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LEZIONE N2

CAPITOLO 1
La genetica è la scienza che studia l’informazione biologica, o meglio come essa passa da una generazione
all’altra. Oggi sappiamo che l’informazione biologica si trova all’interno di molecole lineari chiamate DNA.
Il DNA è formato da due filamenti, ognuno dei quali contiene diverse subunità nucleotidiche che sono
formate da: uno zucchero deossiribosio, un fosfato e una delle 4 basi azotate (adenina, guanina, timina,
citosina).
Le basi si dicono complementari, perché si legano tra di loro a due a due (A-T e C-G) attraverso dei legami a
idrogeno.

Il DNA e i relativi geni si trovano in strutture chiamate cromosomi che sono degli organelli che
impacchettano e controllano l’evoluzione del DNA, la sua duplicazione. L’insieme dei cromosomi di un
individuo forma un genoma e ogni individuo ha un preciso numero di cromosomi: gli uomini hanno 23
coppie di cromosomi.

RNA
Oggi sappiamo che l’informazione genetica è contenuta nel DNA, ma in passato si riteneva che fosse
contenuta nell’RNA. Una molecola molto simile a quella del DNA: è, infatti, formata da basi azotate (l’unica
differenza è che al posto della timina c’è l’uracile), da uno zucchero (al posto del deossiribosio abbiamo il
ribosio) e da fosfati.
Oltre ad essere simile al DNA era anche molto simile alle proteine: si ripiegava in strutture tridimensionali
per produrre diverse molecole.

Ma si notò che, l’RNA era molto instabile e quindi non poteva essere lui a portare l’informazione genetica.
Quindi, il DNA (più stabile) prese la capacità di custodire l’informazione genetica e le proteine (più stabili)
presero la capacità di ripiegarsi in strutture tridimensionali.
Quindi l’RNA divenne l’Intermediario tra il DNA e le proteine.

Le proteine controllano la maggior parte delle funzioni di un organismo. Essa è formata da centinaia, ma
anche migliaia di subunità di aminoacidi che sono legati tra di loro per formare strutture ripiegate. Le
proteine sono caratterizzate da 20 aminoacidi che si legano tra loro in qualsiasi ordine, creando fili di
tantissimi aminoacidi. Ed è proprio questa varietà di combinazione che permette alle proteine di poter
svolgere tanti ruoli molto diversi tra loro.

C’è una connessione tra tutti gli organismi e questo è evidente perché esistono in diversi organismi i stessi
geni. Per questo, in genetica, ma anche in altre scienze, si usano gli “organismi modello” per poter
comprendere e chiarire dei meccanismi complessi nell’uomo. Grazie a degli esperimenti sul moscerino della
frutta, sugli Escherichia coli, sui lieviti ecc, visto che hanno alcune funzioni simili, è possibile chiarire alcune
cose che avvengono nell’uomo che altrimenti sarebbe difficile chiarire.

CAPITOLO 4
Per comprendere che il materiale genetico fosse contenuto nei cromosomi si decise di colorare il nucleo
con diversi colori e si vide che c’erano dei corpuscoli filamentosi al suo interno che vennero chiamati
cromosomi che si dividevano in due durante la divisione cellulare e andavano a finire in due cellule figlie.
Questo tipo di divisione che dà origine alle due cellule figlie con lo stesso numero e lo stesso tipo di
cromosomi è chiamata MITOSI.

Se invece parliamo di una divisione che formerà dei gameti (cellula uovo e spermatozoi) parliamo della
MEIOSI. I gameti sono cellule aploidi (non hanno il materiale genetico organizzato in coppie), mentre lo
zigote, che nasce dall’unione di due gameti, è definito diploide (ha il materiale genetico organizzato in
coppie).
Il numero di cromosomi in una cellula aploide viene indicato con “n”, mentre in una cellula diploide 2n.
Esempio: nell’uomo n=23 2n= 46.

I cromosomi, durante la metafase, si duplicano e si condensano in strutture a bastoncello. Queste strutture


sono formate da due metà uguali, chiamate CROMATIDI FRATELLI che sono uniti tra di loro in un punto
chiamato CENTROMERO. I cromosomi si possono dividere in base a dove sono legati:
1. Nei cromosomi METACENTRICI, il centromero è al centro
2. Nei cromosomi ACROCENTRICI, il centromero è vicino ad un’estremità
3. Nei cromosomi OLOCENTRICI, è coesivo in tutta la lunghezza del cromosoma.

I cromosomi che hanno la stessa forma, le stesse dimensioni sono definiti CROMOSOMI OMOLOGHI, hanno
gli geni che controllano le stesse funzioni negli stessi punti, ma possono avere alleli diversi.

Per studiare i cromosomi, gli scienziati li dispongono in coppie di omologhi in ordine crescente di grandezza
creando un CARIOTIPO.
Per esempio: gli uomini sono formati da 46 cromosomi, divisi in 23 coppie di omologhi: 22 coppie
AUTOSOMICHE, ovvero coppie di cromosomi non sessuali; l’ultima coppia sarà una coppia di cromosomi
sessuali perché determinano il sesso dell’individuo.
I cromosomi sessuali sono diversi nei due sessi:
- La femmina umana contiene un cromosoma sessuale formato da due cromosomi uguali XX
- Il maschio umano contiene un cromosoma sessuale formato da due cromosomi diversi, uno più
grande X, uno più piccolo Y. Questa coppia sessuale XY viene definita ETEROMORFA perché formata
da due cromosomi non omologhi.

Ad eccezione dei cromosomi sessuali, tutti gli altri cromosomi sono uguali, ed è per questo che le femmine
si indicano XX e i maschi XY. Questo significa che se un individuo porta un cromosoma Y è maschio.
Esempio: ci sono rari casi in cui gli individui hanno due cromosomi X e un Y (XXY), ma restano comunque
maschi perché hanno un Y, questo dimostra che i due XX non sono sufficienti a determinare lo sviluppo
femminile se c’è un Y.
Ma questo non vale per tutte le specie.

TEORIA CROMOSOMICA
Sutton fu uno dei primi citologi a capire che l’informazione necessaria per determinare il sesso era portata
da particolari cromosomi (quelli sessuali). Studiò i testicoli della cavalletta e notò che prima della meiosi,
nei testicoli c’erano 22 cromosomi e 1 cromosoma X e 1 Y. Dopo la meiosi, c’erano due tipi di spermatozoi:
- Metà contenevano 11 cromosomi e un cromosoma X
- Metà contenevano 11 cromosomi e un cromosoma Y
Questo accadeva anche nelle cellule uovo, prodotte dalle femmine, che contenevano 11 cromosomi e 1
cromosoma X. Quindi l’unione portava o a XX (femmina) o a XY (maschio).
E quindi Sutton capì che i cromosomi X e Y determinavano il sesso.
CICLO CELLULARE
La vita di una cellula va dalla sua nascita, per mezzo della mitosi, alla sua morte o, se la cellula è in grado di
riprodursi, fino alla sua successiva divisone per effetto di un’altra mitosi che darà origine a due nuove
cellule figlie uguali alla madre. Quindi il ciclo cellulare va da una mitosi all’altra.

MITOSI

Il significato genetico della mitosi è quello di conservare il contenuto genetico identico da una generazione
cellulare all’altra. Ovvero ha l’obiettivo di formare due cellule figlie con lo stesso numero e lo stesso tipo di
cromosomi. Essa è divisa in varie fasi:
- INTERFASE
Che è costituita a sua volta da tre parti:
1. La fase G1: inizia con la nascita della cellula e qui la cellula assembla tutto quello che gli serve
per poter svolgere le sue funzioni
La sua lunghezza è variabile, alcune cellule si fermano in questa fase e restano in una fase di
riposo chiamata G0
2. La fase Sintesi: qui la cellula duplica il suo materiale genetico sintetizzando il DNA. I cromosomi
si duplicano e si formano i cromatidi fratelli legati al centromero
3. La fase G2: le cellule crescono e sintetizzano le proteine utili per le fasi successive.

- PROFASE
Qui i cromosomi si condensano e diventano visibili e si formano i microtubuli fuori dal nucleo.

- PROMETAFASE
La membrana nucleare scompare e i microtubuli entrano in contatto con il nucleo. I cromatidi
fratelli si legano ai microtubuli grazie al CINETOCORE che permette ai cromatidi di scivolare sui
microtubuli.

- METAFASE
I cromosomi si allineano lungo una piastra immaginaria chiamata PIASTRA METAFASICA con i
cromatidi fratelli affacciati ai poli opposti. Qui le forze che tirano i cromatidi verso i poli e quelle che
li tengono uniti sono in equilibrio.

- ANAFASE
I centromeri si dividono e i cromatidi fratelli vengono tirati ai poli opposti attraverso i microtubuli.
Assumono una forma a V perché vengono tirati dal centromero.
- TELOFASE
Si riformano le membrane nucleari intorno al nuovo gruppo di cromatidi dei due poli.

- CITOCHINESI
Il citoplasma si divide tagliando la cellula parentale in due e dando origine a due cellule figlie con
nuclei identici.

Il meccanismo cambia tra animali e piante:


1. Animali: si crea un anello contrattile che strozza in due la cellula madre
2. Piante: si forma un disco chiamato piastra cellulare che cresce e divide in due la cellula madre.

Il ciclo cellulare è una serie complessa di eventi che si susseguono con la massima precisione. Quindi la
cellula ha sviluppato dei punti di controllo, chiamati CHECK-POINT che controllano gli eventi del ciclo
cellulare per farli avvenire in modo corretto. Ad ogni posto di controllo la cellula valuta se passare alla fase
successiva o no.

MEIOSI
Il significato genetico della meiosi è che la
meiosi determina un rimescolamento del
patrimonio genetico grazie all’assortimento
casuale dei cromosomi omologhi. E quindi
provoca un aumento della variabilità.
La meiosi è un processo di divisione che serve
per produrre cellule sessuali (i gameti) e che,
quindi, avviene negli organismi che vanno
incontro a riproduzione sessuale. E può
avvenire solo in una cellula diploide.

La meiosi avviene in due fasi:


1. DIVISIONE MEIOTICA I (MEIOSI I)
2. DIVISIONE MEIOTICA II (MEIOSI II)

MEIOSI I
È anche chiamata divisione riduzionale perché il
numero dei cromosomi si riduce alla metà. Essa
è formata da diverse fasi:

- PROFASE I
Essa è divisa a sua volta in cinque sotto fasi:
1. LEPTOTENE
I cromosomi sono formati da due cromatidi
fratelli attaccati al centromero

2. ZIGOTENE
Qui i cromosomi si appaiono con i loro
omologhi e si uniscono per formare la sinapsi.
Questo processo avviene grazie ad una
proteina, chiamata complesso sinaptinemale
che fa unirei due cromosomi omologhi.
3. PACHITENE
I cromosomi sono uniti su tutta la loro lunghezza e vengono definiti bivalenti (perché formati da
due cromosomi) oppure tetrade (perché contiene quattro cromatidi). Lungo il complesso
sinaptinemale appaiono strutture chiamate noduli di ricombinazione sui quali avviene lo
scambio di materiale genetico tra i cromatidi non fratelli. Questo scambio viene chiamato
crossing-over e ha come risultato la ricombinazione di materiale genetico.

4. DIPLOTENE
Il complesso sinaptinemale si dissolve e i cromosomi si separano. Ma restano legati nei punti in
cui è avvenuto il crossing-over. Questi punti sono chiamati chiasmi.

5. DIACINESI
La membrana nucleare si rompe e si forma il fuso.

- METAFASE I
Le tetradi si allineano lungo la piastra metafasica e ogni coppia di cromosomi omologhi si attacca ai
poli opposti (cromatidi fratelli dallo stesso lato).

- ANAFASE I
Il centromero si dissolve, i cromosomi omologhi si muovono verso i poli opposti

- TELOFASE I
Si forma la membrana nucleare intorno ai cromosomi omologhi e si formano cellule che possiedono
la metà dei cromosomi, ognuna formata da due cromatidi fratelli.

- INTERCINESI I
Qui si passa alla meiosi II

MEIOSI II
È anche chiamata divisione equazionale perché si forma una cellula con lo stesso numero di cromosomi
della cellula da cui parte. Essa è simile alla meiosi, ma visto che il numero dei cromosomi è stato ridotto
durante la meiosi I, allora non si formeranno 2 cellule uguali diploidi, ma 4 cellule aploidi.

- PROFASE II
I cromosomi si condensano, i cromatidi si muovono verso i poli e la membrana scompare

- METAFASE II
I cromosomi si allineano lungo la piastra metafasica e i cromatidi fratelli sono rivolti verso i poli
opposti.

- ANAFASE II
I centromeri si dividono e i cromosomi fratelli si muovono verso i poli opposti

- TELOFASE II
Si riformano le membrane nucleari
- CITOCHINESI
La cellula si divide in 4 cellule aploidi

MEIOSI E MITOSI A CONFRONTO.


La mitosi avviene in tutte le cellule eucariotiche (che hanno un
nucleo circondato da membrana) e aumenta il numero delle
cellule.
La meiosi ha luogo solo nelle cellule diploidi, le cellule germinali
che producono gameti aploidi.

GAMETOGENESI
In alcune specie, le cellule aploidi generate dalla meiosi devono andare incontro ad uno specifico processo
per diventare gameti. Questo processo viene chiamato gametogenesi e si divide in:

OOGENESI
Nelle femmine, il prodotto finale dei gameti è una cellula uovo grande e ricca di nutrienti e che contiene i
nutrienti necessari per garantire lo sviluppo iniziale dell’ embrione.
Il processo di formazione della cellula uovo è chiamato oogenesi: le cellule germinali (oogoni), si
moltiplicano per mitosi producendo gli oociti primari che andranno incontro a meiosi. La meiosi I formerà
due cellule figlie di dimensioni diverse (divisione asimmetrica):
- La più grande è l’oocita secondario che andrà in meiosi II e subirà un’altra divisione asimmetrica
dando origine alla cellula uovo grande e ad un globulo polare
- La più piccola è il globulo polare che arresta il suo sviluppo. In pochissimi casi, esso si divide in due
piccoli globuli polari che si disgregano.

Quindi l’unico gamete funzionante è la cellula uovo, formata da 22 autosomi e un cromosoma sessuale X.

Le ovaie fetali sono formate da 500mila oociti primari che sono gli unici che la femmina produrrà per tutta
la sua vita. La maggior parte delle femmine, rilasciano un oocita primario ogni mese e gli altri si
distruggeranno durante la menopausa o durante le mestruazioni.
Durante l’Ovulazione, un oocita, se viene fecondato, completerà velocemente le sue meiosi, così che riesca
ad essere fecondato da uno spermatozoo e a formare uno zigote.

SPERMATOGENESI
Lo spermatozoo è il gamete maschile e si forma attraverso un processo chiamato spermatogenesi. Esso
inizia nel testicolo maschile dove si trovano le cellule germinai (spermatogoni) che andranno incontro a
divisioni mitotiche che danno origine a tante cellule diploidi (spermatociti primari). Essi vanno incontro ad
una divisione simmetrica, la meiosi I, che produrrà due spermatociti secondari che andranno a loro volta
incontro ad una divisione simmetrica, meiosi II.
Al termine della meiosi II, ciascun spermatocita primario avrà formato 4 spermatidi aploidi uguali che
maturano una coda e una testa e diventano così spermatozoi funzionali.
Essi sono formati da 22 autosomi e un cromosoma sessuale X o Y.

