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Dispense di diritto dell'ambiente - Lugaresi

Diritto dell'Ambiente (Università degli Studi di Salerno)

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DIRITTO DELL’AMBIENTE

CAPITOLO 1 AMBIENTE E DIRITTO

1. il concetto giuridico di ambiente.

La materia riguarda l’ambiente naturale quello che non ha bisogno di ulteriori specificazioni per essere
individuato. L’ambiente fa riferimento generalmente a due aspetti: spazio in cui si vive da un lato, esseri
viventi e cose inanimate con cui si viene a contatto dall’altro. L’ambiente è pertanto identificabile con
l’insieme delle condizioni esterne all’organismo ed interagenti con esso.
La trasposizione del termine comune in nozione giuridica non è agevole proprio per la vastità e la
complessità del concetto. Dottrina e giurisprudenza hanno da sempre discusso circa la definizione di
ambiente e proposto una molteplicità di teorie ma hanno sempre avuto a che fare con il carattere
composto e complesso della nozione di ambiente.
A livello internazionale un tentativo di questo genere è presente nell’ambito della Convenzione del
Consiglio d’Europa sulla responsabilità civile per danni provocati da attività pericolose per l’ambiente
(Lugano 1993) ove si afferma che compongono la nozione di ambiente le risorse naturali, le interazioni tra
le stesse, i beni ambientali facenti parte del patrimonio culturale e gli aspetti caratteristici del paesaggio.
L’International court of Justice (ICJ) in una pronuncia del 1996 ha affermato che la nozione di ambiente
comprende, oltre al linving space, la qualità della vita e la salute degli essere umani e delle generazioni
future
A livello di UE emerge ugualmente il profilo composito della nozione di ambiente. La direttiva 85/337/CE,
nel definire l’oggetto (ambiente) da tutelare, in sede di valutazione di impatto ambientale, menziona più
fattori: uomo, fauna, flora, suolo, interazione tra gli stessi.
A livello nazionale il concetto di ambiente è stato spesso come presupposto. Si pensi al d.p.r. 616/1977 che
definiva le materie di competenza regionale, dove l’ambiente non era altro che un aspetto inserito quasi
incidentalmente all’interno della nozione di urbanistica. Si pensi alla legge n. 349/1986 che, nel costituire il
Ministero dell’ambiente, non forniva alcuna definizione di ambiente, limitandosi a citare in via indiretta,
quali oggetto di tutela, le condizioni ambientali il patrimonio naturale nazionale e le risorse naturali. Una
definizione non è data nemmeno dal d. lgs. 152/2006.
La Corte costituzionale è intervenuta più volte per cercare di definire il concetto in relazione
all0interpretazione sia dell’art. 9, che tutela il paesaggio, sia dell’art. 117, che delinea l’attribuzione delle
competenze legislative tra Stato e Regioni. La Corte ha così affermato che l’ambiente no solo è un valore
costituzionale, ma anche un diritto fondamentale della persona ed un interesse fondamentale della
collettività (sent. 210/1987), e ha definito l’ambiente quale bene immateriale unitario, con varie
componenti da tutelare anche separatamente. Successivamente alla riforma costituzionale del 2001, di
modifica del titolo V della Cost., ha ulteriormente proceduto ad individuare nella trasversalità del valore
“ambiente”, una delle specificità dello stesso. In questo senso, la Corte ha affermato che l’ambiente è un
bene della vita, materiale complesso, la cui tutela comprende qualità e equilibri delle singole componenti e
ha ad oggetto la biosfera, di cui si evidenza il carattere composito ed interattivo: l0ambinete è visto come
sistema da considerarsi nel suo aspetto dinamico.
Valore, diritto, bene sistema: è evidente l’impegno dell’interprete volto a riconoscere all’ambiente un
carattere unitario, per farne riferimento giuridico sicuro, un oggetto del diritto, per garantirne la protezione
sostanziale. La tutela non può prescindere dalla considerazione delle singole componenti settoriali nel
momento in cui si passa dai principi all’applicazione.

2. IL diritto dell’ambiente.
2.1. Profili e caratteristiche generali.

Il diritto dell’ambiente si può definire quale branca del diritto che si occupa delle possibili relazioni tra
organismi viventi, compreso l’uomo, ed elementi naturali.

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Obiettivi del diritto dell’ambiente sono:


- La protezione, la tutela, la salvaguardia e il miglioramento dell’ambiente;
- La regolazione dello sviluppo, disciplinando e limitando attività ed iniziative non ambientalmente
compatibili;
- La repressione di comportamenti lesivi e l’adozione di misure volte ad evitare danni all’ambiente, o
almeno a ridurne l’entità;
- La modificazione di comportamenti in senso più ambientalmente sostenibile.

Per quanto riguarda i principi generali del diritto dell’ambiente, essi vanno ricercati su più livelli:
internazionale; comunitario; interno. Vi sono poi dei principi speciali desumibili dalle speciali discipline
settoriali, contenuti sempre nei diversi livelli.
Le complessità concettuali si riflettono nella difficile individuazione dei contenuti e dei limiti del diritto
dell’ambiente, a qualunque livello territoriale è un diritto relativamente nuovo, un diritto di risposta a
problemi, disastri o situazioni di emergenza che naturalmente o artificialmente vengono a crearsi.
L’evoluzione del diritto dell’ambiente, specie a livello internazionale, mostra una graduale svalutazione del
profilo antropocentrico, per raggiungere l’obiettivo finale di uno sviluppo sostenibile.

Il diritto dell’ambiente ha una propria autonomia che gli deriva da più fattori. Si tratta di un diritto dotato di
uno scopo non definito ma anche propri principi peculiari (es. principio chi inquina paga), di propri istituti
specifici (es. la valutazione di impatto ambientale), di proprie organizzazioni dedicate (es. Ministero
dell’ambiente). Ciò però non significa che non subisca influssi esterni. Le regole ambientali incidono sempre
più frequentemente su altri settori e di converso questi settori possono incidere sul diritto dell’ambiente.
Ciononostante anche il diritto dell’ambiente è sottoposto a tendenze unificatrici:
- sotto il profilo normativo attraverso l’adozione di testi unici settoriali e ora di un testo normativo
(152/2006) che raggruppa più testi unici settoriali;
- sotto il profilo gestionale, attraverso l’individuazione di politiche specifiche, di piani territoriali
dedicati, di programmi di intervento;
- sotto il profilo organizzativo, attraverso l’istituzione del Ministero dell’ambiente;
- sotto il profilo procedimentale, attraverso l’individuazione di procedimenti peculiari del settore;
- sotto il profilo relativo alla responsabilità, attraverso la costruzione di una figura tipica, il danno
ambientale;
- sotto il profilo teorico, attraverso l’affermazione dell’unitarietà dell’ambiente quale bene
immateriale.

