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Le competenze di – in filosofia

Daniela De Leo

Scopo del presente lavoro è quello di individuare, analizzare e fondare le competenze disciplinare,
nello specifico in Didattica della filosofia. Riprendendo a dialogare con la logica delle competenze
nell’ambito di una sintesi della tradizione italiana tra metodo storico e metodo zeetetico.

This paper aims to identify, analyze, and found disciplinary competencies, specifically in the
Didactics of Philosophy. Restarting a dialogue with the logic of competencies within the framework
of synthesizing the Italian tradition between historical and zeethetic methods.

Premessa
Prima di addentrarci nell’intrigato campo delle competenze, e nello specifico delle competenze
disciplinari della filosofia, è funzionale al discorso rintracciare quali settori scientifici disciplinari
(ssd) presenti nei Corsi di Laurea in Filosofia sono riconosciuti nel DM 616/2017 per il Percorso
Formativo finalizzato all'acquisizione di 24 CFU ai fini dell’accesso alla Classe di Concorso per
l’insegnamento della Filosofia nelle scuole di secondo grado.
Il settore individuato è quello di M/Fil01 denominato Filosofia Teoretica, in cui è incardinato
l’insegnamento di Didattica della Filosofia.
Perché tra tutti i settori disciplinari presenti nell’area 11 ambito delle Scienze filosofiche il
Ministero ha selezionato il ssd M/Fil01?
Per poter formulare una risposta occorre in primis fornire i contenuti del ssd in questione.
L’espressione filosofia teoretica ha la sua radice nel linguaggio dei Greci e allude a un sapere
(sophia) incentrato sul vedere o su un atto della visione (theorein). In generale possiamo affermare,
senza timore di essere smentiti, che la mente filosoficamente educata, come illustrato nella
Repubblica platonica, sviluppa la capacità di cogliere l’invariante struttura o modello di tutto ciò
che cade sotto la nostra quotidiana e mutevole esperienza, fornendo così la base per una definizione
logica secondo criteri di universalità, e cioè di consenso intersoggettivo razionale, che costituisce la
natura stessa del sapere scientifico (episteme).
Questa capacità di cogliere la forma viene definita da Platone e ripresa nella storia della filosofia 1
come atto visivo per cogliere le idee (eidos dalla radice vid-, donde il latino video).
Pensare in senso filosofico equivale, dunque, a vedere intuitivamente l’essenza delle cose reali e ad
esprimerle in modo logico.
La filosofia teoretica ha questa peculiarità in quanto finalizzata a lavorare sulla intuizione visiva
dell’intelletto o della mente logica. Pertanto, contiene la filosofia stessa, nella sua massima
universalità.
Una prima risposta al perché sia stato scelto questo settore e anche al fatto che nel settore è presente
l’insegnamento di Didattica della Filosofia si è così formulata: la Filosofia Teoretica detiene il
senso del filosofare, cioè dell’intuire e argomentare in modo logico, obiettivo primario
dell’insegnamento di filosofia.
Da questa prospettiva la Filosofia Teoretica rappresenterebbe l’intero dell’essenza del
procedimento filosofico, ma cambiando prospettiva la stessa disciplina è collocata tra le altre
nell’elenco dell’allegato A del DM 2000 del Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica e
Tecnologica, sembrerebbe così rappresentare la parte di un tutto.
Ma allora cosa è la Filosofia Teoretica un intero o una parte dell’intero? Queste due prospettive,
apparentemente generative di un paradosso, possono essere conciliate.
1
La storia della filosofia può essere, come osservato da Whitehead, letta come una sorta di eredità platinica, cioè
una storicizzazione di note aggiunte alla filosofia platonica.
Per uscire dall’impasse riprendiamo la puntuale riflessione di Carlo Sini: “La filosofia teoretica può
in un certo senso essere definita la parte più generale della filosofia. È difficile dare una descrizione
esatta dei principali problemi della filosofia teoretica, poiché qualunque descrizione di questo tipo
già presuppone l'adesione e la formulazione di una ben precisa impostazione teoretica, come del
resto qualsiasi tentativo di definire la filosofia e i suoi specifici settori. Certo è che l'altissimo livello
di generalità della filosofia teoretica ha delle ricadute su tutte le altre "aree" della filosofia, perché è
proprio il pensiero teoretico che si occupa specificamente della definizione degli ambiti in cui tali
"aree" si trovano ad operare, e dei metodi che esse devono adottare per risolvere i propri problemi
particolari” (Carlo Sini 1992, p.18).
Allora “questa” filosofia - la filosofia teoretica - è “la” filosofia nel suo concetto e compimento
storico attuato, in quanto rivolta alla comprensione del suo stesso concetto e della sua realtà storico-
effettuale. Ecco, quindi, individuata la motivazione dell’inserimento della Didattica della Filosofia
in tale settore disciplinare M/Fil 01.
Definita la cornice di senso in cui è collocata la disciplina dell’insegnamento di filosofia
entriamo in medias res: a quali competenze l’insegnamento della filosofia conduce?
Scopo del presente lavoro è proprio quello di individuare queste competenze disciplinari,
analizzarle, descriverle e soprattutto fondare un metodo rigoroso per progettare le competenze in e
di filosofia.

