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Ruini TO

D. GIUSEPPE CAFASSO
.........

MEDITAZIONI
PER

ESERCIZI SPIRITUALI
AL CLERO

pubblicate per cura

del Can .° GIUSEPPE ALLAMANO

WANGIENSE
306
IUM

S
ILEG

BIBLIOFLOUK *
Los Fontaines
* O - CHANTILLY

TORINO 1892
TIPOGRAFIA FRATELLI CANONICA

Via Botero , num . 8.


1

PROPRIETÀ RISERVATA
Ai venerandi Colleghi nel Sacerdozio.

Il giorno 23 Giugno 1860 cessava di vivere


in Torino in concetto di santità il sacerdote
D. Giuseppe Cafasso Rettore del Con
vitto Ecclesiastico e Prefetto delle Conferenze di
Teologia Morale Casuistica al Clero. -

Rapito
da morte prematura in età di soli 49 anni , la sua
carriera sacerdotale fu breve di durata, ma tanto
più lunga e feconda di opere ; con un'attività pro
digiosa, e più coi luminosi esempi delle sue virtù,
egli lasciò in pochi anni così vasta e profonda
traccia del suo ministero sacerdotale, che ancora
oggi ne sono compresi di ammirazione quanti lo
conobbero, ed il suo nome risuona benedetto non
solo in Torino ma per tutto il Piemonte. Quale
sia stata l'opera di lui nell'insegnamento della
Teologia Morale ai giovani Sacerdoti, nelle fre
6

quenti predicazioni di Esercizi Spirituali al Clero,


e nell'esercizio del sacro ministero al confessionale,
al letto dei moribondi , nelle carceri , ed accanto
ai condannati a morte ; quale benefica e salutare
influenza abbia esercitato sul Clero Piemontese
in tempi difficilissimi; quanta parte abbia avuto
nelle tante istituzioni di carità sorte allora in
Torino ; quali sopratutto le sue virtù eminenti e i
doni soprannaturali che gli meritarono dai contem
poranei il titolo di modello dei Sacerdoti ; tutto ciò
verrà ampiamente narrato nella vita che di lui si
sta scrivendo e si spera di poter presto pubblicare.
Non ultima prova dell'attività straordinaria,
per cui in pochi anni tanto bene ebbe operato,
sono i suoi numerosi manoscritti di Teologia Mo
rale e di Predicazione , e tra questi parecchi corsi
di Meditazioni ed Istruzioni per Esercizi Spiri
tuali al Clero, da lui dettati per molti anni conse
cutivi nel Santuario di S. Ignazio presso Lanzo.
Prive ora queste prediche del calore e della vita
che ritraevano dall'accento e dal gesto del sacro
oratore, esse non parranno più che una pallida
figura di quelle memorabili Meditazioni, le quali,
al dire del nostro celebre Can.co Giordano loro
assiduo uditore , scuotevano profondamente le
stesse anime più fredde, e lasciavano un'impres
sione incancellabile in chi le udiva anche solo
una volta. Nondimeno, essendo frutto di lunga
meditazione e di un veder giusto e profondo,
esse rimangono pur sempre notevoli per pienezza
7

di concetti e di sentimenti, per sodezza e preci


sione di dottrina morale, e più ancora per osser
vazioni ed applicazioni pratiche così originali ed
appropriate da penetrare nel fondo dei cuori e
toccarne le più intime fibre. Il tutto poi espresso
con semplicità, vivacità ed unzione che rivelano
un'anima piissima ed un cuore infiammato di zelo
per la santificazione delle anime. Che se per la
forma letteraria sono alquanto deficienti, e richie
derebbero ancora ritocchi e correzioni , non credetti
tuttavia doverveli fare, per timore che ne fosse
falsato quel colorito che era proprio del servo di
Dio nel parlare e nello scrivere.
Nutro fiducia d'aver fatto cosa gradita ed utile
ai venerandi colleghi nel Sacerdozio, presentando
loro questo corso di Meditazioni , al quale faranno
seguito le corrispondenti Istruzioni, e di poter
così cooperare in qualche modo alla continuazione
del bene fatto dal venerato mio zio e predecessore
nella sua missione provvidenziale a vantaggio del
Clero .

Torino , 20 Giugno 1892 .

Can.co GIUSEPPE ALLAMANO


Rettore del Convitto Eccles . della Consolata .
Predica d'introduzione.

Chi avrà assistito alla nostra partenza dalla città, o ci


avrà visti salire su questo monte , avrà detto tra sé, od
anche dimandato ad altri : - E dove vanno tanti preti ? ed
a che fare tanti sacerdoti ? -
Io non so se tutti avranno
pensato e parlato nello stesso modo, e quello che è più,
se avranno colpito nel vero. Comunque sia noi ci troviamo
ora qui radunati in bel numero quasi all'improvviso ; ed
io nel volgere uno sguardo a voi, non posso a meno che
domandare anche a me stesso : – E chi sono questi per
sonaggi ? donde mai sono venuti ? a che fare si sono recati
qui in un sito cosi deserto e cosi lontano dai rumori e
dagli affari del mondo ?.... e quanto tempo si fermeranno ? —
Quattro domande che basterebbero per trattenerci ben util
mente in tutto questo ritiro, ma non possiamo rispondere
a ciascheduna che con brevità .
Chi sono questi personaggi? Sơno sacerdoti, sono ministri
del Signore ; sono quei candelieri che Iddio ha posti qua e
là nel mondo a diradarne le tenebre ; sono quei duci de
stinati a capitanare le schiere elette pel cielo ; sono quei
campioni che Iddio ha spediti sulla terra a combattere il
peccato e a dilatare la gloria sua ; sono personaggi, in una
CAFASSO -
Eserc . Spirit. Medite
10 PREDICA D’INTRODUZIONE

parola, prescelti fra tutti , chiamati con particolar vocazione,


allevati con cure tutte speciali, forniti di qualità e di po
teri affatto diversi da qualunque altro del mondo. Forse
all'occhio di chi li vede paiono gente comune e uomini
come tutti gli altri ; eppure no : essi sono uomini, si , ma
uomini privilegiati come è privilegiato il loro stato. E donde
vengono questi uomini ? Essi vengono da un mondo, in cui
tutto è trambusto, confusione e discordia; vengono da una
terra, che a stento li soffre e sovente li copre di beffe e
di sarcasmi ; vengono dalle loro case, dai loro paesi, dove
sogliono dividere con molti buoni le loro preghiere ed i
loro dolori. Essi hanno lasciate le loro occupazioni, i loro
impieghi, hanno rinunziato ai divertimenti, ai comodi che
potrebbero godere, e, sequestrandosi da tutto e da tutti, si
sono recati qua con dispendio e disagio, a far che cosa ? ...
È questo il punto più interessante. Sono forse venuti per
divertirsi, per passare un po' di bel tempo ? Eh ! siamo ben
lontani , miei cari ; questi uomini, di cui io vi parlo, hanno
ben altro a pensare che a tali miserie. Sono venuti forse
per riposarsi e starsene in quiete ? Nemmeno. Per che cosa
adunque sono venuti ? Il fine, il perchè è degno di questi
personaggi. Essi sono posti al mondo per trattare appresso
Dio la causa dei popoli, ma hanno pur bisogno di trattare
la causa propria ; perciò salirono sulla vetta di questo monte,
quasi altrettanti Mosè, per conversar col Signore, per pen
sare un po' a se stessi, per provvedere alle anime loro e
prepararsi cosi alla morte ed all'eternità . Ottima risoluzione,
fratelli miei, e volentieri io mi associo a voi, per riflettere
ancor io sullo stato della mia anima, per aggiustar pure i
conti miei, per far un solo dei nostri cuori, per aprirci le
nostre paure ed i nostri timori, per confidarci le nostre
pene e confortarci l'un l'altro. Che bella sorte non è mai
questa ! Oh ! se i sacerdoti e leviti ritornati dalla schiavitù
e trovatisi di nuovo riuniti nel tempio a cantare le lodi
PREDICA D'INTRODUZIONE 11

del Signore, non poterono contenersi dall'esclamare ciò che


noi ripetiamo nell'Ufficio Divino. - Ecce quam bonum
et quam jucun:lum habitare fratres in unum (1 ) , e
perchè non potremo ancor noi in quest' oggi ripetere a
somiglianza loro : - Oh ! quanto ci sarà utile e consolante
il vivere insieme ? - Ma quanto tempo ci fermeremo ? Per
poco, per lo spazio di alcuni giorni . Un soldato che abbia
il suo posto assegnato sul campo di battaglia , non può as
sentarsi molto ; un capitano che tenga le sue schiere in
faccia al nemico, è impossibile se ne stia gran tempo lon
tano. Pertanto fra poco noi partirem di bel nuovo. Otto
giorni di tempo, miei cari, per rivedere gli anni nostri
passati; otto giorni per apparecchiare il rendiconto dei
nostri lavori ; otto giorni per metterci all'ordine di partire
per l'eternità ; otto giorni per renderci veri atleti del Si
gnore, fermi, costanti ed immobili nei più duri cimenti ;
otto giorni per formare di noi la grazia più grande pei
popoli, il tesoro più prezioso della terra, qual è un vero mi
nistro del Signore ; otto giorni e niente più ; otto giorni
che già sono cominciati , s' incalzano , svaniranno come
un fumo, come un lampo , e passati non ritorneranno mai
più . Il tempo adunque della nostra fermata ė. brevissimo,
l'affare a compiersi è importantissimo, è massimo ; quindi
non è il caso di perdere il tempo in parole, in preamboli,
in complimenti. Entriamo tantosto nel fine per cui noi
ci siamo qui radunati, ed a nostro eccitamento conside
riamo: 1 ° la grazia speciale ed il favore grande che ha
fatto a ciascuno di noi il Signore, concedendoci questi eser
cizi ; 2º la dolcezza e la consolazione che proveremo nel
farli; 3º la maniera, con cui abbiamo a diportarci sia per
approfittare di questa grazia, sia per poter provare quel
gusto, quel contento che ci sta riservato in questi giorni.
Il Signore assista me, assista voi , affinchè il tutto riesca .
( 1 ) Ps. CXXXII . 1 .
12 PREDICA D’INTRODUZIONE
alla maggior sua gloria, ad aiuto e conforto della desolata
e militante sua Chiesa, come al maggior profitto e vantaggio
dell'anima nostra. Cominciamo.
I. Era costume del Nostro Divin Redentore interrompere
sovente le sue apostoliche fatiche e ritirarsi in solitudine, non
tanto pel materiale suo riposo, quanto per ivi attendere alla
preghiera ed alla contemplazione. Non contento di far questo
egli solo, invitava pure i primi suoi sacerdoti ed apostoli.
Diffatti 'nel Vangelo di S. Marco noi leggiamo, che, ritornati
un di gli apostoli da certe loro fatiche, dopo aver vantato
a Gesù quanto avevano insegnato ed operato, questo buon
padre fece loro l'invito di andar con lui in luogo solitario,
per prendere un po' di lena : Venite seorsum in desertum
locum , et requiescite pusillum ( 1 ), ed essi ubbidirono, e
montati in barca, se ne andarono in luogo appartato e de
serto : ubierunt in desertum locum scorsum (2).
Fratelli miei , voi già mi intendete : questo buon Dio ha
fatto altrettanto con me e con voi invitandoci a questi spi
rituali esercizi, concedendoci la grazia del ritiro sulla cima
di questo monte : grazia preziosissima , grazia di particolare
bontà e di predilezione, grazia di molte e chi sa quali con
seguenze.
Per conoscere la preziosità di tale grazia, non abbiam
bisogno di altro, che di dare un'occhiata al fine, allo scopo
a cui sono diretti gli esercizi. La cosa è presto intesa. Essi
sono diretti a stendere la mano a chi cammina sull'orlo di
un precipizio, a rialzare chi disgraziatamente già fosse ca
duto ; essi sono istituiti per dare un po' di pace e di quiete
a chi l'avesse perduta , per riscaldare il tiepido, per risto
rare ed animare chi fosse stanco ed annoiato di questo
mondo ; essi sono, in una parola, per fare d’un peccatore
un santo, d'un uomo debole e fiacco un gigante ed un eroe,
pronto a battere coraggioso la via della virtù, a sprezzare
(1 ) Marc. VI . 31 . (2) Ibid . 32.
PREDICA D'INTRODUZIONE 13

questo mondo, a prepararsi una tra le migliori corone in


Paradiso . E per venire specialmente a noi ecclesiastici, gli
esercizi sono diretti a formare d’un sacerdote qualunque,
anche mediocre, anche peccatore, un apostolo capace di
evangelizzare il mondo, di governarlo, e di salvar chi sa
quante anime. Quando Iddio volle associare a Mosè alcuni
compagni nel reggimento del popolo, gli ordinò di scegliere
alcuni fra i seniori d' Israello, di radunarli e fermarli da
vanti al tabernacolo, dove egli sarebbe discesó per dir loro
la sua volontà e palesare i suoi disegni : Congrega mihi
viros de senibus * Israel..... duces cos ad ostium taberna
culi.... faciesque ibi stare tecum .... descendam et loquar ( 1 ).
Cosi, o fratelli miei, fa pure Iddio con noi in questi giorni.
Egli ci ha posti a reggere il popolo suo sotto la dipendenza
dei nostri superiori ; ma perchè non veniam meno ad un tanto
carico, ci ha fatti venire fin qui, e si serve degli esercizi per
venire egli stesso in mezzo a noi, per parlarci , per istruirci e per
segnarci la strada che avremo a battere: Congrega mihi....
viros .... et duces ad ostium tabernaculi.... ut descendam et
loquar. E non sarà questa una grazia preziosissima ?
Credetelo , o cari miei, fuori di qui, fuori di questi luoghi,
certe verità noi non abbiamo la fortuna di sentircele dire ;
ed un sacerdote che passi la sua vita senza ritirarsi di
quando in quando a fare gli esercizi, d'ordinario tocca il
fine e scende nella tomba, senza aver sentita una lingua
che gli abbia parlato chiaro e gli abbia detto francamente
quali siano i suoi doveri , le sue obbligazioni. Oh ! se tutti
i sacerdoti conoscessero bene la grazia preziosissima degli
esercizi spirituali !
Ma vi ha di più. Alla preziosità di questa grazia si ag
giunge la particolare bontà, la predilezione di chi ce la
conferisce. Non crediate già che possa attribuirsi al caso ,
od al solo nostro impegno, il trovarci noi qui radunati per
(1 ) Num . XI . 16. 17.
14 PREDICA D'INTRODUZIONE
udire la voce del Signore ; imperocchè è Iddio stesso che
ci ha chiamati in questo luogo, a preferenza di tanti altri .
Ditemi, infatti : Chi fu il primo a pensare, a progettare
questi Esercizi ? Fu il Signore o fummo noi ? Siamo noi
che li abbiamo richiesti a Lui , oppure fu egli primo ad
esibirceli ?.... Fratelli miei, diamo la gloria a chi è dovuta :
è il Signore che ha disposte le cose in modo da avere luogo
questo ritiro, è Lui che ne suscitò il pensiero nel nostro
capo. Anzi dirò di più : forse qualcuno di noi pensava a
rimandare ad altra volta tali esercizi; ma Iddio non volle.
Egli aveva una grazia in mano da disporre.... quanti la
meritavano più che noi, quanti la desideravano !.... eppure
Iddio la riservò a me, la riservò a voi, ce la fece accettare
anche per forza, e fu come dire : Eh ! caro ministro ,
parliamoci chiaro : lascia andare tanti pretesti, voglia o non
voglia , tu hai da stare con me alcuni giorni in quel ritiro,
e sono certo , che, là giunto, c'intenderemo. — Mi sovvengo
d'un sacerdote, il quale, per rispetto umano, aveva ceduto
all'invito di fare gli esercizi . Imbrogliato, confuso, spaven
tato dall'enormità delle sue colpe, egli si sentiva mancar
l'animo a slanciarsi tra le braccia della misericordia del
Signore. Coraggio, gli disse chi potè scoprire il suo af
fanno, è il Signore che ha disposto a farla venire fin qui ,
e se Iddio ha fatto in maniera che ella, quasi senza saper
il come, venisse a questi esercizi, vuol forse credere che
ora Egli sia per ridersi di lei e delle sue miserie, per dirle
che è cosa finita e che non v'è più speranza per lei ?
Per grazia speciale di Dio, la misericordia divina trionfò sul
cuore di quel povero sacerdote , il quale seppe approfittarsi
di quel tempo, ed a quest'ora benedice e benedirà sempre
la grazia di quegli esercizi.
Ma non è ancora qui il tutto. Il ritiro di questi giorni,
oltre d'essere per noi una grazia preziosissima, una grazia
di special predilezione, è ancora per noi una grazia di molte
PREDICA D'INTRODUZIONE 15

e chi sa quali conseguenze . Io oserei dire che da questi


esercizi può dipendere tutto il nostro avvenire, cioè la
quiete della nostra vita , la tranquillità della nostra morte,
..la nostra ultima sorte nei secoli eterni. Dirò di più : chi
sa che alla grazia di questi esercizi Iddio non abbia annesse
tante altre grazie e la salute di tante altre anime ? ... Eh !
fratelli, noi non siamo qui per farci complimenti, per ve
dere come si sa condurre una predica ; ma siamo qui per
vedere le cose dell'anima con quel lume e con quell'occhio
con cui le vedremo al punto della nostra morte ; siamo qui
per esaminare la nostra vita e fare fra noi e noi quei conti
che un di faremo con questo Dio al suo tribunale. Quindi
chi è mai che possa dire le grandi conseguenze di questo
ritiro ? Sovente, dal buon ecclesiastico che si ritira qualche
volta a pensare all'anima sua, noi sentiamo questo sfogo
doloroso e dolce insieme : - lo era prete, credeva pure
di sapere il fatto mio ; m'immaginava grandi cose della mia
persona, e mi pareva quasi di toccar l'apice della perfezione, ,
ora mi accorgo essere stata più apparenza che realtà ; ora
vedo che v'era nella mia condotta più di corteccia che di
midolla ; ora conosco i vuoti, i guasti del mio cuore e del
mio spirito. Sia benedetto il Signore ! ... Guai a me, se mi
fosse toccato morire prima di questi giorni! E se parla
cosi il buon ecclesiastico, che cosa non dovrà dire quel sa
cerdote che avesse pecche maggiori da rimediare ? Oh ! quanti
ecclesiastici, che, dotati di abilità e di ingegno, di sanità e
di robustezza, potrebbero fare tanto bene, salvare tante anime
e rendere meno infelice questo mondo, se venissero a pro
vare e sentire nella solitudine la voce del Signore ! eppure
ci tocca vederli andar perduti dietro le follie di questo mondo.
Quanti rimorsi di meno, al letto di morte, per un sacerdote
che avesse pensato a procurarsi un po' di ritiro in vita !
Quanti sacerdoti , i quali purtroppo sono perduti , sarebbero
salvi, se anche una sola volta nella loro vita avessero avuta
16 PREDICA D’INTRODUZIONE
la grazia degli esercizi ! Fortunati noi, fratelli miei, che pos
siamo godere di questo favore. Ora vi siamo; ed il Signore
il quale non 'opera inutilmente, compirà i suoi disegni e
manderà a termine la bella grazia cominciata, quasi senza
che noi ce ne accorgiamo, senza grandi nostri sforzi, facen
doci anzi gustare una gioia, una dolcezza, una pace inef
fabile .
II. Forse a qualcuno può parere un po' strano ed esa
gerato il dire che l'attendere agli esercizi sia una vita dolce,
consolante e soave. Eh ! ... Signori miei, io voglio accordare
che alla nostra natura, alla delicatezza nostra possa tornar
duro e pesante l'adattarsi qui per otto giorni a star chiusi
e ritirati , avere fissato il riposo, fissato il cibo, fissato il
tempo di tutte le nostre azioni, noi che lungo l'anno in
gran parte abbiamo la giornata a nostra disposizione ed
in nostra libertà. Si, io voglio ammettere che questo genere
di vita pesi un tantino ; ma sia pur come si vuole, non è
questo da porre a confronto con ciò che Dio sa far gustare
a chi lo cerca, a chi s'arrende a venir con Lui in questo
tempo . Non habet amaritudinem conversatio illius, nec
taedium convictus illius (1 ) ; è parola dello Spirito Santo,
e non v'è alcuno che possa arrivare a smentirla. Il mondo
è pieno di gente stanca dei rumori e trambusti, annoiata
perfino dei piaceri ; ma non si trova un solo uomo, che
unito e stretto al suo Signore , senta peso e gravame. Val
più ed è mille volte più dolce il ritiro , in compagnia del
Signore, che non tutte le delizie di questa terra. La gente
del mondo non crede tali verità ; essa guarda questi giorni
con orrore e spavento, epperciò li teme e fugge ; ma che
volete mai s'intenda il mondo di esercizi , di ritiro e di
solitudine, mentre è sempre tutto sossopra, in confusione,
fra lo strepito ed il rumore ? È impossibile che lo possa
conoscere ; dico di più : il mondo non è neppur degno di
(1 ) Sap. VIII. 16.
PREDICA D’INTRODUZIONE 17

sapere quello che passi tra un'anima e Dio in questi luoghi;


di conoscere dolcezze, le carezze che Dio tien riservate
ai cuori che lo ascoltano; i gemiti, i sospiri, gli slanci, i
voti d’un'anima che tratta, che parla col suo Signore, hanno
niente che fare col fango di questo mondo.
Fratelli miei cari; noi siamo obbligati, anche contro nostra
voglia, a star tutto l'anno in mezzo al mondo, a sentirne
le amarezze , vederne i guai, le miserie d'ogni genere ; più
d'una volta ci sentiamo annoiati, stanchi da quasi esserci di
peso la vita. È vero che quando il possiamo, guardiamo di
prendere un po' di fiato e di requie nella nostra camera,
ai piedi del Crocifisso, o alla presenza di Gesù Sacramentato ;
ma queste non sono che piccole goccie di conforto e di re
frigerio ; il vero ristoro noi lo troviamo negli esercizi; qui
soltanto abbiamo campo a dire al nostro buon Padre tutti i
nostri crucci; ad aprire intieramente il nostro cuore ; a fargli
conoscere il nostro stato, i nostri timori, i nostri pericoli.
Un figlio, che si trovi lungi dal padre suo ed immerso in
mille affanni, manda qualche notizia al padre, sia per averne ,
consiglio e norma, sia per riportarne sollievo e conforto ;
ma vedendo che questo non basta, gli va ripetendo che sarà
poi necessario fissar un tempo per vedersi e parlarsi a lungo,
a fine di poter dire ogni cosa ed intendersi più da vicino.
Orbene, poniamo che questo figlio, bisognoso qual è di con
sigli e di coraggio, potesse venir a capo di questo suo pro
getto, trovarsi con suo padre, e con tutto suo comodo po
tesse dire ad una ad una, tutte le sue pene, contar tutti
i suoi guai, e trovare cosi un rimedio a tutti i suoi mali.
lo dimando a voi, se questo figlio troverebbe grave, noioso
e pesante quel tempo, o non piuttosto fecondo di gioia, di
pace e di conforto. Eccovi, fratelli miei, il caso nostro. Noi
nel mondo, nel nostro ministero, nel nostro impiego qua
lunque sia, siamo attorniati più o meno da crucci, da affanni,
da inquietudini , da timori. Sovente andiamo dicendo :
18 PREDICA D’INTRODUZIONE
Signore, ricordatevi di me ; io ho il tale cruccio, mi trovo
nella tale angustia, epperciò ho bisogno di Voi . — Ma noi
stessi ci accorgiamo che questo non basta; noi medesimi
conosciamo che ci è necessario un tempo più lungo, più
comodo, per dire tutte le cose nostre, per conoscere bene
la volontà del padrone che ci ha mandati a lavorare. Le
occupazioni che più o meno ci assediano, il frastuono in
mezzo a cui viviamo, e sovente anche la poca voglia, tutto
fa si che siano ben rare e brevi le relazioni , le confidenze
che passano tra noi ed il nostro buon Padre. Ebbene, fra
telli miei, ecco finalmente un tempo, in cui ognuno, con
tutto il comodo, può dire, può confidare a questo buon Dio
ogni suo male , ogni suo timore, ogni sua angustia , sicuro
(ed è questo che più importa) di sentirne un rimedio ed
un conforto. E sarà dunque grave e pesante questo tempo,
sarà cosa triste e melanconica il trattenerci in questi giorni
in isfoghi e confidenze con questo Dio ? Provate, vi dirò io,
gustate, e lo saprete.
E come volete che un ecclesiastico non senta il dolce di
cotesto ritiro, quando pensi che questi giorni sono numerati ,
sono calcolati in paradiso, anzi, ogni momento, ogni menoma
azione vien portata, a registro per essere un di pagata e
premiata ? Come volete non si senta ristorato , incoraggiato ,
animato, quando rifletta che questi giorni lo possono tra
mutare in tutt'altro, gli posson salvare l'anima sua, e colla
sua tante altre ? E come non gioire e non godere, quando
egli sa che pochi giorni passati in questo modo formeranno
sempre la memoria più consolante di sua vita, il conforto
più dolce al letto di morte , l'arma e la difesa più bella e
sicura al tribunale del Signore? Ah ! fratelli miei, che più
tardiamo ? Già siamo sul luogo ; entriamo dunque in campo
e proviamo, e non avremo più bisogno che altri ci venga
a ragionare, a persuadere ; questo buon Dio ci conforterà
talmente che resteremo stupiti , sorpresi di noi medesimi.
PREDICA D'INTRODUZIONE 19

III. Ci resta ora a vedere come dobbiamo diportarci in


questi giorni, perchè Dio possa compiere in noi quello che
già ha cominciato , e cosi possiamo provarne quel gusto e
quella consolazione che io vi diceva.
Prima di ogni altra cosa noi dobbiamo essere ben persuasi
che questi esercizi sono proprio una grazia ben preziosa per
noi , una grazia specialissima , unagrazia che Iddio non fa a tutti,
una grazia da cui può dipendere la nostra salute e la maggior
gloria di Dio in Cielo ; una grazia alla quale possono essere le
gate grandi conseguenze, tanto per noi, quanto per gli altri;
una grazia che sarà una caparra di quell'ultima , qual è morir
santamente. Datemi un sacerdote che sia praticamente con
vinto di tale verità ; per costui non occorre più altro perchè
passi santamente questi giorni ; poichè è impossibile che egli
voglia perdere un tempo che conosce di tanto valore. Al
contrario, se ci manca questa sincera convinzione, varrà
ben poco tutto il rimanente, perchè non ci metteremo mai
davvero. Ma qualcuno può dire : – Come fare ad avere
questa intima convinzione ? A me pare di avere ancor sempre
tenuto una vita da buon sacerdote ; ho buona volontà, lavoro,
sicchè per me gli esercizi li credo una cosa buona si , ma
non poi di tanta importanza. - Fratelli miei ; io rispondo
brevemente. Voi siete venuti di propria volontà, come sup
pongo, e questo è già un forte argomento per poter dire
che l'avete questa convinzione, e che credete gli esercizi di
tutta importanza ; perchè altrimenti non vi sareste mossi da
casa , esposti a disastri ed incomodi. Quando poi vi fosse
qualcuno che fosse venuto perchè eccitato, stimolato e quasi
costretto, di modo che gli esercizi fossero soltanto volontarii
secundum quid, se costui non fosse convinto della grazia
speciale che Dio gli fa concedendogli questo ritiro, gli direi :
Senti, caro ; tutto il mondo, almeno tutti i buoni eccle
siastici, hanno sempre riconosciuto nel ritiro e negli eser
cizi una grande virtù ; a te par diversamente; che segnale
20 PREDICA D'INTRODUZIONE
è questo ? Uno che dica di non vedere, o stenti a vedere
in piena luce un oggetto quando tutti gli altri vedono, è
segno che egli ha perduto la vista e che ha bisogno di
lume; perciò se qualcuno di noi non conosce l'importanza
degli esercizi , è vero segno che esso non vede, ed io lo
consiglio stassera andando in camera, a gettarsi ai piedi del
Crocifisso e dire a Gesù con quel cieco del Vangelo :
Domine, ut videam : Signore, che io veda le vostre mire,
che io conosca la grazia di questo tempo. Quando non
ricavassimo altro frutto da questi esercizi che una giusta idea
del ritiro e della solitudine, sarà già un frutto ben grande
ed una grazia segnalata per un ecclesiastico.
L'altra cosa che ci tocca fare per rendere ben proficui
questi giorni, si è di metterci di buon animo e non lasciarci
abbattere dalle difficoltà o reali o immaginarie che si pos
sono incontrare. Sovente negli esercizi, anche alle persone di
buona volontà, si presentano purtroppo paure, timori , affanni,
inquietudini, pene pei peccati passati , pene per le decisioni in
riguardo all'avvenire, pene sulla confessione ; alcune volte
s'aggiungono ancora altri inconvenienti ; non si sta bene, si
teme di soffrirne, e andiamo dicendo. Fratelli miei, è im
possibile dar mano ad un'opera del Signore, senza che il
demonio non s'immischii per attraversarla ; e se voi vi sen
tite assaliti da questi timori e da queste difficoltà , ben lungi
di disanimarvi, state allegri ; egli è segno evidente che il
demonio teme i vostri esercizi ; ed io spero molto da chi,
al cominciarli, si trova cosi bersagliato. D'altronde, tali pene
spariranno, o questo Dio vi penserà Egli per noi. Se non
altro ci manderà un Angelo nella persona d'un suo ministro,
per mezzo del quale ci parlerà, ci dirà i suoi secreti, la
sua volontà ; ci dirà parole di conforto, di luce, di coraggio ;
ci dirà insomma parole di paradiso, da mandarci tranquilli,
quieti e contenti alle nostre case: - Va , o fratel mio ; Dio
t'ha perdonato ; datti pace, o caro, il Signore ha niente con
-
PREDICA D'INTRODUZIONE 21

te ; coraggio, amico mio, non aver paura e non affannarti;


Dio è contento del tuo posto e dei tuoi lavori; quiete, o
sacerdote, via quell'incertezza, non cercar altro, chè tal è
la volontà del Signore ; basta, o ecclesiastico, quella con
fessione, quell'accusa, non andar più oltre, chè già tutto è
finito ; non se ne parli mai più, si sotterri ogni cosa, si preghi,
si lavori, si viva da bravo e più non si temă, chè la morte,
la gloria, la mercede dei buoni operai sarà per noi. -- Ah !
che parole benedette; oh ! che balsamo di pace per un cuore
angustiato, titubante e martoriato !
La terza cosa che raccomando, è la risoluzione pronta,
franca e generosa di voler assolutamente secondare in tutto
la volontà del Signore ; è questa la massima grandemente
raccomandata da S. Ignazio, d'intraprendere cioè gli esercizi
magno ac liberali animo ( 1 ). Si, o fratelli, se Iddio in questi
giorni ci parlerà al cuore (e ci parlerà certamente), se ci farà
conoscere il vuoto dei nostri giorni, la bassezza dei nostri
fini nell'esercizio del ministero e fors’anche l'enormità di
qualche nostra colpa ; se il Signore esigerà da noi un sa
crifizio, un taglio, una risoluzione, sia pur grande, deh ! o
cari, guardiamoci bene dallo sprezzar questa voce e lasciar
andare a vuoto questo tratto della divina misericordia. Noi
non sappiamo quali siano i fini e quali le mire del Signore
nel chiamarci a questi esercizi ; ma è certo che un fine lo
ha e grande ed alto, come grande ed alta è la nostra vo
cazione. Se noi ci limitiamo a secondare il Signore solo sino
ad un certo punto, e restringiamo la nostra volontà verso
di Lui, ci esponiamo al pericolo di rompere i suoi disegni
e di perdere cosi in tutto od in parte, il frutto di questi
giorni. No, no ; non sia questo di noi : – dite pure , o Si
gnore, ciò che volete da me; io sono pronto a tutto, mi
piaccia o non mipiaccia, costi poco o molto, nulla importa ;
sono venuto qui per conoscere i vostri desideri ed i vostri
(1) Eserc. Spirit. V Annot.
22 PREDICA D'INTRODUZIONE
comandi e li voglio eseguire : loquere, Domine, quia audit
servus tuus ; Domine, quod bonum est in oculis suis,
faciat ( 1 ). A me tocca fare, ubbidire ; a voi disporre.
Questa franca e generosa risoluzione ci frutterà non poco,
e primieramente con essa avremo il merito di tante cose
senza farle. Noi sappiamo che il Signore calcola e premia
la buona volontà come l'opera; pertanto un sacerdote che
si disponga e si risolva a tutto, ha un merito eguale come
se facesse il tutto. Non è forse consolante il pensiero di
poter, con questa sola disposizione, prendere parle a tante
opere buone, senza punto muovermi di camera, di poter con
questo solo atto, arricchirmi di tanti meriti? Oh ! facciamolo,
fratelli miei, facciamolo fin d'ora, e diciamo di cuore a Dio :
Signore, se mi volete in quel paese, in quell'impiego,
in quel posto, eccomi pronto ; se mi volete in tutt'altra parte,
in altre occupazioni, al confessionale, sul pulpito, allo studio,
in casa, fuori di casa , dite pure, io sono disposto a fare in
tutto la vostra adorabile volontà. — Ecco la maniera di gua
dagnare, di meritare senza fatica. L'altro vantaggio di questa
generosa risoluzione è la certezza che Iddio allargherà anche
più il cuore e le mani con noi. Quale compiacenza infatti
non deve provare il Signore allorchè vede un suo ministro
prostrarsi ai suoi piedi, e dirgli; Ecce ego, mitte me (2): Signor
mio caro, sono ai vostri cenni, ai vostri comandi, in qua
lunque ora, in qualunque cosa, per ogni dove : mitte, mitte
me! Un motivo ancora che deve animarci sempre più a
questa nobile risoluzione, si è il pensiero che questi esercizi
possono essere gli ultimi per qualcheduno di noi. Io non mi
fermerò su questo punto ; ricorderò soltanto che da essi può
dipendere tutto il nostro avvenire, e che questi giorni pos
sono essere per noi di vita o di morte, secondo le disposi
zioni con cui li avremo passati. Attenti adunque alla gran
massima di S. Ignazio : magno ac liberali animo.
(1 ) I Reg. III . 10. 18. (2) Isai. V. 8 .
PREDICA D'INTRODUZIONE 23

Finalmente l'ultima cosa che ci resta a fare in questi


esercizi, è l'osservanza esatta di quanto concerne l'ordine
ed il buon andamento di questi giorni: Qui timet Deum ,
nihil negligit (1 ). Questa sentenza deve valere sempre per noi,
ma molto più in questo tempo ; di modo che chi vuol com
piere veramente l'opera di Dio in questi giorni, deve far
caso di tutto e negligentar niente. Gli esercizi sono come
una macchina divina, composta di tante minutezze ordinate
tra loro : orazion vocale, orazion mentale, esami, canti, letture
in chiesa, in camera , ricreazione, riposo, silenzio, una cosa in
trecciata coll'altra. Se si fanno tutte a tempo e luogo, con pun
tualità, la cosa va stupendamente ; fate invece che una sola
si guasti e non si osservi , e voi vedete subito una confu
sione : uno va, l'altro viene ; chi arriva presto, chi tardi;
chi sta quieto, chi parla ; non si sa più a qual punto si
sia, che cosa si faccia. Ciò che poi è principalmente impor
tante si è il silenzio. Fratelli miei, io oso dire che l'esito
ed il frutto di questi esercizi dipende dal silenzio che si
terrà in questi giorni : se regnerà tra noi una vera solitu
dine e si osserverà a rigore questa regola, io ne spero
tutto il bene ; se și osserverà soltanto a metà , il nostro esito
sarà meschino; se poi regnasse la divagazione e non vi
fosse ritegno nel parlare, noi batteremo l'aria e faremo un
bel niente. Un secolare, il quale non aveva mai fatto gli
esercizi, interrogato se sapesse che cosa essi fossero, stette
un po' sopra pensiero, e poi disse : - Sono giorni di si
lenzio, giorni in cui bisogna star quieto ; giacché, stando
quieto, si pensa e si prega. Eccovi, fratelli miei, una
definizione tutta nuova, se volete, degli esercizi , ma che va
a toccarne le midolla . Taciamo per carità, o cari, facciam
silenzio, se vogliamo che parli il Signore ; certe voci si sen
tono solo nella calma perfetta, e le confidenze più strette e
secrete non si fanno che in luoghi appartati e quieti. Figu
(1 ) Eccl. VII . 19.
24 PREDICA D’INTRODUZIONE
ratevi che un amico incontri un altro e gli dica : Senti ,
io ho poi una confidenza a farti ben secreta... eh ! ... pro
cura poi di lasciarti vedere in qualche sito remoto, senza
fretta e con tranquillità che io possa dirti il tutto, e farmi
intendere. - Supponiamo ora che l'altro dicesse : - Perché
tante condizioni e cautele ? se hai qualche cosa a dirmi, dillo
qui. Quale risposta ne otterrebbe ? – Eh ! caro , le con
trade, le piazze, le case rumorose e piene di cicaleccio non
sono luoghi adatti a queste confidenze ; -e potrebbe pure
aspettare, ma la confidenza non si farebbe, e quand'anche
la si facesse, v'è pericolo di non intenderla bene. È questo
il caso nostro . Col pensiero degli esercizi Iddio ci volle dire
che aveva confidenze a farci; forse noi avremmo preferito
che ci parlasse anche a casa, ma non cosi Iddio ; Egli disse
a ciascuno ; Se non vieni fuori dal mondo io non parlo .
Che se il Signore anche qui chiusi ci scorge divagati,
loquaci poco più, poco meno... v'è pericolo che ci dica an
cora: – È inutile che io parli giacchè non m'intendete; – ed
anche dopo aver fatti gli esercizi noi ritorniamo a casa
come siamo venuti. Ognuno di noi adunque faccia ogni
giorno un patto colla sua lingua, e fuori delle ore stabilite
non parli affatto. Sulle prime ci parrà un po' duro, ma
dopo poco tempo le difficoltà spariranno ; facciamolo anche
per ispirito di mortificazione, e Iddio ci pagherà ogni pa
rola che riteniamo per Lui.
V'era un ecclesiastico il quale faceva gli esercizi alla
moda, tenendo poco conto della regola del silenzio. Chi di
rigeva gli esercizi si stimò in dovere di avvisarlo alle buone .
Sapete la risposta che n'ebbe ? Guardò bruscamente chi gli
usava quella carità e poi gli disse : – Senta , io ho una
casa e ben comoda, ho tanto di reddito e poco m'importa
l'andarmene ; se ella mi dice ancor qualche cosa, io me ne
vado. – Ah ! Dio buono, fanno pietà questi ecclesiastici .
Un secolare al contrario, giovane, vivace, accostumato a

:
PREDICA D’INTRODUZIONE 25
enti, vivere in mezzo allo strepito delle armi, faceva parimente
pro gli esercizi in altra occasione ed era cosi esatto in tutto, e
enza
principalmente nel silenzio, che qualcuno credette bene far
ami gliene elogio. — Che elogio ? rispose il giovane capitano,
io penso che debba farsi cosi e sia niente più del dovere,
lillo
perchè ogni cosa , o non farla, oppur farla come si deve.
con Non abbiamo rossore, o miei fratelli, di prendere questa
non lezione dalla bocca d'un militare ; chè il buono si prende
ouve
da chicchessia. Siamo venuti a fare gli esercizi mentre
che potevamo starcene a casa e lasciarli ; dunque facciamoli
sto bene, altrimenti andremo via di qua credendo d' averli
lire fatti e non sarà vero ; li avremo guastati ed avremo
rito fatto una cosa che non avrà alcun nome. È meglio prescin
Esse dere affatto dagli esercizi, che farli a metà, poichè non fa
clo. cendoli, conosciamo d'esserne privi, epperò possiamo almeno
ti . dubitare del nostro bisogno e disporci a farli bene una
an volta; al contrario, credendo d’averli fatti, quando non è
vero , ce ne stiamo tranquilli nel nostro inganno.
Esa Finalmente non dimentichiamo la nostra cara madre Maria ;
Eni ognuno di noi la preghi e le dica con confidenza di figlio :
Ete O cara Madre dei sacerdoti, che già vi trovaste unita cogli
la Apostoli là nel cenacolo e con loro pregaste, aspettando il
le compimento delle divine promesse, deh ! venite pure a se
E dere in mezzo a noi, fate in questi giorni una cosa sola
con noi. - E possiamo essere sicuri che Maria non rifiu
a terà il nostro invito. Essa fu madre del primo Sacerdote,
i visse e mori tra sacerdoti, a lei fummo affidati, a lei preme
2. troppo il bene e l'onor nostro, come lo stesso onor del suo
li Figlio ; sicchè non solo verrà, ma verrà per aiutarci, per
animarci, verrà per dirci : – Coraggio, o figlio, non temere,
sono qui per te. — Quindi immaginiamoci di averla seduta
in mezzo a noi, di vederla, di fissarla, di parlare con Lei.
Questo pensiero, o miei fratelli, di aver compagna e pre
sente la nostra Madre Maria , ci sia d'impegno a regolarci
CAFASSO - Eserc . Spirit . Medit .
26 PREDICA D'INTRODUZIONE

in modo, anche esternamente, che nulla possa offendere


l'occhio di questa Madre e ci tenga il cuore aperto a grandi
speranze ; di modo che ciascun di noi in ogni angustia, in
ogni affanno possa correre liberamente da lei e dirle con con
fidenza : Madre, tocca a voi, Madre, ho bisogno di voi .
Eccovi adunque, fratelli miei, quel tanto che io voleva
dirvi in questa sera per animarci vicendevolmente in questa
santa impresa. Con sentimenti si generosi e con confidenza
si grande non potrà a meno che essere abbondantissimo il
frutto del nostro ritiro. Oh quanto bene possono aspettarsi
Iddio e la Chiesa da si bel numero di sacerdoti ritirati
in esercizi ! quanti peccati di meno già si possono contare
nel mondo e quante anime di più in Paradiso ! Orsù met
tiamoci con impegno: fuge, terminerò col celebre avviso
che dava già S. Arsenio a chi voleva far profitto nello
spirito, fuge, tace, quiesce : fuggi, ritirati e taci : fuggi lo
strepito del mondo, e questo noi già l'abbiam fatto ;
datti al ritiro, e noi già vi siamo; taci ancora ; se noi fa
remo anche questo, come spero, il nostro profitto e la nostra
salute saranno assicurati : fuge, tace, quiesce ; haec sunt
principia salutis.
MEDITAZIONE PRIMA

Fine dell’ Uomo e del Sacerdote.

PREGHIERA. Grande Iddio, io mi presento dinnanzi å


Voi, e prostrato avanti la Vostra Divina Maestà vi confesso
e vi adoro per mio Dio, mio Creatore, mio padre. Permet
tetemi, o Signore, che in questi giorni mi trattenga e parli
con Voi : si, lasciatemi godere della vostra divina conver
sazione. Ah, mio Dio, parlate, ma parlate chiaro al cuore
d'un vostro servo, d'un vostro ministro, che cerca, che
brama di sapere, di eseguire la vostra santa ed adorabile
volontà : loquere Domine, vi dirò col buon Samuele, quia
audit servus tuus ; fate che io apra gli occhi in questi
giorni e comprenda il mio fine sulla terra e le vostre mire
sopra di me : Notum fac, Domine, finem meum . - Doce
me facere voluntatem tuam . O Maria, a voi pure mi ri
volgo, e vi prego, o cara Madre dei sacerdoti , di farmi
sentire le vostre voci con quelle del vostro caro Gesù. An
gelo mio Custode, Santo tutelare di questa Chiesa, Angeli
e Santi tutti del cielo pregate per me.

Il pensiero che forma come la base e il fondamento dei


nostri santi esercizi e del nostro spirituale profitto, voi lo
sapete, si è quello del nostro fine. Il dottore S. Bernardo,
28 MEDITAZIONE PRIMA
abitando il suo eremo, cercava di ricordare sovente a se
stesso il fine per cui era entrato in religione e nel chiostro :
Bernarde, ad quid venisti ? Se la noia, l'abbattimento, la
dissipazione tentavano di entrare in quell'anima grande,
l'arma che il Santo teneva per sua difesa era questa : la
memoria, la ricordanza di quel giorno e di quel fine che
l'aveva portato colà. Orbene, se un monaco, lontano da tanti
pericoli e provvisto di tanti aiuti, abbisognava di rammentar
sovente a se stesso il suo proprio fine, che sarà e che dovrà
dirsi di un ecclesiastico, il quale vive nel mondo esposto
ad ogni sorta di dissipazioni, attorniato e stretto da tante
lusinghe e da tanti pericoli ? A dirvela francamente fin da
questo primo giorno, io temo assai di quel sacerdote che
non entri qualche volta in se stesso per domandarsi : — che
faccio io in questo mondo ? qual è la mia vita ? qual è il
mio fine, e quale sarà il mio termine ? – Ella è verità
affermata da giornaliera esperienza, che tutti i disordini,
cosi dei secolari come dei sacerdoti, provengono appunto dal
non raccogliersi, dalla mancanza di riflessione. Guai a quella
persona, guai a quell'ecclesiastico che non pensa ! Procu
riamo pertanto di raccoglierci seriamente nella considera
zione importantissima del nostro fine, che io intendo formi
lo studio, l'occupazione di tutto intero questo primo giorno
degli esercizi.
Doppio è il nostro fine : l'uno presente, da compiersi
quaggiù ; l'altro futuro, che ci attende lassù nel Cielo. L'uno
e l'altro meritano tutta la nostra più seria considerazione.
Noi sceglieremo il primo in questa mattina per esaminarne
la natura, l'estensione, la necessità , i vantaggi in questi
due punti: 1 ° Qual è il nostro fine sulla terra, e che
cosa richiede e vuole da noi ? 2° Quali sono i motivi prin
cipali che ci debbono impegnare a corrispondere, a com
piere questo fine ? Tale meditazione, io spero, ci porrà in
grado di far un esatto giudizio sulla nostra vita passata e
FINE DELL'UOMO E DEL SACERDOTE 29
di conoscere i grandi bisogni della nostr'anima. Affido la
mia povera parola all'infinita misericordia del Signore, alle
tenerezze della nostra cara Madre Maria, perchè tutto ridondi
alla maggior gloria di Dio, a conforto e sostegno della de
solata sua chiesa ed al più grande vantaggio della mia e
della vostra eterna salute. Incominciamo.
I. Essendo noi una fattura di Dio, una cosa tutta sua,
Egli solo ne è il padrone, ed a lui tocca disporre di noi,
nè siamo noi liberi di fare a modo nostro ; epperò resta di
somma importanza che noi entriamo addentro a quella mente
divina, dove abbiamo avuto la nostra origine, per vedere,
per esaminare il gran perchè della nostra creazione. Creatus
est homo ad hunc finem , ut Dominum Deum suum laudet
ac revereatur, eique serviens tandem salvus fiat ( 1 ) ; sono
le celebri parole di S. Ignazio, le quali meritano la nostra
più seria considerazione. In queste poche parole sono ro
vesciati tutti quanti i progetti, i calcoli degli uomini. Ognuno
a questo mondo ha i suoi fini; li medita, li rumina, vi
lavora attorno, si consuma per conseguirli ; così il laico,
cosi anche l'ecclesiastico, cosi il ricco ed il povero, il
vecchio ed il giovane, tutti insomma vivono in questo mar
tirio e sotto questo torchio de' proprii desiderii, de' proprii
fini. Ebbene, tutta questa serie, tutta questa schiera e fa
lange di viste, di mire, di progetti, che tiene come in com
bustione tutto quanto l'uman genere, deve tacere e come
scomparire davanti a quel gran fine, per cui solamente
l'uomo deve vivere ed operare. Creatus est homo ad hunc
finem , ut Dominum Deum suum laudet ac revereatur. Noi
non siamo al mondo, non viviamo nè per noi , nè per la
casa , nè per i parenti, nè per il paese ; noi non esistiamo
per far progressi in questa od in quella scienza, per arri
vare a quell'impiego, per riuscire in quell'affare; noi siamo
creati unicamente per Dio, per l'onor suo, per la sua gloria,
(1 ) Exerc. Sp. cap. de fund .
30 MEDITAZI PRIMA
ONE
destinati tutti a questo solo fine di servir Dio fedelmente.
Ed invero, che io sia creato per Dio me lo dice primiera
mente la fede : Universa propter semetipsum operatus est
Dominus (1 ); ora se ogni cosa fu creata per Dio, lo è molto
più l'uomo, che è la prima fra le creature visibili. La ra
gione poi mi persuade non potervi essere altri che Dio, che
formar possa l'oggetto d'una mente insaziabile di conoscere,
e di un cuore stanco e spossato, sempre bramoso di un
contento pieno e illimitato, spinto continuamente da un bi
sogno irresistibile e quasi infinito di amore ; bisogno che
non può essere soddisfatto dalle imperfezioni, dall'incostanza,
dalla vanità delle creature. Il cuore infine è quello che mag
giormente me lo ricorda e me lo fa toccar con mano ogni
di per mezzo dell'esperienza : la calma, la pace, la conten
tezza che esso gusta allorchè si avvicina a Dio e lo ascolta ,
e per contrario l'inquietudine, il rimorso, l'angoscia che
sente allorquando se ne allontana, sono una prova più che
evidente che il nostro fine, il nostro destino, la nostra oc
cupazione sulla terra non può, non deve essere altra che
lui : un Dio da conoscere, un Dio da amare, un Dio da
servire. Ecco, fratelli miei, lo stretto nostro dovere sulla
terra. Ma pure in pratica è ben tutt'altro il fine, per cui
si vive quaggiù. Se nel mondo si lodi Dio, si onori, si
serva a lui , voi lo sapete al pari di me. La maniera di
vivere, di parlare, di pensare degli uomini, fa conoscere
abbastanza quanto ne sieno lontani. Oh ! almeno l'eccle
siastico, in mezzo a tanta depravazione e fra tanto abuso
di tempo, di forze e di vita tendesse fermo al suo destino
e fosse atto a far lume co' suoi costumi a tanti ciechi, che
vivono senza sapere il perchè ! Guai se questo lume ancor
si estingue ! Guai se anche il sacerdote, dimentico della
propria destinazione, si mette ad ingrossar la turba di tanti
infelici ! Ma lasciamo stare tali riflessi dolorosi, che non è
(1 ) Prov. XVI . 4.
FINE DELL'UOMO E DEL SACERDOTE 31

nè il tempo, nè il luogo di ponderare, e stiamo al principio.


Il sacerdote, come qualsiasi altro uomo, è nato per servire
t. il Signore: creatus est homo..... ut Dominum Deum suum
D
laudet. Comprendiamolo bene, cari miei, qui non si tratta .
di suggerimento, di consiglio o di un precetto qualunque,
e ma si tratta di assoluta necessità . Non è necessario che io
abbia sanità, ingegno, fortuna, od una posizione onorevole nel
2 mondo ; non è necessario che io viva lungo tempo, anzi
nemmeno che io mi trovi al mondo ; ma supposto che io
2 vi sia, come realmente vi sono, è necessario e mi è indi
spensabile che io serva Dio. Applicando poi la cosa a noi
in particolare, tutti sappiamo che il sacerdote vien detto, e
i deve essere realmente, un uomo di Dio : homo Dei ( 1 ). Per
vocazione è stato chiamato in special modo ad arruolarsi
al servizio divino : omnis pontifex ex hominibus assumptus,
pro hominibus constituitur in iis quae sunt ad Deum (2) ;
e nella sacra ordinazione, per un atto solenne della propria
volontà, egli si è consecrato totalmente a questo culto : Do
minus pars haereditatis meae. Si, il sacerdote è l'uomo
di Dio, un uomo cioè, un personaggio venduto, consecrato
e dato intieramente agli interessi di Dio, un uomo che da
mane a sera lavora per l'onore e per la gloria di Dio. Sicché
sulla chiarezza, sulla certezza, sulla necessità del nostro fine,
2

della nostra destinazione sulla terra, non può cadere alcun


dubbio, e solo ci resta di ben comprendere che cosa voglia
dire, che cosa importi in noi questo fine. È presto detto
che un ecclesiastico è nato, è chiamato, destinato a servir
il Signore; ci vuol poco a pronunziare, a dire: – io sono
qui per servire Iddio, è questo il mio fine; — ma la vita
e la condotta è poi tale quale conviene ad un uomo, ad un
sacerdote come son io, quale esige la mia qualità di servo ?
Fermiamoci un po' ad esaminarlo.

(1 ) I Timoth . VI . 11 . (2) Hebr. V. 1 .


32 MEDITAZIONE PRIMA

Tre sono le condizioni che indispensabilmente si ricer


cano nel sacerdote, perché riesca un vero servo del Signore:
1 ° essere disposto a servir questo Dio senza eccezioni, vale
a dire tenersi continuamente ai suoi comandi; 2 ° servirlo
in modo che appieno lo soddisfi e lo contenti, cioè pron
tamente, esattamente e con garbo; 3° infine non aver altro
di mira in questo divino servizio che l'onore e la gloria di
Dio. Mancando una sola di queste tre condizioni, è inutile
darcela ad intendere ; noi manchiamo al nostro fine, siamo
fuori del numero dei veri servi del Signore. La cosa è chiara,
e non occorre nè tempo, nè fatica per comprenderla.
Ed infatti, per cominciare dalla prima condizione, che cosa
vuol dire servir uno ? Vuol dire essere a' suoi comandi, a’
suoi cenni , alla sua disposizione, e non per un momento ,
per un'ora, per un giorno soltanto ; ma sempre e dovunque,
perchè il servo, in quanto è servo, sempre dipende, sempre
può essere comandato, e sempre deve ubbidire. Piaccia o
non piaccia il servizio, si voglia o non si voglia, costi poco
o costi molto, chi vuol essere servo deve ubbidire senza
eccezioni ; di modo che chi serve non è più padrone di sè,
ma piuttosto è una persona ceduta e venduta al suo pa
drone, da non aver quasi più gusto e volontà propria, perchè
il suo gusto, la sua volontà dev'essere quella del suo pa
drone ; e chi non è tale, o non è servo, od è un servo per
metà, e , quel che è peggio, un servo cattivo. Dunque un
ecclesiastico che sta ozioso o lavora a salti, cioè a dire,
solo quando ne ha voglia o non sa che fare, quando nulla
lo incomoda, quando lo sanno prendere pel suo verso, quando
nessuno lo contraria, quando gli danno il primo luogo, non sarà
mai un servo fedele del Signore; sarà un servo, si, ma un servo
capriccicso, un servo pigro, un servo di nome e di livrea e
niente di più. Ed ahi ! che purtroppo ve n'hanno nella Chiesa
di questi servi di puro nome. Fatevi dappresso a molti sacer
doti, osservateli da mattino a sera, in casa e fuori casa ;
FINE DELL'UOMO E DEL SACERDOTE 33

ditemi quel che fanno, fuorchè la Messa ed il Breviario :


se studiino, se preghino, se insegnino, se lavorino in qualche
parte del ministero ..... Chi sa quanti giorni noi troveremo, in
cui non si vede traccia del loro servizio, oziosi da mattina
a sera, oppure occupati in tutt'altro che in opere del Si
gnore. Dite a certi ecclesiastici, che diano mano ad una
data opera, a far un catechismo, ad assistere ad una fun
zione, a visitare un infermo, a sentir confessioni; vedrete
quanti pretesti metteranno fuori, e quanta fatica ci vorrà
ad indurli ; e poi lo dicono francamente essi medesimi che
non ne hanno voglia, che è loro di peso, e li incommoda.
E questo è servir Dio, qualificarsi per suoi servi, chiamati,
destinati specialmente a Lui ?. Eh, cari miei, chi non vuole
incommodarsi non si metta a servire; chi vuol contentare
sè stesso, vivere a suo talento e capriccio, non si dia ai co
mandi altrui. Il grande S. Vincenzo soleva dire nelle sue
conferenze, che un buon sacerdote deve essere nelle mani
del Signore come un animale da soma alla discrezione del
suo padrone : esso va , viene, e porta senza fare distinzione
alcuna. Fratelli miei , ricordiamoci che la qualità e la
missione nostra non è già una qualità e una missione di
puro nome, che porti solo l'apparenza di servire e di fati
care senza che lo sia in realtà ; essa richiede fatiche, su
dori, stenti, onde ci vogliono operai forti e robusti , di cuore
e di virtù, e Iddio non terrà altra misura, nell'assestarne
i conti , che quella del proprio lavoro : unusquisquepropriam
mercedem accipiet secundum suum laborem (1 ).
Il vero servo adunque deve star continuamente ai co
mandi del suo padrone. Non basta: ciò che gli vien ingiunto
e comandato deve ancora essere da lui eseguito in modo
che pienamente contenti e soddisfi il suo padrone; e, per
esser tale, bisogna che il suo servigio sia pronto, esatto,
fatto con buon garbo, di buona grazia, con decoro e con
( I) I Corinth . III . 8.
34 MEDITAZIONE PRIMA

gravità. La puntualità, l'esattezza, la fedeltà nel servire,


quanto è mai lodevole e quanto è stimata anche tra gli
uomini! Quanto mai un padrone si compiace e tien pre
zioso un servo, quando vegga che i suoi desideri sono co
mandi , eseguiti sul punto, senza ritardo, senza dimezzarli ,
senza cercar scuse e pretesti ; e tutto ciò di buon cuore, volen
tieri, e senza il benchè minimo lamento, anzi con gusto, con
piacere, con soddisfazione anche quando sia un lavoro vile,
incommodo, faticoso ! Ah , se ogni ecclesiastico fosse un servo
di questa natura pel suo Signore ! Certamente, o cari, di
ciamolo pure a nostra consolazione e conforto, non mancano
tra noi questi veri servi di Dio, la cui vita non è altro che
un impegno, uno studio, un'ansia continua di servir bene
il Signore ; tutto il rimanente vada come vuole, poco loro im
*
porta, purché si serva Dio ; se hanno un desiderio a questo
mondo, egli è quello di poterlo servire fedelmente; se pro
vano un cruccio, un dispiacere, un crepacuore, allora solo
il sentono, quando appunto ne soffre questo servizio divino.
Ma se non mancano tra noi questi sacerdoti modelli, dob
biamo però confessare a nostra confusione, che molti non
si dimostrano tali. E non fa invero compassione il vedere
il modo con cui tanti ecclesiastici si prestano a servire il 1

Signore ? Lenti, annoiati, infastiditi, cercando tutti i pretesti


per esimersi, o lasciando il servizio il più presto che sia
possibile; quasi che servir il Signore sia un castigo a su
birsi, ed abbiasi a tenere come un peso , una croce, un
martirio insopportabile. Invitate questi ecclesiastici a qualche
1
opera di ministero ; dite loro che vi sono persone che aspet
tano in chiesa, al confessionale, le quali hanno fretta, per
sone che sono venute a chiamare per un infermo, a chie
dere un Sacramento ; fate loro uno di questi inviti e ve
i drete con qual modo servono il Signore ! Un vero servo
di Dio, un buon operaio, a queste chiamate, pare un ful
mine, non vede il tempo di trovarsi sul luogo, e se qualche

I
FINE DELL'UOMO E DEL SACERDOTE 35

affare lo trattiene, si vede che pena, che soffre, e che il


suo cuore ha già precorso e non può più trovarsi lontano.
I sacerdoti invece di cui io parlo, sentono e tornano a sen
tire....., e non è già che non vogliano andare; andranno, ma
- che tanta fretta ! c'è tempo ! ... dapertutto s'aspetta.....
e chi non vuol aspettare è padrone..... non c'è da inquie
tarsi per questo..... - E perchè questo modo di prestarsi a
servir Iddio ? Perchè tanta lentezza, tanta indifferenza ? Fosse
almen per qualche causa ragionevole, meno male ! ma che?
per dormir ancora un tantino, per parlar ancora un poco,
per ridere, scherzare con secolari, per sollazzarsi in gofferie,
in buffonerie che, pel minor male, non hanno utile alcuno.
Finalmente vanno ; mettiamoci un po' ad accompagnarli; guai
se danno ancora in qualche intoppo per istrada ! La minima
cosa li trattiene, e frattanto chi aspetta, aspetti. Ma fate che
arrivino sul luogo ; oh ! allora la fretta li assale tutto in un
colpo, ed è allora che il popolo è obbligato ad essere spet
tatore dello scandalo nostro nel Santuario medesimo ; a ve
dere cioè sacerdoti indossare le vestimenta sacre , ammi
nistrar Sacramenti, distribuir la S. Eucaristia in una maniera
eosi sgarbata, che perfin l'artigiano si vergognerebbe di ma
neggiar in quel modo gli strumenti dell'arte sua. Eppoi quel
celebrare la S. Messa cosi in fretta e divagati, quel recitare
le pubbliche preghiere, il Breviario, senza alcuna sorta di
unzione e di spirito, quel fare di mal umore... Ah ! quanto
a proposito si potrebbe in quel punto, rivolti a questi tali,
dir loro col ven . P. Avila ; Abbi pazienza, o caro, tratta
un po' meglio quel Dio, perchè è figlio d'una buona madre.
Oppure con S. Ignazio : Dimmi, chi ti manda a fare
quell'ufficio, e per chi lo fai? — Naturalmente dovrà ri
spondere : – Eh ! non vedi ? non mi conosci? Son sacerdote, F

fo le veci di Dio ed è Egli stesso che me lo comanda. -


Come? è il Signore che t'incarica, è il Signore che ti manda,
e fai quell'azione per Lui, e tu hai tanto coraggio di farla
36 MEDITAZIONE PRIMA

in quel modo ? – Ditemi, fratelli miei , oserebbe un servo


servir in questa maniera il suo padrone, e sotto i suoi
occhi eseguire cosi sgarbatamente e di mala voglia i suoi
comandi ? Chi sarebbe quel padrone che terrebbe in casa
sua un servo di questa fatta ? Eppur, quante volte il Signore
è servito in questo modo ! Fosse almeno da secolari, ma da
noi ecclesiastici!.... Deh ! scuotiamoci una buona volta, e
mostriamo al mondo che, se serviamo il Signore, non lo
facciamo per apparenza, a metà, e quasi sforzati; ma vo
lentieri, di cuore, e con tutti noi stessi.
Finalmente, per servir degnamente questo nostro padrone
e riuscire veri suoi servi, uopo è di aver sempre la mira
a Lui, col fine, colla intenzione di rendere a Lui solo quel
l'onore e quella gloria che gli è dovuta. Anche tra gli uomini
si calcola il cuore e l'affetto con cui si presta un servizio ;
ma quand'anche vi manchi, l'uomo d'ordinario si contenta
dell’utile e del comodo, qualunque sia il fine con cui si
presti. Ma appresso Dio non è cosi ; Egli non ha bisogno
dell'opera nostra e se l'accetta, la gradisce, la premia, è solo
a questa condizione, che l'opera sia fatta per Lui ; altrimenti
non la conosce, la rigetta, la ripudia, fosse anche la miglior
opera del mondo : Deus de cordibus, non de manibus facta
metitur. E qui, o cari, per aprirvi il mio cuore, è appunto
dove io temo il maggior male, il maggior vuoto in noi ec
clesiastici. È bensi vero, che quelli affatto oziosi da mattino
a sera sono pochi, giacchè i più lavorano e faticano ; ma
questi lavori e queste fatiche sono poi tutte per Dio? E che
vale l'occupare la nostra giornata, quando nei nostri lavori,
nell'esercizio del nostro ministero noi cerchiamo l'interesse
e il guadagno, la stima e l'onor del mondo ? Quando lavo
riamo con fini bassi ed umani, per vanità, per genio ed incli
nazione ? Deus de cordibus, non de manibus facta metitur :
vale più una parola, un passo solo fatto per Dio, che l'opera
più strepitosa del mondo, fatta per fine terreno, per vanità...
FINE DELL'UOMO E DEL SACERDOTE .37

Fratelli miei, meditiamolo bene a fondo questo punto,


esaminiamo attentamente la nostra coscienza, frughiamo in
tutti i ripostigli del nostro cuore, per vedere se nella nostra
vita passata o nelle nostre mire presenti regni davvero il
Signore e sia esso in pieno possesso delle opere nostre ;
oppure se v’entri qualche miseria umana di fine terreno ;
imperocchè, persuadiamoci bene, tutto ciò che non è per
Dio, Iddio non lo tiene per suo. Lo ripeto : Deus de cor
dibus, non de manibus facta metitur. Ecco ciò che esige,
ciò che vuole il nostro fine quaggiù : servir Dio senza ec
cezioni, servirlo con esattezza, con buona grazia, e, ciò che
più importa, nel servirlo aver solo in mira la sua volontà,
i suoi desiderii, la sua gloria.
Deh ! impariamo, o cari fratelli, a servir bene il Signore,
a lavorare per lui da veri servi, da buoni operai ; via la
vista dei nostri comodi, dell'interesse, della vanità, dell'amor
proprio, della stima del mondo; e sia tutto all'esaltazione,
all'onore, alla maggior gloria di quel Dio che siam chiamati
a servire . Non ci spaventino i crucci che ci attendono, non
ci sgomentino gli ostacoli, le difficoltà d'ogni genere che
incontreremo. Purtroppo le insidie del demonio, il poco
frutto del nostro ministero, le nostre stesse miserie, la noia,
la tristezza e la malinconia potranno mettere a pericolo il
nostro fervore ; ed è appunto per allontanare questo peri
colo, che, dopo aver considerato il nostro fine sulla terra,
io voglio porvi sott'occhio i motivi principali che ci deb
bono impegnare a corrispondere alla nostra meta, a com
piere questo fine.
II. Noi l'abbiamo veduto : come uomini e molto più come
sacerdoti, siamo stati destinati a questo solo fine di servir
Dio, ciò è fuor di dubbio. Da quel punto ed in quell'istante
medesimo, che noi deviamo da questo fine, che noi man
chiamo di corrispondervi, non solo noi perdiamo tutto il
meglio, tutto il pregio del nostro essere, ma ne resta per
38 MEDITAZIONE PRIMA

fino alterata sostanzialmente la nostra natura ; di modo che


in questo mondo noi facciamo la figura di quell'istrumento
che nell'officina, non servendo più allo scopo cui era de
stinato, viene dal padrone gettato via, o almeno calcolato
più per niente. Così siamo noi sulla terra, se ci scostiam
dal nostro fine : diveniamo tanti strumenti inutili, tanti
arnesi d'imbroglio in questa grande officina della terra, e
niente più ; e se il padrone ci soffre ancora presentemente
e ci lascia insieme cogli altri, ci calcola però per nulla e
non conta più su di noi ; sicchè siamo uomini e non uo
mini, sacerdoti e non sacerdoti : materialmente siamo tutto
quanto sono gli altri, ma in sostanza siamo un bel niente
davanti a Dio. Deum time et mandata eius observa :
hoc est enim omnis homo ( 1 ) : temi Dio e servilo a dovere;
poichè, sappilo, qui sta tutto l'uomo.
Pesiamo queste importanti parole : hoc est enim omnis
homo : qui sta tutto l'uomo. Dunque, entra qui a ra
gionare un dotto e virtuoso interprete, se qui sta tutto l'uomo,
senza di ciò tutto l'uomo è niente, si hoc est omnis honio ,
ergo absque hoc nihil est omnis homo; ergo qui hoc non
agit, nihil agit; ergo qui hoc non est, nihil est. Adunque
quand'anche io fossi il primo scienziato del mondo, il più
celebre predicatore, se nel mio stato non servo il Signore,
non opero per Lui , sono un bel niente : absque hoc nihil est
omnis homo. Io che in quel posto, in quel paese sembro
una gran cosa, sono stimato come virtuoso, pio, zelante,
tenuto in concetto di santità, se non servo a Dio, come
dovrei, in realtà io sono un nulla : qui hoc non agit, nihil
agit, qui hoc non est, nihil est. Al contrario quand'anche
io fossi un povero sacerdote, di poco ingegno, di poca sa
nità , di poca fortuna, se io servo il Signore, sono tutto quello
che può essere un uomo, un sacerdote in questo mondo :
hoc est omnis homo. Sarà poco ciò che posso fare in quel
(1 ) Eccl. XII . 13
FINE DELL'UOMO E DEL SACERDOTE 39

l'impiego, per le molte contraddizioni e gli ostacoli che at


traversano i miei desiderii e le mie mire ; ma se nel mio
stato io cerco di piacere al Signore, io sono tutto ; sarò pure
un sacerdote negletto, disprezzato, perseguitato; ma se nelle
mie afflizioni io so mantenermi paziente, costante nel servir
il mio Dio, io sarò sempre tutto quello che può essere un
sacerdote; sarò poco o nulla davanti al mondo, ma sarò tutto
davanti a Dio, perchè faccio la sua volontà e lo servo : Deum
time et mandata eius observa : hoc est omnis homo. È
questa la bilancia che Dio ci pone in mano in questi giorni
per pesare, per valutare gli anni nostri passati. - Ciascuno
di noi conta già un certo numero d'anni, passati parte negli
studii, parte nel Ministero, e parte forse in qualche altra
occupazione. Chi sa, io domando, se tutto questo numero
d'anni sia parimente registrato nel libro della vita e se
conti e valga innanzi al Signore, come conta e vale presso
gli uomini ? Per poco che entriamo in noi stessi, lo pos
siamo sapere da noi. — Lasciamo a parte quell'età passata
senza uso di ragione, in cui non avevamo ancora la for
tuna di conoscere Dio ; seppelliamo parimente quegli anni
in cui purtroppo abbiamo offeso il Signore, poichè vi è più
da piangere che da ricordare ; potremo almeno calcolare
sul rimanente ? Volesse Iddio ! Ma chi sa forse quanti vuoti,
quante deduzioni sono a farsi! Quante perdite irreparabili!
Quegli studi fatti puramente per fini umani, per inclinazione
puramente naturale, col fine di un guadagno, di una risorsa
temporale, vanno dedotti ; siccome non erano diretti all'o
nore, alla gloria di Dio, Iddio non li conta : qui hoc non
agit, nihil agit. Quelle opere di ministero cercate, esercitate
unicamente per interesse, per vanagloria e quasi per me
stiere, valgono a nulla, perchè fatte senza intenzione di
servire il Signore : qui hoc non est, nihil est ; sia pure
un'opera strepitosa finchè si vuole, la lodi pure il mondo,
la encomii, la esalti, la premii, non importa ; finchè non è
40 MEDITAZIONE PRIMA

ordinata a Dio, nihil est. Le stesse nostre opere di pietà,


preghiere, Breviario, Messa, amministrazione di Sacramenti
fatte senza attenzione, di mala voglia, sgarbatamente e quasi
per forza, togliamole pure, non furono tali da piacere al
Signore; epperciò chi le ha fatte ha perduto il tempo ed
ha fatto un bel nulla : qui hoc non agit, nihil agit. Oh !
quanti vuoti un giorno si andranno a vedere non solo nei
secolari, ma purtroppo anche negli ecclesiastici e perfino
in coloro che avevano fama di zelanti, di santi. Chissà quanti
tra noi moriranno giovani quand'anche maturi di età e di
ministero ; chissà quanti sacerdoti, i quali avranno fatto
rumore sulla terra per scienza, per abilità, per fatiche, ed
anche per opere le più sante, che pure un dì si troveranno
colle mani vuote e le loro opere saranno scomparse !
Giacché, mettiamocelo bene in capo, l'età nostra ed il nostro
lavoro davanti a Dio non si calcola già dal numero mate
riale di anni e di opere ; ma piuttosto dal valore delle opere
nostre, dallo spirito con cui abbiam lavorato . L'ecclesiastico
il quale non ha lavorato per Dio, anche decrepito, morrà
sempre giovane ; mentre al contrario morrà sempre adulto
e maturo quegli che nei pochi giorni del suo vivere, sarà
stato fedele nel servizio divino : satis diu vixit qui bene
vixit. Saulle regnò sul trono d’Israele 40 anni, cosi ci disse
l'apostolo Paolo, e lo leggiamo al capo XIII degli Atti degli
Apostoli ; eppure nel capo XIII del libro primo dei Re si
legge che regnò due soli anni : duobus autem annis re
gnavit super Israël. E come va, domanda un interprete,
questa differenza, quest'apparente contraddizione ? Se noi
osserviamo il tempo, risponde lo stesso interprete, il regno
di Saulle fu veramente di 40 anni; ma se badiamo al fine
per cui doveva regnare, e per cui Dio l'aveva chiamato al
trono, fu solo di due, perchè fu soltanto in quei due anni
che servi il Signore e corrispose al suo debito fine ; il ri
manente fu un bel nulla, perciò Iddio non lo guardò e fu
FINE DELL'UOMO E DEL SACERDOTE 41

lo stesso come se non avesse regnato. È tutto detto : qui


hoc non agit, nihil agit. Ah ! povere fatiche gettate al
vento quando si lavora per le follie di questo mondo. Quali
amarezze, quali angoscie per un sacerdote, che al termine
di una lunga vita apre gli occhi e s'accorge d'aver le mani
vuote ! Richiama alla memoria gli anni scorsi, le fatiche
sostenute, i crucci, le calunnie, le dicerie, i fastidi sofferti
con tutte le altre miserie di questa vita, e non vi scorge
gran cosa da potersi fidare: opere profane, secolaresche, fini
umani e temporali, opere di pietà fatte mediocremente, più
per usanza e come una professione, o perchè non ne poteva far
a meno, che per spirito di pietà e di zelo . Quale amaro di
singanno !.... E tale considerazione non sarà forse un potente
motivo per impegnarci almeno d'ora innanzi a servire fe
delmente il nostro Dio ? ......
Deh ! fratelli miei, la vita nostra se ne va ; ogni giorno,
anzi ogni momento noi ci avviciniamo al termine ; per ca
rità, apriamo gli occhi mentre siamo in tempo. È vero
che , forse ci rimarrà più poco da vivere , ma almeno
offriamo al Signore questo poco di vita che ancora ci
resta. Per buona ventura abbiamo da fare con un padrone
tanto buono , che è pronto ad accettare anche il rima
suglio delle nostre offerte ed il rifiuto di questo mondo.
Egli non ha sdegnato di accettare quei lavoranti che si
presentarono al lavoro nell'ultima ora, e non rifiuterà un
ecclesiastico, il quale, confuso e pentito d'aver perduti e
scialacquati tanti anni nelle miserie di questo mondo, ora
viene ad offrirsi per essere ancora annoverato fra tanti
buoni lavoranti. È vero ancora che non siamo degni di
tanto, e che essendo vicine le ultime ore della nostra gior
nata, sarà ben piccolo il nostro lavoro ; ma la bontà, la
misericordia del nostro buon Padre e Padrone supplirà ai
nostri demeriti ed a tutti i nostri vuoti, se dal canto nostro
faremo quel tanto che il tempo, l'età, e le circostanze ci
Carasso -

Eserc. Spirit . - Medit.


42 MEDITAZIONE PRIMA

potranno permettere. Sono vostri adunque, o Signore, quei


pochi giorni che ancor mi rimangono a consumare sulla
terra : io li depongo ai vostri piedi, e fin da quest'istante
ve ne faccio un dono intero, assoluto, irrevocabile : coman
date, suggerite, disponete, fate di me come vi piace, purchè
io vi serva sino all'estremo del viver mio : Suscipe, Do
mino, residuum annorum meorum .
Che se noi , o fratelli, vogliamo altri motivi, altri titoli
per impegnarci sempre più a corrispondere al nostro fine,
non abbiamo a far altro che considerare la natura e gli
aggiunti di questo gran fine.
Io non vi parlo della giustizia del servizio divino ; impe
rocchè qual cosa più giusta, più equa, più ragionevole di
questa, che una creatura, e molto più un ecclesiastico, serva
al suo Dio, al suo Creatore, al suo Signore, al suo Bene
fattore ? Neppure mi fermerò sulla facilità di questo stesso
divino servizio : basti il dire che costa niente più che il
volerlo. Se in tutti gli affari di questo mondo bastasse il
volere per riuscirvi, non vi sarebbero più difficoltà di sorta ;
ebbene questo è proprio del servizio divino : chi vuole può.
lo piuttosto voglio porvi sott'occhio la gloria che circonda
il vero servo di Dio, la gioia, la pace che lo accompagna,
e la felicità che lo aspetta . Si, o fratelli, se v'è gloria e vera
gloria per noi qua in terra, ella è appunto questa, essere
cioè destinati a servir Dio si da vicino. Noi lo vediamo fra
gli uomini quanto sia ambito e quanto ridondi alla persona,
alla famiglia, alla parentela l'onore di essere ammesso a ser
vire, a corteggiare i grandi della terra. Ma pure che cosa
mai ha da fare la qualità di servo, foss’anche del primo
monarca del mondo, colla qualità che a noi ecclesiastici
compete particolarmente di servi e ministri del Signore? È
una qualità questa gloriosa oltre ogni credere, qualità tanto
alta ed eminente, che ci innalza sopra quanto vi ha di grande
nel mondo. Il divin Redentore sulla terra, Iddio medesimo
FINE DELL'UOMO E DEL SACERDOTE 43

nelle sue operazioni non potė avere un fine più grande,


più nobile del nostro. O sacerdote, esclamerò con un Santo
Padre, riconosci la tua dignità : Agnosce , sacerdos , di
gnitatem tuam . Quale consolazione, fratelli miei, sapere
di essere servi e ministri del Signore! ... lo avrò poco in
gegno, poca attitudine, non potrò fare grandi cose, ma posso
servire il Signore; io sarò di bassi natali, non avrò sostanze,
non impieghi, non titoli, ma ho la migliore, la più gloriosa
qualità del mondo ; io sono un ministro di Dio, un sacerdote
che servo il Signore. Oh ! assuma pure chi vuole altri
titoli, di dotto, di grande, di eroe; io sarò abbastanza ricco ,
abbastanza grande, quando sia un sacerdote che serva Iddio ;
formi pure chi vuole progetti di onore, di ambizione, di
ricchezze, di fortuna, a me basta per tutto che serva al Si
gnore e lo possa servire sino agli ultimi di del viver mio,
perchè questa è la vera mia gloria. — Ma vi ha di più. Oltre
la gloria che circonda il vero servo di Dio, v'è ancora la
gloria, la dolcezza, la pace che lo accompagna. E verità antica,
che fuori di Dio non vi può essere pace : Dura sunt omnia ,
Deus solus requies. Gli stessi seguaci del mondo sono co
stretti a confessarlo ; e quando anche ce lo volessero na
scondere, il loro esterno non ce ne lascierebbe il menomo
dubbio. Fra tanti che se la godono, avvicinatene alcuno,
osservatelo dopo una giornata spesa in tutto ciò che il mondo
sa presentare di più incantevole e geniale: voi lo vedrete
spossato, stanco, annoiato, alle volte cosi pieno d'irritazione
e fastidio, da poter nemmeno più sopportar nė sé medesimo,
nė altri. Osservate invece quel povero sacerdote , che nel
l'umile ed anche misero suo stato, lavora per la gloria di
Dio : quale calma, qual contentezza ! Egli non darebbe uno
solo de' suoi giorni per tutte le dolcezze di questo mondo;
la sua vita più che un semplice vivere, è un regnare,
perchè egli è unito all'autor della pace. È questo appunto
che ci fa dire e ripetere la Chiesa nelle sue orazioni: Deus
44 MEDITAZIONE PRIMA

auctor pacis... Cui servire, regnare est. Oh ! è inutile


che io imprenda a descrivere le consolazioni , le gioie, le
delizie che accompagnano il divino servizio, nè io potrei
esprimerle, nè voi giungereste a comprenderle ; venga un
vero servo di Dio, un vero amante del Signore, e costui
m’intenderà senza che io parli : Da amantem , diceva già
S. Agostino, et intelliget quod dico. Fratelli miei, il Signore
è un padrone, il quale non vuole che il suo servo stia alle
sole ragioni, ai patti, alle promesse, ma desidera che provi,
che gusti e poi decida : Gustate et videte (1 ) ; provate dun
que, ripeterò ancor io, e voi stessi l'avrete a decidere : gu
state et videte.
D'altronde quand’anche ci mancassero tutti questi motivi
per impegnarci a servire davvero il Signore, dovrebbe ba
starci la sola speranza di quello che ci aspetta e ci sta
preparato .
Noi sappiamo i lamenti, i gemiti di quel ministro, che
dopo d'aver servito lungamente il suo sovrano e non po
tendo avere in compenso nemmen un'ora di più di vita,
si rimproverava di non aver servito un altro padrone, che
in quel punto l'avrebbe certamente ricompensato. Eh ! cari,
quanti sono costretti in punto di morte a fare una si do
lorosa confessione ! essi hanno servito, ma a quali duri
padroni? hanno faticato, hanno sofferto, sono stanchi da
non poterne più, eppure si vede, si tocca con mano ogni
di, come sieno pagati in quel punto: rimorsi, affanni, in
quietudini e, Dio non voglia, qualche cosa di peggio. Con
soliamoci, fratelli miei, che il padrone a cui abbiamo scelto
di servire, ci lascierà niente a desiderare, anzi, supererà
di molto le nostre speranze e le nostre aspettazioni allor
quando volgeranno al termine i nostri giorni. Il nostro
fine ultimo è quello che ce ne assicura : noi non siamo per
questo mondo, ma pel Cielo : Creatus est homo ad hunc
(1) Psalm. XXXIII . 9.
FINE DELL'UOMO E DEL SACERDOTE 45

finem , ut Dominum Deum suum laudet ac revereatur,


eique serviens tandem salvus fiat. Dunque finiamola ;
questo mondo, o cari , non è per noi ; per natura, per vo
cazione, per nostra scelta medesima siamo per Dio è per
il Cielo ; sicchè non è più il caso di far calcoli e progetti
di terra, di attaccarvi il cuore, di riposarvi sopra. No,
questo mondo non è per me : sono nato in terra, ma non
per finire sulla terra ; io sono invece destinato a terminare
in Cielo. — Che se, fratelli miei, ci costa qualche cosa attra
versare la strada di questo misero mondo, facciamoci cuore,
come diceva S. Agostino ; ci sia di sollievo e di conforto la
vista del premio e la speranza di ciò che ci aspetta : Grandis
labor, sed respice quod promissum est; spes praemii so
latium sit laboris. Quello è il nostro fine; là bisogna an
darci, e, costi quanto vuole, ci convien conseguirlo. Creatus
est homo ad hunc finem , ut Dominum Deum suum laudet
ac revereatur, eique serviens tandem salvus fiat. Cosi sia.
460Gaas

2
G
Loooooooooo Dodadadadado

MEDITAZIONE SECONDA

Importanza della salute .

