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COMUNE DI CENTOLA

ASS. PROGETTO CENTOLA

PALINURO:
RACCONTI DI GENTE DI MARE
Maria Luisa Amendola e Ezio Martuscelli

EDITO DALLASSOCIAZIONE PROGETTO CENTOLA

ELOGIO DI PALINURO
Ricordo che la primavera arrivava allimprovviso dal mare, un qualche giorno di marzo della
met degli anni Cinquanta, e sapeva di lentischio e ginestra, ma aveva anche una intensa venatura
salmastra che ti avvolgeva con lesuberanza della brezza marina. Aveva le dita rosate dellaurora
la primavera, ma portava con s, in un impasto di cui non so dire la composizione, anche una
luce verde-blu, rapita alle profondit marine. Fiorivano i limoni negli orti sul mare, le quaglie si
acquattavano sui cigli erbosi della scogliera, oggi erosi dal cemento, e sfrecciavano nell azzurro
del cielo brigate multicolori di passeri, cardellini, verdoni, che noi scugnizzi acchiappavamo con
i piritangoli, trappole arcaiche che sistemavamo sulle spatelle pi alte dei fichidindia, schierati
allora come sentinelle a difendere, con gli agavi giganti, le poche case dei pescatori dagli umori del
mare aperto. Poi la primavera si ammal, si fece silenziosa dapprima, e in un breve volgere di tempo
scomparve. Molti anni dopo capii che gli uomini lavevano uccisa.
Ma io avevo fatto in tempo a carpirne il segreto, e a vivere il prodigio di un tempo in cui la terra
ancora cantava e con essa la vita vibrava.
Qui, per me, il giardino che cerchiamo sempre e inutilmente dopo i luoghi perfetti dellinfanzia
come scrive Quasimodo. E che mi accorgo di inseguire ogni volta che torno a Palinuro. Dove,
sospesa sopra gli abissi del mare, ritrovo la memoria tangibile di quella voce portentosa che mi
scatur dentro nel momento stesso in cui si forgi per me la vita e vi fece irruzione la coscienza, che
mi sussurrava: tutto, tutto, Raffaele, un immenso Oceano damore.
Pi tardi compresi che ad entrambe, alla mia vita e alla mia coscienza, aveva fatto da levatrice il
mare, con la sua presenza continua e sconfinata, familiare e impenetrabile, come la Grande Madre
dei miti antichi, sapienza del paganesimo, che abita ancora il precipizio aereo e gli abissi liquidi
del Frontone o le calette pi nascoste, dove continuo a inseguire la danza vaporosa delle ninfe e il
canto malinconico delle sirene. Quelle creature, intermedie tra lumano e il divino, che sono le prime
interpreti della bellezza carnale delle cose. Palinuro , in s, unesperienza di rivelazione.
Basta salire sulla Molpa, in un giorno di maggio, per accorgersene. Seguire il cammino che parte
dagli ulivi giganti della piana di Mingardo, e ritrovarsi dimprovviso abbacinati sullorlo di una
delle terrazze naturali pi straordinarie al mondo, che si spalanca vertiginosamente sotto i tuoi piedi
e ti proietta nellinfinito del mare e del cielo fino allorizzonte, e oltre. Ricordo lemozione che
mi travolse la prima volta che arrivai lass. Unemozione enorme, come la sensazione di fondersi
nelluniverso, di travasarsi letteralmente nel mondo mentre il mondo prende possesso e dilaga dentro
di te. In un attimo, non sai pi se quello sconfinato lago di luce in cui annegano mare e cielo, o se
la roccia dargento del Coniglio, e la stessa falesia dolomitica che precipita sotto i tuoi piedi e si
schianta su una manciata di piccole spiagge dorate stiano proprio l, di fronte a te, o non si producano
invece dentro te stesso. Come una visione.
Qui, dagli spalti selvaggi della Molpa, tra i poveri resti del borgo da cui nacque Centola, si spalanca
una visione panica, che abbraccia tutta la Realt, e che Raimon Panikkar chiam cosmoteandrica,
dove Dio, Uomo e Cosmo con-vivono in unarmonia costitutiva e irriducibile. La poetessa americana
Jorie Graham lha chiamata enormit dellesperienza, perch capace di cogliere il respiro comune
alla totalit della vita: da quella della materia che si intreccia con quella delle piante e degli
animali, a quella della storia umana che interseca la vastit delle ere geologiche. Ed proprio questa
enormit dellesperienza che si fa tangibile a Palinuro, con lincantesimo della poesia. Ma ricordo
un altro momento perfetto, vissuto a cavalcioni sul precipizio della Molpa. Si era al tramonto, e
sembrava che quella sera il sole avesse deciso di suicidarsi. Il suo sangue rosso fuoco era sparso
dovunque nellimmensit circostante, sul mare, in cielo, sul Cilento e su di me. E tutto era assorto,
come sospeso in un silenzio profondissimo. In quellistante ebbi la sensazione di partecipare a una
liturgia cosmica, e fui folgorato dalla percezione che la Creazione si stesse compiendo assieme a
me e per me. E mi sentii immediatamente portato e sopraffatto da unarmonia grandiosa, turbinante,

come quella, travolgente ed espansiva, che ti possiede nella Terza sinfonia di Mahler. Divina luce
mediterranea, insieme apollinea e dionisiaca, che ha turbato tanti cercatori nordici dinfinito di
fronte al suo prodigio che nasconde e svela profondit abissali. E a Palinuro cogli quasi con mano
quanto sia vero che la profondit si renda visibile dalla superficie e come in essa sia tutta ricapitolata.
Come ho appreso in quelle ore benedette passate a inseguire, lungo gli strapiombi sommersi delle
cale del Frontone, i fasci di luce che si avvitano ruotando verso un fondo che si allontana sempre,
armato di una maschera e di un pugnale. Mi sembrava di regnare sulla vita e sul mare, con una
forza misteriosa che respiravo direttamente dalle cose e che mi ha aiutato a vivere e a vincere tante
avversit. E da quella prima giovinezza, trascorsa in un segreto di luce e in una povert calorosa,
non sono pi guarito.
In quei riti solitari ho imparato che la profondit e il senso dinfinitudine di cui sono fatte le cose non
annegano nella romantica informalit del dionisiaco, ma che, al contrario, in quella sorta di naufragio
nella luce che allora compivo, profondit e infinitudine emergono e si rivelavano precisamente nella
superficie, ossia in quellincantesimo apollineo della misura, nellarmonia dei limiti in cui consiste
la grandezza dellarte classica e rinascimentale. Di quellarte classica, greco-romana, che risuona,
ad esempio, nella mirabile scansione malinconica del verso virgiliano quando scolpisce la morte di
Palinuro, nei canti V e VI dellEneide. Altissimo esempio, lepisodio del fedele nocchiero di Enea,
gettato in mare in una notte serena colma di stelle da un dio maligno, di quella poetica del dolore, gi
in qualche modo precristiana, che ha lasciato unimpronta indelebile in questa costa e che i pescatori
di Palinuro conoscono bene.
E proprio il senso del limite, il dono pi grande che la civilt greca ( che vedeva nellhybris,
nella superbia, il peccato peggiore) e quella ebraica e biblica hanno donato al Mediterraneo e al
mondo. Lo ricordo qui, perch questi valori, pur se del tutto incogniti, rimangono alla base delle
nostre radici culturali
Ma torniamo alla bellezza sovrana di Palinuro. Una bellezza che ti ferisce; e da questa ferita, che
si fa feritoia, senti dilagare il divino in uneccedenza che ti esalta e ti atterrisce nello stesso tempo.
E il fascinans e il dum di cui parla Rudolph Otto a proposito del sacro. Fascinans tutto
quello che abbiamo evocato finora. Ma la bellezza canta Rilke- soltanto linizio del do; il bello
cio ha due anime, una luminosa e una opaca, e spesso il fascinans si muta in tremdendum. Un
dumche qui a Palinuro si traduce nello scontro furioso, tra un cielo e un mare lividi, diventati un
medesimo micidiale amalgama, che copre lintero orizzonte, squassato da muraglioni neri, orlati di
feroce schiuma bianca, che tutto distruggono, di giorno e di notte, e di cui, con pacificato terrore,
ci parlano ancora i tanti ex-voto che impreziosiscono la meravigliosa chiesina di santAntonio, sul
porto.
Di questa eccedenza del divino ho avuto il primo sentore non avevo tre anni- alla Ficocella. Ero
in braccio a mia madre e tenevo i piedi nellacqua, dove, accanto a noi, una madre di pescatori,
vestita di tutto punto con quelle gonne ampie a pieghe e la testa coperta dallimmancabile scialle,
aveva steso dellolio e gettato una pezza bianca tra gli scogli del piccolo fondo, e dimprovviso
un polpo abbocc e fu gettato dalla vecchia, con sorprendente prontezza, nel cestino che aveva al
braccio. Tutto questo avvenne nella trasognata trasparenza del mare, cos puro da ridursi a un velo
di cristallo, e nella luce dolce e limpida del cielo, dove il sole aveva sgranato una miriade di scintille
impalpabili.
Un momento perfetto, in cui senti il tempo e leterno intrecciare il loro ritmo, e dove quasi avverti
i mille legami che uniscono il visibile allinvisibile.
Del resto, non abita lo Spirito i luoghi dove la vita celebra la sua liturgia quotidiana e perenne?
ROMA, 23/02/2013

RAFFAELE LUISE

PREFAZIONE
Gli autori del presente volume sono tra i fondatori dellAssociazione Progetto Centola, costituitasi formalmente nel mese di luglio 2010. Nellambito di questAssociazione culturale Ezio Martuscelli riveste la carica di Presidente e Maria Luisa
Amendola membro del Consiglio Direttivo con lincarico di rappresentante di
Palinuro.
Tra gli obiettivi del Progetto Centola rientra quello di ricostruire la storia culturale
e sociale di Centola e delle sue frazioni (Foria, Palinuro, San Nicola e San Severino)
attraverso una capillare operazione basata essenzialmente sul recupero di testimonianze derivanti da una rigorosa e dettagliata scelta di fotografie e documenti messi
a disposizione da molte famiglie residenti nel Comune.
In particolare, nel presente volume sono raccolte storie relative a persone anziane
di Palinuro che in giovent hanno praticato con successo e sacrifici la pesca, attivit questultima che rappresentava, insieme allagricoltura, la principale fonte di
sostentamento per molte famiglie del luogo.
Il libro,
PALINURO: STORIE DI GENTE DI MARE
vuole essere un tributo e un riconoscimento al coraggio, alla professionalit, alla
bravura e allattaccamento dei palinuresi alla loro terra e allattivit della pesca,
sempre espletata nel rispetto della natura, dellambiente e del mare meraviglioso
che lambisce le coste del Cilento.
Le storie riportate sono il frutto del lavoro di raccolta effettuato da Maria Luisa
Amendola, che ha registrato fedelmente la narrazione di episodi e fatti, raccontati
da familiari di pescatori che non ci sono pi e da persone anziane che rivivono, nel
ricordo, il tempo vissuto sul mare.
Dal racconto di ciascuno emerge una comune considerazione:
< la vita di allora, sebbene dura perch economicamente precaria e sacrificata,
scorreva in un clima di semplicit e serenit che tutti ora sembrano rimpiangere >.

Vista di Palinuro
e delle sue spiagge
(anni 1940).

INTRODUZIONE
Sulla costa cilentana, fra punta Licosa e punta Infreschi, nellazzurro cristallino del
mare, si allunga un promontorio che visto dallalto, sembra un grosso cetaceo. E
attaccato alla terraferma allaltezza della collinetta di Piano Faracchio, alla cui base,
lato est sfocia il fiume Lambro, sulla spiaggia della Marinella, e, a ovest, il promontorio digrada dolcemente, finendo con la spiaggia del Porto e della Ficocella. La
felice posizione geografica fa di questa terra uno dei luoghi pi belli dItalia.
Virgilio volle che si chiamasse Palinuro!
Veramente venne Virgilio, intorno al 49 a C, in questa zona e ne fu incantato come
lo furono gli antichi greci? E probabile!
Si portati a crederlo, perch non poteva sfuggire, alla sensibilit di un poeta, la
bellezza di una natura tanto particolare. Cos Virgilio: Aeternumque locus Palinuri
nomen habebit (V libro Eneide). Questa citazione letteraria, raccontata per secoli,
da una generazione allaltra, ha segnato tanto lanimo dei palinuresi, che la leggenda ha assunto quasi il valore e il sapore di un fatto vero.
Gli abitanti del piccolo borgo marinaro che prese il nome di Palinuro dallo sfortunato nocchiero troiano, erano gente semplice, dedita soprattutto alla pesca; solo
quando il mare era agitato, lavoravano la terra. Da notizie pi remote, si sa che gli
abitanti di Palinuro, con le loro barche a vela o a remi, non si spostavano di molto: raggiungevano le spiagge vicine di Elea (Velia), Pisciotta e Caprioli a Nord, e
Marina di Camerota a Sud. La loro attivit quotidiana di pesca era limitata lungo
la scogliera delle Saline e lungo la costa di Capo Palinuro, fino a Baddurmino,
odierno Buondormire.
Raccogliendo testimonianze da qualche pescatore pi anziano, si cercata di ricostruire la vita dei Palinuresi dalla fine del secolo XIX alla prima met del secolo
XX. Non era certo una vita facile, perch si pescava in condizioni tuttaltro che
comode e sicure: non si possedeva nessuno strumento per la navigazione, lunico
punto di riferimento, di notte, era il faro, che funzionava ad acetilene. Pi al largo,
in mare, ci si orientava solo guardando le stelle che erano bussola e orologio. Dalla
fine del 1800 fino a circa il 1915-1920, la pesca era praticata in modo molto primitivo. Di notte si pescava con piccoli gozzi provvisti di lume ad acetilene; di giorno,
dagli scogli, con ami, coppi e u lanzaturu (fiocina). Lesca era a trimmulina
(piccoli vermi dal colore rosato, che si trova sotto la sabbia in riva al mare), un po
di formaggio, impastato con mollica di pane o ancora, qualche resto di pesce prima
pescato. I polipi erano pescati quando il mare era calmo e si procedeva versando
un poco di olio sullacqua in prossimit di scogli, dove cerano dei buchi, delle
fessure, in cui i molluschi vivevano. Lolio stennia lacqua, cio ne appiattiva
la superficie, rendendo visibile il fondo. La capacit del pescatore faceva il resto:
costui doveva essere velocissimo e di mano ferma nellinfilzare il polipo appena lo
avvistava.
Sugli scogli era trovata anche unerba medicamentosa a simintella, dallodore


molto penetrante, con cui si faceva un infuso, molto efficace per pulire lintestino
da ossiuri e tenie. La critima poi era ed unerba molto aromatica e dal sapore
forte, tuttora usata per insalata, che stimola la digestione e combatte lacidit di stomaco. Questerba si trova lungo la roccia di Capo Palinuro ma soprattutto buona e
richiesta quella che vegeta sullo scoglio del Coniglio, di fronte alla Marinella.
Qui di seguito, attraverso documenti, interviste e foto depoca gli Autori hanno cercato di ricostruire episodi di vita vissuta, aneddoti, fatti, storie e leggende, relative
essenzialmente allattivit della pesca, di un numero espressivo di pescatori di Palinuro che hanno speso buona parte della loro vita sul mare, e questo quando la pesca
rappresentava la principale risorsa per la maggiore parte delle famiglie di Palinuro.
Le testimonianze (dirette e indirette) raccolte, insieme alla produzione di unimportante collezione iconografica, che riguarda sia le famiglie sia lambiente e il territorio, permettono di ricomporre e tracciare le profonde trasformazioni che hanno
riguardato, tra gli anni della fine della prima guerra mondiale e gli anni 1960-70, gli
aspetti sociali, economici e culturali di Palinuro e della sua Gente di Mare.

Palinuro, anni 1940, piazza Virgilio angolo via Indipendenza.

ANTONIO AMENDOLA
(insegnante-pescatore)
Antonio Amendola, figlio di Alfonso e di Vincenzina Finamore, nato a Palinuro il
5/11/1930, fin da ragazzo, sent forte la passione per il mare e, ancora oggi, allet
di 82 anni, la coltiva. Infatti, pur risiedendo a Roccagloriosa, luogo di origine degli
avi materni e sua sede dinsegnamento, da quando ha finito la sua carriera, vive per
lunghi periodi dellanno, nella sua casa al Porto di Palinuro. Con la sua barca, insieme alla moglie Antonietta Capobianco e a qualche amico, passa intere mattinate
sul mare. Pesca con le coffe, con le lenze o a traino. Pescare, solcare lacqua azzurra
di Palinuro, col motore al minimo o fenderla con i remi, non per lui un hobby ma
un piacere grandissimo: provare un senso di libert, un sollievo al fastidio che
procurano la confusione e la corsa della vita moderna. Sin da quando era studente,
sinteressava alla vita di mare, quindi cominci a seguire le vicende dellindustria
della pesca iniziata dal nonno Vincenzo e poi continuata da suo padre Alfonso e
dallo zio Nicola. A tal proposito racconta:
< Avevo 19 anni e frequentavo il liceo, quando seppi che mio padre insieme al
fratello Nicola e al socio Francesco Di Fiore, avevano deciso di montare sulla
loro barca, il cianciolo S. Pietro, un motore pi grande e quindi pi potente. Per
fare ci, bisognava andare a Napoli per prendere un motopeschereccio, il S. Giuseppina, portarlo a Salerno, dove era in attesa il S. Pietro e l fare lo scambio dei
motori. Io, che ero studente liceale in quella citt, volli partecipare allimpresa. In
un pomeriggio del mese di febbraio del 1949 partimmo da Napoli diretti a Salerno.
Sul S. Giuseppina con me, oltre al motorista Giacomo Belonoskin, cerano quattro
pescatori venuti da Palinuro: Tommaso De Luca, Aniello Romano, Aniello Scarpati
e Mauro Calembo. Navigammo spediti fino a Sorrento; poi cominci a levarsi il
vento di scirocco che rallent molto la nostra andatura: lo avevamo a prua, contrario alla nostra rotta! Arrivati davanti a Positano, vicino allisola Li Galli, cambi
il vento e infuri una tempesta fortissima. Non vedevamo le luci dei paesi della
costiera, perch era andata via la corrente a causa dei fulmini; non ci orientavamo
pi in quellinferno di lampi e tuoni. A bordo nessuno parlava! Eravamo sballottati,
impossibilitati a muoverci. Dimprovviso, unonda altissima sollev il S. Giuseppina e ci trovammo su di una spiaggia. Lurto fu cos forte che il motore salt dal
basamento e si spense. Era buio totale! Non sapevamo dove eravamo finiti. Dopo
un poco si riaccesero le luci e arriv in nostro soccorso la guardia di finanza, e cos
sapemmo che ci eravamo arenati a Positano. Fummo portati in un locale - la buca
di Bacco dove trovammo persone gentilissime che ci accolsero e ci rifocillarono.
La mattina seguente, una motovedetta della Capitaneria di porto ci rimorchi fino
a Salerno, dove il motore del S. Giuseppina fu trasferito sul S. Pietro. Dopo qualche


giorno, ritornammo a Palinuro. Ogni tempesta finisce. Era arrivata la primavera e


quindi la stagione della pesca che, in quellanno, fu molto abbondante >.
Le lampare furono sostituite dai ciancioli, comparsi in questa zona nella prima met
del 900. Il primo cianciolo portato a Palinuro fu il S. Giacomo, comprato in Sicilia
da Vincenzo Amendola, ma, dopo pochi anni, fu rivenduto e sostituito da un altro
cianciolo, il S. Pietro, pi grande e meglio attrezzato.
Anche altri imprenditori del luogo comprarono motopescherecci attrezzati a ciancioli: Antonio Rinaldi il Marco Polo, Giacomo Polito gestiva il Pappagallo di
un certo Frangione da Ascea. Antonio Amendola cos continua:
< Il cianciolo era una rete a piccole maglie (circa un centimetro) lunga 300 metri,
che terminava col cappuccino, rete molto pi doppia, dove finivano le alici. Sul
fondo della rete vi erano i piombi e a intervalli, degli anelli di bronzo, attraverso i
quali passava un cavo di acciaio che, tirato, faceva chiudere la rete imprigionando
le alici. Con il verricello si tirava la rete sotto la fiancata del motopeschereccio
e si procedeva al recupero del pescato con il retino , grosso coppo fatto con una
rete molto robusta, tanto da poter contenere oltre 50 chilogrammi di pesce. Il retino
era afferrato da un gancio, appeso a una fune che era legata allosbirro (albero
alla cui estremit era posta una carrucola - azionata dal motore su cui scorreva la
corda del retino). Il S. Pietro, dotato di unesperta ciurma di pescatori e di unottima
rete, si distinse, allepoca, per labbondante pesca di pesce azzurro. La pesca del
pesce azzurro si fa di notte, dalla sera al mattino. Perci il motopeschereccio partiva, al tramonto, rimorchiando tre gozzi a remi, ciascuno dei quali aveva, a poppa,
un lume alimentato a gas di petrolio, che sprigionava una luce pari a diecimila candele, prodotta dallaccensione di otto calzini di seta, fragilissimi. Arrivato al largo,
il S. Pietro mollava le cime e i tre gozzi prendevano posto sul mare, a una distanza
di circa 500/600 metri luno dallaltro. I lumisti (cos erano chiamati i pescatori dei
gozzi col lume ) erano: Luigi Sacco U ndringhete , Tommaso De Luca Machillo,
Emilio Pepoli Ddemiliu. Aniello Romano U Pollino invece era addetto alla
lanza (piccola barca) che andava da un lumista allaltro per vedere se erano
assumate alici sotta u lumu (venute a galla alici sotto la luce del lume). Se le alici
cerano, il Pollino, remando piano per non spaventare la compagna (il branco)
di pesce, andava a riferire al capobarca quale dei tre lumisti segnalava la presenza
delle alici, sotto la luce del suo lume. A questo punto il motopeschereccio era diretto
verso il lumista indicato, mentre il capobarca preparava, insieme alla ciurma, il
vuolo da eseguire. Il Pollino prendeva la stazza, cio manteneva linizio della
rete, fermandosi nel punto dove cominciava a essere immersa, e Amodio Sacco o
Aniello Scarpati facevano il vuolo (immersione della rete) intorno al gozzo che
aveva i pesci sotto il lume. Non era facile fare il vuolo , perch bisognava tener
conto delle correnti e orientare la rete in modo che non fosse trascinata sotto il motopeschereccio. Amodio e Aniello erano i pi esperti nel fare con la rete un cerchio
quasi perfetto al centro del quale restava il gozzo con il lumista. Era uno spettacolo
veramente straordinario, emozionante, vedere guizzare nellacqua rischiarata dal
lume una massa enorme di alici impazzite che mostravano il loro dorso argento e