Il ginepraio delle competenze


Il lavoro di analisi sul termine competenza si presenta aggrovigliato, sia perché appena si tenta di
fornire una definizione, esso schiude una costellazione di significati, e anche per il fatto che in
questo ultimo decennio si sta assistendo ad una ascesa dell’uso delle competenze nella didattica e
quindi la declinazione applicativa risulta eccessivamente vincolata a Indicazioni e Orientamenti
ministeriali.
La discussione delle competenze in didattica della filosofia è una questione ancora aperta.
Se si accede all’Inter Active Terminology for Europe, banca dati terminologica interistituzionale
dell'Unione Europea2, si possono trovare ben 500 definizioni diverse di competenze. Tra queste:
“camaleonte concettuale” (Le Boterf 2000), “fenomeno ibrido” (Cepollaro 2001), “nozione di
confine” (Cambi 2004). Abbiamo scelto di citare, tra le altre, queste tre definizioni in quanto
indicative della continua trasformazione del termine, e quindi della difficoltà di fornire in modo
preciso una determinazione, essendo il concetto oltre il dominio delle conoscenze e un incrocio tra
capacità e abilità.
Occorre, a questo punto, reperire un criterio oggettivo di riferimento per districarci nel marasma
delle definizioni. Per fornirci di una bussola e non perderci nei meandri delle varie interpretazioni
critico-teoriche delle competenze, possiamo leggere una definizione interessante estrapolata dalle
Indicazioni nazionali (per i Licei) del 2010, ripresa dalla Raccomandazione del Parlamento europeo
e del Consiglio del 23 aprile 2008 sulla costituzione del Quadro europeo delle qualifiche per
l’apprendimento permanente, la competenza è la “comprovata capacità di utilizzare conoscenze,
abilità e capacità personali, sociali e/o metodologiche, in situazioni di lavoro o di studio e nello
sviluppo professionale e personale”.
Tale direzione per definire le competenze parte da un progetto Definition and Selection of
Competencies (DeSeCo) avviato per l’Organizzazione per il Commercio e lo Sviluppo Economico
(OCSE) nel 1997. Questo documento risulta decisivo per definire le competenze a livello
comunitario, nello specifico fornisce una struttura concettuale di riferimento solida su cui poter

