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I Cinquecento Milioni Della Bégum PDF
I Cinquecento Milioni Della Bégum PDF
I CINQUECENTO MILIONI
DELLA BÉGUM
Disegni di Leon Benett
incisi da Ch. Barbant, Th. Hildibrand, Dumouza
Copertina di Carlo Alberto Michelini
U. MURSIA & C.
MILANO
CAPITOLO I
OCTAVE Sarrasin, figlio del dottore, non era quello che si può
definire proprio un pigro. Egli non era né sciocco né di
un'intelligenza superiore, né bello né brutto, né grande né piccolo, né
bruno né biondo. Era castano e, in tutto, appartenente per nascita alla
classe media. In collegio, otteneva generalmente un secondo premio
e due o tre menzioni onorevoli. All'esame di maturità aveva avuta la
nota «mediocre». Respinto una prima volta al concorso della Scuola
centrale, egli era stato ammesso alla seconda prova col numero 127.
Era di indole indecisa, uno di quegli spiriti che si contentano d'una
certezza incompleta, che vivono sempre nel pressappoco, che
passano attraverso la vita come raggi di luna. Questa specie di
persone sono nelle mani del destino ciò che un turacciolo di sughero
è sulla cresta di un'onda. A seconda che il vento soffi da nord o da
mezzogiorno, sono spinti verso l'equatore o verso il polo. È il caso
che decide della loro camera. Se il dottor Sarrasin non si fosse fatto
qualche illusione sull'indole di suo figlio, forse avrebbe esitato prima
di scrivergli la lettera che si è letta; ma un po' d'accecamento paterno
è permesso anche agli spiriti più savi.
La fortuna aveva voluto che al principio della sua educazione,
Octave cadesse sotto il dominio di una natura energica, la cui
influenza un po' tirannica ma benefica gli si era imposta di viva
forza. Al liceo Charlemagne, dove suo padre lo aveva mandato a
terminare gli studi, Octave si era legato di stretta amicizia con uno
dei suoi compagni, un alsaziano, Marcel Bruckmann, più giovane di
lui di un anno, ma che lo aveva in breve soggiogato con il suo vigore
fisico, intellettuale e morale.
Marcel Bruckmann, rimasto orfano a dodici anni, aveva ereditato
una piccola rendita che bastava propriamente a pagare le spese del
collegio. Senza Octave, che lo conduceva in vacanza in casa dei
propri genitori, egli non avrebbe mai messo piede fuori delle mura
del liceo.
Ne seguì che la famiglia del dottor Sarrasin fu in breve quella del
giovane alsaziano. Natura sensibile, sotto un'apparente freddezza,
egli comprese che tutta la sua vita doveva appartenere a quelle brave
persone che gli facevano da padre e da madre. Egli fu indotto dunque
naturalmente ad adorare il dottor Sarrasin, sua moglie e la graziosa e
già seria bambina, i quali gli avevano aperto il cuore. Ma fu con fatti,
non con parole, ch'egli provò loro la propria gratitudine. Egli
pertanto si era assunto il compito piacevole di fare di Jeanne, che
amava lo studio, una giovinetta assennata, uno spirito saldo e
giudizioso, e nel medesimo tempo, d'Octave, un figlio degno del
padre. Quest'ultima impresa, bisogna dirlo, il giovanotto la rendeva
meno facile di sua sorella, già più matura del fratello, nonostante
l'età. Ma Marcel si era ripromesso di riuscire nel suo duplice scopo.
Marcel Bruckmann era uno di quei campioni valorosi e abili che
l'Alsazia è solita mandare ogni anno a combattere nella gran lotta
parigina. Ancora fanciullo, si segnalava già per la solidità e
l'elasticità dei muscoli e per la vivacità dell'intelligenza. Egli era tutto
volontà e tutto coraggio al di dentro, come al di fuori era tagliato ad
angoli retti. Fin dal collegio, lo tormentava un bisogno imperioso di
primeggiare in tutto, alle parallele come a palla, al ginnasio nelle
materie letterarie come nel laboratorio di chimica. Se fosse mancato
un premio alla sua messe annuale, avrebbe creduto l'anno perduto. A
vent'anni aveva un bel corpo agile e robusto, pieno di vita e d'azione,
una macchina organica al massimo di tensione e di rendimento. La
sua testa intelligente era già di quelle che fermano lo sguardo degli
spiriti attenti. Entrato secondo nella Scuola centrale, nello stesso
anno di Octave, era deciso a uscirne primo.
È del resto alla sua energia persistente e sovrabbondante per due
uomini, che Octave aveva dovuto la propria ammissione. Per tutto un
anno, Marcel lo aveva «tenuto sotto pressione», spinto al lavoro e
obbligato per così dire alla riuscita. Egli provava per quella natura
debole e vacillante un sentimento di pietà amichevole, simile a quello
che un leone potrebbe concedere a un cagnolino. Gli piaceva
rafforzare con l'eccesso della propria linfa quella pianta anemica e
farla fruttificare accanto a sé.
La guerra del 1870 era venuta a sorprendere i due amici mentre
facevano gli esami. Fin dal giorno successivo alla chiusura dei corsi,
Marcel, pieno d'un dolore patriottico esasperato dalla minaccia che
pesava sopra Strasburgo e l'Alsazia, era andato ad arruolarsi nel 31°
battaglione di cacciatori a piedi. Subito Octave aveva seguito questo
esempio.
Fianco a fianco, avevano fatto entrambi agli avamposti di Parigi la
dura campagna dell'assedio. Marcel aveva ricevuto a Champigny una
pallottola nel braccio destro, a Buzenval una spallina al braccio
sinistro; Octave non aveva avuto né spallina, né ferita. A dire il vero
non era colpa sua, poiché avevausempre seguito il suo amico sotto il
fuoco. Rimaneva indietro al massimo sei metri. Ma quei sei metri
erano tutto.
Dopo la pace e la ripresa dei lavori consueti, i due studenti
abitavano insieme due camere attigue in un modesto albergo vicino
alla scuola. Le disgrazie della Francia, la separazione dell'Alsazia e
della Lorena avevano impresso al carattere di Marcel una maturità
del tutto virile.
— Tocca alla gioventù francese — diceva — correggere le colpe
dei suoi padri, e vi può riuscire soltanto col lavoro.