Esistono anche cromosomi che non hanno una forma bastoncellare, ma circolare come quelli dei batteri.
Per i batteri il concetto è uguale: nel batterio avviene una mitosi che è un processo di riproduzione vero e
proprio, una riproduzione asessuale.
Un individuo diploide formerà dei gameti aploidi che unendosi riprodurranno uno zigote diploide. Questo si
chiama ciclo diplonte.
Abbiamo anche il ciclo aplonde: avviene quando l’organismo iniziale è aploide. Anche se non ha il corredo
in coppie va incontro alla meiosi perché alcune cellule n diventano cellule rappresentative che si uniscono
formando uno zigote 2n (che non è un nuovo individuo), va direttamente incontro alla meiosi per formare
nuovi adulti aploidi.
Abbiamo anche il ciclo aplo-diplonte: come il lievito di birra. Essa è formata da due sessi che sono identici
tra di loro ma si attraggono grazie a dei segnali ormonali e si fondono, formando uno zigote che può vivere
come una singola cellula che si divide all’infinito finché non decide di entrare in meiosi per formare le
cellule aploidi.

LEZIONE n3 e n4– CAPITOLO 2


MENDEL
I figli possono assomigliare ad un solo genitore, o possono essere una combinazione dei due. Ci sono alcuni
casi in cui i figli non assomigliano a nessun genitore, ma ad un antenato. Che cos’è che causa queste
differenze nell’aspetto? Le risposte si trovano nei nostri geni che rappresentano l’unità di base
dell’informazione biologica.

Il primo a dare un importante contribuito per lo studio di questi geni fu un monaco di nome Mendel.
Mendel aveva un padre agricoltore che voleva che seguisse la sua orma, ma Mendel non voleva. Infatti, si
fece prete non per vocazione ma per studiare ed accedere alle borse di studio. Era un grande conoscitore
della statistica e della matematica e quindi non fece solo osservazioni qualitative ma le affiancava a tanti
numeri.
Egli scoprì perché alcuni caratteri sparivano in una generazione per poi riapparire in quella successiva. Creò
le leggi genetiche senza nemmeno sapere dove fossero posizionati i geni o cosa fossero i geni stessi.
All’epoca si conoscevano i cromosomi, ma nemmeno più di tanto, quindi è sorprendente immaginare come
Mendel sia riuscito a comprendere i principi con cui le caratteristiche passavano da una generazione a
quella successiva solamente attraverso l’osservazione.

I SUOI ESPERIMENTI
Diciamo che Mendel riuscì a capire ciò che gli altri non vedevano partendo da una cosa fondamentale,
ovvero quella che bisognava guardare una sola caratteristica alla volta: o la forma del seme, o il colore, non
tutte e due le cose insieme. Queste erano definiti “caratteri a variabilità discontinua” in opposizione ai
caratteri a variabilità continua che sono comuni negli uomini (altezza, peso).

Mendel poi scelse con cura anche la pianta da utilizzare: la pianta di pisello. Perché aveva molte
caratteristiche vantaggiose come:
1- Le piante di pisello si possono autofecondare perché nello stesso fiore ci sono sia gli organi maschili
che quelli femminili (si definiscono ermafrodita);
2- È facile prevenire l’autofecondazione per far avvenire una fecondazione incrociata tra due piante
semplicemente spazzolando il polline di una pianta sull’organo femminile di un’altra pianta. Questa
era una caratteristica fondamentale per gli incroci controllati (decido io le piante da far
accoppiare);
3- Mendel si soffermò sui caratteri alternativi come il colore, la forma del seme così da avere dei
risultati semplici.
I caratteri alternativi si escludevano a vicenda o era giallo o era verde.
4- Partì dalle linee pure, ovvero dei fiori che per tante generazioni mostravano sempre lo stesso
carattere.

Mendel riuscì anche a dimostrare che i figli non nascono da una mescolanza dei due genitori, ma assumono
soltanto un carattere di un genitore e riuscì a dimostrare, attraverso gli INCROCI RECIPROCI, che non è
importante il sesso del genitore ma la caratteristica in sé. Questo fece capire che nessuno dei due genitori
contribuiva di più rispetto all’altro.
Lui utilizzò il polline di un fiore porpora per fecondare l’organo femminile di un fiore bianco e,
contemporaneamente, fece l’opposto, prese il polline del fiore bianco e fecondò l’organo femminile del
fiore porpora e il risultato che ottenne, in entrambi gli incroci, era lo stesso. Questo dimostrò che le cellule
contribuiscono equamente.

Diciamo che Mendel partì da delle linee pure di pisello verde e linee pure di pisello giallo e queste
rappresentavano la GENERAZIONE PARENTALE (P). Le fece incrociare (sia giallo-verde che verde-giallo,
quindi fece anche l’inverso) e vide che i risultati erano gli stessi: tutti i piselli erano gialli. Questi piselli gialli
rappresentavano la PRIMA GENERAZIONE FILIALE (F1).
Mendel allora si chiese se il carattere verde fosse scomparso del tutto o se fosse solo nascosto dal giallo e
quindi lasciò che la F1 si autofecondasse e vide che, nella SECONDA GENERAZIONE FILIALE (F2), c’erano
anche piselli verdi secondo un rapporto 3 gialli : 1 verde.

Mendel allora capì che i piselli nati dall’incrocio di linee pure, non erano linee pure, ma mostravano, in
qualche modo due caratteri. Questa generazione venne definita ibrido.

Mendel chiamò il carattere che compariva in tutti gli ibridi della F1 (giallo) carattere DOMINANTE, mentre il
carattere che restava nascosto (verde) carattere RECESSIVO.

La sua ipotesi fu questa: ogni individuo ha due fattori (alleli) per ogni caratteristica e questi fattori si
separano durante la formazione dei gameti per cui il genitore manda un solo fattore ad ogni singolo figlio
che prenderà il secondo fattore dal secondo genitore.
Questi fattori dati dai due genitori possono essere uguali (linea pura – omozigote) o diversi (ibrido –
eterozigote). Da qui nacque la legge della segregazione:
LEGGE DELLA SEGREGAZIONE: due alleli (fattori) di ogni carattere si separano durante la formazione dei
gameti e poi si uniscono casualmente, uno da ciascun genitore, al momento della fecondazione.
Per mostrare gli alleli, egli diede dei simboli: se il carattere era dominante si usava la lettera maiuscola (A,B)
se il carattere era recessivo si usavano le lettere minuscole (a,b).

Per vedere cosa accade quando due fiori vengono incrociati è possibile utilizzare il quadrato di Punnett che
ci illustra tutte le combinazioni possibili per i due fiori.
Esempio:

Il quadrato di Punnett si basa su due regole di probabilità:


1. La legge del prodotto
La probabilità che due o più eventi indipendenti si verifichino contemporaneamente è uguale al
prodotto delle singole probabilità

2. La legge della somma


La probabilità di verificarsi di uno qualsiasi dei due eventi che si escludono l’un l’altro è uguale alla
somma delle singole probabilità.

Bisogna capire che le piante che mostrano il carattere recessivo possono essere solo linee pure (yy), mentre
le piante che mostrano il carattere dominante possono essere sia linee pure (YY) che ibridi (Yy) come faccio
a riconoscerli?
Dobbiamo partire dal concetto di:
- FENOTIPO
Una caratteristica osservabile (il colore giallo)

- GENOTIPO
L’effettiva coppia di alleli (YY – Yy – yy)

- OMOZIGOTE
È un individuo o un genotipo che presenta due alleli uguali (YY – yy)

- ETEROZIGOTE
È un individuo o un genotipo che presenta due alleli diversi (Yy)

Da questo bisogna capire che da un fenotipo non possiamo conoscere il genotipo, ma da un genotipo è
possibile conoscere il fenotipo. Quindi come si fa? Per conoscere il genotipo basta fare un TESTCROSS (un
incrocio di prova): se noi abbiamo un fenotipo dominante (facciamo YY) quando verrà incrociato con un
fenotipo recessivo (yy) avremo tutti i figli con carattere dominante; mentre se noi abbiamo il fenotipo
dominante di un ibrido (Yy) quando verrà incrociato con un fenotipo recessivo (yy) avremo un rapporto 3:1.

INCROCI DIIBRIDI
Quando chiarì come avvenisse la trasmissione di un singolo carattere, Mendel studiò la trasmissione di due
o più caratteri alla volta. Come fece a trovare piante diibride (cioè avevano due caratteri alternativi
diversi)? Mendel incrociò linee pure di piante verdi e rugosi (yy e rr) con linee pure di piante gialle e lisce
(YY e RR). Da questo incrocio ottenne una generazione F1 diibrida (Yy e Rr) che presentava sempre solo i
caratteri dominanti (giallo e liscio).
Mendel fece autofecondare questi diibridi e ottenne nella generazione F2 tipi ricombinanti cioè piselli gialli
rugosi, piselli verdi lisci, piselli gialli lisi e piselli verdi rugosi. Secondo un rapporto 9 gialli-lisci : 3 gialli-rugosi
: 3 verdi-lisci : 1 verde-rugoso.
La comparsa di combinazioni fenotipiche nuove (ricombinanti), non presenti nella generazione parentale
(verdi-lisci e gialli-rugosi), con caratteri scambiati, permise a Mendel di affermare che le coppie di caratteri
sono indipendenti e la trasmissione ad un discendente di uno o l'altro degli alleli di un carattere non
influenza la probabilità di trasmettergli uno o l'altro degli alleli per l'altro carattere.
Da qui nacque la legge dell’assortimento indipendente:

LEGGE DELL’ASSORTIMENTO INDIPENDENTE: durante la formazione dei gameti, le coppie di alleli differenti
segregano indipendentemente l’una dall’altra.

In realtà Mendel aveva studiato un caso particolare: le coppie di caratteri si trovavano su diverse coppie di
omologhi e quindi, durante la meiosi, segregavano l’una indipendentemente dall’altra. Infatti, se due
caratteri sono sulla stessa coppia di cromosomi, tenderanno ad essere trasmessi insieme. Questi caratteri
vengono definiti “associati” o “linked”.

Un’eccezione al mendelismo viene data dall’eredità CRISS CROSS, ovvero l’eredità legata al sesso, o meglio
al cromosoma X perché l’eredità legata a Y non esiste. Secondo Mendel facendo un incrocio reciproco il
risultato non cambiava, mentre vedremo che con Morgan le cose cambiano se guardiamo i caratteri legati
all’X.

LEZIONE n5 e n6
Altri genisti, subito dopo Mendel, hanno ripetuto gli esperimenti di Mendel confermando quello che egli
diceva. I primi, però a rendersi conto che c’era un parallelismo tra i cromosomi e i fattori mendeliani furono
Sutton e Boveri. I cromsomi omologhi sono due come i fattori, si separano durante la meiosi (segregazione
dei fattori) ed i gameti si ricombinano casualmente durante la fecondazione. Questa ipotesi secondo cui i
cromosomi portassero i geni è nota come TEORIA CROMOSOMICA DELL’EREDITÀ.

Questa teoria cromosomica venne confermata da Morgan che condusse importanti esperimenti sul
moscerino della frutta. Questo moscerino è un vero e proprio organismo modello:
- Si riproduce molto rapidamente e quindi genera molti discendenti
- Si alleva facilmente
- Possiede 4 coppie di cromosomi
A differenza delle piante di pisello di Mendel, la drosophila non può autofecondarsi, quindi per trovare
delle linee pure era necessario selezionarli e scartare, ad ogni generazione, gli individui che mostravano
caratteri diversi.

Morgan notò che c’era una cosa che andava contro la teoria di Mendel: non tutti gli alleli di due geni diversi
segregano in modo indipendente, gli alleli segregano in modo indipendente solo se i geni sono posti su
coppie differenti di cromosomi omologhi, se si trovano sullo stesso cromosoma allora non segregano in
modo indipendente. Questi geni tendono a restare insieme, essi si dice che sono appartenenti allo stesso
gruppo di associazione.
In uno dei suoi esperimenti, Morgan, utilizzò la drosophila. Normalmente, il colore dell’occhio della mosca
da frutta è rosso, ma Morgan trovò dei mutanti con occhi bianchi, un mutante maschio. Con il passare del
tempo vide che tutti i mutanti con occhio bianco erano maschi e allora iniziò a chiedersi come mai e fece
degli incroci.
L’incrocio era tra maschio occhio bianco e femmina occhi rossi e nella F1 ottenne tutti figli con gli occhi
rossi e quindi si capì che il colore rosso era dominante sul bianco. A questo punto, Mendel avrebbe usato
l’autofecondazione, ma con le mosche non si può e quindi le lasciò accoppiarsi tra di loro, tra fratelli e nella
F2 vide il ritorno del carattere recessivo bianco con un rapporto 3:1, ma notò che gli unici ad avere gli occhi
bianchi erano i maschi.
Questa cosa era poco chiara agli occhi di Morgan e quindi decise di fare un incrocio reciproco: prese una
femmina occhi bianchi (molto rara perché ha bisogno di due alleli recessivi, ma visto che la mosca pone
tante uova era possibile) e un maschio occhi occhi rossi e vide che:
- Nella F1 i maschi avevano gli occhi bianchi e le femmine gli occhi rossi
- Nella F2 le femmine gli occhi rossi, occhi bianchi e i maschi anche.

Questa venne definita eredità crociata: il carattere passa dalla mamma al figlio e dal papà alla figlia.

Morgan iniziò a pensare che il carattere degli occhi si trovasse su un cromosoma speciale, quello sessuale
(cromosoma eteromorfo, non omologhi). Diciamo che il cromosoma X si definisce “omologo”, ma non lo è
perché porta i geni che controllano le stesse caratteristiche in punti diversi.

L’ipotesi di Morgan era quella di pensare che il carattere che determinava il colore dell’occhio si trovasse
sul cromosoma X, mente la Y non lo aveva. Quindi così:

Ovvero, maschio occhio rosso (w+ Y) x femmina occhio bianco (ww). Succede che i maschi ereditano la X
dalla mamma e quindi saranno eterozigoti, le femmine sarà anno w+w, occhio rosso come il papà.
Uno degli studenti di Morgan, Bridges, per la sua tesi, ripetette tante volte questi incroci e vide una cosa
strana: circa 1 su 2000 incroci aveva delle femmine occhio bianco come la madre e i maschi occhi rossi
come il padre. Quindi c’era qualcosa che non funzionava.
Queste femmine e questi maschi erano chiamati “progenie eccezionale”, venne creato un cariotipo di
questi individui e si vide che avevano dei cromosomi alterati: la mamma aveva subito una mutazione
durante la meiosi, ovvero i cromosomi non si erano appaiati correttamente ed erano finiti insieme in una
cellula, in un gamete. Quindi, durante la meiosi I, la femmina produrrà uova con due cromosomi X e con
nessun cromosoma X; i maschi produrranno in ugual misura Y e X. Quando si andranno ad accoppiare si
formeranno XXX, X0, Y0 (muore), XXY.
Questo viene definito “errore di disgiunzione” e può portare a dei gameti alterati e a delle sindromi (Down
ecc).

La non disgiunzione nella prima meiosi produce quattro gameti anormali: due con un cromosoma duplicato
e due privi di quel cromosoma e potrebbe portare o alla morte immediata (quello vuoto) oppure a gameti
formati da 3 o 1 cromosomi omologhi.
La non disgiunzione nella seconda meiosi ha conseguenze meno gravi perché vengono prodotti alcuni
gameti normali, in particolare due normali e due non normali.

E quindi egli capì che le progenie eccezionali erano formate da femmine XXY e maschi X0.

La probabilità di non-disgiunzione aumenta con l’aumentare del tempo in cui l’oocita primario è rimasto
nell’ovaio e quindi aumenta con l’aumentare dell’età

EUPLOIDE: quando una cellula presenta il suo corredo cromosomico normale. Molte cellule euploidi sono
diploidi, ma esistono anche i poliploidi, con tre o più assetti cromosomici completi (si definiscono triploidi o
tetrapolidi). Un’altra forma si trova negli organismi Monoploidi che hanno solo un assetto di cromosomi.

