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Meccanica dei continui. Deformazione.Tensioni.Lavori virtuali. Elasticità.


Elasticità anisotropa.

Chapter · July 2011

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Luciano Nunziante
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05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:51 Pagina 325

CAPITOLO

Meccanica
dei continui
Il capitolo introduce la teoria della de-
formazione del continuo solido, a par-
tire dal tensore di deformazione finita
5.1

5.2
j

j
5
Spostamento, deformazione
finita e infinitesima
Problema dell’equilibrio dei
di Green-Lagrange e passando poi al-
solidi deformabili, tensioni,
la teoria degli spostamenti e deforma-
tensore di sforzo
zioni piccoli o infinitesimi con la de-
finizione del tensore di deformazione 5.3 j Principio dei Lavori Virtuali
infinitesima. Viene poi presentato il per il solido deformabile
problema dell’equilibrio del solido
5.4 j Meccanica dei materiali.
deformabile basato sulla definizione
Legami costitutivi – Teoria
di forze e tensioni, con l’introduzione
dell’Elasticità
del tensore di sforzo di Cauchy e con
le utili e comode rappresentazioni del-
lo sforzo nello spazio di Haig-Wester- APPROFONDIMENTI
gaard e nel piano di Mohr. Viene ap-
5.1 j Deformazione delle superfici
pena introdotto il tensore di sforzo di
Piola-Kirchhoff. Segue il Principio 5.2 j Tensore di sforzo di Piola-
dei Lavori Virtuali, quale strumento Kirchhoff
principe e universale di collegamento
5.3 j Particolarizzazioni ed
fra il mondo degli spostamenti-defor-
estensioni del PLV
mazioni e quello delle forze-tensioni. La seconda parte del capitolo
tratta dei Legami Costitutivi per i materiali strutturali, con parti- 5.4 j Equazioni di Beltrami-Michell
colare rilievo alla teoria dell’elasticità lineare isotropa e alle rela-
zioni di Hooke, così importanti nelle applicazioni ingegneristiche:
la trattazione è basata sul concetto di Energia di Deformazione che
consente di definire il Potenziale Elastico. Le equazioni dell’Equi-
librio Elastico di Navier-Cauchy e di Beltrami-Michell vengono
appena introdotte. Le relazioni del materiale linearmente elastico
anisotropo vengono presentate allo scopo di fare intravedere talune
applicazioni ai materiali compositi e alle murature che l’Allievo
incontrerà nel prosieguo degli studi. Chiudono il capitolo numerosi
esercizi sull’ampia materia trattata, la cui soluzione viene lasciata
all’allievo.
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326 j Capitolo 5 j Meccanica dei continui

5.1 j Spostamento, deformazione finita


e infinitesima

Il mezzo continuo rappresenta un modello matematico della materia la cui effettiva


struttura, atomica o molecolare, è rappresentata mediante una distribuzione con-
tinua di punti materiali.
La dimensione caratteristica dell’elemento di volume su cui si opera si sup-
pone pertanto superiore di vari ordini di grandezza alle distanze atomiche e/o
molecolari.
Microscala I solidi, in particolare i materiali da costruzione, presentano inoltre, a una mi-
croscala opportuna osservabile con microscopi ottici (nel caso della struttura a
grani dei metalli) o a occhio nudo (per esempio la distribuzione degli inerti e
della pasta cementizia nei calcestruzzi o dei mattoni e dei corsi di malta nelle
murature), strutture eterogenee con proprietà meccaniche variabili con disconti-
nuità e micro-cavità o micro-fratture. Un materiale di questo tipo può pertanto
essere trattato come un mezzo continuo equivalente, omogeneo o con proprietà
meccaniche variabili con continuità, solo a una scala con dimensione superiore
Macroscala o macroscala. Le usuali prove sperimentali, per esempio su provini cubici di cal-
cestruzzo di lato 20 cm, consentono appunto di determinare queste proprietà me-
die equivalenti (Figura 5.1)

5.1.1 Spostamento, deformazione, gradiente


di deformazione
Un corpo solido sottoposto all’azione dei carichi cambia di forma, ovvero assume
configurazioni diverse. Come configurazione di riferimento @0 si considera una di
esse, per esempio quella assunta dal corpo in assenza di carichi; i carichi e le azioni
esterne fanno poi modificare la configurazione @0 in quella aggiornata, o attuale
@. Le configurazioni @0, @ identificano gli insiemi di punti o posizioni, e sono in-
siemi connessi. Introdotto un sistema di riferimento (O, x1, x2, x3) – ortogonale e
destrorso – si indica per semplicità con x 5 [x1, x2, x3]T il generico punto materiale
identificato in @0 dalla sua posizione rispetto all’origine (Figura 5.2).
Si definisce deformazione la relazione che associa al punto x la posizione
y 5 [y1, y2, y3]T del punto materiale nella configurazione @ attuale
y 5 f(x) (5.1)

Figura 5.1 Struttura,


proprietà medie e
microscala.

Microscala
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5.1 j Spostamento, deformazione finita e infinitesima j 327

Ꮾ0: configurazione Figura 5.2 Deformazione.


di riferimento
Ꮾ: configurazione
attuale

Ꮾ0 Ꮾ
f
x3
u(x) y
x

e3
e2
e1 o
x2 f –1
x1

Durante il processo di deformazione di un mezzo continuo non è consentita per


ipotesi né la separazione o frattura del corpo in più parti, né che due porzioni prima
distinte vadano a occupare la stessa regione e quindi si compenetrino (Figura 5.3).
Di conseguenza la deformazione f trasforma punti interni al corpo nella configu-
razione di riferimento @0 in punti interni in @; analogamente, punti appartenenti
alla superficie esterna del corpo rimarranno sulla frontiera di esso. I seguenti as- Assiomi di continuità
siomi di continuità della deformazione esprimono formalmente quanto enunciato: della deformazione

• f è biunivoca, ovvero a x corrisponde uno e un solo y e viceversa;


• f è continua e differenziabile fin che occorre.

Peraltro può essere necessario descrivere il passaggio inverso dalla configurazione


attuale @ a quella di riferimento @0; ciò richiede l’esistenza della relazione inversa
x 5 f21(y) per la quale si assumono le stesse ipotesi di regolarità. Infine, è bene
ricordare che fenomeni quali la frattura dei materiali fragili, ossia il danneggia-
mento di essi osservabile a una microscala opportuna, non possono, ovviamente,
essere esaurientemente descritti in questo contesto.
La relazione (5.1) che definisce la deformazione si pone nella forma:
y 5 f(x) 5 x 1 u(x) (5.2)

Figura 5.3 a) Frattura


y ; y* del corpo in due parti.
x
x* b) Compenetrazione
di 2 parti distinte.

x
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328 j Capitolo 5 j Meccanica dei continui

Figura 5.4 Deformazione


di un solido.
Ꮾ0
x3 x dx xx**

e3
y Ꮾ
e1 dy
o e2 x2 y*
x1
Ꮾ0 : configurazione di riferimento
Ꮾ : configurazione attuale o deformata

in cui la funzione vettoriale f(x) 5 x 1 u(x) deve godere dei requisiti di: continuità,
differenziabilità, invertibilità, affinché la deformazione sia un fenomeno sufficien-
temente graduale e regolare, senza distacchi, scorrimenti, compenetrazioni di ma-
teria e bruschi cambiamenti locali.
Nella (5.2) u(x) è il campo di spostamento, costituente la distanza orientata
fra la posizione attuale y in @ e quella iniziale x in @0 (Figura 5.4). Le (5.1) e
(5.2) consentono di esprimere la posizione attuale y in funzione di x e dello spo-
stamento u(x):
y1 5 f1(x) 5 x1 1 u1(x1, x2, x3)

y2 5 f2(x) 5 x2 1 u2(x1, x2, x3) (5.3)

y3 5 f3(x) 5 x3 1 u3(x1, x2, x3)


Il requisito di invertibilità della f(x), cioè dell’esistenza e regolarità dell’inversa
f 21(y), dal punto di vista matematico richiede che le frontiere di @0 e @ si cor-
rispondano in modo biunivoco e che il determinante Jacobiano della f(x) rispetti
la condizione di non singolarità, o equivalentemente (per i solidi) di positività:
J 5 det =f(x) ? 0 (a) J 5 det=f(x) 7 0 (b) (5.4)
Tensore gradiente La (5.4) in esplicito coinvolge il tensore gradiente di deformazione F:
di deformazione
0f1 0f1 0f1 0u1 0u1 0u1
(1 1 )
0x1 0x2 0x3 0x1 0x2 0x3
0f2 0f2 0f2 0u2 0u2 0u2
F5=f53fi,j 45F V5F (1 1 ) V
0x1 0x2 0x3 0x1 0x2 0x3 (5.5)
0f3 0f3 0f3 0u3 0u3 0u3
(1 1 )
0x1 0x2 0x3 0x1 0x2 0x3
Gradiente di spostamento che è basato sul gradiente di spostamento
0u1 0u1 0u1
0x1 0x2 0x3
0u2 0u2 0u2
H 5 =u 5 3ui,j 4 5 F V
0x1 0x2 0x3 (5.6)
0u3 0u3 0u3
0x1 0x2 0x3
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5.1 j Spostamento, deformazione finita e infinitesima j 329

tramite la:

F 5 I 1 =u 5 I 1 H (5.7)
0fi
ove nelle (5.5) e (5.6) si sono adoperate le notazioni sintetiche di derivazione ,  fi,j 5
. Nelle relazioni di sopra le derivate sono calcolate nel punto x origine dell’in- 0xj
torno considerato. 0ui
 ui,j 5
Volendo studiare la regola con la quale gli elementi lineari (vettori) 0xj
dx 5 x* 2 x appartenenti all’intorno infinitesimo di x si trasformano nei corri-
spondenti dy 5 y* 2 y appartenenti all’intorno di y; basta differenziare la (5.2)
ottenendo dy 5 dx 1 du che si esplicita:
0u1 0u1 0u1
dx1 1 dx1 1 dx2 1 dx3
0x1 0x2 0x3
dy1
0u2 0u2 0u2
dy 5 C dy2 S 5 Fdx2 1 dx 1 dx 1 dx V 5 1I 1 =u2dx
0x1 1 0x2 2 0x3 3 (5.8)
dy3
0u3 0u3 0u3
dx3 1 dx 1 dx 1 dx
0x1 1 0x2 2 0x3 3
e a mezzo del gradiente di deformazione, consente di scrivere:
dy 5 F dx 1 y* 2 y 5 F(x* 2 x) 1 0(x* 2 x) (5.9)
La (5.9), a meno dell’infinitesimo di ordine superiore 0(x* 2 x), esprime con una
relazione lineare omogenea il vettore incremento di posizione dy in funzione di
quello iniziale dx: dy 5 Fdx.
Alla stessa relazione (5.9) si perviene espandendo in serie di Taylor la f(x) a
partire da x. Una deformazione si dice omogenea se il gradiente di deformazione
F è costante in tutto il solido.
Nella (5.9) si è utilizzato l’operatore gradiente di deformazione F che è stato
definito tensore, al quale seguiranno in questo testo altri tensori, quello di defor- Tensori
mazione infinitesima, quello di sforzo e altri. Nella relazione dy 5 Fdx, F costi-
tuisce l’operatore algebrico che applica ogni vettore dx dello spazio dei vettori
infinitesimi dell’intorno di origine x nei corrispondenti vettori dy di arrivo. Rin-
viando ad approfondimenti matematici la nozione completa di tensore, è suffi-
ciente in questa sede affermare che il termine tensore è utilizzato nel testo per
definire un operatore algebrico lineare che trasforma uno spazio vettoriale V in
un altro spazio vettoriale V9; inoltre, le componenti di un tensore, al cambiare
della base del riferimento, mutano sì da rispettare proprietà di invarianza del vet- Invarianza
tore trasformato.
Il gradiente di deformazione F è pertanto la matrice (tensore) che, applicata
al generico segmento orientato dx 5 x* 2 x, che esprime la distanza fra due punti
nella configurazione di riferimento, lo trasforma nel corrispondente vettore
dy 5 y* 2 y nella configurazione attuale.
Tramite la (5.8) e (5.9) si ottiene: du 5 Fdx 2 dx 5(F 2 I)dx 5 Hdx che
permette di esprimere lo spostamento del generico punto x* dell’intorno infini-
tesimo di x tramite lo spostamento di x e il gradiente di spostamento
H: u(x*) 5 u(x) 1 H(x 2x*) 1 0(x 2 x*) (5.10)
in cui l’ultimo addendo, infinitesimo, è nullo nel caso di deformazioni omogenee.
In precedenza (Capitolo 2) si è asserito che uno spostamento è rigido se e solo Spostamento rigido
se la deformazione f è rappresentabile come composizione di una traslazione u(x)
di un punto generico x e di una rotazione rigida attorno a esso:
y* 5 x* 1 u (x) 1 R (x* 2 x) (5.11)
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330 j Capitolo 5 j Meccanica dei continui

Figura 5.5 Dilatazione


lineare nella direzione di x1.
x* y* x1
O

x1* u1

y1*

Pertanto la traslazione e la rotazione rigida sono deformazioni omogenee ripetti-


vamente con:
F5I traslazione
F5R rotazione rigida (R RT 5 I, det R 5 1)
Tramite l’Equazione (5.6) si osserva che il gradiente di deformazione F e il
gradiente di spostamento H differiscono del gradiente della posizione x che è
l’identità.
In Figura 5.5 è rappresentata una dilatazione semplice secondo l’asse x1, ove
per semplicità O ; x ; y; è immediato constatare che risulta:

y*1 5 x*1 1 u1 5 l1x*1 (5.12)


Nell’equazione precedente è definito il coefficiente l1, dilatazione lineare, che
rappresenta il rapporto fra la lunghezza del segmento nella configurazione attuale
e quella nella configurazione di riferimento. Nella letteratura tecnica, tuttavia,
viene più frequentemente utilizzato, come misura della dilatazione lineare, il rap-
porto e fra la differenza delle lunghezze del segmento nelle due configurazioni e
Coefficiente di dilatazione la lunghezza iniziale. Esso viene chiamato coefficiente di dilatazione lineare; ri-
lineare sulta pertanto (Tabella 5.1):
(y1* 2 x1*) u1
e1 5 5 l1 2 1 5 (5.13)
x1* x1*

Le prove di trazione di provini elastici prismatici generalmente determinano di-


latazione lineare positiva nella direzione di trazione e dilatazione lineare negativa
nelle direzioni ortogonali; tale fenomeno è detto contrazione trasversale ed è mo-
strato in Figura 5.6.
La deformazione omogenea risulta in tal caso:

l1 0 0 x1 1 1 e11 0 0 x1
F 5 C 0 l2 0 S C x2 S 5 C 0 1 1 e22 0 S C x2 S (5.14)
0 0 l3 x3 0 0 1 1 e33 x3

Tabella 5.1 Confronto fra le due diverse espressioni della dilatazione


lineare ln e en 5 ln 2 1.
Dilatazione ln . 1 en . 0
Moto Rigido ln 5 1 en 5 0
Contrazione 0 , ln , 1 21, en , 0
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5.1 j Spostamento, deformazione finita e infinitesima j 331

Figura 5.6 Deformazione


x2
di un provino prismatico
e contrazione trasversale.

ε 22 02 (< 0)
 02

O x1

 03
ε 33 03 (< 0)

x3 01 ε11 01 (> 0)

ove F (tensore gradiente di deformazione) risulta diagonale e tutti i termini risul-


tano strettamente positivi. Una deformazione omogenea si definisce dilatazione
(stretch) e si indica con U, se F 5 U risulta simmetrica e definita positiva, secondo
una definizione che verrà introdotta nel seguito.
Una trattazione esaustiva della deformazione dei mezzi continui è estranea
agli scopi di questo testo e per essa si rimanda a classici trattati di Scienza delle
Costruzioni o più specificatamente a testi di Meccanica dei Continui. Tuttavia si
ritiene opportuno completare questo paragrafo riportando alcuni risultati notevoli
validi per deformazioni di ampiezza qualunque e quindi ricavare da essi il caso
particolare, ma di principale interesse tecnico, delle “piccole deformazioni”, di
cui peraltro è presentata una trattazione autonoma nel Paragrafo 5.2
Infatti, pur esistendo importanti applicazioni in biomeccanica, nell’ingegneria
meccanica (per esempio il calcolo delle pale degli elicotteri) e nell’ingegneria ci-
vile (tensostrutture, pneumostrutture ecc.) in cui è necessario non introdurre al-
cuna limitazione sulle entità di queste grandezze, nella maggior parte dei problemi
di interesse applicativo gli spostamenti e le deformazioni sono piccoli. Nella ge-
neralità delle strutture il coefficiente di dilatazione lineare en di un qualunque seg-
mento non supera l’1% e gli spostamenti sono tali che è possibile confondere la
configurazione deformata con quella di riferimento.

Spostamenti e deformazioni finite


Si ricordano i seguenti risultati.
• Decomposizione spettrale Decomposizione spettrale
Ogni dilatazione pura può essere ottenuta mediante la successione di tre di-
latazioni semplici secondo tre direzioni mutuamente ortogonali (l’entità delle
tre dilatazioni e le loro direzioni rappresentano rispettivamente i tre autovalori
e i tre autovettori di U).
• Decomposizione polare
Una qualunque deformazione omogenea, con un punto fisso, può essere otte- Decomposizione polare
nuta in modo unico mediante una dilatazione con gradiente U seguita da una
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332 j Capitolo 5 j Meccanica dei continui

rotazione con gradiente R oppure da una rotazione R seguita da una defor-


mazione con gradiente V.
F5RU5VR (5.15)
Si può verificare che per quanto riguarda la cosiddetta decomposizione destra
F 5 R U di F, con U simmetrico e definito positivo, risulta

FTF 5 UTRTR U 5 UTU 5 U2 1 U 5 "FTF


Inoltre per quanto riguarda la decomposizione sinistra F 5 VR di F, con V sim-
metrico e definito positivo, si ha:

FFT 5 V R RT VT 5 V2 1 V 5 "FFT
Sicché U e V si ottengono rispettivamente come tensori radici quadrate dei pro-
dotti FTF e FFT.

Misura della deformazione


Per completare questa succinta analisi delle deformazioni omogenee si ricavano
in funzione del gradiente di deformazione F e della dilatazione U come variano
Dilatazione l’angolo compreso fra due segmenti qualunque e la loro dilatazione, al variare
della direzione (Figura 5.7).
Si consideri un generico segmento orientato (x* 2 x) nella configurazione di
riferimento avente modulo )x* 2 x) e direzione n; nella configurazione attuale
esso si trasforma nel segmento (y* 2 y) di modulo )y* 2 y) e direzione m.
In virtù della (5.12) la sua dilatazione vale:
0 y* 2 y0
0x* 2 x0
ln 5 (5.16)

ove il pedice n indica la dipendenza dalla direzione; elevando al quadrato la re-


1x* 2 x2
lazione precedente, tenendo successivamente conto che le direzioni (i versori)
n5 hanno modulo unitario, , e dell’Equazione (5.9) si ha:
0x* 2 x0

x3 Ꮾ0 x x*x*
0
n
u θ
s
e3 Ꮾ y y*
e1 e2 x2
x1
Ꮾ0 : configurazione di riferimento θ m
Ꮾ : configurazione attuale r

Figura 5.7 Dilatazione del segmento x*x e variazione dell’angolo u0.


05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:51 Pagina 333

5.1 j Spostamento, deformazione finita e infinitesima j 333

1y* 2 y2 T 1y* 2 y2 1F1x* 2 x2 2 T F1x* 2 x2


l2n 5 5 nTFTF n (5.17)
1x* 2 x2 T 1x* 2 x2 0x* 2 x0 T 0x* 2 x0
5

Infine, ricordando che R è ortogonale (R RT 5 I) si ha il risultato cercato:

ln 5 3 1R Un2 T 1R Un2 4 2 5 (nTUTUn)2 5 0 Un0


1 1
(5.18)
e

en 5 (nTFTF n)2 2 1 5 0U n 0 2 1
1
(5.19)
u0
Per calcolare la variazione dell’angolo fra le due direzioni n e s che per effetto Variazione dell’angolo
della deformazione si trasformano rispettivamente nei vettori m e r (Figura 5.7),
si ricordi che dalla definizione di prodotto scalare risulta:
mTr
0m0 0r 0
cos u 5 (5.20)

Pertanto, poiché per la (5.9) si ha m 5 Fn e r 5 Fs, risulta:


1Fn2 T 1Fs 2 nTU2s
cos u 5 5 (5.21)
ln ls lnls
Nel caso generale delle deformazioni finite lo stato di deformazione è completa-
mente noto se sono note le 6 componenti del tensore U (5.19).

Tensore di Deformazione Finita di Green-Lagrange


Si vuole ora determinare la variazione della metrica quadratica dell’intorno di x
dovuta alla deformazione, in termini relativi rispetto a quella originaria. Verranno
inoltre introdotti i coefficienti di variazione lineare, volumetrica e superficiale co-
stituenti le principali misure della deformazione nelle tre dimensioni. Si consideri
il vettore dx 5 x* 2 x appartenente all’intorno di x, esso per la deformazione si
trasforma nel vettore dy 5 y* 2 y a mezzo della (5.9) dy 5 Fdx. Siano dl e dl9
le ampiezze di dx e dy ottenibili rispettivamente da dl2 5 dxTdx e dl92 5 dyTdy.
La metrica quadratica varia fra @0 e @ a causa della deformazione, ed è valutabile Cambio della metrica
tramite il passaggio al limite per dl S 0 della quantità: quadratica degli intorni

dl9 2 2 dl2 dyTdy 2 dxTdx dxTFT F dy 2 dxTdx


5 T 5 5
dl2
dx dx dxTdx
dxT 3(I1=uT)(I1=u)4dx2dxTdx dxT 3 =uT1=u1=uT =u)4dx
5 5 5 (5.22)
dxTdx dxTdx
dl2 nT 3 =uT 1 =u 1 =uT =u)4n
5 5 nT2D n
dl2
Il cambio delle dimensioni dei segmenti appartenenti all’intorno di x, primo ca-
rattere definitorio della deformazione, dipende dunque solo dalla loro direzione
n tramite il tensore D di deformazione finita di Green-Lagrange, simmetrico, de- Tensore di deformazione finita
finito dalla (5.22) che con facili sviluppi si scrive: di Green-Lagrange

D 5 3dij 4 5 3 =u 1 =uT 1 =uT =u)4 5 (FTF 2 I) 5


1 1
2 2
0uj (5.23)
1 0ui 0uk 0uk
5 (UTU 2 I) 5 c d
3
1
1 1 a
2 2 0xj 0xi k51 0xi 0xj
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:51 Pagina 334

334 j Capitolo 5 j Meccanica dei continui

e si esplicita:

⎡ ⎡ 2 2 2⎤ ⎤
⎢∂u1 + 1 ⎢⎛ ∂u1⎞ + ⎛ ∂u2⎞ + ⎛ ∂u3⎞ ⎥ 1 ⎛ ∂u1 + ∂u2 + ∂u1 ∂u1 + ∂u2 ∂u2 + ∂u3 ∂u3⎞ 1 ⎛ ∂u1 ∂u3 ∂u1 ∂u1 ∂u2 ∂u2 ∂u3 ∂u3⎞ ⎥
+ + + +
⎢∂ x1 2 ⎢⎜⎝ ∂ x1⎟⎠ ⎜⎝ ∂ x1⎟⎠ ⎜⎝ ∂ x1⎟⎠ ⎥ 2 ⎜⎝ ∂ x2 ∂ x1 ∂ x1 ∂ x2 ∂ x1 ∂ x2 ∂ x1 ∂ x2⎟⎠ 2 ⎜⎝ ∂ x3 ∂ x1 ∂ x3 ∂ x1 ∂ x3 ∂ x1 ∂ x3 ∂ x1⎟⎠ ⎥
⎢ ⎣ ⎦ ⎥
⎢ ⎥
∂u2 1 ⎡⎛ ∂u1 ⎞ ⎛ ∂u2⎞ ⎛ ∂u3⎞ ⎤
2 2 2
1 ⎛ ∂u2 ∂u3 ∂u1 ∂u1 ∂u2 ∂u2 ∂u3 ∂u3⎞⎥ (5.24)
D= ⎢ • + ⎢⎜ ⎟ + ⎜ ⎟ + ⎜ ⎟ ⎥ + + + +
⎢ ∂ x2 2 ⎢⎝ ∂ x2⎠ ⎝ ∂ x2⎠ ⎝ ∂ x2⎠ ⎥ 2 ⎜⎝ ∂ x3 ∂ x2 ∂ x2 ∂ x3 ∂ x2 ∂ x3 ∂ x2 ∂ x3⎟⎠⎥
⎢ ⎣ ⎦ ⎥
⎢ ⎡ 2 2 2⎤ ⎥
⎢ ∂u3 1 ⎛ ∂u1⎞ ⎛ ∂u2⎞ ⎛ ∂u3⎞
• • + ⎢⎜ ⎟ + ⎜ ⎟ + ⎜ ⎟ ⎥ ⎥
⎢ ∂ x3 2 ⎢⎝ ∂ x3⎠ ⎝ ∂ x3⎠ ⎝ ∂ x3⎠ ⎥ ⎥
⎢⎣ ⎣ ⎦ ⎥⎦

Il tensore D è simmetrico e dipende dalle sole sei quantità indipendenti fra le dij
riportate nella (5.24), le quali a loro volta dipendono dalle componenti del gra-
diente di spostamento H.

Coefficiente di variazione lineare secondo la direzione n


Coefficiente di variazione Con riferimento alla trasformazione di dx in dy dovuta alla deformazione, il co-
lineare efficiente di variazione lineare in x secondo la direzione n è stato già definito
dl9 2 dl tramite la .
 en 5
dl Esso si può calcolare agevolmente a mezzo della (5.22) che fornisce: , grazie
alla quale si ottiene
5 "1 1 nT2D n
dl9

2 1 5 "1 1 nT2D n 2 1
dl dl9
en 5 (5.25)
dl
equivalente alla (5.19). Volendo per esempio calcolare en per la direzione
e1 5 [1 0 0]T del primo asse coordinato, tramite la (5.25) si ha:

d11 d12 d13 1


31 0 04 C ? d22 d23 S C 0 S 5 d11 S
 V0 1v2 5 3 dV 5
T

v
? ? d33 0

5 3 dx1dx2dx3 e1 5 "1 1 eT1 2D e1 2 1 5 "2d11 1 1 2 1


v

Variazione volumetrica Variazione volumetrica


Nella configurazione iniziale @0 si consideri l’intorno v del punto x, avente vo-
 V 5 3 dV 5 lume . A seguito della deformazione l’intorno v si trasforma in quello v9 avente
v9
volume , in cui opera lo Jacobiano della deformazione (5.4), potendo conside-
rare le Equazioni (5.2) della deformazione alla stregua di equazioni di un cambio
5 3 J dx1dx2dx3 5 di coordinate nella trasformazione dal dominio @0 a quello @. Dall’ultima rela-
v zione sopra scritta si evince che il determinante Jacobiano, esprimibile come

5 3 det 1 =u1I2 dx1dx2dx3 J5


V
V0 (5.26)
v

 rappresenta il rapporto fra il volume dell’intorno infinitesimo deformato in @


V 2 V0 5 3 3 det 1 =u 1 contenente y e quello indeformato corrispondente in @0 contenente x: sotto l’ipo-
tesi che a volumi finiti in @0 corrispondano volumi finiti in @, consegue la con-
v
dizione di positività per lo Jacobiano J . 0 già invocata precedentemente. La va-
1 I2 2 14 dx1dx2dx3 riazione di volume dell’intorno vale dunque , e permette di definire nel punto
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:51 Pagina 335

5.1 j Spostamento, deformazione finita e infinitesima j 335

j Approfondimento 5.1

Deformazione delle superfici

Nella configurazione iniziale @0 si consideri un ele- ove m è il versore della normale alla superficie tra-
mento infinitesimo di superficie di area ds, di con- sformata avente area dS. Il volume dv si trasforma
torno regolare, contenente il punto x, e sia n il versore dunque nel volume dV 5 dy ? dS. Grazie alla (5.26)
della normale uscente da ds, sicché si possa assumere risulta dy ? dS 5 J dx ? ds, e per la (5.9) da cui con-
ds 5 ds n come vettore rappresentativo della super- segue:
ficie orientata scelta. Sia inoltre dx un vettore per x
coassiale con n. Il cilindretto di base ds e generatrice dS 5 J1FT 2 21 # ds (AP5.1)
dx ha volume dv 5 dx ? ds.
La (AP5.1) è la cosiddetta Formula di Nanson che
fornisce la relazione fra i vettori rappresentativi degli
m
n elementi di superficie della configurazione @0 e quel-
li corrispondenti nella configurazione @.
Poiché dS 5 m dS 5 J(FT)21 ? ds l’area dS della
superficie trasformata si ottiene calcolando il modulo
ds di dS:
x dS
y

dS 5 "dST # dS 5 "m # m dS2 5


x3

O
5 "J2(dsTF21) # 3(FT)21 # ds4 5
x2
x1 (AP5.2)

5 "J2ds2(nTF21) # 3(FT)21 # n4
Figura AP5.1
Il coefficiente di variazione superficiale vale per-
tanto
A seguito della deformazione, i vettori dx e ds ap-
5"J2(nTF21) # 3(FT)21 # n421 (AP5.3)
partenenti a @0 siano trasformati rispettivamente nei dS2ds
cs5
vettori appartenenti a @: dy 5 F dx e dS 5 m dS, ds

x la variazione volumetrica specifica , detta anche dilatazione volumetrica, tra- Variazione volumetrica
mite la funzione integranda
V 2 V0 dV
c 5 det (=u 1 I) 2 1 5 J 2 1 (5.27) c5 5
V0 V0
la quale costituisce la variazione specifica di volume. A valori positivi di c cor-
rispondono dilatazioni volumetriche, a valori negativi contrazioni. Se c è nullo la
trasformazione è a volume costante, o isocora.

Deformazioni piccole
Per gran parte delle ordinarie applicazioni tecniche nelle quali la deformazione del
solido strutturale non ne modifica sensibilmente la geometria, si può fare l’ipotesi
di piccole deformazioni, sotto la quale si conseguono importanti semplificazioni
della teoria della deformazione. L’ipotesi di deformazioni “piccole” o “infinitesi-
me” che si adotta qui risiede nell’imporre un maggiorante d (positivo) e molto pic-
colo rispetto all’unità a tutte le componenti del gradiente di spostamento H.
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:51 Pagina 336

336 j Capitolo 5 j Meccanica dei continui

0ui
` ` 6 d V 1, d[R 1 (5.28)
0xj

La relazione precedente è equivalente a imporre che il modulo dell’autovalore di


modulo massimo di H sia minore di d (per esempio ,0.01), e prescrive che tutte
le derivate del vettore spostamento u siano piccole limitando così anche le rota-
zioni rigide.
Sotto questa ipotesi si può mostrare che è sufficiente conoscere E, parte sim-
metrica di H, per valutare con sufficiente approssimazione la dilatazione lineare
e le altre misure di variazione angolare, volumetrica e superficiale dovute alla
deformazione.

0u1 1 0u1 0u2 1 0u1 0u3


a 1 b a 1 b
0x1 2 0x2 0x1 2 0x3 0x1
1H1HT 2 1 0u1 0u2 0u2 1 0u2 0u3
E5 5F a 1 b a 1 bV
2 2 0x2 0x1 0x2 2 0x3 0x2 (5.29)
1 0u1 0u3 1 0u2 0u3 0u3
a 1 b a 1 b
2 0x3 0x1 2 0x3 0x2 0x3
e in componenti, nella forma indiciale

1
eij 5 (ui,j 1 uj,i) (5.30)
2
 E 5 1 =u 1 =uT 2 5
1
2 Infatti, sotto l’ipotesi (5.28), nelle componenti del tensore di deformazione finita
1 0ui 0uj
5 c 1 d D (5.24) si possono ritenere trascurabili tutti i termini costituiti da prodotti di
2 0xj 0xi due componenti di H o da loro quadrati rispetto a quelli lineari, talché D (5.23)
viene rappresentato dalla sua parte “linearizzata”  costituente la parte simme-
trica di H.
Tensore di deformazione Per questa ragione E viene denominato tensore delle piccole deformazioni o
infinitesima di deformazione infinitesima.
Qui di seguito vengono specificate le particolarizzazioni delle misure della
deformazione già presentate, sotto l’ipotesi di piccole deformazioni.

Coefficiente di dilatazione lineare


Il coefficiente di dilatazione lineare secondo la direzione n fornito dalla (5.25)
 diventa:  e per quadratura si ottiene: . Trascurando il termine en2 in quanto
en 5 "1 1 nT2E n 1 1
infinitesimo di ordine superiore, si ottiene l’espressione del coefficiente di dila-
tazione lineare in teoria infinitesima:
 (en 1 1)2 5 en 5 nTEn (5.31)
5 e2n 1 2en 1 1 5
Tramite la (5.31) si può dedurre il coefficiente di dilatazione lineare per la dire-
5 1 1 nT2E n zione del generico asse coordinato ei:

e1i
0u1
exi 5 ei # E ei 5 ei # £ e2i § 5 eii 5 (5.32)
0x1
e3i

dalla quale risulta che le componenti appartenenti alla diagonale principale del
tensore di deformazione infinitesima rappresentano ordinatamente i coefficienti
Dilatazione lineare di dilatazione lineare degli assi coordinati.
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:51 Pagina 337

5.1 j Spostamento, deformazione finita e infinitesima j 337

Scorrimento angolare fra direzioni ortogonali


Si considerino in @0 due vettori dxm 5 dlmm, dxn 5 dlnn per x, coassiali con i
versori m e n fra loro ortogonali (m ? n 5 0). Per effetto della deformazione i due
vettori si trasformano rispettivamente in dym 5 dlmm 5 dlmFm, dyn 5 dlnn 5 dlnFn,
appartenenti a @ aventi le direzioni m, n e formanti fra loro l’angolo q (Figura 5.8).
p
Si definisce scorrimento fra le direzioni m e n, l’angolo , differenza fra gli  gmn 5 2q
angoli formati prima e dopo la deformazione. Al fine di dedurre l’angolo q, quindi 2
gmn, si effettua il prodotto scalare fra i vettori dym, dyn, ottenendo, grazie all’ipo-
tesi di piccolezza di gmn:

dym # dyn 5 dlmdln cos q 5 dlmdln sen gmn 5 dlmdlngmn (5.33)

ma d’altro canto, grazie al risultato

FTF 5 1I 1 =uT 2 1I 1 =u2 5 I 1 =u 1 =uT 1 =uT =u>I 1 =u 1 =uT 5

5 I 1 2E
poiché risulta mT ? n 5 0, si ha:

dym # dyn 5 dlmdln F m # F n 5 dlmdln mTFTF n 5 dlmdlnmT2E n (5.34).

Il confronto fra le (5.33) e (5.34), grazie alle (5.25) conduce alla:

m # 2E n 5
1 1 T#
mT # 2E n
dlm dln T 1 1
gmn 5 m 2E n 5
dlm dln lm ln (em 1 1) (en 1 1)

che in forza delle ipotesi della trattazione infinitesima permette di ottenere il valore
dello scorrimento cercato: Scorrimento fra direzioni
ortogonali
gmn 5 mT # 2E n (5.35)

Tramite la (5.35) si possono dedurre gli scorrimenti fra le direzioni degli assi co- Scorrimento fra gli assi
ordinati ei, ej, ove i ? j: coordinati

Figura 5.8
n
gmn
dyn
n
q m
m
dym
dxn
dxm

x
y
x3

O
x2
x1
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:51 Pagina 338

338 j Capitolo 5 j Meccanica dei continui

e1j
gij 5 ei # 2E ej 5 ei # 2 £ e2j § 5 2 eij (5.36)
e3j

dalla quale risulta che le componenti fuori diagonale principale del tensore di de-
formazione infinitesima rappresentano la metà degli scorrimenti fra gli assi cor-
rispondenti ai pedici.

Variazione volumetrica
Si è già mostrato (5.27) che la variazione volumetrica del solido dovuta alla de-
formazione, dipende dalla funzione c 5 det=F 2 1 5 det(=u 1 I) 2 1 5 J 2 1.
Con riferimento all’espressione (5.5) del gradiente di deformazione, sotto l’ipotesi
di piccole deformazioni che nello sviluppo del determinante consente di trascurare
Variazione voumetrica i termini provenienti da prodotti di due o tre derivate come le , rispetto a quelli
lineari, lo sviluppo della dilatazione volumetrica c vale:
0ui
 0u1 0u2 0u3
0xj c5 1 1 5 e11 1 e22 1 e33 5 trE (5.37)
0x1 0x2 0x3
g12 g13 e risulta uguale alla divergenza del campo di spostamento c 5 div u.
e11
2 2 I risultati ottenuti consentono di scrivere il tensore E anche nella forma se-
g12 g23 guente: .
E5F e22 V
2 2 Gli elementi in diagonale principale della (5.39) sono le dilatazioni lineari
g13 g23 nelle direzioni degli assi, quelli fuori diagonale sono la metà degli scorrimenti
e33 angolari fra le coppie di assi del riferimento.
2 2

Trattazione infinitesima 5.1.2 Trattazione infinitesima della deformazione


della deformazione
a) Negli elementi resistenti delle macchine e delle costruzioni le deformazioni, ov-
vero la dilatazione lineare di un qualunque segmento e la variazione dell’angolo
compreso fra 2 segmenti generici, sono in genere molto piccole, minori dell’1%.
b) Inoltre, a meno di un moto rigido di traslazione, anche lo spostamento di un
qualunque punto per effetto della variazione di forma del solido risulta molto
minore di una prefissata dimensione caratteristica dell’elemento resistente. Sot-
Piccole deformazioni to le ipotesi a) e b) rispettivamente dette di deformazioni piccole e di spostamenti
Piccoli spostamenti piccoli, è possibile semplificare notevolmente l’analisi della deformazione li-
nearizzando la cinematica del problema, nell’ambito della teoria infinitesima.