In piedi alle cinque, obbligava Octave a imitarlo. Se lo tirava
dietro a scuola, e quando uscivano non lo lasciava mai. Tornavano a
casa per dedicarsi allo studio, interrompendolo ogni tanto con una
pipata e una chicchera di caffè. Andavano a letto alle dieci, col cuore
soddisfatto, se non contento, e la mente ricca di nozioni. Una partita
di biliardo ogni tanto, uno spettacolo ben scelto, un concerto del
Conservatorio di quando in quando, una galoppata fino al bosco di
Verrières, una passeggiata nella foresta, due volte la settimana un
assalto di boxe o di scherma, ecco le loro distrazioni. Octave
manifestava sì qualche volta delle velleità di ribellione, e dava
un'occhiata di bramosia a distrazioni meno raccomandabili. Parlava
di andare a render visita a Aristide Leroux, che «seguiva il corso di
diritto» alla birreria Sain-Michel. Ma Marcel si beffava così
aspramente di questi capricci, che il più delle volte non ne faceva
nulla.
Il 29 ottobre 1871, verso le sette di sera, i due amici erano,
secondo il solito, seduti l'uno accanto all'altro alla stessa tavola, sotto
l'abat-jour di una lampada comune. Marcel era immerso corpo e
anima in un problema, palpitante d'interesse, di geometria descrittiva
applicata al taglio delle pietre. Octave procedeva con cura religiosa a
preparare un litro di caffè, cosa disgraziatamente più importante per
lui. Era uno dei rari lavori nei quali si lusingava di primeggiare, forse
perché vi trovava l'occasione quotidiana di sfuggire per qualche
minuto alla terribile necessità di allineare equazioni, di cui gli pareva
che Marcel abusasse un tantino. Seduto in poltrona, egli faceva
dunque passare a goccia a goccia l'acqua bollente attraverso uno
spesso strato di moka, e questa felicità tranquilla avrebbe dovuto
bastargli. Ma l'attività di Marcel gli pesava come un rimorso, e
provava l'invincibile bisogno di turbarla con le sue chiacchiere.
— Faremmo bene a comperare una macchina per il caffè — disse
ad un tratto. — Questo filtro antico e solenne non è più all'altezza
della civiltà.
— Compera una macchina per il caffè! Questo t'impedirà forse di
perdere un'ora tutte le sere in questa cucina — rispose Marcel.
E ritornò al suo problema.
— Una vòlta ha per intradosso un'elissoide a tre assi diseguali. Sia
A B D E l'ellisse d'origine che contiene l'asse massimo oA = a, e
l'asse intermedio oB. = b, mentre l'asse minimo (o, o c) è verticale ed
eguale a c, il che rende la vòlta ribassata…
In quel momento fu bussato all'uscio.
— Una lettera per il signor Octave Sarrasin, — disse il cameriere.
Si può pensare se questa lieta diversione fosse bene accolta dal
giovane studente.
— È di mio padre — disse Octave. — Riconosco la calligrafia…
Ecco quel che si dice una bella lettera, per lo meno, — aggiunse
soppesando il pacco di carte.
Marcel sapeva come lui che il dottore era in Inghilterra. Il suo
passaggio a Parigi, otto giorni prima, era anzi stato segnalato da una
cena da Sardanapalo offerta ai due compagni in un ristorante del
Palais-Royal, famoso un tempo, oggi passato di moda, ma che il
dottor Sarrasin continuava a considerare come l'ultimo grido della
raffinatezza parigina.
— Mi dirai se tuo padre ti parla del suo Congresso d'Igiene —
disse Marcel. — Ha avuto una buona idea ad andarvi. Gli scienziati
francesi sono troppo inclini a isolarsi.
E Marcel ripigliò il suo problema:
— … L'estradosso sarà formato da un'elissoide simile alla prima,
avente il suo centro al disotto di o sulla verticale o. Dopo aver
segnato i fuochi F1, F2, F3 delle tre ellissi principali, tracciamo
l'ellisse e l'iperbole ausiliarie, i cui assi comuni…
Un grido di Octave gli fece alzare il capo.
— Che c'è dunque? — domandò un po' preoccupato vedendo il
suo amico pallidissimo.
— Leggi! — disse l'altro, sbalordito dalla notizia appena ricevuta.
Marcel prese la lettera, la lesse fino alla fine, la rilesse una seconda
volta, diede un'occhiata ai documenti stampati che
l'accompagnavano, e disse:
— È curiosa!
Poi, riempì la pipa e l'accese metodicamente. Octave lo guardava
trasecolato.
— Credi che sia vero?— gridò con voce soffocata.
— Vero?… Evidentemente. Tuo padre ha troppo buon senso e
spirito scientifico per accettare storditamente una convinzione simile.
Del resto ecco le prove, e in fondo è una cosa semplicissima.
Poiché la pipa era debitamente accesa, Marcel si rimise al lavoro.
Octave rimaneva con le braccia penzoloni, incapace persino di finire
il suo caffè, e tanto meno di mettere insieme due idee logiche. Pure,
aveva bisogno di parlare per assicurarsi che non sognava.
— Ma… se è vero, è assolutamente sbalorditivo!… Sai che mezzo
miliardo è una ricchezza enorme?
Marcel rialzò la testa e approvò:
— Enorme è la parola. Non ce n'è forse una simile in Francia, e se
ne contano solo qualcuna negli Stati Uniti, cinque o sei appena in
Inghilterra, in tutto quindici o venti al mondo.
— E un titolo per giunta! — riprese Octave — un titolo di
baronetto. Non che io abbia mai avuto l'ambizione d'averne uno, ma
poiché la cosa capita, si può dire che è certamente più elegante che il
chiamarsi semplicemente Sarrasin.
Marcel lanciò uno sbuffo di fumo e non proferì verbo. Quello
sbuffo di fumo diceva chiaramente: «Puah!… puah!…».
— Certamente, — soggiunse Octave — non avrei mai voluto fare
come tanti che attaccano una particella al loro nome o s'inventano un
marchesato di cartapesta! Ma possedere un vero titolo, un titolo
autentico, debitamente iscritto al «Peerage»1 di Gran Bretagna e
d'Irlanda, senza alcun dubbio né confusione possibile, come si vede
troppo spesso…
La pipa faceva sempre: «Puah!… puah!…».
— Caro mio, hai un bel dire e fare, — riprese Octave con
convinzione — «il sangue è qualche cosa» come dicono gli inglesi!
Egli si arrestò di botto davanti allo sguardo ironico di Marcel e
tornò ai milioni.