EMIZIGOTE: ha solo un allele, si riferisce ai maschi, o meglio agli alleli portati dal cromosoma X dei maschi.

ANEUPLOIDE: è un individuo che ha un cromosoma in più o in meno rispetto al normale corredo. Esiste la
monotonia che è la presenza di un singolo cromosoma al posto di una coppia; la trisomia che è la presenza
di tre omologhi al posto di una coppia. In genere la poliploidia è letale per gli animali.
Essa può interessare sia i cromosomi sessuali che gli autosomi. Le anomalie degli autosomi comportano
effetti più gravi e molto spesso letali, gli unici non letali sono:

- La sindrome di Down o trisomia 21: è causata dalla mancata disgiunzione dei cromosomi 21 in tre
coppie. Gli effetti presentano: naso schiacciato, lingua larga, mani corte e robuste, statura bassa,
ritardo mentale…

- La trisomia 13: caratterizzata da gravi ritardi mentali

- Trisomia 18: ritardo sia mentale che fisico


Se, invece, si parla di cromosomi sessuali i più frequenti sono

- La trisomia XXY o sindrome di Klinefelter: è causata dalla non disgiunzione delle X nella produzione
dell’ ovulo. Gli individui affetti sono maschi con testicoli non sviluppati, sono molto alti…

- Monosomia X0 o sindrome di TURNER: produce femmine di bassa statura, collo tozzo o corto…

- Trisomia XXX: sono femmine quasi normali sul piano fisico e riproduttivo ma manifestano ritardi
mentali.

- CORPO DI BARR: bisogna compensare i due sessi. Compensare il dosaggio dei cromosomi, ovvero
un processo di inattivazione di un cromosoma X. I maschi hanno normalmente un solo cromosoma
X, mentre le femmine ne hanno due, MA bisogna che entrambi i sessi producano la stessa quantità
di proteine. Per compensare questa discrepanza i maschi raddoppiano l’espressione dei geni
presenti sul loro unico cromosoma X. Per quanto riguarda i mammiferi, invece, possiedono un
meccanismo di inattivazione del cromosoma X. Questa inattivazione del cromosoma X avviene in
tutte le cellule femminili e porta alla formazione di un corpuscolo di Barr, ovvero un ammasso ben
organizzato di eterocromatina. Ogni cellula ha uno dei cromosomi X inattivato, in modo che solo
uno è attivo, le cellule maschili XY non hanno il corpuscolo di Barr questo perché ci deve essere più
di una sola X. Infatti, i maschi XXY hanno una X inattivata. Se ci sono femmine come XXX o XXXX ci
saranno due o tre corpuscoli di Barr. Quale si disattiva? È casuale, ma è un processo epigenetico (ha
una memoria che va di mitosi in mitosi).

Ma cos’è l’eterocromatina? Se noi colorassimo le cellule che legano il DNA, potremmo notare che una
piccola porzione del genoma risulterà più colorata rispetto al resto. La parte più scura è chiamata
ETEROCROMATINA, mentre il resto è EUCROMATINA. L’eterocromatina è formata da geni che sono
trascrizionalmente inattivi. Essa si divide in: eterocromatina costitutiva (è presente in tutte le cellule, nella
stessa posizione su entrami i cromosomi omologhi: centromeri e telomeri) eterocromatina facoltativa (varia
di condizione nei differenti tipi cellulari tipo corpo di Barr).

MOSAICISMO GENETICO
Le implicazioni genetiche dell’ in attivazione del cromosoma X è per esempio l’inattivazione a chiazze.
Prendiamo come riferimento il colore del pelo, ci sono due alleli diversi per il colore del pelo sul
cromosoma X, uno da il colore nero e uno il colore bianco. A seconda di quale cromosoma si inattiva, alcuni
mostreranno una caratteristica, alcuni un’altra caratteristica.
Questo viene definito mosaicismo. Però come fa a formarsi un pelo a chiazze? Ogni cellula disattiva un X e a
seconda della provenienza si crea la chiazza.

Non è nota la natura della dipendenza dell’età ma è noto il fatto che con l’avanzare dell’età avviene
un’attivazione e una disattivazione programmata di alcuni geni. Per esempio, anche se dalla nascita esiste il
genotipo per il carattere, esso si mostra comunque nell’età adulta come la calvizie.

Caratteri limitati al sesso: geni che agiscono solo in un sesso come la produzione di latte, la capacità di
produrre cellule uovo o spermatozoi.

Caratteri influenzati dal sesso: si manifestano in entrambi i sessi, ma con delle differenze. La calvizie, per
esempio, è controllata da un gene autosomico recessivo, che si comporta da dominante nei maschi e da
recessivo nelle femmine.

Lezione n.7 – CAPITOLO 17


Bisogna capire che c’è differenza nel dire:
- Eredità legata al sesso: cioè legata al cromosoma X
- Determinazione del sesso: l’insieme dei meccanismi che portano un individuo a diventare maschio
o femmina.

In natura, molto spesso, è facile distinguere i maschi dalle femmine biologiche, grazie a dei caratteri definiti
secondari (come la barba). Ma ci sono alcuni organismi, come il lievito, che esiste di due sessi ma che non
sono riconoscibili perché sono molto simili tra di loro, si vede che sono di due sessi diversi perché ad una
certa distanza essi si attraggono.. Questo significa che, nel lievito, non c’è un dimorfismo sessuale che
invece c’è in noi.

Parliamo della drosophila: ci sono delle differenze tra i maschi e le femmine; le femmine sono più grandi, i
maschi hanno i pettini sessuali ecc.
Bridges riuscì a capire come era determinato il sesso in una drosophila andando a vedere i cromosomi X
presenti rispetto al numero degli autosomi. Quando il rapporto tra il numero dei cromosomi X e il numero
di autosomi è 1 allora le mosche si sviluppano come femmine, quando è 0.5 come maschi.
Quindi ci sono stati degli esperimenti che hanno affermato il fatto che la determinazione del sesso della
drosophila è data dal bilanciamento delle X con gli autosomi. È come se la cellula potesse contare il numero
di cromosomi X rispetto agli autosomi. Ma come fa la cellula a capire quante X ci sono? Ci sono delle
proteine prodotte dai geni che si trovano sia sull’X che sui cromosomi autosomici, ma il cromosoma X
codifica un prodotto e gli autosomi altri prodotti che possono, però, interagire tra di loro per formare un
dimero, ovvero due subunità. In base alla frequenza dei dimeri si capisce se seguire la strada femminile o
maschile. Le femmine producono una quantità di omodimeri sufficienti affinché ne restino alcuni non legati
a quelli degli autosomi e che quindi si associano ad un gene chiamato SEX LETHAL che quando viene
attivato determina la via femminile. I maschi, invece, hanno solo la metà degli elementi delle femmine e
quindi non ci sono omodimeri liberi e questo porta alla non attivazione della trascrizione e quindi si
sviluppa come maschio.
Molto spesso la determinazione del sesso può dipendere dall’ambiente, dalla temperatura.

DETERMINAZIONE GENETICA DEL SESSO NELL’UOMO


L’uomo ha più step della femmina: un uomo contiene
un cromosoma X che si unisce ad un cromosoma Y,
creando un embrione con cromosomi XY. Questo è il
sesso genetico: si forma un testicolo gonadico, c’è poi
la secrezione di ormoni specifici (androgeni) che
determinano la comparsa di caratteristiche che fanno
si che si sviluppino completamente sia i caratteri
sessuali primari che quelli secondari (sesso fenotipico).
La femmina, per assenza del cromosoma Y, fa si che a
livello genetico la coppia XX crei una gonade che tende
a sviluppare in sesso femminile e quindi non vengono
secretati androgeni, ma solo ormoni femminili.

Nel momento in cui si forma lo zigote, lo zigote già sa se si svilupperà in un maschio o in una femmina e
quindi si formano le gonade e se presente il cromosoma Y si formano i testicoli, se assente si formano le
ovaie.

LEZIONE n8 – CAPITOLO
PEDIGREE
Il pedigree è un modo per imparare ad applicare alcune regole di Mendel sull’uomo. Questo perché l’uomo
non è un organismo modello visto che è difficile da studiare: in genere fa pochi figli, vivono un sacco di
tempo, non è economico, non lo puoi crescere dove dici tu, non ci puoi fare esperimenti, non si possono
costringere due umani ad accoppiarsi per vedere l’effetto che si ottiene, non ci può essere l’incrocio tra
fratelli e non esistono linee pure.
Per questi motivi non si studia l’uomo in sé, ma si cerca di studiare l’eredità di Mendel nell’uomo,
attraverso dei diagrammi chiamati “pedigree” dove vengono scritti tutti gli antenati possibili (almeno le
coppie dei nonni) attraverso diversi simboli:
- I quadrati rappresentano i maschi
- I cerchi le femmine
- I rombi rappresentano un sesso non specificato
- Gli individui che presentano quella caratteristica vengono colorati
- Una linea singola orizzontale che unisce due individui indica
un’unione
- Una linea doppia indica un unione tra due cugini o parenti
- Una linea orizzontale sopra una serie di simboli indica i figli allineati
e numerati da sinistra a destra secondo l’ordine di nascita
- I numeri romani accanto rappresentano le generazioni ecc.

Con Mendel si parla di eredità mono-fattoriale, ovvero dovute da un


singolo gene, mentre le malattie, in genere, sono multi-fattoriali,
dovute da più geni.

Possiamo avere delle malattie X-linked, ovvero legate alla X, o linked,


ovvero legate agli autosomi, queste malattie possono essere recessive o dominanti. Quindi solo guardando
il pedigree dobbiamo essere in grado di stabilire se il carattere è dominante o recessivo, se è legato all’X o
agli autosomi.

(Si esclude il cromosoma Y perché ci sono pochi geni su di esso ed è difficile trovare una malattia legata ad
esso).

1. CARATTERI DOMINANTI
Se i figli mostrano il carattere, almeno uno dei due genitori deve averlo. Si formerà un pedigree con
il carattere in ogni generazione (eredità verticale). Se due genitori affetti, entrambi eterozigoti,
possono avere figli non affetti.

2. CARATTERI RECESSIVI
se i figli mostrano il carattere i loro genitori non devono per forza essere malati, ma possono anche
essere portatori. Se i genitori sono malati, tutti i figli devono esserlo. È un eredità orizzontale,
compare tra diversi individui, ma c’è il salto delle generazioni.

CARATTERI AUTOSOMICI RECESSIVI


Sono le malattie più diffuse e frequenti e si manifesta
solo se sono presenti entrambi gli alleli recessivi e
quindi gli individui malati sono per forza omozigoti
recessivi. Gli eterozigoti sono portatori.
Possono essere affetti sia i maschi che le femmine e
abbiamo, di solito, una eredità orizzontale.

Alcuni esempi di malattie sono: la fibrosi cistica (è un


infezione cronica delle vie aeree), la fenilchetonuria (è
caratterizzata da un’aumentata concentrazione nel
sangue e nelle urine di un amminoacido), l’anemia
falciforme (è caratterizzata da un errore durante la
sintesi dell’emoglobina e determina una maggiore
fragilità del globulo rosso).
CARATTERI AUTOSOMICI DOMINANTI

Possono essere affetti sia i maschi che le femmine. Sono


affetti gli eterozigoti che portano l’allele malato, o gli
omozigoti dominanti (rari). Gli effetti possono essere
presenti in tutte le generazioni (eredità verticale), ogni
figlio che è affetto, ha un genitore affetto.

MALATTIE GENICHE LEGATE AL CROMOSOMA X (X-LINKED)


Queste malattie sono legate al cromosoma X e di conseguenza i maschi, visto che ne hanno solo uno, sono
più vicini al mostrare spesso la malattia perché basta solo un cromosoma malato, per le femmine ne
servono due.

CARATTERI RECESSIVI LEGATI ALL’X


Questo carattere recessivo legato all’X si manifesta più facilmente nei
maschi, questo perché il maschio è emizigote per i caratteri legati alla
X.
Anche le femmine possono essere malate però ci deve essere
sicuramente il padre malato.
Questo tipo di carattere tende a saltare una generazione.
Qui abbiamo che i maschi affetti non trasmettono mai ai maschi, ma
possono trasmettere alle femmine che diventano portatrici e che
possono trasmettere ai maschi. Il carattere non viene mai trasmesso
dal padre al figlio, perché il figlio, dal padre, riceverà solo il
cromosoma Y, la X la riceve dalla madre.

CARATTERI DOMINANTI LEGATI ALL’X


È abbastanza semplice perché se il maschio ha la caratteristica
la passa alla femmina e visto che è dominante è anche visibile
nella femmina. Questo può portare a delle femmine eterozigote
malate che danno figli sia maschi che femmine che possono
essere sia malati che sani, dipende con cosa si appaia. I maschi
affetti trasmettono il carattere a tutte le femmine, se c’è anche
solo una femmina non malata allora il carattere non è X-linked
CARATTERI LEGATI ALL’Y

Compare solo nei maschi, ma devono essere tutti i maschi


della discendenza. Chiaramente o il dominante o il recessivo
non ha nessuna importanza, la manifestazione è sempre la
stessa

LEZIONE n10 – CAPITOLO 3


Diversamente dai caratteri mendeliani, la maggior parte delle caratteristiche umane (altezza, peso, colore
della pelle ecc.) non possono essere divisi in due categorie opposte (alto o basso), ma ne esistono di
diverse. Per questo motivo, questi caratteri vengono definiti “multi-fattoriali”, ovvero determinati da più
geni.

LA DOMINANZA NON È SEMPRE COMPLETA


La definizione di dominanza e recessività si basa sugli ibridi che vengono fuori nella F1 e che si originano da
un incrocio tra due linee pure. Il carattere che mostrano gli ibridi della F1 viene definito carattere
dominante rispetto al carattere portato dall’altro genitore, definito recessivo.

Mendel, quindi, ebbe la fortuna di trovare caratteri che sottostavano alla legge della dominanza completa,
ma poi si notò che c’erano situazioni in cui nessun allele era completamente dominante sull’altro:

- DOMINANZA INCOMPLETA
In questo caso l’ibrido non assomigliava a nessuno dei genitori perché nessun allele era dominante
o recessivo, ma entrambi contribuivano al fenotipo dell’ ibrido di F1 che assomigliava ad una
mescolanza di entrambi i caratteri.

- CODOMINANZA
In questo caso l’ibrido assomigliava ad entrambi i genitori perché nessun allele era dominante o
recessivo sull’altro, ma entrambi i caratteri apparivano contemporaneamente nel fenotipo di F1.

La differenza tra dominanza completa e queste due sta anche nei rapporti con cui si mostravano le
progenie della F2. Nella dominanza completa il rapporto era quello di Mendel 3 dominanti : 1 recessivo;
nella dominanza incompleta o nella codominanza era 1 dominante : 2 carattere che si mostra in F1 : 1
recessivo.
Diciamo che il concetto di fenotipo dipende dal grado di osservazione: se io ho il seme liscio (RR o Rr) ad
occhio nudo mi sembrano uguali, ma se aumentassi il grado di osservazione (microscopio) riuscirei a vedere
che in realtà sono diversi, per esempio, per la quantità di una proteina che crea lo stato liscio del seme.
Quindi è una dominanza completa ma intermedia.

La dominanza di un allele dipende sempre dall’’allele con cui viene accoppiato, possiamo fare un esempio
con il nostro gruppo sanguigno.
ALLELIA MULTIPLA: il nostro gruppo sanguigno è formato da tre alleli (IA, IB e i) di cui IA e IB sono
dominanti su i, ma sono codominanti tra di loro.
Mendel, come sappiamo, analizzò dei caratteri controllati da geni con due alleli, per molte caratteristiche,
però, può succedere che ci siano più alleli come, appunto, il nostro gruppo sanguigno.

