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ABSTRACT
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INDICE
INTRODUZIONE p. 5
PARTE PRIMA p. 8
1. CAMBIAMENTO p. 9
1.1. Premessa p. 9
1.2. Il cambiamento organizzativo nella psicologia delle organizzazioni p. 10
1.3. Modelli di cambiamento organizzativo p. 13
1.4. Resistenze al cambiamento organizzativo p. 20
2. COMPETENZE p. 25
2.1. Premessa p. 25
2.2. Le competenze: tentativi di definizione p. 26
2.3. Competenze per l’organizzazione moderna p. 30
2.4. Trasversalità e trasferibilità delle competenze p. 33
2.5. La gestione delle risorse umane secondo la logica dello sviluppo di
competenze p. 36
2.6. La valutazione delle competenze p. 40
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PARTE SECONDA p. 60
BIBLIOGRAFIA p. 122
ALLEGATI p. 128
A. Dizionario Soft Skills 6x6 p. 129
B. Traccia dell’intervista p. 135
C. Interviste sbobinate p. 139
D. Gerarchizzazione Soft Skills p. 165
E. Categorizzazione del materiale delle interviste p. 170
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INTRODUZIONE
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l’iniziativa locale. Il sistema di competenze diventa quindi leva centrale per il
cambiamento all’interno delle organizzazioni. Citando Le Boterf: “l’impresa del
terzo millennio può funzionare e svilupparsi soltanto se può fare affidamento sulla
competenza dei professionisti” (ivi, p. 26).
Questo scritto propone un’indagine riguardante questi temi, partendo da un’analisi
dello stato dell’arte della letteratura organizzativa.
Nei primi due capitoli verrà proposta una rassegna bibliografica riguardante i temi
del cambiamento organizzativo e delle competenze, cercando di sottolineare nel
primo i diversi modelli teorici che ne hanno caratterizzato lo studio negli ultimi
decenni e i conseguenti risvolti applicativi; tentando di dare nel secondo una
chiarificazione del concetto di competenza che sia aderente al contesto
organizzativo attuale e fornendo una panoramica degli strumenti che la letteratura
propone per un suo utilizzo proficuo.
Nel terzo capitolo si cercherà di collegare le due tematiche proponendo una
rassegna bibliografica che indaghi sull’interrogativo di quali siano le competenze
trasversali che permettano di giungere ad un compimento reale dei processi di
cambiamento organizzativo, trovando nel modello di cambiamento di Kotter
(1996) un background teorico forte nel ricordare come il riconoscimento, la
valutazione, la gestione e lo sviluppo delle competenze degli attori organizzativi
siano un momento fondamentale di promozione e di messa in pratica del
cambiamento organizzativo. Si è inoltre riconosciuto nel costrutto di competenze
di resilienza un ruolo chiave nello svolgere da moderatrici delle resistenze al
cambiamento, indicate in letteratura come gli ostacoli più grandi al compimento
del cambiamento organizzativo (Quaglino, 2007).
Nel quarto ed ultimo capitolo sarà presentata l’indagine su un caso di una Agenzia
per il Lavoro italiana che ha recentemente messo in atto un importante processo di
cambiamento organizzativo, indagine svolta tramite l’impiego del metodo
qualitativo dell’intervista semi-strutturata. Obiettivi dell’indagine saranno in
questo caso capire quali fasi del modello di Kotter (1996) si sono affrontate nel
caso in esame, e, soprattutto, come sono state affrontate, e quali sono state le
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competenze riconosciute come più importanti per compiere un cambiamento in
maniera resiliente.
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PARTE PRIMA
8
1. CAMBIAMENTO
1.1 Premessa
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La molteplicità, il valore, e la forza di queste spinte rendono il cambiamento
evento necessario nella vita delle organizzazioni, e la sua gestione diventa “la
carta vincente di ogni organizzazione che intende sopravvivere al mercato e
resistere alla concorrenza” (Piccardo e Colombo, 2007, p. VII). “Cambiare,
governare i mutamenti, e sapersi adattare sono le parole chiave di ogni
organizzazione che intende essere al passo con i tempi” (ibidem).
Il motivo dell’ importanza della gestione del cambiamento va ricercata nelle
difficoltà che si incontrano nel tentativo di prevederne gli esiti, che possono essere
anche pesantemente compromettenti per il funzionamento organizzativo. Per
questo si è andata diffondendo sia nella teoria che nella pratica del management la
consapevolezza che una sfida di tale portata necessiti lo sviluppo di specifiche
competenze, conoscenze e capacità da parte dei suoi attori principali, sviluppo che
deve portare ad una sintesi congruente le diverse istanze tecnico-razionali e
psicologico - sociali (Rebora e Minelli, 2007) che entrano in gioco in un processo
di cambiamento.
10
In questa accezione il cambiamento organizzativo diventa intervento necessario
all’organizzazione in un momento in cui il suo funzionamento diventa critico, e
quindi c’è l’urgenza di risolvere una situazione-problema attraverso l’introduzione
di un’innovazione. Si configura in un “passaggio di stato”, ovvero una transizione
da uno stato A, che “rappresenta l’insorgenza di una situazione o di un problema
che interferisce con la stabilità dell’organizzazione oppure impedisce il
mantenimento o il miglioramento di un livello di prestazione” (ibidem) , ad uno
stato B che rappresenta l’esito desiderato del cambiamento, in una certa unità di
tempo. La situazione-problema può scaturire da fatti e aspetti che si riferiscono sia
agli elementi tecnici, sia a quelli sociali che compongono l’organizzazione
(Quaglino, 2007). Nella sua definizione Quaglino (1990) pone le basi per una più
chiara definizione del contenuto del cambiamento e del processo di cambiamento.
Il contenuto andrebbe individuato nella differenza tra lo stato B sperato e lo stato
A attuale; il processo invece in ciò che viene agito per passare dallo stato A
attuale allo stato B sperato.
Tichy (1983) si sofferma invece sulle forme che può assumere il cambiamento
organizzativo: ad una forma “strategica, di carattere essenzialmente discontinuo,
orientata e diretta a conseguire una trasformazione profonda dell’organizzazione”
(Piccardo e Colombo, 2007, p. 15), che rimanda quindi alla definizione di
cambiamento come azione deliberata da parte dell’organizzazione, egli
contrappone una forma “evolutiva, risultato di eventi in larga misura al di fuori
del controllo degli attori organizzativi” (ibidem), cogliendone quindi anche la
natura dinamica. Fraccaroli (1998, p. 14) pone ancora di più l’accento su questo
aspetto, parlando di “processi dinamici ed evolutivi delle culture, delle strutture,
delle strategie e dei gruppi di potere nelle organizzazioni”. March (1981) nel suo
modello dell’incertezza, sottolinea come proprio questi processi evolutivi siano i
più difficili da riconoscere e gestire, in quanto non sono né determinabili, né
razionalizzabili, ma guidati sostanzialmente dal caso.
Rice (1963) sposta il focus sugli aspetti individuali del cambiamento
descrivendolo come “mutamento dei ruoli e delle relazioni proprie dei ruoli e
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quindi delle mansioni e dei rapporti personali di coloro che li esplicano” (ivi,
p.14). Dalla sua definizione emerge l’importanza dell’aspetto umano e sociale che
già Lawrence (1954) e in tempi più recenti Rebora (2007) hanno contrapposto
all’aspetto tecnico del cambiamento. Mentre quest’ultimo si riferirebbe ad una
modificazione nei processi lavorativi, il primo si riferisce al “modo in cui le
persone, che sono direttamente coinvolte nello stesso processo di cambiamento,
pensano che esso modificherà le loro radicate relazioni nell’organizzazione”
(ibidem).
Come si può notare, il concetto di cambiamento con le numerose sfaccettature, è
andato evolvendosi su specifici focus a seconda del livello d’analisi adottato dai
diversi autori, pur mantenendo come punto di contatto lo stretto rapporto di
interdipendenza tra ambiente esterno, organizzazione e individui che ne fanno
parte. Rapporto che suggerisce l’utilità di utilizzo di un approccio sistemico allo
studio del cambiamento organizzativo, sforzo portato avanti dal Tavistock
Institute of Human Relations fin dai primi anni ’60, frutto della sintesi di modelli
teorici diversi e spesso lontani tra loro: il modello psicodinamico (Freud, Klein,
Bion), le indicazioni proposte da Bertalanffy per una teoria generale dei sistemi, i
lavori di Mayo e Lewin (Quaglino, 2007). L’assunto di base è che
l’organizzazione:
“si presenta come una totalità in sé: qualsiasi modificazione che
intervenga a livello di un suo elemento particolare o meglio delle
relazioni che tale elemento ha con altri elementi, non va mai vista
come un fatto isolato nella misura in cui determina una completa
modificazione della struttura stessa nella sua totalità.” (ivi, p.15)
Il fenomeno, quindi, va considerato come un insieme strutturato di parti, nei
termini delle relazioni esistenti tra esse. Questo permette di considerare al
contempo tutti i diversi livelli, individuale, infragruppo, intergruppi,
organizzativo, e di cogliere come il processo di cambiamento influenza questi
livelli e come questi sono in grado di influenzare il processo in sé e i suoi esiti.
12
In sintesi, per dirla con Quaglino (2007, p.120) la letteratura suggerisce degli
assunti di base dai quali partire nello studio del cambiamento organizzativo.
13
alla loro istituzionalizzazione come parte di una normale routine” (ivi, p.31). È
questa la fase di rinforzo e valutazione dei cambiamenti apportati.
Il compito di un buon management secondo questo modello è quello di
individuare alle spinte al cambiamento, e cercare di sfruttare le eventuali fonti di
insoddisfazione per attivare la fase di scongelamento, fase fondamentale per il
buon esito del processo di cambiamento, in quanto è attraverso questa fase che si
può cercare di regolare la direzione che prenderà il sistema sbilanciato. (ibidem)
Per quanto questo modello sia molto diffuso, e nonostante gli sia riconosciuta la
primogenitura nell’affrontare il tema e nei suoi pioneristici risvolti metodologici,
la sua eccessiva linearità lo ha reso oggetto di critiche. Esso infatti, è ritenuto
“eccessivamente generico per una comprensione e una spiegazione approfondita
del cambiamento organizzativo” (ivi, p. 39). Va detto però che Lewin in origine
non sviluppò il suo modello specificatamente per studiare il cambiamento
organizzativo, ma la sua ottica era allargata ad una dimensione di “sistema” che
comprende anche strutture differenti da quella dell’organizzazione. Da ciò
probabilmente deriva la sua genericità. Manca infatti un’analisi e delle linee guida
per la progettazione e la reale implementazione del cambiamento. Per questo
motivo, Lussier (1996) propone un suo modello integrandolo a quello di Lewin.
Alle tre fasi di Lewin egli contrappone un modello a cinque fasi. Il modello resta
lineare, quindi vede il cambiamento come una serie di tappe prestabilite, ma ha il
merito di mettere in risalto gli aspetti gestionali del cambiamento organizzativo
trascurati da Lewin.
Di seguito le fasi definite nel modello di Lussier.
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Identificare le resistenze al cambiamento: trovarne la fonte, comprendere
le caratteristiche e l’intensità.
Pianificare il cambiamento: progettare e sostenere l’intervento,
strutturando i macro-obiettivi in sotto-obiettivi intermedi, pianificando
mezzi, risorse e tempo. Importante in questa fase il sostegno al
cambiamento, messo in atto attraverso “un adeguato sistema di
supervisione degli obiettivi intermedi e un monitoraggio delle resistenze
che possono ostacolare il processo” (Piccardo e Colombo, 2007, p. 40)
Questa sembra corrispondere alla fase di scongelamento di Lewin, in
quanto in questa fase il management deve apportare un “rinforzo guidato
delle spinte che hanno generato il bisogno di cambiamento” (ibidem)
Promuovere il cambiamento: fase di attivazione del processo di
cambiamento attraverso il coinvolgimento di tutti gli attori organizzativi,
che devono essere informati in maniera chiara sulla necessità del
cambiamento e sui suoi possibili effetti. In questa fase è necessario
mettere i nuovi obiettivi in relazione con i valori esistenti
nell’organizzazione, usare stili di supervisione opportuni, permettere a
tutti gli attori di esprimere dubbi, timori, attese e speranze. È il
management che “deve farsi carico delle incertezze individuali al fine di
promuovere e garantire il successo del processo di apprendimento”
(ibidem).
Controllare il cambiamento: verificare la realizzazione effettiva e il
mantenimento nel tempo dell’intervento di cambiamento.
15
incolmabile tra progetto e processo” (Quaglino, 2007, p. 343). “I processi
evolutivi non sono determinati e razionalizzabili, ma caratterizzati da
indeterminatezza, discontinuità e saltuarietà” (Piccardo e Colombo, 2007, p. 36)
A questo proposito March (1981) propone un modello di cambiamento
organizzativo come “certezza dell’incertezza” (ibidem), modello che vede nel
cambiamento la ragione stessa dell’esistenza dell’organizzazione. Il problema è
che raramente le organizzazioni realizzano quello che realmente avevano
progettato, proprio per via del loro vincolo di razionalità limitata, che le condanna
a conseguenze inattese in ogni azione intrapresa ed alla scarsa capacità di
apprendere dal proprio contesto. Spesso quando le organizzazioni cambiano
hanno a disposizione poche soluzioni, inoltre dimostrano difficoltà
nell’individuare nessi di causalità tra problemi e soluzioni, quindi i cambiamenti
sono guidati più dalle soluzioni possibili che dal problema in sé. Inoltre spesso
esse stesse si trasformano durante il processo di cambiamento, mutando i propri
obiettivi ed elaborandone di nuovi, ma rischiando di trovarsi nella trappola di quel
meccanismo di difesa di matrice psicodinamica che Hinshelwood (1987) definisce
come “spostamento del compito” (p. 92). Infine Maslow fa notare come
“raramente si verifica una piena coerenza tra le esigenze di cambiamento
dell’organizzazione, degli individui che ad essa appartengono e delle altre
organizzazioni appartenenti al medesimo settore” (citato in Quaglino, 1990, p.
338), e quindi spesso le spinte al cambiamento interne ed esterne
all’organizzazione andranno verso direzioni diverse, caotiche e conflittuali.
L’intervento di Maslow fa capire quanto un approccio di tipo lineare allo studio
del cambiamento organizzativo sia poco aderente alla realtà delle organizzazioni,
e pone in rilievo la necessità di un modello che ne colga meglio la realtà
complessa.
Kreitner e Kinicki (2004), sulla base dei lavori di Fuqua e Kurpis (1993), Nadler e
Tushman (1997), Buelens (1999) hanno sviluppato a questo proposito un modello
basato sull’assunto che ogni tipo di cambiamento “ha un impatto a cascata
all’interno delle organizzazioni” (Piccardo e Colombo, 2007, p. 42), impatto che
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riguarda “politiche aziendali, procedure, struttura, sistemi gestionali, personale,
processi, lavoro, tecnologia, ecc” (Foglio, 2011, p. 94). Si tratta di un modello
sistemico, sviluppato sulle basi del relativo approccio citato nel paragrafo 1.1, che
è caratterizzato dall’azione di tre componenti sull’organizzazione: input, elementi
del cambiamento e output.
Gli input fanno riferimento alla mission e alla vision dell’organizzazione. La
prima rappresenta lo scopo intrinseco dell’esistenza dell’organizzazione, la
seconda la via da seguire per il cambiamento, che si struttura in un piano
strategico scelto sulla base delle potenzialità dell’organizzazione e le opportunità
offertele dall’ambiente.
Gli elementi del cambiamento sono gli aspetti dell’organizzazione che sono
oggetto del cambiamento: “aspetti organizzativi, obiettivi, metodi, fattori sociali,
attori organizzativi” (Piccardo e Colombo, 2007, p. 45), tutti tra loro legati da
relazione sistemica, quindi ogni cambiamento sul singolo elemento ha effetti sugli
altri.
Gli output fanno riferimento invece ai risultati che si vogliono conseguire tramite
l’intervento di cambiamento.
Il cambiamento quindi si esplica in un input dato dalla potenzialità
dell’organizzazione, uno dato da un’occasione dettata dal contesto a partire dai
quali viene strutturata la strategia per il raggiungimento degli output desiderati.
Obiettivi, metodi, fattori sociali e aspetti organizzativi che ruotano attorno agli
attori organizzativi, fanno da mediatori tra i primi e gli ultimi e ne condizionano il
rapporto. Il vantaggio del modello sistemico è appunto quello di cogliere
l’importanza di questi mediatori nel processo di cambiamento, di riconoscerli, e
quindi di darne un resoconto oggettivo sulla base del quale andare a strutturare un
intervento che vada a colpire obiettivi specifici e circoscritti con il fine di generare
e promuovere il cambiamento all’interno dell’organizzazione.
Un esempio di intervento di questo tipo, sviluppato nella metà degli anni ’60 negli
Stati Uniti e diffusosi successivamente in Europa è l’OD, Organizational
Developement, descritto da Piccardo e Colombo (2007, p. 47) come “vera e
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propria strategia per perseguire il cambiamento pianificato[…]adottando una
prospettiva di tipo educativo mirata ad agire sull’apprendimento degli individui”,
attraverso quindi “l’applicazione delle conoscenze tipiche delle scienze
comportamentali” (ivi, p. 51).
Questo tipo di approccio parte dal presupposto che nel processo di cambiamento
sia necessaria la partecipazione attiva del personale coinvolto, e che quindi esso
non vada attuato secondo le logiche top-down attualmente in uso dalla maggior
parte delle organizzazioni, ma tramite processi che apportino aggiustamenti di
tipo incrementale che coinvolgano tutti gli attori organizzativi.
Dunphy e Stace (1988) sottolineano come questo modello incrementale si
contrapponga ad un modello di cambiamento di tipo trasformazionale, necessario
quando non c’è coerenza tra organizzazione e ambiente esterno, e quindi c’è
necessità di adattamenti continui da parte della prima rispetto al secondo. In
questo caso il management ha scarso controllo diretto sulle spinte al
cambiamento, ed il processo perde di prevedibilità. In quest’ottica, “di fronte a
crisi originate da instabilità e dalla non prevedibilità dello scenario in cui si
colloca l’organizzazione, l’impresa ha come unica alternativa, […] la sua stessa
trasformazione”
Processi di questo tipo, necessitando di azioni dirette e spesso prive di apparente
(o reale) coerenza, possono apparire coercitive, soprattutto per chi subisce l’onda
del cambiamento senza intuirne la direzione. Di contro invece un intervento di
OD “si presenta come un processo altamente partecipativo in grado di coinvolgere
il cliente in tutti gli stadi dell’intervento, focalizzando l’attenzione sugli individui
coinvolti nel cambiamento stesso in quanto fondamentali per la sua realizzazione”
(Piccardo e Colombo, 2007, p. 52). È un intervento teso a produrre stabilità e
crescita nell’organizzazione attraverso la valorizzazione e il potenziamento degli
attori organizzativi in una logica di empowerment.
Questo tipo di intervento è complementare a quello trasformativo, in quanto le
condizioni per una sua attuazione sono in antitesi con quelle descritte in
precedenza. Un intervento di cambiamento di tipo incrementale necessita di
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coerenza con l’ambiente, buona prevedibilità delle situazioni e del tempo
necessario per produrlo. Si basa sulla logica di interventi coerenti tra loro, dove
ogni attore organizzativo possiede le giuste quantità di informazioni per capirne la
direzione e lo scopo. Si basa quindi su un principio di diffusione, assimilazione e
interiorizzazione di tali informazioni. Il suo scopo è ridurre l’incertezza, rafforzare
la sicurezza percepita, e conseguentemente ridurre l’ansia riguardo gli esiti e le
modificazioni che ogni cambiamento porterà ai suoi attori.
L’OD si configura come un processo sviluppato a partire della ricerca-azione di
Lewin (McShane, 2001), che prevede quindi fasi di analisi dei bisogni di
cambiamento, interventi veri e propri e fasi di valutazione degli esiti. Benton
(1995, citato in Picardo e Colombo, 2007, p. 52) individua le aree da presidiare in
un intervento di Organizational Developement:
la definizione degli obiettivi e degli scopi sia per l’organizzazione, sia per
gli individui;
i tempi e i costi dell’intervento;
gli aspetti psicologici con particolare attenzione alla ricerca di soluzioni
adatte al contesto socioculturale;
la fiducia reciproca come collante tra individuo e organizzazione, tra il
livello dirigenziale e i dipendenti;
il team building e l’intervento sulle relazioni tra ed entro i gruppi;
l’apprendimento dall’esperienza cosi da valorizzare la capacità di
imparare dai propri errori.
Esso è portato avanti da agenti del cambiamento, che McShane (2001) definisce
come “individui che possiedono le giuste conoscenze, le abilità e il potere di
guidare facilmente il cambiamento” (Piccardo e Colombo, 2007, p. 83). Questi
devono essere sia interni all’organizzazione, quindi persone che ne posseggano
una conoscenza approfondita e che occupino posizioni di leadership, sia esterni, in
quanto portatori di un punto di vista più distaccato e oggettivo
19
sull’organizzazione. L’azione combinata di questi due tipi di agenti, deve dare
forma e struttura al processo, aiutando a costruire il commitment necessario per
raggiungere gli esiti sperati. Il loro compito è quello di “rendere tutti i dipendenti
agenti di cambiamento, cosi da responsabilizzarli nei confronti di un progetto
collettivo” (McShane, 2001, citato in Picardo e Colombo 2007, p. 84).
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Piccardo e Colombo (2007) riconducono l’attivazione delle difese sociali al
concetto di confine rispetto a tre diverse dimensioni della vita organizzativa: i
confini organizzativi, i confini di ruolo e i confini di autorità.
I confini organizzativi riguardano l’apertura (o la chiusura) del mondo
organizzativo all’ambiente esterno. Esso sarà infatti fonte di instabilità e di
continue spinte al cambiamento. L’obiettivo del management è in questo caso la
buona negoziazione di tali confini, in modo che l’ambiente interno sia
adeguatamente protetto dall’instabilità esterna, ma che allo stesso tempo
l’organizzazione abbia sufficiente sensibilità ad essa, in modo da potervisi
adattare prontamente. È proprio tale negoziazione, secondo gli autori, la prima
fonte di ansia all’interno delle organizzazioni.
I confini di ruolo riguardano una dimensione più interindividuale.
L’organizzazione moderna del lavoro comporta spesso un ampliamento delle
attività lavorative e delle responsabilità. A questo ampliamento consegue la
necessaria integrazione tra i diversi ruoli all’interno delle organizzazioni, ruoli che
a volte possono risultare sovrapporsi o essere in conflitto tra di loro. Secondo gli
autori la seconda fonte di ansia è proprio la negoziazione di tali confini di ruoli,
alla ricerca del mantenimento dell’integrità del proprio ruolo e della necessaria
integrazione con gli altri.
I confini di autorità riguardano infine una dimensione legata più all’esercizio del
potere all’interno del proprio ruolo organizzativo. In questo caso l’ansia è legata
ai meccanismi di presa di decisione e alle loro conseguenze.
Comprendere come queste ansie e le loro conseguenti difese influenzino gli
atteggiamenti, e quindi i comportamenti degli attori organizzativi rispetto al
cambiamento diventa sfida cruciale per il management. Sono esse infatti le cause
di ciò che rappresenta l’ostacolo principale di ogni processo di cambiamento,
ovvero la reazione di chiusura e irrigidimento degli attori coinvolti nei suoi
confronti. Come sottolinea infatti Hinshelwood (1987, p. 187) le forme di
irrigidimento dell’integrità di gruppo “sono un metodo mediante il quale si tenta
di evitare lo stato di frammentazione”. È innegabile che ogni cambiamento porti
21
con sé destrutturazione e ristrutturazione di schemi esistenti, adozione di nuovi
comportamenti e adesione a nuove norme, valori e stili di vita. L’incertezza e
l’inadeguatezza sono i sentimenti che accompagnano la rottura del precedente
status quo. Il conosciuto, per quanto non possa piacere, è sempre più rassicurante
dell’ignoto (Piccardo e Colombo, 2007).
Ma l’irrigidimento offre una protezione dalle ansie soltanto relativa e limitata nel
tempo, che porta con sé pericolosi svantaggi come depersonalizzazione, diminuita
capacità di giudizio sulla realtà e distorsione dei compiti in funzione difensiva
(Hinshelwood, 1987), oltre a rischiare di portare ad un effetto che Guichard e
Huteau (2003) descrivono come Hysteresis, in cui certi attori continuano per un
certo tempo ad applicare schemi di lettura o di giudizio e comportamenti ormai
inadatti all’organizzazione ormai mutata. Ansie e resistenze riducono quindi
l’efficienza dell’organizzazione.
Al contrario:
“Accettare il cambiamento implica sforzo, volontà vera di farsi
coinvolgere attivamente e non passivamente nel processo, fiduciosi
che la nuova situazione, ancorché ignota e sotto certi punti di vista
ambigua, rappresenti uno sviluppo della situazione passata” (Piccardo
e Colombo, 2007, p. 60).
Analizzare le resistenze è fondamentale nell’implementazione di un processo di
cambiamento. Serve infatti a comprendere come procedere per raggiungere gli
obiettivi preposti (Daft e Noe, 2001). Quaglino (2004), in un’ottica
psicodinamica, riconduce le resistenze al cambiamento a due livelli, un livello
individuale e uno di gruppo.
Il livello individuale riguarda innanzitutto le percezioni di incertezza e
insicurezza, ovvero la minaccia percepita e la mancanza di informazioni complete
sugli effetti che il processo di cambiamento avrà sull’individuo. Effetti che
andranno a toccare l’identità occupazionale (Benton, 1995), le competenze
maturate e la sicurezza economica (McKenna, 2000). Altra fonte di resistenze a
livello individuale è la selezione percettiva delle informazioni, ovvero la tendenza
22
a selezionare le informazioni “coerenti con le proprie opinioni e gli schemi
consolidati e utilizzati abitualmente” (Piccardo e Colombo, 2007, p. 68). Queste
sarebbero fonte di distorsione dei messaggi e delle informazioni riguardo il
processo di cambiamento, i suoi obiettivi, le sue motivazioni, e quindi di
resistenze da parte degli attori coinvolti. Si attivano resistenze individuali anche
nel momento in cui il cambiamento minaccia credenze, abitudini, significati
condivisi che hanno valore di status (ibidem).
A livello di gruppo le resistenze sono attivate come reazione a minacce che
riguardano il gruppo nella sua totalità dinamica. Esse possono essere legate al
potere e ai conflitti inter e infragruppo, ad una struttura organizzativa
eccessivamente burocratizzata, da un’eccessiva coesione all’interno del gruppo,
che porterà ad una strenua difesa dello status quo nel quale il gruppo aveva
raggiunto una sua omeostasi. Altra fonte di resistenze di gruppo è riconducibile ad
una comunicazione non adeguata e ambigua, che può dar luogo a interpretazioni
plurime e contrastanti dell’obiettivo e del metodo del processo di cambiamento
(Martin, 1998).
Sulla base di queste fonti di resistenza, gli attori organizzativi metteranno in atto
diversi comportamenti, dei quali Furnham (1997), sulla base dei lavori di Baron e
Greenberg (1992) propone una tassonomia citata in Piccardo e Colombo (2007, p.
63), tassonomia che viaggia lungo un continuum che va dal totale rifiuto al totale
sostegno al processo di cambiamento.
23
Consenso passivo: atteggiamento indifferente e acritico, approvazione
priva di partecipazione.
Consenso negoziale: accettazione del cambiamento tramite la
negoziazione del processo con il management.
Supporto attivo: accettazione della proposta di cambiamento e
impegno attivo in direzione dei suoi obiettivi.
24
2. COMPETENZE
2.1 Premessa
25
essere aspecifiche, quindi spendibili in contesti diversi tra loro, e che permettono
di svolgere mansioni o ruoli differenti (Gallo e Boerchi, 2011). Per trasferibilità si
intende invece la possibilità di poter riutilizzare le competenze acquisite, grazie ad
un apposito processo di ristrutturazione, in un contesto o in situazioni lavorative
differenti (ivi, p. 23).
Sono diventate fondamentali inoltre, quelle competenze di cooperazione (Le
Boterf, 2008) che rendono possibile l’emergere di performance superiori anche
nei gruppi di lavoro, facendo da collante tra le competenze individuali di ciascun
membro del gruppo, in modo che esse siano pienamente fruibili all’interno
dell’ambiente di lavoro.