blu in un moto frenetico. Lannuncio dellabbondante pesca era dato col suono della tufa (conchiglia alla cui base era stato praticato un foro), in cui un pescatore
soffiava energicamente La tufa emetteva un suono tanto forte e profondo da sentirsi
a notevole distanza. Era consuetudine avere a bordo del cianciolo una bacinella
di lamiera, a bagnarola, col fondo pieno di pietre pomici, su cui si accendevano
i carboni per arrostire le alici della prima pescata. Io che ho avuto la fortuna di
assaggiarle posso affermare che erano di un sapore unico, perch venivano arrostite, appena pescate, senza essere sventrate e senza essere lavate con acqua dolce;
quindi conservavano tutto il sapore del mare >.
< C da dire che fino alla met del secolo scorso il mare di Palinuro era ricchissimo non solo di pesce azzurro, ma di ogni specie di pesce pregiato. Ricordo che,
dopo aver conseguito la licenza ginnasiale, i miei genitori mi regalarono un fucile
e una maschera per la pesca subacquea: quel regalo fu ed stato il dono pi gradito che abbia ricevuto nella mia vita! Era il primo fucile per la pesca subacquea
che arrivava a Palinuro. Ero ragazzo: sognavo avventure; desideravo scoprire;
volevo sapere ci che nascondeva la lunga scogliera sommersa che va dal porto di
Palinuro a Caprioli. E con la maschera e il fucile cominciai a farlo in giovane et.
Era per me un divertimento bellissimo osservare gli scogli sommersi, ricchi di vegetazione e brulicanti di pesci dogni genere. Cera limbarazzo della scelta: si pescavano spigole, cernie, saraghi, cervine a basse profondit, dai tre ai sette metri.
Un giorno, quando ancora si viaggiava col calesse e il cavallo, venne a farci una
visita inaspettata, un fratello di mio nonno, grande cacciatore di lepri. Mia madre
voleva preparare un pranzo a base di pesce allo zio che veniva dai monti; perci
mincaric di andare a pescare sugli scogli della Ficocella spiaggia vicino casa
mia dicendomi di portarle qualcosa di buono. Mi sentii importante per lincarico
affidatomi e mimposi un obbligo: devo pescare un bel pesce! Mi tuffai dagli scogli
della Ficocella degli uomini (allepoca vi erano due spiagge divise: una riservata
agli uomini e unaltra, separata dalla prima da una scogliera, riservata alle donne) e nuotai per un centinaio di metri verso il largo, raggiungendo la punta della
Ficocella delle donne. Tra le due spiagge vi era una scogliera sommersa, ricca di
anfratti e buche, nelle cui cavit si trovavano pesci delle migliori specie. Osservando con la maschera il fondale, dopo poco intravidi una spigola molto grande.
La seguii e la colpii con la fiocina. Dovetti per risalire in superficie per respirare:
io scendevo in apnea. Presa aria, mimmersi immediatamente per non perderla.
Intanto una grossa murena, attratta dallodore del sangue della spigola ferita, era
accorsa e cercava di aggredirla. Lottai per difendere il mio bottino e ci riuscii.
Portai a casa una spigola di oltre tre chili e mezzo. Lo zio, cacciatore di lepri, nel
vederla esclam: - Questa si che caccia! Altro che la lepre dietro cui perdo intere
giornate. Io, per la mia caccia, avevo impiegato soltanto due ore! >.
< Ancora un altro episodio straordinario mi capit a Porticello, scogliera che si
trova a sud della Ficocella degli uomini. Ero con mio fratello Vincenzo e pescavamo a turno: avevamo una sola maschera e un solo fucile. Vincenzo simmerse per


primo e risal dopo poco dicendo: qui c un polipo enorme, Io non ci provo; se
vuoi, scendi tu. Mi pass la maschera e il fucile e mi tuffai, dove mio fratello mi
aveva indicato. Dopo poco risalii in superficie con il polipo che avevo colpito fra
i due occhi e che era rimasto infilzato al fucile. Aveva tentacoli lunghissimi: con
alcuni si avvinghi al mio braccio destro e al torace, mentre io mantenevo la testa
alta, girata verso sinistra, per evitare che i tentacoli mi toccassero il viso. Vincenzo
mi aiut a staccare i tentacoli dal braccio, ma i segni delle ventose restarono sulla
mia pelle per diverse settimane. Il polipo, che pesava circa dieci chilogrammi, fu
appeso a una baracca, alta pi di due metri: i tentacoli sfioravano la sabbia! Purtroppo ora il mare non pi pescoso come un tempo: potrei dire con il mio amico
Bartolo che stu mari sulacqua! (questo mare solo acqua) >.

Il porto di Palinuro anni 1930, con i pescherecci allormeggio.

Antonio e Vincenzo Amendola,


figli di Alfonso Amendola.
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Alfonso Amendola.

Vincenzina Finamore moglie di Alfonso Amendola.


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Palinuro, spiaggia della Ficocella degli uomini, anni 1930.

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VINCENZO AMENDOLA
(un amalfitano a Palinuro)
Vincenzo Amendola, nato ad Amalfi nellanno 1872, da Rosa Coppola e Nicola
Amendola, era il terzo di sette fratelli. Verso la fine del 1800, ancora giovanissimo,
animato da spirito dintraprendenza non comune, decise di navigare verso la costa
del Cilento.
Sbarc nella piccola rada, protetta dal promontorio di Capo Palinuro, su cui troneggiava e troneggia il faro.
Il giovane Vincenzo, - pi tardi, il cavaliere -, rest forse stupito per la bellezza del
posto, per gli strapiombi della roccia su unacqua azzurrissima, trasparente, quale
ancora .
Non poteva certamente sfuggire alla sua vivace intelligenza e al suo intuito, che
quella era la terra adatta per rimanervi tutta la vita.
Il borgo di Palinuro era formato da poche case di pescatori e contadini, da una
piccola chiesa dallarchitettura povera, con le mura bianche e il tetto rosso, che ora
non c pi!
Nella rada, chiamata da tutti il porto, vi erano solo sei case e la cappella di S.
Antonio.
I colori, la luce dellalba e del tramonto, la semplicit della gente, la quiete e la
serenit che regnavano nella zona dovettero dare al giovane amalfitano lidea del
paradiso terrestre.
Da quel paradiso, infatti, Vincenzo non si allontan pi.
A 22 anni, nel 1894, spos Maria Luigia Gambardella, una giovane palinurese, figlia di unagiata famiglia del posto.
Compr e ristruttur una vecchia casa, rendendola comoda e bella, e l visse con la
sua famiglia.
Sinteress di far aprire a Palinuro il primo ufficio postale, di cui fu direttore.
Promosse lagricoltura e cre, in loco, la prima industria della pesca. Infatti, prima
del suo arrivo, i palinuresi pescavano, in maniera tradizionale, ciascuno con la sua
barca. Vincenzo organizz i pescatori in ciurme, compr imbarcazioni e reti adatte
per la pesca del pesce azzurro in particolare alici e sarde che faceva salare in
appositi barilotti, detti terzarole che spediva alla ditta Cirio.
Uomini e donne trovarono lavoro: venivano anche dalla vicina Marina di Camerota
molte persone a lavorare presso la ditta Amendola.
Il commercio fiorente gli permise di comprare terreni e ruderi, che ristruttur facendone case e locali, dove si riunivano a lavorare folti gruppi di donne, che divennero
molto esperte nellarte di salare le alici. Il cavaliere, da tutti conosciuto e stimato
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come un uomo attivo e intraprendente, teneva ottimi rapporti con operai, pescatori
e con le donne addette alla salagione delle alici.
Non era il padrone che sorvegliava e comandava: era un amico, una persona ricca
di umanit e comprensione, che cercava di dare lavoro e promuovere leconomia
locale.
Era allegro, facile alla battuta ironica, alle osservazioni sagaci. Intelligente e furbo,
seppe guadagnarsi, in breve, non solo la stima ma anche laffetto di chi viveva intorno a lui.
Dopo un anno dal matrimonio con Maria Luigia, nacque il primo figlio, Nicola; in
seguito nacquero Rosa, Alfonso e Teresa. Era una bella famiglia e, quindi, cera
bisogno di aiuto.
A quel tempo, a Palinuro, non esisteva lacquedotto che distribuiva lacqua nelle
case: bisognava attingerla alla fontana pubblica. Il cavaliere, bene pens, di andare
ad Amalfi, a prendere una donna di sua fiducia, ancora abbastanza giovane, che
potesse aiutare la moglie, e provvedere, sopratutto, al trasporto dellacqua, dalla
fontana a casa, con le quarte, anfore di terracotta con due manici.
La donna si chiamava Maddalena, nella parlata familiare e dialettale Matal; ormai zitella, non aveva conosciuto uomini: ne aveva avuto sempre un sacro timore,
timore che, con let, era aumentato.
Era venuta a Palinuro, col cavaliere, solo perch lo conosceva da quando era nato, e
sapeva di andare in una casa dove cerano solo bambini e la signora Maria Luigia.
Si affezion alla famiglia, dalla quale era trattata benissimo, e vi rest per sempre.
Maddalena aveva una sua stanzetta, al primo piano con una finestra che si apriva
sul giardino, dove cerano piante di aranci, limoni e un pollaio. Sotto la stanza di
Maddalena, al pianterreno, cera un locale, adibito a deposito per le reti da pesca, che
erano usate solo in determinati periodi dellanno. Le reti erano arrotolate in modo da
formare dei grossi gomitoli, detteballe di reti, posti luno sullaltro, su un ripiano,
in gergospasario, fatto con travi di agavi secche, appoggiati su cavalletti di ferro.
Maddalena, ogni sera, andando a dormire, prima di chiudere la finestra e posizionare
la pannula dietro agli scurini, negli appositi buchi del muro, guardava nellorto,
per assicurarsi che non ci fossero estranei. Una sera, Maddalena, nel fare la solita
ispezione, not qualcosa che si muoveva vicino alla rete del pollaio e corse a dare
la voce in famiglia. La signora Maria Luigia and subito a vedere e rassicur Maddalena, spiegandole che la cosa che vedeva muovere, era una gatta che, dopo aver
partorito, aveva sistemato proprio l, sotto un mucchietto di frasche, i suoi gattini.
Matal, stai tranquilla le disse poi il cavaliere - i malintenzionati non vengono
qua, quelli sanno, dove andare, sanno, dove sono le femmine allegre e belle; sicuramente non cercano te! Se poi hai paura degli spiriti, sienta mme, quelli stanno
meglio allaltro mondo: qua non ci tornano pi! Detto questo, il cavaliere e sua
 robusto paletto che veniva posto orizzontalmente dietro gli infissi.

14

moglie si avviarono verso la loro camera da letto, non lontana da quella di Maddalena. Spensero il lume a petrolio e si addormentarono subito, favoriti dal silenzio e
dal buio. Per la povera Maddalena non fu cos: il buio e il silenzio erano per lei terrificanti. Con gli occhi spalancati, cominci a pensare: E se quella non era una gatta,
ma un uomo che voleva nascondersi nel pollaio? Ohi, mamma mia! Che faccio?
SantAndrea, aiutami tu! Zitta, immobile, Maddalena invocava il bel santo lasciato ad
Amalfi, e respirava appena, con la testa mezza dentro e mezza fuori dalle coperte.
Era una notte calma, senza vento, ma buia come la bocca dellinferno, diceva
Maddalena quando raccontava alle amiche ci che era successo. In quel silenzio, in
quel buio pesto, a un tratto Maddalena cominci a sentire dei tonfi cupi, come fossero uomini, che saltavano, uno dietro laltro. E allora, per tutta la casa, riecheggiarono le sue urla disperate. Maddalena era sicura di non essersi sbagliata: la cosa che
aveva visto muoversi nellorto non era una gatta. Perci gridava: Cavali, venite,
venite, i diavoli zompano! Venite, correte, i mo moro! Moro, moro !. Il cavaliere
e la moglie, svegliati da tali disperate invocazioni, si alzarono per correre in soccorso della loro domestica; ma non era facile, allepoca, accendere velocemente un
lume a petrolio e correre. Oltretutto il cavaliere, nel buio, cercava le sue brache: non
poteva correre nudo da Maddalena; sarebbe morta davvero! Quindi, sia lui che la
moglie, risposero ripetutamente: Matal, veniamo subito, stiamo venendo, aspetta; stiamo accendendo il lume!
Maddalena non sentiva assolutamente niente, continuava a gridare senza sosta,
mentre il cavaliere cercava di infilare le gambe nel mutandone. In effetti, i tonfi li
avevano sentiti anche il cavaliere e la moglie che avevano immediatamente capito
cosa era successo. I rumori terribili, per Maddalena - venivano dal locale, dove
erano sistemati i rotoli di rete, proprio sotto la sua stanza. I rotoli erano appoggiati
luno sullaltro, senza essere legati con corde: evidentemente, per il precario equilibrio, il rotolo, che stava pi in alto, precipit; dopo di questo, ne precipitarono altri
e perci il rumore era ripetuto, uguale, proprio come un tonfo di qualcuno che salta.
Maddalena, pertanto, presa dalla disperazione, visto che il cavaliere non arrivava,
mand un urlo altissimo. Medit il suicidio! Cavali, cavali, i mo me menghe !
Maddalena non ragionava pi: voleva lanciarsi dalla finestra, perch era certa che
vi erano uomini in casa. Il cavaliere, mentre cercava di ricomporsi alla meglio, continuava a gridare quanto lei: Matal, nun fa a pazza! Aspetta, aspetta; nav paura! Sono le balle che stanno cadendo una appriessa lata. Nav paura, Matal.
Vengo, vengo! Nav paura! Per risposta, Maddalena: Nooo....i me menghe! Il
cavaliere che, finalmente, era riuscito a tirar su le brache, visto che Maddalena non
si calmava, rispose: Matal, menate e futtete!
Maddalena non si tolse la vita.
Il mattino seguente, lepisodio pass di bocca in bocca, suscitando non poca ilarit.
E rimasto, ancora oggi, famoso il detto del cavaliere: Menati e futtete!
15

Vincenzo Amendola nato ad Amalfi nel 1872, a 18 anni (a sinistra)


e nel 1907 a destra.

I figli di Vincenzo Amendola, Alfonso, Nicola, Rosa e Teresa,


nel 1903.

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Maria Luigia Gambardella, moglie di Vincenzo Amendola,


con le figlie Teresa (sinistra) e Rosa (Destra).

17

Palinuro, 1930- Terrazza di casa Amendola. Matrimonio di Rosa Amendola ,


prima da destra, e Francesco Di Fiore, terzo da destra.

18

Palinuro, Nicola Amendola con la moglieTeresa Bortone, 1935.


Terrazza di casa Amendola su via Indipendenza.

19

Palinuro 20-ottobre-1939, il Battesimo di Maria Luisa Amendola.


Corteo in via Indipendenza.

20

Manifesti attraverso cui la ditta Amendola di Palinuro pubblicizzava


i prodotti della trasformazione del pesce.
21

UN RUSSO-COSACCO A PALINURO: JAKOV BELONOZKIN


(Giacomo Belonoskin)
Giacomo Belonoskin nacque a Ostraskja, cittadina del sud della Russia, il 24 dicembre 1886. Durante la rivoluzione dottobre del 1917 si arruol nella cavalleria ma, poich la sua famiglia fu perseguitata, per la guerra civile scatenatasi in
Russia, Giacomo, per salvarsi, fu costretto a lasciare il padre Arcadij (Arcadio),
la madre Daria, i fratelli Eugenio, Giacomo 1 e Pascoida; simbarc su una nave
che lo port in Grecia. Dalla Grecia, avventurandosi nel Mediterraneo, raggiunse
la Francia; entr nella Legione straniera e and a combattere in Libia. Dopo poco
disert, insieme con altri amici russi e, coraggiosamente, con una piccola imbarcazione, ancora una volta si affid alle onde del mare. Giacomo e i suoi compagni
navigarono per quattro giorni e quattro notti, col vento non sempre favorevole,
senza viveri e col fuoco nemico in agguato. La mattina del quinto giorno, la barca,
con i profughi russi, finalmente incroci un bastimento, il cui capitano indic a
Giacomo la rotta per raggiungere la terra; seguendo le indicazioni avute, approd a
Lampedusa. Giacomo e i suoi compagni si accorsero che erano arrivati in Italia e,
arrampicandosi sulla scogliera, raggiunsero il faro dellisola. Furono soccorsi dagli
abitanti e le autorit del posto li mandarono a Roma, presso il consolato russo da
cui ottennero nuovi documenti. Pi tardi fu loro concesso asilo politico dallo stato
italiano. A Roma Giacomo dovette separarsi dai suoi amici. Questa separazione fu,
per lui, un gran dispiacere che si aggiunse a quello che lo aveva gi segnato, quando
fu costretto a fuggire dalla sua terra. Giacomo, ormai avanzato negli anni, quando
raccontava la fuga dalla Russia, fatta attraverso il Mar Nero, era preso da una grande tristezza. Diventava molto serio, parlava a voce bassa e, mischiando il dialetto
palinurese allitaliano, creava una lingua tutta sua, segnata da una forte inflessione
russa. Era un uomo alto, forte, robusto, dal volto duro, solcato da profonde rughe,
ma diventava fragile, gli si arrossavano gli occhi, gli tremava la voce nel raccontare
la sua avventura.
< Sette giorni diceva sette giorni di fuga, senza mangiare n bere, attraverso il
Mar Nero, tra lo spettacolo terrificante dei cadaveri di tanti cosacchi, pi sfortunati di noi, che pendevano dai pali della linea elettrica > e non era pi capace di
continuare il racconto.
Ma ritorniamo a descrivere i fatti in ordine cronologico.
Il profugo russo fu mandato dal consolato a Napoli, dove lavor per due anni in
unofficina meccanica, mentre i suoi amici restarono a Roma. A Napoli cominci a sentirsi pi sicuro, perch conobbe una nobildonna russa, Baranoskaja Maria
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Dohrn, che prese a proteggere il suo conterraneo e lo raccomand al giornalista e


scrittore Michail Nikolaevic Semenov, anchegli russo, trasferitosi in Italia, a Positano, dove si dedic alla pesca. Semenov, infatti, compr un battello a vapore che
fece arrivare da Amburgo a Napoli. A riparare e a mettere in mare quel battello, che
era molto rovinato, pensarono Giacomo Belonoskin e un certo Edoardo, rinomato
meccanico napoletano. La capacit di Giacomo a intervenire sul motore e la perizia
che dimostrava nella navigazione, non sfuggirono allattenzione di Semenov, per
cui lo assunse come motorista.
Messo in mare il battello, Semenov, Giacomo e Edoardo arrivarono a Sorrento.
Provata la barca, Edoardo se ne torn a Napoli.Giacomo e Semenov si diressero
a Positano e da qui al porto di Amalfi. Ma la barca aveva bisogno di riparazioni
allo scafo, per cui Giacomo la port a Salerno, dove un bravo carpentiere la ripar
perfettamente. Finito questo lavoro, Semenov ordin a Giacomo di ritornare a Positano, dove lui e la sua amica presero alloggio in un albergo; Giacomo invece rest
a vivere sulla barca, la Carlo Scarfoglio, dove finalmente poteva mangiare e bere,
quando, come e quanto voleva!
Rimase per alcuni anni a lavorare, come motorista, con lo scrittore russo, che compr altre barche e mise su una vera e propria industria della pesca. Con i pescherecci
di Semenov, Giacomo si spinse sulla costa cilentana, fino a Marina di Camerota,
approdando sia alla Molpa sia al porticciolo di Palinuro.
Finalmente, a Palinuro, dopo tante avventure, per il profugo russo, sorse unalba
nuova: unalba, propria unAlba! Una bella ragazza, di nome Albina, rischiar la
sua vita. Si sposarono e, per i primi due anni di matrimonio, vissero a Napoli, perch Giacomo ritorn a lavorare presso lofficina di Edoardo, a Santa Lucia. Intanto
lamico di Semenov, il ballerino russo Massine aveva acquistato lisola Li Galli,
davanti a Positano e cercava una persona di fiducia, che facesse il custode. Michail
Semenov gli propose Giacomo Belonoskin che accett e si trasfer, con la moglie
Albina, nellisola Li Galli dove visse per quattro anni, facendo il custode fanalista.
Intorno al 1934, per controversie sorte con il ballerino Massine, lasci lisola e and
a vivere a Positano.
Da Giacomo Belonoskin e Albina Pepoli nacquero tre figli: Maurina, a Palinuro, nel
1928; Daria, nellisola Li Galli, nel 1929; Artemio, a Palinuro, nel 1931.
A Positano Giacomo conobbe il maresciallo Lagoria che lo indirizz presso il cantiere Bonifacio di Salerno, per lacquisto di una vecchia imbarcazione da passeggio.
Il bravo motorista russo la modific interamente e ne fece una barca per trasporto
merci: con questo battello lavor molto, trasportando merci da Salerno a Capri.
Dopo qualche anno si trasfer definitivamente a Palinuro, dove la moglie Albina
compr da donna Angelica Rinaldi una casa, sulla spiaggia del porto, che Giacomo
ristruttur. Nella nuova casa abit, con la famiglia, per tutta la vita.
A Palinuro continu il suo lavoro, navigando lungo la costa calabra e spingendosi
23

fino in Sicilia, per trasportare merce di ogni genere.


Nel decennio tra il 1930 e il 1940, a Palinuro cominci a svilupparsi lindustria
della pesca del pesce azzurro. In quellepoca il mare tra Pisciotta e la collina di
Molpa era pescosissimo: le vecchie lampare a vela e a remi furono sostituite da
motopescherecci a motore, veloci e pi sicuri. Vi fu in loco una vera propria corsa
allattivit peschereccia, avviata e diretta da un uomo di intelligenza e volont non
comuni, che, da Amalfi, si era stabilito a Palinuro: era Vincenzo Amendola che organizz i pescatori palinuresi in ciurme.
La sua ciurma era diretta dal capobarca Amodio Sacco ,u capitano, e dal motorista Giacomo Belonoskin, u russo, responsabili del San Pietro, un barcone, dalla
prua alta e superba, che faceva bella mostra di s nel porto di Palinuro. Il San Pietro
era dotato di una rete, il cianciolo, capace di contenere diversi quintali di alici,
che veniva tirata a bordo meccanicamente. Aveva un motore diesel, di notevole
potenza, che consent a Giacomo di affrontare la tempesta del 25 settembre 1949,
rimasta nella storia dei palinuresi.
Al mattino di quel 25 settembre il tempo era bello, per cui molti pescatori, proprietari di barche a remi, si spinsero al largo, per la pesca del pesce spada. Nulla faceva
prevedere che nel pomeriggio si sarebbe scatenato linferno! Verso le ore 15 il cielo
improvvisamente si rabbui, il vento prese a soffiare dal nord e le onde del mare si
sollevarono, spumeggiando senza sosta. Lampi e tuoni si impadronirono dellaria.
Le barche che erano al largo di Capo Palinuro non si videro pi: furono ore di
panico! Molti palinuresi scesero sulla spiaggia del porto, insieme ai familiari dei
pescatori che non erano riusciti a raggiungere la riva. Era quasi buio e una barca con
a bordo due uomini non era ancora rientrata. Erano Mauro Pepoli Ciucculatera e
Salvatore Del Gaudio U zitu.
Sacco Amodio si rec dai proprietari del S. Pietro e chiese il permesso di uscire nella tempesta, con il loro motopeschereccio, sperando di ritrovare la barca dispersa.
Nicola Amendola disse che valeva la pena di rischiare la barca, per salvare delle
vite umane, purch Giacomo, il motorista, fosse disposto a farlo. Giacomo era gi
pronto: aspettava solo il consenso dei padroni; quindi fece tirare gli ormeggi e part
dal porto, beccheggiando terribilmente sulle onde. Il S. Pietro scomparve dietro la
punta di Capo Palinuro, mentre i familiari e gli amici dei pescatori dispersi, si riversarono nella cappella di S. Antonio, che si trova sulla spiaggia. Cominciarono a
tirare ininterrottamente la corda della campana, al cui suono si un il pianto disperato delle madri e delle mogli. Successe allora una strana cosa, un fenomeno strano
direbbe la Chiesa, quando non osa pronunciarsi.
Artemio Belonoskin, figlio di Giacomo, dice che il padre cos raccontava:
< affacciatosi dalla zona sottocoperta, dove era il motore, vide in quel buio, una
luce occhieggiare sul mare in tempesta e grid ad Amodio di raddrizzare il S. Pietro
nella direzione in cui aveva visto il segnale luminoso. Amodio ruot il timone nella
24

direzione indicatagli, e Giacomo spinse al massimo il motore. Chiamarono, gridarono il pi forte possibile, sfidando gli spruzzi violenti dellacqua, nella speranza
di ritrovare i dispersi >.
La rotta indicata da Giacomo e seguita da Amodio, nelle tenebre, senza alcun mezzo di orientamento, li port sulla meta.
Incontrarono i pescatori dispersi che, perduti i remi, stremati dalla violenza del
mare, si reggevano a stento nella barca piena dacqua. Giacomo, appena li vide,
esclam: Meno male che avete acceso quella luce, altrimenti non vi avremmo
trovati.
Mauro Pepoli rispose: Ma di quale luce parli? Di quale segnale? Noi non abbiamo
niente. Siamo bagnati dalla testa ai piedi; non potevamo accendere nulla, anche se
avessimo avuto qualcosa per farlo. Tirati a bordo i due naufraghi, con non poca
difficolt, il S. Pietro punt verso il faro di Palinuro, unico segnale che si poteva
seguire in quella notte di tempesta. Raggiunto il porto e raccontato laccaduto, si
grid al miracolo ottenuto per intercessione di S. Antonio.
Artemio Belonoskin, nel raccontare questo fatto, aggiunge: < La luce la vide solo
mio padre. Lui non bestemmiava mai! >.
( Palinuro 12/04/2012)

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Palinuro, Giacomo Belonoskin (Jakov Belonozkin) con la moglie


Albina Pepoli ed i figli Artemio e Maurina, anni 1930.

