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Lezione 2: Musumeci.

03-05-2021.
Come avevamo detto la volta precedente, i convertitori statici sono realizzati da
una topologia più un controllo e all’interno di questa topologia vi sono dei
componenti elettronici che commutano, vedremo i poli di commutazione,
vedremo i primi dispositivi di potenza. Andiamo a vedere il simbolo generico di
un dispositivo di potenza.

All’interno dei convertitori di potenza il dispositivo di potenza è visto come un


interruttore ed il funzionamento è on-off e non è di tipo lineare come invece
accade negli amplificatori audio ad esempio e quindi in tutto il mondo
dell’elettronica di potenza, i componenti che sono tanti vengono visti come
dispositivi che commutano on-off ed i convertitori possono essere definiti come
topologie costituite da poli di commutazione, switching power poles ed il
simbolo generico è quello di un interruttore.

La commutazione è un processo dinamico che teoricamente ha dei tempi pari


uguali a zero, nella realtà ha dei tempi finiti che dipendono dalla tecnologia
dell’interruttore. Qui abbiamo due interruttori collegati ad un carico che
vengono accesi in maniera alternata ed la corrente scorrerà dal dispositivo
chiuso e non in quello aperto e viceversa ed una configurazione così è una
configurazione logica che mi dice che la corrente può andare o in un verso o
nell’altero in base a che sia acceso S1 o S2. La simbologia di questa funzione
logica è quella di una OR in cui come vediamo la corrente scorre nel carico se
scorre o da S1 o da S2 e per non arrivare sul carico tutti e due gli interruttori
devono essere aperti, basta che uno sia aperto e la corrente va direttamente nel
carico. Ma noi non prendiamo in esame il discorso generico dell’interruttore, noi
dobbiamo parlare di polo di commutazione, ed allora per parlare di polo di
commutazione ecco che ci rifacciamo alla seguente slide:

il polo è formato in realtà da un interruttore che va in due posizioni:


l’interruttore quando è così disegnato prende un altro nome nel mondo elettrico
e prende il nome di deviatore in quanto devia la corrente o nella direzione in
alto se l’interruttore è chiuso verso l’alto o nell’altra direzione se l’interruttore è
chiuso verso il basso. Questa cella, il polo A si chiama cella canonica di
commutazione e vediamo che vi è la parola deviatore di corrente e devia la
corrente tra una porta di ingresso ed una porta di uscita. La porta di ingresso se
vi è una tensione applicata, allora vi è un condensatore e la porta si chiama porta
di tensione, se invece abbiamo una induttanza ed una corrente abbiamo una
porta di corrente. L’interruttore per cambiare posizione può essere comandato
da un segnale qA(t) che è la nostra funzione di comando che permette al nostro
deviatore di cambiare posizione dall’alto verso il basso e viceversa. Le porte di
ingresso ed uscita per una cella canonica sono sempre duali, ovvero se la porta
di ingresso è in tensione la porta di uscita è in corrente e viceversa e quindi il
polo è un interruttore a due posizioni, è unipolare in tensione, perché ha due ben
precise posizioni: il + ed il -, qui in realtà è tra + e 0. La corrente in base al fatto
che l’interruttore sia verso il basso o verso l’alto potrebbe avere una certa
direzione, ma attenzione che se dall’altra parte vi è un sistema come se fosse un
motore in cui nel motore vi è anche un generatore, se il generatore vince e
quindi aumenta la sua tensione tanto da far cambiare la corrente, allora la
corrente circolerà nel vero opposto e quindi la corrente va dal generatore verso
il carico o dal carico verso il generatore ed in questo caso il polo può essere
bidirezionale, se invece la corrente va solo nella direzione generatore-carico
perché magari il carico è un carico generico, allora abbiamo una unidirezionalità
ovvero il polo fa sì che la corrente scorra solo in quella direzione. Lo stato del
polo è comandato dalla funzione di commutazione switching function che ha
solamente due valori che sono zero ed uno, se è zero significa che il dispositivo
viene commutato in una posizione aperta se 1 è chiuso.