Quando un individuo di gruppo sanguigno A si incrocia con uno di gruppo B è possibile, in alcuni casi, che
nasca un individuo di gruppo 0, se entrambi i genitori sono eterozigoti IAi e IBi.
In ogni caso, L’allelia multipla caratterizza la popolazione, non l’individuo che avrà sempre e solo due alleli
per ciascun gene.

Conoscere i gruppi sanguigni è importante per una trasfusione di sangue: gli individui di gruppo 0 sono
donatori universali, individui di gruppo AB sono riceventi universali perché non producono anticorpi né
anti-A né anti-B.

Il numero di alleli (n) sarà uguale al numero di individui omozigoti, per gli eterozigoti c’è una equazione
𝑛(𝑛−1)/2.

LE MUTAZIONI SONO LA FONTE DI NUOVI ALLELI


Gli alleli multipli si originano da delle mutazioni che vengono poi ereditate. Ovviamente gli alleli che
conferiscono un vantaggio alla sopravvivenza, vengono trasmessi nella popolazione e aumentano; gli alleli
che non portano ad un vantaggio tendono a sparire nella popolazione.
Il numero di copie di un dato allele di un certo gene rispetto al numero totale di copie di quel gene
caratterizza la frequenza allelica. Un allele la cui frequenza allelica è maggiore di 1% è considerato un allele
di tipo selvatico (+), un allele con frequenza minore dell’1% è un allele mutante.

Un gene con un solo allele selvatico è detto MONOMORFICO, se ci sono più alleli selvatici sono
POLIMORFICO (gruppo sanguigno).

Per conoscere il proprio gruppo sanguigno basta utilizzare anticorpi anti-A e anti-B, se non c’è nessuna
reazione siamo gruppo 0, se c’è una reazione agli anticorpi anti-A e non a quelli B siamo gruppo A (viceversa
siamo B), se reagiamo ad entrambi siamo gruppo AB.

Un altro punto molto importante è il fatto Rh che non ha tre alleli come i gruppi sanguigni ma ne ha solo
due uno dominante sull’altro (Rh + dominante su Rh-). È importante parlarne perché durante la gravidanza
può essere pericoloso: se la mamma è Rh-, ma il primo figlio è Rh+, la madre entra in contatto con gli
anticorpi prodotti dal sangue del figlio e quindi, durante una prossima gravidanza (sempre se il figlio è Rh-)
il figlio potrebbe entrare in contatto con questi anticorpi prodotti dalla madre che vanno a distruggere i
globuli rossi del bimbo.

Poi abbiamo l’antigene L che può essere di due alternative LM o LN. Se ho M avrò LMLM, se ho N avrò
LNLN, se ho MN avrò LMLN.
PLEIOTROPIA
La Pleiotropia è quando un gene controlla tantissime caratteristiche diverse. Oggi noi sappiamo che visto
che ogni gene produce una proteina e ogni proteina attiva diversi effetti sull’organismo, possiamo
immaginare come sia nata la Pleiotropia.
Questo significa che un singolo gene può codificare una proteina che contemporaneamente colpisce sia la
funzione respiratoria che quella riproduttiva dell’organismo.

Una variante della Pleiotropia è quando si produce una proteina che influenza anche la vitalità
dell’individuo. Molto spesso, l’allele letale è recessivo e quindi gli individui sono portatori di mutazioni letali
che restano in silenzio, tranne per gli individui omozigoti per quell’allele che porta alla morta.

Gli alleli recessivi che causano letalità prenatale o in giovane età possono essere trasmessi solo dagli
eterozigoti, perché gli omozigoti muoiono prima di riprodursi.
Gli alleli recessivi che causano letalità tardiva possono essere trasmessi sia da omozigoti che da eterozigoti.

UN ESEMPIO: ANEMIA
L’anemia falciforme è una malattia caratterizzata da un difetto della molecola di emoglobina. Essa è
formata da due catene polipeptidiche alpha e beta globina.

- ALLELIA MULTIPLA: il gene per la beta globina ha un allele normale selvatico e diversi alleli mutanti.
Alcuni di essi determinano la produzione di emoglobina che trasporta ossigeno in maniera non
efficiente.

- PLEIOTROPIA: questi alleli mutanti possono influenzare più di un solo carattere e quindi portare
non solo ad un inefficace trasporto di ossigeno ma possono anche rendere più deboli i globuli rossi
o causare un ostruzione dei capillari ecc.

- ALLELE LETALE: gli individui omozigoti per uno degli alleli recessivi spesso sviluppano un
insufficienza cardiaca e muoiono.

LEZIONE n.11 – CAPITOLO 3.2


EREDITÀ MULTI-FATTORIALE
La maggioranza dei caratteri umani sono multi-fattoriali, cioè nascono dall’azione combinata di due o più
geni, o dall’azione tra un gene e l’ambiente. Con ambiente si intende tutto ciò che caratterizza il mondo
esterno (temperatura, dieta, stress…) o interno della cellula.
Due geni possono interagire tra di loro in modo diversi, determinando un singolo carattere. Questo dipende
dalla presenza o dall’assenza degli alleli dominanti dei due geni:
1. Entrambi presenti YY
2. Uno solo presente Yy
3. L’altro presente yY
4. Nessuno presente yy

In alcuni casi, però, può succedere che degli geni mascherino altri geni. Questo tipo di interazione genica, in
cui gli effetti di un allele di un gene nascondono gli effetti di un allele di un altro gene è conosciuta come
epistasi. Essa può essere dominante (allele dominante responsabile del mascheramento) o recessiva (allele
recessivo).

A volte succede che da un genotipo che è presente un fenotipo che noi non ci aspettiamo. I genisti usano il
termine PENETRANZA per descrivere quanti individui di una popolazione con un certo genotipo mostrano il
fenotipo atteso. La penetranza può essere:
- Completa: tutti i genotipi analizzati mostrano quel fenotipo atteso
- Incompleta: non tutti mostrano quel fenotipo atteso
L’espressività con cui si mostra questo fenotipo può essere:
- Variabile: o in un occhio o ad entrambi
- Invariabile: è sempre verde, sempre gialla.

Ad oggi sappiamo che non tutti i geni influenzano la comparsa di un carattere equamente. Abbiamo i geni
principali che hanno una grossa influenza e i geni secondari che hanno un effetto secondario più debole.
Molto spesso è anche l’ambiente ad influire sul genotipo. Per esempio: la temperatura influisce sulla
sopravvivenza. Se pensiamo ad una specie di moscerino della frutta, essi si sviluppano solo a temperature
comprese tra i 18 e i 29 gradi, se la temperatura aumenta per diverse ore, questi insetti muoiono. Questi
insetti sono portatori di un allele sensibile alla temperatura, conosciuto come ALLELE LETALE
CONDIZIONALE perché è letale ma solo in alcune condizioni.
L’intervallo di temperatura in cui gli insetti sono vivi è chiamato PERMISSIVO, le temperature superiori sono
dette RESTRITTIVE.

Ci sono, però, alcuni individui che sono geneticamente normali che se vengono esposti ad agenti esterni,
subiscono dei cambiamenti nei fenotipi. Questa mutazione è nota come fenocopia e non è ereditabile
perché avviene tramite agenti esterni.

Esistono due tipi di caratteri:


- CARATTERE DISCONTINUO: per esempio l’altezza delle piante di pisello analizzate da Mendel che
dipendevano da un singolo gene e quindi o erano alte o erano basse
- CARATTERE CONTINUO: per esempio l’altezza, il peso degli uomini che sono determinate da più
geni ed è per questo che sono caratteri che variano tra due valori massimi e minimi e che creano,
se posti su un grafico, una curva a capanna.
Questi caratteri continui sono anche chiamati quantitativi perché variano quantitativamente in un
intervallo di valori e possono essere misurati.
Questi caratteri vengono detti POLIGENICI, controllati da più geni. Più aumentano i geni, più
aumentano le classi fenotipiche e più i caratteri sono continui.

Nella curva dei valori continui possiamo distinguere diversi fattori importati: il valore medio (è il numero
che viene fuori dalla somma di tutti i valori, fratto il totale), la deviazione standard (è la larghezza della
distribuzione: quanto più la popolazione è omogenea, tanto meno sarà allargata questa curva), la varianza
(di quanto i valori dei singoli individui si disperdono intorno alla media, quanto sono variabili).

Prima di parlare del concetto eredità e ambiente dobbiamo distinguere tra familiarità ed ambiente.
C’è questa famiglia che ha una certa familiarità per esempio con il diabete, significa che c’è una
predisposizione genetica, ma può anche non essere collegato all’ereditabilità (l’obesità, è dovuta ad una
cattiva alimentazione non ad una predisposizione genetica). L’ereditabilità è un carattere ricorrente in una
famiglia.
Possiamo calcolare l’ereditabilità che è il rapporto tra la varianza genetica (variazione fenotipica dovuta alle
differenze genetica) e la varianza totale (che è uguale alla variazione genetica + la variazione ambientale).

CAPITOLO 5 – LEZIONE n12


L’uomo possiede 20-30 mila geni e soli 23 coppie di cromosomi, quindi ogni cromosoma ne deve contenere
centinaia, migliaia.

Noi abbiamo detto che i geni che si trovano su cromosomi diversi assortiscono indipendentemente a causa
della segregazione indipendente degli omologhi, ma in che modo assortiscono i geni che si trovano sullo
stesso cromosoma?
I geni che sono localizzati sullo stesso cromosoma sono definiti “sintetici” o “geni associati” ed essi si
comportano come se fossero legati l’uno all’altro. Se essi assortissero in maniera indipendente, dovrebbe
succedere che metà dei gameti sarebbe uguale ai tipi parentali e l’altra metà dei gameti sarebbe di tipo
ricombinante (mescolamento). Ma, dopo alcuni esperimenti, si è notato che le combinazioni parentali sono
più numerose di quelle ricombinante e che quindi non assortiscono in maniera indipendente.
TEST DEL CHI QUADRATO
Come si fa a sapere da un esperimento se due geni sono associati o no? Per i geni che assortiscono
indipendentemente gli uni dagli altri dovremmo trovarci lo stesso numero di parentali e ricombinanti;
mentre se non assortiscono indipendentemente (sono associati) i parentali saranno di più.
Ma non è così semplice come sembra, anche perché la trasmissione genetica si basa su eventi di probabilità
e quindi possiamo trovare delle deviazioni dovute dal caso. Possiamo fare l’esempio del lancio della
moneta: se noi lanciamo una moneta 10 volte non è detto che mi esca 5 volte testa e 5 volte croce, ma può
essere anche 6-4 perché tutto dipende dal caso. Per questo motivo, il test del chi quadrato, si basa sui
numeri, sui dati effettivi e non su quelli che ci aspettiamo di avere.

Il test del chi quadrato parte da un’ipotesi che può avere delle previsioni precise:
- “A e B sono associati”: non possiamo avere nessuna previsione precisa
- “A e B non sono associati”: possiamo avere una previsione precisa, perché dobbiamo avere lo
stesso numero dei parentali e dei ricombinanti.
Quindi si parte da questa ipotesi per dimostrare se i geni sono associati: sei risultati differiscono molto dal
valore che ci aspettiamo, tanto da non poter dire che sia stato il caso, allora bisogna accettare che i geni
siano associati.

DA COSA SI PARTE? Bisogna contare il numero totale delle progenie (facciamo 50) e dividere le progenie in
due gruppi i parentali (31) e i ricombinanti (19). Diciamo che per far valere l’ipotesi “A e B non sono
associati” bisogna avere lo stesso numero dei ricombinanti e dei parentali (50/2 = 25).
A questo punto bisogna fare un’equazione che è uguale tra i parentali e i ricombinanti: si fa la differenza tra
il numero tot dei parentali – il numero dei parentali attesi e si eleva il numero al quadrato e il numero
ottenuto si divide per il valore atteso (31-25) al quadrato /25. Si fa lo stesso procedimento per i
ricombinanti e i numeri ottenuti si sommano e si ottiene il numero del chi quadrato.
Poi si consulta la tabella e si va a vedere il grado di libertà che è uguale al numero delle classi che stiamo
osservando – 1 (in questo caso due classi: 2-1 = 1) e il valore del chi quadrato ottenuto. Se il valore di p è
minore di 0,05 allora non possiamo dire che i geni A e B sono associati. Se è maggiore si.
Si è scelto il valore 0,05 arbitrariamente come il limite tra significatività e meno, ma in ogni caso più è basso
il valore di p, più si da la colpa al caso.
Un esperimento dipende molto spesso anche dalla grandezza del campione: più è grande il campione,
minore è la probabilità che la deviazione sia dovuta al caso.

È facile capire come i geni dello stesso cromosoma possano essere trasmessi insieme, ma non è facile
spiegare perché i geni associati mostrino sempre un certo livello di ricombinazione. Questo si spiega perché
la ricombinazione non è altro che il risultato di scambi reciproci tra cromosomi omologhi. I segni di questo
fenomeno sono i chiasmi che sono le regioni in cui i cromatidi non fratelli dei cromosomi omologhi si
legano per far avvenire il crossing-over, ovvero la ricombinazione.

Come avviene? I due omologhi di ciascuna coppia vengono duplicati in due cromatidi fratelli legati al
centromero (tetrade) e quindi avremo 4 cromatidi che si legano tra di loro attraverso il complesso
sinaptinemale. Avviene il crossing-over e poi questo complesso si dissolve e i cromatidi restano legati a
livello dei chiasmi. Questi chiasmi si muovono verso l’estremità dei cromosomi permettendo loro di
separarsi e creare 4 cellule aploidi contenenti un cromatidio ciascuno modificato.

Diciamo che la frequenza di ricombinazione fra coppie di geni dipende molto dalla loro distanza: visto che i
chiasmi possono crearsi in qualsiasi punto di un cromosoma, allora la probabilità che avvenga un crossing-
over tra due geni aumenta con l’aumentare della distanza tra di essi. Questa distanza tra i geni venne
indicata come FREQUENZA DI RICOMBINAZIONE (FR) e ha come unità di misura il centimorgan (cM) o unità
di mappa (u.m.).
L’associazione dei geni si ha quando la classe ricombinante è minore della classe parentale e quindi se si ha
una FR minore del 50% si tratta di due geni associati.
Si è visto che due geni che non sono associati daranno vita nella F2 lo stesso numero di classi parentali e
ricombinanti, ma questo può succedere anche con due geni che si trovano sullo stesso cromosoma e sono,
quindi, associati, ma che si trovano a grosse distanze. Quindi come si fa in questo caso? Bisogna trovare
uno o più geni intermedi tra i due geni che mostrano un associazione con entrambi i geni.

MAPPATURA
È importante capire come i genisti attribuiscono i geni a una posizione specifica sul cromosoma. Questa
posizione cromosomica è definita come LOCUS che è lo stesso in tutti gli individui della stessa specie. Il
metodo per determinare la posizione di un locus è detto MAPPATURA. Le mappe sono molto utili per avere
una rappresentazione della posizione di un oggetto nello spazio.

Nella mappatura genica si fa coincidere la distanza in centiMorgan con la percentuale di ricombinazione (1


cM = 1% di ricombinazione). Quindi la percentuale di ricombinazione può essere utilizzata per individuare le
posizioni relative dei geni all’interno dei cromosomi.
Così se il gene A e B presentano una frequenza del 5% (= 5 cM), il gene B e C del 3% (= 3 cM) ed il gene A e C
dell’8% (= 8 cM), è evidente che il gene B si trova al centro tra A e C.