— Ti ricordi — soggiunse — che Binomio, il nostro professore di
matematica, ripeteva tutti gli anni, nella sua prima lezione sulla
numerazione, che mezzo miliardo è un numero troppo grande perché
le forze dell'intelligenza umana possano averne solamente un'idea
giusta, se non avessero a loro disposizione gli espedienti d'una
rappresentazione grafica?… Non pensi che a un uomo, che versasse
un franco ogni minuto, ci vorrebbero più di mille anni per pagare
questa somma?… Ah! è veramente… strano il pensare che si è eredi
di mezzo miliardo di franchi!
— Mezzo miliardo di franchi! — esclamò Marcel, scosso dalla
parola più che non fosse stato dalla cosa. — Sai che cosa potreste
farne di meglio? Darlo alla Francia per pagare il suo riscatto! Non ci
vorrebbe che dieci volte tanto.
— Bada bene di non suggerire una simile idea a mio padre!… —
esclamò Octave con il tono d'uomo spaventato. — Egli sarebbe
capace di adottarla! Vedo già che rumina qualche progetto dei
suoi!… Pazienza ancora un investimento in titoli di Stato, ma
conserviamo almeno la rendita!
1
Elenco dei Pari. (N.d.T.)
— Via, tu eri fatto, senza sospettarlo finora, per essere capitalista!
— ribatté Marcel. — Qualcosa mi dice, mio povero Octave, che
sarebbe stato meglio per te, se non per tuo padre, che è uno spirito
retto e sensato, che questa grossa eredità fosse ridotta a proporzioni
più modeste. Preferirei sapere che hai venticinquemila franchi di
rendita da spartire con la tua brava sorellina, piuttosto che questa
montagna d'oro!
E si mise al lavoro.
Quanto ad Octave, gli era impossibile far qualcosa; e si agitò tanto
per la camera, che l'amico, un po' impazientito, finì con il dirgli:
— Faresti meglio ad andare a prendere una boccata d'aria! È
evidente che non sei buono a nulla questa sera!
— Hai ragione — rispose Octave affermando con gioia questa
specie di permesso d'abbandonare ogni lavoro.
Ed afferrando il cappello, si precipitò giù per le scale e si trovò
nella via. Aveva appena fatto dieci passi, che si arrestò sotto un
lampione a gas per rileggere la lettera del padre. Aveva bisogno
d'assicurarsi di nuovo che era proprio sveglio.
— Mezzo miliardo!… Mezzo miliardo!… — ripeteva. — Fa
almeno venticinque milioni di rendita!… Se anche mio padre non me
ne desse che uno all'anno, come pensione, la metà di uno, il quarto di
uno, sarei ancora felicissimo! Si fanno molte cose col denaro! Sono
sicuro che saprei impiegarlo bene! Non sono imbecille, non è vero?
Sono stato ammesso alla Scuola centrale!… E ho anche un titolo!…
Saprò portarlo!
Si guardava, passando, nei vetri d'una bottega.
— Avrò un palazzo, cavalli!… Ce ne sarà uno per Marcel. Dato
che sono ricco, è chiaro che sarà come se lo fosse anche lui. Come
tutto arriva a proposito! Mezzo miliardo!… Baronetto!… È curioso,
ora che è venuto, mi sembra che me lo aspettassi! Qualche cosa mi
diceva che non dovevo rimaner sempre curvo sui libri e sulla carta da
disegno!… In ogni caso, è un bel sogno.
Octave seguiva, ruminando queste idee, le arcate della via de
Rivoli. Giunse ai Champs-Élisée, svoltò l'angolo della via Royale e
sboccò sul viale. Un tempo, egli ne guardava le splendide vetrine con
indifferenza, come cose futili e senza alcun peso nella sua vita. Ora
vi si arrestò e pensò con viva gioia che tutti quei tesori gli sarebbero
appartenuti quando lo avesse voluto.
«È per me» pensò «che le filatrici olandesi fanno prillare i loro
fusi, che le filande di Elbeuf tessono i loro drappi più morbidi, che
gli orologiai costruiscono i loro cronometri, che il lampadario del
teatro dell'Opera versa le sue cascate di luce, che i violini stridono,
che le cantanti si sfiatano! È per me che si allevano i purosangue nei
maneggi, e che si illumina il Cafè Anglais!… Parigi è mia!… Tutto è
mio!… Non viaggerò forse? Non andrò a visitare la mia baronia
nell'India?… Potrei bene qualche giorno comperarmi una pagoda,
con i bonzi e gli idoli d'avorio per giunta!… Avrò elefanti!… Darò la
caccia alla tigre!… E che belle armi!… E che bella barca!… Una
barca? ma no! un bello e buono yacht a vapore per condurmi dove
vorrò, fermarmi e partire a mio capriccio!… A proposito di vapore,
sono incaricato di dar la notizia a mia madre. Se partissi per
Douai?… C'è la scuola… Oh! oh! la scuola! Si può farne a meno!…
E Marcel? Bisogna avvertirlo. Gli manderò un telegramma. Egli
capirà certamente che ho fretta di vedere mia madre e mia sorella in
una simile occasione!».
Octave entrò in un ufficio telegrafico, avvertì l'amico che partiva e
che sarebbe ritornato due giorni dopo. Poi, chiamò una carrozza e si
fece trasportare alla stazione Nord.
Appena fu in carrozza ricominciò il suo sogno.
Alle due del mattino, Octave suonava chiassosamente il
campanello della porta della casa paterna e materna - il campanello
notturno - e metteva in scompiglio il tranquillo quartiere delle
Aubettes.
— Chi dunque è ammalato? — si chiedevano le comari da una
finestra all'altra.
— Il dottore non è in città! — gridò la vecchia domestica dal suo
abbaino all'ultimo piano.
— Sono io, Octave!… Scendete ad aprirmi Franane!
Dopo dieci minuti d'attesa, Octave riuscì a entrare in casa. Sua
madre e sua sorella Jeanne, scese precipitosamente in veste da
camera, aspettavano la spiegazione di quella visita.
La lettera del dottore, letta ad alta voce, diede in breve la chiave
del mistero.
La signora Sarrasin rimase abbagliata un istante. Ella abbracciò il
figlio e la figlia piangendo di gioia. Le sembrava che l'universo
appartenesse a loro ormai, e che la sciagura non avrebbe osato più
assalire dei giovani che possedevano alcune centinaia di milioni.