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Palinuro, Belonoskin Giacomo e la moglie Albina.

Palinuro, Nazareno Pepoli (a sinistra) con Giacomo Belonoskin.

27

Ciurma di pescatori al porto di Palinuro,


anni 1930s, in attesa di imbarcarsi.

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Antonio Rinaldi (il Duegno), al porto di Palinuro, anni 1930-40.

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ANGELINA CALEMBO
E nata l8 settembre 1922 ed una testimone vivente, in perfetta salute mentale,
che ricorda e racconta come vivevano i palinuresi nel ventennio 1930-1950.
Angelina, nonostante i suoi novantanni, conserva un bellaspetto fisico e il brio e
lumorismo che nascono da unintelligenza pronta e da unintuizione vivace.
Ancora ragazza cominci a lavorare nellindustria della salagione delle alici, messa
su da Vincenzo Amendola.
Ricorda le compagne di lavoro: Anella Troccoli, Assunta Calembo - dotata di particolare forza fisica, che le consentiva di zappare con vigore maschile Donata Calembo, Antonietta Passarelli, Giuseppina Diotaiuti, Filomena Scarpati e Angelina
Granito, che teneva allegre tutte, con un linguaggio forbito e colorito. Delle sue
compagne, sono viventi Giuseppina Diotaiuti e Filomena Scarpati.
< Anche se erano tempi duri dice Angelina e sentivamo spesso i morsi della
fame, eravamo felici, perch ci accontentavamo di poco, di tanto poco! Un giorno
la mia compagna di lavoro, Angelina, prese dalla salamoia un bel po di alici, senza
farsi scorgere dal proprietario, le lav per farne cadere il sale, corse a friggerle a
casa sua e le port a noi altre. Le mangiammo con gusto, anche se assai salate, e ci
divertimmo molto perch nessuno si era accorto della marachella.
Eravamo tutte amiche, ci riunivamo per andare a lavorare insieme: non cera gelosia, non cera invidia tra noi!
Ora abbiamo tutto, ma ognuno vive per conto suo , ognuno vive isolato nella
propria casa. Non ci conosciamo pi! Dov Palinuro di una volta? Dov?
Allora Palinuro era tutta una famiglia: quando il tempo era buono, gli uomini
andavano a pescare; quando il tempo era cattivo, coltivavano la terra; mentre noi
donne, oltre a salare le alici, eravamo addette a trasportare i vari raccolti stagionali nei cesti, che portavamo, in equilibrio, sul capo.
E ricordo che le donne di Marina di Camerota, sempre in testa, trasportavano alici
e sarde, in cesti rivestiti di tela cerata, camminando lungo la spiaggia del Mingardo, fino a Palinuro. Quando arrivavano da noi, portando il pesce da salare, erano
sporche e puzzolenti per il sangue che, filtrando dai cesti, scorreva loro sulle
spalle e sul petto.
Il cavaliere Amendola apprezzava il loro duro lavoro e, nel vederle cos conciate,
si dispiaceva a tal punto che, spesso, faceva loro qualche regalo, oltre la normale
paga. Un giorno riusc a prendere dalla cantina di casa, allinsaputa dei familiari,
un prosciutto e lo diede alle donne di Marina.
Noi palinuresi restammo deluse: ci aspettavamo che avesse detto di mangiarlo in30

sieme con noi. Se lo portarono tutto intero le camerotane!


A noi il cavaliere portava i fichi secchi - preparati in modo particolare dalla moglie e dalle figlie - ma senza farsi scorgere da chi li aveva confezionati con tanta
accortezza!
Durante il lavoro, talvolta sintratteneva con noi, raccontando fatterelli divertenti
nel suo dialetto amalfitano. Quante risate, quante battute, a mezza voce, su chi, pi
ingenuo, si faceva burlare!
Mentre una di noi scapava (toglieva la testa) le alici e le passava alla vicina,
che le disponeva in fila nelle terzarole (barilotti da un terzo di quintale) con sveltezza e perizia, cera sempre chi aveva da raccontare qualcosa.
A quei tempi non avevamo n radio n televisione, ma a Palinuro cera un quintetto
che ci faceva divertire: era formato da Carmelantonio Pepoli (Minghiarro), Antonio Diotaiuti (Misurieddo), Giuseppe Raimondo (u papa), Luigi Sacco (u ndringhete) e Angioletto.
Il quintetto, dotato di una fisarmonica e qualche altro strumento improvvisato, portava serenate e, nella notte di Capodanno, faceva il giro del paese, sostando casa
per casa, e augurava buon anno, cantando cos:
Te venga lu buonio
e lu buon anno.
Buone feste
e buonu capurannu!
A mberta crammatina
e pe cientanni!
(Ti auguro la buona salute e il buon anno. Buone feste e buon Capodanno.
Il regalo domattina e per centanni).
Al mattino seguente lallegro quintetto ripercorreva il tragitto fatto la notte per
ricevere, da ogni capo famiglia, il consueto regalo (a mberta) >.
Angelina parla poi di s, della sua vita: si spos a venti anni, il 15 ottobre 1941, col
falegname Antonio Troccoli ed ebbe tre figlie, Teresa, Anna e Anella.
E cos continua: < Non ho avuto una vita facile, per i dolori passavano perch in
famiglia cera accordo e serenit. Ho festeggiato i 50 anni di matrimonio: 50 anni
di lavoro, gioia e dolori.
Ho fatto anche da mamma ai miei nipoti, rimasti orfani dei genitori in tenera et:
il giudice tutelare mi convoc in Pretura, a Pisciotta, e mi affid Aniello, Franco e
Anna Maria, figli di mio cugino. Mi hanno chiamato mamma e, per me, sono stati
figli.
31

Sono contenta della mia vita, di quanto ho fatto, di quanto ho avuto!


Ora tutto cambiato: in verit poco mi piace questo mondo moderno; non riesco
ad accettare come la pensano ora!
E vero che tante cose sono migliorate; ci sono comodit che, ai miei tempi, non
sognavamo neppure, per certe cose non si dovevano cambiare!
Anche alcune particolari tradizioni religiose non sono state conservate.
Ricordo, ad esempio, comera festeggiata la Pasqua, comerano commoventi le
funzioni del Venerd Santo. In quel giorno, le campane tacevano e i fedeli venivano
raccolti in chiesa dal rumore della troccola (attrezzo di legno che, ruotando,
produceva un particolare suono roco).
La processione si svolgeva in due tempi: prima usciva dalla chiesa la statua di
Ges morto, portata da quattro uomini, che indossavano tonache bianche e avevano una corona di spine di rovo in testa. Il corteo percorreva, in silenzio, un tratto di
Via Indipendenza; poi ripercorreva la stessa strada per incontrarsi con il secondo
corteo, che, intanto, era partito dalla chiesa, ed era composto da donne che accompagnavano la statua della Madonna Addolorata.
Si calcolava il tempo in modo che la Madre e il Figlio morto si incontrassero a,
met percorso, allaltezza dellattuale ristorante Sirenella, dove un sacerdote commentava il doloroso incontro di Maria con Ges deposto dalla Croce.
Era un momento di altissima commozione e le prediche, talvolta, erano cos toccanti che piangevamo tutti. Un Venerd Santo, non ricordo di quale anno, una mia
amica, Caterina Troccoli, cadde svenuta per la forte emozione. Allora si viveva la
passione del Signore; ora... non capisco pi niente. Abbiamo perduto la bussola! Io
dico sempre al Signore: Levami a vita, ma nun me lev a capu! (Levami la vita,
ma non togliermi la testa!) >.
Io credo che il Signore abbia ascoltato la preghiera di Angelina, perch le ha concesso di ragionare con tanta saggezza e precisione, anche in tarda et.
Il nostro incontro cos si conclude: < Angelina, scusatemi, - le dico se vi ho disturbato. Vi ringrazio >.
Risponde: < Scusarvi? No, signora... non dovete dire grazie. Sono io che debbo
ringraziare voi! >.

32

Angelina Calembo

Filomena Scarpati (a sinistra) e Giuseppina Diotaiuti (a destra).

33

Palinuro le funzioni del Venerd Santo, anni 1950.

34

Giuseppe DAcquisto, farmacista,


(campione di pesca subacquea)
Giuseppe DAcquisto per gli amici Peppino nacque a Palinuro il 20 ottobre
1930; laureatosi in farmacia presso lUniversit degli studi di Napoli, esercit la sua
professione in una farmacia della stessa citt, fino al 1998. Si dedic anche allinsegnamento di matematica e scienze presso listituto Cimarosa di Aversa. Queste, le
professioni ufficiali che gli consentirono i suoi studi, ma la sua professione-passione fu, ed stata fino a qualche anno fa, la pesca subacquea.
Il dottor Peppino racconta:
< Nellanno 1949 vidi, per la prima volta, degli occhialini per la pesca subacquea.
Vennero a Palinuro due giapponesi che ebbi modo di conoscere: erano provvisti di
questa lente speciale - maschera per guardare sottacqua e di una robusta canna
di bamb, ben appuntita, che fungeva da fiocina. Rimasi meravigliato nel vedere
la loro capacit di immergersi e ritornare in superficie, con grossi pesci infilzati

alla canna. Per uno come me, che amava e ama il mare in modo particolare, fu lo
spunto per iniziare la mia stupenda avventura della pesca subacquea. A Palinuro,
a quei tempi, gli attrezzi per questo genere di pesca, erano assolutamente scono35

sciuti. Comprai la prima maschera e il primo fucile a Salerno e, insieme agli amici
Vincenzo e Antonio Amendola, che si fornirono anchessi di maschera e fucile, diventammo i padroni della scogliera di Palinuro. Allora il mare era ricchissimo di
pesce: pescavamo cernie enormi, dentici, spigole e polipi giganteschi. Ma io non
ero spinto a immergermi, solo per il piacere di pescare; ero preso da una voglia
irresistibile di esplorare il fondale marino, le grotte ricche di gorgonia e godere
dello spettacolo indescrivibile che offre la scogliera sommersa di Capo Palinuro.
Volevo vedere la flora e la fauna, i giochi di luce, i colori che si trovano laggi.
Sono vissuto a Napoli, per tanti anni, ma le mie radici erano a Palinuro: ogni volta
che ne avevo la possibilit, sia da studente sia da professionista, ritornavo qui, per
andare a mare. Immergermi era unemozione sempre nuova, perch nuovo era,
ogni volta, lo spettacolo che il fondale mi offriva. Con la mia barca a remi, passavo
intere giornate sul mare, dietro al frontone: ne ero il padrone! Partivo al mattino
dal porto, accompagnato spesso dallamico Gerardo Scarpati, detto U stocco
e, insieme, restavamo in mare fino al tramonto. Gerardo mi aspettava sulla barca,
mentre io facevo le mie immersioni. A bordo non mancavano, per bere. a mmummola (anfora di terracotta a due manici, che manteneva lacqua fresca) e, per
mangiare pane, pomodori, soppressata e fichi, a panieri. Questa frugale colazione
consumata allombra della roccia di Capo Palinuro o sulla spiaggetta del Buondormire, aveva un sapore particolare: il sapore del mare e lodore dellerba degli
scogli non lo so! Credetemi, non sono ricordi, sono cose rimaste vive nellanima!
Ero instancabile: il mio fisico me lo permetteva. Un giorno, spinto dalla voglia di
esplorare, commisi unimprudenza che poteva essermi fatale: sapevo che linterno
della Grotta Azzurra era il covo delle cernie, detto in gergo palinurese mamma
delle cernie - e pertanto la prima tappa per limmersione era nella grotta, proprio
nello specchio azzurro. Immergendomi e avanzando nel grosso arco, percorso dal
fascio di luce che si rifrangeva dallesterno, vedevo brulicare le cernie tra una
prateria di gorgonie.
Tra queste una color rosso carminio, mi colpiva in modo particolare. Dalla grotta, a nuoto, doppiavo il Capo e mi portavo allesterno, nel punto, dove la falesia
forma larco attraverso il quale si rifrange la luce che illumina la volta interna,
Rifeci questo percorso per alcuni anni e, avanzando nellesplorazione dellarco,
mi trovavo sempre di fronte alla stessa gorgonia rosso carminio, che vedevo anche
dallinterno. Prendendo come punto di riferimento la gorgonia rosso carminio, valutai che avrei potuto percorrere, in apnea, il tragitto tra linterno e lesterno della
grotta. Un dubbio: la gorgonia poteva non essere la stessa! Come fare? Mimmersi portando con me un pezzo di sacco bianco, che avevo in barca, e lo legai alla
pianta. Verificai che, immergendomi allinterno della grotta, vedevo la gorgonia
segnalata con lo straccio bianco.
Dopo qualche giorno, accompagnato dal fido Gerardo, tentai lattraversamento
dellarco. Mi tuffai con la maschera, allinterno della grotta e scomparvi agli occhi
dellamico. Dopo pochi minuti ero allesterno. Fu per me un trionfo!
36

Intanto il povero Gerardo, non vedendomi riemergere, dopo il solito tempo, cominci a preoccuparsi seriamente. Non sapeva cosa fare. Comunque decise di restare
ai remi e aspettare ancora qualche minuto, allinterno della grotta. Non sospettava
che io avessi potuto raggiungere lesterno! Mentre era preso da ansia e paura,
io riapparvi sullingresso della grotta, nuotando tranquillamente. U stocco, nel
vedermi, ebbe un moto di sollievo e di rabbia insieme, che sfog cos: imprec
terribilmente, sganci un remo dallo scalmo e lo lanci verso di me. Non mi colp.
Capii la sua reazione e cercai di rabbonirlo, raccontandogli quello che avevo fatto
e che, tuttora, ritengo sia la mia pi bella avventura di mare.
Sarebbe lungo raccontare tutte le abbondanti pescate da me fatte: il mare mi ha
dato grandi soddisfazioni! Ho partecipato a vari campionati di pesca subacquea
e, nel 1951, a Palinuro, mi classificai primo in una gara, pescando tanto pesce che
bast per preparare, nel ristorante S. Caterina, un pranzo per i concorrenti e gli
organizzatori.
La rinomata ditta Cressi Sub voleva darmi la rappresentanza e lesclusiva di vendita dei suoi prodotti, ma dovetti rinunciare per ultimare gli studi universitari. Girai
la proposta a un commerciante di Palinuro che, con la vendita di quegli articoli,
realizz ottimi guadagni.
Ora sono anziano, amo sempre tanto il mare: non riesco a vivere senza guardarlo
ogni giorno, dalla mia terrazza. Destate, vivo la maggior parte della giornata, al
porto di Palinuro, dove possiedo una piccola casa e una barca, sempre la stessa.
Non pratico pi pesca subacquea, ma sono il punto di riferimento, per i miei cinque
nipoti (Anna Rita, Teresa, Valeria, Vincenzo e Giuseppe), che seguono, con interesse e attenzione, il racconto delle mie avventure, mentre io, soddisfatto, mi accorgo
di aver dato loro una grande eredit: lamore per il mare >.
Palinuro 19/04/2012

37

Palinuro, 1955,
Giuseppe DAcquisto di ritorno da una battuta di pesca in apnea.

38

Palinuro, anni 1950s


Giuseppe DAcquisto di ritorno da una battuta di pesca in apnea.

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Peppino DAcquisto mostra una cernia di 12,50


chilogrammi arpionata in tre riprese a Caprioli
settembre 1955.

40

Il promontorio di capo Palinuro; si intravede lingresso


della famosa grotta azzurra.

Palinuro, lingresso della grotta azzurra.


41

Gerardo Scarpati, che accompagnava


Peppino DAcquisto nelle sue battute di pesca subacquea.
42

ANIELLO ESPOSITO
(Mastro Ciccio)
Sulla collina di Carminella, localit dal panorama mozzafiato, di fronte alla Molpa
e allo scoglio del Coniglio, si trova la casa di Aniello Esposito, per tutti mastro Ciccio, nato e vissuto a Palinuro dal 1909 al 1995. Mastro Ciccio era un personaggio
tra i pescatori. Spos Giuseppina Granito e dal loro matrimonio nacquero due figli,
Antonietta e Mauro, che, parlando del padre, rivivono storie antiche, esperienze
vissute in tempi in cui la pesca era lunica fonte di guadagno a Palinuro. Mastro
Ciccio era intelligente e furbo e gli piaceva vivere allegramente: infatti, spesso
suonava una fisarmonica a orecchio, improvvisando, con chi si trovava presente,
tarantelle, balli e canti cilentani. Per questo era conosciuto e benvoluto da tutti.
Molti dei turisti che venivano abitualmente a Palinuro, negli anni 60, andavano alla
spiaggia della Marinella a cercare mastro Ciccio, per fare, con la sua barca, passeggiate lungo il promontorio e, soprattutto, per ascoltare le simpatiche storie che sapeva raccontare, con spiccato umorismo, mischiando dialetto palinurese e italiano.
Si racconta che lonorevole Scarlato - la cui villa molto vicina alla casa di Mastro
Ciccio - ogni anno, per S. Francesco 4 Ottobre - era solito regalargli una bottiglia
di whisky. Lonorevole gli faceva questo regalo, perch era convinto che, in quella
data, ricorresse lonomastico del simpatico pescatore, suo vicino. Un anno, mastro
Ciccio ricevette il solito dono, alla presenza di un suo cognato. Appena lonorevole
si allontan dai due, il cognato chiese a mastro Ciccio: Perch Vincenzo Scarlato
ti fa questo regalo, tutti gli anni, il 4 ottobre? Mastro Ciccio, stringendo la bottiglia
sotto il braccio, rispose: < L onorevole sa che oggi S. Francesco: io per lui mi
chiamo mastro Francesco. Ngi avissa j a ddici m ca mi chiamu Aniello? Nun sia
mai! A buttiglia, a S.Mbranciscu, nun a viru cchi! >.
(Dovessi dirglielo che mi chiamo Aniello? Non sia mai! Se tu glielo dici, a S. Francesco la bottiglia non la vedo pi!)
Ma la vita di mastro Ciccio, come quella di tutti i pescatori, non fu sempre facile.
Nel secolo scorso, le previsioni del tempo erano approssimative, mai certe, quindi
anche a lui, per due volte, capit di trovarsi a lottare con il mare. Il figlio Mauro racconta che il padre pescava molto con i filaccioli. Una sera di aprile in cui il mare
era calmo e laria tiepida, mastro Ciccio decise di andare a mettere i filaccioli
dietro Capo Palinuro, nella cala della Lanterna. Fissati i filaccioli alla roccia, mastro Ciccio torn a casa. Allalba del giorno seguente, nulla faceva pensare che quel
mare, calmo e invitante, sarebbe diventato una bolgia di onde spumeggianti. Perci
 Filacciolo: corda di una ventina di metri, alla cui estremit si applica un amo di circa sei centimetri, che viene fissata alla roccia; segnalata da un galleggiante e una tavoletta con le iniziali
del pescatore proprietario.

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Mastro Ciccio prese la sua barchetta e, remando dalla spiaggia della Marinella, si
avvi verso la cala della Lanterna. In breve tempo, si lev un vento di Canale
- vento di sud-est simile allo scirocco che solleva onde altissime. Il poveretto si
trov, da solo, in balia delle onde. Non fu facile rientrare alla Marinella, perch
il vento, soffiando da sud, era contrario alla sua rotta. I suoi figli, la moglie e altri
amici, corsero sulla spiaggia, nella speranza di vederlo ritornare. Intanto il vento
continuava a infuriare e la barca non si vedeva. La figlia Antonietta, poco pi che
bambina, presa dalla disperazione, non sapendo cosa fare, mentre piangeva, cominci a scavare nella sabbia, e continu finch il padre non approd:
la buca divent grandissima, perch mastro Ciccio, lottando con le onde, impieg
unintera mattinata per tornare a riva.
Anche unaltra volta mastro Ciccio rischi la vita in mare, insieme al figlio Mauro,
allora ragazzo, e a un altro pescatore: mise le reti al largo della Molpa e tir la barca
sulla spiaggia del Buondormire. La mattina seguente il tempo non sembrava cattivo, quindi decise di andare insieme al figlio a levare le reti. Arrivato in direzione
della Molpa, il cielo divent di piombo: le onde del mare sollevavano la barca, che
rischi di capovolgersi. Mauro racconta: < La pioggia e i violenti spruzzi di acqua
salata invasero la barca! Remando disperatamente, impiegammo ben due ore per
fare il breve tratto dalla Molpa a Buondormire. Mia sorella Antonietta, preoccupata per la nostra sorte, corse a chiamare altri pescatori e, con loro, scese sulla
spiaggia. Appena la barca fu vicina alla riva, i pescatori amici si buttarono nelle
onde, lafferrarono con tutta la loro forza e, in pochi minuti, la trascinarono sotto
la costa di Buondormire, dove il mare non poteva arrivare. Col passare degli anni
le condizioni di noi pescatori migliorarono molto: insieme ai remi, sulla barca,
sinstall il motore e ci si attrezz meglio per la pesca. Cominci a svilupparsi il
turismo e la Marinella divent una spiaggia fra le pi belle e frequentate. Avemmo
il piacere di conoscere persone importanti, fra cui il regista Ermanno Olmi. Un
giorno mio padre doveva tirare la barca sulla spiaggia e doveva disporre, in fila,
le falanghe (pezzi di legno sagomati e ingrassati nel cui centro si fa scorrere la
carena della barca).
Il regista Olmi voleva aiutare ma, non essendo abituato a fare tali cose, perdette la
presa della falanga che fin su un piede di mio padre. La falanga, che era pesante,
gli schiacci lalluce facendo saltare lunghia. Fu una corsa a cercare bende e disinfettanti e, poich sulla spiaggia fu impossibile trovarne, il regista prese una bottiglia di whisky e ne vers abbondantemente sul piede di pap. Per Mastro Ciccio
fu uno spreco! Ma non parl. Parl solo quando, finita la medicazione, Olmi stava
portando via, fra le altre cose, anche la bottiglia. Mio padre disse: - Purtatevi tutto,
ma a buttiglia no! -Vi fu una risata generale >.
Mauro Esposito parla del padre con tanta affettuosa ironia. Questo e altri simpatici
episodi della vita di Mastro Ciccio sono ricordati da pescatori anziani di Palinuro
che li raccontano per rievocare un tempo sereno che non pu pi ritornare.