Se qA(t) è uguale ad uno allora vA(t)=Vin come è chiaro, l’induttanza accumula


energia e l’uscita è collegata alla Vin che fornisce corrente. Questa induttanza una
volta che ha accumulato energia permette di far scorrere la corrente nello stesso
verso quando qA(t)=0. Noi da neofiti avremmo potuto pensare che una volta che
si switchava, il verso della corrente poteva invertirsi, ma nella realtà
nell’induttanza l’inversione della corrente non può essere istantanea e
ricordiamoci che nell’induttanza la tensione ai capi dell’induttore è uguale a:

E quindi significa che I come deve essere? Dall’analisi uno ovviamente sappiamo
che deve essere continua che quindi non si può annullare repentinamente e
quindi deve mantenere in continuità il suo andamento e quindi deve continuare
per forza e deve avere lo stesso verso. Se poi noi pensiamo di avere all’estremità
un carico, l’induttanza in sostanza si scarica sul carico e quindi quando io cambio
la posizione del deviatore, la corrente mantiene lo stesso verso però si scarica
fino a raggiungere il punto in cui si riaccende, quindi sposto di nuovo il deviatore
nella posizione in alto e si ricarica e fa sempre questo lavoro. Quindi quando il
deviatore è verso il basso, abbiamo sostanzialmente come un cortocircuito nel
quale l’induttore scarica sul carico la corrente accumulata precedentemente,
quando il deviatore era invece switchato in alto e quindi ecco che la corrente ha
proprio questo andamento:

Però vediamo in sostanza che la direzione è sempre quella, diminuisce solo di


valore. Quindi l’induttanza fa sì che la tensione ai suoi capi non possa variare
repentinamente, se questo cambiamento è repentino perché vi metto un
interruttore, ho un’induttanza e un interruttore, ovviamente all’altro capo avrò il
carico e poi l’alimentazione e che cosa accade se io apro l’interruttore? Beh,
siccome vi è questa funzione, quando vi è un punto di discontinuità la derivata
va all’infinito e quindi se tende ad infinito questa tensione Vl teoricamente tende
all’infinito e quindi io non posso permettermi il lusso di aprire un circuito
induttivo velocemente perché se i tempi sono lenti questa sovratensione diventa
più bassa, supponiamo che deltaI sia 10 A e la variazione di t sia 1ms, in questo
caso, visto che siamo lenti, 1 ms si semplifica con L ed ottengo una sovratensione
di 10 V e questo è quello che accade nei relè dove avremo una piccola
sovratensione perché l’attacco e lo stacco di un relè è dell’ordine del
millisecondo, ma supponiamo che invece abbiamo un transistor, un componente
classico elettronico dove i tempi sono di un microsecondo come il MOSFET e se
io qui metto un MOSFET posso semplificare ma avrei 10^-3 e quindi una
sovratensione di 1000 V e quindi io posso ottenere delle sovratensioni molto
elevate di cui devo tenere conto, vedremo in seguito cosa si fa per evitare che tali
sovratensioni possano scattare a valori elevati. In questo caso, con il deviatore
non abbiamo sovratensioni, perché il nostro deviatore non interrompe il
circuito, cambia solo la topologia e quindi la disposizione circuitale, la corrente
non viene interrotta, viene fatta scorrere in un altro circuito. Quello che ci
interessa capire è quanto vale la tensione in uscita con questo tipo di
applicazione. Qua abbiamo il nostro segnale di comando, abbiamo un tempo che
io chiamo Tup ed un tempo Ts che invece sarebbe il periodo del segnale, il Toff è Ts-
Tup, ovvero il rimanente tempo. Quindi per Tup il dispositivo si accende e quindi si
porta in alto, per il rimanente tempo invece si porta in basso. Andiamo a vedere
allora come fare il calcolo della tensione media che viene erogata al carico:
Per il valore medio mi devo riferire a tutto l’intero periodo che è T s, poi faccio
l’integrale tra 0 e Ts della tensione Va(t) che è variabile nel tempo per il dt. Va
ovviamente è pari a Vin*Tup e nel tratto Ts-Tup la tensione invece è zero perché ho
cortocircuito e quindi alla fine mi rimane Tup/Ts*Vin e questo rapporto Tup/Ts è
chiamato duty cycle ed è un indice di quanto la tensione in ingresso si differisce
da quella in uscita e quindi in questo caso la tensione in uscita è una porzione
della tensione in ingresso e quindi può valere non so 50%, il 90% e così via, d A è
sempre dato in percentuale, qualora non lo sia varierà chiaramente tra 0 ed 1.
Quando dA=1 l’interruttore è sempre chiuso, quando dA=0 l’interruttore rimane
sempre a zero e quindi dA=0 ed anche Va=0. Supponiamo che L è un componente
ideale. Vediamo che Va ha questo andamento e questo andamento prevede che vi
è un valore medio che è va (upper bar) e quindi regolando il duty cycle tra zero
ed uno riusciamo ad abbassare o ad alzare il valore medio, ovviamente se il duty
cycle è 50% allora avrò che la tensione in uscita sarà 50% di V in, se riduco il duty
cycle posso addirittura ottenere Va=0 quando dA=0. Allora, per poter regolare la
tensione in uscita, il duty cycle è variabile nel tempo con una dinamica inferiore
alla frequenza di commutazione e notiamo che questo significa che dA varia
molto più lentamente rispetto alla frequenza di commutazione che è
rappresentata in questa figura, se io cambio il mio duty cycle, la tensione cerca di
seguire lentamente questa variazione e questo significa che il nostro duty cycle
sempre e comunque ha una dinamica più lenta rispetto alla frequenza di
commutazione, il valore medio della tensione in uscita sarà variabile nel tempo
(media mobile) con una dinamica inferiore alla frequenza di commutazione:
Quello che abbiamo visto è un convertitore, se noi lo vogliamo identificare con
quella classificazione che abbiamo fatto precedentemente è un convertitore
DC/DC abbassatore. A questo punto dobbiamo andare a capire come è formato
questo segnale in uscita. Questo segnale ha due quantità ben precise: una
quantità AC che rappresenta il nostro valore di ripple, quindi una componente
alternata che è non desiderata, non voluta, che vogliamo quanto più eliminarla o
ridurla e poi abbiamo un valore continuo che è quello che mi interessa.
Supponiamo che io mando questo segnale così come è in una radiolina.