Il diritto ambientale quindi è un diritto:


• di difficile inquadramento nelle grandi branche del diritto pubblico, costituisce una branca del
diritto pubblico ed in particolare del diritto amministrativo da cui mutua una serie di istituti
adattandoli. Ciononostante il diritto dell’ambiente è condizionato anche da altre branche come il
diritto penale, civile, tributario e così via. Esso quindi è dotato di caratteristiche peculiari che gli
attribuiscono una personalità non ripetibile e non circoscrivibile in altri settori.
• un diritto trasversale, con continue interazioni con altri settori. Ne consegue che le norme
ambientali, non sono solo quelle che si trovano nelle normative dichiaratamente ambientali ma
anche in normative diverse.
• un diritto attuale, soggetto a continui cambiamenti e ciò determina di adottare un adeguamento a
nuove problematiche.
• un diritto settoriale, composto di discipline speciali fortemente diversificate, dedicate a problemi
particolari che però costituiscono sempre parte di un tutt’uno.
• Un diritto tecnico in senso scientifico tecnologico influenzato da innovazioni e scoperte, sia sotto il
profilo dei problemi che delle soluzioni; Un diritto emotivo.

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2.2. Struttura, confini e strumenti.

Per quanto concerne la struttura, il diritto dell’ambiente potrebbe essere graficamente rappresentato come
un albero, composto da radici principali costituite dai principi, tronco centrale (discipline trasversali) e rami
(discipline settoriali). Principi e discipline trasversali sono in continua e sostanziale crescita. Per contro le
discipline settoriali sono spesso progressivamente erose nei loro contenuti proprio in seguito all’espansione
degli istituti unitari. Nel diritto ambientale nazionale si è avuto uno sviluppo anomalo, dovuto ad una
crescita della parte speciale prima ed una lenta formazione, ancora incompiuta, della parte generale poi. In
questo senso il diritto dell’ambiente è in fase di assestamento, nella quale si sta cercando di rafforzare il
nucleo centrale e di snellire le ramificazioni periferiche.
Tale percorso è stato evidenziato dalla legge delega per il riordino dell’ordinamento della legislazione in
materia ambientale, legge n. 208/2004 ed al conseguente d. lgs. 152/2006.

A livello di struttura di può rilevare un’estrema incertezza dei confini. Il diritto dell’ambiente nasce come
un diritto ritagliato da altri settori che ha conquistato a fatica una serie di competenze. Questa
caratteristica è anche dovuta alla necessaria integrazione tra ambiente ed altri concetti generali e
tendenzialmente trasversali quali territorio e salute.
Il confine della materia ambientale con la materia urbanistica è sempre stato di difficile individuazione e ciò
è dovuto anche al mutamento di significato attribuito alla materia urbanistica nel corso delle varie
legislazioni.
Anche con la materia sanitaria il confine è di difficile individuazione, avendo le materie entrambe lo stesso
oggetto od oggetti difficilmente scindibili. A parte la possibilità di contrasti, questo cammino comune ha
peraltro comportato una parziale alterazione del diritto dell’ambiente in senso antropocentrico, dirigendo
la sua attenzione su aspetti sanitari a scapito di altri profili non incidenti sulla salute dell’uomo.

Se consideriamo gli strumenti operativi più frequentemente utilizzati, il diritto dell’ambiente ha spesso
seguito un percorso tradizionale di command and control (prescrizione, autorizzazione, controllo, sanzione).
Anche in questo caso si può dire di essere innanzi ad una fase di cambiamento , nella qual,e lo schema
tradizione non scompare, ma viene affiancato da altri modelli normativi che considerano meccanismi di
carattere economico e consensuale.
Gli strumenti giuridici tradizionali sono quelli facenti riferimento al modello citato di command and control.
Gli strumenti giuridici specifici costituiscono l’elaborazione di strumenti tradizionali che tengono conto delle
peculiarità del settore ambientale: dsi tratta di strumenti di carattere preventivo a contenuto
autorizzatorio, in riferimento ad opere, piani, attività o di strumenti relativi alla responsabilità.
Per quanto concerne gli strumenti economici, si tratta di strumenti di intervento di carattere generale, quali
incentivi ambientali e tasse ambientali, di strumento di mercato, quali i diritti commerciabili in emissione;
di strumenti di adozione volontaria, quali i sistemi di gestione ed audit ambientale e le etichette ambientali;
di strumenti contrattuali, quali gli accordi volontari o connessi a vicende contrattuali, tra cui l’inserimento
di considerazioni ambientali nelle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici.
Gli strumenti consensuali veri e propri sono invece quelli cui non sono allegati vantaggi di tipo economico
ma che hanno come obiettivo la sensibilizzazione e la conoscenza in materia ambientale, quali l’educazione
ambientale e l’informazione.
Gli strumenti tecnici sono infine ulteriori meccanismi di regolazione caratterizzati da valutazioni basate su
competenze scientifiche e tecnologiche.

Discorso a parte meritano gli standards ambientali, attraverso i quali vengono posti valori- limite, in
funzione di una tutela ambientale minima da garantire; valori di attenzione in funzione di un intervento
anticipato rispetto ai valori limite; valori- obiettivo , in funzione di un miglioramento continuo delle

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situazione ambientale. In questo senso possono poi essere individuati standards di emissione o standards di
immissione, standards di prodotto e di processo. La standardizzazione in campo ambientale ha il fine di
rafforzare la certezza e l’omogeneità del diritto, limitando l’ambito discrezionale delle scelte della pubblica
amministrazione, pagando un prezzo in termini di rigidità e proliferazione normativa.

2.3. equilibri, contraddizioni e contrasti.


