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N.

4
agosto
NOTIZIARIO INTERNO DELLA CONGREGAZIONE DI SAN GIUSEPPE 2016
GIUSEPPINI DEL MURIALDO

SOMMARIO

Documenti
Voglia di comunità, Circolare n. 52, p. Mario Aldegani 118
Allegato 1 120
Allegato 2 122

Atti del Consiglio Generale 130

Testimonianze e studi 135


- Testimonianza sull’esperienza annuale della preparazione alla profes-
sione perpetua 135
- L’educazione integrale, alla luce della esperienza di p. Ettore Cunial,
Tullio Locatelli 136
- 50 anni tutti d’oro, Gino, Carlo 142
- “La mia GMG”, testimonianze di giovani 144
- La misericordia. Punto di incontro e sorgente…, Alejandro Bazán 150
- XVIII Congreso Nacional de Exalumnos Josefinos, EC, Armando Llerena 153
- Ricordando il servo di Dio don Angelo Cuomo, Angelo Catapano 155

Cronaca 158
Cronaca del padre generale e consiglio 158
Cronaca dalle comunità e dalle province 159

Confratelli defunti 161


Padre Bruno Dalla Vecchia 161
Padre Giuseppe Cavallin 162

Genitori defunti di confratelli 162

Recensioni, Pubblicazioni 163


DOCUMENTI

IL PADRE GENERALE

Roma, 15 agosto 2016


Assunzione della Beata Vergine Maria

Circ. n. 52

VOGLIA DI COMUNITÀ
la fraternità tra noi è un cammino di speranza

“Dove due o tre sono riuniti nel mio nome,


io sono in mezzo a loro”

(Mt 18,20)

Cari Confratelli,

la parola del Signore ci conferma nella convinzione che stare insieme come
fratelli nel suo nome, rende presente il Suo Spirito: questa è la Grazia più grande del vivere
insieme e la testimonianza più importante a cui siamo chiamati, facendoci riconoscere per
amore fraterno che regna in mezzo a noi.

La Conferenza Interprovinciale, celebrata a Roma nei giorni 26-30 aprile 2016, ha


espresso il desiderio di far conoscere ai confratelli la sintesi della ricerca sul tema “voglia
di comunità”, svoltasi in tutta la Congregazione tra il 2015 e il 2016 proprio in contempo-
ranea con l’Anno della Vita Consacrata.
Avevo chiesto una riflessione sul tema nella percezione che qualcosa nella nostra vita
fraterna si stesse come sfilacciando, per molte cause, ma anche nella fiducia, confermata
dalle vostre risposte, che, al di là delle nostre fragilità e delle nostre sconfitte, alla vita fra-
terna ci crediamo ancora e non vogliamo subirne rassegnati il declino.
Vi invio con questa circolare una riflessione a partire dalla sintesi delle vostre risposte,
che sono riportate integralmente, in allegato, alla fine della lettera.
Sono lieto inoltre di comunicare che, nella seduta del giugno scorso, il consiglio ge-
nerale ha dato il nulla osta all’apertura di quattro nuove comunità, tre in India e una in Spa-
gna, con la nomina dei rispettivi direttori:

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comunità di Cheriyanad (Kerala – India), parrocchia missionaria;
comunità di Mattul Nord (Kerala – India), parrocchia e scuola;
comunità di Saksohara (Bihar – India), stazione missionaria;
comunità della Parroquia de San Raimundo de Penafort (periferia di Madrid).

Queste scelte sono segni di speranza: in India il Signore ci sta benedicendo con il dono
delle vocazioni e sostiene il nostro impegno alla missionarietà; in Spagna non ci rassegniamo
alla stagnazione prodotta dalla mancanza di vocazioni, ma osiamo il coraggio del nuovo, in
una zona periferica della città di Madrid.
Chiedo a tutti una preghiera speciale per queste nuove comunità della congregazione
e per i confratelli che vi fanno parte: la preghiera non solo ci è sempre necessaria, ma ci fa
sentire parte di quella comunità più grande che è la nostra famiglia religiosa.

Come avete potuto leggere, non manca fra noi, almeno a parole, la voglia di comunità
e la convinzione della sua necessità per la nostra testimonianza di consacrati e per il senso
della nostra vita. Sfide e difficoltà non mancano, però “non lasciamoci rubare la comunità”,
come ci dice Papa Francesco.
Punti di riferimento per rinnovare il nostro impegno di vivere insieme come fratelli ne
abbiamo in abbondanza, a partire dalla Regola e dai documenti del CG XXII, ma la comunità
è un cantiere aperto: non una formula che dà risultato sicuro e automatico mettendo in moto
taluni meccanismi, ma un edificio che si costruisce ogni giorno, con la cura, la creatività e
anche la difesa di questo bene che sentiamo necessario.
Forse è necessario “aprire” la parola comunità ad un contesto più ampio e collegare il
nostro rinnovato impegno a vivere da fratelli con la realtà della famiglia carismatica del
Murialdo, che ci affratella con altri che come noi sono appassionati del carisma del Mu-
rialdo. Anche questo è un cammino di speranza. In questo modo la voglia di comunità può
diventare un’esperienza generativa, un modo cioè di generare in mezzo a noi e intorno a
noi nuove relazioni evangelicamente ispirate.

Il tema della vita fraterna è al centro del nostro essere religiosi, ha continuamente bi-
sogno di essere ripreso e approfondito, perché il vissuto faccia sempre meglio trasparire
quegli elementi di profezia e di radicalità evangelica, ai quali continuamente ci richiama lo
stesso papa Francesco.
Vi ringrazio tutti della partecipazione a questa riflessione, che ci sarà utile anche per
il prossimo capitolo generale e vi invito ancora a riflettere e a pregare: siamo convinti che
questo lavoro è solo uno dei tanti “capitoli” di un libro che non si è mai finito di scrivere.

Con affetto e viva cordialità.

p. Mario Aldegani
PADRE GENERALE

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ALLEGATO 1
RIFLESSIONE di SINTESI
SUI CONTRIBUTI PERVENUTI DA COMUNITA’ E PROVINCE

PREMESSA
Occorre dare atto che si è stato fatto un discorso sincero, chiaro, senza fronzoli; esso indica
che parlare di comunità interessa ancora, perché tocca la vita di tutti e di ciascuno. E’ un
buon punto di partenza, al di là di certi pessimismi che porterebbero addirittura a chiudere
lo stesso discorso.
In genere si evidenziano aspetti umani di fragilità e di risorsa positiva per indicare limiti e
pregi della vita in comunione; meno detti, forse perché scontati?, i principi evangelici-teo-
logici-ascetici-religiosi. Nessuno mette in dubbio principi e norme; forse non si conoscono
nemmeno o magari poco; comunque c’è una fondamentale accettazione del discorso “reli-
gioso” sulla comunità, anche se poco esplicitato. Si potrebbe dedurre che ci sia una certa ri-
trosia ad appellarsi ai grandi principi di fondo, alle prospettive alte; e che si preferisca
ragionare e dire sulla realtà concreta, quotidiana, ordinaria; la vita ha il sopravvento sulle
idealità.
Sembra di notare una forte concentrazione sul presente, molto meno sul futuro; con il rischio
di guardare indietro per cercare risposte sicure a problemi di oggi.

LA CURA DELLE RELAZIONI


Al centro si pone il discorso delle relazioni a livello ordinario, quotidiano, “di famiglia”;
queste incidono molto di più di quelle “gerarchiche” e di “ruolo”. Forse si corre il rischio,
poi, di non vedere oltre? di non essere stimolati ad altro? Stiamo bene così?!
Da questo punto di vista pare interessante far notare l’accentuazione data sul trovarsi alla
mensa, come risorsa per costruire fraternità; un realismo sulle nostre possibilità effettive di
incontrarci. Anche altri momenti informali del ritrovarsi vengono visti in positivo.
Tuttavia si può notare una difficoltà a trovare tempi specifici per ritiri mensili, incontri co-
munitari prolungati, tempi trascorsi insieme per … stare insieme. La vita ha ritmi e tempi
che la vita di comunità fa fatica a fare propri?
Problema governo. C’è la percezione che si parli e ci si riferisca ad “un” direttore, ad “un”
provinciale, meno ad un governo condiviso, partecipato, di una “partnerschip” di governo.
Consiglio dell’opera, altre forme di governo partecipate ed allargate, sono un poco sfumate;
stanchezza? cambio di prospettiva?
Si dice di non condividere la concentrazione di cariche su uno solo (in comunità) o su pochi
confratelli (in provincia); ne va di mezzo il senso di partecipazione.

ASCOLTO RECIPROCO E CONDIVISIONE DEL QUOTIDIANO


Sui compiti del direttore e, ancor più, su quelli del provinciale, si evidenziano appelli abba-
stanza generici di animazione e di formazione continua; si ha l’impressione che la comunità
con la sua vita ordinaria si gioca il suo essere fraternità o meno al di là delle proposte che

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vengano, o non vengano, da fuori e/o dall’alto. L’ordinario ha la prevalenza.
Pochi accenni alla esistenza di un progetto comunitario capace di offrire linee guida alla
comunità stessa. Non tanto tempo fa si parlava di “patto comunitario”, oggi molto meno.
Forse si elabora meglio il progetto dell’opera che quello della comunità?
Verso i giovani confratelli si esprimono pareri differenti; si mettono in risalto le differenze
di cultura, di formazione. C’è da chiedersi se sono sentiti come possibili promotori di cam-
biamento (e se ne sono capaci). E’ difficile capire se ci sia e quanto sia l’ ascolto reciproco.
C’è attenzione verso i confratelli anziani; alcune comunità sono veramente di esempio.
Risuona l’invito a non concentrarsi troppo sui nostri problemi e le nostre difficoltà; c’è l’in-
vito a sapersi leggere dentro un contesto più ampio; non manca la voglia di rispondere ad
un mondo che attende il vangelo e ci chiama ad essere portatori di speranza, di comunione,
di pace. La cultura dell’ascolto apre ad un oltre che ci interpella e ci sprona.
Difficile cogliere il nostro rapporto con il cambiamento, inteso in senso ampio (culturale,
religioso, sociale, ecc.); lo si avverte, un poco lo si teme e un poco lo si invoca, alle volte
ci si sente impreparati. Difficile dire se stiamo condividendo e sostenendo una “cultura del
cambiamento”. Alle volte qualcuno afferma che il cambiamento viene attuato per decisioni,
dall’alto, con il rischio di non essere capito, accolto, fatto proprio dalla base.

LA COMUNICAZIONE SPIRITUALE
La parte più debole del discorso riguarda la condivisione spirituale che richiede alcune con-
dizioni (di tempo, di spazio, di buone relazioni) che spesso sono difficili da avere; forse non
manca la convinzione di un cammino comunitario di fede e di santità di vita che la fraternità
può sostenere ed esplicitare; tuttavia la sua assenza, o almeno la sua debolezza, farebbe
venir meno uno dei perché fondamentali del fatto che siamo insieme: fare comunitariamente
esperienza di Dio.
In genere su questo punto la difficoltà è spiegata per avere avuto un certo tipo di formazione.
Si può notare, tuttavia, che se è evidenziato un rapporto molto stretto tra formazione iniziale
e vita comunitaria, nel senso che siamo stati poco preparati ad essa, meno esplicito è il rap-
porto formazione continua e vita comunitaria; mettiamo meglio in discussione il passato,
poco il “presente formativo”, quasi in una sorta di auto-assoluzione.
Il CG XXII ha posto come fine generale per il sessennio il rinnovamento spirituale; sarebbe
difficile dire quanto sia stato fatto per sostenerlo, esprimerlo, condividerlo.

LA CORRESPONSABILITA’ APOSTOLICA E LA MISSIONE PARTECIPATA


Buona l’apertura ecclesiale e sul territorio; è una delle caratteristiche del nostro carisma;
purtroppo non sempre vissuta insieme da tutti i componenti della comunità.
Quando si parla di Famiglia del Murialdo sembra che il discorso sia solo “locale”, sembra
che manchi la percezione di un discorso di provincia e di congregazione. Problema di strut-
ture? Problema di interpretazioni diverse? E’ importante e fondamentale la relazione “face
to face”, il resto conta molto meno.
In rapporto ai laici si è capaci di mettere in luce da una parte quanto essi possono offrire in
termini di attenzione al quotidiano, di concretezza nella vita e dall’altra parte le loro richieste

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per noi ad essere più profetici e missionari. Pare che siamo noi più carenti di loro.
Consola il fatto di costatare che chi ci conosce e ci frequenta da vicino in genere riconosce
di incontrare un buon clima di famiglia, di vivere delle buone relazioni, di essere accolto.
Forse meritano una riflessione “circolare” due discorsi: la distinzione tra comunità ed opera
e, quindi, il rapporto tra comunità e laici.
Su alcune scelte (accorpamenti delle comunità, comunità murialdina) non si dice molto e
quel poco suona in termini problematici; o perché adesso non interessano chi scrive o perché
si sentono lontane o perché…

ALLEGATO 2
LE RISPOSTE PERVENUTE
SULLE QUALI E’ STATA COSTRUITA LA SINTESI

0. IL PUNTO DI RIFERIMENTO IL N. 35 DEL CG XXII


35.- Vogliamo fare in modo che tutte le nostre comunità riscoprano ciò che è essenziale per
rinnovare la vita fraterna: la cura delle relazioni interpersonali, l’ascolto reciproco e la con-
divisione del quotidiano, la comunicazione spirituale, la corresponsabilità apostolica e la
missione partecipata, superando la visione legata al ruolo o al compito svolto.
METODO DI LETTURA E DI SINTESI DEI TESTI PERVENUTI
Quattro temi fondamentali:
la cura delle relazioni interpersonali
l’ascolto reciproco e la condivisione del quotidiano
la comunicazione spirituale
la corresponsabilità apostolica e la missione partecipata
Lettura dei testi pervenuti
aspetti positivi
aspetti problematici
proposte
ANDARE OLTRE…
Altre tematiche presenti nelle relazioni
il servizio dell’autorità
comunità-piccole, comunità-numerose, accorpamenti
passaggi generazionali
preparazione dei confratelli
comunità internazionali
dentro la “provincia”
Famiglia del Murialdo

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Proposta vocazionale
aspetti economici
comunità aggregata
comunità murialdina
LE SCELTE FATTE
Come potete notare non si precisa chi sia chi fa una affermazione e non si indica se quel-
l’affermazione è condivisa da pochi o da molti; forse questo è un limite.
Sembrava importante mettere in risalto quanto detto, “sic et simpliciter”, e uscire dall’idea
che una cosa detta da pochi vale poco, e una cosa detta da molti vale molto. Ad esempio:
sulla comunità murialdina c’è una sola battuta, critica, peraltro, a fronte di un silenzio totale.
In ogni caso dalla vostra lettura si potrà di certo completare, correggere, ecc.
1. LA CURA DELLE RELAZIONI INTERPERSONALI
ASPETTI POSITIVI
- almeno in teoria si apprezza il discorso della interculturalità e della diversità intergenera-
zionale, e se ne vorrebbe sviluppare tutta la potenzialità positiva
- almeno in teoria nessuno nega il valore l’importanza della vita comunitaria
- attenzione alla ricchezza delle comunità formate da confratelli di diversa provenienza
- è cresciuta la capacità di dialogo e di gestire i conflitti
- si valorizzano le qualità di ciascuno
- c’è attenzione agli ammalati e agli infermi
- non riesco ad immaginarmi fuori o senza la comunità

ASPETTI PROBLEMATICI
- nelle relazioni comunitarie si cerca una certa sintonia ma non si va oltre le cose quotidiane
e scontate
- sono spesso relazioni superficiali, di circostanza, ma mancano di una comunicazione più
profonda
- forse si va dal padre spirituale e magari anche dal confessore, ma, in genere, non si fa il
primo passo verso il confratello in modo diretto, nel torto o nella ragione
- c’è molta distanza tra quello che dice la Regola e che in fondo condividiamo e la vita reale
- siamo poco propensi a pensare che il Signore ci affida l’uno all’altro quando ci chiama a
formare comunità
- qualche confratello assume su di sé una serie di incarichi per cui qualcuno si sente poco
valorizzato
- rendere più evidente l’amore fraterno, andando oltre pregiudizi, etichette, o chiusure, ge-
losie, invidie
- non screditare il confratello che la pensa diversamente
- i mezzi della rete di comunicazione sociale, rischiano di sostituire l’incontro faccia a faccia,
diretto, tra confratelli
-facciamo fatica a superare il sospetto, la sfiducia e il timore di perdere la nostra privacy