PREGHIERA. Grande Iddio, io credo e adoro la vostra


reale e divina presenza . Prostrato dinanzi a Voi, vi confesso
per mio Creatore e mio Padre : Credo, mi consolo al ri
peterlo, credo in Deum Creatorem meum , e mi glorio,
benchè indegno, di essere vostro servo e vostro figlio. Deh !
o Signore, illuminate la mia mente, infiammate il mio cuore,
sicchè, mentre sono fermo e risoluto di fare ad ogni costo
la vostra santa volontà e compiere il mio fine sulla terra,
possa meditare con frutto la grande importanza della salute,
che forma il mio ultimo fine. O Maria , cara Madre dei sa
cerdoti, voi che foste già compagna agli Apostoli, deh ! as
sistete, accompagnate ancor me in questa meditazione. An
gelo mio Custode, ecc.

Iddio nel crearmi non poteva assegnarmi sulla terra un


fine più dolce, più grande, più nobile qual è quello di de
putarmi in ispecial modo quaggiù fra tante creature a lo
darlo, a servirlo ed onorarlo . Non contento di ciò, questo
Dio medesimo esauri, per cosi dire, verso di me i tesori
IMPORTANZA DELLA SALUTE 47

della sua bontà e misericordia, destinandomi ad una meta


si alta qual è quella d'arrivare un di a goderlo in Paradiso.
Consolantissimo pensiero egli è questo, ma che nello stesso
tempo deve produrmi in cuore un salutare spavento. Ed
infatti quali dolori, quali angoscie un di sarebbero le mie,
se io colla mia negligenza, colla mia trascuratezza guastassi
un si bel disegno della divina bontà e non arrivassi a
compirlo ! Quanti sacerdoti che al pari di me erano desti
nati pel Cielo, erano attesi lassù, eppure non vi sono giunti
e, quello che più angoscia, non vi giungeranno più mai !
- Bel Paradiso, non ti vedrò mai più : - diceva morendo
un infelice. — Pur troppo io temo, soggiungeva un altro,
che il Paradiso non sia per me ! Che sarebbe dunque,
fratelli miei, se il pensiero , la vista , l'altezza di questo fine
non avesse a servire un giorno che a cavarci lacrime più
amare ? Che sarebbe se un solo tra noi , disteso sul letto
di morte, mirando il Cielo in quei terribili momenti , do
vesse ripetere tra se stesso : temo che quella patria
non sia per me ! Io non sono qui per funestare e ge
nerare incertezze e timori, ma solo per destare in noi il
più pronto, il più vivo impegno di assicurare la nostra
vocazione e la nostra sorte. Io sono salvo, io sono perduto :
una di queste due sarà infallibilmente il nostro pensiero
eterno. La soluzione di questo gran dubbio dipende da noi,
dalla nostra sollecitudine, dalla nostra corrispondenza ; sicchè
ognuno può vedere facilmente l'importanza somma ed in
dispensabile di ben penetrare questo punto, e ponderare
da vicino il gran negozio della nostra salute, che è il nostro
ultimo fine. Tutto l'anno noi lo predichiamo al popolo ; dal
confessionale e dal pulpito non facciamo che ripetere :
Fratel mio, pensa che tutto passa , tutto se ne va, la morte
viene, salvati l'anima. — Ebbene, ripetiamolo ancora a noi
stessi in questi santi giorni e particolarmente in questa
sera : O sacerdote, giacchè hai lasciato il mondo, ti sei
48 MEDITAZIONE SECONDA

segregato da tutti e stai compiendo un'opera cosi grande,


mettiti davvero e non partir di qui senza aver messo in
sicuro l'anima tua : Salva , salva animam tuam ( 1 ). Figu
riamo di udirci a dire dal nostro buon Angelo Custode ció
che già dissero gli Angeli al Patriarca Lot : Festina et sal
vare (2): sacerdote, se vuoi salvarti, è omai tempo, e non
tardare . Orsù, via da quella pigrizia, da quella vita vuota,
mondana e secolaresca ; via da quei siti, da quelle case , da
quelle partite ; lo sai che queste cose non sono da prete e
ti impediscono di salvarti. Troncala una volta con quell'a
bito, con quelle ricadute, perchè un ritardo, anche minimo,
può esserti fatale : Festina et salvare. Tali, o fratelli, sono
i sentimenti che io desidero eccitare in questa meditazione
dell'eterna salute .
Noi vedremo : 1º che il salvar l'anima è affare tutto
nostro, proprio di noi, di modo che se noi non vi pen
siamo e non ci adoperiamo, nessuno vi pensa e provvede
per noi ; 2º che il salvar l'anima è l'unico nostro affare,
e se noi non la salviamo, tutto è perduto per noi ; due
verità che io prego il Signore ad imprimere ben bene nei
nostri cuori, sicchè il ?tutto abbia a ridondare davvero alla
maggior gloria di Dio ed alla nostra salvezza.
I. Nel mondo non fa bisogno di raccomandare ad un in
fermo che procuri di guarire ; non occorre, quando un tale
abbia pendenti o un negozio di rilievo od una lite eccitarlo,
spronarlo a non perderla di vista e procurar di vincerla e
riuscirla. È cosa tanto naturale e cosi comunemente prati
cato da tutti , che si stima affatto inutile una tale racco
mandazione, e quando si facesse, non si ha che per una
gentilezza e complimento di pura usanza . Ah ! volesse Iddio
che altrettanto potesse dirsi del grande affare che veramente
ci riguarda, qual è quello dell'anima nostra ! Fosse pur vero
che almeno il sacerdote fosse tale da non aver bisogno
(1 ) Gen. XIX . 17. (2) Ibid . 22 .
IMPORTANZA DELLA SALUTE 49
che alcuno venisse a ricordargli : Tocca a te, o caro,
il salvarti, nessun altro può supplire alla mancanza
tua . Fratelli miei , è proprio cosi : la salvezza del
l'anima è un negozio tutto nostro, tutto proprio di noi,
non si può affidare ad alcun altro ; sicchè, trascurato da
noi, esso è perduto, nessuno vi pensa, nè può pensarvi
per noi.
In ogni altra faccenda, si tratti di un impiego, della sa
nità , degli averi, della libertà , persin della vita, quando io
non voglia o non possa fare da me, un altro può provve
dere per me ; solo l'anima, la mia salute, il mio fine non
ammette mezzani, non accetta supplenti; questa gran causa
va trattata da me, e niente mi può scusare, nè infermità,
nè mancanza di forza, di ingegno, nè la quantità degli af
fari, nè ignoranza, nè impotenza di sorta, nè Dio stesso mi
può scusare . E se questo vale per tutti senza eccezione, in
ispecial modo vale per noi ecclesiastici, poichè se v'è per
sona al mondo che nell'affare della sua salute sia totalmente
abbandonata a se stessa, siamo noi sacerdoti. Trattandosi
d'un " laico, d’un secolare, d'una persona di mondo, se costui
non si dà cura dell'anima propria , vi sono sempre persone
nella famiglia, nella parentela, nel vicinato, nel paese che
cercano di ricondurlo sul buon sentiero; il padre, la madre,
un parente , un vicino, un amico, se non altro un buon
Pastore, che sta attento alle sue pecorelle, non lo perde di
vista ed ora in un modo, ora in un altro, può trovare e
spesso trova un mezzo di salute. Ma per noi sacerdoti
chi vi è che si presti ? Il Superiore o ne sa nulla di noi, o
solo dopo molto tempo viene a conoscere la nostra vita,
e poi anche allora non sa come prendersela per ammonirci
con frutto. Quei di casa non osano riprenderci, se pur non
ci adulano ancora . Gli altri , i vicini, i conoscenti, i parenti ,
i parrocchiani, parleranno, mormoreranno dietro di noi, ma
in nostra presenza tacciono e Dio non voglia che facciano
50 MEDITAZIONE SECONDA

ancora elogi. Si troverà tanto sovente un personaggio, che


chiaro e tondo ci dica : signor abate, quella vita, quel
giuoco, quella perdita di tempo non va? - Vi sarà chi avrà
il coraggio di dirci: - mi perdoni , ma senta .... quella per
sona, quella casa, quelle facezie non vanno, fanno parlare di
lei e del ceto ecclesiastico? - Dimando a voi, fratelli miei,
se possa sperarsi, che qualcuno ci voglia usare il servizio di
dirci: - mi scusi, ma se vi pensa un po' , quegli occhi sem
pre spalancati e girovaghi per le contrade, nella chiesa e
perfino in tempo delle funzioni : quella maniera di vestire,
di parlare; in sostanza quel modo di condursi, vedrà che non
sono da buon prete. – Volesse pur Dio che ce lo venis
sero a dir chiaro davanti, mentre che per lo più si riem
piono le case, i paesi di ciarle, di dicerie sul nostro conto ;
e perchè nessuno ce ne avverte, noi siamo cosi sciocchi
da credere che tutti sieno ben impressionati di noi. È bensi
vero che nessuno ci avvisa, perché sanno che prendiamo le
correzioni in male, ci adontiamo, ci mostriamo offesi, perciò
tacciono; ma comunque sia, io dico sempre che noi sacer
doti più che gli altri siamo lasciati soli in ciò che riguarda
l'anima. In fin dei conti è sacerdote, dicono essi , co
nosce ciò che è bene e male, predica agli altri, che bisogno
di dirgli qualche cosa? Vi pensi egli che ne sa più di noi.
Talvolta perfino il confessore non si tiene obbligato di
dirci quel tanto, che direbbe ad un secolare in simili oc
casioni, anche egli lascia di ragionarci, con pensare e con
dire: - è sacerdote, è confessore egli stesso, il suo dovere lo
sa , non occorre batter tanto, sa ciò che deve fare, lo farà.
- Eh ! fratelli miei, dal sapere al fare corre un buon tratto ,
ed anche un sacerdote, un confessore penitente ha bisogno
di aiuto, di lume, di stimolo, di sprone. Qualcuno forse mi
dirà, che almeno un po' d'aiuto per l'anima spera di averlo
dalle preghiere che molte persone fanno per lui. Le pre
ghiere sono belle e buone, ma non arrivano a salvarci
IMPORTANZA DELLA SALUTE 51

senza di noi, come già ho detto, non ci dispensano dalla


nostra cooperazione e non devono diminuire la nostra vi
gilanza. D'altronde, è poi proprio vero che si preghi molto
per noi sacerdoti ? lo penso di no, perchè i più pregano
nè per loro, nè per altri e molto meno per noi ; quei buoni
poi, su cui potremmo calcolare qualche poco, ci nuocono
senza volerlo , hanno un'idea tanto favorevole di noi sacer
doti, che quasi credono di perdere tempo a pregare per
noi , perciò facilmente se ne dispensano; cosicchè per conchiu
dere questo pensiero, ripeto di nuovo e ripeterei sempre:
se non pensiamo noi, proprio noi, a salvar l'anima nostra,
essuno vi pensa.
Quale dovrà essere la conseguenza di questa gran verità ?
Eccola : Stare ben attenti su di noi ; vegliare non solo
sulle nostre opere, ma sulle nostre mire, sui nostri affetti,
sul nostro avanzamento, sui nostri pericoli; in sostanza,
vegliar ben bene e continuamente su tutto ciò che può
aver qualche relazione con questo grande affare della nostra
salvezza, la quale deve formare la prima nostra occupazione ;
zelare si la salute degli altri , ma prima zelare la propria
santificazione. È per questo che noi troviamo cosi frequen
temente raccomandato ai sacerdoti di pensare a sè stessi.
Già si sa quanto fosse inculcato ai sacerdoti dell'antica
legge di procurare di essere santi. L'apostolo S. Paolo poi
volendo formare il suo diletto Timoteo per l'Apostolico mi
nistero, innanzi tutto gl'inculca la cura, la vigilanza sopra se
stesso : Attende tibi ( 1 ). Fratelli miei, riteniamo bene queste
importanti parole, che sono dette anche per noi. In capo
a tutte le obbligazioni sta questa di pensare, di attendere
a noi: attendere e pensare come passiamo la nostra gior
nata ; se si studia, se si prega, se si lavora e che cosa si
faccia : attendere e pensare come facciamo le cose nostre,
se per Dio, per la gloria sua , oppur per fini bassi ed umani;
(1) I Timoth . IV. 16.
52 MEDITAZIONE SECONDA

se la maniera con cui facciamo le cose nostre ordinarie,


la maniera per esempio di dir la Messa, di predicare, di
ascoltare le confessioni, piaccia totalmente a Dio o lasci in
vece a desiderare qualche cosa di più : attendere e pensare
come noi viviamo, se da secolare, da mondano, oppure da
uomo di chiesa e di Dio, come veramente dobbiamo essere.
In sostanza, l'attende tibi, è dovere di tutti, di ciascuno
de' sacerdoti, dovere di prima e di assoluta necessità, da
cui niuno può dispensarsi.
Il venerabile servo di Dio, l'umile autore dell'Imitazione
di Cristo in quasi ogni pagina di quest'aureo libretto in
culca quest'importante verità. Incomincia dal dire: – Qua
lunque sia la tua occupazione, procura di avere sempre il
tempo necessario per attendere a te stesso : Quaere aptum
tempus vacandi tibi ( 1 ) ; e sia quel che si vuole degli altri,
guardati bene dal negligentar te stesso : quidquid de aliis
sit , non negligas teipsum ; e ne dà la ragione quel
l'anima divota, perché, dice, è meglio vivere nascosti ed
attendere a noi, che fare strepito e miracoli e negligentare
noi stessi : melius est latere et sui curam agere, quam ,
se neglecto, signa facere; e, credimi, continua sempre a
dire, è molto più da stimarsi un povero campagnuolo che
attenda a sè servendo a Dio, che il più insigne dei filosofi
il quale trascuri se stesso : melior est rusticus qui Deo
servit, quam superbus philosophus, qui, se neglecto, cur
sum coeli considerat.
S. Bernardo finalmente ci fa meraviglia per la libertà , la
franchezza con cui parla su questo punto ad Eugenio Papa.
Rivolgersi al supremo Gerarca della Chiesa, al Vicario di
Cristo, eppure stimò bene di comporre un libro quasi non
per altro che per ricordargli siffatta verità . — Il primo
pensiero, comincia dal dirgli, sia sempre rivolto a te stesso :
A te consideratio inchoet (2) ; che se ti tengono per sa
(1 ) Imit. Lib . I. c. 20. (2) De Consid . 1. II . 3 .
IMPORTANZA DELLA SALUTE 53

piente, sappi che non sarai mai tale, finchè prima non sii
sapiente per te stesso : et si sapiens sis, deest tibi ad sa
pientiam si tibi non fueris. Fermiamoci alquanto su
questi due riflessi del santo per vedere, per esaminare come
li pratichiamo noi .
A te , o ecclesiastico, consideratio inchoet... sapiens non
es, si tibi sapiens non fueris. Si può dire che il primo,
il principale nostro pensiero sia rivolto a noi, al nostro
bene, al nostro vantaggio e perfezionamento spirituale ? Qual
è il primo pensiero del mattino, il principale nella giornata ?
Quale e quanto il tempo impiegato per una rivista su noi
stessi, sui conti della nostra coscienza ? Eh ! mio Dio, quante
inezie, quante vanità occupano le teste anche degli eccle
siastici! E non già di rado, ad intervalli, cosi per passa
tempo, ma diciamo pure continuamente ! Non parlo solo del
molto tempo che si passa in ozio e che resta divorato in
teramente da tante bagatelle ; ma talora anche facendo,
anche trattando opere di ministero. In tanti sacerdoti si
possono quasi considerare due personaggi in un tempo solo :
l'uno che si aggira come una macchina e che si occupa
materialmente in ciò che è più di professione che di mi
nistero ; l'altro che si porta, si ferma in tutt'altro. La fretta,
la maniera sgarbata di operare, la noia , la divagazione che
vi mostra in tutte le parti lo fanno conoscere abbastanza.
Se cercate poi quale e quanto tempo impieghino, non dico
solo certuni, ma molti ecclesiastici, per rivedere lo stato
loro interno, saremmo ancora molto imbrogliati a rispon
dere. Se si cercasse il tempo che spendono ogni di a sen
tire ed a raccontare novelle, a fare visite, partite, a trattare
di vendite, di compre, di maneggi o simili faccende, tutti
lo sanno, dal primo all'ultimo del paese ; tutti potrebbero
descrivere l'orario di tali sacerdoti e saprebbero dire : -
Ora dorme, ora giuoca, adesso è alla campagna, a quest'ora
si trova in quella bottega, in quest'altra, in quella casa ,
54 MEDITAZIONE SECONDA

quindi passa a quell'altra, quindi di qua, quindi là..... Ma


e il tempo di pensare a sè ? E l'ora di raccogliersi un tan
tino, di pregare, di fare un po' da mediatore tra Dio e gli
uomini , come si conviene ad ogni ecclesiastico ? Eh, si può
benignamente credere che lo facciano, ma veramente non
appare ; non si sa e forse neppure può supporsi. Eh !
non potrà bastare la Messa ed il Breviario ? -- No che non
basta ; tanto più come questi ecclesiastici celebrano la santa
.દકાર્યકરોના

Messa e recitano il divino Uffizio .


કઈજમજનનવીની

Deest tibi ad sapientiam , si tibi sapiens non fueris; ė


l'altra sentenza del Santo. Saranno molti i veri sapienti tra
i sacerdoti ? Quanti ecclesiastici passano per dotti, sanno
dare leggi e consigli, giusti e posati, sono capaci di sbro
gliarsi con facilità e destrezza anche di affari complicati.
Eh !... fosse un po' vero che quel tanto di ingegno che il
Signore ci ha dato sapessimo usarlo anche per noi ! Oh
quanto sarebbe felice il mondo e la Chiesa, se la vita , la
condotta e lo spirito d'ogni ecclesiastico fosse conforme a
quei detti, a quelle regole, a quella scienza che si ha e si
usa per gli altri! Eppure per quanto il mondo ci chiami
e ci tenga per dottori e cime d’uomini, non saremo mai
tali quando con tutta questa scienza ci manchi l'altra scienza
più importante cioè di saperla usare per noi. L'ha detto
S. Bernardo ad un Papa ; con molto più di ragioni si può
applicare a noi.
Adunque , proseguiva il santo Dottore, sia tua cura di
sceglierti un luogo a parte, in cui, come in porto tranquillo,
ti possa di quando in quando ricoverare dal gran torrente
degli affari che ti opprimono: Eligatur tibi aliquantulum
remotus locus, in quem veluti in portum quasi ex multa
tempestate curarum te recipias. -- Un ecclesiastico, ben
lungi dall'andarsi a cercare occupazioni non sue, secola
resche, profane, estranee al suo ministero ed alla sua vo
cazione, deve anzi guardarsi dalle stesse opere di zelo e
IMPORTANZA DELLA SALUTE 55

proprie dello stato ; in questo senso, che esse non gli ru


bino quel tanto di tempo che è indispensabile affinchè
ognuno pensi a sé . Io vorrei che tutti gli ecclesiastici pren
dessero questo consiglio del santo e procurassero nel loro
stato, nel loro impiego, d’avere un luogo appartato da po
tersi gettare, se non altro, ai piedi d'un crocifisso, e addi
tandolo potessero dire : - Ecco là il mio tribunale, il luogo
del mio ritiro, del mio riposo, delle mie riflessioni; là chiamo
a rivista la mia giornata, là esamino, provo i miei fini, i
miei affetti, le mie tendenze ; là vengo a riposarmi dalle
mie fatiche, a prender forza e coraggio per faticare ancor
più ; là depongo i miei timori e le mie speranze ; là godo
le consolazioni del mio Dio ; là verso con lui i miei affanni,
i miei crucci, le mie tribolazioni. - Beati noi se ci siamo
già prima d'ora procurato uno di questi porti tranquilli, o
almeno se ci risolviamo di procurarcelo per ripararci dentro
e salvarci dal turbine delle cose di questo mondo, per tenere
netti ed aggiustati i nostri conti, ed essere cosi sempre
pronti ad una partenza anche improvvisa per l'eternità. Il
consiglio fu dato ad un Pontefice, ma ogni ecclesiastico, ri
peto, ne ha bisogno; e notate che io non parlo solo di quei
sacerdoti che consumano il tempo in leggerezze e faccende
temporali, poichè questi tali hanno bisogno di qualche cosa
di più ; io parlo anche d'un buon sacerdote il quale da
mattina a sera lavora pel bene delle anime. S. Bernardo
non ha già scritto a quel gran Pontefice perchè temesse
che passasse la giornata in ozio, che anzi dai termini che
usa , fa conoscere che lo credeva continuamente occupato
e temeva appunto delle sue occupazioni. Quindi non può
essere una ragione sufficiente per dispensarci dal (pensare
seriamente a noi il dire : - Ah !... io lavoro già , sono
sempre occupato del mio ministero ; ... che bisogno di ritiro,
di badare, di riflettere cosi sovente sopra di me, quando
so che la mia vita è quella d'un sacerdote ?
56 MEDITAZIONE SECONDA
Fratelli miei, non dimentichiamo mai che la nostra vita
consiste più nello spirito che nelle opere : le opere valgono
secondo lo spirito: togliete, diminuite in un ecclesiastico lo
spirito interno e proprio del suo stato , e voi togliete e di
minuite nello stesso tempo a proporzione il valore delle
opere . Che se vogliamo regni in noi questo spirito e non
s'intepidisca, anzi, s’infiammi, si aumenti, è necessaria , è
indispensabile una continua e costante vigilanza sopra di
noi ; è di tuttà necessità un luogo e un tempo di ritiro,
di studio, di esame. Altrimenti che ne avviene ? Si studia ,
si predica, si confessa, s'intraprendono mille faccende or
per questo or per quello, e tutto anche con buon fine, se
volete, ma frattanto come va l'interno, che profitto si fa,
e come stanno i conti del cuore ? Ecco quello che succede
.quando si hanno tante occupazioni: le pratiche di pietà o
si omettono o si abbreviano o si fanno alla peggio ; cosi
la meditazione, la lettura spirituale, l'esame di coscienza,
la visita al SS. Sacramento ; poco per volta vi entra qualche
cosa di umano, si ferma, si raduna un po ' di polvere
sul cuore, non v'è più quella purità d'intenzione di prima,
non si prega , non si celebra più colla voluta gravità e
divozione ; spuntano sulla coscienza certe negligenze, certi
difetti, e, diciamo pure, certe colpe che prima non si ve
devano; s'incomincia a passar sopra alle cose piccole, in
sostanza si comincia a fare il prete un po' all'ingrosso e
per mestiere. Ecco i primi inconvenienti da temersi neces
sariamente quando il sacerdote perda un po' di vigilanza
sopra se stesso, e Dio non voglia che si vada più in là ;
sicchè io ripeto di nuovo ; — Attenti sopra di noi, attenti su
questo grand'affare dell'anima, che è tutto nostro ; guai se
lo dimentichiamo ; nessuno farà per noi .
II. Nè già ci paia di far troppo, poichè il salvar l'anima,
oltre essere un affare tutto nostro, è ancora l'unico nostro
affare, e se noi non la salviamo tutto è perduto per noi.
IMPORTANZA DELLA SALUTE 57

Perdidimus omnia, esclamava morendo un infelice ; e


quanti giornalmente in morte se non lo dicono, lo temono !
Lo temono secolari, lo temono ecclesiastici ! Guai se la sba
gliamo, cari miei ! In un colpo, in un solo affare, tutto è
perduto. Siccome per un solo affare viviamo, qual è servir
Iddio; cosi per un solo affare moriamo, qual è d'andar salvi.
Lasciati a parte questi due affari, trascurati, falliti, tutto
è rovinato , tutto è perduto, vita e morte, Dio ed anima,
tempo ed eternità : perdidimus omnia . Negli sbagli e nelle
perdite di questo mondo, qualunque esse siano, o si può
o si spera rimediarvi, o si trova almeno qualche compenso ;
ma datemi un'anima perduta, un ecclesiastico in perdizione
e poi cercatemi, se potete, un compenso ne' due mondi!
Quando si potesse sperare tale compenso , non potrebbe
esser altro che la memoria del passato , le reminiscenze
dei beni, de' comodi, dei contenti goduti ; e se questa me
moria sia un compenso , in conforto per un peccatore
qualunque, o piuttosto una spina, un tormento di più, lo
vedremo nel decorso di questi giorni. Adunque non ci resta
che esclamare col Divin Redentore : – E che mai può gio
vare tutto questo, quando l'anima ne soffr a ? Ah ! che gran
parola è mai questa , o fratelli miei : Quid prodest ( 1 ) ? È parola
uscita dalla bocca del primo sacerdote, ed ogni altro sa
cerdote la deve studiare, la deve meditare, la deve usare.
In questa parola sta racchiusa tutta la scienza e la vera
sapienza della vita , chi la sa è abbastanza dotto; chi non
la sa, conosce un bel niente perchè non sa salvarsi. Quid
prodest ? Questa parola la meditano per loro confusione ed
a loro dispetto tutti i cattivi. Dopo che si sono dati al mondo,
alla perfine stanchi, irrequieti , malcontenti vanno escla
mando : quid prodest ? e adesso che cosa ne ho ?
Un imperatore romano, Settimio Severo, esclamava morendo :
- lo fui tutto, ed a questo punto nulla mi giova. Ecco

(1 ) Matth . XVI . 25.


CAFASSO Eserc . Spirit . Medit .
58 MEDITAZIONE SECONDA

spiegata in una parola tutta la vanità, l'apparenza di questo


mondo : quid prodest ? Ecco il termine che empie di la
menti, di gemiti e di sospiri la terra e l'inferno. Di qui
sono partiti tutti gli ecclesiastici che hanno fatto del bene ; su
questa massima si sono formati tanti buoni operai del Signore,
e di qui dobbiamo partire e formarci anche noi , quando
ci stia a cuore di lavorare con frutto e fare un po' di bene
nella vigna del Signore. Di qui l’ecclesiastico deve partire per
staccarsi e disprezzare questo mondo, di qui deve imparare a
conoscere l'importanza delle anime, di qui deve prendere forza,
carità e pazienza per salvarle. Quid prodest homini ? E per
capirla fin d'ora a nostro prò e vantaggio portiamoci col
nostro pensiero a quell'ultimo giorno di nostra vita, a quel
punto in cui daremo un addio a tutto questo mondo e sa
remo per partire verso la nostra eternità . Che ci gioverebbe
in allora aver passato qualche anno di sacerdozio, aver con
dotto una vita a nostro comodo, a nostro genio, se la gloria
di Dio, se l'anima nostra ne avessero perduto ? Che conforto
ci potrebbe dare la memoria d'aver contentato i parenti ,
d'aver secondato le loro mire, d'aver radunato un po' di
sostanza, se poi il bene delle nostre anime ne avesse a sca
pitare ? Che ci servirebbe in allora esser giunti a quell'im
piego, aver coltivato certi studii, aver eccitato anche un
po' di nome della nostra persona, se poi infine ed in quel
l'ora fosse in pericolo l'anima nostra ? E ciò io dico non
solo quando dovessimo andar dannati, ma anche nel caso
che ci potessimo salvare; e mi spiego. Che giovamento, che
utile da quanto ho detto, quando per questo dovessimo
penar di più in Purgatorio ? A che prò quando in Paradiso
dovessimo esser privati anche di un solo grado di gloria
per sempre ? E che ci servirebbe tutto il passato quando
non ci dovesse costar altro che morire con paura, affanni
e timori ? Ah ! quanti disordini di meno anche tra noi ec
clesiastici, e quanto zelo di più tra noi sacerdoti se si pe
IMPORTANZA DELLA SALUTE 59

sasse, se si meditasse questa sola parola : quid prodest !


Qualcuno forse dira : Eh ! se si avessero a fare tante con
siderazioni e riflessi..... si farebbe più niente a questo mondo,
e si dovrebbe passar la vita a meditare ! – Fratelli miei ,
non vi sembri strano : la vita del sacerdote deve essere un
continuo studio, un'assidua meditazione della legge del Si
gnore; lo diciamo tante volte ogni giorno nel Breviario :
Lex tua meditatio mea est....dilexi legem tuam , Domine, .
tota die meditatio mea est (1 ). Eh ! credetelo, siffatte me
ditazioni o le facciamo in vita, o altrimenti ci toccherà poi
farle in morte. Noi che siamo testimoni e depositari degli
ultimi sentimenti con cui muoiono le persone anche eccle
siastiche, più d'una volta avremo veduto e toccato con
mano.... non lo diranno forse chiaramente a parole ; ma
l'occhio con cui ci guardano in quel punto, i sospiri, i
gemiti che mandano dal cuore , quelle certe espressioni
affannose, inquiete, parlano abbastanza chiaro, e fanno co
noscere lo stato doloroso del loro interno..... Cosicché non
ci resta che di scegliere : o farla in vita questa meditazione
del gran vuoto, del gran nulla di questo mondo, o la faremo
negli ultimi istanti del viver nostro , e chi sa forse per
sempre e senza frutto nell'eternità. Quante persone la sta
ranno facendo a quest'ora stesi sul letto del dolore, e quanti
altri la faranno all'inferno con quelle dolorose parole della
Sapienza : Quid nobis profuit superbia ? aut divitiarum
jactantia quid contulit nobis? (2) Infelici! Non hanno medi
tato in vita : che giova ? quid prodest ? ebbene dovranno me
ditare in eterno : che mi giovò ? quid profuit ? Un certo
Guglielmo che visse totalmente immerso negli affari di mondo,
per cui aveva dimenticato l'anima propria, dovette in morte
venire a questa dolorosa confessione, che, dopo essersi consa
crato alle pompe, ai comodi, agli impicci d'una Corte, moriva e
partiva dal mondo prima che avesse pensato seriamente al
( 1 ) Psalm . CXVIII . (2) Sap . V. 8 .
60 IMPORTANZA DELLA SALUTE

fine per cui era venuto. Chi sa che anche certi ecclesia
stici , non abbiano a toccar forse l'ultimo giorno e partire
per l'altra vita prima che abbiano pensato seriamente al
fine per cui erano al mondo, per cui erano stati chiamati
al sacerdozio ! Felice chi la riuscirà in quell'ultima giornata,
ben disgraziato chi la sbaglierà: perdidimus omnia ! I
punto, fratelli miei, sarebbe troppo doloroso, lo sbaglio
troppo grande per non pensare davvero a prevenirlo; perciò
io termino colle parole e coll'avviso del grande Apostolo :
Fratres, rogamus vos et obsecramus in Domino Jesu , ut
vestrum negotium agatis ( 1 ). Riguardo agli altri affari di
mondo, alle faccende di terra, vadan bene, vadano male,
poco importa ; ma non la sbagli, non si perda un sacerdote.
Si viva poco, si viva molto, poco monta ; ima si tocchi la
meta, e si arrivi al fine, l’ecclesiastico si salvi . Ah ! un ec
clesiastico salvo ! .... Che dolce parola, che pensiero conso
lante : un ministro del Signore, un apostolo di più in Pa
radiso ! E chi mai sarà questo sacerdote, che potrà coronare
le sue fatiche con un si bel termine di vita ? Oh ! ci con
soli il Cielo ! Sarò io, sarete voi , se veramente in questi
giorni metteremo senno e seriamente proporremo di salvarci.
Mentre un di si continuerà a piangere in questa valle di
lacrime, a soffrire chi sa quanti guai e miserie ; mentre
un di altri sacerdoti oppressi, calunniati, perseguitati nel
mondo, passeranno giorni di tristezza e di dolore, io invece
non più, io sarò già salvo, sarò felice, sarò beato in Pa
radiso. Oh che sorte felice sarà la nostra se in questi eser
cizi noi prenderemo una siffatta risoluzione ! Verrà tempo,
verrà giorno in cui benediremo quel momento nel quale ab
biamo determinato di pensare seriamente al nostro grande
affare, e questo tempo sarà il punto della morte, questo
giorno sarà quello del nostro ingresso in quella bella patria
del Paradiso . Così sia .
WIMULUT LUULUULUVI

(1 ) Tessal . IV. 11 .
MEDITAZIONE TERZA.

Il peccato d'un Sacerdote .

PREGHIERA. Grande Iddio ! Prostrato davanti a Voi , io


credo e adoro la vostra reale e divina presenza . Lo so,
o Signore, e lo confesso umiliato e confuso : io vi ho offeso,
ed ho peccato contro di Voi . Ah ! mio Dio, che mi avete
sopportato si lungamente peccatore, vorrete pur soffrirmi
ora che vengo penitente ai vostri piedi. Deh ! aprite gli
occhi della mia mente, sicchè arrivi una volta a conoscere ,
a comprendere la colpa d'un mio pari, il peccato d’un sa
cerdote ; si, fatemi la grazia in quest'oggi, di sentire tutto
l'orrore, di provare tutto lo spavento che mi deve cagio
nare un ecclesiastico peccatore. Vergine Madre, voi che già
avete salvato tanti peccatori, ricordatevi di me. Angelo mio
custode, ecc.

Noi abbiamo considerato nella giornata di ieri la necessità,


la grandezza e la soavità del nostro fine sulla terra; quindi
abbiam ponderato la grande importanza della salute, che è
il nostro ultimo fine. Abbiam visto che per questo tocca
a ciascun di noi il pensarvi, poichè nessuno vi pensa ,
62 MEDITAZIONE TERZA

s'impegna, vi provvede per noi . Da ciò niente mi scusa,


niente può dispensarmi, come niente può impedirmi di riu
scirvi , quando io veramente il voglia. No, o fratelli, nè il
poco ingegno, nè la mancanza di sanità, né le strettezze di
fortuna, nè le occupazioni nostre, come nemmeno le ten
tazioni, le persecuzioni del mondo ci possono rapire il nostro
ultimo fine, se noi nol vogliamo. Diamo colla nostra fede
una scorsa pel Paradiso, e noi troveremo là uomini, sacer
doti che furono soggetti alle più orribili tentazioni, vessati,
perseguitati e messi fino a morte dal mondo; sacerdoti che
sono vissuti e morti quasi senza che nessuno se ne sia
accorto, eppure si sono salvati. Una cosa sola, diciamolo
pure senza indugio, può formare la nostra ultima, fatale ed
eterna rovina, il peccato che è il solo vero male del mondo.
Gli altri mali danno, è vero, di che soffrire, ma questo
d'un colpo ammazza ed uccide ; gli altri ammettono qualche
conforto e lenitivo, questo no ; con gli altri si può guadagnare
e si merita, questo invece ci rapisce e dissipa quanto già
è in noi e non lascia più entrare merito alcuno ; per gli altri
mali infine, si trova un rimedio nel tempo, e se non altro
colla morte finiscono, questo invece vieppiù aumenta, in
crudelisce, ed alla morte appunto ci fa incontrare la
più terribile , la più fatale rovina. Ah peccato male
detto ! Non finirei di ripeterlo : quanti sacerdoti sono andati
in perdizione per questo mostro nefando ! Fratelli miei, il
peccato è sempre peccato, non cessò punto dal menare le
sue stragi e rovine, che anzi le va dilatando ogni di più.
Quello che succede a tanti altri sacerdoti, può succedere a
me, può succedere a voi, se non ce ne guardiamo; tant'è
che lo Spirito Santo ci avvisa di starne lontani come
da un serpente, il quale al menomo tocco ci potrebbe
dare la morte : Quasi a facie colubri fuge peccata (1 ).
Ma per potercene guardare davvero e schermircene è ne
(1 ) Eccli . XXI . 2.
IL PECCATO D'UN SACERDOTE 63

cessario conoscer bene il gran male che esso è, e i danni


immensi ed incalcolabili che cagiona in chi lo commette.
Già non v'è alcuno al mondo che possa comprendere
chiaramente che cosa sia un peccato ; noi ci sforzeremo in
quest'oggi di farcene un'idea, considerando tre cose : 1 ° chi
sia costui , quest'uomo che pecca ; 2° contro chi se la prenda
peccando ; 3° finalmente quante e quali terribili circostanze
aggravino questo peccato. Il Signore che ci ha usato tanta
misericordia in soffrirci finora peccatori, nel chiamarci a
questi esercizi, nel darci campo di meditare il peccato, ci
assista, ci aiuti a ben conoscere questo gran male, per
piangerlo, per detestarlo, per fuggirlo in avvenire. Comin
ciamo.
I. Se v'è un punto in cui il mondo fatalmente la sbagli,
se v'è un errore tra gli uomini funesto e lacrimevole, egli
è quello che sta nel giudicare il peccato. Fate la prova ad
interrogare tanti di questi ciechi che vivono nel mondo,
che cosa pensino, che giudichino del peccato ; se non vi scor
gono assolutamente il male, lo hanno per uno scherzo, una
burla , al più una debolezza, una fragilità da dovervisi quasi
passar sopra e compatire. Il modo con cui ne parlano ed
anzi ne ridono, la facilità con cui lo commettono , la
sonnolenza con cui stanno nel peccato, lo fanno pur troppo
abbastanza conoscere. Che giudizio, io domando, se ne fa
da noi e da tanti ecclesiastici che sono nel mondo ? Io non
ho coraggio a dirvelo : se mi consola la delicatezza, l'orrore,
la somma avversione degli uni all'ombra, al solo nome del
peccato, mi accora, mi spaventa la condizione di tanti altri .
Caduti in certi eccessi, in certi disordini, se ne sente il ri
morso ; e poi, invece di cercarne subito il perdono con un vero
pentimento, ci sforziamo per darcela ad intendere ; - Eh !
sarà male pur troppo, non vogliamo negarlo ; ma in fin dei
conti siamo uomini come gli altri, e non v'è a stupire gran
fatto se cadiamo nelle stesse miserie. — Eppure, fratelli miei,
64 MEDITAZIONE TERZA

se v'è persona che a questo mondo sia in dovere ed in


istato di conoscere per quanto è possibile il peccato, siamo
noi ecclesiastici . L'ecclesiastico infatti non deve conoscere
altro nemico che la colpa ; la sua vita, sino all'ultimo re
spiro, non ha da essere che una continua battaglia contrø
il peccato ; i suoi pensieri , le sue mire, i suoi talenti, i
suoi sforzi hanno da essere tutti rivolti senza eccezione a
distruggere, a sterminare questo mostro dalla terra, e ,
quando non sia possibile, a umiliarlo, restringerlo, dimi
nuirlo. Un sacerdote deve avere qualche cosa di più che
gli altri : avrà le stesse infermità, e se volete anche mag
giori, ma deve aver più petto, più coraggio, più virtù per
sostenersi, per combattere ; e chi non si sente forte abba
stanza per camminare glorioso in questo stato, deve stare
indietro ; chi non è capace di condurre se stesso, non si
metta a farla da capitano agli altri; il soldato fiacco e
pauroso, che stenta a combattere nelle ultime file, non
vada a porsi in prima linea contro il nemico. Ah ! un ec
clesiastico peccatore !... chi può comprendere, chi può con
cepire, chi può misurare l'assurdo, l'abbominevole, tutto
lo spaventevole di questa parola? Fermiamoci a meditarla,
sforziamoci, come già vi diceva, a penetrarla per quanto
da noi si possa .
Che cosa è il peccato? È una divisione, una separazione,
una rottura, un attentato, una rivolta, un'ingiuria, un ol
traggio, un disprezzo ; si, il peccato è tutto questo, il pec
cato è più che questo. Immaginatevi pur fra gli uomini
miserie, vicende di ogni fatta ; supponete una ribellione, un
attentato, un insulto colle circostanze più aggravanti di
suddito, di amico, di figlio, escogitati colla più fina malizia ,
eseguiti nel modo più indegno e sleale ; ebbene tutto questo
sarà un niente in paragone di quello che è e che in se
contiene il peccato. Ed invero : Chi è costui, quest'uomo
che pecca ? Una creatura che appena si ravvisa sulla terra,
.
IL PECCATO D'UN SACERDOTE 65

un essere che pochi anni addietro non compariva, e nessuno


parlava e sapeva di lui, un uomo, che, trascorso qualche
giorno, voi vedrete a scomparire dalla faccia della terra
senza che quasi nessuno se n'avvegga, una creatura, in
sostanza, che, attesa la sua viltà, la sua bassezza, la rapi
dità del suo vivere, la sua scomparsa , fugge inosservata,
pare quasi più un'idea che una realtà . Ecco chi è quest'uomo
che arriva a tanto di offendere Dio . Ma andiamo innanzi .
Chi è costui , quest'uomo che pecca ? Un uomo che Iddio
avrebbe potuto lasciar sepolto nel niente, un uomo che
dopo creato, Iddio preservò da tanti pericoli, contraddistinse
di tante grazie e favori, che nessuno di noi sarebbe capace
di enumerare ; un uomo, che se Iddio non si fosse degnato
di alzare dalla polvere, collocare in alto e farlo conoscere,
sarebbe vissuto e morto nell'oscurità ed oblio di tutti .
Si, questo ingiusto, quest'indegno, questo sleale che offende
Dio è appunto il sacerdote che pecca. Non basta ancora.
Chi è costui che pecca ? Egli è un personaggio che fa parte
tra i soldati, tra i servi più fidi di questo Dio ; un perso
naggio che fu già perdonato le tante volte e che ha pro
messo chi sa quante altre di non più cadere, eppure fa lo
stesso ; un personaggio che dice e ripete le cento volte al
giorno che non può soffrirsi dinanzi il peccato, epperò
un mentitore giornaliero e continuo ; un personaggio che
entra, esce e conversa a piacimento in casa del suo Signore,
maneggia, dispensa e tratta gli affari più delicati come fosse
il più fido, il primo amico di casa , quando ne è un tristo ri
vale, un perfido traditore, il quale attenta niente meno che alla
gloria, e perfino all'esistenza del suo Dio. — Si, tutto questo
è il peccato : non una debolezza da scusarsi ; ma un'incre
dibile temerità, un'ingratitudine mostruosa, una nera per
fidia, un orribile tradimento. E chi è che si rende colpevole
di tanta iniquità? Ah ! sacerdote fratel mio, tu lo sai, è di
te che io parlo : tu sei quel disgraziato : tu es ille vir.
66 MEDITAZIONE TERZA

Il profeta Natan, allorchè si presentó al re Davide per


rimproverargli il suo peccato, si fece strada colla parabola
di quel ricco ingrato e sconoscente, il quale, favorito dal
Signore di molte pecore e di bestiame, capitandogli un
bisogno e volendo risparmiare del proprio , strappò ad
un povero uomo l'unica pecorella che questi possedeva. +

Il re ad un racconto si doloroso e commovente, si senti


ardere di sdegno contro quel crudele , e stava decre
tando la sentenza, quando il Profeta : – Ferma, Maestà ,
gli disse, tu sei quel tale, quell' ingrato, Tu es ille vir ;
Iddio ti ha cavato dal popolo, t'ha unto re d'Israele, ti
ha liberato dalle mani di Saulle, t'ha fatto padrone della
casa del tuo signore, e se tutto questo è poco, è pronto
a dartene ancor di più , Si parva sunt ista , adiiciam
tibi multo majora. E perchè dunque lo hai offeso con
disprezzare la sua parola ? Quare ergo contempsisti ver
bum Domini, ut faceres malum in cospectu meo ? ( 1 )
Orbene, fratelli miei, figuriamoci che si presentasse anche
a noi un personaggio grave e dignitoso, il quale, con
accento tra commosso ed adirato si facesse a dirci :
Lo crederesti, o caro ? senti, caso fatale! un sovrano per
un tratto di bontà e di amore senza esempio, mandò a ri
cercare un tale fra la plebe negletto e quasi sconosciuto ;
per incredibile grandezza d'animo lo volle con sè a palazzo,
lo arrichi, lo esaltó, lo ricolmò di tutti gli onori e poteri,
con ordini e minaccie al suo popolo : guai a chi l'avrebbe
toccato, guai a chi l'avrebbe disprezzato, e guai ancora a
chi solo non l'avesse ubbidito ! Quest'ingrato, questo sco
noscente, invece di sapergliene grado, si voltò contro il suo
benefattore e, dimentico di ogni cosa, lo offese, lo ingiuriò,
ne fece ogni strapazzo. Non è vero, fratelli miei, che ad
un racconto di questa fatta, mentre noi proveremmo un
sentimento di compassione verso quell'uomo tradito, ci sen
( 1 ) II Reg. XII .
IL PECCATO D'UN SACERDOTE 67

tiremmo assaliti da forte indignazione verso questo mostro


di ingratitudine, di viltà e di perfidia ? Ebbene, immagi
niamoci che mentre ci stessimo adirando con quest'ingrato,
e pensassimo per niente a noi, fermati, ci dicesse il
personaggio, perdona, non prendertela con altri, perché sei
tu, tu es ille vir ; sei proprio tu , o ecclesiastico , tu
che hai quell'impiego, tu che sei in quel luogo, tu che
porti quei titoli, tu che godi pure tanta stima, tu che passi
per dotto, per esperto ed anche per virtuoso ; si tu sei
quell'ingrato, ed ascolta bene ciò che ti dice il Signore :
Io ti ho cavato dal fango, lo sai, e ti ho elevato tant'alto,
ti ho fornito di mezzi, di comodi, di onori, ognuno lo vede,
e se tutto questo è poco, domanda, fa sentire quello che
desideri, adiiciam tibi multo majora . E perchè, dun
que, rivoltarti contro di me ed oltraggiarmi? Quare con
tempsisti verbum Domini, ut faceres malum in conspectu
meo ?... quare ? Di’ la ragione, parla , ch'io ne sappia
almeno il perchè...
Condotto S. Policarpo dalla sua chiesa di Smirne a Roma,
e fatto entrare nell'anfiteatro, il tiranno gli propose di ma
ledire il suo Redentore Gesù Cristo. Inorridi il Santo a tale
proposta, ed alzati gli occhi al cielo, sospirando rispose : –
Sono ottantasei anni che servo il mio Dio ; egli non mi ha
mai fatto alcun male, anzi mi ha sempre compartito grazie
e favori; sarà dunque possibile che io abbia il coraggio di
maledirlo ? – Tale è il sentimento che dovrebbe svegliarsi
in ciascuno di noi ; tale è la risposta che dovrebbe dare
ogni ecclesiastico quando è tentato di peccare: È tanto
tempo che io sono al mondo , da tanti anni sono sacerdote ,
Iddio mi ha sempre fatto doni e favori; di più ho promesso ,
ho giurato di servirlo ; e come mai avrò ora il coraggio
di lasciarlo, di offenderlo, di maledirlo col mio peccato ?
Eppure quale fu la nostra condotta pel passato ? Ah, sa
cerdote che mi ascolti ! io vorrei che in questi giorni , fra
WWE
68 MEDITAZIONE TERZA

te e te andassi ripetendo ; Che cosa ho mai fatto ! Io


che sono cosi esigente, rigoroso cogli altri , guai che qual
cuno non mi obbedisca, mi manchi di fedeltà o di parola,
come ho trattato io il mio Dio ? Io che cerco di procurarmi
d'aver presso gli uomini la riputazione , il concetto d'un
uomo retto, incapace di far male ad alcuno, che anzi bramo
apparire di cuor sensibile, buono, so bene come sto, e come
mi sono diportato con Dio ! lo, infine, io sacerdote, ah ! che
pensiero ! che confronto doloroso per me mancare a pro
messe, a voti, a parole cosi sacre e cosi solenni ! Iddio si
fidò di me, si consegnò nelle mie mani, ed io lo trattai
cosi malamente ; diede a mia disposizione la chiave dei suoi
tesori, i suoi Sacramenti, ed io li ho dispersi e li ho pro
fanati; mi raccomandò le anime sue come il prezzo del suo
sangue, ed io le ho tradite , si perdettero esse per mia colpa.
Oh pensieri terribili che hanno fatto tremare più d'un
ecclesiastico al punto di morte, e ne tengono tanti altri in
continue angosce e rimorsi. Fratelli miei cari, apriamo anche
noi gli occhi , e ricordiamoci che con Dio non si burla.
Purtroppo abbiamo peccato ; ebbene questo peccato va giu
dicato, condannato e punito; un tribunale va eretto, e da
questo nessuno la sfugge: o alzarlo noi medesimi ed impar
zialmente, oppure lasciare che Iddio si riservi di farlo da
sė . E chi è questo Dio ? quel medesimo, contro cui se la
prende chi pecca ; ed eccoci all'altro pensiero.
II. Contro chi s'innalza e chi offende ed oltraggia il sa
cerdote che pecca ? Iddio ! ... E chi può pronunziare questo
nome senza sentirne, senza provarne un salutare timore e
spavento? Un Dio davanti a cui omnes gentes quasi non
sint, sic sunt coram eo ( 1 ) ; un Dio dinanzi al quale e le
nazioni e gli imperi più grandi, anzi l'universo tutto, sono
come una goccia d'acqua che scorre e più non si vede :
Ecce gentes , quasi stilla situlae et quasi momentum
( 1 ) Isai . XL . 17 .
IL PECCATO D'UN SACERDOTE 69

staterae reputatae sunt ( 1 ) ; un Dio che dice al mare :


fermati e non andar oltre : Usque huc venies, et non
procedes amplius, et hic confringes tumentes fluctus
tuos (2) ; un Dio che respicit terram et facit eam
tremere (3). E chi mai potrebbe immaginare, se pur
troppo non lo provassero i fatti, che un uomo, un sacer
dote, un essere cosi da poco , come abbiam veduto, potesse
arrivare tant'oltre , da disubbidire , da resistere a Dio ?
Nè in cielo, nè in terra , nemmen all'inferno si trova
chi {possa, chi osi contraddire alla voce , al comando di
questo Dio, le creature tutte anche le più indomite faciunt
verbum cius (4) ; solo tra gli uomini, e quel che è peggio,
tra sacerdoti, aveva da trovarsi chi avrebbe avuto il co
raggio di dire, di pronunciare un no al Signore : no,
non lo servirò, ma farò a modo mio. Iddio gli vieta
un'azione, ed egli vuol farla; Iddio glie ne impone un'altra,
ed egli non vuol saperne. Orsù, conosci, rispetta la mia
legge, sono io che comando, dice Iddio. Ed io non ob
bedisco, risponde l'uomo. — E chi è che parla , che opera
in questo modo ?... Ricordatevene, è un sacerdote, quel
sacerdote che ogni mattina chiama questo Dio dal cielo,
ed avutolo tra le mani, col peccato indosso e col desiderio
di continuare in questo stato, pare quasi gli dica : Sappi
che oggi io voglio fare a modo mio, è inutile che mi
vieti quell'azione, non mi sento d’astenermene ; inutile
impormi quell'altra, che non la farò . – Ah ! lascialo in
cielo il tuo Dio, direi a quest'infelice; e perchè chiamarlo
in terra tra le stesse tue mani affinchè vegga, diciam cosi,
più davvicino il tuo peccato e ne senta più vivamente l'onta
e l'oltraggio ? Ma vi ha di più. Con chi se la prende il sa
cerdote che pecca ? Con quel Dio, che, appena spirato, egli
si vedrà dinanzi per giudicare il suo medesimo peccato.
( 1 ) Isai . XL . 13. (3) Ps. CIII . 32.
( 2) Iob . XXXVIII . ll . (4) Ps. CXLVIII . 8.
70 MEDITAZIONE TERZA

Ci vuole una sfacciataggine, una temerità non comune per


affrontare, per assalire a faccia scoperta un personaggio che
si sappia essere destinato a condannare, a vendicare la stessa
nostra aggressione. Con quel Dio infine che nell'atto stesso
del peccato può troncare il filo della nostra vita, e sul mo
mento chiamarci a renderne conto. E quanti già non ebbero
si trista fine ! Un tale proferi appena l'invito al peccato,
che cadde morto ai piedi della persona sollecitata ; un
altro nell'atto del peccato ebbe solo campo a proferire io
muoio ; un terzo, più terribile ancora, nell'atto stesso del
peccato si trovò cadavere all'improvviso la persona complice
della colpa. E a questi colpi tremendi, chi mai, quando abbia
un po' di senno, non temerà il Signore, ed avrà ancora il
coraggio d'offenderlo ? Fratelli miei cari, noi non sappiamo
qual sia per essere quel momento, quell'istante terribile in
cui saremo chiamati alla resa dei nostri conti, perchè questa
scienza è riservata a Dio solo, Non est vestrum nosse
tempora, vel momenta , quae Pater posuit in sua pote
state (1 ). Dio ci preservi dal presentarci nell'atto o col
desiderio di offenderlo ! Oh che orrore ! Colti come in fla
granti, trovarci là davanti a lui con in cuore il disegno del
peccato, che vuol dire della rivolta, della ribellione! Si muore
quasi di spavento allorchè la giustizia umana arriva a co
gliere un delinquente nell'atto del delitto ; che sarà dunque,
Dio mio, di quel disgraziato che venisse fermato da voi
nell'atto di offendervi ? Noi ripetiamo molte volte nell'anno
queste verità agli altri ; ma altro è il dirle, altro il meditarle,
e sul serio e per noi .... E credereste voi, che un ecclesiastico
si lascierebbe cosi facilmente allucinare e cadrebbe in certi
spropositi quando per poco pensasse al pericolo a cui si
espone peccando ?
1
III. Quante e quali circostanze aggravano ancor questa
-
colpa? Ecco l'ultimo riflesso che ci resta a fare. Noi ci ri
5

( 1 ) Act. I. 7.
IL PECCATO D'UN SACERDOTE 71

durremo ad esaminare queste tre : il modo, il luogo, il


mezzo con cui si offende Dio ; e qui più che altrove po
tremo scorgere il male, la reità , la mostruosità della nostra
colpa.
E per primo il modo. Con questa parola io intendo
l'offesa fatta a Dio ad occhi aperti, con tutta scienza, sprez
zando i suoi avvisi, le sue promesse, le sue minaccie, i
suoi castighi ; quando niente ci spinge, e per niente lo of
fendiamo. Nessuno di noi potrà negare la gravità di questi
aggiunti; e se dessi purtroppo concorrono in ogni peccato,
nel sacerdote che pecca può dirsi che hanno luogo in un
modo particolare e tutto proprio. Vorrei poter parlare con
un disgraziato tra voi, che fosse giunto all'eccesso di offen
dere Dio, e gli direi : — tu hai peccato, pur troppo è vero,
rammentati di quel giorno, di quel momento sventurato
in cui sei caduto . Orbene dimmi, o caro, non è vero che
in quel punto tu conoscevi tutto il male che commettevi ? una
voce ti diceva : ah ! sacerdote, che cosa fai? lo sai pure che
offendi Dio ! ma bada, ma ascolta, ma fermati ; pensa al
pericolo a cui ti esponi, ricordati dei castighi già fulminati
contro il peccatore, ravviva la fede in quella mercede pro
messa a chi riuscirà vincitore ; coraggio, orsù, uno sforzo,
un sacrifizio, la vittoria è tua. - E queste, o cari, erano
pure le voci con cui s'industriava di rattenerci questo buon
Dio nell'atto che lo volevamo offendere; quella paura, quel
l'affanno che provavamo, quel contrasto, quell'irresoluzione
di commettere o no il peccato , quegli eccitamenti, quegli
impulsi a desistere ..... tutto ci parlava per lui, tutto pero
rava la causa sua . Ma che ne avvenne ? Dopo questo con
trasto , in seguito a questa lotta come di padre e di figlio,
impazienti quasi di essere stati troppo a lungo rattenuti da
queste voci, da questi inviti di amore, e fatti quasi ancor
più violenti per questa forza che ci toccava usare,
olà, pare che abbiam detto al Signore , lasciatemi stare ,
72 MEDITAZIONE TERZA

allonnatevi da me, recede a me, chè io voglio peccare.


Chi può comprendere la malizia, la gravità, la mostruosità
di questi aggiunti? Supponete un padre, che, offeso, oltrag
giato da un figlio ingrato, gli si facesse incontro, e, - figlio,
gli dicesse, tu mi conosci, e perchè trattarmi in tal modo ?
e non sai chi son io, quello che feci e sono per fare per
te ? ... deh ! pensa e lascia quel tuo modo d'agire ; e non
vedi che sarai il più infelice fra tutti ? e vorrai fabbricarti
da te stesso la tua rovina.... deh ! ascoltami , o figlio, e credi
una volta a quell'amore per cui ti voglio rendere felice e
fortunato . Ad un tratto di questa natura sarebbe quasi im
possibile che un figlio persistesse nel suo reo disegno ; ma
supponete che niente lo trattenga, e che mentre il padre
colle maniere più dolci, colle promesse più lusinghiere cer
casse di placarlo, questo sleale gli vibrasse un colpo da
attentare alla vita del padre suo. Chi non vede nel con
corso di tutte queste circostanze una reità, una perfidia.
inaudita da non potersi ne comprendere nè spiegare? Tale è
il caso nostro, o fratelli miei. Ogni qualvolta noi peccammo,
noi attentammo ai giorni del nostro padre, poichè sappiamo
che peccatum , quantum in se est, Deum perimit, e questo
tentativo noi l'abbiamo fatto in quell'atto medesimo che il
buon Dio, stendendo quasi verso di noi le mani, ci pre
gava, ci scongiurava e cercava in ogni miglior maniera di
farci desistere .
Ma non basta ; noi siamo ancora tanto più colpevoli
inquantochè lo abbiamo offeso per un niente. Se noi
avessimo peccato per evitare la morte o grandi tor
menti, non saremmo innocenti, no, ma molto meno colpe
voli, e la colpa nostra sarebbe in certo modo degna di
compassione; ma perchè peccammo?... fa ribrezzo, fa onta
il dirlo, e non si sa capire come si possa giungere al punto
di offendere e posporre Dio ad una burla, ad una facezia,
ad un po' di fumo e di terra, ad un capriccio. Ancora :
IL PECCATO D’UN SACERDOTE 73

In che luogo ed occasione abbiamo noi offeso Dio? Sotto i


suoi occhi ed in casa sua propria. Lo sguardo d'una per
sona autorevole d'ordinario è tale da infrenare anche un
insolente che la voglia offendere; e quante volte accade che
un malevolo, ancorchè spinto dalla più forte passione, pure,
giunto alla presenza della persona che voleva assalire, non
osa andar avanti e s'arresta. Dite adesso la forza che do
vrebbe avere su di noi per fermarci il pensiero, il riflesso:
Dio mi vede, Dio mi sta mirando .... non ho quasi ancor con
cepito il disegno di offenderlo, che già Iddio lo legge, l'ac
compagna in ogni sua parte, mi tien d'occhio in ogni mio
passo. - Susanna prescelse d'incontrar la vendetta di quei
due ribaldi, piuttosto che peccare alla presenza del suo Dio,
poichè, diceva: – Melius est incidere ... in manus vestras,
quam peccare in conspectu Domini ( 1 ) ; - e quante altre
persone sanno tener fermo in mezzo ai più grandi cimenti
ņon per altra ragione: Iddio ci vede, e questa cosa lo
offende . Oh ! fosse vero che altrettanto fosse avvenuto
di noi, e non avessimo ora da piangere d'aver contaminato
quella presenza divina, quegli occhi purissimi con un'ingiuria,
un insulto, un oltraggio, un disprezzo di tal fatta! Un con
fessore, non potendo indurre una persona a lasciare il pec
cato, si limitò a dirle che almeno prima di peccare desse
uno sguardo ad un crocifisso che teneva in sua camera.
Nemmeno questo io mi sento di prometterle, perchè non
so se me ne sentirò il coraggio. – Se ha il coraggio di
offenderlo, soggiunse il confessore, deve anche averlo per
guardarlo. - Questo va bene, rispose il penitente, ma pure
mi spaventa il solo pensarvi; eh ! lo so anch'io, che se
verrò al punto di poter dare questo sguardo, certamente
non mancherò .....
Sotto i suoi occhi ed in casa sua propria. Non può ne
garsi che l'offendere un personaggio nella stessa sua abi
(1) Dan . XIII . 23 .
CAFASSO - Eserc . Spir Medit . 6
74 MEDITAZIONE TERZA

tazione sia un delitto qualificato secondo tutte le leggi , e


meriti una punizione più grave ; eppure quando io ho offeso
il Signore, dove mi trovavo ? e che luogo ho scelto per dare
sfogo a quelle mie irriverenze, a quei pensieri, a quelle
occhiate, e, Dio non voglia ! a qualche cosa di più ? In quale
occasione ? Mentre vestiva le divise del mio ministero, rap
presentava la persona del mio Dio, dispensava i suoi Sa
cramenti, il suo Sangue, all'altare, in confessionale. O
sacerdote peccatore, domanda qui un gran Dottore della
Chiesa, non ti ricordavi in quel punto, del nome che avevi ,
dei titoli, del posto, della dignità che occupavi ? Non es
memoratus ? Non è vero che il caso in cui ti trovavi, le
divise che portavi, l'abito medesimo che ti distingueva do
vevano frenarti ? Non es memoratus ? Ah ! purtroppo che
hai dimenticato ogni cosa, e onore, e dignità, e chiesa,
e promesse, e minaccie... e sei caduto! Oblitus es dignitatem ,
oblitus promissionem Regni, oblitus judicium terribile,
amplexus corruptionem ! Mentre in apparenza fingevi di
fare gli interessi del tuo Dio, procurare il suo onore, la
sua gloria, fu appunto allora che per riuscirvi più sicu
ramente hai cercato di avventarti a questo Dio, per offen
derlo. Se vi ha delitto che porti in fronte un marchio d'in
famia, e tragga seco la riprovazione universale, si è quello
che ha luogo quando il delinquente, per riuscire nel suo reo
disegno e commetterlo a man salva, finge amicizia e mostra
interessamento per quel medesimo che sta per trafiggere,
e tale può dirsi propriamente il sacerdote che pecca nell'atto
del suo ministero e si serve anzi del ministero medesimo
per peccare più liberamente.
Ma veniamo all'ultimo riflesso che aggrava la colpa , ed
è vedere con quali mezzi il sacerdote offenda il Signore.
L'ingiuria più sentita nel mondo è sempre quella che parte
da una persona favorita e beneficata ; ma si rende poi in
sopportabile quando la persona si serve del benefizio me
IL PECCATO D'UN SACERDOTE 75

desimo per compierla, per consumarla e del favore che ha


ricevuto o riceve, se ne fa uno strumento per offendere,
per' oltraggiare il suo benefattore. Che diremmo noi di un
tale, che, ricevuta per puro dono una larga somma di da
naro, l'impiegasse a procurarsi veleno od un'arma micidiale
per attentare alla vita del suo generoso benefattore ? Ciò
che sarebbe quasi impossibile, od almeno può succedere ben
di rado tra gli uomini, l'ho fatto io, e forse l'ha pur fatto
qualcuno di voi . Dono del Signore, e dono particolare, sono
dapprima le facoltà della nostr'anima, i sensi del nostro corpo,
la sanità, i mezzi di sussistenza, lo stato, la condizione nostra ...
E quanti ne sono privi, o meno favoriti di noi!... e nondimeno,
diciamolo pur qui fra noi ed a nostra confusione, qual è
quel dono, di cui non ci siamo serviti per offender Dio ?
Se siamo caduti in tanti eccessi , se abbiam fatto certi spro
positi , non è forse la sanità, la sostanza, la nostra destrezza,
i sensi nostri che ci aprirono la strada ?... E più d'una volta
questi favori e doni ricevuti da Lui furono il mezzo , la
matéria medesima della sua offesa ; se Iddio fosse stato con
noi più ristretto di mano, noi non avremmo portato tan
t'oltre il numero delle colpe e delle ingratitudini. E come
volete che non sia punto al vivo il cuore di un Dio, nel
vedersi convertita, diciam così , in pugnale appuntato
contro di Lui quella grazia , quel favore che negó a
tanti altri , e per cui noi dovremmo avergli la più
grande riconoscenza ? Anzi , siccome questi favori non
solo Iddio ce li ha dati , ma egli medesimo ce li con
serva , e basterebbe che egli desistesse dal conservar
celi , perchè noi ne fossimo privi sul momento , cosi
può dirsi che noi lo costringiamo a concorrere, a darci
mano nell'ordire , nel consumare il peccato, che è
quanto dire l'attentato contro di Lui , ciò che già egli
stesso lamentava per bocca d'Isaia profeta : Veruntamen
servire me fecisti in peccatis tuis , præbuisti mihi
},

76 MEDITAZIONE TERZA

laborem in iniquitatibus tuis ( 1 ). Quale ingratitudine !


quale perfidia ! quale mostruosità ! diportarci in modo da
voler che Iddio ci aiuti ad agire contro di lui , a distruggere
il suo onore, la sua gloria.
Ma finiamola, fratelli miei, che egli è tempo, e conclu
diamo. Il peccato è un gran male, il solo, il primo, il mas
simo dei mali che siano quaggiù . Noi ci siamo sforzati
di farcene un'idea da quanto abbiamo meditato fin ora,
ma sappiate che è un niente in paragone di quello che
scopriremo colla candela della morte, molto più al lume
dell'eternità : il peccato è un male gravissimo per tutti, ma
sorpassa ogni credere quando sia commesso dal sacerdote.
Deh ! Non aspettiamo a meditarlo, a conoscerlo, a piangerlo
sull'orlo della tomba, poiché ci esporremmo ad un grande
pericolo, e, quello che è certo, a grandi angustie. Quanti
sacerdoti muoiono e vanno all'altro mondo collo spavento
e col tremito ripetendo: – chi sa che cosa sarà di me ! ...
fui sacerdote, fui peccatore, e muoio.... chi sa quale dei
due la vincerà ! - Ah che terribile, che angoscioso pen
siero ! Moriva un ecclesiastico il quale aveva avuto la dis
grazia d'offendere Dio, e morendo ripeteva : Dei peccati
da secolare spero perdono e misericordia , ma dei peccati
da prete non so darmi pace . Un altro che si mostrava
in quelle ultime ore quanto mai agitato ed inquieto, ecci
tato a sperare, a confidare nella misericordia del Signore ,
rispose : Se fossi secolare, si ; ma sono sacerdote ! e

non potè dire altro perchè interrotto dalle lacrime e dal


pianto. Io non voglio già dire con questo che non vi sia
più misericordia in quel punto per un ecclesiastico pecca
tore ; no ; ma solo mettervi sott'occhio le angoscie, le am
bascie , le torture che dà il peccato in punto di morte, e
come ci torni a conto e convenga meditarlo e piangerlo fin
d'ora , per risparmiarci lacrime più amare in quel gran
(1 ) Isai . XLIII . 24.

1
they
IL PECCATO D'UN SACERDOTE 77

giorno. Del resto, fratelli miei, vi è una voce che consola :


nolo mortem peccatoris, convertimini.... ( 1 ). A questa voce ,
a questo invito già si scossero tanti sacerdoti peccatori ;
piansero il loro peccato, e trovarono perdono e si sono sal
vati . Scuotiamoci anche noi, mentre abbiam tempo ; noi
sacerdoti più che i secolari abbiamo tanti stimoli al penti
mento nel nostro stato : ogni giorno ci cadono sott'occhio
nel Breviario molte massime di confidenza e di terrore ; fre
quentemente ci vengono ai piedi peccatori pentiti, stanchi
del loro peccato, che piangono, che gemono ; sovente assi
stiamo alle pene, alle angustie di tanti peccatori sul loro
letto di morte....... E che aspettare dunque, che tardare ?
Abbiam peccato, e questo peccato va pianto ; non v'è altro
mezzo : 0 piangerlo con lacrime di pace e di consolazione
in questi giorni, o piangerlo coi dolori della morte nelle
nostre ultime ore, o finalmente piangerlo disperati all'in
ferno. Non v'è altro mezzo, ripeto ; e perchè non ci accada
tanta disgrazia, il Signore dia a me, dia a voi un orror
tale alla colpa, che fin d'oggi e sovente nel giorno e nella
nostra vita avvenire abbia a risuonare una voce sola sulle
nostre labbra, una grande parola, una parola che rallegri
tutto il Paradiso, una parola che faccia sbalordire tutto
l'inferno, e sia questa : mai più peccati, peccati mai più !
(1 ) Ezech . XXXIII , 11 .
MEDITAZIONE QUARTA

Il Sacerdote in peccato .

PREGHIERA. -
Grande Iddio , vi credo qui presente ed
adoro la Vostra Divina Maestà. Ho peccato, o Signore, e lo
ripeterò sempre confuso finchè avrò vita. In questa sera
mi umilio sotto quella mano che mi percuote ed accetto
tutti quei castighi a cui la vostra giustizia sarà per con
dannarmi. Ho peccato, ed è giusto che senta la pena del
mio peccato. Fatemi la grazia, o Signore, che impari a temere
la vostra collera, ma che ne tema ancor più la cagione,
qual è la colpa. Cara mia Madre Maria, voi che ai piedi
della croce vedeste i castighi del peccato, pregate per me,
pregate per un povero vostro figlio. Angelo mio custode ecc.

Il peccato, come abbiam detto stamane, è il solo, il vero,


il più gran male del mondo ; epperò ben gravi e terribili
dovranno essere gli effetti, i danni, le conseguenze che esso
sarà per produrre. Ed infatti il peccato entrò in cielo e lo
disertò di tante migliaia di angeli confinati perciò nell'abisso ;
penetrò nel Paradiso terrestre e ne cacciò tantosto i nostri
IL SACERDOTE IN PECCATO 79

infelici progenitori; entra nelle città, nei paesi, nelle famiglie,


e le riempie di ogni sorta di guai, di sventure, di malattie,
di rancori, di tristezze e di morti: Propter peccata veniunt
adversa ..... e miseros autem facit populos peccatum ( 1 ) .
Giobbe paragona la colpa al fuoco che non si ferma finché non
abbia atterrata la casa e consumata ogni cosa : Ignis usque
ad perditionem devorans (2). Il peccato si avvicinò solo
per apparenza al divin Redentore e lo deformò talmente da
non avere più figura e sembianza d’uomo. Ora io domando :
che cosa sarà dunque di un disgraziato sacerdote che abbia
peccato, peccato più volte e in più maniere, e che continui
a peccare ? Che cosa sarà di lui in vita, che ne sarà in
morte, che ne sarà nell'altro mondo ?... È impossibile che io
possa d'un colpo rispondere a tre domande, quando cia
scuna di esse è capace di far inorridire e tremare ; quindi
stassera noi prenderemo solo a considerare il sacerdote pec
catore ancora vivente tra noi ; ciò che lo attende in morte
ed all'eternità sarà materia di altre più serie meditazioni.
Eccovi pertanto il soggetto della meditazione presente : noi
considereremo il tristo stato, la condizione deplorevolissima,
la vita infelice del sacerdote peccatore su questa terra, vale
a dire ciò che abbia a temere, ad aspettarsi in questo mondo
quel povero ecclesiastico che ha la disgrazia di offendere
il Signore ; e sarà niente meno che, 1 ° lo sdegno e la collera
del Signore nei temporali castighi ; 2° una vita travagliata,
lacerata da mille rimorsi ed angustie ; 3° finalmente la mi
naccia purtroppo spaventosa di terminare e terminare presto
con una morte pari alla vita la sua infelice carriera di
questo mondo. Cari miei, nel mondo si commettono tanti
peccati, si dorme tranquillamente nella colpa, perchè non
si pensa , non si bada alle conseguenze ; e quello che è
peggio si sente ben sovente a qualificare per bagatelle, per
debolezze umane ordinarie, certi peccati anche enormi, pec
(1 ) Prov. XIV . 34. (2) Job. XXXI . 12 .
80 MEDITAZIONE QUARTA

cati contro cui le S. Pagine scagliano tanti væ ! Noi rin


graziamo il Signore perché ci abbia dato comodità e luni
per conoscere, per detestare questo gran male, anzi l'unico
del mondo ; preghiamolo in questa sera che ci apra sempre
più gli occhi, tanto sulla colpa, quanto sullo stato d'un
ecclesiastico in peccato. Si, mio Dio, parlate voi al cuore
di tanti miserabili, tuonate alle loro orecchie, ma tuonate
forte , sicché si destino, vi ascoltino ed aprano una volta
gli occhi su quel precipizio in cui stanno per cadere.
I. Dio non l'ha mai perdonata e non può perdonarla al
peccato : pazienta, dissimula, aspetta ; ma finalmente si sveglia
e di tanto in tanto non può a meno che lasciar travedere
qualche lampo della sua divina giustizia. Io non parlo qui ,
come vi dissi, dei castighi eterni , che saranno il soggetto
di altre future e più serie considerazioni : voglio attenermi
solo in questa sera a quella falange sterminata di guai, di
miserie d'ogni genere e di temporali castighi che più presto
o più tardi, in questo od in quel modo, la colpa suole
attirare sui popoli e principalmente sull' infelice peccatore.
Se v'è una verità più che evidente nelle sacre carte, ella
è questa. Leggetele da capo a fondo, cominciando dai primi
libri, il Levitico principalmente ed il Deuteronomio ; scorrete
quindi i Salmi ed i Profeti, e voi troverete un pieno ac
cordo in tutti, una voce sola, lo stesso linguaggio al nostro
proposito, un tessuto cioè di grazie e di benedizioni tem
porali per chi si manterrebbe fedele al suo Dio, pace, sa
nità, abbondanza di raccolti, prosperità perfino negli ar
menti; ma al contrario una serie tremenda di guai, di
minaccie, di castighi sulla terra per ogni persona che avrebbe
osato allontanarsi dai precetti e dai comandamenti del suo
Dio. Di questi passi potrei citarvene un'infinità ; a me però
fa specie e non può a meno che essere di terrore per
qualunque peccatore il tratto che noi troviamo nel citato
Deuteronomio . Dopo avere il Signore promesso agli Ebrei
1

IL SACERDOTE IN PECCATO 81

ogni sorta di benedizioni, se l'avessero ascoltato ed obbe


dito , viene finalmente al punto che noi trattiamo, che cosa
cioè avrebbero dovuto aspettarsi qualora gli fossero stati
infedeli. Ecco le sue parole: Quod si audire nolueris vocem
Domini Dei tui, ut custodias et facias omnia mandata
ejus..., venient super te omnes maledictiones... maledictus...
in civitate ... maledictus in agro ... maledictæ reliquiæ tuc ...
maledictus ingrediens... maledictus egrediens... ( 1 ) e cosi
insegue per ogni passo il peccatore. Che se non basteranno
questi temporali flagelli a far riconoscere agli infelici le
loro colpe ed a ritirarli dalla mala via in cui si sono messi,
ebbene il Signore aggraverà la sua mano : Augebit Dominus
plagas tuas et plagas seminis tui, plagas magnas et
perseverantes, infirmitates pessimas et perpetuas (2).
Sicché, cari miei, se v'è personaggio al mondo, che abbia
a temere sulla terra, e temere e paventare in tutto, egli
è il peccatore: temere per sè, pei suoi, negli averi, nei
suoi affari, nella sanità, in casa, fuori casa ; dappertutto vi
è una minaccia, una maledizione, un castigo che lo attende
e già gli pende sul capo. Credo che a nessuno verrà in
mente che queste minaccie e castighi fossero limitati e di
retti ai soli Ebrei , poichè bisognerebbe dire, o che i pec
cati di quelli fossero maggiori dei nostri, oppure che Iddio

id,
avesse cangiato di sentimento nel giudicare del peccato,
cosa impossibile anche solo ad immaginarsi ; e quando
Iddio a qualche peccatore in particolare non facesse cosi
tosto sentire il peso della sua mano , ben lontano
dal presagirne in bene , non sarebbe che indizio più
funesto ancora d'una collera a dismisura più grande,
a proporzione che venne sulla terra differita. No, è
impossibile possa andar bene dove v'entra la colpa ;
purtroppo non avrà a temersi che male dove giungerà
questo mostro. Fra tutti però chi ha più a temere sulla
)-her APA

( 1 ) Deut. cap . X. (2) Ib . I. c.