Sono questi i concetti che vanno a dare una risposta alla critica di Bauman: in un
mercato del lavoro caratterizzato in questo modo da rapidi mutamenti la
competenza tecnica (o job-based) cui faceva riferimento è realmente una risorsa
obsolescente se non accompagnata da un bagaglio di altre competenze che
permettano a questa di modificarsi, riattualizzarsi e spendersi in ogni contesto in
cui l’individuo andrà ad imbattersi durante la sua vita lavorativa. Per dirla con Le
Boterf (2008, p.20):
“Per un numero crescente di lavori, l’esperienza risultante
dall’anzianità non basta più: diventa imperativo per chi li esercita
costruire in modo permanente delle competenze nuove che non erano
prevedibili e specificate all’inizio della loro carriera. La qualificazione
non può più essere, dunque, uno stock iniziale da valorizzare nel
tempo. È soltanto un punto di partenza per un impegno nella dinamica
dell’apprendimento.”
26
un più forte riconoscimento delle persone nelle situazioni di lavoro (Le Boterf,
2008), si è arrivati ad un superamento del concetto di qualifica lavorativa che si
esplicava in una forma di lavoro di tipo prescrittivo e aderente a procedure e
standard di stampo neotaylorista, superamento dovuto al riconoscimento della
necessità di tener conto delle competenze individuali in vista del raggiungimento
di performance ottimali. Le Boterf (ivi, p.18) parla infatti di uno spostamento del
focus sul “lavoro reale che doveva completare e a volte anche superare quello
prescritto”.
Uno dei primi autori a prendere in considerazione il concetto di competenza è
stato McClelland (1973) che mosse i suoi studi convinto della scarsa validità dei
test attitudinali, fino a quel momento largamente in uso all’interno delle
organizzazioni, come predittori dei comportamenti individuali al lavoro. Egli
proponeva come alternativa il modello delle competenze di successo, ovvero un
“sistema di schemi cognitivi e di comportamenti operativi causalmente correlato
al successo nel lavoro” (Gallo e Boerchi, 2011, p. 15).
L’autore definiva la competenza come “una caratteristica misurabile di una
persona che consente di distinguere in modo attendibile gli outstanding dai typical
performers in un particolare lavoro. Queste caratteristiche sono predittive di una
performance superiore” (ibidem).
Boyatzis (1982), riprendendo questo concetto e lo ampliano, inserendo la
condizione di causalità: “La competenza è una caratteristica intrinseca individuale
che è causalmente collegata ad una performance efficace o superiore in un’attività
lavorativa e che è misurabile in base ad un criterio prestabilito” (ibidem).
Un ulteriore contributo in chiave sistemica nel tentativo di dare una definizione
quanto più esauriente possibile al costrutto della competenza arriva con Gilbert
(1992). Egli scrive che “le competenze formano insiemi strutturati i cui elementi
si combinano, si dispongono, si ordinano secondo gerarchie, al fine di rispondere
alle esigenze delle attività che devono essere realizzate” (Rey, 2007, p. 55). Il
maggiore contributo che arriva da questa ulteriore puntualizzazione del costrutto
di competenza deriva dal fatto che gli autori riconoscano che esso non abbia una
27
omogeneità psicologica, ma di risultato. Il costrutto di competenza “Può
sicuramente comprendere conoscenze, saper-fare, ragionamenti, schemi motori e
sensoriali, ma ciò che ne fa l’unità è la sua utilità, è l’attività tecnico-sociale nella
quale essa sfocia” (ibidem). Essa quindi sarà quindi osservabile a partire dalle
azioni funzionali alle quali da luogo.
Il messaggio per le organizzazioni a questo punto è chiaro: esistono caratteristiche
soggettive dei vostri membri che sono legate a performance lavorative migliori, in
quanto hanno rapporto causale con i comportamenti che determinano questo tipo
di prestazioni, ed esse sono misurabili a partire da azioni osservabili che le
esplicano.
Dato il naturale interesse dell’ambiente organizzativo per un costrutto che sia in
grado di essere predittivo delle best performances, il naturale passo successivo è
stato uno sviluppo del modello delle competenze sotto il profilo delle pratiche
gestionali, sviluppo che ne consente quindi un’applicabilità e un utilizzo
manageriale.
In questa direzione si è svolto il lavoro di Spencer e Spencer (1993). Essi
rielaborano il modello andando a definire quali sono le caratteristiche che
compongono le competenze. Suddividono inoltre queste caratteristiche in tre
livelli, dal più superficiale e visibile a quello più profondo. Per quanto riguarda il
livello superficiale gli autori parlano di conoscenze e abilità, corrispondenti ai
classici “sapere” e “saper fare”. Queste, oltre ad essere le caratteristiche più
visibili sono anche quelle più facilmente modificabili e sviluppabili. Al livello
intermedio gli autori inseriscono l’immagine di sé, gli atteggiamenti ed i valori.
Essi corrispondono al “saper essere”, e, sebbene modificabili, hanno bisogno di
maggiore tempo e soprattutto maggiore sforzo per svilupparsi e quindi sono più
resistenti agli stimoli esterni. Al livello più profondo, infine, gli autori inseriscono
i tratti e le motivazioni. Essi sono difficili da diagnosticare, ma sono ancora più
difficili da modificare, proprio in relazione alla loro profondità e al loro essere
ancorati al nocciolo duro dell’identità e della struttura di personalità degli
individui.
28
Posta quindi questa strutturazione degli elementi caratterizzanti le competenze, è
compito del management gestire i diversi livelli in vista di un miglioramento delle
performance: strutturare idonei percorsi formativi per quanto riguarda i primi due
livelli, e, data la scarsa propensione alla modificazione del livello più profondo,
delegare ai processi di selezione il presidio di quest’ultimo (Gallo e Boerchi,
2011).
Gli autori hanno inoltre ideato un vero e proprio strumento a supporto
dell’applicazione del proprio modello. Raccogliendo, catalogando e
categorizzando centinaia di comportamenti di successo in varie attività, essi
giungono a definire il primo dizionario della competenza, strumento poi
rielaborato in molteplici varianti adattabili ai più diversi scopi e contesti
organizzativi. Esso si compone di vari cluster di competenze ricavate da modelli
di successo che, una volta applicati ai contesti in analisi, sono in grado di fornire
un modello generico di competenza predittivo dei comportamenti di successo
(Soro e Acquadro Maran, 2008).
Il contributo di Spencer e Spencer, seppur abbia avuto importanti risvolti pratici,
non esaurisce però il dibattito accademico, sviluppatosi soprattutto a partire dagli
ultimi anni ’90 per via delle nuove esigenze di competitività e di maggiore
complessità delle organizzazioni. Esse, per via di queste esigenze, hanno lasciato
ulteriori spazi di iniziativa alle azioni dei propri membri, spazi che sono stati
colmati dalla messa in opera delle competenze individuali di questi ultimi (Le
Boterf, 2008). Le competenze quindi, da essere un surplus fine al raggiungimento
di performance superiori, sono diventate essenziali per il buon funzionamento e
per il successo delle organizzazioni moderne.
La nozione stessa di competenza si è evoluta. “Essere competenti in una
situazione di lavoro oggi non significa più la stessa cosa che esserlo negli anni ’50
o negli anni ‘70” (ivi, p.20). Le competenze che avevano portato al successo in
passato “sono diventate oggi competenze necessarie solamente per competere.
Analogamente, parte di quelle che fino a pochi anni addietro erano competenze
richieste per esserci sono diventate competenze perdenti o marginali” (Galli e
29
Torreggiani, 2006, p. 14). L’oggetto del dibattito si è spostato dunque sul tipo di
concetto di competenza di cui le organizzazioni hanno bisogno.
30
il professionista dovrà quindi possedere le giuste competenze ed i giusti margini
di manovra che gli permettano di prendere iniziative pertinenti alla situazione.
Viste le nuove esigenze delle organizzazioni, le persone fondamentali per il
successo dell’organizzazione sono quelle:
“capaci di prendere iniziativa e decisioni a livello locale per far fronte
ai rischi e agli imprevisti; sono persone capaci di cooperare
efficacemente a dei progetti decentralizzati contribuendo
all’innovazione alla creazione di valore; sono dei lavoratori che
mettono in gioco la loro soggettività nell’interpretazione delle
prescrizioni, mettendo l’accento più sui risultati da realizzare che sulle
procedure atte a raggiungerli” (ivi, p.25).
Sono queste quelle che l’autore indica come competenze centrali per il successo
dell’organizzazione nel contesto odierno, competenze che rendono l’individuo
nell’espletamento della sua mansione, non più un semplice lavoratore, ma un
professionista (ibidem). Queste, come sottolinea l’autore, non possono quindi
essere più solo di carattere tecnico, ma devono essere necessariamente considerate
a livello pluridimensionale, integrando alle prime tutte quelle competenze “soft”
che garantiscano il soddisfacimento delle esigenze di qualità, di reattività e di
relazione (ivi, p. 29).
La sola competenza tecnica infatti, come sottolineano Blandino e Tartaglia (in
Soro e Acquadro Maran, 2008), si rivela in molti casi solamente un tecnicismo.
Per gli autori è la “competenza clinica” (ivi, p. 44) a dare spessore e significato
alla prestazione offerta. Essa si esplica in “capacità che fanno riferimento alla
flessibilità mentale, all’apprendere continuamente dall’esperienza, alla gestione
dei conflitti, alla creatività, alla gestione dello stress” (ivi, p. 45) oltre che nelle
tradizionali competenze relazionali ed emotive.
La competenza clinica comprende quindi un’ampio raggio di capacità relative a
categorie quali tratti di personalità, qualità personali, caratteristiche di natura
emotiva ed affettiva che costituiscono un costrutto alla base di quella “intelligenza
sociale” che Goleman (2006) ritiene funzionare in sinergia con quella cognitiva.
31
Egli ritiene infatti che “una carenza in queste abilità potrebbe ostacolare l’uso
dell’expertise tecnico e delle doti intellettuali, per quanto pronunciate esse siano”
(Soro e Acquadro Maran, 2008, p. 45).
A questo proposito Le Boterf (2008) introduce il concetto di “competenze di
cooperazione” (ivi, p. 187). Egli partendo infatti dal presupposto che non esistono
ruoli privi di relazioni, comunicazioni e scambi con gli altri attori organizzativi, e
che il raggiungimento di risultati superiori è sempre più spesso legato al lavoro di
gruppi o di reti all’interno dei quali si trovano individui con competenze anche
molto differenti tra loro, parla per questi casi di competenza collettiva, al cui
raggiungimento sono necessarie competenze di cooperazione in grado di far
esprimere le diverse competenze individuali in maniera virtuosa e utile al
raggiungimento dell’obiettivo.
L’autore (ivi, p. 192) fornisce dunque un elenco degli indicatori riguardo la
presenza di competenze di cooperazione all’interno di un collettivo di lavoro.
32
Sincronia nel ragionamento e nello svolgere le azioni. Questo presuppone
riuscire a tener conto della micro - organizzazione o micro -
pianificazione di ogni altro membro della rete.
Messa in atto di azioni concertate.
Padronanza dei dettagli che possono turbare il funzionamento collettivo.
33
Questo presuppone per esso ragionare in termini di sviluppo su quelle competenze
che Gallo e Boerchi (2011) identificano come trasversali in quanto “spendibili in
contesti diversi tra loro, e quindi tutte quelle competenze che, per la loro
aspecificità, possono essere utilizzate nello svolgere mansioni e nel ricoprire ruoli
differenti” (ivi, p. 22).
In letteratura il concetto di competenze trasversali è ancora molto dibattuto. Da
una parte ci sono tutti quegli autori che, ragionando in termini di competenza-
comportamento (Gillet, 1973) o competenza-funzione (Gillet in Parisot, 1991),
ovvero fondandone il possesso sulla best performance in una mansione specifica,
lo ritengono un concetto privo di senso. Essendo infatti questa legata alle
condizioni particolari di un contesto specifico, “essa sarà specifica per il compito
o per i generi di compiti che permette di assolvere” (Rey, 2007, p. 68).
All’opposto la pensa chi, ispirandosi al concetto di competenza linguistica
definito da Chomsky (1969a), ovvero come “potere dell’uomo di adattare i propri
atti e le proprie parole a un’infinità di situazioni inedite” (Rey, 2007, p. 68), la
definisce come potere generativo e di adattamento delle azioni e quindi ne reputa
come intrinseca la caratteristica di trasversalità.
Un primo tentativo di sintesi a questo dibattito viene proposto da Levati e Saraò
(1993), che classificano la trasversalità delle competenze in due macro-categorie:
work based e worker based.
Le prime sono riferibili a conoscenze e abilità che riguardano un largo range di
mansioni che non sono trasversali per loro caratteristica intrinseca, ma per la loro
adattabilità in contesti diversi ma limitati; le seconde invece riguardano le
modalità di funzionamento del soggetto. Esse sembrano effettivamente essere utili
in qualsiasi contesto, ma per un loro uso operativo è necessaria di volta in volta
una specifica azione di contestualizzazione. (Gallo e Boerchi, 2011).
Gallo e Boerchi, a questo proposito, obiettano che forse sarebbe più utile riferirsi
al concetto di “trasferibilità” (ivi, p. 23) delle competenze piuttosto che a quello di
trasversalità. Essi per trasferibilità infatti intendono “la possibilità di riutilizzare
alcune competenze acquisite, grazie ad un apposito processo di
34
ricontestualizzazione, in un contesto e in situazioni lavorative differenti” (ibidem).
Si tratta quindi di un processo di ridefinizione professionale, che richiede sia un
aggiornamento e una ridefinizione delle competenze possedute, che la capacità di
ridefinire la propria identità professionale, ed è questa un’attività indispensabile
che ogni individuo deve essere pronto a compiere in un mercato del lavoro che
come si è già sottolineato richiede grande flessibilità nel gestire della propria
professionalità.
Gli autori a tal proposito ricordano che “ogni azione di valutazione e di sviluppo
delle competenze deve tenere in considerazione l’eventualità che queste debbano,
prima o poi, essere trasferite in un vissuto lavorativo differente rispetto a quello in
cui esse sono state formate.” (ibidem). Essi inoltre introducono il concetto di
“competenze trasferenti” (ivi, p.24) riferendosi a quelle competenze che svolgono
la funzione di facilitatori del trasferimento di alcune competenze da un contesto
all’altro.
Citando Di Francesco (1992) essi riconoscono questa funzione in quelle
competenze che riguardano l’interazione con la complessità tecnico-organizzativa
quali ad esempio:
È facile notare che tutte queste competenze trasferenti facciano parte di quella
macrocategoria definita solitamente in letteratura organizzativa come quella delle
competenze trasversali o soft-skills. In questo caso è stato fondamentale l’apporto
degli autori nel chiarire il motivo per cui esse vengono considerate tali e qual è la
35
loro reale funzione, ovvero la “creazione delle condizioni per un efficace
trasferibilità delle competenze possedute dal singolo” (ibidem).
È utile infatti parlare di trasversalità di competenze non tanto come caratteristica
intrinseca di alcune di esse, quanto come possibilità, e soprattutto capacità, di
trasferire quelle già possedute in contesti diversi, ristrutturandole e riadattandole.
36
sistema di gestione della competenza è andato a toccare, e a modificare, i sistemi
di selezione e di valutazione del personale, i sistemi di formazione, i sistemi di
professionalizzazione, di retribuzione, quelli di sviluppo delle carriere e quelli
riguardanti la mobilità interna. In alcuni casi l’interesse per l’argomento è stato
tale da andare a modificare tutto l’insieme delle politiche delle risorse umane.
In quest’ottica le organizzazioni da una parte sono state chiamate ad azioni di
“mappatura attenta e dettagliata delle competenze necessarie alle posizioni; di
censimento delle competenze possedute dalle persone; di mantenimento delle
medesime attraverso azioni di aggiornamento, di ri-ordinamento, sviluppo,
mobilità” (Soro e Acquadro Maran, 2008, p. 30); dall’altra ad individuare quali
sono le competenze distintive del loro particolare contesto organizzativo,
competenze che Prahalad e Hamel (1990) denominano “core competencies”
aziendali, riferendosi ad “un’area di expertise di alta specializzazione in cui
vengono integrati processi tecnologici complessi e attività di lavoro” (Soro e
Acquadro Maran, 2008, p. 6). Sono queste le caratteristiche di successo che
detiene l’organizzazione ed il suo particolare contesto, che vengono identificate
dagli autori tramite tre caratteristiche:
Sono queste dunque le competenze che, secondo Consoli (2002), sono in grado di
consentire all’azienda di raggiungere e mantenere nel tempo un vantaggio
competitivo, andando esse a toccare “processi strategici di importanza cruciale”
(Soro e Acquadro Maran, 2008, p. 6). Si è sviluppato quindi, accanto ad un
approccio individuale alle competenze, che ha come obiettivo la valutazione, la
formazione e lo sviluppo delle competenze dei singoli attori organizzativi, un
37
approccio strategico “volto a rilevare e anticipare le competenze emergenti, quelle
che potranno definire il successo competitivo aziendale nel prossimo futuro”
(ibidem).
Sono state inoltre messe appunto, all’interno delle organizzazioni stesse, le
condizioni necessarie affinché i propri membri siano in grado di sviluppare le
proprie in un’ottica di mobilità interna finalizzata alla riorganizzazione
dell’azienda secondo la logica delle competenze. Secondo Le Boterf (2008),
infatti, “le imprese dovranno tendere a reclutare non solamente in funzione delle
capacità da esercitare in un determinato posto di lavoro, ma in funzione della
capacità dei candidati di realizzare un itinerario professionale che non può essere
pianificato o previsto fin dall’inizio” (ivi, p. 33). Questo rimanda ad un’ottica di
formazione continua in cui le competenze fondamentali per il successo all’interno
dell’organizzazione sono probabilmente quelle che nel paragrafo precedente sono
state indicate come trasferenti, ovvero come quelle in grado di svolgere da
facilitatori del trasferimento delle competenze di un individuo tra contesti
differenti. L’autore cita come esempio i casi di Thales, che nel 2001 ha spostato il
60% degli ingegneri e quadri dirigenziali presso le filiali tramite la realizzazione
di una cartografia delle competenze; del gruppo Bouygues, che nel quadro di una
gestione interprofessionale ha inserito la possibilità per un dipendente di
intraprendere un progetto di mobilità interna tramite un colloquio confidenziale
con il proprio direttore delle risorse umane (che ha avuto come risultato nel solo
2001 la mutazione professionale interna di quasi il 5% dei propri collaboratori); di
Schlumberger, che tramite la realizzazione di un career center nella propria
intranet ha permesso ai dipendenti di depositare in esso le proprie aspettative e
condizioni di mobilità, non riferite ad una posizione specifica, ma a disposizione
della direzione delle Risorse Umane che quindi è in grado di gestire la mobilità
interna tramite un sistema di competenze supportati da un sistema in grado di
monitorare le motivazioni personali di ogni dipendente.
Data la grande quantità e soprattutto la non omogeneità delle tipologie di
interventi messi in atto, Le Boterf (ivi, p. 251) precisa che non tutti sono stati
38
caratterizzati da una coerenza d’insieme, ma spesso ci si è trovati di fronte a
interventi caratterizzati da quello che egli chiama “effetto arcipelago”, ovvero
l’introduzione di procedure “poco coerenti, addirittura divergenti, che coesistono
tra siti e dipartimenti della stessa organizzazione” (ibidem). Sebbene egli ammetta
che non esista una “one best way” riguardo al sistema di gestione delle
competenze, propone un modello in grado di “aiutare le imprese e le
organizzazioni a fare delle scelte, a percepirne meglio le dimensioni e le
implicazioni” (ivi, p. 252).
Il suo modello propone di adottare una “logica di competenza” in tutto l’insieme
della politica delle Risorse Umane ricercando una forte coerenza in tutte le sue
variabili in modo da creare la giusta convergenza per rendere lo sviluppo delle
competenze non soltanto una risorsa, ma soprattutto una fonte di creazione di
valore (ivi, p. 254). Investire in una logica di competenza vuol dire per l’autore
andare a toccare:
39
il management: impegnandosi a delegare un reale potere manageriale ai
servizi per l’impiego, che gli consenta di prendere decisioni sulla
formazione, l’organizzazione del lavoro, la mobilità, gli incentivi
economici;
la comunicazione interna ed esterna: impegnata a svolgere un ruolo di
rappresentazione cartografica che dia visibilità e leggibilità ai referenziali,
alle opportunità e ai percorsi-tipo, dando una visione delle possibilità di
evoluzione e organizzando un marketing per attirare talenti;
il piano di formazione: strutturandolo in modo che faccia acquisire le
giuste risorse, le competenze per agire su di esse e che proponga moduli a
scelta per rendere possibili i progetti personalizzati;
la valutazione e la validazione: organizzandole per farle avvicinare quanto
più possibile all’obbiettività;
la classificazione e la remunerazione: applicandole tramite regole esplicite
e forti, con criteri solidamente stabiliti. Il non tenerne conto espone il
sistema di gestione delle competenze al rischio di perdita di credibilità
(ivi, pp. 258-259).
È chiaro nel modello di Le Boterf (2008), che gli interventi per l’introduzione
della logica delle competenze nelle organizzazioni comporti una ristrutturazione
totale della gestione delle risorse umane al loro interno. Essa presuppone un
capovolgimento di prospettiva che renderebbe l’organizzazione “ciò che permette
di mettere in rete e in sinergia le competenze individuali e di mestiere” (ivi, p.
253). Lo sviluppo dell’impresa in questo modo non andrebbe più verso la
riduzione dei costi degli effettivi, ma verso l’ottimizzazione dell’utilizzo del
potenziale degli attori organizzativi.
40
2.6 La valutazione delle competenze
Sono stati sviluppati negli anni diversi strumenti per la valutazione delle
competenze, una varietà che è comunque riconducibile a due metodologie
fondamentali e preponderanti nel panorama organizzativo attuale: il Bilancio di
41
Competenze, e l’Assessment Center. Il loro obiettivo è quello di costruire un
“portafoglio di competenze”, strumento che permette l’archiviazione e il
monitoraggio, tramite dossier e fascicoli personali, delle competenze sviluppate
da ogni soggetto e che “più di ogni altro, permette di dare visibilità in modo
strutturato ed efficace, alle competenze possedute da una persona” (Gallo e
Boerchi, 2011, p. 35).
Il Bilancio di Competenze, sviluppatosi nel contesto francese a partire dagli anni
’90, si caratterizza per una forte connotazione autovalutativa. Esso, sottolineano
gli autori, ha un carattere prevalentemente orientativo più che valutativo in senso
stretto, e presuppone di analizzare le competenze dei soggetti in funzione di una
loro migliore spendibilità sul mercato del lavoro. Esso viene progettato e
strutturato in maniera personale a partire dalla situazione professionale attuale e
coerentemente agli obiettivi che il soggetto vuole raggiungere, e viene sviluppato
in ottica consulenziale, richiedendo quindi un forte investimento partecipativo del
soggetto.
L’Assessment Center, sviluppatosi invece nel contesto statunitense durante la II
Guerra Mondiale, si pone in un’ottica speculare rispetto al Bilancio di
Competenze, ovvero quella di ricercare negli individui le competenze individuate
e ricercate dalle organizzazioni. Esso si serve di un gran numero di strumenti quali
test, colloqui, prove di gruppo, in basket, simulazioni, in modo da arrivare ad un
giudizio quanto più oggettivo possibile tramite l’eliminazione degli errori
sistematici di valutazione. Esso viene condotto e presidiato da Assessors,
adeguatamente formati e presenti contemporaneamente durante le prove, in modo
da assicurare una valutazione finale che sia il meno soggettiva possibile. È
utilizzato soprattutto nei processi di selezione e per individuare i piani di
formazione, ma negli ultimi anni è stato introdotto anche come metodo di
valutazione del potenziale per la mobilità interna, per lo sviluppo delle
competenze e per l’individuazione di talenti. Gli autori sottolineano che questa,
non essendo una metodologia partecipativa, ed essendo i soggetti all’oscuro del
significato di ciò che stanno facendo, è una metodologia poco incline allo
42
sviluppo se non prevede di fornire agli individui il significato della valutazione, e
soprattutto un feedback in grado di scatenare in essi un momento di riflessione.
Per questo motivo essi propongono uno sviluppo dell’Assessment Center, ovvero
il Developement Center, che propone come ultimo step un colloquio di feedback,
che diventa per i soggetti “il primo step dello sviluppo della risorsa: consente di
aumentare e migliorare il proprio livello di consapevolezza ed auto-valutazione
per orientarsi allo sviluppo” (ivi, p. 30)
L’auto-valutazione è un elemento fondamentale per lo sviluppo delle competenze
degli individui. Essa ha il fine di “mobilitare le energie della persona in funzione
della comprensione ed espressione dei propri livelli di competenza” (ivi, p. 187),
ma necessita di individui in grado di condurre un buon esame della realtà e
motivati all’auto-sviluppo.
43
3. COMPETENZE PER IL CAMBIAMENTO
3.1 Premessa
Nei primi due capitoli di questo scritto si sono affrontati due temi che rivestono
una centralità assoluta nella letteratura organizzativa attuale. Da un lato il tema
del cambiamento, del quale si è sottolineato il carattere di necessità e di scarsa
prevedibilità degli esiti; dall’altro quello delle competenze, del quale si è
sottolineato invece l’importanza nel successo delle organizzazioni.
In questo terzo capitolo si proporrà un tentativo di sintesi sui due temi, partendo
da una domanda che appare quasi scontata: può il modello delle competenze dare
una risposta alla scarsa prevedibilità degli esiti di un processo di cambiamento? In
altre parole: esistono competenze che permettono di prevedere una buona riuscita
di un processo di cambiamento?
La letteratura, pur in un panorama che presenta molteplici punti di vista e alcuni
tratti di ambiguità, sembra dare una risposta affermativa a questa domanda: le
organizzazioni che cambiano, “necessitano di persone in possesso di nuove
competenze/capacità che vanno sviluppate e formate adeguatamente.” (Soro e
Acquadro Maran, 2008, p. 26). Si fa in questo caso riferimento a quelle soft skill
che permettono di cogliere appieno l’urgenza della necessità del cambiamento,
che permettono di creare una visione della nuova situazione verso la quale
dirigersi, ma soprattutto che permettono di superare le resistenze che ogni
cambiamento porterà con se in quanto portatore di insicurezza.
Solo una volta superati questi scogli infatti si sarà in grado di andare a trasformare
efficacemente quegli aspetti della vita organizzativa il cui rimodellamento è tanto
duro quanto necessario per il buon esito di un cambiamento organizzativo: i
modelli organizzativi, i ruoli, le modalità gestionali e gli stili di leadership
(ibidem).
44
3.2 Un iceberg che si scioglie
45
indurre all’azione una vasta gamma di persone in modo notevolmente diverso dai
testi professionali più tradizionali” (ibidem).
La storia narra di una colonia di pinguini il cui iceberg, sul quale vivono da
quando hanno memoria, si sta sciogliendo. Dare soluzione ad un problema del
genere implica per loro riconoscere il problema come reale, rompere lo status quo
basato su tradizioni e cultura dure da modificare, insomma, un cambiamento
radicale rispetto a quello che sono sempre stati.
Il cambiamento viene affrontato con un metodo che prevede passaggi chiave
messi in atto e analizzati attentamente dall’autore tramite i suoi “attori”. Questi
passaggi chiave sono gli stessi che Kotter (1996) aveva indicato nel suo modello.
Secondo l’autore infatti affrontare il cambiamento significa:
preparare il terreno;
decidere cosa fare;
agire;
fare in modo che il cambiamento diventi duraturo.
46
Generare successi a breve termine fissando obiettivi intermedi e
raggiungibili.
Non riposare sugli allori ma insistere fino a quando la visione diventerà
realtà.
Creare una nuova cultura, perseverando nel nuovo modo di agire e
assicurarsi che abbia successo finché non avrà forza sufficiente per
rimpiazzare le vecchie abitudini.
Il modello di Kotter si basa sul modello tripartito di Lewin (1951, vedi fig. 3.1), in
quanto le sue otto fasi possono essere viste come un approfondimento delle tre
fasi di scongelamento, cambiamento e ricongelamento di Lewin. Ne risulta uno
sviluppo interessante sia perché ne da una versione operazionalizzata, in grado di
essere applicata nei più svariati contesti organizzativi e di gruppo, sia perché pone
come centrale la questione degli agenti del cambiamento, ovvero di chi porta
47
avanti tramite le sue azioni concrete il processo di cambiamento all’interno
dell’organizzazione.
Il team di pinguini che nella favola di Kotter (2005) è in grado di trasformare
radicalmente le abitudini della colonia nella quale vive, facendola evolvere da
gruppo stanziale a gruppo nomade per rispondere alle esigenze di un ambiente
non più sicuro, non è composto da caratteri casuali. Essi riescono nel compito di
portare a termine il programma di cambiamento, compito che sfugge a due
organizzazioni su tre che tentano di cambiare (Kotter, 1996; Aiken, e Keller,
2009), sfruttando proprio quelle che Le Boterf (2008) chiama competenze di
cooperazione, che permettono alle diverse competenze specifiche di ognuno di
loro di lavorare in sincrono in funzione dell’obiettivo del gruppo.
