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Costruzione di uno strumento EFM

Valter Gennaro
vgennar@mail.nauta.it

Principio di funzionamento

Negli strumenti moderni, per la misura del campo elettrico E (e carica), il circuito normalmente usato è
l’amplificatore operazionale a stato solido configurato come amplificatore di carica (figura 1).

Fig. 1 - Circuito di un amplificatore di carica

La configurazione dell’amplificatore di carica, indicata dal circuito, permette di descrivere la carica


stessa attraverso una semplice espressione e con sufficiente approssimazione.
La carica misurata è data da:
q = -VO / CF.
dove VO è la tensione di uscita dall’amplificatore causata dalla corrente che circola attraverso l’anello
di controreazione composto dal condensatore CF, e resistenza, RF. Nel fare ciò la carica mantiene l’imput del
circuito a massa virtuale che risulta essere una buona caratteristica della performance del circuito.
Quando si utilizza uno strumento, a mulinello EFM, la carica misurata dal circuito può essere legata
direttamente al valore del campo elettrico. Poiché Q indotto nel sensore è una funzione del campo elettrico
(dalla legge di Gauss), la relazione per un mulinello di campo diventa:

E ∝ - VO / CF.

Nell’esempio illustrato nella figura 1, il campo elettrico E induce la carica q sulla piastra posta come
sensore.

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Il tempo di decadimento dello strumento è definito da RF CF. Questa costante di tempo deve essere
uguale o 5 volte la durata dell’evento in modo tale che esso possa essere misurato e registrato e essere
riprodotto agevolmente.
L’amplificatore può produrre entrambe le polarità della tensione in uscita; anche il campo E (o q) può
produrre ambedue le polarità le quali possono essere misurate. La massima tensione, VO, misurata dipende
dall’amplificazione e dalla tensione di alimentazione degli amplificatori.
Il massimo valore desiderato di carica da misurare può essere usato per determinare il valore di CF .
Il minimo valore rilevabile di carica è in funzione del rumore elettronico del sistema ma, durante il
passaggio di una perturbazione, le scariche dei fulmini o l’effetto corona possono essere la maggiore sorgente
dei rumori di fondo.
Comunque il valore minimo rilevabile dipende molto dall’ambiente in cui opera lo strumento ed è
quindi facile stimare tale valore dalle analisi dei dati registrati.

Descrizione circuito elettronico

Fare riferimento allo schema a blocchi di figura 2, allo schema circuito elettronico di figura 3 e alle
forme d’onda di figura 4.

Fig. 2 – Schema a blocchi strumento EFM

Quattro elettrodi (statori) con la funzione di sensori sono collegati a coppie in modo alternato ovvero A
con A’ e B con B’.

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Il motore ha calettato sulla parte superiore del proprio asse il rotore ed una camma, con forma uguale al
rotore, sulla parte inferiore dello stesso asse.
Durante la sua rotazione il rotore, posto a massa tramite il suo asse, copre alternativamente le due
coppie di sensori mentre la camma, in sincronia con il rotore, ostruisce e libera il raggio luminoso del sensore
ottico.
La carica elettrica che viene catturata alternativamente dalle coppie dei sensori quando questi non sono
coperti dal rotore, viene posta all’ingresso dei due amplificatori di carica che amplificano il segnale e lo
trasferiscono, in modo sfasato di 180° uno rispetto all’altro, all’amplificatore differenziale che effettua la
somma delle due componenti amplificandole ulteriormente.
Il segnale risultante a forma sinusoidale viene trasferito ora nel circuito decommutatore che trasforma,
tramite il sensore ottico e il commutatore analogico, da segnale sinusoidale a segnale pulsante.
Un circuito amplificatore a configurazione passa basso, toglie la parte rimanente dell’alternata generata
dalla rotazione del motore, ed un amplificatore buffer completa il circuito per rendere disponibile verso
l’esterno il segnale stesso.

Vediamo ora, più in dettaglio, il circuito elettronico di un EFM.


Ogni coppia di sensori è collegata, tramite un filtro di protezione, ai transitori (composta da C1,C2, L1,
R1, D1 e D2 per U1 e da C4,C5, L2, R3, D3 e D4 per U2), agli ingressi negativi di due amplificatori di carica
(U1 e U2).
Quando la coppia di sensori A e A’ è coperta dal rotore, la coppia B e B’ è scoperta.
La carica Q che è indotta dal campo elettrico E aumenta con l’aumentare dell’area non coperta dal
rotore durante la sua rotazione.
La carica Q indotta nella coppia di sensori è presente ai capi del condensatore di controreazione C3 e
C6 dagli amplificatori U1 e U2; questo causa una tensione:

V1a = Q / C3 e V1b = Q / C6

che è presente all’uscita dei due amplificatori di carica.


