobbiam o con vivere continua-
mente (144,3).
5. Tom m aso fa osservare che la verg o g n a è patri-
724 LA V IT A C R IS T IA N A NEL SU O S V IL U P P O ORDINARIO

mordo esclusivo dei gio van i m ediocrem ente b uoni.


N o n ce l ’hanno co lo ro che sono m olto cattivi o v iz io ­
si (si dicono svergognati), e nem m eno i vecch i o i
m olto virtuosi, perch é sono m olto lontani dal com m et­
tere atti turpi. Q uesti ultim i, tuttavia, conservano la
v e rg o g n a nella disposizione dell’ anim o, cioè, si v e r g o ­
gnerebbero di fatto se inaspettatam ente incorressero
in qualche azione turpe.

341 . 2) L ’ o n e st à (145) è l ’ amore al decoro che proviene


dalla pratica della virtù. C oincide propriam ente con ciò
che è l ’onesto (145,1) e spiritualm ente d ecoroso (145,2).
P u ò coincidere in un m edesim o soggetto con l ’utile e
il dilettevole — lo è sempre l ’esercizio della v irtù —
ma non tutto ciò che è utile e dilettevole è onesto
(145,3). È propriam ente una parte integrante della tem ­
peranza perché l ’onestà è una certa bellezza spirituale;
e siccom e il bello si oppon e al turpe, l ’onestà spetterà
in m odo speciale a quella virtù che ha per o g ge tto di
farci evitare quello che è turpe; e tale è la tem peranza
( i4 5 ,4 >
Corollario pratico. - È utile inculcare queste due virtù
— la vergogn a e l’onestà — ai bambini fin dalla loro più
tenera età essendo com e le guardiane della castità e della
temperanza. Scomparsa la vergogn a e l’onestà, l ’uom o pre­
cipita nelle più gravi turpitudini.

P) Parti soggettive.
Sono le diverse specie nelle quali si suddivide una
virtù cardinale. Siccome la temperanza ha il com pito prin­
cipale di moderare l’inclinazione ai piaceri che provengono
dal gusto e dal tatto, le sue parti soggettive rispetto al gu­
sto sono l'astinenza e la sobrietà; e rispetto al tatto sono
la castità e il pudore,

342. 1) L ’ a s t i n e n z a (146) ci inclina ad usare mode­


ratamente degli alimenti corporali secondo i l dettame della
VIRTÙ CRISTIANE E DONI DELLO SPIRITO SANTO 72 5 -

retta ragione illuminata dalla fede. L ’astinenza, virtù in fu ­


sa e soprannaturale, sorpassa quella acquisita. Q u est’ul-
tim a si go vern a alla sola luce della ragione e usa degli
alimenti nella misura e nel grad o che la necessità o la
salute del corp o richiede; l’infusa, invece, tiene anche
conto delle esigenze dell’ordine soprannaturale (p e r
esem pio, astenendosi in certi giorn i dai cibi proibiti).
A tto p rop rio della virtù dell’astinenza è il digiuno-
(147), il cui esercizio ob bligatorio è regolato dalle leg g i
della Chiesa 2. O ltre a queste leg g i generali si p u ò pra­
ticare il digiun o anche a m otivo di altre leg g i speciali
(per esem pio, quelle proprie di un ordine religioso)
o della devozion e di ogn u n o controllata dalla prudenza
e dalla discrezione soprannaturale.
V iz io opposto. — A ll’astinenza si oppon e la go­
la (148) di cui abbiam o già parlato (cfr. n. 185).

343. 2) L a so b r ie t à (149), in generale, significa la-


m oderazione o la temperanza in qualsiasi cosa; ma in
senso stretto è una virtù speciale che ha lo scopo di mode­
rare, d ’ accordo con la ragione illuminata dalla fede, l ’uso dellt
bevande inebrianti. È curioso l ’articolo quarto di tale
questione, d ove S. Tom m aso dice che, benché la so­
brietà sia conveniente a tutte le persone, d evon o colti­
varla in m odo speciale i giovani, già per sé tanto p roclivi
alla sensualità per l ’ardore delle passioni; le donne, p e r
la loro debolezza mentale; g li anziani, perché d evon o
dare l ’esempio agli altri; i m inistri della Chiesa, perché
d evono dedicarsi alle cose spirituali; i governanti, perché
devono governare con sapienza.
A lla sobrietà si oppone l ’ubriachezza ( I 5°)> che è
uno dei v izi più vili e ripugnanti. L ’ubriachezza v o lo n -

2 Cf. CIC can.1 2 5 0 - 5 4 .


726 LA VITA CRISTIANA N EL SUO SVILU PPO ORDINARIO

taria che giun ge alla perdita totale d ell’uso dei sensi è


peccato m ortale (150,2).

344. 3) L a 51) è la virtù soprannaturale che


c a s tità (i
modera l’appetito sessuale. È una virtù veram ente an ge­
lica, p erch é rende l ’uom o sim ile agli angeli, ma è
delicata e difficile. Si giu n g e infatti a praticarla con per­
fezio n e solo a p rezzo di una continua vigilan za e seve­
ra austerità.
L a castità prende diverse denom inazioni, secondo
lo stato delle persone che la praticano: verginale, propria
d i chi si astiene volontariam ente e per tutta la vita dai
piaceri sessuali; giovanile, prop ria di chi si astiene com ­
pletam ente da questi piaceri prim a del m atrim onio;
coniugale, che regola secondo la ragione e la fede la vita
intim a degli sposi; vedovile, propria delle persone che
si asten gono com pletam ente dagli atti sessuali dopo
la m orte del coniuge.
L a castità si riferisce alla m a t e r i a principale; per re­
golare g li atti secondari esiste la pudicizia, che n on è una
v ir tù speciale distinta dalla castità, ma una circostanza
della medesima (151,4).
Parlando della lotta contro la propria carne abbiam o
indicato i principali m ezzi per conservare la castità
(cfr. n.175).
A lla castità si oppon e la lussuria in tutte le sue specie
e m anifestazioni (153 e 154). E ssendo un v iz io capi­
tale (153,4), ne derivano m olti altri peccati, principal­
mente l ’ accecam ent o di spirito, la precipitazione, l'inconsi­
derazione, l ’ incostanza, l ’a m o r e disordinato di sé stessi, l’o­
dio contro D ì o , Y at t a c c a m e n t o a questa vita e Y o r ror e della
futura (153,5).

345. 4) L a v e r g i n i t à (152) è una v irtù specia­


le (152,3) distinta e p iù perfetta della castità (152,5),
che consiste nel f e r m o pr o p o s i t o di conservare p e r p e t u a m e n t e
VIRTÙ CRISTIANE E DONI DELLO SPIRITO SANTO 727

l'integrità della carne. Perché abbia perfetta ragione di


v irtù deve èssere ratificata da un voto 3.
N e ll’integrità della carne si possono distinguere
tre aspetti: a) la sua semplice esistenza senza un p ro p o ­
sito speciale di conservarla (per esem pio, nei bam bini);
b) la sua perdita materiale senza colpa (per esem pio,
a m otivo di u n ’operazione chirurgica o di una vio len ta
oppressione n on acconsentita interiorm ente), e c) il
p roposito ferm o e irrem ovibile di astenersi perpetua-
m ente dal piacere venereo, mai volontariam ente spe­
rim entato. Il prim o aspetto non costituisce una virtù
perché n on è volontario; il secondo è una perdita solo
materiale, perfettam ente com patibile con il terzo a-
spetto della virtù , quello formale ( i 52,1 c et ad 3 et ad 4).
L a perfetta verginità volontariam ente conservata
per un m o tiv o virtu oso n on soltanto è lecita (152,2),
ma è più eccellente del m atrim onio. L o dim ostrano
l’esem pio di C risto e della SS. V ergin e, le parole di
S. P aolo (1 Cor. 7,25ss) e la ragione teologica la quale
ci dice che il bene divino è più perfetto di quello uma­
no, il bene dell’ anima p iù eccellente di quello del
corpo, e la vita contem plativa è preferibile a quella
attiva (153,4).

y) P a r ti potenziali.

Sono le virtù annesse o derivate, che stanno in relazione


con la loro virtù cardinale, ma non ne hanno tutta la forza
o sono ordinate soltanto ad atti secondati. Q uelle corrispon­
denti alla temperanza sono le seguenti:

5 Cosi almeno si esprime S. Tom m aso in tale questione delia Somma


Teologica (152,3 ad 4). M a nelle Sentente aveva scritto che non è essenziale
il v o to per ricevere nel cielo l’aureola della verginità (cf. I V Seni., d. 33,
q.33, a.2, ad 4; cf. Supplemento della Somma, 96,5); e cosi ritengono pure
m olti insigni tom isti, tali com e Paludano, D o m in go Soto, Silvestro, Sil­
v io, BiJluarf e altri.
728 LA VITA CRISTIANA NEL SU O SVILU PPO ORDINARIO

3 4 6 . i) L a c o n t i n e n z a (15 5 ) è u n a virtù che irrobu­


stisce- la volontà p e r c h è resista alle concupiscente disordinate
m o l t o veementi (155,1). Risiede nella vo lo n tà (155,3),
■ed è una virtù per sé imperfetta, giacché n on induce a
realizzare u n ’ opera positivam ente buona o perfetta,
ma si lim ita a im pedire il male, assoggettando la v o lo n ­
tà affinché n on si lasci trasportare dall’im peto della
passione. L e virtù perfette, d’ altra parte, dom inano
talm ente le passioni, che non si p rod u con o neppure
veem enti m ovim enti passionali contro la ragione
(155,1). Sua materia propria sono i diletti del tat­
t o (155,2), precisam ente quelli relativi all’appetito ses­
suale (ad 4), quantunque si possa riferire in senso più
ge n e rico e im proprio a qualsiasi altra m ateria (ad 1).
Il suo vizio op posto è l ’incontinenza (156), che non
•è un abito propriam ente detto, ma è la privazione,
n ell’appetito razionale, della continenza che dovrebbe
dom inare la vo lo n tà perché non si lasci trasportare
dalla concupiscenza. N e ll’appetito sensitivo l ’in con ­
tin en za è il disordine stesso delle passioni concupisci­
b ili nei riguardi del tatto (156,3).

3 4 7 . 2) L a m a n s u e t u d i n e (15 7 ) è u n a virtù speciale


x h e h a lo scopo di m o d e r a r e P i r a secondo la retta ragione.
L a m ateria p ro p ria di co d e sta v ir t ù è la p assio n e del-
Yira, ch e essa rettifica e m o d e ra in m o d o che s o rg a
■solo q u a n d o è n ecessaria e n ella m isu ra n ecessaria.
B e n c h é sia u n a p arte p o te n z ia le d ella tem p era n za (1 5 7 ,
3), risie d e n e ll’ appetito irascibile (co m e l ’ira ch e d e v e
m o d e ra re ), n o n n e l c o n cu p isc ib ile , co m e la tem p e ­
ra n z a (cfr. iv i ad 2).

C risto , in c o m p a r a b ile m o d e llo . - La m ansue­


tu d in e è una virtù profondam ente cristiana, del­
la quale Cristo si presentò com e perfetto m odello
VIRTÙ CRISTIANE E DONI DELLO SPIRITO SANTO 72&

(Mat. 11,29). E g li m anifestò la sua dolcezza e man­


suetudine: 4
a ) Con g li apostoli, di cui sopportò le mille im perfezioni,
l’ignoranza, l’egoism o, le incomprensioni. Gradualmente li
istruì, senza richiedere da loro troppo presto una perfe­
zione superiore alle loro forze. L i difese dalle accuse dei fari­
sei, ma li riprese quando cercarono di allontanare da lui
i bambini o invocarono il fuoco dal cielo su di un villaggio
che non aveva vo lu to riceverli. Riprese Pietro per la sua ira
nell’orto, ma gli perdonò facilmente la sua triplice negazio­
ne, che riparò con tre semplici manifestazioni di amore.
Consigliò loro la mansuetudine verso tutti, li esortò a per­
donare fino a settanta volte sette (cioè sempre), ad essere
semplici com e colom be, agnelli in m ezzo ai lupi, a fare del
bene per il male ricevuto, ad offrire l’altra guancia a chi li
avesse percossi, a dare la tunica piuttosto di comparire da­
vanti al tribunale e a pregare per coloro stessi che li avreb­
bero perseguitati e maledetti...
b) C on le tu r b e , alle quali parlò sempre con serenità.
N on spense il lucignolo ancora fum igante, né spezzò la
canna fessa. A tutti offrì il perdono e la pace, m oltiplicò le
parabole della misericordia, benedisse e accarezzò i bam­
bini, a tutti aperse il suo cuore affinché i sofferenti e gli op­
pressi trovassero in lui il riposo.
c) C on i p e c c a to r i. - Con bontà e delicatezza converti
la Samaritana; com e Buon Pastore andò in cerca delle pe­
corelle smarrite essendo venuto non a cercare i giusti, m a
i peccatori; offrì il perdono a G iuda chiamandolo col dolce
nome di amico; perdonò al buon ladrone e m orì sulla croce
scusando i suoi carnefici.

A im itazione del M aestro divino, l ’anima che aspi­


ra alla perfezione dovrà porre tutta l ’attenzione nella
pratica della mansuetudine.
« Per imitare N ostro Signore eviterem o gli alterchi, t
gridii, le parole e gli atti offensivi o sgarbati, per n on allon­
tanare i timidi. Baderemo a non rendere mai male per male;
a non rompere o spezzare nulla per avventatezza; a non
parlare quando siamo in collera. Ci studieremo invece di
trattare con riguardo quelli che ci si avvicinano; di avere

4 Cf. T anquerey, Compendio di Teologia ascetica e mistica nn.1161-3.


730 LA VITA CRISTIANA NEL SUO SVILU PPO ORDINARIO

per tutti viso allegro ed affabile, anche quando ci torni­


n o noiosi e pesanti; di accogliere con bontà particolare
i poveri, gli afflitti, gli infermi, i peccatori, i timidi, i
fanciulli; di addolcire con qualche buona parola le ripren­
sioni che siamo costretti a fare; dimostrarci santamente pre­
murosi di rendere servizi facendo talora anche di più di
quanto ci si d o m a n d a le soprattutto facendolo con grazia*
Pronti, se occorresse, a sopportare uno schiaffo senza re­
stituirlo, e a presentare la guancia sinistra a chi ci percuote
la destra » s.

T u ttavia, in certe occasioni l ’ira s’im pone, e rinun­


ciare ad essa sarebbe un mancare alia giustizia o alla
carità, che sono virtù più im portanti della m ansuetu­
dine. Cristo stesso, m odello di m ansuetudine, cacciò
c o n la frusta i profanatori del T em p io (G io v . 2,15) e
lan ciò le sue terribili in vettive contro l ’ o rg o g lio e la
m alafede dei farisei (M at. 23,1355.). N o n bisogna pen­
sare che in sim ili casi si sacrifichi la virtù della m ansue­
tudin e sull’ara della giustizia o della carità. A v v ien e
il contrario. L a mansuetudine stessa insegna ad usare
lettam ente della passione dell’ira nei casi necessari e
nella maniera che è conveniente secondo il dettame
della ragione illum inata dalla fede®. D iversam ente non
sarebbe virtù , ma debolezza eccessiva di carattere,
incom patibile con l ’energia richiesta m olte v o lte dal­
l’ esercizio delle virtù. U na simile debolezza sarebbe
•quindi un vero peccato 7. E ssendo m olto facile ec­
cedere o sbagliarsi nella valutazione dei giusti m otivi
che reclam ano l ’ira, dobbiam o sempre vigilare per non
lasciarci sorprendere dalPimp'eto della passione o per
contenere le sue m anifestazioni dentro i lim iti indicati
dalla ragione illum inata dalla fede. N eh dubbio è me-

5 Cf. T a n q u e r e y , o.c., n.1164.


6 C f. 11-11,157,1; 158,1,2 e 8.
7 « E t sic defectus irae absque dubio est peccatum » (11-11,158,8).
VIRTÙ CRISTIANE E DONI DELLO SPIRITO SANTO 731

g lio inclinare verso la dolcezza e la m ansuetudine an­


zich é all’eccessivo rigore.
A lla mansuetudine si oppone l ’ira disordinata o
l ’iracondia (158). P oich é è un v iz io capitale (158,6),
da essa nascono m olti altri peccati, principalm ente
l’indignazione, la perturbazione della niente (che pensa ai
m ezzi con cui vendicarsi), lo schiamazz0> bestemmia,
l ’ingiuria & la rissa (158,7). A ristotele distingue tré spe­
cie d’ira: quella dei violenti {acuti), che si irritano subito
e per il più piccolo m otivo; quella di coloro che ser­
bano rancore {amari), che conservano m olto tem po il
ricordo delle ingiurie ricevute, e quella degli ostinati
{difficiles o graves), che non riposano finché non riesco­
no a vendicarsi (158,5).

348. 3) L a c l e m e n z a (157) è una virtù che inclina i l


superiore a mitigare, secondo i l retto ordine della ragione, la
pena 0 i l castigo dovuto al colpevole. Procede da una certa
dolcezza di anima, che ci fa aborrire tutto quello che
può contristare un altro (157,3 ad i). Seneca la defi­
nisce com e « la m oderazione dello spirito nel potere di
castigare o la umanità del superiore verso l ’inferiore
nell’indicazione delle pene » 8.
Il perdon o totale della pena si chiama venia. L a cle­
menza si riferisce sempre a un perdono parziale o
alla mitigazione della pena. N o n si deve esercitare per
m otivi disonesti, (p e r esem pio, per subornazione),
ma per indulgenza o bontà di cuore e senza com pro­
mettere le leg g i della giustizia (157,2 ad 2). È la virtù
propria dei principi cristiani che soglion o esercitarla
verso i rei condannati a m orte, principalm ente il vener­
dì santo in mem oria del divino Crocifisso.
A lia clem enza si op pon gon o tre vizi: due per di­
fetto, la crudeltà (159,1), — che è la durezza di cuore

8 Cf. Se n e c a , De clemmtìa 1.2, c.}.


7 32 LA V IT A C R IS T IA N A NEL SU O SV IL U P P O O R D IN A R IO

n ell’im posizione delle pene — quando si oltrepassa­


no i lim iti del giusto, e la sevizia o ferocia (159,2), che
g iu n g e persino a com piacersi del torm ento degli u o ­
mini. A ragione vien e chiamata v iz io bestiale o in u ­
m ano, e si esercita principalm ente contro g li uom ini
e secondariam ente contro g li animali, che si com piace
pure di maltrattare. Per eccesso alla clem enza si o p p o­
ne l ’eccessiva mitezza di anim o (159,2 ad 3), che p erd o­
na o; m itiga im prudentem ente le giuste pene che è ne­
cessario im porre ai colpevoli. È m olto perniciosa al
bene pub b lico, perché fom enta l ’indisciplina, anima
i m alfattori e com prom ette la pace dei cittadini.

349. 4) L a m odestia (160) è una virtù che deriva dalla


temperanza la quale inclina l'uomo a comportarsi nei moti
interni ed esterni e nell’apparato esteriore delle sue cose den­
tro i giusti lim iti che corrispondono a l suo stato, a l suo inge­
gno e alla sua fortuna. Ossia, com e la tem peranza m ode­
ra l ’appetito dei piaceri del tatto, la m ansuetudine l’ira,
la clem enza l ’appetito della vendetta, la m odestia ha
l ’ufficio di m oderare altri m ovim enti m eno difficili,
m a che hanno tuttavia b isogn o del controllo di una
v irtù (160,1). Q uesti m oti secondari e m eno difficili
son o quattro: a) il m oto dell’ anima verso l ’eccellenza,
che è m oderato dalla virtù dell’ umiltà; b) il naturale ap­
p etito di conoscere, regolato dalla studiosità; c) i m oti e
le azioni corporali, m oderati dalla modestia corporale
nelle cose serie e dalla eutrapelia nei gio ch i e nei diver­
tim enti, e d) il desiderio di ben vestire, regolato dalla
modestia nell’ornamento (160,2).

I. L ’U M ILTÀ’ (161)

S. T h . II-II,i6i-2; C a s s i a n o , Col. 18 ,11; S. G i o v a n n i C l i m a c o , Scala


.25; S. B ern ard o, D e gradibus bumilitatis et superbiae; S . F r a n c e s c o d i
S a l e s , Filotea p-3-a cc. 4-7; S c a r a m e l l i , Direttorio ascetico t .3 a .11; S. A l ­
f o n s o d e ’ L i g u o r i , L a vera sposa c . 1 1 ; M o n s . g a y , V ita e virtù t r. 6 ; B e a u -
\« T Ù C R IS T IA N E E DONI DELLO SP IR IT O SAN TO 733

denom , Formazione aW umiltà; C n . d e S m e d t, N otre vie surnaturdU t . z


p p . 305-42; M a r m i o n , G esù C risto, ideale delm onacoc,r i ; T a n q u e r e y , Com ­
pendio di Teologìa ascetica e mistica n n . 11 2 7 -5 3 , G a r r i g o u - L a g r a n g e , L e Ire
età I I I , 12 -13 .

È una delle virtù, che, per la sua grande importanza


nella vita spirituale, studieremo diffusamente.

350. 1. Natura. - L ’umiltà è una virtù che deri­


va dalla temperanza la quale ci inclina a raffrenare il disor­
dinato appetito della propria eccellenza, dandoci la giusta
conoscenza della nostra piccolezza e miseria principalmente
in relazione a Dio.
a) U na virtù che deriva dalla temperanza... - Si dice
virtù, perché ci inclina a una cosa buona ed eccellente (161,1),
Si dice che deriva dalla temperanza — attraverso la m ode­
stia — perché ha il com pito di moderare l’appetito della
propria grandezza, e ogni moderazione cade sotto il dominio
della temperanza (161,4). Q uesto non impedisce che l’um il­
tà risieda nell 'appetito irascibile (a differenza della temperan­
za, la quale risiede in quello concupiscibile), giacché si riferi­
sce a un bene arduo. La differenza di soggetto non ne com ­
prom ette la coincidenza n ell’aspetto formale, che consiste
nel moderare o nel reprimere (161,4 ad 2)-
b) ...la quale ci inclina a raffrenare... o a moderare l’ appeti­
to di grandezza. Il com pito proprio dell’umiltà non è quel­
lo di spingere verso l’alto (come la magnanimità), ma piut­
tosto verso il basso, il che non costituisce un antagonismo
o una contraddizione tra codeste virtù apparentemente op­
poste, dal mom ento che tutte- e due procedono secondo
il retto ordine della ragione, da punti di vista diversi (161,1
ad 2; 4 ad 3).
f) ...il disordinato appetito della propria eccellenza... -
Q uesta è precisamente la definizione della superbia, vizio
contrario all’umiltà.
d) ...dandoci la giusta conoscenza della nostra piccolez­
za e m iseria... - L ’umiltà è,
anzitutto, luce, conoscenza,
verità, non bacchettoneria né negazione delle buone qualità
che si sono ricevute da D io . Per questo diceva S. Teresa
che l’umiltà è camminare nella verità 1.

9 Seste mansioni 1 0 ,7 .
734 LA V IT A C R IS T IA N A NEL SU O S V IL U P P O O R D IN A R IO

O ra, come è possibile che colui il quale vede chiaramen­


te di aver ricevuto grandi doni da D io , naturali o sopran­
naturali, possa avere la « giusta conoscenza della sua pic­
colezza e miseria » richiesta dall’umiltà ?
S. Tom m aso pone e risolve tale obiezione. Il suo ra­
gionam ento ci farà conoscere la vera natura di questa
virtù.
e) ...principalmente in relazione a Dio. - L ’A n gelico
D o tto re insiste ripetutamente su questa relazione, che in­
dica, indubbiamente, la radice dell’umiltà, il suo aspetto
più profondo:
<( L ’um iltà im porta principalmente la sottom issione dell’uom o a D io .
P et questo, S. A gostin o... l’attribuisce al dono del tim ore, per m ezzo del
quale l’uom o riverisce D io » (161,2 ad 3).
« L ’um iltà, in quanto virtù speciale, m ira principalmente alla sottom is­
sione dell’uom o a D io , per cu i si sottom ette anche agli altri, um iliandosi
dinanzi ad essi » (161,1 ad 5).
« I l virtu o so è perfetto. Però di fronte a D io m anca di o gn i perfezione.
Per quésto l’um iltà p u ò convenire a qualsiasi u o m o per quanto perfetto
egli sia » (161,1 ad 4).

Ten en do presente questo principio fondam entale,,


possiam o già risolvere la difficoltà a cui abbiam o ac­
cennato. E cco il pensiero di S. Tom m aso:
« N ell’uom o si possono considerare due cose: ciò che
ha da D io e ciò che ha da sé stesso. D a sé stesso ha tutto
ciò che significa im perfezione e difetto, giacché è evidente
che questo non può provenire da D io , dal quale, invece,
l’uom o ha ricevuto tutto ciò che c’è in lui di buono e di
perfetto: ogn i bontà o perfezione creata è infatti una par­
tecipazione di quella divina e increata.
O ra l’umiltà si riferisce propriamente alla riverenza che
l’uom o deve a D io . Pertanto ogni uomo per ciò che ha da sé
stesso, deve sottomettersi <? ciò che c’ è di Dio nel suo prossimo.
N o n è però necessario che sottomettiamo quello che
c’è di D io in n oi a quello che appare di D io negli altri.
C oloro infatti che hanno ricevuto qualche dono da D io ,
sono coscienti di averlo ricevuto, come dice S. Paolo:
« N o i abbiamo ricevuto non lo spirito del m ondo, ma lo
Spirito che viene da D io a fine di conoscere quel che da
D io ci fu elargito » (1 Cor. 2,12). Per questo possono prefe­
rire i doni che essi hanno ricevuto da D io , a quelli che ap­
paiono nel prossim o, senza danno alcuno per l’umiltà.
V IR T Ù C R IS T IA N E E DONI DELLO SP IR IT O SAN TO 735

Similmente, l’umiltà non esige che l’uom o consideri


quello che ha da sé stesso (i suoi peccati), com e cosa peggiore
di ciò che anche il prossimo ha da sé stesso (i peccati altrui).
Diversam ente, qualsiasi uom o, per quanto santo, avrebbe
l’obbligo di considerarsi il più gran peccatore del m ondo,
il che sarebbe manifestamente falso. Possiam o però sempre
pensare che forse il prossimo ha qualche qualità buona che a
noi manca, o che noi abbiamo qualche difetto che non ha il
nostro prossimo; in questo senso, senza falsità o esagerazione,
possiamo sottom etterci .umilmente a tutti gli uom ini »
(161,3).

D a questa dottrina tanto chiara si deduce che l’u o ­


m o, per quanto santo e perfetto, ha sempre m otivi per
um iliarsi profondam ente n on solo dinanzi a D io , ma
anche dinanzi a qualsiasi uom o, per quanto m isera­
bile possa apparire esteriormente.
D ifatti p uò alm eno sempre pensare che, se un m ise­
rabile peccatore avesse ricevu to le grazie e i bene­
fici che D io ha concesso a lui, avrebbe corrisposto alla
grazia m ille vo lte m eglio.
C iò che costituisce il fondam ento ultim o e la radice
dell’umiltà è, quindi, la relazione alle infinite perfezioni di Dio.
Q uesto fa si che tale virtù stia in intima relazione con le
virtù teologali e rivesta un certo carattere di culto e di ve­
nerazione verso D io , che l’avvicina m olto alla virtù della
religione ' °. In base a questo principio si può comprendere
in qualche m odo l’umiltà sempre più grande dei santi e
l’umiltà incomparabile di Gesù. I santi, infatti, a misura
che crescono nella perfezione e nella santità, ricevono pure
da D io m aggiori luci sulle sue infinite perfezioni. Per con­
seguenza, percepiscono sempre più acutamente l’abisso che
esiste fra la grandezza di D io e la loro propria miseria. Sorge
in loro una profonda umiltà per cui si m etterebbero con
piacere ai piedi dell’uom o più vile e spregevole del mondo.
N o n c’è pericolo che le luci di D io facciano insuperbire
un’anima; se procedono effettivamente da lui, esse la som ­
mergeranno sempre più profondam ente nell’abisso dell’u­
miltà.

10 Cf. Dom M a r m i o n , Cristo, ideale del monaco c .r i, dove spiega il ca­


rattere religioso di questa grande virtù.
736 LA V IT A C R IS T IA N A NEL SU O S V IL U P P O O R D IN A R IO

A nch e l’umiltà di N ostro Signore — che d’altra parte


sembrerebbe incompatibile con la piena conoscenza che
aveva della sua santità infinita — ■si spiega perfettamente
con questo principio. D ice Billuart che Cristo in quanto
uom o fu veramente um ile anche con il suo giudìzio interno.
N on poteva assolutamente ritenersi vile o imperfetto, per­
ché conosceva la sua eccellenza e impeccabilità a m otivo
dell’unione personale col Verbo e, per ciò stesso, sapeva
di essere degno di ogn i onore e riverenza. Però la sua
santissima umanità sapeva anche che aveva ricevuto tutto da
Dio e che se, dato e non concesso, fosse stata abbondonara
dalla divinità, sarebbe caduta nell’ignoranza e nell’incli­
nazione al peccato, proprie della natura umana. Per questa
ragione fu, in quanto uom o, veramente umile nel suo giudizio
interno, profondam ente sottomesso alla divinità, e riferi
ad essa tutto il bene che possedeva e tutti gli onori che
gli venivano tributati.
L ’umiltà, di conseguenza, si fonda nella verità e nella
giuttizja. L a verità ci dà la conoscenza esatta di noi medesimi
e la giustizia richiede che diamo a D io tutto l’onore e la
gloria che appartiene a L ui solo (i Tim . 1,17). La verità
ci autorizza a vedere e ad ammirare i doni naturali e sopran­
naturali che D io ha volu to depositare in noi, ma la giustizia
ci obbliga a glorificarne l’autore.
351. 2 . Eccellenza dell’um iltà. - L ’um iltà non
è certam ente la virtù più grande. M aggiori di es­
sa sono le virtù teologali, le intellettuali e la g iu ­
stizia, principalm ente quella legale (1 6 1,5 ). P erò in
un certo senso è il fondam ento n egativo (ut removens
prohtbens) di tutto l ’edificio soprannaturale. E ffettiva­
mente, essa rimuove gli ostacoli a ll’influsso della grazia,
giacché la Scrittura ci dice espressam ente che « D io re­
siste ai superbi e dà la sua grazia agli um ili » (G iac. 4,3).
In questo senso, l’um iltà e la fede sono le due virtù
fondam entali, in quanto che costituiscono le basi di
tutto l ’edificio soprannaturale, che si innalza sull’u ­
m iltà com e fondam ento n egativo — rim uoven do gli
ostacoli — e sulla fede com e fondam ento p o sitivo —
stabilendo il prim o contatto con D io (16 1,5 a d 2)-
352. 3. Sua importanza. - D a quanto abbiam o
V IR T Ù C R IS T IA N E E DONI DELLO S P IR IT O SAN TO 737

detto, si com prende m olto bene che senza l ’um iltà


n on si p uò p rogredire nella vita spirituale. D io è la
som m a verità, e n on p u ò tollerare che qualcuno si
collo ch i volontariam ente fu ori di essa. E siccom e
p er «cam m inare nella verità » è assolutam ente neces­
sario essere um ili, si spiega perfettam ente com e D io
resista ai superbi e dia la sua grazia soltanto agli umili.
Q u an to più alto sarà l ’edificio della vita spirituale che
vo rrem o costruire con la grazia di D io , p iù profon ­
d e dovranno essere le fondam enta dell’um iltà sulle
quali esso si deve innalzare. E cc o alcuni testi di S. T e­
resa che indicano la grande im portanza delFumiltà:
« M i chiedevo una volta perché il Signore ama tanto
l’umiltà, e m i venne in mente d’ im provviso, senza alcuna
m ia riflessione, che ciò deve essere perché egli è somma
verità, e che l’umiltà è verità. È verità indiscutibile che da
parte nostra n on abbiamo nulla di buono, ma solo miseria
e niente. Chi più lo intende, più si rende accetto alla suprema
Verità, perché in essa cammina. C i conceda Iddio, sorel­
le, di non mai Uscire da questo nostro conoscimento! A -
men »
« Siccom e si tratta di un edificio che deve essere fondato
in umiltà, ragione vuole che quanto più ci avviciniam o a
D io tanto più in essa ci perfezioniam o, sotto pena di man­
dar tutto in rovina »
« L ’edificio dell’orazione deve sempre fondarsi sull’umil-
tà: quanto più un ’anima si abbassa nell’orazione tanto più
Iddio l’innalza. N o n mi ricordo di aver mai ricevuto
una sola delle grandi grazie di cui parlerò p iù avanti, se
non quando mi sentivo annientata alla vista della mia mi­
seria » *3 .
« L a prima è l ’amore che dobbiam o portarci vicende­
volm ente; la seconda il distacco dalle creature; la terza
la vera umiltà, la quale, benché posta per ultima, è prim a
ed abbraccia le altre » 1 4.
« Chi non prende questa determinazione non farà mai

11 Seste mansioni 1 0 ,7 .
12 V ita 12,4.
r3 V ita 2 2 , 1 1 .
x4 Cammino 4,4.
73 8 LA V IT A C R IS T IA N A NEL SU O SV IL U P P O O R D IN A R IO

gran profino: ne stia pur sicuro, perché, come ho detto,


l ’um iltà1è il fondam ento dell’edificio, e non mai il Signore
eleverà :di m olto se detta virtù non sarà veramente ben
salda. E ' ciò nel vostro stesso interesse, per evitare che cada
tutto per terra» ' 5.

353. 4 . Gradi dell'um iltà. - Sono state p ro p o ­


ste dai santi e dai maestri della vita spirituale sva­
riate classifiche sulla maniera di praticare questa
virtù tanto im portante. N e esporrem o alcune le quali,
ancorché varino m olto nei dettagli, coincidon o nella
sostanza. L a conoscenza di questi gradi è utile per ren­
dersi conto delle principali m anifestazioni interne ed
esterne che l ’um iltà im porta. Seguirem o l ’ordine c ro ­
n ologico degli autori.
A) I dodici gradi di S. Benedetto.
Il patriarca dei monaci indica nel capitolo 7 della sua
famosa regola dodici gradi dì umiltà 16. S. Tom m aso espo­
ne e classifica codesti gradi (161,6) incominciando dall’ul­
timo:
a) Radice e fondamento:
12. I l timor di Dio e il ricordo dei suoi comandamenti. —
La radice dell’umiltà, difatti, è la riverenza dovuta a D io ,
che ci m uove a sottom etterci totalmente a L u i e alla sua v o ­
lontà.
b) In relazione alla propria volontà, la cui tendenza ad
insuperbire è raffrenata dall'umiltà:
11. N o n voler seguire la propria volontà.
io . Sottom ettersi per obbedienza al superiore.
9, Abbracciare pazientemente per obbedienza le cose
aspre e dure.
c) In relazione alla conoscenza della propria debolezza e
miseria:
8. Riconoscere e confessare i propri difetti.
7. Credere e confessare di essere indegno e inutile a
tutto.

1 ' Settime mansioni 4,8.


16 L i commenta m olto bene D om M a r m io n in Cristo, ideale del mo­
naco c. 11.
V IR T Ù C R IS T IA N E E DONI DELLO SP IR IT O SAN TO 739

6. Credere e confessare di essere il più vile e misera­


bile di tutti.
d) In relazione agli atti o alle manifestazioni esterne:
N ei fatti:
5. Sottom ettersi in tutto alla vita com une, evitando le
singolarità.
Nelle parole:
4. N o n parlare senza essere. interrogato.
3. Parlare brevem ente e a vo ce bassa, non rum orosa.
N ei gesti:
2. N o n essere facili al riso sciocco.
1. Tenere gli occhi bassi.

B ) I sette gradi di S. Anseimo.

L i espose nel suo libro De similitudinibus (c.io iss.).


S. Tom m aso li espone nella Somma Teologica, e li riduce al
sesto e al settimo di S. Benedetto (161,6 ad 3). Essi sono:
1. Riconoscersi degno di disprezzo.
2. D olersi di questo (sarebbe biasim evole amare i pro­
pri difetti).
3. Confessarlo con sincerità.
4. Persuaderne gli altri.
5. Tollerare pazientemente che lo dicano.
6. Tollerare pazientemente di essere trattato com e vile.
7. Rallegrarsi di ciò.

C) I tre gradi di S. Bernardo.

S. Bernardo Ii semplifica i gradi dell’ umiltà, riducendoli


a tre fondamentali'
1. Umiltà sufficiente: sottom ettersi al m aggiore e non pre­
ferirsi all’uguale.
2. Umiltà abbondante: sottom ettersi all’uguale e non pre­
ferirsi all’inferiore.
3. Umiltà sovrabbmdante: sottomettersi all’ inferiore.

D ) I tre gradi di S. Ignazio di Loyola.

S. Ignazio n on parla propriam ente, nei suoi tre fam osi


gradi di umiltà, di questa virtù. Si riferisce piuttosto all’ab­
negazione di se medes m o e a tutto il com plesso della vita

C f. Sentente dì S. Bernardo n.37; M L 183,755.


74 0 LA V IT A C R IS T IA N A NEL SU O SV IL U P P O O R D IN A R IO

cristiana, come appare con ogn i chiarezza dal contesto. Ec­


co le sue parole l8:
Primo grado.
« L a prima maniera d’essere um ili è necessaria per la salu­
te eterna, e consiste in questo che mi abbassi e mi umilii
tanto quanto mi sia possibile, da obbedire in tutto alla legge
di D io nostro Signore; sicché se anche mi facessero signore,
di tutte le cose create in questo m ondo o fosse in gioco la
stessa mia vita temporale, io non venga in deliberazione di
trasgredire un comandamento, sia divino, sia umano, che
mi obblighi sotto peccato grave ».
Secondo grado.
« L a seconda umiltà è più perfetta della prima, e consiste
nel vedere se io mi tro vi in tal disposizione che non vo glia
n é sia inclinato ad avere piuttosto ricchezza che povertà,
onore che disonore, vita lunga che breve, d o v ’è uguale il
servizio di D io nostro Signore e la salute dell’anima mia;
e se inoltre io non venga in deliberazione, per l’acquisto
di tutto il creato o per la minaccia anche della vita, di com ­
mettere un peccato veniale ».
Ter^p grado.
« La terza umiltà è perfettissima; e si ha quando inclu­
dendo la prima e la seconda ed essendoci (nella mia scelta)
ugual lode e gloria della divina Maestà, io, per imitare ed
assomigliare più strettamente a Cristo nostro Signore, vo g lio
ed eleggo piuttosto povertà con Cristo p overo che ricchezza,
obbrobri con Cristo disprezzato che onori, e desiderare più
di essere stimato vano e stolto per Cristo che prim o fu
tenuto per tale, che savio e prudente in questo m ondo ».
E) X tre gradi del ven. Olier.
Il fondatore della Com pagnia di S. Sulpizio espone nella
sua opera — Introduzione alla vita e alle virtù cristiane (c.5) —
i tre gradi di umiltà che devono praticare le ànime fervorose:
1. Compiacersi della propria miseria, allontanandosi dal
peccato, ma accettando la propria abiezione.
2. Desiderare di èssere ritenuto vile, senza far nulla per
perdere la fama, ma rinunciando alla stima ed all’onore.

18 C f. G li E se r c ìzi Spirituali im .1 6 5 -7.


19 A l tem po di S. Ignazio questa parola equivaleva a «ignoran te».
V IR T Ù C R IS T IA N E E DONI DELLO SP IR IT O SAN TO 741

3. Desiderare di essere trattato com e vile, accettando con


piacere disprezzi, um iliazioni e maltrattamenti.

354. 5. L a p r a t ic a d e ll’ u m i l t à 20. - È facile


ric o n o s ce re in teoria il n o stro n u lla d in an zi a D io
e co m p re n d ere ch e n o n a b b ia m o a lcu n d iritto di an te­
p o r c i ai n o s tri sim ili, p e r i n o s tri p ecca ti. M a è diffì­
cile ric o n o scere iti pratica qu este v e rità e q u a n to lo g i­
cam en te d e riv a d a esse in re la zio n e a D io , a n o i stessi
ed al p ro ssim o . A v v ie n e c o n u n a certa fre q u e n z a che
si p re n d a la d e te rm in a zio n e di essere « u m ili d i cu o re »
o d i « accettare co n p ia ce re qualsiasi sp ecie d i u m ilia ­
z io n i » e d o p o p o ch is s im o tem p o si p ro te s ti se q u a lcu ­
n o ha a v u to l ’im p ru d e n za d i cau sarci q u a lch e p icco la
m o lestia o q u a lch e u m ilia zio n e.
I m e zz i p rin cip a li p e r g iu n g e r e alla v e ra u m iltà
del cu o re so n o tre:
a) C h ie d e r l a in s is t e n t e m e n t e a D io . - « O g n i
d o n o p e r fe tto v ie n e d a ll’ alto e scen d e dal P a d re dei lu ­
m i » dice S. G ia c o m o (1 ,1 7 ). L a p e rfe tta u m iltà è u n
gra n d e d o n o ch e D io co n ce d e o rd in ariam en te a c o lo ro
ch e g lie lo c h ie d o n o co n in cessan te o ra zio n e 21.

20 C f . Ta n q u e r e y , Compendio di Teologia ascetica e mistica n n . 1140-53;

M a r m io n , Cristo ideale del monaco, c. 11.


21 E s i s t o n o a lc u n e « l it a n ie d e ll ’ u m i l t à » c h e D o m C. M a r m io n s o le v a
r e c it a r e f r e q u e n t e m e n t e . A n c o r c h é l ’ e f fic a c ia d e ll ’ o r a z io n e n o n s ia v i n c o l a ­
t a a u n a d e t e r m in a t a f o r m u l a , f o r s e p o s s o n o e s s e r e u t i l i a u n a c e r t a c a t e g o ­
r ia d i p e r s o n e :
« S ig n o r e , a b b i p ie t à d i n o i; C r is t o , a b b i p ie t à d i n o i ; S i g n o r e , a b b i p ie ­
t à d i n o i ».
« G e s ù , d o l c e e u m il e d i c u o r e , a s c o lt a c i ».
« G e s ù , d o l c e e u m i l e d i c u o r e ,- e s a u d i s c i c i ».
« D a l d e s id e r io d i e s s e r e s t im a t o ... a m a t o ... c e r c a t o ... l o d a t o ... o n o r a t o ...
p r e f e r i t o ... c o n s u l t a t o ... a p p r o v a t o ... l u s i n g a t o ... l ib e r a m i, o G esù ! »
« D a l t im o r e d i e s s e r e u m il ia t o ... d i s p r e z z a t o ... r e s p i n t o ... c a lu n n ia t o ...
d i m e n t ic a t o ... b u r l a t o ... i n g i u r ia t o ... l ib e r a m i, o G esù ! »
« O M a r ia , m a d r e d e g l i u m i l i , p r e g a p e r m e ».
« S . G iu s e p p e , p r o t e t t o r e d e lle a n im e u m ili, p r e g a p e r m e »,
742 LA V IT A C R IS T IA N A NEL SU O S V IL U P P O O R D IN A R IO

b) G uardare a G e s ù , m o d e l l o in c o m p a r a b il e d i
- G li esem pi sublim i di um iltà che il M aestro
u m il t à .
divin o ci lasciò, sono efficacissimi per spingerci a
praticare questa grande virtù nonostante tutte le resi­
stenze del nostro disordinato am or prop rio. G esù
stesso d in vita a guardare a lui quando ci dice: « Im ­
parate da m e, che sono m ansueto ed um ile di cu o re»
(M at. 11,29)
N ella vita di G esù si possono distinguere quattro tappe
principali nelle quali l ’umiltà brilla della sua luce più abba­
gliante:
1) Nella sua vita nascosta:
a) Prima della nascita: si annientò nel seno di Maria;
si sottom ise ad un arbitrario decreto di Cesare; ebbe le um i­
liazioni della povertà (non c’era posto per essi all’albergo)
e l’ingratitudine degli uom ini (ed i suoi non lo ricevettero).
b) Nella sua nascita: povera, sconosciuta, di notte, in
una m angiatoia..., con attorno pochi pastori ed alcuni ani­
mali...
c) A Nazaret: vita oscura, di semplice manovale,
senza studi, senza lasciar trasparire un solo raggio della sua
divinità ..., obbediente forse persino agli ordini di un padro­
ne, dopo la m orte di S. Giuseppe...: « O rg o g lio , vieni qui a
morire di vergogna! » (Bossuet).
2) Nella sua vita pubblica:
a) Scelse i suoi discepoli tra le persone più ignoranti
e rudi: tra di essi v i erano dei pescatori ed un pubblicano!
b) Cercò e preferì i poveri, i peccatori, gli aflUtti,
i bambini, i diseredati della vita.
c) Visse poveram ente..., predicò con semplicità, u-
sando immagini alla portata del popolin o..., non cercò mai
di attirare l’attenzione...

« S . M ic h e l e , c h e f o s t i i l p r im o a d a b b a tt e r e l ’ o r g o g l i o , p r e g a p e r m e . » .
« T u t t i v o i , o g i u s t i , s a n tific a t i p e r l 'u m i l t à , p r e g a te per m e ».

Orazione. — O G e s ù , i l c u i p r i m o in s e g n a m e n t o è s t a t o q u e s t o : « I m ­
p a r a t e d a m e c h e s o n o m a n s u e t o e u m il e d i c u o r e » , i n s e g n a m i a d essere
<( u m il e d i c u o r e c o m e t e » ( c f. D o m T h i b a u t , Uh maestro della vita spiri­
tuale: Dom Columba Marmion c .4 , p .5 9 ) .
V IR T Ù C R IS T IA N E E DONI DELLO S P IR IT O SAN TO 74 3

d) Com pi dei m iracoli per provare la divinità della sua


missione, ma senza ostentazione alcuna, esigendo, anzi, il
silenzio dopo averli com piuti e nascondendosi alle folle en­
tusiaste che volevano proclamarlo re...
è) Inculcò l’umiltà con la parabola del fariseo e del
pubblicano, raccom andò la semplicità della colom ba, il
candore dei bim bi... N o n cercò mai la sua gloria, essendo
venuto per servire e non per esser servito...
3) Nella sua passione:
ri) Quale m odesto trionfo fu quello della domenica
delle Palme!... un povero asinelio, alcuni rami di u livo, alcuni
mantelli stesi a terra, p overa gente che grida, mentre i fari­
sei protestano...
b) L avò i piedi agli apostoli, G iuda compreso! N el
Getsem ani fu legato com e un pericoloso malfattore... ed
abbandonato dai suoi discepoli.
c) F u schiaffeggiato, schernito, insultato, sputacchiato,
flagellato, coronato di spine, vestito da pazzo, posposto a
Barabba nel pretorio di Pilato.
d) Sulla croce fu bestemmiato... A vreb b e potuto far
si che la terra si aprisse ad inghiottire i suoi carnefici; ac­
cettò invece il più disastroso fallimento, umanamente par­
lando...
4) Nell’Eucarestia!
ri) Si trova completamente in potere della volontà dei
suoi m inistri..., esposto..., chiuso..., visitato..., e più spesso
dimenticato.
b) È completamente nascosto: « In cruce latebat sola
deitas... ».
c) Verso di lui si manca di cortesia..., riceve affronti,
sacrilegi, profanazioni...

La considerazione devota e frequente degli esempi di


umiltà che ci diede e ci dà il M aestro divino, ha un ’efficacia
straordinaria per spingerci alla pratica eroica di questa fon­
damentale virtù. I santi non sanno neppure pensare a gran­
dezze e trionfi umani vedendo il loro D io tanto umiliato.
L ’anima che aspira veramepte a santificarsi deve immergersi
nel suo nulla é praticare la vera umiltà del cuore seguendo
gli esempi di Gesù.

c) S f o r z a r s i d i im ita r e M a r ia , r e g in a d e g li u-
m ili. - D o p o Gesti, M aria è il m odello più sublim e d1
744 LA V IT A CRISTIANA NEL SU O S V IL U P P O O R D IN A R IO

umiltà. V isse sempre nell’attitudine di una povera


schiava del Signore: « E cce ancilla D om in i ». Parlava
poco; non richiam ò mai l’attenzione degli altri; si dedi­
cò ai suoi doveri di sposa e di madre nella povera casetta
di N azaret; apparve sul C alvario com e la madre del
condannato; visse p o i oscuram ente accanto a S. G io ­
vanni, dopo la m orte del Signore; non com pì nessun
m iracolo e non si sa esattamente da quale lu o g o sia
volata al cielo...
Sotto il suo sguardo materno, l’anima deve praticare l ’u­
miltà di cuore verso D io , verso il prossimo e verso sé stessa.
1) Verso Dio:
a) Con spirito di religione..., di sottomissione e di ado­
razione...: « T u solus sanctus... », « N o n nobis D om ine, non
nobis sed nom ini tuo da gloriam » (Salmo 113,1).
b) C on spirito di gratitudine: « Prendete, Signore, e
ricevete... » (S. Ignazio). T u tto quanto abbiamo proviene
da D io...: « A gim u s tibi gratias omnipotens Deus... ».
c) Con spirito di dipendenza: veniamo dal nulla (« de
lim o terrae»: G en. 2,7)...; n oi non possiamo fare nulla sia
nell'ordine naturale che in quello soprannaturale. N e deri­
va un’assoluta dipendenza da D io ..., un riconoscim ento del
nostro nulla..., un totale abbandono in D io ...
Corollari. - 1. Q u a n t o s o n o r i d i c o l e l e « g e n e a l o g i e d e i grandi d e lla
terra! V e n g o n o d a l nulla ».

z. Q u a l e s t o lt e z z a p o n d e r a r e l e n o s t r e p r e t e s e q u a lità l N e l l 'o r d i n e d e l­
l ’ e s s e r e , s i a m o n u ll a ; n e l l ’ o r d i n e d e il ’ o p e r a r e , n o n p o s s i a m o n u lla . D i p e n ­
d ia m o to ta lm e n te d a D io .

3. L ’ o r g o g l i o è q u i n d i u n a g r a n d e m e n z o g n a . S o l o l ’ u m il t à è l a v e r i t à .

2) Verso il prossimo:
a) Am m irare in esso, senza invidia né gelosia, i doni
naturali e soprannaturali che D io gli diede.
b) N o n fermarci intenzionalmente sui suoi difetti...,
scusarli con carità..., salvando almeno la buona intenzione.
c) Considerarci inferiori a tutti, almeno per la nostra
cattiva corrispondenza alla grazia.
3) Verso noi medesimi:
a) A m are la propria abiezione. N on dimentichiamo
V IR T Ù C R IS T IA N E E DONI DELLO S P IR IT O SAN TO 74 5

che se abbiamo commesso un solo peccato mortale, siamo


«riscattati dall’ in fern o»..., siamo « e x soldati di Satana».
Perciò non ci umilieremo m ai abbastanza.
b) Accettare l ’ingratitudine, la dimenticanza, il di­
sprezzo da parte degli altri.
c) N o n parlare mai, né in male né in bene, di n oi me­
desimi. Se parliamo male, lo possiamo fare per ipocrisia,
se parliamo bene c’è il pericolo della vanità. La m iglior cosa
è quella di tacere, come se non esistessimo in questo mondo.

355. 6. V izio opposto all'um iltà. - All’u­


miltà si oppone la superbia od orgoglio (162), che
è l ’appetito disordinato della propria eccellenza. È un
peccato per sé grave, ancorché ammetta parvità di
materia, e possa essere veniale a motivo dell’imperfe­
zione dell’atto (162,5). Ih alcune sue manifestazioni,
come la superbia contro Dio, la negazione delle ve­
rità della fede, è un gravissimo peccato ( 1 6 2 , 6 ), il
maggiore di quanti si possono commettere dopo l’o­
dio contro Dio. La superbia non è un peccato capitale,
ma è la regina e la madre di tutti i peccati ( 1 6 2 , 8 ),
essendo la loro radice e il loro principio ( 1 6 2 , 7 ). F u
il peccato degli angeli (cfr. I, 6 3 , 2 ) e del primo
uomo ( I I - I I ,i 6 3 , i ) . Benché le sue forme siano svaria­
tissime, S. Tommaso, seguendo S. Gregorio, ne indica
quattro principali: a) attribuire a sé stessi i beni che si
posseggono; V) credere che li abbiamo ricevuti in vista
dei nostri meriti; c) vantarài dei beni che non si posseg­
gono e d) desiderare di apparire come unico posses­
sore di tali beni, con disprezzo degli altri ( 1 6 3 , 4 ).

Esamineremo ancora le altre virtù che derivano


dalla temperanza attraverso la modestia.
746 LA V IT A C R IS T IA N A NEL SU O SV IL U P P O O R D IN A R IO

II. L A S T U D IO S IT A ’ (166)

356. È una virtù che ha lo scopo di moderare l'appetito


o il,desiderio di sapere, secondo le regole della retta ragione.
L ’uomo, come dice Aristotele, desidera naturalmente di
conoscere 22. Non vi è nulla di più nobile e di più le­
gittimo. Però questo appetito naturale può deviare
da ciò che è lecito; o si può esercitare più del neces­
sario, abbandonando altre occupazioni più serie o in­
dispensabili; oppure meno del dovuto, trascurando an­
che la conoscenza delle verità necessarie per il compi­
mento dei propri dover'. Per regolare l’appetito natu­
rale di conoscere secondo le norme della ragione e
della fede, c’è la virtù speciale della studiosità.
Ad essa si oppongono due vizi: uno per eccesso, la
curiosità (167), che è l’appetito disordinato di sapere,
e si può riferire tanto alla conoscenza intellettiva quan­
to alla sensitiva. Riguardo all’intellettiva il disordine
è possibile, sia per il cattivo fine, sia per il modo di
desiderare la scienza, e questo o perché si usano mezzi
sproporzionati, come nel caso della magia, dello spiri­
tismo, oppure perché non si riferisce debitamente la
scienza a Dio o si vuole conoscere quello che eccede
le proprie capacità (167,1). Riguardo alla conoscenza
sensitiva è possibile il disordine •— che riceve il nome
di « concupiscenza degli occhi » — in due modi: o
perché non si ordina a qualche cosa di utile, e così
è piuttosto occasione di dissipazione per lo spirito, o
perché si ordina a qualche cosa di cattivo (per esempio
per eccitare la concupiscenza o avere materia di mormo­
razioni e di critiche) (167,2). Questi princìpi trovano sva­
riate applicazioni nelle letture, nelle conversazioni e
negli spettacoli (167,2 ad 2).
i

22 Cf. I. Mftapbys, c .i, n.r. ?


V IR T Ù C R IS T IA N E E DONI DELLO S P IR IT O SAN TO 747

Per difetto si oppone alla studiosità la pigrizia o


negligenza nell’acquisto della verità, che è la volontaria o-
missione dell’apprendimento delle cose che è obbliga­
torio conoscere secondo il proprio stato. È mortale o
veniale secondo che l’obbligo o la negligenza sono gra­
vi o leggere.

III. M O D E S T IA C O R P O R A L E (168,1)

357. È ma virtù che ci inclina a osservare il dovuto de­


coro nei gesti e nei movimenti del corpo. Occorre badare prin­
cipalmente alla dignità della persona, a coloro che ci
circondano e ai luoghi dove ci troviamo.
L a modestia ha una grande importanza individuale e
sociale. D ’ ordinario, nell’esterno dell’uom o traspare chiara­
mente il suo interno. G esti bruschi e scom posti, rumorose
risate, sguardi indiscreti, maniere ricercate ecc. sono indice,
generalmente, di un interno disordinato. A ragione S. A g o ­
stino esorta nella sua famosa R egola di avere particolare cura
della modestia esterna, che tanto può edificare o scandaliz­
zare coloro che ci circondano *3. E la Scrittura ci avverte che
« all’aspetto si riconosce l’uom o, e al vo lto che presenta, si
ravvisa il saggio; l’abbigliam ento di uno, il riso della bocca
e l ’andatura, fanno le spie sul conto di lui » (Eccli. 19, 26-27)-

Alla modestia corporale si oppongono due vizi:


uno per eccesso, Vaffettazione, e un altro per difetto, la
rusticità grossolana.

IV . L ’E U T R A P E L IA (168,2-4)

358 . Ha lo scopo di regolare secondo il retto ordine della


ragione i giochi e i divertimenti. Appartiene anche alla
modestia esterna, della quale è una modalità.

*3 « I n in cessu , statu , h a b itu , e t in o m n ib u s m o tib u s v estris, n ih il fia t


q u o d cu iu sq u a m o ffen d a t a sp ectu m , sed q u o d v e stra m d ecea t san ctitatem »
(S . A gustinu Sj Regula ad servos D e i: M L 32,1380).
748 LA V IT A C R IS T IA N A NEL SU O S V IL U P P O O R D IN A R IO

S. Tom m aso quando descrive questa virtù (168,2) offre


i grandi principi di quella che potrem m o chiamare la « teo­
logia dei divertim enti ». E g li proclama la necessità del riposo
corporale e spirituale per ricuperare le forze perdute
nel lavoro intellettuale o materiale. S’im pone, quindi, la
ricreazione, che è un riposo e un giusto piacere. Però bisogna
evitare tre inconvenienti: ricrearsi in cose turpi o nocive;
perdere completamente la serietà dell’anima; fare qualcosa
che disdice alla persona, al luo go , al tempo e ad altre cir­
costanze simili.

A questa virtù si oppongono due vizi: uno per ec­


cesso, la sciocca allegria (168,3: « inepta laetitia »; cfr.
ad 3), che si dà a divertimenti illeciti, sia per il su o
oggetto medesimo (turpitudini, oscenità, danno al pros­
simi, ecc.), sia per mancanza delle dovute circostanze,
di tempo, di luogo e di persona !l; e un altro per di­
fetto, l ’ eccessiva austerità (168,4: «duri et agrestes »)
di coloro che non vogliono ricrearsi né permettono che
si ricreino gli altri.

V . L A M O D E S T IA N E L L ’O R N A M E N T O (169)

359. È una virtù che deriva dalla temperanza e ten­


de a regolare secondo i l debito ordine della ragione l ’assetto
del corpo e del vestito e l ’apparato delle cose esterne.
S. Tommaso fa notare che nelle cose esterne che
l’uomo usa non esiste il vizio, ma che esso è pos­
sibile da parte delPuomo che ne usa immoderatamente.
Questo disordine può essere duplice: a) in relazione al­
le usanze delle persone con cu i dobbiamo convivere;
e b) per il disordinato affetto con cui si usano, siano o
no disdicevoli ai costumi di c o te s te persone. Q u e s to
affetto disordinato può manifestarsi in tre maniere:
p er vanità, p e r eccessiva sensibilità o p er eccessiva solle-

M I n q u ella ad tertium a v v e r te c h e il m estiere d i is trio n e o com m ed ian te


non è im m o ra le, se si o s se rv a in esso il retto o rd in e d ella rag io n e.
V IR T Ù C R IS T IA N E E DONI DELLO SP IR IT O SAN TO 749

citudine. Contro questi vizi ridicoli — che sono propri


delle donne e degli effeminati — Andronico poneva
tre virtù: l’umiltà, la sufficienza e la semplicità.
Certo, contro la modestia nell’ornamento è possi­
bile anche il disordine per difetto: sia presentandosi in
forma indecorosa secondo lo stato o la condizione
della persona (negligenza, disordine, ecc.), sia prenden­
do occasione dalla medesima semplicità nel vestire per
vantarsi di virtù o di perfezione (169,1).
A motivo della sua speciale importanza e pericolo,
S. Tommaso dedica un altro articolo (169,2) all’ornamen­
to delle donne riguardante il vestito, i profumi, i colo­
ri, ecc. Dice in breve che la donna sposata può adornar­
si per piacere a suo marito ed evitare cosi molti incon­
venienti. Le donne non sposate peccherebbero mortal­
mente se per mezzo di codesti ornamenti si propones­
sero un fine gravemente cattivo. Se si adornano per
semplice vanità o leggerezza femminile, e non ne se­
guono gravi inconvenienti, peccano soltanto venial­
mente. Non peccherebbero però neppure venialmente
se si adornassero soltanto per adattarsi al costume ge­
nerale — del resto non peccaminoso — , benché tale
costume non sia lodevole.

IL D O N O D EL T IM O R E
E LA V IR T Ù ’ D ELLA TEM PERANZA

360. Abbiamo già visto (cfr. n. 249) come il dono


del timore perfezioni anzitutto la virtù della speranza,
e poi quella della temperanza. S. Tommaso spiega
cosi questa dottrina:
« A lla temperanza spetta anche qualche dono, cioè,
quello del timore, che raffrena l’uom o riguardo ai piaceri
carnali, secondo l’espressione del Salmo (118,120): « Confi-
ge timore tuo cames meas ». Il dono del timore mira princi­
palmente a D io , di cui ci fa evitare l’offesa; e in questo sen­
750 LA V IT A C R IS T IA N A NEL SU O SV IL U P P O O R D IN A R IO

so spetta alla virtù della speranza. Secondariamente, tutta­


via, può mirare pure a qualsiasi altra cosa dalla quale l’uo ­
m o si allontana per evitare l’offesa di D io ; e in questo senso
l ’uom o ha bisogno del tim ore divino soprattutto per fu g­
gire dalle cose che più irresistibilmente lo seducono, come
sono quelle che appartengono alla temperanza. E , per ciò
stesso, anche alla temperanza spetta il dono del tim ore»
{141,1 ad 3).
Secondo questa dottrina, il dono del timore spet­
ta alla virtù teologale della speranza quando l’uomo,
sotto il suo influsso, evita attentamente il peccato per
riverenza a Dio e in vista della sua grandezza infinita;
e spetta alla virtù cardinale della temperanza quando,
in conseguenza del grande rispetto alla maestà divina
che il dono ispira, procura di non incorrere nei peccati
verso i quali si sente maggiormente proclive, come sono
quelli che hanno per oggetto i piaceri della carne.
È certo che la temperanza, con tutto il corteo delle
virtù che da essa derivano, ha pure questa stessa fi­
nalità. Però finché resteranno sotto la guida della
sola ragione illuminata dalla fede, non potranno essere
perfette. È necessario che lo Spirito Santo, mediante
il dono del timore, venga in aiuto dell’uomo con la
sua onnipotente mozione affinché possa controllare
perfettamente i piaceri del senso e gli incentivi al pec­
cato. È semplicemente l’applicazione a un caso parti­
colare, della dottrina generale sulla necessità dei doni
per la perfezione delle virtù infuse, cioè, per la stessa
perfezione cristiana.
Per tutto quello che riguarda tale dono rimandiamo
il lettore ai nn.248-53.
LA V IT A DI O R A Z IO N E 751

C A P IT O L O III

LA V ITA DI ORAZIONE

S. T h . , 1 1 - 1 1 , 8 3 ; S u a r e z , D e virtute et statu religioni* t r . 4 « d e O r a t i o n e »


S. F r a n c e s c o d i S a l e s , Filotea 1 1 , 1 - 1 3 ; Teotimo 1. 6 e 7 ; S. A l f o n s o de,
L i g u o r i , D e l gran me?~ji della preghiera; F r . L u i s d e G r a n a d a , Libro de la
oración y meditación; P . L a P u e n te , G uia espiritual t r . 1 - 3 ; S c a r a m e li.i,
D irettorio ascetico; Direttorio mìstico; B o s s u e t , Instructions sur les ètats d'orai-
son; R i b e t , L ’ ascétìque chrétienm c c . 2 1 - 2 4 e L a mystique divine, 1 . 1 ; M e y n a r d ,
Trattato della vita interiore I 1 1 ,2 c . i ; M a s s o u l i é , Traitéde la vèrìtable orai-
son; L e h o d e y , L e vìe dell'orazione mentale; M o n s a b r é , L a preghiera; A r i n t e -
r o , Grados de oración; P o u l a i n , D e lle grazie d'orazione-, T a n q u e r e y , Competi-
dio di Teologia ascètica e mistica; M a u m i g n y . Pratica dell'orazione mentale;
S au d re au , I gradi della vita spirituale; G a r r i g o u - L a g r a n g e , Perfezione
e contemplazione; L e tre età; S e r t i l l a n g e s , L a prière.

361. Affronterem o adesso uno dei più im portanti aspet­


ti della vita spirituale. D o p o u n ’ampia introduzione sull’ora­
zione in generale, esporremo i gradi ascetici dell’orazione;
l’orazione vocale, la meditazione, l’orazione affettiva e di
semplicità; esamineremo la natura della contem plazione in­
fusa e le questioni relative ad essa; esporremo, infine, i gra­
di mistici dell’orazione: il raccoglim ento infuso, la quiete,
l’unione semplice, l’unione estatica e l’unione trasformante.

Sezione I
L ’orazione in generale

Riassumiamo in questa sezione la dottrina di S. Tom m a­


so contenuta nella questione 83 della Secunda secundae della
Somma Teologica.

362 . 1. Natura. - La parola orazione si può


usare in diversi sensi. Il suo significato varia secondo
752 L A V IT A C R IS T IA N A N EL SU O S V IL U P P O O RDIN ARIO

c h e si p re n d e n ella sua a cce z io n e gram m atica le, lo g ic a ,


re to rica , g iu rid ic a o te o lo g ic a . A n c h e n ella sua a cce­
z io n e te o lo g ic a è stata defin ita in d iv erse m an iere,
b e n c h é c o in cid a n o tu tte n ella so stanza. E c c o n e al­
cu n e:
a) S. Gregorio Nisseno; « L ’ orazione è una conversazione
o colloquio con D io » I.
b) S. Giovanni Crisostomo: « L ’orazione è parlare con
D io » ».
c) S. Agostino: « L ’orazione è il pensare a D io con pio
e umile affetto » 3.
d) S. Giovami Damasceno: « L ’orazione è l ’elevazione della
mente a D io » 4. O ppure: « L a petizione a D io di cose
convenienti » 5.
e) J’. Bonaventura: « L ’ orazione è il pio affetto della mente
diretto a D io » 6.
f) ì'. Teresa: « N o n è altro che un intim o rapporto di
amicizia, un frequente intrattenimento da solo a solo con
C o lu i da cui sappiamo d’essere amati » i.

D i tu tte qu este fo rm u le S. T o m m a s o a cco lse q u e l­


le d i S. G io v a n n i D a m a sc e n o 8, ch e riu n ite, su o n an o
co si: L ’orazione è l ’elevazione della mente a Dio per lodarlo
e chiedergli delle cose convenienti alla salvezza eterna.
È l'elevazione della mente a Dio... - L ’orazione per sé
è un atto della ragione pratica (83,1), non della volontà, come
ritennero alcuni scotisti. O g n i orazione suppone una eleva­
zione della mente a D io . Chi rimane distratto, in pratica non
fa orazione.
D iciam o « a D io » perché l’orazione, com e atto di reli­
gion e (83,3), si dirige propriamente a lui, giacché solo dal
Signore possiamo ricevere la grazia e la gloria, alle quali si

1 Orat. 1 de orat, dominic.', M G 4 4 ,112 5 .


2 In Gen. hom. 30, n .5 ; M L 53,280.
3 L ib . de spirita et anima M L 39,188 7.
4 D e fide 1. / 3, c.24; M L 94,1090.
5 Ivi.
6 In lìb. I l i Seni., d ist.7 , a.2, q,3.
7 V ita 8,5. S i rife risc e p ro p ria m e n te a ll’ o ra z io n e m en tale.
8 C f. 11-11,83 1 c. e t a d 2;
LA V IT A DI O R A Z IO N E 75 3

devono ordinare tutte le nostre orazioni (83,4); ma possiamo


fare intervenire anche g li angeli, i santi e i giusti della terra
affinché coi lo ro meriti e la loro intercessione siano più
efficaci le nostre orazioni (ivi).
b) ...per lodarlo... - È una delle finalità più proprie e più
nobili dell’orazione. Sarebbe un errore pensare che serve
solo com e semplice m ezzo per chiedere grazie a D io . L ’ado­
razione, la lode, la riparazione dei peccati ed il ringrazia­
mento per i benefici ricevuti quadrano mirabilmente con
l’orazione (83,17).
c) ...e chiedergli... - È la nota più tipica dell’orazione
essendo proprio di colui che prega chiedere. E g li si sente de­
bole, sa di essere indigente, e per questo ricorre a D io af­
finché abbia pietà di lui.
L ’orazione, dal punto di vista teologico, si può intendere in tre maniere:
a) in senso molto ampio, è una elevazione deiranima a D io per mezzo di qual­
siasi virtù infusa; b) in senso più proprio, è l’elevazione dell’anima a D io pro­
dotta dalla virtù di religione con il fine di lodarlo o rendergli culto; e c)
in senso stretto, è l’elevazione della mente a D io prodotta dalla virtù di reli­
gione, però con finalità deprecatoria. É l’orazione di supplica o di petizione.
d) ...delle cose convenienti a lla salvezza eterna. - È lecito
chiedere anche cose tem porali (83,6), non però in m odo prin­
cipale, ma unicamente com e strumenti per m eglio servire
D io e tendere alla nostra eterna felicità. Per sé, le petizioni
proprie dell’orazione si riferiscono alla vita soprannaturale.
L e cose temporali si possono chiedere com e per giunta e
con una totale subordinazione agli interessi della gloria di
D io e la salvezza delle anime.

363. 2. Convenienza e necessità d e ll’orazione.


- I. Convenienza. - F u negata da m olti eretici;
d) I deisti, gli epicurei e alcuni peripatetici negano la p ro v­
videnza di D io . Se D io non si cura di questo m ondo, l’ ora­
zione è inutile.
b) T utti quelli che negano la libertà; i fatalisti, i deter­
ministi, g li stoici, i valdesi, i luterani, i calvinisti, i giansenisti, ecc.
N e l m ondo — dicono — avviene quello che necessariamente
deve avvenire. T utto « sta scritto », dicono gli arabi. È
inutile perciò chiedere che le cose avvengano in un’altra
maniera.
c) G li indovini, ì maghi, ecc., vanno all’estremo opposto
754 LA V IT A C R IS T IA N A NEL SU O SV IL U P P O O R D IN A R IO

dicendo che D io si può costringerlo a mutare con l ’arte


dell’incantesimo e della magia.
L a v e ra so lu zio n e v ie n e data da S. T o m m a so (83,2).
E g l i cita, n e ll’a rg o m e n to sed contra, l ’a u to rità d i G e s ù
C r is to ch e d ice n el V a n g e lo : « O p o r te t sem p er orare
e t n o n d e fice re » (L u c a 18 ,1). N e l c o rp o d e ll’a rtico lo
in se g n a che sp etta alla d iv in a P r o v v id e n z a d eterm in a ­
re q u a li effetti si d e v o n o p ro d u r re n el m o n d o , p e r q u a ­
li cause seco n d e e co n q u a le o rd in e . O ra , tra le cause
seco n d e fig u ra n o p rin cip a lm e n te g li atti u m an i, d i cu i
l ’ o ra zio n e è u n o dei p iù im p o rta n ti. D u n q u e , è c o n v e ­
n ien tissim o p re g a re , n o n p e r ca m b iare la P r o v v id e n z a
di D io , che è a sso lu ta m en te im m u ta b ile , m a p e r o tte ­
nere da essa q u e llo ch e da tu tta l ’ etern ità ha d eterm in a ­
to d i co n ce d e re a d o r a z io n e .
L ’ o ra zio n e c io è n o n è causa n el sen so ch e m u o v a
in q u e sto o q u e l sen so la v o lo n tà di D io , dal m o m e n to
ch e e g li n o n p u ò essere d eterm in a to da q u a n to è a
lu i e strin seco. T u tta v ia è causa da p arte delle cose,
n el sen so ch e D io ha d is p o s to ch e tali co se sian o v in ­
co la te a ta l’ altre e ch e si co m p ia n o le u n e se si p r o d u ­
co n o anch e le altre. È u n v o le r e d i D io condizionato,
co m e se a vesse d e tto da tu tta l ’etern ità: « C o n c e d e rò
tale g ra z ia so lta n to se m i sarà ch iesta, d iv ersa m e n te,
n o ». P e r co n se g u e n za , n o n m u tia m o c o n l ’ o ra zio n e
la v o lo n tà d i D io , m a ci lim itia m o a en trare n ei su o i
d iseg n i etern i. P e r q u e sto o c c o rr e ch ied ere sem p re le
co se in co n fo rm ità alla sua v o lo n tà p e r c h é d iv ersa -
m ente, o ltre a d isp ia ce rg li, la n o stra o ra zio n e n o n o t­
terre b b e a sso lu tam en te n ulla.
Errano quindi coloro che cercano di conseguire qualche
cosa — quasi sempre di ordine temporale — ad ogni costo,
anche quando non fosse conform e alla volontà di D io.
Il cristiano può chiedere assolutamente i beni relativi alla glo ­
ria di D io e alla salvezza dell’anima propria o altrui, perché
questo coincide certamente con la volontà di D io e non
c’è pericolo di eccedere (83,5); le cose temporali come la
LA V IT A DI O R A Z IO N E 755
salute, il benessere, la vita lunga, ecc., si devon o chiedere
sempre con la condizione, im plicita nella nostra abituale sot­
tomissione a D io , che siano conform i alla volon tà di D io e
convenienti alla salvezza propria o altrui (83,6). L a m igliore
form ula è il Padre nostro, nel quale chiediamo tutto quello
di cui abbiamo bisogno con totale sottom issione al com pi­
m ento della volontà di D io in questo m ondo e nell’altro.
Corollari. - 1. L ’orazione n on è, quindi, u n a semplice
condizione, ma una vera causa seconda condizionale. N o n si
può raccogliere senza avere seminato: la semina n on è sem­
plice condizione, ma causa seconda della raccolta.
2. L ’orazione è causa universale. Infatti la sua efficacia
si può estendere a tutti gli effetti delle cause seconde, naturali
o artificiali: p iogge, raccolti, guarigioni, ecc., ed è più ef­
ficace di qualsiasi altra. Q uando, per esempio, un inferm o ha
perso la speranza negli aiuti umani, rimane ancora il ricorso
all’orazione; e alle volte si produce il miracolo.
3. L ’orazione è propria degli esseri razionali (angeli e
uomini), non delle divine persone — • che non hanno un
essere superiore al quale chiedere — , né degli animali bruti,
che mancano di ragione (83,10).

È , quindi, convenientissim o pregare. L ’orazione


ci apporta sempre grandi van taggi. Infatti per m ezzo
di essa:
1) Pratichiamo un atto di religione.
2) Ringraziam o D io per i suoi benefici.
3) Esercitiam o l’umiltà, riconoscendo la nostra povertà
e chiedendo un’elemosina.
4) Esercitiam o la fiducia in D io chiedendogli cose che
speriamo di ottenere dalla sua bontà.
5) Siamo portati ad una rispettosa familiarità con D io ,
nostro amantissimo Padre.
6) Entriam o nei disegni di D io , che ci concederà le
grazie che ha vincolato da tutta l’eternità alla nostra orazione.
7) E leviam o la nostra dignità umana: « L ’uom o non è
mai cosi grande com e quando sta in ginocchio ». G li animali
non pregano mai...

364. II. Necessità. - L ’orazione n on è soltanto


conveniente, m a anche assolutamente necessaria nel
piano attuale della P rovviden za.
756 LA V IT A C R IS T IA N A NEL SU O SV IL U P P O O R D IN A R IO

C i so n o d u e sp ecie di n ecessità: di precetto e d i


me%j(p. L a p rim a su p p o n e u n c o m a n d o d el su p erio re
ch e asso lu ta m en te p a rla n d o p o tr e b b e essere r e v o c a to
e n o n è rich iesta dalla n atu ra stessa d elle co se. L a se­
c o n d a è co s i n ecessaria, ch e p e r sé n o n a m m ette e c­
ce zio n e alcun a: è rich iesta dalla n atura stessa delle cose.
Q u e s t’u ltim a , q u a n d o si tratta d i atti u m an i, si p u ò
a n co ra s u d d iv id e re in: a) n ecessità di m e zz o e x institu-
tione, ossia, p er legge ordinaria, p e r generale d isp o sizio n e
d i D io , ch e a m m ette, tu tta v ia , q u a lch e e cce z io n e (per
es., il sacram en to del b a tte sim o è n ecessario co m e
n ecessità d ì mesgo p e r salvarsi, p e rò D i o p u ò su p p lirlo
in u n s e lv a g g io c o n u n a tto d i p erfe tta c o n trizio n e , ch e
c o n tie n e im p licita m e n te il d e sid erio d el battesim o);
e b) n ecessità di m e zz o e x natura rei, ch e n o n am m ette
e cce z io n e a lcu n a p e r n essu n o (p er es., la g ra z ia santi­
fican te sen za la q u a le n essu n o si p u ò salvare).
L ’ o ra zio n e è necessaria: i ) p e r n ecessità d i p re cet­
to , e z) p e r n ecessità di m e z z o ex institutione divina.
l) È N E C E S S A R I A P E R N E C E S S I T À D I P R E C E T T O (83,3
ad 2). - C ’ è u n p re cetto divino, naturale e d ecclesiastico:
a) Divino: consta chiaramente dalla Scrittura: « V igilate
e pregate» (Mat. 26,41). « È necessario pregare sempre sen­
za scoraggiarsi m ai» (Luca 18,1). «Chiedete e riceverete»
(Mat. 7,7). « N o n cessate di pregare » (1 Tess. 5,17). « P er­
severate assiduamente nella preghiera, e vigilate in essa
con azioni di grazie» (Col. 4,2), ecc.
b) Naturale: l’uom o è pieno di necessità e di miserie,
ad alcune delle quali soltanto D io può rimediare. Perciò
la semplice ragione naturale ci dice che è necessaria l’orazio­
ne. D ifatti, in tutte le religioni del m ondo ci sono dei riti
e delle orazioni.
c) Ecclesiastico: la Chiesa comanda ai fedeli di recitare
certe orazioni nell’amministrazione dei sacramenti, in unio­
ne col sacerdote al termine della messa, ecc., e impone ai
sacerdoti e religiosi di vo ti solenni l’obbligo, sotto pena di
peccato mortale, di recitare il breviario in suo nom e per la
salute di tutto il popolo.
LA V IT A DI O R A Z IO N E 757

Q u an d o o b b l ig a co n cr etam en te qu esto pr e ce t ­
t o - O ccorre distinguere un duplice ob bligo: per se
?
e per accidens.
Obbliga gravemente « per se ». - a) A ll'in izio della vita
morale, ossia quando il barn-bino giunge -al perfetto uso -del­
la ragione, perché ha l’obbligo di tendere a D io com e a ul­
timo fine.
V) In pericolo di m orte, per ottenere la grazia di salvarsi.
c) Frequentem ente durante la vita. Siccom e tale fre­
quenza non è ben determinata dalla legge sono sorte molte
opinioni tra gli autori. Tuttavia colui che va alla messa tutte
le dom eniche e fa qualche preghiera tutti i giorni p uò stare
tranquillo perché osserva questo precetto.
Obbliga « per accidens ». - a) Q uando sia necessario p er
com piere un altro precetto obbligatorio (per es., il com pi­
mento della penitenza sacramentale).
b) Q uando sopraggiunge una fo tte tentazione che non
si potrà vincere senza l’ orazione, perché siamo obbligati a
prendere tutti i mezzi necessari per non peccare.
c) N elle grandi calamità pubbliche (guerre, epidemie,
ecc.). L o esige allora la carità cristiana.

2) È N E C E S S A R IA a n c h e per n e c e s s it à d i m ezzo ,
PE R D IV IN A IS T IT U Z IO N E , A L L A S A L V E Z Z A D E G L I A D U L T I.
- È dottrina com une e assolutamente certa in Teologia*
Ci sono m olte testim onianze dei ss. Padri, tra le quali
prim eggia quella di S. A g o stin o , che fu accolta e com ple­
tata dal C on cilio di Trento: « D io non com anda cose
im possibili; e quando ci com anda una cosa, ci avverte
di fare quello che possiam o e di chiedere quello che n on
possiam o e ci aiuta affinché possiam o » 9. Soprattutto
la perseveranza finale n on si ottiene ordinariam ente se
n on con l ’um ile e perseverante orazione. Per questo
scrive S. A lfo n so de’ L iguori:
« Terminiamo questo prim o punto, concludendo insom­
ma da tutto quel che si è detto, che chi prega certamente si
salva, chi non prega certamente si danna. T utti i beati, eccettuati.

9 C f . S. A u g u s t i n u s , D e natura et gratia c .4 3 , n .5 0 ; M L 4 4 ,2 7 1 , e D en z .
604.
758 I.A V IT A C R IS T IA N A N EL SU O S V IL U P P O O RDIN ARIO

i bambini, si son salvati col pregare. T u tti i dannati si sono


perduti per non aver pregato; se avessero pregato non si
sarebbero perduti. E questa è, e sarà la loro m aggiore dispe­
razione nelTinferno, l’aver p otuto salvarsi con tanta facilità,
quant’era il domandare a D io le sue grazie, ed ora non es­
sere, i miseri, più a tem po di dom andarle»10.
L ’u om o quindi deve pregare per legge ordinaria a
m o tiv o dell’espressa disposizione di D io . C i sono,
tuttavia, delle eccezioni. N essu n o p u ò penetrare il
m istero della predestinazione divina. D io ha concesso
le sue grazie, a vo lte, a co lo ro che n on gliele chiede­
van o (per es., a S. P aolo sulla via di D am asco). È
certo però che « n on le nega mai a coloro che gliele chie­
d on o con le do vu te disposizioni » (M at. 7,8). D i conse­
guenza, colui che p rega con fiducia otterrà di fatto le
grazie necessarie p er la sua salvezza, b enché in m odo
eccezionale e per m iracolo possa salvarsi anche colui
che n on prega.
L o spirito di orazione è perciò un grandissimo segno di
predestinazione, mentre la svogliatezza e la noia dell’ora­
zion e è u n segno negativo veramente tem ibile di riprovazione.

365. 3 . Chi si deve pregare (8 3 , 4 e 1 1 ). - L ’ o­


razione di supplica — a m o tivo del so g getto a cui
è indirizzata — si p u ò considerare in due maniere:
in quanto si chiede qualcosa ad un altro direttamen­
te e affin ch é egli stesso ce lo conceda, o indirettamen­
te, affinché ce l ’ottenga da u n ’altra persona superiore
(semplice intercessione ).
N el prim o senso solo a D io si d evono chiedere
le grazie di cui abbiam o b iso gn o , perché tutte le nostre
orazioni si d evo n o ordinare al conseguim ento della
grazia e della gloria, che soltanto D io p u ò dare, com e
dice il salmo: « G rati am et gloriam dabit D om inus »

10 S . A l f o n s o d e * L x g u o r i , D e l g r a n m e z z o d e l l a p r e g h i e r a p . i c . i .
LA V IT A DI O R A Z IO N E 759

(S alm o 83,12). Q u e s ta specie di o ra zio n e d iretta ai'


san ti sareb b e id o latria.
N el secondo senso — com e sem plici intercessori
— si possono e si d evono pregare g li angeli, i santi,
i beati del cielo e specialm ente la SS. V ergin e media­
trice universale di tutte le grazie.

Proposizione: E ’ lecito ed è molto conveniente in­


vocare i santi affinchè intercedano per noi.

E rro ri. - M olti eretici, tra cui Eustazio di Sebaste, V ig i-


lanzio, i catari, i 'wiclefiti, i luterani, i calvinisti, ecc., di­
cono: a) che Cristo è l’unico mediatore tra D io e gli uomini
b) che i santi non conoscono le nostre orazioni; c) che D io
è cosi buono da non aver bisogno di intercessori per darci
quello che ci manca.
Risposta: - a) Cristo è l ’unico mediatore di redenzione,
ma nulla impedisce che i santi siano mediatori di interces­
sione avvalorando le nostre orazioni con le loro e pregando
D io perché le esaudisca.
b) È falso che non le conoscano. Tutte le nostre petizio­
ni difatti le vedon o nel V erb o di D io , nel quale si riflette
quanto avviene nell’universo come in uno schermo cinema­
tografico (83,4 ad 2), anche se si tratta di orazioni semplice-
mente interne, non manifestate con segni esterni: « etiam
quantum ad interiores motus cordis », dice espressamente
S. Tom m aso (ivi).
c) L a bontà infinita di D ìo non è incompatibile con l’in­
tercessione dei santi, ma si armonizza mirabilmente con essa.
D io è un Padre amantissimo che si compiace di vedere i suoi
figli intercedere i suoi doni gli uni per g li altri.

D o t t r i n a d e l l a C h i e s a . - Il C o n cilio di T ren to
proclam ò l ’utilità e la convenienza d ’invocare i santi e
di venerare le lo ro reliquie e le sacre im m agini u .
È , quindi, una verità di fede.
Le principali ragioni teologiche che la giustificano
sono:

11 Cf. D enz. 941, 952, 984, 998; cf. ancora Den2. 342, 679.
760 LA V IT A C R IS T IA N A NEL SU O SV IL U P P O O R D IN A R IO

a) L a bontà divina, che ha vo lu to associarsi le sue


■creature (M aria, g li angeli, i santi, i beati e i g iu ­
sti della terra) nel conseguim ento e nella distribuzio­
ne delle sue grazie.
b) L a comunione dei santi, che ci incorpora a C risto
attraverso al quale le grazie circolano da u n m em bro
.alPaltro.
c) L a perfettissima carità dei santi, che li m uove
a intercedere per le nostre necessità, che ve d o n o e
co n o sco n o nel V e rb o d ivin o la.

Q u e s t io n i co m plem en tar i

1 , Con che specie di culto si devono invocare e onorare. -


Il culto di latria è proprio ed esclusivo di D io . A dorare i
■santi sarebbe un gravissim o peccato di idolatria (94,1-3).
A i santi è d o vu to il culto di dulia (103,2-4), e alla SS. V ergin e,
p er la sua eccelsa dignità di M adre di D io , quello di iptrdu-
lia (Ivi, 4 ad 2).
2. E ’ sempre efficace la loro intercessione? - S. Tom m aso
risponde (III, Suppl. 72,3) facendo una distinzione. Ci sono
due specie di intercessione: a) una espressa, che consiste
nell’intercessione esplicita e attuale in favore di questa o di
■quella persona determinata; e è) e un’altra interpretativa (im­
plicita o abituale), che sgorga dai loro meriti contratti in
questo m ondo, la sola presenza dei quali davanti a D io co­
stituisce una incessante intercessione ini nostro favore,
-come il sangue di Cristo parla per n oi al Padre m eglio di
■quello di A bele (Ebr. 12,24) *3.
In questo secondo senso (intercessione interpretativa)
non sempre sono esauditi; ùon perché la loro orazione non
sia per sé efficace per ottenerci qualsiasi grazia, ma perché
n oi possiamo porre qualche ostacolo alla sua recezione. M a
nel prim o senso (intercessione espressa), sempre sono ascol­
tati, giacché non chiedono mai se non quello che vedono
•chiaramente che D io vu ole concedere.

12 Ci sono altre ragioni che sì possono vedere in S. Tom m aso ( 11-11 ,


-83,11 e Suppl. 72).
x3 L a Chiesa accoglie frequentem ente nella sua liturgia queste due spe-
<ie di intercessione: « Concede nos D om ine, meritis et intecessione Sancti... ».
LA V IT A DI O R A Z IO N E 761
Difficoltà. - D unque, è oziosa l’intercessione dei santi perché qu ello
che D io vu ole concedere, lo concederebbe ugualm ente senza di essa.
Risposta. - D io può avere determinato da tutta l’eternità di concedere:
codeste grazie se gliele chiederanno e di negarle in caso contrario. Q u in d i
l’orazione dei santi è utilissima, n on p er cambiare la volon tà di D io , ma per­
ché essi entrano nei disegni di D io , che vu ole e attende la lo ro orazione
(ivi, 3 ad 5). È una semplice applicazione del p rincipio che abbiam o stabili­
to prim a riguardo alla convenienza ed efficacia dell’orazione.

3. Potere della loro intercessione. - Il potere di inter­


cessione dei santi dipende dal grado dei meriti acquistati
in questa vita e dal grado di gloria corrispondente. I santi
più gloriosi hanno un potere d’intercessione m aggiore da­
vanti a D io perché la loro orazione è più accetta. In questo-
senso è incomparabile il potere d’intercessione della SS.
V ergin e poiché supera quello di tutti gli angeli e di tutti i
santi assieme.
N o n si d evon o però invocare unicamente la SS. V ergin e M aria o 1 santi
più conosciuti. S. Tom m aso dice che è conveniente invocare anche i santi
inferiori: a) perché forse ci ispira una m aggiore d evozion e un santo infe­
riore che un santo superiore; ora dalla devozione dipende in gran parte
l’efficacia dell’ orazione; b) perché una certa varietà evita il fastidio e la m o­
notonia; c) perché certi santi ottengono grazie speciali; d) perché a tutti è
d o vu to l ’onore; ed e) perch é possono conseguire, tra tutti, quello che fo rse
uno solo n on conseguirebbe (Suppl. 72,2 ad 2). In un altro passo paralle­
lo (II-H, 83,11 ad 5) aggiunge ancora una ragione: perché forse D io v u o le
manifestare con un m iracolo la santità del suo servo. D iversam ente si d o ­
vrebbe concludere logicam ente che basterebbe im plorare direttamente la
m isericordia di D io senza l’intercessione di nessun santo (ivi).

4. Si possono invocare le anime del purgatorio per ot­


tenere qualche grazia? - L a Chiesa non ha determinato nulla
riguardo a tale questione m olto discussa tra i teologi. San
Tom m aso ritiene di no, e adduce due ragioni m olto forti:
a) perché non conoscono le nostre petizioni non godendo
ancora della visione del V erb o nel quale le vedrebbero ri­
flesse (83,4 ad 3); b ) perché quelli che stanno nel purga­
torio, benché siano superiori a noi per la loro im peccabili­
tà, sono inferiori quanto alle pene che stanno soffrendo; e
in questo senso non si trovano in condizione di pregare p er
noi, ma piuttosto hanno bisogno che noi preghiam o per
loro (83,11 ad 3).
N onostante le fortissim e ragioni di S. Tom m aso, m olti teo lo gi anche to ­
misti difendono la risposta affermativa fondandosi in ragioni n on disprez-
762 LA V IT A C R IS T IA N A NEL SU O S V IL U P P O O R D IN A R IO

zabili. L e anime del purgatorio, dicono, possono chiedere in generale per le


nostre necessità (ancorché n on le conoscano concretamente) secondo
g l’im pulsi del lo ro am ore verso di noi o della carità universale. Q uesto qua­
drerebbe m olto bene co l dogm a della com unione dei santi, che pare im pli­
care una certa reciprocità o m utuo beneficio tra i m em bri delle tre chiese
d i Cristo. Possiam o anche offrire a D io i m eriti contratti in questo m ondo
per le anime attualmente nel purgatorio (intercessione interpretativa). E se è
ce rto che non ved on o le nostre necessità concrete, perchè n on go d on o an­
cora della vision e beatifica, non è im possibile che D io gliele faccia in qual­
che m odo conoscere (mediante un ’ispirazione interiore, Vangelo custode,
co lo ro che giu n go n o dalla terra, ecc.), e che possano quindi intercedere in
m od o concreto per n oi (cfr. 1,89,8 ad 1).
Forse si potrebbe proporre la soluzione affermativa'. n base ai seguenti
dati:
a) E di fede che possiamo aiutare le anime del purgatorio con le nostre
orazion i (D enz. 950).
b) N o n sappiam o in che proporzione n é in che form a vengano lo ro ap­
plicati i suffragi, benché si supponga in form a di alleggerimento dei loro pati­
menti e di riduzione del tem po della loro permanenza in purgatorio.
c) L ’anima, quando nota l ’alleggerim ento del suffragio, può logicam ente
pensare che qualcuno sta pregando per lei; e allora, m ossa dalla gratitudine,
prega D io secondo le intenzioni di quella persona caritatevole benché ignori
ch i essa sia o quali intenzioni abbia.
Osservazioni. - 1. N o n pare ammissibile che si possano dare fenom eni di
radioestesia, telepatia, ecc., tra le persone di questo m ondo e le anime del
purgatorio (per es., tra un figlio e sua madre defunta), perché questi fen o­
m eni si trasm ettono m ediante le onde hertziane attraverso l’atmosfera, e
colpiscono l’ipersensibilità e affinità organica dei due soggetti. Il purgatorio
è estraneo all’atmosfera, e le anime separate n on hanno più organi sensitivi
a loro servizio.
2. Succede m olte v o lte di svegliarsi a un'ora determinata d opo aver in­
vocato per questo le anime del purgatorio. T ale fenom eno p sicologico si
può spiegare facilm ente con cause semplicemente naturali (per es., la stes­
sa preoccupazione o desiderio latente nella subcoscienza).

366. 4. Per chi si deve pregare (83,7-8). - Si


p u ò stab ilire il p rin c ip io ge n era le segu en te: Possiamo \
e dobbiamo pregare non soltanto per noi stessi, ma anche •
per qualsiasi persona capace della gloria eterna. \
Ragione. - È possibile per il dogm a della comunione
dei santi. L a carità cristiana — e alle volte la giustizia — ce ne
fa un obbligo. Dunque, è certo che possiamo e dobbiamo •
LA V IT A DI O R A Z IO N E 76S

pregare per tutte le creature capaci dell’eterna gloria, senza


escludere nessuna in particolare: « Pregate gli uni per g li
altri perché v i salviate » (Giac. 5,16).
Applicazioni. - 1. Bisogna pregare per tutti coloro che
dobbiamo amare, quindi, per tutte le persone capaci della
gloria eterna (anche per i peccatoti, gli eretici, g li scomu­
nicati, i nostri stessi nemici). T uttavia per tutti costoro basta
chiedere in generale, senza escludere positivam ente nessuno.
2. Ordinariamente non siamo obbligati a pregare in
particolare per i nostri nemici, benché sarebbe più perfetto
(83,8). Siamo tuttavia obbligati a farlo, per esempio, in gra­
ve necessità spirituale del nem ico, o quando egli ci chiede
perdono. D obbiam o inoltre essere disposti a fare questo
sempre, almeno « in praeparatione animi », com e dicono i
teologi, cioè, facendolo di buona vo g lia quando se ne pre­
sentasse l’occasione. G esù Cristo ci dice espressamente nel
Vangelo: « Am ate i vostri nemici, pregate per coloro che
v i perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è
nei cieli; poiché egli fa sorgere il suo sole sopra i cattivi
e sopra i buoni e fa piovere sui giusti e sugl’ingiusti » (Mat.
5.44 -45 )-
3. Possiamo e dobbiam o pregare per le anime del pur­
gatorio; sempre almeno per carità e m olte vo lte per pietà
(se si tratta di familiari) o per giustizia (se si trovano colà,
per colpa nostra).
4. E sentenza comune tra i teologi che possiamo chiedere
l ’aumento della gloria accidentale dei beati, non quello della,
gloria essenziale (visione e godim ento beatifico), che è assolu­
tamente immutabile e dipende dal grado di grazia e di
carità che possiede l ’anima nel mom ento di separarsi dal
corpo.
5. N on è lecito pregare per i dannati, poiché sono fuori
dei vincoli della carità, che si fonda nella partecipazione della
vita eterna. D e l resto sarebbe inutile e superflua un’orazione
fatta per chi non ne potrebbe beneficiare.

3 6 7 . 5 . E f f ic a c ia s a n t if ic a n t e d e l l ’o r a z io n e ( 8 3 ^
1 5 , 1 6 ).
A inn.104-105 abbiamo spiegato i quattro valo ri dell’ora­
zione: quello meritorio, com e virtù; quello soddisfattorio, co­
me opera penosa; quello imperatorio delle grazie divine e
quello di refezione spirituale dell’anima a m otivo del suo
contatto di amore con D io . A bbiam o indicato pure le condi-
764 LA V IT A C R IS T IA N A NEL SU O S V IL U P P O O R D IN A R IO

-zioni richieste per l ’infallibile efficacia dell’orazione. Q ui ci


lim iterem o a parlare soltanto àe\Y efficacia santificante del­
l ’orazione.

I Santi Padri è i grandi m aestri della vita spirituale


concord an o nel dire che l’ efficacia santificante dell’ ora­
zion e è veram ente straordinaria. Senza orazione — sen­
za molta orazione — è im possibile giu n gere alla santità.
Sono inn um erevoli le testim onianze che si p o treb ­
b ero addurre 14. N e riporterem o alcune soltanto a
m o d o di esem pio.
S. Bonaventura. - « Se vu o i soffrire con pazienza le avver­
sità e le miserie di questa vita, sii un uom o d’orazione. Se
vu oi raggiungere la virtù e la fortezza per vincere le tenta­
zion i del nemico, sii un uom o di orazione. Se vu o i m orti­
ficare la tua propria volontà con tutte le sue affezioni e ap­
petiti, sii un uom o di orazione. Se vu oi conoscere le astuzie
di Satana e difenderti dai suoi inganni, sii un uom o di ora­
zione. Se vu o i vivere allegramente e camminare con soavi­
tà per la via della penitenza e della fatica, sii un uom o di
orazione. Se vu o i scacciate dalla tua anima le mosche im por­
tune dei vani pensieri e desideri, sii un uom o di orazione.
Se vu o i fortificare e confermare il tuo cuore nella via di D io ,
sii un uom o di orazione. Infine, se vu o i sradicare dalla tua
anima tutti i vizi e piantare al loro posto le virtù, sii un uom o
di orazione: perché in essa si riceve l ’unione e la grazia dello
Spirito Santo, la quale insegna tutte le cose. O ltre a ciò,
se vuoi salire all’a lte r a della contemplazione e godere dei dolci
amplessi dello sposo, esercitati nell’orazione, perché questa è
la via per la quale sale l’anima alla contem plazione e al gusto
delle cose ce le sti» ^ .
S. Pietro d’Alcantara. - Citando un’altro autore scrive:
« N ell’orazione si purifica l’anima dai peccati, si nutre

I4 R im a n d i a m o i l l e t t o r e a l l ’ o p e r a d e l P . A r i n t e r o , Cuestiones m ìrti-
cas, c .2 , a .4 - 5 , d o v e t r o v e r à u n a v e r a m in i e r a d i t e s t im o n ia n z e d i S a n ti
P a d r i e d i m is t ic i s p e r im e n t a li.
*5 C i t a t o o c o m m e n t a t o d a S . P i e t r o d ’ A l c a n t a r a : Tratado de la oracìón
p .i.a , c .i . Q u e s t ’ o p e r e t t a è u n a r ic a p it o l a z i o n e d ì q u e lla c h e F r . L u i s d e
G r a n a d a p u b b l i c ò c o l m e d e s i m o t i t o l o . S i v e d a i n Obras completai de F r .
L u is de Granada , a c u r a d e l P . C u e r v o , t . i o . p p . 4 3 9 - 5 2 0 . I l t e s t o c h e c itia ­
m o si tr o v a a p . 444.
LA V IT A DI O R A Z IO N E 765

la carità, si rende sicura la fede, si fortifica la speranza, si


rallegra lo spirito, si pacifica il cuore, si scopre la verità, si
vince la tentazione, si mette in fuga la tristezza, si rinnovano
i sensi, si ripara la virtù infiacchita, si allontana da sé la tie­
pidezza, si consuma la ruggine dei vizi, ed in essa si spri­
gionano scintille vive di desideri celesti, tra le quali arde la
fiamma dell’amore divino. Grandi sono le eccellenze del­
l’orazione, grandi sono i suoi privilegi. A d essa sono aperti
i cieli, ad essa si scoprono i segreti, e ad essa sono sempre ri­
volte le orecchie di D io » l6.
S. Teresa. - Per la grande maestra della vita spirituale,
l’orazione è tutto. N o n c’è u n altro esercizio su cui insista
tanto in tutti i suoi scritti ed al quale conceda tanta im por­
tanza quanto l’o ra zio n e 1?. Secondo essa, l’anima che non
fa orazione è perduta: non raggiungerà mai la santità.
S. G iovann i della Croce era della medesima idea.
S. Francesco di Sales. - « Con l’ orazione n oi parliamo
a D io e D io reciprocamente parla a noi; aspiriamo a lui
e in lui respiriamo e vicendevolm ente egli ispira noi e
respira in noi.
Ma di che ragioniam o noi nell’orazione ? O Teotim o,
non v i si parla che di D io; poiché di che cosa potrebbe
parlare e in che cosa intrattenersi l’amore se non nell’ama­
to ? Perciò orazione e teologia mistica sono una stessa cosa.
Si chiama teologia perché com e la teologia speculativa ha
D io per o ggetto, cosi questa non parla che di D io , benché
in tre m odi diversi. Primo: quella tratta di D io in quan to
è D io , questa ne parla in quanto è sommamente amabile;
quella riguarda la divinità della somma Bontà e questa la
suprema bontà della Divinità;
Secondo: la teologia speculativa tratta di D io come
si può con gli uom ini e tra gli uomini; la mistica parla di
D io con D io e in D io stesso;
Terzo: la teologia speculativa tende alla conoscenza
di D io e la mistica all’amore di D io; quella rende i suoi
discepoli sapienti, dotti e teologi, questa li rende ferventi,
affezionati, amanti di D io » lS.

T u tte le scuole di spiritualità cristiana vanno d’ ac-


16 Tralado de la oración p . i a . c . i ( p . 44 5 n e l l ’ e d iz . d e l P . C u e r v o ) .
' / S i v e d a n e l l e Concoràanctas d i S . T e r e s a ( B u r g o s , 1 9 4 5 ) l a p a r o l a « o -
r a z i o n e » c o n u n a l u n g h i s s im a s e r ie d i c i t a z io n i .
xS Teotimo 1. 6 , c . i .
766 f-A V IT A C R IS T IA N A NEL SU O S V IL U P P O O RD IN ARIO

cord o nel proclam are l ’ assoluta necessità dell’orazio­


ne e la sua straordinaria efficacia santificatrice. Se la
santità è am ore, unione con D io , la via piti b reve e
spedita per giu n gervi è la vita di continua ed ardente
orazione 1

6. D if f ic o lt à d e l l’o r a z io n e . - L a pratica assidua e


perfetta d ell’ orazione im plica n on p o ch e difficoltà per
il p o vero spirito um ano, per sé tanto d e b o le e in­
ferm o. L e principali sono due: le distrazioni e le ari­
dità spirituali-

368. a) L e d is t r a z i o n i 2 °. - L e distrazioni, in gene­


rale, sono pensieri o im m aginazioni estranee che c ’im ­
pediscono di attendere a q u ello che stiam o per fare.
P osson o colpire soltanto l 'immaginazione, nel qual ca­
so l ’intelletto p u ò continuare a pensare a quello che
faceva, b en ch é con difficoltà; o colpiscon o lo stesso
intelletto, nel qual caso l ’attenzione a quello che si fa­
ceva scom pare totalm ente.
L e loro varie cause sono esposte m olto bene dal
P. D e G u ib e r t2J:
A . Cause indipendenti dalla volontà. - a) Uindole e il
temperamento: immaginazione v iv a e instabile; effusione ver­
so le cose esteriori; incapacità di fissare l ’attenzione o di
prorom pere in affetti; passioni viv e, non ben dominate,
che attraggono continuamente l’attenzione verso gli o g ­
getti amati, temuti o odiati...

*9 I I P . D e M a u m i g n y , p a r la n d o d e ll’ e c c e ll e n z a d e ll’ o r a z i o n e m e n t a le , i n ­
d i c a i s e g u e n t i g r a n d i v a n t a g g i : i . è u n a c o n v e r s a z i o n e f a m il ia r e c o n D i o ;
2. c i a s s ic u r a l a s a lv e z z a e c i o f f r e a b b o n d a n t i m e r iti; 3. c o n d u c e a lla p e r f e ­
z i o n e c r is tia n a ; 4 . f a g u s t a r e a l l ’ a n i m a g i o i e s p i r it u a li, s e n z a p a r a g o n e s u ­
p e r i o r i a i f a l la c i p ia c e r i d e l m o n d o ; 5 . c o m u n ic a a lle o p e r e a p o s t o l ic h e la
l o r o v e r a f e c o n d i t à ( c f. Pratica dell'orazione mentale t r . i p . i . a , c c .1 - 5 ) .
20 C f . R i b e t , JJascétìque chrétienm c .2 2 ; L e o h d e y , L e vie ddVorazione
mentale p . i . a , c .y . D e G u i b e r t , Theologia spiritttalis n n . 2 5 8 -6 0 ; « E t u d e s c a r -
m e lit a in e s » ( a p r ile 1 9 3 4 ) .
11 C f . D e G u ib e r t, o . c ., n .2 5 9 .
LA V IT A DI O R A Z IO N E 767

■. b ) . L a poca salute o la fatica mentale, che impedisce di fis­


sare l’attenzione o astrarre dalle cose o circostanze esteriori.
c) L a direzione poco indovinata del padre spirituale, che '
vuole imporre in m odo artificiale le sue idee a chi dirige
senza tener presente l’ influsso della grazia, l’indole, lo sta­
to e le necessità delFanima, im pegnandosi, per esempio nel
farle continuare la meditazione discorsiva mentre D io la
m uove a un’orazione più semplice e profonda oppure al­
lontanandola troppo presto dal m etodo discorsivo mentre
ne ha ancora bisogno...
d) I l demonio, a volte direttamente, molte altre volte
indirettamente, perché si serve di altre cause e aumenta la
loro efficacia perturbatrice.
B. Cause volontarie. - Mancanza della debita preparazio­
ne prossima: quanto al tempo, al lu o go , alla posizione, al pas­
saggio troppo repentino da un’assorbente occupazione al­
l ’orazione...
b) Mancanza di preparazione remota per il poco raccogli­
mento, la dissipazione abituale, la tiepidezza della vita, la
vana curiosità, l’ansia di leggere un p o’ di tutto...
C. Rimedi pratici. - N o n c’è un mezzo infallibile per
sopprim ere le distrazioni. Solo negli stati contem plativi
m olto elevati o per uno speciale dono di D io si p uò pregare
senza distrazione alcuna. Si può fare m olto però con l’um il­
tà, l ’orazione e la perseveranza.
a) Si può diminuire l’influsso pernicioso delle cause
indipendenti dalla volontà con varie industrie: leggendo,
fissando lo sguardo sul tabernacolo o su di una immagine
espressiva, scegliendo argom enti più concreti, dandosi ad
una orazione più affettiva, con frequenti colloqui (anche
vocali, se è necessario), ecc.
Quando, nonostante tutto, ci sentiamo distratti, non dob­
biamo perdere la pazienza. Raccogliam o con calma il nostro
spirito, umiliamoci alla presenza di D io , chiediam ogli il suo
aiuto e non esaminiamo subito le cause che hanno m otivato
la distrazione. Facciamo tale esame al termine dell’orazione
allo scopo di premunirci m eglio per l ’avvenire. E si tenga
ben presente che ogni distrazione combattuta (ancorché
non completamente vinta non com prom ette mai il frutto
dell’ orazione né diminuisce il merito dell’anima.
b) L e cause che dipendono dalla nostra volontà, si com ­
batteranno con energia fin o a distruggerle completamente.
N o n ometteremo mai la preparazione prossima, perché di-

i
768 LA V IT A C R IS T IA N A NEL SU O S V IL U P P O O R D IN A R IO

versamente tenteremmo D io , com e dice la Scrittura 22.


Inoltre faremo una seria preparazione remota, che consisterà
principalmente nel silenzio, nella fuga della vana curiosità,
nella custodia dei sensi, dell’immaginazione e del cuore,
e ci abitueremo a com piere bene quello che stiamo facendo
(age quod agis).

369. b ) L e a r i d i t à s p i r i t u a l i 23. - U na delle grandi


d iffico ltà che s ’incontrano con frequenza n ell’esercizio
d ell’ orazione, soprattutto m entale, è costituita dall’ ari­
dità di spirito. Consiste in una certa impotenza o svoglia­
t e l a a produrre nell’oraziane a tti intellettivi o affettivi. T a ­
le im potenza alle vo lte è cosi grande che rende peno­
sissima la perm anenza n ell’ orazione. A lcu n e vo lte co l­
pisce lo spirito, altre v o lte soltanto il cuore. L a form a
più desolante è quella nella quale pare che D io si sia
ritirato dall’anima.
Le loro cause possono essere il cattivo stato della salute,
la fatica corporale, le occupazioni eccessive ed assorbenti,
le tentazioni moleste, che tormentano e affaticano l’anima,
la deficiente form azione riguardo al m odo conveniente
di pregare, l ’uso di m etodi inadeguati, ecc. A volte sono
il risultato naturale della tiepidezza nel servizio di D io ,
dell’infedeltà alla grazia, dei peccati veniali commessi sen­
za scrupolo, della sensualità, che sommerge l’anima nella
materia, della dissipazione e vana curiosità, della leggerez­
za e superficialità di spirito.
A ltre volte sono una prava di Dio, che suole sottrarre
la consolazione sensibile che l’anima sperimentava nell’orazio­
ne per purificarla dell’attaccamento a tali consolazioni, u-
miliarla facendole vedere quanto poco vale quando D io
le sottrae il suo aiuto, aumentare il suo merito con gli
sforzi p rovocati dalla carità e prepararla a n u o vi progres­
si nella vita spirituale. Quando queste aridità, permesse

22 « A n te o r a tio n e m p ra e p a ra a iu m a m tu a m e t n o l i e s s e q u a s i h o m o q u i
te n ta t D e u m » (E c c li. 1 8 ,2 3 ).
C f. S . F r a n c e s c o d i S a l e s , F ilotea 11,9; ^ , 1 4 - 1 5 ; R i b e t , V a s c é ti-
que... c .2 3 ; D e G u i b e r t , Theologia spiritualis n n .267-71; T a k q u e r e y , Com ­
pendio di Teologia ascetica e mistica n n . 9 2 5 -3 1 ; D e M a u m ig n y , Pratica dcll'o-
razjone mentale p .4 a . c .2 .
LA . V IT A DI O R A Z IO N E 769
da D io , si prolungano per m olto tem po, si può ritenere che
l’anima sia entrata nella notte del senso o in qualche altra pu­
rificazione passiva. A bbiam o già parlato diffusamente di
queste cose, com e pure dei segni per distinguerle dalla
tiepidezza (cf. nn.207-208).
I rimedi contro le aridità spirituali, consistono anzitutto
nel sopprimere le lo ro cause volontarie, principalmente
la tiepidezza e la p igrizia nel servizio di D io . Q uando
sono involontarie, è m eglio rassegnarsi alla volontà di D io
per tutto il tem po che vorrà lasciarci in questo stato; con­
vincersi sempre più che la devozione sensibile non è essenziale
la vero amor di D io e che basta voler amare D io per amarlo
già realmente; um iliarsi profondam ente, riconoscendosi in­
degni di ogni consolazione; perseverare, nonostante tutto,
nell’orazione, facendo ugualm ente quanto possiamo. Per au­
mentare il m erito ed anche le energie spirituali, sarà cosa ot­
tim a unirsi al divino A gon izzan te del Getsem ani, che « es­
sendo in agonia, pregava ancor più intensamente » (Luca,
22,44), e spingere la generosità ad aumentare possibilmente
il tem po dell’orazione, com e suggerisce S. Ignazio
Sarà lecito chiedere al Signore la cessazione della prova,
purché si faccia con piena subordinazione alla sua volontà
e co l fin e di poterci donare con m aggior generosità e disin­
teresse al suo servizio. L a Chiesa ci fa chiedere nella festa
d i Pentecoste « di godere sempre delle consolazioni dello
Spiritò Santo » e tutti i maestri della vita spirituale parlano
diffusamente della « im portanza e necessità delle divine
consolazioni » J5. T uttavia il m odo m igliore per ottenere
nuovam ente la grazia della devozione sensibile, è una gran­
de generosità verso il Signore, le fedele corrispondenza
a tutte le ispirazioni dello Spirito Santo. L e aridità sono do­
vute spesso alla resistenza a questi delicati in viti dello Spirito
divino.

J 4 « È parim enti da avvertire ch e, com e nel tem po della consolazione,


è cosa facile e breve passate nella contem plazione Vota intera, cosi nel
tem po della desolazione è m olto difficile durarla sino alla fine. Pertanto la
persona che si esercita, affine di andar contro la desolazione e vincere le
tentazioni, deve sem pre restare un p o co d i p iù d ell’ora com pita, per avvez­
zarsi n on so lo a vincere l ’avversario, ma anche ad abbatterlo» {Eserciti
Spirituali n.13; cf. n.319).
a5 Cf. P. A r i k t f .r o , Cuestiones misticas 1 ,6 , d o ve sono raccolte m olte
testimonianze.
770 LA V IT A C R IS T IA N A NEL SU O SV IL U P P O O R D IN A R IO

370. 7 . Scogli da evitate. - N ella vita d ’orazione


so rgo n o n on poche difficoltà ed ostacoli, che l ’ani­
ma, aiutata dalla grazia, p u ò e deve superare. I prin­
cipali sono:
a) L ’ abitudine nell’orazione vocale, che la converte in
un esercizio puramente m eccanico, senza valore e senza
vita; e nell’orazione mentale, fatta secondo un metodo
fisso, che può condurre ad u n certo automatismo semico­
sciente, per cui viene privata quasi totalmente della sua
efficacia.
d) L ’ eccessiva attività naturale, che vu ole conseguire
tutto quasi a fo rza di m uscoli, precedendo l’azione di D io;
e /’eccessiva passività e inerzia che, col pretesto di non precede­
re l’azione di D io , non fa neppure quello che potrebbe.
c) Lo scoraggiamento, che s’impadronisce delle anime de­
boli quando non scorgon o sensibili progressi nella loro vita
di orazione; o l ’ eccessivo ottimismo di m olte altre che si credo­
no più progredite di quanto lo siano in realtà.
d) L ’attaccamento alle consolazioni sensibili, che genera nel­
l’anima una specie di « gola spirituale » 16 che la spinge a
cercare le consolazioni di D io non il D io delle consolazioni.
e) L ’attaccamento eccessivo a un determinato metodo, com e se
fosse l’unico possibile per l’esercizio dell’orazione; o l ’ ec­
cessiva leggerezza, che ci spinge a prescindere da esso oppure
ad abbandonarlo prim a del tem po.
D i molte altre illusioni potranno essere vittim e le anime
nella loro vita di orazione senza la guida di un esperto e com ­
petente direttore spirituale, nonostante le loro buone di­
sposizioni.

Sezione II

I gradi dell’ orazione

371 . 1. In tr o d u z io n e . - L a classificazione più p ro ­


fonda ed esatta dei gradi dell’ orazione che si conosca
è d ovuta a S. Teresa di G esù . N e l suo geniale Castel-

26 C f, S. G i o v a n n i D e l l a C r o c e , Notte oscura 1,6.


LA V IT A DI O R A Z IO N E 771
lo interiore descrive le tappe successive della santifi­
cazione d ell’anima in torn o alla sua vita di orazione.
Secondo la grande santa, i gradi di orazione coinci­
dono con quelli della vita cristiana nel suo cam m ino
verso la santità. Q uesto pun to di vista, che si p u ò
giustificare pienam ente con la ragione teologica —
l ’intensità dell’ orazione coincide con quella della cari­
tà, — è stato sanzionato dal suprem o M agistero della
Chiesa. S. P io X scriveva il 7 m arzo 1914 al P. G enerale
dei Carm elitani che i gradi di orazione insegnati da
S. Teresa rappresentano altrettanti gradi di ascesi v e r­
so la perfezione cristiana 1.
N o i seguirem o le orm e della grande riform atrice
del Carm elo persuasi d i cam m inare cosi su di un ter­
reno sicuro.
Si è rim proverato a S. Teresa di insistere troppo sulla
parte psicologica, con pregiudizio di quella te o lo g ic a 3.
Riteniamo, tuttavia, che tale accusa non si possa m uovere
a una donna che non si propose nei suoi libri di « fare della
teologia», ma di insegnare soltanto alle sue monache con
un linguaggio semplice e familiare, ;<com e una vecchia ca-
stigliana vicino al fuoco », il vero cammino della perfezione
che dovevano percorrere per raggiungere le vette della san­
tità. M anca in lei, naturalmente, la dottrina teologica
speculativa, perché si m uove soltanto sul terreno psicolo­
gico e sperimentale. Però le sue magistrali descrizioni
concordano m eravigliosamente coi principi teologici più
sicuri. L e sue descrizioni sperimentali, da cui non può pre­
scindere il teologo, non sono state superate finora da nes­
suno — neppure da S. G iovann i della Croce.
N o n si dica che S. Teresa si lim ita a descrivere la sua
propria esperienza, e quindi che le sue descrizioni n on hanno
valore universale. Infatti:

1 E cco le parole del Santo Pontefice: « ...gradus orationis qui nume-


rantur veluti totidem superiores in christiana p etfectione ascensus esse... »
(cf. D e G u i b e r t , Documenta ecclesiastica christìanae perfectìonìs s udìum spec-
tantia n.636).
2 C f. D o m S t o l z , O .S .B ., Teologia della mistica, nel capitolo intitolato
«La scala del Paradiso».
772 LA V IT A C R IS T IA N A NEL SU O SV IL U P P O O R D IN A R IO

1. N o n è del tutto certo che S. Teresa si limiti a descri­


vere la sua propria esperienza. L a santa conobbe ed ebbe
relazione con un grande num ero di anime che camminavano
a suo lato per le vie della perfezione. D otata com ’era di ec­
cezionali doti naturali e di acutissima penetrazione psico­
logica, ella osservò attentamente le lotte e le difficoltà di
tante anime, ricevette le loro più intime confidenze, esaminò
i loro fenom eni straordinari e di tutto approfittò nella re­
dazione delle sue opere. N o n sempre si riferisce a sé stessa
quando dice: « Io conobbi un’anima...; m i disse una volta un’a­
nima che lo aveva sperimentato m olto bene...», ecc. Po­
chissimi maestri della vita spirituale e direttori di anime han­
no avuto a loro disposizione tanti dati e dì così grande va­
lore com e quelli che S. Teresa potè riunire nel contatto di­
retto con le anime.
2. Nessuno più di S. T eresa fu nem ico di classificazioni
rigide e di « lib ri m olto ordinati» 3 . E lla stessa ci avverte
all’inizio del suo Castello interiore o libro delle Mansioni:
« N o n dovete figurarvi queste mansioni le une dopo le altre,
com e una fuga di stanze... L e cose dell’anima si devono sem­
pre considerare con ampiezza, estensione e magnificenza...
Im porta m olto che un ’anima di orazione, a qualunque grado
sia giunta, venga lasciata libera di circolare com e vuole, in
alto, in basso e ai lati, senza volerla rincantucciare e restrin­
gere in una stanza sola. P oiché D io l’ha fatta così grande,
non obblighiam ola a rimanere troppo nello stesso posto»
E un p o ’ più avanti dice: a N o n si deve dunque pensare che
gli appartamenti siano pochi: ve ne sono a m ilioni, e le ani­
m e v i entrano in m olti m odi» 5.
Cosicché le mansioni teresiane, non costituiscono com ­
partim enti stagni, ma contengono un’infinità di sfumature,
e attraverso dette mansioni possono camminare com oda­
mente tutte le anime che aspirano alla perfezione, qualunque
sia la via particolare attraverso la quale lo Spirito Santo le
conduce. Però, com e punto di partenza per una classifica­
zione ordinata e m etodica dei principali gradi e manifesta­
zion i della vita di orazione nelle sue linee fondamentali, ci
pare che le descrizioni di S. Teresa siano di un valore incal­
colabile per giungere alle radici più profonde della psicolo­
gia umana comune a tutte le anime.

3 Cf. Cammino 21,4.


4 Prime mansioni 11,8.
5 Ivi 11, 12.
LA V IT A DI O R A Z IO N E 773

N o i seguirem o con scrupolosa fedeltà la grande mae­


stra della vita mistica, ma approfitteremo anche degli insegna-
menti di altri grandi mistici sperimentali, soprattutto di
S. G iovann i della Croce; di S. Francesco di Sales, del Ven.
P. Granada e specialmente del D o tto r A n gelico , coi quali
concordano in m odo tanto m eraviglioso g l’insegnamenti
di S. T e re s a 4.

372. 2. Classificazione che adotteremo. - Lo


schema dei gradi di orazione p ro p o sto dalla m aggior
parte degli autori spirituali sulle orm e di S. Teresa
è q uesto1
1. O razione vocale.
2. M editazione.
3. O razione affettiva.
4. O razion e di semplicità.
5. R accoglim ento infuso.
6. Quiete.
7. U nione semplice.
8. U nione estatica.
9. U nione trasform ante.

I prim i tre gradi appartengono alla via ascetica,


che com prende le tre prim e mansioni del Castello inte­
riore: la quarta indica il m om ento di transizione dal­
l ’ascetica alla m istica, e g li altri cinque appartengono
alla vìa mìstica, che com incia nelle mansioni quarte e
giu n ge fin o alla som m ità del castello (santità consu­
mata). Il passaggio dai gradi ascetici ai m istici avviene
in una maniera graduale e insensibile, quasi senza
che l ’ anima se ne renda conto. L e tappe fondam entali
del cam m ino della perfezione si succedono co n spon­
tanea naturalezza, e p o n g o n o chiaram ente in luce l ’u-

6 II lettore che volesse una più dettagliata inform azione sulle principali
classificazioni dei gradi di orazione proposti prima e dopo d i S. Teresa,
può trovarla in R i b e t , L a mystique divine t .i, c .io , e in P. A r i n t e r o , Grados
de oración a.6.
774 La V IT A C R IS T IA N A NEL SU O SV IL U P P O O R D IN A R IO

nità della vita spirituale e l ’assoluta normalità della misti­


ca, alla quale tutti siamo chiamati.

A) T APPA PREVALENTEMENTE ASCETICA

D iciam o tappa prevalentemente ascetica (e non ascetica


semplicemente), perché, com e abbiamo già spiegato altrove
(cfr. nn. 137-40), non esiste nella vita cristiana una tappa esclu­
sivamente ascetica e un’altra esclusivamente mistica. L ’ascetica e
la mistica si compenetrano vicendevolm ente com e due
aspetti diversi di uno stesso cammino spirituale.

P R IM O G R A D O D I O R A Z IO N E : L A P R E G H IE R A
VOCALE

Il prim o grado di orazione, alla portata di tutti, è


costituito dalla preghiera pacale, che si manifesta con le
parole del nostro linguaggio articolato, e costituisce la fo r­
ma quasi unica dell’ orazione pubblica o liturgica.

373. 1 . Convenienza e necessità dell’orazione


vocale. - S. Tom m aso si dom anda nella Somma Teo­
logica « se l ’ orazione debba essere vocale » (II-II,
83,12). E risponde dicendo che necessariamente lo
deve essere l’ orazione pubblica fatta dai ministri
della Chiesa davanti al p o p o lo cristiano che deve
prendervi parte, p erò non è di assoluta necessità quan­
do l ’orazione si fa privatam ente e in partico­
lare. T uttavia, aggiu nge, l’ orazione privata a vo lte con­
viene che sia vocale per tre m otivi principali:
a) per eccitare la d evozion e interiore, con la qua­
le si eleva l ’anim a a D io ; possiam o, quindi, fate
uso delle parole esterne nella m isura e nel grado
che eccitano la nostra d evozion e, e n on oltre; se si
con verton o in m otivi di distrazione per la devozione
interna, si deve tacere 7, b) per offrire a D io l ’om aggio

7 Naturalm ente, eccetto che l'orazione vocale sia obbligatoria, com e


LA V IT A DI O R A Z IO N E 775
del nostro corp o oltre che quello della nostra anima;
e c) per sfogare all’esterno la veem enza dell’ affetto
interno.
L a necessità dell’ orazione vo ca le si m anifesta nel­
l ’orazione pubblica o liturgica perch é soltanto per m ez­
zo di essa p osson o asociarsi tutti i fedeli in una o-
razione com une. A parità di condizion i, ossia realiz­
zata con lo stesso grado di fervo re, è p iù utile che la
privata. C ’è un testo chiarissim o al rigu ard o nel V a n ­
g e lo 8. Inoltre, quando si tratta dell’ orazione liturgica,
ha una particolare efficacia santificatrice in virtù del­
lo stesso interven to, della Chiesa, che risuona alle
orecchie del Signore com e la v o ce della sposa: « v o x
sponsae » 9. T u ttavia nulla p otrà supplire il fervo re
della carità con cui si prega. P erciò se u n ’anima eser­
cita con m aggior sforzo e intensità l ’am or di D io nel­
l ’orazione silenziosa e m entale che nella vocale, m erite­
rà di p iù con quella e dovrà rinunciare alle orazioni
vocali, fatta eccezione delle strettam ente obbligatorie.

374. 2. Sue condizioni. - Secondo S. Tom m aso


e la natura stessa delle cose, l’orazione vo cale deve es­
sere fatta con attenzione e profonda pietà.
a) A t t e n z i o n e . - Il D o tto re A n ge lico quando ri­
sponde alla questione: « se l ’ orazione debba essere at­
tenta » (83,4), stabilisce alcune distinzioni che è neces­
sario tener presenti.
L ’orazione, dice, produce tre effetti: il prim o è quello di
meritare, come qualsiasi altro atto di virtù, e per questo non
è necessaria l’attenzione attuale, bastando la virtuale I0.

il breviario per il sacerdote e il religioso di v o ti solenni.


8 Mat. 18,20: « Perché d o ve sono due o tre riuniti in m io nom e, ci sono
io in m ezzo a loro ».
9 C f. M a r m i o n , Cristo, vita dell*anima c.9 e Cristo, ideale del monaco 1 4
e 15.
10 'L’attenzione può essere interna ed esterna. L a seconda distoglie da
776 L A V IT A C R IS T IA N A NEL SU O S V IL U P P O ORDINARIO

Il secondo è quello ài impetrare da D io le gtazie di cui abbia­


mo bisogno, e anche per questo basta l ’attenzione virtuale,
mentre non basterebbe per questi due effetti quella semplice-
mente abituale. Il terzo, infine, è un certo diletto dell’anima,
e per sentirlo è assolutamente necessaria l’attenzione at­
tuale.
L ’attenzione che si mette nell’orazione vocale può es­
sere: materiale, se si cerca di pronunciare correttamente le
parole; letterale, se si bada al lo ro senso; spirituale o mistica,
se si bada al fine dell’orazione, ossia a D io e alle cose che si
chiedono. Q uest’ultima è la più eccellente, tuttavia sarebbe
m eglio riunire assieme tutte queste condizioni giacché so­
no perfettamente com patibili tra loro.
L a dottrina di S. Teresa di G esù concorda con
quella di S. T om m aso. E lla scrive:
« Per quanto io ne possa capire, la porta per entrare in
questo castello è l’orazione e la meditazione. N o n sto più
per la mentale che per la vocale, perché dove si ha orazione
occorre che v i sia pure meditazione. N o n chiamo infatti
orazione quella di colui che non considera con chi parla, chi
è che parla, cosa domanda e a chi domanda, benché m uova
m olto le labbra. A lle vo lte sarà buona orazione anche questa,
quantunque non accompagnata da tali riflessioni, purché
queste si siano fatte altre volte. M a se alcuno ha l’abitudine
di parlare con la Maestà di D io com e con un suo schiavo,
senza pensare se dice bene o male, contento solo di quanto
gli viene in bocca o d ha imparato a memoria per averlo
recitato altre volte... non ten go ciò per orazione, né piaccia
a D io che v i siano cristiani che facciano cosi » I!.

L ’ orazione vo cale deve quin di essere attenta. L ’at-

tutti g li atti esterni incom patibili con l ’attenzione a quello che si sta facendo
interiormente. L a prim a esclude, inoltre, la divagazione della mente. Q ue­
st’ultim a si suddivide in abituale, virtuale e attuale. L ’abituale — che solo abu­
sivam ente si p u ò chiamare attenzione p oich é in realtà n o n è tale — è quella
che hanno in m odo permanente, anche durante il sonno, le persone che-
conducono una vita d ’orazione. Più che attenzione è una propensione all’afe
tenzione. L a virtuale è quella che si ebbe al principio dell’orazione e perdura
durante la medesima fin ch é non si ritratta, ancorché sopraggiungano distra­
zion i involontarie. E la attuale è quella che bic et nunc, rende attenti all’ora­
zione, con piena coscienza di ciò che si sta facendo.
11 Prime mansioni l,y .
LA V IT A DI OR AZIO N E 777

tenzione attuale è la m igliore, e l ’anima dovrebbe ri­


v o lg ere tutti i suoi sforzi al suo conseguim ento 12.
P erò è alm eno indispensabile la virtuale, che si è posta
intensam ente al principio d ell’ orazione e continua a
influire su di essa nonostante le distrazioni involontarie
che possono sopraggiungere. Se la distrazione è
pienam ente volontaria, costituisce un vero peccato di
irriverenza, che, secondo S. T om m aso, im pedisce il
frutto dell’orazione (83,13 ad 3).

b) Pro fo nda p i e t à . - Se con l’attenzione appli­


chiam o la nostra intelligenza a D io , con la pietà m et­
tiam o in contatto con lu i il cu ore e la vo lo n tà. Q u e­
sta pietà profon da im plica e suppone un com plesso
di virtù cristiane di prim a categoria: la carità, la fede
v iv a , la fiducia, l ’um iltà, la d evozion e, la riverenza
e la perseveranza (83,14). D o b b ia m o giu n gere a reci­
tare cosi le nostre orazioni vo cali anche a costo di di­
m inuirne il num ero se è necessario. D iversam ente
l ’ orazione si convertirebbe in un atto m eccanico sen­
za nessun valore dinanzi a D io .

375. 3. D u ra ta d e ll’ o ra z io n e v o c a le . - S. T o m ­
maso si dom anda « se l’ orazione debba essere m olto
lu n g a» (83,14). N ella sua causa, risponde, cioè, nel­
l ’affetto della carità, dalla quale deriva, l ’ orazione
d eve essere perm anente e continua, perch é l ’influs­
so attuale o virtuale della carità deve estendersi a
tutta la nostra vita. In questo senso, tu tto quanto fac­
ciam o in stato di grazia e sotto l ’influsso della carità,
si p u ò dire che è orazione. Però, considerata in se stes­
sa e in quanto tale, l ’orazione n on p u ò essere continua,
giacch é d ob biam o attendere a m olte altre occupazioni

11 Si veda quanto abbiamo detto parlando della purificazione attiva


della m emoria e dell’im m aginazione (cf. n n .i 88-89), c^e è m olto conve­
niente per evitare le distrazioni nell’orazione.
778 LA V IT A C R IS T IA N A N EL SU O S V IL U P P O O RDIN ARIO

indispensabili. L a quantità di una cosa deve èssere p ro ­


porzionata al fine al quale si ordina, com e la quantità
di m edicina che prendiam o è n é p iù n é m eno quella
necessaria per la salute. Si deve, quindi, concludere
che l ’ orazione deve durare tu tto il tem po che è neces­
sario per eccitare il fe rv o re interno, e n on di più.
Q uando sorpassa questa m isura, l ’ orazione deve ces­
sare, perch é non si p u ò continuare senza tedio n é fasti­
dio. E questo si deve tener presente non soltanto n el­
l ’ orazione privata, ma anche nella pubblica, che deve
durare quanto è necessario p er eccitare la d evozion e
del p o p o lo , senza causargli tedio o nòia.

D a questa dottrina derivano le seguenti conclusioni pra­


tiche:
1. N o n è conveniente m oltiplicare le parole nell’orazio­
ne, ma insistere soprattutto sull’affetto interiore. D ice il
Signore nel V angelo: « Q uando pregate, non moltiplicate
vane parole, com e i pagani, che credono di essere esauditi
a forza di parole. N o n siate simili a loro, poiché il Padre v o ­
stro sa di che cosa avete bisogno, prim a che glielo chiedia­
te » (Mt. 6,7-8). Prendano in considerazione questo brano
quei devoti e quelle devote che passano il giorno recitando
preghiere interminabili, trascurando forse i doveri del pro­
prio stato.
2. N o n si confonda la prolissità nelle form ule di ora­
zione — che deve cessare quando si è conseguito l ’affetto
o fervore interiore — con la permanenza nell’orazione
mentre dura codesto fervore. Q uest’ultim o è convenientis­
simo e deve prolungarsi tutto il tempo possìbile, anche varie
ore, se è com patibile coi doveri del proprio stato (cfr. 83,14
ad 1, 2 e 4). Cristo stesso ci diede l’esempio d ilu n ga orazione,
nella quale passava alle vo lte la notte intera (Luca 6,12).
D urante la sua agonia nell’orto del Getsem ani la intensificò
(Luca 22,43) senza m oltiplicare le parole, ma usando sem­
pre la stessa breve formula: « fiat voluntas tua ».
3. Siccom e il fine dell’orazione vocale è quello di ecci­
tare l’affetto interiore, dobbiam o abbandonare le orazioni
vocali — • a meno che non siano obbligatorie — per darci
all’interno fervore della volontà quando questo è sgorgato
con forza. Sarebbe un errore voler continuare allora la reci­
LA V IT A DI O R AZION E 779
ta vocale, che ha già perso la sua ragione di essere e potreb­
be disturbare il fervore interno

3 7 6 . 4. Le formule di orazione vocale. - Non si


possono a questo riguardo dare norm e fisse che ab­
biano valore universale per tutte le anime. O gnuna
deve o seguire l ’im pulso interno dello Spirito San­
to e usare le form ule che m aggiorm ente eccitano il
suo fervo re le la sua devozion e, oppure n on usarne
nessuna determinata se tro v a la pace parlando sempli­
cem ente con D io com e un bam bino con suo padre.
O ggettivam en te parlando, è fu o ri dubbio che le m iglio­
ri form ule sono quelle che la Chiesa ci p rop on e nella
sua liturgia. H anno un’efficacia speciale perché espri­
m ono i desideri della sposa di C risto e p erch é rice­
vo n o l’ influsso collettivo d i tu tti i m em bri del suo cor­
p o m istico. L e form ule p iù conosciute e fam iliari sono
precisam ente quelle che hanno un contenuto più p ro­
fon d o com e il Padre nostro, l ’A v e M aria, il Credo, la
Salve R egin a, il G lo ria , l’ A n gelu s, le orazioni della
mattina e della sera, il rosario, ecc.

377. 5. Esposizione del Padre nostro. - S.


Tom m aso alla questione della Somma Teologica « se
sono ben poste le sette petizion i d el Padre n ostro»
(83,9), risponde afferm ativam ente dicendo:
« L ’orazione del Signore è perfettissima; perché, come
dice S. A go stin o , se preghiamo in maniera retta e conveniente,
non possiamo dire assolutamente nulla che non sia contenuto in que­
sta orazione. Siccom e l’orazione è com e un interprete dei

*3 S. Francesco di Sales espone cosi questa dottrina: « Se nel fate l’ o-


razione vocale sentite il vostro cuore attratto all’orazione interiore o m en­
tale, non ricusate d i corrispondervi, ma tranquillam ente lasciate che il v o ­
stro spirito p iegh i da quella parte, senza inquietarvi per n on aver finite le
^ razion i vo cali, ch e v i eravate p iop o ste. L ’ orazione mentale che avete fat­
ta in cam bio di quelle è più grata a D io e più vantaggiosa all’anima vostra;
eccetto l’ ufficio ecclesiastico, se avete l ’o b b ligo di recitarlo, perché in tal ca­
so bisogna adempiere il dovere» ( V ita devota p. 2a c . i , n.8).
780 LA V IT A C R IS T IA N A N EL SU O S V IL U P P O O RDIN ARIO

nostri desideri davanti a D io , possiamo chiedere con ret­


titudine soltanto quello che rettamente possiamo desiderare.
O ra, nell’orazione domenicale, non solo si chiedono tutte
le cose che rettamente possiamo desiderare, ma anche nel­
l ’ordine stesso con cui si devon o desiderare; e cosi quest’o ­
razione non solo c’insegna a chiedere, ma inform a e retti­
fica tutti i nostri affetti e desideri».

In seguito S. T om m aso espone il Padre nostro. Per


intendere il prim o paragrafo convien e tener presente
che il fine ultim o ed assoluto della vita cristiana è la
gloria di D io , e il fine secondario o relativo è la n o ­
stra perfezione e felicità (cfr. n n .11-12 ). D ice ancora
S. Tom m aso;
« Certo, la prim a cosa che bisogna desiderare è il fine,
e dopo i m ezzi per raggiungerlo. Il nostro fine è D io . I
nostri affetti tendono a lui in due maniere: la prima, in quan­
to vogliam o la gloria di D io; la seconda, in quanto vogliam o
godere di essa. L a prim a spetta all’amore con cui amiamo
D io in sé stesso; la seconda spetta all’amore con cui amia­
m o noi stessi in D io . Per questo la prima petizione del Pa­
dre nostro è: sia santificato il tuo nome, con cui chiediamo
la gloria di D io ; la seconda è: venga il tuo regno, con cui
chiediamo di giungere alla gloria del suo regno, cioè, di
conseguire la vita eterna».
C om e si ved e, le due prim e petizioni del Padre n o­
stro non possono essere più sublim i. N ella prim a chiedia­
m o la gloria di D io , ossia, che tutte le creature ricon o­
scano e glorifichino (cioè santifichino) il nom e di D io .
T al è il fine ultim o della creazione: la gloria di D io;
oppure, in m odo più esatto e teologico, D ìo stesso g lo ­
rificato dalle sue creature. Q uesta gloria di D io costi­
tuiva l ’assillo di tutti i santi.
Però D io ha vo lu to trovare la sua gloria nella nostra
stessa felicità: quindi non soltanto non ci è proibito,
ma ci e imposto di desiderare la nostra felicità in D io ,
sia pure in secondo lu o g o , in perfetta subordinazio­
ne alla gloria di D io , nella m isura e grado del suo b e­
neplacito divino: « Cercate prim a di tutto il regn o di
LA V IT A DI O R AZIO N E 781

D io e la sua giustizia, e tutte queste cose, v i saranno


date per giunta » (M at. 6,3 3). Chiedendo a D io l ’a vv en ­
to del suo regn o su di noi, gli chiediam o in realtà la
grazia e la gloria per noi; ossia, la cosa p iù grande e
sublim e che possiam o chiedere dop o la glo ria di D io .
D o p o il fine principale e secondario bisogn a desi­
derare, logicam ente, i m ezzi per raggiu n gerlo. C on ti­
nua perciò a dire S. Tom m aso:
« U na cosa ci può ordinare al fine in m odo diretto o in
m odo indiretto 1 1. Il bene utile al fine, ci ordina ad esso
direttamente (per se); cosa che •— riguardo al fine dell’ eterna
beatitudine — è com piuta dal m erito principalmente, col
quale meritiamo la felicità eterna obbedendo a D io , e per
questo si chiede: ” sia fatta la tua volontà com e in cielo, cosi
in terra” ; e secondariamente da tutto ciò che ci può aiutare
a meritare la vita eterna, e per questo si dice: "d acci o g g i il
nostro pane quotidiano” . E ciò è vero sia che si intenda il
pane sacramentale, il cui uso quotidiano è m olto utile al­
l’uom o..., sia che si intenda il pane materiale, com prenden­
do in questa parola tutto quanto è necessario alla vita:
l ’Eucarestia, infatti, è il principale sacramento ed il pane è
il principale alim ento ».
D o p o aver chiesto ciò che riguarda il fine principa­
le e secondario, si chiede ciò che si riferisce ai m ezzi;
ed anche qui si procede ordinatam ente, p o ich é si ch ie­
de in primo luogo il com pim ento della vo lo n tà di D io in
una maniera tanto perfetta quanto — se fosse possibile
— quella con cui la vo lo n tà di D io vien e com piuta in
cielo. Ora il com pim ento della vo lo n tà di D io è l ’ uni­
co me^Z0 diretto ed immediato per glorificare D io e santi­
ficare le anime nostre. N essuno potrà realizzare questi
fini se n on com piendo esattam ente quanto D io v u o le
da lui. Se il Signore ci chiede oscurità e silenzio, in fer­
mità ed im potenza, vita nascosta e sconosciuta, è in u ­
tile che cerchiam o di glorificarlo e di santificarci so-

J 4 II santo usa la* form ula scolastica per se e per accidens, che nel nostro
caso si p u ò tradurre benissimo per direttamente e indirettamente.
78 2 L A V IT A C R IS T IA N A N EL SU O S V IL U P P O O RDIN ARIO

gnando grandi attività apostoliche: sarem m o com ple­


tamente fu ori strada.
Inoltre abbiam o b isogn o di m e ^ i secondari sim boliz­
zati nella parola pane, l ’alim ento per eccellenza. C hie­
diam o il pane, ossia, quanto è indispensabile alla vita,
e unicam ente per oggi « allo scopo di essere ob bligati a
chiederlo anche dom ani e di correggere la nostra
cu p id igia» e per abituarci a riposare fiduciosi e tran­
quilli nelle braccia della P ro v vid en za divin a che nutre
g li uccelli d ell’aria e veste i fiori del cam po (Mat.
6 , 2-5 - 34 )-
« Indirettamente (per accidens) ci ordiniamo alla beatitudine
togliendo gli ostacoli che potrebbero im pedirci di raggiun­
gerla. Questi ostacoli sono tre: il prim o e principale è il
peccato, che ci esclude direttamente dal regno dei cieli, e per
questo diciamo: "rim etti a n oi i nostri debiti” . Il secondo è
la tentazione, che è com e l’anticamera del peccato e ci può
impedire di com piere la volontà divina, e per questo aggiun­
giamo: ” non c’indurre in tentazione” . Il terzo infine è co­
stituito da tutte le altre calamità della vita che possono per­
turbare la nostra anima, e per questo diciamo: "liberaci dal
male” ».
D a questa esposizione si desum e chiaram ente che
è im possibile chiedere a D io cose m igliori, in m odo
più ordinato, con un n um ero m inore di parole, con una
m agg io r sem plicità e fiducia che m ediante la sublim e
orazione del Padre nostro. I santi trova n o una vera
« manna nascosta » n ell’ orazione dom enicale, p o ich é
alim entano la lo ro orazione con le sue d ivin e petizio­
ni. S. Teresina giun se a n on trovare gu sto spirituale se
n on nel Padre n ostro e n ell’A v e M a r ia 16. S. Teresa lo
com m enta m agistralm ente nel suo Cammino di per­
fezione. M o lte anim e sem plici e um ili trova n o in esso

J 5 « Talora, quando il m io spirito si trova in una sì grande aridità da


n o n poter concepire neppure u n buon pensiero, recito m olto lentamente
u n Pater e vm’A ve Maria, e queste sole preghiere nutrono divinam ente
l ’anima mia, la rapiscono e le bastano» (Storia di urianima c .io , n.401).
LA V IT A DI ORAZION E 783

a b b o n d a n te p a s c o lo p e r la lo r o o ra zio n e 16 e p e rsin o
p e r salire alle p iù alte v e tte d ella co n te m p la z io n e e d e l­
l’ u n io n e c o n D io . L o afferm a S. T e r e s a di G esù :
« So di una persona che non p o tè mai pregare che v o ­
calmente. Eppure v i si trovava assai bene, tanto che, quando
non recitava, il suo spirito divagava si distratto da non po­
terlo raccogliere. M a piacesse a D io che la nostra orazione
mentale fosse cosi perfetta com ’era in lei la vocale! In certi
Pater noster che recitava in onore dei misteri sanguinosi del
Signore e in. alcune altre preghiere, durava alle volte per ore
intere. Venne un giorno da me tutta in angustia, perché
non sapendo fare orazione mentale né applicarsi alla con­
tem plazione, si sentiva ridotta a non pregare che vocalm en­
te. Io le domandai che cosa recitasse e vid i che mediante la
recita del solo Pater no iter, arrivava alla pura contem plazio­
ne e che talvolta il Signore l’univa a sé nell’unione. D e l
resto, le stesse sue opere palesavano chiaramente le grandi
grazie che riceveva perché menava una vita assai perfetta. Io
n e lodai il Signore, ed ebbi invidia della sua orazione vocale.
« O ra, se questo è vero, com e del resto è verissim o, non
v i date a credere, vo i che siete nemici dei contem plativi,
d’ essere impossibile che lo diveniate pur vo i, purché come
d ico , recitiate bene le vostre preghiere vocali e v i mante-
niate pura la coscienza » 17,
L ’insigne D ottoressa mistica ci ha lasciato inoltre uno
splendido panerigico del Padre nostro nella sua opera ora ci­
tata Cammino di perfezione lS.

È , q u in d i, im p o rta n tis sim o n ella v it a s p iritu a le re­


citare b en e le o ra zio n i v o c a li. N o n si p o s s o n o m ai o m et­
tere d el tu tto , n ep p u re q u a n d o si so n o r a g g iu n te le p iù
alte v e tte d ella san tità. L ’o ra z io n e è sem p re u tile e
c o n v e n ie n te , sia p er eccita re il fe r v o r e sen sib ile, sia
p e r d a rg li lib e ro c o rs o q u a n d o è tro p p o ve e m en te.
I l d is p re z z o p e r le p re g h ie re v o c a li, ch e m a n ifesta n o
m o lte a n im e illu se , è se g n o di u n a d e v o z io n e di ca tti­
v a le g a .

16 Si ricordi il caso della guardiana di m ucche (n.301,1).


x 7 Cammino 30,7.
lS 37,1; cf. 42,5.
784 L A V IT A C R IS T IA N A N E L S U O SV IL U P P O O R DIN ARIO

SECO N D O GRADO D I O R A Z .: LA M E D I T A Z IO N E

378. i. Natura. - L a m editazione si p u ò defini­


re: l ' applicatone ragionata della mente ad una verità so­
prannaturale per averne m a convinzione sempre p iù pro­
fonda e quindi amarla e praticarla con l ’aiuto della grafia.
a) L ’ applicazione ragionata della mente... - È l’elemento
più caratteristico che distingue la meditazione dagli altri
gradi di orazione mentale. T u tti suppongono una applica­
zione della mente all’oggetto che si sta considerando o
contem plando, ma la meditazione ha com e nota distintiva
una applicazione ragionata o discorsiva all’o gg etto considerato.
T ale elemento le è così essenziale, che se manca, la medita­
zione scompare, perché in tal caso l’anima o si è lasciata pren­
dere dalle distrazioni oppure è passata alla orazione affettiva
o alla contemplazione.
L ’applicazione ragionata della mente però non è il fine
della meditazione, che in tal caso non si distinguerebbe m ol­
to dallo studio della verità rivelata.
b) ...ad una verità soprannaturale... - Q ueste parole vanno
intese in senso m olto esteso: un testo scritturistico, un epi­
sodio della vita di G esù o della vita di qualche Santo, un
principio teologico, una form ula liturgica, ecc.
c) ...per averne una convinzione sempre più profonda... •
L a meditazione, intesa com e orazione cristiana, ha due fi­
nalità: una intellettiva ed un’altra affettiva. L a meditazione
deve anzitutto condurre l’anima a convinzioni ferm e ed
energiche, senza le quali n on può resistere alle influenze
contrarie provenienti dai suoi nem ici, e soccom berebbe
facilmente dinanzi alla tentazione. Q uello che è puramente
sentimentale p uò produrre un effetto momentaneo di feli­
cità e dì pace; però siccom e n on è fondato sulla ferma con­
vinzione intellettiva, sarà som m erso senza resistenza al più
piccolo soffio di passione. N o n si p uò costruire una solida
casa sulla sabbia m obile del sentimento; è necessario il fon ­
damento roccioso e irrem ovibile delle convinzioni profon­
damente radicate nell’ intelligenza. L a prima finalità della
meditazione è diretta espressamente a formarle in noi.
d) ...e quindi am arla... - È l’elemento più importante della
m editazione in quanto orazione. È necessario che la volontà
sì sforzi di amare la verità che l’intelletto presenta elaborata.
Se si trascorresse tutto il tem po dedicato alla meditazione nei
LA V IT A DI O R A ZIO N E 785
procedim enti discorsivi preliminari, in realtà si farebbe
uno studio più o meno orientato alla pietà, non però un eser­
cizio di orazione *9. Questa com incia propriamente quando
l’anima, infiammata dalla verità soprannaturale che l’intel­
letto con vin to le presenta, prorom pe in affetti e atti di amor
di D io , col quale stabilisce un contatto intim o e profondo
che conferisce alla meditazione anteriore tutta la sua ragione di
essere in quanto orazione.
Evidentem ente, è necessario che tale amore ed entusia­
sm o affettivo non rim anga nelle pure regioni del cuore o
della fantasia. D e ve tradursi in energiche risoluzioni pratiche.
e) ...e p raticarla con l’ aiuto della grazia. - O g n i medita­
zione ben fatta deve terminare con un proposito energico
di mettere in pratica le conseguenze che derivano dalla
verità o dal m istero che abbiam o considerato e con una
preghiera a D io per poterlo adempiere, giacché senza di lui
non possiamo fare assolutamente nulla.
N o n si insisterà m ai abbastanza su questi ultim i due elem enti della de­
finizione: l’am or di D io e il prop osito pratico ed energico. Son o innum ere­
v o li le anime pie che si esercitano o gn i gio rn o nella m editazione e che
tuttavia, n on ricavano da essa nessuna utilità pratica. L a spiegazione di
questo va ricercata nella maniera difettosa di farla. Insistono trop po su quel­
lo che è pura preparazione all’orazione propriam ente detta. Passano il tem po
leg g en d o discorrendo o in una continua distrazione sem ivolontaria. E
così avviene che dalla lo ro anima non sgorga un solo atto di am ore, un ’a­
spirazione a D io , un p rop osito concreto. « Sono anime paralìtiche, alle
quali, se il Signore n on com anderà di alzarsi com e al paralitico che stava da
trent’anni alla piscina, toccherà serio pericolo e sventura assai grave » 20.

379. 2. Importanza e necessità della meditazio­


ne. - L a m editazione, se è utilissim a per salvarsi,
è assolutam ente necessaria p er iniziare seriamente il
cam m ino della propria santificazione.
a) È U T I L I S S IM A P E R S A L V A R S I . - M o lti viv o n o
abitualm ente in peccato sem plicem ente p erch é non ri­
flettono. L e parole di Gerem ia: « D esolation e desolata
est om nis terra quia nullus est qui recogitet corde »

*9 « D esid ero soltanto avvertirvi che per inoltrarsi iti questo cammino
e salite alle mansioni a cui tendiamo, l ’essenziale non è già nel m olto pensa­
re, ma nel m olto amare » (S. T e r e s a , Quarte mansioni 1,7; cf. Fondazioni 5,2).
20 C f. Prime mansioni 1,8.
786 L A V IT A C R IS T IA N A N EL SU O S V IL U P P O ORD IN ARIO

(G e r. 12, u ) , co n tin u a n o a d essere d i p alp itan te a ttu a ­


lità. C o s to ro in fo n d o n o n h a n n o u n cu o re c a ttiv o n é
o d ia n o D io , m a sic c o m e si d àn n o sfren atam en te alle
a ttiv ità p u ra m e n te n atu rali e d im e n tica n o i su p rem i
in te re ssi d e ll’ anim a, fa cilm e n te si la scia n o tra sp o rta re
d a ll’im p e to delle p a ssio n i d iso rd in a te , e p assan o lu n g h i
a n n i e alle v o lt e la v ita in te ra n e l p e c c a to . L a p r o v a p iù
e v id e n te ch e la lo r o triste c o n d iz io n e sp iritu a le è d o ­
v u ta p iù ch e a p r o te r v ia o ca ttiv e ria di cu o re , a un
irrifle s s iv o sto rd im e n to , è co s titu ita d a l fa tto ch e, q u a n ­
d o co s to r o , p e r ca so , o p e r d iv in a p r o v v id e n z a , rie s c o ­
n o a fa re u n co rso di e se rcizi sp iritu a li o a ssisto n o ad
u n a m issio n e, s o g lio n o sp erim en tare una fo rtis sim a im ­
p re ssio n e, ch e li sp in g e m o lte v o lt e ad u n a v e ra co n ­
ve rsio n e .
A ragione, quindi, S. A lfo n so afferma che l ’orazione m en­
tale è incom patibile co l peccato. Con gli altri esercizi di
pietà l’anima può continuare a vivere in peccato; con l’ora­
zione mentale ben fatta non potrà rim anervi m olto tempo:
o lascerà l’orazione o lascerà il peccato " ,

b) È A SSO L U T A M E N T E N E C E S S A R IA P E R l ’ A N IM A C H E
a s p ir a a lla - L a c o n o s ce n za di se stesso , la
s a n t it à .
p ro fo n d a u m iltà , il ra c c o g lim e n to e la so litu d in e , la
m o rtifica zio n e d ei sen si e a ltre co se n ecessarie p e r g iu n ­
g e re alla p e r fe z io n e n o n s o n o c o n c e p ib ili n é m o ra l­
m en te p o ss ib ili senza l ’e se rcizio d ella m e d itazio n e b e n
p rep a ra ta e assim ilata. L ’an im a ch e v u o le san tificar­
si d a n d o si alla v ita a p o s to lic a a s ca p ito d ella sua v ita
di o ra zio n e, p u ò dare a d d io alla santità. L ’esp erien za
c o n fe rm a c o n o g n i e v id e n z a che nulla può supplire la vi-

21 E cco le sue parole: « Cum reliquis pietatis operibus potest peccatum


consistere, sed non possunt cohabitare oratio et peccatum: anima aut relin-
quet orationem aut peccatum ... A ieb at enim quidam servus D ei quod m ul­
ti recitent rosarium , officìum B .M .V irgin is, ieiunent, et in peccatis v iv e ­
re pergant; sed qui orationem non intermittit, im possibile est u t in D e i
offensa vitam prosequatur ducere...» (Praxis confessarti n.122).
LA V IT A D I OR AZIO N F 787

fa di orazione, neppure raccostarsi quotidianamente ai sacra­


menti. S o n o n u m e ro sissim e le a n im e c h e . si co m u n ica ­
n o e d i sacerd o ti ch e ce le b ra n o la m essa tu tti i g io r n i
e ch e c o n d u c o n o , tu tta v ia , u n a v ita sp iritu a le m e d io cre .
Q u e s to si s p ie g a c o n la d eficien za d e ll’ o ra zio n e m en tale,
ch e o m e tto n o to ta lm e n te, o ch e fa n n o in u n m o d o co s i
im p e rfe tto e a b itu ale, ch e e q u iv a le q u asi ad u n a o -
m issio n e. I l d ire tto re sp iritu a le d e v e in sistere in ce s­
san tem en te su lla n ecessità d e ll’o ra zio n e. L a p rim a co sa
ch e d e v e fare q u a n d o u n ’anim a si affida alla sua d ire z io ­
ne è di p o rta rla a lla v ita di o ra zio n e. S u q u e sto p u n to
n o n tra n sig a. L a in te rr o g h i su l m o d o c o n cu i la co m p ie,
sulle d iffico ltà ch e in co n tra , le in d ich i i m e zz i p e r su ­
p erarle, g li a rg o m e n ti ch e d e v e m ed ita re d i p re fe re n ­
za, e cc. N o n p o tr à d irig e re u n ’an im a se n o n o tte rrà
ch e si d e d ich i a ll’ o ra zio n e in u n a m an iera assid u a e p e r­
severan te, e che la p re fe risca a tu tti g li altri e se rcizi
di pietà.