In quest’ambito, lo spostamento di un intorno infinitesimo di x può essere ottenuto


sommando allo spostamento dell’origine il contributo dovuto alla rotazione del
corpo e alla deformazione pura. Nel caso delle deformazioni di ampiezza finita
questa sovrapposizione dei diversi contributi non è possibile e occorre utilizzare
il teorema di decomposizione polare.
Lo spostamento di un punto x* dell’intorno di x, in deformazione infinitesima
può dunque essere scritto [Equazione (5.10)], nella forma:
u(x*) 5 u(x) 1 H(x* 2 x) 1 O(x* 2 x) 5
(5.38)
5 u(x) 1 W(x* 2 x) 1 E(x* 2 x) 1 O(x* 2 x)
ove il gradiente di spostamento H viene decomposto nella somma della sua parte
simmetrica E e di quella antisimmetrica W (decomposizione additiva):
H5E1W (5.39)
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:51 Pagina 339

5.1 j Spostamento, deformazione finita e infinitesima j 339

La parte simmetrica, , (5.30) rappresenta il tensore di deformazione infinitesima,


mentre la parte antisimmetrica, , di componenti  rappresenta il tensore di ro-
tazione rigida infinitesima, già introdotto in precedenza nel Capitolo 2. Poiché E Tensore di rotazione
è un tensore simmetrico, eij 5 eji, nel seguito si scriverà indifferentemente e12, infinitesima
e13 ed e23 al posto rispettivamente di e21, e31 ed e32.
La (5.38), per una deformazione omogenea infinitesima, che presenta costanti 1
E5 (H 1 HT)
i tensori E, W, implica che, a meno di infinitesimi di ordine superiore, lo sposta- 2
mento di un qualunque punto x* dell’intorno infinitesimo di x possa essere rap- 1
presentato dalla somma, indipendentemente dall’ordine, della traslazione u(x) W5 (H 2 HT)
2
dell’intorno di x, dello spostamento
1u 2 uj,i 2
1
uR 5 W(x* 2 x) (5.40)  vij 5
2 i,j
connesso con la rotazione rigida dell’intorno intorno a x e dello spostamento da
deformazione pura
ue 5 E(x* 2 x) (5.41)
secondo la
u(x*) 5 u(x) 1 uR 1 ue 5 u(x) 1 W(x* 2 x) 1 E(x* 2 x) (5.42)
Nel seguito vengono svolti alcuni esempi per illustrare il significato geometrico delle
componenti di E, dilatazione lineare, scorrimento angolare, variazione volumetrica.

Si consideri (Figura 5.9a) il seguente campo di spostamento: j Esempio 5.1


u1 5 c1 x1 u2 5 0 u3 5 0 (5.43)
in cui il vettore u giace nel piano parallelo al piano x3 5 0.
È facile verificare che [Equazione (5.7)] la deformazione qui introdotta è omogenea:
c1 0 0
E5H5 £0 0 0§ W5O (5.44)
0 0 0
Si consideri il segmento AP parallelo all’asse x1 di lunghezza ,01. Nella defor-
mazione il punto P si sposta in P*. La dilatazione lineare, che rappresenta il rap-
porto fra la variazione di lunghezza del segmento PP* 5 u1 e la lunghezza iniziale
,01, grazie alla (5.13) vale:

x2 x2 Figura 5.9 Dilatazione


ε 11 = c1 •0 1 ε 22 = c2 •0 2
0 0
volumetrica.
1 2
P P* Q*
A
u2 = c2 02
Q

02

O x1 O x1
B
01 u1 = c1 01
a) b)
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:51 Pagina 340

340 j Capitolo 5 j Meccanica dei continui

c1 # ,01
e11 5 5 c1 (5.45)
,01

Analogamente, se si considera il campo di spostamento di Figura 5.9b con il


segmento BQ parallelo all’asse x2, si ha la dilatazione lineare e22 e il tensore di
piccole deformazioni:

c2 # ,02
0 0 0
E 5 H 5 £0 e22 0§ ove e22 5 5 c2 (5.46)
,02
0 0 0

Pertanto i termini sulla diagonale principale di E (e di H) rappresentano le di-


latazioni lineari dei segmenti paralleli agli assi coordinati.

j Esempio 5.2 Si consideri (Figura 5.10) la deformazione omogenea che trasforma un cubo di
lato ,0 in un parallelepipedo retto. Tale deformazione può essere riguardata come
derivante dalla sovrapposizione di tre dilatazioni lineari e11, e22, e33 degli assi
del riferimento.
Si è già definita dilatazione volumetrica (o cubica) il rapporto:

5 det 1 =u 1 I2 2 1
V 2 V0
c5 (5.47)
V0
dove V0 e V sono i volumi, rispettivamente, nella configurazione di riferimento
@0 e in quella attuale @.
Essendo i termini quadratici e cubici in eii trascurabili rispetto a quelli li-
neari, risulta:

(1 1 e11)(1 1 e22)(1 1 e33) ,30 2 ,30


c5 >e11 1e22 1e33 5tr E (5.48)
,30

A seconda del segno assunto dagli elementi diagonali di E si potrà verificare


una contrazione volumetrica, c , 0, o un aumento di volume, c . 0. In certe

Figura 5.10 x3

Ꮾ ε 33 0

0
Ꮾ 0

O x2
0

ε 11 0

x1 0 ε 22 0
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:51 Pagina 341

5.1 j Spostamento, deformazione finita e infinitesima j 341

condizioni sono possibili dilatazioni lineari eii non nulle con dilatazione volu-
metrica nulla; ovviamente in tal caso si ha:

c 5 e11 1 e22 1 e33 5 0

Scorrimento angolare j Esempio 5.3

Si è già definito scorrimento angolare gij la variazione (cambiata di segno) del-


l’angolo inizialmente retto fra due assi ortogonali di versori ei ed ej di entità g
nella configurazione attuale:
p
gij 5 2u (5.49)
2
Si consideri la deformazione che può essere osservata sperimentando a torsione
un cilindro (di materiale isotropo e omogeneo) a sezione circolare bloccato tor-
sionalmente alla base inferiore, cui viene imposta una rotazione u attorno all’asse
della base superiore (Figura 5.11).
Lo spostamento di ogni punto della superficie laterale, nel piano tangente
(Figura 5.11c) risulta:

u1 5 g12 x2 u2 5 0 u3 5 0 (5.50)

e pertanto, si ha:

1 1
0 g 0 0 g 0
2 12 2 12
0 g12 0
H 5 £0 0 0§ E 5
E1 g 0U W 5 E2 g12 0U (5.51)
1
0 0
2 12 2
0 0 0
0 0 0 0 0 0

x2
θ

e2 θ
e2

e1 e1 x1

a) b) c)

Figura 5.11 Scorrimento angolare.


05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:51 Pagina 342

342 j Capitolo 5 j Meccanica dei continui

Figura 5.12 Deformazione x2


di scorrimento puro.

ε 12  0

ε 12  0 C*

ε 12  0

B B* C

γ12
2
 0 x2
γ12 A*
2
ε 12  0
0 x1
 0 x2 A

Si consideri inoltre il campo di spostamenti dovuto alla deformazione pura


[Equazione (5.41)], e rappresentato in Figura 5.12.
Esso differisce dal precedente per una rotazione rigida attorno all’asse x3.
Nell’ipotesi di piccole deformazioni si ha:
g12 g12
tan > 5 e12 (5.52)
2 2
da cui emerge il significato geometrico dell’elemento e12 di E che rappresenta
la metà dello scorrimento angolare g12. In questo caso vale la pena di osservare
che la dilatazione lineare dell’elemento OA vale:

OA* 2 OA "1 1 e212 # ,0 2 ,0 (5.53)


e11 5 5 >0
OA ,0
essendo 1 1 e212 > 1 per ipotesi. Pertanto l’unica deformazione è quella angolare
e, in tal caso, anche la dilatazione volumetrica risulta nulla.

Dilatazione lineare di un segmento avente direzione


qualunque
Per semplicità si consideri, Figura 5.13, il segmento OP avente origine nell’origine
degli assi O, modulo unitario e versore n 5 [n1, n2, n3]T. Nella deformazione
omogenea infinitesima (5.41) definita da E lo spostamento di P vale
u 5 En (5.54)
La dilatazione en del segmento unitario (Figura 5.13) vale pertanto la componente
dello spostamento nella direzione n:
en 5 nTEn (5.55)
Pertanto, noto E, tensore di deformazione infinitesima, è noto come varia l’angolo
fra due segmenti paralleli agli assi coordinati, come varia la loro lunghezza e quanto
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:51 Pagina 343

5.1 j Spostamento, deformazione finita e infinitesima j 343

x3 Figura 5.13 Dilatazione


secondo una direzione
generica.
εn

P u
n

O x2

x1

vale la dilatazione di un generico segmento della stella di centro O nonché la va-


riazione volumetrica. E contiene dunque tutte le misure della deformazione:

g12 g13
e11
2 2
e11 e12 e13
E 5 £ e12 e22 e23 § 5 F
g12 g23
e22 V
2 2 (5.56)
e13 e23 e33
g13 g23
e33
2 2

Si osservi infine che in generale, qualora siano non nulli gli scorrimenti, E trasforma
(Figura 5.14) un cubo in un parallelepipedo che non è né retto né rettangolo.

Rotazioni rigide infinitesime


Per completare l’interpretazione della (5.40) si consideri il campo di spostamento:

u1 5 2w3x2 u2 5 w3x1 u3 5 0 (5.57)

x3 Figura 5.14 Deformazione


di un elemento cubico.

O x2

x1
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:51 Pagina 344

344 j Capitolo 5 j Meccanica dei continui

Figura 5.15 Rotazione x2


rigida infinitesima attorno
C* ω21 = ϕ30
0
all’asse x3.
ω21 0 = ϕ30 ω210 = ϕ30
B* B C
ϕ3
0
A*
ϕ3 ω210 = ϕ3 0
O A x1
0

ove per semplicità si è posto x coincidente con l’origine O che si considera fissa.
Per il campo (5.57) corrispondente a una rotazione rigida, è facile verificare
 che E 5 O, mentre W ? O, essendo . Il campo (5.57) è lo spostamento prodotto
1 da una rotazione rigida infinitesima w3 nel piano (x1, x2) attorno all’asse x3, (Figura
v125 (u1,22u2,1)52w3 5.15) che per il generico punto
2
x 5 [x1, x2]T 5 ,0[cosa, sena]T (5.58)
vale
u1 5 2w3,0 sena > 2w3x2, u2 5 w3,0 cosa > 2w3x1 (5.59)
Generalizzando alle rotazioni w1 e w2 intorno agli assi x1 e x2, il tensore antisim-
metrico W diviene:
0 v12 v13 0 2w3 w2
W 5 £ v21 0 v23 § 5 £ w3 0 2w1 § (5.60)
v31 v32 0 2w2 w1 0

dunque equivale al vettore assiale di rotazione w 5 [w1, w2, w3]T.


Ne risulta dunque dimostrato che W 5 antisymm =u è responsabile dell’atto
di moto di rotazione rigida infinitesima dell’intorno.

Deformazioni e direzioni principali


Direzioni principali Si definiscono direzioni principali della deformazione le direzioni degli assi non
della deformazione modificate dal campo di spostamento da deformazione pura ue 5 E(x* 2 x) (5.41)
e che quindi non subiscono alcuno scorrimento mutuo. Si dimostra che nella base
principale E ha la forma diagonale.
Deformazioni principali Le dilatazioni lineari a esse associate prendono il nome di deformazioni prin-
cipali, o dilatazioni principali. La determinazione delle direzioni e dilatazioni
principali per un assegnato tensore E nel sistema di riferimento (O, x1, x2, x3) può
essere effettuata a partire dalla definizione per la quale segmenti paralleli alle di-
rezioni principali si dilatano senza ruotare.
Si consideri pertanto un segmento uscente da O individuato dal suo versore
n. Conformemente all’Equazione (5.41) l’estremo P del segmento di modulo uni-
tario (Figura 5.16) subisce uno spostamento u 5 En.
Tra tutti i vettori della stella per O le direzioni principali presentano unicamente
una dilatazione lineare, ovvero il loro spostamento sarà in direzione n, pertanto:
u5en (5.61)
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:51 Pagina 345

5.1 j Spostamento, deformazione finita e infinitesima j 345

x3 Figura 5.16 Direzioni


principali della
deformazione.
εm

Q u
m
n u = εn
P
O x2

x1

essendo e la dilatazione lineare corrispondente. Per tali elementi quindi si ha:


u 5 En 5 e n (5.62)
Le tre componenti, o coseni direttori, del versore n, che ha modulo unitario, de-
vono essere soluzioni non nulle (non banali) del sistema di equazioni lineari omo-
genee seguente, ove si è tenuto conto che n 5 In:
(E 2 eI) n 5 0 (5.63)
La ricerca delle dilatazioni principali e delle corrispondenti direzioni principali
corrisponde dunque alla soluzione del problema agli autovalori in forma standard
(5.63). Il problema, come noto, ammette tre soluzioni (autovalore – autovettore) Problema di autovalori
che vengono ottenute imponendo che sia soddisfatta l’equazione caratteristica Equazione caratteristica
che esprime la condizione di esistenza di soluzioni non banali per le incognite n
presenti nell’equazione omogenea (5.63):
det (E 2 eI) 5 2 e3 1 I1e2 2 I2 e 1 I3 5 0 (5.64)
dove:
I1 5 e11 1 e22 1 e33 5 c 5 eii
I2 5 e11 e22 1 e11 e33 1 e22 e33 2 e122 2 e132 2 e232 5 1⁄2(eii ejj 2 eij eji) (5.65)
I3 5 det E 5 e11 e22 e33 1 e12 e23 e31 1 e13 e21 e322 e13 e22 e31 2 e11 e23 e32 2 e12 e21 e33
sono funzioni delle componenti di E dette invarianti di deformazione poiché ri- Invarianti di deformazione
sultano indipendenti dal riferimento scelto.
Le tre soluzioni dell’equazione cubica (5.64), detta equazione caratteristica,
sono le dilatazioni principali cercate e possiedono le seguenti proprietà che per
brevità non vengono dimostrate:
• esse sono, come richiesto dal problema, numeri reali in virtù della simmetria
di E;
• la più grande e la più piccola delle dilatazioni principali costituiscono rispet-
tivamente le dilatazioni massima e minima fra tutte quelle esistenti lungo i
vettori della stella in O (ciò sottolinea la loro importanza).

Elencandoli in ordine decrescente si denotano i tre autovalori o deformazioni prin-


cipali del problema (5.63)
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:51 Pagina 346

346 j Capitolo 5 j Meccanica dei continui

eI > eII > eIII (5.66)

a essi corrispondono i tre versori (autovettori) nI, nII, nIII che individuano nello
spazio le tre direzioni principali di deformazione.
Data l’invarianza delle (5.65) si ha:

e11 1 e22 1 e33 5 eI 1 eII 1 eIII (5.67)

I3 5 det E 5 eI 1 eII 1 eIII (5.68)

Per determinare il versore n di una direzione principale è necessario sostituire la


corrispondente dilatazione e nel sistema omogeneo (5.63), che risulta di rango 2,
e risolvere nei tre coseni direttori, ponendo l’ulteriore condizione che n abbia mo-
dulo unitario:

n21 1 n22 1 n23 5 1 (5.69)

j Esempio 5.4 Stato di deformazione biassiale o piana

Sia assegnato uno stato di deformazione piana che comporti unicamente sposta-
menti nel piano (x1, x2) essendo u3 nullo; di conseguenza tutte le componenti di
deformazione ei,3 risultano nulle e il sistema di equazioni lineari (5.63) diviene:

e11 2 e e12 0 n1
£ e12 e22 2 e 0 § £ n2 § 5 0 (5.70)
0 0 0 2 e n3

Gli invarianti della deformazione non nulli sono dati da:


2
I1 5 e11 1 e22 I2 5 e11e22 1 e12 (5.71)

Stato piano di deformazione Si osservi che la condizione I3 5 0 caratterizza un qualunque stato di deforma-
zione piana. La condizione I3 5 0 equivale al fatto che una dilatazione principale
è nulla, nel senso che è condizione necessaria e sufficiente perché lo spostamen-
to, nell’intorno, appartenga a un piano. Grazie alla (5.68) è possibile inoltre mo-
strare come lo spostamento avvenga nel piano ortogonale alla direzione princi-
pale a dilatazione nulla.
L’Equazione (5.64) ha le seguenti soluzioni, nell’ipotesi in cui le soluzioni
non nulle siano di segno opposto per non contraddire l’ordine assunto:

e11 1 e22 ; "(e11 2 e22)2 1 4e212


eI,III 5 eII 5 0 (5.72)
2

Sostituendo eI o eIII nel sistema (5.70) si ricava dall’ultima riga n3 5 0 e sosti-


tuendo a essa la (5.69) il sistema diviene:

(e11 2 eI,III) n1 1 e12n2 5 0

e12n1 1 (e22 2 eI,III) n2 5 0 (5.73)

n21 1 n22 5 1

e ammette le soluzioni:
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:51 Pagina 347

5.1 j Spostamento, deformazione finita e infinitesima j 347

1 1

b # c 11 a
eI2e11 2 22 eI2e11 2 22
nI5 ; e c 1 1 a b d , a b d , 0f
T
eI2e22
e12 e12 e12
(5.74)
2 21 2 21
nIII5 ; e c 11 a b d a b # c 11 a b d 0f
T
eIII2e11 2 eIII2e22 eIII2e11 2
, ,
e12 e12 e12

ove, come noto dal corso di Geometria, la direzione è individuata a meno del
verso.
Viceversa, alla soluzione eII 5 0 corrisponde n3 5 1, ossia l’asse x3.

Deformazione di scorrimento puro j Esempio 5.5

Si consideri (Figura 5.17) un quadrato con centro nell’origine e lati paralleli agli
assi coordinati e di lunghezza 2,0 e se ne analizzi la deformazione omogenea
di scorrimento semplice (si consulti anche l’Esempio 5.15).

Come visto in precedenza il tensore di deformazione infinitesima E risulta:

0 e12 0
E 5 £ e12 0 0 § (5.75)
0 0 0

Essendo nulli il primo e il terzo invariante, l’equazione caratteristica diviene:

e3 2 e212e 5 0 (5.76)

È immediato calcolare le dilatazioni principali, che risultano:

eI 5 e12 eII 5 0 eIII 5 2e12 (5.77)

mentre le corrispondenti direzioni principali sono

γ12 γ12 Figura 5.17 Deformazione


0 0 di scorrimento puro.
2 2
x2
A*
B′ 0 γ12
γ12 A 0
0 2
2 B′*

0
O x1

A′ B*
B

A′*
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:51 Pagina 348

348 j Capitolo 5 j Meccanica dei continui

"2 "2 "2 "2


nI 5 ; c , 0d nIII 5 ; c 2 , 0 d (5.78)
T T
, ,
2 2 2 2

e corrispondono alle bisettrici degli assi di riferimento.


Elementi paralleli agli assi hanno dilatazione nulla e scorrimento angolare
g12 5 2e12. I segmenti diagonali pertanto si allungano e accorciano senza però
presentare alcuno scorrimento angolare giacendo lungo due direzioni principali.
È immediato verificare che il segmento AA9 di lunghezza 2V2,0 si trasforma
in A*A9* di lunghezza:

A*A9* 5 2"211 1 e12 2,0 (5.79)

mentre BB9 si trasforma in B*B9* di lunghezza:

B*B9* 5 2"2 11 2 e12 2 ,0 (5.80)

Allo stesso risultato si perviene applicando l’Equazione (5.80) e considerando


le direzioni principali.

Dipendenza di E dal sistema di riferimento


La ricerca degli assi principali rispetto a un riferimento assegnato evidenzia come
al ruotare degli assi coordinati il tensore E modifichi le sue componenti. Per la
trattazione generale dell’argomento si consulti il Paragrafo 5.4.8; qui ci si limita
a fornire le equazioni della trasformazione nel caso piano. Per determinare come
la medesima deformazione sia rappresentata da E rispetto al nuovo sistema di ri-
ferimento (O, x91, x92, x93) si consideri il vettore p nel riferimento iniziale descritto
invece da p9 nel riferimento ruotato di w (Figura 5.18).
, cos a Nel riferimento (O, x1, x2) si ha: . Nel riferimento (O, x91, x92, x93) ruotato
p5 c d 5 c d
p1
p2 , sen a dell’angolo w rispetto a quello iniziale, si ha:

, cos (a2w) , cos a cos w1, sen a sen w


p95 c d5c d 5c dc d
cos w sen w p1
, sen (a2w) 2, cos a sen w1, sen a cos w 2 sen w cos w p2

che si scrive in sintesi:

p9 5 Rp (5.81)

Figura 5.18 Rotazione ϕ


del sistema di riferimento. x2 sen
osϕ
x′2 p1
c
p1
p2 ϕ
ϕ p
sen p1
p2
p′2 x′1

 p′1
α
ϕ
p2 cos ϕ (α−ϕ)

ϕ
O p1 x1
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:51 Pagina 349

5.1 j Spostamento, deformazione finita e infinitesima j 349

dove R è il tensore di rotazione sopra definito.


Analogamente, fra i due vettori spostamento u e u9 sussiste la relazione

u9 5 Ru (5.82)

Poiché una deformazione pura omogenea è caratterizzata dallo spostamento da


deformazione pura u 5 Ep (5.41) e, ricordando che R è un tensore ortogonale
(R21 5 RT), segue che:

u 5 RT u9 5 E RT p9 (5.83)

premoltiplicando entrambi i membri della seconda uguaglianza per R si ha:

u9 5 (R E RT)p9 (5.84)

da cui si ottiene la relazione cercata nella forma:

E9 5 R E RT (5.85)

la quale esprime il tensore di deformazione nel nuovo riferimento.


Si noti che il tensore R sopra definito è il trasposto di quello che tramite la
(2.2) descriveva la rotazione di un vettore rispetto al riferimento.

Deformazione biassiale o piana j Esempio 5.6

Si consideri, come nell’Esempio 5.1, una deformazione biassiale ove tutte le


componenti di deformazione ei,3 risultino nulle, dunque caratterizzata dal se-
guente tensore E:

e11 e12 0
E 5 £ e12 e22 0 § (5.86)
0 0 0

si consideri inoltre un secondo sistema di riferimento ruotato rispetto al primo


di un angolo w attorno all’asse x3. Con riferimento alla Figura 5.18 si ha:

p9 1 5 cos w # p1 1 sen w # p2 cos w sen w 0


p9 2 5 2 sen w # p1 1 cos w # p2 R 5 £ 2 sen w cos w 0 § (5.87)
p9 3 5 p3 0 0 1

Sostituendo E e R nella (5.85) si ottengono le seguenti componenti non nulle di E9

e9 11 5 e11cos2w 1 e22 sen 2w 1 e12 sen 2w


e9 22 5 e11 sen 2w 1 e22cos2w 2 e12 sen 2w 2e12
(5.88)  tan 2w 5
e11 2 e22
e9 12 5 e12cos2w 2
e11 2 e22
# sen 2w p
2 w5
4
Le direzioni principali di deformazione si ottengono annullando la componente  e9 11 5 e12
e912; pertanto risulta , per e11 ? e22. e9 22 5 2e12
Se invece è e11 5 e22, si ottiene w 5 6 p>4.
e9 12 5 0
Nel caso di scorrimento: e11 5 e22 5 0, e12 ? 0, e , le (5.88) forniscono:
 che evidenzia come la direzione caratterizzata da  sia una direzione prin- p
w5
cipale, come già evidenziato nell’Esempio 5.5. 4
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:51 Pagina 350

350 j Capitolo 5 j Meccanica dei continui

Misura sperimentale di stati di deformazione piana


In fase di collaudo delle strutture, o durante la sperimentazione in laboratorio, ri-
sulta necessario misurare la deformazione nell’intorno di un punto posto sulla su-
perficie di un corpo. Ciò implica la necessità di effettuare misure di spostamento
relativo tra punti dell’intorno assumendo che la deformazione sia omogenea nel-
l’intorno considerato. A tal fine si procede a fissare tre elementi lineari uscenti
da un punto O di lunghezza nota prima della deformazione. A deformazione av-
venuta si misura la lunghezza finale di tali elementi mediante strumentazione elet-
tro/meccanica ricavando così le tre componenti incognite e11, e22, e12. Una delle
Rosetta estensimetrica strumentazioni più usate è la rosetta estensimetrica (o strain gauge) (Figura 5.19)
Strain gauge basata sulla variazione della resistività elettrica dei conduttori al variare della loro
lunghezza e del diametro.
È possibile pertanto determinare sperimentalmente le tre dilatazioni in figura.
Applicando tre volte la (5.55) alle tre direzioni assegnate si ottiene un sistema di
tre equazioni nelle tre incognite e11, e22, e12 che consente di determinare E. Spesso
si opera considerando tre direzioni di misura formanti fra loro un angolo di 120°,
oppure assumendo due direzioni ortogonali fra loro che supporremo parallele agli
assi coordinati e la terza inclinata secondo un angolo w.
In tal caso vengono lette le dilatazioni e11, e22 ed en, e la (5.55) fornisce di-
rettamente lo scorrimento g12

Figura 5.19 a) e b) x2 y
rosette estensimetriche per εc
la misura sperimentale di ε2
u
stati piani di deformazione; O
c
c) esempi di rosette εb
b
estensimetriche.
ϕ = 120°
ϕ = 120°
O
x1 90°
45° a εa
u u
ϕ = 120° x
ε3 ε1
x3
a) b)

c)
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:51 Pagina 351

5.1 j Spostamento, deformazione finita e infinitesima j 351

g12
e11 0
2
cos w
en 5 3 cos w sen w 04 # E 0U # £ sen w §
g12
e22 (5.89)
2
0
0 0 0

Nel caso di Figura 5.19b, ove w§ 5 45°, si ottiene:  e quindi: . 


1 1 1
en 5 e11 1 e22 1 g12
2 2 2
5.1.3 Deformazioni non omogenee. Equazioni
di congruenza interna 

g12 5 2 a en 2 b
e11 1 e22
Come discusso in precedenza, una generica deformazione si comporta come
omogenea nell’intorno del generico punto x a meno di un errore o(x* 2 x) che 2
tende a zero al tendere a zero della distanza )x* 2 x ). In questo senso i tensori
E e W possono intendersi rispettivamente come tensore di deformazione locale
e di rotazione locale e sono funzioni del punto note in relazione al campo di
spostamento. Si ritiene opportuno esplicitarne la forma in termini di compo-
nenti:
0u1 0u2 0u3
e11 5 e22 5 e33 5
0x1 0x2 0x3
(5.90)
1 0u1 0u2 1 0u1 0u3 1 0u2 0u3
e125 a 1 b e135 a 1 b e235 a 1 b
2 0x2 0x1 2 0x3 0x1 2 0x3 0x2

1 0u2 0u1 1 0u1 0u3 1 0u3 0u2


v215 a 2 b v135 a 2 b v325 a 2 b (5.91)
2 0x1 0x2 2 0x3 0x1 2 0x2 0x3

Mentre è sempre possibile assegnare un campo di spostamento u(x) e risalire alle


componenti della deformazione locale mediante le relazioni precedenti, non è vi-
ceversa possibile assegnare in modo arbitrario le sei componenti distinte eij e ri-
salire al campo di spostamenti. Innanzi tutto perché esse definiscono solo la parte
simmetrica del gradiente di spostamento ed è necessario conoscerne anche la
parte antisimmetrica, cioè le tre vij; ma soprattutto perché matematicamente le
(5.90) definiscono un sistema di sei equazioni differenziali in sole tre incognite
ui. Perché questo sistema ammetta soluzione è necessario che tra le sei quantità
assegnate esistano ulteriori relazioni dette condizioni di integrabilità (o di de
Saint Venant).
Quanto affermato sopra significa dunque che se lo spostamento è continuo e
differenziabile, le (5.90), (5.91), tramite derivazioni permettono di determinare
in ogni intorno del solido @0, stato di deformazione E e rotazione locale W, ef-
fettuando il percorso logico: u(x) 1 E, W.
Viceversa, assegnati in modo arbitrario nei singoli intorni E, W, questa cine-
matica locale non ricostruisce sempre un campo di spostamento continuo e dif-
ferenziabile, secondo il percorso logico: E, W 1 u(x).
Infatti E trasforma localmente un cubo in un parallelepipedo non retto e fra
intorni adiacenti, anche per effetto delle rotazioni W, si possono determinare di-
scontinuità (scorrimenti, lacerazioni, compenetrazioni …), come simbolicamente
rappresentato in Figura 5.20.
Le condizioni affinché le citate discontinuità siano impedite sono quelle che
(nei domini monoconnessi) assicurano che (5.41) (5.42):
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352 j Capitolo 5 j Meccanica dei continui

Figura 5.20 Le condizioni


di integrabilità sono P1 P1
g g
necessarie.

b0 b

P0 P0

du1(x)
du(x) 5 (W 1 E)dx 5 £ du2(x) § 5
du3(x)

e11 (v12 1 e12) (v13 1 e13) dx1


5 £ (e21 1 v21) e22 (v23 1 e23) § £ dx3 § 5 3aij dxi 4
(e31 1 v31) (v32 1 e32) e33 dx3

sia un differenziale esatto, quindi integrabile in @0 su qualsiasi curva regolare g


di estremi P0 e P1 con il risultato che lo spostamento relativo fra i due punti
Du(x) 5 u(P1) 2 u(P0) sia indipendente dalla curva scelta. Le condizioni citate,
0aji 0ajk si ottengono scrivendo la condizione necessaria di Schwartz per i differenziali
 5 , 5 HjJ,i ? k esatti nei domini monoconnessi , che si esplicita come segue:
0xk 0xi
0eji 0vji 0ejk 0vjk
1 5 1 (5.92)
0xk 0xk 0xi 0xi

Poiché
0vjk 1 0 0uj 0uk 0eji 0eik
5 a 2 b 5 2
0xi 2 0xi 0xk 0xj 0xk 0xj

per sostituzione nella (5.92) si ottiene


0vji 0ejk 0eik
5 2 (5.93)
0xk 0xi 0xj

Analogamente la derivata rispetto a un’altra variabile xl determina


0vji 0ejl 0eil
5 2 (5.94)
0xl 0xi 0xj

Le (5.92), (5.93) e (5.94) consentono di pervenire alla scrittura dei differenziali


delle componenti della rotazione rigida infinitesima:
0vij 0vij 0vij
dvji 5 dx1 1 dx2 1 dx3
0ejk 0x1 0x2 0x3
0eik
 a 2 b
0xi 0xj Affinché i dvij siano anch’essi differenziali esatti, le (5.93) e (5.94) funzioni delle
assegnate quantità , devono a loro volta soddisfare la condizione necessaria di
0 0vij 0 0vij Schwartz dell’eguaglianza delle derivate in croce  la quale si traduce nell’equa-
 5
0xi 0xk 0xk 0xl zione differenziale fra le assegnate componenti della deformazione:
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:51 Pagina 353

5.1 j Spostamento, deformazione finita e infinitesima j 353

0 2ejk 0 2eil 0 2ejl 0 2eik


1 5 1 (5.95)
0xi 0xl 0xk 0xj 0xi 0xk 0xj 0xl

costituenti le cercate condizioni di congruenza interna fra le assegnate componenti


di deformazione, condizioni necessarie per l’esistenza di un campo di spostamento
continuo e differenziabile soddisfacente le (5.92), (5.93), (5.94).
La (5.95) è banalmente soddisfatta se tre fra gli indici i, j, k, l sono uguali fra
loro.
Specificando la (5.92) per le seguenti sei scelte degli indici

i 5 l 5 2, j 5 k 5 1; i 5 l 5 3, j 5 k 5 2; i 5 l 5 1, j 5 k 5 3;

i 5 l 5 1, j 5 2, k 5 3; i 5 l 5 2, j 5 1, k 5 3; i 5 l 5 3, j 5 1, k 5 2;

si ottengono ordinatamente le sei equazioni:


0 2g12 0 2e11 0 2e22 0 2g23 0 2e33 0 2e22
5 1 5 1
0x1 0x2 0x22 0x21 0x2 0x3 0x22 0x23

0 2g31 0 2e11 0 2e3 0 2e11 0 0g12 0g31 0g23


5 1 2 5 a 1 2 b (5.96)
0x3 0x1 0x23 0x21 0x2 0x3 0x1 0x3 0x2 0x1

0 2e22 0 0g12 0g31 0g23 0 2e33 0 0g12 0g31 0g23


2 5 a 2 1 b 2 5 a2 1 1 b
0x3 0x1 0x2 0x3 0x1 0x1 0x2 0x1 0x3 0x3 0x2 0x1

dette equazioni di congruenza interna o di compatibilità della deformazione o Equazioni di congruenza


equazioni di de Saint Venant. interna
Delle sei Equazioni (5.96) solo tre sono linearmente indipendenti.
Tuttavia, se il corpo è pluriconnesso, le (5.96) pur costituendo condizione ne-
cessaria, non assicurano la monodromia, per la quale sono richieste ulteriori con-
dizioni (E. Cesaro 1906, V. Volterra 1907). Nel caso riportato in Figura 5.21, ope-
rando idealmente un taglio secondo la superficie S* si ottiene un corpo monocon-
nesso ove le (5.96) garantiscono la continuità degli spostamenti in tutto il volume,
senza peraltro implicare l’uguaglianza degli spostamenti fra i punti separati dalla
superficie S*. Sono pertanto necessarie ulteriori condizioni di congruenza che im-
pongano l’annullarsi degli spostamenti relativi fra questi punti.

Figura 5.21 Corpo


pluriconnesso.

S*
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:51 Pagina 354

354 j Capitolo 5 j Meccanica dei continui

Relazioni fra le componenti dei tensori W ed E


Nell’ipotesi in cui la deformazione e lo spostamento siano funzioni regolari e dif-
ferenziabili fin che si desidera è, inoltre, possibile esprimere le componenti vij
del tensore di rotazione W in funzione delle componenti eij del tensore di defor-
mazione infinitesima E.
Si consideri per esempio la prima delle (5.91) e la si derivi rispetto alla terza
coordinata x3; si ha:

v12,3 5 1u1,2 2 u2,1 2 , 3 5 1u1,32 2 u2,31 2


1 1
(5.97)
2 2
ove si è inoltre applicata l’invertibilità dell’ordine di derivazione (Teorema di
1 Schwarz); aggiungendo e togliendo alla precedente il termine  si perviene alla
 u3,12
2 seguente identità:
v12,3 5 e13,2 2 e23,1 (5.98)
In modo del tutto analogo si ottengono altre identità che possono essere sinteti-
camente espresse mediante l’espressione seguente:
vij,h 5 eih,j 2 ejh,i i, j, h 5 1, 2, 3 (5.99)
Pertanto se il campo delle deformazioni E(x) è sufficientemente regolare, è pos-
sibile mediante le identità (5.99) ottenere le derivate delle componenti di W e,
per integrazione, il tensore di rotazione infinitesima W. È pertanto noto, essendone
nota sia la parte simmetrica sia quella antisimmetrica, il gradiente di spostamento
H. Il vettore di spostamento u(x) può infine essere valutato, se sono soddisfatte
le (5.96), per integrazione.

Condizioni di vincolo o di congruenza al bordo


Alle condizioni di congruenza interna (5.96) occorre affiancare ulteriori condi-
zioni che derivano, come descritto nei capitoli precedenti, dalla presenza di even-
tuali vincoli che lì dove agiscono limitano la cinematica del corpo vincolato.
Per esempio il punto x (ovvero un insieme di punti) della superficie esterna
0@ può essere vincolato a muoversi su una superficie rigida di equazione:
g(y) 5 0 (5.100)
In Figura 5.22 si mostra come può essere realizzato in pratica un vincolo di cer-
niera per una struttura metallica. In un’analisi dello stato di deformazione locale

Figura 5.22 Esempio


di cerniera per strutture
metalliche.

g(y) = 0
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:51 Pagina 355

5.2 j Problema dell’equilibrio dei solidi deformabili, tensioni, tensore di sforzo j 355

occorre tener conto che il generico punto x è vincolato a muoversi sulla superficie
inferiore g.
Occorre pertanto che il punto y, trasformato di x nella configurazione attuale Condizioni di vincolo bilatero
(y 5 x 1 u), appartenga alla superficie, dovendosi verificare:
g(y) 5 g(x 1 u) 5 0 (5.101)
Tenendo presente la piccolezza degli spostamenti è lecito scrivere:
g(x) 1 n` =g 5 0 (5.102)
ove il gradiente =g(x) 5 n definisce la direzione efficace del vincolo e n# è la
direzione normale a n.
Poiché anche il punto x nella configurazione iniziale verifica localmente il
vincolo g(x) 5 0, annullando la proiezione dello spostamento nella direzione ef-
ficace, la (5.102) si riduce alla seguente relazione lineare fra le componenti del
vettore spostamento:
0g 0g 0g
u1 1 u2 1 u3 50 (5.103)
0x1 0x2 0x3
ed equivale a imporre al punto di muoversi sul piano tangente in x alla superficie g.
Altri casi di vincolo possono essere studiati analogamente e comunque com-
portano, nell’ipotesi di piccoli spostamenti, l’annullarsi di combinazioni lineari
delle componenti dello spostamento, ovvero, nei casi più semplici, l’annullarsi
delle stesse.
Si consideri per esempio un vincolo semplice (carrello) che imponga al punto
x di spostarsi sul piano x3 5 0; in tal caso la (5.103) si scrive semplicemente:
u3 5 0
Le condizioni definite dalla (5.103) sono dette condizioni di congruenza esterna.
Talvolta è necessario o utile fare riferimento ai cosiddetti vincoli cedevoli. Sul- Vincoli cedevoli
la natura di tali cedimenti si entrerà altrove nel merito; basti pensare a vincoli che
non costringano rigidamente il punto vincolato a rimanere sulla superficie iniziale
ma che consentano determinati movimenti relativi rispetto a essa proporzionali
alle reazioni vincolari.
Infine, talvolta, i vincoli sono espressi tramite disequazioni del tipo:
g(x 1 u) > 0 (5.104)
che impongono, nella configurazione attuale, al punto di rimanere al di sopra della
superficie g, traducendosi in disequazioni lineari fra le componenti dello sposta-
mento. Questi vincoli vengono detti vincoli unilateri o monolateri. Vincoli monolaterali

5.2 j Problema dell’equilibrio dei solidi


deformabili, tensioni, tensore di sforzo

Lo scopo di questo paragrafo è formulare le condizioni che descrivono l’equilibrio


di un solido deformabile che subisce l’azione di un sistema di forze esterne nella Forze esterne
sua configurazione deformata @ (si sottolinea, tuttavia, che nell’ipotesi di spo-
stamenti e deformazioni piccole risulta peraltro possibile confondere, ai fini dello
studio dell’equilibrio, la configurazione attuale o deformata con quella di riferi-
mento). Si definisce, come nella fisica elementare, forza l’ente che provoca la va-
riazione dello stato di quiete o di moto uniforme di un punto materiale; nel caso
dei solidi deformabili si definiscono forze enti descritti da vettori che inducono
variazioni nella configurazione del corpo.
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:51 Pagina 356

356 j Capitolo 5 j Meccanica dei continui

Nel seguito si prenderanno in considerazione quasi sempre forze che sono appli-
cate a corpi inizialmente in quiete in modo tale da non indurre effetti inerziali; i
campi di accelerazione e di velocità, eventualmente indotti, si considerano quindi
trascurabili.

Le forze
Si assume che le forze agenti su un corpo possano essere classificate nel modo
seguente.