2
Banca dati realizzata con l'obiettivo di offrire una banca dati interattiva unica per la consultazione, creazione e
gestione dei dati terminologici, prima gestiti in modo separato dai diversi servizi di traduzione degli organismi europei.
IATE offre un facile accesso pubblico e gratuito a fonti di accertata affidabilità e assicura la coerenza e l'attendibilità
della terminologia.
condurre indagini a carattere internazionale, al fine di accertare il livello degli apprendimenti
acquisiti e il possesso di diverse competenze chiave. La riflessione sulle competenze orientata in
tale progetto inquadra la competenza come la capacità di rispondere a specifiche esigenze e
contribuisce alla vita realizzata e al buon funzionamento della società, implicando la mobilitazione
di conoscenze, abilità cognitive e pratiche, come pure di componenti sociali e comportamentali
quali attitudini, emozioni, valori e motivazioni.
Da questa prospettiva la definizione e la selezione delle competenze chiave dipendono da ciò a
cui la società attribuisce valore. Dal titolo originario del rapporto Key Competencies for a
Successful Life and a Wel-Functioning Society diventa esplicativo il contesto fondativo di questi
valori: l’ambito prettamente economico.
La finalità sottesa, come si evince dall’indicazione presente nel titolo, è quella di individuare
alcune competenze chiave per raggiungere una “vita di successo” o un “benessere”, mete troppo
equivoche e non di facile determinazione e comunque declinate nell’efficientismo.
“Con tre espressioni che andrebbero analizzate con attenzione: le competenze chiave; una vita
successful (buona? felice? di successo? realizzata?) e una società ben-funzionante. Il for che collega
le competenze alla loro finalità è abbastanza evidente. Ma non sfugga il processo inverso; infatti, è
proprio a partire dal fine (e quindi dall’idea di una vita individuale e sociale realizzata) che il
progetto va a selezionare le competenze chiave, Un circolo che da subito, a occhi scaltri, appare
vizioso” (Caputo 2020, p. 35).
Nella versione italiana questo testo, arricchito di saggi, diventa nel 2006 un libro Agire le
competenze chiave. Scenari e strategie per il benessere consapevole e diviene uno strumento di
lavoro per policy-maker, imprenditori, responsabili scolastici, formatori, consulenti e chiunque
operi nel campo delle risorse umane, ma porta anche in luce i nodi problematici che si erano già
iniziati a sollevare in Europa nei decenni precedenti nel tentativo di individuare gli elementi
fondamentali della società della competenza.
Ad esempio, con il Libro bianco di Cresson del 1995 richiesto dalla Commissione europea in
vista dell’anno europeo per l’apprendimento permanente troviamo questa espressione “società della
conoscenza” e le indicazioni nella parte seconda per la sua realizzazione:
1) “incoraggiare l'acquisizione di nuove conoscenze: a. il riconoscimento delle competenze; b. la
mobilità; c. i programmi informatici educativi multimediali;
2) avvicinare la scuola all'impresa;
3) lottare contro l'esclusione;
4) promuovere la conoscenza di tre lingue comunitarie;
5) porre su un piano di parità gli investimenti materiali e quelli immateriali e quelli nella formazione.
Si denota un uso interscambiabile tra conoscenze e competenze, ma aldilà di una terminologia
non ancora precisa, vi sono, in questo groviglio, elementi interessanti per risolvere l’annosa
questione della definizione di competenza. Importante il concetto di inclusione, innalzare il livello
di alfabetizzazione a vari stati, aprire la scuola alla vita, o investire sulla formazione tanto quanto si
investe sugli elementi materiali, sono tutti punti ampiamente condivisibili.
Quindi in nuce nella riflessione europea degli anni Novanta erano contenuti elementi che
potevano declinare orizzonti di senso interessanti per definire le competenze. Ma nel momento in
cui nel 1997 interviene l’OCSE la selezione di queste competenze, che dovevano servire per
agevolare lo sviluppo dei singoli Paesi a livello europeo, imbocca una strada complessa. Vengono
dall’OCSE individuate tre macroaree delle competenze:
a. interagire in gruppi sociali eterogenei;
b. agire autonomamente;
c. usare gli strumenti in modo interattivo.
Queste macroaree declinano una serie di competenze, ad ampio spettro, interessanti per la
formazione permanente: la società delle competenze deve mettere in grado di agire autonomamente,
sapersi relazionare con gli altri e interagire con gli strumenti a disposizione. Sono competenze “per
la vita”, ma sono competenze a “maglie troppo larghe”.
La selezione che viene richiesta e che emerge dalla disamina del progetto DeSeCo si barcamena
in bivi direzionali, le competenze sono:
- universali/ contestualizzate;
- mezzi/fini.
In altri termini le competenze valgono per tutti in modo uniforme, anche utopico, oppure il loro