380. 3. Metodo di meditazione. - O c c o rr e e v i­


tare u n d u p lice s c o g lio rig u a rd o al m e to d o o alla f o r ­
m a d ella m e d ita zio n e : l ’e cce s s iv a rig id ità e l ’e cce s s iv o
a b b a n d o n o . A l l ’in iz io d ella v ita sp iritu ale è quasi
in d isp e n sa b ile atten ersi ad u n m e to d o c o n c re to e
p a r tic o la re g g ia to . L ’a n im a n o n sa cam m in are a n co ra
da so la, e d ha b is o g n o , co m e i b a m b in i, d i so ste g n i.
P e rò a m isu ra ch e an d rà cresce n d o sen tirà sem pre
m en o la n ecessità d i r ig id i m e to d i, e a rriv e rà il m o ­
m e n to n e l quale il lo r o u so ra p p resen terà u n v e r o im ­
p ed im e n to alla sua o ra zio n e m entale.
E s p o r re m o o ra b re v e m e n te i p rin c ip a li m e to d i di
m e d ita zio n e ch e s o n o stati p ro p o s ti n e l c o rs o d ei
seco li 22. E s s i so n o p ra ticati n ella C h iesa e h a n n o tu tti

22 Cf. S a u d r e a u , h a piètè à travers les àges p a s s im ; D e G u i b e r t , Tbio­


logia spiritualis nn.283-88 e T a n q u e r e y , Compendio di teologia ascetica e
mistica nn.688-702.
78 8 LA V IT A C R IS T IA N A NEL SU O S V IL U P P O ORDIN ARIO

i lo ro v a n ta g g i e i lo r o in c o n v e n ie n ti. L ’anim a, so tto


la g u id a d el suo d iretto re sp iritu a le, sp erim en terà il
m e to d o ch e m e g lio c o n v e rrà al su o tem p e ra m en to e
p ro cu re rà di a tte n e rv isi. N e l fare la scelta si te n g a p re ­
sen te ch e il m e to d o m ig lio r e è q u e llo ch e sp in g e co n
m a g g io r efficacia a ll’a m o re d i D io e al d isp re zz o di sé
stessi.
a) N e ll’antichità. - S e co n d o C assiano 2S, la fo rm a
d i o ra zio n e m en tale p ra ticata dai P a d ri an tich i co n si­
stev a n el rip etere m o lte v o lte atten tam en te e p iam en ­
te il v e rs e tto « D e u s in a d iu to riu m m eu m in te n d e... »
del salm o 69.
b) N e l Medio Evo. - 1) S. B ernardo n el suo
lib r o D e Consideratione 21, d iretto a p ap a E u g e n io II I,
in d ica g ià un m e to d o di o ra zio n e m en ta le, m a an co ra
d ife tto s o e im p re ciso .
2) U go d i S. V itto re in alcu n e delle sue o p ere 25
in d ica -cinque tem p i: le z io n e , m e d ita z io n e , o ra zio n e ,
o p era zio n e e co n te m p la z io n e . N e l su o lib r o D e modo
dicendi et meditandi 26 n e in d ic a s o lta n to tre: p en siero
(’cogitatìo), m e d ita z io n e e co n te m p la z io n e .
3) G uido C ertosino 27 ne ra cco m a n d a qu a ttro : le ­
zio n e , m e d ita zio n e , o ra zio n e e co n te m p la z io n e . D i
q u e sti tem p i « i p re ced e n ti sen za i se g u e n ti g io v e r e b ­
b e ro p o c o o n ien te; m a i s eg u e n ti senza i p re ced e n ti,
n o n p o ss o n o esistere m ai o rare v o lte » (c .7 1 ).
c) A partire dal secolo X V I si d eterm in a n o co n

53 Collat, X ,io ; M L 49,832 et E A . 829.


34 Il,2ss; M L 182/745S.
25 In D e meditandi artifìcio. M L 176,993 ed Eruditio didascalica V,cj:
M L 176,797: « P rim o lectio ad cognoscendam veritatem materiam mini-
jtrat, m editatio coaptat, òratio sublevat, operatio com ponit, contempla­
l o in ipsa exsultat».
26 5; M L 176,878.
27 Scala claustralium-. M L 184, 4 7 5 S .
LA V IT A DI O R AZION E 789
m olta precisione differenti m etodi di orazione m en­
tale:
i) L u is de G ranada indica cinque momenti:
preparazione, lezione, meditazione, ringraziamento e
petizione 2S.
z) S. P ietro d ’ A lc a n ta r a nel suo Trattato dell'o­
razione, che è soltanto un riassunto del lib ro del P. G ra-
nada, pone sei parti: preparazione, lesione, m ed itazio­
ne, ringraziam ento, offerta e petizione 29. L o segu on o
la m agg io r parte dei francescani (per es., M u rillo nella
sua Scala spirituale I V p.3 cc. 8-9).
3) Il P. Jerónimo G r a c ià n e la m aggior parte dei
carm elitani posteriori ne p o n g o n o sette: preparazione,
lezione, m editazione, contem plazione, ringraziam ento,
petizione ed ep ilo go 3 P erò il P. G iovan n i di G esù
M aria, e altri dopo di lui, ne indicano soltanto sei,
po ich é sopprim ono la contem plazione 31.
4) S. I gnazio d i L oyola indica nei suoi Eser­
citi Spirituali vari m etodi di orazione mentale: applica­
zione delle tre potenze: mem oria, intelletto e vo lo n tà
(nn.45-54); contem plazione im m aginaria dei m isteri
della vita di Cristo (nn.101-9 e 110-17); applicazione
dei cinque sensi (nn.65-71; 121-26); tre « m od i di p re­
gare» (n.238ss.), che consistono: il prim o, in una
specie di esame sui com andam enti, peccati capitali,
ecc.; il secondo, nel considerare ad una ad una le parole
di una determinata form ula di orazione, per es., il Pa­
dre nostro; e il terzo (che il santo chiama « orazione di
com passo »), nel pronunciare in m odo ritm ico e com -

a8 L ib ro de la oración y meditación tr. i , c.2 e M em orìal de la vida cristiana


tr.6,c.3.
29 C.5 (p. 486 nel t.io delle Obras completas de F r . L u is de Grattada, a
cura del P. Cuervo).
3° Oración menta! i (Obras, a cura del P. Silverio, 1,336).
3r Instructio novitiorum III,c.2.
790 I-A V IT A C R IS T IA N A NEL SU O SV IL U P P O ORDINARIO

passato (ad o g n i respiro) alcune parole di una form ula


determ inata (per es., il Padre nostro), m entre si m edita
su di essa. N ella « fam osa contem plazione per conse­
guire am ore » (nn. 230-7) prop on e un m etod o per a-
scendere dalle creature a D io , a som iglianza di S. B o ­
naventura nel suo Itinerario.
T ra tutti i m etodi ignaziani, il p iù conosciuto e ge­
neralizzato è quello d ell’applicazione delle tre p o ten ­
ze. L o riportiam o in form a schematica:
1. A tto di fede nella presenza di D io e di
umile riverenza.
2. O razione preparatoria generale per chie­
I. Prepara­ dere la grazia di fare bene la meditazione.
zione e
3. Prim o preludio: com posizione di luogo
p relu d i.
(esercizio dell’immaginazione).
4. Secondo preludio: petizione della grazia
speciale che si vu ole ricavare dalla meditaz.
1. La memot■ia: che ricorda il fatto o l’assunto
con le sule varie circostanze.
1) Che cosa devo considerare ri­
guardo a questa materia ?
2) Q uali deduzioni devo trarre
per la mia v ita ?
3) Q uali m otivi ho per fare que­
2. L 'intel­
sto ?
letto che
II. C o r p o 4) Come mi sono comportato
esamina
della me­ finora su questo punto ?
ditazione, 5) Com e devo com portarm i d’ora
o eserci­ innanzi ?
zio delle 6) Q uali difficoltà dovrò vincere ?
potenze. 7) Q uali m ezzi d o vrò usare per
riuscirvi ?
1) Che eccita tutte le altre poten­
ze a pregare.
2) Che prorom pe in affetti duran­
3. L a vo­ te tutto il tem po dell’orazione,
lontà specialmente al termine.
3) Che form ula propositi pra­
tici, concreti, energici, umili
e fiduciosi.
LA V IT A DI O R AZION E 791

i. Colloqui: con D io Padre, G esù Cristo, la


SS. V ergine e i santi.
1) Com e ho fatto la m editazione?
III. Conclu­
sione... 2) A che cosa è d o vu to l’averla
fatta bene o male ?
3) Q uale deduzione pratica ho ri­
cavato, quali petizioni ho fatto,
2. Esame
quali risoluzioni ho preso, quali
luci ho ricevuto ?
4) Scegliere un pensiero come
« mazzetto spirituale » per ricor­
darlo durante il giorno.

5) S. F rancesco d i Sales , su lle o rm e d iS . Ig n a z io


e d i L u is de G ra n a d a , in d ica la p re p a ra zio n e (p resen za
d i D io , in v o c a z io n e , d e te rm in a zio n e d e l m istero ), le
co n sid e ra z io n i, g li affetti, i p ro p o s iti e la c o n clu s io n e
c o l fru tto e c o l m a zz e tto sp iritu a le 32.
6) S. A lfonso d e ’ L iguori propugna un metodo
molto simile: preparazione (fede, umiltà, contrizione,
petizione), considerazione, affetti, petizione, propositi,
conclusione (ringraziamento, rinnovazione dei propo­
siti, petizione dell’aiuto e mazzetto spirituale) 33.
7) I l M etodo d i S. Sulpizio è q u e llo ch e fu idea­
to dal Cardinal D e B é ru lle , co n rito c c h i d e l P . C o n d re n ,
del V e n . O lie r e di T r o n s o n . È il p iù c o n o s c iu to e
ge n e ra liz za to , e m ira a ll’u n io n e c o l V e r b o in ca rn a to .
A n c h e q u e sto lo rip o rtia m o in fo rm a schem atica:

V- Cf. Filotea 11,2-7 (£È veda 1 , 8 - i 8 ).


33 Praxìs confessarti X , 2 1 7 S ; IX , 1 2 1 (ed. G au dé, t.4) e L a vera sposa c.5 1.
792 L A V IT A C R IS T IA N A NEL SU O S V IL U P P O ORDIN ARIO

Schem a per l a m e d it a z io n e se c o n d o il m etodo

d i S . S u l p iz io

Remota: una vita di raccoglim ento e di solida pietà.


i) Scegliere il punto la sera prima; preve­
dere le principali considerazioni e i p ro ­
positi che dovrem o formulare.
Prossim a 2) A ddorm entarsi pensando all’argom ento
della meditazione.
3) D o p o la levata im piegare il primo tempo
lìbero per fare la meditazione.
1) Porsi alla presenza di D io (specialmente
nel nostro cuore).
Im media­ 2) Um iliarci profondamente: atto di contri­
ta zione.
3) In vocare lo Spirito Santo: Veni Sonde
Spiritili.
1) Considerare in D io , in G esù Cristo o in
Prim o pun­ qualche santo i lo ro affetti, le lo ro pa­
to: Adora­ role e azioni rispetto a quello che dob­
zione (G e­ biam o meditare.
sù davanti 2) Rendergli om aggio di adorazione, ammi­
a noi, razione, lode, ringraziam ento, amore,
gioia o compassione.
1) Convincersi della necessità di praticare
Second o quella virtù.
punto: Co­ 2) A ffetti di contrizione per il passato, di con­
muni one fusione per il presente e di desiderio per il
(G esù nel futuro.
nostro cu o ­ 3) Chiedere a D io questa virtù (partecipando
re) cosi alle virtù di Cristo) per tutte le
nostra necessità e quelle della Chiesa.
T erzo pun­ 1) Form ulate un proposito particolare, con­
to: Coopera­ creto, efficace, umile.
zione (Gesù
2) R innovare il proposito del nostro esame
nelle nostre
particolare.
mani)
LA V IT A DI O R AZION E 793
1) Ringraziare D io delle luci e dei benefici ricevuti
nell’orazione.
2) Chiedergli perdono delle colpe commesse in es­
sa.
3) Chiedergli che benedica i nostri propositi e tutta
la nostra vita.
4) Form are un « m azzetto spirituale » per tenerlo pre­
sente tutto il giorno.
5) M ettere tutto nelle mani di Maria: Sub tuum
praesidium.

8) S. G i o v . B a t t ista d e lla Sa lle , ch e fu d is c e ­


p o lo di T r o n s o n , p ro p o n e ai s u o i fra te lli 3 4 u n m e to d o
m o lto sim ile a q u e llo di S. S u lp iz io . In siste , n ella p re ­
p a ra zio n e , sulla p re se n za d i D io (n elle crea tu re , in n o i,
n ella C h iesa); s e g u o n o tre atti r ig u a rd o a C r is to (fed e,
a d o ra zio n e, rin g ra z ia m e n to ), tre rig u a rd o a sé stesso
(co n fu sio n e , co n trizio n e e a p p lica zio n e d e l m istero)
e tre atti u ltim i (u n io n e c o n C risto , p e tiz io n e e in v o c a ­
z io n e d ei santi).
L e fo rm u le so n o e v id e n te m en te m o lto v a r ie , m a
c o in c id o n o tu tte n ella so stan za. O g n i anim a d e v e sce­
g lie re il m e to d o ch e m e g lio s’a d d ice a l s u o te m p e ra ­
m e n to , m a sen za ren d ersen e sch ia va . P e rm etta al su o
sp irito d i se g u ire c o n fa cilità e sen za s fo r z o le d iv e rse
m o z io n i ch e g l’isp ira in o g n i m o m e n to l ’a zio n e santi-
ficatrice d e llo S p irito S anto.

381 . 4. A r g o m e n t i c h e s i d e v o n o m e d ita re . -
N o n tu tti g li a rg o m e n ti c o n v e n g o n o a tu tte le
p erso n e, e n ep p u re alla stessa an im a in co n d iz io n i
d iv erse . I p rin c ip ia n ti m e d ite ra n n o q u e lle v e rità ch e
isp iran o lo r o l ’ o rro re a l p e c c a to (i n o v is s im i, la ne­
cessità d ella p u rifica zio n e , ecc.); i p ro ficie n ti tro v e r a n ­
n o u n a b b o n d a n te p a s c o lo n ella v it a e p a s s io n e di

34 N ella sua opera Explication de la methode d ’orasìon.


79 4 L A V IT A C R IS T IA N A NEL SU O S V IL U P P O ORDIN ARIO

G esù; i perfetti non hanno b iso gn o di scegliere un ar­


gom ento; seguono sem pre la m ozione del divino
Spirito, che li innalza alla contem plazione delle mera­
vig lie della vita intim a della SS. Trin ità.
In principio, tuttavia conviene sceglierei soggetti più adat­
ti alla condizione dell’anima, la quale deve essere «lasciata li­
bera di circolare com e vu o le, in alto, in basso e ai lati, senza
volerla rincantucciare e restringere in una stanza sola » 35.
« In principio, l ’argom ento deve essere breve, semplice
e chiaro, senza com plicazioni, raffinatezze e sottigliezze.
L ’oraizione non è un intrattenim ento di spiriti leggeri, ma
un ’um ile com parire dell’anim a davanti a D io . A nch e quan­
do l ’im potenza o l ’aridità obbligano a una lettura meditata
0 a una lenta orazione vocale nella quale si va considerando
successivam ente o g n i parola o pensiero, non è necessario
correre da im a parola all’altra, ma fermarsi il m aggior tem ­
po possibile per esprimere ed assaporare il contenuto di
ognuna di esse finché il cuore non si m uove e non si riscal­
da.
N elle condizioni ordinarie conviene proporre allo spirito
un p iccolo num ero di pensieri. Q uando si sa pregare, uno,
due, tre pensieri al massimo, bastano per alimentare la più
lunga meditazione. N o n si dim entichi mai che non si trat­
ta qui di vedere se non in funzione dell’amore. L ’orazione è
anzitutto un esercizio del cuore. In generale, i libri presenta­
no un’abbondanza tale, che trasformano l’orazione mentale in
lettura spirituale 35. N o n tutta la colpa è dei libri. A d una men­
sa sovrabbondante non si deve mangiare di tutto, ma soltan­
to secondo il gusto e l’appettito. Sono preferibili, tuttavia,
1 libri che non indicano per ogn i giorno più di due o tre
pensieri; questi sono i m igliori nella lo ro specie. Q uelli
che per una sola m editazione condensano trattati interi
sulla materia, accusano nei loro autori una nozione m olto
difettosa dell’orazione; invece di semplificarla e facilitarla,
la com plicano e in parte la sopprim ono » 37.
È certo, tuttavia, che certe persone n on riescono
a meditare senza l ’aiuto di qualche libro. S. Teresa di-

35 S. T e r e s a , Prime mansioni 11 , 8 .
36 N o n si insisterà mai abbastanza sulla necessità di guardarsi dal tra­
sformare la m editazione in una sem plice lettura spirituale.
3 ? R i b e t , Uascétique cbrétienne 0 .3 1 n .3 .
LA V IT A D I OR AZIO N E 795

ce di sé stessa che per più di quattordici anni m editò


in questa maniera ss. In sim ili casi l ’anima deve sce­
gliersi un libro, o recitare m olto adagio delle pre­
ghiere vo cali e sforzarsi di fare quello che le è possi­
bile finché D io non disporrà diversam ente. Si guardi
bene però dal trasform are la m editazione in una sem­
plice lettura spirituale. Sarebbe preferibile allora lim i­
tarsi a pregare vocalm ente.
« G li argom enti che conviene scegliere per la meditazione
sono quelli che m aggiorm ente uniscono l’anima a D io ,
la m antengono nella fedele osservanza dei com andam enti
e l’aiutano a santificare la sua vita. G li obblighi del proprio
stato, i v izi e le virtù, i novissim i, D io e le sue perfezioni,
G esù Cristo, i suoi misteri, i suoi esempi, le sue parole;
la SS. V ergin e ed i santi, le solennità ed i diversi aspetti
del ciclo liturgico: tali sono le considerazioni più atte ad
eccitare la devozione ed alimentare la pietà. C i sono tuttavia
per ognuno dei punti particolari sui quali conviene tornare con
qualche frequenza, com e il difetto predom inante, la speciale
attrattiva della grazia, i doveri ed i pericoli del proprio stato.
Inoltre le circostanze, l ’ispirazione interiore e le indicazio­
ni del direttore spirituale aiuteranno a determinare i sogget­
ti da meditare; in o gn i caso sarà sempre utile ritornare
m olte vo lte su quelle considerazioni che ci hanno spinto
ad una m aggio r generosità nella nostra vita spirituale...
Q ualunque sia in fine, la materia che si medita, l’o g ­
getto principale della nostra riflessione e dei nostri af­
fetti deve essere sempre N o stro Signore. L e nostre orazio­
ni, com e le nostre opere, sono gradite a D io nella misura
in cui sono com piute in unione col divino M ediatore, e nulla
assicura tanto questa com unione com e il mantenersi duran­
te l ’orazione sotto lo sguardo di G esù indirizzando a lui
i pensieri della nostra mente e gli affetti del nostro cuo­
re » 3 9 .

3 8 « Io passai più di quattordici anni senza poter meditare se n on con


l'aiuto di u n libro e credo che le persone che m i som igliano siano molte.
A ltre invece n on possono meditare neppure con la scorta del libro, ma sol­
tanto pregare vocalmente, perché questo fissa un p o ’ di più la loro im m agi­
nazione » (Cammina 17,3).
3 9 R ib e t 0. c.t c .3 1 , n n .5 -6 .
796 L A V IT A C R IS T IA N A N EL SU O S V IL U P P O ORDIN ARIO

5. D ettagli complementari. - Si riferiscono al


tem po, al lu o g o , alla posizione della persona ed alla
durata dell’orazione mentale.

382. a) T e m p o . - B isogn a tener presenti due cose:


la necessità di un tem po determ inato del giorn o e la
scelta del m om ento p iù opportuno.
Q uanto alla prim a, è evidente la convenienza di
stabilire un tem po determ inato per attendere alla
m editazione: diversam ente si corre facilm ente il ri­
schio di tram andarla di ora in ora e di om etterla com ­
pletam ente col m inim o pretesto.
L ’ efficacia santificante della m editazione dipende
m oltissim o dalla costanza e dalla regolarità nel suo e-
sercizio.
« N o n tutti i tempi sono egualm ente favo revo li per l’eser­
cizio di cui parliam o. Q uelli che seguono le refezioni,
le ricreazioni o il tum ulto delle occupazioni n on sono adat­
ti per la concentrazione, il raccoglim ento e la libertà di spi­
rito necessaria per l ’ascensione dell’anima verso D io .
Secondo i maestri della vita spirituale, i m om enti più
adatti sono: la mattina di b u o n ’ora, la sera prim a della cena
e la m ezzanotte.
Se non si può attendere all’orazione più di una sola
volta al giorno, è preferibile la mattina. L o spirito, ristorato
per ii riposo della notte, possiede tutta la sua freschezza *°; le
distrazioni non lo hanno ancora assalito e questo prim o m o­
vim ento verso D io imprime all’anima la direzione che deve
seguire durante il giorno » 41.

A n c h e i libri sacri indicano la m attina e la notte co ­


me le ore più propizie per l ’orazione: « D om ine, mane
exaudies vo cem meam; mane astabo tib i... » (Sai. 5,4-5);
« E t mane oratio mea praeveniet te » (Sai. 87,14);

4° C i sono, tuttavia, delle eccezioni. D o p o una notte insonne le ore del


mattino sono le più sonnolente. In tutto è necessario essere discreti e atte­
nersi alle circostanze dei casi particolari.
41 Cf. R i b e t , Vascétique c.32, n.4.
LA V IT A DI OR AZIO N E 797

« M edia nocte surgebam ad confitendum tibi » (Sai. 1 1 8,


62); « E t erat pernoctans in oratione D e i» (Luca 6,12).

383 . b) L u o g o . - Per i religiosi, i seminaristi, ecc.,


è determ inato dalle usanze della com unità. O rdinaria­
mente è la cappella 0 il coro. Però, assolutam ente par­
lando, si p uò fare in qualsiasi lu o g o 42 che in vita al rac­
coglim en to ed alla concentrazione di spirito. L a soli­
tudine è la m igliore com pagna d ell’orazione. G esù
C risto la consiglia nel V an gelo ; ed è utile n on solo per
evitare la vanità (M at. 6,6), ma anche per assicurarne
l ’intensità e l ’efficacia: in essa D io parla al cuore (Os.
2 , 14 )-
« Sarebbe bene fare la meditazione davanti agli spetta­
co li della natura: sulle m ontagne, sulla riva del mare, nella
solitudine dei campi ? B isogna dire che quello che è conve­
niente per alcuni, rappresenta per altri un ostacolo. L e di­
sposizioni particolari e l ’esperienza devono indicare le jr e -
g o le da seguire » «.

384. c ) P o s i z i o n e . - L a posizione del corp o ha una


grande im portanza n ell’orazione. C hi p rega è senza
dubbio l ’anima, n on il corpo; però, date le lo ro intime
relazioni, la posizione del corp o si ripercuote n ell’a­
nim a e si stabilisce una specie di arm onia tra di esse.
In generale, conviene assumere una posizione u-
m ile e rispettosa. L ’ideale sarebbe di farla inginocchiati:
ma questa regola non si deve spingere alla esagerazione.
N ella Sacra Scrittura ci sono esempi di orazione fatta
in tutte le posizioni im m aginabili: in piedi (G iudit.
13,6; L uca 18,13); seduti (2 R e 7,18); inginocchiati
(L u ca 22,41; A tti 7,60); prostrati per terra (3Re 18,42;
G iu d it. 9,1; M arco 14,35), e anche nel letto (Sai. 6,7).
Si evitino, qualunque sia la posizione adottata, due

i 2« V o lo v ìr o s ora re in o m n i lo c o » ( i T im . 2,8).
43 C f. R ib e t , O .C.y c.32 , n .4.
798 L A V IT A C R IS T IA N A NEL SU O S V IL U P P O ORDIN ARIO

inconvenienti contrari: l ’eccessiva com odità e l ’ecces­


siva m ortificazione. L a prim a, perché, com e dice
S. Teresa, « orazione e trattam ento delicato non van ­
no d’accordo » (Cammino 4,2); e la seconda, perché
una posizione eccessivam ente penosa e incom oda p o ­
trebbe essere m o tivo di distrazione e rilassam ento nel
fervo re, che costituisce la parte principale dell’orazione.
385. d) D u rata . - L a durata dell’ orazione mentale
n o n può essere la stessa per tutte le anime e per tutti
i generi di vita. È u n principio generale che deve
essere prop orzionata alle fo rze, all’attrattiva e alle o ccu ­
pazioni di ognun o. In concreto, S. A lfo n so dice di
n on im porre ai principianti p iù di m ezz’ ora di m edita­
zion e al gio rn o e di aum entare il tem po a m isura che
crescono le fo rze dell’anima S. Francesco di Sales,
che scrive specialm ente p er le persone del m ondo e
di vita attiva, richiede u n ’o r a 46, e cosi pure S. Ignazio
nei suoi E s e r c iti (n.13). C o lo ro che scrivon o in m odo
speciale per i religiosi reclam ano da u n ’ora e m ezza
a due ore quotidiane 46.
T u ttavia, g li antichi m onaci erano soliti fare b revi,
m a frequenti e intense orazioni che quadravano m ol­
to bene con l ’abituale raccoglim en to della vita m ona­
stica.
Il D o tto re A n ge lico , insegna che l ’orazione deve
durare per tutto il tem po che l ’anima m antiene il fer­
vo re e la d evozion e, e deve cessare quando n on si può
continuare senza tedio e d istrazio n i,|8. Però n on si de­

44 « I n c i p i a t e r g o c o n f e s s a r iu s i n t r o d u c e r e a n im a m i n o r a t io n e m . A b
in i t i o n o n p lu s q u a m m e d ia e h o r a e s p a t i u m a s s ig n e t , q u o d d e in d e c r e s c e n t e
s p i r ìt u , p l u s m in u s v e a u g e b i t » (P r a x is confessarli 0 .9 , n .1 2 3 ) .
45 Cf. Filotea p .2. a , c . i , n .3 .
46 s. T e r e s a : « A l m e n o d u e o r e o g n i g i o r n o » ( V ita 8 ,6); F r . L u i s D e
G ra n a d a Oración y meditacòin I , c . i o , n .6 .
47 C f . S . B e n e d e t t o , Regola 20.
48 C f . 1 1 - 1 1 ,8 3 ,1 4 .
LA V IT A DI O R AZION E
799

v e dare a sc o lto alla tie p id e zz a e alla n eg lig en za che


tro v e r e b b e ro u n fa cile p re te sto in questa n orm a per
s cu o tere il p e n o s o s fo r z o ch e quasi sem p re l’ orazion e
rich ied e . E , in fin e, si a v v e r ta c h e l ’ o ra zio n e, qualun ­
q u e sia la sua d urata, n o n si p u ò co n sid erare co m e
u n ese rcizio is o la to e separato dal resto della vita
I l s u o in flu sso d e v e farsi sen tire d u ran te tu tto il gio rn o
e in tu tte le o c c u p a zio n i, le q u a li d e v o n o rim an ere im ­
p re g n a te d e llo spirito di orazione. In q u e sto senso
a v v e r te S. T o m m a so , l ’o ra zio n e d e v e essere continua
e ininterrotta. L a p ra tic a assid u a e fe r v e n te delle ora­
zioni-giaculatorie, c o n trib u irà a m an ten ere lu n g o il g io r ­
n o i l fe r v o r e d i v o lo n tà .

« Triste infermità — lamenta Pollien — quella dell’iso­


lamento!... Q uesta perversione materialistica della regolari­
tà, questo regolam ento meccanico, fa della vita un m obile a
scompartim enti. A l mattino apro un cassetto: meditazione;
m ezz’ora dopo lo chiudo e ciò basta per quel giorno. Più
tardi ne apro un altro: Ufficio; tre quarti d’ora ed è richiuso.
Cosi per le altre pratiche ed occupazioni; ognuna ha il suo
cassetto. G li esercizi di pietà sono in tal m odo confinati
in un angolo della giornata, separati dalla corrente vitale e
non esercitano sull’anima che l ’influenza del m om ento, se
pure l’esercitano... L ’insieme della mia vita è sconnesso,
privo di unità ».
E più avanti aggiunge: « L ’ invasione del formalismo iso­
lante, in nulla è più funesto quanto n ell’orazione. Com ’è
esaltato dai santi l ’esercizio dell’orazione! e com ’è insisten­
temente consigliato! Per fermarsi ad esso, i maestri spirituali
raccomandano all’anima di applicarsi ogni giorno almeno
per m ezz’ora alla meditazione... M a ecco introdursi il di­
fetto paralizzante: l'isolamento, che chiude la meditazione in
una m ezz’ora formalista. Si farà questo esercizio per giusti­
ficarsi dinanzi alla propria coscienza, g li si concederà il
tempo prescritto dalla regola, e sarà tutto. Si crederà di aver
fatto meditazione perché si è dato ad essa il tempo stabilito,
mentre non avrà poca o nessuna influenza pratica sul corso
della giornata. Si crede che questo esercizio, troppo esteriore
e com piuto tanto superficialmente, sia tutta l ’orazione, e non
si comprende affatto che cosa sia la vita di orazione. Forma-
800 L A V IT A C R IS T IA N A NEL SU O S V IL U P P O OR DIN ARIO

lizzando in tal m odo la meditazione, si è giunti ad estingue­


re la contem plazione...
U na volta si era meno form alisti, meno esclusivisti e
più solleciti deU’unità e della circolazione della vita; ciò è
attestato dalle regole degli O rdin i antichi... Siccom e l’a­
nima cristiana viv ev a della liturgia, la vita si trasformava
continuamente in un o stato m editativo permanente fino a
giungere alla contem plazione... Se ai giorni nostri, la mez­
z’ora di meditazione fatta da o gn i anima sollecita del proprio
avanzam ento, s’ isolasse di meno in un concetto troppo fo r­
malista; se invece di essere una semplice parte com e le altre,
mirasse m aggiorm ente ad essere com e il cuore di tutta la
giornata, o ve il sangue degli altri esercizi e degli altri atti
venisse a vivificarsi; se invece di farla scaturire esclusivam en­
te da un m etodo talora troppo convenzionale e da libri trop­
p o superficiali e particolareggiati, si cercasse piuttosto di
farla scaturire dalle profondità dell’anima e della vita o r­
dinaria; se mettesse in opera l’ Ufficio, la Messa, le preghiere,
gli incidenti e le occupazioni della vita, riferendo tutto a
D io ; se, per m ezzo suo, si imparasse a leggere l’azione di
D io , a vederla nelle sue relazioni vitali con l ’anima; se non si
confinasse nella sua m ezz’ora e tendesse m aggiorm ente ad
espandersi alle altre occupazioni della giornata, creando nel
cuore com e un bisogno di rituffarsi tratto tratto, per qualche
istante, in colloquio con D io , allora essa sarebbe ad un tem po
più potente e più facile; costerebbe di meno e gioverebbe di
più. L ’isolamento uccide tutto, ma nulla esso uccide tanto
quanto l’orazione» 49.

T E R Z O G R A D O D I O R A Z IO N E : L ’O R A Z IO N E
A F F E T T IV A

S. Teresa non usa questa espressione in nessuna parte


delle sue opere, benché ne parli chiaramente ( V ita 13,11).
Essa è stata unanimemente accettata da tutte le scuole di
spiritualità cristiana. A lvarez de Paz fu un o dei prim i ad
usarla nella sua opera De inquisitione pacis (1617). E g li si
ispirò al gesuita catalano A n to n io Cordeses (1518-1601).

386. 1 . Natura. - L ’ o ra zio n e a ffe ttiv a è quella


nella quale predominano g li affetti della volontà su l discorso

49 C f . L*a vita interiore semplificata p . 3 , a 1 . 2 , c c . 3- 4 .


LA V IT A DI O R AZION E 801

dell'intelletto. È co m e u n a m e d ita zio n e sem p lificata n ella


q u a le v a sem p re p iù p re v a le n d o il cu o re sul p r e v io la ­
v o r o d is c o rs iv o . C re d ia m o , q u in d i, ch e n o n ci sia d if­
feren za sp ecifica tra essa e la m e d ita zio n e , co m e esiste
tra qu esta e la co n te m p la zio n e . Si tratta, rip e tia m o , di
u n a m e d ita zio n e sem p lificata o o rien ta ta a l cuore:
n ie n t’a ltro . Q u e s to sp ie ga co m e il p a s s a g g io d a ll’un a
a ll’ altra si fa ccia in u n a m aniera g ra d u a le e in se n sìb ile ,
b e n ch é c o n m a g g io r e o m in o re ra p id ità o fa cilità , se­
c o n d o il tem p e ra m en to di co lu i ch e si esercita , d ello
sfo r z o che p o n e , d e ll’e d u ca zio n e ric e v u ta , d e l m e to d o
u sa to e di altri fa tto ri sim ili.
« Ci sono certi spiriti — avverte a ragione il P. Crìso-
gono — che a m otivo del loro naturale m olto affettuoso giun­
gon o subito a prescindere quasi completamente dal discorso
perché una breve riflessione eccita sufficientemente i loro
affetti. A ltri, invece, di carattere freddo ed energico, hanno
bisogno che preceda sempre il discorso riflessivo, e anche
allora gli affetti non sono numerosi; frequentemente ogni
affetto esige u fi.n u o v o discorso. Queste anime avranno ne­
cessariamente bisogno di un tempo m aggiore e di un più
lun go esercizio delle precedenti per giungere all’orazione
affettiva. Infine, persino il metodo seguito nella meditazione
influisce efficacemente su questo. Cosi, per esempio, il me­
todo di S. Ignazio, che dà tanta importanza alla parte intel­
lettuale, non favorisce il passaggio all’orazione affettiva co­
me il metodo francescano, che fin dai suoi inizi dà più im­
portanza al cuore che all’intelletto » 5°.

Q u a n d o si d e v e co m p iere il p a s s a g g io ? O c c o rr e
e vita re due scò g li: tro p p o p re sto o tro p p o tard i. C re ­
dia m o , tu tta v ia , ch e in p ra tica si p o ss o n o e vita re fa ­
cilm en te, se si ha l ’a v v e rte n z a di sem p lificare la m e d i­
ta zio n e in un a m aniera len ta, in se n sib ile , sen za s fo rzo
n é v io le n z a alcun a. N o n s ’im p e g n i l ’anim a n el p r o v o ­
care v io le n te m e n te affetti v e rs o i qu ali n o n si sente
spinta; m a v i si a b b a n d o n i d o cilm e n te se sente l ’attrat­

5° Compendio de ascèticay mistica p . 2 ,a c.zt a . 5 .


802 LA V IT A C R IS T IA N A N E L SU O S V IL U P P O ORDINARIO

tiv a d ella grazia, senza p re o ccu p a rsi n é p o c o n é m o lto


di p erco rrere le p arti della sua so lita o ra zio n e d isco r­
siva. In qu esta m aniera, c o n so av ità e senza s fo rzo ,
e v ita n d o o g n i v io le n z a , si farà il p a s s a g g io dalla m ed i­
ta zio n e a ll’ o ra zio n e affettiva, ch e finirà c o l rid u rre alla
sua m in im a esp ression e, se n o n a so p p rim erlo d el tu tto ,
il p re v io la v o r o d elP in te lletto discorsivo.
N on può mai esistere un ’orazione puramente ed esclusi­
vamente affettiva senza, nessuna previa conoscenza. La volontà
è una potenza cieca, e può amare soltanto il bene che l’in­
telletto le presenta 51. M a una volta che l’intelletto sarà abi­
tuato per le precedenti meditazioni a trovare facilmente co-
desto bene, lo presenterà ogni volta alla volontà con m aggior
prontezza, offrendole cosi la materia dell’orazione affettiva.

3 8 7 . 2 . P r a t ic a d e l l ’o ra z io n e a f f e tt iv a . - C i sem ­
b ra n o m o lto giu sti i seg u en ti co n sig li del P . C riso -
g o n o 52:
1. N o n sospendere il discorso prima che sia sgorgato
l’affetto. Sarebbe perdere il tempo in una sciocca oziosità
e fomentare una pericolosissima illusione.
2 . N on forzare gli affetti. Quando non sgorgano spon­
tanei o si sono estinti, si eccitino di nuovo soavemente col
discorso, senza volere fermarsi in uno più del necessario.
3. N o n avere fretta di passare da un affetto a un altro.
L ’anima si esporrebbe alla perdita del frutto del primo
senza conseguire subito il secondo.
4. Procurare di ridurre e semplificare progressivamente
gli affetti. In principio non importa che siano molti, affin­
ché la mancanza di intensità sia supplita dal numero; però,
a misura che l’anima va progredendo, conviene ridurli fi­
no ad arrivare, se è possibile, all’unità. Cosi l’intensità
sarà maggiore.

3 8 8 . 3 . V a n t a g g i d i q u e s t a o ra z io n e . - Psico­
logicamente p arlan d o , qu esta o ra zio n e rap presenta u n
v e r o s o llie v o p er l ’anim a, che d im in u isce la ru-

5- Cf. 1 -11 ,9, 1 .


52 O.c., ivi.
LA V IT A DI ORAZION E 80 3

de fatica della m e d ita zio n e d isco rsiv a . M o lto p iù


im p o rtan ti, p e r ò , so n o i vantaggi spirituali che o ttien e.
I p rin cip a li sono:
a) U n ’u n io n e p iù in tim a e p ro fo n d a co n D io ,
in e v ita b ile effetto d ell’ ese rcizio d e ll’ am ore, che ci a v ­
v ic in a sem p re p iù a ll’o g g e tto am ato.
V) U n p ro p o rz io n a to s v ilu p p o d i tu tte le v irtù
in fu se, g ia cch é , essen do co n n esse co n la carità, cre­
sco n o tu tte in siem e co m e le dita d i un a m an o E3.
c) P o ic h é p ro d u c e co n so la zio n i e so a v ità sen sibili,
se l’anim a saprà sfru ttarle, sen za attaccarsi d iso rd in a ­
tam en te ad esse, le serviran n o di g ran d e stim o lo e
in c o ra g g ia m e n to p e r la p ra tic a delle v ir tù cristiane.
d ) E u n a eccellen te p re p a ra zio n e p e r l ’ o ra zio n e di
sem p licità e le p rim e m a n ifesta zio n i della co n tem p la­
zio n e in fu sa.

389. 4. O s t a c o l i e in c o n v e n ie n ti. - C o s ì p re ­
zio si v a n ta g g i p o sso n o , tu tta v ia , essere co m p ro m essi
da certi in co n v e n ie n ti ch e o cco rre e vitare. E ssi sono:
a) Lo sforzo violento per produrre gli affetti. L ’ anima
deve convincersi che il vero fervore risiede nella volontà,
non nella sensibilità. Si può compiere un atto perfettissimo
anche solo rettificandone ed elevandone i motivi, ossia, com ­
piendolo semplicemente per glorificare D io nel piano del
puro amore, ancorché non ottenesse nessuna utilità né van­
taggio. I motivi sempre più puri ed elevati sono quelli che
danno tanto valore agli atti più insignificanti dei santi.
b) I l credersi pili progrediti nella vita spirituale di quanto
lo siamo in realtà. Certe anime, quando si sentono ripiene
di dolci emozioni, quando con facilità e prontezza com pio­
no atti di amor di D io , credono di trovarsi alle soglie dell’e­
stasi. Quanto falso sia il loro apprezzamento, si constata
senza sforzo pochi m inuti dopo l’orazione, quando incomin­
ciano senza scrupolo a mancare al silenzio, a criticare e a
mormorare, ad adempiere male gli obblighi del proprio

53 Cf. 1-11,66,2.
804 L A V IT A C R IS T IA N A N E L SU O S V IL U P P O ORDIN ARIO

stato, quando non li om ettono totalmente. Il vero progresso


nella vita spirituale consiste nella pratica sempre più per­
fetta delle virtù cristiane, non nelle dolcezze che si possono
sperimentare nell’orazione.
c) La « gola » spirituale 54; che spinge a cercare nell’o ­
razione affettiva la soavità delle consolazioni sensibili in­
vece dell’incoraggiam ento alla pratica austera delle virtù
cristiane. D i solito D io castiga questa brama egoista dell’a-
nima sensibile sottraendcde le sue consolazioni e sommer­
gendola nell’aridità più desolante affinché impari a retti­
ficare l’intenzione e constati con l’esperienza quanto poco
valga quando D io si ritira da lei.
d) La rilassatezza e la pigrizia dell’anima, che la spìn­
gono ad una sterile oziosità quando mancano gli affetti per
non scomodarsi tornando alle considerazioni della semplice
meditazione. È una illusione, m olto grande pensare che, una
volta giunta all’orazione affettiva abituale, l’anima non ab­
bia più bisogno della meditazione. Q uesto non capita mai
neppure alle anime che hanno raggiunto la vetta della per­
fezione. Parlando delle anime che sono riuscite a scalare le
settime mansioni, S. Teresa di G esù scrive: « N on dovete
credere, sorelle, che gli effetti di cui ho parlato si manten­
gano sempre nel medesimo grado. È per questo che, quando
m i ricordo, dico che ciò avviene in via ordinaria, perché
alle volte il Signore abbandona l’anima alla sua natura, e
allora sembra che tutte le cose velenose dei dintorni e delle
mansioni del castello si uniscano insieme per vendicarsi
di lei anche per quel tempo che non possono averla fra
le mani » ss. Se questo succede alle volte alle anime giunte
alla piena unione con D io , quanto più accadrà a quelle che
non sono riuscite neppure a oltrepassare le frontiere dell’a­
scetica nell’orazione affettiva. In questi casi è necessario
lottare contro l’oziosità e le distrazioni, facendo quanto è
•possibile con le risorse della semplice meditazione o ora­
zion e discorsiva. Diversam ente l’anima cadrebbe nel quie­
tism o che apre la porta a molte illusioni.

3 9 0 . 5. F r u t t i d i q u e s t a o ra z io n e . - C ’è un a
n o rm a in fa llib ile p er g iu d ica re della leg ittim ità o
b o n tà d e iro ra z io n e : esam in arne i fru tti. È la n orm a

54 C f. S. G i o v a n n i d e l l a C r o c e , N otte 1 ,6 .
55 Settime mansioni 4,1.
LA V IT A D I O R AZION E 8 05

su p rem a d el discernimento degli spiriti, data da G esù


C risto (M at. 7 ,16 ). I l fru tto d e ll’ o ra zio n e affettiva n on
si p u ò m isurare d a ll’in ten sità d elle c o n so la zio n i sensi­
b ili in essa sp erim en tati, m a d a l m ig lio ra m e n to e p er­
fe z io n a m e n to di tu tta la v ita . L a p ra tica sem pre più
in ten sa delle v ir tù cristiane, la p u re zza d ’in ten zio n e,
l ’a b n e g a zio n e e d isp re zzo di se stesso, lo spirito di
carità, l ’ad em p im en to esatto d ei p ro p ri d o v e ri, sa­
ran n o l ’in d ice della le g ittim ità della n ostra orazion e.
« T u tte le altre co se so n o p icco le lacrim e ch e e va p o ra ­
n o , so sp iri ch e s v a n isco n o n e ll’a tm o sfera » (P. C risó ­
g o n o ).

Q U A R T O G R A D O D I O R A Z IO N E :
L ’ O R A Z I O N E D I S E M P L IC IT À

391. 1. I l nome. - Il primo che usò questa espressione


fu Bossuet 56, ma il m odo di orazione designato con code­
sto nom e era già conosciuto. S. Teresa ne parla col nome di
orazione di raccoglimento attivo e acquisito 57, in contrapposizio­
ne al raccoglimento infuso, che costituisce il prim o grado di
contemplazione manifestamente soprannaturale o misti­
ca 58.

56 A lu i alm en o si attrib u isce g en era lm en te P o p u s c o lo Manière courte


et facile pour faire Poraison en fo i et de simple présence de Dieui m a la su a autenti­
c ità n o n è d el tu tto c erta (cf. P o u rra t, Spir. Chrét. 4 [19 26 ] p. 164 nota).
57 L a santa n e p arla d iffu sam en te n e lle s u e o p e re , sp ecialm en te n el
Cammino dì perfezione c.28ss. Che sia ra c c o g lim e n to a t t iv o o acq u isito , lo
d ic e chiaram ente q u a n d o scrive : « D o v e t e sap ere c h e q u i n o n si tratta di una
c o s a sop ratìnaturale, m a d i u n fa tto d ip en d en te d a lla n o s tra v o lo n tà e che
n o i p o ssia m o rea lizzare c o n l ’a iu to d i D i o , sen za d e l q u ale n o n si p u ò fare
n u lla , n ep p u re u n b u o n p e n s ie ro » (ivi 29,4).
58 L a santa n e p arla n elle Quarte mansioni (c. 3), e l o d istin g u e chiaram ente
d a q u ello a c q u isito c o n q u este p aro le: « M a n o n crediate c h e si p ossa o t­
ten ere i l ra cc o g lim e n to p ro c u ra n d o d i ap p licare l ’ in tellig en za a con sid erate
c h e D i o è in n o i, o c erca n d o d i rap p resen tarcelo n e ll’an im a m ediante l'im ­
m ag in azio n e . Q u e s to sarà u n o ttim o ed eccellen te m e to d o d i m ed itazion e,
806 LA V IT A C R IS T IA N A N E L SU O S V IL U P P O ORDIN ARIO

M olti altri autori la chiamano orazione di semplice sguar­


do, di semplice presenta di Dio o di semplice visione di fede.
A partire dal secolo X V II, i Carmelitani, e con loro m ol­
ti autori, cominciarono a chiamarla contemplazione acquisita 59.
Crediamo che l ’innovazione nella nom enclatura abbia co­
stituito un vero sbaglio, che ha dato origine a una m oltitu­
dine di errori e di confusioni. S. G iovanni della Croce e
S. Teresa non usano mai tale espressione.

392. z. N a tu ra . - L ’ orazione di semplicità fu defi­


nita da Bossuet com e m a semplice visione, uno sguardo
o ut?attenzione amorosa a qualche oggetto divino, sìa D io in
se stesso o qualche sua perfezione, sia Nostro Signore o qual­
che suo mistero, sia altre verità cristiane 60.
Com e si vede, si tratta di u n ’orazione ascetica estre­
mamente semplificata. Il discorso si è trasformato in un
semplice sguardo intellettuale; i vari affetti, in una semplice
attenzione amorosa a Dio. L ’orazione continua ad essere
a s c e tic a ---- l’anima v i si può dedicare quando vuole dopo
averne acquistato l’abito — , però comincia già a sentire le
prime influenze dell’orazione infusa, alla quale l’orazione
di semplicità è una eccellente disposizione. L o dice espressa-
mente Bossuet immediatamente dopo le parole della definizio­
ne che abbiamo sottolineato:
« L ’anima lascia allora il discorso, e si serve di una dolce

perché fondato sulla verità dell’inabitazione dì D io , ma non è quelio che io


intendo dire, perché, dopo tutto, è sempre una cosa che con l’aiuto del
Signore, può essere fatta da chiunque. N o n cosi di quello che intendo io,
perché alle volte g li abitanti si trovan o nel castello prim a ancora che si co­
m inci a pensare a D io . N o n so com e v i siano entrati, né com e abbiano udito
il fischio del pastore» (n.3).
59 Che la contemplazione acquisita coincida con l ’orazione di semplicità
di Bossuet, lo dichiarano espressamente i suoi più devoti sostenitori. Per
esempio, il P. C r i s ó g o n o nel suo Compendio de ascèticay mistica (p .2 .a c.3 ,
a.3), dopo aver descritto le due form ule di contemplazione acquisita
da lu i ammesse, scrive testualmente: « A queste due form e si riducono le
orazioni di semplice sguardo, di presenta di D io e di semplicità, che non sono
se non una cosa sola con nomi diversi (p .r 36, r ediz,). La stessa idea esprime
chiaramente il P , D e G u i b e r t nella sua Theologia Spiritualis n. 251 e il P .
P o u l a i n in D elle grazie d'orazione c.z, n.8.
60 Manière courte... n.3.
LA V IT A D I ORAZION E 807
contemplazione, che la mantiene in una dolce tranquillità e
attenzione e la rende suscettibile delle operazioni e impressioni
divine che lo Spirito Santo le vuole comunicare; lavora poco e
riceve molto; il suo lavoro è gradito, e non per questo cessa
di essere fruttuoso; e siccome si avvicina sempre più alla
fonte dalla quale promana la luce, la grazia e le virtù, ri­
ceve sempre p iù da essa» (ivi).

L ’ o ra zio n e d i sem p licità indica esattamente i l passaggio


daWascetica alla mistica, dall’ o ra zio n e acq u isita a qu ella
in fu sa. C i so n o in essa elem enti a cq u isiti e in fu si ch e si
m e sco la n o in p ro p o rz io n i d iv erse . Se l ’anim a sarà
fed e le, g li elem en ti in fu si au m en teran n o p ro g r e s s i­
va m e n te fin o a p re v a le re d el tu tto . In questa m aniera,
senza s fo rzo n é v io le n z a , quasi in sen sib ilm en te, l’a n i­
m a passerà d a ll’ascetica alla m istica, co m e p r o v a e v i­
dente d ell 'unità della vita spirituale, ossia, di un solo cam­
mino di perfezione ch e co m in cia c o n le p rim e m an ifesta­
z io n i ascetiche (o razio n e v o ca le , m ed ita zio n e) e r a g ­
g iu n g e il v e rtic e della m istica (u n io n e trasform an te)
senza so lu zio n e di co n tin u ità.

393. 3. P ra tic a d i q u e s ta o ra zio n e . - P recisa-


m en te a m o tiv o della sua s te s s a . sem p licità, n o n esi­
ste in questa o ra zio n e u n m e to d o p ro p ria m en te d etto.
T u tto si rid u ce a guardare e ad amare. P o s s o n o , p erò ,
essere u tili alcu n i co n sig li su l m o d o di co m p o rtarsi.

a) P r i m a d e l l ’ o r a z i o n e . - L ’anim a p ro cu ri di n o n
p re ced e re l’o ra d i D io . Q u a n d o p u ò d isco rrere e rica ­
v a re fru tto dalla m e d ita zio n e ord in aria, n o n cerch i di
p aralizza re il d isco rso . C a d re b b e in u n a la m en tev o le
o zio sità , che S. T eresa n o n d u b ita chiam are un a vera
scio cch e zza 61.
E v it i p u re l ’estrem o o p p o sto . N o n si a g g r a p p i alla

fjI Ella scrive: « Se il Signore non ha ancora cominciato a sospenderci


non so se si potrà cosi fermare il pensiero da non averne p iù danno che
808 L A V IT A C R IS T IA N A NEL SU O S V IL U P P O ORDINARIO

m ed ita zio n e, e n ep p u re alla m o ltitu d in e d i atti d e ll’o ra­


z io n e affettiva, se a v v e r te chiaram ente ch e il suo sp i­
rito rim ane co n g u s to a ll’am o ro sa p resen za d i D io senza
p artico la re co n sid e ra zio n e n é m o ltip lica zio n e d i atti.
S. T eresa , d i c o lo r o ch e rite n g o n o un a o zio sità q u e sto
d o lce rip o s o in D io , dice: « Q u a n d o n o n d isco rro n o ,
cre d o n o di p erd ere tem p o , m en tre io co n sid e ro qu esta
p erd ita co m e u n g u a d a g n o assai g r a n d e » (V ita 13 ,11 ).
S. G io v a n n i d ella C ro ce la n cia te rrib ili anatem i co n tro i
d iretto ri ig n o ra n ti ch e cerca n o di m antenere le anim e
a d o g n i c o s to n ei p ro ce d im e n ti d is co rs iv i p e rc h é n o n
san n o fare a ltro « che m artellare, co m e u n fa b b ro , e
b attere di mazza, le p o te n z e » to g lie n d o lo r o la tra n q u il­
lità e la p ace ch e g o d e v a n o in D io 62.

b) D u r a n t e l ’ o r a z i o n e . - O c c o rr e ten er p resen te
a lcu n e n orm e p er ricav are il m assim o ren d im en to da
questa fo rm a d i o ra zio n e. E c c o le p rin cipali:
1. Conviene che l’anima abbia preparato precedentemen­
te una determinata materia come se si trattasse di una sem­
plice meditazione, e sia disposta ad abbandonarla immediata­
mente se l’attrattiva della grazia cosi richiede 6). Questa pre­
parazione deve essere m olto semplice: può bastare il ricordo
di un mistero della vita di Gesù, un testo della Scrittura, una
breve form ula di preghiera.
2. Cerchi p o i di mantenersi in una amorosa attenzione
verso Dio, senza violenza, ma lottando contro le distrazioni
e l’ozio. Ricorra, se è necessario, all’immaginazione e mol-

vantaggio... M a se notiam o che il Re non ci ha né veduti riè sentiti, guardia-


m oci bene dallo star là com e tonti, a guisa di anime che, per essersi sforzate
di frenare i pensieri ed essersi violentate per non pensare a nulla, si trovano
in più grande aridità» (,Quarte mansioni 3,4-5).
62 Cf. Fiamma 3,43; cf. ivi, nn.30-62. A ncorch é il santo parli propriamente
del riposo della contemplazione infusa, si può applicare quello che dice,
proporzionalmente, all’orazione di semplicità.
63 Con m olta prudenza raccom andò ciò S. Francesco di Sales, al quale
la cosa contraria sem brava « un p o ’ dura... » e gli causava « un p o ’ di ripu­
gnanza» (cf. lettera a S. Giovanna dì Chantal d eir 11 m arzo 161 o; in Oeu-
vres t. 14, p. 266).
LA V IT A DI ORAZION E 809
tiplichi gli atti affettivi se lo spirito si dissipa facilmente quan­
do lo si vu ole concentrare in un solo atto. E se non basta
questa molteplicità di affetti, faccia uso senza esitazione del
discorso della ragione. Proprio a m otivo della sua sempli­
cità è m olto diffìcile rimanere a lungo in questo stato di ora­
zione, per cui l ’anima dovrà essere pronta a passare dall’o­
razione affettiva alla semplice meditazione per evitare di­
strazioni e perdita di tempo.
3. Infine l’anima non si deve scoraggiare nelle difficol­
tà create dall’aridità spirituale. L ’orazione di semplicità
non è sempre dolce e saporosa. Precisamente perché rappre­
senta il passaggio dall’orazione ascetica a quella mistica co­
minciano in essa le aridità della notte dei sensi (cfr. n.208).

c) D o p o l ’ o r a z i o n e . - N o n si dim entichi che il


frutto dell’orazione si deve tradurre in un m igliora­
m ento generale della vita cristiana, la quale deve speri­
mentare la benefica influenza dell’ orazione di sempli­
cità. Siccom e la grazia tende sempre più a semplifi­
cate la nostra condotta fino a ridurla all’unità nell’a­
more, dobbiam o fom entare questa tendenza fu ggen d o
da ogni manierismo e com plicazione nelle nostre re­
lazioni con D io e col prossim o.
Questa semplificazione — avverte opportunamente
Tanquerey 64 — si estende ben presto a tutta la vita. « L à pra­
tica di quest’orazione, dice Bossuet, deve cominciare fin
dal primo svegliarsi, facendo un atto di fede in D io presen­
te da per tutto, e in G esù Cristo, il cui sguardo, quand’an­
che fossimo inabissati nel centro della terra, non ci lascia
mai ». E continua per tutta la giornata. Pur attendendo agli
ordinari doveri, uno sta unito a D io , lo guarda ed ama.
N elle preghiere liturgiche e in quelle vocali si bada più alla
presenza di D io vivente in noi che al senso particolare delle
parole, e si cerca prima di tutto di dim ostrargli il proprio
amore. A nche gli esami di coscienza si semplificano: si ve­
dono con rapido sguardo le proprie colpe appena commesse
e subito si detestano. G li studi e le esterne opere di zelo
si fanno in spirito di preghiera, alla presenza di D io , col
desiderio ardente di glorificarlo: ad maiorem Dei gloriam.
Anche le azioni più comuni sono compenetrate di spirito di

64 Compendio dì Teologia ascetica e mistica n.1369.


8 10 L A V IT A C R IS T IA N A N E L S U O S V IL U P P O ORDIN ARIO

fede e di amore, per cui diventano ostie frequentemente


offerte a Dio: « offerre spìrituales hastìas acceptabiles Dea »
(iP iet. 2,5).

394. 4. V a n ta g g i. - C o m e l ’ o ra zio n e affettiva è


una eccellen te d isp o sizio n e a qu ella di sem p licità,
questa lo è alla co n te m p lazio n e in fu sa, d ella quale
partecip a già. L ’ anim a, co n m in o re s fo rzo , o ttien e r i­
sultati santificanti p iù in tensi. L a v ita v a sem p lifican ­
do si e p erfe zio n a n d o si sem pre p iù p e rch é o g n i n u o v o
gra d o di o ra zio n e rap p resen ta u n n u o v o ava n zam en to ,
co m e d ich ia rò esp ressam ente S. P io X (cfr. n .3 7 1),
e si co m p re n d e ch e d e v e essere co s i p er la n atura stes­
sa d elle cose.

395. 5. O b ie z io n i. - C o n tro l’ o ra zio n e di sem ­


p licità si so lle v a ro n o u n te m p o alcun e o b ie z io n i, che
o g g i n o n h an n o p iù v a lo re essen d o state riso lte.
O b ie z io n e 1 . - È una perdita di tempo e una porta
aperta all’oziosità.
S o lu z io n e . - S. Teresa di G esù sosteneva il contrario
(cfr. Vita 13,11), e l’esperienza quotidiana nella direzione
delle anime conferma pienamente il suo giudizio. A volte
avviene che « si pongono » in orazione di semplicità certe
anime illuse, le quali non si trovano in questo grado di ora­
zione. A llora si devono attribuire gli inconvenienti alla
stoltezza di codeste anime o alla inesperienza dei loro di­
rettori, non all’orazione in se stessa, che è eccellente e alta­
mente santificatrice.
O b ie zio n e 2 . - Concentrare l ’attenzione sopra un’idea
fissa e un solo affetto equivale a rompersi la testa e violentare
il cuore.
S o lu z io n e . - Se l’anima non v i è preparata, siamo com ­
pletamente d’accordo. M a se lo è, lungi dall’essere un eser­
cizio violento, è incomparabilmente più semplice e facile
di quello della meditazione discorsiva e dell’orazione af­
fettiva multiforme e varia. T utto sta nel non precedere l’ora
di D io e nel non attardarsi quando è già suonata.
O b ie zio n e 3 . - È sempre più perfetto farsi violenza.
LA V IT A D I ORAZION E 811
Soluzione. - È completamente falso. S. Tom m aso in­
segna che la pura difficoltà di un’azione non aumenta il suo
merito a meno che non si compia con un più grande amore 65.
C on tale violenza noi ci esponiamo, inoltre, a paralizzare
l ’azione dello Spirito Santo, che vuole mantenere l’anima
tranquilla per cominciare a comunicarle la contemplazione
infusa 66.

B) TAPPA PREVALENTEMENTE M ISTICA


Ricordiamo ancora una volta che non si può parlare
in senso esclusivo di tappa ascetica e di tappa mistica. Entram ­
bi gli aspetti della vita cristiana si compenetrano vicende­
volmente, di m odo che gli asceti ricevono a volte certe in­
fluenze mistiche — attraverso i doni dello Spirito Santo, che
ogni anima in grazia possiede — e i mistici procedono a volte
asceticamente (ogni volta che lo Spirito Santo non opera
in essi coi suoi doni). L ’unica cosa certa è che nella prima
tappa predominano gli atti ascetici, e nella seconda i mi­
stici; ma senza che questi si possano attribuire esclusivamen­
te a una determinata fase della vita.spirituale (cfr. nn. 137-140).

L ’ orazione di sem plicità indica il p assaggio dall’ora­


zione ascetica alla mistica. G li elem enti infusi finisco­
no col prevalere su quelE acquisiti in una maniera gra­
duale e progressiva finché l ’anima entra com pletam ente
n ell’orazione m istica o contemplazione infusa.

LA C O N T E M P L A Z IO N E IN GEN ERALE

S. T h ., II-II,i8o-i82; S. B o n a v e n t u r a , Itinerario; B e a t o S u s o n e ,
I l libro della Sapienza; T a u l e r o , Istituzioni divine; R u y s b r o e c k , Uornamen­
to delle nozze spirituali; S. T e r e s a e S. G i o v a n n i d e l l a C r o c e , Opere; A l -
v a r e z d e P a z , D e vita spirituali t.3 I.5; S c a r a m e l l ì , Direttorio; P. L a l l e -
m a n t , L a dottrina spirituale princ.7; Ribe t , L a Mystique divine; P o u l a i n ,

65 11-11,27,8 a d 3; cf. I-II,114,4 a d 2; II-II, 123,12 a d 2; 155,4 a d 2; 182,2


a d 1; 184,8 a d 6.
66 Cf. S. G iovanni della C roce , Notte I,io nn.5-6 e in molti altr
l uog h i delle su e opere.
812 L A V IT A C R IS T IA N A N E L SU O S V IL U P P O ORDINARIO

D ellt grafie d'orazione; P. D e M a u m i g n y , Pratica dell’orazione mentale; L e h o -


d e y , L e vìe delVora^ione mentale; S a u d r e a u , 1 gradi della vita spirituale; U état
mystique; M e y n a r d , Trattato della vita interiore; A r i n t e r o , Bvolución mistica;
Cuestiones misticas; L a m b a l l e , L a contemplación; M a r e c h a l , Etudes sur la
psycologìt des mystiques; F a r g e s , L es pbénomenes mystiques; T a n q u e r e y ,
Compendio di Teologia ascetica e mistica; J o r e t , L a contemplazione mistica se­
condo S. Tommaso; D e G u i b e r t , Theologia spiritualis; G a r r i g o u - L a g r a n g e ,
Perfezione cristiana e contemplatone; L e tre età; S t o l z , Teologia della mistica;
D e l a T a i l l e , Voraison contemplative; M a r i t a i n , Lesdegrés du savoìr p.yo2s
(Paris 1932); esposizione della parola contemplation in Dictionnaire de Spiritua-
lìtè fase. X X V -X V .

1. Natura. - L à p a ro la contemplazione, n ella sua ac­


ce zio n e p iù ge n erica, sign ifica gu ard are u n o g g e tto
co n a m m ira zio n e. Si co n te m p la l’im m en sità d el m are,
il p a e sa g g io d i u n v e rd e p ra to , le g io g a ie dei m o n ti, la
b e lle zza d el firm am en to , le g ra n d i crea zio n i artistich e
e, in gen era le, tu tto q u e llo ch e eccita m e ra vig lia .

396. A ) C o n t e m p l a z i o n e n a t u r a l e . - O g n i p o te n ­
z a conoscitiva p u ò realizzare, p iù o m en o p erfettam en te, u n
a tto di c o n te m p la zio n e . Si p o ss o n o , q u in d i, dare certi
atti di contemplazione puramente naturale, ch e, seco n d o la
p o te n z a ch e to c c a n o , saran n o di o rd in e sen sib ile, im ­
m a g in a tiv o o in tellettu a le.
1) « È sensibile quando si guarda a lun go e con ammira­
zione un bello spettacolo, per esempio, l’immensità del ma­
re o una maestosa catena di monti. 2) Si chiama imma­
ginativa, quando uno colla fantasia si rappresenta a lungo,
con ammirazione ed affetto, cosa o persona amata. 3) Si
dice intellettuale o filosofica, quando si fissa la mente con
ammirazione e con sguardo com plessivo su qualche grande
sintesi filosofica, per esempio, sull’ Essere assolutamente
semplice ed im m utabile, principio e fine di tutti g li es­
seri » >.

T u tti q u e sti atti' di co n te m p la z io n e puramente na­


turale so n o n ecessariam en te im p e rfe tti e tra n sito ri.

1 Cf. T a n q u e r e y , Compendio di Teologia asettica e mistica n. 1297.


LA V IT A HI O R AZIO N E 813
1 due p rim i — sen sib ili e im m a g in a tiv i — n o n so n o ,
p ro p ria m en te p arlan d o , atti c o n te m p la tiv i, g ia cch é ,
co m e v e d re m o p iù a va n ti, n essun a p o te n z a p u ram en te
o rg a n ica p u ò essere p rin cip io e lic itiv o d i c o n te m p la ­
zio n e. E il te rzo — q u e llo della co n te m p la z io n e in te l­
lettuale o filo so fica — n o n p u ò essere m o lto p erfe tto
e d u re v o le , d a l m o m e n to ch e la v is io n e in tu itiv a e
senza d isco rso n o n è p ro p ria della n atura razion ale d el­
l ’u o m o , ch e di p e r sé an alizza e d isco rre. L o sp irito
u m an o cad e sem p re in un a sp ecie di stu p o re o sto rd i­
m en to q u a n d o si im p e g n a a d a b b re v ia re naturalmente
il d isco rso p rim a di ric e v e re un a lu ce in fu sa che lo
so stitu isca c o n v a n ta g g io 2.

397. B) C o n t e m p l a z io n e s o p r a n n a t u r a l e o in ­
fu sa . -L a co n tem p lazio n e cristiana, sopran n aturale o
in fu sa, è stata defin ita in m o lti m o d i nel c o rs o d ei seco li,
m a c o in c id o n o tu tti n ella sostanza; si tra tta d i un a so ­
sp en sio n e am m ira tiva d ell’ in te lletto d a va n ti a llo sp len ­
d o re della v e rità sop ran n atu rale.
E s p o rre m o b re ve m e n te le p iù b e lle d e fin izio n i che
la tra d izio n e cristian a ci h a tram an d ato 3:
« La contem plazione è una deliziosa ammirazione della
verità risplendente » 4.
« Una santa estasi che allontana l’anima dalla caducità
delle cose tem porali e che ha come principio l’intuizione
della luce eterna della Sapienza » 5.
« Una elevazione e una sospensione dello spirito in
D io che è un anticipo delle dolci gioie eterne » 6.
« Uno sguardo libero e penetrante dello spirito pieno

2 Cf. S. T e r e s a , V ita c.12 ( s o p r a t t u t t o il n .5 ) , d o v e p o n e in g u a r d ia le


m o n a c h e c o n tr o s ìm ili s t o r d im e n ti a c q u is iti.
3 Cf. R ib e t, L a mystique divine t . i , p .i.a , c .i.
4 L ’autore del lib ro D e Spirita et A.ntma (0.32), attribuito anticamente a
S. A gostin o.
5 S. A g o s t i n o , Contra Faustum Manicò. I . 1 2 , c . 4 8 .
6 L ’autore della famosa Scala Claustralium (attribuita a S. Bernardo), c .i.
8 14 LA VITA CRISTIANA NEL S U O SVILU PPO ORDINARIO

d’ammirazione dinanzi agli spettacoli della divina Sapienza » 7.


« Una semplice intuizione della verità che termina in
un m oto affettivo » 8.
« La contem plazione è scienza di amore, amorosa noti­
zia di D io , la quale insieme illum ina e innamora l’anima si­
no ad elevarla di grado in grado al suo Creatore » 9.
« L a contem plazione non è che un’amorosa, semplice
e permanente attenzione dello spirito alle cose divine » m.
« La contemplazione è una vista di D io o delle cose divine,
semplice, libera, penetrante, certa, che procede dall’amore,
al quale pure tende »

L e form ule si potrebb ero m oltiplicare indefinita­


mente. N o i seguirem o S. T om m aso per stabilire una
serie di conclusioni e dare, infine, la definizione sinte­
tica della contem plazione la.

i . I l principio elicitivo psicologico

398. l a conclusione: II principio immediato elici--


tivo della contemplazione non è l’essenza del­
l’anima.

Questa conclusione si oppone alla dottrina difesa da


alcuni mistici (Eckart, R uysbroeck, Taulero ecc.), secondo
la quale l’apice della contem plazione consisterebbe nell’il­
limitata quiete e silenzio delle potenze. La sostanza di D io
•— dicono — è in contatto immediato con la sostanza dell’a­
nima. Questa contem plazione attivissima viene realizzata dal­
l ’anima stessa senza nessun intervento delle potenze.
Prova. - i. Ciò che non è immediatamente operativo,
non è principio elicitivo im m ediato delle operazioni sus-

I R ic c a r d o d i S. V it t o r e , Beniamin Maìor l.r, c.4; M L 196,67.


8 S. T h . I I - I I , i 8o , 3 a d I e t a d 3.
9 S. G i o v a n n i d e l l a C r o c e , N ntte I I , 1 8 ,5 .

10 S. F r a n c e s c o d i S a l e s , Teotimo 1.6, c . 3.
II P . L a l l e m a n t , h a dottrina spirituale p r i n c .7 , 0 ,4 , a . 5.
12 P e r r e d ig e r e q u e s t e c o n c lu s i o n i c i s ia m o s e r v i t i d e g li a p p u n t i di
un corso s u lla c o n t e m p l a z io n e t e n u t o dal P . S a n t ia g o R a m ir e z , O. P.^
n e lla P o n t i f i c ia F a c o lt à d i T e o l o g i a d e l C o n v e n t o d i S . S t e fa n o di S a la ­
m a n ca n e ir a n n o 1 9 5 0 -19 5 1.
LA V IT A DI ORAZIONE 815

seguenti. Ora, l’essenza dell’anima non è immediatamente


operativa, giacché nessuna sostanza creata è o può essere
suum esse ne può essere, di conseguenza, suum agere. L ’es­
sere è atto dell’essenza. Se l’anima, quindi, operasse per mez­
zo della sua essenza, la sua operazione si confonderebbe col
suo essere e col suo atto; e avrem m o un essere per se, un vero
atto puro, il che ripugna nell’essere creato.
2. Per quanto elevata possa essere la contem plazione
che si può raggiungere in questa vita sarà sempre inferiore
a quella del cielo. M a quella del cielo si realizza per mezzo
dell'intelletto, che è una potenza dell’anima; quindi, a mag­
gio r ragione, si realizza per m ezzo dell’intelletto anche la
contemplazione che si può avere in questa vita.
3. La contem plazione cristiana è altamente meritoria.
O ra, il merito non può consistere nell’essenza dell’anima,
ma in un atto secondo e libero da coazione e da necessità
(come consta dalla condanna degli errori di Giansenio;
D enz. 1094). Q uindi consiste in un atto delle potenze.
Com e si giustificano allora le espressioni dei mistici
alle quali facevam o prima allusione P L a quiete illimitata
di cui parlano va intesa dei sensi interni ed esterni e dello
sforzo violento delle potenze. L ’altissima contemplazione
alla quale si riferiscono procede in una maniera tanto soa­
ve e delicata, che dà l’impressione che non ci sia nessuna
operazione delle potenze; e, tuttavia, c’è un’operazione in
sommo grado, per cui ci ven gon o date le virtù teologali
e i doni. L ’operazione sarà tanto più facile e soave quanto
più alta e perfetta sarà per l’esercizio, per l’esperienza o la
perfezione del soggetto.
A quale potenza dell’anima spetterà la contemplazione ?
Premessa. - L e potenze sono di due generi: a) puramente
spirituali, anorganiche: e queste sono dell’anima sola quan­
to al principio e quanto al soggetto; b) organiche, e queste
sono dell’anima quanto al principio, ma di tutto il com posto
quanto al soggetto. Queste ultim e si suddividono ancora
in vegetative (nelle piante e n egli animali) e sensitive (negli
animali, almeno in quelli più perfetti), che a loro volta si
suddividono ancora in apprensive (sensi interni ed esterni) ed
appetitive (appetito sensitivo: concupiscibile e irascibile).

399. 2a conclusione: La contemplazione non può


procedere da una potenza organica, qualunque
essa sia, come da suo principio elicilivo.
816 L A V IT A C R IS T IA N A N E L SU O S V IL U P P O ORDINARIO

Prova. - i. L a vita contem plativa è propria della vita


umana in quanto umana, cioè, in quanto razionale; non è
una vita comune agli uom ini, agli animali e alle piante.
M a le potenze vegetative sono com uni all’uom o con le pian­
te e g li animali e le sensitive all’uom o con gli animali.
Q uindi la vita contem plativa non può sgorgare da queste
potenze organiche.
2. L a contem plazione esiste anche negli angeli e nelle
anime separate, giacché la contem plazione della terra non
differisce da quella del cielo se non nel grado di perfezione.
M a gli angeli non hanno nessuna potenza organica, e le
anime separate le hanno soltanto in m odo virtuale o radicale
(in quanto che l ’anima è il principio di tutto il com posto),
n on in m odo attuale (giacché dipendono dai loro rispetti­
vi organi). Q uindi... poiché la contem plazione non può
procedere dalle potenze organiche, procederà da quelle
puramente spirituali. Queste sono due: l’intelletto e la
volontà. Vedrem o a quale delle due appartiene e in che
modo.

400. 3a conclusione: Essenzialmente, la contempla­


zione è atto elicitivo dell’intelletto solo. Tutta­
via, è anche atto della volontà in modo antece­
dente, concomitante e conseguente.

Q uesta conclusione consta di due parti, che proverem o


separatamente.
Prima parte: essenzialmente è un atto elicitivo dell'intelletto
solo.
N . B. - C i riferiam o all’ intelletto possibile non all’ intel­
letto agente, che non è con oscitivo, giacché si lim ita ad
illuminare i fantasmi dell’im m aginazione, presentandoli in
form a di specie intelligibile all’intelletto possibile, nel quale
si realizza formalmente l ’intellezione Si tratta inoltre
dell’intelletto speculativo, non del pratico.
Prora. - L ’oggetto proprio e il fine della contem plazio­
ne è la verità. M a la verità appartiene formalmente ed elici-
tivam ente all’intelletto solo. Q uindi...
L a potenza è ordinata al suo atto, e l’atto al suo oggetto.
C ’è una relazione trascendentale della potenza all’atto e del­

*3 Cf. 1 ,79,84 e 85.


LA V IT A DI ORAZION E 817
l’ atto alla potenza, com e c’è quella dell’atto all’oggetto
e dell’oggetto all’atto. Q uindi se l’o ggetto della contemplazio­
ne è la verità, la contem plazione deve appartenere all’intel­
letto, l’atto proprio del quale è quello di conoscere la verità *4.
Seconda parte: è anche atto della volontà in modo antecedente,
concomitante e conseguente.
Prova. - i. In modo antecedente: Perché la contem plazio­
ne è un atto libero quanto alla specificazione e all’esercizio.
Q uind i dipende dalla volontà, che applica l ’intelletto alla
contem plazione.
2. In modo concomitante: L a contem plazione delle cose di­
vine accende nell’anima il fuoco dell’amore divino e il de­
siderio di possedere D io nella visione beatifica; e questi
atti sono propri delle virtù teologali della carità e della
speranza che risiedono nella volontà.
Inoltre, la contem plazione è meritoria n ell’ordine sopran­
naturale, ma non potrebbe esserlo senza l’ influsso della
carità, che è una virtù affettiva e risiede nella volontà.
3. In modo conseguente: La contem plazione produce una
grande quiete, pace e un diletto spirituale. La sua dolcezza
e soavità supera di m olto tutti i piaceri di questa vita, come
dicono ripetutamente i mistici *5. Q uesti piaceri accendono
la carità; e questa, a sua volta, m uove ed eccita alla contem­
plazione per goderli sempre più.
Appare, quindi, chiaro che la contem plazione, ancorché
formalmente sia un atto dell’intelletto speculativo, causali-
ter et terminative consiste anche nell’affetto della volontà l6.

m C f. I I - I I ,180,1.
r 5 E c c o alcuni testi di S. Teresa: « I piaceri, le ebbrezze e le co n so la­
zio n i della terra, no nché n o n essere paragonabili co i sentim enti che D io
prod uce, n o n hanno nem m eno co n essi la m inim a relazione di origine »
(fjaitile Mansioni 1,6). « L ’anima sa soltanto ch e è il più grande bene ch e si
possa god ere in questa v ita, superiore a tu tti i beni e le soddisfazioni del
m o n d o presi insiem e » ( Pensieri sull'amor di D ìo 4,4).
16 D ic e quanìutn ad
espressamente S. T o m m a so : « V ita co ntem p lativa,
ipsam essentiam actìonìsy pertìnet ad intelkctum: qu antu m autem ad ìd q u o d
movet ad exercendam talem operationem perlinet ad voluntatem, quae m o v e t
om nes alias p otentias, et etiam intellectum , ad su u m actu m ... E t quia
unusquisque delectatur cu m adeptus fu erit id q u o d am at, id eo v ita contem ­
p la tiva terminatur ad dehctationem, quae est inajfectu: ex qua etiam am or in ten -
ditur » ( II -II ,180 1).
8 18 L A V IT A C R IS T IA N A N E L SU O S V IL U P P O ORDINARIO

z. I l principio elicitivo soprannaturale

40 1. l a conclusione: La contemplazione infusa non


è una grazia gratis data.
Prova - i. Perché la contem plazione è soprannaturale
quoad substantiam e le grazie gratis datae lo sono soltanto quoad
modum. _
2. Perché la contem plazione è ordinata al bene spirituale
di colui che la possiede, mentre le grazie gratis datae sono
ordinate al bene degli altri.
3. Perché la contem plazione infusa è formalmente san­
tificante, mentre le grazie gratis datae non lo sono di per sé.

402. 2a conclusione: La contemplazione infusa ri­


chiede necessariamente la grazia abituale o san­
tificante.
1. Perché non esiste mai la contem plazione infusa senza
l’intervento dei doni intellettivi dello Spirito Santo, che so­
no inseparabili dalla grazia e dalla carità.
2. Perché la contem plazione si realizza secondo gli im ­
pulsi dell’amor di D io — che suppone la grazia santifican­
te — e, a sua volta, aumenta e accende l’amore.
3. Diversam ente la contem plazione sarebbe una grazia
gratis data, non form alm ente santificante.

403. 3a conclusione: Non basta la grazia abituale;


si richiede necessariamente l’impulso della gra­
zia e carità attuali.
Perché la contem plazione è un atto soprannaturale che
richiede la previa m ozione divina soprannaturale, e tale
è la grazia attuale.

404. 4a conclusione: La grazia attuale ordinaria,


che muove le virtù infuse, non basta per l’atto
contemplativo; si richiede la grazia attuale, che
muove l’abito dei doni.
LA V IT A D I O R AZION E 819

Prima parte: perché diversamente, ogni atto di virtù


infusa — almeno quelle di ordine intellettivo — sarebbe
contem plativo, il che è falso.
Seconda parte: perché la contemplazione infusa procede
dai doni.

405. 5a conclusione: Oltre la grazia abituale e at­


tuale, si richiede per la contemplazione l ’abito
delle virtù infuse e dei doni dello Spirito Santo.

Perché la grafia abituale non è immediatamente operati­


va. O pera sempre mediante le sue potenze, che sono gli
abiti infusi delle virtù e dei doni.
La grafia attuale senza l’abito delle virtù e dei doni pro­
durrebbe un atto soprannaturale violento: passaggio dalla
potenza radicale all’atto secondo, senza passare per l’atto
primo (disposizioni infuse abituali) mentre la contemplazio­
ne è un atto pieno di soavità e di dolcezza, niente affatto
violento.

406. 6a conclusione: Nessuna virtù infusa o dono


dello Spirito Santo di ordine affettivo può essere
in modo formale ed elicitivo principio immedia­
to dell’atto contemplativo, ancorché possa essere
principio dispositivo in modo antecedente e con­
seguente.

Prima parte: perché la contem plazione è atto elicito


dell’intelletto; quindi gli abiti operativi elicitivi della con­
templazione debbono essere di ordine conoscitivo, non affet­
tivo.
^ Seconda parte: perché la contem plazione n on si può rea­
lizzare senza il dom inio delle passioni. Chi si abbandona
ai vizi — soprattutto a quelli della carne — e colui che vive
tra risse e tumulti non ha l’anima disposta per la quiete della
contemplazione. Q uind i le virtù infuse di ordine affettivo
concorrono in m odo dispositivo e determinativo alla contempla­
zione.
Però in m odo e in gradi diversi secondo che si tratta:
delle virtù, dei doni o delle virtù teologali affettive. E cosi:
8 20 L A V IT A C R IS T IA N A N E L SU O S V IL U P P O ORDINARIO

a) Le virtù morali concorrono remote, indirecte et per


accidens, ossia, rettificando l ’appetito circa i mezzi; sia »f-
gativamenfe, rim uovendo gli ostacoli, sia positivamente, stabilen­
do l’armonia e la pace col dominare le diverse parti inferiori
dell’uom o. Queste virtù producono la purificazione at­
tiva dei sensi e delle passioni (ascetica).
b) I doni corrispondenti alle virtù morali producono la pu­
rificazione passiva dei sensi e delle passioni. Infatti i doni
sono anche abiti attivi; solo in ordine allo Spirito Santo
che li m uove sono abiti recettivi o passivi. I doni inter­
vengono principalmente nella purificazione passiva.
c) Le virtù teologali affettive (speranza e carità) concorrono
alla contemplazione positivamente e per se, causando la
rettitudine dell’appetito in ordine al fine, sia negativamente,
togliendo il torpore o la pigrizia della volontà, sia po­
sitivamente, elevando l’uom o all’unione affettiva con D io
(purificazione attiva della volontà).
d) I doni corrispondenti alla speranza (timore) e alla carità
(sapienza) causano la purificazione passiva della volontà, che
è una eccellentissima disposizione alla contemplazione.

407. 7a conclusione: Il principio immediato eliciti-


vo della contemplazione deve essere una virtù
infusa dell’intelletto.
Prova. - Negativamente: per esclusione delle virtù affet­
tive.
'Positivamente: perché la potenza elicitiva della contempla­
zione è l’intelletto; quindi l ’abito che concorre con la p o ­
tenza intellettiva deve essere pure di ordine intellettivo.
Ora, sono m olti gli abiti intellettivi com e la T eo lo gia, la
scienza infusa, la prudenza infusa, la fede e i doni intelletti­
vi. Quale di essi sarà ?
i. Non può essere l ’ abito della Teologia. - a) È soprannatu­
rale soltanto radicalmente, mentre la contem plazione lo è
sostanzialmente,
b) L a T eo lo gia è essenzialmente discorsiva, mentre la
contemplazione è intuitiva.
c) L ’abito della T eo lo gia può esistere senza la carità,
mentre la contem plazione non può.
d) I teologi non contem plativi sono numerosi: quin~
di sono cose separabili.
LA V IT A D I O R AZION E 821
2. N é l ’abito della scienza infusa. - a) È una grazia gra­
tis data, mentre la contemplazione è una grazia santificante.
b) N on tutti i contem plativi hanno questo abito né
tutti quelli che lo hanno sono contem plativi.
c) L ’abito della scienza infusa è discorsivo, mentre la
contem plazione è intuitiva.
3. N é la prudenza infusa né il dono del consiglio corrisponden­
te. - D ifatti appartengono all’intelletto pratico, e, per ciò
stesso, si riferiscono alla vita attiva. La contem plazione è
invece un atto dell’intelletto possibile o speculativo.
4. Quindi dev’ essere la fede 0 i doni intellettivi. - Per esclu­
sione degli altri abiti intellettivi. Però vedrem o in che m odo.

408. 8a conclusione: Non è la fede sola.


1. L a fede p uò essere m orta (informe) o viva (informata
dalla carità); e nessuna delle due può essere il principio eli-
citivo della contemplazione.
a) Non la fede informe: perché questa fede è com patibile
co l peccato mortale, mentre la contem plazione infusa non
lo è mai.
b) Non quella informata dalla carità: perché la form a di
questa virtù costituirebbe la ragione form ale della contem­
plazione o soltanto una condizione sine qua non. N on può
essere la ragione formale, perché la contem plazione appar­
tiene essenzialmente all’ intelletto, mentre questa form a pro­
cede dalla carità, che risiede nella volon tà. La carità concorre
alla contemplazione com e disposizione prossima, però non
dà la medesima efficienza formale, giacché non è conoscitiva
in quanto carità. È certamente una condizione sine qua non
perché possa esistere la contem plazione, ma questa condi­
zione non dà la causalità; è un semplice requisito preli­
minare.
2. Inoltre, l’atto di fede è credere, ossia, cum assensiom
cogitare, essenzialmente de non visis, di cose oscure, mentre
la contemplazione è una certa maniera di visione. Per questo
non tutti i giusti sono contem plativi né hanno a loro di­
sposizione l’atto della contemplazione, com e hanno l’atto
della fede.

409. 9a conclusione: N è soltanto i doni intellettivi


dello Spirito Santo senza la fede.
822 LA V IT A C R IS T IA N A N E L SU O S V IL U P P O ORDINARIO

1. D ifatti nei viatori 1i questi doni non possono esistere


senza la fede O ra, questi doni stanno alla fede come la
conclusione sta al suo principio. Però le conclusioni non pos­
sono esistere indipendentemente dal loro principio: tutta la
forza della conclusione deriva dal suo principio.
2. I doni operano con le virtù corrispondenti riguardo
alla medesima materia. Essi non hanno atti propri indipen­
denti da quelli delle virtù; non esistono atti dei doni che non
siano, ad un tem po, atti della virtù infusa corrispondente.

410 . 10a conclusione: L ’abito immediatamente eli-


citivo dell’atto di contemplazione è la fede in­
formata dalla carità e rafforzata dai doni intel­
lettuali dello Spirito Santo. La fede informata
offre la sostanza dell’atto, e i doni intellettuali
(sapienza, intelletto e scienza) offrono il modo
sovrumanols.
Poich é un solo e medesimo atto non può procedere
ex aequo da abiti specificamente differenti, deve ptocedere
da essi secundum prius et posterius. E cosi:
i. L a jede dà la sostanza dell’atto, perché stabilisce for­
malmente il contatto con la prima verità in sé medesima sen­
za però darne la visione. Concorre com e causa che pone in­
tellettualmente in contatto form ale con la prima verità, ma
in una maniera oscura. D à l ’atto medesimo di conoscere.
La fede offre la materia della contemplazione: D io , o ggetto

In T e o lo g ìa c o l termine viatori s ’in ten d on o g li abitanti di questo


m o n d o , che cam m inano verso la patria eterna. I comprensori sono co lo ro
ch e g o d o n o g ià della v isio n e beatifica.
18 Fatta eccezione d i G esù C risto che, m entre v iv e v a su questa terra,
era contem poraneam ente v ia to re e com prensore. Per questo n o n a vev a
la fed e — n o n p o te v a averla, dai m om en to ch e la sua anim a g o d e v a già
della v isio n e beatifica — ancorché possedesse in grad o perfettissim o tutti
i do ni dello Spirito Santo.
*9 Q u esta tesi è am m essa da tutte le scu ole d i spiritualità cristiana senza
eccezione. I l P . C risó go n o stesso la proclam a apertam ente citando G iu sep ­
p e dello Spirito Santo. E g li scrive: « L a conoscenza intu itiva della contem ­
p lazione infusa riceve, dalla fede, la soprannaturalità della sostanza dell’ atto
e dai doni dello Spirito Santo, la soprannaturalità del m o d o dell’ operazione »
(P. C r is ó g o n o Compendio de ascèticay mistica, i ediz., p .3 .a ,c .i , a.2, p .rÓ 7).
LA V IT A D I O R AZION E 823
primario, e le verità divine della fede. I doni intellettuali
fanno la parte di forma.
2. L a carità, concorre, non stabilendo il contatto for­
male, ma com e disposizione prossima che applica l’oggetto
al soggetto; per mezzo della carità l ’oggetto della fede di­
venta presente al soggetto sotto la ragione di dono presen­
te. Concorre, quindi, non in m odo elicitivo, ma dispositivo;
però necessariamente, giacché è indispensabile che la fede
sia informata dalla carità.
5. I doni intellettuali dello Spirito Santo concorrono offren­
do il modo sovrumano, la permanenza e la stabilità della contem ­
plazione. L a fede dà la materia dell’atto contem plativo; i
doni gli dànno la forma. Tuttavia la form a non può esistere
senza la materia, né il m odo senza la sostanza; quindi i doni
dipendono dalla fede la quale concorre in tutte le operazioni
dei doni.
Vediam o in quale form a ognuno dei doni intellettuali
v i concorra.
a) Il dono dell’intelletto dà la conoscenza form ale mi­
stica; l’oggetto diventa presente sotto la ragione di cosa
conosciuta. Per questo dice S.Tom m aso: « In hac etiam vita,
purgato oculo per donum intellectus, Deus quodam m odo
videri potest »“ .
b) Il dono della sapienza conform a l’uom o con D io per
m ezzo di una certa filiazione adottiva In quanto implica
conoscenza di D io non discorsiva, ma intuitiva e sperimen­
tale, appartiene alla fede; in quanto im porta una saporosa
esperienza di D io e dei misteri soprannaturali, corrispon­
de alla carità.
c) Tldono della scienza si riferisce all’oggetto secondario
della contemplazione: le cose create. Per m ezzo di esse l’uo ­
mo si eleva alla conoscenza di D io , oggetto primario della
contemplazione.
I doni dell’intelletto e della sapienza causano la cosid­
detta visione mistica, irriducibile alle categorie di visione di
questa vita terrena. L a fede dà la materia, la sostanza della
contem plazione in m odo più perfetto dei doni a m otivo
del suo o ggetto o m otivo formale, ma è inferiore ad essi
quanto al modo di' conoscere. Effettivamente, per m ezzo dei
doni, si ha un modo di evidenza estrinseca negativa. È

10 1 -11,6 9 ,2 ad 3; cf. 3 c e t ad 1; 11-11,8 ,75 4 5 ,6 ; IV Seni. 15 ,4 ,1,1


ad 5; D e Verìt., 18 ,1 ad 1 etc,
aI 1-11,6 9 ,3 ad 1; 11-1 1 ,4 5 ,6 .
824 L A V IT A C R IS T IA N A NEL SU O S V IL U P P O ORDIN ARIO

una conoscenza affettiva, una esperienza gustata dei misteri


soprannaturali. È una certa conoscenza immediata, non per
via di discorso e neppure in m odo rem oto (come la cono­
scenza del fine per via dei mezzi). È un contatto con D io ,
non cosi come è in sé, nella sua essenza, ma per mezzo degli
effetti soprannaturali che D io produce nell’anima, non con­
siderati in una maniera astratta, ma contem plati, gustati,
assaporati. Questi effetti sono i mezzi o gg ettivi di questo m o­
do di conoscere; e non si conosce D io con questo mezzo
in una maniera astratta o intellettiva, ma in m odo affettivo
e sperimentale.
Questa conoscenza è, in parte, positiva, ma è principal­
mente negativa. Q uanto m aggiori sono questi effetti amorosi,
tanto più l’anima si avvicina negativam ente a D io , conce­
pendo un’idea più pura di lui, rim uovendo da lui ogn i im ­
perfezione. E poiché la fede formata suppone la carità,
suppone anche l’unione affettiva (effetto form ale dell’amore:
l’amore medesimo) e quella effettipa (effetto dell’unione af­
fettiva; dall’affetto si passa all’effetto, alla cosa: l’unione
stessa). E sebbene la carità in questa vita, a m otivo dello stato,
riguardi un oggetto distante (D io), tuttavia, in virtù della
sua essenza, esige per sé la presenza.
Q uesto non significa che la conoscenza di fede sia in­
feriore secondo la sua essenza, ossia, quanto all’oggetto fo r­
male, alla conoscenza dei doni; ma i doni hanno questo
modo superiore in quanto sono uniti alla carità. T o lg o n o in
una certa maniera l’oscurità della fede mediante la connatu­
ralità che proviene dalla carità.
O ra possiamo domandarci: in quale stato di perfezione
la fede è principio della contem plazione?
Premessa. - L e virtù teologali sono o possono essere
in un triplice stato:
1. Negli incipienti: rim angono ancora in essi le macchie
del peccato, né sono ancora in pace, ancorché ne abbiano il
principio in quanto che v iv o n o in grazia e p osseggon o gli
abiti infusi delle virtù e dei doni.
2. N ei profidenti: in essi i doni e le virtù sono un p o ’
p iù sviluppati che nei principianti, ma sono ancora imper ­
fetti perché non esercitano tutta la loro virtualità.
3. N e i perfetti: in essi gli abiti infusi sono perfettamente
sviluppati e possono sfociare facilmente nell’atto sublime
della contem plazione.
Questi tre stati corrispondono alle tre vie tradizionali,
LA V IT A D I O R AZION E 825

e sono propri delle virtù teologali, dei doni e persino delle


virtù morali.
Vedrem o ora, nella seguente conclusione, la risposta alla
domanda formulata.

4 1 1 . l l a conclusione: La fede non è principio im­


mediato elicitìvo della contemplazione nel suo
primo stato (incipiente), nè lo è perfettamente
nel secondo (pròfidente), ma unicamente nel
terzo (stato perfetto).

Q uesta conclusione consta di tre parti, che proverem o


separatamente.
Prima parte. - La fede non è principio im m ediato eli­
citi vo della contem plazione nello stato incipiente, perché
in esso, benché si possegga l’ abito della fede, i suoi atti sgor­
gano con poca intensità e ferm ezza a causa delle reliquie
che i passati peccati lasciarono n ell’anima e di cui non è
ancora sufficientemente purificata. O ra, la contem plazione
suppone un atto vivissim o di fede, incom patibile, per legge
ordinaria ” , con questo stato di cose.
Seconda parte, - N on lo è perfettamente nello stato pro-
ficiente, perché, quantunque in questo stato com incino già
le prime manifestazioni della contem plazione infusa (racco­
glim ento infuso, quiete e unione semplice), tuttavia, anche
gli abiti infusi non sono perfettamente 'e totalmente conna­
turalizzati col soggetto cosi da poter produrre prontamen­
te e facilmente l’atto contem plativo in grado perfetto.
Ter^a parte, - Soltanto in questo stato perfetto la fede
e i doni si trovano pienamente radicati e connaturalizzati
con il soggetto. L ’ atto contem plativo sgorga con grandissi­
ma facilità e in grado intenso. Sono le orazioni mistiche,
corrispondenti alla vìa unitiva: unione piena, unione estatica
e unione trasformante, nella quale sì realizza il cosiddetto
matrimonio spirituale tra D io e l’anima. Si produce una
grande pace e quiete, uno stupore e una m eraviglia dinanzi
alle grandezze di D io , un silenzio spirituale perfetto, estasi

23 D ic ia m o per legge ordinaria p erch é asso lu tam en te p arlan d o n o n è del


tu tto im p o ssib ile u n a tto tra n sito rio d ì co n tem p la z io n e in fu s a a g li in izi
delia v ita spiritu ale, co m e v e d e m m o in altra p arte d i q u est’o p e ra (cf. a .1 3 9 ) .
8 26 LA V IT A C R IS T IA N A NEL SU O S V IL U P P O ORDIN ARIO

e deliqui mistici, accom pagnati frequentemente da epife­


nom eni e gtazie straordinarie. L ’anima rimane trasformata
in D io e può esclamare con S. Paolo: «M ihi vivere Christus
est» (Fil. 1,21); oppure: « V iv o ego, iam non ego, viv it
vero in me Christus » (Gal. 2,20).

412 . 12a conclusione: In qualsiasi grado di perfe­


zione si produca l’atto contemplativo, si realizza
sempre in base a una duplice specie intelligibile:
impressa ed espressa.

Q ualche autore afferma che la contem plazione si realizza


senza nessuna specie intelligibile, impressa o espressa. Si
tratterebbe di una conoscenza concreta e intuitiva che non
si può acquistare per m ezzo di queste specie astratte.
Q uesta dottrina non si può ammettere. In questa vita,
ogn i atto di conoscenza naturale o soprannaturale richiede
necessariamente un verbo mentale (specie espressa), che,
a sua volta, esige l ’eccitazione di una previa specie impressa.
Q ueste specie sono il m ezzo coti cui si conosce (non l’o ggetto
quod della visione, che è sempre l ’oggetto contem plato, ma
il m ezzo quo e quello in quo). D iversam ente, la contem plazio­
ne si confonderebbe con la visione immediata e intuitiva,
che è quella propria della visione beatifica.
L a conoscenza contem plativa in questa vita si realizza,
quindi, in base a specie intelligibili. Però questo pone un
n uovo e ultim o problem a, che risolverem o nella seguente
conclusione:

4 13 . 13* conclusione: La contemplazione non ri­


chiede nuove specie infuse; bastano le medesi­
me specie soprannaturali che offre la fede illu-
minatà dalla luce infusa procedente dai doni
intellettuali dello Spirito Santo.

Questa conclusione con sta di due parti, che proverem o


separatamente.
Prima parte. - Non richiede nuove specie infuse.
1. Perché, com e abbiamo già visto (conclusione 10),
l’abito immediatamente elicitivo dell’atto contem plativo è
LA V IT A D I O R AZIO N E 827
soltanto la fede informata dalla carità e rafforzata dai doni
intellettuali dello Spirito Santo.
2. Perché, diversamente, la contem plazione infusa si
confonderebbe con le grazie gratis datae, giacché codesta n u o ­
va specie infusa equivarrebbe a una vera rivelazione di qualche
cosa sconosciuta, e questo è un vero m iracolo che si trova
assolutamente fu o ri delle vie norm ali della santità *3.
Seconda parte. - Bastano le verità della fede illuminate dai
doni intellettivi.
Perché le verità della fede sono per sé oscure, e per que­
sto non possono essere propriamente contemplate in se stesse
a meno che una luce infusa ven ga a illuminarle dando loro
una specie di evidenza non intrinseca od oggettiva, ma estrin­
seca, soggettiva o sperimentale: e questo è precisamente l’ef­
fetto proprio dei doni intellettivi dello Spirito Santo, che ci
danno una conoscenza saporosa, sperimentale, delle cose
della fede per una specie di istinto e di connaturalità col
divino,

3. Caratteristiche psicologiche della contemplazione

A lc u n i a u to ri — tra cu i il P . P o u la in — si lim itan o


e sclu siv am en te a ll’e sp o sizio n e d e ll’ asp etto p u ra m e n te
p s ic o lo g ic o e sp erim en tale d ella c o n te m p la zio n e , lascian ­
do co m p leta m en te da p arte l ’in v e stig a z io n e te o lo g ic a
della sua n atura in tim a. Q u e s t’a ttitu d in e si p o tre b b e
am m ettere se — co m e a v v e r te esp ressam ente il P . P o u ­
lain — si trattasse un icam en te d i p resen tare « u n sem ­
p lice m anuale, sim ile a q u ei trattati di m e d icin a p ra ti­
ca, che, senza p erd ersi n elle alte teo rie b io lo g ic h e , in ­
segn an o m o lto alla b u o n a a far rapide diagnosi su cia­
scun m alato, e a prescrìvere i l rimedio c o n v e n ie n te » 24;
in su fficiente se si v u o le p resen tare u n ’o p era ve ra m e n ­
te scien tifica. N o i n o n a b o rria m o q u e sto a sp e tto p si­
c o lo g ic o della co n tem p lazio n e; p e r ò il n o s tro stu d io
ci sem b rereb b e m o lto in co m p le to se n o n a ve ssim o

*3 Cf. P. G a r r i g o u - L a g r a n g e , Perfezione cristiana ecc., p. 2 9 1 S* •


*4 P . P o u la i n , Delle grazie d ’orazione p ref. n .2 .
828 L A V IT A C R IS T IA N A NEL SU O S V IL U P P O ORDIN ARIO

esam in ato p re v ia m e n te i su o i fondamenti teologici, dai


q u a li so lta n to p u ò ric e v e re co n sisten za.
E c c o , q u in d i, le p rin cip a li caratteristiche psicologiche
ch e la c o n te m p la zio n e in fu sa di so lito p resen ta in p ra­
tica:
414 . i . L a presenza di Dio sentita. - Il P. Poulain in­
siste m olto su questa nota, che considera la più importante
ed essenziale della contem plazione infusa. « L a vera diffe­
renza, dice, dal raccoglim ento dell’orazione ordinaria con­
siste in ciò, che nello stato mistico Iddio non si contenta
più di aiutarci a pensare a lui e a ricordarci della sua presenza,
ma ci dà, di questa presenza, una notizia intellettuale speri­
mentale; in breve, fa sentire che si entra realmente in com u­
nicazione con L u i» 35.
I discepoli del P. Poulain ripetono questa dottrina. Il
P. D e G randm aison propose la seguente form ula, che ha fatto
fortuna tra gli autori: « I m ìstici sono i testim oni della pre­
senza amorosa di D io in n oi » 3é.
N on avrem m o nulla da opporre a questa dottrina se ce
la presentassero com e la nota più frequente e ordinaria dell’e­
sperienza mistica; ì fatti però obbligano a respingerla se si
vuole presentarla com e la nota tipica ed essenziale che non
manca mai. (A l riguardo cfr. n.136).
415 . 2. I l soprannaturale invade l’ anima. - È un’altra
delle caratteristiche più tipiche e frequenti, ancorché possa
mancare e manchi di fatto negli intervalli di purificazioni
passive. Q uando si produce, l’anima si sente invasa in una
maniera certissima e ineffabile da qualche cosa che non sa­
prebbe esprimere con precisione, ma che sente chiaramente
« avere il sapore di vita eterna». È l’azione traboccante dei
doni, che inondano l’anima di vita soprannaturale. A v v e r­
te il P .D e Grandmaison: « L ’uom o sente di entrare, non me­
diante uno sforzo, ma mediante una chiamata, in contatto
immediato, senza immagine, senza discorso, benché non
senza luce, con una Bontà infinita» 37. E il P. Poulain ag­
giunge: « N egli stati inferiori all’estasi, non può dirsi che si
vede D io: eccetto in casi eccezionali; né si è portati istintiva­
mente ad esprimere ciò che si sente con la parola vedere.

3 5 P. P o u l a i n , 0. c .5 , n .3.
36 D e G r a n d m a is o n , Religione personale, p a g . 178 (ed. fra n cese 19 2 7 ).
3 7 C f. D e G r a n d m a is o n , 0. c., p a g . 159.
LA V IT A DI ORAZION E 829

C iò che costituisce, al contrario, il fondo comune di tutti s8


i gradi dell’unione mistica, è che l’impressione spirituale, per
la quale D io manifesta la sua presenza, lo fa sentire come
qualche cosa di intimo, di cui l ’anima è penetrata; è una sen­
sazione di movimento, di compenetrazione, di immersione; per
m aggior chiarezza, si p uò descrivere quel che si sente, desi­
gnando questa sensazione col nom e di tocco interno » 29.
L e anime che provano queste esperienze, difatti, si sen­
tono im bevute del soprannaturale come ma spugna immersa
nell'acqua. Ciò produce lo ro piaceri ineffabili « differentissi­
mi da quelli terreni » (S. Teresa), benché di m aggiore o mi­
nore intensità secondo il grado di orazione in cui si trovano
e il grado di intensità dell’azione divina operante attraverso
i doni dello Spirito Santo 3°.
4 X6. 3. Assoluta impossibilità di produrre coi nostri
sforzi l’ esperienza mistica. - Questa nota tipica ha il vantag­
gio di non mancare mai in nessuno degli stati di orazione mi­
stica o contemplativa. L ’anima ha una coscienza chiarissi­
ma che l’ineffabile esperienza di cui sta godendo non è stata
prodotta da lei, né durerà un secondo in più di quanto vorrà
il misterioso agente. L ’anima è il soggetto passivo di una su­
blime esperienza che da sola non potrebbe mai produrre.
I testi dei mistici sperimentali — particolarmente di S. T e­
resa — sono innum erevoli al riguardo 31.

38 N o i n o n a m m e t t i a m o questa totalità assoluta, benché questo sia


l’effetto più frequente e ordinario dell’esperienza mìstica. — ■N . d. A .
v) Cf. P. P o u l a in , o.c., c 6, n. 8. /
3° Scrive S. T e r e s a : « M i è impossibile manifestare tutto ciò che si pro­
va q u a n d o D i o ci mette a parte dei suoi segreti e delle sue meraviglie.
Sì sente u n piacere superiore a qualsiasi u m a n a immaginazione, ispirato­
re d ’u n si profondo orrore per tutti i diletti della terra da sentir disgusto
anche solo a paragonarli co n quello, perché n o n s o n o che bassezza an­
che se durassero per sempre. E p p u r e n o n è che una piccola g o ccia , caduta
d a quel rigonfio torrente di delizie che ci sta preparato nei cieli» ( V ita
27,12; et. Cammino di perfezione 31,10, d o v e dice che la gioia della c o n t e m ­
plazione « è b e n diversa dai godimenti della terra e che tale n o n si provereb­
be neppure se si fosse cosi padroni del m o n d o da goderne tutti i beni.
Q u i il contento è nel più profondo della volontà, mentre le soddisfazioni
della terra sembra che tocchino la volontà soltanto nell’esterno, o, a meglio
dire, alla superficie »).
E c c o alcuni testi di Santa Teresa: « L a stessa volontà n o n h a da fare
altro che accettare le grazie che le v e n g o n o date » ( V ita 17,1). « N o n osa
8 30 LA V IT A C R IS T IA N A N EL SU O S V IL U P P O ORDINARIO

Causa dì questa impotenza. - L a ragione di questa im po­


tenza è m olto semplice. Siccome la contemplazione è p ro ­
dotta dai doni dello Spirito Santo che illuminano la fede, e
l ’uomo non può attuare per se stesso i doni, giacché non so ­
no strumenti suoi — com e le virtù — , ma direttamente e
immediatamente dellò Spirito Santo, si p ongono in m ovi­
mento soltanto qùando E g li vuole o mentre E g li vuole,
non prima né dopo.
Il P. Poulain scrive riguardo alla cagione di questa im­
potenza: « L e tesi sopra stabilite ci fanno vedere perché
l’unione mistica non è lasciata a nostro piacimento come
l’orazione ordinaria; ed è perché questa unione dà il possesso
sperimentale di D io . Un paragone ci farà comprendere la
cosa. Se uno dei miei amici è nascosto dietro una parete,
io posso sempre pensare a lui, quando io lo desideri; ma se
vo g lio trattare realmente con lui, la mia volontà non basta
più; ed è necessario che scompaia la parete. Qualcosa di simile
avviene con D io. Quando egli è nascosto, dipende sempre
dalla mia volontà, con l’aiuto della grazia, di pensare a lui,
come si fa nell’orazione ordinaria; ma se io vo g lio com uni­
care realmente con lui, non basta più la mia volontà; perché
vi è un ostacolo da togliere, e la sola mano divina n’è capace.
M a se non si può giungere a proprio talento allo stato
mistico, è però in nostro potere il disporci ad esso, per mezzo
della pratica della virtù, e di una vita di raccoglim ento inter­
no ed esterno.
Qualche volta si è sorpresi im provvisam ente dall’u­
nione mistica, nel leggere qualche libro pio, o nell’udire par­
lare di D io; ed in tal caso, la lettura o la conversazione è,
non la causa, ma l ’occasione della grazia ricevuta. Questa
grazia proviene solamente da D io , il quale però tien conto
della disposizione in cui ci troviam o » 3».
N e derivano varie conseguenze 33.
a) Nessuno può mettersi a contemplare quando gli piace.
Non basta che uno voglia; è necessario che vo g lia anche
Io Spirito Santo.
V) L ’anima può e deve disporsi per ricevere cotesta azio-

m u o v e r s i n é d is tr a r s i, p e r p a u r a c h e q u e l b e n e le s f u g g a d i m a n o , e t a lo r a
n e p p u r e r e s p ir a r e . M a n o n sa l a p o v e r in a c h e c o m e n o n p o tè f a r n u lla
p e r p r o c u r a r s e lo , m o l t o m e n o p o t r à p e r r it e n e r / o p iù d i q u a n t o v o r r à il S i ­
g n o re » (V ita , i ; , i ).
3 2 O.c., c .j nn.7-8.
33 C f . P . P o u l a i n , o . c ., c .-j , n .5 .
LA V IT A DI ORAZIONE 831

ne dello Spirito Santo, ed è una cosa importantissima, come


avverte S. Teresa 34. N oti essendo però queste disposizioni
la causa efficiente della contemplazione, qualche volta av­
viene & improvviso (senza nessuna preparazione previa) e
altre volte non avviene per quanto l’anima vi ci si prepari.
c) Una volta ricevuta la divina m ozione, non si può
intensificarla nonostante tatti gli sforzi dell’anima. Nessuno
si sommerge in D io se non nella misura e nel grado che E gli
vuole.
d) Nessuno può determinare coi suoi sforzi la specie
di questa unione mistica, ossia il grado di orazione mistica
a cui corrisponde. Dipende interamente da D io , che non
sempre segue la classificazione o l’ordine indicato da S. T e­
resa o dagli altri mistici sperimentali. In ogni anima D io fa
quello che vuole e quando lo vuole.
e) A volte, l’esperienza mistica incomincia, si intensi­
fica e diminuisce a poco a poco fino a scomparire del tutto
in quella occasione, e questa è la cosa più frequente e or­
dinaria. A ltre volte però appare e scompare bruscamente
senza che l ’anima abbia fatto assolutamente nulla per p ro­
vocarla o allontanarla.
/ ) Ordinariamente non si può interrompere l’esperienza
mistica per m ezzo di un semplice atto interno di volontà
soprattutto se l’esperienza è forte e intensa. È necessario,
per diminuirla o farla scomparire, m uoversi, distrarsi, in­
tavolare una conversazione estranea all’esperienza, ecc., e
anche cosi non scomparirà del tutto fino a che D io non
disporrà diversamente. Un direttore spirituale il quale esiga
dall’anima diretta che si liberi dalla sua orazione mistica per
ritornare all’orazione « ordinaria », oltre a commettere una
gravissim a imprudenza, chiede una cosa im possibile 3 5 .
g) « U n ’altra conseguenza sorge da ciò che si è espo­
sto: cioè, chi si tro v an ell’unione mistica, si sente, in riguardo
a questo favore, in una dipendenza assoluta dallà volontà
divina; giacché da D io solo dipende concedere, aumentare,
ritirare l ’unione.
N on v ’ha cosa più atta di questa ad inspirare sen­

34 C f. Relazione al P . Rodrigo /ihare:; V , n.3.


35 Tuttavia — avverte il P. Poulain (ivi, n.6) — chi è diretto dovrà
mostrare la sua b u o n a volontà provandosi con pace a obbedire. Il risultato
sarà nullo, m a ciò p o c o importa. L ’obbedienza esige solo di impegnarsi
m a n o n di riuscite. Sarebbe meglio però che l’an im a cambiasse direttore,
essendo tale direzione tanto imprudente.
832 L A V IT A C R IS T IA N A N EL SU O S V IL U P P O ORDINARIO

tim enti di umiltà nell’anima, che vede chiaramente di aver


una parte m olto secondaria, quella cioè del p o vero che sten­
de la mano; mentre invece n ell’orazione ordinaria si è ten­
tati di attribuire alla propria abilità la massima parte del
buon successo.
Questa dipendenza, sentita continuamente, ingenera
anche un tim or filiale di D io , al vedere quanto gli è facile d i
punirci per le nostre infedeltà, col farci perdere tutto in un
istante » 3°.
417 . 4 . N ella contemplazione l’ anima è più passiva che
attiva. - È una conseguenza di quanto abbiamo detto.
L ’anima non può « mettersi a contem plare » quando vu o le,
ma unicamente quando vu ole lo Spirito Santo e nella misura
e nel grado che E g li vuole. È certo che l ’anima, sotto l’azio­
ne dei doni, reagisce vitalm ente e coopera con tutte le sue
forze all’influenza divina, però si tratta di un ’attività rice­
vuta, che è un effetto immediato della grazia operante. È
il fam oso patiens divina dello Pseudo-D ionigi, che hanno
sperimentato tutti i mistici. Per questo S. Tom m aso dice:
« H om o spiritualis, non quasi ex m otu propriae voluntatis
principaliter, sed ex instinetu Spiritus Sancti inclinatur ad a-
liquid agendum » (In Ep. ad Rom. 8,14,3.a). E altrove:
« In donis Spiritus Sancti mens humana non se habet u t
m ovens, sed magis ut mota » (11-11,52,2 ad 1).
418 . 5. La conoscenza sperimentale che si ha di D io
durante l’unione m istica non è chiara e distinta, ma oscura
e confusa.
S. G iovann i della C roce spiega questo carattere della
contem plazione nella Salita al Monte Carmelo e, soprat­
tutto, nella Notte oscura. L a ragione teologica fondamen­
tale è questa: la luce contem plativa dei doni investe l’ at­
to sostanziale della fede, e lo illum ina in m odo estrinseco e
soggettivo 37, ma non intrinseco e oggettivo, giacché per sé la
fede è de non visis, e i misteri rimarranno sempre tali per
quanto vengano illuminati. Soltanto il lumen gloriae rom perà
i sigilli del mistero e ci darà una chiarissima e distinta contem ­
plazione di D io che costituirà la visione beatifica. Però in
questo m ondo, mentre continua la vita di fede, la visione
contem plativa dovrà essere necessariamente oscura.

36 C f. P . P o u la in , O.C., C.J, a.J.


37 C f. la decima conclusione che abbiamo stabilito per precisare la natura-
delia contemplazione infusa (n. 410).
LA V IT A DI O R AZION E 833

N ella vita mistica si possono produrre, tuttavia, epife­


nom eni straordinari che appaiono all’anima chiari e distinti.
Si tratta di grazie gratis datae (come le visioni e le rivelazio­
ni) che suppongono n uove specie infuse e un’azione divina
del tutto speciale, gratuita e straordinaria, che non ha nul­
la a che vedere con il processo normale della contem plazio­
ne infusa in base alla luce contem plativa dei doni senza in­
fusione di nuove specie. La contem plazione infusa, per sé,
ha come oggetto l’atto sostanziale della fede, che è necessa­
riamente oscuro e confuso, non chiaro e distinto 3».
419 . 6 . La contemplazione infusa dà a ll’anima piena si­
curezza di trovarsi sotto l’ azione di Dio. - Secondo la de­
scrizione dei mistici sperimentali, mentre dura l’atto contem­
plativo, l’anima non può avere il minimo dubbio di trovarsi
sotto l’azione di D io e intimamente unita a lui. Passata l’ora­
zione, ne potrà dubitare; ma mentre dura è impossibile. È
vero che questa sicurezza assoluta ammette differenti gradi
— nell’orazione di unione è tanto ferma e assoluta, che, se
manca, S. Teresa afferma che non si tratta di vera unione 39
— , però si incom incia ad avere anche nelle prime manifesta­
zioni contemplative.
L ’anima è chiaramente cosciente di non aver prodotto
l’esperienza divina di cui gode. E lo Spirito Santo, che la
sta producendo coi suoi doni, pone in lei una sicurezza
tanto ferma e inequivocabile di tenerla sottomessa alla sua
azione, che l’anima dubiterebbe prima dell’esistenza del sole
o di quella propria che della realtà divina che sta esperimen-
tando. Si verifica cosi il detto di S. Paolo: « L o Spirito stes­
so attesta al nostro spirito che n oi siamo figli di D io »
(Rom. 8,i6).

38 Nella pratica della direzione spirituale, è necessario tenere presente


questo carattere oscuro e m isterioso della contemplazione infusa per non
incorrere in lam entevoli confusioni. Quando l’anima manifesta che « sen­
te una cosa m olto grande che la porta a D io , però non sa quello che è,
né la com prende, né la sa spiegare », un esperto direttore riconoscerà
subito una delle più tipiche caratteristiche dell'esperienza mistica men­
tre altri meno esperti possono pensare facilmente che si tratta di un ’anima
fuorviata e sognatrice, che bisogna obbligare a camminare per le vie « or­
dinarie » e a praticare un altro tipo meno assurdo di orazione. Quante
e quanto gravi im prudenze si possono commettere quando si ignorano
le vere vie di Dio!
3 9 Cf. Quinte mansioni i , i i .
834 LA V IT A C R IS T IA N A NEL SU O S V IL U P P O ORDINARIO

420. 7. La contemplazione infusa dà a ll’ anima la sicu­


rezza morale di essere in grazia di Dio. - O ccorre intendere
rettamente questa verità per non cadere in errori,
jrtìg È una verità di fede definita dal Concilio di Trento che
senza una speciale rivelazione di D io , nessuno può sapere
con certezza se appartiene al numero dei predestinati, se non
potrà più peccare, se si convertirà di n uo vo dopo il peccato,
0 se riceverà il dono della perseveranza finale 4». Nemmeno
può sapere con certezza di fede se ha ricevuto la grazia di D io
(Denz. 802, 823).
O ra, questa sicurezza di stare sotto l ’amorosa azione di
D io equivale ad una vera rivelazione divina ? Moralmente
parlando, a n oi pare di si. Facciamo nostre le seguenti parole
del P. Poulain «■ :
« Se u n ’anima si trova nell’unione mistica, se ne può
conchiudere che essa è in stato di grazia ? Se essa avesse
solamente visioni e rivelazioni, la risposta sarebbe negativa;
giacché la Sacra Scrittura ci racconta alcune visioni avute
da peccatori, com e da Balaam, da N abucodonosor, da
Baldassarre ■ tJ.
Se si parla però di vera unione mistica, ecco la rispo­
sta: coloro ai quali viene concessa questa unione, senza spe­
ciale rivelazione del loro stato di grazia, hanno semplice-
mente la certezza morale di possedere l’amicizia di D io ,
sebbene sia m olto più ferma di quella che un cristiano ordi­
nario può dedurre dalle sue disposizioni.
Infatti si p uò avere una certezza morale ché lo stato di
orazione in cui uno si trova è veramente quello della contem ­
plazione mistica cosi com e viene concepita dagli autori spi­
rituali. Orbene: i° questa unione racchiude un continuo
atto di amore perfetto, il quale basterebbe a restituire lo
stato di grazia, qualora l ’anima non lo possedesse, perché
lo suppone o lo produce; 20 tutti ammettono che questa
contem plazione è prodotta da certi doni dello Spirito Santo,
1 quali suppongono necessariamente lo stato di grazia, poi­
ché non è nella econom ia della D ivin a Provvidenza produr­
re in un’anima gli atti propri dei doni, senza la presenza dei
doni stessi; 3° in questa contem plazione D io si accosta all’a-

4° Cf. D enz. 805, 825, 826, 833.


4 1 O.c., c.12 n .io .
4- L e visioni e le rivelazioni sono grazie gratis datae che non entrano
nello sviluppo normale della grazia e possono riceverle anche co loro che
si trovano in peccato mortale. — N .d .A .
LA V IT A D I ORAZION E 835
ruma com e amico ed il favore che le accorda è precisamente
quello della sua presenza di amico 43.
Si ha dunque una certezza morale dello stato di grazia,
sicché a buon diritto si considera l’unione mistica come il
prim o sbocciare della grazia santificante che prepara la com ­
pleta fioritura della visione beatifica. “ Che altro è la vita mi­
stica, se non la vita della grazia che diviene cosciente e quasi
sperim entale?” (R. P. B a i n v e l , Nature et surnaturel, c.2,5).
Si può avere una certezza superiore soltanto in base
ad una rivelazione talmente chiara che si im ponga nella ma­
niera più assoluta allo spirito.
Q uanto abbiamo detto ci permette di rassicurare le
anime mistiche com battute da violente tentazioni, che a volte
rim angono in uno stato di inquietudine per il timore di
avere più o meno ceduto. Esse devono persuadersi che, an­
che quando il timore di una colpa grave fosse fondato, pos­
siedono già lo stato di grazia per il fatto stesso dell’unione
mistica che lo ha loro restituito » «.
N on si tratta, quindi, di una certezza assoluta e infallibi­
le — che non può esistere senza una speciale rivelazione di­
vina — , ma di una certezza morale, incomparabilmente più
grande di quella che può avere un semplice cristiano che esa­
mina le sue disposizioni attuali <5.
421 . 8. L ’ esperienza m istica è ineffabile. - I mistici non
riescono ad esprimere con chiarezza quello che provano.
« N on v ’è lingua capace di esprimere queste cose », direbbe
S. Teresa. E lla scrive: « Q u i com incia il soprannaturale, par­
lar del quale è assai difficile, a meno che non mi aiuti Sua
Maestà » ■ *6. Solo a forza di metafore, di esempi, di paragoni

43 S. Teresa parlando della quiete scrive: « Q uelli che si riconoscono


cosi fav o liti, si diportino veramente da forti amici di D io e cerchino dì
conform arsi a quelle leg g i di buona amicizia che v igo n o anche nel m ondo »
{Vita, 15,5). — Nota del P . Poulain.
44 A nch e in questo caso tali anime saranno obbligate a sottomettere
la loro colpa grave all’assoluzione sacramentale, com e colui che ha ricu­
perato lo stato di grazia in virtù di un atto di contrizione. — N .d .A .
45 Cf. I -II,ii2 ,5 , dove S. Tom m aso pone com e segni congetturali per
conoscere se siamo in grazia « se dekctari in Deo... contemnere res mun-
danas... non esse sibi conscius alicuius peccati mortalis... per quandam expe-
rieniiam dulcedinìs, quam non experitur ille qui non accipit ». Tuttavia ag­
giunge che questa conoscenza è imperfetta; ossia, che non p u ò darci una
certezza assoluta, ma soltanto morale o congetturale.
46 Quarte mansioni I ,i.
8 36 L A V IT A C R IS T IA N A N E L SU O S V IL U P P O ORDINARIO

« che non li soddisfano » 4? e altre circonlocuzioni i mistici


riescono a dire qualcosa di quello che provano a coloro
che non lo hanno sperimentato.
La ragione è sempre la medesima. L ’azione soprannatu­
rale dei doni trascende il m odo discorsi.vo della ragione
umana. Q uello che è intuitivo si percepisce, non si può espri­
mere con proprietà in base a discorsi e ragionamenti umani.
422 . 9. La contemplazione può rivestire diverse forme. -
Il fenom eno contem plativo non si produce sempre nella
stessa forma. A lcun e volte prevale l’illuminazione dell’in­
telletto (contemplazione cherubica degli antichi), altre volte
l’infiammazione della volontà (contem plazione serafica). La
m aggior parte delle volte è soave e piacevole, ma altre volte
è terribilmente dolorosa e purificatrice. Ordinariamente la­
scia l’anima nella pace, senza il desiderio di una felicità
m aggiore, ma altre volte accende nell’ anima una sete divo­
ratrice di possedere il Bene infinito in una maniera più pie­
na e profonda. Sono svariatissime, infine, le forme che può
rivestire la contem plazione, ed è necessario considerare bene
questo particolare per n on disorientarsi nella direzione delle
anime.
423 . I O . L ’ unione m istica presenta fluttuazioni o variazio­
n i continue. - Scrive S. Teresa: « A lle volte dura a lun­
go e alle volte pochissim o, conform e piace al Signore com u­
nicarlo, non essendo cosa che possa ottenersi con industria
umana. A nche se si prolunga per un buon tratto di tempo
non è mai costante, ma v a e viene. Perciò l’anima non fini­
sce mai d’abbruciarsi. A n zi, quando già sta per accendersi,
la scintilla si spegne, ed ella rimane col desiderio di tornare
all’amoroso torm ento di cui quella scintilla le è causa » 48.
Con queste fluttuazioni e alternative l’anima può rima­
nere, secondo S. Teresa «, varie ore in orazione mistica.
Q ualche volta, l’unione mistica non dura più di un istante
(tocco mistico); altre volte, si prolunga per m olto tempo.
Ordinariamente, però, non rimarrà neppure cinque minuti
nello stesso grado di intensità. D urante il periodo ascenden­
te, l’anima spera con brama di giungere fino ad una cima
ineffabile che presente e indovina; ma subito, e senza cono­

47 « M i arido di questi paragoni; non mi soddisfano; ma non ne so altri»


( S . T e r e s a , Settime mansioni 2 ,1 1 ) .
4 8 Seste mansioni 2,4.
49 C f. V ita 1 8 , 1 2 - 1 5 .
LA V IT A D I ORAZION E 837
scerne il m otivo, ecco che incom incia a discendere. L ’ani­
ma incomincia ad emettere allora — benché in gradi diversi
•— la dolorosa esclamazione di S. G iovanni della Croce:
« O fiamma d’amor viva,
Che si dolce ferisci
L ’anima, ed al centro più profondo vai;
Poiché non sei più schiva,
L ’opra, se vuoi, finisci,
R om pi la tela al dolce incontro ornai ».
424. 1 1 . L a contemplazione m istica si ripercuote fre­
quentemente sul corpo. - Questa ripercussione si può
manifestare in diverse maniere:
a) Qualche volta, il piacere spirituale intensissimo di
cui l’anima gode ha una ripercussione sulla sensibilità nella
quale si possono produrre sconcertanti fenom eni 5°. Però
S. G iovann i della Croce avverte che ciò avviene unicamente
nei principianti di indole « tenera e sdolcinata » S‘ . Il rimedio
consiste nel non badarvi e continuare l’orazione, respingen­
do e disprezzando quell’effetto corporale.
b ) Quando la contem plazione è m olto intensa, l’organi­
smo si altera visibilmente. G li occhi si appannano come
colpiti da una nebbia. Il respiro diventa debole e intermit­
tente, quantunque reagisca fortem ente, o gn i tanto, in una
p rofonda aspirazione istintiva come per assorbire la neces­
saria quantità di aria. L e membra in parte si paralizzano (le
dita, per esempio, perdono la forza di sostenere un oggetto
qualsiasi). Il calore vitale diminuisce e si percepisce un
leggero raffreddamento, soprattutto nelle mani e nei piedi.
S. Teresa ne parla in diversi luogh i delle sue opere 5». Quan­
do si produce l’estasi, l’alienazione dei sensi è com pleta e
totale.
Bisogna ricercare la spiegazione di questi fenom eni nel­
la limitazione delle nostre energie. Quando lo spirito è
assorbito in una operazione intensissima, il corpo deve
accusare per forza il contraccolpo. A l contrario, quando
l ’uom o si abbandona febbrilmente alle cose corporali, lo
spirito rimane debilitato rispetto alle operazioni che gli so­
no proprie. Per questo S. Paolo dice che l’uom o carnale,

5° C f . S . G i o v a n n i d e l l a C r o c e , N o t t e oscura 1 ,4 .
5 * C f . I v i n .5 .
s* C f . V i t a 1 8 ,i o ; 1 9 ,2 ; 20,3 e c c .
8 38 L A V IT A C R IS T IA N A N E L SU O S V IL U P P O ORDINARIO

non è in grado di comprendere le cose spirituali (i Cor.


2>I 4 )-
c) A lle volte, negli stati m olto intensi dì contem plazio­
ne, si producono altri fenom eni corporali sorprendenti,
che studieremo a loro tempo.
425 . 12. L a contemplazione m istica di solito produce
la sospensione o il legamento delle potenze. - Per com pren­
dere questo effetto è necessario distinguere attentamente
tra gli atti costitutivi dell’unione mistica e gli atti addizionali
ad essa 53. Si chiamano atti costitutivi o fondamentali quelli
che appartengono necessariamente ad essa e /’accompagnano
sempre, tali com e pensare a D io , amarlo, ecc. Sono invece
atti addizionali — fuori delle distrazioni — quegli atti che non
sono propri dell’unione mistica, cioè, che non sono causa
né effetto di essa. Il termine addizionale esprime con chiarez­
za che si è aggiunto qualcosa non essenziale all’azione divina;
per esempio, recitare un’A ve Maria, leggere alcune righe
di un libro pio, pensare alla morte, ecc.; e, in generale,
ogn i iniziativa umana indipendente o al margine dell’azio­
ne divina.
O ra, l’unione mistica impedisce, più o meno, la produzio­
ne di questi atti addizionali. N ell’estasi, la difficoltà è insu­
perabile. N elle orazioni inferiori, l’impossibilità non è
assoluta, però si sente sempre qualche difficoltà che è tanto
m aggiore quanto m aggiore è l’intensità dell’unione mistica.
L e anime sperimentano durante la contem plazione una ve­
ra difficoltà, per esempio, nella recita delle orazioni vocali.
A lle volte incominciano a recitare il Padre nostro, però
una segreta forza interiore le obbliga a sospendere la loro
orazione dopo due o tre parole. Cercano di proseguire
con vero sforzo, e appena se ne rendono co n to, hanno già.
cessato di parlare un’altra volta. Solo a prezzo di grandi
sforzi e continue interruzioni potrebbero recitare intera­
mente il rosario o un’altra orazione vocale di relativa
lunghezza.
Riassumendo dobbiam o dire che lo stato mistico tende
comunemente ad escludere tutto quello che gli è estraneo, principal­
mente quello che proviene dalla nostra industria e dal nostro sformo.
Q ualche volta, tuttavia, ci sono delle eccezioni. D io è
libero, se vuole, di ispirare all’anima uno di questi atti ad­

53 II P. Poulain ha spiegato m olto bene questa distinzione; cf. o.e.r


c.% n.13.
LA V IT A DI ORAZION E 839

dizionali, che non pregiudicherà in questo caso l’unione


mistica. M a si tratta sempre di atti soavi e semplici, non
energici e violenti, che, lungi dal favorirla, l’estinguerebbero
facilmente.
La condotta pratica dell’anima è quella di assecondare
docilmente l ’azione di D io , senza im pegnarsi nel produrre
atti addizionali se sperimenta difficoltà nel fare ciò. Si lim i­
ti, al massino, a qualche breve aspirazione amorosa, ripetu­
ta ogni tanto onde prevenire le distrazioni e cooperare
soavemente all’azione divina 54. Unicamente quando si
tratta di orazioni vocali obbligatorie com e quelle del bre­
viario, si dovrebbero recitare anche a costo di diminuire
l ’unione mistica.
Esempi concreti nei santi. — Il P. Poulain 55 ne ripor­
ta parecchi. S. Filippo N eri non poteva, certe volte,
terminare la recita del breviario se non l’alternava con un
com pagno; diversamente, l’estasi lo rapiva e s’im m ergeva
in D io , abbandonando la recita. S. Giuseppe da Copertino
giungeva frequentemente alla sera senza aver potuto re­
citare il breviario, sebbene avesse tentato di farlo molte
volte. Per trentacinque anni, i superiori lo esentarono dal­
le cerimonie del coro, dalle processioni e persino dal refet­
torio comune, perché, a causa delle sue estasi continue,
interrom peva la vita comune. Era un vero m iracolo che in
m ezzo alle sue estasi il santo potesse terminare la santa mes­
sa. A pp ena terminata, correva alla sua cella, gettava un gri­
do e cadeva in ginocchio estasiato. Per lo stesso m otivo S.
Ignazio di L oyo la fu dispensato dalla recita del breviario.
Frequentem ente si vedeva costretto a interrompere varie
volte la messa, di m odo che im piegava più di un’ora per
dirla, nonostante che si sforzasse di non oltrepassare la
m ezz’ora come aveva suggerito ai suoi religiosi.

426 . 13 . L a contemplazione infusa porta con sé un grande


impulso alla pratica delle virtù cristiane. • È una delle note

54 S. Teresa cosi avverte le sue monache: « È ancora utilissim o tenersi


in più grande solitudine per m eglio facilitare l’azione di D io , permettendo­
g li di operare in noi com e in cosa propria. I l più che si possa fare, secondo
me è aggiungere di quando in quando qualche dolce p arola,.a guisa di
soffio leggero che ravviva una candela appena spenta e la spegne se acce­
sa. D ico com e un soffio leggero, per impedire che a forza d ’ordinar ra­
gionam enti non si finisca con distrarre la v olon tà» Cammino 31,7).
5 5 0 .c., c.14 n.16.
840 L A V IT A C R IS T IA N A N E L S U O S V IL U P P O ORDINARIO

più tipiche della vera contem plazione. S. Teresa lo ripete


costantemente. L ’anima, che non esce dalla sua orazione
con grandi impulsi verso le solide virtù: l’umiltà, la perfet­
ta abnegazione di se stessa, l’amore alla croce, l’amor di D io
e del prossim o in grado intenso, può stare certa di non aver
avuto orazione contemplativa.
L a cosa più sorprendente è costituita dal fatto che,
alle volte, l’anima contem plativa si sente istantaneamente in
possesso di una virtù che non aveva potuto conseguire
in lunghi anni di sforzi continui. S.,T eresa paragona questi
cambiamenti tanto profondi a un baco da seta che si tra­
sform a subito in una « farfalla bianca m olto graziosa »
(,Quinte mansioni 2,2). L ’anima non potrebbe conseguire in
molti anni di meditazione quello che il Signore le comunica
qui in un istante (ivi n .n ) .
È necessario, tuttavia, non esagerare. N elle prime ora­
zioni contem plative, la trasformazione non è cosi profonda
da far scomparire dalPanima ogni specie di difetti anche
involontari. E cosi errerebbe grandemente, il direttore che
giudicasse illusoria la contem plazione di un ’anima ancora
soggetta a certi difetti, che provengono molte volte più
dal temperamento e dal carattere che dalla propria volontà.
L a contemplazione aiuta efficacemente la santificazione del­
l’anima, ma non produce istantaneamente e necessariamente
un santo.

4. Processo psicologico della contemplazione

427. E c c o o ra, in b re v e , il p ro ce sso p s ic o lo g ic o


d el fen o m en o c o n te m p la tiv o :
Processo della contemplazione:
I. Cause dispositive:

V irtù morali.

b)
1 V irtù teologali affettive
carità).
D a parte della c o -f r) Naturale: virtù intellettuali 5‘ .
(speranza e

noscenza } 2) Soprannaturale: la prudenza infusa.

56 L e virtù intellettuali acquisite sono cinque: sapienza, scienza, intel­


ligenza, prudenza e arte (cf. 1-11,57). L a prudenza è, per sé, una virtù in-
LA V IT A DI ORAZION E 841

II. Form a costitutiva: l ’atto della fede, illustrata per


m ezzo dei doni dell’intelletto e della sapienza riguardo alla
prima V erità in se stessa.
III. Effetti concomitanti:
1) Am m irazione profonda della prima Verità.
2) G odim ento di D io e delle cose divine.
3) Purificazione sempre più grande delle potenze del­
l ’anima.

5. Definizione della contemplatone infusa

428. D ’a cco rd o co n le s p ie g a zio n i date, la co n te m ­


p la z io n e in fu sa si p u ò defin ire una semplice intuizione del­
la verità divina procedente dalla fede illustrata per mezZP
dei doni deir intelletto, della sapienza e della scienza in stato
perfetto.
d) Una semplice intuizione... - Intendiamo qui per intui­
zione un giudizio immediato. Difatti la contemplazione:
1 ) Non è una semplice apprensione, perché in essa non si
tro va ancora in m odo formale la verità, ma soltanto in modo
incoativo e imperfetto, mentre la contem plazione possiede
la verità 57, che si ha formalmente nel giudizio.
2) Non è nemmeno un giudizio discorsivo, perché la contem­
plazione procede dalla fede illustrata per m ezzo dei doni;
ora, né la fede né i doni sono discorsivi.
3) Dunque, è un giudizio intuitivo. - Si prova: a) Mediante
l’esclusione degli atti precedenti. V) L ’atto proprio della fe­
de è credere, è dare il consenso senza discorso icum assensione
cogitare), la qual cosa costituisce un giudizio immediato. D i­
versamente, la fede sarebbe discorsiva, acquisita, non so­
prannaturale, e il suo oggetto non sarebbe la V erità prima,
ma una verità conclusa per m ezzo del discorso. L ’atto proprio
dei doni è pure un giudizio immediato, senza discorso. G li
atti della fede e dei doni sono atti dell’intelletto in quanto
intelletto (per cui rassomigliam o a D io e agli angeli riguardo

tellettuale; ma per il suo o ggetto, che consiste nel mettere l’ordine della ragio ­
ne negli atti umani — recta actio agibilìum — sta in relazione anche con le vir­
tù m orali, delle quali è la prim a e la più eccellente (cf. 1-11,58,3 a d i;I I - U ,
141,8).
5 7 Cf. 11-11,179,1; 180,1; 180,3, ccc*
842 L A V IT A C R IS T IA N A NEL SU O S V IL U P P O ORDINARIO

al m odo di intendere), non in quanto ratio, ossia, in quanto


facoltà che risale dagli effetti alla causa e dai principi deduce
le conclusioni s». La contem plazione è, quindi, un semplice
giudizio intuitivo, affermativo per la fede, distinto dagli altri
in quanto saporoso e sperimentale per gli effetti vitali —
procedenti dai doni dello Spirito Santo — che ci mettono
in contatto con D io.
Accidentalm ente concorrono all’atto contem plativo altri
atti delPintelletto speculativo e pratico (auditio, lectio, cogi-
tatio, consideratio vel meditatio, speculatio, oratio, admiratio, ecc.),
che sono disposizioni o ridondanze dell’atto contem plativo
che consiste formalmente nel giudizio intuitivo della ve­
rità 59.
b) ...della verità divina... - È l ’o ggetto materiale primario
della divina contemplazione. Q uesto o ggetto viene offerto
sostanzialmente dalla fede, ed è illuminato dai doni delPin­
telletto e della sapienza affinché abbia l’evidenza soggetti­
va e sperimentale propria dell’atto contem plativo.
Secondariamente costituiscono l’oggetto materiale della
divina contem plazione anche le cose create, e umane illuminate
dal dono della scienza. L a contemplazione di questi effetti
divini (cose create) appartiene secondariamente alla vita con­
tem plativa, in quanto che per m ezzo di esse l’uom o può
elevarsi alla conoscenza di D io , come dice S. Tom m aso 60

58 I I I Sent. 35, q .l , a.2, q.2, arg.2, sed contra.


59 II-II,i8 o,3. In questo articolo viene messa in rilievo Ymità specifica
della contemplazione cristiana, prodotto di elementi infusi e l’impossibilità di una
contemplazione soprannatuale propriamente acquisita. T utti gli atti previ
che l’uom o può porre co l suo proprio sforzo (aiutato dalla grazia ordinaria)
saranno eccellenti disposizioni per la contemplazione, ma l’atto form alm ente
contem plativo — da cui riceve la sua unità specifica — non è altro che il
semplice giudizio intuitivo della divina verità. Ora, questo giudizio intuitivo
procede dalla fede, quanto alla sua sostanza, e dai doni dello Spirito Santo,
quanto aiia sua modalità sovrumana, che trascende il m odo discorsivo, pro­
prio della natura razionale.
E non si dica che anche la fede è intuitiva, e, di conseguenza, che essa
sola basta per l’atto contem plativo senza l’aiuto dei doni. N o n basta perché
la fede è, per sé, de non visis, e perciò senza luce contem plativa dei doni
non può darci codesta specie di evidenza soggettiva e sperimentale, propria del­
l ’atto contem plativo, che procede unicamente dal m odo sovrum ano dei
doni dello Spirito Santo (cf. n.408, 410 e 413).
60 « Etiam contemplatio divinorum effectuum secundario ad vitam con-
templativam pertinet, prout scilicet ex h oc manuducitur homo in D ei co-
LA V IT A D I ORAZION E 8 43

c) ...procedente dalla fede illu str a ta per m ezzo dei doni del-
l ’ intelletto, d ella sapien za e d ella scien za in stato perfetto. - È
il principio quo della contemplazione, del quale abbiamo
già parlato (n. 410-11).

2. E c c e lle n z a d e lla v it a c o n t e m p la t iv a . - San


T o m m a so dedica nella Somma teologica u n a in teres­
san tissim a q u estio n e alla p re cisazio n e delle re la zio ­
ni tra la v ita a ttiv a e quella co n te m p la tiv a (II-II,
182). L a q u estio n e si d iv id e in q u a ttro articoli.
E s p o r re m o b re ve m e n te la sua d o ttrin a.

A rticolo 1. - Se la v it a a t t iv a s ia m ig l io r e

DELLA V IT A C O N T E M P L A T IV A .

429 . Le principali ragioni che sembrano affermarlo so­


no tre: 1) perché la vita attiva è quella propria dei prelati,
che sono costituiti nel più eccellente stato di perfezione;
2) perché ia vita attiva dispone e ordina alla contem plazio­
ne; 3) perché, diversamente, nessun contem plativo potrebbe
accettare l’incarico di prelato: infatti ne riuscirebbe danneg­
giato.
Tuttavia contraria è l ’autorità di N ostro Signore che disse:
« M aria ha scelto la parte m igliore » (Luca 10,42). Si sa che
Maria rappresenta la vita contemplativa.
N el corpo dell’articolo con otto ragioni — prese da A ri­
stotele — prova la superiorità della vita contem plativa sul­
l’attiva. Difatti:
1. Si tratta di una cosa più propria all’uom o, giacché
la vita contem plativa si riferisce alla vita intellettuale, e l’at­
tiva alle cose esterne.
2. P uò essere più continua e duratura dell’attiva.
3. È m olto più dilettevole.
4. È più libera, in quanto che all’uom o occorrono meno
cose per darsi alla contemplazione che all’azione.
5. L a contem plazione si desidera per se stessa, mentre
l ’azione si ordina ad altre cose.
6. È più tranquilla.
7. La contem plazione si riferisce alle cose divine, l’a­
zione alle cose umane.

gnitionem» (11-11,180,4; cf. II-II,t),2 per quanto riguarda il dono della


scienza).
844 LA V IT A C R IS T IA N A N E L SU O S V IL U P P O ORDINARIO

8. L a vita contem plativa è propria dell’uom o, l’atti­


va è comune con gli animali.
A parte queste ragioni che con vengon o analogicamente
alla contem plazione naturale e a quella soprannaturale, si
può stabilire la seguente tesi teologica, che si riferisce e
tocca unicamente quella soprannaturale.

Tesi: La vita contemplativa è molto superiore al­


l’attiva a motivo del suo principio, del suo og­
getto e del suo fine.

1. A motivo del principio. - N e ll’ordine soprannaturale,


i principi elicitivi della contem plazione e dell’azione sono le
potenze dell’anima e gli abiti infusi. M a le potenze e g li abiti
che producono la contem plazione sono più eccellenti di
quelli dell’azione. D unque...
a) L e potente. - L a contem plazione procede dall’intel­
letto speculativo, e l’azione, dalla volontà e dall’appetito
sensitivo, che sono meno perfetti dell’intelletto.
b) G li abiti infusi. - L a contem plazione procede dalla
fede e dai doni intellettivi dello Spirito Santo sotto l’im­
pulso della carità e della speranza. L ’azione, invece, p rovie­
ne dalle virtù m orali con i doni pratici corrispondenti, che
sono meno perfetti delle virtù teologali e dei doni intel­
lettivi.
2. A motivo del suo oggetto. - L ’o ggetto primario del­
la contem plazione è D io e le cose divine conosciute per mez­
zo della fede e sotto l’altissima illum inazione dei doni.
L ’oggetto dell’azione, invece, sono le cose create e periture.
C ’è un abisso tra un o gg etto e l’altro.
3. A motivo del fine. - L a contem plazione si riferisce
al bene onesto, che si cerca per se stesso e non si ordina ad
un altro bene. L ’azione, invece, si riferisce al bene utile
che si ordina o si deve ordinare a un altro bene superiore.
Soluzione delle ragioni contrarie. - A lla 1.: A i prelati non
appartiene unicamente la vita attiva, ma devono spiccare
pure, e in grado eccellente, nella contemplativa.
A lla 2.: L a vita attiva non dispone né ordina diretta-
mente alla contem plativa, ma ordina le opere esterne, dispo­
nendo il soggetto alla contem plazione. È , quindi, serva,
non signora, della vita contemplativa.
LA V IT A D I ORAZION E 845

A lla 3.: Le necessità della vita presente possono, alle


volte, obbligare a darsi all’azione, anche senza abbando­
nare del tutto la contemplazione. Perché bisogna tenere
presente che quando qualcuno è chiamato dalla vita contem­
plativa all’attiva, ciò non si deve fare sottraendo ad essa
qualcosa, ma aggiungendovi le opere di carità 61.
A r tic o lo 2. - S e la v it a a t t iv a s ia p iù m e r it o ­
r ia DELLA C O N T E M P L A T IV A .

430. L e principali ragioni che sembrano affermarlo


sono tre: 1) Il merito sta in relazione al premio; e S. Paolo
afferma che « ognuno riceverà la sua ricompensa secondo il
suo lavoro » (1 Cor. 3,8); e il lavoro appartiene alla vita atti­
va, come il riposo alla contem plativa. 2) L a vita contempla­
tiva è un antìcipo della felicità eterna; però nel cièlo non si
merita più, ma si gode il premio meritato; quindi la vita con­
tem plativa ha ragione di premio più che di merito. 3) D ice
S. G regorio che nessun sacrificio è più accetto a D io dello
zelo delle anime, che appartiene alla vita attiva.
L o stesso S. G rego rio però dice pure che se sono grandi
i meriti della vita attiva, quelli della vita contem plativa sono
m aggiori. L o proverem o.
Premessa. - Il merito è correlativo al premio. Però il
premio è duplice:
a) 'Essenziale: è la gloria essenziale dell’anima in rela­
zione a D io (grado della visione beatifica, prem io de bona
infinito).

61 Si n o ti l ’im portanza di questa dottrina dell’A n g e lic o D o tto re . L a vita


attiva non dispensa nessuno dalla contemplazione, tanto m eno il sacerdote
che ha cura d’anime. L ’azione deve essere qualche cosa di sovraggiunto alla
contemplazione, n on qualche cosa che le viene tolto o sottratto.
Cf. S. G io v a n n i d e l l a C r o c e , Cantico spirituale, annotazione sopra la
strofa X X I X , n.3, dove scrive: « Q uelli che sono m olto attivi e che pensano
di abbracciare tutto il m ondo con le loro predicazioni ed opere esteriori,
riflettano bene che apporterebbero m olta p iù utilità alla Chiesa, e riusci-,_
rebbero assai più graditi a D io (anche a prescindere dal buon esempio che
darebbero), se spendessero alm eno la metà del loro tem po nello starsene
con D io in orazione, ancorché non fossero giunti a tanto alta orazione,
com e questa di cui parliamo. A llora certamente otterrebbero di più e con
minor fatica, più con un’opera che con mille, e ciò per il m erito della loro
orazione e per le forze spirituali in essa acquistate; altrimenti, tutto si r i­
durrà ad un martellare e a fare poco più di niente, e alle volte proprio nien­
te, anzi non di rado anche danno ».
846 L A V IT A C R IS T IA N A N E L S U O S V IL U P P O ORDINARIO

b) Accidentale: è la gloria accidentale dell’anima, ch


si riferisce alle cose accidentali in relazióne a D io (premio
de bono creato, non infinito).
Il merito è, quindi, duplice: essenziale e accidentale.

l a conclusione: La vita contemplativa per sè è più


meritoria dell’attiva.

Eccone le prove:
1. Per la m aggiore dignità del principio, delFoggetto
e del fine della vita contem plativa (si veda l’art. precedente).
2. Perché la radice del merito è la carità (I-II,114,4).
O ra , dei due atti della carità, l’amor di D io in se stesso è
più m eritorio che l’ am ore del prossim o per D io (11-11,27,8).
Per conseguenza, tutto quello che appartiene più diretta-
mente all’amor di D io sarà per sé più m eritorio di quello
che appartiene direttamente all’amor del prossimo per D io.
M a la vita contem plativa appartiene in m odo diretto e im­
mediato all’amor di D io , e l’attiva appartiene in m odo di­
retto e immediato all’am or del prossim o. Q uindi, per la sua
medesima natura, la vita contem plativa è più meritoria
dell’attiva.
Soluzione delle ragioni contrarie. - A lla 1.: Il lavoro ester­
no è ordinato all’aumento del premio accidentale, ma l’au­
mento del merito rispetto al premio essenziale appartiene
principalmente alla carità, segno della quale è il lavoro ester­
no tollerato per am or di Cristo. Però è segno m olto più
espressivo di questo amore abbandonare tutte le cose che si
riferiscono a questa vita e darsi in m odo esclusivo alla divina
contemplazione.
A lla 2.: L a vita contem plativa del cielo non è meritoria,
perché l ’uom o è giunto allo stato immutabile del termine
e alla sua piena perfezione; ma mentre va pellegrinando in
questa vita, la sua contem plazione si può perfezionare sem­
pre più, poiché aumenta ogn i volta il suo merito a m otivo
dell’esercizio interno della carità che suppone.
A lla Il sacrificio più accetto a D io è l’ offerta e la con­
sacrazione di se m edesimo a D io , e dopo quella delle anime
degli altri. S. G rego rio vu ole dire che è più accetta a D io
l ’offerta di se medesimo e degli altri che quella di qualsiasi
altra cosa esterna.
LA V IT A DI ORAZION E 847

2a conclusione: Però può accadere alle volte che la


vita attiva sia più meritoria di quella contem­
plativa.

Il caso si potrebbe verificare in tre maniere:


a) Da parte del soggetto (intensive). - È evidente che
colui il quale realizza le opere della vita attiva con un fer­
vente amor di D io ha m aggior merito — anche essenziale
— di colui che si dedica alla contem plazione in una maniera
tiepida e negligente.
b) Ver il maggior numero di atti (extensive). - L a vita attiva
abbraccia m olte cose e realizza numericamente più atti
di quella contemplativa. O ra, ogni atto realizzato in carità
è m eritorio. Q uindi numericamente sono più frequenti i
meriti della vita attiva.
Si tenga però presente che c’è molta differenza tra me­
riti accidentali e merito essenziale. Per meritare i primi basta
qualsiasi atto realizzato in carità, ossia, in grazia di D io;
ma per l’aumento del merito essenziale occorre un atto più
fervente di carità di quello realizzato anteriormente, come
abbiamo spiegato altrove (cfr. n n.255-257). E siccome nella
contem plazione la carità ordinariamente raggiunge una
m aggiore intensità che nell’azione, un solo atto di contempla­
zione può essere più m eritorio di m olti atti della vita attiva.
c) Per ridondanza della contemplazione. - L a vita attiva
non si deve considerare com e contrapposta alla contempla­
zione, ma come qualche cosa di sovraggiunto ad essa, come dice
S. Tom m aso (a.i ad 3). D eve essere una ridondanza della
contem plazione, un traboccam ento verso l ’esterno della
pienezza interna. In questo senso, la vita mista unisce il me­
rito delle altre due ed è superiore a ognuna di loro conside­
rate separatamente (cfr. II-II,i88,6).
Si notino però i requisiti che S. Tom m aso esige perché
la vita attiva risulti più m eritoria della contemplativa: « se
propter abundantiam divini amoris... ut eius voluntas im-
pleatur... propter ipsius gloriam ... interdum... sustinet a
dulcedine divinae contem plationis... ad tem pus... separari »,
ossia, che non si tratti mai della vita attiva in quanto tale,
ma della vita mista, e non di qualsiasi, ma di quella che pro­
cede dalla pienezza della contem plazione.
848 L A V IT A C R IS T IA N A NEL SU O S V IL U P P O ORDINARIO

A r tic o lo 3. - S e la v it a a t t iv a s ia un o stacolo

per la c o n t e m p l a z io n e

431. L e principali ragioni che sembrano affermarlo so­


no tre: i.a La contem plazione è un riposo, e la vita attiva una
agitazione; quindi questa si oppone a quella. 2.a L a vita at­
tiva impedisce la chiarezza della visione che si richiede per
quella contem plativa. 3.a L a vita attiva si dedica a molte
cose, e la contem plativa a una sola: quindi si oppon gon o
tra loro.
Tuttavia contrariamente a questo S. G rego rio dice che
chi vuole attendere alla contem plazione è necessario che pri­
ma si eserciti nella vita attiva.

Tesi: Secondo differenti aspetti, la vita attiva si op­


pone e aiuta la vita cotemplativa.

Secondo un aspetto si oppone, cioè: quanto alla preoccupa­


zione e cura delle cose esterne. L ’uom o attivo si affanna in
una m oltitudine di opere esterne, soprattutto chi è costituito
in autorità ed ha una responsabilità più grande davanti a
D io e agli uomini. Si deve occupare di tutti, provvedere alle
necessità di ognuno. T utte queste cose non si possono com ­
piere senza l ’esercizio delle virtù pratiche, che impediscono
l’esercizio di quelle intellettuali (per esempio, per mancanza
di tempo). In questo senso risulta praticamente im possi­
bile l’esercizio eminente di entrambe le vite ad un tem po.
Solo G esù Cristo che era viatore e com prensore nello stesso
tem po, le realizzò insieme in grado perfettissim o. L o stesso
si dica della V ergin e SS.ma per grazia specialissima di D io .
I grandi contem plativi, quando giungono alla sommità
della vita mistica, si avvicinano m olto a questo ideale,
unendosi in essi Marta e Maria, com e dice S. Teresa 6a. Tale
pare che sia stata la vita di S. Paolo, la cui prodigiosa atti­
vità esterna non com prom ise affatto la sua profonda vita
contem plativa, per cui v iv ev a con Cristo in D io (Col. 3,3).
Sotto un altro aspetto l'aiuta, in quanto, cioè, la vita
attiva mette ordine e armonia nelle opere esterne, esercita
le virtù che incanalano le passioni e non lascia posto ai peri­
colosi fantasmi dell’im m aginazione, che troverebbero ab-

62 C f. Pensieri sull1amor di D io 7 , 3 .
LA V IT A DI O R AZION E 849

bondante pascolo nell’oziosità e im pedirebbero la pace e la


tranquillità della contemplazione.

A rticolo 4. - S e la v it a a t t iv a s ia a n t e r io r e a

QU ELLA C O N T E M P L A T IV A .

432 . Bisogna distinguere. Secondo l’ordine di dignità


e di perfezione (causalità formale), la vita contem plativa è
anteriore a quella attiva, alla quale ordina e dirige. Però,
secondo l ’ordine della generazione (causalità materiale o
dispositiva), la vita attiva è anteriore a quella contem pla­
tiva, per la quale dispone il soggetto. L a form a viene quando
il soggetto è ben disposto; e questa disposizione la realizza
la vita attiva principalmente nelle sue prime fasi (purgativa
e illuminativa), e non si può prescindere mai completamente
da essa; infatti, non c’è soggetto tanto perfetto e ben dispo­
sto che non si possa disporre m aggiorm ente per una ulteriore
perfezione. Per questo dice S. Tom m aso che coloro i quali
per il loro temperamento irrequieto sono più atti alla vita at­
tiva, con essa si possono preparare alla contem plazione, e
coloro che per la loro indole pacifica sono più atti alla vita
contem plativa, si possono esercitare nelle opere della vita
attiva per disporsi m eglio alla divina contem plazione (ad 3).
Secondo quanto abbiamo esposto, ecco il duplice o r­
dine che si può stabilire tra entrambe le vite:
1) V ita attiva esterna.
1 2) V ita attiva interna.
3) V ita contem plativa.
( i ) V ita contemplativa.
B) O rdine discendente o di rid o n -{ 2) V ita attiva interna.
danza 13) V ita attiva esterna.