Il problema fondamentale del diritto ambientale è quello di individuare il punto di equilibrio tra esigenze
ambientali ed esigenze economiche. Il concetto di migliore tecnologia disponibile aiuta a comprendere le
dinamiche sottese. Nonostante a volte si faccia espressamente uso della menzione “non comportante costi
eccessivi” è da ritenersi ce il concetto di migliore sia riferibile anche a parametri di carattere economico e
non solo in senso tecnico.

Di fronte ad una connaturata “sacralità” del diritto ambientale, occorre spesso rilevare che il pretesto della
tutela ambientale è usato per altri fini, come la riduzione della concorrenza o per attuare misure
protezionistiche.
La prima contraddizione insita nell’impostazione di fondo assunta per definire i fini ultimi del diritto
dell’ambiente, tra antropocentrismo puro, caratterizzato da una protezione ambientale essenzialmente
funzionale alla protezione dell’uomo ed ecocentrismo puro, caratterizzato dalla negoziazione di posizioni di
vantaggio in capo all’uomo, considerato organismo vivente come gli altri.
Un’altra contraddizione è da ricercare nella contrapposizione tra favore generale per le politiche ambientali
e resistenze particolari frequenti nella fase applicativa.

3. I principi del diritto dell’ambiente.


3.1. Diritto internazionale.

Tra i principi emersi a seguito delle Dichiarazioni generali, dei Trattati e della giurisprudenza anche arbitrale
si segnalano:
• Il diritto di sfruttamento delle risorse naturali, coerentemente alla Carta dell’ONU ed ai principi di
diritto internazionale generalmente riconosciuti. Questo diritto consente che gli Stati perseguano
le proprie politiche ambientabili e di sviluppo, non potendo essere negata la sovranità permanente
sulla propria ricchezza e la facoltà di scegliere i percorsi ritenuti più idonei al benessere della
collettività statale.
• L’obbligo di non causare danni ad altri Stati, che costituisce anche un limite al principio precedente.
Questo principio è affermato a livello giurisprudenziale nel caso Gabcikovo 1997, trattandosi di
ipotesi di responsabilità tra Stati, anche qualora esso si stenda alla protezione di spazi non sovrani.
Perché la fattispecie sussista è necessaria la presenza di due requisiti: il danno deve provocare
gravi effetti nocivi e deve essere dimostrato inconfutabilmente. A questo principio si collega il
principio chi inquina paga.
La ricerca di un bilanciamento tra i due principi e la necessaria individuazione di un punto di equilibrio
costituiscono il cuore del diritto internazionale ambientale, facendo entrambi riferimento ad una nozione di
controllo. Il primo principio, nel concetto di sovranità, esprime l’insopprimibile diritto dello Stato di
controllare le proprie risorse naturali, mentre il secondo esprime l’altrettanto necessario obbligo dello
Stato di controllare gli effetti delle proprie azioni.
• Il principio di cooperazione ha carattere composito e si basa sia sul criterio del neminem laedere
che sul criterio di informazione reciproca. Tale principio scoraggia e limita il trasferimento ad altri
Stati di attività e sostanze pericolose che poterebbero causare fenomeni rilevanti di degrado
ambientali (Rio 64); impone un obbligo di notifica immediata di disastri naturali o altre situazioni di
emergenza che possono comportare anche un intervento della comunità internazionale in aiuto
degli Stati lesi (Rio 18); determina un analogo obbligo di notificazione, in questo caso preventiva, in
riferimento ad attività che possono avere effetti transfrontalieri negativi, cui si accompagna un

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obbligo di consultazione continua (Rio 19); favorisce lo scambio di conoscenze scientifiche e


tecnologiche, facilitando processi di capacity- building (Stoccolma 20, Rio 9); vieta che politiche
nazionali, giustificate da scopi ambientali, possono avere fini discriminatori (Rio 12); promuove la
soluzione pacifica delle controversie ambientali (Rio 26).
Per il perseguimento a livello locale degli obiettivi globali è stata adottata, nell’ambito della Conferenza di
Rio 1992, l’Agenda 21, piano di azione a valore programmatico il cui capitolo 29 riconosce alle
amministrazioni locali un ruolo decisivo nell’attuazione delle politiche di sviluppo sostenibile.
• Il principio di partecipazione e di informazione;
• Il principio dell’internazionalizzazione di costi relativi alla tutela ambientali legato al principio del
chi inquina paga ed è volto ad evitare che i costi determinati da interventi e compromissioni relativi
all’ambiente siano caricati sull’intera collettività, dovendo essere invece sostenuti da chi esercita
determinate attività traendone vantaggio.
• Principio dello sviluppo sostenibile è il principio cardine del diritto internazionale dell’ambiente più
recente. La definizione del principio è fatta risalire al rapporto Brundtland del 1987 in cui si dice
che lo sviluppo sostenibile, come sviluppo che soddisfa i bisogni della generazione presenta senza
compromettere la possibilità per le generazioni future, di soddisfare a loro volta i propri bisogni. I
parametri di riferimento sono le risorse che costituiscono oggetto dello sfruttamento, il rapporto
tra generazioni, con la considerazione di soggetti che non sono veri e propri soggetti di diritto ma a
cui sono riconosciute posizioni di vantaggio e la relazione tra bisogni e limiti alle possibilità di
soddisfarli. L’uso equo e sostenibile delle risorse sembra pertanto comportare un limite a quel
diritto allo sfruttamento delle proprie risorse che si è visto essere riconosciuto agli Stati. In questo
caso, il rapporto non è tra Stati ma tra generazioni. In sostanza, il principio dello sviluppo
sostenibile può essere visto come una norma programmatica.