Pure le donne si avvezzano assai più presto che gli uomini ai grandi
colpi della sorte. La signora Sarrasin rilesse la lettera di suo marito,
pensò che toccava a lui, in sostanza, decidere del suo destino e di
quello dei figlioli, e la calma le rientrò nel cuore. Quanto a Jeanne,
era felice della gioia della madre e del fratello, ma la sua
immaginazione di tredicenne non sognava felicità più grande di
quella della modesta casetta in cui la sua vita trascorreva dolcemente
tra le lezioni dei suoi maestri e le carezze dei suoi genitori. Ella non
vedeva bene in che cosa alcuni fasci di biglietti di banca potessero
mutare la sua esistenza, e questa prospettiva non la turbò un istante.
La signora Sarrasin, maritata giovanissima ad un uomo tutto
assorto nelle occupazioni silenziose dello scienziato di razza,
rispettava la passione di suo marito che amava teneramente, senza
tuttavia comprenderlo bene. Non potendo dividere le gioie che lo
studio dava al dottor Sarrasin, ella si era talvolta sentita un po' sola
accanto a quel lavoratore accanito, ed aveva per conseguenza
concentrato sopra i due figlioli ogni speranza. Aveva sempre sognato
per loro un avvenire splendido, immaginando che dovessero essere
così più felici. Octave, ella non ne dubitava, era chiamato ai più alti
destini. Dacché egli era entrato alla Scuola centrale, la modesta ed
utile accademia di giovani ingegneri si era trasformata agli occhi suoi
in un vivaio di uomini illustri. La sua unica inquietudine era che la
modestia del loro patrimonio fosse un ostacolo, una difficoltà per lo
meno alla carriera gloriosa di suo figlio, e nuocesse più tardi
all'accasamento della figliola. Ora, ciò che ella aveva compreso della
lettera del marito, è che le sue paure non avevano più alcuna ragione
di essere. Perciò la sua soddisfazione fu intera.
La madre ed il figlio passarono una gran parte della notte a
chiacchierare ed a fare progetti, mentre Jeanne, contentissima del
presente, senza alcuna preoccupazione per l'avvenire, si era
addormentata in una poltrona.
Pure, al momento di andarsi a riposare un pochino:
— Non mi hai parlato di Marcel — disse la signora Sarrasin a suo
figlio. — Lo hai informato della lettera di tuo padre? Che ne ha
detto?
— Oh! — rispose Octave — tu conosci Marcel! È più che un
saggio: è uno stoico! Credo che sia stato spaventato per noi
dell'enormità dell'eredità! Dico per noi; ma la sua inquietudine non
risaliva fino a mio padre, il cui buon senso, diceva, ed il cui senno
scientifico lo rassicuravano. Ma perdinci! per ciò che ti riguarda,
mamma, ed anche per Jeanne, e per me soprattutto, non mi ha
nascosto che avrebbe preferito un'eredità più modesta,
venticinquemila lire di rendita.
— Marcel non aveva forse torto — rispose la signora Sarrasin
guardando suo figlio. — Un'improvvisa ricchezza può diventare un
gran pericolo per certe nature!
Jeanne si era svegliata. Aveva udito le ultime parole di sua madre.
— Sai bene, mamma, — le disse fregandosi gli occhi e
dirigendosi verso la sua cameretta — sai bene che tu mi hai detto un
giorno che Marcel aveva sempre ragione! Quanto a me, credo a tutto
ciò che dice il nostro amico Marcel!
Ed avendo abbracciata la mamma, Jeanne si ritirò.
CAPITOLO III
«UN'EREDITÀ MOSTRUOSA.
- La famosa successione vacante della Begum Gokool ha
finalmente trovato il suo legittimo erede grazie alle cure dello
studio Billows, Green e Sharp, solicitors, 93, Southampton row,
Londra. Il fortunato proprietario dei ventun milioni di lire sterline,
ora depositati presso la Banca d'Inghilterra, è un medico francese,
il dottor Sarrasin, di cui, tre giorni fa, abbiamo analizzata la bella
monografia presentata al Congresso di Brighton. A forza di stenti,
e passando per peripezie che potrebbero costituire da sole un vero
romanzo, il signor Sharp è riuscito a stabilire, senza contestazione
possibile, che il dottor Sarrasin è il solo discendente vivente di
Jean-Jacques Langévol, baronetto, marito in seconde nozze della
Begum Gokool. Questo soldato di ventura era, a quanto pare,
nativo della piccola città francese di Bar-le-Duc. Non rimangono
più da compiere, per l'entrata in possesso, che poche semplici
formalità. La richiesta è già presentata alla Corte di Cancelleria. È
un curioso susseguirsi di circostanze che ha accumulato sulla testa
d'uno scienziato francese, insieme con un titolo britannico, i tesori
ammucchiati da una lunga serie di rajahs indiani. La fortuna
avrebbe potuto mostrarsi meno intelligente, e bisogna rallegrarsi
che un capitale così grande cada in mani che sapranno farne buon
uso».
DIVISIONE IN DUE
2
Alla lettera: Governa, Britannia…, prime parole di un canto patriottico inglese
che viene spesso menzionato per alludere all'imperialismo britannico. (N.d.T.)
Del resto, questo progetto era del tutto secondario per Herr
Schultze; esso non faceva che aggiungersi a quelli, molto più vasti,
che egli concepiva per la distruzione di tutti i popoli che avessero
rifiutato di fondersi con il popolo germanico e di riunirsi al
Vaterland. Tuttavia volendo conoscere a fondo - ammesso che
potessero avere un fondo - i piani del dottor Sarrasin, di cui era già il
nemico implacabile, egli si fece ammettere al Congresso
internazionale d'Igiene e ne frequentò assiduamente le sedute. Fu
uscendo da quell'assemblea che alcuni membri, fra i quali si trovava
anche il dottor Sarrasin, lo udirono un giorno fare questa
dichiarazione: che contemporaneamente a France-Ville sarebbe sorta
una città forte che non avrebbe lasciato sussistere quel formicaio
assurdo e anormale.
— Spero — egli aggiunse — che l'esperimento che faremo servirà
d'esempio al mondo!