valore è in relazione con i contesti in cui ci si trova, con le ideologie di sistema?
E all’atto pratico, le competenze sono strumenti per migliorare il profilo in uscita dello studente o
fini da raggiungere secondo schematismi rigidamente imposti?
Estrapoliamo una delle affermazioni contenute nel progetto che ci restituisce l’idea di questo
tortuoso cammino di selezione delle competenze.
“Questa concezione è coerente con l’importanza attribuita al capitale umano e sociale per il
benessere personale, economico e sociale. Le recenti ricerche consolidano la prospettiva secondo
cui non solo il capitale umano gioca un ruolo critico nella performance economica, ma anche gli
investimenti nel capitale umano apportano importanti benefici sociali e individuali quali: miglior
salute, miglior benessere, migliori genitori e un aumento dell’impegno sociale e politico”.
In questa frase già la locuzione “capitale umano” sottende la visione economicistica ed è chiara
anche la inversione tra mezzi e fini, il “capitale umano” diventa un mezzo e non un fine verso cui la
performance economica dovrebbe essere orientata, non si decreta di potenziare gli investimenti
economici per migliorare “l’umano”, ma è il “capitale umano” che migliora l’economia.
Anche la chiusa della frase implode in uno slogan pubblicitario.
Per comprendere il ginepraio in cui ci troviamo, è importante ricordare il programma di riforme
economiche la cosiddetta Strategia di Lisbona (2000).
Quello che nel Libro bianco di Cresson era auspicato e che le varie indagini internazionali stavano
iniziando a organizzare diventa un obiettivo utopico del Coniglio europeo “diventare l’economia
della conoscenza più competitiva e più dinamica del mondo, capace di una crescita economica
sostenibile accompagnata da un miglioramento quantitativo e qualitativo dell’occupazione e da una
maggiore coesione sociale”.
Anche da questo testo si evince, in maniera chiara, la matrice economicistica e l’iperbolico scenario
di un miglioramento utopico.
Da questa data però le tessere del mosaico di definizione delle competenze si mescolano
maggiormente.
L’Europa consegna, nella Raccomandazione del 18 dicembre 2006, un elenco di otto competenze
chiave per l’apprendimento permanente:
1. Comunicazione nella madrelingua;
2. Comunicazione nelle lingue straniere;
3. Competenza matematica e competenza di base in scienza e tecnologia;
4. Competenza digitale;
5. Imparare a imparare;
6. Competenze sociali e civiche;
7. Spirito di iniziativa e imprenditorialità;
8. Consapevolezza ed espressione culturale.
Competenze che poi vengono assorbite dalla Raccomandazione del 2008 da cui siamo partiti, e che
viene citata nelle nostre Indicazioni Nazionali. Quindi l’Italia riceve questo quadro, quale
riferimento europeo, delle competenze chiave per l’apprendimento che in confronto a quelle
presentate dal progetto DeSeCo sono quantitativamente aumentate, ma soprattutto complessificate.
Ma, proprio per rendere ancora più incomprensibile la determinazione delle competenze e la loro
selezione, nel DM 22 agosto 2007, n. 139 Regolamento obbligo di istruzione l’Italia pur avendo
ricevuto le su menzionate competenze chiave per l’apprendimento permanente, raccomandate dal
Parlamento Europeo nel 2006, decide di cambiarle.
Sarebbe stato opportuno recepire le competenze e contestualizzarle, così da uniformare i titoli di
studio e permettere il riconoscimento delle attestazioni di formazione e quindi favorire lo scambio
degli studenti da un Paese all’altro, ma invece si imbocca una direzione opposta.
E così, nel Regolamento del 2007 si individuano altre competenze trasversali che non sono quelle
europee:
1. Imparare ad imparare;
2. Progettare;
3. Comunicare;
4. Collaborare e partecipare;
5. Agire in modo autonomo e responsabile;
6. Risolvere i problemi;
7. Individuare collegamenti e relazioni;
8. Acquisire ed interpretare l’informazione.
Se si prova a mettere in relazione le competenze individuate dall’Italia con quelle europee, non si
riscontrano sovrapposizioni coincidenti.
Un’altra annotazione, non secondaria: se da un lato l’Europa annovera otto competenze come
“competenze chiave” nel nostro Regolamento le competenze a cui si fa riferimento sono
competenze chiave di “cittadinanza”. Ma questo tipo di aggettivazione cosa vuol dire? Che le
competenze individuate contribuiscono a formare in maniera adeguata il cittadino del futuro? E
quindi sono competenze trasversali? O che invece stiamo parlando di competenze disciplinari, visto
che da qualche tempo è stata inserita tra le altre discipline scolastiche anche una materia che si
occupa di Educazione alla Cittadinanza? Forse sarebbe stato meglio non aggiungere alcuna
aggettivazione e lasciare soltanto la nomenclatura “competenze chiave”.
Ma a rendere ancora più complesso e illeggibile il contesto delle competenze, nel DM 2007
vengono aggiunte altre competenze, quelle per la cittadinanza, e inseriti gli Assi culturali.