La carica Q è una funzione periodica per effetto della rotazione del rotore.
Q varia da 0 a Q.
V1a e V1b sono anch’esse funzioni periodiche e variano da un valore positivo ad uno negativo a causa
della controreazione delle resistenze R2 e R4 in parallelo ai condensatori di controreazione C3 e C6.

Fig. 8 – Circuito elettronico di base dell’EFM

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La tensione V1a prodotta dalla coppia di sensori A e A’ è uguale alla tensione V1b prodotta dalla
coppia di sensori B e B’: l’unica differenza è che la fase è spostata di 180°.
La tensione V1b inserita all’ingresso positivo dell’amplificatore differenziale U3 opera in sottrazione
alla tensione di V1a inserita all’ingresso negativo dello stesso U3 in modo che la risultante sia un segnale in
uscita V2 di ampiezza maggiore (come se fosse la risultante di un segnale prelevato ad una sola coppia di
sensori ma con una superficie maggiore).
La tensione V2 viene ora convertita dalla forma sinusoidale ad una tensione a doppia semionda tramite
il metodo chiamato “demodulazione sincrona” (decommutatore).

Fig. 9 – Forme d’onda circuito EFM

Il motore, inserito nello strumento e che ha calettato su un capo del proprio asse il rotore dell’EFM che
copre alternativamente le coppie di sensori, ha dal lato opposto calettato una camma con forma simile al rotore

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in modo che, tramite la sua rotazione, possa interrompere e lasciar passare una sorgente luminosa verso il
sensore ottico (fototransistor).
Questo segnale Vc, in uscita dal sensore ottico, ha forma rettangolare e attraverso uno Schmitt-trigger
con funzione di NAND (U7) e un commutatore analogico veloce CMOS (U8) metta a massa l’ingresso positivo
dell’operazionale U4 (decommutatore) che moltiplica la tensione alternata V2 e per +1 o –1.
Questo trattamento del segnale produce la tensione V3 che diventa una componente continua positiva o
negativa benché questa, inizialmente, sia una componente periodica.
Il successivo amplificatore operazionale U5 opera, tramite una configurazione di filtro passa basso, la
rimozione della rimanente componente alternata presente nel segnale stesso che è il risultato del valore del
campo elettrico E ma non più alterato dall’effetto della rotazione del rotore sui sensori.
L’amplificatore operazionale U6 funge da buffer rafforzando il segnale V4 in modo che V5 sia reso
disponibile in uscita dallo strumento con impedenza corretta per essere utilizzato da altri strumenti.

Costruzione meccanica dello strumento EFM


Visitando il sito web dell’Università di SOCORRO, nel NEW MESSICO, ho trovato un articolo, che
illustrava le caratteristiche di uno strumento costruito in un loro laboratorio, ed era intitolato “Electric Field
Meter E100 Principle of Operation”.
Non mi sembrava vero. In quelle tre pagine c’era la soluzione per poter iniziare a costruire il prototipo.
Infatti, nelle tre fotografie incluse, veniva mostrato lo strumento aperto, edi fronte (Foto 1).

Foto 1 – Vista interna e di fronte dello strumento E100 costruito dall’Università NEW MEXICO

C’erano pure uno schema della parte elettronica con la descrizione sintetica, una tabella con le
principali parti meccaniche, ed una tabella con le caratteristiche dello strumento.
In base ai riferimenti dei componenti illustrati nelle fotografie, sono riuscito a dare le dimensioni alle
parti meccaniche e a disegnare i vari complessivi utilizzati. Gli unici problemi che rimanevano da chiarire erano
il motore da utilizzare e la parte elettronica che mi sembrava diversa da quella mostrata nella fotografia e quella
fornita nello schema delle pagine internet.
Lo strumento era composto da pochi elementi:

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Un corpo metallico di forma cilindrica alta 5 cm. con diametro di circa 11 cm. lavorato a forma di
bicchiere per contenere, in questa sede aperta, il rotore dello strumento calettato sull’asse superiore del motore e
fissato quasi all’altezza dell’imboccatura del cilindro.
Sotto, a un centimetro distanza dal rotore, troviamo i quattro sensori che sono fissati al fondo del
cilindro tramite 4 isolatori in teflon. Ai sensori è saldato, sulla parte posteriore, un perno filettato che, passando
attraverso gli isolatori ed il fondo del cilindro contenitore, permette, tramite un ulteriore isolatore (sempre di
teflon), di essere bloccato (Foto 2) in sede tramite dadi e di essere collegato con un filo elettrico agli
amplificatori di carica.

