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‫בס"ד‬

Torino, 23 Cheshwan 5775 (16 Novembre 2014)

Aborto e malattie genetiche secondo la Halakhàh1


I progressi tecnici degli ultimi decenni in numerosissimi campi hanno determinato l’insorgere di nuove
problematiche con le quali la Halakhàh non si era precedentemente confrontata. Per esempio la possibilità
di prevedere delle malattie genetiche a carico di un feto con un sufficiente grado di attendibilità è una
conquista scientifica relativamente recente, e pertanto i poseqim si sono espressi diffusamente negli ultimi
anni circa la possibilità di praticare in questi casi l’aborto. In precedenza l’ottica era rovesciata, e tale
domanda, non avendo informazioni certe in merito, non era rilevante, mentre si concentrava la propria
attenzione sullo stato di salute della madre, qualora la gravidanza costituisse un pericolo per lei. Qualsiasi
altra giustificazione, di natura economica, lavorativa, o estetica, non viene contemplata dalla Halakhà 2.

L’omicidio è considerato uno dei peccati maggiormente gravi, ed è uno dei tre peccati in cui si afferma il
principio yehareg we-al ya’avor (si faccia uccidere piuttosto che trasgredire). Tale concetto si trova sullo
sfondo di qualsiasi trattazione sull’aborto.

Nella legislazione ebraica il feto ha uno status intermedio: sotto vari punti di vista (p.e. eredità, leggi di
purità) il feto non costituisce un individuo (nefesh), tanto da essere considerato sotto certi aspetti una parte
del corpo della madre, ma sotto altri punti di vista (p.e. la trasgressione del sabato per salvarlo) è
considerabile come un individuo a pieno titolo.

Nella Toràh si parla dell’aborto in Es. 21,22-23: “se alcuni venissero a rissa e l’uno di loro urtasse una donna
incinta in modo da farla abortire senz’altro danno, egli sarà condannato a pagare quell’ammenda che il
marito della donna incinta avrà richiesto e i giudici avranno approvato, se invece la moglie morrà farai
pagare corpo per corpo”.

C’è da notare che in fonti ebraiche non halakhiche, probabilmente sotto l’influenza della tradizione dei
Settanta, questi versi si riferirebbero all’aborto come un omicidio, e la gravità dell’atto sarebbe collegata alla
maturità del feto.

Dalle fonti ebraiche invece risulta chiaro che la punizione comminata è di natura meramente risarcitoria, ed
il Midrash esclude la possibilità che venga attribuita la pena di morte in tale caso. Anche nella Mishnàh
(Ohalot 7,6) e nel Talmud (ad es. Sanhedrin 57 b; 72 b; ‘Arakhin 7 a) risulta chiaro come la vita della madre
abbia la precedenza rispetto a quella del feto, sino al momento in cui la maggior parte del feto viene alla
luce, momento in cui la vita del feto acquisisce pari dignità rispetto a quella della madre. C’è da segnalare
che la normativa è differente per i noachidi, per cui l’uccisione di un feto costituisce un omicidio, in base a
Genesi 9,6, che viene letto nella Ghemarà in questo modo: “chi versa il sangue dell’uomo che è nell’uomo
(ovvero il feto), il suo sangue verrà versato” 3. Spiegando la Mishnàh in Ohalot R. Aqiva Egher prova che il

1 Questo articolo è in gran parte basato sull’articolo (in ebraico) Aborto per via di una malattia o un difetto del feto, di
Rav Yossi Shar’abi, in passato mio insegnante di Halakhàh presso il Collegio Rabbinico di Roma e del Dr. Yuval Sinai.
2 Rav Moshè Zuriel, Aborto di un feto cui è stata diagnosticata una malattia grave (in ebr.), Techumin 25, pp. 64-78.
3 Il Maharashà, commentando Sanhedrin 57 b, sostiene che persino il Faraone era al corrente di tale distinzione e per
questo, per uccidere i maschi ebrei, si affidò alle levatrici ebree, e non a quelle egiziane.
motivo della distinzione non è solo quello tradizionale, che il feto viene considerato un rodef (persecutore)
della vita della madre, ma anche il feto non è da considerarsi un individuo (nefesh)4.

Alla luce di quanto detto, non si deve pensare che non ci sia alcun divieto nell’uccisione di un feto, ma solo
che la sua uccisione non è paragonabile a quella di un individuo in vita. Tutti i poseqim infatti sono d’accordo
che sia vietato uccidere un feto, o in base a fonti talmudiche, o in base al divieto esplicito per i noachidi, ma
non si trovano d’accordo invece sulla gravità del divieto, se derivi dalla Toràh o sia di origine rabbinica, come
d’altronde sul motivo del divieto. Alcuni sostengono che la gravità del divieto aumenti di pari passo con il
grado di sviluppo del feto, ed in tal caso diverrebbe rilevante la domanda relativa al momento in cui l’anima
viene posta nel corpo5.