3.2 Diritto dell’Unione europea.

I principi del diritto ambientale dell’UE sono posti nei Trattati TUE e TFUE e nella Carta dei diritti
fondamentali dell’UE. Tali principi si possono distinguere in principi di carattere generale (1), in materia
procedurale (2) e in principi propriamente ambientali (3).
(1) Tra i principi di carattere generale, il primo riferimento all’elevato livello di tutela e di
miglioramento della qualità dell’ambiente, inteso quale fondamento del principio dello sviluppo
sostenibile , affermato anche in riferimento alle relazioni con altri Stati ed organizzazioni. Esso è
considerato una finalità essenziale in altre politiche dell’Unione. Esso comunque è un principio
proprio del diritto internazionale ma l’UE lo ha recepito ed evidenziato collegandolo ad altri principi
e criteri “propri”. Nello stesso senso è stato ripreso dal diritto internazionale il principio di
cooperazione tra Stati, da intendersi non solo nell’ambito interno dell’UE ma anche esterno, e da
perseguirsi attraverso politiche ed azioni che integrnino considerazioni ambientali, sociali ed
economiche. La collaborazione internazionale avviene mediante la stipulazione di accordi e trattati.
Bisogna notare che l’Unione europea, nel momento in cui si occupa di tutela ambientale, lo fa
quale soggetto a pieno titolo nell’ambito del diritto internazionale e non quale mero
rappresentante di Stati membri L’UE nello specifico si preoccupa inoltre degli effetti transfrontalieri
dei fenomeni di inquinamento e della rilevanza delle scelte compiute all’interno e all’esterno della
stessa. Principi non ambientali , ma la cui applicazione incide sulla definizione e sul livello di tutela
ambientale sono, il principio di concorrenza ed il collegato principio di non discriminazione in base
alla nazionalità. I costi che le imprese devono sopportare sono strettamente connessi con al
sensibilità ambientale dello Stato in cui agiscono, per cui si vuole evitare che la diversa coscienza
ambientale possa provocare conseguenze non volute. Criteri minimi ed uniformi di tutela
ambientale possono essere giustificati non solo dalla volontà di garantire ai cittadini una migliore
qualità di vita, ma anche dall’esigenza di evitare effetti discorsivi della concorrenza. Il problema può
essere visto anche sotto un diverso pdv, ossia verificando se siano possibili misure più

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garantistiche da parte degli Stati, che quindi non si limitano a delineare degli standards minimi di
protezione. In questo caso è necessaria una valutazione di compatibilità con i Trattati delle misure
adottate.
(2) I Principi procedurali: il primo principio è il principio di sussidiarietà (verticale tra i diversi organi di
governo), sorto proprio, a livello di trattati comunitari, nel settore ambientale per poi diventa
principio cardine dell’UE. Questo prevede un’allocazione dei poteri di intervento in materie
condivise secondo criteri di ragionevolezza. A livello nazionale ha avuto un’interpretazione volta ad
enfatizzare lo spostamento di poteri ed attività verso il basso, più vicino alla collettività
amministrata. L’UE interviene nei settori di sua non esclusiva competenza secondo il principio di
sussidiarietà solo se ed in quanto gli obiettivi non possano essere perseguiti dagli Stati in modo
soddisfacente, in relazione alla portata o agli effetti dell’azione da intraprendere.
L’aspetto finalistico è fatto principio dal collegato principio di proporzionalità, ai sensi del quale
l’Unione non deve andare al di là di quanto necessario per il raggiungimento degli obiettivi propri
della stessa ai sensi dei Trattati.
L’UE ha adottato uno specifico Protocollo sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di
proporzionalità con l’obiettivo sia di vigilare sull’azione legislativa degli Stati e dell’UE che di evitare
violazione dei Trattati collegate ad erronee o strumentali interpretazioni di tali principi.
I principi di ravvicinamento delle legislazioni e dei poteri impliciti hanno consentito l’intervento
normativo comunitario anche anteriormente all’introduzione di specifiche disposizioni in materia
ambientale. Per quanto riguarda il rapporto tra esigenze ambientali e misure di armonizzazione,
esso è duplice. Da un lato, il settore ambientale è oggetto del processo di armonizzazione
ambientale sia un obiettivo specifico. Dall’altro esigenze ambientali importanti possono costituire il
presupposto giustificativo di deroghe all’armonizzazione, permanenti o temporanee, soggette ad
una procedura di controllo che ne verifichi la razionalità e ne esclusa il carattere di strumento di
discriminazione arbitraria o di restituzione commerciale dissimulata.
Il principio dei poteri impliciti costituisce una norma di chiusura applicabile a tutti i settori in
funzione dell’effettività dell’azione dell’UE. Quando un’azione risulti necessaria per raggiungere
uno degli scopi posti dai Trattati, il Consiglio su proposta della Commissione e previa approvazione
del Parlamento Europeo, delibera l’unanimità sulle appropriate disposizioni.
Ulteriori principi che possono in senso lato definirsi procedurali sono poi riferiti all’adeguamento
scientifico ed all’integrazione tra politiche. Oltre a promuoversi il progresso scientifico e
tecnologico è imposto un continuo adeguamento e aggiornamento dei dati scientifici e tecnici in
nuce della tecnicità del diritto ambientale.
È necessaria inoltre l’integrazione della politica ambientale con altre politiche dell’UE, in seno alla
trasversalità della materia ambiente.
(3) Per quanto concerne i principi ambientali specifici si fa riferimento al principio di precauzione,di
prevenzione, di correzione alla fonte e al principio “chi inquina paga”.
Ai sensi del principio di precauzione, la mancanza di conoscenze scientifiche certe non può
costituirsi la ragione per negare o ritardare l’adozione di misure efficaci. Tale principio,
intimamente connesso con il principio di prevenzione, è frutto di preoccupazioni determinate da
nuovi problemi ambientali i cui effetti non sono scientificamente provati nella loro entità,
risentendo quindi della continua evoluzione del progresso scientifico. Esso si può sintetizzare nella
formula better safe than sorry. In assenza di conoscenze scientifiche certe, ma in presenza di un
rischio elevato di danni rilevanti, si può quindi intervenire. Il problema è quello di valutare
l’efficacia in termini di costi delle azioni da adottare considerando i sensibili interessi economici che
possono esser coinvolti.
Il principio di prevenzione si basa sia su aspetti ambientali diretti ad impedire danni irreversibili sia
su valutazioni di carattere economico, ai sensi delle quali l’intervento successivo di ripristino e
bonifica ambientale di fronte a danni irreversibili comporta comunque nella maggior parte dei casi
costi elevati.