433. 3. È desiderabile la divina contemplazio­


ne? - T ale questione sembra oziosa dopo tutto quel­
lo che abbiam o detto. L a contem plazione è una
grazia formalmente santificante, dal m om ento che p ro ­
cede dalla fede viva illustrata dai doni dello Spirito
Santo e sotto l ’im pulso di una ardente carità. N on
desiderarla equivarrebbe a non desiderare la p ro­
p ria perfezione e santità. A n che gli autori che sosten­
go n o la duplice via — che credono possibile una perfe­
8 50 L A V IT A C R IS T IA N A N E L SU O S V IL U P P O ORDIN ARIO1

zio n e p u ram en te ascetica senza l ’in flu en za delle grazie


m istich e — a m m etto n o ch e la co n te m p la zio n e in fu sa
è u n a g razia eminentemente santificante, e ch e, q u in d i, si
p u ò um ilm en te d esid erare e ch ied ere, b e n ch é co n p ie ­
na so tto m issio n e a ll’a d o ra b ile v o lo n tà d i D io 6S. L a
C h iesa ch iede u fficialm en te nella litu rg ia di P e n te co ste
ch e discenda su tu tti i fe d e li lo S p irito Santo co i su o i
sette d o n i, ch e so n o la causa efficiente della co n te m p la ­
z io n e in fu sa.
C e rto , la c o n te m p la zio n e m istica in q u a n to tale è
un a co sa m o lto d iv ersa d a g li ep ifen o m e n i e le grazie
gratis datae ch e co n fre q u en za l ’a cco m p a g n a n o (v isio n i,
riv e la zio n i, ecc.). T u tti g li a u to ri so n o d ’a cco rd o nel
dire ch e sarebbe tem erarietà, im p ru d en za , p re su n zio n e
e sup erbia d esid erare o ch ied ere tali g ra zie co n co m ita n ­
ti, che n o n h a n n o n u lla a che v e d e re c o n lo s v ilu p p o
n orm ale della g ra zia san tifican te e p o ss o n o ric ev erle
anche c o lo ro ch e so n o in p ecca to m ortale.
A l riguardo riportiam o una pagina di un autore contem ­
poraneo 6 4, utile a tutti anche se diretta in m odo speciale
ai sacerdoti.
« L a grazia della contem plazione soprannaturale è al­
tamente santificante per l ’anima; anzi, suole condurre alla
più eminente santità. Q uindi, chiunque si preoccupa della
propria perfezione può e deve aspirare alla contem plazione
e alla corrispondente unione con D io.
L a stimo io, sacerdote, e v i aspiro con desiderio ar

63 O ltre gli autori della scuola tomista, per cui è indiscutibile che la con­
templazione si p u ò desiderare, proclam ano questa medesima dottrina
quasi tutti coloro che appartengono ad altre scuole di spiritualità cristiana.
O g g i si può dire che si tratta di una tesi comune. Si vedano, per esempio,
P. P o u l a i n , Delle grafìe d'orazione c.zy, D e G c j ib e r t , Theologia spiritualis
n .4 4 3 S ,; L e h o d e y , L e vie delPoraziane mentale p *3 .ac.i3 ; T a n q u e r e y , Com­
pendio di Teologìa 'ascetica e mistica n.1417; S g h r i j v e r s , I principi della vita
spirituale I.3, c.3, a.7, quest.i; N a v a l , Carso de Ascetica y Mistica n.218,
ecc. L a stessa dottrina fu proclamata dal Congresso Carmelitano di Madrid
(marzo 1923), di cui abbiamo esposto le conclusioni al n. 33.
64 Cf. M a h i e u , S .T .D ., Probatio charitaiis n . i 6 i , £ .
LA V IT A DI ORAZION E 851

dente ? M i esetcito generosamente e costantemente nella


mortificazione e nel raccoglim ento con la speranza di otte­
nere da D io un giorno questa grazia ?
Considererò attentamente i motivi che mi devono spin­
gere a questo, cioè:
1. L a m ia propria utilità. - M i unirei a D io più inti­
mamente e perfettamente, e mi trasformerei in questa ma­
niera in un vero santo. Per mezzo dei doni dello Spirito
Santo eserciterei più divinamente le opere delle virtù, e
realizzerei, se cosi piacesse a D io , opere più elevate, veramen­
te sublimi ed eroiche. Perché non mi protendo in avanti,
quasi soddisfatto di una certa mediocrità, di un certo cristia­
nesimo volgare, lasciando la vera santità per i religiosi e per
coloro che mi sembrano “ santi sino dalla nascita” ?
2. La gloria di Dio. - a) Nella mia anima: Conoscerei e
amerei più perfettamente il m io D io , che è la cosa più gran­
de e sublime che si possa pensare, e in questa maniera lo
loderei e lo glorificherei m olto più degnamente e intima­
mente.
b) Nelle anime a me affidate: Perché “ questa suprema u-
nione di carità con D io è il fondam ento e la radice di ogni
nostra vita apostolica, l’unica che le può dare una vera
efficacia e le può infondere una illimitata fecondità” (Mons.
Waffelaert). In questa maniera ci uniamo intimamente a
D io “ ex quo omnia, per quem omnia, in quo omnia” (li­
turgia della festa della Trinità).
D ice S. Bernardo (In Cant., serm. 18): “ Si sapis, con-
cham te exhibebis, non canalem” . Il canale lascia passar
semplicemente l’acqua, senza ritenerne una sola goccia,
la conca, invece, prima riempie se stessa e poi dà quello
che le avanza della pienezza della sua abbondanza. S. Ber­
nardo aggiunge: “ O g g i abbiamo m olti canali nella Chiesa,
ma pochissime conche” . Siamo quindi conche, principal­
mente per la contem plazione, e dall’abbondanza del nostro
cuore parleranno dopo le nostre labbra. Questa è la vera elo­
quenza apostolica, che i fedeli com prendono e gustano
per m ezzo di una certa intuizione e da cui sono mossi in
m odo intim o ed efficace: “ Repleti sunt Spiritu Sancto —
gli apostoli — et coeperunt loqui...; e gli ascoltatori: com-
puncti sunt corde... et appositae sunt in die illa animae cir-
citer tria millia” (A tti 2).
N o n ritengo forse — e cosi stimano troppi sacerdoti
■— che lo zelo consista unicamente nella conversione dei
peccatori, e non nel perfezionamento dei giusti ? Tuttavia,
852 L A V IT A C R IS T IA N A N E L SU O S V IL U P P O ORDINARIO

S. G iovann i della Croce non dubita di affermare che "un


pochino di puro amore è più prezioso al cospetto del Si­
gnore e per l’anima stessa, ed apporta m aggiore utilità alla
Chiesa, che non tutte le altre opere unite insieme” ( Cantico
spirituale, annotazione sopra la strofa 29).
Quante anime ci sono, non solamente nello stato reli­
gioso, ma tra quelle che vivo n o nel m ondo, che hanno fame
e sete di giustizia e santità e non trovano chi spezzi loro il
pane e dia loro da bere l’acqua che zam pilla fino alla vita
eterna! Quanti sacerdoti ci sono che cercano invano un padre
e un direttore spirituale! Q uanto utile potrei essere alla glo­
ria di D io e alla salvezza delle anime se fossi un uomo di Dio,
pieno dì Dio, propagatore di Dio (“ effundens D eum ” ); se
progredissi io stesso e facessi progredire gli altri nella scien­
za dei santi! ».

434. 4. Disposizioni per la contemplazione. -


L a c o n te m p la zio n e m istica è u n d o n o di D io che
l’u o m o n o n p o tr e b b e m ai p ro d u rre p er se m edesi­
m o. A n c o r c h é p o ssed esse assiem e alla g ra zia tu tti
g li ab iti in fu si capaci di p ro d u rla , n o n sta in su o p o ­
tere l ’a ttu a zio n e dei d o n i d ello S p irito Santo che è
assolutam en te in d isp e n sa b ile ad essa. È fu o ri d u b b io
p e rò che il cristia n o p u ò e d e ve prepararsi p e rc h é lo
S p irito Santo li attui; e b e n ch é questa p re p a ra zio n e n o n
p o ssa essere la causa determinante di co d e sta a ttu azion e,
n el p ian o attuale d ella P r o v v id e n z a eserciterà, la m a g ­
g io r parte delle v o lte , u n a in flu en za d e cisiv a co m e causa
dispositiva. L o S p irito Santo su o le attuare o g n i v o lta
c o n m a g g io r fre q u en za i su o i d o n i a m isura ch e v a n n o
crescen d o e sv ilu p p a n d o si in quanto abiti; e l’a u m e n to
e lo sv ilu p p o dei d o n i in quanto abiti l ’anim a in grazia
p u ò m eritarlo c o n m e rito stretto o de condigno (cfr. n.
103 e 15 1). M anca solta n to la m o z io n e sp eciale d e llo
S p irito S a n to — che n o n è n eg ata a n essu n o , se è c o n ­
ve n ien te m e n te d isp o sto — p e rc h é tali d o n i si a ttu in o
in un a m aniera sem pre p iù in tensa, p ro d u c e n d o —
se si tratta dei d o n i in te lle ttiv i — il fen o m en o d ella
co n te m p la zio n e m istica o infusa.
LA V IT A DI ORAZIONE 855

O ra , in che cosa co n siste qu esta p rep a ra zio n e ?


C h e co sa d eve fare l ’anim a p er disporsi co n v e n ie n te ­
m en te alla re ce zio n e da p arte di D io della co n te m p la ­
z io n e in fu sa ?
Q u a n d o p arlam m o di o g n u n o dei d o n i in p a rti­
co lare, d icem m o ciò che l ’anim a d e ve fare da parte
sua p e r fo m en tarli. L e p rin cip a li d isp o siz io n i gen erali
ci p are ch e sian o le seg u en ti 65:
1) U na grande purezza di cuore. - C ’è una relazione
m olto stretta tra essa e la contemplazione. Il Signore nel
V angelo dice infatti: « Beati i puri di cuore, perché vedranno
D io ». L a contem plazione è come un abbozzo e una imper­
fetta anticipazione della visione beatifica.
« Questa purezza di cuote è il frutto della m ortificazione
esterna e interna. Q uesto costa assai, è vero; bisogna non
avere alcuna affezione al peccato, non si devono più rispar­
miare i propri difetti, né fare la pace con essi. Bisogna en­
trare nella via stretta che conduce alla vera vita e si com ­
prendono più che mai quelle parole: “ M olti sono i chiamati,
e pochi sono gli eletti” . Bisogna anche essere pronti a passare
per il fuoco della sofferenza, perché la purezza del cuore de­
ve crescere, insieme colla contem plazione, mediante le p ro ve
purificatrici che D io non manca di mandare a quelli che desi­
derano umilmente e ardentemente la sua divina intimità.
E g li è geloso, come dice la Scrittura, toglie le persone e le
cose a cui l’anima s’ attaccherebbe, e la fa passare per un duro
crogiuolo per spogliarla di tutte le sue scorie. Quando le in­
clinazioni disordinate, le turbolenze della sensualità, dell’ e­
goism o, dell’amor proprio, dell’o rg o glio intellettuale e spi­
rituale, sono scomparse, il cuore purificato è com e un lim ­
pido specchio in cui si riflette la bellezza di D io. O ra chi può
dire: Io non posso avere il cuore puro ? » 66,
2) Semplicità di spirito. - L a contem plazione è uno
sguardo semplice e am oroso a D io che mal s’addice a uno
spirito com plicato e m ultiform e. Q uesta semplicità consiste,

**5 Cf. V a l l g o r n e r a , Mystica theologia divi Thomae q .3 , d .3 ,a . 4 , P .4 5 3 S .


ed. To rin o 1911); M eyn ard , Trattalo della vita interiore, p . 2 . a , l . l , c .4 ;
Perfezione cristiana e contemplazione c .5 , a .4 ; P o u ­
G a r r ig o u - L a g r a n g e ,
l a i n , Delle grazie d’orazione c .2 8 , n .2 4 .
66 P. G a r r ig o u - L a g r a n g e , Perfezione... c.5, a.4 , p. 432S.
854 LA V IT A C R IS T IA N A N E L S U O S V IL U P P O ORDINARIO

anzitutto, nel ridurre tutte le cose all’unità, vedendole tutte


attraverso D ìo: gli avvenim enti prosperi o avversi, gli uffici
e le occupazioni gradevoli o sgradevoli, le persone simpati­
che o antipatiche con le quali dobbiam o convivere, ecc.
Q uesto senìplifica grandemente lo spirito, tranquillizza il
cuore e dispone l ’anima al riposo e alla pace della contem­
plazione. In uno spirito turbolento e agitato, non è possibile
l ’orazione contem plativa.
3) U m iltà d i c u o r e . - T utti i maestri della vita spirituale
sono d’accordo nel dire che questa è una delle condizioni più
indispensabili. « D io resiste ai superbi, ma agli um ili dà la
sua grazia » (iP ietr. 5,5). E S. Teresa, che in m o d o tanto m e­
raviglioso conosceva le vie di D io , avverte le sue monache
che « l ’um iltà è il fondam ento dell’edificio, e mai il Si­
gnore lo eleverà di m olto se detta virtù non sarà veramente
ben salda. E ciò nel vostro stesso interesse, per evitare che
cada tutto per terra » (S ettim e m ansioni 4,8). E un p o ’ più in­
nanzi aggiunge a n co ra : « Perciò, se incontrate resistenza, vi
consiglio di starvene tranquille, per non disturbarlo in tal
maniera da chiudervene per sempre l’entrata. E gli ama molto
l ’umiltà, e se vi riterrete tali da non essere degne d’entrare
neppure nelle terze mansioni, vi potrete guadagnare la sua
benevolenza ed entrare presto nelle quinte. A llora, recandovi
in esse frequentem ente, lo potrete servire cosi bene da meri­
tare che v ’introduca nella sua stessa mansione, da cui non
uscirete mai p iù » {Ivi, paragrafi finali, n.2).
« Questa umiltà — scrive il P. G arrigou-Lagrange —
dispone alla contem plazione, perché essa canta già la gloria di
D io . Se v i sono pochi contem plativi, dice l’ Im itazione, è
specialmente perché v i sono poche anime profondam ente
umili. Per ricevere la grazia della contem plazione, bisogna
generalmente aver fatto un atto profondo di vera umiltà
un atto che ha la sua ripercussione sopra tutta la vita. Q uan­
do un’anima ha riconosciuto spesso e praticamente che tutta
la sua esistenza dipende assolutamente da D io , ch’ella non
sussiste se non per m ezzo di lui, che non agisce bene se
non colla sua grazia, la quale opera in noi il volere e il fare,
ch ’ella non si dirige bene se non mediante la sua luce, ch’ella
di per sé spessissimo n on ha fatto altro che peccare, che è
una serva inutile e spregevole allora arriva generalmente a
ricevere la grazia di cui n oi parliamo » 67 .

*7 Ivi.
LA V IT A DI ORAZION E 855

4) Profondo raccoglimento. - È impossibile che la con­


templazione sia prodotta in un’anima dissipata. Una vita
agitata, piena di assorbenti occupazioni, che giungono quasi
al surmenage; codesto « materialismo in azione, che, dopo
essersi sviato da D io e dalla vera vita dello spirito, ne cerca
l’equivalente n ell’ordine delle cose materiali, m oltiplicandole
quanto più è possibile, e rendendo sempre più intensa l’at­
tività » (P. G arrigou), è un ostacolo quasi insuperabile al
riposo quieto e pacifico della contemplazione. È certo che,
se codeste occupazioni sono necessarie o im poste dall’obbe­
dienza, D io non può castigare il com pim ento del dovere;
però spesso ci sovraccarichiam o volontariam ente di oc­
cupazióni non necessarie, quando non sono del tutto inutili
e questo significa che noi lasciamo l’oro per l ’orpello, l’u­
nione con D io per il servizio delle creature, i nostri grandi
interessi eterni per la soddisfazione dei nostri gusti e ca­
pricci del momento. A vv erte S. Teresa: « Bisogna liberarsi
da tutte le cure ed affari non indispensabili, ogn un o in con­
form ità del suo stato. Ciò è di tanta importanza che se non
comincia subito a farlo, non solo non arriverà alla mansio­
ne principale, ma sarà pure im possibile che senza grande
pericolo rimanga nella mansione che occupa » (Prime man­
sioni, 2,14).
5) La pratica sempre più intensa delie virili cristiane
soprattutto delle teologali. - L a contem plazione non può
essere un premio ai pigri e una ricompensa a gente oziosa.
L ’anima deve fare tutto quello che può, con l’aiuto della grazia
ordinaria, per progredire nella vita spirituale. S’im pone
la pratica sempre più intensa delle virtù, vivificate da una
ardente carità.
6) L a pratica assidua dell’orazione. - L ’anima deve de­
dicare il massimo tempo possibile alla pratica dell’orazione nel
suo duplice aspetto di petizione e di unione con D io . D eve
praticare incessantemente l ’orazione di supplica — diretta
con frequenza allo Spirito Santo — perché la grazia attuale
che deve mettere in m oto l ’abito dei doni non si può merita­
re: si può unicamente impetrare per via di orazione, benché
per sé in maniera infallibile per la promessa divina 6S. E
deve praticare a lun go l’orazione mentale (nel grado asce­
tico attualmente a sua disposizione) perché la contem plazio­
ne, ancorché Iddio eccezionalmente la conceda alle vo lte

68 Cf. n.103,12 e 105 di quest’opera.


W 5tì LA V IT A C R IS T IA N A NEL SU O S V IL U P P O ORDINARIO

a delle anime ancora m olto imperfette, ordinariamente non


viene concessa se n on a quelle che sono riuscite a elevarsi
co n l’aiuto della grazia alle supreme orazioni ascetiche
(raccoglim ento acquisito e orazione di semplicità). N ella
vita spirituale, com e pure in quella fisica, la crescita non si
realizza a sbalzi, ma in una maniera lenta, graduale e insen­
sibile.
Il direttore spirituale di un ’anima che aspira alla santità
n on insisterà mai abbastanza sull’orazione. D e ve convincere
l ’anima che nessun’altra cosa le è tanto necessaria quanto l’e­
sercizio dell’orazione mentale e dell’intima familiarità con
D io . Se è necessario., prescinda da altre cose, forse buone
e utili, ma non del tutto necessarie. Si dedichi all’orazione
il più a lun go possibile. N o n dimentichi che, com e dicono
i santi, la lunga orazione è la via più corta e più spedita per
Yalta orazione. È difficile che un’anima possa elevarsi molto
nella contem plazione se non si dispone almeno con due ore
quotidiane 'd i orazione .mentale 69.
7) U na tenera e affettuosa devozione a M aria. - Ella
è l’incomparabile m odello delle anime contem plative, la
dolcissim a sposa dello Spirito Santo e l’amantissima madre
delle nostre anime, che desidera abbellire e santificare con
le grazie sovrane dell’unione mistica. L a contem plazione è
un o dei frutti della vera devozione a Maria, come spiega
S. L u igi M . G rign o n de M on tfort 7°. M olte anime non giun­
gono mai o con m olto ritardo alla contemplazione, perché
si dimenticano di fare intervenire la mediatrice di tutte
le grazie.

435. 5. Chiamata immediata alla contempla­


zione. - C o m e a b b iam o v is to a ltro v e (cf. n. 148),
tu tti siam o ch iam ati in m o d o remoto e generale alla
c o n te m p la zio n e in fu sa p e r il' sem p lice fa tto ch e siam o
ch ia m a ti alla p e rfe z io n e cristian a, ch e n o n si p u ò
co n se g u ire p ien am en te sen za di q u ella. M a la chiam a­
ta prossima e particolare p e r en trare d i fa tto n ella co n ­
te m p la zio n e si m an ifesta p er m e zz o d i certi seg n i

6 9 II P. A rin tero raccom andava un’ora intera di ringraziam ento alla


co m u n io n e qu ando ciò fo sse possibile,
7° C f. Trattato della vera devozione alla Santa Vergine c.5, a .5.
LA V IT A D I O R AZION E 857

caratteristici, ch e lo sg u a rd o di u n esp erto d irettore


sco p rirà senza s fo r z o n elP an im a diretta.
Il p rim o a p ro p o rre q u esti seg n i fu T a u le r o , ch e se­
co n d o il P . C r is ó g o n o fu « il p iù gran d e m istico che
esistesse p rim a d ei rifo rm a to ri del C a rm e lo » 71. Il g ra n ­
de d o m en ica n o ted e sco co s i scriv e n elle Istituzioni:
«B isogn a avvertire quando si devono posporre le dette
immagini, perché non si lascino più presto né si trattengano
più a lun go di quanto conviene. Per questo p ongo tre segni:
il prim o quando l’uom o giunge a uno stato tale che, udendo
o intendendo qualche cosa di esse, ne rimane infastidito;
il secondo quando, udendo o trattando di esse, non ne ri­
ceve nessun piacere; il terzo quando sentiamo crescere in noi
il fuoco e il desiderio di quel sommo bene che non possiam o
ancora raggiungere; tanto che giungiam o a dire: “ Signore,
D io mio! N on posso andare innanzi. D i me è il chiedere;
solo di te è il concedere quello che chiedo” . Chi sperimen­
terà in sé, queste tre cose, non solo potrà, ma g li converrà
lasciare le sante immagini e le considerazioni che dicem­
mo » 7J.

S. G io v a n n i della C ro ce rip e tè qu esta d o ttrin a co n


alcu n e a g g iu n te e co m p lem e n ti in teressan tissim i ,3.
D ’a llo ra in p o i q u e sti seg n i so n o d iv e n ta ti classici
e li rip e to n o tu tti g li a u to ri senza eccezio n e . A bbiam o-
p arlato d iffu sam en te di tu tto q u e sto q u a n d o a b b iam o
tra tta to della notte del senso, e a q u elle p a g in e rim an d ia­
m o il le tto re (cf. n .207). S e co n d o S. G io v a n n i della
C r o c e le p rim e m a n ifesta zio n i c o n te m p la tiv e p r o d u c o ­
n o p recisam en te la notte del senso, che in d ica, in ta l
m aniera, il n o rm a le p a s s a g g io dalla v ita ascetica a
q u ella m istica.

71 C f . P. C r i s o g o n o , San Juan de la Cru%: su obra cientifica.,. in t r . . 4 5 .


7* C f . G . T a u l e r o , L e istituzioni divine c.35..
73 Cf. Salita al Monte Carmelo I I ,13, e Notte oscura 1,9.
858 LA V IT A C R IS T IA N A N E L S U O S V IL U P P O ORDINARIO

I GRADI DI ORAZIONE CONTEMPLATIVA


Esposta sommariamente la teoria generale della contem­
plazione e le principali questioni complementari, espor­
remo ora i principali gradi in cui sogliono dividerla gli autori
sulle orme di S. Teresa. Il prim o di essi — il raccoglimento
infuso — è il quinto in relazione a tutto il complesso dei
gradi di orazione. Continuerem o questa numerazione unica
affinché appaia più chiara la m eravigliosa unità della vita spi­
rituale e l’insensibile passaggio dall’ascetica alla mistica.

Q U IN T O GRADO DI O R A Z IO N E :
IL R A C C O G L IM E N T O IN FU SO

436. i Natura. - E c c o le m a g istra li d escrizio n i


d i S. T eresa:
« Chiamo orazione soprannaturale quella che non possiamo
acquistare con le nostre industrie e diligenze, benché —
ciò che è assai utile — si possa sempre far m olto col disporsi
a riceverla. L a prima orazione soprannaturale da me speri­
mentata mi pare che consistesse in un raccoglim ento interio­
re sentito nell’anima. Sembra che l’anima abbia in sé altri
sensi, com e quelli del corpo, e che alle volte, desiderando di
sottrarsi al tum ulto delle cose esteriori, li porti via con sé.
Sente il bisogn o di chiudere gli occhi per non vedere, inten­
dere, sentire se non quello di cui l ’anima è occupata, vale a
dire dei suoi intrattenimenti con D io solo. N on già con que­
sto che si perda l’uso dei sensi e delle potenze: sia gli uni che
le altre sono pienamente attivi, ma solo per occuparsi di
D io » l .
« Si tratta di un raccoglim ento che mi sembra pure so­
prannaturale. Benché non consista nello starsene al buio,
nel chiudere gli occhi e in altre cose esteriori, tuttavia gli
occhi si chiudono e si desidera la solitudine, sembrando quin­
di che senza alcuna fatica si vada costruendo l’edificio del­
l ’orazione di cui ho parlato precedentemente» *.
« Im m aginiam oci dunque che i sens i e le potenze — •
che secondo il paragone adottato, sono gli abitanti del ca­
stello — siano fu gg iti fuori e vivano da giorni ed anni con
g ente straniera, nemica del bene del castello. Riconoscendo

1 S , T e r e s a , Relazione al P. Rodrigo Alearez, V , 3 -


2 Quarti mansioni 3,1.
LA V IT A D I O R AZION E 859
finalmente il loro torto, ritornano, si avvicinano al castello,
ma non si decidono ad entrarvi per la tirannia della cattiva
abitudine contratta. T uttavia, girano intorno e non tradi­
scono più. Il gran M onarca che risiede nel castello, veden­
do la loro buona volontà, si lascia impietosire e nella sua
grande misericordia decide di chiamarli a sé. A guisa di buon
pastore, emette un fischio tanto soave da non esser quasi pet-
cepito, ma col quale fa loro conoscere la sua voce, acciocché
lasciata la via della perdizione, rientrino nel castello» 3.

E alcun e rig h e p iù in n a n zi, p er d istin g u ere q u esto


ra cco g lim e n to so pran n atu rale da q u e llo che p o tr e b ­
be co n se g u ire l ’anim a co n i su o i s fo rzi e g li a iu ti d el­
la g razia , l ’in sig n e R ifo rm a trice scrive:
« M a non crediate che si possa ottenere il raccogli­
mento procurando di applicare l ’intelligenza a considerare
che D io è in noi, o cercando di rappresentarcelo nell’ani­
ma mediante l ’immaginazione. Q uesto sarà un ottim o
ed eccellente m etodo di meditazione, perchè fondato sul­
la verità dell’inabitazione di D io , ma non è quello che io
intendo dire, perchè, dopo tutto, è sempre una cosa che
con l ’aiuto del Signore p uò essere fatta da chiunque. N on
cosi di quello che intendo io, perchè alle volte gli abitanti
si trovan nel castello prima ancora che si cominci a pensare
a D io . N o n so com e v i siano entrati, né come abbiano udito
il fischio del pastore. Ciò non fu certamente per le orecchie,
con le quali non si percepisce nulla, ma per aver sentito
un certo v iv o desiderio di ritirarsi soavem ente nell’interno.
— M i capirà bene chi ne avrà l ’esperienza, perchè io non
so spiegarmi di più. M i pare di avere letto che succede com e
di un riccio o di una tartatuga quando si ritirano in se stes­
si. Colui che lo scrisse deve averlo inteso assai bene. Però
questi animali si ritirano quando vo g lio n o , mentre qui
il fatto non dipende da noi, e non ha luogo se non quando
il Signore ce ne vu ole favorire. D o ven d o esser chiamati
ad occuparsi in m odo speciale di ciò che riguarda l’interiore,
sono persuasa che D io non conceda questa grazia se non
a coloro che van distaccandosi da tutto » ■ >.

S e co n d o queste m irab ili d e scrizio n i, l ’ o ra zio n e d i

3 Ivi, n .2 .
4 Ivi, n .?.
860 L A V IT A C R IS T IA N A NEL SU O S V IL U P P O ORDINARIO

r a cco g lim e n to in fu so è ca ra tte rizza to a n zitu tto d a ll’#-


nione dell’intelletto con D io , « il quale — scriv e P. A r in -
te r o — co n la sua b e lle zz a e ch ia rezza in fin ita, lo at­
trae e lo a b b ellisce dal di fu o ri, ossia, o g g e ttiv a m e n te ;
m en tre dal di d en tro , c o n la sua o n n ip o te n te v ir tù ,
Io p o ssie d e, lo s o g g io g a e c o n fo rta , a rric ch e n d o lo
co i p rezio si d o n i della scienza, d el consiglio e della in­
telligenza, m edian te i qu ali lo fa p en etrare d ’un co lp o
in co d e sto m o n d o su p erio re d o v e risp le n d o n o le sue
in e ffa b ili m e ra v ig lie » 5
437 . 2. Fenomeni concomitanti 6. - Il raccoglim ento in­
fu so suole presentare diversi fenom eni antecedenti o sug-
seguenti che non toccano il fondo sostanziale di questa
orazione, giacché non sono altro che la sua preparazione
immediata o semplici effetti della medesima. I principali,
secondo il P. A rintero 7, sono:
a) Una v iv a presenta di Dio soprannaturale o infusa che
precede ordinariamente il raccoglim ento in quanto tale.
S. Teresa ne parla espressamente 8.
b) Una ammirazione piacevole che dilata l’anima e la riem­
pie di gioia allo scoprire in D io tante m eraviglie di amore,
di bontà e di bellezza.
c) U n profondo silenzio spirituale, in cui ella rimane at­
tonita, assorta, inabissata e come annientata dinanzi a
tanta grandezza.
d) Luci vivissime su D io e i suoi misteri. In un momento
e senza sforzo l’anima acquista alcune luci tanto grandi
quanto non avrebbe potuto ottenerle in anni interi di
•studio e dì meditazione.

438. 3. Condotta pratica dell’anima. - 11 d i­


re tto re sp irituale d e ve addestrare l ’anim a ch e co-

5 Grados de oración a.8, p. 14 1 (4.a ed.).


6 C i riferiamo qu i a fenom eni di ordine contemplativo, p er sé santificanti;
n o n a gli epifenom eni straordinari o grazie gratis datae, che per sé n o n san­
tificano n é sono richiesti necessariamente d agli stati di orazione contem pla­
tiva, b enché frequentem ente li accom p agnino. Facciam o osservare la stessa
cosa per g li altri gradi di contem plazione infusa.
7 C f. Grados de oración a.8.
8 C f. Relazione al P . Rodrigo Alvare% V .2 5 ; V ita io , 1.
LA V IT A DI ORAZION E 861

m m cia a ric ev ere le p rim e lu ci c o n te m p la tiv e p e r­


ch é non op pon ga lo r o il m in im o o sta c o lo e ric a v i
da esse il m assim o re n d im en to sp iritu ale. E c c o i p rin ­
c ip a li c o n sig li ch e le d e ve dare:
1 . Non sospendere il discorso fino a che non senta chiaramen­
te l’ invito del Signore. - S. Teresa avverte che, « se il Signo­
re non ha ancora cominciato a sospenderci, non so se si
potrà cosi fermare il pensiero da non averne più danno che
van taggio... M a se notiam o che il Re non ci ha né veduti
né sentiti, guardiam oci bene dallo star là com e tonti, a
guisa di anime che per essersi sforzate di frenare i pensieri
ed essersi violentate per non pensare a nulla, si trovano in
più grande aridità » 9.
2, Sospendere immediatamente il discorso quando si
sente l’ attrattiva della grazia che spinge a fare ciò. - So­
spendere il pensiero prima del tem po è insensatezza; però
impegnarsi a continuare a operare con le potenze quando
la grazia ci invita al raccoglim ento e alla tranquillità della
contem plazione, sarebbe una im prudenza che paralizzereb­
be l ’azione di D io . L o fa notare S. Teresa in paragrafi che
è necessario leggere per intero e meditare lentamente I0.
N o n pochi sforzi dovrà fare il direttore per convin­
cere l’anima che deve abbandonarsi immediatamente al­
l ’azione di D io appena comincia a notarla. L a m aggior
parte delle anime sono in questo punto m olto disobbedienti
e ricalcitranti. A bituate alle recite vocali e agli esercizi
discorsivi, sembra loro di perdere tem po e si fanno scru­
polo di non ometterli, mentre S. Teresa riteneva come
un grande guadagno tale perdita 11. Effettivam ente, non
avverton o che arricchisce e santifica di più l’anima un picco-

9 Q uarte mansioni 3,11.4 e 5. D i q u i s i p u ò v e d e r e q u a n t o S . T e r e s a f o s s e


n e m ic a d i o g n i s p e c ie d i « c o n t e m p l a z io n e » p iù o m e n o a c q u is it a . S o s p e n ­
d e r e i l p e n s ie r o « p r im a c h e il S ig n o r e a b b i a c o m i n c ia t o a so sp en d erci »
l e s e m b r a v a u n a p e r d it a d i t e m p o . E se h a g i à c o m i n c ia t o a s o s p e n d e r c i, ci
t r o v i a m o i n p r e s e n z a d e ll’ o r a z io n e d i r a c c o g l im e n t o in f u s o . N o n c ’ è p o s t o
p e r l a « c o n t e m p l a z io n e a c q u i s it a ». E c o n f o r m e a l p e n s ie r o t e r e s ia n o r i­
n u n c ia r e d e fi n it i v a m e n t e a c o d e s t a s f o r t u n a t a e s p r e s s io n e e c h ia m a r la s e m ­
p lic e m e n t e « r a c c o g l im e n t o a c q u i s it o ».
10 Quarte mansioni 3, nn.4-7.
11 « Q u a n d o n o n d i s c o r r o n o , c r e d o n o d i p e r d e r e t e m p o , m e n tr e i o c o n ­
s i d e r o q u e s t a p e r d it a c o m e u n g u a d a g n o a s s a i g r a n d e » ( V i t a 1 3 ,1 1 ) .
8 62 LA V IT A C R IS T IA N A NEL SU O S V IL U P P O ORDINARIO

lo tocco interno dello Spirito Santo, che tutti gli eserciz1


praticati di propria iniziativa.
3. D arsi con tutta l’anima alla vita interiore. - L ’anima che
ha ricevuto queste prime com unicazioni mistiche evidente­
mente è predestinata da D io a grandi cose. Se non si arre­
sta per sua colpa, giungerà m olto in alto sulla m ontagna
dell’amore. Pienamente convinta di una squisita corrispon­
denza alla grazia, l ’anima deve farla finita per sempre con
le mille bagattelle che la tengono ancora legata alla terra
e darsi con tutte le forze alla pratica della virtù. D e v e in­
sistere principalmente sul raccoglim ento abituale, sul si­
lenzio interno ed esterno, sulla m ortificazione dei sensi,
sul distacco assoluto e totale dalle cose della terra, sulla
profonda umiltà e, soprattutto, sull’ardente amor di D io ,
che deve inform ate e vivificare quanto com pie. Si dia in­
teramente alla vita di orazione e rim anga vigilante e attenta
alla soavissima vo ce di D io , che la chiamerà frequentemente
— se gli rimane fedele — al santo riposo della contempla­
zione. Si guardi bene, tuttavia, dal forzare le cose. D io giun­
gerà alla sua ora; nel frattem po però faccia con soavità
e senza violenza tutto quanto può con l’aiuto della grazia
ordinaria.

SE ST O G R A D O D I O R A Z IO N E : L A Q U IE T E

439 . 1. N atura. - L ’ o ra zio n e di q uiete co n siste


in un sentimento intimo della presenta di D io che as­
sorbe la volontà e riempie l'anima e i l corpo di una soavità e
diletto veramente ineffabili.
D ice S. Teresa: « D a questo raccoglim ento sgorga al­
le T o l t e u n a p a c e e quiete interiore m o l t o d e l i z i o s a per c u i
all’anima sembra non manchi più nulla. — Il parlare la stanca,
vo g lio dire pregare e meditare; altro non vorrebbe che amare.
L a durata di quest’orazione può estendersi per un buon trat­
to ed anche a l u n g o » IJ.
« Q ui siamo già nel soprannaturale, e da noi stessi non
vi potrem m o mai arrivare nonostante ogn i nostra possibile
diligenza. L ’anima entra ormai nella pace o, per m eglio
dire, v e la fa entrare il Signore con la sua divina presenza...
L ’anima conosce, con una conoscenza m olto più chiara

12 Retatane al P. Rodrigo Alvarez V,4-


LA V IT A DI ORAZION E 863
ii quella apportata dai sensi esterni, d’essere vicinissima
il suo D io , tanto che innalzandosi un p o ’ di più, arrivereb­
be a farsi una cosa sola con luì nelPunione... Il corpo spe­
rimenta un diletto soavissimo, e l’anima una dolcissima
soddisfazione » *3.
Q uesti diletti spirituali sono differenti dalle consolazio­
ni dell’orazione ordinaria o ascetica. S. Teresa ricorre all’esem­
pio di due fontane i cui bacini si van riempiendo di acqua.
In uno l’acqua viene da m olto lontano per mezzo di acque­
dotti, ed entra in esso con m olto frastuono; sono le consola­
zioni sensibili dell’orazione ascetica. L ’altro, « essendo co­
struito nella stessa sorgente si riempie senza rumore »:
è l’orazione mistica di quiete.
« In quest’ altro bacino, dice la santa, l’ acqua deriva
dalla stessa sorgente che è D io; e quando Sua Maestà si
compiace di accordare qualche grazia soprannaturale, l’ac­
qua fluisce nel più profondo dell’anima con pace, dolcezza
e tranquillità inesprimibile, senza che si sappia donde e
in che m odo scaturisca. Si tratta di gioie e di diletti che,
sebbene da principio non si facciano sentire nel cuore come
quelli del m ondo, in seguito inondano ogni cosa. L ’acqua
si riversa per ogn i mansione e in tutte le potenze, sino a
giungere al corpo: perciò ho detto che com incia in D io e
finisce in noi. L ’uom o esteriore va tutto immerso in questo
gusto e soavità, come sa bene chi l’ha provato » m .

L a d ifferen za fo n d a m en ta le tra qu esta o ra zio n e di


quiete e quella di ra cco g lim e n to in fu so ch e la p re ce ­
de — a parte, n aturalm ente, la m a g g io r in tensità
d i lu ce co n te m p la tiv a e i d iletti m o lto p iù in ten si —
è co stitu ita d a l fa tto ch e il ra c c o g lim e n to in fu so è
co m e u n in v ito di D io a co n cen tra rsi n e ll’in te rn o
d d l ’ anim a d o v e E g li v u o le co m u n ica rsi. L a quiete
v a p iù lo n ta n o : co m in cia a dare a ll’anim a il p o ssesso ,
il godimento fruìtivo d el B e n e so v ra n o . I l ra cco g lim e n to
to c c a p rin cip a lm en te Vintelletto (che a c c o g lie o attira
v e rs o d i sé tu tte le altre p o te n ze ), m en tre la quiete
to cca , a n zitu tto , la volontà. L ’in te lletto e la m em oria,

J3 Cammino dì perfezione 51 , 2-3 .


14 Quarte mansioni 2,4 .
864 LA V IT A C R IS T IA N A NEL SU O S V IL U P P O ORDINARIO

a n co rch é tra n q u illi, so n o lib e ri d i p en sare a ciò che


sta su cced en d o ; p e rò la v o lo n tà è p ien am en te a sso r­
ta in D io . D ic e S. T eresa:
« Le sembra che non v i sia più nulla da desiderare.
L e sue potenze sono nel riposo e non osano m uoversi,
sembrando loro che sia tutto di im pedimento per m eglio
amare. Tuttavia non sono cosi assopite da non accorgersi di
Colui che han vicino. L ’intelletto e la memoria sono sempre
liberi: solo la volontà è schiava; ma se di questo suo stato
può sentir qualche pena, è soltanto nel sapere che può tor­
nare ad esser libera. L ’intelletto non vorrebbe intendere
che una cosa, né d’altro occuparsi la memoria, perché ve­
dono che essa sola è necessaria, mentre le altre non sono
che di danno.
Chi si trova in questo stato non vorrebbe che il corpo
si muovesse temendo che ciò basti per togliergli la pace
in cui vive: e per questo non ardisce m uoversi. G li è di pena
anche parlare, tanto che im piegherebbe u n ’ora per la sola
recita del Paier noster. È si vicino al Signore da intendersi
ormai per via di cenni. Si sente nello stesso palazzo del Re,
vicino a lui, e capisce ch’E g li com incia a partecipargli
il suo regno fin da questa terra. G li pare di non esser
più nel m ondo, tanto che non vorrebbe vederlo né udirlo,
ma bearsi soltanto col suo D io . N o n v ’è più nulla e pare
che nulla v i debba più essere che gli sia di pena. E per tut­
to il tempo di questo stato si dilettoso e inebriante va tal­
mente assorto e com penetrato da neppur pensare se vi sia
altro da bramare godendo di ripetere con S. Pietro “ fac­
ciamo qui tre tabernacoli” » ‘ 5.
L a q u iete, q u in d i, p e r sé ten d e al silen zio e al rip o ­
so co n te m p la tiv o . T u tta v ia , sicco m e l ’in te lle tto e le
p o te n z e o rg a n ich e so n o lib ere, si p o s s o n o o ccu p a re
n elle o p ere della v ita a ttiv a , co m p iu te, fre q u e n te ­
m ente, co n m o lta in ten sità. In q u esti casi, la v o lo n tà
n o n p erd e d el tu tto la sua q u iete — a n co rch é so glia
d eb ilitarsi u n p o c o — e co m in cian o a u n irsi M arta
e M aria, co m e d ice S. T eresa 16. È ch ia ro che c iò n o n

x5 Cammino di perfezione 31 ,$.


Cammino di perfezione 31 , 5.
LA V IT A D I O R AZION E 865

si co n se g u irà d el tu tto fin ch é l ’anim a n o n g iu n g e rà


all’u n io n e c o n D io .

440. 2. E f f e t t i . - Son o mirabili- g li effetti san ­


tificanti ch e l ’ o ra zio n e d i q u iete p ro d u c e n ell’ a-
nim a. S. T eresa ne esp o n e alcu n i in u n p a ra g ra fo im ­
p o rtan te 17, ch e, p e r m a g g io r ch iarezza, sco m p o rre m o
nelle sue id e e p rin cipali:
a) Una grande libertà di spirito: « Una dilatazione o au­
mento di anima... perché nel servizio di D io non si porta
più grettamente com e prima, ma con m aggior larghezza ».
b) Timore filiale di Dio, con paura di offenderlo: « Cessa
pure d’angustiarvi per la paura dell’inferno... N on teme che
d’offendere Iddio, ma non con timore servile, che qui spa­
risce del tutto ».
c) Grande fiducia in Dìo: « N utre grande fiducia d’anda­
re un giorno in paradiso ».
d) Amore alla mortificazione e al lavoro: « Se prim a aveva
paura di far penitenza per non perdere la salute, ora le sem­
bra con l’aiuto di D io di poter fare ogn i cosa, non avendo
mai avuto in proposito desideri cosi grandi com e ora. E
se prima provava tanta ripugnanza per le tribolazioni, ora
le teme di meno, perché la sua fede si è fatta più viv a e vede
che accettandole per amor di D io ottiene la forza di soppor­
tarle con pazienza. A n zi, nella sua brama di far qualche cosa
per lui, qualche volta le avviene pure di desiderarle ».
e) Profonda umiltà: « Q uanto più progredisce nella co­
noscenza di D io , tanto più bassa è l’opinione che si fa di
sé ».
f) Disprezzo dei piaceri terreni: « A ve n d o assaporate le
dolcezze del Signore, ritiene per im m ondizie quelle della ter­
ra, da cui si allontana a poco a poco, rendendosi, cosi, sem­
pre più padrona di sé ».
g) Aumento in tutte le virtù: « Resta m igliorata in tutte
le virtù e andrà sempre più progredendo, purché non torni
ad offendere il Signore, nel qual caso perderebbe ogni
cosa, anche se già arrivata alla cim a».

441. 3. F e n o m e n i c o n c o m it a n t i.- A tto r n o all’o ­


razion e d i quiete si s v o lg o n o altri fen o m en i co n ­

: 7 Cf. Quarte mansioni 3,9 .


866 L A V IT A C R IS T IA N A N EL SU O S V IL U P P O ORDINARIO

tem p lativi, che n o n so n o se n o n e ffetti e m anife­


stazio n i dei d iv ersi g ra d i di in ten sità da essa ra g­
g iu n ti. I p rin cip a li so n o il so n n o d elle p o te n ze e l ’in e­
b ria m e n to di am ore.
a) II sonno delle potenze. - S. Teresa, nella sua Vita,
considera com e un grado di orazione superiore e distinto
dalla quiete il sonno delle potente, che costituisce la « terza
acqua » con cui si irriga il giardino delPanima 18. Però nelle
opere posteriori m utò di parere *9, considerandolo come un
semplice effetto della quiete nel suo massimo grado di
intensità. N o i ci atterremo a quest’ultim a valutazione.
Secondo S. Teresa questo fenom eno « è un sonno delle
potenze, le quali, pur senza perdersi del tutto, non riescono
a capire come agiscono. Il piacere, la soavità, le delizie che
qui si godon o sono incomparabilmente più grandi che in
passato, perché qui l ’acqua della grazia arriva alla gola,
tanto che l’anima non può né sa come avanzare né come tor­
nare indietro, soltanto bramosa di quella grandissima gio­
ia. E com e uno in agonia, già con la candela fra le mani, e
che gode un inesprimibile contento per aver tanto deside­
rato di morire. Infatti quello stato non mi par altro che un

'8 C f . V ita 1 6 ,1 .
*9 E c c o n e l e p r o v e . S . T e r e s a t e r m in ò la r e d a z io n e d e lla s u a V ita in
S . G iu s e p p e d ’ A v i l a n e l 1 5 6 2 . O r a :
a) N e l le Fondazioni, c h e c o m i n c iò a s c r iv e r e a S a la m a n c a n e l 1 5 7 3 ( o s ­
s ia u n d ic i a n n i d o p o , c o m e e lla m e d e s im a r ic o r d a n e l p r o l o g o ) , s c r iv e t e ­
s t u a lm e n te : « S p e s s e v o l t e s i e n t r a in u n 'o r a z io n e d i q u i e t e m o l t o s im ile a l
s o n n o s p ir itu a le ... » ( c .6 ,1 ) .
b) N e l l a Relazione a l P . Rodrigo A h a r e ? (1:5 76 ), im m e d ia ta m e n t e d o p o
a v e r p a r l a t o d e ll ’ o r a z io n e d i q u i e t e , s c r iv e : « A l t r o e f f e t t o c h e n e s u o le d e ­
r i v a r e è i l c o s i d e t t o sonno delle potente... » ( V ,5 ) .
c) I n f in e , n e lle Mansioni ( 1 5 7 7 ) , s u a o p e r a p iù m a t u r a , d o v e , p a r la n d o
p r e c is a m e n t e d e ll’ o r a z io n e d i q u i e t e , e lla m e d e s im a a v v e r t e c h e i n a lc u n e
c o s e h a c a m b ia t o p a r e r e r is p e t t o a q u e ll o c h e s c r is s e n e lla V ita , d a l m o ­
m e n t o c h e « p u ò e s s e r e c h e o r a i l S ig n o r e m ’ a b b ia d a t o m a g g i o r l u m e c h e
non in quel t e m p o » (Quarte mansioni 2 ,7 ) , im m e d ia ta m e n t e d o p o aver
p a r la t o d e n o t a z i o n e d i q u ie t e (Q uarte mansioni), c o m i n c ia a p a r ia t e d e ll’ o ­
r a z io n e d i unione (Quinte mansioni) . F a s o l o u n a l i e v e a llu s i o n e a l sonno delle
potente q u a n d o p a r la d e ll’ o r a z io n e d i q u ie te (Quarte mansioni 3 ,1 1 ) , s e n z a
f a r e d i e s s o u n g r a d o s p e c ia le . Q u e s t o è , d u n q u e , i l p e n s ie r o d e f i n it i v o d i
S . T ere sa.
LA V IT A D I O R AZION E 867
morire com pleto a tutti i beni del m ondo e un tripudiare
già in D io .
N o n so che altri termini usare per dire e manifestare
questa cosa.
L ’anima non sa cosa fare, se parlare o tacere, se pian­
gere o ridere. B come in un glorioso delirio, in un m odo
deliziosissim o di gioire, in una celeste follia nella quale im­
para la vera sapienza: insomma, in uno stato di inenarrabili
delizie » ,0.
Q uesto fenom eno contem plativo si distingue dalla sem­
plice quiete in cui si produce l’unione non solamente della
volontà, ma anche delPintelletto; e si distingue dall’unione
piena inquanto investe ancora la memoria e l’immaginazione.
L o dice espressamente S. Teresa: « Succede spesso che il
Signore raccolga cosi bene la volontà e l’intelletto che que­
st’ultim o sembra non discorrere più, ma restare tutto assor­
to nel godim ento di D io , com e uno che trovandosi innanzi
a grandi m eraviglie, non sappia dove fermare lo sguardo, lo
porti or qua o r là, senza osservarne bene nessuna.
La memoria rimane libera, e credo anche la fantasia.
M a questa, vedendosi sola, scatena una guerra incredibile,
cercando di mettere tutto a soqquadro... V a qua e là a
guisa di farfallette notturne importune e irrequiete. M i pare
che il paragone venga bene, perché, quantunque quelle far­
falle non abbiano forza per far male, son però di molestia a
chi le vede » 3I.
b) L’inebriamento di amore. - G li intensissimi diletti
del sonno delle potenze giungon o alle volte a produrre una
specie di divino inebriamento, che si manifesta all’esterno
in form a di vere posate d'amore, che spingono l’anima a u-
scire in grida e in salti di allegria, a intonare canti di lode
o a esprimere in versi ispirati lo stato interno del loro spi­
rito. « O mio D io — esclama S. Teresa — che è mai un’ani­
ma in questo stato! V orrebbe cambiarsi in tante lingue per
lodare il suo D io , ed esce in mille santi spropositi riuscendo
sempre in tal m odo a contentare Chi la tiene cosi. So di li­
na persona che pur non essendo poeta im provvisava allora
strofe m olto espressive, nelle quali manifestava la sua pena...
A vreb b e volu to che il corpo e l ’anima le si squarciassero
per intero, né v i era tormento che non avrebbe sopportato
volentieri per amore del suo D io , tanto da parerle che gli

10 Cf. Vita i6,i.


21 Ivi, 17,5 e 6-
868 L A V IT A C R IS T IA N A N E L S U O S V IL U P P O ORDINARIO

stessi martiri non avessero fatto quasi nulla nel sostenere


il martirio per la forza che veniva loro da un’altra p arte»11.
Com e si vede, questi fenom eni santificano l’anima, non
appartengono alle grazie gratis datae, com e le visioni e le ri­
velazioni, ma sono semplicemente manifestazioni della con­
templazione infusa in un grado m olto n otevole d ’intensità.
T uttavia prima di giungere all’unione trasformante rimane
ancora all’anima m olta strada da percorrere, benché con le
grazie e luci attuali « le sembri che non rim anga nient’altro
da desiderare ».

442. 4. C o n d o t t a p r a t ic a d e l l’ a n im a . - L a di­
sp o sizio n e gen erale che co n v ie n e a ll’ anim a in tu tti
g li stati di o ra zio n e c o n te m p la tiv a è qu ella di assecon­
dare docilmente l ’ a zio n e d iv in a , e di im m e rg ersi sem ­
p re p iù n e ll’abisso d el p r o p r io n u lla m ed ian te un a
profondissima umiltà. P e r m a g g io r ch ia rezza , in d ich e ­
rem o alcu n e n o rm e co n cre te p e r l ’ o ra zio n e di q u iete
e i su o i fe n o m en i co n co m ita n ti.

I. N e ll’orazione di quiete
1) Non compiere mai il minimo sforzo per « porsi » in
orazione di quiete. - Sarebbe un lavoro inutile e <( il Si­
gnore si sdegnerebbe » (S. Teresa) se volessimo produrre per
nostro conto quello che E g li soltanto ci può m isericordio­
samente concedere.
2) Assecondare immediatamente l’azione di Dio appena
venga avvertita. - N o n resistere un solo istante co l pretesto
di terminare le recite vo cali — a meno che non siano obbli­
gatorie e non ci sia l’ opportunità di recitarle più tardi — -
o di seguire il solito m etodo di orazione. E quivarrebbe a
lasciare il fine per continuare a intrattenersi nei mezzi.
« Durante l’orazione di quiete, l’anima deve diportarsi con
soavità e senza strepito... L a volontà deve diportarsi con
calma e prudènza, e convincersi che con D io non si negozia
bene a forza di braccia. Q uei ragionam enti sarebbero come
grossi pezzi di legna messi senza discrezione sulla piccola
scintilla per soffocarla... V a lg o n o di più per m eglio infiam­
LA V IT A D I O R AZION E 869

marci in amore alcune pagliuzze messe insieme con umiltà


(e se le mettiamo n oi saranno meno ancora che pagliuzze)
di tutto il legname che v i possiamo ammonticchiare con ri­
cercati ragionam enti e che in un Credo soffocherebbe ogni
cosa» (S. Teresa, V ita 15,6 e 7).
3) Non turbare la quiete della volontà inquietandosi per
lo strepito delle altre potenze. - In particolare la memoria,
insieme con l’ immaginazione, scatena una guerra incre­
dibile. M a ci avverte S. Teresa che bisogna « trattare
la fantasia da pazza e abbandonarla a se stessa. Solo D io la
può calmare » ( Vita 17, 7). Continui l ’anima tranquillamente
nella sua dolce pace e lasci che la « pazza di casa » 23 vada
dove le piaccia « perché, dopo tutto, per quanto si adoperi,
non potrà mai trascinare dalla sua le altre due potenze,
mentre queste potranno spesso trascinarla dalla loro senza
alcuna fatica. T alvolta Iddio si m uove a compassione della
sua irrequietezza, e vedendola desiderosa di stare anch’essa
con le altre potenze, le acconsente di consumarsi al calore
di quella fiamma divina nella quale le altre son già ridotte
in cenere, quasi spogliate del loro essere naturale per gode­
re sovrannaturalmente di beni cosi grandi» (Ivi).
4) Fuggire con grande cura le occasioni di offendere Dio. -
I m otivi sono spiegati cosi da S. Teresa alle sue mona­
che: « Se insisto tanto sulla fuga delle occasioni, è per­
ché il demonio mette più im pegno nel rovinare un’anima
di queste, che non molte altre a cui D io non faccia tali grazie.
Queste gli possono essere di gran danno, perché attirano
altre anime con immenso vantaggio per la Chiesa di D io.
Se non altro che per l’amore speciale di cui il Signore le
circonda, il demonio le combatte in ogn i m odo, facendo di
tutto per rovinarle. E se soccom bono, diventano peggiori
delle altre ». E alludendo alla possibilità che il dem onio pos­
sa produrre nell’anima certe dolcezze sensibili a imitazione
di quelle della quiete, dà loro la norma suprema per cono­
scere ciò: « Il dem onio può simulare anche queste grazie;
ma lo si conosce facilmente, perché non solo non produce
g li effetti che ho descritto, ma ne lascia di diametralmente
opposti »
33 S . T e r e s a p a r a g o n a l ’ im m a g in a z io n e a u n a battola d i molino. E l l a d i c e
a lle s u e m o n a c h e : « N o n v e n e d o v e t e in q u ie t a r e n é a f f l ig g e r e . M a c in ia m o
la n o s t r a f a r in a s e n z a c u r a r c i d i q u e s t a b a t t o l a d i m o l in o , f a c e n d o a g i r e
la n o s t r a v o l o n t à e il n o s t r o in t e l le t t o » {Quarte mansioni 1 ,1 3 ) .
24 C i. Quarte mansioni 3,10 .
870 LA VITA CRISTIANA NEL S U O SVILU PPO ORDINARIO

« L e piccole infedeltà — avverte a ragione il P. Crisogo-


no — sogliono costare m olto caro alle anime che D io co llo ­
cò nei prim i gradi mistici. Perché essi sono ’ com e un e-
sperimento che il Signore fa con coloro che vuole unire a
sé, e dalla condotta delUanima dipenderà che D io ritiri
codeste grazie o continui a com unicargliele fino a condurla
al matrimonio spirituale » 2s.
5) Non lasciare m ai l’ orazione nonostante tutte le difficoltà. «
S. Teresa dà a questo grandissima importanza; dice in­
fatti che l’abbandono dell’orazione da parte di un’ani­
ma che ha com inciato a sentire le prime esperienze mi­
stiche, avrebbe conseguenze molto più gravi, che un pecca­
to mortale da cui si rialza subito pentita ed esperta ( V ita 15,3).

II. N e l sonno delle potente

I l principale avviso che S. Teresa dà è quello di non la­


sciarsi assorbire troppo per non cadere in una specie di sonnolen­
za e stordim ento, che potrebbe degenerare in tristi squilibri
mentali. « A lcune persone, a causa delle loro grandi austerità,
o ra zio n i e vigilie, o semplicemente perché di debole com ples­
sione, non possono ricevere una consolazione spirituale sen­
za che la loro natura ne rim anga saggiogata. E siccome sen­
tono una certa interiore dolcezza mentre esteriormente si
vanno indebolendo e ven gono meno — specialmente quando
entrano in quello stato che si chiama “ sonno spirituale” , che
è alquanto più alto di quelld anzidetto — confondono quella
dolcezza con l ’indebolim ento che sentono e se ne lasciano
sopraffare. Più si abbandonano e più ne rim angono assorbite,
perché la natura si va sempre più indebolendo: e intanto cre­
dono che sia qualche rapimento. M a io lo chiamo balor­
daggine, perché non fanno altro che perdere il tempo e ro v i­
narsi la salute. U na certa persona rim aneva in questo stato
per otto ore di seguito, senza perdere i sènsi e nemmeno con
pensieri di D io . M a siccom e si tro vò chi l ’ebbe a intendere,
le fecero sparire ogn i cosa obbligandola a mangiare, a dormire
e a non far tanta penitenza. Senza volerlo, aveva ingannato
il confessore, varie altre persone e se stessa. Sono convinta
che il dem onio non v i d oveva essere estraneo: pretendeva
di cavarne vantaggio e già non poco com inciava ad averne ».
E aggiunge subito dopo: « È bene sapere che v i può essere

*5 Compendio de ascètica y mistica p.3*a, c .l, a.4, pp. 185-6.


LA VITA DI ORAZIONE 871

languidezza esteriore ed interiore anche quando questo


fatto proviene da D io , ma l’anima ne rimane forte, e nel
vedersi si vicina al Signore, si lascia andare a grandi senti­
menti. T uttavia questo stato non dura che pochissim o, ben­
ché si ripeta di frequente e l’anima torni a sospendersi.
Tuttavia, se non è per debolezza naturale, quest’orazione
non solo non abbatte il corpo lé, ma non è nemmeno cau­
sa di sofferenze esterne » J7 .

III. N e ll’inebriamento d’amore


I principali consigli sono : avere cura di non confondere
codesti trasporti di gioia spirituale con una effervescenza
puramente naturale, propria di spiriti impressionabili; u-
miliarsi profondam ente e non darsi mai A l l ’ o r a z i o n e per
cercare le consolazioni di D io , ma unicamente il D io delle
consolazioni. Il direttore insisterà sempre sulla necessità di
praticare le virtù — che è ciò che veramente santifica l’a­
nima — e darà pochissima im portanza alle altre cose, soprat­
tutto se vede che nel diretto incorniciano a spuntare piccole
vanità. Q ueste non saranno facili se le com unicazioni sono
veramente da D io , perche lasciano sempre l’anima sommersa
in un oceano di umiltà. Q uesto è il grande segno per distin­
guere l’ oro dall’orpello.

S E T T IM O G R A D O D I O R A Z IO N E :
L ’ O R A Z I O N E D I U N IO N E >8

443. i. Natura. - L’orazione di unione è quel


grado di contemplazione infusa in cui tutte h potente

26 Ciò è riservato all ’ estasi, e in questo si distingue, tra le altre co s e , dal


sonno delle potente.
a7 Cf. Q u a r te m ansioni 3,11-13.
28 Non c’è uniformità tra gli autori nel designare questo grado dì ora­
zione. S. Teresa usa semplicemente la parola unione , senz’ai tri aggettivi
( preghiera à i unione'). Altri la chiamano untone sem plice , per significare questo
grado speciale, distinto dagli altri stati mistici nei quali c’è pure unione con
Dio. Altri, infine, la denominano unione p ien a , per significare che in essa tu t­
t i le potenze dell’anima sono unite con Dio.
Bisogna confessare che nessuna di queste espressioni è del tutto esatta.
Quella di S. Teresa ha l’inconveniente di suggerire l’idea che nelle orazioni
mistiche precedenti non ci fosse unione dell’anima con D io , il che è con-
872 LA VITA CRISTIANA NEL S U O SVILUPPO ORDINARIO

interne sono prigioniere od occupate in D io. N ella quiete


rim aneva prigioniera soltanto la volontà; nel sonno
delle potente si univa anche Finteiletto, però rimaneva­
no libere la m em oria e l ’im m aginazione, che facevano
una grande guerra all’anima. N e ll’orazione di unione,
tutte le potenze interne, anche la mem oria e l ’im m agi­
nazione, rim angono prigioniere. R im angono liberi —
benché im perfettam ente — i sensi corporali esterni,
che rim arranno pure prigionieri quando sopraggiun­
gerà il seguente grado di orazione ■ — l’unione esta­
tica — che in questo solo dettaglio (a parte il grado
di intensità della luce contem plativa) si differenzia da
questa orazione di u n io n e29.
L ’intensità dell’esperienza mistica che produce l ’ora­
zione di unione è indicibile. È incom parabilm ente su­
periore a quella dei gradi precedenti. A n ch e sul corpo
esercita una profonda influenza. I sensi esterni, senza
perdersi del tutto, accusano fortem ente la sublime
elevazione d ell’anima, che quasi li abbandona. Ecco
com e esprime questi pensieri S. Teresa:
« M entre l’anima sta cosi cercando il suo D io , si sente
com e svenire per la forza di un soavissim o godimento: il

trario alla verità e al pensiero stesso della santa. La seconda è pure inesatta
e forse converrebbe meglio alla semplice orazione di quiete (è l'unione
mistica con Dio più semplice di tutte). La terza ci pare che si debba riservare
al grado seguente (unione estatica), dove unicamente c’è Vunione piena di
tutte le potente spirituali e corporali, interiori ed esteriori.
In mancanza di una terminologia più esatta, noi preferiamo mantenere
la semplice espressione di S. Teresa, anche se non è perfetta. La santa si
rese forse conto di ciò, ma non volle inventare una parola nuova e non la
trovò benché vi ci si provasse. In fin dei conti, le espressioni ambigue hanno
il senso che in un dato momento si vuole dare loro, e tutti sanno perfetta­
mente quello che S. Teresa vuole dire quando parla di orazione di unione.
29 Si noti quanto sia profondamente psicologica la classificazione tere-
siana dei gradi di orazione mistica. Ogni volta il fenomeno contemplativo
va toccando un maggior numero di potenze fino a sottometterle tutte. E
quando vi è perfettamente riuscito, manca soltanto la perm anenza di codesta
unione (unione trasformante o matrimonio spirituale).
LA VITA DI ORAZIONE 8 73

respiro le manca, le forze corporali svaniscono, tanto che


senza un grande sforzo non può m uovere neppur le mani;
le si chiudono gli occhi anche senza volerlo, e, se li tiene
aperti, non vede quasi nulla. Se legge, non riesce a pronun­
ciare una sillaba e quasi neppure a rilevarla; vede d’averla
innanzi, ma non essendo aiutata dalPintelletto, non è capa­
ce di leggerla, nemmeno volendolo. O de, ma non capisce
ciò che ode. I sensi non le servono più, anzi le sono p iutto­
sto di danno perché le im pediscono di stare in pace. Parlare ?
Nemmeno pensarlo, ché non riuscirebbe a mettere insieme
una parola; e se p ur v i riuscisse, non avrebbe la forza di
pronunciarla; le energie corporali cedono il posto a quelle
dell’anima che aumentano sempre più per farla m eglio g o ­
dere. E il piacere che si riversa nel corpo è anch’esso m olto
grande e sentito. Per quanto duri, quest’orazione non è
mai dannosa » 3°.

C om e si vede, l’anima sta sperim entando ineffa­


bili realtà, con una intensità tale che, se fosse accre­
sciuta un pochino di più, supererebbe del tutto le sue
forze corporali e la farebbe cadere in estasi. In princi­
pio questo sublime assorbim ento delle potenze in D io
dura p o co tem po — una m ezz’ ora al massimo — ; pe­
rò con diversi gradi di intensità si p u ò prolungare
varie ore. D ice S. Teresa:
« L e potenze non rim angono sospese per m olto, essen-
dovene sempre qualcuna che torna in sé. Solo la volontà
si mantiene assorta, ma le altre due tornano presto a distur­
bare. Però, siccome la volontà rimane in quiete, esse si ar­
restano di n u o vo , stanno cosi per un altro poco, e poi ri­
cadono nella loro m obilità. In questo m odo l ’orazione può,
prolungarsi e si prolunga alle vo lte per alcune ore, perché
quando quelle due potenze hanno com inciato a gustare e a
inebriarsi di quel vin o, tornano facilm ente a sospendersi per
usufruirne sempre più; perciò si accom pagnano alla vo lo n ­
tà e godon o tutt’e tre. Ripeto però che una sospensione cosi
completa da escludere qualsiasi disturbo da parte dell’imma­
ginativa, la quale, a quanto sembra, rimane anch’essa
sospesa, non dura che per p oco, sebbene non rinvengano
mai cosi bene da non rimanerne per alcune ore com e sba­

3o Cf. Vita 18 , 10- 1 1 .


874 LA VITA CRISTIANA NEL SUO SVILUPPO ORDINARIO

lordite, nel qual tempo Iddio torna di quando in quando


a richiamarle a s é » 3I.

444. 2 . Caratteristiche essenziali di tale orazio­


ne. - L ’ orazione di unione presenta le seguenti carat­
teristiche essenziali, che sono, ad un tem po, i segni per
conoscerla e distinguerla da altri fenom eni più o
m eno simili:
1) Assenza di distrazioni. - M entre permane in questo
grado di orazione, l’anima non si distrae mai perché le po­
tenze colp evoli delle distrazioni, la memoria e l’immaginazio­
ne, rim angono completamente prigioniere e assorte in Dio.
Esse sono quelle « farfallette notturne im portune e irre­
quiete », che tanta guerra m uovevano all’anima nelle ora­
zioni passate, e che rim angono con le ali bruciate nell’im­
menso fuoco dell’unione con D io 3>. In quest’orazione c’è
posto per alternative di alti e bassi, poiché si discende ai
gradi inferiori e si torna ad elevarsi all’unione. In queste
alternative sono possìbili le distrazioni — la memoria e
l ’im m aginazione riacquistano in un mom ento la libertà <—
però, mentre l’anima si tro va nella vera unione, la distrazione
è psicologicam ente impossibile.
2 ) Certezza assoluta che l’ anima è stata unita a Dio. -
Durante il fenom eno contem plativo, l’anima non dubita
mai di stare intimamente unita a D io , che sente in una ma­
niera ineffabile. S. Teresa giunge a dire che, se l’ anima non
la sente pienamente, non ha avuto vera orazione di unione.
Ella scrive: « D io s’imprime nel suo interno, e quando ella
torna in sé, in nessun m odo p uò dubitare che D io sia stato
in lei ed ella in D io . Q uesta verità le rimane scolpita si al
viv o da non poterne mai più dubitare né dimenticarla, nep­
pure dopo m olti anni senza che il Signore gliela rinnovi ».
E un p o ’ più innanzi soggiunge: « Se non vi fosse questa
certezza, si avrebbe, secondo me, non già un’unione di tutta
l’anima con D io , ma soltanto di una sua potenza, oppure di
un altro genere di grazie fra le molte che il Signore usa fa­
re » 33.
Il demonio non può contraffare o falsificare questa ora-

3T Ivi , n .iz e 13.


32 Cf. S. T e r e s a , V ita 17,6 c 18,14.
33 Cf. Quinte mansioni c .i, n.9 e 11
LA VITA DI ORAZIONE 875
zione. S. Teresa crede che non conosca neppure l’esistenza
di questa orazione tanto intima e segreta. E lla dice: « O so
affermare che se si tratta di vera unione con D io , non v i può
entrare a far danno nemmeno il dem onio, perchè allora il
Signore si trova unito all’essenza dell’anima, e il m aligno
non solo non ha ardire d’avvicinarsi, ma credo che di questi
segreti non debba neppure intendersi. L a cosa è assai chia­
ra. Se dicono che n on conosce nemmeno i nostri pensieri,
a m aggior ragione non potrà conoscere questi segreti che
D io non confida neppure all’intelletto. O h stato felicissimo
nel quale il maledetto non può fare alcun danno! » 3t.
3) Assenza di stanchezza. - L ’anima sta assaporando
con ineffabili diletti alcune gocce di cielo che sono cadute
su di lei. « Q uest’orazione — dice S. Teresa — per quanto
duri, non è mai dannosa: almeno a me non lo è mai stata.
Per ammalata che fossi, quando il Signore me la concedeva,
non mi ricordo che me ne risentissi una sola volta, anzi
me n ’uscivo sempre m igliorata. Che male p uò fare un be­
ne cosi gran de?» 35.

445. 3. E f f e t t i. - S. Teresa espone i principali in


un m irabile capitolo delle sue opere 36. D o p o aver
paragonato la profonda trasform azione dell’anima a
quella che sperimenta un baco da seta, che si converte
in « una piccola farfalla bianca », la Riform atrice del
Carmelo scrive:
« O h potenza di Dio! O h in che stato esce l’anima,
dopo esser rimasta nella grandezza di D io e tanto a lui
unita com e qui, sia pure per poco tem po, giacché,
a m io parere, non si arriva mai a m ezz’ora! In verità v i dico
che essa n on si riconosce più. Pensate alla differenza fra un
verme ributtante e una piccola farfalla bianca: così è di lei.
L ’anima ignora com e abbia p otuto meritare tanto bene,
v o g lio dire che non sa di dove le sia venuto, perché conosce
benissimo che a meritarlo non è di lei. Si sente presa da un
desiderio vivissim o di lodare Iddio, sino a distruggersi e a
subire m ille m orti. Brame irresistibili di darsi a grandi sof­
ferenze com inciano tosto ad occuparla senza che possa li-

34 Quinte mansioni 1,5.


35 V ita 18,11.
36 C f. Quinte mansioni 2.
876 LA VITA CRISTIANA NEL S U O SVILUPPO ORDINARIO

belarsene, e sospira con ardore d’abbandonarsi alla peni­


tenza, di stare in solitudine e di fare che tutti conoscanoli
suo D io , sino a provare afflizione profonda nel vederlo of­
feso.
N elle m ansioni seguenti parlerò di questi effetti con
particolari m aggiori. B enché i fenom eni delle quinte man­
sioni siano quasi identici a quelli delle seguenti, tuttavia
sono assai diversi quanto all’intensità degli effetti. — Un’a­
nima che D io ha con dotto a questo punto, se si sforza di an­
dare avanti, vedrà grandi m eraviglie » 3 7 .

L a santa continua a descrivere lo stato interno


di quest’anima fortunata, alla quale sono spuntate le
ali per volare fino a D io . Precisam ente questi effetti
tanto soprannaturali sono la m iglior garanzia della
legittim ità della sua orazione e della sua ineffabile
esperienza.
4. Fenomeni concomitanti. - E sporrem o qu
alcuni fenom eni contem plativi — distinti, per conse­
guenza, dalle grazie gratis datae, che non sono per sé
santificanti — ai quali non si p u ò assegnare con cer­
tezza un determinato m om ento della vita spirituale.
Essendo grazie transitorie, D io le concede quando gli
pare, e alle v o lte quando l ’anima è più distratta o ne­
gligente. Tuttavia, il più delle vo lte e d ’ordinario non
si prod ucon o — alm eno in una certa intensità ■ — fino
a che l’ anima non è stata portata da D io a questo
grado di orazione di unione. Per questo li includiamo
qui, ancorché si possano produrre imperfettamente
prim a e si ripetano nuovam ente dopo in grado per­
fettissim o di intensità.
I principali sono quattro: i tocchi mistici, gli impeti,
le ferite e le piaghe d’ amore 3S. D i essi parlano S. Teresa

37 Quinte mansioni 2,7.


3 8 Queste grazie lasciano l’anima accesa di am or di D io . Sono altamente
santificanti, e non comprendiamo perché certi autori le classifichino tra le
grazie zraiis datae. Se si vuole dire con ciò che nessuno stato dell’animo le
LA VITA DI ORAZIONE 8 77

; S. G iovan n i della Croce. Riassum erem o qui b reve­


mente il loro pensiero.
446. a) I tocchi mistici 39 sono una specie di impressione so-
■irannaturale quasi istantanea, che dà all’anima la sensazio­
ne di essere stata toccata da D io stesso. II contatto divino,
poiché è istantaneo, permette che l’anima assapori u n diletto
ineffabile, che non si può descrivere. L ’anima suole lancia­
te un grido e m olte vo lte cade svenuta o in estasi. L ’ anima
comprende allora quel sublime verso di S. G iovann i della
Croce: « O blanda mano! O tocco delicato, che sa di vita
eterna, e sconta ogni partita! ».
Q uesti tocchi l’anima li può ricevere in gradi m olto di­
versi d’ intensità. I più sublimi sono quelli che S. G iovanni
della Croce — e i mistici tedeschi prima di lui — chiamano
( tocchi sostanziali », che non avvengono, tuttavia, tra
ostando. e sostanza, ma attraverso le potenze; però si produ­
cono in una maniera tanto delicata e sottile, che all’anima
sembrano essere stati tra sostanza e sostanza 4». In realtà
,i esercitano nel più profondo dell’ intelletto e della volontà
là dove queste facoltà si radicano nella sostanza dell’anima,
da cui emanano. La sostanza dell’anima non sente nulla se
non attraverso le sue facoltà; però D io , più intimamente pre­
sente all’anima che ella stessa, può toccare e m uovere dal
di dentro il fondo medesimo delle sue facoltà per m ezzo di
un contatto spirituale che appare com e divino. Q uesto
fondo dell’anima — di cui i mistici amano parlare — è chiama­
to anche cima dello spirito, dove non giunge mai lo strepito
delle cose esterne v.
L a condotta dell’anima in relazione a queste grazie divine

uò meritare, siamo completamente d’accordo. M a se si ■vogliono equipa-


are alle grazie di tipo miracoloso, che non santificano per sé l’anima, questo
.i pare completamente falso. S. G iovanni della Croce e S. Teresa non la
pensavano cosi.
3 9 C f . S. G i o v a n n i d e l l a C r o c e , Salita 1 1 ,3 2 ; Notte 1 1 ,2 3 .
40 L o stesso P. Crisógono interpreta in questo senso S. G iovann i della
Croce (cf. San Juan de la Cruz- su obras cientifica y literaria t.I, pp. 361-65),
non c’è altra maniera d’interpretarlo, giacché è im possibile il contatto
iretto di sostanza a sostanza. S. Tom m aso d ’A q u in o dice ripetutamen-
; che nessuna sostanza creata può operare, sentire, percepire o amare
er se stessa, ma solo per m ezzo delle sue facoltà: per questo ptecisamen-
ì le ha ricevute (cf. 1,54,1-3; 77,1-2; 1-11,113-8; D e ventate,28,3).
41 C f . P. G a r r i g o u - L a g r a n g e , Perfezione... c.5, a.5, p.506.
8 78 LA VITA CRISTIANA NEL S U O SVILUPPO ORDINARIO

dev’essere quella che S. G iovann i della Croce raccomanda.


D ice che non deve cercare di provocarle per non dare adì-
to ai capricci dell’im m aginazione o alle falsificazioni del de­
m onio; ma « se ne stia rassegnata, um ile e passiva rispetto
ad esse; e giacché passivamente si ricevono da D io , il Si­
gnore gliele comunicherà, secondo il suo beneplacito, quan­
do la vedrà piena di spirito di um iltà e distacco. E in que­
sto m odo non si priverà del grande profitto che tali esperien­
ze apportano per l’unione divina: perché tutti questi non
sono altro che tocchi di unione, la quale sì opera nell’ anima
passivam ente» (Salita 11,32,4).
447. V) Gli impeti com e il nom e ìndica, sono impulsi
fortissimi e insperati di amor di Dio che lasciano l’anima con
una fame e una sete di amore tanto divoratrice, che le sem­
bra di non poterle saziare ancorché potesse abbruciare la
creazione intera nelle fiamme del divino amore. A lle volte,
la semplice audizione del nom e di D io o di un cantico spi­
rituale, fa sorgere im provvisam ente nel suo cuore un impe­
to tanto grande di amore, che con frequenza il p o vero cor­
p o non lo può sopportare e sopraggiunge l’estasi.
Si comprende facilmente che questa grazia è altamente
santificante poiché strappa all’anima intensissimi atti di ca­
rità. Inoltre, nonostante la sua violenza, non arreca danno
alcuno. Quando gli im peti procedono dal nostro sforzo
personale indeboliscono terribilm ente le forze corporali ed
è necessario m oderarli, se non si vu ole incorrere in lamente­
vo li deviamenti; però quando li infonde D io passivamente,
feriscono l’anima con grandissima soavità e diletto, au­
mentandole in maniera incredibile le energie.
S. Teresa descrive come deve comportarsi l ’anima in un
caso e nell’altro.
« Chi n on ha p rovato quanto questi trasporti siano vee­
menti non può farsene un ’idea, perché assai diversi da
quelle em ozioni di cuore e devozioni sensibili cosi comuni
che per non poter essere contenute sembrano soffocare lo
spirito. Q uesti slanci im p rovvisi avven gon o in un’ orazione
meno alta ed è bene reprim erli con soavità cercando di met­
tere l’anima in pace. A v v ien e com e di certi bambini che han­
no un piangere cosi convulso da sembrare che stiano sem­
pre per soffocare, ma che subito si calmano appena si dà

S. T eresa , Relazione al P . Rodrigo Alvarez V , 1 3 - 1 5 . N e l le s u e o p e re


p a r l a c o n t in u a m e n t e d i q u e s t i s la n c i.
LA VITA DI ORAZIONE 879

loro da bere. Cosi qui: la ragione deve stringere la briglia


per impedire che s’intrometta troppo la natura. M ettiam o­
ci a considerare che v i potrebbe essere qualche im perfezio­
ne ed anche non poco m ovim ento di sensibilità. Calmiamo
questo bambino con una carezza di amore che lo porti
a D io con soavità e non, com e suol dirsi, a forza di pugni.
L ’anima raccolga quest’amore in se stessa e si guardi
bene dall’assomigliare a quella pentola che, bollendo ec­
cessivamente per la gran legna che buttano sul fuoco sen­
za discrezione, riversa tutto al di fuori. Bisogna sapere
moderare gli incentivi di quel fuoco attenuandone le fiamme
con lacrime soavi che non siano frutto di fatica com e quelle
che accom pagnano quei sentimenti e che sono m olto danno­
se. D a principio le ebbi anch’io qualche volta, ma mi la­
sciavano la testa cosi debole e tanto stanca di spirito da non
poter più riprendere l’orazione se non dopo un giorno
ed anche più, perciò in principio, per andare innanzi con
soavità, occorre grande discrezione, abituando l ’anima ad
operare interiormente e procurando di evitare ogn i manife­
stazione esteriore.
Ben diversi invece sono i trasporti di cui parlo, perché
in essi non siamo noi che gettiam o legna sul fu o co , ma
sembra che il fu o co sia già acceso e che qualcuno getti
dentro noi affinché ne siamo consunti. L ’anima si duole
per l’assenza di D io , ma non è lei che ne procura la pena,
bensì una certa saetta che di quando in quando le penetra
il cuore e le viscere sì al v iv o da lasciarla com e incapace
di fare e di volere alcuna cosa. Capisce solo che vu ole il
suo D io e che il dardo da cui è ferita par temprato col succo
di un ’erba che le fa odiare se stessa per amore di D io , in ser­
vizio del quale sacrificherebbe volentieri la propria vita.
È inesprimibile il m odo con cui D io ferisce l’anima.
Il torm ento è così v iv o che l ’anima esce fu o ri di sé, benché
insieme tanto dolce da non poter essere paragonato con nes­
sun piacere della terra. Perciò, come ho detto, l’anima v o r­
rebbe star sempre m orendo per la fo rza di tal male » «.
448. c) Le ferite d’amore, secondo S. G io van n i della Croce,
sono « alcuni tocchi am orosi e segreti che a guisa di saette
infocate feriscono e trapassano l’anima, lasciandola tutta
cauterizzata di am oroso fuoco » 44. S. Teresa cosi le descri­

43 Vita 29,9-10.
44 Cf. Cantico strofa 1,17-
880 LA VITA CRISTIANA NEL SUO SVILUPPO ORDINARIO

ve: « A ltro m odo assai ordinario d’orazione è il seguente


Si tratta d’una specie di ferita che sembra fatta nell’anitna'
com e se qualcuno ci faccia passare una freccia nel cuore'
oppure nelPanima. Se ne ha un dolore cosi viv o da uscire
in lamenti, ma insieme tanto delizioso da non voler mai che
finisca... A ltre volte sembra che questa ferita d’amore si
effettui nel più p rofondo dell’ anima, con vantaggi assai
più preziosi. M a siccom e è im possibile procurarsi questo
favore quando D io n on lo dà, cosi è impossibile rifiutarlo
quando si degna accordarcelo.
Si tratta di desideri di D io cosi ardenti ed elevati
da non aver parole per esprimersi. E siccom e l’anima si
sente im possibilitata a godere di D io quanto vorrebbe
concepisce un v iv o orrore per il proprio corpo che le appa­
re come un’alta m uraglia da cui le viene impedimento a
fruire liberam ente del bene che già le sembra di possedere.
D a ciò comprende il gran male del peccato di Adam o che
ci tolse la libertà » *5.
A lle volte questa ferita d’amore, che d’ordinario è
puramente spirituale e interna, si manifesta anche all’ester­
no, perché trapassa fisicamente il cuore di carne (trasver-
bera^ione di S. Teresa) o perché appaiono le piaghe nelle
mani, nei piedi e nel costato. Q uesto aspetto esterno ap­
partiene evidentemente alla sfera delle grazie gratis datai.
N o n santifica di più l’anima di quello puramente interno
e suole anche essere meno intenso e dilettevole, come spie­
ga S. G iovann i della Croce 4«. L ’aspetto esterno è più
spettacolare, però vale sempre infinitamente meno di quel­
lo puramente interno e spirituale.
G li effetti di questa ferita d’amore sono mirabili. L V
nima arde dal desiderio che si rom pano i legam i del corpo
per volare lìberamente a D io . V ed e chiaramente che la ter­
ra è un esilio, e non com prende coloro che desiderano vi­
vere lunghi anni su di essa. T anto S. Paolo, che desiderava
ardentemente di m orire per stare con Cristo (Fil. 1,23),
quanto i due riform atori del Carmelo, che componevano
le loro strofe « m òro perché non m òro » esprimevano la
stessa esperienza.
449. d) Le piaghe d’amore 47 sono un fenom eno simile
45 C f. Relazione al P . Alvarez V ,i7 - i8 ; V ita 29,11.
46 Cf. Fiamma 11,2-13. Si veda nei nn.9 e 10 la descrizione del fenomeno
della trafittura interiore. S. Teresa riferisce il suo caso nella Vita 0.29 13.
47 N o n si confonda questo fenom eno contem plativo, altamente santi-
LA V IT A DI O R AZION E 881

alle ferite, benché ancora più profondo e durevole. S. G io ­


vanni della Croce cosi le distingue: « L a piaga nell’anima
s’imprime più della ferita, e perciò dura di più, perché
è come una ferita passata in piaga, per la quale l’anima si
sente veramente piagata d’amore » 48. La ferita — spiega
ancora il santo — nasce nell’anima dalle notizie dell’A ­
mato che riceve dalle creature, che sono le più basse opere
di D io; la piaga gliela causano le notizie dell’opera dell’in­
carnazione del V erb o e dei misteri della fede, che sono le
maggiori opere di D io (ivi).
G li effetti sono simili a quelli della ferita, benché ancora
più impregnati di amore. L ’anima si lamenta amorosamente
con D io perché non finisce di ucciderla portandola con sé
in cielo. O ccorre leggere il com m ento alle strofe 9, 10
e n del Cantico spirituale (« Perché, se tu piagato hai que­
sto cor, tu sano a me n oi ren di?... »; « Smorza mie pene;
sei quel solo tu che in me calmar le puote, — e scopri la
tua vezzosa faccia, e tua vista e tua beltà m ’uccida... »), dove
il dottore mistico espone g l’ineffabili sentimenti dell’ani­
ma piagata che vive m orendo di amore.

O T T A V O G R A D O D I O R A Z IO N E : L ’U N IO N E
E S T A T IC A O S P O S A L IZ IO SP IR IT U A L E

S. T h ., I I - I I ,i7 5 ; V allg o rn era, M ystica Thiologia divi Thomae q . 4


d .2 a . 1 7 ; R i b e t , L a mystique divine t . i c . 1 9 ; t . z c c . 1 9 - 2 1 e t . 4 c .8 ; F arges,
L es phenomyies mystiques p .z.n c .z a .1 - 8 ; P o u i.a in , D e lU grafie d ’ orazione
p .3 .3 c .1 8 ; T anquerey, Compendio di Teologìa ascetica e mìstica n n . 1 4 5 4 - 6 2 ;
C r i s ó g o n o , Compendio de ascèticay mistica p - 3 - a c . 2 a . 3.

Il quarto grado di orazione contem plativa — ot­


tavo della classificazione generale — è costituito dal­
l’unione estatica, nella quale si verifica il fidanzam en­
to spirituale. A g g iu n g e al grado anteriore ■
— nel quale
si univano intimam ente a D io le potenze d ell’anima
e i sensi interni — la sospensione dei sensi corporali
esterni. L ’intensità dell’unione m istica è tanto grande,

f ic a n t e , c o n l a stigmatizzazione corporale, g r a z i a gratis data c h e v a l e i n f i n i t a ­


m e n te d i m e n o b e n c h é s ìa p iù s p e tta c o la r e .
48 Cantico s t r o f a 7 ; Fiamm a s t r o f a 2 .
8 82 LA V IT A C R IS T IA N A NEL SU O S V IL U P P O ORDINARIO

che il p o vero corpo n on la p u ò sopportare, e soprav­


viene Vestasi la quale, sotto l ’aspetto esterno e spetta­
colare, non è, in ultim a analisi, che una fia cch e re i
corporale, che scompare nelle p iù alte cime dell’unione
trasformante, quando l ’ anima è già abituata a ricevere
queste forti com unicazioni divine senza che il corpo
cada nello svenim ento estatico.
Studieremo diffusam ente questo fenom eno perché è
uno dei più frequenti e m eravigliosi della mistica.
Però, siccom e la materia è tanto vasta, preciserem o
la dottrina in densi e b revi paragrafi.

450. i . Il fenomeno esterno. - Com e fenom eno esterno «


l ’estasi consiste in una specie di sopore soave e progressivo
fino a giungere alla totale alienazione dai sensi. A ncorché
n on veda, non oda, non senta nulla, si vede chiaramente
che l’estatico non è m orto né addormentato; la sua faccia,
in generale, appare radiante e come trasportata in un m ondo
superiore. Se l’estasi è perfetta e completa, è inutile chiamarlo,
scuoterlo bruscamente, pungerlo o bruciarlo: l’estatico non
ritornerà in sé, a m eno che il ritorno alla normalità gli sia
im posto da una persona costituita in autorità religiosa:
ne] qual caso può bastare un semplice ordine mentale.
451. 2. Sue cause possibili. - T u tti gli autori sono d’ac­
cordo nel dire che il fenom eno esterno, cosi com e lo abbiamo
descritto, può avere una triplice causa: soprannaturale, preter­
naturale (o diabolica) e puramente naturale. L o afferma Sari
Tom m aso: « H uìusm odi autem abstractio, ad quaecumque
fiat, potest ex triplici causa contingere; uno m odo ex cau­
sa corporali sicut accipit in his qui propter aliquam infirmi-
tatem alienationem patiuntur; secundo m odo ex virtute dae-
monum, sicut patet in arreptitiis; tertio m odo ex virtute di­
vina... prout scilicet aliquis spiritu divino elevatur ad ali-
qua supernaturalia cum abstractione a sensibus » 5°.
Secondo quanto abbiamo esposto, l’estasi si può clas­
sificare, sotto l ’aspetto delle sue cause fisiche, nella se­
guente maniera:

49 Q u esta è la form a più ordinaria; ma è anche possibile la form a im ­


p rovvisa e vio len ta, che si denom ina p iu tto sto ratta (cf. I I - I I ,175 ,1).
5 » C f. 1 -1 1 , 1 7 5 , 1 .
liA V IT A D I ORAZION E 883

| Profetica.
a. Estasi soprannaturale j jy^jstjca
b. Estasi preternaturale o diabolica.
c. Estasi naturale.

a. L ’estasi soprannaturale

452 . i . N o z i o n e 51 . - E tim ologicam ente, estasi signifi­


ca una specie di uscita e permanenza fuori di sé. medesi­
m o 5*. L a parola suggerisce m olto bene la realtà che con essa
si vuole esprimere. D urante l ’estasi, difatti, l’anima esce
o prescinde completamente dai sensi corporali per fissarsi
im m obile nell’o ggetto soprannaturale che attrae e assorbe
le sue potenze.
S. A gostino la definisce: « Mentis alienatio a sensibus
corporis ut spiritus hominis divino spiritu assumptus ca-
piendis atque intuendis im aginibus vacet » 53.
S. Bonaventura — o chiunque sia l’autore dell’opera che
citiam o, a lui attribuita — dice: « Extasis est, deserto exte-
teriori homine, sui ipsius supra se voluptuosa quaedam
elevatio ad superintellectualem divini amoris fontem» Si .
Per S. Tommaso, l’estasi è « un uscire fu o ri di sé mede­
sim o »: « Extasim pati aliquis dicitur cum extra se ponitur;
quod quidem contingit et secundum vim apprehensivam et
secundum vim appetitivam » 5 5 .
Gersone la definisce: « Raptus mentis cum cessatione
om nium operationum in inferioribus potentiis»s6.
Infine, A lva rez de Paz indica ad un tempo l’essenza e
la causa dell’estasi quando scrive: « L ’estasi è una elevazio­
ne della mente a D io con astrazione dai sensi esterni proce­
dente dalla grandezza di codesta medesima elevazione.
Poiché l ’anima è limitata di virtù e capacità, quanto più

5r C f. R i b e t , ox., t.2, c.19 .


51 "Exaraate da - ex-stare.
53 C f. D e dìversis quaeslionibus ad Sìntplictanum 1.2 q .i n . i .
54 C f. D e septem grad. contempi. T ra le sue opere du b bie, t.12 , p.184.
55 C f. 1-11,28,3.
56 C f. Theol. myst. specul. c o n s t ò , c o l.391.
8 84 LA V ITA C R IS T IA N A N E L SU O S V IL U P P O ORDINARIO

efficacemente attende a una funzione, tanto meno può atten­


dete alle altre » 57.
L ’estasi soprannaturale suppone, quindi, due elementi:
l’elevazione dell’anima a D io e l’isolam ento dal m ondo sen­
sibile. È una specie di sublime assorbim ento dell’anima in
D io che porta con sé la sospensione dell’esercizio dei
sensi esterni.

2. Sue sp e c ie . - L ’estasi soprannaturale p u ò essere


mistica o profetica.

A) E st a si p r o f e t ic a

453. L ’illum inazione profetica — di cui parlere­


m o altrove (cfr. n. 5 54) — si realizza frequentem ente
con l ’alienazione dei sensi interni ed esterni del pazien­
te, affinché i prop ri fantasm i n on perturbino l ’ azione
soprannaturale di D io . Q uesto fenom eno si chiama
« estasi profetica ». A ppartiene alle grazie gratis datae,
e perciò non suppone — alm eno necessariamente —
la grazia santificante nell’ anima. Questa « estasi » ha
il com pito di illum inare soltanto l ’intelletto, ma non
tocca la volon tà, n é ha, per sé, alcun potere santificante.
N o n entra nello svilup po norm ale della grazia né fo r ­
m a paiate dei gradi contem plativi.
P er noi ha p iù im portanza l ’estasi m istica che al­
cuni autori chiamano « estasi di unione »,

B) E st a si m ist ic a

454. 1. D e fin iz io n e . - Si p u ò definire dicendo


che è un fenomeno di contemplazione soprannaturale carat­
terizzato da un'intima unione delPanima con D io , con alie­
nazione dei sensi.
a) Un fenomeno dà contemplazione soprannaturale... - Q ue­
ste parole esprim ono il genere della definizione. È un fe-

57 Cf. D e gradìbus contemplationìs 1.5, p.^.a c.8, t.6.


LA V IT A D I ORAZION E 885

aom eno soprannaturale, per sé santificante, che entra come


epifenomeno normale nello sviluppo dei gfadi della contem­
plazione mistica. In nessuna maniera appartiene alle grazie
gratis datae, come erroneamente ritengono m olti autori.
b) ...caratterizzalo da un’ intima unione dell’anima con Dio,
con alienazione dei sensi. - Con queste parole viene espres­
sa la differenza specifica che include due elementi essenziali:
uno primario e per se — l’intima unione dell’anima con D io ,
o elevatio mentis, com e dicevano gli antichi — e un altro
secondario o ex consequenti: l’alienazione dei sensi.
L ’estasi mistica scompare se si sopprim e uno qualunque
dei tre elementi della definizione. Senza l’intima unione
dall’anima con D io , la sospensione dei sensi si identifichereb­
be con il sogno; senza la sospensione dei sensi, ci sarebbe
orazione mistica, non estatica; ma senza la contemplazione
infusa, propriamente detta, potrebbe esserci estasi profetica,
estasi naturale ed estasi diabolica, ma non estasi mistica 5 ».

455. 2. C au se d e ll’ estasi m is tic a . - Indicherem o


le quattro cause seguendo il m etodo e la term in o lo­
gia scolastica.
a) Causa efficiente. - La causa efficiente dell’estasi è
lo Spirito Santo mediante i suoi doni; ossia, D io stesso come
autore dell’ordine soprannaturale. Si attribuisce per appro­
priazione allo Spirito Santo, in quanto che è una operazione
di amore che santifica l’anima. L o Spirito Santo si suole
chiamare Spirito di A m ore e Spirito Santificante. Il divino
Spirito utilizza per questo i doni dell’intelletto e della sapien­
za attuandoli in un grado m olto intenso: il primo illumina
la fede, e il secondo eccita la carità fino a produrre nell’anima
un veementissimo amor di D io che la aliena dai sensi.
b) Causa formale. - La causa formale dell’estasi è la con­
templazione infusa in grado m olto intenso, benché non
massimo. È semplicemente Veffetto prodotto dai doni del­
l’intelletto e della sapienza quando raggiungono una certa
intensità nell’anima. L ’azione della causa efficiente consi­
ste all’applicjzione della form a alla materia. Tale form a è
tratta dalla potenzialità della materia; quando però si tratta
di un effetto soprannaturale tale potenzialità è puramente
obbedienziale 59.

5 8 C f . P . C r i s ó g o n o Compendio de A sc e tic a y M istica p -3 .a c .2 , a.3, p. 204.


5 3 C>'. G r e e t 9 Elementa Pbilosophiae t.z , n .756.
886 LA V IT A C R IS T IA N A NEL SU O S V IL U P P O ORDINARIO

D iciam o « la contem plazione in un grado m olto intenso »


perché quando è m olto debole, non causa la sospensione
delle potenze dell’anima né dei sensi corporali. È , quindi,
necessaria una certa intensità di luce contem plativa perché
si produca il fenom eno. Però non occorre che sia la mas­
sima intensità, perché gli ultim i gradi di contem plazione
non producono estasi 6o. D ’altra parte, n on si dà mai una
intensità massima nel senso che non possa essere m aggiore.
c) Causa m ateriale. - L ’im perfezione o fiacchezza natura­
le del soggetto che riceve la contem plazione infusa concorre
all’estasi com e causa quasi materialis. Per questo, quando il
soggetto è abituato alla luce divina ed è fortificato affinché
la sopporti — la qual cosa avvien e nei gradi superiori
della mistica — le estasi scom paiono. A lla form a esta­
tica viene a mancare la materia. Certo, alle volte la com u­
nicazione divina è tanto intensa, che l ’anima non la può
sopportare, e sopraggiunge l’ estasi anche quando l ’ ani­
ma è giunta all’unione trasformante.
Questa fiacchezza naturale del soggetto non si riferisce
in m odo esclusivo e principale all’aspetto corporale, ma, an­
zitutto, a quello p sicologico. L ’anima non è abituata a tanta
luce e amore, e rimane com e piegata dal peso di tanta gloria.
Q uesta fiacchezza p sicologica si com unica anche al corpo, e
sopravviene l’alienazione dei sensi. L ’estasi dell’anima si è
com unicata, per naturale ridondanza, al corpo e ha prodotto
il fenom eno esterno.
d) Causa finale. - N on è altra che la santificazione del­
l'anim a. L ’ estasi non è una grazia gratis data, ma un epife­
nom eno mistico altamente santificante per colui che lo ri­
ceve. Q uesto fine presenta un triplice aspetto: prossimo,
remoto e ultimo. Il fine prossimo è quello di inondare l’anima
di luce e di amore; è l ’effetto immediato dell’attuazione dei
doni dello Spirito Santo. Il fine remoto è la santificazione del­
l’ anima, alla quale contribuisce grandemente l ’e sta si6l. Il
fine ultimo è, in definitiva, la gloria d i D io , alla quale tutto
viene ordinato in ultim a analisi sia nell’ordine naturale che in
quello soprannaturale.
456. 3. G r a d i di estasi. - S. Tom m aso distingue tre
gradi nell’estasi: nel prim o rim angono sospesi i sensi ester­

60 C f. P . C r is ó g o n o , Le.
61 C f. S. T e r e s a , Seste mansioni c.4 e 6, d o v e e s p o n e g l i e f fe tt i m e r a v i ­
g l i o s i d i s a n tific a z io n e p r o d o t t i d a ll ’ e s ta s i.
L A V IT A DI ORAZION E 8 87

ni, non gli interni; nel secondo rim angono sospesi anche gli
interni e l’anima intende per m ezzo di specie intelligibil-
indipendenti dai fantasmi; nel terzo si contempla immediata­
mente l ’Essenza divina i l .
457. 4. F o r m e . - L e principali sono due: una soave e
piacevole e un’altra violenta e dolorosa’. N ella prima, « sem­
bra che l’anima non sia più nel corpo, tanto che questo va
perdendo sensibilmente il suo calore naturale e a poco a poco
si raffredda, sebbene con indicibile gioia e contento » 63.
Questa forma di estasi non è dannosa alla salute per quanto
si prolunghi. A lle volte cura persino le infermità e lascia una
più grande agilità nel corpo: « Se prima il corpo era infermo
e pieno di dolori, spesso si ritrova guarito e con m aggiori
energie » 6■ ».
N ella seconda form a — la dolorosa — il tormento cor­
porale è « cosi eccessivo da esser sopportato dalla natura a
mala pena. D i tanto in tanto perdo anche i polsi..., i tendini
delle braccia si fanno più aperti e le mani cosi rigide che qual­
che volta non posso congiungerle. Il dolore ai polsi e al co r­
po rimane fino al giorno dopo, com e se mi avessero tutta
slogata» 65. S. G iovanni della Croce dice che questo genere
di estasi « causa debolezze, detrimenti e languore di stoma­
co ». A llo ra « sembra che s’inaridiscano le ossa, e che il ca­
lore e le forze naturali vengano meno ». « A lle volte il tor­
mento che si prova è si grande, che non ve n’è un altro che
disloghi cosi le ossa e metta tanto alle strette la natura ».
Infine, « il corpo rimane gelato e le membra irrigidite, co­
me un m orto » 66.
L a prima form a — soave e piacevole — si chiama sempli­
cemente estasi; e la seconda, che implica una certa violenza,
ratto. S. Teresa — e dopo di lei tutti gli autori — parlano an­
cora del « vo lo dello spirito » nel quale « sembra che ci venga
rapito lo spirito, e ciò con tale velocità e cosi d’im provviso
da sentirne non poca paura » e « nel quale ci si accorge di
perdere l ’uso dei sensi senza saperne il m otivo, sino a sem­
brare che l’anima si separi realmente dal corpo » 67.

61 C f . 1 1 - 1 1 ,1 7 5 ,3 a d 1.
63 S . T e r e s a , V ita 20,3.
64 Ivi, 20 ,2 3; C f . 1 0 ,1 1 .
65 Ivi, 2 0 ,1 2 .
66 C f . S. G C r o c e , Notte I I , 1 ,2 ; I , i i , i ; Cantico 1 3 ,1 ,4 ;
io v a n n i d e l l a

o.c., p . 206.
1 4 ,5 ,1 9 ; c f . P . C r i s ó g o n o ,
67 C f . S. T e r e s a , Seste mansioni 5 , n . i e 12 .
888 LA V IT A C R IS T IA N A NEL SU O S V IL U P P O ORDIN ARIO

458 . 5. A t t i t u d i n e d e l l ’ e s t a t i c o . - È m olto varia,


però sempre degna e decorosa. Generalmente rim angono
nell’attitudine in cui il fenom eno li sorprende: in ginocchio,
in piedi, seduti, ecc. In S. Teresa le estasi avvenivano or­
dinariamente cosi. S. G iuseppe da Copertino lanciava un
grido, cadeva in ginocchio e stendeva le braccia in form a
d i croce. S. Caterina de’ R icci occultava il viso tra le mani.
S. Tom m aso da V illan ova rim aneva in piedi, im m obile, con
g li occhi fissi al cielo. A S. Caterina da Siena si contraevano
le mani e i piedi in maniera violenta, ed era impossibile
strapparle gli oggetti che teneva in mano 68.
459. 6. D u r a t a d e l l ' e s t a s i . - In generale è breve. S.
Teresa ritiene che ordinariamente non sorpassi la m ezz’ora
e se è m olto forte e sospende tutti i sensi, la sua durata è
ancora minore. T uttavia, ci furono dei santi che rimasero
rapiti nell’aria — estasi con levitazione — per varie ore come
si legge, per esempio, di S. Tom m aso da V illan ova. C i furo­
n o estasi senza levitazione che durarono vari giorni. La
B. A n gela da F o lign o rimase tre giorni in estasi; la B. C o ­
lom ba da R ieti, cinque; M arina de Escobar, sei; S. Ignazio
di L oyola, o tto nella grotta di Manresa; S. Coletta, quindici;
e, infine, S. Maddalena de’ Pazzi rimase quaranta giorni
senza ritornare in sé.
460 . 7. F r e q u e n z a . - In alcuni santi è stata grandissi­
ma. Per S. Maddalena de’ Pazzi, S. M ichele dei Santi e S.
G iuseppe da Copertino, la vita non fu se non una serie con­
tinua di estasi 69. Però, in generale, si produce rare volte
e solo in anime m olto progredite nella vita spirituale.
461. 8. M e r i t a l ’ a n i m a d u r a n t e l ’ e s t a s i ? - Indub­
biamente si. S. Teresa ne dà una ragione di convenienza: per­
ch é non è credibile che D io accordi tale favore ad un’anima
unicamente perché perda il tempo senza nulla guadagnare 5°.
C ’è però u n ’altra ragione più profonda: l’anima durante l’e­
stasi è libera, perché l’infusione divina non implica necessi­
tà nella volontà. Soltanto la visione beatifica attrae irresi­
stibilmente l’anima, non le altre com unicazioni divine.

68 Cf. P . F a r g e s , Les phenomènes mysliques p.2.a c.2, a.2; cf. P . C r is ó g o -


mo, o.c., p. 207.
6g Cf. P . P o u l a i n , Delle grazie d'orazione c.18, n . i c .
7° S. T e r e s a , Pensieri sull'amor di D io c.6, n. 6.
L A V IT A D I ORAZION E 889

L ’anima estatica aderisce con tutte le sue for^e all’azione divina


che la tiene assorta. E certo che sarebbe m olto diffìcile per
lei tornare alla normalità — almeno in una maniera brusca
e istantanea — mentre si trova sottomessa all’azione divina;
però è m olto lontana dal vo lervi tornare. V u o le liberamente
assecondare l’azione di D io , e se ha una pena, è quella di pen­
sare che deve tornare alla normalità 7>. T uttavia, assoluta-
mente parlando, v i potrebbe tornare a costo di un grande
sforzo il che è sufficiente per salvare la libertà e il merito.
462. 9. E f f e t t i de 1 1 ’ e s t a s i ? 2. - L i esamineremo nel
loro duplice aspetto: nel corpo e nell’anima.
1) N el corpo. - I principali sono tre: d) l’insensibilità
organica; b) l’espressione della fisionomia; c) l’agilità o levi­
tazione.
a) A bbiam o già parlato della prima. Quando l ’estasi
è totale e perfetta, l ’insensibilità è assoluta. L e incisioni
più dolorose, le scosse più brusche, le ustioni stesse ecc.,
sono inutili per ridestare l’estatico. Frequentem ente gli
occhi conservano tutta la loro attività; si fissano sulla visio­
ne divina e con una vivacità che pare ingrandirli considere­
volm ente. N on percepiscono assolutamente nulla delle cose
materiali. D ifatti, facendo passare bruscamente dinanzi ai
loro occhi aperti una luce o un o ggetto qualsiasi, non si pro­
duce il più lieve m ovim ento nelle loro palpebre o pupille.
Tuttavia, ci furono dei santi che durante le loro estasi
parlavano dell’o ggetto della loro visione contem plativa e
camminavano — « marcia estatica ». Sono rimasti famosi
i casi di S. Caterina da Siena e S. Maddalena de’ Pazzi.
Tuttavia, questi fatti sono eccezionali; gli estatici ordinaria-
mejite rim angono totalmente insensibili e immobili.
Durante l ’estasi il calore vitale va diminuendo lenta­
mente, soprattutto nelle estremità — mani e piedi — . Le
funzioni vitali pare che si interrompano: non c’è respirazio­
ne, non c’è circolazione apprezzabile del sangue, e neppure
il più leggero m ovim ento delle labbra. A poco a poco, le
funzioni vitali riprendono e il paziente torna in m odo insen­
sibile alla piena normalità 73. L ’estasi soave non pregiudica

71 C f. S . T e r e s a , V ita 2 0 ,2 2 .
72 C f . R i b e t , o .f ., t .2 , c .2 0 , n .8 .
73 D ifatti. le funzioni delia vita vegetativa scom paiono solo apparente­
mente, n on in realtà, anche nel caso stupendo di M osé e di S. Paolo fCf.
II-II,175,5 ad 3).
8 90 LA V IT A C R IS T IA N A N EL S tJ O S V IL U P P O ORDINARIO

la salute del corpo. M entre quella violenta — il ratto o ra­


pimento — lascia il corpo esausto alle volte per m olti gior­
ni.
b) L a fisionomia dell’estatico presenta un aspetto ca­
ratteristico, che rivela l’intim o trasporto dell’anima. A
m otivo di una irradiazione dell’energia psichica sulla ma­
teria, gli inebriamenti e le luci dal di dentro si ripercuotono
e si riflettono al di fuori; la visione soprannaturale rapisce e
beatifica nello stesso tem po, benché in maniera diversa,
l’anima e il corpo. Sotto i suoi raggi e le sue attrattive di­
vine, la fisionom ia dell’estatico si illumina di una bellezza
celestiale, che traduce l’ammirazione più profonda e il più
ardente amore. È una vera trasfigurazione.
c) Infine, l’estasi produce frequentem ente sul corpo del
paziente un effetto ancora più m eraviglioso: il corpo segue
docilmente l’impulso dell’anima verso l’alto, e s’innalza
dal suolo, contro tutte le leg gi della gravità. È la levitazione,
uno dei fenomeni straordinari più sorprendenti della misti­
ca che studieremo parlando delle grazie gratis datae (cfr.
nn. 645-48).
2) N ell’ anima. - L ’effetto proprio e caratteristico del­
l’estasi soprannaturale è quello di comunicare all’anima una
energia soprannaturale che giunge fino all’eroismo nella
pratica di tutte le virtù cristiane. L a vera estasi accende
costantemente nell’anima un amore ardente e insaziabile;
e l’amore giunto a questo punto sublime è pronto a soffrire
e sopportare tutto per l’oggetto amato. È questo l’eroismo,
è l’« estasi delle opere », che accom pagna sempre ed è il
segno più chiaro e caratteristico della vera « estasi d’amo­
re» 74. S. Teresa ha pagine bellissime nelle quali espone i'
mirabili effetti che le estasi divine producevano nella sua
anima 75.
È un grave errore quindi includere l’estasi mistica tra le
grazie gratis datae, come m olti autori fanno, perché non vi
appartiene, ma entra nello sviluppo normale della contem­
plazione infusa. Quando la contem plazione giunge a un gra­
do di intensità superiore all’energia psichica e alle forze
corporali del paziente, il fenom eno estatico si produce come
una conseguenza inevitabile e naturale. Q uanto al suo a-
spetto interiore, l’estasi è altamente santificante, e perciò

74 Cf. S. F ran cesco d i Sales, Teotimo 1 , 7 , c . 6 .


75 Cf. S. T eresa , V ita c . 20; Sesie mansioni c c . 4 - 6 .
L A V IT A D I O R AZION E 891

non ha nulla a che vedere con le grazie gratis datae, che non
santificano per sé colui che le riceve.
Quanto a ciò che l’estasi ha di esteriore e di spettacolare,
tutti i maestri della vita spirituale sono concordi nel dire
che sarebbe manifesta audacia chiederla a D io . Ciò farebbe
supporre nell’anima una certa arroganza e presunzione, come
se già v i fosse preparata. L ’umiltà e il disprezzo di se stesso
costituisce sempre la m igliore disposizione e la via più
spedita per ottenere i doni di D io.
463 . io. L o s p o s a l i z i o s p i r i t u a l e . - In mezzo a
una di queste estasi ineffabili ha lu o go il fidanzamento spiritua­
le che non è altro che la promessa di Dio di portare l ’anima fino
all’unione trasformante o al matrimonio spirituale. S. Teresa
crede che sia indispensabile il rapimento per non morire
dinanzi allo splendore della divina Maestà 76. Q uando l’a­
nima riceve la promessa divina di giungere un giorno fino
alla cima dell’unione con D io , sperimenta una gioia tanto
ineffabile, che la mette in pericolo di morte. « In tal felice
giorno — scrive S. G iovann i della Croce — non solo fi­
niscono per l ’anima i lamenti e le ansie veem enti di amore
che prim a aveva, ma restando adorna dei beni che ho detto,
entra in uno stato di pace, diletto e soavità amorosa » 77.
Se rimane fedele, l’anima ha assicurato il raggiungim ento
della vetta della m ontagna dell’amore; infatti, com e dice la
M istica D ottoressa, la sesta mansione — d ove si realizza il
fidanzamento — e la settima -— quella del m atrim onio spi­
rituale — « non ammettendo fra loro porta chiusa, si posso­
no unire benissimo » ?8.
464 , i l . R i c h i a m o de 1 1 ’ e s t a t i c o 79. - Frequentem en­
te si è fatto sugli estatici un’esperienza che è stata designata
co l nom e di « richiam o dell’estatico ». Consiste nel dargli un
jrdine form ale di ritornare in sé e allo stato normale. Q uest’or­
dine deve darlo — perché risulti efficace — il superiore, il
confessore o qualsiasi altra persona che ha ricevuto dalla
Chiesa un ’autorità spirituale su codeste persone. Q uesto
« richiamo » si può fare in due maniere: esternamente o v o ­
calmente e internamente o mentalmente.
E cco i risultati ottenuti e la loro spiegazione:

76 Cf. Seste mansioni c.4 n.2.


77 Cantico spirituale, annotazione per la strofa 14, n.2.
7 8 Cf. Seste mansioni c.4 n.4.
79 C f. P o u l a in , Delle grafie d'orazione c. 16, nn. 12-22.
8 92 LA V IT A C R IS T IA N A N EL SU O S V IL U P P O ORDINARIO

a) Il richiam o esteriore o vocale risulta sempre efficace


se l ’estasi è veramente divina. N o n si conosce tra i santi una
sola eccezione.
b) Se il superiore dà l’ordine esterno, però conservando
la volon tà interna di non essere obbedito, l ’estatico non ri­
torna in sé. L a stessa cosa avviene se, invece di un ordine
assoluto, gliene dà un o condizionato, o se si accontenta di sup­
plicarlo, senza comandargli espressamente.
c) L ’ordine puramente mentale m olte volte è obbedito;
ma il più delle volte non lo è.
Com e si spiegano questi fatti ? La ragione più soddisfa­
cente sembra essere questa: in realtà, chi obbedisce è D io
— che sospende la sua azione divina produttrice dell’ estasi
— non l ’estatico; difatti, questi non vede né ode nulla e m ol­
te volte non sa neppure di essere stato chiamato, come
hanno dichiarato m olti di loro ritornando in sé. D io si ri­
tira semplicemente, senza che il paziente ne sappia il m o­
tivo. Eseguendo l ’ordine dato, D io vuole glorificare l’au­
torità spirituale del superiore, che viene da D io stesso.
Si richiede però che il superiore manifesti pubblicamente la
volontà di essere obbedito. Il richiamo puramente mentale
risulta m olte volte inefficace perché non è propriamente un
ordine m ancandogli la nota essenziale che lo converte fo r­
malmente in legge o com ando, cioè, la prom ulgazione e-
sterna — condizione essenziale almeno sine qua non per­
ché esista l’obbligatorietà della legge, secondo l ’A n g e ­
lico D ottore 8o.
Sì deve procedere in questi richiami con una straordina­
ria prudenza. L ’estatico si trova in codesti m omenti sotto
l’immediato influsso dello Spirito Santo. Richiamarli alla
leggera, senza m otivo alcuno o per soddisfare una semplice
curiosità, sarebbe commettere una manifesta irriverenza.
M olto diversa fu la condotta del grande teologo Dom enico
Bafiez dinanzi ad un’estasi in cui cadde S. Teresa mentre
l’insigne domenicano predicava un ritiro alle Carmelitane
di A vila. Uria delle monache che fu presente al fatto dichiarò
nel processo di canonizzazione: « U n ’altra volta, mentre
il P. Fr. Dom enico Banez... stava facendo una predica
alle religiose di questo convento in parlatorio, la santa Madre
rimase rapita, e il detto Padre si levò il cappuccio, cessò di
LA V IT A D I ORAZION E 893

predicare e conservò un grande silenzio finché tornò in sé » 8l.


Si tenga presente, inoltre, che il ritorno dell’estatico alla
normalità non è un segno infallibile che la sua estasi era vera
o soprannaturale. Il ritorno alla norm alità potrebbe'essere
un effetto di telepatia puramente naturale; e, assolutamente
parlando, potrebbe anche trattarsi di un’estasi diabolica;
il dem onio potrebbe simulare l’aspetto esteriore di un’estasi
per simulare anche l’obbedienza. Se a ciò aggiungiam o che
il « richiamo » fa quasi sempre soffrire m olto l’estatico —
a causa della scossa psicologica prodotta dal passaggio brusco
da uno stato ad un altro tanto differente — dobbiam o trar­
ne la conclusione che questa esperienza non si deve prati­
care se non rare volte e per vera necessità. E nei casi in cui
sia conveniente farlo, non gli si deve im porre il ritorno
istantaneo alla normalità, ma concedendogli un certo margine
di tem po (per esempio, m entte si recitano vocalm ente al­
cune orazioni) affinché il passaggio da uno stato all’altro
non sia tanto brusco e violento.

b. L e fa lsifica zio n i d ell'esta si m istica

Prim a di passare a ll’ultim o grad o della contem pla­


zione occorre, dopo aver studiato la natura dell’estasi
mistica, dire qualche cosa sulle falsificazioni, ossia sul­
l ’estasi naturale e sull’estasi diabolica.
465. A ) L ’ estasi n atu ra le. - È fuori dubbio che
nell’ ordine naturale si possono dare — soprattutto
n ell’am bito p ato lo gico — dei fenom eni che pre­
sentano certe apparenze esteriori simili a quelle d ell’e­
stasi mistica. D ’altra parte, però, sono tante e tanto
chiare le caratteristiche e i segni che le differenziano
che bisognerebbe ignorare i fenom eni soprannaturali
per non trovare subito la spiegazione di codeste falsi­
ficazioni naturali. Esam inerem o brevem ente i princi­

81 Cf. P. F. M artin , O .P ., Santa Teresa y la Orden de Predicadores (A vfla,


1909) t>. 91.
894 LA V IT A C R IS T IA N A NEL SU O S V IL U P P O ORDIN ARIO

pali fenom eni naturali che p iù assom igliano all’esta­


si 82.
1 ) LO S V E N I M E N T O N A T U R A L E O S I N C O P E . - È facile
discernerlo dall’estasi mistica. La sua durata è m olto
breve. A ll’inferm o si possono fare ricuperare i sensi
con certi m ezzi terapeutici com e la posizione orizzon ­
tale, l ’aria libera, la percussione delle mani, le aspersio­
ni fredde in faccia, le eccitazioni della m ucosa pituitaria
con forti od ori — aceto, am m oniaca, etere, ecc. — .
Questi procedim enti sarebbero del tutto inutili per fa­
re uscire dal loro stato i veri estatici. L o svenim ento
naturale produce, inoltre, la perdita della conoscenza
e la sospensione delle facoltà psichiche, in netta opposi­
zione con l ’estasi mistica, che si produce precisamente
per una « superintensificazione » di quelle facoltà.
2) I l s o n n a m b u l i s m o s p o n t à n e o . - L ’autom atism o
cerebrale che caratterizza questo stato p ato lo gico pre­
senta caratteri opposti a quelli delPestasi mistica. 11
sonnam bulo va, viene, cammina, sale, eseguisce lavori
manuali; l ’estatico, in generale, rimane im m obile, as­
sorto in una profonda contem plazione 83. Il sonnam bulo
ha l ’espressione inerte e lo sguardo offuscato quando
i suoi occhi sono aperti; l ’estatico è radiante e trasfi­
gurato. N el prim o, l ’attività cerebrale si sviluppa con
detrim ento dello spirito; nel secondo, al contrario,
l’attività sensibile si paralizza, con utilità dello spirito,
che si som m erge in piaceri celestiali. N o n è possibile
nessuna confusione tra i due stati.

82 Per la descrizione di questi fenom eni seguiam o l’opera del dott.


S u r b l e d , L a moraI en sus relaciones con la Medicina y la Higiene (Barcelona,
1937), 1.3, p . i i , c.13 .
83 A lle volte sì produce la cosi detta « marcia estatica »; però anche
allora, le caratteristiche del m odo, deirespressione della faccia, degli effetti
prodotti, ecc., non perm ettono assolutamente di confonderla con il sonnam­
bulism o naturale. D el resto, la « marcia estatica » è un fenom eno rarissimo
tra i mistici.
L A V IT A D I ORAZION E 895

3) L ’ ipnotismo . - L ’ip n o tism o p resen ta p ure al­


cu n e a n a lo g ie estern e c o n l ’estasi; p e rò le lo ro diffe­
ren ze so n o tan to p ro fo n d e , ch e è fa cile d ia gn o stica re
c o n sicu rezza di quale stato si tratti.
a) L ’ip n o tizz a to si desta n el m o m e n to in cu i g lie lo
o rd in a l ’ip n o tizza n te ; è im p o ssib ile destare l ’estatico
se n o n m edian te u n o rd in e p re ciso d e ll’a u to rità e ccle­
siastica.
b) N e ll’ip n o tism o , la v o lo n tà rim an e quasi to ta l­
m en te sosp esa, la co scien za si in to rp id isce e la m em oria
d e ll’a ttiv ità sv ilu p p a ta n el so n n o ip n o tic o si perde
in teram en te al destarsi; i ric o rd i d e ll’esta tico rim a n g o ­
n o , al co n tra rio , m o lto p resen ti e il su o so n n o n o n altera
m in im am en te n é la v o lo n tà n é la co scien za.
c) N e lla catalessi p ro v o c a ta d a ll’ip n o tism o , una
causa m o rb o sa e m ateriale arresta il fu n zio n a m e n to del­
l ’o rg an ism o , irrig id isce i m u sco li e ren de im p o ssib ile
o g n i fen o m e n o p s ic o lo g ic o ; n e ll’ estasi il fe n o m en o
p s ic o lo g ic o , sp irituale, acq u ista u n a straord in aria fo r ­
za; l ’estatico n o n sem bra u n m o rto trann e ch e n e ll’im ­
m o b ilità: p e rò tu tto il suo essere, il su o v is o special-
m ente, respira la v ita che p alp ita in ten sissim a n e i suo
in tern o .

4) L ’ isterismo . - È la n eurosi che ha m a g g io r­


m ente p re o ccu p a to la scien za e il v o lg o n e g li ultim i
tem p i. I ra zion a listi v o g lio n o rid u rre l ’estasi m istica
a ll’isterism o m entre in realtà p resen ta quasi sem pre
ca ra tteristich e o p p o ste.
L ’isterism o è un a m alattia gen era le che sco m p iglia
p ro fo n d a m e n te le fu n z io n i o rg a n ich e e di cu i è facile
la d ia gn o si. L e crisi so n o v io le n te . L u n g i dal sim ulare
l ’estasi, rico rd a n o p iu tto s to , p e r certi caratteri, la crisi
d ella p o ssessio n e d iab o lica. F u o ri di esse, l ’isterico ha
sp eciali stigm ate: è p ro p en so a ll’illu sio n e e alla fantasia,
è m o lto in stabile e ca p riccio so , im p ressio n ab ile fino
896 LA V IT A C R IS T IA N A N E L SU O S V IL U P P O ORDIN ARIO

a ll’estrem o , di c a ttiv o u m o re , v a n ito s o , b u g ia rd o .


L a sua p elle accusa in certi p u n ti uria in sen sib ilità
p erfetta.
L ’estasi m istica ha p recisam en te ca ra tteristich e o p ­
p o ste a queste. Si p ro d u c e sem pre in s o g g e tti n o rm a li,
« a rcin o rm a li » — d ice m o lto b en e il P . M e n é n d e z-
R e ig a d a 8 4 — p e rc h é so n o s o g g e tti di u n a v ir tù
a tu tta p ro v a . In essi n o n si risco n tra n o le o rrib ili
c o n v u ls io n i d e ll’isterism o , m a, al co n tra rio , u n so p o re
tra n q u illo , p ien o d i so a v ità e d i pace. In essi n o n c ’è
so n n o len za e sto rd im e n to cereb ra le, g e s ti b ru sch i,
g rid a in artico la te, e cc., ca ra tteristich e d e ll’isterism o .
N e ll’estatico tu tto è tra n q u illo , d e g n o , d e co ro s o , e d i­
ficante, sopran n aturale.

466. B) L ’ e s t a s i d ia b o lic a . - L a d ia gn o si d e l l V
stasi diabolica è p iù fa cile an co ra di q u ella d e ll’estasi
naturale. È una fo rm a sp eciale di ossessione, ch e c o n ­
fina co n la possessione e si g iu d ic a in base a q u e st’ul-
tim a.
N o tia m o a n zitu tto che il d em o n io n o n p u ò p r o v o ­
care un a v e ra estasi. C o m e v e d re m o a su o tem p o (cf.
n .574 ), l’in te lletto e la v o lo n tà so n o assolutam en te
in vu ln e ra b ili ai m a n e g g i d ia b o lici. L ’u n ica cosa ch e
p u ò fare è qu ella d i so p p rim ere la sen sibilità esterna
p e r co n cen tra re tu tta l ’a tte n zio n e d e ll’anim a su quadri
su g g e s tiv i p r o v o c a ti da lu i n e ll’im m a gin azio n e . L o p e z
E z q u e rra e sp o n e questa d o ttrin a cosi:
« Veram extasim nequit daemon efficere, quia impotens
est ad spiritum in sui fondo colligendum ... In anima vero
quae nondum a sensibus soluta est, poterit daemon ei deli-
quìum materiale causare, et ita hebetare potentias, quod puter ani­
ma lumen illud infusum immediate in spiritualibus poten-
tiis ipsamque extasim passa fu is s e » 8s.

84 C f. Los dones del Espirila Santo y la perfección cristiana n .K , p. 370.


85 Cf. L o p e z E z q u e r r a , Lucerna mystka t r .5 , c.20 n.212.
L A V IT A D I O R AZION E 897

S. Teresa afferma che c ’è un abisso tra i fenom eni


divini e le falsificazioni e contraffazioni del dem onio.
Tenendo presente, soprattutto, g li effetti prod otti nel­
l ’anima, il giud izio è relativam ente facile e n on può
dare lu o g o a dubbi. N e ll’ estasi m istica tutto è santo,
soprannaturale, divino. N e ll’estasi diabolica, al contra­
rio, si v iv e in peccato, si gode a capriccio dell’estasi,
si fanno smorfie, si proferiscono parole incoerenti,
non si conserva nessun ricordo d op o l ’estasi, si cercano
luoghi frequentati per richiam are l ’attenzione, si rimane
grandem ente turbati quando si ritorna in sé e, infine,
si ricevon o n ell’estasi com unicazioni che incitano al
male o m u ovon o a un bene apparente e con cattivi
f in i86.

N O N O G R A D O D I O R A Z IO N E : L ’ U N IO N E
T R A S F O R M A N T E O M A T R IM O N IO S P IR IT U A L E

L ’ultim o grado di orazione classificato dai mistici è


quello dell 'unione trasformante con Dio, conosciuto anche col
nom e di matrimonio spirituale. Costituisce la settima mansio­
ne del Castello interióre di S. Teresa, e si designa anche coi
nom i di unione consumata e deificazione dell’anima. È l ’ulti­
m o grado di perfezione classificabile che si p uò raggiungere
in questa vita e costituisce un preludio e una immediata
preparazione alla beata vita della gloria.

467. i . N a tu ra . - S. G iovan ni della C roce Io defi­


nisce: Una trasformazione totale nell'Am ato, nella quale
ambedue le parti si cedono a vicenda, trasferendo l'una l'intero
possesso di sé all'altra, con m a certa consumazione di unione
amorosa, in cui l'anima diventa divina e D io per partecipa­
zione, per quanto è possibile in questa vita 87.
A nalizzando questa definizione, si scoprono i tre
elementi essenziali del m atrim onio spirituale: la tra­

84 C f. B e n e d e t t o X I V , D e tenorum D ei beat. l . j , 0.49, n.5 e 6.


87 Cantico 22 n.3.
898 LA V IT A C R IS T IA N A N E L SU O S V IL U P P O ORDINARIO

sform azione totale nell’A m ato, la m utua donazione e


la permanente unione di amore.
i) Trasform azione nell’ Am ato. - Com e il fuoco di una
fucina, quando si impossessa totalm ente del ferro che in essa
è stato gettato, lo trasform a interamente in sé — senza che
il ferro perda, tuttavia, la sua natura di ferro — cosi l ’ani­
ma immersa nella fiamma dell’am or divino si trasform a in
D io stesso, senza perdere, ciononostante, la sua condizione
di creatura. Scrive S. G iovann i della Croce: « L ’anima su­
bito sarà illuminata e trasformata in D io . A llo ra il Signore le
comunicherà il suo essere soprannaturale, tanto da sembrare
D io stesso, ed ella possederà quello che D io possiede.
Tale unione avviene quando Sua D ivin a Maestà fa all’anima
questa grazia soprannaturale, per cui tutte le cose divine e
l’anima sono tutt’uno in trasform azione partecipante: l’ a­
nima sembra più D io che anima, ed è anzi D io per parteci­
pazione, pur sempre ritenendo il proprio essere naturale
distinto da quello di D io , allo stesso m odo che l ’invetria­
ta conserva il suo essere distinto dal raggio, per quanto da
esso illuminata » 88.
A ltro ve S. G iovann i della Croce aveva paragonato il
processo della santificazione di un’anima al fuoco che si va
impadronendo di un pezzo di legno fino a trasformarlo tut­
to in sé: « Q uando il fu o co materiale si applica al legno,
prim a di o gn i altra cosa com incia a disseccarlo, traendone
fuori l’umidità e facendo gemere l’umore che contiene.
D i poi lo annerisce e gli fa tramandare anche cattivo odore
e mentre a poco a poco lo dissecca, ne trae alla luce e toglie
tutti gli spiacevoli ed oscuri accidenti, contrari al fuoco.
Finalmente comincia a riscaldarlo al di fuori, l ’infiamma,
lo trasforma in sé, rendendolo tanto bello com e il fuoco
stesso. R idotto a questo termine, il legno ormai non ha più
alcuna azione o passione sua propria, ma, eccetto la gravità
e la quantità che è più densa, del fu o co possiede tutte le p ro ­
prietà ed azioni: è secco e ,dissecca; è caldo e riscalda; è chiaro
e rischiara, ed è m olto più leggero di prima, aven d o g i il
fuoco com unicato tutte queste proprietà » %i.

Q uando giun ge a queste sublim i altezze, l ’anima


acquista proprietà divine e, in un certo m odo, si può

88 C f.Salita 11,5,7.
89 Cf. Notte oscura 11,10,1.
L A V IT A D I O R AZION E 899

dire con S. G iovan ni della C roce che è diventata D io


per partecipazione. È la piena trasform azione n ell’A ­
mato, tante v o lte sognata e desiderata dall’anima nei
gradi anteriori, e che solam ente giun gendo a queste
altezze è riuscita a conseguire.
Però, in che cosa consiste propriam ente questa tra­
sform azione ? N o n potendo consistere in una trasfor­
m azione ontologica — delirio panteista condannato
dalla Chiesa 90 e dal sem plice buon senso — deve
riferirsi a una trasform azione delle nostre facoltà su­
periori quanto al modo dì operare.
«L’ anima — scrive il P. Poulain 91 — ha coscienza che
nei suoi atti soprannaturali d’ intelligenza, d’amore e di v o ­
lontà, essa partecipa della vita divina, degli atti analoghi che som
di Dio. Q uesto è l ’essenziale del m atrim onio spirituale ».
E un p o ’ più innanzi aggiunge, spiegando il suo pensiero:
« Il battesim o e la grazia santificante ci dànno già questa par­
tecipazione della natura divina, ma non l’ avvertiam o. A v ­
viene altrimenti nel m atrim onio spirituale. Abbiamo coscien­
za della com unicazione della vita divina. D io non è più
solamente, com e nei gradi precedenti, Voggetto delle nostre
operazioni soprannaturali d’intelligenza e di volontà, ma
egli si mostra com e com principio di tali operazioni, l’aiuto
di cui ci serviamo per produrle. I nostri atti ci appaiono
com e se fossero, in certo m odo, atti divini; le nostre facoltà
sono come rami in cui sentiamo circolare la linfa divina. Cre­
diamo di sentire in noi D io vivente per due. Si v iv e in lui,
di lui, e per luì. Nessuna creatura può manifestarsi a noi
in tal maniera.
« In cielo, questa economia della grazia apparirà in tutto
il suo splendore, vedrem o perciò senza veli il “ matrimonio ”
delle due operazioni divina e umana, e anche il predominio
della prima, cioè la nostra “ deificazione” . Il quarto ed ulti­
m o grado d’orazione è l’anticipazione, il saggio più o meno
manifesto di questa conoscenza sperimentale. Q uaggiù, la
trasformazione è cominciata, ma non si conosce che per
m ezzo della fede».
z) L a mutua donazione è una inevitabile conseguenza

9° Cf. D enz. 5 1 0 S S e 1225.


91 C f. P. Pou lain , <r.c., c. 19, n .1 1 . Continua al n.13.
900 LA V IT A C R IS T IA N A N E L SU O S V IL U P P O ORDINARIO

di questa profonda trasformazione dell’anima in D io . Com e


tra due sposi c’è una perfetta comunicazione di beni, cosi
avviene tra D io e l’anima fortunata ammessa a questo spi­
rituale matrimonio.
Questa mutua donazione 9*, indissolubile, costituisce l’es­
senza del matrimonio spirituale, com e la mutua donazione e
accettazione dei coniugi costituisce l’essenza stessa del sa­
cramento del matrimonio.
Nessuno si deve scandalizzare che i mistici abbiano sta­
bilito questo paragone tra l’unione con D io e il matrimo­
nio. Prima di loro lo aveva usato lo Spirito Santo nel sublime
epitalamio del Cantico dei Cantici. Cristo lo usa pure nel
Vangelo per esprimere i doni della grazia e della gloria 93.
S. Paolo ricorda ai fedeli di Corinto che « li ha fidanzati a
Cristo» (2Cor. 11,2); e nell’epistola agli Efesini stabilisce
un sublime parallelismo tra il matrimonio e l’unione di Cri­
sto con la Chiesa, di cui è « un grande mistero » (Ef. 5,23-32).
Sulle orme della S. Scrittura, tutta la tradizione cristiana ha
usato codesto paragone per significare l ’intima unione con
D io dell’anima giunta alla vetta della santità.
U go di S. V ittore giunge a dire che il matrimonio spi­
rituale non è un semplice paragone con m inor realtà e veri­
tà del matrimonio umano, ma che questo è piuttosto un’om­
bra e una figura di quello. Se il matrimonio è grande, lo è,
soprattutto, per Cristo e per la Chiesa. T utto ciò che si tro­
va di intimità, di fecondità, di gioia e di grandezza nelle
unioni terrene non è altro che freddezza, impotenza, tri­
stezza e abbattimento in paragone all’unione spirituale del­
l’anima trasformata in D io 94.
In realtà, l ’anima nel semplice possesso dello stato di
grazia è già, in qualche maniera, vera sposa di D io. Però
soltanto nelle grandi altezze dell’unione trasformante ac­
quista la coscienza sperimentale permanente di esserlo effetti­
vamente. Questa mutua donazione ha luogo, alle volte, in
form a di speciale cerimonia che la sim boleggia e significa.
N e l caso di S. Caterina da Siena e di S. Teresa di G esù ci fu
l’apparizione dell’umanità di Gesù, la consegna dell’anello,
ecc 95. N ulla di tutto ciò è essenziale allo stato di trasfor-

92 A bbiam o già precisato il vero senso di questa parola.


93 Cf. M at. 22,3; 25,10; Luca 12,36, ecc.
94 C f. D e sacrametiiis l.z , p .rx, c .3: M L 176,482.
95 Cf. per S. Caterina: B . R aim on d o d a Capua, S. Caterina da Siena,
p .i.a , c . 12. E per S. Teresa: Settime mansioni 2,1; Relazione 35.
LA V IT A D I ORAZION E 901

mazìone; l ’unica cosa essenziale è che si stabilisca d’ora in­


nanzi una unione permanente e indissolubile tra D io e l’a­
nima.
3) L ’unione permanente di amore. - È la terza nota es­
senziale del matrimonio mistico, che la distingue e separa
dai gradi precedenti. L o dice espressamente S. Teresa: « È
ben grande la differenza fra le vision i precedenti e quelle di
queste mansioni. La diversità che passa tra il fidanza­
mento e il matrimonio spirituale è com e quella tra due fi­
danzati e coloro che non si possono più separare 96. E
un poco puma, aveva spiegato in che maniera l ’anima tra­
sform ata sente le divine Persone che abitano in m odo per­
manente in lei: « L o stupore dell’anima va o gn i giorno più
aumentando, perché le pare che le tre divine Persone non
l’abbandonino più. L e vede risiedere nel suo interno, nella
maniera già detta, e sente la loro divina com pagnia nella
parte più intima di se stessa, come in un abisso m olto pro­
fondo che per difetto di scienza n on sa ben definire» 95.
In questa coscienza sperimentale dell’unione permanente
co n D io sono possibili, tuttavia, delle eclissi, come fa notare
S. Teresa stessa 9». Però sono tanto brevi e transitorie, che
si può dire che l’anima gode in maniera permanente di questa
divina com pagnia. A nche durante il sonno rim angono in u-
nione permanente di' amore 99, verificandosi alla lettera la
bella espressione del Cantico dei Cantici: « Io dorm o, ma
il mio cuore veglia. È la voce dell’A m ato che mi chiama »
{Cant. 5,2). A llora si realizza in tutta la sua pienezza la 28.a
strofa del Cantico Spirituale di S. G iovann i della Croce;
D i lui tutta son io;
T utto il m io capitai per lui s’adopra;
G ià la mia greggia oblìo,
N é ho più altro uffizio,
Ma solo nell’amar è il mio esercizio.

468. 2. C ’ è c o n f e r m a z i o n e i n g r a a i a ? - Questa

96 Cf, Settimi; mantieni z z.


97 Ivi, 1,7.
9 tì h i , 3,1 x; 4,1 e 2.
99 Afferma S. Teresa: « N o n uscivo più d’orazione nemmeno quando dor­
m ivo » ( V ita 29,7). Il caso si ripete quasi sempre, com e consta dalla yita
di S. G eltrude, dì S. Caterina da Siena, di S. M argherita M. Alacoque, di
S. A lfonso Rodri(ri]e?- ccc.
902 LA V IT A C R IS T IA N A NEL SU O S V IL U P P O ORDINARIO

manente unione di amore, implica la conferm azione in grazia


dell’anima trasform ata?
S. G iovanni della Croce lo afferma, benché con una cer­
ta timidezza. D o p o la descrizione del m atrim onio spirituale
con le parole riportate, egli aggiunge: « Sono di parere
che questo stato non avven ga mai senza che in esso l’anima
non sia confermata in grazia, perché si ratifica la fede d ’am­
bo le parti, conferm andosi quella di D io nell’anima; e perciò
questo è il più sublime stato a cui si possa arrivare quag­
giù » I0°.
S. Teresa, tuttavia, opina il contrario. V arie volte avver­
te espressamente che, mentre l’anima rimane in questo m ondo,
deve camminare con cautela e timore di offendere D io . Ec­
co uno dei suoi brani più espressivi: « Queste anime hanno
v iv i desideri e ferme determ inazioni di non commettere
neppure un’im perfezione, ma non senza che per questo la­
scino di commetterne m olte e anche peccati. N o n però con
avvertenza: in questo il Signore le deve m olto aiutare. Par­
lo dei peccati veniali, non dei mortali, dai quali si sperano
libere, benché non con m olta sicurezza, essendo possibile
che n ’abbiano qualcuno d’occulto: il che m olto le torm en­
ta I01. A ltro torm ento è la vista delle anime che si perdono.
Benché abbiano una certa grande speranza di non essere
del loro num ero, tuttavia non possono lasciare di temere...
Quella fra vo i che si sente più sicura, tema più di tutte. Sua
Maestà sempre ci protegga! L a m aggior sicurezza è nel sup­
plicare il Signore a concederci di non mai offenderlo » I0J.
Tuttavia, crediamo che, rettamente intesa, si possa se­
guire e sia più probabile la sentenza di S. G iovanni della
Croce. L a santa parla prudentemente giacché scrive per le
sue monache e pensa che non derivino danni all’anima dal
pensare alla possibilità di peccare e di perdersi, ma grandi
beni per camminare con umiltà e cautela. Però questa norma,
di squisita prudenza pratica, non invalida l’affermazione teo­
rica di S. G iovann i della Croce che ci sembra doversi in­
tendere nella seguente maniera:

100 C f. Cantico 22,3.


101 L a santa v u o l dire che queste ultim e anime hanno paura di avere
qualche peccato mortale occulto o sconosciuto, il che causa loro un grande
tormento.
102 C f. Settime mansioni 4,3; 2,9; V ita 39,20: « I l Signore m i disse che non
vi è sicurezza finché siamo in questa carne»; Cammino 10,1; 39,4: 40,7;
41,9; Terze mansioni 1 (titolo); 1,1; 1,2;Quinte mansioni 4,7; Pensieri 2,13 ecc.
L A V IT A D I O R AZION E 903
1) N o n si tratta di una vera impeccabilità intrinseca, cosa
impossibile in questa vita. Una simile asserzione è stata
condannata dalla Chiesa ro3.
2) Si tratta di un’assistenza speciale di Dio, che, senza ren­
dere l ’anima impeccabile, impedirà di fatto che pecchi m or­
talmente.
3) Questa assistenza speciale si riferisce unicamente al
peccato mortale, non ai peccati veniali, né m olto meno alle
im perfezioni, il che richiederebbe uno specialissimo p rivile­
gio, che la Chiesa ritiene concesso soltanto alla SS. V e r­
gine I0<.
A lla luce di questi principi occorre intendere le espres­
sioni tanto frequenti nei mistici relative all’unione indis­
solubile del m atrimonio spirituale dell’anima con D io . In
questa maniera si armonizzano benissimo g l’insegnamenti
della Chiesa e le affermazioni dei mistici sperimentali.

469* 3. È p o s s i b i l e i n q u e s t a v i t a l a c o n t e m p l a ­
z i o n e d e l l a d i v i n a e s s e n z a ? . Il supremo grado di con­
templazione che può raggiungere una creatura umana o an­
gelica è la visione beatifica, ossia la contem plazione intuitiva
dell’essenza di D io faccia a faccia. Ciò costituisce il summum
analogatum della scala contem plativa e l’essenza dell’eterna
beatitudine. Il cielo non è essenzialmente un’altra cosa.
O ra, è possibile in questa vita codesta sublime contem­
plazione ? E possibile durante l ’esilio un atto transitorio di
visione beatifica?
S. Tom m aso nega categoricamente che si possa dare in
questa vita in una maniera abituale I05. L ’unica cosa che am­
mette, in base a uno stupendo m iracolo, assolutamente fuori
dell’ordinaria provvidenza di D io — supernaturaliter, et
praeter communem ordinem — è una comunicazione transito­
ria del lumen gloriae, concessa a M osé e a S. Paolo, che per­
mise loro di contemplare l’essenza divina rimanendo total­
mente astratti dai sensi Io6.
L ’unico che in questa vita ha goduto in m odo abituale
e permanente della visione della divina essenza fu N ostro
Signore, che nella sua condizione di F iglio di D io , mentre
viveva su questa terra, era ad un tem po viatore e compren-

I03 Cf. D enz. 471, contro beguardi c beghine.


T° 4 C f. D enz. 833; ed anche 804, 8 10 , 1276 S .
105 C f. 1, 12, 11.
106 Cf. 1 ,1 2 ,1 1 ad 2 ; 1 1 - 1 1 , 175, 3 - 6 .
90 4 LA V IT A C R IS T IA N A N E L SU O S V IL U P P O ORDINARIO

sore 107. La m aggior parte dei teologi ammettono anche per


la SS. V ergin e in m odo transitorio, nei m omenti culminanti
della sua vita, alcuni istanti di vera visione beatifica Io8.
Fuori di questi casi, non consta con certezza di nessun
altro, e sarebbe m olto arrischiato fare congetture. S. Teresa
parla di una visione intellettuale della SS. Trinità « com e in
una rappresentazione della verità » I09, ossia mediante specie
create, infinitamente distanti dalla vera visione beatifica.
S. G iovann i della Croce, che usa delle espressioni m olto più
ardite, dice sempre che « non è tolto ogni velo » 110 nelle più
sublimi contem plazioni alle quali sono ammesse le anime
trasformate.
Bisogna, quindi, concludere che la visione beatifica non
entra a far parte dei gradi contem plativi propri di questa
vita. È invece certo che la contemplazione infusa è per sé
orientata e ordinata alla visione beatifica, nella quale trova
il suo supremo analogato; nella stessa maniera con cui la
grazia santificante è orientata e ordinata alla vita eterna,
nella quale trova la sua piena espansione e sviluppo. L ’ul­
timo grado contem plativo che si può ottenere in questa
vita sarà, quindi, il normale preludio della visione beati­
fica.

470. 4. E ffe t t i. - N essuno com e S. Teresa ha


descritto i m eravigliosi effetti che produce nell’anima
l ’unione trasformante o m atrim onio spirituale. L i espo­
ne nel capitolo 3 delle Settime mansioni. E cco i principa­
li m :
1) M orte totale del proprio egoismo. - S. Francesco di
Sales soleva dire sorridendo che l ’egoism o muore «un quarto
d’ora dopo la morte », tanto radicato esso è in tutti noi.
Tuttavia, le anime giunte aU’unione trasformante hanno

107 Cf. 111,9,2; 10,1-4.


108 C f. G a r r i g o u - L a g r a n g e , L a Madre del Salvatore p .r .a c .j, a.6; A la -
s t r u e y , L a SS. Vergine Maria p.2.a c.5, a.3, §. 2.

109 Cf. Settima mansioni 1,6.


110 « E allora traspare e si discerne un p o ’ (ma con qualche oscurità,
perché non è tolto o gn i velo) quel volto divino pieno di grazia » (Fiamma
strofa 4, n.7).
111 Indichiam o tra parentesi il num ero dei paragrafi in cui è d ivi so que­
sto capitolo.
L A V IT A D I O R AZION E 905

già realizzato in questa vita codesto supremo ideale. A loro


si possono riferire le parole di S. Paolo: « V o i siete morti,
e la vostra vita è nascosta co n Cristo in D io » (Col. 3,3).
S. Teresa scrive: « Abbiam o detto che la farfalletta è
morta, felicissima d’aver trovato il suo riposo, e che Cristo
vive in lei. Vediam o ora come viv e e se la sua vita attuale
■differisce da quella di prima, potendosi conoscere da questi
effetti se realmente abbia ricevuta la grazia di cui si è det­
to. A quanto ne posso giudicare, gli effetti sono i se­
guenti » (n.i).
« A nzitutto un grande oblio di sé, cosi profondo da
farle credere di non esistere più. Si sente trasformata in
tal maniera da non riconoscersi più. N o n pensa né al cielo
che l’attende, né alla vita, né all’onore, ma solo a impiegarsi
alla m aggior gloria di D io. L e parole dettele dal Signore,
cioè, che prendesse cura delle cose di lui perché E g li si
curerebbe delle sue, pare che abbiano operato quello che
significano » (n.2).
2) L a gloria di Dio, unica preoccupazione. - D a questa
m orte totale al proprio io ne consegue inevitabilmente
una fame e una sete divoratrice dell’onore e della gloria
di D io, che costituisce la sua unica preoccupazione:
« E lla non si preoccupa più di nulla. N o n vu ole es­
sere nulla in nessuna cosa, eccetto quando vede di poter
alquanto contribuire nell’accrescere anche solo d’un punto
l ’onore e la gloria di D io: per questo sacrificherebbe volen­
tieri la sua vita » (n.3).
È la piena realizzazione dell’ideale cristiano. La glori­
ficazione di D io costituisce il fine ultim o assoluto e l’unica
ragione di essere della creazione intera. Siamo nati, soprat­
tutto e anzitutto, per glorificare D io . L a nostra stessa sal­
vezza e felicità eterna costituiscono un fine secondario,
subordinato e dipendente dalla gloria di D io . Per conseguen­
za, finché non si ottiene la subordinazione del fine seconda­
rio a quello principale, non si può dire che si sia conseguito
l ’ideale cristiano, e neppure l’ideale di una pura creatura II2.
Solo nelle altezze dell’unione trasformante si realizza
questo ideale nella misura possibile in questa vita. La
frase « ad maiorem D ei gloriam » di S. Ignazio di L oyola
costituisce l’unica ossessione di tutte le anime trasformate.

112 N e ll’attuale econom ia della Provvidenza, l’ideale di pura creatura


coin cide con l’ideale cristiano, giacché non esiste lo stato di natura pura,
p oich é tutto il genere um ano è stato elevato alFgrdine soprannaturale.
906 LA V IT A C R IS T IA N A N E L SU O S V IL U P P O ORDINARIO

Questa carità ardente e questa perfettissima purezza


di intenzione conferiscono un immenso valore al più pic­
colo atto realizzato da queste anime divinizzate. S. Giovanni
della Croce giunge a dire:
« L ’operazione dello Spirito Santo nell’anima trasfor­
mata in amore è tale che gli atti che produce interiormente
sono fiamme amorose, a cui la volontà dell’anima essendo
unita, ama in m odo m olto sublime, divenuta un solo amore
con quella fiamma. O nde gli atti di amore dell’anima sono
preziosissimi: uno di essi merita maggiormente, e vale
più di tutto quello che essa abbia potuto fare in passato
senza una tale trasformazione » II3.
3) Un grande desiderio di patire, ma tranquillo, intera­
mente - La croce è stata
subordinato alla volontà di Dio.
sempre l ’ossessione delle anime autenticamente innamorate
del Redentore divino. O ra, quando il fuoco del divino amo­
re non si è ancora impadronito delle parti più intime dello
spirito, la fiamma scoppietta e lancia fuori scintille accese (pe­
nitenze eccessive, pazzie d’amore, ecc.); ma quando l’amore
divino si è impadronito totalmente dell’anima, delle sue più
intime fibre, la fiamma non scoppietta più; l’anima si è
convertita in brace m olto più ardente di prima, e senza quel
precedente rumore.
O ra si com prendono le seguenti parole di S. Teresa:
« Il secondo effetto è un gran desiderio di patire, ma non
in m odo d’averne inquietudine come già per l’ innanzi.
Sua brama ardentissima non è che di compiere la volontà
di D io , e perciò ritiene buono tutto quello che il Signore
dispone: se E g li vuole che patisca, ciò sia alla buon’ora;
se non lo vuole, non s’inquieta come prima » (n.4).
È la percezione chiara e istintiva del vero valore e della
gerarchia delle cose. La sofferenza sopportata per amore di
D io è senza dubbio altamente santificante, ma m olto meno
che il perfetto compimento della volontà di D io. .Non v ’è
nulla di superiore a questo, neppure la gloria di D io. Se,
dato ma non concesso, si potesse intraprendere un’opera
a gloria di D io in opposizione alla sua volontà, dovrem m o
rinunciare immediatamente a glorificarlo in una simile
maniera per non allontanarci minimamente dalla sua volon ­
tà. Per questo, i santi avrebbero rinunciato subito alle più
sublimi imprese cominciate per la gloria divina se la volontà
di D io si fosse mostrata contraria In m odo chiaro (per e­

l , 3 C f. Fiamma strofa 1 n ,3>


L A V IT A D I O R AZION E 907

sempio, in virtù dell’obbedienza dovuta al legittim o su­


periore) ‘"i.
4) Godimento nella persecuzione. ■ Tollerare la perse­
cuzione in silenzio per amore di D io è già un’opera molto
grande di virtù. Tuttavia goderne, considerarsi felice in
essa, benedire Iddio e amare con predilezione coloro
che ci perseguitano e calunniano (Mat. 5,43-48) è già il
colm o dell’eroismo e della santità. L e anime trasformate
si sono elevate a queste sublimi altezze. S. Teresa si stropic­
ciava le mani dalla contentezza quando veniva a sapere
che la calunniavano. T utti compresero che c’era un infal­
libile m ezzo per guadagnarsene la simpatia e la predilezio­
ne: insultarla o in qualche maniera umiliarla. E cco come
descrive quello che praticava:
« L ’anima se viene perseguitata, sperimenta nel suo in­
terno una vivissim a gioia, e rimane in una pace m olto più
profonda che non negli stati precedenti. N o n solo non prova
il minimo risentimento per quelli che le fanno o le voglion o
fare del male, ma nutre per essi un affetto tutto particolare,
e se li vede in qualche travaglio, ne rimane teneramente
afflitta, sino ad assere disposta a far di tutto per liberarli.
L i raccomanda con grande istanza al Signore, e rinuncereb­
be volentieri ad alcune delle sue grazie purché D io le con­
cedesse a loro ed essi non l’offendessero più » (n. 5).
Queste ultime parole ci danno la chiave per compren­
dere un cosi sublime eroismo. In definitiva, ciò che prevale
è Pamor di D io. Codeste persecuzioni e calunnie non le
toccano affatto, anzi ne godono. L ’unica cosa che risentono
è che i loro nemici con esse offendono Dio;- e per evitare
quest’offesa divina, con piacere rinuncerebbero ad alcune
delle grazie di D io , anche a costo di rimanerne prive. T utto
ciò è frutto dell’amor di D io e del prossimo portato fino
aU’estremo della perfezione.
5) Zelo ardente per la salvezza delle anime. - Prima di
giungere a simili altezze, queste anime non avevano un de­
siderio più veemente di quello di m orire per volare al cielo:
« m òro perché non m òro». O ra, invece, sul desiderio di mori-

Cf, S. T e r e s a , V ita 36,5. Q uesto principio è fecondissim o in ap p li­


cazioni pratiche, soprattutto per le persone consacrate a D io . N ulla di quan­
to si com pie contro l ’obbedienza dovuta al legittim o superiore può glo ri­
ficare D io , perché è contrario alla sua volon tà, p er quanto grande e sublime
possa sembrare. N ulla glorifica D io tanto quanto la perfetta obbedienza e
sottom issione a coloro che ci governano nel suo nome.
908 LA V ITA C R IS T IA N A NEL SU O S V IL U P P O ORDINARIO

re prevale il desiderio di servire D io e di salvare anime a


qualsiasi prezzo. Vorrebbero vivere lunghi anni — « fino
alla fine del m ondo », dice S. Teresa nella sua Vita (37,2)
— per servire D io e il prossimo 1I5.
A scoltiam o le sue parole: « M a ecco ciò che più mi
sorprende. A vete veduto i tormenti e le desolazioni di queste
anime per il desiderio di morire e d’andare a godere Iddio.
M a ora bramano si ardentemente di servirlo, di farlo da tut­
ti glorificare e di potersi affaticare per il profitto anche solo
di un’anima, che non soltanto non sospirano più di morire,,
ma desiderano di vivere m olti anni in m ezzo a gravissimi
travagli, per poter ottenere che il Signore sia lodato anche
solo per poco. N o n si curerebbero neppure se fossero sicure
d ’andare subito a D io appena uscite dal corpo, perché alla
gloria dei santi non pensano, né per allora la desidera­
no. L a loro gloria è nel poter aiutare il loro D io crocifisso,
specialmente quando vedono fino a che punto sia E g li o f­
feso e come pochi cerchino davvero il suo onore, trascurando
tutto il resto » (n,6).
T ali sono i sentimenti di tutti i santi. S. Ignazio di L oyo -
la giunse a dire che avrebbe preferito rimanere in questo
m ondo servendo D io e aiutando le anime con pericolo della
sua dannazione, anziché andarsene immediatamente al cielo
con detrimento di codeste anime 116. E ancor prima di lui,
S. Paolo aveva già espresso il desiderio di essere, se fosse
stato necessario, separato da Cristo per la salute dei suoi
fratelli (Rom. 9,3).
6) Distaccamento da tutto il creato, ansia di solitudine, as­
senza di aridità spirituali. - Si comprende perfettamente
come un’anima la quale gode quasi abitualmente degli inef­
fabili diletti che derivano dalla trasformante unione con D io
giunga a ritenere come immondizie tutte le cose di questo
mondo (Fil. 3,8), e ami di restare sola con D io in dolce
e intima conversazione.
« T ali anime sono staccate da tatto, e loro costante
desiderio è di star sole o di lavorare per il profitto di qualcuno.
N o n hanno né aridità né pene interiori e non vorrebbero

115 L a m aggior parte degli uom ini vorrebbe vivere « fino alia fine del
m ondo », contrariamente ai santi che in certi p eriodi della lo ro vita desi­
derano di m orire. I l m otivo è diametralmente opposto. I prim i sono e g o i­
sti e attaccati a questa vita; i secondi sono dimentichi di se stessi e di­
staccati dai lo ro interessi.
116 C f. R i b a d e n e i r a , Vida d el Bienaventurado P . Ignacio de L o y o la I .5 , c.2 .
L A V IT A DI O R AZION E 909

far altro che lodare D io, di cui vanno teneramente occupate.