Le Tosafot (Sanhedrin 59 a) sostengono che è inammissibile che l’uccisione di un feto sia proibita ai noachidi
e permessa agli ebrei. Questa opinione non è accettata dal Rambam, e le Tosafot sembrano contraddirsi in
un altro passo (Niddàh 44 b).

I poseqim hanno individuato vari motivi per giustificare il divieto: 1) omicidio o un divieto ad esso connesso;
2) danneggiamento della madre 6; 3) derivazione dello spargimento di seme 7; 4) distruzione di una vita
potenziale; 5) danneggiamento di una costruzione divina 8 e diminuzione dell’immagine divina 9; 6) obbligo di
salvare; 7) profanazione del nome divino, visto che il cristianesimo proibisce categoricamente l’aborto,
l’ebraismo non può consentirlo; 8) immoralità; 9) rapina; 10) non si conosce il motivo del divieto 10.

Come segnalato, in passato la questione dell’aborto era collegata fondamentalmente alle condizioni di
salute della madre, visto che quello del feto era ignoto. Per questo la domanda sulla possibilità di abortire a
fronte di seri difetti del feto, individuabili grazie ai progressi tecnici degli ultimi anni, non era stata affrontata
dai poseqim, che invece hanno dedicato grande attenzione alla questione negli ultimi anni, mostrando di
volta in volta approcci più o meno facilitanti. Proprio per via di questa incertezza, di fronte ad una decisione
così difficile, qualsiasi comportamento diviene accettabile in base ad una delle varie opinioni 11.

Bisogna segnalare inoltre che, al contrario di quanto scrive il Ramà 12, al giorno d’oggi, visti i notevoli della
scienza medica, è possibile affidarsi alle valutazioni dei medici 13.

Rav Waldenberg sostiene che in caso di patologie gravi quali la Tay Sachs 14, non diagnosticabile prima del
terzo mese di gravidanza, o la sindrome di Down 15 l’aborto sia consentito sino al settimo mese. A suo parere
il divieto, spargimento di seme invano, è di origine rabbinica, ed in caso di grande necessità è possibile
facilitare. Nello specifico, vista la natura del divieto è consigliabile che sia un medico donna a praticare

4 Nei poseqim sono individuabili numerosissime altre risposte al quesito di R. Aqiva Egher, riportate in Rav Moshè
Zuriel, Aborto di un feto cui è stata diagnosticata una malattia grave (in ebr.), Techumin 25, pp. 64-78.
5 La Ghemarà nel trattato di Niddàh risponde che ciò avviene al momento della formazione (yetziràh), vale a dire a 40
giorni dal concepimento.
6 Shu”t Maharit 1, 97; Shu”t Zafenat Pa’neach 1,59; Rav Shaul Israeli, ‘Amud ha-ieminì, cap. 32.
7 Chavvot Yair, cap. 31. In Sheelat Ya’vez 1,43 questa ipotesi viene respinta, in quanto il divieto della Toràh si riferisce
ad altri casi.
8 Sheelat Ya’vez 1,43 in base allo Zohar.
9 Mishpetè ‘Uziel 3, Choshen Mishpat, cap. 43.
10 Sridè Esh, 3, 127. Nella nota a p. 345 viene riportata un ipotesi, scartata dall’autore, che l’uccisione di un feto
costituisca un chatzì shi’ur, che è comunque proibito dalla Toràh, in base alla ghemarà in Yomà 73 b.
11 Rav Moshè Zuriel, Aborto di un feto cui è stata diagnosticata una malattia grave (in ebr.), Techumin 25, pp. 64-78.
12 Even ha-‘Ezer, 145, 9.
13 Rav Moshè Weinberger, Emeq halakhà, pp. 35-50.
14 Shu”t Ziz Eli’ezer 13, 102
15 Shu”t Ziz Eli’ezer 15, 43
l’aborto. Rav Goren ritiene, vista la differenza di gravità delle malattie, l’una mortale nei primi anni di vita,
l’altra con una speranza di vita inferiore alla media e limitazioni fisiche e mentali, che sia permesso
interrompere la gravidanza per la Tay Sachs, ma non per la sindrome di Down.

Rav ‘Ovadiàh Yosef16, sebbene ritenga che si tratti di un divieto della Toràh, permette di praticare l’aborto
sino al terzo mese anche per patologie non gravi 17.

Rav Israeli è dell’idea che sia possibile operare l’aborto in presenza del sospetto dell’insorgenza di difetti nel
feto derivanti da trattamenti farmacologici sostenuti dalla madre durante la gestazione. Secondo lui il
motivo del divieto sarebbe il danneggiamento nei confronti della madre.

Rav Weinberg crede che sia consentito praticare l’aborto qualora la madre sia stata colpita da rosolia
durante la gestazione e vi sia il pericolo di danni per il feto. Secondo la sua visione il feto non è ancora
considerabile un individuo, e pertanto è proibito praticare l’aborto solamente se non vi è un serio motivo
per farlo. C’è da notare che in questo caso il difetto non è certo, e dipende statisticamente dal momento in
cui la madre ha contratto la malattia: 50% se contratta al primo mese; 25% al secondo e così via.