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Il principio di correzione alla fonte dei danni causati all’ambiente ha una duplice prospettiva. Da un
lato il criterio dell’elevato livello di protezione impone un intervento ripristinatorio. Dall’altro il
principio vuole evitare che i valori ambientali possano essere oggetto di un’indiretta
commercializzazione e costituire una variabile in un’analisi costi benefici.
Il principio “chi inquina paga”, nel quale l’aspetto economico è esplicitato in modo diretto,
individua un criterio di responsabilità in materia ambientale. Nei confronti di violazioni di norme
che abbiano comportato un danno all’ambiente, il principio ha una valenza prettamente
sanzionatoria, volendo attribuire al singolo soggetto responsabile i costi che devono essere
sostenuti per far fronte agli effetti della sua condotta o omissione. Il principio si applica anche alle
attività consentite, ed in tal caso la finalità è quella di internalizzare i costi ed evitare un’indistinta
attribuzione degli stessi alla collettività.
I meccanismi possono essere di due tipi: tariffari attraverso l’applicazione di un corrispettivo a
fronte di un servizio ambientale fornito; fiscali attraverso l’applicazione di una tassa relativa a
determinate attività che determinino forme consentite di inquinamento o di impatto ambientale.

Diverso obiettivo può essere quello di esternalizzare i vantaggi ambientali raggiunti attraverso
comportamenti virtuosi dei cittadini, delle imprese, delle pubbliche amministrazioni. In questo caso di
tratta di individuare meccanismi premiali e compensativi che rendano appetibili anche economicamente
stili di vita, processi produttivi, azioni pubbliche più ambientalmente compatibili.

3.3. Diritto nazionale.

Nella Cost. la parola ambiente compare esclusivamente solo a seguito della riforma del titolo V del 2001
dell’art. 117, in riferimento alla distribuzione delle competenze tra Stato e Regioni. Vi sono stati però dei
tentativi dottrinali e giurisprudenziali volti a riconoscere comunque una tutela di rango costituzionale
all’ambiente attraverso il combinato disposto artt. 9 (tutela del paesaggio) e 32 (tutela della salute). In tal
modo le istanze di conservazione e promozione dell’ambiente diventano parametri per l’attività del
legislatore, rappresentano indirizzi per l’azione della PA, assumono il carattere di direttive per
l’interpretazione delle norme sottostanti e costituiscono criteri per la risoluzione di conflitti.
L’art. 9 Cost. tutela il paesaggio non solo sotto i profili estetici ma anche sotto i profili attinenti all’ambiente
e l’art. 32 tutela la salute come diritto fondamentale d inviolabile e come interesse della collettvità sociale.

Se gli artt. 9 e 32 costituiscono i fondamenti costituzionali della tutela dell’ambiente, vi sono comunque
altre norme che devono essere considerate per la loro incidenza in materia ambientale. In primo luogo si
fa riferimento ai principi fondamentali:
- Art. 2 Cost.: nel riconoscere e garantire i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia come
parte di formazioni sociali, rafforza l’art. 32 Cost;
- L’art. 3 comma 2 cost.: nell’esprimere un principio gi uguaglianza sostanziale comprende
implicitamente la necessitò di evitare che i cittadini debbano trovarsi a crescere, vivere e lavorare
in un ambiente degradato.
Per quanto concerne i profili economici:
- art. 41: dopo aver affermato che l’iniziativa economica privata è libera, vieta al comma 2 che essa
possa svolgersi in contrasto con l’utilità sociale;
- l’art. 42: dopo aver affermato che la proprietà orivata è riconosciuta dalla lege, impone alla legge
stessa di assicurarne la funzione sociale, consentendo l’espropriazione al comma 3 per motivi di
interesse generale;
- art. 44: prevede al comma 1 che la legge possa imporre obblighi e vincoli alla proprietà terriera
privata tra cui un obbligo di bonifica e che la legge adotti provvedimenti a favore delle zone
montane.
In riferimento ai profili sociali:

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- art. 4 e art. 35: l’ambiente si pone quale variabile attraverso il ricatto occupazionale1.
In riferimento agli aspetti organizzativi:
- la distribuzione e l’esercizio dei poteri in materia di ambiente deriva dagli artt. 5, 97, 116, 117, 118
della Cost. mentre l’art. 97 contiene principi relativi all’organizzazione ed all’attività amministrativa
gli altri articoli si occupano della distribuzione delle competenze legislative e amministrative.
- Artt. 10 e 11 fanno riferimento ai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti
consentendo limitazioni di sovranità e promuovendo la formazione di organizzazioni internazionali.
In riferimento alla tutela delle posizioni giuridiche soggettive:
- Art. 24: comma 1 attribuisce in via generale a chiunque la facoltà di agire a tutela di propri diritti
soggettivi ed interessi legittimi;
- Art. 113 comma 1 ribadisce il contenuto di tale principio in relazione alla tutela nei confronti della
PA.

Al di là del dettato costituzionale, la ricerca e l’interpretazione di principi non possono non prendere in
considerazione la prima parte del d. lgs. 156/2006.
- Art. 3 bis comma 1: dopo aver affermato che i principi posti dalla prima parte e dagli artt. Seguenti
costituiscono i principi generali in tema di diritto dell’ambiente specifica che essi sono adottati in
attuazione di alcuni artt. della Cost. e nel rispetto di obblighi internazionali e comunitari. Tali
principi costituiscono le regole generali in materia ambientale nell’adozione di atti normativi di
indirizzo e coordinamento e di provvedimenti con tingibili ed urgenti e possono essere modificati
solamente con espressa previsione legislativa successiva sempre nel rispetto dei medesimi
obblighi extra nazionali. Se, da un lato, l’equiparazione tra principi e regole generali è di dubbia
comprensione, dall’altro una norma non può auto attribuirsi un valore di resistenza più forte
nell’ambito del sistema delle fonti del proprio diritto di un determinato ordinamento. Il d. lgs. Dopo
aver affermato che la tutela dell0ambiente è responsabilità di tutti i soggetti dell’ordinamento
pubblici e privati, persone fisiche e giuridiche richiama i principi ambientali di cui al TFUE:
precauzione, azione preventiva, correzione alla fonte, chi inquina paga.

A livello più generale è richiamato il principio dello sviluppo sostenibile che deve costituire il parametro di
riferimento dell’attività discrezionale della PA da cui deriva la prioritaria considerazione degli interessi
ambientali. Il principio in parola deve anche essere considerato come criterio per la risoluzione delle
questioni ambientali che riguardano attività umane.

Sotto il profilo delle competenze viene ribadito il principio della sussidiarietà verticale sia in riferimento al
rapporto tra Stato e livelli territoriali inferiori, sia in riferimento al rapporto tra Regioni ed enti territoriali
minori.
I principi ora esposti sono considerati quali condizioni minime ed essenziali per assicurare la tutela
dell’ambiente su tutto il territorio nazionale, riconoscendo la possibilità alle Regioni di adottare forme di
tutela ambientale più restrittive a condizione che vi sia una particolare situazione territoriale che lo richiede
e che non ne conseguano arbitrarie discriminazioni o aggravi procedimentali.