Se io mando il segnale in rosso in una radiolina esso è un segnale continuo? No,


ma è pulsante positivo e quindi di guastare la mia radiolina non la guasta, non va
mai ad essere negativo, allora posso mandarlo, la mia radiolina funziona, però in
sottofondo io vedo, dipende anche dalle caratteristiche della frequenza di
commutazione, io sento un rumore e questo rumore è dovuto alla presenza del
mio ripple che dovrò eliminare con dei filtri, a me piace che la tensione sia come
quella in viola e quindi andiamo avanti e vediamo che se io faccio la somma del
segnale in blu (ripple) più quello viola (componente continua) ottengo la mia
tensione di ingresso, ovvero la mia Vo. Quindi io prendo una tensione che in
qualche modo è fatta da tante onde quadre con duty cycle variabile, in modo tale
da avere una tensione continua che è fatta però da un componente continuo e da
un componente di ripple che è variabile. Questo discorso è molto importante,
perché fondamentalmente i componenti elettronici non stanno funzionando in
lineare, ma funzionano in commutazione e se funzionano in commutazione
hanno le minori perdite possibili rispetto alle potenze transitate e il rendimento
è elevato. Un convertitore oggi utilizzato per azionamenti di trazione ha
rendimenti del 97%-98% che è un risultato molto interessante e quindi dalle
perdite, il convertitore ha perdite così basse che ci possiamo concentrare sulle
altre cose per ridurre le perdite. Un’automobile che ha un’autonomia di 500 km
è anche grazie al fatto che il convertitore messo lì dentro ha un rendimento
davvero molto alto. Ricordiamoci che questi rendimenti non sono assolutamente
confrontabili con quelli dei motori a combustione, hanno altre limitazioni, però a
livello di rendimento è sicuro che un motore ed un convertitore insieme
raggiungono dei valori sempre più elevati rispetto a quelli dei motori a
combustione interna, comunque il ripple produce una distorsione delle forme
d’onda e quindi il contenuto armonico è molto alto e se noi riusciamo mantenere
una frequenza di commutazione molto elevata, il contenuto armonico inizia ad
avere meno influenza sulla corrente di uscita, perché a mano a mano che noi
aumentiamo la frequenza il ripple si fa sempre più stretto, può essere facilmente
filtrato, basta mettere un passa basso ed il nostro sistema riesce a limitare la
presenza del ripple. I poli di commutazione del convertitore sono i dispositivi
elettronici di potenza, essi sono assimilabili ad interruttori a due stati distinti
che sono ON chiuso ed OFF e la commutazione da ON ad OFF e da OFF ad ON si
chiama commutazione e il tempo prende il nome di tempo di commutazione o
transient time e quindi per spiegare il principio di funzionamento del
convertitore è comodo pensare a questi dispositivi come ideali. Quindi quando
vogliamo analizzare le perdite consideriamo i dispositivi come reali, quando
volgiamo studiare il funzionamento generale del convertitore, conviene pensare
ai dispositivi come ideali. Quindi se l’approccio è sistemico, i componenti
vengono pensati come ideali, se l’approccio è puntuale perché si vuole andare ad
analizzare quali sono le perdite anche per capire quanto vale il rendimento,
allora evidentemente non possiamo considerare l’interruttore ideale ma devo
considerare un modello semplice che si approssimi al più possibile al modello
dell’interruttore ideale. Quando il dispositivo è allo stato ON è chiuso e quindi si
ritrova nello stato di migliore conduzione e questo qua ovviamente è nel caso
reale e non è un cortocircuito, quando è OFF è lo stato di migliore interdizione
che può essere più facilmente raggiunto e praticamente la corrente non passa ai
suoi capi, il passaggio da ON ad OFF prende il nome di commutazione ed ha dei
tempi finiti, piccoli, finiti per quanto riguarda i dispositivi reali, tempi uguali a
zero se parliamo di dispostivi ideali.
Qui abbiamo lo schema di un dispositivo di potenza che sembra un interruttore
con i terminali di potenza.
Oltre al terminale di potenza vi è anche un terminale di comando che è il
morsetto di comando, non tutti i dispositivi hanno il terminale di comando, e
questa categoria è il diodo, mentre nella maggioranza dei casi vi è sempre un
terminale di comando che permette lo scambio da acceso a spento, Vt è la caduta
di tensione ai capi dello switch che quando è allo stato ON deve essere il minore
possibile per ridurre le perdite, quando è allo stato OFF non deve fare passare
corrente e la tensione ai capi è quello del generatore, qt è la funzione di
commutazione ed invece pt=vt*it è la potenza dissipata sullo switch. Andiamo
prima di tutto ad analizzare come sono fatti questi dispositivi in maniera ideale.