BAB
82 MEDITAZIONE QUARTA

terra dalla collera e dallo sdegno di Dio, egli è l'ecclesia


stico peccatore .
Tre cose noi rileviamo dalle sacre pagine pel nostro
conto : primieramente che ai peccati nostri , come più gravi ,
Dio fulmina castighi più grandi; secondo : siccome il nostro
peccato d'ordinario conduce seco quelli del popolo, cosi Dio
pei peccati nostri castiga popolo e sacerdote ; finalmente
per l'ecclesiastico peccatore Dio ha minacciato certi tempo
rali castighi che tardi o tosto si faranno sentire .
È un riflesso fatto da molti autori, che nell'antica legge,
ogni qual volta che Iddio faceva qualche legge ai sacerdoti
di far qualche cosa o di astenersene, finiva sempre con
una minaccia di morte o d'altro ben grave, ai trasgressori.....
ne moriamini... ne moriantur ... morientur ; cosi nell'Esodo,
nel Levitico, nei Numeri ; acciò si vegga, dicono essi, il
peso che il Signore dà alle colpe dei sacerdoti, lo sdegno
che ne prova. I flagelli poi con cui ha fatto conoscere la
sua collera sui sacerdoti antichi, parlano ancor più che le
parole ; la caduta subitanea di Oza levita, i castighi della
casa di Eli, che furono tali : ut quicumque audierit, tinniant,
ambæ aures ejus (1 ), la pena data a Mosè ed Aronne,
nonostante fossero i suoi cari. E non ci deve parere strano
questo rigore sulle nostre colpe, poichè essendo noi molto
più rei che qualunque altro nel peccato, è giusto che ne
siamo anche temporalmente con maggior severità puniti.
Ciò però che ci deve arrecare non poco fastidio e non
poco dolore, è l'altro punto che già abbiamo accennato ,
cioè che pel peccato nostro il popolo intiero ne abbia a
portare la pena. Noi , fratelli miei, possiamo essere pei po
poli la grazia più grande ed eletta che loro possa concedere
Iddio, quando ciascun di noi sia proprio un vero sacerdote ;
ed infatti il Signore l'aveva promesso al suo popolo, quando
si fosse regolato bene, e l'avesse meritato e si fosse con
( 1 ) IV. Reg. XXI . 12.
IL SACERDOTE IN PECCATO 83

vertito : Convertimini..... et dabo vobis pastores juxta cor


meum ( 1); al contrario saremo il flagello, il castigo più
terribile, quando deviassimo dal nostro dovere, e Iddio me
desimo per bocca del suo profeta l'aveva già minacciato al
popolo antico : – Perchè non hai ascoltata la mia voce, io
farò che i tuoi sacerdoti siano vuoti, leggieri, e pasciuti di
vento : quia non audisti vocem meam ..... omnes pastores
tuos pascet ventus (2) : sacerdoti mondani, dissipati, secola
reschi , dominati dal fumo e dal vento della superbia, dal
l'ambizione, epperciò ti lascieranno correre per la stessa
via ; ma io saprò far giustizia degli uni e degli altri ; ep
perciò guai a quella casa , guai a quella famiglia, guai a
quel paese a cui tocchi questo flagello di aver un cattivo
sacerdote. L'ecclesiastico quando sia buono, virtuoso, esem
plare, chiama sopra di sè, come sopra del popolo con cui
vive le benedizioni, le grazie del Signore; e fra gli altri casi
che abbiamo nella S. Scrittura basti quello ben noto del
2° libro dei Maccabei , dove si dice che tutta la santa città
viveva in somma pace e tranquillità propter Onice pon
tificis pietatem (3). Ma chi sa quali e quanti castighi il
Signore sarà per fulminare e permettere su quella terra
infelice, in cui il sacerdote pecchi , e dove purtroppo al suo
peccato più o meno s'aggiungono i peccati altrui. Pel pec
cato dei diversi Leviti in occasione della ribellione di Core,
Datan e Abiron, Iddio si sdegnò di tal maniera, che un fuoco
improvviso castigò più di quattordicimila persone. Pel peccato
dei due fratelli sacerdoti Ofni e Finees Iddio permise fosse
rotto e disfatto un esercito, che il popolo fosse trattato da
schiavo, finchè fe' poi sorgere Samuele. Per le colpe dei sacer
doti, come dicono i profeti Geremia ed Ezechiele , Gerusa
lemme fu data nelle mani dei Caldei, saccheggiata e distrutta .
Qualcuno può dire che sono castighi antichi; ma io dico,
antichi o recenti , è certo e non si può negare che furono
( 1 ) Jer. Ill . 15. (2) Jer. XXII . 22 . (3) II Macc. llI . 1 .
84 MEDITAZIONE QUARTA

frutto dei peccati dei Sacerdoti ; ed i peccati nostri non


cangiarono, anzi, se allora erano già gravi, lo divennero
ancor più per l'eccellenza del nostro Sacerdozio. Noi sap
piamo i castighi che le colpe dei sacerdoti attirarono in
quei casi ed in quei tempi sul popolo ; quali e quanti ne
attirino al tempo nostro i peccati di noi ecclesiastici nol
possiamo sapere cosi di certo ; ma è sicuro però che noi vi
abbiamo la mano, noi ne siamo in qualche modo la cagione.
Che se possiamo dubitare dei castighi altrui , siamo tanto
più certi di quelli speciali, che Dio già da tanto tempo ci
ha minacciati.
Tre sono i temporali flagelli che a chiare parole Dio ha
segnati nelle S. Scritture per nostra norma ed a nostro sa
lutare spavento ; e fosse pur vero, che mai non li avessimo
dimenticati ! povertà temporale, povertà spirituale, lo scherno
e la burla del popolo. Ad vos , o sacerdotes, cosi pel pro
feta Malachia, si nolueritis audire.... ut detis gloriam no
mini meo.... che ne sarà? ascoltiamo : ait Dominus exer
cituum : mittam in vos egestatem : povertà temporale ;
maledicam benedictionibus vestris.... proiiciam .... stercum
solemnitatum vestrarum : povertà spirituale ; propter quod
dedi vos contemptibiles omnibus populis: ecco lo scherno
del popolo ( 1 ). E tutto ciò per qual cosa ? Perchè non ser
vastis vias meas. Fratelli miei cari, Iddio non poteva un
di parlare più chiaro colle parole, nè parlar presentemente
più forte e più chiaro coi fatti. Io prescindo dalla povertà
temporale, come dall'ignominia nostra davanti ai popoli, che
sono i castighi minori ; per un buon ecclesiastico quello
che lo deve più accorare è la povertà spirituale, e voglio
dire : la sterilità, la povertà del nostro ministero, l'inutilità
delle nostre fatiche e dei nostri sudori. Noi siamo soliti ad
incolparne la malizia altrui , a cercar altre cause ; sarà anche
vero ; ma perchè Iddio permette questo trionfo del vizio,
(1 ) Malach . cap. 11 .
IL SACERDOTE IN PECCATO 85

questo insulto alla virtù ? Non mettiamoci fuori, perchè in


qualche modo, per qualche parte ognuno di noi forse, od
anche senza forse, vi entra : Si nolueritis audire..... ut
detis gloriam nomini meo ... non servastis vias meas....
maledicam benedictionibus vestris..... proiiciam stercum
solemnitatum vestrarum. Siamo deviati dalla nostra strada,
abbiam cercato piuttosto la nostra gloria, i nostri comodi,
i nostri interessi, che l'onore e la gloria di Dio ; ebbene il
Signore ci umilia, ci castiga, e fa che quella parola, la quale
un di dominava gli stessi elementi, ora sia vuota, fiacca e
senza forza, anzi alle volte ancor burlata e derisa. Ah sa
cerdoti fratelli miei ! facciamo senno, apriamo gli occhi ;
anche lo stolto, al dire dello Spirito Santo, mette giudizio
innanzi al rigor del castigo : impariamo da questi tempo
rali flagelli a guardarci da altri castighi più terribili e più
funesti. Facciamolo per l'onor di quel Dio che siamo de
stinati a servire ; facciamolo pel bene di quelle anime che
ci tocca salvare ; facciamolo pel decoro della nostra religione
e per la gloria del nostro carattere e del nostro ministero.
Esso è già lo scherno e la burla dei maligni ..... deh ! per
pietà ritiriamo la nostra mano, e non aiutiamo noi stessi a
metterlo tra il fango colle nostre colpe. Nè lasciamoci lu
singare da quel pensiero che vi siano sacerdoti non tanto
buoni, che pure sono fortunati e felici. È spettacolo ben
triste quello che offre un uomo, un sacerdote che prospera
in peccato, che ride e scherza nella colpa ; simile ad un
moribondo che dice non aver più male alcuno... egli
è agli estremi . Tu ridi , dice S. Gio. Grisostomo,
tu ridi nella colpa, ma io piango per te, piango perchè
tu non piangi. Eppoi non crediate già che questi
tali siano felici, allegri, contenti come appaiono ester
namente , imperocchè il sacerdote peccatore non può
aspettarsi che una vita la più travagliata ed affan
nosa : Tribolatio et angustia in omnen animam ho

$
86 MEDITAZIONE QUARTA

minis operantis malum ( 1 ) ; ed eccoci al secondo


punto.
II . Il Signore parlando per bocca di Geremia e lamen
tando le colpe ed i disordini di quei tempi, particolarmente
dei sacerdoti, minacciava loro amarezze, afflizioni tali da
doversi paragonare all'assenzio ed al fiele; e non già ad
intervalli o per poca durata, ma senza interruzione, perpe
tuamente, per modo che questo e non altro sarebbe stato
il loro pane quotidiano : Propterea cibabo eos absinthio et
potabo eos felle (2) ; disgusti, amarezze, dispiaceri d'ogni
genere, come spiegano gli interpreti, disgusti e dispiaceri
per parte del mondo, dei nemici, dei parenti e perfin degli
amici ; amarezze ed afflizioni nell'impiego, nelle occupazioni,
per la roba, per la sanità, nella fama, sempre, dovunque,
per ogni parte, perchè sta scritto : Cibabo eos absinthio, et
potabo eos felle. Il fiele però più amaro, l'assenzio più di
sgustoso che Iddio tiene riservato all'ecclesiastico peccatore,
sarà dentro di lui medesimo, e voglio dire quell'inferno della
propria coscienza che porta chiuso e serrato in cuore e che
continuamente lo rode, lo strazia e lo divora : Non est pax
impiis (3), l’ha detto il Signore, ed è parola che non può
mancare. I gentili stessi giunsero a credere che questo sup
plizio, questo tormento dovesse essere sufficiente a punire
il peccato : error grande egli è questo, dice S. Agostino, ma
errore che prova una grande verità, che fa cioè conoscere fino
a qual punto giunga l'infelicità d'un peccatore e quali sieno
le pene che gli conviene soffrire. Tutto questo mondo è
misto di amarezza per un peccatore : datemi qualunque di
vertimento, qualunque letizia, qualunque soddisfazione, ogni
cosa ha un pungolo, ha una spina per la persona che è in
peccato . Non parlo già del pensiero della morte, dell'inferno,
dell'eternità, che lo agghiacciano ; non voglio dire di quei
colpi tremendi della divina giustizia che lo sbalordiscono e
( 1 ) Rom . Il . 9. (2) Jer. 25. 15. (3) Is . XLVIII. 22.
IL SACERDOTE IN PECCATO 87

lo mettono quasi fuori di sė ; ma anche le stesse cose in


nocenti e dilettevoli per lui sono tristi, sono amare ; egli
si sforza per aver pace, e pace non v'è ; pare che goda, e
non è vero ; ride, ma soffre; mostra d'essere contento, ep
pure non l'è... oh che fallace apparenza , che triste e do
lorosa realtà ! E quante confessioni di questa sorta il pen
timento ha strappato e strappa continuamente ogni di dalla
bocca di tanti infelici, che, stanchi di gemere, di soffrire
sotto il peso del peccato, vengono a cercare un po' di ri
poso e di quiete all'ombra di questa croce e nelle braccia
di questo Dio ! Se questo però è vero per tutti, lo è molto
più e fuor di misura per noi ecclesiastici , se mai abbiamo
la disgrazia di mancare ; sia perchè il peccato nostro es
sendo più grave, più malizioso, più enorme, alza più alto
la voce e manda grida più forti, sia perchè il secolare pro
cura di schivare tutto ciò che gli può ricordare il suo pec
cato, e qualche volta ne ottiene l'intento. Il sacerdote al
contrario deve aver sempre alle mani e sott'occhio ciò che
glie lo ricorda, e, quand'anche lo volesse dimenticare, l'al
tare, il confessionale, il pulpito, le sue stesse divise e ve
stimenta, ogni cosa insomma pare abbia una lingua, e tutto
in lui sembra fatto a bella posta per rimproverargli il suo
peccato. Il solo breviario, pare a me, debba essere per un
sacerdote in peccato uno spinaio il più terribile ; e per ca
pirlo fermiamoci un po' a considerare, a pesare, se ci sarà
possibile, la serie dei contrasti, dei crepacuori, degli affanni
e degli spaventi che deve sentirsi e deve provare un sacer
dote peccatore alla recita del Divino Uffizio. Ed in verità
non dovrà essere per lui una contraddizione continua ed
un rimorso e rimprovero ben amaro quel dover protestare
cosi continuamente e giurare perfino che esso ha in odio
la colpa, che non vuol declinare dalla sua legge, che è fermo
di osservare i suoi comandi , mentre egli sa, e lo sa di certo ,
che questa colpa stessa la porta con sé e non sa determi
88 MEDITAZIONE QUARTA

narsi a lasciarla, o che dopo lasciata, la ripigliò di nuovo :


Iniquitatem odio habui et abominatus sum ..... iuravi et
statui custodire judicia justitice tuce ..... ab omni via mala
prohibui pedes meos (1 ). Ah caro , che solenne menzogna ....
E sappi che tu non mentisci agli uomini, ma mentisci a
Dio..... Ah mentitore ! mi pare che una voce debba gridare
dall'interno, no, non è vero : falso che tu odii il peccato,
falso che sia deciso di starne lontano. E che rispondere ?
che fare ? potesse almeno tacere, ma no, che gli conviene
parlare, è in dovere di dirlo..... con che ribrezzo, con che
ripugnanza, con che contrasto ! Lo potrà dire quell'infelice
che l'ha provato. Non basta ancora. Superati quei primi
contrasti, altre strette più dolorose, altri incontri più an
gosciosi attendono il disgraziato sacerdote. Molte volte nei
Salmi egli deve dire, deve ripetere, deve rammentare, anche
a suo dispetto, quelle gioie, quelle carezze, quelle dolci
promesse che lo Spirito Santo fa sentire all'orecchio ed al
cuore delle anime giuste : Beatus vir qui timet Dominum ...
con quello che segue di quel Salmo capace d'intenerire, di
consolare qualunque cuore: Quam magna multitudo dul
cedinis tuæ ... timentibus te... pax multa diligentibus legem
tuam (2).
Ma che vale se queste beatitudini, queste dolcezze , questa
pace non è per lui ? povero sacerdote ! egli l'annunzia, l'au
gura, la prega, la porta agli altri , non l'ha egli stesso ; l'an
nunzia e la prega ogni mattina all'altare : Pax Domini sit
semper vobis ; ma egli geme e vive tra i rimorsi ; la porta
nelle case : Pax huic domui, e vuol che tutti ne godano
et omnibus habitantibus in ea ; egli solo ne è escluso. Ep
pure qui non finisce ancora tutto il doloroso e tutto l'amaro
del sacerdote peccatore, anzi ci resta ancora il più terribile,
ed è appunto nei Salmi delle Ore canoniche che troviamo
registrate quelle terribili sentenze, da fare spavento a qua
( I) Salm . CXVIII . (2) Psalm . CII , - XXX , - CXVIII .
IL SACERDOTE IN PECCATO 89

lunque peccatore : Vultus autem Domini super facientes


mala, ut perdat de terra memoriam eorum .... Injusti pu
nientur et semen impiorum peribit..... Reliquiæ impiorum
interibunt ( 1 ). Si possono dare sentenze più forti, più vibrate,
più spaventose, quando il Signore si protesta di volerla
nemmen perdonare ad una menoma particella d’un pecca
tore : reliquiæ impiorum interibunt ? Ma andiamo al ter
mine, giacchè il peccatore più che ogni altro corre al fine :
Virum injustum mala capient in interitu ..... Mors pec
catorum pessima (2) . Ditemi : è forse possibile che un
sacerdote col peccato sull’anima, tanto più se fosse recidivo
invecchiato, sappia pronunziare, ripetere e come masticare
tra i denti si terribili minaccie, senza sentirsene un orrore,
uno spavento, un raccapriccio sommo ? Non può ometterle,
le deve dire, sentirne tutto l'amaro; ed a me pare che mentre
le pronunzia la coscienza deve gridare come Natan : tu es
ille vir : tu sei proprio quel tale , sono per te queste mi
naccie, sono per te questi giorni di spavento e terrore .
Ah povero cuore ! ah infelice sacerdote ! Il Divin Redentore
nel separarsi da' suoi Apostoli lasciò loro in dono, in re
galo questo gran tesoro della pace ; Pacem relinquo vobis,
pacem meam do vobis (3), é la lasciò specialmente
anche a noi suoi successori e ministri ; e quanti buoni
ecclesiastici nuotano in questo mare di dolcezze ! Il pecca
tore invece agonizza più di quello che viva , e ben lungi
dall'aver pace, sa quasi nemmeno che cosa essa sia :
Contritio et infelicitas in viis corum , et viam pacis non
cognoverunt (4 )
Se consideriamo poi il ministero di questo sacerdote,
non può a meno che essergli una nuova fonte di dolore
e di amarezza . Lascio a parte tutto il rimanente, e mi ap
(1 ) Psalm . XXXIII . 17. -
XXXVI . 28. 38 .
(2) Psalm . CXXXIX . 12. XXXIII . 22.
(3) Joann . XIV. 27. (4) Psalm . XIII . 3.
CAFASSO - Eserc. Spirit . -
Medit . 7
90 MEDITAZIONE QUARTA

piglio solo al Sacramento della Penitenza . Giornalmente, od


almeno bene spesso, si vede ai piedi anime traviate, che,
stanche di soffrire, vengono a mettersi tra le sue braccia
per domandar perdono, per cercar aiuto, per avere un po'
di conforto. Quali colpi per costui, quali rimproveri, quali
eccitamenti, quali contrasti ! sentire dalla loro lingua, che
hanno fatto male, che sono pentiti, che vogliono cangiar
vita ; sentire i loro affanni, le loro pene, i loro rimorsi ;
udirli a dire di voler emendarsi ad ogni costo, non poterla
durare in tale stato , essere pronti ad ogni cosa . Io non so
come se la cavi e che cosa debba soffrire un ecclesiastico
in tali occasioni, quando pensi che egli medesimo si trova
in simile stato, egli stesso in peccato, egli stesso stanco,
turbato e divorato dai rimorsi ..... Ah ! che acuta saetta
deve essere al cuore di questo sacerdote ogni parola, ogni
gemito, ogni sospiro di tali penitenti ; ah ! che scuola devono
essere per noi queste dolorose confessioni! Fratelli miei
cari, 'se non ci cale l'offesa del Signore, ci tocchi almeno
la miseria del nostro stato , perchè non v'è persona più da
compiangersi a questo mondo di quella che non sa aver
compassione di se stessa : Quid miserius misero non mi
serante seipsum ? e tanto più misero ed infelice è l'eccle
siastico peccatore, in quanto esso solo, senza alcuna sorta
di sollievo, deve soffrire il proprio male.
Quando si ha una pena , un travaglio che si può
palesare a qualcuno il quale ci compatisca , ci animi , ci
faccia coraggio, questo solo è già un conforto, un rimedio.
Ma quando uno ha una spina che lo trafigge, e non può
o non osa parlarne, o che nessuno lo vuol sentire, nessuno
mostra intenderlo... oh !... allora non solamente si soffre,
1
ma si agonizza. Cosi è del peccatore e principalmente dell'ec
clesiastico; egli ha un inferno in cuore, altro che una spina....
ha un fuoco che internamente lo brucia e gli fa soffrire
agonie di morte ; eppure non può parlare, deve tacere,
IL SACERDOTE IN PECCATO 91

anzi bisogna che si sforzi per non lasciarlo conoscere e


faccia veder tutt'altro ; soffre al didentro per il dolore,
soffre al difuori per la violenza ; vorrebbe piangere e deve
ridere, e se ha qualche momento libero non può più con
tenersi, geme, sospira, piange, sa nemmen più quello che
si voglia , quel che si faccia . Un ecclesiastico che an
dava a celebrare la S. Messa in istato di peccato mortale
fu talmente sorpreso da affanni e da rimorsi nell'andar
all'altare, che sapeva nemmen più quel che si facesse e
non era più capace di dire quello che avesse letto ,
che avesse fatto all'altare; ma felice lui che si approfittò
di questo tratto di misericordia del Signore per mettersi sul
buon sentiero e batterlo poi costantemente, come fece. Un
altro sacerdote, che era caduto in peccato, fu preso da tale
e tanto affanno, che andava qua e là come fuori di sé,
finché gittatosi ai piedi d'un confessore: - io ho quasi
perduta da testa, proruppe, mi levi per carità da questo
stato. Oh ! le belle felicità .... le contentezze d'un eccle
siastico peccatore. - Ma non sono tutti cosi, qualcuno può
dire, sono casi rari ! – lo vorrei che parlassero per me
tutti gli uomini che hanno un po' d'esperienza, e sapreb
bero dirlo se sono casi rari; anche dato che esternamente
non siano tali, nell'interno sono pressochè tutti eguali,
epperciò non sono che apparenti le loro contentezze e niente
più. Supposta anche vera la contentezza di questi infelici,
sarà da farne caso? chi può assicurarmi che cosa sarà di
un peccatore da un momento all'altro ? Uno che abbia un
nemico potente, capace e deciso di vendicarsi ad ogni costo,
non è mai tranquillo, vive sempre in timore e dice tra
sè : chi sa che cosa sarà di me da un giorno all'altro !
Ecco il caso nostro : il sacerdote in peccato ha un nemico
terribile, un nemico potente, un nemico che presto o tardi
vorrà una soddisfazione, e la vorrà da pari suo, e potrà
ciò non ostante vivere senza paura, contento e tranquillo ?
92 MEDITAZIONE QUARTA

No, no, la sua vita sarà di timore e spavento da mattino


a sera e talmente ripiena di neri fantasmi e spauracchi,
da sapere quasi nemmen se viva ancora o se possa vivere
lungamente, come già minacció Dio al peccatore con quelle
terribili parole: Dabit tibi Dominus cor pavidum ... et erit
vita tua quasi pendens ante te : timebis nocte et die, et
non credes vitæ tuæ ( 1 ). Ma supponiamo pure che possa
scuotersi da siffatto timore e vivere un po' contento ; come
finirà ? guardiamo il termine, guardiamo il fine : respice finem .
E qui, o fratelli, io non intendo già di descrivervi la morte 1
1
del sacerdote peccatore, perchè questa formerà il soggetto
di altra meditazione, ma solo di porvi sott'occhio il peri
colo che egli corre di morir presto e, ciò che è più grave,
di terminar malamente i suoi giorni sulla terra ; e sarà il
nostro terzo riflesso .
III. La prima cosa dunque da temere è che il disgraziato
abbia a terminar presto la sua mortale carriera : Stimulus
autem mortis peccatum est (2), ... Anni impiorunt brevia
buntur (3) . Le minaccie sono chiare ed il fiato di Dio non è come
quello degli uomini, che si perde al vento. Sicchè ogniqual
volta un uomo arriva a peccare, può dirsi che egli chiama e
sollecita la morte ad arrivar presto, ed ogni peccato che
commette è come una nuova istanza che le fa . Una persona,
che la misericordia di Dio voleva guadagnare, ebbe a ve
dere co' suoi occhi per ben due volte il peccato a troncar
la vita sul punto che si commetteva, e Dio volesse che ca
pitassero di rado simili colpi della divina giustizia ! Che se
il Signore talora sospende la sua collera e prolunga i giorni
d'un sacerdote peccatore, sarà una delle due : o per spe
ciale misericordia, che non lo vuol perduto e va tempo
reggiando per poterlo salvare, oppure per ricompensare cosi
sulla terra quel po' di bene che potrà aver operato nel
(1 ) Deut. XXVIII . 65. 66 . ( 3) Proy. X. 27.
(2) I. Corinth . XV. 56 .

1
1

1
IL SACERDOTE IN PECCATO 93

corso della sua vita. Del resto, ripeto, chi ha peccato, e 1

molto più chi continua a peccare, si tenga pure vicina la


morte : stimulus autem mortis peccatum est.
Il morir presto però sarebbe ben poco; più terribile sarà
il pericolo di morir male. E ad evitare ogni equivoco e
tutte quelle insidie che ci può tendere il demonio , pre
mettiamo che posto vero pentimento, vi è pur misericordia,
vi è perdono, e v'è paradiso cosi pel secolare come per
l'ecclesiastico, nessuno eccettuato ; per quanto gravi siano
le sue colpe, e numerosi i peccati da lui commessi. La pa
rola , la promessa del Signore è generale e non ristretta a
persone, a peccati ; epperciò non è lecito all'uomo restrin
gerla e limitarla ; dimodochè se il demonio in questi giorni
venisse ad assalirci con pensieri di scoraggiamento, di dif
fidenza della divina misericordia, badiamo bene a non fare
questo torto di più al Signore con diffidare di Lui, perchè
non sarà mai vero che Iddio rigetti da sè un cuore che
ritorni pentito. Dio obbliga il peccatore come un altro qua
lunque all'atto di speranza in vita e in morte, e ciò sotto
pena di peccato mortale. Voi lo sapete che il perdono della
colpa è il primo oggetto della speranza per chi ha peccato ;
questa speranza per parte di Dio è certa e non può man
care ; come può pertanto Iddio ricusare il perdono quando
la persona si presenta pentita ? Ripeto adunque e lo ripe
terò sempre: ogniqualvolta nel peccatore vi sarà vero
pentimento è certo che vi sarà perdono e misericordia per
lui. Ma si pentirà facilmente e si pentirà davvero l'eccle
siastico cattivo ?
Mi sforzo a sperarlo ed a supporlo quanto più posso,
ma non voglio nascondervi che temo anch'io di questo
pentimento. Lascio a parte i detti e le sentenze di tanti
Santi Padri che incutono spavento : Laici delinquentes,
dice S. Giovanni Grisostomo, facile emendantur, clerici si
mali fuerint, inemendabiles sunt: ed Ugone da S. Vittore :
94 MEDITAZIONE QUARTA

Adam peccavit in terra, et veniam consecutus est ; Lu


cifer in coelo, et diabolus factus est : sic differunt pec
cata laicorum et clericorum. Non parlo di S. Girolamo il
quale dice chiaramente, che se il sacerdote arriva a di
venir cattivo, è inutile ogni sforzo, perchè non si lascia
più risolvere, nè piegare. Ma io lascio, come diceva, questi
detti, e mi appiglio piuttosto a ciò che vediamo coi nostri
occhi e sappiamo dalla nostra esperienza. Che vi siano dei
disordini tra noi, non possiamo negarlo, ed è inutile qui
tra noi soli nasconderlo. Non parlo solo dei sacerdoti scan
dalosi, ma dei mondani, leggeri, dissipati, freddi, pigri,
oziosi, dati più al divertimento, alle partite, alle cose se
colaresche, che al ritiro, all'orazione, allo studio ed alle
opere di ministero. Ditemi : si vede sovente un sacerdote
di questa fatta fare un passaggio repentino e totale da una
vita mondana ed inutile ad un altro genere di vita vera
mente sacerdotale e da buon operaio del Signore ? si vede
forse sovente tra sacerdoti chi venga e dia un taglio asso
luto e deciso ... a che cosa ?... alle partite, ai passatempi,
all'ozio, agli affari secolareschi, alle buffonerie, e si metta
a coltivare la cella, il tavolino, la chiesa, il ministero... e
possa dirsi di lui, che mutatus est in virum alterum ?...
Ah fratelli ! io lo vorrei bene, ma voi lo sapete e
lo vedete al pari di me . Dio non voglia che accada
fra noi quello che successe a Geremia, quando cercava
di ridurre il popolo a pentimento e cosi salvarlo da
imminenti castighi che gli pendevano sul capo. I primi
allora a fargli contro ed a gridare che i suoi detti
non erano che spauracchi ideati ad intimorire il po
polo, e che quindi egli era degno di morte, furono i
Sacerdoti; e toccò ai secolari ed al popolo medesimo
difendere Geremia : Et dixerunt principes et omnis
populus ad Sacerdotes .... : non est viro huic judi
cium mortis, quia in nomine Domini Dei nostri lo

1
IL SACERDOTE IN PECCATO 95

cutus est ad nos ( 1 ). Guardate l'effetto che fanno le pre


diche ai preti.... Dio non voglia, ripeto, che ciò capiti anche
ai nostri giorni ! Alle volte anche fra quelli che han fatto
gli esercizi non si vede che una larva, un'apparenza per
un po' di tempo ; una vita, una condotta tentennante ; per
cui si scorge che quel che si è fatto è un pasticcio, e non
durerà gran tempo, che gli infelici saranno di nuovo quei
di prima. Che cosa adunque sperare, anzi dirò piuttosto, te
mere di tali ecclesiastici ? Quello appunto a cui accennava :
che purtroppo siano essi per terminare miseramente i loro
giorni. E che cosa infatti potrà dare speranza , che cosa
volete possa fermare questi ecclesiastici, scuoterli, spingerli
a prendere una generosa risoluzione, cangiarli e metterli
al sicuro della loro salute, se cosi difficilmente si trova nel
mondo una lingua che parli chiaro ad un povero sacerdote,
se quelle voci stesse e quei lampi che vengono dall'alto,
d'ordinario diventano per noi come armi inutili e spuntate,
che ci percuotono si, ma non ci atterrano ? Quindi è che
si vive, si dorme nell'ozio, nella pigrizia , nella dissipazione,
nel peccato, cosi oggi, cosi domani; ed intanto passano i
giorni, i mesi e gli anni, finchè si giunge al punto di spa
lancar gli occhi sull'orlo dell'eternità. Cosi purtroppo capita
a tanti nel mondo ed anche tra ecclesiastici, i quali allora
solo s'accorgono d'aver camminato sul falso, quando si tro
vano sul finire del loro viaggio.
Fratelli miei, vogliamo evitare la collera del Signore sulla
terra, trovare un po' di quiete nei turbini di questo mondo
e prepararci a chiudere in pace i nostri giorni ? Ecco l'u
nica strada : guerra, odio al peccato ; e non cerchiamo altro
mezzo, chè non v'è ; e per giungervi mettiamo a profitto
questi santi giorni. Chi vuol far davvero non si limiti solo
a pensare, a riflettere, a sospirare ; bisogna portar la scure
alle radici. Si pianga, si detesti, si cacci il peccato ; ogni
(1 ) Jer. XXVI . 16.
96 MEDITAZIONE QUARTA

altra cosa senza di questa è inutile ; procuriamo di estir


parlo fin dalle radici nel nostro cuore e di concepire verso
questo mostro un odio, un abbominio tale che non abbia
.

mai più speranza di potervi entrare . Sacerdote e peccato


devono essere due nemici implacabili, due termini incom
patibili ; il sacerdote deve essere una persona che non sa
vivere, non sa regnare col peccato : guai al peccato se un
sacerdote lo vede, lo scopre ! se non lo distruggerà, almeno
lo combatterà sino alla fine. Morrà il sacerdote, perchè deve
morire, e morendo, il peccato avrà un nemico di meno; ma
finchè vive, finchè respira un sacerdote, il peccato conti
pure un rivale che gli ha giurato la guerra e guerra tale
da non lasciare speranza di pace ; il sacerdote la vincerà
o morrà combattendo da forte . Eccovi, fratelli, il nostro
impegno, la nostra impresa , il nostro dovere : guerreggiar
il peccato, combatterlo con ogni sorta di armi, guerreggiarlo
col buon esempio, colla nostra parola, colle preghiere, e
cacciarlo : cacciarlo prima da noi , e poi per quanto pos
siamo, dal paese, dal luogo in cui siamo, dalle nostre case,
da tutte quelle anime che Iddio manderà ai nostri piedi .
Ci vorrà fatica, ci vorrà tempo, ci vorrà pazienza, niente
importa purchè si distrugga il peccato. Ah ! benedette quelle
fatiche, che saranno spese per impedire il peccato !... Oh !
se tutti i sacerdoti lavorassero per questo fine e con questo
scopo, quanti peccati di meno al mondo ! Si spende tanto
tempo, si usano mille studi dagli ecclesiastici per le inezie
di questo mondo, e frattanto si lascia che il peccato dorma
e trionfi; e quante volte questo mostro, si mette a dormire
in casa nostra ? Si, proprio in casa nostra, ed ognuno a
ciò pensi. S. Ignazio soleva dire che avrebbe lavorato vo
lentieri tutto il tempo della sua vita per impedire un solo
peccato, perchè sapeva il Santo quanto danno sia all'anima
una colpa e quanta gloria rubi al Signore. S. Filippo a chi
si stupiva potesse usar tanta pazienza con giovani per te
IL SACERDOTE IN PECCATO 97

nerli lontani dai pericoli, rispondeva che si sarebbe lasciato


spaccar perfino le legna indosso, per non lasciarli cader
in peccato. — Leviamo l'offesa di Dio, il resto poco importa
diceva quel degno figlio di S. Filippo, che fu il B. Se...
bastiano Valfré. – lo darei, continuava a dire, quanto ho
in questo mondo e la vita stessa per impedire un sol pec
cato . - Ah cari miei, quanti peccati di meno nel mondo,
se noi sacerdoti fossimo tutti animati da tali sentimenti di
odio e di orrore contro il peccato. Deh ! scuotiamoci a tali
esempi anche noi, fratelli miei, e con quanto abbiamo di
forza scagliamoci contro il peccato : dal pulpito, dal con
fessionale, in pubblico, in privato ; gridiamo contro questo
mostro.
Quando non ottenessimo altro che impedire un peccato
al giorno, osservate che capitali di meriti al finire d'ogni
anno, e principalmente al terminare della nostra vita. Qual
cuno forse dirà : – Ma si potrà poi ottenere d' impedire
un peccato ogni di ? Per me non saprei come fare e temo
forse d'impedirlo nemmeno in una settimana, in un mese .
Adagio, fratelli miei, non diamo per cosi poco la giornata
di un sacerdote. Certamente io lascio in disparte il sacer
dote cattivo oppure anche solo languido, indolente, pigro e
mondano, e parlo d'un sacerdote di spirito, di quel sacer
dote, che, come diceva ieri, vuol veramente salvarsi. Io
penso che, un sacerdote siffatto impedisca non già un
solo peccato al giorno, ma più, e chi sa quanti colla pre
dicazione, col confessionale, co' consigli, co' discorsi fami
gliari, colla Messa, colla recita del Breviario e di altre sue
preghiere. Capita una giornata in cui il sacerdote tema di
non aver ancor raggiunto il suo intento ; ebbene, per non
perdere, se la intenda chiaro col Signore, faccia un'opera
buona a questo fine, p. e. una mortificazione, una limosina,
e poi si porti a fare una visita alla Chiesa a prendere una
perdonanza, e non potendo, anche stando in casa ; dica fran
98 MEDITAZIONE QUARTA

camente al Signore che l'accetti in compenso e faccia Egli


nella sua misericordia che si commetta un peccato di meno
in quel giorno, e stiamo certi che Dio non rifiuterà quest'of
ferta e questo cambio che gli offre il suo ministro. Noi fe
lici se impiegheremo in questa santa impresa i pochi giorni
di nostra vita. Il Signore, state certi, benedirà i nostri sforzi,
le nostre fatiche sulla terra per coronarle poi un di e pei
secoli eterni nel bel Paradiso.

1
1

1
1

1
MEDITAZIONE QUINTA

Morte del Sacerdote peccatore .

PREGHIERA. Eterno Iddio, io mi metto alla vostra di


vina presenza , vi riconosco e confesso per mio supremo
e solo Signore. Io adoro quella sentenza di morte che avete
pronunziata contro di me ; l'accetto dalla vostra mano in
penitenza de' miei peccati, in omaggio ed espiazione alla
offesa vostra Maestà: fate, o mio Dio, che a quest'esempio
di morte io mi disinganni appieno della vanità e delle appa
renze di questo mondo, e mi disponga una volta a tenermi
fermo e costante nell'adempimento dei doveri di un buon
sacerdote. Vergine Maria, mia cara madre, assistetemi in
questa tremenda meditazione. Angelo mio Custode, ecc.

Dispone domui tuæ , morieris enim tu et non vives ( 1 ) ;


cosi disse il profeta Isaia a quel re che stava in letto in
fermo: Maestà, che vale qui lusingare ? fa d'uopo parlar
chiaro, pensi a' casi suoi ; aggiusti i suoi conti, disponga
delle sue faccende, la è finita, non sarà più lunga la sua
vita, ma presto bisognerà morire. La stessa cosa senza esser
(1 ) Is. XXXVIII. 1 .
100 MEDITAZIONE QUINTA

profeta io dirò a me, dirò a voi, signori miei ; se abbiamo


qualche cosa da aggiustare, da disporre, se i nostri conti
hanno bisogno di una rivista, se qualche coserella ci po
trebbe far pena nel gran tragitto da questo mondo all'eter
nità, pensiamovi, e non tardiamo ad aggiustare le faccende
nostre. E perchè? Perchè ha parlato l'Eterno, ed ha pro
nunziato l'immutabile nostra sentenza, quella di morire :
morieris enim tu et non vives. Tu, o sacerdote, che fai le
veci di Dio in terra, e tieni in tua mano i tesori della
sua misericordia, tu che sei posto a preparare e disporre
le anime a questo gran passo, si, tu pure un giorno lo
dovrai fare, tu pure morrai: morieris enim tu et non vives.
Si, tu, o ecclesiastico, che sei tenuto come un oracolo in quel
paese, in quella città, tu che passi per un uomo dabbene,
dotto, esperto e prudente, sia pure con ragione, che im
porta ? Tutto andrà alla fine, perchè morrai. Si, tu che hai
tanti progetti in capo e conti di vivere chi sa ancor per
quanti anni, tu che rumini di far quell'acquisto, di avere
quell'impiego, di spuntarla in quell'affare, si tu morrai.
Lo stesso nostro ministero ci ricorda di continuo la morte;
noi l'annunziamo dai pulpiti, la ricordiamo ancor più so
vente nel tribunale di penitenza , prepariamo moribondi,
assistiamo agonizzanti, celebriamo esequie, preghiamo in
più maniere e cosi spesso per i morti. E non sono queste
tante voci che ci dicono e ci ripetono che quella strada la
dobbiamo fare anche noi , che dobbiamo morire anche noi ?
Hodie mihi, cras tibi. Cosi ci dice quella persona che oggi
parte e domani ci toccherà seguire. Oh ! se potessi scolpirmi
ben in mente questo gran pensiero : - conto già tanti anni
a questo mondo, sono tanti mesi, sono tanti giorni che vivo,
ebbene non passerà gran tempo che verrà l'ultimo per me,
e chiuderà la mia vita . Oggi si dice : - nel tal luogo vė
il tal prete - un altro giorno non si potrà più dir cosi;
si dovrà dire : una volta vi era quel prete, ma adesso
MORTE DEL SACERDOTE PECCATORE 101

è morto, non v'è più. Verrà un giorno in cui al mat


tino vi sarò, ma alla sera non vi sarò più ; verrà una sera
che sarà l'ultima, il mattino seguente non sarà più per me.
Adesso le campane suonano per gli altri, un giorno suone
ranno per me, e diranno nel loro linguaggio che io sono
morto, sono partito per l'eternità. Giornalmente vediamo
persone che accompagnano cadaveri alla sepoltura; un giorno
qualche persona, almen lo spero, userà pure la carità di
accompagnar me al cimitero ; ecco la mia fine, ecco le vi
cende che mi aspettano. Questo quadro che ho fatto a me,
ognuno lo faccia a sé stesso. Anche voi, miei cari, dovrete
morire, anche per voi verrà quel giorno che sarà l'ultimo;
anche a voi stanno preparate queste scene ; e, se volete,
.
possono essere più lontane, perchè siete più giovani , ma
infallibilmente vi dovranno capitare.
Dobbiamo adunque morire, fratelli miei, ma..... come ce
la passeremo in quell'ultima giornata della nostra vita ! Chi
sa se stesi sul letto della nostra morte saremo tranquilli,
contenti, oppure agitati, inquieti, col cuore trafitto da spine
e rimorsi ! Chi sa se partiremo da questo mondo col cuore
pieno di speranza di andar a ricevere la paga, che un buon
operaio evangelico può ripromettersi dal Padrone della vigna,
oppure col timore e spavento d'essere riprovati e condan
nati come lavoratori indolenti e pigri ! Chi sa come sarà la
nostra morte, se dolce, tranquilla e preziosa, oppure infelice ,
agitata e cattiva ! Di queste due morti parlano le sacre
Scritture; quella riservano alle anime giuste, questa che è
la pessima, minacciano ai peccatori; Mors peccatorum pes
sima ( 1 ). Oh se quest'oggi fossero qui ad ascoltarmi certe
persone purtroppo non rare nel mondo, le quali in mezzo a
mille iniquità e disordini se ne vivono ridendo, e passando
allegramente i loro giorni ! Se sapeste, vorrei dir loro,
che trista fine vi aspetta ! se pensaste che spine, che ri
(1) Psalm. XXXIII, 22.'
102 MEDITAZIONE QUINTA

morsi saranno i vostri un di ! E sapete quando ? Quando,


carichi di male, ed abbandonati da tutti, vi troverete sul
letto di vostra morte, presso ad abbandonar questo mondo e
partirvene per l'eternità ! — Ma lascio chi non mi sente, e
vengo a noi . Eh..... come muoiono i sacerdoti ? Vi rispon
derò che muoiono come vivono. Fra sacerdoti e sacerdoti
come vi è gran differenza nella vita, cosi e non altrimenti
vi sarà gran differenza nella morte. Eh ! se una morte cat
tiva, anzi pessima sta riservata ad un peccatore qualunque,
con qual nome dovremo chiamare la morte, che purtroppo
avrà da fare un cattivo sacerdote ?
Fratelli miei, ogni letto di chi muore, dice S. Agostino,
diventa una cattedra d'ammaestramento : Lectulus morientis
cathedra docentis. Ebbene, vogliamo noi sapere, a nostro
disinganno, quale sia la morte d'un sacerdote peccatore ?
Figuriamo di trovarci nella casa di questo sacerdote mori
bondo, entriamo nella sua camera, osserviamolo disteso sul
letto di morte, presso a dar l'addio a tutto questo mondo.
Ohimė! fra poco in questa camera avrà da succedere una
grande scena, vi sarà una gran partenza, si ergerà un tri
bunale, si pronunzierà una finale e spaventevole sentenza .
Ecco la scuola che si apre per tutti : Lectulus morientis,
cathedra docentis. Qui più che in ogni altro luogo si co
noscerà la vanità di questo mondo e la follia del sacerdote
che pone le sue speranze in questa terra. Come già vedete,
io non voglio supporre che questo povero sacerdote muoia
di morte improvvisa, nè che sia sorpreso da un male si
forte, che gli tolga quasi la cognizione fin da principio :
diamo pure che la malattia sia tale, da lasciargli tutto il
comodo a ben prepararsi, a ben disporsi al gran passo .
Come si disporrà ? qual sarà la sua morte?... lo vedremo a
momenti ; e per ridurre la nostra meditazione a qualche
ordine, ci fermeremo su questi punti : cioè sull' annunzio
della morte, sul modo con cui si prepara a morire, final
MORTE DEL SACERDOTE PECCATORE 103

mente sulla sua agonia e sulla sua partenza da questo mondo.


Negli esercizi, o cari miei, questo giorno viene appunto chia
mato giorno di disinganno; oh, volesse Iddio che a questo
specchio ed a questa scuola ci disingannassimo ancor noi !
Incominciamo.
I. Prima di tutto non crediate già che parlandovi della
morte di un sacerdote peccatore, io intenda parlarvi d'un
sacerdote apostata , d'un sacerdote che abbia condotto abi
tualmente una vita scandalosa, ed in mezzo a mille disor
dini... Per più ragioni, che non istò ad accennarvi, io non
me la prendo con sacerdoti tali, che sarebbe molto meglio
non avessero veduto mai la luce di questo mondo, piuttosto
che contaminare di tanta infamia lo stato nostro, e dare
tanto scandalo alle anime. Intendo bensi parlarvi di un sa
cerdote ozioso, secolaresco, mondano ; d'un sacerdote che
lavori si, ma per fini umani e come per mestiere ; d'un
sacerdote che in materia di coscienza non è fra i più delicati,
che poco o nessun conto fa de' peccati veniali , e purtroppo
qualche volta, e forse sovente cade nei mortali; d'un sa
cerdote freddo, pigro, raro ai Sacramenti e che poco si cura
delle pratiche di pietà, sia per sè come per gli altri, e passa
cosi i suoi giorni finchè arriva quell'anno, quel mese, quel
di, che è l'ultimo per lui e che deve chiudere la sua vita .
Osserviamolo adunque questo sacerdote disteso sul letto,
assalito da quella malattia che deve essere l'ultima per lui
e che terminerà i suoi giorni. Nel principio se ne fa poco
caso cosi dal medico e da quei di casa, come pure dall'am
malato ; questo è niente, fra poco si guarirà. Cosi si
calcola e si progetta in terra, ma in cielo diversamente si
decreta ; e già mi pare di sentire una voce dal cielo che
gridi come già contro quell'albero infruttuoso del Vangelo :
Succide, succide eam ( 1 ). Il male difatti invece di scemare
aumenta, e vien al punto che la malattia è ben grave, pe
( 1) Luc. XIII. 7.
104 MEDITAZIONE QUINTA

ricolosa, e si sospetta mortale ; il medico ha già di che


studiare, quei di casa bisbigliano ; ma frattanto col povero
ammalato aria allegra, parole d' incoraggiamento, si fa di
tutto per non lasciar trapelar il pericolo. Ma e non sarebbe
conveniente di pensare ai sacramenti ? e quando si vuol
aspettare ? altro che conveniente, è obbligo preciso tanto
per l'ammalato di riceverli, quanto pel medico, ed in man
canza sua, per quei di casa d'avvertirne l'infermo. Oh !...
è prete, si dice, egli sa il suo dovere, toccherebbe a lui il
chiederli: e con questo si prolunga, l’ammalato perde e di
forze e di testa, la morte si avvicina ed i conti restano da
aggiustare. Ma, orsù ! l'infermo non ne parla, non vi pensa,
perchè non conosce il proprio pericolo, è d'uopo che qual
cuno glie ne parli ; e chi ? uno si rifiuta, l'altro non osa,
questi teme lo prenda a male, quell'altro pare non con
venga perchè c'è qualche freddura, vi è qualche interesse
insieme, e così sempre si differisce. La via più spiccia sarà
chiamare il proprio confessore, che sotto il pretesto d'una
visita entri in tale discorso, e gli dica una parola. Eh ! se
si avesse a fare con un povero contadino non si prende
rebbero tante misure ; si direbbe schietta la cosa : - orsù,
mio caro, bisogna confessarsi, non si sa come andrà a fi
nire la malattia, pare non s'incammini bene, è un po' meglio
aggiustare i conti. — Cosi si parla con questa gente e cosi
si dovrebbe parlare con tutti ; eppure con noi preti spe
cialmente si suole aver più carità per non ispaventarci, si
usano certi riguardi.... Carità crudele, lasciatemi dir cosi,
riguardi diabolici, che tante volte lasciano che un'anima
tocchi le porte dell'eternità senza che se ne accorga. Ma
facciamo presto, non tardiamo a far avvisato il confessore
di questo prete infermo. Chi è il confessore ? Si saprà chi
è ? Si conosce il confessore del padre, della madre, del fra
tello, della sorella, perchè si vedono presentarsi al tal con
fessionale, se ne parla in casa ; ma chi è il confessore del
MORTE DEL SACERDOTE PECCATORE 105

prete, che è nella stessa casa ? Oh ! davvero che nessuno


lo sa. Possibile che non si confessi ? Io non dico tanto, and rà
ogni due tre mesi, e forse più sovente ; ma perchè non si
sa? perchè va dal confessore tamquam fur , in segreto, di
notte, va a trovarlo in camera e pare abbia paura che
perfino l'aria lo sappia. Si usa forse tanta circospezione per
andar alle partite, al giuoco, ai caffè, alle conversazioni ? e
perchè poi tanta segretezza nell'andarsi a confessare ? Ci
farà del torto l'esser visti ad accostarci a questo Sacra
mento ? Non è anzi un buon esempio, e non sarà un grande
stimolo per chi osserva, il vedere un sacerdote che prima
siedeva come giudice in quel tribunale, ora cangiata qualità,
e lasciata ogni sua giurisdizione, quale semplice uomo del
popolo presentarsi come reo a questo stesso tribunale, umi
liarsi, e dipendere dalla mano di colui, che avrà egli stesso
altre volte giudicato, od almeno avrebbe tutta l'autorità per
giudicare ? Ditelo voi, quanto buon effetto non dovrà pro
durre nel popolo quest'atto, mentre non possono pensare
che lo facciamo per vanità, od interesse, come talvolta so
spettano in altre azioni, che anzi, come comprendono essi
stessi, ci confonde, ci umilia avanti a tutti, e ci accomuna
a loro ! Io ho veduto coi miei occhi, in occa sione, che
qualche sacerdote si confessava in pubblico, la gente come
attonita e stupefatta star rimirando, e farsi cenno gli uni
agli altri quasi d'una gran meraviglia. La conseguenza di
ciò ognuno se la può dedurre ; io passo intanto a chieder
il confessore del nostro sacerdote infermo. Si chiamerà un
sacerdote e vandrà ; Dio voglia che non sia quel desso,
con cui ha avuto dissidii, contrasti ; che non sia quegli con
cui v'è sempre stata un po' d'antipatia, di freddura, di ge
losia . In tal caso quale confidenza potrà avere per aggiu
stare i suoi conti, ed aggiustarli per l'ultima volta, cioè a
dire, per poter partire tranquillo per l'eternità ? Ma sia
come si voglia, andrà questo buon ministro, e , dimenticata
CAFASSO Eserc. Spirit . — Medit . 8
106 MEDITAZIONE QUINTA

ogni cosa, cercherà le maniere più acconcie per introdursi


e far l'ufficio di Isaia con fargli giungere all'orecchio in un
modo o in un altro quella gran parola : dispone domui tuæ :
Senta, signore, le cose non paiono troppo bene incam
minate ; pare che la prudenza voglia si pensi un po' ai sa
cramenti e che ella disponga delle sue faccende, affinchè,
caso mai il Signore lo chiami, non abbia a sentir rimorsi e
pene. Che impressione gli farà questa notizia ? Io non
voglio supporre che volti la faccia al muro, e si metta a
piangere dirottamente , come ha fatto Ezechia a questo an
nunzio; potrebbe anche succedere ; ma non andiamo tanto
avanti. Quello che è certo si è che questa nuova egli non
se l'aspettava e lo metterà in gran pensiero. – Vuol dire
dunque che vi sia il bisogno : crede lei, che non mi cavi
più di questa malattia? Per altro il medico mi fa coraggio ;
e cose consimili. Come finirà poi il discorso ? – La ringrazio
della sua visita, all'occasione mi approfittero della sua ca
rità, e se occorre la manderò chiamare. Cosi d'ordi
nario resta congedato per le prime volte il confessore, e
frattanto l'infermo s'aggrava sempre più . Ma pensiamo sem
pre il meglio, e supponiamo che s'arrenda alle prime.
Ebbene, farò come dice, penserò un po' ai casi miei ; ma
ora ho la testa aggravata, l'aspetto al tal tempo. Parte
il confessore per dargli tempo a pensare. Stiamo un po'
noi li vicini per capire che cosa pensa su quel misterioso
annunzio di morte. Già, non sa persuadersi che la cosa sia
tanto grave, non può credere che abbia a morire ; tuttavia
quelle parole gli suonano all'orecchio, e gli fanno nascere
un certo timore, e spavento : - e chi sa, incomincia a dire
tra sè, chi sa se la cosa non sia pericolosa, che forse non
osino dirmela... mi sento cosi aggravato ; come sarei bur
lato se dovessi morir adesso, che sono in carriera ? ora che
ho quel che desidero ? ora che i miei progetti sono per
compiersi ? Ancor questo mi dovrebbe succedere, che avessi
MORTE DEL SACERDOTE PECCATORE 107

da lasciare a metà quei traffichi; in mano d' altri quel


posto, quella sostanza ! Eh ..... chi l'avrebbe mai detto?
Pochi giorni sono , stava cosi bene , e adesso.... Chi
sa come finirà per me ! Ecco, signori miei, come
un semplice tocco di morte pesa sul capo di chi ha
gettato le radici in questo mondo, e se questo già
tanto lo inquieta e lo affanna, che cosa sarà quando
una mano potente lo abbia a viva forza a sradicare da
questa terra in un colpo ? Ma mentre in questo stato i
pensieri si affastelleranno gli uni sugli altri nel suo
capo , egli cercherà di quietarsi con ritornar al primo pen
siero, che è la speranza ; questa, spero, la conterò an
cora . — Chiama quei di casa, vuol sapere ciò che disse il
medico, e beninteso si fa sempre coraggio. Eh ! si levi
queste idee dal capo, bisogna farsi animo, vuol saperne di
più di quei che se ne intendono ? - cosi gli si parla d'or
dinario. - E perchè adunque, dice tra sė, se non lo dice
ancor ad altri, perchè tanta premura in quel confessore ?
Ed alle volte sgrida ancora chi l'ha fatto chiamare. Ecco la
maniera con cui si prepara per confessarsi.
II. Verrà poi il confessore ; e non voglio dire che lo ri
mandi ; ma che confessione farà ? forse si è aspettato tanto ,
che non può più reggere. Faccia lei per me, non ne
posso più — queste sono le prime parole che si senti un
confessore richiesto da un sacerdote di questa fatta . In questi
casi come fare, non tanto per l'accusa, quanto pel dolore ?
Chi sa quante confessioni nulle avrà fatto in vita, per non
dire sacrileghe, appunto per mancanza di dolore, non ostante
avesse tanto comodo e tanti mezzi per eccitarselo ‫ ;ܪ‬e l'avrà
adesso che stenta a proferir parola, a concepir un pensiero ?
Se il confessore dice niente, par freddo come un ghiaccio,
se gli fa qualche riflesso, la testa non regge e pare farlo
morire avanti tempo. Oh belle confessioni ! bella ma
niera d'aggiustare i conti con Dio, e chi sa da quanto tempo
108 MEDITAZIONE QUINTA

ed in quante maniere imbrogliati ! Eppure da una confes


sione tale deve dipendere la salute di quest'anima.
Ma ritorniamo addietro , e supponiamo che il male non
sia a quel punto, e l'ammalato abbia tutto il suo senno e
sia pienamente libero di mente. Resta però a vedere se
tutte queste supposizioni avranno poi luogo sovente in pra
tica; e da questo solo si può già conoscere a quante incer
tezze, e pericoli vada soggetta la salute di quest'anima. Si
confesserà ? e come ? Dirà tre o quattro cose delle comuni ;
impazienze, distrazioni , negligenze, e via. - E d'altro ? —
eh ..... adesso di sostanza par non mi ricordi d'altro ; però
mi riservo, è mia intenzione di far una cosa più compita,
è già molto tempo che ne aveva l'idea, avrà poi la carità
altra volta, in convalescenza, appena guarito, comincieremo
da capo. Già..... si comincierà e si andrà finire al
tribunale di Dio. Il confessore che vede le cose come vanno,
con prudenza va via internandosi : - Va bene questo , ma
frattanto cominciamo far adesso quel che possiamo. Dica :
in materia di purità come stiamo? Eh sì, qualche cose
rella , qualche parola , qualche occhiata , diversi pensieri.
Dica, non teme d’aver acconsentito ? Ma..... non so,
però ne dubito ; e quante volte ? eh , a quest'ora
non saprei. - Dio mio, che accusa è mai questa ! credo
che sarà più dolorosa pel confessore che per il penitente .
E della vita passata come sta, ne è tranquillo ? si è
sempre confessato di tutto ? le pare che fosse pentito ? -
Eh si, ancora : però sono ricaduto ; ma via, siamo uomini,
tanto basta ; il Signore saprà perdonare. Però le dico che
in miglior occasione ho intenzione di fare una rivista ge
nerale, già adesso mi resta impossibile. Fosse almeno
pentito ! Questo è il sostanziale, ma non si sentono da questa
gente quei gemiti, quei sospiri, che fanno proprio vedere
e toccar con mano un cuor compunto e pentito ; non si
sentono quelle promesse sincere, quelle proteste replicate,
MORTE DEL SACERDOTE PECCATORE 109

che, una lingua diventata tutto cuore, si sforza di fare,


per attestare al suo confessore in terra ed al suo Dio in
cielo l'amarezza del suo dolore. — Oh padre ! che cosa ho
mai fatto ! che buon Dio, se mi vorrà ancor perdonare !
Oh ! potessi morir di dolore per i miei peccati ! Oh anni !
oh giorni, in cui ho offeso il mio Dio ! — D'ordinario non si
sentono tali espressioni ; si sentiranno e si sentono più
volte da un peccatore di un'altra specie; ma difficilmente si
udiranno dalla bocca di un tal sacerdote, perché, avvezzo già
a tali riflessi, niente gli è nuovo, niente lo commuove ; e
siccome più per usanza che per riflesso e per fede ha quasi
sempre agito, cosi e non altrimenti agirà anche in questo
caso . Ma è poi pentito ? domanderà il confessore soggiun
gendo : guardi un po' che gran male è stato questo
nel suo stato , che scandalo ! Procuriamo di far le cose bene ;
e se fosse questa l'ultima confessione della sua vita ? -
Si, si, risponde l'infermo, non dubiti. - Fratelli miei, è
vero che il cuore non si vede, ma a dirvela schietta, quei
si lasciano dubitare assai ; sono promesse , sono proteste,
che temo stiano tutte sulle labbra ; si vede che quel cuore
non è penetrato, ma languido, tiepido, suona perchè si tocca,
del resto non sa dare un sospiro di dolore, un segno fon
dato di vero pentimento. Volete una prova delle sue dispo
sizioni ? Fate che guarisca, e sarà quel di prima, se pure
non diverrà peggio. Ecco la confessione, che si fa da questa
gente ; e m'appello a chi ha esperienza a questo riguardo :
giudicate voi adesso del valore di questa confessione. Che
speranza di salute può dare una confessione fatta cosi su
perficialmente e colla speranza d’aver tempo altra volta di
confessarsi meglio ? e come avrá da fare il confessore in
questi casi ? Dice e torna a dire ; il cuore non può vederlo,
la cosa preme, s'appoggia alle sue parole, alza la mano e
l'assolve ; Dio voglia che tale assoluzione sia confermata in
Cielo.
110 MEDITAZIONE QUINTA

Confessato che sia, si verrà agli altri sacramenti; e qui ,


per tagliar corto, i più grandi, i più invecchiati peccatori
quando si tratta d'essere viaticati dimostrano la più viva
apprensione per la gran fede in questo sacramento ; già. 1

confessati si vogliono di nuovo confessare ; hanno sempre


paura d'aver ancora qualche cosa ; chiamano, e tornano a
chiamare: - vuol dire, padre, che il Signore m'abbia per
donato ? vuol dire, che il Signore verrà volentieri nel mio
cuore ...... che non lo riceva poi per mia condanna ?
Tutte cose queste, che dimostrano la buona disposizione
della persona, la fede, il rispetto verso Gesù sacramentato .
Non aspettatevi già questo dal sacerdote di cui vi parlo ;
solito a celebrare, a comunicarsi, l'annunzio del S. Viatico
non gli fa punto impressione ; egli accetta subito di comu
nicarsi e si comunica franco, ma freddo ed indifferente, con
poco o niente di preparazione, come faceva quando era sano.
Si verrà dopo all'Olio Santo, con qualche fatica però, perchè
pare che questo Sacramento debba essere la sua condanna
di morte. Alla fine s'adatta, ma per quel che spetta al frutto,
sarà secondo il solito : uso a darlo ad altri in fretta, senza .
riflessione, egli lo riceverà, perchè bisogna riceverlo. Mu
nito cosi di questi tre Sacramenti, passerà ancora qualche
giorno, ed eccolo al punto in cui la sua salute è disperata ;
il medico lo dice, quei di casa lo sanno , tutto il paese ne
parla, e talvolta il solo infermo lo ignora. Molti lo visitano,
e gli fanno coraggio dicendogli che è ancor giovane, robusto,
che ha un buon medico, è ben assistito, che questa
malattia la vincerà ancora ; ma usciti dalla stanza diranno :
eh poverino ! è alla fine, non può più andare a lungo,
sono più pochi giorni. Mondo traditore, vuol tradire,
vuol ingannare una povera creatura nella stessa sua agonia.
Ma bella ! .. si suol dire, dovrem dunque palesar questo
all'infermo? sarebbe una grave imprudenza . Quand'anche
ciò fosse, sarebbe meno male un'imprudenza, che un in
MORTE DEL SACERDOTE PECCATORE 111

ganno ; almeno si parla in modo che il povero moribondo,


chè già cosi lo si può chiamare, possa sospettare del suo
stato. Sia però che qualcuno glie lo dica schietto, sia che
lo capisca da sè, veniamo al momento in cui egli s'accorga
e sappia essere alla fine dei suoi giorni, sappia dover presto
presto morire.
E qui, o signori, comincia il più amaro pel sacerdote
di cui parliamo. Prima di tutto bisognerà disporre di quel
tanto che ayrà. Che imbrogli , che crucci, se vi sono averi !
L'no ne desidera, un altro ne pretende, un terzo ne vuole :
il povero prete sarà attorniato da una quantità di parenti ,
tutti in queste occasioni si presentano, tutti vi si vogliono
trovare, fratelli, nipoti, pronipoti, e andiam dicendo : uno
fa la guardia all'altro, ed ognuno fa i suoi conti ; tutti a
gara gli si vogliono avvicinare, tutti bramano sapere di sue
nuove, tutti fanno i graziosi, e ne sanno il perchè. Quindi
gelosie tra loro, contese, freddure, mentre il prete ancor
vive, e ne capisce qualche poco. « Ho veduto, scriveva un
testimonio oculare ad un amico, ho veduto la fine che fanno
i preti i quali hanno un po' di sostanza in punto di morte.
I parenti prendono d'assalto la casa del povero moribondo ;
mentre ancora egli vive, fanno l'inventario di tutto, man
giano, bevono e perfino si ubbriacano. Quando il prete ha
dato l'ultimo respiro, essi sono nella maggior festa, precisa
mente come quando in una famiglia si fa carnovale .... e l'in
felice se ne va all'altro mondo senza uno che lo compianga.
È una cosa d'orrore ! Abbia presente, continuava il testi
monio, abbia presente questa morte, che le ho descritta
alla lettera ; io non avrei creduto se non avessi veduto » .
Povero sacerdote ! esclamerò io, povero sacerdote , che si è
preparato da se stesso l'esca per attirarsi tanti ingordi che
gli succhiano il sangue, e, quel che è peggio, gli rubano
i più preziosi momenti, che abbia ancora per prepararsi al
gran passo !
112 MEDITAZIONE QUINTA

Si presenterà intanto, dopo mille brighe, il notaio, e la


prima domanda che glindirizza sarà del come vuole sia
fatta la sepoltura. Che dimanda, signori miei! io ho veduto
di quelli che ad una tale interrogazione divennero muti, ed
appena poterono approvare con un cenno di capo quello
che loro suggerivano il notaio ed i circostanti. – Altre
volte ha pensato a procurarsi uno stato, a disporsi una bella
abitazione, adesso pensi a disporsi una tomba .... — Come
cangiano le circostanze ! ..... Ma andiamo avanti. A favore
di chi vuol disporre, a chi vuol lasciare il fatto suo ?
Eccolo dunque obbligato egli stesso a tagliare ed a trinciare
il suo patrimonio: — Lascio .... lascio un pezzo a questo, un
altro a quello, parte di qua, parte di là . — La gran tela
che egli ha ordito e tessuto con tanti sforzi e sudori ora
la disfà filo per filo, per dir cosi, per darla in mano altrui
senza poter nemmeno riservarne un filo per sè. Ecco
dove va a finire la mia sostanza, ecco a chi frutteranno le
mie fatiche ! Povero sacerdote ! quanto avrebbe fatto
meglio ad acquistarsi tesori pel Cielo, invece d'averli radu 1

nati per la terra ! Oh ! se di tanto tempo che ha perduto


dietro le cose di questo mondo, una metà sola avesse im
piegata a procurarsi una corona di meriti pel Cielo !
III. Questo sarà ancora il meno : spogliato cosi per ne
cessità di quanto aveva , e fatto un sacrifizio forzato di tutto
questo mondo, che si vede fuggir di vista , il povero mo
ribondo sarà costretto a gettare un'occhiata su quel tre
mendo avvenire che gli si apre davanti, l'eternità. Noi tutti
sappiamo i gravi ed indispensabili obblighi di un sacerdote :
in prima far santo sè stesso, e quindi santificare gli altri;
è obbligo indistintamente per tutti d'attendere alla salute
delle anime. Guai a quel sacerdote che toccherà il termine
dei suoi giorni senza aver corrisposto a si gran fine ! Guai
a quel servo che, chiamato alla resa de conti, non potrà
provare d'aver trafficato i suoi talenti ! Che spine, che ri
MORTE DEL SACERDOTE PECCATORE 113

morsi, che angoscie al letto di morte ! Svaniranno allora le


tante scuse che ora si sogliono addurre : - non posso, non
son obbligato, non son buono. Ebbene ti aspetto a quel
punto, o sacerdote pigro ed ozioso, a rivederci in quei mo
menti . Ma..., dirà nelle sue angosce, sono pur sacerdote,
conto già tanti anni del mio sacerdozio, eppure ho si poco
che mi consoli. Quanto tempo perduto ! -

Questa, signori
miei, credo sarà la spina più crudele per un sacerdote.
Adesso si perde tanto tempo in partite e passatempi, e di
ciamo ancora, in sonni lunghi o protratti al di là del ne
cessario, e frattanto vengono lasciati i catechismi perchè
non si trova chi li voglia fare, e frattanto i moribondi se
ne vanno all'altro mondo senza chi li assista ; e frattanto
quanti infermi che gemono in un letto senza una visita che
li consoli ! Non è vero ? Basta avere un po' d'esperienza e
girar un po' nelle case per saperlo e sentirne i lamenti.
Fosse almeno questa la sola spina di un povero sacerdote
moribondo, ma e la tanta tiepidezza e negligenza nel mi
nistero ? e quei fini tutti umani nel suo operare ? pareva
zelo della gloria di Dio, ma lo sa egli che non era cosi..
Che dire poi se allora s'aggiungesse a stringere e straziare
il cuore del povero sacerdote, la memoria di certi peccati
cosi disonoranti ed umilianti pel nostro grado ed al nostro
carattere, tanto più poi se questi peccati potessero contare
dei complici, e cosi avessero dato scandalo anche ad un'a
nima sola ? Ah ! un sacerdote che doveva salvar le anime,
averle spinte a dannarsi ! quella mano che è stata conse
crata per condur le anime al cielo, essere stata strumento
d'inferno per condurle al precipizio ! qual peccato ! qual
colpa ! che memoria funesta e crudele sarà mai questa allora !
L'infelice pare che senta già pronunziare la sua inevitabile
condanna da quel cuore divino a cui ha rubato i più cari
suoi oggetti quali sono le anime. Ma, dirà taluno, si sarà
confessato di queste cose chissà quante volte in vita ;
114 MEDITAZIONE QUINTA

sia pure, ma confessione e peccati, peccati e confessionė.


Si è ben confessato in questa ultima malattia ? — si, ma
d'una confessione fredda, superficiale e colla speranza di
farne altra migliore. Almeno adesso che si vede alla fine
supplisse a quello che non ha fatto : una confessione dolo
rosa , e se non può, un atto di vera contrizione potrebbe
bastare ; ma lo farà ? Dopo tante ricadute, con certi abiti
inveterati farà ora in tanta urgenza quello che non ha mai
saputo fare quando n'aveva tutto il comodo ? E poi il de
monio starà quieto ? Se con tutti in quel punto ha una
rabbia immensa, vorrà star quieto con un sacerdote, che
forse è suo da tanti anni ? vorrà star neghittoso con un
sacerdote che è, al dir di S. Girolamo, il cibo suo predi
letto ? La diffidenza, la disperazione è la tentazione più fatale
in questa gente ; ed alle volte, con tutti gli sforzi, appena
si riesce a far entrare in questi cuori un filo di speranza,
cosi sottile però che se resistano sino al fine del cimento,
lo sa Iddio .... sicché un momento pare che sperino, di li a
poco disperano, ed io temo, o fratelli, che muoiano e par
tano da questo mondo lasciandoci gran dubbio della loro
eterna salute.
Ma torniamo al nostro sacerdote che già sta per morire.
Aggravato più che mai dal male, stretto e divorato da tante
angustie, eccolo giunto al termine dei suoi giorni, eccolo
in agonia . Figuriamoci di vederlo là disteso e già quasi
immobile su quel letto : i capelli scarmigliati , la faccia
smunta ed affilata, gli occhi infossati e fissi, il respiro affan
nato, un freddo sudore che gli spunta sulla fronte, il polso
che fugge... ah ! tutto indica una partenza, una morte vi
cina. In questi momenti benchè questo stesso sacerdote si
facesse si poca cura di accorrere in aiuto di chi in agonia
stava lottando coll'inferno, speriamo ciò nondimeno che avrà
la sorte d'aver vicino chi lo starà confortando in quel gran
cimento . S'accosta il buon prete, lo benedice, quindi a nome
MORTE DEL SACERDOTE PECCATORE 115

di quel Dio che l'ha mandato e l'ha posto a far le sue veci
in terra, gli intima la partenza da questa terra : - profi
ciscere, anima christiana de hoc mundo ; parti, o anima
cristiana, parti sacerdote, fratel mio, da questo mondo. È
finita per te, è suonata l'ultima ora, via di qua, parti e
vattene al tuo Dio : proficiscere. Parti adunque e parti per
non tornare mai più. Oh ! che parole, che fulmine per
un cuore che aveva messo, per cosi dire, le radici in questo
mondo, sentirsi intimare la partenza e non poterla ritardare
neppur d'un momento. Parti, parti, seguiterà a dire il
buon ministro, parti a nome del Padre che ti creò, parti
a nome del Figlio che ti redense, parti a nome dello Spirito
Santo che ti santificò. Nè contento ancora, e quasi vo
lesse farlo partire ad ogni costo, --- parti, seguiterà a dire, a
nome degli Angeli, Arcangeli, Troni, Serafini... parti a nome
di tutti i Santi, Confessori, Martiri ... parti senza ritardo ......
Però, signori miei mentre intimiamo a quest'anima di
partire, ricordiamoci che un dì questa stessa partenza sarà
intimata a noi ; un di a me ed a voi si dirà : parti , o
sacerdote, da questo mondo, chè questa terra non ha più
che fare con te . Intanto il buon ministro mentre da un
canto gl'intima la sua partenza, dall'altro gli presenta il
gran conforto dei moribondi questo crocifisso Gesù ; ma nel
rimirar questo gran modello ed esemplare dei sacerdoti,
pare che quella bocca e quel cuore gli rinfaccino d'averlo
imitato si poco. Gli dirà il Confessore di stampare l'ultimo
bacio su quelle piaghe, su quel sangue istesso che ha pro
fanato con tanti sacrilegi, che ha maneggiato con tanta ne
gligenza nei Sacramenti, che ha lasciato andar a male e
senza frutto con tanta perdita di tempo : gli metterà sulla
lingua quasi per sigillargli le labbra i bei nomi di Gesù e
di Maria ; nomi si dolci, si venerandi, ma che purtroppo
cosi di rado si sentivano da quella bocca. Finalmente ve
dendo il buon ministro che a momenti quell'anima è per
116 MEDITAZIONE QUINTA

partire e sta per decidersi la sua sorte, si rivolge a quel


gran Giudice che l'aspetta, e : - Signore, si fa a dirgli con
tutta l'ampiezza del suo cuore , Signore vi accomando
quest'anima, e vi prego di non permettere che vada a male
un'opera delle vostre mani , un'anima che vi costò tanto ;
- e per ottener misericordia gli ricorda che, quantunque
essa abbia mancato , tuttavia ha sempre avuto zelo 'del suo
onore , della sua gloria : licet enim peccaverit... zelum tamen
Dei in se habuit. — Taci, potrebbe ad una tale preghiera
rispondere Iddio , a me dare ad intendere di zelo ! Che zelo ,
se invece di salvarmi le anime, le ha dannate co' suoi scan
dali ? che zelo se passava le giornate oziose da mattina a
sera ? che zelo , se nelle opere istesse di mia gloria , non
altro cercava che l'interesse, la vanità , il proprio comodo ?
Povero ministro ! si crede d'addurre al Signore un mo
tivo che lo muova a misericordia, ed invece gli ricorda un
argomento di maggior condanna ! E continua : - Miserere
gemituum , miserere lacrymarum eius; guardate, Signore,
che spettacolo d'orrore, che angoscie, che stato, che torture
di un'anima, abbiatene pietà ! Dio non voglia che sia
un preludio di ciò che lo attende all'eternità! Gli presenterà
l'immagine di Maria, la cara madre dei sacerdoti, la con
solatrice dei moribondi. Dio non voglia che sia di quei preti
che quasi si ridono della divozione alla Madonna od almeno
non ne fanno gran conto ! in tal caso qual confidenza po
trebbe eccitargli la vista di questa Madre ? Si rivolge poscia
l'instancabile e caritatevole assistente a tutto il paradiso e
scongiura Maria e prega i Santi e Sante tutte, si racco
manda a tutte quelle schiere d'Angeli affinchè ottengano mi
sericordia , e vengano ad incontrare, ad assistere, a difendere
quest'anima che parte per la gran sorte della sua eternità ;
subvenite Sancti Dei, occurrite Angeli Domini. Ed ecco, che
mentre il sacerdote assistente alza ancora le sue voci ed i suoi
sospiri al cielo, il nostro moribondo colle mani già distese
MORTE DEL SACERDOTE PECCATORE 117

e morte sul letto, gli occhi già oscurati e chiusi, le


labbra già fredde, la lingua già muta, con un' aperta di
bocca dà l'ultimo respiro e muore. Ahi che momento ! ... Si
scontra con Dio, d'uno sguardo è esaminato, convinto, sen
tenziato ; ella è finita ! il tempo è passato, l'eternità inco
mincia ; la sua sorte è fissata per sempre e non si cam
bierà mai più. È morto , è morto ..... Il prete lo benedice
coll'acqua santa, ed in compagnia degli astanti gli prega
eterna requie e poi se ne parte ; ma il cuore gli batte pen
sando che se vi è un sacerdote di meno in questo mondo,
vi sarà forse un dannato di più nell'inferno. Si darà il segno
della morte ed a questo segnale tutti andran chiedendo: -
chi è morto ? chi è morto ? È morto il tal prete. - Ed
a questa nuova che si dirà nel paese ? Sentite : - A chi
ha lasciato la roba ? Quello si che ne aveva..... Sapeva far
rendere il suo mestiere ed a cavargli un soldo non eran
tutti buoni. Per un prete così vi è poco male, tanto per
quel che faceva ; ... questa volta i fratelli, i nipoti saranno
contenti .... è tanto tempo che sospiravano e soffrivano con
questa speranza. Ecco le ciarle che comunemente si
fanno alla morte di tali sacerdoti ; e Dio voglia che non si
dica altro di peggio. I buoni poi che hanno timore di parlar
male , taceranno cogli altri, ma tra loro diranno : pove
rino ! sarebbe meglio che avesse fatto un po' più il prete ;
e con questo vogliono dir tante cose... che Iddio gli
abbia un po' usato misericordia . -
Mentre cosi si parla
i parenti, gli eredi penseranno tosto a sbrogliarsi del ca
davere. Prescindo qui da tutte le dicerie che si faranno sul
testamento . Presto, presto la sepoltura. E qui con
minor spesa possibile, oppur anche con pompa se volete ;
eccolo dunque a camminare sulle spalle di poche persone
alla tomba, eccolo sotto terra. Con questo tutto è finito .
Per alcuni giorni se ne parlerà ancora, e poi chi è morto
è morto ; appena ancor qualcuno lo ricorda, fintantoche si
118 MEDITAZIONE QUINTA

perderà talmente la sua memoria coll' andare degli anni ,


che sarà come se mai non fosse stato al mondo, e nessuno
più ne sa .
Ora io domando : dove è quel prete, che sembrava un
agente, e che, sempre a' fianchi di que' poveri villani in
campagna, non faceva altro che seccarli e farli bestemmiar
da mattino a sera ? dove è ? dov'è quel prete che non
aveva mai di che fare, vagabondo per le strade, ozioso su
quelle sedie o collo schioppo in ispalla per la campagna ?
Dov'è quel prete, che si trovava a tutti i mercati, che fa
ceva i tali negozi, dov'è, che non si vede più nè in questo
nè in quel luogo ? Forse avrà cangiato tenor di vita , ed
il suo tempo ora lo passerà in chiesa, allo studio o in altri
ministeri.... Eh, no ! Forse avrà cangiato domicilio ? Si, o fra
telli miei, egli ha traslocato, ha cangiato questo mondo
coll'eternità , è morto, non v'è più ! ma dove è ? continuo
io ad interrogare, dov'è quell'anima ? sarà in Cielo, oppure
all'inferno ? Ohimè! che pensiero : un sacerdote all'inferno !
Per me vorrei sperarlo fuori di quelle fiamme, ma pure
lo temo dannato ; per altro lo lascio a decidere da quel
Dio che a sè solo ha riservato il giudicar della nostra sorte.
È morto il sacerdote di cui ho preso a parlarvi, è giu
dicato, è sepolto, epperciò il mio tema, la nostra medita
zione è terminata ; ma sul finire vi' raccomando di studiare
in questa giornata a quel letto di morte. Figuriamoci adunque
di aver sott'occhio il cadavere di quel povero sacerdote e
di guardarlo sovente : ogni sguardo che vi daremo sarà
una scuola ed una lezione per noi . Ricordiamoci che
egli è un sacerdote ; pensiamo quello che egli farebbe se
fosse al nostro luogo ed avesse il comodo di fare questi
esercizi ; pensiamo quello che direbbe a noi, se potesse
ancora parlarci. Noi forse avremo paura di questa morte ;
ma io rispondo che non è la morte di costui che dobbiam
temere, ma piuttosto la sua vita mondana, dissipata , seco
MORTE DEL SACERDOTE PECCATORE 119

laresca e leggiera che ne fu appunto la causa . Che se non


temiamo ancora di siffatta vita, ebbene serviamoci pure di
questa morte per arrivarvi ; è sentimento di S. Agostino :
temiamo l'ultimo de' nostri giorni, temiamo quelle ultime
agonie, temiamo quella morte spaventosa, orribile e pessima
riservata a' sacerdoti peccatori : Peccatum time, si pec
catum non times , mortem time.
MEDITAZIONE SESTA .

Morte del Sacerdote giusto .


7

PREGHIERA . — Grande Iddio, prostrato innanzi a Voi, credo e


adoro la vostra divina e reale presenza: Vi prego, o Signore,
a farmi conoscere in questa sera, a farmi gustare quanto
sia dolce il morire con Voi . Ah ! mio Dio, fatemi la grazia,
che il pensiero di questa morte sia quello che mi ecciti,
mi spinga a vivere in modo da meritarmi un si bel morire.
A voi mi raccomando, madre mia Maria ; ah ! si voi fatemi
capire qual sia la morte di chi in vita abbia servito il
vostro caro Gesù. S. Giuseppe, voi che spiraste cosi dolce
mente tra le braccia di Gesù e di Maria assistetemi ora ,
ed in morte. Angelo mio Custode, ecc .