Le scoperte sull’assortimento indipendente le dobbiamo alla drosophila e a Morgan e ai suoi studenti.


Morgan diceva: se ci sono più geni sullo stesso cromosoma, come vengono ereditati?
Lui partì da delle linee pure (occhio porpora e ali piccole) e nella F1 vide, come aveva detto anche Mendel,
che tutta la progenia era dominante. Questi individui erano un diibrido che fanno 4 gameti. Se io reincrocio
il diibrido ottengo 4 classi fenotipiche che dovrebbero essere in un rapporto pari a 1:1:1:1 (visto che i geni
sono indipendenti), ma in realtà Morgan osservò altro. Morgan ottenne delle classi parentali (ovvero uguali
ai genitori) e delle classi ricombinanti (ovvero individui nati dal mescolamento dei caratteri parentali). E
capì che i geni non erano sempre indipendente e che i gameti non avevano la stessa probabilità di formarsi,
ma si formavano più facilmente i parentali. Questo perché se i geni sono sullo stesso cromosoma, tendono
ad andare più facilmente insieme nei gameti e quindi sono meno probabili i ricombinanti.

I ricombinanti dipendono, ovviamente, dalla distanza dei geni: più sono vicini e più è facile che i geni
vengano ereditati insieme, più sono lontani e più è facile che gli eventi di ricombinazione li separino.
Questa cosa venne capita da Sturtevant, uno studente di Morgan, che notò che non era importante la
disposizione degli alleli (cis o trans), ma la FR dipendeva solo dalla distanza tra due geni. Infatti, noi, grazie
alla meiosi, sappiamo che avviene il crossing-over che permette al materiale genetico di ricombinarsi.

Secondo Sturtevant i geni sono disposti in modo lineare lungo il cromosoma ed è quindi possibile che se
sono più vicini, il crossing-over avvenga meno probabilmente e che, man mano che ci allontaniamo,
aumenta la probabilità. Quindi ci fece capire che: la FR può essere usata come stima per vedere quanto
siano lontani i geni tra di loro e sviluppò il concetto di MAPPA GENETICA che serviva, appunto, per stabilire
la posizione dei geni sui cromosomi.

Possiamo fare un esempio:


Facciamo un incrocio tra un diibrido (AaBb) per un
individuo tutto recessivo aabb (reincrocio).
Per determinare la distanza tra i geni dobbiamo trovare
le classi parentali che sono quelle più abbondanti: AB e
ab. Le altre classi sono i ricombinanti: Ab e aB.
In questo caso si dice che ci troviamo in una
DISPOSIZIONE CIS perché i parentali sono tutti e due
omozigoti (altrimenti sarebbe trans).

Ora bisogna calcolare il totale: 49+6+4+41= 100.


Sommare i parentali e dividerli per il totale e moltiplicare per 100 (49+41/100 x 100 = 90%). Bisogna fare la
differenza (100% - 90% = 10%) che sarebbe la frequenza dei ricombinanti. 10% = 10 cM. Quindi AB distano
10 cM.

Quindi se in un esercizio c’è scritto “quali sono i geni più associati se AB= 10 cM e CD= 20 cM?” Ovviamente
AB perché sono più vicini.

Lezione n14 – CAPITOLO 15


Quindi, qual è l’operazione che devo fare per vedere l’associazione di due geni? Devo fare un reincrocio con
un diibrido e vedremo che ci sarà una disparità tra le classi (+ parentali – ricombinanti). Se questi geni non
si trovano su un cromosoma autosomico, ma sessuale basta guardare i maschi.

Sturtevant capì che la frequenza dei ricombinanti era costante per due geni, non dipendeva dalla
disposizione degli alleli (cis o trans), ma dipendeva dai geni che si consideravano perché erano posti in
maniera lineare lungo il cromosoma ed era quindi possibile misurarne la distanza andando a considerare la
frequenza con cui comparivano i ricombinanti nelle progenie.

Diciamo che la mappa come l’abbiamo fatta prima è molto imprecisa perché non sappiamo se dobbiamo
mettere prima A o prima B. Per questo, bisogna fare sempre una mappatura di tra geni, di un triibrido:
Ovviamente in un triibrido possono avvenire scambi tra i primi due geni, tra gli ultimi due o tra il primo e il
secondo e più aumenta la distanza tra i geni più aumenta la possibilità di crossing-over.
Molto spesso i geni, in un esercizio, non sono disposti in ordine e, quindi, bisogna ordinarli e capire qual è il
gene che sta al centro. Come si fa? Bisogna confrontare le classi dei parentali con quelle dei doppi
ricombinanti, vedere qual è il gene che cambia posizione nei doppi ricombinanti rispetto ai parentali e
quello che cambia è proprio il gene che sta al centro.

I parentali sono quelli con il numero maggiore (verde) e sono in trans (eterozigoti), i
doppi ricombinanti sono quelli con i numeri minori (blu). Il gene che cambia posizione è
la E e quindi capiamo che la E sta al centro.
Ora che so che sta al centro, devo capire chi sono i ricombinanti in prima o seconda
regione. Come si fa? Se questa è la disposizione:

Riusciamo a capire subito quali sono i ricombinanti in prima e in seconda regione:


- In prima regione avviene questo scambio:

- In seconda regione avviene questo scambio:

- I doppi ricombinanti invece sono così:

questi vengono fuori da due scambi e quindi sono molto più rari e per questo hanno una FR bassa.

Per calcolare la distanza tra A e E devo calcolare tutte le classi in cui A ed E sono in una configurazione non
parentale (Ae e aE). Quindi faccio la stoppa 87+93+9+11 fratto il totale (1000) e viene 20 cM. A – E = 20 cM.

Ora, per calcolare la distanza tra E e B devo calcolare tutte le classi in cui E e B non sono in una
configurazione parentale (Eb e eB). Quindi faccio la somma 9+11+39+41 fratto il totale (1000) e fa 10 cM.
E – B = 10 cM

La distanza tra A e B è 10+20 = 30 cM ma si può calcolare anche facendo la somma 87+93+39+41+20+20


fratto il totale (1000) e fa 30 cM.
Si sommano due volte i doppi ricombinanti perché sono avvenuti due scambi tra A e B.

Spesso, può capitarvi un compito fatto al contrario: io ho già la mappa e so che A-B= 10 cM e B-D=30 cM e
voglio sapere quanti individui ci sono in ogni ricombinazione.
Quindi noi sappiamo che B e D sono più distanti rispetto ad A e B.

Per calcolarci i ricombinanti in prima regione devo fare la moltiplicazione tra la frequenza con cui avviene
uno scambio in prima regione (10%) e la frequenza con cui non avviene uno scambio in seconda regione
(70%) e quindi fa 0,07 e quindi 7 individui ricombinanti in prima regione.

Per la seconda regione devo fare un non scambio in prima regione (90%) e uno scambio nella seconda
regione e quindi (30%) e fa 0,27 e quindi 27 individui ricombinanti in seconda regione.

I doppi ricombinanti si calcola facendo la moltiplicazione tra due scambi quindi 10% per 30% che fa 3
individui doppi ricombinanti.

Lezione n15 – CAPITOLO 5


Quindi, due geni si dicono associati quando non assortiscono in modo indipendente. Questo si può notare
facendo un reiconcrocio e vedendo che individui diibridi non danno rapporti equi probabili tra i diversi
gameti (non danno 1:1:1:1), se si tratta di triibrido non avremo 8 classi fenotipiche equi probabili.

Diciamo che la condizione “due geni sono associati se sono sullo stesso cromosoma” è una condizione
necessaria ma non sufficiente, perché ci sono geni che sono molto grandi e quindi ci sono geni che, anche
se sono sullo stesso cromosoma, visto che sono troppo lontani, si comportano come se non fossero
associati e quindi in modo indipendente l’uno dall’altro.

Possono avvenire anche dei cambiamenti, ovvero il numero dei doppi ricombinanti che osservo non
corrisponde al numero dei doppi ricombinanti che mi aspetto e che sia più basso. Questo fenomeno viene
chiamato INTERFERENZA, c’è qualcosa che interferisce. Questo nasce dal fatto che il crossing-over è
mediato da diversi enzimi e può succedere che se due geni sono abbastanza vicini, un crossing-over in una
regione impedisce che avvenga in un’altra regione.
Se io ho due geni molto vicini, l’interferenza è molto alta perché se avviene un crossing-over non avviene
un altro, man mano che si allontanano l’interferenza diminuisce e la probabilità di crossing-over aumenta.

È facile calcolare l’interferenza, è uguale a: 1 – il coefficiente di coincidenza che è il numero dei doppi
ricombinanti osservati fratto quelli attesi.

Quindi l’interferenza altera la frequenza di ricombinazione, ma abbiamo anche:


- LE REGIONI ETEROCROMATICHE
Noi sappiamo che nel cromosoma ci sono delle regioni eucromatiche e regioni eterocromatiche.
Questo perché il DNA è associato a delle proteine e formano la cromatina che può essere più scura
e compatta (eterocromatina) o meno (eucromatina). L’eterocromatina ha geni che sono inattivi.

- LE ABERRAZIONI CROMOSOMICHE
Sono delle mutazioni cromosomiche, delle alterazioni della struttura dei cromosomi che causano,
quindi, errori durante il crossing-over. Se io ho un’inserzione nel cromosoma di un individuo vado a
fare in quell’individuo la mappatura, non mi trovo con gli altri ma in realtà è perché ha avuto un
cambiamento, una delezione, un’inserzione cromosomica ecc.
- la costituzione genetica
nei maschi di drosophila, per la loro costituzione genetica, non avviene il crossing-over. Ma la loro
variabilità è dovuta all’assortimento indipendente.
C’è un signore che si chiama Haldane che era un matematico e ha fatto delle analisi sui funghi e ha creato
un grafico che mostra la relazione tra la distanza di mappa e la frequenza di ricombinazione. Da questo
grafico è possibile vedere che c’è una relazione lineare, una proporzionalità diretta. Questo vuol dire che
per piccole distanze mi posso fidare di fare la mappatura ed essere relativamente certa che quella
frequenza di ricombinanti sia quella della distanza tra i geni.
Questo significa che quando io allontano i due punti che devo calcolare, la curva si abbocca e non è più una
retta questo perché aumentano i crossing over. Quindi per mappare i geni lontani devo usare distanze di
massimo 10-20 cM.

Arrivati intorno a 50 cM, più o meno il 50% dei ricombinanti ci si ferma, c’è un asintoto, è il massimo che
posso raggiungere

CAPITOLO 7 – LEZIONE N17


Ogni allele che ha una frequenza maggiore dell’1% in una popolazione è definito selvatico, mostra il
fenotipo più comune nella popolazione. Tutti gli altri sono definiti “mutanti” e nascono da delle mutazioni:
- MUTAZIONI IN AVANTI o MUTAZIONE FORWARD
È una mutazione che cambia l’allele selvatico di un gene in un allele differente che può essere
dominante o recessivo rispetto all’allele iniziale

- MUTAZIONI INVERSE o REVERSIBILE o MUTAZIONE REVERSE


È una mutazione che porta l’allele mutante nell’ allele selvatico originale

Le mutazioni possono anche essere classificate in base al loro effetto sul DNA:
- SOSTITUZIONE
Quando una base, in una certa posizione del filamento del DNA, viene sostituita da una delle altre
tre basi. Le sostituzioni possono essere suddivise in: TRANSIZIONE (una purina prende il posto di
un’altra purina o una pirimidina con un’altra pirimidina) e TRASVERSIONI (una purina si converte in
pirimidina o viceversa).

- DELEZIONE
Quando una molecola di DNA perde un pezzo formato da una o più coppie di nucleotidi

- INSERZIONE
Quando ad una molecola di DNA viene aggiunto un pezzo formato da una o più coppie di nucleotidi

- INVERSIONI
Avvengono delle rotazioni di 180 gradi di un segmento di una molecola di DNA

- TRASLOCAZIONI RECIPROCHE
Parti di due cromosomi non omologhi si scambiano tra di loro

Tutte queste mutazioni causano cambiamenti che sono alla base dell’evoluzione, quindi non per forza sono
“negative”. Se ho un gene, esso può mutare in qualsiasi punto; la frequenza con cui avvengono cambia da
organismo a organismo (i batteri o fagi ogni 10 alla -8 per nucleotide; negli eucaristici da 10 alla meno 7 a
meno 9). Però le mutazioni che modificano totalmente le funzioni geniche avvengono molto raramente. Le
mutazioni in avanti hanno una frequenza maggiore rispetto alle mutazioni inverse questo perché è molto
più probabile che ci siano modi per distruggere la funzione di un gene rispetto ai modi per ripristinare la sua
funzione una volta che è stata danneggiata. Anche perché la “retromutazione” deve avvenire in un preciso
punto, mentre la mutazione in avanti può avvenire in qualsiasi punto.
Esistono dei processi naturali che possono cambiare le informazioni contenute nel DNA:
• LA DEPURINAZIONE
Consiste nell’idrolisi, nell’eliminazione di una purina (A o G) dal filamento del DNA. La replicazione
riesce ad avvenire perché la DNA polimerasi aggiunge una base qualsiasi al posto di quella
mancante e quindi determina una mutazione nel filamento sintetizzato.

• LA DEAMINAZIONE
Porta alla rimozione di un grumo amminico -NH2 e questo trasforma la citosina nell’uracile (RNA)

• RAGGI X, RADIAZIONI ULTRAVIOLETTE ECC.


• L’INSTABILITÀ DI ALCUNE RIPETIZIONI DI TRE NUCLEOTIDI o UN CROSSING-OVER INEGUALE
(avviene tra due regioni vicine che contengono una sequenza di basi simili).
• ERRORI DURANTE LA REPLICAZIONE DEL DNA: si incorpora la base sbagliata.

Per fortuna esistono dei macchinari di replicazione che permettono la riparazione dell’ appaiamento
difettoso. Le cellule hanno evoluto una varietà di sistemi enzimatici per individuare e riparare il DNA
danneggiato, diminuendo l’elevato numero di mutazioni possibili. Alcuni enzimi possono eliminare
direttamente alcune alterazioni delle basi.

COSA CI DICONO LE MUTAZIONI SULLA STRUTTURA GENICA


Quando due cromosomi omologhi di un individuo contengono ognuno una mutazione recessiva rispetto al
fenotipo selvatico, se le due mutazioni sono in geni diversi si manifesterà un fenotipo normale. Gli alleli
dominanti di ognuno dei due omologhi compensa, o complementa, il difetto sull’altro cromosoma
generando un fenotipo selvatico normale.
Al contrario, se le mutazioni recessive sono sullo stesso gene, non esistono alleli selvatici di quel gene e
quindi non avviene la complementazione. Un insieme di mutanti che non complementa o sono definiti
“gruppo di complementazione”.

Grazie ad un semplice test si può capire se due mutazioni sono nello stesso geno o in geni diversi. Questo
test viene chiamato test di complementazione o test cis-trans e chiarisce se due mutanti con lo stesso
fenotipo hanno mutazioni nello stesso gene o in geni diversi.
Nonostante questo test permetta di distinguere le mutazioni sullo stesso gene o su geni differenti, non
spiega come la struttura di un gene può ospitare diverse mutazioni e come agiscono: cambiano totalmente
il gene o solo una parte del gene?

Benzer cercò di dimostrare che quando due mutazioni non complementano tra loro (sono sullo stesso
gene) alterano regioni diverse. Egli partì dall’idea che la ricombinazione potesse avvenire anche all’interno
del gene e che quindi era possibile ripristinare l’allele selvatico.