Allora lo switch allo stato OFF ha un valore che dipende dalle caratteristiche
tecnologiche: un dispositivo da 500 V significa che io lo posso mantenere per un
valore minore o uguale a 500V, io devo mettermi in sicurezza e dire che se ho
400 V di bus in continua da gestire perché ho le batterie da 400 V allora io metto
un dispositivo di potenza che abbia una tensione di breakdown di almeno 650 V
e quindi la tensione deve essere più alta del valore considerato e quindi notiamo
che la caratteristica è tutta sull’asse delle ascisse perché non vi sono perdite, la
corrente è nulla. Quindi il dispositivo può sostenere una tensione infinita
positiva oppure negativa, ovviamente se il dispositivo è ideale, la corrente nello
switch è nulla e la potenza dissipata è nulla perché non vi è corrente, perché
quando il dispositivo è spento è un interruttore aperto.
Alla stessa maniera quando è allo stato ON e stiamo parlando di un dispositivo
ideale, la corrente che può fare passare in teoria è infinita, nella realtà è un
valore massimo che dipende dalla caratteristica tecnologica ben precisa, se io ho
un MOSFET esso sostiene 300 A ed ovviamente devo anche definire la
temperatura a cui deve passare questa corrente massima e normalmente per i
MOSFET quando noi parliamo di 300 A nominale, la temperatura si riferisce a
25°C ed ovviamente a più alta temperatura chiaramente la corrente massima si
abbassa perché essendo già il dispositivo in un ambiente più caldo se facciamo
passare una corrente elevata sicuramente lo bruciamo subito. Dicevamo che nel
caso che un interruttore chiuso la corrente che può passare è infinita e
ovviamente la tensione ai capi è praticamente zero perché il dispositivo è ideale,
in realtà vi è sempre una piccola tensione che dipende dalle caratteristiche
tecnologiche, chiaramente piccola rispetto alla tensione massima che può
supportare. Può portare una corrente positiva o negativa infinita e quindi è
bidirezionale in corrente, la caduta di tensione nello switch è nulla e la potenza
dissipata è nulla. Non sempre un dispositivo è bidirezionale, vi sono dispositivi
che sono bidirezionali ed altri no, bisogna saperlo in base alla tecnologia.
Allora per uno switch ideale la transizione dallo stato ON allo stato OFF è
istantanea, ovvero vi passa immediatamente ed ovviamente se è istantanea la
potenza dissipata durante la commutazione è nulla. Nel piano elettrico tensione
corrente, il punto di funzionamento dello switch ideale si trova sempre in luoghi
di potenza dissipata nulla:
Quindi non può essere per esempio nel quadrante di zona attiva, perché qui
avremmo entrambe tensioni e correnti diverse da zero e quindi provocherebbe
una potenza diversa da zero.