Foto 2 – Particolare dell’isolatore e perno di bloccaggio sensore

Il cilindro, i sensori e il rotore sono costruiti in acciaio inox del tipo 303 o 304 per offrire la minor
possibilità di ossidazione dovuta alle intemperie.
Il motore è a corrente continua, a spazzole con doppio perno e con tensione di alimentazione di 24 Vcc
e con una velocità di rotazione di almeno 4000/4500 giri al minuto. Il motore viene alimentato a 15/18 Vcc per
una maggior durata e per ottenere una velocità di rotazione pari a circa 3500 giri al minuto. Le dimensioni del
motore devono essere contenute per dar spazio ai terminali dei 4 sensori. Questo viene fissato nel suo
alloggiamento tramite due viti accessibili dalla parte anteriore del cilindro.
Sul perno posteriore del motore viene fissata la camma (schutter), sincronizzata con il rotore, che deve
generare, tramite il sensore, un segnale a forma d’onda quadra da inviare al decommutatore tramite il
commutatore analogico.
Il circuito elettronico viene posizionato nella parte esterna dei supporti e deve essere di modeste
dimensioni per non interferire con il cilindro di alloggiamento dello strumento. Una flangia cilindrica di
alluminio di circa 10 mm di spessore viene utilizzata per tenere in posizione i supporti delle schede e permettere
il fissaggio, tramite morsettiera, dei collegamenti dei cavi verso l’esterno.
Lo strumento EFM viene inserito poi in un cilindro sostenuto da un braccio dove al suo interno
passano i cavi di collegamento verso gli alimentatori e gli strumenti di registrazione.
Il braccio deve essere fissato al terreno in modo che l’imboccatura dello strumento sia rivolta verso il
basso e posizionata all’altezza di un metro (Foto 3).

Foto 3 – Supporto EFM utilizzato dall’università NEW MEXICO TECH

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IL PROTOTIPO REALIZZATO

Parte meccanica

La costruzione dello strumento doveva, per necessità, essere fatta in economia quindi, recandomi in
diversi depositi di materiale di recupero, ho verificato se c’era qualcosa che potesse fare al caso mio. Ho avuto
la grande fortuna di trovare quasi subito le parti che mi interessavano: un cilindro del diametro di 13 cm, lungo
20 cm e dello spessore di 18 mm di acciaio inox, un raccordo per tubi sempre dello stesso diametro, ma di
alluminio, ed una serie di dischi di alluminio spessi 3 centimetri che potevano essere utili allo scopo.
Avevo già disponibile un motore passo-passo corredato di scheda di controllo, in grado di ruotare a
4670 giri al minuto quando alimentato a 24V.
Questo motore faceva al caso mio e l’unico problema che mi creava era il suo alloggiamento
all’interno dello strumento, in quanto il contenitore di alluminio del motore aveva una forma strana ed avrei
dovuto, oltre che alla sua modifica, aggiungere un supporto ulteriore rubando spazio all’alloggiamento delle
schede elettroniche dello strumento. Per quanto riguarda la scheda di controllo del motore sarei riuscito, data la
sua dimensione, ad installarla sulla parte superiore dello strumento.
La seconda cosa importante riguardava il fatto che lo strumento doveva lavorare all’esterno e quindi
bisognava renderlo, nel suo insieme, impermeabile alla pioggia.
In base al materiale recuperato ho cominciato a mettere in bella copia i disegni di ogni elemento
meccanico del contenitore in modo da avere un’idea precisa degli spazi disponibili per realizzare tutto il resto.
Dalla lista mancavano i supporti del motore, lo statore e il rotore anch’essi di acciaio inox.
Dall’immagine dello strumento originale si desumeva che sia lo statore che il rotore avevano uno
spessore di almeno 5/6 millimetri, quindi per rimanere più fedele all’originale mi sono recato in una azienda di
carpenteria metallica dove hanno una tagliatrice a fiamma ossidrica e mi sono fatto tagliare 4 dischi del
diametro di 11 cm di lamiera di acciaio inox spessa 6 mm.