In questa sera, fratelli miei, io v'invito di bel nuovo ad


un letto di morte, però non più ad essere spettatori e te
stimoni di affanni e di angustie, ma invece per contemplare
e gustare la dolce partenza di un sacerdote, la morte d'un
buon operaio evangelico, che dopo aver faticato nella mi
stica vigna del suo padrone, consumato più dalle fatiche
che dagli anni sia chiamato al riposo, al premio . Oh ! che
MORTE DEL SACERDOTE GIUSTO 121

santa morte, che bel termine di vita, che dolce transito


d'un servo fedele ! Non è vero che la morte del giusto
abbia da numerarsi tra' mali, che anzi sarà il giorno
più fausto, il più giocondo fra tutti : Ecce dies jubilationis
et laetitiae prae omnibus diebus vitae meae. In questi
accenti appunto prorompeva il gran Dottor della Chiesa
S. Girolamo nel giorno della sua morte. Eh ! a chi teme Dio
non potrà succedere che bene ne 'suoi estremi, l'ha promesso
l'infallibile Verità : Timenti Dominum bene erit in extremis,
et in die defunctionis suae benedicetur (1 ). Per un'anima
che ama Dio, non sarà la morte che un dolce sonno per
risvegliarsi nel possesso d' un'immensa eredità : Cum de
derit dilectis suis somnum , ecce haereditas Domini (2) ;
e qualunque sia la morte di cui il giusto abbia a morire
non potrà essergli, che di pace e di sollievo : Justus autem
si morte praeoccupatus fuerit, in refrigerio erit ( 3).
Per farci adunque un'idea di cosi bella morte, e per ani
marci tutti quanti a meritare un si bel termine de' nostri
giorni, tratteniamoci questa sera ai fianchi di questo buon
sacerdote, che colpito dall'ultima sua malattia e steso sul
suo letto di morte, sta aspettando l'ora della sua chiamata.
Non crediate già che questo sacerdote sia un taumaturgo,
che abbia fatto miracoli; oppure che serbi ancora la stola
della battesimale innocenza ; ovvero sia un ministro, che
qual altro Apostolo, qual altro Zaverio abbia portato l’E
vangelo sino agli ultimi confini del mondo. Parla da sè la
cosa, che la morte di queste anime predilette non potrà
a meno di esser bella, preziosa, santa . E poi se a queste
anime sole fosse riservata una tal sorte, che varrebbe a
noi il contemplarla, mentre ci vediamo cosi lontani da questi
portenti di zelo e di carità ? Io parlo invece d'un sacerdote
che senza far cose strepitose al cospetto del mondo, senza
(1 ) Eccli . I. 13. (3) Sap. IV. 7 .
(2) Psalm . CXXVI . 4.
CAFASSO - Eserc, Spirit . Medit .
122 MEDITAZIONE SESTA

far parlare di sé, abbia procurato nel suo stato di santifi


care se stesso, e per quanto poteva anche gli altri ; d'un
sacerdote che nelle sue piccole e giornaliere occupazioni
abbia cercato più l'onore e la gloria di Dio, che il proprio
comodo ; d'un sacerdote che abbia condotto una vita riti
rata, divota, occupata, lontana da ciò che poteva sapere di
profano e di mondo ; d'un sacerdote anche, se volete, che
per un tratto di tempo abbia deviato dal suo gran fine ;
ma che poi riconosciuti i suoi falli siasi dato a fare quello
che non aveva fatto . Ecco il personaggio del quale io in
tendo considerare con voi gli ultimi giorni, le ultime ore
di sua vita mortale. E tenendo lo stesso ordine della pre
cedente meditazione noi prenderemo ad esame queste tre
cose : l'annunzio della morte ad un buon operaio del Si
gnore; la preparazione ultima con cui si dispone a morire,
e finalmente l'addio che darà a questo mondo e la sua
partenza per l'eternità. Incominciamo.
I. Caduto ammalato un buon sacerdote e temendosi qualche
pericolo, si darà anche a lui l'annunzio di morte, se pure
già egli non lo conosce od almeno non ne sospetta. Come
riceverà quest'annunzio ? Uno lo riceve con gioia e contento ;
un altro rimane tranquillo ed immobile senza turbarsi per
niente ; taluno anche prova una certa ripugnanza, un po' di
affanno. Parlo sempre di anime giuste e di buoni sacerdoti,
ne' quali questo affanno, questa ripugnanza non fa torto
alla virtù ; sarà effetto della natura, del temperamento, più
sovente poi una permissione ed una prova, che il Signore
vuol fare per gli alti suoi fini; ma sempre pel maggior
bene di questo suo ministro. Sia pure adunque che in sulle
prime anch'egli soffra un po' di umano, un po' di orrore e
di ribrezzo ; non crediate però che ci voglia gran tempo,
gran fatica a rassegnarsi. Si ricorda d'aver egli stesso esor
tato, preparato gli altri, chi sa quante volte, a far il sa
crifizio della vita, ricchi e poveri, giovani e vecchi, padri
MORTE DEL SACERDOTE GIUSTO 123

e madri di famiglia , che morendo pareva lasciassero il cuore


a questo mondo ; eppure tanto egli seppe dire e fare che
arrivarono a compiere anche volentieri il sacrifizio . Sovente
egli aveva meditato la morte e di tanto in tanto andava
preparandosi a quel passo. In confessionale, sul pulpito, so
leva per dovere e per zelo ricordare quest'ultimo passaggio,
inculcarne l'incertezza, l'importanza, la necessità di partire
un giorno e forse partire presto. Ora io lascio pensare
voi se un sacerdote che viva di queste massime, un eccle
siastico, che, non per usanza soltanto e superficialmente ,
ma con ispirito di fede, per zelo, con persuasione, parli
spesso di morte, mediti e predichi la morte, prepari a mo
rire, conforti i timidi, cerchi di ridurre a rassegnazione i
ritrosi ; un ecclesiastico, che, per ragione del suo ministero
ha dovuto sforzarsi a persuadere agli altri come la morte
sia pel vero cristiano un oggetto più di speranza che di
timore, più di consolazione che di angustia ; domando a voi
se un tal sacerdote debba provare grandi difficoltà, anzi
direi, se debba anche solo sentirne qualcuna nell'accostarsi
alla sua fine ! A ciò aggiungete le miserie, i dolori , i di
spiaceri, che si soffrono in questa vita ; il che tutto serve
a staccarci da questo mondo. Notate di più la pena che ne
cessariamente prova un buon sacerdote, nel dover vivere
tuttora in mezzo ai peccati, e sempre colla paura d'aver
offeso e d'offendere il Signore. S. Gaetano ed altri santi,
come leggiamo nel Breviario, morivano di dolore per le tante
offese che si facevano al Signore ; noi non saremo degni
di tanto, ma quanti buoni sacerdoti anche ai giorni nostri,
senza far rumore e senza essere conosciuti , piangono nel
loro cuore e van dicendo : Signore, rimediate a tanti
scandali, riparate voi a tante offese, se no prendetemi, chè
amo meglio morire. - Si, lo ripeto a nostra consolazione
ed esempio, non mancano sacerdoti di tanta virtù e di questo
spirito. La paura d'aver offeso il Signore noi sappiamo
124 MEDITAZIONE SESTA

quanto pesi ad un'anima buona ; basta questo timore per


amareggiarle qualunque cosa più dolce di questo mondo ;
guai se viene a cadere in peccato, dà quasi in disperazione
e non sa cessare dal dire, dal ripetere : Signore, era
meglio fossi morto, e perchè non mi avete preso prima che
cadessi ? Pazienza la morte, qualunque fosse stata, ma non
avrei peccato ! - Ora tutte queste pene, tutti questi pe
ricoli vanno a finire, vanno a cessare colla morte. Nè si
dica che tali ragioni sono alte, sottili, speculative e che non
arriveranno punto a togliere l'amarezza della morte ; per
morire da buoni sacerdoti, noi non abbiam bisogno che ci
sia tolta quest'amarezza, a noi basta che questi ed altri si
mili motivi ci dispongano ad accettar la morte con calma
e rassegnazione. Alle volte si trovano persone fra gli stessi
laici che sanno addurre da se stessi queste ragioni sul letto
di morte. — Muoio e muoio volentieri , diceva una persona,
perchè cosi sarò fuori di pericolo d'offendere Dio ; quando
anche andassi in purgatorio, non importa, amo meglio sof
frire nel fuoco che vivere nel pericolo di peccare. Un
altro ripeteva : Signore, perdonatemi che vi ho offeso
tanto ! io muoio e muoio volentieri, perchè cosi ho finito
di offendervi. Se laici, se persone rozze escono in questi
sentimenti , sarà tanto raro che li abbia poi un buon sa
cerdote ? si, un sacerdote che più d'ogni altro è in caso di
conoscere i pericoli della vita presente, le speranze della
futura e l'importanza somma di ben guardarsi e di ben
riuscirvi ?
Il motivo però primo e principale che servirà a deter
minare questo buon sacerdote, a determinarlo presto e fa
cilmente, a determinarlo anche volentieri a morire sarà la
volontà del Signore . Noi possiamo sapere quanta forza dia
in un cimento, quanto coraggio infonda il pensiero, il ri
flesso, che Iddio cosi vuole, cosi dispone. Notizie più tristi ,
prove più dolorose non potevano improvvisamente giungere
MORTE DEL SACERDOTE GIUSTO 125

ad un Giobbe, al Sommo Sacerdote Eli : ebbene il rimedio


che amendue trovarono si fu di elevare gli occhi al cielo
e rimettersi intieramente nelle mani di quella Provvidenza
che cosi disponeva : Dominus est ; quod bonum est in
oculis suis, faciat (1 ). E lo vediamo tutto giorno in per
sone di fede, nelle disgrazie più grandi, quando non si
trova più sulla terra rimedio e conforto, restarvi ancora
il principale nel pensiero che Dio cosi ha voluto, cosi ha
disposto. Basta anche solo questo riflesso per sentirci rad
dolcire nel cuore una piaga, un dispiacere, una paura per
quanto grande che ci tormenti. Ora un ecclesiastico già
avvezzo a riconoscere, ad adorare questa divina volontà
in ogni cosa, un ecclesiastico che nelle prove più dure, e
chi sa quante volte in occasione di avversità, dispiaceri,
calunnie, sapeva rivolgersi cosi prontamente a Dio e rasse
gnarsi alla sua santa volontà, credete che abbia bisogno di
suggerimenti , di stimoli , di sprone per farlo in quel punto ?
egli che sa in particolar maniera tutto essere disposto, vo
luto , ordinato dal suo Signore ?
Un sacerdote molto zelante e che sul fior degli anni
andava avvicinandosi al suo termine, soleva rispondere a
chi visitandolo piangeva : - Perchè piangete ? Perchè questo
attristarvi ? – e si aveva ragione di piangere, perché trat
tavasi d'una gran perdita ; - e perché , soggiungeva egli
ora all'uno ora all'altro, perchè prendersela ? siamo nelle
mani del Signore ; se è sua volontà che io viva, non te
miamo chè Dio comanda ancora al mio male ; se poi mi
vuol prendere, nè io nè voi vorremo diversamente ; e
quand'anche lasciasse a noi la scelta, risponderemmo: Si
gnore, tocca a voi il decidere, fate quel che volete. - Oh !
che bei sentimenti da rendere dolce anche la morte. Altre
volte lo stesso sacerdote ripeteva : - se Dio mi chiama,
dovrei ancor ringraziarlo, perchè vi sono tanti sacerdoti
( 1 ) I Reg . IV . 18 .
126 MEDITAZIONE SESTA

che da anni ed anni lavorano, pieni e carichi di meriti ,


il Signore invece pare che voglia dar la preferenza a me,
che ho lavorato tanto di meno ; e mentre tanti altri sospi
rano da tempo la corona e chiamano riposo, Dio l'offre a
me che merito si poco.
Queste espressioni mi danno occasione di parlarvi d'un
altro pensiero, che più presto o più tardi viene a conso
lare un ecclesiastico nei suoi ultimi giorni, e che servirà
non poco a rendere facile e volenteroso il sacrifizio della
propria vita, voglio dire la ricordanza di quel bene che si
avrà operato. Che gran bene non può far un sacerdote da
mattino a sera, all'altare, in un confessionale, sovra un
pulpito, nelle sole visite agli infermi, ai miserabili, agli
abbandonati ! quali e quanti meriti in una sola giornata
spesa in questi ministeri, quando si operi con vivo zelo e
retto fine ! Che sarà dunque dei mesi, degli anni, di più
anni consumati in una si bella catena di opere ? Oh ! potes
simo anche noi, fratelli miei, quando saremo al letto di
nostra morte, contar molti di questi giorni! Che dolce in
canto sarà per noi e per ogni buon sacerdote al termine
della vita, rimirare la tela de' giorni passati ! quelle Messe
che si procurava di celebrare con gravità e fervore, quella
pazienza e carità usata nel confessionale, quella mansuetu
dine praticata nel trattare, ma sopratutto quei peccati im
pediti , quelle anime salvate ..... Oh dolce memoria ! oh con
solanti fatiche ! Questo sarà il più gran conforto d'un sa
cerdote che muore, poter dire d'aver zelato la salute delle
anime. Se il Signore ha promesso tutta la sua assistenza a
colui che avrebbe guardato con occhio di compassione e
sollevato il poverello: Beatus qui intelligit super egenum
et pauperem, in die mala liberabit eum Dominus ( 1 ), che
farà verso quel sacerdote che avrà spesa la sua vita, non
già solo a satollar poveri affamati , ma a strappare dalla
( 1 ) Psalm XV . 1 .
MORTE DEL SACERDOTE GIUSTO 127

bocca dell'inferno e salvare le anime? Dominus opem ferat


illi super lectum doloris eius ( 1 ). Ditemi: un suddito che
avesse salvata la vita al suo sovrano, e che un bel giorno
venisse chiamato per portarsi a corte, lo vedreste forse
pauroso e pieno di spavento per timore che il suo re lo
voglia sgridare o punire ? Tutt'altro, che anzi allegro e fe
stoso non attenderebbe che il momento d'andarvi, sicuro
d'essere ben ricevuto e premiato. Ecco il caso nostro : es
sendo il peccato un attentato di vita al Signore, con tutta
ragione si può dire che questo buon sacerdote ha salvato
il Signore da simile attentato, e tante volte, quanti sono i
peccati che ha impediti. Ora questo Dio coll'annunzio della
morte lo avvisa e quasi lo manda a chiamare che vuol ve
derlo e parlargli ; e volete che abbia paura , che paventi ,
che tremi ? Impossibile, fratelli miei; bisognerebbe che il
peccato non fosse peccato, che Dio non fosse Dio per po
terne dubitare.
E qui prima di andar innanzi lasciate che io vi ricordi
l'avviso di S. Girolamo, che cioè in punto di morte non sarà
il grado nostro, la dignità, il carattere che ci avrà da con
solare, da salvare, ma bensi le opere che avremo fatte in
questo stato : Non dignitas, sed opus dignitatis salvare
consuevit. Non sarà il nome, l'abito e le divise sacerdotali
che ci avranno da meritare il buon termine, ma l'impegno,
il fervore, lo zelo con cui avremo esercitato il nostro mi
nistero. Chi sa se noi, quando per gl’incommodi di salute
ci accorgeremo di essere verso la fine della nostra giornata ,
chi sa se quando alcuno si avvicinerà a noi per dirci che
siamo al termine, potremo prometterci siffatta consolazione ?
Io la voglio sperare per me e per voi tutti, ma frattanto
teniam bene a mente quella gran missione di cui siamo
incaricati : Sicut misit me Pater, et ego mitto vos (2).
Tanto a me, quanto a voi furono dati talenti e ci fu co
(1 ) Psalm. XV . 2. ( 2) Ioan. XX. 21 .
128 MEDITAZIONE SESTA

mandato di trafficarli: Negotiamini dum venio (1 ). Guai


al sacerdote che si troverà a quel punto con questi
talenti oziosi in mano o sepolti !
Ma seguitiamolo il giusto negli ultimi giorni di sua carriera.
Vero è, fratelli miei che la memoria del bene da lui ope
rato, condurrà seco un altro pensiero forse doloroso, cioè
il ricordo del male che pur troppo si avrà anche commesso ;
giacchè io non intendo, come già ho detto, di parlar d'un
innocente o d'un uomo di virtù straordinaria . Ah ! quelle
Messe strapazzate, quegli scandali, quegli anni oziosi e vuoti,
quei fini terreni nel ministero ...... che pensieri funesti al
punto di morte ! Si, ma io so che un Paolo sospirava tanto
la morte, eppure era stato un persecutore, un bestemmia
tore ; io so che una quantità di anime morirono in somma
pace, eppure erano state grandi peccatori; vuol dir dunque
che in quel punto vi ha un rimedio a queste spine, e non
può esser altro che il perdono, che uno ricorda e sa come
certo d'aver ottenuto. Quei giorni di ritiro, quei sospiri e
quei gemiti dati sulle nostre colpe, quel quid feci, che ab
mo fatto risuonare appiè del crocifisso, quel peccavi che
con tanto dolore abbiam pronunziato appiè del confessore,
ah pensiero consolante in quegli estremi, in quelle agonie
di morte ! Verranno allora in mente quelle dolci parole che
il profeta del Signore ci disse, ci ripetè e cercò di stam
parci in cuore : Dominus transtulit peccatum tuum (2) ;
sta certo, figliuol mio, il Signore ti ha perdonato ; oh mo
mento prezioso! oh dolce e consolante memoria ! Questa
chiesa stessa , la camera, il Crocifisso che abbiamo tra le
mani, testimoni dei gemiti del nostro cuore, verranno in
quel punto alla nostra mente per dirci, per assicurarci che
siamo stati perdonati, per aiutarci a chiudere i nostri occhi
colla pace e colla confidenza di un buon sacerdote.

(1 ) Luc. XIX . 13. (2) II Reg. XII . 13.


NORTE DEL SACERDOTE GIUSTO 129

II. Questo però non è ancora il tutto della morte di un


giusto ; andiamo a vedere come si disponga a morire, e
come muoia un nostro compagno che abbia corrisposto al
gran fine della sua vocazione. Avvisato adunque del suo
termine su questa terra , confortato dal testimonio della
propria coscienza e pieno di confidenza in quel Signore a
cui ha servito, si preparerà al gran passo, a dar l'ultimo
addio a questo mondo. Uso già ai Sacramenti, assuefatto
ad aggiustar sovente e con tutta sincerità i conti dell'anima
sua, non lo spaventerà la vista del suo confessore, anzi
servirà ad animarlo ; e pensando che quella forse sarà l'ul
tima confessione di sua vita, gli aprirà intieramente l'anima
sua, rinnoverà l'accusa di tutte le sue colpe, e chiedendone
perdono di gran cuore ne domanderà la generale assolu
zione. Il buon ministro intenerito e compunto al par del
penitente per si belle disposizioni, attende con impazienza
il momento di confermarlo in grazia, ed eccolo già colla
mano alzata pronunziare per l'ultima volta su quell'anima
benedetta la sentenza d'assoluzione.
Prima che andiamo agli altri Sacramenti, fate che si
sparga nel paese la notizia della malattia e del pericolo di
questo prete. Oh quanti lamenti si sentono ! quante voci si
alzano al cielo, perchè il Signore lo lasci ancora sulla terra !
Allora più che in ogni altro tempo si apprezza il gran bene
che faceva, epperciò tutti temono una perdita comune : chi
teme di perdere in lui la sua guida, chi il proprio consi
gliere, chi un consolatore e chi un sovvenitore; tutto il
paese poi presagisce con dolore la perdita di un angelo di
pace, di un profeta del Signore, il quale colla sua condotta
edificava tutti e co' suoi gemiti e colle sue preghiere atti
rava le benedizioni del Cielo. Quante volte in simili occa
sioni certe anime più pie e maggiormente penetrate del
molto bene che continuerebbe ad operare quel sacerdote,
offrono la loro vita stessa, perchè il Signore la prolunghi
130 MEDITAZIONE SESTA

a questo suo ministro. Pare quasi che gareggino tra loro


il Cielo e la terra : il Cielo . lo vuole, lo attende ; la terra
lo pretende, che è suo, ed a stento si arrende a lasciarlo
partire. Questa è la vera testimonianza ed il miglior pane
girico che il mondo possa fare di noi. Sarebbe bene che
qualche volta venissimo alle prove e domandassimo a noi
stessi se dalla condotta che teniamo, se da ciò che noi fac
ciamo, il mondo possa bramare di averci a lungo ; o se al
contrario non avesse poi tanto a perdere, anzi potesse so
spirare di esserne presto liberato; il cuore ci potrà dire
qualche cosa . Ma ritorniamo al moribondo.
Dal Sacramento della Penitenza si passerà a munirlo del
S. Viatico . Quel Dio che il buon Sacerdote tratto si divo
tamente all'altare, quel Dio che onorò con tante visite nelle
sue chiese, quel Dio che sempre formò l'oggetto de' suoi
pensieri e delle sue opere, intenerito, direi cosi, e vinto dai
desiderii e dai sospiri di quell'anima, non può soffrire di
star più a lungo diviso dal suo ministro, e quindi se ne parte
dal tabernacolo, impaziente di presto arrivare in quel cuore
per confortarlo e sostenerlo nell'estremo cimento . En
triamo anche noi col Sacerdote che porta Gesù Sacramen
tato : la prima parola del ministro all'entrare in quella casa
è un saluto, un annunzio di pace : Pax huic domui.
Quante volte il nostro Sacerdote portò la pace egli stesso
nelle famiglie ! la sua presenza, la sua venuta in una casa
era un annunzio di pace. Quante anime, quanti peccatori,
quanti sconsolati hanno ricevuto la pace da questo sacer
dote ! egli è giusto adunque che questa pace venga anche
portata a lui negli ultimi suoi giorni : Pax huic domui;
pace, pace grande, pace permanente a questa casa benedetta
ed a chi vi riposa. Entra il Signore in quella porta, e chi
saprà dire a questo punto le commozioni di questi due
cuori che s'incontrano, gli affetti di Gesù verso il suo fedel
ministro e quelli del ministro verso il suo amato Gesù ! Se
MORTE DEL SACERDOTE GIUSTO 131

all'entrare di Maria in casa di Elisabetta, Giovanni esultó


di gioia nel seno della madre, per la presenza di Gesù ;
cosi a me pare debba a un sacerdote balzare il cuore per
impeto d'allegrezza all'arrivo, alla presenza reale del suo
Gesù. — Ecce Agnus Dei, dirà il ministro rivolto a questo
buon sacerdote, ecco, o fratel mio, l’Agnello del Signore,
lo conosci ? Egli è il tuo Dio, quel Dio che hai servito tanto
di cuore, quel Dio di cui hai zelato l'onore e la gloria,
quel Dio a cui hai risparmiato tante offese e tanti peccati.
Si, egli è proprio quel desso : deh ! prendilo, o caro, strin
gilo, abbraccialo al cuore, egli è tuo : Accipe, frater: Oh !
non temere, o fratello, con questa guida, con questo com
pagno, con questo amico tu andrai sicuro e salvo alle porte
dell'eternità : Accipe, frater, viaticum Corporis Domini
Nostri Iesu Christi, qui te custodiat ab hoste maligno,
et perducat in vitam aeternam . Ed oh ! che torrente
di grazie inonderà quell'anima all'entrare del suo Signore,
in quali affetti proromperà mai quel cuore già fatto una
fiamma d'amore, di carità. Figuratevi di vederlo là questo
sacerdote tutto unito col suo Dio ed alle volte con un'aria
insieme si amabile, si dolce che non so se lo direste an
cora abitatore di questa terra, oppure cittadino del Cielo ;
certamente se egli non è si glorioso, egli è ugualmente ricco
e felice nel suo Dio. Separato, già direi, da tutto questo
mondo, egli si trattiene in quei felici momenti col buon
Dio in un linguaggio tutto segreto che il mondo non è
degno di sentire : - Signore, mi par che dica, sono appa
gate adesso le mie brame, sono soddisfatti i miei desiderii,
toglietemi pure quando volete da questo mondo : Nunc di
mittis servum tuum, Domine: sono un povero ministro,
e se qualche cosa ho fatto, la gloria sia tutta della vostra
potenza, che ha voluto con uno strumento si misero, qual
sono io, dilatare il regno della vostra grazia ; io sono nelle
vostre mani ed ai vostri cenni : se mi volete ancora per
132 MEDITAZIONE SESTA

qualche poco a lavorare nel faticoso campo di questo mondo,


non recuso laborem , se vi degnate di chiamarmi, non esito
rispondervi : Ecce adsum , Domine; decidete come più ri
chiede la gloria vostra, si faccia e si adempia pure sopra
di me ogni vostra volontà. Che bei sentimenti, o fra
telli! che sante disposizioni da far presagire fin da questo
punto una morte la più dolce e la più felice ! 4

Si verrà quindi ad amministrargli l'ultimo Sacramento, 1


cioè l' Estrema Unzione, che servirà a purificare vieppiù
l'anima, ed a maggiormente disporlo a quel passaggio, a cui
s'avvicina a grandi passi. Io non voglio negare che in questo
frattempo nascano anche in un'anima giusta certe paure,
certi timori, certe inquietudini . Ah ! che il demonio è troppo
arrabbiato, tanto più contro un sacerdote, e farà di certo
gli ultimi suoi sforzi : non potendo far altro, metterà al
povero moribondo eccessivo timore, pensieri di diffidenza e
fin anco di disperazione. Alle volte succede, che anime le quali
hanno avuto coraggio a resistere alle più forti tentazioni,
pare in questi momenti quasi minacciano di cadere.
Padre, vanno dicendo, crede lei che io mi salvi ? può assi
curarmi che sia perdonato ? Dio voglia che non m'abbia a
dannare ! Chi sa come andrà per me ! Tant'è vero che
nei grandi spaventi, in certe grandi inquietudini un'ombra
vale un gigante. Non temete per questo, miei cari, sono
burrasche, sono tempeste che passano ben presto, e lasciano
dietro il più bel sereno. Dio permette tali turbazioni a
queste anime per tenerle umili ed alle volte perchè scon
tino ancora in questo mondo qualche loro difetto, e come
disse un S. Padre : Iusti quandoque dure moriendo, in
hoc mundo purgantur. E poi, non è da stupire, che muoia
sul campo di battaglia chi è avvezzo a combattere. La vita
di questa persona non è stata altra che continua guerra
fatta al peccato e al demonio, e cosi Iddio vuole che es +

sendo vissuta da prode, muoia da prode e combattendo, e 11

.
MORTE DEL SACERDOTE GIUSTO 133

che l'ultimo suo respiro sia una nuova palma che riporti
ed una nuova gemma alla corona che l'aspetta.
Del resto, se da un canto Iddio permette al nostro mo
ribondo questi assalti, dall'altro allarga la mano con una
piena di grazie che lo rendono vincitore ; e se l'inferno
freme e raddoppia i suoi sforzi a danno di questo cuore,
il Paradiso s'impegnerà a difenderlo. Il buon Angelo Cu
stode, che da tanti anni sta ai suoi fianchi, i Santi di cui
era divoto, saranno i primi ad accorrere in suo aiuto. Le
anime poi da lui salvate, quelle anime che in questo sa
cerdote riconosceranno il secondo loro salvatore quante voci
non manderanno al cospetto di Dio, quante preghiere per
ottenergli una compiuta vittoria ed un felice termine dei
suoi giorni ! Che dirò poi di Maria, quella cara madre spe
cialmente di noi sacerdoti? Qual premura non sarà la sua
in quel punto a pro di questo suo tenero figlio ? In novis
simis invenies requiem in ea , ci dice lo Spirito Santo nel
l'Ecclesiastico (1 ). Un buon sacerdote ben divoto di Maria
teneva sempre tra le mani l'immagine di Maria ; la mirava,
la baciava, rideva quasi direi e conversava insieme. Invitato
più volte nelle ore estreme a deporla sul letto non si poté
indurre, perché, diceva: con questa Madre ho procurato di
vivere e con questa Madre voglio morire; e mori realmente
con lei . Si sostiene da molti che Maria sia per assistere
visibilmente all'agonia dei suoi divoti : e se cosi fosse, come
io lo credo, che conforto non sarebbe per un povero mo
ribondo ! Oh ! fosse un po' vero, o cara Madre, che nelle
mie agonie, in quei momenti per me cosi terribili, vi ve
dessi con questi miei occhi a comparire! oh che speranza
mi darebbe un'occhiata di quei vostri occhi , una parola
anche sola che sentissi da quelle vostre labbra ! ..... Sia però
come si vuole, é fuor d'ogni dubbio che grande, grandis
sima è l'assistenza di Maria in punto di morte, e lo ve
( 1 ) VI . 29.
134 MEDITAZIONE SESTA

diamo tutto giorno al letto dei moribondi , ai quali basta


presentare un'immagine di questa buona Madre, basta ri
cordarne solo il nome per subito vederli sollevati ed inco
raggiati. Che sarà poi d'un sacerdote, che tanto era impe
gnato a propagare la sua divozione, d'un Sacerdote che la
teneva quale madre e che ad altri non sapeva confidare i
suoi bisogni se non al cuor pietoso e materno di questa
gran Regina ? Tanta, io tengo per certo, sarà la sua con
tentezza e gioia, che morendo sarà costretto a dire, come
già esclamava in tal punto un buon servo di Maria : Non
putabam tam dulce esse mori.
Nella piena di queste contentezze il moribondo alzerà
ancora gli occhi per dare uno sguardo a quella gloria che
lo aspetta . Figuratevi un soldato, che vincitore ritorni dal
campo di battaglia e colla palma in mano sia per entrare
nella capitale e presentarsi al suo re. Rappresentatevi un
giornaliere, che stanco dalle lunghe fatiche del giorno, tutto
allegro e contento sul far della sera stia sul punto di ri
ceverne la mercede. Tal è la condizione del nostro buon
sacerdote nell'ora di sua morte. Qual soldato o capitano
che ha combattuto e vinto in più cimenti e pericoli della
sua vita, qual giornaliere, che ha portato e sostenuto tutto
il peso del giorno, attende il momento della corona e del
premio ; ed oh ! con che franchezza lo guarda, con che spe
ranza e desiderio lo mira, con che impazienza attende l'ora
ed il momento d'andare in Paradiso ! - Deh ! mi mandi
presto, o padre, diceva una persona in quel punto ; oh !
potessi andar presto ! - Signore, diceva un sacerdote, io
sono come una nave nel mare di questo mondo, e non at
tendo che un cenno per slanciarmi nel porto delle vostre
braccia ;-
lasciatemi andare in Paradiso, rispondeva il
gran servo di Dio Monsignor Ancina a chi gli diceva
di non aver tanta fretta d'andare al riposo. - Già gli pare
di giungere a toccare quelle porte, già gli pare d'entrar
MORTE DEL SACERDOTE GIUSTO 135

tra quelle anime : -


Eia , Domine, moriar ut te videam :
evvia, Signore, fate che muoia, perchè presto possa vedervi :
moriar, moriar ut te videam . - Il Signore si compiace
di questi slanci, di questi voli del cuore, e per questa parte
lo vorrebbe veder sospirar a lungo, ma vinto d'altra parte
da tante brame, da si cocenti desiderii, non sa resistere,
abbrevia i giorni e le ore di questo cervo assetato, lo scioglie
dai lacci di questa carne, e libero lo lascia correre alla
fonte a cui anela. Andiamo ad assistere a questa morte dol
cissima. Oh fosse testimonio il mondo tutto d'una fine cosi
bella !
III. Eccolo disteso sul suo letto di morte il nostro sacer
dote ; in mezzo a' suoi dolori non cessa d'aver un'aria ras
segnata e tranquilla. Il buon ministro che, in compagnia
di chi sa quante anime celesti, presenti in quell'ora, con
sacra a Dio gli ultimi suoi momenti, ora alza gli occhi al
cielo e par che se ne parta e voli in quel punto alla gloria,
ora li gira d'intorno e vuol dirvi che vi lascia e muore;
tiene tra le mani un Crocifisso, quel Crocifisso che sempre
ebbe a modello ne' suoi giorni, quel Crocifisso che porta
tanti baci stampati dalle sue labbra , lo guarda, lo bacia,
si conforta in quelle piaghe, sovente fa sentire i bei nomi
di Gesù e Maria, finchè l'amore quasi più che il dolore,
viene a por fine a quella vita . Le estremità del suo corpo
sono le prime a morire ; quei piedi che non risparmiavano
fatica per guadagnar un'anima già sono freddi, insensibili,
e muoiono; quelle mani che cosi frequentemente soccorre
vano i poverelli, quelle mani che s'alzavano tante volte sul
capo del peccatore, cadono irrigidite sul letto. Quella lingua
che seppe parlare con tanta unzione, ed attirare tanti pec
catori, si fa mutola e muore ; quegli occhi che sparsero
chi sa quante lagrime sui proprii ed altrui peccati, ora si
chiudono e muoiono ; finalmente quel cuore che ardeva co
tanto di amore e di zelo, si rallenta, si ferma, più non
136 MEDITAZIONE SESTA

batte, si scioglie e muore. Qual innocente bambino che dol


cemente s'acquieta nelle braccia di sua madre, chiude gli
occhi a questo mondo, s'addormenta anch'egli tranquillo nel
bacio e nella pace di suo Signore. È morto ... Si, quel sa
cerdote che colla sua ritiratezza, gravità e modestia formava
l'esempio e l'edificazione della famiglia, del vicinato e d'un
intiera popolazione, è morto e non è più ; quell'ecclesiastico
che ai catechismi, all'altare, sul pulpito e negli stessi fami
gliari discorsi parlava con tanta unzione e carità da com
pungere e toccare i cuori , or è mancato e non è più. Si,
purtroppo, quel buon sacerdote di Dio che era cosi assiduo
ai ministeri , al confessionale, alle funzioni di Chiesa, che
celebrava con tanta compostezza e divozione, che si vedeva
così frequentemente a pregare in casa, nelle chiese, si è am
malato, è morto, non c'è più. Chi piange da un canto e chi
da un'altro ; - mai più un sacerdote simile, un sacerdote
si zelante, si caritatevole. - La nuova corre per il paese, vola
perfino nei paesi vicini : - è morto il tal sacerdote ! – Tutti
ne fanno elogi, tutti lo encomiano : -Oh ! che anima bella
era mai quell'ecclesiastico ; che bel paradiso si sarà trovato
quel sacerdote ; oh ! come sarà contento a quest'ora ! Fossi
io a suo luogo ! ... Oh ! se tutti i sacerdoti fossero di quella
fatta ... Oh ! che grazia se il Signore l'avesse ancor lasciato
un po' di tempo ! Che cuor generoso e disinteressato, che
angelo in carne! - Oh ! quante bocche lo deplorano, quanti
cuori lo sospirano! Il povero, l'afflitto, le anime buone,
perfino i peccatori si vedono piangere sulla comune perdita.
Ed oh ! che perdita è mai quella che fa un paese, una
chiesa nella persona d'un tal sacerdote : egli che metteva
la pace nelle famiglie, egli che consolava gli afflitti, egli
che soccorreva i bisogni dei poveri, egli che riconduceva i
traviati al dovere, egli che animava i deboli, egli che colle
sue preghiere riteneva sospesi i castighi divini. Egli era
degno di più lunghi anni, ma non era degno il mondo di
MORTE DEL SACERDOTE GIUSTO 137

d'averlo più lungamente ; il Signore se lo ha preso. I sospiri,


i gemiti, i pianti di quanti l'hanno conosciuto lo accompa
gnano alla tomba, lo coprono di loro benedizioni, se lo stam
pano in mente per averne essi ed i loro nipoti una eterna
riconoscenza : In memoria cterna erit iustus ( 1 ).
Mentre cosi si benedice in terra la sua memoria, l'anima
sua già regna e gode in cielo ; si lamenta in terra la per
dita di questo buon sacerdote, ed intanto si festeggia in
cielo l'arrivo d'un cittadino novello. Si, in cielo con Gesù,
in cielo con Maria, in cielo tra le tante anime da lui sal
vate, in cielo frammezzo a tanti buoni sacerdoti a godere,
a cominciare quella festa che non finirà mai più. Oh ! io
morrei volentieri, o Signore, se sapessi che avesse ad esser
tale la mia morte : deh ! muoia, o Signore, muoia di questa
morte dei giusti l'anima mia : Moriatur anima mea morte
iustorum , et fiant novissima mea horum similia (2).
E chi è, o fratelli miei, che a questo punto non si senta
in cuore come una voce che gli dica : — oh ! potessi morire
anche tu di questa morte ! - Eh si ; ma un termine cosi
tranquillo, soave e consolante, bisogna guadagnarselo, è ne
cessario per ciò ogni nostro sforzo, tutto il nostro impegno.
Ed a chi veramente desidera ottenerlo eccovi i mezzi: pri
mieramente si richiede una buona vita, perchè non potest
male mori, qui bene vixerit, dice S. Agostino : chi vive male,
può darsi per una grazia speciale che muoia bene, ma chi
vive bene è impossibile che muoia male : non potest, lo
ripeto, male mori, qui bene vixerit. In secondo luogo bi
sogna morire volontariamente col distacco dal mondo, prima
che giunga il punto di dover morire realmente e lasciarlo
per necessità : Fiat voluntarium quod futurum est neces
.sarium . Beati noi, se saremo già morti quando ci toccherà
morire ; beati, ripeto, se in questo modo ci esercitiamo a
ben fare quel passo, che, riuscito una volta, ci renderà
(1) Salm. CXI. 7. (2) Num . XXIII . 10 .
CAFASSO Eserc. Spirit. — Medit . 10
1

138 MORTE DEL SACERDOTE GIUSTO

felici per sempre . In ultimo, siccome speriamo di morire


con un crocefisso tra le mani, e di poter sigillare le nostre
labbra con un ultimo bacio su quelle piaghe, procuriamo
qualche volta in vita di stringerci a questa croce, di rac
comandare a Gesù le nostre agonie , quell'ultima e si fatale
nostra ora . - 0 Signore, verrà un giorno che sarò al ter
mine della mia vita, me ne partirò da questo mondo : deh !
in quel momento cosi terribile, quando tutto questo mondo
sparirà da' miei occhi, e solo pochi d'attorno al mio letto
piangeranno prossima la mia morte, non ritiratevi, o mio
Gesù ; quando le mie mani non potranno più stringervi croci
fisso, quando le mie labbra pronunzieranno per l'ultima
volta quel vostro nome ; quando, o Signore, l'anima mia
sull'estremità di queste labbra sarà per uscire da questo
mondo, deh ! per carità in quel punto non mi lasciate in ab
bandono: Cum defecerit virtus mea, ne derelinquas me (1 ) ;
apritemi in allora le vostre braccia, sicchè, sciolto da questo
corpo, me ne possa volare al vostro seno ad amarvi, a
godervi, a ringraziarvi in eterno delle vostre infinite mise
ricordie.

(1 ) Psalm . LXX . 9.
!
అలంపురం
coegepepepepapers
MEDITAZIONE SETTIMA .

Il Sacerdote all'Inferno.

PREGHIERA. Eterno Iddio, io mi umilio avanti a Voi e vi


prego d'illuminare la mia mente, d’infiammare il mio cuore,
sicchè possa in questa mattina meditare con frutto una ter
ribile verità. Io credo l'inferno, e confesso d'averlo più volte
meritato. Deh ! fatemi la grazia, o Signore, che questo pen
siero mi sia d'eccitamento, di stimolo a servirvi più fedel
mente in avvenire affinchè non abbia a cader nell'inferno. O
Maria, mia cara madre , proteggetemi e copritemi col vostro
manto . Angelo Custode, ecc .

Ieri è morto un buon ecclesiastico ritirato, divoto, esem


plare e zelante, ed è morto nella pace, nella tranquillità,
nella calma. È morto colla coscienza d'aver compiuto la
sua missione e colla ferma speranza di andarne a ricevere
la ricompensa. Morte consolante questa, e che deve animare
noi tutti a vivere in modo da renderci degni di un ter
mine cosi felice. Non dimentichiamo però quell'altro sacer
dote forse più dotto, forse più ricco, forse più onorato e
conosciuto ; ma che vale ? Ben diverso di condotta e di virtù,
140 MEDITAZIONE SETTIMA

mondano, dissipato, leggiero, interessato, pigro ed ozioso,


ogli mori tra le angustie, la paura e l'affanno, e morendo
ci lasciò gravi dubbi sulla sua salute e ci fa fortemente
temere siasi perduto. Ah che pensiero ! ... un sacerdote dan
nato ! ... un mio pari, un ecclesiastico che avrà predicato
chi sa quante volte l'inferno, trovarsi ora egli stesso a pro
varlo ! ... Ci deve far tremare questo pensiero, questa vista.
Con tutto ciò fa d'uopo che ci portiamo in ispirito a tro
varlo, a rimirarlo, a contemplarlo tra quelle fiamme; per
lui già è finita, non gli potremo più arrecare il menomo
sollievo ; ma andiamovi per vantaggio nostro, andiamo per
imparare dove vada a finire chi, contento degli onori e dei
comodi del nostro stato, non si cura gran fatto dei grandi
obblighi che porta seco. Descendamus in infernum vi
ventes, diceva S. Agostino, ne descendamus morientes : se
vogliamo avere speranza di non andar all'inferno dopo morte,
andiamovi qualche volta in vita. S. Giovanni Grisostomo
per non dimenticarlo se l'aveva fatto dipingere nella propria
camera, onde, anche senza volerlo, fosse obbligato a rimi
rarlo, e diceva : -
nessuno di coloro che meditano inces
santemente l'inferno vi cadrà, come nessuno di coloro che
si sforzano di perderne la memoria lo sfuggirà : nemo eorum
qui gehennam ob oculos habent in gehennam incidet, nemo
gehennam contemnentium gehennam effugiet. Fratelli
miei, approfittiamoci di questi avvertimenti, e portiamoci
oggi contemplar ben da vicino lo stato miserando d'un sa
cerdote dannato. Io non intendo parlarvi precisamente delle
pene comuni a tutti i dannati ; un sacerdote che le predica
tante volte, ne deve essere abbastanza penetrato ; noi consi
dereremo piuttosto le pene proprie del sacerdote all'inferno.
I. Immaginiamoci di aver sott'occhio una grande vora
gine di fuoco e dentro di essa una quantità innumerevole
di anime, di persone, che piangono, che sospirano, che si
disperano. Chi sono mai tutti quei disgraziati ? Ve n'è d'ogni
IL SACERDOTE ALL’INFERNO 141

nazione, di tutti i paesi, d'ogni età, d'ogni condizione, d'ogni


stato . Là è un Caino, che attendeva ai lavori della campagna ;
vi è un Saulle, che reggeva da sovrano ; vi è un ricco in
teressato e crapulone ; vi è un servo pigro ed ozioso, vi è
un Giuda sacerdote ed apostolo. Fermiamoci, fratelli miei
su quest'ultimo, e supponiamo per un momento che non
vi sia altro dannato all'inferno, per concentrare tutti i nostri
riflessi sul capo di quest' infelice sacerdote. Entriamo nel
suo cuore per vedere che cosa mediti, che pensi, che soffra.
Oh che angoscie atroci, che amare ricordanze, che funesti
pensieri !
Prima però cominciamo a premettere questa verità . Benchè
le pene dell'inferno siano grandi al di là d'ogni credere
indistintamente per tutti i dannati, sono nondimeno più o
meno grandi, più o meno intense, per ciascheduno, a pro
porzione dei proprii peccati, a misura cioè della quantità
e malizia loro : Quantum glorificavit se, et in deliciis fuit,
cosi sta scritto, tantum date illi tormentum et luctum (1 ) ;
Potentes potenter tormenta patientur (2) ; Per quae peccat
quis, per haec et torquetur (3). Vuol dire adunque che
chi piomberà all' inferno con più peccati, patirà molto di
più ; chi avrà peccato con maggior cognizione e malizia,
dovrà soffrire maggiormente ; per chi avrà mancato in più
sublime grado, sarà maggiore il suo patire ; non v'ha dubbio :
potentes potenter tormenta patientur, quantum glorifi
cavit se etc. Che se questo riflesso deve atterrire ogni cri
stiano, quanto più deve spaventare noi sacerdoti. E dove
mai persona più facile e più in pericolo di caricarsi d'in
numerevoli peccati, che un sacerdote il quale cominci a
traviare dalla vera strada ? Peccati all'altare, peccati nel
tribunale di penitenza, peccati in ogni amministrazione dei
Sacramenti, per tacere di tutti gli altri . Dove un peccato
(1 ) Apocal . XVIII . 7. (3) Id . XI . 17.
(2) Sap. VI . 7.
142 MEDITAZIONE SETTIMA

più grave che il nostro ? Enorme in malizia, perchè fatto


con maggiori lumi e cognizione, detestabile per l'ingratitu
dine che in sè contiene, perchè fatto da una persona la più
favorita ed elevata del mondo ; fatale finalmente nelle sue
conseguenze pressochè irreparabili, perché commesso da
chi è posto a far da guida e condottiero altrui. Eh..... se
merita un inferno il peccato di un pagano, se merita doppio
inferno il peccato d'un cristiano, qual inferno, o per dir
meglio, quanti inferni basteranno a punire il peccato d'un
sacerdote ? Tant'è, il Vangelo parla della condanna e dan
nazione di molti, del servo inutile, del ricco epulone ; ma
solo di Giuda il Divin Redentore proferi quella terribile
sentenza : Bonum erat ei, si natus non fuisset ( 1 ). E benchè
la si possa applicare ad ogni dannato è sempre vero che
in particolar maniera fu applicata dalla bocca infallibile di
Nostro Signore ad un apostolo e ad un sacerdote prevaricatore.
D'altronde sta scritto troppo chiaro nel Vangelo di S. Luca :
Nle servus qui cognovit voluntatem Domini sui, e chi
l'avrà conosciuta meglio a questo mondo che un sacerdote ?
et non fecit secundum voluntatem eius, vapulabit multis (2),
idest pluribus et gravioribus punietur suppliciis, come
spiega il Cartusiano.
Ciò posto, figuriamoci d'essere sulle porte dell'inferno ed
ognuno faccia a se stesso questa dimanda : – chi è quel
dannato ? di chi è quell'anima che sta là in quelle fiamme?
È l'anima di un sacerdote ! Quegli che un giorno vestiva
le mie divise, adesso non le ha più, è all'inferno ; quegli
che un tempo celebrava all'altare, sedeva in quei tribunali
di penitenza, saliva su quei pulpiti, ora ha cessato da queste
funzioni, ora si trova all'inferno ..... Quegli che forse ho
avuto compagno nelle scuole, nei seminarii, negli stessi miei
divertimenti, è tanto tempo che è morto, ed è all'inferno .....
Quegli che in quella casa, in quella comunità, in quella
( 1 ) Matth. XXVI . 24. (2) Luc. XII. 47.
IL SACERDOTE ALL'INFERNO 143

città, in quel paese era cosi rinomato, onorato, lasciò il


suo luogo ad un altro ed egli ?... all'inferno. Possibile che
quella stella che doveva brillare nel bel cielo della Chiesa
militante in terra e trionfante in cielo sia caduta in quello
stagno di fuoco e di zolfo già nominato nell'Apocalisse ? Si ,
purtroppo. Cecidit de coelo stella magna, de alto coru
scans coelo, lumen tuum extintum est, conversus es in
carbonem ( 1 ). Possibile che colui il quale teneva nelle sue
mani le chiavi dell'abisso, vi sia poi precipitato egli stesso
e rinchiuso ? Possibile che chi la faceva come da Dio in
terra, chi ne faceva le veci, ne dispensava le grazie, sia
ora divenuto suo nemico, spogliato d'ogni autorità, disere
dato, cacciato fino al disotto dei demonii all'inferno ? ed è
questo, fratelli miei, lo stato essenziale della riprovazione,
il costitutivo formale dell'inferno per un sacerdote. Chi era
l'amico, il confidente domestico di Dio, chi era alla portata
di contemplare, di palpare ogni mattina le sue carni, chi
era il depositario dei suoi più preziosi tesori , vedersi nel
l'inferno, separato dal suo Dio, decaduto da ogni diritto di
ancor possederlo, impossibilitato a ritornare nella sua ami
cizia, epperciò fuor d'ogni speranza di ancor raggiungerlo
una volta. Eppure è cosi, e sarà appunto all'inferno, e
sulla testa specialmente dei sacerdoti, che avranno forza
quelle terribili parole già poste da Dio sulla bocca di Osea
profeta : Vos non populus meus et ego non ero vester (2).
Ah, sacerdote miserabile, fatto vero figlio di perdizione !
sacerdote, ma senza Dio ; sacerdote, ma senza altare ; sa
cerdote, ma senza sacrificio che lo salvi; sacerdote che non
ha più che il nome ed il marchio a sua eterna infamia, a
eterno suo tormento ! ...
Si dice, ed è vero, che a conoscere lo strazio dell'animo
per la perdita di Dio, bisognerebbe conoscere l'infinita gran
dezza di quel Dio, che si perde ; ma a comprendere l'affli
(1) S. Ambr. ad vir. sap. c. 2. (2) Ose. I. 9.
144 MEDITAZIONE SETTIMA

zione di un sacerdote dannato, è da aggiungersi, che biso


gnerebbe anche comprendere che cosa sia il sacerdozio che
Iddio ha conferito a questo suo ministro. Si, bisognerebbe
conoscere la sublimità del carattere sacerdotale per misu
rare lo spasimo, il tormento di un sacerdote ripudiato da
questo Dio suo pontefice. Oh Dio mio ! che disperazione,
che riflessi! – Un giorno quando vestiva le divise del mio
ministero, quando celebrava all'altare, quando amministrava
i sacramenti, io da solo faceva tremare tutto l'inferno; aveva
tra le mani quel sangue che smorzava queste fiamme, te
neva io stesso le chiavi di quest'inferno ; la mia presenza,
una mia parola, un segno solo bastava per allontanare ed
atterrire tutti i demonii; adesso, perduta ogni mia dignità,
perduto ogni privilegio, perduto ogni potere, perduto ogni
diritto a riaverli, io stesso all'inferno, io dannato ! – Là
soltanto potrà comprendere l'amarezza e il dolore di questi
riflessi quello sgraziato che li avrà da provare !
Eppure non sarà ancor qui il tutto del suo inferno ;
egli soffrirà di più quando pensi al motivo ed alle circo
stanze della sua dannazione, voglio dire, quando pensi che
si è dannato per un niente, e si è dannato in un tempo,
in un luogo, in uno stato, in cui aveva tutti i comodi di
salvarsi. Ah ! quante lacrime avranno da cavare da' suoi
occhi tali pensieri, quanti lamenti, quanti sospiri dal suo
cuore ! Noi sappiamo quanto sia terribile e fatale alle volte
la malinconia, la tristezza ; essa sola è capace di far soffrire
ogni male, di far perdere la quiete, il sonno, e giunge so
vente a rodere, a divorare, a consumare una persona e
portarla fin anche alla tomba. Orbene se un dispiacere un
rammarico, un'afflizione di spirito è capace di tanto anche
in questo mondo, immaginatevi qual forza non dovranno
avere per un dannato i riflessi che poco fa io accennava :
io sono dannato, e mi sono dannato per un niente !
Le cose di questo mondo sono fatte cosi, che, lontane,
IL SACERDOTE ALL'INFERNO 145

ne accendono i desiderii e sembrano una gran cosa ; vicine


poi e godute non sono più quelle, e quasi ci annoiano ;
passate, sembrano essere state piuttosto un sogno, una fa
vola, che una realtà ; tale è la natura e l'effetto in noi di
queste cose, e tutti forse avremo già toccato con mano una
tal verità . Ora io dico : se le cose di quaggiù sono già così
vuote dinnanzi ai nostri occhi, mentre ancor viviamo in
mezzo alle lusinghe del secolo e siamo tuttora allucinati
dai nostri sensi, che saranno poi agli occhi di un'anima già
sciolta dai lacci di questo corpo, d'un'anima già entrata in
quel mondo, ed in quell'eternità ove solo si conosce a fondo
il niente e la vanità di tutte le cose terrene ? Le parranno
si piccole, si vili, si basse, che stenterà quasi a credere
come abbia potuto lasciarsi vincere e trascinare da esse ;
eppure dovrà riconoscere, dovrà confessare che per si poco
si è dannata . Si, quel sacerdote che tante volte sul pulpito,
nel tribunale di penitenza, ha predicato la vanità del mondo,
quel sacerdote che si sforzava a far comprendere agli altri
che tutto questo mondo è un fumo, è un sogno, è un niente,
ebbene all'inferno dovrà confessare egli stesso che per questo
fumo, per questo niente si è dannato. Ah ! se quando pre
dicava queste verità, le avesse predicate di cuore, avesse
applicato a se stesso quello che diceva agli altri, si sarebbe
risparmiato quella eterna e dolorosa meditazione che ha
principiato all'inferno e non finirà mai più. Oh ! .... con che
dolore dovrà piangere, allorquando si farà a pensare tra
se stesso : ohime ! io sono dannato ; e per che cosa poi
mi sono dannato ? Gustans gustavi paullulum mellis, et
ecce morior ( 1 )... per cose di un momento io mi perdei,
per quattro giorni di vita, che mi sparirono come un soffio,
io mi dannai ! che mi giovano adesso quei giorni, quei pia
ceri, quei sollazzi, quei capricci, mentre io sono dannato ?
almeno potessi dire d'aver passato una vita che mi contentò,
(1 ) I Reg. XIV. 43.
1

146 MEDITAZIONE SETTIMA

mi rese felice; ma lo so io quali fossero i miei giorni, lo


so io quello che provai, le angoscie, le inqnietudini, le
paure, i rimorsi, le spine : Ambulavimus vias difficiles...
transierunt omnia illa tamquam umbra..... quid nobis
profuit superbia aut divitiarum iactantia quid contulit
nobis ?.... talia dixerunt in inferno hi qui peccaverunt ( 1 ) ;
e se questo lo dovrà dire ogni dannato, lo dirà con più
ragione il sacerdote, poichè se il mondo è amaro per tutti,
è amarissimo per noi, e se ha una spina preparata per
tutti, ne ha cento per trafiggere il nostro cuore. Come
adunque potersi dar pace , come poter trovare un motivo,
una ragione almeno apparente da scemare in qualche modo
il dolore della sua dannazione ? Eh ! tutt'altro che scemarlo :
diventerà anzi vieppiù grande a misura che penserà.
Infatti, non meno crudele per lui e doloroso sarà il pen
sare che non era già per lui l'inferno, ma che il suo luogo
stava preparato in Paradiso. E qui gli verrà in mente quella
dolce promessa già fatta dal Redentore a noi tutti in per
sona de' suoi Apostoli: Vado parare vobis locum (2) ; gli
parrà di vederlo questo luogo, e mentre per maggior suo
dolore ne andrà considerando la bellezza da quelle fiamme,
una voce segreta al cuore gli dirà : non è più per te. Si
ricorderà di quella preghiera che Gesù Cristo fece all'Eterno
Padre prima della sua passione : Padre mio, io vi prego,
anzi voglio che insieme con me sia il mio ministro : Ubi
sum ego , illic et minister meus erit (3) ; Pater volo, ut
ubi sum ego, et illi sint mecum (4). La Chiesa appunto
per animarci, per consolarci, ci mette soventi sott'occhio
queste parole, ce le fa dire più volte nell'ufficio ; ma ciò
valse poco anzi niente per questo misero sacerdote.
Dunque, dovrà dire a sè stesso, io non era già nato per
dannarmi, io non era fatto per questo luogo, ma bensi era
(1 ) Sap. V. 7. 8. 9. 14. (3) Ioann . XII , 26,
(2) Ioann. XIV . 2. (4) Id . XVII . 24 .
IL SACERDOTE ALL'INFERNO 147

fatto pel Paradiso, io era destinato a risplendere come una


stella in quel bel cielo. Quanti miei pari infatti sono là :
dovrei essere tra loro ed un di loro, potrei essere come
loro, ed invece io no, io sono all'inferno, sono dannato !
Plus coelo torquentur quam gehenna. Se piangevano gli
Ebrei e sospiravano là sulle sponde in Babilonia alla me
moria della lor Gerusalemme perduta: Super flumina Baby
lonis illic sedimus et flevimus cum recordaremur Sion (1 ) ;
che lamenti, che sospiri darà un sacerdote all'inferno quando
pensi a quella gran Gerusalemme che perdė e che perdė
per sua colpa? Se uno all'inferno potesse almeno dire :
sono qui, sono dannato, ma vi sono per necessità, perchè
non poteva far a meno ; comunque avessi fatto, tuttavia ci
sarei venuto ; questo pensiero, questo ragionamento, mi
pare che potrebbe mitigare il suo dolore, dar un qualche
sollievo, ma potrà, signori miei, ragionarla cosi un dannato
all'inferno ? e non era questo sacerdote stesso che nei tri
bunali di penitenza, sui pulpiti, andava ripetendo che il
Paradiso era fatto per tutti, che il Signore voleva tutti salvi,
che vi era niente d'impossibile ad eseguirsi ? E poi quando
anche tentasse di darsela ad intendere, non gli riuscirà cer
tamente, poichè il Signore gli farà risuonare continuamente
all'orecchio quelle parole che erano già si dolorose pel ricco
Epulone : Recordare fili ! - Come fili ? Io figlio ?... si io
era proprio figlio di casa, erede del Regno, contava già
come uno di famiglia, ma ora ho perduto ogni diritto, ne
sono cacciato, non sono più figlio : recordare fili !? ... Eh !
almeno non mi si usi più questo termine, mi si lasci per
derne la memoria, che non vi pensi più. Eh si, non
occorrono demonii per martoriare colaggiù un sacerdote, a
farlo vivere nell'angoscia, nel tormento più intenso, baste
rebbe questo solo recordare. - Coi Sacramenti, anzi con
Gesù stesso nelle mie mani, con tanti stimoli al bene, con
(1) Psalm . CXXXVI. 1 .
148 MEDITAZIONE SETTIMA

tanti buoni esempi de' miei confratelli, io sono dannato ! Ah !


mi ricordo di quei rimorsi all'altare, sui pulpiti , ne' con
fessionali, al letto dei moribondi ; pareva proprio che ad ogni
costo mi volessero tener lontano da questo luogo, eppure vi
sono caduto ! ... Ah se avessi secondato i suggerimenti del
cuore in quel di ! ah se avessi mantenuto ciò che ho pro
messo in quell'altra occasione ! non sarei qui .
Quanto angoscioso, dice S. Ambrogio, è mai per un dan
nato il confronto tra la sua condizione all'inferno e quello
che potrebbe essere nella gloria ! Ma gli sarà tanto più
amaro questo riflesso mentre vedrà in cielo tanti suoi pari,
tant'altra gente molto inferiore, e lui all'inferno ! Piangeva
inconsolabilmente il figliuol prodigo al pensare, che in casa
di suo padre, tanti mercenarii, vale a dire gente straniera,
abbondavano di pane, ed egli figlio di casa se ne moriva
di fame, abbandonato alla campagna : Quanti mercenarii
in domo patris mei abundant panibus, ego autem hic
fame pereo ( 1 ) ! Fedele imagine dei lamenti di un sacerdote
all'inferno ; veder là in quella gloria, in Paradiso, si, in
quel Paradiso che si poteva chiamar casa sua, veder tanti
pubblicani e peccatori abbondar d'ogni sorta di delizie, e
lui figlio, e lui di famiglia cacciato lontano,morirne di de
siderio : Publicani et meretrices præcedent vos in regnum
Dei (2)..... filii autem regni ejicientur in tenebras exte
riores (3) ; lassù tanta povera gente rozza ed ignorante, ed
egli, sacerdote, all'inferno ; là tenera gioventù , ed egli con
tanti anni di vita e di sacerdozio all'inferno ; la gente di
ogni tribù, d'ogni condizione, d'ogni età, d'ogni stato , ed
egli, sacerdote, con più lumi, con più mezzi di salvarsi,
lontano dal Paradiso, e dannato all'inferno ! – Eh ! ... se lo
poterono tanti, dovrà dire disperato, si isti et isto si sal
varono, perchè non l'avrei potuto anch'io : si isti et isto ,
(1 ) Luc. XV. 17. (3) Matth . VIII . 12.
(2) Matth . XXI . 31 .
IL SACERDOTE ALL'INFERNO 149

cur non ego ? Lo potè quel tale, lo potè quell'altro mio


amico, mio conoscente, mio suddito, colle stesse miserie, e
perchè non avrei potuto anch'io ? si isti et isto , cur non
ego ? Seppi pure riuscirla in altri affari, ma in questo che
era il solo affare la sbagliai: -oh ! che recordare amaris
simo, che strazio, che inferno! Quel Paradiso che per gli altri
è un luogo di delizie, per lui diviene più doloroso che l'in
ferno stesso, e quante anime sono in quella gloria, tutte
sembrano additargli quel luogo ancor vuoto che l'aspettava,
ricordargli che doveva andarvi e che l'ha perduto per propria
colpa : perditio tua ex te.
Questa perdita fatale avvenuta già per propria colpa con
tinuerà poi a divenirgli ancor più angosciosa in quanto che
con si poco la poteva evitare. Fa pietà e compassione il
fatto che si legge dei quaranta martiri di Sebaste. Stavano
essi in quelle acque gelate, e già, dopo tanti tormenti, erano
prossimi alla corona ; quando uno sgraziato vien meno di
coraggio e rinnega quel Dio, che aveva si a lungo ed a
tanto costo confessato ; ma appena ebbe tocche le acque
tiepide, quell' infelice diede l'ultimo respiro e si perdette
per sempre. Andiamo un po' dappresso, fratelli miei , a
quest'anima nell'inferno : oh ! che gemiti, che sospiri, che
voci saranno le sue al pensiero del Paradiso, de' suoi com
pagni, al ricordo di quel luogo, di quell'ultimo momento
fatale ! – Ohime ! era pur si vicino alla gloria, aveva già
sofferto tanto, non mi mancavano che momenti ad essere
coronato, e per un momento io mi son perduto ! Oh ! com
pagni miei ; almeno potessi dimenticarvi ! oh ! Paradiso, ti
potessi cancellare dalla mia memoria ! dovevi pur essere la
mia corona, e sarai invece il mio dolore e la mia spina
eterna ! — Ecco il linguaggio che deve tenere ogni dannato
all'inferno, e tanto più un sacerdote. Chi più di lui sulla
strada del Paradiso ? chi più vicino ad arrivarvi, che un
ministro di Dio ? Dopo tanti anni passati nell'esercizio delle
150 MEDITAZIONE SETTIMA

virtù, dopo tanti meriti acquistati nel ministero, era ben


vicino alla gloria ; la sua corona era quasi già in sua mano,
ed in un momento, come quel miserabile soldato, tutto fu
perduto!... — E che vi voleva poi per arrivare a salvarmi?
continuerà a dire il sacerdote dannato, eh non vorrei pen
sarvi, non vorrei dirlo, eppure uopo è che lo mediti, uopo
è che lo confessi: un po' più di divozione nella S. Messa,
un po' più di modestia negli occhi, un po' più di freno alla
gola, alla lingua, il sacrificio d'una passione momentanea
mi avrebbero salvato, mi avrebbero risparmiato l'inferno,
invece io sono dannato ! una vita più occupata avrebbe
bastato a darmi in mano un Paradiso. – Ah ! ... quell'ozio
maledetto quanti sacerdoti lo piangeranno, lo malediranno
all'inferno ! Che mi avrebbe poi costato un po' più di
studio, un po' più di fatica, un po' più di ritiratezza ? non
avrei cosi incontrato quei pericoli, non sarei caduto , non
sarei dannato, sarei in Paradiso ! - Ah giorni , ah memorie
crudeli, da formar per se stesse un inferno il più ango
scioso, il più disperato ! Egli è questo il verme doloroso e
terribile che il Divin Redentore ricordò fino a tre volte nel
medesimo discorso, per volere far intendere che questa
sarà una delle maggiori pene del dannato : tertio Christus
hanc sententiam repetit, ut terribiles hosce vermes inculcet,
cosi dice Cornelio a Lapide.
Ma tanti sospiri, tanti lamenti, che gli varranno ? Var
ranno ad aumentare la sua disperazione, varranno ad at
tizzare i demonii a vieppiù insultarlo, deriderlo e burlarlo.
Eh ! ... signori miei, guai a noi se verremo a piombare in
quel baratro, sotto il potere di quei nostri capitali nemici !
Non vi è cibo' più scelto per il demonio, dice S. Girolamo,
che noi sacerdoti ; perciò all'inferno non vi sarà alcuno da
lui più bersagliato, più insultato e deriso, che un sacer
dote : si,> il demonio insulterà al suo carattere e si burlerå
di tutti i suoi ministeri. È passato il tempo in cui la sua
IL SACERDOTE ALL'INFERNO 151

presenza lo faceva tremare, con un segno, con una parola


lo faceva fuggire; ora ha perduto ogni suo potere, e, qual
altro Sansone in mano dei suoi più arrabbiati nemici, non
sarà che un oggetto di scherno e di burla a tutto l'inferno.
Oh mio Dio ! possibile che quelle mani, che vi toccarono
tante volte all'altare, e vi dispensarono ai fedeli, abbiano
da andar a bruciare in quelle fiamme ? possibile che quegli
occhi, che vi mirarono così da vicino sacramentato , quella
lingua che vi chiamava giornalmente dal Cielo, abbiano da
finire all'inferno ? possibile che un vostro ministro abbia
un di ad essere vilipeso cosi da quei mostri? Deh ! Signore,
quand'anche non fosse per altro, risparmiatemi per pietà
l'inferno, non permettete che un di questi miei nemici ab
biano a vantarsi d'avermi vinto, abbiano a gloriarsi d'aver
fatto perdere un vostro ministro : Ne quando dicat inimicus
meus : praevalui adversus eum (1 ) ; no, Signore, no, non
soffrite che l'inferno abbia ad avere questa gloria, non per
mettete che abbia a riportar questo vanto ; fatelo non già
per i meriti nostri, ma per l'onore del vostro sacerdozio .
E noi, fratelli miei, se non vogliamo essere fatti ludibrio
in eterno di questi spiriti ribelli, combattiamoli ora senza
tregua facciamo ad essi una guerra cosi aperta ed ostinata
che abbiano a disperare di poterci vincere o di far pace
con noi . S. Teresa diceva che il demonio teme solo le
anime forti, franche, generose ; e se non siamo tali noi,
capitani della milizia del Signore, chi l'avrà da essere ?
Coraggio adunque, cari miei compagni, animo grande ; nelle
battaglie di questo mondo è incerta sempre la vittoria, ma
noi nella nostra guerra siamo sicuri di vincere, se combat
teremo da forti ; e per esser tali, teniamo sempre fissa
nella mente la gran lezione che ci dà quel nostro compagno
dall'inferno. Lo Spirito Santo dice che perfin lo stolto fa
senno e mette giudizio alla vista dei castighi inflitti ai mal
( 1 ) Psalm . XII . 5.
152 MEDITAZIONE SETTIMA

vagi: Pestilente flagellato stultus sapientior erit ( 1 ) ; met


tiamo dunque giudizio anche noi in questi giorni. Impri
miamoci bene in mente che, se l'inferno è terribile per ogni
dannato, più terribile, come abbiam veduto, per ogni sacer
dote, lo sarebbe più ancora per noi in particolare, se ve
nissimo a cadervi. E infatti, se mai qualcuno di noi piombasse
in quelle fiamme, che inferno sarebbe il suo, quando da
quel luogo penserà a questi giorni, a questa stessa medi
tazione che abbiamo fatto ? — L'ho pur meditato, dirà allora,
mi ricordo ancora di quei riflessi, di quei sentimenti, di
quelle voci, sapeva pure che l'inferno stava preparato per
un mio pari , eppure vi sono caduto : non volli ascoltare
quegli inviti, resistetti agli stimoli della grazia, non profittai
dell'occasione, e mi sono dannato ! Ah ! io confido che
nessuno di noi avrà da provare l'inferno; nondimeno chi
potrà stare senza trepidazione e spavento pensando al gran
numero di sacerdoti che forse vanno all'inferno ? Non temere
dico, sed ut affectus sum ac sentio, scriveva S. Giovanni
Grisostomo, non arbitror inter sacerdotes multos esse ,
qui salvi fiant, sed multo plures qui pereant (2). È una
sentenza tremenda, ma non lo sono meno quelle di altri
Santi Padri a questo proposito, ed io non ho il cuore di
riferirle. Che anzi voglio supporre che i sacerdoti di quel
tempo fossero un po' diversi da quelli dei nostri giorni;
voglio anche ammettere che a questa ed altre sentenze si
possa dare una certa spiegazione, un certo senso più mite ;
ma lasciando tutto questo a parte, io dico tre cose : 1 ° pur
troppo è certo che qualcuno tra i Sacerdoti andrà a perdersi ;
2° ognuno di noi può correre questo pericolo se non stiamo
bene in guardia ; ma per nostra consolazione ecco la 3* cosa :
chiunque di noi, se vuole, non andrà all'inferno. E come
fare ? eccone i principali mezzi.

(1 ) Prov. XIX. 25. (2) Hom . za in cap . 1. Act. Apost.


IL SACERDOTE ALL'INFERNO 153

Primieramente ' bisogna temerlo : si, o cari, temiamo e


temiamo molto l'inferno, perchè chi lo teme, dice S. Ber
nardo, se ne guarda, e chi se ne guarda non vi cadrà :
qui pavet, cavet : come al contrario chi poco se ne cura,
difficilmente lo sfuggirà : qui pavet, cavet ; qui negligit,
incidit.
In secondo luogo mettiamo in pratica l'avviso che ci
diede il santo Prelato nella nostra Ordinazione : Studete
sancte et religiose vivere. Formiamoci un piano di vita, che
non disdica al nostro stato, ricordandoci che per la nostra
vocazione siamo stati cavati dalla comune del popolo ed in
nalzati al di sopra d'ogni dignità, come parlano d'accordo
i Santi Padri ; procuriamo che, giusta il nostro grado, pri
meggi eziandio la nostra condotta, e con costumi irrepren
sibili e santi facciamo conoscere chi siamo. Pertanto quando
il demonio, o chi per esso, ci presenta qualche cosa che
ci può mettere in pericolo d'andar all'inferno, imitiamo
l'esempio del santo re Davide, allorchè quei tre forti gli
presentarono quell'acqua, che colla spada alla mano si erano
recati ad attingere nei campi dei Filistei. N'aveva pure
tutto il bisogno il santo re, l'allettava oltre ogni credere
la vista di quell'acqua limpida e fresca, eppure pensando
al rischio a cui quei prodi soldati si erano esposti per
averla, come ? disse, avrò il coraggio di bere il sangue
di questi uomini, di bere un'acqua che costò il pericolo
della lor vita ? Num sanguinem hominum istorum ..... et
animarum periculum bibam ? — No, noluit bibere sed libavit
eam Domino ( 1 ). Cosi dovremo regolarci noi allorquando
ci troveremo in qualche cimento ; — come avrò coraggio
di far quest'azione che so mette in rischio l'anima mia?
Un'altra cosa che ci può aiutar grandemente ad evitare
l'inferno, si è l'impegnarci perchè non vadano gli altri . Santa
Maria Maddalena de' Pazzi era solita dire che volentieri sa
(1 ) II Reg. XXIIl . 16. 17.
CAFASSO Eserc , Spirit. Medit . 11
154 MEDITAZIONE SETTIMA

rebbe andata a collocarsi sulla soglia dell'inferno per im


pedire a chiunque d'entrarvi, tanto era il suo zelo per
la salute delle anime; e noi sacerdoti, noi ministri del Si
gnore, noi che abbiamo indossate queste divise non per
altro che per la salvezza delle anime, stenteremo a dare
un passo per trattenere almeno qualche anima dal cadere
in quelle fiamme ? L'inferno va sempre più dilatandosi ed
apre senza confini la sua bocca, dilatavit infernus animam
suam et aperuit os suum absque ullo termino ( 1 ) ; deh !
fratelli miei, scuotiamoci , lavoriamo senza risparmio per
impedire od almeno diminuire tanta strage ; e se non pos
siamo far altro, peroriamo almeno nelle nostre preghiere
la causa di tante anime ; supplichiamo il Dio delle miseri
cordie per la loro salute. Felice quel sacerdote che giungerà
a salvare un'anima dall'inferno ! dalla bocca di quest'anima
mi pare di udir quelle parole che già risuonarono sulla
bocca degli Israeliti in favore di Gionata : Ergone Jonathas
morietur, qui fecit salutem hanc magnam in Israel (2) ?
e come, o Signore, avrà a perdersi chi mi ha salvato ? e
siccome quel popolo scampò dalla morte il suo Gionata,
liberavit ergo populus Jonatham , ut non moreretur, cosi
sarà salvo dalle fiamme dell'inferno quel sacerdote che avrà
atteso a salvare gli altri .
Finalmente facciamo sovente quella meditazione che il
sacerdote dannato farà eternamente e senza frutto all'inferno.
Medita egli, e con quanta attenzione! la vanità ed il niente
delle cose di questo mondo, per cui si è dannato; medita
i gran mezzi di salute che ha trascurati; medita che con
poco si sarebbe potuto salvare . Ebbene meditiamo ancor
noi queste stesse cose : la vanità del mondo, la sua falsità.
ed apparenza, la facilità di salvarci, sia pei tanti mezzi che

(1) Isai . V. 14.


( 2) I Reg. XIV. 45 .
IL SACERDOTE ALL'INFERNO 155
abbiamo, sia per il poco che ci costa . Felici noi se avremo
potuto prendere in quest'oggi si importante lezione ! questa
meditazione che al dannato non frutterà che lacrime, rabbia
e disperazione, per noi sarà invece un conforto ed un sol
lievo, e, quel che è più, un eccitamento ed uno stimolo a
lasciare il peccato; e quindi una caparra di non andar
all'inferno e di meritarci con una santa morte una felice
eternità .
19
13

MEDITAZIONE OTTAVA

L'eternità dell'Inferno.
1

PREGHIERA. Eterno Iddio, io temo l'inferno, pavento


quei mali eterni, riservati all'ecclesiastico peccatore. Deh !
mio Dio, trafiggetemi in questa sera col vostro santo timore,
affinchè, spaventato dal rigore dei vostri castighi, io detesti
e lasci la colpa, che sola può rendermi eternamente infe
lice. O Maria, cara nostra madre, assistetemi, e non per
mettete che si perda un vostro figlio, un ministro del vostro
Gesù. Angelo mio Custode, ecc.

Abbiam meditato questa mattina lo stato miserando di un


dannato all'inferno ; abbiam riconosciuto in lui un nostro
compagno, un sacerdote che un giorno vestiva le stesse
nostre divise ed esercitava lo stesso ministero. È deplora
bile davvero la sua caduta, non vi sono lacrime bastanti
a poterla piangere, merita tutti i lamenti del mondo, tanto
è grande e fatale siffatta rovina : Grandis dignitas sacer
dotum , sed grandis eorum ruina (1 ). L'infelice è là che
pensa e va ripetendo : - io sono dannato ..... dannato per un
niente, dannato perchè ho voluto ;... con poco poteva salvarmi,
(1) S. Jeron , in Ezech . XVIII . 44.
L'ETERNITÀ DELL'INFERNO 157

guadagnarmi il paradiso, ed invece io mi sono perduto.


Tali sono i lamenti, tali le voci che egli manda dal profondo
dell'inferno ; è questo il verme che lo tormenta, che lo di
vora, che lo rode. Ed ahi che agonie amare ! Ma potrà
almeno l'infelice trovare col tempo un qnalche sollievo, un
qualche rimedio ai suoi mali ? Coll’andar dei secoli non potrà
sperar di riparare la sua rovina, di uscire da quelle fiamme,
da quel luogo di tormenti ? Eh no ; che anzi è questo ap
punto il più angoscioso pensiero che verrà ad assalirlo, che
cioè la sua rovina sarà senza rimedio. – Sono dannato, e
dannato per sempre! Ecco, o fratelli miei, ciò che v'ha
di più terribile, di più spaventoso nell'inferno ; ecco ciò
che porrà il colmo alla disperazione del dannato, il ve
dersi cioè chiusa ogni strada, e tolta per sempre ogni spe
ranza di uscirne. Io v'invito pertanto , o miei cari, ancora
una volta ad avvicinarvi a quelle fiamme, a quell'orrido
luogo, per essere testimoni della più grande ed ultima de
solazione dell’ecclesiastico perduto.
Tre cose rileveremo in questa meditazione : 1 ° l'eternità
della pena in un dannato ; 2° la pena che dà al dannato
questa eternità; 3º finalmente le conseguenze che noi dob
biamo dedurre da questa eternità. Entriamo a meditare
queste verità coll’intima persuasione che non v'è al mondo
affare più grande, e che meriti paragone con quello che noi
imprendiamo a considerare in questa sera .
I. Si è perduto un sacerdote.... Gran male, ripeto, perchè
si perdė una persona, si può dire, deificata in terra ; ma
il peggio si è che la sua perdizione, la sua rovina è irre
parabile, egli è perduto per sempre : Discedite a me, ma- ,
ledicti, in ignem æternum (1 ) ; ecco la sentenza che lo
fulminò all'inferno : sentenza irrevocabile, sentenza tanto
immutabile quanto è immutabile quel Dio che la pronunzia.
Sono troppo chiari i testi delle divine Scritture a questo
(1 ) Luc. XIII , 27.
158 MEDITAZIONE OTTAVA

riguardo: Cruciabuntur die ac nocte in saecula saeculo


rum (1 ).... Dabit ignem in carnes eorum ut comburantur
in sempiternum ( 2) ... Vermis eorum non moritur, et ignis
eorum non extinguitur (3) ; sicchè è tolta ogni speranza ;
è caduto il sacerdote all'inferno, e non ne uscirà mai più .
Un giorno c' era già l'inferno, ed erano già tanti purtroppo
là a provarlo, ma quel sacerdote non vi era ancora; adesso vi
è e vi starà per sempre; se brucia, brucierà per sempre,
se piange, se si dispera, il suo pianto, la sua dannazione
saranno eterni.
O miei fratelli, facciamoci più addentro col nostro pen
siero in questa grande eternità. Si sarà sepolto il cadavere,
si saranno spartite, vendute, divorate le sue sostanze,
ed egli ?... all'inferno; si saranno suscitate liti, si saranno 1

finite, il suo avere fu già sperperato e consumato, ed egli?...


all'inferno. Passeranno i giorni, le settimane, i mesi ; sa
ranno già anni ed anni dacchè mori quel sacerdote, ed
egli?... all'inferno . Passeranno altri anni, chi sa quanti an
niversarii furono già celebrati per lui, molti già dopo di lui
avranno occupato il suo impiego, ed egli ?... all'inferno; sarà
già diroccata la sua casa, estinta la sua famiglia, perduta
la sua memoria, ed egli ?... all'inferno. Sparirà forse, come
già tanti altri, il suo paese, la città, il luogo in cui ha
vissuto, ed egli? sempre all'inferno. Verrà finalmente la fine
del mondo ; avrà egli almeno qualche sollievo in quell'ultimo
sconvolgimento di cose ? quel gran cangiamento porterà
forse qualche mutazione alla sua sorte, al suo destino? No,
no, che anzi una seconda sentenza, e più solenne e più
forte, verrà a confermare l'eterna sua perdizione ; dopo di
aver sostenuto tutto il peso della più terribile giornata del
mondo, il povero dannato si vedrà rinchiuso di nuovo in
quel carcere per non uscirne mai più ! ... Non lasciamolo
(1) Apoc. XX. 10. (3) Marc. IX. 43.
(2) Judith . XVI . 21 .
L'ETERNITÀ DELL'INFERNO 159

ancora, seguitiamolo per quanto possiamo in questa miste


riosa eternità .
Passeranno anni ed anni, passeranno secoli e più secoli,
ed il sacerdote ?.... sempre all' inferno. Sarà già trascorso
un tempo incalcolabile dacchè è finito il mondo, eppure là
niente di mutato ; sempre quell'inferno di prima, sempre
si brucia, sempre si piange. Siamo già ad un punto in cui
sarà impossibile contare gli anni ed i secoli ; si sarà già
quasi perduta la memoria della fine del mondo, tanto è il
tempo trascorso ; oh ! quanti dolori, quante lacrime, quanti
sospiri e lamenti in un corso si lungo ! eppure vale niente,
non compare speranza, è sempre chiusa ogni via, e non
pare che il primo giorno. Andiamo più avanti colla nostra
mente, lasciamo trascorrere migliaia di secoli, anzi, met
tiamo pur anche tutti i secoli che può calcolare il più gran
matematico, sarà un numero sterminato, ma un numero che
pure avrà fine, e dopo d'allora ? Quel che è passato è pas
sato, conterà per un niente, l'eternità è come al suo prin
cipio ; dura sempre e non finisce mai : sempre e mai, ecco
che cosa è l'eternità : sempre patire per non mai finirla ,
sempre all'inferno per non uscirne mai più. Saranno già
secoli incalcolabili, dacchè i beati in cielo godranno feste
mai più vedute, ed il dannato sempre ancora nel fuoco e nelle
fiamme. Parrà già quasi un'eternità dacchè il gran Pontefice
Eterno là nel suo regno, in un co' suoi Apostoli e ministri
beverà a quel nuovo calice di letizia e di esultazione pro
messo nel suo Vangelo, ed il misero sacerdote, diseredato
ed escluso da quel celeste banchetto, sempre roso e
divorato dal verme, sempre tra dolori, sempre tra tormenti,
non farà che piangere e disperarsi senza ombra di speranza
che possa mai finirla. Soffre tanto , soffre di continuo, non
un momento di tregua, eppure ciò gli val niente, niente
il passato, niente il presente, niente eziandio quello che
verrà ; egli soffre per soffrire sempre. Oh eternità spaventosa !
160 MEDITAZIONE OTTAVA

Oh tremenda verità ! Oh aeternitas! qui te cogitat nec pa


nitet, aut fidem aut cor non habet : cosi parla S. Agostino..
E chi mai al mondo cadrebbe in peccato, e tanto più po
trebbe durarla in esso se si riflettesse seriamente su questa
grande eternità ? Momentaneum quod delectat, aeternum
quod cruciat ? Oh quanta forza darebbe in certi pericoli
questo pensiero se si coltivasse ! È un momento il peccato,
è un momento quel desiderio, quell'occhiata, quella parola ,
quel capriccio, ma badiamo che sarà interminabile la pena:
Momentaneum quod delectat, æternum quod cruciat. È
una verità che avremo inculcato chi sa quante volte agli
altri, ma ora meditiamola per noi, pensiamovi mentre siamo
in tempo ; se ci incuterà un po' di spavento, non sarà che
per risparmiarci un pianto inutile ed una disperazione
eterna all'inferno.
II. Per formarci una qualche idea della gran pena che
darà al dannato il pensiero di questa eternità, immaginiamo
una persona assalita da un dolore acuto e violento. Noi
tutti sappiamo come alle volte bastano poche ore di un male
di questa fatta per far quasi dare nelle furie un povero
disgraziato ; ebbene, supponiamo che in quell'istante in cui
il male è più crudele, gli si dicesse doversi acchetare, giacchè,
per quanto sia lunga la sua vita, non avrà più un momento
di requie, e lo dovrà sostenere in quella violenza fino alla
tomba ; lascio pensare a voi se non sarebbe da preferirsi
una morte anche crudele, piuttosto che un vivere si dispe
rato ! Eppure è si debole quest'immagine, che non merita
paragone colle pene del dannato ; qui si tratta di un male
solo, là di tutti ; qui è questione di pochi anni, là invece
dei secoli interminabili; qui non mancherebbero sollievi
esterni di conforto , di coraggio, almeno di compassione, là
al contrario si è privi affatto del menomo sollievo.
Ne vogliamo un'altra idea ? portiamoci in un carcere dove
si trovi un condannato a vita ; oh ! come questa condanna
L'ETERNITÀ DELL'INFERNO 161

gli pesa sul capo e lo rode ! e quante parole, quante ra


gioni ben sovente ci vogliono per trattenerlo dall'ultima
rovina, quella di darsi in braccio alla disperazione ! Tra i
suoi compagni chi conta i giorni, chi i mesi, chi gli anni di
pena che ancora gli restano, - e poi sarò libero, va dicendo
ciascuno , e poi uscirò; egli invece pensa e dice tra sè :
per me è finita, io ..... mai più uscire ; passeranno
i mesi, passeranno gli anni, verrò anche all'età più avan
zata, ma uscire mai più ; - conta quasi per niente quello
che soffre, la fame, il freddo, le catene e tanti altri mali;
ma quello che conta per grande sventura, quello che più
lo rode, si è il pensiero che mai più ne uscirà. Applichiamo
la cosa al dannato, osservando ancora che in questo mondo
il condannato a vita difficilmente perde ogni speranza, e
cosi si sforza di trovare un sollievo in una qualche lusinga,
mentre nell'inferno il dannato sa di certo e ricorda di con
tinuo non potersi lusingare. Fratelli miei, chi potrà spie
gare questo gran pensiero in un dannato : soffro, e so che
soffrirò per sempre ? Siccome un gran corpo rotondo che
posa su d'un piano va tutto a pesare su d'un punto , cosi
questa gran mole dell'eternità pesa tutta quanta e in ogni
momento sulla testa del dannato, talmente che si può dire
che non solo soffre e soffrirà per sempre, ma ogni momento
soffre nel suo pensiero un'intiera eternità, perchè ogni mo
mento pensa e sa che soffrirà per sempre. L'eternità, ben
considerata, si potrebbe chiamare nient'altro che un istante
ed un momento , non essendovi nell'eternità nè passato, nè
avvenire, giacchè per poter dire che una cosa passi e l'altra
venga, bisognerebbe che vi fosse un qualche cambiamento,
un principio e una fine, mentre là niente varia, niente
cambia, niente cessa, niente comincia; sempre gli stessi tor
menti, sempre lo stesso grado, sempre la stessa intensità ;
una cosa sola continua, un momento interminabile nella sua
durata, invariabile nel suo rigore, indivisibile nel suo punto,
162 MEDITAZIONE OTTAVA

un momento eterno, oppure un eterno che è tutto nei suoi


singoli punti ; sicchè il povero dannato soffrirà un'eternità
di momenti ed ogni momento un'intiera eternità. Oh quante
volte disperato chiamerà la morte ! ma quella morte che
un di era il suo spavento ed ora sarebbe il suo sollievo,
fuggirà da lui : Desiderabunt mori, et mors fugiet ab eis ( 1 ).
Non fuggirà però talmente, dice S. Agostino, che non ab
biano i dannati a sentire le sue agonie ; queste anzi saranno
cosi dolorose e crudeli, che il loro vivere sarà più morte
che vita ; morranno, si può dire, continuamente, per non
finir mai di morire : Numquam viventes, numquam mortui,
sed sine fine morientes. Oh che vita ! oh che morte sarà
quella ! e non già di un giorno, di un anno, di un secolo,
ma interminabile ! ....
Ma non basta ancora quello che abbiamo detto dell'eter
nità. Siccome il dannato soffre più alla vista dei beni per
duti, che per il dolore dei mali che lo tormentano, cosi
non solo soffre e soffre grandemente al pensiero che mai
più avranno a finire i suoi mali; ma il suo dolore salirà al
sommo, quando pensi che quei gran beni che ha perduti,
mai più li avrà. Allorchè l'apostolo Paolo stava per abban
donare le genti di Mileto, una gran folla di popolo lo ac
compagnò fino alla nave, e sul punto della partenza, dice
il sacro testo, si levò da tutti un gran pianto : Magnus
autem fletus factus est omnium ; a gara lo volevano
baciare : et procumbentes super collum Pauli, osculaban
tur eum . Oh con che occhio avran guardato quella nave
a partire! con quante lacrime, con quanti sospiri l'avranno
seguitata! e perchè? ecco la ragione che dà il sacro testo :
dolentes maxime in verbo quod dixerat, quoniam amplius
faciem ejus non essent visuri (2). Anche tra noi quando due
persone si lasciano pensando di non doversi più rivedere,
è ben difficile che possano reggere senza dare in pianto,
(1 ) Apoc . IX . 6. (2) Act . Ap. XX. 37.
L'ETERNITÀ DELL'INFERNO 163

e quanto tempo e fatica ci vuole per lenire quel dolore !