Ogni carattere citato da Kotter è infatti portatore di proprie competenze specifiche
che da sole sarebbero risultate inutili al fine di portare il processo al compimento
reale. L’enfasi del’autore sulla creazione di un team di successo va proprio in
questa direzione. Sono molti gli autori che trovano infatti nel termine “agenzia del
cambiamento” (Stoker, 2009) una nozione più valida e forte di quella di singolo
agente del cambiamento. Lo sottolineano Buchanan e Badham (1999), scrivendo
che il cambiamento andrebbe portato avanti da una “squadra di personaggi”
perché sia effettivo. Ci si trova all’interno di un profilo di competenze che
privilegia la dimensione relazionale. Gli agenti del cambiamento dovranno quindi
“acquisire e sviluppare una professionalità e nuove competenze intese non come
un surplus psicologico, ma come leva primaria di gestione” (Soro e Acquadro
Maran, 2008, p. 34).
Ciò naturalmente non vuol dire che le competenze “hard” perdono di significato,
ma che esse in un contesto di cambiamento vanno affiancate giocoforza a
“capacità di gestire gruppi di lavoro, di facilitare la comunicazione, di controllare
situazioni critiche e conflittuali, e soprattutto, di favorire la possibilità di ragionare
anche in situazioni di incertezza e turbolenza, e, conseguentemente, di prendere
decisioni come frutto di pensiero piuttosto che come modo per scaricare subito,
nell’azione, l’angoscia che la gestione di situazioni critiche comporta” (ibidem).
48
3.3 Compiere il cambiamento
Kotter (2002) nell’esplicazione del suo modello, è molto attento nel sottolineare
come una delle fasi più importanti e rischiose del processo di cambiamento
organizzativo sia quella in cui sembra esserci la tentazione di crogiolarsi dei primi
risultati ottenuti non prestando attenzione alle resistenze che si sono manifestate
durante la fase di implementazione.
Quaglino nel 2007 introduce a questo proposito il concetto di compimento del
cambiamento. Egli sottolinea come molto spesso, anche se il processo di
cambiamento è progettato nel migliore dei modi, la sua messa in atto comporti
una fatica tale da non riuscire a conseguire pienamente l’esito atteso.
Bisogna partire dal presupposto che la situazione di un’organizzazione durante un
processo di cambiamento non è statica, bensì è pregna di forze che spingono in
direzioni diverse e a volte contrastanti, e che in un contesto come questo non è
raro imbattersi in situazioni inizialmente non previste. In questo caso risulta di
fondamentale importanza riuscire a riconoscere questo tipo di situazioni,
prenderne atto, darne un senso all’interno dell’intero processo e quindi
programmare le azioni per farvi fronte.
Uno dei rischi che Quaglino (2007) segnala è infatti quello di allentare la tensione
in seguito all’ottenimento di successi nelle prime tappe del processo. “Compiere il
cambiamento significa fare tutto ciò che si è ritenuto qualificante nel momento
della progettazione e tutto ciò che è diventato necessitante a mano a mano che lo
si stava attuando” (ivi, p.123). Per necessitante egli intende “tutto ciò che non è
stato previsto nella fase di progettazione ma che è sicuramente emerso nel
momento dell’implementazione e che non può non essere affrontato, non avere
seguito, semplicemente perché non era compreso nel disegno” (ibidem)
L’attenzione va quindi sempre riposta sull’obiettivo del processo di cambiamento,
sul reale bisogno dell’organizzazione. Questo vuol dire programmare azioni
coerenti non tanto rispetto alla decisione passata, quanto rispetto al traguardo
previsto. Per fare ciò è necessaria una progettazione aperta e flessibile, ma
49
soprattutto attenzione nel riconoscere e affrontare quelle resistenze che sono
inevitabilmente coinvolte, anzi caratterizzano, ogni processo di cambiamento.
Sostiene infatti l’autore: “l’insuccesso del cambiamento è sempre la vittoria delle
resistenze” (ivi, p.125). Superare le resistenze è però possibile, a patto che
vengano rispettate precise condizioni durante la messa in atto dell’intervento,
condizioni che riguardano i comportamenti da promuovere e attuare al fine di
attuare il compimento del cambiamento organizzativo.
Quaglino (ivi, p.127) individua quattro condizioni tramite le quali è possibile
superare le resistenze e quindi giungere al compimento del cambiamento.
50
skills o competenze trasversali, siano esse di tipo organizzativo, siano esse
relazionali, siano esse individuali, skills che, come sottolinea l’autore stesso,
vanno potenziate in tutti gli attori organizzativi tramite interventi specifici, che
permettano ad essi di giungere ad un riposizionamento virtuoso rispetto alla nuova
situazione organizzativa verso la quale muove ogni intervento di cambiamento.
Data una risposta affermativa alla prima domanda, ovvero se esistano competenze
correlate con il compimento effettivo di un processo di cambiamento
organizzativo, resta da indagare quali esse siano e in che modo possano risultare
decisive nelle varie fasi del cambiamento.
La letteratura organizzativa si divide nel trattare questo argomento a seconda della
tipologia di focus che i vari autori utilizzano nella propria analisi.
C’è grande sintonia nella letteratura di riferimento nel considerare che le
competenze fondamentali per un successo in un cambiamento sono quelle che
permettano di minimizzare le resistenze al cambiamento degli attori organizzativi,
ma se da una parte c’è chi si sofferma più ad un livello di gruppo, e quindi mette
in primo piano soft skills di tipo relazionale per sottolineare l’importanza della
cooperazione tra i diversi agenti del cambiamento, dall’altra c’è chi pone
l’accento su soft skills di tipo individuale per indagare su chi sono gli attori
organizzativi che garantiranno una minore resistenza al processo e su quali
caratteristiche essi abbiano. C’è inoltre chi a queste due tipologie di competenze
affianca quelle di tipo organizzativo - gestionale in grado di tradursi in azioni di
supporto concreto al progetto.
Stoker (2009) afferma che il ruolo e le skills degli agenti di cambiamento sono
cruciali nel compiere o facilitare il cambiamento in maniera effettiva. Un agente
del cambiamento privo di quelle competenze relazionali che gli permettano di
intervenire nel processo politico interno, di spingere verso azioni specifiche, di
influenzare le decisioni e i decisori, di affrontare le critiche e le sfide, di superare
51
le resistenze e di mantenere la sua coerenza di ruolo, è inevitabilmente destinato a
fallire (Buchanan e Badham, 1999).
Come deve comportarsi quindi l’agente del cambiamento per essere un
partecipante virtuoso nel processo di cambiamento? Secondo Buchanan e Boddy
(1992) egli deve dare supporto alla “public performance” (ivi, p.27) in maniera
“razionalmente graduale, visibilmente partecipativa, ricercando e mantenendo il
supporto nell’identificare e bloccare le resistenze” (ibidem).
Balogus (2008) enfatizza l’importanza di competenze interpersonali e
comunicative più che quelle tecniche come fattori di successo in un processo di
cambiamento organizzativo. Specificano anzi ancora di più su che tipo di
competenze puntare, ovvero giudizio politico, capacità di fare rete e propositività
in azioni di backstage in grado di favorire lo scioglimento delle resistenze,
competenze che devono essere tenute in primo piano dai decisori, che devono
fornire supporto e formazione adeguata su questo piano, soprattutto a quegli
elementi del middle management che si troveranno nel difficile ma centrale ruolo
di dover “assorbire lo shock” del cambiamento, dovendo rispondere da un lato
alle esigenze della dirigenza, e dall’altro all’esternarsi delle resistenze al
cambiamento da parte dei propri colleghi e collaboratori. Questo delicato ruolo li
costringerà spesso ad un lavoro fortemente emotivo, privo di un copione
prestabilito, e scarsamente riconosciuto.
Spreitzer e Quinn (1996), spostano invece l’attenzione su competenze, sempre
“soft”, ma di tipo individuale e su quali di queste garantiscono un coinvolgimento
maggiore nel processo di cambiamento da parte degli attori organizzativi. Essi
nella loro ricerca che ha preso in esame ruoli, skill e supporto sociale, hanno
riscontrato che quelli con i più alti livelli di self confidence e supporto sociale
percepito erano i più aperti ad un cambiamento organizzativo. La loro ricerca ha
inoltre evidenziato come fossero tre i comportamenti fondamentali per quel che
riguarda invece le competenze di tipo relazionale che contraddistinguevano gli
individui più propensi a rendersi partecipi di un processo di cambiamento, ovvero
52
la condivisione di informazioni, la condivisione di risorse e la ricerca di accesso ai
network chiave.
Tornando sul piano individuale, non bisogna dimenticare una questione
fondamentale implicata in ogni cambiamento organizzativo: quella dello stress
generato dal cambiamento. Come già sottolineato nel primo capitolo ogni
cambiamento organizzativo porterà inevitabilmente con se sentimenti di
incertezza percepiti da parte degli attori organizzativi. Questi sentimenti di
incertezza riguardano la propria posizione all’interno dell’organizzazione, le
pressioni di ruolo, il timore di perdere il lavoro, la riduzione delle risorse
disponibili (Hui e Lee, 2000). Altri timori riguardano l’alterazione o il
cambiamento delle competenze tecniche necessarie per il soddisfacimento delle
richieste organizzative (Schabracq e Cooper, 1998). Secondo gli autori infatti,
quando i dipendenti non riescono ad apportare i necessari adeguamenti, il senso di
incertezza sul futuro aumenta causando stress.
È il senso di inadeguatezza rispetto a queste richieste il detonatore principale dello
stress e al contempo l’ostacolo al cambiamento. Kotter e Cohen (2002) hanno
fatto notare che i problemi fondamentali dei cambiamenti organizzativi non sono
tanto la strategia, la struttura, la cultura o il sistema. I veri problemi sorgono al
momento di decidere come aiutare i dipendenti ad adattarsi al cambiamento. Ciò
che va evitato in questo caso, è che una percezione negativa dell’evento possa
portare a sentimenti negativi di sfiducia e disaffezione nell’organizzazione, che
possono sfociare in comportamenti di resistenza o in vero e proprio disagio
psicologico e minare le basi dei rapporti di cooperazione tra le persone.
Infatti, in ossequio al modello transazionale di Lazarus e Folkman (1984) che
definiscono lo stress come condizione dinamica derivante dall’interazione di
variabili ambientali e individuali che vengono mediate da variabili di tipo
cognitivo, si può affermare che gli eventi saranno stressanti per l’individuo nella
misura in cui egli li percepirà come tali. Di fondamentale importanza saranno
questa volta proprio quelle variabili cognitive individuali in grado di moderare la
risposta di stress, in quanto da tale mediazione dipenderà la valutazione che
53
l’individuo darà allo stimolo stressante e da questa valutazione deriverà la sua
risposta comportamentale.
Mallak (1998) introduce a questo proposito il costrutto di resilienza, ovvero
l’abilità di un individuo o di un’organizzazione nel progettare e incrementare
comportamenti adattivi positivi a seconda della situazione nella quale ci si trova,
riducendo al minimo lo stress correlato.
Kendra e Wachtendorf (2003) definiscono la resilienza come la capacità di trovare
sempre nuove soluzioni, di comunicare in modo efficace e di auto-organizzarsi di
fronte a situazioni di crisi.
La caratteristica della resilienza è quella di consentire agli individui di “agire sul
proprio flusso narrativo, interpretando gli eventi e reinterpretando la propria
storia, attraverso una trasfigurazione del proprio Sé” (Laudadio, 2011, p. 2). In
questo modo essi saranno in grado di affrontare e superare con successo le
avversità importanti della vita, riuscendo ad essere discontinui rispetto al proprio
passato, in modo da essere in grado di volta in volta di autodeterminarsi.
Scrive infatti Laudadio (2011) che “in un periodo storico in cui il cambiamento
sembra essere l’unica costante, in cui la crisi non è più un evento sporadico ma
ciclico e ricorrente, la più importante delle competenze è la capacità di
ambientarsi” (ibidem), intesa non come adeguamento passivo al contesto, ma
come “capacità di ridisegnare la relazione con il proprio ambiente, valorizzando
se stessi e il proprio contesto” (ibidem).
È importante in questo concetto la svolta dell’ottica in chiave sistemica:
l’individuo resiliente non è alla ricerca dell’omeostasi ovvero della capacità di
mantenere un equilibrio interno pur nel variare delle condizioni esterne, ma
dell’alleostasi, ossia del mantenimento della stabilità attraverso il cambiamento.
Essa riguarda la persona nella sua interezza, e in tutti i suoi sistemi: l’individuo e
il suo microsistema, la famiglia, l’azienda in cui lavora, il gruppo di cui si fa parte
e la società nella quale si vive (ibidem)
Secondo il modello teorico messo a punto da Richardson (2002) la resilienza
viene presentata attraverso un semplice schema lineare che raffigura una persona
54
(o un gruppo) che passa attraverso diversi stadi, in una logica di rottura e
ristrutturazione.
55
della reintegrazione omeostatica è di “curare” la rottura “semplicemente
andando oltre” (Richardson, 2002, p. 312).
Reintegrazione con perdita: gli individui rinunciano a parte delle loro
motivazioni, speranze o impulsi per dover ristabilire un equilibrio in
risposta all’evento di rottura.
Reintegrazione disfunzionale: gli individui ricorrono a sostanze,
comportamenti distruttivi ricercando un nuovo equilibrio ma non
trovandolo. Molte persone che rispondono in modo disfunzionale hanno
punti ciechi nelle loro competenze di introspezione che richiedono terapie
specialistiche per essere riempiti.
56
cresciuti in condizioni a rischio quali stress pre-natale, povertà, instabilità
giornaliera, e seri problemi psichici nei genitori.
Hanno notato che 72 tra questi 200 erano riusciti, nonostante queste difficoltà, ad
adattarsi bene e ad avere uno sviluppo comparabile a quelli nelle condizioni di
controllo e sono passati quindi ad analizzare le caratteristiche che avevano
sviluppato per affrontare un ambiente ad alto rischio con successo. Tra di questi
sembravano avere fondamentale importanza, oltre a caratteristiche demografiche
quali sesso e costituzione, competenze quali l’essere socialmente responsabili,
l’adattabilità, la tolleranza, l’orientamento al raggiungimento degli obiettivi, la
comunicazione, la self confidence.
Nel 1993 Wolin e Wolin, in uno studio che ha coinvolto 25 adulti cresciuti in
contesti familiari altamente problematici e che hanno incrementato notevolmente
il loro tenore di vita rispetto a quello che avevano conosciuto da giovani, hanno
riscontrato delle caratteristiche che li accomunavano e le hanno sintetizzate in
sette categorie alle quali hanno dato il nome di resilienze. Queste categorie di
caratteristiche o competenze della persona resiliente sono: intuizione,
indipendenza, creatività, umorismo, iniziativa, competenze relazionali e
orientamento morale.
Questi studi hanno stimolato molto l’interesse della comunità scientifica attorno
all’argomento della resilienza, che ha visto un fiorire di studi nei più svariati
contesti, fino a spingere due importanti riviste, American Psycologist e Journal of
Social and Clinical Psychology, a pubblicare nel 2000 due volumi speciali
sull’argomento, nei quali diversi autori descrivevano le competenze di resilienza
molto dettagliatamente integrando quelle di Wolin e Wolin (1993) con
competenze quali il pensiero positivo, la fiducia, l’autodeterminazione, la ricerca
dell’eccellenza, la saggezza, il self control, la gratitudine, la capacità di perdono,
l’umiltà. (Richardson, 2002, p. 310)
Richardson (2002), nel tentativo di sintetizzare la mole di risultati prodotti
sistematizza queste caratteristiche in quattro macro-categorie: spontaneità, etica,
intuito e nobiltà d’animo. Come si può capire la resilienza viene vista dall’autore
57
come una macrocompetenza composta da una serie di diverse soft skills
individuali, di relazione e organizzative che tracciano un vero e proprio identikit
della persona che non solo è in grado di affrontare con successo lo stress che un
cambiamento organizzativo produce, ma che è anche in grado di fare del
cambiamento la fonte stessa del suo equilibrio interno.
Lo stesso costrutto, proprio per via della sua inclinazione sistemica, è stato col
tempo trasportato in modo trasversale sui gruppi e sulle organizzazioni stesse.
Bell (2002) identifica la resilienza organizzativa come “la capacità di un’azienda
di rispondere rapidamente e adeguatamente a cambiamenti imprevisti; essa
corrisponde all’abilità di riprendersi e superare le difficoltà con velocità,
determinazione e precisione” (Laudadio, 2011, p. 4).
Laudadio (2011), scrive a questo proposito che “essere resilienti significa
rimanere altamente produttivi anche nelle turbolenze e nelle difficoltà, significa
capitalizzare esperienze e far tesoro di esse così come dei propri errori per
guardare avanti con energia, fiducia nei propri mezzi e voglia rinnovata di
superare positivamente nuove sfide” (ibidem).
58
ad essere compiuto. Compiere il cambiamento organizzativo vuol dire mettere in
atto tutte quelle azioni che probabilmente non erano state progettate ma che sono
diventate necessarie durante l’implementazione del progetto di cambiamento.
Si fa riferimento in questo caso a tutte quelle situazioni inattese, frutto della natura
dinamica dei processi di cambiamento che fa si che alle spinte verso il
cambiamento si contrappongano sempre resistenze anche forti (Lewin, 1951).
Esse vanno puntualmente individuate, riconosciute ed affrontate tramite azioni tra
le quali Quaglino (2007) riconosce come necessaria quella dello sviluppo e
potenziamento delle competenze degli attori organizzativi in vista del reale
compimento del processo di cambiamento organizzativo.
Diventa, quindi, di centrale importanza individuare quali siano le competenze
sulle quali puntare, ovvero quelle in grado di minimizzare le resistenze al
cambiamento, fornendo alle persone la forza per affrontarle.
Il costrutto della resilienza e il relativo modello di Richardson (2002) sembrano
dare una risposta a questa domanda, in quanto tramite questa e le relative
competenze di resilienza si propone come obiettivo dell’organizzazione che vuole
cambiare la ricerca dell’ alleostasi, ossia del mantenimento della stabilità
attraverso il cambiamento. È questo un rimando diretto al racconto di Kotter
(2005), nel quale i pinguini costretti a cambiare per via dello scioglimento del
proprio iceberg, piuttosto che trovare un altro iceberg sul quale stabilirsi, hanno
imparato dal dialogo con un gabbiano la bellezza dell’essere nomadi.
Hanno infatti messo in pratica, quella che Richardson (2002) chiama
reintegrazione resiliente, che permette di vivere gli eventi di rottura come
momento di crescita e di conoscenza di sé e degli altri, e di adattarsi in maniera
proficua per sé e per l’organizzazione alla nuova situazione verso la quale il
cambiamento spinge.
È sulle competenze di resilienza che quindi bisogna puntare per il successo di un
cambiamento organizzativo. Essendo esse trattabili a livello sistemico tra queste
possiamo comprendere, in un tentativo di sintesi, quelle individuali, di gruppo e
organizzative elencate dalle varie ricerche citate in questo capitolo.
59
PARTE SECONDA
60
4. ANALISI DEL CASO DI UNA APL ITALIANA
In questo capitolo verrà descritto uno studio di caso riguardante i temi presi in
analisi nei capitoli precedenti: cambiamento organizzativo, competenze, e in che
maniera queste ultime possano influire nella messa in atto e nel compimento del
primo.
4.1 Obiettivi
61
trova, nel momento in cui la ricerca viene effettuata, a dover attuare un
consistente cambiamento organizzativo al suo interno.
Questo cambiamento ha portato, all’interno dell’agenzia, ad una forte
riorganizzazione dei ruoli e delle mansioni fin’ora esplicate, e coinvolge tutti i
livelli dell’organizzazione, dal management agli esecutivi di filiale. Tale
riorganizzazione, alla luce di quanto espresso fin’ora, può essere a tutti gli effetti
considerata un evento di rottura, in quanto tramite essa e l’espletamento di nuovi
ruoli e mansioni gli attori organizzativi dovranno giocoforza riorganizzare il
proprio sistema di competenze e le proprie modalità di azione e interazione nel
network organizzativo.
Lo scopo di tale analisi non è solo quello di studiare la realtà del caso in oggetto
in maniera descrittiva, ma soprattutto quello di fornire uno spunto di riflessione
sulle azioni intraprese, sulla consapevolezza delle loro conseguenze negli esiti del
processo di cambiamento, oltre che di ricavare informazioni utili a rispondere alla
domanda di cui al Cap. 3, ovvero, “quali competenze per il cambiamento?”.
Muovendo da tale aspettativa, si è ritenuto fondamentale per il buon esito
dell’analisi partire da un ancoraggio teorico forte, propositivo e coerente rispetto
agli argomenti trattati, considerata anche la complessità del dover indagare su
aspetti che in letteratura, come già citato nei Cap. 1 e 2, sono trattati in maniera
spesso ambigua e multiforme.
Muovendo da questo punto di partenza utile a fornire il giusto ancoraggio teorico
nell’analisi del caso in oggetto, questa ricerca empirica cercherà quindi di
indagare, seguendo il doppio binario dell’analisi organizzativa proposta da Kotter
(1996) e di quella individuale proposta da Richardson (2002):
quali delle sfide proposte nel modello di Kotter si sono dovute affrontare
all’interno del caso in oggetto, in che maniera sono state affrontate e quali
risultati hanno avuto le azioni intraprese;
62
quali competenze trasversali sono state individuate dagli attori
organizzativi coinvolti nel processo come resilienti, ovvero come garanti
della reintegrazione resiliente secondo il modello di Richardson.
63
Si è inoltre utilizzata la definizione di competenze di resilienza di Richardson
(2002) come metro di valutazione per l’individuazione, da parte dei soggetti
coinvolti, di tali caratteristiche in un elenco di competenze presente in un
dizionario sviluppato da Professione Lavoro in collaborazione con l’Università
degli Studi di Torino, in modo da ricavare informazioni riguardo quali di esse
vengono viste dai portatori di interessi coinvolti in un processo di cambiamento
organizzativo come facilitatrici dello stesso.
64
poi il loro numero si è più che raddoppiato, raggiungendo le 74 unità nel 2004 e le
81 unità nel 2007 (Consiglio e Moschera, 2008; Cicellin e Consiglio, 2012).
L’aumento del numero di Agenzie per il Lavoro in così pochi anni trova riscontro
nel crescente interesse da parte del mercato del lavoro italiano verso queste realtà
e verso le opportunità che propongono. Per rendersene conto basta dare uno
sguardo al fatturato generale del comparto che, se nel 1998 si attestava sui 128
milioni di euro, nel 2006 toccava i 5 miliardi e 600 milioni. (Consiglio e
Moschera, 2008).
Proprio questo aumento consistente dei fatturati del comparto ha portato
all’ingresso dei grandi gruppi stranieri nel mercato italiano, che ha portato a livelli
altissimi la competitività del settore, fino ad allora caratterizzata da realtà medio -
piccole e radicate sul territorio (ibidem). La crisi economica che ha avuto inizio
nel 2008 ha reso questa competitività ancora più spinta, e ha dato inizio a
fenomeni di acquisizione e assorbimento da parte dei grandi gruppi, di fronte ai
quali le agenzie italiane, per non perdere la propria competitività, sono state presto
costrette a riorganizzarsi per meglio aderire alla nuova situazione del mercato del
lavoro italiano. In un mercato di settore che seppur stabile (Bassi, 2011), si
presenta saturo data la congiuntura economica sfavorevole (Cicellin e Consiglio,
2012), è diventata di fondamentale importanza la capacità delle APL di penetrare
nei contesti aziendali di tutti i tipi, portando a differenziare in maniera importante
i servizi offerti, ed è ha quindi acquistato ancora più importanza la forza
commerciale delle stesse rispetto alla concorrenza.
In questo contesto si situa la APL oggetto di questa indagine. Si tratta di
un’Agenzia relativamente matura, fondata in Italia nel 2005, di medie dimensioni,
con al suo interno all’incirca 200 collaboratori, abilitata allo svolgimento di tutte
le attività previste dal D. Lgs n. 276/2003, e strutturata fino al 2012 secondo una
logica gerarchica tradizionale, relativamente snella ma poco flessibile, una cui
panoramica è offerta nell’organigramma presente in figura 4.1.
Le filiali in questo caso sono il fulcro del lavoro esecutivo, dove la presenza di un
Responsabile di Selezione e Servizio garantisce la gestione di tutti gli aspetti
65
amministrativi e di processo che regolano la vita di una filiale: accoglienza
candidati, recruitment, colloqui, contratti e rapporti con i lavoratori, formazione
delle risorse di assistenza al lavoro di filiale; mentre la figura del Direttore di
Filiale, essendo responsabile del fatturato della filiale stessa e della sua gestione,
si identifica in un Responsabile Commerciale deputato a tutti i rapporti con le
aziende, dalla ricerca di nuovi clienti, alla presentazione dei candidati alle stesse,
alla gestione delle offerte commerciali riguardanti la propria filiale.
Fig. 4.1 Organigramma del caso di studio 2011. Fonte: documentazione interna.
66
La figura del Direttore di Filiale e del Responsabile di Selezione e Servizio
interno alla filiale, inoltre, era legata da un vincolo di complementarietà: l’attività
di filiale necessitava appunto della presenza di questa doppia figura. Se da una
parte infatti l’attività di filiale senza l’impegno del Responsabile Commerciale
nell’apertura di nuove ricerche si riversava in una mera gestione documentale
della forza lavoro già presente in filiale, dall’altra ogni iniziativa del Responsabile
Commerciale per l’attivazione di nuove ricerche sarebbe risultata vana senza il
contributo del Responsabile di Selezione e Servizio in grado di procedere nel
recruiting, nella selezione, e nella presentazione del candidato all’azienda cliente.
Per via di questo vincolo di complementarietà di ruolo, il rapporto tra
Responsabile di Selezione e Servizio e Direttore di Filiale si sviluppava in
maniera simbiotica, e la qualità della loro collaborazione era riconosciuta come il
fattore di successo della filiale stessa. Esse erano inoltre le uniche figure assunte
con contratto a tempo indeterminato all’interno della filiale stessa, che venivano
supportate dal lavoro di assistenti in stage o con contratti a tempo determinato,
quindi erano le uniche figure presenti in filiale capaci di dare una dimensione
“storica” all’attività della filiale stessa. Questo rendeva naturalmente il loro
rapporto ancora più stretto, essendo gli unici custodi delle pratiche del lavoro di
filiale.
In questo contesto è stato messo in atto il processo di cambiamento, e
contestualmente ad esso si è svolta l’indagine in questione. L’unità di analisi era
composta potenzialmente da tutti i collaboratori dell’Agenzia, a qualsiasi livello,
in quanto, in ossequio a quanto detto nel Cap. 1 riguardo l’approccio sistemico
allo studio delle organizzazioni, ogni cambiamento ad un livello di essa
comporterà conseguenze su tutti gli altri livelli ad esso collegati. Sono state
individuate quindi come testimoni chiave riguardo il processo di cambiamento
messo in atto le diverse figure esecutive, di middle e di top management presenti
all’interno dell’organizzazione, e si è riusciti ad avere la disponibilità per la
partecipazione all’indagine di 4 di queste figure, equamente suddivise nella scala
gerarchica.
67
I soggetti coinvolti nell’indagine corrispondono quindi alle seguenti figure:
Direttore Vendite;
Direttore d’Area;
Responsabile Selezione e Servizio d’Area;
Responsabile Selezione e Servizio di filiale.
68
costruire significato rispetto alla complessità dello stesso (ibidem). Tramite l’uso
di un approccio qualitativo invece, si è cercato di cogliere le rappresentazioni che
i soggetti coinvolti si sono fatti riguardo il processo che stava vivendo
l’organizzazione, ricercando nella dimensione narrativa la fonte principale per
ricavare informazioni utili allo studio del caso.