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Palinuro, la Marinella, Aniello Esposito (Mastro Ciccio)


con Ioccia, anni 1950.

45

Sopra, Mastro Ciccio mette le reti.


Sotto, Mastro Ciccio con una turista.
46

Mastro Ciccio con un turisti, sopra, e con il figlio in


barca, sotto.

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Il figlio di Mastro Ciccio, Mauro, a pesca.

Palinuro, lo scoglio del Coniglio visto dalla Carminella.


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LEONARDO FUSCO
(esploratore degli abissi)
Il 21 giugno del 1931, da Alba Garzilli e Procopio Fusco, nacque Leonardo, a Ceraso, piccolo e ridente borgo cilentano, a circa 30 km da Palinuro. Fino allet di 8
anni non conobbe il mare, ma gi a quellet il piccolo vivacissimo Leo, eludendo
la sorveglianza dei genitori, si cimentava in imprese, ardite per un bambino, nelle
acque del fiume Palistro.
Il Palistro, fiume a carattere torrentizio, forma unansa chiamata il pozzetto, profonda circa un metro e mezzo, e proprio nel pozzetto del Palistro, Leonardo si tuffava e imparava a nuotare sottacqua, con gli occhi aperti.
Quel ragazzino, dai riccioli biondi e dagli occhi azzurri, non temeva lacqua fredda
del fiume, n aveva paura della profondit. Il suo piacere era conoscere, scoprire.
Il suo rifugio era il capanno di un contadino, dove nascondeva il lenzuolo, per
asciugarsi dopo le nuotate, e la bicicletta con cui tornava a casa.
Il padre aveva capito che era un ragazzo particolare, ne seguiva con ansia le avventure e, nel segreto del suo cuore, ne era orgoglioso. Per le imprudenze, non riusciva
a rimproverarlo, se non in modo affettuoso, concludendo: < che Dio me la mandi
buona con te, guagli ! >.
Gli promise che lo avrebbe portato a mare, a Palinuro, dove aveva comprato la torre
saracena del porto, che ristruttur, facendone la sua seconda casa.
Il fascino che il mare esercit sul piccolo Leonardo fu enorme.
La voglia di conoscere il mare ed esplorarne gli abissi cresceva in lui ogni giorno
di pi.
A quattordici anni vide, per la prima volta, dei pescatori subacquei, provenienti da
Capri, con maschere e fucili. Rimase ammirato e sbalordito nel vedere gli attrezzi
di cui erano dotati.
E i sub capresi rimasero, a loro volta, sbalorditi per la conoscenza delle scogliere e
delle grotte di Capo Palinuro che Leonardo, sebbene giovanissimo, dimostrava di
avere.
Nel libro Corallo rosso, di cui egli stesso autore, racconta la sua meravigliosa e
avventurosa vita, vissuta sul mare e sotto il mare.
Da quel che descrive, pare che sia stato diretto sempre da eventi e incontri fortuiti,
che lo indussero a non seguire la carriera che il diploma di Capitano di Lungo Corso
gli avrebbe permesso di fare, ma a dedicarsi completamente allesplorazione degli
abissi sottomarini.
La scogliera sommersa di Capo Palinuro fu il suo banco di prova: a diciotto anni
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Leonardo scendeva a profondit notevoli, attratto dalla bellezza superba dei fondali. Superava, in apnea, larco della falesia, - sospeso sul fondale - attraverso cui avviene il fenomeno della rifrazione dei raggi solari allinterno della grotta azzurra.
Le scogliere sommerse di Capo Palinuro, allepoca ( anni cinquanta ), erano completamente sconosciute.
I pescatori del luogo, ignari della vita del mondo sommerso, erano tuttavia affascinati dallimponenza della parete rocciosa a picco sul mare, dalla bellezza delle
forme e dei colori, dal misterioso silenzio dei luoghi e delle grotte, per cui avevano
creato racconti e leggende di sirene, di divinit marine e pesci strani che avevano
dimora negli anfratti.
Leonardo, durante ladolescenza e la prima giovinezza, ascolt i racconti di quella
gente di mare, ne assorb il linguaggio, le abitudini, passando insieme a loro intere
giornate a pescare.
Tutto ci gli confer un enorme bagaglio di esperienze, utile per affrontare la sua
avventurosa vita di uomo di mare.
Intanto improvvisamente veniva a mancare il padre; i tempi erano difficili e Leonardo fu costretto a lavorare.
Si rec a Napoli, dove si dedic alla pesca subacquea, traendone un buon profitto.
Esplor quelle acque , non solo per pescare pesci pregiati, ma anche per recuperare
una quantit enorme di fauna bentonica, bellissima - presente in quel tratto di mare che arricch la stazione zoologica marittima di Napoli e gli acquari di molte citt
europee.
Intanto, nel 1953, si apriva a Palinuro il villaggio turistico francese, il Club Mediterran dove, fra gli altri sport, era praticato anche la plonge (immersione in
libert, senza attrezzatura da palombaro).
Leonardo non vide di meglio che diventare amico del capo istruttore, Jean Pierre
Broussard, per conoscere e approfondire le tecniche dimmersione.
Da Jean Pierre ebbe, infatti, le prime lezioni per limmersione con lautorespirazione ad aria compressa (ARA) e divenne immediatamente padrone della nuova
tecnica.
Ben presto raggiunse i venti metri di profondit e fu proprio, a quella profondit
che, per recuperare una cernia arpionata il giorno prima, Leonardo scopr il corallo
a Palinuro.
Con un suo amico, ritorn sulla tana, dove aveva colpito la cernia, che era rimasta
incastrata tra due rocce; simmerse con tecnica di respirazione ARA e ritrov la
cernia ormai morta.
La trasparenza dellacqua di Capo Spartivento lo indusse a proseguire oltre e a
esplorare quella scogliera sottomarina.
Sicuro di avere abbastanza aria nelle bombole e, sostenuto dal suo coraggio, senza
sapere a che profondit si trovasse (non possedeva profondimetro n orologio su50

bacqueo), si spinse pi avanti.


Ai suoi occhi apparve un nuovo mondo: su una parete di roccia verticale viveva una
citt di corallo!
Era uninfinit di rami rossi brulicanti di piccolissimi polipi bianchi.
Cap che aveva scoperto qualcosa di particolarmente importante, per cui abbandon il fucile e la cernia e, con laiuto di un sasso, stacc dalla roccia alcuni di quei
meravigliosi rami.
Risal lentamente come listruttore francese gli aveva raccomandato.
Arrivato in superficie, accanto al gozzo, mostr allamico quello che aveva pescato.
Lamico, che era un gioielliere, nel vedere quella meraviglia, esclam: < campione,
lo sai cosa hai portato su ? > Veramente no, spiegamelo!. < Sono rami di Corallo
rubrum. Con questo si fanno i migliori gioielli! >.
Da quel momento Leonardo cap che in quel luogo, a Capo Spartivento, lo aspettava loro rosso, al cui recupero avrebbe dedicato tutta la sua vita, esplorando,
anche, i mari di molte parti del mondo.
La stampa dellepoca diffuse la notizia della scoperta del banco di corallo, fatta a
Palinuro: il settimanale Tempo dedic la copertina dell8/11/1956 allesploratore
degli abissi (vedesi foto di seguito riprodotta).
La direzione dellacquario di Napoli lo chiam per fargli eseguire altre immersioni nel golfo; ma, dopo alcuni mesi, Leonardo lasci la Campania per recarsi, con
lamico Ennio Falco, ad Alghero, in Sardegna, alla ricerca di corallo.
I primi tempi furono duri perch non trovarono subito il corallo, pertanto i due amici si dedicarono alla pesca subacquea e al recupero di materiale bellico giacente
sui fondali - che vendevano ad un rigattiere.
Era un lavoro duro, perch non era facile portare a bordo i cesti pesanti con i bossoli
di ottone, recuperati a profondit notevoli!
Un giorno uno di questi cesti si sganci dalla corda, mentre era tirato in superficie,
e ricadde sul fondo del mare. Leonardo, per recuperarlo, si tuff immediatamente a
circa 30 metri di profondit.
Spinto sempre da quello spirito di avventura e di curiosit, che ne ha fatto un personaggio unico, esplor con lo sguardo il fondale circostante. La trasparenza delle
acque gli permise di vedere, non molto distante, un enorme scoglio a forma di
capanno. Lo raggiunse: era una grande caverna, rivestita interamente di corallum
rubrum, dalla volta alle pareti.
Senza pensarci un attimo, Leonardo si liber dei bossoli, svuotando il cesto, che
riemp di oro rosso , in pochi minuti.
Era il primo corallo trovato in Sardegna - Alghero, Capo Caccia.
Da Alghero pass allarcipelago della Maddalena, approdando a Santa Teresa di
Gallura, accompagnato dalla futura moglie, Vera.
51

Dopo una breve sosta a Santa Teresa, raggiunse lIsola Rossa, fantastico isolotto
dalla roccia rosso sangue e dalla natura incontaminata. La stupenda isola non offriva nessuna comodit allepoca, ma Leonardo e Vera superarono ogni disagio, felici
di vivere in un luogo cos bello.
Comunque le ripetute immersioni, a 40 metri di profondit, permisero la raccolta di
diversi chilogrammi di corallo.
Il suo vagare per il Mediterraneo era appena cominciato: dalla Sardegna si spost
allArgentario.
Compr uno scandaglio che gli permetteva di individuare il punto giusto per eseguire immersioni mirate.
Aveva capito, dallesperienza fatta in Sardegna, che il corallo di pregio non si trova
sui bassi fondali: i successi ottenuti a Palinuro, a Capo Caccia e allIsola Rossa non
si ripeterono pi.
Era scoraggiato, ma ancora una volta il caso gli fu daiuto: un pescatore ponzese
che pescava aragoste vicino allIsola di Montecristo, gli assicur che, a circa 15
metri dalla costa, aveva trovato nelle nasse diversi rametti di corallo.
Le immersioni cominciarono subito. A ben 85 metri, laudace esploratore trov un
banco di corallo enorme, di ottima qualit. Leonardo racconta, in Corallo Rosso,
di essere rimasto sul fondale per ben 6 minuti, a riempirne un cesto!.
Nonostante fosse emozionato, riusc ad avere un notevole autocontrollo, e riemerse
piano, con cautela, per compiere una lunga decompressione, prima di arrivare in
superficie. La padronanza di s e la capacit di autocontrollo furono le doti peculiari
che fecero di Leonardo Fusco uno dei pi grandi sub a livello mondiale.
Dallisola di Montecristo, si diresse a Civitavecchia, dove arriv a notte fonda e
attracc accanto ai gozzi dei pescatori. Com consuetudine della gente di mare,
fece subito amicizia con un anziano pescatore napoletano, che era sulla prua del
gozzo, ormeggiato accanto alla sua barca. Il napoletano diede tutte le informazioni
possibili sui fondali della zona, assicurando che, a Montalto di Castro, il corallo si
trovava a 35 metri e non a 85, come a Montecristo.
Il giorno seguente il napoletano lo accompagn sul posto in cui aveva trovato il
corallo nelle reti.
Le prime immersioni nelle acque di Montalto furono infruttuose; tuttavia la tenacia
e la costanza di vagare nei silenzi delle scogliere sommerse, premiarono questo
straordinario uomo di mare.
In quel mare, infatti, Leonardo raccolse unenorme quantit di corallo.
Proprio questesperienza positiva gli fece decidere di dedicarsi completamente alla
vita di mare, insieme alla moglie Vera, che lo segu, per 30 anni, in giro per il Mediterraneo.
Con il ricavato della vendita di quel corallo, compr le attrezzature e gli strumenti
necessari per affrontare, in sicurezza, immersioni ad alte profondit.
52

Commission a Meta di Sorrento la sua prima imbarcazione, Il Paguro, che dot


di doppio compressore, doppi eco-scandagli, camera di decompressione e di ogni
mezzo necessario allassistenza di un sub in immersione e in risalita.
Allepoca le scogliere di corallo molto profonde erano devastate e sconvolte, nellhabitat di riproduzione, dallingegno o croce di S. Andrea, attrezzo rudimentale tirato a strascico dalle coralline, imbarcazioni di Torre del Greco, che cercavano corallo lungo le coste del Mediterraneo.
Leonardo, prendendo atto dello scempio che era procurato dalle coralline nel mondo sommerso, si rec a Zurigo e collabor con alcuni studiosi svizzeri per realizzare
un sistema dimmersione, con miscele di gas e nuove attrezzature, che consentissero ai sub di scendere a notevoli profondit (fino ai 120 metri), restare sui fondali
pi a lungo per raccogliere a mano il corallo, senza alterarne lhabitat naturale e il
processo di sviluppo e di riproduzione.
In seguito si dot anche di un minisommergibile, con cui ritorn nelle acque in cui
si era immerso 20 anni prima e rimase sconvolto e addolorato nel vedere quel mondo sommerso, per lui meraviglioso, brutalmente stravolto. Pens quindi di provare
a ripopolare le scogliere di corallo, procedendo allimpianto di rami giovani in un
habitat idoneo al loro attecchimento e sviluppo.
Fino al 1984 Leonardo ha praticato la pesca del corallo in tutto il Mediterraneo
(Marocco, Libia e Tunisia) arrivando anche in Giappone.
E nel mare della Tunisia ebbe termine la sua attivit di pescatore di corallo.
Ma non vennero meno la sua audacia e la sua intraprendenza.
Con coraggio e fatica, superando infinite difficolt burocratiche e senza avere una
profonda conoscenza di medicina iperbarica, mise su unazienda sanitaria privata,
il Cemsi, a Salerno, che ha riscosso notevoli successi nel campo dellossigenoterapia, per la cura di molte malattie.
Purtroppo questo personaggio, vanto del Cilento, sua terra di origine, e orgoglio di
Palinuro, luogo che elesse come sua definitiva dimora, come tutti i grandi, andato
via in un baleno.
E mancato a noi tutti il 16 giugno 2012.
LAccademia Internazionale di Scienze Tecniche Subacquee gli ha conferito, post
mortem, il premio Tridente doro 2012 il cui attestato recita cos:
< Alla memoria di Leonardo Fusco, uomo che ha fatto del mare e del corallo la sua
ragione di vita.
Primo a raccoglierlo con limmersione autonoma, primo ad usare la camera iperbarica a bordo della sua imbarcazione, primo ad usare le miscele per le ultime
immersioni con il sommergibile e primo a cercare di fermare la raccolta indiscriminata di questo prezioso e nobile organismo marino >.

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Palinuro, Porto,1939, lantica torre saracena che,


restaurata, divenne la casa della famiglia Fusco.

Palinuro, la pesca in apnea. Da sinistra, Leonardo Fusco,


il Conte Malvasia e il Conte Rasini di Castel Campo ( i primi turisti ).
54

Primo corallo a palinuro: Leonardo Fusco ha lonore della


copertina del settimanale Tempo dell8 novembre 1956.

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Il primo corallo pescato in Sardegna da subacquei nelle grotte di Capocaccia.

Vera, berlinese doc, moglie di Leonardo Fusco.

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ANIELLO GRANITO
(u Spaccone)
Personaggio unico, tra i vecchi pescatori palinuresi, Aniello Granito, u Spaccone, nato a Palinuro il 25/12/1910. Alto e magro, con occhi piccoli e vivaci, dallo
sguardo ironico e interrogativo, Aniello lavorava poco e si divertiva molto facendo
lo Spaccone; infatti, la sua arguzia e la sua intelligenza gli permettevano di inventare e raccontare cose fantastiche, in maniera cos seria e convincente, da prenderle
per vere. Era socievole e loquace e, quando riteneva opportuno, non si esprimeva in
dialetto, ma si sforzava di spaccare litaliano.
I suoi amici ancora viventi, Antonio Gabriele Pirich e Aniello Granito, suo omonimo, detto u Pordu, parlando di lui, ridono nel ricordare alcuni simpatici episodi.
Antonio Gabriele racconta:
< Un giorno u Spaccone si trov allArco naturale con un turista di Monza. Fecero
amicizia, e il monzese gli chiese se fosse di Palinuro.
Lo Spaccone, pronto, rispose: - No, noo, io sono di Terni. Mi trovo qui per una
disavventura capitatami in guerra: pilotavo un aereo Savoia-Marchetti, che fu attaccato da un caccia inglese.
Laereo fu colpito alla coda ed io dovetti fare un pericoloso ammaraggio, in prossimit di Capo Palinuro. Fui soccorso dagli abitanti del posto e vi rimasi. Conobbi
una bella ragazza palinurese e la sposai -. Il turista segu attentamente il racconto,
credendo di aver conosciuto un eroe.
Lo Spaccone, la mattina seguente, come il solito, and alla Marinella e si divert
molto a raccontare ai suoi amici pescatori quanto aveva fatto credere al turista di
Monza >.
Aniello Granito (u Pordu) si diverte a raccontare lepisodio del dentice.
< Era una bellissima mattinata di agosto - dice u Pordu - e Aniello u Spaccone era
andato a pescare a Buondormire. Calate a mare le reti, riprese i remi per raggiungere la spiaggia.
Ma si sent chiamare da qualcuno che era sulla prua di un yacht poco distante
dalla sua barca. Si ferm e vide un signore, probabilmente il proprietario della
lussuosa imbarcazione, che gli disse: - Se pescherai un dentice, portalo a me. Lo
comprer a qualunque prezzo! - Aniello rispose: - S, sicuramente: se lo pescher,
sar vostro!
Tornato a riva, Aniello cominci a pensare come doveva fare per procurarsi un
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dentice. Non impieg molto ad architettare il piano: and in pescheria e compr un


grosso dentice surgelato.
Appena il buio della notte gli garant di non essere visto, si rec, dove aveva calato
la rete e, con una porpara (arnese uncinato per pescare i polipi), tir in superficie la rete e mise dentro il dentice. Cal di nuovo in acqua la rete e, remando piano
piano, raggiunse la spiaggia.
Alle prime luci dellalba, lo Spaccone and alla Marinella: doveva portare a termine limpresa!
Era impaziente di pescare il meraviglioso dentice e consegnarlo fresco fresco a chi
glielo aveva commissionato.
Tir la rete dalla quale estrasse il dentice e lo diede al cuoco dello yacht.
Il cuoco era un pescatore siciliano e cap immediatamente che il dentice era scongelato, quindi si rivolse ad Aniello dicendo: - Amico, il figlio di chi pesc questo
dentice, mor di vecchiaia! Lo Spaccone di rimando: - Ma pecch non te vu fa i cazzi tuoi?! Pare ca tara
mangi tu?! Statte cittu!- (Perch non vuoi farti gli affari tuoi!? Forse lo devi mangiare tu?! Stai zitto!)
Il cuoco, intimorito dal tono perentorio di queste parole, tacque.
Lo Spaccone si affrett a mettere in tasca i soldi per la vendita del dentice, afferr
i remi e fece scorrere sullacqua il piccolo gozzo come se a poppa avesse avuto un
motore fuori bordo! >.
Unaltra volta, Aniello u Spaccone organizz una marachella a tre: eravamo io, lui
e Mauro Aprea continua u Pordu.
< Un signore di Ascea, un certo Frangione possedeva una bella menaica che affid
a noi tre, per pescare durante tutto il mese di maggio e dividere poi il pescato a
met.
Presa in consegna la menaica, cominciammo il nostro lavoro sotto la direzione
dello Spaccone. Decidemmo di fare il vuolo (calare in mare la rete) e tirarla a
bordo dopo poco. In questo modo pescavamo una quantit di alici che era sufficiente a noi tre, non solo per fare i vasetti di acciughe,ma anche vendere alici fresche,
e sbarcare il lunario quotidiano.
Al proprietario della menaica pensammo di dire che pescavamo solo pochi chili di
sarde.
Un giorno u Spaccone dalla barca vide arrivare Frangione sulla spiaggia, dove
noi eravamo diretti per approdare. Aniello immediatamente si rivolse a me e a
Mauro intimandoci cos: - Nu parlati vui. Aggia parl sulu io!- (Non parlate voi.
Devo parlare solo io!)
Gli and incontro e, con la massima seriet e sconforto, recit la parte: - Ma chi
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t bennuta sta rizza? Chista piglia sulu sardi. Pigliatella e portatella; maliritta!- (Ma chi ti ha venduto questa rete? Pesca solo sarde. Prenditela e portatela;
maledetta!)
Il povero Frangione gli credette, tanto erano accorate e convincenti le sue parole.
Appena si allontan, Aniello ci fiss, per qualche minuto, con i suoi occhietti penetranti, poi disse: - Ate vistu? S adda fati poco e guaragn buonu. Frangione ha
ammuccatu!- (Avete visto? Si deve lavorare poco e guadagnare molto. Frangione
ha abboccato!) >.
Questi e tanti altri episodi sono stati vissuti fuori dallambito familiare, ma sono da
ricordare anche le scenette tragi-comiche vissute in famiglia.
Aniello aveva stabilito con la moglie, Carmela Esposito un rapporto unico, direi
stravagante.
Carmela - Melina ru Spaccone- era una bella donna, alta e robusta, con i capelli
neri e crespi, raccolti a tuppo sulla nuca. La forza e laggressivit di Melina erano
iperboliche in confronto a quelle del marito, alto e magro da far paura.
Il povero Spaccone sapeva bene della superiorit della moglie in quanto a potenza
fisica, perci quando Melina lo aggrediva, prima a parole e poi con i fatti, cercava
di difendersi scappando.
Agli amici diceva sempre che Melina ne aveva prese tante. In effetti, le prendeva
sempre lui dalla moglie.
La figlia da tutti chiamata, ancora oggi, Nelluccia ru Spaccone, dice:
< E vero, mamma e pap spesso andavano alle mani, ma in realt si volevano
bene.
Mamma non sopportava che pap rifuggisse da ogni responsabilit e vivesse spensierato.
A pap pi che lavorare, piaceva andare in giro, divertirsi e far divertire gli amici.
Mamma invece lavorava molto, in casa e fuori di casa: andava, a piedi, nei paesi
vicini a vendere le alici, che portava in testa in una bagnarola (bacinella di
zinco).
Tornava stanca e sudata, e andava su tutte le furie, vedendo pap che fumava tranquillo, seduto su un gradino. Dopo dieci minuti di grida e minacce, tutto finiva!
Queste ripetute scenette erano il divertimento del vicinato >.
Chi ha conosciuto lo Spaccone ne parla con simpatia e affetto, ricordandolo come
un personaggio unico.
Per il suo particolare carattere Aniello Granito ha lasciato una chiara impronta di s,
nella storia dei pescatori palinuresi.

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Aniello Granito, detto U Spaccone.

Aniello Granito, detto U Pordu.


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Antonio Gabriele.