Forze di volume
Esse sono esercitate dall’ambiente sui punti interni al corpo mediante azione a
distanza. Come esempio si consideri innanzitutto l’attrazione di gravità terre-
stre, o di altri astri, esercitata sul corpo; altre interazioni a distanza sono de-
terminate dai campi di accelerazione, dalle azioni centrifughe, dai campi elet-
tromagnetici ecc.
Con riferimento al generico punto x (Figura 5.23), sia DV un volume elemen-
tare interno al corpo, contenente x, e sia Dr il vettore risultante delle forze agenti
su di esso; si assume che esista e sia finito il limite seguente (ciò esclude forze
di volume concentrate):
Dr
b(x) 5 lim (5.105)
DVS0 DV
Forza di volume La b viene chiamata forza di volume (o densità di forza volumetrica) nel punto
x e ha dimensioni [FL23].
Come esempio si consideri la forza di gravità; in tal caso Dr 5 rgDv (ove r è
la densità del mezzo e g l’accelerazione di gravità) ed è diretto verso il centro della
terra, pertanto b ne conserva direzione e verso e coincide col peso specifico.
Si osservi che l’analisi della deformazione svolta in precedenza considera
unicamente lo spostamento u del punto materiale, ovvero solo la traslazione del
punto: per questa ragione nel seguito si assume nullo il momento risultante delle
forze di volume. In altre parole nella presente trattazione non sono ammesse
coppie, né distribuite né concentrate, applicate a punti interni del corpo. Tali
ipotesi, tipiche del presente modello di solido deformabile, detto solido di Cau-
chy, non sono presenti in estensioni successive come quella introdotta agli inizi
del secolo scorso dai fratelli Cosserat, ove sono ammesse distribuzioni volume-
triche di coppie.

Figura 5.23 Forze di ∂′Ꮾ ΔA n


volume b e di superficie f.
x3 Porzione del solido Ꮾ caricata
f
Piano tangente al solido Ꮾ

ΔV x
∂′Ꮾ
b
f

O x2
x1
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:51 Pagina 357

5.2 j Problema dell’equilibrio dei solidi deformabili, tensioni, tensore di sforzo j 357

Forze di superficie
Esse sono esercitate su porzioni 09@ della frontiera del corpo 0@ (o eventualmente
su tutta la frontiera) dal contatto con corpi esterni; per questa ragione si defini-
scono anche forze di contatto esterne.
Si consideri un generico punto x appartenente alla frontiera 09@ del corpo, Fi-
gura 5.23, e per semplicità, si supponga che in x sia definito un piano tangente
di normale n. Si denoti con A l’elemento di superficie sul piano tangente e sia Dr
il vettore risultante delle forze agenti su di esso; si assume che esista e sia finito
il limite (e ciò esclude forze superficiali concentrate):
Dr
f(x) 5 lim (5.106)
DAS0 DA
La f viene denominata forza di superficie (o densità di forza superficiale) nel Forza di superficie
punto x e ha dimensioni [FL22].
Per le stesse considerazioni svolte in precedenza non si considerano distribu-
zioni superficiali di coppie.

Equilibrio del corpo privo di vincoli


Le equazioni cardinali della statica riferite all’intero sistema delle forze esterne
costituiscono unicamente condizioni necessarie per l’equilibrio del corpo consi-
derato privo di vincoli. Infatti per assicurare l’equilibrio del corpo è necessario ve-
rificare che sia in equilibrio ogni sua parte e non solo il corpo nel suo complesso.
Le equazioni cardinali, come precisato nel Capitolo 2, richiedono che il siste- Equazioni di equilibrio
ma delle forze esterne sia staticamente equivalente a un sistema nullo: o cardinali della statica

r 5 3 b dV 1 3 f dA 5 0 (5.107)
b 0b

m 5 3 (x 2 O) 3 b dV 1 3 (x 2 O) 3 f dA 5 0 (5.108)
b 0b

ove r e m rappresentano, rispettivamente, il vettore risultante e il momento risul-


tante rispetto al polo O del sistema di forze; il primo addendo è l’integrale esteso
al volume @ occupato dal corpo delle forze di volume, mentre il secondo rap-
presenta il contributo delle forze di superficie ed è esteso all’intera frontiera @
poiché il corpo è privo di vincoli.

5.2.1 Concetto di tensione


Sezione di Eulero
Si consideri un corpo @ soggetto a un generico sistema di forze in equilibrio. Sia
x un generico punto interno al corpo e si immagini di operare in esso una sezione
S, detta sezione di Eulero, mediante una superficie, non necessariamente piana, Sezione di Eulero
che separi il corpo in due parti, @1 e @2 (Figura 5.24).
Per effetto delle sole forze esterne ciascuna parte non è in equilibrio; infatti
solo nel loro insieme le azioni esterne sono equivalenti a un sistema nullo. Il prin-
cipio di separazione di Eulero assume l’esistenza di un campo di forze interne Forze interne
superficiali di contatto, rispettivamente t1 e t2, che le due parti si scambiano at-
traverso S e che assicurano separatamente l’equilibrio di @1 e @2. Infatti se è in
equilibrio un corpo deve esserlo ogni sua parte.
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:51 Pagina 358

358 j Capitolo 5 j Meccanica dei continui

f
Ꮾ+

x3 – + x3
Ꮾ+ n =–n x
+
t
π
x
S –
t S
Ꮾ –
+
n Ꮾ–
O x2 O x2
f
x1 x1
f

Figura 5.24 Sezioni di Eulero.

Tali distribuzioni superficiali di forze interne t non sono osservabili sperimental-


mente, ma costituiscono un costrutto mentale utile alla formulazione dell’equili-
brio dei corpi deformabili.

Postulato di Cauchy
È naturale attendersi che la forza di contatto interna t dipenda non solo dal punto
x ma anche dalla sezione S. Il postulato di Cauchy assume che abbiano la stessa
forza di contatto interna tutte le possibili sezioni, sufficientemente regolari, che han-
no in x il medesimo piano tangente di normale n (Figura 5.25); tale forza specifica
Vettore tensione di Cauchy prende il nome di vettore tensione nel punto x secondo il piano p di normale n.
Con riferimento alla Figura 5.25 sia Dr il vettore risultante dell’azione super-
ficiale trasmessa in x attraverso l’area elementare DAn, si assume che esista e sia
finito il limite:

Figura 5.25 Il vettore


di tensione t dipende
dalla normale n al piano p. n

x3 r

x
Δ An

f Ꮾ n

O x2
x1 π
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:51 Pagina 359

5.2 j Problema dell’equilibrio dei solidi deformabili, tensioni, tensore di sforzo j 359

Figura 5.26 Un
qualunque elemento ᏼ,
interno al corpo @,
x3 in equilibrio.

O x2
x1

Dr
t(x, n) 5 lim (5.109)
DAn S0 DAn
Si osservi che nei corpi solidi, a differenza di quanto accade nei gas o nei liquidi
perfetti, t e r non sono, in genere, diretti secondo la normale n. Si osservi inoltre,
in analogia a quanto asserito nel paragrafo precedente, che nel modello di Cauchy
non sono presenti coppie di sforzo interne, presenti invece nei continui di Cosserat.

Equazioni di equilibrio
Il concetto di tensione sopra esposto consente di definire delle relazioni sufficienti
a garantire l’equilibrio di ogni parte del corpo.
Si consideri, Figura 5.26, un arbitrario volume ᏼ, di frontiera 0ᏼ, interno a
@, contenente il generico punto x. Gli assiomi di Eulero (o più in generale i prin- Assiomi di Eulero
cipi di conservazione della quantità di moto e del momento della quantità di moto)
assumono che ᏼ sia in equilibrio sotto l’azione delle forze di volume b e delle
forze di contatto interne t. Pertanto dovranno risultare nulli il loro vettore risultante
r* e il loro momento m*, risultante rispetto all’origine O

r* 5 3 b dV 1 3 t(n, x) dA 5 0 (5.110)
p 0p

m* 5 3 (x 2 O) 3 b dV 1 3 (x 2 O) 3 t(n, x) dA 5 0 (5.111)
p 0p

Si consideri ora il corpo suddiviso nelle due parti @1 e @2 (Figura 5.24); l’ap-
plicazione degli assiomi sopra esposti comporta:
t1 5 t(x, n1) 5 2t2 5 t(x, n2) 5 t(x, 2n1) (5.112)
che rappresenta il principio di azione e reazione per i continui deformabili. Principio di azione e reazione

5.2.2 Tensore degli sforzi di Cauchy


Il vettore di tensione può essere rappresentato (Figura 5.27), oltre che nel riferi-
mento esterno (O, x1, x2, x3), rispetto a una terna locale ortogonale avente un asse
coincidente con la normale n al piano p.
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:51 Pagina 360

360 j Capitolo 5 j Meccanica dei continui

Figura 5.27 Componenti


normali e tangenziali
di tensione.
n
x3
σn

x t

O x2
x1 π

Tensione normale Si definisce tensione normale o componente normale di tensione la proiezione


del vettore tensione t sulla normale n

sn 5 nTt(x, n) (5.113)

Tensione tangenziale e componente tangenziale t la sua proiezione sul piano p che, omettendo nel se-
guito per semplicità di notazione la dipendenza del vettore di tensione dal punto
e dalla normale, si scrive:

t 5 t 2 snn (5.114)

che a sua volta può essere decomposta lungo due direzioni assegnate.
Si considerino nel punto x tre piani paralleli ai piani coordinati (di normali
e1, e2, e3). Su questi piani agiscono rispettivamente i vettori tensione t1 5 t(e1),
t2 5 t(e2), t3 5 t(e3). Le nove componenti dei vettori tensione t1 5 t(e1), t2 5 t(e2),
t3 5 t(e3) definiscono le componenti speciali di tensione, che, come si mostrerà,
Tensore di sforzo di Cauchy sono le componenti sij del tensore degli sforzi di Cauchy T:
s11 s12 s13
T 5 C 21 s22 s23 S
s (5.115)
s31 s32 s33

A titolo illustrativo si consideri (Figura 5.28), il punto x e il relativo intorno del


corpo @ rappresentati da un piccolo cubo avente le facce parallele ai piani co-
ordinati. Si considerino le due facce opposte ortogonali all’asse x2; il vettore
tensione t su tali facce risulta (ponendo come secondo indice quello che denota
la normale):

s12 2s12
t2 5 t21 5 T e2 5 £ s22 § t2
2 5 T(2e2) 5 £ 2s22 § 5 2t2 (5.116)
s32 2s32

Risulta quindi che la seconda colonna di T rappresenta il vettore t2, mentre la


tensione sulla faccia opposta ha segno opposto. Analogamente la prima e terza
colonna rappresentano la tensione sulle facce di normale rispettivamente n1 e n3.
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:51 Pagina 361

5.2 j Problema dell’equilibrio dei solidi deformabili, tensioni, tensore di sforzo j 361

Figura 5.28 Componenti


x3 del tensore degli sforzi.
σ33

σ23
σ32
σ13
σ12
σ 22 σ31 σ22
σ12
σ32 O σ 21 x2
σ11

x1

Tale rappresentazione evidenzia come le componenti sulla diagonale principale


s11, s22, s33 costituiscano le tensioni normali sui piani coordinati mentre le com-
ponenti con indici distinti sij(i ? j) individuano le tensioni tangenziali.

Vettore tensione su un piano di normale n: teorema di Cauchy


È possibile ora dimostrare la seguente proprietà del tensore degli sforzi:

Il vettore di tensione t(x, n) dipende linearmente da n tramite il tensore degli sforzi


T(x), secondo la relazione t 5 T n.

Si consideri un punto x interno al solido e un piano p, passante per esso, avente


normale n; si consideri inoltre un triedro di dimensioni infinitesime, interno a @,
avente tre facce parallele ai piani coordinati e la quarta parallela a p (Figura 5.29).
Su quest’ultima agisce il vettore di tensione t 5 [t1, t2, t3]T, mentre, per
quanto detto in precedenza, i vettori di tensione sulle prime tre facce risultano
rispettivamente:

Figura 5.29 Tetraedro


x3 di Cauchy.
t n

−σ12 −σ11
−σ22 −σ21
−σ
O 13
−σ31
−σ32 x2
−σ23

−σ33
x1
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:51 Pagina 362

362 j Capitolo 5 j Meccanica dei continui

t2 T
1 5 [2s11, 2s21, 2s31] ,

t2 T
2 5 [2s12, 2s22, 2s32] ,

t2
3 5 [2s13, 2s23, 2s33]
T

Inoltre all’interno del tetraedro agisce la forza di volume b. Nel caso in esame
l’equilibrio alla traslazione del triedro [Equazione (5.110)] comporta:

2s11 Ds12s12 Ds22s13 Ds3 1 t1 Ds 1 b1 DV 5 0

2s21 Ds12s22 Ds22s23 Ds3 1 t2 Ds 1 b2 DV 5 0 (5.117)

2s31 Ds12s32 Ds22s33 Ds3 1 t3 Ds 1 b3 DV 5 0

ove Ds1, Ds2, Ds3 e Ds sono rispettivamente le aree sulle facce parallele ai piani
coordinati e a p, e V è il volume del tetraedro. Detti n1, n2, n3 i coseni direttori
di n si ha

Ds1 5 n1 Ds Ds2 5 n2 Ds Ds3 5 n3 Ds (5.118)

Volendo rappresentare localmente in x le (5.117), ossia facendo tendere a zero


l’elemento di volume DV, esso rappresenta un infinitesimo di ordine superiore ri-
spetto a s e pertanto il contributo delle forze di massa risulta trascurabile, essendo
b limitato; inoltre, tenendo conto delle (5.118) il sistema (5.117) può essere scritto
nella forma:

2s11n1 2 s12n2 2 s13n3 1 t1 5 0

2s21n1 2 s22n2 2 s23n3 1 t2 5 0 (5.119)

2s31n1 2 s32n2 2 s33n3 1 t3 5 0

ovvero in modo equivalente

t5Tn (5.120)

La relazione precedente mostra che è sufficiente conoscere il vettore di tensione


su tre giaciture ortogonali e cioè conoscere il tensore degli sforzi, per conoscere
il vettore di tensione t su una giacitura qualunque. La (5.120) definisce anche T
come il tensore che applicato al generico versore n fornisce il vettore di tensione
sulla giacitura da esso individuata.
Teorema di Cauchy Una dimostrazione più rigorosa di questo teorema è riportata in [M.E. Gurtin
1971].
Noto t, si possono calcolare la componente normale sulla giacitura s 5 t ? n
#
 0t0 5 "t t 2 s2 (Figura 5.27) e la componente tangenziale .

j Esempio 5.7 Tensioni normali

Come detto, i termini sulla diagonale principale di T rappresentano le tensioni


normali sui piani coordinati.
In Figura 5.30 è rappresentato un parallelepipedo soggetto unicamente a ten-
sione normale sulle facce di normale n 5 [1, 0, 0]T.
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:51 Pagina 363

5.2 j Problema dell’equilibrio dei solidi deformabili, tensioni, tensore di sforzo j 363

n
x2 ϕ = π/4 x2
n

σn
t

x1 x1
x3 π x3
a) b)

Figura 5.30 Stato di tensione monoassiale di trazione di direzione x1.

Lo stato di tensione viene detto monoassiale e il tensore degli sforzi assume la Stato di sforzo monoassiale
forma:

s11 0 0
T 5 £ 0 0 0§ (5.129)
0 0 0

In particolare se s11 . 0, lo stato di tensione è detto di trazione monoassiale,


viceversa se s11 , 0, si ha compressione monoassiale.
In Figura 5.30b è mostrata la tensione t sul piano inclinato di p>4 rispetto "2 "2
n5 c ,0d
T
all’asse x1,  di normale. Tramite il teorema di Cauchy (5.120) si ottiene: ,
2 2
"2
"2
s11 0 0 2 s11
t(n) 5 £ 0 0 0 § E "2 U 5 D 2 T (5.122)
0
0 0 0 2
0
0
e in virtù delle (5.113) e della (5.114) risulta:
s11
sn 5 nTt 5 (5.123)
2

"2 "2
"2 s11
s11 4 4
2
t 5 t 2 snn 5 D T 2 E "2 U 5 s11E "2 U (5.124)
0 s 2
4 11 4
0
0 0
Le relazioni precedenti, che possono anche essere ottenute con semplici consi-
derazioni di equilibrio, mostrano come al variare della giacitura anche in uno
stato di tensione normale monoassiale risultino presenti tensioni tangenziali.
Si consideri, ora, un parallelepipedo con facce parallele ai piani coordinati e
soggetto a tensioni normali sulle superfici laterali di normali n1 5 [1, 0, 0]T e
n2 5 [0, 1, 0]T mentre le tensioni tangenziali sono nulle (Figura 5.31). Uno stato
di tensione normale di questo tipo viene detto biassiale e il tensore degli sforzi Stato di sforzo biassiale
assume la forma: o piano
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:51 Pagina 364

364 j Capitolo 5 j Meccanica dei continui

Figura 5.31 Tensione x2


normale biassiale, σ22 > 0
di trazione secondo l’asse x2
e di compressione
secondo l’asse x1.

σ11 < 0 σ11 < 0

x1

x3 σ22 > 0

s11 0 0
T 5 £ 0 s22 0 § (5.125)
0 0 0

Infine, se tutti i termini sulla diagonale principale del tensore degli sforzi sono
non nulli, mentre le tensioni tangenziali sono uguali a zero, si ha tensione nor-
Stato di sforzo triassiale male triassiale:

s11 0 0
T 5 £ 0 s22 0 § (5.126)
0 0 s33

Stato di sforzo sferico Nel caso s11 5 s22 5 s33 5 p lo stato di tensione si dice idrostatico o sferico,
in ricordo degli stati di pressione presenti nei liquidi perfetti o nei gas. Si defi-
Tensione idrostatica nisce tensione media o idrostatica la quantità
1
p5 (s 1 s22 1 s33) (5.127)
3 11
costituente la media delle tensioni normali.

Proprietà del tensore degli sforzi


Viene nel seguito presentata una forma puntuale delle condizioni sufficienti di
equilibrio in funzione del tensore degli sforzi di Cauchy.

Equazioni indefinite di equilibrio L’equilibrio alla traslazione di un arbi-


trario volume ᏼ, di frontiera 0ᏼ, interno al corpo @ comporta [Equazione (5.110)]:

3 b dV 1 3 t dA 5 0 (5.128)
p 0p

Si consideri, per semplicità, l’equilibrio in direzione x1 sostituendo, in virtù del teo-


rema di Cauchy [Equazione (5.120)], al vettore di tensione il tensore di sforzo T.

3 b1dV 1 3 (s11n1 1 s12n2 1 s13n3)dA 5 0 (5.129)


p 0p
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:51 Pagina 365

5.2 j Problema dell’equilibrio dei solidi deformabili, tensioni, tensore di sforzo j 365

applicando la formula di Gauss-Green per trasformare l’integrale di superficie in


integrale di volume e raccogliendo sotto un unico segno di integrale, si ottiene

0s11 0s12 0s13


3 a b1 1 0x 1 0x 1 0x b dV 5 0 (5.130)
1 2 3
p

Poiché l’equilibrio deve essere verificato per un arbitrario volume interno ᏼ, è


necessario, nelle ipotesi di regolarità introdotte per la tensione, che si annulli iden-
ticamente la funzione integranda.
Considerando ora l’equilibrio nelle rimanenti direzioni x2 e x3 e ripetendo
il procedimento, si ottengono le tre equazioni indefinite di equilibrio o di equi- Equazioni indefinite
librio locale: di equilibrio

0s11 0s12 0s13


1 1 1 b1 5 0
0x1 0x2 0x3

0s21 0s22 0s23


1 1 1 b2 5 0 (5.131)
0x1 0x2 0x3

0s31 0s32 0s33


1 1 1 b3 5 0
0x1 0x2 0x3

che possono essere espresse in forma compatta

divT 1 b 5 0 (5.132)
ove div(?) è l’operatore divergenza.
È possibile derivare le equazioni indefinite di equilibrio per altra via operando
in modo del tutto analogo a quanto fatto nel caso delle travi nel Capitolo 2. Si
consideri (Figura 5.32) un elemento di volume infinitesimo a forma di parallele-
pipedo con facce parallele ai piani coordinati e lunghezza degli spigoli rispetti-
vamente pari a dx1 dx2 e dx3.
Le ipotesi di regolarità precedentemente introdotte consentono di sviluppare
in serie di Taylor, con punto iniziale l’origine, le componenti di T, in particolare,
considerando un incremento della coordinata xj si ha:
0sij
sij(xj 1 dxj)>sij 1 dxj (5.133)
0xj

x2 Figura 5.32 Equilibrio


∂σ12 dell’elemento di volume
σ12 + dx2
∂x2 in direzione x1.

dx2
∂σ 11
σ13 σ11 + dx1
σ11 ∂x1

dx3 x1

σ12 ∂σ13
σ13 + dx3
∂x3
x3 dx1
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:51 Pagina 366

366 j Capitolo 5 j Meccanica dei continui

Figura 5.33 Simmetria x2


del tensore degli sforzi.

s12 + 0s12 dx2


0x2
dx2
s21 + 0s21 dx1
s21 e2 0x1
O
e3 e1 x1
s12 dx3

dx1

x3

L’equilibrio del parallelepipedo alla traslazione in direzione x1 comporta:


0s11 0s12 0s13
a 1 1 1 b1 b dx1dx2dx3 5 0 (5.134)
0x1 0x2 0x3

da cui segue la prima delle (5.131).

Simmetria del tensore degli sforzi Si consideri, per semplicità, un elemento


infinitesimo di volume di forma cubica, appartenente a un intorno di x, con le
facce parallele ai piani coordinati e spigoli di lunghezze dxi, s12 e s21 agenti ri-
spettivamente sui piani di normali 6 e2 e 6 e1 e riportate da sole, con i loro in-
crementi in Figura 5.33. Le uniche componenti di T che concorrono all’equilibrio
alla rotazione attorno all’asse x3 sono le componenti tangenziali; pertanto, trascu-
rando l’eventuale contributo delle forze di volume b (che dipende da una potenza
di ordine superiore di dx) si ha:
2(s12dx1dx3) dx2 1 (s21dx2dx3) dx1 5 0 (5.135)
da cui risulta s12 5 s21. Scrivendo, in modo analogo, l’equilibrio alla rotazione
attorno alle altre direzioni coordinate ne risulta che:
s13 5 s31
(5.136)
s23 5 s32

Simmetria delle tensioni e pertanto T è simmetrico


tangenziali
T 5 TT (5.137)
Simmetria del tensore di sforzo Tale proprietà può essere dimostrata in generale per stati di tensione non omogenei.
Si ritiene opportuno sottolineare un’importante diversità fra le travi e i mezzi
continui. Nel caso delle travi le equazioni indefinite di equilibrio sono tante quante
le caratteristiche dell’azione interna e possono, pertanto, essere determinate di-
rettamente, mentre nel caso dei mezzi continui si hanno unicamente tre equazioni
di equilibrio che non possono consentire da sole la determinazione delle sei com-
ponenti distinte del tensore T.

L’equilibrio al bordo Si consideri un punto x sulla frontiera 0@ del corpo


ove sono applicate forze di superficie di intensità f (Figura 5.34); si supponga
inoltre che ivi sia definito il piano tangente p e si denoti con n il versore della
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:52 Pagina 367

5.2 j Problema dell’equilibrio dei solidi deformabili, tensioni, tensore di sforzo j 367

Figura 5.34 Equilibrio


n al bordo.

x3 x Porzione del solido Ꮾ caricata


f
Piano tangente al solido Ꮾ in x

∂′Ꮾ x*

O x2
x1

normale in x uscente da @. Si consideri inoltre un punto x* interno a @ e appar-


tenente a un intorno infinitesimo di x. L’applicazione del teorema di Cauchy con-
sente di definire il vettore di tensione in x* su una giacitura parallela al piano p
di normale n
t(x*, n) 5 T(x*) n (5.138)
Sotto opportune ipotesi di regolarità è possibile definire il vettore di tensione nel
punto x sulla frontiera 09@:

t(x, n) 5 lim
*
t(x*, n) (5.139)
x Sx

che per equilibrio deve risultare coincidente con la densità delle forze superfi-
ciali applicate:
f(x) 5 t(x, n) per x P09@ (5.140)
L’equazione precedente scritta per esteso assume la forma:

f1 5 s11n1 1 s12n2 1 s13n3

f2 5 s21n1 1 s22n2 1 s23n3 (5.141)

f3 5 s31n1 1 s32n2 1 s33n3

Queste relazioni costituiscono le equazioni di equilibrio al bordo e correlano le Equazioni di equilibrio


forze di contatto esterne in x con le tensioni ivi emergenti dall’interno. al contorno

L’equilibrio di un mezzo continuo Le equazioni che descrivono l’equilibrio Equilibrio del mezzo continuo
di un corpo continuo risultano in definitiva:
1. equazioni cardinali della statica per il sistema di forze esterne [Equazioni
(5.107) e (5.108)];
2. equazioni indefinite di equilibrio in @ [Equazione (5.132)];
3. simmetria del tensore degli sforzi; T 5 TT in @;
4. equazioni di equilibrio al bordo su 0@ [Equazione (5.141)].

Come osservato il campo di tensione è definito da sei componenti incognite s11,


s22, s33, s12, s13, s23 da determinare con sole tre equazioni di equilibrio di campo
e al contorno. Il problema risulta pertanto indeterminato.
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:52 Pagina 368

368 j Capitolo 5 j Meccanica dei continui

5.2.3 Tensioni principali e direzioni principali di tensione


Tra tutti gli infiniti piani passanti per il punto x si cercano le giaciture su cui è
presente unicamente la tensione normale sn, cioè quelle su cui il vettore di ten-
sione t ha direzione coincidente con la normale n al piano, essendo nulla la ten-
sione tangenziale (Figura 5.35). Le direzioni e i corrispondenti piani su cui agisce
Direzioni principali di tensione solo la tensione normale vengono denominati direzioni e piani principali e la cor-
Tensioni principali rispondente tensione è denominata tensione principale.
Pertanto su un piano principale il vettore tensione ha la forma:
t 5 sn (5.142)
ove s è il valore della tensione presente.
Per il teorema di Cauchy, in corrispondenza di tali piani deve risultare:
Tn 5 t 5 sn (5.143)
La (5.143) con la posizione n 5 In si trasforma nella seguente equazione
omogenea negli incogniti coseni direttori ni:
(T 2 s I)n 5 0 (5.144)
La ricerca delle tensioni principali e delle corrispondenti direzioni principali cor-
risponde dunque, anche in questo caso, alla soluzione del problema agli autovalori
Equazione di autovalori (5.144). Il problema ammette, come noto, tre coppie di soluzioni (autovalore–au-
tovettore) che vengono ottenute imponendo al sistema omogeneo di ammettere
Equazione caratteristica soluzioni diverse dalla banale, cosa che è espressa dall’equazione caratteristica:
det(T 2 sI) 5 2s3 1 I1s2 2 I2s 1 I3 5 0 (5.145)
dove:

I1 5 s11 1 s22 1 s33

I2 5 s11s22 1 s11s33 1 s22s33 2 s212 2 s213 2 s223 (5.146)

I3 5 detT

Invarianti del tensore di sforzo sono funzioni delle componenti di T dette invarianti di tensione, poiché risultano
indipendenti dal sistema di riferimento. L’equazione cubica (5.145) ammette tre
soluzioni reali chiamate autovalori di T o tensioni principali che, se distinte, ven-

Figura 5.35 Tensione su x3 x3


un piano generico a);
tensione su un piano t
n n
principale b).

x x

O x2 O x2

x1 a) x1 b)
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:52 Pagina 369

5.2 j Problema dell’equilibrio dei solidi deformabili, tensioni, tensore di sforzo j 369

gono di norma ordinate in ordine decrescente sI > sII > sIII; a queste sostituite
ordinatamente nel sistema (5.144) corrispondono i tre autovettori nI, nII e nIII so-
luzioni del sistema omogeneo (5.144), utilizzando la condizione riguardante i ver-
sori: n12 1 n22 1 n32 5 1.
Si ricorda inoltre che, per una nota proprietà degli autovalori, la più grande e
la più piccola delle tensioni principali costituiscono rispettivamente la tensione
normale massima e minima fra tutte quelle presenti sui piani della stella nel punto
considerato.

Classificazione degli stati tensionali


Uno stato tensionale dicesi triassiale se le tre tensioni principali sono diverse da Stati di sforzo: triassiale,
zero, mentre dicesi biassiale ovvero monoassiale se il tensore di sforzo T presenta biassiale, monoassiale
rispettivamente uno o due autovalori nulli.
Uno stato biassiale dicesi anche piano in quanto il vettore di tensione t ap-
partiene, qualunque sia la giacitura che si considera, a un piano, detto piano delle
tensioni, che è ortogonale alla direzione principale m, tTm 5 0, associata all’au-
tovalore nullo (Figura 5.36).
Un’analisi dell’equazione caratteristica (5.145) mostra facilmente che:
• uno stato tensionale è biassiale se I3 5 0; 1
T5 I1I
• uno stato tensionale è monoassiale se I3 5 I2 5 0. 3

Uno stato triassiale dicesi idrostatico, , se le tre tensioni principali coincidono, Stato di sforzo idrostatico
cioè se risulta: .
Infine si dice tensore deviatore di sforzo il tensore , ottenuto sottraendo a Tensore deviatore di sforzo
T la sua parte idrostatica:
I1
 sI 5 sII 5 sIII 5
a s11 2 b
I1
s12 s13 3
3

a s22 2 b
I1
TD 5 F s12 s23 V 1
3 (5.147)  TD 5 T 2 I1I
3
a s33 2 b
I1
s13 s23
3

x3 x3 ≡ m Figura 5.36 Stato


di tensione biassiale o piano,
il vettore t appartiene
al piano x3 5 0.

σ22 σn σn
σ21 σ12 t t
π
σ11 x2

π1 π2

x1
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:52 Pagina 370

370 j Capitolo 5 j Meccanica dei continui

5.2.4 Spazio di Haig-Westergaard


È agevole verificare che il tensore deviatorico di sforzo TD presenta gli stessi au-
Vettore tensione principale tovettori (nI, nII, nIII) del tensore di sforzo T e valori principali raccolti nel vettore
deviatorico tensione principale deviatorico:
II
sI 2
3
sI
sD 5 £ sII § 5 F sII 2 V
II
3 (5.148)
sIII
II
sIII 2
3
forniti dalle differenze fra tensione principale e tensione media sm 5 II>3.
Per alcune applicazioni connesse con lo studio degli stati tensionali, in par-
ticolare per le applicazioni in Plasticità, è molto utile la rappresentazione del
Spazio delle tensioni principali tensore di sforzo T nello spazio delle tensioni principali detto anche spazio di
di Haig-Westergaard Haig-Westergaard.
Si consideri a questo scopo lo spazio vettoriale euclideo tridimensionale rife-
rito alla base delle direzioni principali di sforzo (O, nI, nII, nIII), nel quale si rap-
presenta il vettore le cui componenti sono le tensioni principali organizzate nel
Vettore tensione principale vettore tensione principale sP 5 [sI, sII, sIII]T.
1 0 0 I tensori di sforzo idrostatici, del tipo  presentano vettore tensione principale
 T 5 a £ 0 1 0 § 5 aI del tipo sP 5 a[1 1 1]T.
Nello spazio delle tensioni principali il versore , equinclinato rispetto alle
0 0 1
tre direzioni principali, definisce il cosiddetto asse idrostatico di sforzo, in quan-
 to i vettori sforzo principali aventi la sua direzione sono del tipo idrostatico; i
m531>"3 1>"3 1>"3 4 T vettori di sforzo idrostatico del tipo sP 5 a[1 1 1]T sono coassiali con l’asse
idrostatico m.
Nello spazio delle tensioni principali il piano di equazione sI 1 sII 1 sIII
definisce il cosiddetto piano deviatorico D, che risulta ortogonale all’asse m.
s11 s12 s13 Con riferimento a un generico tensore di sforzo , avente tensioni principali
 T 5 £ s21 s22 s23 § (sI, sII, sIII) e tensione media , è stata qui sopra enunciata la scomposizione
s31 s32 s33 nelle sue parti idrostatica e deviatorica T 5 T i 1 TD, ove
s11 2 II>3 s12 s13
 sm 5 p 5 II>3 5 T 5 I, e TD 5 3sij 4 5 £ s22 2 II>3 § (5.149)
i
II
s21 s23
s33 2 II>3
3
5(s111s221s33)>35 s31 s32
5 (sI 1 sII 1 sII)>3 Nello spazio delle tensioni principali la proiezione del vettore tensione principale
sP 5 [sI sII sIII]T sull’asse m determina l’intensità [sP ? m 5 (sI 1 sII 1
Vettore sforzo idrostatico sIII)>Á3] del vettore idrostatico si 5[(sI 1 sII 1 sIII)>Á3] m, coassiale con m, il
quale rende conto della parte idrostatica del tensore di sforzo.
Vettore deviatorico Inoltre il vettore tensione principale deviatorico
sD 5 3(sI 2 II>3) (sII 2 II>3) (sIII 2 II>3)4 T
avente per componenti le tensioni principali (5.148) del deviatore di sforzo TD,
tiene conto della parte deviatorica del tensore di sforzo. sD risulta ortogonale a
Piano deviatorico m e appartiene quindi al piano deviatorico D. È agevole verificare che i vettori
idrostatico si e deviatorico sD costituiscono rispettivamente le componenti secon-
do m e nel piano deviatorico D del vettore tensione principale sP, essendo sod-
disfatta la:
sP 5 si 1 sD
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:52 Pagina 371

5.2 j Problema dell’equilibrio dei solidi deformabili, tensioni, tensore di sforzo j 371

Figura 5.37 Spazio di


sIII Haig-Westergaard.
1
3
sP m 1
3
1
3
sd si
O s II
=0
D +s
III
sII
sI sI+

La scomposizione nello spazio vettoriale di Haig-Westergaard di sP, tramite le


sue componenti idrostatica si e deviatorica sD, sono molto utili dal punto di vista
geometrico per la discussione e rappresentazione di stati di sforzo in condizione
limite e dei criteri di resistenza dei materiali (Figura 5.37).

Stato di tensione biassiale o piano j Esempio 5.8

Sia assegnato un tensore degli sforzi in cui siano nulle tutte le componenti di
pedice 3 e tale che il generico vettore di tensione t appartenga al piano ortogonale
all’asse x3:

s11 s12 0
T 5 £ s12 s22 0 § (5.150)
0 0 0

si vogliono determinarne le direzioni e le tensioni principali.


Il procedimento risolutivo coincide con quello relativo allo stato di deformazione
biassiale, presentato nel Paragrafo 5.2.3. Le tensioni principali nell’ipotesi in
cui siano di segno opposto per non contraddire l’ordine assunto, risultano:

s11 1 s22 ; "(s11 2 s22)2 1 4s212


` f 5
sI
sIII 2
(5.151)
sII 5 0

Sostituendo una delle tensioni principali non nulle sI e sIII nelle prime due righe
del sistema lineare (5.144) si ottiene:

(s11 2 sI,III)n1 1 s12n2 5 0


(5.152)
s12n1 1 (s22 2 sI,III)n2 5 0

Mentre dalla terza riga si ricava n3 5 0. Imponendo inoltre che n abbia modulo
unitario si ha
n12 1 n22 5 1 (5.153)
Pertanto le direzioni principali risultano
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372 j Capitolo 5 j Meccanica dei continui

1 1
s2s11 2 22 s2s11 s2s11 2 22
nI, nIII5; e c11a b d ,a b c11a b d ,0f
T
(5.154)
s12 s12 s12

Alla tensione principale sII 5 0 risulta inoltre associata la direzione dell’asse x3.

j Esempio 5.9 Stato di tensione biassiale tangenziale

Nel caso della tensione biassiale tangenziale (Figura 5.38) in cui risulta
s11 5 s22 5 si3 5 0 si ottengono le seguenti tensioni e direzioni principali


sI 5 s12
"2 "2
nI 5 ; c ,0d
T
,
2 2

e
sII 5 0
(5.155)
nII 5 ;30,0,14 T


sIII 5 2s12
"2 "2
nIII 5 ; c ,0d
T
,2
2 2

Alla tensione tangenziale agente sui piani coordinati corrispondono due direzioni
principali nI e nIII ruotate di 45° su cui agiscono rispettivamente le tensioni prin-
cipali di trazione e compressione sI 5 s12 e sII 5 2s12, come mostrato in
Figura 5.38. Per questo risultato si veda anche l’Esempio 5.15.