Gli approcci qualitativi sono stati utilizzati negli studi organizzativi fin dai primi
anni ’80, quando emerse in ambito di ricerca la consapevolezza della non
esaustività delle metodologie aventi come obiettivo la standardizzazione dei dati
nello studio delle organizzazioni e delle loro culture. Le metodologie qualitative
partono dal presupposto invece di non voler generalizzare risultati dalle proprie
analisi, lasciando quest’onere alle realtà quantitative. Infatti,
“a differenza di quanto accade per i metodi di analisi quantitativa,
volti generalmente a misurare la frequenza dei fenomeni, i metodi di
analisi qualitativa – mirati a coglierne il significato – non sono
codificabili in prescrizioni puntuali facili da trasferire e da tradurre
diligentemente in pratica” (Gagliardi e Quaratino, 2000, p. XII)
È in questo caso il mondo dei significati ad avere importanza nella presente
analisi, che risulta quindi, per sua natura, non generizzabile e standardizzabile in
quanto frutto di quello e di quel solo specifico contesto e di quegli e quei soli
soggetti coinvolti come attori del cambiamento organizzativo. Nei metodi
qualitativi quindi, “l’assolutezza scientifica […] sembra essersi spostata dalla
garanzia sui processi di causazione rilevati, alla correttezza del metodo di ricerca
utilizzato e, quindi, il rigore metodologico si fa parametro di scientificità”. (Gui,
2004, p. 24).
La consapevolezza della non generalizzabilità dei dati raccolti nel contesto in
esame, e quindi della loro trasposizione in realtà differenti, non esclude quindi il
tentativo di contribuire mediante spunti e riflessioni alla comprensione del
fenomeno in oggetto. Si tratta di entrare nella complessità soggettiva dei vissuti
degli attori organizzativi secondo una “modalità conoscitiva di matrice
idiografica” (Gui, 2004, p. 24). Questo tipo di approccio inoltre, trova
69
compensazione alla non generabilità dei suoi risultati nella “possibilità di
demistificare interpretazioni ideologiche inflazionate” (Barley e Kunda, 1992, p.
36), facendo emergere realtà magari nascoste o male interpretate, e quindi
aiutando ad alimentare il dibattito riguardo le tematiche trattate.
Per via di queste considerazioni si è scelto come strumento di indagine l’intervista
semi – strutturata come da definizione di Corbetta (1999), ovvero è stata elaborata
una traccia in grado di orientare il percorso su cui dirigere l’intervista, sulla base
delle considerazioni bibliografiche di cui al Cap.3. Questa non si configurava
come una traccia specifica da usare durate le interviste, bensì come un insieme di
aree tematiche da affrontare, con all’interno una serie di domande bersaglio in
grado di sollecitare il discorso dell’intervistato su dette tematiche.
Inizialmente si sono definite quindi le macrotematiche, che si è pensato utile far
corrispondere alle 4 sfide proposte nel modello di Kotter (1996). Per riuscire ad
affrontare l’argomento in maniera più puntuale si è scelto di scomporre queste
macrotematiche in ulteriori 8 categorie, derivanti dalla scomposizione di esse da
parte dello stesso Kotter in 8 fasi, come da figura 4.2.
70
Fig. 4.2; Scomposizione in fasi del modello di Kotter (1996)
71
competenze trasversali 6x6, quindi considerando 36 competenze suddivise in 6
categorie, sembrava abbastanza esaustivo delle varie tipologie di competenze
individuali, relazionali e organizzative citate nel Cap. 3, oltre che di semplice
utilizzo nel contesto dell’intervista, in quanto presentando le competenze in
gruppi di 6, veniva semplificato il carico cognitivo dell’intervistato nel compito
assegnatogli. Si è progettata quindi la seconda fase dell’intervista prevedendo di
chiedere agli stessi intervistati di mettere in graduatoria, rispetto ad una
definizione di resilienza, prima le 6 categorie di soft skills, ed in seguito le 6 skills
contenute in ogni categoria. Si è contato di farlo al termine dell’intervista in modo
che gli intervistati all’interno dello scambio comunicativo avuto durante
l’intervista potessero co - costruire senso e significato riguardo la tematica
affrontata, in modo da effettuare la gerarchizzazione degli item in maniera più
consapevole rispetto all’argomento. Per facilitarli nel compito, inoltre, si è
pensato di stampare i nomi di tutte le 36 soft skills su dei cartoncini, raggruppati
per categoria e inseriti per gruppi di categoria in 6 buste. Si pensato allo stesso
modo di condurre la medesima operazione con i nomi delle 6 categorie e di
inserirli in un’altra busta.
L’intervista quindi si strutturava come segue (materiale consultabile in Allegato
B):
72
modo da poter cogliere elementi significativi di attribuzione di senso alle
azioni portate avanti all’interno dell’organizzazione;
breve presentazione della seconda fase dell’intervista atta a rispondere al
secondo obiettivo di ricerca, in cui si dava una definizione del costrutto di
resilienza secondo la definizione di Richardson (2002) e si presentava il
compito seguente;
seconda fase della ricerca in cui, somministrando prima la busta
contenente i nomi delle 6 categorie, e poi, in ordine casuale, le successive
6 buste, veniva chiesto agli intervistati di costruire una gerarchia dei
cartoncini presenti in ogni busta rispetto alla definizione del costrutto di
resilienza esplicato in precedenza, dando, di volta in volta, se volessero,
una motivazione alla loro scelta;
breve conclusione nella quale si ringraziava il partecipante e si
rassicurava riguardo l’utilità delle informazioni ricavate dall’intervista
nello studio del caso in oggetto.
Per pervenire ad un’analisi più puntuale delle interviste, e per evitare di distrarre il
ricercatore dal compito di guidare l’intervista sui giusti binari concettuali dovendo
appuntare i concetti essenziali, si è pensato di utilizzare un registratore audio
come strumento di registrazione dell’intervista. Al termine delle interviste le
registrazioni venivano sbobinate dal ricercatore stesso, che riportava fedelmente
quanto registrato, non curandosi di correggere la correttezza grammaticale e
sintattica per evitare di falsare i significati insiti nelle risposte degli intervistati
(materiale consultabile in Allegato C). L’anonimato degli intervistati è stato
garantito tramite l’utilizzo di codici identificativi (S1, S2, S3, S4) che
permettessero comunque al ricercatore di capire a quale livello
dell’organizzazione appartenessero le rappresentazioni riguardo l’oggetto di
ricerca. L’anonimato delle persone citate dagli intervistati è stato garantito tramite
l’utilizzo di abbreviazioni di fantasia apportate ai nomi reali delle persone citate al
termine della fase di sbobinatura dal ricercatore stesso.
73
Per quel che riguarda il ruolo del ricercatore all’interno dell’indagine, la
letteratura a riguardo sottolinea come il ricercatore debba essere estraneo rispetto
al contesto studiato (Piccardo e Benozzo, 1996). Tale estraneità in questo caso
non è stata possibile, in quanto il ricercatore stesso si era interessato allo studio
del caso in oggetto avendo svolto in precedenza un tirocinio professionalizzante in
qualità di Assistente di Selezione presso una delle filiali dell’agenzia. Si ritiene
però, che questa condizione abbia potuto favorire la conoscenza e la
comprensione del contesto da parte del ricercatore stesso, oltre che facilitargli,
tramite anche il contributo di alcuni accorgimenti, le interazioni con i soggetti
coinvolti nell’indagine. In merito a questo nodo metodologico parte della
letteratura sostiene comunque che:
“Un certo grado di familiarità tra intervistato e intervistatore può
rendere la comunicazione ancora più fluida, forse più autentica. Il
rapporto di fiducia che il ricercatore-intervistatore avrà contribuito a
costruire, insieme con la familiarità con la cultura di cui l’intervistato
è parte, possono rafforzare in quest’ultimo la convinzione di poter
essere compreso e accettato” (Cardano, 2003, p. 87).
Il ricercatore si è posto rispetto agli intervistati come raccoglitore delle esperienze
e dei vissuti degli stessi, cercando di essere il meno direttivo possibile, in modo da
non contaminare con la sua lettura dei fatti la narrazione dei soggetti.
Le tempistiche dell’indagine sono circoscritte tra il Gennaio e il Febbraio del
2013. Inizialmente si è pensato di ricorrere ad una intervista – pilota, realizzata a
fine Gennaio 2013, tramite la quale testare l’adeguatezza degli strumenti utilizzati
e i cui dati sono stati compresi nello studio in questione, in seguito si è partiti con
le successive interviste ad inizio Febbraio 2013, al termine delle quali sono state
effettuate le analisi dei dati.
74
4.4 Analisi dei dati
75
Con questi presupposti metodologici si è quindi proceduto all’analisi dei dati del
caso in oggetto, e quindi dei contenuti significativi delle interviste semi-strutturate
condotte dal ricercatore. Le fasi fondamentali di tale analisi, per quel che riguarda
il primo obiettivo dell’indagine, possono esse riassunte in questo modo:
76
o comunicare la visione;
o delegare l’azione rimuovendo le barriere;
o generare successi a breve termine;
o non riposare sugli allori;
o creare una nuova cultura;
per permettere un lavoro di analisi delle interviste più semplice, si sono
costruite otto “tabelle di lettura” corrispondenti alle otto macrocategorie
succitate, che sono poi state riempite con i contenuti evidenziati in tutte le
interviste, categoria per categoria, allegando ad ogni stralcio il codice
dell’intervista al quale apparteneva (materiale consultabile in Allegato C);
all’interno di ogni tabella, si è proceduto ad evidenziare i contenuti comuni
trattati dalle varie interviste, e successivamente sono stati analizzati gli
stessi tramite il metodo della triangolazione, ovvero tramite l’integrazione
delle informazioni provenienti da più fonti, i cui risultati sono esposti nel
paragrafo successivo.
Per quel che concerne l’analisi dei dati riguardanti il secondo obiettivo di
indagine, data la natura differente di questi, si è naturalmente proceduto in
maniera diversa. Essendo essi infatti dati di tipo qualitativo, ma che presentano la
caratteristica di essere posti in gerarchia da parte dei diversi soggetti, per arrivare
ad una gerarchia che potesse rappresentare una sintesi delle scelte espresse dai
soggetti intervistati si è scelto di ricorrere al calcolo della media di posizione
riguardante ciascun item. Al termine della sbobinatura sono state quindi rilevate le
posizioni di rango relative alle macrocategorie di skills e alle loro relative soft
skills assegnate dai soggetti nel corso del relativo compito (materiale consultabile
in Allegato D). Essendo il modello di riferimento un modello 6x6, le posizioni
possibili erano quelle da 1 a 6, e tale range di valori è stato quindi assegnato alle
posizioni scelte dai soggetti, dove il valore minimo, uguale a 1, stava ad indicare
la posizione di rango più alta e quello massimo, uguale a 6, stava ad indicare
quella più bassa. Sono stati quindi assegnati i valori di rango ad ogni item, sono
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stati in seguito calcolati i relativi valori medi di posizione. Essi, confrontati con
quelli degli item relativi alla stessa macrocategoria, daranno come risultato un
valore rappresentativo della posizione di rango attribuito dalla totalità del
campione delle interviste, tenendo presente che comunque un valore di rango
minore sarà indicativo di una posizione di rango più elevata dell’item.
Riordinando le macrocategorie e le relative soft skills secondo questo principio, si
stabilirà quindi quali saranno, sulla base del campione preso in esame, quelle
percepite come maggiormente in possesso di quella caratteristica di resilienza, la
quale è stata utilizzata come parametro di riferimento per la gerarchizzazione
degli stessi effettuata durante la seconda fase delle interviste ai soggetti.
4.5 Risultati
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“L’esigenza è stata maturata nel corso dell’ultimo semestre del 2012 in funzione del
rendersi conto di una riduzione del fatturato. E quindi l’elemento che ha fatto
scaturire il tutto è stato la flessione rispetto a quelli che erano gli obiettivi attesi.”
In realtà, sebbene in questa flessione del fatturato sia vista la causa che poi ha
portato la dirigenza alla consapevolezza di dover cambiare, dall’analisi delle
interviste emerge come questa in realtà sia solo una conseguenza di un non essere
riusciti allo stare al passo con le evoluzioni del mercato. In un contesto che infatti
si sviluppa, come sottolineato nel paragrafo 4.3, in maniera molto competitiva per
via della saturazione del mercato dei vecchi servizi di somministrazione, le ApL
che possono vantare un successo maggiore sul mercato sono quelle che riescono a
rispondere differenziando i propri servizi e garantendo una maggiore cura del
cliente. Una mancanza in questo senso è stata sottolineata dagli intervistati stessi,
che si dimostrano consapevoli del reale problema alla base della loro
organizzazione.
“...esigenze di mercato che vedevano sempre più il nostro core business, ovvero la
somministrazione, perdere appeal e soprattutto perdere in termini di marginalità.”
“Una delle nostre criticità era la routine e l’abitudinarietà nello svolgere il nostro
lavoro, che essendo un lavoro a stretto contatto con le persone, decisamente molto
competitivo perché il nostro è un settore quello delle risorse umane altamente
concorrenziale, si era creata nel corso degli ultimi anni una disaffezione a quelli che
potevano essere i valori che permettevano di fare la differenza sul nostro mercato, e
quindi tenacia, determinazione, voglia, ambizione a migliorarsi.”
“In questo caso il mercato esterno stava chiedendo maggiori servizi, una maggiore
integrazione dei servizi e quindi fornire ai clienti più cose, non fermarsi solo su un
prodotto, che appunto nel nostro caso è la somministrazione e la ricerca e selezione,
ma presentare altri servizi.”
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La causa che ha spinto l’organizzazione a cambiare quindi può essere riassunta in
questo distacco che l’organizzazione stessa ha avuto nei confronti del mercato,
che è stato messo in luce attraverso l’analisi dei risultati aziendali durante il
secondo semestre del 2012. C’è da far notare che questa necessità di aderire allo
sviluppo del mercato non era nuova all’interno dell’organizzazione. Dalle
interviste si può notare come essa era stata già riconosciuta nel biennio 2009-
2010, che aveva visto un primo cambiamento nelle linee di business
dell’organizzazione. Accanto alle linee di business tradizionali, e quindi
somministrazione e ricerca e selezione di personale, erano stati implementati
servizi di progettazione della formazione, supporto dell’insurance e del credit
finance, logistica, outsourcing, global service e information technology. A questa
implementazione però non era conseguito uno sviluppo “sistemico”
dell’organizzazione, che continuava a puntare nella sua rete vendita soprattutto sui
vecchi servizi che già costituivano una “base sicura” per il raggiungimento dei
risultati di fatturato.
“Diciamo che il processo di cambiamento quello che poi abbiamo attuato quest’anno
era già stato avviato nel 2009-2010, con la differenza che nel corso del 2009 o del
2010 era stato lasciato alla buona volontà di alcune persone, che quindi avevano
deciso di provare ad intraprendere delle nuove strade, solo che nel 2009-10-11 forse
ancora nel 2012 si è visto che lasciare solo a poche persone senza dare da
riferimento comune un input da parte dell’azienda rimaneva fine a se stesso, perché
poi avevamo magari 4-5-6 individui che potevano portare di risultati attesi, ma che
comunque in qualche modo non venivano trasmessi alla rete. Il tutto diciamo che è
dipeso da 4-5-6 persone all’interno dell’azienda che rappresentavano linee di
business diverse.”
“...era sbagliato il periodo. Il 2009 era un periodo di fine crisi, inizio di ripresa, [...]
nel 2010 era finita la crisi, quindi era un periodo in cui l’azienda è cresciuta, sono
state aperte nuove filiali, [...] quindi era l’anno di consolidare e di sviluppare quello
che avevamo. Il cambiamento in quel caso forse avrebbe destabilizzato o comunque
avrebbe rallentato il consolidamento dello sviluppo.”
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Il cambiamento quindi era già stato proposto e messo in pratica nel 2009-2010,
con la differenza che, probabilmente per via delle resistenze facilitate dalla
situazione di crisi dalla quale l’azienda stava uscendo, non era stato portato a reale
compimento dagli attori organizzativi, che hanno preferito focalizzarsi sulle
vecchie routines e sulla vecchia visione che poteva condurre nel breve ad esiti più
rassicuranti. Ciò però non ha portato a risolvere il problema a lungo termine
dell’aderenza al mercato che si stava sviluppando, mancava appunto quella
sensazione di urgenza che permettesse alle persone di “saltare dal divano, uscire
dal bunker, essere pronti ad agire” (ibidem). Per arrivare a questa sensazione di
urgenza si è dovuto attendere 3 anni, in cui comunque l’azienda ha portato buoni
risultati, che però probabilmente non erano quelli sperati dalla proprietà.
“Quindi ripeto la necessità di cambiamento non è venuta dal basso, è stata una cosa
che comunque è maturata all’interno delle scelte degli azionisti, durante la loro
riunione di direttivo.”
La flessione del fatturato è stato il segnale che ha fatto scattare all’interno della
dirigenza l’idea che cambiare fosse necessario. Si potrebbe riconoscere in questa
stessa flessione la causa dell’urgenza che ha spinto poi la dirigenza ad agire. In
questo caso è stata quindi la proprietà che ha stabilito che fosse necessario
cambiare, e ha creato il senso di urgenza del cambiamento usando un indicatore
che pochi avrebbero potuto ignorare: il fatturato. Condividendo queste ragioni
inizialmente con la dirigenza, in una serie di riunioni avvenute tra il settembre e il
dicembre 2012, e successivamente con una riunione plenaria alla quale erano
presenti tutti gli attori organizzativi, si è voluto diffondere questo senso di urgenza
a tutti gli attori organizzativi coinvolti, peraltro con buoni risultati:
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presentata come un’esigenza, dall’oggi al domani, si attuerà questo cambiamento
immediato proprio perché non si può fare diversamente.”
“...io personalmente avrei messo più fretta nel senso il 2 gennaio si rientra in gruppi
e si inizia già ad analizzare questo cambiamento, ci sono stati tempi un po’ dilatati
quindi, io non so, l’avrei fatto con più urgenza, dando gli strumenti proprio subito
nell’immediato.”
“Lo stesso nostro imprenditore è una persona che si è rimessa in discussione, quindi
è entrata all’interno dell’azienda e ha cominciato a girare sui clienti per capire il
motivo per cui c’è stata questa flessione nelle vendite.”
“Per quanto riguarda il direttore generale è la persona che più di tutte crede in questo
modello, non a caso da azionista è diventato Direttore Generale, ed è la persona che
in primis si è presa la responsabilità di traghettare l’azienda da quello che era a
quello che sarà, scendendo o salendo in campo come si suol dire...”
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Come si può notare dalle interviste è l’imprenditore stesso a incarnare quella dote
di leadership nella misura necessaria a portare il cambiamento a compimento. Egli
non ha però accentrato su di se questo compito, condividendo con alcune persone
all’interno del top e del middle management la guida di tale processo in maniera
attiva. Queste persone sono state scelte in base a diverse caratteristiche: alcune
facevano già parte del gruppo dirigenziale, altri erano coloro che nello spazio
intercorso tra il primo cambiamento del 2009 e quello attuale si erano mossi per
primi nella direzione voluta dalla proprietà, portando risultati concreti.
“I meccanismi sono stati dati dalla storicità delle persone, per cercare il team che ha
guidato, dai risultati portati nel corso degli anni, quindi si è fatta una scrematura
delle persone che comunque erano presenti cercando tra queste persone quelle che
magari si erano adattate meglio, avevano capito lo spirito dei cambiamenti, perché
comunque anche negli ultimi anni 3-4 anni abbiamo avuto dei piccoli cambiamenti
in azienda. Questi cambiamenti hanno apportato, hanno impattato sulla vita
lavorativa di alcune persone e tra queste sono state scelte quelle che meglio si erano
adattate, che avevano intrapreso questa nuova attività e magari avevano anche
portato risultati in questa direzione.”
Sono stati quindi coinvolti diversi livelli dell’organizzazione nel processo di guida
al cambiamento, creando una squadra in grado di apportare i necessari
cambiamenti, quindi, su tutti i livelli dell’organizzazione.
“Gli azionisti hanno proposto, i dirigenti insieme agli azionisti hanno rielaborato
dando un contributo fattivo e sostanziale alla nuova organizzazione.”
Dall’analisi delle interviste emerge come in effetti questo gruppo di persone che
fungono da agenti di cambiamento sia conforme alle caratteristiche elencate da
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Kotter. Emergono infatti dai giudizi dei soggetti intervistati soprattutto quelle
caratteristiche di credibilità, abilità, reputazione, e autorità formale citate
dall’autore, oltre a caratteristiche come la forte determinazione e l’alto livello di
commitment nei confronti dell’azienda.
“Nei processi di cambiamento più virtuosi, gli agenti del cambiamento sono in
grado di sviluppare una visione chiara, sensata, semplice ed edificante, oltre che
una serie di strategie che si muovono nella sua direzione.” (ibidem)
Per quel che riguarda lo sviluppo di visione e strategia nel caso in oggetto non è
stato un compito semplice. Esso è stato portato avanti tramite un confronto tra
agenti del cambiamento e dirigenza tra il Settembre e il Novembre 2012. In queste
sedi, come dimostrano diversi stralci delle interviste, non sono mancati attriti e
divergenze.
“...la fase di dibattito più critica e più di confronto è avvenuta all’interno del
direttivo al quale partecipano gli azionisti dell’azienda e il gruppo dirigente. Mi è
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sembrato che in quel contesto, che forse era il vero contesto decisionale ci fossero
gli aspetti più conflittuali...”
“Ci sono stati nella fase apicale del confronto decisionale, quindi tra azionisti e
gruppo dirigenziale, che è stato il momento in cui è stata elaborata la nuova
organizzazione, perché c’erano delle linee di pensiero diverse, delle strategie
diverse, in quel momento ci son stati momenti di attrito.”
Questi attriti sembrano aver riguardato in questo caso più le strategie da mettere in
atto che la visione in sé, in quanto dall’analisi delle interviste si nota una certa
coerenza su quale sia la meta verso cui tendere: il cambiamento doveva riguardare
tutta l’organizzazione, lavorando in un’ottica di professionalizzazione e di
sviluppo delle competenze dei propri membri in direzione di un approccio di tipo
consulenziale al cliente. Con questo tipo di approccio si pensava di poter far
maggiormente attenzione alle richieste e ai reali bisogni del cliente, riuscendo a
ritagliarsi uno spazio di sviluppo per tutti quei nuovi servizi che erano stati
predisposti nell’intervento del 2009, ma che non si era riusciti a sviluppare a
livello di business in maniera adeguata.
“Si è deciso di avviare un processo che mettesse in moto tutta la rete, tutte le
persone che operano in azienda, in maniera tale che ci si “togliesse dagli uffici”, e
quindi si cominciasse a battere il marciapiede, se mi passi il termine, e cioè andare a
toccare con mano quelli che sono i tessuti imprenditoriali locali, bussare alle porte, e
facendo questo ovviamente a tutti i livelli, partendo dal personale di filiale, passando
per il middle management, fino ad arrivare al top management.”
“Il business per noi è sempre stato uno, pero è anche vero che se non proviamo a
percorrere nuove strade, in un mercato che si sta chiudendo, [...] non possiamo
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pensare di provare a continuare a vivere sperando in una ripresa, ma dobbiamo
comunque aiutare il mercato a riprendersi oppure come fanno le banche, a vendere
più servizi.”
Questa visione aveva preso piede all’interno del gruppo decisionale per un motivo
ben preciso, e che era stato riconosciuto da gran parte degli gli attori organizzativi
come punto cardinale per indirizzare ogni azione che si sarebbe sviluppata nel
processo di cambiamento. Questo motivo viene esplicato in maniera molto chiara
nel seguente stralcio di intervista:
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incontrato resistenze ad emergere. Alla fine del 2012, infatti, era stata approntata
una prima organizzazione aziendale che però, non è stata ritenuta abbastanza
calzante ed è quindi stata modificata secondo quelle che sono le forme descritte in
questa indagine. Si è innanzitutto pensato, a livello macro, di riunire entro
un’unica holding le tre aziende del gruppo, delle quali una si occupava di
somministrazione e ricerca e selezione, una di formazione, e l’altra dei restanti
servizi offerti, in maniera tale da poter dare già a livello organizzativo e gestionale
un’unità coerente con gli scopi proposti.
“Abbiamo cercato quindi di attuare un mix che potesse consolidare quello che si era
portato a casa fino ad oggi, e che allo stesso tempo potesse aprirsi per cercare una
nuova strada. Quindi sono state spostate persone, magari sono stati ridimensionati
dei ruoli che magari anche nel corso del 2013 potevano assurgere ad altre cariche,
magari anche a dei miglioramenti dal punto di vista professionale, quindi tutti quanti
ci si è rimessi in discussione, come ti dicevo magari si sono ridimensionati anche i
ruoli, per cercare di utilizzare il 2013 come cuscinetto per consolidare ed
incrementare le quote di struttura.”
“Mentre fino all’anno scorso c’erano persone dedicate agli altri servizi e persone
invece focalizzate soprattutto sulla somministrazione quest’anno invece ci sono
persone che propongono tutti i servizi globalmente quindi proprio per cercare di dare
una maggiore efficienza, una maggiore attività.”
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“Sicuramente quello che dovrebbe essere stato l’intento è di avere meno
interlocutori con i quali interagire da parte della forza commerciale in modo da
essere più pronti a dare delle risposte.”
Per mettere in atto questo tipo di azione si è però dovuto agire a livello
organizzativo in una ristrutturazione generale dei ruoli e delle mansioni in
azienda. Dal punto di vista della struttura si è dovuto ricorrere ad una forma più
flessibile rispetto a quella indicata in figura 4.1, ridistribuendo ruoli e
responsabilità secondo un’ottica più funzionale, nella quale il territorio coperto
dalla rete aziendale veniva ridistribuito in DOP (Direzioni Operative) molto
autonome, al cui interno la linea commerciale era staccata dal punto di vista
gerarchico da quella operativa delle filiali, che, private quindi del loro Direttore di
Filiale, sono state raggruppate in distretti ed affidate alla gestione di un’unica
figura di responsabilità all’interno della DOP, come si evince da figura 4.3.
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Come si può notare, questa nuova forma di organizzazione aziendale è andata ad
intaccare quelle che erano le vecchie routine di gestione sul territorio: se da una
parte “libera” la forza commerciale dalla responsabilità sulle filiali, dall’altra
lascia scoperte proprio in filiale tutte quelle funzioni che in precedenza il Direttore
di Filiale svolgeva, avocandole alle sole forze della figura del Responsabile di
Selezione e Servizio. Questa figura quindi, se da una parte vede la sua mole di
lavoro aumentare per via della responsabilità diretta sulla gestione della filiale,
dall’altra gode di maggiori margini di autonomia e di libertà di azione, che Le
Boterf (2008) già citava come condizioni per lo sviluppo della professionalità
negli attori organizzativi.
“La cosa fondamentale è che non c’è più un direttore di filiale che ha una attività in
filiale ma c’è un consulente che ha un’attività fuori, sganciata dalla filiale, che in
filiale deve solo portare gli ordini.”
“Le risorse di filiale continuano a lavorare sul territorio sullo stesso servizio, a
livello operativo non è cambiato molto, è cambiata la direzione, perché comunque
vengono gestiti da me e non dal commerciale, è cambiata una serie di attività su cui
dovranno focalizzarsi e quindi hanno degli obiettivi un po’ diversi rispetto allo
scorso anno, non è cambiato tantissimo nella loro quotidianità.”
Per quel che riguarda la forza commerciale, invece, i cambiamenti sono più
sostanziali. È infatti a loro che è richiesto il cambiamento maggiore, sia rispetto
alle mansioni, sia rispetto a ruolo, in vista di quella svolta consulenziale verso la
quale gli agenti di cambiamento premevano dirigersi. Hanno infatti, all’interno di
ogni distretto, diviso e affidato ogni linea di business ad uno specifico
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Responsabile Commerciale, che quindi è diventato un consulente specializzato in
quel settore specifico.
“Dal punto di vista del ruolo abituarsi a ragionare non più in termini individuali ma
in termini di gruppo, perché nel cambio organizzativo si sono create delle microaree
che vedono tutte le persone coinvolte nell’area avere uno scopo comune che è quello
del budget. Prima il budget era diviso per centro di costo, per filiale, tanto per
intenderci, oggi il budget è più collettivo, cosa che magari fino a ieri era a più
individuale, rimessa al singolo ufficio che si preoccupa di far funzionare la propria
filiale, e cosi se funziona bene la propria filiale e quella vicina va male, non si
raggiungono gli obiettivi, di conseguenza vuol dire interagire con le persone,
aumentare le relazioni all’interno dell’azienda, e aiutare anche chi magari in questo
momento non riesce a far fronte al raggiungimento del risultato.”
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“Si è ritenuto che creando un team di lavoro nel quale più persone con competenze
diverse agissero su un territorio più ampio ma magari aiutandosi vicendevolmente e
quindi creando una macchina commerciale non a un unico motore ma bimotore
trimotore a seconda dei soggetti che vi partecipano, potesse essere motivo di
entusiasmo e di nuovo sprint.”
“Tramite una riunione globale, face to face, non è stata mandata nessuna mail,
nessun tramite, ma è stata adottata proprio la comunicazione diretta.”