A conclusione della parte dedicata ai principi è affermato ex. Convenzione di Aarhus ed al d. lgs. 195/2005
che l’accesso alle informazioni ambientali è garantito a chiunque senza che sia necessario dimostrare la
sussistenza di un interesse giuridicamente rilevante.

4. I contenuti della normativa ambientale.

1
Se si interviene negativamente su attività produttive, in quanto inquinanti, la conseguenza spesso minacciata
è una necessaria riduzione dei livelli occupazionali.

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Una legge ambientale è generalmente divisa in 6 parti: principi, organizzazione, attività, sanzioni,
disposizioni finanziarie, disposizioni transitorie e finali cui si aggiungono spesso numerosi allegati.
1) Principi: si intendono disposizioni di carattere generale. Qui troviamo l’oggetto che individua il
settore che la legge vuole considerare; l’ambito di applicazione, che nell’ambito dell’oggeto viene a
circoscrivere l’operatività della normativa; le finalità, vale a dire gli obiettivi e pertanto gli interessi
pubblici individuati dalla legge e la gerarchia tra gli stessi; la natura della legge,m che indica i
rapporti con le altre fonti e tra ordinamenti; le nozioni che contribuiscono a definire l0ambito di
applicazione della legge; le classificazioni, che individuano ulteriormente la disciplina.
2) Organizzazione: considerata sia nei profili soggettivi che funzionali. Vi troviamo la distribuzione
delle competenze; l’istituzione di nuovi enti e di nuovi organi;
3) Attività: sia pubblica sia privata in quanto di interesse pubblico. Vi è sia l’attività conoscitiva;
l’attività di programmazione e pianificazione, che considera i risultati in relazione agli obiettivi e
alle risorse, con tutti i problemi di possibili sovrapposizioni; l’attività provvedi mentale che utilizza
provvedimenti favorevoli o sfavorevoli per il perseguimento concreto degli obiettivi della legge. Vi
sono anche gli strumenti utilizzabili dalla PA.
4) Sanzioni: sia civili sia penali si amministrazione. Nell’ambito di un rapporto autorizzatorio, in
particolare, la scala delle sanzioni amministrative è generalmente la medesima: diffida, per
irregolarità e violazioni di minore entità; diffida e sospensione dell’attività autorizzata per violazioni
più gravi o reiterate o comunque quando vi sia un pericoloso per l’ambiente; revoca e chiusura
dell’impianto nei casi più gravi. La sanzione più specifica del diritto ambientale è la riduzione in
pristino che evita che vi sia un danno permanente all’ambiente sia che i soggetti potenzialmente
inquinatori possano valutare economicamente conveniente secondo un rapporto costi benefici il
loro intervento sull’ambiente.
5) Disposizioni finanziarie: vengono presi in considerazione i mezzi per far fronte alle spese che la
legge comporta. Vi troviamo la copertura dei costi necessari per l’organizzazione, le attività ed il
personale; le incentivazioni in forma di sussidi, sovvenzioni, sgravi fiscali, necessarie per la migliore
applicazione della legge;
6) Disposizioni transitorie e finali : comprende misure di salvaguardia ; l’abrogazione di norme;
norme tardive o a carattere sperimentale; rinvii a norme secondarie.

La norma ambientale è infine caratterizzata da una frequente presenza di allegati, in genere di carattere
tecnico, nei quali possono essere definiti valori, limiti, standards di carattere tecnico- scientifico. La
rilevanza ed il necessario continuo adeguamento degli allegati determinano l’estrema delicatezza sia dei
contenuti che dei procedimenti di formazione e modificazione degli stessi.

5. Ambiente ed analisi economica.

La disciplina giuridica dell’ambiente incide ed è condizionata da profili economici. Il principio dello sviluppo
sostenibile con le sue tre componenti , ambientale, sociale ed economica, mostra la necessaria
interdipendenza tra le stesse.
L’analisi economica contribuisce alle scelte politiche e quindi legislative prima ed all’esercizio della
discrezionalità amministrativa poi, ma non può sostituire le tradizionali valutazioni e ponderazioni degli
interessi pubblici.
Il problema del “ponderare” esiste sia sotto il profilo amministrativo sia sotto il profilo della misurazione di
interessi non omogenei.
I costi che qualcuno non sostiene per compromissioni ambientali saranno sostenuti da altri e generalmente
dalla collettività attraverso la fiscalità generale.

CAPITOLO 2 I LIVELLI SOVRANAZIONALI

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1. Il livello internazionale.

1.1. Evoluzione.

Il diritto internazionale dell’ambiente nasce e si sviluppa in relazione al sorgere di problemi ambientali di


natura globale. La sua evoluzione però è scandita da diverse fasi.
A) fase precedente l’istituzione dell’ONU nel 1945: il diritto internazionale dell’ambiente si occupa
prevalentemente della definizione dei rapporti tra Stati attraverso trattati e convenzioni e della
risoluzione delle controversie in materia ambientale attraverso meccanismi contenziosi (es. Caso
Trail smelter 1941 ove si affermò il divieto di inquinamento transfrontaliero).
B) 1945- 1972: caratterizzata dall’istituzione e dalla presenza dell’ONU e di altri organismi ed agenzie
operanti a livello mondiale come la FAO, UNESCO le cui azioni, pur avendo obiettivi generali o
specifici direttamente ambientali, non possono non incidere in materia ambientale.
C) 1972-1992: emanazione della Declaration of the United Conference on the Human Environment
fino all’emanazione nel 1992 della Convenzione di Rio. In questo periodo la tutela ambientale
diventa un interesse istituzionalizzato dell’ONU, attraverso le dichiarazioni di carattere
estremamente generale e pertanto limitatamente vincolanti. L’ambiente assume gradualmente la
dignità di valore a sé stante da perseguire attraverso sforzi di cooperazione.
D) 1992-oggi: parte da quando viene emanata a Rio la Rio Declaration on Environment and
Development. In questa fase l’interesse per le tematiche ambientali viene ad essere integrato con
i diversi interessi di carattere economico e sociale. Il concetto di sviluppo sostenibile diviene il
principio essenziale. L’attenzione è spostata nei confronti delle dinamiche dei rapporti tra Paesi
sviluppati e Paesi in via di sviluppo. In questa fase assumono rilevanza le decisioni prese d a
organizzazioni internazionali estranee all’orbita ONU ed i cui fini istituzionali sono prevalentemente
legati allo sviluppo economico e commerciale quali OCED e WTO.
Nella fase attuale si può citare anche la Johannesburg Declaration on Sustainable Development
(2002) che ha di fatto sancito il parziale insuccesso delle dichiarazioni di principio o almeno
l’insufficienza dei loro effetti per un reale miglioramento delle politiche ambientali.