Quando si distraggono, sono richiamate da D io stesso nella
maniera che ho detto, e l’impulso con cui le sveglia —
non so che altra parola adoperare — procede dal loro stesso
interiore, com e ho già detto trattando degli im peti... Sareb­
bero sempre sufficienti per ripagarci d’ogn i possibile trava­
glio questi suoi tocchi d’amore cosi soavi e penetranti »
(n.8 e 9).
7) Pace e quiete imperturbabile. - L ’anima giunta a
queste altezze gode in m odo permanente di una im pertur­
babile pace. N on c’è tempesta che possa com m uovere
il centro più intimo di queste anime, convertito in un ocea­
no di tranquillità. S. Teresa avverte che in questo asilo
« non crede che il demonio ardisca e che D io gli permetta
d’entrare » (n.io); e che tutte le grazie sono concesse dal
Signore « in m odo calm o e silenzioso... giacché in questo
tempio di D io , in questa mansione che è sua, D io e l’anima
si godon o in altissimo silenzio » (n .n ). È la perfetta realiz­
zazione di quel « sol con lui solo » che S. Teresa voleva
per tutte le sue figlie “ 7 e che costituì l’unica brama
di Suor Elisabetta della Trinità.
8) Assenza di estasi e di rapimenti. - Tanto profonda
è questa pace e quiete interiore, che non viene perturbata
neppure da fenomeni mistici violenti. L ’anima n on ha più,
eccetto rarissime volte, estasi e rapimenti, quantunque le
com unicazioni divine siano più intense e penetranti di pri­
ma. L a ragione di ciò occorre cercarla non solo nella m ag­
gior fortezza dell’anima, che si è abituata a codeste com unica­
zioni cosi da sopportarle senza cadere nello svenim ento dell’ e­
stasi, ma inoltre e principalmente perché l’azione di D io
ricade p ili direttamente sullo spirito, con totale omissione di
tutto quello che è organico e corporale II8.
« L ’anima arrivata a questo punto non va più soggetta
ad alcuna estasi... E se qualche volta v i va ancora, non è
mai con quei rapimenti e v o li di spirito di cui ho parlato...
N on servono più ad eccitarvela neppure quelle grandi
occasioni che prima accendevano la sua devozione, come
un’immagine devota, le note d’una musica, oppure una
predica che poi quasi non ascoltava. Siccom e la povera
farfalletta era tutta in ansietà, si spaventava d’o gn i cosa

JI7 Cf. Vita 36, 29 .


118 Cf. S. G i o v a n n i d e lla C r o c e , Notte II, 1 ,11.2; e Cantico 13,6.
9 10 LA V IT A C R IS T IA N A N E L SU O S V IL U P P O ORDINARIO

se prendeva il vo lo . O ra, invece, sia che abbia ormai scoperto


il suo riposo; sia che per le grandi m eraviglie vedute in que­
sta mansione non si stupisca più di nulla; sia che per aver
trovato una tale com pagnia non si senta più sola com e prim a...
fatto sta, sorelle, che non è più cosi. Sarà perché... il Signore
l’ha fortificata, dilatata e resa più abile... » (n.12).

471. 5 . La morte dei Santi. - Si com prende


com e la m orte dei santi giunti a simili altezze debba
essere dolcissima e veram ente ineffabile. P iù che il
castigo inerente alla natura umana caduta per il
peccato, ved ono in essa un prem io e una liberazione.
« N o n hanno più paura della m orte che d’un soave
rapim ento » dice S. Teresa u*. S. G iovan n i della C ro­
ce descrive m agistralmente la m orte di queste anime
privilegiate:
« Q u i è da avvertire che la m orte naturale delle persone
giunte a tale stato, benché nel resto sia simile a quella di tut­
ti gli altri, nondim eno nella causa e nel m odo è m olto dif­
ferente; perché, se gli altri m uoiono per malattia o vecchiez­
za, le persone di cui parliamo, pur m orendo durante un’in­
fermità o nella pienezza degli anni, non sono tolte alla vita
terrena da uno strappo violento dell’anima, ma da qualche
im peto o incontro am oroso m olto più sublime dei prece­
denti, e si potente da squarciare la tela e portarsi via quel
prezioso gioiello dell’anima. E cosi la m orte di tali persone
è m olto dolce e serena, più di quanto non fu tutta la vita spi­
rituale di quaggiù, poiché m uoiono con p iù sublim i impeti
e gustosi incontri di amore: sono com e il cign o che, vicino a
morire, canta più dolcemente. B en a ragione D avid e disse che
« è preziosa al cospetto del Signore la m orte dei santi suoi »
(Sai 115,5); perché in essa si adunano tutte le ricchezze
dell’anima, ed entrano nel mare i fiumi del suo amore, i
quali sono iv i tanto gonfi e vasti, che già sembrano mari » 110.

È la morte di amore, che tante v o lte sogn ò S. Teresa


del B am bino G esù e che di fatto ottennero tutti i santi
trasformati. L a loro m orte n on è altro che il transito

” 9 Cf. Settime mansioni 3,7.


120 C f. Fiamma strofa 1, n.30.
L A V IT A D I O R AZION E 9 11

alla gloria, com e dice S. G iovan n i della Croce: « Cotali


anime (e sono poche), essendo già purgatissim e per l ’a­
more, n on entrano in purgatorio; e perciò S. M at­
teo (5,8) dice: “ Beati mundo corde, quoniam ipsi Deum
videbunt” » lal.

472. 6. Tutti potremo giungere a queste altez­


ze. ~ Q uesto ideale sublime di perfezione e di santità è
aperto a tutte le anime in grazia. La frase del Signore
« siate perfetti com e è perfetto il vo stro Padre celeste»
(Mat. 5,48) è rivolta a tutti senza eccezione. E questo si
deduce con ogni evidenza dall’ultim o testo che abbia­
m o citato di S. G iovan n i della C roce. Infatti, se solo
i santi che hanno raggiun to l ’ultim o grado di amore
nelle vette dell’unione trasform ante non vanno in pu r­
gatorio, ne segue logicam ente che codesto stato di tra­
sform azione dovrebbe essere il term ine norm ale di
ogn i vita cristiana, a m eno che riteniam o che D io v u o ­
le a priori che alcuni vadano in purgatorio. L a vita cri­
stiana, svolgen dosi gradualm ente e senza ostacoli, do­
vrebbe sfociare necessariamente nella unione trasfor­
mante con D io , che in questa maniera verrebbe ad esse­
re per tutti il preludio norm ale della visione beatifica.
Q uesti insegnamenti della teologia sono stati pienamente
conferm ati dai mistici sperimentali. S. Teresa invita tutte le
anime senza eccezione alcuna:
« Pensate che il Signore in vita tutti. E g li è V erità e la
sua parola non è da mettersi in dubbio. Se il suo invito
non~ fòsse generale, non ci chiamerebbe tutti, e quand’anche
ci chiamasse, n on direbb e:“ Io v i darò da bere” (G io v. 7,37).
A vreb b e potuto dire: V enite tutti, ché non avrete nulla da
perdere, e io darò da bere a chi vo rrò . M a siccom e non
pose alcun limite e disse “ tutti ” , cosi ten go per certo che
n on fermandoci per via, arriverem o a bere di quell’acqua
viva »al.

121 C i. Notte 11,20,5.


122 C f. Cammino di perfezione 19,15.
9 12 LA V IT A C R IS T IA N A NEL SU O S V IL U P P O ORDINARIO

« Tenete per certo che a quanti abbandonano tutto per


amore di D io , E g li dà tutto se stesso. N on è accecatore di
persone, ama tutti indistintamente, per cui nessuno, anche
se m olto cattivo, può ancora allegare delle scuse... » t53.
Poiché questo testo si riferisce alla contem plazione in
generale, eccone un altro m olto espressivo, che allude alle
sublim i altezze del m atrim onio spirituale:
« È fuori dubbio che tanto più E g li ci riempie di se
stesso quanto più ci vuotiam o di o gn i cosa creata, distac­
candocene per amor suo. Per questo G esù Cristo Signor
N ostro pregando una vo lta per i suoi A p o sto li, domandò
— non so bene in che circostanza — che fossero una cosa
sola col Padre e con luì, come Egli, Gesù Cristo Signor Nostro,
è nel Padre e il Padre in lui (G io v. 17,21). N o n so se possa
darsi m aggiore amore! A n ch e n oi v i siamo comprese,
perché il Signore disse: Non prego soltanto per essi, ma anche
per coloro che crederanno in me (Ivi, 20). A g g iu n g e inoltre:
lo sono in essi (Ivi 23). Oh! com e sono vere queste parole!
Com e le intende e le sperim enta bene l ’anima in questa
orazione. A nche n oi le intenderem m o se non fosse per
nostra colpa, perché le parole d i G esù Cristo, nostro Re
e Signore, non possono mancare. M a siccom e manchiamo
noi, non disponendoci e non allontanandoci da quanto
ci può intercettare questa luce, cosi non riusciam o a veder­
ci in questo specchio, nel quale la nostra immagine è pure
impressa » 12
S. G iovann i della Croce da parte sua ripete la medesima
dottrina di S . Teresa. D o p o aver descritto le sublim i altezze
dell’unione trasformante — nelle quali le anime unite a D io
« posseggono per partecipazione gli stessi beni che Iddio
possiede per natura, per il che veramente sono dèi per
partecipazione, simili a D io e suoi com pagni » — esce nella
seguente dolorosa esclamazione:
« O anime create per queste grandezze e ad esse chiama­
te, che fate ? in che v ’intrattenete ? L e vostre aspirazioni
sono bassezze e le vostre possessioni miserie. O lacrim evo­
le cecità della vostra mente! poiché siete ciechi a tanta
luce, e sordi a si gravi vo ci, non accorgen dovi che, mentre
cercate grandezze e gloria, ve ne rimanete miseri e vili,
ignari e indegni di tanti beni! » I3s.

“ 3 C f. Vita 27,12.
1:4 C f. Settime mansioni 2,7-8.
TI5 C f. Cantico c.39, n.6 e 7.
M E Z Z I SE C O N D A R I IN T E R N I... 913

2. Mezzi secondari per l’aumento e lo sviluppo


della vita della Grazia

Esaminati i m ezzi fondam entali per l ’aum ento e lo


svilu p po nelle nostre anime della vita cristiana, tan­
to e x opere operato quanto e x opere operantis, studierem o
ora brevem ente i me^xj secondari, che hanno pure una
grande im portanza nella pratica. Q uesti m ezzi sono di
due specie: interni ed esterni. I prim i si suddividon o in
due gruppi: p sicologici e fis io lo g ic i1.

C A P IT O L O IV

M E Z Z I S E C O N D A R I IN T E R N I D I P E R F E Z I O N E

Chiam iam o cosi quei m ezzi che n on procedon o da


una influenza estrinseca del m ondo che ci circonda, ma
ch e sgorgano dalle profon dità stesse del nostro essere.
Si posson o suddividere in due gruppi: psicologici e
fisiologici, secondo che si riferiscono principalm ente
all’anima o al corpo.

i) STIMOLI PSICOLOGICI
N on è possibile uno stimolo p sicologico che tocchi
L’essenza della nostra anima. Siccom e è una realtà puramente
entitativa, non sta in nostro potere modificarla sostanzial­
mente né accidentalmente. N on sostanzialmente, perché è

1 Rim andiam o ii lettore allo schema del n. 218, d o ve abbiamo esposto


la via che percorrerem o.
9 14 LA V IT A C R IS T IA N A NEL SU O S V IL U P P O ORDINARIO

chiaro che neppure D io stesso potrebbe transustan^iare la


nostra anima in un ’altra, senza che per ciò stesso cessassimo
di esistere; la nuova anima non sarebbe più la nostra, e il
nostro io sarebbe stato completamente distrutto. Neppure
accidentalmente, perché le modifiche accidentali non toccano
la sostanza in se stessa, ma unicamente le sue apparenze
esterne.
L ’unica cosa che si può m igliorare sono gli atti che pro­
cedono dalle potenze dell’anima e attraverso ad essi le me­
desime potenze, che sono, rispetto all’essenza dell’anima,
quello che gli accidenti sono rispetto alla sostanza.
O ra le potenze dell’anima sono due: l ’intelletto e la vo lo n ­
tà. V edrem o, quindi quello che in ciascuna di esse si può rea­
lizzare naturalmente e soprannaturalmente.

A ) ST IM O L I C H E T O C C A N O L ’IN T E L L E T T O

D u e m ezzi im portantissim i di m iglioram ento to c ­


cano principalm ente Yìntelletto: la presenta di D ìo e
r esame di coscienza. Il prim o ci colloca dinanzi a D io ,
che presiede in ogni m om ento tutto quanto stiam o
pensando o facendo. Il secondo ci colloca dinanzi a^_,
noi medesimi, dandoci la perfetta conoscenza del nostro
interno con le sue lotte, le sue miserie, le sue aspirazio­
ni e speranze.

A rtico lo I

L a presenta di D io

S e A.RAMELLI, Direttorio asettico t. i tr. i . a.7; R ib e t , Uascètiqut chrétienne


c. 33; T a n q u e r e y , Compendio di Teologia ascetica e mistica nn. 446-7; N a -
v a l , Curso de ascètica y mistica nn. 70-73; D e G u ib e r t , Theologia spiri-
tualis n n .307-11.

473. 1. N a t u r a . - Q uesto esercizio coesiste nel con­


siderare con la massima frequenta possibile che D io e pre-
M E Z Z I SE C O N D A R I IN T E R N I... 915

jente in ogni luogo, « in modo particolare nel nostro cuore


e, quindi, «e/ compiere tutte le cose sotto i l suo sguardo.

474 . 2. Efficacia santificante. - La S. Scrittu­


ra e la T radizione sono unanim i nel m ettere in
rilievo la grande im portanza pratica e l’efficacia
santificante dell’esercizio della presenza di D io . « Cam ­
mina alla mia presenza e sii perfetto », disse D io mede­
simo al patriarca A b ram o (G en. 17,1). Chi è intim a­
mente persuaso che D io lo sta guardando, sì sforzerà,
da una parte, di evitare il più p iccolo peccato volonta­
rio e, dall’altra, procurerà di vivere raccolto e devoto,
com e richiede la presenza di cosi grande Maestà.
Q uesto esercizio, ben praticato, m anterrebbe costante-
mente l ’anima in spirito di orazione e la eleverebbe in
breve tem po alla contem plazione e intim a unione con
D io. S. Francesco di Sales giun ge a dire che « questo
esercizio può supplire alla mancanza di tutte le altre
orazioni; ma la mancanza di questo non p u ò essere in
nessun m odo compensata con altro m ezzo » l .

475. 3. Fondamento teologico. - N o n è u n ’illusio­


ne dell’anima, ma una verità di fede, che siamo continua-
mente alla presenza di Dio.
L a T eo lo gia distingue cinque maniere diverse di
presenza di D io:
1 ) Presenza di immensità. - U no degli attributi più im por­
tanti di D io è la sua immensità: D io è immenso. In virtù
■di questa immensità è realmente presente in tutte le cose
— et intime, dice S. Tom m aso 1 — persino nel più piccolo
granellino di sabbia.
In virtù di questa presenza di immensità D io si trova
in tutte le cose in una triplice maniera: per essenza, per pre­
senta e per potenza 1.

1 FiloUa p.2. a ,c .iv


2 Cf. I,8 ,i.
3 C f. I 8.*.
916 LA VITA CRISTIANA NEL SUO SVILUPPO ORDINARIO

a) Per essenza, in quanto che D io dà l ’essere a tutto quan­


to esiste. N o n esiste né può esistere un essere creato che non
sia in questa maniera ripieno di Dio. In questo senso, D io è
presente anche in u n ’anima in peccato mortale e persino nel
dem onio. Se D io si ritirasse da un essere qualsiasi — ri­
tirando, per conseguenza la sua azione conservatrice, che
equivale a una creazione continua — immediatamente co­
desto essere ritornerebbe nel nulla. Perciò, ha p otu to scri­
vere un pensatore, con una frase incisiva, che « se D io
potesse addormentarsi, si sveglierebbe senza le creature » 4.
Corollario. - Q uando com m ettiam o un peccato, offendia­
mo D io nel momento stesso in cui ci dà l'essere. fi im possibile im ­
maginare una ingratitudine più grande.
b) Per presenta, in quanto che nulla assolutamente sfug­
ge al suo sguardo.
Corollario. - D i giorno e di notte, con la luce accesa o
spenta, siamo sempre alla presenza di D io . Quando pecchia­
mo, pecchiamo dinanzi ai suoi occhi, faccia a faccia con D io .
c) Per potenza, in quanto che tutte le cose stanno sottom es­
se al suo potere. Con una sola parola le creò e con una sola
parola le potrebbe annientare.
Corollario. - Siamo appesi a D io com e a un filo...
2) Presenza di inabitazione. - E una presenza speciale
realizzata per m ezzo della grazia e delle operazioni che pro­
cedono da essa in virtù della quale D io è presente n ell’ani­
ma giustificata in qualità di amico, rendendola partecipe del­
la sua vita divina. N e abbiamo già parlato altrove (cf.
nn. 96-98).
3) Presenza sacramentale. - È quella propria di G esù
Cristo presente nell’Eucarestia. In virtù della consacrazio­
ne eucaristica, G esù Cristo è realmente presente sotto le
specie del pane e del vino, benché con una presenza specialis^
sima — per modum substantiae — che prescinde dall’estensio­
ne e dallo spazio.
4) Presenza personale o ipostatica - È propria ed esclusi­
va di G esù Cristo. In virtù di essa, l ’umanità di Cristo sus­
siste nella medesima persona del V erbo . Per questo, Cri­
sto è personalmente D io stesso, la seconda Persona della
SS. Trinità fatta uom o.
5) Presenza dì manifestazione. - È quella propria del cie lo .

4 G a r - M a r , Sugenncias p.2.a, c.23: L a voluntad creadora 6. ed iz., 535.


MEZZI SECONDASI INTERNI... 917
D io è presente in ogn i parte; però non in tutte si lascia
vedere, ma soltanto in cielo, dinanzi allo sguardo attonito
dei beati (visione beatifica).
O ra, di queste cinque presenze, quelle che più diretta-
mente riguardano l ’esercizio della presenza di D io sono le
due prime, ossia la presenza di immensità e quella di ina­
bitazione. La prima ci segue in ogn i parte anche quando
l ’anima si trova in peccato mortale; la seconda è pure abi­
tuale e permanente, ma soltanto per le anime in grazia.

4 7 6 . 4. Conseguenze della presenza di Dio. - La


presenza di D io p o rta a co n segu en ze p ra tich e di gra n ­
de im p o rtan za p e r la v ita cristiana. L e p rin cip ali
sono;
x) Ci obbliga ad evitare le più piccole colpe deliberate. -
Dinanzi ad un superiore o a una persona rivestita di dignità
non le commetteremmo (se non altro per elementare e-
ducazione). La dignità di D io che ci contempla è infinita.
E g li ci vede anche nell’interno: occorre evitare quindi tutto
ciò che lo può offendere.
2) Ci obbliga a compire le cose con la massima perfe­
zione. - Cosi facevano i santi. Il biografo del S. Curato-
d’A rs dice « che non diceva nè faceva nulla che si potes­
se dire o fare m eglio » (Trochu). Il Vangelo dice di Gesù
che « fece bene ogni cosa » (Marco 7,37). Questa sola norma
sarebbe sufficiente per santificarci.
3) Ci obbliga a osservare sempre la più grande modestia
anche quando siamo soli. - S. Pietro d’Alcantara rimaneva
sempre a capo scoperto a m otivo della presenza di Dio.
S. Francesco di Sales osservava la più assoluta modestia
nel comportam ento esterno anche quando era solo. M ons.
Camus, suo amico, con indiscreta curiosità praticò alcuni
piccoli fori nella porta del santo vescovo per osservare
quello che faceva quando restava solo. E g li testimoniò:
« Rimanendo solo conservava la medesima posizione che
conservava davanti a una grande assemblea V o lli osservare
se rimanendo solo incrociasse le gambe, o le mettesse a
cavalcioni, o se appoggiasse la testa al gom ito. N on ho mai
visto una cosa simile. Conservava sempre una gravità ac­
compagnata da una tale mansuetudine che riem piva di amo­
re e di rispetto tutti coloro che lo osservavano » J.

5 Cf. H anom , Vida de San Francisco de Sales t.z , 1. 7, p. 479-


9 1S LA VITA CRISTIANA NEL SUO SVILU PPO ORDINARIO

4) Aum enta la nostra fortezza ed energia nella lotta. -


Il soldato com batte con raddoppiato valore quando sa
che il suo capitano lo sta contem plando e che lo ricompense­
rà splendidamente al termine della battaglia incoronandolo
con l’alloro della vittoria.

477. 5. Modo di praticarla. - L a p resen za d i D io


si p u ò praticare:
a) Per v ia di rappresentazione esterna, ossia, pensando
che D io ci stà realmente di fronte, anche se i nostri occhi
non lo vedono perché sono bendati. N o n possiamo, quin­
di, compiere nulla che sfugga o rimanga occulto al suo
sguardo. Per questo possiamo immaginare che Cristo cro­
cifisso ci stia dinanzi v iv o , ci guardi realmente, come avreb­
be fatto il Venerdì Santo se fossim o stati presenti alla sua
morte.
V) Per Yia di raccoglimento interno, ossia, pensando
che D io è realmente presente in noi in quanto Uno, mediante
la sua immensità, e in quanto Trino, mediante la sua amorosa
presenza di inabitazione. Bisogna fare tutto con un m oto
verso dentro — come diceva Suor Elisabetta della Trinità —
in intima unione affettiva coi nostri divini O spiti.
È un esercizio altamente santificante, che riunisce ad un
tem po, la pratica della presenta di Dio e quella di un’intima
vita interiore o di intima unione con D io . ,
Possono risultare pure m olto utili altri mezzi secondari
indicati dagli autori, tali come abituarsi a vedere D io in tut­
ti gli avvenim enti prosperi e avversi della nostra vita, nelle-
creature, nella persona del superiore o di qualsiasi altro.
L ’anima deve provare questi vari ‘ procedimenti ed insi­
stere soprattutto su quello che la porta di più al raccogli­
mento e al compimento fedele di tutte le sue obbligazioni.
Certo, per quanti sforzi facciam o, non riusciremo mai
a mantenerci totalmente in questa presenza mentre cammi­
niamo per le vie dell’ascetica e le prime manifestazioni
della mistica. Solamente le anime giunte all’unione trasfor­
mante raggiungono questo ideale supremo, vera anticipa­
zione dell’ eterna presenza di D io in cielo.
MEZZI SECONDARI INTERNI... 9 19

A r tic o lo II
L'esam e di coscienza

S c a r a m e l l i , Direttorio ascetico t . i t r . i . c.9; T a n q u e r e y , Compendio di Teo­


logia ascetica e mistica nn. 461-76; P o l l i e n , L a vita interiore semplificata p-3-a
1.2 cc.6-10; G a r r i g o u - L a g r a n g e , L e tre età p .z.a c.4; N a v a l , Curso de
ascètica y mistica nn. 78-81.

Il secondo mezzo psicologico che tocca l’intelletto è


l ’esame di coscienza, che per sé è ordinato a darci una cono­
scenza esatta di noi medesimi.

478. 1. Natura. - Si p u ò definire una inquisi­


zione della nostra coscienza per verificare g li atti buoni 0
cattivi che abbiamo compiuto e, soprattutto, l'attitudine fo n ­
damentale della nostra anima di fronte a D io e alla nostra
santificazione.
N o n tutti gli autori danno questa definizione dell’esa­
me di coscienza. M olti di essi si accontentano di indicare
un m etodo per verificare il numero esatto di mancanze
commesse durante il giorno, allo scopo di stabilire un para­
gone con il numero di quelle commesse nei giorni pre­
cedenti e ottenere cosi una specie di contabilità matematica
che indica il nostro progresso o regresso nella vita spiri­
tuale. Crediamo che questa concezione puramente negati­
va dell’esamè gli sottragga gran parte della sua efficacia,
oltre a implicare il pericolo di spingere le anime alla m eticolo­
sità, all’inquietudine, allo scoraggiam ento e allo scrupolo.
479. z. Importanza. - I maestri della vita spirituale una­
nimemente dànno grande importanza a questo esercizio
ben praticato. T ra tutti si distingue S. Ignazio di Lovola
« che, nella direzione dei suoi com pagni, adoperò per m olto
tempo soltanto l’esercizio dell’esame e l’uso frequente dei
sacramenti. N elle costituzioni del suo O rdine, l’esame ha
un’importanza tale, che nulla può dispensare da ciò. L a ma­
lattia od altre necessità gravi potranno esentare dall’ora­
zione e dagli altri esercizi, non mai dall’esame » ó.

® Cosi dice P o l l i e n in L a vita interiore semplificata p .3.a 1.2, p.464.


C f. n.2Ói, 342 e 344 delle Costituzioni della Compagnia di Gesù' in Otras
920 LA VITA CRISTIANA N EL SUO SVILU PPO ORDINARIO

N ell’antichità pagana, Pitagora aveva già inculcato ai


su o i discepoli l’esame di coscienza — nasce teipsum — come
il vero m ezzo per acquistare la sapienza.

480. 3. Divisione. - S. Ignazio distingue due specie di


esami: quello generale e quello particolare 7. Il primo è una
visione d’assieme che tende ai m iglioram ento generale di
tutta la nostra vita. Il secondo si fissa in m odo speciale so­
pra un difetto determinato da estirpare e sopra una deter­
minata virtù da acquistare.
L ’esame particolare abbraccia tre tempi: il prim o —
preventivo — la mattina allo svegliarsi in cui si propone di
emendarsi da una mancanza concreta; il secondo, a mezzo­
giorno dopo la refezione, in cui si scoprono le mancanze com ­
messe nella mattinata e si propone l’emendazione nella sera;
il terzo, la sera dopo la cena (n. 24 e 25).
L ’esame generale abbraccia cinque punti: 1. ringraziare
D io per i benefici ricevuti; 2) chiedere la grazia di conoscere
i peccati e di'detestarli; 3) esaminare dettagliatamente i pec­
cati commessi in pensieri, parole e azioni; 4) chiedere perdo­
no a D io; 5) proporre di emendarsene e recitare il Padre
nostro (n. 43). L ’esame generale si pratica una sola volta al
giorno, la sera prima del riposo.

4 8 1. 4 . Modo di farlo. - P er ricav are da q u e ­


sto e se rcizio il m assim o fr u tto è n ecessa rio sap erlo
p ra tic a re . D e n tr o le lin ee d ire ttrici d i S. I g n a z io — co n
le q u a li sì p u ò a rm o n izza re b e n issim o — ci p are ch e
n essu n o sia riu sc ito a p r o p o rre u n m e to d o ta n to sem ­
p lice e d efficace q u a n to q u e llo d e ll’a u to re di h a vita
interiore semplificata, p u b b lic a ta d a l T is s o t. R ia ssu m ia ­
m o i su o i p u n ti fo n d a m e n ta li, cita n d o testu a lm en te le
sue p a ro le 8.
1) G li esercizi di pietà devono essere uniti, sotto pena

iompletas de San Ignacio, B .A .C .M ad rid ), quantunque in questi num eri non


sì dica nulla circa la dispensa dall’esame.
7 C f. Esercizi spirituali di S. Ignazio n.24-43.
8 Sono i cc.7-10 d e ll .2 della p. 3.a. Tuttavia, avvertiam o che questo m e­
to d o tanto semplificato forse n on conviene ancora ai principianti. O ccorre
essere abituati alla propria introspezione per ricavarne vantaggio.
MEZZI SECONDARI INTERNI...

di rimanere confinati a un momento determinato del giorno,


senza un influsso vivificante su tutto il resto della vita. L ’e­
same deve essere il lo to legam e di unione.
2) La filosofia c’insegna che l’atto è transitorio e l’abi­
to permanente. L ’atto passa, l’abitudine resta. G li abiti so­
no, quindi, le corde che è necessario far vibrare. La sola co­
gnizione degli atti non potrà mai darmi una profonda cono­
scenza della mia anima. Soltanto con essa non arriverò mai
a fare, nel senso profondo della parola, un vero esame di
coscienza. La cognizione degli atti può essere utile talora è
necessaria. M a bisogna penetrare più addentro. L a coscienza
è ciò che vi è di più intim o e di più segreto in me; è il santua­
rio del tempio. Per fare veramente l’esame di coscienza, bi­
sogna penetrare in questa segreta intimità. In essa si trovano
le abitudini e le disposizioni dell’ anima. D alla conoscenza
di queste apprenderò lo stato dell’anima mia e non altri­
menti.
3) O ra, come conoscere questo stato, come cogliere ciò
che io chiamerò la fisionomia del mio cuore ? Per coglierla
10 mi faccio questa semplice domanda: dov’è il mio cuore?
Istantaneamente mi giunge la risposta dall’interno. Que­
sta domanda infatti mi fa gettare una rapida occhiata al
centro di me stesso o ve subito scorgo il punto saliente;
applico l’udito al suono che dà la mia anima, e immediata­
mente percepisco la nota dominante. Il procedimento è
intuitivo, istantaneo. Posso ripeterlo centinaia di volte al
giorno. N on occorre investigare, compiere sforzi di memoria,
calcoli matematici. È u n ’occhiata, rapida e sicura, che mi
dice immediatamente in che posizione si trova la mia anima:
diretta verso D io , verso se medesima o verso le cose esterne
che la disgregano e dissipano. Codesta disposizione fonda-
mentale è la grande molla che mette in m oto le varie parti
dell’orologio. Se vogliam o che tutto il resto cammini bene,
questa dev’essere affinata e corretta.
4) Q uello che meno importa sono i dettagli, il numero
esatto delle manifestazioni esterne di quella disposizione
fondamentale 9. N on devo tagliare i rami dell’albero quando
11 medesimo albero è tagliato, né devo seguire il corso dei
ruscelli quando mi trovo alla fonte da cui nascono. N on

9 L ’autore presuppone che si tratti unicamente dì im perfezioni e di


colpe veniali, che non è necessario confessare. L a cosa cambierebbe aspet­
to se si trattasse di peccati mortali, che bisogna sottoporre, tutti, al pote­
re delle chiavi.
922 LA VITA CRISTIANA NEL S U O SVILUPPO ORDINARIO

si stimeranno insensati gli sforzi di un uom o che si diverte


a turare, l’uno dopo l ’altro, i piccoli fori di un getto poten­
te da cui zampillano abbondanti acque, mentre ha sotto ma­
no una chiavetta che potrebbe chiudere d’un tratto il getto
intero ? Fermandosi ai piccoli fori, si espone egli al pericolo
di vederseli via via aprire nuovamente. Chi nell’esame s’ar­
resta ai particolari ed alle esteriorità, perde tempo come chi
si ferma a turare i piccoli fori... l’occhiata interiore chiude
la ch ia vetta I0. È certo che gli atti esterni sono quelli
che rivelano la situazione interna; però questa situa­
zione posso scoprirla anche osservandola direttamente, sen­
za perdermi nel bosco delle sue manifestazioni esterne.
5) Però, preoccupandom i esclusivamente di questa dispo­
sizione principale, non perderò di vista le altre disposizio­
ni del cuore, che cresceranno cosi nell’ombra, senza che me
ne renda conto ? Questo pericolo non esiste. Codeste disposi­
zioni non possono aprirsi il varco per uscire, se la chiave
del cuore è ben chiusa, cioè, se esso si trova rivolto e indi­
rizzato tutto a D io per il risultato dell’esame. T utte le dispo­
sizioni secondarie sono, pertanto, soggette. D e l resto, la
disposizione dominante non sempre è la medesima; i difetti
si manifestano ognuno a sua volta, secondo le circostanze,
e sino dal momento in cui giungono a dominare per mezzo
di un impeto qualsiasi, l’esame se ne impadronisce e li re­
prime.
6) Posso io contentarmi di questo sguardo ? Vedere è
forse tutto ? N o , ma è il principio di tutto. Perché voglio
vedere ? Perché, per assecondare il m ovim ento della grazia
e quello di ascesa verso D io , è necessario correggere i di­
fetti che si comm ettono, fortificare e sviluppare il buon mo­
vim ento quando esiste. Questa conoscenza sarebbe incom­
pleta se non conducesse alla contrizione e al proposito. La
contrizione corregge il male ed il proposito rafforza il bene;
la contrizione guarda la strada percorsa, il proposito guarda
il cammino da percorrere. La contrizione deve giungere a
ispirarsi, come a m otivo essenziale, all’amore perfetto, al­

10 II P . G a r r i g o u - L a g r a n g e in s is t e s u q u e s t a id e a : « Si tra tta m eno di


a v e r d i m ir a l ’ e n u m e r a z io n e c o m p le t a d e ll e c o l p e v e n ia li c h e d i v e d e r e e d
a c c u s a r e s in c e r a m e n t e i l p r in c ip i o d a c u i g e n e r a lm e n t e e s s e d e r iv a n o in
n o i. P e r g u a r ir e u n a e r u z i o n e , n o n s i p e n s a a c u r a r e s e p a r a t a m e n te c ia s c u n a
d e lle p i c c o l e p u s t o l e c h e a p p a r is c o n o s u lla p e lle , m a s i c e r c a p iu t t o s t o d i
d e p u r a r e il s a n g u e » (Le ire età p .2 .a , c .4 ).
M E Z Z I SEC O N D A R I IN T E R N I... 923

l’amore di D io per se stesso e per la sua gloria. La risolu­


zione deve portarmi pure all’unica cosa essenziale: alla co­
noscenza di D io , alla sottomissione alla sua volontà, alla con­
formità col m ovim ento della sua grazia. Questa risoluzione
posso e debbo particolareggiarla per farla giungere al pun­
to più saliente di raddrizzare cioè la tendenza, che si è mag­
giormente allontanata da D io o consolidare quella che gli si
è maggiormente avvicinata, e così indirizzare il mio cuore al­
la gloria di D io , nella volontà di D io , nella grazia di D io.
O ccorre sempre ritornare a questo punto.
7) I tre elementi costitutivi dell’esame di coscienza sono
dunque: l’occhiata, la contrizione e la risoluzione. T utti e
tre si possono adattare perfettamente all’esame generale e al
particolare di cui parla S. Ignazio. N el generale, l’occhiata
si renderà conto, in primo luogo, della disposizione dominante
durante il giorno. Posso quindi estenderlo alle disposizioni
secondarie che hanno occupato l’anima un istante, però senza
giungere a dominarla del tutto. L a contrizione raddrizzerà
ciò che è storto e la risoluzione consoliderà ciò che è retto.
L ’esame particolare è ancora più facile; in realtà, l’ho già fatto
allo scoprire la mia disposizione fondamentale. Il suo scopo
è di atterrare il G olia, il difetto predominante. Uesame par­
ticolare fatto al principio del giorno deve servire per assicu­
rare la buona direzione delle azioni e per farmi evitare i
falli ai quali sono più esposto.
8) In questa maniera, l’esame conferirà unità e consisten­
za a tutta la mia vita cristiana. Per mezzo di esso vedo,
sono illuminato, evito i pericoli, correggo i difetti, raddriz­
zo i sentieri. Per m ezzo di esso registro e vedo chiaro il mio
interiore; e in questo m odo non posso rimanere nel male,
ma mi vedo obbligato a progredire nella pietà.

T a le ese rcizio , b e n p ra tica to , ha un a p ro fo n d a


rip ercu ssio n e su tu tta la n ostra v ita sp iritu ale. In esso
p e rò , co m e in o g n i co sa, l ’efficacia è v in co la ta p rin ci­
p alm en te alla p ersevera n za . O m ettere co n freq u en za
l ’esam e o esserg li m aterialm en te fed e le, p ra tic a n d o lo
p erò c o n u n o sp irito ab itu d in a rio e senza v ita , sign ifi­
ca co n d an n arlo a una sterilità quasi assoluta. L ’anim a
ch e v u o le santificarsi v era m en te d eve p ersu ad ersi che
si fru streran n o in gra n p arte g li altri m ezzi di p rò -
924 LA V IT A C R IS T IA N A N EL SU O S V IL U P P O ORDIN ARIO

g resso se n o n v e n g o n o so tto m e ssi al c o n tro llo d e ll’e­


sam e q u o tid ia n o d i co scien za p ra ticato co n fed eltà.

B) S T IM O L I C H E T O C C A N O L A V O L O N T À

P rin cip a lm en te q u a ttro g ra n d i stim o li p s ic o lo g ic i


m u o v o n o la v o lo n tà p er il p ro g r e s s o n ella v ita sp iritu a­
le. Il p rim o è r energia di carattere. E s s e n d o p u ram en te
naturale, n o n p u ò essere affatto causa di p ro g re s s o
n ella v ita sopran n aturale; p e r ò p u ò c o n tr ib u irv i re­
motamente, co m e o ttim a d isp o siz io n e n atu rale p o sta
al s e rv iz io d ella g razia . G li a ltri tre — g ià di tip o so ­
p ran n atu rale e so tto il d o m in io d ella g ra z ia — so n o :
il desiderio ardente della perfezione, la p erfe tta conformità
con la volontà dì D io e la d elicata fedeltà alla grafia.

A r t ic o lo III

Uenergia di carattere

G u i b e r t , I l carattere; T a n q u e r e y , Compendio di Teologia ascetica e mistica


ap. 2; M a l a p e r t , Les élèmentes du caractere (Paris 1906); L e caractère (Paris
1902); F o u l l i é e , L e temperament et le caractere (Paris 1926); P à u l h a n , Les
caracferes (Paris 1893); Q u e y r a t , Les caracteres et Téducation morale (Paris
1896); B a r b a d o , Estudios de Psicologia experimental t. 2. (M adrid 1948);
F r o e b e s , Psicologìa empirica y experimental t. 2 (M adrid 1950); B r e n n a n
Psicologia generai.

482. 1. N a t u r a . - N e lla sua o rig in e , la p aro la ca­


rattere pare- a v e r sign ificato u n ce rto tip o di m a rch io
ch e era impresso sulla fro n te 11. P iù tard i v e n n e a sig n i­
ficare qualsiasi s eg n o ch e dà a co n o sce re u n a co sa d i­
s tin g u e n d o la dalle altre.
P sic o lo g ic a m e n te si p u ò definire: la risultante ahi-

11 Cf. B r e n n a n , O ., P .., Psicologia generai probi. 3 3 ,1 , pag. 425 (ed.


Madrid 1952).
M E Z ZI S E C O N D A R I IN T E R N I.., 925

tuale delle molteplici tendente che si disputano la vita del­


l'uomo. È il m o d o di essere ab itu ale di u n u o m o , che lo
d istin g u e da tu tti g li altri e g li co n fe risce u n a p ro p ria
p erso n a lità m o rale. È la fisio n o m ia o « m a rch io m o rale »
di u n in d iv id u o .
Frequentemente si confondono carattere e temperamento;
però sono due cose realmente distinte, ancorché in intima
relazione tra loro. Il temperamento è il complesso delle intime
inclinazioni che sgorgano dalla costituzione fisiologica degli
individui; il carattere invece è il complesso delle disposizio­
ni psicologiche che nascono dal temperamento, in quanto mo­
dificato dall’educazione e dal lavoro della volontà e consoli­
dato dall’abitudine

483. 2. O r i g in e d e l c a r a t t e r e 12. - D a lla sua de­


fin izio n e si n o ta g ià co n ch ia rezza ch e il carattere è
u n a co sa m o lto co m p lessa. L e sue cause saran n o p e r ­
ciò m o ltep lici. Q u e lle fo n d a m e n ta li so n o tre: la na­
scita, r ambiente estern o e la p ro p ria volontà.
a) La nascita. - Si è generalmente d’accordo nell’affer-
mare che i fattori dell’ereditarietà hanno un’ importanza
capitale nella costituzione del carattere. Il bambino alla na­
scita reca il « marchio di fabbrica » che gli hanno impresso
i suoi genitori, sigillo che non scomparirà mai del futto.
È quindi grandissima la responsabilità dei genitori sull’av­
venire dei loro figliuoli.
« Il sangue che ci dà la vita som iglia alle acque che discen­
dono dai monti e che dopo lunghi corsi sotterranei zam­
pillano nelle valli; nel loro lungo percorso hanno assimi­
lato dai differenti strati geologici ogni sorta di sostanze,
di m odo che quando scaturiscono portano in sé la traccia
delle materie assimilate, e, secondo che una prevale sulle
altre — per esempio il ferro o lo zolfo — si avranno acque
ferrugginose o solforose. In modo simile, gli elementi vitali
che scorrono nelle nostre vene, risentono di tutte le genera­
zioni da cui discendono, buone o cattive; l’elemento che pre­
domina sugli altri dà alla nostra natura un’impronta parti­
colare e diviene quasi il padrone del nostro temperamento.
Però tutto ciò che com pone l’ individuo realmente esistente

Cf. G u i b e r t , I l carattere c.4 (ed. Marietti 1945).


926 LA V IT A C R IS T IA N A NEL SU O S V IL U rP O ORDINARIO

è tanto complesso nella sua com posizione, quanto m olte­


plice nella sua origine » *3,
Tuttavia, è necessario non esagerare troppo questa dot­
trina. L ’ereditarietà ha una importanza grandissima nella co­
stituzione del nostro carattere, ma non è decisiva n é incorreg­
gibile. Una sapiente terapeutica nella formazione del carat­
tere può giungete a modificare profondam ente le tendenze
innate e a controllarle perfettamente per m ezzo della ragio­
ne e della volontà. È falsa l ’opinione dei deterministi —
ai quali fanno coro Kant, Schopenhauer e Spinoza —
che negano la possibilità di trasformare il proprio caratte­
re. L a quotidiana esperienza sta manifestamente contro di
essi.
b) L’ambiente esterno. - Se è vero che l’uom o ha ri­
cevuto dalla nascita un im pulso e un orientamento, egli
non è però del tutto consolidato e ultimato. A bbo zzato so­
lamente dalla natura, rimane sottopósto, mentre viv e, all’in-
flusso degli agenti esterni che lo circondano. In realtà è
sempre in formazione, e nessuno dei suoi giorni è simile in­
teramente a quelli che lo hanno preceduto. L e variazioni pro­
dotte non seguono una linea retta, ma vanno soggette a
curiose oscillazioni, a progressi e a regressi. A lungo andare,
però, finisce col dominare una determinata attitudine, che ci
dà il carattere o marchio morale dell’uom o.
Questi agenti esterni che incidono sul nostro carattere
sono m olto vari. C i sono degli agenti fisici, com e l’alimenta­
zione, l’aria, il clima e l’igiene. G li abitanti del m ezzogior­
no hanno più sole nel sangue, e perciò hanno più ardore e
allegria nel cuore; gli abitanti del settentrione sono più
freddi e melanconici, com e il cielo sempre carico di nubi.
L ’uom o che abita sulle m ontagne ha più vivacità ed energia,
quello che abita nelle pianure è più debole e fiacco. Il bim bo
insufficientemente alimentato e condannato a vivere in un
ambiente malsano, senza luce e senza aria, cresce rachitico
ed infermo, triste e apatico. L ’alimentazione sana e abbon­
dante, l’aria pura e il sole, l ’abitazione ampia e ventilata
sono, al contrario, fonti di allegria e di ottimismo.
A ltri agenti esterni sono di tipo morale. L ’educazione
e l’ambiente familiare occupano il primo posto. Educato da
genitori diligenti e amorosi, il bambino cresce franco, sod­
disfatto, affettuoso; se non ha conosciuto la sua fam iglia ed
è stato trascurato o trattato bruscamente da essa, cresce

ZS Ivi C.4 , p. 3
M E Z Z I SE C O N D A R I IN T E R N I... 927

timido, riservato, melanconico, suscettibile. L ’influenza dei


buoni o dei cattivi esempi ricevuti dai suoi genitori è tra
le più profonde nella psicologia umana.
A lato dell’ambiente familiare occorre porre le amicizie.
Il vecchio proverbio « dimmi con chi vai e ti dirò chi sei »
è sempre di palpitante attualità. L a nostra vita intera può
dipendere da una buona o cattiva compagnia. A ccanto a un
buon amico uno si sente m igliore, si sente invogliato a imi­
tarlo nella pratica della virtù. II cattivo amico, invece d i­
strugge nell’anima le idee nobili, i sentimenti degni, le aspi­
razioni elevate; in sua compagnia si sperimenta la degrada­
zione.
Si dica quello che si vuole, ognuno è tributario dell’am­
biente che lo circonda ed è figlio della sua epoca. N on possia­
mo sottrarci del tutto, per quanto ci sforziamo, all’influenza
dei nostri genitori, amici, maestri, libri e persino del sem­
plice periodico o foglio volante di propaganda. È strano che
lo spirito, tanto libero in apparenza, debba pagare un cosi
forte tributo all’ambiente che lo circonda.
c) La volontà. - La nascita e l’ambiente; ecco due form i­
dabili forze che influiscono assai nella formazione del ca­
rattere. Tuttavia, una volontà energica e tenace può giungere
a resistere al loro impulso. Certuni diffidano di questa verità
perché non hanno mai cercato seriamente di correggersi
dai loro difetti. N o n basta un indolente vorrei: è necessario
giungere a un energico voglio. « L a volontà non è onnipo­
tente, però si possono vincere centinaia di catarri e altri mali
e anche digerire una balena se ci si mette im pegno » I't.
La nostra coscienza — con la sua approvazione o rim pro­
vero — ci avverte chiaramente che siamo padroni di noi
medesimi. Abbiam o l ’irremovibile convinzione che l’anima
sta nelle nostre mani, e che possiamo sottrarla alla violenza
delle passioni o abbandonarci ciecamente ad esse.

484. 3. Lineamenti del carattere ideale 15< -


P o ssiam o co sin d erarlo da due p u n ti d i vista: q u ello
psicologico e q u e llo morale.
1) Psicologicamente, il m iglior carattere è quello per­
fettamente equilibrato, ossia, quello che possiede l’intelli-

T4 Cf. P. W e is s , E l arie de vìvir c. 4,11.6,12.


*5 C f . F .T .D ., Psicologia pedagogica 11.435, e G u i b e r t , ó. c .3 .
928 LA VITA CRISTIANA NEL S U O SVILU PPO ORDINARIO

genza, la volontà e la sensibilità in proporzioni equivalenti.


a) L ’intelligenza è chiara, penetrante, agile, tanto
ampia quanto profonda. Se è servita da una memoria felice,
l’ideale si completa e si perfeziona.
b) L a volontà è ferma, tenace, perseverante. Conosce
perfettamente quello che vu ole e avanza verso il consegui­
mento del fine nonostante tutte le difficoltà e gli ostacoli.
c) L a sensibilità è fine, delicata, serena, perfettamente
controllata dalla ragione e dalla volontà. È m olto difficile
trovate, naturalmente riuniti tv tti questi lineamenti in un solo
individuo. Ordinariamente lescono ad avvicinarsi a questo
ideale solo coloro che han: o saputo per anni interi fare lo
sforzo di acquistarlo a po ;o a poco.
2) M oralm eU e le fc ndamentali caratteristiche di un
grande carattere sono le seguenti:
a) R e t t i t u d i n e d i c o s c i e n z a . - Se manca questa prima
qualità, è impossibile un buon carattere. Un uom o senza
coscienza è un uom o senza onore; e senza di esso, tutte le
altre qualità crollano. L a coscienza è una vedetta sperimen­
tata e fedele che approva ciò che è buono, proibisce ciò che è
cattivo e permette ciò che è indifferente, rendendolo buono
mediante il retto fine e le dovute circostanze. È un testimone
della nostra vita morale al quale nulla sfugge, è un pubblico
accusatore, un avvocato che difende e un giudice che decide
sempre conform e alla legge, senza lasciarsi mai subornare.
È un segnale d’allarme che ci avverte del pericolo, un freno
energico che ci trattiene dinanzi al precipizio, uno stimolo
poderoso che ci spinge sempre verso il com pim ento del
dovere.
L ’uom o coscienzioso è leale e sincero; com pie il suo do­
vere anche quando nessuno lo controlla, perché si sente
sempre sotto lo sguardo di D io , al quale nulla si può occul­
tare. Sa conservare un segreto; non tradisce mai nessuno.
D ice e fa in ogni caso quello che deve dire e fare, senza ba­
dare agli applausi o ai vituperi degli uom ini. N o n conosce
la schiavitù o la viltà del « rispetto umano». Sente un istin­
tivo orrore per la bugia e l’ipocrisia, non conosce alcun
antagonism o tra la teoria e la pratica, tra la vita intima e la
vita pubblica o professionale. L a sua onorabilità negli affa­
ri è inattaccabile; preferisce rinunziare alle ricchezze anzi­
ché acquistarle a prezzo della sua coscienza. G li si può af­
fidare, senza ricevuta, qualsiasi tesoro; all’ora convenuta lo
restituirà intatto al suo padrone.
M E Z Z I SE C O N D A R I IN T E R N I... 929

d) F o r z a d i v o l o n t à . - N on c’è uomo dove manca la


volontà. Con la volontà si giunge al pieno possesso di se me­
desimo, al dom inio e alla emancipazione delle passioni, alla
piena liberazione dalle malsane influente esterne. Poco im ­
porta all’uomo di buona volontà che quanti lo circondano si
allontanino dal retto cammino; egli lo seguirà imperturba­
bile ancorché debba rimanere completamente solo. N on c’è
forza umana che possa piegare la sua volontà e allontanarlo
dal com pim ento del dovere: né castighi, né minacce, nè
seduzione n é blandizie. M orirà martire se occorre, ma non
apostaterà. E g li è di coloro che hanno già preso quella « ri­
soluzione ferm a e decìsa» di cui parla S. Teresa l6, che —
fecondata dalla grazia — porta già in sé, in germe, l ’eroi­
smo e la santità.

c) B o n t à , d i c u o r e . - N on basta la rettitudine della co­


scienza e l’energia della volontà per costituire un grande
carattere; è necessario aggiungere la bontà del cuore per non con­
vertire la prima in rigida intransigenza e la seconda in
fredda testardaggine. Grazie al cuore, il carattere verrà ad
essere amabile, perché sarà umano.
L a bontà del cuore si manifesta principalmente nella
affabilità, parte potenziale della giustizia che imbalsama
l’ambiente e rende gradevole la vita. L ’uom o affabile è
semplice, compiacente, conversa di buon grado con tutti,
loda senza adulazione le buone qualità altrui, conserva sem­
pre il dolce sorriso sulle labbra. Ha la cura particolare di non
offendere nessuno, procede in tutto con sommo tatto e deli­
catezza; per questo, tutti lo amano e nón si crea dei nemici
in nessuna parte. La sua bontà lo rende generoso, magna­
nimo, disinteressato. È profondamente compassionevole,
ha una particolare abilità per scoprire le miserie e le necessi­
tà altrui, dinanzi alle quali si ferma per soccorrerle com e il
buon samaritano. N on parla mai bruscamente; il suo tono
non è imperioso; la sua parola non ferisce, la sua risposta

16 « Im portando m olto sapere come incom inciare, dico che si deve


prendere una risoluzione ferma e decisa di non mai fermarsi fino à che
non si sia raggiunta quella fonte. A v v e n g a quel che vuole avvenire, succe­
da quel che vuole succedere, m orm ori chi v u o l m ormorare, si fatichi quan­
to bisogna faticare: ma a costo di morire a m ezza strada, gravati dai m ol­
ti ostacoli che si presentano, si tenda sempre alla meta, ne vada tutto il
mondo! » (S. T e r e s a , Cammino 21,2).
r7 Cf. II-II,114,2. V ed i anche n. 317 di questa opera.
930 LA VITA CRISTIANA NEL SUO SVILUPPO ORDINARIO

non mortifica mai ancorché contraddica i nostri gusti.


Sulle sue labbra non appare mai il sorriso burlone. Dissi­
mula con squisita carità le nostre dimenticanze, sgarbatezze
o impertinenze. N o n si stanca di fare il bene, non lesina il
suo tempo quando si tratta di metterlo a servizio del prossi­
mo. È profondamente riconoscente: non dimenticherà mai
un piccolo servizio ricevuto. Pratica, infine, tutte le virtù
che S. Paolo indica come derivate dalla carità la quale « è
longanim e, è benigna, non è invidiosa, non si vanta, non
s’insuperbisce; non rifiuta nessun servizio, non cerca il pro­
prio interesse, non s’irrita; non tiene conto del male che
riceve; non gode dell’ingiustizia, ma si rallegra della verità.
T utto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta » l8.
La bontà del cuore è una delle caratteristiche più at­
traenti di un grande carattere. D a essa tutti si lasciano domi­
nare; è la chiave dei cuori e la calamita che li attira. Chi è
amabile otterrà di più con una sola conversazione piacevole
che altri con cento riprensioni. L ’aspro, invece, siccome non
parla mai senza ferire, è aborrito da tutti.
d) L a p e r f e t t a c o m p o s t e z z a n e i m o d i . - È la nota che
dona l’ultim o tocco a un grande carattere. Perfettamente
equilibrate l’intelligenza, la volontà, la sensibilità, è ne­
cessario che il comportam ento esterno armonizzi co l mon­
do interno. Questa sintonia esiste quando tutte le azioni e-
sterne convengono al decoro della persona e si accordano
con il suo stato. Questa com postezza esterna sta in intima
relazione con l ’affabilità e con la verità ' 9.
L e belle maniere sono come il vestito morale dell’uo­
mo. D all’esterno di una persona si conosce il suo interno,
perché i m ovim enti esterni sono segni delle disposizioni
interne w.
L e belle maniere stanno in rapporto col buon carattere
in tre modi:
i) In quanto lo manifestano. - G li abiti in disordine,
strappati, poco puliti, rivelano una persona negligente e
pigra. Le conversazioni triviali, le parole grossolane, le fa­
miliarità sconvenienti, ecc., manifestano la mancanza di
dignità. « A v e re cattiva m em oria» per rispondere alle le t­

18 Cf. 1 Cor. 13,4-7.


r9 Cf. II-II,i68, 1 c et ad 3.
30 « Motus exteriores sunt quaedam signa interioris dispositionis »
(11-11,168, 1 ad 1).
M E Z Z I SEC O N D A R I IN T E R N I.., 931

tere, visite, non cedere il passo o il posto a persone di m aggior


dignità è mancanza di educazione e di delicatezza. L ’affet­
tazione nel portam ento, il parlar m olto d i se stessi, il raccon­
tare minutamente le proprie imprese e prodezze è vanità
e autosufficienza.
2) In quanto influiscono su di esso. - « Il carattere dipende
m olto dal contegno. L a volgarità del tratto, la m ollezza del
portamento, la negligenza nel vestire, la trivialità nelle idee,
una promiscuità di cattiva lega nelle relazioni, son tutte cose
che degradano il carattere, poiché i sentimenti interni si
conform ano facilmente al linguaggio che si usa ed alle abi­
tudini che si hanno. Chi invece cerca che le sue parole siano
sempre oneste, la sua conversazione elevata, i gesti misurati,
i modi irreprensibili, l’abbigliam ento conveniente al suo
stato, può esser certo che il suo carattere controllato e so­
stenuto da tante precauzioni, si impregnerà di gravità senza
asprezze e di nobiltà senza affettazione » (Guibert, o.c.,
c.3, p. 86).
3) In quanto aumentano 0 diminuiscono il suo potere
sociale. - L ’autorità ed il prestigio di una persona proviene
da un non so che di serio, di uniforme e costante di deciso,
di degno ed elevato, che rivela un magnifico carattere in­
terno. La condotta e le maniere esterne hanno una influen­
za decisiva riguardo al concetto che ci form iam o di una
persona. Il successo o l’insuccesso con gli altri dipende' in
buona parte dalle nostre qualità esterne. Chi si lamenta della
sua cattiva sorte la m aggior parte delle volte dovrebbe la­
mentarsi di se stesso.
Tali sono le note distintive di un carattere perfettamente
equilibrato. La rettitudine di coscienza form a la sua onora­
bilità, la forza di volontà gli conferisce il suo vero valore,
la bontà del cuore costituisce il suo incanto mentre le buone
maniere accrescono la sua dignità di fronte agli altri. È
difficile trovare riunite tutte queste qualità in un individuo:
però gli enormi vantaggi che il loro acquisto ci porta com­
pensano ad usura gli sforzi che porrem o in questa nobile
impresa.

485. 4 . Formazione del carattere. - « N o n è


co sa fa cile la fo rm a zio n e del carattere. È la rude
fatica di tutta la vita . H a n n o carattere so ltan to co lo -
932 la V IT A C R IS T IA N A N E L SU O S V IL U P P O ORDINARIO

i o ch e in una im p e g n a tiv a lo tta co n se stessi han­


n o m eritato d i a v e rlo » 21.
G u i b e r t 22 rid u ce a tre p u n ti fo n d a m e n ta li il ru d e
la v o ro della fo rm a zio n e d e l p ro p rio carattere: la co­
noscenza di se stesso p e r sapere ciò ch e c ’è da co rre g g e re
o co n v o g lia re ; u n piano di vita ch e le g a la n ostra in c o ­
stante v o lo n tà ; l ’u so di certi sostegni esterni cu i a p p o g ­
gia re i n o stri sfo rzi.
d) L a conoscenza di se stesso si o ttien e p rin cip a lm en te
m ed ian te Yesame di coscienza ben p ra ticato e la carita­
te v o le a v v e rte n z a dei nostri buoni amici. A b b ia m o già
p arlato d el p rim o (cfr. n n .478-81) e p iù in n a n zi p arle­
re m o d elle sante am icizie (cfr. n n. 514-15).
b) I l piano di vita è o rd in a to a irro b u s tire là n ostra
v o lo n tà , fo rtifica n d o la , s o p ra ttu tto , co n tro la v o lu ­
b ilità e l ’in co sta n za . N e p arlerem o a ltro v e (cfr. nn.
507-10).
c) I sostegni esterni p rin cip a li so n o tre: il direttore
spirituale, le sante amicizie e la lettura spirituale di cu i p a r­
lerem o (cfr. n n . 511-29).

A r tic o lo I V

I l desiderio della perfezione

S c a r a m e lli, Direttorio ascetico t . i t r . t a d 2; R i b e t , Vascétique chrétìenne


c. 17 ; A rinteroì Cuestiones mìstkas i . a a .4 ; T a n q u e r e y , Compendio di Teo­
logia ascetica e mìstica 1111.409-430; D e G u i b e r t , Theologia spiritualis n n . 1 1 7 -
1 2 5 ; N a v a l , Curso de ascètica n n .3 8 -4 1 .

T ra g li im p u lsi p s ic o lo g ic i ch e to cca n o la v o lo n tà
anch e n e ll’ o rd in e so p ran n atu rale, o ccu p a u n p o sto ri­
lev a n te un sin cero e ardente d esid erio di ra g g iu n g e re

11 C f. G om a, L a Eucaristiay la vida cristiana c . 1 7 , n .2.


W O . C.y C .6
M E Z Z I SEC O N D A R I IN T E R N I.., 933
la p e rfe zio n e. S. T o m m a so fu in te rro g a to u n g io r n o
d a un a sua so rella ch e co sa d o v e v a fare p e r a rrivare
a lla santità. E g li si lim itò a risp o n d erle: volerlo.

4 8 6 . i . N a t u r a . - Il d esid erio in gen erale è un


moto deiranima verso un bene assente e possibile a raggiun­
gersi. N e ss u n o desid era il m ale, o u n b e n e che già
p o ssied e o ch e è im p o ssib ile co n se g u ire .
Il d esid erio della p erfe zio n e si p u ò definire: un atto
della volontà che, sotto l ’influsso della grafia, aspira inces­
santemente alprogresso spirituale fino a giungere alla santità.
È u n a tto e lic itiv o d ella v o lo n tà , p e rc h é il b e n e è
l ’ o g g e tto p ro p rio di qu esta p o te n za 23. Si tro v a so tto
l ’in flu sso della g razia , p e rch é è u n d esid erio m anifesta­
m en te soprannaturale che oltrepassa le esig en ze e le
ten d e n ze della sem p lice n atura. D e v e essere costante
n ella sua ansia di su p eram en to , e d e ve aspirare n o n a
q u a lch e g ra d o in te rm e d io d i p e rfe z io n e , m a alla cim a
d ella p erfe zio n e.
487. 2. Necessità. - La santità è il supremo bene che
possiamo raggiungere in questo m ondo. È infatti infinita­
mente desiderabile per la sua medesima natura. M a sic­
com e si tratta di un bene arduo e difficile, è impossibile
tendere efficacemente verso di esso senza il forte impulso
di una volontà decisa a raggiungerlo ad ogn i costo. S. T e­
resa vu ole che si prenda « una risoluzione ferma e decisa
di non mai fermarsi fino a che non si sia raggiunta», senza
prendere in considerazione le difficoltà della via, le morm o­
razioni di coloro che ci circondano, la mancanza di salute e
a costo di morire a mezza strada

23 Per q u esto, n o n è necessario che il desiderio della p erfezione sia


jemibik; basta ch e sia fortemente radicato nella volontà.
24 C f. S. T e r e s a , Cammino 2 1,2 . In u n ’altra parte dice: « B iso gna
avere grande confidenza, né mai soffocare i desideri, m a credere che con
l ’a iu to di D i o e co n la nostra buona v olon tà , possiam o arrivare an­
ch e n o i a p o c o a p o c o , se non su bito, d o v e arrivarono m o lti santi, i quali
se m ai avessero concep iti tali desideri, né m ai avessero cercato di tradure
in pratica, n o n a vrebbero m ai ra gg iu n to q u el lo ro stato si su blim e. Su"
034 LA V IT A C R IS T IA N A N E L SU O S V IL U I’ FO ORDIN ARIO

488. 3. Q u a lit à . - P e r o tten ere da esso tutta la


sua efficacia santificante, il d esid erio della p erfe zio n e
d e ve essere:
1) Soprannaturale, cioè, deve procedere dalla grazia ed
essere orientato alla m aggior gloria di D io , fine ultim o e as­
soluto della nostra esistenza. Ciò vu ol dire che il vero desi­
derio della perfezione è già un grande dono del Signore, che
dobbiamo chiedergli con umiltà e perseveranza fino a ottener­
lo dalla sua divina bontà.
z) Profondamente umile, cioè, senza appoggiarlo mai
alle nostre forze, che sono pura debolezza dinanzi a D io.
Neppure dobbiamo aspirare alla santità vedendo in essa un
m odo per diventare più grandi, ma unicamente il mezzo
più eccellente per amare e glorificare D io con tutte le nostre
forze. In principio è m olto difficile che tale desiderio non vada
accompagnato da un p o ’ di presunzione e di egoism o — •
che D io castigherà, forse, permettendo vergognose cadute
affinché l ’anima costati chiaramente quello che da se mede­
sima può fare quando E g li non la sostiene — perciò è
necessario rettificare sempre più l’intenzione e perfezionare
i m otivi fino ad ottenere che m irino alla m aggior gloria di
D io e la conformità con la sua divina volontà.
3) Som m am ente fiducioso. » N on possiamo nulla da
noi medesimi, ma possiamo tutto in Colui che ci dà forza
(Fil. 4,13). Il Signore permette che sorgano contro di noi
numerose e grandi difficoltà precisamente per mettere a pro­
va la nostra fiducia in lui. Quante anime abbandonano la
via della perfezione, quando sorgono queste difficoltà,
perché non hanno fiducia! Soltanto coloro che continuano
ad avanzare nonostante tutto, pensando che anche dalle pie­
tre D io può suscitare dei figli di Abram o (Mt. 3,9), riceve­
ranno l’alloro della vittoria.
4) Predominante, cioè, più intenso di qualsiasi altro'
N ulla ha ragione di bene se non la gloria di D io, e, in ordine
ad essa la nostra propria santificazione. T utti gli altri beni

M aestà v u o le ed ama le anim e co rag g io se, um ili e diffidenti di sé. N essuna


d i queste h o io v isto rim anere in d ietro nel cam m ino della perfezione, co m e
nessuna h o v isto delle pusillanim i ch e si n ascondono so tto il v e lo dell’ u m il­
tà, fare in m o lti anni il p rofitto ch e le prim e in pochissim i. Stupisce il p ro ­
gresso che si ottiene su questa v ia co n animarsi a co se g ran d ii» ( V ita 13,2)
M E Z Z I SE C O N D A R I IN T E R N I... 935
devono essere subordinati a questo supremo. L a scienza,
la salute, l’apostolato, gli onori..., tutto vale infinitamente
meno che la santità: « Cercate prima di tutto il regno di D io
e la sua giustizia e tutto il resto v i sarà dato per giunta »
(Mat. 6,33). Il desiderio della perfezione dev’essere fonda­
mentale e dominante di tutta la nostra vita. Colui che vuole
essere santo davvero è necessario che v i si dedichi projessio-
nalmente, considerando le cose di questo m ondo come inutili
per lui: « perché siete .morti e la vostra vita è nascosta con
Cristo in D io » (Col. 3,3). M olte anime falliscono nella vìa
della loro santificazione perché non sanno decidersi a sce­
gliere definitivamente tra le cose di D io e quelle del mondo.

5) Costante e progressivo. - C i sono molte anime che


sotto l’influsso di un avvenimento della loro vita (al termine
degli esercizi, quando ricevono gli ordini sacri o entrano in
religione, ecc.) vanno soggetti a una im provvisa fiammata.
A lle prime difficoltà però si stancano e abbandonano il cam­
mino della perfezione e lasciano raffreddare almeno l’ar­
dente desiderio che ne avevano. A lle volte si permettono
delle piccole soste nella vita spirituale col pretesto di « pren­
dere un p o ’ di respiro » e ricuperare le forze dell’anima. È
un grave errore. L ’anima non solo non ricupera le forze
con codeste soste, ma, al contrario, si indebolisce straordina­
riamente. Più tardi, quando vorrà riprendere il cammino,
sarà sonnolenta, e dovrà compiere un grande sforzo per ri­
mettersi un’altra volta nel grado di tensione spirituale che
aveva prima raggiunto. T u tto ciò si sarebbe potuto evitare
se il desiderio della perfezione fosse stato sempre presente,
in una maniera costante e progressiva, senza violenze né estre­
mismi, ma anche senza negligenze né debolezze.
6) Pratico ed efficace. - N o n sì tratta dì un vorrei, ma
di un voglio, che deve tradursi efficacemente nella pratica,
usando hic et mmc tutti i mezzi a nostra disposizione per rag­
giungere la perfezione ad ogni costo. È m olto facile crear­
si l’illusione di avere il desiderio della perfezione per via di
certe velleità e capricci che assalgono l’anima nell’orazione.
Desiderate la perfezione iti teoria, ma « attendere che ter­
mini un dato lavoro », o che « passi questa o quella data »,
o che « la guarigione sia completa », o che « cessi un deter­
minato ufficio assorbente », è vivere in una perpetua illu­
sione. D i proroga in proroga, la vita passa insensibilmente,
e noi ci esponiamo al pericolo di comparire dinanzi a D io
a mani vuote.
936 LA V IT A C R IS T IA N A N EL SU O S V IL U P P O ORDINARIO

489. 4. M e z z i p e r e c c it a r e i l d e s id e r io d e lla
p e f e z io n e . - I p rin cip a li so n o i seguenti:
1) Chiederlo incessantemente a Dio. ■ Siccome è so­
prannaturale, ci può venire soltanto dall’alto.
2) Rinnovarlo frequentemente. - T utti i giorni nel m o­
mento più solenne e importante (per esempio, dopo la co ­
munione); nelle principali festività, proponendosi, per e-
sempio, di intensificarlo sempre dì più fino alla prossima
festa; nel giorno del ritiro mensile; durante gli esercizi spi­
rituali; alla morte di un amico o conoscente, pensando che
presto lo seguiremo, e che quindi occorre affrettate il passo
nella propria santificazione.
3) Meditare frequentemente i motivi che abbiamo di de­
siderare la perfezione. - I principali sono:
a) L ’obbligo grave che abbiamo di aspirare alla per­
fezione (cfr. nn. 118-119).
b) È il bene più grande che possiamo raggiungere in
questo mondo. T utto il resto in paragone sono immondi­
zie (Fil. ;,8). T utto passa e svanisce com e il fumo; solo la
santità rimane eternamente.
c) Il grande pericolo che si corre se non si cerca
davvero la propria santificazione. L a tiepidezza trascina al
peccato mortale che fa catena e trascina forse fino a perdere
la vocazione e la fede stessa. Colui che non sente v iv o il de­
siderio di santificarsi, ha veri m otivi per temere.
d) La perfetta imitazione di G esù Cristo esige perfe­
zione e santità. La visione di G esù crocifisso dovrebbe co­
stituire lo stimolo più nobile ed efficace per spingerci alla
santità. L ’amore si ripaga con l’amore.

Articolo V
L a conformità con la volontà di D io

S . T h . , 1-11,19 ,9 -10 ; S . F r a n c e s c o d i S a l e s , Teotimo 1.8 e 9; S . A l f o n s o


d e ’ L i g u o r i , Conformità con la volontà d ì D io ; P i n y , E l cielo en la iierra (M adrid
1947); G a u s s a d e , JJabbandono alla provvidenza divina; L e h o d e y , I l santo ab­
bandono; T a n q u e r e y , Compendio di Teologìa ascetica e mìstica n n . 476-98; D e
G u i b e r t , Tbeologìa spiritualis n n . m - 1 6 ; M a h i e u , Probatio caritatis. p .2 .a.
M E Z Z I SE C O N D A R I IN T E R N I... 937
c . 2 a . 2; G a r r i g o u - L a g r a n g e , L a p rovvidenza e la fid u c ia in D i o p -4 -a ; P o t.t tr m
L a vita interiore sem p lifica ta p .2 .a .

L a perfetta conformità con la volontà di D io è uno dei


principali mezzi di santificazione. Scrive S. Teresa: « L ’u­
nica brama di chi vu ol darsi all’orazione — non dimentica­
telo mai, perché è importantissimo — dev’essere di fare il
possibile per risolversi e m eglio disporsi a conformare la
prppria volontà a quella di D io. In questo sta la più grande
perfezione che si possa desiderare. Più questa conformità
sarà perfetta, m aggiori grazie si riceveranno da D io , e mag­
giore sarà pure il progresso nel cammino. N o n crediate che
si tratti di qualche nuova astruseria o di cose mai conosciute
ed intese: il nostro bene sta tutto qui» *5.

490 . 1. N atura. - L a co n fo rm ità co n la v o lo n ­


tà di D io co n siste in un’ amorosa, intera e ìntima sottomis­
sione e concordia della nostra volontà con quella di D io in tut­
to quello che di noi dispone 0 permette. Q u a n d o è p erfetta,
è co n o sciu ta p iu tto s to s o tto il n o m e d i santo abbandono
a lla v o lo n tà di D io . N e lle sue m an ifesta zio n i im p e rfe t­
te si su o le darle il n om e di sem p lice rassegnazione cri­
stiana.
Premesse. - 1 ) La santità è il risultato dell’azione di D io
e della libera cooperazione dell’uom o. « D al momento che
D io lavora con noi alla nostra santificazione, bisogna che
abbia la direzione dell’impresa; tutto dovrà essere fatto se­
condo i suoi piani, sotto i suoi ordini e col m ovim ento della
sua grazia. E g li è il primo principio e l ’ultim o fine; noi siamo
nati per obbedire alla sua volontà »
2) L a volontà di D io , semplicissima in se stessa, ha diver­
si atti in relazione alle creature che i teologi sogliono sta­
bilire così:
a) V o lo n tà assoluta, quando D io vuole qualche cosa
senza nessuna condizione, come la creazione del mondo,
e condizionata, quando la vuole con qualche condizione, come
la salvezza di un peccatore se fa penitenza, cioè se si pente.
b) V olontà antecedente è quella che D io ha riguardo a
una cosa in se stessa o assolutamente considerata (per e­

25 C f. Seconde mansioni n.8.


2f> C f. L e h o d e y 3 I I santo abbandono p . i . a , c .i.
938 la V IT A C R IS T IA N A N E L SU O S V IL U P P O ORDINARIO

sempio, la salvezza di tutti gli uom ini in generale), e volontà


conseguente è quella che ha riguardo a una cosa rivestita di
tutte le sue circostanze particolari e concrete (per esempio,
la dannazione di un peccatore che muore impenitente).
c) Volontà di segno e volontà di beneplacito. È la distin­
zione che più maggiormente c’interessa. Per volontà divina
significata (o volontà di segno) s’intendono certi segni della
v o lo n tà di D io , come i precetti, le proibizioni, lo spirito
dei consigli evangelici, gli avvenim enti voluti o permessi
da D io. L a volontà divina significata in questa maniera,
specialmente quella che si manifesta nei precetti, appartiene
al dominio dell’ obbedienza. A essa ci riferiamo, secondo
S. Tom m aso (1,19,11), quando diciamo nel Padre nostro:
F iat voluntas tua. Per volontà divina di beneplacito s’inten­
de l’atto interno della volontà di D io ancora non manifesta­
to né dato a conoscere. Da. essa dipende l’avvenire anco­
ra incerto per noi: i successi futuri, le gioie e le prove di
breve o di lunga durata, l’ora e le circostanze della nostra
morte, ecc. Com e osserva S. Francesco di Sales (Teotimo
1.8 c.3; I.9 c.6), e con lui Bossuet (États d’ oraison 1,8,9),
se la volontà significata costituisce il dominio dell’obbedien­
za, la volontà di beneplacito appartiene a quello dell’ab­
bandono nelle mani di Dio. D obbiam o conformare ogni gior­
no più la nostra volontà con quella significata di D io , ab­
bandonandoci nel resto fiduciosamente al divino benepla­
cito, certi che non vu ole né permette nulla che non sia per
il bene spirituale ed eterno di coloro che amano il Signore
e perseverano nel suo amore 21.
Queste ultime parole esprim ono l’intima natura della
perfetta conform ità con la volontà di D io . Si tratta effetti­
vamente del com pim ento integro, amoroso e intimo della
volontà significata di D io attraverso le sue operazioni, permis­
sioni, precetti, proibizioni e consìgli — che sono, secondo San
Tom m aso, i cinque segni di co desta volontà divina ,8 —
e della sottomessa accettazione e perfetta concordia con tutto
quello che si degna disporre mediante la sua volontà di bene­
placito.
491 2 . Fondamento. - Com e dice m olto bene Lehodey,
la conform ità perfetta, o santo abbandono, ha per fondamento
la carità. « N on si tratta più qui di un grado inferiore della

2~ Cf. G à r r i g o u - L a g r a n g e , L a provvidenza e la fiducia in D io, p .2 .a c.7.


18 Cf. 1,19,12.
M E Z Z I SEC O N D A R I IN T E R N I., 939

conformità alla volontà divina, come la semplice rassegna­


zione, ma dell’abbandono amoroso, fiducioso, filiale, della per­
dita totale della nostra volontà in quella di D io . O ra la ca­
ratteristica dell’amore è di unire strettamente le volontà.
Q uesto grado di conformità è anche un esercizio m olto ele­
vato del puro amore, e non può trovarsi, in m odo abituale,
se non nelle anime progredite in virtù che vivo n o principal­
mente di puro amore » *9.
Ora, quali sono i principi teologici a cui si può appoggiare
questa illimitata sottomissione e conform ità con la volontà
di D io ?
Il P. G arrigou indica i seguenti 3°:
1) N on succede nulla che da tutta l’eternità D io non
abbia previsto o volu to o per lo meno permesso.
2) D io non può volere né permettere cosa alcuna che
non sia conform e al fine che si propose quando creò, cioè,
alla manifestazione della sua bontà e delle sue infinite perfe­
zioni e alla gloria del V erbo incarnato, G esù Cristo, suo
Figlio unigenito (iC or. 3,23).
3) Sappiamo che « ogni cosa concorre al bene di coloro
che amano D io , di coloro che secondo il suo disegno sono
chiamati » (Rom. 8,28) e perseverano nel suo amore.
4) Tuttavia, l ’abbandono alla volontà di D io non dispen­
sa nessuno dallo sforzarsi di compiere la volontà di D io
significata nei comandamenti, nei consigli e negli avvenimen­
ti, abbandonandosi quanto al resto alla volontà divina di
beneplacito per quanto misteriosa ci possa sembrare, evitan­
do ogni inquietudine e agitazione.

492. 3. Eccellenza e necessità. - D a quanto


abbiam o detto, appare chiara l ’eccellenza e la necessi­
tà della pratica sempre più perfetta del santo abban­
dono alla vo lo n tà di D io .
« Ciò che form a Veccellenza del santo abbandono, è l’in­
comparabile efficacia che possiede per togliere gli ostacoli
alla grazia, per far praticare alla perfezione le più alte virtù,
e per stabilire il regno assoluto di D io sulla nostra vo lo n ­
tà » 31.

29 C f. Lehodey, I l santo abbandono p.2.a prol.


3° Cf. P. G A R R R ic o u - L a g r a n g e 0. c,, p .4 .a c . 1 .
31 Cf. L e h o d e y , o . c., p . 4 .a c .
940 LA V IT A c r is t ia n a n el su o s v il u p p o o r d in a r io

Il P. Piny scrisse una bella operetta per mettere in risalto


l’eccellenza della via di abbandono alla volontà di D io 3 2.
L ’insigne domenicano prova in essa che questa è la via che
più glorifica D io , che più santifica l’anima, la meno soggetta
a illusioni, quella che dà all’anima una pace più grande,
fa praticare m eglio le virtù teologali e morali, quella più a
proposito per acquistare lo spirito di orazione, la più simile
al martirio e all’immolazione di se medesimo e quella che più
tranquillizza nell’ora della morte.
La necessità di entrare per questa via si può dimostrare
con le seguenti ragioni 33:
1) II diritto divino. - a) Siamo servi di Dio, in quanto
sue creature. D io ci creò, ci conserva continuamente nell’es­
sere, ci redense, ci ha ordinati a lui come a nostro ultim o
fine. N on apparteniamo a noi stessi, ma a D io (iC o r. 6,19).
b) Siamo figli e amici di Dio: il figlio deve restare sotto­
messo a suo Padre per amore, e l ’amicizia produce la concor­
dia di volontà: idem velie et notte.
2) La nostra utilità, per la grande efficacia santificante
di questa via. O ra, la santità è il bene più grande che possia­
mo raggiungere in questo m ondo e l’unico che avrà un’im­
mensa ripercussione nell’eternità.
3) L’esempio di Cristo. - T utta la vita di Cristo sulla
terra consistette nel compiere la volontà del suo Padre
celeste. « Entrando in questo m ondo disse: E ccom i, io ven­
go per fare, o D io , la tua volontà » (Ebr. 10,5-7). Durante la
sua vita manifesta continuamente di dipendere dalla volontà
del Padre: « Io mi devo occupare di quanto riguarda mio
Padre » (Luca 2,49); « Io faccio sempre quello che è di suo
beneplacito» (G iov. 8,29); « Q uesto è il mio cibo » (G iov.
4,34); «Q uesto comando l ’ho ricevuto dal Padre m io»
(G iov. 10,18); « N o n la mia, ma la tua volontà sia fatta»
(Luca 22,42).
A imitazione di Cristo, anche tutta la vita di Maria
consistette nel fare la volontà di Dio: « Ecce ancilla D om ini,
fiat mihi secundum verbum tuum » (Luca 1,38). A ltrettanto
si dica di tutti i santi: « M ira, e fa secondo il m odello »
(Es. 25,40).

3 2 C f.E l cielo en la tierra ( A v i l a , 1 9 4 7 ) . L ’ o r ig in a le f r a n c e s e , p u b b li c a t o


L e plus parfait.
n e l 16 8 3, p o r ta v a il t ito lo
33 C f . M a h i e u , Probatio caritatis n n . 70 -7 3 .
M E Z Z I SEC O N D A R I IN T E R N I... 941

493. 4 . Modo di praticarla. - È necessario con­


formarsi anzitutto, con la volontà di D io significa­
ta, accettando con um ile sottom issione e sforzando­
si di praticare i precetti di D io e della Chiesa, i
consigli evangelici e le nostre regole, se siamo religio­
si, accogliendo le ispirazioni della grazia. D obbiam o
in secondo luogo, abbandonarci con fiducia filiale
agli occulti disegni della sua vo lo n tà di beneplacito ri­
guardo al nostro avvenire, alle nostre preoccupazioni,
riguardo alle aridità e alle consolazioni spirituali, alla
vita lunga o breve che ci sarà concessa. T u tto è nelle
mani dell’amorosa Provvidenza di D io , nostro Padre;
faccia di noi quello che vuole, nel tem po e nell’eter­
nità.
Q uesto è l ’atteggiam ento fondam entale. Passiamo
in rassegna ora le circostanze principali della nostra
vita per considerare più da vicin o il m odo di pratica­
re questa sapta’ conform ità ed abbandono a D io 34.
A) In relazione alla volontà significata. - La volontà
di D io , secondo S. Tom m aso (1,19,12), ci viene manifestata
o significata in cinque maniere:
1. Facendo qualcosa direttamente e per se stesso: Ope­
ratici.
2. Indirettamente, ossiaj non impedendo che altri lo
facciano: Permissio.
3. Im ponendo la sua volontà mediante un precetto pro­
prio o quello di un altro: Praecepfum.
4. Proibendo in m odo uguale il contrario: Prohibitio.
5. Persuadendo la realizzazione o l’omissione di qualche
cosa: Consilium.
Il D o tto r A ngelico avverte (ivi) che l’operazione e la
permissione riguardano il presente; l’operazione si riferisce
al bene, e la permissione al male. G li altri tre m odi riguar­
dano il futuro, nella form a seguente: il precetto, al bene futu­
ro necessario; la proibizione, al male futuro, che è obbliga­
torio evitare, e il consìglio, alla sovrabbondanza del bene fu­
34 C f . p r in c ip a lm e n t e L e h o d e y , o .c ., p -3 -a ; G a r r i g o u - L a g r a n g e , o . c .,

p - 4 .a c .2 , e M a h i e u , o .c ., n . 7 4 -1 2 3 .
942 LA V IT A C R IS T IA N A NEL SU O S V IL U P P O ORDIN ARIO

turo. N o n è possibile stabilire una divisione più perfetta


e completa.
Esamineremo ora brevemente i principali modi con cui
possiamo conformarci a ciascuna di codeste manifestazioni
della volontà di D io significata:
1. « O p e r a t i o ». - D io vuole sempre positivamente quello
che fa per sé, perché si riferisce sempre al bene ed è ordinato
alla sua m aggior gloria. Cadono sotto questo aspetto tutti
gli avvenimenti individuali, familiari e sociali, che sono
stati disposti da D io stesso e non dipendono dalla volontà
degli uomini. A lcune volte codesti avvenim enti sono pia­
cevoli, e ci riempiono di gioia; altre volte sono amari, e ci
possono precipitare nella più grande tristezza, se non vedia­
mo in essi la mano di D io, che dispone tutto per la sua gloria
e il nostro m aggior bene. Una malattia provvidenziale può
gettare nelle braccia di D io un’anima traviata. T utto quello
che il Signore dispone è buono per noi, ancorché per il m o­
m ento ci possa causare tristezza e dolore. D inanzi a questi
avvenimenti prosperi o avversi, individuali o familiari,
che provengono direttamente dalla mano di Dio, senza alcun
intervento degli uomini, è solo possibile un’attitudine cri­
stiana: fiat volmtas tua. Se l’amor di D io ci fa sorpassare la
semplice rassegnazione — che è una virtù m olto imperfetta
— e se, sia pure attraverso le lacrime, guardiamo il cielo
con riconoscenza e gratitudine perché ci ha visitato col do­
lore, saremo giunti alla perfezione nella via di abbandono
e di perfetta conformità con la volontà di D io.
2. « P e r m i s s i o ». - D io non vuole mai positivamente quel­
lo che permette, perché si riferisce a un male, e D io non può
volere il male. Però la sua infinita sapienza sa convertire in
un bene più grande il medesimo male che permette, e per
questo precisamente lo permette. Il male più grande e il
peccato più grave che sia mai stato commesso fu la croci-
fissione di Cristo, e D io seppe ordinarla al m aggior bene che
l’umanità peccatrice abbia mai ricevuto: la redenzione.
È funesta la nostra m iopia quando, nei mali che D io
permette, ci soffermiamo a considerare le cause seconde o
immediate che li hanno prodotti e non innalziamo lo sguar­
do al cielo per adorare i disegni di D io , che li permette per
il nostro m aggior bene! I disprezzi, le persecuzioni, le calun­
nie, le ingiustizie di cui siamo vittim e sono certamente col­
pe in chi le com pie e D io non può volerle in se stesse, però
le permette per il nostro m aggio* bene. N ella ingiustizia
degli uom ini dobbiamo vedere la giustizia di D io , che casti-
M E Z Z I SEC O N D A R I IN T E R N I... 943

ga i nostri peccati, e persino la sua misericordia, che ce li


fa espiare.
3. « P r ^ ceptum ». - Sarebbe un grave errore cercare
di piacere a D io con pratiche di supererogazione inventate
o scelte da noi, trascurando i precetti che E g li medesimo
ci ha imposto direttamente o per mezzo dei suoi rappresentan­
ti. I comandamenti di D io o della Chiesa, i precetti dei supe­
riori, i doveri del proprio stato: ecco ciò che, anzitutto,
dobbiamo compiere fino nei particolari se vogliam o confor­
marci con la manifesta volontà di D io. Codesti precetti
dobbiamo: a) conoscerli: « nolite fieri imprudentes, sed in-
telligentes quae sit voluntas D ei » (Ef. 5,17); R am arli: « i-
deo dilexi mandata tua super aurum et topazion » (Sai.
118,127), e c) adempierli: « estote autem factores verbi,
et non auditores tantum: fallentes vosmetipsos » (Giàc.
1,22),
4. « P r o h ib it io ». - Il primo passo e il più elementare per
conformare la nostra volontà con quella di D io deve essere
quello di evitare diligentemente il peccato che lo offende.
« Per piccoli che siano, dai peccati avvertitamente voluti
si degni Iddio di preservarci. Che v i può essere di piccolo
nell’offesa di una Maestà cosi grande, i cui sguardi sono sem­
pre fissi su di noi ? Con questa considerazione il peccato è
già fin troppo premeditato. È come se dicessi: “ Signore, io
so che questo v i dispiace, capisco che mi vedete, so che non
lo volete, ne sono pienamente convinta, ma lo vo g lio fare
ugualmente; amo m eglio seguire il mio capriccio che la
vostra bontà” . E un peccato di tal fatta sarà piccolo ? Io
per me non lo credo. Per leggero che possa essere come colpa,
io lo trovo grave, grave assai >>35.
Però può avvenire che, nonostante i nostri sforzi, in­
corriam o in qualche mancanza e forse in un peccato mortale.
In questi casi che cosa dobbiamo fare ? In ogni peccato bi­
sogna distinguere due aspetti: l’offesa di D io e la nostra umi­
liazione. L a prima occorre respingerla con tutta l’anima;
non la deploreremo mai abbastanza essendo l’unico male
veramente degno di rammarico. L a seconda, invece, dobbia­
mo accettarla pienamente, perché ci aiuta a espiare la nostra
mancanza: « bonum mihi quia humiliasti me, D om ine, ut
discam iustificationes tuas » (Sai. 118,71). C ’è chi, quando si
pente dei suoi peccati, lamenta di più l’umiliazione che gli

35 C f. S. T e r e s a , Cammino 4 1 ,3 .
944 LA VITA CRISTIANA N EL S U O SVILU PPO ORDINARIO

hanno cagionato (per esempio, dinanzi al confessore) che


l ’offesa di D io . Com ’è possibile che una contrizione tanto
umana produca veri frutti soprannaturali ? i 6.
5 . « C o n s i l i u m » . - L ’anima che vu ole praticare in m o­
do perfetto la totale conform ità con la volontà di D io de­
v ’essere pronta a praticare i consigli evangelici — almeno
quanto al loro spirito, se non è consacrata a D io per m ezzo dei
vo ti religiosi — e a secondare i m oti interni della grazia
che le manifestano quello che D io vuole da lei in un deter­
minato momento.
B) In relazione alla volontà di beneplacito. - I disegni
di D io nella sua volontà di beneplacito ci sono interamen­
te sconosciuti. N o n sappiamo ciò che D io ha disposto ri­
guardo al nostro avvenire o a quello delle persone care. Pe­
rò sappiamo certamente tre cose: a) che la volontà di D io è
la causa suprema di tutte le cose; V) che codesta volontà di
D io è essenzialmente buona e benefica; e c) che tutte le cose
e avvenim enti prosperi o avversi contribuiscono al bene
di coloro che amano D io e vo g lion o piacergli in tutto.
È la santa indifferenza, che S. Ignazio ricorda nel « prin­
cipio e fondam ento » dei suoi Eserciti com e disposizione
fondamentale di tutta la vita cristiana: « Per il che è neces­
sario farci indifferenti a tutte le cose create, quanto è permes­
so alla libertà del nostro arbitrio e non le è proibito; sicché
non vogliam o da parte nostra più la sanità che l’infermità,
la ricchezza che la povertà, l ’onore che il disonore, la vita
lunga che la vita breve e cosi di tutto il resto; solo deside­
rando ed eleggendo quello che m eglio ci conduce al fine
per cui siamo creati » 37.
È necessario però intendere rettamente questa indif­
ferenza per non incorrere nei deprecabili errori del quieti­
smo. N e esamineremo attentamente il fondamento, la natura
e l ’ estensione $.
a) F o n d a m e n t o . - La santa indifferenza si appoggia ai

36 Cf. P o l l i e n , L a vita interiore semplificata p .2.a I.3, c.io .


37 Cf. S. I g n a z i o , E serciti n.23: Principio e fondamento. N elle ultime pa­
role S. Ignazio dà la chiave per intendere rettamente il suo pensiero. L ’in­
differenza d i cu i parla si riferisce unicamente a tutte quelle cose che n on ca­
dono sotto la volon tà espressa o significata di D io , non al com pim ento dei
comandamenti. C ’è un abisso tra la santa indifferenza di S. Ignazio e quel’a
assurda del quietismo.
3 8 C f . M a h i e u , 0. c ., rc-118 -12 3 .
M E Z Z I SE C O N D A R I IN T E R N I... 945

tre principi teologici che abbiamo ricordato. È evidente


che, se la volontà divina è la causa suprema di tutto quanto av­
viene, se essa è infinitamente santa, sapiente, potente e ama­
bile, quanto più la mia volontà coincide con quella di Dio,
tanto più sarà santa, sapiente, potente ed amabile. In tal
modo non ci potrà accadere mai nulla di male, perché gli
stessi mali che D io permette nella nostra vita, contribuiran­
no al nostro m aggior bene se sapremo approfittarne nella
form a prevista e voluta da D io.
2. N a t u r a . - Per precisare la natura e ia vera portata
della santa indifferenza, occorre tener presenti tre principi
fondamentali:
a) Il suo scopo è quello di spingere l’uom o a darsi
totalmente a Dio uscendo da se stesso. N o n si tratta di un
disinteresse stoico ed irrazionale di fronte a quanto ci può
accadere, ma del m ezzo più efficace per fare aderire comple­
tamente la nostra volontà a quella di D io.
V) Questa indifferenza si riferisce unicamente alla par­
te superiore dell’anima. La parte inferiore o inclinazione
naturale — vnluntas ut natura, come dicono i teologi — non
può, difatti, fare a meno di sentire e accusare i colpi della
disgrazia. Sarebbe tanto impossibile chiedere alla sensi­
bilità di non sentire nulla dinanzi al dolore quanto preten­
dere da una persona, che incontri un inferocito leone, di
non avere paura. N on è possible non provarla (S. Francesco di
Sales). Quindi, non bisogna turbarsi quando si sente la ri-
p ugran za della natura, purché la volontà sia disposta ad
accettare quel dolore come proveniente dalla mano di D io,
nonostante tutte le proteste della sensibilità. Q uesto è l ’e­
sempio che ci diede G esù Cristo, il quale da un lato desi­
derava ardentemente la passione — « quom odo coarctor!... »
(Luca 12,50); « desiderio desideravi... » (Luca. 22,15) —
e dall’altro accusava il dolore della parte sensibile: « L ’a­
nima mia è triste fino alla m otte... » (Mat. 26,38); « D io
m io, D io mio, perché mi hai abbandonato ? » (Mat. 27,46).
Evidentem ente S. G iovanni della Croce lanciava l’eroico
grido: « Patire, Signore, ed essere disprezzato per T e »,
S. Teresa la sua esclamazione: « O morire o patire », S.
Maria Maddalena de’ Pazzi il suo gem ito « N o n morire,
ma patire », non secondo la parte inferiore della loro sen­
sibilità — infatti erano di carne e dì ossa come noi —
ma unicamente secondo la loro volontà superiore, che
volevano sottomettere totalmente al beneplacito divino no­
nostante tutte le proteste della natura sensibile.
946 LA V IT A C R IS T IA N A NEL SU O S V IL U P P O ORDINARIO

c) Questa indifferenza, infine, non è puramente pas­


siva, ma veramente attiva, ancorché determinata soltanto
dalla volontà di D io. N ei casi in cui questa volontà divina
appare già manifesta (volontà di segno), la volontà dell’uo­
mo la compie con generosità rapida e ardente. E in quelli
in cui la divina volontà non si è ancora manifestata (volon­
tà di beneplacito) è in stato dà. perfetta disponibilità per ac­
cettarla e compierla appena si manifesta.
Questa indifferenza, dunque, non ha nulla a che vede­
re con la quiete odiosa e inattiva sognata dai quietisti e condan­
nata dalla Chiesa 39.
3. E s t e n s i o n e . - « Si deve praticare l’indifferenza — di­
ce S. Francesco di Sales — nelle cose che riguardano la
vita naturale, come la salute, la malattia, la bellezza, la
debolezza, la forza; nelle cose della vita civile com e gli
onori, la condizione sociale, le ricchezze; nei vari eventi
della vita spirituale come le aridità, le consolazioni, le dol­
cezze; pelle azioni, nelle sofferenze insomma in tutte le cir­
costanze della vita » 4°.
N ei capitoli seguenti il santo vescovo di G inevra de­
scrive meravigliosamente com e si debba praticare questa
santa indifferenza e questo illimitato abbandono nelle più
difficili circostanze: nelle cose del servigio di Dio., quando
E g li permette l’insuccesso dopo aver fatto da parte nostra
tutto quanto potevamo; nel nostro progresso spirituale, quando,
nonostante tutti i nostri sforzi, pare che non facciamo nes­
sun passo avanti; nella permissione dei peccati altrui, che dob­
biamo odiare in se stessi, però adorando nel medesimo
tempo la sapienza divina che non li permette mai se non
per ricavarne beni m aggiori; nelle nostre proprie mancanze^
che dobbiamo odiare ed eliminare però accettando nel mede­
simo tempo l’umiliazione che ci causano e dolendoci di esse
con un « pentimento forte, sereno, costante e tranquillo,
ma non inquieto, turbolento né scoraggiato», ecc*1.

39 C f. D enz. 12 2 1 S .
4° C f . S . F r a n c e s c o d i S a l e s , Teotimo I.9 , c.5.
41 È anche m olto utile l'opera di D o m V i t a l e L e h o d e y , I I santo abban­
dono, fortem ente influenzata dallo spirito di S. Francesco di Sales che cita
continuamente.
M E Z Z I SEC O N D A R I IN T E R N I... 947

U n’ultima questione: bisogna giungere in questo illi­


mitato abbandono a diventare indifferenti riguardo alla p ro­
pria salvezza, come dicevano i quietisti e i semiquietisti?
Assolutamente no. Q uesto errore è stato condannato dal­
la Chiesa D io vuole che tutti gli uom ini si salvino (i Tim .
2,4), e permette che si dannino soltanto coloro che lo v o ­
gliono calpestando i suoi comandamenti e m orendo impeni­
tenti. Rinunciare alla nostra salvezza col pretesto di prati­
care con una perfezione più grande il totale abbandono nel­
le mani di D io sarebbe un opporci alla volontà stessa di
D ìo , che vuole salvarci, e all’appetito naturale della nostra
felicità, che ci viene da D io attraverso la natura. L ’unica
cosa che si deve fare è di desiderare la nostra salvezza,
non soltanto perché con essa raggiungerem o la nostra pie­
na felicità, ma anzitutto perché D io lo vuole, e con essa
lo glorificheremo con tutte le nostre forze. I l m otivo della
gloria di D io deve essere il primo, e deve prevalere su quel­
lo della nostra propria felicità, però senza rinunciare
mai a quest’ultima, che entra pienamente — benché in
secondo lu o go — negli stessi disegni di D io.
494. 5. F r u t t i e v a n t a g g i d e l l a v i t a di a b b a n d o ­
n o i n D i o . - Sono inestimabili i frutti e i vantaggi del­
la vita di perfetto abbandono all’amorosa provvidenza di
D io. A parte quelli già indicati quando parlammo della
sua eccellenza, meritano di essere ricordati i seguenti «:
1) C i fa vivere in dolce intimità con D io , com e il bambino
tra le braccia della madre.
2) L ’anima cammina con semplicità e libertà; non de­
sidera altro che quanto è voluto da D io .
3) C i rende costanti e di animo sereno in tutte le circo­
stanze.
4) Ci riempie di pace e di allegria: non può capitare nul­
la capace di alterarle, perché vogliam o soltanto quello che
D io vuole.
j) Ci assicura una m orte santa e il favore di D io: in cielo,
D io compirà la volontà di coloro che avranno com piuto
la sua sulla terra.

41 Cf. D enz. 1227.


43 Cf. L e h o d e y , o .c., p>4.a, c .2 .
948 LA V IT A C R IS T IA N A NEL SU O S V IL U P P O ORDINARIO

Articolo VI
L a fedeltà alla grafia

S. T u . , 1 - 1 1 ,1 0 9 ,9 ;
1 1 1 ,2 - 3 ; S . F r a n c e s c o d i S a l e s , Teotimo 11,19*
12; M a h ie u , Probatio caritatis n n . 9 7 - 1 0 2 ; P o l l i e n , L a vita interiore sem­
plificala p .2 .a ; G a r r i g o u - L a g r a n g e , Perfezione... c. 4 , a.5, § 3 e 4;
L e tre età p. i . a . c .3 a.5; L a l l e m a n t , L a dottrina spirituale p r in c . 4 c c .1 - 2
e 6 ; D e G u i b e r t , Theologia spiritualis n n .1 2 7 - 3 9 ; T a n q u e r e y , Compendio di
Teologia ascetica e mistica n n . 4 8 3 -4 ; P l u s , L a fedeltà alla grazia.

U no dei mezzi più importanti e indispensabili per il


progresso spirituale è la fedeltà alla grazia, ossia, alle interne
m ozioni dello Spirito Santo, che ad ogni istante ci spinge
al bene.
495. 1 . N a t u r a . - Premessa. - L a grazia attuale. - C o ­
me fondamento indispensabile per intendere la vera p o r­
tata della fedeltà alla grazia è necessario tener presente tutto
ciò che si riferisce alla natura, alla necessità, alla divisione,
agli uffici e alle funzioni della grazia attuale, che coincide
con l’ ispirazione dello Spirito, e di cui abbiamo già parlato
(cf. nn. 92-95).
C iò presupposto, esamineremo ora la natura della fe­
deltà alla grazia.

La fedeltà in generale non è altro che la lealtà, la.


completa adesione, l’osservanza esatta della fede che
uno deve a un altro. Nel diritto feudale era l’obbligo
che aveva il vassallo di presentarsi al suo signore e
rendergli omaggio, rimanendogli soggetto e chiaman­
dosi sin d’allora uomo del signor X . La fedeltà alla gra­
zia non è altro che la lealtà o docilità nel seguire le ispirazio­
ni dello Spirito Santo in qualsiasi form a ci sì manifestino.
D ice S. Francesco di Sales: « Chiamiamo ispirazioni tut­
ti gli inviti, i m ovim enti, i rim proveri e i rimorsi interiori,
i lumi e le cognizioni che D io comunica al nostro cuore,
colle sue benedizioni, per la cura che ha di noi e per l’amore
M E Z Z I SE C O N D A R I IN T E R N I.., 949

paterno che ci porta, affine di risvegliarci, eccitarci, strin­


gerci, ed attirarci alle sante virtù, all’amore celeste, alle
buone risoluzioni: insomma a tutto quello che può agevo­
larci l’acquisto dell’eterna felicità » 44.
L e divine ispirazioni vengono prodotte in varie maniere.
Anche i peccatori le ricevono quando sono spinti alla con­
versione. Il giusto però nel quale abita lo Spirito Santo, le
riceve a ogni momento. L o Spirito Santo per m ezzo di
esse illumina la nostra mente affinché possiamo vedere quello
che occorre fare e m uove la nostra volontà affinché possiamo
e vogliamo compierlo, secondo il detto dell’A postolo: « È
D io che produce in vo i, a suo compiacimento, il volere
e l ’operare » (Fil. 2,13).
L o Spirito Santo opera nell’anima del giusto quando
vuole e come vuole: « Spiritus ubi vult spirat » (G iov.
3,8). A lcun e volte illumina solamente come nei casi dubbi,
altre volte muove solamente, per esempio a realizzare una
buona azione a cui si pensava; la m aggior parte delle volte
però illumina e muove ad un tempo. A lle volte l’ispirazione
viene prodotta durante il lavoro, improvvisam ente, quan­
do l’anima distratta non pensa all’oggetto della ispirazione;
altre volte viene prodotta nell’orazione, nella comunione,
nei momenti di raccoglim ento e di fervore. L o Spirito San­
to regge e governa il figlio adottivo di D io sia nelle cose
ordinarie della vita che in quelle di m aggior importanza.
S. A nton io abate entrò in una chiesa e, dopo aver udito
le parole del Vangelo: « Se vu oi essere perfetto, v a ’ e vendi
quanto hai e dallo ai p overi» (Mat. .19,21), andò a casa,
vendette quanto possedeva e si ritirò nel deserto.
L o Spirito Santo non sempre ci ispira direttamente.
A lle volte si serve dell’angelo custode, di un predicatore,
di un buon libro, di un amico; però è sempre lui, in ultima
analisi, il principale autore di quelle ispirazioni.

496. 2 . Importanza e necessità. - Non si in­


sisterà mai abbastanza sull’eccezionale importanza e
assoluta necessità della fedeltà alla grazia per pro­
gredire. In un certo senso questo è il problemafondamen­
tale della vita cristiana, giacché da esso dipende l’in­
cessante avanzamento o la paralisi nella via della perfe-

44 Cf. Filotea p.2, c.18.


950 LA V IT A C R IS T IA N A N E L SU O S V IL U P P O ORDIN ARIO

zione. L a preoccupazione del direttore spi­


rituale d ev’ essere quella di condurre l ’anima alla più
squisita e costante fedeltà alla grazia senza di che tutti
g li altri m etodi o procedim enti sono irrim ediabilm en­
te condannati all’insuccesso. L a ragione teologica di
ciò occorre cercarla nell’econom ia divina della grazia-
attuale, che ha una stretta relazione con il grado della
nostra fedeltà.
Effettivam ente, com e insegna la T eo lo gia, la gra­
zia attuale è assolutam ente necessaria per qualsiasi
atto salutare. N e ll’ordine soprannaturale è quello che
la previa mozione divina è nell’ ordine puram ente natu­
rale: qualche cosa di indispensabile affinché un essere
in potenza passi all’atto. Senza, di essa sarebbe im possi­
bile com piere il più piccolo atto soprannaturale pur
possedendo la grazia, le virtù e i doni dello Spirito
Santo. L a grazia attuale è com e l’aria divina, che lo
Spirito Santo invia alle nostre anime per farle respirare
e viv ere nel piano soprannaturale.
Scrive il P. Garrigou-Lagrange: « La grazia attuale ci
viene offerta continuamente per l’adempimento del dovere
del momento presente, com e l’aria giunge di continuo ai
nostri polm oni onde possiamo respirare. E com e dobbiamo
aspirare l’aria che rinnova il nostro sangue cosi dobbiamo
ricevere docilmente la grazia che rinnova le nostre energie
spirituali per camminare verso D io . Chi non aspirasse l’aria
finirebbe col morire di asfissia; chi non riceve docilmente la
grazia finirà col morire di asfissia spirituale. S. Paolo dice
a tal proposito: “ V i esortiamo a non ricevere la grafia di
Dio invano” (2 Cor. 6,1). D obbiam o rispondervi e coo­
perarvi generosamente. E cco una verità elementare che,
messa in pratica quotidianamente, conduce alla santità >>45.

B isogn a anche pensare che nell’econom ia ordinaria


della sua provvid en za, D io subordina le grazie seguen­
ti che deve concedere a u n ’anima al b u on uso di quelle

k C f. La tre età p .ia . 0 . 3 , a .5 .


M E Z Z I SEC O N D A R I IN T E R N I.., 951

precedenti. Una semplice infedeltà alla grazia può


interrom perne la serie, causandoci una irreparabile
perdita. N el cielo vedrem o com e la mancata santità
di tante anime fu causata dalle infedeltà alla grazia —
forse in se stesse veniali, però pienamente volontarie
— , che paralizzarono l ’azione dello Spirito Santo, im ­
pedendogli di condurre l’anima alla perfezione. Scri­
v e ancora G arrigou-Lagrange:
« La prima grazia illuminatrice, che produce efficace­
mente in noi un buon pensiero, è sufficiente riguardo al con­
senso delia volontà moralmente buono, nel senso che esso
ci dà non già questo atto, ma il potere di produrlo. Se però
resistiamo a questo buon pensiero, ci priviam o della grazia
attuale che ci avrebbe efficacemente portati al buon consenso.
La resistenza cade sulla grazia sufficiente come la gran­
dine sopra un albero in fiore che promette copiosi frutti;
i fiori sono distrutti e i frutti non si formeranno mai. La
grazia efficace ci viene offerta nella grazia sufficiente, come
il frutto nel fiore; ma è necessario non distruggere il fiore
per ottenere il frutto. Se non resistiamo alla grazia suf­
ficiente, ci verrà data la grazia attuale, efficace, e con que­
sta andremo avanti con passo sicurissimo nella via della
salute. La grazia sufficiente ci lascia quindi senza scusa da­
vanti a D io , e la grazia efficace non ci permette di gloriarci
di noi stessi; con essa procediamo umilmente e generosa­
mente » «.

497. 3. E ffic a c ia sa n tifica n te . - Scrive il P.


Lallemant:
« I due elementi costitutivi della vita spirituale sono la
purificazione del cuore e la direzione dello Spirito Santo.
Sono questi i due poli della spiritualità cristiana. È attraver­
so queste due vie che si arriva alla perfezione in proporzione
al grado di purezza acquistata e della fedeltà con cui si
è cooperato agli impulsi dello Spirito Santo e si è assecon­
dato la sua direzione.
Tutta la nostra perfezione dipende da questa fedeltà,
e si può affermare che il compendio di tutta la vita spirituale
sia nello studiare nell’anima nostra i criteri e gii impulsi

Ivi,
952 LA V IT A C R IS T IA N A N EL SU O S V IL U P P O ORDINARIO

dello Spirito di D io e nel fortificare la nostra volontà nella


risoluzione di esservi fedeli, servendoci a questo scopo del­
le pratiche di pietà, della lettura spirituale, dei santi sacra­
menti, dell’esercizio delle virtù e delle opere buone...
L o scopo a cui dobbiamo tendere, quando ormai da
tempo ci saremo esercitati alla purificazione del cuore,
è di essere posseduti e diretti dallo Spirito Santo in m odo
che lui solo guidi tutte le nostre potenze e tutti i nostri
sensi e regoli ogni nostro m ovim ento interno ed esterno;
a lui solo noi ci affidiamo interamente con una rinuncia
severa ad ogni nostro volere e soddisfazione. A llora non
vivrem o più in noi stessi, ma in G esù Cristo, per mezzo
di una corrispondenza fedele all’operazione del suo divino
Spirito e della perfetta Sottomissione di tutte le nostre
ribellioni al potere della sua grazia...
Capita alle volte che, dopo aver ricevuto dal Signore
una buona ispirazione, ci troviam o tosto assaliti da ripugnan­
ze, da dubbi; da perplessità, da difficoltà, le quali nascono
dal fondo della nostra natura corrotta e dalle passioni con­
trarie all’ispirazione divina. Se n oi però accogliessimo que­
ste ispirazioni con intera sottomissione del cuore, questa
ci riempirebbe della pace e della consolazione che lo Spirito
di D io porta con sé e com unica alle anime in cui non trova
resistenza...
Il seguire quasi in tutto la natura e i criteri umani ci
impedisce di raggiungere la perfezione od è la causa di arri­
varvi m olto tardi. C i si lascia guidare troppo poco o niente
del tutto dallo Spirito Santo, la cui proprietà è di portar
luce, di dirigere, di infervorare.
La m aggior parte dei religiosi, anche dei buoni e vir­
tuosi, non seguono nella loro condotta personale e nella di­
rezione degli altri, che la ragione e il buon senso; ed in questo,
anzi, eccellono. Tale criterio, pur essendo buono, nella per­
fezione cristiana è insufficiente.
Tali persone si regolano ordinariamente sul sentimento
comune di quelli con cui vivono; e siccome costoro, per
quanto la loro vita non sia sregolata, vivo n o ancora lontani
dalla perfezione, essendo assai piccolo il gregge dei perfetti,
non riescono perciò mai a toccare le sublimi altezze delle
vita spirituale; si conform ano alla massa ed imperfetta è pura
la loro maniera di dirigere g li altri. Per qualche tempo lo
Spirito Santo pazienta, affinché essi abbiano a rientrare nel
loro interno e, discernendovi le diverse operazioni della
grazia e della natura, si decidano a lasciarsi guidare da lui
M E Z Z I S E C O N D A R I IN T E R N I... 953

ma se essi abusano del tempo e del favore concesso, alla fine


li abbandona a se stessi, lasciandoli in quell’oscurità e in quel­
l’ignoranza delle proprie condizioni interiori, della quale si
resero colpevoli e in cui ormai vivo n o a grave rischio della
propria salvezza.
Si può asserire con verità che assai poche sono le anime
che abbiano costanza nel seguire le vie di D io . M olti de­
viano incessantemente; è vero che lo Spirito Santo li richia­
ma con le sue ispirazioni, ma siccome sono indocili, pieni di
se stessi, attaccati ai propri sentimenti, inorgogliti del pro­
prio senno, non si lasciano guidare con docilità, non entra­
no che raramente nella via tracciata da D io, e v i stanno per
poco, perché ritornano alle loro idee e ai loro disegni, che
li ingannano grandemente. E in questo m odo non fanno m ol­
ti progressi, e sono sorpresi dalla morte quando hanno fatto
pochi passi, mentre avrebbero potuto correre assai, se si
fossero abbandonati alla direzione dello Spirito Santo.
A l contrario, le persone di vita interiore che si lascia­
no guidare dalla luce dello Spirito di D io, alla quale sono ben
disposte perché di cuore puro e di perfetta docilità, vanno a
passo di gigante e volano, per cosi esprimerci, nelle vie del­
la grazia» 47.

498. 4. M o d o d i p ra tica rla . - Esam inerem o la


parte di D io e la nostra; ossia, l’ispirazione dello Spi­
rito Santo in se stessa e la nostra risposta al suo am o­
roso in vito 48.
A ) L ’ ispirazione dello Spirito Santo. - S. Tom m aso,
commentando le parole dell’apostolo: « Q uicum que enim
Spiritu Dei aguntur, ii sunt filii D ei » (Rom. 8,14), scrive:
« Questi sono retti come da una guida e direttore; la
qual cosa compie lo Spirito, in quanto ci illumina inte­
riormente riguardo a quello che dobbiamo fare... Però l’uo ­
mo spirituale non solo è ammaestrato dallo Spirito Santo
riguardo a quello che deve fare, ma lo Spirito Santo me­
desimo muove il suo cuore affinché lo compia. E per que­
sto si dice che sono mossi — aguntur — coloro che sono
spinti da un certo istinto superiore. Diciam o, quindi, che gli

47 C f. P . L a l l e m a n t , L a dottrina spirituale princ. 4, 0.2, a. 1. e 2.


48 C f. M a h ie u , Probatio caritatis nn. 98-102. Si veda anche l’opera del P.
L a l l e m a n t , L a dottrina spirituale (princ. 4) e quella d e lP . P l u s , L a jedeltà
alla gra%ia> che trattano dello stesso argom ento.
954 LA V IT A C R IS T IA N A NEL SU O S V IL U P P O ORDINARIO

animali non si m uovono, ma che sono, mossi — non agunt


sed aguntur — perché sono spinti dall’istinto della natura, e
non dalla loro scelta, a compiere le proprie azioni. Cosi
l’uom o spirituale non è mosso a realizzare qualche cosa
principalmente dalla propria volontà, ma dall’istinto dello
Spirito Santo. N on si esclude però che operi anche in forza
della sua volontà e del libero arbitrio, poiché codesto mede­
simo m ovim ento della sua volontà e del suo libero arbi­
trio è causato dallo Spirito Santo, secondo quello che scrive
S. Paolo (Fil. 2,13): “ È D io che produce in vo i, a suo pia­
cimento, il volere e l’operare” » w.
L ’ispirazione dello Spirito Santo è rispetto all’atto di
virtù quello che è la tentazione rispetto all’atto di peccato.
L ’uom o giunge al peccato per una triplice via: la tentazione,
il diletto e il consenso. L o Spirito Santo propone l’atto di
virtù all’intelletto ed eccita la volontà; il giusto, infine,
lo approva e lo compie.
G li atti di virtù si producono, dunque, sotto l’impulso
e la direzione dello Spirito Santo; e, nella misura con cui l’a­
nima sarà fedele a questo impulso, acquisterà facilità e pia­
cere nell’esercizio delle virtù. Questi atti si chiamano allora
frutti dello Spirito Santo. A lcun i di essi sgorgano dall’anima
con tanta perfezione e soavità, che rendono felice l’anima già
in questa vita, e allora si chiamano beatitudini (cfr. nn. 88-8.9).
A ven d o nelle nostre anime per l’infusione dello Spirito
Santo i doni, che hanno lo scopo di renderci docili alle sue
divine ispirazioni 5°, possediamo un certo titolo e diritto a
chiederle e a sperarle. N o n dovrem m o fare nessun’altra
preghiera con m aggior frequenza che questa: « V en i Creator
Spiritus, mentes tuorum visita... A ccende lumen sensibus,
infonde amorem cordibus... D a nobis in eodem Spiritu
recta sapere, et de e'tus semper consolatione gaudere » (Liturgia di
Pentecoste).
3) L a nostra risposta D a parte nostra sono ne­
cessarie tre cose: l’attenzione alle ispirazioni dello Spirito
Santo; la discrezione per saperle distinguere dai m oti della na­
tura o del demonio; la docilità per assecondarle.
1) A t t e n z i o n e . - Consideriamo frequentemente che lo

49 C f. S. T h . A d Romanos 8, lect.3.
5° L o dice espressamente S. Tom m aso, ed è dottrina com une nella teo­
logia dei doni: « Q uia secundum ea .homo disponitur u t efficiatur prompte
mobilis ab inspiratione divina» (1-11,68,1).
M E Z Z I SE C O N D A R I IN T E R N I.., 955

Spirito Santo abita dentro di noi (iC or. 6,19). Se -facessimo


il vu oto di tutte le cose terrene e ci raccogliessim o nel si­
lenzio e nella pace del nostro interno, udiremm o, senza
dubbio, la sua voce e le insinuazioni del suo amore. N o n si
tratta di una grazia straordinaria, ma del tutto normale e
ordinaria in una vita cristiana seriamente vissuta.
Perché, dunque, non udiamo di fatto la sua vo ce ? Per
tre principali ragioni:
a) Per la nostra abituale dissipazione. - D io sta dentro
e n oi viviam o fuori. « Chi è solito vivere interiormente —
dice l’autore dell 'Imitazione: II, 1 — riesce a raccogliersi con
facilità appunto perché non si dissipa mai completamente
nelle cose esteriori ». L o Spirito Santo stesso ce lo ricorda:
« L a condurrò nella solitudine e parlerò al suo cuore »
(Os. 2,14).
D ice il P. Plus: « D io è discreto; ma ciò non deriva da
una falsa timidità o da impotenza-. Potrebbe im porsi, se
volesse; se non lo fa, gli è per delicatezza e per lasciare più
ampio spazio di m ovim ento alla nostra iniziativa.
M a non possiamo fare che il Signore non sia quel
grande Signore che è; né possiamo impedire che abbia il
sentimento m olto acuto della sua suprema dignità. Là,
dove vorrebbe entrare o agire, non ci sono — supponia­
mo — che preoccupazioni folli, strida di raganelle, agitazio­
ni, turbini, impazienza di muoversi, spostamenti incessanti,
ricerche sconsiderate di inezie. E allora ? A llora non si sente
di domandare udienza.
D io non si comunica nello strepito. Quando vede
l’interno dell’anima ingom brato di mille cose, non mette
nessuna fretta per darsi, per venire ad alloggiare in mezzo
a queste mille e una inutilità. Ha il suo am or proprio: non
ama di essere messo all’asta con le anticaglie. Qualche volta,
tuttavia, non ci bada, fa il primo, e nonostante la nostra
disattenzione s’impone alla nostra attenzione. N on lo si vole­
va ricevere; è entrato, parla. Generalmente, però, non pro­
cede cosi: evita una presenza che troppo visibilmente non
si ricerca.
Certo: se l’anima è in stato di grazia, E g li v i risiede,
ma non le si manifesta; poiché non ci si degna di accorger­
sene, rimane inosservato; poiché gli si preferiscono dei
“ surrogati” , E gli, che è il bene supremo, evita di farsi
preferire, nostro malgrado.
V ede, invece, che uno cerca di sgombrare il suo inter­
no e di circondarsi di silenzio ? A llora s’avvicina: ne rimane
956 LA V IT A C R IS T IA N A N E L S U O SV IL U P P O ORDINARIO

com e incantato. Può manifestarsi, perché l’anima — E g li


lo sa — lo ascolterà. N o n si manifesterà né sempre, né
soventissimo in m odo apparente; ma l’anima si sentirà con
piena certezza invitata a salire » s1.
b) Per la nostra sensualità. - Siamo ancora troppo
carnali, e non stimiamo e non assaporiamo altro che le cose
esteriori e piacevoli ai sensi. E , come dice S. Paolo, «. l’uom o
animale non percepisce le cose dello Spirito di D io » (iC o r.
2,14). È assolutamente indispensabile lo spirito di mortifi­
cazione.
c) Per i nostri affetti disordinati. - « Se qualcuno non
sarà riuscito a scrollarsi di dosso tutte le cose create non
potrà liberamente tendere alle divine. È per questo, difatti,
che si trovano pochi capaci di contemplare; perché pochi
sanno completamente staccarsi da ciò che perisce ed è creato »
(Imitazione dì Cristo 111,31).
D ue cose, dunque, è necessario praticare per udire la
voce di D io: distaccarsi da ogn i affetto terreno e volgere
l ’attenzione positivamente all’Ospite delle nostre anime. L ’a­
nima deve rimanere sempre in attitudine di umile attesa:
«Parla, o Signore, che il tuo servo ti ascolta» (iR e 3,10).
2) D i s c r e z i o n e . - N ella vita spirituale è di grande im ­
portanza il discernimento o discrezione di spirito (cfr. n. 530-
36) per sapere quale spirito ci m uove in un determinato
momento. I principali criteri per conoscere le divine ispi­
razioni sono:
a) L a santità dell’oggetto. - Il demonio non spinge mai
alla virtù; e neppure la natura quando si tratta di una virtù
scomoda e difficile.
b) La conformità col nostro stato. - L o Spirito Santo
non può spingere un certosino a predicare, né una mona­
ca contemplativa ad avere cura degli infermi negli ospe­
dali.
c) La pace e la tranquillità di cuore. - « L e ispirazioni
se provengono da D io , lasciano nel cuore che le riceve
pace e tranquillità. L o Spirito Santo è violento, ma di una
violenza dolce, soave, pacifica. Viene come vento impetuoso,
ma non atterra gli A postoli, non li sgomenta; lo spavento
che produce in essi è momentaneo e lascia presto nel lo­
ro cuore una dolce sicurezza. Si posa sopra ciascuno in forma

^ Cf. P. P lu s, L a fed eltà a lla g r a t t a Torino 1947, p. 555.


M E Z Z I SE C O N D A R I IN T E R N I... 957

d i fuoco per significare che voleva essere pace e riposo di


ogn un o (Atti 2,2). p II demonio, al contrario, cagiona con­
fusione e inquietudine.
d) U obbedienza umile. - « Quando v i è l’ubbidienza
vi è anche la bontà, ma quando si è restii ad ubbidire non si
è veramente virtuosi... Chi dice di essere ispirato e rifiuta
d i obbedire ai superiori, è un im postore » Si. L a testimo­
nianza di ciò è costituita da un gran numero di eretici e di
apostati che si dicevano ispirati dallo Spirito Santo.
e) I l giudizio del direttore spirituale. - N elle cose di po­
ca importanza che capitano tutti i giorni non è necessaria
una lunga deliberazione. Basta eleggere semplicemente quello
che sembra più conform e alla volontà divina, senza scrupo­
li né inquietudini di coscienza; però nelle cose dubbie di
m aggior importanza, lo Spirito Santo inclina sempre a con­
sultare i superiori o il direttore spirituale.
3) D o c i l i t à . - Consiste nel seguire l’ispirazione della
grazia nello stesso istante in cui si produce, senza fare aspettare
un secondo lo Spirito Santo 54. E g li sa m eglio di noi ciò
che ci conviene; accettiamo, dunque, ciò che ci ispira e por­
tiamolo a compimento con un cuore allegro e deciso. L ’a­
nima deve essere sempre disposta a compiere la volontà
di D io in ogni momento: « Insegnami a fare la tua volontà,
perché tu sarai il mio D io » (Sai. 142,10).

A r tic o lo V I I

Miglioramento del proprio temperamento

F o u illé e , Tempèrament et caracteres (1895), Les caractères (Paris 1902);


M a l a p e r t , Les éléments du caractère et Jeurs tois de combinaison (1897); Gui-
b e r t , I l carattere; F r o e b e s , Psicologia empiricay experimental t. 2; T a n q u e r e y
Compendio di Teologia ascetica e mistica app; C. H o c k , L os cuatro temperamentùs
(Buenos Aires 1940); B re n n a ? ? , Psicologia generai (Madrid 1952); B a r b a d o ,
Hstudios de psicologia experimental t. 2 (Madrid 1948).

5 * Cf. S. F r a n c e s c o d i S a l e s , Teotimo 1.8, c.13.


53 Ivi, 1.8, c.13.
S’intende che questo si riferisce unicamenteai casi in cui l ’ispirazione
958 L A V IT A C R IS T IA N A N EL SU O S V IL U P P O ORDINARIO

O ltre le risorse psicologiche di tipo naturale e sopranna­


turale che abbiamo esaminato, nella nostra santificazione pos­
siamo utilizzare anche il nostro temperamento, migliorandone
le buone disposizioni e correggendone i difetti. Ciò con­
corre m olto lontanamente alla nostra santificazione, in
un piano puramente dispositivo e semplicemente naturale;
tuttavia ha la sua importanza almeno negativa, poiché
rim uove ostacoli (ut removens prohibens).

4 9 9 . i . N a t u r a . - C ’è u n a gran d e d iv ersità d ’ o p i­
n io n i tra g li a u to ri rig u a rd o alla n atura e alla classifi­
cazio n e d ei tem p eram en ti. N o i e sp o rrem o la d o ttrin a
p iù com u n em en te am m essa, d a n d o le u n orien tam en to
em inentem en te p ra tico.
Il tem p era m en to è i l complesso di inclinazioni intime
che sgorgano dalla costituzione fisiologica di un uomo. È la
caratteristica din am ica di o g n i in d iv id u o , ch e risu lta
d al p re d o m in io fisiologico di un sistem a o rg a n ic o , co m e
il n e rv o s o o il sa n g u ig n o , o d i u n u m o re, co m e la b ile
o la linfa.
Il temperamento è qualche cosa di innato nell’individuo.
S l’indole naturale, ossia, qualche cosa che la natura ci impo­
ne. Perciò non scompare mai completamente: « genio e fi­
gura fino alla sepoltura ». Tuttavia una educazione oppor­
tuna e soprattutto la forza soprannaturale della grazia pos­
sono, se non trasformarlo totalmente, ridurre almeno al mi­
nimo i suoi inconvenienti e anche sopprimere del tutto le sue
manifestazioni esteriori. Serva di esempio, tra mille altri,
S. Francesco di Sales, che è passato ai posteri col nom e di
« santo della dolcezza » nonostante il suo temperamento
fortemente collerico.

5 0 0 . 2. C la s s if ic a z io n e d e i t e m p e r a m e n t i. -
D o p o m ille ten tativi, i trattatisti m o d e rn i rito rn a n o
alla classificazio n e d e g li a n tich i, ch e sem bra de­
r iv a re da Ip p o cra te. I tem p eram en ti fo n d a m e n ta li
sareb b ero qu attro : il sanguigno, il nervoso, il collerico

divina è del tutto manifesta. N ei casi dubbi bisognerebbe riflettere, appli­


cando le regole del discernimento o consultando il direttore spirituale.
M E Z Z I SE C O N D A R I IN T E R N I.. 959

e il flemmatico, seco n d o ch e p r e d o m in a . in essi la c o ­


stitu zio n e fis io lo g ic a ch e il su o n o m e in d ica.
P rim a di esp o rre le caratteristich e p rin cip a li d i o g n u ­
n o di essi, facciam o n otare ch e n essun tem p eram en to
esiste « ch im icam en te p u ro » n ella realtà; gen eralm en te
si tro v a n o m e sco la ti e in o ltre p resen ta n o grad i m o lto
d iversi. C o si, i flem m atici n o n so n o tali m ai del tu tto,
m a si ritro v a n o in essi m o lte tr a c c ; di sensibilità;
i s a n g u ig n i h an n o , alle v o lte , q u alità p ro p rie d el n er­
v o s o , ecc. Si tratta un icam en te di q u a lch e co sa d i pre­
dominante n ella co stitu zio n e fis io lo g ic a di u n in d iv i­
d u o . E n ecessario ten ere ben p resen te questa o sse rv a ­
zio n e p er evitare g iu d iz i p rem atu ri ch e p o tre b b e ro
essere m o lto lo n ta n i dalla realtà.
N ella descrizione dei temperamenti seguiremo princi­
palmente Corrado H ock e Guibert, dei quali citeremo, a
volte, le parole alla lettera.

501. A ) T E M P E R A M E N TO SANGUIGNO. - i ) Caratteristi­


che essenziali in relazione alla eccitabilità. - Il sanguigno
si eccita facilmente e fortemente per qualsiasi impressione. La
reazione suole essere anche immediata e forte; però l ’impres­
sione o la durata suole essere breve. Il ricordo di cose passate
non provoca tanto facilmente nuove emozioni.
2) Buone qualità. - Il sanguigno è affabile e allegro,
simpatico e ossequioso verso tutti, sensibile e compassione­
vole dinanzi alle disgrazie del prossimo, docile e sottomesso
dinanzi ai suoi superiori, sincero e spontaneo (alle volte fino
all’inconvenienza). È vero che di fronte all’ingiuria rea­
gisce alle volte violentemente e prorom pe in espressioni
offensive; però dimentica subito tutto, sem^a conservare ran­
core verso nessuno. N o n conosce assolutamente la pertinacia e
l’ostinazione. Si sacrifica con disinteresse. Il suo entusiasmo
è contagioso e trascina; il suo buon cuore cattiva e innamora,
esercitando una specie di seduzione intorno a sé.
H a un concetto sereno della vita, è fondamentalmente ot­
timista, non indietreggia dinanzi alle difficoltà, confida sem­
pre nel buon esito. L o sorprende m olto che gli altri si irri­
tino per uno scherzo poco gradevole, che gli sembrava la
cosa più naturale e simpatica di questo mondo. Ha un gran­
960 LA V IT A C R IS T IA N A N E L SU O S V IL U P P O ORDIN ARIO

de senso pratico della vita, è più inclinato a idealizzare che a


criticare.
D otato di una esuberante ricchezza affettiva, è facile e
pronto all 'amicizia, e vi ci si abbandona con ardore e alle
volte appassionatamente.
L a sua intelligenza è viva, rapida, assimila facilmente,
però senza molta profondità. D otato di una felice memoria
e di una ardente immaginazione, trionfa facilmente nell’arte,
nella poesia e nell’oratoria, ma non raggiunge la taglia del
sapiente. I sanguigni sarebbero m olto frequentemente spiriti
superiori se avessero tanta profondità quanto sottigliezza,
tanta tenacità nel lavoro quanta facilità nelle concezioni.
3) Cattive qualità. - A ccanto a queste buone qualità,
il temperamento sanguigno presenta seri inconvenienti.
I suoi difetti principali sono la superficialità, l ’incostanza
e la sensualità. L a prima si deve principalmente alla rapidità
delle sue concezioni. G li pare di aver com preso subito qual­
siasi problem a che gli viene p osto innanzi, e in realtà, lo
ha percepito in una maniera soltanto superficiale e incom­
pleta. D erivano di qui i suoi giudizi affrettati, leggeri, fre­
quentemente inesatti, quando non completamente falsi.
È più amico della vastità facile e brillante che della pro­
fondità.
"L'incostanza del sanguigno è frutto della poca durata
delle sue impressioni. In un istante passa dalle risa al pianto,
dalla esuberante allegria a una nera tristezza. Si pente su­
bito e veramente dei suoi peccati, però v i ricade alla prima oc­
casione che gli si presenti. I sanguigni sono vittime delle
impressioni del momento, soccom bono facilmente dinanzi
alla tentazione. Sono nemici del sacrificio, dell’abnegazione,
dello sforzo duro e continuato. N ello studio sono pigri.
Riesce loro quasi impossibile raffrenare la vista, l’udito e la
lingua. N ell’ orazione si distraggono facilmente. A periodi
di grande fervore ne succedono altri di languore e di scorag­
giamento ...
L a sensualità, infine, trova un terreno propizio nella na­
tura ardente del sanguigno il quale si lascia trascinare facil­
mente dai piaceri della gola e della lussuria. Reagisce pron­
tamente contro le sue cadute, le deplora con sincerità; però
gli manca l’energia e il coraggio per dominare la passione
quando rialza la testa.
4) Educazione del sanguigno. - Si può educare un tem­
peramento fomentandone le buone qualità e reprimendone i
difetti. Il sanguigno deve dare perciò alla sua esuberante
M E Z Z I SE C O N D A R I IN T E R N I... 961
vita affettiva un fine nobile. Se riuscirà a innamorarsi forte­
mente di D io , giungerà ad essere un santo di prima cate­
goria. S. Pietro, S. A gostin o, S. Teresa d’A vila e S. France­
sco Saverio furono sanguigni al cento per cento.
Però è necessario che lotti tenacemente contro i suoi di­
fetti fino a dominarli completamente. D eve combattere la
superficialità acquistando l’abito della riflessione e ponderazione
in tutto quello che fa. D eve rendersi conto dei problem i esa­
minandoli sotto tutti i loro aspetti, prevedendo le difficoltà
che possono sorgere, dominando l’ottimismo troppo fidu­
cioso e irriflessivo.
Prenderà serie misure contro l’incostanza. N on bastano
i propositi e le risoluzioni, che, nonostante la sua sincerità e
buona fede, infrangerà alla prima occasione. O ccorre che
leghi la sua volontà a un piano di vita ■ — convenientemente ri­
veduto e approvato dal suo direttore spirituale — in cui tut­
to è previsto e indicato e in cui niente è lasciato all’arbitrio
della sua volontà debole e capricciosa. D eve fare m olto se­
riamente l’ esame di coscienza, imponendosi gravi penitenze
per le trasgressioni che sono frutto della sua incostanza e
volubilità. D eve affidarsi ad un esperto direttore spirituale
e obbedirgli in tutto. N ell’orazione deve lottare contro la
tendenza alle consolazioni sensibili, perseverando in essa nono­
stante l’aridità.
Infine, dovrà opporsi alla sensualità con una vigilanza co ­
stante e una lotta tenace. Fuggirà com e la peste ogni specie
di occasioni pericolose, nelle quali soccomberebbe facilmente
poiché la sua sensualità si alleerebbe con la sua incostanza.
In modo speciale custodirà la vista ricordandosi delle sue dolo­
rose esperienze. In lui, più che in qualsiasi altro, si verifichi
il detto: « O cchi che non vedono, cuore che non sente».
Osserverà il raccoglim ento e praticherà la mortificazione dei
sensi interni ed esterni. Chiederà umilmente e costantemente
a D io il dono della purezza dell’anima c del corpo, che può
venire solo dal cielo (Sap. 8,21).

502. B) TEMPERAMENTO NERVOSO. - 1) Caratteristiche


essenziali in relazione alla eccitabilità. - Quella del nervoso è
debole e difficile al. principio, ma forte e profonda per ripetute
impressioni. La sua reazione presenta questi medesimi ca­
ratteri. Quanto alla durata, suole essere lunga. Il nervoso non
dimentica facilmente.
2) Buone qualità. - I nervosi hanno una sensibilità
meno viva di quella dei sanguigni, però più profonda. Sono
962 LA V IT A C R IS T IA N A N E L SU O S V IL U P P O ORDINARIO

naturalmente inclinati alla riflessione, alla solitudine, alla


quiete, alla pietà e alla vita interiore. S’ impietosiscono fa­
cilmente delle miserie del prossimo, sono benefattori del­
l’umanità, sanno spingere l’abnegazione fino all’eroismo,
soprattutto a lato degli infermi. L a loro intelligenza ordina­
riamente è acuta e profonda, poiché maturano le loro idee
con la riflessione e la calma. Il nervoso è un pensatore e ama
la solitudine e il silenzio. Può essere un intellettuale secco
ed egoista, chiuso nella sua torre di avorio, o un contempla­
tivo che si occupa delle cose di D io e dello spirito. Sente
attrattiva per l’arte e ha attitudine per le scienze. Il suo
cuore è di una grande ricchezza sentimentale. Quando ama,
si distacca difficilmente dai suoi affetti, perché in lui le im­
pressioni sono m olto profonde. Soffre per la freddezza e
l ’ingratitudine. L a volontà segue le vicissitudini delle sue
forze fisiche; è debole e quasi nulla quando il lavoro lo ha
esaurito, forte e generosa quando gode salute o quando
un raggio di gioia illumina il suo spirito. È sobrio e non sen­
te il disordine passionale, che tanto tormenta i sanguigni.
È il temperamento che si oppone al sanguigno, come il col­
lerico al linfatico. Furono temperamenti nervosi l’apostolo
S. G iovanni, S. Bernardo, S. L u igi G onzaga, S. Teresa del
Bambino G esù, Pascal.
3) Cattive qualità. - Il lato sfavorevole di questo tem­
peramento è l’esagerata tendenza alla tristezza e melanconia.
Q uando i nervosi ricevono qualche forte impressione, essa
penetra profondamente nella loro anima dove produce una
ferita sanguinante. N on hanno la franchezza del sanguigno,
m otivo per cui nel fondo del cuore assaporano da soli la
propria amarezza. Si sentono inclinati al pessimismo, a ve­
dere sempre il lato difficile delle cose, a esagerare le difficoltà.
Per questo sono riservati e timidi, propensi alla sfiducia
nelle proprie forze, allo scoraggiam ento, all’indecisione, agli
scrupoli e a una certa specie di misantropia. Sono irrisoluti
per il timore dell’insuccesso nelle loro imprese. Il nervoso
è sempre indeciso, è l’uom o delle opportunità perdute. M en­
tre gli altri sono già all’altra sponda del fiume, egli se ne ri­
mane a pensare e a riflettere senza osare di passarlo a guado.
Soffrono m olto, e senza volerlo — perché in fondo sono
buoni — fanno soffrire gli altri. S. Teresa non li ritiene atti
alla vita religiosa, soprattutto quando la loro melanconia
è m olto radicata ss.

SS C f. Fondazioni c.7. Si tenga presente, tuttavia, che la « melanconia »


M E Z Z I S E C O N D A R I IN T E R N I... 963

4) Educazione del nervoso. - L ’educatore deve tener


presente la forte inclinazione del nervoso alla concentra­
zione in se medesimo; diversamente si espone al pericolo
di non comprenderlo e di trattarlo con grande ingiusti­
zia e mancanza di tatto. Il sanguigno è franco e aperto nella
confessione; il nervoso, invece, vorrebbe sfogarsi per mezzo
di un colloquio spirituale, ma non può; il collerico potrebbe
esprimersi, ma non vuole, il flemmatico, infine, né può né vuole
farlo. Se non si tengono presenti tutte queste cose è facile
impiegare procedimenti educativi controproducenti.
Bisogna infondere nel nervoso una grande fiducia in
Dio e un sereno ottimismo della vita. Bisogna ispirargli una
somma fiducia in se stesso, ossia, nell’attitudine della sua ani­
ma alle grandi imprese. Bisogna approfittare della sua incli­
nazione alla riflessione per fargli comprendere che non c’è
nessun m otivo di essere suscettibile, diffidente e riservato.
Se è necessario, si sottoponga a un periodo di riposo e a
una buona alimentazione s6. Soprattutto bisogna combatter­
ne l’ indecisione e la codardia, facendogli prendere risolu­
zioni ferme e spingendolo a grandi imprese con coraggio e
ottimismo.
503. C) TE M P E R A M E N TO CO LLER ICO . - 1 ) Caratteristiche
essenziali in relazione alla eccitabilità. - II collerico si ecci­
ta prontamente e violentemente. Reagisce all’istante. Però l ’im­
pressione gli rimane nell’anima per molto tempo.
2) Buone qualità. - A ttività, intelletto acuto, volontà
forte, concentrazione, costanza, magnanimità, liberalità:
ecco le eccellenti doti di questo temperamento ricchissimo.
I collerici, o biliosi, sono i grandi appassionati e volen­
terosi. Pratici, svelti, si sentono più inclinati a operare che
a pensare. Il riposo e l’inazione ripugnano alla loro natura.
Accarezzano sempre nel loro spirito qualche grande pro­
getto. A ppena sì sono proposti un fine, pongono mano
all’opera, senza indietreggiare dinanzi alle difficoltà. T ra
loro abbondano i capi, i conquistatori, i grandi apostoli.
Sono uom ini di governo. N o n sono di coloro che lasciano
per domani quello che dovrebbero fare oggi, ma fanno

di cui parla non si riferisce al semplice temperamento nervoso, ma alle stra-


vaganze di un carattere capriccioso e nevrastenico.
56 S. Teresa curava m olte m onache melanconiche proibendo loro la lun­
ga orazione, i digiuni e « obbligandole a distrarsi» (Cf. Quarte mansioni
5,12-15; Fondazioni 6,14).
964 LA V IT A C R IS T IA N A N E L SU O S V IL U P P O ORDINARIO

o g g i quello che dovrebbero lasciare per domani. Se sor­


gono ostacoli e inconvenienti, si sforzano di superarli e di
vincerli. Nonostante i loro impeti irascibili, quando riesco­
no a reprimerli mediante la virtù acquistano una soavità
e una dolcezza della m iglior lega. Tali furono S. Paolo
A postolo, S. G irolam o, S. Ignazio di L oyola e S. Francesco
di Sales.
3) Cattive qualità. - La tenacia del loro carattere li ren­
de propensi alla durezza, all’ostinazione, all’insensibilità,
all’ira e all’orgoglio. Se si resiste loro o se vengono contrad­
detti, diventano violenti e crudeli, a meno che la -virtù cri­
stiana moderi le loro inclinazioni. V in ti, conservano l’odio
nel cuore fino a che suona l ’ora della vendetta. Generalmente
sono ambiziosi e tendono al com ando e alla gloria. Hanno
più pazienza del sanguigno, ma non conoscono tanto la deli­
catezza di sentimenti, com prendono meno il dolore degli
altri, hanno nelle loro relazioni un tatto meno fino. L e loro
passioni forti e impetuose affogano codeste dolci affezioni
e codesti sacrifici disinteressati che sgorgano spontanea­
mente da un cuore semplice. L a loro febbre di attività e il
loro ardente desiderio di raggiungere quanto si sono pro­
posti li spinge a calpestare violentemente tutto quello che li
trattiene e appaiono agli altri come egoisti senza cuore. Trat­
tano gli altri con una alterigia che può giungere fino alla cru­
deltà. T utto si deve piegare dinanzi a loro. L ’unico diritto
che riconoscono è la soddisfazione dei loro appetiti e la rea­
lizzazione dei loro disegni.
4) Educazione del collerico. - Tali uom ini sarebbero
d i un inestimabile valore se sapessero dominarsi e control­
lare le proprie energie. C on relativa facilità giungerebbero
alle più alte vette della perfezione cristiana. Moltissimi santi
canonizzati dalla Chiesa possedevano questo temperamento.
N elle loro mani, le opere più difficili giungono a compimen­
to. Per questo, quando riescono a incanalare le loro energie
sono tenaci e perseveranti nelle vie del bene e non retro­
cedono nel loro im pegno finché non hanno raggiunto la
méta. Bisogna consigliare loro di essere padroni di se stessi,
di non operare precipitatamente, di diffidare dei loro primi
moti. O ccorre condurli alla pratica della vera umiltà di cuore,
a sentite compassione dei deboli, a non umiliare nessuno,
a non fare sentire violentemente 2a loro autorità, a trattare
tutti con soavità e dolcezza.

504. D ) TE M P E R A M E N TO FLEM M ATICO . - 1 ) Caratteristiche


M E Z Z I S E C O N D A R I IN T E R N I... 965

essenziali in relazione alla eccitabilità. - Il flemmatico, O non


si eccita mai o si eccita soltanto debolmente. A nche la reazione
è debole, quando non manca completamente. L e impressioni
ricevute scompaiono subito e non lasciano orma nella sua
anima.
2) Buone qualità. - Il flemmatico lavora adagio, però
assiduamente, purché non si richieda da lui uno sforzo in­
tellettuale troppo grande. N o n s’irrita facilmente a m otivo
d’insulti, d’insuccessi o malattie. Rimane tranquillo, discreto
e giudizioso. È sobrio e ha un buon senso pratico della vita.
N o n conosce le passioni viv e del sanguigno, né quelle pro­
fonde del nervoso, né quelle ardenti del collerico; si direbbe
che manca assolutamente di passioni. Il suo linguaggio è
chiaro, ordinato, giusto, positivo; più che colorito, ha ener­
gia e attrattiva. Il lavoro scientifico, frutto di una lunga
pazienza e di coscienziose investigazioni, gli conviene di
più che le grandi produzioni originali. Il cuore è buono,
però sembra freddo. Se è necessario si sacrificherà fino all’e­
roismo; però gli manca entusiasmo e spontaneità, perché
la sua natura è indolente. È prudente, riservato, riflessivo,
opera con sicurezza, raggiunge i suoi fini senza violenza,
perché allontana gli ostacoli invece d i infrangerli. A lle v o l­
te la sua intelligenza è m olto chiara. Fisicamente, il flem­
matico è di viso amabile, di corpo robusto, di andatura lenta.
S. Tom m aso d’A quino possedette i m igliori elementi di que­
sto temperamento, e portò a termine un lavoro colossale
con serenità e calma imperturbabile.
3) Cattive qualità. - La sua lentezza gli fa perdere
delle buone occasioni, perché tarda troppo a mettersi in cam­
mino. N oti si interessa gran ché m olto di quello che avviene
fuori di lui. V iv e per se stesso, in una specie di concentra­
zione egoista. N on serve a comandare e a governare. N on è
affezionato alla penitenza e alla mortificazione; se è religioso,
non abuserà dei cilici. È del numero di coloro a cui si rife­
risce S. Teresa quando scrive: « Le penitenze di queste ani­
me sono cosi ben misurate come tutta la loro vita... N on
abbiate paura che si ammazzino!... In questo i loro occhi
sono m olto aperti» 57. N ei casi più urgenti rim angono ato­
ni, dorm iglioni e vaghi, completamente insensibili alle v o ­
ci di ordine superiore che potrebbero sm uoverli dal loro
letargo.

57 S. T eresa, Ter?t mansioni 2, 7 .


966 LA V IT A C R IS T IA N A N E L SU O S V IL U P P O ORDIN ARIO

4) Educazione del flemmatico. - Si può trarre buon par­


tito dal flemmatico se gli si inculcano convinzioni profonde e
si esigono da lui sforzi m etodici e costanti. A poco a poco
giungerà m olto lontano. Però occorre scuoterlo dal suo le­
targo e dalla sua indolenza, spingerlo ad alte mete, accen­
dere nel suo cuore apatico la fiamma di un grande ideale.
Bisogna condurlo al pieno dom inio di se stesso, n on come
il collerico — contenendolo e moderandolo — ma, al con­
trario, eccitandolo e risvegliando le sue forze addormentate.

505. 3. Conclusione generale sui temperamenti. -


Il lettore che ha scorso queste pagine non avrà forse
trovato in nessuna di esse i lineamenti com pleti della sua
particolare fisionomia. L a realtà è più complessa di tutte
le categorie speculative. Frequentemente troviam o nella pra­
tica, riuniti in un solo individuo, elementi appartenenti
ai temperamenti più diversi. Ciò spiega, in buona parte
la diversità di teorie e classificazioni tra gli autori che si
occupano di queste cose. T uttavia è fuori dubbio che in
ogni individuo predominano certi tratti di temperamento
che permettono di catalogarlo, con le dovute riserve e
precauzioni, in qualcuno dei quadri tradizionali. D ’altra
parte, senza negare la grande influenza del temperamento
fisiologico nel quadro generale della psicologia umana, da­
te le intime relazioni esistenti tra l’anima e il corpo, dobbia­
mo guardarci dall’ attribuirgli una importanza esagerata — -
soprattutto in relazione alia moralità dei nostri atti —
come fanno certi razionalisti, che attribuiscono al tempera­
mento l ’unica responsabilità dei nostri disordini.

506. 4 . Il temperamento ideale. - Se v o le s ­


sim o o ra e sp o rre in sintesi le caratteristich e del
tem p eram en to ideale, p ren d erem m o q u a lch e co sa da
o g n u n o di q u elli ch e a b b iam o d escritto . C h ied erem ­
m o al sa n g u ig n o , la sua sim patia, il su o gran d e cu o re e
la sua v iv a cità ; al n e r v o s o , la p ro fo n d ità e la d elicatezza
dei su o i sen tim en ti; a l c o lle r ic o , la sua in esau rib ile atti­
v ità e la sua tenacità; al flem m a tico , in fin e, il d o m in io
di se stesso, la p ru d en za e la p erseveran za.
M E Z Z I SE C O N D A R I E S T E R N I 967

C A P IT O L O V

M E ZZI SECO N D ARI ESTERN I

F in o ra a b b iam o esam in ato i m e zz i seco n d a ri inter­


ni p s ic o lo g ic i e fis io lo g ic i d i cu i d isp o n ia m o p e r il n o ­
stro p ro g re s s o sp irituale. E sam in e re m o o ra q u elli e-
sterni. I p rin cip a li so n o q u a ttro : il piano di vita, la lettura
spirituale, le sante amicizie e, so p ra ttu tto , la direzione
spirituale.

A r t ic o lo I

I l piano di vita

5 0 7 . i . N o z io n e . - Il piano di vita con siste nel


tracciare c o n l ’a p p ro v a z io n e del d iretto re sp irituale
u n o rario co m p le to e d etta g lia to delle o ccu p a zio n i e
d e g li esercizi di p ietà ch e si d e v o n o p raticare duran te
il g io rn o .

5 0 8 . 2. U t i l i t à . - L a gran d e utilità del p ian o di


v ita è fu o ri o g n i discussio n e, so p ra ttu tto p er g li sp iriti
ca p riccio si e in co sta n ti. Senza di esso si p e rd e m o lto
tem p o , sì fo m en ta l ’in d ecisio n e, si tra scu ra n o o si
c o m p io n o d iso rd in atam en te i d o v e ri del p ro p rio stato,
e si v a a finire n ella v o lu b ilità d el carattere. In v e ce ,
c o n u n p ian o sag gia m en te tra ccia to , n o n c ’è p o sto p er
i ten ten n am en ti e le p erd ite di tem p o , si p re v e d e tu tto
ciò che è im p o rtan te, si so p ran n atu ralizza n o le p iù
p icco le o ccu p a zio n i o b b ed en d o al d iretto re e si educa
968 LA V IT A C R IS T IA N A N EL SU O S V IL U P P O ORDINARIO

la vo lo n tà sottom ettendola al dovere di ogni m om en­


to 1
Il piano di vita è utilissimo per i secolari, per il sacerdote
suolare e anche per le persone che vìvono in comunità.
a) P e r i s e c o la r i. - Siccome vivo n o nel mondo, senza
un superiore a cui obbedire né un regolam ento a cui sotto­
mettersi, non potranno evitare gli inconvenienti di cui
abbiamo parlato senza un piano di vita approvato dal proprio
direttore, a cui dovranno conform arsi con la massima
puntualità compatibile con le mille circostanze impreviste
della vita.
b) P e r i l s a c e rd o te s e c o la r e . - A nche il sacerdote si tro­
va esposto, forse più ancora dei semplici fedeli, all’indeci­
sione e al capriccio del momento se non si sottomette ad un
regolamento di vita. E cco che cosa scrive un anonimo au­
tore in un testo di T eo lo gia pastorale:
« È purtroppo risaputo che il sacerdote il quale vive sen­
za un regolamento non compirà tutti gli obblighi del proprio
stato né si santificherà. Tuttavia il regolamento non gli
viene raccomandato precisamente in quanto è un mezzo
per la santità sacerdotale, ma in quanto è un m ezzo per la
santificazione del popolo che gli è stato affidato. Quale fi­
ducia, quale docilità presterà codesto p opolo agli avvisi e
alle raccomandazioni che il suo pastore gli fa se lo vede
trascurare ciò che raccomanda, contraddire le sue istruzioni
con la sua condotta ed esigere ordine nella parrocchia, men­
tre egli vive senza regola alcuna ? Con una mano distrugge
ciò che con l’altra edifica. La parrocchia sarà ben presto
tanto disordinata quanto il suo pastore. Quante funzioni
fuori posto o mal fatte! Quanto tempo perso! Quale vuoto
nella sua vita! N on si alza se non dopo aver dato alla pigri­
zia i momenti più preziosi della mattinata. V a a dormire
più presto o più tardi secondo la durata dei piaceri della
mensa o secondo le attrattive del sonno. N o n prega, non leg­
ge, non studia se non quando trova in questo un piacere sen­
sibile. Rimane in casa per malumore o perché non sa dove
andare. Differisce indiscretamente la recita del breviario, la
visita agli infermi, la preparazione delle sue prediche e istru­
zioni. La sua vita non è altro che un succedersi di capricci,

1 Cf. sul dovere di ogni momento le pagine del P. G a r r i g o u - L a g r a n g e


n e lla sua o p e r a L a provvidenza e la fiducia in D io p. 4 . a c .3 e 4.
M EZZI SE C O N D A R I E S T E R N I 969
un effetto dell’umore e della volontà propria. N ulla può spe­
rare da D io , che non è quasi mai la regola e il fine delle sue
azioni.
A l contrario, un sacerdote fedele al suo regolamento
edifica il suo popolo mediante la regolarità, avvalora le sue
istruzioni con il buon esempio. Il tempo per lui ha un gran­
de valore; economizza tutti gli istanti, li distruibuisce giu­
diziosamente per ordinare tutti i suoi esercizi spirituali,
tutte le funzioni del suo ministero. I suoi giorni sono tutti
pieni, interamente consacrati alle necessità del suo gregge.
Fa a D io il sacrificio continuo di quanto c’è di più caro,
delle sue inclinazioni e della sua volontà; e per questo sa­
crificio com m uove il Signore e ottiene da lui più abbondan­
ti soccorsi per sé stesso e per la santificazione del suo popolo.
Il regolamento di questo pastore abbraccia le pratiche pro­
prie di ogni giorno, di ogni settimana, di ogni mese e di
ogni anno » J.
c) Per le persone che vivono in comunità. - Il piano di
vita è utile e necessario anche per le persone che v i­
vo n o in comunità. La campana del chiostro o del seminario
regola soltanto i momenti culminanti della giornata, però
lascia un certo margine all’iniziativa privata durante il gior­
n o. O ra, nulla deve essere lasciato al capriccio o all’impres­
sione del momento; tutto dev’essere sapientemente previ­
sto e organizzato, se si vo g lion o evitare i seri inconvenienti
e avere i grandi vantaggi di cui abbiamo parlato. Quasi
tutte le indecisioni e perdite di tempo che lamentano molte
volte le persone che vivo n o in comunità sono dovute alla
mancanza di un piano di vita particolare che riempia le
lacune del regolamento generale.

509. 3. Su e q u a l i t à . - Perché il piano di vita porti i


suoi frutti dev’essere tracciato in maniera sapiente, d’ac­
cordo col direttore spirituale, e non bisogna adottarlo
definitivamente se non dopo che lo si è sperimentato per un
certo tempo per vedere se si adatta perfettamente ai no­
stri obblighi o se è necessario ritoccarlo. In generale
occorrerà tener presente le seguenti norme:
1) D e v ’essere, anzitutto, perfettamente accomodato ai doveri
del proprio stato, alle occupazioni abituali, alle disposizioni
dello spirito, del carattere e del temperamento, alle for-

a Citato da R ib e t, Vascètiqut cbrétienm c . 4 1 .


970 LA V IT A C R IS T IA N A NEL SU O S V IL U P P O ORDIN ARIO

ze del corpo, al nostro grado attuale di perfezione e alle


attrattive della grazia.
2) Sarà flessibile e rigido ad un tempo: flessìbile, per non
esserne schiavi quando la carità verso il prossimo o una
circostanza grave imprevista ci obbliga a omettere qualche
esercizio o a sostituirlo con un altro equivalente; rigido,
per non lasciare spiraglio alcuno all’incostanza e al capric­
cio del momento.
3) D o v rà abbracciare due patti essenziali: l ’orario del­
le occupazioni dalla mattina alla sera, e Yelenco delle inclina­
zioni cattive che bisogna reprimere e dei buoni abiti che
occorre fomentate. T utto ciò deve essere controllato per
mezzo dell’esame di coscienza quotidiano.
SIO. 4 L a s u a o s s e r v a n z a . - L ’osservanza del pia­
no di vita sarà severa e perseverante, se non vogliam o to­
gliergli quasi tutta la sua efficacia. E a meno che la carità,
l ’impossibilità materiale o una circostanza grave impre­
vista ce lo impedisca, dobbiam o essere inflessibili nel confor­
mare a esso la nostra condotta. T utti i giorni ci chiedere­
mo conto, nell’esame generale, della fedeltà al nostro pia­
no di vita; e se sarà necessario, orienteremo su questo
punto, d’accordo col nostro direttore spirituale, l ’esame
particolare per tutto il tem po che sarà necessario.