Rav Halperin18 è del parere che in questi casi l’interruzione di gravidanza sia consentita, perché il bambino
gravemente malato, nonostante i trattamenti farmacologici e gli interventi chirurgici, non avrebbe una
speranza di vita superiore ai venti anni. Questa speranza di vita, in base alla ghemarà nel trattato di
Yevamot (80 a), consentirebbe di equipararlo ad un aborto (nefel), autorizzando pertanto l’interruzione di
gravidanza.

Nello stesso caso Rav Hunterman ha proibito di praticare l’aborto, trattandosi di una forma di omicidio. In
particolare è illogico in tal caso consentire l’aborto, perché serve a tranquillizzare i genitori, perché non
avrebbe senso uccidere il feto per evitargli un danno.

Rav Feinstein19, Rav Auerbach ed altri vietano la pratica anche per malattie come la Tay Sachs e la sindrome
di Down, perché il feto è paragonabile ad un individuo già nato in tutto e per tutto. L’unico caso in cui
l’aborto è consentito è quando il feto mette in serio pericolo la vita della madre. Per questo Rav Feinsten
non permette persino i controlli prenatali per diagnosticare la Thai Sachs, perché, essendo proibito in ogni
caso abortire, sarebbe inutile conoscere il responso prima della nascita. In un altro passo 20 Rav Feinstein
proibisce la pratica dell’aborto anche quando i medici sostengono che la speranza di vita sia minima, perché
tramite la nascita si ottiene la resurrezione alla fine dei giorni. Su questo punto Rav Waldenberg 21 criticò
aspramente Rav Feinstein, che avrebbe basato la propria opinione su un testo di natura haggadica
(Sanhedrin 110 b) sul momento nel quale un minore ottiene l’accesso al mondo futuro, escludendo l’ipotesi,
riportata nel Talmud, che ciò possa avvenire già al momento del concepimento.

16 Shu”t Yabia’ omer 4, Even ha’ezer, cap. 1.


17 Il ragionamento di Rav ‘Ovadiàh è fondato sullo sfeq sfeqa: forse il divieto dell’aborto è solamente di origine
rabbinica, ed anche se volessimo sostenere che derivi dalla Toràh, ciò sarebbe vero solamente a partire dal terzo mese
di gestazione.
18 Ma’asèh Choshev III, pp. 135-143.
19 Shu”t Iggherot Moshè, Choshen Mishpat 2, 69. In questo responsum Rav Feinstein si schiera contro le motivazioni
riportate da Rav Waldenberg in Ziz Eli’ezer 13, 102, ed in particolare rispetto al permesso di praticare l’aborto in questi
casi sino al settimo mese. Nel corso del responsum Rav Feinstein si
20 Shu”t Iggherot Moshè, Even ha-‘ezer 1, 62.
21 Rav Waldenberg rispose a Rav Feinstein in due testi: nell’introduzione al libro di Rav Steinberg Hilkhot Rofeim
urfuàh, e in Shu”t Ziz Eli’ezer 14, 100.
Anche secondo i poseqim più rigorosi tuttavia è possibile praticare l’aborto a fronte di possibilità di
sopravvivenza del feto vicine allo zero. Questa è ad esempio l’opinione di Rav Zilberstein in un caso di
anencefalia. Anche Rav Halperin, sebbene abbia un approccio rigoroso, permette la pratica dell’aborto nel
caso di malformazioni cardiache congenite gravi.

Fra i più rigorosi alcuni, ad esempio Rav Goren, permettono la pratica dell’aborto qualora la nascita di un
bambino malato gravemente comporti gravi danni psicologici alla madre. Rav Zilberstein permette in
presenza di avvisaglie di suicidio della madre.

Concludendo la propria disamina Rav Zuriel 22 riporta due ragionamenti molto importanti per districarsi nella
varietà di opinioni espresse sul tema:

a) Riporta un insegnamento di Rav Quq 23 secondo il quale in questi casi non è applicabile il criterio
della maggioranza, perché non è possibile stabilirla con certezza, e questo criterio si applica
unicamente quando i sostenitori delle varie opinioni vengono riuniti come all’interno del Sinedrio,
ed in particolare ciò è vero quando i sostenitori di una certa opinione la giustificano in maniera
differente.
b) In molti casi, ed in questo in particolare, l’opinione che permette ha maggiore forza, in base alla
ghemarà in Betzàh (2 b) ed al commento di Rashì, che sostiene che chi permette ha maggiore
fiducia negli insegnamenti ricevuti, senza temere di permettere, mentre chi proibisce ha minore
forza, perché chiunque può essere rigoroso, persino rispetto a ciò che sarebbe permesso.

22 Rav Moshè Zuriel, Aborto di un feto cui è stata diagnosticata una malattia grave (in ebr.), Techumin 25, pp. 64-78.
23 Maamarè Rei”àh, p. 56.

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