Quindi se la potenza è diversa da zero non è un dispositivo ideale. Nei quadranti


dove la potenza può essere maggiore di zero parliamo di zona attiva, ma
comunque per noi è utile che tale zona venga attraversata in un tempo quanto
più veloce possibile. Anche se il principio di funzionamento è spiegato con
interruttori reali, comunque per saper selezionare i dispositivi di potenza, è
necessario saper considerare tutti gli aspetti specifici di ciascun dispositivo.
Vediamo un po' lo switch ideale nello stato di OFF. Lo switch reale nello stato di
OFF può sostenere una tensione limitata e la VDBD sostanzialmente è la tensione
di break down diretta, il direct break down implica praticamente che un
dispositivo ad un certo valore di tensione ben preciso si rompe e quindi devo
mantenermi quando progetto il mio convertitore sulla tensione massima e
quindi scelgo un dispositivo per cui la tensione massima è abbastanza distante
dalla tensione di break down e quindi se io ho un pacco batterie da 400 V o 500
V e quindi supponiamo di avere una ricarica in DC veloce, normalmente vanno

fino ai 500 V significa che io non posso prendere un dispositivo da 600 V e


quindi dovrò prendere dei dispostivi da almeno 800 V o 1200 V, se io ho ad
esempio da supportare 300 V allora basta già un componente da 650 V con
tensione di breakdown. Quindi in base alla tensione di esercizio, io devo
scegliere il dispositivo che abbia come tensione di breakdown la tensione di
esercizio più un certo margine. Perché questo margine di sicurezza? Perché vi
sono delle oscillazioni presenti nel mio layout, nel mio circuito e quindi non è
proprio detto che per esempio la tensione sia di 400 V ma potrebbe anche essere
di 450 V, in base a come ho realizzato il layout ed in base alla velocità di
commutazione del dispositivo. Dal punto di vista negativo vi è anche il reverse
breakdown. Quando il mio dispositivo va in breakdown sostanzialmente entra
nella regione attiva e quindi scorre una certa corrente e questa corrente assieme
alla tensione produrrà una potenza molto elevata che fa riscaldare in maniera
pericolosissima il componente fino a distruggerlo e siccome è un processo che si
assomma perché il breakdown fa sì che nasca un effetto detto a valanga allora il
mio dispositivo alla fine si distrugge.
Quindi io non devo fare entrare il mio
componente in breakdown perché si sposterebbe nella zona attiva, inizierebbe a
fare scorrere corrente, abbiamo la nostra potenza dissipata fin quando il
dispositivo non si distrugge. Ovviamente stiamo considerando che nelle
condizioni normali di funzionamento se non siamo nelle zone di breakdown il
dispositivo è OFF ovvero è aperto. Nello stato ON abbiamo un andamento di
questo genere:
praticamente abbiamo una piccola tensione chiamata tensione di soglia che può
essere intorno ad un volt per il diodo classico (0,7 V per quello al silicio), poi
quando lui va in accensione non segue ovviamente l’ordinata ma seguirà una
retta con una certa piccola o grande pendenza a seconda del valore della
resistenza differenziale e quindi della tecnologia del componente e ad un certo
punto quando scorrerà la tensione che deve scorrere in base al carico che è
connesso noi avremo un iT(ON) con una tensione che è vT(ON). Quindi, quando il
dispositivo è acceso, noi abbiamo ai capi del dispositivo una certa tensione che è
praticamente dipendente dalla corrente che circola e quindi vT(ON) è pari a:

dove rd è la resistenza di ON, ovvero è la pendenza della retta. Evidentemente


visto che:

quindi io posso moltiplicare tutta questa moltiplicazione nel seguente modo:


ed ovviamente mi dà maggiore di zero. Questi valori comunque devono essere
quanto più possibile piccoli perché ovviamente se fossero troppo elevati
andrebbero a verificare che la potenza dissipata diventa troppo alta e allora il
componente inizia a riscaldarsi ed iniziano a verificarsi i primi problemi. Ora il
nostro obbiettivo è che la resistenza di ON sia la più bassa possibile in modo da
avere delle perdite di conduzione il quanto più basse possibili. Evidentemente in
un dispositivo reale dobbiamo pensare che vi sia la possibilità di una
commutazione. Quindi osserviamo che prima il dispositivo si muove in questa
linea gialla dove abbiamo la corrente costante, ad un certo punto crolla e si porta
verso la tensione Voff e questo tempo di transito deve essere molto molto breve,
altrimenti noi andremo a dissipare una forte energia che riscalderebbe il
dispositivo distruggendolo e quindi questo transitorio deve essere il più breve
possibile, in modo tale che il riscaldamento che si ottiene non sia eccessivo e sia
adeguato per il componente. Queste perdite provocano in sostanza quelle che
vengono definite perdite di commutazione che sommate a quelle di conduzione
danno le perdite complessive del dispositivo, vi sono chiaramente delle perdite
allo spegnimento ed anche all’accensione.

Per fare ciò andiamo a fare proprio una valutazione di queste perdite che viene
fatta sempre al solito in una maniera più o meno reale e semplificata.
Abbiamo qT(t) che è il segnale di comando ed il segnale di accensione che non fa
accendere immediatamente, vi è un certo tdon e l’accensione che la tensione si
porta a zero e la corrente cresce ad un valore iT(t) e nella tecnologia del
componente la corrente cresce e quando la corrente cresce ed arriva al valore
nominale, la tensione inizia a decrescere e questo dipende dalla carica e scarica
di condensatori parassiti che sono all’interno della struttura e che ne
determinano la dinamica del dispositivo ed abbiamo quindi tric che sono tempi di
risalita della corrente e i tempi tfv che sono i tempi di fall della tensione. Il tempo
di salita della corrente più il tempo di caduta della tensione sommati insieme
danno il tempo di commutazione allo stato ON, quando invece spegniamo, il
dispositivo non si spegne subito, ma ha un tdoff dovuto sempre alle caratteristiche
del componente e quindi lui risponde dopo un pochettino perché deve sistemare
le cose, deve prendere le cariche che vi sono in più e le deve mandare via e
quindi abbiamo un tdoff di ritardo da quando io ho spento a quando la situazione
si sta verificando, dopodiché se io ho lo spegnimento, la tensione si porta al
valore massimo Vin. A questo punto, quando la tensione è al valore massimo la
corrente inizia a scende e quindi avremo un tfi ovvero un fall per la corrente ed
un trv ovvero un rise per la tensione. Quindi ovviamente l’insieme di t rv e tfi mi dà
il tempo di commutazione all’OFF e quindi avremo un Ton ed un Toff e durante il
tcon le perdite sono diverse rispetto a quelle che si vengono ad avere durante il
tcoff e sono evidenziate in questi due triangoli tratteggiati. Durante la fase di ON le
perdite di potenza sono le seguenti che abbiamo già visto:
E allora visto che questo è un triangolo le perdite sono chiaramente pari a:

Invece per quanto riguarda le perdite allo spegnimento avremo:

Quindi, basta chiaramente conoscere l’area del rettangolo. Questi tempi vengono
praticamente evidenziati e spiegati anche nella seguente slide riassuntiva in cui
sono riportati tutti i tempi di ritardo, di spegnimento, sia di rise e sia di fall:

Questa qui
invece è una slide in più di approfondimento e serve semplicemente per capire
dove viene quell’1/2, io devo semplicemente crearmi delle funzioni di crescita
della corrente su questo triangolo e quindi otteniamo:
Lo stesso discorso vale anche per lo spegnimento. Ovviamente le perdite di
commutazione che si possono avere sono pari ad Eon che sono pari alle perdite
che si hanno quando la corrente aumenta e quella che si ha quando la tensione
diminuisce. Data una frequenza di lavoro fs=1/Ts che comprende un periodo di
ON TON, vediamo quanto vale la potenza media dissipata nella fase di ON. Noi
sappiamo che:

Ed Io,rms è molto importante perché ricordiamo essere il valore efficace e


ricordiamoci da dove esce questo discorso del valore efficace della corrente?
Vediamolo:
Quindi il valore efficace viene calcolato con la sua definizione, ovviamente
siccome siamo nella fase di ON dove la corrente è costante ed è pari a Io,
chiaramente i(t)^2 è uguale ad Io^2 e quindi è semplice risolvere l’integrale ed
otteniamo il risultato finale. La potenza media dissipata in commutazione è
molto importante ed in sostanza è tutta l’energia dissipata durante la
commutazione sia durante la fase di ON e durante la fase di OFF diviso tutto il
periodo di switching e quindi è pari a:

In questo modo posso anche calcolare non solo le perdite in commutazione ma


anche quelle che ho durante la conduzione e questo mi permette di stimare le
mie perdite e quindi di fare dei calcoli, o delle curve di efficienza e nel
convertitore fare questo tipo di discorso è importante.
La potenza media dissipata in conduzione dipende dalla corrente, dal duty-cycle
e dalle caratteristiche di ON del dispositivo. La potenza media dissipata in
commutazione dipende dalla tensione commutata, dai tempi di commutazione e
dalla frequenza di commutazione. La potenza media totale dissipata P d nello
switch è la somma delle due potenze. Allora questa è una ripetizione in sostanza
di quello che abbiamo visto e quindi possiamo considerare sempre i dispositivi
reali o ideali, ma in base a ciò che serve, se sono ideali allora mi sto orientando
allo studio del dispositivo o del carico per sapere solo quanta corrente e
tensione avremo ad esempio all’ingresso, all’uscita e così via, mentre reale
quando l’analisi ha come obbiettivo la potenza dissipata dai dispositivi e quindi
questo significa sapere a che temperatura arrivano per poter calcolare il
dissipatore di potenza necessario e quindi vi è un calcolo termico ed ovviamente
permette di arrivare ad una stima della potenza dissipata e per fare ciò a volte
sono sufficienti i dati presenti nel catalogo ed a volte addirittura, soprattutto nei
moduli dove è difficile fare dei calcoli appropriati, il costruttore dà dei punti di
funzionamento ed in questi diversi punti di funzionamento dà l’energia dissipata
in maniera tale che uno possa scegliere la frequenza di commutazione adeguata
per non avere molte perdite di potenza. Quindi i parametri nominali
caratteristici per gli switch reali sono: la tensione nominale anche definita come
rated voltage che è il valore massimo di tensione che il dispositivo può sostenere
nello stato di OFF (in modo ripetitivo) senza innescare il breakdown, ovvero
lontano dal fatto che vi è l’innesco del breakdown ed abbiamo classi di 200 V,
600 V, 1200 V, 1700 V, vi sono anche casi di dispositivi a 3300 V che però non
riguardano la trazione ma i sistemi elettrici di potenza e quindi vi è anche una
corrente massima nominale (rated current) che è la corrente massima
(considerata come valore efficace, medio oppure istantaneo) che lo switch può
supportare senza avere un aumento della sua temperatura interna oltre un
valore massimo stabilito e quant’è il valore massimo stabilito? Non deve
raggiungere mai i 125°C. Dopodiché vi sono i tempi di commutazione che
dipendono dalle caratteristiche dinamiche del componente ed ovviamente i
tempi di commutazione più bassi permettono al componente di fare
commutazioni più veloci e quindi a frequenze più elevate. Poi abbiamo la
resistenza dinamica di ON (ON state resistance) che è il valore della resistenza
equivalente del dispositivo nello stato di ON. Il valore della resistenza determina
la caduta di tensione di ON, assieme alla tensione di soglia. Adesso abbiamo
definito tutte le caratteristiche ed iniziamo ora a fare l’analisi di questi
componenti, iniziando dal più semplice ma anche da uno dei più utili nel campo
dell’elettronica di potenza ed è un componente a due terminali senza terminali
di comando ed è il diodo di potenza che ha le caratteristiche in fondo come
quelle che abbiamo visto, e quindi quando noi abbiamo parlato, abbiamo parlato
tipicamente di un diodo di potenza e come vediamo la curva ha un valore che
differisce da quello di una retta, più che altro è una parabola, però comunque
abbiamo la Vth ed in un punto ben preciso avremo sia una corrente che
attraversa il diodo di un valore ben preciso che è quello voluto e sia la tensione
anodo-catodo che deve essere di un valore ben preciso e che chiaramente non
deve essere molto alta. I diodi possono essere di tensione da poche decine o
centinaia di volt fino a qualche migliaio.