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- si cerca rifugio nella stanza, nell’ufficio, nel gruppo di amici,
- molta distanza tra affermazioni di principio e realtà
- anche la formazione ricevuta e la praxi della congregazione non hanno posto una enfasi
sulla gravità delle mancanze nella vita comunitaria
- pochi confratelli e poca possibilità di cambiamenti
- tutti chi più e chi meno sono presi dall’individualismo
- alle volte parliamo in terza persona e non a tu per tu, face to face
PROPOSTE
- occorre stimolare perché la relazione sia “interpersonale” ossia che si approfondisca fino
a conoscere l’altro e a condividere con l’altro il cammino di fede
- promuovere tra noi la “cultura dell’incontro”
- se il dialogo parte dalla vita, è quello che ci “appassiona” che ci unisce
- riflettere sulla Famiglia di Nazareth e riscoprire in essa il compito-servizio di San Giuseppe
- riprendere per capire meglio quanto afferma la regola e che la “comunità è il primo campo
di apostolato”
- riscoprire lo stare insieme come vocazione, nei suoi aspetti teologico-trinitari, evangelici,
antropologici
- quanto siamo convinti che nel vivere bene la comunità dimostriamo che il Signore è in
mezzo a noi?
- formare in noi una buona base umana, culturale, relazionale sia nella FI sia nella FP
- essere dentro la comunità testimoni di misericordia
- cogliere il legame tra vera fede e autodonazione, costruzione della comunità, servizio e ri-
conciliazione con gli altri
- cogliere la forza del Vangelo che ci spinge verso l’altro, verso la comunione fraterna,
la missionarietà
- crescere nella disponibilità al perdono
- cogliere il legame tra comunità- congregazione - chiesa
- dare importanza alla comunicazione informale, ordinaria, nel relazionarsi quotidiano
- da riprendere con regolarità preghiera comunitaria, incontri comunitari, decisioni prese
insieme
- sentire l’apporto di tutti per stare bene in “casa propria”
2. L’ASCOLTO RECIPROCO E LA CONDIVISIONE DEL QUOTIDIANO
2.1 ASPETTI POSITIVI
- in genere chi viene in casa nostra coglie un buono spirito di famiglia, di cordialità, forse,
alle volte, più di quanto meritiamo
- si dà importanza al quotidiano e ai servizi che ciascuno può svolgere in comunità
-stimare i confratelli come compagni di viaggio,
- c’è una sostanziale fraternità, serenità di famiglia
- il trovarci a tavola come luogo ed occasione di un parlare libero e fraterno, di confronto e
di comunicazione

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- altro elemento che si valorizza è la preghiera comunitaria
- tre perni: preghiera comunitaria, pasti comunitari, incontri settimanali
- c’è grande libertà di parlare e di dire la propria opinione
- mi stanno bene i momenti comuni, ordinari, non feste con ristorante e simili
2.2 ASPETTI PROBLEMATICI
- essere solo uno che sfrutta la comunità
- alle volte ci manca un certo stile nelle cose più semplici dal saluto al dare e chiedere aiuto,
nel parlare di noi e tra noi,
- difficile la correzione fraterna
- un debole senso di appartenenza provoca forme di individualismo
- qualche confratello è lasciato un poco solo
- assenze, ritardi, ad incontri comuni rompono la sacralità della comunità
- non siamo abituati a dire quando esco e perché esco
- non basta la fede o motivazioni religiose, occorre un poco alle volte di psicologia, di at-
tenzione all’umano, ciò che manca
- diamo spesso l’immagine che siamo uno accanto all’altro, forse uno giustapposto all’altro,
ma poco più
- non dimentichiamo che qualcuno è “sordo” e rischia di essere tagliato fuori
- fatica a comunicare, ad esprimere un parere durante gli incontri
- si tende ad essere ognuno nel suo spazio
2.3 PROPOSTE
- essere più attenti alle cose ordinarie per costruire uno stile di vita “comunitario”
- passare dall’udire all’ascoltare, che è mettersi dal punto di vista dell’altro
- superare la logica del ruolo e dei compiti per una vera corresponsabilità comunitaria
- comunicare quello che si fa, quando si esce e quando si rientra, secondo uno stile di fami-
glia e non di controllo
- più attenzione al confratello che vive un momento particolare, difficile della sua vita
- essere gelosi di essere presenti nei momenti comunitari: mensa, preghiera, riunioni, …
- condividere momenti di relax, di riposo,
- andare oltre il ruolo per dare spazio alla comunicazione tra fratelli
- valorizzare nella vita ordinaria: altare, cibo, incontro
- riflettere su EG nn. 87-92
- quando diciamo che la comunità deve essere una famiglia rischiamo di idealizzare, diciamo
che la comunità è dove mi sento a casa, dove sono accolto, stimato, amato, e magari anche
criticato
- puntare di più sull’incontro comunitario
- essere fedeli alle cose di ogni giorno, ordinarie, quotidiane
- sfruttare la presenza di ospiti
- essere disponibili ai lavori in casa come segno di sobrietà, di povertà
- preoccupiamoci l’uno dell’altro anche se uno non sta male
- sapere raccontarci con gioia

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- rinforzare l’aspetto informale dello stare insieme
- parlare tra noi con schiettezza e sincerità
- la comunità è anche un insieme di fatica di condivisione di fede di convinzione di carisma
che se ben vissuti portano alla comunione
3. LA COMUNICAZIONE SPIRITUALE
3.1 ASPETTI POSITIVI
- meditazione insieme una volta la settimana
- preparazione dell’omelia domenicale
- l’orario aiuta ad essere presenti alla preghiera comunitaria
- intanto occorre esserci nei momenti di preghiera, di ritiro,
- seguiamo con attenzione il papa, Avvenire, delle buone letture, le lettere dei superiori (con
qualche critica a queste)
3.2 ASPETTI PROBLEMATICI
- una preghiera formale, secondo la rubrica, spesso veloce e “monocorde”
- non siamo stati educati ad una comunicazione spirituale, in genere comunichiamo dei con-
tenuti dottrinali, catechistici, poco ciò che lo Spirito dice a ciascuno
- sembra difficile realizzare una vera comunicazione spirituale
- c’è paura di non essere presi sul serio, di essere derisi
- non c’è più tempo per la preghiera comunitaria, non c’è tempo per i tempi lunghi di pre-
ghiera comunitaria e personale (ritiri, esercizi)
- un certo imborghesimento della vita crea difficoltà di comunicazione, specie a livelli meno
superficiali
- le nostre riunioni sono spesso finalizzate a cose pratiche, organizzative, poca attenzione
al crescere insieme spiritualmente
- è difficile condividere la propria storia personale, di famiglia,
- la formazione non ci ha preparati a questo
- è più facile imbastire discorsi su sport, politica, ecc.
- veniamo da un curriculum spesse volte molto formale
- lo sforzo è più portato sull’organizzazione delle opere che sull’aiutare a fare comunità
- il padre spirituale lo abbiamo relegato alla formazione iniziale
3.3 PROPOSTE
- la lectio divina tante volte proposta come luogo di comunicazione attorno e grazie alla Pa-
rola
- riscoprire le celebrazioni comunitarie, specie in alcuni momenti di comunità, di congre-
gazione, di Chiesa
- dare spazio e tempo alla preghiera comunitaria
- dare più spazio ad incontri di vita spirituale, orazione liturgica, momenti di ritiro e di eser-
cizi, condividere la Parola di Dio, concelebrazioni, adorazioni eucaristiche
- più attenzione ai momenti comuni, all’orario,

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- creare tempi e spazi per stare insieme, condividere, un giorno speciale per la comunità,
uscite, gite, celebrazioni di ricorrenze,
- andare oltre certo formalismo per essere più autentici, più autonomi, senza perdere le mo-
tivazioni di fede
- aiutarci a liberarci dalla paura del cambiamento oltre le nostre abitudini
- dare occasione per comunicare qualcosa del vissuto personale, anche facendo un poco di
sforzo
- riprendere i ritiri e gli incontri tra comunità vicine
- abbiamo deciso insieme che la nostra mensa sia semplice, ordinaria, famigliare
- non tralasciare la adorazione eucaristica settimanale
- se non c’è in comunità ci sia in congregazione qualcuno con cui condividere la propria
vita spirituale
- rendere più personalizzati e coinvolgenti i momenti comunitari di preghiera
- vivere una giornata comunitaria mensile con momenti di preghiera, condivisione, comu-
nicazione spirituale,
- è importante pregare l’uno per l’altro
- vivere una giornata con una delle comunità giuseppine vicine
- organizzare un ritiro spirituale solo tra di noi giuseppini
4. LA CORRESPONSABILITA’ APOSTOLICA E LA MISSIONE PARTECIPATA
4.1 ASPETTI POSITIVI
- si lavora molto, si propongono molte iniziative
- c’è preoccupazione di essere nel carisma
- è bello condividere con laici, con giovani volontari
4.2 ASPETTI PROBLEMATICI
- poco tempo per riflettere, pensare, discernere, valutare, giudicare, condividere
- c’è una certa ripetitività
- è difficile sentirsi responsabili di un settore comunitario in cui non si lavora
- si crea e si distrugge ad ogni passaggio di confratello, manca una progettazione che vada
oltre i singoli confratelli
- qualcuno difende con gelosia il proprio territorio di apostolato non chiedendo e non vo-
lendo collaborazione
- di fatto manca un lavoro comune dei confratelli, ognuno ha il suo pezzetto
- si sottolinea la necessaria gradualità nel passaggio della presenza/assenza dei confratelli
nei momenti di assistenza e dello stare con i giovani
- qualcuno per conoscenze dispone di molti soldi che usa per fare la carità ma la comunità
non sa nulla e se sa tace perché anch’essa ci guadagna qualcosa
- spese personali giustificate con il fare apostolato, forse un taglio si potrebbe fare
- si ha spesso l’impressione di troppe chiacchiere, parole, parole,
- che faccia lui (direttore, parroco, economo, preside) è lui il “capo”

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4.3 PROPOSTE
- passare dall’organizzazione alla riflessione con chiarezza di fini e metodi
- capire e vivere più profondamente il rapporto tra laici e religiosi
- passare dall’essere collaboratori ad essere persone (laici e religiosi) che insieme condivi-
dono, programmano, valutano
- valorizzazione del progetto comunitario apostolico, per noi e per noi in rapporto ai laici
- sapere dare e rispettare la responsabilità del religioso e/o del laico incaricato di un settore
(parroco, preside….)
- definire meglio i ruoli e i compiti di ciascuno, i propri ambiti di lavoro,
- dare tempo per fare una buona programmazione che sia veramente comunitaria
- che non sia l’attività delle opere a dare il ritmo alla comunità, ma che le comunità siano
capaci di dare un indirizzo fondante alle opere
- non perdere la memoria che “fuori” e attorno a noi c’è un mondo che aspetta il vangelo
- annunciare la centralità di Dio nell’uomo, essere portatori di speranza, testimoniare la co-
munione
- lo stare con i poveri dovrebbe essere frutto di qualche sacrificio personale e non solo dare
ciò che la congregazione ci mette a disposizione
- non lasciamoci rubare l’entusiasmo di fare apostolato
- condivisione, comunione, ma anche un comportamento ad adulti che sanno stare in mezzo,
prendere decisioni, fare proposte
- abbiamo bisogno di crescere, di maturare, di non essere ripetitivi.
- è importante la comunicazione tra tutti i confratelli
ALTRE TEMATICHE…
Il servizio dell’autorità
- tante cose vengono ancora decise dall’alto
- più comunicazione diretta, interpersonale
- distribuire le responsabilità
- dare spessore ai consigli nei vari ambiti
- riservatezza e comunicazione per quanto essi sanno dei confratelli
- ubbidienza ma anche essere adulti e stimati tali
Comunità-piccole, comunità-numerose, accorpamenti
- ci si aiuta tra comunità vicine, si fanno degli incontri, tipo ritiri spirituali, ecc.
- incentivare attività intercomunitarie di formazione, di svago, di comunicazione…
- problema di regola e canonico: si deve considerare o no l’essere in tre o più confratelli
- formiamo le comunità in base alle necessità dell’opera o in base alla vita comunitaria
- la sede dice poco se poi chi è chiamato a vivere l’esperienza di una comunità accorpata
non cambia il suo stile di vita
- siamo contenti e abbiamo beneficio dal fatto di avere geograficamente vicina un’altra co-
munità

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Passaggi generazionali
- rispetto per gli anziani, possano vivere dove hanno lavorato
- troppa diversità di formazione, di cultura, di visione
Preparazione di confratelli
- la provincia prepari i confratelli in diversi ambiti accademici
Comunità internazionali
- la vita di congregazione nel futuro sarà sempre più segnata dalla internazionalità ed inter-
culturalità espresse nelle comunità; è un futuro da preparare sull’accoglienza delle diversità
e il rispetto dell’alterità, ma decisamente unita e coesa sull’essenziale della vita consacrata
giuseppina
Dentro la “provincia”
- una migliore organizzazione provinciale ha aiutato le singole comunità a meglio organiz-
zare la loro partecipazione ai momenti di provincia;
- anche le cose belle quando vengono sentite come imposte non danno frutto
- si potrebbe dire che si indica un cammino, ma non se ne parla tanto, non lo si discute,
Famiglia del Murialdo
- è presente, specie in certi momenti di festa comunitaria
- attenzione e buone relazioni con i vari collaboratori
- ci vuole maggiore formazione condivisa tra laici e religiosi
- i laici ci aiutano ad essere più profetici e missionari
- se i religiosi portano un accento spirituale, i laici ci aiutano a guardare il mondo e a non
perdere contatto con la realtà
Proposta vocazionale
- le comunità devono sentire di più il problema vocazionale e non solo lamentarsi
Aspetti economici
- spesso le comunità sono disordinate nella loro rendicontazione economica, non facendo
conoscere puntualmente e tempestivamente la loro reale situazione
- facciamo fatica a tenere economicamente
Comunità aggregata
- la presenza femminile facilita il senso di famiglia nelle relazioni, arricchisce la sensibilità
e intuizione nell’opera di discernimento
Comunità murialdina
- circa la costruzione della comunità murialdina pur non rifiutandola in via di principio non
riusciamo ad individuare modalità, tempi di incontro, contenuti e persone da coinvolgere
- in questo momento solo il termine mi crea fastidio
- manca la capacità di ragionare e di procedere per tappe successive e progressive.

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ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
NULLA OSTA NOMINA DI DIRETTORI E PARROCI PROVINCIA ITALIANA

AGAZZI ALESSANDRO, conferma per 3° triennio ad Albano


CARUCCI LUIGI, nomina 1° triennio a Cefalù
CESTONARO GUGLIELMO, conferma 2° triennio a Conegliano
SALUSTRI GIOVANNI, conferma 2° triennio a Fier
MADDALENA FERNANDO, conferma 2° triennio a Foggia
CAPPELLAZZO DIEGO, conferma 2° triennio a Lucera
MOLINARO VINCENZO, nomina a direttore e parroco a Milano
BERTINATO GIUSEPPE, conferma 2° triennio a Modena
ROTA PIETRO, conferma 3° triennio a Montecatini
POLETTI SOLIDEO, conferma 2° triennio a Montecchio
ROTA MARCO, nomina parroco a Napoli
ROCCHI MASSIMO, conferma 3° triennio a Oderzo
GARBIN GIUSEPPE, conferma 3° triennio a Padova
PAIRONA FRANCO, conferma 3° triennio a Pinerolo
VOLANI FABIO, nomina 1° triennio a Roman
MARTIN MARIUS, conferma 2° triennio a Popesti
AGNELLA LUCIANO, conferma 3° triennio a Ravenna
COZZA FABIO, nomina 1° triennio a Rivoli
MOLINARO ANTONIO, conferma 3° triennio a Roma San Pio X
d’ORIA GIUSEPPE, nomina 1° triennio a Roma Via Pincherle
CALABRESE ALVARO, conferma 3° triennio a Roma sede provinciale
SAVINO GINO, conferma 2° triennio a Rossano
AVINO ROSARIO, nomina 1° triennio a San Giuseppe Vesuviano
AZZARELLO ENZO, conferma 3° triennio a Santa Margherita Ligure
PEDUSSIA FRANCO, conferma 2° triennio a Sommariva
VANZO GIOVANNI, nomina 1° triennio a Thiene
MAGNI DANILO, conferma 2° triennio a Torino
DEMATTÈ MARCO, conferma 3° triennio a Trento
TAVERI GIUSEPPE, conferma 3° triennio a Valbrembo
MILAN PIERGIORGIO, conferma 2° triennio a Venezia
FABRIS ANTONIO, nomina 1° triennio a Vicenza

SEDE DI NOVIZIATO E PADRE MAESTRO; PI


Il consiglio generale concede il nulla osta alla Provincia Italiana perché la sede di novi-
ziato sia in Roman, Romania, e che il P. FABIO VOLANI sia il padre maestro.