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Ora mancava la parte di lavorazione: era necessario trovare qualcuno che, a un prezzo ragionevole, mi
tornisse i vari pezzi e, possibilmente, in poco tempo.
Dopo alcune settimane avevo in casa i vari pezzi torniti ed a questo punto ho iniziato a modificarne o a
completare le parti meccaniche eseguendo fori, filettature varie e fresature per adattare il motore al contenitore.
La parte più delicata della costruzione riguardava il taglio tramite fresa dello statore e del rotore.
Infatti, lo statore è composto da un disco di acciaio inox con un foro al centro per far passare l’asse del rotore;
questo disco deve poi essere tagliato in quattro parti uguali, rifinite e con gli spigoli arrotondati.
Questi quattro elementi fanno da sensori per lo strumento e devono essere installati all’interno del vano
del cilindro e bloccati tramite supporti isolanti di teflon ad un disco di inox che fa da fondo al contenitore.
Quindi collegati a coppie all’ingresso dell’amplificatore di carica.

Il rotore deriva anch’esso da un disco di acciaio inox ma invece di essere tagliato come lo statore, viene
tagliato mantenendo solo 2 spicchi ed in modo contrapposto. Poi al centro viene saldato il perno ed il tutto
rifinito di precisione con il tornio per equilibrare i due spicchi e rendere il perno perfettamente perpendicolare al
piano di rotazione. Al termine, anche lo statore deve essere smussato in tutti i suoi spigoli per evitare che il
campo elettrico tenda a deformarsi e concentrarsi su di essi.
Nel disco che va a chiudere il vano sensori sul cilindro, tramite dei distanziali, viene fissato un anello
sempre in inox che fa da supporto al motore passo-passo.
Sull’albero del motore viene inserita anche una camma che deve essere allineata al rotore in modo che
ad ogni giro dello stesso, e tramite un sensore ottico, si abbia la possibilità di avere in uscita un’onda quadra che
sia sincronizzata con la posizione del rotore rispetto ai sensori.
Sullo stesso anello vengono poi applicati dei tondini o barrette quadre di alluminio che vengono poi
utilizzate come supporto delle schede elettroniche dell’amplificatore.

In questo caso sulla parte superiore (Foto 4) ho fissato la scheda di controllo del motore passo-passo.

Foto 4 - prova motore


Oltre al cilindro principale di acciaio inox, lo strumento è stato corredato da altre due cilindri in
alluminio posti in serie in modo da completare il contenitore esterno (Foto 5).

Foto 5 - Contenitori dell’EFM

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Per evitare che con la pioggia penetri acqua nello strumento attraverso gli incastri delle varie parti del
contenitore o dai fori delle viti, ho applicato un silicone speciale non sensibile al caldo o al freddo e comunque
facile da rimuovere durante lo smontaggio dello strumento.
Ho costruito poi un supporto, sempre in acciaio inox, fatto ad anello aperto e bloccabile tramite vite e
con tre alette saldate a raggiera per montare, attraverso bulloni, tre paletti zincati disposti a forma di treppiede
(Foto 7). All’interno di questo anello viene installato lo strumento o nel modo normale con i sensori rivolti
verso il basso oppure rivolto verso l’alto per effettuare le tarature.
Questo supporto, quando lo strumento è in funzione, deve essere tassativamente messo a terra, perché
fa parte dello strumento è in grado di modificare le linee del campo elettrico e quindi deve restare assieme al
contenitore dello strumento allo stesso potenziale del terreno in cui è installato.

Parte elettronica

La documentazione che avevo recuperato tramite internet, pur essendoci lo schema dello strumento,
non mi sembrava completa rispetto a quello che si vedeva nella foto originale. Decisi, allora, grazie all’indirizzo
E-Mail in calce al documento, di chiedere ulteriori informazioni.
Circa un mese dopo mi è arrivata a casa una lettera, inviatami dal responsabile del progetto e direttore
del laboratorio di ricerca Prof. William Winn, con la descrizione del progetto, lo schema e l’indicazione per una
corretta installazione e taratura dello strumento EFM.
La componentistica utilizzata per il circuito era costituita da alcuni circuiti integrati lineari a basso
rumore e con ingresso a J-Fet, da un integrato con porta logica, da due commutatori analogici e da una serie di
resistenze e condensatori. Circuiti integrati tutto sommato comuni, ma prodotti negli anni ‘80.
Alcuni di questi integrati non vengono più costruiti e sono stati sostituiti da componenti similari che ne
modificano leggermente lo schema. Sono stati tutti acquistati a Milano da un grosso fornitore nazionale.
In base allo spazio disponibile, ho iniziato la costruzione del circuito elettronico che è stato suddiviso
in due parti anche per inserire una morsettiera al fine di effettuare agevolmente i collegamenti elettrici verso
l’esterno. Infatti, nella fase di disegno delle parti, ho cercato di tenere conto che lo strumento doveva essere
smontato e rimontato parecchie volte per la pulizia o per eventuali modifiche o correggere possibili errori, e
quindi, queste operazioni dovevano essere eseguite facilmente.
Tutti gli integrati sono montati su zoccoli di buona qualità per evitare falsi contatti e permetterne la
sostituzione veloce in caso di guasto. I collegamenti tra le varie schede sono effettuati tramite connettori, il