Ditemi ora : che sarà pel dannato la perdita di Dio e del
Paradiso congiunta al pensiero, anzi alla certezza che mai
più li godrà ? — Oh ! Paradiso mai più sarai per me. — Pen
serà al suo Dio, penserà a Maria, penserà ai compagni, co
noscenti, amici e parenti ; ma che vale pensarvi, se mentre
li ricorda e li desidera, una voce gli dice : — non li vedrai
mai più ? - Oh inferno, oh lacrime, oh eternità ! - Oh !
sé mi fosse concessa un'ora, un momento di quella vita
che consumai si malamente ; me infelice ! passò la stagione,
fini il tempo opportuno, e non pensai a salvarmi, transiit
messis , finita est aestas et nos salvati non sumus (1 ).
Oh si laretur hora ! – Ecco, fratelli miei, la preghiera che
fanno d'accordo i dannati dall'inferno ; non chiedono anni
o mesi, si riducono ad un'ora e si contenterebbero ancor
di meno, eppure questo poco mai più l'avranno ; è finita, è
disperata, non vi è più rimedio per loro. O fratelli, che
spaventoso riflesso egli è mai questo !
L'ecclesiastico predica tutto di al popolo, che il tempo
vola e chi vuol salvarsi non tardi, che i giorni di salute
se ne vanno ; e la voce di un altro ecclesiastico grida
dall'altro mondo che il tempo è passato, è finita la stagione,
e guai a chi si è perduto. Noi fratelli siamo tra queste due
voci che gridano, l'una nel tempo, l'altra nell'eternità, l'una
di salute, l'altra di disperazione; l'una mi stimola, m’in
calza, e quasi mi sforza a salvarmi ; l'altra mi avvisa, mi
minaccia : guai se non mi salvo ! Noi ci troviamo nel corso
del tempo che corre velocemente al fine ; noi non sappiamo
se sia lontano o vicino il momento, in cui il tempo per
ciascuno di noi andrà a versarsi in quell'abisso ; sappiamo
solo che questo tempo non ha mai posa nė requie , ma,
come un torrente furioso, corre incessantemente alla fine ;
sappiamo che un istante solo ci basterà per far questo pas
(1) Jer. VIII . 20.
164 MEDITAZIONE OTTAVA

saggio; sappiamo che non precederà alcun avviso, e che ad


ogni momento, senza quasi accorgerci, possiamo esser gettati
di là; che faremo pertanto, o fratelli, in quest'aspettazione ?
Che faremo ?
III. Per chi vuol farla da saggio, la via di mettersi al
sicuro di questo gran colpo, è di andare volontariamente a
trovare questa eternità, ad abitarla col pensiero prima che
vi ci porti il tempo. Guai, dice Agostino, guai a chi porrà
il . piede in quella grande eternità, senza averla prima co
nosciuta : Vae iis qui incognitam ingrediuntur aeterni
tatem ; e perchè se ne ricordi , ciascuno abbia sem
pre presenti questi tre pensieri : 1 ° io sono uomo di eter
nità ; 2° io vivo e sto sulle porte dell'eternità ; 3° io sono
padrone della mia eternità.
Primo adunque io sono uomo di eternità. S. Agostino
chiama i cristiani, principianti, ossia candidati per l'eternità,
Tirones aeternitatis christiani, aeternitatis candidati. Ter
tulliano appellava il cristiano un uomo fatto non per questo.
ma per il secolo futuro : Christianus est homo non huius
sed . futuri saeculi. È vero adunque che un giorno io non
era, è vero che ho cominciato ad essere, ma adesso che ci
sono non finirò più ; lo stesso mio corpo, che è polvere,
3
dovrà esser messo a parte della mia eternità, per essermi
compagno nel premio o nella pena. Tutto quello che mi
attornia e che cade sotto i miei sensi tutto finirà, o almeno
cambierà nella sua forma, da non potersi più riconoscere;
ma io sarò sempre lo stesso, ed i miei anni non finiranno,
come non finiranno quelli di Dio. Non vi ha pensiero si
grande e che a noi possa riuscire si salutare, come il pen
siero della nostra propria eternità . Questo pensiero ci sod
disfa nelle nostre brame, ci consola in tutte le nostre pene,
e sopratutto ci nobilita e ci fa grandi nei sentimenti. Egli
è certo che la miseria dell'uomo bene spesso proviene dal
non conoscere se stesso. Se noi domandiamo a qualcuno :
L'ETERNITÀ DELL'INFERNO 165
chi siete voi ? l'uno dirà : io sono nobile e qua
lificato nel mondo; l'altro ; - io sono magistrato assiso
sul tribunale ; - un'altro : - io sono re elevato sul trono.
Cose grandi queste; ma, io ripeto, siete niente di più ?
Sappiate adunque che in voi c'è qualche cosa immensamente
più grande : voi siete immortali ed eterni; questo tra i
vostri nomi è il più bello, tra i vostri titoli il più pregiato ;
voi siete immortali, e sotto questo punto di vista l'anima
vostra val più che tutti i beni del mondo, la vostra dignità
è maggiore di quella di tutti i re della terra. — Con questi
sublimi e nobili sentimenti l'uomo comincia a conoscere
ed a rispettare se stesso. Immortale com’egli è, prende per
mira il cielo, ove sa di aver a vivere eternamente, e si
vergogna di attaccarsi alla terra, simile ad un gran mo
narca che recasi a rossore l'essere sorpreso in certe occu
pazioni vili e basse, indegne della propria dignità. Siccome
un grande la pensa da grande e non fa che progetti gran
diosi, cosi un uomo immortale non deve concepire che di
segni ed idee degne di sé. Io sono eterno, questo mondo
non l'è ; dunque io ed il mondo non siamo pari, anzi tra
me ed il mondo non vi è proporzione, come non vi è tra
il tempo e l'eternità . I piaceri di questo mondo finiscono,
gli onori passano, le cose tutte che mi circondano vanno
( a fine; io al contrario vivo per vivere sempre, non finirò
giammai, per me non saravvi più fine. Dunque io debbo
avere altre mire, altri desiderii, altro scopo, che quello
di questo mondo; e voler attaccare, limitare, restringere il
mio cuore a questa terra, è volermi dare un fine da me
stesso, è un tentare di vedermi mortale quando non lo sono;
io sono eterno e, voglia o non voglia, dovrò vivere eter
namente .
Non stiamo adunque a far conto di anni ed anni ; ogni
giorno, ogni momento io sto alle porte di questa grande
eternità, cosi diceva un santo vescovo : Omni momento ad
166 MEDITAZIONE OTTAVA

ostium aeternitatis sto ! Ogni giorno, diceva il santo Giobbe,


sto aspettando l'ora del mio eterno riposo e del mio eterno
destino : Cunctis diebus quibus nunc milito, expecto donec
veniat immutatio mea ( 1 ). - Oh che gran pensiero egli
è mai questo ! io mi alzo al mattino, mi metto al lavoro, allo
studio, alla preghiera, al ministero; passo la giornata ora in
questa, ora in quell'altra faccenda, sono costretto a prender
vitto, riposo, sollievo ; ma tutto questo io lo fo sempre
sull'orlo dell'eternità. In ogni momento che io sto per dar
mano ad un'azione qualunque, può suonare quell'ora mi
steriosa, quell'ora formidabile, quell'ora unica nella mia vita,
che troncherà in un attimo il mio tempo, per cangiarlo in
eternità. Ah ! se potessi far giungere questa parola, far ri
suonare quest'ora alle orecchie di tanti sacerdoti indolenti,
oziosi, mondani, dati più alle cose di terra che di spirito,
che di gloria di Dio ! - Ah caro ! gli direi da compagno, e
da amico, più che da predicatore: tu sei sacerdote, lo sai,
e ne conosci tutta l'altezza, tutto il fine; e perchè non la
vori, non ti adoperi in qualche modo per te e per gli altri?
Tu mi rispondi che non tocca a te, che non hai impiego,
non hai obbligo alcuno, che non ti senti, non ti sei acco
stumato, non ti piace e ti pesa. Eh fratel mio ! mi fa com
passione quella tua giornata che trascini con tanta noia e
fastidio ; e giacchè non hai nelle mani occupazione di sorta,
io ti darò un pensiero da occuparti almeno la mente, ed è
che ti ricordi che in ogni momento tu stai aspettando un'ora
fatale che suoni per te, quell'ora, voglio dire, che di colpo
ti porterà all'eternità; ora che può battere ad ogni istante,
da mattina a sera, da sera a mattina : Cunctis diebus,
neppur uno eccettuato, expecto donec veniat immutatio
mea . Tu non ti senti, o almeno non sai determinarti a por
fine una volta a quella vita di mondo e di chiesa, a tron
care finalmente quegli affari secolareschi, quelle partite,
(1 ) Job. XIV. 14.
L'ETERNITÀ DELL'INFERNO 167

quei giuochi, quei passatempi; ebbene io ti ripeto che se


non ti senti di vivere ritirato, alieno da quelle relazioni e
famigliarità, verrà l'eternità a fare le veci tue, e quello che
non sai far tu, lo farà questa sterminatrice del tempo tron
cando ogni cosa. Che se non sei per anco deciso di finirla
una volta colla colpa, se vuoi ancora peccare, rammentati
almeno che in quell'istante medesimo tu stai sull'ultimo
gradino del tempo, e già tocchi l'eternità ; prima di con
sumare la colpa, può essere che dal tempo tu sia già pas
sato all'eternità : cosi avvenne a più d'uno, e non altrimenti
può accadere a te. Si, o cari, dal pulpito, e dal con,
fessionale, in casa e fuori, nello studio e nel ministero, nel
sonno o nella veglia, può chiudersi il tempo e principiare
per noi l'eternità. Un ecclesiastico frequentava una casa per
un tal divertimento, il quale se non era decisamente cattivo,
nemmeno poteva dirsi troppo conveniente ad un sacerdote.
Vi fu chi lo rese avvisato, ed egli rispose come siamo soliti a
rispondere noi preti : che male c'è ? e continuò ad
andarvi ; ma l'eternità venne a compiere ciò che egli non
volle fare nel tempo ; nello stesso divertimento, battè per
lui l'ultima ora, e benchè fosse robusto e sano, parti per
l'eternità . Io non voglio già dirvi che sia perduto, ma voi
converrete con me che non era quello il momento migliore
per andare all'altro mondo ; ed a questo proposito io darei
per consiglio di non mai far cosa, nè mai recarsi in qualche
sito in cui non vorremmo che ci cogliesse l'eternità .
Ma quale eternità mi toccherà ? Quella che io voglio,
perchè io sono padrone di scegliere la mia eternità . Io non
fui già padrone della mia creazione, non fui padrone delle
mie vicende in questa vita, non sono padrone della mia
sanità, non sono padrone della mia morte; ma poco m’im
porta, io ho la maggior padronanza del mondo, che è quella
della mia eternità. Iddio mi ha fatto padrone di scegliere
il posto che più mi piace, e la mia scelta formerà la mia
1
168 MEDITAZIONE OTTAVA

eternità ; è questo un affare che ha posto nelle mie mani,


e vuole che io stesso lo tratti e da me ne dipenda la riu
scita. Guardate che bontà, che bel tratto del Signore verso
di noi : non solo ci ha creati per il cielo, ma di più ci ha
fatti padroni di scegliere quel luogo che più ci avrebbe
piaciuto. Che direste di un sovrano il quale facesse dire ad
un suddito che ha piacere non solo di averlo con sè e di
alloggiarlo in palazzo, ma che lo fa padrone di scegliersi
l'appartamento che vuole, anche il primo, il più magnifico
e superbo ? Che degnazione, che fina cortesia ! Ecco, fratelli
miei, la condotta del Signore verso di noi : non solo ci fa
sentire che ci vuole nel suo palazzo vicini a lui, ma vuole
e pretende che noi scegliamo il luogo ad arbitrio nostro.
Dunque, s'io voglio, il primo posto è per me, se lo desidero,
la più bella corona può esser mia. O fratelli, che verità
consolante! E chi non si sentirebbe impegnato per un'offerta
cosi generosa, cosi nobile e per noi si vantaggiosa ? Ma è ne
sario che io sappia la natura di quest'affare, se hoʻa trat
tarlo, fa d'uopo che misuri e che ponderi le conseguenze,
se debbo impegnarmi. Qui non si tratta già di averi, d'im
pieghi, d'acquisti, o di vendite ; si tratta di preparare
il mio soggiorno celeste, e non già per anni o secoli, ma
il mio soggiorno eterno ; si tratta di scegliere tra un luogo
di delizie ed un luogo di tormenti, ma ambedue eterni ; si
tratta di una scelta che, fatta, sarà immutabile ; si tratta
di un'eternità : Negotium , pro quo contendimus, aeter
nitatis est. Ella è questa eternità, fratelli miei , che io
vorrei in questi giorni ci stampassimo bene in mente, prima
per noi e poi per potere a tempo e luogo farla capire a
tanti infelici che le corrono incontro senza darle un pensiero ;
egli è questo un affare si grande, che nessun'altra cosa
gli può stare al confronto, e di tale e tanta importanza
che non si farà mai di troppo per poterlo assicurare :
Nullanimia securitas ubi periclitatur aeternitas. Tutte le
L'ETERNITÀ DELL’INFERNO 169

altre cose sono transitorie, e non può mai essere un gran che
ciò che è di breve durata : Nihil magnum re, quod parum
tempore; anzi sono cosi piccole che S. Agostino le chiama
un niente: quod aeternum non est, nihil est. Sono un niente
e ricchezze e onori e piaceri e quanto mai altro ha il mondo :
nihil, nihil est; solamente quello che è eterno si può dire
che è tutto : quod aeternum est, totum est. E non sarebbe
una follia imperdonabile esporre a pericolo per cose sì pic
cole e vane un'eternità ? Noi tutti sappiamo la generosa
risposta data da Tommaso Moro alla propria moglie che lo
invitava ad arrendersi ai desiderii del re : - Vis ut vi
ginti annos cum aeternitate commutem ? Gli costava
pure la rovina della sua famiglia, la perdita della vita , un
supplizio infame, ma niente valse ad abbattere quell'anima
forte ; sacrificò l'amor dei figli, della moglie, della sua ca
rica, del suo sangue, e l'eternità fu quella che riportò la
corona. Felice lui, felici tutti quelli che sapranno imitare
il suo esempio ! Ma a chi toccherà pel primo l' imitarlo,
se non a noi sacerdoti, a noi che dobbiamo disingannare gli
altri ed impegnarli in si importante affare ? Adunque co
minciamo noi a farci nostra una simile risposta, per saperla
dare a noi stessi ed a tutto ciò che ci vorrà strappar di
mano questa beata eternità : — Vis ut viginti annos cum
aeternitate commutem ? Possibile che io sia cosi stolto da
cambiare con un pugno di terra, con un po' di fumo, con un
piacere d'un momento un'eternità ! Possibile che vi sia
cosi poco senno fra gli uomini e, quello che è più, in un
sacerdote !
Un uomo infangato da lunga pezza in vizi, fu costretto
un di a tenere il letto per qualche incommodo di salute,
e non potè trovarsi coi soliti compagni di partita, di giuoco
e di risate. Quel giorno, che gli pareva interminabile, gli
suscitò questo pensiero in mente : si dice che all'altro
mondo vi sia un inferno, un'eternità ; può essere che non
CAFASSO Eserc . Spirit. Medite 12
170 MEDITAZIONE OTTAVA

sia vero, ma può anche essere che lo sia ; e se lo fosse ?


e se questa eternità veramente esistesse, che sarà di me?
Se qualche ora d'incommodi, qualche giorno di privazioni
mi pare già un tormento insopportabile, che sarà se mai
avrà luogo quell'eternità che si minaccia ? — Questo riflesso
lo concentro, lo feri talmente che depose ogni dubbio, ri
solse davvero, mandò chiamare un confessore, aggiusto il
passato, cominciò una vita totalmente nuova, e tenne fermo
a costo dei sacrifici più grandi e dei più fieri assalti. A
quelli tra' suoi compagni che lo burlavano del suo repentino
cambiamento , con tranquillità e franchezza rispondeva : - a
chi crede, e a chi ragiona, non può parere strana la mia
condotta, ed io che ringrazio il Signore d'aver la fede e la
ragione, non posso far diversamente. — E non erano sola
mente parole, lo dimostrava coi fatti perocchè nè abiti, nè
occasioni, nè legami di sorta non poterono più farlo deviare.
Or bene, se un secolare, se una persona di mondo sapeva
argomentare in quel modo, che dovrebbe dire e che do
vrebbe fare un ecclesiastico ?
Il mondo manca più di ragione che di fede ; crede, ma
è pazzo, perchè non riflette e non ragiona; eppure gli stolti
del mondo sono tanti da non poterne nemmeno calcolare
il numero : Stultorum infinitus est numerus ( 1 ) ; e l'ec
clesiastico, posto sulla terra a richiamare questi pazzi, a
curare, a guarire queste pazzie , dovrà dunque divenire
anch'egli un pazzo, anzi più pazzo degli altri, perchè più
reo ? 0 fratelli miei cari, il mondo non ha bisogno di chi
aneli e cerchi il temporale, l'oro, l'onore, il bel tempo ;
esso è già pieno di gente che queste cose se le cavano di
mano l'un l'altro ; suo bisogno estremo è di avere perso
naggi che lo distolgano, lo stacchino da ciò che passa e lo
invoglino dell'eterno. Tocca a noi far vedere che siamo uomini
che studiamo l'eterno, che lavoriamo non pel tempo, ma per
(1) Eccl . I. 15.
L'ETERNITÀ DELL'INFERNO 171

l'eternità ; sta a noi far conoscere che, come uomini riser


vati a' secoli eterni, non ci perdiamo nelle inezie di questa
misera vita. Oh ! quanto bene ne verrebbe al mondo, se ogni
.ecclesiastico presentasse in sè uno specchio di eternità ! se
dalla nostra maniera di pensare, di agire, tutti leggessero
in noi che siamo eterni, e potessero dire : - perchè mai
quell'ecclesiastico è alieno dalle conversazioni, dalle com
pagnie, dalle partite ? Perché quel sacerdote si cura cosi
poco delle novità, delle notizie e delle vicende della gior
nata ? E perchè quella vita sempre cosi ritirata ? Difficile
che voi lo troviate fuori di casa o di chiesa , occupato di
altro che del suo ministero ; pare ch'ei non sia un uomo
di questo mondo . — Avrebbero proprio indovinato , egli non
è un uomo di questo mondo , è un uomo d'eternità , un uomo
cioè che sa d'esser eterno, epperciò pensa e lavora per la
sua eternità . Ogni arte, ogni professione ha i suoi maestri,
e chi le insegna non ha rossore , anzi, senza nemmeno vo
lerlo, lo fa conoscere da' suoi fatti, da' suoi discorsi. Ebbene,
la massima tra le professioni e le arti, è quella appunto di
provvedere all'eternità . I maestri di questa grand'arte siamo
noi ecclesiastici ; tocca a noi coi nostri discorsi e molto più
colla nostra condotta, far conoscere che siamo gente che
sappiamo, che studiamo, che insegniamo l'eternità .
Ma per riuscire in questa grande scuola è necessario che
questa eternità sia ben nostra ed in fondo al nostro cuore ;
è necessario che l’ecclesiastico la sappia, la conosca, ne sia
persuaso, ed abbia sempre presente che cosa sia, che cosa
importi, che cosa voglia ; è necessario che col pensiero e
colla fede, la studii , la mediti ; eterno per destinazione, per
fede, si faccia anche eterno per pratica ; procuri di essere
eterno nei suoi fini, nei suoi progetti, eterno nelle tendenze,
nei suoi affetti, eterno principalmente nelle opere sue. Se
il mondo ci loda, ci onora, ci esalta, non facciamone caso
perchè cerchiamo l'eterno ; se il mondo ci perseguita, ci
172 MEDITAZIONE OTTAVA

minaccia, ci opprime, a noi poco importi, perchè temiamo


solo l'eterno. Se il mondo si perde dietro il bel tempo, se
va in cerca di comodi, di ricchezze, di piaceri, faccia pure,
noi non sappiamo che farne, noi aspetiamo l'eterno. Le
vicende e le sorti di questa vita vorranno ch'io abbia un
impiego, accetti una carica, possegga qualche cosa, parli
anche di terra ? cederò alla necessità di queste miserie ; mi
sforzerò anche a trattare queste pazzie, ma io avrò sempre
la mia mira e la mia speranza rivolte all'eterno. Beato quel
sacerdote che in terra e nel tempo sa già vivere d'eternità .
Beati noi se, quando ci troveremo a faccia a faccia di questa
grande eternità, già la conosceremo e la potremo salutare
come compagna ed amica. - Oh cara eternità ! tu che fosti
l'oggetto delle mie speranze, il conforto nei miei travagli,
io ti saluto e t'abbraccio . — Che viva dunque o che muoia,
sarà sempre questo il mio pensiero, sarà questa la mia con
solazione : esser uomo d'eternità .
Fratelli miei, io finisco lasciando a me ed a voi il me
ditare questo soggetto che non terminerà mai più. Chi sa
quanti ecclesiastici a quest'ora mediteranno l'eternità chi
in cielo e chi all'inferno ! gli uni la godono, gli altri la
piangono, e si gli uni che gli altri la godranno o la pian
geranno eternamente . Noi ne siamo sulle porte, e siamo
ancora padroni di scegliere tra l'una e l'altra ; ognuno vi
rifletta, la studii, e poi non tardi, non si lusinghi, ma pensi
che sono secoli eterni, pensi che, fallita la scelta, vi ripeto,
non si ripara mai più : semel periisse æternum est !
S22SESSESESSES WALIDIUL

555555555555555
MEDITAZIONE NONA

La misericordia di Dio.

PREGHIERA. — Misericordioso Iddio, prostrato alla vostra di


vina presenza, io imprendo a considerare il più grande ed il
più dolce dei vostri attributi, qual è la vostra divina Miseri
cordia . Ah ! mio caro Signore, fatemi conoscere quali e
quante sieno state le misericordie, che finora avete usate
verso di me ; fatemi capire quanto buono e quanto tenero
sia quel cuore, che purtroppo ho offeso, ma che in questi
giorni ho risoluto fermamente di non offendere mai più .
Vergine Maria, cara madre di bontà e di misericordia, voi
assistetemi, voi pregate per me, sicchè arrivi a compren
dere le tenerezze e le finezze amorose del vostro caro Gesù.
Angelo mio custode, ecc.

Un mio compagno grida dall'Inferno che è dannato, e


dannato per sempre ; piange e maledice quel peccato, che
fu causa della sua dannazione, piange e maledice quel giorno
in cui l'ha commesso , piange e maledice tutto ciò che l'ha
indotto a commetterlo : pianti inutili , come già abbiam
detto, maledizioni disperate e vane..... Ma mentre io sento
i gemiti dell'infelice, un'altra voce non men dolorosa mi
+

174 MEDITAZIONE NONA

parla al cuore, e mi dice che anch'io un giorno ho peccato,


anch'io sono giunto a tanto eccesso, anch'io ho meritato
l'Inferno, anch'io dovrei essere tra quelle fiamme !.... Eh !
si, una sorte cosi funesta sarebbe già toccata a me, sarebbe
anche forse toccata a voi, o fratelli miei, se quel Dio istesso
che sul capo dei dannati fa trionfare la sua giustizia, non
avesse su di noi disteso il manto della sua misericordia.
Da quel punto in cui diventai peccatore, da quel momento
in cui ho peccato, non era più per me il Cielo, questa terra
non voleva più soffrirmi e soltanto all'Inferno dovevano fi
nire i pari miei..... Che se per me vi fu riguardo, se per
me fu sospesa la divina giustizia, se questa terra continuò
a portarmi, io devo ringraziarne la divina misericordia, che
mi salvò. Oh si ! diciamolo pur sovente in questo giorno,
e diciamolo tutti ad una voce colle parole di Geremia : Mi
sericordiæ Domini quia non sumus consumpti ( 1 ) : grazie,
e grazie infinite a quel gran padre di misericordia, se oggi
sono ancora vivo, se non sono già all'inferno, se posso an
cora salvarmi. Prendiamo in questa mattina un si dolce e
consolante argomento a soggetto della nostra meditazione,
e non cerchiamo altra traccia che quella lasciataci dal nostro
stesso divin Redentore nel Vangelo, nella parabola del fi
gliuol prodigo (2). Tutti la sappiamo ; perciò non mi trat
tengo ad esporla ; consideriamone solo i tratti principali facen
dovi qualche opportuno riflesso ; e vediamo 1º quali siano
state le cause della prevaricazione del figliuol prodigo ;
2° quali le conseguenze ; 3° quali finalmente i motivi che
l'hanno condotto al pentimento ed alla casa paterna. Fra
telli miei, non v'è persona al mondo, che tanto abbisogni
di una giusta idea della misericordia di Dio, quanto noi
sacerdoti : rappresentanti di Dio stesso in terra, carichi di
grandi oneri, ministri e dispensatori delle divine miseri
cordie, e quindi responsabili del maggiore o minor esercizio
(1 ) Lament. III . 22. (2) Luc. XV. 11-32.
LA MISERICORDIA DI DIO 175

di quest'attributo, noi dobbiamo conoscere , più che qua


lunque altro, quale sia il cuore di quel Dio che rappresen
tiamo, quale la sua bontà, la sua misericordia verso di noi.
Entriamo pertanto in questa meditazione con un cuore
grande ed aperto, e ripetiamo in quest'oggi con S. Agostino :
Spero, Domine, sed fac ut sperem securius. È già grande,
0 Signore, la mia speranza in Voi, ma la vorrei più grande
e più ferma. Incominciamo.
I. Se consideriamo il modo con cui il buon padre della
parabola ricevette il suo figlio, quantunque cosi ingrato,
non possiamo dubitare che l'avesse trattato male nel pas
sato, e quindi gli avesse dato un motivo di essere malcon
tento di lui ; noi possiamo anzi dedurre, che gli usasse tutti
i riguardi e gli prodigasse ogni segno di affezione. Come
va dunque, che questo figlio pensò di partirsene, e si de
terminò a lasciare un si bel luogo ed un cosi amorevole
trattamento ? Noi dal Vangelo ne possiamo conoscere le ca
gioni, e mettiamo per la prima la sua gioventù : era il più
giovane, adolescentior ex illis. Ah ! l' età giovanile, come
è mai pericolosa ! in quest'età le passioni sono più gagliarde,
il pensiero della morte, che le potrebbe raffrenare, si ri
guarda come una cosa ancor molto lontana; non si ha espe
rienza, non si pensa, non si riflette, si lascia o si abbraccia
una cosa come viene e come si presenta, senza quasi ba
darvi; e si aggiunge ancora il pregiudizio comune, che
sembra concedere a quest'età qualche cosa di più che alle
altre. Ecco l'età in cui rovinò il prodigo figliuolo, ecco lo
scoglio che lo fece naufragare, ecco la prima causa della
sua prevaricazione. Oh ! se noi riflettiamo alquanto seria
mente, chi sa che il cuore non ci dica essere stata anche
questa l'età, il tempo infausto per noi . Se abbiamo offeso
il Signore, se siamo giunti a certi eccessi, se ora portiamo
abiti che stentiamo a deporre, quando fu che cominciammo ?
Ah ! che pur troppo quegli anni che più piacerebbero al
176 MEDITAZIONE NONA

Signore, d'ordinario divengono quelli in cui lo si offende


maggiormente ! Fosse almeno vero che maturi e cambiati
di età, fossimo anche maturi di giudizio e cangiatiº di co
stumi ! Il cuore ce lo dirà .
L'altra cagione della prevaricazione del prodigo fu l'amor
proprio, la troppa stima di se stesso, il credersi di saper il
conto suo e di saper maneggiare lui i suoi averi meglio che
non il proprio padre. Ed infatti quando chiese la porzione
che gli spettava, certamente non era suo pensiero, sua in
tenzione di dissiparla, ciò che sarebbe stato da pazzo ; ma
bensi di ricavarne forse maggior guadagno e di trarne par
tito migliore. Eh !... diciamolo pure fratelli miei, quell'amor
proprio che ci fa credere di saperne come qualunque altro,
quella superbia che ci fa sprezzare i consigli altrui e giunge
talvolta a persuaderci che nessuno vede le cose meglio di
noi, non è sempre l'ultima causa di certi nostri spropositi
e di tanti nostri falli. Ma non fermiamoci qui di vantaggio;
andiamo alla cagione principale che mosse l'inesperto e su
perbo figliuolo a partire dalla casa paterna.
La speranza di una vita più comoda e felice, il pensiero
che non dovrebbe più dipendere, che nessuno l'avrebbe mo
lestato e tenuto in soggezione, l'amore insomma della propria
libertà, tutto questo era per lui una gran cosa e gli faceva
sperare un mezzo paradiso in questo mondo. Infatti, dopo
avuto quello che desiderava dal padre, poteva ben 'rimanere
nel paese, o almeno fermarsi vicino ; ma no, egli parti su
bito e per paura che il padre lo potesse invigilare, se ne
andò ben lontano : profectus est in regionem longinquam .
Vedremo fra poco come andarono a finire le sue speranze ;
prima però veniamo a noi. Ditemi : queste stesse speranze
non saranno state, o non saranno forse per essere funeste
anche a qualcuno tra noi ? Quel prurito di vivere in libertà,
di non essere più invigilato, di poter fare a modo nostro,
chi sa che non sia stato il principio, l'origine dei nostri
LA MISERICORDIA DI DIO 177

traviamenti !... Fortunato il prodigo, se lontano dalpadre avesse


avuto qualche guida, se vi fosse stato chi l'avesse avvisato
e corretto, certo non sarebbe caduto in tanti disordini . La
propria esperienza ci potrà fare da maestra in questa parte,
ma intanto impariamo dal prodigo a diffidare di noi, e dei
nostri sentimenti, a far uso dei consigli altrui, ad amare
la soggezione, la dipendenza, che è un gran mezzo per non
isbagliarla, per non cadere.
II. Che cosa guadagnò il prodigo lontano dalla casa pa
terna con tutti i suoi lumi e tutto il suo senno ? dove an
darono a finire le sue speranze ? trovò poi davvero quella
felicità che si prometteva ? Ecco quello che ci racconta il
Vangelo : dissipò ogni suo avere, cadde e rovinò ne vizi
più brutali, e venuta una gran carestia egli cominciò a
mancar del necessario : dissipavit substantiam suam vi
vendo luxuriose.... facta est fames valida ..... coepit egere.
Fratelli miei, se v'è un tratto nel Vangelo che mostri ad
evidenza i danni del peccato, lo stato infelice del peccatore,
la gran disgrazia che è per una persona e molto più per
un ecclesiastico, il lasciare, l'abbandonare il Signore, egli è
questo : esaminiamolo parte per parte.
Prima di tutto il prodigo lontano dalla casa paterna dis
sipò tutto il suo avere : quel capitale che avrà costato chi
sa quanti sudori per radunarlo, quel capitale che, posseduto
da altri, sarebbe cresciuto ad una gran fortuna, egli invece
in poco tempo lo dissipò : e non solo non ne ricavò profitto,
ma lo perdè intieramente. Ecco la prima conseguenza del
l'aver lasciato il suo buon padre. Eppure, fratelli miei, una
perdita assai maggiore noi siamo costretti a deplorare in un
sacerdote che lasci il suo Dio, tanto più se egli continui e mar
cisca nel vizio. Vorrei averlo presente per dimandargli conto
di quel gran patrimonio che aveva un di ; e prescindendo da
tutti i meriti che può aver perduto, vorrei dirgli: - dove
sono quei principii di virtù, di umiltà, di soggezione, di
178 MEDITAZIONE NONA

purità, che un di davano, a tuo riguardo, cosi ferme spe


ranze di buona riuscita ? dove quei desiderii, quei progetti
di gloria di Dio , di salute delle anime, fatti in quell'Ordi
nazione, in quegli esercizi ? dove quella educazione rice
vuta per tanti anni, ed acquistata a prezzo di tante fatiche
altrui ? dove quell'indole docile e buona ? dove quel cuor
puro e tenero ? dove quel pudore, che ti compariva sul
volto ? Ancora : dove quegli anni in cui avresti potuto gua
dagnare tante anime e fare tanto bene ? dov'è andato a
finire tutto questo capitale ? Ohimè! che è svanito, fu dis
sipato quasi intieramente. E come ? eh.... pur troppo anche
di te si può dire come del prodigo : vivendo luxuriose :
col tenere una condotta indegna del tuo carattere, con ca
dere in vizi anche i più bassi e disonoranti, giacchè pur
troppo è vero che chi cade da più alto, precipita più pro
fondo : profundius mergitur, qui altius ruitur.
Ma, ritornando al prodigo, non si fermò a questo punto
la sventura di quell'infelice. Dissipato che ebbe ogni suo
avere, dice il Vangelo, una gran fame si fece sentire in
quei paesi : facta est fames valida, ed il prodigo, sprov
visto d'ogni cosa, lontano dalla casa paterna, abbandonato
da tutti, cominciò allora per la prima volta a sentire, a sof
frire le strettezze e le angustie della miseria e ad essere
straziato dalla fame: coepit egere. In sì disperate circostanze,
non sapendo più a chi rivolgersi e come acchetare, attu
tire gli stimoli della fame, si diede per servo alla discre
zione di un padrone di quei luoghi: adhaesit uni civium ,
il quale lo destinò alla pastura dei porci : ut pasceret porcos .
Ma che ? Questo duro padrone mentre lo gravava di un
servizio tanto vile ed umiliante, non lo provvedeva del ne
cessario onde levarsi la fame, sicchè era costretto a cibarsi
del cibo stesso dei porci, delle ghiande. E ne avesse avuto
almeno a sufficienza ; ma no," doveva sospirarle invano : cu
piebat implere ventrem suum de siliquis... et nemo illi dabat.
LA MISERICORDIA DI DIO 179

Ecco l'estremo della miseria, ecco fin dove condusse il


traviato figliuolo la sconsigliata determinazione di allonta
narsi dal padre! Quel passo che, secondo lui, lo doveva
rendere felice, fu il principio ed il primo anello di quella
catena che doveva trascinarlo all'ultima rovina. Tale è la
serie dei precipizi in cui cade chi s'allontana da Dio ; tale
è l'estremo in cui va a cadere un peccatore, specialmente
se sacerdote. Datemi difatti un ecclesiastico , che arrivi ad
allontanarsi da Dio col peccato mortale, un sacerdote che
non solo cada, ma caduto che è, dimori nel peccato o si
alzi per ricadervi peggio di prima ; dissipato nello stato di
colpa tutto quel patrimonio di virtù, di buoni abiti, di santi
desiderii, che cosa accadrà a questo misero sacerdote ? Eh !
dopo lo scialacquo viene di necessità la penuria, la fame.
Ah che fame si sveglia nel cuore di un peccatore ! Abban
donato a se stesso quel cuore e dato in preda ai suoi de
siderii, latra continuamente, ed insaziabile cerca di sfamarsi :
facta est fames valida et cæpit égere. Privo di tutte le
spirituali consolazioni, lontano da tutti i conforti che la fede
e il proprio ministero gli possono dare, abbandonato per
fino da' buoni, non trovando più di che quietare il cuore,
nè ai piedi del Crocifisso, nè all'altare, nè in letture pie e
sante, e nemmeno nei Sacramenti, egli si dà ad un partito
disperato: adhæret uni civium , si slancia nel mondo, e
appresso questo padrone duro e crudele cerca un rimedio,
un riparo alla fame che lo divora ; ed eccolo già là a pa
scolare i porci, e con essi dividere il cibo nello sfogo delle
passioni. Doloroso cangia.nento ! Quelle mani che un di rac
coglievano la manna, ora non raccolgono che ghiande; quella
lingua che tante volte toccò le sacrosante carni di un Dio,
quel corpo che fu le tante volte nutrito del cibo angelico, ora
non tocca, non riceve che un nutrimento da animale. E
che differenza ancor vi sarà trà il sacerdote, l'uomo di mondo
e perfino la bestia , se tutti mangiano egualmente dello stesso
180 MEDITAZIONE NONA

cibo e tutti si nutrono dello stesso pasto ? Eppure il mondo


non ha altro cibo da dare. Almeno il povero sacerdote ne
avesse, non dico già a sazietà, perchè questo cibo non può
saziare, ma anche solo quanto ne desidera ; ma no, ed è
qui specialmente che nel sacerdote peccatore, si verifica la
triste condizione del figliuol prodigo ; non solo è privo di
vero pane, ma stenta perfino di ghiande. E mi spiego : un
uomo di mondo che si abbandoni alle sue passioni, trova
ogni strada aperta per rivoltolarsi come gli piace, ha mille
occasioni e mille modi di scapricciarsi; sicchè almeno di
ghiande non iscarseggia. Non cosi un uomo di chiesa, un 4

sacerdote : la vigilanza dei superiori, gli sguardi della fa


miglia, del vicinato e del paese, la singolarità di questo
abito, che non può passare inosservato , tutto forma un
ostacolo, tutto lo rattiene dalle feste del mondo, dai diver
timenti, dalle visite, dalle conversazioni geniali e da altre
ignobili soddisfazioni; sicchè ben di rado, e con difficoltà
arriva a' suoi desideri, e quel poco bisogna proprio che se
lo disputi con chi ne è ancor più ingordo ; onde di lui si
può dire propriamente che : cupiebat implere ventrem suum
de siliquis... et nemo illi dabat. Ahi ! misero sacerdote !
guarda fin dove l'ha condotto quel primo passo, voglio dire,
quel primo peccato con cui lasciasti il tuo Dio ! Dov'è quella
felicità, quella contentezza che ti aspettavi ? Ma lasciamo di
considerare la serie di questi passi dolorosi, per dare una
occhiata a ciò che di tenero e di consolante presenta questa
parabola.
III. Siamo al punto in cui quel figlio si riconobbe; quel
cuore si duro, si commosse, s'inteneri. Ammaestrato dalla
propria esperienza, e fatto più sapiente dalle proprie mi
serie, finalmente apri gli occhi, si pentì, e si decise di far
ritorno al proprio padre. La solitudine ed il silenzio della
campagna lo invitavano alla riflessione : finchè stette tra gli
amici in mezzo alle feste ed ai tumulti del mondo, non
LA MISERICORDIA DI DIO 181

riflette ; egli era già miserabile, abbandonato da tutti,


sprovvisto di ogni cosa, poteva bene fin d'allora pensare
ad un ritorno, eppure no : finchè era in mezzo al secolo,
il suo cuore era ora agitato , le sue orecchie as
sordate dagli strepiti di questo mondo, perciò non diè
ascolto a quelle voci segrete ed interne che certamente
si facevano sentire richiamandolo a sè ed al padre. Faccia
adunque tacere d'attorno a sè il mondo chi vuole sentire
la voce del Signore ; si apparti da esso collo spirito ,
e possibilmente anche colla persona, almeno per poco tempo,
e allora sentirà una voce, un linguaggio al cuore che forse
non avrà mai sentito. E questo lo possiamo saper tutti per
esperienza : se noi abbiamo preso buone e forti risoluzioni,
se abbiamo formato certi progetti di gloria di Dio, se ab
biamo sentito ed inteso un linguaggio tutto celeste, se l'a
nima nostra ha provato certe consolazioni interiori, quando
fu e dove ? Certamente sarà stato in qualche ora, in qualche
giorno di maggior silenzio, di maggior solitudine, in quei
di in cui fummo maggiormente soli, in quei di che pas
sammo separati totalmente dal mondo in qualche spirituale
ritiro. Ah ! quanto è utile che un sacerdote si scelga di
tanto in tanto queste volontarie solitudini per intendere
quello che il Signore esige e desidera da lui ! Ma ritorniamo
al prodigo e studiamo quali motivi lo abbiano spinto ad
una si coraggiosa e santa risoluzione.
Tre sono i principali secondo il Vangelo : 1 ° la memoria
della felicità passata e di quei comodi che in abbondanza
godeva in casa di suo padre: quanti mercenarii in domo
patris mei abundant panibus ; 2° la considerazione delle
sue miserie presenti: ego autem hic fame pereo ; 3° final
mente il riflesso che aveva da fare con un buon padre, da
cui facilmente sarebbe stato perdonato : ibo ad patrem meum.
Figuriamoci di vederlo coi nostri occhi, quel povero figlio,
là solitario e taciturno in mezzo ad una campagna, male
182 MEDITAZIONE NONA

in arnese, consunto dai vizi e dalla fame, che fa questa


meditazione : povero me !... un di io stavo pur bene in
casa mia ! e quanti servi anche adesso là da mio padre
abbondano di ogni cosa, ed io ?... io, figlio, sono qui sfinito
d'inedia, di fame ... oh felici tempi passati ! ah tristi giorni
presenti! e che vorrà essere di me ? già non sono più degno
di perdono. Ma chi sa se mi presentassi alla porta di
casa..... che mio padre mi respinga ?... chi sa se gettandomi
ai suoi piedi, se chiedendogli tante volte perdono..... che
me lo voglia negare ? Oh non lo posso credere ! ..... era tanto
buono..... quel cuore, quei tratti, quelle finezze non posso
scordarli ; tutto mi dà speranza di perdono. Eh ! sarà meglio
che vada, voglio tentare, se non gli sarò figlio, mi con
tenterò di essergli servo, solo che veda ancora una volta
quella casa dove fui allevato, che goda un giorno di pace
in casa di mio padre, morrò contento : surgam et ibo ad
patrem meum . Ecco la meditazione che vinse quel figlio
-

disgraziato. Felice lui che in tanta lontananza dalla casa pa


terna, in mezzo all'enormità dei suoi delitti, nella dispera
zione dell'anima sua non dimenticò le belle qualità di suo
padre ; queste gli tennero la strada aperta alla speranza, e
questa lo salvò dalla rovina che pareva inevitabile. Ah ! fra
telli miei, quanta forza hanno questi riflessi sopra un cuore
che teme, oppure che sa purtroppo chiaramente d'essere
lontano dal suo Dio ! Io non sto più a parlare qui dell'in
felice stato di un peccatore, solo vi dico : dove sono quei
bei giorni di una volta, dove quella tranquillità, quell'ila
rità, quella pace ? Ma vi ha di più : quanti sacerdoti com
pagni miei, godono tuttora giorni di paradiso nel retto eser
cizio del loro ministero , nel ritiro e nelle segrete loro
occupazioni, mentre io trascino giorni di tristezza, di me
lanconia e di gemiti. Non basta ancora : quanti mercenarii in
domo patris mei abundant panibus; quante persone povere
ed idiote godono nel basso loro stato quella pace che io ho
LA MISERICORDIA DI DIO 183

perduto ; tanti artigiani, tanti poveri rozzi, contenti del loro


stato , rassegnati nelle loro vicende, buoni e fedeli al loro
Dio, passano tranquillamente i loro giorni e se ne muoiono
ancor più contenti. Ed io ? figlio di casa, ministro di un
Dio, suo famigliare, suo confidente me ne starò lontano,
morrò di angustie, di fame, sospirando un po' di pane,
senza poterlo avere ? ego autem hic fame pereo . Ah ! anch'io,
diciamo tutti : surgam et ibo ! Anch' io voglio essere di nuovo
a parte di quella pace, all'ombra della mia casa , al fianco
de' miei cari : surgam et ibo. Ma a chi andrò ? Surgam
et ibo ad patrem meum : andrò a quel padre che mi pianse
quando lo lasciai, a quel padre che mi aspetta, che mi in
vita, che mi cerca per perdonarmi.
E qui osserviamo : che sarebbe stato di questo figlio, se,
allorchè gli venne tal sentimento di destarsi, di finirla, e
di ritornarsene al padre, non l'avesse subito ascoltato, avesse
cominciato a differire, a rimandare ad altro tempo la sua
risoluzione ? Chi sa che cosa sarebbe succeduto di lui, e
come l'avrebbe finita ! Chi sa se altra volta questi riflessi
avrebbero avuto sopra di lui la stessa forza, ed egli avrebbe
provato lo stesso coraggio. Ah ! come è importante, nelle
cose del Signore e nell'affare dell'anima, sapersi approfittare
di certi momenti, di certe voci, di certi impulsi repentini,
forti, gagliardi ! Felice il prodigo, che l'ha afferrato quel
punto, tosto si mosse, e parti ; nè si legge che per istrada,
indeciso, irresoluto, siasi fermato, quasi in procinto di re
trocedere ; eppure quanti assalti, quante battaglie avrà do
vuto sostenere per tenersi forte e costante ! il solo rispetto
umano possiamo immaginarci che forte tentazione non dovea
essere per un giovane già cosi gonfio di sè e cosi superbo !
Oh la bella figura che farai davanti al paese, ai cono
scenti, agli amici ! Chi sa quante risa e quali motteggi sulla
tua persona, sul tuo stato presente, scarno quale sei, vestito
di cenci, pezzente, tu che facevi la prima figura ed eri cosi
184 MEDITAZIONE NONA

ben accolto e riverito ! Ma via : questo va fatto ; sia


quel che si vuole, pazienza, me lo merito. → Ma se il padre
ti cacciasse, non volesse riconoscerti, o quel che è peggio
ti facesse ancor punire e castigare ? Ah ! è impossibile,
e poi è mio padre,... faccia quello che vuole di me ; andiamo.
- Ecco la fermezza ed il coraggio di chi vuol far bene.
Sarà inevitabile anche per noi che, avendo concepito in
questi esercizi qualche buon disegno, qualche forte risolu
zione, il demonio si faccia ad assalirci con mille fantasmi
ed ostacoli; ma coraggio, o cari, guai a chi, mosso il piede
o dato mano all'opera, ritorna indietro e si ritira dalle vie
dell'anima. Chi sa a che termine infelice potrebbe condurre
una tale incostanza . No, no ; fatta questa risoluzione, surgam
et ibo ad patrem meum, niente ci trattenga, niente ci fermi,
niente neppure ci rallenti, pronti e decisi fino al fine.
Che il Signore ci voglia perdonare, tutti quanti lo sap
piamo ; che non solo il Signore ci voglia perdonare, ma
che ci inviti a ritornare, ci aspetti, che vada in cerca dei
peccatori, ce lo dicono chiaro le parabole del Vangelo, il
buon pastore, la donna che smarri la sua dramma. D'al
tronde se ne vogliamo altre prove, le abbiamo giornaliere
nel tribunale di penitenza, là dove si aprono e si rom
pono i segreti del cuore. Che meraviglia non è il vedere
in certi casi il gran lavorio della divina misericordia per
guadagnare un'anima ; quanto è mai dolce il sentire dalla
bocca stessa di tanti peccatori le vie, i mezzi con cui Dio
li ha chiamati a sè : avvisi, rimorsi, castighi, buoni esempi,
ispirazioni, prediche , letture. Eh ! Padre, sono costretti
ad esclamare ai nostri piedi, è tempo che ceda, sono tanti
anni che resisto, sono stanco di fare il sordo, ora vedo fi
nalmente che il Signore non mi vuol perduto , non mi
vuole all' inferno. Oh ! se sapesse
sapesse quante grazie in
questo tempo, quante voci al cuore, quanti inviti, quante
dolci violenze ! sarebbe impossibile numerarle. Belle
LA MISERICORDIA DI DIO 185

confessioni sono queste, degne di essere scoperte a tutto il


mondo, e verrà pure quel giorno in cui si faranno palesi
a giustificazione e gloria della divina misericordia , ed a con
fusione di chi non volle approfittarsene. Per noi, fratelli
miei, a restar convinti di questa verità, non abbiamo bi
sogno che di rientrare in noi stessi e richiamare alla me
moria gli anni nostri passati ; il cuore, che ci dirà come
un giorno purtroppo abbiamo peccato, ci dirà pure il nu
mero, e la grandezza delle divine misericordie : quei giorni
cosi tristi, quel peso continuo del peccato, quel rimprovero
interno, quella vergogna che quasi compariva sulla nostra
faccia, quei sospiri dell'anima, quegli inviti che di tanto in
tanto ci pareva di sentirci al cuore, quegli eccitamenti a
finirla una volta, quel pensiero che il Signore ci avrebbe
perdonati, quella speranza di calmare il nostro cuore, e di
ritornare a giorni più tranquilli; non era tutto questo, fra
telli miei, una catena di grazie, un intreccio di divine mi
sericordie, per cavarci dal peccato, per trattenerci dall'andar
più oltre nella via dell'iniquità ? Deh ! dunque, fratelli miei,
senza più tardare, facciamo ritorno a quel Dio che ci aspetta
e ci sospira. Che se la coscienza ci assicura di essere noi
già in pace col nostro Dio, facciamo almeno servire questo
giorno a piangere, a detestare maggiormente quel peccato,
che un di ci allontano dal Signore.
Quale impressione avrà fatto al prodigo, ai suoi sensi, e
molto più al suo cuore, quel primo sguardo con cui ri
mirò di nuovo la casa paterna, l'eleganza delle porte, lo
addobbo delle finestre, quei viali, quei terrazzi, quei luoghi
di diporto che la circondavano ? Che tumulto d'affetti, di
pensieri, di idee, dovea naturalmente destargli quella vista !
Sospiri e gemiti e lacrime e confusione e gioia, tutti mi
pare che quasi in un colpo abbiano assalito quel cuore, e
quasi soffocatolo in una piena di commozioni e di affetti.
Vero ritratto di un'anima, d'un sacerdote che, stanco e quasi
CAFAsso Eserc . Spirit . — Medit , 13
186 MEDITAZIONE NONA

oppresso dallo stato di colpa, commosso, pentito, si fa per


la prima volta a guardar la sua casa paterna, a mirare
nuovamente con fede quel luogo, quel sito, quegli oggetti
che un di erano la sua gioia ed il suo contento, e che per
un tempo perduti, ora gli sembrano riacquistati e ritornati
quei di prima ; la croce, l'altare, il confessionale, le sue
divise medesime, tutto pare che lo richiami, lo ravvivi ;
piange, geme, sospira , si compunge, si rallegra. Ah ! che
giorno benedetto ! che momenti indescrivibili ! che gioie
impareggiabili per un figlio, per un ecclesiastico che ritorni!
Ma se vogliamo proprio gustar queste dolcezze, procu
riamo di vestirci di quei sentimenti con cui il figliuol pro
digo ritornò alla casa paterna. I motivi che abbiamo accen
nato ebbero tanta forza su quel povero cuore, che non solo
lo destarono dall'abisso d'iniquità, in cui era caduto, non
solo lo risolsero di ritornare alla casa paterna, ma gli fecero
concepire un orrore tale al suo male, un dolore si vivo
e si grande, che sarà sempre il modello d'ogni anima pe
nitente. Quell'atteggiamento con cui chiese il perdono, in
ginocchiato a terra, a testa scoperta, a capo chino, quelle
lacrime che certamente gli cadevano dagli occhi, quel ros
sore istesso che gli copriva la faccia, quell'umile sentimento
per cui si protestava indegno di chiamarsi figlio, sono tutte
prove evidenti, che danno abbastanza a conoscere il suo gran
pentimento. Ma questo più che mai si palesa in quelle due
parole : pater peccavi ! Quante cose voleva dire con questa
parola : pater peccavi !... - Padre, sono io che vi diedi un
giorno tanti disgusti .... padre, sono io che vi cavai tanti
sospiri, che vi feci spargere tante lacrime..... pater peccavi!
sono proprio io quell'ingrato, quell'indegno di starvi da
vanti ;..... ho mancato, lo conosco, lo confesso, e quello che
più mi ferisce si è d'aver mancato contro un si buon padre :
pater peccavi coram te ! Oh ! fosse vero che ancora noi
avessimo un dolore di questa fatta per quel peccato che un
LA MISERICORDIA DI DIO 187

giorno ci separò da questo Dio, per quel peccato che venne


a contaminare la nostra innocenza, per quel peccato che
costò a noi tanti sospiri e rimorsi, e cagionò si profondo
disgusto al Signore. — Un giorno io peccai ! – basta questo
pensiero per far piangere un sacerdote tutta una vita, anche
la più lunga. A questo pensiero cosi doloroso non si può
trovare altro rimedio che questo di poter dire : - io peccai,
è vero, e peccai più volte e peccai molto, ma mi ricordo
che un giorno mi pentii, un giorno conobbi il mio fallo,
me ne confessai, ritornai nelle braccia del mio Dio che mi
perdonò, e riacquistai la sua grazia. - Oh giorno felice !
giorno d'eterna ricordanza e di benedizione! Oh quanto con
solerà questo giorno in quegli estremi della nostra vita,
allorquando conosceremo la grandezza di quella misericordia
che il Signore ci ha usata . Facciamo dunque in modo che
in vista di quei peccati si spezzi per dolore il nostro cuore,
pentiamoci, ma di vero cuore, ad esempio del prodigo; tanto
più che per noi vi sarebbero maggiori motivi di pentirci
che non per lui.
Che cosa mai si dovrebbe dire se il prodigo, non con
tento di far quello che ha fatto, avesse ancora cercato di
pervertire il suo fratello e di indurlo ad abbandonare egli
pure quel buon padre ? Non sarebbe stato questo un doppio
peccato per parte sua ed un doppio dolore per quel povero
padre ? Chi si sarebbe contenuto dal dirgli : ah ingrato
e crudele ! e non ti basta amareggiare un padre in quel
modo ? vorrai ancora strappargli un altro figlio dalle braccia ?
Ma questo delitto non gli si può rinfacciare, anzi vi è tutto
il motivo di credere che non l'abbia fatto, essendosi il fra
tello mantenuto fedele. Ma quello che non arrivò a fare
quel figlio anche perfido, chi sa che non l'abbia fatto qual
cheduno di noi : se quel tale, quel tal altro, ha offeso il
Signore, se ha preso quegli impegni o quei partiti sconsi
gliati, se quella persona è caduta in quel peccato, chi ne
188 LA MISERICORDIA DI DIO

è la cagione, chi ne fu l'autore ? Il cuore ce lo dica : oh !


che gran peccato è stato questo, che colpa enorme in noi,
che incalcolabile disgusto pel Signore ! Che cosa sarebbe
poi se una sola di queste anime fosse già perduta per causa
nostra, e fossimo fuori di speranza di poterla ricondurre a
quel Dio al quale l'abbiamo rubata ? Santa Margherita da
Cortona era solita dopo la sua conversione andare di tanto
in tanto a quel luogo dove era stato sepolto il suo complice;
là inginocchiata prendeva tra le sue mani quella testa scar
nata, la mirava, piangeva, sospirava, e poi rivolta al cielo,
esclamava : oh mio Dio, ecco un'anima che è stata ru
bata da me; ecco un'anima all'inferno per causa mia ! oh
quante volte questa bocca avrà già gridato vendetta contro
di me ! oh da che tempo questa lingua chiamerà giustizia
da quelle fiamme ! E chi mai dei due voi vorrete ascoltare ;
vi arrendete a quella voce che vi chiede giustizia, oppur
alla mia che dimanda misericordia ? Ah mio Dio ! è pur
giusta quella voce, non lo posso negare, ma pur voi avete
promesso di perdonare ad ogni peccatore che si fosse pen
tito... Oh ! voglio chiedere tante volte, voglio dar in tanti
sospiri, voglio mettere tante lacrime finchè m'abbiate per
donato . -

Eccovi, fratelli miei, la strada che ci insegnò questa


gran penitente. Abbiamo noi peccato ? Ebbene detestiamo e
piangiamo ancor noi il mal fatto e troveremo perdono ; ma
molto più sospiriamo ed alziamo i nostri gemiti per quei
peccati che si saranno commessi per colpa nostra. I gemiti
ed i sospiri di questi giorni saranno in isconto dei nostri
peccati, ci daranno giorni più belli e più contenti e ci ri
sparmieranno gemiti e sospiri più dolorosi al punto della
nostra morte e per tutta l'eternità.
op opy

MEDITAZIONE DECIMA

Nascita di Gesù .

PREGHIERA . Caro mio Redentore, genuflesso ai vostri


piedi vi confesso per mio Dio, mio Signore, mio maestro:
Voi, che vi degnaste di chiamarmi ad occupare il vostro
luogo, a far le vostre veci in terra, fate che io intenda ed
impari quelle grandi lezioni che mi lasciaste nella vostra
vita mortale ed apprenda una volta quale sia lo spirito di
quello stato a cui voleste chiamarmi. Vergine Maria, voi
che foste presente e compagna nella vita e nelle azioni del
vostro caro Gesù, aiutatemi ad imparare e molto più ad
imitare i luminosi esempi che Egli mi ha segnati. Angelo
Custode ecc.

Colla presente meditazione noi entriamo in quella parte


degli esercizi, che è detta comunemente la via illuminativa,
in quella parte cioè destinata a considerare gli esempi lu
minosi del nostro divin Redentore. Purgato finora il nostro
cuore colla considerazione delle massime eterne, con verace
e sincero pentimento delle nostre colpe, conforti e ge
nerose risoluzioni, e distrutto cosi in noi l'uomo vecchio,
ci tocca edificare il nuovo con altre opere, altri affetti, altre
190 MEDITAZIONE DECIMA

mire, altre tendenze, altri desiderii ; che se non abbiamo bi


sogno di far tante mutazioni, dobbiamo almeno procurare di
rendere in noi più perfetto, più compito, più intenso ciò
che già è conforme al nostro stato. L'opera è grande, ė
necesssaria, ed il disegno, il modello è un solo, il divin
Redentore : Hic est filius meus dilectus .... ipsum audite ( 1 ).
E qui, o cari , non crediate già che l'imitazione di questo
divino esemplare sia soltanto un pio suggerimento, una cosa
di consiglio: no, qui si tratta di vero obbligo. Se ogni cristiano
è tenuto ad imitare il divin Redentore, a conformarsi alle
sue massime ed al suo spirito, tanto più vi siamo obbligati
noi ecclesiastici. Qui non est mecum contra me est (2)
aveva già detto il divino Maestro ; e S. Paolo soggiungeva :
Qui spiritum Christi non habet, hic non est ejus (3) ;
dunque vuol dire che dobbiamo ricopiare, avere in noi lo
spirito di Gesù Cristo, e mancando di questo spirito non
saremo riguardati come suoi, e saremo anzi da lui tenuti
come rivali. Nè può bastare per essere copia vera conforme
a questo divin Sacerdote, l'averne il carattere, esercitarne
le funzioni ed essere forniti de' suoi poteri; ma fa d'uopo
avere gli stessi sentimenti, gli stessi pensieri, lo stesso scopo.
E neppure basterebbe cercar di conformarsi soltanto nella
nostra condotta esterna, se prima non procurassimo di ren
dere a lui conformi il nostro cuore ed il nostro spirito,
poichè tutto il rimanente, quando questo venisse a mancare,
non sarebbe che un'esteriorità ed un'apparenza. E potrebbe
infatti chiamarsi vero e degno ministro del suo sovrano
colui che, contento d’occuparne il seggio, di vestirne le di
vise, di portarne il titolo e di disimpegnarne anche le in
combenze esteriori, fosse poi discorde da lui nei voleri, nelle
mire, nei progetti ? Ma è inutile spender parole per dimo
strare una verità cosi evidente, per provare un obbligo
(1 ) Matth. XVII . 5 . (3) Rom . VIII . 9.
(2) Matth . XII . 30.
NASCITA DI GESU ' 191

inculcato e ripetuto con tanta insistenza dall'apostolo San


Paolo. Piuttosto prendiamoci in mano questo crocifisso, e poi
fissandolo diciamo a noi stessi : se io non faccio una cosa
sola con questo Signore, se i miei pensieri, i miei affetti,
le opere mie non sono come quelle di questo divin Reden
tore, debbo disingannarmi : avrò il nome, il titolo, il ca
rattere di sacerdote, ma in realtà non lo sono ; sarò sa
cerdote si, ma disgiunto, separato dal principio che mi deve
animare; sacerdote, ma copia difforme, degenere dal mio
tipo e dal mio modello.
Di qui ognun vede la grande necessità di considerare bene
questa importante materia. Per mancanza di tempo noi non
potremo qui trattenerci a lungo a questa scuola divina, e
dovremo arrestarci a certi punti principali, per meditare
poi il rimanente tra noi e noi in avvenire. Lo spirito del
nostro divin Redentore si mostra, e lo possiamo conoscere,
in tutto il corso della sua vita ; ma la scuola prima, più com
movente, più eloquente è quella che egli ci fa sin dal suo
nascere, nella capanna di Betlemme. Sarà questo pertanto
il tema della presente meditazione : considerare quali
siano le massime, quale lo spirito che Gesù insegna al sa
sacerdote colle circostanze del suo nascimento, e studiare
il modo di imitarlo . Figuriamoci di trovarci tutti presenti
a quel divin Bambinello, e che egli guardando me, guar
dando voi, ci dica : – o mio caro ministro, io sono venuto
al mondo per tutti, ma specialmente per te, impara da
me e non dal mondo a tener il mio luogo, a fare le mie
veci . - Cominciamo.
I. Siccome il mondo visibile e materiale ha i suoi ele
menti, dei quali è composto, cosi e non altrimenti è del
mondo morale. Gli elementi, di cui quest'ultimo si compone,
ce li ha detti S. Giovanni, e sono i piaceri, le ricchezze e
gli onori. L'attacco a queste tre cose è ciò che forma lo
spirito del mondo, e coloro che con eccesso le amano e vi
192 MEDITAZIONE DECIMA

si attaccano, sono quelli che il S. Evangelo appella il mondo.


Questo mondo è il nemico più grande che abbia il nostro
divin Redentore, e lo dimostrano le maledizioni che Egli
fulminò contro di esso e le minaccie terribili con cui lo
prese di mira : Vae mundo ( 1 ) ! Egli dichiarò chiaramente
essere impossibile che il mondo possa ricevere lo spirito di
lui, protestò d'esser venuto su questa terra per giudicare,
per condannare questo mondo corrotto, disse di non pregare
per esso, mentre aveva pregato perfino pei suoi carnefici;
epperciò allo spirito di questo mondo fin dal suo nascimento
ed al primo comparire sulla terra, egli volle sostituire un
nuovo mondo, un nuovo spirito, totalmente contrario, cioè
a dire l'amore ai patimenti, alla povertà ed alle umiliazioni.
Vediamolo brevemente, cominciando dall'amore al patire.
Oltre alle miserie, ai patimenti, cui va soggetta una crea
tura nascendo, ed a cui volle sottoporsi il nostro divin Re
dentore per ciò che riguardava questo misero corpo , egli
soffri ancora per tanti altri aggiunti del suo nascere, tal
mente che non so se un altro bambino qualunque possa
esordire la sua vita in maggiori patimenti. Soffrì per parte
della stagione, che era rigida e fredda, soffri per parte del
tempo, mentre scelse l'ora più cruda della notte , soffri per
parte del luogo, che era aperto e senza ripari, soffri per
parte del letto su cui giaceva, mentre non era che poca
paglia. Non parlo poi della mancanza di quelle tante e pic
cole cose che occorrono in simili circostanze e di cui anche
i più poveri vanno provvisti. Questa scuola di patimenti,
che cominciò dal suo primo apparire nella capanna di Be
tlemme, la continuò poi sino alla fine del viver suo, e volle
soffrire in tutto ciò che possa soffrire l'uomo sulla terra,
niente escluso. Soffri per la povertà nella mancanza delle
cose più necessarie, soffri nel corpo pei tanti dolori, soffri
nell'animo per le pene che afflissero il suo spirito, soffri
(I) Matth . XVIII . 7. 18.
NASCITA DI GESU' 193

finalmente nella sua stima, nell'onore, per le tante calunnie,


umiliazioni ed obbrobrii di cui fu ricoperto ; e tutto ciò non
già per forza o per necessità, quasi che non avesse potuto
far altrimenti, ma di pieno e libero consenso, mentre avrebbe
potuto prendere un'altra via e camminare per tutt'altra
strada. Non basta : soffri senza il minimo lamento ; anzi di
buona voglia s'assoggettò ai tormenti ed ai dolori più cru
deli, e quando alcuno volle opporsi al suo proposito di sof
frire, lo disapprovò, dicendogli quasi con isdegno : - e
perchè dunque vuoi impedirmi di bere il calice datomi
dal mio Padre ? — Ma non bastò ancora tutto questo : l'amor
suo di patire lo portò tant'oltre, che arrivò a cercare e a
desiderare con ardore i patimenti più grandi : Baptismo
habeo baptizari: et quomodo coarctor, usque dum per
ficiatur ? ( 1 ). A tutto questo volle aggiungere, a conforto
di chi soffre, che Egli terrà per beati e felici coloro che
soffrono, e che un giorno verranno di certo consolati. Io
non so se il divin Redentore avrebbe potuto coi fatti e
colle parole darci esempi più luminosi e lezioni più chiare
per staccarci dai piaceri e dai godimenti del mondo ed in
durci a soffrire con lui. Fratelli miei, il mondo goffamente
crede che lo stato nostro, sia uno stato di piaceri, di co
modità, di agi ed anche sovente di ricchezze, e che perciò
il prete possa condursi una vita comoda, tranquilla e felice,
della felicità come la intende il mondo. Eppur voi lo sapete
al pari di me, che se v'è una condizione, una qualità di
persone, uno stato insomma che richiegga uno spirito di
sofferenza e di continue privazioni, è appunto lo stato del
sacerdote, quando questi voglia adempire bene le tante e
gravi sue obbligazioni. Ed ecco come deve spiccare in noi
questo spirito di pazienza e di sofferenza : noi dobbiamo
rassegnarci primieramente ad accettare dalla mano di Dio
tutte quelle pene, cosi di corpo come di anima, che egli
(1 ) Luc. XII . 50.
194 MEDITAZIONE DECIMA

vorrà permettere a nostro riguardo ; poi non lasciarci ral


lentare nel nostro ministero dal timore d'incontrare pati
menti e tribolazioni; finalmente assuefarci a praticare vo
lontariamente nella giornata qualche atto di annegazione,
rinunziando qualche nostra voglia in cose piccole, come nel
guardare, nel parlare, oppure privandoci di qualche diporto
o di altro sollievo non necessario ; ciò che tanto serve a
ben disporci per quelle maggiori tribolazioni, che tutti dal
più al meno dovremo incontrare nella nostra vita.
Ma veniamo all'altro esempio, che ci diede il Divin Re
dentore nella sua nascita, quello cioè di un distacco totale
dai beni del mondo. La povertà del Redentore, oltre d'essere
stata volontaria, come abbiam detto dei patimenti, fu pure
assoluta e costante sino al fine. Io non mi trattengo a par
larvi di questo esempio, perchè tanto evidente e conosciuto
a tutti, da non abbisognare di ulteriori commenti ; dirò
soltanto che fu tale e tanto il conto che egli fece di questo
distacco e povertà, che volle darle il primo posto tra le
beatitudini: Beati pauperes spiritu, quoniam ipsorum est 4

regnum coelorum ( 1 ). Vediamo piuttosto subito come dob


biamo imitarlo anche in questa virtù. Lasciando a parte
la povertà di consiglio, che sta nel rinunziare a tutto e
spogliarci affatto dei beni del mondo, e venendo alla po
vertà di spirito, obbligatoria per tutti e principalmente per
noi ecclesiastici, essa vuole che moderiamo il desiderio delle
ricchezze, che le maneggiamo con indifferenza, che ne fac
ciamo buon uso, e viviamo pronti e disposti a soffrirne la
perdita ed anche a lasciarle senza tanto dolersi, come meglio
a Dio piacerà. Questo spirito si spiega in poche parole e
non richiede atti eroici materiali, ma non è poi cosi facile
a praticarsi, nè cosi spesso si trova tra noi ecclesiastici.
Non voglio già dire che il sacerdote per amor del denaro
si lasci trascinare ad eccessi e ad abusi enormi ; ma una
(1 ) Matth . V. 3 .
NASCITA DI GESU ' 195

tal quale tenacità, un qualche eccesso, qualche sorta di at


tacco nel maneggiare, nello spendere, nello speculare, si
vede anche in sacerdoti di buona volontà. Per esempio
quell'occuparsi tanto, e parlar quasi sempre di sostanze,
di raccolti, di speculazioni, di traffici, di contratti, fa che
si passi la maggior parte del tempo sperando, temendo,
calcolando su quello che potrà essere e quello che no. Cer
tamente non potrà dirsi che sia un prete staccato dai beni
della terra colui, che, quando si tratta di affari temporali
e dove c'è qualche cosa a guadagnare, sa calcolare, pre
vedere, prendere tutte le misure, usare tutti i mezzi con
venienti ; non potrà dirsi povero di spirito quel sacerdote
che avendo qualche buon affare per le mani, o sperando
fare un bel colpo, non guarda nè a tempo, nè a luogo,
nè a distanze, nè ad incomodi, e vi si dà non per metà
o di mal umore, ma a tutt'uomo e allegramente, di modo
che chiunque lo osservi facilmente può vedere che è nato
fatto per quelle faccende. - E che male c'è, qualcuno può
dire, in tutto questo ? Non vi sarà alcun male, io l'am
metto, quando si faccia colla dovuta moderazione e colle
debite cautele ; ma come va, io dimando, che quando si
tratta di affari spirituali, della gloria di Dio, della salute
delle anime e del proprio spirituale profitto, il mio sacer
dote non è più quel desso ? non dico già che trasandi il
suo dovere o vi si rifiuti, ma non vedo più in lui quel
brio, quella prontezza, quell'esperienza, quella perizia. Non
vi sarà forse a temere che questo sacerdote sia più caldo
e più intelligente per la terra che pel Cielo ? E come va,
dimando ancora , che se non riesce in un qualche affare
dell'anima, come a torre uno scandalo, a convertire un
peccatore, a portar in tempo i Sacramenti a chi versa in
pericolo di vita, ad impedire che qualcuno muoia impeni
tente, come va , dico, che il nostro sacerdote si dà facil
mente pace, e dopo una parola di lamento, torna subito a
196 MEDITAZIONE DECIMA

ridere, a scherzare come prima ? ma se al contrario fal


lisce un affare temporale, una speculazione, un contratto,
un acquisto, un guadagno, quanto tempo e quante ragioni
ci vogliono per potersi a stento tranquillare! e passati già
lunghi mesi ed anni , non sa parlarne se non con dolore e
rincrescimento ? Oh quanto è raro, ripeterò nuovamente,
questo spirito di distacco e di povertà, anche nel sacerdote !
Beatus vir , dice con ragione lo Spirito Santo , beatus vir
qui post aurum non abiit ; ma è ben difficile il trovare
quest'uomo : quis est hic ? ed è tanto raro quest'uomo che
merita i più grandi elogi, e può dirsi quasi un uomo me
raviglioso : quis est hic et laudabimus eum ? fecit enim
mirabilia in vita sua (1 ).
II . La terza lezione che ci dà il diyin Redentore nella sua
nascita, è lo spirito d'umiltà, un gran disprezzo cioè di
tutto ciò che può sapere di gloria e di stima 'nel mondo,
congiunto coll'amore alle umiliazioni.
Le sante scritture compendiano in due parole queste virtů
del nostro Divin Redentore, con dire che egli ebbe ad an
nientarsi sulla terra : Semetipsum exinanivit (2) ; fu così
alieno da tutto quello che sa di glorioso, di onorifico nel
mondo, che per schermirsene studiò la maniera di quasi
annichilarsi sulla terra. S'annichilo prima di tutto nella sua
Incarnazione con velare e nascondere sotto la misera natura
umana la sua divinità. Per comprendere quanto più pos
siamo questa prima sua esinanizione, figuriamoci un gran
monarca a cui nulla manchi per essere felice, abbia potenza,
ricchezza, nobiltà, quanto voi potete immaginare, sia temuto,
amato, riverito dai sudditi. Questo gran monarca un giorno
segretamente depone la porpora, abbandona i suoi dominii,
si veste di miseri panni e si reca sconosciuto in un paese
lontano, dove si appiglia ad un basso e vile mestiere, ed
in questo stato continua a vivere sino alla morte . Chi non
(1 ) Eccli . XXXI . 8. (2 ) Philipp. II . 7.
NASCITA DI GESU ' 197

ammirerebbe la condotta di questo uomo, e chi non direbbe


che costui cerca di annientarsi e, per quanto sta da sè, di
scomparire dalla terra ? Ebbene, ravviviamo la fede, e noi
la vedremo tale condotta molto più evidente nel divin Re
dentore. Ma questo non è che il primo passo. Egli poteva
scegliere un corpo, che si distinguesse in maniera parti
colare dagli altri, poteva almeno venire in età adulta, poiché
cosi si sarebbe risparmiato molta parte delle umiliazioni ;
ma no : egli prese un corpo bello si, ma per nulla sor
prendente, si fece bambino soggetto a tutte quelle miserie
che se sono umilianti per tutti, lo furono molto più per
lui, che godeva pieno uso della sua ragione, epperciò do
vette sentire quanto mai possiamo immaginare il peso di
questa sua annichilazione. Non basta. Anche presa la natura
umana vestita sotto la forma di bambino, poteva con un
tratto, con una parola, dare un saggio della sua potenza,
della sua sapienza ogniqualvolta avesse voluto ; eppure egli
occultò sifattamente le sue perfezioni divine, che, sino ai
dodici anni, non diede mai segno alcuno di qualità speciale,
ed anche dopo nol fece se non quando assolutamente lo
richiedeva la gloria del suo Padre : semetipsum exinanivit.
Annichilata la sua divinità, cercò d'annichilare parimente
la sua umanità. In primo luogo permise e dispose che ve
nendo al mondo, nessuno lo volesse ricevere ; venutovi ciò
nondimeno, quasi a dispetto del mondo, si tenne nascosto
quanto potè e sconosciuto, e volle che nessuno ne facesse
conto , anzi volle divenire fra gli uomini un oggetto di igno
minia, di scherno e di ludibrio. Poche parole di questo artificio
divino totalmente nuovo al mondo. Non so se possa darsi
affronto maggiore per una persona che quello di essere di
sconosciuta e cacciata via dai suoi medesimi concittadini, e
di non trovare nemmeno chi voglia darle un ricovero qua
lunque, anche per una sola notte. Eppure fu cosi pel Re
dentore : nè preghiere, nè suppliche, nè istanze, nè lacrime,
1

198 MEDITAZIONE DECIMA

che è probabile spuntassero sugli occhi principalmente della


buona madre, valsero ad intenerire qualcuno. Era notte,
tutti si ricoveravano, essi soli in mezzo alla strada, avreb
bero mosso a compassione non so qual cuore ; eppure nes
suno si indusse a ritirarli, tanto era il disprezzo e la di
sistima con cui veniva riguardata quella santa famiglia :
Non erat eis locus ... (1 ) In propria venit et sui eum
non receperunt (2). II divin Redentore avrebbe potuto in
mille guise atterrire quegli abitanti e far loro conoscere chi
era colui che sprezzavano e ricusavano di ricevere ; eppure
no : sopportò quietamente quell'affronto come un preludio
del modo ingrato e sleale con cui in seguito il mondo lo
avrebbe trattato. Nacque là, nella campagna, nel buio d'una
notte , lungi dagli occhi di tutti ; e di qui comincia la tela
e la serie di que' mezzi e di tutti que ’ modi ancor ignoti
al mondo di tenersi prima celato e nascosto, poscia di ren
dersi talmente basso, vile e misero, da parere non solo un
semplice uomo come gli altri, ma tra tutti il più meschino,
e giungere al punto d'essere riguardato come un soggetto
di disonore, di scherno e d'ignominia.
. Lo studio di Gesù per tenersi celato fu cosi evidente e
continuo, che resta impossibile il dubitarne. Io non parlo
di tuttociò che operò nel corso della sua vita e nella pas
sione, ma restringendomi al suo nascimento, osservo che
tre furono le circostanze che avrebbero potuto rendere no
toria e gloriosa la sua comparsa al mondo : la discesa cioè
degli Angeli, l'apparizione della stella e la venuta dei Magi.
Or bene il divin Redentore che aveva già cominciato e vo
leva proseguire il suo disegno di annientarsi al cospetto
degli uomini, dispose che ogni cosa svanisse davanti al
mondo e ridondasse quasi ancora a suo scorno e confusione.
Compaiono, è vero, gli Angeli, ma sulle montagne ed a pochi
e grossolani pastori, per cui nessuno in città vi prestò fede,
(1 ) Luc. II . 7. (2) Ioann . 1. 11 .

1
NASCITA DI GESU ' 199

nè si mosse, e chi sa ancora che i maligni non abbiano


attribuito ad arte ed astuzia quell'apparizione o ne abbiano
fatto soggetto di risa. Compare la stella , ma in lontani
paesi da pochi soltanto compresa, e nel meglio scompare.
L'abbiamo veduta , — dicono i Re Magi. Ma dov'è, e come
-

non si vede più ? Nuova commedia, avran detto chissà


quanti, nuovo artifizio come quello degli Angeli. – I tre Re
partono con intesa di portare ulteriori notizie, ma non si ve
dono più ritornare. Erode, è vero, trae argomento di timore,
ma più d'uno avrà detto e ripetuto : impostori ! ce la
volevano dare ad intendere, non hanno più osato lasciarsi
vedere, - e cosi sparisce dinnanzi al mondo, anzi diviene
ancora oggetto di maggior confusione pel divin Redentore
ciò che avrebbe dovuto farlo esaltare. Ecco, l'ideale, il tipo,
il modello di quell'umiltà e d'annientamento che Gesù Cristo
portò dal cielo in terra , e che pratico dapprima egli stesso
per insegnarlo ed inculcarlo a tutti i suoi seguaci, ma in
ispecial modo a' suoi ministri.
Fratelli miei, se vi è lezione importante per noi, ella è
questa : è inutile innalzare una fabbrica, e cercar di farla
bella e magnifica, se prima non si pensa al fondamento. Cosi
sarebbe nel caso nostro . Dopo aver distrutto più o meno in
noi in questi esercizi un sacerdote, un personaggio, un
uomo vecchio, ci siamo messi a sostituirne, a riedificarne un
altro che porti come in sè scolpita l'impronta di questo
divin Redentore, nostro capo e modello . Ma sarebbe spre
cata , anzi ridicola, per non dir pazza , l'opera nostra, quando
non pensassimo al fondamento di questo si grande spiri
tuale edifizio, che è la santa umiltà. Preghiamo pure, stu
diamo, lavoriamo, ma tutto questo varrà un bel niente se
non siamo umili; fossimo anche casti, se pur è possibile,
caritatevoli, pazienti, ſzelanti, senza umiltà tutto questo è
come una casa alta, appariscente, risplendente, adorna, ma
che non è fondata, epperciò presto sarà per rovinare. Qui
200 MEDITAZIONE DECIMA

non c'è via di mezzo, o cari ; chi non ha questo spirito


d'umiltà, chi non cerca, per quanto è in sė, d'annichilarsi
nel concetto degli uomini, si disinganni, non s'illuda, ha
niente che fare collo spirito di Gesù Cristo, non ha somi
glianza alcuna con questo divino modello . Di più, noi sa
cerdoti abbiamo bisogno di molte grazie per compiere a
dovere gli obblighi della nostra vocazione, e tali grazie non
verranno mai nel cuore di un sacerdote che sia mancante di
questo spirito, perchè sta scritto che Deus superbis resistit,
humilibus autem dat gratiam ( 1 ). E poi Iddio è geloso della
sua gloria, e se nel procurarla si degna servirsi della mano
dell'uomo, vuole però che si conosca essere opera sua e non
si attribuisca ad altri che a lui, e di ciò abbiamo molte
prove ed esempi nelle sante Scritture; epperciò il Signore
non si servirà mai di quel sacerdote che , persuaso di
essere qualche cosa , fa dipendere, se non in tutto almeno
in parte, il frutto del suo ministero da se, dalla sua scienza,
dalla sua abilità, dalle sue maniere, e va via dicendo. No,
fratelli miei, sacerdoti tali non sono fatti per le opere del
Signore ; dal momento che noi ci crediamo capaci a qualche
cosa , diveniamo inutili a tutto davanti a Dio, ed allora solo
comincieremo ad essere strumenti di qualche valore quando
ogni idea di noi sia totalmente scomparsa dai nostri occhi,
e sia penetrata sino al fondo dei nostri cuori la persuasione
della nostra nullità. Ciò posto, come procurarci, voi mi di
rete, questo spirito d'umiltà, e come operare in noi me
desimi questa annichilazione cotanto necessaria ed indispen
sabile ?
III. Uno, anzi il principale tra i mezzi per ricopiare in noi
questo spirito del divin Redentore, si è di meditarlo so
venti, di tener l'occhio fisso sugli esempi che egli ci ha
dati per non aversene a scostare ; in una parola, tenere
sempre l'originale sotto gli occhi. Che direste voi d'uno,
(1) Petr. V. 5.
NASCITA DI GESU ' 201

che volendo ritrarre una copia da un certo originale, non


si facesse a considerarlo ben bene, anzi lo tenesse lontano
da sè, lo guardasse di rado e solo cosi di passaggio, e frat
tanto gettasse giù col suo pennello un dipinto come meglio
crede ? Sarebbe un miracolo se riuscisse ad imitare perfet
tamente l'originale. Dite pure lo stesso nel caso nostro. Come
volete mai che certi sacerdoti siano una copia conforme a
questo divin Redentore, abbiano quello spirito di disprezzo
della gloria e vanità mondane, se passano giorni e giorni, e
forse mesi ed anni senza mettersi davvero alla sua scuola,
senza studiarne gli esempi e senza cercar d'impararne le le
zioni e le massime? S. Francesco Saverio in ogni mese scor
reva tutto il compendio della vita e degli esempi di Nostro
Signore rapportato nel libro degli esercizi di S. Ignazio. Ecco
la maniera di ritrarne vere copie : avvicinarci a questo
modello divino, studiarne i tratti, i lineamenti, e poi raf
frontarci con lui ; confrontare il nostro cuore, i nostri pen
sieri, i nostri affetti, le nostre mire, le tendenze nostre con
quelle di Gesù. Ma non basta studiare il tipo proposto alla
nostra imitazione, bisogna mettersi all'opera di ricopiarlo in
noi, sforzandoci di modellare la nostra vita sui suoi esempi
e dietro le sue pedate, il che si riduce a praticare due cose:
umiltà d'intelletto e umiltà di volontà.
L'umiltà d'intelletto sta nell'annientarci dentro di noi,
nella nostra mente, con esser persuasi e ben penetrati che
siamo un niente. Finché noi non avremo acquistato questo
annientamento dentro noi medesimi, finchè noi crediamo di
essere qualche cosa, o non faremo mai atti di umiliazione,
o non saremo costanti nel farli, epperciò finiremo con un
bel nulla; e nonostante le mille proteste d'esser buoni a
niente, di meritar niente, possiamo essere veri superbi; e
sovente basta un tratto , una parola meno graziosa, a farci
subito conoscere per quei che siamo. Umiltà adunque d'in
telletto prima di tutto : vuotiamo questa nostra testa, pro
CAFASSO - Eserc . Spirit. — Medit . 14
202 MEDITAZIONE DECIMA

curiamo d'essere persuasi, ma sinceramente, che siamo un


nulla, anzi peggio che nulla, perchè pieni di miserie sino
ad essere stupiti come il Signore ci lasci vivere, come il
mondo ci soffra. Ripetiamo sovente a noi stessi : in fin
dei conti tutti sarebbero capaci di far quello che io faccio ,
mille altri lo farebbero meglio di me, di modo che ben
lungi dall'esser io di qualche entità, di qualche utile sulla
terra, sono piuttosto di peso e di gravame, sono un intoppo,
un oggetto d'imbroglio nel mondo. - Procuriamo, dico, di
far proprio nostri questi sentimenti , di esserne vivamente
penetrati, di radere per cosi dire ogni idea di noi dalla
nostra testa, ed allora vedrete come ci sarà facile l'umiltà
di volontà .
Questa seconda umiltà, consiste nel trovare e praticare
i mezzi di annichilarci, di farci tenere per niente dagli
altri. E quali saranno questi mezzi ? Io li riduco a due :
1 ° schivar sempre ed occultare ciò che può ridondare a
qualche nostra lode, eccettochè la gloria di Dio ed il bene
delle anime richiedano assolutamente il contrario ; 2° ac
cettare con rassegnazione, e se volete di più, con amore e
con piacere, anzi affrontare noi medesimi tutto ciò che salva
sempre la gloria di Dio, in qualsiasi modo ci può umiliare
davanti al mondo. Il primo passo non mi pare difficile e
straordinario, poichè essendo persuasi d'essere e di meritare
un bel niente, è più che naturale che la persona declini
e schivi, per quanto sta da sè, di fare o dire qualche cosa
che la possa far tenere in qualche concetto. Sarebbe piut
tosto un'incoerenza ed una contraddizione l'operare diver
samente , e basterebbe questo solo a provare che non v'è
in noi quell'umiltà d'intelletto di cui vi parlava. Può forse
parere di qualche difficoltà e sorpresa il secondo mezzo, lo
abbracciare cioè volentieri le umiliazioni, e molto più il de
siderarle e cercarle, salva sempre, come ho detto, la gloria
di Dio e nei limiti della prudenza. Però riteniamo che quando
NASCITA DI GESU ' 203

io dico amare e godere delle umiliazioni, non intendo già


secondo il senso, poichè questo non è necessario ; se vi
arriviamo sarà ancor meglio, ma non si richiede, e si può
essere veramente umile quand'anche si provi tutta la ri
trosia del mondo a sopportare le umiliazioni ; a noi basta
che tale ripugnanza non arrivi a farci indietreggiare da
vanti a ciò che l'umiltà vorrebbe. La cosa va presa ed
intesa secondo il desiderio e la volontà, e sotto questo rap
porto, mi pare che non debba essere di tanta difficoltà;
poichè, quando la persona sia umile d'intelletto, e sia nello
stesso tempo persuasa della necessità , dell'importanza e dei
vantaggi di questa umiltà, sembra naturale che, allorquando
le si presenta un'occasione, una circostanza, un mezzo favo
revole ed acconcio ad umiliarla sempre più, ne debba essere
contenta, debba rallegrarsi e gioirne ; e quando ne sia priva,
debba desiderarla e andarne in cerca , come colui che, preso
dall'amor dell'oro ed agognando di procurarsene, si rallegra
quando glie ne viene tra mani il mezzo , se pure non va
a cercarlo, anche con suo rischio e gravame. Cosi dev'essere
di noi quando ci siamo veramente persuasi dell'importanza
e della necessità di questa virtù.
Oh ! felice il sacerdote di cui potrà dirsi quello che sta
scritto del divin Redentore, che semetipsum exinanivit !
Guardate là un ecclesiastico che, a giudicarlo all'apparenza
e secondo il mondo, avrà niente di notabile ; egli non com
pare e quasi non si conosce, eppure è l'uomo più grande
della terra , perchè ha con sè un tesoro che sorpassa ogni
valore; egli è umile, egli è persuaso che è un niente sulla
terra, ed è talmente penetrato della sua nullità al mondo,
che cerca, desidera e gode che tutti lo credano e lo ten
gano per niente. Questi, o cari, è il solo, è il vero grande
sulla terra, perchè è il vero umile ; egli è il vero eccle
siastico, che porta in sè scolpita la viva immagine del divin
Redentore; e che perciò, come seguace e partecipe delle sue
204 NASCITA DI GESU'

umiliazioni, del suo annientamento in terra, avrà diritto e


parte a quell'esaltazione, a quella gloria eterna che sta
preparata in cielo ; imperocchè, se chi si esalta sarà un di
umiliato, chi si umilia, e si umilia di cuore non può man
care di essere un di esaltato : Qui se exaltat, humiliabitur ;
et qui se humiliat, exaltabitur ( 1 ).
(1) Luc. XIV. 11 .
MEDITAZIONE DECIMAPRIMA .