Il buon dottor Sarrasin, per quanto fosse pieno d'amore per
l'umanità, non aveva certo bisogno di imparare che non tutti i suoi
simili meritavano il nome di filantropi. Egli prese debita nota di
quelle parole del suo rivale, pensando, da uomo di buon senso, che
nessuna minaccia dovesse essere trascurata. Qualche tempo dopo,
scrivendo a Marcel per invitarlo a aiutarlo nella sua impresa, gli
raccontò quest'incidente e gli fece un ritratto di Herr Schultze che
fece pensare al giovane alsaziano che il buon dottore avrebbe avuto
in lui un duro avversario. E siccome il dottore aggiungeva:
«Avremo bisogno di uomini forti ed energici, di scienziati
operosi, non solo per costruire, ma per difendere», Marcel gli
rispose:
«Se non posso darvi immediatamente il mio apporto per la
fondazione della vostra città, fate tuttavia assegnamento sul mio
aiuto in caso di necessità. Non perderò di vista un solo giorno questo
Herr Schultze. Il fatto di essere alsaziano mi dà il diritto di
occuparmi delle sue faccende. Vicino o lontano, vi sono totalmente
devoto. Se, per un caso straordinario, rimaneste qualche mese o
anche qualche anno senza udir parlare di me, non preoccupatevene.
Da lontano come da vicino, non avrò che un pensiero: lavorare per
voi, e per conseguenza, servire la Francia».
CAPITOLO V
LA CITTÀ DELL'ACCIAIO
IL POZZO ALBRECHT
IL COMPLESSO CENTRALE
3
La Grotta del Cane, nei dintorni di Napoli, deve il suo nome alla curiosa proprietà
posseduta dalla sua atmosfera di asfissiare un cane o un altro qualsiasi quadrupede
di gambe corte, senza alcun danno per un uomo in piedi, proprietà dovuta a uno
strato di anidride carbonica di sessanta centimetri circa tenuto a livello del suolo
dal suo peso specifico. (N.d.A.)
— Il denaro?… Ne abbiamo quanto ne vogliamo! Il tempo?… Il
tempo è nostro!
E, in verità, quel tedesco, l'ultimo della sua scuola, credeva a
quanto diceva!
— Sia pure — rispose Marcel. — Il vostro obice, carico di
anidride carbonica, non è totalmente nuovo, poiché deriva dai
proiettili asfissianti conosciuti già da molti anni; ma può riuscire
straordinariamente distruttore, non lo nego. Soltanto…
— Soltanto?…
— È relativamente leggero per il suo volume, e se deve colpire a
dieci leghe!…
— È fatto per andare soltanto a due leghe — rispose Herr
Schultze sorridendo. — Ma, — aggiunse mostrando un altro obice —
ecco un proiettile di ghisa. Questo è pieno, e contiene cento piccoli
cannoni disposti simmetricamente, incastrati gli uni negli altri come i
tubi di un cannocchiale, e che, dopo essere stati lanciati come
proiettili, ridiventano cannoni per vomitare a loro volta dei piccoli
obici carichi di materiale incendiario. È come una batteria che lancia
nello spazio e che può portare l'incendio e la morte su tutta una città,
coprendola di una pioggia di fuochi inestinguibili! Ha il peso
necessario per superare le dieci leghe di cui ho parlato! E fra poco ne
sarà fatta l'esperienza in modo tale che gli increduli potranno toccare
con mano centomila cadaveri che saranno le sue vittime!
Le pedine da «domino» brillavano in quel momento di uno
splendore così insopportabile nella bocca di Herr Schultze che
Marcel ebbe una gran voglia di spezzarne una dozzina. Ebbe tuttavia
la forza di contenersi ancora. Non era ancora terminato quanto
doveva udire.
Infatti, Herr Schultze soggiunse:
— Fra breve vi sarà un'esperienza decisiva!
— Come? Dove?… — esclamò Marcel.
— Vi ho detto che, fra poco, sarà fatta un'esperienza decisiva!
Come? Con uno di questi obici che supererà la catena dei Cascade-
Mounts, lanciato dal mio cannone della piattaforma!… Dove? Su una
città da cui ci separano dieci leghe al massimo, che non si aspetta
certamente questo scoppio di folgore e che, se anche se lo aspettasse,
non ne potrebbe evitare i fulminanti risultati! Siamo al 5
settembre!… Ebbene, il 13, alle undici e quarantacinque minuti della
sera, France-Ville scomparirà dal suolo americano! L'incendio di
Sodoma avrà avuto il suo corrispondente! Il professor Schultze avrà
anche lui scatenato tutti i fuochi del cielo!
Questa volta, a tale inattesa dichiarazione, tutto il sangue di
Marcel gli affluì al cuore! Per fortuna, Herr Schultze non notò ciò
che gli succedeva.
— Ecco! — riprese a dire con la massima disinvoltura. — Qui
facciamo il contrario di ciò che fanno i fondatori di France-Ville! Noi
cerchiamo il segreto di abbreviare la vita degli uomini, mentre essi
cercano il mezzo di prolungarla. Ma la loro opera è condannata, ed è
dalla morte, seminata da noi, che deve nascere la vita. Pure, tutto ha
il suo scopo nella natura, e il dottor Sarrasin, fondando una città
isolata, ha messo senza sospettarlo a mia disposizione il più
splendido campo d'esperimento.
Marcel non poteva credere a quanto udiva.
— Ma, — disse con una voce il cui tremito involontario parve
attirare per un istante l'attenzione del Re dell'Acciaio — gli abitanti
di France-Ville non vi hanno fatto nulla, signore! Voi non avete, che
io sappia, nessun motivo per attaccar briga con loro!
— Caro mio, — rispose Herr Schultze — nel vostro cervello, bene
organizzato sotto altri aspetti, c'è un fondo di idee celtiche che vi
nuocerebbero molto se doveste vivere un pezzo! Il diritto, il bene, il
male, sono cose puramente relative e totalmente convenzionali. Di
assoluto vi sono solo le grandi leggi naturali. La legge di concorrenza
vitale lo è tanto quanto quella della gravitazione. Volervisi sottrarre,
è insensato; adattarvisi ed agire come essa ci indica, è ragionevole e
saggio, ed ecco perché io distruggerò la città del dottor Sarrasin.
Grazie al mio cannone, i miei cinquantamila tedeschi trionferanno
facilmente dei centomila sognatori che formano laggiù un gruppo
condannato a perire.
Marcel, comprendendo l'inutilità di stare a discutere con Herr
Schultze, tacque.
Lasciarono entrambi la camera degli obici, le cui porte a segreto
furono richiuse, e ridiscesero nella sala da pranzo.