A rtico lo II

L a lettura spirituale

Uascétique chrétienne c .4 4 ; G a r r i g o u - L a g r a n g e , L e tre età


R ib e t,
p .i.a T a n q u e r e t , Compendio di Teologia ascetica e mistica n n . 5 7 3 -8 3 ;
c .1 6 ;
N a v a l , Curso de ascètica y mistica n n .5 4 - 5 7 .

Il secondo m ezzo esterno che ci può aiutare a raggiungere


la perfezione cristiana è la lettura dei libri che stimolano
alla virtù. Sono un aiuto efficacissimo all’orazione e ser­
vo n o per infondere nell’intelletto nobili ideali di progres­
so e per accendere nella volontà il fuoco sacro dell’amore.
N el regolamento o piano di vita non si deve trascurare
mai la lettura spirituale. È bene darle il massimo tempo
possibile secondo le obbligazioni del proprio stato.
5 1 1. 1 . U t i l i t à e importanza. - È incalcolabile la
M E Z Z I SE C O N D A R I E S T E R N I 971

benefica influenza di un buon libro. Esso è un predicato­


re « che ci pone innanzi gli esempi dei santi, condanna la
nostra indifferenza, ci ricorda i giudizi di D io , ci parla del­
l ’eternità, dissipa le illusioni del m ondo, risponde ai falsi pre­
testi dell’amor proprio, ci dà i mezzi per resistere alle
passioni disordinate. È un ammonitore discreto che ci av­
visa segretamente, un amico che non inganna mai, un giu ­
dice che decide con imparzialità, un profeta che annuncia
la verità senza adulazioni. N o n è importuno, dal momento
che lo prendiamo o lo lasciamo quando ci piace; non con­
traddice, dal momento che ci offre i suoi pensieri senza op­
porsi ai nostri; non è indiscreto, infatti ci dà i suoi con­
sigli senza sapere se li seguiremo oppure no; non è suscetti­
bile di invidia, dal momento che ci lascia liberi di dissentire
dai suoi consigli o di preferire quelli di altri» 3 .
512 2 . L i b r i p r i n c i p a l i . - N o n tutti i libri spirituali
hanno il medesimo valore e la medesima efficacia santifi­
cante. Il prim o posto è occupato naturalmente dalla S. Scrit­
tura che è stata sempre e sempre sarà la più pura fonte di
spiritualità posta da D io a disposizione degli uomini.
D o p o i libri ispirati, la lettura più stimolante di tutte è
quella delle vite dei santi. I v iv i esempi delle loro virtù eroi­
che eccitano l’ammirazione e spingono all’imitazione. Q ue­
sta specie di libri converti un soldato ferito nel corpo e pia­
gato nell’anima: S. Ignazio di Loyola.
V en gon o poi le opere ascetico-mistiche, di orientamen­
to pratico, scritte precisamente per fomentare la pietà nei
fedeli. T ra di esse occupano un posto preminente i Solilo­
qui di S. A gostin o, l'Imitazione di Cristo, le opere di S. Tere­
sa, di S. G iovanni della Croce, di S. Francesco di Sales,
di S. A lfon so M . de’ L igu o ri e di tutti i santi scrittori.
Con il consiglio del suo direttore spirituale, l’anima
deve scegliere il libro più adatto e conveniente alle sue dispo­
sizioni e necessità attuali. N o n sempre il m eglio è anche il
più conveniente per un’anima. Certi libri possono prestare
degli incalcolabili servizi in una determinata epoca della vita,
ma possono risultare poco utili e persino non convenienti
in altre circostanze. « O ccorre discrezione in tutto », di­
ceva S. Teresa t. E cosi, per esempio, alle anime timorate e
piene di scrupoli si proibiranno i libri terrificanti ed esagerati,

3 Cf. P. B e r t h i e r , Reflexions spìrituelles t.$, p. 234 (citato da R i b e t ,


Uascétique chrét. c. 44, p. 457).
4 C f. Vita 15,1.
972 LA V IT A C R IS T IA N A N EL SU O S V IL U P P O ORDINARIO

che potrebbero accrescere il loro male; alle anime sensibili


e amanti delle dolcezze si consigliera di leggere la Salita al
Monte Carmelo, e altri libri simili affinché si abituino a man­
giare cibi solidi e sostanziosi.

513. 3 Mo d o di l e g g e r e . - D o p o avere scelto bene il


libro è di capitale importanza saperlo leggere. La lettura spi­
rituale non è uno studio, ma un esercizio di pietà. Ricorriamo
ad essa per avere luci, per nutrire il cuore e alimentare la
nostra orazione.
Q uello che im porta non è il leggere m olto, ma l’assimi­
lare convenientemente quello che si è letto. O ccorre ritor­
nare ripetutamente su di un medesimo brano che ci ha im­
pressionato, al fine di scolpirlo profondamente nel nostro
spirito 5 . È necessario reagire contro la tentazione di cre­
dere che ciò equivale a perdere tempo. Q uesto capita, al
contrario, quando si legge m olto e male. D ice il P. Lacor-
daire: « Quando si sa leggere occorrono pochi libri ».
Bisogna lottare anche contro l’incostanza e la volubili­
tà, che ci spinge a cambiare il libro prima di averne terminato
la lettura. Q uesto m odo di procedere non è né serio né fe­
condo e ha, inoltre, Io svantaggio di influire ia maniera deplo­
revole sulla formazione del carattere.
Infine, poiché la lettura sta in intima relazione con l ’o ­
razione, è necessario che entrambi gli esercizi vadano di pari
passo e ricevano il mutuo benefico influsso. È utilissimo pas­
sare dalla lettura all’orazione e da questa a quella per evitare
il disgusto e la noia. L ’ideale è di unire le due cose in m odo
che costituiscano un’unica occupazione con sfumature di­
verse. O ccorre utilizzare la lettura per ricuperare nuove forze
quando l’orazione comincia a decadere e interrompere la
lettura onde permettere al cuore di sfogare il suo affetto
con brevi giaculatorie e aspirazioni ardenti.

5 Scrive il P . Garrigou-Lagrange: « Sarà pure utile il rileggere a qualche


anno di distanza quei libri eccellenti che già ci fecero m olto bene. L a vita
è breve: dovrem m o quindi contentarci di leggere e rileggere ciò che porta
veramente il sigillo di D io , e n on perdere il tem po in letture senza vita e
senza valore. S. Tom m aso D ’A q u in o non si stancava m ai di rileggere le con ­
ferenze di Cassiano. Quante anime hanno trovato grande van taggio nel leg­
gere spesso VImitazione di Cristo. È m olto m eglio approfondire un solo li­
bro com e quello che leggere superficialmente tutti g li autori spirituali»
(Le tre età p .i, c.i6 ).
M E Z Z I SEC O N D A R I E S T E R N I 973

A rtico lo III

L e sante amicizie

S. F r a n c e s c o d i S az .es , Fìlotea p.$.a cc. 17 - 2 2 ; R ib e t , V'ascètiqxe


c.43; T a n q u e r e t , Teologia ascetica e mìstica nn. 595-606; F .T .D ., Psicologia
ascètica nn. 3 2 3 -2 9 ; D e G u ib e r t , Tbeologia spirituali* nn. 32 3-30 .

Un altro m ezzo efficace che ci può aiutare a praticare la


virtù è la santa amicizia. Il P. Lacordaire ha scritto che « la
vera amicizia è una cosa rara e divina, è il segno certo di una
anima nobile e la m aggiore delle ricompense visibìli annes­
se alla virtù » 6.
514. 1. V a l o r e di u n b u o n a n t i c o . - « Un amico fede­
le è una forte protezione, e chi lo trova ha trovato un tesoro.
Nulla p uò essere paragonato ad un amico fedele; il suo prez­
zo e incalcolabile. U n amico fedele è rim edio salutare; co­
loro che tem ono il Signore lo troveranno». Cosi p arlalo
Spirito Santo nel libro dell’Ecclesiastico (6,14-16).
L ’esperienza conferma tutti i giorni questa verità. L o
stimolo di un vero amico è uno dei più efficaci per il dom inio
di se stessi e la pratica del bene. D ifatti la vera amicizia, come
dice Bossuet, è « una alleanza tra due anime che si uniscono
per operare il bene». La vera amicizia è disinteressata, pa­
ziente fino all’eroismo, sincera e trasparente. N on conosce
la doppiezza né l’ipocrisia, loda l’amico per le sue buone
qualità, però gli scopre con santa libertà i difetti e le debolez­
ze allo scopo di correggerlo. N o n ha nulla di sensuale. Essa
apprezza e ama unicamente il valore morale dell’amico.
« L ’amicizia, dice ancora Bossuet, è la perfezione della ca­
rità ». Per questo, non ci può essere vera amicizia se non si
appoggia alla virtù. Scrive il P. Lacordaire 7: « N o n posso
amare qualche persona senza che l’anima se ne vada dietro al
cuore e in mezzo v i passi Gesù. N o n mi sembrano intime le
comunicazioni se non sono soprannaturali. Quale intimità
ci può essere dove non si vede fino in fondo dei pensieri e
degli affetti che riempiono l’anima di D io ? » Aristotele di­
stingueva tre specie di amicizie; una fondata nel piacere

6 Cf. X Maria Maddalena.


7 C f. Epistolario 1,220 (ed. spagnola del P. Castano, t.19).
974 LA V IT A C R IS T IA N A N E L SU O S V IL U P P O ORDINARIO

(sensuale), un’altra nell’interesse (utilitarista), e la terza


nella virtù (onesta). Solamente quest’ultima è vera am icizia8.
T re sono i principali vantaggi di un’amicizia vera e
santa: quello di trovare nell’amico un consigliere ìntimo,
al quale confidiamo i problem i della nostra anima perché
ci aiuti a risolverli; un prudente correttore, che ci dirà la verità
sui nostri difetti e ci impedirà di commettere innum erevoli
imprudenze; un consolatore, infine, che ascolterà con bontà
le nostre pene e troverà nel suo cuore le parole opportune
per addolcirle.
51S. 2. D e v i a z i o n i p e r i c o l o s e . - È necessario es­
sere guardinghi affinché l’amicizia sia contenuta sempre den­
tro i suoi veri limiti e non esca dall’alveo della virtù e del
bene. Difatti, se è certo che un buon amico è un poderoso
stim olo alla virtù, è anche vero che non si può trovare una
forza distruggitrice tanto formidabile quanto una cattiva
amicizia.
Il passaggio da una specie all’altra di amicizie avviene
frequentemente in una maniera generale e insensibile. « C o­
mincia taluno — scrive S. Francesco di Sales 9 — coll’amore
virtuoso, ma se non sarà m olto cauto, v i si introdurrà l’a­
more vano, poi l ’amore sensibile, indi l’amore carnale ».
I segni caratteristici per conoscere che il cuore incomincia
a deviare verso la sensualità sono i seguenti:
a) In un gruppo di persone lo sguardo ne cerca insisten­
temente una determinata.
V) Si sente un tuffo nel cuore dinanzi alla sua presenza
inattesa (moto puramente affettivo, passionale, non ancora sen­
suale).
c) Codesta persona appare nei sogno. Poiché le manca i
controllo dell’intelletto e della volontà, la vita passionale
si manifesta in tutta la sua pienezza nel sogno. In questo
senso le teorie psicanalitiche hanno qualche cosa di vero.
L a condotta pratica per controllare questo deviamento
affettivo è la seguente;

8 X cattivi, infatti, n on hanno degli am ici, ma dei complici; i libertini


hanno dei compagni di corruzione e di libertinaggio; g li interessati e i com ­
m ercianti hanno degli associati; g li oziosi e i m ondani hanno delle relazioni;
i grandi hanno dei cortigiani; i despoti e i tiranni hanno degli sgherri. Solo
g li uom ini virtuosi hanno degli amici perché l’amicizia vera e disinteressata
si può fondare solo nella virtù.
9 C f. Filotea p .j.a c.zo.
M E Z Z I SEC O N D A R I E S T E R N I 975

a) Quando comincia con una certa insistenza il primo


m ovim ento, interromperlo energicamente. Si è ancora in tempo.
N o n soffermarsi su quella persona neppure un istante.
Se, occorre, si faccia su ciò l’esame particolare I0.
V) Se si è giunti al secondo e al terzo momento, il
pericolo è grave, e il rimedio è urgente. Tuttavia forse non
conviene interrompere bruscamente codesto m oto (la qual
cosa aprirebbe una breccia nel cuore e produrrebbe un di­
sturbo psicologico forse peggiore della stessa malattia
che si cerca di guarire). È m eglio smorbarlo progressivamente,
im pedendogli n uove manifestazioni con una vigilanza co­
stante e una lotta tenace fino alla sua totale estinzione.

M a più che il piano di vita, la lettura spirituale e


l ’influsso delle am icizie sante, possono contribuire al
nostro progresso nella virtù i consigli e g li orienta­
menti di un sapiente e santo direttore di spirito. L a di­
rezione spirituale essendo il più efficace di tutti i
me^K} secondari esterni, lo studierem o nel m odo più am­
p io possibile.

A rticolo I V

L a direzione spirituale

S . F r a n c e s c o Dr Sa l e s , Filotea 2,4; P. L a p c t e n t e , Guia spiritual I V 2;


P . R o d r ig u e z , Esercizio di perfezione o dì virtù cristiane III tr. 7 ; S c a r a m e l -
l i , Direttorio ascetico 1 ,3 ; F a b e r , Progresso 18 ; D e s u r m o n t , Charitè sacerdotale

paragr. 1 8 3 -2 2 5 ; B e a u d e n o m , Pratica progressiva della confessione e direzione;


P l u s , L a direzione spirituale; R i b e t , Uascétique 3 4 -4 0 ; S c h r i j v e r s , 1 principi
I.3 . p . 3 ; D e G u i b e r t , Teologia spiritualis n n . 1 8 4 -2 2 2 ; G a r r i g o u - L a g r a n g e ,
L e tre età 1 , 1 7 ; T a n q u e r e y , Compendio di Teologia ascetica $ mìstica nn.
5 3 0 -5 7 ; N a v a l , Curso de ascèticay mistica n n . 2 2 -3 5 .

10 D ice energicamente S. F r a n c e s c o d i S a l e s : « Tagliate, troncate,


spezzate; n o n conviene perdersi dietro a disfare queste fo lli amicìzie; oc­
corre sradicarle; non bisogna perdere tem po a sciogliere Ì n o d i dei loro
legam i, ma spezzarli o tagliarli» (Filotea p-3.a c.21).
976 LA V IT A C R IS T IA N A N E L SU O S V IL U P P O ORDIN ARIO

A . N O Z IO N I P R E V IE

516 . i. Natura della direzione spirituale. -


Per direzione spirituale s’intende Parte di condurre
le anime progressivamente dagli ini^i della vita spirituale
fino alla sommità della perfezione cristiana.
a) L ’arte... - Usiamo questa espressione in un senso pu­
ramente metaforico. In realtà, la tecnica della direzione spi­
rituale costituisce una vera scienza pratica che, sotto la dire­
zione della prudenza soprannaturale, deve applicare al caso
concreto, presentato dalla speciale psicologia di una deter­
minata anima, i grandi principi della teologia dogmatica,
morale e ascetico-mistica. Però, parlando in linguaggio
metaforico, si può considerare come un’arte, dal momento
che, avendo il fine d’innalzare fino al cielo una specie di edi­
ficio soprannaturale — secondo la bella metafora di S. Pao­
lo 11 — realizza, in una certa maniera, la recta ratio factibi-
litim, che è l’o ggetto proprio dell’arte
b) ...di condurre le anime... - L a direzione spirituale
è eminentemente dinamica, orientatrice. H a lo scopo di in­
dicare alle anime il vero cammino che devono percorrere
per giungere all’unione con D io . Codesto cammino l’anima
dovrà indubbiamente percorrerlo, però spetta al direttore
tracciarle la rotta in ogni momento della sua vita spirituale.
N o n si tratta di spingere, ma di condurre soavemente, rispettando
la libertà delle anime.
c) ...progressivamente... - Il cammino deve essere si­
curo, senza rigiri né deviazioni, come pure senza salti né
imprudenti precipitazioni. Il direttore deve condurre l’ani­
ma in maniera graduale e progressiva, non richiedendo da
lei in ogn i momento più di quello che l ’anima per sé può
dare secondo le grazie che D io le concederà (cfr. Mat. 23,4).
d) ...dagli in izi della v ita spirituale... - La direzione de­
ve cominciare immediatamente quando l’anima, sotto l ’im ­
pulso della grazia, si decide a imboccare la via della perfe-

11 C f. 1 C o i. 3,9: « D ei enim sumus acliutorfcs; D ei agricultuia estis,


D ei aedificatio estis ».
» C f. I-IIj m -
M E Z Z I SE C O N D A R I E S T E R N I 977
zione. In tutte le tappe di codesta via ci sono tantissime dif­
ficoltà che, secondo l’ ordinaria provvidenza di D io , non sì
potranno superare senza la vigilanza e l’aiuto di un esperto
direttore spirituale.
e) ...fino alla sommità della perfezione cristiana. - Il
direttore deve orientare tutte le energie delPanima verso la
sua piena e intima unione con D io, ossia, fino al vertice della
santità. U n direttore mezzo dotto e che genera angustie —
come dice S. Teresa ' 3, — che si accontenta di mantenere le
anime in una volgare mediocrità e non le stimola incessante­
mente verso una perfezione sempre più grande, farà loro
grande danno e incorrerà in una grande responsabilità di­
nanzi a D io ' 4.

517 . 2. Im p o rta n za e n e c e ssità . - Secon­


do la testimonianza della tradizione, la direzione
spirituale è normalmente necessaria per raggiungere
la perfezione. S. V incen zo Ferreri non esitò a
scrivere nel suo Trattato della vita spirituale, le seguenti
parole: « G esù Cristo non darà mai la sua grazia,
senza la quale non possiam o fare nulla, a chi, avendo
a disposizione un uom o capace di istruirlo e diriger­
lo, disprezza questo aiuto persuaso che basterà a se
stesso e che troverà da solo tutto quello che è utile
alla sua salvezza » 15.
Si prova la necessità m orale della direzione:
i) D a l l ’ a u t o r i t à d e l l a S a c r a S c r i t t u r a . - N ella
Bibbia non c ’è un brano chiaro e definitivo che faccia
direttamente allusione a tale questione, p erò è in­
sinuata sufficientemente in m olti testi. Si vedano, per
esem pio, i seguenti:
« Consilium semper a sapiente perquire » (T ob. 4,19).
« V ae soli, quia cum ceciderit non habet sublevantem
se » (E cd i. 4,10).

*3 Cf. Vita 5,3; 13,14, ecc.


M C f . S . G i o v a n n i d e l l a C r o c e , Fiamma s t r o f a 3, n .5 6 .
*5 Cf. S. V i n c e n z o F e r r e r i , Tratado de le vida espiritual p .z .a c .i.
9 78 LA V IT A C R IS T IA N A NEL SU O S V IL U P P O ORDINARIO

« Fili, sine consilio nihil facias, et post factum non pae-


nitebis» (F,ccli. 32,24).
« Q ui vos audit me audit, et qui vos spernit me spernit »
(Luca 10,16).
« Pro Christo ergo legatione fungim ur, tamquam D eo
exhortante per nos » (2 Cor. 5,20).
Si possono citare, inoltre, gli esempi di Cornelio, inviato
a S. Pietro (Atti 10,5), e quello di S. Paolo inviato ad A na­
nia (Atti 9,6).

2 ) D a l l ’ a u t o r i t à d e l l a C h i e s a . - La Chiesa ha
sempre respinto l’emancipazione dal direttore, preconiz­
zata dai falsi m istici con l’illu sorio pretesto di lasciare
le anime più libere sotto l ’azione dello Spirito Santo,
e ha raccom andato sempre l ’ obbedienza e la sotto-
missione a un sapiente e sperim entato direttore. Fa­
cendo proprio il sentim ento della Chiesa, Leone X III,
in una lettera al Card. G ib bon s, afferm ava chiaram ente
che questo è quanto fu sempre praticato dai santi di tu t­
ti i tem pi e che sono tem erari co lo ro i quali respingo­
no questa dottrina. E g li dice testualmente:
« A ccedit praeterea, quod qui perfectiora sectantur, hoc
ipso quod ineunt intentatam plerisque viam, sunt magis
errori obnoxii, ideoque magis quam caeteri doctore et duce
ìndigent. A tque haec agendi ratio iugiter in Ecclesia obti-
nuit; hanc ad unum omnes doctrinam professi sunt quotquot
decursu saeculorum, sapientia ac sanctitate floruerunt; quam
qui respuant, temere profecto ac periculose respuent » lfi.

3) D a l l a p r a t i c a u n i v e r s a l e d e l l a C h i e s a . - Sin
dai tem pi apostolici, infatti, appare nella Chiesa la pra­
tica della direzione spirituale. È vero che si citano e-
sempi di santità raggiunta senza direzione spirituale —
la qual cosa p rova che essa non è assolutam ente n e­
cessaria — tuttavia per leg g e generale, a lato delle a-
nim e più perfette, si trova un sapiente direttore che
le conduce fino alla santità. A lle v o lte tra la persona

16 C f . L e o x i i i , L ì t t e r a e a d c a r d . G i b b o n s Testem benevolentiae, 22 ia n u a -
r ii 18 9 9 ; a p u d D e G u i b e r t , Documenta Bccles. cbrist. perfectionis n . 568.
M E Z Z I SEC O N D A R I E S T E R N I 9 79

diretta e il direttore si stabilisce una corrente di m utuo


influsso soprannaturale. Ricorderem o la santa amicizia
di S. G irolam o con S. Paola, del B. Raim ondo da Capua
con S. Caterina da Siena; di S. G iovan n i della Croce con
S. Teresa, di S. Francesco di Sales con S. G iovan na di
Chantal; di S. V incen zo de’ Paoli con S. Luisa de M a-
rillac, ecc.

4) D a l l a n a t u r a m e d e s i m a d e l l a C h i e s a , nella
quale insegnamento e govern o si realizzano per via di
autorità. N o n c’è nulla di più opposto allo spirito
del cristianesimo com e il cercare in se stessi la regola
di vita. T ale fu l ’errore dei protestanti, che apri la
porta agli eccessi del libero esame e del più sfrenato
illum inism o.

5) D a l l a s t e s s a p s i c o l o g i a u m a n a . - Nessu­
no è buon giudice in causa propria anche presuppo­
nendo la massima sincerità e buona fede. Q uando ci so­
no esposti con chiarezza, com prendiam o m olto m eglio
gli stati dell’anima altrui che quelli della nostra. L a me­
desima situazione chiara e facile quando si tratta de­
gli altri risulta oscura e com plicata quando si tratta
di noi stessi. E questo avviene perché n on possiam o
prescindere da una serie di fattori sensibili, di im m agi­
nazione, di egoism o, di interesse, di gusti e di affetti,
o di scrupoli e preoccupazioni eccessive, che ven gon o
a intorbidire il dettame della ragione pratica.
Corollari. - 1. Per tutte queste ragioni appare pienamen­
te giustificata la tagliente affermazione di S. V incenzo Fer-
reri che abbiamo riportata.
2. L a necessità del direttore spirituale non è, tuttavia,
assoluta e indispensabile per tutti. Se le condizioni in cui
un’anima deve vivere le impediscono di avere una conve­
niente direzione spirituale, D io supplirà con le sue interne
ispirazioni alla mancanza di una guida esterna. Però la dire­
zione diventa indispensabile — secondo l’ordinaria p rovvi­
denza di D io — per chiunque la può facilmente avere.
980 LA VITA CRISTIANA NEL S U O SVILU PPO ORDINARIO

B. IL D IR E T T O R E

518 . i. Definizione. - È il sacerdote incaricato di


condurre un'anima alla perfezione cristiana.
a) I l sacerdote... - Si richiede necessariamente che il
direttore spirituale sia sacerdote ?
A ncorché non si possa stabilire una legge assoluta e
universale, ordinariamente è m olto conveniente che lo sia
per le seguenti ra g io n i1T.
i) Per l ’economia generale dell’ordine soprannaturale,
in cui è riservato al sacerdote l’ufficio di maestro.
z) Per l’intima connessione — alle volte fusione — con
l’ufficio di confessore.
3) Per la m igliore preparazione teorica e pratica che or­
dinariamente il sacerdote riceve per dirigere le anime.
4) Per la grazia di stato sacerdotale.
5) Per la pratica della Chiesa, che proibisce a chi non è
sacerdote d’intromettersi nelle anime — ancorché si tratti
di superiori religiosi — ammaestrata dagli inconvenienti
che facilmente potrebbero derivarne (cfr. C IC can.530).
In via eccezionale, però, non ci sarebbero inconvenienti
nell’ammettere, in qualche caso, la direzione di una persona
prudente e sperimentata non rivestita del carattere sacer­
dotale. N on mancano esempi non solo tra i padri del deserto
e i primi abati benedettini, che non erano sacerdoti, ma an­
che in epoche più recenti. Basti ricordare S. Francesco di
Assisi e S. Ignazio di L oyola prima del 1537. N on mancano
persino esempi di direzione spirituale esercitata da donne,
come S. Caterina da Siena e S. Teresa di Gesù.
b) ...incaricato... - D a chi ?
R em otam ente, — trattandosi di un sacerdote — l’in­
carico viene da D io e dalla Chiesa, giacché nella medesi­
ma ordinazione sacerdotale è implicita la missione di santi­
ficare le anime con tutti i mezzi possibili; uno dei quali è
indubbiamente, la direzione spirituale.
P r o s s i m a m e n t e , la missione concreta e speciale di di­
rigere una determinata persona suppone due elementi es­
senziali: la libera elezione di chi è diretto e la libera accetta­
zione del direttore.

Cf. D e G u i b e r t , Tbeotogia spirìtualis n . 190.


M E Z Z I SE C O N D A R I E S T E R N I 981

1) La libera elezione di chi è diretto. - Nessuna potestà


umana può obbligare un suddito ad accettare la direzione
di un determinato direttore. Quando la Chiesa indica ai con­
venti di religiose un determinato confessore, lo fa unica­
mente per facilitare loro la pratica della confessione sacra­
mentale, lasciandole però sempre libere di confessarsi da
qualsiasi altro sacerdote che possiede le condizioni richieste
(cfr. C IC can. 519-523). In ogni caso, l’ufficio di confessore
non si identifica necessariamente con quello di direttore spi­
rituale.
I seminaristi possono essere obbligati — come norma
disciplinare — a passare periodicamente nell’ ufficio del di­
rettore spirituale del seminario, ma non sono obbligati a
sottomettersi forzatamente alla sua direzione.
2) L a libera accettazione del direttore. - La missione pasto­
rale obbliga il parroco e tutti coloro che hanno cura di anime
a udire ex iustitia le confessioni dei loro sudditi ogni volta
che lo chiedono ragionevolmente (cfr. can. 892). G li altri sacerdoti
vi sono obbligati per carità. Però la direzione spirituale pro­
priamente detta, anche quando si compie con la confessione
sacramentale, è una funzione interamente distinta dalla sem­
plice amministrazione del sacramento della penitenza, che
suppone un n uovo peso, frequentemente penoso e pieno di
responsabilità. D a nessuna legge divina o ecclesiastica consta
che il sacerdote abbia lo stretto obbligo di imporsi questa nuo­
va fatica. È libero, quindi, di accettarla o no. Se si rifiutasse
di dirigere una determinata anima non violerebbe, è vero,
la giustizia, ma potrebbe facilmente violare la carità.
c) ...di condurre un’ anima ... - Per condurre intendiamo
il com pito di guidare, di orientare, di indicare a un’anima la
rotta che deve seguire nel cammino verso l’unione con D io.
Q uesto orientamento si deve riferire sia agli ostacoli e ai
pericoli che deve evitare quanto alle opere positive che deve
praticare.
d) ...alla perfezione cristiana. - Il direttore spirituale
si distingue dal semplice confessore. Il confessore è,
anzitutto, un giudice che gode di vera potestà nel foro inter­
no — conferitagli dalla Chiesa — e può, nell’ambito della
sua giurisdizione, obbligare strettamente il penitente. Ha
il com pito fondamentale di perdonare, in nom e di D io, i
peccati, per cui deve anzitutto disporre il penitente in ordine
alla valida e fruttuosa assoluzione sacramentale. Il direttore
spirituale, invece, non gode in quanto tale di nessuna giù-
982 LA V IT A C R IS T IA N A NEL S U O S V IL U P P O ORDIN ARIO

risdizione nel foro interno, non può obbligare strettamente chi


dirige — : a meno che questi non abbia emesso liberamente
il vo to di o b b e d irg lilS, — né ha il com pito di perdonare i
peccati, ma di perfezionare progressivam ente l’anima in or­
dine alla sua santificazione.

519 . 2. C o n fe ssio n e e d ire z io n e . - È necessario o


conveniente che il direttore spirituale sìa contemporanea­
mente confessore ordinario della persona diretta? O c c o rr e
risp o n d ere fa ce n d o u n a d istin zio n e : n o n è strettam en ­
te n ecessa rio , m a è co n v e n ie n tis s im o .
a) Non è strettamente necessario. - i . Perché per sé
sono due funzioni interamente distinte e perciò separabili.
2. Perché alle volte è materialmente impossibile (per
esempio, nelle assenze del direttore, durante le quali la per­
sona diretta ha bisogno di confessarsi).
3. Perché il confessore ordinario (per esempio, di m o­
nache di clausura) può essere un eccellente amministratore
del sacramento della penitenza, ma forse non possiede le
doti necessarie per dirigere una determinata anima.
4. N ei casi di comunicazione epistolare con un diretto­
re assente I9.
b) Però è convenientissimo. - 1. Per l’intima relazio­
ne esistente tra un ministero e l’altro, ancorché ogn i con­
fessione non richieda necessariamente anche la direzione
spirituale. Q uest’ultima si può fare per esempio, una volta
al mese o quando le speciali necessità di chi è diretto lo ri­
chiedono.
2. Per accrescere l’autorità del direttore, che in quanto
tale non ha nessuna giurisdizione per chi dirige.
3. Per la convenienza che la direzione si eserciti nel con­
fessionale (soprattutto se si tratta di donne).
4. Perché favorisce m olto l ’unità della vita spirituale
nell’anima di chi è diretto.
5. Per non moltiplicare gli enti senza necessità, con peri­
colo di fomentate la vanità della persona diretta.
Nota bene. - Il maestro dei n ovizi, il suo socio e il superio­
re di un seminario o di un collegio possono essere direttori

18 Q uesto v o to non è consigliabile com e vedrem o.


r9 Ritornerem o sui vantaggi e sugli inconvenienti della direzione epi­
stolare.
M E Z Z I SE C O N D A R I E S T E R N I 983
spirituali dei loro sudditi, ma non loro confessori ordina­
ri (can. 891).

3. Qualità del direttore spirituale. - A lcune


qualità si riferiscono specificamente alla direzione, m en­
tre altre si riferiscono alla personalità m orale del di­
rettore. In mancanza di una term inologia consacrata dal­
l ’uso, chiam erem o le prim e qualità tecniche, e le secon­
de, qualità morali del direttore.

520. A . Q u a l i t à t e c n i c h e d e l d i r e t t o r e . - N es­
suno forse com e S. Teresa di G esù ha indicato con
tanta precisione le qualità tecniche che deve avere un
buon direttore spirituale. La santa scrive:
« Im porta dunque moltissimo che il direttore sia pruden­
te, vale a dire di buon criterio e di esperienza. Se fosse anche
istruito, nulla di m eglio. M a se queste tre cose non si posso­
no trovare tutte insieme, si badi alle prime due che sono le
più importanti. A vendone bisogno, i dotti si possono sem­
pre trovare; ma giovan poco ai principianti se insieme non
hanno spirito di orazione. N o n dico con questo che non si
debba trattare con essi: anzi piuttosto che un’anima non
cammini nella verità, amo m eglio che sia senza orazione.
La scienza è sempre una gran cosa, perché istruisce e illu­
mina chi poco sa, fa conoscere le verità delle S. Scritture,
e cosi facciamo come dobbiam o fare. Che D io ci guardi da
devozioni alla balorda! » “ . D ello stesso parere è S. G iovanni
della Croce 21.
Le qualità fondam entali, dunque, sono:
1) L a scienza. - La scienza del direttore spirituale de­
ve essere vastissima. O ltre la profonda conoscenza della
Teologia dogmatica — senza la quale si espone a errare nella
medesima fede quando emette il suo giudizio su fenomeni
apparentemente soprannaturali — e della Teologia morale
— senza la quale non potrà disimpegnare convenientemente
neppure l’ufficio di semplice confessore — deve conoscere
a fondo la Teologia ascetica e mistica, principalmente quello
che è relativo ai principi fondamentali della vita spirituale:

20 C f . S . T e r e s a , V ita 1 3 ,1 6 ; 5 ,3 ; 1 3 ,1 4 e 1 7 ; 2 5 ,1 4 ; Cammino c .5 e c c .
21 C f. S . G i o v a n n i d e l l a C r o c e , Fiamma stro fa 3,11.30.
984 L A V IT A C R IS T IA N A N E L SU O S V IL U P P O ORDINARIO

in che cosa consiste la perfezione, chi e in che maniera obbli­


ga, quali sono gli ostacoli che bisogna allontanare, le illu­
sioni che bisogna evitare, gli elementi positivi che è neces­
sario fomentare. D eve conoscere particolarmente tutto ciò
che è relativo alla vita di orazione: i suoi differenti gradi
ascetico-mistici, le p rove che D io suole inviare o permettere
nelle anime contemplative (notte del senso, dello spirito,
aridità, persecuzioni, assalti diabolici, ecc.). D e v ’essere un
buon psicologo, deve conoscere perfettamente la teoria dei
diversi temperamenti e caratteri, l ’influsso che ha potuto
esercitare sulla persona diretta l’ambiente in cui è vissuto,
l’educazione ricevuta, ecc. D eve conoscere pure i prìncipi
fondamentali della psicopatologia, i casi anormali, le ma­
lattie nervose e mentali più frequenti. Infine, occorre che pos­
segga una conoscenza perfetta delle regole per il discerni­
mento degli spiriti, soprattutto se dirige anime nelle quali
appaiono fenomeni straordinari e grazie gratis datae.
N o n sempre si richiedono conoscenze tanto ampie e
profonde per la direzione ordinaria delle anime. Trattandosi
di principianti e anche di anime semplicemente pie, basterà
che il direttore possegga la scienza abituale di un sacerdote
sufficientemente dotto e navigato. Però per la direzione di
anime straordinarie o anormali si richiede una scienza su­
periore all’ordinaria. In ogni caso, il sacerdote ha l’obbligo,
in virtù del suo ufficio di confessore, di possedere la scienza
sufficiente per rendersi conto di questi casi straordinari, che
in realtà sarebbero m olto più numerosi se ci fossero direttori
competenti e pieni di spirito apostolico i quali spingessero
le anime dirette verso le altezze della perfezione. Riconosciuta
la propria incompetenza per dirigere una determinata per­
sona, deve raccomandarle di mettersi sotto un’altra dire­
zione. Se non farà cosi incorrerà in una grande responsabilità
dinanzi a D io , « intromettendo la sua rozza mano in cose che
non capisce, invece di permettere che l’anima si rivolga
a chi potrebbe intenderla»
2) Discrezione. - La parola discrezione deriva dal verbo
latino discernere, che significa distinguere, separare, dividere.
C on tale espressione, infatti, vogliam o significare un insie­
me di qualità che mirano, anzitutto, alla chiarezza e penetra­
zione di giudizio per distinguere in ogni caso ciò che è vero
da ciò che è falso, ciò che è retto da ciò che non lo è, ciò che
è conveniente da ciò che è pregiudizievole. Suppone princi­

21 Ivi, n.56.
M E Z Z I SEC O N D A R I E S T E R N I 985

palmente tre cose: prudenza nelle decisioni, chiarezza nei


consigli e fermezza nell’esigerne l’adempimento.
a) P r u d e n z a n e l l e d e c i s i o n i . - La prudenza, definita
da Aristotele come la « recta ratio agibilium » % è la virtù
morale che dirige l’intelletto affinché giudichi rettamente
quello che bisogna fare nei casi particolari. Ha una grandis­
sima importanza nella vita morale, giacché essa deve rego­
lare l’esercizio e la pratica di tutte le altre virtù 1 <. D eve
risplendere anzitutto nei governanti ed e assolutamente in­
dispensabile nel direttore spirituale ! J.
La prudenza si suddivide in tre specie:
1. Naturale o acquisita. - È la prudenza umana che, o-
rientandosi per mezzo delle luci della retta ragione, cerca
i mezzi più opportuni per conseguire un fine onesto. Il
direttore spirituale può e deve servirsi di essa in ciò che è
utile nel governo delle anime, fomentandola e incrementan­
dola con lo studio delle scienze psicologiche e sperimentali
e una intensa e profonda riflessione personale.
2. Soprannaturale o infusa. - La prudenza naturale o ac­
quisita ancorché sia molto utile, non è sufficiente per la
direzione delle anime. Siccome si tratta di una impresa
strettamente soprannaturale, non bastano le luci della sem­
plice ragione naturale, ma occorrono anzitutto i grandi prin­
cipi della fede applicati dalla prudenza soprannaturale o
infusa. Il direttore deve possederla in notevole misura per
non condannare, in nom e di una prudenza puramente natu­
rale ed umana, molte cose che D io può approvare ed anche
richiedere, come le grandi penitenze, sacrifici eroici, l’ im­
molazione di se stessi per la salvezza degli altri. Il direttore
deve sempre temere la possibilità di tarpare le ali ad anime
per raggiungere altezze sublimi nella via della santità.
3. Il dono del consiglio. - A volte neppure la prudenza
infusa è sufficiente per risolvere una determinata situazio­
ne, specie se si tratta della direzione di anime eroiche.
L o Spirito Santo, principale direttore di queste anime, ha
talvolta delle esigenze incomprénsibili non solo alla ra­
gione umana, ma anche alla luce ordinaria della fe­
de. O ccorre allora una speciale docilità per lasciarsi guida­
re da codesto impulso divino che può indurre a ciò che

*3 Cf. In V I Ethic. c.5, n.4.


H Cf. II-II,47.
2S Rimandiamo il lettore ai nn.269-73.
986 LA V IT A C R IS T IA N A N E L SU O S V IL U P P O ORDIN ARIO

gli uom ini chiamano pazzia, ma che è profonda sapienza


agli occhi di D io (i. C o r.3,19). È questo il com pito spe­
cifico del dono - del consiglio, che il direttore spirituale de­
ve chiedere frequentemente per adempiere bene la sua mis­
sione.
b) C h i a r e z z a n e i c o n s i g l i . - L a discrezione del di­
rettore spirituale, oltre alla prudenza, esige la chiarezza
nei consigli e nelle norme di condotta che dà alle persone
da lui dirette.
Essa suppone principalmente due cose:
1. Semplicità e precisione dì linguaggio, in maniera da evitare,
all’anima diretta, dubbi ed incertezze circa il m odo di in­
terpretare i consigli ricevuti. Il direttore dovrà quindi evi­
tare il linguaggio indeciso (« forse », « se le pare », « a
meno che non preferisca », ecc.). D eve dare norme chiare,
ben determinate, che non si prestino a dubbi o interpreta­
zioni equivoche. D eve, per quanto è possibile, risolvere i
problem i delle anime che dirige, con un si o con un no
fermo, dopo matura riflessione, se il caso lo richiede. N on
deve lasciare insoluto nessun problema. Se l’anima si rende
conto che il direttore è titubante e non è m olto sicuro di
quel che dice, ben presto perderà la fiducia in lui e, se non
abbandonerà la direzione, la renderà sterile.
2. Sincerità e franchezza nel dire alle persone, che si dirigo­
no, la verità senza considerazioni o rispetti umani. M anche­
rebbe gravemente al suo dovere il direttore chi per non m o­
lestare colui che dirige, o per il timore che si rivolga ad altri (!)
non gli indicasse le mancanze, i difetti, gli errori, lo la­
sciasse nelle sue illusioni, esagerasse le sue virtù. A tale
proposito scrive giustamente un maestro della vita spirituale:
« S’incontrano m olte anime che sembrano m olto virtuose e sono inve­
ce completamente vuote di virtù, perché sono piene di se stesse e della pro­
pria stima, e non hanno ancora trovato chi le abbia disingannate dicen­
do loro che n on hanno appreso neppure i prim i rudim enti della vita spi­
rituale »

Con prudenza e mansuetudine, ma, allo stesso tempo,


con energia e fortezza, il direttore deve manifestare all’in­
teressato tutta la verità, assolutamente. N on dimentichi

s6 Cf. P .I.G . M e n é n d e z - R e ig a d a , L a dirección espirilual , Salamanca,


1 9 3 4 . P- 3 4 -
M E Z Z I SEC O N D A R I E S T E R N I 987

che sta facendo le veci di D io 27, cui dovrà rendere stretto


conto dell’amministrazione dei suoi poteri sacerdotali. Chi
non ha il coraggio di dire la verità, sia pure ad un superiore
o ad una persona insignita di un’alta dignità ecclesiastica
o civile deve rinunciare nella maniera più categorica all’uf­
ficio di direttore spirituale di quella determinata persona.
c) F erm ezza ed e n e r g ia n e l l ’e s ig e r n e l ’a d e m p i­
m ento .- Il direttore deve stare attento a non diventa­
re, praticamente, il diretto. Certe anime hanno una straor­
dinaria abilità nel fare accettare i loro punti di vista
ed ottenere quindi che il direttore « comandi » ciò che loro
voglion o ìS. Con soavità e dolcezza, ma anche con fermezza
ed energia irrem ovibile deve prevenire o eliminare questo a-
buso. Una volta dato il giudizio, secondo quanto gli detta la
sua prudente coscienza, non lo deve cambiare, nonostante
suppliche e proteste, a meno che non mutino sostanzialmente
le circostanze. L ’anima diretta deve rendersi conto che ha
solo due alternative di fronte a sé; quella di obbedire o quella
di cambiare direttore. Q uesto atteggiamento è richiesto sia
dalla dignità di chi dirige che dal bene di chi è diretto. D ’al­
tra parte, questa è l’unica difesa che ha il direttore per man­
tenere la sua autorità, non avendo egli, in quanto direttore,
alcuna giurisdizione sulle anime da lui dirette.
Si ricordi tuttavia il direttore di non esigere nulla che sia
sproporzionato o inconciliabile coi doveri, le forze, le dispo­
sizioni attuali, la condizione, il temperamento di coloro che
dirige. È o v v io che la situazione dei principianti è diversa
da quella dei proficienti o dei perfetti. U n eccessivo rigore
potrebbe intimorire le anime e farle desistere dai loro buoni
propositi, anche appena formulati.
3) Esperienza. - Il direttore spirituale deve essere do­
tato di esperienza personale ed esperienza altrui.
a) Esperienza propria. - Per la direzione delle ani­
me ordinarie si richiede quella esperienza della vita spiri­
tuale, che c’è in ogni sacerdote che disimpegni degnamente
il suo sacro ministero; ma per la direzione di anime che sono
già entrate nella fase mistica, è quasi indispensabile che il di­
rettore abbia qualche esperienza di essa. È vero che una squi­
sita prudenza, unita alla scienza competente degli stati mi­
stici, nella m aggior parte dei casi, sarà sufficiente per dirigere

27 « P ro Christo enim legatione fungìtnur » (2 C or, 5,20).


28 Cf. S. G i o v a n n i d e l l a C r o c e , N o tte 1,2,3.
988 LA V IT A C R IS T IA N A NEL SU O S V IL U P P O ORDINARIO

con sicurezza tali anime; tuttavia senza qualche esperienza


personale il direttore si sentirà disorientato e perplesso
in m olte circostanze. Quando i doni dello Spirito Santo
cominciano a svilupparsi intensamente in un’anima, si pro­
duce un cambiamento cosi com pleto e profondo nella sua
vita spirituale, si alterano e modificano talmente le idee,
che se il direttore non conosce per se stesso qualcosa di
simili profonde trasformazioni che lo Spirito Santo opera
nelle anime che a lui si donano pienamente, rimarrà
sconcertato e senza sapere quale risoluzione prendere. S.
Teresa, parlando dei direttori, diceva già che « giovan poco
ai principianti se insieme non hanno spirito di orazione » *9.
E S. G iovanni della Croce avverte che, per guidare que­
ste anime, il direttore « oltre ad essere dotto e discreto,
è necessario che sia esperto. È vero che, per dirigere lo spi­
rito, il fondamento è la scienza e la discrezione; ma se il di­
rettore non ha esperienza di ciò che è puro e vero spirito,
non troverà la via per incamminarvi l’anima quando Iddio
la chiama anzi neppure saprà intenderla » 3°.
Che cosa deve fare il direttore quando avverte di non
avere sufficiente capacità per guidare una di queste anime
straordinarie ?
Se può facilmente affidarle a persone abili, deve farlo
immediatamente con ogn i semplicità e generosità. D iver­
samente, si esporrebbe al pericolo di disorientare un’anima
eletta e di frustrare forse una santità autentica incorrendo cosi
in una gravissima responsabilità dinanzi a D io. N o n dimen­
tichiamo che glorifica m olto di più D io la santificazione di
un’anima che la conversione di mille peccatori. M a se,
a m otivo di speciali circostanze, l’anima non potrà trovare
facilmente un’altra adeguata direzione, il direttore si umili
m olto davanti a D io, gli chieda insistentemente le sue
luci, studi, rifletta, intensifichi al massimo la sua vita di ora­
zione e confidi nella divina Provvidenza, che lo aiuterà
in quella formidabile impresa.
b) Espeì-ieti^a dì altre anime. - La propria esperienza non
basta ancora per fare un perfetto direttore spirituale. Poiché
sono molto numerose e differenti le vie per cui lo Spirito San­
to vuole condurre le anime alla santità, è necessario verificare
la propria esperienza con quella di altre anime allo scopo
di imparare a rispettare in ognuna di esse le vie speciali per

29 Cf. Vita 13 , 16 .
3° C f. Fiamma strofa 3 , n .3 0 .
M E Z Z I SE C O N D A R I E S T E R N I 989

cui D io vuole condurle. Commetterebbe una gravissima


imprudenza il direttore che pretendesse di condurre tutte
le anime per la medesima via e di im porre ad esse indistin­
tamente i suoi punti di vista per quanto buoni ed eccellen­
ti siano. N o n deve mai dimenticare che il vero direttore di
codeste anime è lo Spirito Santo, e che la missione del sa­
cerdote si limita ad assecondare la sua divina azione, al­
lontanando gli ostacoli e spingendo l’anima a una fedeltà sem­
pre più perfetta alle m ozioni interiori della grazia.

521. B . Q u a l it à m o r a l i d e l d ir e t t o r e . - Sono
q u e lle ch e , p u r n o n essen d o asso lu tam en te in d isp e n sa b i­
li p er la tecn ica della d irezio n e , co n tr ib u is c o n o alta­
m en te al su o c o m p le m e n to e alla sua p e rfe zio n e. L e
p rin cip a li so n o cin que: in ten sa p ietà, z e lo ardente,
b o n tà di carattere, p ro fo n d a u m iltà, in fin e p e rfe tto
d ista cco e disinteresse n elle re la z io n i c o n le anim e.
i) Intensa pietà. - È facile comprendere la necessità
di una soda pietà nel direttore spirituale. Ordinariamente,
anche in questo il discepolo non è superiore al maestro
(Mat. 10,24-25). S. G iovanni della Croce insiste m olto su
questo requisito:
« A nzitutto l’anima che vuole progredire nel raccoglim ento e nella p er­
fezione, deve necessariamente badare alle mani di chi si affida, perché^quale
è il maestro tale sarà il discepolo, e quale il padre tale il figlio » 31.
« Q uindi la sua dottrina, per quanto sia sublime e rivestita di eloquenza
e stile ricercato, ordinariamente non farà di per sé n egli uditori, più effetto
di quello che scaturisce dalla pienezza dello spirito » V.

Nessuno può dare quello che non ha; se il direttore quin­


di non ha spirito interiore, sarà incapace a condurre il suo
discepolo ad una m aggior perfezione. E non si dica che la
santificazione è opera dello Spirito Santo e della sua gra­
zia, la quale non ha bisogno di disposizioni nello strumento
di cui si serve; questo ragionam ento anzitutto prova troppo,
poiché si dovrebbe logicamente concludere che non oc­
corre altra direzione che quella dello Spìrito Santo, contro
tutta la Tradizione cattolica; inoltre è falso perché in reai-

31 Ivi.
31 Cf. Salita 111,45,2.
990 LA V IT A C R IS T IA N A NEL SU O S V IL U P P O ORDINARIO.

tà D io ordinariamente si adatta alle disposizioni prossime


degli strumenti di cui si serve e non prescinde da essi che
in via eccezionale.
La pietà del direttore spirituale deve essere eminentemente
cristocentrica cosi che egli possa dire con S. Paolo: « M ihi
vivere Christus est et m ori lucrum » (Fil. 1,21); deve essere
animata dal viv o sentimento della nostra filiazione adottiva
che faccia vedere in D io il Padre amorosissimo che si
compiace al vedere i suoi figli aiutarsi come buoni fra­
telli, membri di una stessa famiglia. D o v rà inoltre il direttore
spirituale, col raccoglim ento, il distacco e lo spirito di
orazione, cercare di realizzare prima in se stessso la suprema
aspirazione di S. Paolo: morire al m ondo ed incominciare
fin d’ora una vita nascosta con Cristo in D io (cf. Col. 3,;).
Un direttore che viva di queste aspirazioni, si troverà
a suo agio quando D io gli affiderà un’anima di elezione. In­
tenderà il suo linguaggio e le parlerà sullo stesso tono, ne
intuirà facilmente i sentimenti le lotte, le difficoltà; nelle
esperienze che gli vengono confidate, riconoscerà le proprie.
C ’è una conoscenza sperimentale delle cose di D io che nes­
suna scienza acquisita può sostituire. L a pietà profonda
è indubbiamente la prima e più fondamentale qualità mo­
rale che deve possedere un buon direttore di anime.
2) Zelo per la santificazione delle anime. - Se la pietà
del direttore è profonda e ardente, il suo zelo per la santifi­
cazione delle anime raggiungerà la medesima intensità,
giacché lo Zelo, secondo S. Tom m aso, è una conseguenza
dell’intenso amore 33. L ’amor di D io ci spinge a lavorare
per estendere il suo regno alle anime, e l’amore per le anime
fa si che uno dimentichi se stesso per non pensare ad altro
che a santificarle dinanzi a D io e per D io. È questo zelo che
spingeva S. Paolo a farsi tutto a tutti per guadagnare tut­
ti a Cristo (1 Cor. 9,22).
Senza questo zelo ardente, la direzione spirituale risulte­
rà inefficace per l’anima, giacché le mancherà lo stimolo
del direttore per avanzare nonostante tutte le difficoltà;
e si convertirà in un peso insopportabile per il direttore
giacché per sé è com pito duro e penoso, che richiede molta
abnegazione e un grande spirito di sacrificio.
3) Bontà e soavità di carattere. - L o zelo ardente corre

33 « Zelus, quocum que m odo sumatur, ex intensione amoris provenit »


( 1 - 11 , 20 ,4 ).
M E Z Z I SEC O N D A R I E S T E R N I 99 1

il rischio di convertirsi in una intransigenza e incomprensio­


ne irragionevole se non è accompagnato da una immensa
bontà e soavità di carattere. Il direttore dev’essere animato
dai medesimi sentimenti di Gesù Cristo (cf. Pii. 2,5), il
buon Pastore che andava in cerca della pecorella smarrita
(Luca 15,4), che non spezzava mai la canna fessa né spegneva
il lucignolo fum igante (Mat. 12,20), e che accoglieva tutti
con immensa bontà e compassione. N o n dimentichi che,
come diceva S. Francesco di Sales, « si ottiene di più con
una oncia di miele che con un barile di aceto ».
« L a perfezione — • osserva saggiamente Ribet 3 4 —
è un’opera difficile soprattutto nei suoi inizi, per i timori
che ispira e gli ostacoli che è necessario superare. Un rigore
eccessivo e certi rim proveri intempestivi avrebbero l’effet­
to di scoraggiare le anime e di compromettere, forse per
sempre, l ’opera della loro santificazione. Ciò è particolar­
mente vero rispetto alle anime fortemente tentate, poco
aperte di spirito, suscettibili di carattere, deboli e. inco­
stanti per natura. La severità le sconcerta, le esaspera, impe­
disce loro l’apertura del cuore, la fiducia e la speranza. La
umana miseria e le difficoltà della virtù raccomandano dunque
nel direttore una inalterabile pazienza ».
Difatti il direttore dev’essere animato da sentimenti ve­
ramente paterni, ossessionato unicamente' dall’altissimo com­
pito di formare Cristo nelle anime che D io gli affida, cosi
da poter dire con S. Paolo: « Filioli mei quos iterum
parturio donec formetur Christus in vobis » (Gal. 3,19).
Per loro dev’essere il bastone che sostiene, non la verga che
ferisce. L e anime vogliono essere trattate con bontà. Il diret­
tore deve procurare di attirarsi la loro fiducia e obbedienza
con la bontà di tratto, pur senza pregiudicare i principi della
direzione. S. G iovanna di Chantal riassumeva sapientemente
questi consigli scrivendo a una superiora: « A misura che
cresco negli anni, vedo chiaramente che la dolcezza è ne­
cessaria per entrare e rimanere nei cuori e per fare com­
piere ad essi i loro doveri senza tirannia. Perché, in fin dei
conti, le nostre sorelle sono le pecore di N ostro Signore;
ci è permesso, nel condurre, di toccarle col bastone, ma non
di schiacciarle » 35.
4) Profonda umiltà. - Il direttore ha pure bisogno di
un grande spirito di umiltà, anzitutto di fronte a D io, che

34 C f. Vascètìqm chrétìmm c .39, fi.6.


35 Cf. Conseiis à uns Supirieure; V ie et O euvres, P lo n , Parigi, v.3, p. 328.
992 LA V IT A C R IS T IA N A NEL SU O S V IL U P P O ORDIN ARIO

« resiste ai superbi e dà la sua grazia agli um ili » (i Piet.


5,5). Senza una speciale luce di D io , a che cosa servirebbe
tutta la scienza umana in un’opera tanto divina come la san­
tificazione delle anime?
In secondo lu o go il direttore deve essere umile di fronte
a se stesso. L ’umile diffida di sé non risolve in m odo ir­
riflessivo ed audace le difficoltà che gli si presentano; studia,
medita e, se è necessario, consulta altri più dotti di lui e pren­
de tutte le precauzioni per essere sicuro delle sue decisioni.
In terzo luogo l’umiltà è necessaria al direttore di fronte
alle anime; l’umiltà infatti attira e soggioga tutti. U n rim­
provero fatto con umiltà si riceve con piacere e riconoscenza,
ma fatto con superbia ed alterigia, indisporrà colui che lo
riceve e spesso causerà danni maggiori.
5) Perfetto disinteresse e distacco nelle relazioni con le
anime. - Il direttore non deve amare le anime per le conso­
lazioni che esse gli procurano, ma unicamente per portarle
a D io . S. A go stin o fa notare che « coloro i quali dirigono
le pecore di Cristo come se fossero proprie, dimostrano di
amare se stessi e non il Signore » 36. S. L orenzo Giustiniani
chiama un simile m odo di comportarsi furto sacrilego, poiché
è un appropriarsi di ciò che il Signore rivendica gelosa­
mente per sé 37.
La riconoscenza o l’ingratitudine delle anime non deve
im portargli m olto e deve quindi mantenersi sereno anche
quando queste anime lasciano la sua direzione spirituale
senza che egli v i abbia dato m otivo. N on dovrà mai consi­
derare gli altri direttori come dei rivali in una missione di
cui nessuno detiene il m onopolio o l ’esclusiva. Rispetti
sempre la libertà delle anime e le ami unicamente « nelle
viscere di G esù Cristo » (Fil. 1,8); non accetti da loro doni
come ricompensa umana di un lavoro divino. Potrà sempre
accettare e chiedere l’aiuto delle loro preghiere, ma non
im ponga mai loro il più piccolo sacrificio per propria utili­
tà. La sua condotta deve ispirarsi alla sublime form ula del­
l’Apocalisse: « Benedictio, et claritas, et sapientia, et gratia-

36 « Q u i h o c animo pascunt oves Christi ut suas veline esse, non Chri-


sti, se convincuntur amare, non Christum » {Traci. 123 in Io.).
37 « O p tim um et acceptabile D eo opus est prò bmore ìpnm utilìtatibus
anirrfarum insistere, illarumque continuum fructum spirìtualem acquirere,
non sibì sed Domino. Q ui enim quidquid sibi vindicat quod debetur Christo,
far et latro est, eo damnabilior quo D e o cariota praedatur » {D e compì. Cbrist.
perfect.).
M E Z Z I SE C O N D A R I E S T E R N I 993

rum actio, honor, et virtus, et fortitudo Deo nostro in sae-


cula saeculorum. A m en » (Ap. 7,12).

Scarseggiano i buoni direttori spirituali appunto


perché le qualità richieste— di cui abbiamo illustrato
le principali — sono tante e tanto perfette. S. Giovanni
della Croce afferma che « per questo cammino, almeno
per il tratto più sublime di esso... difficilmente si trove­
rà un guida fornita di tutte le doti che si richiedono » 38.
Il B. Giovanni d’Avila, citando un testo dell’Eccle-
siastico (6,6), dice che bisogna scegliere il direttore
« tra mille » 3S, e S. Francesco di Sales, non contento,
dice « tra diecimila » 40. Non si deve, tuttavia, credere
che l’anima priva di un direttore perfetto non possa
assolutamente giungere alla perfezione. Se vuole sin­
ceramente santificarsi e cerca di essere in tutto fedele
alla grazia, raggiungerà la perfezione, anche se il suo
direttore non ha tutte le doti richieste in grado eminen­
te, anzi anche senza alcuna direzione. Non dobbiamo
dimenticare infatti che la direzione è moralmente, non
assolutamente necessaria, per la santificazione e quindi
Iddio può provvedere in altri modi alle anime di buona
volontà che non possono disporre di questo mezzo
ordinario.
522. 4. Doveri del direttore spirituale. - I prin­
cipali sono i seguenti:
1) Conoscere l’anim a diretta. - Il direttore deve arri­
vare a conoscere profondam ente il carattere, il temperamen­
to, le inclinazioni buone e cattive, i difetti, le ripugnanze,
gli affetti e le forze dell’anima che dirige. D e ve conóscere,
almeno nelle linee generali, le principali colpe e vizi, se ha
lottato per liberarsene e con quale risultato; deve inoltre

3 8 Cf. Fiamma strofa 3, n.30.


39 C f. Reglas muy provechosas,.. 11,9, ( Obras completai, B A C , M adrid, t.i
p. 1048).
4° C f. Filotea p .i. a, c.4.
994 LA V IT A C R IS T IA N A N EL SU O S V IL U P P O ORDINARIO

conoscere le grazie che l’anima ha ricevuto, le sue attuali


disposizioni in ordine alla propria santificazione, le tentazio­
ni, gli ostacoli e le difficoltà che sperimenta.
Salvo casi rarissimi, il direttore non deve esigere rela­
zioni scritte sulla vita passata dalle anime che si affidano a lui e
deve dissuaderle se fossero esse a proporre questa iniziativa.
T ali scritti offrono non pochi inconvenienti, sia da parte del­
la persona diretta — la quale facilmente s’illude pensando
alle autobiografie di alcuni santi e scrive, forse, in vista del­
la futura pubblicazione del suo manoscritto — sia da parte
del direttore, al quale fanno perder tempo e lo mettono in
pericolo di violare il segreto naturale im posto da simili
relazioni, poiché possono facilmente cadere in mani indi­
screte.
Il direttore non ha l’obbligo di credere a tutto ciò che gli
dice l’anima diretta — ed in questo si distingue dal confesso­
re, il quale deve sempre giudicare secondo quanto gli mani­
festa il penitente — ma deve esaminare le cose con calma
senza mostrarsi troppo credulo, soprattutto se si tratta di
donne di poca virtù e se vengono in questione fenomeni
straordinari e grazie gratis datae.
2) Istruirla. - Il direttore deve dare opportune istru­
zioni teorico-pratiche alla persona diretta, affinché si formi
una coscienza retta e possa risolvere da sé i problem i più
facili. E viti, per quanto può, le affermazioni troppo autori­
tarie, senza alcuna giustificazione dottrinale, a meno che non
si tratti di anime scrupolose o eccessivamente curiose.
Accrescerà la sua autorità se mostrerà a coloro che dirige in
che m odo i suoi consigli si fondano nel dogm a e si appog­
giano all’esperienza della Chiesa.
Eviterà tuttavia d’introdurre nell’ambito della direzione
le dispute e le questioni di teologia speculativa controverse
tra le diverse scuole; insista sui punti fondamentali comuni
a tutte le scuole, come la necessità del rinnegamento di sé,
del distacco, della fedeltà alla grazia, della profonda umiltà,
ecc., e procuri di fondare la perfezione sull’amor di D io e
del prossimo e sull’esatto compimento dei doveri del pro­
prio stato. Questa direzione sarà utile a tutte le anime perché
le guiderà per la via seguita da tutti i santi. '< L a direzione
da dare alle anime non dipende dalle questioni controverse,
ma dalle dottrine comunemente ricevute» 41.
3) Stimolarla. - M olte anime, anche tra le più avanzate,

41 Cf. T a n q u e r e y , Compendio di Teologia ascetica e mistica n . 328 .


M E Z Z I SEC O N D A R I E S T E R N I 995

si manifestano ancora deboli di volontà, ineguali ed inco­


stanti e rinuncerebbero a raggiungere la santità senza lo
stimolo e l’incoraggiamento del direttore spirituale, il quale
deve sempre tener presente che non è soltanto un consigliere
incaricato di risolvere dubbi e difficoltà che gli vengono sot­
toposti, ma un vero educatore e maestro che deve contri­
buire positivamente alla form azione spirituale dell’anima
che D io gli affida. Col suo stimolo costante deve infondere
nelle anime un sano ottimismo — fondato nella fiducia in
D io e nel disprezzo di se stesse, — e la persuasione che sono
chiamate, individualmente alla perfezione e che la raggiun­
geranno di fatto se saranno fedeli alla grazia. Tenda loro
paternamente la mano quando sono cadute, dimostri loro
le disastrose conseguenze dello scoraggiam ento, peggiori
della stessa caduta, e le inviti a far tesoro delle tristi espe­
rienze passate per aumentare la vigilanza e riparare con una
m aggiore generosità nel servizio di D io 42. È incalcolabile
il danno che potrebbe causare un contegno duro nel momen­
to in cui queste anime avvilite hanno assoluto bisogno di
appoggio, di fiducia e di stim olo per rimettersi coraggio­
samente in cammino. Niente le rianima tanto quanto il ve­
dersi accolte con bontà e misericordia da colui che con­
siderano come diretto ed autentico rappresentante di D io,
proprio quando si aspettavano forse un’aspra riprensione.
4) Controllare la sua vita spirituale. - L ’anima non de­
ve prendere nessuna iniziativa di una certa importanza
senza l ’espressa approvazione del suo direttore spirituale.
Il piano di vita, il m etodo di orazione, le pratiche di devo­
zione, le penitenze, il genere di apostolato, la materia dell’e­
same particolare, devono essere sotto il controllo del di­
rettore.
La direzione si limiti alle cose che stanno in relazione con
il profitto spirituale dell’anima. Il direttore non tolleri quindi
che si infiltrino sotto qualsiasi pretesto, questioni familiari,
affari temporali, preoccupazioni umane, ecc., interrompa
subito risolutamente qualsiasi deviazione in tal senso ed esi­
ga la m aggior brevità possibile anche in ciò che interessa
direttamente la direzione. Se fin da principio abitua le anime
a questa giudiziosa sveltezza, contribuirà efficacemente a
questo punto della loro educazione, risparmierà a se stesso
inutili perdite di tempo ed eviterà forse l’ impazienza a coloro

42 Si consulti su questa materia l ’opera di T i s s o t , L ’arte dì utilizza™ l e


nostre colpe. Edizioni Paoline, Rom a 1944.
996 LA V IT A C R IS T IA N A NEL SU O S V IL U P P O ORDINARIO

che attendono il loro turno presso il confessionale.


5) Correggere i suoi difetti. - Il direttore deve sempre
tener presente che il fine della direzione spirituale — con­
durre l’anima alla santità — non si potrà mai raggiungere sen­
za il costante lavoro negativo della correzione e distruzione
dei difetti, che non mancano mai del tutto, in nessuna tappa
della vita spirituale. Questa correzione non deve estendersi
solamente ai difetti morali, ma anche a quelli psicologici e
di temperamento. Corregga la precipitazione, la leggerezza,
l ’incostanza, la superficialità, i capricci, punti di vista errati,
obbligando l’anima a seguire una norma seria, costante e
precisa, che non lasci campo a dubbi ed a scappatoie. A p ­
profitti di queste correzioni per portarla all’umiltà, facen­
dole vedere che da sé non può nulla e che il Signore si è
inclinato su di essa perché il suo amore e la sua misericordia
10 portano ad impietosirsi degli esseri più deboli e miseri.
6) Procedere progressivamente. - La direzione dev’es­
sere progressiva e accomodata al grado di virtù, al tempera­
mento, all’età e alle circostanze attuali della persona diretta,
a imitazione di S. Paolo, che si faceva tutto a tutti (iC or.
9,22), e non im poneva a nessuno pesi insopportabili (iC or.
3,2; cfr. Mat. 23,4). Il maestro Daza fu sul punto di disorien­
tare S. Teresa perché esigeva da lei prima del tempo oppor­
tuno alcune cose per le quali la santa non era ancora prepa­
rata 43. E senza cadere nell’estremo opposto del « lasciar
fare », la prudenza del direttore dovrà segnare in ogni caso
11 limite massimo oltre il quale l’anima non potrà giungere
con le sue forze attuali. Praticamente, quando vorrà intensi­
ficare la vita spirituale dell’anima, glielo proponga per via
di esperimento. O sservi come reagisce, se effettivamente il
nuovo orientamento la fa progredire o se si converte in un
peso molesto che la preoccupa e conturba. Proceda sempre
con fermezza ed energia, ma nello stesso tempo con soavi­
tà e pazienza, evitando sia la negligenza e la debolezza,
che impedirebbero il progresso per mancanza di stimolo, sia
l ’eccessivo rigore, che lo renderebbe impossibile per lo
scoraggiamento dell’anima.
7) Conservare il segreto. - Procuri il direttore di con­
servare, il più assoluto riserbo riguardo alle confidenze che
riceverà dalle anime, non solo perché molte di esse sono vin­
colate dal sigillo sacramentale, ma anche perché obbligano

43 Cf. Vita 23,8 c 9.


M E Z Z I SE C O N D A R I E S T E R N I 997

per sé al silenzio in virtù del segreto naturale d’ufficio. Le


anime rim angono m olto male per questa specie di indiscre­
zione; e molte volte basta questo per fare perdere loro la
fiducia che avevano riposto nel direttore. Soprattutto, se
si tratta di anime molto progredite, con fenomeni e carismi
soprannaturali, bisogna essere estremamente prudenti e
discreti per i grandissimi inconvenienti che diversamente
ne potrebbero seguire. Il direttore reprima il prurito di voler
comunicare simili cose sotto il pretesto di edificazione e non
tema di eccedere nel rigore e nella severità del suo silenzio.

C. IL D IR E T T O
5 2 3. i . D e f in iz io n e . - È ogni anima che, aspiran­
do seriamente alla perfezione cristiana, si è volon­
tariamente posta sotto i l regime e i l governo di un direttore
spirituale.
a) Ogni anima... - Nessuno è escluso dalla necessità
morale di sottomettere le cose della sua anima al governo
e al controllo di un direttore, neppure coloro che eserci­
tano per professione l’ufficio di direttori di anime, i grandi
teologi, i vescovi, lo stesso Sommo Pontefice. E questo
non solo perché nessuno è buon giudice di se medesimo,
ma anche perché il valore e l’efficacia della direzione non ri­
siede tanto nella soluzione teorica delle difficoltà, quanto
nella forza stimolante delle esortazioni del direttore, nel­
l’umiltà, nell’obbedienza, nella sottomissione di chi è di­
retto. Colui che disprezza i consigli di un prudente diretto­
re, perché si crede superiore agli altri, non raggiungerà
m ai la perfezione.
b) ...che, aspirando seriamente alla perfezione cristiana... -
Se mancasse questa aspirazione, la direzione spirituale
sarebbe non solamente inutile, ma impossibile. Per otte­
nere solamente l’assoluzione dai peccati, non curandosi di
condurre una vita mediocre priva dell’ideale e del desiderio
della perfezione, non occorre un direttore spirituale: basta
qualsiasi confessore occasionale.
c) ...si è volontariamente posta... - La scelta del diret­
tore è volontaria e libera da parte di chi vuole essere diretto.
d) ...sotto il regime e il governo di un direttore spirituale.
- Tale governo si riferisce esclusivamente alle cose inter­
ne della vita spirituale. Il direttore, in quanto tale, non ha
998 LA V IT A C R IS T IA N A N EL SU O S V IL U P P O ORDINARIO

alcuna giurisdizione sulla vita esterna dell’anima che dirige:


trattandosi quindi di una persona consacrata a D io , si guar­
derà bene dall’imporle un peso che perturbi l’osservanza
regolare della comunità, e trattandosi di persona secolare,
avrà cura di adattare la sua direzione in m odo da renderla
compatibile con i doveri del suo stato.

2 . Qualità e doveri del diretto. - Possiamo di­


stinguere due categorie di doveri, alcuni in relazio­
ne alla direzione, altri verso la persona del diret­
tore.
A) I n r a p p o r t o a l l a d i r e z i o n e . - I principali so­
no quattro: piena sincerità e apertura di cuore, docilità
e obbedienza, perseveranza éd infine assoluta discre­
zione.
524 l ) Piena sincerità e apertura di cuore. - È il pri­
mo requisito affinché la direzione sia possibile. Il direttore
deve conoscere e controllare tutto: le tentazioni e le debolezze,
per aiutare a superarle; i propositi e le risoluzioni che devono
essere sottoposti alla sua approvazione; le inclinazioni buo­
ne e cattive per aiutare a sviluppare le prime e correggere le
seconde. Certi autori esigono anche la manifestazione della
mancanza di fiducia che si comincia a sentire verso di lui 4 4 .
Si illudono quindi, coloro che manifestano al direttore
unicamente le cose buone o meno cattive e confessano ad
uno sconosciuto i loro peccati 45. È vero, non è necessario
che lo stesso sacerdote sia confessore ordinario e direttore
spirituale, ma è sempre necessario che non si nasconda nulla
al direttore della propria vita, soprattutto le proprie miserie.
Diversam ente sarebbe m eglio rinunciare alla direzione spi­
rituale che diventa inutile perdita di tempo.
2) D ocilità ed obbedienza. - È certo che il direttore co­
me tale, anche nelle cose inerenti al suo ufficio, non gode di
un’autorità propriamente detta, cui corrisponda un dovere
di obbedienza. Tuttavia il direttore non si trova su un pia­
no di uguaglianza o di semplice amicizia con colui che di­
rige. In forza del suo stesso com pito gode di una vera supe­
riorità, sia pure non giuridica, paragonabile a quella del mae­

44 C f. P. C r is ó g o n o Compendio de Ascètica y Mistica p .2.a c. 1 . a.5.


45 C f. S. G i o v a n n i d e l l a C r o c e , Notte 1,2,4.
M E Z Z I SECONDARI EST E R N I 999

stro e dell’educatore, alla quale deve corrispondere una


vera sottomissione da parte dell’anima diretta, sottomissio­
ne che deriva più dalla prudenza e dall’umiltà che dall’obbe­
dienza strettamente detta 46. Senza questa docilità la dire­
zione sarebbe inefficace e quindi inutile; per questo il diret­
tore, anche se sprovvisto di autorità nel senso stretto della
parola, deve esigere la completa obbedienza nelle cose che
riguardano la direzione, sotto pena di non continuarla.
Chi è diretto deve obbedire semplicemente, senza distinzioni,
senza restrizioni o interpretazioni proprie. L a direzione
infatti ha lo scopo di sottomettere l’anima ad una guida,
dalla quale accetta volontariamente spiegazioni, consigli e
ordini.
Peggiori della disobbedienza aperta sarebbero i raggiri
per ottenere che il direttore comandi solo quello che piace 47;
tuttavia non sarebbe contrario all’obbedienza manifestare
al direttore le proprie attrattive e ripugnanze e proporre
rispettosamente le obiezioni, purché si faccia con l’animo
disposto ad obbedire umilmente se, nonostante tutto, egli
non muterà le sue decisioni.
Corollari. - a. Che cosa pensare del voto di obbe­
dienza fatto al direttore? N o n mancano esempi nella vita dei
santi, però in generale bisogna sconsigliarlo, perché, in
pratica, causa m aggiori inconvenienti che vantaggi 4*.
L ’iniziativa non deve mai partire dal direttore, perché costi­
tuirebbe un abuso di autorità, che sarebbe gravissim o se a
tale voto facesse aggiungere anche quello di non mutare mai
direttore o quello di non consultare mai nessun’altro.
Tuttavia, se chi è diretto chiedesse spontaneamente e ripetu­
tamente di emettere il vo to di obbedienza per aumentare il
merito della sua sottomissione, il direttore può acconsentire
a queste condizioni: 1) che obblighi per brevi periodi, pro­
rogabili; 2) si riferisca solamente a pochi atti ben deter­
minati (per esempio: il tempo dell’orazione, le mortificazio­
ni permesse, ecc.); 3) che il suddito sia normale, sereno ed

46 C f . D e G u ib e r t, Theologia spiritualis n n . 187-88.


47 C f . Notte 1 ,2 ,3 ; 6 ,1 - 4 e c c -
48 I p r in c ip a li in c o n v e n ie n t i s o n o : a u m e n t o d i r e s p o n s a b i lit à n e l d i r e t t o ­
r e , in q u ie t u d in i n e l d i r e t t o , e s a g e r a ta p a s s iv it à ( s o p r a t t u t t o n e l l ’ a n im a f e m ­
m in i le ) , c o n t in u e c o n s u l t a z io n i , a t ta c c a m e n ti d i s o r d i n a t i, e c c . ( c f. I t u r b i d e ,
Avisos sobre la direción espiritnal p . 58; P . G a b r i e l e d i S . M a r i a M a d d a ­
l e n a , C . D . , L e voeu d ’ obeissance au directeur, in « E t u d e s C a r m e lita in e s »,
m a g g io 19 51.
1000 LA VITA CRISTIANA NEL SUO SVILU PPO ORDINARIO

equilibrato; 4) che il vo to sia revocabile qualora fosse causa


di difficoltà ed inquietudini.
b. E in caso di conflitto tra direttore e superiore? Bisogna
ubbidire senza dubbio al superiore, anche quando si fosse
fatto il vo to di obbedire al direttore, non solo perché i voti
privati dei sudditi religiosi sono nulli senza l’approvazione
del superiore «, ma perché, anche quando il superiore con­
cede tale approvazione, non perde mai la piena potestà
che ha sul suddito in virtù della professione religiosa 5°.
3) Perseveranza. - Il frequente cambiamento di diretto­
re per m otivi futili ed inconsistenti, il trascorrere lunghi
periodi di tempo senza direzione, il mutare pratiche, metodi,
lasciarsi trasportare dal capriccio del momento n ell’osser­
vanza delle norme ricevute dal direttore, rende praticamen­
te nulla la direzione.
4) Assoluta discrezione. - N on dimentichi chi è diretto
che se il direttore è vincolato dal sigillo sacramentale o dal
segreto naturale, quest’ultim o obbliga anche lui nei riguardi
del direttore. N on deve quindi mai confidare ad altri gli avvi­
si, le norme o i consigli ricevuti, neppure per m otivi buoni.
I consigli dati ad una determinata persona, con il suo parti­
colare temperamento, possono non essere convenienti ad
altre persone, dotate di temperamento diverso e poste in al­
tre circostanze. L ’indiscrezione di chi è diretto è m otivo più
che sufficiente perché il direttore sospenda la sua opera ver­
so una persona che se ne è mostrata indegna.

B) V e r s o l a p e r s o n a d e l d i r e t t o r e . - I principali
sono: rispetto, fiducia ed am ore soprannaturale.
525. 1 ) Rispetto. - Chi è diretto deve vedere nel di­
rettore non l’uom o dotato di queste o quelle qualità, ma il
legittim o rappresentante di D io e di G esù Cristo. Se avesse
dei difetti corporali che appaiono chiaramente all’esterno,
si guarderà bene dal criticarli e dal mormorare di essi di­
nanzi ad altri.
Il rispetto profondo è indispensabile anche per mantene­
re l’amicizia e la stima dentro i loro giusti limiti.
2) Fiducia. - A l rispetto bisogna unire una fiducia as-

49 Cf. 11-11,88,6 c et ad 3.
5° Cf. 11-11,88,8 ad 3.
MEZZI SECONDARI ESTERNI 10 0 1

soluta. Senza di essa sarà m olto difficile la piena apertura di


cuore. Questa fiducia deve essere filiale, cosi che di fronte al
direttore l’anima si senta contenta, senza il minimo timore e
perfettamente a suo agio.
3) Amore soprannaturale. - Tale intimità e fiducia de­
ve giungere fino all’am ore? È lecito amare il proprio diret­
tore spirituale ?
Questa domanda pone uno dei problem i più delicati che
sì possono agitare intorno alla direzione. E siccome non è
un problema metafisico, ma essenzialmente pratico, lo esa­
mineremo attentamente.
In generale, possiamo rispondere affermativamente pur­
ché al sostantivo amore si aggiunga l’aggettivo soprannaturale.
N elle vite dei santi ci sono esempi di affetti soprannaturali
anche tra persone di sesso diverso s1. M a è difficile conservare
questo amore dentro l’ordine strettamente soprannaturale.
Com e conseguirlo ?
Esamineremo in primo luogo le cause principali che posso­
no produrre codesto m oto affettivo tra il diretto e il diret­
tore 5* perché ci aiuteranno a trovare la vera soluzione di
questo problema.
a) Può essere dovuto a una delle cause generali che danno
origine alle altre amicizie, siano esse cattive, com e Finclina-
zione sessuale, siano esse buone naturalmente, come le qualità
interiori ed esteriori della persona, siano esse soprannaturali,
come la santità o gli speciali doni della grazia.
b) Può sorgere anche come un effetto della direzione
stessa. Scrive il P. D e Guibert:
affectus patemus d i r e c t o r is , p r a e s e r -
« E x q u a ( d ir e c t io n e ) f a c i le h a b e t u r
t im ubi m a g i s ia m po tu it l a v a r e a liq u a m a n im a m , v e l n ovit e a m m a g i s in d i-
g e r e a u x i li o , v e l v i d e t e i u s m a io r e s c o n a t u s , g e n e r o s it a t e m , z e lu m , s a c r ifì-
c i a p r ò D e i s e r v it io ; im m o o r d i n a r io a n im a e illa e f c r v c n t e s m u lt o m e liu s
e t in t im iu s c o g n i t a e a d i r e c t o r e , e o i p s o a p p a r e b u n t e i m u lt o m a g i s s a n c ta e
q u a m e is q u i e x t e r n a t a n t u m v i d e n t ; e t e x e a d e m d i r e c t io n e o r ie t u r e t ia m
f a c i le affectus filialis h u iu s a n im a e e x g r a t it u d in e p r ò a c c e p t is b e n e fic iis e t
a u x iliis , e x f id u c ia i n p a t r e m s p ir itu a le m , e x s e n s u p r o p r ia e d e b ilita tis e t
d e s id e r io i n v e n i e n d i q u i t o v e a t , d i r ig a t ; q u o d m a x im e h a b e b it u r a p u d m u -

5 1 S i r i c o r d in o l e r e l a z io n i d i S . G i r o l a m o c o n S . P a o l a , d e l B . R a im o n d o
d a C a p u a c o n S . C a t e r in a d a S ie n a , d i S . G i o v a n n i d e lla C r o c e c o n S. T e ­
r e s a , d i S . F r a n c e s c o d i S a le s c o n S . G i o v a n n a d i C h a n t a l, d i S . V i n c e n z o
d e ’ P a o l i c o n S . L u i s a d e M a r il l a c , e c c .
52 C f . D e G u i b e r t , o. c., n n .2 2 7-2 3 0 .
10 0 2 la v it a c r is t ia n a n el su o s v il u p p o o r d in a r io

K e re s q u a e , e x ip s a in d o le s e x u s s u i p r o n i a d q u a e r e n d u m a u x i li u m v i r i ,
i n v e n i u n t i n d i r e c t o r e e u m q u i e a s a u d ia t , c u i l ib e r e a n im a m a p e r ir e p o s s in t,.
in quem n it a n t u r in t e r d iff ic u lta te s o c c u r r e n t e s ... » 5 3 .

Ora, da questa amicizia, al principio tanto legittima e


soprannaturale, possono derivare tanto per il direttore
quanto per chi è diretto seri pericoli.
Scrive ancora il citato autore:
« a) G r a v i s la p s u s p e r i c u lu m , u b i p r a e s e r t im o r i t u r a m i c it ia in t e r d ir e c -
t o r e m e t m u li e r e m , f a c i le a u g e t u r e x n e c e s s a r iis c o m m u n ìc a t io n ib u s d e r e ­
b u s c o n s c ie n tia e , d e t e n t a t i o n ib u s , v e l e t ia m c u lp is , in m a t e r ia ca s tita tis :
n e q u e n im is f a c i le c r e d e n d u m e s t a b e s s e h o c p e r i c u lu m p r o p t e r c i r c u m s t a n -
tia s a e ta tis , t e m p e r a m e n t i p h y s ic i , e t s im ilia .
b) S ed p rae te r h o c p eric u lu m , d e q u o exp resse in T h e o lo g ia M o r a li
e t P a stora li, m u lta alia eru nt: u b i en im h ae c am icitia fit v e re natu ralis e t sen-
sib ilis, etia m si circu m stan tia e o m n in o e x c lu d a n t p e ric u lu m p e c c a ti g ia v i s ,
m u lta ad eru n t p eccata ven ialia (in v id ia, su sp icion es, ia ctu ra tem p o ris...)
e t fa cile scan dalum p r ò aliis (q u i fo rte m u lto g ra v io ra susp icari p oteru n t).
c) P r a e s e r t im a u te m h i c a t te n d e n d a s u n t d e tr im e n t a o r t a e x t a li n a t u r a li
a m i c it ia q u o a d u t r iu s q u e s a n c t ific a tio n e m : e x h a c e n im d i r e c t io f ie t m u lt o
d i ff ic i li o r ( e ts i p r im o a s p e c t u c o n t r a r i u m v e r u m v id e a t u r ) e t m in u s e f fi c a x ,
p ro p ter d e fe c t u m lib e r t a t is , verae a u c t o r it a t is e t s p ir itu s s u p e r n a tu r a lis ,
p r o p t e r r e s p e c t u m h u m a n u m e x u t r a q u e p a r t e ... P r a e s e r t im u b i a c c ip iu n -
t u r m u n u s c u la , p r a e s t a n t u r o ff ic ia , q u a e v e r a e f fic iu n t v in c u l a ... i b i p r a e -
s e r t im f i t q u o d s a n c t a T h e r e s ia d e o m n ib u s il l is a m i c it ii s n o t a b a t { V ita ,
c . 2 4 v e r s o l a f in e ) 5 4 , q u o d s c ilic e t i n u t r o q u e ia m n o n h a b e b it u r h a e c v e r a
c o r d is l ib e r t a s s in e q u a i m p o s s ib il e e s t v it a e c r is tia n a e q u a e v is p e r f e c t i o » 5 5 .

G li esempi di vera amicizia soprannaturale esistente tra il


direttore e-la persona diretta, provano unicamente che una
simile amicizia soprannaturale è possibile, ma che non va e-
sente da seri pericoli. Si noti inoltre che queste amicizie si
sviluppavano tra due anime già m olto avanzate nella vita
spirituale, il che purtroppo non si verifica m olto spesso.
Condotta pratica del direttore. - O ccorre ovviam ente m ol­
ta prudenza e delicatezza, senza tuttavia cadere in un’ecces­
siva timidezza e tanto meno nella scortesia.

53 1 pìt n .2 2 7 .
54 C f. n n . 5 -8 . SÌ v e d a n o a n c h e l e p a g i n e c h e l a s a n ta c o n s a c r a a q u e ­
sta m a t e r ia n e l s u o Cammino di perfezione c c .6 - 7 . — N .d ,A ..
55 C f. D e G u i b e r t , o.c,, n .2 2 8 .
MEZZI SECONDARI ESTERNI 1003

Si possono presentare diversi casi s6:


a) Se si tratta di un affetto naturale sensibile, vicendevole
ed avvertito da entrambe le parti, la m iglior cosa è quella
di consigliare l’anima diretta a cercarsi un altro direttore
non soltanto perché questo sentimento naturale potrebbe
degenerare nella sensualità, ma anche perché la direzione
in simili circostanze perderebbe tutta la sua serietà ed effi­
cacia.
b) Se il direttore esperimenta in se stesso un affetto na­
turale sensibile per la persona diretta, esamini seriamente
dinanzi a D io se tale affetto perturba il suo spirito e costitui­
sce per lui pericolo di tentazioni, o gli toglie la libertà di p ro ­
cedere con energia nella direzione. In caso affermativo cerchi
un pretesto per abbandonare la direzione, senza manifesta­
le naturalmente la vera causa alla persona interessata, so­
prattutto se è una donna. Se non si verificano i suddetti in­
convenienti ed il direttore avverte con sincerità dinanzi a Dio
che controlla pienamente i suoi m oti affettivi, può continua­
re la direzione con prudenza.
c) Se il direttore si sente amato dalla persona diretta sen­
za che egli p rovi un affetto sensibile per essa, esamini se tale
sentimento turba la tranquillità di quest’anima e le provoca
tentazioni, nel qual caso le consiglierà — ed anche esigerà
energicamente — che cambi direttore spirituale. Se si tratta
di un affetto puramente sensibile (senza pericolo che degeneri
in affetto sensuale), che in certe anime sorge spontaneamente
per tutte le persone che in qualche m odo si interessano di
loro, la direzione può proseguire, mantenendo una certa
austerità nei rapporti e cercando di soprannaturalizzare sem­
pre più tale affetto.

D . Q U E S T IO N I C O M P L E M E N T A R I
526. i . Scel t a del d i r e t t o r e - - « L ’anima che vùole
progredire nel raccoglim ento e nella perfezione, deve neces­
sariamente badare alle mani di chi si affida, perché quale è
il maestro, tale sarà il discepolo, e quale il padre, tale il fi­
glio » 57.

56 Ivi, n .2 3 0 . S i v e d a n o a n c h e l e g iu d i z i o s e o s s e r v a z io n i d e l P . V a c a
n ei s u o lib r o Guia de almas p .4 .a .
57 C i . S . G i o v a n n i d e l l a C r o c e , Fianitna s t r o fa 3, n .3 0 .
1004 LA VITA CRISTIANA NEL SUO SVILU I'1'0 ORDINARIO

N o n tu tte le anim e p o ss o n o sceg liere liberam er.te


il p ro p rio d iretto re sp iritu ale. M o lte n o n p o sso n o
co m u n ica re ch e c o n u n determ in ato sacerd o te (reli­
g io s e di clau su ra, p ic c o li paesi, ecc). In q u esti casi
o cco rre accettare la v o lo n tà di D io , il quale sup plirà
le deficien ze d el d iretto re se l ’anim a sarà fe d e le al­
la g ra zia e da p arte sua farà q u a n to p o trà. P e rò , tra n ­
n e q u esti casi e ccezio n a li, l ’e le zio n e d el d iretto re si
d e v e fare co n fo rm e alle seguen ti n o rm e 58:
1) Chiedere a D io nell’orazione le luci necessarie per
poter fare una buona scelta, in una cosa tanto importante.
2) Esaminare chi è adorno di m aggior prudenza, bontà
e carità tra tutti i sacerdoti che possiamo scegliere libe­
ramente.
3) Evitare che in questa elezione v i prendano parte le
simpatie naturali o, almeno, che esse siano le uniche a deci­
dere. N o n conviene neppure scegliere chi ispira antipatia
o ripugnanza naturale, giacché questo renderebbe più dif­
ficile la fiducia e l’apertura di cuore, assolutamente indispen­
sabile per l’efficacia della direzione.
4) N on proporre subito al Sacerdote scelto che sia il
nostro direttore. Conviene prima fam e la prova per un
certo tempo per vedere se abbiamo veramente bisogno di
lui per il nostro progresso spirituale.
5) A parità di circostanze, eleggere il più santo per i casi
ordinari, e il più sapiente per quelli straordinari, come si de­
duce dalla dottrina di S. Teresa ss.
6) D o p o l’elezione, non cambiare facilmente direttore
per m otivi futili e inconsistenti,

527. 2 . C a m b ia m e n to d i d ir e tto r e . - C i p o ss o n o es­


sere ra g io n i su fficien ti ch e c o n sig lia n o di cam biare
d iretto re. T u tta v ia , n o n si d e v e d im en tica re che u n
ca m b iam e n to fre q u e n te d i d ire tto re an n u lla i buon i
e ffe tti d ella d irezio n e m edesim a.
« V i sono persone tentate di cambiare confessore: per
curiosità, per sapere quale sarà la condotta di un altro; è

5 8 Cf. N a v a l , Teologia Ascètica y Mistica n.43.


59 Cf. S. T e re s a , V ita 13,16-18; Cammino 5,2; Seste mansioni 8,8.
MEZZI SECONDARI ESTERNI 10 0 5

facile che uno si stanchi di sentir spesso gli stessi consigli,


tanto più se riguardano cose sgradite alla natura; per inco­
stanza, perché riesce sempre un poco difficile attenersi a lun­
g o alle stesse pratiche; per superbia, volendo andare dal diret­
tore che gode m aggior riputazione o che è più in vo g a, op­
pure desiderando trovarne uno che ci lisci di più; per una
specie à’inquietudine, la quale fa che non si sia mai contenti di
ciò che si ha e che si vada sempre sognando perfezione im­
maginaria; per mal regolato desiderio di fa r conoscere il proprio
interno a vari confessori, perché se ne prendano pensiero o ci
rassicurino; per falsa vergogna, per nascondere al direttore
ordinario certe umilianti debolezze. È chiaro che questi sono
m otivi insufficienti e quindi da scartarsi se si vuole ala­
cremente progredire nella vita spirituale » 6°.

Q uali sono i m otivi seri e ragion evoli per cambia­


re direttore ? Si possono ridurre a due: quando la di­
rezione risulta inutile o dannosa.
1) L a direzione risulta inutile quando, nonostante la no­
stra buona volontà e sincero desiderio di progredire, non sen­
tiamo verso il nostro direttore il rispetto, la fiducia e la fran­
chezza indispensabili per l ’efficacia della direzione; o anche
quando vediamo che non osa correggere i nostri difetti,
non si preoccupa di stimolarci nel cammino della virtù,
non risolve i nostri problem i, non dimostra uno speciale
interesse per la nostra santificazione, ecc.
2) Risulta dannosa:
a) Quando avvertiam o chiaramente che il direttore
manca della scienza, della prudenza e discrezione necessa­
ria.
b) Quando fomenta la nostra vanità, tollera facilmente
le nostre mancanze o vede le cose da un punto di vista troppo
naturale e umano.
c) Se ama perdere il suo tempo mescolando nella di­
rezione spirituale conversazioni frivole, inutili o totalmen­
te estranee alle questioni proposte. Se traspare attraverso
tali conversazioni un affetto troppo sensibile verso di noi
o se noi lo sperimentiamo verso di lui.
d) Se cerca di im porci pesi superiori alle nostre forze,
o incompatibili con i doveri del nostro stato, o vuole legarci

60 Cf. Tanquerey, Compendio di Teologia ascetica e mistica n.556


10 0 6 LA V IT A C R IS T IA N A N EL SU O S V IL U P P O ORDINARIO

con vo ti o promesse di non consultare altri riguardo alle


cose dell’anima nostra.
e) Se avvertiam o chiaramente che i consigli e le norm
da lui date, lungi dal farci progredire, ci danneggiano spi­
ritualmente. Però bisogna stare attenti alle illusioni dell’a-
m or proprio, che facilmente si può mescolare in questi ap­
prezzamenti. A d ogni m odo, prima di cambiare direttore,
si dovrebbe manifestargli quello che succede, allo scopo di
provare altri procedimenti.

528. 3. Pluralità di direttori. - È co n v e n ie n ­


te avere co n te m p o ra n e am e n te v a r i d iretto ri ?
A n c h e se esiste q u a lch e esem p io sto rico , com e
q u e llo di S. T e re sa , in gen erale b is o g n a risp o n d ere
n eg ativa m e n te. V e r o d iretto re n o n p u ò essere che
u n o s o lo a m o tiv o dei gran d i in c o n v e n ie n ti di o rd in e
p ra tic o ch e d e riv e re b b e ro a ll’ anim a da u n a p lu ra li­
tà di co n sig li e o rien ta m en ti d iv ersi 61. T u tta v ia , è
p erfettam en te co m p a tib ile co n l ’u n ità di d irezio n e
ch ie d e r co n sig lio ad altri sacerd oti co m p ete n ti in q u a l­
che caso diffìcile o stra o rd in ario . I l d iretto re stesso
se è p ru d en te e sp erim en ta to s u g g e rirà a lla p erso n a
ch e d irig e q u e sta c o n su lta z io n e stra o rd in aria affin ché
p ossa c o n fro n ta re il su o p arere co n q u e llo d i altri d i­
re tto ri. F u o ri d i q u esti casi p erò b is o g n a m antenere
l ’u n ità di d irezio n e, so p ra ttu tto se si tratta di anim e
p ro p en se a scru p o li e ansietà.

529. 4. La direzione epistolare. - I l problema .


L e co n su lta zio n i sp iritu ali fatte p er lette ra p o sso n o
essere:
1) Isolate sen^a nessuna relazione con m a direzione
abituale. N o n p resen ta n o in co n v e n ie n ti se si u sa n o le

61 « Perché com e rispetto al corpo m olte mani diverse sogliono mettere


più disordine che ordine, cosi suole accadere rispetto allo spirito... » (B.
G iovanni D ’A vila , Reglas muy provecbosas... n.9, (Obras completas, B A C ,
M adrid, t . i , p. 1048).
M EZZI SECONDARI E STE R N I 10 0 7

p re cau zio n i ch e il ge n ere e p isto lare esige: lo scritto


rim ane.
2) Consultazioni ripetute con persone che hanno
già i l loro direttore spirituale ordinario. In ta li casi
si d eve essere p ru d e n ti n elle risp o ste, s o p ra ttu tto se
n o n si ha p ien a fid u cia n ella b u o n a fed e e n ella d iscre­
zio n e del co n su len te. A v o lte q u este lettere so n o ri­
cercate p e r p o te r p resen tare al p ro p rio d iretto re un
a rg o m e n to di autorità c o n tro il su o in d iriz z o , c o n tu tti
g li in co n v e n ie n ti ch e si p o ss o n o facilm e n te su p p o rre.
L e risp o ste d o v r a n n o q u in d i so sten ere l ’a zio n e e
co n fe rm a re i c o n sig li d el d iretto re o rd in a rio , a m en o
ch e n o n si tra tti di e rro ri e vid en ti; e d anch e q u an d o
è n ecessario fare d elle rise rv e e delle c o rr e z io n i, è
n ecessario fo rm u la rle in m o d o ch e app aian o co m e un
ampliamento 0 interpretazione d i q u a n to è stato co n si­
g lia to , m a i c o m e u n a to ta le rettifica.

3) Relazioni epistolari abituali, in qualità di direttore


ordinario. Q u e s ta fo rm a d i d irezio n e p re se n ta i s u o i
v a n ta g g i e d i su o i in co n v e n ie n ti.

A ) Vantaggi. - a) Può essere l’unico m ezzo a disposizio­


ne di un’anima per poter avere una direzione spirituale.
b) Esistono precedenti nelle vite dei santi (soprattutto
in quelle di S. Francesco di Sales e di S. Paolo della Croce)
che diedero eccellenti risultati.
B) Inconvenienti. - a) È moralmente im possibile che il
direttore acquisti una vera conoscenza dell’anima diretta,
a meno che non la conosca già intimamente per esperienza
diretta. N elle lettere è m olto difficile manifestare chiaramente
la propria fisionomia interna, che quasi sempre riesce defor­
mata, sia per l’influsso, sia pure incosciente dell’amor pro­
prio, sia per una modestia ed um iltà male intese.
. b) È impossibile correggere tempestivamente l’erronea
interpretazione di quanto viene manifestato, il che può dare
facilmente occasione a consigli errati o controproducenti.
c) È moralmente impossibile far conoscere per iscritto
10 0 8 LA V IT A C R IS T IA N A NEL SU O S V IL U P P O ORDINARIO

m olte cose utili e forse necessarie per una direzione conve­


niente.
d) C ’è pericolo che le lettere cadano in mani altrui sia
per disguidi che per la spontanea manifestazione della per­
sona diretta la quale, con tutte le m igliori intenzioni, fa leg­
gere le lettere del direttore ad altre persone.
é) In genere la perdita di tempo è mal ricompensata per
la scarsità del frutto conseguito.
/ ) È difficile, per non dire impossibile, non toccare nelle
lettere la materia che riguarda il sigillo sacramentale, o il
segreto naturale.

C ondotta pra tica del direttore . - N e lla p ratica


il d iretto re agirà co n p ru d en za a tten d en d o si alle seg u en ti
norm e:
i) N on accetti di dirigere per lettera — in qualità di
direttore o rd in a rio — persone che non conosce intimamen­
te.
z) N on scriva mai una sola riga che tocchi quanto ri­
guarda il sigillo sacramentale. Se riceve confidenze di questo
genere da parte della persona che dirige, strappi immediata­
mente la lettera, proibendo poi nel m odo più assoluto alla
suddetta persona di toccare simile materia nelle lettere, pena
l’abbandono della direzione.
3) Sia breve e conciso. N o n usi frasi affettuose, neppure
per i convenevoli all’inizio e alla fine dello scritto. Cèrti
direttori, m olto sapienti ed esperimentati rispondono con
frasi brevissime, a vòlte con monosìllabi, servendosi della stessa
lettera ricevuta, che rispediscono a chi l’ha inviata, senza
neppure apporvi la firma. Se è necessario scrivere più a lun­
go, si limiti secondo i casi, a risolvere i dubbi, ad incoraggiare,
ad eccitare al fervore, ad inculcare i principi di una solida
e profonda vita interiore, senza toccare argom enti estranei
alla direzione.
4) Sia estremamente prudente e delicato. N o n scriva
mai una lettera che non possa essere letta dal suo vescovo
o dal suo superiore religioso. N o n dimentichi che, nonostan­
te la buona volontà di tutti, è inevitabile il pericolo di di­
sguidi, di false interpretazioni.
5) Permetta sempre all’anima diretta di consultare altri
direttori: possono presentarsi casi urgenti e di natura tale che
n on è conveniente risolverli per lettera.
6) E viti assolutamente di ricevere e far recapitare queste
lettere in m odo clandestino. Se si tratta di un religioso, di
M E ZZI SECONDARI EST E R N I 10 0 9

una religiosa, o di una donna sposata, esiga l’approvazione


— espressa o tacita — della direzione epistolare da parte
•di coloro che hanno legittim a autorità su queste persone.

S co glio . - I l su p erio re re lig io s o p u ò le g g e re le let­


tere dei su o i su d d iti ch e si rife risco n o alla d irezio n e
sp iritu a le e ch e g li v e n g o n o co n se g n a te ch iu se, co n
l ’esp resso a v v is o che so n o « p erso n a li » ?
In linea d i p rin cip io si d e v e risp o n d ere ch e n on
p u ò : si tratta d i segreto naturale m o lto serio , in re la z io ­
ne c o l m in istero sacerd otale. P e rò , se il su p erio re ha
m o t iv i positivi gravi p e r so sp ettare ch e so tto l ’a p p a ren ­
za della d irezio n e si ce lin o co se b e n d iv erse , la m a g g io r
p a rte d e g li a u to ri, b a sa n d o si sulla d o ttrin a d i S. A l ­
f o n s o 62, g li co n ce d e il d iritto d i le g g e re q u e llo ch e è
in d isp en sa b ile p e r co n tro lla re se si tratta di v e r i p ro b le ­
m i di co scien za, salv o sem p re l ’o b b lig o d el s e g re to su
qu a n to ha letto . A ltr i a u to ri in v e c e so n o d el parere
c h e il su p erio re d o v r e b b e d en u n ciare la p erso n a so­
sp etta a ll’o rd in a rio e d attenersi a q u a n to e g li disp orrà.
A ltr i in fin e afferm ano ch e il su p erio re d o v r e b b e strac­
ciare queste lettere sen za le g g e rle , d a n d o le avviso* al
s u d d ito , affin ché rico rra , se cred e, al su p erio re m a g ­
g io r e 63. Si ten g a p resen te in o ltre q u a n to d isp o n e il
■can. 6 11 del C o d ic e di D ir itto C a n o n ico 64.

62 C f. S. A lfonso de 5 L iguori, Theólogia Moralis I.5, n.70.


63 Cf. al riguardo Sabino A lonso, O .P ., Derecbo del superior religioso a
revisar las cartas de sus sùbdìtos, in « Revista Espanola de D erecho Canonico »
gennaio-aprile 1949.
64 D ice cosi: « T u tti i religiosi, tanto uom ini quanto donne, possono
inviare liberamente lettere, n on soggette a revisione, alla S. Sede e al suo
Legato nella nazione, al cardinale protettore, ai propri superiori m aggiori,
a l superiore della casa che fosse assente, all’ordinario del lu o g o a cui stanno
-soggetti e, se si tratta di m onache che si trovano sotto la giurisdizione dei
regolari, anche ai superiori m aggiori d ebo rd in e. D etti religiosi, uom ini e
d onne, possono ricevere ugualm ente lettere da tutti costoro, senza che nes­
suno le possa revisionare» (C IC can.611).
10 10 LA V IT A C R IS T IA N A N EL SU O S V IL U P P O ORDINARIO

A P P E N D IC E

IL D I S C E R N IM E N T O D E G L I S P IR IT I

G ersone, D e probatione spirituum (Opera I»37s); D ionigi C ertosino,


D e discretione et examinatione spirituum (Opera t.40); S. I gnazio , Eserciti spi­
rituali, regole 313-336; S. F rancesco di Sales , Teotimo 8,10-14; P. Luis
de la puente, Gufa espiritual I cc.20-24; Card . B ona , D e discretione spirituum;
Scaramelli, Discernimento degli spiriti; Schram , Théologie mystique 11,3
(nn. 433-83); R ibet, LJascétique c. 40; G odinez , Pràcticade la Teologia mistica
1. 8 ; T anquerey, Compendio di Teologia ascetica e mistica nn. 951-57, 1281-88;
D e G uibert, Theologia spiritualis nn. 150-70; N aval , Curso de ascèticay mis­
tica nn. 276-303; A . C hollet , art. Discernement des esprits-; D T C (V acant )
I V ( i g i o ) 13751415, con abbondante bibliografia.

C o m p le m e n to in d isp en sa b ile delle n o rm e di dire­


z io n e sp iritu ale ch e a b b ia m o ric o rd a to so n o q u elle
re la tiv e al discernimento degli spiriti p e r sapere ricon o scere
in u n caso d eterm in a to se qu esta o q u e ll’anim a è m o s ­
sa d a llo sp irito di D io , d a llo sp irito delle ten eb re o
dalle a b erra zio n i d ella sua fan tasia. Senza il d iscern i­
m en to d e g li sp iriti, l ’a zio n e del d iretto re sp iritu ale
risu lterà v a n a e m o lte v o lte dan n o sa e c o n tr o p r o d u ­
cente.

530. 1 . N o z i o n i p r e v i e . - d) Che cosa s’ intende per spi­


rito. - Scrive un celebre autore: « Spirito è un’interna pro­
pensione dell’anima; se è per una cosa buona, sarà uno spi­
rito buono in quel genere; se è per una cosa cattiva, sarà uno
spirito cattivo. Un uom o se propende all’orazione si dirà che
ha spirito di orazione; se alla penitenza si dirà che ha spirito
di penitenza; se a contese e alterchi, si dirà che ha spirito di
contraddizione; se è inclinato al ritiro, alla solitudine e alla
povertà, si dirà che ha spirito di queste cose; e così, colui
che si sente inclinato all’orazione, alla compostezza, alla mo­
destia, al silenzio e al buon esempio e parla, tratta e pensa
di cose spirituali, si dirà che è un uom o spirituale »

1 C f. G o d in e z , Pràctica de la Teologia mistica 1.S , c . i .


IL D IS C E R N IM E N T O D E G LI S P IR IT I 1011

h) Che cosa s’intende per discernimento. - Effettiva­


mente, l’uom o sente delle inclinazioni nelle sue potenze ap­
petitive: la volontà e l’appetito sensitivo. "Psicologicamente
hanno tutte la medesima natura; sono m ozioni che partono
dalla libertà e spingono a un’azione. Però originariamente
possono provenire o dalla propria spontaneità o da una ecci­
tazione speciale da parte di D io o del demonio. Il discer­
nimento degli spiriti consisterà, dunque, nel verificare, la
diversa origine di questi m ovim enti della volontà, e nel-
l’indicare quali sono stati provocati direttamente o indiret­
tamente da D io , dal demonio o dalla natura umana.
c) Specie di discernimento. - C i sono due specie di di-
scernimento; uno acquisito e un altro infuso. Il primo costi­
tuisce un’arte speciale complementaria della direzione spi­
rituale ordinaria, e la sua acquisizione sta alla portata di tut­
ti. Il secondò è una grazia carismatica (grazia gratis data)
concessa da D io ad alcuni santi.
Il discernimento infuso, carismatico, è infallibile: non
erra mai, dal momento che obbedisce a una istintiva mozione
dello Spirito Santo nel quale non è possibile l’errore. Questa
grazia però è purtroppo molto rara. N on tutti i santi l’han­
no avuta. Quello acquisito, invece, è alla portata di tutti,
però è molto lungi dall’essere infallibile. N ella pratica pre­
senta grandi difficoltà. La sua necessità è evidente per il di­
rettore spirituale: senza di esso egli è incapace di disimpegnare
rettamente la sua missione. Difatti, se ignora quale sia l ’ori­
gine dei diversi m ovim enti dell’anima, non potrà giudicare
quali si debbono reprimere e quali fomentare. Sotto questo
aspetto la responsabilità del direttore è grandissima. Perché,
com e dice S. G iovanni della Croce, « colui che sbaglia per
temerità mentre è obbligato ad assicurarsi bene (come cia­
scuno lo è nel proprio ufficio), non la passerà liscia, ma subirà
il meritato castigo, a proporzione del danno che fece » *.
E il P. Scaramelli aggiunge per suo conto: « Un direttore che
non ha acquistato la sufficiente discrezione di spiritò, non
può conoscere da dove provengono gli impulsi e i m ovi­
menti delle nostre anime, se da D io , se dal demonio, o se
dalla nostra corrotta e depravata natura: il che è anche più
vero quando le m ozioni interne sono straordinarie, come
succede frequentemente alle anime contemplative. Per la
qual cosa si espone a manifesto pericolo di approvare quello

3 Cf. Fiamma strofa $, n.56.


10 12 LA V IT A C R IS T IA N A NEL SU O S V IL U P P O ORDIN ARIO

che è degno di riprensione, e di riprendere quello che è degno


di approvazione, e di prescrivere regole non rette per le quali,
invece di prom uovere le anime alla perfezione, frapponga
loro impedimenti o le incammini forse per i sentieri della
perdizione. D i qui si deve dedurre che non si può esimere
da una certa nota di temerità e da qualche macchia di colpa
chiunque faccia il padre spirituale delle anime senza avere
acquistato la dovuta nozione e il discernimento degli spiriti;
e m olto più se si espone a confessare nei monasteri di religio­
se, tra le quali ce ne sono sempre molte che attendono seria­
mente alla perfezione e se ne trova sempre qualcuna che D io
conduce per vie straordinarie, e non può confrontare i m o­
vim enti del suo cuore tranne che col suo confessore » 3 .
È necessario, dunque, esaminare attentamente i mezzi
che abbiamo a disposizione per conseguire il discernimento
acquisito degli spiriti.

53 1. 2 . Il d is c e r n im e n t o acquisito e m e z z i per
conseguirlo. - Il d iscern im en to a cq u isito è u n a v e ra
arte, la p iù difficile e la p iù g lo r io s a d i tu tte. C o n siste
in u n a sp eciale a b ilità n ell’ esam in are le o rig in i e g li
effetti d ei d iv e rsi m o v im e n ti d e ll’ anim a, c o n fr o n ta n d o li
c o n le r e g o le che lo S p irito San to ci dà a ttra v e rso la
S. S crittu ra o la tra d izio n e cristiana, a llo s co p o di sap e­
re, c o n s icu rezza se co d e sti m o v im e n ti v e n g o n o da
D io , d a llo sp irito d elle te n e b re o d a g li e rro ri della
p ro p ria im m a g in a z io n e .
I mezzi principali per acquistare quest’arte divina sono ♦:
i) L ’orazione. - A n corché si tratti di un’arte che si può
acquistare a poco a poco con lo studio e lo sforzo personale,
ogn i cosa risulterà insufficiente senza uno speciale aiuto dello
Spirito Santo somministrato attraverso la virtù della pruden­
za e il dono del consiglio. C i riferiam o non solo all’orazione
generale e costante che chiede a D io la luce del discernimen­
to, ma alla preghiera particolare e occasionale che sollecita
il favore di conoscere le vie di santificazione di una deter­
minata anima. A questa orazione particolare D io risponderà

3 C f. Discernimento degli spiriti c .4 , n .3 3 .


4 C f . S c a r a m e l l t , I l discernimento degli spiriti c .5 ; C h o l l e t , Descerne-
m m t des esprits, i n D T C , I V c o l . 14 0 2 -3 .
IL D IS C E R N IM E N T O D EG LI S P IR IT I 101$
con grazie speciali, che non costituiranno certamente il do­
no infuso e straordinario del discernimento, ma saranno quel
concorso soprannaturale ordinario che la divina Provviden ­
za ci concede ogni volta che lo imploriamo per disimpegnare
convenientemente i nostri doveri. N on basta possedere la
teoria per la retta applicazione pratica; per questo sono ne­
cessarie le luci dello Spirito Santo impetrate per mezzo del­
l’orazione.
2) Lo studio. - È necessario approfondire i dati che ci
somministrano la S. Scrittura, i santi Padri, i teologi e i
maestri della vita spirituale, soprattutto coloro che sep­
pero unire insieme scienza ed esperienza.
3) L ’ esperienza propria. - N ell’esercizio di quest’arte
eminentemente pratica, l’esperienza personale s’impone con
assoluta necessità. La teoria da sola non basta. È impossibile
che un cieco dia un giudizio retto riguardo alla luce. Come
saprà distinguere le opere di D io , piene di luce, da quelle,
che provengono dallo spirito delle tenebre, un direttore spi­
rituale che non è abituato a ricevere la luce divina, che ordi­
nariamente viene infusa nell’orazione e nell’intima familiarità
con D io ?
4) L a rimozione degli ostacoli. - Bisogna evitare, so­
prattutto, lo spirito di autosufficienza, che spinge a decidere
per proprio conto, senza consultare mai i sapienti e gli spe­
rimentati. D io suole negare le sue grazie a questi spiriti su­
perbi; l’umiltà, invece, attrae sempre le luci e le benedizioni
dall’alto. Si eviti anche con cura l ’attaccamento o l ’eccessivo
affetto alla persona diretta, che intorbida la chiarezza dello
sguardo e c’impedisce di vedere i suoi difetti o ci spinge
a procedere con eccessiva benignità e mancanza di energia.
Bisogna conservare uguaglianza d’animo ed esaminare tutto
con rettitudine e semplicità. Il direttore non giudichi mai
secondo i dettami della ragione umana, ma della prudenza so­
prannaturale. N o n sii. precipitato nell’emissione dei suoi giu­
dizi, ma li sottoponga a matura riflessione, senza eccessive
sottigliezze e cavillazioni. A bbia molta fiducia in D io e nella
protezione di Maria, V ergine prudentissima, che l’aiute­
ranno se procederà in tutto con retta intenzione e spirito
soprannaturale.

532. 3. I tre spiriti che muovono l’anima.


- S. B ern ard o in d ica sei spiriti d iv ersi ch e p o s s o n o
m u o v e re l ’u o m o n elle sue o p erazio n i: lo s p irito
10 14 LA VITA CRISTIANA N EL SUO SVILUPPO ORDINARIO

divino, l 5angelico, il diabolico, il carnale, il monda­


no e l 'umano 5. Si p o ss o n o p e r ò rid u rre facilm en te ai
tre sp iriti in d ica ti co m u n e m en te dai m aestri della
v it a sp iritu ale, g ia c c h é lo sp irito angelico si rid u ce a
q u e llo divino, in q u a n to ch e g li a n g eli so n o strum en ti
di D io , e n o n o p era n o se n o n s eco n d o le sue d iv in e is p i­
ra zio n i; il mondano si rid u ce al diabolico, in q u a n to ch e il
m o n d o è il m ig lio r a llea to d i Satana; e il carnale si rid u ce
a ll’umano, di cu i è u n a delle m a n ifesta zio n i p iù freq u en ti.
D io ci sp in ge sem p re al b en e, o p eran d o d irettam en ­
te su i n o stri sp iriti o se rv e n d o si delle cause seco n de.
I l d e m o n io ci sp in ge sem p re al m ale, sia p e r se stesso,
s ia p e r m e zzo del m o n d o , che è su o am ico e alleato.
L a n atura alcu n e v o lte ci in clin a al b en e, c o n o s ciu to
d a lla ra g io n e e d esid erato dalla v o lo n tà , e altre v o lte al
m ale, trascin ata dalla p ro p ria co n cu p isc e n za , ch e le
fa co n sid era re co m e b en e a pp aren te q u e llo ch e in real­
tà è u n m ale.

A lle volte questi spiriti si mescolano in mille maniere.


È evidente che lo spirito di D io e quello diabolico non pos­
sono spingere contemporaneamente a una buona azione. L o
spirito divino e quello puramente naturale possono invece
spingere a un’azione per sé buona e onesta. Frequentemente
avviene anche che la grazia intensifica e dirige una buona im­
pressione ricevuta per m ezzo dì una causa puramente natura­
le (per esempio, il consiglio di un buon amico), cosi come il
dem onio approfitta delle suggestioni maligne del m ondo per
aizzarle nella fantasia. Per questo, quando in qualche m o­
zione o consolazione si avvertono le caratteristiche dello
spirito di D io , non si può concludere senz’altro che tutti gli
altri m ovim enti antecedenti e susseguenti siano anche divini.
Può avvenire che prima o dopo l’illuminazione divina si sia­
no introdotti inconsciamente m olti m ovim enti puramente
naturali o umani i quali hanno fatto perdere ad essi la loro
prim itiva purezza. In questi casi si richiede nel direttore una
grande sagacità soprannaturale per sapere distinguere l ’oro
dall’orpello.

5 C f. S. B e r n a r d o , se rm o D e dìscretìone spirìtuum , M L 18 3 ,6 0 0 .
IL D IS C E R N IM E N T O DECLI S P IR IT I 10 15

Inoltre, non pare che ripugni o sia impossibile che dopo


una mozione divina s’intrometta nell’anima in m odo sub­
dolo col permesso di D io , l ’azione diabolica. N on sempre
sarà facile distinguere dove termina l’azione di D io e dove
comincia l’influenza dello spirito delle tenebre e degli im pul­
si naturali 6.
Tuttavia, l ’attento esame e il confronto delle caratteri­
stiche generali di ognuno dei tre spiriti offrirà, nella m aggior
parte dei casi, dati sufficienti per poter fare il discernimento
con garanzia di successo.

4. Segni di ognuno degli spiriti. - In d ich ere ­


m o le p rin cip a li caratteristiche generali di cia scu n o
sp irito. Q u a n d o stu d ierem o n ella quarta p a tte d ella
n ostra o p era i fe n o m e n i m istici stra o rd in ari — n ei
qu ali il d iscern im en to d iv e n ta p iù d ifficile e in d isp e n ­
sabile — , p re cisere m o le n o rm e p a rtico la ri che si d e ­
v o n o usare in o g n i caso.

533. a) S e g n i d e l l o s p i r i t o d i D io - G ia c c h é
le p o te n z e della n ostra anim a so n o due — in te lle tto
e v o lo n tà — in d ich e re m o sep aratam ente le ca ra tteri­
stich e di o g n u n a di esse.
1 ) Riguardo a ll’ intelletto. - 1 . Verità. - D io è la verità
infinita e non può ispirare a un’ anima se non idee vere. D i
conseguenza, se una persona che si dice o si crede ispirata
da D io sostiene affermazioni manifestamente contrarie alla
dottrina della Chiesa o a indiscutibili verità filosofiche, oc­
corre concludere senz’ altro che è una povera vittim a del de­
m onio o della sua immaginazione. D io non può mai ispi­
rare l’errore.
z. Gravità. - D io non ispira mai cose inutili, infrut­
tuose, frivole. E g li m uove sempre un’anima a cose serie e
importanti, e non dirime con la sua autorità divina le contro­
versie e le dispute teologiche tra le diverse scuole cattoliche.
3. Luce. - D io è luce e in lui non ci sono tenebre
(1 G io v . 1,5). Le sue ispirazioni portano sempre luce all’a­
nima. A nche nelle prove tenebrose (notte del senso e dello

6 Cf. S. I g n a z i o , E str e iz i n n .3 3 3 -3 6 .
7 Cf. ScARAMELLI, 0. C., C.&\ C H OL L E T , U.C... D T C IV, C0I.I40J-7.
10 16 LA V IT A C R IS T IA N A N EL SU O S V IL U P P O ORDINARIO

spirito), E g li spinge le anime a operare con perfezione anche


■se non ne conoscono i m otivi.
4. Docilità. - Riconoscendo umilmente la loro igno­
ranza, le anime mosse da D io accettano con gioia e facilità
le istruzioni e i consigli del direttore o di altre persone spi­
rituali. Questa obbedienza,. flessibilità e sottomissione è uno
dei più chiari segni dello spirito di D io; soprattutto se si
tro va in un’anima colta e istruita, per il m aggior pericolo
ch e hanno costoro di attaccarsi al proprio parere.
5. Discrezione. - L o spirito di D io rende l ’anima di­
screta, giudiziosa, prudente, retta e ponderata in tutte le
azioni. Ella non è precipitata, leggera, esagerata. In lei tutto
è serio, religioso, equilibrato, edificante, pieno di soavità
e di pace. .
6. Pensieri umili. - L o Spirito Santo riempie sempre
l ’anima con sentimenti di umiltà e di annientamento. Quanto
più sublimi sono le com unicazioni dall’alto, tanto più p ro­
fondamente l ’anima si inchina verso l’abisso del suo nulla:
<( Ecce ancilla D om ini, fiat mihi secundum verbum tuum »
(Luca 1,38).
2) Riguardo alla volontà. - 1. Pace. - S. Paolo parla
varie volte del « D io della pace» (cfr. Rom . 15,33; Fil- 4,9).
E G esù Cristo la offre ai suoi apostoli come inconfondibile
segno del suo spirito (G io v. 14,27). La Scrittura è piena di
sim ili espressioni. Essa è uno dei frutti dello Spirito San­
to (Gal. 5,22) e non manca mai nelle comunicazioni divine.
2. Umiltà profonda ed efficace. - L ’umiltà dà all’uomo
un concetto basso di se stesso. È uno dei più chiari e incon­
fondibili segni dello spirito di D io. Cristo ci assicura nel
Vangelo che Iddio occulta i suoi segreti a coloro che si sti­
mano sapienti e prudenti e li comunica ai piccoli e agli umi­
li (Mat. 11,25). Se manca l’umiltà, non è necessario continua­
re l’esame deil’anima. Senza timore di errare, si può ritenere
che in essa non c’è spirito di D io. Si deve trattare di una u-
miltà profonda e serena, non affettata né esteriore, che si
presta facilmente a falsificazione. Il direttore, se rimane in
dubbio, sottometta con dolcezza l ’anima che si crede illu­
minata da D io a disprezzi e umiliazioni e osservi attentamente
com e reagisce di fronte ad esse.
3. Fiducia in Dio e sfiducia in se stessi. - È la necessaria
conseguenza dell’umiltà. N o n potendo contare su se stessa,
l ’anima s’abbandona tra le braccia di D io sapendo che se
n on può nulla con le sue proprie forze, può tutto con l’aiu­
IL D IS C E R N IM E N T O D EG LI S P IR IT I 1017

to divino: «om nia possum in eo qui me confortat » (Fil.


4 ,i ?)•
4. Volontà docile e facile nel piegarsi e nel cedere. - Questa
flessibilità — spiega Scaramelli — consiste primieramente in
una certa prontezza della volontà ad arrendersi alle ispira­
zioni e chiamate di Dio: « et erunt omnes docibiles D ei »
(G iov. 6,45). Secondariamente consiste in una certa facilità
a seguire i consigli di altri, soprattutto dei superiori, che
rappresentano D io . Questa santa flessibilità spinge l’anima
a scoprire al direttore spirituale tutti i suoi segreti, nell’umile
sottomissione ai suoi ordini, e a non intraprendere nulla
d’importante senza il suo consiglio.
5. Rettitudine d’intenzione nell’ operare. - L ’anima cerca
in tutte le sue azioni unicamente la gloria di D io e il perfetto
compimento della sua divina volontà, senza nessun interèsse
umano.
6. Pazienza nei dolori di anima e di corpo. - Sopportare
in pace e per m otivi soprannaturali i dolori, le pene e ' le
malattie; le persecuzioni, le calunnie e i disprezzi; la perdita
dei beni, dei parenti, degli amici, è un segno dello spirito
di D io. A lle volte però si danno caratteri freddi e stoici
per natura i quali non si com m uovono per nulla. Tale pa­
zienza per sé non è segno dello spirito di D io.
7. Abnegazione di se stesso e santificazione delle inclina­
zioni interne. - È il segno dato da Cristo medesimo: « Se
qualcuno vu o l venire dietro di me, rinneghi se stesso, pren­
da la sua croce e mi segua» (Mat. 16,24). U demonio e la
natura ispireranno sempre comodità e piaceri.
8. Sincerità, veracità e semplicità nella condotta. - Sono
virtù evangeliche che si trovano sempre unite e non mancano
mai nelle persone mosse dallo spirito di D io.
9. Libertà di spirito. - N o n s’attaccano neppure ai
doni stessi di D io. A ccettano con riconoscenza le consolazio­
ni sensibili che il Signore loro dà, e ne approfittano per in­
crementare il loro fervore; però rim angono tranquille an­
che quando sono lasciate nell’aridità. Fanno ugualmente le
loro orazioni, le com unioni e le penitenze con puntualità
e fervore, pronte a lasciarle quando la Carità, la necessità e
l’obbedienza lo richiedono, senza il minimo gesto di dispia­
cere o malumore.
10. Grande desiderio di imitare Cristo in tutto. - Q uesto
è il segno più chiaro, perché, come insegna S. Paolo, non si
può avere lo spirito di D io senza avere quello di G esù Cristo
1018 L A V IT A C R IS T IA N A N EL SU O S V IL U P P O ORDINARIO

(Rom. 8,9), suo F iglio, nel quale ha posto tutte, le sue compia­
cenze (Mat. 17,5). Per questo S. G iovanni della Croce dice
che l ’anima la quale aspira alla santificazione deve avere
« un continuo e viv o desiderio di imitare Cristo in ogni cosa,
conform andosi alla vita di lui, la quale si deve ben conside­
rare per poterla imitare, e diportarsi in ogni circostanza né
più né meno come E g li si diporterebbe »
11. Una carità mansueta, benigna, disinteressata. - S
legga la descrizione che ne fa S. Paolo (iC o r. 13,4-7). S. A -
gostino la riteneva un segno tanto evidente deilo spirito
di D io , che giunse a scrivere senza esitare: « A m a e fa quello
che vuoi: non sbaglierai. Sia che tu parli, sia che tu taccia,
sia che tu corregga, fa’ tutto con interno amore; non. può non
essere buono quello che nasce dalla radice di uA’intima
carità » 9 .

534. b) S e g n i d e l l o s p i r i t o d i a b o l i c o . - L e carat­
te ris tic h e d e llo sp irito d elle ten eb re so n o d iam etral­
m en te o p p o ste a q u elle d e llo sp irito di D io . P e r q u e sto
è facile d istin g u erle q u a n d o si p resen ta n o in u n a m a­
n iera sfacciata e m anifesta.
Bisogna considerare però che alle volte il nemico infera
naie assume l’aspetto di angelo di luce, e suggerisce in prin­
cipio cose buone per dissimulare per un certo tempo le sue
malvage intenzioni. O ccorre quindi procedere con cautela,
esaminare i m oti dell’anima nelle loro origini e non perdere
mai di vista che quello che cominciò apparentemente bene
può finire male, se non si correggono subito le deviazioni
che si manifestano.
1) Riguardo a ll’ intelletto. - 1. Spirito di falsità. - A lle
volte suggerisce la menzogna avvolta in altre verità per es­
sere più facilmente creduto.
2. Suggerisce cose inutili, curiose e impertinenti per far per­
dere il tempo in bagattelle, per distrarre e allontanare dalla
solida e fruttuosa devozione.
3. Tenebre, angustie, inquietudini; o falsa luce nella sola
immaginazione, senza frutti spirituali.
4. Spirito protervo, ostinato, pertinace.
5. Continue indiscrezioni. - Eccita, per esempio, àgli è-

8 Cf. Salita 1,13,3


9 C f. In Epist. 1 S. Io., tr.7: M L 85,2033.
IL D IS C E R N IM E N T O D E G LI S P IR IT I 1019

sercizi di penitenza per provocare la superbia o rovinare la


salute 10; non osserva il tempo debito (suggerisce, per esem­
pio, gioia il Venerdì Santo e tristezza il giorno di Natale),
né il luogo dovuto (provocando, per esempio, rapimenti in
pubblico, mai in segreto), né le circostanze della persona
(spingendo, per esempio, i solitari alPapostolato e gli apo­
stoli alla solitudine, ecc.). T utto ciò che è contrario ai doveri
del proprio stato viene dal demonio o dalla propria imma­
ginazione, mai da D io.
6. Spirito di superbia. - Vanità, preferenza sugli altri,
ecc.
2) Riguardo alla volontà. - 1. Inquietudine, turbamento,
confusione nell’anima.
2. Superbia o falsa umiltà nelle parole e non nelle
opere.
3. Disperazione, sfiducia e scoraggiamento; oppure
presunzione, vana sicurezza e ottimismo irragionevole,
sciocco e irriflessivo.
4. Disobbedienza, ostinazione nel non aprirsi al diret­
tore, penitenze fatte per proprio capriccio lasciando quelle
obbligatorie, durezza di cuore.
5. Secondi fini: vanità, proprio compiacimento, desi­
derio di essere apprezzato e tenuto in grande considerazione.
6. Impazienza nelle fatiche e nelle sofferenze. Risen­
timento pertinace.
7. Disordine e ribellione delle passioni per m otivi futili
e cause sproporzionate; accecamento violento della ragione;
impulsi ostinati della volontà verso il male.
8. Ipocrisia, doppiezza, simulazione. Il demonio è il
padre della menzogna.
9. Attaccamento alla terra, alle consolazioni spirituali.
Ricerca di se stesso.
io., Dimenticanza assoluta del Signore e della sua imita­
zione.
11. Falsa carità, zelo amaro, indiscreto, farisaico, che
turba la pace.
Il lavoro del direttore nei confronti di queste anime con­
sisterà: 1) nel far loro comprendere che sono trastullo del
demonio, contro'il quale devono decidersi a lottare seriamente;
2) nelPinvitarle a chiedere continuamente a D io la grazia

10 Q u an d o D io chiede all’anima grandi austerità sì n ota chiaram ente che


questa è la sua v o lo n tà dall’insiem e delle circostanze. N e llo stesso tem po
dà la forza sufficiente per com pierle.
10 2 0 LA V IT A C R IS T IA N A N EL SU O S V IL U P P O ORDINARIO

per poter vincere gli assalti del maligno; 3) nel portarle,


-con opportuni suggerimenti a cacciare prontamente e con
disprezzo gli assalti del demonio, compiendo — quando
sia possibile — atti contrari a quelli suggeriti dalla tentazio­
ne II.

535. r) S e g n i d e l l o s p i r i t o u m a n o . - S o n o stati
e sp o sti d a ll’au to re d Imitazione di Cristo (111,54),
il quale m ette a co n fr o n to i m o v im e n ti della n atura
fe r ita dal p e cca to , e q u e lli della grazia. L a n atura è
sem pre am ante delle p ro p rie co m o d ità e d el piacere,
ha u n is tin tiv o o rro re p e r la sofferenza, è sem pre in c li­
ne a ciò che la so d d isfa , ai su o i g u sti e ca p ricci, al suo
am o r p ro p rio . N o n v u o le sen tir p arlare di u m ilia zio n i,
di d isp re zzo di sé, di rin u n cia e di m o rtifica zio n e. G iu ­
dica in cap aci ed in co m p re n sib ili i d iretto ri ch e cercan o
di o p p o rsi ai su o i desid eri e passa so p ra co n facilità
ai lo r o co n sig li. C erca la g io ia , il su ccesso , g li o n o ri e
g li applausi; cerca sem pre di essere al ce n tro d e ll’ am ­
m irazio n e . In un a p a ro la n o n ha in teresse p e r alcuna
co sa ch e n o n so d d isfi il suo e g o is m o 12.
N ella pratica, è difficile a volte discernere con sicurezza
■se qualcuno di questi m ovim enti disordinati provenga dal­
la suggestione diabolica o semplicemente dall’impulso del­
la natura corrotta; ma è sempre relativamente facile distin­
guere se i movim enti che un’anima sperimenta in se stessa
siano causati dalla grazia oppure dal demonio e dalla natura.
In ogni caso sarà sufficiente poter determinare con sicurezza
che un certo m ovim ento non può provenire da Dio, affinché
si cerchi di reprimerlo, senza curarsi m olto della sua origine.

D ia m o tu tta v ia a lcu n e n orm e p er p o te r d istin g u ere


g li im p u lsi p u ram en te n aturali dalle s u g g e s tio n i d ia b o ­
liche:

11 CF. S C A R A M E L L I , O.C., C.9, n.148.


12 O ltre la b ibliografia citata, si p u ò le gg ere al rigu ad o il c.12 dell’ opera
•del P. F a b e r , Progresso d ell’ anima nella vita spirituale.
IL D IS C E R N IM E N T O D EG LI S P IR IT I 1021
IM P U L S O N ATURALE S U G G E S T IO N E D I A B O L I C A

Spontaneità nell’operare... Violenza. Difficilmente si


può impedire.
Causa naturale p rovoca­ D ’im provviso. Senza causa
toria. .. o. m olto lieve.
Ribellione del senso che Suggestione della mente
eccita la mente... che eccita il senso.
Persistenza nonostante l ’o ­ Svanisce facilmente con
razione... l’orazione.
Il demonio fugge.
Si noti, infine, che i principali rimedi contro lo spirito
umano sono Yorazione, Yabnegazione di se stesso e la costante
rettitudine d’intenzione in tutte le nostre opere.

5 3 6 . 5. Segni di spirito dubbioso. - II P. Scara­


m elli d ed ica u n ca p ito lo m o lto in teressan te all’esa­
m e d i alcun e m a n ifesta zio n i d i sp irito d u b b io s o 13.
E c c o le p rin cipali:
1) Aspirare a un altro stato dopo aver fatto la dovuta
scelta (cf. iC o r. 7,20).
2) Essere affezionati a cose rare, insòlite e singolari
che non convengono al proprio stato. Quando D io chie­
de eccezionalmente queste cose, fa sentire in una manièra
n on equivoca la sua divina volontà per m ezzo di specialis­
sime circostanze. La pietra di paragone è sempre l’obbedienza
e l ’umiltà.
3) Desiderare cose straordinarie nell’esercizio delle vir­
tù, tali come certe « sante pazzie » che alcuni servi di D io
com pirono per uno speciale instinto dello Spirito Santo.
4) La tendenza a grandi penitenze esterne può essere so­
spetta. D io le ha chieste ad alcuni santi, ma non è questa
la via normale della sua provvidenza. O ccorre esaminare con
calma tutte le circostanze.
5 ) L o spirito di consolazioni spirituali sensibili è incerto.
Possono venire da D io, ma anche dal demonio o dalla sem­
plice natura. Si conosceranno dai frutti.
6) L o spirito di consolazioni e di piaceri spirituali continui
e mai interrotti è molto più incerto. I santi Padri affermano

*3 Cf. o.c., c.io.


10 2 2 LA VITA CRISTIANA NEL SUO SVILU PPO ORDINARIO

che lo spirito di D io va e viene; ora si manifesta, ora si na­


sconde e non opera sempre nell’anima con un medesimo teno­
re 14.
7) A nche le lacrime sono sospette, perché possono pro­
venire da D io , dal demonio e dalla propria natura. Biso­
gna esaminare i frutti che producono.
8) I grandi favori straordinari come le rivelazioni, le
visioni, le piaghe, ecc., congiunte a poca santità interiore
sono incerte. D ifatti ancorché codeste grazie gratis datae
non suppongano necessariamente neppure lo stato di grazia,
tuttavia, ordinariamente D io non le concede se non ai suoi
grandi servi e amici.
Avvertenze finali. - i ) A lle volte lo spirito buono si
unisce con quello cattivo o con quello semplicemente na­
turale. È necessario agire con grande cautela applicando
le regole del discernimento e chiedendo luce a D io.
2) In materia di visioni e rivelazioni, lo spirito di D io (
in principio causa timore e dopo consolazione. Il demonio
invece in principio produce consolazione sensibile e dopo
turbamento. Siccome D io opera direttamente sulle nostre
facoltà intellettuali per questo causa prima timore e poi
fa sentire il buon effetto della sua azione divina. Il demonio
invece, siccome può operare direttamente soltanto sull’ap­
petito sensitivo, produce prima la consolazione sensibile
e poi fa sentire i suoi dannosi effetti.
3) M olte volte D io ispira desideri di cui non vuole l’effet­
tiva realizzazione, come quando chiese al patriarca Abram o
l’immolazione del figlio Isacco. E g li cerca cosi la sottomissio­
ne interna dell’anima, non l ’esecuzione esterna. I desideri
per esempio di solitudine e di completo isolamento dal mon­
do che un sacerdote dedito alla vita apostolica può sentire
è possibile che provengano da D io; ma da ciò non ne se­
gue che debba abb?ndonare le sue attività e farsi certosino.
Può essere che D io voglia soltanto spingerlo al raccoglimen­
to interiore e a una vita di m aggior orazione in mezzo alle
sue occupazioni attuali. A l riguardo, nella vita del santo
Curato d’A rs c’è un aneddoto m olto significativo rs.

*4 Cf. S. G r e g o r i o , A i or. c .2 3 v e r s o l a fin e .


r ' C f. T r o c h u , Vita del Curato d’A r s c .1 5 .
PARTE IV

I FENOMENI MISTICI
STRAORDINARI
I F E N O M E N I M IS T IC I S T R A O R D I N A R I

S . T h ., I - I I , i i i ; I I - I I , 1 7 1 - 1 7 8 ; Contra gentes 1 1 1 ,1 5 4 ; V a l l g o r n e r a ,
Mystica Tbeologia divi Tbomae q .3 d is p .5 (e d . M a r ie t t i, 1 9 1 1 ) ; B e n e d e t t o
X I V , D e servorum D ei beatifìcatione; C a r d . B o n a , D e discretione spirituum;
S c a r a m e l l i , Direttorio mistico t r .4 , Discernimento degli spiriti; L o p e z E z -
q u e r r a , Lucerna mystica; R i b e t , L a mystique divine t r.2 - 3 e 4 ; F a r g e s , Les

pbenomenes mystiques; G a r r i g o u - L a g r a n g e , Perfezione cristiana c .5 a .5 ;


L e tre età p .5 » a; S a u d r e a u , Les faits extraordinaires de la vie spirituelle; M e y -
n a r d , Trattato della vita interiore t .2 1 .4 ; A r i n t e r o , Evolución mistica p .2 .a
c . 7 ( e d . B A C ) ; Los fenómenos misticos; S c h r i j v e r s , Principi... I.3 p . i . a c .3
a .6 ; D e M a u m i g n y , Pratica dell*orazione mentale, t r.2 p .5 .a ; N a v a l , Curso...
p .3 .a s e c t.3 ; P o u l a i n , Delle grafie d’ orazione p - 4 .a ; P . M i r , E l milagro ( B a r ­
c e lo n a 1 9 1 5 ) ; L a profecia ( M a d r id 19 0 3 ); T a n q u e r e y , Compendio di Teologia
ascetica e mistica n n .1 4 8 9 - 1 5 4 9 ; P . I . G . M e n é n d e z - R e i g a d a , Los dones del
E sp. Santo... n . K ; D r . H e n r i B o n , Medicina e religione p .6 .a ; D r . S u r b l e d ,
L a Moral en sus relaciones con la Medicinay la Higiene p . n . a ; B . M a r e c h e u x ,
L e merveilleux divin et le merveilleux demoniaque ; P . D e B o n n i o t , L e miracle et
ses contrefacons; G o e r r e s , L a mystique divine; D r . P o o d , L os fenómenos mi-
steriosos del psiquismo.

537. 1 . I n t r o d u z i o n e . - U no degli aspetti della Mistica


che ha destato m aggior interesse in tutti i campi del sape­
re è stato quello relativo ai fenomeni straordinari che ap­
paiono quasi sempre nella vita dei grandi mistici. Riguar­
do a questi fenomeni meravigliosi è apparsa in questi
ultim i anni un’abbondantissima letteratura di diverse ten­
denze. I razionalisti hanno lanciato i loro strali contro que­
sto aspetto tanto sorprendente del soprannaturale, e hanno
cercato di aprire una breccia nelle spiegazioni dei teologi
cattolici negando il carattere sovrum ano di codesti fenome­
ni portentosi e spiegando tutto per m ezzo di cause fisico-
psichiche, frequentemente patologiche e sempre puramente
naturali.
È quindi, di sommo interesse esaminare questo problema
alla luce dei grandi principi della T eologia e delle ultime
scoperte delle scienze sperimentali.
10 2 6 1 FENOM ENI M ISTICI STRAORDINARI

- In filosofia è elementare l’as­


538. 2 . I l n o s t r o p i a n o .
serzione che di una cosa abbi amo raggiunto la conoscenza
scientifica solamente quando riusciamo a indicarne le cause.
N on per nulla si definisce la scienza « cognitio certa per
causas » '. Finché non si esce dall’ambito del particolare e
del fenomenico, non si entra nel campo della scienza: « de
singularibus non est scientia ». O ccorre risalire per via del­
l’analisi dal particolare all’universale, dagli effetti alle cause,
da ciò che è posteriore a ciò che è anteriore « secundum
naturam » 2.
Ora i fenomeni straordinari della Mistica di cui inizie-
remo l’investigazione scientifica, possono essere attribuiti
unicamente a una causa o soprannaturale, o preternaturale
o puramente naturale 3. È impossibile la produzione di un
fenomeno realmente o apparentemente mistico che non pos­
sa essere cosi classificato, dal momento che queste divi­
sioni abbracciano tutte le cause possibili. Se il fenomeno
procede da D io apparterrà al gruppo delle cause sopranna­
turali; se dal demonio, apparterrà a quello delle preternatura­
li; e se dall’immaginazione del paziente o da uno degli a-
genti che costituiscono il m ondo fisico esterno, appar­
terrà a quello delle naturali. N on c’è né può esservi un al­
tro genere di cause, giacché gli angeli buoni non sono che
fedeli messaggeri di D io , e quindi la loro azione non costi­
tuisce una causalità specificamente diversa da quelle indicate.

N o z io n i P r e v ie

G a r r ig o u - L a g r a n g e , D e Revelatione y o l . i l . i sect.i c.6 (ed. 1918).

539. 1 . « N a t u r a » e « n a t u r a l e » . - a) Natura. - La
parola natura si può prendere in diversi sensi. E cco i prin­
cipali :
1) In quanto significa o esprime l’essenza di una cosa
concreta (per esempio, la natura dell’oro, di un animale,
dell’uomo): senso individuale,
2) In quanto significa l’insieme di tutte le cose dell’uni­
verso, vicendevolm ente dipendenti tra di loro secondo leggi
determinate: senso collettivo.

1 C f. G r e d t , Elemento Philosopbiae Aristùielico-Tbomisticae t.i, n .2 2 3 .


1 C f. F a r g e s , Pbilosopbia Scholastica t . i , p. 125 (60.a ed).
3 C i riferiamo ora unicamente all’ordine delle cause efficienti.
N O ZIO N I P R E V IE 10 2 7

3) l a quanto significa l’essenza di una cosa come princi­


pio radicale delle operazioni e passioni che per se g li conven- -
gono: senso dinamico. S. Tom m aso parla in questo senso quan­
do dice: «N om en naturae... videtur significare essentiam-rei
secundum quod habet ordinem ad propriam operationem
rei » 4.
N el prim o e nel terzo senso la parola natura si può appli­
care analogicamente alla natura divina e alle nature create.
b) Il naturale. - Secondo le precedenti nozioni il «natura­
le» per qualsiasi essere sarà tutto quello che gli conviene se­
condo la sua natura: « id quod convenit ei secundum suam
substantiam », dice ancora S. Tom m aso s. G li può conve­
nire in una di queste sei maniere:
a. Constitutive: sono compresi tutti gli elementi che co­
stituiscono la sua essenza (per esempio, il corpo e l’anima
razionale nell’uom o).
b. Emanativi: ossia, le forze ed energie che emanano
naturalmente dall’essenza (per esempio, l’intelletto e la v o ­
lontà nell’uomo).
c. Operative: ossia, tutto quello che la natura può produr­
re con le sue forze o d operazioni (per esempio, gli atti di in ­
tendere e di amare negli esseri razionali).
d. Passive: ossia, tutti i fenomeni che altri agenti naturali
gli possono naturalmente causare (per esempio, freddo,
caldo...).
e. Exigitipe: ossia, tutto ciò che codesta natura esige per la
sua perfezione naturale (per esempio, il concorso divino ne­
cessario affinché qualsiasi causa seconda possa operare nel
suo ambito).
/. Meritorie: ossia, il diritto al prem io naturale propor­
zionato. Si riferisce unicamente alle azioni morali e libere
nell’ordine puramente naturale o etico.
540. 2. I l « s o p r a n n a t u r a l e » . - a) Nozione. - D ai
principi stabiliti si deduce che « soprannaturale » sarà ciò
che in qualche maniera trascende il puramente naturale
in qualunque sua accezione. Quindi:
a. Per la natura individuale sarà « soprannaturale »
tutto quello che sta fuori e sopra la sua essenza naturale.
b. Per la natura collective sumpta, sarà « soprannaturale »
tutto quello che sorpassa le leggi della medesima natura.

< Cf. D e ente et essentìa, c .i.


5 Cf.
1028 I FENOM ENI M IS T IC I STR AO R D IN AR I

c. Per la natura dal punto di vista dinamico, sarà « so


prannaturale » tutto quello che sta fuori e sopra le sue esi­
genze e operazioni naturali.
Il soprannaturale non può essere richiesto dalla natura,
però può perfezionarla, se D io gratuitamente glielo concede.
Il soprannaturale difatti non è « sconveniente » (sarebbe al­
lora contro natura), ma m olto conveniente alla natura non se­
condo le sue forze ed esigenze, ma secondo la sua potenza
obbedienziale o elevabile, come dicono i filosofi. D ice san
Tom m aso parlando della fede soprannaturale: « Fides prae-
supponit cognitionem naturalem, sicut gratia naturam et
ut perfectio perfedibile » 6.
Il soprannaturale non significa quindi qualche cosa che è
« contro natura », ma che trascende, cioè, che sta sopra ciò
che è naturale. '
È contro natura ciò che va contro l’inclinazione di qual­
che creatura. È la stessa cosa che violento ?. Il soprannaturale,
invece, non va in nessuna maniera contro l’ inclinazione del­
la natura, ma la supera solamente. N on è affatto violento per
essa, perché — come spiega S.. Tom m aso 8 — D io non fa
violenza alle creature quando opera in esse secondo la loro
principale inclinazione, che è quella di obbedire al loro Crea­
tore, al quale stanno più connatutalmente sottom esse che
il corpo all’anima o il braccio alla volontà.
N o n si deve nemmeno confondere il soprannaturale con
ciò che è libero, artificioso o fortuito, ancorché queste tre cose
si distinguano in qualche maniera dal naturale, in quanto che
la natura è sempre determinata ad unum. L e azioni libere,
invece — come pure l’opera artificiosa — non sono deter­
minate dalla natura, ma hanno bisogno di una nuova deter­
minazione, che si fa per m ezzo della deliberazione. Neppure
ciò che è casuale e fortuito è determinato dalla natura, né
è causato dalla deliberazione, ma si produce nella natura
per accidens, come dicono i filosofi 9. Però è chiaro che nessu­
na di queste tre cose oltrepassa l’ambito dì ciò che è pura­
mente naturale; e in questo senso distano infinitamente dal
soprannaturale, che sorpassa e trascende tutto l ’ordine della
natura con tutte le sue esigenze e com binazioni possibili.
541. b) Divisione del soprannaturale. - Ricorderem o

6 Cf. 1,2,2 ad l .
7 Cf. 11 -11 , 1 7 5 , 1 .
8 C f. S. Thom ., Cantra Gentes I I I c.loo; cf. 1 , 105,6 ad z.
9 C f. S. Thom ., In I I Phys. Aristot. lect.9, et 10.
N O ZIO N I P R E V IE 1029
soltanto le due principali divisioni che qui c ’interessano.
i) Soprannaturale assoluto e relativo. - A nzitutto occorre
distinguere attentamente il soprannaturale assoluto, o sim-
pliciter, dal soprannaturale relativo, o secundum quid.
S’intende per soprannaturale assoluto, o simpliciter, tutto
ciò che eccede la proporzione di tutta la natura creata o
creabile, ossia, quello che supera le capacità e le esigenze di
qualsiasi creatura. Q uesto soprannaturale assoluto si sud­
divide in soprannaturale quoad substantiam (che è quello dei
misteri propriamente detti, della grazia e gloria) e sopranna­
turale quoad modum (che è quello proprio e caratteristico dei
miracoli).
Il soprannaturale relativo, o secundum quid, è quello che
eccede unicamente la proporzione di qualche natura creata,
ma non quella di ogn i natura creata. E cosi, per esempio,
quello che è naturale e specifico per l’uom o (intendere, a-
mare), sarebbe soprannaturale per un cane, che manca delle
facoltà necessarie per compiere simili atti; quello che è pu­
ramente naturale per l’angelo o per il demonio, potrebbe
essere soprannaturale per l’uom o perché eccede le sue forze
umane; per esempio, i p rodigi diabolici, che sembrano mi­
racoli I0. Q uesto soprannaturale relativo si suole chiamare
anche, e più propriamente, « preternaturale ».
z) Soprannaturale « quoad substantiam » e « quoad modum ». -
Secondo la dottrina della Chiesa11 c’è almeno un duplice
soprannaturale, cioè: a. quello del miracolo propriamente
detto, che eccede le forze efficienti e le esigenze di qualsiasi
natura creata, ma non le forze conoscitive della natura ra­
zionale, e b. il soprannaturale dei misteri propriamente detti,
della grazia e della gloria, che eccede non solo le forze
efficienti e le esigenze, ma anche le forze conoscitive e appe­
titive di qualsiasi natura intellettuale creata. Per spiegare
questa distinzione, i teologi comunemente dividono il so­
prannaturale in quoad substantiam e quoad modum.
Il soprannaturale quoad substantiam non designa il sopran­
naturale sostanziale o esistente come sostanza, dal momento
che può essere sia sostanziale e increato (come la vita intima
della SS. Trinità), sia accidentale e creato (come la grazia),

■» C f. 1,110,4.
11 C f. D enz. 1111.104-105, i; 8 , 141, 176-180, 196, 1001-1008,1021,1024,
1034, 1042, 1061-62, 1064, 1069, 1079, 1384-85, 1388, 1701-1708, 1790,
1795-96, 1803-1804, 1816 1818, 1926, 1928, 2103.
10 3 0 I FEN O M EN I M IS T IC I STR AO R D IN AR I

ma unicamente il soprannaturale quoad essentiam, ossia, quello


che è intrinsecamente ed entitativamente soprannaturale, ed
eccede perciò non solo la causalità di tutte le forze efficienti
e le esigenze di qualsiasi natura, ma anche l'essenza di ogni
natura creata o creabile. Perché si tratta della natura divina
in se stessa o di una partecipazione della divina natura pre­
cisamente in quanto divina. Q uesto soprannaturale quoad
substantiam è ad un tempo soprannaturale quoad cognoscibì-
litatem, ossia, eccede le forze naturali conoscitive di qualsiasi
natura intellettuale creata, perché « verum et ens conver-
tuntur »; dunque l’essere soprannaturale eccede l’ordine del­
la verità naturale.
Solamente il soprannaturale quoad modum è quello che es­
senzialmente ed entitativamente è naturale, ma che è stato
prodotto in modo soprannaturale o è stato ordinato in modo
soprannaturale al fine soprannaturale. A bbiam o un esempio
del primo nel miracolo della risurrezione di un m orto, nel
quale la vita naturale viene restituita soprannaturalmente a
un cadavere. A bbiam o un esempio del secondo nell’atto
naturale di una qualunque virtù acquisita (per esempio,
la temperanza), ordinato dalla carità al premio della vita e-
terna.
È m olto facile ridurre questa divisione del soprannaturale
alla divisione delle quattro cause I!. E cco come la espone
G iovanni di S. Tommaso:
« A dvertendum est quod supernaturalitas potest alicui rei convenire ex
triplici principio, scilicet ex causa efficienti, ex finali, s formali, nam ex parte
causae materialis convenire n on potest, cum causa materialis sit ipsum
subiectum in quo recipiuntur form ae supernaturales, et h oc est ipsa anima
v e l eius potentiae quae sunt entia naturalia, licet ratione potentiae obedien-
tialis recipiant.
E x parte causae efficientìs dicitur aliquid supernaturale, quando supem a-
turali m odo fit, sive res facta supernaturalis sit, sive naturali^, sicut resusci-
tatio m ortui aut illuminatio caeci sunt supem aturaìia quoad m odum , licet
res facta sit naturalis, scilicet v ita hominis aut potentia visiva.
E x parte causae finatis dicitur supernaturale ld quod ordinatur ad finem
supernaturalem ab extrinseco, sicut actus temperantiae aut alterius virtutis
acquisitae, si ordinentur a caritate ad m eritum vitae aeternae, suscipiunt
in se m odum supernaturalem ordinationis ad talem finem. E t hoc etiam

12 C f. S a l m a n t i c e n s e s , D e gratia t r . 1 4 , d . 3 , d u o . 3 , n.24; S u a r e z , D e
gratia 1.2, c.4; I o a n . a . S. T b o u . , D e gratia d . 2 0 a .i, so lv. a r g . n.4.
N O ZIO N I P R E V IE 10 3 1

m odo Humanitas Chcistì habet m odum supernatùralem unionis ad Verbum


ad quid ordinami- ut ad finem et terminum unionis.
E x parte causae form ali/ dicitur aliquid supernaturale, quando e x ipsa
ratione form ali specificativa respicit obiectum supematurale» e t sola dicitur
supernaturalitas quoad substantiam, id est quoad specìem et naturam actus,
quae desumitur ex obiecto form ali» *3 .

Q ueste categorie del soprannaturale assoluto, le potrem­


mo sintetizzare con il P. G arrigou-Lagrange '■
< nella seguente
forma:

D io nella sua ragione intima


di deità.
Increato L a persona increata del V er­
Quoad sub- bo che sussiste nella na­
stantìam (o tura umana di Cristo.
quanto alla
causa for­ Il lumen glorine.
male) L a grazia abituale e attuale.
Creato
L e virtù infuse e i doni dello
Spirito Santo.

, ( A tto naturale soprannatural-


A motivo] _ j- x i c
, , j- \ mente ordinato al line so-
de!fine I prannaturale.

M iracolo quoad substantiam (la


Q u o a d mo­ glorificazione del corpo o
dum (o la profezia).
quanto alle A motivo
M iracolo quoad subìectum (la
c a u s e e- della cau­
risurrezione n o n gloriosa
strinseche) sa effi­
o la conoscenza dei se­
ciente
greti del cuore).
M iracolo quoad modum (guari­
gione istantanea di una ma­
lattia, o il dono delle lingue).

542. 3. I l « p r e t e r n a t u r a l e » . - 1 teologi designa­


no comunemente con la parola « preternaturale » il sopran­
naturale relativa. È quello che sta fuori dell'ordine nafu-

•3 I o a n . A S. T h o m ., D t grati« d.20, a .i , a ig.4 .