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MAURO PALMIERI
(Fecatieddu o Civittula)
Mauro nacque a Palinuro il 19 novembre 1918.
La sua infanzia non fu facile, perch la grande guerra aveva sconvolto la precaria
economia di Palinuro. Mauro, perci, come gli altri bambini palinuresi, suoi coetanei, sent anche i morsi della fame.
Tutto ci non incise negativamente sul suo carattere: da adulto si rivel una persona socievole, estroversa, allegra e disponibile. Era intelligente e arguto, piccolo di
statura, con la pelle bruciata dal sole e due occhietti vivaci che, luccicando sotto la
visiera nera dellinseparabile coppola bianca, lasciavano intendere il pensiero del
loro padrone, prima ancora che lo traducesse in parole.
Il figlio Pompeo cos racconta: < Mio padre aveva col mare un legame viscerale.
Non riusciva a stare lontano dallacqua salata. Una volta mi disse che desiderava
andare a Roma, perch voleva vedere il Papa. Volli accontentarlo. Il primo giorno,
preso dalla straordinaria grandezza e bellezza della capitale, non mostr segni
dinquietudine. Il secondo giorno cominci ad agitarsi, fremeva, non era pi contento. Allora gli chiesi cosa avesse. Mi rispose: - Mi sento male. Domani mattina
voglio rivedere il mare.
La nostra gita, quindi, ebbe breve durata.
Pi che i monumenti romani e la confusione della citt, mio padre preferiva vedere
i colori del suo mare e godere della pace e della libert che gli offriva la sua barchetta.
Restava, infatti, intere giornate, al largo, per pescare.
Un mattino dautunno non ricordo di quale anno pap usc per la pesca dei
tonni.
Il tempo era buono, ma nel pomeriggio si scaten un temporale: si lev un forte vento e il mare si agit. Intanto pap non rientrava al porto. Cominciammo a
preoccuparci; andammo a chiedere ai pescatori di Pisciotta e di Camerota se avessero visto approdare un gozzo sulle loro spiagge; ma la risposta fu negativa.
Noi figli pensammo di chiedere a un parente, Ciro Palmieri, di uscire in mare col
suo motopeschereccio, alla ricerca di mio padre. Ci spingemmo al largo, dietro
Capo Palinuro, ma non lo trovammo. Eravamo disperati e cominciavamo a pensare
al peggio quando, sulle onde, vedemmo beccheggiare una barca. Era proprio lui e
lo raggiungemmo! Attraccammo al porto che era quasi notte.
Gli domandammo, dove si era riparato, come aveva fatto a reggere alle onde, con i
soli remi. Tentenn il capo e, con un sorriso sornione, rispose: - Io non sono fesso,
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quando mi sono accorto che il temporale era vicino, sono entrato nella Grotta Azzurra e, nellattesa che il cattivo tempo si attenuasse, ho sventrato e lavato i tonni
che avevo pescato!.
Era coraggioso, pronto nelle decisioni, sempre attrezzato di quanto gli potesse occorrere a bordo.
Sapeva anche cucinare molto bene: una volta pesc un pesce spada di otto chili, e
improvvis un pranzo a mare. Eravamo in quattro: io, pap e altri due pescatori.
Quel pesce spada era tanto saporito che, in quattro, lo mangiammo tutto!
Ricordo che da una canna ricavammo le forchette; una di esse custodita ancora
dallamico Antonio Scarpati, zi Marco.
Mio padre, anche se piccolo fisicamente, era molto forte.
Quando fu fatto prigioniero dagli inglesi, in Africa, simprovvis pugile: riusciva
a essere sempre vincitore, non perch addestrato al pugilato, ma perch stancava
lavversario colpendolo a ripetizione e riuscendo a mantenersi sempre in piedi.
Gli amici dicevano che Palmieri aveva le gambe di ferro!
Fu proprio nel deserto africano che, grazie alla resistenza delle sue gambe, riusc
a salvare un amico.
Mauro Scarpati, suo coetaneo e commilitone, fu colpito da dolori addominali con
una forte febbre. Non potendo prestargli soccorso nel posto dove si trovavano, mio
padre decise di caricarsi lamico sulle spalle e, in compagnia di un africano, percorse sei chilometri per raggiungere il pi vicino ospedale.
Per questa sua generosit e prontezza lamico Mauro fu salvato e gliene fu sempre
grato.
Quando torn dallAfrica, seppe che la sua ragazza, Assunta, stava per fidanzarsi
con un altro pescatore, Eugenio Sacco.
Rest sorpreso, ma non perdette la speranza di recuperarla.
Infatti, chiam Eugenio e gli disse: - Come vedi, io non sono morto! Sono tornato!
Se non la finisci di corteggiare Assunta, io te mangiu u fecatieddu! (Io ti mangio il fegatino!)
Ecco il primo nome darte: Fecatieddu!
Il secondo, Civittola (civetta), lo guadagn perch si era proposto di addomesticare una civetta, che aveva eletto per sua dimora una grotta, sotto la collina di
Molpa.
Pap ripeteva, in modo perfetto, il verso della civetta e, per questo, fu ribattezzato
Civittola >.
Ormai dal 1998 Mauro Palmieri non c pi: ha lasciato il suo mare e la sua barca;
ma la sua piccola, forte figura presente nella mente e nel cuore di chi lo conobbe.

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Mauro Palmieri.

Mauro Palmieri e Assunta Gorga celebrano le nozze doro.


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ANIELLO PEPOLI
(Buonomo)
Aniello Pepoli nacque a Palinuro il 22 marzo 1911 da Francesco e Giuseppina Scarpati ed era il secondo di 7 figli. Visse al Porto, nella casa paterna, fino a quando
spos Carmela Granito e and ad abitare sulla panoramica strada che dal paese
porta al mare. Lo avevano soprannominato Buonomo perch veramente era un
uomo buono. Pass tutta la sua vita sul mare: era uno di quei pescatori che vivono
scandendo il tempo e rispettando abitudini e tradizioni: una persona tranquilla, che
non amava la confusione e il chiasso. Pi che parlare, gli piaceva ascoltare o leggere
quando poteva. La figlia Maria racconta:
< Mio padre cominci a pescare, sin da bambino, con nonno Ngicco. Si alzava
presto il mattino, per andare a mettere le reti, e faceva di tutto per non arrivare tardi a scuola; infatti, costringeva il padre ad approdare alla spiaggia della Ficocella,
da cui poteva raggiungere la scuola pi velocemente. Nonno lo faceva scendere
e poi continuava con la sua barca fino al porto. Ultimata la scuola elementare,
mio padre non pot proseguire gli studi ma, pur dedicandosi alla pesca, coltiv la
passione per la lettura. Leggendo, impar anche a scrivere abbastanza bene e, da
militare, divent lo scrivano dei commilitoni che non sapevano farlo. Diceva con
orgoglio di aver visto da vicino il re e la regina che andarono a fare visita ai militari del piroscafo Quarto, sul quale lui era imbarcato. Finito il servizio militare,
ritorn a Palinuro e si spos. Pap ha lavorato sempre. Tanto! Quando tornava,
il mattino, dopo aver pescato lintera notte sulla lampara, prendeva il paniere con
la sua colazione e andava di nuovo al porto per continuare a lavorare con le reti
chiare, per la pesca di pesci pregiati. Ricordo che quando non esistevano ancora
le reti di nylon, pap si faceva spedire il cotone da Brescia, e sarciva (tesseva) lui
stesso la rete, alcune volte di notte, al lume di candela. La faceva a maglie piccole,
per la pesca della menaica e della sciabica, a maglie pi grandi (reti chiare), per la
cattura di pesci pregiati. La rete per le triglie era pi spessa, e quella per i tonni era
di cotone abbastanza doppio. Per la tessitura delle reti a maglie piccole si adoperavano i cannuoli che erano delle canne di vario diametro; per quelle a maglie
grandi, si usavano i tavuledde, tavolette di legno. Questi rudimentali attrezzi
erano costruiti, alloccorrenza, da ciascun pescatore. Ultimata la sarcitura, occorreva tingere la rete, perch u furese (il cotone) era chiaro e le reti dovevano
essere di colore marrone. Per ottenere la tintura, si adoperava la corteccia secca
dei pini che noi bambini, insieme ai grandi, andavamo a raccogliere nella pineta
di Mingardo. Una volta raccolta, bisognava pestarla per ridurla in una polvere
che chiamavamo u zappinu. Per la tintura della rete si procedeva cos: si adoperavano dei fusti di ferro che erano sistemati su un tripode costituito da tre pietre
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sfaccettate, in mezzo alle quali si accendeva il fuoco. Nel fusto si metteva lacqua
e la polvere di zappinu sufficiente per la quantit di rete da tingere e si portava
a ebollizione. Quando lacqua diventava marrone - rossiccio, si ripuliva da qualche scoria e vi simmergeva la rete. Limmersione della rete nella tintura bollente
durava pochi minuti. Si tirava via la rete tinta e, nella stessa acqua, simmergeva
altra rete da tingere. Poi le reti erano sistemate su assi di legno, coperte con teloni e si lasciavano scolare, per tutta la notte. Al mattino seguente si appendevano
allospasario (stenditoio fatto con travi di agave secche) per farle asciugare al
sole. Questo lavoro era fatto sulla spiaggia di cui, allepoca, i pescatori potevano
servirsi senza prescrizioni e limitazioni.
Il dopoguerra fu un periodo abbastanza difficile perch eravamo cinque figli, tutti
bambini, e pap doveva lavorare per tutti: lunica fonte di guadagno era la pesca
e non sempre si riusciva a vendere il pesce; spesso si faceva il baratto con prodotti
alimentari che noi non avevamo.
Le cose cominciarono a migliorare negli anni cinquanta, con larrivo a Palinuro
del Club Mediterrane. Pap trov lavoro fisso nel Club accompagnando i turisti
francesi con la barca, lungo la costa e fino alle spiagge di Marina di Camerota. Il
turismo miglior leconomia della nostra famiglia, perch trovarono lavoro anche
i miei fratelli.
Mio padre fu eletto anche consigliere comunale e ricopr questa carica presso il
nostro Comune, come rappresentante dei pescatori, per circa un ventennio. Comunque, anche se partecipava alla vita politica, non abbandon mai il suo lavoro:
and a pescare finch le forze glielo consentirono. Limpegno di andare quotidianamente a mare lo aiut a sopportare i dolori che colpirono la nostra famiglia: due
miei fratelli, Franco e Antonio, morirono ancora giovani. Dopo la loro morte mio
padre divent taciturno, passava intere giornate al Porto, a fare il rammaggio
alle reti. Lunico suo piacere era passare il tempo con i nipoti che rallegrarono un
poco gli ultimi suoi anni, quando perdette anche la compagnia di mia madre. Mio
padre, senza fare discorsi, senza metodi speciali, ci ha educato ad essere persone
serie: il suo esempio di uomo giusto, il suo attaccamento al dovere e la sua saggezza ci parlano ancora >.

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Aniello Pepoli, in marina, il sesto da destra. la signora che passa in rassegna


il picchetto donore Maria Jos, la moglie del principe Umberto di Savoia
(ultimo re ditalia).

1966, Aniello Pepoli con la moglie


Carmela Granito.

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Aniello Pepoli (buonuomo) con il figlio Antonio


e il fratello Francesco. Porto di Palinuro, anni 1950s.

Aniello Pepoli esegue il rammaggio sulla barca (anni 1970s).

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Aniello Pepoli, con la nipotina Donatella (sopra) e con la moglie


Carmela Granito (sotto), addetto alla preparazione delle reti.

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Aniello Pepoli, in barca mentre si prepara a lanciare la rete,


con il figlio Antonio.

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FRANCESCO PEPOLI
(Ciccio ri Tririci)
Francesco il penultimo dei sette fratelli Pepoli, nato a Palinuro il 15 luglio 1921.
Dal 1998 non c pi, ma ancora ricordato, perch era uno di quei pescatori che,
senza fare grandi cose, ha lasciato il segno di s.
Riservato, garbato nel rispondere, disponibile.
Era piuttosto solitario, infatti, preferiva andare a pescare sempre da solo.
Conosceva bene i fondali del tratto di mare che va da Marina di Camerota a Pisciotta.
Sapeva qual era il periodo e la zona di mare pi adatta per la pesca di determinate
qualit di pesce. ricordato, infatti, come uno dei pi bravi pescatori dellepoca:
era cosa rara che tornasse da mare col paniere vuoto!
Difendeva con forza, insieme agli altri pescatori, il tratto di mare in cui non era
consentita la pesca alle paranze. Solo per questo motivo, Francesco Pepoli perdeva
la sua calma e rischiava di ingaggiare anche liti con i paranzuoti.
Nella seconda met del secolo scorso le paranze di Torre del Greco e di S. Maria
di Castellabate venivano spesso a pescare lungo le coste cilentane e, infrangendo
ogni legge, arrivavano a pescare anche a profondit non consentita. Con le loro reti
a strascico, distruggevano la fauna marina, impoverendo la zona di mare riservata
ai pescatori proprietari di piccole barche e di reti chiare, apposite per la pesca di
pesce pregiato.
Nelle basse profondit i pescatori palinuresi posizionavano il tremaglio, rete che
restava in mare per tutta la notte.
Qualche volta capitava che i divergenti della rete della paranza, avvicinandosi
alla costa, simpigliassero nel tremaglio e lo trascinavano a bordo, insieme al pescato, arrecando un notevole danno al pescatore proprietario di quella rete.
Si racconta che, una mattina di primavera, Francesco era andato verso le Saline a
togliere le reti che aveva messo in mare la sera precedente.
Come il solito era solo e remava tranquillamente verso i galleggianti che segnalavano la sua rete.
A un tratto si accorse che una paranza, di notevole stazza, avanzava in prossimit
della costa: si ferm e stette a guardare.
La paranza pescava a strascico, come il solito, in zona non consentita.
Francesco remando, si diresse verso la paranza e, pur essendo solo, affront i pescatori napoletani protestando energicamente. Agli improperi e alle grida di Ciccio,
i paranzuoti risposero canzonandolo e continuarono a pescare a strascico, molto
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vicino alla costa.


Ciccio perdette la pazienza: sinnervos e non avendo pietre a bordo, cominci a
lanciare alcuni piombini, che conservava in un canestro, contro la cabina della paranza mandandone i vetri in frantumi.
Il capitano reag brutalmente e cominci a inseguire la piccola barca.
Ma Ciccio, che conosceva bene landamento del fondale del posto, si diresse, remando con tutte le sue forze, verso la spiaggia, seguendo un percorso dove la profondit era bassa.
Questo perch, se la paranza avesse continuato a inseguirlo, si sarebbe arenata.
La paranza fu cos costretta a rinunciare allinseguimento e drizz la prua verso
Punta Licosa.
Ciccio rientr al porto e raccont quanto gli era accaduto ai pescatori palinuresi.
Tutti si proposero di far valere i loro diritti, anche con modi forti.
Infatti, da allora furono pi attenti a sorvegliare la navigazione dei motopescherecci
forestieri.
Intorno agli anni 50 capit un fatto che ancora e oggi raccontato e ricordato dai
pescatori pi anziani.
Aniello Graniti, detto Poldo, racconta:< Era settembre. Il tempo si manteneva
buono, per cui le paranze del golfo di Napoli erano tutti i giorni lungo la costa di
Palinuro per la pesca a strascico.
La paranza, trascinando la sua rete a piccole maglie, imprigiona anche i pesci piccolissimi, (le famose fragaglie di triglie, ottime per la frittura mista), impedendone
la crescita, e quindi la riproduzione.
Vi fu un periodo in cui noi pescatori palinuresi non pescavamo pi triglie di morsa, cio triglie grandi ricercate dai ristoranti per arrostire o per cucinare alla
livornese.
Perci Francesco Pepoli, uomo tenace e costante, era particolarmente attento a
sorvegliare se le paranze si avvicinassero alla nostra costa.
Una sera di settembre, infatti, Ciccio vide una paranza che pescava a poca distanza
dalla spiaggia, di fronte alla costa di Buondormire. Chiam altri pescatori, tra cui
Antonio Calembo, Nghingotto, uomo molto deciso, e con una barca a remi si diressero verso la paranza. Vi si accostarono e chiesero con decisione ai paranzuoti
di spostarsi a pescare pi al largo.
I pescatori della paranza, come il solito, incuranti della protesta dei palinuresi,
continuarono a trascinare la rete.
Ciccio e Nghingotto si fecero giustizia da soli: passarono con la barca a poppa
della paranza, sotto i due cavi di acciaio che tiravano la rete. Fecero in modo che
uno dei due cavi strisciasse sul bordo della loro barca e, con un gesto fulmineo,
lo tagliarono con un colpo di accetta. Ne tagliarono uno solo, per impedire ai pe72

scatori della paranza di inseguirli, dovendo recuperare la rete, rimasta in mare,


sorretta da un solo cavo.
Fu un atto di coraggio: ma in quellepoca non cera altro modo per far valere le
proprie ragioni.
Da quando, poi, c stata una sorveglianza seria da parte dello Stato, le acque del
nostro mare si sono ripopolate di triglie e, ancora oggi, ve ne sono in abbondanza>.

Francesco Pepoli, detto Ciccio ri tririci.

73

MAURO PEPOLI
(Il Quartigliere)
Cera nel porto di Palinuro un piccolo uomo vestito di nero. Eri sempre sulla spiaggia attento a tenere pulito, come dicevi. Il sole non bruciava pi la tua pelle,
era troppo scura e troppo segnata (dal commento scritto dalla prof. Anna Maria
Amendola, per la morte Di Mauro Pepoli). Questo era il Quartigliere: un uomo
piccolo con la pelle bruciata dal sole e dal vento. Era attento, disponibile; cordiale
nellintrattenersi con la gente. Parlava a modo suo, cercando di tradurre il dialetto
palinurese in lingua italiana. Dal suo esprimersi, veniva fuori quella saggezza spicciola, ma tanto incisiva che hanno gli uomini di mare. Il suo habitatpreferito era
il porto: lo sentiva come prima casa. Ne aveva fatto il suo angolo di terra preferito
che curava ogni giorno, spazzando la spiaggia devo tenere pulito diceva a chi,
guardandolo, faceva qualche commento.
Era nato il 30 ottobre 1914 ed era il quarto di sette fratelli. Faceva parte di quella numerosa famiglia Pepoli creata da Francesco e Giuseppina Scarpati. Dal loro
matrimonio nacquero: Nazareno (1910), Aniello (1911), Antonio (1913), Mauro
(1914), Emilio (1917), Francesco (1921) e Assunta (1926).
Il Quartigliere, ancora bambino, comera regola allora per i figli maschi, segu il
padre Ngicco nellattivit della pesca. Visse al porto, nella casa paterna, fino a
quando spos Maura Panetta, nel 1938. La figlia Rosa, che ha assistito i suoi genitori negli ultimi loro anni di vita, dandone notizia, si commuove e cos si esprime:
< Pap e mamma erano una coppia felice, serena, perch il loro rapporto era sincero, dolce. Spesso, anche da vecchi, erano soliti scherzare tra loro. Quando pap
saliva dal Porto, ogni sera, cominciava a chiamare: Maura, Maura, dal piazzale
che c davanti casa. Mamma, di proposito, non rispondeva subito; e pap, allora:
Add s? Nun mme fa appaur! (Dove sei? Non farmi prendere paura !). Allora
mamma gli andava incontro e, spesso, si salutavano con un bacio. Questo finch
pap andato al Porto, cio fino a 93 anni. Hanno festeggiato i 70 anni del loro
matrimonio. Forse, proprio perch avevano vissuto insieme quasi tutta la vita, nel
loro ultimo inverno, seduti accanto al focolare, progettavano di fare insieme anche
lultimo viaggio. Una sera, infatti, sentii mamma che diceva: io sono malata, me ne
vado prima. Pap rispose: No, Maura, la strada te la faccio io! E cos fu. Pap
mor il 13 maggio 2009; e mamma lo segu solo 24 giorni dopo, il 6 giugno. Pap
era un uomo cordiale, facile a fare amicizia con i turisti, cui, spesso, non fittava, ma
prestava le sue barchette. Tutti gli volevano bene: era il punto di riferimento al
Porto per i turisti abituali e anche per quelli occasionali. Verso le 6 del mattino, o
anche prima, nella stagione estiva, prendeva la sua colazione e, a piedi, scendeva
al Porto. La prima sosta era nella cappella di S. Antonio. Aveva un rapporto confi74

denziale e forte con il suo Santo, cui raccontava i suoi pensieri, le sue ansie, i suoi
progetti. Era solito dire: Io non prego, parlo con S. Antonio . Dopo la sosta nella
piccola cappella, andava sulla spiaggia, prendeva la sua lanza e faceva il primo
giro nel porto per osservare le barche che aveva in custodia. Tornato a riva, prima
che arrivasse la gente, provvedeva a raccogliere carte e alghe, perch sembravano brutte diceva su quella bella spiaggia bianca. Poi passava la giornata,
spostandosi dalla spiaggia alla banchina, accompagnando con la lanza chi doveva raggiungere la barca, ormeggiata nella rada. Era tanto avvezzo a remare, che
lo faceva senza alcuno sforzo: scivolava con la sua barchetta, sullacqua, senza
far rumore: il suo remare aveva una cadenza calma e uguale. I pescatori del porto
avevano stima e fiducia in mio padre, che, col suo buonsenso, riusc a organizzare
i turni fra i pescatori per accompagnare i turisti a vedere le grotte; cos tutti lavoravano equamente e, a sera, Giacomino Polito, che faceva il cassiere, divideva
lincasso. And avanti cos, per diversi anni, finch non fu costituita una regolare
cooperativa.
Intanto, per le leggi del demanio marittimo, pap, ormai novantenne, dovette togliere dalla spiaggia la sua flotta cos chiamava le sue barchette di plastica -;
dovette anche abbattere quella che tutti chiamavano la baracca del Quartigliere
che aveva costruito, tra la strada e la spiaggia. Allombra di quella baracca, fatta
con tronchi di agavi secche e canne, si riunivano molti pescatori, per riposarsi,
per mangiare la colazione, per fare il rammaggio e chiacchierare tra loro. La
rimozione delle barchette e labbattimento della baracca furono, per mio padre, un
dispiacere che soffr in silenzio, comera solito, ma che segnarono profondamente
gli ultimi anni della sua esistenza, gi rattristata dalla morte prematura del figlio
Antonio. Da quando perdette Antonio, pap, portava sempre una maglietta nera,
dinverno e destate, che lo faceva distinguere dagli altri pescatori. Forse con quella maglia intendeva dire che, ogni giorno, portava con s il suo grande dolore. Ci
disse che, anche da morto, dovevamo mettergli una maglia nera. Alcuni mesi prima
di morire, espresse un desiderio: Sentite, vi devo raccomandare una cosa; quando
muoio, dopo il funerale, prima di accompagnarmi al cimitero, fatemi fare lultimo
giro sulla banchina del porto .
E noi lo accontentammo: pap salut ancora una volta il suo mare >.

75

Palinuro, anni 1950s, Mauro Pepoli, il Quartigliere, accompagna con la barca


a remi i turisti a visitare le grotte.

Mauro Pepoli, detto il Quartigliere, devoto di SantAntonio la cui statua


conservata nella chiesetta al porto di Palinuro.

76

Palinuro, spiaggia della Ficucella, processione di S. Antonio (1957),


barca con la statua del Santo e ragazze con abito lungo del gruppo
Associazione del Sacro Cuore.

77

Vincenzo Amendola e il Quartigliere.

Veduta di Palinuro dalla terrazza dellHotel S. Caterina,


con sullo sfondo il porto, anni 1950s.
78

Palinuro, festa di S. Antonio al porto. Processione di ringraziamento


dei pescatori.