Con l'aria più naturale del mondo, Herr Schultze riportò il suo
boccale di birra alla bocca, suonò un campanello, si fece dare un'altra
pipa per sostituire quella che aveva rotto, e rivolgendosi al
domestico:
— Arminius e Sigimer sono di là? — domandò.
— Sì, signore.
— Dite loro di tenersi a portata della mia voce.
Quando il domestico ebbe lasciata la sala da pranzo, il Re
dell'Acciaio, volgendosi verso Marcel, lo guardò bene in faccia.
Questi non abbassò gli occhi sotto quello sguardo che aveva preso
una durezza metallica.
— Davvero, — disse — attuerete questo progetto?
— Davvero. Io conosco, con l'approssimazione di un decimo di
secondo in longitudine e in latitudine, la situazione di France-Ville,
ed il 13 settembre, alle undici e quarantacinque pomeridiane, essa
avrà finito d'esistere.
— Avreste dovuto tenere questo piano assolutamente segreto!
— Mio caro, — rispose Herr Schultze, — decisamente voi non
sarete mai logico. Ciò mi fa rimpiangere meno che dobbiate morire
giovane.
Marcel, a queste ultime parole, si era alzato.
— Come! non avete compreso, — aggiunse freddamente Herr
Schultze — che non parlo mai dei miei piani se non davanti a coloro
che non potranno più ripeterli?
Suonò ancora il campanello. Arminius e Sigimer, due giganti,
apparvero sulla porta della sala.
— Avete voluto conoscere il mio segreto, — disse Herr Schultze,
— ora lo conoscete!… Vi rimane soltanto di morire.
Marcel non rispose.
— Siete troppo intelligente — soggiunse Herr Schultze — per
immaginare che io vi possa lasciar vivere ora che sapete come
comportarvi in base ai miei progetti. Sarebbe una leggerezza
imperdonabile, sarei illogico. La grandezza del mio scopo mi
proibisce di comprometterne la riuscita per una considerazione d'un
valore relativo così minimo come la vita di un uomo, anche di un
uomo come voi, mio caro, di cui stimo in modo particolare la buona
organizzazione mentale. Perciò sono veramente dispiaciuto che un
piccolo impeto d'amor proprio mi abbia trascinato troppo lontano e
mi metta ora nella necessità di sopprimervi. Ma dovete comprendere
che, davanti agli interessi ai quali mi sono consacrato, non è più
questione di sentimento. Posso ben dirvelo, è per aver penetrato il
mio segreto che il vostro predecessore Sohne è morto, e non per lo
scoppio d'un sacco di dinamite!… La regola è assoluta, bisogna che
sia inflessibile! Io non posso mutarvi nulla.
Marcel guardava Herr Schultze. Comprese, dal timbro della sua
voce, dall'ostinazione bestiale di quella testa calva, che era perduto.
Perciò non si diede nemmeno la briga di protestare.
— Quando morirò e di quale morte? — domandò.
— Non preoccupatevi per questo particolare — rispose
tranquillamente Herr Schultze. — Morirete, ma senza soffrire. Una
mattina non vi sveglierete più, ecco tutto.
Ad un cenno del Re dell'Acciaio, Marcel si vide condotto via e
consegnato nella sua camera, la cui porta rimase sotto la sorveglianza
dei due giganti.
Ma quando fu solo, pensò, fremendo d'angoscia e di collera, al
dottore, a tutti i suoi cari, a tutti i suoi compatrioti, a tutti quelli che
amava!
«La morte che mi aspetta non è nulla», pensò. «Ma il pericolo che
li minaccia, come scongiurarlo?»
CAPITOLO IX
«P. C.»4
5
Queste prescrizioni, come il concetto generale del Benessere, sono dovute
all'opera dello scienziato dottor Benjamin Ward Richardson, membro della Società
reale londinese (N.d.A.)
Una porta e una scala speciale metteranno il porticato in
comunicazione diretta con le cucine o dispense, e tutte le operazioni
domestiche si potranno effettuare lì senza turbare la vista o l'olfatto.
«"7. Le cucine, dispense o dipendenze saranno, contrariamente
all'uso solito, poste al piano superiore e in comunicazione con la
terrazza, che ne diventerà così un ampio annesso all'aria aperta. Un
ascensore, mosso da una forza meccanica che sarà, come la luce
artificiale e l'acqua, fornita agli abitanti a prezzo ridotto, permetterà
facilmente il trasporto di ogni peso a questo piano.
«"8. La disposizione degli appartamenti è lasciata al capriccio
individuale. Ma due pericolosi elementi di malattia, veri nidi di
miasmi e laboratori di veleni, sono assolutamente vietati: i tappeti e
le tappezzerie di carta dipinta. I pavimenti in legno, artisticamente
costruiti con legni pregiati disposti a mosaico da abili ebanisti,
avrebbero tutto da perdere se nascosti sotto le stoffe di lana di dubbia
pulizia. Quanto alle pareti, rivestite di mattoni verniciati, offrono agli
occhi lo splendore e la varietà degli appartamenti interni di Pompei,
con un lusso di colori e di durata che la carta dipinta, carica dei suoi
mille sottili veleni, non ha mai potuto ottenere. Si lavano come si
lavano gli specchi e i vetri, come si fregano i pavimenti e i soffitti.
Non un germe di malattia può mettervisi in imboscata.
«"9. Ogni camera da letto è separata dal bagno. Non si
raccomanderà mai abbastanza di fare questo locale, dove
trascorriamo un terzo della vita, in modo che sia il più aerato e nel
medesimo tempo il più semplice. Questa stanza deve servire
unicamente al sonno: quattro seggiole, un letto di ferro, munito di un
saccone traforato e di un materasso di lana battuto frequentemente,
sono i soli mobili necessari. I piumini, i copripiedi imbottiti e simili,
potenti alleati delle malattie epidemiche, ne sono naturalmente
esclusi. Delle buone coperte di lana, leggere e calde, facili a lavare,
bastano ampiamente a sostituirli. Senza proscrivere formalmente le
cortine e le tende, si deve consigliare almeno di scegliere fra stoffe
che possano venire lavate di frequente.