** Cf. D t revslatione t.i, p.205.
1032 I FENOM ENI M IS T IC I STRAO RD IN AR I

rale ordinario e normale, ma che non trascende in nessu­


na maniera l’ordine naturale assoluto o simpliciter. O vvero è
quello che eccede e trascende le forze di qualche natura crea­
ta, ma non le forze di ogni natura creata o creabile, come il
soprannaturale assoluto. L ’intendere per m ezzo di sempli­
ce intuizione e senza discorso — che è naturale nell’angelo
(natura intellettuale) — ■ sarebbe preternaturale nell’uomo
(natura ragionale).
Il preternaturale dista infinitamente dal soprannaturale
quoad substantiam, dal momento che si tratta di una cosa pu­
ramente ed entitativamente naturale in se stessa, e non ol­
trepassa, di conseguenza, le forze naturali degli angeli o dei
demoni. E non si deve confondere nemmeno col sopranna­
turale quoad modum, poiché quantunque il soprannaturale
quoad modum sia entitativamente naturale — e in questo
coincide col preternaturale — oltrepassa, tuttavia, nel mo­
do le forze naturali, non solo dell’uom o, ma di ogni natura
creata o creabile; e per questo il soprannaturale quoad mo­
dum costituisce una suddivisione del soprannaturale assolu­
to (cfr. lo schema del P. G arrigou-Lagrange). Il sopranna­
turale quoad modum costituisce un vero miracolo (per esempio,
la risurrezione di un morto: che è qualche cosa di entitati­
vamente naturale, però realizzato in modo soprannaturale,
che sorpassa il potere naturale di ogni natura creata o crea­
bile). Il preternaturale, invece, non costituisce un miracolo
propriamente detto, dal momento che, oltre ad essere entita­
tivamente naturale, non sorpassa le forze naturali di ogni
natura creata o creabile, ma solo quelle di qualche natura
(per esempio, quella dell’uom o, ma non quella degli angeli
o dei demoni). È , quindi, una specie di soprannaturale pu­
ramente relativo (in relazione alle nature inferiori) distinto
completamente dal soprannaturale assoluto, sia quoad sub­
stantiam, sia quoad modum.
Sarà necessario tener presente questa nozione di « pre­
ternaturale » quando indicheremo le cause dei fenomeni mi­
stici. Il preternaturale — in relazione agli uom ini — è
costituito da ciò che è proprio e naturale negli angeli buoni o
cattivi. N on dimentichiamo che fuori di questo m ondo ma­
teriale che conosciamo per m ezzo dei sensi esiste un altro
mondo che sfugge completamente a questa specie di cono­
scenza. Codesto mondo, com posto di creature intelligenti
buone o cattive, angeli o demoni, è in comunicazione reale,
intima e misteriosa con noi. È però fuori del nostro ordine
naturale, trovandosi su un piano completamente diverso.
L E C A U S E D E I F E N O M E N I STRAO RD IN AR I 1033
Esso costituisce, in relazione a noi, il m ondo del preter­
naturale. Per questo chiameremo « preternaturali » (cioè
« extranaturali » rispetto a noi) i fenomeni dovuti all’inter­
vento degli angeli o dei demoni, e riserveremo il nom e di
fenomeni « naturali » per designare i fatti che si producono,
secondo le ordinarie leggi della natura,- tra gli abitanti di
questo nostro mondo rs.

C A P IT O L O I

LE CAU SE DEI FEN OM EN I S T R A O R D IN A R I

Dividerem o questo capitolo in tre articoli, dedicati a


ognuna delle tre cause che possono produrre i fenomeni
veramente o falsamente mistici: D io, la semplice natura e il
demonio, corrispondenti rispettivamente al m ondo del so­
prannaturale, del naturale e del preternaturale.

A rtìco lo I

D ìo come autore dei fenomeni mistici

543. L a prima fonte dei fenomeni mistici, anzi l’unica e


l ’esclusiva di quelli veri, è D io in quanto autore dell’ordine
soprannaturale.
Infatti, i fenomeni mistici si svolgon o, o sul piano pura­
mente intellettuale, o su quello affettivo o sul piano organico,
oppure contemporaneamente su diversi piani. O ra, non ha
forse D io libero accesso a questi tre ambiti e non può re­
stringere o estendere a volontà, la sfera delle loro attività
moltiplicare o sospendere le loro energie? N ell’ordine in­
tellettuale, non potrà D io , che è la Luce e la V erità per es­
senza (G iov. 8,12; 14,17), aprire al nostro spirito aspetti e

x5 Cf. E. M é r ic , Uimagìnation et les prodiges t .2 p. 277 .


10 3 4 I FENOM ENI M IS T IC I ST R A O R D IN A R I

orizzonti nuovi, parlarci interiormente mediante comuni­


cazioni puramente intellettuali o per mezzo di segni sensibili
esterni o interni? Chi potrà contestare al Bene infinito
termine finale della nostra vita affettiva r, il potere di operare
direttamente sulla nostra volontà e determinare in essa, per
mezzo della grazia, impeti e slanci che oltrepassano le sue
forze naturali ? E nell’ordine puramente corporeo e organi­
co, non potrà D io alterare le nostre energie corporali modi­
ficando liberamente le loro form e e funzioni ?
L e manifestazioni extranaturali che non compromettono
nessuna legge morale o che non implicano contraddizione
possono, dunque, avere D io per autore, giacché il potere
divino non riconosce altri limiti che quelli del male morale
0 dell’assurdo.

C au se im m e d ia t e d ei fen om en i m is t ic i

544 . L a m aggior parte dei fenomeni mistici straordi­


nari si possono ridurre facilmente alle cosiddette grazie
gratis datae. D iciam o la m aggior parte e non tutti, perché
m olti di essi si spiegano senz’altro mediante una specie di
ridondanza e di effetto connaturale del grado sublime di spi­
ritualizzazione a cui sono giunte le anime mistiche nelle
quali codesti fenomeni si realizzano. In questo senso, alcuni
di essi potrebbero essere attribuiti a certi effetti straordi­
nari dei doni dello Spirito Santo, che non entrano, tuttavia,
nello sviluppo normale della grazia né si producono in tutti
1 santi, nonostante che tutti ioro posseggano i doni dello
Spirito Santo in un grado eminente. A d ogni modo, la
fonte principale dei fenomeni straordinari sono sempre le
grazie gratis datae.

L e g r a z ie « g r a tis d a t^ ® »

545. i. I n t r o d u z i o n e . - Com e spiega S. Paolo, le gra


zie e i doni di D io sono m olteplici e diversi, ma lo Spirito
è uno s. I benefici che abbiamo ricevuto da D io , anche nel­
l’ordine naturale, sono sue grazie e suoi doni. Tutti codesti
benefici in senso largo si potrebbero chiamare grazie gra-

1 Cf. Deut. 6, 5; Mat. 22 , 37; iGiov. 4, 16 .


1 Cf. 1 C01 . 12 ,4-6.
L E C A U S E D EI F E N O M E N I ST R A O R D IN A R I 1035

tis datae 3 , giacché indipendentemente dalla libera volontà


di D io , che ha voluto darceli gratuitamente, in noi non ci
poteva essere titolo alcuno o esigenza che li reclamasse.
N on dimentichiamo che la causa illimitata di tutte le cose è
la libera volontà di D io 4.
Tuttavia, onde precisare m eglio la differenza tra i doni
naturali e quelli’ soprannaturali, tra alcune grazie e altre,
occorre restringere la term inologia e circoscriverla a
esprimere un gruppo determinato di grazie tra tutte quelle
che abbiamo ricevuto da D io.
546. z. C o n c e t t o f o n d a m e n t a l e e p r i n c i p a l i d i v i ­
s i o n i d e l l a g r a z i a . - Secondo l’uso biblico ed ecclesiasti­
co, la parola grafia significa soltanto il dono soprannaturale
concesso da D io alla natura razionale in ordine al conse­
guimento della vita eterna 5 .
I teologi però, analizzando questo dono, stabiliscono
molte divisioni e suddivisioni. E cosi parlano della grazia
creata e increata, della grazia di D io e di quella di Cristo,
della grazia abituale ed attuale, della grazia efficace e suffi­
ciente, della grazia preveniente, operante e concomitante;
della grazia interna ed esterna, ecc 6.
A n oi interessa la divisione della grazia — a m otivo del
fine a cui viene ordinata — in grazia gratum faciens e grazia
gratis data.
L a grazia gratum faciens — che è la grazia simpliciter,
abituale o santificante — ha lo scopo di stabilire l ’amicizia
soprannaturale tra D io e noi, dandoci una partecipazione
fisica e formale — benché accidentale — della natura di D io.
Abbraccia tre aspetti diversi, inseparabili tra di loro: la gra­
zia santificante propriamente detta, le virtù infuse e i doni
dello Spirito Santo.
La grazia gratis data, invece, ha per oggetto immediato
o diretto, non la santificazione di colui che la riceve, ma l’u­
tilità spirituale del prossimo. E si chiama gratis data perché
sta fuori non solamente della potenza naturale, ma anche del
merito soprannaturale della persona che la riceve. D ice San
Tommaso:
« D uplex est gratia: una quidem per quam ipse hom o D eo coniungitur

3 C f. I - I I , i i i , 4 , d if.i.
4 C f . 1 ,1 9 ,4 .
5 N e abbiamo parlato diffusamente a i n n . 32-43.
6 Cf. al n. 94 le suddivisioni della grazia attuale.
1036 I FEN O M EN I M IS T IC I ST R A O R D IN A R I

quae vocatur gratia gratum faciens; alia vero per quam unus hom o cooperatur
alteri ad h oc quod ad D eum reducatur; huiusm odi autem donum vocatur
gratia gratis data, quia supra facultatem naturae et supra m eritum personae
hominì conceditur. Sed quia n o n datur ad h oc u t hom o ipse per eam iu-
stificetur, sed potius u t ad iustificationem alterius cooperetur, ideo non v o ­
catur gratum faciens. E t de hac dicit A postolus (iC o r. 12,7). “ Unicuique da­
tur manifestatio Spiritus ad utìlitatem” , scilicet aliorum » 7.

547. 3. N a t u r a d e l l e g r a z i e « g r a t i s d a t a e » . - Sulle
otm e di S. Tom m aso possiamo precisare, riguardo alle gra­
zie gratis datae, i seguenti punti fondam entalis:
1) L e grazie gratis datae non fanno parte dell’organismo
soprannaturale della vita cristiana, form ato dalla grazia abi­
tuale, le virtù infuse e i doni dello Spirito Santo. N é hanno
punti di contatto con la grazia attuale, la quale pone in eser­
cizio gli abiti suddetti.
2) Sono puri epifenomeni della vita della grazia che per
sé possono verificarsi anche senza di essa.
3) N on sono né possono essere o ggetto di merito « de
congruo » né « de condigno » anche supposta la grazia
santificante. Per questo si chiamano per antonomasia gra­
tis datae.
4) N o n costituiscono un abito — come la grazia santi­
ficante, le virtù e i doni — ma l’anima le riceve alla maniera
di mozione transeunte.
5) N o n sono intrinsecamente soprannaturali (quoad sub-
stantiam), ma solo estrinsecamente (quoad modum), in quanto
cioè hanno un agente e un fine soprannaturale. Però in se
stesse sono realtà intrinsecamente e formalmente naturali.
6) Per il fatto stesso che codeste grazie non fanno parte
del nostro organismo soprannaturale, non hanno la loro ra­
dice nella grazia santificante, né mai le può produrre o esi­
gere il normale sviluppo di questa grazia.
7) Le grazie gratis datae richiedono, infatti, in ogni ca­
so un intervento diretto e straordinario di D io , di tipo mi­
racoloso.
D alle caratteristiche essenziali che abbiamo indicato pos­
siamo dedurre queste principali conseguenze:
a) Sarebbe temerario desiderare o chiedere a D io qu
ste grazie gratis datae. N on sono necessarie per la salvezza

7 Cf.
8 Cf. P . M e n é n d e z - R e i g a d a , L o s dones del Bspiritu Santo y la ptrfección
cristiana c.4. n .K .
L E C A U S E D EI F E N O M E N I ST R A O R D IN A R I 1037
né per la santificazione e molte di esse richiedono un mira­
coloso intervento di D io . V ale di più un piccolo atto di
amor di D io che risuscitare un m orto.
b) La causa strumentale di cui D io si serve per pro­
durre tali atti miracolosi — l’uom o •— non ha bisogno di
essere unita soprannaturalmente a lui mediante la carità.
c) Queste grazie gratis datae per sé non santificano co­
lui che le riceve sia perché le può ricevere in peccato mortale
e sia perché può rimanere in esso dopo averle ricevute.
d) Codeste grazie per sé non sono ordinate al bene del
soggetto a cui sono concesse, ma al profitto di altri e all’edi­
ficazione della Chiesa.
e) N on occorre che tutti i santi siano adorni di queste
grazie, dal mom ento che sono indipendenti dalla santità.
Difatti, m olti santi non le ebbero. S. A gostin o ne espone
m olto bene la ragione quando dice che D io non ha voluto
legare necessariamente questi doni miracolosi alla santità
per non dare ansa alla debolezza umana di badare di più
a queste cose che alle buone opere le quali ci meritano la v i­
ta eterna: « non omnibus sanctis ista tribuuntur, ne perni­
ciosissimo errore decipiantur infirmi, existimantes in talibus
factis maiora dona esse, quam in operibus iustitiae, quibus
aetem a vita comparatur » 9 .
Tuttavia, non bisogna esagerare troppo questa dottrina.
Certo, la grazia abituale o santificante per sé è ordinata a santi­
ficare colui che la riceve e le grazie gratis datae sono ordinate
per sé all’utilità del prossimo. M a non dobbiamo dimenti­
care che qualsiasi grafìa di D io è ordinata alla salvezza eter­
na com e a suo ultim o termine, sia estrinsecamente per una spe­
ciale disposizione di D io , sia intrinsecamente per sua propria
natura. La provvidenza di D io , che si adatta alla natura delle
cause seconde, vuole che alcuni uomini siano aiutati da altri
in ordine alla salvezza eterna. Per questo però si richiede
la grazia che può essere primo et per se ordinata alla salvezza e
santificazione di colui che la riceve, e primo et per se conferita
per procurare la salute degli altri. La grazia abituale però può
essere data per la santificazione di colui che la riceve in m odo
tale che possa e alle volte debba ridondare a beneficio degli
altri. E , al contrario, le grazie gratis datae, ancorché per sé
siano date per utilità degli altri, colui che le riceve può e
deve utilizzarle anche per intensificare la propria vita spi­
rituale. È possibile, per esempio, che quando un taumaturgo

9 Cf. S. A u g u s t ., D e divers. quaest. 83, q.79 ; ML 40,92 .


10 3 8 I FENOM ENI M IS T IC I STRAO RD IN AR I

risuscita un m orto col potere di D io sperimenti una vera scos­


sa di ammirazione, che riempirà la sua anima di sentimenti
di adorazione dinanzi alla maestà e al potere infinito di D io.
L a grazia gratis data, che per sé era ordinata all’utilità degli
altri — in questo caso, del m orto risuscitato e dei presenti
al miracolo — - ridonda secondariamente a utilità di colui che
ha operato come strumento di D io.
Suarez espone questa dottrina nel suo trattato De grafia:
« A ddendum vero est gratiam gratum facientem ita dari in bonum reci-
pientis, u t possit etiam et debeat in aliorum utilitatem redundare et exer-
ceri; et e converso gratiae gratis datae, licet ad aliorum utilitatem dentur,
nihilom inus qui eas recipit potest et debet, per earum usum , proprjam spi-
ritualem utilitatem et profectum procurare » I0.

Tanto è vero che solo nei grandi santi sogliono risplen­


dere queste grazie gratis datae, essendo difficilissimo trovarle
nelle anime imperfette, e ancora m olto meno nei grandi pec­
catori. Cristo com piva i suoi miracoli non soltanto per con­
fermare la sua dottrina, ma come argom ento in favore della
sua persona. E promise queste grazie anche a coloro che
avrebbero creduto in lui com e segno di riconoscimento:
« Cacceranno i demoni in mio nom e, parleranno nuove lin­
gue; prenderanno in mano i serpenti, e se avranno bevuto
qualcosa di mortifero, non farà loro del male; imporranno le
mani ai malati e saranno guariti » “ . In altre occasioni e-
sdam ò: « Chi crede in me, compirà anche lui le opere che io
faccio, anzi ne farà delle m aggiori, perché io vado al Pa­
dre» IJ. L ’allusione alle grazie gratis datae è certa. Per que­
sto S. Tom m aso dice che in Cristo « excellentissime fuerunt
omnes gratiae gratis datae » 13 . S. Paolo parla di simili gra­
zie come di cosa normale nella Chiesa e approva anche che
si procurino e si desiderino, anteponendo però sempre la
virtù della carità, che è la più eccellente di tutte 1 -t. L a qual­
cosa non si spiegherebbe se non avessero nessuna relazio­
ne con la santità. D ice Suarez:
« L icet D eus secreto consilio interdum per hom inem hypocritam mi-
raculum faciat v el extraordinarium beneficium concedat, id rarum est;

10 C f. S u a r e z , D e gratta p roleg.3,c.4, n.7.


11 Cf. M arco 16,17-18.
12 C f. G io v . 14,12.
■3 C f. 111,7,7-
1 4 C f. iC o r ., CC.1 2 -T4 .
L E C A U S E D EI F E N O M E N I STR AO R D IN AR I 10 3 9

ordinario vero non nisi per iustos et bonos talia signa operantur » I5.

Certi autori ammettono una duplice serie di grazie gra­


tis datae. A lcune sarebbero ordinate primo et per se all’utilità
degli altri, tali com e la grazia di curare malattie, la discre­
zione di spiriti, il dono delle lingue, ecc., e altre sarebbero
ordinate anzitutto all’utilità di colui che le riceve. Queste
ultime si dovrebbero chiamare anche gratis datae in quanto
che non sono assolutamente necessarie per la santificazione
né appartengono allo sviluppo normale della grazia santi­
ficante. T ali sarebbero, per esempio, le visioni, le rivelazioni,
i rapimenti e altre cose simili. Questa dottrina viene esposta
cosi da Lopez Ezquerra nell’opera Lucerna mystìca.
<( A liae com m uniter vocantur gratiae gratis datae, quae non ad prosim i
utilitatem sed ad propriam animae recipientis saluterà diriguntur, et late
m odo gratiae gratis datae dicuntur, quia nim irum sunt beneficia gratis a
D om in o concessa..., et huius generis sunt visiones, revelationes, raptus,
extases, et his similia, quae nullus negare poterit quod excedant naturae
facultatem » l6.

Comunque sia, è certo che le grazie gratis datae hanno


quasi sempre una benefica irradiazione sull’anima di coloro
che le ricevono e che, almeno m olte di esse, accompagna­
no quasi sempre gli stati elevati di orazione che caratteriz­
zano i grandi santi.

548*4. N u m e r o d e l l e grazie « g ra tis datae». -


Come base fondamentale occorre tener presente la classfi-
cazione di S. Paolo, il quale scrive ai Corinti:
« La manifestazione dello Spirito è data a ciascuno per Futilità comune.
Infatti dallo Spirito ad uno è dato il lin guaggio della sapienza; ad un altro
il lin gu aggio della scienza, ma secondo il medesimo Spirito; ad uno la fe­
de, nel medesimo Spirito; ad un altro il dono delle guarigioni, neirunico
Spirito; ad uno il dono di operar miracoli; ad un altro la profezia; ad uno il
discernimento degli spiriti, a un altro la diversità delle lingue, e a un altro
l'interpretazione delle lingue. O r, tutte queste cose le com pie un solo e me­
desim o Spirito, distribuendole a ciascuno in particolare secondo vuole » T7.

S. Tom m aso — e con lui la m aggior parte dei teologi


— accettano la nomenclatura dell’A po sto lo e si sforzano

*5 Cf. S u a r e z , D e gratta proleg. 3, c.4, n. n .


16 Cf. L o p e z E z o u e r r a , Lucerna mystica tr.4, c.x, n.6.
' 7 Cf. iCor. 12,7-n.
104 0 I FENOM ENI M IS T IC I STRAO RD IN AR I

di giustificarla filosoficam entelS. N o n mancano, tuttavia


teologi ed esegeti i quali pensano che S. Paolo non abbia
avuto l’intenzione di formulare una enumerazione completa
e rigorosa di tutte le grazie gratis datae esistenti o possibili
E g li avrebbe indicato principalmente quelle che più interes­
savano l ’apostolato e il ministero della Chiesa. Fuori della
sua enumerazione esistono m olti altri doni gratuiti, ai quali
bisogna riferire una buona parte dei fenomeni mistici straor­
dinari.
La moderna interpretazione degli esegeti non si oppone
alla dottrina di S. Tom m aso. L ’A ngelico, nell’articolo che
dedica all’esposizione delle grazie gratis datae lr>, non si pro­
nuncia sul numero delle medesime, ma, accettando la descri­
zione di S. Paolo, le coordina e spiega con maestria, facendo
astrazione dalla questione se la classificazione sia adeguata ed
esauriente. In nessuna parte del citato articolo il santo af­
ferm a che le grazie gratis datae non possono essere né più
né meno di quelle enumerate dall’A postolo. Possiamo am­
mettere l’opinione dei teologi e degli esegeti moderni senza
allontanarci dalla classificazione di S. Tom m aso, che si può
cosi riassumere 30:

L a G R A Z IA « G R A T IS DATA »

è ordinata all’istruzione del prossimo nelle cose divine:

Fides, sui principi.


Sermo sapientiae, sulle principali
i) Per avere una cono­
conclusioni.
scenza piena di esse:
Sermo scientiae, sugli esempi e su­
gli effetti.

Grafia sanitatum
Operando
2) Per confermare la ri- Operatio virtutum
velazione divina. E
questo in due manie­
re: Prophetia
Conoscendo
Discretio spiritrnrn

*9 Ivi.
10 C f . G a r r ig o U 'L a g r a n g e , D e revetatìone t . i , p . 209.
L E C A U S E D EI F E N O M E N I STR AO R D IN AR I 1041

3) Per proporre conve- | Genera linguarum


nientemente la parola !
di D io agli uditori: | Interpretatio sermonum

5. E s p o s i z i o n e di o g n u n a di e s s e . - Seguendo l ’or­
dine schematico riportato, daremo una breve spiegazione di
ogni grazia «gratis data » 21.
549. a) Fides. - La fide.:, in quanto grazia gratis data,
non è evidentemente la virtù teologale per m ezzo della quale
aderiamo alle verità rivelate; ma gli autori non sono d’accor­
do nel precisarne il significato.
A lcuni vedono in essa la fede che com pie miracoli;
quella fede che, secondo la parola di N ostro Signore (Mat.
17,19), ripetuta da S. Paolo (iC or. 13,2), trasporta le monta­
gne. Questa è l’interpretazione di S. G iovanni Crisosto­
mo ” , di m olti altri Padri greci e latini e di alcuni scolastici,
tali come Gaetano, Salmeròn e Vàsquez 23.
A ltri la intendono come una specie di eroica intrepidezza
per confessare, predicare e difendere le verità della fede, e
anche la costanza con cui alcuni confessano la fede nelle per­
secuzioni.
A ltri vo glion o che questa fede sia una certa virtù
e facoltà con la quale alcuni, ancorché non comprendano in
maniera distinta e perfetta le verità dogm atiche, riescono a
spiegarle agli altri con un maestria ed esattezza mirabile,
alle volte superiore a quella dei più famosi teologi.
S. Tom m aso, seguito dalla m aggior parte dei teologi
ed esegeti, sostiene che si tratta di una sovreminente certez­
za della fede che rende capace chi la possiede di proporre
agli altri le verità che essa insegna. E g li dice testualmente:
« Fides non numeratur hic inter gratias gratis datas secun­
dum quod est quaedam virtus iustificans hominem in se
ipso, sed secundum hoc quod importat quondam superemi-
nentem certitudinem fidei, ex qua hom o fit idoneus ad instru-
endum alios de his quae ad fidem pertinent » *
In questo senso, la grazia della fede si dovrebbe a una mi­
racolosa illuminazione dello spirito, assecondata da una

21 Per fare questa esposizione abbiamo consultato S . T o m m a s o , R i b e t ,


L a mystique divine t.3, c.5, e B e r a z a , D e grafia Christi nn.18-27.
31 Cf. H om . 29 in epiit. iC o r . 12 ; M G 61,245.
23 Cf. S u a r e z , D e grafia proleg. 3 c .5 , n .io .
24 Cf. I-II, 1 11 ,4 ad 2.
10 4 2 I FENOM ENI M IS T IC I ST R A O R D IN A R I

parola lucida, ardente e facile, che convincerebbe gli altri.


D ’altra parte, però, siccome nulla impedirebbe di attribuire
il potere e la forza della parola di quest’anima a una irradia­
zione della sua intima fede (come virtù teologale), occorre
indicare qualche elemento che ci permetta di stabilire una
chiara distinzione tra la virtù infusa e la fede grazia gratis
data. Secondo Suarez tale distinzione è data dal fatto che la
fede virtù infusa è un abito permanente, mentre la grazia
gratis data consiste in un atto, in una mozione attuale e tran­
sitoria dello Spirito Santo, dal quale risulta il dono sopranna­
turale della eloquenza >5 .
550. b) Sermo sapientiae. - L a « sapienza » viene con­
siderata come una conoscenza saporosa delle cose eterne,
cioè nello stesso senso del dono dello Spirito Santo. Tuttavia
la sapienza dono è un gusto sperimentale delle cose divine per­
cepito soltanto dall’anima, mentre la sapienza grafia gratis
data (sermo sapientiae) è la capacità dell’anima di comunicare
agli altri per m ezzo della parola questo gusto soprannaturale
in m odo da istruirli, deliziarli e com m uoverli profondamen­
te 26. È la facoltà di spiegare ai fedeli la « sapienza » della
religione cristiana, cioè, gli altissimi misteri della Trinità,
dell’incarnazione, della redenzione e predestinazione, come
sapeva fare S. Paolo.
Q uesto è il carisma proprio e caratteristico degli apostoli.
Con le dovute proporzioni, si può intendere anche degli apo­
stoli di tutti i tempi e di tutti i luoghi. N o n mancano per que­
sto autori che identificano il carisma del sermo sapientiae
con il dono che chiamano apostolato.
551. c) Sermo scientiae. - L a « scienza » è la grazia che
propone e fa gustare all’anima le verità divine per mezzo
di ragionamenti, che ne mostrano l’armonia e la bellezza,
e per m ezzo di analogie e di esempi presi dalla natura, che
aiutano a intenderle. È la facoltà di comunicare e di dimo­
strare le verità della religione cristiana in m odo tale che,
tutti, anche i più rudi, le possano intendere e ritenere. San-
t ’A gostin o — meno esattamente a quanto pare — insegna che
il sermo scientiae è la facoltà di esporre le cose che apparten­
gono alle buone opere e ai costumi 3t.
T ra la grazia gratuita della « scienza » e il dono corrispon-

2<> Cf. R ib e t , o.c., t.3, c.5, n.6.


26 Cf. II-II,177,1-2.
a7 Cf. S. A u g ., D e Trinit., l . i z , c.14; M L 42,1009-12.
LE C A U S E D EI F E N O M E N I STR AO R D IN AR I 10 4 3

dente esiste la stessa relazione che c’è tra la grazia gratuita


della sapienza e il dono corrispondente. Il dono è per l’anima
che lo riceve, la grazia gratuita è per l’istruzione e l’edifi­
cazione del prossimo. D ice S. Tommaso:
« Sapientia et scientia non com putantur inter gratias gratis datas secun­
dum quod enumerantur inter dona Spiritus Sancti, prout scilicet mens ho­
minis est bene m obilis per Spiritum Sanctum ad ea quae sunt sapientiae
et scientiae...; sed com putantur inter gratias gratis datas, secundum quod im-
portant quamdam abundantiam scientiae et sapientiae, ut hom o n o n possit
non solum in seipso recte sapere de divinis, sed etiam alios instruere et con-
tradicentes « vin cere. E t ideo inter gratias gratis datas signifìcanter ponitui
sermo sapientiae et sermo scientiae, quia, u t A ugustinus dicit (D e Triniiate
I.14, c .i ad med.), aliud est scire tantummodo quid hom o credere debeat
propter adipiscendam vitam beatam; aliud est scire quem adm odum hoc
ipsum et piis opituletur, et contra im pios defendatut » 28.

Q uesto carisma sermo scientiae lo avevano i dottori, che


S. Paolo nomina dopo gli apostoli e i profeti (iC o r. 12,28).
I dottori erano distribuiti nella prim itiva Chiesa per le città
e i paesi dove risiedevano, e avevano la facoltà di spiegare
in modo conveniente ai catecumeni e ai neofiti le verità della
fede cristiana. Tuttavia, l’ufficio dei « dottori » era distinto
dall’ordinario ministero ecclesiastico, benché ai ministri
ordinari della Chiesa incombesse pure l’ufficio di insegnare
ed esortare i fedeli.
Però è necessario avvertire che 'quando la santità in­
teriore accompagna le grazie esteriori, cioè, quando nell’in­
timo dell’anima i doni dello Spirito Santo hanno raggiunto
proporzioni straordinarie, le grazie gratuite della « sapienza »
e della « scienza » si possono considerare com e una irradia­
zione e una estensione dei doni corrispondenti dello Spirito
Santo. O , se si vuole, possiamo dire che, in quanto procurano
la santificazione dell’anima che li riceve, la « sapienza »
e la « scienza » sono doni dello Spirito Santo; e vengono ad
essere grazie gratis datae in quanto concorrono all’edifica­
zione del prossimo. D ice Suarez:
« Interdum potest illa scientia et sapientia consistere in
donis Spiritus Sancti valde perfectis, quae in se sunt dona
gratiae gratum facientis, usus autem illorum ad aliorum
utilitatem potest ad gratias gratis datas pertinere » J9.

’-8 Cf. 1-11 , 1 1 1 ,4 ad 4.


*9 Cf. S u a r e z , D e g r a t t a , p r o l e g . J , 0.5, n.8; R i b e t , o .c ., c.5, n.5.
10 4 4 I FENOM ENI M IS T IC I STR AO R D IN AR I

552. d) Gratia sanitatum. - Questa grazia comprende


e include i fatti miracolosi che hanno per oggetto la salute
corporale. È la facoltà di guarire le malattie in un m odo che
supera le forze della natura.
È una delle form e del dono dei miracoli (operatio virtu-
tum); però questa form a merita una menzione speciale avu­
to riguardo alla preferenza che per l’uom o hanno le cose
appartenenti al suo corpo in relazione a quella delle sempli­
ci cose esterne. Si può indicare ancora un’altra differenza:
la gratia sanitatum ha lo scopo di conferirci il benefìcio della
salute corporale, mentre la operatio virtutum si dirige, anzi­
tutto, alla manifestazione della gloria di D io e a confermarci
nella fede.
Tommaso dice: « Gratia sanitatum commemoratur
seorsum, quia per eam confertur homini aliquod benefi-
cium, scilicet corporalis sanitatis praeter beneficium commu-
ne quod exhibetur in omnibus miraculis, ut scilicet homines
adducantur in D ei notitiam»3°.
I Salmaticesi scrivono: « D ividitur (gratia miraculorum)
in “ gratiam sanitatum” , u t cum miracula fiunt ad reme­
dium nostrae corporalis salutis et vitae; et in “ operationem
virtutum ” , ut cum solum manifestant divinam omnipoten-
tiam eaque manifestatione fidei confirmant»3t.
553. «) Operatio virtutum. - « Q uesta grazia indica co­
munemente il dono dei m iracoli nell’ordine fisico, con cui
sta in relazione, come la specie al genere, la gratia sani­
tatum, di cui abbiamo parlato. A bbraccia, quindi, tutte le
derogazioni alle leggi della natura, realizzate sull’uom o o sul­
le altre cose sensibili, sia per convincere della realtà della
dottrina, sia per manifestare il potere della santità. È un
privilegio glorioso che possiede soltanto la Chiesa di Gesù
Cristo come testimonianza irrefragabile della sua celestiale
origine e della sua missione divina » 3 *.
II testo greco dell’epistola di S. Paolo pone al plurale
queste due ultime grazie: z a g i o f i a x a ìa fià x c o v = « gratiae sani­
tatum »; sv sq y rjfÀ a ra òvvapemv — « operationes virtutum »
(vers, g-io). Cosi insinua chiaramente che questi due carismi
devono essere considerati come due generi, che includono sot-

3 ’ Cf. 11-11,178,1 ad 4.
3 1 Cf. Salm anticenses, A r b o r praedìcament. virtutum § 17, n . l 66.
3’ Cf. Ribet, o.c., t.3, c.5, n.8; 11-11,178.
LE CAU SE DEI FENOM ENI STRAORDINARI 10 4 5

to di sé varie specie diverse. D i m odo che coloro i quali era­


no adorni di questi carismi non guarivano tutte le malattie
né producevano ogni specie di miracoli, ma unicamente quelli
per cui lo Spirito Santo dava loro una virtù speciale. Per le
diverse malattie e le distinte specie di miracoli si richiede­
vano diversi carismi 33.
554 / ) Prophetia. - S. Tom m aso dedica quattro que­
stioni della Somma a questa grazia 3 *, e v i fa allusione in quasi
tutte le altre opere.
Questione 171. - 1) L a profezia è un fenom eno di cono­
scenza. È un miracolo intellettuale che abbraccia un duplice
elemento: una conoscenza intellettuale soprannaturale e la
manifestazione di codesta conoscenza (a.i).
2) A somiglianza delle altre grazie gratis datae, la profe­
zia non è un abito. Il profeta riceve la luce profetica a modo
di passione e di impressione transeunte (a. 2).
3) Benché sia certo che la luce profetica possa avere per
oggetto tanto le cose divine quanto le umane, tanto le spi­
rituali quanto le corporali, tuttavia, le appartiene propria­
mente la rivelazione dei futuri contingenti (a.3).
4) Il profeta non conosce per m ezzo della divina rivela­
zione tutte le cose che si possono conoscere profeticamente
— sarebbe necessario per questo contemplare in se stessa
la Verità prima, che è il Principio di dove emanano —
ma unicamente quelle che gli vengono comunicate per mez­
zo della divina rivelazione (a.4).
5) Il profeta ha la massima certezza che gli è stato rive­
lato da D io tutto quello che conosce in virtù dello spirito
profetico; però le cose che conosce unicamente per mezzo
del suo istinto profetico non hanno per lui certezza assoluta,
né può pienamente distinguere se le pensò per m ezzo di un
istinto divino o solo per m ezzo del suo spirito (a.5).
6) Siccome la profezia non è che un riflesso della divina
prescienza, è impossibile che si riferisca a qualcosa di fal­
so (a.6).
Questione 172. - 7) Siccome la profezia propriamente det­
ta si riferisce ai futuri contingenti, che sfuggono nella ma­
niera più assoluta a ogn i previsione umana, è impossibile
che abbia una causa propriamente naturale. Si può verifi­
care solo per divina rivelazione (a.i).

33 C f. B e r a z a , D e gratia Chrìstì n .2 3 .
34 C f . 1 1 - 1 1 ,1 7 1 - 7 4 .
10 4 6 I FENOM ENI M ISTICI STRAORDINARI

8) L a rivelazione profetica ha per autore principale Dio


stesso; e giunge agli uom ini per mezzo degli angeli, come
ministri di D io (a.2).
9) N o n si richiede per la profezia nessuna disposizione
previa naturale. Viene infusa negli uom ini per la sola vo­
lontà dello Spirito Santo (a.3).
10) A n corch é per i cattivi costumi e gli affetti disordina­
ti venga posto un grande impedimento alla profezia, tutta­
via, può esistere in un soggetto p rivo di carità, dal momen­
to che tocca l ’intelligenza (non la volontà, come la carità)
ed è infusa da D io per utilità del prossimo, non per la santi­
ficazione propria (a.4).
11) Il demonio non può essere la causa di una profezia
propriamente detta, perché la conoscenza dei futuri contin­
genti trascende le forze dell’intelligenza angelica, essendo
propria ed esclusiva di D io (a.5).
12) Tuttavia i falsi profeti ispirati dal demonio, dicono
alle volte qualche verità sia perché è impossibile una co­
noscenza totalmente falsa senza alcuna mescolanza di verità,
sia per una speciale disposizione dello Spirito Santo, come
nel caso di Balaam. Il vero che dicono procede dallo Spi­
rito Santo (a.6 c et ad 1).
Questione 173. - 13) L e cose che i profeti conoscono
le percepiscono contemplando l’essenza divina; ma in certe
somiglianze, riflesse come in uno specchio e percepite per
divina illustrazione (a.i).
14) A lle volte la rivelazione viene fatta ai profeti mediante
una semplice illuminazione del loro intelletto e altre volte
mediante nuove specie infuse oppure ordinate in un’altra ma­
niera (a.z).
15) La visione profetica non sempre avviene con astra­
zione dai sensi ossia, in maniera tale che il profeta non per­
cepisca nulla mediante i suoi sensi esterni; ma solamente
quella che si verifica in sogno o nella contemplazione delle
cose divine per m ezzo di specie immaginarie, affinché non
si confonda con ciò che si sta percependo esteriormente (a.3).
16) Siccome i profeti sono mossi dallo Spirito Santo,
come strumenti deficienti rispetto all’agente principale, non
è necessaro che i profeti conoscano tutte le cose che lo
stesso Spirito divino intende manifestare nelle loro visio­
ni; nelle parole o nei fatti profetici (a.4).
Questione 174. - 17) La profezia si divide conveniente­
mente secondo la divina predestinazione, la prescienza e
la comminazione (a.i).
LE C A U S E DEI FENOM ENI STRAORDINARI 1047

18) L a profezia che avviene per m ezzo di visione intel­


lettuale è molto più eccellente di quella che avviene per
mezzo di visione immaginaria e di somiglianze con le cose
materiali (a. 2).
19) I gradi della profezia propriamente detta bisogna
stabilirli secondo le differenti classi di visioni immaginarie,
non secondo le visioni corporali (per difetto) nè secondo
quelle intellettuali (per eccesso) (a.3).
20) Tra tutti i profeti dell’A n tico Testamento, Mosè
fu simpliciter il m aggiore, la qual cosa non impedisce
che altri fossero m aggiori secundum quid (a.4).
21) Siccome la profezia include in sé la visione di una ve­
rità soprannaturale lontana, ne segue che non è possibile tra
i beati (a.5).
22) L a profezia, in quanto era ordinata alla manifestazio­
ne della fede, crebbe col succedersi dei tempi; tuttavia in
quanto per m ezzo di essa D io dirigeva il genere umano
nelle sue opere, non conveniva che si diversificasse secondo
i diversi tempi, ma secondo le necessità di queste stesse
opere (a.6).
L e conclusioni dell’A n gelico D ottore ci serviranno per
giudicare riguardo alla verità o falsità delle profezie che si
registrano frequentemente nelle storie dei veri e falsi mi­
stici.
555. g) Discretio spirituiim. - È la facoltà di distinguere
i veri dai falsi profeti; lo spirito buono dal cattivo; le ispi­
razioni di D io dagli inganni del demonio; le m ozioni della
grazia dai semplici m ovim enti della natura.
Q uesto dono della discrezione di spiriti veniva confe­
rito ordinariamente, nella prim itiva Chiesa, insieme al dono
della profezia; di m odo che l’esortazione di un profeta
era giudicata dagli altri profeti in virtù del loro dono di
discernimento. L a discrezione di spiriti si deve considerare,
dunque, come un complemento della profezia onde prevenir­
ne i pericoli.
S. Filippo N eri, S. Giuseppe da Copertino, M . Olier
e soprattutto S. Rosa da Lim a e il santo Curato d’Ars pos­
sedettero questo dono in grado eminente (cf. nn. 604-606).
556. h) Genera linguarum. - È la « glossolalia »,
o dono delle lingue, che si presenta sotto varie forme.
Consiste ordinariamente in una conoscenza infusa di idio­
mi stranieri senza nessun previo studio od esercizio. Il
prodigio si verifica in colui che parla o in coloro che ascol­
tano, secondo che si parla o si intende una lingua fino allora
10 4 8 I FENOM ENI M IS TIC I STRAORDINARI

sconosciuta. A lle volte però il miracolo assume un carattere


ancora più meraviglioso: mentre l’oratore si esprime in
un idiom a straniero, gli uditori lo ascoltano nel loro lin­
guaggio completamente differente; o quello che è ancora più
prodigioso, uom ini di diverse nazioni ascoltano, ciascuno
nel proprio idioma, quello che l’oratore va dicendo in un
solo idioma completamente diverso 35.
Questa « glossolalia » raggiunse la sua manifestazione
più clamorosa nel giorno di Pentecoste quando gli apostoli
cominciarono a magnificare in diverse lingue le grandezze
di D io (Atti 2,4).
557. /) Inierprctalio sermonum. - N ella Chiesa primitiva
questo dono fu un complemento del precedente. A vven iva
con frequenza che le parole proferite mediante il dono del­
l e lingue non erano intese dagli uditori, perché il fenomeno
si realizzava solo in colui che parlava. D iventava quindi ne­
cessario un altro dono per interpretare quelle strane parole.
Questo dono consisteva pertanto nella facoltà di esporre
in lingua conosciuta le cose proferite in altra lingua.
Q uesta facoltà alle volte accom pagnava lo stesso glosso-
lalo; altre volte la riceveva qualcuno dei presenti subita­
mente ispirato dallo Spirito Santo. Coloro che possede­
vano questo carisma si chiamavano « interpreti », ed il
loro ufficio consisteva nell’interpretare i glossolali, esporre
pubblicamente le epistole di S. Paolo o di altri e tradurle
in altri idiomi.
N ostro Signore possedette tutte queste meravigliose
manifestazioni dello Spirito Santo in m odo eminente e
in form a di abiti permanenti s6. N ei santi non si trovano
se non con riserve e alternative 37; mai o rarissime volte
in form a abituale.
Quando studieremo i fenomeni mistici in particolare,
vedrem o l’importantissima parte che bisognerà attribuire
alle grazie gratis datae nella spiegazione di tali fatti.

35 Cf. n -11,176.
36 Cf. 111,7,7.
37 Cf. L ó p e z E z q u e r r a , Lucerna mystica tr,4, c . i , n.8.
L E C AU SE DEI FENOM ENI STRAORDINARI 10 4 9

A r t ic o lo II

L e cause puramente naturali

In questo articolo esamineremo il problem a da un punto


di vista generale, riservando la spiegazione della parte che la
natura può avere in ogni caso quando studieremo i feno­
meni mistici in particolare 3 » .
558. I. I m p o r t a n z a e d i f f i c o l t à di questa m ateria.-
« È evidente che la natura, particolarmente nell’uom o, può
presentare anomalie e fenomeni sorprendenti, che confinano,
almeno apparentemente, con i prodigi soprannaturali; e
questa somiglianza porta con sé il pericolo tanto grave quan­
to frequente di confondere questi due ordini, in realtà tanto
differenti.
« È , quindi, di importanza capitale rilevare codesto pe­
ricolo, conoscere le cause e diverse form e e stabilire delle
regole precise per evitare o prevenire le illusioni.
« A lle volte è m olto grande la difficoltà di discernere
il soprannaturale dal naturale. Il soprannaturale comincia
dove finisce il naturale. Se questi limiti, che segnano il ter­
mine della natura e il subentrare di una forza superiore,
fossero nettamente definiti e perfettamente caratterizzati,
la confusione tra i due ordini sarebbe impossibile e non sareb­
be necessario studiare i fenomeni naturali che possono ras­
somigliare a quelli mistici. Purtroppo, però benché la natura
abbia le sue leggi fisse e debba riconoscere frontiere che non
le è permesso oltrepassare, la imperfettissima conoscenza
che abbiamo delle potenze intrinseche degli esseri naturali
e delle loro condizioni esteriori di azione ci espone a grandi
perplessità e anche al pericolo di incorrere in veri errori e in­
ganni riguardo alle autentiche frontiere che dividono e se­
parano i due mondi: il naturale e il soprannaturale» 39.
Se a questo aggiungiam o che molte volte le due cose
si presentano unite e mescolate poiché un medesimo feno-

3 8 A bbiam o consultato principalmente: R ib e t, L a mystique divine t.4


(Paris 1903); M é r i c , Vimagination et les prodiges (Paris 1927); D r . T . P o o d ,
Los fenomenos misteriosos delpsiquismo; D r . S u r b l e d , L a moral en sus relacio-
nes co» la medicina (Barcellona 1937); D r . H e n r i B o n , Medicina e religione
(Torin o 1948); G o e r r e s , L a mystique divine (Paris, 1861-62).
39 Cf. R i b e t , o . c t.4, c .i nn.1-2.
10 5 0 1 FENOM ENI M IS TIC I STRAORDINARI

meno presenta aspetti naturali e soprannaturali, la difficoltà


aumenta e nella pratica si richiede una straordinaria abilità
e cautela per riuscire a distinguere il naturale dal sopranna­
turale.
A d ogni m odo, non è il caso di esagerare. Uno spirito
colto, riflessivo e attento troverà sempre in ogni caso dati
sufficienti per poter formulare la sua diagnosi con tutte
le garanzie della riuscita. N on sappiamo certamente tutto
quello che la natura può, sappiamo con certezza quello che asso­
lutamente non può. N ella m aggior parte dei casi basterà stu­
diare attentamente il fenom eno prodotto, con tutte le sue
circostanze ed effetti, per poter discernere con le massime
garanzie di sicurezza se si tratta di qualcosa di naturale o
se è necessario cercare una causa più alta del m ondo sensi­
bile o in che proporzioni si mescolano naturale e sopranna­
turale. In questo esame è necessario evitare due estremi
ugualmente errati: quello di trasformare continuamente
lo straordinario in soprannaturale e quello di non vedere
mai se non effetti e manifestazioni di forze occulte della
natura.
559 2 . Cause p r i n c i p a l i dei fenomeni d i o r d i n e n a ­
t u r a l e . - Lasciando da parte i pseudofenomeni prodotti
dall’inganno che non è m olto difficile scoprire, le principali fon­
ti di questa specie di fenomeni puramente naturali sono quattro:
1) Elem enti di ordine fisiologico.
2) L ’immaginazione.
3) G li stati depressi dello spirito.
4) L e malattie.
560, 1 ) Elementi di ordine fisiologico. - Senza giungere
agli eccessi della crim inologia di Lom broso — che trasforma
i delinquenti in altrettanti infermi proclamando la dottrina
che la condotta dell’uom o è il risultato fatale delle sue ten­
denze innate alle quali è impossibile resistere — è neces­
sario riconoscere che il temperamento, ossia, la natura fisica
dell’uom o cioè l’insieme delle sue inclinazioni innate,
modificate dall’ambiente fisico 4°, esercita una parte molto
importante nella complessa trama della psicologia umana.
L a spiegazione di questo fatto dev’essere ricercata nel­
le strettissime relazioni che esistono tra il corpo e l’anima.
Essendo sostanze incom plete, ordinate l ’una all’altra, es-

4° Cf. G u ib e r t, Il carattere c.IV .


LE CAU SE DEI FENOM ENI STRAORDINARI 10 51

se si uniscono in un tutto sostanziale per costituire il no­


stro io unico. D eriva di qui la costante e mutua ripercussione
dell’elemento somatico su quello psichico e viceversa. Una
notizia inattesa, appresa dal nostro intelletto, accelera for­
temente i battiti del cuore. Una leggera anomalia nel fun­
zionamento di uno qualsiasi dei nostri organi vitali è capace
di sconvolgere il nostro spirito, rendendolo incapace di
disimpegnare speditamente le sue funzioni.
O ccorre perciò badare attentamente all’elemento fi­
sico-psichico del paziente quando si tratta di cercare le cau­
se dei fenomeni mistici e di giudicare della loro verità
o falsità in un caso determinato.
Il card. Bona, quando parla delle visioni e delle rivela­
zioni e formula delle regole per discernere quelle vere dalle
false, raccomanda di esaminare con esattezza la costituzione so ­
matica del paziente a causa dell’influsso che può esercitare
su tali fenomeni. E g li scrive:
« Consideranda corporis constitutio, ex qua plcrumque animi mores
pendent. Etenim facile decipi possunt, qui parum firma valetudine utuntur,
qui turbidae ac vehem entis imaginationis sunt, qui atra bile abundant quae'
depravare phantasiam solet, variasque imagines tutbatis sensibus imprime­
re, adeo u t vigilantes sibi somnia fingunt, atque ea se videre et audire exi-
stimant quae nec visu nec auditu percipiunt» 4*.

I principali elementi di ordine fisiologico che m aggior­


mente possono influire sulla produzione dei fenomeni ap­
parentemente mistici sono: il temperamento, il sesso e l’età
561. a) I! temperamento «. - Tra tutti i temperamenti fi­
siologici, il melanconico è quello più propenso ed esposto
alle illusioni mistiche. Si ricordino le pagine che S. Teresa
gli dedica ponendo in guardia le priore riguardo all’am­
missione o alla condotta che devono osservare con le mona­
che « malinconiche » 4 4.
In forza della sua medesima natura il melanconico ten­
de alla concentrazione dello spirito e alle stravaganze del­
l’immaginazione. Si comprende facilmente com e, portata
all’eccesso, l’astrazione delle cose esterne abbia qualche
cosa di simile all’estasi e come la vivacità delle immaginaziò-

41 Cf. C a r d . B o n a , D e discretione spìrituum c .2 0 , n.$.


42 C f. R i b e t , o . c . , t.4 , c .3 .
43 N e abbiamo parlato ai nn.499-506.
44 C f. S. T e r e s a , Fondazioni c .7 .
10 5 2 I FENOM ENI M IS T IC I ST R A O R D IN A R I

ni suscitate nello spirito faccia credere a visioni e a rivelazio­


ni soprannaturali.
Il temperamento nervoso, nel quale predominano l ’im­
pressionabilità e il m ovim ento, può causare le medesime il­
lusioni. L e com m ozioni im provvise e profonde imprimono
una scossa brusca nella fantasia, la esaltano e le fanno vedere
dappertutto, nello sconvolgim ento delle sue immaginazioni,
lo straordinario e il soprannaturale: divino o diabolico,
triste o allegro, secondo le circostanze.
Il temperamento sanguigno, amico del piacere e avido
di carezze, è naturalmente proclive alle dolcezze mistiche,
alle soavità spirituali e quindi a tutte le illusioni della vita
affettiva e sentimentale.
N o”, si deve esagerare. - Per il fatto stesso che codeste ten­
denze somatiche espongono all’errore, sarebbe assurdo con­
cludere che le grazie mistiche vere non si trovano mai nelle
complessioni indicate. D io distribuisce le sue grazie secondo
la sua misericordia e la sua bontà. I desideri della natura
non possono innalzare a queste altezze come le difficoltà del
temperamento non impediscono di raggiungerle quando a
D io piace di comunicarle. S. Tom m aso proclama questa
dottrina qando parla della profezia 45, e altrettanto si deve
dire di tutte le altre com unicazioni soprannaturali. La storia
delle anime ammesse a questi favori della grazia, attesta
chiaramente che D io sa adattarsi alle più diverse comples­
sioni, e che nessuna di esse può costituire un ostacolo in­
superabile a Colui che creò tutto dal nulla.
562. b) II sesso. - A parità di circostanze, le donne sono
più predisposte all’illusione. Il loro organism o nervoso,
delicato, affettuoso, le rende più accessibili al sentimento
che alla ragione, alia passività che al dominio di se medesi­
me. M olto più pure dell’uom o — quando sono pure — van­
no a D io con uno slancio più facile. Essendo deboli, inco­
stanti, insaziabili di em ozioni, non è strano che alle volte
facciano della pietà un asilo e un appoggio per fomentare
ogn i specie di illusioni spirituali.
Per questo, tutti i maestri della vita spirituale raccoman­
dano di diffidare quando si presentano i primi sintomi di
fenomeni straordinari nelle anime femminili la cui virtù
non è ancora m olto solida. O ccorre guardarsi dalle loro im­
pressioni, dalle loro insinuazioni e relazioni, e non pronun­

45 Cf.
LE CA U SE DEI F E N O M E N I STR AO R D IN AR I 10 5 3

ciarsi sulla natura soprannaturale dei loro fenomeni se non


dopo maturo esame e le p rove più convincenti. S. Teresa,
quando parla di questo argom ento delicato fa giudiziose
osservazioni: ne aveva grande esperienza ■ («.
Tuttavia è necessario aggiungere in favore del sesso debole
che questi svantaggi puramente somatici sono compen­
sati nella donna da una abnegazione e generosità nel ser­
vizio di D io incomparabilmente superiori a quella dell’uomo.
D ifatti, tutti gli autori sono costretti ad ammettere che
la parte m igliore nella distribuzione delle grazie mistiche
tocca alle donne. Chi negasse questo fatto manifesterebbe
solo la sua ignoranza riguardo alla storia della spiritualità
cristiana.
563. c) L ’ età. - Infine indipendentemente dalla sua in­
tima costituzione o temperamento e dalle influenze del ses­
so, l ’organismo umano accusa fortem ente le vicissitudini
delPe/à. L ’infanzia e la vecchiaia sono i perìodi della mag­
giore debolezza. A l principio della vita, il cervello, ancora
troppo tenero, riceve le impressioni con una eccessiva v i­
vacità, che unita all’inesperienza, sa dare molte volte corpo
reale a rappresentazioni puramente immaginarie. N el decli­
n o della vita, l’organo corporeo posto al servizio dell’in­
telligenza sfugge frequentemente al controllo della vo ­
lontà, e l’impotenza o la difficoltà di ragionare fa ritene­
re come realtà le instabili immagini dello spirito. I primi
slanci di fervore espongono anche gli adolescenti e i novi­
z i a ogn i specie di illusioni, in quanto che li inducono a con­
siderare come manifestazioni soprannaturali le com m ozio­
ni di un organismo impetuoso e le vive rappresentazioni
d i una immaginazione sovreccitata.
Comunque sia, nessuna età è esclusa dalle com unicazio­
ni mistiche. A ncora fanciullo, il casto G iuseppe intravvede
sotto una form a sim bolica la sua futura grandezza 47, e
il patriarca G iacobbe, anziano decrepito, spiega ai figli
i misteri dell’avvenire 4® . Samuele e più tardi Daniele ri­
cevon o sin dall’infanzia la missione profetica, e la eserci­
tano fino ad una età m olto avanzata «. A S. G iovanni evan­
gelista, vecchio esiliato a Patmos, vengono confidati i

C f. S. T eresa , Fondazioni c.S.


47 C f. Gen. 37,7.
4 8 Cf. G en. 49,is.
(9 C f. i Re. 3; D a n .i.
10 54 I FENOM ENI M IS T IC I ST R A O R D IN A R I

segreti dell’Apocalisse 5°. La storia dei santi non è che una


conferma dei fatti scritturistici che abbiamo citato.
564. z) L 'im m a g in a z io n e 51. - La seconda fonte puramente
naturale da cui emanano m olti fenomeni pseudomistici è,
indubbiamente, l’ immaginazione del paziente.
L ’immaginazione è una delle nostre facoltà più feconde.
Ha a sua disposizione il form idabile potere di evocare fan­
tasmi passati, di creare n uove immagini, di separare o
unire elementi delle cose, di moltiplicare gli esseri coloran­
doli in mille maniere. È una facoltà magica perché, pur es­
sendo puramente corporale e organica, confina con il
m ondo degli spiriti; sa spiritualizzare i corpi e materializzare
gli spiriti; è un misterioso legame tra i due mondi, in cui la
natura dell’uom o si fonde nell’unità e nell’armonia.
Il cervello è l’organo e lo strumento dell’immaginazione
e della memoria sensitiva, com e pure del senso comune e
dell’estimativa 5\ E siccome nello stato attuale della natura
umana, il nostro intelletto ha bisogno dei fantasmi dell’im-
maginazione come unico m odo naturale di conoscere, se­
condo che il cervello è più o meno sano e disposto, la vita
intellettuale si eserciterà con m aggiore o minore regolarità
e perfezione. L ’immaginazione, più di qualsiasi altra facoltà
organica, risente delle più piccole alterazioni dell’organismo;
e se il cervello sfugge al dominio della volontà, le immagini
vanno e vengono come i fo g li di un libro abbandonati al
capriccio del vento: a volte saranno v iv e e ardenti come le
più concrete realtà; altre volte saranno vaghe, indecise, flut­
tuanti com e i sogni della notte.
Provengono di qui le innum erevoli illusioni di cui l’uo ­
mo rimane vittima. Per quanto meravigliosa nel suo mecca­
nismo, l’immaginazione è per l ’uom o anche una perpetua
fonte di errori. E questo non perché tradisca la verità, dal
m omento che le immagini che presenta esistono e sono sem­
pre vere in quanto immagini, ma perché l ’uom o inganna se
stesso mediante un giudizio erroneo, sia trasformando code­
ste immagini in oggetti reali, sia riferendole a una causa
esterna gratuita o falsamente supposta. L ’immaginazione
presenta una immagine e l’uom o la converte in realtà; l’erro­
re non sta nell’immaginazione, ma nel giudizio che le tie-

5° C f. A p ,
5 1 C ontinu iam o a citare R ib e t , o.c., t.4, c.4.
5a C f. G r e d t , o.c., t.T, nn.492-504.
L E C A U S E D EI F E N O M E N I STR AO R D IN AR I 10 55

ne dietro 53. D i conseguenza, non è lecito chiamare l’imma­


ginazione « la pazza di casa »; la pazzia è nel giudizio di chi
afferma ciò che non vede o più di quello che vede non nella
facoltà, che si limita a presentare la realtà dell’immagine
cosi com ’è in se stessa.
È com unque immenso il potere che ha l’immaginazione
per turbare il giudizio dell’intelletto più sereno e tranquillo.
Bisogna riconoscere che ad essa è dovuta la m aggior parte
delle illusioni mistiche puramente naturali. L ’immaginazione
ha una grande parte nei fenomeni mistici. O ccorre perciò
stabilire alcuni principi importanti per sapere fin dove può
giungere e quali sono le frontiere che non può valicare.
565. a) TJimmaginazione non crea nulla. - Q uello che si
è convenuto di chiamare,«'creazioni della fantasia» non sono
creazioni propriamente dette; sono semplicemente combina­
zioni di immagini già acquisite anteriormente. Secondo i prin­
cipi della filosofia aristotelico-tomista, i com piti dell’imma­
ginazione sono soltanto questi tre: a) ricevere le percezioni
del senso comune e ritenerle in mancanza delle cose sensibili;
b) richiamarle e riprodurle; c) unirle tra loro e con la sensazione
del senso esterno e del senso comune, con cui converte la
semplice sensazione in percezione. La fantasia riceve isuoi
oggetti dai sensi esterni mediante il senso comune. N o n c’è
« naturalmente » nulla nella fantasia che non sia stato prima
in qualche maniera nel senso esterno: « nihil est in phantasia,
quod prius aliquo m odo non fùit in sensu externo » .5 ♦ .
Perciò, per quanto v iv a possa essere, l’immaginazione
incontra limiti nello stesso ambito naturale che non può
oltrepassare. L a sfera della sua azione è limitata. R iceve i
materiali che le giungono dai sensi esterni attraverso il senso
comune, se ne impadronisce, li conserva, li combina se­
condo le leggi dell’associazione, ancora imperfettamente:
con essi fabbrica scene, quadri tristi o lieti, ordinati o con­
fusi, che hanno sempre come punto di partenza un oggetto
che noi abbiamo visto o percepito per m ezzo dei sensi esterni
e che si confonde con il ricordo. M a non ha mai il potere di
creare simili materiali. L ’immaginazione non sa nulla fuori
di ciò che ha percepito per m ezzo del m ondo dei sensi.

53 Questa è un'applicazione della dottrina aristotelico-tomista la quale


pone la verità o la falsità nel giudizio dell’intelletto, mai nella semplice
apprensione. Cf. G r e d t , o.r., t.r, n.27.
54 C f. G r e d t , o.c., t.i, 12.497.
1056 I FENOM ENI M IS T IC I ST R A O R D IN A R I

Q uesto vu ol dire che quando troviam o, per esempio,


un soggetto che parla e scrive correttamente idiom i stra­
nieri senza averli mai appresi, senza averli mai sentito pro­
nunciare o senza conoscerne nemmeno i caratteri grafici,
bisogna immediatamente concludere che questo non può
essere il risultato di un impulso dell’immaginazione. Ci tro­
viam o alla presenza di un fenom eno che sorpassa manifesta­
mente le forze naturali delfim m aginazione. Il fenomeno
sarà preternaturale o soprannaturale, secondo i casi, ma si
può affermare senza dubbio alcuno che non può essere della
semplice immaginazione.
566. b) L ’ immaginazione non può derogare alle leggi della
natura. - L e guarigioni istantanee di gravi ferite esterne,
di profonde lesioni, di piaghe inveterate, di mutilazioni;
in una parola, tutte le restaurazioni organiche (istantanee
o no) accusano la presenza di una causa superiore alle forze
della natura e non possono assolutamente attribuirsi all’im­
maginazione.

567. 3) Gli stati depressi dello spirito. - Sotto questo


titolo, piuttosto vago, vogliam o raccogliere certe irrego­
larità dello spirito che non figurerebbero bene nella divi­
sione stabilita per lo studio delle cause naturali dei fenomeni
apparentemente mistici. L e cause di stati depressi dello
spirito si possono ridurre a tre: a) il lavoro intellettuale
assorbente; b) la meditazione religiosa mal regolata; c) le
eccessive austerità ss.
568. a) I l lavoro intellettuale assorbente. - È. del tutto pro­
vato che il lavoro intellettuale spinto all’eccesso fa perdere
la nozione delle cose esterne e fissa alle volte lo spirito in
una specie di immobilità che confina con l’alienazione. Pla­
tone dice di se stesso che s’im m ergeva talmente nelle sue con­
templazioni filosofiche da giungere, alle volte, a perdere
l’uso dei sensi esterni 56. La stessa cosa si racconta di So­
crate, di Cameade, di Plotino, e di m olti altri sapienti del­
l’antichità. È rimasto celebre il caso di Archim ede, il cui po­
tere di astrazione era tanto grande da renderlo incapace di
attendere a cose diverse dai suoi problem i e dalle sue preoc­
cupazioni; e' fu questa astrazione la causa della sua morte.
D i Ramòn y Caial abbiamo udito raccontare che lo stesso

55 Cf. Rib e t , o .c ., t.4, c.7.


56 Cf. P l a t o n e , D e convivio ver fine.
LE C A U S E DEI F E N O M E N I ST R A O R D IN A R I 10 57

giorno in cui una delle sue figlie doveva contrarre matrimo­


nio, si alzò la mattina alla solita ora e si dispose a uscire di
casa per andare al suo laboratorio, completamente dimenti­
co del fausto avvenim ento familiare.
569. b) L,a meditazione religiosa mal regolata. - La con­
centrazione dello spirito in una meditazione religiosa
eccessivamente intensa e prolungata potrebbe produrre an­
che certi stati m orbosi simili a quelli contemplativi. G li o g ­
getti spirituali sui quali si fissa lo sguardo interiore possono
apparire come immagini sensibili, vive, impressionanti, che
si riterranno come reali o forse come manifestazioni di mi­
steriosi esseri, di oltretomba. A lcu n i credono di avere delle
visioni celesti altri contemplano con orrore il demonio,
non mancano coloro che credono di vedere faccia a faccia
la stessa essenza divina. S. Teresa dice che questa fissazione
e concentrazione nell’orazione si trova abbastanza frequen­
temente tra le monache; e la ritiene tanto dannosa che propo­
ne, se gli altri procedimenti risultano inefficaci, di diminuire
e anche di proibire temporaneamente a queste persone l’e­
sercizio della stessa orazione 57.
570. c) L e eccessive austerità. - L e austerità spinte all’ec­
cesso indeboliscono il corpo ed espongono alle deviazioni
dello spirito, trasformando i sogni dell’immaginazione in
favori divini o in assalti diabolici. I maestri della vita spi­
rituale sono d’accordo in questo. Una lunga inazióne
— afferma il card. Bona 5» — i frequenti digiuni e le
immoderate vigilie indeboliscono il cervello ed eccitano in
esso vane e confuse rappresentazioni, alle quali l’anima in
preda all’illusione aderisce ostinatamente come a rivelazioni
divine. S. Teresa racconta che non potè guarire una religio­
sa da simili illusioni se non consigliando al suo confessore
« che le proibisse i digiuni e le discipline e l’obbligasse a
distrarsi » ss.
571. Criteri di distinzione. - È necessario indicare i cri­
teri che distinguono e separano le eccentricità della natura
sovraccarica di lavoro o estenuata per la debolezza, dai fatti
veramente soprannaturali. E cco alcune principali regole pra­
tiche:

57 Cf. S. T e r e s a , Fondazioni c.7, n.9; Seste mansioni 3 ,3 .


58 C f . C a r d . B o n a , D e discr. spir. c.20, 111,3-
59 Cf. S. T e r e s a , Fondazioni c.6, n.14.
1058 1 FENOM ENI Mistici STR AO R D IN AR I

1. In principio, si deve attribuire alla semplice natura


tutto ciò che è capace di realizzare per se stessa. Solamente
quando la sua insufficienza è evidente per spiegare il fenomeno
si può ricorrere al soprannaturale o al preternaturale. Dinan­
zi a una concentrazione mentale con alienazione dei sensi
che si può spiegare naturalmente, non possiamo concludere
a priori di trovarci in presenza di un’estasi.
2. Il modo con cui si produce questa concentrazione, o
m eglio ancora, ciò che ne segue ci darà il mezzo per distin­
guerla dalla vera estasi mistica. La regola m igliore per il di-
scernimento delle vere grazie mistiche sarà sempre quella
del Vangelo: « L i conoscerete dai loro frutti » 6°.
3. La sospensione che proviene dalla natura abbatte e
snerva le forze corporali; quella soprannaturale, al contra­
rio, rianima le forze e pare comunicare all’organism o parte
della robustezza ed energia dell’anima.
572. 4 ) Le malattie 6>. - Sono un’altra fonte di fenomeni
naturali che possono presentare analogie e somiglianze con
quelli di ordine mistico. A nche qui però occorre conser­
vare l’equilibrio mentale per evitare sia l’eccessiva credulità
che l’ipercritica razionalista.
Il campo della medicina è stato purtroppo invaso dal
razionalismo. Con un’aria di sufficienza nella quale è impli­
cito un grande orgoglio e il disprezzo del soprannaturale,
i sedicenti depositari del patrimonio scientifico contem­
poraneo, in nome della scienza negano tutto quello che può
trascendere i limiti di una spiegazione naturale. Essi affer­
mano: « Il soprannaturale è una chimera. D io , se esiste,
non può derogare alle leggi della natura; il demonio, se
esiste, non ha nulla a che vedere con le cose umane. I mira­
coli non sono che anomalie, apparenti deviazioni delle leggi
della natura, che conosciamo e dominiamo ancora imperfet­
tamente; i visionari sono semplici allucinati; gli estatici, po­
veri catalettici, isterici o letargici; gli ossessi e i posseduti
sono degli ipocondriaci e dei pazzi; e le stimmate non sono
altro che un genere speciale di neuropatia perfettamente
classificata: la neuropatia stigmatica».
È vero che lo squilibrio organico prodotto da certe in­
fertilità — mentali e nervose soprattutto — • possono pre­
sentare analogie e somiglianze con certi fenomeni mistici.

60 C f. M at. 7,16.
61 C f. R i b e t . o.c., t.4, c.8, n 1.
LE CAU SE DEI FENOM ENI STRAORDINARI 10 59

M a non sarà necessario ricorrere ai moderni laboratori di


psichiatria o a sanatori di anormali per spiegare S. Pietro
d’Alcantara, S. Giovanni della Croce, S. Filippo Neri,
S. Francesco di Assisi, l’evangelista S. G iovanni, S. Pietro
e S. Paolo e tutti gli altri profeti che hanno ricevuto i favori
divini della contemplazione e dell’estasi. N é sarà necessario
ricorrere all’isterismo per comprendere S. Teresa, S. Cate­
rina da Siena, S. Maria Maddalena de’ Pazzi, S. A gnese,
S. Lucia, e tutte le vergini che hanno consacrato il loro amore
a D io. Quando G esù Cristo scacciava i demoni dal corpo
dei posseduti e li sgridava pubblicamente non ricorreva al­
l’impostura e quando la Chiesa pronuncia su di loro gli
esorcismi non recita una commedia.
I medici razionalisti non hanno il diritto di accusare i
teologi di invadere il campo della medicina, perché sono essi
che invadono il campo della T eologìa pur ignorando total­
mente tale materia! In tutto questo è evidente una parzia­
lità e una mala fede sconcertante.

A r t ic o lo III

I I diabolico

573. D o t t r i n a t e o l o g i c a s u i d e m o n i . » Esponiam o
in breve la dottrina della Chiesa sui demoni e le principali
conclusioni a cui sono giunti i teologi basandosi sui dati
rivelati:
1) È di fede che esistono i demoni, ossia, un numero con­
siderevole di angeli che furono creati buoni da D io , ma che
divennero cattivi per propria colpa 6\
2) I demoni esercitano, per divina permissione, un in­
flusso maligno sugli uomini, incitandoli al male 63 e alle volte
invadendo e torturando i loro corpi 64.
3) T ra gli assalti e le torture del demonio, la volontà
umana rimane sempre libera. Infatti — come spiega S. T om ­
maso 6s — la volontà può essere mutata intrinsecamente o

62 C f . D e n z . 4 2 8 , M a t . 2 5 ,4 1 ; 2 P ie t .,2 ,4 .
63 C f . E f . 6 ,1 1 - 1 2 ; i T e s s . 3,5 ; iP i e t .5 ,8 9 ;
64 C f . M a t . 4 ,2 4 ; 1 0 ,1 ; L u c a 8 ,2 , e c c .
65 C f . I , i i i , 2 .
1060 I FENOM ENI M ISTICI STRAORDINARI

estrìnsecamente. Q ra, solo Iddio può muoverla intrinseca­


mente, giacché il m ovim ento volontario non è altro che l’in­
clinazione della volontà alla cosa amata, e soltanto Colui
che ha dato questa inclinazione alla natura intellettuale può
mutarla intrinsecamente; perché come l’inclinazione natu­
rale procede dall’A utore della natura, cosi l’inclinazione vo ­
lontaria non viene se non da D io , che è autore anche della
volontà. Estrìnsecamente, la volontà può essere mossa in due
maniere: a) efficacìter, ossia, agendo sull’intelletto e presen­
tandogli l’oggetto come bene appetibile (e in questo senso
solo D io può m uovere efficacemente la volontà, perché
E g li solo può penetrare direttamente e intrinsecamente nel­
l’intelletto); b) inefficaciter, ossia, « per modum suadentis tan-
tummodo ». Q uesto m odo spetta agli angeli, buoni o cattivi,
e agli altri esseri creati, che possono influire su di noi. Il
demonio, dunque, può m uovere soltanto la volontà estrin­
secamente « per modum suadentis », cioè, offrendo ai sensi
interni ed esterni le specie delle cose che incitano al male o
eccitando l ’appetito sensitivo affinché tenda disordinatamen­
te a codesti beni sensibili; mai mutando intrinsecamente
la volontà stessa.
4) G li angeli buoni e i demoni possono mutare intrinseca­
mente l’immaginazione e gli altri sensi interni ed esterni 6«.
Difatti questa mutazione si può produrre per mezzo del
m ovim ento locale delle cose esterne o dei nostri umori cor­
porali. Spiega S. Tom m aso 67 che la natura corporea obbedi­
sce all’angelo quanto al suo m ovim ento locale.
5) I demoni non possono fare veri miracoli, dal momento
che questi eccedono per definizione le forze di ogni natura
creata e creabile. Siccome però la potenza della natura an­
gelica — che conservano integra dopo il peccato — eccede
di molto le forze naturali umane, i demoni possono fare
cose prodigiose, che eccitano l’ammirazione dell’uomo
perché sorpassano le sue forze e le sue conoscenze naturali 68.
Questi pseudo-prodigi pongon o quindi il problema
del loro discernimento in relazione a quelli naturali e
soprannaturali 69.
574. A ) Quello che i l demonio non può fare.- 1) Produrre

66 Cf. 1,111,3 et 4.
67 C f . 1 ,1 1 0 ,3 ; X I I >3-
68 Cf. 1,114,4.
( 'ì C f. R ib e t , o .c ., t.3 c c .6 - 7 .
L E C A U S E DEI FENOM ENI STRAORDINARI 1061
un fenom eno soprannaturale di qualsiasi specie essendo pro­
prio ed esclusivo di D io.
2) Creare una sostanza. Il far passare una cosa dal nul­
la all’essere suppone un potere infinito. Per questo le crea­
ture non possono essere utilizzate da D io neppure come
strumenti per la creazione 7°.
3) Risuscitare veramente un m orto. Potrebbe unicamente
simulare una risurrezione producendo nell’infermo uno stato
di letargo o di morte apparente per produrre l’illusione del­
la sua prodigiosa risurrezione.
4) Guarire istantaneamente ferite o piaghe profonde. La
natura — anche in mano della potenza angelica — richiede
sempre un certo tempo per poter realizzare simili cose.
Guarire istantaneamente è proprio solo del Signore.
5) L e traslocazioni veramente istantanee. Suppongono
un’alterazione delle leggi della natura, che soltanto il lo ­
ro A utore può realizzare. Il demonio, come spirito puro,
può trasferirsi da un luogo all’altro senza passare per il
mezzo f1. M a non può trasportare un corpo senza che que­
sto debba percorrere tutto lo spazio che separa il termine a
quo dal termine ad quem; e ciò non può avvenire istanta­
neamente per quanto rapido supponiamo codesto m ovi­
mento.
6) Le leggi attuali non permettono assolutamente la
compenetrazione dei corpi solidi. Il demonio, spirito puro,
può attraversare certamente a suo arbitrio le sostanze mate­
riali; però D io riserva a sé il potere di conferire a un corpo
il privilegio di compenetrarsi con altri.
7) La profezia propriamente detta sorpassa le forze
diaboliche, ancorché il demonio possa simularle servendosi
di previsioni naturali, di form ule equivoche e di menzogne
audaci. Tuttavia, D io può servirsi di falsi profeti per annun­
ciare una cosa vera, come nel caso di Balaam o di Caifa;
però allora appare chiaro dalle circostanze che il falso pro­
feta è utilizzato in quel momento come strumento di D io.
8) La conoscenza dei pensieri e dei futuri liberi sfugge
ugualmente al controllo di Satana il quale può soltanto fare
delle congetture. Si tenga presente però che per la straor­
dinaria potenza intellettuale della natura angelica, le con­
getture sono più facili che per lo psicologo più eminente;
il temperamento, gli abiti acquisiti, le esperienze passate,

7» C f. 1,45,5-
71 C f. 1,5 3 ,2 .
1062 1 FENOM ENI M IS TIC I STRAORDINARI

l’atteggiamento del corpo, l’espressione della fisionomia,


e l’insieme delle circostanze, ecc., permettono agli spiriti
angelici di indovinare facilmente le silenziose meditazioni
del nostro intelletto e le determinazioni segrete della nostra
volontà.
9) Il demonio non può produrre in noi fenomeni di or­
dine puramente intellettuale o vo litivo 7* perché nel santua­
rio della nostra anima, nessuno, tranne D io , può penetra­
re direttamente.
575. B) Quello che il demonio può fare col permesso
di Dio. - 1) Produrre visioni e locuzioni corporali e immagi­
narie (non quelle intellettuali).
2) Falsificare l’estasi.
3) Produrre splendori nel corpo e ardori sensibili nel
cuore. Ci sono m olti esempi di « incandescenza diabolica ».
4) Produrre tenerezze e soavità sensibili.
5) Guarire, anche istantaneamente, certe strane malattie
prodotte dall’azione diabolica. È chiaro che non si tratta
propriamente di guarigione, ma soltanto di una cessazione di
azioni lesive, come dice Tertulliano: « Laedunt enim primo,
dehinc remedia praecipiunt, ad miraculum, n ova sive con­
traria; post quae desinunt laedere, et curasse creduntur» 73.
Siccome la pretesa malattia era dovuta esclusivamente all’a­
zione di Satana, cessando la causa, scompare istantaneamen­
te anche l’effetto.
6) Produrre le stigmate e gli altri fenomeni corporali e
sensibili della mistica, tali come i soavi odori, le corone, gli
anelli, ecc. N ulla di tutto ciò sorpassa, come vedrem o, le
forze naturali dei demoni 74.
7) Il demonio non può derogare alle leggi della gravità,
però può simulare miracoli di questo genere mediante il con­
corso invisibile delle sue forze naturali. Si tenga presente
per la questione della levitazione: si possono dare levitazio­
ni diaboliche come nel caso di Simon M ago.
8) Può sottrarre i corpi alla nostra vista interponendo
tra essi e la nostra retina un ostacolo che devia la rifrazione
della luce o producendo nel nostro apparato visuale una im­
pressione soggettiva completamente differente da quella
che verrebbe dall’oggetto.

7* Cf. 1, 111, 1-2.


73 C f. T e r tu llia n o » A-polog. c .2 2 ; M L 2 ,4 6 8 -6 9 .
74 C f. C a r d . B o n a o .c ., . ' , n .1 1 .
I FENOM ENI IN PARTICOLARE 10 6 3

9) P uò produrre la incombustione di un corpo interpo­


nendo un ostacolo invisibile tra esso e il fuoco.
In breve, dobbiam o dire che qualunque sia la natura del
fenomeno prodotto per m ezzo delle forze diaboliche, non
sorpasserà mai l’ordine puramente naturale.

C A P IT O L O III

I F E N O M E N I IN P A R T I C O L A R E

Divisione fondamentale

576. Per fare l’esame e la critica dei fenomeni mistici


straordinari, occorre stabilire anzitutto un criterio scienti­
fico per la loro classificazione e divisione. N on è un’impresa
facile per le ragioni che indicheremo '.
È evidente, difatti, che l’azione soprannaturale e mistica
di D io sull’uom o si dirige in maniera principale e finale alla
volontà, allo scopo di eccitare in essa l’ineffabile m ovim ento
della carità verso D io . Però, conform e all’ordine normale
che regge la natura razionale, questa azione sulla volontà
passa anzitutto per l’intelligenza e ad essa torna ancora per
il luminoso riflesso dell’amore. E l’uno e l’altro — il m o­
vim ento intellettuale e quello affettivo — devono sottomet­
tersi alla legge che lega l ’anima al corpo in virtù della loro
mutua dipendenza; e se è certo che essi possono esercitare
sugli organi corporali una irradiazione gloriosa, i sensi, a
loro volta, inviano all’anima innum erevoli influenze del
m ondo esterno.
In virtù di queste mutue relazioni e dipendenze tra i tre
aspetti fondamentali della vita umana — l’intellettuale, l’a f­
fettivo e l’organico, — risulta m olto difficile e arrischiato il
voler stabilite una classificazione veramente scientifica
dei fenomeni mistici, dal momento che la m aggior parte di
essi hanno una ripercussione simultanea o successiva nei
tre ordini suddetti. T uttavia, secondo che l’azione divina
si svolge principalmente nell’intelletto, nella volontà o

Cf. R i b e t , o.c., t .2 prefazione.


10 64 1 FENOM ENI M IS T IC I STRAORDINARI

nell’organismo di colui che la esperimenta, possiamo classi­


ficare e caratterizzare i fenomeni mistici prendendo per base
questo aspetto predominante e fondamentale.
Classificheremo e dividerem o i grandi fenomeni della
mistica in:
I. Fenomeni di ordine conoscitivo.
II. Fenomeni di ordine affettivo.
III. Fenomeni di ordine corporale.

I. F E N O M E N I D I O R D IN E C O N O S C IT IV O

I principali sono i seguenti:


1) Visioni.
2) Locuzioni.
3) Rivelazioni.
4) Discernimento di spiriti.
5) Ierognosi.
6) A ltri fenomeni conoscitivi.
1) V i s i o n i

577. 1. N o z i o n e . - Propriamente parlando, la visione


si riferisce unicamente al senso della vista. Si può definire
dicendo che è « la percezione di un oggetto mediante gli
occhi corporali ». Però per estensione e analogia la parola
vedere si applica agli altri sensi e alla stessa intelligenza3.
In un senso ampio e riferendole alla mistica, possiamo,
dunque, definire le visioni dicendo che sono « percezioni, so­
prannaturali di un o ggetto naturalmente invisibile all’uo­
mo » 3.
578. 2 . D i v i s i o n e . - S. A go stin o fu il primo a stabilire
la divisione che divenne classica. N ell’ultimo libro del suo
commento al Genesi egli dice che le visioni possono esse­
re di tre specie: corporali, spirituali (immaginarie) e intellet­
tuali: « Haec sunt tria genera visionum ... Primum ergo ap-
pellamus corporale, quia per corpus percipitur, et corporis
sensibus exhibetur. Secundum, spirituale: quidquid enim
corpus non est, et tamen aliquid est, iam recte spiritus di-
citur; et utique non est corpus quamvis corpori similis sit

> Cf. 1 , 67 , 1 .
3 Cf. T a n q u e r e y , Compendio di Teologia ascetica e mistica n.1491 .
I F E N O M E N I IN PA R T IC O L A R E 1065

imago absentis corporis, nec ille ipse obtutus quo cernitur.


Tertium vero intellectuale, ab intellectu » 4.
L ’espressione spirituale fu sostituita in seguito con quella
di « immaginaria » più precisa ed esatta. Questa divisione
di S. A gostin o è stata unanimemente accettata dai santi Pa­
dri e dai teologi 5 . S. Tom m aso parla di essa in vari luoghi
delle sue opere, soprattutto quando spiega il rapimento di
S. Paolo nella Somma t.
Queste tre specie di visioni — osserva M eynard i —
possono essere simultanee o successive. T ra di loro non c’è
un ordine assoluto e rigoroso — D io può comunicare nella
form a che vuole — c’è però un ordine di preferenza di ge­
rarchia. Il primo posto spetta alle intellettuali, che sono le
più eccellenti; vengono dopo le immaginarie e, infine, le cor­
porali, che sono quelle che più si prestano a illusioni e a in­
ganni.
579. A ) Visioni corporali. - L e visioni esterne o corpo­
rali — che si chiamano anche apparizioni — sono quelle in
cui il senso della vista percepisce una realtà o ggettiva natural­
mente invisibile all’uom o. N on è necessario che l’oggetto
che si percepisce sia, per esempio, un corpo umano di carne
ed ossa; basta che sia una form a esteriore sensibile o lum i­
nosa.
Il fenomeno della visione corporale si può produrre in
due maniere, come spiega Vallgornera: o per la presenza
vera di un corpo che impressiona la retina e determina il
il fenomeno fisico dalla visione, o per una azione immediata
esercitata da un agente esterno sull’organo della vista per
produrre in esso la medesima specie impressa che produrreb­
be la reale presenza dell’oggetto 8.
580. B) Visioni immaginarie. - L a visione immaginaria
è una rappresentazione sensibile interamente circoscritta
alla immaginazione e che si presenta soprannaturalmente al­
lo spirito con una vivacità e chiarezza superiore alle stesse
realtà fisiche esteriori.
Si può produrre in tre maniere: a) mediante la rappresen-

4 Cf. S. A u g u s t., D e gin. ad l'Ut. 1,12, c.7, n.16; M L 34,459.


5 C f. S c h r a m , Tbeol. myst. t .2 , p .1 9 7 .
6 Cf. 11-11,175,3 ad 4; 1,93,6 ad 4; II-II,173.2.
7 Cf. M e y n a r d , Trattato della vita interiori t.z , n.273.
8 Cf. V a l l g o r n e r a , Myst. Tbeol. d. Th. q.3, d.5, a .i, n.691 (ed. T o rin o
19 11).
1066 I FENOM ENI M IS T IC I STR AO R D IN AR I

tazione o eccitazione delle specie o immagini che abbiamo


già ricevuto dai sensi; b) mediante la combinazione sopranna­
turale di codeste medesime specie acquisite e conservate nel­
l’immaginazione, e c) mediante nuove immagini infuse. Il demo­
nio può produrre la visione immaginaria conform e ai due
primi m odi, ma non può comunicare all’immaginazione spe­
cie n uove infuse 9.
L a visione immaginaria è di ordine più elevato che
quella corporale. È più estesa, poiché può rappresentare
non solo cose presenti, ma anche passate e fu tu r e I0. Si
verifica durante il sonno: però si può produrre anche quando
si è svegli, senza che ciò implichi necessariamente l’alienazio­
ne degli altri sensi, ancorché questo sia conveniente per non
confondere gli oggetti della visione immaginaria con quelli
che percepiscono i sensi estern iJI.
L e sue form e più frequenti sono: quella rappresentativa
(per esempio, l ’apparizione di un santo) e quella simbolica
(per esempio, quella del patriarca Giuseppe che vide il
sole, la luna e le stelle venire ad adorarlo) I!. D i entrambe
ci sono numerosissimi esempi nella S. Scrittura.
581. C) Visioni intellettuali. - i) C A R A T T E R IS T IC H E .
- L a visione intellettuale è una conoscenza sopran­
naturale che si produce mediante una semplice visione del­
l’ intelligenza senza impressione o immagine sensibile. Si
distinguono dalla percezione naturale dell’intelligenza per le
seguenti caratteristiche:
a) Per il loro oggetto, che ordinariamente sorpassa le forze
naturali del nostro intelletto, ancorché possa assolutamente
parlando trovarsi dentro la sua sfera. Però, anche in questo
ultim o caso, il soprannaturale appare con ogni evidenza; la
luce che non manca mai, sorpassa le certezze più evidenti
della ragione; è im provvisa, immediata e non conosce il lavo­
rio e la lentezza del ragionamento.
b) Per la loro durata. - Mentre le concezioni naturali,
per quanto siano profonde, svaniscono m olto presto, le
visioni intellettuali mistiche durano m olto tempo; alle volte
giorni interi, settimane, mesi e anche anni. « Questa visione

t Cf. I,iii,3 ad z; D e Malo q.i6,a.9 c; D e ventate q .n , a.3; D i potentìa,


q.6 , a.3 ad 13.
10 Cf. V a l l g o r n e r a , o .c., q.3, d.5, a.2, n.700.
11 C f. 11-11,173,3.
12 C f. G en. 37,9.
I F E N O M E N I IN P A R T IC O L A R E 10 6 7

— scrive S. Teresa — non è come l ’immaginaria che passa


presto, ma dura m olti giorni e alle vo lte più d’un anno »
c) Per i loro effetti. - G li effetti m eravigliosi che produce
nell’anima sono il m iglior distintivo per riconoscere l’ inter­
vento divino. La luce che riempie le profondità dell’anima,
l ’amore che la com m uove, la pace inconfondibile, il desi­
derio delle cose celesti, il disgusto di tutto ciò che non è
D io , sono la m igliore testimonianza che si è verificata una
illuminazione strana e m olto superiore alla natura 1 4.

582. z) E l e m e n t i . - L a visione intellettuale si può


produrre durante lo stato di estasi, di veglia e di sonno.
M a in qualunque stato si produca, importa sempre due ele­
menti: l’o ggetto manifestato e la luce che lo illumina ss.
Frequentemente l’ oggetto della visione intellettuale è inef­
fabile, le anime non riescono a spiegarlo perché nel linguag­
gio umano non trovano form ule equivalenti: « ...et audivit
arcana verba quae non licet homini loqui », dice S. Paolo
(2Cor. 12,4).

583. 3 ) L a l o r o c e r t e z z a e l a l o r o o r i g i n e d i v i n a .
- La certezza assoluta è uno dei segni più caratteristici del­
la visione intellettuale. D ice S. Teresa che « il Signore
s’imprime nell’anima con una conoscenza cosi chiara che
non è più possibile dubitarne...; l’anima n’esce p o i con
tanta sicurezza che il dubbio non ha forza » l6.
Q uanto alla loro origine, tutti i mistici sono d’accordo
con S. Tom m aso nel dire che la visione intellettuale sorpas­
sa ogni altra potenza, tranne quella di D io. Scrive Schram:
« In visione intellectuali solus D eus est causa principalis,
non vero angelus nec bonus, nec malus, ne quidem media­
te» *7.

Si tenga presente però che ci sono delle visioni che si


presentano sotto due o tre form e contemporaneamente.
Cosi, la visione di S. Paolo sulla via di Dam asco (A tti 9)

*3 Cf. S. T e r e s a Seste mansioni c . 8 , n .2 .


14 C f. F i l i p p o d e l l a SS. T r i n i t à Theol, Myst. p.2.a, tr.2 d .4 3 ,3 .
x5 C f.S . T h o m . , D e verit. q . 12, a.12 c. C f. II-II, 173,2 ad 2*
16 C f. S. T e r e s a , V ita , 0.27, n .5 .
T' C f. S c h r a m , 0. c., § 505, sch.2, tr.2 . p. 221.
1 0 li 8 I FENOM ENI M IS T IC I STR AO R D IN AR I

fu ad un tempo corporale, quando vide coi suoi occhi la lucè


risplendente; immaginaria, quando gli fu manifestata la fi­
sionomia di A nania nell’immaginazione, e intellettiva, quan­
do intese quello che D io vo leva da lui l8.
584. 4) O g g e t t o d i q u e s t e v i s i o n i . - Può essere
o ggetto di visione soprannaturale, in una form a o nel­
l’altra, tutto quello che esiste: D io , G esù Cristo, la V ergi­
ne, gli angeli, i santi, le anime del purgatorio, i demoni, gli
esseri viventi e anche le cose inanimate (la croce, le im­
m agini, le reliquie dei santi, ecc.).
O ccorre però tener presente che, secondo la dottrina di
S. Tom m aso, le apparizioni di G esù Cristo — come pure
quelle di Maria — non si verificano per mezzo della presen­
za corporale, ma sono puramente rappresentative e avvengono
per ministero degli angeli. D ifatti è assolutamente impossi­
bile che un medesimo corpo si trovi nello stesso tempo in
m odo circoscrittivo in due luogh i ’ 9; e quindi, per apparire
corporalmente in terra dovrebbero lasciare il cielo, la qual
cosa non è conveniente S. Tom m aso ammette soltanto
un’apparizione corporale di G esù Cristo per S. Paolo sulla
via di Dam asco ». E S. Teresa, parlando della presenza eu­
caristica, scrive: « T ra le altre cose che mi disse, ho inteso
che, dopo la sua ascensione, non è sceso mai sulla terra per
comunicarsi con qualcuno, se non nel SS.mo Sacramento » *».
L e apparizioni che hanno per o ggetto D io stesso occor­
re intenderle generalmente « come una rappresentazione
della verità», secondo S. Teresa *3, non una visione in­
tuitiva, che è riservata alla vita celeste. S. Tom m aso ammet­
te per M osé e S. Paolo la visione facciale dell’essenza divina
in un’estasi ineffabile e mediante una comunicazione transi­
toria del lumen gloriae 1 4.
Q uanto alle apparizioni degli angeli non c’è nessuna
difficoltà. L ’angelo sta dove opera. E può operare anche in
un corpo form ato per condensazione dell’aria, che può
modellare in form a di figura umana o di altra forma qua­

18 C f. T an q u erey , 0. f-, n .1 4 9 3 .
*9 C f. G r e d t , o .c ., n n . 3 2 5-2 8. C f. S. Tuon i., Qu'ìdì. 3, a .2 .
20 C f. F ilip p o d e l l a SS. T r i n i t à , o. c., p .2 , ir .;, d.4.1.
« C f. i n , 57,6 ad 3.
M C f. S. T e r e sa , Relazioni 2, n.4, (e d . pop . P. Silverio).
* 3 Cf. S. T e r e s a , Settimi mansioni c . i , n .6 .
C f. II-II,r75, 3 c et ad 1 et 2.
I F E N O M E N I IN P A R T IC O L A R E 1069
lunque. Cosi insegna S. Tom m aso »5. Si dica la stessa cosa
mutatis mutandis delle apparizioni diaboliche, supposto il
permesso di D io.
I santi, i beati e le anime del purgatorio non solo pos­
sono, ma appaiono realmente molte volte. N on si presenta­
no però coi loro veri corpi — che giacciono nel sepolcro —
ma in form a simile alle apparizioni degli angeli: prendendo
un corpo apparente senza informarlo *6.
In una form a simile a quelle ricordate anche i dannati
possono apparire col permesso divino *1.
Infine, sono m olto frequenti nella S. Scrittura e nelle vite
dei santi le visioni di cose inanimate zS. Esse sono prodotte
dagli angeli o dai demoni nelFimmaginazione o nei sensi
corporali del paziente.
585. 5 ) N a t u r a t e o l o g i c a d e l l e v i s i o n i . - Eviden­
temente le visioni appartengono per se al genere delle gra­
zie gratis datae, riducibili nella classificazione di S. Paolo
alla profezia, ancorché non coincidano esattamente con
essa.
Diciam o per se perché è evidente che non sono richieste
dallo sviluppo normale della grazia. C i furono dei santi che
non le ebbero mai. È certo che moltissime, per non dire qua­
si tutte queste visioni, causano un grande bene all’anima
che le riceve. Tuttavia, tutti i maestri della vita spirituale
sono concordi nell’affermare che non si devono chiedere né
desiderare codeste grazie straordinarie, sia perché non sono
assolutamente necessarie per la santificazione, e sia soprat­
tutto per i grandi pericoli di illusione a cui espongono, a
causa delle difficoltà di discernere nella pratica le vere dalle
false. S. G iovanni della Croce giunge a dire che si devono
respingere tutte a priori « poiché, dato il caso che alcune pro­
vengano da D io , non per questo gli si fa ingiuria, perché
l’effetto e il frutto che Iddio per loro m ezzo vuole produr­
re nell’anima, viene conseguito istantaneamente prima an­
cora che l’anima possa re sp in ge rle » 1?. Anche S. Teresa
la pensa cosi. E lla dà sapienti regole per distinguere le v i­

*5 Cf. 1,51,2 ad 3.
>6 C f. 1,51,2 ad 2.
*7 C f. Suppl. 111,69,3.
a8 Cf. E z. 1,5; A tti 10,5; A p . passim.
*9 C f. Salita del Monte Carmelo I I , l i .
1070 I FENOM ENI M IS T IC I ST R A O R D IN A R I

sioni vere da quelle false 3», e ammonisce le anime di guar­


darsi bene dal desiderarle 31.
586. 6) R e g o l e d i d i s c e r n i m e n t o . - L e visioni intel­
lettuali non offrono difficoltà essendo abbastanza facile veri­
ficare se esse sono vere o false, data la fermissima certezza
che includono. Difatti, spiega S. Tom m aso, solo D io può
penetrare nel santuario della nostra anima. Siccome lo stato
attuale della natura umana fu stabilito da D io e conforme
ad esso l’anima non può operare indipendentemente dal
corpo. E g li soltanto può cambiare questo stato, sia ptire
momentaneamente, ed elevare l ’anima, umana al grado degli
spiriti puri. L ’ intelletto e la volontà sfuggono, dunque,
all’azione diretta degli angeli e dei demoni 32.
La difficoltà sta nel discernimento delle visioni immagina­
rie e corporali, appunto perché sono un campo aperto a
ogn i specie di ingerenze del diavolo o della propria fantasia.
La norma vera e certa di discernimento, in pratica è sem­
pre quella del Vangelo: « A fructibus eorum cognoscetis
eos» (Mat. 7,16). L e visioni di D io producono in principio
grande tim ore, però riem piono subito l’anima di amore, di
umiltà, di soavità e di pace. Le sue forze spirituali si riani­
mano, ed ella si dà con raddoppiata energia alla pratica delle
virtù eroiche. Q uelle del dem onio, invece, incominciano con
soavità, ma non tardano a mostrare il loro frutto avvelenato:
l’anima si turba, diventa presuntuosa e superba 33.

2) L o c u z io n i

587. 1. N o z i o n e . - Si distinguono dalle visioni giacché


queste presentano allo spirito realtà o immagini, mentre le
locuzioni sono form ule che enunciano affermazioni o desi­
deri. Inoltre, le visioni possono prodursi senza locuzioni,
e queste senza quelle, sebbene ordinariamente i due feno­
meni siano quasi sempre concomitanti.
D obbiam o ripetere qui quello che abbiamo già detto
rispetto alle visioni. Propriam ente, la parola locuzione si
riferisce unicamente al lin gu aggio articolato percepito me-

3 ° Cf. V ita c.28; Sesie mansioni c.8.


31 Cf. Seste mansioni c.9.
32 Cf. e 2; S a u d r e a u , L ’ètat mystique c.i8 „n .2 2 i (ed.1921).
33 C f. V allgo rn era, o.c., q.3, d.5, a . 5-7.
I F E N O M E N I IN P A R T IC O L A R E 1071
diante l’udito corporale. Tuttavia per estensione e analogia
si applica anche all’immaginazione.
588. 2 . D i v i s i o n e . - Com e le visioni, anche le locuzio­
ni sono di tre specie: auricolari, immaginarie e intellettuali, se­
condo che si percepiscono con l ’udito, l’immaginazione o
l’intelletto. L e più perfette sono quelle intellettuali; ven go ­
n o poi le immaginarie e, infine, le auricolari.
589. A ) Locuzioni auricolari. - Si chiamano cosi quel­
le che sono percepite per m ezzo dell’udito. Sono vibrazioni
acustiche formate nell’aria dagli angeli o dai demoni. Q ue­
ste parole alcune vo lte sembrano uscire dalle visioni corpo­
rali, da una immagine, dalla S. Scrittura o da un altro o g ­
getto di cui D io si serve per istruirci 3 4.
Sono m olto numerosi gli esempi di queste locuzioni cor­
porali tanto nella S. Scrittura quanto nelle vite dei santi.
Sono classiche quelle di A dam o ed È va, di A gar, di
Samuele, ecc., e quelle dell’angelo Gabriele a Zaccaria e a
Maria 35.
590. B) Locuzioni immaginarie. - Sono quelle che si
percepiscono chiaramente con l’immaginazione sia duran­
te il sonno che in stato di veglia. Possono procedere non so­
lamente da D io , ma anche dagli angeli buoni o cattivi 3«,
i quali eccitano o combinano le specie immaginarie già
anteriormente percepite per m ezzo dei sensi senza infonderne
però delle nuove 37. Si distinguono dalle attività naturali
dell’immaginazione perché non sono frutto della propria
industria e si percepiscono anche se l’anima le ricaccia o vu o­
le distrarsi da esse. D el resto, la regola fondamentale per di­
stinguere le locuzioni di D io o degli angeli buoni da quelle
diaboliche o puramente naturali è sempre l’attento esame
degli effetti e dei frutti che producono nell’anima. Quelle
di D io lasciano nell’ anima umiltà, fervore, desiderio d’im­
molazione, spirito di obbedienza, desiderio di compire con
perfezione i doveri del proprio stato; quelle della propria
natura non producono nessun frutto; e quelle diaboliche
producono aridità, inquietudine, insubordinazione, va­
nità, ecc.

34 Ivi, a.8. n.750.


35 C f. G en. 3,9; c. 2 i,i4 -i9 ;iS a m . 3,35; Luca 1,11-20, 26-38.
36 C f. 1,111,3 .
37 C f. I . i i x } ad 2.
1072 I FENOM ENI M IS T IC I ST R A O R D IN A R I

591. C) Locuzioni intellettuali. - L a locuzione intellet­


tuale è quella che si fa udire direttamente nell’intelletto
senza il concorso dei sensi interni ed esterni, cosi come gli
angeli si comunicano i loro pensieri.
D ue elementi concorrono alla form azione di questo lin­
guaggio spirituale: le specie intelligibili preesistenti o in­
fuse 38 e la luce soprannaturale, che le illumina con chiarez­
za ineffabile. Queste com unicazioni, ancorché differenti
nella forma, hanno grandissima analogia con le visioni in­
tellettuali. Quando sono vere sfuggono a ogni altro potere,
che sia inferiore a quello di D io . N e abbiamo già spiegato
il m otivo.
S p e c i e d i l o c u z i o n i i n t e l l e t t u a l i . - S. G iovanni
della Croce — • e con lui tutti i trattatisti posteriori — di­
vide le locuzioni intellettuali in tre specie, che egli chia­
ma successive, formali e sostanziali.
E g li scrive: « Chiamo successive certe parole e ragioni
che lo spirito, quando è raccolto, suole con se stesso andar
formando e ragionando. Parole form ali sono certe parole
distinte e precise che lo spirito riceve non da sé, ma da una
terza persona, stando talora raccolto, talora no. Parole so­
stanziali sono altre parole che anche formalmente si odono
dallo spirito, quando raccolto e quando no, le quali produ­
cono nella sostanza dell’anima ciò che significano » 39.
592. a) Successive. - A prima vista, queste locuzioni so­
no umane, dal mom ento che il santo ci dice che lo spirito le
va formando e giudicando. In realtà, come spiega in sè­
guito ■ *<>, procedono dalla luce divina dello Spirito Santo,
che « aiuta a produrre e formare quei concetti, parole e ra­
gioni vere». Per questo, l’anima le va form ando con tan­
ta facilità e perfezione. È Un’azione combinata dallo Spirito
Santo e dall’anima, « di m odo che possiamo dire che la voce è
di G iacobbe e le mani sono di E saù». E si chiamano suc­
cessive perché non si tratta di una luce istantanea e intuitiva,
ma lo Spirito Santo va istruendo l’anima a m odo di ragio­
namenti successivi.

38 Secondo il Gaetano, per il lin guaggio d egli angeli bastano le specie


intelligibili preesistenti; di conseguen2a, basterebbero anche per la conver­
sazione. intellettuale dell’anima con D io o con gli angeli (cf. In I P . , q . 10 7 ,
a .i; M e y n a r d , o.c., t. 2, n. 311).
39 Cf. Salita 11,28,2.
4° Ivi, 11,29,1-3.
I FENOM ENI IN PARTICOLARE 1073
N elle parole della locuzione intellettuale, non è possibile
nessun inganno. Però S. G iovanni della Croce avverte che
è possibile nei concetti e nelle ragioni che l’intelletto va for­
mando: « A l principio prende il filo della verità, ma subito
v i aggiunge l’abilità o rozzezza del suo basso m odo d’in­
tendere, e quindi è cosa facile che per la sua inettitudine perda
il filo e divaghi ».
Com unque; le illusioni, e gli inganni procederanno sem­
pre dall’immaginazione del soggetto mai dal dem onio, che
non ha nulla a che fare qui.
593. b) Formali. - Queste locuzioni sono quelle che si
percepiscono nell’intelletto come se venissero chiaramente
da un altro, senza che uno faccia qualcosa da parte sua, sia
che lo spirito sia raccolto, sia che sia distratto, a differenza
delle locuzioni successive, che si riferiscono sempre a quello
che lo spirito sta considerando.
Per sé, le parole intellettuali formali non possono mai
indurre in errore sia perché l’intelletto non pone nulla da
parte sua sia perché il demonio non esercita un’azione diret­
ta su di esso. Tuttavia ci può essere illusione, prendendo per
parole divine gli artifizi del demonio sull’immaginazione.
G li effetti che producono anche quelle divine sono m ol­
to scarsi — dice S. G iovanni della Croce — « e quindi a sten­
to si possono distinguere per m ezzo di essi» t1.
594. c) Sostanziali. - Sono le stesse locuzioni formali che
hanno un’efficacia straordinaria per produrre nell’anima quel­
lo che significano; per esempio, se D io dice all’anima «sii
umile » o « tranquillizzati », all’istante l’ànima si sente ri­
piena di umiltà o gode d’ imperturbabile e soavissima pace
ancorché pochi minuti prima fosse tutta sconvolta.
In queste locuzioni sostanziali non è possibile nessun
errore od illusione. È evidente che effetti tanto soprannatu­
rali o istantanei superano di m olto ógn i potenza umana
o diabolica. L ’anima deve solo umiliarsi e abbandonarsi
nelle mani di D io , senza cercare né ricusare nulla 4*. L ’a­
nima si sente come sorpresa dalla maestà sovrana di D io,
« le cui parole sono opere», dice S. Teresa 43.
595. 3. N a t u r a t e o l o g i c a d e l l e l o c u z i o n i . - Data la

41 I v i, 1 1 , 30 , 5 .
43 I v i, 1 1 , 3 1 .
' 41 Cf. V ita 2 5 , 1 8 .
1074 I FENOM ENI M IS T IC I STRAORDINARI

stretta affinità e somiglianza delle locuzioni con le visioni


dobbiamo ripetere qui quello che abbiamo già detto. Per
se, le locuzioni non entrano nello sviluppo normale della
grazia santificante, e suppongono perciò un favore del tutto
gratuito e sovraggiunto. Appartengono, dunque, per se
alle grazie gratis datae, e occorre riferirle reductive alla profezìa.
Com unque, molte di queste locuzioni causano un grande
bene all’anima che le riceve, soprattutto quelle sostanziali
che producono il bene che significano. In genere, non si
devono desiderare le locuzioni per i pericoli a cui espongo­
no, fatta eccezione delle sostanziali, nelle quali non v ’è
nulla da temere. L o stesso S. G iovanni della Croce, tanto
severo nel respingere tutte queste specie d i grazie straor­
dinarie, non esita a scrivere circa le parole sostanziali: « Fe­
lice l’anima a cui D io parlerà! Parla, o Signore, che il tuo
servo ti ascolta! » 4 4.

3) R iv e l a z io n i

596. 1. N o z i o n e . - Etim ologicam ente, la parola rive­


lare significa « togliere il velo » che occulta una cosa. Nel
suo significato reale, col Vallgornera possiamo definirla
« la manifestazione soprannaturale di una verità occulta o
di un segreto divino fatta da D io per il bene generale della
Chiesa o per l’utilità particolare dell’anima che la riceve » 45.
Il vélo che occulta la cosa rivelata può scomparire sopran­
naturalmente per m ezzo di una visione, locuzione o istinto
profetico. O gn i rivelazione divina perfetta suppone il dono
della profezia, e la sua interpretazione richiede quello della
discrezione 4 i spiriti.
597. 2. D i r i s i o n e f o n d a m e n t a l e . - D alla definizione
data si deduce che le rivelazioni divine possono essere pubbli­
che e private, secondo che si dirigono a tutta la Chiesa o a
una persona in particolare. Quelle pubbliche sono il fonda­
mento della nostra fede, e solo la Chiesa ne è la depositaria
e la custode; di esse si occupano l’A pologetica e la Teologia
dogm atica, principalmente nei trattati che riguardano i luo­
ghi teologici e la fede. T occano la T eologia mistica unicamente
le rivelazioni particolari o private.

44 Cf. Salita-11,31,2, iR e 3,10.


45 Cf. V a l l g o r n e r a , o.e., q. 3, d. j, a.4 n.718.
I FENOM ENI IN PARTICOLARE 10 7 5

598. 3. A l t r e d i v i s i o n i . - G li autori dividono le rive­


lazioni — secondo la loro form a — in assolute, condiziona­
te e comminatorie, secondo che dipendono o meno da una
condizione, o includono qualche minaccia o annuncio di
castigo. Queste ultim e.— come quelle che prom ettono pre­
mi — sogliono essere condizionate. Cosi fu, per esempio,
la profezia di G iona sulla distruzione d iN in ive e il vaticinio
di S. Vincenzo Ferreri sulla prossimità del giudizio finale.
Quando le rivelazioni si riferiscono ad avvenimenti
fu tu ri, ordinariamente si dà loro il nom e di profezie, ancorché
per sé la profezia faccia astrazione dal tempo e dallo spazio.
Queste profezie si dividono in perfette e imperfette, secondo
che il profeta, quando le propone, comprende la verità che
annuncia e si rende conto della sua origine divina, oppure
senza che conosca la portata della medesima (quando per
esempio, la propone mediante simboli o enigmi, nel qual
caso si chiama simbolica) o senza sapere la missione che sta
realizzando. Q uest’ultima si chiama istinto profetico. Tale fu,
per esempio, la profezia di Caifa quando annunciò che Cri­
sto sarebbe morto per tutto il popolo 4*. L e rivelazioni o
profezie perfette si ricevono per mezzo di visioni e locuzioni
divine; e ordinariamente D io si serve, per farle, del ministero
degli angeli 47. L e imperfette presuppongono una mozione
interiore o una certa ispirazione più o meno incosciente.

599. 4. L e r i v e l a z i o n i p r i v a t e . - a) Esistenza. - Sono


sempre esistite anime in cui si è manifestato lo spirito di pro­
fezia 48. È un fatto riconosciuto dalla S. Scrittura e dall’au­
torità della Chiesa nei processi di canonizzazione. Discutere
la possibilità delle rivelazioni private — dice Meynard 49
— sarebbe misconoscere uno dei caratteri della santità
esistente nella vera Chiesa e il sovrano potere di D io.

600. b) Non entrano nel deposito della fede. - La nostra


fede si basa sulla rivelazione fatta ai profeti e agli apostoli,
contenuta nella S. Scrittura e nella Tradizione sotto il con­
trollo e la vigilanza del Magistero. Le rivelazioni particolari,
qualunque sia la loro importanza e autenticità, non apparten­
go n o , dunque, alla fede cattolica.

46 C f. G io v. 11,49-52; 11-11,171,5.
47 C f. II-II,172,2.
4 ® C f. 11-11,174,6 ad 3.
49 C f. Trattato della vita interiore vol.2, n.322.
1076 I FENOM ENI M IS TIC I STRAORDINARI

Tuttavia, riconosciute come tali dopo un prudente giu­


dizio, coloro che le hanno ricevute direttamente debbono
senza alcun dubbio inchinarsi con rispetto dinanzi ad esse.
I teologi discutono se questa adesione debba essere in essi
un atto di fede divina; l’opinione affermativa sembra più
accettabile.
Tale obbligo si estende anche a coloro ai quali D io or-
dina d’intimare i suoi disegni, purché abbiano prove certe
dell’autenticità di questa rivelazione 5 ». Per gli altri non può
costituire che una pia credenza, alla quale non sono tenuti
a dare un consenso di fede divina quantunque sia stata giu­
dicata dalla Chiesa come non contraria al dogm a né alla
morale. Quando la Chiesa approva una rivelazione privata,
n on ne garantisce l’autenticità; dichiara semplicemente che
non racchiude nulla che sia contrario alla S. Scrittura e alla
dottrina cattolica e che si può proporre come probabile alla
pia credenza dei fedeli. Tuttavia, sarebbe m olto riprove­
vole contraddirla e metterla in ridicolo dopo questo giu­
dizio 51.
601. c) Valore delle rirelazioni private. - Una rivela­
zione privata anche se si presenta come divina secondo le
regole di discrezione, può risultare falsa se si vuole estender­
la a un campo che non le spetta.
In tali rivelazioni avviene con frequenza che l’attività
intellettuale di chi le riceve, le sue conoscenze naturali e
persino le sue preoccupazioni teologiche o scientifiche contri­
bu iscin e alla form azione di certi dettagli del quadro, dell’epi­
sodio o del discorso rivelato, da alterarne il vero senso o da
introdurvi elementi umani 5\ M olte volte queste alterazioni
sono dovute indubbiamente agli editori, agli amanuensi o
copisti. E cosi accade, per esempio, che le rivelazioni dì S. Ca­
terina da Siena, domenicana, coincidano totalmente con la
dottrina di S. Tom m aso, e che quelle della V en. Maria de
A greda, francescana, favoriscano quasi sempre la dottrina
di Scoto.
U n altro scoglio nel quale facilmente si può incappare ri­
guarda Vinterpretazione di codeste rivelazioni, anche sup­
posto che siano state ricevute e trasmesse senza alcuna corru-

5 ° Cf. B e n e d e t t o x i v , D e servorum D e i beati/., s .3 , c . u lt ., 11.12 .


51 C f. M e y n a r d , 0. c.Mn. 323-25; S a u d r h a u , V i t a t mystique n n .233-39,
(ed. 1921).
5* Cf. N a v a l , Carso de ascètica y mìstica n.272.
1 FENOMENI IN PARTICOLARE 1077
zione o interpolazione. Il Signore non dà la sua luce sopran­
naturale affinché si interpretino con leggerezza e impruden­
temente; e alle volte permette che si interpretino male per
castigare qualche presunzione o curiosità avuta in esse 53_
S. Giovanni della Croce espone diffusamente questa dot­
trina e adduce a conferma di essa diversi casi dell’A n tico
Testamento 54.
602. d) Natura teologica delle rivelazioni. - Per sé
queste grazie non entrano nello sviluppo normale della gra­
zia santificante e neppure la presuppongono necessariamen­
te nell’anima, come nel caso di Caifa. Appartengono, dunque,,
alle grazie gratis datae, e ,. secondo la qualifica paolina, alla
profezia. Tuttavia, molte di esse causano un grande bene a
colui che le riceve, nel senso che abbiamo già spiegato.
A d ogni m odo, i maestri della vita spirituale sono d’ac­
cordo nel dire che non si devono desiderare queste grazie
per i grandi pericoli a cui espongono. S. G iovanni della Cro­
ce ritiene che sia almeno peccato veniale chiedere a Dio-
delle rivelazioni ss.
603. e) Regole di discernimento. - Riassumiamo bre­
vemente quelle che indicano i maestri di vita spirituale:
1. O ccorre ritenere come assolutamente false le rivela­
zioni che si oppongono al dogm a o alla morale. In D io non
è possibile la contraddizione.
2. L e rivelazioni contrarie alla dottrina comune dei teo­
lo gi o che vorrebbero decidere quello che liberamente si
discute nelle scuole, sono gravemente sospette. L a mag­
gior parte degli autori dice che si devono respingere; altri
dicono che si potrebbero ammettere dopo averle esaminate
con particolare scrupolosità. Benedetto X I V riferisce queste
opinioni senza dirimere la questione s6.
3. N on si deve respingere senz’altro una rivelazione per­
ché una delle sue parti o qualche dettaglio sono effettiva­
mente falsi. Può essere che il resto sia vero 57.
4. N on si può spacciare per divina una rivelazione per
il fatto che si com pi in parte o in tutto, perché potrebbe

*53 Cf. P . N a v a l , o . c ., n.273.


54 C f . Salita 1 1 ,1 8 - 2 0 .
55 C f. Salita 11,21,4.
56 C f. B e n e d e t t o x i v , o.c., 1.3, c. ult., n.8.
57 C f . P . C r i s ó g o n o , Compendio de Ascèticay Mistica p . 2 15 (i.a ed.)*
1078 I FENOM ENI M IS TIC I STRAORDINARI

essere un effetto della casualità o delle conoscenze naturali 5».


5. L e rivelazioni che hanno per o ggetto cose inutili,
curiose o sconvenienti bisogna respingerle come non" di­
vine. L o stesso si dica di quelle che sono prolisse senza ne­
cessità o sovraccariche di p rove e di ragioni superflue. Le
rivelazioni divine sono m olto brevi e discrete; vengono e-
spresse con poche parole m olto chiare e precise 59.
6. Si esamini attentamente il temperamento e il caratte-
re della persona che afferma di ricevere delle rivelazioni.
Se è discreta e giudiziosa, se gode buona salute, se è umile e
mortificata, se è m olto avanti nella santità, ecc.; o se, al con­
trario, è estenuata a causa delle austerità o delle malattie,
se va soggetta a disturbi nervosi, se è propensa all’entusia­
smo e all’esaltazione, se divulga facilmente le sue rivelazioni,
ecc. Si potrà cosi congetturare sull’origine di, tali rivelazio­
n i 60.
7. Infine, la principale regola di discernimento saranno
sempre gli effetti che le pretese rivelazioni producono nel­
l’anima: « N on può l’albero buono dare frutti cattivi, né
l ’albero cattivo dare frutti buon i» (Mat. 7,18).

4) D is c e r n im e n t o d e g li sp ir it i

604. 1. N o z i o n e . - Con questa espressione si intende


la conoscenza soprannaturale dei segreti del cuore com u­
nicata da D io ai suoi s e r v i6l. D io dà questa grazia a chi vuole
e quando vuole; e alle volte non soltanto la concede per uti­
lità del prossimo, ma anche per il profitto di chi la riceve 6i.
L e disposizioni naturali e il grado di santità raggiunto dal­
l’anima non hanno nulla a che vedere con essa.
603. 2 . Casi s t o r i c i . - M olti santi hanno avuto questa
grazia. I più noti sono S. Tom m aso, S. Filippo N eri, san
G iuseppe da Copertino, il Y e n . O lier, S. Francesco da Pao­
la, S. Gaetano, S. A ndrea A vellin o, S. G iovann i di D io e,
soprattutto, S. Rosa da L im a e il santo Curato d’A rs.
N ella vita di S. G iovanni Vianney, (curato di A rs) leg­
giam o che « un giovane di Lione si era appena confessato

58 h i .
59 C f . M e y n a r D , o. c., t.z . n .3 3 2 .
60 Ivi, n .3 3 3 .
61 C f .
* C f . C a r d . B o n a , D e discr. spir. c .z , § 2.
1 FENOMENI IN PARTICOLARE 1079

quando il santo gli disse: « A m ico, non hai detto tutto».


« Aiutatem i vo i, Padre: non posso ricordare tutte le mie
mancanze ». « E quelle candele che hai rubato nella sagre­
stia di S. V in cen zo ?» . E ra vero, ma lo aveva dimenticato.
U n giorno il santo Curato chiese a un peccatore indurito
che gli avevano inviato: « Q uanto tempo è che non si con­
fessa ? ». « O h, quarant’anni ». « Quarantaquattro » replicò
il santo. L ’uom o tirò fuori la matita e fece una sottrazione
sulla parete. « È vero » confessò candidamente. E quel
peccatore si convertì e m orì da buon cristiano. Una mattina,
durante la messa del Curato d’A rs, una signora si presentò
con gli altri alla balaustra. Il santo le passò due volte davanti
senza darle la comunione. A lla terza volta: « Padre m io,
gli disse a voce bassa, non mi avete dato la comunione».
« N o , figlia mia; questa mattina avete mangiato qualcosa ».
A llo ra la signora si ricordò che quando si era alzata aveva
preso un po’ di pane » 63.
G li esempi si potrebbero moltiplicare. N el caso del S. Cu­
rato d’A rs è interessante notare due cose: i) il santo non
supponeva né indovinava i segreti del cuore o le disposizioni
dei penitenti, ma le vedeva per una grazia speciale di Dio:
« L eg g o nella sua anima come se l’avessi confessata tutta la
vita», disse S. G iovanni Vianney a una persona che si era
avvicinata a lui per la prima volta nella confessione; z) l’in­
tuizione non era continua in lui; il più delle volte consigliava
i mèzzi suggeriti dalla prudenza umana. A lle volte egli stesso
non si rendeva conto che stava profetizzando. In una certa
occasione — dice il R . Tocannier — gli feci a bruciapelo
questa domanda: « Signor Curato, quando vede qualche
cosa in m odo soprannaturale, dev’essere senza dubbio co­
me un ricordo? » « Si, amico mio, mi rispose. Cosi, per
esempio, una volta dissi a una donna: « V o i avete abbando­
nato/vostro marito nell’ospedale e rifiutate di unirvi di nuo­
v o a lui! — Com e sapete questo ? ella replicò. Io non ho
parlato con nessuno! — M i sono sentito più sorpreso di es­
sa; pensavo che m i avesse raccontato prima ogni cosa » (Ivi).

606. 3. S p i e g a z i o n e del f e n o m e n o . - Stabiliremo al­


cune conclusioni per procedere con ordine e chiarezza.

®3 Cf. T r o c iiu , Vita del Curato d’Ars c. 2 6 .


1080 I FENOM ENI M IS T IC I STBAO RD IN A.R1

l a conclusione: La conoscenza certa e infallibile dei


segreti del cuore è completamente soprannatu­
rale; e non può essere raggiunta dalla natura
umana nè dal demonio.

D iciam o la conoscenza certa e infallibile, per distinguerla


da una pura conoscenza probabile o congetturale, che po­
trebbero avere gli angeli, i demoni e anche i buoni psico-
logi.
Il santuario della nostra anima — l’intelletto e la volon ­
tà — rimane inaccessibile a tutte le forze create. S. Tom m aso
nega la conoscenza dei segreti del cuore anche agli angeli
buoni a meno che non intervenga una speciale rivelazione di
D io '■ «.

2* conclusione: La conoscenza soprannaturale dei


segreti del cuore appartiene ordinariamente alla
grazia gratis data « discretio spirituum », secon­
do la classificazione di S. Paolo.

Benché per sé la discretio spirituum si riferisca piuttosto


alla distinzione tra lo spirito buono e cattivo, tra i veri e falsi
profeti, tra i m ovim enti della grazia e quelli della semplice
naturale, tuttavia, giunta alla sua pienezza, mostra anche chia­
ramente gli affetti intimi dell’anima, i m ovim enti buoni o
cattivi del cuore.
Poiché si tratta di una grazia gratis data assolutamente
parlando si può trovarla nelle anime imperfette e anche pec­
catrici, tali come Balaam e coloro ai quali allude il Signore;
quando dice che m olti profetizzeranno nel suo nome ma che
non per questo egli riconoscerà come suoi 65. Tuttavia,
essendo questa grazia ordinariamente concessa ai santi,
sarà precisamente la santità d i vita il m iglior criterio per
giudicare, della sua origine soprannaturale.
La bontà dell’anima — dice il card. Bona 66 — non è
necessaria alla profezia — e lo stesso si dica del discerni­
mento degli spiriti che si riduce ad essa come la specie

6< Cf. 1,57,4.


Cf. Num. 22 e Mat. 7,22-23.
66 Cf. De diserei, spir. c.17 11. 5, 7 .
I FENOMENI IN PARTICOLARE 10 8 1

al genere •— ■ se si considera la radice interiore di questa bon­


tà, che è la grazia santificante. La ragione sta nel fatto che
la profezia viene data a utilità della Chiesa, com e le altre
grazie di questa natura; mentre la carità mira a unire la pro­
pria anima con D io . Per questo si possono separare queste
due grazie. Inoltre, la profezia appartiene all’intelletto, men­
tre la carità risiede nella volontà. Però siccome per pro­
fetizzare si richiede che l’anima sia elevata alla contempla­
zione delle cose spirituali, e la vita disordinata è Un osta­
colo a questa elevazione, D io ordinariamente non dà questo
dono se non alle anime sante. L ’espansione della luce so­
prannaturale per poter esercitare il discernimento degli
spiriti richiede la tranquillità dell’anima e la pace interio­
re, che non si può trovare in un uom o abbandonato ai vizi
e agitato dagli affetti terreni e mondani.
A n zi secondo Suarez questa grazia di solito non viene
concessa alla virtù mediocre. È patrimonio quasi esclusivo'
della santità consumata. Tuttavia, è possibile l’eccezione 6?..
- Notiam o, infine, che la discreazione degli spiriti — com e
le altre grazie gratis datae, — non sono date, nell’anima in
m odo costante e abituale, come la grazia santificante. O gn un o
dei suoi atti soprannaturali suppone, di conseguenza, una
nuova illuminazione. Solo G esù Cristo ebbe questi doni
in m odo abituale e permanente 68.

3a conclusione: La conoscenza congetturale delle


disposizioni della nostra anima non oltrepassa
le forze naturali degli angeli (buoni o cattivi)
nè quelle dell’uomo.

. Difatti, è : evidente che un buon psicologo, e anche


una persona esperta nelle relazioni umane, può congettu­
rare in m odo abbastanza approssimativo i pensieri e gli
affetti intimi dell’anima dall’aspetto esterno della fisionomia,
dall’espressione del gesto o dello sguardo, dal tono della
voce, dalla posizione del corpo, ecc. Queste congetture
più o meno approssimative sono in se stesse puramente
naturali, sono effetto di una sagacità innata, o risultato del­
l’esperienza; a volte gli elementi da cui si deducono possono
essere tanto chiari e inconfondibili da dare all’osservatore

67 C f . S u A r e z , D e gratia p i o l e g . c . ; , n .4 6 .
68 C f . 1 1 - 1 1 ,1 7 1 , 2; 1 11,7 ,7 -8 '. C a r d . B o n a , 0. c., c .2 , n .3
10 8 2 I FENOM ENI M ISTICI STRAORDINARI

una vera certezza morale sulle disposizioni intime della


persona osservata. Se questo è possibile all’uom o con le
semplici capacità della sua natura, a foriiorì lo sarà pure
agli angeli e ai demoni. L e intuizioni naturali differiscono
sostanzialmente da quelle che procedono dalla grazia sopran­
naturale del discernimento degli spiriti, non soltanto per
il loro grado di certezza — infallibile in quelle sopranna­
turali — ma anche e principalmente perché si tratta della
conoscenza delle disposizioni soprannaturali dell’anima —
che sorpassa e trascende totalmente la conoscenza naturale
— o di cose ignorate o inavvertite da colui che le realizzò,
<e che non possono perciò riflettersi sulla sua fisionomia.

5) I e r o g n o si

607. 1 . I l f a t t o . - Q uesto nom e, che


etimologica­
m ente significa « conoscenza di ciò che è sacro », designa
il potere o la facoltà che ebbero alcuni santi — soprattut­
to gli estatici — di riconoscere le cose sante (per esempio,
la sacra particola, i rosari o gli scapolari benedetti, le reli­
quie, ecc.) e di distinguerle immediatamente e senza esame
dagli oggetti profani.
608. 2. Casi s t o r i c i 69. - Si enumerano veramente molti
•esempi tra i santi. L a V en . Caterina Em m erich possedeva
questa straordinaria facoltà in grado eminente. Sia nel­
l ’estasi che fuori di essa sapeva dire con certezza ciò che
era benedetto e ciò che n on lo era tra la moltitudine di o g­
getti che le venivano presentati.
S. Caterina da Siena riprese severamente un sacerdote
che volle metterla alla p ro va offrendole nella comunione
un’ostia non consacrata.
Fatti analoghi si leggo n o nella vita di S. Francesca Rom a­
n a, di S. L udovin a è di altri santi.
Però il caso m eglio studiato e com provato fu indubbia­
mente quello della famosa estatica di Bois d’Haine Luisa La-
teau. Fu osservato da un grande numero di eminenti medici
e teologi del Belgio e della Francia tra cui il dott. Lefè-
bre, medico di L ovan io, e il dott. Im bert, professore di me­
dicina a Clermont-Ferrand, il quale lo descrive ampiamente in

69 C f . S c j r b l e d , h a maral en sus relqc'nnes con la medicina y la higìene,


p . 1 1 . a , c. 1 6 .
I FENOM ENI IN PARTICOLARE 1083
qualità di testimone nel suo interessante libro JLes stigma-
tisées. E cco come lo riassume il P. A rintero 7°:
« Se le presentavano una reliquia, benché fosse di qualche servo d i D io
non beatificato (come, per esempio, della V en . A greda), sorrideva soddisfat­
ta, pronta a baciarla o a prenderla se gliela davano. L o stesso faceva con gli
o ggetti benedetti benché avessero form a profana (com e un anello, per esem­
pio), mentre si m ostrava del tutto insensibile per g li o ggetti non benedetti,
benché fossero im m agini sacre. U n sacerdote travestito da secolare le pre­
senta un crocifisso n on benedetto; non le fa alcuna impressione; costui
allora si gira, e con la sua m ano consacrata v i traccia sopra il segno della
croce, e glielo presenta; solo allora ella m ostra il suo caratteristico sorri­
so. I presenti sono costretti ad esclamare: “ Che realtà sublime è la benedi­
zione del sacerdote, di cui si fa cosi poco caso!../’ . U n secolare le avvicina
la mano e si m ostra insensibile; gliela avvicina un sacerdote e si riempie di
gioia. Quando un sacerdote la, benedice, m ostra grande soddisfazione, sen­
tendo com e un’influsso celeste. Q uando vicin o a lei pregano, sia pure
in lingua straniera, accom pagna con l’espressione corrispondente i misteri
di cu i si tratta, e se nel medesimo tono di orazione continuano a leggere cose p ro ­
fane o le stesse rubriche dèi breviario, codesta espressione cessa e si mostra
insensibile... ».

Questi fatti impressionarono tanto il libero pensatóre


dott. D elcroix, che in fine si convertì. Però ecco il colm o
della, meraviglia:
« U n giorno, il curato che ritornava dall’amministrare il viatico e l’e­
strema unzione a un inferm o, volle mostrarle la custodia dei santi o lii per
vedere quale riverenza avrebbe avuto per essi. Ella si trovava com e croci­
fissa in terra. Q uando sentì da lontano il sacerdote che veniva, si pose come
per incanto in ginocchio, e in questa maniera andava trascinandosi verso di
lui com e attratta dalla più forte calamita. Poiché un vesco vo presente so­
spettava che nella custodia in cui era stata collocata l ’ostia fosse rimasto qual­
che frammento separarono le due custodie. Dinanzi a quella degli olii si m o­
strò più sensibile, e da m olto più lontano che dinanzi ag li altri oggetti con­
sacrati... A lla presenza dell’altra custodia fu di n u o vo attratta da lontano
com e prima... A ndarono in chiesa: il vescovo indossò la stola, apri la teca
e trovò un framm ento di qualche millimetro, che il curato non aveva visto...
Purificarono bene la pisside, e al posto di quel frammento m isero una par­
ticola n on consacrata per vedere se le avrebbe causato la medesima impres­
sione... Invece la custodia la lasciò completamente indifferente, com e se
n on esistesse... ».

7° Cf. L a verdadera Mistica tradicional pp. 214 - 215 .


10 8 4 I FENOM ENI M IS T IC I ST R A O R D IN A R I

609. 4. Spi e g a z i on e d e l f e n o m e n o . - Per m aggior


chiarezza la daremo in forma di conclusioni.

l a conclusione: La ierognosi trascende le forze del­


la natura e non si può spiegare in modo natu­
rale nè preternaturale.
Si tratta, evidentemente della conoscenza di realtà so­
prannaturali per le quali non ha capacità proporzionate la
semplice natura umana o angelica.
È invece perfettamente possibile una controprova nell’or­
dine preternaturale. Il demonio può offrire, a suo m odo,
preziosa testimonianza. D ifatti, si è com provato pienamente
che come le cose sacre attraggono in m odo v iv o e misterio­
so le anime sante, cosi costituiscono o ggetto di orrore e
di repulsione per il demonio, per i suoi seguaci e le sue vit­
time. Questa proprietà serve in generale per confermare
i presunti casi di possessione e si utilizza con profitto negli
esorcismi. Che cosa c’è di più impressionante che l’im prov­
visa apparizione di crisi di furore, di rabbia violenta, di con­
vulsioni disordinate e m olteplici che si producono nei pos­
seduti al solo contatto — imprevisto e incosciente — di
una croce o di un rosario benedetto ? Che cosa ci potreb­
be essere di più adeguato per confermare una diagnosi
-quando si verificano, d ’altra parte, gli altri segni ?
Tuttavia è necessario prendere le precauzioni più se­
vere e minuziose onde prevenire la simulazione, scoprire
l’inganno e assicurare tutto il suo valore all’esperienza.
La ierognosi repulsiva non è per sé un segno infallibile;
m olti ossessi non l’hanno v.

"2a conclusione: La ierognosi dei santi si può spie­


gare mediante una certa simpatia o connatura­
lità con il divino, raggiunta dalle loro anime, tra­
sformate in Dio; o mediante l’influenza di una
grazia « gratis data ».
Il P. A rintero concludeva il suo studio su Luisa Lateau
c o n questa breve e semplice frase: « Luisa è un meraviglioso

V Cf. Su R B L E D , l.C.
I F E N O M E N I IN P A R T IC O L A R E 10 8 5

estesiometro del soprannaturale, unica realtà che esiste per


lei durante le sue estasi » T.
Effettivam ente, è un fatto psicologico che ognuno è
impressionato e interessato da quello che si riferisce alle sue
preoccupazioni e affezioni, mentre tutto il resto lo lascia
insensibile. E quasi impossibile intavolare una conversa­
zione con uno sconosciuto senza che in breve tempo non
trapeli chiaramente qual è la sua professione, il genere di
vita, insensibilmente gli sfugge il pensiero e la parola scivola
su ciò c h e 1 costituisce la preoccupazione della sua vita.
Qualche cosa di simile avviene nei santi. Essi non vivo n o che di
soprannaturale; tutto il resto li lascia insensibili e indifferenti.
N on c ’è quindi da meravigliarsi che questa disposizione
psicologica, portata quasi al parossismo nei mistici, giunga
a produrre il fenomeno della ierognosi come qualche cosa
di spontaneo e connaturale allo stato di sublime soprannatu-
ralizzazione raggiunto dalle loro anime trasformate, che
giungono ad essere veri estesiometri del soprannaturale.
Tuttavia quando il fenomeno si verifica sia nell’estasi
che fuori di essa ci pare che non basti questa semplice
connaturalità col divino e che occorra inoltre pensare a
una grazia gratis data, che nella classificazione paoli-
na si, può ricondurre alla profezìa o alla discrezione di
spiriti. L o stesso P. A rintero, il partigiano della connatura­
lità, riconosce che Luisa Lateau era un m eraviglioso
estesiometro del soprannaturale durante le sue estasi. Ora,
si potrebbe affermare la stessa cosa fuori delle sue estasi?
N o i non osiamo negarlo, però ci pare preferibile il ricorso
a una grazia gratis data. Solamente essa ci potrebbe spiegare,
inoltre, il fatto che non tutti i santi godettero della ierogno­
si nonostante, che tutti fossero intimamente uniti a D io e
perfettamente connaturalizzati con il divino; segno eviden­
te che non basta la semplice connaturalità per spiegare
tale fenomeno — almeno in m olti casi — e che è necessario
aggiungervi qualcosa.

6) A lt r i fe n o m e n i d i c o n o sc e n z a

Sotto questo titolo generico raggrupperem o una serie


di fenomeni mistici che senza essere propriamente visioni,

'i1 Cf. L a verdadera Mistica tradìcional p ag. 215. - L ’estesiom etro è un


apparecchio inventato dai moderni psicologi per misurare la sensibilità.
1086 I FENOM ENI M IS T IC I ST R A O R D IN A R I

locuzioni né rivelazioni, si riferiscono anche in qualche


modo alla conoscenza. Si tratta di speciali attitudini che le
anime ricevono in maniera soprannaturale o infusa,
in ordine all’esercizio delle scienze o delle arti. Enum eriam o
solo le principali 73.
610. i. M i r a c o l o s a i n i z i a z i o n e ai prim i elementi del­
l ’insegnamento primario. - In virtù di questa grazia S. Cate­
rina da Siena apprese a leggere e a scrivere istantaneamente. S.
Rosa da Lim a, ancora bambina, apprese a scrivere co n eccel­
lente calligrafia. Si citano ancora altre tre domenicane fa-,
vorite nello stesso modo: la B. Osanna di M antova e le Bea­
te Agueda da la Cruz e Speranza L opez. Il caso di quest’ul-
tima è attestato dal capitolo generale celebrato in Rom a
nel 1629 7 4.
611. 2. Scienza intasa u n i v e r s a l e . - Si citano due casi
storici veramente sorprendenti: quello del solitario spagnolo
G regorio L op ez (1562-1596), il quale, pur non avendo fat­
to studio alcuno, possedeva una vastissima conoscenza della
S. Scrittuta, della stòria della Chiesa, dei principi della vita
spirituale e dellà direzione delle anime, di astrologia/cosm o­
grafia, geografia, anatomia, medicina, farmacia e agricolturà;
e quello della Veti. Maria de A greda, la cui vastissima scien­
za infusa fu constatata m olte volte con ammirazione.
612. 3 . Sci enza infusa p a r z i a l e . - Più frequente, ma
non meno m eravigliosa è l’infusione di qualche ramo della
scienza. S. Caterina di Alessandria apprese cosi a redarguire
con argomenti incontestabili i filosofi più celebri del suo
tempo. Santa Ildegarda possedeva profonde conoscenze di
medicina che erano a quanto pare completamente infuse.
613. 4 . Conoscenze sop r a n n a t u r a l i . di Teologia mi­
stica. - S. G ertrude, S. Caterina da Siena e S. Teresa di G esù
— grandi luminari della Mistica — dovettero le grandi luci
che hanno tramandato ai posteri nelle loro opere m olto più
all’infusione divina, che agli sforzi personali.
614. 5. P r o f o n d e c o n o s c e n z e di tutta la Teologia. -
I a figura più rappresentativa in questo senso è, senza dubbio,
S.Tom m aso d’A quino, il quale ricevette da D io tìn in g e g n o
portentoso capace di penetrare profondam ente nella natura

73 C f. R i b e t , L a mystiqui divini t.4 , c .1 7 e 18,


74 I ti, c.17, n.2.
I F E N O M E N I IN P A R T IC O L A R E 1087
intima delle cose. Tuttavia, quando si considera la brevità
della sua vita, il numero prodigioso delle opere che scrisse
in poco più di vent’anni con tanta perfezione, la maniera
con cui le compose: pregando, piangendo, digiunando per
trovare la soluzione delle difficoltà, dettando contem po­
raneamente a tre o quattro amanuensi senza esitazione né
errori, continuando il dettato sulle stesse questioni quando
si svegliava dal sonno che alle volte lo vinceva..., è impossi­
bile non vedere nella scienza del D ottore A ngelico, oltre
che un genio un vero miracolo di infusione divina. Fra
Reginaldo, suo segretario e com pagno, era pienamente con­
vinto di ciò 75.
615* 6. A b i l i t à i n f u s a per l ’esercizio delle arti. - Si
citano al riguardo m olti esempi. Per la poesia S. Francesco
di Assisi, Tommaso da Celano e Jacopone da T odi, rispet­
tivamente autori dei m eravigliosi Cantico del Sole, Dìes ìrae e
Stabat Mater i6; per la musica, S. Cecilia e S. Caterina da B o ­
logn a; per l a pittura, il beato Fra A ngelico da Fiesole; per l a
scultura e l’architettura, ne abbiamo un esempio in Beseleel,
•come: è narrato nella Sacra Scrittura. D i questo si dice
espressamente che fu pieno dello spirito di D io e di scienza
in ogni sorta di lavori per costruire il m eraviglioso taber­
nacolo e l’arca dell’alleanza in com pagnia di O oliab e di
altri soci 7 7; e infine per l 'eloquenza, valgano per tutti gli
esempi di S. V incenzo Ferreri e di S. Francesco Saverio.
616. N a t u r a di questi fenomeni. - T utti questi fenome­
ni — se eccettuiamo forse quelli relativi alla T eologia mistica
e dogm atica — potrebbero essere preternaturali, giacché non
sorpassano le forze del demonio. Però quando sono sopran­
naturali appartengono nella loro quasi totalità alle grazie
gratis datae.
Tuttavia, alcuni di essi si potrebbero spiegare mediante

75 Cf. Process. de vita S. Thom., B B 7 m art., t.7, p . 704, n.58: «Item


dixit se audivìsse a Fr. Raynaldo de Pìpem o socio dicti F r. Thom ae, de
scientia ipsius, q u o d eius scientia non fuerat a naturali ingenio adquisita,
sed per reyelationem et infusionem Spiritus Sancti; quia numquam pone-
bat se ad scribendum aliquod opus, nisi praemissa oratione et effusione
lacrim arum , et quando in aliquo dubitabat, recurrebat ad orationem et
perfusus lacrymis de ipso dubio revertebatur clarificatus et doctus ».
7tì C f. F e d e r ic o O zan am , Les poètes franciscaìns, 3. ediz.
77 C f. Es. 3 i,is .
1088 I F E N O M E N I M I S T I C I STR AO R D IN AR I

una irradiazione dei doni dello Spirito Santo; e questa è,


ci pare, la vera spiegazione di quelli relativi alla T eologia
mistica e alla dogmatica. I doni della sapienza, dell’intelletto-
e dèlia scienza illuminano l ’intelletto del mistico con viva,
luce per cui egli penetra profondamente nelle verità divine
e anche umane in ordine a D io . Per qualche caso veramente
eccezionale che abbiamo citato, ci sarebbe forse da aggiun­
gere anche una certa influenza delle tre principali grazie
gratis datae corrispondenti a codesti doni, cioè, la fides,
il sermo sapientiae e il sermo scientìae senza ricorrere cosi a.
nuovi miracoli.

II. F E N O M E N I D I O R D IN E A F F E T T IV O

N ello studio dei fenomeni di ordine affettivo non è pos­


sibile s ta b ilire ' u n a divisione perfetta e adeguata giacché
raramente se ne potrà trovare qualcuno che sia circoscrit­
to esclusivamente all’intelletto, alla volontà o al corpo..
Com e criterio e norma di divisione, dunque, occorre fis­
sarsi sull’aspettò ‘ che pare fondamentale e predominante
per trovare in esso il principio di classificazione. In questo-
senso, ci pare che debbano considerarsi come di ordine;
prevalentemente affettivo due grandi; fenomeni mistici: Ve­
stasi e gli incendi di amore. Si potrebbero forse denominare,
con m aggiore proprietà, fenomeni psico-fisiologici, dal momen­
to che, quantunque abbiano la loro radice principale nel­
la volontà, si ripercuotono sull’organismo in una maniera,
tanto straordinaria che m olti autori — a nostro giudizio
m eno rettamente — li classificano tra i fenomeni di ordine,
organico. Com unque sia, li studieremo in quésta sezione
pur riconoscendo che non appartengono né possono appar­
tenere esclusivamente ad essa né a nessun’altra.

i) L ’e s t a s i m ist ic a non è una g r a z ia g r a t is d ata

617. L ’estasi mistica, in quanto fenomeno interiore o di


Orazione, non è una grazia gratis data. Entra, al contrario, nel­
lo sviluppo normale dei gradi di orazione mistica, e costitui­
sce perciò un fenom eno normale nello sviluppo della vita
cristiana. Però nel suo aspetto esteriore e più spettacolare
presenta certe som iglianze con i fenomeni sorprendenti di
tipo straordinario che stiamo esaminando. Ciò ha forse de­
terminato m olti autori a classificare l ’estasi tra le grazie
gratis datae, mentre in realtà appartiene allo sviluppo normale
I F E N O M E N I IN P A R T IC O L A R E 1089
della grazia. È un fenom eno contem plativo altamente san­
tificante per l’anima che lo sperimenta com e spiega Santa
T eresa 1.
Abbiam o già studiato diffusamente l’estasi e a quelle pa­
gine rimandiamo il lettore (cf. nn. 450-66).

2) G li in c e n d i d i a m o re

6X8. 1. I l f a t t o . - È un fatto, pienamente com provato


nella vita di alcuni santi, che la violenza dell’amore verso
D io si manifesta alle volte all’esterno sotto form a di fuoco
che riscalda e brucia persino materialmente la carne e le v e ­
sti vicine al cuore I.
619. 2 . V a r i g r a d i . - Q ueste manifestazioni tanto sor­
prendenti dell’amore si producono in gradi m olto diversi.
I principali sono tre 3:
a) Semplice calore interno. - Il prim o grado consiste
in uno straordinario calore del cuore che si dilata; questo
Calore si espande su tutto l’ organismo. U n caso notevole
di questo fuoco divoratore è quello della Beata Giuliana
di Cornillon, alla quale si deve il primo impulso alla isti­
tuzione della festa del Corpus Dom ini. S. Brigida sentiva
ardori tanto v iv i nel suo cuore, che non percepiva il freddo
intensissimo di Svezia. È classico, infine, l ’episodio della
vita di S. Venceslao, duca di Boemia. D i notte egli visitava
le chiese a piedi scalzi di cui lasciava dietro di sé sulla neve
l’impronta insanguinata. A l servo che lo accompagnava,
per ripararsi dal freddo intensissimo che sentiva, raccoman­
dava di mettere i suoi piedi nelle orm e che egli lasciava.
Cosi facendo infatti non sentiva più il freddo.
b) Ardori intensissimi. - Il fuoco dell’amor divino può
raggiungere tale intensità che alle volte è necessario ricorrere
ai refrigeranti per poterlo sopportare. D i S. Stanislao K ot-
ska si racconta che era cosi intenso il fuoco che lo consu­
mava, che nel cuore dell’inverno era necessario applicargli
sul petto dei panni im bevuti di acqua gelata. S. Francesco
Saverio, non potendo sopportare alle volte nelle sue pere­
grinazioni apostoliche l ’ardore che lo divorava, era costretto

1 C f. tra gli altri passi Seste mansioni cc. 4-6.


* Cf. RlBET, O.C., t.2 , C.2 2 .
3 Ivi\ nn. 4-7,
1090 I FENOM ENI M IS T IC I ST R A O R D IN A R I

a scoprirsi il petto. S. Pietro d’Alcantara per l’ardore della


carità non p oteva rimanere nella sua cella; si.m etteva allora
a correre per la campagna al fine di smorzare un poco, con
l ’aria fresca, il fuoco che lo divorava. L a carità che infiam­
m ava S. Caterina da G en ova era tanto intensa, che non si po­
teva avvicinare la mano al suo cuore senza sperimentare un
calore intollerabile.
c) L ’ustione materiale. - Quando il fuoco dell’amore
giunge a produrre l ’incandescenza e la bruciatura materiale,
si realizza in tutta la sua pienezza il fenom eno che gli autori
mistici denominano « incendio d’amore ».
Q uesto fenom eno si è yerificato varie volte nelle vite
dei santi. Il cuore di S. Paolo della Croce, fondatore dei Pas-
sionisti, ardeva talmente nel fuoco dell’amor divino, che più
d’una volta la sua tonaca di lana apparve completamente bru­
ciata dalla parte del cuore. A nche due delle sue costole pre­
sentavano una curvatura notevole. L ’ustione di indumenti
c l’incurvam ento di costole si com provò anche in S. Gemma
Galgani.
Il Beato N icola Factor, religioso francescano, incapace
di sopportare il fuoco che ardeva nel suo cuore, si gettò
in una vasca di acqua gelata in pieno inverno. Consta dal suo
processo di beatificazione che l’acqua subito si riscaldò.
L a Beata Lucia da Narni, terziaria domenicana, consuma­
ta da questo fuoco interiore, aveva la pelle annerita e come
abbrustolita dalla parte del cuore. G li ardori del fuoco in­
teriore sollevavano tanto il suo lato sinistro, che le sue
consorelle tem evano di doverle rompere le costole. U no dei
casi più sorprendenti è quello di S. Filippo Neri. Là palpi­
tazioni del suo cuore erano tanto forti quando com piva
qualche funzione sacra o parlava delle cose di D io, che sem­
brava gli si rompesse il petto. Il suo corpo tremava cosi
forte che si ripercuoteva sugli oggetti che si trovavano attor­
no a lui come il letto e la stessa abitazione, che pareva scos­
sa da un piccolo terrem oto. Nonostante la sua grande m orti­
ficazione, si vedeva costretto a bere ogni tanto un bicchiere
d ’acqua gelata per ristorare un poco la gola, riarsa a causa
della traspirazione ardente. A lle volte doveva gettarsi a
terra e scoprirsi totalmente il petto per smorzare un poco il.
fuoco interiore che lo consumava. Quando dopo la morte
i medici gli fecero l’autopsia, trovarono che la quarta e la
quinta costola del lato sinistro erano rotte e completamen­
te staccate. In quello spazio il suo cuore, che era di una
grandezza e di una forza muscolare straordinaria, poteva dila-
I F E N O M E N I IN P A R T IC O L A R E 1091
tarsi con m aggior ampiezza. Questi fenomeni si erano veri­
ficati in lui quando aveva vent’anni. Visse cosi ancora circa
sessantanni poiché m ori ottantenne.
620. 3 . S p i eg a z i o n e di q ue s t i f e n o m e n i 4. . È diffi­
cile spiegare questi fatti anche se non tutto ciò che essi con­
tengono è misterioso.
Esiste senza dubbio una stretta relazione tra l’amore e
il fuoco, come spiega lo Pseudo-D ionigi nel suo libro De
cadesti hierarchia. Com e il fuoco consuma e trasforma in sé
tutto ciò che si trova nel suo raggio di azione, cosi l ’amor di­
vin o trasforma in D io la creatura che si sottomette a lui.
Esiste ancora un’altra ragione più convincente, sempre
nell’ordine naturale, sulle relazioni tra l’amore spirituale e il
calore corporale del cuore. A ncorché il cuore non sia l’or­
gano dell’amore, è fuori dubbio che in esso si ripercuote la
vita affettiva dell’anima. Q uanto più l ’uom o avviva ed ecci­
ta la sua vita di amore, tanto più profondo è il contraccolpo
di questa attività interiore nel suo cuore. Q uesto contrac­
colpo si manifesta mediante una crescente circolazione del
sangue in questo organo e, di conseguenza, in tutto il cor­
po. Ora, l’intensità del calore sta in relazione diretta con
quella del m ovim ento, che è il su o vero generatore, come di­
mostra la fisica. Cosi si potrebbero spiegar* almeno in parte
le prime imperfette manifestazioni di questi fenomeni mi­
stici; l’amore accelera il m ovim ento del cuore; questo m ovi­
mento determina un calore proporzionato in questo organo
e quindi nel resto dell’organismo.
Tuttavia, bisogna confessare che questa spiegazione è del
tutto insufficiente per spiegare il fenomeno nel secondo e
soprattutto nel terzo grado, cioè, quando giunge a produrre
una vera ustione materiale. E questo non solamente perché
la correlazione tra l’intimo amore dell’anima e il calore sen­
sibile degli organi non è tanto grande da poter giungere a
questi estremi, ma anche perché si è com provato molte volte
che codesta incandescenza tanto sorprendente si è prodotta
nei mistici senza nessun sintomo di febbre o di anormale ac­
celerazione sanguigna. D ’altra parte, il corpo non potrebbe
sopportare naturalmente queste scosse tanto violente. L ’or­
ganismo umano soccom be quando il suo calore interno
sorpassa i 43 °, temperatura m olto inferiore a quella richie­
sta da una vera ustione materiale della carne o delle vesti.

4Ivi, n.8.
1092 I FENOM ENI M IS T IC I ST R A O R D IN A R I

Per conseguenza, quando si verifica questa ustione, se ii


santo non soccom be né la sua carne si incenerisce, l’unica spie­
gazione possibile sembra l’ ipotesi del miracolo. Per ora
almeno, la scienza è im potente a dare una soddisfacente spie­
gazione nell’ordine puramente naturale.
Questo fenomeno potrebbe avvenire per intervento dia­
bolico ? Si, certamente. Il demonio può produrre la incombu­
stibilità di un corpo e l’ustione di un altro che è in contatto
con lui interponendo tra il fuoco e uno dei due corpi un
ostacolo invisibile all’uom o. Per distinguere questa falsifi­
cazione diabolica dal fenomeno autentica mente miracoloso
o soprannaturale si dovrà ricorrere alle regole generali del
discernimento degli spiriti, tenendo conto di tutte le cir­
costanze in cui si svolgon o i fatti.

III. F E N O M E N I M IS T IC I D I O R D IN E C O R P O R A L E

Affrontiam o ora lo studio dei fenomeni mistici che


si riflettono principalmente sull’organism o, in qualcuna
delle sue funzioni vitali o in differenti aspetti delle sue atti­
vità e manifestazioni esteriori. I principali sono:
1) L e stigmate.
2) Le lacrime e il sudor di sangue.
3) L a rinnovazione o il cambio di cuori.
4) L ’inedia o il digiuno prolungato.
5) La privazione del sonno.
6) L ’agilità. ,
7) La bilocazione.
8) La levitazione.
9) L a sottigliezza.
10) La luminosità.
11) Il profum o soprannaturale.

1) Le st ig m a t e

U no dei più sorprendentifenom eni mistici di ordine cor­


porale sono le stigmate. È anche uno dei più combattuti
dai razionalisti, che negano il suo carattere soprannaturale e
cercano di spiegarla per mezzo della semplice immaginazio­
ne o per mezzo della patologia. N o i esporremo brevemen­
te il fenomeno in sé, per poterne trovare poi una spie­
gazione soddisfacente.
I F E N O M E N I IN P A R I IC O LA R E 1093
621. i . I l f a t t o . - Q uesto fenom eno consiste nella spon­
tanea apparizione di certe stigmate o piaghe sanguinolenti
nel corpo della persona che lo sperimenta. A ppaiono nelle
mani, nei piedi e nel costato sinistro e alle volte anche nella
testa e sulle spalle.
Q ueste piaghe possono essere visibili e invisibili, perma­
nenti o periodiche e transitorie, simultanee e successive.
La forma, la grandezza, l’ubicazione o altre circostanze
accidentali sono m olto varie secondo i casi.
Le stigmate sono prodotte quasi sempre in soggetti esta­
tici, e frequentemente vengono precedute e accompagnate da
fortissim i tormenti fisici e morali. L ’assenza di tali patimen­
ti — avverte Tanquerey 5 — sarebbe un cattivo segno,
perché le stigmate non sono se non il simbolo dell’unione
con il divino Crocifisso e della partecipazione alle sue sof­
ferenze.
622. 2 . N u m e r o d e g l i s t i g m a t i z z a t i . - Il primo Stig­
m atizzato di cui si ha notizia è S. Francesco di Assisi, che ri­
cevette le piaghe in un’estasi sublime che ebbe a La Verna
il 1 7 settembre 1 2 2 4 . D o p o di lui i casi si sono moltiplicati.
Il dott. Im bert-Gourbeyre, che studiò il fenom eno con m ol­
ta attenzione e com p eten za6, enumera fino a 321 casi.
M a la storia delle stigmate è soltanto abbozzata. Probabilmen­
te esistettero degli stigmatizzati prima di S. Francesco 7.
D ei 3 2 1 che il dott. Im bert segnala, 6 2 furono canonizzati;
4 1 sono uomini; e si distribuiscono per ordini religiosi
nella seguente maniera:
Domenicani 109
Francescani 102
Carmelitani 14
Orsoline 14
Visitandine 12
Agostiniani 8
Cistercensi 5
Benedettini 4
Gesuiti 3

s Cf. T a n q u e r e y , u . c ., n.1523.
6 C f. L a estigmatìsation, Paris, 1894.
7 D o p o l'opera del dott. Im bert si sono registrati m olti altri casi. I più
notevoli sono quelli di S. Gem m a G algani, di Teresa Neum ann e di P.
P io da Pietrelcina.
1094 I FENOM ENI M IS T IC I ST R A O R D IN A R I

Teatini 3
Trinitari 2
Geronimi 2
Concezionisti 2
O rdini diversi 13
Secolari 28

TOTALE J2I

623. 3 . F u s t i g m a t i z z a t o S. Pa o l o ? « N ella lettera


ai Galati (6,17) l’apostolo parla di certe stigmate che porta
nel suo corpo: « E g o , enim, stigmata D om ini Jesu in corpo-
re meo porto ». Che cosa significano queste parole ?
Il P. Giuseppe Lagrange, commentando questa lettera,
spiega che col nom e di stigmate gli antichi intendevano certi
segni — ■alle volte tatuaggi, ustioni, ecc., — che manifesta­
vano l’appartenenza di colui che le possedeva a un determi­
nato padrone od organism o. E cosi li portavano gli schiavi,
per indicare il signore a cui appartenevano; i soldati, per si­
gnificare l’esercito di cui facevano parte, e persiti/ i devoti,
come distintivo del dio o della divinità a cui erano consacrati.
S. Paolo usa la parola stigmate in questo senso. Per lui, le
« stigmate » sono i segni delle sofferenze e dei cattivi trat­
tamenti sofferti per amore di G esù Cristo. Per altri, le stig­
mate erano un segno infamante che era necessario occul­
tare diligentemente; per S. Paolo, invece, sono i segni del
suo trionfo e il trofeo della sua vittoria. Per questo non le
occulta, ma le esibisce — porto — come suo vero titolo di
gloria, che lo accredita quale autentico servo di Cristo 8.
Q uesto sembra essere il vero senso di codesto testo del­
l’apostolo. N on si tratta di stigmate nel senso che si dà a
questa parola dopo S. Francesco di Assisi, il primo stigma­
tizzato di cui finora si ha notizia.
4. N a t u r a del f e n o m e n o . - Esporrem o prima la spie­
gazione razionalista, poi quella cattolica.
624. A ) Spiegazione razionalista. - D a m olto tempo si
è preteso di dare al fenom eno delle stigmate una spiega­
zione naturalista. Benedetto X I V riferisce nella sua opera
classica 9 che il Petrarca attribuiva la visibile impressione delle
piaghe in S. Francesco di Assisi alla sua immaginazione, e-

8 C f. P. J. M . L a g r a n g e , Efiitre aux Galatei c.6 , v .1 7 , p . 167.


9 C f. D e strv. D e i beatìf, 1. 4, p . i,a c.33, n.19.
I F E N O M E N I IN P A R T IC O L A R E 1095
saltata dai misteri della croce; e che Pom ponazzi, d’accordo
col filosofo arabo A vicenna, attribuiva alPimmaginazione
il potere di trasformare i corpi estranei e, a più forte ragione,
quello di impressionare il proprio corpo.
Tuttavia, i moderni razionalisti hanno voluto attribuirsi
la vittoria completa sul fanatismo e sulFoscurantismo reli­
gioso, dando delle stigmate una spiegazione puramente ed
esclusivamente naturale. E cco come questo fenomeno vie­
ne esposto dal dott. Im bert I0, il quale riassume il pensiero
del razionalista A lfredo Maury:
« Questi soggetti atti all’estasi e alle stigmate sono ordinariamente per­
sone predisposte alla neurosi, sia per ereditarietà, sia per i difetti della loro
educazione. Il loro temperamento è nervoso, impressionabile; molti di essi
soffrono abitualmente gravi disturbi di inervazione (o influenza nervosa);
si tratta di donne isteriche, di uomini ipocondriaci. La loro costituzione è
debilitata dai digiuni, dalle macerazioni e da tutti i rigori delFascetismo. Pre­
cisamente perché la donna soffre in grado più alto che l’uomo di questa su­
scettibilità nervosa, si verificano molti più casi di estasi e di stigmate nel
sesso debole che nel forte.
« Questi soggetti vivono ordinariamente in un ambiente mistico, in cui
le letture, le conversazioni, le immagini che hanno dinanzi agli occhi esal­
tano sempre più le loro tendenze religiose; dove l’esempio, ricordato inces­
santemente, di S. Francesco d’Assisi, di S. Teresa, di S. Caterina da Siena
esercita un vero contagio sul loro spirito. Precisamente per questo Ì feno­
meni si producono quasi sempre negli ordini contemplativi.
« L ’immaginazione di queste persone è viva e ardente; il loro cuore, for­
temente appassionato, non ha trovato il suo alimento naturale nelle persone
della terra. I loro pensieri e i loro amori si concentrano sempre più in una
pia contemplazione; l’estasi ne è la naturale conseguenza. Però l’estasi è
l’impero completo dell’elemento morale sul fisico. In questo stato, basta
che il pensiero si fissi sulle scene dolorose della passione di Cristo perché
il cuore s’infiammi dell’ardente desiderio di partecipare alle sue sofferenze,
e si produca ben presto una flussione (accumulazione morbosa di umori)
nervosa e sanguigna nelle mani, nei piedi e nel costato. Una volta prodotta
l’emorragia, si ripeterà frequentemente il venerdì, giorno in cui la preoccu­
pazione mistica è più completa e in cui gli infermi hanno l'abitudine di con­
centrarsi in ardenti e prolungate contemplazioni del supplizio del Calvario;
determinano cosi, attraverso lo sforzo di una volontà esaltata in maniera mor­
bosa, la rinnovazione del fenomeno ».