Vita privata di Gesù.

PREGHIERA. - Amato mio Redentore, io mi presento din


nanzi a Voi, vi prego e vi supplico a continuarmi la vostra
grazia ed i vostri lumi, per ben conoscere i doveri del mio
stato. Voi, o Signore, che allevaste alla vostra scuola i primi
sacerdoti, formate anche me secondo le vostre mire e se
condo il vostro cuore ; fate che io impari sempre più qual
sia la vita, quale lo spirito che convenga ad un ecclesia
stico. Vergine Maria, Angelo custode, etc.

Dalla capanna, o per dir meglio, dalla scuola di Betlemme,


ci tocca partire, fratelli miei, e portarci ad un altro sito,
ove il nostro gran Maestro, il divin Redentore, ci attende
per darci altri esempi ed insegnarci altre virtù. La nuova
scuola a cui ci chiama è la casa di Nazaret. L'autore della
Imitazione di Cristo, raccomanda vivamente ed inculca di
meditare con sommo nostro studio sopra la vita del Re
dentore : Summum studium nostrum sit in vita Jesu
Christi meditari ( 1 ) ; troveremo in essa insegnate e pra
(1 ) Lib. I. c. 1 .
206 MEDITAZIONE DECIMAPRIMA

ticate tutte quelle virtù , doti e perfezioni che fanno un


buon cristiano ed un santo ecclesiastico. Inspice et fac se
cundum cxemplar, quod tibi in monte monstratum est (1 ) ;
ecco lo specchio, ecco il modello, ecco l'originale ; qui non
vi è pericolo di sbaglio, se la copia gli è conforme.
E per venir tosto all'argomento, possiamo distinguere nel
sacerdote due personaggi, uno privato intento alla propria
santificazione, ed un altro pubblico, destinato e consacrato
al bene ed al vantaggio comune ; amendue questi stati hanno
virtù ben diverse tutte proprie e speciali, ma egualmente
necessarie anzi indispensabili . Or bene Gesù Cristo ci.
lascia niente a desiderare, e fattosi già nostro maestro e
modello fin dalla nascita, ci vuole precedere in ogni passo
ed in ogni stato. Come alla capanna di Betlemme ci insegnò
le disposizioni fondamentali ed indispensabili per riuscire
vere immagini, vere copie di lui, cosi nella casa di Nazaret 1

1
ci mostra la vita domestica e privata che deve tenere un
sacerdote, e nei tre anni del suo apostolato ci presenterà
i caratteri , le qualità che devono accompagnare l'evangelica
nostra missione. Andiamo pertanto stamane a vedere, ad
imparare da questo divino modello, come si formi il vero
sacerdote nella propria casa e qual regola gli convenga se
guire. Amore al ritiro ed al silenzio, amore al lavoro, amore
alle pratiche di pietà, ecco le virtù esercitate dal divino
Maestro nella sua vita privata, ecco le virtù che dobbiamo
pure praticar noi come personaggi privati. La materia, fra
telli miei , è troppo importante; prendiamo adunque a con
siderarla con attenzione, con impegno e con desiderio grande
di approfittarne.
I. Il primo mezzo col quale il primo Sacerdote, il
N. S. Gesù Cristo si formò e si preparò pel suo grande
apostolato, fu il ritiro ed il silenzio. Ritornata dall'Egitto la
S. Famiglia, venne a fermarsi in Nazaret, e fu in questa
(1) Exod . XXV . 40.

4
VITA PRIVATA DI GESU ' 207

picopla città, in una povera casa, sotto gli occhi di due sem
plici persone, nell'oscurità di un umile mestiere, che si
allevò il più gran personaggio del mondo, il divin Reden
tore. Mentre i figli dei grandi si crescevano in mezzo al
tumulto ed alle pompe del secolo, mentre si addestravano
a grandi imprese, e si avviavano alle carriere più nobili e
più lucrose, al contrario, il più grande di tutti abitava un
povero tugurio sconosciuto ed ignoto, occupato in ciò che
il mondo ritiene come più basso e più vile. Chi sa quanti
in allora, come in tutti i tempi, gareggiavano per l'onore
o pel guadagno nelle armi, nelle scienze, nei traffici, negli
affari, mentre invece colui che con una parola avrebbe
fatto tacere tutti i sapienti del mondo, colui che poteva da
se solo più che tutti gli eserciti , se ne stava silenzioso in
un angolo della terra. Anche in allora nelle grandi città si
tenevano adunanze, si facevano feste, si davano pubblici
spettacoli e divertimenti; ma questo divin personaggio sempre
lontano dai tumulti , dai luoghi di dissipazione, di allegria,
vivea come se egli non fosse per il mondo, nè il mondo
per lui . Venit Nazaret, et erat subditus illis ( 1 ) ; in com
pagnia e sotto la dipendenza di Maria e di Giuseppe, pas
sava i suoi giorni senza cercar di comparire, di farsi co
noscere, neppure nel luogo dove abitava. Aveva tanti mezzi
per farsi ammirare : con un suo discorso, con un'azione un
po' straordinaria, senza dire un miracolo, avrebbe potuto
far parlare di sè, eppure no ; si tenne, per cosi dire, se
polto talmente nel ritiro e nel silenzio, che tra lui e l'ul
timo dei figli di quel luogo, non si faceva differenza . Se si
vedeva, se si aveva a parlargli, a trattare con lui, non era
che il figlio di un povero fabbro e d'una madre, che pure
per nulla spiccava tra le altre donne. Fratelli miei, che gran
maestro è mai questo ! egli è un Dio, quel Dio stesso
che un di avrà prostrate a' suoi piedi per giudicarle tutte
(1 ) Luc. II . 51
208 MEDITAZIONE DECIMAPRIMA

quante le umane generazioni ; un Dio fatto si piccolo, si da


poco, si ignoto, da non attirare nemmeno gli occhi di un sol
uomo ! Ma e per quanto tempo ? Finchè fu fanciullo, pare
meno ammirabile e prodigiosa questa condotta ; ma egli
giunge all'adolescenza, si fa grandicello, eppure non si muove,
è sempre inosservato e sconosciuto. Viene, si può dire, uomo
fatto, passa i venti, tocca ormai i trent'anni, ed è sempre
quel di prima : un povero figlio, il quale pare sostenere le
miserie e gli anni dei suoi poveri genitori ; non lo si conosce,
non se ne parla, meno ancora di quando era nelle fasce,
perocchè allora la comparsa della stella, la venuta dei Magi,
suscitarono almeno qualche rumore, qualche ciarla, tutte
cose però che ora sono dimenticate. Ai nostri occhi, bisogna
dirlo, sembra questa una stravaganza : il proprio onore, la
gloria del suo Padre, il vantaggio della famiglia, il sollievo
dalle proprie miserie, l'interesse stesso della celeste sua mis
sione, pare che richiedessero tutt'altro. — E che gran bene,
secondo noi , che rinomanza non sarebbe stata la sua, se in
età ancor fresca avesse operato quei miracoli che aspettò
a fare sul fine de' suoi giorni, se da giovanetto avesse
sciolto la lingua alla celeste sua sapienza ! la stessa età
avrebbe somministrato, si può dire , una prova miracolosa
alla sua venuta . – Cosi la penseremmo noi, che vediamo le
cose solamente al di fuori ; ma cosi non la pensò Iddio.
Colui che era venuto per combattere il mondo, i suoi
pregiudizi, le false sue massime, fece prima veder coi
fatti che nulla gli caleva di tutte le follie, onori, ric
chezze, comodi , divertimenti mondani, e mentre il mondo
andava perduto dietro a queste menzogne, egli nella casa
di Nazaret, dentro una piccola bottega, andava preparan
dogli la guerra.
Ma quali furono i frutti di questa sua condotta tutta
ammirabile e divina ? | Vangelo dice che in tutto quel
tempo di vita segreta e nascosta il divin Redentore Pro
VITA PRIVATA DI GESU ’ 209

ficiebat sapientia ... et gratia apud Deum et homines ( 1 ),


cresceva in sapienza, in amore e grazia presso Dio e presso
gli uomini ; e vuol dire che quel tenore di vita, cosi lon
tano dalle mire e dallo spirito del mondo, servi a far com
parire maggiormente la sua virtù davanti all'Eterno Padre
ed a conciliargli nello stesso tempo maggior rispetto e ri
verenza dal popolo. Primieramente egli contentò appieno i
desiderii del suo celeste Padre ; sicchè in occasione del suo
battesimo, si meritò da lui quella pubblica testimonianza :
Hic est Filius meus dilectus, in quo mihi bene com
placui (2) ; e non disse complaceo, perchè non si riferisse
solo a quello che stava facendo, ma complacui, che doveva
necessariamente abbracciare anche quello che aveva fatto
prima, durante la sua vita nascosta. Ottenne pure l'altro
effetto, il rispetto cioè e la riverenza del popolo, inquantochè,
cominciando il suo apostolato ed imprendendo a predicare,
egli comparve come un uomo nuovo, come un uomo ve
nuto allora allora dal cielo, senza che nessuno lo potesse
intaccare menomamente. Ecco i frutti, i vantaggi della vita
ritirata di N. S. Gesù Cristo ; ed ecco pure la prima im
portantissima lezione ch'egli dà per un sacerdote che voglia
vivere secondo lo spirito del suo stato, per un sacerdote
che voglia trarre frutto dal suo ministero : ritirarsi, appar
tarsi, star lontano dai rumori e dissipazioni del mondo.
Dio ed il mondo, o cari miei, non stanno insieme, lo spirito
dell’uno è incompatibile collo spirito dell'altro e non può
venirsi a mezzi termini, ad accordi, non si può essere metà
dell'uno e metà dell'altro. Il mondo si acquieterebbe bensi
a certe transazioni, ma non cosi Iddio ; egli le rigetta, le
ripudia e , non vuol sentir condizione alcuna. Quindi è che
l'ecclesiastico il quale vuole aver davvero lo spirito del Si
gnore, deve necessariamente venire a questo taglio, a questa
separazione dal mondo ; separazione di cuore col disprezzo
(1 ) Luc. II . 52 . (2) Matth . XVII . 5 .
210 MEDITAZIONE DECIMAPRIMA

delle sue follie, separazione di corpo, per quanto gli è pos


sibile, colla ritiratezza, colla solitudine. Noi siamo stati se
parati dal mondo per essere tutti del Signore : Separavi
vos a cæteris populis, ut essetis mei ( 1 ) ; noi non siamo
più del mondo, ed il mondo non è più per noi.
Del resto tutto in noi, si può dire, ci vuole lontani da
questo mondo : la santità del nostro stato , lo spirito di
pietà e di orazione che richiede, la scienza che ci è ne
cessaria, la natura dei nostri ministeri, tutto esige che siamo
staccati dal commercio del mondo. E come poter essere puri
e santi, come mantenerci uniti in ispirito col Signore, come
aver tempo e testa per procurarci la scienza necessaria,
come poter adempire debitamente a tanti nostri doveri di
carità, di zelo e di religione, se ci frammischiamo colla
gente di mondo, se prendiamo parte ai loro passatempi ,
alle loro partite, alle loro conversazioni? Io fo questo ri
ſlesso : un vero sacerdote è tenuto per ragione del suo
stato ad impedire tutto il male che può ; e per quello
che non può, se ha zelo, se ha lo spirito del suo stato ,
deve sospirare , deve piangere davanti al Signore. Ora
jo domanderei che sospiri possa dare e che lacrime possa
spargere un sacerdote sopra quei peccati che, trafficando
cosi nel mondo, deve vedere e sentire ogni momento ? non
accadrà invece che si dimostri poi indifferente ? E può un
sacerdote stare indifferente nel suo cuore alla vista di un
peccato ?
Che se vogliamo veder più davvicino, vogliamo quasi
toccar con mano la necessità della fuga dal mondo e l'im
portanza della ritiratezza, facciamo un paragone e ve
diamo la gran differenza che passa tra un sacerdote che
fugga il mondo ed un altro che lo frequenti . Metteteli pure
in pari grado di scienza, di età, di temperamento ; ma os
servateli entrambi nelle loro azioni, nel celebrare la Santa
( 1 ) Levit. XX . 26 .
VITA PRIVATA DI GESU ' 211

Messa , nel recitare il Breviario, nel predicare, nell'ammi


nistrare i Sacramenti, nell'assistere gli ammalati, perfino
nel guardare,' nel parlare, nel divertirsi, nel ridere. Io sono
certo che vi troverete una gran differenza nel modo, nella
gravità, nella compostezza della persona, nella modestia degli
occhi. La solitudine dà un'impronta quasi celeste al sacer
dote, sicchè uscendo egli di casa, par quasi che spunti una
persona nuova sulla terra. Il suo sguardo, le sue parole,
tutto il suo fare va condito da un certo spirito ed accom
pagnato da una certa unzione, che è frutto di quella pace,
quiete e tranquillità che gode solamente il sacerdote ritirato.
Datemi invece un altro che frequenti il mondo, e voi pur
troppo vedrete tosto in lui un'aria leggiera, dissipata, un
animo irrequieto, un uomo insomma che è fuori del suo
centro ; e quand'anche si sforzasse per comparire diverso,
non vi arriva .
Molto più poi si rileva la differenza fra l'uno e l'altro,
se guardiamo la purità di coscienza. Diceva benissimo san
t'Ambrogio che il sacerdote il quale coltiva la cella, è come
il fiume che sta tranquillo nel suo letto e mantiene le sue
acque limpide e pure. Al contrario chi va girando pel mondo
è come il fiume che straripa e corre fuori per le cam
pagne. Che ne avviene ? Quell'acqua, che nel suo sito pri
miero e naturale era chiara, bella e limpida, si fa lorda e
fangosa, e mena con sè ogni sorta di lordure ; cosi è del
sacerdote mondano e dissipato. Le strade del mondo sono
fangose e molto; è quindi impossibile che non si lordi chi
le frequenta, ancorchè sia un cuore pio e devoto : Necesse
est de mundano pulvere etiam religiosa corda sordescere.
Ora se anche un cuor pio e divoto non può a meno che
restar un po' insozzato dalla polvere di questo mondo, pen
sate voi di quanta polvere, o per dir meglio, di quanto
fango andrà a ricoprirsi il cuore di un sacerdote che non
sa stare a casa e cammina esposto ad ogni vento. Osser
212 MEDITAZIONE DECIMAPRIMA

vate nella nettezza corporale. Chi vive ritirato ed esce di


rado, e, quando gli tocca uscire, cammina colle debite cautele,
più facilmente si tiene pulito nelle proprie vesti, e se contrae
una qualche macchia, non può essere che leggera, subito
la scuopre, facilmente se la toglie. Al contrario chi vaga
per le strade, per ogni sorta di vie e di stagioni, non può
andar molto che si mostri lordo ed imbrattato, e conti
nuando non farà che metter fango sopra fango, e quel che
è peggio alle volte non se ne accorge nemmeno, tanto è
distratto da ciò che vede e sente. Si crederà forse di fare
la migliore figura del mondo, ma chi lo incontra e lo vede
scorge subito lo stato in cui egli si trova. La cosa si può
applicare letteralmente in senso morale al sacerdote che
trovi penoso lo stare ritirato, ed esca sovente pel mondo.
Ma vi ha di più. Se dallo spirito interno, dalla purità di
coscienza noi andiamo al frutto del nostro ministero ed al
bene delle anime, la cosa non è men grave. Difficile che
la gente voglia prender la legge da quelle labbra che hanno
veduto parlare, ridere, scherzare tuttodi come un di loro, e
forse peggio di loro : difficile che i fedeli si diano a credere
che quel sacerdote cosi mondano , leggiero , dissipato , e
cosi attaccato alle cose di terra, sia poi ripieno dello spirito
del Signore, e che sappia far loro da guida come quell'angelo
mandato da Dio al buon Tobia ! Ah ! fratelli miei, non
diamoci ad intendere che questi riflessi siano cavati , come
si dice, di sotto al torchio, li sanno fare i libertini, li sa
fare perfino il volgo ; e si vede per esperienza che se hanno
un consiglio a prendere, se vogliono un di farsi buoni dav
vero, se si trovano alle strette con una malattia mortale,
d'ordinario non fanno capo a quei sacerdoti che sempre
hanno sotto gli occhi, ma piuttosto all’ecclesiastico ritirato
e nascosto, che mostra col fatto di vivere più al Cielo che
alla terra. Conoscono essi medesimi il mondo non essere
fatto pel sacerdote, ed essere impossibile che un ecclesia
VITA PRIVATA DI GESU ' 213

stico lo frequenti e sia veramente buono. Un sacerdote che


stava per prendere un'occupazione in un paese, esitava ad
andarvi per le gravi discordie ed i molti vizi che vi regna
vano, e domandò ad un secolare del luogo, se andandovi
c'era speranza di far del bene. Sapete la risposta che ne
ottenne ? — Farà del bene a perfezione se starà ritirato.
– Bella risposta che racchiude grandi lezioni per noi.
Cari miei, se vogliamo ancor noi far gran bene, prati- .
chiamo la solitudine. Tutti gli uomini apostolici, ad esempio
del primo Sacerdote, o sono usciti dal ritiro e dalla solitu
dine, o per lo meno, stando nel mondo, hanno fatto la pre
parazione e poste per cosi dire le fondamenta della loro vita
apostolica, fuggendo dal mondo, schivando i suoi rumori,
il suo fasto, la sua dissipazione. Cosi S. Francesco Regis,
S. Francesco di Sales, S. Vincenzo de' Paoli, S. Alfonso e
tanti altri. Fuggiamo adunque ancor noi dal mondo, dai
suoi tumulti, e perfino dalla sua vista ; amiamo il ritiro,
la solitudine, la nostra cella , e non usciamo mai di casa
che pel bene delle anime, pei nostri doveri, o per un motivo
ragionevole di sanità, di vera convenienza o d'altro : saranno
infiniti, per cosi dire, i vantaggi che ne ricaveremo : ci ri
sparmieremo molte spine e molti guai, godremo d'una pace
interna ed esterna che supererà di gran lunga tutte le sod
disfazioni che ci possono offrire i sollazzi e le dissipazioni
del mondo.
Ma per poter principiare questo piano di vita ritirata e
nascosta e per poterla durare, procuriamo di vivere di
quello spirito interno cosi necessario all'ecclesiastico e che
forma il fondamento della vita nascosta ; spirito che non
opera a caso o per fini umani , ma per gloria di Dio ;
spirito che non cura di far molto , ma di far bene;
spirito che non giudica le cose dalle apparenze, ma solo
dalla sostanza, e che perciò ritiene per vanità senza so
stanza tutto ciò che non è di gloria del suo Signore ; spi
214 MEDITAZIONE DECIMAPRIMA

rito infine che per norma, per guida, per premio non guarda
ad altro che Dio. Vestiamoci e viviamo di questo spirito,
e vedremo come il mondo ci sparirà dagli occhi , ci fa
ranno compassione le sue feste, i suoi passatempi, e trove 1
remo dolce e consolante il ritiro. Di più deponiamo dal
nostro capo quella voglia, direi naturale e spontanea, di 1

comparire, di farci conoscere, di far sapere che siamo anche 1

noi nel mondo ; stampiamoci in cuore quella gran massima


dell'Imitazione : Ama nesciri et pro nihilo reputari ( 1) ; per
quanto sta da noi amiamo di essere sconosciuti al mondo,
e che il mondo non faccia conto di noi. Quando il Signore
si voglia servire della nostra persona per qualche cosa di
suo servizio, di sua gloria, troverà il modo di cavarci dal
nostro ritiro, ed allora la nostra comparsa sarà tanto più
gloriosa e tanto più utile, quanto più fu da noi fuggita.
Che se per nostra umiliazione il Signore ci lascierà per
qualche tempo in oblio, guarderà il nostro umile nascon
dimento come se facessimo le opere più grandi e si com
piacerà di noi come si compiacque del suo Divin Figlio
nella sua vita ritirata e nascosta di Nazaret .
II. Perché il nostro ritiro possa essere di gradimento agli
occhi di Dio, nopo è che sia conforme a quello di Gesù,
cioè dire, sia un ritiro occupato. La ritiratezza e l'oc
cupazione sono inseparabili nel sacerdote, perchè l'una
serve di mezzo all'altra, e un ecclesiastico non sarà mai
uomo di ritiro se non è occupato. Venga adunque il sa
cerdote alla scuola del divin Redentore, entri nella casa
che abitava durante la sua vita privata, e vedrà quale sia
il tenor di vita che, ad esempio del maestro, convenga ai
discepoli quali sono in special modo i sacerdoti .
Che il divin Maestro lavorasse, e non in apparenza, nè
per puro divertimento, si vede chiaro nel Vangelo : Venit
Nazaret, et erat subditus illis ( 2 ), e ciò sin verso ai
( 1 ) Lib. I. cap. 2 . (2) Luc. II . 51 .
1
VITA PRIVATA DI GESU ' 215

trent'anni. Ma in che cosa dipendeva? Se avesse fatto niente,


se fosse vissuto come certi sacerdoti vivono sotto questo
rapporto, sarebbe stata un'ubbidienza ridicola, poichè vi
mancava perfin la materia di ubbidire . In che cosa adunque
ubbidiva? Non può essere altrimenti che nell'esercizio della
professione di Giuseppe, quella del falegname. Difatti allorchè
il divin Redentore cominciò la sua predicazione, il popolo,
le turbe attonite e come fuori di sè per lo stupore a tanta
sapienza e dottrina, andavano ripetendo tra loro : - com'è
mai possibile che costui ne sappia sino a quel punto, ed
abbia potuto acquistare tanta scienza, quando tutti sappiamo
che non è mai stato più che un fabbro e fin da piccolo avvezzo
a questo mestiere di suo padre ? Nonne hic est faber......
fabri filius (1 ) ? - Or bene per acquistarsi quel nome e per
essere tenuto universalmente per tale, bisognava ben che
lavorasse davvero, continuamente, in pubblico ed in pri
vato. Che mistero, fratelli miei , un Uomo-Dio, e quel Dio
medesimo che con un fiat ha creato tutto l'universo, ve
derlo là intento a lavorare un pezzo di legno ed applicato
con tanta assiduità ed attenzione, come se fosse stata la
prima opera del mondo ! e si che lo era, mentre con quel
l'azione si vile ai nostri occhi egli compi la volontà del
suo Eterno Padre, e lo soddisfece talmente che là sul Gior
dano si meritò quelle parole già accennate : Hic est filius
meus, in quo mihi bene complacui.
È questa, o fratelli miei, la seconda lezione che dà ad
ogni sacerdote il Divin Redentore : lezione importante, che
ci ricorda sia la necessità di occuparci al lavoro, sia i ca
ratteri che deve avere la nostra occupazione.
Una massima sovente ripetuta fra i monaci dei primi tempi
diceva , che se v'è un demonio per tentare chi lavora, ve
ne sono cento d'attorno all'ozioso : operantem monachum
doemone uno pulsari; otiosum vero innumeris spiritibus
(1) Marc. VI . 3. Matth . XIII . 55.
216 MEDITAZIONE DECIMAPRIMA

devastari (Cassiano) ; epperciò il grande S. Girolamo usava


ripetere e raccomandare spesso ai suoi allievi di far sempre
qualche cosa : Facito semper aliquid , ut diabolus te sem
per occupatum inveniat. L'uomo, come ognun sa , nasce
për faticare ; ogni persona onesta e con un po' di sale in
capo si fa un dovere di procacciarsi un'occupazione ; solo
adunque l'ecclesiastico porterà quest'onta di vivere senza
lavoro ? Ah cari miei ! il sacerdote ozioso non ha che a fare
un passo per divenir vizioso, anzi l'ozio stesso è già vizio.
Ma non è mia intenzione fermarmi sulla necessità del la
voro e sui pericoli dell'ozio ; io amo meglio ricorrere a più
forti motivi , all'esempio cioè di Gesù e considerare i ca
ratteri che devono accompagnare le nostre occupazioni,
quando vogliamo essere proprio veri sacerdoti ed imitare
questo divino modello.
Occupazione assidua e costante, occupazione adatta e utile,
occupazione ordinata, occupazione dipendente, ecco i carat
teri che accompagnarono, come abbiam visto, il lavoro di
Gesù e che dobbiamo pure far nostri.
Per primo adunque, occupazione continua, assidua, co
stante. Noi siamo sempre sacerdoti egualmente in qualunque
punto della nostra vita, epperò sempre cogli stessi oneri ;
i giorni corrono veloci , le obbligazioni nostre sono molte,
i bisogni crescono ogni di ; che aspettiamo per occuparci
e renderci santi ? Il sacerdote che non conosce il bisogno
e la necessità di occuparsi e crede poterne prescindere o
non usarvi tanto rigore, non conosce se stesso, gli obblighi
suoi, il suo stato . Eppure fate la prova di domandare alla
sera a certi ecclesiastici che cosa hanno fatto nella gior
nata ? — La Messa ed il Breviario: - ed è già una gran cosa,
lo so, quando fossero ben fatti; ma io dico che quando il
sacerdote celebra bene la Messa e recita bene il Breviario,
non si contenta di questo solo, ma sa aggiungervi altre
cose ; che se ha fatto nient'altro, io dubito fortemente che
VITA PRIVATA DI GESU ' 217

nemmen questo possa riempire la giornata. Ma sentiamo la


risposta da loro medesimi : – che cosa ha fatto lei que
st'oggi ? come ha passata la sua giornata ? purtroppo
sentiamo soventi rispondere : niente ; non so nemmeno
io, sono perfino annoiato ; sono andato qua, sono andato là,
ho finito con far niente . - Eh ! la bella giornata da prete
che è questa! che ne dite, fratelli miei ? Qualunque misero
contadino anche già logoro dagli anni e dalle fatiche, nu
trito molte volte malamente, pure si sforza e lavora, ed
alla sera sa dirvi e mostrarvi quel tanto di fatto nella gior
nata ; l'ecclesiastico invece, in piene forze, in buon'età, con
tutto il comodo, passa la sua giornata a far niente, ed ha
nemmen rossore di confessarlo egli stesso ! Quel sacerdote
che è stato ordinato a solo titolo del bisogno e del van
taggio della Chiesa, lo dice egli stesso che ha fatto niente !
Si, quell'ecclesiastico che dovrebbe dir agli altri come il
tempo è prezioso, corre e se ne va, e come d'ogni minuz
zolo se ne debba render conto a Dio, egli lo gitta a piene
mani con passare giornate intiere nell'ozio e nella pigrizia ! ...
Datemi un'ora in cui non sia vescovo, ed allora io tro
verò un'ora da non saper che fare : cosi rispose un
pio Vescovo ad un tale che si mostrava stupito come fosse
sempre occupato ; cosi dovrebbe rispondere e cosi la do
vrebbe pensare anche ogni sacerdote. La sola scienza della
morale, la preparazione pel pulpito bastano ciascuna ad oc
cupare tutto il tempo che può aver libero un sacerdote
dalle opere del suo ministero ; e chi se ne sbriga facil
mente e chi crede bastare uno studio fatto una volta per
sempre, chi si contenta di certe riviste fatte in fretta e
superficiali, col capo occupato di chi sa quante faccende,
la sbaglia a gran partito, non sa che cosa si faccia, non
conosce nè l'importanza, nè la delicatezza di quello che
tratta . lo dico francamente che lo studio del confessionale
e del pulpito, una scienza sufficiente pei casi che occor
CAPASSO .
Eserc . Spirit. Medit . 15
218 MEDITAZIONE DECIMAPRIMA

rono, la maniera di saper prendere un'anima, regolarla,


coltivarla, un modo di predicare utile, atto ad allettare l'u
dienza e a dirle tutto quello che si deve dire senza of
fenderla, senza annoiarla ; spianarle la via per far quello
che le si dice, saperla animare con motivi forti, piacevoli,
chiari e tante altre cose ed industrie, che sono quelle che
giovano a rendere utile il nostro ministero ; io dico che
tutto questo non è affar di un momento, non s'impara in
un giorno, ci vuole studio, considerazione, esperienza, pre
ghiera, e non d’un giorno e d’una volta, ma giornaliere e
continue. E infatti osserviamo gli uomini sommi del nostro
stato, se avevano tempo da perdere anche prima che si des
sero totalmente al ministero ; certo che no : gli uomini sommi
non nascono, ma si fanno, e non si fanno con vagar qua
e là o col marcire in un ozio ed in una pigrizia domestica,
ma con assidua fatica allo studio, alla meditazione, alla
preghiera. - Ma questa vita mi pesa, non mi va a genio,
mi annoia . - Fratelli miei, guardiamo il divin Redentore,
se quel lavoro poteva essere di suo genio ; una mente di
vina lavorare senza possa attorno ad un pezzo di legno !
Quest'esempio mi pare dovrebbe ribattere tutte le difficoltà .
Non basta però occuparsi ; il più sta nell'occuparsi in
cose adatte e utili . È una ridicolaggine, dice S. Bernardo,
pretendere di essere uomini occupati, alieni dall'ozio, e
frattanto sprecare il tempo in cose inutili e di niun pro
fitto : Ridiculum est, pro otio vitando, otiosa sectari. Che
hanno a fare col sacerdote certi studi, certe letture, di cui
non si può indicare altro effetto che quello di lasciar la
testà vuota ed il cuor secco, per non dire di più ? Sap
+
piamo ciò che accadde al dottor San Girolamo, quando at
tendeva più alle letture profane che alle sacre ; eppure non
stava già ozioso, che anzi passava le notti sopra i suoi
studi. Via adunque le frivolezze, il profano, l'inutile ; gli
studi a cui deve attendere il sacerdote sono la S. Scrittura,
VITA PRIVATA DI GESU' 219

la Teologia, i ss. Padri, la liturgia, l'ascetica, la storia della


Chiesa : ecco i campi aperti alla buona volontà ed all' in
gegno di qualsiasi ecelesiastico, ecco gli studi che devono
formare un vero apostolo capace di dar ragione della sua
fede e di guidare le anime sul sicuro sentiero della salute.
Ma per riuscirvi è necessario l'ordine. Vivere cosi alla
giornata come viene, far sempre quello che si presenta o
salta in testa, non è una vita che stia bene ad un secolare
e molto meno ad un sacerdote. Se oggi si studia e domani
non più, oggi molto e domani poco, oggi si fa una cosa e
domani un'altra, alla fine che cosa ne risulta ? una scienza
dimezzata , una scienza superficiale e confusa ; e alle volte
sarebbe meglio essere ignorante, perché l'ignorante che co
nosce la sua incapacità, si consulta , pensa ; mentre al con
trario chi si crede dotto e non lo è, cammina franco, sen
tenzia e decide Dio sa come. Occupazione adunque ordinata,
se vogliamo ritrarne vantaggio e profitto ; ordinata nel
tempo, ordinata nelle materie.
Infine dobbiam procurare che la nostra occupazione sia
dipendente. Non abbiamo rossore di rapportarci in questa
materia ai consigli altrui, di prendere parere da chi può
aver criterio, virtù ed esperienza più di noi , per conoscere
quale studio e quale applicazione possa promettere maggior
vantaggio a noi ed alle anime, avuto riguardo alle nostre
attitudini ed inclinazioni. Quand'anche ci paresse di sa
perne più che altri, tuttavia quest'atto di assoggettare il
nostro al giudizio altrui sarà sempre un atto di virtù, una
benedizione ed un conforto per noi ; e qualunque sarà l'e
sito delle nostre occupazioni, non potrà mancarci la testi
monianza della nostra coscienza, di non aver agito di pro
pria testa. Ma veniamo all'ultima virtù della vita privata .
III. Fratelli miei, vogliamo noi riuscire veri ecclesiastici
ed essere degni di questo nome ? Ecco la terza cosa che ci
tocca fare : alla ritiratezza, ad una occupazione continua ed
220 MEDITAZIONE DECIMAPRIMA

ordinata, noi dobbiamo ancor aggiunger l’amore alla pietà,


alla devozione.
Io credo, e non si potrà dire diversamente, che la casa
benedetta di Nazaret era come un tempio ed un paradiso
in terra, in cui quelle anime pure e santissime continua
mente lodavano ed adoravano la suprema divina Maestà .
Chi sa quante volte lungo il giorno Maria e Giuseppe, in
compagnia del divin Redentore, si facevano d'accordo a
tributar lodi ed omaggi al celeste e divin Padre ; ma non
abbiamo bisogno di congetture e di supposizioni , perchè
parla abbastanza chiaro il Vangelo a questo riguardo. Ogni
anno, dice il sacro testo, il divin Redentore si recava ' al
tempio di Gerusalemme per ivi celebrare la Pasqua. Osser
viamo brevemente gli aggiunti di questa gita religiosa. Gio
vane qual era, gli conveniva fare a piedi, esposto a tutte
le intemperie, un viaggio di molte leghe, e chi sa per quali
strade ; eppure niente lo ratteneva, vi andava e non già a
malincuore o solo per abitudine, ma volentieri e altamente
persuaso dell'importanza di ciò che faceva, come dimostrò
allorchè, dimentico perfin dei parenti , vi si fermò per ben
tre giorni. L'avrà fatto forse per curiosità, per voglia di
vedere o di essere veduto, o per altri fini umani ? Nulla
di tutto questo, ma unicamente per compiere la volontà e
procurare la gloria dell' eterno suo Padre ; lo dice egli stesso
alla sua Madre : In his quæ Patris mei sunt oportet me
esse ( 1 ).
Quante belle lezioni per un sacerdote in questo tratto !
ma fermiamoci alla principale, quella di fare stima e stima
grande di tutti gli esercizi di religione, di tutte le pratiche
di pietà, di tutto ciò che ci può giovare al nostro avanza
mento spirituale o condurre al culto ed all'onor di Dio.
Tali sono, per citarne alcune, la meditazione, la lettura spi
rituale, la visita al SS. Sacramento, l'esame di coscienza,
(1) Luc. II . 49.
VITA PRIVATA DI GESU ' 221

cose tutte che si possono dire indispensabili per un sacer


dote che voglia mantenersi in fervore e far profitto nella
pietà. Non basta : fare un gran conto anche delle pra
tiche esterne e pubbliche, come sarebbe l'uso dei Sacra
mentali, l'assistere alle funzioni di chiesa, l'ascoltare la parola
di Dio, la recita in comune del Rosario, e andiamo dicendo.
E pare a voi che tali atti di pietà siano da noi avuti in
quella stima che si conviene ? I fedeli anche meno devoti
fanno uso dell'acqua santa non solo in chiesa, ma molti
anche nella propria camera al mattino ed alla sera ; ed il
prete ? - Oh che bisogno di acqua santa .... — Dio non voglia
che metta ancora in burla chi se ne serve. Si reciterà il Rosario
in tante famiglie, ma in quella del prete non se ne parla ;
forse si dirà in casa sua, ma bisogna aspettare che egli sia
fuori o dopo andato a letto. Si annunzierà la parola di Dio,
ed il popolo benchè stanco, benchè talvolta ne capisca poco,
pure sta là pendente dalle labbra del predicatore, ed il prete
sarà in un angolo a dormire o a ciarlare. Si darà il segnale
di portar il Viatico : il contadino, l'artista, benchè occupati,
corrono , la vecchia che stenta a muoversi, pure si sforza,
ed il sacerdote che ha niente da fare, sta ridendo sulla piazza
o per le contrade. Sarà il tempo delle funzioni, ed il popolo
a folla si raduna alla chiesa, ed il sacerdote o va allora al
passeggio o va alla partita. E questo sarà buon esempio ?
sarà aver amore ed affezione alle pratiche di pietà e di re
ligione ? Ma qualcuno può dire : la vera pietà non con
siste in queste cose ; si può essere buon cristiano, buon
sacerdote, senza tanta esteriorità . Adagio, fratelli miei ,
la corteccia dell'albero non è di sostanza, ma togliete la cor D

teccia, e si vedrà; queste pratiche esterne tengono viva per


noi la pietà interna, e per gli altri servono a far vedere,
a far conoscere la religione che abbiamo in cuore; il popolo
non ha da sapere quello che noi siamo o pensiamo nel
nostro interno ; esso giudica dalle nostre opere. E bisogna
222 MEDITAZIONE DECIMAPRIMA

pur confessare che non la sbaglia, poichè si vede purtroppo


che chi non ama queste pratiche esterne, non coltiva nep
pure il suo interno. Dobbiamo adunque far grande stima delle
pratiche e degli esercizi di pietà e non lasciarli cosi facil
mente per ogni poca cosa che ci avvenga.
Ma non sta ancora tutto qui ; non basta stimare ed anche
praticare questi atti di religione, ciò che più importa si è
di farli bene ; è dal modo di farli che dipende tutto il frutto
e vantaggio. Farli solo a metà, per apparenza , per conve
nienza, per non dare nell'occhio, farli con indifferenza, con
freddezza volontaria, quasi per forza e come necessitati,
senza internarsi , a questo modo o non la dureremo, non
saremo perseveranti, o se anche la durassimo, qual profitto
ne potremmo sperare ? Eh ! persuadiamoci, fratelli miei, che
soltanto chi vi si mette con tutto l'impegno e con tutto se
stesso, colui che vi si applica persuaso del proprio dovere,
penetrato dell'importanza di ciò che fa, solo questi sarà
perseverante e ne ricaverà quei vantaggi che abbiamo veduti.
Ancora una lezione e di grande importanza ci porge il
Nostro Divin Redentore nella sua andata al tempio. Tocchia
mola brevemente prima di finire. La lezione è questa : in
ciò che riguarda la gloria di Dio, l'esercizio del nostro mi
nistero, il nostro genere di vita da sacerdote, la scelta della
nostra carriera e generalmente tutto ciò che può aver re
lazione cogli interessi di Dio e col nostro avanzamento non
mai · lasciarci dominare e regolare dai parenti e dai con
giunti. Cosi ha fatto Gesù. Volendo fermarsi al tempio po
teva ben manifestare prima a Maria ed a Giuseppe la sua
• intenzione, comunicar loro il suo disegno, che certamente
non si sarebbero opposti ; eppure no. In tutto il Vangelo
non leggiamo mai, che nel corso della sua vita, di tante sue
imprese ne abbia parlato qualche volta prima colla sua
Madre. Di più, tanto era fermo e persuaso di doversi cosi
regolare, che, allora quando la Madre si lagnò, le diede una
VITA PRIVATA DI GESU' 223

risposta che pare un rimprovero : Nesciebatis quia in his


quæ Patris mei sunt oportet me esse ? - ben lontano dal
chiederle una qualche sorta di scusa, di calmarla, di tran
quillarla, e come ? dice, non sapete ancora e non ,
dovete forse saperlo, nesciebatis, che in tuttociò che riguarda
mio Padre, non solo in questo e adesso, ma sempre ed in
tutto, oportet, fa d'uopo, è necessario, mi è indispensabile
che io mi trovi, vi stia, mi fermi, mi occupi totalmente ?
Nesciebatis quia in his quæ Patris mei sunt oportet me
esse ? --- Cosi la dovrebbe pensare, cosi la dovrebbe ragionare
ogni sacerdote : io sono prete, e non sono prete nè per il
padre, nè per la madre, nè per i fratelli, nè per i nipoti ,
io sono prete per Dio : homo Dei ( 1 ). Io sono un uomo
destinato non per altro che per Dio, sicchè in ciò che con
cerne i suoi interessi, in ciò che esige la sua gloria, in cio
che riguarda il mio stato, io non conosco alcun parente.
O contenti, o non contenti, è d'uopo che io studii, che viva
in quel modo, che lasci quell'occupazione, che prenda la
tal altra ; parlino, si lamentino, facciano tutto quel rumore
che vogliono, lo dovevano già sapere prima che mi facessi
prete, molto più lo devono sapere adesso : In his quæ Patris
mei sunt oportet me esse .
Felice quel sacerdote che sa per tempo farsi questo piano !
allontanerà da sè molti disturbi e si risparmierà molti crucci.
Felice, ripeto, il sacerdote che, ispirandosi alle grandi lezioni
che ci dà il divin Redentore, coll’amore al ritiro, coll'as
sidua occupazione, collo spirito di pietà e di religione, si
renderà conforme a questo divin modello ! Non potrà a meno
che riuscire un santo sacerdote, divenire un apostolo da
operar meraviglie nella vigna del Signore.
(1) IV Reg. I. 9.
--
MEDITAZIONE DECIMASECONDA

Vita pubblica di Gesù.

PREGHIERA . Amabile mio Salvatore, prostrato davanti


a Voi, vi prego di assistermi colla vostra grazia , di gui
darmi coi vostri lumi, affinché possa sempre meglio co
noscere lo spirito della sublime mia vocazione. Ah ! mio
caro Redentore, Voi che vivendo sulla terra sapeste si bene
attirare le anime e guadagnarvi • i cuori, insegnate anche
a me in quest'oggi quei modi e quelle finezze che furono
cosi proprie di Voi, e che sono tanto necessarie al nostro
stato. O cara Madre Maria, che udiste tante volte le dolci
parole del vostro Gesù e ne ammiraste le gesta maravi
gliose, fate che io mi formi ai suoi divini esempi e mi
renda degno suo ministro. Angelo nostro custode ecc.

Spirito di pazienza, di povertà, di umiltà, amore al ri


tiro, al lavoro, alle pratiche di religione, ecco le virtù che
finora abbiamo studiato per informarne il nostro spirito,
il nostro cuore : virtù necessarie, qualità indispensabili per
qualsiasi sacerdote. Ma basteranno esse per un vero mi
nistro di Dio, che quale luce del mondo e sale della terra
VITA PUBBLICA DI GESU ' 225

è destinato ad illuminare, a santificare le anime? Eh no :


chè questo ministero pubblico del sacerdote è ben diverso
dallo stato di pace, di calma, di quiete della vita privata ;
altro spirito, altre virtù, altre opere si richiedono ancora
nel soldato del Signore, perchè esposto ad altri pericoli,
a più forti tentazioni, circondato di nuovi e più accaniti
nemici. Guai all'ecclesiastico che si getta nei cimenti del
mondo sfornito delle virtù necessarie, e forse con una
voce in cuore che lo rimprovera di esservisi condotto più
per genio, per propria voglia, che per volontà di questo
Dio. Il demonio e il mondo non aspettano che sacerdoti
di questa sorta per farne preda a loro trionfo ed a scorno
di noi e della nostra religione. Che cosa dire perciò di
quei sacerdoti che, lasciati forse per qualche tempo in di
sparte, o destinati ad esercitare il ministero in luoghi pic
coli ed oscuri, e conseguentemente di minor responsabilità,
sempre sospirano cariche di maggior importanza, anelano
a posti migliori e più appariscenti, e non ottenendoli si
lasciano andare a malinconie, a scoraggiamenti di spirito,
e talora perfino a lagnanze di torti, di ingiustizie : che non
si conosce, non si fa caso del merito, che è inutile aver
studiato, aver lavorato e via dicendo ? Ah ! fratelli miei,
bisogna dire : o che sono presuntuosi, o che non compren
dono i pericoli e le responsabilità del ministero, né le
molte virtù che richiedono per ben esercitarlo. Ma per lo
contrario dovremo forse ritrarci dall'esercizio del ministero
pel timore di quei pericoli o per troppa diffidenza di noi
medesimi? Questo neppure : Necessitas enim mihi incum
bit, diceva S. Paolo, e necessità cosi grave che vae enim
mihi est si non evangelizavero (1 ) ; e questo vale per cia
scuno di noi, perchè il sacerdote Pro hominibus consti
tuitur in iis quae sunt ad Deum (2) : ne abbiamo dunque
il dovere, .e perciò non ci resta altra via che quella di
(1 ) I. Cor. IX. 16. (2) Hebr. V. I.
226 MEDITAZIONE DECIMASECONDA

darci a tutta possa per procurarci le virtù a ciò neces


sarie. Io tocchero delle principali insegnateci in particolar
modo dal N. D. Redentore, cioè : spirito di orazione, spirito
di dolcezza e carità, spirito di vero e pieno disinteresse ;
lo che vuol dire che l'uomo apostolico deve essere un
uomo di preghiera, tutta bontà, e che in tutte le sue
azioni non abbia altro in mira che l'onore e la gloria di
Dio, e la salute delle anime. Ecco il vero apostolo, il degno
operaio del Signore che farà un bene immenso sulla terra,
ed aumenterà di molte anime quella già numerosa famiglia
del bel Paradiso. Cominciamo.
I. Che il Signore pregasse durante il suo ministero
evangelico, e pregasse a lungo, e frequentemente, e in
molte maniere, non possiam dubitarne, perchè lo dice
troppo chiaro il Vangelo. Io lascio a parte quel ritiro e
quell’orazione di quaranta giorni, che egli fece precedere
alla sua predicazione, e vengo direttamente al tempo delle
sue fatiche apostoliche. Molte volte, dice il sacro testo,
s'appartava dai discepoli e dalle turbe per attendere le
ore e le notti intiere all'orazione : Ipse autem secedebat in
desertum et orabat ( 1 ):.... Erat pernoctans in oratione
Dei (2) :... Cum dimisisset eos, abiit in montem orare (3).
La frequenza poi e la moltiplicità delle sue preghiere si
vede specialmente in quell'unione che manteneva col suo
eterno Padre nello stesso suo faticare : alzava sovente gli
occhi al cielo, gemeva, sospirava ed arrivava perfino a
piangere : Et suspiciens in cælum ingemuit (4 )..... Videns
civitatem flevit super illam (5). L'unzione con cui parlava,
la forza delle sue parole, le tenere espressioni di cui si
serviva, l'impegno, la frequenza e l'importanza con cui si
intratteneva delle cose del Padre suo, tutto prova ad evi

( 1 ) Luc. V. 16. (4) Marc. VII. 34.


(2) Luc. VỊ . 12. ( 5) Luc. XIX . 41 .
(3) Marc. VI. 46.
VITA PUBBLICA DI GESU' 227

denza, come quel cuore vivesse più del Cielo che della
terra, e come, lavorando tra gli uomini, sapesse mante
nersi staccato da tutto ed in continua unione col suo Padre
celeste. Ecco il vero tipo dell'uomo apostolico, il quale pe
regrinando, faticando sulla terra, sa vivere nello stesso
tempo e conversare in Cielo. Gesù, essendo Dio, non aveva
certamente bisogno nè per sé, nè per gli altri di adoperare
questo mezzo della preghiera e di usarlo in un modo cosi
visibile e patente ; e perchè dunque il fece ? Ce lo dice
S. Ambrogio : Species tibi datur..... forma praescribitur
quam debeas æmulari, quid te facere oportet, quando
per te Christus in oratione pernoctat. Quid te facere con
venit cum vis aliquod pietatis officium adoriri, quando
Christus missurus Apostolos prius oravit ? Uomo di pre
ghiera adunque deve essere il sacerdote, quando voglia
rassomigliare a questo divin Redentore ; uomo di preghiera
se desidera fare del bene nel campo evangelico. Fallitur
profecto, ci avvisa S. Lorenzo Giustiniani, quisquis opus
hoc grande absque orationis præsidio, prout decet, con
summare se posse putat. Non è fatto assolutamente pel
sacerdozio, soggiungeva il Ven. Padre Avila, chi non ha lo
spirito di orazione ; e S. Vincenzo de' Paoli chiamava la
preghiera il gran libro del sacerdote .
Ma come fare per avere questo spirito di preghiera e
divenire veramente uomini apostolici ? Non occorre cercare
altri maestri ; tanti buoni operai che si resero eminenti
in questa scienza, e ci possono servire di grande eccita
mento, furono tutti allievi della stessa scuola, tutti copia
rono da questo divin Maestro. Ad esempio di lui abbia
dunque l'uomo apostolico i suoi tempi fissi per la pre
ghiera: un po' di meditazione e di lettura spirituale, qualche
visita, qualche po' d'adorazione al SS. Sacramento , la re
cita del S. Rosario, la rivista della giornata, e andate di
cendo. — Ma io non ho tempo, dirà taluno, la salute, la
228 MEDITAZIONE DECIMASECONDA

testa non mi regge, non mi sono mai accostumato , mi


riesce troppo noioso e pesante ; i più non la fanno. – A
queste difficoltà o piuttosto scuse, io non ho che una ri
sposta: o rinunziare a questa scuola e regolarci da noi,
e quindi non essere più discepoli di questo Dio, copie di
questo modello, ma seguaci del mondo e della sua dissi
pazione, oppure, per quanto costi, fare in modo che vi
siano nella nostra giornata questi tempi. E non aveva forse
da lavorare il Redentore ? Eppure lasciava tutto, abban
donava ogni cosa e si ritirava da solo per raccogliersi e
pregare ; ed è appunto qui che species... datur, forma
præscribitur del come dobbiamo fare. Quand'anche aves
simo tutte le occupazioni del mondo, e fossero opere le
più sante, questo tempo, ripeto che ci va ; altrimenti sa
remo uomini materiali, perchè senza anima e senza spi
rito, apostoli di nome, bronzi sonanti e niente più.
Oltre a questi tempi di preghiera più o meno determi
nati, ad imitazione sempre di questo grande Maestro, dob
biamo procurare di tener rivolto il nostro cuore a Dio nel
corso della giornata, prima di dar mano a qualche opera,
nell'esercizio medesimo del nostro ministero e fin dopo
d'aver faticato. Già si sa che per questo non c'è da stare
tutta la giornata in ginocchio, nè recitare continuamente
preghiere vocali, ciò che nemmeno faceva il divin Reden
tore, e sarebbe impossibile; ma è sufficiente che il nostro
cuore si porti sovente a Dio, tenga come una via aperta
per mantenere una continua relazione con lui ; sicchè ca
pitandoci un bisogno, trovandoci in un cimento, abbiso
gnando d'un qualche lume, sia un momento portarci a
lui, parlargli, farci intendere, senza che quasi ci voglia
tempo nè fatica. Cosi appunto faceva il divin Redentore,
che all'improvviso, all'impensata di tutti, nel predicare e
nello stesso conversare, ora alzava il capo al cielo, ora gli
dava uno sguardo, ora gemeva, ora sospirava internamente ;
VITA PUBBLICA DI GESU ' 229

poi tra sé e sè chi sa quante volte con impeti di cuore ,


con voli e slanci di fede si portava al Padre, con lui con
versava e trattava alla domestica, alla famigliare. Questo
si che è proprio pregare, e chi lo fa può dirsi a tutto
rigore che egli è un uomo di orazione. Ditemi ancora :
chi è colui che nel comune parlare acquista una denomi
nazione speciale e viene qualificato per es. come uomo di
affari, di speculazioni, di negozi, di scienze? È forse quegli
che si applica solo di tanto in tanto a qualcuna di tali
occupazioni ? No, certamente, poichè esse più o meno si
possono dire comuni a tutti; quei nomi adunque si danno
soltanto a colui che vi si applica continuamente, e che,
non potendo attendervi, vi pensa sopra, ne parla sovente,
e le sue mire, i suoi desideri, i suoi progetti sempre ri
volge a quel punto. Ecco in questo piccolo quadro un
sacerdote di orazione: egli, se ha qualche ritaglio di tempo,
lo gode, e lo consacra alla preghiera, e quando non l'ha,
trova il modo di mantener viva la sua relazione con Dio
per mezzo di aspirazioni, di sguardi, di slanci amorosi ;
non aspetta che altri gli insegni e lo ecciti, sa farlo da
sè e con facilità , con destrezza, lavorando, camminando,
fin anche conversando e ridendo. Di qui quella rettitudine
d'intenzioni, di cui parleremo in fine, quella franchezza
nel bene che non teme nè ostacoli, nė motteggi, quella
maniera di operare che edifica ed incanta , quella candi
dezza, quella ilarità di sembianze e di tratto che attira ed
alletta , quella unzione finalmente nelle sue parole , nel
predicare, nel confessare, per cui la gente, sebbene non
ammiri talvolta nė forza di ragioni né eleganza di stile,
pure ne prova un certo effetto, una tal sensazione, che il
cuore ne è tocco e commosso .
E qui, o cari, giacchè mi viene opportuno, lasciate che
io vel dica : il sacerdote abbisogna di questo spirito di
preghiera specialmente pel ministero della predicazione e
230 MEDITAZIONE DECIMASECONDA

nel confessionale . Ah ! due parole dette dal pulpito che


gran colpo sono capaci di fare, quando sieno infiammate
da questo spirito ! Si arriva a penetrare, a ferire certi
cuori, che aveano già resistito chi sa quanti anni, e reso
inutili tanti altri assalti ! Dite, ridite, è inutile per cer
tuni ; nè rimorsi , nè avvisi , nè minaccie, nè castighi, più
niente li tocca. Ebbene la parola d'un sacerdote anche
semplice, umile e quasi di niun conto, sovente li colpisce,
li commuove, li ferma ; talchè stupiti essi medesimi, pare
che vadano domandando a se stessi : -
che cosa è mai
questo che si opera in me ?..... sento una forza che non
conosco, provo una commozione che non so spiegare.
Si, o miei fratelli, finché si tratta solo di trattenere, di
ricreare, di persuadere ed anche di convincere, vi sono
altri modi più lusinghieri, altre lingue più eloquenti; non
cosi quando si tratta di entrare nei cuori, di toccarli, di
commuoverli ; questo appartiene esclusivamente alla gran
parola che sa dire il vero ministro di Dio ripieno dello
spirito di orazione, a quella parola che sgorga dalla pre
ghiera. Ah ! un sacerdote, un apostolo il quale preghi, che
gran bene opererà in questo ministero evangelico !
Dove però ha da lampeggiare maggiormente questa grande
arma del sacerdote si è nell'amministrazione del Sacramento
della Penitenza. E qui si osservi primieramente che non
dobbiamo mai cimentarci col demonio, non mai tentare di
strappargli di mano le anime come si fa in questo Sacra
mento, senza prima l'aiuto dell'orazione. Quell'entrare ed
uscire dal confessionale come se si entrasse ed uscisse da
una camera , non è buon segno ; io temo che non si co
nosca quale campo di battaglia stia racchiuso in quel palmo
di sito che sta là dentro. Quanti cimenti e quanti bisogni
per noi e per i penitenti si presentano improvvisi, incal
zanti da non dar nė tempo, nè tregua ! Dunque non en
triamo mai in confessionale senza aver fatto prima i nostri
VITA PUBBLICA DI GESU ' 231

conti e presi i debiti concerti con questo Dio ; non fosse


che un'Ave Maria , un Angele Dei, un Gloria , ma sia
sempre questo il segnale delle nostre battaglie, il primo
colpo che vibriamo contro l'inferno. Ciò sarà come un dire :
Signore, io ci vado, ma voglio andare con Voi e per
Voi, a nome e per conto vostro ; sicchè i pericoli, i cimenti,
le battaglie, la causa insomma è più vostra che mia ;
dunque pensateci che qui ci va di mezzo non già la mia
persona, ma l'onore e la gloria vostra, la salute delle vostre
anime. — Oh ! quanto giova questo linguaggio di fede,
questo slancio di confidenza, sia a richiamare la nostra
attenzione e vigilanza, sia a meritarci le benedizioni del
Signore. Gioverà ancora tale preghiera ai penitenti, perché
penseranno e diranno tra sé stessi : - eh ! se il confes
sore ha bisogno di pregare e di raccomandarsi a Dio, che
sarà di noi ? bisogna proprio che qui non si burli, ma si
faccia da vero. Difatti si scorge in pratica, che basta
questo momento di preghiera fatto là alla presenza dei
penitenti, per vederli cangiare all'esterno il loro contegno
e comporsi tutti a preghiera e raccoglimento.
Entrati poi in confessionale, procuriamo di tener aperta
la nostra relazione, la nostra comunicazione con Dio ; e per
riuscirvi prendiamo occasione da tutto ciò che ci capita.
Verrà ai nostri piedi un'anima candida, innocente ? ebbene,
diciamo subito a Dio : Signore, conservatela in mezzo
a tante lusinghe del secolo. , - Verrà un gran peccatore,
pentito, compunto ? -

Oh mio Dio ! quanto grande è la


vostra misericordia ! - Ne verrà un altro ostinato, fermo
nella colpa, che non vuole saperne di emendazione ? oh !
allora si che riesce opportuna una voce che arrivi al
cielo , un'occhiata al Crocifisso, un gemito, un sospiro di
dolore per quell'infelice ; e chi sa che non sia proprio il
colpo che lo atterri ? E come potrà un capitano negare il
suo aiuto al soldato che si azzuffa col nemico, e che sul
232 MEDITAZIONE DECIMASECONDA

punto di guadagnarlo e di riportarne la vittoria, gli do


manda il braccio ? Voi lo sapete che in questi casi non è
già una predica lunga, un ragionamento anche profondo,
che sia per trionfare, ma per lo più è un pensiero, un
riflesso , una parola toccante e commovente ; una parola,
che per averla all’occasione e subito pronta, non basta nè
la scienza, nè l'arte, ma bisogna domandarla a Dio e sul
l'istante, di modo che il pensarvi ed il farlo sia come una
cosa sola .
Finalmente dopo d'aver amministrato questo Sacramento,
una preghiera pare che la richieda la stessa gratitudine.
Perchè partirci dal confessionale senza dire una parola di
ringraziamento a chi ci ha aiutato sino a quel punto ? Di
ciamogli almeno se abbiam vinto o se abbiam perduto, e
quali siano ancora le nostre speranze ed i nostri timori.
Cotesto rendiconto deve essere una consolazione ed un con
forto per noi, un motivo che Dio ci perdoni i nostri torti,
ed una caparra di maggiori aiuti per le susseguenti bat
taglie. Ma veniamo alla seconda virtù necessaria al mini
stero evangelico, che è la dolcezza.
II. La preghiera con Dio, la dolcezza cogli uomini, ecco
il corredo dell'uomo apostolico. Colla prima ci facciamo
forti con Dio, colla seconda ci rendiamo cari agli uo
mini ; colla preghiera arriveremo ai tesori del cielo, colla
dolcezza rapiremo i cuori sulla terra ; epperciò con queste
due virtú può dirsi in certo modo che il sacerdote si rende
quasi padrone di Dio e degli uomini. Dal che ognun vede
l'importanza e la necessità di questa seconda virtù non
meno che della prima. Il divin Redentore se ne rese un
modello il più perfetto; sino a dirci egli medesimo : im
parate da me ad esser mansueti ad esser dolci : Discite
a me quia mitis sum (1).— Fu dolce sempre, dovunque e
con tutti, senza riserva : coi famigliari e cogli estranei, coi
(1 ) Matth . XI . 29.
VITA PUBBLICA DI GESU' 233

piccoli e cogli adulti, coi ricchi e coi poveri, cogli amici


e coi nemici, coi giusti e coi peccatori, fossero questi pentiti
od ostinati; dolce non già solo in certi giorni o periodi di
tempo, ma abitualmente ; dolce in tutto, nel tratto, nella
sua maniera di parlare, e perfin nello sguardo; di modo
che chiunque lo avesse a trattare, o soltanto lo vedesse,
ne restava rapito ed innamorato, tanto era calma e pla
cida la sua presenza. Ecco la dolcezza da imitarsi dal sa
cerdote .
Essere dolce primieramente coi famigliari. Sono questi
i primi che dovremmo edificare colla nostra dolcezza, e
d'ordinario invece sono i meno edificati ; saremo dolci cogli
estranei, perchè un certo riguardo e la stessa civiltà vuole
cosi, ma con quei di casa sembra che ce ne possiamo
dispensare ; pronti, impazienti, e quasi incontentabili inverso
di loro, sovente e quasi ad ogni incontro un tratto, un
termine che li punge, sempre con un certo sussiego, con
una cert'aria che pare loro vogliam dire: — guardate bene
chi sono, lasciatemi stare. - Essi intanto se ne lamentano
poi tra loro dicendo: - non sappiamo che dirci ! il nostro
prete cogli altri pare tutto miele, tutto cuore, non si fanno
che elogi de ' suoi bei modi, del suo trattare : con noi in
vece non sa parlare senza pungere, senza sgridare. Miei
cari, come trattava in casa il divin Redentore ? Non parlo
già di Maria e Giuseppe con cui era una cosa sola, ma
degli apostoli e dei discepoli. Erano pur rozzi, ignoranti ,
grossolani, non intendevano o prendevano una cosa per
l'altra, volevano persino abbandonarlo perchè non lo ca
pivano ; e Gesù forseché si adirava, li maltrattava per
questo ? No, che anzi, continuava a trattarli alle buone e
cercava sempre i modi i più intelligibili, le similitudini, le
parabole adatte alla loro capacità. Di più avevano gravi
difetti, non solo materiali, perchè allevati grossolana
mente, ma anche morali : erano pronti, vendicativi, pun
CAFASSO - Eserc . Spirit. Medit . 16
234 MEDITAZIONE DECIMASECONDA
tigliosi, gelosi tra loro ; uno voleva essere il primo, l'altro
anche ; perchè in un paese non erano stati ben ricevuti,
volevan che il Signore vi mandasse subito il fuoco dal cielo.
E il Redentore che cosa fece ? li scacciò forse, li riprese
severamente ? Nulla di tutto questo ; solo li avvisò dolce
mente, e per non offenderli finse di non parlar di loro, e
raccontò che aveva veduto Lucifero per la superbia cader
dal cielo, e non disse neppure che essi fossero superbi.
Dolce coi famigliari, non lo fu meno cogli estranei, ma
con tutti gli estranei, nessuno eccettuato ; e qui sta il punto.
Di lui si legge che pertransiit benefaciendo et sanando
omnes ( 1 ); e vuol dire che non faceva distinzione alcuna:
fossero buoni o cattivi, gli volessero bene o lo odiassero,
egli trattava e beneficava tutti egualmente. Che gran lezione
è questa per l'ecclesiastico ! Da un capo all'altro del paese
egli non deve fare differenza alcuna ; con tutti lo stesso
sguardo, il medesimo tratto, gli stessi riguardi, e se può,
gli stessi favori. Ma si dirà : quel tale parla male di
me ; parli fin che vuole, purchè voi non gliene diate
causa : – so che me ne trama qualcuna ; peggio per
lui : è quello che mette il paese contro di me ;
.
una

ragione di più di prenderlo alle buone : — ma se ne abusa,


e mi farà peggio ; - e voi guardate di avere il Signore
dalla parte vostra, e poi state certi che sarete più forti
di lui : finge, ma io lo conosco e so come valutarlo ;
- questo non esenta dal prenderlo alle buone ; d'altronde
io direi di non dare poi tanto peso a queste ragioni, e di
andar adagio in pratica ad accoglierle, perchè per lo più
non sono vere ; ma quando lo fossero, ed il bene di lui
e del paese esigessero qualche precauzione, allora la stessa
carità vorrebbe questa eccezione. Lo stesso divin Redentore
venne a queste misure : cacciò i trafficanti dal tempio e
più volte invei e gridò ben forte contro gli Scribi ed i Farisei,
(1 ) Act. X. 38 .
VITA PUBBLICA DI GESU' 235

appunto perchè il popolo li conoscesse e non si lasciasse


ingannare da loro. Tuttavia anche in questi casi conviene
agire con padronanza, con tranquillità, con calma, di modo
che si veda essere il bene e la carità che così ci fa operare,
e non la passione. Dolci adunque con tutti, e se volete ab
bondare, usate le particolarità con chi se le merita meno
o si diporta male verso di voi ; è questa la miglior con
dotta del mondo, giacchè meriteremo noi e vinceremo gli
altri .
Dolci con tutti ed ovunque, ma principalmente coi pec
catori e nel tribunale di penitenza. Voi sapete che se il
divin Redentore usò qualche particolarità e preferenza, fu
sempre verso i peccatori, come la Samaritana, Zaccheo,
la Maddalena, Giuda, Pietro e andate dicendo ; talmente
che i suoi nemici lo chiamavano per soprannome il pec
catore e l'amico dei peccatori : Hic homopeccator est... (1 ) ;
Hic peccatores recipit et manducat cum illis (2). Non oc
corre che il dica : io non intendo che l' ecclesiastico sia
l'amico dei loro disordini e dei loro convegni, ma l'amico
piuttosto delle loro persone, delle loro anime per conver
tirle e guadagnarle. Può dirsi che qui non si dà eccesso,
sia che si tratti di guadagnarli, di allettarli, di correggerli
nelle varie occasioni ed incontri della vita, sia, e molto
più, quando Iddio dispone che vengano a' nostri piedi, al
tribunale di penitenza. Questo è un luogo, lo sapete, detto
per eccellenza di misericordia e di carità ; procuriamo che
non sia un nome, ma una vera realtà : via quanto vi può
essere di disgustoso, di spiacevole nei modi, nelle parole .
Chi vuol trovare un uomo dotto, prudente, esperto, lo può
avere in mille luoghi ; ma chi vuol trattare con un uomo
pieno di dolcezza e carità, venga al confessionale e veda
quale sia la missione, quali i modi di quel personaggio
che là entro è posto a farla da Dio in terra. È vero che
(1 ) Joann . IX . 24. (2) Luc. XV. 2.
236 MEDITAZIONE DECIMASECONDA

per fare un buon confessore ci vorranno molte altre doti


che non è qui il caso di enumerare; ma credetemi, in pra
tica la più importante, quella che ha da influire in tutte
le confessioni, in tutti i penitenti, senza eccezione, quella
da cui può dirsi che dipende quasi tutto il bene del nostro
lavoro, è appunto la virtù di cui parliamo : carità nell'ac
coglierli, carità e dolcezza ancor più nel rilasciarli. Chi può
sapere le conseguenze, il bene ed il male che ne può pre
venire da un detto, da un modo, da un termine piuttosto
che da un altro ? l’avrete sperimentato voi stessi chi sa
quante volte.
– Ma io ho dei dispiaceri in certi giorni, dirà qui
qualcuno, non mi sento bene, sono di cattivo umore, e mi
è difficile poter avere tutta quella dolcezza che sarebbe
pur bene, anzi talvolta non vi riesco per quanti sforzi io
mi faccia .-
Ah ! cari, e vogliamo adunque che le anime,
anzi questo Dio, l'abbiano da pagare per noi e per le nostre
pene o malinconie ? e che ne può quell'anima, che ne
ha da sapere ? Sarà poi vero che anche sforzandovi non
potete riuscire ? Ditemi : se in quel giorno medesimo vi
capitasse un affare temporale, in cui vi fosse da fare un
gran guadagno, una buona risorsa, ma ci volessero bei
modi e molta dolcezza e carità per riuscirlo, addurreste
ancora quella scusa ? Purtroppo che ci toccherà più d'una
volta in confessionale veder anime sull'orlo dell'inferno,
senza poternele ritirare ! procuriamoci almeno il conforto
e la consolazione d'averle trattate con dolcezza e carità, e
di aver dato loro tra le mani almen questo filo di speranza
e di salute nella ricordanza d'una persona che li ha trattati
con bontà. Non abbiamo paura anche di dirlo : — senta,
o caro, mi fa pena, non posso a meno di dirglielo, mi
serra il cuore nel vederla partire in questo stato ! chi sa
cosa sarà di lei ! ... io so bene che non la merito, ma se
prima di morire il Signore mi desse la consolazione di

.
VITA PUBBLICA DI GESU ' 237

poterle giovare e metterla in sicuro, sarebbe quello cer


tamente il più bel giorno per me ! non dispero ancora, o
mio caro, e voglio pregare per lei ; ella si ricordi almeno
che c'è un misero uomo al mondo che prega, che sospira,
che spera per l'anima sua. – Eh ! questi detti, animati e
soavi nello stesso tempo, chi sa che non ce la diano vinta
quell'anima anche sull'istante, o ci siano un di ricordati
con accento pentito e commosso.
III. L'ultimo carattere dell'uomo apostolico è che in tutte
le sue azioni non abbia altro in mira che lo scopo od il
fine della sua missione, quali sono la gloria di Dio e la
salute delle anime. Tale è pure l'esempio lasciatoci dal
Divin Maestro ; lo disse egli stesso : Ego autem non quaero
gloriam meam (1 )..... Descendi de coelo non ut faciam
voluntatem meam, sed voluntatem ejus qui misit me (2).
Bastino queste parole a nostro ammaestramento.
Cari miei, finché noi lavoriamo solo materialmente o
per fini umani e terreni, non ci distinguiamo dal resto
degli uomini che nella carriera, e siamo come un altro
lavorante qualsiasi ; quindi è che molti, o per ignoranza
o per irreligione, reputano il nostro stato come un me
stiere e ci considerano quasi come gente di professione.
Quand'è adunque che l'ecclesiastico si innalza e si solleva
al di sopra delle fatiche e dei sudori altrui, e diviene un
operaio diverso ? quando appunto colle sue mire, colle sue
intenzioni sa portarsi lassù in Cielo : ciò che per lo più
non fanno gli altri. Mettete il lavoro d'un sacerdote in
confronto con quello d'un altro lavorante, apparentemente
non vi sarà gran differenza ; ma se noi entriamo più ad
dentro in questi loro lavori, o per dir meglio avviciniamo
raffrontandoli questi due personaggi, noi vi vedremo una
distanza massima : uno lavora per la terra, l'altro pel
cielo ; uno per gli uomini, l'altro per Dio ; uno per ra
(1) Ioan. VIII . 50 . (2) Ioan . VI . 38.
238 MEDITAZIONE DECIMASECONDA

dunar un po' di fango, l'altro per far gente pel Paradiso ;


uno pel secolo presente, l'altro pel futuro ; uno per ne
cessità , l'altro per amore ; uno per grazia, l'altro per ca
stigo ; uno insomma lavora da angelo, da serafino, l'altro
da uomo, da servo, e quasi da schiavo. Quale diversità
fra essi due ! e tutto questo da che cosa proviene ? dalla
diversità, dalla rettitudine del fine; sicchè l’ecclesiastico che
non voglia essere confuso col rimanente degli uomini nel
l'esercizio del proprio ministero tenga gli occhi ben fissi
a quello scopo che Iddio gli ha prefisso, e procuri di stam
parsi ben bene in cuore il grande esempio che dà a tutti
noi il Divin Maestro. Ego non quaero gloriam meam : de
scendi de Coelo non ut faciam voluntatem meam, sed
voluntatem ejus qui misit me Patris. Questa rettitudine
e purità d'intenzione fu sempre il distintivo degli uomini
apostolici. Tutti hanno sempre sprezzato le follie del mondo
ed hanno costantemente mostrato che in tutti i loro fatti
non avevano altra mira che d'impedire il peccato, sal
vare le anime, dilatare il regno di Dio, procurarne l'onore
e la gloria : cosi un S. Ignazio, S. Francesco Zaverio, San
Francesco di Sales il quale soleva dire che non avrebbe
mosso una palpebra per tutto questo mondo. Cotesta ret
titudine stessa, o fratelli, è indispensabile ed essenzialissima
in noi tutti : primieramente perchè da essa dipende il nostro
merito ; Deus de cordibus non de manibus facta metitur.
Quand'anche fossimo i sacerdoti più laboriosi del mondo,
e restassimo persino vittima delle nostre fatiche, se al .
nostro lavoro manca questa condizione, Iddio lo calcola
er un bel niente e andremmo all'altra vita colle mani
vuote. Ed oh ! che angoscia per un sacerdote che al punto
di morte dovesse ripetere come già gli apostoli: Per totam
noctem laborantes nihil cepimus ( 1 ). Inoltre da questa
purità d'intenzione dipenderà il frutto delle nostre fatiche,
(1) Luc. V. 5 .
VITA PUBBLICA DI GESU ' 239

poichè Iddio certamente non mancherà di benedire un'a


zione che vede fatta unicamente per lui. Non basta : essa
servirà pure di stimolo a far bene le opere nostre : il pen
siero che Iddio ci manda, che operiamo per lui e sotto i
suoi occhi, è impossibile non sia un grande eccitamento a far
bene quello che si fa. Finalmente lavorando con tal purità d'in
tenzione, il sacerdote quasi non sente il peso delle sue fatiche,
poichè il faticar per Dio è più un godere che un patire.
Via dunque, o cari, dalle nostre azioni ogni mira di
mondo, di vanità, di applausi, di interessi e di roba ; ma
Dio, Dio solo e niente altro ; e per eccitarci all'esercizio
di questa purità d'intenzioni e rendercela sempre più fa
migliare, richiamiamo sovente alla nostra mente il bel
tratto dell’Angelico Dottore. Si trovava il Santo ai piedi
del suo Dio in orazione, quando si fe' sentire una voce
che gli diceva : Bene scripsisti de me, Thoma ; quam
mercedem accipies ? Rispose il Santo: - non aliam , Do
mine, nisi teipsum . Ecco come la pensavano e per
chi lavoravano i Santi . Noi siamo ben lontani dalle fatiche
e dai meriti di questo gran santo, ma a nostro eccita
mento e coraggio figuriamoci che Iddio dica anche a noi :
senti, o caro , io sono contento di te, ti sei alzato di
buon mattino, hai lavorato in quel confessionale , ti sei
preparato per quella predica, hai lasciato quella partita ,
ti sei occupato nello studio, mi hai fatto una visita, tel
ripeto : oggi sono contento di te ; ora che vuoi, che cosa
desideri per tua mercede ? - Oh ! Signore, io merito poco,
anzi niente, ma giacchè mi fate un'offerta cosi graziosa
io vado alto ; di tutto questo mondo io non so che farne,
date pure a chi volete tali follie, io invece m’appiglio a
voi, e dimanderò voi solo : non aliam mercedem , Domine,
nisi teipsum ; la mercede più grande e più gradita per
me ella è questa di amarvi e servirvi sempre più in terra,
ed un giorno bearmi di Voi in Paradiso.
240 VITA PUBBLICA DI GESU'
Oh ! felice l'ecclesiastico che colla rettitudine dei suoi
fini sa collocarsi fra la schiera di quegli uomini grandi di
cui dice la Scrittura : Dies pleni invenientur in eis (1);
di quegli uomini a cui fu detto : Ego ero merces tua
magna nimis (2) ; di quegli uomini infine che avranno in
cielo il doppio, anzi il centuplo di quella gloria che hanno
cercato di procurare al loro Dio in terra : Quicumque
glorificaverit me, glorificabo eum (3). Egli è promesso,
sta scritto, non può mancare. Cosi sia .
(1 ) Psalm . LXXII . 10. ( 3) I. Reg. II . 30 .
(2) Genes. XV. 1 .
1

MEDITAZIONE DECIMATERZA

Passione di Gesù .

PREGHIERA . Paziente mio Signore, io vi credo qui


presente e mi prostro ai vostri piedi per meditare quanto
Voi soffriste un giorno per me. Deh ! fate che alla consi
derazione della vostra passione io conosca e detesti sempre
più il peccato, e seguendo il vostro esempio, mi armi di
quella fortezza che deve sostenere un ecclesiastico nei do
lori e nelle vicende della vita. Vergine santa e addolorata
che tanto soffriste in quei giorni amari, ricordatevi di me.
Angelo Custode ecc. 1

Abbiamo già imparato dal nostro divin Redentore le virtù


domestiche di un buon sacerdote, quali l'amore al ritiro,
al lavoro, alle pratiche di pietà ; abbiam pure imparato i
mezzi per esercitare con frutto il ministero sacerdotale,
quali sono lo spirito di preghiera, di dolcezza, la purità
d'intenzione nell'operare. Felice quel sacerdote che si sarà
formato su queste massime, ed avrà pieno il cuore di
questo spirito ! Egli sarà un giorno nella vigna del Signore
come una pianta situata vicino alle acque la quale darà
frutti buoni e copiosi alla sua stagione : Erit tamquam
242 MEDITAZIONE DECIMATERZA
lignum quod plantatum est secus decursus aquarum ,
quod fructum suum dabit in tempore suo (1 ).
Con tutto ciò non crediate già che un sacerdote siffatto
abbia da andar esente dalle comuni miserie e dalle insidie
del nemico : sarà impossibile far del bene senza che l'in
ferno faccia strepito; anzi a misura che un sacerdote s'im
pegnerà per corrispondere al fine ed all'altezza della sua
missione, tanto maggiori saranno gli sforzi del demonio
per impedirlo. Le armi che adoprerà non sono sconosciute,
nè da noi lontane; alcune volte egli si serve di noi stessi,
delle nostre malinconie, delle noie, degli abbattimenti di
spirito, degli scoraggiamenti; altre volte si serve del mondo,
dei suoi giudizi, delle sue dicerie, delle sue beffe e delle
sue calunnie . Sono queste le armi potenti con cui il de
monio si fa spesso ad assalire un sacerdote di buona vo
lontà. Ma non temiamo, fratelli miei : il divin Redentore ,
che ci ha già guidati finora, saprà sostenerci sino alla fine .
Dopo averci mostrato , nel corso della sua vita, la strada
per riuscire buoni ministri evangelici, ci insegna ancora ,
nel periodo della sua passione, il mezzo di difesa per supe
rare tutte le insidie del nostro nemico. Noi vedremo
difatto com'Egli siasi regolato nelle sue pene interne sof
ferte nell'orto di Getsemani, e in quelle esterne e pubbliche
sopportate in Gerusalemme. Cominciamo.
I. Portiamoci in ispirito in quel recinto detto il Getse
mani, a ora tarda e in profondo silenzio. Ecco là il Re
dentore ; osserviamolo : ora s'inginocchia, ora si alza , ora
si volge ai suoi discepoli e loro si avvicina, ora li lascia
di nuovo e si allontana pallido, languente, gemebondo, tre
mante e si prostra nuovamente a terra ; tutto ci dice che
soffre, che languisce, che pena ... E quali sono le sue pene ?
Il Vangelo le riduce ad una profonda mestizia, ad una tri
stezza dell'animo congiunta a noia e timore. Coepit con
(1) Ps. I. 3.
PASSIONE DI GESU ' 243

tristari et moestus esse (1 ). Coepit pavere et taedere (2).