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collegamento verso l’esterno tramite una morsettiera. I fili di collegamento sono saldati su pin in modo che il
contatto con la morsettiera sia il migliore possibile.
Il circuito di amplificazione è composto da due canali: uno considerato insensitivo e l’altro sensitivo e
questo per dare la possibilità di usufruire di un segnale di uscita differenziato in sensibilità.
Tutti e due i circuiti sono composti da amplificatori lineari e non necessitano di regolazioni.
Il circuito sensitivo ha uno stadio di amplificazione in più per permettere di aumentare il guadagno a 10
o a 64 volte rispetto al canale insensitivo. Questa scelta viene fatta attraverso un ponticello sulla scheda e dà la
possibilità di utilizzare lo strumento per vari livelli di sensibilità a seconda del tipo di campo elettrico da
misurare. Per la misura del campo a livello del suolo si setta il ponticello su guadagno 10.

Foto 6 – Visione completa dell’interno dello strumento

Lo strumento viene alimentato con tre tensioni stabilizzate; due alimentazioni da –15 / +15 Volt per il
circuito amplificatore e una da +15 Volt per il motore passo-passo. L’alimentatore dello strumento nella prima
fase, è stato installato vicino allo strumento, inserito in una scatola di plastica per esterni e collegato allo
strumento tramite due cavetti. Questa soluzione, dopo i primi test, è stata modificata portando l’alimentatore
lontano dallo strumento in modo da eliminare eventuali disturbi provocati dal trasformatore. I collegamenti
verso l’esterno vengono realizzati attraverso due cavetti lunghi 25 metri con all’interno 6 fili ricoperti da una
guaina metallica di alluminio e da un cavetto di massa per la schermatura. I cavetti passano all’interno di un
tubetto di rame piegato a U e fissato sul coperchio dello strumento in modo che l’acqua non penetri all’interno
di esso quando questo è in posizione.
Ora che abbiamo a disposizione lo strumento completo non siamo però ancora in grado di avere un
risultato numerico del nostro campo elettrico.
Il ciclo si completa utilizzando un campionatore di segnali che sia in grado di memorizzare i valori in
una sequenza ben precisa ed a scadenze determinate.
Alcuni mesi prima dell’inizio di questo progetto avevo realizzato un circuito di campionamento
utilizzando un integrato MAX186 che è in grado di campionare dei valori di tensione compresi tra 0 e 4 Volt o
tra –2 Volt a +2 Volt e con una risoluzione a 12 bit. Il campionatore ha a disposizione 8 canali di ingresso che
possono essere utilizzati contemporaneamente.
In quell’occasione avevo iniziato a sviluppare due software (in ambiente Windows): uno per
controllare il campionatore, l’altro per visualizzare graficamente i dati. Ho modificato il primo per adattarlo alle
nuove esigenze di campionamento che, in questo caso può avere intervalli compresi tra 20 campionamento al

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secondo e 1 ogni 60 secondi e che fornisce un file dei valori letti dallo strumento in formato ASCII; l’altro,
invece, mi permette di rappresentare graficamente lo sviluppo del segnale registrato e quindi poterlo zoomare,
stampare o salvare in vari formati grafici.
Nelle misure effettuate durante il normale utilizzo dello strumento è sufficiente campionare con un
intervallo di un campionamento al secondo. In caso di fenomeni particolari dove è necessaria una risoluzione
maggiore, si campiona a velocità maggiore.
Terminate tutte le fasi costruttive, dovevo iniziare a testare lo strumento e secondo la documentazione
fornitami dal prof. Winn, lo strumento doveva essere installato in un’area libera da case o strutture che
potessero causare distorsione del campo elettrico. Infatti l’indicazione era di posizionarlo almeno ad una
distanza doppia rispetto all’altezza della struttura più vicina. Nel mio caso avrei dovuto sistemarlo ad almeno 16
metri dalla mia casa.