N on si può negare che questa spiegazione razionalista


sia facile e presentata con vera abilità.

10 C f. D o t t . I m b e r t , Les estigmatisies, z ediz., tr. z p p . 1 9 1 *3 .


1096 I FENOM ENI M IS T IC I ST R A O R D IN A R I

Analisi della teoria razionalista 11. - Con ogni diligen­


za occorre evitare due scogli quando si cerca di dare una
spiegazione soddisfacente al fenomeno di cui stiamo trattan­
do: attribuirgli sempre un carattere trascendente, sopranna­
turale o preternaturale, e non vedere in esso che un fe­
nom eno semplicemente psico-fisiologico.
Contro la teoria dell’origine esclusivamente sopranna­
turale, c’è il fatto che la Chiesa — suprema autorità in ma­
teria — non ha riconosciuto questa origine se non in un nu­
mero m olto ristretto di casi, ed esige sempre, per pronun­
ciarsi in questo senso, prove più convincenti che la sola e-
sistenza delle stigmate.
D ’altra parte, il dott. V o n A rnhard — grande orientali­
sta — ha parlato di frequenti stigmate tra gli asceti mussul­
mani che si im mergono nello studio della vita di M aom etto,
le quali vengono messe in relazione con le ferite riportate
dal profeta nel corso delle sue battaglie.
G li yoga e gli asceti bramani sarebbero capaci di produrre
fenomeni analoghi alle stigmate — abadir — benché non
sappiamo se si tratta di vere piaghe o di semplici suffusioni
sanguigne.
Infine, gli esperimenti realizzati nei laboratori di psi­
chiatria, nonostante che siano m olto rari e ottenuti in con­
dizioni m olto eccezionali, debbono essere tenuti in consi­
derazione prima di pronunciarsi per il carattere sopranna­
turale di questi fenomeni

11 Ricaviamo questi dati dalla citata opera del Dott. I m b e r t e dagli stu­
di dei dottori H e n r i B o n , Medicina e religione, e S u r b l e d , L a moral en
sus relaciones con la medicina y la higiene.
14 Del resto, non è difficile distinguere la vera stigmatizzazione dai
fenomeni artificiali che si possono provocare in soggetti patologici. Tan­
querey indica al n.1524 le seguenti caratteristiche:
a) Le stigmate sono circoscritte a quelle parti ove Nostro Signore ri­
cevette ie cinque piaghe, mentre l’essudazione sanguigna degli ipno­
tizzati non è circoscritta a questo modo.
b) Ordinariamente la rinnovazione delle piaghe e dei dolori degli sti­
gmatizzati avviene nei giorni o nei tempi che ricordano la passione del Sal­
vatore, come il venerdì o qualche festa di Nostro Signore.
c) Queste piaghe non fanno suppurazione: il sangue che ne esce è puro,
mentre invece ogni minima lesione naturale su altre parti del corpo fa
suppurazione, anche negli stigmatizzati. E non guariscono, per quanti
rimedi ordinari vi si applichino, persistendo talora trenta e quarantanni.
d) Producono copiose emorragie; cosa che si capisce nel giorno in cui com
I F E N O M E N I IN P A R T IC O L A R E 1097
Comunque sia, non bisogna esagerare. Contro la tesi
esclusivamente naturale nella spiegazione di questi feno­
meni militano ragioni ben più gravi e numerose di quelle, che
abbiamo riconosciuto contro la tesi esclusivamente sopran-
naturalista. Le principali sono:
1) È fuori dubbio che l ’immaginazione esercita una
grande parte nella vita umana, né si può negare il suo po­
tere sull’elemento psichico. Però può ottenere e provocare
a volontà piaghe ed emorragie sopra un determinato punto
della pelle? Finora nessuno lo ha potuto dimostrare seria­
mente.
2) Il dott. Beaunis afferma che basta fissare attentamente
una parte del proprio corpo, pensandovi attivamente per un
certo tempo, per sperimentare indefinibili sensazioni, ar­
dori, battiti o punture in quel medesimo punto.
Accettiam o il fatto senza discuterlo, però invitiam o il
professore di N ancy a mirare attentamente il suo costato
sinistro, e a concentrare nel suo sguardo tutta la sua attivi­
tà psichica. Se in lui si produrrà una profonda ferita con e-
morragia periodica, accetteremo la sua teoria per spiegare
naturalmente il fenomeno delle stigmate.
3) Se le stigmate procedono da una immaginazione esal­
tata a m otivo del mistero della croce — come vuole M aury —
com e si spiega il fatto dell’assoluta assenza di stigmatizzati
nei primi secoli della Chiesa, quando precisamente l’ardore
della fede e l’aspirazione al martirio costituivano un fertile
campo per la produzione naturale di codesti fenom eni?
Perché non si verificarono durante l’esaltazione religiosa del­
l’anno mille, né tra i flagellanti del M edio E v o , che quanto
a neurosi e fanatismo non la cedevano a nessuno ? Perché
i protestanti, che pure credono in Cristo, non hanno un solo
stigmatizzato ?
4) Il secolo X X è testimone di due spaventose guerre
mondiali. M ilioni di feriti di tutte le razze e di tutte le con­
dizioni sociali sono passati per gli ospedali. Tuttavia, benché
sui campi di battaglia il sistema nervoso rimanga comple-

paiono, ma che diventa inesplicabile nei giorni seguenti. Inesplicabile pure


rimane la copia di sangue versato; benché le stigmate siano ordinariamente
alla superficie, lontane dai grossi vasi sanguigni, pure emettono copioso
sangue.
e) Infine, ed è la cosa precipua, le stigmate non si riscontrano se non in
persone che praticano le più eroiche virtù e che specialmente hanno grande
amore alla croce.
1098 I FENOM ENI M IS T IC I ST R A O R D IN A R I

tamente sconvolto e l ’esaltazione dell’immaginazione giun­


ga al suo parossismo, tra essi non si sono mai trovati:
a) Uom ini che presentassero una reale ferita solo per
il fatto di essersi creduti feriti da una palla che forse li a-
veva appena sfiorati.
b) Uom ini che presentassero, senza causa esterna, qual­
che ferita che avevano visto nei loro compagni.
c) Feriti con un desiderio tanto intenso di non guarire
— per non dovere tornare al fronte — da riuscire a impedire
la cicatrizzazione delle loro ferite in circostanze normali.
Tutte le guarigioni tardive erano effetto della frode provoca­
ta, mai del semplice desiderio o dell’immaginazione.
5) L a teoria razionalista che gli stigmatizzati desidera­
rono ardentemente di ricevere le piaghe per rassomigliare
a G esù crocifisso non resiste all’analisi della più elementare
critica storica. T utti coloro che ricévettero soprannatural­
mente i segni della crocifissione, li ricevettero con vera sor­
presa. L a m aggior parte di essi si spaventò di tale favore, e
supplicò D io insistentemente, con lacrime sincere, non di
togliere loro il dolore che sentivano, ma di fare scompa­
rire i segni visibili. C oloro che, come S. Francesco d’Assisi,
conservarono per tutta la vita le stigmate, fecero tutto ii
possibile per occultarle alla vista degli altri. Com e spiegare,
pertanto, le stigmate con l ’acutezza del desiderio o la sola
forza della vo lo n tà? L a violenza delle passioni non è capa­
ce di produrre piaghe che non si desiderano, che non si cer­
cano, e la cui presenza costituisce o ggetto di timore e di spa­
vento. E poi, se le stigmate sono state prodotte volontaria­
mente perché non si fanno scomparire in m odo analogo ?
625. B) Spiegazione cattolica. - D a quanto abbiamo
detto si deducono due cose: a) che la produzione di segni
m olto simili alle piaghe degli stigmatizzati in qualche caso
può provenire da cause puramente naturali o patologiche; e
b) che nella m aggior parte dei casi non è possibile darne
una spiegazione senza ricorrere a cause soprannaturali.
La spiegazione dei casi indiscutibilmente soprannaturali
si dovrà cercare in un favore speciale di D io che non è ri­
chiesto per lo sviluppo normale della grazia. D ifatti, molti
santi hanno raggiunto le più alte vette dell’unione con D io
senza avere mai ricevuto le stigmate.
Ora, il fenom eno delle stigmate sarà una grazia puramente
gratis datai A noi pare di no. A lcune caratteristiche sono gra­
tuite come quella di non entrare nello sviluppo normale
della grazia, di non poterla meritare, di essere ordinate all’e­
I F E N O M E N I IN P A R T IC O L A R E 1099
dificazione degli altri; tuttavia, a loro volta, è fuori dubbio
che hanno anche un aspetto altamente santificante per colui
che le riceve. L e sofferenze che producono — alle volte real­
mente spaventose — contribuiscono poderosamente a con­
figurare l’anima con Cristo (Fil. ^,io). Im magini viventi di
Cristo, continuano nel m ondo la sua missione redentrice,
completando quello che manca alla sua passione (Col. 1,24).
Frequentemente sono scelte da D io come anime vittime,
che salvano tante anime facendo rifluire su di loro un torren­
te di grazie e di benedizioni. Ciò che è gratuito e ciò che ,è
santificante si mescola in proporzioni tanto equilibrate,
che nella pratica sarebbe m olto difficile discernere l’ele­
mento predominante.

626. 5 . M o d o con cui si p r o d u c e il f e n o m e n o . -


Codesto effetto tanto prodigioso del soprannaturale si potreb­
be spiegare mediante un’irradiazione o ridondanza corpo­
rale del grado sublime di configurazione con Cristo croci­
fisso raggiunto dall’anima che riceve l’ impressione sensibile
delle piaghe ?
È possibile che in qualche caso particolare veramente
eccezionale si sia potuto realizzare in questa maniera. Però
ci pare che nella maggior parte dei casi sia necessario ricorrere
ad un intervento miracoloso di D io indipendentemente
dal grado di santità raggiunto dalPanima per le seguenti
ragioni:
1) L ’ istantaneità del fenomeno. - È un fatto perfettamente
com provato che, nella m aggior parte dei casi, le stigmate
si sono prodotte istantaneamente mentre l’anima stava di re­
gola in altissima orazione contemplativa.
Ora, è evidente che la semplice natura organica non può
produrre istantaneamente un fenomeno tanto portentoso.
Si ricordino gli sforzi enormi che devono fare gli psi­
chiatri e i neurologi per conseguire che una isterica trasudi
un p o ’ di sangue in una mano o in un piede. E se il fenomeno
è chiaramente soprannaturale — benché i suoi effetti corporali
possano essere naturali, cioè, prodotti dalla natura in base
ad una certa- ridondanza del soprannaturale — crediamo che
neppure in questo caso la natura possa operare istantaneamente
facendo a meno di una influenza sovrum ana di tipo m iracolo­
so. T utti i trattati di A pologetica indicano la istantaneità
di un prodigio come la nota caratteristica del soprannaturale
miracoloso: poiché infatti la natura ha sempre bisogno di
un certo tempo per realizzare le sue operazioni, questa
1100 I FENOM ENI M IS T IC I ST R A O R D IN A R I

istantaneità trascende apertamente le sue possibilità pura­


mente naturali.
2) L a relativa scarsità di stigmatizzati tra i santi. - È
un fatto indiscutibile che la m aggior parte dei santi non fu­
rono stigmatizzati. Ora, se le stigmate non sono che una ri­
dondanza corporale della configurazione spirituale in Cri­
sto, come si spiega il fatto che abbiamo indicato ? Forse
perché codesti santi non stigmatizzati non erano perfetta­
mente configurati con Cristo ? Perché dunque non appar­
vero in essi le piaghe esterne, sim bolo e ridondanza di code­
sta interna configurazione ? Si può dare a questo fenom eno
un’altra spiegazione soddisfacente fuori della libera volontà
di D io, che vu ole produrre in alcuni santi quello che nega a
moltissimi altri unicamente perché cosi gli piace?
Per tutte queste ragioni pur concedendo che in qualche
caso eccezionale si sia potuto verificare il fenom eno delle
stigmate per questa specie di ridondanza del soprannatu­
rale sul corporale, nella m aggior parte dei casi bisognerà
risalire più in alto per trovare in una azione speciale di D io
di tipo m iracoloso la spiegazione pienamente soddisfacente
di questo m eraviglioso fenomeno.
627. 6. L e s t i g m a t e d i a b o l i c h e . - Sono possibili ?
Il demonio può produrle ?
Certamente si. Se nell’ordine puramente naturale, in
base all’ipnosi e alla suggestione, si è riusciti a produrre
fenomeni m olto simili alle stigmate in soggetti squilibrati,
neurotici o isterici, come non li potrà produrre il demonio,
il cui potere preternaturale è m olto superiore a quello delle
semplici forze naturali ?
Si sono, effettivamente, riscontrati casi di vere stigmate
diaboliche. L o storico delle convulsioni gianseniste, Carré
de M ontgeron, cita vari casi. Le scene dolorose della passio­
ne del Signore, le medesime stigmate, sono riprodotte alle
volte da Satana nei suoi seguaci o nelle sue vittim e al fine
di coprire m eglio la trama delle sue perfidie e sedurre più
sicuramente i deboli. N ella pratica, per distinguerli, occor­
rerà considerarne i frutti. A scoltiam o la lezione pratica che
ci dà al riguardo il card. Bona:
« A c o l o r o c h e c r e d o n o e v a n n o d ic e n d o d i e s s e r e s t a t i c o r o n a t i d i r o s e
in u n a v i s i o n e d a G e s ù C r is t o , d a u n a n g e lo o d a lla V e r g i n e , o c h e h a n n o
r i c e v u t o u n a n e ll o o c o l l a n a , s i d e v o n o t r a tt a r e c o m e i n g a n n a t i d a lla l o r o
p r o p r ia im m a g in a z io n e o c o m e g i o c a t t o l i d e l d e m o n io , a m e n o c h e s i v e d e
r is p le n d e r e i n e s s i u n a g r a n d e p e r f e z io n e d i v it a , u n a g r a n d is s im a s a n tità
I F E N O M E N I IN P A R T IC O L A R E 110 1

e u n d is t a c c a m e n t o c o m p le t o d a lla s c h ia v it ù d e i s e n s i. S i d i c a l a s te s s a c o s a
d e lle stigmate, c h e , c o m e s i è c o m p r o v a t o p e r m e z z o d i a l c u n i in d is c u t ib il i
» x3 .
e s e m p i, p o s s o n o e s s e r e p r o d o t t e d a lla p e r f id ia d i S a ta n a

2) L e l a c r im e e IL su d o r e DI sa n g u e 1 4

628. 1. I l f a t t o . - Il fenom eno del sudore di sangue


consiste nell’uscita in quantità apprezzabile di liquido san­
guigno attraverso i pori della pelle, particolarmente di quelli
della faccia. L e lacrime di sangue consistono in una effu­
sione sanguigolenta attraverso la mucosa delle palpebre.
629. 2 . C a s i s t o r i c i . - A bbiam o anzitutto il sudor di
sangue di G esù nell’orto degli Ulivi: « E t factus est sudor
eius, sicut guttae sanguinis decurrentis in terram » (Luca
2 2 ,4 4 ). Il sudor di sangue dell’augusta V itdm a dovette es­
sere m olto abbondante se gli inondò il volto e cadde al
suolo!
D o p o di lui un piccolo numero di santi e di persone
pie hanno avuto sudori di sangue: santa Ludgarda (1182-
1246), la Beata Cristina di Stumbeln (1242-1312), Maddalena
M orice (1736-69), Maria D om enica Lazzari (1815-1848),
Caterina Putigny (1803-1885), ecc.
A ncora più rari sono i casi di lacrime di sangue. La storia
della Mistica ne può registrare solo due: Rosa Maria An--
driani (1786-1845) e Teresa Neumann, ancora vivente.
630. 3 . S p i e g a z i o n e di q u e s t i f e n o m e n i Benedetto
X IV , Gaetano, Suarez, M aldonado, don Calmet e m olti altri
teologi ed esegeti pensano che il sudor di sangue del Si­
gnore nel Getsemani abbia potuto essere naturale. Scrive
Ricciotti:
« U n f e n o m e n o f i s i o l o g i c o , d e s ig n a t o c o m e ematidrosi c i o è “ s u d o r e s a n ­
g u i g n o ” , è n o t o a i m e d ic i: l ’ o s s e r v a z io n e e r a s ta ta f a tt a g ià d a A r i s t o t i l e >
c h e im p ie g a a n c h e i l t e r m in e l à d o v e d ic e c h e “ t a l u n i s u d a r o n o u n san­
guigno sudore - a lu n xóiòrj ÌÒ oó'jxa ' (H isi. animai., 1 1 1 ,1 9 ) . ^ f e n o m e n o a v v e ­
n u t o i n G e s ù p o t r à e s s e r e o g g e t t o d i r ic e r c h e s c ie n t if ic h e d e i f i s i o l o g i , p u r
e s s e n d o p re s e n ti le ; sin g o la r i c irc o s ta n z e d e l p a z ie n te : i i f i s i o l o g o L u ca,
t r a s m e t t e n d o e g l i s o l o q u e s t a n o t iz ia , s e m b r a t a c ita m e n t e in v it a r e a ta li r i ­
cerch e »

1 ì C f. C ard . B ona, D e discret. spir. c .7 , n . u .


J4 C f. I d o t to r i B on e S u r b ,l e d n e l l e o p e r e c ita te .
'5 C f. R i c c i o t t i , V ita di Grsù Cristo n . ^ 6 .
1102 I FEN OM EN I M IS T IC I ST R A O R D IN A R I

I medici parlano effettivamente di casi di ematidrosi o t­


tenuti negli ospedali. Però il dott. Surbled afferma che « il
fenom eno continua ad essere tanto m eraviglioso quanto
inspiegabile. A nche quando lo dicano i nostri più sapienti
teologi, il terrore e l’afflizione non bastano a produrre e
nemmeno a spiegare il sudore di sangue; difatti queste
passioni sono com uni a tutti g li uom ini, ma il sudore di san­
gue è assolutamente eccezionale » r6.
. Il dott. Surbled esamina poi le ipotesi proposte per
spiegare il singolare fenom eno — emofilia, immaginazione,
dermografismo, vessicazione della pelle, echimosi, ecc. —
e termina dicendo che « dobbiam o confessare la nostra ign o­
ranza sulle cause e sulla natura dell’ematidrosi » 17.
II dott. B o n è meno pessimista del suo collega, ancorché
riconosca quanto sia difficile dare a questo fenom eno una
spiegazione soddisfacente. D o p o aver studiato alcuni casi di
ematidrosi — in relazione alle volte con le regole periodi­
che delle donne — termina dicendo che il fattore nervoso
non pare che si debba invocare nel caso di semplice sup­
plenza mestruale. Il fenom eno discrasico-sanguigno18 in­
terviene per certi casi medici, e, infine, il fattore nervoso è
innegabile per altri. E aggiunge: « Pertanto nello studio delle
emorragie nei santi è giusto che vengano vagliate tutte le
possibili cause perché anche i santi sono stati uom ini dotati
di corpo e soggetti quindi ad ogni infermità umana. M a noi
conosciamo la perfetta salute fisica e morale del Cristo;
noi conosciamo il sovrano dom inio che in generale i santi
hanno esercitato sul loro corpo; infine, parlando di donne,
sappiamo che il sudore di sangue e le lacrime di sangue
invece di essere in accordo con i loro periodi fisiologici
avvennero in rapporto con alcuni momenti dell’anno li­
turgico o con le loro meditazioni religiose. Q uesto ci obbli­
ga ad ammettere che, a lato dei casi che rivelano una diatesi
emorragica o uno stato nervoso a reazione esagerata, v i so­
no dei casi legati ad una potenza psichica veramente ec­
cezionale o d a una forza soprannaturale » *9.
L a scienza moderna non sa dirci nulla di più. Per parte
nostra, aggiungiam o che questo fenom eno non oltrepassa

16 C f . S u r b l e d , o . c ., p . n , a c .2 3 .
■7 Ivi.
18 D is c r a s i a : a l t e r a z io n e d e g l i u m o r i , s p e c ia lm e n te i l s a n g u e e l a l in f a , i
q u a li a v e n d o p e r d u t o l e l o r o n a t u r a li q u a li t à n e h a n n o p r e s e a lt r e m o r b o s e .
1 ') C f . D ott. B o n , o . c ., p .6 ,a C.T 5.
I F E N O M E N I IN P A R T IC O L A R E 110 3

le forze naturali del demonio. Se in qualche caso si produces­


sero le lacrime o il sudore di sangue per influenza sopranna­
turale, si dovrebbero catalogare tra le grazie gratis datae.
Infatti, non pare che tali lacrime e sudori siano per sé santi­
ficanti per colui che li patisce; e, senza dubbio, non entrano
affatto nello sviluppo ordinario e normale della grazia.

3) L a rin n o v a z io n e o il c a m b io d i c u o ri

Nella storia della M istica si registra un fenom eno ancora


più sorprendente: la rinnovazione o il cambio di cuori. E-
sporremo il fatto e cercheremo di spiegarlo nel m iglior modo
possibile ” .
631. 1. TI f a t t o . - Questo fenomeno consiste nell’estra­
zione — a quanto pare fisica — del cuore di carne e nella so­
stituzione con un altro, che alle volte è quello di Cristo stes­
so.

632. 2. C a s i s t o r i c i . - È famoso tratutti il caso di S. Ca­


terina da Siena. Ricevettero inoltre identico o simile favore S.
Ludgarda, S. G ertrude, S. Maria Maddalena de’ Pazzi* S. Cate­
rina de’ Ricci, S. G iovanna di Y alois, le Beate Osanna di Man­
to va e Caterina daR acconigi, la Ven. Madre A gnese di Lan-
geac, S. Margherita M . Alacoque e S. Michele de Sanctis.
Il fenom eno della sostituzione del cuore in S. Caterina
da Siena viene cosi descritto dal suo confessore, il B. Rai­
mondo da Capua:
« SÌ t r o v a v a u n g i o r n o n e lla c a p p e lla d e lla C h ie s a d e i f r a t i p r e d ic a t o r i a
S ie n a ,.. R is c o s s a s i d a ll ’ e s ta s i, s i a l z ò p e r t o r n a r e a c a s a . U n a . l u c e d a l c i e l o
a d u n t r a t t o l ’ a v v o l s e , e n e lla l u c e l e a p p a r v e i l S ig n o r e , c h e t e n e v a n e lle
s u e m a n i u n c u o r e u m a n o , v e r m i g l i o e s p le n d e n t e ... I l S i g n o r e l e s i a v v i c i n ò ,
a p r i n u o v a m e n t e i l p e t t o d i l e i d a lla p a r t e s in is t r a e , i n t r o d u c e n d o v i l o s t e s s o
c u o r e c h e t e n e v a n e l l e m a n i, d isse : “ C a r is s im a f ig li u o l a , c o m e l ’ a l t r o g i o r n o
p re s i il t u o cu o re , e c c o c h e o r a t i d ó il m i o c o l q u a le s e m p r e v i v r a i ” . C i ò
d e t t o , e g l i r ic h iu s e l ’ a p e r tu r a c h e a v e v a f a t t o n e l c o s t a t o d i l e i e i n s e g n o d e l
m i r a c o l o , r im a s e i n q u e l p u n t o d e lla c a r n e u n a c i c a t r ic e , c o m e a s s e r ir o n o a
m e e a d a l t r i l e s u e c o m p a g n e c h e p o t e r o n o v e d e r la . Q u a n d o in t u t t i i m o d i
v o l l i s a p e r e la v e r i t à d e ll’ a c c a d u t o , l e i s te s s a f u o b b l ig a t a a c o n f e s s a r m e l o » 11.

20 C f . R i b e t , o.c., t.2, c .3 1 .
21 C f . R a i m o n d o , d a C a p u a , Caterina da Siena n.i-8 0 .
I FEN O M EN I M IS T IC I ST R A O R D IN A R I

633i 3 . S p i e g a z i o n e del fenomeno. - Supposta, dunque


l’autenticità del fatto — che sembra temerario respingere
dopo testimonianze tanto esplicite e degne di fede — co­
me si può spiegare un fenom eno tanto sorprendente ?
1) Quanto al m iracolo non esistono difficoltà: nell’or­
dine contingente, evidentemente, non c’è nulla di necessa­
rio. D io avrebbe potuto benissimo dare all’uom o un orga­
nismo in cui non v i fosse un cuore. N o n si vede quindi come
non potrebbe conservare l’uom o in vita, dopo avergli sot­
tratto questo organo, pet quanto essenziale alla- sua esisten­
za, derogando cosi alle leg gi fisiologiche attuali. E se non
si tratta della conservazione della vita senza il cuore, ma uni­
camente della sostituzione di un cuore con un altro, il prodi­
gio non presenta m aggiori difficoltà, da questo punto di vista.
2) Più difficile è invece spiegare la sostituzione del cuo­
re naturale dei santi suaccennati, con quello di G esù Cristo.
Si deve respingere come assolutamente inammissibile che
l ’umanità di G esù Cristo si privi del suo proprio cuore e ri­
manga senza di esso, sia pure momentaneamente. Tanto me­
no si può ammettere che il cuore di questo o quel santo passi
nel petto del Signore cosi che si possa dire unito ipostatica-
mente al V erbo . L ’unione ipostatica del cuore umano di
G esù Cristo con la divinità avvenne unicamente nel mistero
dell’Incarnazione.
O ra, è m olto difficile intendere come il cuore fisico del
Salvatore possa — senza cessare di appartenergli — diven­
tare il cuore di un'altra persona o quello di varie persone
nello stesso tempo.
L a spiegazione più accettabile ci sembra la seguente:
N ostro Signore, sotto il simbolo mistico del cambiamento dei
cuori, concede, a chi riceve questa grazia, un duplice dono:
dà alla creatura disposizioni e sentimenti che riflettono le
intime affezioni della sua anima santissima, e dà al corpo
della creatura un cuore in armonia con lo stato interiore, co ­
si come il suo S. Cuore era sempre sintonizzato con gli im­
pulsi della sua A nim a. Si tratta di un cambiamento mistico,
non reale dei cuori.
Questa era l’opinione del sapiente Benedetto X I V . Fa­
cendo l ’elogio di S. M ichele de Sanctis disse che il cambia­
mento di cuori tra G esù e il suo fedele servo era stato un
cambiamento mistico e spirituale. L a S. Congregazione dei
Riti consacrò questa interpretazione nelPufficio del santo
con le seguenti parole: « H unc servum suum fidelem, pe­
I F E N O M E N I IN P A R T IC O L A R E 1105

culiari voluit illustrare prodigio, quo ipse divini sui cordis


misticam commutationem cum corde illius inire dignatus
est»” .

4) L ’in e d ia (d ig iu n o a sso lu t o )

634. 1. I l f a t t o . - N ella storia dei santi si sono registrati


molte volte fenomeni di inedia o digiuno assoluto durante
un tempo m olto superiore alle forze naturali.
635. 2. C a s i s t o r i c i . - I più notevoli sono i seguenti:
la B. A ngela da F olign o ( f 1309) rimase dieci anni senza pren­
dere alimento; S. Caterina da Siena (1347-80), circa otto anni;
la B. Elisabetta de Reute ( f 1421), più di quindici anni;
S. Ludovina di Schiedman (1380-1433), ven t’otto anni;
S. N icola de Fliie (1417-87) vent’anni; la B. Caterina da Rac-
conigi (1468-1547), dieci anni; Rosa Maria Andriani (1786-
1845), vent’otto anni; D om enica Lazzari (1815-1848) e Lui­
sa Lateau (1850-1883), quattordici anni. A i nostri giorni
è famoso il caso di Teresa Neumann, rigorosamente com ­
provato da un’osservazione che la critica più severa ha do­
vuto ammettere come indiscutibile.
636. 3 . S p i e g a z i o n e d e l f e n o m e n o . - L a fisiologia e
la patologia umana hanno dimostrato che l’uom o non può
naturalmente sopravvivere ad una astinenza totale di alimento
prolungata per alcune settimane. E cco alcuni dati curiosi
su questo particolare *3;
a) N el 1831 il brigante G ranié, condannato a morte,
rifiutò ogni alimento eccetto un p o ’ d’acqua; ebbe fenomeni
convulsivi e morì dopo 63 giorni ridotto pelle ed ossa:
non pesava che 26 chilogrammi.
b) N el 1924 il dott. P. N o u ry pubblicò nel Con-
cours médical la relazione su una novantenne che per una
frattura al collo dell’omero non volle rimanere inferma e
preferì morire; rifiutò ogni sorta di alimentazione eccetto
un po’ di liquido e qualche acino di uva: m ori il 49 0 giorno.
c) Si ricorda il fatto del sindaco di C ork che si la­
sciò morire di fame per protestare contro la dominazione
inglese sull’Irlanda; durante la sua agonia, che durò circa
due mesi e mezzo, egli non prese che del liquido.

22 Cf. Brev. R o m . (prò aliq. lo c is ) 5 i u l., lect.6.


2 3 C f . D o t t . B o n . o.c., c .ia .
110 6 I FENOM ENI M IS T IC I ST R A O R D IN A R I

Appare evidente che la vita umana non può prolungarsi


nell’assoluta inedia oltre dieci o dodici settimane. Fino al
presente non si è mai registrato nessun digiuno naturale
prolungato oltre tre mesi.
Com e si spiegano, dunque, i digiuni dei santi prolungati
per mesi e per anni, senza perdere non solo la vita, ma nep­
pure il peso e la salute ?
A nzitutto, pare che sia necessario respingere ogni ten­
tativo di spiegazione puramente naturale. « L ’organismo li­
mano non può naturalmente mantenere la sua vitalità senza
le com bustioni. O gn i com bustione com porta un dispendio
di acido carbonico e perdita di varie sostanze (ecco il dima­
gramento); se non vi è apporto di n uo vo materiale la morte
sopraggiunge sempre dopo un certo tempo.
N otiam o inoltre che i santi e le persone religiose di
cui abbiamo parlato conducevano una vita normale e tal­
volta anzi m olto attiva. E questi non solo non cadevano in
letargo, ma dorm ivano solo qualche ora durante la notte ed
a volte non dorm ivano affatto. Massimo era quindi il lo ­
ro dispendio di forze.
Pertanto logica si affaccia l’ipotesi di un miracolo.
Ciò nonostante la Chiesa non è soddisfatta di questi dati bio­
lo gici apparentemente dimostrativi. Benedetto X I V esige
che in questi casi si faccia una severa inchiesta. Si deve co­
statare la durata .dell’astinenza, la conservazione delle forze
fisiche e morali, l’assenza della fame, la perfetta salute fisica
e deve venir esclusa ogni causa patologica del digiuno.
M a innanzi tutto si deve essere certi della santità del digiu-
natore, informarsi dell’eroicità delle sue virtù, dei suoi doni
soprannaturali di estasi, di scienza infusa e nel caso anche di
profezia. Inoltre si deve ricercare la causa del digiuno: va­
nità o m otivi puramente umani ? oppure è stato l’impulso
dello Spirito Santo e la com pleta sottomissione all’obbedien­
za ? D a un altro lato il digiunatore non deve essere stato so­
stenuto durante il lungo digiuno che dalla SS. Eucarestia e
aver com piuto tutti i doveri del suo stato. Solo quando tutte
queste condizioni sono state osservate e controllate, il di­
giuno può venir ammesso come fenom eno miracoloso.
Cosi si spiega come la Chiesa non tenga sempre conto di un
digiuno assoluto, anche se dura m olto tem po, per la bea­
tificazione o la canonizzazione, e che non innalzi agli onori
degli altari tutti i digiunatori.
Il digiuno, per se stesso, non p ro va la santità; ricor­
diamo che si deve pensare anche ad un possibile intervento
1 FENOMENI IN PARTICOLARE 110 7

diabolico. Inoltre si deve tener conto delle possibilità sco­


nosciute della natura: l’uom o potrebbe forse come le piante,
e in certe condizioni, assimilare l ’acido carbonico e l’azoto
atmosferico ? O non potrebbe ricevere la sua energia vitale
da un’altra sostanza diversa da quella delle sue com bustioni
interne ?... Per spiegare tali prolungati digiuni, la Chiesa
ci lascia liberi di pensare e di ammettere anche simili sup­
posizioni...
M a se la Chiesa riconosce in alcuni dei suoi santi un \
simile privilegio elargito da D io come ricompensa delle lo­
ro virtù, come esempio ed incoraggiam ento per gli altri
fedeli, essa però non esclude la possibilità che il digiuno
possa essere mantenuto da altre condizioni. Il riconoscere
in questi prodigi la mano di D io lungi dal diminuire la scien­
za, le apre invece degli orizzonti più vasti» (Ivi).
Supposta la natura soprannaturale del fenomeno, dal
punto di vista teologico si dovrà spiegare mediante una spe­
cie di incorruttibilità anticipata dei corpi gloriosi, che sospende
la legge dell’incessante sfacelo degli organi e dispensa
quindi dalla correlativa legge della refezione alimentare.

5) L a v e g l i a o p r iv a z io n e p r o lu n g a ta
D E L SONNO

637. 1 . I l f a t t o . - Q uesto fenomeno, registrato nella


vita dei santi 21, è analogo e parallelo al precedente.
638. 2 . C a s i s t o r i c i . - Ricorderem o i più notevoli: S.
M acario di Alessandria passò ven t’anni di seguito senza
dormire, ma infine dovette cedere al sonno perché sentiva
capogiri. S. Coletta dorm iva un’ora la settimana e una volta
nella sua vita rimase un anno intero senza dormire. Per oltre
trent’anni S. L udovin a non dorm i che per un periodo di
tempo equivalente a tre notti. S. Pietro d’Alcantara per qua-
rant’anni dormi soltanto un’ora e m ezzo il giorno, come lo
stesso santo confidò a S. Teresa. L a sua più dura penitenza
da principio era stata quella di vincere il sonno s5. S. Rosa
da Lim a lim itava a due ore il tempo concesso al riposo, e
alle volte a meno ancora. S. Caterina de’ Ricci sin da pic­
cina non dorm iva mai più di due o tre ore per notte. Quando
giunse ai ven t’anni e l’estasi s’impossessò della sua vita,

24 Cf. R ib e t , ex., t.2, c.26, nn.4-5.


-5 C f . S . T e r e s a , V i t a 2 7 ,1 7 .
110 8 1 FENOM ENI M ISTICI STRAORDINARI

non dorm iva che un’ora per settimana, e alle volte appena due
o tre ore per mese. Infine, la B. A gueda de la Cruz, O . P.,
passò gli otto ultim i anni della sua vita in costante veglia.
639. 3 . S p i e g a z i o n e del fenomeno. - Ammessa la storici­
tà di questi fatti, occorre pensare a qualche cosa di sopran­
naturale per spiegare il fenomeno. Il sonno, come l ’alimen­
to, è assolutamente necessario per la conservazione della
vita. L ’organismo deperisce con l’attività e si ripara col ri­
poso. Quando l’insonnia si prolunga, la sua necessità di­
venta imperiosa; e nonostante tutta la forza di volontà con
cui l’uom o cerca di opporsi ad essa, finisce col soccombere.
Quando, dunque, la veglia si prolunga ininterrottamente
per settimane e mesi senza diminuzione del vigo re e dell’eser­
cizio della vita corporale, non si può fare a meno di attri­
buire il fenomeno a qualche cosa che supera la semplice
natura umana. Si può limitare progressivamente l’imperiosa
necessità di dormire, ma senza un miracolo non si può do­
minare completamente. I medici e i fisiologi sono d’accor­
do nel dire che senza uscire dalle leggi normali della natura
organica non si può giungere a privarsi totalmente del son­
no nè degli alimenti. L a difficoltà consiste nel fissare il
momento in cui comincia la derogazione a codeste leggi;
ma codesta derogazione s’im pone necessariamente.
Tuttavia, anche senza ricorrere al miracolo, ci pare
che si possa tentare almeno in parte una spiegazione nell’am­
bito della santità raggiunta dalle anime che hanno pra­
ticato queste lunghe veglie. Infatti, i santi si sono sforzati
sempre di limitare le necessità della vita sensitiva e animale.
O ltre che dal loro amore alla mortificazione, erano mossi
a ciò dal desiderio di trovare il tempo per prolungare la
loro orazione. L e lunghe veglie, le astinenze si trovano so­
prattutto tra i contem plativi e gli estatici.
O ra, è perfettamente com provato che la contemplazione
e soprattutto l’estasi quasi continua distaccano e liberano l’a­
nima dalla schiavitù della vita animale. Durante l’estasi,
l’attività dell’anima è intensissima, però il corpo riposa
profondamente, poiché ha sospeso l ’esercizio dei suoi sen­
si interni ed esterni..D al punto di vista corporale e in ordine
alla restaurazione delle forze dell’organismo l’estasi equiva­
le perciò a un vero sonno. S.Teresa dice di se stessa che
dalle sue estasi n ’usciva sempre m igliorata anche fisica-
mente 26.

16Ivi, 2 18; 11.


z c , i;
I FENOM ENI IN PARTICOLARE 110 9

Forse nella santità raggiunta dalle anime dei santi si


può trovare la sufficiente spiegazione di questo fenomeno
e del precedente %i. Quanto più l’anima si nutre e s’inebria
di D io, tanto meno gusta i grossolani alimenti corporali;
quanto più si concentra in D io tanto meno sta soggetta al­
la sonnolenza e pesantezza della carne. M a simile fenomeno
è come un’anticipazione delle eccelse condizioni dei corpi
glorificati, per i quali la visione beatifica sarà ad un tempo
alimento e riposo.

6) A g i l i t à

640. i . I l f a t t o . - Q uesto fenomeno consiste nella tra­


slazione corporale quasi istantanea da un luogo ad un altro
a volte remotissimo dal primo. Si distingue dalla biloca-
zione perché non c’è simultaneità di presenza in entram­
bi i luoghi, ma unicamente trasla7jone da un posto all’altro.

641. z. C a s i s t o r i c i . - Si sono verificati m olti casi. Nella


stessa Scrittura, per esempio, leggiam o che il diacono Fi­
lippo fu trasportato im provvisam ente dallo Spirito di D io
nella città di A zo to dopo che aveva istruito e battezzato,
sulla via da Gerusalemme a Gaza, l ’eunuco della regina
etiope Candace (Atti 8,39-40). È rimasto pure famoso il
il caso di Habacuc, trasportato dall’angelo dalla Giudea
a Babilonia affinché portasse l’alimento a Daniele nella
fossa dei leoni (Dan. 14,33-39).
Anche tra i santi si sono verificati casi simili. S. Teresa
racconta che una volta le apparve S. Pietro d’Alcantara,
ancora vivente nonostante che si trovasse a varie leghe
di distanza S. Filippo N eri apparve molte volte mentre era
ancora in vita. S. A nton io da Padova fece in una sola notte
il viaggio da Padova a Lisbona; e ritornò nella stessa maniera
la notte seguente. N ella vita del B. Martino di Porres si
narrano vari prodigi di questo genere.

*7 L a stessa S. T e re s a p are ch e sia d i q u esta o p in io n e. D o p o a v e r riferito


le in c red ib ili p en iten ze d i S. P ie tr o d ’A lc a n ta ra rela tiv e a l d ig iu n o e alla
m an can za di s o n n o , term in a d icen d o: « C iò d o v e v a essere q u a n d o era n el­
l'o r a z io n e , p erch é so che an d av a s o g g e tto a rap im e n ti e a g ra n d i tra sp o rti
d i am o re d i D i o ai q u a li u n a v o lta e b b i la fo rtu n a d i essere an ch ’ io p re­
sen te » ( V ita 2 7 ,17).
28 Cf. S. T e r e s a , Vita 2 7 , 1 9 .
Ilio I FENOM ENI M ISTICI STRAORDINARI

642. 3 . S p i e g a z i o n e d e l f e n o m e n o . - È o vv io che il
fenomeno in sé è superiore alle attuali possibilità della sem­
plice natura. Forse col tempo si troverà la possibilità natu­
rale di trasportarsi da un posto all’altro con la ; velocità del­
l’elettricità o delle onde radio; ma per ora questo; sogno non
si può ancora realizzare.
Il fenomeno, dunque, deve essere soprannaturale o pre­
ternaturale.
a) Fenomeno preternaturale. - Q uesto fenòmeno può
essere realizzato per mezzo di una azione diabolica. Il de­
monio, dopo il peccato, conserva la sua natura angelica con
tutto il suo potere naturale. Ora, una delle qualità degli spi­
riti puri è quella di potersi trasferire da un posto all’altro
con la velocità del pensiero. È possibile che portino con sé
un corpo estraneo quando si trasportano da un posto al­
l’altro. Tuttavia, portando questo corpo estraneo, la tra­
slazione potrà essere rapidissima, ma non istantanea, giac­
ché è assolutamente indispensabile per i corpi il passaggio
successivo per tutto lo spazio che separa il termine a quo
dal termine ad quem — il che non è necessario per i puri
spiriti — ; e questo non si può fare istantaneamente, come pro­
va S. Tom m aso !9.
V) Fenomeno soprannaturale. - La spiegazione sopran­
naturale è. la medesima che abbiamo esposto, però realizza­
ta per mezzo del ministero degli angeli buoni. Se questo fe­
nomeno è possibile ai demoni, a fortiori lo sarà agli angeli
buoni.
Potrem m o anche spiegare il fenomeno soprannatural­
mente senza ricorrere al ministero degli angeli. Effettivamen­
te, non pare che dal punto di vista teologico esista qualche
difficoltà nelPammettere che vengano comunicati ai santi
una grazia e un privilegio speciale, una specie di agilità
anticipata, che costituisce una delle doti del corpo glorioso.
In questo caso, il medesimo santo potrebbe utilizzare questo
dono per trasferirsi rapidissimamente da un posto all’altro
e attendere alle necessità del prossimo. Questa comunicazio­
ne anticipata dell’agilità dei corpi gloriosi ci pare che si do­
vrebbe classificare tra le grazie gratis datae di tipo miracoloso,
non tra gli epifenomeni prodotti per semplice ridondanza
della santità dell’anima; giacché è manifestamente fuori del­
l’ordine normale della grazia santificante, almeno durante

29 Cf. 1 , 53, 1 -3; Suppl. 84, 3.


I FENOM ENI IN PARTICOLARE 1111

lo stato di viatori, ed è ordinato per sé al bene degli altri.


Sono pochissimi i santi che hanno goduto di questa grazia.

7) L a b ilo c a z io n e

È questo uno dei fenomeni più sorprendenti della M i­


stica e uno dei più difficili a spiegarsi a meno che non si ri­
corra al miracolo.
643. 1 I I f e n o m e n o e > c a s i s t o r i c i . - L a bilocazione
consiste nella presenza simultanea di una medesima persona
in due luoghi diversi. Si sono dati numerosi casi nella vita dei
santi. I più notevoli si riferiscono al papa S. Clemente, a
S. Francesco di Assisi, a S. A nton io da Padova, a S. Ludo-
vina, a S. Francesco Saverio, al B. Martino di Porres, a
S. Giuseppe da Copertino, alla Ven. Maria d’A greda, ad
A gnese di Langeac e a S. A lfon so de’ Liguori. A m odo di
esempio citeremo il caso del primo e dell’ultim o dei santi
enumerati.
1) Il papa S. Clemente mentre celebrava la messa in R o­
ma improvvisam ente sembrò che si fosse addormentato.
D o p o un sonno di tre ore ritornò in sé e annunciò al p opo­
lo, per scusarsi, che per ordine di S. Pietro era andato a Pisa
per consacrare una chiesa dedicata al Principe degli A postoli.
Per provare la realtà della sua presenza, aveva lasciato sul
marmo della chiesa di Pisa alcune gocce del proprio sangue,
che sono ancora o g g i oggetto di grande venerazione. In­
fatti, il santo si tro vò simultaneamente in Rom a e nella città
di Pisa dinanzi ad una grande m oltitudine di fedeli che lo
poterono vedere in un lu o go e nell’altro 3»
2) D i S. A lfon so leggiam o nel processo di canonizza­
zione 31 che il 21 settembre 1774, mentre stava in A rienzo,
piccolo villaggio della sua diocesi, cadde in una specie di
svenimento. E g li rimase circa due giorni immerso in un
dolce e profondo sonno, seduto su di un seggiolone. Uno
dei suoi servi avrebbe volu to svegliarlo, ma il suo vicario
generale, D . G . N icola di Rubino, ordinò che lo si la­
sciasse riposare. Quando si svegliò, il santo suonò il campa­
nello. A ccorsero subito i suoi familiari. V edendoli grande­
mente spaventati: — Che cosa succede? domandò loro.

3° C f. M e r i c , Uimagination y les prodiges t .2 p .2 0 6 .


31 Cf. Informationes, animadversiones et responsio supra virtutes V .S .D . A l-
phonsi Mariae de Ligorio ( c it. d a R i b e t , o.c.y t .2 , c .1 3 , n .1 4 ) .
1112 I FENOM ENI M IS T IC I ST R A O R D IN A R I

— Che cosa succede ?, gli risposero; sono due giorni che


non avete parlato, né mangiato, né dato alcun segno di v i­
ta! — V o i, rispose il santo, mi credevate addormentato.
Io invece sono andato ad assistere il papa che è m orto or
ora. — Poco tempo dopo giungeva la notizia della morte
di Clemente X I V , avvenuta il 22 settembre all’una pomeri­
diana; vale a dire, nel momento preciso in cui il servo di
D io aveva suonato il campanello.
Il santo fu visto in entrambi i luoghi contemporanea­
mente da una moltitudine di testimoni della serietà dei quali
non è lecito dubitare.
644. 2. S p i e g a z i o n e d e l f e n o m e n o . - Nessun fenome­
no straordinario della Mistica presenta tante difficoltà come
questo per una spiegazione soddisfacente. Si sono avanzate
molte teorie, ma nessuna è riuscita a far luce definitivamen­
te su un problem a pieno di oscurità e di mistero.
N on potendo esaminare tutte le teorie proposte 3’
esporremo unicamente in form a di conclusione quella che ci
pare più accettabile, e che è stata sostenuta dai teologi ari-
stotelico-tomisti.

l a conclusione: La bilocazione intesa come presen­


za circoscrittiva e simultanea di un medesimo
corpo in due luoghi diversi ripugna nel modo
più assoluto.
Infatti, insegna S. Tom m aso che la presenza circoscritti­
va o locale 33 di un medesimo corpo in due luogh i nello stes­
so tempo implica contraddizione e non può quindi essere
realizzata neppure dall’assoluta onnipotenza di D io.
D ice l’A n gelico Dottore: « Respondeo dicendum, quod
aliquod corpus esse localiter in aliquo loco, nihil est aliud
quam corpus circunscribi et comprehendi a lo co secundum
commensurationem propriarum dimensionum. Q uod au­
tem comprehenditur a loco aliquo, ita est in ipso loco, quod
nihil eius est extra locum illum: unde ponere quod sit loca­
liter in hoc loco, et tamen sit in alio loco, est ponere contra­

li1 R iu e t n e esp o n e alcu n e n e l p asso citato.


33 L a p r e s e la circoscrittiva o locale è quella propria aEe cose estese o
corpotee: « E x dictis patet ubi circunscriptivura rebus extensis seu corpo-
ribus tantum convenire)' C f. G redt , o . c ., t .l n.15).
I FENOM ENI IN PARTICOLARE 1113
dictoria esse simuL Unde, secundum praemissa, hoc a Deo
fieri non potest » 3 4 .
L a ragione allegata dall’A ngelico è chiarissima ed asso­
luta. M a ecco alcune assurdità e contraddizioni che seguireb­
bero dalla presenza circoscrittiva di un medesimo corpo in
due luogh i diversi:
a) La misura di codesto unico corpo equivarrebbe alla
misura di due corpi ad esso uguali.
b) Si troverebbe e non si troverebbe ad un tempo
tutto intero in un medesimo luogo.
c) Sarebbe individuo e diviso nello stesso tempo.
d) Disterebbe da se stesso.
e) Potrebbe trovarsi contemporaneamente in due po­
sizioni diverse (sopra e sotto, a destra e a sinistra, seduto o
in piedi, ecc.).
Siccome queste cose sono evidentemente assurde e con­
traddittorie, bisogna accettare la conclusione delFAquinate.
Obiezione. - Contro questa dottrina dell*Angelico D ottore si suo­
le opporre quella di altri autori fam osi che non ritengono im possibile la m ol­
tiplicazione circoscrittiva o locale. Questa teoria sostenuta dalla m aggior
parte dei filosofi francesi seguaci della teoria leibniziana dell’estensione
dello spazio, condivisa in Spagna da Balmes 35, in Italia da T o n gio rgi 3 6,
e tra g li antichi, da Suarez e Bellarmino 37, afferma che non c ’è nessuna
contraddizione nell’affermare che un medesimo corpo occupa simultanea­
mente due lu ogh i per quanto lontani siano l’uno dall’altro. Q uesto — di­
cono — sarà una cosa exiranaturale, date le attuali condizioni dello spazio;
però, poiché queste condizioni n on hanno nulla di assoluto né di necessa­
rio, possono essere cambiate per una libera decisione del Creatore, com e fu ­
rono stabilite e perseverano per un atto libero della sua volontà. Perché
la bilocazione si produca basterà che D io tolga la legge — liberamente posta
e liberamente mantenuta — in. virtù della quale, p er passare da un lu o go al­
l’altro, si devono attraversare i punti intermedi che li separano. N on si
avrà nessuna difficoltà a intendere questo se noi ci form iam o una nozione
esatta della presenza e della distanza e se si riflette che un medesimo essere
si può mettere in relazione immediata con m olti esseri nello stesso tempo.
U n essere è presente in un posto mentre è od opera in esso senza nessun in*

34 Quaest. Dispui. t.5, quodlib.3, q.1,2. — C f. 1,67,2; et Contro Gentts


1.3, c . io i
et 102.
35 C f. Filosofia fundamenial 1.3, c.33, n.259, Obras,P A C , t.2,p.401.
36 Cf. Jnst. philosopb. Cosm o!., n . 313. v o i.2.
37 C f. S u a r e z , D e Euch. d.48ssct.4, n.5; S.B e l l a r m i n o De Sacram.
Encharist.i.i^.sJ.sfè.GGz.
1114 I FENOM ENI M IS T IC I ST R A O R D IN A R I

term ed iario e d è p iù o m en o distante da esso s e c o n d o c h e g li in term ed iari


c h e l i sep aran o e li u n is c o n o so n o p iù o m e n o n u m ero si. N o n c ’ è n essu na
d iffico ltà a d am m ettere c h e u n m ed esim o essere — sia m ateriale ch e sp iritu a­
le — p o ssa stab ilire m o lte p lic i re la z io n i d i p resen za c o n v a r i esseri: l ’an im a
è sim ultan eam en te p resen te in tu tte le p arti d el s u o c p r p o e il p u n to cen tra le
d ella circ o n fere n za è p resen te n e l p rim o p u n to d i o g n u n o d e i s u o i ra g g i.
Se, q u in d i, la le g g e co n tin g e n te d e g li in term ed iari v ie n e to lta , u n essere
p o trà entrare sim ultan eam en te in rela zio n e im m ed iata o d i p resen za c o n u n a
m o ltitu d in e d i p u n ti q u alu n q u e sia la d istan za tra essi e sen za c h e q u esta
distanza sia sop p ressa. L a p resen za sim ultan ea d e ll’an im a in tu tte le p a rti
d el c o r p o n o n d is tru g g e la d istan za ch e sep ara i p ie d i dalla testa o u n b rac­
c io d a ll’a ltro ; e la p resen za m o ltip lic a ta d i G e s ù C ris to in ta n ti tab ern a co li e
altari n o n im p ed isce c h e q u esti ta b e rn a c o li e altari sian o m o lto d istan ti tra
lo r o .

C r itic a . - N o n o sta n te l ’ap p a ren te c h ia rezza e la fa cile m an iera co n


c u i si v e rre b b e c o s ì a sp ieg a re il fe n o m e n o della b ilo c a z io n e , n o n p o ssia m o
asso lu tam en te accetta re q u esta teo ria . La, p resen za sim u ltan ea d i u n m ed e­
sim o c o rp o in d u e lu o g h i d iv e rs i im p lica contraddizione , d ic a n o q u e llo ch e
v o g lio n o i s o ste n ito ri d i essa, ta n to p iù ch e le a rg o m e n ta z io n i e g li esem p i
a d d o tti s o n o ab b astan za d eb o li.
A n z itu tto , essi p a rto n o d al fa lso p re s u p p o sto — d ife tto in izia le d ella
s cu o la v o lo n ta ris ta — c h e le le g g i d ella n atu ra fu r o n o stab ilite dalla volontà
d i D i o e n o n dalla sua intelligenza, co m e afferm a e p r o v a la scu o la tom ista
su lle o rm e d e l D o t to r e A n g e lic o 3». È c e rto c h e D i o p u ò alterare o d ero g a re
accid en talm en te alle le g g i d ella n atu ra, p u rc h é p e rò q u e s to n o n im p lic h i
c o n tra d d izio n e. N e p p u re d a ll’a sso lu ta p o te n z a d i D i o p u ò essere f a t t o c iò
c h e è c o n tra d d itto rio , sem p licem en te p erc h é c iò c h e è assu rd o , ch im eric o
n o n h a n é p u ò a v e re alcu n a rea ltà fu o r i d e lla n o s tra im m ag in azio n e .
N o n s e rv o n o g li esem p i a lle g a ti a sp ieg are la m u ltilo c a z io n e co rp o rale ,
i . N o n v a le q u e llo d e ll’an im a p resen te in tu tte le p a rti d e l c o rp o c h e in ­
fo rm a, p erch é l ’ anim a n o n è presen te in co d e ste p arti localiter v el circunscrip-
tive , m a s o lo definitive , co m e in s e g n a la filo so fia 39. Q u e s ta p resen za defini­
tiva n o n si p u ò eq u ip arare alla c ircoscrittila , ch e è l ’u n ic a ch e p o s s o n o a v e ­
v e r e i c o rp i, co m e in seg n a n o p u re i filo so fi 40. 2. N o n v a le n ep p u re l ’esem ­
p io d el p u n to cen tra le d ella circo n fe re n za p resen te n e l p rim o p u n to d i tu tti
i r a g g i d ella m edesim a, p erc h é q u esto è u n p u ro g io c o d i p aro le g ia cch é
tu tti q u esti p u n ti n o n s o n o in realtà se n o n u n s o lo e m ed esim o p u n to
ch e c o in cid e c o n il c en tro d ella circo n fere n za . N o n c ’è q u i m o ltilo c a zio n e
n é q u alco sa d i sim ile. 3. N o n serv e n ep p u re l ’ esem p io d i G e s ù C risto n e l­

38 C f. 1,14,8 ; « U tr u m scien tia D e i s it cau sa re r u m » (cf. 1,19 ,4 ).


^9 C f. G r e d t , o.c., t . i , n .3 1 2 e 5 3 1 .
4° C f. G r e d t , o.c., t . i , n .195; S. T h o m . 111,76,4.
I F E N O M E N I IN P A R T IC O L A R E 1115

l ’ E u c a restia , p erc h é C risto n o n si t r o v a n é si p u ò tro v a re n e ll’E u c a restia


localiter , m a s o lo sacramenialiter y c o n u n a u b ic a z io n e specialissim a c h e fa a-
s tra zio n e n ella m an iera p iù a sso lu ta d a ll’ esten sio n e e d a llo sp a zio . S. T o m ­
m aso in s e g n a c h e si t r o v a p re se n te n e ll’ o s tia se m p lic e m e n te « secu n d u m
m o d u m su bstan tiae » 4*.
I p rin c ip i e g li a rg o m e n ti d i q u esta tee 'ia d e v o n o q u in d i essere resp in ti “fi.

2a conclusione: Poiché il medesimo corpo, non può


avere una presenza reale e circoscrittiva in due
luoghi distinti, è necessario che in uno di essi
non si trovi in codesta maniera, ma solo rappre­
sentativamente o apparentemente.

È una conseguenza logica della precedente conclusione.


Se il corpo non può trovarsi realmente in due luoghi, è
necessario che in uno di essi v i ci si trovi soltanto rappresen­
tativamente o apparentemente, a meno che si vo glia negare
l’esistenza del fenom eno bilocativo di cui non è lecito du­
bitare.

3a conclusione: Questa rappresentazione si può ve­


rificare « soprannaturalmente », « preternatural-
mente » e forse anche « naturalmente ».

È possibile che il fenomeno si verifichi per intervento


divino in maniera soprannaturale, o per intervento diabolico
in maniera preternaturale. Questa specie di rappresentazio­
ni, mediante condensazione di aria o mediante altri proce­
dimenti che ignoriam o, non sorpassa le forze della natura
angelica buona o cattiva, e tanto meno l’infinita potenza
di D io. La difficoltà sta nel capire come questa rappresenta­
zione possa verificarsi anche naturalmente. Esaminiamo i
singoli casi:
i) Soprannaturalmente. - 1 fenomeni di bilocazione sopran­
naturale si verificano per me^Z0 di' una rappresentazione sensibile
provocata miracolosamente da Dio in uno dei termini della biloca-
Zjone.

4' C f . IH -,76 5.
43 C f . G r e d t , o . c ., t . i , n n . 3 2 5 -2 8 .
1116 I FENOM ENI M IS T IC I ST R A O R D IN A R I

Uno studioso del problema della bilocazione espone


cosi questa teoria: 43
« La bilocazione può avvenire in due modi: o puramente
in spirito oppure in corpo e anima. Quando avviene unica-
mente in spirito e va accompagnata da apparizione, la presen­
za della persona è fisica nel termine « a quo », ed é rappresen­
tativa là dove l’apparizione ha luogo, ossia, dove lo spirito
si presenta visibilmente rivestito di un corpo (termine « ad
quem »).
Quando la bilocazione avviene in corpo e anima, la
presenza della persona è fisica là dove il corpo e l’anima si
presentano e appaiono in una maniera visibile termine
« ad quem »), ed è rappresentativa nel lu o go che la persona
abbandona (termine « a quo »).
N el prim o caso, il corpo che lo spirito prende per
rendersi visibile da lontano (termine « ad quem ») rappresenta
la persona che fisicamente si trova in un’ altra parte; nel se­
condo caso, il corpo che sembra rimanere nel termine a
quo, e che i circostanti credono che non si sia m osso affatto,
non è che una rappresentazione della persona operata per il
ministero di un angelo (o in un altro m odo a noi sconosciu­
to), mentre la vera persona si è trasferita in corpo e anima
altrove (termine « ad quem »).
Questa duplice presenza, rappresentativa da una parte,
e fisica dall’altra, è essenziale alla bilocazione in qualsiasi ma­
niera essa si verifichi, sia in corpo e anima, sia puramente
in spirito, ma in m odo visibile. O ccorre anche insistere
sul fatto che questa duplice presenza suppone necessaria­
mente, per costituire vera bilocazione, la traslazione, o passag­
g io reale della persona da un luogo all’altro, sia in corpo e
anima, sia almeno in spirito. Se questo reale passaggio non
avviene, se la persona rimane tutta intera nel luogo dove si
trova e se, senza questo passaggio o traslazione, appare nel
medesimo tempo in un’altra parte, non si tratta di una vera
bilocazione: non è che una semplice apparizione sopranna­
turale che D io opera, all’insaputa della persona stessa, sia
per il ministero di un angelo, sia in un’altra maniera sco­
nosciuta ».
Come si spiega, dunque, il fenom eno della bilocazione
registrato nella vita dei santi ? Bisogna dire che nella realtà
non esiste una bilocazione circoscrittiva. Il santo rimane

43 Cf P . S e r a f i n o , Prìncipes de Théologie M y st:qui p a g . 430. C ita to da


M e n e o , o.c., p a g . 224-25.
I F E N O M E N I IN P A R T IC O L A R E 1117

localìter in un solo posto, e nell’altro si verifica una rappresen­


tazione soprannaturale provocata da D io e conosciuta dal
santo come riferita a lui stesso per un fenomeno di cono­
scenza soprannaturale.
O ra, dove si opera la rappresentazione ? N el luogo do­
ve avviene l’apparizione o in quello che la persona abban­
dona per trasferirsi corporalmente altrove ? Entrambe le
cose sono possibili. N el secondo caso avverrebbe mediante
una traslazione corporale realizzata per un fenomeno di
agilità soprannaturale. Ma la sentenza più comune è che la
persona rimane nel luogo in cui si trova. L a rappresentazione
soprannaturale si produce nell’altro luogo. Questa era l’o ­
pinione che la Y en . Maria de A greda aveva delle sue pro­
prie bilocazioni. N ella relazione scritta da lei medesima
si leggon o queste parole: « Ciò che mi pare più certo in re­
lazione al modo è che un angelo appariva là sotto la mia figura
e predicava e catechizzava g l’indiani; e che il Signore mi m o­
strava qui, nell’orazione, quello che là avven iva» 4 4.
Questa è la teoria più probabile. Contro di essa però
sono state form ulate alcune obiezioni che è necessario esa­
minare.
i. Obiezione. - Questa teoria spiega la bilocazione
negandola. D ifatti, se il corpo reale rimane soltanto in uno
dei due estremi e nell’altro non c’è se non una rappresenta­
zione del medesimo, dove sta la bilocazione ?
Risposta. - Questa teoria non distrugge la bilocazio­
ne, ma la spiega nell’unica form a possibile. L ’obiettante par­
te dalla supposizione che per la vera bilocazione sia neces­
sario che il corpo reale si trovi contemporaneamente in due
luoghi. O ra, in questo senso, è chiaro che la teoria esposta
distrugge la bilocazione non essendo possibile che quella
puramente rappresentativa in uno dei due estremi. Tuttavia,
si tratta di vera bilocazione — nell’unico vero senso che può
avere questa parola — dal momento che il soggetto della
medesima ha coscienza di trovarsi in due posti diversi, non in
maniera reale e fisica, giacché ciò è impossibile, ma reale
in uno e rappresentativa nell’altro. Q uesto non avviene nel
semplice fenomeno di trasla%i°ne in cui il soggetto ha coscien­
z a di trasferirsi corporalmente all’altro estremo senza lasciare
traccia di sé nel termine di partenza, che rimane comple-

44 C f. J. G im é n e z S a m a n ie g o , V id a de la Venerablc M aria de A grtda


c . 12. C ita to da R ib e t , o. c., t.2 , p a g . 258.
1118 I FENOM ENI M IS T IC I ST R A O R D IN A R I

tamente vuoto. N el fenomeno bilocativo, invece, il soggetto


paziente ha coscienza di trasferirsi corporalmente — se la bi­
locazione si verifica in corpo e anima — al termine ad quem
e di rimanere nello stesso tempo con una sua rappresen­
tazione nel termine a quo. Se la bilocazione si verifica solo
in spirito, il soggetto ha coscienza di rimanere realmente
nel termine a quo, e nello stesso tempo percepisce che la sua
rappresentazione nel termine ad quem opera in suo nom e 45.
L ’obiezione fatta, quindi, non ha forza alcuna perché
parte da un falso presupposto da noi non ammesso.
2. Obiezione. - Quando il fenomeno bilocativo si ve­
rifica per rappresentazione nel termine ad quem, si potrebbe
ammettere codesta spiegazione come del tutto necessaria
perché si produca il fenomeno, dal momento che è la rappre­
sentazione quella che si m uove ed opera in codesto termine,
mentre il corpo reale rimane inattivo nel termine a quo;
ma quando il fenomeno si realizza per vera traslazione cor­
porale al termine ad quem, che fa codesta rappresentazione
inattiva nel termine a quo? Che necessità c’è di fare interve­
nire D io per produrre un m iracolo che ha lo scopo di pro­
durre soltanto in coloro che lo contemplano l ’illusione di
trovarsi alla presenza del corpo reale del bilocato, mentre
in realtà non si tratta che di una pura rappresentazione ? »
Risposta. - Possiamo rispondere in molti modi. A n ­
zitutto non è certo che codesta rappresentazione nel ter­
mine a quo sia sempre inattiva. Può esserlo, e lo è di fatto,
ogni volta che la bilocazione si verifica mentre il bilocato è
in estasi reale o apparente; tant’è vero che il corpo rappresen­
tativo del bilocato appare frequentemente come immerso
in un sonno profondo e alle volte quasi come m orto. A ltre
volte, invece, il corpo appare rappresentato in perfetta atti­
vità nel termine a quo. Se si tratta di una persona religiosa, la
si vede assistere al coro, pregare con gli altri, m uoversi, ecc.,
ancorché si possa chiaramente avvertire che non si trova in
stato normale, che qualche cosa di misterioso sta succedendo
in quel corpo che pare m uoversi come un automa o semiad­
dormentato. Però, anche nei casi in cui il corpo rappresen­
tato rimane totalmente inattivo nel termine a quo, perché
il corpo fisico si è trasferito realmente al termine ad quem,
si spiega perfettamente la ragione dell’esistenza di codesta

45 In q u esta m aniera sp ie g a v a le sue b ilo c a z io n i la V e n . M aria de A g r e d a ,


n ella q u ale si v e rific a ro n o m o lti casi d i b ilo c a z io n e p ien am en te c o m p ro v a ti.
I F E N O M E N I IN P A R T IC O L A R E 1119

rappresentazione inattiva. Essa può infatti essere giustifica­


ta da un duplice fine:
a) Per occultare il fenom eno agli altri. C i possono es­
sere dei casi in cui floa conviene che gli altri sappiano che
il corpo reale si è trasferito fisicamente in un altro luogo
per com piervi quanto D io ha disposto. Per questo rimane
nel termine a quo la rappresentazione del corpo trasferito,
che fa pensare a una delle solite estasi osservate nel soggetto
paziente.
b) Può anche avvenire il contrario: è possibile che D io
vo glia far conoscere a tutti il fenom eno per una m aggior
glorificazione del suo servo o per altri fini a noi sconosciuti.
In questo caso la rappresentazione nel termine a quo ha il
com pito di offrire a tutti la prova irrefutabile del fenomeno.
Perché, quando più tardi si com proverà la presenza simul­
tanea del paziente nei due luogh i diversi — com e nel caso
di S. A lfon so — il fenom eno apparirà in m odo indiscuti­
bile agli occhi di tutti.
z) Preternaturalmente. - Il fenom eno della bilocazione
può avere alle volte un’origine preternaturale o diabolica.
C o l permesso di D io il demonio può realizzare perfettamente
la rappresentazione della persona « bilocata » in uno dei ter­
mini della bilocazione. La spiegazione coinciderebbe con
quella di una semplice apparizione diabolica che potrebbe
avvenire per condensazione e coloram ento dell’aria o in
qualunque altra forma. Le circostanze che accompagnano
queste bilocazioni saranno l’unico criterio per distinguerle da
quelle soprannaturali, secondo le norme e le regole del
discernimento degli spiriti.
3) Naturalmente. - L e semplici forze della natura pos­
sono proiettare lontano il fantasma del proprio corpo e dar­
gli nel termine ad quem una consistenza ponderabile di modo
che si possa, vedere e toccare da coloro che assistono al fe­
nom eno ? Q uesto è il problem a che bisogna risolvere. Es­
sendo impossibile e contraddittoria la vera bilocazione cor­
porale o circoscrittiva, solo in base ad un fantasma emesso dal
soggetto della bilocazione essa si potrebbe spiegare natural­
mente senza necessità di ricorrere al soprannaturale o al
preternaturale.
O ra è possibile alle forze della natura l ’emissione del
fantasma dal proprio organismo e la sua proiezione nel ter­
mine ad quem? Com e si verifica l’emissione e la proiezione al
termine ad quem? Com e si verifica l’emissione e la proiezio­
112 0 I FENOM ENI M IS T IC I ST R A O R D IN A R I

ne di codesto fantasma? Q ual’è la sua natura intima, quali


sono i suoi elementi costitutivi ? In virtù di quale mistero
può giungere a condensarsi, a materializzarsi a produrre
l’immagine della persona; in una parola, a convertirsi in
qualche cosa di palpabile e corporeo quello che sembrava
essere puramente ideale, impalpabile e incorporeo ?
T ra l ’ordine naturale e il preternaturale c’è una zona im­
mensa, misteriosa, mal definita e quasi del tutto sconosciuta:
la zona del m eraviglioso, del sopranormale, nell’ambito del­
l’ordine puramente naturale. Comprende un numero consi­
derevole di fenomeni rari e irregolari, dalle caratteristiche stra­
ne e misteriose, che si reggono per mezzo di leggi che non
conosciamo ancora. Questi fenomeni dipendono, alle v o l­
te, da una disposizione naturale ereditaria, da un disordine
fisico o morale, che viene a perturbare accidentalmente le
leggi ordinarie della materia o dello spirito, o da una causa
singolare, che modifica le condizioni ordinarie delle relazio­
ni tra il corpo e l’anima.
O ra, in queste condizioni, è possibile alla semplice na­
tura l’emissione e proiezione di un simile fantasma? Cre­
diamo sinceramente che, nonostante lo straordinario svilup­
po raggiunto dalle scienze metapsichiche, nessuno possa ri­
spondere in m odo categorico e assoluto a questa domanda.
D ifatti, tutte le spiegazioni tentate finora non sono che ipo­
tesi e scandagli del mistero. Ci sembra che sia preferibile con­
fessare semplicemente la nostra impotenza a risolvere tale
questione. I pretesi casi di bilocazione puramente naturale
che vengono citati dagli autori si possono solo spiegare
allo stato attuale della scienza, mediante un intervento
preternaturale o un fenom eno di telepatia o di illusione
ottica.

8) L e v i t a z i o n e

Q uesto fenomeno non presenta le difficoltà del preceden­


te per la sua spiegazione.

645. i . I l f a t t o . - Q uesto fenom eno consiste nella ele­


vazione spontanea, dal suolo, nel mantenimento e spostamen­
to nell’aria del corpo umano senza appoggio alcuno e senza
causa naturale visibile.
D i regola, la levitazione mistica si verifica mentre il
paziente è in estasi e se il corpo si eleva solo un p o’, si chia­
I F E N O M E N I IN P A R T IC O L A R E 112 1

ma estasi ascensionale; se si eleva a grandi altezze, riceve il


nom e di volo estatico; e se incomincia a correre velocem ente
raso al suolo, ma senza toccarlo, si chiama marcia estatica.
646. 2 . Casi s t o r i c i . - Le vite dei santi presentano molti
casi. I principali sono quelli di S. Francesco d’Assisi, di san­
ta Caterina da Siena, di S. Filippo N eri, di S. Pietro d’ A l­
cantara, di S. Teresa di Gesù, di S. G iovanni della Croce, di
S. Francesco Saverio, di S. Tom m aso da V illanova, di
S. Paolo della Croce e soprattutto di S. Giuseppe da Coper-
tino. N el processo di canonizzazione di questo santo fran­
cescano si registrano più di settanta casi di levitazione veri­
ficatesi solo in Copertino e nei suoi dintorni; ma il numero to­
tale è m olto m aggiore. F u visto volare sotto la volta della
chiesa, sul pulpito, lun go i muri o dinanzi a un crocifisso
o a un’immagine pia; planare sull’altare o attorno al taber­
nacolo; sostenersi e dondolarsi come un passero su rami
debolissimi; sorpassare con un salto lunghe distanze. Una
parola, uno sguardo, la minima cosa in relazione con la pietà,
gli produceva questi trasporti. In un periodo della sua vita
essi giunsero ad essere tanto frequenti che i suoi superiori
dovettero esentarlo dall’ufficio di ebdomadario nel coro per­
ché, contro sua volontà, interrom peva e perturbava le ceri­
monie della comunità coi suoi v o li estatici di cui molte per­
sone furono testimoni, tra cui papa Urbano V i l i e il princi­
pe protestante G iovanni Federico di Brunsw ick, il quale ri­
mase tanto impressionato da quel fenom eno, che non sola­
mente si converti al cattolicesim o, ma vesti il saio francescano.
È anche noto il caso della V en. Maria d’A greda. Nelle
sue estasi, il corpo diventava immobile, insensibile, e si man­
teneva un p o ’ elevato da terra e talmente leggero che basta­
va soffiargli contro leggerm ente, anche da lontano, per far­
lo agitare e dondolare come una piuma 4«.
647. 3 . S p i e g a zi o n e del f e n o m e n o . - Quando il feno­
meno si realizza nei santi, ha un’origine evidentemente so­
prannaturale, benché possa avvenire per intervento diaboli­
co. L a semplice natura non può alterare le leggi della gra­
vità, sempre fisse e costanti. « I razionalisti — avverte Tan­
querey 47 — . tentarono di dare a questo fenom eno una
spiegazione naturale apportando come ragione un’aspira­
zione profonda dell’aria nei polm oni o un’ignota forza

46 C f . D o t t . S u r b l e d , o. c., p a g . 6 09.
47 C f . Compendio di Teologìa ascetica e mistica, n.1518.
112 2 I FENOM ENI M IS T IC I ST R A O R D IN A R I

psichica o l’intervento di spiriti o di anime separate; il che


dimostra m olto apertamente che non trovano nessuna
spiegazione seria ».
La spiegazione classica degli autori cattolici è quella di
Benedetto X I V , condensata in queste tre conclusioni 4&:
i) L a com provata elevazione nell’aria non si può spie­
gare naturalmente.
z) N o n supera, tuttavia, le forze dell’angelo né del de­
m onio, i quali possono sollevare in bilico i corpi.
3) N ei santi, codesto fenomeno è una partecipazione an­
ticipata del dono di agilità, proprio dei corpi gloriosi.
648. 4. S u e f a l s i f i c a z i o n i . - Tuttavia, ancorché que­
sta spiegazione sia pienamente soddisfacente, occorre tener
presente che questo è uno dei fenomeni soprannaturali che più
facilmente si prestano all’equivoco, non solo a m otivo dell’a­
zione preternaturale diabolica, ma anche per le sue possi­
bili cause patologiche.
a) Falsificazioni naturali. - I casi più interessanti biso­
gna cercarli nella patologia. N elle crisi del tetano, le forze
degli infermi si centuplicano, e alle volte si vedono innal­
zarsi per aria, sui letti e sulle tavole. « N o i stessi — scrive
il dott. Surbled « — ne abbiamo visto uno spiccare un salto
nella sua camera e arrampicarsi su per un lampadario con
l’agilità di un volatile. N elle febbri gravi con delirio,
specialmente nella febbre tifoidea, si può osservare il mede­
simo fenomeno. Una delle nostre inferme, negli accessi fre­
netici, s’innalzava a incredibili altezze, fino al soffitto, con
una leggerezza sconcertante ».
L ’isterismo offre dei casi veramente sorprendenti. « Il
periodo di contrazioni clonithe delle crisi isteriche — aggiun­
ge il dott. Surbled — è caratterizzato da m ovim enti tanto
bruschi quanto poderosi. L ’inferma s’innalza im provvisa­
mente, come spinta da una molla, il suo corpo rigido e co­
me tutto d’un pezzo spicca un salto e si lancia nell’aria, poi
ricade e rimbalza di n uo vo senza fermarsi fino a quindici
o a venti volte. Ci sono degli slanci di una sorprendente
rapidità, dei salti veramente prodigiosi ».
Spiegazione di questi fatti. - Si tratta di semplici atti di agi­
lità o di acrobazia, senza nessuna relazione con la levitazio-

4 8 Cf. D e beatìfic. I.3, c.49.


49 Cf, D o t t . S u r b le d , o.c., p ag. 70 7S.
I FENOM ENI IN PARTICOLARE 1123
ne soprannaturale o preternaturale. È m olto facile distinguere
questi casi patologici da quelli soprannaturali. Durante
le crisi più violente, nessun infermo, nessuna isterica, rie­
sce a sollevarsi in modo lento e graduale in aria senza appoggio,
a mantenersi im m obile, a rimanere sospesa tra cielo e terra
e a conservare per lun go tem po, lontano dal suolo, una po­
sizione contraria alle leg gi dell’equilibrio e della gravità. T u t­
te queste condizioni che sono necessarie per costituire una
vera levitazione almeno nel loro complesso sfuggono mani­
festamente alle semplici forze della natura anche esacer­
bata da qualche malattia.
b) Falsificazioni preternaturali. - Più difficili da distin­
guere sono le falsificazioni preternaturali non solamente
perché il demonio può riprodurre il fenomeno con tutte
le apparenze esterne richieste dalla levitazione soprannatu­
rale, ma anche perché la sua azione è possibile, col permesso
del Signore, persino nei santi e nelle persone di provata pie­
tà. Per discernerle bisognerà ricorrere agli effetti che il feno­
meno produce nell’anima.
È evidente che il dem onio non può alterare le leggi della
natura. Solo D io , loro autore, può sospenderle o derogarle
in qualche caso particolare. Il demonio non può sospende­
re le leg gi della gravità, ma può simulare i miracoli di questo
genere mediante il concorso invisibile delle sue forze naturali.
Così si spiegano — quando sono diabolici — gli spostamenti
e i sollevamenti di o ggetti inanimati, il camminare sulle
acque, i vo li e gli spostamenti rapidi, ecc. La m aggior parte
dei fenomeni spiritici — quando non sono dovu ti al trucco
e all’inganno dei « medium », m olto frequentemente com ­
provati — vanno attribuiti a questa azione preternaturale
diabolica 5°.

9) S o t t ig l ie z z a

649. 1. I I f a t t o . - Q uesto fenom eno consiste nel pas­


saggio di un corpo attraverso ad un altro. N el momento
del transito suppone la compenetrazione o coesistenza dei
due corpi in un medesimo luogo.
650. 2. C a s i s t o r i c i . - Questo prodigio si verificò nella
persona di G esù risuscitato il quale « ianuis clausis » a porte
chiuse, si presentò ai suoi discepoli (G iov. 19,20-26). È

5° C f. F a r g e s , Les phenomènes mystiques t.z , c .3 , a.z.


1124 I FENOM ENI M IS T IC I STRAO RD IN AR I

rimasto celebre il caso di S. Raimondo di Penafort che entrò


nel suo convento di Barcellona a porte chiuse 51.
651. 3 . S p i e g a z i o n e d e l f e n o m e n o . - T utti gli autori
sono d’accordo nel dire che questo fenom eno quando si
verifica dev’essere necessariamente soprannaturale. N on
può essere naturale e neppure preternaturale, giacché la
compenetrazione dei corpi suppone un miracolo tanto gran­
de, che si può solo spiegare con l’onnipotenza di D io.
Difatti, si sa che l’effetto formale primario di una cosa
non si può sopprimere senza che rimanga soppressa la cosa
medesima. È evidente anche solo considerando l’indole o
la natura dell’effetto formale primario o costitutivo essen­
ziale, che dai filosofi viene definito: « id sine quo res concipi
non potest, et quo sublato tollitur ipsa res » s2.
O ra, l’effetto formale primario o ragione formale della
quantità è l’ordine delle parti nel tutto: « ordo partium in to-
to », dicono i filosofi. Q uesto effetto formale non può essere
soppresso neppure dall’assoluta potenza di D io senza la
soppressione della stessa quantità.
Però, oltre a questo effetto primario o essenziale, la quan­
tità ha un altro effetto formale secondario, che è Vubi e il situs,
ossia l ’ordine delle parti nel luogo: « ordo partium in loco ».
Questo effetto secondario è realmente distinto dal primario
da cui può essere separato dalla potenza assoluta di D io.

l a conclusione: I corpi sono naturalmente impene­


trabili. Se ne deduce che il fenomeno della « sot­
tigliezza » è naturalmente impossibile.
L a ragione è chiarissima. L ’effetto secondario della quan­
tità è l’ordine delle parti nel luo go , che com porta l ’impene­
trabilità naturale.
Si tenga presente però che si possono distinguere due
specie di impenetrabilità: una interna e l’altra esterna o lo­
cale. L ’impenetrabilità interna segue l’effetto primario del­
la quantità, e non si può sopprimere senza sopprimere la
quantità medesima.. L ’esterna, invece, segue l’effetto secon­
dario della quantità (che è la distribuzione delle parti nel luo-

51 Cf. Brev. Rom ., 23 ianuari, lect.6: « ...suum coenobium , ianuis


l'iausis, fuerit tngressus ».
^ Cf. G r e d t , o .c ., t .i, n . 316.
I F E N O M E N I IN P A R T IC O L A R E 1125
go), il quale può essere sospeso dall’onnipotenza divina
senza che scompaia la quantità. Tale è il caso dell’Eucare­
stia. Secondo quello che insegna la fede, in essa si trova il
corpo adorabile di G esù Cristo con tutta la sua quantità
dimensiva; tuttavia, n on occupa luogo, perché è stato sospe­
so, in virtù di un m iracolo, l’effetto formale secondario della
quantità. Quindi:

2a conclusione: Non ripugna che i corpi possano


compenetrarsi soprannaturalmente.
L o abbiamo provato o r ora. Bisogna quindi concludere
che la non ripugnanza del fenom eno della sottigliezza si
può dimostrare per m ezzo della filosofia alla luce della sem­
plice ragione naturale 53.

3* conclusione: Questa compenetrazione sopranna­


turale si verifica mediante un vero miracolo ope­
rato da Dio, non mediante una semplice parte­
cipazione anticipata e transitoria della sottigliez­
za del corpo glorioso.

Questa è la spiegazione che S. Tom m aso dà anche ri­


guardo al corpo di G esù risorto. Secondo l’A n gelico D o t­
tore, la sottigliezza non conferisce al corpo glorioso il p o ­
tére di penetrare i corpi, ma si richiede per questo un mira­
colo dell’onnipotenza divina 5 ■ *.

io ) L uci o sple n d o r i

652. i . II f a t t o . - Q uesto fenom eno consiste in un


certo splendore che alle volte i corpi dei santi irradiano so­
prattutto durante la contemplazione e l’estasi.

653. 2. C a s i s t o r i c i . - N ella S. Scrittura è ricordato


quello di M osé quando discese dal Sinai e di N ostro Signore

53 Cf. G r e d t , o . c ., t . i , n n . 315-24.
54 Cf. Suppl. 83,2; 111,54,1 ad i; 57,4 ad 2; 1,67,2 c; Cantra Gentes
ITI 101 102; Orndì. I ,t o ,i.
1126 I FENOM ENI M IS T IC I STR AO R D IN AR I

nella trasfigurazione del T abor 55. Q uesto fenom eno si p ro ­


dusse anche in S. L uigi Beltràn, Sant’Ignazio di L oyo la,
S. Francesco da Paola, S. Filippo N eri, S. Francesco di
Sales, S. Carlo Borrom eo, S. G iovanni Vianney, ecc. È
uno dei fenomeni più frequenti tra i grandi mistici.

654. 3. S p i e g a z i o n e de l f e n o m e n o . - La daremo
in form a di conclusioni.

l a conclusione: Si dònno casi di fosforescenza ani­


male.
Tali sono, per esempio, quelli delle lucciole; di certi
batteri che contaminano le carni; dei protozoi (fosforescen­
za del mare); dei vegetali (funghi e alghe); dei polipi; di
certi pesci provvisti di organi luminosi, ecc.
L a fosforescenza animale non ha nulla a che vedere con
i fenomeni di luminosità osservati nella persona dei santi.
L a fotogenesi animale richiede umidità, una temperatura
favorevole e ossigeno per la vita cellulare (benché forse
non per la luminosità stessa). Dipende dal sistema nervoso;
l’eccitazione a distanza l’aumenta; gli anestetici (etere, clo­
roform io, ecc.) la diminuiscono; la stricnina la stimola, ecc.
Niente di tutto questo appare nei fenomeni di luminosità
mistica. N o n è possibile confondere gli uni con gli altri s6.

23 conclusione: Si sono comprovati fenomeni lumi­


nosi nelle sedute spiritiche.
Consistono generalmente in una specie di fuochi fatui
fluttuanti in tutte le direzioni a poca distanza dal medium.
N on è possibile confondere questi fatti con i fenomeni
soprannaturali. Si verificano im provvisam ente sempre nel­
l’aria, mai nella faccia 0 nel corpo dei medium. Soltanto
miss Burton presentò in una certa occasione una saliva fo ­
sforescente, che potrebbe mettersi in relazione con il mu-
cus luminoso dei molluschi.
La spiegazione di questi fatti si deve cercare la m aggior
parte delle volte nella frode e nell’inganno. È facilissimo

55 Cf. Es. 34,29-35; M at. 17,2.


Cf. D o t t . B o m , o .c., p . 2 6 8 -9 .
I FENOM ENI IN PARTICOLARE 1127
provocare nell’aria certi fenom eni pirotecnici, tenendo pre­
sente, soprattutto, l’ambiente di semioscurità e di mistero
in cui si svolgon o le sedute spiritiche. Il famoso grido « me­
no luce, meno luce », di Eusapia Paladino, è più eloquen­
te di un poema per spiegare la natura di questi pretesi
« p rodigi » spiritici.

3P- conclusione: Questi fenomeni luminosi possono


essere prodotti per influsso diabolico.
Si tratta, infatti, di una cosa entitativamente naturale —
la luce, — la produzione della quale non trascende le forze
della natura angelica. Il demonio può certamente proiet­
tare sulla faccia o sul corpo della persona scelta una luce che dia
l’apparente sensazione del fenom eno che stiamo studiando,
sia producendo effettivamente codesta luce mediante un’a­
zione invisibile, sia producendo nella retina degli occhi
dei circostanti la illusione ottica del fenomeno.
Com unque sia, le regole del discernimento sarannno sempre
le solite. Si dovrà in ogni caso esaminare se la persona dal­
la quale escono codesti raggi è virtuosa e santa; se questo
fenom eno si produce durante un’azione religiosa, un’e­
stasi, un sermone, un’orazione o dopo la comunione; se
è il risultato degli effetti della grazia, di conversioni durature
ecc. ; se è soltanto una scintilla brevissima, com e quella
prodotta dall’elettricità, o se il fenom eno si prolunga per
un tempo notevole o si ripete molte volte; se da tutte le
circostanze non emerge nulla di poco edificante, nulla che
manifesti vanità, superbia, o rgo glio , ecc., ma, al contrario,
tutto è serio, religioso, edificante, santo, soprannaturale.

4a conclusione: I fenomeni di luminosità comprova-


ti nella persona dei santi non si possono spiega­
re naturalmente. Sono una specie di irradiazio­
ne esterna della divinizzazione raggiunta dall’or
nima o una comunicazione anticipata della chia­
rezza del corpo glorioso.

Proviam o questa conclusione separatamente per parti.


Prima parte. - Il fenom eno non si può spiegare natu­
ralmente. L e caratteristiche della fosforescenza animale e
i « risultati » ottenuti nelle sedute spiritiche distano infini-
1128 I FENOM ENI M IS T IC I ST R A O R D IN A R I

tamente dai fenomeni osservati nei mistici. Dunque, suppo­


nendo che non si tratti di fenom eni diabolici, la loro origine
dev’essere soprannaturale.
Seconda parte. - Si possono considerare come un ef­
fetto della divinizzazione dell’ anima e del suo predominio
sul corpo. È una legge del com posto umano che l’anima
proietti sulla carne i suoi propri riflessi. Quando l’anima
sta sottomessa all’impero dei sensi, l’esterno dell’uomo
riflette chiaramente questa vergognosa schiavitù. Se la vita
soprannaturale regna nell’ interno, l’espressione esterna di­
venta pura, luminosa, risplendente.
Tuttavia, se si tratta di vera luce materiale non basta
questa influenza dell’anima sul corpo per spiegare il fenomeno.
N elle condizioni attuali, l’anima può per sua propria vir­
tù fare risplendere nei suoi organi qualche cosa della sua
purezza, della sua serenità, delle sue intime luci; ma non
potrà — senza uscire dall’ordine attuale della natura umana
— effondere su di essi veri raggi di luce materiale visibi­
le agli occhi di tutti. Per spiegare il fenom eno esauriente­
mente occorre vedere in esso una gloriosa irradiazione
anticipata della chiarezza dei beati 5 7 .

n) Il p ro fu m o s o p r a n n a tu r a le

655. i . I I f a t t o . - Questo fenom eno — conosciuto te­


oricamente col nom e di osmogenesia — consiste in un certo
profum o di squisita soavità e fragranza che si sprigiona
alle volte dal corpo mortale dei santi o dai sepolcri dove
riposano le loro spoglie. D io permette forse questo secondo
aspetto del fenom eno come simbolo del « buon odore »
delle virtù eroiche che praticarono i suoi fedeli servi.
656. 2 . C a s i s t o r i c i . - Si sono dati m olti casi tra i santi.
I più noti sono quelli di S. Ludovina, S. Caterina de’ Ric­
ci, S. Filippo N eri, S. Gerardo Maiella, S. G iovanni della
Croce, S. Francesco di Paola, S. Rosa da V iterbo, S.Gemma
Galgani e, soprattutto, S. G iuseppe da Copertino.
Il caso di quest’ultimo è così riassunto dal dott. Bon:
« Il P. Francesco de A ngelis — uno dei testimoni nel
processo di beatificazione — dichiara che il profum o che

57 Cf. R i b e t , o .c ., t .2 , c .2 9 , n .6.
I F E N O M E N I IN P A R T IC O L A R E 1129
emanava il suo corpo e le sue vesti era simile a quello del
reliquiario di sant’A nton io da Padova. Il P. France­
sco da L evante lo paragona a quello del breviario di
S. Chiara d’Assisi, conservato nella chiesa di S. Damiano.
Tutti coloro ai quali il santo passava vicino sentivano quel­
l’odore che durava anche quando egli già si era allontanato.
La sua camera ne era impregnata, e tale odore si attaccava
ai m obili e penetrava nei corridoi del convento; di m odo che
coloro che volevano visitare il santo, ma non conoscevano
la sua cella, la distinguevano facilmente da quell’odore.
E ra un profum o cosi penetrante che si com unicava per lun­
go terripo a coloro che toccavano il santo e anche a coloro
che gli facevano visita ed il P. Francesco da Levanto
conservò quell’odore per quindici giorni dopo che aveva
fatto una visita nella sua cella, sebbene egli non mancasse
di lavarsi ogni giorno. L a cella del Santo conservò quel
profum o per dodici o tredici anni benché in tutto quel tem­
po non v i avesse più abitato. Q uell’odore si attaccava tal­
mente ai suoi vestiti che né il sapone né il bucato riuscivano
a toglierlo, e si com unicava anche agli indumenti sacri,
che egli aveva indossato e agli armadi o ve si custodivano.
Q uest’odore non procurava effetti spiacevoli nemmeno a
coloro che di solito non ne sopportavano nessuno, anzi lo
trovavano m olto soave, e si conservò durante la sua ma-
latti% dopo la sua morte e durante l’autopsia » 58.
H anno esalato soave odore le reliquie o i sepolcri di
S, Francesco d’Assisi, S. Dom enico-di G uzm an. S. Tom m aso
d’A quino, S. Raimondo de Penafort, S. Rosa da Lima,
S. Tom m aso da V illanova, S. Teresa, S. Francesca Romana,
la B. Caterina da Racconigi ecc.

657. 3 . N a t u r a d e l p r o f u m o . - Generalmente si tratta


di un aroma singolare che nulla ha di comune coi profum i
della terra. I testimoni che lo hanno sperimentato esau­
riscono tutte le analogie e le somiglianze per far intendere
la soavità e la fragranza di questo profum o misterioso, e
finiscono col dire che si tratta di un aroma inconfondibile
che non ha riscontro sulla terra.
Il profumiere della corte di Savoia fu inviato un giorno
al convento della B. Maria degli A n g eli perché cercasse di
individuare la natura dell’odore che la serva di D io emana­
va. D ovette confessare che non rassomigliava a nessuno

1:8 Cf. D o t t . B o n o .r., p .Vf, c. 17.


1130 I FENOM ENI M IS T IC I ST R A O R D IN A R I

dei profum i di questa terra. Le religiose, sue compagne,


10 chiamavano « odore di paradiso o di santità » S9 .

658. 4 . S p i e g a z i o n e d e l f e n o m e n o . - L a daremo in
form a di conclusioni.

l a conclusione: Il fenomeno degli aromi emanali


dai santi non si può spiegare naturalmente.
Il corpo umano in stato normale emana un odore
che varia secondo la razza, il sesso, la pigmentazione cutanea
e pelosa e la specie di alimentazione. M a tutti questi odori
sono poco gradevoli, m otivo per cui si cerca di attenuarli
e di coprirli con le cure dell’ igiene e l’uso dei profumi.
N ello stato di malattia, questi odori sì accentuano o modificano
— odore di febbre — prescindendo dagli odori nettamente
patologici: bromidrosi plantare, ozena ecc. 6o.
In che m odo, dunque, il corpo umano potrebbe produrre
per propria virtù naturale i soavi efflu vi emanati dai cor­
pi dei santi alle volte durante la malattia e anche dopo mor­
te ? Benedetto X I V scrive: E ’ possibile che il corpo umano
possa naturalmente non emettere cattivi odori, ma che emetta
buon odore è una cosa che sorpassa le forze naturali, come
l’ esperienza insegna. D i conseguenza se il corpo umano,
corrotto o incorrotto, in putrefazione o no... emana un
odore soave, persistente, che non molesta nessuno, ma che
sembra gradevole a tutti, bisogna attribuirlo a una causa
superiore e pensare a un m iracolo » 61.
Se a questo aggiungiam o g li effetti soprannaturali che
11 fenomeno suole produrre nelle anime di coloro che lo
percepiscono — devozione, pace, impulsi di santificazione,
ecc. — • non potrem o più dubitare della sua origine divina.

23 conclusione: Il fenomeno alle volte può avere


una causa preternaturale diabolica.
L ’odore, buono o cattivo, è una cosa entitativamente na­
turale, che può essere prodotta dal demonio, sia provocando
direttamente il profum o con la sua azione invisibile sulla

59 C f. R i b e t , o . c ., t.2 , c .2 7 , p a g . 5 7 1 - 2 .
60 C f. D o t t . B o n , o . c ., p a g . 2 7 1 .
61 C f. B e n e d e t t o X I V , o.c., 1.4 , p . i , c .3 1 , n .2 4 .
I F E N O M E N I IN P A R T IC O L A R E 1131
materia corporale, sia eccitando nella mucosa pituitaria la
sensazione soggettiva di codesto odore.
T ra le tante astuzie di cui il dem onio si servi per ispirare
al B . Giordano di Sassonia pensieri di vanagloria, una fu quella
di provocare una deliziosa emanazione di profum o dalle
sue mani che imbalsamava tutto il convento. Siccome pe­
rò il santo religioso aveva pregato il Signore perché
gli facesse conoscere la provenienza di quell’odore, seppe
per rivelazione che si trattava di un’ insidia del demonio.
D a quell’istante, l ’odore scomparve per sempre 6l.

3a conclusione: I soavi aromi che emanano i santi


sono una conseguenza dello stato di divinizzazione
dell’anima o una comunicazione anticipata delle
perfezioni del corpo glorioso.

Bisognerebbe chiudere gli occhi alla luce — scrive Ri;


bet 63 — per misconoscere il carattere soprannaturale d1
tali meraviglie. L a grazia intima, senza dubbio, è la ragione
di codeste emanazioni deliziose, com e fanno osservare gli
atti della canonizzazione di S. Teresa 6<. Quando D io pe­
netra e regna in un’anima, non solamente la purifica, la
illumina, l’accende e l’ imbalsama, ma tende a irradiare
all’esterno codeste benefiche influenze. E siccome l’uomo
non si eleva al m ondo invisibile se non con l ’aiuto delle im ­
pressioni sensibili, D io impressiona i sensi per avvertire
l’uom o della sua presenza. L ’odore di santità che i santi
emanano non è che una di codeste avvertenze divine.
N o n si può provare apoditticamente che questa soavità e
fragranza sia una partecipazione anticipata delle qualità
del corpo glorioso, ma è m olto probabile e razionale che
lo sia. Scrive il P. Menéndez-Reigada: « I teologi non sta­
biliscono come dote del corpo glorioso l’emanazione
di soavissimo profum o; ma si può ritenere che succeda
cosi perché in cielo, dopo la risurrezione della carne, tutti
i sensi godranno per partecipazione della gloria dell’anima;
e l ’olfatto non potrà ricrearsi se non con soavi odori, che
emaneranno dai corpi beati. N on desta m eraviglia, quindi,

62 Cf. R i b e t , o. c., t-3 , c .7 , n .7 .


63 C f. R i b e t , o .c., t .2 , c .2 7 , n .7 .
64 C f. B . B . , 15 o c t . , t .5 5 , n .1 1 3 0 .
1132 I FEN OM EN I M IS T IC I ST R A O R D IN A R I

che già in questa vita, coloro che vivo n o più in cielo


che in terra, partecipino in parte a questa proprietà per
irradiazione dell’anima semiglorificata » 6s.

C O N C L U S IO N E

659. In questa quarta parte della nostra opera abbiamo


voluto chiarire uno degli aspetti della Mistica più
accanitamente perseguitati dagli increduli e dai razionalisti,
nemici dichiarati del soprannaturale. Nonostante la since­
rità con cui abbiamo ammesso qualsiasi teoria veramente
scientifica che spiegasse sufficientemente questi meravi­
gliosi fenomeni senza uscire dalla sfera puramente naturale,
ci pare di aver potuto dimostrare che la natura prodigiosa
di m olti fenomeni pienamente com provati esige il ricorso
al soprannaturale come unica spiegazione possibile. A l mar­
gine e sopra l’ordine naturale esiste un m ondo di ordine
soprannaturale, che s’impone e dimostra l’infinita grandezza
di D io il quale sparge a piene mani i tesori della sua bontà
e della sua sapienza nelle anime dei santi. Possiamo quindi,
chiudere l’ultima parte di questo libro e di tutta l’opera
esclamando col salmista: « Mirabilis D eus in sanctis
suis » (Sai. 67,36).

Cf. Los doms del Espiriti1 Santo y la perjección cristiana n .K , p. 386.


PRO SPETTO S T O R IC O -B IB L IO G R A F IC O
D all’immensa, produzione ascetico-m istica, che c i è pervenuta attra*
verso i secoli, ricaviam o questo breve prospetto, in cui vengon o segnalate
le opere più significative o che hanno esercitato un m aggiore influsso
sulla spiritualità cristiana.

I. S T O R I A G E N E R A L E D E L L A S P IR IT U A L IT À

P. P o u r r a t, L a spìritualitè cbrétienne, v o l.I « D alle origin i al m edioevo »


Gabalda, Parigi, 1918; voi. II « I l m ed ioevo», 1921; voli. III-IV « L ’età
m oderna », 1925-1928.
F . C a y r é , Patrologia e Storia della Teologia, 2 v o l i . , D esclée, Rom a, 19 4 8 :
sviluppa ampiamente la dottrina spirituale dei Padri.
M . V i l l e r , L a spìritualitè des premiers siecles chrétiens, P a r i g i 19 3 0 .
F. V e r n e t , L a spìritualitè mèdièvale, Parigi, 1929.
J . L e b r e t o n , L a vie cbrétienne au premier siècle, P a r i g i , 1 9 2 7 .
G . B a r d y , L a vie spirituelle d’après les écrivains des trois premiers siècles, B l o u d ,
Parigi, 1935.
A . J. F e s t u g i è r e , U idéal relìgieux des Grecs et VEvangìle, Parigi, 1 9 3 3 .
F . C a b r o l , L a prière des premiers chrétiens, P arigi, 1929.
J . R o s à n a s , Historia de la ascetica y mistica cristìanas, Buenos A ires, 1948:
riassunto dell’opera del Pourrat.
P. C r i s ó g o n o , Compendio de ascètica y mistica, A vila , 1933: la quarta parte
dà un quadro storico.

II. C O L L E Z IO N I

M ig n e , Patrologia (sezione latina, 221 voli.; sezione greca, 161 voli.)*


M , V i l l e r , Dictionnaire de Spìritualitè, Beauchesne, Parigi. In corso di p u b­
blicazione; sono apparsi finora i prim i tre volum i.
V a c a n t - M a n g e n o t - A m a n n , Dictionnaire de Théologìe catholique, Latouzey
et A n é , Parigi, 1889-1939.
M i g n e , Dictionnaire de Mystique, 1 8 5 8 .
R o u e t d e J o u r n e l , Encbiridion asceticum, 4 ediz., H erder, F riburgo in B . ,
1936 .
D e n z i n g e r - B a n n w a r t , Encbiridion Symbolorum, 31 ediz., H erder, Barcel­
lona, 1957.
1136 PRO SPETTO S T O R IC O -B IB L IO G R A F IC O

C avallera, Thesaurus doctrinae catbolicae, Parigi, 1936.


D e G Documenta ecclesiastica christianae perjectionis studium spedante,
u ib e r t ,

Pont. U niv. G regoriana, Rom a, 1931.

.III. NOTE B IB L IO G R A F IC H E DI S P IR I T U A L I T A ’

T anquerey, Compendio di Teologia ascetica e mistica, 8 ediz., D esclée, Roma,


1954, PP- X X X I -L X I I I.
D e G u i b e r t , Theologia spirituaìis, Pont. U niv. G regoriana, Rom a,
nn. 458-540.
G a r r i g o u - L a g r a n g e , L e ire età della vita interiore preludio di quella del cielo
4 voli., L .I.C .E ., To rin o , 1949, pp. X V II-X X .
P o u l a in , Delle grafie d ’orazione, 2 ediz., Marietti, To rin o , 1926, pp. 625-
697. Per il lettore che non è in grado di avere a portata di mano le edi­
zioni francesi questa bibliografia risulterà pressoché inutile, non essen­
do mai stato fatto alcun riferimento alle edizioni italiane.
S c h e u e r , in « R evue d ’ A scétique et de M ystique» , 1923-1924.
M a r e c h a l , Etudes sur la psicologie des mystiques, v o l.I, 2 ediz., Parigi, 1938,
pp. 247-298.
A . D e n d e r w i n d e k e , Compendium Theologiae ascetìcae, v o l.II, 1 9 2 1 , p p .
531-834.
Z i m m e r m a n n , As^etik, 2 ediz., 1932: ad ogn i capitolo.
N o te bibliografiche per opere m oderne e. articoli d i riviste, si possono tro
vare in:
T r u h l a r , D e experientia, myrfica, Pont. U niv. G regoriana, Rom a, 1951,
pp. 2 2 1-2 4 3 .

IV . P R IN C IP A L I R IV IS T E

« L a vida sobrenatural», Salamanca, dal 1931.


«M anresa», Barcellona-M adrid, dal 1925.
« R evista de Espiritualidad », M adrid, dal 1941.
« R evue d’A scétique et de M ystique», Tolosa, dal 1920.
« L a vie spirituelle», Parigi, dal 1920.
« E tu des carm elitaines», dal 1911; seconda serie, dal 1931.
« V ita cristiana», Fiesole, dal 1929. A partire dal prim o num ero del 1956
ha assunto il n u o vo titolo di « R ivista di A scetica e Mistica».
« Cros and C ro w n » , R iver Forest, Illinois (U .SA .), dal 1949.
« Zeitschrift fur Ascese und M ystik » , Innsbruck, dal 1934.
PRO SPETTO S T O R IC O -B IB L IO G R A F IC O 1137

V . A U T O R I D I S P IR IT U A L IT À

i) E poca patristica

N e g li scritti dei santi Padri è possibile rintracciare m olto materiale di


solida spiritualità; quel che manca, invece, è una trattazione sistematica che
nelle sue linee fondamentali ci offra una visione com pleta della vita spiri­
tuale, com e la si concepisce oggigiorn o. Sintesi di un certo rilievo sono
quelle di Cassiano, in occidente, e di S. G iovann i Clim aco, in oriente.

A ) Patrologia greca.

S. C l e m e n t e R o m a n o , Epistula ad Corinthìos (verso il 95); sulla concordia,


l ’umiltà e l’obbedienza (M G . 1).
E r m a , Pastor (140-155); una lunga trattazione sul m odo di tornare a D io
mediante la penitenza (M G . 2,891-1012).
S. I g n a z i o d i A n t i o c h i a ( f verso il 110), Epistulae (M G . 5, 625 ss.).
S. P o l i c a r p o ( f i 46), Epistulae (M G . 5,ioo5ss.).
C lemente di A lessandria , Paedagogus (dopo il 195); dim ostra com e, me­
diante l’ascesi, si giun ge alla contemplazione (M G . 9,247-794).
S. A t a n a s i o (297-373), V ita S. Antonìì; tratta della spiritualità del patriar­
ca dei m onaci e dei cenobiti (M G . 28,838-976).
S. C i r i l l o d i G e r u s a l e m m e (315-386), Catechesi*; m agnifica esposizione di
quello che deve essere il cristiano.
S. B a s i l i o (330-379), D e Spiritu Sancto; descrive l’influsso che lo Spirito
Santo esercita nell’anima rigenerata (M G . 32); Regulae, sulla disciplina
monastica in oriente (M G . 31).'
S. G r e g o r i o N is s e n o (333-395), Commentarium in Cantica canticorum e
D e vita Moysis, tratta della contemplazione e dell’ascesa dell’anima
alla perfezione ( M G . 44,756-1120).
S. G r e g o r ic j N a z i a n z e n o (330-390),Sermones, particolarm ente l ’elo gio di
S. Basilio (M G . 35-36).
E v a g r i o P o n t i c o (346-399), discepolo di O rigene e dei m onaci greci, e-
sercitò un largo influsso in Oriente, soprattutto con le Epistulae (M G .
40), il D e Oratione e il D e diversis malignis cogitationibus, attribuite nell’an­
tichità a N ilo di A n d r a (M G . 79).
S. G i o v a n n i C r i s o s t o m o (344-407), con le Omelie, che. costituiscono un te­
soro morale ed ascetico (M G . 48-64), e il prezioso trattato D e Sacerdo­
t i (M G . 48).
S. C i r i l l o d i A l e s s a n d r i a (f4 4 4 ), Thesaurus de sancta et consubstantiali Tri-
nitate, ratta delle relazioni dell’anima co n la Trinità (M G . 75).
P s e u d o - D i o n i g i A e r o p a g i t a (verso il 500), con i suoi libri D e divinis no-
minibus, D e ecclesiastica hierarcbia e D e mystica Theologia ha esercitato
un ’enorme influenza su tutta la mistica successiva (M G . 3).
G io v a n n i C l im a c o ^ 6 4 9 ) , l a s u a Scala Paradisi è u n c o m p e n -
1138 PRO SPETTO S T O R IC O -B IB L IO G R A F IC O

dio d i ascetica e mistica per i m onaci orientali, come le Collatioens di


Cassiano per gli occidentali (M G . 632-1164).
D i a d o c o , vesco vo di Foticea (verso la m età del secolo V ), D e perfecitone spi­
rituali capita centum (M G . 65,1167-1212).
S. M a s s i m o C o n f e s s o r e (580-662), espone la dottrina di D io n igi sulla con­
templazione con riferimento al V e rb o incarnato, che venne a deificarci,
nei suoi Scholia su D io n igi (M G . 4), nel Librum asceticum (M G . 90,
912-956) e nel Mistagogia (M G . 91,657-717).
S. G i o v a n n i D a m a s c e n o (675-749), Sacra parallela, in tre libri, ricchissima
raccolta di sentenze e di testi edificanti per la vita cristiana, tratti dal­
la S. Scrittura, dai Padri e da altri scrittori di m inore importanza ( M G .
94 - 96 ).

B) Patrologia latina.

S C i p r i a n o (200-258), in m odo-particolare il D e habitu virginum; D e domini


ca oratione; D e bono patientiae; D e et livore; D e lapsis, ecc. (M L. 4).
S. A m b r o g i o (333-397), D e offictts ministrorum; D e vtrgtriibus; D e vìduis; D e
virgmitate, ecc. (M L. 16,25-302).
S . G i r o l a m o (347-420), principalmente le Epistulae (M L. 22).
S A g o s t i n o (354-430), Coniessiones; Soliloquio; D e doctrina christiana; D e ci-
vitate D ei; Epistulae, ecc. (M L . 32-47). In quasi tutte le opere del vesco ­
v o di Ippona si ritrovano preziosi elem enti d ’indole ascetico-mistica,
largamente utilizzati nei secoli successivi.
C a s s i a n o (360-435), Instituta cenobiorum e Collationes (M L. 49-50). L e sue
conferenze hanno esercitato un enorm e influsso su tutta l ’ascetica po­
steriore.
S. L e o n e M a g n o (papa dal 440 al 461), Sermones ( M L . 54), ricchi di elevate
considerazioni e di profonda pietà.
S. B e n e d e t t o (480-543), Regula (M L . 66), piena di soavità e di discrezione,
fino al sec. X III guida quasi esclusiva dei monaci d ’occidente.
S. G r e g o r i o M a g n o (5 4 0 -6 0 4 ), Expositio in Librum Job, sive Moralium libri
X X X V ; Liber regulae pastoralis; Homiliae X L in Evangelia; Homiliae
X X I I in E^echielem; Dialogorum libri quatuor, e c c . ( M L . 7 5 - 7 7 ) .
S . I s i d o r o d i S i v i g l i a ( f ó j ó ) , Regula monachorum, Libri sententiarum //-///
(M L. 83).

2) Il m e d io evo

’ I. D a l s e c o lo v m al s e c o lo xi

Periodo assai povero, che quasi nulla apporta d ’interessante alla storia
della spiritualità. Ricordiam o soltanto qualche nome.

S. B e d a il V e n e r a b il e (|7 3 5 ), Homiliae (M L. 9 4).


PR O S P E T T O ST O R IC O -B IB L IO G R A F IC O 113 9

A m b r o g io A u tperto ( t 7 7 *0 > Liber de conflictu vitiorum et virtutumyantica­


mente attribuito a S. A m b rogio o a S. A gostin o (M L. 40,1091).
S. T e o d o r o S t u d i t a (759-826), Catechesis minor et maior e Sermones de san-
etis monachis (M G . 99).
G i o v a n n i A u r e l i a n e n s e (+843), D e institutione laicali, in tre libri, ma­
nuale di pietà per secolari (M L. 106).
S m a r a g d o ( t c .8 3 0 ) , Commentarium in Regulam S. Benedicti; Diadema mona-
chorum ( M L , 10 2 ).
O d d o n e d i C l u n y ( 1 9 4 2 ) , Collationes (M L. 1 3 3 ) .
S. P i e r D a m i a n i (110 72), Epistulae e Sermones (M L . 145).
S i m e o n e i l T e o l o g o (949-1022), Sermones> Hymni mystici, ecc. (M G . 120).

II. D a l s e c o lo xn al sec. x v

Com inciano a delinearsi le diverse scuole di spiritualità attorno ai grandi


ordini religiosi. Si dà organicità e si riducono in sistema le dottrine dei
Padri con il contributo dei teologi e dei mistici sperimentali.

A ) Scuola benedettina.
Si ispira principalmente alla liturgia e alle osservanze monastiche quali
sono esposte nella R egola del santo fondatore. Principali rappresentanti:

S. A n s e l m o ( 1 0 3 3 - 1 1 0 9 ) , in prim o lu o g o le devotissim e Meditationes et ora-

tiones (M L. 158, con alcune interpolazioni dì altri autori) e il Cur Deus


homo, che tratta della gravità del peccato e della soddisfazione infinita
dell’opera di Cristo (M L . 158).
S . B e r n a r d o (1090-1153), il D ottore m ellifluo, la cui tenera devozione ha
avuto larga eco in tutta la spiritualità successiva. Cfr. soprattutto:
D e consideratìone (al papa E ugenio IIJ); D e diligendo Deo; D e gradibus
humilitatis; D e conversione ad clericos...; Sermones; In Cantica canticorum;
Epistulae; ecc. (M L. 182-184). U n prezioso studio su S . Bernardo è
quello di S t e f a n o G i l s o n , L a tbéologie mystique de S. Bernard, 1934.
S. I l d e g a r d a (1098-1179), Scivias {sci vias Domini); Liberoperum Domini;
Epistulae, ecc. (M L. 197).
S. G e r t r u d e l a G r a n d e (1256-1301), Rivelazioni^ Edizioni Paoline, M ode­
na, 1958.
S. M a t i l d e d i H a c k e r b o r n (c. 1242-1299), Revelationes, dove, a prescin­
dere da altre verità di notevole interesse» si avverte una tenera devozio­
ne verso il S. Cuore di Gesù.
S. B r i g i d a (1302-1373), ved ova, monaca del m onastero di A lvastra (Sve­
zia), ci ha lasciato alcune Rivelazionit Edizioni Paoline, Modena, 1958,
nelle quali è descritta, con ricchezza di particolari, la passione del Si­
gnore.
G i o v a n n i d i C a s t e l l o (fc .14 10 ), probabile autore del prezioso D e adhe-
rendo Deo attribuito fino a non m olto tempo fa a S. A lberto Magno;
1140 PRO SPETTO S T O R IC O -B IB L IO G R A F IC O

sono ancora suoi: D e lumine increato, Formulai vitae religiosaeì ecc., an­
cora inediti.
L u i g i B a r b o (1380-1443) scrisse una Formula orationis et meditatìonis che
diede l ’avvio alla pratica della orazione m etodica, perfezionata da S. I-
gnazio.

B) Scuola di S. Vittore.
Erede dello spirito di S. A gostin o e delle dottrine dello Pseudo-Dioni-
g i, la scuola di S. V itto re — fondata da G uglielm o di Champeaux — è
a tendenza platonica e allegorica. Rappresenta una via di m ezzo tra la scuo­
la benedettina, con orientamento prevalentemente affettivo, e la scuola
domenicana, che sorgerà più tardi, co n tendenza piuttosto intellettualisti­
ca. I suoi principali rappresentanti sono:

U go d i S. v i t t o r e (1096-1141), Commentum in Hìerarchiam caelest. Ps.-

Dionysii (M L. 175)/ D e vanitate mundi; Expositio in Regulam S. Augustini;


D e institutione novitiorum; D e arrha animar, D e laude caritatis; D e modo o~
randi\ D e meditando (M L. 176).
R i c c a r d o d i S. V i t t o r e ( f i i 7 3 ) , D e praeparationead contemplatìonem (Be-
niamin minor); D e grafia contemplationis (Beniamin maior); D e stutu
interioris hominis; D e eruditione interioris hominis; D e gradibus caritatis; De
quatuor gradibus violentiae caritatis; Expositio in Cantica canticorum. ecc.
(M L. 196).
A d a m (*j*i i 77) è il poeta della scuola con le sue Sequentiae (M L. 196).

C) Scuola certosina. ’
In linea con lo spirito dell’ordine, la scuola certosina pone l’accénto
sulla vita solitaria e contemplativa. I principali esponenti, fino al sec. X V I I I ,
sono:

G u ig o n e I ( f 1137), quinto priore e il vero legislatore della Certosa: Con'


suetudines cartbusienses (M L. 153), Meditationes, Parigi, 1936..
G u i g o n e II ( t IT 9 3 )> a n c h ’ e g l i p r i o r e , Scala Claustralium: le t t u r a , m e d it a ­
z i o n e , o r a z io n e e c o n t e m p l a z io n e (M L . 184, 475).
U go d i B a l m a (sec. X III) è, con tutta probabilità, il v ero autore della fa­
m osa Tbeologia mystica, o m eglio, D e triplici via ad sapientiam, attribuita
per vari secoli a S. Bonaventura.
L u d o l f o d i S a s s o n i a ( f I 3 7 7 )> dapprima domenicano e poi certosino, scris­
se la famosa V ita di Cristo, 8 v oli., Fioccadori, Parma, 1871-73, che
tanto influsso esercitò sulla spiritualità posteriore e fece tanto bene a
S . Teresa. L a prim a edizione è del 1477.
D i o n i s i o i l C e r t o s i n o (1402-1471), soprannom inato il Dottore estatico,
scrisse m olti libri (44 voli, in 40 nella nuova edizione iniziata nel 1896 a
cura dei certosini di M ontreuil). Ricordiam o: I commenti di S. Cassiano,
di S. Giovanni Climaco, dello Pseudo-Dionigi; D e l difficile itinerario della
tahexxa e del dispreizo del mondo; D ella conversione del peccatore, D ei rimedi
PRO SPETTO ST O R IC O -B IB L IO G R A F IC O 114 1

contro la tentazione; L o specchio degli amanti del mondo; D ella preghiera;


Della sorgente della luce; Della contemplazione; D e l discernimento degli spiriti;
D ei doni dello Spirito Santo, ecc. edizione M ontreuil 1896-1923.
G i o v a n n i L a n s p e r g i o ( fi5 3 9 ), celebre per la devozione al Sacro Cuore e
per VAlloquium Christi ad animam fidelem, m olto simile alla imitazione
di Cristo del D a Kem pis, ediz. M ontreuil 1888-1900.
L o r e n z o S cjrio (-{-1578), pubblicò sei volum i DeprobatisSanctorum historiis,
13 voli., Marietti, To rin o , 1875, perfezionando l'opera di A . Lippom ani,
e tradusse in latino i Sermoni di Tauleto.
A n t o n i o d e M o l i n a (Ì16 19 ), U istituzione dei Sacerdoti, trad. di T . G a­
ietti, M ilano, 1702, lavoro prezioso, di cui sono state eseguite numerose
edizioni e traduzioni; Ejercicios espirituales; D e las excelenrias, provecho y
necesiiad de la oración mental, B urgos, 1615.
I n n o c e n z o l e M ASS0N(fi703), Introduction à lavie religieuse et parfaite, 1677;
Disciplina Ordinis Carthusiensis, 1703; Psalmodie intérieurei 4 v o li., 1696-
1697). '
A g o s t i n o N a g o r e (1620-1705), della certosa di Saragozza (A ula D ei),
pubblicò la Lucerna mystica, Valencia, 1690, sotto lo pseudonim o del
Sac. Giuseppe L o p ez Ezquerra. In essa, com e nel Lydius theologicus,
si confutano gli errori di M olinos.

D ) Scuola domenicana.
Partendo da una solida base dottrinale, concilia la preghiera liturgica e
la contemplazione con l ’azione apostolica. S. D om enico fu l'incarnazione
vivente del m otto dell’ordine: contemplata aliis tradere.
S. D o m e n i c o d i G u z m a n (1170-1221), fondatore dell’ordine dei Predica­
tori. Ispirandosi a quelle dei Premonstrate si, com pose le Costituzioni
(Liber consuetudinum) che conciliano sapientemente la vita contempla­
tiva con la vita attiva, ideale dell’ordine.
G i o r d a n o d i S a s s o n i a (fi2 3 7 ), prim o successore di S . D om enico, scrisse
delle notevoli Epistulae spirttuales, ed. A ltaner, L eipzig, 1925.
U m b e r t o d e R o m a n i s (*1*1277), quinto maestro generale com m entò la
R egola e le Costituzioni con m olta dottrina, pietà e devozione: Gxpo-
sitio super Regulam Santi Augustini et Consfitutiones F r. Praedicatorum.
ed. Berthier, Rom a, 1889.
U g o d i s . C a r o ( 1 1 2 6 3 ) , dai suoi com m enti sulla Scrittura è stato possibile
trarre un eccellente volume: D e vita spirituali (a cura del P. D ionisio
M ésard, O .P ., Pustet, 1910), d iviso in quattro parti: via purgativa, il­
lum inativa, unitiva e vita spirituale dei sacerdoti.
S. A l b e r t o M a g n o (,fi28o), l’insigne maestro di S . Tom m aso scrisse nu­
m erosi volum i su i più disparati argom enti (38 vo!l. in 40 nella ediz. V i-
vès, 1890-1899). Ricordiam o qui soltanto i Commenti a Dionigi l'A reo-
pagita, a S. Giovanni, il prezioso Manale; D e l santo sacrificio della Messa;
Somma teologica; Commenti alile Sentenze, ecc.
S. T o m m a s o d ’ a q u i n o ( 1 2 2 5 - 1 2 7 4 ,) , il D olore angelico, c o s t it u i s c e , n o n c ’ è
114 2 PRO SPETTO ST O R IC O -B IB L IO G R A F IC O

dubbio, la principale autorità in T eo lo gia ascetica e mistica (Pio X I)


e la guida di tutti i teologi che sono vissuti dopo di lui. L a sua opera
universale e la sua dottrina o ggettiva oltrepassano i lim iti di una deter­
minata scuola e lo costituiscono il Dottore comune e universale, come lo ha
denominato la Chiesa. N elle sue opere si ritrovano i grandi principi del­
la T eo lo gia spirituale e tutte le questioni fondam entali dell’ascetica e
della mistica cristiana. Si veda in m odo particolare la m eravigliosa
Somma teologica; i Commenti a S. Paolo, ai Vangeli, allo Pseudo-Dionigi;
l ’opuscolo D e perfectione vitae spiritualis e l’ Ufficio del SS. Sacramento,
traboccanti di dottrina e di pietà. L a Teo lo gia speculativa e la mistica
sperimentale, nel D o tto re angelico, si fusero intimamente e questa fu ­
sione ha conferito alle sue opere una solidità incrollabile e una perenne
vitalità.
M a e s t r o E c k a r t (c.1260-1337) com pose m olte opere a carattere ascetico
e mistico; a noi, però, sono giunti soltanto pochi frammenti. D o p o la
sua m orte, avendo G iovanni X X I I condannato alcune proposÌ2Ìoni,
l’intera opera venne distrutta (cfr. D en z. n n .501-529). Grande fu l ’influs­
so di M aestro E ckart sui suoi discepoli Taulero e Susone.
G io v a n n i T a u l e r o (113 6 1), uno dei m istici più insigni che siano mai esi­
stiti, ebbe una grande influenza su tutti i m istici successivi, soprattut­
to S. G iovann i della Croce (cfr. P. C r is o g o n o , San Juan de la Cruz:
su obra dentifica, introd., pp. 45). A ffidò la sua dottrina ai Sermones, che co ­
nobbero il più lusinghiero successo attraverso la traduzione del Surio. Le
fam ose Istituzioni divine, trad. di S. Razzi, Venezia, 1568, sebbene non
siano state com poste da lui, riportano, in sintesi, il suo pensiero.
B. E n r i c o S u so n e (c.1295-1366): le sue opere vennero pubblicate in te­
desco dal P. D enifle, D ie Scbriften des beiligen H . Suso, e in francese dal
P. Thiriot, Oeuvres mystiques de H . Suso, Gabalda, Parigi, 1899. In italiano
abbiamo: I l dialogo della verità, tradotto da A . Levasti, Carabba, Lancia­
n o, 1924; V ita e opere spirituali, raccolte del P. Ignazio del N ente, Pa­
dova, 1710.
S. C a t e r in a d a S i e n a (1347-1380): il suo fam oso Dialogo (cfr. G i g l i , Le
opere della serafica Santa Caterina da Siena, voi. I V , Siena, 1707 ) e ie sue pre­
ziose Lettere (a cura di Piero M isciatelli, in quattro volum i, M arzocco,
Firenze, 1939) costituiscono una ricchissima miniera di dottrine asce-
tico-mistiche di indiscusso valore.
S. V in c e n z o F e r r e r i (1346-1419) ha com posto vari opuscoli ascetici. Il
più noto è D e vita spirituali che S. V in cenzo de’ Paoli rileggeva di fre­
quente.
G ir o l a m o S a v o n a r o l a (-{*1498), oltre alle Prediche, si ricordane* di lui i trat­
tati Dell'umiltà; Dell'ordine; Dell'amore di Cristo; D e simplicitate vitae
christianae e i Commenti al Padre nostro, al Miserere, ecc. Cfr. Opera omnia
di Girolamo Savonarola, 22 v o li., A n g elo Belardetti Editore, Roma.
D o m e n ic o C a v a l c a ( f i 342), Specchio della croce; Disciplina degli spiriInali;
ecc.
PRO SPETTO ST O R IC O -B IB L IO G R A F IC O 1143

Specchio di vera penitenza, Firenze, 1 9 2 5 .


J a c o p o P a s s a v a n t i ( t I 357 ),
G i o v a n n i D o m i n i c i (ti.4 19 ), Libro d'amore di carità, B ologna, 1889; Regola
del governo di cure familiari, Firenze, 1860.
G i o v a n n i d i T o r q u e m a d a ( f 1468), Meditazioni sulla vita di Cristo (1467);
Questioni spirituali sui Vangeli (1478); D e nupttis spiritualibus (inedito).
B. O s a n a d i M a n t o v a ( 1 1 5 0 5 ) , I l libro della propria vita e dei doni spirituali
ricevuti da D io.

E ) Scuola francescana.
Insiste soprattutto sulla dottrina dell’amore e sulla necessità della pro­
pria abnegazione e della più assoluta povertà per im itare Cristo.

,S. F r a n c e s c o d ’A s s i s i (1181-1226), Opuscula, ediz. critica, Q uaracchi, 1904;


gli Scritti di S. Francesco di Assisi, tradotti dal P. Facchinetti, O F M . ,
V ia e Pensiero, M ilano, 1920; Florilegio francescano, di G . Battelli, S.E .I.,
To rin o , 1923.
S. A n t o n i o d i P a d o v a (^ -12 3 1): i suoi Sermones dominicales et in sollemnitati-

bus, Locatelli, Padova, 1895-1903, contengono m olti elementi di misti­


ca. Cfr. A lla scuola del santo di Padova, florilegio spirituale, E d izioni Pao-
line, M odena, 1956.
D a v i d e d i A s b u r g o ( f i2 7 i) : furono m olto letti i suoi D e exterioris et inte-
rioris bominis reformatione, ed. Quaracchi, 1899; e I sette gradi di orazione,
in « R evue d’A scétique et M ystique» , 1933, pp. 148-170.
S. B o n a v e n t u r a (1221-1274), oltre alle opere teologiche, ha num erosi
trattati ascetico-mistici. Ricordiam o, in m odo particolare, Incendium
amoris (intitolato anche D e triplici via); Lignum vitae; V itis mystica, D e
sex aliis Seraphim\ tutti nel v o i. V i l i dell’edizione di Quaracchi; YIti­
nerarium mentis in Deum e il Breviloquium si trovano nel v o i. V . — Sem­
pre ad opera della tipografia di Quaracchi, furon o pubblicati separata-
mente due volum etti: nel prim o sono contenuti il Breviloquium, Yltiner
rarium mentis in Deum e il D e reductione artium ad Theologiam; nel secondo,
Decem opuscula ad Theologiam mysticam spectantia. Q uesto secondo venne
tradotto in italiano dal P. Rosadi e da M aria Sticco e pubblicato, con in­
troduzione di P. G em elli, con il titolo Opuscoli mistici, « B iblioteca A -
scetica», V ita e Pensiero, M ilano, 1926; Itinerario della mente in D io,
trad. e introd. del P. Cordovani, Paravia, T o rin o , 1926; L ’ itinerario e il
Soliloquio, a cura di E . Chiocchetti, « Biblioteca dei Santi », Istit. Editor.
Italiano, L a Santa (M ilano), 1926. — D e l suo influsso ha risentito tutta
la mistica successiva, particolarmente quella della scuola francescana.
B . R a i m o n d o L u l l o (*j*x 315) si rivela un m istico ardente nel Libro dell’ A ­
mico e dell’Amato, trad. di P. U m il da G en ova, V ita Francescana, 1932,
che fa parte dell’opera Blanquerna.
S. B e r n a r d i n o d a S i e n a (1380-1444), Sermones; Scripta ascetica, Roma,
1903.
E n r i c o H a r p ( f i 4 7 7 ) : k s u a Theologia mystica f u i n u n p r i m o m o m e n t o p o -
1144 PR O SPETTO S T O R IC O -B IB L IO G R A F IC O

sta all’Indice; corretta dal domenicano P. Philip, conobbe una larga dif­
fusione nei sec. X V I e X V II.
B. A n g e l a d a F o l i g n o I l libro delle mirabili visioni, consolazioni e
istruzioni, trad. e prefazione di L . Fallacaia, 2 ediz. integrale, Librer.
E ditr. Fiorentina, Firenze, 1926; L a via della croce, L ibr. A rcivescovile,
Firenze, 1926: descrive specialmente la trascendenza di D io e i pati­
menti di Cristo. U n ’edizione critica dell’opera della santa è stata curata
dal P. D oncoeur, L e livre de la Bienheureuse A.ngele de Foligno, Tolosa,
1926. Cfr. anche i l libr# della B . Angela da Foligno, presentazione, passi
scelti con note tradotti dal P. Giuseppe D e L ibero, Edizioni Paoline,
M odena, 1955.
S. C a t e r i n a d a B o l o g n a (1413-1463), nelle sue Rivelazioni, al capitolo
L e sette armi del combattimento spirituale, L ibr. A rcivesco vile, Firenze,
1926, suggerisce eccellenti rimedi pratici per superare le tentazioni.

F) Autori indipendenti.
Raggruppiam o sotto questo titolo quegli autori che hanno lasciato una
larga traccia nello sviluppo della spiritualità cristiana re che non fanno parte
di nessuna scuola particolare.

G io v a n n i R u y s b r o e c k (1293-1381), soprannominato Y Ammirabile, è il


fondatore della scuola mistica fiamminga che ha in lu i il principale e quasi
esclusivo rappresentante. I l suo appassionato m isticism o ebbe m olti
seguaci nei secoli successivi, anche se m olti passi delle sue opere non ri­
fu lgo n o per chiarezza 'e semplicità. Lo specchio della salvezza eterna; L i ­
bro dei sette sigilli; Uornamento delle nozze spirituali; I l regno degli amanti;
L a piccola pietra; L e sette clausure; 1 sette gradi d'amore, ecc. Il testo origi­
nale è in fiammingo. G ià nel 1552 il Surio ne curò la traduzione latina.
In lingua italiana conosciam o soltanto L ’ornamento delle nozze spirituali,
tradotto da D . G iuli otti, Carabba, Lanciano; U ornamento delle nozze spi­
rituali e, 1 sette gradi della scala dell3amore spirituale, a cura di G . Cantini,
U .T .E .T ., Torino.
G erardo G root ( 1 3 4 0 -1 3 8 4 ) è a u t o r e d i d i v e r s i o p u s c o l i a s c e t ic i.
G erlac Peters (1378-1411): l’opera principale è il Soliloquium, apparso a
Colonia nel 1616 e pubblicato nuovam ente a Rotterdam nel 1936.
Espone una dottrina m olto simile a quella déìl’Imitazione di Cristo.
T o m m a s o d a K e m p i s (1379-1471): a lui viene attribuita con un certo fonda­
m ento l’Imitazione di Cristo, il libro di spiritualità più letto nel m ondo.
Scrisse ancora: Soliloquium animae; Hortulus rosarum; Vallis liliorum;
Cantica; D e elevaiione mentis; Libellus spiritualis exercitii; D e tribus taberna-
culis. Edizione critica in 7 volum i, Herder, F riburgo in B , , 1902-1922.
— T u tte le opere del D a K em pis vennero tradotte in sei volum i dal
Puglisi, To rin o , 1875. L ’ orticello delle rose e L a valle dei gigli sono apparsi
nella collana « Fiori di letteratura ascetica e mistica », Libr. A rcivesco ­
vile, Firenze. Una brillante traduzione dell'Imitazione di Cristo ad oper?
PR O SPETTO ST O R IC O -B IB L IO G R A F IC O 114 5

di M . Romana è quella pubblicata recentemente dalle E dizioni Paoline,


Rom a, 1958.
G io v a n n i M auburno o M onbaer ( 1 1 5 0 3 ) c o m p e n d i ò le p iù im p o r t a n t i
q u e s t io n i di s p ir it u a lit à Rosetum exercitiorum spintualium ( 1 4 9 1 ) .
nel
P i e t r o d ’A i l l y ( 1 3 5 0 -1 4 2 0 ), Sermoni e Trattati (I quattro gradi dellascuola
spirituale; Specchio del’a considerazione; Compendio della Contemplazione;
e c c .) ; D e falsis propbetis.
S. L o r e n z o G i u s t i n i a n i (1381-1456), riform atore delle congregazioni i-
taliane e del clero secolare, com pose numerose opere a carattere asce-
tico-mistico. Ricordiam o: D e spirituali et casto connubio Verbi et animae;
D e perfectionis gradibus; D e compunctione; D e humilitate; D e oboedientia;
D e vita solitaria; D e contemptu mundi; D e incendio divini amoris; ecc. Opera,
Venezia, 1751.
W a l t e r H i l t o n ( f i 396) scrisse la famosa Scala di perfezione (The scale of thè
perfection) che g li ha m eritato il titolo di capo della scuola inglese.
G i o v a n n i G e r s o n e (1363-1429) errò gravem ente in alcune proposizioni
ispirate al nominalism o (« nullus est actus intrinsece malus ex obiecto »),
ma com pose eccellenti lavori spirituali: L e livre de la vie spirituelle de Và-
me; D es passions de Tóme; Les tentations; L a conscience scrupuleuse; L a prie-
re; L a communion; L a montagne de la contemplation; L a Théologie mystique
speculative et pratique; L a perfection du coeur, ecc. Suo è ancora un prezio­
so trattatello D e l dovere di attrarre i fanciulli a Gesù, A ncora, M ilano, e
alcune devote Consideration sur St. Joseph, della cui devozione fu un o dei
primi e più fervidi prom otori, Opera, ed. D upin, 1706.
G i u l i a n a d i N o r w i c h (1342-1413?), Revelations o f divine love (Rivelazioni
dell’amore divino), nuova edizione, Londra, 1907.
S. C a t e r i n a d a G e n o v a (1447-15 i o ) , Dialogo del divino amore (è autentica
solo la prima parte) e il Trattato del Purgatorio, a cura di G . Tamburini,
« B iblioteca dei Santi», Istit. Edit. Italiano, L a Santa (Milano), 1926.
Una nuova edizione delle Opere di S. Caterina da G en ova, a cura del
P. G iuseppe D e Libero, è stata pubblicata dalle E dizioni Paoline, M o­
dena, 1956.

3) E tà m oderna e co n tem po ran ea

D al se c. x v i al se c. x x

L e antiche scuole — benedettina, francescana e domenicana — continua­


no a divulgare e a precisare sempre m eglio le proprie dottrine. A d esse se
ne affiancano delle nuove, com e la carmelitana, l ’agostiniana, l’ignaziana e
la francese del sec. X V I I . Si codifica e si sistematizza la mistica, rendendola
più organica e scientifica. Sorgono le prime polemiche. Si com battono le
eresie mistiche.
114 6 PRO SPETTO S T O R IC O -B IB L IO G R A F IC O

A ) Scuola benedettina.
G a r c ia d e C i s n e r o s (145 5-15 i o ), abate di M ontsetrat, scrisse YEjercitato-

rio de la vida espiritual, Barcellona, 1912, che forse ispirò a S. Ignazio la


prim a idea degli Eserciti Spirituali.
L u d o v i c o B l o s i o (1506-1566) viene ricordato soprattutto per YInstìtutio
vitae spiritualìs, in cui raccoglie tutte le sue dottrine. Scrisse ancora la
Consolatio pusillanimium; Conclave animae fidelis, ecc. e un ’apologia di
Taulero che rese in una form a più accessibile. Sono stati tradotti in ita­
liano: Istruzione della vita ascetica e Consolazione dei pusillanimi, ad opera
di G . Gioffredi, Stabii. T ip o gr. dell’À nco ra, N apoli, 1867; Collana di
gioie, ossia Trattato di diverse virtù detto Manuale spirituale, Libr. delFTm-
m acolata Concezione, M odena, 1923; L o specchio dei monaci, trad. di
G . D al Sasso, « S critti M onastici», A bbazia di Praglìa, 1926.
G i o v a n n i d i C a s t a n i z a ( f 1598) continuò, in Spagna, la riform a di Garcia
de Cisneros e scrisse L a perfección de la vida cristiana e Institutìonum divi-
nae pietatis libri quinque.
A g o s t i n o B a k e r ( 1 5 7 5 - 1 6 4 1 ) com pose diversi opuscoli sulla contempla­
zione, raccolti, nel 1 6 5 7 , in un unico volum e co n il titolo Sancta Sophia
da D . Cressy.
A r m a n d o d e R a n c e ( f i 7 0 0 ), riform atore dei Trappisti, scrisse D e la sain-
teté et des devoirs de la vie monastique (1692), contro M abillon, che attribui­
v a eccessiva im portanza agli studi letterari nella vita monastica. M abil­
lon rispose con le Refléxion sur la réponse... (1692).
C ard . G i o v a n n i B o n a (1609-1674) è noto, soprattutto, per il D e discretio-
ne spirituum. Scrisse ancora D e divina psdlmodia, V ia compendii ad Deum;
Manuductio ad caelum; Horologium ascetìcum, ecc. In italiano: I principi e
documenti di vita cristiana, trad. del conte Somis, Rom a, 1920; I l sacrificio
della Messa, trad. di d’Erasm o, M arietti, T o rin o , 1916; Corso dì vita spi­
rituale, z v oli., trad. di A lfo n so T isi, Pia Soc. S. Paolo, A lba, 1942;
Guida al cielo, a cura di C . B o rgo gn o , Pia Soc. S. Paolo, A lba, 1944.
D o m e n i c o S c h r a m (1658-1720), Institutiones theologiae mysticae, ottim o trat­
tato d’ascetica e mistica, didattico e devoto ad un tem po. N u o va edi­
zione, Parigi, 1868.
D o m P r o s p e r o G u e r a n g e r (1805-1875), restauratore dell’O rdine benedet­
tino in Francia, scrisse la m aggior parte dell’ Anno Liturgico, 5 voli.,
E dizioni Paoline, A lb a , 1957, che tanto bene ha fatto alle anime. Sue
sono anche le Conférences sur la vie chrétienne (1880).
C e c i l i a B r u y è r e (11909), L a vita spirituale e l'orazione, D esclée, Roma.
D o m V i t a l e L e h o d e y , abate cistercense di Nostra Signora delle Grazie,
è ricordato per L e vie dell’orazione mentale, Marietti, To rin o , 1932; e
L e saint abandon (1919).
D o m C u t h b e r t o B u t l e r h a s c r it t o Benedictine Monachism (1919); Western
Mysticism (1922); Ways o f christian life (1932).
D o m S a v i n i a n o L o u i s m e t ( f i 9 2 5 ) h a d i v e r s e o p e r e m is tic h e : Essai sur la
PRO SPETTO ST O R IC O -B IB L IO G R A F IC O 114 7

connaissance mystique; L a vie mystique; Miracle et mystique; L a contemplation


chrétienne; ecc.
D o m C o l u m b a M a r m i o n (1858-1923), abate di Maredsous, è, forse, tra gli
autori contemporanei di spiritualità, il più noto. L ’influsso esercitato
con le sue opere è immenso: Cristo vita dell'anima, V ita e Pensiero, M i­
lano, 1955; Cristo nei suoi misteri, M arietti, To rin o , 1952; Cristo ideale
del monaco, « Scritti M onastici», Badia di Praglia, 1938; Cristo ideale del
Sacerdotey V ita e Pensiero, M ilano, 1953; Spose di Cristo, « Scritti M ona­
stici», Badia di Praglia, 1932; Vunione con D io, nelle lettere di D irezione
di D o m M arm ion, a cura di D om Raim ondo Thibaut, Libr. Editr.
Fiorentina, Firenze, 1934; Parole di vita in margine al messale, Marietti,
T o rin o , 1945.
D o m G i o v a n n i B , C h a u t a r d ( t 1 9 3 ^) è autore del pregevole volum etto
L'anima di ogni apostolato, E dizioni Paoline, Rom a, 1958, coll. « O rie n ­
tamenti ».
D o m A n d r e a M a l e t ha scritto L a vie surnaturelle: ses éléments, son exercice,
Parigi, 1934.
D o m A n s e l m o S t o l z ( f 1942), Teologia della mistica, Morcelliana, Brescia,
1947: costituisce un n otevole ed originale contributo agli studi mistici.
D o m G e r m a n o M o r i n , U idéal monastique et la vie chrétienne des pnmiers
jours.

B) Scuola domenicana.
B a t t i s t a d a C r e m a ( t 1 5 34). V * a di aperta verità; Specchio interiore; Della
cognizione e vittoria di se stesso. L a critica, in questi ultim i tempi, gli ha
riconosciuto la paternità dei D etti notabili, in passato attribuiti a
S. A n tonio M . Zaccaria.
S. C a t e r i n a d e 5 R i c c i (1522-1590), Lettere, ed. Guasti, Firenze, 1890.
P a o l o d i L e o n ( f i 5 2 8 ), Guia del cielo, A lcalà, 1 5 5 3 .
M e r c h i o r C a n o ( f i 560), L a victoria de si mismo, V alladolid, 1550, rifaci­
m ento dell’opera di Battista da Crema.
G i o v a n n i d e l l a C r o c e (fc.15 6 5 ), Diàlogo sobre la necesidad de ea oración,
Salamanca, 1555.
F i l i p p o d i M e n e s e s ( f i 5 7 2 ) , Lu% del alma, Valladolid, 1 5 5 4 .
A g o s t i n o d i E s b a r r o y a (115 54 ), Purificador de la condendo, Siviglia, 1550.
D o m e n i c o B a l t a n a s ( fi5 6 4 ), Apologia de la oración mental, Siviglia, 1556;
Apologia de la frecuentación de la sacrosanta Eucaristia y Comunión, Siviglia,
1558; Doctrina cristiana, Siviglia, 1555.
A l f o n s o C a b r e r a (1548-1598), Los escrùpolosy sus remedios, Valencia, 1599;
riedizione a cura del P. G etino, Madrid, 1918.
L u i g i d i G r a n a t a ( 1 5 0 5 - 1 5 8 8 ) è l ’autore spagnolo che ha incontrato m ag­
gio r favore di pubblico, come ha avuto m odo di dimostrare il P. Lla-
mera, Bibliografia del P . Granada, 4 voli., Salamanca, 2 9 2 6 -19 2 8 . L e sue
opere: Guia de pecadores, D e la oración y meditación; Memorial de la vida cris­
tiana; Exposición del simbolo de la fe, ecc. conservano ancor o g g i fre­
114 8 PR O SPETTO S T O R IC O -B IB L IO G R A F IC O

schezza e attualità e costituiscono per le anime una sorgente inesausta


della più pura devozione. Traduzioni italiane: Opere spirituali, Venezia,
1730; Devotissime meditazioni per li giorni della settimana..., Venezia, 1753;
Guida dei peccatori, L .I.C .E ., T o rin o , 1934; Trattato dell’eccellenza delle
virtù, T ip o gr. O rfanotrofio, Saronno, 1909.
B arto lo m eo d e i M a r t i r i ( 1 5 1 4 - 1 5 9 0 ) , arcivescovo di Braga, Compendium

spiritualis doctrinae ( 1 5 8 2 ); Stimulus pastorum ( 15 6 4 ) ,


G i o v a n n i G a v a s t o n ( t i 6 2 3 ) , E l tratado de la Vida espiritual de San Vicente
Ferrer declarado y comentado, Valencia, 1626.
G i o v a n n i d i S. T o m m a s o (1589-1634) è il m iglior com m entatore di S. T o m ­
maso nella questione concernente i doni dello Spirito Santo (In I - I l, 68).
L u i g i C h a r d o n ( 1 5 9 5 - 1 6 5 1 ) ; L a croix de Jésus (1Ó 4 7 ); Raccourci de l ’art de
mediter (1649Y. Meditazioni sulla passione, M arietti, T o rin o , 1935.
T o m m a s o d i V a l l g o r n e r a ( f i 6 6 5 ) , ispirandosi alle opere del carmelitano
Filippo della SS. Trinità, com pilò una cospicua raccolta di testi di
S. Tom m aso nella sua Mystica Theologia divi Thomae, To rin o , 1911.
G i o v a n n i T o m m a s o d i R o c a b e r t i (11699), Ejercicio de meditaciones, Bar­
cellona, 16 6 8 ; Teologia mistica, Barcellona, 16 6 9 .
V i n c e n z o C o n t e n s o n ( 1 6 4 1 - 1 6 7 4 ) , Theologia mentis et cordis, in 9 v o lu m i:
a l t e r m in e d i o g n i q u e s t io n e v e n g o n o p o s t e c o n s id e r a z i o n i a s c e t ic h e o
p r a t ic h e .
B. F r a n c e s c o d i P o s a d a s ( f i 7 I 3 )» Triunfos de la castidad, contro gli errori
quietisti di M olinos.
A n t o n i o M a s s o u l i é ( 1 6 3 2 - 1 7 0 6 ) , Traiti de la veritable oraison (16 9 9 ) ; Trai­
ti de Vamour de D ieu ( 1 7 0 3 ) , contro il quietismo; Meditations de saint Tho­
mas sur le trois voies, nuova edizione, Parigi, 19 3 4 .
D o m e n i c o R i c c i , Homo interior, 3 v o li., 1709, contro g li errori di M olinos.
A l e s s a n d r o P i n y (1640-1709), I l più perfetto (1923); L a chiave del puro a-
more (1923); Stato del puro amore (1923); L a presenza di D io (1922), ecc.
Tutte le opere ricordate sono state pubblicate in italiano dalla Marietti
di Torino.
J . B. R o u s s e a u , Direzioni pratiche nei diversi stati dell’ orazione e della vita in­
teriore, Marietti, To rin o .
E n r i c o L a c o r d a i r e ( 1 8 0 2 - 1 8 6 1 ) , Lettere ai giovani, Pia Soc. San Paolo,
Rom a, 19 4 4 ; V ita di S. Domenico, M arietti, T o rin o , 19 2 4 .
A n d r e a M a r i a M e y n a r d , Trattato della vita interiore ossia piccola Somma di
Teologia ascetica e mistica, 2 voli., M arietti, To rin o , 1937.
B. F r o g e t , L'abitazione dello Spirito Santo nelle anime giuste, M arietti,Torino
1937-
M .- J . R o u s s e t , Directorium asceticum; L a vie spirituelle d ’apres la tradition

et la doctrine des Saints (1902).


G ia c in t o M . C o r m i e r (1832-1916), L ’istruzione dei novizi, 4 v o li., Marietti,
T o rin o , 1923-1924; Raccolta di ritiri spirituali, Librer. G alla, Vicenza;
Lettera ad uno studente di S. Scrittura, Libr. Editr. Fiorentina, F ire n ^
1927; V ie d a l3. Jandel; Entrethns sur la liturgìe dominicaine; ecc.
PRO SPETTO ST O R IC O -B IB L IO G R A F IC O 114 9

E n r ic o D e n if l e V ita sopramaturale, Marietti, To rin o , 19 3 0 .


( fi9 o 8 ) ,
A m b r o g io G L a structure de Vaine et Vexpérience mystique (magnifico
a r d e il ,

lavo ro in due volum i, Parigi, 1927); L a arai vie chrétienne (incompleta,


Parigi, 1935); I doni dello Spirito Santo nei santi domenicani, M arietti, T o ­
rino, 1934 e l’articolo sullo stesso argom ento nel D .T .C .
A l b e r t o M .' W e i s (fi9 2 5 ), Apologia del Cristianesimo dal punto di vista della
morale e della cultura, trad. di C. Benelli, T rento, 1894-1908, con ampie
digressioni in campo ascetico e mistico.
B a r t h i e r , D e la perfection chrétienne et religieuse d'apres S. Thomas et S. Fran­
cois de Saks, 2 voli., 1902.
M . A . J a n v i e r , Esposizione della morale cattolica, Marietti, To rin o , conferen­
ze tenute a N otre-D am e di Parigi (dal 1903 al 1923). Im portanti soprat­
tutto quelle sulla carità e la perfezione cristiana.
G i o v a n n i G o n z a l e s A r i n t e r o ( f 1928) è il restauratore degli studi misti­
ci in Spagna. L e sue opere: Evolución; mistica Cuestiones misticas; E xp o-
sición del Cantar de los Cantàres; L a verdadera mistica tradicional; Grados de
oracion; Las escalas de amor, ecc. vengon o ristampate di continuo. N el
1921 fondò a Salamanca « L a vida sobrenatural ».
V i n c e n z o B e r n a d o t , Dall'Eucarestia alla Trinità, Marietti, T o rin o , 1924;
Maria nella mia vita, Edizioni Paoline, M ilano, 1954. Fondò in Francia,
nel 1919, « L a vie spirituelle».
G . G e r e s t , Memento de vie spirituelle (1923).
A . L e m o n n y e r , Notre vie divine, Parigi, 1936.
F. Joret, L a contemplazione mistica, S.E .I., To rin o , 1942; L'enfance spirituelle,
Parigi, 1931; Per Gesù Cristo Signor Nostro, Marietti, T o rin o , 1937.
H. P e t i t o t , Introduction à la saintété, Parigi, 1935; S. Teresa di Lisieux ossia
una rinascita spirituale, Libr. Editrice del S. Cuore, To rin o , 1942.
T . R i c h a r d , Théologie et piété d’après S. Thomas, Parigi, 1 9 3 5 .
H. D . N o b l e , L ’amicizia con D io, S.E .I., To rin o , 1940; Ideale e giovinezza
d'anima, Marietti, To rin o , 1933.
R . B e r n a r d , I l mistero di Afaria, V ita e Pensiero, M ilano, 1954.
R e g i n a l d o G a r r i g o u - L a g r a n g e è una delle figure più eminenti della mi­
stica contemporanea: Perfezione cristiana e contemplazione, Marietti, T o ­
rino, 1933; L'amore di D io e la croce di Gesù, 2 v oli., S.E .I., Torino;
La Provvidenza 6 la confidenza in D io, S.E .I., Torino; L e tre età della vita
interiore, 4 voli., L .I.C .E ., To rin o , 1949; L e tre conversioni e le tre vie,
Libr. Editr. Fiorentina, Firenze; L'unione mistica in S. Caterina da Siena,
Libr. Editr. Fiorentina, Firenze, 1944; I l Salvatore e il suo amore per noi.
S.E .I., Torino; L a Mère du Sauveur et notre vie intérieur, Editions du Cerf,
Parigi, 1946.
M . M . P h i l i p o n , L a dottrina spirituale di Sr. Elisabetta della Trinità; lavoro
veramente p regevole, il m igliore di quanti ne siano stati scritti in que­
sti ultim i tempi; I l messaggio di Teresa di Lisieux; I sacramenti nella vita
cristiana. I tre volum i sono stati pubblicati in italiano dalla Morcelliana
di Brescia.
1150 PRO SPETTO S T O R IC O -B IB L IO G R A F IC O

I g n a z i o G . M e n é n d e z -R e i g a d a ( f i 9 5 i ) , Unidad especifica de la contempla-


ción cristiana, M adrid, 1926; L a dirección espiritual, Salamanca, 1934;
Necesidad de los dones del Espirila Santo, Salamanca, 1939; Los dones del
Espiritu Santo y la perfección cristiana, M adrid, 1948.
V i n c e n z o B e l t r à n d e H e r e d i a , Corrientes de espiritualidad, Salam anca,
19 41.
S a b in o L o z a n o , Vida santa y ciencia sagrada, 2 ediz., Salamanca, 1942.
V i t t o r i n o O s e n d e , E l tesoro escondido (T942); Album de un alma, Salaman­
ca, 1926; Contemplada, 2 ediz., Pamplona, 1947; L a s grandes etapas de la
vida espiritual, Salamanca, 1953.
E m i l i o S a u r a s , E l cuerpo mistico de Cristo, B .A .C ., Madrid, 1 9 5 2 .
P a o l o P h il ip p e , Doctrina mystica S. Thomae, R o m a , 1952.