Trasformazione di T al variare della base cartesiana


La ricerca delle direzioni principali ha evidenziato come al ruotare degli assi del
riferimento cambino le componenti di T. Per determinare la legge di trasforma-
zione delle componenti del tensore degli sforzi si ricorda che il vettore di tensione
nel riferimento ruotato t9 è espresso in funzione del suo valore t nel riferimento
iniziale tramite la:

t9 5 R t (5.156)

Figura 5.38 Tensione x2 nIII nI


biassiale tangenziale. σ12 nI
sIII = – σ12 sI = σ12

σ21 = σ12 σ21 = σ12

sI = σ12
sIII = – σ12

x x1
σ12 –nI nIII
nII
nIII
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:52 Pagina 373

5.2 j Problema dell’equilibrio dei solidi deformabili, tensioni, tensore di sforzo j 373

dove R è il tensore di rotazione. Si consulti il Paragrafo 5.4.8 per la trattazione


generale.
Analogamente il versore n della normale al piano su cui viene valutata la ten-
sione si trasforma secondo la

n9 5 R n (5.157)
Ricordando che R è un tensore ortogonale (R21 5 RT) il teorema di Cauchy com-
porta:

t 5 T n 5 T RT n9 (5.158)
premoltiplicando entrambi i membri della seconda uguaglianza per R si ha:

t9 5 (R T RT) n9 (5.159)
da cui si ottiene la cercata relazione della trasformazione di T in T9 Trasformazione di T al variare
della base
T9 5 R T RT (5.160)

Trasformazione di un stato di tensione piano. Direzioni principali di sforzo. j Esempio 5.10

Si consideri il seguente stato di tensione biassiale:

s11 s12 0
T 5 £ s12 s22 0 § (5.161)
0 0 0

Il sistema di riferimento ruoti di un angolo w attorno all’asse x3 (Figura 5.39) e


dunque risulti:

cos w sen w 0
R 5 £ 2 sen w cos w 0 § (5.162)
0 0 1

Sostituendo le espressioni precedenti di T e R nella (5.160) si ottengono le se-


guenti componenti non nulle di T9

s9 11 5 s11 cos 2w 1 s22 sen 2w 1 s12 sen 2w

σ22 Figura 5.39


Trasformazione di uno stato
tensionale piano al ruotare
σ′22 σ12 del riferimento.
σ′12 σ′12 σ′11

x2

x′1
x′2
σ21
ϕ
O x1 σ11
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374 j Capitolo 5 j Meccanica dei continui

s9 22 5 s11 sen 2w 1 s22 cos 2w 2 s12 sen 2w (5.163)

(s11 2 s22)
s9 12 5 s12 cos 2w 2 sen 2w
2
Nel caso considerato di stato piano di tensione con x3 direzione principale a ten-
sione nulla, le altre due direzioni principali appartenenti al piano (x1, x2) possono
essere determinate cercando l’angolo per cui si annulla la componente tangen-
ziale s912, quindi risolvendo l’equazione
(s11 2 s22)
s912 5 s12 cos 2w 2 sen 2w 5 0 (5.164)
2
Nei casi in cui le tensioni normali siano diverse (s11 ? s22), si ottiene:
2s12
tan 2w 5 (5.165)
s11 2 s22

che fornisce:

arctan a b
1 2s12
w5 (5.166)
2 s11 2 s22

Viceversa, se s11 5 s22 risulta w 5 6 p>2

5.2.5 Cerchio di Mohr per le tensioni: trattazione


generale
La costruzione del cerchio di Mohr per le tensioni costituisce un metodo assai
sintetico e pratico per la rappresentazione anche grafica dello stato di tensione in
un punto del solido. Esso determina lo stato di tensione su particolari piani, e
s11 t12 t13
 T 5 £ t21 s22 t23 §
consente di dedurre talune qualità dello stato di tensione. In un approccio generale,
si consideri la base cartesiana (O, e1, e2, e3) centrata nel punto del solido consi-
t31 t32 s33 derato. Il tensore di sforzo di Cauchy, in questa base, sia  (Figura 5.40). Con-

Figura 5.40
Stato di tensione
a nella base (x1 , x2 , x3 )
x3
x3

s33

t3n t23
t t13 t32
t31
t21 s22 x 2
s11 t12

tln m x2
sn x1
,
n

x1
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5.2 j Problema dell’equilibrio dei solidi deformabili, tensioni, tensore di sforzo j 375

sideriamo ora un piano a, appartenente al fascio di piani che si appoggia all’asse


e3, definito dal versore della normale uscente nT 5 [n1 n2 0], formante con la
direzione e1 l’angolo m (Figura 5.40). Il piano a interseca quello (x1, x2) nella
retta , normale a n e a e3, sulla quale si fissa la direzione ,T 5 [n2 2n1 0], talché
la base (O, ,, n, e3) sia congruente con quella (O, e1, e2, e3). Si vuole ora deter-
minare il vettore della tensione t agente sul piano a e le sue due componenti sn,
t,n agenti nel piano (x1, x2) aventi rispettivamente le direzioni di n e ,. Grazie al
teorema di Cauchy (5.120), si ottiene , dalla quale
s11n11t12n2
sn 5 t # n 5 s11n21 1 s22n22 1 2t12n1n2 (5.167)  t5T # n5£ s 22n21t12n1 §
t13n11t23n2
tln 5 t # < 5 1s11 2 s22 2 n1n2 1 t12 1n22 2 n21 2 (5.168)
Sottraendo ai due membri della (5.167) la quantità  si perviene alla
s11 1 s22

5 1s11 2 s22 2 a n21 2 b 1 2t12n1n2
s11 1 s22 1 2
sn 2 (5.169)
2 2

Quadrando le (5.168) e (5.169) e sommando membro a membro si ottiene:

a sn 2 b 1t2ln 5 1s11 2s22 2 2 c a n21 2 b 1n21n22 d 1


s11 1s22 2 1 2
2 2

1t212 34n21n22 1 1122n21 2 4 1t12 1s11 2s22 2 c 4 a n21 2 b n1n2 121122n21 2n1n2 d
1
2

È facile verificare che le tre parentesi quadre al secondo membro dell’equazione


di sopra valgono rispettivamente: 1>4, 1, 0, ottenendosi in definitiva:

a sn 2 b 1 t2ln 5 a b 1 t212
s11 1 s22 2 s11 2 s22 2
(5.170)
2 2

Ricordando che l’equazione della circonferenza nel piano (x, y), di centro (x0, y0)
e raggio r si scrive , la (5.170) si interpreta come equazione del cerchio di Mohr Cerchio di Mohr
nel piano (sn, tln), avente centro di posizione , raggio dato da  e presenta
l’evidenza geometrica riscontrabile nella rappresentazione di Figura 5.41. La  1x2x0 2 211y2y0 2 25r2
(5.170) permette di riconoscere che, al variare del piano a fra tutti quelli del fascio
di piani di sostegno l’asse e3, le componenti (sn, tln) del vettore tensione di Cauchy
C5 a ,0b
s11 1 s22
appartenenti al piano (x1, x2) descrivono nel piano di Mohr (sn, tln) il cerchio di
2
Mohr di Equazione (5.170).
Per costruire il cerchio di Mohr basta riportare sull’asse delle sn i punti di
 r25 a b 1t12
s112s22 2 2
ascisse s11 e s22; il centro C del cerchio è il punto medio, di ascissa . Il punto 2
P di coordinate (s11, t21) permette di visualizzare il raggio r del cerchio nel
segmento CP. s11 1 s22
Si sottolinea che le componenti di tensione (s11, s22, t21), atte a definire il 
2
cerchio di Mohr, vanno considerate con i loro segni nel riferimento x1, x2. Il punto
P assume in questa rappresentazione importanza particolare, in quanto ricopre il
ruolo di “polo” del cerchio. Polo del cerchio di Mohr
Una volta assodato che il punto tensione T 5 (sn, tln), al variare di a nel
fascio di piani di sostegno x3 descrive i punti della circonferenza di Figura 5.41,
resta da stabilire la relazione esistente fra l’angolo m che definisce il piano a di
normale n e il punto tensione T 5 (sn, tln). Con riferimento alla Figura 5.41, si
consideri il triangolo PRT. La tangente dell’angolo che il segmento PT forma con
quello PR, grazie alle (5.167) e (5.168) è dato da:
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:52 Pagina 376

376 j Capitolo 5 j Meccanica dei continui

Figura 5.41
m
tln
x2
sm tnm n
t12 P p +m a
2
sn
r m m sn
tnm Q
r sm
sm s22 C s11 sn sn m t ln x1
m r
p +m
t ln 2 ,
R T
, x2
s 22
s22 (s11- s22)
(s11+ s22) 2
t 21
2
sn -(s11+ s22) s 11
2
s11 x1
sn

TR sn 2 s11 n2
5 5 5 tan m
PR t12 2 tln n1
Questo risultato permette dunque di riconoscere che il punto T che si ottiene quale
(seconda) intersezione della retta per P, formante con la PR l’angolo m, ha coor-
dinate T 5 (sn, tln) e determina dunque le cercate componenti della tensione
agenti sul piano a aventi le direzioni rispettivamente di n e ,.
I segni delle componenti (sn, tln) vanno considerati con riferimento alla base
σ22 (O, ,, n) che è congruente con quella (O, 2e2, e1) e pertanto sono quelli rappre-
x2
σ12 sentati sull’elementino solido in Figura 5.41. È utile sottolineare che la tensione
σ21 tangenziale tln rappresentata in Figura 5.41 è negativa e seguendo la convenzione
σ11 σ11
di Mohr il suo verso sull’elementino materiale va fissato facendo riferimento alla
base (O, ,, n). Nel seguito si utilizzerà anche una rappresentazione degli assi del
σ21
O x1
piano di Mohr che vede il verso positivo dell’asse delle tln verso il basso, in modo
σ12 da riconoscere più direttamente il loro verso.
σ22
x2 Il cerchio di Mohr per stati piani di tensione
τn In presenza di uno stato tensionale piano [Equazione (5.150)] ovvero anche nel caso
σn n
di deformazione piana in cui anche la componente di tensione normale al piano ri-
σ11
ϕ sulta diversa da zero, si può utilizzare un metodo grafico dovuto a O. Mohr per de-
σ21
x1 terminare la tensione su un piano generico e quindi direzioni e tensioni principali.
σ12 Siano s11, s22, s12 le componenti riferite al sistema (O, x1, x2) di Figura 5.42.
σ22 Si vogliono determinare le tensioni normale sn e tangenziale tn sul piano di
normale n. La costruzione grafica di Mohr si ottiene effettuando le operazioni se-
Figura 5.42 Componenti guenti (Figura 5.43).
di tensione nel piano x1, x2
1. Si traccia un sistema di assi ortogonali riportando sull’asse delle ascisse la com-
sui piani coordinati e su un
generico piano. ponente normale di tensione sn e sull’asse delle ordinate la componente tangen-
ziale tn cambiata di segno. Il piano in oggetto prende il nome di piano di Mohr.
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:52 Pagina 377

5.2 j Problema dell’equilibrio dei solidi deformabili, tensioni, tensore di sforzo j 377

M(σ 11, σ12) Figura 5.43 Costruzione


σ12
del cerchio di Mohr.

C
σn
O B(σ 22, 0) A(σ 11, 0)
S(σn, τn)
(σ11 + σ22) (σ11 – σ22)
2 2

τn σn

2. Si individuano sul piano di Mohr i punti A 5 (s11, 0) e B 5 (s22, 0).


s11 1 s22
3. Si determina il centro C 5 (, 0). 
4. Si determina il polo della rappresentazione M 5 (s11, 2s12). 2
5. Si costruisce la circonferenza di centro C e raggio R 5 MC 5 . (s11 2 s22)2
Å
 1 s212
6. Si traccia per M una retta parallela al piano di normale n (Figura 5.42), for- 4
mante un angolo w con l’asse x1.
7. Si individua il punto S in cui la retta per M interseca la circonferenza. Le sue
coordinate sul piano di Mohr (sn, tn) rappresentano le tensioni normale e tan-
genziale cercate.

Stato di tensione monoassiale j Esempio 5.11

Si considera (Figura 5.44) lo stato di trazione monoassiale diretto secondo l’asse


x1 già esaminato in precedenza [Equazione (5.121)].
s11 5 s . 0 s22 5 s12 5 0

Figura 5.44 Cerchio


σ S(σn, τn)
– sen 2ϕ di Mohr per uno stato
2 di tensione monoassiale.
R
σ
2ϕ (1 + cos 2ϕ)
ϕ ϕ 2
A=M
σn
B C σI σ11
σ
sen 2ϕ
ϕ 2
σI

σ11 = σ
τn
σ
(1 + cos 2ϕ)
2
σ
A = (R, 0) B= (0, 0) R=
2
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:52 Pagina 378

378 j Capitolo 5 j Meccanica dei continui

Si vuole determinare la tensione agente sulla giacitura, la cui normale risulta


inclinata di un angolo w rispetto all’asse x1.
Dalla costruzione risulta:
s
sn 5 R(1 1 cos 2w) 5 (1 1 cos 2w)
2
s
tn 5 2R sen 2w 5 2 sen 2w
2
Si confronti il risultato ottenuto con le Equazioni (5.122) e (5.124); inoltre si
consiglia di ripetere la costruzione nel caso di trazione monoassiale secondo
l’asse x2, s22 . 0, e di compressione monoassiale, s11 , 0.

j Esempio 5.12 Stato di tensione tangenziale

Si considera (Figura 5.45) lo stato di tensione biassiale tangenziale discusso in


precedenza e si assume:

s11 5 s22 5 0 s12 5 t . 0


Anche in questo caso si vuole determinare la tensione agente sulla giacitura, la cui
normale risulta inclinata di un angolo w sull’asse x1. Dalla costruzione risulta .

Si osservi inoltre che i punti di intersezione della circonferenza con l’asse
sn 5 R sen 2w 5 t sen 2w delle sn, SI e SIII, hanno componenti tangenziali nulle e componenti normali ri-
tn 5 R cos 2w 5 t cos 2w spettivamente massima e minima; rappresentano dunque le tensioni principali
sI 5 t e sIII 5 2t. Le congiungenti il polo della rappresentazione M con SI e
SIII e le loro normali rappresentano rispettivamente le giaciture e le direzioni
principali.

j Esempio 5.13 Stato di tensione biassiale principale

Si considera (Figura 5.46) uno stato di tensione di cui sono note le tensioni prin-
cipali e si ricerca lo stato di tensione su una giacitura generica; si assume:

sI 5 s11 ? 0 sII 5 s22 ? 0 s12 5 0 (sI, sII tensioni principali)

Figura 5.45 Cerchio


di Mohr per uno stato –τ M B
di tensione tangenziale.
π /4
Direzioni principali.
R τ cos 2ϕ
ϕ
SIII σn SI ϕ
σn n τ sen 2 ϕ
σIII
σ21 = τ

C σI I

τn 2ϕ S
σI = τ

σII A τ σI σII = – τ
σ12 = τ

A = (0, τ ), B = (0,–τ ), C = (0, 0), M = (0, –τ ), R = τ.


05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:52 Pagina 379

5.2 j Problema dell’equilibrio dei solidi deformabili, tensioni, tensore di sforzo j 379

τ min Figura 5.46 Cerchio


τn S(σn, τn) (σ11 + σ22)
σn = + di Mohr per stato di
2 tensione biassiale principale.
(σ – σ22) cos 2 ϕ)
R + 11
2

ϕ A=M ϕ
σ22 σn n
o C σn σ11
σ11 ϕ x1

ϕ (σ11 + σ22)
τn=
2
sen 2ϕ
τn τ max σI = σ
σ22

σ11 + σ 22 σ − σ22
A = ( σ11, 0); B = ( σ22 , 0); C = ( ,0); M = A; R = 11
2 2

Ancora una volta si vuole determinare la tensione agente sulla giacitura la cui
normale risulta inclinata di un angolo w sull’asse x1.
Dalla costruzione risulta:
s11 1 s22 s11 1 s22 s11 2 s22
sn 5 1 R cos 2w 5 1 cos 2w
2 2 2

tn 5 2R sen 2w 5 2 a b sen 2w
s11 2 s22
2

Si osservi come su ogni giacitura, diversa da quelle principale, sia presente una
componente tangenziale di tensione, il cui valore massimo si ha per w 5 645°
e vale t 5 61>2 (sI 2 sII).

Ricerca grafica delle tensioni principali j Esempio 5.14

Si considera uno stato tensionale piano generico caratterizzato, per esempio,


dalle componenti di tensione

s11 5 s . 0 s22 5 0 s12 5 t . 0


Allo scopo di individuare le direzioni e le tensioni principali si costruisca (Figura
5.47) la circonferenza di Mohr ove:

A 5 1s, 0 2 B 5 10, 02 C 5 a , 0 b M 5 1s, 2t 2 R 5


s s2
Å4
1 t2
2
s s2
 sI 5
Å4
e si esegua la costruzione grafica descritta in precedenza. I punti SI e SIII, in- 1 1 t2,
2
tersezioni della circonferenza con l’asse orizzontale, rappresentano rispettiva-
mente la massima e la minima tensione principale. Le due rette che uniscono s s2
Å4
sIII 5 2 1 t2
il polo della rappresentazione M con i punti SI e SIII individuano le giaciture 2
principali.
Le tensioni principali risultano: .  tan 2wI 5
2t
Considerando il triangolo CAM è possibile constatare che . s
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:52 Pagina 380

380 j Capitolo 5 j Meccanica dei continui

Figura 5.47 Ricerca


grafica delle tensioni
–τ M
e giaciture principali.
R ϕ
ϕ 2ϕ nI
SIII = (σ III, 0) SI = (σI, 0) ϕ
σn
σIII o B C A x1

σ σ σ σ2
σI = + +τ 2
2 2 2 4

σ σ σ2
σ III = − +τ 2
τn 2 4

Dimostrazione sintetica della costruzione di Mohr


Una giustificazione della costruzione di Mohr si ottiene, a partire dalle (5.163)
osservando che sulla giacitura di normale x1 si ha sn 5 s11 e tn 5 s12 e dunque:
(s11 1 s22) (s11 2 s22)
sn 5 1 cos 2w 1 s12 sen 2w
μ
2 2
1 (5.171)
tn 5 2 (s11 2 s22) sen 2w 1 s12 cos 2w.
2
Si ponga
R sen 2g 5 s12
• s11 2 s22 (5.172)
R cos 2g 5
2
ove R e g indicano il raggio della circonferenza e l’angolo per cui si annulla la
tensione tangenziale (5.164); infatti dalle (5.172) si ricava:

R2 5 c a b 1 s212 d
s11 2 s22 2

μ
2
2s12 (5.173)
tan 2g 5
s11 2 s22

Sostituendo le (5.172) nelle (5.171) si ottiene:


s111s22 s111s22
sn5 1R cos 2w cos 2g1R sen 2w sen 2g5 1R cos 2(g2w)

2 2
(5.174)
tn52R sen 2w cos 2g1R cos 2w sen 2g5R sen 2(g2w)

Le precedenti costituiscono la rappresentazione parametrica di una circonferenza,


ove il generico punto S 5 (sn, tn) rappresenta lo stato di tensione su una giacitura
ruotata di un angolo g rispetto al riferimento assegnato. Infatti per quadratura le
(5.174) divengono:
(s111s22) 2 2 2
c sn2 d 1tn5R cos 2 32(g2w)41R2 sen 2 321g2w2 45R2 (5.175)
2
s11 1 s22

2 che rappresenta l’equazione della circonferenza di centro C 5 (, 0) e raggio R.
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:52 Pagina 381

5.2 j Problema dell’equilibrio dei solidi deformabili, tensioni, tensore di sforzo j 381

Rappresentazione grafica di stati tensionali triassiali


L’illustrazione dettagliata della rappresentazione grafica per stati di tensione trias-
siali generici, arbelo di Mohr (Figura 5.48), esula dagli scopi di questo testo.
Tutti i punti sn tn che rappresentano gli stati tensionali presenti sui piani del-
l’intera stella di piani passanti per il punto considerato sono contenuti nella regione
del piano sn tn scurita in Figura 5.48. I cerchi di centri C1 C2 C3 rispettivamente
di ascisse:
sII 1 sIII sI 1 sIII sI 1 sII
C1 5 C2 5 C3 5 (5.176)
2 2 2
sII 2 sIII
e di raggi rispettivamente  vengono detti cerchi di Mohr principali. 
2
• I punti tensione sn, tn descrivono la zona interna al cerchio principale mas- sI 2 sIII
simo ed esterna agli altri due cerchi principali: tale zona si chiama arbelo 2
di Mohr. sI 2 sII
• L’insieme {sI, sII, sIII} delle componenti principali di tensione contiene la 2
massima e la minima delle tensioni normali relative alle infinite giaciture che
possono considerarsi per il punto in esame.
• La massima tensione tangenziale in un punto è uguale al più grande dei raggi
dei tre cerchi e si può dunque valutare attraverso la formula:

tmax 5 max 1 0sII 2 sIII 0 , 0sI 2 sIII 0 , 0sI 2 sII 0 2


1
(5.177)
2
sI 2 sIII
Con l’ordinamento sIII < sII < sI, si ha  e la tmax è presente sulle giaciture  tmax 5
che si appoggiano a n2 e formano angoli di 6p>4 con nI e nIII (Figura 5.48). 2
Nel caso piano una delle tre tensioni principali si annulla, per cui due dei tre
cerchi di centro C1 C2 C3 sono tangenti all’origine.

Linee isostatiche
Un’interessante rappresentazione dello stato di tensione si ottiene tracciando,
nell’interno del solido, gli inviluppi delle direzioni principali. Si ottengono, nelle
ipotesi di regolarità assunte, tre famiglie di linee, mutuamente ortogonali, dette
linee isostatiche.

τ min Figura 5.48


Rappresentazione di Mohr
di stati di tensione triassiali.

π
4
III

C1 C2 C3

III

σn

2
I
σ

O
ax

τ
2
I
σ

m
=
III
−σ
I
2
σ

σIII n
π
4
τ max nI
σII
σI
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:52 Pagina 382

382 j Capitolo 5 j Meccanica dei continui

Figura 5.49 Mesh per


l’analisi agli Elementi Finiti
della testa di un femore
umano.

Se in un punto qualsiasi, si evidenzia un elemento cubico infinitesimo avente le


facce perpendicolari alle isostatiche, su queste agiscono solo tensioni normali.
Ciò suggerisce l’idea di sostituire al materiale continuo che costituisce il solido
una maglia formata da tre ordini di aste soggette solo a sforzo normale orientate
secondo le isostatiche, che in tal modo visualizzano le linee di flusso delle tensioni
normali all’interno del corpo.
Con i moderni codici di analisi dei solidi agli elementi finiti normali è oggi pos-
sibile determinare lo stato di sforzo e le linee isostatiche in un qualunque elemento
strutturale. In Figura 5.49 è riportata la discretizzazione per elementi finiti (mesh)
effettuata per un femore umano, costituente una griglia spaziale di elementi, la quale
consente di effettuare l’analisi dello stato di deformazione e tensione nell’osso tra-
mite la soluzione di un sistema di equazioni algebriche (M. Fraldi, Un modello co-
stitutivo per solidi porosi, Tesi di Dottorato. Univ. di Napoli Federico II, 1999).
In Figura 5.50a è rappresentata la mesh per l’analisi agli elementi finiti di un por-
tale e in Figura 5.50b è rappresentata la soluzione deformata, insieme alle isosurfaces
(superfici isostatiche), della prima tensione principale (Ing. Luca Esposito, 2010).

Figura 5.50 Andamento delle linee isostatiche.


05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:52 Pagina 383

5.3 j Principio dei Lavori Virtuali per il solido deformabile j 383

j Approfondimento 5.2

Tensore di sforzo di Piola-Kirchhoff

Come già intuito in tempi antichi e sancito dal motto di definire il cosiddetto primo tensore di sforzo di
“ut tensio, sic vis” (anagrammato come “ceiiinos- Piola-Kirchhoff, ottenibile trasponendo l’integrando
ssttuv” da Robert Hooke), che si tradurrebbe oggi della (AP5.4):
“dalla deformazione dipende lo sforzo”, lo stato di
sforzo interno di un solido deve dipendere dalla sua S 5 J F21 T (AP5.5)
deformazione, e pertanto il tensore di sforzo non po- che opera sulla configurazione indeformata del soli-
trebbe a rigore essere definito in @0 (come si fa sotto do, trasformando su @0 il tensore di Cauchy T, e per-
l’ipotesi di piccoli spostamenti) bensì sulla configu- mette di calcolare la cercata risultante tramite la:
razione deformata @. Qui, a titolo didattico, si vuole
solo mostrare il filo del ragionamento cha va svilup-
RS 5 3 ST n ds
pato quando si voglia correttamente trattare l’equili-
s
brio tenendo conto della deformazione.
Nella configurazione deformata @ del solido oppor- nella quale l’integrale opera sulla configurazione inde-
tunamente caricato, sia presente lo sforzo interno, rap- formata del solido. Si noti che T, tensore di sforzo di
presentato dal tensore di sforzo di Cauchy T. In @ su Cauchy, è definito sulla configurazione deformata @ e
un elemento di superficie infinitesimo dS passante per per questo motivo viene anche chiamato tensore reale
y agisce dunque il vettore tensione t 5 Tm, che sulla di sforzo. T è simmetrico, come mostrato precedente-
superficie S, per la formula di Nanson (AP5.1), risulta mente. A T, nella configurazione @0 corrisponde peral-
tro il tensore S (AP5.5), che perde il carattere della sim-
RS 5 3 Tm dS 5 3 J T(F 21)Tn ds (AP5.4) metria. Si tenga inoltre conto del fatto che, mentre in @
S s
le componenti di T agiscono sui piani di un riferimento
cartesiano, mutuamente ortogonali, in @0 le componenti
in cui F è il gradiente di deformazione, J è il deter- di S agiscono sulle facce trasformate all’indietro e cioè
minante Jacobiano della trasformazione da @0 a @, tramite l’applicazione inversa della deformazione, del
m è il versore della normale a S in y P @, n è il ver- cubetto cartesiano presente in @, e pertanto su piani che
sore della normale a s in x P @0. La (AP5.4) consente non sono, in generale, fra loro ortogonali.

5.3 j Principio dei Lavori Virtuali per il solido


deformabile
Nel Capitolo 2 è stato trattato il Principio dei Lavori Virtuali per i corpi rigidi
che, come si è potuto notare, fornisce una importante condizione di equilibrio.
Nel Capitolo 3 è stato introdotto il Principio dei Lavori Virtuali (PLV) per le strut-
ture composte da travi deformabili, che è stato utilizzato prima per calcolare spo-
stamenti generalizzati e poi per scrivere le equazioni di congruenza per la dedu-
zione delle iperstatiche per sistemi di travi elastiche.
Successivamente, nei paragrafi dedicati ai principi e teoremi della Teoria del-
l’Elasticità, si è introdotto direttamente e fatto ampio uso del Principio dei Lavori
Virtuali, nella sua formulazione rivolta alle travi elastiche: il principio si è rivelato
uno strumento fondamentale, per ottenere importanti risultati che hanno dato ori-
gine a molteplici deduzioni teoriche e importanti applicazioni.
Il Principio dei Lavori Virtuali, già ampiamente utilizzato nei capitoli prece-
denti in tema di strutture elastiche, presenta un’autonoma validità indipendente
dal legame costitutivo: esso è pertanto deducibile per il solido deformabile in mo-
do del tutto generale, senza alcuna precisazione sul tipo di materiale strutturale.
Per questo motivo esso può essere utilizzato per una generalità di problemi strut-
turali in ambito non necessariamente elastico: in plasticità, nell’analisi limite e
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:52 Pagina 384

384 j Capitolo 5 j Meccanica dei continui

al collasso delle strutture, in presenza di materiale viscoso, o in presenza di un


qualunque legame costitutivo.
Si mostrerà in questo paragrafo che si tratta infatti di uno strumento estrema-
mente generale, che mette in relazione i campi di forze-tensioni con quelli spo-
stamenti-deformazioni, senza che questi e quelli abbiano fra loro una qualche re-
lazione di causa ed effetto. Mediante il PLV si esprimono condizioni di equilibrio
fra forze e tensioni presenti sul corpo, oppure condizioni di compatibilità fra spo-
stamenti e deformazioni. Queste condizioni scritte tramite il PLV sono in forma
integrale e cioè riguardano l’intero solido, pesando su tutta la sua estensione
l’equilibrio o la compatibilità, e consentono altresì di evidenziare il rispetto di
condizioni locali di equilibrio o compatibilità.
A questo punto è dunque evidente che le applicazioni già mostrate per le strut-
ture elastiche sono solo alcune fra quelle di una casistica ben più ampia.
La trattazione verrà svolta utilizzando gli enti meccanici spostamento, defor-
mazione, forza, tensione, e le nozioni di equilibrio e compatibilità, già introdotti
in questo Capitolo.
Si consideri un solido deformabile occupante il dominio connesso @, a fron-
n tiera generalmente regolare 0@. Si considerino le due rappresentazioni @f e @u,
f
del solido, come in Figura 5.51.
Ꮾf
b Su 0@f sia applicato il campo di forze superficiali f e su @f il campo di
forze volumetriche b: questi due campi di forze siano dotati di opportuna re-
∂Ꮾf golarità (per esempio continui con le derivate prime continue). Il sistema delle
forze f e b è equilibrato e soddisfa per ipotesi le equazioni cardinali della statica
(5.107) e (5.108).
f Sia T(x) il campo tensoriale di sforzo di Cauchy in @f, simmetrico e soddisfa-
u cente, con le assegnate forze, le equazioni indefinite di equilibrio e quelle di bordo:
0sij
1 bi 5 0 (5.178); sijnj 5 fi (5.179)
u 0xj

Ꮾu il sistema di forze tensioni rappresentato in questa parentesi (f, b, T) è dunque,


∂Ꮾ per ipotesi, equilibrato su @f.
∂Ꮾu Sul dominio @u, uguale per geometria a quello @f, sia definito un campo di
spostamento u piccolo, dotato di opportuna regolarità (per esempio continuo, de-
rivabile con derivate prime e seconde continue).
Figura 5.51 A questo punto è possibile scrivere il prodotto scalare delle forze f agenti su 0@f
per gli spostamenti u della 0@u, utilizzando le tensioni emergenti di Cauchy (5.179):

3f
T # u dA 5 #
3 fi ui dA 5 3 sijnjuidA (5.180)
 3 (sijui)njdA 5 0b 0b 0b

0b in cui l’integrando è sviluppato secondo la convenzione di Einstein sugli indici


0 ripetuti.
5 3 (sijui)dV 5
0xj L’ultimo membro dalla (5.180) esprime il flusso attraverso la frontiera di @ del
b
vettore (aj 5 sijui); ne consegue che l’integrale di superficie può trasformarsi in in-
0sij 0ui
5 # a u 0x 1 s 0x b dV
i
j
ij
j
tegrale di volume tramite il teorema di Gauss-Green:  sicché la (5.180) diventa:
0sij 0ui
b
3 fiui dA 5 3 ui 0x dV 1 3 sij 0x dV (5.181)
j j
0b b b

Identità fondamentale che assume il nome di identità fondamentale e si riassume in notazione assoluta:

3f
T # u dA 5 3u
T # divT dV 1 3 T ? =u dV (5.182)
0b b b
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:52 Pagina 385

5.3 j Principio dei Lavori Virtuali per il solido deformabile j 385

Il termine T ? =u 5 sij (0ui>0xj) viene definito prodotto interno dei tensori T e


=u ed è dato da T ? =u 5 tr(T=uT). 0uj
1 0ui
Considerando il tensore di deformazione infinitesima  compatibile con il E5 c a 1 bd
campo di spostamento u, (5.90) si osserva che l’ultimo integrando nella (5.181), 2 0xj 0xi
grazie alla simmetria di sij, può trasformarsi come segue:
0ui 0ui 0uj
5 sij a b 5 sij eij
1
sij 1
0xj 2 0xj 0xi
0sij
Peraltro l’equazione di equilibrio interno (5.178) consente di trasformare il primo  ui 5 2 biui
0xj
integrando al secondo membro della (5.181) nella forma: .
A questo punto la (5.181) diventa l’equazione dei Lavori Virtuali: Equazione dei Lavori Virtuali

3 fiuidA 1 3 biuidV 5 3 sijeijdV (5.183)


0b b b

Il primo membro della (5.183) è il cosiddetto lavoro virtuale delle forze o lavoro Lavoro virtuale esterno
esterno, che è costituito dal prodotto scalare delle forze agenti su @f per gli sposta-
menti presenti in @u, il secondo membro è il cosiddetto lavoro virtuale interno delle Lavoro virtuale interno
tensioni sij in equilibrio con le assegnate forze, per le deformazioni connesse con u.
La funzione integranda sij eij del lavoro interno Li ha un significato meccanico
riconducibile al lavoro interno che le tensioni sii, tij agenti sull’elemento infini-
tesimo di volume dV, compiono per le deformazioni corrispondenti eii, gij, come
rappresentato in Figura 5.52.
Il campo u è uno spostamento virtuale, ove con questo termine si intende un Spostamento virtuale
arbitrario campo di spostamento piccolo appartenente a una classe di opportuna
regolarità.
La (5.183) è stata ricavata postulando l’equilibrio per il sistema forze-tensioni Condizione necessaria
(f, b, T), pertanto essa costituisce una condizione necessaria di equilibrio; risulta di equilibrio
dunque dimostrato il seguente teorema.

1° Teorema degli Spostamenti Virtuali

Definito su @ un sistema equilibrato di forze-tensioni (f, b, T) e un campo di spo-


stamenti-deformazioni virtuali compatibili (u, E), il prodotto scalare delle forze su-
perficiali e di volume per lo spostamento u, detto lavoro virtuale delle forze o ester-
no, è uguale al lavoro virtuale delle tensioni in equilibrio con le assegnate forze
per le deformazioni virtuali compatibili con u, detto lavoro virtuale interno.

σij

εij
σji dxj dxj
σji σji σji

dxi dxi σij = τ ij ε ij = 1/2 γij


(1 + ε ji )dxi dxi dxi

Figura 5.52
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:52 Pagina 386

386 j Capitolo 5 j Meccanica dei continui

Teorema degli spostamenti Questo teorema si chiama degli spostamenti virtuali, a sottolineare il ruolo di campo
virtuali di prova assunto dal generico spostamento u appartenente alla prescelta classe.
Si nota esplicitamente che i lavori di cui si parla non vengono realmente com-
piuti, ma sono soltanto dei prodotti scalari fra campi di enti duali. In questo teo-
rema gli spostamenti e le corrispondenti deformazioni sono soltanto strumenti di
prova da inserire nell’equazione dei Lavori Virtuali, allo scopo di ottenere tramite
il soddisfacimento dell’equazione una condizione necessaria di equilibrio per il
sistema di forze-tensioni.
Utilizzando una tecnica matematica propria del calcolo delle variazioni, è pos-
sibile dimostrare il seguente teorema.

2° Teorema degli Spostamenti Virtuali

Sia T un campo tensoriale di sforzo opportunamente regolare definito su @, e siano


assegnate le forze superficiali e volumetriche (f, b) soddisfacenti le equazioni car-
dinali della statica, ma non a priori in equilibrio con T. Se l’Equazione dei Lavori
Virtuali (5.183) scritta per (f, b) e T è soddisfatta per tutti i campi di spostamento
virtuale u con le corrispondenti deformazioni compatibili E, allora T è in equilibrio
con le forze (f, b), nel senso del soddisfacimento delle (5.178) e (5.179).

j Approfondimento 5.3
Particolarizzazioni ed estensioni del PLV

Si riportano qui di seguito una particolarizzazione e PLV per il corpo rigido costituisce particolarizzazio-
due estensioni del PLV a campi discontinui, che ri- ne di quella per il corpo deformabile, allo svanire del-
sultano assai utili in talune applicazioni particolari in la deformazione.
meccanica dei solidi.
Campi di spostamento discontinui
Corpo parzialmente rigido
In taluni problemi il campo di spostamento presenta
Nel caso in cui in una parte del solido br 8 b lo spo- discontinuità di prima specie. A titolo di esempio, in
stamento u è del tipo rigido, risulta ivi Figura 3.29c è rappresentato lo scivolamento di una
parte di un terrapieno, dovuto a un meccanismo di
E 5 [eij] 5 0
scorrimento in corrispondenza di una certa superficie
e l’equazione del PLV sopra scritta si particolarizza SD, talché il moto incipiente è del tipo scorrimento ri-
nella forma: gido delle due parti b1, b2 separate del solido SD. Lo
spostamento relativo fra le due parti Du 5 u1 2 u2,
ove u1, u2 sono i due limiti destro e sinistro dello
3 fiuidA 1 3 biuidV 5 3 sijeijdV (AP5.6)
spostamento nelle due parti volumetriche, è del tipo
0b b b2br
“tangente” in ogni punto alla superficie di disconti-
Se in tutto il solido lo spostamento è del tipo rigido, nuità SD. Non sono consentite discontinuità delle
la (AP5.6) diventa: componenti normali a SD dello spostamento, in quan-
to queste potrebbero comportare una inconsistenza
volumetrica dell’ipotesi di biunivocità della deforma-
3 fi ui dA 1 3 bi ui dV 5 0
0b
zione y 5 f(x) (5.1).
b
L’estensione del PLV a questo tipo di discontinui-
e coincide con l’equazione del PLV per il corpo ri- tà si persegue considerando la SD, come ulteriore su-
gido, potendo quindi affermare che l’equazione del perficie di frontiera per le due parti b1, b2. Sulle due
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:52 Pagina 387

5.3 j Principio dei Lavori Virtuali per il solido deformabile j 387

Questo teorema fornisce una condizione sufficiente di equilibrio fra forze e ten- Condizione sufficiente
sioni. di equilibrio
Si faccia poi riferimento a un preassegnato spostamento infinitesimo u definito
su @, e a uno stato di deformazione infinitesima E, preassegnati e non a priori ne-
cessariamente compatibili fra loro. Invertendo il ruolo di parametri di prova fra gli
enti spostamenti-deformazioni (u, E) e forze-tensioni (f, b, T) fra loro equilibrati e
arbitrariamente scelti in una classe di opportuna regolarità, è possibile dedurre tramite
l’Equazione dei Lavori Virtuali la seguente condizione di compatibilità fra u ed E.

3° Teorema delle Forze Virtuali


Sia u un campo di spostamento regolare e infinitesimo ed E un campo di deforma-
zione infinitesima regolare assegnato indipendentemente da u. Se l’Equazione dei
Lavori Virtuali (5.183) scritta per i prefissati campi u ed E vale per ogni campo di
forze-tensioni (f, b, T) regolari e fra loro equilibrati, allora u è compatibile con le
deformazioni E, nel senso che sono soddisfatte le (5.29), (5.30).

Questo teorema fornisce dunque una condizione sufficiente di compatibilità fra Condizione sufficiente
spostamento e deformazione. di compatibilità

superfici, nell’ambito del sistema forze, emergono i ficie SD viene riguardata come frontiera per ciascuna
vettori di sforzo di Cauchy (5.120): della due parti del solido b1, b2 che si affacciano su
di essa. In ogni punto x di SD, per la parte b2 di nor-
ti1 5 sij nj 5 ti x[SD1 male uscente n, il vettore tensione di Cauchy emer-
gente (5.120) vale t2i 5 s9ijnj, e per la parte b1 il
ti2 5 2sij nj 5 2ti x[SD2
vettore di Cauchy vale t1i 5 s0ij(2nj). Per l’equilibrio
e l’equazione del PLV assume la forma generalizza- in x su SD, devono risultare soddisfatte le tre equa-
ta: zioni di equilibrio

t1i 1 t2i 5 0 (AP5.8)


3 fiuidA 1 3 biuidV 1 3 ti DuidA 5
0b b 1 cb 2 SD
Ciò è possibile, in quanto i due tensori di sforzo sono
definiti ciascuno da sei componenti indipendenti, e
(AP5.7) possono pertanto essere diversi fra loro e discontinui
5 3 sijeijdV su SD, pur continuando a rispettare in ogni punto x
b 1 cb 2 di SD le tre equazioni di equilibrio (AP5.8) alla fron-
tiera. L’equazione del PLV, si continua a scrivere for-
in cui le deformazioni sono discontinue su SD. Questa
malmente nella forma (5.181), nella quale vanno te-
discontinuità che interessa la superficie SD, a misura
nuti in conto ulteriori due termini alla frontiera su
nulla in R3, non modifica l’integrale volumetrico al
SD, sintetizzabili nell’integrale:
secondo membro della (AP5.7).