79

NAZARENO PEPOLI
Esperta nel cercare e raccogliere la simintellaera una donna, Filomena, - da tutti
chiamata zia Mena-, che fece da mamma ai suoi tre nipoti, dopo la morte prematura
della figlia. Zia Mena fece sacrifici infiniti per tirare avanti i piccoli orfani, vendendo la simintella e i pesci che pescava il genero Nazareno. La figlia, morta a soli
26 anni, si chiamava Rosalia, moglie di Nazareno, uno dei pescatori pi longevi di
Palinuro (nato nel 1910, morto nel 1999). Nazareno Pepoli, perduta la moglie nel
1940, chiuso nel suo dolore, parlava poco e lavorava molto. Visse tutta la sua vita
sul mare. Compr una piccola barca, che chiam Rosalia, come la moglie, e, con
questa barca, pass la sua giovent, intessendo col mare un rapporto unico. Io ricordo Nazareno al porto, rassettare le reti o la barca, a piedi nudi, con le gambe del
pantalone arrotolate fin sotto il ginocchio. Nazareno, finito il suo lavoro, prendeva
il paniere, e tornava a casa, allora del tramonto. Questo tutti i giorni dinverno e
destate. Quando per let avanzata non pot pi andare a pescare, faceva il rammaggio, seduto su di uno sgabello, sulla spiaggia o davanti casa sua. Il rammaggio il rammendo della rete, che era fatto con un ago particolare, a crucella che
una forcina di legno, su cui si arrotola il cotone e viene passata tra le maglie rotte
della rete, facendo i nodi, per riparare lo strappo. Nazareno, espertissimo nel fare u
rammaggio, teneva tesa la rete, incastrando il pezzo che doveva riparare, nellalluce del piede destro, con la mano sinistra tirava laltra estremit della rete e, con la
destra, passava la crocella nelle maglie da riparare. Quando aveva bisogno di avere
libera la mano destra, appoggiava tra le labbra la crocella.
Chiss cosa pensa un pescatore quando, in silenzio, sulla spiaggia, ricuce la rete,
guardando pi il mare, che il filo che sta annodando!
Antonietta Pepoli, la seconda figlia di Nazareno, cos racconta:< Non avevo neppure due anni, quando perdetti la mamma. Mio fratello, Mauro aveva solo 22 giorni,
mia sorella Peppina era la pi grande. Nonna Mena fu nostra madre. Ricordo che,
quando avevo nove dieci anni, a piedi scalzi o al massimo con un paio di zoccoli
di legno, andavo con nonna a vendere i pesci. Anchio avevo la mia bagnarola
bacinella di alluminio che portavo in testa; andavamo a piedi, a Centola, a
vendere le alici, le sarde e i cicinielli- bianchetti-. Io ero la cassiera: la nonna
mi affidava lincasso. Un giorno riuscimmo a vendere tutto in breve tempo, ed io
contai i soldi: erano in tutto duecento lire! Mi sentii tanto felice e dissi a nonna:
- Siamo ricche, nonna, siamo ricche, abbiamo fatto duecento lire!- Rivivo ancora
oggi quel momento di gioia >.
Ora Antonietta ha settanta anni e vive con la sorella, Peppina e il fratello Mauro.
Hanno ereditato dal padre Nazareno, la passione per il mare. Sono, infatti, tra quelli
rimasti pi legati alla vita di mare. In tutti i periodi dellanno frequentano la spiag80

gia del porto, dove hanno la loro barca. Peppina, la sorella maggiore cos racconta:
< Erano tempi duri, ma eravamo pi contenti, eravamo sereni, ci accontentavamo
di poco e non avevamo tanti problemi. Si camminava sempre a piedi e per lunghi
tratti. Si raggiungevano i paesi vicini, Camerota, Caprioli, sempre con linseparabile bagnarola in testa, piena di pesce da vendere. Ricordo che zia Peppina, la
moglie di zi Ngicco
(Francesco Pepoli) lasciava il figlio, ancora in fasce, addormentato, in mezzo al
letto, e andava di buon mattino a Caprioli a vendere pesce. Allora del ritorno, zi
Ngiccoandava incontro alla moglie per mare; partiva dal porto, con la sua barca
a remi, e la raggiungeva verso Capo darena- spiaggia che si trova tra Palinuro
e Caprioli- Zi Ngicco faceva tutto questo per alleviare il faticoso cammino di ritorno di zia Peppina che, da poco era diventata madre.
Ricordo, in modo particolare, quando scendevano a terra le lampare: se la pesca
era stata abbondante, dalla prua della lampara, un pescatore suonava la tufa,
-grossa conchiglia forata alla punta, - che mandava un suono tanto forte che si
sentiva da terra. Quando sentivamo il suono della tufa, andavamo al porto, dove
approdava la lampara. Sulla spiaggia, il capobarca pesava le alici per darle a noi
donne, che andavamo a venderle nei paesi vicini. Nonna Mena era sempre pronta
ad andare a Centola, con la sua bagnarola per vendere alici o sarde. La maggior
parte per del pescato era portato nei locali del cavaliere Amendola, dove cerano
altre donne esperte nell arte della salagione. Sistemati i pesci, i pescatori asciugavano la rete sullo spasario (sostegno fatto con travi di agavi secchi, legati luno
allaltro in modo da fare una specie di spalliera), su cui si appendeva la rete. Stesa
la rete, i pescatori la panniavano, cio la scuotevano con le mani, per sistemarla,
farne cadere lacqua, le alghe, le erbe, le stelle marine che vi si erano impigliate.
Mentre la piccola ciurma faceva questo lavoro, un pescatore pi bravo a cucinare,
faceva u tiano (grossa padella in cui cucinava il pesce appena pescato, con olio,
aglio e peperoncino). Panniate le reti, tutti i pescatori si avvicinavano al tiano
e mangiavano infilando il boccone con una forchetta di canna che ognuno aveva
preparato per s. Il proprietario della lampara mandava il vino >.

81

Nazareno Pepoli sul suo gozzo.

82

Nazareno Pepoli mentre esegue il rammaggio


(notasi la crocella trattenuta tra i denti).

83

ANTONIO POLITO
(Zi Pietro)
Antonio, figlio di Giacomo Polito e Antonietta Scarpati, nato a Palinuro il 20
novembre 1940. E un pescatore in pensione e conserva integre le caratteristiche
delluomo di mare: dapprima timido e schivo, poi cordiale e loquace, parla del passato, del nonno, del padre, di s. Dice che suo nonno Pietro Polito, originario della
vicina Pioppi, allinizio del XX sec. fu mandato, in qualit di capo fanalista, presso
il faro di Palinuro. Il faro, allepoca, funzionava ad acetilene: fu acceso ogni sera e
spento al mattino, per molti anni, da nonno Pietro che, a Palinuro, conobbe e spos
Carmela Graniti. La giovane coppia prese alloggio nellappartamento sotto la torre
del faro, da cui si ammira un panorama stupendo. Guardando a ovest, lo sguardo
abbraccia limmensa distesa azzurra, che va da Punta Licosa a S. Nicola Arcella in
Calabria. A nord domina il monte Gelbison, a est il Monte Bulgheria che digrada
in una catena di colline fino alle spiagge di Marina di Camerota e di Scario. E proprio nella casa del faro, in quel nido di serenit e di pace, nacquero nove bambini,
quattro maschi e cinque femmine, tra cui, nel 1914, suo padre Giacomo, ottavo fra
i nove. Tempo di guerra e di briganti, quando venne al mondo Giacomo!
Pap Pietro e mamma Carmela dovettero impegnarsi molto per mantenere una cos
numerosa famiglia. Nonno Pietro era un uomo paziente e prudente: aveva saputo
guadagnarsi il rispetto di tutti, anche dei briganti che erano in zona. I nipoti del
fanalista Pietro sanno ancora che nonna Carmela, quando faceva il pane, riservava
una pagnotta e le freselle per il brigante Cola Marino che, con la sua banda, aveva
anche un nascondiglio in una grotta sotto il faro. Pietro metteva il pane fresco e i
biscotti in un apposito paniere e lo faceva scendere, dallalto della roccia, con una
corda, fino allantro di Cola Marino. Per questo ripetuto gesto di generosit, il brigante era molto grato al fanalista, per cui gli offriva la sua protezione.
Gli anni passarono veloci e i nove bambini diventarono giovani: Antonio e Gennaro
impararono a gestire il faro, per cui Antonio, il maggiore, prese il posto del padre
a Capo Palinuro, mentre Gennaro fu mandato in Calabria presso il faro di Scalea.
Aniello simbarc e segu la carriera militare. Giacomo, invece, divent uno dei pi
bravi ed esperti pescatori del posto.
Antonio Polito, zi Pietro , cos racconta:
< So che mio padre, sin da ragazzo, scendeva al Porto, per un sentiero molto ripido,
che ora non c pi, ma che permetteva di salire e scendere dal faro in breve tempo.
Chiss quante volte pap percorse quel sentiero; specialmente quando scopr che
al Porto cera una bella ragazza, dai capelli neri, che gli piaceva tanto. Tante volte
scese finch Antonietta di Rosaria gli disse di s. Antonietta Scarpati era mia
madre e visse con pap, qui, in Via Porto, per oltre sessantanni. Mio padre, come
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tutti i pescatori, aveva stretto col mare un rapporto molto forte, perci quando, da
vecchio, non poteva scendere pi al Porto, sedeva davanti casa a guardare il mare
e, spesso, ricordava e raccontava avventure e storie antiche da lui vissute.
Una sera part con la lampara a remi, insieme con altri pescatori e si allontan
abbastanza (oltre un miglio) da Capo Palinuro. Con lui cerano cinque pescatori,
Mauro Scarpati, Catina, Aniello Palmieri, u Tappu, Giuseppe Raimondo, u
Papa, e Giorgio Troccoli, zi Giorgio. Il lumista era Vincenzo Scarpati, Cenzo. Era una di quelle serate di primavera limpide ma fredde e, per riscaldarsi,
accesero a bordo il fuoco in una bacinella di ferro zincato. Si raccolsero tutti al
centro della barca, accanto al focone, tranne zi Giorgio, che stava disteso con la
testa sotto la prua e i piedi verso la bacinella. Si addorment e, improvvisamente,
cominci a gridare e a scalciare, colpendo la bacinella che si capovolse. Un tizzone
fin sul cappotto di Giuseppe Raimondo bucandolo. U papa teneva molto a quel
cappotto, di lana verde, che aveva portato dal servizio militare, perci comincio a
gridare: - ma che te vene, ne zi Gio? Si sciutu pacciu? Finiscila! - (che ti prende zio
Giorgio, sei diventato pazzo?) . Zio Giorgio - che agiva e pensava come un bambino, e talora suscitava lilarit di chi gli stava vicino - con la sua solita bonomia, rispose: - noni, noni, bella zi Giorgio, nun su paccio; mmaggiu sunnatu nu crapuni
ca mi stia ncurnannu - (no, no, bello di zio Giorgio, non sono pazzo; ho sognato un
caprone che mi voleva incornare). Tutti risero da morire! Solo u papa imprecava
maledettamente, guardando il suo cappotto bruciacchiato.
Allora non esistevano divertimenti e passatempi e i pescatori riuscivano a stemperare il loro duro lavoro, vivendo insieme la vita di mare e colorandola di episodi ridicoli e umoristici che poi raccontavano tra loro. Ricordo che mio padre si
divertiva ancora, dopo tanti anni, a dire il fatto capitato ad Aniello Granito, u
pacciarieddu.
Una sera Aniello, u pacciarieddu, Domenico Scarpati Micco, e i figli Mauro, u
tirrazzanu e Aniello Joccia erano tornati a tarda sera da pescare e, poich dovevano ritornare in mare nella notte, decisero di fermarsi a dormire nel magazeno
(casotto), che avevano a loro disposizione, sulla spiaggia della Marinella. Sistemati
i pesci della prima pescata nelle sporte (cesti di giunco e cannucce), si distesero
sui sacchi. Intanto, trai pesci pescati, cerano anche un ruongo (grongo), una
specie di grossa anguilla, viscida e liscia, che non muore subito fuor dacqua, quindi
era lunico pesce ancora capace di muoversi. Aniello e i due fratelli Scarpati, vinti
dalla stanchezza, si addormentarono subito, mentre Micco non riusciva a prendere
sonno, perch sentiva che u pacciarieddu, mentre dormiva, faceva uno strano
verso: era un lamento cupo, in crescendo. Micco che era deciso nellesprimersi, non
potendo pi sopportare, gli grid: -Ma ti vu sta cittu o no? Iu aggia rormi! - (Stai
zitto! Io devo dormire). Svegliato dallimperativo di Micco, Aniello rispose urlando:
-Ma iu tengu na cosa liscia nde spaddi !- (Io sento una cosa liscia nelle spalle). Al
grido di Aniello si svegliarono gli altri due e, pensando che la cosa liscia fosse
un serpente, saltarono in piedi e andarono a buttarsi in mare. Anche Micco e u
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pacciarieddu li seguirono. Si trovarono a mare, di notte, tutti e quattro, mentre il


ruongo, fuor dacqua, continu la sua passeggiata fra i sacchi e le sporte.
Ora pap non c pi; sono io a raccontare al posto suo e devo anche dire che i
pescatori dellepoca di mio padre, non essendo provvisti di alcuno strumento di navigazione, affrontavano seri rischi sul mare. Pap, per un periodo, fece il capobarca sul cianciolo S. Antonio, motopeschereccio di otto metri, con una ciurma di otto
persone. Il lumista era Vincenzo Scarpati, Cenzo. Una sera mio padre e la sua
ciurma salparono dal porto e si diressero al largo. A poco pi di un miglio dalla costa, pap ancor il motopeschereccio e, nellattesa che Cenzo chiamasse per fare il
vuolo (per recingere le alici), consent che i pescatori potessero distendersi sotto
la prua. Tutti si addormentarono. Solo Cenzo era sveglio perch doveva guardare
se assumavano (salivano a galla) alici sotto la luce del lume. Il mare era calmo.
Nel silenzio della notte, cominci a sentire il rumore di un motore, che si avvicinava sempre pi. Cenzo si allert e ascolt con attenzione, guardando verso levante,
direzione da cui proveniva il rumore. In quel buio, intravide una vela bianca: era
un bastimento a vela e a motore, che navigava dritto verso di loro. Cenzo cap che li
avrebbe sicuramente investiti! Afferr istintivamente i remi e grid con quanto fiato
aveva in gola. Mio padre lo sent subito, sal sulla prua e si rese conto di quanto
stava per accadere. I pescatori che dormivano, al grido di mio padre, saltarono
fuori, ma non si poteva fare nulla per evitare lurto. Il bastimento, che navigava
verso ponente, prese di striscio la fiancata sinistra del S. Antonio, che si gir sul
fianco destro imbarcando acqua. Per fortuna il motopeschereccio, che era di legno
di quercia, resse allurto e si evit una tragedia. Alcuni pescatori riportarono lievi
contusioni, ma tutti, insieme a mio padre, furono fortemente spaventati.
Forse il capitano del bastimento da carico, per evitare il gozzo del lumista, invest
il moto peschereccio che, nel buio, non aveva visto. Mio padre, oltre allo spavento
e allangoscia, prov tanta rabbia per lassurdo e disumano comportamento del
capitano del bastimento investitore. Infatti - diceva - si dilegu velocemente nel
buio, omettendo di soccorrere limbarcazione investita >.
< Anchio avrei da dire tante cose della mia lunga vita di pescatore cominciata a
sei anni, quando in prima elementare, imparai a remare. A nove, andavo a pescare
insieme agli adulti. Avevo imparato le leggi del mare, qualche segreto per pescare,
ma ero sempre un bambino e ricordo ancora ci che mi capit a quellet. Intorno
al 1950 ritorn dallAmerica un compaesano, Antonio Granito u Russu. Aveva fatto fortuna, quindi compr una casa al porto e una bella barca che affid a
dei giovani tra cui ero anchio. Con me cerano: Antonio Scarpati, zi Marco,
Fioravanti Scarpati, Juro, Antonio Pepoli, Zilacchio e, unico adulto, Angelo
Granito u paisanu.
Un giorno destate prendemmo la barca e con Angelo u paisanu, andammo dietro il Capo a fissare i filaccioli alla roccia. Il tempo era bello, era una serata
calma e tiepida, perci decidemmo di andare a Buondormire, invece di ritornare al
porto. A Buondormire incontrammo Gerardo Scarpati u stocco che convinse noi
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ragazzi a restare a dormire sulla spiaggia, insieme con lui, mentre Angelo Granito
ritorn in paese salendo per la stradina della Marinella. Angelo se ne and diritto
a casa sua senza avvisare le nostre famiglie che eravamo rimasti a Buondomire,
con Gerardo. Si fece buio e noi non eravamo rientrati. I nostri genitori preoccupati
scesero al porto. Il buio aveva avvolto ogni cosa: solo il faro occhieggiava dallalto
del promontorio. Al porto il silenzio era rotto dal pianto dei nostri parenti che pregarono Ngicco di uscire con la sua barca, per cercarci. Andarono con lui, Maria,
sorella di Antonio Pepoli e Maurina, sorella di Fioravanti.
Al loro ritorno, senza alcuna notizia, vi furono scene di disperazione perch si
pens al peggio: sipotizz che un masso, caduto dalla costa sulla nostra barca, ci
avesse affondato, mentre eravamo sottocosta per legare i filaccioli. Era lunica
spiegazione probabile, perch il mare era calmo.Intanto noi eravamo a Buondormire con Gerardo u stocco che ci terrorizzava raccontando fatti di spiriti e fantasmi. Non ho mai potuto dimenticare lo spavento di quella notte! I miei compagni
si addormentarono, ma io non potetti chiudere occhio. Sullo scoglio di fronte a noi
vedevo quella benedetta vecchia, piccola e bianca, che Gerardo ci aveva descritta.
Comunque neppure u stocco dorm perch, terrorizzato comero, lo chiamavo
continuamente e lo scuotevo se non mi rispondeva. Quella notte fu la pi lunga della mia vita, forse come fu lunga per mia madre che piangeva credendomi morto.
Al mattino pap ritorn dalla pesca col cianciolo e, saputo che noi non eravamo
ritornati, non scaric neppure le alici che aveva a bordo, riaccese il motore e raddrizz la prua verso fuori. Con lui cerano Mauro Scarpati catena e altri pescatori.
Arrivati sulla punta di Spartivento, riconobbero da lontano la barca del Russo. Si
avvicinarono, e videro noi ragazzi che, tranquillamente, levavamo i filaccioli. Ci
sgridarono, ma capirono che noi non avevamo alcuna colpa. Il responsabile di aver
provocato ansia e sofferenze alle nostre famiglie, era stato Angelo u paesano >.
< In quel periodo mi capit di vivere un episodio di paura indimenticabile: nella
famosa tempesta, che si abbatt su Palinuro il 29 settembre 1949, anchio mi trovai
con Mauro Scarpati e Antonio Scarpati di fronte a Pisciotta per la pesca del pescespada. Nel pomeriggio sembrava che fosse calata improvvisamente la notte, tanto
il cielo si rabbui. I fulmini guizzavano sulle nostre teste, da ponente a levante. Il
vento sballottava la barca e non riuscivamo a reggerci in equilibrio. La disperazione ci diede la forza di remare e S. Antonio ci aiut a raggiungere il porto >.
< Come mio padre, ora vivo anchio di ricordi. Abito con mia moglie Antonietta
nella casa che lui costru di fronte al mare e passo dei momenti felici con i nipoti,
che i nostri due figli, Anna e Giacomo, ci hanno dato >.
Antonio racconta con emozione le storie della sua vita di pescatore; le rivive e riesce a coinvolgere, nel suo stato emozionale, chi lo ascolta. Mentre racconta, arriva
il suo ultimo nipotino Antonio, di tre anni, che gli salta sulle ginocchia e nasconde
il visino sulla sua spalla. Il nonno lo abbraccia, gli passa una mano sui capelli e lo
bacia dicendo: Si chiama come me!. Il piccolo solleva la testa e guarda in giro,
poi si rannicchia di nuovo sul cuore del nonno: un abbraccio senza parole.
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Giacomo Polito con la moglie Antonietta Scarpati, anni 1920.

Palinuro, luglio 1957, i figli di Giacomo Polito.


Da sinistra: Mauro, Gennaro e Antonio.

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Palinuro, porto anni 1960s, Giacomo Polito mentre osserva


una tartaruga presa nella rete.

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Palinuro, pesca con la lampara, da destra: Gerardo Palmieri (Muschilla),


Antonio Scarpati (zi Marco), Antonio Polito (zi Pietro).

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Giacomo Polito con la moglie Antonietta Scarpati mentre fa il rammaggio


delle reti da pesca.

Giacomo Polito con Luigi Sacco (Ndringhete).


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Giacomo Polito con la Moglie e il


figlio Antonio.

Giacomo Polito, con la moglie Antonietta Scarpati


innanzi alla loro abitazione.

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LUIGI SACCO
A Palinuro c ancora un uomo allantica: Luigi Sacco, un anziano pescatore, nato
il 2 gennaio 1933, nel rione Piano Faracchio. E uno dei figli del pescatore Amodio;
ed anche lui, da bambino, stato pescatore. E un uomo di bellaspetto, paziente,
dalla voce calma e suadente, preciso e saggio nel raccontare. Ascoltiamolo:
< Avevo sette anni quando cominciai ad andare a pescare con lo sciavichiello di
mio zio Vincenzo Sacco. Erano gli anni della seconda guerra mondiale e anche a Palinuro se ne sentirono gli effetti: infatti, dovemmo lasciare le nostre case e rifugiarci
nelle grotte sotto la collina di Molpa. Noi avevamo preso posto nella grotta della
Sciavica che si trova vicino a quella di Scitto e, dopo qualche settimana, il
cibo cominci a scarseggiare. Un giorno, tornando da pescare, corsi da mamma che
stava nella grotta, con i miei fratelli pi piccoli. Mamma, premurosa, mise la mano
in una tasca e mi disse: prendi Luigi, mangia, ti ho conservato un pezzetto di pane.
Affamato comero, addentai quella scorzetta dura, senza guardare e masticai: non
era pane, era sapone! Mamma aveva sbagliato tasca: in una aveva messo il pane,
nellaltra aveva conservato un pezzo di sapone che, allepoca, si faceva in casa. Ora
raccontando, posso pure sorridere, ma allora piansi! Insieme con me, anche altri
ragazzini venivano a lavorare, a bordo, con i grandi; cerano Giuseppe Palmieri,
u Scinicola, che aveva dodici anni; Mauro De Luca, che aveva undici anni; io
ne avevo 10. Ero il pi piccolo e sono ancora qui. I miei compagni non ci sono pi!
Quando tiravamo a sciavica (sciabica) nel periodo invernale, era veramente un
lavoro duro. A noi ragazzi mettevano addosso u collare (il collare), che era una
cinghia piatta, fatta di spago intrecciato, cui era legata a saula (la corda) che era
agganciata alla rete. La cinghia passava trasversalmente, sulle spalle, partendo dal
lato destro al fianco sinistro o viceversa. Cos noi ragazzi, insieme ai pescatori, tiravamo la sciabica con laiuto del collare. Finito questo lavoro, dovevamo arrotolare
le cime rimaste sulla sabbia. A volte, per il freddo, piangevamo: facevamo a turno
a riscaldarci le mani intirizzite, vicino al fuoco che i pescatori accendevano nella
grotta della Sciavica. Purtroppo non potevamo andare a scuola tutti i giorni:
eravamo molto impegnati ad aiutare i nostri padri a pescare. A mio fratello Antonio
non piaceva venire a pescare e, una volta, fece una cosa che rimasta memorabile
nella nostra famiglia: ebbe il coraggio di infilarsi, nel palmo delle mani, tante piccole schegge di canna. Quando mio padre lo chiam per andare a pescare, lui disse:
guarda come ho le mani, non posso remare! Pap cap che Antonio si era fatto quel
ricamo per non andare a mare e, con la severit e lautorit che avevano i padri
in quellepoca, lo port lo stesso. Io invece avevo provato gusto ad andare con zio
Vincenzo, u ngignieri cos chiamato perch meticoloso e saccente - a pescare
a Infreschi zona tra Marina di Camerota e Scario famosa per una speciale qua93