C) Scuola francescana.
A l f o n s o d i M a d r i d (I15 2 1), A rte para servir a D ios, autentico gioiello di
letteratura ascetica e mistica, e Espejo de ilustres personal, B .A .C ., n.38
M adrid.
F r a n c e s c o d i O s u n a (•{•c.i54o)> Primerò, segundoy tener Abecedarioespiriiual
(15 25-15 30). I l terzo era noto anche a S. Teresa alla quale fece m olto
del bene; Ley de amor santo, una specie di quarto A becedario, riassunto
dei precedenti, B .A .C ., n.38 M adrid. In italiano: V ia alla mistica,
dalla terrei parte dell’Abecedario spirituale, M orcelliana, Brescia, 1933;
UAbecedario spirituale, Marietti, To rin o , 1928.
B e r n a r d i n o d i L a r e d o (1482-1540), religioso converso, scrisse la Subida
del morite Sion, ricco di luce, dolcezza e calore, B .A .C ., n.44 Madrid.
A n t o n i o d i C u e r v a r a (1480-1545), Monte Calvario e Oratorio de religioso
y ejerdcios virtuosos, diretto a religiosi e secolari che voglio n o vivere
santamente, B .A .C ., n,44 Madrid.
G a b r i e l e d i T o r o , Teologia mistica (1548).
S. P i e t r o d ’ A l c a n t a r a (1499-1562), Trattato della preghiera e della medita­
zione, Firenze, 1686, breve riassunto àtNOración y meditación, di L u igi
di Granata.
G io v a n n i d i B o n i g l i a , Tratado d la pa% del alma, Alcalà, 1580.
M i c h e l e d i M e d i n a (1489-1578), Infamia espiritual, B .A .C ., n.44 Madrid.
B. N i c o l a F a c t o r (1520-1583), Las tres vias, breve trattato di accentuato
m isticismo, ricco di allegorie, B .A .C ., n.44 M adrid.
D ie g o d i E s t e l l a (1542-1578), Vanidad del mundo e Meditacionesdevotisimas
del amor de Dios, B .A .C ., n.46 Madrid.
G io v a n n i d i P i n e d a ( f i 593 ?), Declaración del Pater noster, B .A .C ., n.46
M adrid.
G io v a n n i d e g l i A n g e l i (1536-1609) è uno dei p ia grandi mistici france­
scani. In italiano: L a h i t a spirituale, Brescia, 1668; I trionfi dell’amor di
D ìo , Brescia, 1590; Delta presenta di D io , Brescia, 1607; Dialoghi della vi­
ta interiore, Firenze, 1601.
PRO SPETTO S T O R IC O -B IB L IO G R A F IC O 115 1

D ie g o M u r i l l o ( 1 5 5 5 - 1 6 1 6 ) , Instrucción para los principiantes e Escala espi-


ritual. Salamanca, 1907.
B e n i t o d i C a n f e l d , O .M .C ap. ( f 1610), Règie de perfection, 1609.
M a t t i a B e l l i n t a n i d i S a l o ’ , Pratica dell’orazione mentale, Assisi, 1 9 3 2 -1 9 3 4 .
C o s t a n t i n o d i B a r b a n s o n , Secrets sentiers de Vamour divin, Parigi, 1932.
G iu s e p p e d i t r a m b l a y ( f 1 6 3 8 ) , Introduction à la vie spirituellepar ime metho-
de facil d ’oraison, 1 8 9 7 .
Ivo d i P a r i g i , Progrès de Vamour divin, 1642, Les miserkordes de Dìeu> 1645.
V e n . M a r i a d i A g r e d a , L a mistica città di D io, 13 v o l i . , M a r ie t t i, T o r i n o ,
18 8 1.

P ie t r o di L e jour mystique, 3 v o li., Parigi, 1671.


P o it ie r s ,
L u ig i d ’A Conférences sur les grandeurs de Dieu, de Jésus-Christ,
rgen tan,

de la sainte Vierge; Exercices du cbrétien intérieur.


C a r d . B r a n c a t i d i L a u r e a ( 1 1 6 9 3 ) , & e oratione christiana ( 1 6 8 5 ) , citato
spesso da Benedetto X IV .
D ie g o d ella M adre di (•{■1712), A rte mistica, Salamanca, 1713.
D io

S. V e r o n ic a G iu l ia n i Diario, 9 v o l i , Prato, 1 8 9 5 -1 9 2 8 .
(16 6 0 -17 2 7 ),
B e r n a r d o d i C a s t e l v e t e r e , Direttario mistico, 17 5 0 .
A m b r o g i o d i L o m b e z (*J 'i7 7 8 )> Trattato della pace interiore, N apoli, 1 9 0 1 ,
m olto efficace contro gli scrupoli; Lettres spirituelle , 3 v o li., Parigi,
18 8 1-18 8 2 .
A n t o n io A r b i o l , Mistica fundamental, Madrid, 1761; Desenganos mlsticos,
M adrid, 1772. Cita spesso S. G iovan n i della Croce ma non di rado lo
interpreta male.
L u i g i d i B e s s e , L a scienza della preghiera. L a scienza del Pater, Librer. Sale­
siana, Sampierdarena; Guida dede anime pie ossia Schiarimenti sopra le
opere mistiche di S. Giovanni della Croce, L ega Eucaristica, M ilano. A utore
di sicura e solida dottrina.
C a r d . V i v e s y T u t o ’ , Compendium Theoiogiae ascetico-mysticae, 19 0 8 .
A d o l f o d i D a n d e r w i n d e k e , Compendium Theoiogiae asceticae ad v'ttam sa­
cerdotale™ et religioiam rite instituendam, z voli., Convento dei Cappuccini,
H erenthals (Belgio), 1921, con accurata e ampia bibliografia.
J . H e e r i n c k x , Introductio in Theologiam spiritualemy Rom a, 1 9 3 1 .
M i c h e l e d i B s p l u g a s , Conferencias espirituales, 1904.
Iv o d i m o n o n L e don de Sagesse, Parigi, 1928.

D ) Scuola agostiniana.
Si ispira di preferenza alle opere di S. A gostin o. L a scuola annovera
tra i suoi rappresentanti alcuni insigni autori del m edioevo (Ruysbroeck,
D a Kem pis, ecc,) ma non appare ben definita nell’età moderna. Ricordiam o
soltanto:

S. T o m m a s o d a V i l l a n o v a ( 1 4 8 8 - 1 5 5 5 ) , oltre ai Sermoni, scrisse vari opu­


scoli d’indole ascetica, B .A .C ., n.96, Madrid.
B. A l f o n so di O ro zco ( 1 5 0 0 - 1 5 9 1 ) , r is p e t t o a l p r e c e d e n t e , o c c u p a u n p o ­
1152 PR O SPETTO ST O R IC O -B IB L IO G R A F IC O

sto di m aggior rilievo nella storia della mistica: Vergei de oración y monte
de contemplación; Desposorio espirìtual; Libro de la suavidad de D ios e Regia
de vida cristiana, sono le sue opere principali, 4 v o li., M adrid, 1736.
V e n . T o m e ’ d i G e s ù ’ (1533 -15 8 2 ) scrisse, tra le altre, una bellissima opera
dal titolo Los trabajos de Jesus, difficilmente superabile.
F r . L u i g i d i L e o n ( t I 5 9 I )> & e l°s nombres de Cristo; L a perfecta casada;
Exposición del Cantar de los Cantares; D el libro de Job, ecc. B .A .C ., n.3, Ma­
drid.
P ie t r o M a l o n d e C h a i d e (1530-1589), L a conversión de la Magdalena, dal

colore esuberante e dallo stile incantevole, ma un tantino artificioso per


quanto riguarda la mistica.
A g o s t i n o A n t o l i n e z (1554-1626) nella Exposición com m entò con molta
devozione le poesie mistiche di S. G iovanni della Croce.
A g o s t i n o d i S. I l d e f o n s o (1585-1662), Teologia mistica, scientiay sabiduria
de D ios misteriosa, oscura y l&vantada para mucbos, Alcalà, 1654.
E n r i c o F l o r e z (1702-1773), l ’immortale autore di Espana sagrada, scrisse
anche alcune opere di mistica quali il Libro de los libros y ciencia de los
santos; Modo pràctico de tener oración mental.
T o m m a s o R o d r i g u e z si rivela notevole terziarista nelle sue Analogias entre
S. Agustin y Santa Teresa, ValladoUd, 1883.
G r a z i a n o M a r t i n e z ( t * 9 2 5 ), Libro de Santa Teresa, o p e r a p o s t u m a i n c u i
s o n o r a c c o l t i g l i a r t ic o l i e g l i s t u d i m is tic i.
Per una più abbondante bibliografia agostiniana, c f r . P. M o n a st e r io ,

Misticos agustinos espanoles, 2 voli., E l Escoriai, 1929.

E) L a scuola teresiana.
N on tenendo conto di alcuni precedenti storici, si è soliti farla iniziare
nel sec. X V I con S. Teresa e S. G iovanni della Croce. Sua caratteristica è
una spiritualità opiccatamente contemplativa, dove tutto è ordinato all’u­
nione intima con D io mediante il totale distacco dalle cose create, il racco­
glimento e una vita di continua preghiera.

S. T e r e s a d i G e s ù ’ (15 15 -15 8 2 ) è, senza dubbio, la figura più eminente della


mistica cristiana sperimentale. N elle sue opere si ritrova la psicologia
mistica più elevata che ci sia stata trasmessa attraverso i secoli. L e sue
incomparabili descrizioni, la sua m eravigliosa classificazione dei gradi
di orazione e di m olti altri fenom eni mistici non sono ancora state
superate. L e sue opere — tradotte nelle principali lingue — sono
ristampate continuamente e costituiscono un sicuro alimento per le
anime innamorate di D io . Opere, 4 voli., Postulazione generale dei Car­
melitani Scalzi, Rom a, 1941.
S. G i o v a n n i d e l l a C r o c e (1542-1591) costituisce,con S. Teresa, il punto
culminante della mistica cristiana sperimentale. E g li si avvantaggia
sulla santa per il fatto che non si limita ad esporre i fenomeni, ma ne dà
anche la ragione, illustrandoli con i principi della filosofia e della teologia
PRO SPETTO ST O R IC O -B IB L IO G R A F IC O 115 3

cattolica. Opere, Postulazione generale dei Carmelitani Scalzi, Rom a,


1 95 5 *
G io v a n n id i G e s ù M a r i a A r a v a l l e s (1539-1609), Instrucción de novkios,

T oled o, 1925; Tratado de la oración, T oled o, 1926.


A n t o n i o d e l l a C r o c e , Libro de la contemplación, 1 5 9 5 .
G i r o l a m o G r a z i a n o d e l l a M a d r e d i D i o (1545-1614), grande amico e d i­
scepolo di S. Teresa, scrisse il Dilucidarlo del verdadero espi ri tu (1604),
Mistica teologia (1601); Vida del alma (1609); D e la oración mentala ecc.
— Obras, ed. P. Silverio, 3 v o li., Burgos, 1932-1933.
S. M a r i a M a d d a l e n a d e ’ P a z z i (1566-1607), carmelitana dell’antica O s­
servanza, Estasi e Lettere, in « Fiori di letteratura ascetica e mistica »,
Librer. A rcivescovile, Firenze.
G i o v a n n i d i G e s ù M a r i a (1564-1615), terzo generale dell’ordine, scrisse
YInstructio novitiorum (1605), Institutio magistri novitiorum (1608), Schola
orationis et contemplationis ( ló r i) , Theologia mystica. Opera omnia, Firenze,
1771.
T o m m a so d i G e s ù (1564-1627), Tractatus de oratione mentali (1610), D e con-
templatione divina (1620), D e contemplatione acquisita (M ilano, 1922). Fu
colui che usò per prim o nella sua scuola l’espressione « contemplazione
acquisita», causa di tanti disorientamenti negli studi mistici.
V e n . A n n a d i S . B a r t o l o m e o ( f 1626), Vie (autobiografia) et instructions,
Parigi, 1646; nuova edizione, 1895.
G i u s e p p e d i G e s ù M a r i a Q uraocA ( f 1629)., Subida del alma a D ios (1656),
Don que tuvo San Juan de la Cruz para guiar las almas a Dios, in Obras de
San Juan de la Cruz, ed. P. Gerardo, T oled o, 1914.
G i o v a n n i d i S . S a n s o n e (1636), converso dell’antica Osservanza, ha com ­
posto alcune Opere spirituali di gran valore, 2 v o li., 1658; cfr. « L a vie
spirituelle », 1925-1926.
C e c i l i a d e l l a N a t i v i t à . ( f i 646), D e la transformación del alma en D ios;
D e la uniòn del alma con D ios, in Obras de S. Juan de la C r u T oled o,
1914, voi. n i
T e r e s a d i G e s ù M a r i a (j-1648), Obras, Madrid, 1921.
N i c o l a d i G esù M a r i a ( f c. 167o), Elucidatio theologica, Alcalà, 1631; apolo­
gia della dottrina di S. G iovanni della Croce.
F i l i p p o d e l l a SS. T r i n i t à ( f i 6 7 i ) , Summa Tbeologiae mysticae, 3 v o li.,
Parigi, 1875, al quale si è m olto ispirato il domenicano Vallgornera.
A n t o n i o d e l l o S p i r i t o S a n t o (116 74 ), il tanto lodato Directorium mysti-
cum (nuova ediz. 1904) è un com pendio dell’opera di Filippo della S S .
Trinità.
B a l d a s s a r r e d i S . C a t e r i n a d a S i e n a ( 1 1 6 7 3 ) , Splendori riflessi di sapienza
celeste, Bologna, 1671: è un com m ento alle Dimore di S . Teresa.
G i u s e p p e d e l l o S p i r i t o S a n t o (^ 6 7 4 ), portoghese, scrisse la Cadena mi­
stica carmelitana, M adrid, 1678; Enucleatio Tbeologiae mysticae, com m ento
all’Areopagita, riedizione, Rom a, 1927.
A n t o n io d e l l a A n n u n c ia z io n e ( f i 7 1 4 ), Disceptatio mystica de oratione et
1154 PRO SPETTO S T O R IC O -B IB L IO G R A F IC O

contemplatitene, Alcalà, 1683: specie dì manuale di ascetica e mistica.


O n o r a t o d i S . M a r i a (1651-1729), Tradition des Pères et des auteurs ecclesia-
stiques sur la contemplation, z voli., 1709, contro il quietismo; Motifs et
pratique de l ’amour divin (1713).
F r a n c e s c o d i S . T o m m a s o ( f 1707), Medula mystica, Madrid, 1695.
G iu s e p p e d e l l o S p i r i t o S a n t o ( t x 7 3 °)> Cursus theologiae mysiico-scholastì-
cae in sex tomos divisus. L ’edizione critica, a cura del P. Anastasio da S a n
Paolo, è stata pubblicata da Beyart, Bruges, 1924SS.

A questo punto la scuola carmelitana subisce una interruzione di circa


due secoli. P er poter trovare ancora qualche figura di rilievo si deve giun­
gere ai nostri giorni.
S. T e r e s a d e l B a m b i n G e s ù (1873-1897), con la sua Storia di un'anima,
Lettere, Poesie, ecc. ha diffuso in tutto il m ondo la via dell’infanzia spi­
rituale, 3 v o li., A ncora, M ilano, 1957-1958.
S r. E lisabetta della T rinità (1880-1906) nei suoi Ricordi e Ritiri, 5
ediz., Libr. E ditr. Fiorentina, Firenze, 1948, ci si rivela una delle anime
più sublimi che siano m ai vissute nei chiostri carmelitani (cfr. il magni­
fico studio del P. P hilipon , O.P., L a dottrina spirituale dì Sr. Elisabetta
della Trinità, 3 ediz., Morcelliana, Brescia, 1948).
A lfonso dell ’ addolorata , Pratique de l ’oraison mentale et de la perjection
d'apres S. Therese et S. Jean de la Croix, 8 voli., Bruges, 1909-1914.
V enceslao del SS. Sacramento, Fisonomia de un docior, 2 v o li., Salamanca,
1913.
A ureliano del SS. Sacramento , Manuale cursus ascetici, 3 voli., 1917:
T eodoro di s. Giuseppe, Essai sur Voraison, Bruges, 1923; Uoraison d'après
l ’ Ecolt carmelitane, 2 ediz., B ruges, 1929.
L uca di s. Giuseppe ( 1 8 7 2 - 1 9 3 6 ) , L a santidad en el claustro, L a santa imagen
del crucifijo, Confidencias a un joven, Desde mi celda, ecc.
C r i s o g o n o d i G e s ù S a c r a m e n t a t o (1904-1945), San Juan de la Cru%: su obra
cientifica y literaria, 2 v o l i , A vila , 1929; L a escuela mistica carmelitana, A -
vila, 1930; V ita di S. Giovanni della Croce, A ncora, M ilano, 1957;
Compendio de ascètica y mìstica, A vila , 1933.
G a b r i e l e d i S. M a r i a M a d d a l e n a (1893-1953) Lamistica teresiana, Libr.
Editr. Fiorentina, Firenze, 1934; S. Teresa di Gesù maestra di vita spiritua­
le, Libr. R om olo Ghirlanda, Milano* 1935; S. Giovanni della Croce dottore
deiramore divino, Libr. Editr. Fiorentina, Firenze, 1937; L a contempla­
zione acquisita, L ibr. Editr. Fiorentina, Firenze, 1938; ecc.
E f r e m d e l l a M a d r e d i D i o , San Juan de la C ruz y el misterio de la Santisima
Trinidad en la vida spiritual, , Saragoza, 1947.
E u g e n i o d e l B a m b i n o G?sx},Quìtro ver a Dios, z voli., Vitoria, 1951-1952.

F) Scuola ignaziana.
Spiritualità attiva, energica, pratica, disciplinata, metodizzata. O gni
cosa è prevista con esattezza matematica. A ttraverso la sua vigorosa strut-
PR O SPETTO ST O R IC O -B IB L IO G R A F IC O 115 5

tura è facile ritrovare lo spirito del ferreo guascone da cui trasse inizio.
Si propone di formare la volon tà per la santificazione personale e per l’a­
postolato.
S. I g n a z i o (c.1495-1556), fondatore della Com pagnia di G esù e della scuola
che da lui prese nome. Per conoscerne lo spirito, oltre agli Eserciti spiri­
tuali, V ita e Pensiero, M ilano, 1929, è indispensabile leggere VAutobio­
grafìa, « I libri della fede », L ibr. Editr. Fiorentina, 1928; il Diario spiri­
tuale; le Costituzioni della Compagnia di Gesù e le Lettere, « Biblioteca dei
Santi », Istit. Editor. Italiano, L a Santa (Milano).
S . F r a n c e s c o S a v e r i o (115 52 ), alcune bellissime Lettere e altri scritti spi­
rituali, B .A .C ., n .10 1, Madrid.
S. F r a n c e s c o B o r g i a (1510-1572), Meditaciones e Diario espiritual.
A l f o n s o R o d r i g u e z ( f 1616), Pratica della perfezione cristiana, Marietti,
To rin o , 1934; lavo ro eccellente, anche se lim itato alla sola ascetica.
L a mistica viene riguardata con sospetto.
S. A l f o n s o R o d r i g u e z (1531-1617), fratello laico della Com pagnia dì G e ­
sù, elevato ad alta contem plazione, scrisse una Autobiografia e vari opu­
scoli di sublime intonazione mistica. T u tti i suoi opuscoli furono pub­
blicati, in italiano, nel 1907, dalla Libr. del S. Cuore, To rin o , sotto il
titolo: L a via sicura della cristiana virtù e perfezione.
F r a n c e s c o S u a r e z (1 16 1 7 ), D e virtute et statu religionis (1 ,11 , 1608-9; III,
I V , 1623-25).
G i a c o m o A l v a r e z d e P a z ( f 16 2 0 ), D e vita spirituali eiusqueperfectiom ( ró o 8 );
D e inquisitone pacis (1617). Sembra che sia stato il prim o ad usare l’e­
spressione « orazione affettiva », che tanto favore incontrò nella scuola.
S. R o b e r t o B e l l a r m i n o (1542-1621), D e ascensione mentis ad Deum, trad.
di D e M archi, Pia Soc. S. Paolo, Rom a; D e gemitu columbarum sive de
bono lacrymarum, trad. di G . A . Bessone, Ferrerò, T o rin o , 1845; D ei-
Parte di ben morire, L ibr. E ditr. Fiorentina, Firenze, 1927.
A n t o n i o l e G a u d i e r (fi6 2 2 ), D e natura et statibusperfectionis, nuova ed iz.,
Marietti, T o rin o , 1934.
L u i g i d a P o n t e ( f 1624), Meditaciones (1605); Guia espiritual(16 0 9 ),forse l a
m igliore opera, di carattere veramente m istico, della scuola; D e la per-
fección del cristiano en todos sus estados (1612); Vida del P . Baltasar Alvare%
(1615); Expositio moralis et mystica in Canticum (1622). In italiano: Guida
spirituale, Rom a, 1628; Meditazioni sui misteri, M arietti, T o rin o , 1926.
L u i g i L a l l e m a n t ( t I ^3 5 )> Ammaestramenti spirituali, I . P . L . , Milano»
1943, pubblicati da un suo discepolo, P . R igoleuc. Opera preziosa, la m i­
gliore forse, che ci abbia dato la scuola.
L u i g i d e l l a P a l m a ( f i 6 4 i ) , Camino espiritual; Historia de la pasión del Se-
iior.
M i c h e l e G o d i n e z (fi6 4 4 ), Pràctìca de la teologia mistica: trad. latina a cura
del P. Regnerà, n uova ediz., Lethielleux, Parigi, 1920.
E u s e b i o N i e r e m b e r g ( 1 1 6 5 8 ) , Diferencia entre lo temperaiy eterno; Aprecio
y estima de la divina grada, ecc.
1156 PR O SPETTO ST O R IC O -B IB L IO G R A F IC O

G iovanni S u rin ( f 1665), I fondamenti della vita spirituale, A ncora, Milano;


Questions sur Vamour de Dieu, Parigi, 1930; Lettres spirituelles, Tolosa,
1926. Sono ottim i lavori. Tu ttavia il suo Catécbìsme spirituelle (1657-
59) fu posto all’Indice nel 1695, otto anni dopo la condanna di M o li­
nos (quietismo) e quattro prim a di quella di Fénelon (semi-quietismo).
L e circostanze storiche dànno ragione dell’inclusione nel Catalogo dei
libri proibiti del Catèchisme dove sono contenute alcune espressioni che
in quel tempo potevano avere sapore di quietismo.
G iacomo N ouet ( f 16 8 0 ), Uhomme d’ oraison (1 6 7 4 ); Meditazioni sulla vita
di Gesù Cristo, M aiocchi, M ilano.
B. C la u d io della C olombière ( f i 6^2), Journal des retraites, nuova ediz.,
D esclée 1897.
Paolo Segneri (1624-1694), Concordia tra la fatica e la quiete nell’ orazione,
Marietti, T orin o, 1856, contro g li errori di M olinos. Opere, Passigli,
Firenze, 1850.
G i o v a n n i P i n a m o n t i ( f 1 7 0 3 ), Opere spirituali. Opere, Venezia, 17 6 2 .
Pietro C aussade ( f I 7 5 T)> V ia alla contemplazione, S .A .I.E . Sodalitas, D o ­
modossola, 1942; L ’abbandono alla Divina Provvidenza, E dizioni Paoli­
ne, M ilano, 1955.
G iovanni B attista S caramelli (1687-1752), Discernimento degli spiriti,
Pia Soc. S. Paolo, Rom a, 1946; Direttorio ascetico, 4 voli., Pia Soc. S.
Paolo, Roma, 1942-1943; Direttorio mistico, 2 voli., Speirani, Torin o,
1857. L avo ri di notevole ampiezza e degni di essere letti, anche se non
sempre l’autore è riuscito a conservarsi immune dagli errori del tempo.
G i o v a n n i N i c o l a G r o u ( 1 7 3 1 - 1 8 0 3 ) , Caratteri della vera devozione; Massime
spirituali, Libr. M aiocchi, Milano; L a vita interiore di Gesù e di Maria,
Libr. M aiocchi, Milano; Per la vita intima dell’anima, S.E .I., Torino,
1927.
B enedetto V a l u y ( + 1 8 6 9 ) , Directorio del sacerdote; La s virtudes del religioso.
E nrico R amiere ( f i 884), L ’ apostolat de la priere, Libr. Cath. de Perisse
F r., n uova ediz., Lione, 1861; L a divinizzazione del cristiano, Edizioni
Paoline, M ilano, 1955; I l Cuore di Gesù e la divinizzazione del cristiano,
Pia Soc. S. Paolo, Rom a, 1949.
G i u s e p p e M a c h ( f i 8 8 5 ), Norma de vida cristiana; Tesoro del Sacerdote.
A ugusto P oulain ( f i9 i8 ) , Delle grazie d’orazione, M arietti, Torino, 1926,
opera importante e m olto apprezzata, tratta soltanto dell’aspetto psico­
logico della mistica, omettendo totalmente quello teologico.
R enato di M aumigny ( fi9 i8 ) , Pratica dell’orazione mentale, Marietti, T o ­
rino, 1933, considera la mistica com e un qualche cosa fuo ri dell’ordina­
rio.
M aurizio M eschler (1850-1912), D as Leben unseres Herrn Jesu Cbristi in
Betrachtungen, 2 voli., Herder, Friburgo in Br., 1850; D ie Gabe des hi.
Pfingstfestes, Herder, F riburgo in Br., 1887; D rei Grundlebren des geist-
lichen Lebens, Herder, F riburgo in Br., 1909; I l libro degli Esercizi spiri-
tuali, 2 voli., L .I.C .E . Torino.
P R O S P E T T O S T O R IC O -B IB L IO G R A F IC O 1157
C arlo de Sm edt, Notre vie surnaturelle, Bruxelles, 1913.
G ir o l a m o Principios fundamentales de la mistica, 5 v o l i,
Se is d e d o s ( 1 1 9 2 3 ) ,
1913-1919; esiste un riassunto del P. T a r r a g o ’ , Breve antologia sobre a
contemplación, Bilbao, 1926.
M a u r i z i o d e l a T a i l l e , U oraison contemplative, 1 9 2 1 .
L . P e e t e r s , Vers Vunion divine, 2 ediz., Lovan io, 1 9 3 1 .
L e o n z i o d e G r a n d m a i s o n (11926), Ecrits spirituelsì 3 v o li., Beauchesne,
Parigi, 1933-1934; L a religione personale, M orcelliana, Brescia.
G e r m a n o F o c h ( t i9 * 9 ) > L a vie intèrieure; P a ix et foie; L'amour de la croix;
L a vie cachée, ecc.
R o d o l f o P l u s , D ìo in noi; Cristo in noi; Gesù Cristo nei nostri fratelli; Vivere
in D io; L a direzione spirituale; L a fedeltà alla grafia, ecc. A u to re m olto
apprezzato e dallo stile facile e m oderno. Edizioni italiane presso Ma­
rietti, Torino.
J. M a r e c k a l , Etudes sur la psycologte des Mystiques, Bruzelles-Parigì, I voi.
1924, II voi. 1937.
P a o l o d e J a e g h e r , L a vita di identificazione con Cristo, 4 ediz., M arietti,
Torino.
G i u s e p p e d e G u i b e r t (fi9 4 2 ), Etudes de théologie mystique, Editions de la
R evue d’A scétique et de M ystique, T oulouse, 1930; Tbeologia spiritualis
ascetica et mystica, Pont. U nivers. Gregoriana, Rom a, 1946; Documenta
ecclesiastica christianae perfectionis studium spectantìay Pont. Univers. G re­
goriana, Rom a, 1931.
I Padri della Com pagnia di G esù — in collaborazione con num erosi altri
religiosi, sacerdoti e laici — stanno curando la pubblicazione di un
importante Dictionnaire de Spiritualité, Beauchesne, Parigi, che costitui­
rà un prezioso e indispensabile strumento di lavoro.

G ) Scuola salesiana.
Strettamente parlando, non costituisce una scuola a sé, dal m omento che
si ispira alle altre scuole, soprattutto a quella francese del sec. X V I I . T u t­
tavia raccogliam o sotto tale denominazione quegli autori di un certo rilie­
v o che riconoscono com e loro capo S. Francesco di Sales e ne seguono la
delicata e incantevole spiritualità.
S. F r a n c e s c o d i S a le s ( 1 5 6 7 - 1 6 2 2 ) è , forse, l ’autore che più d’ogn i altro
ha fatto sentite il suo influsso sulla spiritualità posteriore con la sua
Filotea 0 Introduzione alla vita devota, Pia Soc. S. Paolo, Rom a, 1 9 4 3 ;
le Lettere, Pia Soc. S. Paolo, 19 4 3 ; I trattenimenti spiritualit Pia Soc. San
Paolo, Rom a, 1 9 4 1 ; e, soprattutto, il m agnifico Teotimo Trattato 0 del-
Vamore di D io, 2 v oli., Pia Soc. S. Paolo, Rom a. — Opere complete di San
Francesco di Sales, N apoli, 1 8 5 8 -1 8 6 6 .
P je t r o C am us (vescovo di Belley, + 1 6 5 2 ) , grande amico del s a n to , scrisse
L o spirito di S. Francesco di Sales_ Venezia, 1741.
S . G i o v a n n a F r a n c e s c a F . d i C h a n t a l ("1572 1 6 4 1 ) f o n d ò , c o n S, F r a n ­
1158 PR O SPETTO ST O R IC O -B IB L IO G R A F IC O

cesco di Sales, le religiose della Visitazione, Sa vie et ses oeuvres, 7 v o li.,


Plon, Parigi, 1877-1893.
S. M argherita M. A lacoque (1647-1690), la confidente del S. Cuore:
Autobiografia e altri scritti. Oeuvres, 3 voli., Parigi, 1915.
S. G iovanni B o sco (1815-1888), per il suo spirito spiccatamente salesiano e
Ì m olteplici opuscoli religiosi occupa un posto eminente in questa scuola.
P. F. P o llie n , L a vita interiore semplificata e ridotta al suo fondamento, a cura
del P. Tissot, 3 ediz., Edizioni Paoline, Roma, 1955.
G iuseppe T issot, L ’arte di utilizzare le proprie colpe, Pia Soc. S. Paolo, A l­
ba, 1943.
E nrico Chaumont (*1*1896), Direciions spirituelles de saint Francois de Sales
(vari opuscoli sulla preghiera, l’umiltà, la vocazione religiosa...); Mon-
seigneur de Segur, directeur des àm s, 2 voli., 1884.
F. V incent, Saint Francois de Sales, directeur d’ames, 1923.

H) Scuola francese del sec. X V I I .

Spiritualità feconda, basata sul dogm a della nostra incorporazione a


Cristo, V erb o incarnato, mediante il sacramento del Battesimo. Tem pli
dello Spirito Santo, per effetto della grazia battesimale, dobbiam o, in unio­
ne al V erb o incarnato, glorificare D io che v iv e in noi ed imitare le virtù
intime di G esù distruggendo totalmente l ’uom o vecchio: « H o c enim senti­
te in vobis quod et in Christo Iesu » ( Phil. 2,5); « ...expoliantes vos veterem
hominem... e t induentes n o vum » (Col. 3,9-10). 1
C ard . P ietro di B erulle (1575-1629) è il fondatore della scuola e della
Congregazione dell’Oratorio in Francia. L e grandezze di Gesù, 2 ediz.,
V ita e Pensiero, M ilano, 1935, costituisce la sua opera principale. Scris­
se ancora il Traité de Pabnégation, opuscoli vari e lettere. — Oeuvres,
n uova ediz., M igne, Parigi, 1856.
C arlo de C ondren (1588-1641), V idea del Sacerdozio e del Sacrificio, A ncora,
M ilano, 1939.
F ran cesco B o u r g o i n g ( 15 8 8 -1 6 6 2 ), Meditazioni sulle verità ed eccellenze di

Gesù Cristo N . Signore, 3 v o li., A cqui, 1914.


S. V incenzo de ’ Paoli (1576-1660), fondatore della Congregazione della
M issione e delle F iglie della Carità, ha dottrine simili a quelle della scuo­
la francese. D elle sue Opere complete la più recente edizione è quella in
14 voli., curata dal P. Coste e pubblicata da Gabalda, Parigi, 1920-1925.
G iovanni G . O lier (1608-1657), fondatore della Com pagnia di S. Sulpi-
zio, è forse il m igliore espositore della spiritualità della scuola francese
ne II catechismo cristiano per la vita interiore, A ncora, Milano; G li ordini
sacri, S .A .L .E .S ., Rom a, 1932, per preparare il seminarista ad essere il
religioso di D io mediante la sua trasformazione in Cristo, Som mo Sacer­
dote, Sacrificatore e Vittim a; V ita e virtù cristiane, A ncora, M ilano, 1936;
foumée cbrétienne, p er santificare il giorno in unione con il Signore; L e t­
tere, ecc. — Oeuvres, M igne, Parigi; 1856.
PRO SPETTO S T O R IC O -B IB L IO G R A F IC O 1159
L uigi B ail ( f 1669), sacerdote secolare, L a tbéologie offertine de S. Thomas,
opera degna di rilievo in quattro volum i, Parigi, 1654. Ristampata più
volte.
L u i g i T r o n s o n ( 16 2 2 -1 7 0 0 ) , Forma cleri; Examens particuliers; Traité de
robeissance et de Tbumilité; Manuel du Seminarist. — Oeuvres, M igne, Pari­
gi, 1 8 5 7 . In italiano: Esami particolari sopra diversi soggetti propri degli ec­
clesiastici, Rom a, 1 7 7 8 .
S. G iovanni E udes (1601-1680), fondatore della Congregazione di Gesù
e di Maria (Eudisti), fu un instancabile prom otore della devozione ai
Sacri Cuori di G esù e di Maria. Principali opere: L a vita e il regno di Gesù
nelle anime cristiane, Marietti, T o rin o , 1924; L e contrai de l ’bomme avec
D ieu par le saint baptème; L e coeur adm'trable de la mere de D ieu; Memoria/
de la vie ecclesiastique, ecc. — Oeuvres, 12 v o li., Vannes, 1905SS.
S. L u i g i G r i g n o n d e M o n t f o r t ( 1 6 7 3 - 1 7 1 6 ) , fondatore della Compagnia
di Maria, nelle sue opere mette in rilievo, in m odo particolare, l ’aspet­
to mariano della scuola: Trattato della vera devozione alla santa Vergine,
Edizioni Paoline, Rom a, 1 9 5 3 ; // segreto di Maria, Soc. A postolato Stam­
pa, Rom a, 1 9 4 7 . — Opere, trad. italiana a cura d i P. Bonicelli, Centro
M ariano M onfortìano, Rom a, 19 4 2 .
S . G i o v a n n i B a t t i s t a d e l a S a l l e (1651-1719), fondatore dei Fratelli
delle scuole cristiane; Explicatión de la metbode d’oraison; Méditations pour
le temps de la retraite; Méditations pour tous les dimancbes et fètes, ecc.
J .A . E m e r y ( 1 7 3 2 - 1 8 1 1 ) , Uesprit de s. Thefese, L io n e, 1 7 7 5 .
A .G .M . H amon (1795-1874), Meditazioni e colloqui eucaristici, 4 voli., Libre­
ria del S. Cuore, T orin o, 1924.
V .P . L ibermann (1803-1852), Instruction sur la vie spirituelle, sur Voraison;
Uoraison affective; Lettres spirituelles.
H . J. I c a r d (11893), Doctrine de M . Olier, Lecoffre, Parigi, 1891; Traditions
de la Compagnie de S. Sulpice pour la direction des Grandes Séminaires.
M o n s . G a y ( 1 8 1 6 - 1 8 9 2 ) , D ella vita e delle virtù cristiane, 3 voli., Libreria
Salesiana, Sampierdarena; Elevations sur la vie et la doctrine de N . S. Jèsus
Cbrist; Lettres de direction, ecc.
G . L e t o u r n e a u ( f i 9 2 6 ) , L a metbode d ’oraison mentale du Séminaire de S.
Sulpice.
G i r o l a m o R i b e t (1837-1909), L a mistique divine distinguèt des contrefacons
diaboliques et des analogies bumaines, 4 v o li., Parigi, 1871-1883; L ’ asce-
tique cbretienne, Parigi, 1887; Les vertus et les dons dans la vie cbrétienne,
Lecoffre, Parigi, 1901.
C arlo Sauvé (11925), degne di rilievo le m agnifiche «elevazioni dogm a­
tiche » su Dieu intime, Jésus intime, U A n g e intime, JJbomme intime, ecc.
In italiano: L e litanie del S. Cuore, V ita e Pensiero, M ilano, 1921; U E u ­
carestia intima, V ita e Pensiero, Milano.
L . G a r r i g u e t , L a Vierge Marie; L e sacre Coeur de Jésus, Bloud, Parigi, 19 2 0 .
P. E . L amballe ( f i 9 i 4 ) , eudista, L a contemplation ou Principes de tbéologie
mystique, Téqui, Parigi, 1912.
1160 PROSPETTO STORICO-BIBLIOGRAFICO

P. L houmeau, La vie spirituelle à l’école du B. Grignon de Montfort, P arigi,


1913.
A . T anquerey (1854-1932), Compendio di teologia ascetica e mistica, 8 ediz.
Desclée, Rom a, 1954.

I) Scuola liguorìna.
La scuola non possiede caratteri specifici propri. Raccogliam o sotto­
questo titolo S. A lfo n so e i suoi principali discepoli. Essi pongon o l’ac­
cento, soprattutto, sull’am ore di D io , sulla preghiera e sulla mortificazione*

S. A lfonso M . de ’ L iguori (1696-1785), oltre che insigne moralista, è


autore di numerose e valide opere ascetiche: Visite al SS. Sacramento>
E dizioni Paoline, Rom a, 1945; Le glorie di Maria, Edizioni Paoline,
Catania, 1957; I l grande mezzo della preghiera, E dizioni Paoline, Rom a,
1939; La vera sposa di Cristo, 2 v oli., Edizioni Paoline, A lba, 1933-1934;
Pratica di amare Gesù Cristo, Edizioni Paoline, Rom a, 1953; ecc.
G ennaro Sarne Lli (1702-1744), I l mondo santificato; Discrezione degli spi­
riti; Lettere spirituali, ecc. — Opere, N apoli, 1877.
P. A . D esurmont (1898), La charitè sacerdotale; Le Credo et la Providence?
La vie vraiment chrétieme. — Oeuvres compietesi 12 voli., Parigi, 1906SS-
J. S ch rijvers ( 1 8 7 6 - 1 9 4 5 ) , Iprincipi della vita spirituale; I l dono di sé; L ’ami­
co divino; Anime fidenti; Messaggio di Gesù al Sacerdote; La Madre mia?
Gesù fra noi, tutti presso l’editrice Marietti, T orino; La buona volontà,
V ita e Pensiero, M ilano.
P. D osda, Uunion avec Dieu, ses commencementsy ses progrèsy sa perfection, Pa­
rigi, 1925.
F. B ouchage , Pratique des vertus; Introduction à la vie sacerdotale; Catechismi
ascètique et pastoral desjeunes clercsy Beauchesne, Parigi, 1916.
J) Autori indipendenti.
V i sono com presi tutti quegli autori, del clero secolare o m eno, che p er
le loro dottrine non possono essere inclusi in nessuna delle scuole prece­
dentemente ricordate.
B . G iovanni d ’A v ila (i499?-i569) è uno dei più grandi mistici spagnoli,,
m olto ammirato da S. Teresa. Esercitò un notevole influsso mediante-
l ’insegnamento orale e gli scritti. D elle sue opere ricordiamo: Audi
filia; Libro del Santisimo Sacramento; Del Espiritu Santo; De la Virgen
Maria; ecc. — Obras completas, B .A .C ., n.89, Madrid.
S. A ntonio M . Z accaria (1502-1539), fondatore dei Barnabiti. In passato-
venivano attribuiti a lui i Detti memorabili che ora la critica ha restitui­
to al domenicano Battista da Crema. Tuttavìa conosciamo il suo spi­
rito e la sua dottrina tramite Le lettere e lo spirito di S. Antonio M. Zac­
caria, pubblicato a Rom a nel 1909.
Serafino da F ermo (•{'1540), canonico regolare, Opere spirituali, V en ezia,
1541.
PROSPETTO STORICO-BIBLIOGRAFICO 1161
S . F ilippo N eri (1515-1595), fondatore dell’O ratorio, Lettere, rime e detti
memorabili, « I libri della fede», Libr. Editr. Fiorentina, Firenze, 1922.
Cfr. L ’esprit de S. Philippe de Neri et son école ascètiquey d i L . B ., Parigi
1900.
L orenzo Scupoli ( fi6 io ) , I l combattimento spirituale, Edizioni Paoline, R o ­
ma, 1943, m olto apprezzato da S. Francesco di Sales.
B. G iovanni B attista della C oncezione ( f i ó i 3 ) , riform atore dei T ri­
nitari scalzi: Opere, 4 v o li., Rom a, 1830.
S. M ic h e l e dei S a n t i ( f i 6 2 j ) , t r i n it a r io , Breve tratado de la tranquilidad
del alma, n u o v a e d iz i o n e , 1 9 1 5 .
R affaele di S. G iovanni , trinitario, Camino reai de la perfección cristiana.
V en. M aria dell ’Incarnazione (1599-1672), orsolina, Lettres, 2 voli.,
16 81. N u o va edizione critica a cura di D . Jamet: v o i I e II: Ecrits spi-
rituels,Parigi, 1929-1930; voi. I li: Correspondancey Parigi, 1935. A ncora
di D . Jamet: Le temoignage de Marie de VIncarnation, Parigi, 1932.
V incenzo C alatayud ( f i 7 7 i ) , oratoriano, Divus Thomas... priscorum et re-
centiorum errorum... tenebras... mysticam theologiam obscurare molientest
angelice dissipans, 6 v oli., Valencia, 1744; dallo stile scadente e barocco,
contro il quietismo.
G iacomo B enigno B ossuet (1627-1704), vescovo di M eaux, Elevazioni
sui misteri; Meditazioni sul vangelo; Trattato della concupiscenza; Istruzione
sugli stati di orazione. Polem izzò con Fénelon sulla questione del « puro
am ore » e la Chiesa diede ragione a Bossuet. L ’unica versione italiana
delle Opere complete d i Bossuet fu pubblicata dall’editore Pietro Zer-
letti, in 64 volum i, oltre Vindice e il Sommario generale. L e Elevazioni sui
misteri sono contenute nei volum i 31-32; le Meditazioni sul vangelo, nei
volu m i 33-36; il Trattato sulla concupiscenza, nel volum e 30 e le Istru­
zioni sugli stati di orazione, nei volum i 26-27. D elle Meditazioni sul vangelo
è apparsa una nuova traduzione presso le Edizioni Paoline, Rom a, 1953.
F rancesco di Solignac F énelon (1651-1715), vesco vo di Cambrat,
Explication des maximes de Saints sur la vie intérieure; Sentiments de pietè;
Avis; Lettres spirituelles. — Oeuvres, Lefebvre, Parigi, 1938. D alla con­
troversia con il V esco vo di M eaux usci sconfitto, m a si sottom ise u-
milmente alla decisione della Chiesa. I l volum e Explication des maximes
des Saints è all’Indice.
P rospero L ambertini (1675-1758), prima di essere elevato al soglio ponti­
fìcio con il nom e di Benedetto X I V (1740-1758), scrisse un libro desti­
nato a diventare celebre: De servorum Dei beatificatone et canonizatione
(1734) dove — nelle questioni ascetiche e mistiche — si rifà spesso alle
dottrine di Brancati di Laurea nel De oratione christiana. È quasi super­
fluo aggiungere che non è in questione l’infallibilità pontificia, n on es­
sendo ancora papa e scrivendo com e dottore privato.
-S. Paolo della C roce (1694-1775), fondatore dei Passionisti, Lettere,
4 v o li., Rom a, 1925; Diario spirituale, M arietti, T o rin o , 1926. Cf.
Florilegio spirituale, 2 voli., M ontalto M arche, 1914-1916.
116 2 PROSPETTO STORICO-BIBLIOGRAFICO

P. Serafino (fi8 7 9 ), passionista, Principes de Théologie mystique, 1873:


Promptuarium super Passionem Còristi Domini.
G iu s e p p e G o e r r e s ( f 1 8 4 8 ), Christliche Mysiik, 4 v o l i . , 18 3 6 -1 8 4 8 .
A ntonio R osmini ( 1 7 9 7 - 1 8 5 5 ) , Massime di perfezione; Storia deWamore;
Epistolario ascetico, 5 v o li.; Manuale deWesercitatore. T u t t i pubblicati da
S .A .I .E . Sodalitas, D o m o d o sso la.
S. G i u s e p p e C a f a s s o (1811-1860), Eserciti spirituali al clero, E dizioni Pao­
line, A lb a , 1955,
F e d e r i c o G u g l i e l m o F a b e r (1814-1892), Tutto per Gesù, E dizioni Paoli­
ne, Catania, 1948; Betlemme; I l santo Sacramento; I l prezioso sangue; I l pie­
de della Croce; I l creatore e la creatura, Progressi nella vita spirituale, tutti
presso l’editrice M arietti, Torino. I l Faber è uno degli autori più letti
del secolo scorso.
B . G iuliano E ymard (1811-1868), fondatore della congregazione del
SS. Sacramento, La presenta reale, E dizioni Paoline, Rom a, 1947; La
santa comunione, Edizioni Paoline, Rom a, 1946.
S. A ntonio M . C laret (1807-1870), fondatore dei missionari F igli del
Cuore di Maria, La escala de Jacob, Avisos, Reglas de espiritu, oltre a m olti
opuscoli religiosi.
A n t o n io C h e v r ie r ( f i8 7 9 ) , I l vero discepolo di Gesù Cristo, V ita e Pensiero,
M ila n o , 1941.
P. G iraud ( 1 88 5), dei Missionari de La Salette, De l'union à J . C. dans sa
vie de viciime, Parigi, 1870; De Vesprit et de la vie de sacrifìce dans l ’état reli-
gieux, 1873; Sacerdote ed Ostia, V ita e Pensiero, Milano; Vita di unione
conMaria madre di Dio, E dizioni Paoline, Rom a, 1944.
F. D i p a n l o u p ( f 1 8 7 8 ), Journal intime, Parigi, 1 9 0 2 .
C ard , G iovanni N ewman (1801-1890), oltre ai preziosi Sermons e Discour-
ses, ricordiam o Apologia prò vita sua, E dizioni Paoline, Rom a, 1956;
Preghiere e meditazioni, M arietti, Torin o, 1926 e altri scritti spirituali.
C ard . E nrico M anning (11892), L'eterno sacerdozio, Pustet, Roma; La
missione interiore e temporale dello Spìrito Santo, 2 v oli., Marietti, Torino;
Le glorie,del S. Cuore, Galla, Vicenza; I l peccato e le sue conseguente, Marietti,
Torin o.
G iuseppe Scheeben ( f 1888), Le meraviglie della grafia divina, S.E.I., Torino,
19 5 7, ispirate al P. Nierem berg; 1 misteri del Cristianesimo, 2 ediz.,
Morcelliana, Brescia, 1953.
C ard . G iacomo G ibbons (1834-1921), Ambasciatore di Cristo, M arietti,
T orino.
M a u r i z i o d ’ H u l s t ( f i 8 9 6 ) , Retraits sacerdotales, Conférences, Lettres de
direction.
M ons. L ejeune, Manuel de théologie mystique, Introduction à la vìe mystique, ecc.
S. G emma G algani ( f 1903), Lettere ed estasi, T ip ogr. Pontif. dell’Istituto
Pio I X , Roma, 1909.
A . D e v i n e , passionista, A manual of ascetical theology, Londra, 19 0 2 ; A ma­
rnai of mystical theology, Londra, 1 9 0 3 .
PROSPETTO STORICO-BIBLIOGRAFICO 1163

L . B eàudenom (1840-1916), canonico, Pratica progressiva della confessione e


della direzione spirituale, 2 voli., Marietti, Torin o, 195?; Le sorgenti della
pietà, S.E .I., Torino; Formazione all’umiltà, Marietti, Torino; La prima
formazione religiosa e morale della giovane, S.E .I., T orin o; La formazione
interiore religiosa e morale della giovane, S .E .I., T o rin o .
C a r l o d e F o u c a u l t (1858-1916), Nuovi scritti spirituali, Istituto di P ro­
paganda Libraria, Bergam o. Cfr. R . V o i l l a u m e , Come loro, 3 ediz.,
E dizioni Paoline, Rom a, 1956.
Card, M e r c i e r (1851-1926), A i giovani leviti, V ita e Pensiero, M ilano,1920,
La vita interiore, V ita e Pensiero, M ilano, 2938; Conferenze pastorali,
Libr. Editr. Fiorentina, Firenze.
A lberto F ar g es (119 2 6 ), Les phènomenes mystiques; Les vois ordtnaires de la
vie spirituelle.
G G u i b e r t , Retraite spirituelle (19 0 9 ) e vari opuscoli tradotti in ita­
io v a n n i

liano e pubblicati da M arietti, Torino: I l carattere; La pietà; La purezza:


La primavera dilla vita; La bontà, ecc.
M ons. W a f f e l a e r t ( 1 1 9 3 2 ) , vescovo di Bruges, è il continuatore della
scuola mistica fiamminga (Ruysbroeck) con le sue Méditations tbéolo-
giqueSy 2 voli., Lethielleux, Bruges-Parigi, 1919; Uunion de Vàme aimante
avec Dieu.
E L e s e u r (1866-1914), La vita spirituale, Marietti, To rin o , 1920;
l is a b e t t a

Diario e pensieri per ogni giorno, M arietti, T orin o, 1921; Lettere intorno al­
la sofferenza Marietti, To rin o , 1920; ecc. Si possono consultare con
profitto: P. M . L e s e u r , Vita di Elisabetta Leseur, 6 ediz., M arietti,
Torin o, 1955; H e r k i n g , La potenza della donna (V ita di A lb erto Leseur),
Edizioni Paoline, Bari, 1955.
Sr. A n g e l a S o r a z u (173-1921), La vida espiriiual, V alladolid, 1924; Opùs-
colos marianos, Valladolid, 1929; Autobiografia, Valladolid, 1929.
F r a n c e s c o N a v a l , C . M . F . ( f 1930), Curso de Teologia ascèticay mistica, 1 9 1 4 .
E u l o g i o N e b r e d a , C .M .F ., De oratione, Bilbao, 1 9 2 2 .
R o b e r t o d i L a n g e a c , Conseils à les àmes d’oraison, Lethielleux, Parigi, 19 2 9 ,
opera eccellente.
A u g u s t o S a u d r e a u (fi9 4 6 ), è uno degli autori che più meritano di essere
raccomandati e che hanno avuto la più favorevole accoglienza ai nostri
giorni: I gradi della vita spirituale, D esclée, Rom a, 1904; L'ideale dell'a­
nima fervente, M arietti, Torino; Uètat mystique, A ngers, 1921; La vie
d'union à Dieu, A ngers, 1921; La piété à travers les àges, 1927; La voie qui
mene à Dieu; Manuel de- spìritualitè, 1920; Le divine parole, Marietti, T o ­
rino, 1924.
M a r t i n o G r a b m a n n (1875-1949), Wesen und Grundlagen der katholiscken
Mystik, M unchen, 1922.
L . P aulot , JJèsprit de sagesse, Parigi, 1927.
J. e R. M a r i t a i n , De la vie d'oraison, Parigi, 1933.
G . T hils , Santità Cristiana, E d izioni Paoline, A lba, i960.
A . D agnino , La perfezione cristiana, E d izio ni Paoline, M ilano, i960.
IN D IC E A N A L IT IC O
NB. I rimaifdi si riferiscono ai numeri marginali del testo.

A b n e g a z io n e : 203.
A d o r a z io n e : 28 8 .
A f f e t t i v a ( o r a z io n e ) : n a t u r a 3 8 6 ; p r a t i c a 3 8 7 ; v a n t a g g i 3 8 8 ;
o s t a c o l i 3 8 9 ; f r u t t i 3 90 .
A g il it à : il fa tto 640; casi s to r ic i 641; s p ie g a z io n e del sog­
g e tto 642.
A m ic iz ia o a ffa b ilità : com e v ir tù s p e c ific a 3 17; tra tti c a ra t­
t e r is tic i 484, 2 , c ; im p o r ta n z a di un buon a m ic o 514 ; de­
v ia z io n i p e r ic o lo s e 5 15.
A n im a um ana: fo rm a s o s ta n z ia le del corp o e s o g g e tto d e l la
v ita s o p r a n n a tu r a le 31; a n im e v ittim e 17 8 , 5.
A r id it à : cau se e r im e d i 369.
A r t i: a b ilità in fu s a per il lo r o e s e r c iz io 615.
A s c e t ic a : si co m p e n e tra con la m is tic a 13 9 ; in essa c o m in ­
c ia a m a n ife s ta r s i l ’a z io n e dei doni 14 0 .
A s t in e n z a : p a rte s o g g e ttiv a d e lla v ir tù d e lla te m p e ra n z a 342.
A u s t e r i t à : d e p r im o n o l o s p i r i t o , s e e c c e s s i v e 5 7 0 .

B e a t it u d in i e v a n g e lic h e : n a tu ra e o r ig in e 89; b. c o rrisp o n ­


d e n t i a l d o n o d e l l ’i n t e l l e t t o 2 3 7 ; a l d o n o d e l l a s c i e n z a 2 4 3 ;
al dono del tim o r e 251; al dono d e lla s a p ie n z a 266; a]
dono d e l c o n s ig lio 277; a l dono d e lla p ie tà 302; al dono
d e lla fo rte z z a 334.
B il o c à z io n e : il fe n o m e n o e casi s to r ic i 6 4 3 ; s p ie g a z io n e 644 ,

Ca r a tter e: n a tu ra 482; o r ig in e 483; il c. id e a le 484; fo r­


m a z io n e d e l c. 485.
Ca r i t à : i n e s s a c o n s is t e e s s e n z ia lm e n te la p e r fe z io n e c r is tia ­
na 110 -113 ; c. a ffe ttiv a ed e ffe ttiv a 114 ; non ha lim it i
in q u e sta v ita 116; la c. in se s te ss a 254; com e cresce
ed a u m e n ta 10 3, 10 e 2 5 5 -5 7 ; o g g e tto d e lla c. 258 ; o r­
d in e d e lla c. 259; l ’am o re è il suo a tto p r in c ip a le 260;
e ffe tti d e lla c. 26 1; p e cca ti o p p o s ti 262.
116 6 INDICE ANALITICO

C arne (v . Concupiscenza).
C a s t it à : in che cosa consiste 344; mezzi per conservarla 175.
C lemenza *, in che cosa consiste 348.
C o m u n i o n e ( v . Eucarestia).
C o n c u p is c e n z a : n a tu ra 174; r im e d i c o n tro di essa 175.
C o n f e r m a z io n e in grazia: 468.
C o n f o r m i t à con la volontà di Dio: natura 490; fondamen­
to 491; eccellenza e -necessità 492; modo di praticarla
493; frutti e vantaggi 494.
C o n s i g l i o (dono del): natura 274; necessità 275; effetti 276;
beatitudini e frutti corrispondenti 277 ; vizi opposti 278 ;
mezzi per fomentare questo dono 279.
C o n t e m p l a t i v a ( v it a ) : è m i g l i o r e d e l l a v i t a a t t i v a 429; è p i ù
m e r i t o r i a 430; p u ò e s s e r e o s t a c o l a t a o a i u t a t a d a l l a v it a
a t t i v a 431.
C o n t e m p l a z i o n e infusa: il suo principio elicitivo psicologico
non è l’essenza dell’anima 398; nè le potenze organiche 399;
ma l ’intelletto sotto l’influsso della volontà 400; non è una
grazia gratis data 401; richiede necessariamente la grazia
abituale 402; richiede la grazia attuale 403-4; richiede
l’abito delle virtù infuse e i doni dello Spirito Santo 405;
non procede dai doni o dalle virtù affettivi 406; pia da una
virtù infusa nell’intelletto 407 ; che non è la sola fede 408 ;
nè solo i doni intellettivi 409; ma la fede illuminata dai
doni intellettivi dello Spirito Santo 410; principalmente nel
suo grado o stato perfetto 411; si realizza sempre median­
te specie intelligibili 412 ; ma non si richiedono nuove
specie infuse 413; Sue principali caratteristiche psicologi­
che sono: la presenza di Dio vivamente sentita 414; l’in­
vasiòne del soprannaturale nell’anima 415 ; l ’impossibilità
di produrre la contemplazione da noi stessi 416; la passi­
vità 417 ; la conoscenza oscura e confusa 418 ; la certezza
assoluta 419; la certezza morale di essere in grazia di Dio
420; l ’esperienza ineffabile 421; varie forme di contem­
plazione 422; continue fluttuazioni 423; si ripercuote con
frequenza sul corpo 424; suole produrre la sospensione
delle potenze 425; spinge alla pratica delle virtù 426;
processo psicologico della contemplazione 427 ; definizione
della contemplazione infusa 428; è molto desiderabile in
quanto grazia altamente santificatrice 433; disposizioni per
la contemplazione 434; immediata chiamata alla contem­
plazione 435.
C o n t e m p l a z io n e n a tu r a le : 8 96.
C o n t i n e n z a : 3 46.
INDICE ANALITICO 1167

C o sta n za :329.
C risto Gesù Cristo).
(v .
C u o r e (Rinnovamento o cambio del): il fatto 631; casi stori­
ci 632 ; spiegazione del fenomeno 633.
D e m o n io : la tentazione diabolica 162; psicologia della tenta­
zione 163; modo di combatterla 164; l’ossessione diabolica:
sua natura 165 ; specie 166 ; cause 167 ; condotta pratica
del direttore 168; la possessione diabolica-, esistenza 169;
natura 170; segni 171; cause 172; rimedi 173; dottrina
teologica sui demoni 573; ciò che il demonio non può fare
574; ciò che può fare col permesso di Dio 575. ,
D e s i d e r i o della perfezione: natura 486; necessità 487; quali­
tà 488; mezzi per eccitarlo 489.
D e v o z i o n e : 286.
D i g i u n o assoluto (v. Inedia).
D i r e z i o n e spirituale: natura 516; importanza e necessità 517;
confessione e direzione 519; il direttore: definizione 518;
qualità tecniche 520; qualità morali 521; uffici e obbli­
ghi 522; il diretto : definizione 523; qualità e doveri in rap­
porto alla direzione 524; il voto di obbedienza al diretto­
re 524, 2); qualità e doveri rispetto al direttore 525;
scelta del direttore 526 ; cambio del direttore 527 ; plurali­
tà di direttori 528; la direzione epistolare 529.
D i s c e r n i m e n t o degli spiriti: nozioni previe 530; il discer­
nimento acquisito e mezzi per raggiungerlo 531 ; i tre « spi­
riti » che muovono l ’anima 532 ; segni dello spirito di
Dio 533; dello spirito diabolico 534; dello spirito umano
535; segni di spirito dubbio 536; il discernimento come
grazia gratis data 604; casi storici 605; spiegazione del fe­
nomeno 606.
D i s t a c c o dalle creature: 202.
D i s t r a z i o n i nell’orazione: cause e rimedi 368.
D o l o r e (v . Sofferenza).
D o n o : in generale 66 ; doni di Dio 67 ; doni dello Spirito
Santo: esistenza 6 8 ; numero 69; natura 70; sì distinguono
specificamente dalle virtù infuse 71-77 ; non ammettono al­
tra modalità che quella divina 78-82; sono necessari alla
perfezione delle virtù 83; e per la salvezza 84; ma non per
ogni atto meritorio 85; i doni stanno in relazione tra loro
8 6 ; sono più perfetti delle virtù morali, ma meno delle
virtù teologali 87 ; i loro atti sono i frutti dello Spirito
Santo e le beatitudini evangeliche 88-89; continueranno ad
esistere anche in cielo 90; sintesi della dottrina di S. Tom­
116 8 INDICE ANALITICO

maso sui doni 91; loro attuazione nello stato mistico 136-40;
la contemplazione infusa e i doni 410; i doni possono esse­
re fonte di certi fenomeni mistici 544.
D o v e r i d e l p r o p r io s ta to : 1 7 8 , 1) .
D u lia : 306.
E q u ità o epicheia: 319.
E sam e di coscienza: natura 478; importanza 479; divisione
480; modo di farlo 481.
E s o r c i s m i : 173.
E s t a s i : il fenomeno esterno 450; possibili cause 451; nozip-
ne dell’e. soprannaturale 452; l’e. profetica 453; definizione
dell’e. mistica 454; sue cause 455; gradi 456; forme 457;
atteggiamento dell’estatico 458; durata 459; frequenza 460;
merita l ’anima in e. ?, 461 ; effetti 462 ; il fidanzamento spi­
rituale 463; il richiamo dell’estatico 464; l ’e. naturale 465;
l ’e. diabolica 466; l ’e. mistica non è una grazia gratis
data 617.
E t à : s u o in f lu s s o s u i f e n o m e n i m i s t i c i : 563.
E u c a r e s t i a : sua efficacia santificatrice: 224; disposizioni per
ricevere la S. Comunione 225; il ringraziamento 226; la
comunione spirituale 227; la visita al SS. Sacramento 228.
E u t r a p e l i a : 358.

F a n ta s ia : (v. Immaginazione).
F ede: nozioni 232; aumento della f. 233.
F e d e l t à alla grazia: natura 495; importanza e necessità 496;
efficacia santificatrice 497 ; modo di praticarla 498.
F e n o m e n i mistici straordinari: divisione fondamentale 576.
F e r i t e d’amore: 448.
F id a n z a m e n t o s p ir it u a le : 463.
F o rte zza : dono della f. : natura 331; necessità 332; effetti 333;
beatitudini e frutti corrispondenti 334; vizi opposti 335;
mezzi per fomentare questo dono 336; virtù della f. : natu­
ra 320; importanza e necessità 321; vizi opposti 322; parti
in cui si divide 323; mezzi per perfezionarla 330.
F r u t t i dello Spirito Santo: natura e origine 88 ; f. corrispon­
denti al dono dell’intelletto 237 ; al dono della scienza 243 ;
al dono del timore 251; al dono della sapienza 266; al
dono del consiglio 277; al dono della pietà 302; al dono
della fortezza 334.
G esù C r i s t o : sua causalità nella nostra santificazione 13; è
la Via 14; è la Verità 15; è la Vita 16; causa meritoria del­
la grazia 17 ; causa efficiente della grazia 18 ; esercita su
INDICE ANALITICO 116 9

di noi un influsso vitale 19-21; come dobbiamo vivere il


« mistero di Cristo » 22.
G i u r a m e n t o : 292.
G i u s t i z i a (virtù della): natura 280; importanza e necessità
281; parti integranti soggettive e potenziali 282; mezzi per
perfezionarci in questa virtù 283.
G l o r i a di Dio: è il fine ultimo della vita cristiana 11.
G ola : (v . G u s t o ) .
: 314.
G r a t it u d in e
santificante: natura 32-34; risiede nell’essenza dell’ani­
■Gr a z i a
ma 35 ; ci fa figli di Dio 36 ; eredi del cielo 37 ; fratelli
di Gesù Cristo e suoi coeredi 38; ci dà la vita soprannatu­
rale 39; ci rende giusti e graditi a Dio 40; ci dà la capa­
cità di meritare soprannaturalmente 41; ci unisce intima­
mente con Dio 42; ci rende tempi viventi della SS. Trini­
tà 43; è destinata a crescere e svilupparsi 99; fedeltà alla
g. 495-8. — G. attuale: natura 92; necessità 93; divisione
94; uffici e funzioni 95. — Grazie gratis datae: natura 547;
numero 548; fides 549; sermo sapientiae 550; sermo scien-
tiae 551; gratia sanitatum 552; operatio virtutum 553; pro-
phetia 554; discretio spirituum 555; genera linguarum 556;
interpretatio sermonum 557.
<Ju s t o (senso del): 185.

I er o g n o si (percezione istintiva delle cose sacre): il fatto 607;


casi storici 608; spiegazione del fenomeno 609.
I m m a g i n a z i o n e : nozione 180, b); importanza, necessità e mo­
do di purificarla 188; -suo influsso sui fenomeni mistici
564-66.
I m p e r f e z i o n e : nozione 121; modo di combatterla 159.
I m p e t i: 447.
In cendi d’amore: il fatto 618; loro gradi 619; spiegazione di
questi fenomeni 620.
I n e b r i a m e n t o d’amore: segue a volte la quiete mistica 441, b);
condotta dell’anima in questo stato 442, I I I .
I n e d i a (digiuno assoluto): il fatto 634; casi storici 635; spie­
gazione del fenomeno 636.
I n t e l l e t t o : nozione 197; aspetto negativo della sua purifica­
zione 198; aspetto positivo 199; dono detti.: natura 234;
necessità 235;. effetti 236; beatitudini e frutti corrispon­
denti 237; vizi contrari 238; mezzi per fomentarlo 239.
I n v o c a z i o n e del nome di Dio: 294.
I p n o s i : si distingue dall’estasi mistica 465, 3).

L a c r im e di sangue: (v i Sudore di sangue).


1170 INDICE ANALITICO

L avo ro in t e lle t t u a le : quando è a s so rb e n te d e p r im e lo s p ir ito


568.
L e ttu ra s p ir itu a le : u tilità e im p o r ta n z a 511; lib r i p r in c ip a li
512 ; m o d o d i le g g e r e 5 1 3 .
L e v ita z io n e : il fa tto 645; casi s to r ic i 646; s p ie g a z io n e del
fe n o m e n o 647 ; sue f a l s i f i c a z i o n i 648 .
L ir e r a l it À : 318 .
L in g u a : 18 3 .
auricolari 5 8 9 ;
L o c u z i o n i : n o z io n e 5 8 7 ; d i v i s i o n e 5 8 8 ; lo c u z i o n i
immaginarie 5 9 0 ; intellettuali 5 9 1 ; successive 5 9 2 ; formali
5 9 3 ; sostanziali 5 9 4 ; n a t u r a t e o l o g i c a d e l l e lo c u z i o n i 5 9 5 .
L o n g a n im ità : 327.
L u c i o s p le n d o r i: il fa tto 6 5 2 ; c a s i s t o r ic i 6 5 3 ; s p ie g a z io n e d e l
fe n o m e n o 654.

M a g n a n im ità : 324.
M a g n ific e n z a : 325.
M a la ttie : lo r o in f lu s s o s u i f e n o m e n i m i s t i c i 5 7 2 .
M a n s u e tu d in e : 347.
M a r ia S S . : in te r v ie n e e f f ic a c e m e n t e n e l l a n o s tra s a n tific a z io n e
23; u f f ic io d i M . 2 4 ; l a v e r a d e v o z io n e a M . 2 5 ;v d e v o z io n i
m a ria n e 2 6 ; la s a n ta s c h ia v itù 27.
M a t r im o n io s p ir itu a le : (v . U n io n e tra s fo rm a n te ).
M e d ita z io n e : n a tu r a 3 7 8 ; im p o r ta n z a e n e c e s s ità 3 7 9 ; m e to d o
380; a rg o m e n ti d a m e d ita r s i 38 1; te m p o 382; lu o g o 383;
p o s iz io n e 3 8 4 ; d u ra ta . 3 8 5 ; la m . m a l r e g o la ta d e p r im e lo
s p ir ito 569.
M e m o r i a : l a m . s e n s i t i v a è u n s e n s o in t e r n o 18 0 , b ) ; l a m . i n ­
t e l l e t t i v a è u n a f u n z i o n e d e l l ’i n t e l l e t t o 1 8 9 (c f. 1 9 6 ); im p o r ­
t a n z a , n e c e s s i t à e m o d o d i p u r i f i c a r l a 18 9 .
M e r i t o : 10 3 .
M e s s a (la s a n ta ): n o z io n i 2 2 9 ; f in i e d e f f e t t i 2 3 0 ; d is p o s iz io ­
n i 2 3 1.
M e to d o : n e g li s tu d i m is tic i d e v e p r e v a le r e il m . te o lo g ic o su
q u e llo d e s c r ittiv o e s p e r im e n ta le 12 9 .
M is tic a : su o c o s titu tiv o e s s e n z i a le seco n d o g li a u to ri b e n e d e t­
tin i 1 3 1 ; d o m e n ic a n i 1 3 2 ; c a r m e lit a n i 1 3 3 ; g e s u iti 1 3 4 ; a u ­
to r i in d ip e n d e n ti 13 5 ; s in te s i te o lo g ic a s u l l ’i n t i m a n a tu ra
d e lla m . 1 3 6 ; d iv e r s ità tr a atto m is tic o e stato m is tic o 1 3 7 ;
m . e c o n te m p la z io n e in fu s a 13 8 ; la m . e l ’ a s c e tic a si com -
p e n e tra n o m u tu a m e n te 139; la m . c o m in c ia in p ie n o sta to
a s c e tic o 14 0 ; r e la z io n e d e lla m. con la p e r fe z io n e c r is tia ­
n a 1 4 1 - 2 ; la m . r ie n t r a n e llo s v ilu p p o n o r m a le d e lla g r a z ia
s a n tific a n te 14 3 ; s o lt a n t o n e lla v ita m . si p u ò r a g g iu n g e r e
INDICE ANALITICO 1171

la perfezione cristiana 144; insegnano così S. Giovanni del­


la Croce 145; S. Teresa 146; S. Francesco di Sales 147;
tutti siamo chiamati alla vita mistica 148.
M o d e s t i a : nozione 349 ; m. nel corpo 357 ; m. nell’abbiglia­
mento 359.
M o n d o : che cosa si intende con questa parola 160; modo di
combatterlo 161.
M o r t e : dolcissima la m. dei santi 471.
M o r t if ic a z io n e : p ra tic a v o lo n ta r ia d e lla m. 178 , 3).

N a t u r a : n o z io n e 5 4 4 , a ).
nozione 544, b).
N a tu r a le :
N o tte dello spirito: natura 212; cause 213; effetti 214; neces­
sità 215; durata 216; posto che occupa nella vita spiri­
tuale 217; n. del senso: natura 205; cause 206; segni 207;
condotta pratica dell’anima 208; effetti 209; durata 210;
posto che occupa nella vita spirituale 2 1 1 .
O b b e d ie n z a :natura 307; eccellenza 308; gradi 309; qualità
310; vantaggi 311; Gesù Cristo modello supremo di o. 312;
contraffazioni dell’o. 313.
O f f e r t e e oblazioni: atti della virtù della religione 290.
O lfatto ( s e n s o d e l l ’ ): m o d o d i p u r i f i c a r l o 1 8 4 .
O n e s t à : p a r te in t e g r a n t e d e lla v ir t ù d e lla t e m p e r a n z a 3 4 1.
può aumentare la vita della grazia per mezzo della
O r a z io n e :
sua efficacia imperatoria 104; fatta con le dovute disposi­
zioni è sempre infallibile 105; è un atto della virtù della
religione 287 ; sua natura 362 ; convenienza 363 ; necessità
364; chi si deve pregare 365; per chi si deve pregare 366;
efficacia santificatrice 367; le distrazioni 368; le aridità 369;
scogli che si devono evitare 370; gradi principali di o. 372;
o. vocale 373-76; meditazione 378-85; o. affettiva 386-90;
o. di semplicità 391-95; o. di raccoglimento infuso 436-38;
o. di quiete 439-42; orazione di unione 443-45; o. estatica
454-64; orazione di unione trasformante 467-72.
O r d in a r io e s tr a o r d in a r io n e lla v ita c r is tia n a : n o z io n i 1, 3
e 10 7.
O sservan za (virtù dell’): 305.
diabolica: natura 165; specie 166; cause 167; con­
O s s e s s io n e
dotta pratica del direttore 168.
P adre n o s t r o : e s p o siz io n e 3 77.
P a s s io n i: nozione 190; natura 191; numero 192; importanza
193; educazione 194; avvertenze al direttore 195.
P a z i e n z a : 326.
1172 INDICE ANALITICO

P e c c a to : in che cosa consiste 151; peccato mortale: di igno­


ranza, fragilità, indifferenza e malizia 152; orrore verso il p.
153; peccato veniale: natura 154; divisione 155; malizia
156 ; effetti 157 ; mezzi per combatterlo 158.
P e n i t e n z a (sacramento della): suo valore sostanziale per la
perfezione cristiana 220 ; disposizioni per riceverlo con frut­
to 2 2 1 ; effetti 2 2 2 ; la virtù della penitenza e lo spirito di
compunzione 223.
P e r f e z i o n e : la p. in generale 108; natura della p. cristiana
109; consiste essenzialmente nella carità 1 1 0 ; e nelle altre
virtù in quanto informate dalla carità 1 1 1 ; cresce a misu­
ra che si intensificano la carità e le altre virtù 1 1 2 ; consiste
primariamente nell’amor di Dio e secondariamente nell’a-
mor del prossimo 113; e maggiormente nella carità affetti­
va che in quella effettiva 114; per la p. è indispensabile il
dono della sapienza 115; non ha limiti in questa vita 116;
consiste più nei precetti che nei consigli 117 ; è obbligatoria
per tutti i cristiani 118; peccano mortalmente il religioso
ed il sacerdote che la trascurano 119; ed anche il semplice
cristiano, se la disprezza 119; in che senso si è obbligati
a compiere ciò che è più perfetto hic et nunc 12 C(; i gradi
della p. cristiana 122; possibilità della p. in questa vita 123.
la p. cristiana e la predestinazione 124; suppone sempre
uno sviluppo eminente della grazia 125; la p. delle virtù
infuse 126; la p. e le purificazioni passive127; p. e vita
mistica 128; la p. si trova unicamente nella vita mistica
144; insegna così S. Giovanni della Croce145; S. Teresa
146 ; S. Francesco di Sales 147 ; il desideriodella p. 486-89.
P e r s e v e r a n z a : 328.
P i a g h e d’amore: 449.
P i a n o di vita: nozione 507; utilità 508; qualità 509; esecu­
zione 510.
P i e t à : dono della p. : natura 299; necessità 300; effetti 301;
beatitudini e frutti che ne derivano 302; vizi opposti 303;
mezzi per sviluppare in noi questo dono 304; virtù della p.:
natura 296 ; peccati opposti 297 ; mezzi per progredire in
essa 298.
P o s s e s s i o n e diabolica: esistenza 169; natura 170; segni 171;
cause 172; rimedi 173.
P o t e n z e : purificazione delle p. 179.
P r e s e n z a di Dio: natura 473; efficacia santificatrice 474; fon­
damento teologico 475; conseguenze 476; modo di praticar­
la 477.
P r e t e r n a t u r a l e : 542.
INDICE ANALITICO 1173

P ro fu m o soprannaturale : il fatto 655; casi storici 656; natura


del profumo 657 ; spiegazione del fenomeno 658.
P r o g r e s s o nella vita spirituale: solo Dio ne è la causa effi­
ciente 10 0 ; si realizza per mezzo dei sacramenti 10 2 ; per
mezzo del merito soprannaturale 103 ; e per mezzo dell’effi­
cacia impetratoria dell’orazione 104; come si realizza il
progresso 106.
P r u d e n z a : natura 269; importanza e necessità 270; parti inte­
granti, soggettive e potenziali 271; vizi opposti 272; mezzi
con cui perfezionarsi in essa 273.
P u r i f i c a z i o n e : necessità di purificare le potenze 179; parifica­
zione attiva dei sensi: nozioni previe 180; necessità di puri­
ficare i sensi esterni 181; la vista 182; l ’udito e la lingua
183; l’olfato 184; il gusto 185; il tatto 186; p. dei sensi
interni : il senso comune e la facoltà estimativa 187 ; l’imma­
ginazione 188; la memoria 189; p. delle passioni 190-95;
p. delle potenze dell’anima 196; l’intelletto 197-99; la volon­
tà 200-3; p. passiva : necessità per raggiungere la perfezione
204; notte del senso 205-11; notte dello spirito 212-17.
Q u ie te (orazione di): natura 439; effetti 440; fenomeni con­
comitanti 441; condotta pratica dell’anima 442, I.
infuso: natura 436; fenomeni concomitanti 437;
R a c c o g lim e n to
condotta pratica dell’anima 438.
R a s s e g n a z io n e : 1 7 8 , 2).
R e lig io n e (virtù della): natura 284; atti 285; peccati oppo­
sti 295.
: nozione 256 ; divisione fondamentale 597 ; altre
R iv e la z io n i
divisioni 598; le r. private : esistenza 599; non entrano nel
deposito della fede 600; valore delle r. private 601; natura
teologica delle r. 602; regole di discernimento 603.

S a c r a m e n ti: ruolo dei s. nella vita cristiana 102.


S a c r ific io : atto della virtù di religione 289.
S a n t i f i c a z i o n e dell’anima: fine prossimo della vita cristiana 12.
S a p i e n z a (dono della): natura 263; necessità 115 e 264; effetti
265; beatitudini e frutti corrispondenti 266; vizi opposti
267 ; mezzi per sviluppare in noi questo dono 268.
S c i e n z a (dono della): natura 240; necessità 241; effetti 242;
beatitudini e frutti corrispondenti 243; vizi opposti 244;
mezzi per sviluppare in noi il dono della s. 245.
S c o n g iu r o : 29 3.
(orazione di): nome 391; natura 392; pratica 393;
S e m p lic ità
vantaggi 394; obiezioni 395.
1174 INDICE ANALITICO

S e n s i: esterni : n o z i o n e 1 8 0 , a); n e c e s s ità di p u r ific a r li 18 1;


s. interni : n o z i o n e 1 8 0 , b ) ; p u r i f i c a z i o n e d e i s. i n t e r n i 1 8 7 -9 .
S esso : su o influsso sui fenomeni mistici 562.
S in c o p e : (v .Svenimento naturale).
S o b r ie t à : 343.
S o f f e r e n z a : n e c e s s it à 1 7 6 ; e c c e lle n z a 1 7 7 ; g r a d i d i a m o re a lla
s o ffe r e n z a 178.
S o n n a m b u l i s m o : 4 6 5 , 2).
Sonno delle potenze: segue la quiete mistica 441, a); condotta
dell’anima in questo stato 442, II.
S o p r a n n a tu r a le : n o z io n e d e l s . 5 4 0 ; d i v i s i o n e d e l s. 5 4 1 .
S o ttig lie z z a : il la tto 649; casi s to r ic i 650; s p ie g a z io n e del
fe n o m e n o 651.
S p eran za: 246; a u m e n t o d e l l a s. 247.
n o z io n e
il fatto 6 2 1 ; numero degli stigmatizzati 6 2 2 ;
S tig m a tiz z a z io n e :
ricevette le stigmate S . Paolo? 6 2 3 ; spiegazione razionalista
della s. 6 2 4 ; spiegazione cattolica della s. 6 2 5 ; come avvie­
ne la s. 6 2 6 ; la s. diabolica 6 2 7 .
S tu d io s itÀ : 356. (
Sudore e la c r im e di sangue: il fa tto 628; casi s to r ic i 629;
s p ie g a z io n e di q u e s ti f e n o m e n i 63 0 .
S v e n im e n to naturale: 465, 1).

T a t t o (s e n so d e l) : s u a p u r ific a z io n e 18 6 .
T e m p e r a m e n t o : n a t u r a 4 9 9 ; c la s s ific a z io n e 500; il t. s a n g u i­
g n o 5 0 1 ; i l t . n e r v o s o 5 0 2 ; i l t . c o l l e r i c o 5 0 3 ; i l t . f le m m a ­
tic o 504; c o n c lu s io n e s u i t. 5 0 5 ; il t. i d e a l e 506; in flu s s i
d e l t. su i fe n o m e n i m is tic i 5 6 1 .
T em p eran za : n a tu ra 337 ; im p o r ta n z a e n e c e s s ità 338 ; v iz i
o p p o s ti 3 3 9 ; p a r ti in te g r a n ti 3 4 0 -1; p a r t i s o g g e ttiv e 3 4 2 -5 ;
p a rti p o t e n z ia li 3 4 6 -5 9 .
T e n ta z io n e : sp e sso ca u sa ta d a l d e m o n io 16 2; p s ic o lo g ia d e l­
la t. 16 3; m odo d i co m b a tte re la t. 16 4.
T eo l o g ia d e lla p e r fe z io n e : te r m in o lo g ia 1; il nom e 2; re­
la z io n e con g li a ltr i ram i d e lla s c ie n z a te o lo g ic a 3 ; am ­
b ito d e lla t. d e l l a 1p e r f e z i o n e 4; d e fin iz io n e 5 ; im p o r ta n ­
za e n e c e s sità 6 ; \m odo di s tu d ia r la 7 ; m e to d o 8; fo n ti
9; d iv is io n e 10 . ' Ci
T im o r e (d o n o d e l): n a tu ra 248; n e c e s sità 249; e ffe tti 250;
b e a titu d in i e fru tti c o rr isp o n d e n ti 2 5 1 ; v iz i co n tra ri 252;
m ezzi con cui s v ilu p p a r e q u e s to dono 253; sue r e la z io n i
con la te m p e ra n za 3 60 .
T occhi m is tic i: 446.
T r in ità (la SS,): abita in noi 96; in quale modo 97; ci
INDICE ANALITICO 1175

rende partecipi della sua vita intima 98, 1; dirige la no­


stra vita spirituale 98, 2; costituisce l’oggetto dell’espe­
rienza mistica 98, 3.

U d it o ( s e n s o d e l l ’ ): s u a p u r ific a z io n e 18 3 .
U m iltà : natura 350; eccellenza 351; importanza 352; gra­
di 353; modo di praticarla 354; vizio opposto 355.
U n i o n e : orazione di u.: natura 443; caratteristiche essenzia­
li 444; effetti 445; fenomeni concomitanti 446-9. — V.
estatica, v. Estasi. — V. trasformante : natura 467 ; esi­
ste la confermazione in grazia? 468; è possibile in que­
sta vita la visione beatifica? 469; effetti dell’u. trasfor­
mante 470; tutti vi potremmo giungere 472.

V e g lia costante (privazione di sonno): il fatto 637; casi sto­


rici 638; spiegazione del fenomeno 639.
V e n d e t t a : parte potenziale della giustizia 315.
V e r a c i t à : 316.
V e r g in it à : 345.
V ergogn a: parte integrante della temperanza 340,
V i r t ù infuse: esistenza e necessità 45; natura 46-8; diver­
sità tra le v. infuse e le v. naturali o acquisite 49; pro­
prietà generali 50; divisione 51; v. teologali: esistenza
52; natura 53; numero 54; ordine delle v. teologali 55;
soggetto in cui risiedono 56; v. morali: esistenza 57; na­
tura 58; numero 59; v. cardinali: natura 60; numero 61..
V i s i o n e beatifica: possibilità della v. beatifica in questa vi­
ta 469.
V i s i o n i : nozione 577; divisione 578; v. corporali 579; v. im­
maginarie 580; v. intellettuali: caratteristiche 581; ele­
menti 582; certezza assoluta e origine divina 583; oggetto
delle v. intellettuali 584; natura teologica delle v. 585; re­
gole di discernimento 586.
V i s i t a a l SS. Sacramento: 2 2 8 .
V i s t a (senso della) : sua purificazione 182.
V i t a : v . naturale dell’uomo 29; v. soprannaturale dell’uomo
30; idea generale dello sviluppo della v. cristiana 150.
V o c a le (orazione): convenienza e necessità 373; condizioni
374; durata 375; formule 376.
V o l o n t à : nozione 200; necessità di purificarla 201; v. di.
Dio, vedi Conformità.
V o t o : 29 1.
INDICE ONOMASTICO
NB. I numeri rimandano alle pagine.

Adam (Karl) : 48. Alvarez (Baltasar): 520.


Agnese (S.): 1059. Alvarez (Rodrigo) : 831, 860,.
Agnese di Gesù: 321. 862, 866, 878, 880.
Agostino (S.): 32, 63, 72, 73, Alvarez de Paz: 354, 800, 811,
80, 108, 127, 131, 146, 196, 883.
202, 205, 258, 271, 274, 283, Ambrogio (S.): 130, 146.
301, 378, 406, 413, 416, 425, Andrea Avellino (S.): 1078.
449, 450, 497, 503, 573, 587,
591, 604, 633, 645, 651, 653, Andriani: 1101, 1105.
668 , 683, 718, 734, 747, 752, Andronico: 749.
757, 779, 813, 883, 961, 971, Angela da Foligno (S.): 524,,
992, 1018, 1037, 1042, 1043, 888, 1105.
1065. Angelico (Beato) : 1087.
Agreda (Maria de): 1076, Anseimo (S.): 739.
1083, 1086, 1111, 1117, 1118,
Antonino da Firenze (S.): 651.
1121.
Antonio Abate (S.): 392, 949.
Agueda de la Cruz: 1086,
1108. Antonio dell’Annunciazione :
Alacoque (S. Margherita M.): 520.
901, 1103. Antonio dello Spirito Santo:
354, 520.
Alastruey: 76, 904.
Alcantara (S. Pietro di): 443, Antonio di Padova (S.): 1109,
513, 614, 764, 789, 917, 1059, 1111, 1129.
1090, 1107, 1109, 1121. Arami: 548, 550.
Aldama : 146, 148, 151, 153, Archimede: 1056.
157, 170, 171. Areopagita (Ps. Dionigi): 312,
Alipio: 378, 416. 628, 832, 1091.
Alonso (S.): 1009. Argentina: 104.
1178 INDICE ONOMASTICO

Arintero: 11, 14, 76, 292, 302, Benedetto (S.): 738, 798.
304, 323, 336, 343, 563, 638, Beraza: 1041, 1045.
751, 764, 773, 812, 856, 860,
932, 1025, 1083, 1084, 1085. Berchmans (S. Giovanni):
663.
Aristotele: 27, 117, 130, 141,
Bernadot: 539.
160, 184, 274, 411, 492, 639,
731, 746, 769, 973, 985, 1101. Bernard T. : 471.
Arnhard: 1096. Bernardo (S.): 32, 253, 419,
Arregui: 616. 683, 732, 739, 788, 813, 851,
962, 1013, 1014.
Ars (S. Curato di): 392, 393, Berthier: 971.
425, 553, 567, 590, 596, 651,
917, 1022, 1047, 1078, 1079, Berulle : 401, 791.
1126. Besse: 336.
Attichy : 399. Biard: 157.
Avicenna: 1095. Biel: 104, 127.
Avila (B. Giovanni di): 335, Billot : 124, 154, 166, 329, 531.
993, 1006. Billuart : 142, 268, 276, 727.
Blosio : 335.
Bacic: 171. Boezio: 466.
Bacone: 104, 475. Bon: 1025, 1049, 1096, 1101,
Bainvel : 298, 835. 1102, 1105, 1126, 1128, 1129,
Balmes: 11, 459, 468, 477, 1130.
1113. Bona: 520, 1010, 1025, 1051,
Banez : 35, 124, 126, 227, 608, 1057, 1062, 1078, 1080, 1081,
610, 892. 1100 , 1101 .
Barbado: 924, 957. Bonaventura: (S.): 32, 335,
Barré: 555, 563, 584, 602, 627, 683, 752, 764, 790, 811, 883.
639, 655, 701, 721. Bonnefoi : 157.
Baruzi: 35. Bonniot: 300, 1025.
Basilio (S.): 444. Borromeo (S. Carlo): 536, 590,
Bayo : 586. 1126.
Beaudenom: 220, 529, 732, Bossuet: 411, 413, 414, 467,
975. 468, 742, 751, 805, 806, 809,
938, 973.
Beaunis: 1097.
Boulexteix : 302.
Bellarmino (S. Roberto): 683,
1113. Bourdaloue: 415.
Bellevue : 154. Bourget: 468.
Beltràn (S.. Luigi): 590, 597, Brancati de Laurea: 154.
1126. Bremond: 680.
INDICE ONOMASTICO 1179

Brennan: 924, 957. Chantal (S. Giovanna di):


Brigida (S.): 32, 1089. 462, 524, 808, 979, 991,
1001.
Bruno di Gesù Maria: 336.
Chautard : 346.
Burton: 1126.
Chiara d’Assisi (S.): 1129.
Butler: 290, 291.
Chiara di Montefalco (S.):
Calmet: 1101. 520.
Calvino : 358^ 586. Chollet A .: 1010, 1012, 1015.
Camus: 917. Cicerone: 130, 131.
Capreolo: 104. Cirillo di Alessandria (S.):
146.
Cameade : 1056.
Carnegie (Dale) : 699. Claudio di G. Crocifisso: 296,
298.
Carré de Montgeron: 1100.
Clemente V : 128.
Cassiano: 732, 788, 972.
Clemente XIV : 1112.
Castano: 973.
Clemente Alessandrino: 415.
Caterina da Alessandria (S.):
1086. Clemente Romano (S.) : 1111.
Caterina da Bologna (S.): 520, Clermont-Ferrand: 1082.
1087. Climaco (S. Giovanni): 732.
Caterina da Genova (S,): 524, Coletta (S.): 888, 1107.
1090. Colin: 687, 692, 693.
Caterina da Racconigi (Bea­ Colomba da Rieti (Beata):
ta): 1103, 1105, 1129. 888.
Caterina de’ Ricci (S.): 888, Condren: 791.
1103, 1107, 1128. Cordeses: 800.
Caterina da Siena (S.): 29, 32, Costa Desiderio: 380.
335, 392, 430, 536, 544, 651,
694, 695, 716, 888, 889, 900, Crisogono di Gesù: 15, 37,
901, 979, 980, 1001, 1059, 161, 166, 167, 172, 173, 175,
1076, 1082, 1086, 1095, 1103, 177, 186, 239, 275, 295, 307,
1105, 1121. 320, 326, 327, 329, 333, 343,
566, 801, 802, 805, 806, 822,
Caterina Emmerich : 1082. 857, 870, 877, 881, 885, 886,
Cathrein: 268. 887, 888, 998, 1077.
Caussade: 936. Crisostomo (S. Giovanni): 719,
Cayré: 301, 336. 720, 752, 1041.
Cecilia (S.): 1087. Cristina di Stumbeln (Beata):
Cerda (Luisa de la): 579, 598. 1101.
Ceuppens: 145, 152. Cuervo (Justo): 789.
1180 INDICE ONOMASTICO

Dalbiez : 167, 172, 175. Fénelon: 491.


Damasceno (S. Giovanni): 752. Ferrerò: 147, 148, 153, 157.
Damaso (S.): 147. Filippo della SS. Trinità: 520,
Daza: 996. 1067, 1068.
Ddacroix : 35, 1083. Filippo Neri (S.): 546, 839,
1047, 1059, 1078, 1090, 1109,
Denzinger: 63, 94, 95, 98, 102,
1 1 2 1 , 1126, 1128.
110, 122, 124, 128, 147, 148,
205, 221, 222, 223, 225, 228, Fonck: 241, 304, 305.
231, 251, 255, 256, 275, 282, Foulliée: 924, 957.
363, 364, 434, 491, 525, 548, Francesca Romana (S.): 1082.
549, 551, 557, 559, 585, 609, 1129.
610, 611, 619, 709, 757, 759,
Francesco d’Assisi (S.): 520,
762, 815, 834, 899, 903, 946,
576, 577, 613, 614, 633, 636,
947, 1029, 1059.
685, 980, 1059, 1087, 1093,
Desurmont: 975. 1094, 1095, 1098, 1111, 1121,
D ’Hulst : 354. 1129.
Didimo il Cieco: 146. Francesco Borgia (S.): 536,
Diego de Estella: 375, 583. 587.
Dionigi Certosino: 166, 1010. Francesco da Paola (S-): 1078-,
1126, 1128.
Domenico di Guzman (S.):
Francesco di Levanto: 1129.
576, 636, 1129.
Durando: 104, 127, 248. Francesco di Sales (S.): 29,
32, 253, 261, 302, 332, 335,
Eckart: 335, 814.
364, 380, 388, 602, 732, 751,
Egidio Romano: 104. 764, 768, 773, 779, 791, 798,
-Elisabetta della Trinità: 47, 808, 814, 890, 904, 915, 917,
51, 73, 214, 311, 430, 478, 936, 938, 945, 946, 948, 957,
493, 541, 567, 591, 630, 680, 958, 964, 971, 973, 974, 975,
717, 909, 918. 979, 991, 993, 1001, 1007.
Elisabetta di Reute: 1105. 1010 , 1126.
Francesco di S. Tommaso - 521.
Enrico di Gand: 104.
Francesco Saverio (S.): 193,
Eudes (S. Giovanni): 76. 719, 961, 1087, 1089, 1111,
Eusapia Paladino: 1127. 1121 .
Eustazio di Sebaste: 759. Froebes: 464, 924, 957.
Froget: 118, 190, 205.
Eymieu: 470.
Gabriele di S. Maria Madda­
Taber: 975, 1020. lena: 294, 336, 999.
Factor (B. Nicola): 1090. Gaetano (Card.): 78, 102, 249,
Farges: 303, 812, 881, 888, 262, 585, 615, 1041, 1872.
1025, 1026, 1123. 1101.
INDICE ONOMASTICO 118 1

Gaetano (S.): 1078. Giovanni di Gesù Maria: 789.


Galtier : 205, 206. Giovanni della Croce (S.): 29,
Gàrate : 336. 32, 52, 75, 127, 213, 214,
217, 283, 285,286, 287, 295,
Gardeìl : 141, 147, 156, 190.
309, 315, 316, 317, 318, 332,
291, 336, 630.
333, 336, 339, 340, 352, 369,
Gar-Mar: 916. 371, 372, 373, 375, 378, 416,
Garrigou-Lagrange : 11, 15, 18, 423, 427, 428, 429, 437, 438,
21, 22, 29, 36, 76, 79, 118, 439, 440, 443, 445, 446, 448,
- 166, 167, 169, 172, 241, 263, 452, 453, 455,459, 462, 463,
268, 291, 303, 314, 320, 322. 466, 471, 475,480, 481, 482,
332, 336, 337, 343, 380, 421, 484, 492, 493, 494, 496, 497,
455, 463, 475, 489, 499, 503, 499, 500, 501, 502, 503, 505,
505, 506, 511, 512, 522, 529, 506, 507, 508,510, 512, 514,
536, 539, 548, 552, 556, 563, 515, 516, 518, 519, 521, 522,
584, 602, 639, 655, 687, 701, 524, 525, 526,527, 557, 565,
721, 733, 751, 812, 827, 853, 567, 576, 577, 579, 580, 589,
854, 855, 877, 904, 919, 922, 591, 596, 638,707, 770, 771,
937, 938, 939, 941, 948, 950, 773, 804, 806,808, 811, 814,
951, 968, 970, 972, 975,1025, 832, 837, 845,852, 857, 877,
1026, 1031, 1032, 1040. 878, 879, 880,881, 887, 891,
Gaudier (Le): 14. 897, 898, 899,901, 902, 904,
906, 909, 910,911, 912, 945,
Gaume: 190. 971, 977, 979,983, 987, 988,
Gay: 555, 584, 602, 687, 732. 989, 993, 998, 999, 1001,
Gemma Galgani (S): 392, 393, 1003, 1011, 1018, 1059, 1069,
393, 430, 1090, 1093, 1128. 1072, 1073, 1074, 1077, 1121,
1128.
Gerest: 292.
Giovanni di S. Anna: 423.
Gerscme: 883, 1010.
Giovanni di S. Tommaso: 144,
Gertrude (S.): 32, 901, 1086,
151, 185, 186, 207, 228, 563,
1103.
576, 677, 713, 1030, 1031.
Giacinto di Polonia (S.): 590.
Giovanni Federico di Bruns­
Giansenio: 815. wick: 1 1 2 1 .
Gibbons: 978. Giovanni Vicente : 102.
Giménez Samaniego : 1117.
Girolamo (S.): 146, 964, 979,
Giordano di Sassonia: 1131. 1001.
Giovanna d’Arco (S.): 651, Girolamo della Madre di Dio:
716, 718. 295, 336.
Giovanna di Valois (S.): 1103. Giuliana di Cornillon (Beata):
Giovanni XXII; 243, 717. 1089.
Giovanni di Dio (S.): 1078, Giuliano l’apostata : 358.
118 2 INDICE ONOMASTICO

Giuseppe da Copertino (S.): 975, 978, 980, 999, 1001,


839, 888 , 1047, 1078, 1111, 1002 , 10 10 .
1 1 2 1 , 1128. Guibert (Giovanni): 699, 924,
Giuseppe dello Sp. Santo (an­ 925, 931, 932, 957, 959,1050.
daluso): 521, 822. Guido Certosino : 788.
Giuseppe di Gesù Maria: 166.
Giustiniani (S. Lorenzo): 992. Hamon: 918.
Giustino (S.) : 146. Heerinck: 11, 14, 20, 37.
Godinez: 506, 1010. Hello: 375, 379.
Goerres: 1025, 1049. Hernandez: 539.
Goiburu: 431. Hock: 957, 959.
Gomà: 48, 539, 932. Hugon: 68, 76, 78, 539.
Gonzaga (S. Luigi): 443, 597, Hugueny : 268.
962. Huijben: 290.
Gonzales: 207.
Gotescalco: 282. Ignazio di Loiola (S.): 45, 536.
561, 577, 636,647, 689, 690,
Graciàn J.: 789. 719, 739, 740,744, 769, 789,
Granada (Fr. Luigi da): 457, 798, 801, 839,888, 905, 920,
583, 751, 764, 773, 789, 798. 923, 944, 964,671, 980,1010,
Granié: 1105. 1015, 1126.
Grandmaison: 299, 304, 310, Ilario (S.): 146.
828. Ilarione (S.): 392.
Gredt : 885, 1026, 1054, 1055, Ildegarda (S.) : 1086.
1068, 1112, 1114, 1115, 1124, Imbert: 1082, 1093, 1095, 1096.
1125.
Innocenzo III: 128.
Gregorio Magno (S.): 93, 127, Ippocrate: 27, 958.
146, 156, 159, 193, 450, 451,
599, 682, 718, 745, 845, 846, Iturbide : 999.
848, 1022. Ivo di Mohon: 301.
Gregorio Nazianzeno (S.): 146.
Jacopone da Todi: 1087.
Gregorio Nisseno (S.): 752.
Jaegher: 48, 336.
Grignon de Montfort (S. Lui­
Janvier: 354, 4M, 555, 584,
gi M.): 76, 77, 79, 82, 83,
602, 639, 655, 701, 721.
87, 425, 856.
Jimenez Duque: 166, 176, 285,
Guibert (Giuseppe de): 11, 14.
303, 308.
21, 22, 36, 169, 170, 241,
Joly: 306.
242, 244, 299, 308, 343, 344,
766, 768, 771, 787, 806, 812, Joret: 169, 291, 311, 336, 812.
850, 914, 932, 936, 948, 973, Jungmann: 74, 548.
INDICE ONOMASTICO 118 3

Kant: 926. Lombardo : 104, 124.


Kempis : 458. Lombroso: 1050.
Kleutgen: 298. Lopez Eaguerra-, 896, 1025,
Kostka: 1089. 1039, 1048.
Lopez GregoVio: 1086.
Labouré (S. Caterina): 87.
Lopez Speranza: 1086.
Lacordaìre: 589, 972, 973.
Lottin: 156, 169.
Lagrange J. M. : 1094.
Louismet: 291, 304, 336.
Lainez: 683.
Lozano: 217, 293.
Lallemant : 365, 366, 575, 577,
579, 600, 636, 637, 649, 650, Lucas : 302.
654, 682, 712, 714, 715, 719, Lucia (S.): 1059.
811, 814, 948, 951, 953. Lucìa di Narni: 1090.
Lamballe : 301, 332, 335, 812. Lueìiiio del SS. Sacramento:
Lambertini (Benedetto XIV): 296, 307, 316. '•
124, 897, 1025, 1076, 1077, Ludwina (S.): 1082, 1105,
1094. 1101, 1104, 1105, 1122, 1107, 1111, 1128.
1130. Lugo: 268.
Langeac: 1103, 1111.
Luigi (S.), re di Francia: 716.
Lateau: 1082, 1084,1085, 1105.
Lumbreras : 639.
Lazzari: 1101, 1105. Lutero: 358, 469.
Ledesma: 102.
Lutgarda (S.): 1101, 1103.
Lefèbre : 1082.
Lehmkul: 190. Macario di Alessandria: "'1107.
Lehodey: 289, 336, 506, 751, Macrobio: 130.
766, 812, 850, 936, 937, 938,
Mahieu: 455, 529, 539, 602,
939, 941, 946, 947.
850, 936, 940, 941, 944, 948,
Lejeune: 304, 444. 953.
Lemonnyer: 266. Maiella (S. Gerardo): 1128.
Leone (S.): 99, 101. Malapert: 924, 957.
Leone XIII: 150, 978. Maldonado: 1101.
Leseur: 425. Mandonnet: 171.
Lessio : 205, 683. Manning: 16, 190.
Liguoxi (S. Alfonso M. de): Maquart: 305.
32, 45, 76, 264, 386, 409,
410, 419, 536, 548, 597. 732, Marcello di Gesù Bambino:
751, 757, 758, 786, 791, 798, 127, 475.
936, 971, 1009, 1111, 1119. Marchetti: 20.
LIamera: 172, 293. Marechal: 34, 298, 812.
118 4 INDICE ONOMASTICO

M arechaux: 1025. Menessier : 11.


Margherita da Cortona (S.): Mercier: 14, 241, 270, 336.
392. Meric: 1033, 1049, 1111.
Maria degli Angeli (Beata): Merkelbach: 76, 112, 119, 659.
1129.
Mersch : 48.
Maria di Gesù Crocifisso: 404.
Meschler : 563.
Maria Teresa del Cuore di Ge­
Meynard: 14, 454, 455, 475,
sù: 430.
499, 506, 522, 715, 751, 812,
Marillac (S. Luisa de): 979, 853, 1025, 1065, 1072, 1075,
1001. 1076, 1078.
Marin Sola: 23. Michele dei Santi (S.): 888;
Marina de Escobar: 888. 1103, 1104.
Maritain: 306, 320, 812. Mir: 1025.
Marletta : 212. Monica (S.): 425.
Marmion: 48, 50, 52, 56, 66, Monsabré: 751.
289, 336, 375, 529, 538, 539, Morice: 1101.
548, 551, 679, 684, 687, 690, Mura : 48.
733, 735, 738, 741, 775. Murillo : 789.
Martin: 893.
Martino di Porres (B.): 1109, Nagore A. (vedi Lopez Ez-
1111. querra).
Martinez Luigi M.: 563. Napoleone: 367.
Martinez del Prado: 102. Naval: 15, 22, 302, 343, 455,
499, 503, 850, 914, 919, 932,
Masson, O.P. : 381.
970, 975, 1004, 1010, 1025,
Massoulié: 602, 751. 1076, 1077.
Maumigny: 297, 751, 766, 768, Nicola de Fliie (S.) : 1105.
812, 1025.
Nicola di Gesù Maria: 166.
Maury: 1095, 1097.
Noble: 464.
“M edina (Bartolomeo di): 104,
Noury: 1105.
124, 126.
Menendez Reigada (Fr. Albi­ Olier: 76, 740, 791, 1047,
no): 291, 293. 1078.
Menendez Reigada (Fr. Igna­ Omaechevarria : 335.
zio): 157, 161, 162, 172, 176,
Origene: 146.
177, 180, 208,216, 266, 276,
293, 566, 571,576, 582, 594, Ortega: 302.
595, 629, 634,653, 896, 986, Osanna di Mantova (B.): 1086,
1025, 1036, 1131. 1103.
Meneo: 1116. Ozanam: 1087.
INDICE ONOMASTICO 118 5

Paeheu : 300. Pottier: 563.


Palma (Luigi della) Poulain: 29, 214, 297, 298,
Paludano: 727. 329, 751, 806, 811, 827, 828,
829, 830, 831, 832, 834, 835,
Paola (S.): 979, 1001.
838, 839, 850, 853, 881, 888 ,
Paolo della Croce (S.): 524, 891, 899, 1025.
577, 685, 1007, 1090, 1121.
Pourrat: 805.
Paris: 147, 157.
Prat: 243.
Pascal: 641, 962.
Priimmer: 112, 556, 584, 602,
Passerini: 241, 246, 262, 268. 639, 655, 701, 721.
Paulhan: 924. Puente (Luis de la): 335, 751,
Paulot: 303. 975, 1010.
Payot : 464. Putigny: 1101.
Pazzi (S. Maria Maddalena
Queyrat: 924.
de’): 416, 520, 888, 889, 945,
1059, 11Ó3. Raimondo da Capua (Beato):
Peralta: 336. 900, 979, 1001, 1103.
Perardi: 76. Raimondo da Penafort: 1123,
Permeile: 172. 1129.
Ramirez: 11, 16, 17, 212, 213,
Petau: 205, 383.
586, 814.
Petrarca : 1094.
Ramon y Cajal: 1056.
Philipon: 45, 46, 51. 214, 311.
Regamey: 11.
336, 563, 568, 569, 576, 579,
630, 680, 718. Reginaldo da Piperno: 1087.
Pierrot : 190. Ribadeneyra: 908.
Piny : 936, 940. Ribet: 302, 375, 380, 390, 393,
400, 401, 411, 415. 421, 464,
Pio da Petrelcina: 1093.
529, 539, 751, 766, 768, 773,
Pio V (S.): 128. 794, 795, 796, 797, 811, 81.3,
Pio X (S.): 344, 541, 771, 810. 881, 883, 889, 914, 932, 969,
Pio XI: 172, 261. 970, 971, 873, 975, 991,1010,
Pitagora: 920. 1025, 1041, 1042, 1043, 1044,
Platone: 117, 130, 1056. 1049, 1051, 1054, 1056, 1058,
1060, 1063, 1086, 1089, 1103,
Plotino: 130, 1056.
1107, 1111, 1112, 1117, 1128,
Plus: 48, 73, 425, 430, 948, 1130, 1131.
953, 955, 956, 975.
Riccardo di S. Vittore: 814.
Pollien : 14, 45, 369, 533, 799,
919, 937, 944, 948. Ricciotti: 1101.
Pomponazzi : 1095. Richard: 268.
Pood: 1025, 1049. R ipalda : 124.
38.
118 6 INDICE ONOMASTICO

Rodriguez (S. Alfonso): 392, Seneca: 131, 731.


393, 901. Serafino P.: 1116.
Rodriguez (Alonso): 975. Sertillanges : 751.
Rojo: 430, 548. Silverio di S. Teresa: 789,
Rosa da Lima (S.): 1047, 1068.
1078, 1086, 1107, 1129. Silvestro: 727.
Rosa da Viterbo (S.): 1128. Silvio: 727.
Rouet de Journel: 243. Sinety: 512.
Rousselot: 34, 35.
Smedt: 14, 555, 584, 602, 639,
Roy (Le): 431. 687, 701, 721, 733.
Ruysbroeck: 335, 811, 814. Socrate: 117, 130, 1056.
Solano: 67.
Salle (S. Giov. Batt. della):
Soto (Domenico): 104, 124,
793.
655, 727.
Salmanticenses: 104, 203, 222, Spinoza : 926.
229, 249, 268, 612, 1030,
1044. Stolz: 290, 394 771, 812.
Salmeion: 1041. Suarez: 104, 124, 148, 206,
265, 276, 329, 683, 751,1030.
San Cristobal-Sebastian : 171. 1038, 1039, 1041, 1042, 1043,
Saudreau: 20, 303, 336, 343, 1081, 1101, 1113.
.346, 354, 380, 522, 523, 751,
787, 812, 1025, 1070, 1076. Sulpizio Severo: 405.
Surbled : 894, 1025, 1049, 1082,
Sauras: 48, 68.
1084, 1096, 1101, 1102, 1121,
Sauvé : 48, 54, 76, 539. 1122.
Savarese: 563. Surin: 399, 404, 406, 410.
Scaramelli: 437, 442,499,506, Susone (B. Enrico): 335, 811.
522, 529, 555, 584,602,639,
655, 687, 688, 701,710,721, Taille (M. de la): 298, 302,
732, 751, 811, 914,919,932, 336, 812.
975, 1010, 1011, 1012, 1015, Tanquerey: 11, 15, 22, 36, 241,
1017, 1020, 1021, 1025. 263, 303, 343, 366, 375, 380,
Scheeben: 205. 411, 421, 437, 475, 506, 520,
Schopenhauer: 926. 521, 522, 529, 539, 548, 556,
563, 584, 602, 639, 641, 655,
Schram: 380, 396, 405, 1010,
680, 687, 701, 721, 729, 730,
1065, 1067.
733, 741, 751, 768, 787, 809,
Schrijvers: 11, 14, 22, 36, 45, 812, 850, 881, 914, 919, 924,
300, 336, 343, 529, 714, 850, 932, 936, 948, 957, 970, 973,
975, 1025. 975, 994, 1005, 1010, 1025,
Scoto: 104, 127, 1076. 1064, 1068, 1093, 1121.
INDICE ONOMASTICO 1187
Taulero: 335, 339, 340, 510, Terrien: 76, 205.
811, 814, 857. T ertulliano : 1062.
Teotimo di S. Giusto: 301. Thibaut: 289, 290, 679, 684,
Teresa di Gesù (S.): 20, 29, 691, 742.
32, 164, 213, 214, 215, 216, Thyrée: 405.
217, 272, 286, 287, 301, 309, Tissot : 388, 920, 995.
310, 311, 312, 317, 321, 322,
Tocannier: 1079.
323, 332, 333, 334, 335, 336,
344, 346, 347, 352, 355, 359, Tommaso d’Aquino (S.): pas­
363, 379, 393, 407, 416, 421. sim
423, 424, 427, 446, 452, 453, Tommaso da Celano: 1087.
457, 459, 462, 503, 504, 513, Tomassino: 205.
516, 520, 523, 524, 525, 526,
Tongiorgi: 1113.
544, 545, 563, 567, 568, 572,
577, 579, 582, 590, 591, 596, Tonquedec: 34, 380.
597, 598, 614, 630, 652, 655, Toublan: 707, 708.
663, 668 , 707, 715, 716, 733, Touzard: 147, 152.
737, 752, 765, 770, 771, 772,
Tronson: 791, 793.
773, 776, 782, 783, 785, 794,
798, 800, 804, 805, 806, 807, Trouchu: 425, 917, 1022. 107').
808, 810, 811, 813, 817, 829,
831, 833, 835, 836, 837, 839, Ugo di S. Vittore: 154, 788,
840, 848, 854, 855, 858, 859, 900.
861, 862, 863, 864, 865, 866. Urbano V ili: 1 1 2 1 .
867, 868, 869, 870, 871, 872,
873, 874, 875, 876, 877, 878, Vaca: 1003.
880, 886, 887, 888, 889 890, Valencia: 104.
891, 892, 897, 900, 901, 902, Valensin: 1 1 , 299.
904, 905, 906, 907, 908, 909,
910, 911, 912, 929, 933, 937, Vallee: 214.
943, 945, 961, 962, 963, 965, Vallgornera: 241, 354, 455.
971, 977, 979, 980, 983, 988, 475, 520, 853, 881, 1025
996, 1001, 1002, 1004, 1006, 1065, 1066, 1070, 1074.
1051, 1053, 1057, 1059, 1067, Van Roey: 243.
1068, 1069, 1073, 1086, 1089, Vazquez: 154, 1041.
1095, 1107, 1108, 1109, 112],
1129, 1131. Vega: 124.
Teresa di Gesù Bambino (S.): Venceslao (S.): 1089.
56, 81, 321, 416, 430, 431, Vermeersch: 268.
567, 632, 652, 679, 681, 685, Veronica Giuliani (S.): 524.
696, 717, 720, 782, 962. Vigilanzio: 759.
Teresa Neumann: 1093, 1101, Villanova (S. Tommaso dai:
1105. 888, 1121, 1129.
1188 INDICE ONOMASTICO

Vincenzo de’ Paoli (.8,) : 454, Waffelaert: 304, 851.


979, 1001. Walz: 171.
Vincenzo Ferreri (S.) : 536, Weis (Alberto M.): 927.
578, 579, 977, 979, 1075, Weis (Carlo): 157.
1087.
Vittorino (S.): 146. Zacchi: 421.
Voltaire: 358. Zubizarreta: 224, 565.
INDICE GENERALE

Prefazione

I n t r o d u z io n e gen erale

1. Nozioni p r e l i m i n a r i .................................................. 11
2. Natura della Teologia della Perfezione Cristiana . 14
a) Il n o m e ....................................................................... 14
b ) Relazioni con gli altri rami della Teologia . . . 15
c) E s t e n s io n e .................................................................. 18
d) D e f in iz io n e ............................................................... 21
3. Importanza e n e c e s s i t à ............................................. 25
4. Moflo di studiarla ; ....................................................... 27
5. M e t o d o ............................................................................. 28
6. Fonti . . . ............................................................. 30
A. Fonti t e o lo g i c h e ................................................... 30
B. Fonti s p e r im e n t a li............................................... 34
7. D iv is i o n e ......................................................................... 36

PARTE I

IL FI NE

CAPITOLO I. — Il fine della vita cristiana . . . . 41


1. L a gloria di Dio, fine ultimo e assoluto . . . . 41
2. La santificazione dell’anima, fine prossimo e rela­
tivo ............................................................................... 46
119 0 INDICE GENERALE

CAPITOLO II. — La configurazione a Cristo . . . . 47


Art. I. - Il mistero di C r i s t o ........................................ 48
1. Gesù Cristo, v i a ....................................................... 48
2. Gesù Cristo, v e r i t à .................................................. 52
a) Con la sua p e r s o n a ........................................ 52
b) Con le sue o p e r e ................................................. 53
c) Con la sua d o ttr in a ............................................ 54
3. Gesù Cristo, v i t a ...................................................... 56
a) Causa meritoria della g r a z i a .............................. 56
b) Causa e ff ic ie n t e .................................................. 57
c) Influsso vitale sulle membra delCorpo Mistico 60
Art. II. - Come vivere il mistero diCristo. . . . 68

CAPITOLO III. — La Vergine Maria e la nostra santi­


ficazione .......................................................................... 76
1. Fondamento dell’intervento di Maria SS. . . . . 77
2. Ufficio di Maria SS ...................................................... 79
3. La vera devozione a M a r i a ....................................... 83
4. Principali devozioni m a r i a n e .................................. 85

A p p e n d ic e . — La Santa schiavitù m a ria n a .................... 87

PA R TE II

PRINCIPI FONDAMENTALI
DELLA TEOLOGIA DELLA PERFEZIONE

CAPITOLO I. — Natura e organismo della vita sopran­


naturale .......................................................................... 93
Nozioni p re lim in a ri........................................................... 93
1. La vita naturale dell’u o m o .................................. 93
2. La vita sopran n aturale............................................ 94
INDICE GENERALE 119 1

Art. I. - Il principio formale della nostra vita sopran­


naturale ..................................................................... 95

1. Nozioni preliminari di p s ic o lo g ia ........................ 95


2. Il principio formale in se s t e s s o ......................... 96
1) Natura della grazia s a n tific a n te .................... 97
2) Soggetto della g r a z i a ....................................... 104
3) E f f e t t i .....................................................................105

Art. II. - Le potenze so p ran n atu rali..............................I l i


I. L e virtù i n f u s e ............................................112
1. Esistenza e n e c e s s i t à ........................................112
2. N a t u r a ...................................................................114
3. Differenza tra le virtù naturali e soprannaturali 119
4. Proprietà g e n e r a l i ............................................. 120
5. D i v i s io n e .............................................................. 123

A) Le virtù t e o lo g a li ............................................ 123


1. E s is t e n z a ........................................................ 123
2. N a t u r a ............................................................ 125
3. N u m e r o ........................................................... 125
4. O r d i n e ............................................................ 126
5. S o gg etto ........................................................... 127
B) Le virtù m o r a li ................................................. 127
1. E s is t e n z a .................................... .... 127
2. N a t u r a ............................................................ 128
3. N u m e r o ........................................................... 129
C) Le virtù c a r d in a li............................................. 130
1. N a t u r a ............................................................ 130
2. N um ero........................................................... 133

Quadri sinottici
Prudenza e Virtù d e r iv a t e ..............................134
Giustizia e Virtù d e r i v a t e .............................135
Fortezza e Virtù derivate . . . . . . 137
Temperanza e Virtù d e r iv a t e .........................138
119 2 INDICE GENERALE

II. I d o n i dello Spirito Santo .. . . 140


1. Introduzione.......................................................... 141
2. E s is te n z a ............................................................. 143
3: N u m e r o ...............................................................151
4. N a t u r a ................................................................. 154
5. Distinzione specifica dallevirtù infuse . . . 156
6. Ammettono un duplice modo dioperazione? . 166
7. Necessità dei d o n i ..............................................180
8. Relazioni v ic e n d e v o li...................................... 191
9. Relazioni con le virtù i n f u s e ....................... . 193
10. Relazioni con i frutti dello Spirito Santo e le
b e a titu d in i........................................................... 194
11. Durata dei d o n i ................................................. 197
12. Sintesi della dottrina di S. Tommaso suidoni 198

Art. ìli. - Le grazie a t t u a l i ............................................ 200


1. N a t u r a .............................................. ........................ 200
2. N e c e s s ità .....................................................................201
3. D iv is io n i..................................................................... 202
4. F u n z io n i..................................................................... 203

Art. IV. - L’inabitazione della SS. Trinità nell’anima 204


1 . Esistenza............................... .... ..................................204
2 . N a t u r a ........................................................................ 206
3. F i n e ............................................................................208

CAPITOLO IL — Lo sviluppo dell9organismo sopranna­


turale ............................................................................... 219
l a conclusione: la grazia tende a crescere . . . . 219
2a conclusione: Dio, causa e ff ic ie n t e ..................... 219
3a conclusione: mezzi per l ’a u m e n t o ......................221
a) I S a c ra m e n ti........................................................ 221
b) Il merito soprannaturale.................................... 223
c) L ’o r a z io n e ............................................................. 230
4a conclusione: efficacia infallibile della preghiera . 232
INDICE GENERALE 119 3

5a conclusione: sviluppo degli altri abiti infusi . . 236


Elementi comuni ed elementi particolari nello sviluppo
della vita cristiana ....................................................... 238

CAPITOLO III. — La perfezione cristiana . . . . 239

1. La perfezione in g e n e r a le ....................................... 240


a) Senso etimologico . . ..............................240
b) Senso r e a l e ............................................................. 240
2. Natura della perfezione c r is t ia n a ..............................241
3. Obbligo della perfezione c r i s t i a n a .........................259
A) Senso e dimostrazione delFobbligo generale . 260
B) Obbligo per il sacerdote e il religioso . . . . 263
C) Obbliga tutti la pratica del più perfetto? . . . 266
D) Concetto di im p e rfe z io n e ................................... 268
4. I gradi della perfezione c r is t ia n a ..............................270
5. La perfezione è possibile in questa vita? . . . . 273
6. La perfezione cristiana e la predestinazione . .. 277
7. I presupposti della perfezione cristiana . . . . 280
CAPITOLO IV — Natura della M i s t i c a .........................284
1. Introduzione e questione di m e t o d o .........................284
2. Il costitutivo essenziale della M i s t i c a ....................288

A) Stato attuale della q u e s tio n e ..............................288


B e n e d e t t in i..............................................................289
D o m e n ic a n i............................................................. 291
C a r m e lita n i............................................................. 294
G e s u i t i ......................................................................297
Autori in d ip e n d e n ti.............................................. 300

B) Sintesi t e o l o g i c a ................................................... 307


3. Questioni co m p lem e n ta ri..........................................318

CAPITOLO V — Relazioni tra la perfezione cristiana


e la M i s t i c a ................................................................. 325
119 4 IN D ICE G EN ER A LE

1. Impostazione e importanza della questione . . . 325


2. Senso della questione ..................................................326
3. Conclusioni...................................................................... 327

PARTE III

LA VITA CRISTIANA
NEL SUO SVILUPPO ORDINARIO

In tro d u zion e........................................................................... 343


Idea generale dello sviluppo della vita cristiana . . . 345

Libro I. — ASPETTO NEGATIVO DELLA VITA CRI­


STIANA
CAPITOLO I. — La lotta contro il peccato . . . . 354
Art. 1. - Il peccato m o r t a le ............................................ 354
1. I p e c c a t o r i.................................................................354
a) I peccati di ig n o ra n z a ....................................... 355
b) — di f r a g i l i t à ...................................................... 356
c) — di in d iffe r e n z a ............................................. 357
d) — di ostinazione e dim a l i z i a ...........................357
2. L’orrore per il peccato m o r t a le ..............................359
Avvertenze per il direttores p ir itu a le ......................360

Art. II. - Il peccato v e n i a l e .............................................361


1. N a t u r a ........................................................................362
2. D iv is io n e .....................................................................362
3. M a l i z i a ....................................................................... 363
4. E f f e t t i ..........................................................................366
5. Mezzi per co m b a tterlo .............................................368

A r t. III. - Le imperfezioni................................... 369


IN D ICE G EN ER ALE 119 5

CAPITOLO II. — La lotta contro il mondo . . . . 375


1. Che cos’è il m o n d o ................................................. 376
2. Modo di co m b a tterlo .................................................. .......... 377

CAPITOLO III. — La lottacontro il demonio . . . . 380


Art. I. - La te n t a z io n e ................................................. 381
1. Psicologia della te n ta z io n e ................................... 383
2 . Condotta pratica nella te n ta z io n e .........................386

Art. II. - L’ossessione d ia b o lic a .................................. 389


1. N a t u r a ....................................................................... 390
2. S p e c i e ......................................................................... 391
3. C a u s e ..........................................................................393
4. Condotta del d ir e tto r e ............................................ 394
Art. III. - La possessione d ia b o lic a ..............................396
1. Esistenza . . . . - ....................................... 396
2. N a t u r a ....................................................................... 397
3. S e g n i ...........................................................................401
4. C a u s e ..........................................................................404
5. R i m e d i .......................................................................406

CAPITOLO IV. — La lotta contro la propria carne . . 411


Art. I. - La sete insaziabile di g o d im e n ti....................411
1. Natura della co n cu p iscen za................................... 411
2. R i m e d i ....................................................................... 415
Art. II. - L’orrore dèlia so ffe re n za .................................. 421
1. Necessità della s o ff e r e n z a ....................................421
2. E c c e lle n z a ..................................................................423
3. I gradi di amore per la s o ffe r e n z a ....................426

CAPITOLO V. — La purificazione attiva delle potenze 432


Art. I. - Necessità della purificazione delle potenze . 432
Art. II. - La purificazione attiva deis e n s i ......................435
Nozioni p re lim in a ri...................................................... 435
1196 IN D IC E G E N E R A LE

A. Purificazione dei sensi e s t e r n i ........................ 437


1. La v i s t a .......................................................... 441
2. L’udito e la l i n g u a ...................................... 443
3. L’odorato . . ......... .................................... 448
4. Il g u s t o .......................................................... 448
5. Il tatto . . ................................................. 453
B. Purificazione dei sensi i n t e r n i ..............455
1. Il senso comune el’e s tim a tiv a ..................... 456
2. L ’immaginazione of a n t a s i a ........................... 456
3. La m e m o r i a ..................................................459

Art. III. - Purificazione attiva delle passioni . . . . 464


1. Nozioni p re lim in a ri.......................................464
2. Natura delle p a s s io n i ...................... ...........466
3. N u m e r o ........................................................... 466
4. Im p o rta n za ......................................................468
5. Educazione delle p a s s io n i............................ 469
6. Avvertenze per il d ir e t t o r e ........................ 474

Art. IV. - Purificazione attiva delle potenze dell’anima 475


A. Purificazione dell’i n t e lle t t o ........................ 476
1. Nozioni p r e lim in a ri................................. 476
2. Aspetto n e g a t iv o ...................................... 478
3. Aspetto p o s it iv o .......................................484

B. Purificazione della v o lo n t à ........................ 489


1. Nozioni p r e lim in a ri................................. 489
2 . Necessità della purificazione della volontà . 491
a) Distacco dalle c r e a t u r e ....................492
b) La perfetta abnegazione di s é ....... 497

CAPITOLO VI. — Le purificazioni p a s s iv e ................... 499

Art. I. - Necessità delle purificazioni passive . . . . 499


Art. II. - La notte del s e n s o ..................... . . . 506
IN D IC E G EN ER A LE 1197

1. N a t u r a ............................ .... .......................................506


2. C a u s e .......................................................................... 507
3. S e g n i .......................................................................... 510
4. Condotta pratica dell’a n i m a ...................................... 514
5. E f f e t t i ......................................................................... 518
6. D u r a t a ....................................................................... 519
7. Suo posto nella vita s p ir itu a le ..............................520
Art. 111. - La notte dello s p i r i t o ...................................522
1. N a t u r a ....................................................................... 522
2. C a u s e ..........................................................................523
3. E f f e t t i ......................................................................... 524
4. N e c e s s ità .................................................................... 525
5. D u r a t a ........................................................................ 525
6. Suo posto nella vita s p ir itu a le ............................. 526

Libro 11. — ASPETTO POSITIVO DELLA VITA CRI­


STIANA
I. M ezzi fondamentali di p e r f e z io n e ..............................529

CAPITOLO I. — I sa cra m en ti........................................529


Art. ì, - Il sacramento della penitenza . . . . . 530
1. Suo valore so sta n z ia le ............................................ 530
2. Disposizioni per riceverlo fruttuosamente . . . 531
3. Effetti della c o n fe s s io n e ........................................537
4. Virtù della penitenza e spirito dicompunzione . 538

Art. II. - L’Eucarestia, fonte di santificazione . . . 539


1. Efficacia santificante dell’E u c a r e s tia ....................540
2. Disposizioni per c o m u n ic a r s i.............................. 542
3. Il rin graziam en to......................................................544
4. La comunione s p ir it u a le ........................................547
5. La visita al S a n tis s im o ........................................547
Art. III. - La Santa Messa come mezzodi santificazione 548
1. Nozioni p re lim in a ri..................................................548
2. Fini ed effetti della Santa M e s s a .........................549
3. Disposizioni per la Santa M e s s a .........................553
119 8 IN D ICE G EN ER A LE

CAPITOLO II. — Le virtù, infuse e i doni dello Spirito


Santo . . . . . . . . . . . . . . . . . 555
A. Le virtù t e o l o g a l i ........................................ 555
Art. 1. - La virtù della f e d e ........................................555
1. N o z io n i .......................................................................556
2. Peccati contro la f e d e ............................................ 559
3. Lo sviluppo della f e d e ............................................ 560
Il dono dell’intelletto
1. N a t u r a ....................................................................... 563
2. N e c e s s it à ................................................................... 565
3. E f f e t t i ........................................................................ 566
4. Beatitudini e f r u t t i ..................................................569
5. Vizi c o n t r a r i .............................................................570
6. Mezzi per fomentarequesto dono .......................... 571
I l dono della scienza
1. N a t u r a ....................................................................... 574
2. N e c e s s it à ................................................................... 575
3. E f f e t t i ........................................................................ 575
4. Beatitudini e f r u t t i .................................................. 580
5. Vizi c o n t r a r i .............................................................581
6. Mezzi per fomentarequesto d o n o ...........................582

Art. 11. - La virtù della s p e ra n z a .................................. 584


1. N o z io n i .......................................................................584
2. Peccati contro la s p e r a n z a .................................. 585
3. Sviluppo della s p e r a n z a ........................................ 587

Il dono del timore


1. N a t u r a ....................................................................... 591
2. N e c e s s it à ................................................................... 594
3. E f f e t t i ........................................................................ 596
4. Beatitudini e f r u t t i ..................................................598
5. Vizi c o n t r a r i .............................................................599
6. Mezzi per fomentarequesto d o n o ...........................600
INDICE GENERALE 119 9

Art. III. - La virtù della c a r i t à .................................. 602


1. La carità in se s t e s s a ............................................ 602
2. L’aumento della c a r i t à ............................................ 605
3. Oggetto della c a r i t à ............................................. 612
4. Ordine della c a r i t à ..................................................618
5. L ’amore, atto principale della c a r i t à ......................621
6. Effetti della c a r i t à .................................................. 625
7. Peccati o p p o s t i.......................................................... 623
I l dono della sapienza
1. N a t u r a ....................................................................... 625
2. N e c e s s it à ................................................................... 628
3. E f i e t t i ........................................................................ 629
4. Beatitudini e f r u t t i ................................................. 633
5. Vizi c o n t r a r i .............................................................634
6. Mezzi per fomentare questo d o n o .........................635
B. L e v i r t ù m o r a l i .............................................. 638
Art. IV. - La virtù della p r u d e n z a ..............................639
1. N a t u r a ....................................................................... 639
2. Importanza e n e c e s s ità ............................................ 640
3. Parti della p r u d e n z a ............................................. 642
4. Vizi o p p o s t i ............................................................. 645
5. Mezzi per s v ilu p p a r la .............................................646
I l dono del consiglio
1. N a t u r a ....................................................................... 648
2. N e c e s s ità .................................................................... 649
3. E f f e t t i ..........................................................................650
4. Beatitudini e f r u t t i ................................................. 653
5. Vizi o p p o s t i ............................................................. 653
6. Mezzi per fomentare questo d o n o .........................654
Art. V. - La virtù della g iu s t iz ia .................................. 655
1. N a t u r a ....................................................................... 655
2. Importanza e n e c e s s ità ............................................ 656
3. Partì della g iu s t iz ia ................................................. 657
12 0 0 INDICE GENERALE

4. Mezzi per perfezionarsi in e s s a ..............................660


Virtù annesse
I. La virtù della r e lig io n e ....................................... 664
1. N a t u r a ................................................................ 664
2. A t t i ......................................................................664
a) La d e v o z io n e .............................................. 665
b) L’o r a z i o n e .................................................... 668
c) L’a d o ra zio n e ..................................................668
d) Il s a c r if ic io .................................................. 669
e) Le offerte . ..................................................669
/) II v o t o ........................................................... 670
g) Il giu ram en to ................................................670
h) Lo s c o n g iu r o ...............................................671
i) L’invocazione del nomedi Dio . . . . 671
3. Peccati o p p o s t i................................................. 672
II. La virtù della p i e t à ........................................ 673
1 . N a t u r a .................................................................673
2. Peccati o p p o s t i ................................................675
3. Mezzi per sviluppare la p i e t à .......................... 675
Il dono della pietà
1 . N a t u r a ........................................................................676
2 . N e c e s s ità ............................................ ' .......................678
3. E f f e t t i ..........................................................................678
4. Beatitudini e f r u t t i ..................................................681
5. Vizi o p p o s t i ..............................................................682
6. Mezzi per fomentare questod o n o ...........................684
III. La virtù dell’o sse rv a n za ................................... 685
a) La d u l i a ............................................................ 686
b) L ’o b b e d ie n z a .................................................... 687
1. N a t u r a ............................................................687
2 . E c c e lle n z a ...................................................... 688
3. G r a d i ............................................................. 689
4. Q u a l i t à ..........................................................690
5. V a n t a g g i ........................................................692
INDICE GENERALE 12 0 1

6 . Cristo, modello s u p r e m o ..........................693


7. C o n tra ffa zio n i...............................................693
IV. La g r a t it u d in e ................................................... 695
V. La vendetta o il giusto c a s t i g o .........................696
VI. La v e r a c it à .......................................................... 697
VII. L’amicizia o a f f a b i l i t à ................................... 698
VIII. La lib e r a lit à ..................................................... 699
IX. L’equità o e p ic h e ia ...........................................700

Art. VI. - La virtù della fo r t e z z a .................................. 701


1. N a t u r a ....................................................................... 701
2 . Importanza e n e c e s s it à ............................................ 702
3. Vizi o p p o s t i .............................................................703
4. Parti della f o r t e z z a ................................................. 703
Virtù derivate
1) La m a g n a n im ità ..................................................704
2) La m a g n ific en za ..................................................705
3) La p a z ie n z a .......................................................... 706
4) La lo n g a n im ità ................................................... 708
5) La p erse ve ra n za .................................................. 709
6) La c o s ta n z a ............................. .............................709
7) Mezzi con cui perfezionarsi in e ss e ....................710
Il dono della fortezza
1. N a t u r a ....................................................................... 711
2 . N e c e s s ità .................................................................... 713
3. E f f e t t i ........................................................................ 715
4. Beatitudini e f r u t t i ..................................................718
5. Vizi o p p o s t i ............................................................. 718
6. Mezzi per fomentare questo d o n o ....................719

Art. VII. - La virtù della tem p e ra n za .........................721


1. N a t u r a ........................................................................721
2. Importanza e n e c e s s ità ............................................ 722
3. Vizi o p p o s t i .................................... ........................ 722
12 0 2 IN D IC E G E N E R A LE

4. Parti della te m p e r a n z a ........................................ 723


a) In te g r a n ti......................................................... 723
1) La v e r g o g n a ...................................................723
2) L’o n e s t à ............................................................ 724
p) S o g g e ttiv e .............................................................724
1) L’a s tin e n z a .......................................................724
2) La s o b r ie t à ..................................................... 725
3) La c a s t i t à ....................................................... 726
4) La v e r g i n i t à ................................................... 726
y) P o t e n z ia li .............................................................. 727
1) La c o n tin e n z a .................................................728
2) La m ansuetud in e........................................... 728
3) La c le m e n z a ................................................... 731
4) La m o d e s t ia ................................................... 732
I. L’u m i l t à ....................................................... 732
1. N a t u r a .................................................. 733
2. E c c e lle n z a .............................................736
3. Im p o rta n za ............................................736
4. G r a d i ......................................................738
5. P r a t i c a .................................................. 741
6 . Vizio o p p o s t o ....................................... 745

II. La s tu d io s ità ............................................. 746


III. Modestia c o rp o ra le .................................. 747
IV. L’e u t r a p e lia .............................................. 747
V. La modestia nell’ornaiùento . . . . . 748

Il dono del timore e la virtù della temperanza

CAPITOLO III. — La vita dì o r a z io n e .........................751

Sezione I. - L’orazione in g e n e r a le ..............................751


1. N a t u r a ........................................................................751
2. Convenienza e n e c e s s it à ................................... .... 753
3. Chi si deve p r e g a r e ............................................. 758
4. Per chi si deve p r e g a r e ........................................ 762
INDICEGENERALE 12 0 3

5. Efficacia s a n tific a n te ........................................... 763


6. D i f f ic o l t à .................................................................766
a) Le d is tra z io n i.....................................................766
b) Le a r i d i t à .......................................................... 768
7. Scogli da e v i t a r e ..................................................... 770
Sezione II. - I gradi diorazione. . . . . . . . 770
1. In tro d u zio n e ...........................................................770
2. C lassificazio n e................................................. .... . 773

A. T a p p a p r e v a l e n t e m e n t e ascetica . 774
1° g r a d o : l’orazione v o c a l e ...........................774
1. Convenienza e n e c e s s it à ................................774
2. Sue c o n d iz io n i...................................................775
3. D u r a t a ..................................................................777
4. F o r m u le ................................................................ 779
5. Il Padre n o s t r o ..................................................779
2° g r a d o : la m e d ita z io n e ...............................784
1. Natura . . ....................................................... 784
2. Importanza e n e c e s s ità .......................................785
3. M e t o d o ................................................................. 787
4. Argomenti di m e d ita z io n e ...............................793
5. Dettagli co m p lem en tari....................................796
a) T e m p o .............................................................796
b) L u o g o ................................................................ 797
c) P o s iz io n e ......................................................... 797
d) D u r a t a .............................................................798
3° g r a d o : l’orazione a f f e t t iv a ......................... 800
1. N a t u r a ..................................................................800
2. P r a t i c a ................................................................. 802
3. V a n t a g g i ..............................................................802
4. Ostacoli e in co n v en ien ti...................................803
5. F r u t t i .................................................................... 804
4° g r a d o : l’orazione di s em p lic ità ....................805
1. Il n o m e ................................................................ 805
12 0 4 IN D IC E G E N E R A LE

2 . N a t u r a .................................................................. 806
3. P r a t i c a ..................................................................807
4. V a n t a g g i .............................................................. 810
5. O b ie z io n i............................................................. 810
B. T a p p a p r e v a l e n t e m e n t e m i s t i c a . . 811
Introduzione. - La contemplazione in generale . . 811
1. N a t u r a .................................................................. 812
A) Contemplazione n a t u r a l e ...........................812
B) Contemplazione soprannaturale . . . . 812
1) Principio p s ic o lo g ic o .............................. 814
2) Principio soprannaturale........................ 818
3) Caratteristiche p sic o lo g ich e ................... 827
4) Processo p s ic o lo g ic o .............................. 840
5) D e fin iz io n e ............................................... 841
2. E c c e lle n z a ............................................................ 843
3. E’d e s id e r a b ile ? .................................................. 849
4. Disposizione per la contemplazione...................852
5. Chiamata immediata alla contemplazione . . 856
I gradi di orazione c o n te m p la tiv a ..............................858
5° g r a d o : il raccoglimento i n f u s o ....................858
1. N a t u r a .................................................................. 858
2. Fenomeni c o n c o m ita n ti....................................860
3. Condotta pratica dell’a n i m a ............................. 860
6 ° g r a d o : la q u i e t e ............................................ 862
1. N a t u r a ..................................................................862
2. E f f e t t i ..................................................... .... 865
3. Fenomeni c o n c o m ita n ti....................................865
a) Il sonno delle p o te n z e .................................. 866
b) L ’inebriamento di a m o r e ............................. 867
4. Condotta pratica dell’a n i m a .......................... 868
7° g r a d o : l’orazione di u n io n e ......................... 871
1. N a t u r a .................................................................. 871
2. Caratteristiche e s s e n z ia li...................................874
IN D ICE G EN ER ALE 120 5

3. E f f e t t i .................................................................... 875
4. Fenomeni c o n c o m ita n ti....................................876
a) I tocchi m i s t i c i .............................................877
b) Gli i m p e t i ............................................ 878
c) Le ferite di a m o r e ....................................... 879
d) Le piaghe d’a m o r e ....................................... 880

8° g r a d o : Vunione estatica o sposalizio spiri­


tuale ........................................ . 881
1. Il fenomeno esterno . . .............................. 882
2. Sue cause p o s s ib ili............................................ 882
a) L ’estasi soprannaturale
1. N o z io n e .................................................................883
2. Sue s p e c i e ............................................ 884
A. Estasi p r o f e t ic a .............................................884
B. Estasi m i s t i c a .................................................884
1. D efin izio n e .................................................884
2. C a u s e .........................................................885
3. G r a d i .......................................................... 886
4. F o r m e .......................................... . 887
5. Attitudine dell’e s t a t i c o .......................... 888
6. D u r a t a ....................................................... 888
7. F r e q u e n z a ..................................................888
8. Merita l’anima in e s s a ? .........................889
9. E f f e t t i ........................................................ 889
10. Lo sposalizio s p ir it u a le ......................... 891
11. Richiamo dell’estatico . .........................891

b) Le falsificazioni dell’estasi mistica


A. L ’estasi n a t u r a le ............................................893
1. Lo svenimento naturale o sincope . . 894
2. Il sonnambulismo spontaneo . . . . 894
3. L’ip n o t is m o ...............................................895
4. L ’is te r is m o .................................................895
B. L ’estasi d ia b o lic a ........................................... 896
12 0 6 IN D IC E GEN ERALE

9° g r a d o : l’unione trasformante o matrimonio


s p ir it u a le ............................................. 897
1. N a t u r a ....................................................................... 897
2. C’è confermazione in g r a z i a ? ........................... 901
3. E ’ possibile in questa vita la visione beatifica? 903
4. E f f e t t i ........................................................................ 904
5. L a morte dei S a n t i ................................................910
6. Tutti potremo giungere a queste altezze . . 911

II. M ezzi secondari di p e r f e z i o n e ................................. 913

CAPITOLO IV. — Mezzi secondari in t e r n i ......................913


1) S t i m o l i psicologici
A. C h e t o c c a n o l’ i n t e l l e t t o ......................... 914

Art. I. - L a presenza di D i o ...........................................914


1. N a t u r a ............................................................................. 914
2. Efficacia s a n t if ic a n t e ..................................................914
3. Fondamento t e o l o g i c o ...................................... ..... . 915
4. C o n s e g u e n z e ...................................................................917
5. Modo di p r a t i c a r l a ......................................................918
Art. II. - L ’esame di c o s c ie n z a ...........................................919
1. N a t u r a ............................................................................. 919
2. I m p o r t a n z a ......................................................................919
3. D iv is io n e .......................................................................... 920
4. Modo di f a r l o .............................................................920
B. C h e toccano l a v o l o n t à ........................... 924
Art. III. - L ’energia del c a r a t t e r e ...............................824
1. N a t u r a ............................................................................. 924
2. Origine del c a r a t t e r e ................................................. 925
3. Lineamenti del carattere i d e a l e ............................927
4. Formazione del c a r a t t e r e ...........................................931
Art. IV. - Il desiderio della p e r fe z io n e ...........................932
1. N a t u r a ........................................................................... 933
IN D ICE G E N E R A LE 12 0 7

2. Necessità ................................................................... 933


3. Q u a l i t à .......................................................................934
4. Mezzi per e c c it a r lo ..................................................936
Art. V. - La conformità con la volontà di Dio . . . 936
1. N a t u r a .................................................................. .... 937
2. F o n d a m e n to .............................................................. 938
3. Eccellenza e n e c e s s it à ............................................ 939
4. Modo di p r a t ic a r la ..................................................941
5. Frutti e v a n t a g g i ................................................... 947

Art. VI. - La fedeltà alla g r a z i a .................................. 948


1. N a t u r a ....................................................................... 948
2 . Importanza e necessità ............................................ 949
3. Efficacia s a n tific a n te ..............................................951
4. Modo di p r a t ic a r la ..................................................953
2) S t i m o l i f i s i o l o g i c i
Art. VII. - Miglioramento del proprio temperamento . 957
1. N a t u r a ....................................................................... 958
2. Classificazione dei tem p eram en ti......................... 958
A. S a n g u ig n o ............................................................959
B. N e r v o s o .................................................................961
C. C o lle r ic o ............................................................... 963
D. F lem m atico ............................................- - . 964
3. Conclusione g e n e r a le ..............................................966
4. Il temperamento i d e a l e .........................................966

CAPITOLO V. — Mezzi secondari e s t e r n i.................... 967

Art. I. - Il piano di v i t a ................................................. 967


1. N o z io n e ...................................................................... 967
2. U t i l i t à ........................................................................ 967
3. Q u a l i t à .......................................................................969
4. La sua o s se rv a n z a .................................................. 970
Art. II. - La lettura s p i r i t u a le .............................................970
1208 IN D IC E G E N E R A LE

1. Utilità e im p o rtan za............................................... 970


2. Libri p r i n c ip a li.........................................................971
3. Modo di l e g g e r e ..................................................... 972
A tL III. - Le sante a m i c i z i e ........................ 973
1. Valore di un buon a m i c o ................................. 973
2. Deviazioni p e r ic o lo s e .............................................974

Art. IV. - La direzione s p ir it u a le ................................. 975


A. Nozioni p r e v i e ............................... ,.......................976
1. Natura della d ir e z io n e ....................................... 977
2. Importanza e n e c e s s it à ....................................977
B. Il direttore s p ir itu a le ............................................. 980
1. D e fin izio n e ........................................................... 980
2. Confessione e direttore ................................... 982
3. Qualità del d ir e t t o r e ........................................ 983
а) T e c n i c h e .......................................................... 983
б ) M o r a l i .............................................................. 989
4. Doveri del d ir e tto r e ............................................993
C. Il d i r e t t o ............................................................- 997
1. D e fin izio n e ........................................................... 997
2. Qualità e doveri del d i r e t t o ..........................998
a) In rapporto alla d ir e z io n e .........................998
b) Verso il d ir e t t o r e .........................................1000
D. Questioni com plem entari....................................... 1003
1. Scelta del d ir e t t o r e ............................................ 1003
2. Cambiamento di d ir e z io n e .............................. 1004
3. Pluralità di d ir e t t o r i........................................ 1006
4. La direzione e p is to la re .......................................1006

Appendice. — Il discernimento degli sp ir iti....................1010


1. Nozioni p r e v i e ............................................................. 1010
a) Che cosa s’intende per s p i r i t o .......................... 1010
b) Che cosa s’intende per discernimento . . . . 1011
c) Specie di d iscern im en to .......................................1012
IN D ICE G EN ER A LE 1209

2. Il discernimento acquisito c mezzi per conseguirlo . 1012


3. I tre spiriti che muovono l’a n i m a ................................1013
4. Segni di ognuno degli s p i r i t i ................... ..... 1015
A. Lo spirito di D i o ........................................... 1015
B. Lo spirito d i a b o l i c o ...................................................1018
C. Lo spirito u m a n o ........................................... 1020
5. Segni di spirito d u b b i o s o ............................................... 1021

PARTE IV

I FENOMENI MISTICI
STRAORDINARI

1. I n t r o d u z io n e ....................................................................... 1025
2. Nostro p i a n o ......................................................................

N ozioni previe

1. « N a tu r a » e « n a t u r a l e » ...............................................
2. Il « soprannaturale » .......................................................
a) N o z i o n e .........................................................................
b) D i v i s i o n e .......................................................................
3. Il « preternaturale » .......................................................

CAPITOLO I. — Le cause dei fenomeni straordinari .

Art. I. - Dio come autore dei fenomeni mistici . . .


Cause immediate dei f e n o m e n i ......................................
Le grazie '« gratis datae » ................................................
1. In tr o d u z io n e ..................................................................

3. Natura delle grazie « gratis datae » . . .


4. N u m e r o ..................... .......................................
12 10 IN D IC E G E N E R A LE

5. Esposizione di ognuna di e s s e ............................. 1041


a) F i d e s .............................. .......................................1041
b) Sermo s a p ie n t ia e ...............................................1042
c) Sermo s c ie n t ia e ...................................................1042
d) Gratia s a n ita tu m ................................................. 1044
e) Operatio v ir tu tu m .................................................1044
/) P r o p h e t ia ..............................................................1045
g) Discredo spirituum . . ..............................1047
h) Genera lin g u a r u m ..............................................1047
i) Interpretatio s e r m o n ù m .................................... 1048
Art. II. - Le cause puramente n a t u r a li .........................1049
1. Importanza e difficoltà di questa materia . . . 1049
2. Cause principali dei fenomeni di ordine naturale 1050
1) Elementi dì ordine fis io lo g ic o ......................... 1050
a) Il tem p eram en to.............................................1051
b) Il s e s s o ............................................................ 1052
c) L’e t à ..................................................................1053
2) L’im m aginazione..................................................1054
a) Non crea n u l l a .................................1055
è) Non può derogare alle leggi della natura . 1056
3) Gli stati depressi dello s p i r i t o .........................1056
a) Il lavoro intellettuale assorbente . . . . 1056
b) La meditazione religiosa mal regolata . . 1057
c) L ’eccessive a u s t e r i t à ................................ 1057
Criteri di distinzione..................................1057
4) Le m a la ttie ...................................................... 1058
Art. III. - Il d ia b o lic o ..................................................1059
Dottrina teologica sui d e m o n i................................... 1059
A. Quello che il demonio non può f a r e ................1060
B. Quello che può fare col permesso di Dio . . . 1062

CAPITOLO II. — I fenomeni in particolare . . . . 1063

Divisione f o n d a m e n t a l e ............................1063
IN D IC E G E N E R A LE 12 11

I. F enomeni di ordine c o n o sc it iv o ...................................1064

1) V i s i o n i .............................................................................1064
1. N o z i o n e ...................................................................... 1064
2. D iv is io n e .....................................................................1064
A. C o r p o r a l i .................................. .......................... 1065
B. I m m a g i n a r ie ....................................................... 1065
C. I n t e l l e t t u a l i .........................................................1066
1) C a r a tte r is tic h e ..............................................1066
2) E l e m e n t i ........................................................ 1067
3) Loro certezzae origine divina . . . . 1067
4) O g g e t t o ........................................................... 1068
5) Natura t e o lo g i c a .......................................... 1069
6) Regole di d isc e rn im e n to ...........................1070
2) L o c u z i o n i ........................................................................1070
1. N o z i o n e .....................................................................1070
2. D i v i s i o n e .................................................................. 1071
A. A u r i c o l a r i ............................................................1071
B. I m m a g in a r ie ....................................................... 1071
C. I n t e l l e t t u a l i .........................................................1072
a) S u c c e s s iv e ...................................................... 1072
b) F o r m a l i ...........................................................1073
c) S o s t a n z i a li ......................................................1073
3. Natura teologica delle l o c u z i o n i ...................... 1073

3) R i v e la z i o n i ......................................................................1074
1. N o z i o n i .......................................................................1074
2. Divisione f o n d a m e n t a le ....................................... 1074
3. Altre d i v i s i o n i ...........................................................1075
4. Le rivelazioni p r i v a t e ........................................... 1075
a) E s i s t e n z a ............................................................... 1075
b) Non entrano nel deposito della fede . . . 1075
c) Loro p o r t a t a .......................................................1076
d) Natura t e o l o g i c a ................................................ 1077
e) Regole di d isc e rn im e n to .................... .. . 1077
1^J2 IN D IC E CENERALE

4) Discrezione di spiriti .........................................................1 0 7 8

1. N o z io n e ................................................................. 10 7fi
2. Casi s t o r i c i ........................................................... 10 7 8
3. Spiegazione del fe n o m e n o ........................ . 10 79

5) lerognosi ( conoscenza istintiva di ciò che è sacro) 10 8 2

1. Il f a t t o ........................................................ .... . 10 8 2
2 . Casi s t o r i c i ........................................................10 8 2
Spiegazione del fe n o m e n o ................................ 10 8 4
6) A ltri fenomeni di c o n o s c e n z a .....................................10 8 5
1. Miracolosa iniziazione ai primi elementi dell’in­
segnamento p r im a r io ......................................... 10 8 6
2 . Scienza infusa u n iv e r s a le ...................................10 8 6
3 . Scienza infusa p a r z ia le ....................................... 10 8 6

4. Conoscenze soprannaturali di Teologia mistica 10 8 6


5. Profonde conoscenze di tutta la Teologia . . 10 8 6
6. Abilità infusa per l’esercizio delle arti . . . 1 0 8 7
Natura di questi fe n o m e n i................................10 8 7
li. Fenom eni di o r d in e a f f e t t i v o .....................................10 8 8

1) L ’ estasi mistica non è una grazia « gratis data » . 10 8 8

2) Gli incendi di a m o r e ......................................................... 10 8 9


1. Il f a t t o ..................................................................10 8 9
2. Loro gradi ............................................................ 10 8 9
a) Semplice calore i n t e r n o .............................. 10 8 9
b) Ardori in te n sissim i........................................ 10 8 9
c) Ustione m a t e r ia le ......................................... 10 9 0
3. Spiegazione di questi fenomeni . . . . . 10 91

III. F e n o m e n i d i o r d in e c o r p o r a l e .................................... 10 9 2

1 ) Le s t i g m a t e ...................................................................................10 9 2
1. Il f a t t o ..................................................................10 9 3
2. Numero degli stig m a tiz z a ti.............................. 10 9 3
3. Fu stigmatizzato S. P a o l o ? .............................. 1 0 9 4
4. Natura del fe n o m e n o ........................................ 10 9 4
A) Spiegazione ra z io n a lis ta ............................... 10 9 4
IN D IC E G E N E R A LE 1213

B) Spiegazione c a t t o lic a ........................................... 1098


5. Modo di p r o d u r s i .....................................................1099
6. Le stigmate d ia b o lic h e ..................................... . 1100
2) Lacrime e sudore di sangue . . . . . . . . 1101
1. Il f a t t o ....................................................................... 1101
2. Casi s t o r i c i ........................................... ..... 1101
3. S p ie g a z io n e ................................................................ 1101
3) Rinnovazione o cambio di c u o r i ....................1103
1. Il f a t t o ....................................................................... 1103
2. Casi s t o r i c i ................................................................ 1103
3. S p ie g a z io n e ................................................................1104

4) Inedia (digiuno a s s o lu to ) ....................................1105


1. Il f a t t o ....................................................................... 1105
2. Casi s t o r i c i ................................................................ 1105
3. S p ie g a z io n e ................................................................1105
5) Veglia (privazione prolungata del sonno ) . . . 1107
1. Il f a t t o ....................... ............................................... 1107
2. Casi s t o r i c i ................................................................ 1107
3. S p ie g a z io n e ................................................................ 1108

6) A g i l i t à ............................................................................. 1109
1. Il f a t t o ....................................................................... 1109
2. Casi s t o r i c i ................................................................ 1109
3. S p ie g a z io n e ................................................................ 1110
7) B ilo c a z io n e ......................................................................1111
1. Il fenomeno ecasi s t o r i c i ..................................... 1111
2. Spiegazione delfe n o m e n o ...................................... 1112
8) L e v it a z io n e ......................................................................1120
1. Il f a t t o ....................................................................... 1120
2. Casi s t o r i c i ................................................................ 1121
3. S p ie g a z io n e ................................................................ 1121
4. Sue fa ls ific a z io n i......................................................1122
9) S o tt ig lie z z a ......................................................................1123
1. Il f a t t o ........................................................................ 1123
1214 IN D IC E G E N E R A LE

2. Casi s t o r i c i .................................................................1123
3. S p ie g a z io n e ................................................................ 1124
10 ) Luci o s p l e n d o r i ...................... ............................................... 1 1 2 5
1. Il f a t t o ....................................................................... 1125
2. Casi s t o r i c i ................................................................ 1125
3. S p ie g a z io n e ................................................................ 1126
11) Profumo so p r a n n a tu ra le ............................................1128
1. Il f a t t o .................................................................. • 1128
2. Casi s t o r i c i ................................................................ 1128
3. Natura del p r o f u m o ................................................1129
4. S p ie g a z io n e ................................................................ 1130
C o n c l u s i o n e .......................................................................................................1 1 3 2

P r o s p e t t o s t o r i c o -b i b l i o g r a f i c o .......................................................1 1 3 5

I n d ic e a n a l it ic o .........................................................................................1 1 6 5

I n d ic e o n o m a s t ic o 1177
Stampa: 1987
Oflito s.r.l. M a pp an o (Torino)
Printed in Italy
R E P R IN T

La c o lla n a rip ro p o n e in fe d e li ris ta m p e a n a s ta ­


tic h e le o p e re m ig lio ri p u b b lic a te d a lle E dizioni
P aoline n e gli anni p a s s a ti. R e in tro d u c e n d o in
c a ta lo g o q u e s ti s c ritti di A u to ri illu s tri, l’e d ito re
in te n d e s o d d is fa re le g iu s te ric h ie s te di un pub­
b lic o in te llig e n te e a ffe z io n a to .

1. A le x a n d e r G e rk e n , Teologia d e ll'e u ca ri­


stia, 2 a ed.
2. E d w a rd S c h ille b e e c k x , Il m atrim onio. Real­
tà terrena e m istero d i salvezza, 4 a ed.
3. E d w a rd S c h ille b e e c k x , Cristo, sacram ento
l'in c o n tro con Dio, 9 a ed.
6. P ie rre G re lo t, Introduzione alla Bibbia,
7 a ed.
7. J o s e f S c h re in e r e c o ll., Introduzione le tte ­
raria e teologica a ll’A ntico Testamento,
4 a ed.
9. A n to n io R oyo M a rin, Teologia della pe rfe ­
zione cristiana, 7 a ed.
10. Y v e s M. - J. C ong ar, La Tradizione e le tra­
dizioni. Saggio storico, 3 a ed. (in p re p a ­
razio ne)
11. Y ve s M. - J. C o n g a r, La Tradizione e le tra­
dizioni. Saggio teologico, 2 a ed. (in p re p a ­
razio ne)
12. H ugo R ahner, Sim boli della Chiesa. L ’ec­
clesiologia dei Padri, 2 a ed. (in pre p a ra zio -
n e )
Nella collana « Teologia »:
Z o lta n A ls z e g h y - M a u riz io F lick, Come si
fa la teologia. Introduzione allo studio della
teologia dogm atica, 3 a ed.
Nella collana « Theologica »:
C la u s S ched i, Storia del Vecchio Testa­
mento (4 voli.).
C ip ria n o V a g a g g in i, Il senso teologico del­
la liturgia, 4 a ed.

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