Come organismo utilizzò il fago T4, un virus a DNA che infetta E. Coli. Come sappiamo, il fago T4 ha bisogno
di un batterio d’ospite per poter vivere e quindi bisogna mescolare una popolazione di fagi con un gran
numero di batteri e poi piastrarli su di una piastra petri, dove le cellule vengono immobilizzate su agar.
Quando un fago T4 infetta un batterio, la cellula batterica produce e rilascia tanta progenie virali che a loro
volta andranno ad infettare i batteri adiacenti che rilasceranno altri fagi (ciclo litico). Quindi si creerà una
placca priva di cellule batteriche vive.

Trovò dei mutanti rII che si distinguevano dal selvatico sia perché formavano delle placche più ampie sia
perché non riuscivano a crescere su ceppo non permissivo K12. Benzer, capì che questo difetto di crescita
dei mutanti rII potesse essere utilizzato come metodo selettivo per scoprire mutazioni rare in rII.

Facendo degli incroci tra mutazioni rII diverse scoprì che uscivano due classi parentali e due classi
ricombinanti (un doppio mutante e il selvatico r+). Come fece? Piastrò un campione di progenie fagica su
ceppo permissivo e calcolò il numero di particelle fagiche per millimetro; piastrò poi un altro campione
della progenie su ceppo non permissivo e riuscì a vedere che c’erano questi selvatici r+.
E quindi capì che come da un selvatico può avere origine per mutazione un mutante, così un mutante per
mutazione può dare origine ad un selvatico r+ (revertente). Con questo è riuscito a dimostrare che la
ricombinazione genetica può avvenire all’interno di una distanza minima e quindi all’interno del gene
stesso.

Il gene era poi visto come un’unità di funzione, ovvero ogni gene specificava una funzione. Benzer fece
degli esperimenti per determinare se questa visione classica fosse vera per i fagi T4 rII. Per capire se due
mutanti diversi rII appartenevano allo stesso gene utilizzò il test di complementazione e vide che la regione
rII è formata da due regioni diverse rIIA e rIIB e ogni regione specifica per un prodotto differente.
Questa cosa venne scoperta perché infettò un ceppo non permissivo K12 con due mutanti rII per vedere se
erano capaci di collaborare e creare una progenie fagica su ceppo non permissivo. Se i fagi producevano
progenie, si dice che le due mutazioni complementavano e quindi erano su due geni diversi che codificano
diversi prodotti funzionali; se non producono progenie allora sono sullo stesso gene e non complementano.
Ma i risultati portarono ad una progenie fagica su K12 e che quindi erano su geni diversi.
Ovviamente fece un infezione mista ad alta molteplicità di infezione in modo che entrassero più fagi nello
stesso batterio.

MAPPATURA IN UN BATTERIOFAGO
Il batteriofago ha un problema è aploide e quindi per fare la mappatura devo creare una condizione
temporanea di diploidia.
Se per crescere un fago devo infettare un batterio, io posso prendere due fagi ed infettare lo stesso
batterio e quindi creare una condizione di diploidia temporanea. All’interno della cellula batterica ci sarà il
materiale genetico di entrambi i fagi che potrà andare incontro a ricombinazioni e, una volta che la cellula
batterica scoppia i fagi vengono emessi all’esterno e potranno essere studiati. Questo tipo di mappatura
viene chiamata MAPPATURA INTERGENICA.

Prima di Benzer si pensava che i geni fossero un’unità di funzione, di ricombinazione e di mutazione.
- di ricombinazione: si pensava che la ricombinazione potesse avvenire solo tra geni su cromosomi diversi.
Ma grazie a Benzer abbiamo capito che può avvenire anche all’interno di un gene stesso (test di
complementazione)
- Di mutazione: se ho un gene w che muta, muterà tutto il gene o solo una parte di esso? Grazie a Benzer si
è capito che mutava solo una singola regione e non tutto il gene
- Di funzione: per dare quel fenotipo devo avere quel gene e basta. Ma non è così.

Quindi Benzer capì che:


1. Un gene consiste di differenti parti ognuna delle quali può mutare
2. La ricombinazione tra i diversi siti mutabili può realizzare un allele selvatico

PUNTI CALDI: alcuni siti all’interno di un gene mutano spontaneamente più spesso di altri e di conseguenza
sono conosciuti come punti caldi (hot spot). L’esistenza dei punti caldi ci fa capire che certi nucleotidi
possono mutare più rapidamente di altri.

LEZIONE N16 – CAPITOLO 14


Abbiamo tre linee evolutive: i batteri, gli eucariotici e gli archeobatteri.
I batteri e gli archeobatteri sono così simili che, spesso, è difficile distinguerli. Essi vengono definiti come
“procarioti”, ovvero organismi a cui manca l’involucro nucleare, non hanno membrane interne.
Gli archeobatteri vivono in condizioni estreme: ambienti salati, ambienti senza o con ossigeno, a pH
estremi, a temperature assurde.
I batteri sono essenziali per il mantenimento dell’ambiente: rilasciano ossigeno nell’atmosfera, riciclano
carbonio e altri elementi, digeriscono rifiuti umani o di altri animali che, altrimenti, inquinerebbero il
mondo.
I batteri, però, causano anche tantissime malattie ad animali e piante, ma le specie dannose sono di meno
rispetto ai batteri che, invece, producono vitamine e altri materiali essenziali per la sopravvivenza
dell’uomo e di altri organismi

I batteri sono gli organismi più numerosi sulla Terra: un uomo adulto porta con sé almeno 100 g di batteri
vivi. I batteri hanno una vasta varietà di dimensioni e stili di vita (vanno dai 200 nanometri a 10 alla meno 6
m; vivono autonomamente sul terreno, galleggiano sull’acqua, vivono come parassiti ecc).

Anche se si presentano con una grande varietà di forme e dimensioni, tutti hanno molte caratteristiche in
comune: non hanno una membrana nucleare o membrane interne; hanno il cromosoma circolare (sono
aploidi perché hanno una sola copia di DNA); sono formati da una struttura membranosa conosciuta come
“mesosoma”; hanno anche una capsula che aiuta le cellule a resistere all’attacco del sistema immune…
La cellula batterica è grande 5-10 micron

Dobbiamo parlare dei batteri come strumento di laboratorio. La specie di batterio più studiata è Escherichia
coli, un comune parassito dell’intestino. Questo batterio viene definito PATOBIONTE, cioè è un batterio che
può diventare patogeno. Normalmente non ci dona particolari vantaggi, ma di per sé non è patogeno
(come lo è la salmonella), ma, in determinate condizioni, può virulentarsi, cioè può aumentare di numero e
dare problemi.
Ma, nonostante questo, in laboratorio non è particolarmente pericoloso a meno che non abbiamo dei graffi
(visto che il sangue è un ottimo fattore di crescita per i batteri) e quindi potrebbero infettarsi e portare
problemi. Gli Escherichia coli sono prototrofi, ovvero riescono a crescere su un terreno minimo. Quindi
sono “nostri amici” e li cresciamo tranquillamente in laboratorio in terreni liquidi o solidificati con l’agar.

Nei terreni liquidi le specie batteriche (soprattutto E. Coli) crescono fino a concentrazioni molto alte al
giorno; questo succede anche nei terreni solidificati con l’agar, ma crescono un po’ più lentamente.
Nascono, quindi, delle colonie ben visibili che sono formate da discendenti geneticamente identici alla
cellula batterica iniziale. Infatti, “colonia” significa “clone”, una stessa cellula si divide in due, in quattro ecc.
Le cellule sono tutte uguali a quella originaria perché i batteri si dividono per scissione binaria, ovvero
mitosi che produce cellule identiche alla cellula originaria.
Proprio questa capacità di crescere così velocemente ha reso i batteri adatti agli studi genetici.

L’agar è una sostanza gelatinosa: è acquosa perché la vita ha bisogno di acqua (se fosse secca i batteri
crescerebbero male), ma è semisolida.
Queste piastre di coltura dove vengono cresciuti i batteri contengono dei nutrienti, delle fonti di carbonio,
zuccheri vari, Sali minerali e acqua.

Si esaminano le colonie cellulari che si formano sulle piastre di Petri perché i batteri sono molto piccoli.
Sulle piastre di Petri è possibile trovare diverse mutazioni: quelle che colpiscono la morfologia della colonia
(grande o piccola); mutazioni che conferiscono resistenza agli antibiotici; mutazioni che rendono i batteri
auxotrofi incapaci di crescere su terreno minimo ecc.

Attraverso le mutazioni, i ricercatori, riescono a fare una chiara selezione di quello che cercano attraverso
diverse tecniche: piastramento; trattamenti con mutageni…
E. Coli sono prototrofi, riescono a vivere su un terreno minimo e riescono anche a riprodursi raddoppiano il
loro numero ogni 20 minuti. Questa rapidità consente di ottenere un enorme numero di cellule in
pochissimo tempo. Questo permette anche di poter esaminare eventi genetici rari: le cellule di E. Coli sono
sensibili agli antibiotici, quindi, se seminiamo migliaia di queste cellule in un terreno contenente antibiotico
sarà possibile isolare mutanti resistenti a tale antibiotico.
IL GENOTIPO DEI BATTERI
Bisogna saper studiare il fenotipo e il genotipo dei batteri. Quali sono i fenotipi che posso guardare in un
batterio? Le forme. I fenotipi più comuni che posso trovare sono:
- Le resistenze agli antibiotici
- I fenotipi nutrizionali: i batteri sono incapaci di crescere su terreni non completi, a causa di alcune
mutazioni. “Terreni non completi” (anche definito terreno minimo) indica un terreno che non ha tutti i
nutrienti necessari per la crescita di quel batterio. Se, per esempio, elimino l’arginina da un terreno, ci
potrebbero essere batteri che non crescono perché magari (vengono definiti Arg-) hanno avuto una
mutazione nel gene che produce l’Argenina e non riescono a produrselo da soli. Può succedere anche che
abbia bisogno che ci siano due cose, per esempio, arginina e metionina e quindi sarà definito “doppio
mutante” (Arg- e mett-).

Un individuo che è capace di crescere su un terreno


minimo viene definito PROTOTROFO; un individuo che
non è capace di crescere su un terreno minimo viene
definito AUXOTROFO e significa che ha delle mutazioni
nei geni e che quindi non riesce a procurarsi da solo delle
cose e ha il bisogno che ci siano nel terreno.

BATTERIOFAGI
I batteri sono un mezzo fondamentale per studiare i batteriofagi, anche definiti fagi (il virus che infetta i
batteri). Tutto quello che i ricercatori hanno scoperto sull’organizzazione, l’espressione, la regolazione dei
geni è stato grazie agli studi sui batteri e, quindi, sui batteriofagi.

Il batteriofago è un virus. I virus sfuggono dalla definizione di organismi perché è un parassita obbligato,
senza un’altra cellula non può vivere. Essi sono formati da un capside, una struttura esterna, che è formata
da proteine.

Nei fagi c’è il riconoscimento di ricettori sulla superficie batterica. Questo viene definito “specificità
d’ospite” (per esempio il virus dell’epatite C infetta soprattutto gli epatociti). Quindi i batteri, i fagi, hanno
una preferenza per un’ospite piuttosto che per un altro. Questo è sempre vero con i virus: esiste si le difese
immunitarie, la predisposizione individuale, ma esiste anche il discorso di specificità d’ospite che è legata
alla specificità del recettore.

I batteriofagi sono sempre a DNA, non esistono virus a RNA. Il DNA viene generalmente iniettato all’interno
e la particella del fago resta vuota all’esterno della cellula.

Il ciclo vitale di un virus si chiama CICLO LITICO. Abbiamo una cellula batterica che contiene un cromosoma
circolare e un fago che è pronto ad infettarla. Nel momento in cui il fago si unisce alla cellula batterica
avviene il riconoscimento specifico dell’ospite e, il fago, inietta il materiale genetico all’interno. Questo ciclo
porta all’inattivazione della cellula batterica e inizia a diventare una fabbrica di fagi. Questo perché quando
il fago inietta il DNA in una cellula batterica, il DNA del fago sfrutta il macchinario della cellula ospite per
produrre le proteine del fago (la sua testa, la sua coda, la piastra basale ecc) che si assemblano tra di loro e
si formano i virus e si arriva ad una condizione chiamata “volume di scoppio”, cioè la cellula scoppia (lisa) e
vengono immessi all’esterno i fagi formati.
Dopo la lisi della cellula batterica, i fagi possono attaccare ed iniettare il DNA che trasportano in altre cellule
batteriche, trasferendo, quindi, geni dal primo ceppo al secondo. Il secondo ceppo non andrà incontro ad
una lisi perché il fago non ha i geni del fago necessari a dare inizio al ciclo litico.

Alcuni tipi di batteri seguono un altro ciclo: il CICLO LISOGENICO. Durante questo ciclo il DNA del fago di
integra nel genoma dell’ospite e si moltiplicano con esso, risultando meno nocivo.

COME FACCIO A CRESCERE UN FAGO IN LABORATORIO?

Ho bisogno di batteri perché essendo un virus può vivere soltanto


come parassite di un ospite. Si prende una certa aliquota di fagi,
una certa aliquota di batteri e si mescolano insieme in una
struttura chiamata “top agar”. Si fa venire prima l’infezione e poi si
riversa tutto sulla piastra.
Questo perché nel momento in cui un fago entra in una cellula, si
moltiplica e, se ho tutto in una piastra, posso vedere una patina
sulla piastra con chiazze vuote, dei buchi che si chiamano “placche
di lisi” e questo è il modo per contare, osservare i fagi.

DILUZIONI SERIALI sono un modo efficace per contare i fagi o i


batteri. Quindi prendo una coltura di fagi o di batteri e devo
diluirla tante volte così da evitare degli errori.

I batteri hanno un problema legato alla variabilità. Gli organismi superiori hanno inventato la riproduzione
sessuale sia per divertimento sia per dar vita a tanta variabilità attraverso l’assortimento indipendente e la
ricombinazione dei cromosomi.
Gli organismi, come i batteri, che vanno incontro ad una riproduzione asessuale. Usano la mitosi anche se la
sua definizione è che produce due cellule uguali sia tra di loro che alla cellula madre, per fortuna, non è
sempre così, grazie a delle mutazioni che non vengono corrette e che vengono poi ereditate. Quindi, i
batteri, per variare, hanno bisogno di queste mutazioni.

I PLASMIDI
Sul grande cromosoma circolare batterico sono posizionati i geni essenziali. Alcuni batteri sono formati da
geni non necessari alla crescita che sono posizionati su molecole circolari più piccole di DNA a doppio
filamento. Queste molecole sono chiamate plasmidi. Essi si trovano solo in alcuni batteri.
I plasmidi portano geni non utili per la crescita e la riproduzione batterica, ma che possono essere utili per
la cellula ospite (possono proteggerla dai metalli tossici) o possono codificare la resistenza agli antibiotici.

Attraverso i plasmidi può avvenire il trasferimento di DNA da un batterio all’altro. I plasmidi, infatti,
possono essere trasferiti anche tra specie diverse perché creano un contatto con un altro batterio. Questo
trasferimento è definito “trasferimento genico orizzontale” perché non sono trasferiti da una generazione
all’altra, ma provengono da specie differenti o da individui che non condividono nulla.

Ma come fanno i batteri a cambiare? Esistono tre meccanismi per il TRASFERIMENTO GENICO:
1. TRASFORMAZIONE
Questo è un processo che avviene anche in natura: quando un batterio muore rilascia il suo DNA
all’esterno e qualche altra specie se lo prende con sé.
Il DNA viene rilasciato da un batterio “donatore” nel terreno e viene assunto da un batterio
“ricevente”. Questo DNA può andare incontro a delle ricombinazioni con il materiale genetico
dell’ospite e quindi si può arricchire.

Anche se esiste in natura, può essere fatta anche artificialmente includendo, però, trattamenti che
danneggiano la parete cellulare e le membrane dei batteri riceventi per poter far entrare il DNA del
donatore nella cellula ricevente.