Foto 7 – Strumento durante la fase dei primi test

Questo non era attuabile viste le dimensioni del mio giardino. Così ho installato lo strumento alla
massima distanza possibile, con la faccia contenente i sensori rivolta verso il basso e con il bordo dell’apertura
ad un metro di altezza dal suolo; ho collegato anche il telaio tramite un cavo alla presa di terra.
Questa è la posizione necessaria per effettuare le misure con questo tipo di strumento in quanto pur
essendo più logico usare lo strumento con l’apertura rivolta verso l’alto, avremo, in caso di pioggia,
l’allagamento dei sensori e quindi l’ingresso a massa.
Da tenere presente che la struttura meccanica del treppiede modifica le linee del campo elettrico
determinando una lettura dei valori in modo errato e per ovviare a questo problema, in fase di taratura, bisogna
effettuare una procedura per quantificare l’errore.

Taratura dello strumento


A questo punto mancava solo la taratura della scala del campo elettrico rappresentato nei grafici, e per
fare ciò oltre alle indicazioni avute nella documentazione del Prof. Winn, ho pesato di ricontattarlo per avere
ulteriori chiarimenti.
Per prima cosa mi ha fornito le indicazioni sulle 2 possibilità di misura dello strumento: nel caso di
utilizzo a terra la scala migliore è quella di usare una amplificazione a 10 o usare il canale insensitive a seconda

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del numero di bit utilizzati dal campionatore; la scala utilizzata con il canale sensitive impostato su 64 viene
usata con lo strumento installato su un aereo per misure fatte all’interno della nube temporalesca dove la
dinamica del campo elettrico è diversa.
Per la taratura vera e propria della scala bisogna innanzitutto conoscere il valore di distorsione del
campo elettrico dovuto al supporto dello strumento. Il supporto devia le linee del campo modificando il valore
della lettura.
Per trovare questo valore si installa lo strumento con la faccia rivolta verso l’alto ed il piano
dell’imboccatura posta all’altezza di un metro dal suolo. Si lascia che lo strumento lavori stando lontani da esso
e si registrano i valori del campo per una decina di minuti. Da tenere presente che questa operazione si deve
effettuare in occasione di campo stabile e possibilmente a cielo sereno senza nubi ed in mancanza di vento.
Si installa poi lo strumento in condizioni normali con la faccia rivolta verso il basso e questa sempre
all’altezza dal suolo di un metro. Si registrano poi i valori per circa una decina di minuti.
Terminate le due letture, si calcola la media delle stesse, poi si divide il valore letto con la faccia in su
con quello della faccia in giù; il risultato verrà poi utilizzato come valore da moltiplicare con il valore del
segnale letto.
Per esempio: se la media delle letture con la faccia dello strumento rivolto verso l’alto è pari a 65 mV e
la media delle letture a faccia rivolta verso il basso è pari a 238 mV il fattore di distorsione è uguale a:
Fattore di distorsione = 65 / 238 = 0,273
Ora sappiamo quale è il fattore di distorsione generato dalla nostra struttura ma non sappiamo se lo
strumento indica correttamente il valore del campo elettrico espresso in Volt/m.
Per effettuare questa taratura bisogna utilizzare una attrezzatura supplementare che permetta di
simulare un campo elettrico reale.
Per prima cosa occorre preparare due piastre di acciaio inox di almeno 50 x 50 cm e spessore 1,5 / 2
mm. Su una di queste si crea, al centro, un foro del diametro leggermente più grande dell’imboccatura dello
strumento (in questo caso il foro è di 11 cm) che farà da terra, l’altra servirà per creare il campo elettrico
artificiale.
Bisogna anche preparare almeno 3 cilindri di materiale isolante tipo teflon e regolabili in altezza da
usare come spessori in modo che si possano avere alcune misure ben definite, ad esempio 10, 12, 14, … cm.
Per fare questo tipo di calibrazione è necessario disporre anche di un generatore di alta tensione e ciò si
può realizzare facilmente tramite un trasformatore di isolamento con primario a 230V e secondario a 230 V e
una manciata di condensatori e diodi collegati come duplicatori o triplicatori di tensione. Questo generatore
deve fornire una tensione stabile di circa 1000 V cc oppure una serie di tensioni a scalare ad esempio: 100V,
200V, 300V, 400V, 500V, 1000V ecc...
La calibrazione si effettua in questo modo:
si installa lo strumento con la faccia rivolta verso l’alto; su di essa appoggia la piastra senza foro
collegata a terra tramite cavetto con morsetti a coccodrillo.
Mentre il computer registra il valore di base dello strumento, si predispone il generatore per fornire la
serie di tensioni campione. Dopo 5 minuti di registrazione, si toglie il collegamento di terra e la piastra senza

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foro, si installa la piastra con il foro senza coprire il rotore e i sensori; si dispone sopra la stessa gli isolatori
regolati a 10 cm e sopra di essi si appoggia la piastra senza foro a cui si applica la prima tensione campione
positiva o negativa, iniziando dal valore più basso o da quello più alto. Si registra per altri 5 minuti e poi si
aumenta la tensione e si continua così sino al valore massimo. Terminata la prima scala di valori, invertire la
polarità delle tensioni e rieseguire la sequenza. Il risultato che si ottiene è rappresentato nel grafico 1 se si
dispone di un generatore AT a più livelli.