«"10. Ogni stanza ha il suo camino che funziona, secondo i gusti,
a fuoco di legna o di carbone, ma a ogni camino corrisponde una
bocca d'aria esterna. Quanto al fumo, invece d'essere espulso dai
tetti, si immette in condotti sotterranei che lo convogliano in forni
speciali, disposti, a spese della città, dietro le case, in ragione di un
forno ogni duecento abitanti. Là, viene spogliato delle particelle di
carbone che porta con sé, e scaricato allo stato incolore a una altezza
di trentacinque metri nell'atmosfera".
«Ecco le dieci regole fisse imposte per la costruzione di ogni
abitazione privata.
«Le disposizioni generali sono studiate con altrettanta cura.
«Anzitutto, il piano della città è essenzialmente semplice e
regolare, in modo da potersi adattare a tutti gli sviluppi. Le vie, che si
incrociano a angoli retti, sono tracciate a distinte uguali, di larghezza
uniforme, piantate con alberi e designate da numeri d'ordine.
«Ogni mezzo chilometro, la via, più larga d'un terzo, prende il
nome di viale, e presenta su uno dei lati una trincea allo scoperto per
i tram e le metropolitane. Ad ogni incrocio, è riservato un giardino
pubblico adorno di belle copie di capolavori di scultura, nell'attesa
che gli artisti di France-Ville abbiano prodotto delle opere originali
degne di sostituirle.
«Tutte le industrie e tutti i commerci sono liberi.
«Per ottenere il diritto di residenza a France-Ville è necessario e
sufficiente dare delle buone referenze, essere capace di esercitare una
professione utile o liberale, nell'industria, nelle scienze o nelle arti,
ed obbligarsi ad osservare le leggi della città. Le esistenze oziose non
vi sarebbero tollerate.
«Gli edifici pubblici sono già numerosi. I più importanti sono la
cattedrale, un certo numero di chiese minori, i musei, le biblioteche,
le scuole ed i ginnasi, costruiti con un lusso e una intelligenza delle
convenienze igieniche degni veramente di una grande città.
«Inutile dire che i fanciulli sono obbligati, fin dall'età di quattro
anni, ad applicarsi agli esercizi intellettuali e fisici, gli unici che
possono sviluppare le loro forze cerebrali e muscolari. Vengono
abituati tutti a una pulizia così rigorosa, che considerano una macchia
sui loro semplici abiti come un vero disonore.
«Il punto della pulizia individuale e collettiva è, del resto, la
preoccupazione principale dei fondatori di France-Ville. Pulire,
pulire incessantemente, distruggere e annullare appena si sono
formati i miasmi che vengono emanati costantemente da un
agglomerato urbano, ecco l'opera principale del governo centrale. A
questo scopo gli scarichi delle fogne sono centralizzati fuori della
città, trattati con procedimenti che ne permettono la condensazione
ed il trasporto quotidiano nelle campagne.
«L'acqua scorre a fiotti dappertutto. Le vie, pavimentate in legno
bituminato, e i marciapiedi di pietra sono lucenti come il pavimento
di un cortile olandese. I mercati alimentari sono oggetto di una
sorveglianza incessante, e pene severe sono applicate ai negozianti
che osano speculare sulla salute pubblica. Un negoziante che vende
un uovo guasto, carne avariata, un litro di latte sofisticato, è
semplicemente trattato, come merita, da avvelenatore. Questa pulizia
sanitaria, così necessaria e tanto delicata, è affidata a uomini
sperimentati, veri specialisti, istruiti a questo scopo negli istituti
magistrali.
«La loro giurisdizione si estende fino alle lavanderie, tutte molto
importanti, fornite di macchine a vapore, di essiccatoi artificiali e
soprattutto di camere di disinfezione. Nessun pezzo di biancheria
intima ritorna al suo proprietario senza essere stato veramente
ripulito a fondo, e si ha gran cura di non confondere mai la
biancheria di una famiglia con quella di un'altra. Questa semplice
precauzione è di effetto incalcolabile.
«Gli ospedali sono poco numerosi, poiché il sistema
dell'assistenza a domicilio è generale, e sono riservati agli stranieri
senza casa e a qualche caso eccezionale. Non occorre quasi
aggiungere che l'idea di costruire come ospedale un edificio più
grande di tutti gli altri, e di ammucchiare nel medesimo focolaio
d'infezione sette o ottocento malati, non è potuta venire ai fondatori
della città modello. Invece di cercare, con una strana aberrazione, di
riunire sistematicamente più pazienti, si pensa, al contrario,
solamente a isolarli. È loro interesse individuale, come quello del
pubblico. In ogni casa, anzi, si raccomanda di tenere possibilmente il
malato in un appartamento separato. Gli ospedali sono costruzioni
eccezionali e ristrette, da utilizzarsi temporaneamente per qualche
caso urgente.
«Venti, trenta malati al massimo possono trovarsi - ognuno nella
sua stanza privata - concentrati in leggere costruzioni fatte di legno
d'abete, e che vengono bruciate regolarmente tutti gli anni per
rinnovarle. Questi ambulatori, prefabbricati secondo un modello
speciale, hanno inoltre il vantaggio di poter essere trasportati a
volontà in questo o quel punto della città, secondo i bisogni, e
moltiplicati secondo la necessità.
«Un'innovazione ingegnosa, connessa con questo servizio, è
quella di un corpo di infermiere sperimentate, addestrate
particolarmente a questo mestiere del tutto speciale, e tenute a
disposizione del pubblico dall'amministrazione centrale. Queste
donne, scelte con discernimento, sono gli ausiliari più preziosi e più
devoti per i medici. Esse portano in seno alle famiglie le cognizioni
pratiche, tanto necessarie e che così spesso mancano nel momento
del pericolo, e hanno la missione di impedire la propagazione della
malattia nel medesimo tempo che curano un malato.
«Non si finirebbe mai se si volesse enumerare tutti i
perfezionamenti igienici che i fondatori della nuova città hanno
inaugurato. Ogni cittadino riceve al suo arrivo un opuscolo, in cui in
linguaggio semplice e chiaro sono esposti i principi più importanti di
una vita regolare secondo i dettami della scienza.
«Egli vi impara che l'equilibrio perfetto di tutte le funzioni è una
necessità della salute; che il lavoro e il riposo sono egualmente
indispensabili ai suoi organi; che la fatica è necessaria al suo cervello
quanto ai suoi muscoli; che i nove decimi delle malattie sono dovuti
al contagio trasmesso dall'aria o dagli alimenti. Egli non sarebbe
dunque mai abbastanza in grado di circondare la sua casa e la sua
persona di «quarantene» sanitarie. Evitare l'uso dei veleni eccitanti,
praticare gli esercizi fisici, compiere coscienziosamente ogni giorno
un dato lavoro, bere della buona acqua pura, mangiare carni e
verdure sane e preparate semplicemente, dormire regolarmente sette
o otto ore ogni notte, ecco l'A B C della salute.