MAPPATURA x TRASFORMAZIONE: visto che il DNA donatore entra nella cellula ricevente, se questo ha
regione che possono ricombinare, si crea una condizione di diploidia temporanea e posso calcolare la
frequenza di trasformazione o di co-trasformazione (più geni). Se le frequenze sono molto vicine allora i
geni erano vicini.

2. CONIUGAZIONE
Il donatore porta un plasmide speciale che gli permette di entrare in contatto con il ricevente e di
trasferire il DNA. Il DNA viene trasferito attraverso un ponte, chiamato pilo sessuale, che permette
il passaggio di plasmidi. Questi plasmidi sono chiamati F.
Una cellula che contiene questi plasmidi viene chiamata F+ e sarà la cellula donatrice che li passerà
ad una cellula senza questi plasmidi che verrà chiamata F-.

Attraverso degli esperimenti si notò che il donatore era maschio e il ricevente era femmina, in
quando il plasmide F codifica proteine per la formazione dei pili sessuali. Non appena avveniva il
contatto tra il maschio e la femmina, attraverso questi pili, si innescava il trasporto di DNA.
Quando il plasmide F entra nella cellula ricevente, può succedere che avvenga un crossing-over e
quindi si integra al cromosoma batterico. Questo tipo viene chiamato Hfr dove il plasmide F non è
più un plasmide ma un cromosoma batterico più grande. Quando succede questo e due cellule
vengono in contatto, i pili sessuali, essendo molto labili, non stanno ad aspettare che tutto il
cromosoma batterico + plasmide F passino e quindi si rompe il collegamento
e passa solo una parte del cromosoma, il plasmide F.

CONTATTO FISICO CELLULA-CELLULA


Ci fu un esperimento di Davis che dimostrò, attraverso un tubo ad U, che per
avere la coniugazione era necessario il contatto fisico tra le cellule. In questo
esperimento i due ceppi erano separati da un filtro che permetteva il
passaggio di tutto ma non il contatto fisico tra di loro e questa cosa impedì la
coniugazione, il trasferimento genico tra i due ceppi non avvenne.

MAPPATURA x CONIUGAZIONE
È un concetto diverso rispetto alla trasformazione alla trasduzione che sono simili. Qui non si parla di
frequenza di ricombinazione, ma si crea una mappa in funzione del tempo. Quanto tempo ci mette X ad
essere trasferito. Si dice che B dista un minuto da A ecc.
Abbiamo detto che quando avviene il crossing over tra plasmide e cromosoma batterico si crea un unico
cerchio più grande chiamato Hfr e succede che quando avviene il contatto con un’altra cellula si
trasferiscono anche pezzi di cromosoma (non tutto perché il ponte si rompe).

3. TRASDUZIONE
Si usano i batteriofagi come vettori: il fago entra dentro la cellula donatrice; il fago impacchetta il
DNA del batterio e, dopo la lisi, infetta un altro batterio ricevente che riceve il DNA batterico
precedente con un’altra infezione fagica.

MAPPATURA x TRASDUZIONE
Abbiamo lo stesso concetto della trasformazione, anche se non sembra perché abbiamo un vettore, ovvero
il fago. Anziché avere il DNA nudo abbiamo una capside virale, ma il concetto è uguale. Bisogna calcolare la
frequenza di ricombinazione di trasduzione e di co-trasduzione e vedere se sono lontani o vicini.

Tutti e tre i meccanismi si basano su una cellula donatrice che fornisce il materiale genetico da trasferire e
una cellula ricevente che riceve il materiale. Quindi il trasferimento è sempre unidirezionale e il ricevente
riceve sempre il 3% in meno del DNA del donatore.

I riceventi sono conosciuti come TRASFORMANTI, EX-CONIUGANTI o TRADUTTANTI in base a quale


meccanismo è stato usato.

Lenderberg e Tatum scoprirono che per far avvenire il trasferimento genico avevamo bisogno di far toccare
i due ceppi. Infatti, notarono che mescolando insieme due ceppi auxotrofi, diventavano prototrofi perché
avevano due mutazioni su due geni diversi che si complementavano.

COMPETENZA: significa che un batterio è pronto ad accogliere DNA esogeno. Alcuni batteri si definiscono
naturalmente competenti (o competenti fisiologici) altri (E.Coli) bisogna renderli competenti (competenti
artificiali).
Lezione n18
RITORNIAMO ALLE MUTAZIONI
Le mutazioni sono delle alterazioni della sequenza di basi del DNA. Se una mutazione avviene a livello
germinale parliamo di mutazioni germinali e sono quelle che compaiono negli alberi genealogici e sono
mutazioni legate ai gameti o, molto raramente, ai zigoti stessi e quindi tutte le cellule di quell’individuo
hanno la malattia.
Esistono, però, anche mutazioni di tipo somatico che colpiscono solo le cellule del soma (corpo) e non sono
ereditabili.
Anche se sono adulto posso avere delle mutazioni: il cancro è una di queste colpisce una parte del corpo e
si parla di malattia genetica anche se non per forza è trasmissibile ma solo perché coinvolge il DNA che
produce cellule che sono mutate.
Questo concetto di mutazione somatica può essere anche più esteso, può essere legato a qualche
mutazione che avviene a livello embrionale (cioè quando l’embrione ha solo 6-8 ma anche 1000 cellule) a
questo punto, però, le mutazioni vengono chiamate “clonate”, cioè si fissano e tutte le cellule dell’
embrione mostreranno punti del corpo mutati. Più precocemente avviene una mutazione somatica, tanto
più interesserà diverse parti del corpo.

La diretta conseguenza di mutazioni somatiche è il mosaicismo genetico (già sentito con l’inattivazione del
cromosoma X), ovvero alcune cellule possono avere la mutazioni, altre no e sono sparpagliate nel corpo.

Le mutazioni sono spontanee, ovviamente possono essere “agevolate” da cibo spazzatura, da fumo e altre
cose che aumentano la frequenza di mutazione. Ma comunque già la replicazione di per sé sbaglia, durante
la mitosi o la meiosi avvengono tanti errori di non-disgiunzione.

Le mutazioni possono essere semplici (quelle puntiforme) o complesse (riguardano il numero di cromosomi
– variazioni di ploidia – errori durante la meiosi e le aneuploidie).
Le mutazioni possono essere spontanee o indotte, in generale quelle indotte (da agenti chimici o fisici)
aumentano la frequenza delle mutazioni spontanee.

Luria e Delbruck fecero un test chiamato TEST DI FLUTTUAZIONE che dimostrava la natura delle mutazioni.
Iniziarono da qualcosa diciamo “filosofico” se ci pensiamo, ovvero che l’ambiente induce a delle mutazioni
(collo corto-foglie alte) e Luria e Delbruck dimostrarono che queste mutazioni ambientali sono
assolutamente casuali, che avvengono in una botta senza nessun tipo di adattamento graduale
dell’organismo. Le mutazioni insorgono senza un avviso e insorgono quelle mutazioni che l’ambiente ritiene
“corrette” per quell’ambiente, ovvero che danno un vantaggio all’individuo. Esempio: l’ambiente induce
alla giraffa una mutazione che le fa crescere il collo, vista come un mostro ma in realtà è l’unica che riesce a
mangiare e a riprodursi e la mutazione si espande nel mondo e aumenta quella popolazione perché è
favorita da quell’ambiente.
Con i batteri questo diventa più semplice: loro iniziarono a studiare i batteri e la loro resistenza agli
antibiotici o ad un fago. Allora loro volevano capire se le mutazioni erano pre-adattative (prima
dell’antibiotico) o post-adattative (dopo l’antibiotico). I batteri sono omogenei, ovvero sono individui
geneticamente identici o simili quindi sono un ottimo organismo modello.
Partirono da una piastra e da una colonia (clone di batteri geneticamente uguali), fecero un piccolo prelievo
di un po’ di cellule e le fecero crescere in una beuta. A questo punto l’esperimento si divide in due:
- Il controllo che deve dividersi in un controllo positivo e uno negativo (ovvero qualcosa che non
deve fare quello che fa l’esperimento). Nel controllo faccio l’aliquota e faccio un’altra beuta in cui
metto 10 ml di terreno e metto i batteri (circa 10 alla 2 per millimetro). È importante la
concentrazione dei batteri perché deve essere la stessa sia nel controllo che nell’esperimento
indipendentemente dal volume della beuta. Poi prendono anche delle provette (0,2 ml) e ci
mettono meno batteri ma sempre 10 alla 2 per millilitro.
Loro fanno questo perché vogliono che i batteri si replicano così da far avvenire delle mutazioni
spontaneamente. Quindi fanno avvenire 3-4 cicli di replicazioni sia nella beuta che nelle provette.
Una volta cresciuti, metto l’antibiotico. Poi prendo tante aliquote e le metto su delle piastre: se i
batteri sono sensibili non crescerà nulla perché muoiono tutti; se sono resistenti, si formano delle
colonie che hanno sviluppato delle mutazioni.
Nelle provette avvengono le replicazioni e poi tuto il contenuto di ogni singola provetta finisce su
una piastra (prima era un’aliquota di un’unica beuta) e succede che sulle piastre ci sono numeri
diversi di batteri, avviene una grande fluttuazione.
Se l’antibiotico fosse stato responsabile delle mutazioni avremmo dovuto avere lo stesso numero
ovunque, come nel primo caso. Quindi è una mutazione pre-adattativa.

- Esperimento: fanno l’esperimento per avere conferma di quello che hanno fatto precedentemente.
Viene chiamato PIASTRAMENTO IN REPLICA, replica significa fare i timbrini ovvero un pezzo di
velluto sterilizzato messo su un supporto (si prende il velluto perché riesce a trattenere poche
cellule). Presero due piastre una con antibiotico e l’altra senza e entrambe le “timbro” su questo
velluto e possiamo vedere le mutazioni. Se questi “timbri” sono nelle stesse posizioni è assai
improbabile che ciò dipenda dall’antibiotico perché altrimenti sarebbero in posizioni diverse.

EFFETTI DELLE MUTAZIONI


Il genoma è enorme e ci sono tantissimi geni. Quindi dovremmo anche essere fortunati nel subire una
mutazione. Nel senso che potrebbero colpire anche regioni non codificanti (quindi effetti meno gravi di
solito) o colpire regioni dei promotori (potrebbe non esprimersi più quel gene controllato da quel
promotore) ecc. così come all’interno del gene può essere colpito in qualsiasi posizioni e ci sono posizioni
più importanti di altre.
Ogni mutazione che colpisca o meno un esone importante può causare o un effetto nullo o un effetto
drastico.

Studiamo gli effetti e i meccanismi delle mutazioni puntiformi in porzioni codificanti. Dobbiamo sapere che
le triplette di basi codificano un aminoacido, ma ci sono triplette diverse che codificano aminoacidi uguali
quindi possono avvenire mutazioni in cui si cambia una base azotata ma che, per fortuna, è una mutazione
silente (c’è ma non c’è) perché codificano lo stesso aminoacido, la proteina quindi non muta. Ci sono però
mutazioni di senso in cui cambia totalmente il senso di un amminoacido cambiando una base e l’effetto è
drastico. Un esempio di queste mutazioni di senso sono quelle neutre in cui si cambia una base che
codificherà per un altro amminoacido, ma non altera la funzione della proteina. Esistono poi le mutazioni di
non senso in cui si forma un codone di stop (UAA, UGA e UAG) che fa terminare la traduzione della proteina
e se avviene al centro di essa è molto pericolosa.

Un’altra mutazione pericolosa è la mutazione frameshift, scivolamento del frame di lettura che avvengono
a causa di eventi di delezione o inserzione e rende non funzionale la proteina.

COME FACCIAMO A VEDERE UNA MUTAZIONE


Se si aprono i filamenti, durante la replicazione, e si vede che c’è un appaiamento errato G-T, l’elica risulta
distorta e il sistema di riparazione lo riconosce e corregge o in funzione di G o di T. Per far avvenire la
mutazione deve sfuggirne la lettura a due cicli di replicazione, un po’ improbabile.

LEZIONE N20
Oggi, come anche in passato, si sa e si sapeva che il DNA codificasse le proteine. Diciamo che si scoprì grazie
ad un medico, Garrod, che studiò i suoi pazienti (per la prima volta gli organismi di studio erano umani) e
vide che questi individui malati avevano dei difetti enzimatici che erano collegati a delle mutazioni a livello
del DNA.

Quindi si sapeva che il DNA codificasse le proteine, ma era difficile capire come esso facesse, cioè era
difficile capire come una sequenza di basi sul DNA potesse codificare una sequenza di amminoacidi di una
proteina. Si vide, però, che se due mutazioni sul DNA erano vicine, erano vicine anche nelle proteine.
Grazie a due signori, Crick e Brenner, che si interrogarono sul rapporto di codificazione, si è scoperto come
il DNA facesse e quale fosse il rapporto di codificazione.
C’erano 4 basi e 20 amminoacidi e allora i conti non tornarono, iniziarono a fare dei calcoli: se ogni due basi
codificasse un amminoacido ne avremmo 16 e allora ragionarono e capirono che era ogni tre basi (codone).
Però comunque non erano convinti perché c’era un eccesso, ovvero si potevano codificare 64 amminoacidi.
Si iniziò a capire che un singolo amminoacido, magari, poteva essere codificato da più codoni.

Che il codice fosse formato da triplette lo capirono CRICK e Brenner facendo degli esperimenti sul fago T4,
sulle sue mutazioni, già analizzate da Benzer, rII. La proflavina provoca inserzione o selezione di una coppia
di basi nel DNA. Le inserzione venne indicata con + e le delezioni con -. E loro notarono che facendo una
combinazione di un vario numero di mutazioni rII dello stesso segno (loro non sapevano che erano
inserzioni e delezioni, però sapevano che erano di un segno piuttosto che un altro grazie a delle
ricombinazioni), e notarono che tre mutazioni + o tre mutazioni – vicine dava revertenti. Nessun’altra
combinazione, solo questa e quindi capirono che il codice genetico è un codice a triplette.

Cos’è un codice? È un modo in cui viene scritta l’informazione. Un linguaggio è un codice perché attraverso
dei simboli riesco a far comprendere il senso della frase. Nel nostro caso “codice” significa il modo in cui è
scritta l’informazione nel DNA e come essa è utilizzata per codificare una proteina.

Crick e Brenner usarono il sistema di Benzer, ovvero i fagi T4 e le loro mutazioni rII così che dovevano
faticare la metà. Però quello che fecero Crick e Brenner fu l’opposto di quello fatto da Benzer.

Loro fecero una collazione di mutanti rII e cercarono di capire quale fosse la mutazione che causava un
fastidio maggiore nella lettura del codice.
Per fare questo giocavano con i mutageni: 5-bromouracile e proflavina che causavano cambiamenti di base.

Presero un fago selvatico e lo lasciarono crescere su un ceppo permissivo (perché per far fissare le
mutazioni devono avvenire delle replicazioni e quindi per forza ceppo permissivo) e trattarono questi fagi
con dei mutageni (proflavina). Si riprodussero e raccolsero poi tutta la progenia e la piastrarono su un
ceppo non permissivo per vedere se erano avvenute delle mutazioni e su un ceppo in parallelo. E le
ottennero.

Presero questi mutanti e fecero una reversione, ovvero una retromutazione (più rara ma se uso dei
mutageni posso forzarla). Ritrattarono i mutanti con la proflavina e isolarono tantissimi revertenti.

Fecero, in parallelo, la stessa cosa: presero il selvatico lo trattarono con 5-bromouracile che induceva dei
mutanti. Presero questi mutanti e li ritrattarono con 5-bromouracile e ottennero anche questa volta dei
revertenti ma in quantità minore.