Grafico. 1 – Scala dei valori risultanti dal test del campo artificiale

In pratica abbiamo utilizzato due piastre che generano un campo elettrico artificiale. Lo strumento,
leggendo questo campo, fornisce una sequenza di valori e con questi, se rapportati alla distanza tra le piastre,
saremo in grado di risalire al valore corretto da indicare sulla scala Y graduata dei nostri grafici quando un
campo elettrico reale verrà letto.
Per esempio: se abbiamo una piastra posta a 10 cm di distanza sopra la faccia dello strumento e a
questa applichiamo 100 V è come avere un campo reale di 1000 V/m sulla faccia dello strumento.
Facendo questa operazione, se lo strumento indica, per esempio, un valore di 109 mV, questo deve
corrispondere a 1000 Volt sulla nostra scala Y di visualizzazione del grafico.
Se durante una lettura reale come nell’esempio precedente il valore riscontrato con lo strumento rivolto
verso l’alto à pari a 65 mV, sul grafico dovremo avere una indicazione sulla scala Y pari a 596.3 V/m.
Quindi è sufficiente, usando lo strumento con la faccia rivolta verso il basso, moltiplicare il valore letto
per il coefficiente di distorsione, (nell’esempio precedente il valore letto era di 238 mV * 0273 = 64.9 mV), per
ottenere il posizionamento corretto nel grafico con i rispettivi valori di campo.
La taratura deve essere attuata periodicamente ogni volta che viene smontato lo strumento o pulito
dalle eventuali polveri o ossidazioni dovute alla permanenza sotto le intemperie e ciò per verificare se lo
strumento riporta i valori sempre corretti.

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Tipi di utilizzo dello strumento
I vari tipi di ricerca che si possono effettuare con lo strumento implicano, in alcuni casi, l’aggiunta di
una struttura che sia in grado di raccogliere e catalogare tutti i dati che esso produce.
In particolare, lo strumento può essere utilizzato in modo da monitorare un singolo fenomeno o una
serie di andamenti meteorologici di una particolare zona. Quindi necessita solo di un PC per la raccolta dati, di
un campionatore e di un eventuale gruppo di continuità per sopperire ad eventuali mancanze di corrente.
Oppure, utilizzando delle batterie per alimentarlo, si può usare in modo portatile quando si ha la
necessità di monitorare un fenomeno particolare e a presenza sporadica.
Si può inoltre installare nell’ambito di una struttura di ricerca per verificare l’andamento del campo di
bel tempo ma ciò comporta una operatività che può durare alcuni anni.
La soluzione ideale sarebbe quella di utilizzare una serie di strumenti dislocati sul territorio in modo da
poter costruire delle mappe del campo. Per questo è necessaria la gestione automatizzata degli strumenti, un
collegamento in rete, ed un sistema complesso di raccolta e archiviazione dati in modo da poter monitorare in
diretta l’evoluzione del campo stesso.

Le misure effettuate.
Dopo la fase costruttiva dello strumento EFM, sono state effettuate, per circa due mesi, tutta una serie
di verifiche sia meccaniche che elettroniche che di software e messa a punto dei parametri per la valutazione
corretta dei valori indicati sui grafici.
Durante questi due mesi sono state realizzate quotidianamente registrazioni del campo elettrico in tutte
le situazioni atmosferiche.
I grafici che vengono mostrati di seguito rappresentano tre aspetti tipici delle situazioni meteorologiche
avvenute sul sito di installazione dello strumento ad Osoppo (Ud) a 176 m. S.L.M. ed in un’area caratterizzata
dalla vicinanza, a circa 3 Km, delle prealpi Carniche che formano una corona da ovest-nord-ovest a nord-est,
mentre a sud troviamo una serie di colline moreniche e pianura.
Il grafico 2, registrato il 14 settembre 2002 dalle ore 13:31 sino alle 20:00, rappresenta una situazione
di bel tempo, fair-weather, con cielo terso ed una leggerissima ventilazione, dove l’andamento del campo
elettrico oscilla leggermente ad un valore medio di circa –20 V/m
Il passaggio veloce di una perturbazione atmosferica formata da cumuli e stratocumuli carichi
elettricamente e ad una altezza stimata di circa 1500 m. dal suolo, con provenienza da Nord-ovest e direzione
Sud-Est, ha prodotto il grafico 3 relativo al giorno 24 settembre 2002, con inizio alle 8:10 e termine alle 16:30.