La storia del diritto internazionale dell’ambiente può essere vista anche in relazione alle vere ragioni della
sua nascita :accato ai problemi cronici è scandita da un’inesorabile successione di disastri specie :
affondamento di petroliere (Torrey Canion, Cornovaglia 1967; l’Amoco Cadiz, Bretagna 1978 ecc.) e di
incidenti industriali (Chernobyl 1986, Deepwater Horizon Golfo del Messico 2010; Fukushima Giappone
2011).

1.2. Fonti e strumenti.

Le fonti del diritto internazionale dell’ambiente sono le fonti proprie del diritto internazionale, come
riconosciute dall’art. 38 dello Statute della International Court of Justice che cita: convenzioni internazionali
generali e particolari riconosciute dagli Stati in lite; la consuetudine internazionale; i principi generali del
diritto riconosciuti dalle Nazioni civili e le decisioni giudiziarie e la dottrina degli autori più qualificati delle
varie Nazioni. Il numero di convenzioni internazionali è estremamente elevato, contra rimanete alle norme
ambientali di origine consuetudinaria. Queste ultime fanno riferimento al divieto di inquinamento
transfrontaliero ed al principio di cooperazione tra Stati.
La categoria dei principi generali di diritto comuni alla maggior parte delle Nazioni civili non è di chiara
individuazione. Vi si possono includere i principi nati in Stati federali poi presi a prestito
dall’ordinamento internazionale, quale l’obbligo di evitare forme di inquinamento transfrontaliero. A
volte si verifica il percorso inverso: è il diritto internazionale che costruisce i principi poi trasfusi nei
diritti nazionali. Vi è poi un case law di creazione giurisprudenziale e facente riferimento sia alla

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giurisprudenza della International Court of Justice. In questo senso l’ICJ ha avuto modo di affermare,
introdurre o ribadire principi e criteri di rilevante importanza.
A livello di collegi arbitrali internazionali il caso Trailer Smelter (sentenza arbitrale del 1941) in materia di
danni tran frontalieri può essere considerato un punto di partenza per il diritto internazionale
dell’ambiente, così come il caso Lake Lanoux (sentenza arbitrale 1957) rappresenta un parametro di
riferimento in materia di collaborazione nella gestione di beni condivisi, attraverso l’affermazione di
obblighi di notifica connessi ad interventi che potrebbero incidere sul bene nel suo complesso.
Anche procedimenti arbitrali sorti nel0ambito di organizzazioni internazionali possono introdurre principi
propri del settore ambientale. Così il GATT poi sostituito dalla WTO, il cui ambito di operatività è quello
dello sviluppo del commercio ma ammette la possibilità di adottare delle misure restrittive per la tutela
delle risorse naturali (GATT, caso Salmon and Herring 1988), le quali comunque devono esser precedute da
negoziati tra le aprti (WTO, caso shrimp and Turtle 1998). Quindi è consentita l’adozione di misure che
possono avere effetto restrittivo del commercio ma devono rispondere a dei requisiti definiti come la
compatibilità con gli accordi; la proporzionalità rispetto al fine; la non discriminatori età di applicazione; e
comunque devono essere precedute da una soluzione negoziale.

Oltre a queste fonti assumono sempre maggiore rilevanza in campo ambientale i principi enunciati in
dichiarazioni che spesso chiudono conferenze internazionali. Tali principi, nati come sofl law e pertanto
non immediatamente cogenti, tendono ad essere successivamente recepiti negli atti a natura
convenzionale ed a trasformarsi in norme consuetudinarie. Il valore politico di tali principi è fuori
discussione. La soft law costituisce quella parte non immediatamente vincolante del diritto internazionale
che, proprio per il suo carattere più politico che giuridico, consente più frequentemente di raggiungere un
consenso tra gli Stati. Le dichiarazioni di principi contengono una prima sistematizzazione del settore ed
una serie di principi guida. Nella loro genericità e nei loro limiti applicativi esse costituiscono il quadro di
riferimento non solo generale ma anche omogeneo, per la costruzione di un diritto internazionale
dell’ambiente.

Le dichiarazioni generali in materia ambientale si occupano di alcune problematiche ritenute


maggiormente significative per il loro valore tecnico e per la possibilità di cambiamento che possono
indurre. Esse chiariscono quali siano i settori di intervento primari. Viene anche rilevato il rapporto tra
ambiente ed economica. La cooperazione tra Stati e la pianificazione delle scelte fondamentali sono
corollari naturali di questo rapporto. L’attenzione agli altri è un altro elemento presente. Il problema è
particolarmente vivace per quanto concerne la differenza tra Stati sviluppati ed in via di sviluppo. Nei primi,
dopo che i fenomeni di industrializzazione e di sviluppo aggressivo hanno portato ad una degradazione
dell’ambiente, lo stesso è ora visto come un valore da tutelare. Nei secondi, nei quali il sottosviluppo è
stato spesso determinato da motivi ambientali, i limiti economici e tecnologici, uniti alle necessità ed
aspirazioni di un rapido sviluppo comportano rischi ambientali rilevanti.
Le soluzioni di principio proposte vedono la necessità di modelli di cooperazione. Agli Stati sviluppati si
chiede di fornire assistenza tecnologica e finanziaria, di formare operatori e di creare organizzazioni capaci
di agire localmente, di evitare il trasferimento di inquinanti e rifiuti, in definitiva di assumersi le
responsabilità per le conseguenze negative del loro sviluppo (sempre secondo il principio “chi inquina
paga”). Agli Stati in via di sviluppo si chiede invece di valutare nell’ambito delle proprie scelte, le possibili
conseguenze che esse comportano a livello globale.
Il rapporto tra generazioni , quella presente che sfrutta le risorse e inquina, e quella futura , di cui si
vogliono tutelare le aspettative, è invece al centro del concetto di sviluppo sostenibile. Grande importanza
è data poi alle istanze di partecipazione, educazione, informazione e sensibilizzazione, valori dei quali è
promossa la più ampia diffusione.