“C’è stata tutta la proprietà, che in questo caso è il nuovo direttore generale che ha
comunicato il cambio con il nuovo organigramma, i nuovi ruoli, e tutte le novità.”
“Una parola utilizzata è si fa cosi e non si torna indietro, si cambia e non c’è
possibilità di fare altrimenti, secondo me proprio per sottolineare l’importanza che
loro danno a questo cambiamento.”
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Il canale è quindi in questo caso unico, ma al quale ha avuto accesso l’intera
popolazione organizzativa. Il messaggio è forte e i toni sono serrati. È stata in
questo caso fatta la scelta comunicativa di sottoporre all’attenzione degli attori
organizzativi la necessità di cambiare contestualmente alla comunicazione della
visione e della relativa strategia.
“Non c’è una vera e propria … è stata presa la torta e sottoposta alla rete.”
“Secondo me erano tutti un po’ perplessi, tranne le persone che ne erano già al
corrente, però c’era un po’ di perplessità generale...”
“Io personalmente sono una persona alla quale i cambiamenti piacciono, però, in un
primo momento, soprattutto quando non vengono governati da me, mi mettono un
attimo di timore, un attimo di perplessità, non mi piace non avere sotto controllo il
cambiamento”
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“Il problema è far capire che il cambiamento è tendenzialmente positivo,
difficilmente negativo, quindi in questo l’azione comunque offerta è stata quella di
supportare, di affiancare le persone per cercare di costruire un percorso di crescita
comune.”
“una serie di riunioni divise poi per aree nelle quali sono intervenuti gli attori, è
intervenuta la proprietà che ha spiegato i motivi per i quali si è reso necessario
questo cambiamento organizzativo, e quindi i motivi che vedevano anche persone
abituate a vendere un certo tipo di business o ad avere un certo tipo di ruolo ad
aprirsi in qualche modo, per forza di cose al cambiamento.”
In questo caso la reiterazione del messaggio, insieme con il supporto fornito dagli
agenti del cambiamento agli attori che manifestavano più resistenze, sembrano
aver portato a buoni risultati. La risposta della rete commerciale a quanto pare è
stata compatta nell’aprirsi al cambiamento, mentre qualche resistenza sembra
denotarsi ancora per quel che riguarda le risorse di filiale.
“La nostra impressione è stata quella di una risposta positiva da parte della rete
vendite.”
93
4.5.5 Delegare all’azione rimuovendo le barriere
“Una volta date le linee guida magari le reazioni erano “ora cosa devo fare, come
devo vendere o dove devo focalizzarmi” quello si.”
“Beh dubbi particolari si, al di la di vendere linee di business che comunque non
fanno proprio parte del nostro core, quindi magari possono sembrare estranee, per
cui vuol dire sentire di non avere la preparazione giusta, non sentirsi pronti o ferrati
94
su una determinata materia, con il dubbio magari di andare poi dal cliente e fare una
brutta figura perche poi magari il cliente si fa una idea che non si sia preparati su un
determinato argomento.”
“Da parte mia no perche io in questa filiale ritengo di aver fatto sempre qualcosa in
più, [...] posso pensare che qualche risorsa un po’ più junior si, perche magari ha
sempre avuto il supporto della figura del direttore di filiale, il trovarsi ora senza
questa figura può aver creato qualche problema …”
Non manca chi tende a sottolineare come a volte tali resistenze si siano
configurate in una sorta di difesa “a tutti i costi” del proprio ruolo, che in alcuni
casi è stato ridimensionato in un’ottica di maggiore funzionalità dell’azienda
proprio per muoversi in direzione di uno sviluppo dell’organigramma più piatto e
flessibile.
“Diciamo che le lamentele se sono avvenute sono avvenute perché alcune persone,
in maniera egoistica, non hanno apprezzato il cambiamento perché il cambiamento
ledeva dei loro diritti, o presupposti diritti, e quindi di conseguenza essendoci stato
magari un ridimensionamento o una professionalità comunque con un ruolo più
marginale, la critica è avvenuta da chi è stato sostanzialmente toccato in questo,
quindi si è toccato l’interesse personale, non quello collettivo. Fattori egoistici.”
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l’utilizzo di corsi di formazione interni ed esterni e sistemi di affiancamento e di
tutoring delle risorse coinvolte.
“È stata fatta una formazione specifica più a livello di competenze trasversali sul
change management, quindi proprio per entrare nell’ottica del cambiamento del
ruolo, come valutare la possibilità del cambiamento, percepire proprio il motivo per
cui cambiare è positivo, è stata quindi una formazione più di gruppo, dinamica, con
una serie di prove focalizzate sul change management, e poi c’è stata una
formazione più tecnica che ha coinvolto in primis i commerciali e poi anche noi
della direzione della DOP.”
“Si è deciso che per almeno un semestre le persone con delle competenze specifiche
su determinati business o con delle competenze commerciali di vendita
particolarmente rilevanti per l’azienda debbano almeno 3 giorni della settimana su 5
affiancare la rete vendita nella sua totalità[...], si è ritenuto che questa sia una
operazione necessaria che ad oggi può in qualche modo limitare il risultato
economico ma che in futuro ci permetterà di ottenere benefici.”
“L’azione che è stata fatta è stata quella di prendere in considerazione gli elementi di
successo che hanno visto noi ad oggi primeggiare o comunque raggiungere certi
traguardi, e cercare di passarli alla rete in maniera tale che ci siano degli esempi
concreti.”
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“Come ogni cambiamento ci sono sicuramente persone che hanno maggior
resistenza, quindi comunque persone sulle quali verrà garantito un affiancamento
maggiore”
“Le azioni quella della proattività in prima battuta e in prima persona quindi è chiaro
che se non sono convinto io di quello che stiamo facendo non sarò in grado di
trasmettere nulla alle persone più giovani all’interno dell’azienda. Devo essere io per
primo a fare e quindi a dimostrare e a far vedere che comunque determinati risultati
si possono ottenere con determinate soluzioni anche se innovative. Vuol dire quindi
affiancare queste persone e lavorare per primi nel far vedere che comunque certe
cose si possono raggiungere lavorandoci e crescendo poi reciprocamente.”
“Sicuramente la filiale avrebbe gradito un supporto maggiore, uno staff con più
persone, invece si è sentita la necessità di rinforzare lo staff commerciale, quindi
diciamo che c’è un po’ uno specchio.”
Questa situazione è stata comunque focalizzata dagli agenti del cambiamento, che
hanno previsto interventi in tal senso, interventi che non sono stati attuati perché
ancora in fase di progettazione.
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Per quel che riguarda le risorse di filiale? Ci sono state azioni in questo senso?
“Si, ci saranno, le stiamo mettendo a punto con i questionari di valutazione delle
competenze.”
“è difficile, secondo me per chi ha sempre sentito i ritmi della filiale, ha sempre
seguito la filiale essere un consulente per l’azienda sicuramente ti cambia.”
Nelle interviste è stato chiesto inoltre, riguardo questa categoria, come i membri
più giovani e i membri più anziani appartenenti ai vari livelli più esecutivi,
potessero rendersi utili nel supportare il processo di cambiamento, questo per
cercare di capire qual è il grado ed il tipo di supporto che l’azienda ricerca nella
messa in atto del cambiamento e se la logica di empowerment sia possibile da
sviluppare in questo contesto. Dall’analisi delle risposte a queste domande si è
dedotto che il tipo di supporto che l’azienda ricerca muove in questa direzione, è
emerso infatti che i vertici ricercano un supporto di tipo proattivo, che vada nella
direzione voluta dagli agenti del cambiamento, senza stravolgerne la visione e la
strategia, ma lavorando in maniera facilitante e non meramente esecutiva.
Come pensa che i membri del livello esecutivo possano rendersi utili a sostenere il
processo di cambiamento?
“Interpretando al meglio le disposizioni aziendali, in questo caso fidandosi di quello
che è il volere dell’azienda, le direttive dell’azienda, metabolizzando il pensiero
dell’azienda senza stravolgerlo.”
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“Con una apertura mentale, curiosità, fare le attività che vengono chieste in modo
non esecutivo, perché questo non deve più essere un lavoro esecutivo, mettendoci
proprio del proprio e mettendoci idee, valori aggiunti.”
“...il cambiamento di gerarchia poi è stato interpretato da ognuno degli artefici della
nuova organizzazione in maniera differente a seconda delle proprie ambizioni, dei
propri aspetti professionali e del proprio percorso professionale.”
“I membri più giovani hanno sicuramente meno resistenze, se parliamo sia di età
anagrafica, magari avendo minore esperienza nel mondo lavorativo hanno anche
meno preconcetti, perché poi comunque se parliamo di persone che hanno già
lavorato nel corso degli anni, magari sullo stesso business ma in aziende diverse, per
forza di cose sono partite 15 anni fa con questo tipo di business e oggi si ritrovano
molto legati a questo tipo di lavoro, quindi è più difficile accettare un cambio, per
ragioni anche di comodità, di confort. Invece chi è anagraficamente più giovane è
tendenzialmente più disposto al cambiamento, perché ha una minore esperienza
lavorativa, per forza di cose, e magari una maggior propensione ad accettare quali
possono essere le nuove sfide, le nuove avventure.”
“Il supporto può essere proprio l’approccio che hanno sul mercato, sul mondo del
lavoro e all’interno dell’azienda, [...] è l’entusiasmo che può avere la persona più
giovane nell’affrontare nuovi business e quindi la capacità di questa persona e il far
vedere che con questo entusiasmo magari riusciamo a chiudere nuove soluzioni.”
99
Per quanto riguarda i membri più anziani, in loro è vista come fondamentale la già
citata funzione di esempio per gli altri attori più giovani e di apertura allo scambio
di competenze che possa portare allo sviluppo reciproco di professionalizzazione.
Si è fatto in questo anche appello alla fiducia che essi possono nutrire
nell’organizzazione, come facilitatore del superamento delle resistenze.
“Le persone coinvolte sono persone storiche nella maggior parte dei casi, contiamo
circa 150 dipendenti a livello struttura, su cui abbiamo un 60-70% di persone che
comunque sono in azienda da quando l’azienda è nata. Da quando l’azienda è nata
bene o male è sempre venuta incontro al personale, sia da un punto di vista
economico che da un punto di vista di soddisfazione delle esigenze anche personali
di ciascuno. Pertanto questo fa si che le persone hanno comunque aperto a priori la
propria fiducia sperando che questa sia la via giusta.”
100
4.5.6 Generare successi a breve termine
“Una volta che si è riusciti a far lavorare le persone in direzione della visione, nei
casi di grande successo queste sono aiutate a produrre vittorie a breve termine. Le
vittorie sono cruciali. Esse offrono credibilità, risorse, impulso verso lo sforzo
collettivo.” (Kotter, 2002, p. 5).
Nel caso di studio si può notare come anche in questo caso gli agenti del
cambiamento si siano mossi in questi termini. Sono stati infatti fissati obiettivi a
breve termine su un doppio binario: quello del budget e quello delle competenze.
Da una parte sono stati fissati quindi obiettivi di budget divisi per area e poi
ancora per distretto che serviranno come metro di valutazione per l’intero
processo di cambiamento e per il lavoro effettivamente svolto dalle risorse a
livello esecutivo. È stato inoltre spostato il focus di questi obiettivi non più sul
fatturato, ma sui margini di guadagno, cercando di questo modo di far spostare
l’attività di vendita su servizi più apprezzabili dal mercato.
“...in base ai risultati si vedrà se è la strada giusta, poi l’azienda sicuramente valuterà
in base a quello perche se ci sono i risultati vuol dire che quella sarà la strada
giusta.”
“Avverrà una prima valutazione sulla quale poi si prenderanno decisioni future a
giugno di quest’anno, quindi dopo 6 mesi,sulla base di obiettivi legati al budget.”
“Marginalità, ci sono aziende che basano obiettivi sul fatturato non sul margine. Noi
li tariamo sul margine, e questo fa parte anche del cambiamento. Prima era più sul
fatturato.”
Per quel che riguarda l’obiettivo di sviluppo delle competenze gli agenti del
cambiamento hanno scelto di utilizzare un meccanismo di valutazione e auto-
valutazione fini allo sviluppo delle stesse, utilizzando come strumenti questionari
di valutazione e colloqui individuali con il superiore gerarchico. Questi strumenti
101
nel momento in cui sono state effettuate le interviste sono ancora in fase di
implementazione, ma si sono comunque ricavate informazioni utili a capirne la
struttura e gli scopi.
“Servirà a valutare ad oggi le competenze delle risorse, per capire punti deboli e
punti di forza ed attuare delle azioni formative che possono essere di qualsiasi
genere, dalla formazione in aula, all’affiancamento, eccetera. Poi allo stesso tempo
servirà a porsi degli obiettivi nel senso che in ogni questionario alla risorsa vengono
dati degli obiettivi per andare a migliorare i punti deboli.”
“Ciclicamente a step di 4-6 mesi [...] sono state inserite delle aree di miglioramento
alle quali ognuno di noi deve tendere, e poi raggiunto lo step successivo ci si
confronterà con il proprio responsabile gerarchico di turno per capire se abbiamo
raggiunto e se abbiamo migliorato in determinate aree o se no quali sono state le
difficoltà che abbiamo riscontrato.”
102
“Io penso che in questo momento proprio la rete vendita e i consulenti commerciali
siano le persone che più e meglio stanno interpretando il cambiamento e se questo
atteggiamento positivo continuerà e perdurerà ritengo che insomma la nuova
organizzazione possa ottenere buoni risultati.”
“La vecchia routine è quella che ha offerto maggiori resistenze a vendere tutto
quello che per noi può rappresentare una nuova strada, quindi fintanto che non è
stato imposto dall’alto, cosi come avverrà nel 2013, molto probabilmente tutta una
serie di attività non sono state poste in essere ma perché non c’erano dei vincoli, non
c’erano delle sanzioni, usando questo termine proprio in senso lato.”
103
che il cambiamento organizzativo aveva proposto. Dall’analisi delle interviste,
comunque, si evince come in questo caso la situazione sia ben diversa: il processo
di cambiamento è monitorato giornalmente attraverso lo strumento dell’agenda,
sulla quale ogni membro dell’organizzazione dovrà annotare le fasi dello
svolgimento della propria giornata lavorativa. A seconda del tipo di attività svolta,
ad essa viene assegnato un colore. Gli agenti del cambiamento, quindi, hanno
messo a disposizione uno strumento che aiuti la risorsa in primis, ma anche i suoi
superiori gerarchici, a valutare come cambia giorno per giorno l’attività lavorativa
della risorsa durante il processo. Tramite questo strumento, si cerca quindi di
monitorare giornalmente l’andamento del processo di cambiamento, e questo
dovrebbe aiutare a non tornare ad “appoggiarsi” sulle vecchie routines.
104
Innanzitutto sono stati introdotti meccanismi valutativi che permetteranno la
mobilità interna in futuro tramite una logica di riconoscimento e sviluppo di
competenze.
“A partire sempre da gennaio 2013 sono stati introdotti anche dei percorsi di crescita
individuali, quindi anche con schede di valutazione, le schede di valutazione partono
da un presupposto legato all’esperienza lavorativa all’interno dell’azienda, alle
esperienze pregresse, e a quelli che possono essere i punti di debolezza e quelli di
miglioramento.”
“Sono stati dati degli input, sono state date delle procedure,ci sono delle regole da
seguire che sono state istituzionalizzate sulla intranet, in modo che tutti quanti in
quest’anno si debbano attenere a quelle che sono le disposizioni aziendali,
semplicemente perché non si può pensare di lasciare poi a ciascuno l’interpretazione
libera di un cambiamento organizzativo. I risultati attesi devono essere raggiunti
percorrendo una sola strada. Non è possibile pensare di fare diversamente.”
“Ci sono state le varie procedure messe in atto, ci sono stati i cambi di ruolo, anche
proprio a livello formale...”
105
intervistati hanno già interiorizzato la visione, la percepiscono come positiva, e
questo non potrà far altro che aumentare il loro impegno verso l’obiettivo di farla
diventare realtà.
“La crescita che può dare un cambiamento di questo tipo è di tipo professionale
sicuramente ma anche di tipo personale perche comunque ci permette di avere più
orientamenti, di capire o di cercare strade alternative, poi che siano sbagliate o che
siano giuste comunque fanno parte del bagaglio di ciascuno, si spera in una nuova
esperienza possano tornare utili … come sempre, qualcosa si impara sempre.”
“Le persone anche coinvolte dal cambiamento non possono che trarne profitto,
perché comunque vuol dire aprirsi magari a concetti nuovi, aprirsi a nuovi mercati,
aprirsi a ruoli nuovi, tendenzialmente un qualcosa di positivo viene comunque
sempre lasciato.”
106
4.5.9 Secondo obiettivo di indagine
area soggettiva;
gestione emotiva / self control;
motivazione;
organizzative / strategiche;
pensiero;
relazionali.
Di seguito in tabella 4.1 sono indicate le posizioni a cui sono state assegnate le 6
macrocategorie ed la relativa media di posizione, che, si ricorda, attribuisce
maggiore grado gerarchico quanto più il suo valore si avvicina a P MEDIA = 1.
Per comodità di lettura sono state già ordinate secondo il loro grado gerarchico.
107
Per quel che riguarda la macrocategoria ”Motivazione”, che gode di una P
MEDIA = 2, in essa sono contenute le seguenti soft skills:
intraprendenza;
orientamento al risultato;
perseveranza / determinazione;
proattività;
responsabilizzazione;
self promotion skills.
autonomia;
correttezza / etica;
energia;
fiducia in se stessi;
pazienza;
pensiero positivo.
In tabella 4.3 sono presentati i risultati relativi alle posizioni di rango assegnate
dai soggetti a queste skills e i relativi punteggi di P MEDIA.
108
AREA SOGGETTIVA P=S1 P=S2 P=S3 P=S4 P MEDIA
PENSIERO POSITIVO 1 1 3 5 2,5
FIDUCIA IN SE STESSI 2 3 2 3 2,5
ENERGIA 4 4 1 2 2,75
CORRETTEZZA / ETICA 3 2 6 4 3,75
AUTONOMIA 5 5 5 1 4
PAZIENZA 6 6 4 6 5,5
Tab. 4.3 Gerarchizzazione Soft Skills. Categoria = Area Soggettiva.
flessibilità;
gestione del tempo;
organizzazione;
pragmatismo;
problem solving;
visione strategica.
apertura al cambiamento;
109
capacità decisionale;
capacità di semplificazione;
orientamento al futuro;
pensiero multidisciplinare;
velocità di pensiero e azione.
Per quel che concerne le rimanenti categorie, ovvero “Gestione emotiva / Self
control” e “Relazionali”, entrambe presentano un punteggio di P MEDIA = 4,25.
Questo sta ad indicare che nella media del campione queste rivestono pari
importanza, e conseguentemente verranno presentate insieme.
Per quel che riguarda la macrocategoria “Gestione emotiva / Self control”, le soft
skills di appartenenza sono:
110
Le soft skills che invece compongono la macrocategoria “Relazionali” sono le
seguenti:
cooperare;
gestione del conflitto;
intelligenza relazionale;
leadership;
negoziazione;
networking skills.
111
4.6 Discussione
112
dei comportamenti avvenuti nell’organizzazione usata come campione per
l’indagine.
Al fine di trarre spunti riflessivi dall’analisi effettuata, si può affermare che la
maggior parte delle sfide proposte nel modello di Kotter sono state affrontate in
maniera aderente a quelle che sono le “best practices” indicate in esso. Il senso di
urgenza è stato instaurato in maniera efficace tramite le accorate parole del
principale azionista all’interno della riunione plenaria. La formazione di un
gruppo che sia efficace nell’implementare il cambiamento, dove come sottolinea
Kotter “il problema è il comportamento di coloro che sono in grado di guidare il
cambiamento, soprattutto per quanto riguarda la fiducia e impegno” (2002, p. 6), è
stato affrontato con le giuste azioni, essendo stata questa missione affidata a
persone che godono di quei requisiti di credibilità, reputazione, potere e abilità
nell’affrontarla, ed avendo scelto queste persone tra quelle che meglio si erano
distinte in quanto a impegno verso la nuova visione che già nel 2009 era stata
sviluppata ma il cui compimento non era avvenuto nella realtà organizzativa a
livello istituzionale. Lo sviluppo della visione e della strategia è stato forse, come
è normale che sia, il passaggio più delicato di questo cambiamento organizzativo,
non privo di tensioni, ma alla fine, come sottolineato nelle interviste, si è riusciti
ad arrivare ad una sintesi concreta dei vari contributi, che ha permesso
l’elaborazione di una visione chiara e condivisa, e di una strategia che è stata in
grado di mettere subito in moto la macchina del cambiamento in maniera
compatta. La comunicazione della visione, anche se inizialmente ha comportato
senso di incertezza e perplessità negli attori coinvolti, è riuscita comunque nel suo
intento di far interiorizzare alla maggior parte della popolazione organizzativa
quale fosse la meta cui tendere e quale strada percorrere per raggiungerla e
renderla reale. L’abbattimento delle barriere è forse il passaggio più denso di
criticità, in quanto, come è stato sottolineato, è stato condotto in diversi step, che
sono ancora in atto al momento della ricerca. La maggiore criticità in questo caso
è probabilmente dovuta al non aver ancora esteso all’intera popolazione
organizzativa quell’attività di abbattimento di barriere e resistenze, avendo
113
ritenuto opportuno iniziare quest’azione da quegli individui che maggiormente
sono coinvolti dal cambiamento nel ruolo e nell’espletamento della mansione: la
rete commerciale. Per quel che riguarda le vittorie a breve termine, il non riposare
sugli allori e l’istituzionalizzazione, si ritiene che i tempi non siano ancora maturi
per poter dare un giudizio sul cambiamento dei comportamenti in questo senso, in
quanto al momento in cui l’indagine viene effettuata è passato solo un mese dalla
reale implementazione del processo di cambiamento. Bisogna comunque far
notare che, sebbene tali sfide non siano state ancora affrontate da parte
dell’organizzazione, alcune azioni proposte in previsione del loro futuro
fronteggiamento sono già state strutturate dagli agenti del cambiamento. In tal
senso muovono gli obiettivi a breve termine in termini di sviluppo del budget in
una logica di ricerca di maggiore marginalità e di riconoscimento e sviluppo delle
competenze, i sistemi di monitoraggio delle attività delle risorse tramite l’utilizzo
di agende colorate che diano un impatto visivo di come si debba e si stia
evolvendo la tipologia di attività condotta dagli attori organizzativi, e
l’istituzionalizzazione della visione, della strategia e della struttura della nuova
forma organizzativa tramite la pubblicazione di esse e delle relative nuove norme
e procedure in un canale ufficiale quale la rete intranet.
Alla luce di tale analisi e di quanto si evince nella parte prima di questo scritto, si
potrebbe a questo punto riassumere i punti di forza e i punti critici del
cambiamento organizzativo oggetto di indagine.
Per quanto riguarda i punti di forza, si può affermare che effettivamente questo
cambiamento organizzativo muove in maniera realmente decisa verso quello che
nel Cap. 3 veniva descritto come “cambiamento organizzativo secondo una logica
di sviluppo delle competenze”. La testimonianza di ciò è data da diversi fattori:
il non legare gli obiettivi del cambiamento solo ad una logica di aumento
del fatturato, ma anche di riconoscimento, auto – valutazione,
valutazione, raffronto e sviluppo delle competenze di tutti gli attori
114
organizzativi, con un approccio molto simile a quella metodologia del
“Bilancio di Competenze” già trattata nel Cap. 2;
lo sviluppo di quell’approccio consulenziale che muove proprio in vista
di quella “professionalizzazione” che Le Boterf (2008), citato nel Cap. 2,
menzionava come fattore chiave del successo organizzativo;
la ricerca di un focus del lavoro verso dimensioni di rete e di gruppo,
tramite la riunione delle filiali in distretti e le missioni di gruppo dei
commerciali, quindi abbattendo le barriere del lavoro individuale che
contraddistingueva la vecchia organizzazione, dando risalto a quelle
“competenze di cooperazione” che sempre Le Boterf (ibidem)
considerava fondamentali nello sviluppo di quella “competenza
organizzativa” che è a garanzia dell’aderenza dell’organizzazione stessa
alle nuove esigenze dei mercati;
Va sottolineato che è proprio lo sviluppo di queste nuove competenze, e quindi
della relativa logica di empowerment per gli attori coinvolti, che caratterizza la
visione della nuova organizzazione, e che allo stesso tempo attrae in maniera
sostanziale gli attori organizzativi verso il cambiamento. Da ciò si può dedurre
che è lo sviluppo di competenze stesso il facilitatore del cambiamento. Quindi se
da una parte il cambiamento comporta lo sviluppo di competenze, dall’altra parte
è lo sviluppo di competenze stesse a svolgere funzione facilitatrice del
cambiamento, andando a costituire una sorta di circolo virtuoso che si auto –
115
alimenta, come si evince anche dalla rappresentazione grafica in figura 4.4.
Fig. 4.4 Circolo virtuoso del cambiamento secondo la logica di sviluppo di competenze.
116
riguardare proprio le risorse di filiale che hanno visto una comunicazione meno
reiterata e ancora non facilitante riguardo il proprio ruolo. Nonostante esse
abbiano comunque interiorizzato la visione e la valutino in maniera positiva, il
rischio è che non comprendano e condividano la strategia per realizzarla, e quindi
venga meno il loro coinvolgimento emozionale ed il loro entusiasmo. In questo
caso andrebbero quindi sbloccati maggiormente i canali comunicativi favorendo il
messaggio dell’importanza che anche lo sviluppo del loro ruolo, oltre a quello
della rete commerciale, sia fondamentale per il compimento del cambiamento.
Andrebbero inoltre rimosse le barriere riguardanti il ruolo stesso, per facilitare
anche nelle risorse di filiale lo sviluppo di quella professionalizzazione cui si
mira. In questo caso, andrebbero rimosse quelle barriere che obbligano alla
routine e soffocano l’iniziativa, in un’ottica di riorganizzazione delle filiali nella
nuova dimensione dei distretti. Come sottolineato da Le Boterf (2008), infatti, è
necessario lasciare un adeguato spazio di autonomia nell’organizzazione delle
attività, che permetta l’emergere delle competenze di cooperazione che rendono
l’intero gruppo una squadra competente e di successo, e capace di rispondere in
maniera reattiva ai bisogni dell’organizzazione. Naturalmente prima di fare ciò è
necessario che esse abbiano ben interiorizzato visione e strategia, abbiano
compreso quale sia la meta e quale sia la strada, solo in seguito la delega
all’azione tramite la rimozione delle barriere può diventare un meccanismo
virtuoso per il cambiamento. Come sottolineato in precedenza da Kotter, “non si
tratta di dare potere. Il potere non si tira fuori da un cappello” (Kotter, 2002, p. 5),
si tratta di rendere possibile la naturale espressione delle competenze delle
persone, competenze che fino a questo momento potevano esser rimaste sopite o
inespresse.
Per quanto riguarda il secondo obiettivo di indagine dall’analisi dei risultati si può
ricavare qualche spunto interessante. Considerando che, come detto in
precedenza, il valore di P MEDIA attribuito ad ogni soft skill del dizionario 6x6
utilizzato per la ricerca è indicativo della posizione di rango media attribuita dal
campione ad ogni soft skill, quelle che si avvicineranno maggiormente con la loro
117
P MEDIA al valore minimo di 1 saranno quelle percepite in maniera maggiore
possedere quella caratteristica di resilienza usata come metro di giudizio. In
questo caso, analizzando in maniera arbitrariamente trasversale i valori di P
MEDIA di tutte le 36 soft skills presenti nel dizionario, è interessante notare come
l’unica soft skill che nel confronto con le altre 5 presenti nella propria categoria ha
ottenuto un punteggio di P MEDIA < 2 è quella della “Leadership”, che gode di
una media di rango = 1,75. Citando la descrizione relativa ai comportamenti
attribuiti a questa soft skill, presente nel dizionario e nei cartoncini utilizzati per
meglio esplicare al momento della gerarchizzazione i relativi significati, ovvero
“capacità di guidare e ispirare gli altri, di essere punto di riferimento ed esempio,
di esercitare un’influenza positiva, di costruire e condividere la visione e di
orientare lo sforzo professionale di tutti alla realizzazione degli obiettivi”, essa
non può che essere accostata alle funzioni, ai ruoli, e ai comportamenti che Kotter
(1996), nel suo modello, attribuisce agli agenti del cambiamento di successo.
Viene quindi spontaneo rafforzare l’impressione che effettivamente il modello di
Kotter muova su basi realistiche e che il suo utilizzo nell’analisi dei cambiamenti
organizzativi che puntino sullo sviluppo di competenze sia coerente allo scopo.