Grafico 2 – situazione di bel tempo (fair-weather)

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Grafico 3 – Passaggio di cumuli e strato-cumuli

Il passaggio ha prodotto una variazione ondulatoria del campo elettrico con valori che vanno da –2500
V/metro a 3000 V/metro e dove si può notare la presenza di due gruppi di variazione del campo elettrico
intervallati da un periodo con meno variazioni ed una parte finale dove il campo ritorna a stabilizzarsi in
presenza di cielo quasi sereno. Dal grafico si notano due modi diversi di rappresentare la variazione del campo
elettrico: nella seconda parte la traccia è più frastagliata rispetto alla prima parte e questo è provocato dalla
maggior piovosità che ha accompagnato i cumuli e strato-cumuli dove è avvenuto anche un maggior
trasferimento di particelle ionizzate trasportate dalle gocce di pioggia verso il suolo.
Nel grafico 4 invece è rappresentata la variazione del campo elettrico al passaggio di una formazione
temporalesca generatasi verso le 16:00 a circa 10 km dallo strumento in direzione Sud-Est, transitata sopra lo
strumento e spentasi verso Nord-Ovest intorno alle ore 19:15 del 24 Settembre 2002.

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Grafico 4 – Passaggio di una perturbazione temporalesca

In questo grafico sono evidenziate 4 fasi contrassegnate dalle lettere A,B,C,D che rappresentano solo il
fenomeno avvenuto in quel giorno e in quel contesto. Ogni fenomeno temporalesco è caratterizzato da alcune
fasi salienti che però possono essere diverse da quelle qui rappresentate anche se possono essere similari.
Come la nube temporalesca inizia ad elettrificarsi il complesso di carica negativa di base causata dal
campo elettrico a livello del suolo durante la fase di bel tempo, cambia segno ed aumenta rapidamente in
ampiezza (Fase A). Questa è chiamata l’elettrificazione iniziale del temporale e può avvenire in poco tempo e
nell’ordine di 5 – 10 minuti o forse meno. Si ritiene che normalmente la elettrificazione iniziale termina quando
ha raggiunto un livello tale per generare la scarica del primo fulmine (primo picco verso il basso); ciò segna
l’inizio dell’attività o di produzione dei fulmini.
Lo stadio attivo può durare pochi minuti o un’ora o più e dipende dalla dimensione e dal vigore
convettivo della nube temporalesca. Durante questo tempo i fulmini, accompagnati da scrosci di pioggia e
vento, provocano la diminuzione veloce del campo elettrico fino a che il processo di carica ristabilizza
l’aumento del campo elettrico (fase B attività lontana dallo strumento 5/6 Km; fase C nell’area di copertura
dello strumento). Osservando a livello del suolo, il campo elettrico salta continuamente dal valore positivo al
valore negativo per ritornare al valore positivo. L’inversione di segno indica la presenza di carica positiva ad
effetto corona sopra la zona dello strumento di misura che domina il campo per un piccolo tempo dopo la
scarica. Così il temporale costruisce la carica per la successiva scarica di un altro fulmine dove i valori massimi
indicati nelle tracce della registrazione anno raggiunto circa i -11000 V/m.
Terminata la fase più attiva della manifestazione temporalesca i fulmini tendono a scomparire e si
manifesta una variazione più morbida del campo elettrico con passaggi da valori positivi a negativi susseguenti
sino al raggiungimento di una fase stabile intorno ai –100V/m simile alla situazione di bel tempo (fase D).

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Questi tre grafici mostrano una piccolissima parte del comportamento del campo elettrico terrestre
misurato al livello del suolo e sono la dimostrazione che è possibile effettuare queste misure con uno strumento
EFM facile da costruire e utile per comprendere questo tipo di fenomenologia.

Bibliografia:
ATMOSPHERIC ELECTROSTATICS – Lars Wahlin - Coultron Research Corporation Boundler,
Colorado, USA
THE ELECTRICAL STRUCTURE OF THUNDERSTORMS – Paul R. Krehbiel – New Mexico
Institute of Mining and Tecnology

Contatti:
William Winn – Prof. Physics and Chairman, Langmuir Lab – New Mexico Tech – Socorro, NM
87801 USA
Unione Meteorologica del Friuli V. Giulia

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