3 (ti 1 ti ) ui dA 5 0
1 2
Campi di tensione discontinui
SD

Nel solido esista una o più superfici SD di separazione che non modificano l’equazione del PLV:
fra parti b1, b2 nelle quali siano definiti rispettiva-
mente tensori di sforzo T9 5 [s9ij], T0 5 [s0ij] diversi 3 fi ui dA 1 3 bi ui dV 5 3 sij eij dV
e con discontinuità di prima specie su SD. La super- 0b b b
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:52 Pagina 388

388 j Capitolo 5 j Meccanica dei continui

5.4 j Meccanica dei materiali. Legami costitutivi –


Teoria dell’elasticità

In questo capitolo dedicato alla meccanica dei solidi, fino a questo punto sono
stati introdotti ed esaminati gli enti meccanici che hanno consentito di definire lo
spostamento e la deformazione dei corpi solidi deformabili mediante una tratta-
zione avente evidenza geometrica; d’altro canto l’introduzione dei concetti di for-
za e di tensione secondo Cauchy ha permesso di definire le relazioni di equilibrio
del solido deformabile di tipo anche puntuale, a differenza del corpo rigido.
Si noti che gli spostamenti e le rotazioni dei solidi deformabili sono misurabili
sperimentalmente tramite opportuni apparati, macchine, strumenti (Figura 5.53)
Rilevazione sperimentale e tecniche di prova, con opportuna precisione (comparatori meccanici, tecnica in-
di spostamenti e deformazioni terferometrica Moirè, interferometria laser, tecniche ottiche ecc.). La stessa de-
formazione dell’intorno di un punto accessibile di una struttura è leggibile tramite
la rilevazione di spostamenti relativi su basi molto piccole, a mezzo di estensimetri
potenziometrici, strain gauge (Figura 5.19) o altre apparecchiature. Le forze e le
tensioni sono invece enti convenzionali di cui non è possibile la misura, se non
facendo riferimento ai loro effetti: questi enti rimangono un importante strumento,
pur rimanendo di un carattere astratto che li sottrae a una diretta misurazione. In
elasticità lineare, utilizzando gli enti spostamenti-deformazioni, duali di quelli for-
ze-tensioni, è possibile dedurre l’entità di questi ultimi per confronto analogico.
Il Principio dei Lavori Virtuali ha fornito condizioni di tipo globale di equi-
librio per le forze-tensioni, o di compatibilità per spostamenti-deformazioni, che
generano altresì condizioni locali, di equilibrio o compatibilità, in maniera indi-
pendente dalle reali caratteristiche del singolo materiale strutturale utilizzato.
Finora gli enti statici e quelli cinematici non sono stati posti in una relazione
di causa-effetto su un particolare materiale, mentre in realtà essi coesistono nel-
l’effettiva modellazione del problema strutturale di una costruzione.

Premesse
La Scienza delle Costruzioni deve avviare allo studio e alla soluzione dei reali pro-
blemi strutturali e non può prescindere a questo punto dal trattare i principali aspetti

Figura 5.53
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:52 Pagina 389

5.4 j Meccanica dei materiali. Legami costitutivi – Teoria dell’Elasticità j 389

del comportamento dei materiali di normale utilizzo nelle costruzioni, definendone


il modo di deformarsi e la capacità di resistere a sollecitazioni crescenti.
Questa parte della disciplina, attinente ai legami costitutivi dei materiali e alla
loro resistenza, ha ricevuto storicamente una sistemazione generale in un arco di
tempo di circa tre secoli, a partire fondamentalmente dagli studi proposti da Galilei
nel suo Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze atti-
nenti alla meccanica e i movimenti locali (Leida 1638), nel quale egli si interroga
sul come e sul perché della resistenza dei solidi, utilizzando per primo l’arma-
mentario meccanico-matematico e abbandonando le cause metafisiche imperanti
nella filosofia aristotelica.
La ricerca sul comportamento dei materiali e delle strutture ha ricevuto in
varie epoche grandi impulsi legati alle sfide derivanti dalla necessità di realizzare
costruzioni (opere infrastrutturali, mezzi di trasporto, navi, automezzi, aeromo-
bili, strumenti, macchine e oggetti in genere) dotati delle necessarie qualità di re-
sistenza, stabilità, leggerezza, funzionalità: questa sfida, sempre presente ma che
si pone continuamente in modo nuovo, unita alla curiosità e all’ingegno dell’uo-
mo, è da sempre stato il vero motore dell’innovazione tecnologica.
In letteratura esistono diversi trattati, anche in italiano, che consentono agli
studiosi interessati di approfondire la conoscenza sull’evoluzione storica della re-
sistenza dei materiali, qui solo introdotta in termini di primo approccio (vedasi
per esempio: E. Benvenuto, La Scienza delle Costruzioni e il suo sviluppo storico,
Sansoni, 1981).
Le tappe principali della moderna teoria dei materiali sono scandite da quelle
delle conquiste tecnologiche, che sono rese possibili dal forte e parallelo sviluppo
della modellazione fisico-matematica e delle applicazioni avanzate.
Nell’ambito delle conquiste in tema di teoria dell’elasticità, assai rilevante è
stato il contributo della Scuola Italiana nel periodo a cavallo fra l’Ottocento e
il Novecento.
Un forte e decisivo impulso alla razionalizzazione della teoria dei legami co-
stitutivi e della meccanica dei solidi si è avuta nella seconda metà del Ventesimo
secolo grazie alle formulazioni assai complete ed esaustive dovute a eminenti
meccanici teorici e applicati.
Ma la prepotente avanzata cui si è assistito non ha certo esaurito né risolto
tutte le problematiche: sono infatti tuttora in corso nei moderni centri di ricerca
forti progressi sulla conoscenza di nuovi e vecchi materiali.
Peraltro la Scienza dei Materiali e delle Strutture, dopo avere dato risposte
nell’ambito più proprio del mondo delle costruzioni, ha assunto un ruolo fonda-
mentale di supporto nell’avanzamento di discipline diverse e apparentemente lon-
tane da quelle tecniche tradizionalmente concepite.
Attualmente il nucleo metodologico della meccanica strutturale sta trovando Meccanica strutturale
nuovi e assai fecondi campi di applicazione in diverse discipline, quali per esem-
pio quelle legate alla tecnologia di nuovi materiali, in geomeccanica, in rischio
sismico e vulcanico, nello studio dei fenomeni di instabilità del territorio, in bio-
logia e in diverse branche della medicina e chirurgia: queste importanti e nuove
richieste poste alle competenze esistenti costituiscono segno dell’attuale persi-
stente vitalità e grande potenzialità di una certa concezione della meccanica dei
solidi e delle strutture.

5.4.1 Legami costitutivi


In questa sede si esporranno alcuni elementi introduttivi alla moderna teoria dei
legami costitutivi, limitandoci poi nel seguito a fornire gli elementi essenziali del
legame elastico, che storicamente sono quelli di maggiore interesse nello studio
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:52 Pagina 390

390 j Capitolo 5 j Meccanica dei continui

delle costruzioni ordinarie. Qualche cenno verrà dato in seguito sulla descrizione
delle condizioni di crisi del materiale e sul comportamento plastico.
La descrizione matematica del comportamento macroscopico dei diversi ma-
teriali reali in opportuni intervalli di deformazione e temperatura conduce a certe
relazioni coinvolgenti gli enti meccanici fin qui trattati (tensioni, deformazioni)
Equazioni costitutive che si chiamano equazioni costitutive o legami costitutivi.
Per materiale ideale si intende quello il cui comportamento è idealmente de-
scritto da un certo legame costitutivo che consiste in una legge matematica coin-
volgente le variabili meccaniche, capace di interpretare la qualità della risposta
sperimentale di un’ampia classe di materiali reali.
La meccanica del continuo solido tratta svariati materiali reali accorpandoli
in classi aventi caratteristiche comuni, più che studiare le proprietà di ogni singolo
materiale; ogni legame costitutivo va quindi inteso come rappresentativo del com-
portamento di svariati materiali reali.
Nella descrizione del legame costitutivo di un materiale si possono seguire
Teoria molecolare essenzialmente due strade. La prima, chiamata teoria molecolare e risalente a
studi di Navier e Cauchy (1820), formula un modello meccanico capace di inter-
pretare i legami esistenti fra gli atomi e le molecole del materiale reale, pervenendo
poi alle equazioni matematiche che ne descrivono la legge di comportamento.
La seconda, largamente affermatasi nello scorso secolo, cui si farà riferimento
nel seguito, utilizza la descrizione del continuo solido, pervenendo a una legge
matematica valida per il continuo quale equazione di campo; essa prescinde dal-
l’interpretazione degli effettivi legami fra le particelle preferendo fare riferimento
Legge fenomenologica a una legge di tipo fenomenologico, che è capace di interpretare in media su parti
di materia finite la risposta sperimentale del materiale indagato.
Lo stesso Cauchy contribuì in modo decisivo ad abbandonare la teoria mo-
lecolare che conduceva ad alcune contraddizioni e a formulare la teoria feno-
menologica del continuo, che ancora oggi costituisce base per le più moderne
trattazioni.
La definizione di questo tipo di legame presuppone la cosiddetta omogeneiz-
zazione, che consiste nello stabilire proprietà medie del materiale, a partire dalla
Elemento di volume risposta sperimentale di un certo elemento di volume rappresentativo (RVE) della
rappresentativo risposta del materiale reale. La dimensione dell’elemento di volume rappresen-
tativo da prendere in considerazione deve essere la più piccola possibile, dovendo
dare conto di qualità locali all’interno del modello del Continuo di Cauchy, ma
contemporaneamente di dimensione non inferiore a quella che consente di com-
prendere e mediare le eventuali notevoli disomogeneità puntuali. Per esempio,
per il conglomerato cementizio realizzato con inerti delle dimensioni di 3 cm,
sabbia, cemento e acqua, un volume rappresentativo delle dimensioni di una de-
cina di centimetri consente di cogliere le proprietà medie dell’impasto da porre
a base del materiale ideale omogeneizzato, evitando di descrivere le forti diso-
mogeneità presenti fra inerte, malta e sabbia. Per l’omogeneizzazione di un muro
in mattoni con allettamenti di malta il volume rappresentativo deve avere dimen-
sione tale da comprendere diversi corsi di mattoni e malta. Per un osso quale il
femore, l’RVE deve comprendere al proprio interno vari fasci di trabecole ossee
e di vasi, quindi avere dimensioni del centimetro cubo.
Presentano un legame costitutivo elastico, in opportune condizioni, materiali
reali molto diversi fra loro quali le terre, gli acciai, i materiali polimerici, la ghisa,
il legno, le ossa ecc.
Si noti peraltro che con il termine materiale reale si intendono non solo i ma-
teriali disponibili in natura ma anche quelli costruiti dall’uomo.
Materiali progettati Oggi, infatti, esistono i cosiddetti materiali progettati, le cui caratteristiche
vengono progettate a tavolino e ottenute mediante processi produttivi e tecnologici
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:52 Pagina 391

5.4 j Meccanica dei materiali. Legami costitutivi – Teoria dell’Elasticità j 391

mirati a ottenere talune desiderate qualità (per esempio i materiali compositi con
fibre di rinforzo progettati per ottenere la scocca di un’auto da corsa, o la vela
di una barca, o un paio di sci, o un casco da motociclista): la moderna ingegneria
dei materiali è la disciplina che studia tali processi.
Nei materiali progettati dalla moderna ingegneria, si punta a doti particolari
di leggerezza, resistenza e rigidezza, dipendenti dallo specifico impiego cui sono
destinati.
Per risolvere problematiche avanzate in ambito aerospaziale, aeronautico, bio-
medico, civile e meccanico è oggi usuale progettare il materiale partendo dalla
microstruttura o dalla nanostruttura (1026 m, 1029 m), cioè dal disegno degli ele-
menti componenti a livello finissimo, che dipende dal processo tecnologico se-
guito nella sua produzione, per potere dedurre il legame costitutivo “omogeneiz-
zato” del materiale a livello della meso e macroscala: la disciplina nella quale
queste tamatiche sono sviluppate è la “micromeccanica dei materiali eterogenei”, Micromeccanica dei materiali
materia che comincia a essere inserita in alcuni curricula universitari. eterogenei
Un esempio di rilievo per la cui analisi è necessario utilizzare la micromec-
canica è costituito dai compositi rinforzati per esempio con fibre di vetro o di car-
bonio e – più di recente – da materiali con strutture formate da nano-tubi di car-
bonio, come quello della figura all’inizio del Capitolo 5. In particolare, tali na-
no-strutture sono in grado di offrire incrementi di rigidezza fino all’ordine dei
TPa (1012 Pa) e resistenze dell’ordine dei GPa (109 Pa).
Frequentemente si utilizzano materiali compositi, cioè formati mediante as- Materiali compositi
semblaggi di diversi materiali, ognuno con le sue caratteristiche, la cui risposta
complessiva dipende dal disegno dell’assemblaggio e dalle caratteristiche mec-
caniche dei singoli materiali (scocche di veicoli, di imbarcazioni, alberi di navi
a vela, vele, sci ecc.).
Una branca della moderna ingegneria dei materiali che sta assumendo grande
importanza è quella dei cosiddetti Functionally Graded Materials, che sono as- Functionally Graded Materials
semblaggi di diversi materiali ciascuno dei quali può essere isotropo o anisotropo,
ma omogeneo. Esempi rilevanti di tali materiali sono individuabili nelle fibre ot-
tiche, nella struttura degli osteoni e in molti altri materiali artificiali e tessuti bio-
logici. (Nunziante et al, Mechanics of Advanced Materials and Structures, 2007).
Prima guida alla formulazione del legame costitutivo di una certa classe di ma-
teriali deve essere l’evidenza sperimentale: è necessario cioè conoscere nel modo Evidenza sperimentale
più completo possibile la risposta sperimentale di elementi del materiale in studio,
sotto le più svariate condizioni di lavoro; solo partendo dall’esperienza di labora-
torio è infatti possibile poi estrarre i principali parametri che regolano il compor-
tamento del materiale e legarli in un’equazione atta a definire il modello di mate-
riale ideale capace di interpretare correttamente il comportamento di quello reale.
Il concetto di materiale ideale è squisitamente locale, nel senso che il legame
costitutivo descrive in termini matematici il comportamento di un intorno del ma-
teriale reale, di dimensioni teoricamente piccole quanto si vuole; in tal senso de-
scrive le proprietà del materiale in un certo punto del corpo.

Consistenza
Ogni equazione costitutiva deve essere consistente con i principi generali di equi-
librio, di congruenza e di bilancio stabiliti dalla meccanica classica, così come
con i principi della termodinamica.
È utile qui ricordare che una teoria matematica si dice consistente se essa è Consistenza
non contraddittoria, ovvero se da essa non è possibile dedurre un enunciato e la
sua negazione. Una teoria consistente non può quindi essere onnicomprensiva;
infatti debbono esistere enunciati non deducibili logicamente da essa (A. Tarski,
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:52 Pagina 392

392 j Capitolo 5 j Meccanica dei continui

Le negazioni, 1930); essa quindi deve dire qualcosa e non può ammettere come
deducibile qualsiasi risultato.

Principio di azione locale


Si faccia ora riferimento all’insieme delle variabili coinvolte nelle equazioni
costitutive, quali: deformazione, tensione, temperatura, calore e suo flusso, en-
tropia ecc.
Azione locale Assume il nome di processo locale la descrizione di certe trasformazioni fi-
siche dei corpi reali, dotate di opportuna regolarità, in condizioni di deformazione
uniforme e di distribuzione lineare di temperatura. Si assume che ogni materiale
possa subire solo certi particolari processi locali, i quali ne caratterizzano in modo
univoco il comportamento. L’equazione costitutiva di un materiale si dice locale
o semplice se lo stato di tensione in ogni suo punto dipende solo dallo stato di
deformazione presente in un intorno infinitesimo del punto.

Principio di indifferenza dal riferimento materiale


L’esperienza mostra che ogni processo locale non cambia se al processo studiato
si aggiunge un moto rigido arbitrario dell’intorno considerato; il processo locale
è parimenti indipendente da una qualunque trasformazione delle coordinate. Tali
Indifferenza dal riferimento considerazioni conducono all’assunzione del principio di indifferenza dal riferi-
materiale mento materiale il quale stabilisce che ogni legame costitutivo deve definire un
comportamento del materiale indipendentemente dall’osservatore.

Storia – principio di determinismo


Il legame costitutivo è una descrizione matematica delle proprietà del materiale nel-
l’istante attuale di tempo t0; per taluni materiali reali le proprietà attuali sono forte-
mente dipendenti dai processi effettivamente subiti nell’intervallo di tempo prece-
Memoria dente quello attuale t , t0, t P R; tali materiali si dicono materiali con memoria.
L’insieme dei processi locali subiti dal materiale fino all’istante attuale si chia-
Storia ma storia del materiale; il principio di determinismo afferma che per potere de-
Determinismo finire il legame costitutivo attuale del materiale deve essere nota la sua storia. È
solo la storia del materiale che ne determina il legame costitutivo.

Isotropia
Isotropia Si dice isotropo, rispetto a una certa proprietà, un materiale per il quale tale pro-
prietà non dipende da una particolare direzione e si manifesta, quindi, nello stesso
modo qualunque sia la direzione di prova, dell’elemento considerato. In questo
capitolo verrà trattata l’isotropia elastica del materiale, consistente nel fatto che
la risposta elastica del materiale, che verrà definita di seguito, è la stessa qua-
lunque sia la direzione di prova e quindi è indipendente dalla direzione, nell’in-
torno del punto.

Omogeneità
Omogeneità Si definisce omogeneo un materiale che, a un’opportuna scala, è rappresentabile
con una unica legge costitutiva in tutta l’estensione del solido. Per i corpi omo-
genei il legame costitutivo non varia al variare dell’intorno considerato ed è quindi
lo stesso per gli intorni di tutti i suoi punti.
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:52 Pagina 393

5.4 j Meccanica dei materiali. Legami costitutivi – Teoria dell’Elasticità j 393

5.4.2 Risposte sperimentali dei materiali


Si trattano qui di seguito sotto un profilo qualitativo le risposte sperimentali di
alcuni materiali di comune utilizzo nell’ingegneria delle costruzioni, che più so-
pra abbiamo definito materiali reali, allo scopo di evidenziare taluni aspetti fe-
nomenologici del loro comportamento, sui quali verranno poi fondati i legami
costitutivi.
Non si entrerà nella descrizione dettagliata delle prove, la quale richiederebbe
conoscenze sulle macchine di prova e sul loro funzionamento, sull’ambiente di
prova e sulle modalità di esecuzione, rinviando per approfondimenti su tali aspetti
alle discipline di sperimentazione dei materiali e a quelle di tipo tecnologico, per Sperimentazione di laboratorio
le rispettive competenze. Per gli approfondimenti riguardanti le prove sperimentali
sui materiali da costruzione si rinvia al trattato di J.F. Bell, The Experimental
Foundations of Solid Mechanics-Encyclopedia of Physics, V. VIa>1, Springer-
Verlag, 1973.
Le prove che verranno descritte, per loro natura, trattano un elemento strut-
turale detto provino e non il materiale; esse possono quindi solo dare un’idea
per somma del comportamento degli elementi di materiale che compongono il
F(t) r0 F(t)
provino, la cui risposta rappresenta quella del materiale reale solo nel caso idea- a
le di materiale omogeneo e di campi uniformi di sforzo e di deformazione al
0
suo interno.

La prova di trazione di un provino di materiale metallico


Tale prova, normalmente eseguita presso i laboratori sperimentali di prova dei
materiali (Figura 5.53), viene effettuata in condizioni di temperatura e pressione
costanti, sottoponendo a trazione uniassiale per esempio un provino cilindrico di
materiale metallico avente sezione circolare di raggio iniziale r0 e lunghezza ini-
ziale, del tratto che si considera nella prova, di valore ,0 (Figura 5.54). In Figura
5.54b. si mostrano provini in acciaio, di sezione circolare o piatta, usualmente Figura 5.54 Provini
usati nelle prove di trazione. In Figura 5.55 si riportano i risultati di prove di tra- metallici per prove di
zione effettuate su alcuni materiali metallici. trazione.

24
Figura 5.55
22.5

21

19.5 Acciaio A.37


18

16.5 40 1.4

15 30 1.2

13.5 25 1.0

12 20 0.8

15
Diagramma completo 0.6
10.5
per l’Acciaio A.37
9 10 0.4
Diagramma completo
7.5 5 0.2 per il piombo
5
0 50 100 150 200 250 300 350 0 100 200 300 400 500 600 700
4.5 Ghisa G12 mm per m di lunghezza dell’asta
3.0 (millesimi di mm per mm di provetta
1.5 Piombo
kg/mm2
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:52 Pagina 394

394 j Capitolo 5 j Meccanica dei continui

La prova può eseguirsi con apparecchiature e modalità diverse. Un primo modo


di eseguire la prova è quello che applica una forza di trazione F(t) di valore len-
tamente crescente nel tempo, agente nella direzione dell’asse a del cilindro, e leg-
ge la lunghezza ,(t) assunta dalla parte considerata del provino (inizialmente di
lunghezza ,0) nell’istante nel quale è presente la forza F(t); in tal caso si parla di
Prova a carico impresso prova a carico impresso o a controllo di forza.
In alternativa, la prova può eseguirsi utilizzando una macchina di prova che
applica alle estremità del provino un campo di velocità di spostamento relativo
di direzione assiale v 5 u+(t) . 0 costante nel tempo e di entità bassa, che deter-
mina nel provino l’allungamento D, nell’intervallo di tempo Dt e rilevando in
corrispondenza di ogni lunghezza ,(t) del provino il corrispondente valore della
Prova a controllo forza F(t) agente. Tale prova si dice a deformazione impressa o a controllo di
di spostamento spostamento.
Sia questa prova sia la precedente danno luogo a rappresentazioni dei risultati
raccolti in una tabella o in un grafico (,(t), F(t)).
Il modo più semplice di rappresentare la risposta del materiale che si evidenzia
in queste prove è quello di riportare in diagramma la tensione media nominale
F(t) (assiale) presente nel provino e definita dalla  ove A0 è l’area iniziale della se-
 s(t) 5
A0 zione del provino cilindrico, in funzione della deformazione nominale assiale
espressa dalla  dove ,0 è la lunghezza iniziale assunta quale riferimento per le
,(t) 2 ,0 letture di spostamento sul provino.
 e(t) 5
,0 In Figura 5.56 si riporta il grafico riassuntivo di una prova su materiale me-
tallico, evidenziando la differenza fra tensioni nominali e tensioni effettive.
Il grafico rappresentativo della risposta tensione-deformazione della prova mo-
noassiale nel piano e(t), s(t) per un materiale metallico, è riportato in modo sche-
matico in Figura 5.57.
L’interpretazione della risposta di tale prova fornisce una prima informazione
sintetica sulle qualità del materiale reale; prima di passare a interpretare il dia-
gramma di risposta conviene spendere qualche parola per evidenziare che la prova
porta altre informazioni, oltre a quelle riassumibili nel grafico di sopra, che qui
di seguito si elencano:
• le tensioni sono da ritenersi costanti solo nella parte centrale del provino, men-
tre la presenza alle estremità dei meccanismi di serraggio alla macchina, fun-
zionanti per attrito, ne disturbano in quelle zone l’uniformità;
• le deformazioni assiali e sono accompagnate da deformazioni trasversali et (pre-
senti negli elementi normali all’asse del provino) e il loro rapporto et>e risulta di

Figura 5.56 σ

tensione
effettiva

σ tensione
nominale

O ε εr
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5.4 j Meccanica dei materiali. Legami costitutivi – Teoria dell’Elasticità j 395

σ Figura 5.57
Y P R
σs
E

L
σ艎

O S
ε ε0 εr εR ε

L′

Y′

norma negativo e, partendo da qualche decimo (20.1), tende a portarsi, al crescere


della tensione e all’insorgere del comportamento plastico, su valori vicini a 20.5.

Per tale motivo la sezione circolare, inizialmente di raggio r0 e area A0, nel corso
della prova si tramuta in cerchi di raggio r(t) decrescente.
Tale situazione degenera poi per deformazioni vicine a quelle massime, in
quanto nella parte centrale del provino, prima della rottura (R), si ha una forte e
rapida riduzione del raggio, con un effetto irreversibile detto strizione; la strizione, Strizione
localizzata in una piccola zona, produce un improvviso aumento della tensione Tensione effettiva
effettiva in quella zona, ben più consistente di quanto non rilevato dalla tensione
nominale e la rottura improvvisa del provino.
La maggiore complessità e ricchezza della prova lasciano intravedere defini-
zioni alternative e più precise della tensione e della deformazione; in particolare
la tensione media assiale riferita alla sezione effettiva di area A determinatasi nel- F(t)
l’istante t vale  e la deformazione assiale, nell’istante t, presenta incrementi  s(t) 5
A(t)
dati da  sicché la deformazione attuale al tempo t si ottiene integrandone gli
incrementi fra 0 e t: . 
Il risultato della prova riportato più sopra in Figura 5.57 in termini di defor- de(t)5
mazione e tensione nominali, si presta alle seguenti osservazioni. ,(t1dt)2,(t)
5 lim 5
,(t)
Deformazione elastica d,
5
,(t)
Nel tratto iniziale OL e fino ai valori nominali (e,, s,) la curva di risposta è pres-
soché lineare; tale curva viene percorsa in modo del tutto reversibile, cioè sia che t
d, ,(t)
si carichi il provino (verso di percorrenza della curva da O verso L) sia che lo si  e(t) 5 3 5 ln
scarichi (curva percorsa da L verso O). ,(t) ,0
0
Le deformazioni sono di tipo istantaneo, cioè evolvono istantaneamente e sen-
za ritardi rispetto agli incrementi delle tensioni.
In tale tratto, grazie alla reversibilità e alla linearità della risposta, il materiale
evidenzia un comportamento detto linearmente elastico.
Il tratto LE, non più lineare, viene percorso al crescere della tensione al di sopra
di s,; tale tratto rappresenta ancora trasformazioni reversibili del materiale, nel senso de(t)5
che tutto il tratto OE viene percorso sia nella fase di carico sia in quella di scarico. ,(t1dt)2,(t)
La curva viene percorsa nella fase di carico da O verso un qualunque punto 5 lim 5
,(t)
fino a quello E e nel successivo scarico di nuovo verso O senza che nel materiale
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:52 Pagina 396

396 j Capitolo 5 j Meccanica dei continui

rimangano tracce significative del processo subito precedentemente: tale compor-


a) tamento del materiale si definisce elastico; per il tratto LE si parla di elasticità
non lineare.
Le deformazioni elastiche nei metalli e nelle leghe metalliche sono il frutto
di spostamenti relativi reversibili che si determinano sotto sforzo fra gli atomi
presenti nel reticolo cristallino. Esse seguono istantaneamente la crescita delle
tensioni e sono reversibili.

b)
Limite elastico – tensione di snervamento
Si definisce limite elastico lo stato del materiale rappresentato dal punto Y in cor-
rispondenza del quale, per convenzione, allo scarico, cioè riportando il materiale
alla tensione nulla (tratto Y, e0), viene determinato un primo valore della defor-
mazione residua er 5 e0 apprezzabile dalla strumentazione adoperata. Per esem-
pio, per le barre di armatura in acciaio del cemento armato questa deformazione
è dell’ordine del 2>1000.
Figura 5.58 Il punto di limite elastico Y così definito corrisponde a un valore della tensione
detto tensione limite o tensione di snervamento ss.
Tensione limite
Deformazione plastica
Per il materiale che abbia raggiunto lo stato (e, s) corrispondente a un generico
punto P appartenente al tratto YR, avente andamento pressoché parallelo all’asse
delle deformazioni, che venga scaricato tramite riduzione della s presente, la
linea della risposta (e, s) è sensibilmente parallela a quella di carico iniziale OL;
in tale caso, a scarico completato (punto S) con valore nullo della tensione no-
minale, è presente una deformazione residua di valore er di tipo permanente che
Deformazione plastica si chiama deformazione plastica e si indica anche con ep.
Nel tratto YR il materiale, sotto tensione nominale pressoché costante e pari
al valore limite ss, presenta incrementi plastici crescenti della deformazione no-
minale; alla fine di questo tratto si ha un picco nella tensione effettiva, corrispon-
dente all’improvviso effetto di strizione precedente la rottura. Le deformazioni
plastiche sono di tipo irreversibile, esse infatti permangono nel materiale anche
quando si riduca a zero la tensione.
Tali deformazioni dipendono da spostamenti relativi degli atomi a livello dei
Dislocazioni cristalli dette dislocazioni, che creano difetti nell’iniziale regolarità del reticolo
cristallino e che permangono alla scomparsa del carico (Figura 5.58). Anche tali
Duttilità deformazioni, come quelle elastiche, evolvono istantaneamente.
La caratteristica di certi materiali di esplicare grandi deformazioni plastiche
Fragilità prende il nome di duttilità.
Un materiale si definisce duttile se presenta un rapporto eR>e0 molto maggiore
σ di uno; in caso contrario il materiale si dice fragilefragilità. In Figura 5.59 è rap-
presentato il diagramma di risposta (e, s) di un materiale fragile, in una prova a
σs controllo di forza.
Le considerazioni qui sopra svolte per la prova di trazione di un provino me-
tallico possono ripetersi pressoché identicamente per una prova di compressione:
gli aspetti sia qualitativi sia quantitativi della risposta rimangono sostanzialmente
immutati; ciò comporta quindi un diagramma di risposta quale quello OL9Y9 di
Figura 5.57, polarsimmetrico rispetto all’origine O di quello OLY determinato
O ε 0 εR ε nella prova di trazione.
Un materiale che presenta una risposta come quella di Figura 5.57, con il tratto
Figura 5.59 nel quale si esplicano le deformazioni plastiche, sotto la tensione limite ss pres-
soché costante, molto esteso e quindi a risposta duttile, viene detto elastico-per-
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:52 Pagina 397

5.4 j Meccanica dei materiali. Legami costitutivi – Teoria dell’Elasticità j 397

fettamente plastico. La sua risposta viene riassunta dalla bilatera di Figura 5.60
del comportamento idealmente elastico-perfettamente plastico.

Incrudimento
Per taluni materiali metallici, ma non solo per questi, al crescere della tensione, nel
tratto YR gli aggregati cristallini del metallo, detti policristalli, scorrono gli uni ri-
spetto agli altri, ma i cambiamenti di orientazione fra i piani cristallografici esistenti
nei diversi aggregati determinano barriere per lo scorrimento, per vincere le quali
è necessario un aumento del carico F e conseguentemente della tensione per gene-
rare incrementi della deformazione; tale incremento della resistenza agli scorrimen-
ti, nel comportamento plastico, viene chiamato incrudimento (Figura 5.61a). Incrudimento
Per i materiali incrudenti, nel tratto YR la curva (e, s) di risposta si presenta
crescente.
σ
σs
Anisotropia da deformazione permanente
Generalmente le deformazioni fin qui trattate, per i metalli così come per altri
materiali, avvengono in modo isotropo, cioè in modo invariante rispetto alla di- O
rezione di prova. Ciò vuol dire che provini uguali ottenibili secondo generiche e ε0 ε
diverse orientazioni a partire da un blocco grande del materiale, evidenziano, se
provati in modo uguale, lo stesso comportamento, indipendentemente dall’origi-
–σs
naria giacitura nel blocco di provenienza.
Le deformazioni residue o permanenti nei metalli dipendono da dislocazioni
di atomi che determinano slittamenti con conseguenti microdeformazioni e auto-
Figura 5.60
tensioni elastiche residue, necessarie ad assicurare la compatibilità a seguito della
nascita delle dislocazioni (Figura 5.58). Tale stato instabile di deformazioni ela-
stiche locali presenti al livello macroscopico, con i corrispondenti sforzi autoe-
quilibrati, sono causa della riduzione del carico necessario a produrre scorrimenti
di segno opposto a quelli precedentemente verificatisi, fenomeno questo ultimo
particolarmente evidente per i metalli incrudenti.
Al livello macroscopico ciò si traduce in una anisotropia derivante dalle de-
formazioni permanenti verificatesi, che si manifesta attraverso una riduzione della
tensione limite in compressione, per un materiale che abbia precedentemente su-
bito deformazioni plastiche di allungamento (tratto SY9 di Figura 5.61b).
L’effetto di tale anisotropia consiste nel raggiungimento di una tensione limite
ss0 in compressione di valore assoluto minore di s9s  per il materiale preceden-  0s0 s 0 6 0 s9 s
temente snervato in trazione (tratto OYS). Tale effetto di anisotropia indotta dalle
deformazioni plastiche è noto sotto il nome di effetto Bauschinger. Effetto Bauschinger

σ σ Figura 5.61
R S
Y σs′ Y
σs

O ε
O ε σ s′′ Y′

a) b)
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:52 Pagina 398

398 j Capitolo 5 j Meccanica dei continui

Figura 5.62 ε
σ
σ3 > σ2 compressione

σ2 > σ1

σ1

O O
τ τ
a) b)

σ
Figura 5.63
Y – εt /ε
σs′
0.5

O 0.3
s ε

Y′ O
– σ′′s ε0 ε

a) b)

Un modello semplificato di tale comportamento è quello rappresentato in Figura


5.63a da tratti rettilinei paralleli rappresentanti le risposte plastiche incrudenti.

Deformazione viscoplastica, creep


Se il materiale giunto nelle condizioni simboleggiate da un punto del tratto YR
(Figura 5.61), sotto tensione costante, evidenzia un incremento progressivo delle
deformazioni plastiche nel tempo, si dice che è in uno stato viscoplastico o di
Deformazioni viscoplastiche creep e tali deformazioni si dicono viscoplastiche.
Entrambi i comportamenti elastico e plastico sono indipendenti dal tempo in
quanto la deformazione segue pressoché istantaneamente lo sforzo. Questa cir-
costanza non è sempre verificata. In acciai a elevata temperatura o in polimeri,
per esempio, sforzi e deformazioni variano nel tempo anche se le condizioni di
costrizione permangono immutate.
Un tale comportamento è detto viscoso e due sono i principali esperimenti che
Creep permettono di investigarlo: la prova detta di creep, in cui si misurano le variazioni
Rilassamento della deformazione nel tempo a sforzo costante, e quella di rilassamento, in cui
si valutano le variazioni di sforzo a deformazione imposta. I risultati di una prova
di creep sono rappresentati in Figura 5.62, che mostra deformazioni che evolvono
in funzione del tempo t per diversi livelli di sforzo (s1 , s2 , s3), che viene
Deformazione istantanea mantenuto costante durante la prova. L’ordinata a t 5 0 rappresenta la deforma-
zione istantanea che si produce in concomitanza con l’applicazione del carico.
Dopo un transitorio, generalmente breve, si raggiunge una fase in cui, dopo un
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:52 Pagina 399

5.4 j Meccanica dei materiali. Legami costitutivi – Teoria dell’Elasticità j 399

certo intervallo di tempo (più o meno grande a seconda del livello di sforzo) la
pendenza della curva di risposta cresce rapidamente, fino alla rottura del provino.
Se durante la prova il carico viene rimosso, la parte elastica della deformazione
viene recuperata istantaneamente. Le deformazioni viscose possono essere o meno
recuperate nel tempo. I polimeri, dopo un certo tempo, ritornano alle condizioni
iniziali, mentre nei metalli le deformazioni viscose sono in generale permanenti.
In Figura 5.62b è rapresentata la risposta tipica di una prova di rilassamento
in compressione. Il provino viene accorciato e mantenuto in tale stato deformativo;
lo sforzo indotto dall’accorciamento, misurato al suo evolversi nel tempo a de-
formazione costante, decade nel tempo. Un materiale che presenta comportamento
viscoso in condizioni di creep, in generale presenta anche il fenomeno del rilas-
samento: queste due proprietà sono dunque, in generale, correlate.
Il comportamento dipendente dal tempo dei materiali da costruzione, presenta
alcune analogie con quello di un fluido viscoso perfetto. I modelli costitutivi per Fluido viscoso perfetto
questi comportamenti combinano le leggi che governano la risposta di tale fluido
con quelle che predicono la parte indipendente dal tempo nella risposta del ma-
teriale. In letteratura vengono formulati modelli viscoelastici o elasto-viscopla-
stici, a seconda che contengano solo parametri atti a descrivere proprietà elastiche
e viscose o anche plastiche.

Punto di rottura
È il punto terminale R della curva di carico, corrispondente all’improvvisa perdita
di continuità del provino che si spezza in due parti. La deformazione eR ultima
del provino in corrispondenza della rottura si chiama deformazione alla rottura. Deformazione alla rottura

Incompressibilità
Le deformazioni plastiche e quelle viscoplastiche dei metalli, fatta eccezione per
quei reticoli nei quali sono presenti dislocazioni (Figura 5.58), non alterano la
struttura cristallina delle rimanenti parti, essendo riconducibili a meccanismi di
scorrimento; pertanto esse modificano molto poco il volume degli aggregati cri-
stallini, risultando giustificato in modelli semplificati considerare nulla la varia-
zione volumetrica in ambito plastico.
In ambito elastico si hanno piccole deformazioni volumetriche reversibili. Per Deformazioni volumetriche
approfondimenti su questo tema è utile la descrizione degli esperimenti di J. Bau-
shinger, Civilingenieur, Leipzig, 1879, 25, 81-124.
Gli esperimenti effettuati sui metalli, come quello della prova di trazione mo-
nodimensionale sopra descritta, hanno mostrato che alla dilatazione e del provino
nella direzione del suo asse, che coincide con quella della tensione s applicata,
si accompagna la deformazione trasversale di valore et, uniforme in qualunque
direzione normale all’asse del provino. La et è di contrazione e quindi negativa.
Il rapporto n 5 2et>e nell’ambito delle piccole deformazioni elastiche viene chia-
mato modulo di contrazione trasversale o modulo di Poisson e assume valori ca- Modulo di Poisson
ratteristici per i diversi materiali.
Per un acciaio, il valore iniziale di n 5 0.30 , 0.33 durante la prova tende a
incrementarsi, evidenziando all’insorgere del fenomeno della strizione e alla na-
scita delle deformazioni plastiche valori prossimi a n 5 0.5 (Figura 5.63b). Questo
comportamento si accompagna a quello della strizione, il cui effetto macroscopico
è quello di una drastica e repentina riduzione del diametro del provino, in una
zona di piccola estensione.
Si è mostrato precedentemente che il coefficiente di variazione volumetrica
[Equazione (5.37)] vale
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:52 Pagina 400

400 j Capitolo 5 j Meccanica dei continui

cv 5 e11 1 e22 1 e33


nel caso della prova di trazione, con la posizione e11 5 e, si ha e22 5 e33 5 et e
con et>e 5 0.5 consegue

et 5 20.5e e cv 5 e 22(0.5)e 5 0
Questo risultato evidenzia che un rapporto 2et>e tendente a 0.5 comporta una so-
Incompressibilità stanziale invariabilità del volume e quindi l’incompressibilità del materiale du-
rante l’esplicazione delle deformazioni plastiche, che sono dunque connesse con
meccanismi di tipo essenzialmente da scorrimento.
Questo comportamento peraltro è del tutto diverso da quello evidenziato da
numerosi altri materiali da costruzione (conglomerati, terre, materiali granulari,
porosi, materiali polimerici), che anche al limite della resistenza evidenziano valori
molto più bassi di 0.5 del valore et>e. Questi materiali presentano pertanto una
consistente variabilità volumetrica, quindi compressibilità in condizioni limite.