Purtroppo, dati i diversi limiti della ricerca, non si possono trarre conclusioni
apprezzabili per quanto riguarda questo secondo obiettivo, del quale però si tiene
a salvaguardare la curiosità sull’argomento e il rimando a successivi
approfondimenti. Questa indagine, come si è sottolineato varie volte in
precedenza, ha avuto uno scopo di ricerca descrittivo e critico, in modo che si
possa trarre qualche spunto dall’analisi svolta. I limiti di questa ricerca sono di
diverso tipo. Innanzitutto la ristrettezza del campione non permette né
un’adeguata generalizzazione rispetto ai risultati del secondo obiettivo di ricerca,
né una conoscenza veramente completa del contesto organizzativo oggetto di
studio. Un campione più numeroso avrebbe in questo caso contribuito ad
un’analisi più puntuale e significativa del cambiamento organizzativo studiato.
Inoltre l’utilizzo di un solo contesto per l’indagine limita le informazioni rilevanti
a livello teorico. Un’analisi di più contesti avrebbe potuto fornire informazioni
118
utili su come differenti azioni da parte degli agenti del cambiamento possano
influenzare i comportamenti degli attori organizzativi e quindi quale di questi
andasse in direzione di quella conduzione virtuosa del processo di cambiamento
esplicata nel modello di Kotter (1996). Va inoltre sottolineato come, sebbene già
nel paragrafo 4.3 si sia trattata la criticità di un ricercatore già inserito nel contesto
che studia con i suoi aspetti positivi ed i suoi aspetti negativi, in questo caso la
relazione intervistatore – intervistato potrebbe essere stata alterata dal fatto che ci
fosse conoscenza diretta tra alcuni soggetti ed il ricercatore stesso, conoscenza
che, sebbene non profonda, ha avuto effetti nella conduzione dell’intervista. Se da
un lato quindi si è voluto sottolineare in precedenza come questo abbia potuto
facilitare lo scambio comunicativo e la comprensione delle narrazioni, dall’altra
bisogna ammettere che per via di questo non si è potuta esprimere una reale
oggettività nello svolgere le stesse. Si è comunque cercato di mantenere un
criterio di oggettività scientifica sia nel metodo che nella scelta di agganciarsi
nell’analisi ad un modello terzo quale quello di Kotter (1996), indipendente dal
contesto di studio e dal ricercatore stesso. Nonostante questi limiti, si pensa
comunque di essere riusciti ad esprimere una fotografia coerente del cambiamento
organizzativo oggetto di studio, mettendone in luce i punti di fuoco più
interessanti, gli aspetti virtuosi e quelli più critici, fornendo una analisi in grado di
essere da spunto per la comprensione del processo in sé e per l’approfondimento
di eventuali aspetti emersi ma non esplorati a dovere in questa indagine.
Per concludere, proprio in ossequio a quello spirito di curiosità sia operativa che
scientifica che ha diretto gli scopi di questa indagine, in questo paragrafo verranno
presentati alcuni spunti che il ricercatore ha tratto dall’analisi svolta.
Per quel che riguarda gli spunti di ricerca possono essere diversi. Innanzitutto
sarebbe utile per un’analisi più puntuale e significativa allargare il campione
all’interno del contesto in oggetto. Soprattutto sarebbe importante dare
119
all’indagine una dimensione dinamica che rispecchi la dinamicità stessa
dell’oggetto di studio. Un’indagine longitudinale che riguardi l’intera fase di
implementazione del cambiamento rispecchierebbe in maniera maggiore la
dinamicità del processo e permetterebbe di ricavare molti spunti significativi che
il modello interpretativo usato mette a disposizione. Metaforicamente, un filmato
riesce a cogliere informazioni più significative di un universo dinamico rispetto ad
una fotografia, per quanto essa sia accurata. In secondo luogo un allargamento del
campione a contesti e campioni differenti riuscirebbe a rispondere in maniera più
adeguata soprattutto al secondo obiettivo di ricerca. Ciò avrebbe risvolti operativi
non indifferenti. Attraverso una generalizzazione significativa dei risultati raccolti
si potrebbe in seconda battuta arrivare ad elaborare uno strumento utile in ambito
applicativo nei contesti di cambiamento, fornendo un dizionario di competenze
specificamente calibrato per quelle organizzazioni che stanno cambiando, che
quindi consentirebbe una valutazione delle stesse in ottica formativa, valutativa e
di mobilità interna, oltre che di affidamento di ruoli chiave agli agenti del
cambiamento più predisposti ad attuare una ricostituzione resiliente.
Dal punto di vista delle implicazioni operative specifiche per il caso di studio,
sulla base delle analisi svolte e della conoscenza del contesto maturata dal
ricercatore, potrebbero essere proposte delle azioni specifiche riguardanti i punti
di criticità emersi in precedenza. Per quel che riguarda la rimozione delle barriere,
come si è già accennato nel paragrafo precedente sarebbe utile facilitare lo
sviluppo delle risorse di filiale in una dimensione di gruppo tramite periodiche
riunioni di distretto alla presenza del responsabile della relativa DOP in cui si
cerchi innanzitutto di favorire il team building secondo una nuova ottica coerente
con visione e strategia dell’organizzazione, e in secondo luogo si arrivi ad una
riorganizzazione del lavoro nell’ottica della professionalizzazione ricercata
dall’organizzazione. In secondo luogo, sarebbe interessante sfruttare ancora di più
l’utilizzo dell’esempio come leva del cambiamento dei comportamenti tramite
l’utilizzo di canali ufficiali per diffonderli. Inserire quindi le prime piccole vittorie
ottenute, contestualizzandole nel momento organizzativo del cambiamento, in un
120
canale istituzionale tramite la rete intranet, renderebbe più partecipi gli attori
organizzativi dei progressi fatti per il cambiamento, andando a fornire un supporto
emozionale utile all’impegno e all’azione.
121
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127
ALLEGATI
128
ALLEGATO A
ORGANIZZATIVE \ STRATEGICHE
129
RELAZIONALI
130
PENSIERO
131
GESTIONE EMOTIVA / SELF CONTROL
STABILITA ED
Capacità di conservare il controllo delle proprie emozioni e
2 EQUILIBRIO
reazioni in situazioni di lavoro stressanti, emotivamente cariche o
EMOTIVO ostili, mantenendo un atteggiamento sereno ed equilibrato.
132
MOTIVAZIONE
133
AREA SOGGETTIVA
134
ALLEGATO B
TRACCIA DELL’INTERVISTA
135
A suo avviso quali caratteristiche avevano le persone alla guida del cambiamento che gli
abbiano permesso di esplicare al meglio questo compito?
C è v pp ’ v f h v v p
’ g zz z ?
Quali sono state le strategie proposte per mettere in pratica questa idea?
Come si è riusciti a scegliere la strategia da adottare?
COMUNICARE LA VISIONE
Come è stata comunicata agli altri attori organizzativi la nuova forma che avrebbe preso
’ g zz z ?
Che reazioni hanno avuto gli attori organizzativi?
Come si è arrivati ad ottenere la fiducia degli altri elem ’ g zz z ?
Av p z ’ p z p g ?
Se si, quali?
Come è stato fatto fronte alle resistenze?
C ’ g zz z nseriti a livello base a rendersi utili
per sostenere il processo di cambiamento? Quali azioni hanno messo in atto?
C pù g v ’ g zz z p
sostenere il processo di cambiamento? Quali azioni hanno messo in atto?
C pù z ’ g zz z p
il processo di cambiamento? Quali azioni hanno messo in atto?
136
NON RIPOSARE SUGLI ALLORI
Come si è riusciti ad evitare che con il passare del tempo il progetto perdesse lo slancio
iniziale?
Si è mai avvertita la necessità di tornare ad occuparsi maggiormente delle routines e
delle questioni che caratterizzavano il lavoro prima della messa in atto del cambiamento
organizzativo?
Si è mai posto in discussione criticamente il lavoro fatto fino a quel momento?
Esistevano nella sua organizzazione tradizioni o modus operandi storici che il processo
di cambiamento è andato ad intaccare?
E’ ’ pp pùg v f z v h ?I h
modo?
S h g v h g ’ g zz z p
cambiamento?
In che modo il cambiamento è stato istituzionalizzato?
“L h p p p z p
caratterizzare il profilo di una persona in grado di affrontare con successo un processo di
cambiamento organizzativo.
Troverà nella prima busta sei cartoncini. Su ognuno di essi troverà scritta una macrocategoria di
competenze trasversali articolate secondo un modello sviluppato da Professione Lavoro in
z ’U v à g T .
Facendo mente locale ò h f ’ ’ p z h h
avuto nella sua organizzazione dovrebbe, per favore, mettere in ordine di importanza queste
categorie rispetto alla possibilità che esse permettano di affrontare eventi di cambiamento in
maniera propositiva, cogliendo in essi opportunità di crescita e favorendo la vittoria sulle
resistenze.
In ogni altra busta troverà altri sei cartoncini con su scritte, questa volta, competenze trasversali
specifiche appartenenti alle macrocategorie di cui sopra.
Ap p v f ò h f ’
’ p z h h v g zz z v p f v
137
mettere in ordine di importanza queste competenze rispetto alla possibilità che esse permettano di
affrontare eventi di cambiamento in maniera propositiva, cogliendo in essi opportunità di crescita
e favorendo la vittoria sulle resistenze.
L’ v è f g z p p p z o certo che le sue risposte
contribuiranno in maniera proficua allo sviluppo della nostra indagine.”
138
ALLEGATO C
INTERVISTE SBOBINATE
SOGGETTO 1
Presentazione
R: P h è ’ g z ’ ’ g zz z ?
S1: Perché i risultati raggiunti non erano più quelli sperati, quelli voluti dal vertice e quindi si è
pensato, per cercare di utilizzare al meglio le risorse all’interno della filiale soprattutto, puntando
soprattutto su un’attività commerciale più di impatto, quindi questo cambiamento
fondamentalmente è per quello, per cercare di raggiungere gli obiettivi commerciali in maniera più
veloce, con un attacco.
R: Ch è p p h ’ g zz z v ?
S1: Tendenzialmente un po’ tutti ce ne rendiamo conto di giorno in giorno perché comunque non
c’è una divisione dei compiti molto ben definita, quindi le persone in filiale secondo me avrebbero
voluto un cambiamento, i vertici hanno proposto un cambiamento diverso rispetto a quello
proposto dalla filiale. Sicuramente la filiale avrebbe gradito un supporto maggiore in filiale, con
uno staff con più persone, invece si è sentita la necessità di rinforzare lo staff commerciale, quindi
diciamo che c’è un po’ uno specchio, quindi il vertice ha pensato di fare una cosa, la base chiedeva
una cosa opposta, però logicamente essendo un’azienda a stampo commerciale si punta più a
sviluppare e migliorare il lato commerciale perché se non ci sono i clienti non c’è attività di filiale
fondamentalmente.
R: M f ’ g z pùp g z p ?
S1: No, parlando con colleghe di filiali in cui ci sono numeri alti, lo sento in misura maggiore
perché ci sono tanti numeri per cui una persona di staff in filiale sarebbe per me un’esigenza, per
cui io sicuramente in prima persona, però anche altre filiali a mio avviso sentono questa esigenza,
soprattutto perché le cose da fare sono tante.
R: C è p ’ z g ’ za del problema?
S1: Abbiamo fatto un incontro in cui il proprietario dell’azienda ci ha spiegato l’esigenza di
cambiare marcia, di invertire marcia, perché tutto quello che era stato fatto fin’ora era stato fatto in
139
maniera non corretta, quindi ci è stato proprio presentata come un’esigenza, dall’oggi al domani, si
attuerà questo cambiamento immediato proprio perché non si può fare diversamente altrimenti …
una parola utilizzata è si fa cosi e non si torna indietro, si cambia e non c’è possibilità di fare
altrimenti, secondo me proprio per sottolineare l’importanza che loro danno a questo
cambiamento, che fondamentalmente si sta rivelando abbastanza d’impatto da un certo punto di
vista ma abbastanza neutro sotto un altro punto di vista …
R: Ovvero?
S1: D’impatto perché i commerciali adesso sentono molto meno secondo me il peso della filiale,
dall’altra parte fondamentalmente le filiali sono rimaste uguali quindi io in prima persona non
vedo questo cambiamento come una cosa drastica, immagino che per i commerciali, proprio per
entrare nell’ottica consulenziale che hanno richiesto, è difficile secondo me per chi ha sempre
sentito i ritmi della filiale, ha sempre seguito la filiale, essere un consulente per l’azienda
sicuramente ti cambia.
140
S1: No …
R: Che caratteristiche hanno le persone alla guida del cambiamento? Quelle che le possono
permettere di espletare questa funzione in maniera efficace?
S1: Mah sono sicuramente persone molto determinate, in questo momento ti dico che questa
persona che ci ha dato queste informazioni è una persona molto determinata, non guarda in faccia
nessuno, l’obiettivo è l’obiettivo, l’obiettivo è davanti a tutto, è una persona che con tutti i pro e i
contro non ha paura di mettersi in prima linea e portare avanti i suoi obiettivi, non è uno di quelli
che si tira indietro, da questo punto di vista tanto di cappello, sarebbe molto più semplice quando
l’azienda non rende mandare 50 persone a casa lui invece si è messo in gioco anche in prima
persona, è una persona determinata che ha voglia di fare.
141
all’interno della dop1 per esempio c’è il distretto Torino Moncalieri Chivasso per cercare di avere
secondo me meno obiettivi singoli di filiale ma degli obiettivi un po’ più ampi da raggiungere con
più filiali.
R: Come è stata comunicata agli attori organizzativi la nuova forma che avrebbe preso
’ g zz z ?
S1: Sempre nella stessa riunione per presentare la necessita e l’urgenza del cambiamento.
R: Sono state fatte mosse per ottenere la fiducia degli attori organizzativi?
S1: No, è stato fatto un discorso motivazionale ma nient’altro, non ci sono state altre … c’è stata
sicuramente la telefonata della responsabile di turno che diceva che ti è stato dato un ruolo in
questo cambiamento fondamentale pero io le vedo proprio come una bella leccata di culo.
R: Come pensi che i membri esecutivi si stiano rendendo utili per supportare il processo ?
S1: Mah, secondo me facendo quello che hanno sempre fatto, tanto, soprattutto a livello esecutivo,
per come è organizzata [ApL] c’è molta attività da fare, come sempre, facendo tutte le attività
cercando di non perderne alcune per strada, cercando di evitare ogni fantasia creatività, fare e basta
senza farsi troppe domande, anche perché per svincolarsi poi dalla vecchia figura del direttore di
filiale un deve anche darsi da fare.
142
R: Come pensi che i membri più giovani si stiano rendendo utili per supportare il processo?
S1: No i membri più giovani no, io sono una dei membri più giovani, non ho fatto proposte perché
non c’è spazio secondo me alle proposte, è un momento di transizione, in questo momento bisogna
vedere un attimo come va, poi piuttosto … tra un mesetto o due arriveranno secondo me le
proposte, anche da parte mia, perche poi vedo, faccio, quello che posso migliorare lo dico.
R: Come pensi che i membri più anziani si stiano rendendo utili per supportare il processo?
S1: I membri più anziani sono quelli a cui comunque è stato chiesto tanto dal punto di vista
commerciale, e quindi essendo poi questo cambiamento proteso proprio all’attività commerciale
comunque secondo me a loro non è pesato più di tanto questo cambiamento perche comunque sia
sono persone che comunque hanno sempre fatto tanto, penso a Z. F.., lui è uno che ha sempre fatto
tantissimo dal punto di vista commerciale, ora dovendo gestire una dop, fondamentalmente si deve
concentrare di più su una attività pero il commerciale lo deve fare comunque tanto.
143
R: Sono stati fissati obiettivi a medio termine?
S1: Contestualmente alla riunione ci sono stati presentati i budget, quindi da li partono gli
obiettivi, fatturato, fatturato e basta che poi è la cosa fondamentale in questa azienda, l’obiettivo è
stato quello di superarlo, tendenzialmente ogni volta che ci viene presentato un budget viene
chiesto di superare quello dell’anno precedente quindi ogni volta in base a quello si cerca di
organizzare l’attività della filiale, delle filiali, in questo caso dei distretti quindi questo è
l’obiettivo. Vengono fatte delle analisi di budget a trimestre quindi se a marzo nessuno fa quello
che deve fare non si può andare avanti.
R: C’è z v p f ?
S1: Da parte mia no perche io in questa filiale ritengo di aver fatto sempre qualcosa in più, quindi
no, da parte mia no, posso pensare che qualche risorsa un po’ più junior si, perche magari ha
sempre avuto il supporto della figura del direttore di filiale, il trovarsi ora senza questa figura può
aver creato qualche problema, pero poi alla fine …
R: Che tipo di giovamento possono trarre gli attori organizzativi da questa riorganizzazione?
S1: Sicuramente al termine di questo processo le persone nelle filiali dovrebbero diventare
complete a 360°, a parte l’attività di vendita, ma le persone in filiale dovrebbero saper fare tutto,
dalla a alla z, dal preventivo al colloquio col candidato, e questo sicuramente in altre agenzie non
accade, quindi ti da magari la possibilità di venderti anche meglio, anche se ripeto, questo alla fine
di tutto questo processo.
144
SOGGETTO 2
Presentazione
R: Vuol parlare di questo cambiamento organizzativo partendo dal momento in cui si è sentita
’ g z ?
S2: Si, allora, premesso che la nostra azienda ha nel corso degli anni praticamente sostenuto un
cambiamento organizzativo continuo quindi di anno in anno per un mettersi al passo con quelli che
sono gli obiettivi e le esigenze di mercato. In quest’ultimo caso il cambiamento organizzativo è
dipeso un po’ dall’idea dell’imprenditore di avvicinarsi al mercato, quindi aveva notato uno
scollamento tra quella che era la rete, quindi le filiali, da quelle che erano le esigenze del mercato
dipeso da una sorta di venir meno della spinta dell’attività commerciale. A fronte di questo quindi
si è deciso di avviare un processo che mettesse in moto tutta la rete, tutte le persone che operano in
azienda, in maniera tale che ci si “togliesse dagli uffici”, e quindi si cominciasse a battere il
marciapiede, se mi passi il termine, e cioè andare a toccare con mano quelli che sono i tessuti
imprenditoriali locali, bussare alle porte, e facendo questo ovviamente a tutti i livelli, partendo dal
personale di filiale, passando per il middle management, fino ad arrivare al top management,
quindi, tanto per darti un riferimento, lo stesso nostro imprenditore è una persona che si è rimessa
in discussione, quindi è entrata all’interno dell’azienda e ha cominciato a girare sui clienti per
capire il motivo per cui c’è stata questa flessione nelle vendite. Detto ciò, a partire dal 1 gennaio
2013, si è avviata un’attività che ha toccato tutti i ruoli, compreso il personale di sede, oltre che
delle filiali, che quindi ci vedrà nei prossimi mesi, tutto l’anno sul territorio nazionale a …
R: Q è p ’ z g ’organizzazione questa
necessità?
S2: Condividendo i motivi per i quali bisognava correre al riparo, quindi la flessione del fatturato,
avevamo perso qualcosa dal 2012 rispetto al 2011, quindi al fine di evitare una flessione anche nel
2013 necessariamente il 2013 deve essere per noi un anno di ripartenza, si è pensato di cercare di
145
aprirsi ad altri business, e quindi non cominciare a vendere soltanto la somministrazione ma far si
che tutte le persone dell’organizzazione vendessero formazione, buste paga, cioè tutte quelle che
sono comunque le attività che comunque possono essere portate fuori, aprendo quindi un ventaglio
di offerte. Questa cosa qua naturalmente è stata condivisa come ti dicevo sul secondo semestre
dello scorso anno, novembre-dicembre sono stati poi i mesi in cui ci sono state una serie di
evoluzioni, quindi i cambiamenti organizzativi che oggi viviamo, non sono quelli esattamente
pensati a novembre. Nei mesi di novembre e dicembre abbiamo visto tutta una serie di ipotesi che
sembrava si fossero concretizzate, poi in corso d’opera sono state cambiate per la paura di fare un
cambiamento organizzativo che facesse perdere magari quello che comunque fino ad oggi avevi
portato a casa, abbiamo cercato quindi di attuare un mix che potesse consolidare quello che si era
portato a casa fino ad oggi, e che allo stesso tempo potesse aprirsi per cercare una nuova strada.
Quindi sono state spostate persone, magari sono stati ridimensionati dei ruoli che magari anche nel
corso del 2013 potevano assurgere ad altre cariche, magari anche a dei miglioramenti dal punto di
vista professionale, quindi tutti quanti ci si è rimessi in discussione, come ti dicevo magari si sono
ridimensionati anche i ruoli, per cercare di utilizzare il 2013 come cuscinetto per consolidare ed
incrementare le quote di struttura.
R: E’ ff p g ?
146
S2: All’imprenditore in prima battuta e al top management che ha il compito di instradare
l’azienda verso questa nuova via.
R: Ci sono stati meccanismi particolari che hanno portato alla creazione di questo gruppo?
S2: I meccanismi sono stati dati dalla storicità delle persone, per cercare il team che ha guidato, dai
risultati portati nel corso degli anni, quindi si è fatta una scrematura delle persone che comunque
erano presenti cercando tra queste persone quelle che magari si erano adattate meglio, avevano
capito lo spirito dei cambiamenti, perché comunque anche negli ultimi anni 3-4 anni abbiamo
avuto dei piccoli cambiamenti in azienda. Questi cambiamenti hanno apportato, hanno impattato
sulla vita lavorativa di alcune persone e tra queste sono state scelte quelle che meglio si erano
adattate, che avevano intrapreso questa nuova attività e magari avevano anche portato risultati in
questa direzione.
147
S2: Con una serie di riunioni divise poi per aree nelle quali sono intervenuti gli attori, è intervenuta
la proprietà che ha spiegato i motivi per i quali si è reso necessario questo cambiamento
organizzativo, e quindi i motivi che vedevano anche persone abituate a vendere un certo tipo di
business o ad avere un certo tipo di ruolo ad aprirsi in qualche modo, per forza di cose al
cambiamento.
R: Sono stati fatte azioni per ottenere la fiducia degli attori non coinvolti nel processo
decisionale?
S2: Mah, azioni vere e proprie no se parliamo delle persone che non sono state coinvolte, l’azione
che è stata fatta è stata quella di prendere in considerazione gli elementi di successo che hanno
visto noi ad oggi primeggiare o comunque raggiungere certi traguardi, e cercare di passarli alla
rete in maniera tale che ci siano degli esempi concreti, ma parliamo di laboratorio comunque, non
c’è una vera e propria … è stata presa la torta e sottoposta alla rete.
R: Magari comunque in questo caso puntate anche ad una fiducia che già esiste?
S2: Sicuramente perche le persone coinvolte sono persone storiche nella maggior parte dei casi,
contiamo circa 150 dipendenti a livello struttura, su cui abbiamo un 60-70% di persone che
148
comunque sono in azienda da quando l’azienda è nata. Da quando l’azienda è nata bene o male è
sempre venuta incontro al personale, sia da un punto di vista economico che da un punto di vista di
soddisfazione delle esigenze anche personali di ciascuno. Pertanto questo fa si che le persone
hanno comunque aperto a priori la propria fiducia sperando che questa sia la via giusta.
149
cambio, per ragioni anche di comodità, di confort. Invece chi è anagraficamente più giovane è
tendenzialmente più disposto al cambiamento, perché ha una minore esperienza lavorativa, per
forza di cose, e magari una maggior propensione ad accettare quali possono essere le nuove sfide,
le nuove avventure.
R: C’è h p g è p p pp p
cambiamento?
150
S2: Nel senso che si è proattivato di più?
R: Quindi si partiva già da queste persone che avevano fatto attività sotto questo punto di vista in
precedenza?
S2: Si infatti
R: S è p f f ’ ?
S2: Si, ovviamente si è anche messa in discussione, questo è avvenuto nei mesi di ottobre
novembre e dicembre però come ogni cosa è stata condivisa con elementi che potevano essere
negativi ed elementi che potevano essere positivi, sono stati pesati e ad oggi l’idea è di provare
questo nuovo percorso, perché il business per noi è sempre stato uno, pero è anche vero che se non
proviamo a percorrere nuove strade, in un mercato che si sta chiudendo, che sta diventando
sicuramente più limitato in termini numerici sul settore di fatturato e di marginalità, non possiamo
pensare di provare a continuare a vivere sperando in una ripresa, ma dobbiamo comunque aiutare
il mercato a riprendersi oppure come fanno le banche, a vendere più servizi.
151
strada, sia in termini di proposizione sul mercato, perché probabilmente quello che c’è di vecchio
non porterà da nessuna parte.
152
SOGGETTO 3
Presentazione
R: C è p à ’ z g
organizzativi?
S3: In una serie di riunioni che ha visto protagonisti i dirigenti aziendali che sono durate il periodo
di due mesi, da settembre a novembre 2012, che hanno portato dapprima a una prima
organizzazione aziendale la quale poi di nuovo per una serie di motivi è stata invece ulteriormente
modificata ed ha portato all’attuale organizzazione aziendale.
153
organizzazione è maturata, ed è stata decisa ed è stata presentata al resto della popolazione è stata
vissuta con reale entusiasmo.
R: Qualche caratteristica che contraddistingue queste persone alla guida del processo di
cambiamento?
S3: Beh i protagonisti sono diversi, ti posso dare qualche caratteristica di quelli che più in questa
fase sono artefici della nuova organizzazione. Per quanto riguarda il direttore generale è la persona
che più di tutte crede in questo modello, non a caso da azionista è diventato direttore generale, ed è
la persona che in primis si è presa la responsabilità di traghettare l’azienda da quello che era a
quello che sarà, scendendo o salendo in campo come si suol dire a seconda dei vari momenti della
vita organizzativa. Operativamente poi il resto della gestione dipende molto dalle direzioni
operative, ovvero dalle persone che poi sul territorio gestiscono le squadre di vendita. Le altre
persone che ti ho citato prima in questo momento hanno un ruolo più marginale rispetto alle varie
fasi del cambiamento.
R: L’ v f h v p ’ g zz z è ?
S3: Come è nata non lo so, il perché è nata, almeno per quello che ci è stato spiegato, riporto i
motivi precedenti: chi investe in questa azienda ha ritenuto che per ottenere un profitto da questi
investimenti si dovesse scegliere una linea di business differente rispetto a quella che fino ad oggi
ne aveva definito il core business.
154
R: Come è stata comunicata questa visione al resto degli attori organizzativi?
S3: Al totale della popolazione è stata comunicata attraverso delle riunioni di direzione operativa.
Sono state convocate le singole direzioni operative a seconda del loro territorio di appartenenza ed
in forma plenaria rispetto a quelle direzioni operative, per direzioni operative si intende l’area di
appartenenza di alcune filiali di distretti attraverso i quali si fa operazioni di vendita dei nostri
servizi. Quindi sono state 3 riunioni all’interno delle quali la direzione generale ha esplicitato il
nuovo corso.
R: Ci sono state delle azioni da parte del gruppo dirigenziale per riuscire ad ottenere più
facilmente la fiducia da parte delle persone?
S3: Rispetto a chi poi operativamente sul territorio è artefice di questo cambiamento, è cioè
l’operativo che poi si dedicherà ai nuovi business, no. Nel senso che sono state messe in atto una
serie di azioni formative quindi una settimana di formazione che ha predisposto in maniera
filosofica e psicologica al cambiamento aziendale quindi su una materia meno concreta e più
astratta con dei formatori, poi successivamente è stata fatta un’altra settimana che poi verrà
reiterata nei prossimi mesi di formazione tecnica sui nuovi servizi che andranno a essere venduti.
Più ovviamente una ridistribuzione dei ruoli e delle competenze che poi è stata affrontata in
maniera ufficiale il giorno della comunicazione e che poi viene affinata nella quotidianità.
155
S3: Si, praticamente.
R: Quindi mi stai dicendo che comunque nel momento in cui è stata presa la decisione poi non ci
…
S3: Almeno apparentemente non c’è stata manifestazione di resistenza. Ci sono stati nella fase
apicale del confronto decisionale, quindi tra azionisti e gruppo dirigenziale, che è stato il momento
in cui è stata elaborata la nuova organizzazione, perché c’erano delle linee di pensiero diverse,
delle strategie diverse, in quel momento ci son stati momenti di attrito. Una volta che si è arrivati
ad una compensazione dei vari pensieri e quindi ad un’equità che ha prodotto questa attuale
organizzazione, il messaggio è stato compatto nei confronti della rete vendite.
R: Come pensi che i membri del livello esecutivo base possano rendersi utili a sostenere il
processo di cambiamento?