Decisero, allora, di mescolare le cose: presero un selvatico e lo trattarono con proflavina e ottennero dei
mutanti che trattarono con 5-bromouracile, ma non ottennero niente. Fecero la stessa cosa con 5-
bromouracile e poi con proflavina e non ottennero revertenti. Questo significava che, anche se loro non lo
sapevano, il meccanismo di azione doveva essere completamente diverso per questi due mutageni perché
non erano in grado di aumentare la frequenza di reversione dell’altro e quindi agivano in modo diverso.

I revertenti che loro isolarono erano wild type, selvatici, ma loro non erano convinti di questa cosa e allora
presero un revertente e lo incrociarono con un vero selvatico. Noi sappiamo che l’incrocio tra due presunti
selvatici su un ceppo permissivo deve dare per forza tutti selvatici, ma loro ottennero altro.
E quindi capirono che non era un vero selvatico, ma un doppio mutante, ovvero aveva due mutazioni al suo
interno.
Questo fenomeno per cui una doppia mutazione provoca un annullamento avvicenda del fenotipo e quindi
mostra un fenotipo selvatico, viene chiamato soppressione intragenica (la prima mutazione è soppressa
dalla prima o viceversa).
Quindi capirono che con il primo trattamento con proflavina causarono una mutazione e con il secondo non
avevano levato la prima mutazione, ma ne avevano aggiunta un’altra che però faceva bene al fenotipo
perché lo faceva sembrare selvatico. Ecco perché il numero dei revertenti era così alto, perché non erano
dei veri revertenti, ma dei mutanti.

Vi confondete con Benzer perché il doppio mutante di Bener era davvero mutante, qui, invece, è un
selvatico.

Quindi capirono che mutazioni diverse dentro un gene possono dare un fenotipo selvatico.
E capirono anche che se in un ceppo erano presenti due mutazioni uguali (quindi due inserzione o due
delezioni) allora non si verificava il fenomeno della soppressione intragenica e non veniva fuori il fenotipo
selvatico. Se invece nello stesso ceppo erano presenti due mutazioni di segno opposto (quindi una
inserzione in un sito di un gene e una delezione in un sito differente dello stesso gene) avveniva la
soppressione intragenica.

Da qui capirono che il codice genetico non presentava punteggiatura altrimenti non avveniva la
soppressione intragenica.

Quindi il codice:
- Viene letto in modo unidirezionale ed è formato da 3 basi
- Senza segni di interpunzione, viene letto in modo continuo senza saltare nessun nucleotide
- Non è sovrapposto, viene letto in gruppi successivi di tre nucleotidi
- È degenerato: in molti casi lo stesso aminoacido è specificato da più di un codone
- Esistono delle triplette di stop che non codificano per nessun aminoacido: UAA, UAG, UGA
- È quasi universale: tutte le cellule viventi utilizzano lo stesso codice genetico di base oltre ad alcune
eccezioni.
- Ha segnali di inizio e di fine. Infatti soltanto 61 dei 64 codoni codificano per amminoacidi (codoni di
senso), gli altri tre non codificano per nessun amminoacido (codoni di stop, non senso o di
terminazione) vengono utilizzati per segnalare la fine della traduzione.

CAPITOLO 16 – lezione n21


L’espressione genica è la produzione di proteina secondo le informazioni codificate dal DNA che vengono
trascritte in mRNA e il messaggio viene poi tradotto in una sequenza di amminoacidi.
Questa espressione genica deve essere controllata perché altrimenti si creerebbe un gran caos, le
informazioni che l’individuo ha deve saper quando utilizzarle (controllo temporale) e dove utilizzarle
(controllo spaziale).

I ricercatori hanno spiegato i principi di regolazione dell’espressione genica con studi sui batteri E. Coli e
hanno capito che il legame tra le proteine di regolazione al DNA può disattivare o attivare la trascrizione.

E. Coli utilizzano come fonte di carbonio gli zuccheri e preferiscono il glucosio. Ma una volta terminato, se
viene aggiunto, per esempio, del lattosio si attiva l’espressione di alcuni geni che permettono di
metabolizzare lo zucchero nuovo.
La molecola che determina l’attivazione genica è chiamata induttore e il fenomeno per cui si ha
l’espressione di un gene in risposta ad un induttore è definito induzione.

E. Coli ha una particolare crescita chiamata crescita diauxica: se nel terreno è contenuto sia il lattosio che il
glucosio, il batterio utilizza prima tutto il glucosio e poi il lattosio e quindi si capì che c’era la possibilità di
spegnere o accendere i geni in risposta a condizioni esterne e quindi sintetizzare un certo numero di enzimi
necessari per una nuova condizione esterna.
Gli enzimi necessari per il lattosio sono: Lac permeasi (serve per trasportare all’interno il lattosio) e B-
galattosidasi (per scindere il lattosio in glucosio e galattosio).

La molecola induttore, per il lattosio, è l’allolattosio e quando esso non è più presente, la trascrizione dei
tre geni si interrompe.

LA TEORIA DELL’OPERONE
L’operone è un gruppo di geni strutturali adiacenti che sono trascritti in una singola molecola di mRNA
policistronica e che sono soggetti a una regolazione coordinata (vengono attivati o disattivati da un unica
proteina regolatrice).

Monod e Jacob proposero un modello conosciuto come la teoria dell’operone basato sull’ OPERONE Lac,
l’operone del lattosio che si basa su un tipo di regolazione per induzione (l’allolattosio induce la produzione
di enzimi).

L’operone consiste in un tratto di DNA che comprende:


1. Promotore: sito di inizio della trascrizione
2. Operatore: sito a cui si lega una proteina regolatrice
3. Proteina regolatrice che può essere attivatore o repressore e che determina l’attivazione
(regolazione positiva) o la disattivazione (regolazione negativa) della trascrizione
4. Uno o più geni strutturali: nel caso del lattosio abbiamo tre geni strutturali LacZ (B-galattosidasi),
LacY (Lac permeasi) e LacA.

Quando E. Coli si trovava in assenza di lattosio, una proteina regolatrice (repressore Lac) si legava
all’operatore, impedendo all’RNA polimerasi di trascrivere i geni strutturali.
Quando E. Coli si trovava in presenza di lattosio, l’allolattosio si legava al repressore che non si poteva più
legare all’operatore e quindi permetteva la trascrizione dei geni.

Questo è il motivo del perché il batterio è in grado di sintetizzare questi enzimi solo se il lattosio è presente.
Ma perché quando il glucosio è presente e anche il lattosio questi enzimi sono in bassa frequenza? Perché
esiste questa molecola CRP che si lega a mCAP che è attiva solo in basse concentrazioni di glucosio.

Quindi quando il glucosio è presente, la CRP è inattiva e non permette la trascrizione dei geni per il lattosio.
Quando il glucosio è esaurito, la CRP si attiva e, contemporaneamente, la presenza di lattosio, inibisce l‘
azione del repressore lac permettendo quindi la trascrizione.

In E. Coli i prodotti dei tre geni vengono indotti dal lattosio, ma Monod e Jacob isolarono dei mutanti che
riuscivano a produrre questi enzimi sia in presenza che in assenza dell’induttore. Queste sono mutazioni
costitutive: LacI che si trovava a monte del promotore.

MUTAZIONI NELL’OPERATORE
Queste mutazioni furono chiamate mutazioni costitutive dell’operatore o LacOC. Mediante l’uso di ceppi
parzialmente diploidi, Monod e Jacob poterono definire meglio il ruolo dell’operatore nella regolazione
dell’espressione dei geni lac.
Notarono che il gene LacZ è espresso in modo costitutivo (è attivo sia in presenza che in assenza dell’
induttore), ma LacY no.
La mutazione LacOC altera solo i geni a valle sulla stessa molecola di DNA e viene chiamato cis-dominante

MUTAZIONI NEL GENE REGOLATORE LACI


Questi mutanti costitutivi LacI- in assenza dell’ induttore non permettevano la produzione nè di B-
galattosidasi nè di Lac permeasi, ma in presenza dell’induttore si.
Questo significa che il gene LacI+ nella cellula può dominare il difetto dovuto alla mutazione LacI-. Dato che
i due geni LacI sono localizzati su molecole di DNA diverse, il gene LacI+ è detto trans-dominante.
CONTROLLO NEGATIVO: quando il repressore è legato all’operatore, l’RNA polimerasi non può legarsi al
promotore del’operone e la trascrizione non avviene.

CONTROLLO POSITIVO: quando è presente il lattosio e il glucosio è assente. Prima di tutto, una proteina
CAP si lega al cAMP a formare un complesso che è una molecola regolatrice positiva che si lega a un sito
specifico del DNA, chiamato sito CAP, posto a monte del promotore, a cui si lega l’RNA polimerasi e la
trascrizione ha inizio.

Quando è presente il glucosio e anche il lattosio, avviene una repressione da cataboliti cioè anche se è
presente il lattosio, l’operone lac è espresso a livelli molto bassi questo perché la presenza del glucosio
riduce il livello di cAMP e quindi non si lega a CAP e non avviene la trascrizione.

Le proteine possono agire in trans ma i siti sul DNA possono agire solo in cis. TRANS (diffondono nel
citoplasma e agiscono sui siti bersaglio di qualunque molecola di DNA della cellula) CIS (possono influenzare
solo l’espressione di geni adiacenti).
Questi modi di agire sono stati analizzati attraverso gli studi con i dipoli parziali costruiti usando i plasmidi F.

OPERONE TRIPTOFANO
È un OPERONE anatolico ed è formato da 5 geni strutturali. A differenza dell’operone del lattosio dove il
lattosio funziona da induttore per impedire al repressore di legarsi al sito operatore, il triptofano funziona
da co-repressore che legandosi al repressore vero e proprio fa in modo che questo possa legarsi al DNA per
inibire la trascrizione dei geni dell’operone.
Questi sono operoni per vie anatoliche che vengono spenti quando il prodotto finale è disponibile.

ATTENUAZIONE: L’attenuazione è costituita da una seconda sequenza di regolazione chiamata attenuatore


che è localizzato nella regione leader che agisce causando la terminazione della trascrizione in base alla
concentrazione di triptofano. In presenza di grandi quantità l’attenuazione è molto attiva; in assenza o in
bassa concentrazione, l’attenuazione è poco attiva e quindi permette il proseguimento della trascrizione.

LEZIONE N22 – 20
EVOLUZIONISMO
Il termine evoluzionismo è utilizzato come sinonimo di “evoluzione biologica” e rimanda alla teoria di
Darwin dell’evoluzione della specie per selezione naturale. Questa selezione naturale è un processo
attraverso il quale gli esseri viventi vengono scelti per portare avanti la loro specie.
Diciamo che la genetica di popolazione studia la struttura genetica delle popolazioni (variabilità e
distribuzione dei caratteri all’interno di un gruppo di individui) ed i processi evolutivi a cui essa è
sottoposta.
L’evoluzione, infatti, è determinata dai cambiamenti progressivi che subiscono le frequenze alleliche nelle
popolazioni fino a trasformarsi in nuove specie.

POPOLAZIONE MENDELIANA= un gruppo di individui della stessa specie che, vivendo in un’area geografica
particolare, si è ad essa adattata e presentano una struttura genetica diversa da quella di un’altra
popolazione.
Una popolazione viene descritta dal suo pool genico, ovvero l’insieme di tutti gli alleli presenti nella
popolazione descritti per tipo e frequenza. La struttura genetica di una popolazione viene espressa in
termini di frequenze alleliche e genotipiche.

Nelle popolazioni naturali, alcuni alleli aumentano di frequenza da una generazione all’altra, mentre altri
diminuiscono o spariscono. Ovviamente, se l’individuo mostra una combinazione favorevole di alleli, questi
alleli vengono più probabilmente trasmessi.
Lo strumento statico-matematico utilizzato per fotografare il pool genico è fornito dalla legge di Hardy-
Weinberg che correla le frequenze genotipiche di un carattere in una popolazione alle frequenze alleliche
del carattere stesso.
Questa legge è applicabile solo se la popolazione è in equilibrio genetico, ovvero quando tutte le frequenze
alleliche rimangono costanti nel tempo e:
1. La popolazione deve essere molto numerosa in modo che siano applicabili le leggi della probabilità
2. L’accoppiamento tra gli individui deve essere casuale
3. Tutti gli individui si accoppiano e si riproducono (non avviene la selezione naturale)
4. Non devono essere presenti altri fattori in grado di far variare le frequenze alleliche (mutazioni,
migrazioni, deriva genetica).

Supponiamo che un carattere sia presente nella popolazione con 2 alleli (A, a) indichiamo la frequenza dell’
allele dominante (A) con p e quello recessivo con q. Allora attraverso il quadrato di Punnett è possibile
calcolare le frequenze con cui compaiono i tre genotipi (AA, Aa, aa):

La formula di Hardy-Weinberg è uguale a

La somma delle frequenze alleliche è uguale a 1 p+q=1

Nel caso ci siano più di due alleli:

Quindi le popolazioni evolvono, trasformando il loro pool genico nel tempo. Quindi ci sono delle cose che
modificano le frequenze alleliche, ovvero i fattori evolutivi che sono 5

1. Le mutazioni: sono alterazioni casuali ed ereditarie del corredo cromosomico che comportano la
modificazione o la comparsa di nuovi alleli. Esse possono essere indotte, o spontanee.
2. Le modalità d’incrocio: quando c’è un accoppiamento casuale, le frequenze alleliche e genotipiche
tendono ad essere costanti nel tempo (gli umani si accoppiano casualmente rispetto ai gruppi
sanguigni perché essi non scelgono il loro compagno sulla base di questa caratteristica). Però,
all’interno di una popolazione sono presenti dei sottogruppi (etnie) il cui pool genico differisce e
spesso gli individui tendono ad incrociarsi all’interno del proprio sottogruppo (quindi non è casuale
se un italiano va solo con un italiano).
Esempi di incroci non casuali sono:
➢ La selezione sessuale: una sorta di selezione naturale nel senso che io scelgo il mio partner non
in modo casuale, ma in relazione a ciò che piace a me.

3. La deriva genetica: è una variazione della frequenza allelica dovuta al caso. Si hanno fenomeni di
deriva genetica quando da una popolazione viene estratto e separato un piccolo gruppo di individui
che va a formare una nuova popolazione. Però porta ad un cambiamento casuale delle frequenze
alleliche. E ci sono due casi tipici di deriva genetica:
➢ L’effetto del fondatore: si produce quando un piccolo numero di individui si separa da una
popolazione per formare una nuova colonia.
➢ L’effetto collo di bottiglia: si produce quando una popolazione viene decimata da un evento
catastrofico, come un’epidemia, un eccessiva predazione.

4. Il flusso genico: è connesso con il processo di migrazione degli individui.

5. Selezione naturale: sopravvivono gli individui che possiedono la combinazione genica più efficace
ad un ambiente (cioè si adattano di più a quell’ambiente) e quindi si riproducono portando avanti
quella mutazione. La probabilità che un genotipo ha di sopravvivere e di riprodursi relativamente
ad un certo ambiente, viene misurata ed è chiamata fitness che è una misura dell’efficienza
riproduttiva di un genotipo.

SELEZIONE DIREZIONALE: quando la selezione naturale favorisce gli individui che si trovano a due estremi di
un intervallo di variabilità del carattere (individui rari che prima erano poco frequenti, iniziano a godere di
un certo vantaggio). (Resistenza agli antibiotici)

SELEZIONE DIVERGENTE: quando la selezione naturale favorisce entrambe le forme estreme dell’intervallo
di variabilità.

SELEZIONE STABILIZZANTE: quando vengono favoriti gli individui intermedi

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