NUOVA SEDE DELLA COMUNITÀ TRENTINA; PI


Si concede il nulla osta alla Provincia Italiana per la nuova sede della comunità trentina
da Sardagna a Calceranica.

130 Lettere Giuseppine 4-2016


DONAZIONE CAPANNONE ENGIM-PINEROLO PER PATRIMONIO ENGIM; PI
Si concede l’autorizzazione per donazione di un capannone dell’Engim Pinerolo per pa-
trimonio Engim.

NULLA OSTA PER DIRETTORI PER LA VP USA-MESSICO


Si concede il nulla osta al secondo rinnovo come direttore ad Aguascalientes, Messico,
per P. MARIO CAILOTTO e per il terzo triennio a P. GIUSEPPE SCALCO a San
Pedro, USA.

NULLA OSTA PER DIACONATO, BRASILE


Si concede il nulla osta per l’ammissione al diaconato del confratello JOSEILTON
RAMOS DOS SANTOS, della Provincia Brasiliana.

NULLA OSTA PER DIRETTORI - ECUADOR - COLOMBIA


P. FRANKLIN FUSTILLOS, direttore a Ambato, Primo triennio
P. ERNESTO VILLACRÉS, direttore a Archidona, Primo triennio
P. JAIME BRAVO, direttore a Babahoyo, Primo Triennio
P. RODRIGO LÓPEZ, direttore a Bogotá, Primo Triennio
P. EFRÉN GALLEGOS, direttore a El Chaco, Primo Triennio
P. JULIO GAMBOA, direttore scolasticato in Quito, Secondo triennio
P. GUIDO MONTENEGRO, direttore a Guayaquil, Secondo Triennio
P. EDISON FUSTILLOS, direttore a La Magdalena, Quito, Primo triennio
P. CARMELO PRESTIPINO, direttore a Medellín, Secondo triennio
P. RAÚL GONZALEZ, direttore Paulo VI, Quito, Secondo triennio
P. CRISTIAN PAREDES, direttore a Santo Domingo, Primo triennio
P. ALBERICO ZANELLA, direttore a Salinas, Secondo triennio
P. HUGO SÁNCHEZ, direttore a Tena, Primo triennio

E DI PRESENTAZIONE AI RISPETTIVI ORDINARI PER LA NOMINA CANONICA DEI SE-


GUENTI CONFRATELLI A PARROCI:
P. DOMINGO TESIO, parroco a Sagrado Corazón de Jesús, in Archidona
P. RAMIRO MORENO, parroco a San Leonardo Murialdo, in Bogotá
P. EDWIN VELASCO, parroco a Nuestra Señora del Quinche, in Borja
P. EDISON FUSTILLOS, parroco a La Magdalena, in Quito
P. HUGO SÁNCHEZ, parroco a San Leonardo Murialdo, in Tena
P. RENZO SARTORI, parroco a San Vicente de Paúl, in Tena.

NULLA OSTA PADRE MAESTRO DEI NOVIZI ECUADOR -COLOMBIA


P. FRANKLIN BENAVIDES, nominato padre maestro dei novizi in Ecuador.

Lettere Giuseppine 4-2016 131


COSTITUZIONE DI COMUNITA’ NELLA DELEGAZIONE IINDIA
Si dà parere favorevole alla costituzione delle seguenti comunità:
CHERIYANAD - Diocesi di Punalur, parrocchia “Our Lady of Lourdes”, Kerala, India.
SAKSOHARA - Arcidiocesi di Patna, Murialdo Mission House, Bihar, India.
MATTUL NORTH - Diocesi di Kannur, Parrocchia e Scuola “Saint Nicholavo”, Kerala,
India.

NULLA OSTA PER DIRETTORI E PER PARROCI NELLA DELEGAZIONE INDIA


P. MISIHADAS GOVINDAN, direttore secondo triennio a Aranvoyalkuppam;
P. JOSHY RENJEN WILFRED, direttore primo triennio a Thresiapuram;
P. JOSHY RENJEN WILFRED, parroco a Thresiapuram;
P. MILTTAN THAIPARAMBIL, direttore a Mattul North (Kannur-Kerala), primo trien-
nio 2016-2019;
P. JOSE FIFIN PADATHUPARAMBIL, direttore a Cheriyanad (Punalur - Kerala),
primo triennio 2016 - 2019;
P. BALASHOWRY JAMES DODDA, direttore a Saksohara (Patna - Bihar), primo
triennio 2016-2019.
P. MILTTAN THAIPARAMBIL a parroco a Mattul North della parrocchia “St. Nicho-
lavo”;
P. VARGHESE HRIDAYADASAN, a parroco “pro tempore” a Cheriyanad, parrocchia
“Our Lady of Lourdes”.

NULLA OSTA NOMINA PADRE MAESTRO DEI FILOSOFI, INDIA


P. ANURAJ TONY BHAVAN PRADEEP, padre maestro dei filosofi a Chembaraky.

DELEGAZIONE CENTRALE, AMMISSIONE ALLA RINNOVAZIONE DEI VOTI


Sono ammessi alla rinnovazione dei voti i seguenti confratelli: DIEGO ISAAC CA-
DENA VALLEJO (UM); NATHANIEL NICOLAS IKMEFUNA OKONTA (AF);
SERGIO GONZALES GUERRERO (UM).

DELEGAZIONE CENTRALE, AMMISSIONE ALLA PROFESSIONE PERPETUA, DIACONATO,


PRESBITERATO
Sono ammessi alla professione perpetua i confratelli: CHRISTIAN TERHEMBA AN-
GURUM (AF), FELIX BEMPAH (AF), FRANCISCO OCANTE RODRIGUES CO’
(AF), FREDRIK ALORBU (AF), VICTOR RIBERIO ABREU (BR), MARIUS
MINUT (DC).
E’ ammesso all’ordine del presbiterato il confratello BARAS HUGO VICTOR (AC).
E’ ammesso all’ordine del diaconato il confratello MARIUS MINUT (DC).

132 Lettere Giuseppine 4-2016


DELEGAZIONE CENTRALE, NOMINA PADRE MAESTRO TEOLOGI A VITERBO “SAN PIE-
TRO”
P. PAULO DHIAN è nominato padre maestro dei teologi nella comunità di Viterbo “San
Pietro”.

AUTORIZZAZIONI LAVORI PER LA PROVINCIA DEL BRASILE


Secondo Direttorio 131,33 si concede l’autorizzazione ai lavori di riforma e di adatta-
mento presentati dal consiglio provinciale per l’immobile che in Londrina ospita l’EPE-
SMEL, per una spesa di 2.800.000 Reais, in moneta brasiliana ( circa euro 750.000,00).

ASSUNZIONE DI RETTORIA E NOMINA DEL RETTORE PER LA VP USA-MESSICO


Si concede il nulla osta a che venga assunta secondo convenzione con l’ordinario dioce-
sano la rettoria di Santa Tersa in Tlalpan e che il P. ANGELO BERTI ne sia incaricato.

NUOVA COMUNITÀ E NUOVA OPERA NELLA DELEGAZIONE DI SPAGNA; NULLA OSTA


PER DIRETTORE E PER PARROCO
Si concede che si costituisca la comunità religiosa nella parrocchia di San Raimundo de
Peñafort nel quartiere El Pozo in Madrid.
Inoltre si concede il nulla osta che sia direttore di tale comunità il P. FRANCO ZAGO.
Infine si dà il nulla osta perché il P. JUAN JOSE’ GASANZ APARICIO sia presentato
all’ordinario della diocesi per avere la nomina canonica a parroco della parrocchia di San
Raimundo de Peñafort nel quartiere El Pozo del Tío Raimundo in Madrid.

ESONERO DAL SERVIZIO DI CONSIGLIERE PROVINCIALE, EC


Accogliendo la sua richiesta il P. OSCAR GALEAS è stato esonerato dal servizio di
consigliere provinciale nel consiglio della Provincia di Ecuador-Colombia.

NULLA OSTA NOMINA PARROCO A BISSAU, VP AFRICA


Si concede il nulla osta a che il confratello P. ANDREW DUMBUYA possa essere no-
minato parroco di “S. Antonio di Bandim” in Bissau, Guinea Bissau.

COSTITUZIONE DI CASA RELIGIOSA NELLA DIOCESI D KENEMA, SIERRA LEONE, VP


AFRICA
Si concede il nulla osta che a Segbwema, diocesi di Kenema sia costituita una nuova casa
religiosa.

DISPENSA DAI VOTI TEMPORANEI


Si concede la dispensa dai voti temporanei a JOSE IVAN MENDEZ CRUZ (VP UM);
a FABIAN LUIS HERNANDEZ ESQUIVEL (VP UM).
Lascia a scadenza voti DILU RAPAHEL PANEKADU, India.

Lettere Giuseppine 4-2016 133


TRASFERIMENTI INTERPROVINCIALI 2016

P. FRANCO ZAGO da AC a ES: aiuto per nuova apertura


P. VALDIR SUSIN da EC a BR: ritorno nella provincia di origine
P. LIDIO ROMAN da AF a BR: rientro nella provincia di origine
P. NADIR POLETTO da DC (Viterbo) a BR: rientro nella provincia di origine
P. DENSON JOSE da IN a DC (Casa Gen): aiuto servizi vari
P. JOY PANACHA da IN a DC (Padova): aiuto servizi vari
P. EUGENIO BENI da DC a AF: per un anno, aiuto comunità Ejisu
DIAC. MELQUES da IN a DC: a Roma per specializzazione Teologia Biblica

CONFRATELLI IN FORMAZIONE:

VICTOR ROPERO da PI a EC: a Viterbo per teologia dopo magistero in Albania


IVAN PEREZ da UM ad AC: per magistero
EDIGLÉ da BR a ES: per magistero
CRISTIAN TORRES da UM a PI: per magistero (Albania)
ANIL da IN a AC: per magistero (Cile)
AKHIL B.T. da IN a IT: per magistero (Oderzo)
AKIL AMBROSE da IN a EC: per magistero (Ecuador)

134 Lettere Giuseppine 4-2016


TESTIMONIANZE E STUDI
Testimonianza sull’esperienza annuale della preparazione
alla professione perpetua

È sempre interessante leggere una storia. Quando la storia è vera, raccontarla diventa
un’azione complessa e particolarmente carica di emozioni. Con questa premessa vorrei
condividere con voi che leggete, la storia di una quindicina di confratelli provenienti
dall’America Latina, dall’Europa e dall’Africa che si sono incontrati e conosciuti a Roma
dal 3 al 22 luglio scorsi.
Una storia, questa – vi lascio immaginare – costituita già essenzialmente dalla ricchezza
delle diverse provenienze e culture: una mescolanza di «diversità», nell’unità di una co-
mune vocazione, quella giuseppina.
Ci siamo riuniti per un’esperienza di vita comunitaria, di studio e di preghiera, nella nostra
casa generalizia, Roma. Non tutti ci conoscevamo ma grazie all’osservanza di un clima
quasi claustrale e di raccoglimento, abbiamo potuto apprezzare il significato della rela-
zione.
Sostanzialmente, di cosa si tratta quando parliamo, ogni anno, di corso in Preparazione
alla Professione Perpetua? Sono due settimane intense, che alternano tempi di studio del
nostro fondatore – San Leonardo Murialdo –, della Congregazione dei Giuseppini – alla
quale noi tutti partecipanti apparteniamo –, del Carisma spirituale e apostolico, della Re-
gola e della vita religiosa, ecc. In poche parole, si tratta di aiutare noi candidati alla pro-
fessione perpetua, a capire bene che cosa voglia dire essere giuseppini «per sempre».
E piuttosto di raccontare, a mo’ di cronistoria, che cosa il corso ha offerto, preferisco, in
queste righe che mi sono rimaste, testimoniare l’esperienza di vita che il Signore ci ha
concesso, come grazia e grande dono, di vivere.
Di questi giorni, porto con me un «fagotto» veramente ricco: la condivisione delle nostre
gioie davanti a Gesù eucaristia, appuntamento quotidiano nella Messa e nell’adorazione
serale, ci hanno fatto riscoprire la gioia di condividere con altri fratelli la medesima con-
sacrazione; lo scambio delle nostre sensibilità ha favorito l’accoglienza reciproca, la pros-
simità, il clima sempre serio ma sempre festoso perché accompagnato da grande gioia.
Particolarmente significativi sono stati i giorni di esercizi spirituali. Il tema della miseri-
cordia – infinito e attuale come lo è la misericordia stessa di Dio – ha scombussolato i
cuori di tutti noi, perché ci ha messi in discussione come «peccatori per vocazione» come
i pubblicani, uomini superficiali con il nostro prossimo come il sacerdote e il levita, figli
e fratelli incapaci e indegni di fronte al Padre della celeberrima parabola lucana. Ma ab-
biamo compreso che la grandezza della misericordia del Signore significa riuscire a vedere
le situazioni di peccato e ad avere compassione; ad accostarci, cioè a ridurre le distanze,
ad ascoltare per poter parlare la lingua dell’altro, a camminare insieme nelle difficoltà e
nelle delusioni, a condividere la vita nonostante le incomprensioni o la durezza dei nostri
caratteri; un abbraccio, insomma che è così immenso e incommensurabile che diventa re-
sponsabilità irresistibile e respiro di pace.
Non sono mancati gli interessanti interventi storici di p. Giovenale Dotta, quelli spirituali

Lettere Giuseppine 4-2016 135


di p. Pino Fossati; gli approfondimenti sulla congregazione da parte dei membri del Con-
siglio Generale e la visita ai luoghi murialdini, nell’ultima parte del nostro percorso, svol-
tosi chiaramente a Torino.
Torniamo a casa arricchiti, entusiasti e desiderosi di portare tutta la nostra energia e la
primavera della nostra vocazione nelle Opere, al servizio dei giovani, proseguendo la mis-
sione di educatore e di religioso iniziata dal Murialdo e ancora oggi viva e dilagante nel
mondo.

I 15 partecipanti all’esperienza:
Iber Malu, Jacob Yeboah, Ciro Cà, Alecson Marcon, Pedro Paulo Da Silva, Francisco
Ocante, Fredrick Alorbu, Felix Bempah, Christian Angurum, Victor Abreu, Sergio Gon-
zález, Diego Cadena, Vitalis Ohaekwe, Marius Minut, Marco D’Amaro.