S3: Interpretando al meglio le disposizioni aziendali, in questo caso fidandosi di quello che è il
volere dell’azienda, le direttive dell’azienda, metabolizzando il pensiero dell’azienda senza
stravolgerlo, quindi svolgendo il ruolo cosi come l’azienda ha chiesto di svolgerlo senza
virgolettati o orpelli in questo momento non necessari, attenendosi al compito prestabilito.
R: P h g pù z ’ g zz z ?
S3: Dipende che ruolo svolgano, nel senso che se sono delle persone sul territorio devono fungere
da esempio per chi è più giovane, aziendalmente, perché ovviamente chi è da più tempo in azienda
è comunque visto con occhi differenti e come un esempio da parte di chi ci è da meno tempo, è
ovvio che se c’è una idiosincrasia tra il pensiero aziendale e chi è in azienda da tanto tempo e
quindi come lo metta in atto, è facile che i nuovi arrivati si trovino in confusione su questo.
156
S3: Alla marginalità, ci sono aziende che basano obiettivi sul fatturato non sul margine. Noi li
tariamo sul margine, e questo fa parte anche del cambiamento. Prima era più sul fatturato.
R: G z . C ’ g zz z h p p h pp p ?
S3: Io penso che in questo momento proprio la rete vendita e i consulenti commerciali siano le
persone che più e meglio stanno interpretando il cambiamento e se questo atteggiamento positivo
continuerà e perdurerà ritengo che insomma la nuova organizzazione possa ottenere buoni risultati.
R: S è v ’ p v f f ’ ?
S3: Non me ne sono accorto se è avvenuto, diciamo che le lamentele se sono avvenute sono
avvenute perché alcune persone, in maniera egoistica, non hanno apprezzato il cambiamento
perché il cambiamento ledeva dei loro diritti, o presupposti diritti, e quindi di conseguenza
essendoci stato magari un ridimensionamento o una professionalità comunque con un ruolo più
marginale, la critica è avvenuta da chi è stato sostanzialmente toccato in questo, quindi si è toccato
l’interesse personale, non quello collettivo. Fattori egoistici.
R: Che tipo di giovamento pensa che trarranno gli attori organizzativi da questo cambiamento?
157
S3: Una delle nostre criticità era la routine e l’abitudinarietà nello svolgere il nostro lavoro, che
essendo un lavoro a stretto contatto con le persone, decisamente molto competitivo perché il
nostro è un settore quello delle risorse umane altamente concorrenziale, si era creata nel corso
degli ultimi anni una disaffezione a quelli che potevano essere i valori che permettevano di fare la
differenza sul nostro mercato, e quindi tenacia, determinazione, voglia, ambizione a migliorarsi. Si
è ritenuto che creando un team di lavoro nel quale più persone con competenze diverse agissero su
un territorio più ampio ma magari aiutandosi vicendevolmente e quindi creando una macchina
commerciale non a un unico motore ma bimotore trimotore a seconda dei soggetti che vi
partecipano, potesse essere motivo di entusiasmo e di nuovo sprint.
R: E in termini di competenze?
S3: Si, certamente.
158
SOGGETTO 4
Presentazione
R: P h è à ’ ’ g zz z ?
S4: Ogni organizzazione dopo un po’ di tempo ha sempre l’esigenza di guardare all’esterno, nel
mercato, cosa succede, di guardare che cosa il mercato richiede, quindi è normale che ci son
sempre delle evoluzioni, anche perché il cambiamento è alla base del successo in ogni attività. In
questo caso il mercato esterno stava chiedendo maggiori servizi, una maggiore integrazione dei
servizi e quindi fornire ai clienti più cose, non fermarsi solo su un prodotto, che appunto nel nostro
caso è la somministrazione e la ricerca e selezione, ma presentare altri servizi. Questo è sempre
stato fatto, però da quest’anno c’è una integrazione maggiore, mentre appunto fino all’anno scorso
c’erano persone dedicate agli altri servizi e persone invece focalizzate soprattutto sulla
somministrazione quest’anno invece ci sono persone che propongono tutti i servizi globalmente
quindi proprio per cercare di dare una maggiore efficienza, una maggiore attività, soprattutto
perché il mercato oggi non ci richiede soltanto la somministrazione, la ricerca e selezione, ma è
interessato anche ad altre cose.
R: C’è h h g z p g ?
S4: Beh sicuramente la direzione generale, appunto la proprietà, quello si.
R: Q à è p ’ z g ?
S4: Mah in realtà c’era sempre, solo che quest’anno c’è un focus maggiore... in realtà c’era sempre
questa necessità, quindi comunque è stata solo più organizzata..
R: Q g è f ’ v pp h ’ h v
istituzionalizzazione?
S4: Si, bravissimo.
159
S4: Beh all’inizio sicuramente un po’ di resistenza, perché all’inizio di fronte ad un cambiamento
tutti ci diciamo “e adesso cosa ci succede?” e, anche se personalmente non mi ha toccato più di
tanto perché personalmente il mio ruolo è rimasto sempre uguale, più o meno, son cambiate alcune
cose però diciamo che in linea generale le attività sono quelle, quindi all’inizio un po’ di resistenza
si, però dopo comunque c’è stata la formazione, la gente sta metabolizzando e i colleghi stanno
entrando nel nuovo ruolo, più di consulenza, mentre prima erano più commerciali oggi sono
consulenti …
R: La direzione operativa in questo caso in cosa si discosta rispetto alla vecchia organizzazione?
S4: Prima c’erano 5 aree, in questo caso è un team unico composto da 4 funzioni che quindi vanno
a lavorare sulla rete. Mentre prima c’era un capoarea e poi c’erano le altre funzioni che però erano
trasversali anche con le altre aree, in questo caso invece un gruppo unico.
R: Quindi questo è stato fatto per focalizzarsi in diverse aree in maniera più mirata?
S4: Si, proprio così.
160
R: Questa visione è stata scelta tra diverse proposte fatte?
S4: Hanno vagliato altre possibilità, c’è stato un confronto, una discussione, sono state vagliate
diverse ipotesi.
R: Durante questa riunione ci sono state delle reazioni particolari alla comunicazione?
S4: Mah, no, diciamo che no, sono stati tutti, nell’immediato no, magari in seguito si sono notate
delle resistenze.
R: Ovvero?
S4: Un po’ di confusione, perché ancora non si sapeva cosa si doveva fare, una volta date le linee
guida quindi magari le reazioni erano “ora cosa devo fare, come devo vendere o dove devo
focalizzarmi” quello si.
R: Quindi incertezza?
S4: Si incertezza.
161
formazione più tecnica che ha coinvolto in primis i commerciali e poi anche noi della direzione
della DOP.
R: Per quel che riguarda le risorse di filiale? Ci sono state azioni in questo senso?
S4: Si, ci saranno, le stiamo mettendo a punto con i questionari di valutazione delle competenze, le
risorse di filiale continuano a lavorare sul territorio sullo stesso servizio, a livello operativo non è
cambiato molto, è cambiata la direzione, perché comunque vengono gestiti da me e non dal
commerciale, è cambiata una serie di attività su cui dovranno focalizzarsi e quindi hanno degli
obiettivi un po’ diversi rispetto allo scorso anno, non è cambiato tantissimo nella loro
quotidianità.
R: S pù g v ’ g zz z p pp re questo
processo?
S4: Mah, sicuramente con una apertura mentale, curiosità, fare le attività che vengono chieste in
modo non esecutivo, perché questo non deve più essere un lavoro esecutivo, pero, mettendoci
proprio del proprio e mettendoci idee, valori aggiunti.
R: U ’ ndicatori?
S4: Il budget. Gli obiettivi sono di budget, di vendita di servizi e quindi di fatturato su questi
servizi.
162
R: E per quanto riguarda lo sviluppo di competenze? Metodi valutativi? Obiettivi a medio
termine?
S4: Il questionario sulla valutazione delle competenze è il primo e lo stiamo portando avanti in
questi giorni e infatti la seconda valutazione verrà fatta poi a luglio.
R: Quindi per formazione e sviluppo delle competenze, non per mobilità interna?
S4: No, no.
R: Ci sono persone che per prime hanno fatto azioni in funzione di questo cambiamento?
S4: Mah, secondo me è stato un passaggio tutti insieme, tutti in gruppo se penso forse alla
direzione qualche personaggio della direzione si, poi le persone che hanno scelto sono le prime che
l’hanno messo in pratica.
R: Si è mai messo in discussione criticamente ciò che è stato fatto fino ad oggi?
S4: Fino ad oggi? No, ancora no … è un po’ presto.
R: Ch p g v ’ g zz z
secondo lei?
S4: Una maggiore professionalità, a tutti i livelli. Il fatto di andare a proporre, di lavorare più in
gruppo, di essere non un’unica filiale ma un distretto, quindi il confrontarsi con i distretti come
dicevo prima, ha portato ad un aumento di professionalità e di competenze. Dal punto di vista della
selezione il fatto che le selezionatrici vanno dal cliente a conoscere il processo produttivo piuttosto
che prendere proprio la job porta ad un uscire dalla routine ed ad aumentare le nostre competenze
163
perché si va direttamente sul campo. Dal punto di vista commerciale il vendere cose diverse
aumenta da se la professionalità, direi che proprio la cosa importante è un aumento di
professionalità e di competenza.
R: Mi è stato detto nelle precedenti interviste che questa nuova forma organizzativa era già stata
proposta nel 2009. Secondo lei come mai si è aspettato cosi tanto per istituzionalizzarla?
S4: Secondo me perché forse era sbagliato il periodo. Il 2009 era un periodo di fine crisi, inizio di
ripresa, dove appunto a livello di storia aziendale, nel 2010 era finita la crisi, quindi era un periodo
in cui è cresciuta, sono state aperte nuove filiali, non era quindi il momento storico adatto, perché
nel 2010 uscivamo da un periodo di crisi, quindi era l’anno di consolidare e di sviluppare quello
che avevamo. Il cambiamento in quel caso forse avrebbe destabilizzato o comunque avrebbe
rallentato il consolidamento dello sviluppo.
164
ALLEGATO D
GERARCHIZZAZIONE SOFT SKILLS
SOGGETTO 1 POSIZIONE
MACROCATEGORIE AREA SOGGETTIVA 1
PENSIERO 2
MOTIVAZIONE 3
ORGANIZZATIVE \ STRATEGICHE 4
RELAZIONALI 5
GESTIONE EMOTIVA \ SELF CONTROL 6
POSIZIONE
ORGANIZZATIVE \
STRATEGICHE VISIONE STRATEGICA 1
ORGANIZZAZIONE 2
FLESSIBILITA 3
GESTIONE DEL TEMPO 4
PROBLEM SOLVING 5
PRAGMATISMO 6
POSIZIONE
RELAZIONALI NETWORKING SKILLS 1
LEADERSHIP 2
NEGOZIAZIONE 3
COOPERARE 4
INTELLIGENZA RELAZIONALE 5
GESTIONE DEL CONFLITTO 6
POSIZIONE
PENSIERO ORIENTAMENTO AL FUTURO 1
CAPACITA DECISIONALE 2
PENSIERO MULTIDISCIPLINARE 3
APERTURA AL CAMBIAMENTO 4
VELOCITA DI PENSIERO E AZIONE 5
CAPACITA DI SEMPLIFICAZIONE 6
POSIZIONE
GESTIONE
EMOTIVA GESTIONE SCONFITTA 1
APERTURA ALLA DIVERSITA 2
CONSAPEVOLEZZA DI SE 3
165
GESTIONE DELLO STRESS 4
INTELLIGENZA EMOTIVA 5
EQUILIBRIO EMOTIVO 6
POSIZIONE
MOTIVAZIONE INTRAPRENDENZA 1
RESPONSABILIZZAZIONE 2
SELF-PROMOTION SKILLS 3
PROATTIVITA 4
ORIENTAMENTO AL RISULTATO 5
PERSEVERANZA \ DETERMINAZIONE 6
POSIZIONE
AREA SOGGETTIVA PENSIERO POSITIVO 1
FIDUCIA IN SE STESSI 2
CORRETTEZZA \ ETICA 3
ENERGIA 4
AUTONOMIA 5
PAZIENZA 6
SOGGETTO 2 POSIZIONE
MACROCATEGORIE AREA SOGGETTIVA 1
PENSIERO 2
MOTIVAZIONE 3
ORGANIZZATIVE \ STRATEGICHE 4
GESTIONE EMOTIVA \ SELF CONTROL 5
RELAZIONALI 6
POSIZIONE
ORGANIZZATIVE \
STRATEGICHE FLESSIBILITA 1
PROBLEM SOLVING 2
PRAGMATISMO 3
GESTIONE DEL TEMPO 4
ORGANIZZAZIONE 5
VISIONE STRATEGICA 6
POSIZIONE
RELAZIONALI LEADERSHIP 1
COOPERARE 2
INTELLIGENZA RELAZIONALE 3
GESTIONE DEL CONFLITTO 4
166
NETWORKING SKILLS 5
NEGOZIAZIONE 6
POSIZIONE
PENSIERO VELOCITA DI PENSIERO E AZIONE 1
ORIENTAMENTO AL FUTURO 2
APERTURA AL CAMBIAMENTO 3
CAPACITA DECISIONALE 4
CAPACITA DI SEMPLIFICAZIONE 5
PENSIERO MULTIDISCIPLINARE 6
POSIZIONE
GESTIONE
EMOTIVA APERTURA ALLA DIVERSITA 1
GESTIONE DELLO STRESS 2
EQUILIBRIO EMOTIVO 3
CONSAPEVOLEZZA DI SE 4
INTELLIGENZA EMOTIVA 5
GESTIONE SCONFITTA 6
POSIZIONE
MOTIVAZIONE SELF-PROMOTION SKILLS 1
PROATTIVITA 2
INTRAPRENDENZA 3
PERSEVERANZA \ DETERMINAZIONE 4
RESPONSABILIZZAZIONE 5
ORIENTAMENTO AL RISULTATO 6
POSIZIONE
AREA SOGGETTIVA PENSIERO POSITIVO 1
CORRETTEZZA \ ETICA 2
FIDUCIA IN SE STESSI 3
ENERGIA 4
AUTONOMIA 5
PAZIENZA 6
SOGGETTO 3
MACROCATEGORIE MOTIVAZIONE 1
GESTIONE EMOTIVA \ SELF CONTROL 2
RELAZIONALI 3
167
ORGANIZZATIVE \ STRATEGICHE 4
PENSIERO 5
AREA SOGGETTIVA 6
POSIZIONE
ORGANIZZATIVE \
STRATEGICHE VISIONE STRATEGICA 1
GESTIONE DEL TEMPO 2
ORGANIZZAZIONE 3
PROBLEM SOLVING 4
PRAGMATISMO 5
FLESSIBILITA 6
POSIZIONE
RELAZIONALI LEADERSHIP 1
NEGOZIAZIONE 2
COOPERARE 3
GESTIONE DEL CONFLITTO 4
INTELLIGENZA RELAZIONALE 5
NETWORKING SKILLS 6
POSIZIONE
PENSIERO CAPACITA DECISIONALE 1
VELOCITA DI PENSIERO E AZIONE 2
PENSIERO MULTIDISCIPLINARE 3
CAPACITA DI SEMPLIFICAZIONE 4
ORIENTAMENTO AL FUTURO 5
APERTURA AL CAMBIAMENTO 6
POSIZIONE
GESTIONE
EMOTIVA CONSAPEVOLEZZA DI SE 1
EQUILIBRIO EMOTIVO 2
GESTIONE SCONFITTA 3
GESTIONE DELLO STRESS 4
INTELLIGENZA EMOTIVA 5
APERTURA ALLA DIVERSITA 6
POSIZIONE
MOTIVAZIONE RESPONSABILIZZAZIONE 1
ORIENTAMENTO AL RISULTATO 2
PERSEVERANZA \ DETERMINAZIONE 3
PROATTIVITA 4
INTRAPRENDENZA 5
168
SELF-PROMOTION SKILLS 6
POSIZIONE
AREA SOGGETTIVA ENERGIA 1
FIDUCIA IN SE STESSI 2
PENSIERO POSITIVO 3
PAZIENZA 4
AUTONOMIA 5
CORRETTEZZA \ ETICA 6
SOGGETTO 4 POSIZIONE
MACROCATEGORIE MOTIVAZIONE 1
ORGANIZZATIVE \ STRATEGICHE 2
RELAZIONALI 3
GESTIONE EMOTIVA \ SELF CONTROL 4
AREA SOGGETTIVA 5
PENSIERO 6
POSIZIONE
ORGANIZZATIVE \
STRATEGICHE ORGANIZZAZIONE 1
FLESSIBILITA 2
PROBLEM SOLVING 3
GESTIONE DEL TEMPO 4
VISIONE STRATEGICA 5
PRAGMATISMO 6
POSIZIONE
RELAZIONALI COOPERARE 1
NEGOZIAZIONE 2
LEADERSHIP 3
GESTIONE DEL CONFLITTO 4
INTELLIGENZA RELAZIONALE 5
NETWORKING SKILLS 6
POSIZIONE
PENSIERO CAPACITA DI SEMPLIFICAZIONE 1
VELOCITA DI PENSIERO E AZIONE 2
CAPACITA DECISIONALE 3
APERTURA AL CAMBIAMENTO 4
ORIENTAMENTO AL FUTURO 5
PENSIERO MULTIDISCIPLINARE 6
169
POSIZIONE
GESTIONE
EMOTIVA INTELLIGENZA EMOTIVA 1
CONSAPEVOLEZZA DI SE 2
EQUILIBRIO EMOTIVO 3
GESTIONE DELLO STRESS 4
APERTURA ALLA DIVERSITA 5
GESTIONE SCONFITTA 6
POSIZIONE
MOTIVAZIONE ORIENTAMENTO AL RISULTATO 1
PERSEVERANZA \ DETERMINAZIONE 2
RESPONSABILIZZAZIONE 3
PROATTIVITA 4
SELF-PROMOTION SKILLS 5
INTRAPRENDENZA 6
POSIZIONE
AREA SOGGETTIVA AUTONOMIA 1
ENERGIA 2
FIDUCIA IN SE STESSI 3
CORRETTEZZA \ ETICA 4
PENSIERO POSITIVO 5
PAZIENZA 6
170
ALLEGATO E
CATEGORIZZAZIONE MATERIALE DELLE INTERVISTE
S1 Tutti ci rendiamo conto di giorno in giorno della necessita di cambiare, perché comunque non
c’è una divisione dei compiti molto ben definita.
Abbiamo fatto un incontro in cui il proprietario dell’azienda ci ha spiegato l’esigenza di
cambiare marcia, di invertire marcia, perché tutto quello che era stato fatto fin’ora era stato
fatto in maniera non corretta, quindi ci è stato proprio presentata come un’esigenza, dall’oggi
al domani, si attuerà questo cambiamento immediato proprio perché non si può fare
diversamente.
Una parola utilizzata è si fa cosi e non si torna indietro, si cambia e non c’è possibilità di fare
altrimenti, secondo me proprio per sottolineare l’importanza che loro danno a questo
cambiamento.
Si, c’è stata una riunione con tutti quanti e quindi questo sicuramente si, io personalmente
avrei messo più fretta nel senso il 2 gennaio si rientra in gruppi e si inizia già ad analizzare
questo cambiamento, ci sono stati tempi un po’ dilatati quindi, io non so, l’avrei fatto con più
urgenza, dando gli strumenti proprio subito nell’immediato.
S2 La nostra azienda ha nel corso degli anni praticamente sostenuto un cambiamento
organizzativo continuo quindi di anno in anno per un mettersi al passo con quelli che sono gli
obiettivi e le esigenze di mercato. In quest’ultimo caso il cambiamento organizzativo è
dipeso un po’ dall’idea dell’imprenditore di avvicinarsi al mercato, quindi aveva notato uno
scollamento tra quella che era la rete, quindi le filiali, da quelle che erano le esigenze del
mercato dipeso da una sorta di venir meno della spinta dell’attività commerciale.
L’esigenza è stata maturata nel corso dell’ultimo semestre del 2012 in funzione del rendersi
conto di una riduzione del fatturato, e quindi l’elemento che ha fatto scaturire il tutto è stata
la flessione rispetto a quelli che erano gli obiettivi attesi, e una condivisione anche di questa
problematica tramite riunioni che si sono tenute a Pescara.
R: Q è p ’ z g ’ g zz z
necessità?
Condividendo i motivi per i quali bisognava correre al riparo, quindi la flessione del
fatturato, avevamo perso qualcosa dal 2012 rispetto al 2011
Questa cosa qua naturalmente è stata condivisa come ti dicevo sul secondo semestre dello
171
scorso anno
Diciamo che il processo di cambiamento quello che poi abbiamo attuato quest’anno era già
stato avviato nel 2009-2010, con la differenza che nel corso del 2009 o del 2010 era stato
lasciato alla buona volontà di alcune persone, che quindi avevano deciso di provare ad
intraprendere delle nuove strade, solo che nel 2009-10-11 forse ancora nel 2012 si è visto che
lasciare solo a poche persone senza dare da riferimento comune un input da parte
dell’azienda rimaneva fine a se stesso, perché poi avevamo magari 4-5-6 individui che
potevano portare di risultati attesi, ma che comunque in qualche modo non venivano
trasmessi alla rete. Il tutto diciamo che è dipeso da 4-5-6 persone all’interno dell’azienda che
rappresentavano linee di business diverse.
S3 La necessità è una necessità che è venuta dall’alto, e poi condivisa in varie fasi con le
persone che compongono l’azienda e ogni fase ovviamente era legata al ruolo che la persona
aveva nell’azienda. Quindi sostanzialmente per rispondere ad esigenze di mercato che
vedevano sempre più il nostro core business, ovvero la somministrazione, perdere appeal e
soprattutto perdere in termini di marginalità.
Quindi ripeto la necessità di cambiamento non è venuta dal basso, è stata una cosa che
comunque è maturata all’interno delle scelte degli azionisti, durante la loro riunione di
direttivo.
In una serie di riunioni che ha visto protagonisti i dirigenti aziendali che sono durate il
periodo di due mesi, da settembre a novembre 2012.
Una delle nostre criticità era la routine e l’abitudinarietà nello svolgere il nostro lavoro, che
essendo un lavoro a stretto contatto con le persone, decisamente molto competitivo perché il
nostro è un settore quello delle risorse umane altamente concorrenziale, si era creata nel
corso degli ultimi anni una disaffezione a quelli che potevano essere i valori che
permettevano di fare la differenza sul nostro mercato, e quindi tenacia, determinazione,
voglia, ambizione a migliorarsi.
S4 Ogni organizzazione dopo un po’ di tempo ha sempre l’esigenza di guardare all’esterno, nel
mercato, cosa succede, di guardare che cosa il mercato richiede, quindi è normale che ci son
sempre delle evoluzioni, anche perché il cambiamento è alla base del successo in ogni
attività. In questo caso il mercato esterno stava chiedendo maggiori servizi, una maggiore
integrazione dei servizi e quindi fornire ai clienti più cose, non fermarsi solo su un prodotto,
che appunto nel nostro caso è la somministrazione e la ricerca e selezione, ma presentare altri
servizi.
Diciamo che l’evoluzione sta proprio nel cercare di rispondere alle esigenze del mercato ma
anche di essere il più possibile efficienti nei confronti del mercato.
172
Beh sicuramente la direzione generale, appunto la proprietà, quello si.
Mah in realtà c’era sempre, solo che quest’anno c’è un focus maggiore... in realtà c’era
sempre questa necessità, quindi comunque è stata solo più organizzata.
Beh all’inizio sicuramente un po’ di resistenza, perché all’inizio di fronte ad un cambiamento
tutti ci diciamo “e adesso cosa ci succede?”.
Secondo me perché forse era sbagliato il periodo. Il 2009 era un periodo di fine crisi, inizio di
ripresa, dove appunto a livello di storia aziendale, nel 2010 era finita la crisi, quindi era un
periodo in cui è cresciuta, sono state aperte nuove filiali, non era quindi il momento storico
adatto, perché nel 2010 uscivamo da un periodo di crisi, quindi era l’anno di consolidare e di
sviluppare quello che avevamo. Il cambiamento in quel caso forse avrebbe destabilizzato o
comunque avrebbe rallentato il consolidamento dello sviluppo.
Diciamo che eravamo all’inizio della vendita di più servizi, quindi comunque c’era ancora
una fase di rodaggio, eravamo all’inizio.
S1 Mi sembra di aver capito che c’è proprio una persona, che è un direttore dei processi,G. S.,
che gestirà tutti questi processi di cambiamento, poi è normale che i vertici stanno gestendo
tutto pero mi sembra di capire che hanno creato una figura particolare.
Ci ho parlato alla riunione e mi ha chiesto quindi come la vedi? Come lo vedi questo
cambiamento? Ma è stato l’unico momento in cui sono entrato in contatto con lui, non ho
molti contatti, a dir la verità non ho molto presente qual è il suo ruolo, si, sinceramente la
parola mi aveva un attimo incuriosita, adesso che mi hai detto tu la parola processo ho
ricollegato, non mi sono chiesta che tipo di processi potesse curare.
Sono sicuramente persone molto determinate, in questo momento ti dico che questa persona
che ci ha dato queste informazioni è una persona molto determinata, non guarda in faccia
nessuno, l’obiettivo è l’obiettivo, l’obiettivo è davanti a tutto. È una persona che con tutti i
pro e i contro non ha paura di mettersi in prima linea e portare avanti i suoi obiettivi, non è
uno di quelli che si tira indietro, da questo punto di vista tanto di cappello, sarebbe molto più
semplice quando l’azienda non rende mandare 50 persone a casa lui invece si è messo in
gioco anche in prima persona, è una persona determinata che ha voglia di fare.
S2 Lo stesso nostro imprenditore è una persona che si è rimessa in discussione, quindi è entrata
all’interno dell’azienda e ha cominciato a girare sui clienti per capire il motivo per cui c’è
stata questa flessione nelle vendite.
R: E’ ff p g ?
All’imprenditore in prima battuta e al top management che ha il compito di instradare
173
l’azienda verso questa nuova via.
I meccanismi sono stati dati dalla storicità delle persone, per cercare il team che ha guidato,
dai risultati portati nel corso degli anni, quindi si è fatta una scrematura delle persone che
comunque erano presenti cercando tra queste persone quelle che magari si erano adattate
meglio, avevano capito lo spirito dei cambiamenti, perché comunque anche negli ultimi anni
3-4 anni abbiamo avuto dei piccoli cambiamenti in azienda. Questi cambiamenti hanno
apportato, hanno impattato sulla vita lavorativa di alcune persone e tra queste sono state
scelte quelle che meglio si erano adattate, che avevano intrapreso questa nuova attività e
magari avevano anche portato risultati in questa direzione.
Sicuramente un senso di appartenenza all’azienda, un senso di voglia di crescere e soprattutto
adattarsi ai cambiamenti e cercare nuove vie.
R: Si è pensato di coinvolgere attori organizzativi nel processo decisionale?
Parzialmente, noi naturalmente abbiamo un’azienda di tipo imprenditoriale, comunque
abbiamo la proprietà e gli azionisti di riferimento che sono operativi all’interno dell’azienda.
Il middle management comunque è stato coinvolto attivamente in quello che è il processo di
cambiamento, cercando di dare le proprie idee, i propri dubbi, le proprie perplessità, dopo di
che ha riguardato comunque tutti anche se poi come spesso capita non tutti sono stati
coinvolti come parte attiva. Qualcuno si è visto per forza di cose il cambiamento in maniera
passiva.
S3 Gli azionisti hanno proposto, i dirigenti insieme agli azionisti hanno rielaborato dando un
contributo fattivo e sostanziale alla nuova organizzazione
Direttamente al principale azionista che se ne è fatto carico diventando, assumendo la carica
di direttore generale, poi a seconda dei ruoli, a parte il gruppo dirigenziale, anche ai quadri
aziendali, che nella nostra azienda possono essere visti come direttore del personale direttore
generale direttore commerciale direttore della formazione, della ricerca sviluppo e i tre
direttori operativi.
Beh i protagonisti sono diversi, ti posso dare qualche caratteristica di quelli che più in questa
fase sono artefici della nuova organizzazione. Per quanto riguarda il direttore generale è la
persona che più di tutte crede in questo modello, non a caso da azionista è diventato direttore
generale, ed è la persona che in primis si è presa la responsabilità di traghettare l’azienda da
quello che era a quello che sarà, scendendo o salendo in campo come si suol dire a seconda
dei vari momenti della vita organizzativa. Operativamente poi il resto della gestione dipende
molto dalle direzioni operative, ovvero dalle persone che poi sul territorio gestiscono le
squadre di vendita. Le altre persone che ti ho citato prima in questo momento hanno un ruolo
più marginale rispetto alle varie fasi del cambiamento.