Frattura
Le deformazioni elastiche e quelle permanenti derivanti da spostamenti relativi
degli atomi mantengono la coesione della materia.
Frattura La frattura invece, per sua definizione, è un meccanismo che interrompe la
continuità della materia e crea discontinuità di superficie o di volume all’interno
del materiale.
Le fratture avvengono inizialmente a livello degli aggregati cristallini; esse
hanno dimensioni di centesimi o millesimi di centimetro e la loro propagazione
può determinare linee di frattura delle dimensioni dei millimetri o dei centimetri.
La frattura fragile dipende dalla rottura dei legami interatomici dovuta a con-
centrazione di sforzi e di energia di deformazione.
Sfaldatura I piani cristallografici si distaccano direttamente per clivaggio o sfaldatura.
A livello macroscopico tale fenomeno determina la rottura immediata del pro-
vino, con piccole deformazioni plastiche (Figura 5.59).
Si ha la frattura duttile quando deformazioni locali si verificano nell’intorno
di imperfezioni del reticolo cristallino. Le fratture nascono a livello microscopico,
propagandosi poi e collegando diversi rami, fino a che giunge la rottura. In questo
caso la nascita delle fratture si può accompagnare a un comportamento global-
mente duttile del materiale, cioè alla nascita di grandi deformazioni permanenti
prima della rottura (Figura 5.54, Figura 5.60).
La disciplina che tratta la nascita e la propagazione della frattura, dei difetti
e delle fessure si chiama Meccanica delle Frattura, ma i suoi scopi esulano da
questo testo. Nel Capitolo 7 verranno solo dati cenni su questa teoria.

5.4.3 Elasticità
Comportamento elastico L’aspetto principale del comportamento elastico del materiale deducibile dagli
esperimenti eseguiti a temperatura ambiente può essere descritto nello spazio delle
deformazioni come segue.

Un elemento materiale che a partire da uno stato iniziale di deformazione di ri-


ferimento, indicato con A, viene portato, per l’intervento di azioni esterne, in un
altro stato B, alla scomparsa degli enti sollecitanti ritorna nello stato A senza
mantenere traccia alcuna della trasformazione subita, qualunque essa sia stata
(Figura 5.64).
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:52 Pagina 401

5.4 j Meccanica dei materiali. Legami costitutivi – Teoria dell’Elasticità j 401

ε hk Figura 5.64

ε Bhk B

ε Ahk
A

O ε Aij ε Bij ε ij

Ciò vuol dire che nella trasformazione dello stato di deformazione da A verso B
l’elemento materiale ha scambiato energia con l’ambiente esterno, per esempio
dall’esterno è stato compiuto su di esso un lavoro che lo ha deformato; questo la-
voro deve quindi essere stato completamente immagazzinato nell’elemento sotto
forma di energia di deformazione. Questa energia viene poi completamente re-
stituita nella successiva trasformazione fra B e A. Poiché alla fine del ciclo di tra-
sformazione ABA, qualunque sia il percorso, lo stato di tensione e deformazione
del materiale non è mutato, il bilancio dello scambio di energia fra esso e l’am-
biente è nullo; se ne deduce che nella trasformazione AB lo scambio di energia
è uguale e opposto a quello relativo alla trasformazione BA, qualunque siano i
percorsi g seguiti; la variazione di energia deve allora essere funzione solo degli
stati iniziale A e finale B. L’energia, che è una funzione di stato, è una funzione
integrabile ed è differenziabile. Tale condizione è tipica delle trasformazioni re- Trasformazioni reversibili
versibili o conservative.
Con riferimento a un incremento elementare del processo di carico descritto
di un elemento unitario di materiale che parta dallo stato (sij, eij), in condizioni
adiabatiche e quasi statiche e in assenza di fenomeni dissipativi, il Principio dei
Lavori Virtuali consente di scrivere l’eguaglianza del lavoro esterno e di quello
meccanico interno:
dLe 5 dLi 5 dF 5 sijdeij (5.184)

la quale conduce alla:


0F
sij 5 (5.185)
0eij

che costituisce il legame costitutivo del materiale che ammette una funzione ener- Energia di deformazione
gia di deformazione elastica specifica F 5 F(eij), avente il ruolo di funzione po- elastica
tenziale dello stato di tensione, detta anche potenziale elastico.
L’esistenza dell’energia elastica F 5 F(eij) quale potenziale elastico, in quanto Potenziale elastico
generatore dello stato di tensione tramite la (5.185), consente di affermare che lo
stato di tensione nell’elemento che presenti valore F dell’energia elastica dipende
dallo stato deformativo raggiunto e non dalle trasformazioni precedentemente su-
bite: il materiale in tale senso non conserva memoria del processo deformativo
precedente all’istante attuale.
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:52 Pagina 402

402 j Capitolo 5 j Meccanica dei continui

Materiale iperelastico L’ipotesi di esistenza del potenziale elastico F(eij) definisce i materiali iperela-
stici; essa fu assunta per la prima volta da G. Green nel 1839. È il caso di notare
che in letteratura, con il termine elastico ci si riferisce normalmente al modello
iperelastico del materiale. Più avanti si esporrà, quale controesempio, un modello
di materiale non iperelastico.
La condizione necessaria di differenziabilità di F(eij) (5.184) richiede il sod-
disfacimento delle equazioni:
0sij 0shk
5 (5.186)
0ehk 0eij

Condizione di conservatività che tramite la (5.185) fornisce la condizione di Schwartz:


di Schwartz
02F 02F
5 (5.187)
0eij 0ehk 0ehk 0eij

È ben noto che negli aperti semplicemente connessi la (5.187) è anche condizione
sufficiente per la differenziabilità di F(eij).
Si voglia ora invertire la relazione costitutiva (5.185) che ha la forma
 d(sijeij) 5 sij 5 sij(ehk). Si consideri l’elemento materiale infinitesimo nello stato elastico
caratterizzato dai valori (E, T) della deformazione infinitesima e dello sforzo, e
5 sijdeij 1 eijdsij 5
il prodotto interno T ? E 5 sijeij, già introdotto nella (5.182), definibile nello
5 dF(eij) 1 dF c(sij) spazio vettoriale di dimensione 12 delle tensioni e delle deformazioni; se per ipo-
tesi il prodotto interno è differenziabile, risulta .
 La funzione Fc(sij), avente differenziale dFc(sij) 5 eijdsij, introdotta per la
prima volta da Alberto Castigliano (1875), in quanto differenza di differenziali
DF c(sij)53 eijdsij53 dF c esatti, è anch’essa un differenziale esatto e può quindi integrarsi nel processo, ri-
sultando , o equivalentemente , che fornisce (trasformazione di Legendre):

0F c 0F c
dF c(sij)5 ds 5e ds eij 5 eij(shk) 5 (5.188)
0sij ij ij ij 0sij

che ha il significato di inversa dell’equazione costitutiva (5.185) e assegna alla


Potenziale complementare Fc(sij) il ruolo di potenziale delle deformazioni elastiche.
Energia complementare La funzione Fc(sij) si chiama energia complementare specifica.
Con riferimento a un elemento di materiale soggetto a un’unica componente
di tensione, detta s, per una trasformazione generica il grafico della funzione
s 5 s(e) in funzione della deformazione associata e presenta l’aspetto di Figura
5.65; con riferimento ai valori finali della tensione s e della deformazione e e al

Figura 5.65 σ

φc
φ

O ε
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:52 Pagina 403

5.4 j Meccanica dei materiali. Legami costitutivi – Teoria dell’Elasticità j 403

rettangolo di dimensioni s ed e, l’area tratteggiata in verticale al di sotto del gra-


fico è rappresentativa dell’energia di deformazione F(eij), mentre quella a questa
complementare nel rettangolo di dimensioni s e rappresenta l’energia comple-
mentare Fc(sij).

5.4.4 Elasticità lineare


Molti materiali strutturali per valori bassi delle tensioni presentano una risposta
sperimentale elastica caratterizzata da una relazione tensioni-deformazioni pres-
soché lineare.
Su tale evidenza sperimentale si è fondato il legame costitutivo del materiale
linearmente elastico. Peraltro la linearità di tali relazioni ha consentito di dedurre, Materiale linearmente
fra la seconda metà dell’Ottocento e la prima metà del Novecento, importanti ri- iperelastico
sultati nella teoria delle strutture costituite da materiale modellabile in tal modo,
consentendone uno sviluppo e una completezza davvero notevole e certamente
preminente in confronto alla teoria di strutture aventi altri legami costitutivi. 0F
Sotto l’ipotesi di iperelasticità, lo stato di tensione è fornito dalle (5.185): .  sij 5
0eij
Affinché le (5.185) forniscano una relazione lineare omogenea fra tensioni e
deformazioni è necessario che il potenziale elastico F(eij) del materiale che parte
dallo stato naturale abbia la seguente struttura quadratica nelle componenti di
deformazione:

F(eij) 5 cijhkeijehk 5 E # cE
1 1
(5.189)
2 2
ove # è un tensore del quarto ordine costituito da 81 costanti, e viene chiamato
tensore delle costanti elastiche o tensore di elasticità. Tensore di elasticità
Si è già osservato che la condizione di integrabilità di F(eij) è fornita dalla
(5.187), che applicata alla (5.189) fornisce

#ijhk 5 #hkij, (5.190)


la quale afferma la proprietà cosiddetta di simmetria maggiore del tensore di Simmetria maggiore
elasticità #.
D’altra parte, grazie alla simmetria dei tensori di sforzo e di deformazione, si
deduce che il contributo alla F(eij) della eij deve essere lo stesso di quello della
eji; analogamente per quello dovuto alle ehk ed ekh; ne consegue

#ijhk 5 #ijkh 5 #jihk, (5.191)


proprietà che esprime le cosiddette simmetrie minori. Simmetrie minori
La (5.185) si può scrivere:

T 5 #E (5.192)
Grazie alle proprietà di simmetria maggiore e minori è possibile condensare gli
indici presenti nella (5.191). Si consideri a ciò fare la rappresentazione vettoriale Rappresentazione vettoriale
dei tensori di deformazione e di sforzo, di seguito definita nello spazio vettoriale di tensioni e deformazioni
di dimensione 6 (dovuta a Voigt): Condensazione di Voigt

eT53e1 e2 e3 e4 e5 e6 453e11 e22 e33 2e12 2e23 2e31 453e11 e22 e33 g12 g23 g31 4

sT53s1 s2 s3 s4 s5 s6 453s11 s22 s33 s12 s23 s31 453s11 s22 s33 t12 t23 t31 4 (5.193)

La definizione data è basata sulla consistenza dell’espressione del corrispondente


prodotto interno:
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:52 Pagina 404

404 j Capitolo 5 j Meccanica dei continui

T ? E 5 sT · e
La (5.189) può scriversi a questo punto:

F 5 Cij eiej 5 eT # Ce 5 sTe


1 1 1
(5.194)
Potenziale elastico 2 2 2
Matrice di elasticità ove C è la matrice di elasticità del secondo ordine nello spazio vettoriale di di-
mensione 6.
Con questa rappresentazione si può agevolmente dedurre la proprietà di sim-
metria maggiore (5.190) sopra enunciata, esplicitando la (5.194) e utilizzando la
s 5 C · e; con C nella forma:
C11 C12 C13 C14 C15 C16
C21 C22 C23 C24 C25 C26
C31 C32 C33 C34 C35 C36
C5F V
C41 C42 C43 C44 C45 C46
C51 C52 C53 C54 C55 C56
C61 C62 C63 C64 C65 C66
si ha:

F5 eT # Ce5 sT # e5 Cijeiej5 3s1e11s2e21s3e31s4e41s5e51s6e6 45


1 1 1 1
2 2 2 2
1
5 3(C11e11C12e21C13e31...1C16e6)e11(C21e11C22e21C23e31...1C26e6)e21...
2
(5.195)
... 1 (C61e1 1 C62e2 1 C63e3 1 ... 1 C66e6)e64 5

a 3Ci1eie1 1 Ci2eie2 1 Ci3eie3 1 Ci4eie4 1 Ci5eie5 1 Ci6eie6 4


1 6
5
2 i51
Si nota qui esplicitamente che, mentre il tensore di elasticità # muta, al cambiare
del riferimento, nel rispetto delle equazioni di trasformazione tensoriale [Equa-
zioni (5.85)] la matrice C non gode di tale proprietà.
Affinché la F(ei) sia integrabile nelle variabili ei, devono valere le condizioni
0si 0sj di Schwartz di uguaglianza delle derivate miste delle si espresse dalle quantità
 5 in parentesi tonde nella (5.195):  dalle quali si ottiene la simmetria della matrice
0ej 0ei
delle costanti elastiche:
Cij 5 Cji (5.196)
che riduce le 36 costanti che definiscono la C a sole 21 quantità indipendenti.
La (5.189), nella rappresentazione (5.195), assume la forma
0F
si 5 (5.197)
0ei
che si esplicita derivando la (5.195) rispetto a ei e tenendo conto della proprietà
(5.196) di simmetria della C:
0F
si 5 5 Cijej 1 s 5 Ce (5.198)
0ei
e fornisce il vettore della tensione s noto lo stato di deformazione e e la matrice
di elasticità.
Tramite la (5.198) il potenziale elastico specifico si scrive in funzione delle
tensioni e delle deformazioni:

F 5 sT # e
1
(5.199)
2
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:52 Pagina 405

5.4 j Meccanica dei materiali. Legami costitutivi – Teoria dell’Elasticità j 405

Un materiale elastico nello stato naturale, per essere deformato, necessita l’inter-
vento di forze esterne che compiano un lavoro che si trasforma completamente
nell’energia di deformazione. L’Equazione dei Lavori Virtuali consente di affer-
mare che il lavoro delle forze, che è assunto positivo, deve uguagliare il lavoro
interno; ne consegue il carattere positivo di F qualunque sia lo stato di deforma-
zione e non nullo raggiunto:

s #e70
1 T
F5 5e?0
2 (5.200)
Questa condizione, che va sotto il nome di stabilità del materiale elastico, equivale Stabilità del materiale elastico
ad affermare che la (eT · Ce) è una forma quadratica definita positiva; risulta in- Forma quadratica definita
fatti per tali forme: positiva

eT # Ce 7 0 5e?0
(5.201)
eT # Ce 5 0 3 e50
Poiché la proprietà definitoria (5.201) vale per ogni determinazione di e, essa
deve riguardare la matrice C che viene quindi detta definita positiva.
Una matrice è definita positiva se e solo se tutti i suoi minori principali hanno
determinante positivo. Una condizione equivalente è che ciascuno dei suoi auto-
valori sia positivo.
Poiché la matrice C presenta determinante positivo essa è invertibile.
Detta C21 la sua inversa, l’equazione costitutiva (5.198) presenta l’inversa

e 5 C21s 5 As (5.202)
che fornisce in elasticità lineare la deformazione in funzione della tensione me-
diante la matrice A 5 C21 di cedevolezza elastica. Matrice di cedevolezza elastica
Il potenziale complementare nel caso di elasticità lineare assume l’espressione: Potenziale complementare

F c 5 sT # As
1
(5.203)
2

5.4.5 Relazioni di Hooke dell’elasticità lineare isotropa


Si otterranno qui le equazioni costitutive dell’elasticità lineare isotropa secondo
una procedura assiomatica semplificata. In seguito si mostrerà che le stesse rela-
zioni sono ottenibili in generale utilizzando il potenziale elastico.
Si è mostrato che per un materiale linearmente iperelastico il potenziale ela-
stico F(ei) deve avere un’espressione quadratica nelle componenti di deforma-
zione (5.194), affinché da esso per derivazione si possano dedurre tensioni lineari
nelle deformazioni (5.197).
La proprietà di isotropia d’altra parte richiede che il materiale esibisca una ri- Materiale isotropo
sposta non dipendente dalla direzione di prova; ne consegue che il potenziale F(ei)
deve essere funzione delle deformazioni tramite il primo e il secondo invariante
di deformazione, che sono appunto quantità indipendenti dal riferimento. Il po-
tenziale elastico, nel caso lineare isotropo, deve dunque avere la seguente forma:
k1 2
F(ei) 5 I (e) 1 k2I2(e) (5.204)
2 1
nella quale gli invarianti di deformazione sono forniti dalla (5.65), mentre le k1
e k2 sono le due costanti elastiche del materiale, (che come si mostrerà in seguito
determinano le costanti o moduli di Lamé). La (5.204) mostra che, per il materiale Moduli di Lamé
linearmente elastico e isotropo, le costanti elastiche indipendenti sono due.
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:52 Pagina 406

406 j Capitolo 5 j Meccanica dei continui

Figura 5.66

σii σii

dxi
dxi (1 + ε ii )dxi

In un elemento di materiale linearmente elastico e isotropo (Figura 5.66) sia pre-


sente l’unica tensione sii; la direzione xi è dunque principale di tensione. Si fa
qui l’ipotesi che le direzioni principali di tensione coincidano con quelle di de-
formazione: si dimostrerà successivamente in tutta generalità che ciò è vero per
il solo materiale isotropo. La deformazione associata alla sii è data dalla relazione
lineare del tipo (5.202):
sii
eii 5 (5.205)
E
nella quale E è il modulo di elasticità normale o di Young. Per la condizione
Modulo di Young (5.200) il modulo di Young deve essere positivo E . 0.
Gli esperimenti eseguiti sui materiali reali isotropi, come già rilevato sopra,
evidenziano che in una qualunque direzione normale a quella xi in cui è applicata
la sii, si ha una deformazione, di segno opposto a quello della eii, a questa legata
Modulo di Poisson tramite il modulo di Poisson o di contrazione trasversale n, esplicitata per esempio
per la direzione xj a mezzo della:
sii
ejj 5 2neii 5 2n (5.206)
E
sii Similmente nella direzione xk si ha: .
 ekk 5 2neii 5 2n
E Sulla base di questa osservazione, si può ora considerare uno stato di tensione
nel quale siano presenti le tre tensioni normali (sii 5 s1, sjj 5 s2, skk 5 s3).
Per semplicità tensioni normali e dilatazioni corrispondenti si rappresentano con
un unico pedice. Le direzioni (x1, x2, x3) sono dunque principali sia di sforzo che
di deformazione. La deformazione nella direzione x1 si ottiene ora per sovrappo-
sizione degli effetti. In particolare alla deformazione “diretta” (5.205) vanno som-
mate quelle dovute agli effetti trasversali (5.206); si ottiene in definitiva:
s1 s2 s3
e1 5 2n 2n
E E E
Generalizzando il ragionamento alle tre direzioni si ottengono:

e15 3s12n(s21s3)4 ě25 3s22n(s11s3)4 ě35 3s32n(s11s2)4 (5.207)


1 1 1
ˇ ˇ ˇ ˇ ˇ ˇ ˇ ˇ ˇ

E E E
ˇ ˇ

che legano le tensioni normali alle dilatazioni, per il materiale linearmente ela-
stico isotropo.
Similmente, l’evidenza sperimentale mostra che una tensione tangenziale t
determina lo scorrimento g corrispondente, pertanto si ha:
t12 t23 t31
g12 5 g23 5 g31 5 (5.208)
G G G
relazioni che legano le tensioni tangenziali ai corrispondenti scorrimenti. Il coef-
Modulo di elasticità ficiente G si chiama modulo di elasticità tangenziale e per la condizione di stabilità
tangenziale (5.200) deve essere positivo G . 0. Le (5.207) e (5.208) sono le relazioni inverse
Equazioni inverse di quelle di Hooke dell’elasticità lineare isotropa. Delle tre costanti elastiche (E, n, G) fin
di Hooke qui introdotte, solo due sono indipendenti.
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:52 Pagina 407

5.4 j Meccanica dei materiali. Legami costitutivi – Teoria dell’Elasticità j 407

Sommando le (5.207), si ottiene:


1 2 2n 3(1 2 2n)
c 5 e1 1 e2 1 e3 5 (s1 1 s2 1 s3) 5 p (5.209)
E E
la quale costituisce la relazione di elasticità lineare fra la tensione media p (5.127)
e la variazione volumetrica c (5.48). La (5.209) nella forma c 5 p>cv, definisce
il modulo di elasticità volumetrica (o bulk modulus) del materiale:
E
cv 5 (5.210) Modulo di elasticità
3(1 2 2n)
volumetrica
Come il modulo E, anche il modulo volumetrico cn deve essere positivo; ne con-
segue che il modulo di Poisson deve rispettare la seguente limitazione n , 1>2.
Precedentemente si è già avuto modo di osservare che se il modulo di Poisson
tende al valore 1>2, il materiale diventa incomprimibile; ciò è confermato dalla
(5.210) che mostra un cn che in tale condizione è divergente. Si mostrerà nel-
l’esempio seguente che il modulo di Poisson deve anche rispettare la limitazione Limitazioni del modulo
n . 21. In definitiva, il modulo di Poisson appartiene all’intervallo: di Poisson
1
21 6 n 6 (5.211)
2
Taluni materiali quali il caucciù e la gomma presentano valori di n intorno a 0.48
e sono quindi quasi incompressibili.
Pur risultando in via teorica possibili, per la (5.211), valori negativi del modulo
di contrazione trasversale, non sono noti materiali che presentino tale caratteristica.
Taluni materiali progettati, di recente utilizzo, ottenuti per assemblaggio di
celle aventi forma particolare, quale quella di Figura 5.67, evidenziano su parti
macroscopiche un effetto paragonabile con quello di un materiale avente n nega-
tivo (Niels Olhoff, On optimum design of structures and materials, General lecture
al XII Congresso Nazionale AIMETA 1995, Napoli, Italia)
Le Equazioni (5.207) e (5.208) possono essere invertite tramite risoluzione ri-
spetto alle componenti di tensione, ottenendosi:

3 112n2e1 1ne2 1ne3 4 3ne 1 112n2e2 1ne3 4


2G 2G
s1 5 s2 5
122n 122n 1

3ne 1 ne2 1 11 2 n2e3 4


2G
s3 5 (5.212)
1 2 2n 1
t12 5 Gg12 t23 5 Gg23 t31 5 Gg31
Le (5.212) esplicitano il legame costitutivo del materiale linearmente elastico iso-
tropo, o legge di Hooke. Legge di Hooke
I moduli elastici dei principali materiali di uso nelle costruzioni, unitamente
ad altri valori caratteristici del loro comportamento, sopra descritto, vengono rias-
sunti nelle Tabelle 5.2 e 5.3. I valori presentati, per i quali ove possibile si forni-
scono intervalli di variabilità, sono desunti dalla letteratura tecnica disponibile;

Figura 5.67
Tabella 5.2 Costanti Elastiche e parametri meccanici dei materiali da costruzione.
408

Coeff. di Var. Termica


Lineare
j

Modulo di variaz. di lung. su un


Modulo di elast. Modulo Tensione di milionesimo per grado
Densità r Young E tangenz. G, Modulo di volumetrico snervamento Tensione di Deformazione centigrado o Kelvin
Materiale · 103 kg>m3 GPa GPa Poisson n Cv MPa ss MPa rottura sr MPa a rottura % a, (1026 K21)
Capitolo 5
j

Ferro 7.86 180-210 78-81 0.3 169 140-200 280-400 15-20% 11.8-12
Acciaio 7.83 190-210 82 0.26-0.33 172 200-500 400-600 12-25% 12-16
Acciaio x 7.83 207-210 82-84 0.26-0.33 172 1700 1800 3-5% 11.6
precompresso
Alluminio 2.7-3.9 70-80 25-26 0.16-0.35 71.6 22-35 50-80 8-20 23.6-25
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:52 Pagina 408

Ghisa 7.15 66-140 51 0.17-0.25 73 10.7


Nichel 8.80 210-230 87 0.32 213 60-150 310-400 40%
Meccanica dei continui

Ottone 8.50 100-120 37 0.36 143 19-20


Piombo 11.34 14-18 6.2 0.40-0.45 57 7-14
Rame 8.9 120-150 44 0.35-0.36 133 50-70 216 20-40% 16.5
Zinco e leghe 7.1 45-115 45 0.27 8.3 65 28-124 40%
Leghe di alluminio 2.7-3.9 69-71 0.30-0.34 35-550 variabile
Leghe di rame 105-150 0.34-0.37 76-1100
Leghe di piombo 14 7-14
Leghe di titanio 4.87 100-120 140-550 275-690 35%
Grafite 1.5-2.3 3.5-150 Traz. 7.4 3-3.5
Conglomerato 2-2.4 20-35 11.8 0.15-0.16 14 Traz. 3-4 12-13
cementizio Compr. 25-40
Calcare 1.1-1.9 15-40 Traz.1
Compr. 2-15
Basalto 2.75-3.2 90-120 Traz.7-9
Compr. 200-400
Granito 2.5-2.7 30-60 0.14 25-55 Traz.2-6 8.5-9.5
Compr. 100-120
Marmo 2.7-2.8 40-70 26 0.15 28.6 Traz.1 6-7.5
Compr. 2-15
Vetro 2.2-2.7 60-70 22-29 0.17-0.22 41.6 100-120 0.5-0.6
Gomma 0004 0.0013 0.48 0033
Tufo 1.4-1.6 2-4 0.18-0.22 Traz. .0.7-0.8;
Compr. 3.5-4.5
Laterizi 15-25
Legno (abete) 0.37-0.75 E: Dir E: Normale 6-15 Traz. parall.
fibre 8-15 fibre fibre 10-20
0.27-0.7 Compr. parall.
fibre 16-25
Compr. ortog.
fibre 4.5-8.5
Ossa umane Direz. 10-21 4-7 0.3-0.4 130-170
(25-30 anni) Femore, Longitud.
tibia, omero, radio. 1-2
Policarbonato 1.2 2.38 65 65 60-70
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:52 Pagina 409

Nylon 1.13-1.15 1.4-2.8 75-80 75-80 90-100


PVC 1.3 3.5 0.4
5.4

Polistirene 0.92-0.96 2-4 0.17 0.4


j

Carbonio 2.71 42-48


Polimeri termopl. 0.90-1.30 0.9-2.4 9-45 8-70
trazione
Polimeri termoind. 1.20 1.25 2.1-4.8 4-90
trazione
Tecnopolimeri 0.5-309 45-90 14-75
trazione
Fibre di carbonio 290-400 0.2 2400-5700 0.3-1.8
Polimeri rinf. fibra Frazione 110-160 1200-3000 1.2-1.5
carbonio CFRP volumet.
fibre 5
0.60-0.65
Fibre di vetro 72-87 0.2 3300-4500 2.5-5 8
Polimeri rinf. fibra Frazione 42 600-800 1.4-2 Longitudinale 10
vetro GFRP volumet.
fibre 5
0.60-0.65
Fibre aramidiche
Polimeri rinf. fibre Frazione 46-72 1000-1800 2.5-4 6
aramidiche AFRP volumet.
Meccanica dei materiali. Legami costitutivi – Teoria dell’Elasticità j

fibre 5
0.60-65
409

Tabella di conversione unità di misura: 1 GPa 5 109 Pa 5 109 N>m2 5 104 Kg>cm2; 1 MPa 5 106 Pa 5 106 N>m2 5 105 Kg>m2 5 10 kg>cm2 5 1 N>mm2
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:52 Pagina 410

410 j Capitolo 5 j Meccanica dei continui

Tabella 5.3 Prefissi per le potenze di dieci con le unità metriche


Potenza Prefisso Abbreviazione Denominazione
10224 yocto– y Quadrilionesimo
10221 zepto– z Triliardesimo
10218 atto– a Trilionesimo
215 femto– f Biliardesimo
10
212 pico– p Bilionesimo
10
1029 nano– n Miliardesimo
1026 micro– m Milionesimo
23 milli– m Millesimo
10
22 centi– c Centesimo
10
21 deci– d Decimo
10
100 5 1 unità u Unità
101 deka– da Dieci
102 etto– e Cento
103 kilo– k Kilo
104 miria– mi Diecimila
106 mega– M Milione
109 giga– G Miliardo
1012 tera– T Bilione
1015 peta– P Biliardo
1018 exa– E Trilione
1021 zetta– Z Triliardo
1024 yotta– Y Quadrilione
10100 googol– Googol
(1010)100 googol– Googolplex
(10100)100 anton– A Antonplex

essi sono da considerarsi come puramente indicativi degli effettivi valori, i quali
debbono comunque essere saggiati sperimentalmente sul materiale reale in studio,
nei casi concreti in cui ciò sia necessario.

j Esempio 5.15 A titolo di esercizio si determina qui di seguito l’espressione del modulo di ela-
sticità tangenziale G, in funzione di quello di Young E e di quello di Poisson n.
Si faccia riferimento all’elemento di materiale a base quadrata, di vertici OPQR,
di dimensione dx nel piano (xi, xj), al quale sia applicata la sola tensione tan-
genziale tij (Figura 5.68). Il tracciamento del cerchio di Mohr per questo stato
sI nsII
 eI 5 2 5 piano di tensione mostra che le direzioni principali di tensione nI, nII nel piano
E E (xi, xj) formano angoli di p>4 con gli assi (xi, xj). Le tensioni principali agenti
tij 11 1 n2 sui piani principali valgono rispettivamente sI 5 tij, sII 5 2tij. Le direzioni
5
E principali di deformazione coincidono con quelle di tensione nI, nII. La dilata-
zione principale eI si ottiene dalla prima delle (5.207): .
dxi Poiché le dilatazioni e gli scorrimenti forniti dalle (5.207) e (5.208) sono disac-
 P9P0 5 eI 5
"2 coppiati, in funzione rispettivamente delle tensioni normali e di quelle tangenziali,
dxitij 11 1 n2
ne consegue che nel riferimento (xi, xj) non vi sono dilatazioni: ciò implica che nella
5 deformazione il punto P si sposta nel punto P9, ortogonalmente all’asse xi. Lo spo-
"2E stamento P9P0 del punto P nella direzione principale di deformazione nI vale .
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5.4 j Meccanica dei materiali. Legami costitutivi – Teoria dell’Elasticità j 411

Figura 5.68
nII nI
xj
Q′
τ ij
R′
R Q τ nm
ε ij
dx τ τ ij
ij
P′
P′′
P
O
τ ij ε ij = 1/2 γij xi σn
dx

σII
σI σII σI

τ n

σII
σI

Lo spostamento di P vale dunque:


dxitij 11 1 n2
PP9 5 P9P0 "2 5
E
Lo scorrimento gij è dato dal doppio dell’angolo P9OP, assimilabile alla sua tan-
gente:

PP9 2tij 11 1 n2
gij 5 2 5
dx E
Confrontando questa relazione con quella analoga delle (5.212), si ottiene la
cercata espressione per il modulo di elasticità tangenziale:
E
G5 (5.213)
211 1 n2

In forza della positività di E e di G, dalla (5.213) consegue la seguente limita-


zione per il modulo di Poisson n . 21.

Il potenziale elastico lineare isotropo


Qui si sviluppa in termini più completi il legame costitutivo del materiale linear-
mente elastico isotropo, già anticipato sopra in forma semplificata, a partire dal
suo potenziale che, come si è visto nella (5.204), è fornito dalla
k1 2
I1(E) 1 k2I2(E)
F(E) 5 (5.214)
2
che richiede due sole costanti elastiche.
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:52 Pagina 412

412 j Capitolo 5 j Meccanica dei continui

L’ipotesi di isotropia consente di ridurre le 21 costanti dell’elasticità lineare a sole


due indipendenti.
Le espressioni degli invarianti di deformazione (5.65) si pongono nella forma:

I1 1E 2 5 e11 1e22 1e33, I2 1E2 52e11e22 2e22e33 2e33e11 1e12e21 1e23e32 1e31e13

Il legame costitutivo (5.189) nel caso presente si specifica in componenti tensoriali

0I1 1E2 0I2 1E2


sij 5 k1I1 1E2 1 k2 5 1k1 2 k2 2dijell 1 k2eij (5.215)
0eij 0eij

Costanti di Lamé Tramite la definizione delle costanti di Lamé

l 5 k 1 2 k2 G 5 k2>2 (5.216)

si hanno le relazioni di Hooke già anticipate sopra in forma esplicita:

sij 5 2Geij 1 dijleii (5.217)

in cui dij è il delta di Kroneker.


La (5.217) fornisce la relazione deformazioni-tensioni per il legame linear-
mente iperelastico isotropo e in forma assoluta si scrive

T 5 2GE 1 l(e11 1 e22 1 e33)I (5.218)

e si specifica in termini dei vettori di tensione e deformazione:

s1 l 1 2G l l 0 0 0 e1
s2 l l 1 2G l 0 0 0 e2
s3 l l l 1 2G 0 0 0 e3
F V5F VF V
s4 0 0 0 G 0 0 e4 (5.219)
s5 0 0 0 0 G 0 e5
s6 0 0 0 0 0 G e6

Le (5.218) mostrano che le tensioni normali si sono funzioni delle sole dilatazioni
ej e la tij della sola omonima gij; in tale senso c’è un disaccoppiamento delle re-
lazioni tra tensioni normali e dilatazioni da un lato e fra tensioni tangenziali e
scorrimenti dall’altro.
 s11 1 s22 1 s33 5 Le (5.218) si invertono agevolmente, come di seguito. La traccia di T vale 
5(2G13l)(e111e221e33) che tramite la definizione della tensione media p (5.127) e del coefficiente di va-
riazione volumetrica c (5.46) fornisce:

2G 1 3l
p5 c (5.220)
3

Relazione fra variazione che costituisce la relazione elastica lineare isotropa fra variazione volumetrica
volumetrica e tensione media e tensione media; la (5.220) consente di definire il modulo di elasticità volumetrica
Modulo volumetrico (o bulk modulus):
p 2G 1 3l
cv 5 5 (5.221)
c 3

che rappresenta la tensione media necessaria per ottenere una variazione volume-
trica unitaria [il che significa dimezzamento (o raddoppio) del volume].
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:52 Pagina 413

5.4 j Meccanica dei materiali. Legami costitutivi – Teoria dell’Elasticità j 413

Le relazioni di Hooke (5.218) e (5.219) si invertono sostituendovi il valore


c 5 e11 1 e22 1 e33 fornito dalla (5.220), pervenendo alle inverse di Hooke: Inverse di Hooke

3dijlp
a sij 2 b
1
eij 5 (5.222)
2G 2G 1 3l

e in forma assoluta:
T 3lp
E5 2 I (5.223)
2G 2G12G 1 3l2

Le relazioni elastiche si esplicitano, con tensioni e deformazioni in forma vetto-


riale:

G1l 2l 2l
000
G12G 1 3l2 2G12G 1 3l2 2G12G 1 3l2
2l G1l 2l
e1 000 s1
2G12G 1 3l2 G12G 1 3l2 2G12G 1 3l2
e2 2l 2l G1l s2
e3 000 s
F V5I 2G12G 1 3l2 2G12G 1 3l2 G12G 1 3l2 Y F 3 V (5.224)
g12 1 t12
0 0 0 00
g23 G t23
1
g31 0 0 0 0 0 t31
G
1
0 0 0 00
G

Coassialità delle direzioni principali di sforzo e deformazione


per il materiale linearmente iperelastico isotropo
In questo paragrafo si mostra che per il materiale linearmente iperelastico isotropo,
le direzioni principali di sforzo coincidono con quelle principali di deformazione.
A questo fine è necessario introdurre il Teorema di Cayley-Hamilton il quale af- Teorema di Cayley-Hamilton
ferma che “ogni tensore è soluzione della propria equazione caratteristica”. Ciò
può essere facilmente verificato, per esempio, per il tensore di deformazione infi-
nitesima E la cui equazione caratteristica (5.64) 2e3 1 I1(E)e2 2 I2(E)e 1 I3(E) 5 0
scritta in forma matriciale per tutti e tre gli auto-valori (eI, eII, eIII) nella base prin-
cipale

e3I 0 0 e2I 0 0 eI 0 0 0
2 £ 0 eII 0 § 1 II(E) £ 0 e2II 0 § 2 I2(E) £ 0 eII 0 § 1 I3(E) 5 £ 0 §
3

0 0 e3III 0 0 e2III 0 0 eIII 0

si sintetizza nella forma

2E3 1 I1(E)E2 2 I2(E)E 1 I3(E) 5 0 (5.225)

a dimostrazione dell’assunto.
Seguendo l’impostazione di Eric Reissner (1945), si fa qui l’ipotesi che nella
base principale della deformazione, le componenti principali della tensione
T 5 [sij] del materiale linearmente iperelastico isotropo (5.215)
0F(I1,I2,I3) 0 F 0I1 0F 0I2 0F 0I3
sij 5 5 1 1 (5.226)
0eij 0I1 0eij 0I2 0eij 0I3 0eij

siano espresse in funzione di E 5 [eij] nella forma polinomiale:


05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:52 Pagina 414

414 j Capitolo 5 j Meccanica dei continui

T 5 c0I 1 c1E 1 .... 1 cnEn (5.227)

nella quale, grazie all’isotropia, i coefficienti ci sono funzioni dei soli invarianti
di deformazione.
Dalla (5.225) consegue che una qualunque potenza n-esima (n P N) del tensore
E 5 [eij] può essere espressa come combinazione lineare di dij, eij, eijejk a mezzo
di coefficienti che sono funzioni polinomiali dei tre invarianti di E. Infatti la (5.225)
permette di esprimere E3 in funzione delle sole E2, E: E3 5 I1E2 2 I2E 1 I3 e di
esplicitare E4 in funzione dei soli E, E2, nella forma
E4 5 E E3 5 I1E3 2 I2E2 1 I3E 5 (I21 2 I2)E2 1 (I3 2 I1I2)E 1 I1I3I
Per iterazione del procedimento, un qualunque termine c1Ei del polinomio
(5.227) può esplicitarsi in funzione dei soli E2, E, per cui la (5.227) può riscriversi
nella forma:

T 5 3sij 4 5 a1 I 1 a2 E 1 a3 E2 (5.228)

ove le costanti a1, a2, a3 sono polinomi negli invarianti di deformazione. Il risultato
0F
 c d 5a1I1a2E1a3E2
(5.228) mostra che il potenziale elastico F(eij) deve soddisfare l’equazione ,
0eij quindi il potenziale elastico, nel caso di elasticità lineare isotropa, è cubico nelle
deformazioni.
Tenendo conto delle espressioni degli invarianti di deformazione:

I1(E) 5 eii 5 e11 1e22 1e33

1
I2(E) 5 (eiiejj 2eijeji) 5 e11e22 1e22e33 1e33e11 2e12e21 2e23e32 2e13e31
2

I3(E) 5DetE5e11e22e33 1e12e23e31 1e13e21e32 2e13e22e31 2e11e23e32 2e12e21e33


0I1 0I2
 50 5 eji i coefficienti della (5.226) si specificano: per i ? j: ; per i 5 j: e nel riferimento
0eij 0eij principale di deformazione per i ? j risulta eij 5 0, ; pertanto la (5.226) fornisce
0I3 sij 5 0. Ne consegue, come volevasi dimostrare, che sulle facce della base prin-
5 ekiejk 2 ekkeij cipale di deformazione nIe, nIIe, nIIIe sono nulle le componenti di tensione tan-
0eij
genziali sij, i ? j e pertanto questa base coincide con la base principale di tensione
nIs, nIIs, nIIIs.
0I1
 51
0eij
0I2 Relazione fra i deviatori
5 2ell 2 ekk
0eij La relazione costitutiva (5.218) si può esplicitare in termini delle parti idrostatiche
0I3 e deviatoriche dei tensori di sforzo e deformazione. Infatti si è già mostrato tramite
5 ekkell 2 eklelk le (5.147), (5.148) e (5.149) che il tensore di sforzo presenta la decomposizione
0eij
additiva T 5 TD 1 pI, in cui la parte deviatorica TD è definita dalle (5.147),
(5.148) e (5.149). Similmente il tensore di deformazione viene scomposto addi-
0I1 0I2
 50 50 tivamente nella sua parte deviatorica e in quella volumetrica E 5 ED 1 (c>3)I,
0eij 0eij in cui c è il coefficiente di variazione volumetrica e la parte deviatorica è data da:
0I3
50 c
0eij e11 2 e12 e13
3
c
ED 5 F e12 e22 2 e23 V
3 (5.229)
c
e13 e23 e33 2
3
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:52 Pagina 415

5.4 j Meccanica dei materiali. Legami costitutivi – Teoria dell’Elasticità j 415

La parte ED è responsabile del cambiamento di forma dell’intorno, ma non di


quello di volume: infatti il suo invariante lineare è nullo. La parte (c>3) I, com-
plementare di quella deviatorica, essendo isotropa, trasforma qualunque direzione
in sé stessa e non modifica pertanto la forma, ma solo il volume dell’intorno.
La (5.218) consente di scrivere T 5 TD 1 pI 5 2GE 1 lcI la quale con la
scomposizione E 5 ED 1 (c>3)I determina la:
c
TD 5 2pI 1 2GED 1 (2G 1 3l)I
3
Tenendo presente la (5.221) si ottiene in definitiva la cercata relazione elastica
lineare isotropa fra i deviatori di sforzo e deformazione: Relazione fra i deviatori
di sforzo e deformazione
TD 5 2GED (5.230)
La Tabella 5.4 che segue fornisce le costanti elastiche del materiale linearmente
elastico isotropo in funzione di sole due delle costanti assunte quali parametri
indipendenti.