Il diodo mantiene il valore A (anodo) e K (catodo), perché i primi diodi non


erano al silicio anche se il funzionamento era lo stesso, ma erano a gas a vuoto
ovvero delle valvole termoioniche e quindi eravamo ai primi del novecento e
Forester riuscì a fare questo diodo in cui vi era un anodo ed un catodo, veniva
riscaldato un catodo e degli ioni si spostavano verso l’anodo ed ovviamente la
corrente è al contrario per convezione fisica, ovvero dall’anodo verso il catodo e
quindi è rimasto questo aspetto e quindi veniva riscaldato attraverso una
resistenza e questo flusso di ioni che ovviamente stavamo parlando di tubi a
vuoto, o meglio con gas particolari che ad un certo punto si esaurivano e che
ovviamente dovevano essere cambiate e manutenzionate spesso ed ancora oggi
si usano in particolari applicazioni di alta potenza, nelle telecomunicazioni vi
sono componenti ancora con queste caratteristiche, mentre le valvole elettro
ioniche classiche hanno ripreso vita in una nicchia di mercato che è quello dei
componenti hi-fi, un amplificatore audio di alta fedeltà deve essere realizzato
con due morsetti che sono anodo e catodo che riprende questa nomenclatura
dettata dalle valvole termoioniche, ON il diodo è polarizzato direttamente e
chiaramente Vth deve essere compresa tra 0,6 V e 0,8 V e la corrente è nulla per
VAK<Vth, il diodo è polarizzato inversamente per VAK<0. Esistono due tipi di
diodo fondamentalmente: quelli a frequenza industriale ed i diodi a frequenza
veloce. I diodi a frequenza industriale sono diodi abbastanza lenti utilizzati
specialmente nei dispositivi di raddrizzamento tipo AC/DC e lavorano a 50 Hz ed
hanno caratteristiche interessanti dal punto di vista della tenuta di tensione
della corrente che possono supportare: abbiamo praticamente tensioni fino a
9kV e correnti fino a 5 kA e quindi capiamo bene che hanno una bassa caduta di
ON, ovvero qualche volt rispetto a 9 kV è sempre un valore basso, ma per contro
hanno una commutazione lenta e vengono utilizzati nei sistemi elettrici di
potenza come ponti raddrizzatori monofase, trifase o multifase. I fast recovery
diodes che sono i diodi veloci sono molto usati nei convertitori ad alta frequenza
di commutazione e possono andare da decine di kHz a centinai di kHz e hanno
perdite per commutazione basse e normalmente hanno un tantinello più alto le
perdite in conduzione. Un’altra categoria sono i diodi Schottky che hanno una
bassissima caduta di tensione di ON di soli 0,3 V-0,5 V, sono ultraveloci con
basse perdite di commutazioni ma il grosso problema sta nel fatto che hanno
una bassa tensione di breakdown che è circa 100 V ed è una tensione che non
può essere utilizzata normalmente e allora sono subentrati i diodi Schottky al
SiC che hanno tensione di ON più alta, però hanno perdite di commutazione
bassissime: immaginate che questa sia la caratteristica di spegnimento di un
diodo:
Il diodo Schottky al SiC ha invece questa caratteristica di spegnimento:

Quindi comprendiamo che il confronto è al quanto “impietoso”, ovviamente però


la tensione di ON più alta significa avere delle perdite di ON più forte, però può
arrivare a tensioni più elevate ed il costo al momento è più alto e si usano per
applicazioni di alto profilo.
Abbiamo diversi tipi di contenitori sempre per i dispositivi a commutazione,
abbiamo il TO247 ed il D2PAK ed il Powertab che sono componenti per
dispositivi SMD che si montano direttamente nei circuiti stampati e sono della
famiglia SMD cioè dei componenti di ridottissime dimensioni che oggi si usano
tantissimo e che hanno consentito ai nostri telefonini di diventare sempre più
miniaturizzati. I diodi veloci ed ultraveloci per veicoli elettrici fino a 1000 Vdc e
corrente di 650 A. Mentre, per quanto riguarda a livello industriale, il package
cambia completamente, abbiamo questi connettori con delle zone che possono
essere saldate o avvitate perché le frequenze sono così basse che non vi è nessun
problema per la lunghezza enorme del filo rispetto alla dimensione stessa del
diodo.

L’anodo filettato è infilato su un dissipatore e l’altro morsetto è saldato oppure


collegato con treccia dotata di capocorda che può essere messo da qualche parte.
Finiamo questo excursus sui diodi di potenza, dicendo che vi sono anche dei
contenitori che praticamente sono per moduli, al centro abbiamo un ISOTOP e
poi abbiamo ai lati quelli sviluppati da Semicron ed Infineon e da
STMicroelectronics e così via e quindi ognuno delle case costruttrici ha
sviluppato dei contenitori adatti per le loro applicazioni e all’interno vi possono
essere sia diodi a frequenza industriale e sia diodi ultraveloci che servono nei
convertitori di potenza con elevata densità di corrente.

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