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L’EDUCAZIONE INTEGRALE
alla luce della esperienza di p. Ettore Cunial

Alle radici
I Giuseppini del Murialdo vedono nascere la loro congregazione nella seconda metà
dell’800 italiano e sono figli di una tradizione educativa che spesso si esprimeva in una
frase: Formare buoni cristiani e onesti cittadini.
Un’educazione che nella formazione umana, cristiana, professionale, vedeva il proprio
fine perché il giovane potesse affrontare la vita sociale con la migliore preparazione pos-
sibile, soprattutto maturato nelle sue convinzioni umane e cristiane.
E’ interessante notare questo binomio inscindibile: educazione cristiana e umano-sociale
insieme; un giovane protagonista nella chiesa in forza della sua fede e attivo nel mondo
civile per il suo modo di partecipare alla vita sociale e politica del suo paese.
Noi oggi possiamo condividere il fine educativo espresso da chi ci ha preceduto, ma non
possiamo non tener conto dei cambiamenti culturali e sociali che sono intervenuti in que-
sto lasso di tempo.
Tuttavia mi pare opportuno mettere in risalto degli elementi di continuità tra loro e noi.
Prima di tutto una convinzione: si educa stando in mezzo ai giovani da “amici, fratelli e
padri”. Una convinzione mai venuta meno nel tempo, forse oggi difficile da realizzare,
tuttavia rimane il centro del “metodo giuseppino-murialdino”.
Se la persona è fondamentalmente relazione, essa cresce e matura in base alle relazioni
che vive. L’educazione integrale del giovane passa attraverso il mondo delle sue relazioni

136 Lettere Giuseppine 4-2016


ed ogni educatore sa che è la relazione la misura del rapporto educativo e la base del suo
frutto.
“Amici, fratelli e padri” è un modo per dire come la relazione assume il valore di un in-
contro, “essere amici”; essa attua un essere famiglia, “essere fratelli”, assumendo l’adulto
una responsabilità di paternità verso il giovane, esprimendo così la dimensione “genera-
tiva” dell’educare.
Vi è una seconda convinzione “giuseppino-murialdina” sulla quale richiamo la vostra at-
tenzione. Essa viene espressa in questa frase: “Noi educhiamo i giovani che sono il cuore
della società; noi educhiamo il cuore dei giovani”.
Due affermazioni che vanno a completarsi.
Da una parte il valore sociale dell’opera educativa: i giovani sono il futuro della società
e investendo su di essi stiamo investendo per una società migliore, ma la nostra opera
educativa deve sapere “educare il cuore”, cioè il centro della persona e della vita del gio-
vane, se essa vuole raggiungere lo scopo di essere una educazione integrale.
L’educazione, infine, è stata sempre interpretata in una chiave vocazionale: che cosa il
giovane sarà chiamato ad essere per se stesso, per gli altri, per la chiesa, per la società?
In termini religiosi si dice che l’educazione aiuta il giovane a capire che cosa il Signore
voglia da lui. Forse la chiave vocazionale dell’educazione mette ancora più in luce come
la educazione debba essere integrale, perché nella sua personale vocazione il giovane è
chiamato ad impegnare tutto se stesso, a mettere a fuoco le sue potenzialità, a non perdere
mai di vista che si è persona matura nella misura in cui ci accorgiamo che il cammino di
maturazione è l’indice della nostra maturità. In questo senso l’educazione integrale è un
processo mai finito per nessuno; non releghiamo la formazione integrale solo ai primi
anni della vita, perché essa è un dinamismo che accompagna tutta la vita, verificandosi
secondo modalità diverse.

L’esperienza di p. Ettore Cunial


Padre Ettore è stato per molti anni un educatore, come insegnante e come assistente, nelle
opere giuseppine.
Ricordo la sua esperienza prima di giovane religioso e poi di sacerdote.
Giovane giuseppino fu tra gli orfani di guerra in un’opera giuseppina di Viterbo. Erano
gli anni duri della ripresa dopo la seconda guerra mondiale e l’orfanotrofio “Divina Prov-
videnza” offriva le bassi essenziali di una preparazione culturale e professionale a ragazzi
dai 10 ai 14 anni.
Ordinato sacerdote nel 1962 fu mandato nella scuola apostolica di San Giuseppe Vesu-
viano, vicino a Napoli. Qui ebbe modo di mettere a frutto quella sua sensibilità a cogliere
nell’animo delle persone fragilità e risorse. Aveva il compito della direzione spirituale
dei ragazzi, di guidarli, cioè, nell’affrontare il crescere nella vita maturando in loro un
cuore libero, aperto, disponibile non solo a realizzare i propri sogni ma anche ad acco-
gliere il sogno di Dio su di loro.
Poi, laureato in lettere e abilitato in filosofia e scienze umane, fu per due anni (1972-

Lettere Giuseppine 4-2016 137


1974) insegnante al Collegio-Scuola “Murialdo” di Albano, vicino a Roma. Non erano
anni facili; la contestazione del 1968 aveva portato nel campo educativo una vera rivolu-
zione culturale. Padre Ettore fu consapevole di essere chiamato a realizzare con i giovani
liceali, dai 14 ai 18 anni, un rapporto difficile e delicato, perché contava molto il “come”
relazionarsi con loro, essere maestro e padre insieme; stare in cattedra sarebbe servito a
poco se poi non si stava con loro in cortile, in refettorio, in studio, sapendo condividere
anche quei tempi “informali” che la vita di un convitto scolastico può offrire.
Nel 1974 divenne direttore della scuola apostolica giuseppina di Acquedolci, in provincia
di Messina, in Sicilia. Responsabile in toto dell’andamento comunitario e disciplinare
dell’opera, i ragazzi di allora lo ricordano più in classe e in cortile che in ufficio, in mezzo
a loro a parlare, a discutere, a scambiare battute.
Nel 1982 fino al 1988 diventa direttore dell’opera giuseppina “Pio X” e parroco della
parrocchia dell’Immacolata al Tiburtino in Roma. Una esperienza che lo segnerà molto
come ebbe a dire in una conferenza tenuta a Viterbo, presso l’istituto “San Pietro”, in oc-
casione di un convengo sulla direzione spirituale. Un testo breve ma denso che suscitò
un forte dibattito in aula. Personalmente ricordo l’impressione che fece nascere in me
l’intervento di p. Ettore: un sacerdote che si faceva carico soprattutto della sofferenza
degli altri e per il quale educare si esprimeva soprattutto nell’ascoltare e nell’accompa-
gnare con misericordia ogni persona, in qualsiasi situazione si fosse trovata.
Dal 1988 al 1994 fu superiore dell’allora “Provincia Romana” , un territorio italiano che
comprendeva tutte le opere giuseppine dal Lazio fino in Sicilia. Fu il tempo nel quale p.
Ettore si spese soprattutto nell’accompagnare i confratelli e le comunità nella loro crescita
religiosa e nelle scelte apostoliche, preoccupato che al centro di ogni scelta e di ogni
azione ci fossero i giovani poveri.
Il periodo di tre anni a San Giuseppe Vesuviano come direttore e parroco (1994-1997) e
poi di tre anni come direttore dell’opera Giuseppina “Salvatore Di Giorgio” in Cefalù, in
Sicilia, racchiude l’ultimo tempo del suo lavoro in Italia, prima di andare in Albania.
Sono anni nei quali padre Ettore raffina la sua capacità di ascolto delle persone, di com-
prensione delle coscienze, di interpretazione e di aiuto alle persone segnate soprattutto
da fragilità e difficoltà nella loro interiorità. Si potrebbe dire che l’atteggiamento di fondo
di p. Ettore fu quello di essere soprattutto un educatore, capace di ascolto e di vicinanza,
attento alla totalità delle persone, anche se il punto di partenza del cammino poteva essere
del tutto particolare.
Nel novembre del 2000 arrivò in Albania. E qui, voi più di me, potere essere testimoni
della sua presenza e della sua azione.

Alcune convinzioni di p. Ettore sull’essere educatori


Il suo programma in Albania
E’ interessante notare che il suo programma in Albania, da lui presentato in comunità
nella Pasqua del 2002, ha due parole fondamentali: “aiuto” e “promozione”. Sono espres-
sioni che indicano il desiderio di mettersi a servizio, di non essere un protagonista. Anzi,

138 Lettere Giuseppine 4-2016


protagonisti devono diventare gli altri, per i quali p. Ettore vuole spendere la sua vita. E’
una bella immagine di educatore giuseppino-murialdino: un essere a servizio perché la
vita dell’altro cresca, si sviluppi, si esprima in totalità. C’è un altro termine fondamentale
in questo breve scritto di p. Ettore: è la parola “vocazione”. Pensava e sperava che anche
in Albania potessero fiorire vocazioni religiose e sacerdotali, ma non solo. Infatti aveva
chiesto di avere più spazio per ospitare dei giovani universitari. Una esperienza questa
che si collegava agli anni vissuti nell’opera “Pio X” di Roma, che è sede di un pensionato
universitario. Una bella sfida quella che si proponeva: essere educatore di giovani che
hanno scelto una professione specifica per il loro futuro e che, grazie al bagaglio culturale
offerto dall’università, chiedeva all’educatore capacità di entrare in dialogo “alla pari”.
Credo che p. Ettore avesse fiducia che nel dialogo educativo con un giovane universitario
si potesse colmare quel vuoto umano e sociale che spesso l’università non sa colmare. E
forse pensava che un laureato “ben educato” sarebbe stato a sua volta un buon educatore
nella famiglia, nella aula, nella società, nella chiesa. Come si vede si trattava di mettere
in atto una educazione integrale, facendo tesoro anche del livello culturale universitario
dei giovani stessi.

Il senso educativo della direzione delle coscienze


La direzione delle coscienze è un campo difficile e delicato; non ci si improvvisa direttori
spirituali, occorrono sia caratteristiche personali, sia una soda preparazione culturale,
specie di carattere psicologico e antropologico. Questo diceva p. Ettore nella sua confe-
renza del marzo 1987 a Viterbo, presso l’Istituto “San Pietro”.
Anche in questa occasione p. Ettore illustrava il cammino verso una educazione integrale
della persona, facendo chiarezza su alcuni passi da compiere.
Prima di tutto p. Ettore mise in luce che l’educatore ascolta e ascolta rendendosi partecipe,
creando una comunicazione profonda con la persona che gli sta aprendo il suo animo, la
sua vita interiore. Questa è la base per riuscire a scuotere un’anima senza deprimerla e
metterla nella giusta accettazione di sè. Quindi occorre nella guida una buona capacità di
trasmettere valori e mete, sentiti come necessari nella costruzione della integralità della
persona. Un altro aspetto segnalava importante p. Ettore per un’educazione integrale della
persona: guidare le persone in un cammino sistematico ed attento a cogliere tutte le sfu-
mature dei processi in atto. In questo cammino pedagogico ci possono essere vittorie ma
anche sconfitte, per questo p. Ettore poneva l’attenzione sul fare attenzione senza pessi-
mismi alle difficoltà presenti in ogni persona; una educazione integrale, infatti, vive anche
grazie alla serenità e all’ottimismo con cui lo stesso processo educativo viene condotto.

Essere dalla parte dei giovani, sempre


Faccio riferimento per queste riflessioni alle lettere che p. Ettore nel suo servizio di su-
periore provinciale ha scritto ai suoi confratelli. Non troviamo in esse una trattazione spe-
cifica rispetto al nostro tema, ma una serie di indicazioni, di riflessioni, di proposte che
si possono organizzare.

Lettere Giuseppine 4-2016 139


“Educatori qualificati e fiduciosi”.
In queste lettere il discorso sulla educazione parte dal pensare alla figura dell’educatore
che p. Ettore immagina come un educatore “qualificato” e “fiducioso”. Nella prospettiva
dell’essere a servizio di una educazione integrale un educatore deve avere un buon baga-
glio culturale di tutto rispetto: psicologia, pedagogia, antropologia, e quant’altro, soprat-
tutto un continuo e pensoso rapporto con l’esperienza. E’ una indicazione che torna molto
spesso nel parlare di p. Ettore, che dimostra la sua preoccupazione di rifuggire da ogni
forma di superficialità. Quindi la seconda caratteristica: un educatore deve avere fiducia
nel ragazzo, nel giovane; una fiducia che riconosce come ogni persona può migliorare,
cambiare, aprirsi a nuovi orizzonti. Si potrebbe dire che c’è un rapporto di proporzionalità
diretta tra fiducia ed educazione: tanto più è grande la fiducia tanto più l’educazione trova
strade per entrare nel cuore delle persone.
“Poveri per capire e stare con i poveri”.
E’ uno degli elementi del carisma giuseppino che pone il voto di povertà come il primo
dei tre voti che significano la consacrazione nella vita religiosa. Infatti non si tratta solo
di un voto vissuto per un proprio cammino di imitazione di Cristo povero, ma di una con-
dizione per essere educatori in mezzo ai poveri. L’essere poveri è condividere, stare sullo
stesso piano, sentire sulla propria pelle la necessità e il bisogno dell’altro. Il tema della
povertà torna spesso nelle esortazioni di p. Ettore ed esso viene collegato alla dimensione
apostolica del carisma giuseppino: poveri per essere accanto ai poveri. Non solo per i
poveri, ma anche come i poveri, almeno per quanto sia possibile. Mi hanno detto che p.
Ettore era così, e qui in Albania molti sono stati testimoni di un prete povero capace di
stare con i poveri. Si potrebbe anche dire che il voto di povertà vissuta nella quotidianità
della vita dispone l’educatore giuseppino a scegliere i poveri, a dare a loro il primo posto
nel cuore e nella azione educativa.
“Religiosi e laici insieme”.
Quando p. Ettore era superiore provinciale si apriva una stagione molto bella per il rap-
porto tra laici e religiosi, che uniti dal medesimo carisma, partecipavano all’azione edu-
cativa dei giovani. Formazione ed animazione dei collaboratori, per vivere una modalità
di interventi capaci di realizzare una complementarietà tra le varie figure educative, ugual-
mente ispirate dallo stesso carisma apostolico e spirituale. Il discorso sull’educazione in-
tegrale, tema di fondo di questa relazione, tocca qui uno dei suoi elementi decisivi: far
crescere insieme, dentro un clima di comunità, dentro uno stato di famiglia. Se poi un ca-
risma vi è presente come elemento catalizzatore ed ispiratore, tanto di meglio. Vuol dire
che l’educare insieme non è solo una scelta strategica e culturale, ma anche spirituale,
cioè ricca di quello spirito che da ali alla vita e dispone l’educatore, laico o religioso che
sia, ad essere un promotore di vita, in ogni suo tempo ed in ogni sua situazione. In un
testo specificatamente rivolto ai collaboratori laici, p. Ettore affermava che non c’era uno
schema precostituito per essere educatori; solo raccomandava loro “di fare il bene e di
farlo bene”. E’ interessante questa annotazione perché, se pur detta ai laici, vale soprattutto

140 Lettere Giuseppine 4-2016


per i religiosi, che non si possono pensare detentori di uno “schema precostituito” che
essi insegnano e trasmettono. Occorre costruire insieme e insieme “fare il bene, farlo
bene”.

“Sapere ricominciare”.
In un testo ricco di passione, firmato davanti al Signore nella notte del nuovo anno 1993,
p. Ettore invitava tutti “al coraggio di ripensare, rivedere, amare e costruire”. Essere edu-
catori non può essere uno stato tranquillo, dato una volta per sempre. E’ mettersi in gioco,
è sapere ricominciare, è lasciarsi interpellare dalla realtà, è farsi carico dell’altro oltre le
nostre attese. Un sano realismo fa parte del bagaglio dell’educatore, capace di rimettersi
in gioco, perché i giovani sanno sfuggire ad ogni schema.
“Imitare san Giuseppe educatore”. San Giuseppe è stata una figura cara e famigliare a p.
Ettore. In una lettera ai laici e ai religiosi parlando dell’artigiano san Giuseppe, p. Ettore
declinava così la figura dell’educatore. Lascio a lui la parola: «Artigiano primariamente
è colui che rispetta l’originalità e le caratteristiche della materia che viene a lui presen-
tata... Una realizzazione è tanto più luminosa quanto più riesce a salvare ogni singola con-
notazione… E’ un artigiano che viene chiamato a leggere i segni dei tempi… E’ un
artigiano chiamato ad interpretare le aspirazioni dei tempi nuovi, il desiderio delle genti,
il gemito del creato… E’ vera opera educativa e vero segno di umanità rispettare l’origi-
nalità di ciascuno in un unico disegno costruttivo». Come si può notare l’artigiano non è
un professionista mancato, ma è chi sa costruire con arte, con una partecipazione personale
profonda, mettendo insieme fantasia e mestiere, perché l’opera riesca nella sua identità.