lit di alici, dal dorso blu, che si trovavano solo in quel tratto di mare. Mi piaceva
andare con zio Vincenzo perch portava anche i suoi figli, Ciro u tuscanu, Luigi
u ndranghete, Eugenio u mangione e Alfredo u mazzitiello, che erano pi
grandi di me e fumavano. Appena zio Vincenzo si metteva a poppa, a guardare fisso
la rete, volgendo le spalle alla barca, i miei cugini mi mandavano, sotto la prua, ad
accendere le loro sigarette. Questa cosa mi piaceva molto, e cos cominciai a fumare: ero ancora un ragazzo. Il tempo passa molto veloce, quando si lavora: mi trovai
grande, allimprovviso, con una lunga esperienza di mare alle spalle. Da bambino
avevo imparato a pescare con la sciabica, dopo con la lampara, infine imparai a
pescare con il cianciolo. Io e mio padre lavorammo, per diversi anni, con le barche
del cavaliere Amendola, che ne comprava sempre pi grandi e pi attrezzate. Dopo
la lampara, il Masaniello, che aveva fatto venire da Amalfi, compr in Sicilia il
S. Giacomo, in societ con un signore di Salerno. In quel periodo, per, nel mare
di Palinuro si pescava poco, mentre a Salerno la pesca era pi abbondante. Cos il
socio volle farci trasferire a Salerno. Intanto, dopo poco tempo, anche a Palinuro
la pesca miglior, perci il cavaliere Amendola, tutti i giorni, faceva telegrammi
per farci ritornare. Il socio salernitano li riceveva, ma non ne informava mio padre
che era il capobarca. Un giorno zio Mauro, detto Arturo, trovandosi a casa del
socio di Salerno, lesse per caso, un telegramma e tutti venimmo a conoscenza del
contenuto. Saputa la notizia, la maggioranza di noi pescatori volle tornare in paese,
presso le proprie famiglie. Solo tre decisero di restare a Salerno. Tornammo in treno
a Palinuro e continuammo a pescare con la S. Rosa, una lampara, perch il S.
Giacomo era rimasto a Salerno e poi fu venduto. Dopo qualche mese, il cavaliere compr un altro motopeschereccio, il S. Pietro di cui mio padre fu sempre il
capobarca e Giacomo u russu, il motorista. La pesca andava molto bene e tutte
le sere, al tramonto, si usciva dal porto. Una notte, mentre eravamo al largo, ci sorprese una tempesta. Non fu facile governare il S. Pietro, sotto la furia del vento.
Ricordo ancora, con spavento, che la luce dei lampi era cos intensa, che lacqua del
mare si vedeva azzurra! Riuscimmo, per, a superare la punta della Quaglia, guidati
dallamico faro, ed entrammo nel porto. Il S. Pietro aveva un bel motore: infatti, fu
adoperato per salvare i pescatori sorpresi, al largo, dalla tempesta del 25 settembre
1949. Mio padre e Giacomo, in quelloccasione, riuscirono a portare a riva due
barche: una con mio zio Mauro Sacco Arturo e Francesco Raimondo, Ciccio
e una seconda con a bordo Artemio Belonoskin e Antonio Pepoli, detto Darcelo.
Unaltra, la terza, non erano riusciti a vederla. Intanto il carburante stava per finire, quindi furono costretti a scendere a terra per fare rifornimento e riavventurarsi
nel buio della notte. In questa seconda uscita, si unirono a mio padre e a Giacomo
altri due pescatori: Emilio Pepoli, che minacciava di buttarsi a mare, se non fosse
riuscito a salvare il figlio Mauro Ciccolatera e Mauro Pepoli il Quartigliere.
Fu molto difficoltoso navigare nella tempesta: mio padre e gli altri avevano quasi
perduto la speranza di ritrovare i naufraghi, quando videro sullacqua un segnale
luminoso, verso cui si diressero. Cosa strana, navigando verso il punto dove ave94

vano visto la luce, trovarono Mauro, il figlio di Emilio e Salvatore Del Gaudio, u
Zitu, con la barca piena dacqua e senza remi.
Il prodigio del ritrovamento fu attribuito a S. Antonio >.
< La vita dei pescatori fatta cos: ci sono momenti di paura e momenti di serenit,
in cui si lavora insieme e ci si diverte pure. Ricordo ancora qualche episodio divertente capitato sul S. Pietro.
Una volta, eravamo al largo ed era una serata ri carmaria (calma assoluta del
mare); nellattesa che qualcuno dei lumisti chiamasse per fare il vuolo, un pescatore della ciurma, Antonio, che tutti chiamavano u Macantuono, si era disteso
sui cuortici(galleggianti di sughero) e si era addormentato. Dormiva cos profondamente che non sentiva n il vociare di noialtri n il rumore del motore, acceso
per raggiungere il gozzo del lumista, che aveva le alici sotto il lume. Mio padre,
capobarca, si avvicin al Macantuono e, con voce ferma e decisa, come sapeva fare
pap, grid: - Ma ti vu scet o no? Spicciati! (Ma ti vuoi svegliare o no? Sbrigati!). Macantuono, poverino, investito da questordine, si svegli di soprassalto e,
non riuscendo a orientarsi chiss cosa sognava !-, si butt a mare. Per tutta la
serata ci divertimmo a sfottere il Macantuono. Ancora oggi, mi viene da ridere,
quando racconto questo fatto.
Un divertimento quotidiano, per noi pescatori pi giovani, fu dato dallarrivo, nella nostra ciurma, di Giovanni Russo, soprannominato u Mussutu. Costui era il
pi anziano, analfabeta e balbuziente. Faceva quello che poteva a bordo; noi lo
trattavamo con affettuosa bonomia. Non conosceva sandali o zoccoli: camminava
sempre scalzo e senza guardare dove poggiava i piedi. Eravamo partiti dal porto, al
tramonto, per andare al largo. La serata era bellissima: non cera vento e laria era
tiepida; in cielo si vedeva gi qualche stella. Forse Giovanni voleva fare come Palinuro, voleva osservare il cielo, e si avvi verso poppa, camminando come il solito,
con la testa per aria. Scivol sul fondo bagnato e cadde a mare. Attirati dal tonfo,
accorremmo tutti a poppa e vedemmo una chiazza di bollicine bianche sotto la murata fiancata del S. Pietro. Dopo qualche secondo riapparve a galla u Mussutu
e fu subito tirato a bordo. Appena fu in grado di parlare disse: - quant vera a Maronna, mma ghiettatu a mmari u Buonomo. Mma pigliatu a ruocchio! (Giuro sulla
Madonna che sono stato buttato a mare dal Buonomo. Lui malocchio!). Aniello
Pepoli, detto il Buonomo, sul S. Pietro non cera! >.
< Erano gli anni del dopoguerra e cominciava la rinascita economica anche a
Palinuro, grazie soprattutto alla pesca del pesce azzurro. Alcune notti la pesca era
davvero abbondante: riuscivamo a pescare fino a trenta/quaranta quintali di alici
che erano salate nei locali del cavaliere Amendola e spedite, poi, a grandi ditte che
confezionavano le acciughe in vasetti e barattoli. Nel 1954 il S. Pietro fu venduto
e la ciurma si sciolse: molti di noi ritornarono alle vecchie lampare. Ma poich il
pesce azzurro andava sempre pi diminuendo, ci dedicammo alla pesca dei pesci
pregiati con le rezze ri funno cio col tremaglio, sistema di pesca, ancora oggi
molto usato >.
95

< Ora non vado pi a pescare; vivo con mia moglie Giuseppina a Piano Faracchio,
zona non ancora raggiunta dal chiasso e dalla corsa della vita moderna. Di qui
vedo il mare, tutta la spiaggia del Mingardo, fino a Marina di Camerota; di fronte
ho la collina di Molpa, a picco sullacqua. Guardo il mare sempre, quando calmo,
con sfumature dal celestino allazzurro intenso, e quando, sotto la furia dello scirocco, assume diverse tonalit di verde e assale la roccia, con onde spumeggianti.
Vivo ricordando il passato e aspettando la visita dei miei due figli, Aniello e Donatella, che mi hanno fatto diventare nonno. Sono contento. Ci mi basta! >.

Amodio Sacco, capobarca del peschereccio S. Pietro.

96

Palinuro, Agosto, 1960, Luigi Sacco.

97

Palinuro, porto, anni 1950, ciurma del peschereccio S. Pietro.


Amodio Sacco raccoglie la rete.

Palinuro porto, ricordi dal peschereccio S. Antonio.


Amodio Sacco il capo ciurma (1955-56).
98

Palinuro, 1955-56, gente di mare.


Mauro Pepoli (sinistra), Luigi Sacco (centro),
Aniello Pepoli (destra).

99

Palinuro matrimonio di Luigi Sacco con Giuseppina Pepoli,


figlia del Buonomo, 1957.

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La famiglia di Luigi Sacco: Giuseppina Pepoli (moglie),


Donatella e Aniello, figli.

101

Palinuro, agosto, 1980, Luigi Sacco in barca

Palinuro porto, 1954. Notasi, sulla spiaggia, lo spasario (fatto di pali di


agave disposti in fila) su cui venivano stese le reti ad asciugare.
102

Luigi Sacco
(U ndringhete o Sandokan)
Luigi Sacco nacque a Palinuro nel 1914 e mor nel 1997.
U ndringhete, pi tardi ribattezzato Sandokan, fu un personaggio tra i pescatori del
luogo. Gi dallinfanzia, insieme ai suoi fratelli Ciro ed Eugenio, segu il padre Vincenzo nel mestiere di pescatore. Ne apprese la tecnica e i segreti. Da adulto, avendo
visto a Salerno la rete per la pesca dei cicinielli (bianchetti), pens che sarebbe stato
opportuno provare quel tipo di pesca nel mare di Palinuro. Non esit a procurarsi uno
sciavichiello adatto e cominci cos, per primo, la pesca dei piccolissimi pesci.
Gli piaceva vestire alla moda, e acconciare la sua folta chioma, nera e ricciuta.
Infatti, tutti lo ricordano con i capelli lunghi, che gli coprivano il collo, sfiorando le
spalle; destate, coperti con uneccentrica paglia dalla falda larga.
Era un tipo unico: si sentiva protagonista e attore; era soddisfatto di essere chiamato
Sandokan. Gli piaceva divertirsi, cantare e suonare la fisarmonica.
Come tutti gli uomini di mare, anchegli ebbe dal mare, gratificazione e momenti
dincertezza e di paura. Un giorno, da giovane, mentre camminava sulla spiaggia
delle Saline, fu investito dallo scoppio di una bomba, residuo bellico, sepolta nella
sabbia.
Le schegge lo colpirono in viso, ferendolo a un occhio che rimase menomato della
capacit visiva.
Ma questo non sconvolse la vita di Luigi: con quellocchio rovinato dalla scheggia,
si sentiva un pirata!
Il figlio Armando racconta:
< Mio padre fu, per parecchi anni, uno dei lumisti del cianciolo di Vincenzo Amendola, ed era uno dei migliori, nel posizionarsi col suo gozzo, per lavvistamento dei
banchi di alici.
Tuttavia una notte gli capit di respirare, troppo da vicino, i gas del motorino che
aveva a bordo e ne rimase intossicato. Il capobarca Amodio, insospettito dal silenzio del lumista Ndringhete, si accost al suo gozzo e vide che mio padre era riverso
sul fondo. Amodio abbandon tutto, fece legare il gozzo a rimorchio, e si avvi
velocemente verso il porto. Pap fu soccorso in tempo e si salv.
Ancora, in unaltra occasione, fu assistito dalla fortuna: si trovava ad Acciaroli, in
compagnia di un meccanico, suo amico, per comprare un nuovo motore.
Era inverno, faceva freddo in barca, quindi aveva indossato un giaccone e gli stivali.
Attraccato il gozzo, pap camminava sul fianco della barca, per scendere sulla
banchina, quando scivol e cadde nellacqua gelida. Gli stivali, pieni dacqua,
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facevano da zavorra e il giaccone divent un ingombro enorme e pesante. Il povero


pap, facendo uno sforzo immane, riusc a emergere appena col capo. Lamico, che
era sul fianco della barca, lo afferr per i capelli, permettendogli di aggrapparsi
alla barca. Ancora una volta fu salvo!
Queste e altre disavventure non scalfirono il suo carattere: si distinse per il suo
modo di parlare, quieto, senza urlare e sicuro di quanto diceva.
Gli piaceva intrattenersi con le belle turiste che accompagnava a vedere le grotte.
Dinverno si divertiva suonando e cantando, a ogni occasione; faceva parte del
famoso quintetto di Capodanno >.
Questo singolare pescatore ora non c pi. Ha lasciato tuttavia non solo il ricordo
di se, ma limmagine della sua particolare figura nella memoria dei pescatori pi
giovani e dei turisti abituali di Palinuro che ebbero modo di conoscerlo.
Armando Sacco, anchegli pescatore da bambino fino a 20 anni, ora racconta con
evidente commozione la tempesta del 25/9/1949.
< Ero un bambino di sette anni e andavo a pescare sempre con zio Ciro. Anche quel
25 settembre zio Ciro mi port.
Era una mattinata di sole e carmaria (grande calma mare piatto) bellissima.
Intanto laltro zio, Eugenio, insisteva con il fratello Ciro, per venire anche lui sul
gozzo, perch sosteneva che non era prudente uscire in mare da solo con un bambino. Ma zio Ciro non volle saperne: ci avviammo da soli io e lui.
Zio Eugenio non era tranquillo, perci, dopo qualche ora, preg il vecchio Nazareno di accompagnarlo a raggiungerci, dietro capo Palinuro. Nazareno lo port.
Dopo poco, dimprovviso, si scaten una delle pi brutte tempeste che i palinuresi
ricordino. I miei zii mi fecero mettere sotto la prua della barca, che presto si riemp
dacqua, e loro lottarono, a forza di remi, per reggere il gozzo sulle onde. Era ormai notte quando io bagnato e infreddolito gridai -guardate lass c una luce! C
uno che ci tira!- e additavo il promontorio di capo Palinuro.
I miei zii impiegarono dodici ore per vincere la forza del mare e spingere la barchetta fino al porto.
Mia madre, il giorno seguente, mi port in chiesa e l ancora gridai:-mamma, guarda, quello era il monanco che ci tirava!- e indicai la statua di SantAntonio.
Ora, da anziano, racconto quei momenti e mi stupisco di ci che mi accadde. Penso
di aver avuto la visione del Santo nel momento in cui, mia madre e altri palinuresi,
pregando e piangendo, disperati, presero la statua di SantAntonio e la portarono
in riva al mare su uno scoglio che era vicino alla chiesetta.
E dura la vita del pescatore, per credo che nessuno abbia tanto da ricordare e
raccontare come chi vissuto col mare >.

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Foto sopra: il pescatore Luigi Sacco, detto U ndringhete o Sandokan.


Foto sotto: il figlio Armando.
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DOMENICO SCARPATI
(Totoccio)
Domenico Scarpati, per tutti Totoccio, nato a Palinuro il 29, 09, 1937: Giovanissimo, emigr in Venezuela, per raggiungere il padre Aniello.
Fine nel portamento, riservato e serio, cauto e saggio: cos Totoccio. Parla con
calma, a voce bassa. E preciso nelle descrizioni dei fatti che, ricordando, rivive con
malcelata emozione.
Cos racconta:
< Quando avevo dieci anni, cominciai ad andare a pescare con mio nonno Micco
(Domenico), di cui porto il nome, con mio padre, Aniello e con mio zio, Antonio.
Andavo spesso anche con Biagio Calembo, che era tornato dalla Cina, dove era
stato prigioniero di guerra. Con Biagio pescavamo col tremaglio. Partivamo
dalla Molpa con la barca a vela, la sera, col vento di ponente, che ci spingeva
verso Marina di Camerota. Avevo solo tredici anni quando imparai a navigare con
la barca a vela! Arrivati a Marina di Camerota, e fatta la prima pescata a triglie,
io prendevo posto sotto la prua della barca, dove dormivo tranquillo tutta la notte.
Verso le cinque del mattino, Biagio mi svegliava, perch dovevamo completare la
pesca della nottata: si calavano di nuovo le reti, poi puntavamo su Palinuro, verso
la Molpa. Il vento di levante era il nostro motore che ci spingeva verso Ovest. Avevo
imparato a sfruttarlo bene con la vela.
Arrivati alla Marinella, tiravamo la barca ed io correvo per il sentiero in salita, verso il paese, per non fare tardi a scuola. Il sole gi alto, mi diceva che la scuola era
cominciata. Ricordo che il mio maestro era molto comprensivo, non mi rimproverava
per i miei soliti ritardi, sapeva che andavo a pescare con mio padre o con Biagio. Ma
la pesca non dava un guadagno sufficiente per assicurare alla famiglia una vita decorosa, per cui mio padre emigr in Venezuela e, quando avevo solo quattordici anni,
lo raggiunsi. Partii da Napoli con la nave Urania II e fui affidato, per il viaggio, a
unamico di famiglia, Carmelo Panetta, che andava anche lui a Caracas. Ero uno dei
pi giovani su quella nave! Spesso andavo sul ponte e restavo l a guardare il mare.
Un giorno mi vide un marinaio e mi chiese se soffrivo il mal di mare. Io scuotendo la
testa gli risposi: A me, mal di mare! Io vengo dal mare, sono cresciuto sul mare !
Facemmo amicizia e mi chiese se volevo lavorare. Gli risposi: Volentieri! Mi port
nella cambusa e mi disse che il mio lavoro era distribuire la frutta sui tavoli. Lo feci
con piacere perch cos avevo la possibilit di prendere arance e limoni e darli a chi
veramente soffriva di mal di mare. Diventai il mozzo pi benvoluto.
Arrivato in America, fui accompagnato da pap allufficio, dove si presentavano gli
stranieri per essere assunto per qualche lavoro. Sul mio foglio cera scritto- Do106

menico Scarpati, bracciante agricolo. Limpiegato addetto al collocamento degli


immigrati mi guard in faccia e disse: Non possibile! E un ragazzino! e scrisse
sul foglio: Studente. Andai a scuola un anno e imparai lo spagnolo, poi cominciai a
lavorare in unofficina meccanica e feci il meccanico per alcuni anni. Intanto limmagine del mio mare, della mia terra non mi abbandon mai: una parte di me era
a Palinuro; cerano mia madre, mio fratello, le mie sorelle e quelli che mi avevano
insegnato a pescare. Cos, a trentanni, decisi di ritornare al mio paese. Allora non
cerano cellulari per comunicare il giorno e lora del ritorno, perci arrivai quasi
allimprovviso. Antonio, mio fratello era militare, non sapeva che ero ritornato dallAmerica. Quando ebbe la licenza e venne a casa, andai io ad aprirgli la porta. Mi
guard e, dopo un attimo di stupore, grid: Tu si Totoccio. E ci abbracciammo.
Ero diventato un uomo, lui mi ricordava ragazzino.
Anche pap ritorn e, con il guadagno fatto in Venezuela, ristruttur la casa. Io mi
sposai e ripresi a passare le mie giornate sul mare. Con pap e con mio fratello ritornai alla Molpa, sulla spiaggia della Marinella, dove ho vissuto tutta la vita. Ora
che sono in pensione, non mi consentito di andare a pescare; e ci non giusto!
Comunque io non smetto di andare aMorba e di rivivere, con il ricordo, il tempo
passato. Ora tutto cambiato, si pesca con sistemi moderni, le barche non solo
hanno motori veloci, ma anche ogni attrezzo utile per la pesca e per la navigazione.
Ai miei tempi, di notte ci orientavamo guardando le stelle e di giorno facevamo le
previsioni del tempo osservando la natura, le nuvole. Ora basta aprire la Tv o un
computer e ti dicono tutto: pioggia, vento, temporali, regione per regione.
Mio padre era espertissimo nella previsione del tempo. Infatti, la sua lunga esperienza di pescatore, gli permetteva di capire dallandamento delle nuvole, dal colore del cielo al tramonto, dalla posizione della falce di luna, come sarebbe stato il
tempo. Ad esempio luna curcata (luna coricata ) indicava cattivo tempo. Quando
pap o nonno Micco dicevano E aria di terra, esce u Monte Stella- si poteva
andare a pescare , era buon tempo. Se dicevano trase u Monte Stella, su arie di
mare - cio le nubi venivano da mare e coprivano la cima del monte, era in arrivo
il cattivo tempo. Se poi le nubi, salendo dal mare verso il cielo ammasciavano
cio si abbassavano nel loro cammino, il cattivo tempo non aveva forza, quindi si
poteva uscire con la barca. Noi morbaiuoli cio pescatori del versante Morba
temevamo molto lo Scirocco, che batte forte la costa sud est di capo Palinuro. Anche questo vento, per, era previsto in tempo utile, guardando la costa Calabra. Un
giorno, infatti, mio nonno, salendo dalla Marinella incontr qualcuno di Palinuro
che gli disse: ne Micco, con questo bel tempo, come mai te ne sali dalla Molpa e
non vai a pescare? Nonno serio rispose: Ng a Calabria ca nge stai currennu
appriessu (C la Calabria che ci sta correndo dietro). Dopo poco si lev un forte
vento di scirocco come il nonno aveva previsto. Infatti, quando la costa Calabra si
vede nitida e sembra vicina, sicuro che arriva lo Scirocco anche a Palinuro.
Cos tutti noi morbaiuoli, quando soffiava lo Scirocco, ci ritiravamo a Palinuro,
quando invece cerano lunghi periodi di tempo favorevole, restavamo finanche a
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dormire alla Molpa. Dormivamo nella grotta di Scitto, chiamata cos perch il brigante Cola Marino vi uccise un uomo che chiamavano Scitto. Tale grotta si trova
sotto la collina di Molpa, accanto a quella dei Porci.
Una sera, bagnati e stanchi, cercammo riparo nella grotta di Scitto. Intanto nonno
Micco non riusciva a prendere sonno, perch un gatto, forse affamato, gironzolava
intorno a noi, miagolando ininterrottamente. Il nonno chiam Mimmo Palmieri,
che era il pi giovane, e gli chiese di allontanare il gatto: Mimmo esegu lordine
del nonno. Ma dopo neppure mezzora il gatto era di nuovo vicino a noi, col suo
fastidioso lamento. Nonno, perduta la pazienza, chiam ancora Mimmo e gli disse: Piglia stu attu e portalu ra chidda vanna a hiumara, (alla Marinella sfocia
il fiume Lambro), sen u ncappo iu e u minu tantu autu ca torna nterra sabbatu
santu (prendi questo gatto e portalo di l dal fiume, altrimenti lo acchiappo io e
lo tiro cos alto in cielo, che ritorner a terra sabato santo). Lespressione di nonno
rest famosa tra i pescatori e fu ripetuta e usata quando si voleva dire che un fatto
si sarebbe verificato a non breve scadenza.
Altra grotta scelta per le ore di riposo era la grotta di Baddurmino di terra (Buondormire di terra), di fronte allo scoglio del coniglio. In quellepoca, noi pescatori,
non avevamo alcuna protezione per lumidit e per il freddo: non cerano stivali o
tute impermeabili, si andava a piedi nudi, nellacqua, sia destate che dinverno;
perci per noi, le grotte erano un ottimo riparo. Era un ristoro indescrivibile asciugarci e riscaldarci accanto ai fuochi che accendevamo negli angoli. Desideravamo
pi il calore del fuoco che il cibo! Il fuoco ci ristorava tanto da ridarci la forza
di ritornare in mare. Non avevamo orologio: lora della prima pescata ci veniva
indicata dalla comparsa nel cielo di tre stelle, che chiamavamo i tri fratielli (i
tre fratelli); erano tre splendide stelle, ben visibili nel cielo, ad uguale distanza
tra loro, e in linea verticale alla punta della collina di S. Cono, a nord di Marina
di Camerota. I tre fratelli erano il nostro orologio: ci indicavano che, in quel
periodo dellanno, erano le ore 4,30/5 del mattino e dovevamo iniziare il nostro
lavoro. Molto presto, quindi, cominciavamo a mettere le reti chiare, cio reti a
maglie grandi, per la pesca di pesci piatti, come mormori, sogliole, saraghi e, in
primavera, seppie. Usavamo anche il vollaro e la schitta, che sono reti di
posta, cio ancorate fisse. In autunno si pescava con il palankese, per la pesca
del pesce spada, e la coffa che formata da una serie di ami da 100 a 500
che si tengono bene ordinati in appositi cesti. Sistemavamo la coffa in quelle zone
di mare, dove sapevamo di poter fare una buona pesca e la si apperagnava (si
fissava al fondo), per non farla spostare dalle correnti.
La pesca di terra era fatta in prossimit della spiaggia, stando con i piedi nellacqua; si tiravano, quindi, le reti direttamente sullarenile. La rete usata per questa
pesca era la sciavica (sciabica). Per tirare questa rete che era di cotone e, bagnata, diventava pesantissima, occorrevano almeno otto uomini (quattro da un capo e
quattro dallaltro). Lo sciavichiello era una rete pi piccola e richiedeva, pertanto, meno pescatori. Dalla spiaggia si usava pescare anche con u jacchio, rete di
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piccole dimensioni, a forma circolare, che era lanciata da una sola persona, con un
gesto fulmineo del braccio, per catturare pesci che vivono in acque basse>.
La pesca della nennata.
E sempre Totoccio che racconta:
< Sul finire dellinverno, a febbraio/marzo, quando il giorno pi lungo e il freddo
cede allaria mite della primavera, con mio padre e altri pescatori morbaiuoli
cominciavamo a preparare u Sciavichiello per la pesca della nennata o cicinielli.
Nennata vuol dire nuova nata ed un nugolo di pesciolini piccolissimi, di colore
bianco-grigio, della lunghezza di tre/quattro centimetri e del diametro di 3/4 millimetri. In effetti, sono alicette o sardine piccolissime, dallodore e dal sapore particolari. Per catturare pesci tanto piccoli, bisognava modificare la rete dello sciavichiello, che simmergeva a pochi metri dalla spiaggia. Dalla barca si calava la
rete, iniziando da destra, e si delimitava un perimetro a semicerchio, chiudendolo,
a sinistra, a circa 20 metri dal punto di partenza. Finito u vuolu, cio la calata
della rete, si posava la barca sulla spiaggia, e si tirava la rete da ambo i lati, rimanendo con i piedi nellacqua, sulla riva del mare. A tirarla eravamo almeno quattro
persone che, avvicinandoci verso il centro, creavamo un restringimento della rete,
formando un corridoio, la cos detta manica, nella quale si convogliava la
nennata, che finiva sul fondo, dove era stata applicato il pezzale, rete a maglie
piccolissime, come un velo da sposa, che fungeva da filtro, impedendo ai pesciolini
di fuoruscire. Questo era un genere di pesca che aspettavamo di fare, sia perch
si effettuava solo in primavera, sia perch le frittelle di cicinielli nennata erano
e sono una golosit per tutti. Era una gioia quando tirando la rete, trovavamo, in
fondo al pezzale, diversi chili di nennata!
Ricordo che ognuno prendeva la sua quota, che veniva in parte venduta e in parte
regalata agli amici. Ora proibito pescare i cicinielli; ci vuole un particolare permesso.
E rimasto solo un bel ricordo di quelle mattinate dallaria tersa, che il sole inondava di luce, mentre saliva nel cielo ad est della Molpa. Al tramonto, invece, ci si organizzava per unaltra specie di pesca, quella delle ricciole che facevamo col carmito davanti a Baddurminu di terra. Uscire con la barca al tramonto, mentre
il sole tingeva di rosso lorizzonte, era uno spettacolo meraviglioso. Non posso
dimenticare, infatti, quelle serate ri carmaria (di mare calmo, piatto), quando
davvero il mare non si muoveva e il sole vi spargeva la sua luce dorata. Alla Molpa,
a quellora, cera un gran silenzio: sentivo solo il tonfo dei remi nellacqua, mentre
la barca scivolava leggera, sospinta dal ponentino. Alle spalle lasciavo gi in ombra Buondormire; davanti avevo lo scoglio del Coniglio che, da ponente, prendeva
ancora un po di sole, mentre a destra, vicino alla grotta delle Ciaole, volavano
gabbiani e altri uccelli marini.
Sono ricordi che restano dentro, come visioni, e non ti abbandonano per tutta la
vita >.
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La pesca con la menaica.