«Partiti dai primi principi posti dai fondatori, siamo venuti
insensibilmente a parlare di questa città singolare come di una città
compiuta. E infatti, una volta costruite le prime case, le altre sono
uscite da terra come per incantesimo. Bisogna aver visitato il Far-
West per rendersi conto di queste infiorescenze urbane. Ancora
deserto nel mese di gennaio 1872, il luogo scelto contava già seimila
case nel 1873. Ne possedeva novemila e tutti gli edifici erano
completi nel 1874.
«Bisogna dire che la speculazione ha avuto la sua parte in questo
successo inaudito. Costruite ih grande su terreni immensi e
inizialmente senza valore, le case erano cedute a prezzi mitissimi e
affittate a condizioni modestissime. L'assenza di ogni tassa,
l'indipendenza politica di quel piccolo territorio isolato, l'attrattiva
della novità, la dolcezza del clima, hanno contribuito a farvi
convergere gli emigrati. Nel momento attuale, France-Ville conta
circa centomila abitanti.
«Quello che è più importante e che solo può interessarci, è che
l'esperimento sanitario è dei più soddisfacenti. Mentre la mortalità
annua, nelle città più favorite della vecchia Europa o del Nuovo
Mondo, non è scesa mai sensibilmente al di sotto del tre per cento, a
France-Ville la media di questi cinque anni non è che dell'uno e
mezzo. E bisogna dire che questa cifra è ingrossata da una piccola
epidemia di febbre paludosa che ha segnalato la prima campagna.
Quella dell'anno scorso, presa isolatamente, non è che di uno e un
quarto. Circostanza più importante ancora: salvo poche eccezioni,
tutte le morti ora registrate sono dovute a malattie specifiche e per la
maggior parte ereditarie. Le malattie accidentali sono state, a loro
volta, infinitamente più rare, più limitate e meno pericolose che in
nessun altro luogo. Quanto alle epidemie propriamente dette, non se
ne sono viste.
«Sarà interessante seguire lo svolgimento di questo tentativo. Sarà
curioso soprattutto ricercare se l'influenza d'un regime così
scientifico per tutta la durata d'una generazione, e a maggior ragione
di molte generazioni, non possa smorzare le predisposizioni morbose
ereditarie.
«"Non è certamente strano lo sperarlo" ha scritto uno dei fondatori
di questo stupefacente agglomerato, "e in questo caso, quale sarebbe
la grandezza del risultato! Gli uomini che vivono fino a novanta o
cento anni, che muoiono solo di vecchiaia come la maggior parte
degli animali, come le piante! "»
«Un tale sogno è veramente seducente!
«Se ci è permesso, tuttavia, di esprimere la nostra opinione
sincera, noi non abbiamo molta fiducia nella definitiva riuscita
dell'esperimento. Vi scorgiamo un vizio originale e probabilmente
fatale, che è il fatto che si trovi nelle mani di un comitato dove
l'elemento latino domina e da cui l'elemento germanico è stato
sistematicamente escluso. Questo è un sintomo spiacevole. Dacché
mondo è mondo, non si è fatto nulla di durevole se non dalla
Germania, e nulla di definitivo si farà senza di lei. I fondatori di
France-Ville potranno sgombrare il terreno, chiarire qualche punto
particolare; ma non è su questo punto dell'America, bensì sulle
sponde della Siria che vedremo sorgere un giorno la vera città
modello».
CAPITOLO XI
IL CONSIGLIO
«France-Ville, 14 settembre.
«MI SEMBRA doveroso informare il Re dell'Acciaio che ho
superato assai felicemente, l'altro ieri sera, la frontiera dei suoi
possedimenti, preferendo la mia salvezza a quella del modello del
cannone Schultze.
«Facendovi i miei addii, mancherei a tutti i miei doveri se non vi
facessi conoscere, a mia volta, i miei segreti; ma siate tranquillo, non
ne pagherete la conoscenza con la vita.
«Non mi chiamo Schwartz, e non sono svizzero. Sono alsaziano,
ed il mio nome è Marcel Bruckmann. Sono un ingegnere discreto, se
devo credere a voi, ma, anzitutto, sono francese. Voi vi siete fatto
nemico implacabile del mio paese, dei miei amici, della mia
famiglia; voi nutrivate odiosi progetti contro tutto ciò che amo; io ho
osato tutto, ho fatto di tutto per conoscerli! Farò di tutto per farli
fallire.
«Mi affretto a farvi sapere che il vostro primo colpo non è andato
a segno e che la vostra meta, grazie a Dio, non è stata raggiunta, e
non poteva esserlo! Il vostro cannone è ad ogni modo un cannone
meraviglioso, ma i proiettili che lancia con una carica simile di
polvere, e quelli che potrebbe lanciare, non faranno mai male a
nessuno! Essi non cadranno mai da nessuna parte; lo avevo presunto,
ed è oggi, a vostra maggior gloria, un fatto certo che Herr Schultze
ha inventato un cannone terribile… assolutamente innocuo.
«È dunque con piacere che apprenderete che abbiamo visto il
vostro obice troppo perfezionato passare ieri sera, alle undici,
quarantacinque minuti e quattro secondi, sopra la nostra città. Si
dirigeva verso ovest, procedendo nel vuoto, e continuerà a gravitare
così fino alla fine dei secoli. Un proiettile, animato da una velocità
iniziale venti volte superiore alla velocità consueta ossia diecimila
metri al secondo, non può più "cadere"! Il suo movimento di
traslazione, combinato con l'attrazione terrestre, ne fa un corpo
mobile destinato a ruotare sempre intorno al nostro globo.
«Non avreste dovuto ignorarlo.
«Spero, inoltre, che il cannone della Torre del Toro sia
assolutamente deteriorato da questo primo esperimento; ma non è
pagar troppo caro, duecentomila dollari, il piacere d'aver dotato il
mondo planetario d'un nuovo astro, e la terra d'un secondo satellite.
MARCEL BRUCKMANN.»
ASSETTO DI COMBATTIMENTO
SPIEGAZIONI A FUCILATE
UN AFFARE DI FAMIGLIA
CONCLUSIONE