Qualche riflessione per continuare


Il tema dell’educazione integrale merita ben di più di quanto qui scritto, basterebbe pen-
sare al campo dell’antropologia culturale, al rapporto tra mezzi di comunicazione e edu-
cazione dei giovani.
Ma non voglio tediarvi con discorsi… di alto livello.
Nella esperienza di p. Ettore mi pare di cogliere un tratto fondamentale per ogni educatore,
che certo deve essere ricco di tanto studio e di tanta esperienza.
La proposta è questa: un educatore deve essere ricco di umanità; una umanità aperta, gio-
iosa, capace di sanare ogni ferita e di accompagnare in ogni tragitto della vita. E’ questa
umanità ricca che aiuta l’altro ad essere egli stesso un uomo completo, realizzato, anche
se non perfetto, ma capace di gestire le sue fragilità.
La vicenda di p. Ettore ci parla di questa umanità semplice e discreta che nella misura in
cui si è fatta vicina all’altro, specie al giovane e alla persona sofferente, è stata capace di
“E-DUCARE” cioè, come dice l’etimo della parola, di trarre da ogni persona il meglio e
il possibile per un cammino nuovo.
Forse sta qui uno dei messaggi che possiamo fare nostri oggi, a 15 anni dalla sua scom-
parsa: essere anche noi ricchi di umanità per gli altri, per un mondo migliore.

p. Tullio Locatelli

Lettere Giuseppine 4-2016 141


Testi di riferimento:
- In ARCHIVIO CENTRALE GIUSEPPINO, casa generalizia, Roma, collocazione
3.6.2 e collocazione 4.0, scritti di p. Ettore Cunial, tra cui le sue meditazioni su san Giu-
seppe, le lettere ai confratelli della Provincia Romana, altri scritti di vario contenuto.
- AUTORI VARI, Padre Ettore Cunial, Giuseppino del Murialdo, LEM, Roma 2002, pp.
53.
- AUTORI VARI, Per essere una guida spirituale, LEM, Roma 1987, pp. 128.
- CARMELO LA ROSA, Avvinto dallo spirito, Stilo Editore, 2003, pp. 126.
AUTORI VARI, Decimo anniversario della morte di p. Ettore Cunial, LEM, 2012, pp.
84.



50 ANNI TUTTI D’ORO

Un cammino durato 50 anni! Era giusto fare una sosta contemplativa: uno sguardo al pas-
sato, una presa di coscienza sul presente e nuovo slancio verso il futuro. Un primo som-
mario bilancio: dei 12 ordinati quel mattino del 25 giugno 1966 a S. Rosa siamo rimasti
in 6: 4 italiani e 2 brasiliani. Dei 6 mancanti 2 sono morti e 4 hanno preso altre strade.
Scaturisce di qui un primo motivo per ringraziare il Signore: ci consideriamo dei graziati
e dei privilegiati, come 50 anni fa. Magnifichiamo Dio con il cantico della Vergine Maria.
In questi giorni la Casa Generalizia ci ha accolti e ospitati con il cuore e la premura di
una madre affettuosa: ringraziamo tutta la comunità con un particolare riguardo per P.
Tullio Locatelli che si è messo a nostra completa disposizione e ha organizzato metico-
losamente tutti gli eventi. Il primo: l’incontro con il P. Generale. E’ stato un momento fa-
miliare e confidenziale: P. Mario ha letto e commentato la lettera del Papa ai sacerdoti in
occasione del giubileo sacerdotale e ciascuno di noi ha potuto rievocare la propria espe-
rienza di vita alla luce della storia della Congregazione. Nel corso del cinquantennio ab-
biamo partecipato da protagonisti alle sue vicende, alle sue sfide e alle sue conquiste.
Abbiamo sempre amato la nostra famiglia religiosa: piccola, ma sempre cara.
Non è stata una coincidenza fortuita celebrare le nostre nozze d’oro in comunione con
migliaia di sacerdoti provenienti da tutto il mondo. Abbiamo potuto ascoltare una cate-
chesi del Card. Ravasi sulla misericordia e poi tre meditazioni pensate da Papa Francesco
per i suoi sacerdoti. La concelebrazione in Piazza S. Pietro, il 3 giugno mattina, ha coro-
nato degnamente il nostro giubileo. Ascoltando la parola del Papa, abbiamo ripensato alle
nostre esperienze pastorali all’interno della storia della Chiesa: sono stati i tempi del do-
poconcilio, tempi di mutamenti e di trasformazioni, di contrasti e di nuovi equilibri. A
volte ci siamo sentiti anche noi sballottati dalle onde della tempesta e del dubbio e con

142 Lettere Giuseppine 4-2016


Pietro abbiamo gridato: “Signore, salvaci!”. Il Signore ci ha ascoltati. Ed oggi, eccoci an-
cora qui, animati di sano entusiasmo e sospinti dal soffio dello Spirito.
Una volta celebrato il giubileo sacerdotale era giusto guardarsi attorno e ritornare sui luo-
ghi della memoria. Visita a S. Sofia degli Ucraini sulla Via Boccea: abbiamo ricordato il
Card Giuseppe Slipy che avevamo conosciuto a S. Marinella e con lui abbiamo pensato
alla Chiesa dei martiri, di ieri e di oggi. Un salto alla basilica di S. Paolo fuori le Mura:
l’apostolo delle genti era lì ad attenderci e a spingerci verso le nuove frontiere dell’evan-
gelizzazione. Ma dovevamo uscire da Roma e spingerci prima a Napoli e poi a Viterbo.
La Madonna di Pompei prima e S. Giuseppe poi ci hanno sorriso benignamente e ci hanno
spronato ad andare avanti con coraggio e fiducia. Non poteva mancare la nostra visita
alle comunità giuseppine che ci hanno accolto festosamente e fraternamente. L’ultima
giornata l’abbiamo dedicata a Viterbo: lì abbiamo fatto gli studi teologici e lì avvenne la
nostra ordinazione sacerdotale: nel tempio di S. Rosa abbiamo concelebrato tutti insieme.
Una visita alla comunità di S. Pietro e fuga a Castel S. Elia: lì c’è il santuario mariano di
S. Maria ad Rupes, lì facemmo gli esercizi spirituali in preparazione all’ordinazione.
Queste giornate sono servite a ravvivare la nostra amicizia, a ritemprare il nostro spirito
e a darci la giusta carica per lo sprint finale. Non vogliamo arrenderci né fermarci: con la
grazia di Dio abbiamo tutta la voglia di andare avanti.

P. Gino Giansante

In questo momento della vita è fortificante e quindi consolante il passo seguente di Isaia
46,3-4 : "Ascoltatemi, casa di Giacobbe e voi tutti, superstiti della casa di Israele; voi,
portati da Me fin dal seno materno, sorretti fin dalla nascita. Fino alla vostra vecchiaia io
sarò sempre lo stesso, io vi porterò fino alla canizie. Come ho già fatto, così io vi sosterrò,
vi porterò e vi salverò. " Questo essere portati da Dio costituisce la bellezza del vivere
quotidiano, anche dentro la incapacità di corrispondere a questo Amore paterno. Il cuore
di Dio è stato ed è più grande di qualsiasi infedeltà che il mio cuore possa rimproverarmi.
Vivere nel grembo della Chiesa, sotto lo sguardo di Maria, di Giuseppe e di san Leonardo
Murialdo è il dono di cui continuo a godere e che desidero comunicare a tutti quelli che
il Signore vorrà ancora farmi incontrare. Un saluto cordialmente fraterno a te e tutti i con-
fratelli della casa generalizia tutti gentilissimi con i 50enni!
don Carlo Da Gualdo

Lettere Giuseppine 4-2016 143


“LA MIA GMG”
TESTIMONIANZE DA CHI HA PARTECIPATO IN POLONIA ALLA GMG
LUGLIO 2016

A participação nossa enquanto confrades irmãos leigos na GMG juntamente com os jovens
da Província da Itália foi uma benção de Deus em nossas vidas, e uma grande oportuni-
dade de conhecer um pouco do perfil dos jovens italianos, bem como da cultura. Na Po-
lônia através das catequeses oportunizadas pelas padres josefinos, bem como pelo santo
padre ficou muito claro a importância da misericórdia nas nossas vidas enquanto religiosos
e jovens cristãos e do quanto é importante termos fé e esperança que um mundo melhor
é possível pois Deus é a força de quem tem fé e misericódia.
Pedro Paulo da Silva

UN EVENTO STORICO PER IL BRANDOLINI: ODERZO PONTE DELLA GMG!


Dal 23 luglio al 2 agosto si è svolta per i giovani della Famiglia del Murialdo la Giornata
Mondiale dei Giovani 2016, con due sedi e due momenti: il primo nella nostra opera del
Collegio Brandolini di Oderzo, insieme ai 350 giovani di Italia, Spagna, USA, Brasile,
Africa e India; il secondo nella città polacca di Cracovia, insieme al milione e mezzo di
giovani provenienti da tutto il mondo. Una prima parte a Oderzo, a metà strada verso Cra-
covia, per ritrovarci insieme attorno al carisma di San Leonardo, che indica nell’amore
misericordioso di Dio il centro della spiritualità e della pedagogia murialdina. Il secondo
momento per affermare con tutti i giovani cristiani che è la misericordia che salva il
mondo, impegnandoci con essa a costruire ponti e non muri, come ci ha detto nella veglia
Papa Francesco: “Voi giovani siete un’opportunità per il futuro. Abbiate il coraggio di in-
segnare a noi che è più facile costruire ponti che innalzare muri!”. E il Collegio Brandolini
è stato un ponte di fraternità tra le varie parti dell’Italia e del mondo da cui provenivano
i giovani della Famiglia del Murialdo e la marea di giovani radunati a Cracovia. Un evento
storico per il nostro istituto, che per la prima volta ha ospitato giovani di varie parti del
mondo, proprio mentre si appresta ad aprire un ambito scolastico internazionale. Un segno
dei tempi, un simbolo di quanto il papa ci ha detto. Sono stati giorni impegnativi, con ore
di bus e chilometri sotto le scarpe, dal sole cocente alla pioggia battente, tra magliette e
mantelline variopinte e cori e abbracci sorridenti e multilingue. “Abbiamo sperimentato
– ha detto il papa - la bellezza della fraternità universale in Cristo, centro e speranza della
nostra vita. Abbiamo ascoltato la sua voce, la voce del Buon Pastore, vivo in mezzo a noi.
Egli ha parlato al cuore di ciascuno di voi: vi ha rinnovati con il suo amore, vi ha fatto
sentire la luce del suo perdono, la forza della sua grazia. Vi ha fatto sperimentare la realtà
della preghiera. E’ stata una “ossigenazione” spirituale perché possiate vivere e camminare
nella misericordia una volta ritornati ai vostri Paesi e alle vostre comunità… in modo che
l’esperienza vissuta qui in Polonia possa essere feconda… non disperdere il dono ricevuto,
ma custodirlo nel cuore, perché germogli e porti frutto, con l’azione dello Spirito Santo”.

144 Lettere Giuseppine 4-2016


Anche i nostri giovani lo hanno sperimentato e ora si propongo di essere “seminatori di
speranza”, ponte di misericordia tra la GMG e la vita di tutti i giorni.
d.Massimo

Siamo noi la nuova gioventù del papa. Noi, che siamo giunti al luogo di ritrovo della ve-
glia di questa sera con uno zaino in spalla carico non solo di paura ed incertezze legate al
terrorismo, ma anche di tanta speranza e gioia. Siamo noi la nuova generazione di ragazzi
pronti a cambiare il mondo con occhi di misericordia. Noi, che ci emozioniamo davanti
a due milioni di giovani da tutto il mondo, pronti a scambiare con noi le bandiere della
propria nazione, la propria esperienza di vita e anche il proprio cuore. Noi, che abbiamo
scelto di trasformare la GMG in una vera e propria palestra di vita tra la fatica e la voglia
di vincerla. È questa la generazione del futuro, che tanto viene criticata, ma che ha ancora
tanto da dimostrare. Noi, vogliamo svuotare lo zaino della paura e riempirlo di miseri-
cordia, una misericordia che viene da Dio e che il Murialdo ci ha lasciato come impegno
per il futuro.
Maria Laura Brunello

Partecipare alla GMG non è una decisione da prendere "alla leggera", non è un viaggio
al mare o una camminata in montagna, la GMG è molto di più: è il Viaggio!! Da questa
esperienza ci si possono aspettare tante cose, basta guardare i tanti video: nuove amicizie,
nuovi incontri, nuove esperienze e una nuova Chiesa, ma la realtà è ben diversa, è molto
di più!! Questa GMG di Cracovia è stata fin dall'inizio speciale per i tre giorni che ab-
biamo vissuto a Oderzo prima di partire. 350 giovani provenienti dalle opere Giuseppine
in Italia e nel Mondo, radunati per essere accompagnati da San Leonardo Murialdo al-
l'evento di Cracovia. È stato emozionante vedere il Brandolini, solitamente pieno di bam-
bini e ragazzi con lo zaino in spalla, riempirsi di giovani in un intreccio di lingue e culture,
ognuno con le proprie esperienze, aspettative e sogni. È stato bello mettersi al servizio di
questi ragazzi facendoli sentire un po' a casa loro. Ci siamo sentiti utili creando un clima
di comunione e fraternità che ci ha accompagnato per tutto il viaggio in Polonia. Visitare
Auschwitz e Birkenau è stata un'esperienza che non ci ha lasciato indifferenti. Calpestare
quel terreno dove hanno camminato migliaia di prigionieri, attraversare il filo spinato e i
binari, guardare quel che resta dei forni dove hanno perso la vita un milione e centomila
persone, ti fa toccare con mano la crudeltà dell'uomo. Ed ecco che il cammino si fa silen-
zioso perché le parole sono superflue, solo la preghiera trova spazio nella mente osser-
vando quei luoghi, perché ciò che è accaduto non si ripeta mai più. Spetta a noi giovani,
ha detto il Papa, avere il coraggio di insegnare agli adulti «che è più facile costruire ponti
che innalzare muri», rispondere all'odio e alle offese con il perdono e la misericordia. È
questo quello che abbiamo fatto a Cracovia, dove l'incontro nelle strade era una festa di
colori e di canti, dove le bandiere ti facevano sentire in mezzo al Mondo, ma allo stesso
tempo orgoglioso del tuo Paese. Non c'erano differenze o rivalità ad ostacolarci, il sorriso
e la gioia di essere lì erano enormi e tutti ne venivano contagiati. Un contagio ricco di

Lettere Giuseppine 4-2016 145


speranza e di sogni per il futuro, per un mondo migliore in cui possiamo essere noi il cam-
biamento, la forza che vince la paura e il terrore; noi, giovani senza odio ma con il cuore
pieno di amore.
Il Papa non vuole giovani che si adagiano alle comodità del divano e della tecnologia, ci
vuole invece con lo zaino in spalla e gli scarponcini ai piedi. È questo quello che abbiamo
fatto: con lo zaino ci siamo incamminati verso Campus Misericordiae, luogo dei due mo-
menti salienti della GMG: la veglia e la Santa Messa conclusiva. Sono stati due giorni
memorabili, indimenticabili, in compagnia del Papa e di 1.600.000 giovani. Abbiamo
fatto festa, ballato e cantato tutto il giorno e la notte, ma soprattutto siamo stati capaci di
vivere il silenzio e pregare davanti a Gesù Eucaristia. Abbiamo vegliato le stelle e aspet-
tato il sorgere del nuovo giorno come sentinelle del mattino, desiderosi di portare a casa
e nella nostra quotidianità la consapevolezza che Dio ci ama, nonostante i nostri difetti,
le nostre fughe; Lui crede e scommette su di noi! Dobbiamo essere capaci di sognare, di
essere liberi, di lottare per il nostro futuro, avendo il coraggio di lasciare la nostra im-
pronta. Solo dando il meglio di noi stessi possiamo cambiare il mondo. La condivisione
di questi giorni ci ha aiutato a crescere nell'amicizia, a scorgere nell'altro la difficoltà, a
condividere il cibo e l'acqua, a farsi carico del suo zaino pesante, a tendergli la mano per
fare insieme il cammino. Sono piccoli gesti ricchi d'amore. Lo zaino con cui siamo partiti
si è riempito di tanti incontri, parole e gesti che trovano spazio nel cuore, perché da Cra-
covia possiamo ripartire con una fede più ricca e matura, con una generosità che non
chiede nulla in cambio - come ci ha dimostrato lo splendido popolo polacco - e con la
consapevolezza che siamo la nuova speranza per il mondo.
Lucia Polo