174
S4 Mah in realtà è stata creata una direzione generale, in cui ognuno ha i propri compiti, al di
sotto ci sono le direzioni operative con dei compiti di gestione della rete.
Mah, sicuramente un gruppo efficace lo è quando si riconoscono le competenze dei
partecipanti del gruppo, siamo tutte persone competenti ognuna per le proprie attività e
questa competenza è riconosciuta, è questa la cosa fondamentale, c’è una gerarchia che
comunque è rispettata, quindi sotto questo punto di vista il gruppo è solido.
S1 Si è pensato, per cercare di utilizzare al meglio le risorse all’interno della filiale soprattutto,
di puntare soprattutto su un’attività commerciale più di impatto, quindi questo cambiamento
fondamentalmente è per quello, per cercare di raggiungere gli obiettivi commerciali in
maniera più veloce, con un attacco.
Sicuramente la filiale avrebbe gradito un supporto maggiore in filiale, con uno staff con più
persone, invece si è sentita la necessità di rinforzare lo staff commerciale, quindi diciamo che
c’è un po’ uno specchio, quindi il vertice ha pensato di fare una cosa, la base chiedeva una
cosa opposta, però logicamente essendo un’azienda a stampo commerciale si punta più a
sviluppare e migliorare il lato commerciale, perché se non ci sono i clienti non c’è attività di
filiale fondamentalmente.
Hanno cercato di organizzare il tutto in maniera matriciale, anziché gerarchica, più linee di
business affiancate non in maniera gerarchica ma affiancate, con degli obiettivi comuni,
perdendo un po’ quella gerarchia che c’era finora.
No … (riferendosi alla domanda: gli attori organizzativi non sono stati coinvolti nel processo
decisionale?)
È stata proprio riorganizzata la divisione a livello Italia di [APL], prima c’erano tre divisioni
ora queste divisioni hanno all’interno delle dop, delle direzioni operative, all’interno delle
quali dei distretti, se prima c’era area nord centro e sud adesso c’è dop1 dop2 dop3 dop4,
all’interno della dop1 per esempio c’è il distretto Torino Moncalieri Chivasso per cercare di
avere secondo me meno obiettivi singoli di filiale ma degli obiettivi un po’ più ampi da
raggiungere con più filiali.
Io non sono convintissima che sia la strada giusta.
Hanno cercato di dividere le varie divisioni di [APL] affidando ad ogni commerciale una
posizione specifica, ovvero dividendo, ad una persona [APL], ad una persona
[APLFormazione ], ad una persona [APLOutsourcing], un consulente specializzato.
S2 A fronte di questo quindi si è deciso di avviare un processo che mettesse in moto tutta la rete,
175
tutte le persone che operano in azienda, in maniera tale che ci si “togliesse dagli uffici”, e
quindi si cominciasse a battere il marciapiede, se mi passi il termine, e cioè andare a toccare
con mano quelli che sono i tessuti imprenditoriali locali, bussare alle porte, e facendo questo
ovviamente a tutti i livelli, partendo dal personale di filiale, passando per il middle
management, fino ad arrivare al top management.
A partire dal 1 gennaio 2013, si è avviata un’attività che ha toccato tutti i ruoli, compreso il
personale di sede, oltre che delle filiali, che quindi ci vedrà nei prossimi mesi, tutto l’anno sul
territorio nazionale.
Al fine di evitare una flessione anche nel 2013 necessariamente il 2013 deve essere per noi
un anno di ripartenza, si è pensato di cercare di aprirsi ad altri business, e quindi non
cominciare a vendere soltanto la somministrazione ma far si che tutte le persone
dell’organizzazione vendessero formazione, buste paga, cioè tutte quelle che sono comunque
le attività che comunque possono essere portate fuori, aprendo quindi un ventaglio di offerte.
Abbiamo cercato quindi di attuare un mix che potesse consolidare quello che si era portato a
casa fino ad oggi, e che allo stesso tempo potesse aprirsi per cercare una nuova strada. Quindi
sono state spostate persone, magari sono stati ridimensionati dei ruoli che magari anche nel
corso del 2013 potevano assurgere ad altre cariche, magari anche a dei miglioramenti dal
punto di vista professionale, quindi tutti quanti ci si è rimessi in discussione, come ti dicevo
magari si sono ridimensionati anche i ruoli, per cercare di utilizzare il 2013 come cuscinetto
per consolidare ed incrementare le quote di struttura.
In un business come il nostro, dove comunque l’esposizione finanziaria è importante perché
noi siamo un’agenzia per il lavoro, vendiamo soprattutto somministrazione questo vuol dire
che anticipiamo gli stipendi a tutti i lavoratori e li incassiamo, quando va bene, a 30 giorni.
Se no a 60, 90, e cosi via. Questo vuol dire che dobbiamo farci seguire dalle banche, che ci
devono aprire il portafogli per poter accedere al credito, ma vuol dire anche pagare interessi
passivi. La strategia è stata quindi quella di mantenere inalterato il portafoglio della
somministrazione, cercando di implementarlo, ma soprattutto di ridurre la quota di
esposizione finanziaria, facendo cosa, andando a vendere quei servizi che per noi
rappresentano un margine puro e non rappresentano costo, quindi abbiamo guardato
all’interno della nostra azienda, cercando di capire tra i vari uffici che cosa avevamo già in
pancia, che cosa poteva essere fatto senza dover chiedere soldi fuori e abbiamo messo a
disposizione dei nostri clienti uffici e competenze che già avevamo, in maniera tale che si
potesse dare un servizio di tipo più consulenziale, oltre che di servizio vero e proprio legato
alla fornitura di personale.
Se oggi avevamo l’80% sul nostro core business, dal primo di gennaio ho un’inversione, o
176
addirittura un 60-70% di vendita di servizi che prima non vendevamo. Dal punto di vista del
ruolo abituarsi a ragionare non più in termini individuali ma in termini di gruppo, perché nel
cambio organizzativo si sono create delle microaree che vedono tutte le persone coinvolte
nell’area avere uno scopo comune che è quello del budget. Prima il budget era diviso per
centro di costo, per filiale, tanto per intenderci, oggi il budget è più collettivo, cosa che
magari fino a ieri era a più individuale, rimessa al singolo ufficio che si preoccupa di far
funzionare la propria filiale, e cosi se funziona bene la propria filiale e quella vicina fa male
non si raggiungono gli obiettivi, di conseguenza vuol dire interagire con le persone,
aumentare le relazioni all’interno dell’azienda, e aiutare anche chi magari in questo momento
non riesce a far fronte al raggiungimento del risultato.
Quindi ci allontaniamo dal nostro core business andando a vendere cose nuove.
C’è stata l’unione e la fusione di linee di business che tendevano a creare sempre costo.
Il business per noi è sempre stato uno, pero è anche vero che se non proviamo a percorrere
nuove strade, in un mercato che si sta chiudendo, che sta diventando sicuramente più limitato
in termini numerici sul settore di fatturato e di marginalità, non possiamo pensare di provare
a continuare a vivere sperando in una ripresa, ma dobbiamo comunque aiutare il mercato a
riprendersi oppure come fanno le banche, a vendere più servizi.
S3 Noi abbiamo approntato un’organizzazione nella quale gli altri business alternativi gestiti
fino al 2012 da aziende facenti parte del gruppo, venissero invece prese in prima battuta
direttamente dalla capogruppo. Quindi c’è stata una trasformazione che ha riguardato sia la
riorganizzazione generale dell’azienda, e che ha portato sostanzialmente a una creazione di
un unico centro di produzione. Quindi se prima noi eravamo divisi in tre aziende con tre
distinte ragioni sociali, a oggi ci affacciamo sul mercato con il nome della holding.
Hanno portato dapprima a una prima organizzazione aziendale la quale poi di nuovo per una
serie di motivi è stata invece ulteriormente modificata ed ha portato all’attuale
organizzazione aziendale.
Per quello che possono essere le mie conoscenze, per come ho vissuto l’azienda, la fase di
dibattito più critica e più di confronto è avvenuta all’interno del direttivo al quale partecipano
gli azionisti dell’azienda e il gruppo dirigente. Mi è sembrato che in quel contesto, che forse
era il vero contesto decisionale ci fossero gli aspetti più conflittuali, mentre una volta che la
nuova organizzazione è maturata, ed è stata decisa ed è stata presentata al resto della
popolazione è stata vissuta con reale entusiasmo.
Come è nata non lo so...
Ci sono stati nella fase apicale del confronto decisionale, quindi tra azionisti e gruppo
dirigenziale, che è stato il momento in cui è stata elaborata la nuova organizzazione, perché
177
c’erano delle linee di pensiero diverse, delle strategie diverse, in quel momento ci son stati
momenti di attrito.
Si è ritenuto che creando un team di lavoro nel quale più persone con competenze diverse
agissero su un territorio più ampio ma magari aiutandosi vicendevolmente e quindi creando
una macchina commerciale non a un unico motore ma bimotore trimotore a seconda dei
soggetti che vi partecipano, potesse essere motivo di entusiasmo e di nuovo sprint.
Sicuramente quello che dovrebbe essere stato l’intento è di avere meno interlocutori con i
quali interagire da parte della forza commerciale in modo da essere più pronti a dare delle
risposte.
L’azienda, e per azienda intendo i proprietari, gli azionisti dell’azienda, hanno ritenuto che il
mercato fosse pronto per avere un approccio cosi aggressivo rispetto ai nuovi business, e che
per crescere in questo mercato e crescere in senso positivo si dovesse procedere in
quest’ottica.
Chi investe in questa azienda ha ritenuto che per ottenere un profitto da questi investimenti si
dovesse scegliere una linea di business differente rispetto a quella che fino ad oggi ne aveva
definito il core business.
S4 Questo è sempre stato fatto, però da quest’anno c’è una integrazione maggiore, mentre
appunto fino all’anno scorso c’erano persone dedicate agli altri servizi e persone invece
focalizzate soprattutto sulla somministrazione quest’anno invece ci sono persone che
propongono tutti i servizi globalmente quindi proprio per cercare di dare una maggiore
efficienza, una maggiore attività, soprattutto perché il mercato oggi non ci richiede soltanto la
somministrazione, la ricerca e selezione, ma è interessato anche ad altre cose.
R: In cosa consiste questa figura di consulenza?
Consiste nell’andare dal cliente a proporre dei servizi, però non in un’ottica del classico
venditore, ma in un’ottica di maggiore attenzione ai bisogni del cliente, maggiore ascolto,
maggiore coinvolgimento in tutte le attività.
Prima c’erano 5 aree, in questo caso è un team unico composto da 4 funzioni che quindi
vanno a lavorare sulla rete. Mentre prima c’era un capoarea e poi c’erano le altre funzioni che
però erano trasversali anche con le altre aree, in questo caso invece un gruppo unico.
R: Quindi questo è stato fatto per focalizzarsi in diverse aree in maniera più mirata?
Si, proprio così.
Tappe non direi, sicuramente un’analisi sui risultati dello scorso anno, quindi poi di
conseguenza una decisione nei confronti del cambiamento.
Hanno vagliato altre possibilità, c’è stato un confronto, una discussione, sono state vagliate
diverse ipotesi.
178
Perché era più mirata e più focalizzata sulla situazione, in realtà non ti saprei rispondere, non
c’è una scelta migliore rispetto ad altre, questa forse è più tempestiva, più efficace nel breve.
Le risorse di filiale continuano a lavorare sul territorio sullo stesso servizio, a livello
operativo non è cambiato molto, è cambiata la direzione, perché comunque vengono gestiti
da me e non dal commerciale, è cambiata una serie di attività su cui dovranno focalizzarsi e
quindi hanno degli obiettivi un po’ diversi rispetto allo scorso anno, non è cambiato
tantissimo nella loro quotidianità.
Nel concreto iniziare a ragionare più con un fatturato, non con dei numeri, è un cambiamento
che sta avvenendo. Oggi non parliamo più di quante persone vengono assunte, parliamo di
che fatturato fanno queste persone, è un modo di pensare diverso e per quanto riguarda
l’attività lavorativa a livello di selezione le routines che c’erano prima sono rimaste.
COMUNICARE LA VISIONE
S1 Perplessità, come per ogni cambiamento sicuramente, io personalmente sono una persona alla
quale i cambiamenti piacciono, però, in un primo momento, soprattutto quando non vengono
governati da me, mi mettono un attimo di timore, un attimo di perplessità, non mi piace non
avere sotto controllo il cambiamento, quindi avere un cambiamento gestito mi ha un attimo
…
Sempre nella stessa riunione per presentare la necessita e l’urgenza del cambiamento.
Secondo me erano tutti un po’ perplessi, tranne le persone che ne erano già al corrente, però
c’era un po’ di perplessità generale, le persone che ne erano già a conoscenza erano un po’
rassegnate …
S2 Le reazioni probabilmente sono state quelle di dubbio e di incertezza nell’affrontare il
mercato in questo modo, perché comunque usciamo da una situazione di confort, che avevi
fino a ieri per abbracciare una nuova attività, per abbracciare dei cambiamenti quindi le
critiche o le perplessità o i dubbi sono quelli legati essenzialmente alla perplessità di non
riuscire a fare una determinata cosa, ma semplicemente perché si è abituati a farle in un altro
modo, quindi bisognava cambiare ciascuno di noi trovando la motivazione giusta per
approcciarci in maniera diversa.
Con una serie di riunioni divise poi per aree nelle quali sono intervenuti gli attori, è
intervenuta la proprietà che ha spiegato i motivi per i quali si è reso necessario questo
cambiamento organizzativo, e quindi i motivi che vedevano anche persone abituate a vendere
un certo tipo di business o ad avere un certo tipo di ruolo ad aprirsi in qualche modo, per
forza di cose al cambiamento.
179
Mah, le reazioni che posso aver notato sono in un primo momento di difficoltà, perche come
dicevo prima si tratta di persone che hanno sempre visto un solo tipo di ruolo, ed un tipo di
business, qui parliamo di un cambiamento organizzativo che non impatta solamente sul ruolo
ma impatta sul business.
La difficoltà può essere quella di condividere con tutte le filiali dell’area il raggiungimento
del risultato.
Non c’è una vera e propria … è stata presa la torta e sottoposta alla rete.
Il problema è far capire che il cambiamento è tendenzialmente positivo, difficilmente
negativo, quindi in questo l’azione comunque offerta è stata quella di supportare, di
affiancare le persone per cercare di costruire un percorso di crescita comune.
S3 Una volta che questa è stata approvata è stata poi proposta all’intera popolazione aziendale.
Al totale della popolazione è stata comunicata attraverso delle riunioni di direzione operativa.
Sono state convocate le singole direzioni operative a seconda del loro territorio di
appartenenza ed in forma plenaria rispetto a quelle direzioni operative, per direzioni
operative si intende l’area di appartenenza di alcune filiali di distretti attraverso i quali si fa
operazioni di vendita dei nostri servizi. Quindi sono state 3 riunioni all’interno delle quali la
direzione generale ha esplicitato il nuovo corso.
La nostra impressione è stata quella di una risposta positiva a parte della rete vendite.
R: Ci sono state delle azioni da parte del gruppo dirigenziale per riuscire ad ottenere più
facilmente la fiducia da parte delle persone?
Rispetto a chi poi operativamente sul territorio è artefice di questo cambiamento, è cioè
l’operativo che poi si dedicherà ai nuovi business, no
Una volta che si è arrivati ad una compensazione dei vari pensieri e quindi ad un’equità che
ha prodotto questa attuale organizzazione, il messaggio è stato compatto nei confronti della
rete vendite.
S4 Tramite una riunione globale, face to face, non è stata mandata nessuna mail, nessun tramite,
ma è stata adottata proprio la comunicazione diretta.
C’è stata tutta la proprietà, che in questo caso è il nuovo direttore generale che ha comunicato
il cambio con il nuovo organigramma, i nuovi ruoli, e tutte le novità.
R: Durante questa riunione ci sono state delle reazioni particolari alla comunicazione?
Mah, no, diciamo che no, sono stati tutti, nell’immediato no, magari in seguito si sono notate
delle resistenze.
180
DELEGARE ALL’AZIONE RIMUOVENDO LE BARRIERE
S1 I commerciali adesso sentono molto meno secondo me il peso della filiale, […] immagino
che per i commerciali, proprio per entrare nell’ottica consulenziale che hanno richiesto, è
difficile secondo me per chi ha sempre sentito i ritmi della filiale, ha sempre seguito la filiale,
essere un consulente per l’azienda sicuramente ti cambia.
Da parte mia no perche io in questa filiale ritengo di aver fatto sempre qualcosa in più, quindi
no, da parte mia no, posso pensare che qualche risorsa un po’ più junior si, perche magari ha
sempre avuto il supporto della figura del direttore di filiale, il trovarsi ora senza questa figura
può aver creato qualche problema, pero poi alla fine …
Mi sembra di vedere che tutti quanti bene o male si stiano adeguando
S2 L’azione che è stata fatta è stata quella di prendere in considerazione gli elementi di successo
che hanno visto noi ad oggi primeggiare o comunque raggiungere certi traguardi, e cercare di
passarli alla rete in maniera tale che ci siano degli esempi concreti, ma parliamo di
laboratorio comunque.
Come ogni cambiamento ci sono sicuramente persone che hanno maggior resistenza, quindi
comunque persone sulle quali verrà garantito un affiancamento maggiore, il lato positivo di
tutto questo, a prescindere dal raggiungimento dell’ obiettivo, è che comunque in ogni
cambiamento.
Beh dubbi particolari si, al di la di vendere linee di business che comunque non fanno proprio
parte del nostro core, quindi magari possono sembrare estranei, per cui vuol dire sentire di
non avere la preparazione giusta, non sentirsi pronti o ferrati su una determinata materia, con
il dubbio magari di andare poi dal cliente e fare una brutta figura perche poi magari il cliente
si fa una idea che non si sia preparati su un determinato argomento.
Quindi la resistenza è quando vendo qualcosa di nuovo di cui so poco, vuol dire che devo
prepararmi, è vero che ci sono percorsi formativi messi a disposizione dall’azienda ai
dipendenti, però è anche vero che ciascuno di noi deve auto-istruirsi, per fare scuola, vuol
dire documentarsi con tutti i mezzi che possono essere cartacei, elettronici, però è un
qualcosa che ciascuno di noi deve sentire.
I membri più giovani hanno sicuramente meno resistenze, se parliamo sia di età anagrafica,
magari avendo minore esperienza nel mondo lavorativo hanno anche meno preconcetti,
perché poi comunque se parliamo di persone che hanno già lavorato nel corso degli anni,
magari sullo stesso business ma in aziende diverse, per forza di cose sono partite 15 anni fa
con questo tipo di business e oggi si ritrovano molto legati a questo tipo di lavoro, quindi è
più difficile accettare un cambio, per ragioni anche di comodità, di confort. Invece chi è
anagraficamente più giovane è tendenzialmente più disposto al cambiamento, perché ha una
181
minore esperienza lavorativa, per forza di cose, e magari una maggior propensione ad
accettare quali possono essere le nuove sfide, le nuove avventure.
Il supporto può essere proprio l’approccio che hanno sul mercato, sul mondo del lavoro e
all’interno dell’azienda, quindi in realtà potrebbe essere l’affiancamento stesso che magari
una persona con più seniority fa ad una persona più giovane però è l’entusiasmo che può
avere la persona più giovane nell’affrontare nuovi business e quindi la capacità di questa
persona e il far vedere che con questo entusiasmo magari riusciamo a chiudere nuove
soluzioni.
Le azioni quella della proattività in prima battuta e in prima persona quindi è chiaro che se
non sono convinto io di quello che stiamo facendo non sarò in grado di trasmettere nulla alle
persone più giovani lavorativamente all’interno dell’azienda, quindi devo essere io per primo
a fare e quindi a dimostrare e a far vedere che comunque determinati risultati si possono
ottenere con determinate soluzioni anche se innovative. Quindi vuol dire affiancare queste
persone e lavorare per primi nel far vedere che comunque certe cose si possono raggiungere
lavorandoci e crescendo poi reciprocamente.
Le persone coinvolte sono persone storiche nella maggior parte dei casi, contiamo circa 150
dipendenti a livello struttura, su cui abbiamo un 60-70% di persone che comunque sono in
azienda da quando l’azienda è nata. Da quando l’azienda è nata bene o male è sempre venuta
incontro al personale, sia da un punto di vista economico che da un punto di vista di
soddisfazione delle esigenze anche personali di ciascuno. Pertanto questo fa si che le persone
hanno comunque aperto a priori la propria fiducia sperando che questa sia la via giusta.
Accompagnando chi magari ha un po’ più di resistenza passo passo.
Chiaramente ero io il primo che aveva difficoltà iniziali ad accettare il cambiamento, perché
comunque ho sempre venduto un certo tipo di attività e quando sono entrato in [APL] sono
stato costretto a cambiare punti di vista.
S3 Sono state messe in atto una serie di azioni formative quindi una settimana di formazione che
ha predisposto in maniera filosofica e psicologica al cambiamento aziendale quindi su una
materia meno concreta e più astratta con dei formatori, poi successivamente è stata fatta
un’altra settimana che poi verrà reiterata nei prossimi mesi di formazione tecnica sui nuovi
servizi che andranno a essere venduti. Più ovviamente una ridistribuzione dei ruoli e delle
competenze che poi è stata affrontata in maniera ufficiale il giorno della comunicazione e che
poi viene affinata nella quotidianità.
Si è deciso che per almeno un semestre le persone con delle competenze specifiche su
determinati business o con delle competenze commerciali di vendita particolarmente rilevanti
per l’azienda debbano almeno 3 giorni della settimana su 5 affiancare la rete vendita nella sua
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totalità, di modo che per quanto ci sia un venire meno in questa fase di persone che
individualmente sono dedicate all’ottenimento di risultati e alla vendita di servizi, in quanto
facendo affiancamento le persone devono essere almeno due insieme, si è ritenuto che questa
sia una operazione necessaria che ad oggi può in qualche modo limitare il risultato
economico ma che in futuro ci permetterà di ottenere benefici.
R: Ha notato comportamenti di resistenza al cambiamento?
Si, ma non ad oggi, non quando è stata presa la decisione e portata avanti sulla rete.
Almeno apparentemente non c’è stata manifestazione di resistenza.
R: Come pensa che i membri del livello esecutivo base possano rendersi utili a sostenere il
processo di cambiamento?
Interpretando al meglio le disposizioni aziendali, in questo caso fidandosi di quello che è il
volere dell’azienda, le direttive dell’azienda, metabolizzando il pensiero dell’azienda senza
stravolgerlo, quindi svolgendo il ruolo cosi come l’azienda ha chiesto di svolgerlo senza
virgolettati o orpelli in questo momento non necessari, attenendosi al compito prestabilito.
R: P h g pù z ’ g zz z ?
Dipende che ruolo svolgano, nel senso che se sono delle persone sul territorio devono
fungere da esempio per chi è più giovane, aziendalmente, perché ovviamente chi è da più
tempo in azienda è comunque visto con occhi differenti e come un esempio da parte di chi ci
è da meno tempo, è ovvio che se c’è una idiosincrasia tra il pensiero aziendale e chi è in
azienda da tanto tempo e quindi come lo metta in atto, è facile che i nuovi arrivati si trovino
in confusione su questo.
Diciamo che le lamentele se sono avvenute sono avvenute perché alcune persone, in maniera
egoistica, non hanno apprezzato il cambiamento perché il cambiamento ledeva dei loro
diritti, o presupposti diritti, e quindi di conseguenza essendoci stato magari un
ridimensionamento o una professionalità comunque con un ruolo più marginale, la critica è
avvenuta da chi è stato sostanzialmente toccato in questo, quindi si è toccato l’interesse
personale, non quello collettivo. Fattori egoistici.
C’erano delle posizioni vacanti e sono state riempite con scelte interne, c’è stato una
professionalizzazione di chi c’era già in azienda.
Sono cambiate le gerarchie, ma anche in questo caso ripeto il cambiamento di gerarchia poi è
stato interpretato da ognuno degli artefici della nuova organizzazione in maniera differente a
seconda delle proprie ambizioni, e dei propri aspetti professionali e del proprio percorso
professionale.
S4 Anche se personalmente non mi ha toccato più di tanto perché personalmente il mio ruolo è
rimasto sempre uguale, più o meno, son cambiate alcune cose però diciamo che in linea
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generale le attività sono quelle, quindi all’inizio un po’ di resistenza si, però dopo comunque
c’è stata la formazione, la gente sta metabolizzando e i colleghi stanno entrando nel nuovo
ruolo, più di consulenza, mentre prima erano più commerciali oggi sono consulenti …
Un po’ di confusione, perché ancora non si sapeva cosa si doveva fare, una volta date le linee
guida quindi magari le reazioni erano “ora cosa devo fare, come devo vendere o dove devo
focalizzarmi” quello si.
R: Quindi incertezza?
Si incertezza.
E’ stata fatta una formazione specifica proprio su una prima formazione più a livello di
competenze trasversali sul change management, quindi proprio per entrare nell’ottica del
cambiamento del ruolo, quindi come valutare la possibilità del cambiamento, quindi
percepire proprio il motivo per cui cambiare è positivo, è stata quindi una formazione più di
gruppo dinamica, con una serie di prove focalizzate sul change management, e poi c’è stata
una formazione più tecnica che ha coinvolto in primis i commerciali e poi anche noi della
direzione della DOP.
R: Per quel che riguarda le risorse di filiale? Ci sono state azioni in questo senso?
Si, ci saranno, le stiamo mettendo a punto con i questionari di valutazione delle competenze.
R: S pù g v ’ g zz z p pp
processo?
Mah, sicuramente con una apertura mentale, curiosità, fare le attività che vengono chieste in
modo non esecutivo, perché questo non deve più essere un lavoro esecutivo, pero, mettendoci
proprio del proprio e mettendoci idee, valori aggiunti.
R: Invece quelli più anziani?
Mettendo a disposizione le loro competenze, quindi comunque la nostra struttura, nella nostra
realtà, a livello di selezione si lavora singolarmente, ma le filiali sono state raggruppate in
distretti, e questo porta a lavorare più in gruppo tra le selezionatrici e quindi a confrontarsi di
più, e il confronto porta ad un passaggio di metodi diversi, quindi magari una persona ha una
determinato modo per selezionare una risorsa, o per appunto reclutarla, l’altra collega invece
ha un’altra modalità, quindi dal confronto poi viene un trasferimento di competenze, e a
livello commerciale lo stesso quindi muovendosi su servizi diversi capita di andare in visita
insieme, quindi anche li c’è uno scambio di competenze, quindi uno scambio che in questa
nuova organizzazione aumenta le sue possibilità di trovare strade nuove.
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GENERARE SUCCESSI A BREVE TERMINE
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Mah, secondo me è stato un passaggio tutti insieme, tutti in gruppo se penso forse alla
direzione qualche personaggio della direzione si, poi le persone che hanno scelto sono le
prime che l’hanno messo in pratica.
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R: S è v ’ p v f
f ’ ?
Non me ne sono accorto se è avvenuto.
S4 Fino ad oggi? No, ancora no … è un po’ presto.
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impara sempre.
Oltre alle fantomatiche riunioni plenarie o meno sono stati dati degli input, sono state date
delle procedure,ci sono delle regole da seguire che sono state istituzionalizzate sulla intranet,
in modo che tutti quanti in quest’anno si debbano attenere a quelle che sono le disposizioni
aziendali, semplicemente perché non si può pensare di lasciare poi a ciascuno
l’interpretazione libera di un cambiamento organizzativo. I risultati attesi devono essere
raggiunti percorrendo una sola strada. Non è possibile pensare di fare diversamente.
S3 R: E in termini di competenze?
Si, certamente.
Non so se ad oggi questo nella quotidianità è avvenuto poi.
S4 Una maggiore professionalità, a tutti i livelli. Il fatto di andare a proporre, di lavorare più in
gruppo, di essere non un’unica filiale ma un distretto, quindi il confrontarsi con i distretti
come dicevo prima, ha portato ad un aumento di professionalità e di competenze. Dal punto
di vista della selezione il fatto che le selezionatrici vanno dal cliente a conoscere il processo
produttivo piuttosto che prendere proprio la job porta ad un uscire dalla routine ed ad
aumentare le nostre competenze perché si va direttamente sul campo. Dal punto di vista
commerciale il vendere cose diverse aumenta da se la professionalità, direi che proprio la
cosa importante è un aumento di professionalità e di competenza.
Ci sono state le varie procedure messe in atto, ci sono stati i cambi di ruolo, anche proprio a
livello formale i commerciali sono commerciali di distretto, è stato fatto un budget, tutto è
stato fatto a livello di distretto e di funzioni multi business.
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