E chi è colui che pena, che soffre cotanto ? Egli è Gesù
il figliuolo dell'eterno Padre, la delizia, la consolazione, la
gioia dei Beati, la pace, la tranquillità, la felicità per es
senza ; eppure egli è triste e mesto ! ..... quel Gesù, che
aveva sempre un'aria, uno sguardo, un fare cosi amabile da
attirarsi gli occhi e il cuore dei popoli, quel Gesù che
consoló, ravvivò tanti infelici afflitti, ora egli stesso è op
presso dalla noia e dalla malinconia e si lamenta, quando
non si è sentito mai un lamento in vita sua ! e come si
lamenta in una maniera la più viva, non ostante che
abbia sempre amato di soffrire: Tristis est anima mea
usque ad mortem (3): sono triste, sono mesto da morirne !
Non può quietarsi, prostrato a terra egli prega, si ra
giona, ma la sua preghiera, i suoi riflessi non arrivano a
calmarlo e consolarlo ; si rialza, ritorna ai suoi discepoli ,
ma dopo un istante li lascia ; non può trovar pace in alcun
luogo, e più va innanzi, più crescono le pene, più sente
gl'interni combattimenti, fino al punto di sudar sangue, e
sangue si abbondante, che scorre a terra : Et factus est
sudor eius sicut guttae sanguinis decurrentis in terram (4).
Ma quali saranno le ragioni di tanto dolore? Ci sarà fa
cile il trovarle. La quantità dei peccati di cui si vede ca
rico e mallevadore presso l'eterno suo Padre , la vista
chiara e distinta di tutto ciò che gli deve accadere nella
sua passione, la mala corrispondenza che prevede dagli
uomini, l'inutilità dei suoi dolori non solo per le anime
che già sono dannate, ma per quelle tante che ancora si
danneranno e per le quali i suoi patimenti, non serviranno
che di maggior condanna.... ecco i principali motivi della
mortale sua angoscia e dolore.

(1 ) Matth . XXVI . 37. ( 3) Marc. XIV. 34.


( 2) Marc. XIV. 33. (4) Luc. XXII . 44.
244 MEDITAZIONE DECIMATERZA

Pare impossibile che il divin Redentore, dopo una vita


spesa tutta per la maggior gloria dell'eterno suo Padre,
dovesse poi provare un di tanta malinconia e tristezza !
Ma la condotta ordinaria della divina Provvidenza verso i
suoi più cari in questo mondo, è appunto questa di ren
dere i loro giorni ora prosperi ed ora avversi. Un cuore
che oggi è allegro e pare imperturbabile, domani non è più
tale, pare anzi che debba cedere sotto il peso degli affanni.
Cosi accadde al primo degli eletti , cosi al più grande degli
Apostoli, che protestò d'aver a noia una vita ripiena di
tante tribolazioni, cosi ai più gran santi. Basterebbe leg
gere le vite di S. Teresa, di S. Maddalena de' Pazzi, di
S. Francesco di Sales, per vedere che dure prove abbia
riservate loro il Signore. Dunque non vi è a stupire che
cosi accada anche ad un sacerdote di buona volontà .
lo prescindo qui dal parlare degli scrupoli, di quell’ec
cessiva paura di peccare, quasi in ogni cosa, per cui pare
che l'inferno ci stia sempre aperto sotto i piedi per in
goiarci e non possa più esservi per noi misericordia . Quan
tunque reale, è questo un travaglio prodotto dall'immagi
nazione e dalla fantasia. Veniamo piuttosto a quelli che
hanno vera ragione di pena.
Alle volte è il pensiero del passato, il ricordo dei pec
cati che si ebbe la disgrazia di commettere. Si spera bensi
nella misericordia di Dio, ma non se ne può togliere l'an
gustia : – chi sa se il Signore mi avrà perdonato !... ahimè
che tanti peccati, tante colpe di quella sorta in un pari
mio fanno temere ! ... chi sa come andrò a finire ! ... è vero
che adesso lavoro e vorrei saper che fare per piacere al
Signore, ma chissà se tutto questo mi potrà salvare ! ...
Altre volte nascono le nostre angustie da quegli oggetti
stessi che dovrebbero essere il nostro sollievo : si teme di
aver mancato delle dovute disposizioni nelle confessioni
passate , si provano angustie per le distrazioni e le mo
PASSIONE DI GESU ' 245

lestie che si soffrono nella preghiera, si è afflitti e sco


raggiati per le continue e forti tentazioni. Il timore poi
della morte, dei giudizi di Dio, di un'eternità disgraziata
è per certe anime una sorgente inesausta di pene, e tanto
più terribili, quanto più essenziali ne sono gli oggetti. Vi
sono ancora altre pene segrete, le quali non si possono
svelare a nessuno ; non si trova nè modo nè mezzo di farle
intendere. Dio solo può essere il testimonio e il depositario
di certi vuoti, di certi intervalli di tempo, di certi lagni
del cuore. S'aggiunga a tutto questo il pensiero dell'inu
tilità delle nostre fatiche e dei nostri sudori al vedere
che i nostri disegni sono contraddetti, che le nostre in
dustrie valgono nulla e i peccati si aumentano. Si, queste
sono pene da apostolo e proprie di noi ministri del Signore;
pene cosi pungenti e dolorose, che alle volte fan venire a
tedio la vita ; e noi sappiamo infatti di certi santi, per
esempio S. Nicola e S. Gaetano, che sono morti o brama
vano di morire, perchè non potevano impedire le tante
offese che si facevano al Signore. Di qui l'incertezza che
Dio sia contento di noi e delle nostre fatiche : - chi sa
se abbia scelto lo stato in cui Dio mi voleva ! ... chi sa se
le mie occupazioni saranno secondo la sua volontà ! ... chi
sa se mi voglia in questo luogo, in quest'impiego, per
questa carriera ... — E poi le pene ed incertezze che spesso
ci tormentano riguardo al nostro avvenire : - chi sa che
cosa diverrò io ! chi sa quale partito prenderò ... se sarò
buono a qualche cosa ... i superiori sono prevenuti contro
di me ;... io ho poco talento, non ho risorse, non ho spe
ranze , ho poca sanità, sarà ben poco quello che potrò
fare, i miei giorni saranno vuoti e mi toccherà morire
senza aver qualche cosa a portare con me ! Molti di
noi forse già sapranno per esperienza quanto abbattano,
quanto scoraggiscano queste inquietudini ; uno si trova
alle volte col cuore cosi svogliato, cosi vuoto che gli sembra
1

246 MEDITAZIONE DECIMATERZA

più niente lo possa sollevare, e preferirebbe la morte stessa


alla vita, come si legge di Giona profeta che : Petivit ani
mae suae ut moreretur ( 1 ). Buon per noi che abbiamo
un gran Maestro che c'indicherà la strada e ci darà la
mano per trarci da questo stato !
Anzitutto ci aiuterà moltissimo a vincere in tali battaglie
il ritenere una grande verità, che in pratica si stenta un po' a
capire, ma che però è innegabile, ed è che lo stato di deso
lazione d'un’anima, ben lungi dall'essere un argomento di
diffidenza e di timore, è anzi uno stato di sacrificio più
accetto a Dio e più meritorio per noi, perchè in sè con
tiene un esercizio eroico di virtù ed il grado più perfetto
di carità. E vi par poca cosa quando si è costretti a vivere
tra oscure tenebre, tra penose aridità, in mezzo a deso
lazioni continue, a tentazioni, a fantasie alle volte orribili,
ad affanni, ad amarezze, a paure d'ogni sorta , e ciò no
nostante sotto una tempesta cosi terribile, tra un martirio
cosi desolante, non volerla rompere con Dio, che anzi pro
testare di volersi attenere sempre più strettamente, a lui,
rassegnati al suo divin beneplacito, essere disposti a sof
frire e più e peggio ancora, quando tale sia la sua vo
lontà ? E dove una virtù maggiore, maggior rinnegamento
di se stesso, un distacco più compito dalle creature, ed
una carità più intensa e più pura verso Iddio ? Via adunque
quella prevenzione che un'anima desolata abbia a temere,
ad inquietarsi quasi che Dio non sia contento di lei e la
rigetti ; che anzi un'anima in tale stato si specchi in questo
divin esemplare che ci ha voluto per nostro coraggio pre
cedere in ogni passo, e tenga dietro alle sue pedate. E per
prima cosa non devii per niente dal suo solito tenor di
vita, vada avanti come se provasse le maggiori delizie e
consolazioni, e attenda con pazienza e rassegnazione il mo
mento della calma che, o più presto o più tardi, non potrà
(1 ) Jon. IV. 8.
1

PASSIONE DI GESU ' 247

a meno di arrivare ; ma frattanto dia di mano a quel $

l’arma, a quel gran mezzo a cui si è appigliato il divin


Redentore che è la preghiera. Di fatto che cosa fece egli
quando si senti assalito, oppresso da quella tristezza mor
tale ? Andò a gettarsi ai piedi del suo divin Padre, che
solo lo poteva sollevare : Padre, si fe' a dire, se è pos
sibile, allontanate da me questo calice ; con tutto ciò si
faccia sempre la vostra volontà e non la mia ! Che bel
sentimento, degno del Figliuol di Dio, e da imitarsi da chi
vuol essere del numero dei figli del Signore ! ... Se Gesù
Cristo avesse provato meno di ripugnanza a sottomettersi,
noi avremmo detto di non poterlo imitare, ma volle ap
punto patire in un modo che tutti potessero seguirlo ed
imitare i suoi esempi : Christus passus est pro nobis, vobis
relinquens exemplum ut sequamini vestigia ejus, ci dice
l'apostolo S. Pietro ( 1 ). Ed eccoci, o cari, insegnato il come
e con chi abbiamo da fogare il nostro dolore per sentirne
sollievo. Cogli uomini si, ma non sempre essi bastano. Come
il divin Padre non consolo il suo figlio per mezzo degli
Apostoli con cui questi si lamentavá, ma volle che a Lui
direttamente ricorresse e da lui cercasse sollievo, cosi può
accadere a noi che avendo il cuore oppresso, e sforzandoci
con quelli che prima ci consolavano, non ne risentiamo più
alcun conforto ; e che questi ci sembrino cambiati da quei
d'una volta, che tutto sia tenebre e tristezza. Che fare allora ?
Ricorrere a Dio, il quale con ciò stesso ci fa capire che
ci chiama, che ci vuole da lui, che vuol trattare a tu per
tu con noi, che ci vuol vedere a gemere, a sospirare a '
suoi piedi ; egli fa allora come un padre od una madre,
che pregato da altri pel figlio, rigetta ogni mezzano che
siasi interposto, fa sempre il sordo perché vuole avere vi
cino il figlio , lo vuol vedere, vuol sentire la sua voce, vuol
sentire dalla sua bocca i suoi bisogni. Non è dunque il
(1 ) I Petr. II . 21 .
248 MEDITAZIONE DECIMATERZA

caso di perdersi d'animo, no, ma col cuore pieno di spe


ranza uguale al dolore che ci opprime, gettiamoci ai piedi .
d'un Crocifisso, avanti a Gesù Sacramentato, e – Padre,
esclamiamo, Padre, liberatemi se voi lo giudicate conve
niente ; se non mi foste padre vi direi assolutamente di
liberarmi, ma perchè so che mi siete padre, perchè so che
mi amate, che volete il mio meglio, io mi rimetto nelle
vostre mani. - Oh la bella preghiera! oh la forza che ha
per vincere un padre, per calmare un'anima ! è questa la
strada per uscire dalle nostre pene. Pregare, si, ma pre
gare con quel rispetto, con quell'umiltà con cui pregava
il divin Redentore là inginocchiato bocconi per terra, pre
gare col fervore, colla fede, colla fiducia che mostrava il
Redentore : Pater mi, sono queste le sue prime parole ;
sapeva di pregare un padre e tanto gli bastava; cosi sia
di noi : è un padre quello a cui ricorriamo, è un padre
quello che cosi ci affligge ; faccia pure ciò che vuole, è
sempre padre : Saeviat quantum vult, semper pater est,
dice S. Agostino .
Che n'ebbe poi il divin Redentore dal suo ricorso al
Padre ? Ebbe tutto, anzi ebbe più di quello che dimandava ;
l'eterno suo Padre gli mandò un angelo a confortarlo : Ap
paruit autem illi Angelus de coelo confortans eum ( 1 ).
Egli dovrà bensi soffrire e morire, ma soffrirà, morirà da
pari suo, cioè a dire con coraggio, con animo tranquillo
e grande, senza che più la malinconia, l'ignominia della
sua passione, l'acerbità dei suoi dolori, lo possano smuovere
od inquietare. Gesù infatti non pose più indugio, niente lo
potè più trattenere allorchè ricevè questo divino conforto,
nè il tempo della notte che mette naturalmente orrore, nè
la sonnolenza de' suoi Apostoli, nè lo strepito de soldati
che si andavano avvicinando : -- Surgite eamus (2) ; - e
dove ? invece di nascondersi o almeno aspettare di essere
(1 ) Luc. XXII . 43. ( 2) Matth . XXVI . 46.
PASSIONE DI GESU ' 249

assalito, egli stesso va loro incontro , e con tutta la tran


quillità d'una persona che abbia nulla a temere, dice loro :
Quem quaeritis ? ( 1 ) - Gran miracolo fu questo della
preghiera, operato non per bisogno del divin Redentore,
ma per nostro ammaestramento. Fortunato tra noi chi se
ne saprà valere nei tempi di prova , di abbattimento e di
angustie. Un angelo, stiam certi, sarà mandato tosto o tardi
anche a noi ; una voce secreta al cuore, una luce improvvisa,
un riflesso nuovo, un cangiamento repentino verrà a dare
qualche calma alle nostre agitazioni . Un angelo visibile
nella persona di qualche confidente, amico o direttore
verrà a fare con noi il caritatevole officio di confortarci,
ed allora, o che svaniranno le nostre pene, o che senti
remo nuova forza di superarle e di poter dire noi stessi
al nostro spirito abbattuto : surgite eamus ; - orsù che
faccio ? avanti, avanti, tal è la volontà del mio Dio, io mi
rimetto nelle sue mani, sarà di me quello che vorrà. Unito
di volontà al mio Dio, appoggiato alla sua forza non temo
più nè pericoli nè morte ; per me tutto è eguale, purchè
si adempia la sua divina volontà .
II. Appreso il modo di uscire vittoriosi dal primo genere
di pene che amareggiano la nostra vita, continuiamo a se
guire Gesù nella sua dolorosa passione, ed impariamo an
cora da lui a vincere i giudizi, le dicerie, le calunnie del
mondo.
Non occorre spendere gran tempo per conoscere il modo
con cui si diportò il mondo verso il divin Redentore, spe
cialmente nel periodo della sua passione. Io passo sotto
silenzio la cattura, gli oltraggi, le percosse dategli dai Giudei,
e mi fermo particolarmente sui giudizi, sulle accuse, sulle
sentenze pronunciate contro di lui nei tribunali, perchè qui
più che altrove potremo conoscere da vicino che cosa sia
il mondo e quale stima possa meritarsi.
(1 ) Joann . XVIII , 4 .
CAPASSO Eserc . Spirit. Medit . 17
250 MEDITAZIONE DECIMATERZA
Tre sono i tribunali che hanno pronunciato giudizio sul
divin Redentore : il tribunal religioso, detto il Sinedrio, co
stituito dai sacerdoti e dai pontefici ; il tribunale civile e
politico nella persona di Pilato, ed il tribunale della corte
marziale in cui regnava Erode. Erano questi i luoghi più
distinti, più autorevoli della società, nei quali doveano tro
varsi le persone più dotte, più saggie, più rette, più im
parziali: in una parola, il fior degli uomini. Da essi il divin
Redentore doveva aspettarsi tutta la giustizia e la sua
difesa, eppure la cosa andò ben diversamente. Ricordiamo
in due parole un fatto che tutti ben sappiamo.
Alla notizia della cattura di Gesù si radunano i capi
dei sacerdoti e gli Scribi a gran seduta, e dandosi ognuno
l'aria di prender a cuore la cosa, di esaminarla bene, e
di giudicarla con imparzialità, fanno venire innanzi Gesù :
si dà principio coll'interrogatorio sulla sua dottrina, sui
suoi discepoli, sulla sua persona ; poi si cercano testimoni,
si ascoltano, si rifiutano i primi per far vedere che non
si vuol precipitare, si vuol far giustizia : e qual fu l'esito
di questo primo sindacato ? Blasphemavit ... quid vobis
videtur ? At illi respondentes dixerunt : reus est mortis ( 1 ) ;
-

ecco la sentenza a pieni voti : egli è un bestemmiatore,


e bestemmiatore tale da non essere più degno di vivere ;
-

e chi ? il Figlio di Dio , il Santo dei santi, la stessa


Santità .
Lo si conduce quindi da Pilato. Questi vuol mostrarsi spas
sionato, ascolta le accuse, lo interroga egli stesso, resiste
alle istanze, sospende il suo giudizio e lo manda ad Erode,
il quale era oltre modo curioso di vedere un uomo cosi
rinomato, di poter parlare con lui a suo bell’agio e cosi
scoprire grandi misteri. Erode riceve Gesù con piacere, gli
fa molte interrogazioni, ma ne resta burlato, perchè non
ottiene da lui alcuna risposta ; di che, compreso d' in
(1) Matth. XXVI . 65. 66 . 1
PASSIONE DI GESU ' 251

dignazione, lo addita al popolo quale un pazzo, e nessuno


più ne dubita; anzi è d'uopo che tutti lo sappiano, perciò
lo fa vestire per ischerno di bianca veste, e con beffe ed
insulti dà ordine che venga cacciato via dal suo cospetto :
Sprevit ... illum Herodes cum exercitu suo , et illusit in
dutum veste alba ( 1 ) . Ecco il secondo giudizio pronun
ciato su Gesù Cristo : è qualificato come pazzo il più sa
piente fra tutti, anzi la Sapienza stessa : Ego sapientia (2).
Finalmente Pilato pone il colmo all'iniquità, all'ingiustizia
giudicandolo degno di dar un pubblico esempio e condan
nandolo a morte. Ecco quali furono i giudizi del mondo
rispetto al divin Redentore. E si potranno dare, fratelli
miei, giudizi più falsi, più stravaganti che questi; vi sarà
ancor da stupire che il mondo s'inganni anche contro di
noi, veda nero dov'è bianco, interpreti male le nostre in
tenzioni, giudichi indiscrezione quello che è zelo, pazzia quel
che è virtù ? E qui notiamo ancora la leggerezza, l'incoe
renza, l'ingratitudine dimostrata dal mondo in questa sua
condotta. È cosa certa che presso i Giudei Gesù Cristo
aveva acquistato una stima, una riputazione la più grande,
la più universale. La sua sapienza rendeva stupefatti e
mutoli gli stessi dottori della leggc; la sua innocenza era
tale che poteva sfidar chiunque, e gli stessi suoi nemici,
a rimproverarlo del menomo peccato ; la sua conosciuta
penetrazione con cui leggeva perfino nei cuori, e princi
palmente la sua grande potenza, rapivano le turbe e le
facevano esclamare nell'impeto della loro meraviglia : -

chi è costui, al quale perfino i venti e il mare prestano


ubbidienza ? I benefizi poi ed i favori senza numero che
egli aveva largito ad ogni classe di persone, non potevano
a meno di accrescere la sua stima ed acquistargli la gra
titudine di molti e la benevolenza di tutti . E che fosse
cosi, lo si vede assai chiaro dall'entrata solenne che fece
(1) Lnc. XXIII . 11 . (2) Prov. VIII. 12.
252 MEDITAZIONE DECIMATERZA

in Gerusalemme pochi giorni prima della sua passione.


Pareva dunque impossibile che Gesù Cristo potesse perdere
questo concetto, questa sua riputazione acquistata con tante
opere meravigliose ; eppure la perdė e la perdė in poche
ore e anche in una maniera, per dir cosi, la più atta ad in
gannare . Condannato quale bestemmiatore, qual pazzo, qual
seduttore di comune accordo da tutti i tribunali, condannato
a voce di popolo, abbandonato dagli stessi suoi discepoli,
anzi tradito da uno di essi e da un altro rinnegato, fuggito
da tutti, egli in Gerusalemme più non trova uno che prenda
le sue parti. E dopo ciò chi non avrebbe creduto che fosse
proprio un impostore, un furbo, un scellerato ? Lo dice la
stessa Scrittura : Et cum sceleratis reputatus est ( 1 ).
Ah ! fratelli miei, che cosa è mai questo mondo ! ... com'è
mai bizzarro e volubile nelle sue idee, nei suoi capricci !
Oh ! quanto s'inganna e come la sbaglia chi va appresso,
chi cerca, chi calcola sulla larva della stima degli uomini !
essa è come un vento che oggi soffia da una parte, do
mani da un'altra ; si può dire che vi è niente di più
falso ed incostante. L'esperienza del divin Redentore, che
è poi quella di tutti i tempi e di tutti i luoghi, ce lo fa
toccar con mano. Ma impariamo da lui stesso il peso che
dobbiamo dare a siffatti giudizi e come comportarci in si
mili casi .
Che difesa oppose egli a si nere calunnie ed a si false
imputazioni ? che fece, che disse ? Nulla, neanco una pa
rola, nemmeno un cenno di disapprovazione, non un segno
del più piccolo risentimento. Si dice, si grida che è un
bestemmiatore degno di morte ; ma, come non si dicesse
di lui, egli sente e non si muove, non si turba e tace ; si
dice che è un pazzo, e come tale è messo in burla, è can
zonato; ma il divin Redentore sempre lo stesso : va e viene
dove lo conducono, indossa vesti che gli altri vogliono,
(1) Isai . LIII . 12.
PASSIONE DI GESU ' 253

siano pur di ludibrio, non importa, lascia che facciano e


dicano ciò che più loro piace, e dalla sua bocca non esce
un lamento, non una parola. Si sente finalmente condan
nare a morte come un sollevatore, un seduttore, ma nem
meno questo lo può smuovere : egli non si oppone, non
si difende, ma ' tace. Ecco il vero sacerdote, ecco la più
giusta e severa vendetta, il gran trionfo del mondo ; ecco
la vera prova che si conosce il mondo qual è : valutarlo
per niente. Condotta ammirabile fu questa e fino allora
sconosciuta agli uomini; condotta che apre a noi ministri
del Santuario una scuola d'importanti lezioni.
La prima è questa : non metterci in apprensione, in
paura per quello che il mondo penserà o dirà di noi.
Quanti sacerdoti farebbero di più ed opererebbero diver
samente, se non avessero questa paura ! Li sentiamo tutto
di ripetere : - se non fossi conosciuto, se potessi lavorare
in segreto, se fossi in tutt'altro luogo, se non si trovassero
tante lingue malediche, sarebbe il caso di far cosi e cosi :
pure non so determinarmi ; chi sa che cosa penseranno ! gli
uni forse la prenderanno in bene, ma gli altri se ne ri
deranno dicendo che è ipocrisia, che non è tutto virtù, che
sono divozioni indiscrete, che ho le mie mire, che voglio
fare il singolare, e via di questo passo .... — Ah ! fratelli
miei, è forse questa la condotta tenuta da Gesù ? Non
ostante che egli conoscesse tutta la malizia dei suoi giu
dici e prevedesse tutto quello che si sarebbe pensato o
detto di lui, pure non diede mai a vedere il menomo senso
di paura o di agitazione. E così deve pure essere la con
dotta nostra. - Chi ha gran paura del mondo, diceva
S. Ignazio, non farà mai gran bene, poichè è impossibile fare
grandi cose per Dio senza che il mondo faccia strepiti; - del
che noi potremo facilmente convincerci studiando la storia
della Chiesa e la vita dei grandi uomini apostolici. Eppoi
è tutto detto : essendo noi stati separati dal mondo per
254 MEDITAZIONE DECIMATERZA

vivere di uno spirito tutto contrario al suo, per necessità


esso dev'essere il nostro oppugnatore, il nostro nemico ;
epperciò i suoi giudizi, le sue dicerie, le sue persecuzioni
devono essere per noi una prova, un segnale, una testi
monianza che non siamo de' suoi, che a lui più non ap
parteniamo : Si de mundo fuissetis, mundus, quod suum
erat diligeret; quia vero de mundo non estis.... propterea
odit vos mundus ( 1 ).
La seconda lezione che dobbiamo imparare dal Re
dentore si è di non far caso di quanto il mondo pensa e
dice di noi, di dissimulare e di tacere. Questa è la vera ma
niera di mostrarci padroni di noi stessi, grandi e superiori
al mondo e di far vedere che lo sappiamo spendere per
quello che vale. — Il mondo è un pazzo, – soleva dire
S. Filippo, e non ripeteva che il detto di S. Paolo : Sapientia
huius mundi, stultitia est apud Deum (2). Dunque va
calcolato, va trattato da pazzo, ed il far diversamente, in
quietarci, affannarci per i suoi rumori, per le sue ciarle
è fargli un onore, è dargli una stima che non si merita,
è un dimostrarci più pazzi noi che il mondo stesso .
Dica il mondo quello che vuole, soggiungeva San Filippo,
non sono altro che parole, e parole di un pazzo. E che
sono tutte le maldicenze, diceva S. Francesco di Sales, che
sono le dicerie, le ciarle degli uomini ? un po' di strepito
nell'aria : e voi avete l'orecchio cosi delicato da temere
questo piccolo suono che passa in un momento ? – II
mondo con tutto il suo strepito, con tutte le sue lodi, con
tutti i suoi motteggi, al dire di San Gregorio Nazianzeno,
non ci rende nė migliori, nè peggiori: Nec laudatores, nec
vituperatores nos immutabunt, nec enim meliores vel pe
jores efficiunt. Sarebbe pertanto desiderabile che ogni sa
cerdote venisse al punto di mostrarsi indifferente ed insen
sibile a tutti quei modi con cui il mondo lo volesse trattare,
(1) Ioann . XV . 19. (2) I Cor. Ill . 19.
PASSIONE DI GESU' 255

ed arrivasse ad imitare fedelmente la condotta tenuta dal


Redentore nella sua passione. All'infuori di poche parole che
non potè risparmiare per l'onore e la gloria del suo Padre,
del resto, silenzio assoluto. Fu questa tutta la sua difesa
coi soldati, coi giudici, col popolo ; fu questa la sua ri
sposta alle calunnie, alle imprecazioni, alle beffe, ai sar
casmi ed alle percosse; come se non sentisse, non soffrisse, 是

anzi come se non si fosse trattato di lui, rimase insensi


bile, imperturbabile, non cercò di scolparsi, non diede il
minimo segno di risentimento, e non fece motto di sorta .
È questo, o cari miei, il solo modo di combattere e di
vincere il mondo . Il silenzio confonde i cattivi, edifica i
buoni, onorifica ed esalta noi medesimi. Se v'è una ven
detta lecita a noi e ben amara pei maligni è questa, di
far conoscere cioè col fatto che niente c'importa del loro
agire. Vedete, se non fa venir la bile, diceva un tale
che con altri stava insultando un prete il quale appunto
sapeva vendicarsi in questo modo, vedete : ride ancora
mentre noi lo trattiamo in questa maniera ! - Può dirsi
che questa tranquillità, questo silenzio rimanda e pianta nel
loro petto quello strale medesimo che volevano infiggere
a noi, poiché il mondo nel vessarci intende il nostro mag
gior male, od almeno il nostro affanno e corruccio ; che
se gli riesce di vederci corrucciati, ha già raggiunto in
parte il suo fine, ride, se ne gloria e si vanta ; al con
trario vedendosi deluso e burlato si corruccia egli stesso
e si arrabbia in vece nostra. Ne facesse almen profitto !
Questo silenzio adunque confonde i cattivi. Non basta :
esso edifica ancora i buoni. Si, o cari, i buoni non possono
a meno che comprendere ed ammirare tale atto di virtù
nel sacerdote, mentre sanno tutti che cosa costi a tacere
in simili circostanze : ella è una predica che tutti la de
vono intendere per necessità, e nessuno vi può rispondere
od obbiettare ; e quando la si mettesse in pratica, può
256 MEDITAZIONE DECIMATERZA

dirsi che basterebbe questo solo a far cangiare la faccia


di questa terra ; poichè sappiamo che la maggior parte dei
· guai che vi sono nelle famiglie, nei paesi , nella società
per lo più provengono dal non saper soffrire, né tacere.
Questo silenzio infine esalta ed onora chi lo pratica. Noi
sappiamo che anche presso i pagani era avuto in maggior
conto colui che sapeva vincere se stesso, che non i più
grandi conquistatori : Fortior est qui seipsum quam qui
castra vicit.
Qui però alcuno può dire : ma io non posso tacere,
è inutile, bisogna che mi difenda. Che non si possa, è
inutile dirlo tra noi preti, poichè lo sappiamo tutti che si
può ; vuole dire piuttosto che il tacere costa. Eh ! cari, se
tale silenzio non lo fa il sacerdote, chi l'ha da fare ? Come
oseremo raccomandarlo agli altri se non lo facciamo noi ?
Dubitiamo forse che il Signore non tenga conto della vio
lenza che ci facciamo, e che non voglia pagarcela ab
bondantemente ? - Ma sono calunnie, sono tutte falsità .
Manco male : suppongo che sieno calunnie, altrimenti
guai se il mondo parlasse con ragione. E poi non sapete
la pratica del mondo, che quando uno ha torto grida più
forte ? Epperciò col vostro rumore, invece di scolparvi, ne
aumentate il sospetto. — Ma me ne dicono troppe, e voglio
che la finiscano una volta. Sia pure, ma non sorpas
sano quelle dette al divin Redentore. Voi vorreste che la
finissero, ma vi sbagliate di molto ; per finirla bisogne
rebbe che il mondo cessasse di esser mondo ; colle nostre
difese non facciamo che attizzare il fuoco, e dare al mondo
materia di far di più, e peggio di quel che ha fatto .
Mai più, diceva un sacerdote che aveva cercato di difen
dersi, mai più mi metterò in questa briga ... – e ritenete
che era innocente ; - mi facciano quel che vogliono, mi
tagliassero anche a brani le carni, non mi metterò mai
più in simili impegni, perchè ho toccato con mano che
PASSIONE DI GESU ' 257

cosa guadagni un sacerdote a difendersi. Ma se tacio,


-

dirà ancora qualcuno, mi crederanno colpevole. Non è


vero, che anzi quella virtù che mostriamo nel tacere, ser
virà a togliere quel sospetto che fosse nato . Eppure
io so che certuni mi crederanno tale.'— E pensate voi che
lo credano di cuore, che ne sieno persuasi ? No ; e poi,
quand'anche lo credessero, noi non li disinganniamo con
tutte le nostre difese. — Ma pure... il bene delle anime, la
gloria di Dio, il decoro del sacerdozio ne scapita. — Sarà
pur troppo, lo concedo ; ma chi è che dovrà renderne conto
a Dio? Se noi avessimo dovuto giudicare della condotta te
nuta dal Salvatore, avremmo detto che l'onor suo, la gloria
del suo Padre, il bene delle anime voleva che si difendesse,
che non lasciasse formare un'idea cosi sinistra, cosi sfa
vorevole di sé. Ma i giudizi di Dio sono ben diversi dai
nostri : tardò a prendere la sua difesa, ma questa riusci
poi tanto più gloriosa e lo sarà ancor più nel giorno del
l'universale giudizio. Non temiamo adunque per questi mo
tivi: vi pensi chi ne è causa, chè certamente il Signore ne
vorrà un conto ben severo. Noi frattanto rimettiamo nelle
sue mani ogni cosa ; facciamo come farebbe un ambascia
tore, che offeso, oltraggiato nella sua persona o nelle sue
funzioni, pensa nemmeno a difendersi, a vendicarsi da sė,
ma rimette il tutto nelle mani di chi l'ha mandato . In fin
dei conti noi facciamo sulla terra le veci di Dio , siamo
ministri, legati ed ambasciatori suoi; se qualcuno ci assale,
ci offende, Signore, diciamo, Voi vedete, la causa è più
vostra che mia, io la metto ai vostri piedi, la ripongo nel
vostro cuore, disponete come meglio richiede non già l'in
teresse della mia persona, ma l'onore e la gloria vostra ;
e il Signore, stiamo sicuri, ascolterà ed esaudirà la
nostra preghiera. Ricordiamoci delle sue parole : Nolite
tangere christos meos ( 1 ): Qui vos spernit, me spernit (2):
(1) 1 Paral. XVI . 22. (2) Luc. X. 16.
258 MEDITAZIONE DECIMATERZA

Qui... tetigerit vos, tangit pupillam oculi mei ( 1) ; che


volete di più chiaro e di più forte a nostro vantaggio ?
Queste sono minaccie antiche e confermate dall'esperienza
di tanti secoli; citerò per brevità il solo fatto di S. Fran
cesco di Sales. Caricato egli della più infame calunnia, il
suo onore ne scapitava moltissimo, perchè ovunque si spar
lava di lui . Consigliato più volte e con istanza a scoprire
la falsità dell'accusa per salvare cosi almeno l'onor di Dio
e il bene de' suoi popoli, non volle mai arrendersi, è ri
peteva sempre: - io sono innocente, il Signore lo sa, perciò
rassegno la cosa nelle sue mani ; quando la sua gloria lo
voglia saprà prendere le mie difese. — E non s'inganno,
perchè Iddio la prese in modo cosi solenne che servi di
esempio a tutti e fu per il santo di massima gloria ; non
solo riacquistò egli la fama perduta, ma si venne con
questo a conoscere la sua grande virtù e mirabile santità.
Cosi Iddio compensa chi in lui confida, chi rimette a lui
le proprie ragioni. Oh ! quante volte il mondo medesimo
confuso e vinto dalla virtù del sacerdote che sa soffrire
e tacere, o lacerato dal rimorso di averlo oltraggiato, è
costretto a confessare la propria colpa e a rendere omaggio
a quel carattere che cosi ingiustamente ha vilipeso !
Conchiudiamo adunque colla massima di S. Filippo, di
disprezzare il mondo e non curare di essere da lui di
sprezzati : Spernere mundum et spernere se sperni. Faccia,
dica, pensi di noi quello che vuole il mondo : spernere
mundum, spernere se sperni. Il nostro vero onore, la
nostra vera stima non è quella che sta sulla bocca degli
uomini, ma quella che ci fa cari e santi al cospetto di
Dio, e questo stesso Dio vigilerà alla nostra difesa; se non
altro in quel gran giorno dell'universale giudizio, allorchè
vendicherà l'onor vilipeso del suo figlio, come causa co
mune vendicherà ancor quella de' suoi ministri, del nostro
( 1 ) Zach . II . 8.
PASSIONE DI GESU ' 259

carattere e delle nostre persone. E quel che è più il sa


cerdote, che per le sofferte vessazioni e molestie porterà in
fronte il contrassegno, il distintivo del suo capo, quando
questi apparirà nella sua gloria e maestà avrà seco lui la
meritata immarcescibile corona : Cum apparuerit Prin
ceps Pastorum percipietis immarcescibilem gloriae co
ronam ( 1 ).
. (1 ) 1 Petr. V. 4.
MEDITAZIONE DECIMAQUARTA.

Morte di Gesù.

PREGHIERA. – Moribondo mio Signore, io mi prostro ai


vostri piedi, ed abbracciato alla vostra croce voglio stu
diare in quest'oggi quella morte che io stesso ho cagionato.
Ah ! mio Dio, fate che intenda bene gli ultimi insegnamenti,
gli estremi ricordi, che dall'alto di questa croce Voi mi
avete lasciato e mi determini una volta a praticarli . Ver
gine dolorosissima, Voi che assisteste a quegli angosciosi
momenti, assistete in quest'oggi ancora me vostro figlio.
Angelo nostro custode, ecc.....

Se vi è tempo in cui le parole abbiano forza e valore,


egli è certamente quando si dicono dal letto di morte.
Forse avremo veduto più volte noi medesimi, per ragione
del nostro ministero, la commozione e lo scoppio che eccita
in quel punto un ricordo, una massima, una parola anche
detta a metà. Un padre, una madre forse avrà parlato in
vano per tanti anni alle orecchie, al cuore di un figlio o
d'una figlia, ma se parla dal letto di morte, non sarà per
certo cosi : - quel cuore che pareva impenetrabile si apre
e dà in gemiti e sospiri, e quegli occhi che non sapevano
MORTE DI GESU ' 261

piangere, metteranno lacrime ben amare. Si sarà negato


a lungo un favore, il perdono d' un'offesa; ma chiesto in
quel punto, è impossibile che si neghi. E ciò molto più
accade quando la persona di cui si tratta avesse verso di
noi . o portasse con sè qualità si eminenti che ce la ren
dessero oltre modo cara e veneranda. Orbene, se cosi è, vi
invito stassera ad appressarvi col vostro pensiero ad un
letto di morte per sentire le più importanti lezioni, e per
essere testimoni d ' un'agonia e d’una morte la più deso
lante, ma insieme la più edificante del mondo. Il letto di
morte è questa croce : chi parla, chi agonizza, chi muore,
è il nostro Signore Gesù. Si, o miei fratelli, questo gran
capo e modello di tutti gli ecclesiastici , oramai è per toc
care il termine della sua carriera sulla terra. La sua morte
risponde perfettamente alla vita, vale a dire, continua ad
essere scuola sublime e pratica perfetta di tutte le virtù,
e forma anzi un bellissimo compendio della sua vita e della
sua dottrina. È bene pertanto, che dopo avere seguito questo
divin Redentore nella sua nascita, nella sua vita privata
e pubblica e nel periodo principale della sua passione, lo
seguitiamo ancora fino al Calvario per assistere alla sua
fine, alla sua morte. Eccolo già disteso su quel tronco di
croce : appressiamoci dunque, ed ascoltiamo una ad una
le sue ultime parole piene di grandi ammaestramenti e di
preziosi ricordi per noi.
Figuratevi una famiglia d'attorno ad un padre che muore ;
che cordoglio, che angoscia, che pianto ! si guardano, si
fissano a vicenda : eppure è inutile, ella è cosa finita, deve
morire ! con un ultimo addio quei cuori desolati si divi
dono sulla terra per riunirsi un di in Cielo dove non
avranno a separarsi mai più. Tali pure siano i sentimenti
nostri nell'assistere a questa morte. Cominciamo.
I. La vita del Redentore, è vero, fu un esercizio con
tinuo di sofferenza e di mansuetudine ; ma se vi fu un
262 MEDITAZIONE DECIMA QUARTA

tempo in cui siano state maggiormente provate queste virtù,


e che in conseguenza abbiano spiccato più eminentemente,
fu certo sulla croce ; e ciò è manifesto, sia che noi ponde
riamo la natura degli oltraggi e degli insulti che gli vennero
fatti, sia che ne osserviamo gli aggiunti e le circostanze
in cui furono commessi. Io non mi fermo a riportarvi la
serie di tutte quelle bestemmie e crudeltà che si dissero .
e si fecero a pie' della croce ; osserviamo solo di passaggio
che esse ferivano Gesù Cristo in ciò che aveva di più
geloso, qual era la sua missione e la sua divinità. Queste
contumelie si gettavano a lui in faccia colla più svergo
gnata baldanza dai perfidi Giudei , i quali, vedendo che egli
taceva, insolentivano ancor più, lo aizzavano, lo sfidavano.
Ognuno di noi può facilmente capire quanto costi sapersi
frenare in simili circostanze, tanto più quando la persona
per sbrigarsene non ha bisogno che di volerlo. Riteniamo
ancora le circostanze del luogo e del tempo. In quale luogo
veniva Gesù cosi insultato ? Là dinnanzi ad una gran turba
di gente che stavano mirando ed aspettando che cosa era
capace di fare, e che credendolo inetto, incapace a difen
dersi, avranno certamente aggiunto le loro risa ed i loro
sarcasmi. In che tempo ? In un tempo, in un momento in
cui per la veemenza dei dolori, per la vicinanza della
morte, per la vista angosciosissima d'una madre spasimante,
gli doveva essere come insopportabile ogni menomo insulto .
Contuttociò sa frenarsi, soffrire e tacere : nemmeno un
tratto, uno sguardo, un segno d'impazienza, di bile, di ri
sentimento ; che anzi scusa egli stesso i suoi insultatori e
carnefici e prega per essi l'eterno suo Padre : Pater, di
mitte illis ; non enim sciunt quid faciunt ( 1 ). Ah che
scuola ! che punto egli è questo per un sacerdote che voglia
rendersi una copia conforme a questo originale !
L'abbiamo già detto, che l'uomo apostolico dietro gli
(1 ) Luc. XXIII . 34 .
MORTE DI GESU' 263

esempi medesimi di questo divin Redentore dev'essere un


uomo tutto dolcezza, mansuetudine, carità, ma non sarà
inutile il ripeterlo in questo luogo : qui è dove spicca e
si rileva lo spirito del nostro stato, qui è dove sta la
differenza tra l'uomo di mondo, e l'uomo di Chiesa. Da
temi due sacerdoti del medesimo carattere, ma uno ri
pieno dello spirito del mondo, l'altro invece allevato alla
scuola di questo divin Redentore ; fate che ambedue ven
gano offesi o contraddetti, e voi vedrete la gran differenza
che passa tra l'uno e l'altro : il primo si risente, grida,
schiamazza, riempie le case di lagnanze e di pretese ; l'altro
si ritira e a pie’ di questa croce, tace, soffre, prega, e
fisso nel suo gran modello, ripete ancor lui : Pater, di
mitte illis ; non enim sciunt quid faciunt. Eh ! fratelli
miei, gridare e farsi forti nel mondo, resistere, urtare e
non volerla mai cedere, è un mestiere che tutti sanno fare;
ma l'ecclesiastico che è un uomo speciale, perchè allevato
alla scuola di questo Dio, deve regolarsi ben diversamente.
lo ammetto e convengo con voi che costa, e costa molto
>
in certi incontri il sapersi frenare e tacere, ma appunto
perchè costa lo deve fare il sacerdote. Praticare la dolcezza,
la carità, essere mansueti e padroni di noi solo in certi
tempi, con certe persone determinate, quando ci intendono,
ci secondano, e quando tutto cammina favorevolmente, lo
so che non è difficile ; ma mantenersi abitualmente tali,
senza distinzione di tempi e di persone, quando uno ha
dispiaceri, incomodi, e la vita diventa un peso, quando uno
ha da fare con persone maligne, sgarbate, ignoranti, gros
solane che paiono proprio lasciate dal Signore per prova
ed esercizio altrui, non è una virtù cosi facile nè cosi fre
quente. Eppure il sacerdote vi deve arrivare; sempre, e
dovunque noi dobbiamo essere allievi di questo Maestro,
che ha saputo mantenersi paziente e mansueto fino alla
morte ; sempre ed ovunque dobbiamo considerarci e rego
264 MEDITAZIONE DECIMA QUARTA

larci come agnelli tra lupi. Un agnellino non sa far male


ad alcuno : anche battuto, malconcio e pesto, non cerca di
nuocere, tutt'al più lascia sfuggire un lamento ; ebbene,
come agnelli tra lupi, soffriamo, saremo però certi di vin
cere, che la causa di Dio non rimarrà al disotto. Si re
siste, o cari, alla scienza, si resiste alla ragione, si resiste
alla forza, ma credetelo, tosto o tardi si cede alla virtù.
Guai invece all'ecclesiastico che crede far meglio diversa
mente, perchè allora chi opera non è più un discepolo del
Redentore, un ministro di Dio, ma un uomo qualunque ;
i mezzi che si adoperano non sono più armi divine, ma
umane, e purtroppo saranno ripudiati nel di del giudizio.
Rinnoviamo adunque davanti a questo letto di morte, cioè
ai piedi di questa croce il proponimento già fatto , confer
miamo la risoluzione già presa che è quella di praticare
la dolcezza e la mansuetudine, ma sempre, dovunque e
con tutti , anche coi nostri nemici.
Ascoltiamo ora una tenerissima raccomandazione che il
nostro morente Signore rivolge particolarmente a noi sa
cerdoti nella persona del prediletto fra gli apostoli ; e qui
ravviviamo i nostri pensieri e la nostra fede. Figuriamoci
un padre, che trovandosi agli estremi di sua vita, faccia
chiamare un figlio, ed avutolo a sè : — tu vedi, o caro,
si faccia a dirgli, che io sono per morire, non andrà a
lungo che io ti lascierò ; ma prima di morire, io voglio
ancora pregarti di una cosa, e ricordati poi sempre che
questa fu l'ultima volontà del padre tuo ; io non ti chiedo
più altro, o figlio, sarà questo l'ultimo attestato, l'ultimo
pegno che tu potrai dare ad un padre che sta per mo
rire. — Io non so quale stretta sarebbe questa al cuore
del figlio, quante lacrime spunterebbero in quel punto sugli
occhi suoi e quante promesse sulle sue labbra ; promesse
che un figlio anche malvagio non potrà dimenticare giammai,
nè trascurarle. Ebbene, o cari miei, è questo appunto il
MORTE DI GESU ' 265

linguaggio di Gesù moribondo. Egli apre di nuovo le sue


labbra, e rivolgendosi a ciascheduno di noi nella persona
di Giovanni, cosi parla : – tu vedi, o sacerdote mio caro,
che io sto per morire ; io ti ho chiamato ai pie' di questa
croce per dirti, per affidarti prima di morire ciò che più
mi sta a cuore, ed è che tu voglia ricevere per tua questa
madre : fili ecce mater tua ( 1 ). Figlio, io non saprei a chi
meglio rivolgermi per consegnare la madre mia, che a te,
mio ministro ; io mi fido adunque di te ; ricordati che fu
questa l'ultima mia volontà . – Miei fratelli, io non posso
trattenermi per ora sul mistero soavissimo d'amore rac
chiuso in queste poche parole : ognuno lo mediti tra sé e
sè davanti al crocifisso, e dia sfogo ai sentimenti del suo
cuore per una raccomandazione, un regalo, una promessa
cotanto preziosa e consolante. Un Dio che in quegli estremi
mi affida e mette quasi tra le mie braccia la madre sua
e mi dice : figlio, ricordati che te l'ho data e sarà la
madre tua ; deh ! volerle bene, fa di amarla, di ossequiarla
e compensarla del suo dolore : Honorem habebis matri tuae
omnibus diebus vitae tuae (2). Tu sai quello che ha essa
fatto, e molto più quello che farà per te ; tutto ti serva
ad averla, a trattarla da quella madre che è : fili ecce
mater tua ! - Quale consolazione non è questa per noi!
quale forte motivo per far gran caso dell'appoggio di Maria
nell'esercizio del nostro ministero !
Ma ecco che a questo punto un grido angoscioso, un
gemito di dolore esce dalla bocca di Gesù : Deus meus,
Deus meus, ut quid dereliquisti me ? (3). Il significato di
queste parole voi tutti lo sapete, è l'estremo abbandono
di Gesù sulla croce, e perciò non mi fermo a spiegarlo ;
ma vorrei che da esse deducessimo alcune conseguenze
per nostro pro. La prima si è di tenerci preparati anche
(1) Joann. XIX . 27. ( 3) Matth . XXVII . 46 .
(2) Tob. IV. 3.
CAFASSO Eserc. Spirit. - Medit 18
266 MEDITAZIONE DECIMAQUARTA

noi a passare nelle nostre agonie per tutte quelle pene ed


angustie che la giustizia e la misericordia di Dio vorrà
permettere a ciascun di noi o in punizione delle nostre
colpe o pel maggior nostro bene. La seconda è di non
spaventarci, se nell'esercizio del nostro ministero scorge
remo anime buone e sante mostrare in vita e specialmente
in punto di morte certe paure, dare in certi scoraggiamenti,
che alle volte mal intesi possono rallentare il nostro co
raggio ; non temiamo, no, sono gli ultimi strepiti d'un
nemico, che è pressochè vinto, è l'ultima palma che Iddio
prepara a quelle anime elette. Finalmente l'abbandono di
Gesù ci sia di stimolo a correre in aiuto ai moribondi, ad
assisterli, a consolarli. Deh ! non siamo avari, restii con
quelle anime che si trovano in quell'ultimo punto ! Noi
sappiamo come la Chiesa, qual tenera madre, sia sollecita
e raccomandi questa assistenza e ne assegni i mezzi; tutti
gli uomini apostolici, tutti i buoni operai del Signore ne
hanno sempre fatto gran caso, si prestarono essi medesimi,
e non cessarono d'insistere che si soccorressero i moribondi.
Lo so che si può dire: io non ho tempo, ho molto da
fare, e per altra parte gli ammalati sovente sono distanti,
sono dispersi. Che cosa rispondere ? Se veramente non si
può, pazienza ! cosa volete che vi dica : Iddio vi pagherà
la buona volontà. Ma se si adducessero solo quelle ragioni:
- io non ho il coraggio, non si costuma, sono già muniti
di tutto, vi sono secolari che fanno ; - ah ! quante cose
avrei a rispondere a tali scuse e pretesti ! ma le lascio
per mancanza di tempo ; e poi è tanto patente la loro in
sussistenza, che credo occorre nemmeno che vi risponda.
Mi limiterò per nostro eccitamento a questi riflessi : pen
siamo che quella persona chiede per l'ultima volta la nostra
carità, e la chiede non colle parole, ma co' gemiti del cuore
e co’ sudori della morte ; pensiamo che quell'anima si trova
nell'ultima e decisiva battaglia della sua vita, e che una
MORTE DI GESU ' 267
nostra parola, una sola preghiera, la nostra sola presenza
l'e può dar la vittoria in mano e può salvarla ; pensiamo
che quell'anima non sarà tardiva a pagarci il nostro in
comodo : a momenti sarà in Cielo a pregare per noi, a
perorare la nostra causa ; pensiamo infine che un giorno
ci troveremo anche noi tutti a quel punto, e che in quello
stesso modo, coi gemiti e coi sospiri, noi domanderemo lo
stesso aiuto e la stessa carità ; e se avremo soccorsi e
salvati gli altri, stiamo certi che non gemeremo invano :
Dio non permetterà che si perda in quel punto colui che
ha avuto compassione dei gemiti altrui. Siccome poi resta
impossibile accorrere in aiuto a quanti ne avrebbero bi
sogno in quelle ultime agonie, non dimentichiamoli almeno
nelle nostre preghiere . Da calcoli approssimativi, come sa
pete, sono pressochè 80 mila persone che muoiono ogni
giorno in tutto il mondo : ah mio Dio ! chi sa quante ca
dranno a male ! procuriamo almeno con qualche pia pratica,
con qualche speciale preghiera, di strapparne qualcuna
ogni di, sicchè possiamo avere il contento ogni giorno di
mandare una lingua di più a cantar in eterno le divine
misericordie.
Non è forse questo il sentimento, il desiderio di Gesù
moribondo ? ascoltiamolo dalla sua bocca medesima. - lo
mi sento una brama, un desiderio che più non posso ap
pagare, provo una sete la più ardente che non mi è più
dato di spegnere, ed è la salute di tante anime : Sitio ( 1 ).
Il mio desiderio tu lo sai, continua a dire ad ogni sacer
dote, occorre nemmeno che te lo ricordi, io non venni per
altro sulla terra che per salvare le anime ; per esse mi
sacrificai fino a questo punto ove mi trovo, e non mi resta
che lasciar a te ciò che a me non è più dato di com
piere ; io non ti dimando gran cosa, non voglio nemmeno
tanti sforzi, ti pregherei solo a non dimenticartene, ed in
(1 ) Joann . XIX. 28 .
268 MEDITAZIONE DECIMAQUARTA

quel poco che spenderai la tua vita, ad aver di mira non


già la roba, il fango, le follie della terra, ma piuttosto il
mio scopo , la sete, il desiderio mio.
Eh ! fratelli miei, se queste parole e questo tratto non
sono capaci di scuoterci una volta dalla nostra inerzia e
pigrizia, se non sono da tanto da indurci finalmente a la
sciare le vanità della terra ed a lavorare per le anime, io
non saprei più che dire se non che forse noi occupiamo
un posto che non era fatto per noi ; imperocchè il vero
sacerdote, che deve essere una copia conforme a questo
divino modello, non ha da aver altra mira che l'onore, la
gloria di Dio e la salute delle anime, lavorandovi d'attorno
sino agli estremi della vita ; non vi ha congedo nella nostra
milizia, nessuna vacanza per noi , e se il sacerdote ha da
provare un dispiacere al suo letto di morte, se deve lasciare
la terra con un rimpianto, non è già quello della perdita
dei parenti, della roba, dell'impiego, della vita, ma quello
soltanto di non aver più tempo ad impedire peccati ed a
portar anime in Paradiso.
Ma rimiriamo il nostro Divin Redentore, che sta per
esalare il suo spirito. Rivolto al Padre suo, placido e tran
quillo si fa a dirgli : – Padre io ho finito.; venni in terra
per fare la volontà vostra, io l'ho compita : Consummatum
est ( 1 ).
È questo il linguaggio che tiene in morte il sacerdote
il quale in sua vita non ha avuto in mira che di com
piere i desiderii del Padre suo e di corrispondere al gran
fine della sua vocazione. Venga adunque il sacerdote mon
dano, indolente, pigro, ozioso, secolaresco, e mi dica se al
suo letto di morte potrà parlare in questo modo ; venga
l'ecclesiastico che lavorava si, ma per fini umani, per va
nità, per lucro, per interesse, e mi risponda se in punto
di morte si sentirà il coraggio di ripetere, davanti a questa
(1) Joann . XIX. 30.
MORTE DI GESU ' 269

croce, d'aver fatto la volontà di Dio, d'aver cercato l'onor


e la gloria sua ! ... E noi, o fratelli, che cosa diremo in quel
punto ? potremo parlare in questo modo : - Signore, chia
mato da Voi a questo stato, io indossai queste divise, ac
cettai quell'incarico, mi assunsi quel peso perchè Voi lo
voleste ; ora ho adempito l'incarico, ho compito la vostra
volontà , consummatum est ? - Ma che sarebbe se, allor
quando ci daranno in mano questo crocifisso e ci eccite
ranno a ripetere ancor noi il consummatum est del Re
dentore, dovessimo dire : – no , che questa parola non è
fatta per me, - ed invece di consolarci ci procurasse an
goscie più amare ?
Il punto, o cari, è troppo importante per non andare
avanti cosi all'azzardo ; io darò un mezzo per assicurarci,
che credo il più valevole. Ogni giorno, ogni ora che passa,
voi lo sapete, non ritorna più e noi moriamo continua
mente . Ciascuno di noi si metta ogni sera ai piedi del
Crocifisso e dica : Signore, ecco un giorno passato di
mia vita, ecco trascorso un giorno di lavoro e di sacer
dozio , a me pare in quest'oggi d'aver fatta la vostra vo
lontà; ho speso la giornata per Voi, ho cercato nient'altro
che Voi, il vostro onore e la vostra gloria, a Voi solo ne
sia la lode peschè Voi solo la meritate ; se mi darete altri
giorni, sarà dover mio di trafficarli sempre più allo stesso
fine , del resto ho terminato la mia giornata : Consum
matum est. — Che se alla sera il cuore ci farà rimpro
vero di non aver corrisposto a questo Dio, oh ! allora
confessiamo la nostra colpa compunti, pentiti come altret
tanti servi che hanno perduto il loro tempo : - Signore,
lo debbo dire, io vi ho tradito, ho deluse le vostre mire,
ho ingannate le vostre speranze ! Oh quanti sacerdoti
avranno il contento a quest'ora di ripetere ai vostri piedi
che vi hanno servito, che hanno lavorato per Voi ! io in
vece no , ho perduto il mio tempo, l'ho scialacquato nelle
270 MEDITAZIONE DECIMAQUARTA

stoltezze di questa terra: Signore, non merito perdono; ma


se mi date ancora un giorno di vita , vel prometto, esso
sarà per Voi : ho deciso, sono fermo, sono risoluto, sarà
una giornata da sacerdote , una giornata di zelo, di studio ,
di occupazione, di preghiera, una giornata insomma de
stinata all'onore, alla gloria vostra. – E se nei giorni
susseguenti fossimo sempre i medesimi, pigri, indolenti, se
colareschi, mondani, come andrà a finire per noi ? Fratelli
miei, è inutile illuderci, la copia che non sarà trovata con
forme all'originale non sarà riconosciuta, verrà rigettata :
Nescio vos ( 1 ), va che non ti conosco. Deh ! non sia questo
di noi ; non lasciamo che i giorni di un sacerdote vadano
a perdersi nelle follie del mondo, essi sono troppo preziosi,
e tutti devono finire col consummatum est del Calvario .
Ed eccoci giunti all'istante solenne della morte di Gesù .
Prima di abbandonare questa valle di lacrime e di chiu
dere la sua scuola divina, Egli leva un grido fortissimo ed
affida l'anima sua al divin Padre , per protestargli cosi
di nuovo la sua ubbidienza, la sua rassegnazione: Pater,
in manus tuas commendo spiritum meum (2) ; quindi
china il capo e spira : Et inclinato capite tradidit spi
ritum (3). Si, è morto Gesù il nostro Capo, il nostro Ma
estro, il nostro Redentore, ed è morto in una piena e to
tale rassegnazione all'eterno suo Padre nelle circostanze
tutte della dolorosa sua morte. Osserviamole.
Mori Gesù nel fiore dell'età, dopo tre soli anni dacchè
predicava, in un tempo in cui cominciava a dilatarsi la
fama del suo nome e della sua dottrina e in cui i suoi di
scepoli e seguaci aumentavano ogni di. Quanto bene avrebbe
potuto fare in trenta o quarant'anni che poteva ancor vi
vere ! e possiamo immaginarci quanto desiderava di fare
del bene; eppure si dispose a morire, e morire volentieri,
(1 ) Matth . XXV. 12.
( 2) Luc. XXIII. 46 . ( 3) Joann. XIX. 30 .
MORTE DI GESU ' 271

si può dire, alla metà della sua carriera, perchè tale era
la volontà del suo padre. Mori d'una morte la più infame,
sopra un patibolo, in compagnia di ladri, anzi in mezzo ad
essi, come loro capo e ladro più scellerato ; mori al cospetto
di un popolo intero, nelle vicinanze di una gran capitale,
in occasione d'un concorso straordinario di gente. Poteva
bene il Redentore scegliere altro genere di morte , altra
occasione, altro luogo ; ma no, egli volle compiere la volontà
del suo eterno Padre e non la sua. Mori d'una morte la
più dolorosa, d'una morte violenta, in mezzo a mille strazi,
abbandonato da tutti, privo d'ogni conforto, sotto gli occhi
de' suoi conoscenti, addolorato dai gemiti e dagli spasimi
d'una madre la più affezionata. Si può dare, fratelli miei,
un sacrificio più duro, più amaro, più doloroso di questo ?
Eppure lo fece, lo fece prontamente, lo fece di buona volontà;
non si lamentò nè dei discepoli che l'avevano abbandonato,
nè dei Giudei che l'avevano fatto condannare, non de' car
nefici che gli usarono tante crudeltà e barbarie, non del
l'eterno suo Padre che lo aveva riservato ad una morte
si crudele ed immatura ; che anzi come nelle agonie del
l'orto aveva protestato di voler fare non la sua volontà ,
ma quella del Padre, non mea sed tua voluntas pat (1 ) ,
cosi nel suo spirare volle nuovamente dar prova della sua
ubbidienza, e rassegnazione : Pater, in manus tuas com
mendo spiritum meum (2).
Ecco il punto a cui deve giungere il sacerdote, che è
stato alla scuola di questo divino Maestro. Egli deve essere
disposto a far qualunque sacrificio per Dio, sacrificare e
roba e parenti e amici e libertà e comodi. Non basta :
quando Iddio il voglia, deve essere rassegnato anche à
morire in quel tempo, in quel modo, in quel luogo, in
tutte quelle circostanze che esso vorrà ; sicchè alla divina
chiamata ognuno di noi possa rispondere di gran cuore :
(1 ) Luc. XXII . 42. ( 2) Luc. XXIII . 46 .
272 MEDITAZIONE DECIMAQUARTA
Pater, in manus tuas commendo spiritum meum . Dunque
prima di partire facciamo ancor questo passo : prendiamo
tra le mani questo crocefisso, e - Signore, diciamogli, ci
resta ancor un punto da intenderci tra noi due ed è questo
misero avanzo di vita che ancor mi rimane. Voi ne siete
il solo padrone, pensatevi Voi, io lo depongo nelle vostre
mani e non vi penso più ; non penserò più nè a vivere,
né a morire, ma solo a lavorare come esige il mio dovere,
a contentarvi in tutto, a far mai sempre la vostra volontà.
Del resto io sono pronto ad ogni morte, in ogni tempo, in
ogni modo ; voglio essere una copia di Voi in vita, e molto
più in morte ; lo dico adesso, l'andrò ripetendo sovente
ne' miei giorni avvenire, e quando m’accorgerò che forse
sarà vicino il termine della mia carriera, allora più che
mai mi stringerò a questa croce, eh ! Signore, dirò, Voi lo
sapete , voglio morire con Voi, voglio morire come Voi,
voglio morire assieme a Voi . — Si, o cari, non partiamo
senza aver fissa ben bene in cuore questa generosa riso
luzione, poichè noi, senza subirle realmente, avremo il me
rito di quante morti siamo disposti ad incontrare per Dio,
e che merito ! E poi quando spunterà finalmente quella
giornata estrema, non ci rimarrà più alcun sacrificio a
fare, il tutto sarà appianato, e morremo colla pace e colla
calma.
- Ma pure, si va dicendo, io ho paura di morire, questo
pensiero mi spaventa... pazienza quando vi dovrò andare,
ma fissarmi e risolvermi ora di morire, non posso. Eh
cari ! aver paura di morire dopo d'aver fatto gli esercizi,
non lo comprendo molto questo timore ; dopo che un sa
cerdote ha aggiustato le sue partite, ha pianto le sue colpe,
ha provato le misericordie del Signore, dopo che ha gu
stato in questi giorni quanto sia dolce il parlare, il con
versare con lui, che timori, o fratelli, a partire ed andar
al Signore ? Un servo corre quando è chiamato dal suo
MORTE DI GESU' 273

padrone, un figlio gode quando il padre l'ammette alla sua


presenza, e noi temeremo di presentarci al miglior dei pa
droni, al più tenero dei padri ? È forse egli un estraneo,
uno sconosciuto per noi ? E non sapete che è quel Dio
medesimo che ci indossò queste divise e ci chiamò a ser
virlo cosi da vicino ? quel Dio stesso che trattavamo cosi
alla famigliare ne' Sacramenti, all'Altare, nella Messa ? quel
Dio insomma, al quale sempre affidammo altre volte i nostri
fastidi, le nostre paure, e che cosi prontamente seppe aiu
tarci e soccorrerci ? e perchè ora temere di lui ed averne
spavento ?
Tuttavia, si può osservare, anche il Redentore provo
un po' di difficoltà ad arrendersi, poichè sulla croce parve
lagnarsi coll'eterno suo Padre di averlo abbandonato e di
lasciarlo in braccio ad una morte cosi dura e spietata :
Deus meus, Deus meus, ut quid dereliquisti me ? È bene
che riandiamo questo passo per nostra norma ed istruzione.
La ripugnanza, o cari, il ribrezzo, non toglie e non impe
disce una rassegnazione vera e compita, ed il Signore l'ha
lasciato conoscere appunto perché i suoi esempi fossero
più alla nostra portata ed imitabili. Un sacerdote sarà buono,
anche santo , ma è vestito di terra e di fango e non vi è
a stupire che possa sentire in quei frangenti un po' di
umano. Di più, un'anima anche buona può andar soggetta
in quel punto a molte prove che Iddio più o meno suol per
mettere pel maggior bene di lei, perché si tenga umile,
perchè preghi, confidi e forse anche perchè sconti qualche
suo difetto che le rimane ; del resto state certi che saranno
cose passeggiere. Vi è una gran differenza in morte tra
la prova del giusto ed il rimorso del peccatore : questo,
come una spina radicata nel cuore, lo rode continuamente,
e se qualche volta pare che scemi e si dilegui, non è che
per ridestarsi più vivo e lacerarlo maggiormente ; al con
trario la prova dell'uomo giusto è come una nebbia che
274 MEDITAZIONE DECIMAQUARTA

spunta e poi si dilegua e lascia il più bel sereno. Tale fu


l'apparente abbandono del divin Redentore, che subito dopo
rivolto al Padre con tutta franchezza spirò.
Ma io vorrei ancora vivere, soggiunge qui alcuno,
per farmi un po' di bene : mi trovo colle mani vuote, posso
dire che ho niente, e morrei con pena se avessi a termi
nare al presente i miei giorni. — Eh cari! questo pensiero .
è lodevole, ed il Signore ve ne terrà conto per certo, esso
però non ci deve ritirare per niente dalla risoluzione che
ho detto. Il miglior bene, anzi l'unico che si possa fare al
mondo, è quello che sta nella volontà di Dio, e chi la compie
fa tutto quello che si può fare da un'anima sulla terra .
Pertanto se questo Dio ci chiama a sè in quel tempo, in
quel modo, in quelle circostanze, è segno che tale è la sua
volontà, è una prova che quella è la miglior morte, il
miglior modo di morire. Perchè dunque esitare, inquietarci,
desiderare ancor di vivere, sia pure per fare del bene ?
Iddio li vede questi desiderii, e se non ci dà campo di effet
tuarli, vuol dire che quel bene ce lo pagherà egualmente,
ma non lo pretende da noi. Ah ! moriamo tranquilli, ras
segnati, volenterosi, come mori questo nostro divino Re
dentore !
Fratelli miei, abbiamo meditata la morte di Gesù in croce,
abbiamo udite le ultime sue parole feconde di tanti am
maestramenti e di tanti ricordi per noi . Sapremo noi ap
profittarne ? Voglio sperare che si ; tuttavia qui sul finire
non posso nascondervi una verità che forma pure il mio
grande timore. Io domando : chi furono i più colpevoli nel
fatto di questa morte, e chi si penti del commesso delitto?
I più rei furono i sacerdoti, perchè essi pei primi cerca
rono a morte Gesù, essi attizzarono i Giudei, il popolo e
gli stessi magistrati all'orribile deicidio. Chi si penti ? Quasi
tutti, eccettuati i sacerdoti. Si penti il Centurione che ri
conobbe per uomo giusto il divin Redentore, dimostrando
MORTE DI GESU ' 275
cosi essere la virtù che alfin la vince : Videns centurio
quod factum fuerat, glorificavit Deum , dicens : vere hic
homo justus erat ( 1 ) ; si pentirono quanti erano là dattorno
alla croce e che poco prima bestemmiavano : omnis turba
eorum qui simul aderant.... percutientes pectora sua re
vertebantur (2). Chi però stette fermo e non si scosse fu
il cuore dei sacerdoti, i quali andarono ancor da Pilato a
trattar da seduttore Gesù che era già morto : Recordati
sumus quia seductor ille dixit (3). Verità terribile ella è
questa, che cioè d'ordinario chi ha più lumi alla mente,
sia più duro di cuore. Che vi siano colpe tra noi, che si
commettano disordini anche nel clero, purtroppo, a nostra
confusione, non possiamo dubitarne ; ma almeno si vedrà
poi nel sacerdote quel dolore, quei gemiti, quei sospiri,
quelle proteste, ed anche quelle lacrime che più volte tro
viamo nei secolari? Ben di rado, e voi il saprete più di
me. E che dire adunque, e che fare di più per ammollire
questi cuori ? Oh ! un figlio che abbia assistito alla morte
d'un padre, ne abbia ascoltati i gemiti, ricevuti gli ultimi
sospiri, gli abbia chiusi perfino gli occhi, e poi non si
senta tocco, non cangi , non si riformi, non ritorni mi
gliore, per un tal figlio, a che volete che servano le mie
parole ? Ma è a voi che io parlo, a voi, o cari, che certo
le sentite queste cose, a voi perciò io lascio questa scuola
aperta, questa morte cioè a meditare nei giorni avvenire.
Su questa croce ognun di noi impari a vivere, si prepari
a morire ; imitando la vita di Gesù ne meriteremo la morte,
e vivendo da veri seguaci di questo divin maestro mori
remo da santi sacerdoti, quieti, rassegnati, tranquilli, la
sciando una terra di esilio e di lacrime per raggiungere
lassù in cielo un seggio di gloria che mai più finirà. Cosi sia.
(1) Luc. XXIII . 47. (3) Matth. XXVII . 63.
(2) Ibid. 48 .
MEDITAZIONE DECIMAQUINTA.

Il Paradiso .

PREGHIERA. – Glorioso mio Redentore, io vi credo qui


presente e mi prostro innanzi a Voi. Io aspetto la futura
mia risurrezione, aspiro alla vita del Paradiso che tenete
riservata al buon sacerdote, al fedele vostro ministro. Deh !
o Signore, accendete il mio cuore, affinchè d'ora innanzi
tutte le mie mire siano dirette alla gloria che lassù mi
attende. Cara Madre Maria, Voi che dopo il vostro Gesù .
formate la gioia e la delizia di quella famiglia dei Santi,
ricordatevi in ispecial modo in quest'oggi di me. Angelo
mio Custode, ecc.
SR

Abbiamo meditato alcun po' della vita e la morte del


nostro divin Redentore ; abbiamo veduto il modello sul quale
deve formarsi il sacerdote, lo spirito di cui deve vivere,
lo scopo e le mire a cui deve tendere, i mezzi dei quali
ha da servirsi per giungere all'alta meta a cui è destinato.
Ora la mortale carriera di Gesù è adunque compiuta ; colla
sua morte sono cessate le umiliazioni ed i patimenti per
dare luogo alla risurrezione ed alla gloria. Egli infatti ri
suscitò, si trattenne qualche tempo co' suoi Apostoli, quindi
IL PARADISO 277

lasciò questa misera terra e parti pel Cielo. Si, Gesù il


Redentore, il Capo e Principe dei sacerdoti, quel medesimo
che nacque e visse cosi povero, quel medesimo che fu trat
tato cosi malamente dal mondo, caricato di villanie, tra
dotto come un malfattore, giudicato perfino indegno di vi
vere e condannato a morte , quel medesimo, dico, a dispetto
del mondo e di tutta la rabbia di lui, entrò nella sua
gloria, e di là sta aspettando quel mondo, che lo tratto
cosi male e che un di dovrà prostrarsi davanti a Lui per
essere da Lui medesimo. giudicato.
Rallegriamoci, fratelli miei, la gloria di Gesù sarà pure
la nostra se sapremo mantenerci buoni sacerdoti, degni
operai evangelici nella vigna del Signore. Il mondo pensi
ciò che vuole di noi, ci tratti pure malamente, ci faccia
tutto quello che può, il paradiso nessuno ce lo torrà. Morrà
come ogni altro il buon sacerdote, il suo corpo andrà in
cenere nel sepolcro ; ma da quelle ceneri un giorno
risorgerà glorioso, e dopo il più solenne e compiuto
trionfo del finale giudizio verrà anch'esso chiamato per
dar principio in Cielo a quella gloria e quella festa che
non finirà mai più.
Al Cielo adunque, o cari miei , io v'invito in quest'ul
tima giornata del nostro ritiro, al Cielo che è propriamente
la casa e la patria nostra, a quel Cielo, dove già stanno
radunati e ci attendono tanti altri sacerdoti, a quel Cielo
insomma che formerà un dila vostra e la mia corona,
la vostra e la mia eterna abitazione. Tre pensieri io darò
di questa gran patria da scolpirci in cuore, e portarci con
noi alle nostre case : 1 ° il Paradiso è nostro e sicuro ; 2° il
Paradiso non è lontano, ma vicino ; 3° il Paradiso non è
difficile, ma facile a conseguirsi. Questo giorno che negli
esercizi vien detto di gaudio e di allegrezza, spero che ser
virà non poco a confermare in noi quei buoni propositi
che avremo fatti nei passati giorni ed a mantenerci fermi
278 MEDITAZIONE DECIMAQUINTA

e costanti nei medesimi sino al termine della nostra vita.