Della GMG mi rimangono impresse in particolare due sensazioni contrapposte: la fatica


ed un’atmosfera che trasmette gioia, speranza, coraggio. La prima è un’esperienza co-
mune, che noi ragazzi di Oderzo abbiamo ben sperimentato nei tre giorni trascorsi qui.
La seconda è qualcosa di unico, che però, come ci ha invitati a fare Papa Francesco, dob-
biamo avere la forza di riportare a casa e trasmettere nel nostro vissuto quotidiano per
dare una risposta concreta al senso del nostro faticare: <<Gesù vuole venire a casa tua.
Vuole incontrarti nella tua quotidianità.>>. Se dovessi riassumere il tema della miseri-
cordia con le parole del papa userei queste: <<Gesù ci ama così come siamo e nessun
peccato, difetto, sbaglio gli farà cambiare idea>>, ma un’altra immagine significativa me
l’ha trasmessa un ragazzo di Pinerolo. Ha paragonato la misericordia di Dio ad un elastico
che non si rompe mai. Infatti, se immaginiamo di porre un elastico ad unire le caviglie di
due persone, quando esse litigano, si voltano le spalle e cominciano ad allontanarsi un
passo alla volta, finché l’elastico che li unisce, che rappresenta il loro legame, non si
spezza. Quando invece noi, voltate le spalle, facciamo un passo per allontanarci da Dio,
Lui ne fa uno verso di noi e così, per quanti noi ne facciamo in direzione opposta, l’ela-
stico non si romperà mai.
Carlo Patella

146 Lettere Giuseppine 4-2016


I RAGAZZI CON LE SCARPE IMPOLVERATE
Canti, tamburi e voci riecheggiano nell'aria. Migliaia di luci, di colori e di bandiere riem-
piono di vita ognuno dei presenti, giovani e meno giovani. Al centro dell'immenso Campus
Misericordiae, una ragazza guarda le sue scarpe impolverate e sorride. La carnagione oli-
vastra, gli occhi neri e i capelli scuri fanno pensare che sia spagnola. Il suo volto è rico-
perto da una strana felicità, la felicità che di solito riempie il cuore di chi è riuscito a
raggiungere un obiettivo che si era prefissato da tempo. Probabilmente ha trascorso un
intero anno a prepararsi a ciò che sarebbe andata a vivere quest'estate a Cracovia, ma nes-
suno l'ha preparata davvero a questa serenità e a questa soddisfazione. E' come se le parole
di Papa Francesco, durante la Veglia, fossero davvero state scritte per lei, ripagandola di
tutti i sacrifici fatti per arrivare a vivere questo momento. Pochi secondi dopo, il suo
sguardo si sposta sulle mie scarpe. Le sorrido e con un'alzata di spalle le faccio capire
che sì, anch'io sono nella sua stessa barca. E come noi, un milione e seicentomila scarpe
da ogni parte del mondo hanno compiuto il nostro stesso cammino. Il cuore si scalda a
saper di aver vissuto all'unisono con quasi due milioni di giovani, seppur per pochi giorni:
provenienze e storie diverse, ma stessi luoghi calpestati con un'ugual voglia di diventare
protagonisti e artefici del proprio futuro. D'altronde, il divano non ci ha mai attirato dav-
vero. Zaino in spalla e scarpe ben allacciate, non ci siamo accontentati di assistere ai fatti
che hanno segnato la storia attraverso la mediazione di uno schermo, che sia del computer
o dello smartphone. I nostri occhi hanno deciso di spalancarsi dalla voglia di essere in
prima linea davanti a situazioni che ci sono sempre sembrate lontane. Così, da ogni parte
del mondo, abbiamo voluto lasciare la nostra impronta nei campi di concentramento di
Auschwitz-Birkenau, sporcandoci i piedi della stessa polvere calpestata da persone che lì
dentro morirono. Ma non ci siamo solo accontentati di guardare. No, quella polvere mor-
tale l'abbiamo redenta trasportandola, attraverso le nostre scarpe, dal campo di sterminio
ad un campo di vita, quale è, per noi, Campus Misericordiae. "Noi non vogliamo vincere
l’odio con più odio - sentiamo in sottofondo la voce del Papa - non vogliamo vincere la
violenza con più violenza, il terrore con più terrore. E la nostra risposta a questo mondo
in guerra ha un nome: si chiama fraternità, si chiama fratellanza, si chiama comunione,
si chiama famiglia". E quando, dopo vari applausi, centinaia di migliaia di mani si tendono
e si stringono a formare il ponte di misericordia "primordiale", ci accorgiamo davvero di
avere la responsabilità di riscrivere la storia. Non più giovani imbambolati, intontiti e co-
modi, ma "liberi". Liberi di difendere la nostra dignità e di non lasciare che siano gli altri
a decidere il nostro futuro. Costruttori di ponti, risposte concrete al male e ai conflitti, ti-
tolari in campo nella difficile partita del cambiamento, segni di riconciliazione e comu-
nione. E' questo il nostro mandato datoci dal Papa, forse accompagnato dall'urgenza di
un passaggio di testimone da una generazione di padri in guerra ad una generazione di
figli che, con le proprie mantelline colorate, formano una coperta di protezione per il pro-
prio mondo. "Noi adulti abbiamo bisogno di voi, per insegnarci a convivere nella diversità,
per insegnarci che è più facile costruire ponti che innalzare muri. Vi chiediamo che esi-
giate da noi di percorrere le strade della fraternità. Ci state?". Ed ecco un rumoroso "Sì!".

Lettere Giuseppine 4-2016 147


Io e la ragazza dagli occhi scuri ci sorridiamo. Si toglie le cuffiette usate per ascoltare la
traduzione del discorso che il Papa ha appena pronunciato. Guarda il cielo azzurro, chiude
gli occhi e fa un respiro profondo, sedendosi sopra un telo blu, evidentemente regalatole
da un nostro connazionale. E' una delle più grandi del proprio gruppo, e per concludere
la Veglia invita dolcemente i suoi 15 ragazzi ad abbracciarsi a vicenda. Solo la GMG può
far risvegliare la bellezza di un gesto semplice e misericordioso come un abbraccio. In-
tanto le musiche e i canti delle diverse parti del mondo ritornano a rimbombare nelle orec-
chie e nel cuore. Inizia l'attesa dell'alba e le prime torce si accendono. In un clima di gioia,
tutti si stanno preparando per la notte. Nessuno di noi dormirà su un comodo divano questa
notte. Accanto al nostro sacco a pelo, molte scarpe a ricordarcelo. Le guardo e mi chiedo
quanta strada faranno ancora. Ed è così che mi accorgo che quelle scarpe, che mi invitano
a sognare un mondo migliore, non concludono a Cracovia il loro percorso. "La GMG,
potremmo dire, comincia oggi e continua domani, a casa, perché è lì che Gesù vuole in-
contrarti d’ora in poi. Il Signore non vuole restare soltanto in questa bella città o nei ricordi
cari, ma desidera venire a casa tua, abitare la tua vita di ogni giorno: lo studio e i primi
anni di lavoro, le amicizie e gli affetti, i progetti e i sogni". Sì! Il mondo, con me, può es-
sere diverso se porto la misericordia in ogni angolo di vita quotidiana. Questa è una sfida,
una sfida che voglio vincere. Prima di chiudere gli occhi, dentro il mio sacco a pelo, ri-
penso alle ultime parole del Papa: "Cosa rispondono i tuoi occhi e i tuoi piedi al Signore
che è via, verità, vita? Ci stai? Bene. Il Signore benedica i vostri sogni!".
Maria Laura Brunello
THE EXPERIENCE OF THE WORLD YOUTH DAY IN CRACOW
I lived a very good experience at the world youth day. For me is the richest experience
and meeting I had with people, especially the youths.
The welcoming spirit of polish people was amazing. I came out with a strong belief on
human being. I saw that human beings are capable to unite in a common good and that
we are really made for that. I came out with a belief that we can live in unity and love
with each other despite our differences. I believe, we can build a better world, which is
not a dream or an idea but is something true and possible.
The young people showed that they are capable to sacrifice for something good, contrary
to what many people affirm. We walked miles together, we shared bread and water, we
talk to each other, we shared past experiences.
From this experience I come to believe that: hatred, division, racism is not created by the
young and neither do they wish it, either, is the ideology of adults.
Surely I do not intend to write all I have experienced in Poland, but one thought that al-
ways come to my mind, is that, unity and love is possible, is not a utopia and that human
beings if not indoctrinated, want and wish good for themselves and for others.
Ciro Ca’
I’m both proud and grateful to God that I was part of The World Youth Day in Poland.
The experience was indeed a once-in-a-lifetime experience, a life time experience that I

148 Lettere Giuseppine 4-2016


can never ever forget, the participation of different groups there made it more meaningful.
People from different parts of the world were there, I was really impressed by their par-
ticipation and comportment in visiting all the important places during the period. Different
countries and dioceses came with different modalities of activities which really made each
and every one of us committed till the end of the program.
The experience has been really great because Poland is really a believing country, I found
another dimension of faith in Poland which made me to think that Pope Francis made a
right choice for chosen Poland as the ground for this season of the world youth day. They
were very dear to each of us not withstanding where we come from and the youth of Po-
land really manifested in a special way the theme of the world youth day which I captured
from Pope Francis’s speech “The name of God is Mercy”. The idea of internationality
among all the participants was vigorously great.
On our own group per-say, Josephites confreres and their collaborators really deed a very
great job starting from here in Italy to Poland. The catechetical method they adopted was
very perfect and meaningful in terms of its educative effect. The liturgical celebration
was well planned and prepared that it triggered in the lives of many people to re-
flect over life. They really played the role of the shepherd to all their followers,
guiding and protecting them, especially in those difficult moments. It was a true
pilgrimage. Every day, we walked for about three – four hours, at an average di-
stance of 10 km. On the first day, we walked to our destination. The paths on
these walks were not always easy; we had to pass through very sharp, rocky and
muddy terrain. Despite these challenges, we never ran out of beautiful things to
see and share. We passed through some spectacular places that constituted the hi-
story of Poland and its Christianity. We were not just walking around seeing things
in those beautiful places. But it was a moment of discovering ourselves more and
to find a deeper, closer relationship with God. It was a true test of character.
I am above all grateful to my congregation for given me such a wonderful oppor-
tunity to participate in the world youth day. It has really widened my horizon in
understanding of the world as one community, no matter the colour or race.
Vitalis

The experience i had on the world youth day is beyond words. The first experience gave
me a best impression of WYD. it was an enriching and fruitful experience for me as being
the director of youth in the diocese of punalur. These days of togetherness nourished my
knowledge regarding on youth ministry, the taste and interest of the youth in the modern
world. The greatest achievement which i had in these days was the realisation that to be
a youth animator is to be with them and one among them. Sincerely i thank all those who
gave me this opportunity.
Fr. Josefifin, csj

Lettere Giuseppine 4-2016 149


Geralmente, foi uma ótima experiência para mim. Era minha primeira vez mas eu vivi
um momento bom de oração e refleção desde Oderzo, Auschwitz e Cracóvia.
O que mim marcou muito foi os discursos de Papa Francisco. Segundo ele, os jovens
devem ser protagonistas e testimunhas de misericórdia de Deus. E disse também que, as
soluções de problemas de hoje – guerra, violencia, falta de amor é fraternidade.
Agradeço muito a Congragação pela oportunidade! Viva Murialdo! viva josefinos!
Jacob Yeboah

A JMJ é dom. E eu que participei pela primeira vez: memória alegre. Estávamos todos
unidos no carisma de Murialdo. A juventude Josefina foi dócil mas também os partici-
pantes do evento. Ainda lembro de seus sorrisos, a vontade de aprender, de partilhar e o
esforço de se expressar em outras línguas superaram todas as barreiras. Isto nos ensina
que é possível a fraternidade. O povo anfitrião ama servir. A cada momento ressoava a
palavra de Papa Francisco: “Quem não vive para servir, não servi para viver”. Rezemos
pelo descanso eterno da Susanna Rufi.
Iber Sompi MALÚ

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LA MISERICORDIA
Punto di incontro e sorgente del nostro Carisma Murialdino

Riflettendo e presentando il carisma, molte volte mi sembrava che ci fosse un poco di di-
visione tra l’asse centrale della nostra spiritualità, l’esperienza del Murialdo dell’amore
misericordioso, infinito, eterno, personale, attuale, provvidente, tenero di Dio e la devo-
zione a san Giuseppe …
Io ero solito rappresentare l’esperienza dell’amore di Dio come il tronco di un albero e lo
stile di vita di san Giuseppe come il suo fogliame. Un albero non può essere solo un tronco
(dimensione fondante, “verticale”), ma deve anche espandersi nelle relazioni umane, in
stili di vita (dimensione relazionale, “orizzontale”) …
Storicamente, questa congiunzione avvenne grazie all’incontro tra il Murialdo, con la sua
esperienza spirituale centrata sulla scoperta dell’amore di Dio, e il gruppo di educatori
del Collegio Artigianelli, dove esisteva già una forte devozione a san Giuseppe come mo-
dello di vita, artigiano, educatore di Gesù, modello di vita spirituale… San Leonardo
stesso ci dà una serie di motivazioni per le quali la nostra congregazione si intitolò a san
Giuseppe e lo prese come modello di vita (cfr. Antologia delle fonti carismatiche, pp.
194-196).

150 Lettere Giuseppine 4-2016


Mi rimaneva sempre un po’ il dubbio che potesse trattarsi di una giustapposizione non
del tutto integrata (e che forse avrebbe potuto essere diversa se la devozione di questi
educatori fosse stata quella al Sacro Cuore, altra devozione in auge in quel periodo, o alla
Vergine Maria…).
Come se il fogliame di questo albero, invece di avere la forma rotondeggiante di un olivo
... potesse avere avuto la forma conica di un pino, o quella stretta ed alta di un pioppo …
Meditando in questo anno del giubileo, alcuni testi importanti, biblici e carismatici, circa
la misericordia, mi venne un’idea che forse mette in luce la piena sintonia tra questi due
elementi centrali della nostra spiritualità: l’esperienza dell’amore di Dio e la devozione
a san Giuseppe...
Tra le tante cose belle che possiamo dedurre circa la figura di san Giuseppe a partire dai
racconti evangelici, una delle più impattanti è quella di pensare che Giuseppe dovette es-
sere stato un così buon padre per Gesù, e che la sua presenza ferma, provvidente, tenera,
di amore incondizionato e misericordioso… si fissò tanto fortemente nel cuore di suo fi-
glio che, quando egli volle rivelare chi e come era Dio, non trovò nella sua memoria af-
fettiva altra immagine o altra parola più adatta di quella che egli stesso usava fin da
piccolo per chiamare Giuseppe: “Abba!”.
È per questo che, se Giuseppe servì come icona, come sfondo, per rivelarci il Padre…
possiamo anche invertire questo percorso e dedurre che, molte volte, ciò che Gesù ci dice
circa il Padre ci rivela anche atteggiamenti e gesti che erano presenti nel modo di essere
e di fare di Giuseppe.
Così, potremmo supporre che quando Gesù ci parla dell’amore di Dio: infinito, incondi-
zionato per tutti (che fa sorgere il sole sui buoni e sui cattivi e fa cadere la pioggia sui
giusti e sugli ingiusti ...), provvidente e vicino (che nutre gli uccelli del cielo e veste splen-
didamente i fiori del campo…), che sempre ci ascolta e risponde (se voi che siete cattivi
date cose buone ai vostri figli…), che opta per i più piccoli e bisognosi (ti ringrazio
Padre perché hai rivelato questi misteri ai piccoli…), che sconvolge la nostra limitata no-
zione di giustizia (parabola degli operai della vigna…)… e di tanti altri aspetti dell’amore
del Padre… questi erano presenti nella maniera di vivere di san Giuseppe.
Si potrebbero citare molti esempi e racconti evangelici, ma credo che potremmo soffer-
marci specialmente su due, che considero intimamente connessi con l’esperienza umana
del Figlio di Dio: Gesù che rimane nel tempio ed è ritrovato da Maria e Giuseppe e la pa-
rabola del Padre Misericordioso.
Possiamo pensare che Gesù adolescente e giovane avrà ricordato e ripensato molte volte
a quanto era successo nel tempio all’età di 12 anni, la sua profetica e, nello stesso tempo
dura, risposta ai suoi genitori, specialmente a Giuseppe, e l’atteggiamento paziente, mi-
sericordioso, tenero e di risoluta accoglienza di san Giuseppe ritornando a Nazareth: senza
rimproveri, con saggezza e, probabilmente contro il desiderio di molti suoi parenti…, di
festa, per il figlio ritrovato. Difficilmente una persona, tanto meno Gesù, avrebbe potuto
dimenticare questo fatto.
Per questo credo che quando Gesù raccontò la parabola del Padre misericordioso per ri-