Un esempio di legame lineare non conservativo: il materiale


di Cauchy
Si è visto che le relazioni
s5C?e
definiscono l’elasticità lineare.
Questa relazione, indipendentemente dall’esistenza del potenziale elastico, de-
finisce il cosiddetto materiale di Cauchy, nel quale le tensioni sono linearmente
legate alle deformazioni.
È però necessario evidenziare che la sola linearità può non coniugarsi con la
conservatività del materiale. 

s5 c d5c dc d
Infatti, operando a titolo di esempio in dimensione due, la relazione lineare s1 C11 C12 e1
si scrive . s2 C21 C22 e2

Tabella 5.4 Materiale linearmente elastico isotropo. Espressioni delle


costanti elastiche in funzione della coppia di costanti indipendenti.
Modulo Modulo Modulo Costante Modulo
Costanti di Young tangente volumetrico di Lamé di Poisson
indipendenti E G c l n
G, n 2G(1 1 n) – 2G(1 1 v) 2Gv –
3(1 2 2v) 1 2 2v
G, E – – GE G(E 2 2G) E 2 2G
9G 2 3E 3G 2 E 2G
G, l G13l 1 2G 2 – 3l 1 2G – l
l1G 3 2(l 1 G)
G, cv 9Gcv – – 3cv 2 2G 3cv 2 2G
3cv 1 G 3 2(3cv 1 G)
E, n – E E vE –
211 1 v2 3(1 2 2v) (1 1 v)(1 2 2v)
E, cv – 3Ecv – cv(9cv 2 3E) 3cv 2 E
9cv{E 9cv 2 E 6cv
cv, n 3cv(1 2 2n) 3cv(1 2 2v) – 3cvv –
2(1 1 v) 11v
05txtI_NUNZIANTE_2010 01/07/11 11:52 Pagina 416

416 j Capitolo 5 j Meccanica dei continui

È agevole verificare che per i due diversi percorsi deformativi g1 e g2 di Figura


5.69, sono diversi per tale materiale i valori dell’energia di deformazione:
e21 e22
F 1 5 3 sde 5 C11 1 C21e1e2 1 C22 5 e2 a b
C11 C22
1 C21 1
2 2 2 2
g1

F 2 5 3 sde 5 e2 a b
C11 C21 C12 C22
1 1 1
2 2 2 2
g2

Materiale non conservativo Questo materiale quindi non è conservativo; infatti una trasformazione chiusa g
corrispondente per esempio al percorso (1g2 2 g1) porta a un valore dell’energia
1C 2 C21 2
e2 di deformazione non nullo pari a  che in dipendenza dei valori assunti dalle co-
 DF 5
2 12 stanti può essere positiva o negativa e corrisponde quindi all’accumulo nel sistema
di energia o alla produzione di energia.
Solo nel caso C12 5 C21 tale materiale è conservativo, risultando in accordo
ε1 con la simmetria maggiore e con l’esistenza di un potenziale.
ε =ε2
γ2 5.4.6 Equazioni dell’equilibrio elastico isotropo
γ1 Nell’elastostatica lineare il problema dell’equilibrio di un solido o di una struttura
εAhk assume particolari forme, adatte alla risoluzione in forma chiusa o approssimata.
Nei Capitoli 3 e 4 sono già state trattate le particolari forme che assumono i
ε =ε1 ε2 sistemi di equazioni di equilibrio elastico per le diverse modellazioni dei sistemi
di travi e sono state altresì fornite le principali metodologie solutive, con le cor-
Figura 5.69 rispondenti esemplificazioni.
In questa sede si vuole mostrare la forma generale che il sistema di equazioni
di equilibrio elastico assume per il solido linearmente iperelastico e isotropo. Di
norma è assegnato un solido @ linearmente elastico isotropo, vincolato, sul quale
agiscono sistemi di forze superficiali e di volume.
I dati del problema sono in generale i seguenti.
• È assegnato il solido, rappresentato dal dominio connesso @, di frontiera 0@
generalmente regolare. Per la regolarità della frontiera in letteratura vengono
proposte diverse definizioni; per gli scopi che qui ci si prefigge è sufficiente
fare riferimento a una frontiera costituita dall’unione di un numero finito di
Regolarità secondo Kellog superfici differenziabili (regolarità secondo Kellog: O. D. Kellog, Foundations
of Potential Theory, Dover, 1929).
• La frontiera 0@ è a sua volta partizionata nelle due parti:
– 0@u sulla quale sono assegnate le condizioni di vincolo
u5u (5.231)
– 0@f sulla quale sono assegnate le forze superficiali f.
– Su ogni punto della frontiera sono dunque assegnati o i carichi superficiali
o i vincoli: per questo motivo si parla delle equazioni di equilibrio elastico
Problema misto al contorno come di un problema misto al contorno.
• In @ è assegnato il campo di forze di volume b.
• Il materiale linearmente iperelastico isotropo e omogeneo è assegnato tramite
due costanti elastiche, in questa sede identificate nelle (G, v).

5.4.7 Equazioni di Navier-Cauchy


Nella prima formulazione che qui si propone, l’incognita del problema è il campo
di spostamento soluzione u 5 u(x1, x2, x3), dal quale sono poi deducibili deformazioni
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5.4 j Meccanica dei materiali. Legami costitutivi – Teoria dell’Elasticità j 417

e sforzi. L’incognito campo infinitesimo soluzione u 5 u(x1, x2, x3), deve rispettare
le condizioni di vincolo (5.230). Dallo spostamento soluzione si ottiene lo stato di
deformazione infinitesimo corrispondente, tramite le equazioni di compatibilità
1 0ui 0uj
eij 5 a 1 b (5.232)
2 0xj 0xi

Dalle deformazioni, tramite le equazioni costitutive dell’elasticità lineare (5.192),


si ottiene il tensore di sforzo T 5 # E. Le tensioni, in quanto soluzioni, debbono
a loro volta rispettare le Equazioni (5.131) di equilibrio interno (0sij>0xj) 1 bi
5 0 e quelle dell’equilibrio al bordo (5.141) sijnj 5 fi.
Le condizioni di congruenza al contorno del tipo (5.231), che impongono pre-
assegnate forme per lo spostamento nelle zone vincolate, vengono denominate
condizioni al contorno alla Dirichlet. Vincoli alla Dirichlet
Sulla parte vincolata del contorno 0@u, le tensioni emergenti determinano le
reazioni vincolari sijnj 5 ri.
Le condizioni di equilibrio al contorno caricato (5.141) che lavorano sul flusso
degli sforzi emergenti al contorno, quindi tramite le (5.192) e (5.232) vincolano
le derivate del campo di spostamento incognito, vengono chiamate condizioni al
contorno alla Neumann. Vincoli alla Neumann
Si può in definitiva affermare che il campo di spostamento infinitesimo
u 5 u(x1, x2, x3) è soluzione del problema di equilibrio elastico lineare, se esso
rispetta i seguenti cinque sistemi di equazioni differenziali alle derivate parziali:
• equazioni di congruenza al contorno vincolato (5.231);
• equazioni di compatibilità spostamento-deformazione (5.232);
• legame costitutivo dell’elasticità lineare isotropa (5.192);
• equazioni di equilibrio interno (5.131);
• equazioni di equilibrio al bordo (5.141).

Si deducono qui di seguito le equazioni di Navier-Cauchy dell’equilibrio elastico,


le quali assumono come incognita esplicita lo spostamento u 5 u(x1, x2, x3).
Le relazioni di Hooke (5.217), utilizzanti le costanti elastiche (G, v), si scrivono
2Gn
sij 5 2Geij 1 dij e (5.233)
1 2 2n kk
1 0ui 0uj
La sostituzione delle equazioni di compatibilità  nelle relazioni di Hooke  eij 5 a 1 b
2 0xj 0xi
(5.233) fornisce:
0ui 0uj 0uk
sij 5 G a b 1
2Gn
1 d (5.234)
0xj 0xi 1 2 2n ij 0xk
0sij
Quest’ultima, sostituita nella i-esima equazione dell’equilibrio interno  (5.135),  1 bi 5 0
0xj
la trasforma come di seguito:

0 0ui 0 2uj 0 0u1 0u2 0u3


Gc a b 1 d 1 dij a b 1 bi 5 0
2Gn
1 1
0xj 0xj 0xj 0xi 1 2 2n 0xj 0x1 0x2 0x3

ove nei monomi vanno sviluppate le somme sugli indici ripetuti. Tenendo conto
che il delta di Kroneker assume valore diverso da zero e unitario solo per j 5 i,
l’equazione diventa:
0 2ui 0 0u1 0u2 0u3
a b 1 bi 5 0
G
G 2 1 1 1 (5.235)
0xj 1 2 2n 0xi 0x1 0x2 0x3
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418 j Capitolo 5 j Meccanica dei continui

Le (5.235) che si scrivono per esteso:


0 2u1 0 2u1 0 2u1 0 0u1 0u2 0u3
Ga 2 b1 a b 1b1 50
G
2 1 21 1 1
0x1 0x2 0x3 122n 0x1 0x1 0x2 0x3

0 2u2 0 2u2 0 2u2 0 0u1 0u2 0u3


Ga 2 b1 a b 1b2 50
G
2 1 21 1 1
0x1 0x2 0x3 122n 0x2 0x1 0x2 0x3 (5.236)
0 2u3 0 2u3 0 2u3 0 0u1 0u2 0u3
Ga 1 21 2b1 a b 1b3 50
G
1 1
0x21 0x2 0x3 122n 0x3 0x1 0x2 0x3

Equazioni di Navier-Cauchy sono le equazioni differenziali dell’equilibrio elastico di Navier-Cauchy, che as-
dell’equilibrio elastico sociate alle condizioni di congruenza al contorno vincolato (5.231) e a quelle di

j Approfondimento 5.4

Equazioni di Beltrami-Michell

Il problema di equilibrio elastico è stato risolto con Le (AP5.9) e (AP5.10) permettono di ottenere:
una formulazione alternativa a quella di Navier-Cau-
0 2s11 0 2s22
chy, assumendo quali incognite le componenti di ten- (1 1 n) a 1 b 1
sione. Qui di seguito si ripropone la procedura ana- 0x22 0x21
litica che produce le equazioni di Beltrami-Michell,
0 2I1 0 2I1 0 2I1 0 2I1
1 na2 b 5
nel caso di forze volumetriche costanti.
2 2 1
Derivando la prima equazione indefinita di equi- 0x21 0x22 0x23 0x23
librio rispetto alla variabile x1, derivando la seconda
0 2s11 0 2s22 0 2s33
(1 1 n) a 2 b
rispetto alla variabile x2 e la terza rispetto a x3, som-
2 2 2 1
mando le prime due e sottraendo la terza si ottiene: 0x1 0x2 0x23

0 2t12 0 2s11 0 2s22 0 2s33 che si trasforma con i seguenti passaggi


2 52 2 2 1 (AP5.9)
0x1 0x2 0x1 0x22 0x23
0 2s11 0 2s22 0 2s11 0 2s22 0 2s33
(11n) a 1 1 1 2 b5
La prima delle equazioni di compatibilità (5.96), 0x22 0x21 0x21 0x22 0x23

0 2e11 0 2e22 0 2g12 0 2I1


1 5 5 n=2I1 2 n
0x22 0x21 0x1 0x2 0x23

02 02 0 2s33
(11n) c
tenendo conto delle relazioni inverse di Hooke, for-
(s 111s 22 ) 1 (s 111s 22 )2 )d5
nisce: 0x21 0x22 0x23
0 2s11 0 2s22 0 2s33
2 n a 1 b 1 5 n=2I1 2 n
0 2I1
0x22 0x22 0x23 0x23

0 2s22 0 2s11 0 2s33 0 2I1 0 2s33 0 2I1 0 2s33 0 2s33


1 2 2n a 2 1 b 5 (AP5.10) (11n) c 2 1 22 2 d5
0x1 0x1 0x21 0x21 0x21 0x2 0x22 0x23

0 2t12 0 2I1
5 211 1 n2 5 n=2I1 2 n
0x1 0x2 0x23
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5.4 j Meccanica dei materiali. Legami costitutivi – Teoria dell’Elasticità j 419

equilibrio ai limiti (5.131), determinano la soluzione u 5 u(x1, x2, x3) del proble-
ma. Le (5.236) si scrivono in forma assoluta:
G
G=2u 1 grad div u 1 b 5 0 (5.237)
1 2 2n

dove =2 è l’operatore di Laplace. L’esistenza della soluzione del problema qui


sopra formulato, che dipende essenzialmente dalla regolarità degli enti coinvolti
(dominio e sua frontiera, carichi, vincoli ecc.) è stata discussa sotto ipotesi assai
generali in trattati specialistici, ai quali si rinvia per gli approfondimenti (G. Fi-
chera, in Enciclopedia of Physics, Springer, III/3, Via/1, Via/2, 1972).
Nella teoria di de Saint Venant, le (5.236) sono state utilizzate per dedurre le
soluzioni di base del problema della trave elastica.

0 2I1 0 2I1 di Beltrami-Michell dell’equilibrio elastico del tipo


(11n) =2s335(11n) a =2I12 b2n a =2I 12 b (AP5.13):
0x23 0x23

e in definitiva: 0 2I 1
(1 1 n)=2 s11 1 50
0x21
0 2I1
=2 I1 2 5 (1 1 n)=2 s33 (AP5.11)
0x23 0 2I 1
(1 1 n)=2 s22 1 50
0x22
dalla quale permutando gli indici si ottengono le tre
equazioni: 0 2I 1
(1 1 n)=2 s33 1 50
0 2I1 0x23
=2I1 2 5 (1 1 n) =2s33
0x23 (AP5.14)
0 2I1
(1 1 n)=2t12 1 50
0 2I2 0x1x2
=2I2 2 5 (1 1 n) =2s22 (AP5.12)
0x22
0 2I1
(1 1 n)=2t23 1 50
0 2I1 0x2x3
=2I3 2 5 (1 1 n) =2s11
0x21
0 2I1
(1 1 n)=2t31 1 50
Sommando le tre (AP5.12) si ottiene: 0x3x1

3=2I1 2 =2I1 5 (1 1 n)=2I1 Le (AP5.14) sono le equazioni di Beltrami-Michell


dell’equilibrio elastico nelle componenti di tensione,
la quale deve risultare =2I1 5 0 e determina l’equa- le quali, per come sono state ottenute, garantiscono
zione: il rispetto delle equazioni di congruenza interna, di
equilibrio e di quelle di elasticità; esse, associate a
0 2I1 opportune condizioni al contorno, consentono di de-
(1 1 n)=2s33 1 50 (AP5.13)
0x23 durre lo stato di tensione soluzione. Noto questo, le
relazioni di elasticità determinano le deformazioni e
Le altre cinque equazioni di congruenza, con la stessa queste per integrazione conducono al campo di spo-
procedura, determinano il sistema finale di equazioni stamento soluzione.
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420 j Capitolo 5 j Meccanica dei continui

5.4.8 Cambiamento di base – relazioni elastiche1


fb e3
fa Oltre alla base {ei} 5 {e1, e2, e3} si consideri un’altra base {fp} 5 {fa, fb, fc};
per semplicità ambedue le basi siano ortonormali (Figura 5.70)
I versori della base {fp} sono esprimibili nella base {ei} nella forma cartesiana:
fa 5 aa1e1 1 aa2e2 1 aa3e3
o
e2 fb 5 ab1e1 1 ab2e2 1 ab3e3
fc 5 ac1e1 1 ac2e2 1 ac3e3
e1
Ove aqj è la componente q-esima di fq nella base {ei}; aqj è quindi il coseno di-
fc rettore di fq rispetto all’asse ej:
aqj 5 fq ? ej
Figura 5.70
Si indica con p, oppure con q e r, l’indice generico degli assi della nuova base p, q,
r P {a, b, c} mentre con i, j, k gli indici generici della base {e1, e2, e3}, i, j, k P {1, 2, 3}.
La matrice R dei coefficienti del sistema di sopra viene definita matrice di tra-
sformazione dalla base iniziale {ei} a quella nuova {fp}; ogni riga della R è formata
dalle componenti di un versore della nuova base {fp} rispetto a quella iniziale {ei}.
aa1 aa2 aa3
R 5 £ ab1 ab2 ab3 §
ac1 ac2 ac3

Poiché i versori {fp} sono indipendenti, R ha determinante nullo ed è invertibile


presentando quale inversa la RT.
Un generico vettore v nella base {ei} abbia rappresentazione  e nella base
{fp} rappresentazione .
v1
 v 5 £ v2 §
Si vuole ora dimostrare che nel cambiamento della rappresentazione dello
stesso vettore da una base all’altra valgono le seguenti relazioni di trasformazione
v3 delle sue componenti:
va v9 5 Rv v 5 RTv9
 v9 5 £ vb §
Infatti con riferimento alla rappresentazione di v9 nella base {fp} si ha:
vc
v9 5 vafa 1 vbfb 1 vcfc
e sostituendo in questa le espressioni sopra assegnate per le {fp} si ottiene:
v9 5 va(aa1e1 1 aa2e2 1 aa3e3) 1 vb(ab1e1 1 ab2e2 1 ab3e3) 1
1 vc(ac1e1 1 ac2e2 1 ac3e3)
e mettendo a fattore nei versori della base {ei} si ottiene l’espressione di v in tale
base:
v 5 (vaaa1 1 vbab1 1 vcac1)e1 1 (vaaa2 1 vbab2 1 vcac2)e2 1
1 (vaaa3 1 vbab3 1 vcac3)e3
dalla quale si deduce l’espressione di v nella base {ei}:
v1 vaaa1 1 vbab1 1 vcac1
v 5 £ v2 § 5 £ vaaa2 1 vbab2 1 vcac2 §
v3 vaaa3 1 vbab3 1 vcac3
che si può anche scrivere:

1
Nunziante L. Scienza delle Costruzioni. Il Continuo. JOVENE,1997. Cap.1.
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5.4 j Meccanica dei materiali. Legami costitutivi – Teoria dell’Elasticità j 421

aa1 ab1 ac1 va


v 5 £ aa2 ab2 ac2 § # £ vb § 5 RTv9
aa3 ab3 ac3 vc

Quest’ultima equazione fornisce le cercate espressioni delle componenti del vet-


tore nella base {ei} in funzione di quella nella base {fp} e dell’inversa della matrice
di trasformazione RT. L’equazione di sopra può invertirsi come segue premolti- Trasformazione di un vettore
plicando primo e secondo membro per R: al mutare della base
cartesiana
v9 5 R v
Il prodotto scalare fra due vettori v e w è una quantità intrinseca; essa deve essere
indipendente dalla base scelta. Con riferimento alle due basi sopra introdotte si ha:
v 5 RTv9 w 5 RTw9
e deve risultare:
(v ? w) 5 (RTv9) ? (RTw9) 5 v9RRTw9 5 v9w9
la quale implica
RRT 5 I
e quindi
RT 5 R21
Matrici che rispettano tale condizione si dicono ortogonali. Di tale tipo devono Matrice ortogonale
essere le matrici della trasformazione sopra introdotta.
Si vuole qui determinare la legge di variazione delle componenti della matrice
del tensore di deformazione infinitesima E al cambiare della base del riferimento
scelto, da quella {ei} a quella {fq} e viceversa.
Si faccia riferimento all’Equazione (5.54) che correla il vettore posizione x al
campo di spostamento da deformazione pura ue:
ue 5 Ex
scritta nella base {ei}. Nella nuova base {fq} l’equazione presenti la scrittura
ue9 5 E9x9
ove gli elementi con apice sono riferiti alla nuova base {fq}.
In funzione della matrice di trasformazione R e della sua inversa RT e grazie
alle relazioni di trasformazione sopra dedotte, si ha:
ue9 5 Rue x9 5 Rx
ottenendosi:
Rue 5 E9 Rx
dalla quale si deduce:
ue 5 RT E9 Rx
che per confronto fornisce:
E 5 RT E9 R (5.238)
avente la seguente forma indiciale
eij 5 epq aqj api
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422 j Capitolo 5 j Meccanica dei continui

L’inversa dell’equazione precedente è data dalla


E9 5 RERT (5.239)
equazione che determina la matrice E9 nella nuova base in funzione della E e
della matrice di trasformazione R.
La forma indiciale dell’ultima equazione è la seguente:
epq 5 eij apj aqi (5.240)
Trasformazione di un tensore Matrici E ed E9 che si trasformano l’una nell’altra tramite una matrice R inver-
al mutare della base tibile, secondo le equazioni sopra riportate, si dicono simili. La similitudine delle
cartesiana matrici è una relazione di equivalenza, godendo delle proprietà riflessiva, sim-
Matrici simili metrica e transitiva.
Proprietà riflessiva, simmetrica Matrici simili hanno uguali i determinanti, le equazioni caratteristiche, gli in-
e transitiva varianti, gli autovalori.
Due matrici che al variare della base si trasformano per similitudine, cioè me-
diante equazioni del tipo sopra definite, hanno equazioni caratteristiche coinci-
denti e quindi invarianti uguali e autovalori coincidenti.
Con riferimento alla matrice di deformazione infinitesima E, essa è diagona-
lizzabile se esiste una base {pi} 5 {pa, pb, pg} nella quale la sua trasformata per
similitudine E9 ha la forma diagonale; E è diagonalizzabile se esiste quindi una
matrice invertibile P tale che risulti:
E9 5 PEP21
eI 0 0
 E9 5 £ 0 eII 0 §
con E9 avente la forma: .
Le proprietà qui stabilite a titolo esemplificativo per il tensore E valgono anche
0 0 eIII per gli altri tensori trattati nel testo. In particolare per il tensore di sforzo si hanno,
al ruotare del riferimento, le equazioni di trasformazione:
T 5 RT T9 R (5.241)
T9 5 R T RT (5.242)
Si vogliono qui ottenere le equazioni dell’elasticità lineare valide al ruotare della
base di riferimento ortonormale da quella iniziale (e1, e2, e3) a quella (a, b, c).
0f Lo stato di tensione fornito dalla (5.185) .
 sij 5
0eij Se il potenziale elastico è dato dalla (5.189)  il tensore di sforzo risulta
espresso dalla
1
f5 c ee T 5 #E nella base {ei} (5.243)
2 ijhk ij hk
T9 5 #9E9 nella nuova base {fq} (5.244)
Le formule di trasformazione del tensore di deformazione (5.238)-(5.240) e di
quello di sforzo (5.241)-(5.242) si scrivono in forma indiciale:
epq 5 eij apj aq (5.245)
ekl 5 ers ark asl (5.246)
spq 5 sij apj aqi (5.247)
skl 5 srs ark asl (5.248)
ove i, j, k, l P {1, 2, 3}, mentre gli indici p, q, r, s P {a, b, c}.
Le equazioni dell’elasticità lineare sopra richiamate (5.243) si scrivono, nelle
due basi, nella forma indiciale:
sij 5 cijklekl (5.249)
spq 5 cpqrsers (5.250)
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5.4 j Meccanica dei materiali. Legami costitutivi – Teoria dell’Elasticità j 423

con le inverse

E 5 bT (5.251)

E9 5 b9 T9 (5.252)

eij 5 bijklskl (5.253)

epq 5 bpqrssrs (5.254)

Sostituendo nella (5.242) la (5.243) e in questa la (5.238), si ottiene:

T9 5 R T RT 5 R c E RT 5 R cRTE9R RT 5 R c RTE9
la quale, confrontata con la (5.243), fornisce

c9 5 Rc RT (5.255)

che costituisce la formula di trasformazione del tensore di elasticità al ruotare del Trasformazione del tensore
riferimento. La sua inversa si ottiene premoltiplicando per RT e postmoltiplicando di elasticità al mutare
per R la (5.255): della base cartesiana

c 5 RT c9 R (5.256)

La forma indiciale della (5.255) si ottiene come segue:


spq 5 sijapjaqi 5 cijklapjaqiekl 5 cijklapjaqiaslarkers (5.257)

che, confrontata con la (5.249), fornisce:


cpqrs 5 cijklapjaqiaslark (5.258)

Con procedimento simile si ottengono le seguenti formule di trasformazione della


matrice inversa di quella di elasticità al mutare della base
bpqrs 5 bijklapjaqiaslark (5.259)

5.4.9 Elasticità lineare non isotropa2


Si è gia mostrato che per il materiale a elasticità lineare che ammetta potenziale
elastico
1
f 5 cijhkeijehk (5.260)
2
lo stato di tensione è fornito dalla:
0f
sij 5 5 cijhkehk (5.261)
0eij

la quale presenta la forma inversa:


eij 5 bijklskl (5.262)

Il materiale è stato definito isotropo se si comporta nello stesso modo in tutte le


direzioni; ciò significa che la relazione costitutiva è invariante al mutare della
base del riferimento.

2
Nunziante L. Scienza delle Costruzioni. Il Continuo. JOVENE, 1997. Cap. 4.
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424 j Capitolo 5 j Meccanica dei continui

Si è già dimostrato che le costanti indipendenti del materiale nel caso isotropo
sono due.
Taluni materiali, non isotropi, presentano peraltro le stesse proprietà e quindi
lo stesso legame costitutivo al ruotare della base del riferimento secondo valori
opportuni degli angoli; gli insiemi di basi ottenibili l’una dall’altra con tali dire-
Gruppi di simmetria zioni costituiscono gruppi di trasformazioni che vengono detti gruppi di simmetria
delle costanti elastiche (Smirnov V.I., Corso di Matematica Superiore, Editori
Riuniti, 1982).
Un materiale ideale avente, secondo tutte le direzioni, proprietà diverse si dice
Materiale anisotropo anisotropo; le costanti indipendenti di tali materiali sono ventuno, grazie alla sim-
metria di #.
Fra il materiale isotropo e quello anisotropo si collocano quindi una serie di
materiali dotati di certe simmetrie.

Materiale ortotropo
Definizione 1: Materiale ortotropo

Un materiale si dice ortotropo se esso presenta tre piani di simmetria delle costanti
elastiche mutuamente ortogonali.

A tale classe, per esempio, appartiene il legno, (Figura 5.71) di cui un elemento
proveniente dal taglio di un albero presenta nella direzione radiale r, orizzontale
Direzioni principali
del materiale
o e verticale v (fibre) comportamenti diversi; i tre piani ortogonali rispettivamente
r, o, v sono piani di simmetria delle costanti elastiche.
Piani principali del materiale Le direzioni r, o, e v vengono chiamate direzioni principali del materiale.

r
Definizione 2: Materiale a isotropia trasversa

v Un materiale la cui storia di formazione presenti una sola direzione n particolare,


si definisce a isotropia trasversale; esso presenta nel piano a ortogonale a n le
stesse proprietà ed è in tal senso isotropo nel piano a

o
Ricadono in questa classe materiali come il marmo, i materiali stratificati, le ar-
desie, i laminati, i metalli che abbiano subito processi di rollatura piana, nonché
Figura 5.71
taluni materiali compositi.
La n è direzione principale del materiale a isotropia trasversa.
Materiale a isotropia trasversa

Materiale ortotropo Il materiale ortotropo


Si vogliono qui dedurre le relazioni dell’elasticità lineare per il materiale ortotropo.
Questo materiale, sopra definito, presenta le stesse relazioni costitutive e quin-
di le stesse costanti elastiche, al ruotare dell’elemento materiale di un angolo p
intorno alle tre direzioni {e1, e2, e3} che per ipotesi sono ortogonali ai piani di
simmetria del materiale e che sono le direzioni principali del materiale. Invece
di ruotare l’elemento materiale intorno agli assi, si può pensare di descrivere lo
stesso effetto al ruotare della base di riferimento nel quale si descrive l’equazione
costitutiva: così si opererà nel seguito.
Si consideri per prima la base ortonormale {e1, e2, e3} delle tre direzioni prin-
cipali del materiale.
Le equazioni costitutive del materiale nella base {e1, e2, e3} scritte in forma
estesa sono del tipo:
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5.4 j Meccanica dei materiali. Legami costitutivi – Teoria dell’Elasticità j 425

s11 #1111 #1112 #1113 #1121 #1122 #1123 #1131 #1132 #1133 e11
s12 #1211 #1212 #1213 #1221 #1222 #1223 #1231 #1232 #1233 e12
s13 #1311 #1312 #1313 #1321 #1322 #1323 #1331 #1332 #1333 e13
s21 #1311 #2112 #2113 #2121 #2122 #2123 #2131 #2132 #2133 e21
H s22 X5H #2211 #2212 #2213 #2221 #2222 #2223 #2231 #2232 #2233 X?H e22 X (5.263)
s23 #2311 #2312 #2313 #2321 #2322 #2323 #2331 #2332 #2333 e23
s31 #3111 #3112 #3113 #3121 #3122 #3123 #3131 #3132 #3133 e31
s32 #3211 #3212 #3213 #3221 #3222 #3223 #3231 #3232 #3233 e32
s33 #3311 #3312 #3313 #3321 #3322 #3323 #3331 #3332 #3333 e33

e in forma sintetica e indiciale:


s 5 ce sij 5 cijhkehk (5.264)

con le inverse:
e 5 bs eij 5 bijhkshk (5.265)

dove si è utilizzata la forma vettoriale dei tensori di deformazione e di sforzo,


@ 5 #21 e i, j, h, k P {1, 2, 3}.
Si ricorda qui che, per l’esistenza del potenziale elastico, per la matrice #
delle costanti elastiche devono valere le proprietà di simmetria totale: . Simmetria totale
Si consideri poi una nuova base ortonormale di versori {a, b, c}, ottenibile
per rotazione intorno a e3 di un angolo p da quella iniziale (Figura 5.72).  cijhk 5 chkij
In tale nuova base le equazioni costitutive si scrivono in forma assoluta e in- cijhk 5 cjihk 5 cijkh
diciale:

s9 5 c9e9 spq 5 cpqrs # ers (5.266)

con le inverse

e9 5 b9s9 epq 5 bpqrs # srs (5.267)

dove p, q, r, s P {a, b, c}, @9 5 #921.


Nelle (5.266)-(5.267), nella forma assoluta si sono indicati con apice gli enti aa1 aa2 aa3
riferiti alla nuova base {a, b, c}.  R 5 £ ab1 ab2 ab3 §
La matrice di trasformazione per tale rotazione  come già ampiamente ac1 ac2 ac3
espresso nel Paragrafo 5.4.8, è formata quale assemblaggio dei vettori riga {a, b,
c} letti nella base {e1, e2, e3}; apj è il coseno direttore del versore p P {a, b, c}
rispetto all’asse ej. 21 0 0
Se la nuova base {a, b, c} si ottiene ruotando quella iniziale di un angolo p  R 5 £ 0 21 0 §
intorno all’asse e3, la matrice di trasformazione assume la forma . 0 0 11

c Figura 5.72
e3
a

e2 b

e1
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426 j Capitolo 5 j Meccanica dei continui

L’esplicitazione delle (5.252) consente di pervenire alla seguente equazione, nella


quale, grazie alla simmetria maggiore, si può riportare la sola parte superiore delle
matrici di elasticità nel riferimento ruotato, in funzione delle componenti relative
al riferimento iniziale:

caaaa caaab caaac caaba caabbcaabc caacacaacb caacc


cabab cabac cabba cabbbcabbc cabcacabcb cabcc
cacac cacba cacbb cacbc cacca caccb caccc
cbaba cbabbcbabc cbacacbacb cbacc
H cbbbbcbbbc cbbcacbbcb cbbcc X 5 segue
cb cbcbc cbcca cbccb cbccc
cb ccaca ccacb ccacc
cb cb ccbcb ccbcc
cb cb ccccc

c1111 c1112 2c1113 c1121 c1122 2c1123 2c11312c1132 c1133


c1212 2c1213 c1221 c1222 2c1223 2c12312c1232 c1233
c1313 2c1321 2c1322 c1323 c1331 c1332 2c1333
c2121 c2122 2c2123 2c21312c2132 c2133
5H c2222 2c2223 2c22312c2232 c2233 X
c2 c2323 c2331 c2332 2c2333
c2 c3131 c3123 2c3133
c2 c3 c3232 2c3233
c2 c3 c3333

A seguito della detta rotazione la matrice a primo membro delle costanti elastiche
deve essere coincidente con quella della (5.242) riferita alla base iniziale; ne con-
segue pertanto il necessario annullarsi delle costanti elastiche della matrice qui
sopra scritta aventi segno negativo. Le costanti nulle indipendenti, avendo scontato
le equivalenze dovute alle simmetrie maggiori e minori, sono le otto segnate con
una croce nella seguente espressione aggiornata della matrice e corrispondono a
valori nulli indipendenti delle costanti

c1113,c1123,c1213,c1223,c1322,c1333,c2223,c2333

c1111 c1112 3 c1121 3 0 0 c1133


c1212 3 c1221 c1222 3 0 0 c1233
c1313 0 3 c1323 c1331c1332 3
c2121 c2122 0 0 0 c2133
H c2222 3 0 0 c2233 4 X
c2 c2323 c2331c2332 3
c2 c3131c3123 0
c2 c2 c3232 0
c2 c2 c3333

Procedendo poi a una rotazione di un angolo p intorno all’asse e1 si ottiene la


nuova base {a, b, c} rappresentata in Figura 5.73.
1 0 0
La matrice di trasformazione, per tale rotazione si scrive .
 R 5 £ 0 21 0 § L’esplicitazione delle (5.257) in tale caso conduce alla matrice nella forma
0 0 21 che si aggiorna grazie a quattro nuove costanti nulle indipendenti, segnate con
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5.4 j Meccanica dei materiali. Legami costitutivi – Teoria dell’Elasticità j 427

Figura 5.73
e3

e2 b

e1
a
c

una croce, corrispondenti ai valori, che grazie alle simmetrie maggiori e minori
conducono alla:

⎡ Ꮿ1111 × 0 0 Ꮿ1122 0 0 0 Ꮿ1133 ⎤


⎢ ⎥
⎢ 
Ꮿ1212 0 
Ꮿ1221 × 0 0 0 × ⎥
⎢ ⎥
⎢ ˆ
Ꮿ 0 0 × Ꮿ̂1331 0 0 ⎥
1313
⎢  2121 ⎥
⎢ Ꮿ 0 0 0 0 0 ⎥
⎢ Ꮿ2222 0 0 0 Ꮿ2233 ⎥ (5.268)
⎢   ⎥
⎢ Ꮿ2323 0 Ꮿ 2332 0 ⎥
⎢ ⎥
⎢ Ꮿ̂3131 0 0 ⎥
⎢  ⎥
⎢ Ꮿ 3232 0 ⎥
⎢ Ꮿ3333 ⎥
⎣ ⎦

L’ultima rotazione della base iniziale di un angolo p intorno all’asse e2, che porta 21 0 0
alla base {a, b, c} di Figura 5.74, è retta dalla matrice di trasformazione  tramite R5 £ 0 1 0 §
la quale si calcolano per mezzo della (5.258) le nuove costanti, le quali lasciano 0 0 21
invariati gli zeri della forma (5.268) precedente.
La matrice di elasticità del materiale ortotropo è quindi quella (5.268) nella
quale sono sottolineate le costanti indipendenti; sono contrassegnate superior-
mente allo stesso modo le costanti uguali fra loro a causa delle simmetrie mi-
nori.
Per il materiale ortotropo le costanti indipendenti sono quindi nove. Con i
simboli E, v, G già adoperati per definire le costanti elastiche ingegneristiche nel
caso isotropo, le relazioni elastiche del materiale ortotropo si scrivono più sinte-
ticamente, nello spazio vettoriale di dimensione sei, nella forma inversa:

e3 Figura 5.74
a

e2 b

e1
c
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428 j Capitolo 5 j Meccanica dei continui

1 n12 n13
2 2 0 0 0
E1 E2 E3
n21 1 n23
2 2 0 0 0
e11 E1 E2 E3 s11
e22 n31 n32 1 s22
2 2 0 0 0
X # Fst 33V
E1 E2 E3
F V5H
e33
Relazioni inverse di elasticità (5.269)
g12 1 12
lineare per il materiale 0 0 0 0 0
ortotropo g23 G12 t23
g31 1 t31
0 0 0 0 0
G23
1
0 0 0 0 0
G31
nella quale, per la simmetria, devono risultare soddisfatte le tre relazioni:
n12 n21 n13 n31 n23 n32
5 5 5 (5.270)
E2 E1 E3 E1 E3 E2
Delle nove costanti E1, E2, E3, v12, v21, v13, v31, v23, v32, le (5.270) riconducono a
sole sei quelle indipendenti.
Si noti che, in questo caso, le direzioni principali di sforzo non coincidono
con quelle di deformazione; ne consegue che i tre moduli tangenti G12, G23, G31
non sono correlati alle altre costanti, come accade nel caso isotropo. Le costanti
indipendenti sono quindi nove.
La (5.269) ha la forma assoluta e 5 @s avente per inversa s 5 #e. La
matrice # si scrive:
c11 c12 c13 0 0 0
c12 c22 c23 0 0 0
Relazioni di elasticità lineare c13 c23 c33 0 0 0
c5F V
per il materiale ortotropo 0 0 0 c44 0 0
0 0 0 0 c55 0
0 0 0 0 0 c66
definita tramite le:
E21 1E3n223 2 E2 2
c11 5
E21n212 1 E2E3n213 1 E1 3E3n23 12n12n13 1 n23 2 2 E2 4
2E1E2 1E1n12 1 E3n13n23 2
c12 5
E21n212 1 E2E3n213 1 E1 3E3n23 12n12n13 1 n23 2 2 E2 4
E1E3 1E2n13 1 E1n12n23 2
c13 5 2
E21n212 1 E2E3n213 1 E1 3E3n23 12n12n13 1 n23 2 2 E2 4

E22 1E3n213 2 E1 2
c22 5
E21n212 1 E2E3n213 1 E1 3E3n23 12n12n13 1 n23 2 2 E2 4
(5.271)

E1E2E3 1n12n13 1 n23 2


c23 5 2
E21n212 1 E2E3n213 1 E1 3E3n23 12n12n13 1 n23 2 2 E2 4

E1E3 1E1n212 2 E2 2
c33 5
E21n212 1 E2E3n213 1 E1 3E3n23 12n12n13 1 n23 2 2 E2 4
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5.4 j Meccanica dei materiali. Legami costitutivi – Teoria dell’Elasticità j 429

Figura 5.75 Elemento


x2
di muratura in mattoni
a una testa.

e2

e1
x1

c44 5 G12 c55 5 G23 c66 5 G13


Si osserva che la descrizione omogeneizzata di una muratura in mattoni a una Omogeneizzazione
testa, come quella rappresentata in Figura 5.75, corrisponde a un materiale orto-
tropo, con e1, e2, e3 direzioni principali del materiale.