DM 139, 22 agosto 2007


Assi culturali Competenze chiave per la cittadinanza
Asse dei linguaggi Comunicare
Asse scientifico tecnologico
Asse matematico
Asse storico Collaborare e partecipare
Agire in modo autonomo e responsabile
Imparare a imparare
Acquisire e interpretare l’informazione
Individuare collegamenti e relazioni
Ideare e progettare
Risolvere problemi

Cioè nel Decreto si indicano da un lato le competenze trasversali e dall’altro competenze che sono
inserite nell’asse culturale dei linguaggi, nell’asse scientifico-tecnologico, nell’asse matematico,
nell’asse storico.
Si moltiplicano e si differenziano, così, eccessivamente le competenze.
In una programmazione didattica questo surplus mette in difficoltà il docente che non ha più alcuna
direzione di senso nel selezionare le competenze.
La strada si fa sempre più in salita e nel 2010, prima della pubblicazione delle Indicazioni, viene
divulgato Il profilo culturale, educativo e professionale dello studente dei Licei (DPR del marzo
2010), in cui non si ritrova più la suddivisione in Assi culturali, ma viene aggiunta la divisione in
Aree (Linguistica e comunicativa, Storico-umanistica, Scientifica-matematica e tecnologica,
Logica-argomentativa, Metodologica). Non è un mero cambio terminologico da Assi ad Aree, ma è
sostanziale, in quanto non c’è alcuna corrispondenza tra i contenuti riportati nei primi Assi culturali
e quelli nelle Aree disciplinari.
E in aggiunta per ogni Area si inscrivono altre competenze che non sono esclusivamente
disciplinari, ma trasversali.
Questo comporta che un docente, nel momento in cui progetta, deve tener conto non solo delle
competenze della disciplina, ma anche di quelle trasversali e trovandosi davanti a questa
proliferazione di competenze deve scegliere la strada da seguire: fare il burocrate e riempire schede,
incastrare caselle, ma senza alcuna utilità per la sua mission formativa, oppure dedicarsi alla sua
professione educativa e ignorare completamente le direttive ministeriali e europee?
Forse c’è una terza strada da imboccare: quella delle competenze tratteggiata negli anni Novanta,
che si è andata insabbiando con le dinamiche economicistiche e burocratiche.
Questa via suggerisce di entrare nella logica delle competenze e concettualizzarne la natura come:
a. competenze d’essere, per recuperare la centralità dello studente, perché non solo “sappia” ma “sia”,
agere sequitur esse;
b. competenze qualitative, per raggiungere una istruzione migliore, e non meramente efficientista;
c. competenze di conoscenze, per salvaguardare il sapere e non subordinarlo al fare.

Per entrare in questa logica occorre partire dalle competenze disciplinari, non arrovellarsi nella
disamina dei regolamenti e delle indicazioni, né tanto meno rimanere assorbiti dalla
burocratizzazione. Considerare cioè le competenze non sommate a conoscenze ma interrelate con
esse, ecco perché per rintracciare il valore fondativo della competenza occorre iniziare dalle
conoscenze disciplinari. Aspetto questo che anche le Indicazioni Nazionali del 2010 ampiamente
consigliano.
Ovviamente partire dalle competenze disciplinari non significherà eliminare ogni riferimento alle
competenze trasversali, ma mettendo in primo piano le competenze disciplinari e lavorando in e
tramite esse si potranno declinare quelle trasversali.
Ad esempio, se si intende rendere lo studente competente nella logica occorre lavorare all’interno
dei testi filosofici per acquisire le conoscenze della logica, non proporre allo studente dei testi
giornalistici o di altro genere contenenti delle fallacie logiche. Conoscere la logica tramite il pen-
siero dei filosofi, vuol significare lavorare, ad esempio sui testi di Aristotele, Bacone,
Nicole e Arnauld di Port-Royal, Frege, Russell, Wittgenstein. Lo studente attraverso le conoscenze
acquisite dalla lettura e dallo studio dei testi di questi filosofi leggerà, studierà, analizzerà e
differenzierà i modelli logici, acquisendo l’uso delle strutture logiche.
Il cammino progettuale tracciato indica la direzione che va dall’individuare competenze disciplinari,
partendo dai contenuti, all’articolarle come competenze trasversali e non viceversa.
“La filosofia ha indubbiamente competenze disciplinari che si mettono a servizio poi anche delle
competenze trasversali. E questo è un suo punto di forza. Ma non possiamo selezionare le
competenze disciplinari a partire da quelle che ci sembrano utili a livello trasversale. Questo rischia
di essere uno hysteron proteron o comunque un circolo vizioso. Non possiamo dire che. Siccome in
tutte le discipline sono importanti la logica e l’argomentazione, allora valorizziamo queste
competenze della filosofia. Il circolo virtuoso dovrebbe essere: vediamo quali competenze
specifiche ha e attiva la filosofia; e quindi poi consideriamo il loro molteplice e variegato
contributo alle altre discipline e alle competenze trasversali. Non è ciò che è utile che può dirci il
proprio della filosofia. È il proprio della filosofia che ci mostrerà la sua utilità” (A. Caputo, p. 127).
Purtroppo, questo circolo vizioso sussiste nelle indicazioni ministeriali e quindi nelle applicazioni di
programmazione didattica.