Cominciamo.
1. lo dico dapprima che il paradiso è nostro e sicuro,
purchè lo vogliamo. Ed invero, fra tanti nemici che ab
biamo dattorno, non ve n'ha uno che ci possa rapire il
paradiso : nè il mondo, né il demonio, né le tentazioni ce
lo possono strappar di mano ; una cosa sola ce lo può to
gliere, ma è cosa che dipende dalla nostra volontà, è il
peccato mortale. Questo peccato senza di noi non si fa, non
si può commettere, anzi per commetterlo si ricerca la nostra
piena volontà ed adesione. Ognuno di noi è libero di porla
o no questa volontà, e chi non vuole, nessuno e niente al
mondo lo può forzare o costringere ; sicchè tenendomi io
lontano dal peccato, il paradiso è sicuro per me. Non occorre
nemmen dire che per parte di Dio possiamo essere certi di
tuttociò che è necessario per conseguirlo, poichè oltre a quanto
c'insegnano le scuole, che cioè Iddio vuole la salute di tutti e
che non viene meno ad alcuno, per noi vi sono ragioni parti
colari che ci rendono impossibile il dubitarne . Le promesse
fatte, ripetute nel modo più esplicito ai primi sacerdoti e nelle
loro persone a tutti noi ci devono togliere ogni timore : Vado
parare vobis locum (1 ).... Pater, quos dedisti mihi, volo ut
ubi sum ego et illi sint mecum (2)... Dispono vobis sicut
disposuit mihi Pater meus Regnum (3) ; che mai possiamo
desiderare di più chiaro e di più preciso ? E poi come
supporre che Iddio, oltre volerci largire la grazia della fede ,
ci volesse ancora contraddistinguere con una vocazione spe
ciale, qual è la nostra, e deputarci a farla in terra da
suoi luogotenenti, quando non ci avesse veramente voluti
salvi con Lui in paradiso ? Lo so che un sacerdote può dan
narsi anche dopo una vera vocazione, ma ci vorrà sempre
un abuso grave della nostra volontà, lo che sta in man
(1 ) Joann . XIV. 2. (3) Luc. XXII. 29.
(2) Joann . XVII . 24 .
IL PARADISO 279

nostra e proverrà dalla nostra colpa. Adunque è cosa in


dubitata, che quando io veramente il voglia, il paradiso è
per me.
Ah ! come solleva , come consola questo pensiero ,
quando sia ben fitto e radicato nel nostro cuore ! In certi
giorni in cui la vita è un peso , in certe strette di cuore,
in certe angustie di spirito, in certe pene di ministero, ah !
un'occhiata, uno slancio di fede a quella patria, e quasi
già vedendola ripetere a noi stessi : -

quel luogo, quella


reggia, quel cielo è per me ! Non so se saranno brevi od
ancora lunghi i giorni che mi restano di vita ; non so le
vicende, le consolazioni, i disgusti che avrò ancor a pro
vare sulla terra ; non so se avrò sanità in avvenire, o se
sarò travagliato da incomodi di salute ; non so se potrò
riuscire nei miei progetti, nelle mie mire, anche buone,
anche sante ; ma nulla importa : tra tante incertezze, da
vanti ad un avvenire cosi oscuro, veggo chiaro in un punto ,
ed è che io sono fatto pel Cielo ed il Cielo è per me. I
mondo è maligno contro di me, mi biasima, mi burla, mi
opprime; ma a dispetto di tutta la rabbia che lo divora
e di tutto l'odio che mi porta, non può variare il mio de
stino, e quando io sia fedele, il paradiso sarà per me. Io
ho peccato, purtroppo, e quante volte e per quanti anni ;
ma tutte queste colpe, se io le piango e le detesto davvero,
mi verranno perdonate, ed il Cielo, ripeto, sarà per me.
Chissà quanti sacerdoti sono già perduti in questo mo
mento , ed ahimè, chissà quanti altri andranno a perdersi!
ma io se voglio, sono sicuro, l'inferno non sarà per me.
Ah ! fratelli miei cari, ravviviamo sovente questi pen
sieri, e quando le noie ci conturbano, le fatiche ci stan
cano, gli ostacoli ci abbattono, pensiamo che il paradiso ė
per noi. Donde mai, o cari, prendevano lena tanti buoni
operai evangelici, che già ci precedettero e fecero tanto bene
-nella vigna del Signore, se non dal pensiero e dalla vista
280 MEDITAZIONE DECIMAQUINTA

del paradiso ? S. Francesco d'Assisi non trovava più spina


in terra, quando contemplava il Cielo ; S. Francesco Zaverio
a questo pensiero dimenticava le arene infuocate della Pe
scheria , e gl’indicibili suoi stenti e fatiche, e scriveva che
già gli pareva di trovarsi in paradiso ; S. Filippo andava
fuor di sè per l'allegrezza al solo pensiero del Cielo ; a
S. Alfonso sembrava un martirio cosi doloroso il vivere in
terra, che esclamava di non poterne più. Oh ! è impossi
bile spiegare a parole quel che possa sull’anima, sul cuore
d'un sacerdote di fede cotesto pensiero : -
io sono fatto
pel Cielo, il Cielo è per me !
II. Eppure il paradiso non è soltanto sicuro, ma ancora
vicino per noi . Ce lo dicono e il tempo che trascorre ve
locemente, e gli incomodi di salute che sempre aumentano,
e le persone care che ogni di scompaiono e vanno ad at
tenderci lassù. Solo da che siamo entrati in questo ritiro
abbiamo già percorso un bel tratto di tempo, cioè un bel
tratto di strada verso il paradiso, e ritornando alle nostre
case ce lo troveremo molto più vicino. Ogni momento, ogni
azione della nostra vita è un passo verso la nostra meta ;
lavorando, pregando, dormendo, in ogni cosa ed ovunque
e sempre, noi ci andiamo avvicinando al paradiso, ed ogni
istante può essere quel punto fortunato in cui possiamo
essere chiamati alla gloria. Vicino ce lo dicono gli incomodi
di salute che sorgono ed aumentano ogni di . La floridezza
d'una volta che più non si ha, il peso degli anni che si
fa sentire con mancanza di forze, debolezza di testa, per
cui ci vogliono riguardi e misure nelle fatiche, nelle occu
pazioni, perfino nel far del moto, tutto questo indica una.
pianta che declina, che illanguidisce, che si abbassa e che
presto toccherà la fine. Vicino ci fanno sperare il paradiso
i tanti compagni che andiamo perdendo ogni giorno. Ah,
fratelli miei ! facciamo un po' di rassegna dei compagni
avuti nei primi anni alle scuole, nei seminarii, nel mini
IL PARADISO 281

stero, e perfino negli spirituali esercizi : sono tanti che


forse non potremo più numerarli quelli che già scompar
vero dal mondo e partirono per l'eternità. Quanti sacerdoti
che attesero agli esercizi, ed anche li dettarono in questo
medesimo Santuario, che qui parlarono, meditarono e si
consolarono col pensiero e colla speranza del paradiso, eb
bene, il loro giorno è venuto, e per molti ben presto : Dio
già li ha tolti da questa terra d'esilio per collocarli nella
patria celeste. Tutto ciò, o cari, ci avverte che la nostra
sorte sarà la stessa, e non potrà essere di molto lontana
la nostra chiamata. A ciò aggiungete i sospiri, i desiderii,
i voti di quell'intiera famiglia del Paradiso che ci attende
e sollecita il nostro arrivo lassù : Magnus illic nos ca
rorum numerus expectat , parentum , fratrum ...... CO
piosa turba 'desiderat ( 1 ). Se la preghiera di un'anima
buona mandata al cielo da questa valle di lacrime ha tanta
forza presso Dio da strappar miracoli e favori straordi
narii, che non faranno la voce, le brame, il voto generale
di quella celeste famiglia di vederci , di abbracciarci e
presto averci compagni loro a nostra gioia e consolazione ?
Ad horum cospectum et complexum venire, quanta et illis
et nobis in commune laetitia erit (2) ! e se ciò sarà per
tutti, quanto più lo ha da sperare il sacerdote da quelle
anime che ha già mandate in paradiso, da quelle anime,
che dal letto di morte, sul punto della loro partenza, ci
hanno data parola, ci hanno assicurato che in cielo avreb
bero perorata la causa nostra ? Oh ! quante volte queste
anime sante si ricorderanno di quel buon sacerdote che le
ha salvate, e davanti al buon Dio faranno voti e preghiere
perchè lo salvi e presto lo tolga dalle burrasche e dalle
tempeste di questo mondo ! Sicché, lo ripeto, il paradiso
non può essere lontano, tutto ce lo fa sperare vicino, e
forse più vicino di quello che noi ce lo aspettiamo.
(1 ) S. Cypr. De Mortal. (2) S. Cypr. ibid .
CAFASSO Eserc . Spirit. Medit . 19
282 MEDITAZIONE DECIMAQUINTA

Impariamo da questo riflesso a tenerci svincolati e pronti


a partire ogni momento che saremo chiamati ; impegnia
moci ad accrescere senza ritardo la nostra gloria con
qualche merito di più in ogni giorno, e finalmente pro
curiamo d'accelerarlo anche noi questo Paradiso coi voti ,
coi desiderii nostri. Non sarebbe infatti una follia tenere
il nostro cuore allacciato alle cose di terra, quando sap
piamo che, fatti pel Cielo, presto vi saremo chiamati ?
Coraggio adunque, vi dirò io pure : - Agite nunc, fratres,
aggrediamur iter vitæ , revertamur ad civitatem coelestem ,
in qua scripti sumus, et cives decreti (1 ). Procuriamo,
fratelli miei, di tenere staccati da questa terra i nostri
cuori, sicchè possiamo battere costanti quel cammino, che
ci ha da condurre alla vita ; sospiriamo di giungere presto
a quella città, a cui siamo ascritti ed arruolati ; e nei
pochi giorni che ci restano di viaggio, non perdiamo tempo ,
sforziamoci di mettere insieme un buon capitale di meriti
per quella gloria. Là niente vi entra senza ricompensa,
ogni piccola cosa sarà pagata con mercede eterna ; non
fosse che un'aspirazione, un'occhiata, un gemito, un bacio
al Crocifisso, avrà il suo premio. - Non perdete tempo,
andava ripetendo S. Filippo, lavorate, il Paradiso pagherà ;
chi lavora è come chi sta ritirando monete . Si un po'
di Paradiso pagherà l'assistenza al confessionale, le fatiche
del pulpito e del nostro studio ; il Paradiso pagherà quei
sonni che avremo perduti, quegli stenti e quegli incomodi
che avremo sofferti per le anime ; il Paradiso compenserà
quelle privazioni che avremo fatte ; quei motti, quelle in
giurie che avremo saputo tollerare. Insomma consoliamoci
che ogni momento del viver nostro, quando sia ben im
piegato, può contare un merito ed un grado di più di
gloria in Paradiso. Vi ha forse nel mondo un affare, un
traffico in cui possa dirsi che una persona guadagni con
(1) Ven . Beda Serm . XVIII, de Sanctis.
IL PARADISO 283

tinuamente e ad ogni momento possa far qualche lucro,


mettere a parte qualche profitto ? Eh ! i negozi di questo
mondo non sono tanto prosperi : questo guadagno facile,
continuo e sicuro, è solo proprio del gran negozio del Pa
radiso .
È questo il motivo per cui molte anime buone e tanti
operai evangelici provano un rincrescimento nel lasciare
questo mondo, perchè sarà finito per loro il tempo, e
non avranno più campo a procurarsi merito alcuno ; anzi
può dirsi che tale pensiero genera perfino invidia negli
stessi Beati, poichè noi sappiamo che Santa Maria Madda
lena de Pazzi, comparendo ad una sua divota, le disse
che se in Paradiso fosse ancor possibile un desiderio, sa
rebbe quello di ritornare in terra per recitare anche solo
un'Ave Maria, e cosi avere quel merito di più. E noi, o
fratelli miei, che abbiamo ancora la bella sorte di aver
giornate intiere, sapendo che presto finiranno, le lascieremo
correre senza cercare di trafficarle ? Che consolazione sarà
la nostra in morte e per tutta l'eternità, quando penseremo
che in pochi minuzzoli di tempo e con cose da nulla, ci
saremo guadagnato tanta gloria. — Oh felici momenti ! di
remo noi, oh preziose opere nostre, che ci resero cosi beati
in Paradiso ! -
Finalmente l'ultima conseguenza a dedursi, e da doversi
praticare da noi, in seguito alla sicurezza e vicinanza del
Paradiso, si è questa di desiderarlo vivamente e sospirare
di arrivarvi quanto prima. Voi sapete quello che dice Santa
Teresa con altri santi, che sarà trattenuta in Purgatorio e
provata con una pena speciale quell'anima, che in terra
avrà desiderato languidamente il Paradiso. Era già questo
l'avviso che dava S. Gerolamo alla vergine Eustochio , di
portarsi sovente col pensiero alla Città santa di Dio, e
sforzarsi d'essere fin d'ora in terra quello che un giorno
sarebbe stata colà : Ad Paradisum mente transgredere:
284 MEDITAZIONE DECIMAQUINTA
esse incipe quod futura es ( 1 ). Tutti gli Ascetici racco
mandano ai direttori di spirito di eccitare nei loro peni
tenti questo desiderio, questa brama del Paradiso, poiché
a misura che li solleveranno con tali slanci dalla terra, li
vedranno camminare più veloci per la strada del Cielo e
della virtù. La nostra vita, la nostra conversazione, la
nostra dimora, lo ripeteva già il grande Apostolo, e con lui
può dirsi che lo ripetono tutti i Padri e Dottori, deve es
sere più in Cielo, che su questa misera terra ; e lo stesso
Divin Redentore fra i primi voti, che ci pose sulle labbra
nella preghiera del Pater, fu quello che venga e venga
presto quel regno : Adveniat regnum tuum . Mi pare che
dovrebbe essere persin inutile una siffatta raccomandazione,
imperocchè dov' è quell' uomo, che sapendo di venire al
possesso d'una grande eredità , di toccare una grande for
tuna, la dimentichi ed abbisogni che qualcuno gli racco
mandi di pensarvi e di desiderarla ? Solo pel Paradiso
adunque vi dovrà essere questa indifferenza ? E non sarebbe
un gran torto che faremmo a noi stessi, a Dio ed a tutte
quelle anime che ci attendono lassù, il dimostrare col fatto
di curarcene cosi poco ?
III. Lo so, dirà taluno, che fa piacere il Paradiso, e vi
penserei più sovente e più volentieri se sapessi d'andarvi,
ma è tanto difficile potervi arrivare ! Ecco, miei cari ,
il nostro scoglio, ecco il perchè a molti cadono le braccia,
ecco il motivo per cui se non vien meno la volontà di far
bene, si scema tuttavia, s’illanguidisce e par che si faccia
il bene quasi per carità. Fermiamoci ancora un po' su
quest'ultimo punto. Ho detto che il Paradiso è sicuro, che
è vicino e che è facile l'arrivarvi. Io non voglio negare
che vi sia qualche difficoltà, cioè che costi qualche cosa.
Ma dov'è, io domando, quell'impresa al mondo, tanto più
se di molta importanza è di gran guadagno, per far la
(1 ) Epist. De Custod . Virgin .
IL PARADISO 285

quale non costi ? Si lasciano forse gli uomini spaventare


da siffatte difficoltà ? Tutt'altro, e si riderebbero di chi per
questo solo se ne facesse in fuori e si ritirasse. Quando
io dico adunque che il Paradiso è facile ad acquistarsi,
intendo dire che le difficoltà non sono nè tante, nè quali
il mondo se le immagina ; intendo dire che hanno molto
più a patire e soffrire i mondani per dannarsi, che non
le persone dabbene per arrivare a salute. Ed a provare
quel che dico, io credo che non ci sia bisogno d'altro e
non si possa arrecare un'argomento, una prova più con
vincente che la confessione dei mondani medesimi . Avvi
cinatevi ad uno di questi infelici il quale nella sua vita
abbia passati alcuni giorni a far bene, a servir Dio ed a
salvarsi, ed altri li abbia spesi a vivere a modo suo ; do
mandategli quali siano state le giornate più terribili, più
difficili, più penose per lui. Quando non sia di mala fede,
la risposta sarà pronta e quale noi ce la possiamo imma
ginare. Le confessioni che fanno questi meschini non già
all'impensata ed in mezzo ai loro bagordi, ma nei momenti
più solenni e più veritieri della loro vita, lo danno a co
noscere abbastanza ; gemono, piangono, imprecano a quel
mondo medesimo che li ha traditi, burlati, travagliati, al
punto da non poterne più ; e quand’anche non lo confes
sassero in vita , noi sappiamo dalla S. Scrittura che saranno
costretti a ripetere questo lamento per un'intiera eternità :
Ambulavimus vias difficiles, lassati sumus in via ini
quitatis ( 1 ). Non so che cosa ci voglia di più per convin
cerci di tale verità .
Eppure, qualcheduno soggiungerà, le Sacre Scritture ci
dicono che la strada del Cielo è stretta, che da pochi si
cammina per essa, e che si esige forza e violenza per ar
rivarvi. – lo ammetto tutto questo, o cari, ma con ciò
non recedo dalla mia proposizione, che cioè sia facile il
( 1 ) Sap . V. 7.
286 MEDITAZIONE DECIMAQUINTA
salvarsi, nel senso che ho detto. La Scrittura dice che la
strada del Cielo è stretta, sia pur vero ; ma parlando poi
delle strade che battono i mondani, le dice più che strette,
piene di triboli, di spine, di disgusti, di dispiaceri e giunge
perfino a dire che non avranno ad aspettarsi nel loro cam
mino che infelicità, e non sapran nemmeno che cosa sia
pace : Contritio et infelicitas in viis eorum et viam pacis
non cognoverunt (1 ). Che in Cielo vi entrino pochi, ciò
non è colpa della strada, ma de viandanti ; ed infatti la
Scrittura non dice già che essi non possano entrare, ma
che non entrano perchè non vogliono. La violenza e la
forza poi di cui si parla, vanno intese a quel grado che
l'abbiam veduto di sopra , avuto riguardo alla fatica che
costa, all'urto ed al contrasto che cagiona il camminar contro
l'onda, contro la piena di tanti che corrono al precipizio.
Sicché conchiudiamo pure che il Paradiso non solo ce lo
dobbiamo ripromettere come certo ed aspettarlo fra breve,
ma che ci sarà ancor piano e facile il cammino per ar
rivarvi: facile per la pace che accompagna le nostre opere,
facile per gli aiuti che avremo, facile per quella lena e
quel coraggio taumaturgo che nasce dalla certezza d'un
premio grande e vicino.
In fin dei conti che cosa si richiede da un sacerdote
perchè si salvi ? Nulla di straordinario, di sorprendente
agli occhi del mondo ; basta una vita ordinata, divota, ri
tirata come quella che vediamo condursi da tanti buoni
preti. Vita ordinata : e vuol dire far le cose a suo tempo;
la levata, lo studio, le visite agli infermi, l'assistenza al
confessionale, il riposo ed anche il sollievo tutto sia fatto
con ordine e non già a capriccio e secondo le voglie del
momento, poiché non sono queste che debbono regolare le
occupazioni del sacerdote. Vita divota : condita cioè, ac
compagnata da quelle pratiche di pietà, che hanno da
(1 ) Psalm . XIII . 3.
IL PARADISO 287

contraddistinguere la nostra giornata da quella dei secolari.


Infine vita ritirata : vale a dire aliena dalle brighe, dagli
affari, e più che si può, dalle compagnie e dalla frequenza
del mondo. E sarà tanto difficile il battere questa strada?
Eh ! miei cari , tutt'altro ; che anzi è questo l'unico mezzo
d'aver un po' di pace sulla terra, l'unica via per andar
esenti per quanto è possibile dalle strette e dalle torture
di questo mondo. E poi quand'anche fosse difficile ed avesse
a costarci, non dimentichiamo che : Non sunt condignae
passiones hujus temporis ad futuram gloriam quae re
velabitur in nobis ( 1 ). - Costi finché vuole il Paradiso,
diceva S. Teresa, non sarà mai caro.
Coraggio adunque, fratelli miei, leviamo lo sguardo, e
teniamo d'or innanzi fissi gli occhi là dove si trovano i
veri guadagni, le vere consolazioni del nostro cuore : Ibi
nostra fixa sint corda, ubi vera sunt gaudia ; questo
pensiero, quest'aspettazione siano quello che condisca le
nostre pene, allevii le nostre fatiche e ci conforti nei nostri
travagli. - Sono fatto pel Cielo, diciamo sovente, sono
destinato per la gloria, sono un uomo di Paradiso : ecco
il mio destino, la mia gioia, la consolazione e la speranza
mia. - Non tardat Dominus promissionem suam (2)....
Juste et pie vivamus in hoc seculo expectantes beatam
spem (3). Si, o cari, Iddio non può fallire alle sue pro
messe ; viviamo da buoni preti aspettando che venga il
giorno felice, in cui da questa terra di lacrime e di do
lori saremo chiamati a quell'eterno soggiorno di gaudio e
di delizie sempiterne. Io vi lascio, o fratelli, con questa
santa e dolce speranza, ve la metto in cuore e vorrei po
tervela fermare da non perderla mai più ; amatela, gustatela :
Hanc spem , fratres, amate, hanc spem tenete.
(1) Rom . VIII . 18. ( 3) Tit. II . 12 , 13.
(2 ) II Petr. III . 9.

C
MEDITAZIONE DECIMASESTA

L'amor di Dio .

PREGHIERA . -
Amabilissimo mio Signore, io credo fer
mamente alla vostra divina presenza, e prostrato ai vostri
piedi, vi prego di aumentare la mia fede, sicchè possa in
1
questa sera maggiormente conoscervi, per maggiormente
amarvi. Ah ! mio Dio, io non vi domando beni di questo
mondo, ma solo la grazia di amarvi e di amarvi grande
mente. Si , datemi, o Signore, il vostro amore, ed io sarò
il sacerdote più fortunato di questo mondo. Vergine Maria,
Voi che siete la Madre del bell'Amore, ottenetemi un cuore
che sia tutto fuoco, tutto carità. Angeli e santi tutti, ecc.

Siamo nati per amare, viviamo per amare; morremo per


amare ancor più. Tal è, o fratelli, il nostro fine quaggiù,
tale sarà, come speriamo, la nostra destinazione futura ed
eterna . Beato colui, dice S. Agostino, che avrà impa
rato questa scienza di amare : Beatus qui te Deum novit.
Voi fortunato, diceva quel buon laico al gran dottore
S. Bonaventura, voi ben felice che sapete ed avete impa
rate tante cose ! — Ah ! figliuol mio, rispondeva il santo,
L'AMOR DI DIO 289

non avere invidia della mia scienza ; la vecchierella che sa


amar Dio, ne sa tanto come frate Bonaventura.. Questa
risposta che cagionò stupore ed ammirazione in quell'anima
semplice, può dare a noi di che riflettere e di confonderci.
A noi forse potrà parere di saper qualche cosa a questo
mondo ; e dopo tanti anni di studio, ci sembra quasi un
avvilirci l'adattarci a trattare con certe persone rozze e
grossolane, tanto ci fa compassione la loro ignoranza ; ep
pure se esse amano Dio, ne sanno tanto come noi ed anche
più di noi. Vi sono alle volte tra questa gente de' cuori
tutto zelo, tutto amore, mentre i nostri, con tante cogni
zioni, saranno freddi e gelati. E che vale tutta la nostra
scienza, se ci manca la prima e la principale, che è quella
di saper amare Iddio ? Beati noi se partiremo di qui con
questa scienza e con un cuore infiammato di amore ! Che
gran tesoro non è mai per una famiglia e per un paese
un sacerdote che ami, che viva, che arda di carità ! Quanto
bene si potrà aspettare dall'esercizio del suo ministero !
Scegliamo adunque in questa sera un si importante argo
mento, che formò sempre l'oggetto dei nostri trattenimenti
ed è il fine che ci portò a questo ritiro . Osserveremo :
1 ° Quale sia l'amore che deve avere un sacerdote verso
il suo Dio ; 2° la bella sorte, la felicità del sacerdote che
ama Dio di tale amore . — Oh quanto è mai dolce, diceva
S. Agostino, parlar di amore ! ma quanto più dolce sarà
il praticarlo : O charitas, dulce nomen , sed dulcius factum !
Ah ! volesse pure Iddio, che infiammati oggi di questo
fuoco celeste, principiassimo qui in terra, in questa valle di
lacrime, quella vita d'amore, che spero sarà un di la mia e
la vostra per sempre in Cielo. Cominciamo.
I. Io non sto a dirvi, o fratelli, che il primo, il mas
simo dei comandamenti si è quello di amar Dio ; poichè,
dice S. Agostino, — qual bisogno di precetti , di minacce, 2

di castighi a chi non ama il Signore, quando il solo non


290 MEDITAZIONE DECIMASESTA

amarlo è già la più grande di tutte le miserie ed il peg


giore dei mali ? Quid sum ipse ut amari jubeas a me ;
parva ne est miseria si non amem te ? Che se questo
è vero per chiunque abbia un cuore in petto , quanto più
lo dovrà essere per un sacerdote depositario e ministro di
questo amore divino ! È già quasi un affronto ed un'in
giuria ad un figlio il dirgli , il ricordargli che ami suo padre,
peggio poi se si venisse a fargliene un'intimazione ed una
minaccia . Come dunque comandare ad un sacerdote che
ami Iddio , minacciarlo di pene e castighi se non lo ama,
quando tutto il suo uffizio, la sua qualità , la sua occupa
zione si è questa di amarlo e farlo amare ? quando egli
stesso ha rinunziato ad ogni altra cosa sulla terra per amare
Dio solo? quando dice e ripete si spesso di non poter sof
frire vivino a a sė persona che non ami il Signore : Si
quis non amat Dominum nostrum Jesum Christum sit
anathema ( 1 ) ?
Nemmeno mi fermerò ad addurvi i motivi che abbiamo
di amare Iddio , giacchè sono tante e si chiare le ragioni
di cotesto amore, che sarebbe inutile il numerarle. Egli è
tanto amabile questo Dio, che S. Filippo non poteva tenersi
dal lamentarsi con lui d'avergli dato un cuore cosi piccolo
per amarlo. Si guardi solo la croce, e poi chi può non
ami ; qui può dirsi che tot linguae quot vulnera : oh quante
bocche parlano da questo divin Crocifisso ! parlano le spine,
parlano i chiodi, parlano le piaghe ; tutto parla, tutto scuote,
tutto ferisce di amore : Praebe, fili mi, cor tuum mihi (2).
È questa, o cari, la voce, la dimanda, l'invito che ci fa
sulla croce il Signore, con quelle braccia distese e con quel
petto aperto : fili, io non ti domando già sangue per sangue,
vita per vita, domando solo il cuore, e di questo mi con
tento. Chi è che non intenda questa voce, che non si
arrenda a questo invito ? È inutile dunque che ci fermiamo
(1 ) I Corinth . XVI . 22. (2) Prov. XXIII , 26.
L'AMOR DI DIO 291
a provare l'obbligo e ad enumerare i motivi che ha il sa
cerdote di amar il suo Dio; vediamo piuttosto come lo debba
amare .

Noi sappiamo le molte distinzioni, le specie, i' gradi di


versi di amore che assegnano i Teologi e gli Ascetici. Or
bene, io lascio l'amore di stretta ed assoluta obbligazione,
poichè se mi limitassi a questo solo, crederei far torto al
nostro carattere ed alla vostra pietà. Ah ! un sacerdote, un
uomo del Signore, l'amico, il famigliare, il confidente di
Dio deve andare più in là ; e se non arriva a toccare i
gradi più eminenti di questo fuoco celeste, giunga almeno
ad un amore più proprio del suo stato ; e voglio dire :
1 ° un amore penitente pei tanti disgusti che abbiamo ca
gionati al nostro Dio ; 2° un amore sofferente per dargli
un compenso dei tanti torti che gli abbiamo fatti ; 3° fi
nalmente un amore unitivo che ci leghi cosi di cuore e di
mente a questo buon Dio, da fare una cosa sola con lui
e non separarci mai più.
E per primo, un amore penitente. Chiunque ami dav
vero è impossibile che non soffra, che non senta dentro
di sè una pena, un disgusto, un crepacuore ogniqualvolta
ricorda i torti, le ingiurie che possa aver fatto un di alla
persona amata. La cosa è naturale e necessaria, poichè a
misura che conosce nell'oggetto amato quelle doti e qualità
onde si merita il suo amore, non può a meno che cono
scere e rimproverare a se stesso il male che ha fatto nel
l'averlo disgustato. Crescendo questa cognizione , cresce
l'amore, e crescendo l'amore, cresce in pari tempo il suo
dolore, il suo cordoglio. Richiamate alla vostra mente il
figliuol prodigo , dopo il suo ritorno alla casa paterna :
quante volte quel figlio, riandando le finezze del suo buon
padre, i modi affettuosi e paterni adoperati per trattenerlo,
le feste, la gioia, il giubilo con cui lo accolse, e poi lo
studio, l'impegno di contentarlo ne' suoi desideri , quasi
292 MEDITAZIONE DECIMASESTA

temesse che nuovamente lo volesse lasciare, e paragonando


tutto questo a' suoi mali portamenti passati, alle disobbe
dienze, all'audacia, alla sfrontatezza , direi quasi , alla cru
deltà da lui usata col padre, quante volte tra sé e sè avrà
pianto, sospirato ed esclamato : - ah ingrato che fui! ah
giorni infelici e disgraziati ... sarebbe stato molto meglio
non avessi conosciuto un si buon padre, che averlo di
sgustato in quel modo ! – Prendiamo le vite dei santi
penitenti, cominciando dal re Davide, e noi vedremo che
i loro giorni, le loro notti non erano che un tessuto di
gemiti e di sospiri per non aver amato il loro Dio. Noi
sacerdoti principalmente abbiamo una scuola continua di
questo amore di afflizione e di penitenza nel confessionale ;
quasi può dirsi che non viene persona la quale non dia
una voce ed un gemito di dolore per i disgusti arrecati
a questo Dio : Ah padre ! se sapesse il mio corruccio,
il dolore che mi rode ! ah, se potessi disfare quello che ho
fatto ! ah tempo infelice ! ah ! fosse un po' vero che non
avessi mai offeso il Signore ... purtroppo me ne ricordo e
e me ne ricorderò sempre che ho offeso Dio ! -
Eccovi ,
fratelli miei, quella vita di dolore, ossia quell'amore di affli
zione che deve condire i nostri giorni sino alla morte, tanto
più adesso che abbiamo fatto questi esercizi e che cono
sciamo più chiaramente il nostro male ed il merito di
questo Dio .
Questi gemiti poi, questi sospiri saranno un conforto
per noi, un compenso a Dio ed uno sconto di quella
pena di cui ciascuno può esser ancor debitore per le
proprie colpe. Ditemi infatti se non sia una consolazione
ed un pensiero ben dolce per noi, mentre abbiamo l'ama
rezza in cuore d'aver disgustato questo Dio, mentre lo ve
diamo tuttodi offendere, mentre tanti altri ecclesiastici lo
bestemmieranno per sempre all'inferno , noi invece essere
ancora in tempo ed avere la comodità di dirgli e ripetergli
L'AMOR DI DIO 293

che ci rincresce l'averlo offeso, di riconoscere e detestare il


nostro male, la nostra ingratitudine, di esibirci pronti a
ripararlo a qualunque costo, sicuri che questa voce, questo
pensiero, questo slancio di fede e di pentimento va fino in
Cielo, che piace, contenta, soddisfa il nostro buon Dio e
mette in festa il Paradiso intiero ? Basterebbe che tale voce
risuonasse una volta sola nell'inferno, perché quel luogo
di tormenti divenisse un paradiso. Che bel soffrire egli è
questo, o fratelli, che bell’amare sulla terra, sollevar con
ciò stesso questo povero cuore dal suo più grande e più
vivo rammarico che lo rattristi, e contentare Iddio e ralle
grare il Cielo ! Non basta : noi scontiamo in pari tempo
i nostri debiti, sostituendovi altrettanti meriti . Voi sapete
che, perdonata la colpa, ordinariamente rimane in noi più
o meno di pena da scontarsi in questo mondo o nell'altro.
È vero che le opere buone indistintamente sono tutte sod
disfattorie, ma il modo più efficace, più sicuro e più co
modo di redimerci dalla pena, è appunto l'amor di afflizione
di cui parliamo. Ogni volta che noi mandiamo un gemito,
un sospiro sulle nostre colpe, noi diamo al Signore un
compenso più nobile e più grande di qualunque corporale
penitenza, compenso che unito al sangue di questo Dio
salverà pienamente i nostri conti.
Questo stesso amore di afflizione e di pena ci deve por
tare all'amore sofferente, cioè a soffrire qualche cosa ap
punto per dare una prova ed un attestato a Dio dell'a
more che gli portiamo. Chi non sa soffrire non sa amare,
lo vediamo questo negli stessi amori del mondo . Chi sa
dirmi i dispiaceri, i fastidi, le privazioni, le abnegazioni ,
le fatiche, gl’incomodi, le spese che continuamente devono
incontrare e sostenere gli amanti del mondo ? Eppur si
soffre e molto e volentieri e lungamente, e si soffrirebbe
ancor più, pur di giungere ad amare e ad essere amato.
Pare quasi, e lo è realmente, che l'amante non abbia un
294 MEDITAZIONE DECIMASESTA

mezzo più potente e più sicuro di mostrare il suo amore,


che ne' sacrifizi che fa. Tali pure, anzi immensamente più
grandi, più ferme devono essere le disposizioni del sacer
dote che ama e che fa professione di amare il proprio
Dio . O patire, o morire ; non morire, ma patire
erano le voci delle due Serafine di carità . Ibant gaudentes
a conspectu concilii, quoniam digni habiti sunt pro no
mine Jesu contumeliam pati ( 1 ), era il linguaggio, era
l’amore de' primi apostoli e sacerdoti. Ma non occorre che
andiamo a scuola dagli amanti del mondo, né dai sacer
doti ė dagli uomini apostolici ; basta l'insegnamento del
nostro divin Redentore : Ut cognoscat mundus quia di
ligo... surgite, eamus (2) : perchè il mondo sia certo che
io amo il mio Padre, alzatevi e andiamo pure incontro,
che son pronto ad ogni sacrificio. — Dietro a questi esempi
e dopo questa grande lezione, se non ci sentiamo di gioire,
di rallegrarci nei patimenti, almeno soffriamo con pazienza
quelle piccole vicende che sono come inseparabili dalla
nostra vita ; incomodi, dispiaceri, molestie , tristezze, me
lanconie, censure, motteggi e sarcasmi del mondo, non saran
certo una gran cosa in paragone di quello che hanno sof
ferto e soffrono tanti amanti del Signore ; ma anche questo
poco, benchè necessario, quando si riceva e si soffra a
quel fine, sarà come tanti pegni d'amore che noi portiamo
al nostro Dio, e tante scintille che accenderanno di più il
nostro cuore. Molto più poi se a ciò che necessariamente
dobbiamo soffrire, fossimo per aggiungere qualche cosa di
nostra scelta ; non dico già discipline, digiuni" od altri ri
gori di penitenze, chè ci vorrebbero anime più grandi
delle nostre, ma piccole privazioni, come per es. far a
meno d'una parola, d'uno sguardo, d'un sollievo, rinun
ziare a difendersi, a scusarsi, a divertirsi, mortificare quella
voglia e via dicendo. — Ma non è peccato. — Lo so : ma
(1 ) Act. V. 41 . (2) Ioann . XIV. 31 .
L’AMOR DI DIO 295

sarà una prova d'amore, una marca di più che vogliam


bene al nostro Dio, e ce ne asteniamo per lui.
Amore penitente, amore sofferente ; non basta : ancora
amore unitivo, cioè unione di cuore e di volontà, unione
di presenza e quasi di famigliare convivenza con Dio. Vi
è niente che ravvicini di più due persone, le renda simili
tra loro e quasi le incarni l'una coll'altra, come l'amore
fra due che strettamente si amino : può dirsi che tra di
esse non si scorge più differenza alcuna. È noto l'assioma
che Amor aut pares invenit, aut pares facit; l'amore
infatti rende simili nei sentimenti, nei pensieri, nelle voglie,
nei gusti, persino nei capricci, talmente che alle volte non
si osa nemmeno più lasciar travedere il proprio pensiero,
il proprio desiderio, per timore che vada a ferire la per
sona amata e non sia affatto conforme ai sentimenti della
medesima. Di modo che, a ben considerare, è tale e tanta
la loro intimità ed unione, da formare, come un sol cuore,
una sola volontà, e diciamo quasi una stessa persona ;
tant'è che la vera amicizia fu definita, un'anima sola che
abita due corpi : Anima una in duobus corporibus sita .
Gli affetti, i desiderii, gli stessi famigliari trattenimenti,
non sanno allontanarsi da ciò che si ama, poichè non v'è
pensiero, non v'è compagnia, non v'è conversazione più
gradita di quella d’un vero amico . Ecco in ciò i caratteri,
le qualità, i contrassegni, di quest'amore d'unione verso
Dio, ed ecco pure gli atti a cui il medesimo ci deve portare.
Esso deve portarci: 1 ° a pensare sovente a questo buon
amico, a parlarne e sentirnè parlare con gusto e soddi
sfazione; 2° ad andar pienamente d'accordo coi suoi voleri e
con tutte le sue mire, perchè non abbia ad esservi tra
noi e lui disaccordo alcuno; 3º a farci cercare ed amare
la sua presenza, la sua conversazione.
Se uno vuol sapere che cosa ami una persona, non v'è
indizio più certo che investigare a che cosa ella pensi più
296 MEDITAZIONE DECIMASESTA

sovente: Vis nosse quid amas ? dice S. Fulgenzio, attende


quid cogitas. Ed è naturale e quasi necessario che la mente
si porti più sovente là dove riposa il nostro cuore. Col
pensare va d'accordo e quasi di pari passo il parlare,
perché la parola non è che l'espressione dei sentimenti
che abbiamo dentro di noi . Una persona amante di traf
fichi, di roba, di acquisti, di letteratura, di caccia, e an
date dicendo, è continuamente occupata in pensieri, in
progetti, in piani di tal fatta, persin nel sonno, starei per
dire, non si quieta ; basta poi sentirla parlare per cono
scerne il suo affetto : la frequenza, il modo, il gusto, la
conoscenza con cui ne parla e ne sente parlare, tutto scopre
e fa vedere la sua passione. Ed è vero, perchè il fonte
manda fuori l'acqua di cui è ripieno, fangosa è limpida,
amara o dolce, secondo che la possiede. Se volete adunque
sapere che cosa abbia in cuore, che cosa ami quel sacer
dote, quel medesimo che ha fatti gli esercizi, osservatene i
pensieri, le tendenze, i desiderii, in sostanza il cuore, e ciò
nei suoi discorsi e molto più nel modo di parlare, di con
versare. Se voi lo vedete sempre intento ed occupato di
compre, di vendite, di calcoli, di speculazioni, di coltura,
di campagna, di speranze terrene e di timori umani ; se
ha sempre in bocca facezie, buffonerie, risate di niun senso,
divertimenti, allegrie, partite; conchiudete pure che Iddio
o non è in quel cuore, o non vi ha gran parte. E questa
una regola che non falla : persino le persone più rozze
del popolo sanno dedurre questa conseguenza, tant'è na
turale e necessaria .
Ma come fare, voi mi direte, per procurarci questo con
trassegno ed aver in noi questo testimonio del nostro amore
verso Dio ? Eh ! fratelli miei, qui lo studio, la scienza,
l'arte non giova, ci vuol proprio la realtà della cosa : bi
sogna che il nostro cuore si vuoti del fango di questa
terra, e si riempia, s' infiammi di questo santo fuoco di
L'AMOR DI DIO 297

carità ; allora verran scintille e fiamme dalla nostra lingua,


allora ci verranno a noia i discorsi della vanità, delle follie
di questo mondo ; allora ci sarà dolce, piacevole, giocondo,
parlar di Dio e delle cose sue. Sia che tu scriva, o
disputi, o discorra, diceva il gran S. Bernardo, niente mi
diletta, niente mi aggrada, se non sento, se non trovo, se
non leggo il nome di Gesù : Si scribas, si disputes aut
conferas, non sapit mihi nisi legero aut sonuerit ibi Je
sus (1 ). -- E perchè ? Perchè quel cuore ardeva, bruciava
di carità. Senza di ciò sarà inutile, varrà a niente ogni
altro sforzo, saranno termini vuoti, non saranno che pa
role, saranno un cibo senza sostanza e senza gusto.
L'altro carattere e contrassegno di amore verso Dio sta
nel conformarsi pienamente a tutti i suoi voleri e fare
che non vi sia differenza alcuna tra la nostra e la sua
volontà . L'abbiam già detto che l'amore rende gli amanti
simili tra loro. - E quali sono, interroga qui S. Gerolamo,
i veri amici ? quand'è che tra due persone può dirsi che
regni veramente una stretta unione, uno stretto legame
ed amore ? Allora, risponde il santo, quando pienamente
convengono tra loro negli stessi sentimenti, nelle stesse
voglie e nelle medesime ripugnanze ; allora si che uno
ravvisa se stesso nell'altro, gli stessi affetti, le stesse ten
denze, le stesse mire, gli stessi piani e progetti, e cosi da
quella piena somiglianza non può a meno che nascervi
tra loro e crescere sempre più il loro attaccamento ed
affetto. Eadem velle, eadem nolle ea demum firma amicitia
est ( 2) Cosi deve dirsi del sacerdote che ama. Stretto
ed attaccato di cuore al suo Dio, egli non deve formare
con lui che un solo pensiero, un sol sentimento, una sola
e medesima volontà ; epperciò giudicar delle cose del
mondo come Dio ne giudica, stimar ciò che egli stima, di
sprezzar ciò che egli disprezza, amar ciò che egli ama,
(1 ) S. Bern . serm . 15. sup. Cant. (2) S. Hieron . ad Demetr.
CAFASSO Eserc, Spirit . Medit . 20
298 MEDITAZIONE DECIMASESTA

cercare, fuggire ciò ch'egli dice di cercare e di fuggire.


Quale sia stato lo spirito di questo divin Redentore, lo
abbiamo veduto ; quali i suoi doveri, i suoi desiderii e le
sue mire sopra di noi, non possiamo ignorarlo ; egli vuole
distacco dal mondo, vuole fatica, occupazione, zelo per le
anime, per l'onore e per la gloria sua : Si diligis me,
pasce agnos meos..... pasce oves meas ( 1 )... Ignem veni
mittere in terram et quid volo nisi ut accendatur ? (2).....
Posui vos ut fructum afferatis ... (3) ; sicchè è inutile
dire, protestare di amarlo, se noi non entriamo in questi
sentimenti, in queste viste. Unione di volontà adunque, che
è quanto dire voler quello che vuole Iddio , volerlo in quel
modo, in quel tempo, in quelle circostanze ch'egli vuole,
e tuttociò volerlo non per altro se non perchè cosi vuole
Dio . Dio è il mio tutto in questo mondo, epperciò il
voler suo sarà sempre il voler mio ; io non ho volontà,
non ho gusto, non ho desiderio, non ho mira alcuna ; io
ho tutto in Dio ; se vuole che viva, io vivo, se vuole che
muoia, son pronto a morire ; e per dire brevemente, io
voglio tutto e voglio niente : voglio tutto quello che vuole
il mio Dio, e voglio niente fuor di quello ch'egli vuole :
tutto mi piace quando piaccia a Dio, e niente mi dispiace
se non quello che dispiace a lui . – Oh ! la bella prova
di amore che è mai questa !
Finalmente il vero amante non sa star lontano dalla
persona che ama ; non v'è tempo nè più breve, nè più
dolce di quello che si passa a trattare, a conversare con
chi si ama. Sarebbe un amore tutto nuovo ed ignoto ancora,
quando si dicesse d'amar una persona, senza volerne, senza
amarne la presenza, come dice Cassiodoro : Inaudita di
lectio, quæe amicum diligit et præsentiam eius non amat.
Orbene il sacerdote fra tutti è quegli che ha più mezzi
(1 ) Joann . XXI . 16. 17, ( 3) Joann. XV. 16.
(2) Luc. XII . 49.
L’AMOR DI DIO 299

e maggior comodo di coltivare e godere questa presenza


del suo Signore, del suo divino amico. Ogni mattina egli
lo chiama sull'altare e se lo vede tra le sue mani; oh !
che tempo, o fratelli, che paradiso per un ecclesiastico
che ami ! essere a tu per tu, occhi ad occhi, cuore a cuore
col suo Dio ! .... Sono brevi però questi momenti, sono fu
gaci e veloci, e non siamo padroni di noi in quel luogo,
fa d'uopo lasciarci, darci l'addio e separarci.
È vero che dopo la Messa abbiamo dentro di noi questo
nostro Dio ed in lui possiam vuotare il cuore, prolungare
la nostra conversazione finchè ci piace, e di questo il sa
cerdote si ricordi di fare gran caso ; è vero altresi che
spesso lungo il giorno ci toccano molte occasioni di salu
tare brevemente il Signore e di godere qualche istante
della sua reale presenza ; ma questo è troppo poco per un
cuore che ami davvero. Io darei quindi il consiglio a chi
ne avesse la comodità, di scegliere un po' di tempo nella
giornata , se non altro un quarticello d'ora, per fare una
visita al primo, al solo tra gli amici veri, a questo buon
Gesù Sacramentato. Che pratica di paradiso sarebbe questa !
Che conforto , che aiuto per un buon sacerdote, e che edi
ficazione pel popolo ! Mentre tutti s'affacendano e stanno
quasi sepolti nelle cose di terra, chi ne traffichi, chi sul
lavoro, chi nei divertimenti e nei piaceri del mondo, e Dio
tutto solo in queste case d'amore, sta aspettando chi si
ricordi di lui e si porti ai suoi piedi, ecco, il sacerdote, che
quale altro Mosè, s'apparta dal popolo, entra nel Santuario
per trattare solo a solo col Re dei re, per corteggiare questa
divina Maestà. E dove un tempo meglio impiegato ? Qual
altra azione più grande, più nobile, più eccellente, mentre
in quel punto si vive più da angelo e cittadino del cielo,
che non da uomo ed abitatore della terra ? Oh ! quante
grazie saranno già pronte in quel momento per noi, quanti
lumi alla mente, quante ispirazioni e voci al cuore ! Eh !
300 MEDITAZIONE DECIMASESTA

non temete, o cari, che sia per attediarvi questo sfogo del
vostro cuore : le conversazioni del mondo, anche le più
piacevoli e geniali, recano noia col tempo, ma non dà noia
nė fastidio il conversare col Signore, come ce ne assicura
lo Spirito Santo : Non habet amaritudinem conversatio
illius, nec taedium convictus illius, sed laetitiam ( 1 ). Pro
vate, gustate, vedrete .....
Vi è ancora un altro gran bene, quando il sacerdote
faccia sua ed addotti questa pratica, ed è il buon esempio
e l'edificazione del popolo. È vero che noi andiamo a ce
lebrare, interveniamo a tante altre funzioni; ma dicono che
queste cose sono del nostro mestiere, al loro modo di par
lare, e non ne fanno gran caso . Di più, siccome d'ordinario
a tali atti corrisponde qualche retribuzione, cosi molti si 1

fanno a credere, e tante volte non han paura di dirlo, che,


se li facciamo, abbiamo il nostro perchè. Ma se ci vedono
frequentare la chiesa fuori d'ora, solo in tempo che po
tremmo spendere per tutt'altro, e forse mentre tanti altri
sacerdoti si divertono, non potranno fare a meno anche i
malvagi di pensare e credere che noi abbiamo fede, che
sappiamo chi abita in quel luogo e che siamo persuasi di
quello che noi loro diciamo. È questa una predica che ne
vale cento di quelle fatte a parole, poichè sappiamo il noto
proverbio : Verba movent, exempla trahunt. Io so di çerti
paesi, in cui le chiese erano sempre deserte nelle giornate
di lavoro ; ma dopo che qualche sacerdote cominciò a pra
ticare egli il primo la visita al SS. Sacramento e quindi
anche a raccomandarla, era una meraviglia il vedere il
concorso del popolo in chiesa : artisti, contadini, vecchi,
giovani, s' incamminavano tutti verso sera alla chiesa a
ringraziare il Signore, chiamati non da altro che dal lume
della loro fede e dall'esempio del buon sacerdote. Sicché
io non saprei raccomandare una pratica più santa, più
(1 ) Sap. VIII . 16.
L'AMOR DI DIO 301

eccellente e più esemplare pel popolo che questa visita al


nostro buon Dio.
II. Ma è tempo di conchiudere ; e lo farò toccando la
bella sorte, la felicità del sacerdote che ama. Io prescindo
dall'accennarvi i grandi meriti che senza fatica si va pro
cacciando l'ecclesiastico il quale viva di amore, di carità.
Egli non fatica, perchè : Qui amat non laborat. Magna
vis amor ! Omnia saeva facilia , ac prope nulla efficit
amor . La sua vita, i suoi giorni, le azioni anche minime
sono un tessuto d'oro pel Cielo ; persino i pensieri, i voli,
gli slanci del suo cuore, i gemiti, i sospiri sono altrettante
perle pel Paradiso. Dirò nemmeno il gran bene ch'egli,
benchè di poca sanità e di poco ingegno, può fare alle
anime, perché sappiamo che vale più a toccare il cuore
la parola d'un buon sacerdote il quale arda di amore, che
cento prediche del più dotto ed eloquente oratore del mondo.
Mi limito solo a scorrere con voi quella piena di pace, di
calma, di tranquillità e di gioia che non va disgiunta sulla
terra dalla persona che ama.
Se v'ha una sorgente di disturbi, di fatiche e di crepa
cuori, egli è l'attacco alle cose di questa terra. Quante per
sone dominate da quest'amore agonizzano più di quel che
vivano, e dopo aver provato tutto ciò che il mondo sa pre
sentare di più incantevole, si trovano cosi vuote e stanche,
infastidite e ripiene talmente di amarezza e di dolore, da
essere costrette a confessare che tutto questo mondo è un'ap
parenza , una vanità, una follia, e che ben lungi dal con
tentare il cuore, non fa che trafiggerlo e martoriarlo ! Os
serviamo, o cari, la gran differenza che passa tra amore
ed amore. Tutti amano sulla terra, perchè il nostro cuore
non può vivere senza amare, come diceva S. Agostino : Vita
cordis amor est ; tutti amano, dico, con questo divario
però che gli uni non trovano nel loro amore che spine,
dispiaceri, e Dio non voglia, la loro rovina temporale ed
302 MEDITAZIONE DECIMASESTA

eterna ; altri invece godono un paradiso di piacere e di


contento da sorpassare tutte quante le delizie della terra.
Oh ! fratelli miei, l’ecclesiastico che vuol pace, vuol requie,
vuol contento, si ricordi che non ha altro mezzo che questo :
vuotare il cuore di questo mondo per darlo, per consa
crarlo a quel Dio che solo lo può rendere felice : Dura
sunt omnia, Deus solus requies. Guai al sacerdote che
non arde per Dio, che non ama il Signore ! Vae illis qui
non ardent in te, Domine ! Stia pur certo che non tro
verà che guai, che spine e dolori, da rendergli di peso e
di noia persin la vita : Dura sunt omnia , Deus solus
requies. Quidquid Deus non est, nihil est.
Beato il sacerdote che saprà staccar il suo cuore da
tutto ciò che non è Dio, e convinto del niente di questo
mondo, lo terrà unicamente pel suo Signore. Che felicità ,
che gioia, vivendo, sarà la sua, pensando che oggetto del suo
amore è quel solo che può appagare il suo cuore in terra,
quel medesimo che si sta amando e si amerà in eterno in
paradiso ! Che gioia, dico, per un buon sacerdote, poter dire
a se stesso di far in terra ciò che in cielo fanno gli An
geli, i Santi e Maria SS. ! E che sarà poi sul finire dei
nostri giorni, quando il pensiero, il desiderio, l'aspettazione
sola della morte è già capace per se stessa a togliere ogni
pena dell'uomo che ama, quasi a dargli una nuova vita ;
come voi sapete di quell'anima che fra le vampe del suo
amore andava cantando e. ripetendo che la morte si na
scondesse nel venire perchè non le tornasse a dar la vita?
Che sarà quando spunti quel giorno, quel momento, in cui
l'anima spogliandosi del peso di questo corpo, andrà di
slancio e di volo a vedere, ad abbracciare, ad unirsi, a
bearsi in quel Dio che ha amato ? Ah ! che dolce pensiero,
che transito consolante, che morte santa e preziosa ! Eh !
che il mondo non è degno di sentire, di gustare dolcezze
siffatte: Da amantem , diceva S. Agostino, et intelligit quod
L'AMOR DI DIO 303

dico. No, un palato di carne e di fango non è fatto per


un gusto cosi delicato ; datemi un cuore, una lingua che
ani, e saprà intendere questo linguaggio, questo gusto di
vino : Da amantem et intelligit quod dico . Si, amate il
Signore, o fratelli, amatelo molto, amatelo con quanto cuore
avete, amatelo sino all'ultimo dei vostri giorni, sinchè ar
rivi quell'istante in cui andremo ad amarlo nel bel regno
dell'amore. Amatelo, ripeto, ed amandolo io vi accerto che
troverete una felicità, una contentezza, una gioia, che
nessuno del mondo ve la può esprimere : solo chi la prova,
la potrà comprendere, come canta la Chiesa : Nec lingua
valet dicere nec littera exprimere, expertus potest
credere quid sit Jesum diligere.
Predica di conclusione.

Se vogliamo, o fratelli miei, un'immagine della nostra:


vita, un'idea della rapidità con cui passa ed un saggio
della consolazione che ciascuno di noi, quando il voglia,
sarà per provare nel suo finire, prendiamola da questi
esercizi. Prima di cominciarli, e forse anche dopo già co
minciati, ci parevano una gran cosa, e se questo tempo
non lo calcolavamo eterno, certo però che occupava un
gran posto nella nostra testa ; eppure eccoci d'un salto ,
d'un volo e come d un passo giunti alla fine. Guardate
indietro : che vi pare di questi giorni? Un soffio di vento
e niente più : gli esercizi sono al termine. Nel finirli però
non possiamo a meno di provare un senso di gioia e di
consolazione : è il testimonio del nostro cuore che ci dice
d'averne fatto profitto. Che contentezza, che paradiso non
è per ciascuno di noi, poterci oggi rivolgere al nostro
Padre celeste, e dirgli colla franchezza dell'apostolo Paolo :
Signore, bonum certamen certavi, cursum consum
mavi,..... in reliquo reposita est mihi corona iustitiae (1 ) ;
oppure ripetergli col divin Redentore : Opus consum
mavi quod dedisti mihi (2) ! Signore, Voi mi chiamaste a.
questo luogo attraverso a mille difficoltà ; io vi sono ve
nuto, ho superato tutte le noie, ho terminata la corsa ,
(1 ) II . Timoth . IV . 7. 8. (2) Joann . XVII . 4.
PREDICA DI CONCLUSIONE 305

non mi resta che di offrirvela aspettandone la sospirata


mercede ! — Non basta : uniti a questo primo sacerdote
noi possiamo ancora alzar la voce, come già egli dalla
Croce, e dire con confidenza da figlio : -
Pater..... con
summatum est (1 ), Padre, ho finito, ho compito i disegni
vostri, io rimetto il tutto a Voi, le promesse, le risoluzioni,
i progetti di questi giorni, tutto consegno nelle vostre mani,
insieme coll'anima mia : In manus tuas commendo spi
ritum meum (2)
Ed eccovi in tutto questo, io ripeto, un'immagine del
nostro vivere e del nostro morire. Quei giorni di vita, che
ancora ci riserva il Signore, guardandoli ora ci sembrano
lunghi, ci paiono una gran cosa ; ma che saranno veduti
dal nostro letto di morte ? Un po' di fumo cacciato via dal
vento, un'ombra scomparsa al primo raggio del sole. Come
per tanti anelli di una più o men lunga catena, quest'ul
timo di degli esercizi va a riunirsi e quasi a farne un
solo con quell'ultimo del nostro esilio, e noi senza quasi
accorgerci saremo al termine della nostra peregrinazione.
Noi fortunati se, fedeli alla data parola, avremo perseverato
nei buoni propositi concepiti in questi giorni ! A quel modo
che ora ci sentiamo il cuore ripieno di contento e di pace ,
cosi pure sarà in quella giornata decisiva della nostra vita :
gli stessi sensi di gioia e di consolazione nel nostro cuore,
le stesse parole di confidenza e d'abbandono sulle nostre
labbra. Ma per questo, il ripeto, ci vuole perseveranza,
bisogna tenersi fermi e costanti nelle prese risoluzioni, bi
sogna continuare e compiere l'opera di questi giorni. A
tal fine io vi porrò sott'occhio alcuni riflessi o motivi che
ci saranno di stimolo a perseverare nello spirito acquistato
nei santi esercizi, e v'indicherò pure alcuni mezzi per ren
dere in noi durevole la memoria ed il frutto di questi
giorni. Ecco i pensieri su cui intendo trattenermi con
(1) Joann . XIX . 30. (2) Psalm . XXX . 5.
306 PREDICA DI CONCLUSIONE

voi in quest'ultima volta, ecco i sentimenti coi quali ci


daremo l'addio . Incominciamo.
I. Un primo motivo di perseveranza si è il pensiero di
quanto ci ebbe a costare l'opera di trasformazione com
piutasi in noi nei passati giorni . Non occorre che io vi
rammenti quello che passò tra noi e Dio in questo tempo,
lo sa ciascuno di noi : da parte nostra paure, affanni, ti
mori, gemiti, sospiri, risoluzioni, progetti, promesse e an
diamo dicendo. E per parte di Dio ? Oh ! fratelli miei , chi
sa dire l'intreccio, il lavorio della divina misericordia
dentro di noi, sia prima di questi esercizi per indurci a
venire, sia pendente questo tempo perchè ne avessimo a
riportare buon frutto ? A noi parrà un caso l' essere qui
venuti, oppure lo attribuiremo a questa o quell'altra cir
costanza senza andar più in là ; ci parrà cosa singolare
che quella parola, quel pensiero ci abbia fatto un certo
effetto, abbia dato occasione a certe nostre risoluzioni e
promesse ; ci parrà quasi strano d'aver provato in noi un
non so che d'insolito, e non sapremo che dire. Ma se po
tessimo squarciare quel velo che copre presentemente i
disegni di Dio sopra di noi, vedremmo quali e quanti fu
rono i tratti, le industrie, le finezze di amore e di mise
ricordia, ed anche le violenze con cui ha operato in noi
questo buon Dio ! L'universo non costò a lui che un sol
cenno ; ma ciò non può dirsi di quello che ha fatto in noi,
perchè trovò intoppi, incagli, resistenze per parte nostra : *
fece però tanto che la vinse, battè e ribattè tante volte
finchè arrivò ad atterrarle. Quante voci, quanti impulsi ,
quanti eccitamenti, al nostro cuore ! uno solo forse sarebbe
bastato a far santi tant'altri, che ora sono all'inferno, ma
per noi ce ne vollero e molti e varii e più volte ancora.
Orbene un tal lavoro che a noi costò già tanto, un'o
pera che vale, per cosi dire, quanto vale Iddio, poichè egli
vi ha speso attorno il suo fiato medesimo, la sua carità,
PREDICA DI CONCLUSIONE 307

la sua pazienza, la sua potenza e la sua misericordia, un


tale portento io dico dovrà dunque fra poco dileguarsi e
perdersi tutto quanto pel mondo ? E come ? ora che per
la grazia di Dio la cosa è fatta e l'effetto è riuscito, ora
che è formato in noi l'uomo nuovo, il vero sacerdote se
condo il cuore e le mire del Signore, vorremo nuovamente
lasciar cadere e scomparire quest'uomo di Dio, che oltre
il proprio valore porta con sè conseguenze presso che in
finite ed incalcolabili ?
Ed eccoci, fratelli miei, ad un altro riflesso che ci deve
muovere a perseverare nell'opera di questi giorni, l'impor
tanza cioè d'un buon sacerdote nel mondo. È questo un
punto che io vorrei ci scolpissimo bene in cuore, a chiusa
del nostro ritiro ; imperocchè quando il sacerdote sia ben
persuaso di questa verità, che cosa sia, che cosa voglia
dire, che cosa valga, che cosa importi un buon eccle
siastico sulla terra, è naturale che porrà tutto lo studio
per mantenersi a quell'altezza di santità che richiede il
suo stato .
Non è mia intenzione qui di trattenervi in ciò che già
vi fu detto nei passati giorni di questo grand’uomo, qual
è l'ecclesiastico ; io noterò solo di passaggio che se la Re
ligione nostra ha bisogno d'un appoggio, d'un puntello, essa
fa assegnamento su di noi ecclesiastici ; se le anime buone
hanno da sperare un aiuto, un eccitamento, una mano per
tenersi ferme e costanti, lo aspettano da noi; se finalmente
il mondo ha qualche cosa a temere, a paventare, si è sempre
dal sacerdote quando questi sia proprio tale. Certamente
la Religione è divina e non deve nè la sua esistenza, nė
la sua durata ad alcun uomo del mondo ; ma se v'è cosa
che serva a rassodarla davanti agli uomini, a dilatarla, a
conciliarle stima e rispetto, è senza dubbio la santità, l'in
tegrità del sacerdote. Per le anime poi egli è come un
capitano esperto e valoroso, il quale può dirsi che da solo
308 PREDICA DI CONCLUSIONE

fa garanzia per tutti i suoi soldati, ed è la più sicura


caparra della vittoria ; cosi è del sacerdote in mezzo ai
fedeli, che deve condurre attraverso a schiere nemiche fino
al paradiso. Finalmente il buon ecclesiastico è il solo uomo
che il mondo tema, che paventino i maligni. Però non è
l'acume del nostro ingegno, il nostro grado e l'autorità
nostra che essi temano, ma è la nostra virtù : è questa
che li confonde, li fa ammutolire, li irrita, li arrabbia,
perchè non possono addentarla ; ed anche manomessa e
contrafatta, essa finirà sempre per uscirne vittoriosa a mag
gior loro rabbia e dispetto.
L'importanza adunque d'un sacerdote sulla terra è in
misura della santità che in lui risplende ; perciò se egli
vorrà aver nel mondo il posto che gli compete e che deve
tenere, è necessario che sia veramente uomo di Dio, vale
a dire che perseveri nello spirito studiato ed acquistato
nei santi esercizi.
Nè meno importante per noi medesimi è questa conti
nuazione o perseveranza ; anzi si può dire che da essa
dipenderà tutto il nostro avvenire. Non parlo del temporale
che è il meno per un sacerdote di buona volontà e che d'al
tronde il Signore ci darà come un di più e per aggiunta ;
nemmeno voglio alludere a quella piena di benedizioni
con cui Iddio accompagnerà le nostre evangeliche fatiche.
lo mi restringo a porvi sott'occhio quella pace che con
dirà la nostra vita, e quella calma, quella tranquillità apo
stolica con cui spero chiuderemo i nostri giorni, se con
tinueremo a mantener vivo il frutto degli esercizi, a con
servarci fermi e costanti nelle sante risoluzioni concepite
in questi giorni.
Oh ! che dolce, che soave rimembranza sarà la nostra
d'ora in avanti , ogni qualvolta richiameremo alla nostra
mente il tempo di pace e di quiete passato assieme in
questa casa del Signore ! Noi tutti possiamo sapere per
PREDICA DI CONCLUSIONE 309

esperienza quanto sia dolce il riandare col nostro pensiero


certi periodi della nostra vita, in cui ci siamo trovati pie
namente contenti di noi medesimi, o ci sia toccata una
gran sorte, o ci sia riuscito un affare di grande rilievo.
Un ecclesiastico ne può contar più d'ogni altro di questi
periodi: quel momento felice in cui ci siamo decisi di voltar
le spalle a questo mondo e darci intieramente a Dio , oh
che giorno benedetto fu quello per noi ! ci vuol niente
meno che un'eternità per poterne ringraziare degnamente
il Signore ! quel tempo che passammo all'ombra del San
tuario per formarci al ministero; quel punto sopratutto in
cui per la Sacra Ordinazione fummo come svelti da questa
terra e trapiantati in altro cielo ; ogni occasione in cui ci
venne fatto di guadagnar un'anima e strapparla dalle mani
del demonio : tutte queste per noi sono certamente me
morie di santa gioia e di viva consolazione. Ma è certo
altresi che tra le prime deve esser collocata la ricordanza
del nostro ritiro, di questo tempo prezioso, in cui chia
mata a rassegna la nostra vita passata, l'abbiamo deposta
a' piè di questo Dio, e con questo sangue ne abbiam sal
data ogni piaga e ferita. E come volete, o fratelli, che
non torni dolce la memoria di quei giorni, ne' quali me
ditando i giudizi e le verità estreme, il prudente sacerdote
anticipò qui in terra il suo giudizio, si chiuse l'inferno e
si assicurò una sorte eterna in cielo ? È impossibile di
menticare tali giorni, e senza cercarli e volerli verranno
da per se stessi alla mente, e venendo rinnoveranno ogni
volta tutta la gioia, tutta la consolazione che già fu nostra
in questo tempo.
Fratelli, io mi appello a voi, ditemi : potreste oggi farmi un
quadro, una pittura del vostro cuore, dei sentimenti pro
vati durante questi esercizi ? Sapreste spiegarmi quell'in
treccio, quel misto di umano e di divino, di ordinario e
di straordinario, che si operò in voi in questo periodo di
310 PREDICA DI CONCLUSIONE

tempo? È inutile che lo tentiate : nè voi sapreste spiegarvi,


nè io intendervi ; è meglio gustarlo che parlarne. Sappiate
solo che si rinnoverà per voi questo paradiso ogniqual
volta ritornerete qua colla vostra mente riandando quel
che avete fatto, che avete promesso, che avete provato.
Nè crediate che tale ricordanza col tempo abbia a dile
guarsi ; se per qualche tratto parrà che si oscuri , e quasi
scompaia, non sarà che per ridestarsi più viva e più forte,
Saranno già più anni dacchè si fecero gli esercizi, eppure
non si potrà ricordare quest'opera e questi giorni senza che
spunti quasi una lagrima e si mandi un sospiro.
Verrà infine il tempo in cui starà per finire il nostro
pellegrinaggio sulla terra , ed in quel punto in cui il
mondo non ha più consolazione alcuna e lascia nel più
terribile abbandono chi lo ha seguito, noi invece troveremo
nella ricordanza di questi giorni la più grande e la più
soave delle consolazioni che si possano godere quaggiù.
Queste, o fratelli, non sono parole, ma fatti : io potrei ad
durre e citare tante persone ecclesiastiche e secolari che
venute a morte , quali poco e quali molto tempo dopo fatti
gli esercizi, non cessavano di ripetere in quell'estremo pe
ricolo : oh che son contento ! oh come ringrazio il Si
gnore d'aver fatto gli esercizi ! - Altrettanto sarà certa
mente per ciascuno di noi . La confessione fatta in questi
giorni coi più vivi sentimenti di dolore, quei ripetuti so
spiri, quei sinceri proponimenti, quelle protestė, quei rim !

proveri e quei progetti, comincieranno solo a gustarsi


davvero e ad apprezzarsi giustamente nel gran punto del
disinganno d'ogni follia di questo mondo. Morremo bene
dicendo questi giorni ed in grembo a quella pace medesima,
che cominciammo a sentire in questo luogo ; morremo, si,
ma non per altro che per cangiar una pace di terra in
una pace ed in una gioia di paradiso ; e sarà appunto là
che svelandosi davanti ai nostri occhi l'arcano dell'infi
PREDICA DI CONCLUSIONE 311

nita misericordia, che Dio ci usò in questi esercizi, saremo


costretti ad esclamare: – Felix poenitentia, quae tantam
mihi promeruit gloriam ! Oh ! giorni felici, che mi deste
salvo in paradiso ! Guardate, o fratelli, che prodigio
del tempo : otto giorni che passarono come un volo, do
vranno prolungarsi tanto, da divenire eterni con noi ; par
tendo di qua, noi lasciamo dietro soltanto la scoria ed il gra
vame degli esercizi, cioè il ritiro, la solitudine, la noia, il
peso, il rigore della vita, tutte cose che passarono ; ma
il dolce lo portiamo con noi per gustarlo, senza finirla
mai più.
Egli è chiaro però che la soavità di questi ricordi ed i
sensi di soddisfazione e di pace che li accompagnano non
potranno gustarsi se non da chi avrà perseverato, e che
potrà dire a se stesso d'essere stato fedele alle fatte pro
messe ; perocchè, se mai qualcuno per sua disgrazia ve
nisse a smentirle, sentirebbe al solo ricordarle un forte
rimprovero ed una voce che gli direbbe continuamente
all'orecchio : - Oh vile, ingrato! oh sconoscente ! oh senza
cuore e senza fede ! ... Sono questi i propositi fatti, sono
queste le proteste e le promesse di quei giorni ?... dove
sono andati quei sospiri e quei gemiti ? dove il frutto dei
tuoi esercizi ? e perchè far tanto rumore e poi finir per
tornare quel di prima? — Ed in punto di morte e all'altro
mondo che rimorsi, che pene ! Ma non voglio rattristare
una si bella giornata ; sono persuaso che tutti partiamo di
qua decisi e fermi; la morte, diciamo, sì, prima la morte
ed ogni altro malanno piuttosto che disdire quello che
abbiam detto, disfare quello che abbiamo fatto. La catena
che noi abbiamo cominciata qui, non andrà a finire che
in cielo ; è inutile che il mondo e l'inferno tentino d'infran
gerla, nessuno di certo la romperà. E per mantenerci in
siffatta costanza terremo sempre fresca la memoria di questi
giorni, ricorderemo la parola data, ripetuta e quasi giurata
312 PREDICA DI CONCLUSIONE

al confessore, a Maria, a Gesù, in camera, in chiesa, da


soli e cogli altri, quella parola d'ordine con cui ci lasciamo:
guerra al peccato, peccati mai più ! Guai a chi verrà a toc
carci, a metterci alla prova, a cimentarsi con noi ! egli
vedrà che cosa è capace di fare un sacerdote che nel ri
tiro ha pensato a sè, al suo stato, ai suoi doveri.
-

Ma, soggiungerà qualcuno, il più sarà poi averle sempre


presenti queste cose . — Eh fratelli miei, noi sappiamo che
le cose che ci hanno fatto un gran senso e sono di grande
conseguenza, non passano cosi facilmente di mente ; d'al
tronde i peccati senza avvertenza non si fanno. Dovendo
adunque avvertire per poter fare un peccato, io dico che
è quasi impossibile non avvertire insieme che noi con qu
peccato veniamo a rompere i nostri patti con Dio. Con
tutto ciò darò alcuni mezzi, che gioveranno a ravvivare la
memoria di questi giorni, e quel che è più, a conservarne
lo spirito e le risoluzioni .
II. Perdonatemi se io premetto una cosa minuta e ma
teriale. Noi avremo nella nostra camera il crocifisso, od
almeno un'immagine divota : ebbene prendiamo un piccolo
pezzo di carta e scriviamovi sopra nient'altro che. queste
parole : « Esercizi dell'anno.... » e poi mettiamo questa
cartina appesa ai pie' del Crocifisso in modo che si
possa vedere. In questa pratica materiale io vedo diversi
vantaggi.
Anzitutto ogni sguardo che noi vi getteremo sopra sarà
una predica per noi ; quella carta, quei pochi caratteri,
mi pare che mettano la lingua per dirci ogni volta : -
ricordati di quello che hai fatto , di quello che hai pro
messo, pensa bene chi siamo noi : noi fummo testimoni di
quello che hai detto in camera, in chiesa, ai pie' del con
fessore, del Crocifisso, avanti al Signore ; ricordati bene,
‫ز‬ noi stiamo qui giorno e notte per dirtelo, per rammen
tartelo ; coraggio, o ministro del Signore, avanti allegra
PREDICA DI CONCLUSIONE 313

mente che il tempo è breve, il premio è vicino, la gloria


è grande. -

L'altro vantaggio io lo trovo in ciò, che, avendo sott'occhio


il tempo de' nostri esercizi, è più facile che ci disponiamo
a farli di nuovo, se vivremo ancor un po', e non lascie
remo passar gran tempo senza ripeterli. A questo proposito,
io sono di sentimento che un ecclesiastico, il quale voglia
proprio vivere dello spirito del suo stato e non contentarsi
d'aver il nome, l'abito e qualche opera da sacerdote, debba
di tanto in tanto sequestrarsi dal mondo, entrar in se stesso,
esaminarsi e giudicarsi ; altrimenti è come certo che an
dremo scapitando se non avanti agli uomini, per lo meno da
vanti a Dio. Non voglio andar più a lungo in questa parte,
poichè mi porterebbe fuori dell'argomento : dirò solo che
noi dobbiamo imparare dagli stessi uomini del mondo. Os
servate una persona qualsiasi che abbia giornalmente a
trattare negozi ed affari: voi la vedete sovente e forse ogni
sera dare un'occhiata alle sue partite , e non contenta di
questo, scegliere nell'anno qualche epoca per una generale
rivista onde vedere come stanno i suoi conti ed a che punto
si trova il suo negozio. E noi, fratelli miei, noi che ab
biamo negozi, affari immensi, giganteschi, più da angeli
che da uomini, andremo innanzi appoggiati solo ad una
buona fede, e forse colpevole e temeraria ? Dover conser
vare lo spirito ecclesiastico in mezzo a tanta dissipazione,
mantenere libero il cuore fra tanti oggetti che lo rubano, di
simpegnare a dovere le tante nostre obbligazioni di Messa,
di Breviario, di amministrazione di Sacramenti, zelar la
salute delle anime in mezzo ad una folla si grande di quelle
che vanno perdute, e credere che basti darvi un'occhiata
cosi di tanto in tanto, alla rinfusa, colla testa occupata di
chi sa quante cose, per esser tranquilli e sicuri de' fatti
nostri, no fratelli : se non altro ci esponiamo ad un gran
pericolo. Pertanto se il Signore ci lascia vivere ancora
CAFASSO Eserc. Spirit Medit 21
314 PREDICA DI CONCLUSIONE

qualche anno, procuriamo di quando in quando di lasciar


per pochi giorni il mondo, di ritirarci, di chiuderci nella
solitudine, nel silenzio, e di aprire tra noi e Dio un sin
dacato sulle nostre azioni, sul nostro cuore, sui nostri af
fetti, sulle nostre mire, sulle nostre tendenze, per vedere
che cosa regga e che cosa no, per tagliare, riformare, au
mentare ciò che occorre, per essere sempre pronti in qua
lunque istante a presentare i conti al nostro padrone.
Finalmente quella cartina messa e conservata ai pie' del
crocifisso, ci darà una consolazione forse inaspettata, ed è
che quando sul letto della nostra morte chiederemo questo
crocifisso per stringerlo al petto, ci troveremo tra le mani
i nostri esercizi, l'attestato d'averli fatti, e con ciò la me
moria di tutto quello che facemmo in questi giorni. Ve
dremo quella carta, la benediremo, la bacieremo, e strin
gendo quell'oggetto che non daremmo per tutto il mondo,
ci partiremo di qua, ci presenteremo all'eternità, portando
in mano i nostri patti già fatti e conchiusi, i peccati per
donati, il bene registrato, il paradiso promesso e convenuto,
sicchè potrem dire : — lasciatemi entrare ; - dci basterà,
perchè è impossibile che là si manchi ai patti. Ecco lo sve
gliarino che io vi raccomando di porre nella vostra camera,
ecco un primo ricordo che io vi lascio.
Il vero ricordo però, il gran mezzo per rendere durevole
in noi il frutto di questi esercizi, sta nel Crocifisso. Figu
riamoci che in questo istante l'eterno Padre dica a me
ed a voi : - ecco l'Uomo che ho mandato per tracciarvi
la via nelle tenebre e tra gl'inganni di questo mondo :
Ecce homo. Qui , o fratelli, stanno compendiati i nostri
esercizi, e non si trova nè personaggio, nè libro che possa
dire, che possa predicare quello che dice, quello che pre
dica questa Croce. Questo è il tipo, il modello, il capo, lo
specchio e il gran libro de' sacerdoti. Guai all'ecclesiastico
a cui non basta la Croce, guai a quel sacerdote che non
PREDICA DI CONCLUSIONE 315
1

trova abbastanza di che fermarsi, di che saziarsi a pie '


del Crocifisso ! Ognuno di noi legga sovente e studii in 1

questo libro, impari in esso lo spirito del suo stato, qual


è disprezzare le follie, le vanità e le apparenze di questo
mondo ; qui ciascuno si tempri e si fortifichi a non temere
le dicerie, le persecuzioni, le beffe, i sarcasmi e gli ostacoli
del mondo ; qui conosca il valore delle anime, l'importanza,
i mezzi di arrivare a salvarle ; qui insomma ciascuno si
formi una mente, un cuore, un petto degno di chi ha da
sostenere in terra le veci di questo primo ed eterno Sa
cerdote. Ah ! felici noi se vivremo con questo libro sotto
gli occhi e tra le mani ! Moriva S. Filippo Benizio, ed in
quegli estremi voltosi al fratello laico che l'assisteva, lo
pregò che gli desse il suo libro. Il buon fratello non lo
trovava,.... perchè non vi era. Allora il santo gl'indicò il Cro
cifisso, ed avutolo fra le mani : -- questo, soggiunse, questo
è il libro che desiderava ; l'ho sempre studiato in vita, e
voglio morire in questo studio . — Fortunati noi se, allor
quando lo fisseremo e lo stringeremo per l'ultima volta sul
letto della nostra morte, il cuore ci risponderà d'averlo
studiato e d'averlo seguito nella nostra vita ! Felici noi se
in vita avremo imparato da questo grande Maestro a sprez
zare tutto il fango di questa terra, a cercar unicamente
nelle nostre azioni la gloria di Dio, la conversione e la
salute delle anime !
Altro aiuto ben forte ed insieme ben tenero e sensibile
per mantenerci nello spirito di questi giorni è il pensiero
di Maria. Ella è conscia delle nostre risoluzioni e dei pe
ricoli che ci aspettano ; affidiamo dunque a lei le nostre
persone, il nostro ministero : diciamole che venga, che di- .
scenda con noi da questo monte , chè non osiamo andar
soli nel mondo. Facciamo come fa il ragazzo , che quando
teme d'andar solo in qualche luogo, si presenta alla madre,
e senza forse dir parola , la prende per mano, la tira dietro
316 PREDICA DI CONCLUSIONE

di sè, sicuro, se è con lei, d'aver niente a temere. Cosi


faccia ognuno di noi in quest'oggi : con confidenza da figlio
si presenti e le dica : – Madre, abbiate pazienza, vi tocca
venire con me ; io so già i pericoli che m'aspettano, so
che cosa è il mondo e so purtroppo la mia debolezza. È
vero che sono deciso di non cedere anche a costo della
vita ; ma frattanto voglio assicurarmi, voglio mettermi nelle
vostre mani : so quello che avete fatto con altri sacerdoti,
e sono certo che lo farete con me. Se qualche volta fossi
restio alle vostre voci e renitente a lasciarmi guidare da
voi, fatemi da madre, sgridatemi, castigatemi pure, niente
importa, ma non lasciatemi perire. Di più noi siamo
destinati ad una grande impresa, qual'è quella delle anime,
e siamo venuti qui per prendere nuova forza e valore ;
ora io consiglierei, come si suole praticare tra gli uomini
nelle opere di gran rilievo , di prenderci una persona
compagna onde dividere tra due l'opera stragrande che
c'è da fare, le consolazioni e le spine, le speranze ed i
timori ; cosi guadagneremo di più e faticheremo di meno.
Questa persona con cui far società , sia Maria. Ah che
società divina ! che società terribile all'inferno ! Venga
pure il demonio a battaglia con noi per disputarci qualche
anima ; quando noi avremo in pronto il braccio di questa
Madre, vedrà che sorta di guadagno sarà il suo. Un tale
per difendersi dal pericolo di cedere alle tentazioni, s'era
appesa al collo una piccola immagine di Maria, e quando
veniva assalito la prendeva in mano, e quasi vedesse il
demonio rivolto verso di lui, gli diceva : - la conosci
costei? Ricordati che t'ha già schiacciato il capo una volta :
dunque lasciami stare, perchè se ti avvicini, n'avrai di nuovo
il capo rotto. Quel Ven . Servo di Dio, Mons. Strambi
si occupava per ridurre un'anima sul buon sentiero e
per salvarla. Una persona l'interrogò a che punto eran le
cose, e se v'era speranza di buona riuscita. — Si, rispose
PREDICA DI CONCLUSIONE 317

il Servo di Dio, perchè, ne ho già mezza parola dalla Ma


donna . È questa la società che aveva fatto quel santo
uomo : ecco come facevano i veri sacerdoti. Un ecclesiastico
che nel suo ministero s'appigli a questo mezzo, state certi
che farà miracoli nella conversione delle anime, od a meglio
dire, li farà Maria per lui. Questi miracoli però saranno
a conto d'amendue, ed anche il sacerdote, tuttochè ventri
solo per apparenza, tuttavia ha diritto alla sua parte e
prenderà il fatto suo.
Ma per questo è necessario avere il cuore pieno di questa
Madre ed una confidenza direi illimitata. Perciò non ab
biamo paura di servirci anche di certe pratiche esterne e
materiali. Dobbiamo fare una predica ? ebbene diamone
conto alla nostra compagna, portiamola a lei, deponiamola
a' suoi piedi, diciamole francamente : -- guardate, o Madre,
se va bene ; se v'è qualche cosa da cangiare, ditemelo,
suggeritemelo, poichè spero che tra tutti due faremo una
buona giornata. — Andiamo in confessionale ? è proprio li il
luogo dove si disputano le anime col demonio ; guardiamoci
bene dall'andarvi soli e cominciare da noi il combattimento ;
sarebbe un'ingiuria. ed una mancanza verso la nostra aiu
tante tentare di far questo in segreto e da noi ; perciò di
ciamole a cuore aperto : andiamo, o Madre, e sono
certo che faremo una buona mattinata . - Ci capitano pe
nitenti d'ogni colore, anime infangate nel vizio, e, quello
che è peggio, indurite, ostinate nel male : prendetele come
volete, dite, ridite, sono sempre le stesse. Allora è tempo
di avere questa compagna, voltarsi, a lei e dirle : – ve
dete che ostinazione, che durezza, che insolenza del de
monio verso di me e di voi! che si rida de' nostri sforzi ?
Oh Madre ! schiacciate con un colpo il capo di questo per
fido, la finisca una volta, e conosca il vostro braccio ; Madre,
mettiamo quest'anima in salvo, e guadagnata questa ne
cercheremo un'altra. – Vi sarà qualche scandalo da to
i

318 PREDICA DI CONCLUSIONE

gliere, qualche correzione da fare, qualche ostinato a cui


dare l'assalto ? Eh ! certo che fanno studiare e sudare questi
passi ! So io come sbrigarmene, mi volgo alla compagna
e le dico : Madre, c'è buon colpo da fare, ma io non
m'azzardo da solo, è inutile, tento nemmeno ; tocca a voi:
dunque facciamo ancor questo, o Madre, avanti, un'anima
di più in Paradiso. — Eh ! che giorno ! che guadagno! che
belle feste ! un di saremo tutti assieme in Paradiso ! Ecco i
portenti che fa l'ecclesiastico, quando nel suo ministero dia
la mano a Maria. Proviamo, o fratelli, lo ripeto, proviamo
e vedremo : saremo stupiti di noi medesimi e non avremo
più bisogno di ragioni, che ci persuadano, basterà la nostra
sola esperienza .
E chi di noi, fratelli, chè siamo qui un certo numero,
chi di noi salverà più anime? chi di noi in paradiso avrà
una maggior corona d'anime da lui salvate ? Eccovi l'ultimo
pensiero, con cui finiremo. Chi sarà ? Nė io, nè voi al mo
mento possiamo saperlo ; ma il desiderio di salvarne molte
lo possiamo aver tutti, l'impegno di salvarne molte lo può
prendere ciascuno di noi, poichè sebbene qualcuno si trovi
in un piccolo paese, in una borgata, in mezzo a gente
dura ed ostinata, ciò non di meno colle sue preghiere,
colla purità delle sue intenzioni, con gemiti, sospiri, mor
tificazioni, può salvare più anime di quello che ne salvi
il più famoso predicatore del mondo ; e quand'anche per
loro ostinazione non ne salvassimo neppur una, ciò torrà
niente alla nostra corona, e Dio ci premierà egualmente,
come se veramente le avessimo salvate. Anime dunque,
fratelli miei, anime pel Cielo. - Datemi anime, andava ri
petendo S. Francesco di Sales, anime, o Signore, se volete
ch'io provi un po' di contento a questo mondo. — Santa
Maria Maddalena de' Pazzi diceva che amava meglio ado
:
perarsi per salvar un'anima, che far un miracolo od aver
un'estasi; perchè in questo caso , continuava la santa, Id
PREDICA DI CONCLUSIONE 319

dio aiuta me, laddove nel primo son io che aiuto il Si


gnore. Che nobile, che generoso , che divino pensiero
è mai questo, se noi ecclessiastici ce ne sapessimo valere !
Lasciamo stare le follie, le stoltezze di questo mondo ; il
nostro tempo è destinato a far gente pel Cielo, a popolare
il Paradiso; deh ! non perdiamolo a radunar fango su questa
terra. Figuratevi che in quest'oggi il Signore dica a cia
scuno di noi quello che già disse il padrone della casa ai
suoi servitori: - la cena è preparata, i posti sono vuoti,
andate, cercate, pregate, sia chi vuole, ditegli che venga ;
e se fa difficoltà, prendetelo per mano, fate anche violenza,
costringetelo a venire, perchè la cena è preparata e voglio
veder commensali. - Cosi dice Iddio a noi: coraggio,
che è tempo ; il paradiso è aperto, molti seggi sono vuoti,
io li voglio occupati, andate, cercate, dite, pregate che ven
gano. Che se non v'ascoltano e fanno difficoltà a venire,
ebbene piuttosto che ritornar soli, prendeteli e sforzateli
a venire, sol che entrino e godano di questa gloria.
Bel sentimento egli è questo, che un ecclesiastico dovrebbe
sempre avere stampato in mente : Ite ... ad exitus viarum
et quoscumque inveneritis, vocate, ( 1 ... Exi cito in pla
teas et vicos civitatis... Exi in vias et sepes , et compelle
intrare, ut impleatur domus mea (2). - Sia che preghi un
ecclesiastico, sia che studii, sia che lavori, questa deve
essere la sua mira costante, questo il suo unico oggetto :
anime e non altro ; vada la stima , vada la roba ,
vada la sanità, vada anche la vita, niente importa, datemi
solo un'anima, o Signore ; il resto niente mi cale : vivo,
muoio come volete Voi, sono già abbastanza contento ! –
Oh quante anime di più saranno salve in Paradiso , se ora,
in numero di settanta quali siamo, partiremo di qua e
ci slanceremo nel mondo con questo ardore e con questo
fuoco ! Quando ciascuno non ottenesse che un'anima, sa
(1 ) Matth. XXII. 9. (2) Luc. XIV. 21 - 23.
320 PREDICA DI CONCLUSIONE

rebbero già settanta lingue di più in Paradiso a lodare e


cantare in eterno le divine misericordie .
Io ho finito, o cari, la grand'opera dei nostri esercizi è
terminata. Ho parlato in questi giorni, e, come aveva pro
messo, prima di parlare per voi intendeva di parlare per
me; epperciò parlai chiaro e senza complimenti come ognuno
usa fare con se stesso in cose di tanta importanza e da
vanti al Signore. Ho parlato chiaro e forte affinchè questo
cuore si scuotesse una volta, e non partissimo di qua senza
essere ben compresi di quanto importi, di quanto valga
essere veri sacerdoti. Non badate nè alle parole, nè alla
persona che vi ha parlato, ma valutate le verità, qualunque
sia l'istrumento di cui Iddio si sia servito. Ricordatevi sempre
che cosa sia un sacerdote nel mondo, il gran bene che può
operare, ma insieme il gran male, il gran vuoto che ne può
venire quando egli non sia che un sacerdote mediocre.
Ricordatevi che ..... ma io non finirei di parlare, quando mi
si affaccia questo pensiero, tanta è l'importanza che vi
veggo, tanto il timore che mi assale..... ricordatevi che un
ecclesiastico nel mondo vuol sempre dire uno dei due : 0
la salute o la dannazione di chi sa quante anime. Se noi
ricorderemo queste verità e corrisponderemo, come spero,
alla grazia di questi giorni, chi sa quanto bene ne verrà
da questo punto ! Ma è tempo, ripeto, che la finisca e
lascio che Iddio vi parli per me. Già, o fratelli, quanti
siamo qui radunati, è inutile sperarlo, non ci troveremo
più tutti assieme in questo mondo. Consoliamoci che ci
ritroveremo in un giorno e in un luogo migliore, e sarà
nel gran di del nostro trionfo, e nel bel Paradiso. Non sap
piamo chi sarà il primo ad andarvi, e qualcuno tra noi
forse vi sarà ben vicino ; il primo attenderà gli altri.
Preghiamo d'accordo perchè nemmeno uno di noi abbia
da mancare alla corona, sicchè tutti riuniti possiamo in
Cielo dar principio a quella festa, che non finirà mai più.
PREDICA DI CONCLUSIONE 321

Il Signore benedica voi e me, e questa benedizione ci sia


pegno e caparra di quell'ultima, con cui un di saremo chia
mati tutti quanti da questa valle di lacrime e di miserie
a quel celestiale soggiorno, al bel Paradiso : Benedictio,
pax et misericordia Dei omnipotentis Patris, et Filii, et
Spiritus Sancti, descendat super vos et super me, et ma
neat semper .

1 2
2
.

Visto : nulla osta alla stampa.


Torino, 23 Giugno 1892.
T. G. CAMISASSA .
IN DICE

PREDICA D'INTRODUZIONE . Pag. 9


MEDITAZIONE I. Fine dell'Uomo e del Sacerdote >> 27
II . Importanza della salute >> 46
III . ll peccato d'un Sacerdote . 61
IV . Il Sacerdote in peccato >> 78
V. Morte del Sacerdote peccatore . 99
VI . Morte del Sacerdote giusto » 120)
VII . Il Sacerdote all'Inferno >> 139
VIII . -
L'eternità dell'Inferno . > 156
IX . La misericordia di Dio >> 173
X. Nascita di Gesù . » 189
XI . Vita privata di Gesù . » 205
XII . -
Vita pubblica di Gesù >> 224
XIII . -
Passione di Gesù > 241

XIV .Morte di Gesù » 260


.
XV . Il Paradiso
C
>> 276
XVI . L'amor di Dio 288
PREDICA DI CONCLUSIONE . 304
XOX
DEL MEDESIMO AUTORE .

Di prossima pubblicazione :

ISTRUZIONI
PER

ESERCIZI SPIRITUALI
AL CLERO

Rivolgersi :

al Rettore del Santuario della Consolata - Torino

oppure

alla Tip. Fratelli Canonica, Via Botero N. 8, Torino

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