Lettere Giuseppine 4-2016 151


velare il cuore amorevole di Dio Padre, probabilmente aveva viva, nella sua psicologia
umana, la memoria affettiva di questo momento della sua adolescenza e l’atteggiamento
misericordioso dei suoi genitori, specialmente di Giuseppe. Attraverso questa parabola
possiamo senza dubbio percepire l’immagine di tenerezza e di misericordia incondizionata
di san Giuseppe verso Gesù.
Così, come il figlio minore della parabola aveva rifiutato suo padre allontanandosi da lui,
rompendo i suoi legami filiali e facendo a pezzi l’amorevole cuore di suo padre… così,
in qualche modo, con il gesto profetico di rimanere nel tempio senza avvisarli e sottoli-
neando poi che lui stava nella “casa e nelle cose del Padre suo”, ruppe in certo qual modo
il legame umano di filiazione con i suoi genitori, specialmente con Giuseppe (tanto più
perché la sua era una paternità adottiva, fatto che avrà acutizzato ancor più il suo dolore…
) ferendolo fortemente (anche a Giuseppe la spada profetizzata dal vecchio Simeone nel
tempio trapassò il suo cuore!).
In certo qual modo, Giuseppe, ritornando assieme a Maria, angustiati, a cercare Gesù a
Gerusalemme, è questo padre della parabola che aspetta ansioso suo figlio ed esce a scru-
tare da lontano, attendendo il suo ritorno… È anche colui che accoglie, abbraccia, per-
dona, fa festa per il figlio che era perduto (sicuramente, in quei giorni più di una volta lo
avranno creduto morto!) e che adesso lo avevano incontrato, come ritornando alla vita!
Se è vero che san Giuseppe si con-fonde con la figura del Padre Misericordioso della pa-
rabola… potremmo allora comprendere alcune intime affinità tra la sua persona e la espe-
rienza spirituale dell’amore misericordioso di Dio nel Murialdo.
Leonardo Murialdo faceva molto uso della Bibbia. I suoi scritti sono pieni di frasi bibliche.
Innumerevoli citazioni nei suoi scritti ci parlano di una conoscenza e di un amore speciale
per la Parola. Senza dubbio, quasi sempre, il suo modo di citare questi testi era legato
agli usi abituali di quei tempi. Egli, normalmente, sviluppava il suo pensiero intercalando
piccole frasi o parole prese dalla Sacra Scrittura che giustificavano, riaffermavano e/o
fondavano il suo pensiero. Oggigiorno, questo modo di utilizzare la Bibbia non si consi-
dera più adeguato, perché c’è il pericolo di strumentalizzare i testi tagliandoli ed estraen-
doli dal loro contesto…
Però c’è una circostanza in cui il Murialdo fa un altro tipo di esegesi, che oggi chiame-
remmo di tipo esistenziale, e ricorre proprio nella parabola del Padre Misericordioso,
dove egli si identifica con il figlio prodigo. Questa lettura ed applicazione alla sua espe-
rienza di vita la troviamo in una pagina del suo Testamento Spirituale, con il titolo di: “Il
figlio prodigo”.
Questo fatto, indubbiamente, rivela che per Leonardo Murialdo questo testo rappresentava
un elemento centrale della sua spiritualità: la scoperta e la fede nell’amore incondizionato
e misericordioso di Dio Padre verso di lui, figlio prodigo! Questa identificazione con il
figlio minore della parabola è in relazione alla sua crisi adolescenziale, al suo rifiuto espli-
cito di Dio, alla sua posteriore conversione e, soprattutto, alla posteriore esperienza di
perdono nel sacramento della riconciliazione.
Forse per questa identificazione del Murialdo con il figlio prodigo della parabola, e per

152 Lettere Giuseppine 4-2016


una istintiva intuizione degli echi di san Giuseppe nella rivelazione che Gesù fa della mi-
sericordia di Dio lungo tutta la sua predicazione, ma specialmente nella parabola del Padre
Misericordioso, l’incontro storico tra ambedue i versanti spirituali (l’esperienza del-
l’amore di Dio nel Murialdo e la devozione a san Giuseppe tra gli educatori del Collegio
degli Artigianelli) trovò immediatamente un insieme armonioso e complementare, sve-
landosi in una sintonia insospettata
Forse è questo quello che testimoniava p. Eugenio Reffo quando nel suo libretto: Spiega-
zione del “Ristretto” (una breve spiegazione del riassunto del primo regolamento della
congregazione di san Giuseppe) diceva: “la nostra congregazione ebbe la fortuna di rice-
vere il bel nome di san Giuseppe; esso non è stato imposto; le è come venuto da se stesso
e noi ci trovammo ad essere figli di san Giuseppe quasi senza che ce ne avvedessimo. Fu
cosa del tutto spontanea e naturale; non ci si studiò sopra e fu san Giuseppe che volendo
la nostra congregazione se ne fece, come per suo diritto, patrono e titolare” (Spiegazione
del “Ristretto” – Fossati: Antologia delle fonti carismatiche, Documenti delle tradizione
giuseppina - pag. 39).
Alejandro Bazán

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XVIII CONGRESO NACIONAL DE EXALUMNOS JOSEFINOS


Babahoyo 4-5 de junio de 2016

Preparado y dirigido por los Exalumnos Bentazinos se llevó a cabo el XVIII Congreso
nacional de Exalumnos Josefinos en los locales del Colegio Marcos Benetazzo de Baba-
hoyo, los días 4 y 5 de junio.
Después del saludo del Ing. Jonathan Espín, Presidente de los Exalumnos Benetazinos, a
las delegaciones de Babahoyo, Quito, Guayaquil, Ambato, Tena y Loreto, el Concejal Sr.
Arturo Alvarado, a nombre del Municipio de Babahoyo, dio la Bienvenida a los congre-
sistas y les deseó éxitos en el desarrollo del evento. Seguidamente, el P. Jaime Bravo, en
representación del P. Provincial, Inauguró el Congreso.
El Lcdo. Vicente Martínez sustentó la Conferencia. Los tres aspectos importantes de la
Familia Moderna, para ayudar a las familias de los exalumnos a afrontar y superar los
problemas de la familia de hoy.
Los refrigerios ofrecidos por los anfitriones, a lo largo de los dos días del Congreso, sir-

Lettere Giuseppine 4-2016 153


vieron para que los exalumnos de las diferentes provincias del País se conocieran y com-
partieran momentos de amistad y compañerismo, siempre animados por la alegría, ca-
racterística de la Familia de Murialdo.
En un encuentro de exalumnos josefinos no podía faltar el deporte. Se realizó el Cam-
peonato de Indor Fútbol, en el que quedó campeón el equipo de Babahoyo y el trofeo de
Voley se llevaron los exalumnos de Pichincha.
La noche Murialdina puso el toque festivo al Congreso en que cada una de las delegacio-
nes presentaron sus números artísticos que fueron del agrado de los asistentes.
En la sesión del día Domingo 5 de junio, se eligió la nueva directiva Nacional de Exa-
lumnos Josefinos del Ecuador que quedó conformada así: Presidente, Lcdo. Armando Lle-
rena (Quito); Vicepresidente, Ing. Jonathan Espín (Babahoyo); Secretario, Dr. Pablo
Basantes (Quito); Tesorera, Sra. Patria Arias (Quito); Primer Vocal, Sr. Francisco Lícuy
(Tena) y, Segundo Vocal, Lcdo. Manuel Correia (Guayaquil).
Después de la Eucaristía de Clausura y del ágape fraterno, los participantes al Congreso
agradecieron las atenciones dispensadas por los exalumnos josefinos de Babahoyo y se
despidieron fraternalmente hasta encontrarse en el Congreso del próximo año que tendrá
lugar en el Colegio Rubira de Salinas.
Lcdo. Armando Llerena
Presidente Nacional de Exalumnos Josefinos

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154 Lettere Giuseppine 4-2016


RICORDIAMO PADRE ANGELO CUOMO

Primo sacerdote giuseppino sangiuseppese e primo concittadino di cui si è aperta


la causa di santità, ricorre quest’anno il centenario del Servo di Dio padre Angelo Cuomo.
Nasce infatti il 13 agosto 1915, primogenito di Nicolangelo e Rosa Panìco, a San Giuseppe
Vesuviano, al primo piano di una casa in via Marciotti 49. Ci troviamo alle falde orientali
del Vesuvio, a poca distanza da Napoli (una ventina di chilometri), da Nola e da Pompei
(una decina).
In tale contesto – pensiamo che il papà Nicola trasporta col “ciucciariello” (l’asi-
nello) alimenti e mercanzia andando spesso fuori paese – cresce dunque il nostro Angelo,
che viene battezzato il 19 agosto nella parrocchia di san Giuseppe dal parroco del tempo
don Prisco Di Prisco. Sono gli anni della prima guerra mondiale, di cui ricordiamo pure
il centenario. Sono tanti anche i sangiuseppesi chiamati alle armi che danno il loro con-
tributo in Trentino, sul Carso e sull’altopiano di Asiago. Si contano oltre un centinaio di
caduti, i cui nomi vengono poi incisi nel 1938 sul monumento eretto in loro memoria
presso la piazza centrale di S. Giuseppe Vesuviano, sullo spazio adiacente alla chiesa: in
alto è raffigurata la vittoria alata, ai lati il saluto dei soldati che vanno in guerra e l’aiuto
in battaglia a chi viene colpito, sul fronte è scritto il proclama del generale Diaz. Chissà
quante volte vi passerà davanti il nostro Cuomo. In questo clima patriottico che esalta gli
eroi di tutte le guerre, amplificato poi dal fascismo, viene formato anche Angelo quando
frequenta dal 1922 al ‘27 la scuola elementare del paese. Pensiamo che ha sette anni
quando nel 1922 Mussolini va al potere con la marcia su Roma. I suoi maestri, Boccia e
Pappacena, insegnano con rigore e dedizione. La disciplina, l’ordine e i princìpi del tempo
gli vengono trasmessi con l’aria che respira. Anche il vulcano sovrastante la zona pare
incidere sull’animo degli abitanti, disposti a correre ogni pericolo e ad affrontare le si-
tuazioni con “vulcanica” creatività. Nel ’27-28 anche Angelo, sui 12-13 anni, assiste al-
l’attività eruttiva del Vesuvio, che specialmente a giugno del 1929 esplode lanciando
materiali incandescenti e mettendo in serio pericolo con la lava il novello comune limi-
trofo di Terzigno. Esperienza impressionante, che insegna a convivere coi rischi della
vita. E’ ancora fresco d’altronde il ricordo della disastrosa eruzione del 1906 che a S. Giu-
seppe fa crollare il tetto della chiesa dello Spirito Santo seppellendo 105 vittime.
Un certo influsso deve aver avuto su di lui più ancora la parrocchia. L’educazione
alla fede, avviata dai genitori ferventi credenti, è instillata a memoria dal nuovo catechi-
smo di Pio X, con il quale si prepara alla prima comunione e poi alla cresima che riceve
dal Vescovo diocesano di Nola mons. Egisto Melchiori il 20 marzo del ’30. I sacerdoti
del luogo (i cosiddetti “preti di casa”) non mancano; in quel momento risultano essere
una trentina, per cui è assicurato il servizio pastorale in varie chiese rionali. Bisogna evi-
denziare che a quel tempo la sua chiesa parrocchiale si trova con i lavori in corso, essendo
in costruzione un imponente santuario su quell’area dove prima c’era la chiesa del Sei-
cento e poi del Settecento. La prima pietra era stata posta già nel 1896, ma solo dall’inizio

Lettere Giuseppine 4-2016 155


del Novecento con l’intervento determinante del sacerdote sangiuseppese don Giuseppe
Ambrosio, detto popolarmente don Peppino, emerge l’idea dell’edificazione di un san-
tuario in onore del Patrono san Giuseppe, di cui il paese stesso porta il nome. Così don
Ambrosio, con coraggio e confidenza illimitata nel santo protettore, si lancia nell’avven-
tura del santuario. Passa porta a porta i rioni del paese, intraprende viaggi in tutt’Italia e
nelle Americhe, per portare l’amore a san Giuseppe e al suo Tempio in costruzione. E’
chiaramente sotto gli occhi di Angelo Cuomo, come di tutti i concittadini, questo fervore
straordinario. La chiesa in pratica è un cantiere dove gli operai lavorano e si conserva il
materiale, in cui si preparano le statue che vengono innalzate a 27 metri fino in cima alla
facciata, dove si montano i castelletti per gli stucchi e la decorazione delle volte, fino alla
cupola che arriva a 50 metri d’altezza. Le celebrazioni si svolgono solo nella parte ante-
riore dell’abside e della crociera; questo fino al 1929, quando vengono sgombrate le tre
navate, quando Angelo ha 14 anni. Col tempo influirà non poco sul nostro Angelo il mo-
dello del fondatore del santuario di san Giuseppe, quando si troverà anche lui ad innalzare
una nuova opera nel nome di san Giuseppe, a raccogliere aiuti andando alla ricerca dei
benefattori, ad avviare un giornalino con la testata “Voce dell’opera san Giuseppe”, a por-
tare la devozione al santo del suo cuore… e del suo paese!
C’è poi un altro sogno nelle intenzioni di don Giuseppe Ambrosio, che si fissa in
seguito anche in Angelo Cuomo: il desiderio di costruire una grande opera di carità, ma-
gari per i ragazzi più sfortunati. Don Peppino nel 1908 lancia un appello per costruire un
“ospizio” che possa appunto “ospitare” i figli degli operai vittime del lavoro. Nel gennaio
seguente accoglie 19 orfanelli, superstiti del terremoto di Messina e Reggio Calabria,
prima in una palazzina in affitto e poi nel 1913 inaugura per loro un nuovo edificio in via
Croce Rossa, progettato in notevoli dimensioni e realizzato solo in parte nei primi due li-
velli. Vi impianta pure una falegnameria, una filarmonica e una tipografia. Purtroppo pro-
prio la guerra blocca l’impresa e costringe nel 1917 a chiudere i battenti sia per mancanza
di fondi che di manodopera. E’ comunque in questi ambienti, adattati tra gli anni ’20 e
‘30 alle associazioni e alle attività giovanili, che Angelo passa il tempo libero nella sua
adolescenza. La mattina, dopo aver frequentato tra il ’27 e il ‘30 la scuola media ad Ot-
taviano, intraprende la quarta ginnasio. Il pomeriggio, dopo lo studio, è al centro giovanile.
Infatti il 15 dicembre del 1928, chiamati dallo stesso mons. Giuseppe Ambrosio, che dal
1922 è anche parroco, arrivano a S. Giuseppe Vesuviano i Giuseppini del Murialdo, che
assumono la conduzione della parrocchia. Non esistendo un oratorio, come nella gran
parte delle parrocchie del meridione in cui c’è a stento la chiesa, vanno incontro agli stu-
denti all’uscita delle scuole e al loro ritorno in paese presso la stazione ferroviaria della
circumvesuviana. Tra questi c’è anche il nostro giovane Angelo. La tradizione degli oratori
e dei patronati, solida in Piemonte e in Veneto, però viene presto esportata anche a S. Giu-
seppe. Gli unici locali disponibili sono quelli dell’ospizio e questi, massicci e incompleti,
con i loro grandi archi e finestroni, con i mattoni allo scoperto ancora grezzi, vengono
subito adibiti a centro di aggregazione giovanile. Chi all’inizio maggiormente influisce
sulla gioventù sangiuseppese, compreso il nostro Angelo, è padre Agostino Carraretto,

156 Lettere Giuseppine 4-2016


giovane sacerdote sui trent’anni, pieno di energie e belle doti, che giunge nell’agosto del
’29.
Nella festa di san Giuseppe del ’30 vengono benedette le bandiere dell’Azione Cattolica.
La parte femminile è seguita da padre Ferracina in qualità di assistente, mentre quella
maschile da padre Carraretto, che chiama Angelo Cuomo tra i dirigenti. Automaticamente
immesso in un ruolo attivo di protagonista, Angelo si coinvolge nella passione educativa,
specifica del carisma giuseppino, che nel nome di san Giuseppe educatore intende occu-
parsi della formazione delle nuove generazioni. E’ naturalmente predisposto all’aiuto del
prossimo e subito disponibile a dare una mano, benché ancora quindicenne. I frutti di tale
azione educativa prorompente non tardano a venire. Pensiamo che dalle file degli “aspi-
ranti” di padre Agostino vengono fuori ben sei vocazioni sacerdotali. Tra questi, il primo
è appunto il nostro Angelo Cuomo. Colpito dalla dedizione e dallo spirito dei Giuseppini,
Angelo comincia a coltivare la vocazione che sente nascere dentro di sé, così che diventa
pronto a fare il grande salto. Il 26 agosto del 1931, all’età di 16 anni, convinti i genitori
della bontà della propria scelta, entra nel noviziato della congregazione a Rivoli (Torino):
passa dal sud al nord, soprattutto passa alla vita religiosa, nella sequela del Signore che
lo chiama, nello spirito del Fondatore da cui si sente attratto, secondo la regola e le costi-
tuzioni dei Giuseppini del Murialdo. E’ un passo importante, che apre la pista ad un ab-
bondante frutto di vocazioni giuseppine: lo seguiranno infatti sulla medesima strada una
ventina di concittadini. Angelo parte con le migliori intenzioni; a chi gli chiede perché fa
questo passo risponde: “per la propria e l’altrui santificazione”. Qualcosa deve essergli
pur costato l’impatto del cambiamento di vita e di ambiente, dalla libertà e dalla vivacità
del paese natale alla regolarità e alle nebbie del nord e… del futuro! Ma anche la consa-
crazione, l’adattamento alla disciplina della comunità, il suo rimodellarsi nell’ascesi del
Vangelo e della congregazione, il suo trasferimento in altri luoghi, non taglieranno quelle
che sono le sue “radici”. Sono passati cent’anni da questi fatti. Ricordiamo le sue scelte
provvidenziali, che lo hanno portato a diventare “Servo di Dio”.