Conoscenze e competenze in interazione


Nel 2017 con l’intento di contribuire a definire un rinnovato contesto metodologico utile alla pratica
dell’insegnamento e apprendimento della filosofia il Ministero pubblica gli Orientamenti per
l’apprendimento della filosofia.
Vengono così indicate le competenze filosofiche:
1. Logiche (saper motivare un ragionamento);
2. Dialogiche (saper interagire con terzi);
3. Ermeneutiche (saper interpretare segni e testi);
4. Espositive;
5. Argomentative;
6. Classificative;
7. Documentali;
8. Storiche;
9. Storiografiche;
10. Didascaliche;
11. Saper condurre un’attività di ricerca filologica;
12. Comprendere scenari complessi;
13. Saper identificare problemi e argomenti pertinenti;
14. Saper riconoscere e sfruttare elementi critici come risorsa per la soluzione dei problemi.

Ma dieci su quattordici di suddette competenze sono generiche e non specifiche della disciplina
filosofica: in ogni disciplina è necessario esporre, argomentare, classificare, documentare,
comprendere scenari complessi, identificare problemi pertinenti; in tutte le discipline umanistiche è
necessario saper storicizzare, raccontare, fare ricerca filologica e interculturale.
Solo quattro di quelle indicate nell’elenco risultano essere competenze prettamente caratterizzanti la
disciplina filosofica: quelle logiche, dialogiche, ermeneutiche e saper riconoscere e sfruttare
elementi critici. Cioè sono competenze che trovano il fondamento d’essere negli stessi testi
filosofici e attraverso questi possono essere sviluppate.
Dunque, per una progettazione di UDA in filosofia le competenze da individuare non devono essere
generiche come ad esempio:
a. Saper leggere un testo filosofico;
b. Saper comprendere il significato e la distinzione degli ambiti filosofici;
c. Analizzare le teorie studiate cogliendo nessi e differenze;
d. Acquisire una capacità critica e valutativa rispetto a quanto studiato;
e. Conoscere e utilizzare il lessico e le categorie della tradizione filosofica;
f. Osservare le dinamiche storiche attraverso cui si sono formati i sistemi filosofici.
È vero che per sviluppare tali competenze si possono scegliere testi di filosofi come ad esempio
quelli di Aristotele, Husserl o correnti di pensiero come il positivismo, le filosofie dell’esistenza.
Ma si potrebbero scegliere anche autori o correnti dell’ambito letterario o storico e le competenze
rimarrebbero invariate.
Allora, per trasformare questo circolo vizioso in circolo virtuoso, perché non partire dai contenuti
forniti dalla filosofia, cioè dalla struttura dei testi filosofici ed individuare negli stessi le competenze
che tali conoscenze incarnano e consentono di sviluppare?
Individuare, in altri termini, quei modi di essere di agire di saper fare, che se non si studiasse la
filosofia non si attiverebbero negli studenti?
Competenze logiche, competenze dialogiche, competenze ermeneutiche e saper riconoscere e
sfruttare gli elementi critici come risorsa sono competenze prettamente filosofiche, e ad esse
possiamo aggiungerne altre, ma partendo esclusivamente dai contenuti stessi della filosofia.
Ed eccoci giunti alla meta. Nel momento in cui le indicazioni ministeriali nell’Allegato B degli
Orientamenti, nel paragrafo 4 Per lo sviluppo di un sillabo, individuano nel sillabo il nucleo della
progettazione didattica il docente deve redigere un sillabo centrato sui contenuti o centrato sulle
competenze? La prima scelta si orienta verso l’ideale di una scuola nozionistica, la seconda verso
una visione di scuola aziendalistica.
Certamente il fine della scuola non è riempire la testa degli studenti di contenuti, né tantomeno una
corsa alla certificazione delle competenze, quindi, una mediazione equa e adeguata tra questi due
estremi sarebbe auspicabile: in medio stat virtus. Un esempio altamente formativo che si inserisce
in questa prospettiva è fornito da Johannes Rohbeck che nel 2013 nel suo testo Didaktik der