Materiale a isotropia trasversa


Il materiale a isotropia trasversa sia isotropo nel piano {e1, e2} e presenti direzione Materiale a isotropia trasversa
principale n ; e3.
Si può in tale caso partire dalla ortotropia che tale materiale presenta rispetto
agli assi {e1, e2, e3} inizialmente considerati quali direzioni principali del mate-
riale; tale assunzione consente di partire dalla matrice di elasticità (5.268).
Data l’equivalenza fra le direzioni e1 ed e2, conseguono le eguaglianze fra
le costanti  in forza delle quali, delle nove costanti iniziali, ne restano sole sei  c1111 5 c2222
indipendenti. c1133 5 c2233
Inoltre, l’ulteriore condizione di invarianza delle costanti per una generica ro-
c1313 5 c2323
tazione di valore a intorno all’asse e3, caratterizzata dalla matrice di trasforma-
zione  consente di esprimere le (5.258), tramite le quali si deduce che le costanti
#1111, #1122, #1212 relative al piano {e1, e2} di isotropia, sono correlate fra loro, 
sicché solo due fra le tre sono indipendenti. cos a sen a 0
Tale circostanza è la stessa che si verifica nel caso di materiale isotropo, per R 5 £ 2 sen a cos a 0 §
il quale, assegnate la E e la v, si ha che G è ottenibile nella forma: G 5 E>[2(1 1 v)]. 0 0 1
Le costanti indipendenti per il materiale a isotropia trasversa sono quindi cin-
que; la matrice di elasticità si scrive:

⎡ Ꮿ 0 0 0 Ꮿ1122 0 0 0 Ꮿ1133 ⎤
⎢ 1111 ⎥
⎢ 0 G12 0 G12 0 0 0 0 0 ⎥
⎢ ⎥
⎢ 0 0 Ꮿ1313 0 0 0 Ꮿ1313 0 0 ⎥
⎢ 0 G12 0 G12 0 0 0 0 0 ⎥
⎢ ⎥
⎢ Ꮿ1122 0 0 0 Ꮿ1111 0 0 0 Ꮿ1133 ⎥ (5.272)
⎢ ⎥
⎢ 0 0 0 0 0 Ꮿ1313 0 Ꮿ1313 0 ⎥
⎢ 0 0 Ꮿ1313 0 0 0 Ꮿ1313 0 0 ⎥⎥

⎢ 0 0 0 0 0 Ꮿ1313 0 Ꮿ1313 0 ⎥
⎢ ⎥
⎢ Ꮿ1133 0 0 0 Ꮿ1133 0 0 0 Ꮿ 3333 ⎥
⎣ ⎦
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430 j Capitolo 5 j Meccanica dei continui

Siano:

e5Bs
le equazioni costitutive inverse del materiale in studio nella notazione di Voigt che
utilizza le forme contratte vettoriali di sforzo e di deformazione; queste si espli-
citano agevolmente nelle componenti ingegneristiche delle tensioni e delle defor-
mazioni, utilizzando moduli meccanici di immediato significato, come segue:

1 n m
2 2 0 0 0
E E E3
n 1 m
2 2 0 0 0
e11 E E E3 s11
e22 m m 1 s22
Relazioni inverse di elasticità 2 2 0 0 0
E3 E3 E3
lineare per il materiale
trasversalmente isotropo
e
F 33 V 5
g12
H 1
X Fst 33V (5.273)
0 0 0 0 0 12
g23 G t23
g31 1 t31
0 0 0 0 0
G13
1
0 0 0 0 0
G13

Nelle (5.273) E ed E3 sono i moduli di Young nel piano di isotropia (e1, e2) e
nella direzione principale e3 a questo normale; v è il modulo di Poisson nel piano
di isotropia, mentre m è il modulo di Poisson che opera fra la direzione principale
e3 del materiale e una qualunque direzione del piano (e1, e2). G13 è il modulo tan-
gente operante fra la direzione e3 e una qualunque altra appartenente a (e1, e2).
Le cinque citate costanti sono indipendenti. Il modulo G, operante nel piano di
isotropia, dipende da E e v, come per il materiale isotropo: G 5 E>[2(1 1 v)].
La matrice # inversa della @ presente nella (5.273) si scrive:

⎡ E3 − μ 2 E μ 2 E + ν E3 μE ⎤
⎢ 0 0 0 ⎥
⎢ E3 (1− ν 2 ) E − 2 μ 2 (1+ ν ) E3 (1− ν 2 ) E − 2 μ 2 (11+ ν ) 1− ν − 2 μ 2 E E3 ⎥
⎢ ⎥
⎢ E3 − μ E2
μE ⎥
0 0 0 0
⎢ E3 (1− ν 2 ) E − 2 μ 2 (1+ ν ) 1− ν − 2 μ 2 E E3 ⎥
⎢ ⎥
⎢ E3 (ν − 1) ⎥ (5.274)
Ꮿ=⎢ 0 0 0 0 0 ⎥
ν − 1+ 2 μ E E3
2
⎢ ⎥
⎢ E ⎥
⎢ 0 0 0 0 0 ⎥
2(1+ ν )
⎢ ⎥
⎢ 0 0 0 0 G13 0 ⎥
⎢ ⎥
⎢⎣ 0 0 0 0 0 G13 ⎥

Relazioni di elasticità lineare e consente di esplicitare l’equazione costitutiva per il materiale linearmente ela-
per il materiale stico a isotropia trasversa:
trasversalmente isotropo
s 5 #e (5.275)
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Capitolo 5 j Esercizi j 431

j ESERCIZI j

5.1 A titolo introduttivo rispetto alle applicazioni ⎡ ⎤


⎢ ∂u1 ∂u2 ∂u3 ⎥
sulle deformazioni, si intende sviluppare qui di ⎢ ⎥
seguito il percorso logico da seguire, per esem- ⎢ ∂x1 ∂x1 ∂x1 ⎥
⎢ ⎥
pio per lo sviluppo dell’Esercizio 5.2 seguente, ⎢ ∂u1 ∂u2 ∂u3 ⎥
soprattutto per semplificare lo sviluppo dell’ap- ∇u = ⎡⎢⎣uj ,i ⎤⎥⎦ = ⎢
T

⎢ ∂x2 ∂x2 ∂x2 ⎥

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plicazione che l’Allievo alle prime armi deve ⎢ ⎥
⎢ ∂u1 ∂u2 ∂u3 ⎥
svolgere, richiamando procedure, formule e tutto ⎢ ⎥
l’armamentario necessario. Per tutte le operazio- ⎢ ∂x3 ∂x3 ∂x3 ⎥
⎣ ⎦
ni richieste si raccomanda vivamente l’uso del
computer sul quale sia installato uno dei pro- La trasposizione è fornita da Mathematica con il co-
grammi di matematica più diffusi (Mathematica, mando Transpose [=u].
Matlab, …), cosa che consentirà di realizzare Grazie alla conoscenza di H si può formare il tensore
con grande efficacia e precisione, senza errori, i gradiente di deformazione
calcoli richiesti. Sia assegnato il campo di spo-
stamento continuo e differenziabile: ⎡ ⎤
⎢ (1 + ∂u1 ) ∂u1 ∂u1 ⎥
u1(x1,x2,x3) ⎢ ∂x1 ∂x2 ∂x3 ⎥
⎢ ⎥
u 5 £ u2(x1,x2,x3) § ⎢
⎢ ∂u2 ∂u ∂u2


F = I + ∇u = ⎢ (1 + 2 ) ⎥
u3(x1,x2,x3) ⎢ ∂x1 ∂x2 ∂x3 ⎥
⎢ ⎥
nel dominio di una trave di luce , e sezione retta A ⎢ ∂u3 ∂u3 ∂u ⎥
⎢ (1 + 3 ) ⎥
⎢ ∂x1 ∂x2 ∂x3 ⎥
 a. Si calcolino i tensori: gradiente di sposta- ⎣ ⎦
mento H, gradiente di deformazione F, de-
formazione finita D, deformazione infinite- Il tensore di deformazione finita D si ottiene tramite
sima E 5 symH, rotazione infinitesima l’espressione (5.b):
W 5 antisymH.
1
Risposta D = ⎡⎣⎢ dij ⎤⎦⎥ = (FT F - I) =
Per derivazioni parziali si calcola il tensore gradiente 2
1⎡
di spostamento: = ⎢∇u + ∇uT + ∇uT ∇u)⎤⎥ =
2⎣ ⎦
⎡ ∂u1 ∂u1 ∂u1 ⎤ ⎡
1 ∂u ∂uj 3
∂u ∂u ⎤
⎢ ⎥ = ⎢⎢ i + + ∑ k k ⎥⎥
∂x1 ∂x 2 ∂x3 ⎥ 2 ⎢⎣ ∂x j ∂xi k =1 ∂xi ∂x j ⎥⎦

⎢ ∂u2 ∂u2 ∂u2 ⎥
H = ∇u = ⎣ui , j ⎦ = ⎢
⎡ ⎤ ⎥ e si esplicita: 
⎢ ∂x1 ∂x 2 ∂x3 ⎥ Il tensore di deformazione infinitesima E si ottiene
⎢ ⎥ troncando in D i termini superiori a quelli lineari nelle
⎢ ∂u3 ∂u3 ∂u3 ⎥ derivate di u, ed è di seguito fornito, anche con i sim-
⎢ ∂x1 ∂x 2 ∂x3 ⎥ boli ingegneristici della deformazione,
⎣ ⎦
1
che per trasposizione (delle righe con le colonne) de- ␧i , ␥ij
termina anche il trasposto: 2

⎡ ⎤
⎢ ∂u1 1 ⎡⎢ ∂u1 2 ∂u ∂u ⎤ 1 ⎛⎜ ∂u1 ∂u2 ∂u1 ∂u1 ∂u2 ∂u2 ∂u3 ∂u3 ⎞⎟ 1 ⎛⎜ ∂u1 ∂u3 ∂u1 ∂u1 ∂u2 ∂u2 ∂u3 ∂u3 ⎞⎟ ⎥
⎢ + ( ) + ( 2 )2 + ( 3 )2 ⎥ ⎜ + + + + ⎟⎟ ⎜⎜ + + + + ⎟⎟ ⎥
⎢ ∂ x1 2 ⎢⎣ ∂ x1 ∂ x1 ∂ x1 ⎥⎦ 2 ⎜⎝ ∂ x2 ∂ x1 ∂ x1 ∂ x2 ∂ x1 ∂ x2 ∂ x1 ∂ x2 ⎟⎠ 2 ⎝ ∂ x3 ∂ x1 ∂ x3 ∂ x1 ∂ x3 ∂ x1 ∂ x3 ∂ x1 ⎟⎠ ⎥
⎢ ⎥
⎢ ∂u2 1 ⎡ ∂u1 2 ∂u ∂u ⎤ 1 ⎛⎜ ∂u2 ∂u3 ∂u1 ∂u1 ∂u2 ∂u2 ∂u3 ∂u3 ⎞⎟ ⎥⎥
 D = ⎢⎢ • + ⎢( ) + ( 2 )2 + ( 3 )2 ⎥ ⎜ + + + + ⎟⎟ ⎥
⎢ ∂ x2 2 ⎢⎣ ∂ x2 ∂ x2 ∂ x2 ⎥⎦ 2 ⎝⎜ ∂ x3 ∂ x2 ∂ x2 ∂ x3 ∂ x2 ∂ x3 ∂ x2 ∂ x3 ⎠⎟ ⎥
⎢ ⎥
⎢ ∂u3 1 ⎡⎢ ∂u1 2 ∂u ∂u ⎤ ⎥
⎢ • • + ( ) + ( 2 )2 + ( 3 )2 ⎥ ⎥
⎢ ∂ x3 2 ⎢⎣ ∂ x3 ∂ x3 ∂ x3 ⎥⎦ ⎥
⎢⎣ ⎥⎦
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432 j Capitolo 5 j Esercizi

1 Si calcola il determinante richiesto


E = ⎡⎣⎢␧ij ⎤⎦⎥ = symH = ⎡⎢∇u + ∇uT ⎤⎥ =
2⎣ ⎦ J 5 det =f(x) 5 det F . 0.
⎡ ⎤
⎢ ∂u1 1 ⎛⎜ ∂u1 ∂u2 ⎞⎟⎟ 1 ⎛⎜ ∂u1 ∂u3 ⎞⎟⎟ ⎥  c. Funzioni invarianti di deformazione.
⎢ ⎜ + ⎟ ⎜ + ⎟ ⎥
⎢ ∂x1 2 ⎜⎝ ∂x2 ∂x1 ⎠⎟ 2 ⎜⎝ ∂x3 ∂x1 ⎟⎠ ⎥ Risposta
⎢ ⎥
⎢ ∂u2 1 ⎛⎜ ∂u2 ∂u3 ⎞⎟ ⎥ Gli invarianti di deformazione si calcolano esplicitan-
=⎢ • ⎜ + ⎟⎟ ⎥=
⎢ 2 ⎜⎝ ∂x3 ∂x2 ⎟⎠ ⎥ do le espressioni:
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⎢ ∂x2 ⎥
⎢ ⎥
⎢ • ∂u3 ⎥ I1 5 TrE 5 eii 5 e11 1 e22 1 e33.
⎢ • ⎥
∂x3
⎣⎢ ⎥⎦ 1
I2 5 (eiiejj 2 eijeji) 5 e11e22 1 e11e33 1
⎡ ⎤ 2
⎢ ␧ 1␥ 1
␥ ⎥
⎢ 1
2
12
2
13 ⎥ 1 e22e33 2 e12e21 2 e23e32 2 e13e32
⎢ ⎥
=⎢ ⎢ 1 ⎥
i ␧ ␥ ⎥ I3 5 det E 5 e11e22e33 1 e12e23e31 1
⎢ 1
2
23 ⎥
⎢ ⎥
⎢ i i ␧ ⎥
⎢⎣ 1 ⎥⎦ e13e21e32 2 e13e22e31 2 e11e23e32 2 e12e21e33

e si ottiene come Det[E].


Il tensore delle rotazioni infinitesime W si ottiene tra-
mite l’espressione seguente, esplicitata anche in ter-  d. Con riferimento al punto x 5 [x1 x2 x3]T
mini di rotazioni intorno agli assi: si calcoli:
1. Dilatazione in direzione x3 e in direzione x1.
1
W = antisymH = ⎡⎢⎣␻ij ⎤⎥⎦ = ⎡⎢∇u − ∇uT ⎤⎥ = Risposta
2⎣ ⎦
Il versore dell’asse è e3 5 [0 0 1]T, pertanto va espli-
⎡ ⎤
⎢ 1 ⎛⎜ ∂u1 ∂u2 ⎞⎟ 1 ⎛⎜ ∂u1 ∂u3 ⎞⎟ ⎥ citata l’espressione del coefficiente di dilatazione
⎢ 0 ⎜ − ⎟⎟ ⎜ − ⎟⎟ ⎥
⎢ 2 ⎜⎝ ∂x2 ∂x1 ⎟⎠ 2 ⎜⎝ ∂x3 ∂x1 ⎟⎠ ⎥
⎢ ⎥ dl '
⎢ 1 ⎛ ∂u ∂u1 ⎞⎟ 1 ⎛⎜ ∂u2 ∂u3 ⎞⎟ ⎥⎥ ␧n = − 1 = 1 + nT 2D n − 1

=⎢ ⎜ ⎜ − ⎟ − ⎟
⎜ ⎟ =
3 dl
⎟⎟ 0

⎢ 2 ⎝ ∂x1 ∂x3 ⎠ 2 ⎜⎝ ∂x3 ∂x2 ⎟⎠ ⎥⎥
⎢ ⎛ ⎥ per l’asse x3. Si calcola dunque la quantità:
⎢ 1 ⎜ ∂u3 ∂u1 ⎞⎟ 1 ⎛⎜ ∂u3 ∂u2 ⎞⎟ ⎥
⎢ ⎜ − ⎟
⎟⎟ ⎜⎜ − ⎟
⎟⎟ 0 ⎥

⎢ 2 ⎝ ∂x1 ∂x3 ⎠ 2 ⎝ ∂x2 ∂x3 ⎠ ⎥ ⎡d d d ⎤⎡ ⎤
⎣ ⎦ ⎢ 11 12 13 ⎥ ⎢ 0 ⎥
⎡ 0 −␸ ␸ ⎤ T ⎢ ⎥
⎢ 2 ⎥ e3T 2D e3 = ⎡⎢ 0 0 1 ⎤⎥ ⎢ • d22 d23 ⎥ ⎢ 0 ⎥ = d33
3 ⎣ ⎦ ⎢ ⎥⎢ ⎥
⎢ ⎥ ⎢ • • d33 ⎥ ⎢⎣ 1 ⎥⎦
= ⎢ ␸3 0 −␸1 ⎥
⎢ ⎥ ⎣ ⎦
⎢ −␸2 ␸1 0 ⎥
⎣ ⎦
che consente di dedurre il cercato coefficiente di dila-
 b. Si verifichi la condizione per l’invertibilità tazione in deformazione finita
J 5 det F.0.
␧3 = 1 + 2 d33 + 1
Riposta
Noto F: In deformazione infinitesima il coefficiente si ottiene
dalla relazione precedente, assumendo al posto di D il
F 5 I 1 =u 5 tensore E: in generale rispetto alla direzione n si ha
en 5 nTEn, e per la direzione di x3 si ottiene
0u1 0u1 0u1
a1 1 b
e3 5 e3TEe3 5 e33. Similmente si opera per la direzione
0x1 0x2 0x3 x1. Si ottiene il ben noto risultato che le dilatazioni nel-
0u2 0u2 0u2 le direzioni degli assi sono fornite dalle rispettive com-
5F a1 1 b V ponenti della diagonale principale del tensore di de-
0x1 0x2 0x3
formazione infinitesima E.
0u3 0u3 0u3
a1 1 b 2. Spostamento dovuto alla rotazione del seg-
0x1 0x2 0x3 mento di direzione x2 e lunghezza a.
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Capitolo 5 j Esercizi j 433

Risposta Risposta
In ambito infinitesimo lo spostamento di un punto La formula di Nanson (AP5.1) è:
dell’intorno di può ottenersi tramite la relazione (5.42),
la parte di spostamento dovuta alla rotazione è quella dS = dST ⋅ dS = m ⋅ m dS2 =
uR 5 W(x* 2 x), che per un punto dell’asse di ascissa
a, fornisce: = J2 (dsT F−1 ) ⋅ [(FT )−1 ⋅ ds] =
= J2 ds2 ( nT F−1 ) ⋅ [(FT )−1 ⋅ n]

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⎛⎡ x ⎤ ⎡ x ⎤ ⎞⎟ ⎡ 0 ⎤ ⎡ −␸3 a ⎤
⎜⎜ ⎢ 1 ⎥ ⎢ 1 ⎥ ⎟⎟
⎜⎢ ⎥ ⎢ ⎥ ⎟⎟ ⎢ ⎥ ⎢ ⎥
uR = W ⎜⎜ ⎢ x2 + a ⎥ − ⎢ x2 ⎢ ⎥
⎥ ⎟⎟= W ⎢⎢ a ⎥⎥ = ⎢ 0 ⎥
che poiché la normale alla detta superficie è e3 5 [0
⎜⎜ ⎢ ⎥ ⎢ ⎥ ⎟⎟ 0 1]T, si specifica
⎜⎜ ⎢ x3 ⎥ ⎢ x3 ⎥ ⎟⎟⎠ ⎢ 0 ⎥ ⎢ ␸1a ⎥
⎝⎣ ⎦ ⎣ ⎦ ⎢⎣ ⎥⎦ ⎢⎣ ⎥⎦
dS = J2 (eT3 F−1 ) ⋅ [(FT )−1 ⋅ e3 ]
3. Coefficiente di variazione volumetrica.
Risposta nella quale F è stato calcolato in x.
Il coefficiente di variazione volumetrica in deforma- 9. Il coefficiente cs di variazione della superficie
zione finita vale: di cui al quesito precedente.

c = det(∇u + I) − 1 = J − 1 Risposta
A seguito della risposta al quesito precedente, si ot-
facilmente calcolabile, avendo già valutato J. In defor- tiene:
mazione infinitesima si ha
dS − ds
cs =
∂u1 ∂u2 ∂u3 ds
c = TrE = ␧11 +␧22 +␧33 = div u= + +
∂ x1 ∂ x2 ∂ x3
10. Variazione di area di un quadrato di lato 3
4. Invarianti di deformazione. cm appartenente al piano x2 5 0, dovuta alla
deformazione.
Risposta
Sono i valori che le funzioni già calcolate per il quesito Risposta
c) di sopra, assumono nel punto x. La valutazione già effettuata in 8. e 9. Va qui ripetuta
per il versore normale e2 5 [0 1 0]T, valutando dS e
5. Variazione di volume di un dominio costi- poi come già mostrato.
tuito dalla parte di trave superiore al piano
11. Si verifichi la prima equazione di congruen-
(x1, x3).
za interna.
Risposta
Risposta
Il coefficiente calcolato in 3. va integrato al dominio
Con riferimento alle funzioni e11, e22, g12, presenti nel
volumetrico prescritto.
tensore di deformazione infinitesima E, va verificato
6. Variazione di volume dell’intera trave. che risulta soddisfatta la:

Risposta ∂2␥12 ∂2␧11 ∂2␧22


Il coefficiente calcolato in 3. va integrato al dominio = +
∂x1∂x2 ∂x22 ∂x12
volumetrico prescritto.
7. Scorrimento fra le direzioni (x1, x2). 12. Direzioni principali e deformazioni principali.

Risposta Risposta
Il cercato scorrimento (x1, x2), in deformazione infi- Noto E, bisogna scrivere l’equazione caratteristica del
nitesima è dato dal valore g12, contenuto nell’espres- problema di auto-valori [Equazione (5.64)], le cui so-
sione di E. luzioni costituiscono i tre autovalori o deformazioni
principali eI, eII, eIII. Questi valori, sostituiti uno alla
8. L’area del trasformato di un quadrato di lato volta nell’equazione di autovalori (E 2 eI) ? n 5 0, in-
1 cm di superficie intorno a x, appartenente sieme alla condizione riguardante i versori n ? n 5 1,
al piano (x1, x2). permettono di determinare le tre direzioni principali di
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434 j Capitolo 5 j Esercizi

deformazione (nI, nII, nIII). In alternativa, i codici di cal- Risposta


colo numerico consentono, tramite i comandi Eigenva- S 2 s 5 20.00155235 cm2
lues [E] ed Eigenvectors [E], di calcolare autovalori e o. Si verifichi la prima equazione di congruen-
autovettori di E. za interna.
5.2 Questo esercizio viene svolto seguendo la proce-
p. Direzioni principali e deformazioni princi-
dura per l’Esercizio 5.1. Sia assegnato il campo
pali.
20.3xy
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5.3 È assegnato il tensore di deformazione infinite-


u 5 x ≥ 2 3z 1 0.31y2 2 x2 2 4 ¥
1 2 sima:
2
21 2 1
E 5 1023 £ 2 3 22 §
yz
x 5 2.57 3 1025
1 22 21
che costituisce lo spostamento di una trave
a. Lo stato di deformazione è piano?
IPE200 di luce L 5 300 cm, sollecitata in fles-
sione retta con Mx 5 1 tm (Paragrafo 6.4).  b. Determinare direzioni e deformazioni princi-
(E 5 2 3 106 kg cm22, Ix 5 1943 cm4, n 5 0.3). pali di E e l’espressione del tensore nel rife-
a. Si calcolino i tensori: gradiente di spostamento rimento principale.
H, gradiente di deformazione F, deformazione Risposta
finita D, deformazione infinitesima E 5 symH, eI5 0.00427492; eII 5 20.00327492; eIII 50.00;
rotazione infinitesima W 5 antisymH. c. Allungamento del segmento di lunghezza 10
b. Si verifichi la condizione per l’invertibilità mm disposto nella direzione
n 5 31> !3, 1> !3, 1> !34 T
J 5 detF . 0.
c. Funzioni invarianti di deformazione.
d. Con riferimento al punto d. Determinare lo scorrimento fra le direzioni
ortogonali
x 10 cm
x 5 £ y § 5 £ 210 cm § r 5 31> !2, 1> !2, 04 T
z 150 cm s 5 321> !2, 1> !2, 04 T
si calcoli:
e. Determinare gli invarianti della deformazione.
e. Dilatazioni lineari in direzione z e in direzio-
f. Determinare la variazione volumetrica del cu-
ne x.
bo di lato 1 cm.
f. Spostamento da rotazione del segmento di
direzione y. 5.4 Nel riferimento (x1, x2, x3) è assegnato il tensore
di sforzo di Cauchy:
g. Coefficiente di variazione volumetrica.
h. Invarianti di deformazione. 150 0 0
i. Variazione di volume della parte di trave su- T 5 £ 0 2100 260 § 3 MPa4
periore al piano (x, z). 0 260 80
j. Variazione di volume dell’intera trave. a. Lo stato di sforzo è piano?
k. Scorrimento fra le direzioni x e y.
 b. Determinare tensioni e direzioni principali ri-
l. L’area del trasformato di un quadrato di lato solvendo il problema di autovalori.
1 cm di superficie intorno a x, appartenente
alla sezione retta (z 5 L>2) (Formula di Nan- Risposta
son: (AP5. 1). σ I = −150.00 MPa
 m. Il coefficiente cs di variazione della superficie
σ II = −118.167 MPa
di cui al quesito precedente.
Risposta σ III = 98.1665 MPa
cs 5 0.000161642 n I = [1, 0, 0]T
 n. Variazione di area di un quadrato di lato 3 n II = [0, 0.957092, 0.289754]T
cm appartenente al piano y 5 0, dovuta alla
deformazione. n III = [0, − 0.289784, 0.957092]T
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Capitolo 5 j Esercizi j 435

c. Determinare tensioni e direzioni principali  e. Determinare il vettore tensione di Cauchy sul


utilizzando il cerchio di Mohr (giaciture pas- piano ottaedrale, avente normale uscente
santi per l’asse x1).
n5 c d
T
1 1 1
 , ,
"3 "3 "3
d. Determinare l’espressione del tensore nel rife-
rimento (x1, x92, x93) che si ottiene ruotando quel-
lo iniziale (x1, x2, x3) di p>6 intorno all’asse x1. Determinare le componenti normale e tan-
Equazioni della trasformazione: matrice di ro- genziale della tensione sul piano ottaedrale.

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tazione [Paragrafo 5.4.8, Equazione (5.242)]). Risposta
Risposta
T
t = T ⋅ n = ⎡⎣-15.0111, 7.50555, 2.88675⎤⎦ MPa
⎡1 0 0 ⎤
⎢ ⎥ ␴ = t ⋅ n = -2.66667 MPa
⎢ ⎥
⎢0 3 1 ⎥
R = ⎢⎢ ⎥ ␶ = p ⋅ p − ␴ 2 = 16.8193 MPa
2 2 ⎥
⎢ ⎥
⎢ 3 1 ⎥  f. Calcolare i tre invarianti di sforzo.
⎢0− ⎥
⎢⎣ 2 2 ⎥⎦ Risposta
⎡ −150 0 0 ⎤
⎢ ⎥ I1 = −42 MPa I2 = −445 MPa2 I3 = 0
T' = R T RT = ⎢ 0 − 106 . 962 95 ⎥ ⎡ MPa ⎤
⎢ ⎥⎣ ⎦
⎢ 0 95 −3.038 ⎥⎦  g. Effettuare la decomposizione di T nella parte

idrostatica e in quella deviatorica (5.149).
5.5 Nel riferimento (x1, x2, x3) è assegnato il tensore Risposta
di sforzo di Cauchy:
⎡ 7.6 0 0 ⎤
240 20 26 I1 ⎢ ⎥
= I = ⎢⎢ 0 7.6 0 ⎥⎥ MPa
T 5 £ 20 210 3 § 3MPa4
Ti
3 ⎢ 0 0 7.6 ⎥
26 3 8 ⎢⎣ ⎦⎥
⎡ -47.66 20 −6 ⎤
a. Lo stato di sforzo è piano? ⎢ ⎥
TD = T-Ti = ⎢⎢ 20 -17.66 3 ⎥ MPa

 b. Determinare tensioni e direzioni principali ri- ⎢ −6 ⎥
solvendo il problema di autovalori. ⎢⎣ 3 0.33 ⎥⎦
Risposta 5.6 In un punto della sezione rettangolare di una tra-
ve, è presente lo stato di sforzo
␴I = −50.77 MPa ␴II = 8.76 MPa␴III = 0 MPa
nI = [0.8887, -0.44443, 0.1134]T 0 0 8
T 5 £ 0 0 23 § 3 MPa4
nII = [-0.1014, 0.0507, 0.9935]T
8 23 10
nIII = [0.4472, 0.8944, 0]T
riferito alla’usuale base baricentrica (G, x, y, z).
 c. Determinare l’espressione del tensore nel ri- a. Verificare che lo stato di tensione sia piano.
ferimento principale, utilizzando la matrice di b. Si tracci il cerchio di Mohr dello stato di sfor-
rotazione R e verificando in tal modo anche zo
1sz,tz 5 "t2xz 1 t2xy 2
gli autovalori.
Risposta
⎡ 0.888656 −0.444328 0.113415 ⎤ determinando le direzioni e le tensioni prin-
⎢ ⎥ cipali non nulle.
R = ⎢ −0.101442 0.0507208 0.993548 ⎥
⎢ ⎥ c. Tramite il cerchio di Mohr si determinino le
⎢ 0.447214 0.894427 0 ⎥ giaciture sulle quali si hanno tensioni tangen-
⎣ ⎦
ziali massime (in valore assoluto) e i loro va-
d. Tracciare i cerchi principali di Mohr e l’ar- lori.
belo di Mohr. Determinare le massime ten- d. Determinare il piano scarico.
sioni tangenziali relative ai fasci di piani di e. Determinare i cerchi di Mohr principali e l’ar-
sostegno e le direzioni principali. belo di Mohr.
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436 j Capitolo 5 j Esercizi

f. Scomposizione di T nella parte idrostatica e 7. Scomposizione del tensore di sforzo nella


in quella deviatorica (5.149). parte volumetrica e in quella deviatorica.
g. Determinare la massima componente princi- 8. Scorrimento fra le direzioni x e y.
pale deviatorica. 9. L’area del trasformato di un quadrato di la-
to 1 cm di superficie intorno a x, apparte-
5.7 Sia assegnato il campo
nente alla sezione retta [formula di Nan-
2nxy son: (AP5.2)].
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10. Il coefficiente cs di variazione della super-


u 5 x ≥ 2 3z 1 n1y2 2 x2 2 4 ¥
1 2 Mx
x5 ficie di cui al quesito precedente (AP5.3).
2 EIx
11. Variazione di area di un quadrato di lato 3
yz cm appartenente al piano x 5 0 , dovuta alla
che nell’usuale base baricentrica (G, x, y, z) co- deformazione.
stituisce lo spostamento di una trave a sezione 12. Si verifichi la prima equazione di congruen-
rettangolare, omogenea di materiale isotropo, za interna.
avente luce L 5 150 cm, sollecitata in flessione 13. Direzioni principali di deformazione e di sfor-
retta uniforme dovuta a due coppie }x uguali e zo. Autovalori di deformazione e di sforzo.
opposte applicate alle due basi, che generano il e. Variazione di volume della parte di trave su-
momento flettente costante Mx 5 0.8 tm [Equa- periore al piano (x, z).
zione (6.41)]. f. Variazione di volume dell’intera trave.
a. Si calcolino i tensori: gradiente di sposta- 5.8 La trave di alluminio (E 5 80 GPa, n 5 0.22) a
mento H, gradiente di deformazione F, de- sezione di corona circolare con Ri 5 10 cm,
formazione finita D, deformazione infinite- Re 5 15 cm, e lunghezza L 5 3 m, presenta il
sima E 5 symH, rotazione infinitesima campo di spostamento:
W 5 antisymH.
u 5 c d 5 2q9 c d
b. Si calcoli lo stato di sollecitazione tramite le u yz
relazioni di Hooke. v xz
 c. Si calcoli la rotazione relativa fra le sezioni di che nell’usuale base baricentrica (G, x, y, z) rap-
estremità utilizzando il Teorema di Clapeyron. presenta lo spostamento dovuto a torsione, di
Riposta momento torcente Mz 5 12 tm.
Integrazione dell’energia di deformazione a. Si determini il tensore di deformazione, poi
quello di sforzo tramite le relazioni di Hooke.
1 b. Si determini l’angolo specifico di torsione,
⌽ = ␴z ␧z
2 particolarizzando il campo u.
all’intera trave. c. Si determini la rigidezza torsionale kT della
trave.
d. Con riferimento al punto d. Si determini la rotazione torsionale relativa fra
le due basi, utilizzando il Principio dei Lavori
x 15 cm
x 5 £ y § 5 £ 225 cm §
Virtuali: sistema forze costituito dalla stessa
trave caricata da due coppie torcenti unitarie
z 130 cm autoequlibranti sulle due basi, sistema sposta-
si calcoli: menti costituito dalla trave in studio. Si integri
1. Tensori E, T. il lavoro interno t9 g a tutta la trave.
2. Sui piani che si appoggiano all’asse per il e. Con riferimento al punto
punto parallelo a quello x, sono presenti ten-
sioni tangenziali? Se sì, quale è il valore del- x 5 3x y z4 T 5 312.5, 0.0, 3004 T cm
la t massima e su quale giacitura agisce? si calcoli:
Operare con il cerchio di Mohr. 1. Tensori E, T.
3. Dilatazioni lineari in direzione z e in dire- 2. Direzioni principali di deformazione e di sfor-
zione x. zo. Autovalori di deformazione e di sforzo.
4. Rotazione del segmento di direzione y. 3. Sui piani che si appoggiano all’asse per il
5. Coefficiente di variazione volumetrica. punto parallelo a quello x, sono presenti ten-
6. Invarianti di deformazione e di tensione. sioni normali? Se sì, quali sono i valori delle
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s massima e minima e su quali giaciture n12 5 0.10, n23 5 0.15, n31 5 0.2
agiscono? Operare con il cerchio di Mohr.
4. Dilatazioni lineari in direzione z, in dire- Il parallelepipedo è caricato sulle due facce paral-
zione x e y. lele al piano (x1, x3) da distribuzioni uniformi di
5. Rotazione del segmento di direzione y. forze superficiali di compressione di valore
6. Coefficiente di variazione volumetrica. f2 5 250 Ncm22 e sulle due facce parallele al pia-
7. Invarianti di deformazione e di tensione. no (x1, x2) da distribuzioni uniformi di forze su-

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8. Scomposizione del tensore di sforzo nella perficiali di trazione di valore f3 5 130 Ncm22.
parte volumetrica e in quella deviatorica. a. Si determini il tensore di sforzo uniforme T.
9. Scorrimento fra le direzioni x e y. b. A mezzo delle relazioni inverse di elasticità
10. L’area del trasformato di un quadrato di la- e 5 @s (5.261)-(5.271) si determini il ten-
to 1 cm di superficie intorno a x, apparte- sore di deformazione infinitesima E.
nente alla sezione retta [Formula di Nan- c. Tramite integrazioni si determini il campo
son: (AP5.2)]. di spostamento rispettoso di condizioni
11. Il coefficiente cs di variazione della super- omogenee nel baricentro G del rettangolo di
ficie di cui al quesito precedente (AP5.3). base iniziale.
12. Variazione di area di un quadrato di lato 2 d. In un punto qualsiasi si determini:
cm appartenente al piano x 5 0, dovuta alla 1. Direzioni principali di deformazione.
deformazione. 2. Direzioni principali di sforzo.
13. Si verifichi la prima equazione di con- 3. Autovalori di deformazione e di sforzo.
gruenza interna 4. Sui piani che si appoggiano all’asse per il
f. Variazione di volume della parte di trave su- punto parallelo a quello x2, sono presenti
periore al piano (x, z). tensioni tangenziali? Se sì, qual è il valore
g. Variazione di volume dell’intera trave. della t massima e su quale giacitura agisce?
Operare con il cerchio di Mohr.
5.9 Costruire il cerchio di Mohr per lo stato di tensione 5. Dilatazioni lineari in direzione x3, in dire-
definito dalle seguenti componenti non nulle: zione x1 e x2.
6. Rotazione di un segmento di direzione x3.
s11 5 250 MPa, s22 5 2150 MPa, t12 5 180 MPa
7. Coefficiente di variazione volumetrica.
Si determinino tensioni principali e direzioni 8. Variazione di volume dell’intero parallele-
principali. pipedo.
5.10 Un parallelepipedo che nel riferimento cartesia- 9. Invarianti di deformazione e di tensione.
no (G, x1, x2, x3) ha le dimensioni l1 5 250 cm, 10. Scomposizione del tensore di sforzo nella
l2 5 70 cm, l3 5 60 cm, è costituito da materiale parte volumetrica e in quella deviatorica.
ortotropo omogeneo linearmente elastico avente 11. Scorrimento fra le direzioni x1 e x2.
le seguenti costanti elastiche: 12. L’area del trasformato di un quadrato di lato
1 cm di superficie appartenente al piano (x1,
E1 5 10 GPa, E2 5 1 GPa, E3 5 0.8 GPa, x3) [Formula di Nanson: (AP5.2)].
13. Il coefficiente cs di variazione della super-
G12 5 2 GPa , G13 5 1.8 GPa, G23 5 0.6 GPa, ficie (AP5.3) di cui al quesito precedente.
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