A Domenico Scarpati Totoccio , si aggiunge il fratello Antonio che pure racconta
le sue esperienze marinare. Parla della pesca che faceva con la menaica, quandera
ancora ragazzo.
< La menaica era una rete di posta, cio una rete che si calava al largo e era spinta
dalle correnti marine, Era sostenuta, a galla, da sugheri tondi, galleggianti, che
chiamavamo cuortici; aveva le maglie di una dimensione tale che le alici, nellattraversarla, vi rimanevano impigliate. Non potendo pi svincolare la testina
dalla maglia, si strozzavano e morivano dissanguate. Proprio perch perdevano il
sangue erano alici molto richieste per la conservazione sotto sale; erano pregiate
anche perch di dimensione pi grande di quelle pescate con la lampara. La pesca con la menaica si organizzava con il cammino della luna nel cielo: di solito,
partivamo dalla spiaggia, almeno un paio di ore prima del tramonto, e sostavamo
nei posti, dove era pi probabile il passaggio di alici e sarde. Cercavamo di capire in quale direzione i pesci camminavano: il loro percorso era quasi sempre
parallelo alla costa, quindi da nord a sud e viceversa. Raramente venivano verso
terra. Individuata la direzione in cui si muovevano, remavamo molto piano per non
spaventarli con il tonfo dei remi e calavamo la rete in modo da sbarrarne il cammino. Nel punto dimmersione la rete era segnalata da un grosso galleggiante, il
salamo cui seguivano, alla distanza di 8/9 passi, i salamieddi. Il segnale della
quantit di pesce nella rete era dato dal livello di affondamento del salamieddo
in quel punto. Aspettavamo fermi, finch non si riteneva opportuno tirare a bordo
la menaica. Una volta tirata, cominciava per noi un lavoro di pazienza: bisognava
togliere le alici, una per una, dalle maglie in cui erano rimaste impigliate. Ricordo
continua Antonio che una notte la pesca fu cos abbondante, che si fece giorno, spunt il sole, e noi ancora tiravamo alici dalla rete. Questa pesca non era
facile, perch, quando non cera la luna, la rete fuchiava (luccicava); i pesci la
vedevano e la evitavano. Con la luce della luna, invece, potevamo fare pi di una
cala (immersione della rete), perch la luna, illuminando la superficie del mare,
impediva ai pesci di vedere il luccicare della rete, in cui restavano impigliati. A
volte queste compagne di pesce azzurro attiravano i fere (delfini), che erano
un pericolo per i pescatori e creavano grossi danni alle reti, sfondandole e strappandole. Ricordo che, nel mese di settembre, io e mio fratello Totoccio, eravamo
andati un po pi al largo per la pesca del pesce-spada. Notammo che, non molto
lontano dalla nostra barca, galleggiava qualcosa, simile a un tronco dalbero di
notevole dimensione. Decidemmo di andare vicino perch sapevamo che allombra
dei tronchi galleggianti, si riparano i pesci mbambari (pesce a strisce verdeblu) e le ricciole. Ma altro che tronco dalbero: era un capodoglio! Un brivido
di paura mi solc le spalle: Totoccio mi guard, senza parlare. Ci allontanammo
remando con tutte le nostre forze. Era un rischio andare al largo, con le nostre pic Salamo o salamieddo: asticella applicata alla rete che ne indica il pescaggio.
 Passo: misura marinara che corrisponde a un metro e mezzo circa.

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cole barche, a remi o a vela, proprio perch potevamo trovarci dinanzi ai giganti
del mare: bastava un loro colpo di coda o una botta sotto la fiancata e la barca era
bella e capovolta >.
Ti ricordi interviene Totoccio ci che successe al pescatore di Pisciotta ?. S,
risponde Antonio, ricordo che la barca di quel pescatore cui mancava un braccio, fu
presa di mira da un pescecane.
Totoccio racconta: < Il pisciottano, sebbene anziano e privo del braccio sinistro,
non rinunciava ad andare a pescare. Era solito sedersi a poppa e tenere il timone. Indossava sempre la stessa giacchetta per andare a pescare, la poggiava sulle
spalle, infilava il braccio nella manica destra e lasciava la sinistra, penzoloni lungo
lomero. Un giorno, mentre tornava verso terra, insieme con un altro compagno
che remava, si sent tirare per la manica vuota, che sfiorava lacqua. Siccome lo
strattone fu abbastanza forte, il pescatore si gir di scatto e vide nu canuso
(piccolo pescecane) che seguiva la barca. Aveva lacerato la manica della giacca.
Per fortuna il canuso si accontent dello straccio di manica e simmerse. Quello
che remava vers tutto il suo sudore, per raggiungere presto la spiaggia. Intanto il
pescatore cui mancava il braccio, fu terrorizzato a tal punto che, quando arriv a
casa, la moglie gli lesse in viso lo spavento e gli domand perch la manica della
giacca fosse cos ridotta. Il poveruomo, ancora stordito, rispose: - Se sapessi
meno male che non ho il braccio, altrimenti un pescecane lo avrebbe portato via
con tutta la manica >.
Ridere o piangere? E una storia vera.
I due fratelli Scarpati, parlando insieme, ricordano fatti e personaggi passati; raccontando, ridono, si divertono, si emozionano, com consuetudine di chi ha vissuto
sul mare la maggior parte dei suoi giorni. Essi sentono sempre vivo il rapporto con
il mare, con il loro mare e rivedono persone e luoghi, mentre porgono il racconto in
maniera coinvolgente. Parlano di pescatori che non ci sono pi, che avevano creato
alla Morba un ambiente particolare: gruppi di famiglie organizzati fra loro, che
lavoravano insieme, aiutandosi a vicenda. Ricordano un vecchio uomo di mare, un
tipo particolare, chiamato Nghingotto, tale Calembo Antonio, uomo serio, dalla
risposta breve e salace, che, allalba, arrivava prima di tutti gli altri, sulla spiaggia
della Marinella. Preparava le falanghe per varare la sua barca; poi metteva in
fila, a uguale distanza fra loro, anche quelle occorrenti per varare le altre barche.
Spesso i pescatori pi giovani lo provocavano per sentire le sue risposte. Un giorno,
dopo essere stato in mare molto tempo, ritorn portando un solo pesce: abbastanza
grande, ma era uno solo! Allora un giovane gli disse: N Nhingotto, e cha fattu?
Si statu a mari tantu tiempu pi nu pesci solu? Che cosa hai fatto? Sei stato in mare
tanto tempo solo per un pesce?. Nghingotto, guardando il pesce nel cesto, con aria
soddisfatta e sorniona, allung il braccio verso il mare e rispose: Emm, sempe
u mari nngi persu! (Ebb, che vuoi? sempre il mare ha perduto)! Un altro giorno
Nghingotto, stanco di sopportare che il fratello, Giuseppe, arrivasse sempre tardi
 Falanga: pezzo di legno sagomato e ingrassato con sego su cui scorre la carena della barca.

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per pescare, gli disse: A fattu a tiempu a tiempu; si vinivi nu pocu cchi tardi,
nancappavi mancu nu pisci ! (Hai fatto giusto in tempo, se fossi arrivato poco pi
tardi, non avresti avuto neppure un pesce).
Questo perch i pescatori si riunivano in gruppo per praticare alcune specie di pesca, e poi dividevano il pescato. Il vecchio Nghingotto era molto preciso e rigido
nellapplicare le regole: non transigeva neppure con il fratello.
Totoccio e Antonio ricordano di aver affrontato anche tempeste in mare; quando
allimprovviso si levava il vento di terra. Questo vento spinge da levante a ponente
ed il pi pericoloso perch non fa governare la barca.
Oggi, con i mezzi moderni di previsione e navigazione, tutto pi facile: si affrontano, con sicurezza, le varie situazioni. In altri tempi, il vento di terra era tanto
temuto, che i vecchi pescatori lo chiamavano Spartifamiglie (capace di dividere
le famiglie procurando il naufragio delle barche).
Parlando dei venti contrari, i fratelli Scarpati raccontano un episodio riferito loro
dal nonno. Il nonno, Micco, diceva che a Palinuro viveva un contadino, forte, robusto, che non aveva paura di niente.
Tutti lo chiamavano Lupo. Un giorno chiese al nonno e ad altri pescatori di portarlo a pescare. Ben volentieri lo accolsero sulla barca, pensando che, forte comera,
avrebbe potuto aiutarli a tirare la rete. Intanto, arrivati al largo, si lev un forte vento
e la barca cominci a beccheggiare. Lupo si accorse di soffrire, terribilmente, il mal
di mare. Avrebbe voluto resistere: gli sembrava di non essere forte come tutti credevano. Per un po tacque, soffrendo in silenzio, ma stava crepando! Non potendone
pi, di scatto, si rivolse ai pescatori e implor: Basta ca mme faciti pus i pieri
nterra, ncoppa add punta, vi rau u megliu piezzu ri terra ca tengu ! (Basta che mi
fate posare i piedi a terra, su quella punta, vi dar il miglior appezzamento di terra
che posseggo). Gli uomini di mare lo guardarono, con commiserazione e ironia, e
uno di loro cos si espresse: U, sienti, nterra si nu lupu, a mmari si na pecora!
(Senti, a terra sei un lupo, ma a mare sei una pecora).
Il racconto dei fratelli Scarpati terminato da Totoccio con un commento nostalgico.
< Il mare egli dice il pi grande amico, ma bisogna conoscerlo per amarlo e
viverci. Ti conquista, non perch d pesce di ogni genere, ma perch capace di
dare una serenit e una pace che trovi in quella luce, in quel silenzio. Il silenzio e
la luce che sono solo tra mare e cielo. Infatti, quando da giovani si andava a pescare, anche se la pesca era stata scarsa, pur essendo stanchi, si era sereni: nessuno
imprecava, nessuno bestemmiava. E una vita dura quella del pescatore, ma tanto
vera, tanto intensa.
Il mare diventa un compagno di lavoro che vive con te, forse perch la sua acqua
si muove sempre, forse perch il suo colore cambia secondo la vegetazione, la profondit, e il soffiare del vento.
Il sapore del sale, il profumo delle alghe sono il segno del mare che ti resta dentro
per la vita! >
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Aniello Scarpati, Joccia, mette le reti dal suo gozzo.

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I fratelli Antonio (sinistra) e Domenico Scarpati.

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Palinuro (anno 1958), Aniello Scarpati con amici e figli festeggia


la buona pesca.

Aniello Scarpati e figli tirano la loro barca sulla spiaggia della Marinella.

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Antonio e Aniello Scarpati (Joccia) portano nu tuono ri rezza,


sulla spiaggia della Marinella.

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Domenico Scarpati, Totoccio, nutre il suo gabbiano (il gabbiano Nicola).

Aniello Scarpati e il figlio Domenico (Totoccio) con la barca pi antica


di Palinuro che apparteneva allavvocato Giovane di Girasole, autore
dellautobiografia di Giuliano di San Severo il cui terzo volume ambientato
a Palinuro.
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Aniello Scarpati e il figlio Totoccio con la loro barca mentre mettono le reti
osservati da una turista.

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LUIGI SCARPATI
(Mustaf)
La faccia bruciata dal sole e segnata da molte rughe - anche se ancora abbastanza
giovane - mani dure e callose, occhi piccoli, sguardo intelligente e scrutatore, un
inseparabile berretto calato sulla fronte: questo era Luigi Scarpati, chiamato da tutti
Mustaf. Nacque a Palinuro nel 1907, da Giuseppe Scarpati e Filomena DAcquisto e mor nel 1982. Spos Carmela Troccoli, Cilla. La coppia ebbe nove figli.
Ora vivono a Palinuro quattro maschi: Aniello, Mario, Antonio e Fiore; e tre femmine: Maurina, Filomena e Anna. Per mantenere la numerosa famiglia, Mustaf
lavor come pescatore e come pescivendolo ambulante. I suoi figli Aniello e Mario
dicono:
< Pap non aveva preferenza per un modo o un altro di pescare: pescava con tutti i
mestieri, la sciabica, la menaica, e le reti chiare; aveva coffe e filaccioli. Per la
pesca del pesce azzurro, lavor prima sulla lampara, e poi sul cianciolo di Amendola. Fu il primo a comprare, a Palinuro, un furgone a tre ruote, con cui raggiungeva i paesi dellentroterra per vendere i pesci pescati da lui oppure comprati dalle
paranze che, dal golfo di Napoli, venivano a pescare lungo la costa del Cilento.
Sul mezzo di nostro padre, sprovvisto di cabina, era un tormento viaggiare nei mesi
invernali. Quando si andava a S. Severino, a Poderia, a Celle Bulgheria, il freddo
ci ghiacciava la faccia, le mani, i piedi. Noi figli, a turno, lo accompagnavamo e
- dice Aniello - ricordo ancora quel vento gelido, nella valle del Mingardo, che mi
faceva chiudere gli occhi, mentre cercavo di ripararmi rannicchiandomi e stringendo i lembi della giacca. Il freddo che ho preso da ragazzo, ora lo pago con dolori
nelle braccia che mi danno tanto fastidio. Ricordo che ci fermavamo nella piazzetta
di Poderia, e subito le persone si avvicinavano per vedere quali pesci avevamo
portato; qualcuno pagava con i soldi, ma molti ci proponevano i loro prodotti in
cambio, perch non avevano la possibilit di comprare. Pap volentieri accettava il
baratto. A noi mancavano i fagioli, la farina, lolio, le castagne, quindi lo scambio
era gradito. Ed era una festa quando si tornava a casa con pochi soldi e tante cose
buone da mangiare! Eravamo nove ragazzini da sfamare! Appena grandi, alcuni
dei miei fratelli emigrarono, mentre pap continu il suo girovagare per i paesi
dellentroterra con un nuovo furgone cabinato; cos era meno duro affrontare il
viaggio durante il periodo invernale >.
Interviene la figlia Filomena, ed anche lei racconta:
< Pap era ritenuto un pescatore che sapeva prevedere con notevole precisione,
non solo il tempo, ma gli eventi relativi. Aveva una vista acutissima: riusciva a vedere alcune stelle in cielo anche di giorno. Era solito andare dallufficiale postale
dellepoca, Nicola Amendola, e gli indicava la posizione di alcune stelle, che laltro
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cercava di individuare col binocolo. Erano amici e don Nicola gli dava i giornali
che aveva letto. Pap era molto contento di quel dono, perch gli piaceva leggere.
I suoi studi erano finiti con la terza elementare, ma era intelligente e sapeva scrivere e leggere abbastanza bene. Pap era una persona molto socievole: aveva tanti
amici.
Lunica cosa che lo rendeva vulnerabile era la paura della solitudine e del buio.
Ricordo che, di notte, non voleva scendere mai solo dal paese al porto; dovevamo
accompagnarlo, perch non passava da solo per la rotonda (sperone di roccia sul
mare, a met strada tra Palinuro e il porto). Diceva che in quel posto si vedevano
ombre strane! Non so se pap fosse stato impressionato dalle cose che si raccontavano in quellepoca, o traumatizzato da qualche fatto che gli era accaduto. So
che credeva nellesistenza di qualcosa di misterioso che suscitava in lui uno strano
timore: era devoto della Madonna e, quando andava a pescare, aveva come punto
di riferimento la cappella della Madonna del Carmine, che vedeva dal mare sulla
collina di Catona. Un giorno volle portare me e mia sorella Maurina a vedere questa chiesetta. Che avventura il viaggio col furgone! Per una strada non asfaltata, io
e mia sorella arrivammo a Catona, stanche e impolverate.
Pap morto da parecchi anni, ma noi non possiamo dimenticarlo, anche perch,
i nostri compaesani ancora ci chiamano: i figli di Mustaf >.

120

Luigi Scarpati ( Mustaf ).

121

La pesca con la menaica a Palinuro. Pescatori


che recuperano le alici.
122

Palinuro, anni 1950, spiaggia della Marinella,


pesca con lo sciavichiello.

123

Palinuro, anni 1950, spiaggia della Marinella,


pesca con la sciabica (sciavica).

124

CONCLUSIONE
Le testimonianze raccolte con interviste eseguite mediante audit di vecchi pescatori di Palinuro e dei loro figli, integrate e corredate di una ricca e inedita raccolta di
fotografie depoca - molte di grande valore storico, culturale, ambientale e sociale
- hanno permesso di recuperare vicende e storie realmente vissute dalla genti di
mare di Palinuro.
Le interviste fatte a tante persone, che hanno trascorso buona parte della loro vita
sul mare e per il mare, ricordano un periodo che parte dallinizio del secolo ventesimo e va fino agli anni cinquanta ed oltre.
Intorno alla met degli anni cinquanta inizi la sua attivit il Club Mediterrane:
questo insediamento fu causa di una profonda trasformazione del tessuto sociale e
delleconomia non solo di Palinuro ma di tutte le frazioni del Comune di Centola.
Questo cambiamento ha determinato il graduale abbandono della pesca, che diventa, progressivamente ed inevitabilmente, unattivit marginale, esercitata essenzialmente dalle persone anziane che, con determinazione e passione, preferiscono
rimanere Genti di Mare, rinunciando alle chimere promesse dai tempi nuovi.
I giovani, tralasciando la pesca e la trasformazione del pescato, negli ultimi decenni, concentrano sempre di pi le loro energie in attivit legate al turismo, oppure
emigrano alla ricerca di migliori condizioni di vita per s e le loro famiglie.
Le storie che la gente di mare di Palinuro ha ricordato alla generazione presente e
tramandato alle future, attraverso la pubblicazione di questo libro, lasciano comunque intravedere, anche nei meno anziani, una profonda nostalgia dei tempi passati.
Tale rimpianto legato soprattutto al dissolversi di quel legame potente tra luomo
e la natura, pi precisamente tra luomo e il mare, come meravigliosamente descrive Hemingway nel suo libro: il vecchio e il mare.

125

Ficocella (delle donne) anni 1930.

126

La spiaggia delle Saline

Palinuro, anni 1950, splendida vista della costa che va dalla


spiaggia della Ficocella a quella delle Saline.

RINGRAZIAMENTI
Gli autori desiderano ringraziare tutti coloro che, con le loro testimonianze e con la
cortese disponibilit nel fornire foto di famiglia, hanno consentito di ricostruire le
vicende e gli aneddoti riportati nel presente volume.
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INDICE

Elogio di Palinuro...........................................................Pag.
Prefazione.......................................................................Pag.
Introduzione....................................................................Pag.
Antonio Amendola..........................................................Pag.
Vincenzo Amendola........................................................Pag.
Un russo cosacco a Palinuro: Jakov Belonozkin............Pag.
Angelina Calembo..........................................................Pag.
Giuseppe DAcquisto, farmacista...................................Pag.
Aniello Esposito..............................................................Pag.
Leonardo Fusco...............................................................Pag.
Aniello Granito...............................................................Pag.
Mauro Palmieri...............................................................Pag.
Aniello Pepoli.................................................................Pag.
Francesco Pepoli.............................................................Pag.
Mauro Pepoli...................................................................Pag.
Nazareno Pepoli..............................................................Pag.
Antonio Polito.................................................................Pag.
Luigi Sacco.....................................................................Pag.
Luigi Sacco (u ndringhete)..............................................Pag.
Domenico Scarpati . .......................................................Pag.
Luigi Scarpati..................................................................Pag.
Conclusione.....................................................................Pag.
Ringraziamenti................................................................Pag.

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