Philosophie und Ethik elabora una proposta di sillabo che tiene in sinergia competenze e
conoscenze.
Riprendendo lo schema proposto da Rohbeck si evince una precisa scelta nell’individuare le
maggiori correnti della filosofia e si nota come partendo da esse, cioè dalla specificità delle
argomentazioni in esse trattate, sia possibile determinare delle specifiche competenze.
Ad esempio, prendendo in considerazione:
a. la corrente della filosofia analitica l’area di competenza che si può sviluppare è quella
dell’analisi, nello specifico la capacità che gli studenti potrebbero acquisire sarebbe quella di
definire e usare concetti e regole dell’argomentazione, saperli utilizzare in maniera
autonoma, saper risolvere casi problematici in modo logico-argomentativo;
b. la corrente del costruttivismo porterebbe alla competenza della riflessione in quanto
svilupperebbe la capacità di farsi capire attraverso l’uso linguistico proprio e altrui in modo
dialogico e riflessivo rimandando all’agire, saper ricostruire argomentazione e uso dei
concetti e quindi collegarli alle azioni quotidiane, esplicitamente le presupposizioni;
c. la corrente della fenomenologia porterebbe a rendere competente lo studente
nell’osservazione e quindi svilupperebbe in lui la capacità di osservare il proprio mondo
della vita e descrivere i propri stati di coscienza, al fine di metterne in luce le implicazioni
nascoste;
d. la corrente dell’ermeneutica porterebbe alla comprensione, sviluppando la capacità di
comprendere, nel contesto culturale, testi e portare avanti dialoghi, esplicitare il senso delle
precomprensioni del lettore e delle intenzioni dell’autore;
e. il decostruttivismo porterebbe ad acquisire la competenza della creatività sviluppando la
capacità di ricostruire le dichiarazioni nel loro contesto, e da lì poi costruire un nuovo testo,
scoprendo le falle e le lacune del testo stesso, con lo scopo di esercitare una scrittura
creativa.
Quindi, lavorando attraverso i contenuti della storia della filosofia del Novecento, cioè attraverso le
maggiori correnti del Novecento, seguendo le indicazioni di Rohbeck si possono sviluppare le
competenze specifiche che sono legate ad una determinata corrente filosofica.
Se ragioniamo in questa maniera cadono le contrapposizioni tra conoscenze e competenze, tra
approccio storico e teoretico e tra filosofia come contenuto e filosofare come prassi.
In Italia potremo riprendere questo modello di sillabo, suggerito e indicato da Rohbeck per la
filosofia contemporanea, ed estenderlo all’insegnamento di tutti i periodi storici della filosofia, in
quanto da noi, a differenza della Germania, vi è un retroterra storico filosofico molto più articolato e
ampio. La stesura dei vari sillabi dovrebbe essere declinata secondo un metodo non meramente
storico, cioè studio per autori, ma anche o soprattutto “zeetetico”, cioè per problemi, e ciò
consentirebbe, avendo un gran numero di contenuti, di sviluppare nello studente di filosofia
maggiori competenze.

Bibliografia

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Caputo A., Ripensare le competenze filosofiche a scuola. Problemi e prospettive, Carocci, Roma
2020.
Ceppolaro G. (a cura di), Competenze e formazione: organizzazione, lavoro, apprendimento,
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Le Boterf G., Construire les compétences, Éditions d’Organisation, Paris 2000.
Rychen D. S. , Laura Hersh Salganik, Agire le competenze chiave. Scenari e strategie per il
benessere consapevole, FrancoAngeli, Milano 2006.
Sini C., Filosofia Teoretica, Editoriale Jaca Book, Milano1992.
Rohbeck J., Imparare a filosofare. La metodica dell’insegnamento di filosofia, in “Paradigmi”, a.
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Rohbeck J., Didaktik der Philosophie und Ethik, Thalen, Dresden 2013.

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