Angelo Catapano

Lettere Giuseppine 4-2016 157


cronaca
Cronaca del padre generale

Il giorno 1 giugno, in casa generalizia il padre generale incontra i confratelli che celebrano
il loro 50° di sacerdozio e celebra con loro la santa messa.
Sabato 4 presiede la seduta del consiglio generale.
Il giorno 5 parte per la visita canonica alla Delegazione India, durante la quale inaugura
la casa famiglia di Aranvoyalkuppan, e due delle tre nuove comunità aperte in questi mesi:
Punalur nel Kerala e Saksohara nel Bihar.
Rientra a Roma il 29 giugno. Dal 30 giugno al 2 luglio presiede, in casa generalizia, la
seduta annuale del consiglio generale per la revisione e la programmazione.
Lunedì 4 luglio incontra i giovani confratelli presenti in casa generalizia per il corso di
preparazione alla professione perpetua.
Il 5 tiene una conferenza nell’apertura del Capitolo generale dei Rogazionisti a Morlupo,
vicino a Roma.
Dall’ 8 al 10 guida il ritiro dei confratelli che si preparano alla professione perpetua, a
Bagnoregio. Dall’ 11 al 22 luglio è in vacanza nella comunità di Cefalù.
Dal 23 al 25 è a Oderzo con i giovani della Famiglia del Murialdo che si preparano a par-
tecipare alla GMG di Cracovia. Il 29 luglio presiede la seduta del consiglio generale.
Dall’1 al 7 agosto predica gli esercizi spirituali alle Suore Francescane di Santa Chiara,
nella loro casa di Roma. Dal 7 al 15 agosto è a Salice d’Ulzio con un gruppo di famiglie.
Il 23 agosto presiede la seduta del consiglio generale.
Il 30 e 31 agosto, a Foligno, partecipa alla parte finale dell’annuale incontro dei direttori
della Provincia Italiana.
Il 7settembre parte per la visita canonica alla Provincia Argentino-Cilena e per la conclu-
sione della visita del Brasile. Rientra a Roma il 29 ottobre.

Cronaca dei confratelli del consiglio generale

P. Alejandro Bazán, vicario generale, il 3 giugno è rientrato dal Cile; dal 7 al 10 giugno
è stato a Padova, presso la comunità “Sacro Cuore”; nei giorni 23-27 giugno ha fatto visita
ai confratelli in Albania e quindi nei giorni 28-29 è stato in Spagna. Nel mese di luglio è
stato a Oderzo nei giorni dal 23 al 26 per partecipare all’incontro dei Giovani della Fmiglia
del Murialdo. Ad Agosto ha visitato le comunità di Padova e Ravenna, nei giorni dal 3 al
5; dal 10 al 12 è stato a Padova e a Oderzo; ha partecipato nei giorni 24 e 25 all’incontro
di spiritualità delle Comunità Laici del Murialdo a Viterbo; quindi dal 27 al 31 ha preso
parte in Spagna agli incontri di programmazione della Delegazione.

P. Juarez Dalan il giorno 7 Giugno ha concluso la visita sessennale a Viterbo e dall’8 al


15 ha svolto la visita sessennale in Casa generalizia, Roma. Nel mese di luglio ha animato

158 Lettere Giuseppine 4-2016


una giornata di studio sui temi della solidarietà e dell’economia per i confratelli del corso
di preparazione alla professione perpetua. In Agosto ha fatto visita alla comunità di Padova
e a Vicenza ha chiuso la SPR. Il giorno 23 agosto è partito per il Brasile.

P. Fidel Antón nel mese di giugno conclude i corsi accademici presso l'Istituto S. Pietro,
a Viterbo, e al Sant' Anselmo, Roma, ed anima un corso di esercizi spirituali. Dal 3 al
23 di luglio coordina il corso di preparazione alla professione perpetua, nella casa gene-
ralizia, con 15 partecipanti (8 africani, 3 brasiliani, 2 messicani, 1 italiano, 1 rumeno),
dei quali 9 si sono recati a Cracovia per la GMG. In agosto fa visita alla famiglia.

P. Tullio Locatelli, nel mese di giugno nei giorni dall’1 al 7 ha animato il gruppo dei con-
fratelli del 50mo di sacerdozio; ha continuato i ritiri mensili alle Immacolatine di Genova;
dal 16 al 21 è stato in Romania in occasione dell’ordinazione sacerdotale di p. Florin Pi-
stiean; il giorno 22 ha animato il giubileo della comunità di casa generalizia presso la ba-
silica di San Paolo fuori le mura; nei giorni 24-26 con i compagni di classe del proprio
paese in Roma ha celebrato il giubileo. Nel mese di luglio ha accolto in casa generalizia
i confratelli che si preparavano alla professione perpetua; nel giorno 12-14 ha trattato con
loro il tema della interculturalità.

Cronaca dalle comunità e dalle province

4-5 giugno, si celebra il XVIII Congreso Nacional de Ex alumnos Josefinos a Babahoyo,


in Ecuador.
6 giugno, si raduna la commissione per l’educazione della provincia di Ecuador-Colom-
bia.
18 giugno, Jeyaraj Joseph William è ordinato sacerdote a Lancaster dal vescovo Joseph
Brennan.
11 giugno, si celebra il 50mo anniversario del Colegio Ntra. Sra. de la Antigua in Orduña,
Spagna.
28-30 giugno, incontro dei giovani sacerdoti della provincia di Ecuador-Colombia.
5-8 luglio, si realizzano giornate di spiritualità per educatori e formatori dell’ENGIM a
Tonezza del Cimone (Vicenza).
13,14, 15 luglio, incontro di formazione per i confratelli di voti temporanei in Brasilia,
Brasile.
15 luglio, p. Lidio Roman dopo nove anni di lavoro in Guinea Bissau ritorna in Brasile.
16 luglio, a Makeni, cinque prime professioni: Robert, Godwin, Elvis, Pierre Paul, Ben-
jamin.
17 luglio, prima professione di José de Jesús L. Delgado ad Aguascalientes, Messico.
4-21 luglio, si svolge in casa generalizia, a Roma, l’incontro di preparazione alla profes-
sione perpetua.

Lettere Giuseppine 4-2016 159


25 luglio, quattro giovani sono stai ammessi al noviziato dal consiglio della provincia
italiana: Sergiu, Andrei, Adrian, Roberto.
29 luglio-1 agosto, si tiene l’assemblea Nazionale di ANALAM, in Brasile.
19, 20, 21 agosto, si realizza l’incontro nazionale delle Mamme Apostoliche e degli Amici
del Missionario in Ecuador a Cuenca.
20 agosto, a Londrina viene ordinato diacono Joseilton Ramos dos Santos.

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160 Lettere Giuseppine 4-2016


nella casa del padre
P. Bruno Dalla Vecchia

P. Bruno è morto con molta probabilità di infarto nelle prime ore di questa domenica, 5
giugno 2016. Così lo ha trovato il direttore della comunità di Santa Margherita Ligure,
Genova, p. Enzo Azzarello che non vedendolo a colazione secondo abitudine andò a ve-
derlo in stanza per sincerarsi della sua situazione. Purtroppo p. Bruno era già morto.
P. Bruno è nato a Chiampo, Vicenza, il 5 febbraio 1927. Dopo il postulato a Montecchio
Maggiore, VI, fu ammesso al noviziato che fece a Vigone, TO, dall’agosto 1942 al 29
agosto 1943, data della sua prima professione.
Fece le scuole medie superiori in parte a Sommariva del Bosco (Cuneo) e in parte a Ponte
di Piave, Treviso
Da giovane religioso di voti temporanei fu inviato in Argentina e fu nel 46-47 a Morrison,
nel 47-48 a Villa Nueva, quindi ancora a Morrison, 1948-1949.
A Morrison fece la professione perpetua nel gennaio del 1949.
Studiò teologia parte a Villa Nueva e parte a Buenos Aires, divenendo sacerdote a Buenos
Aires il 19 marzo 1953.
Ritornò in Italia nel 1962 a Rossano Calabro, Cosenza, dove rimase fino al 1971; quindi
in Spagna ad Orduña, dal 1971 al 1976; in Argentina ancora per due anni fino al 1978; a
Rossano a fine 1978 dove rimase fino al 1981, anno in cui lasciò la congregazione. Fu
dimesso dalla Congregazione nel 1989, ma non chiese mai la dispensa dagli oneri legati
alla ordinazione sacerdotale. Fu un periodo vissuto a servizio presso una famiglia come
factotum, potendo così avere un posto dove vivere ed un lavoro.
Riprese i contatti con la nostra Congregazione nell’anno 2003. Dopo un periodo di prova
fu riammesso in congregazione con la professione in data 29 settembre 2005 a Viterbo
“San Pietro”. Quindi nel 2006 andò a Santa Margherita Ligure, avendo anche ottenuto il
permesso di riprendere il suo servizio sacerdotale. Il 13 ottobre 2007 fece la professione
perpetua a Santa Margherita Ligure.
Visse gli ultimi anni con la consapevolezza del suo passato ed il desiderio di riparare alle
scelte fatte, soprattutto attraverso la preghiera e la penitenza. Voleva celebrare tante messe
per recuperare quelle tralasciate per tanto tempo, ma soprattutto ha voluto essere un buon
religioso e sacerdote. Ebbe l’umiltà di riconoscere che non sempre un carattere difficile
ed un temperamento impetuoso lo avevano aiutato a fare scelte più ponderate e secondo
il suo essere religioso e sacerdote.
Lo affidiamo alla misericordia del Signore, allo stesso Signore che don Bruno in questi
ultimi anni ha pregato e contemplato in quel grande crocifisso che sta nella sua camera,
dove il Signore è venuto a riprenderselo, per sempre.
Dopo i funerali a Santa Margherita Ligure, don Bruno è stato sepolto nel cimitero di
Chiampo.

Lettere Giuseppine 4-2016 161


P. Giuseppe Cavallin

P. GIUSEPPE CAVALLIN è mancato verso le 12,50 dello stesso 5 giugno 2016. Da pochi
giorni si trovava all’ospedale policlinico di Padova, dove avevano costato che un male
devastante lo stava minando in varie parti del fisico.
Era nato a Mogliano Veneto, TV, il 7 gennaio 1937.
Dopo il postulato ad Arcugnano, VI, fece il noviziato a Vigone, TO, dove professò per la
prima volta il 29 settembre 1957.
Dopo i tre anni a Ponte di Piave per gli studi superiori, fece il suo tirocinio dal 1960 al
1963 a Oderzo, TV, quindi studi di teologia a Viterbo; venne ordinato sacerdote ad Enego
il 28 giugno 1968. Fece la professione perpetua a Viterbo il 13 ottobre 1963.
Giovane sacerdote tornò a Oderzo come insegnante dal 1968 al 1973; quindi a Mirano
per due anni; fu al Turazza di Treviso dal 1975 e qui divenne superiore nel 1976.
Dal 1982 al 1988 fu direttore ad Oderzo.
Accolse la obbedienza che lo inviò a Lunsar in Sierra Leone nel 1988; qui fu anche diret-
tore della comunità dal 1994 al 2.000. Dopo quattro anni, nel 2004, andò a Makeni, quindi
un anno e mezzo in Ghana nella comunità di Ejisu.
Arrivò in India a Chembaraky nel 2007; qui fu direttore negli anni 2009-2010; quindi di-
rettore a Vengode per un anno. Dopo un tempo a Aranvayalkuppam rientrò in Italia nel
2014 stabilendosi nella comunità del “Sacro Cuore” in Padova.
Fu uomo di idee e generoso; devoto di San Giuseppe e attento ai giovani, per i quali ha
dato le sue qualità di uomo e di religioso; attraverso di loro ha amato la loro cultura, le
loro nazioni, ha sempre voluto conoscere le loro famiglie per le quali nutriva un grande
rispetto.
I funerali di padre Giuseppe sono stati celebrati a Padova mercoledì mattina 8 giugno
alle ore 10.30 nella chiesa Ognissanti, di fronte alla comunità giuseppina “Sacro Cuore”.
E’ stato sepolto nella tomba di congregazione a Oderzo.

GENITORI DEFUNTI DI CONFRATELLI

Ana Maria Bussolo, di anni 83, mamma di ir. Nélson Bussolo, della comunità di Londrina,
Brasile.
Miracy Comparin Camerini, di anni 89, mamma di p. Ernesto Camerini, della comunità
di Ana Rech.

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162 Lettere Giuseppine 4-2016


recensioni e pubblicazioni
Recensioni

ANGELO CATAPANO, Un anno con san Giuseppe, in Estudios Josefinos, a. 70, enero-
junio 2016, n. 139, pp. 105-107.

EUGENIO REFFO, Spiegazione del “Ristretto del Regolamento della Congregazione di


San Giuseppe”, in Estudios Josefinos, a. 70, enero-junio 2016, n. 139, pp. 107-109.

Pubblicazioni

TULLIO LOCATELLI, Seminario de oración y de reflexión sobre la figura de san José,


in Estudios Josefinos,. a. 70, enero-junio 2016, n. 139, pp. 93-100.
Traduzione del suo articolo apparso su LETTERE, n. 3, maggio 2016, pp. 98-102.

RINO COZZA, Servitori della cultura dell’incontro, EDB, 2016, pp. 124.
Una serie di capitoletti agili e leggibilissimi per indicare un tratto particolare della predi-
cazione di papa Francesco: l’apertura all’altro, che investe la Chiesa nel suo insieme e
ciascuno credente in particolare. P. Rino invita la vita consacrata ad entrare in questo oriz-
zonte, cogliendone i vantaggi in prospettiva di futuro, di incarnazione, di partecipazione
alla costruzione del Regno, da parte della vita consacrata.

AUTORI VARI, Seminario di preghiera e di riflessione sulla figura di San Giuseppe, San
Giuseppe Vesuviano, pp. 128.
Si tratta degli ATTI del seminario tenuto nei giorni 8-9-10 aprile del 2016 a San Giuseppe
Vesuviano presso l’opera giuseppina. E' una pubblicazione molto semplice, dignitosa,
direi anche "ricca" perché i vari contenuti offrono la possibilità di riflessione (le relazioni),
di preghiera (tre incontri) di conoscenza reciproca (vedi le presentazioni delle varie con-
gregazioni). Il tutto in 128 pagine, con messaggio e presentazione.

Lettere Giuseppine 4-2016 163


LETTERE GIUSEPPINE
Notiziario Interno della Congregazione di San Giuseppe
N.4, agosto 2016
Redazione: p. Tullio Locatelli, p. Giambattista Nicolato

Via Belvedere Montello, 77 - 00166 ROMA


tel 066242851 - Email: tulliolocatelli@gmail.com

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