Nelle dichiarazioni più recenti, che cercano di superare il cattivo equilibrio esistente tra impegni assunti ed
azioni adottate, emergono ulteriori elementi, quali la globalizzazione e new economy con i possibili impatti
in materia ambientale, economica e sociale.

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2. Il livello dell’UE

2.1. Evoluzione
La versione originale del Trattato istitutivo della Comunità economica europea non affrontava tematiche
ambientali, le cui politiche erano prevalentemente dedicate alla creazione di un mercato unico ed alla
promozione di politiche della concorrenza e di non discriminazione commerciale. L’evoluzione del diritto
dell’ambiente dell’UE può essere scandita attraverso le successive modificazioni del Trattato:
• Nella prima fase mancano principi, politiche, azioni e norme ambientali consuetudinarie. Tuttavia
nel Trattato si riscontrano disposizioni che permettono un intervento , ancorchè indiretto, nel
settore ambientale, in quanto l’obiettivo di trovare un equilibrio nel mercato non era solo di
carattere economico.
• L’uso dello strumento della direttiva per l’avvicinamento delle legislazioni e dei poteri impliciti
per l’adozione delle azioni necessarie a perseguire obiettivi comunitari hanno costituito il mezzo
attraverso cui la Comunità è intervenuta nella materia ambientale. A partire dagli anni ’60 sono
emanate direttive e regolamenti aventi oggetti ambientali. La giustificazione di fondo è data dalla
necessità della tutela della concorrenza.
• Negli anni ’70 il diritto comunitario dell’ambiente subisce un’accelerazione sostanziale in quanto le
istituzioni comunitarie hanno preso coscienza della sottovalutazione del problema ambientale. Così
si aprì la strada all’emanazione periodica di Programmi d’azione ambientale contenti un insieme di
azioni coerenti nell0ambito di un quadro normativo dedicato alla tutela ambientale.
• Nel 1985 la Corte di Giustizia CE afferma che la protezione ambientale è un obiettivo fondamentale
della CE, anticipando il nuovo indirizzo adottato dall’Atto Unico europeo che introduce una nuova
competenza in materia di ambiente in capo alla Comunità europea. In questo modo il diritto
comunitario dell’ambiente acquista una sua collocazione nel Trattato e una sua dignità formale.
• Con il Trattato di Maastricht del 1991 l’ambiente diventa oggetto di una politica comunitaria,
inserendosi in un quadro giuridico ancora più definito. Il fatto che si parli dal 1993 di CE e non più
di CEE evidenzia una svalutazione del profilo economico o meglio la rivalutazione degli aspetti
sociali, visti ora non solo come una cariabile incidente sulla politica della concorrenza ma come
valori in sé.
Nel Trattato di Maastricht viene sancito proprio il principio di sussidiarietà verticale.
• Nel 1993 viene emanato anche il Quinto programma di azione ambientale che adotta un approccio
di tipo orizzontale che considera tutte le possibili cause di inquinamento e cerca di favorire un
intervento attivo di tutti i possibili attori. In questa fase si cerca di considerare in maniera unitaria
la problematica ambientale, il che favorisce l’adozione di strumenti trasversali e non più settoriali,
per tipologie di inquinamento; si cerca inoltre di incentivare la partecipazione di imprese e
cittadini, attraverso l’adozione di strumenti che mirino ad un cambiamento di comportamenti
anche sociali.
• Nel 1998 la decisione 2179/98 prosegue tale opera di cambiamento. Da un lato si auspica un
sensibile allargamento della gamma di strumenti giuridici che possono garantire il per segmento
degli obiettivi ambientali. Dall’altro lato la decisione individua de macrosettori caratterizzati dalla
loro trasversalità.
• Con il Trattato di Amsterdam viene ad essere affermata la centralità del principio dello sviluppo
sostenibile, ribadendo sia la necessità di integrazione tra politiche ambientali ed altre politiche, sia
la necessaria valutazione di aspetti economico sociali. I profili ambientali sono anche intesi come
valori concreti dalla Carta dei diritti fondamentali dell0UE del 2000, ove si enuncia la volontà di
raggiungere la un elevato livello di protezione ambientale ed il miglioramento della qualità
dell’ambiente. Gli interessi ambientali dovranno poi essere mediati con altri diritti individuali, come
la libertà di impresa e il diritto alla proprietà privata.

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• Il sesto programma d’azione ambientale del 2002 conferma la necessità di individuare una serie di
priorità in termini di azioni e di aree si intervento. Questo riconosce che l’insoddisfacente
situazione ambientale non deriva tanto da un’insufficiente produzione normativa quanto
dall’inidoneità degli strumenti di implementazione.
• Il processo di ampliamento dell’UE a 25 e poi a 27 Stati ha portato ad una diversa prospettiva
ambientale e ad una sfida sostanziale considerata la disomogeneità ambientale tra vecchi e nuovi
Stati. L’equilibrio da trovare ha richiesto adeguarsi a normative e standards ambientali in modo che
sia consentita un’effettiva e non eccessivamente gravosa armonizzazione.
• Il Trattato di Lisbona 2009 modifica del TUE ed il Trattato che istituisce la Comunità europea ora
(TFUE) ed inserisce un riferimento giuridicamente vincolante alla Carta dei diritti fondamentali
dell’UE cui si riconosce lo stesso valore giuridico dei Trattati.
Sotto il profilo ambientale i nuovi Trattati non prevedono disposizioni specifiche di carattere sostanziale. Si
confermano quindi i capisaldi dello sviluppo sostenibile sia la promozione di un elevato livello di tutela e di
miglioramento della qualità ambientale, sia la trasversalità della politica ambientale. L’ambiente viene
espressamente incluso tra le materie di competenza concorrente tra UE e Stati membri.

2.2. Fonti e strumenti.

A livello normativo il TFUE definisce i principi fornisce basi giuridiche sicure, individua le politiche ambientali
o incidenti sull’ambiente. Riaffermati i principi fondamentali specifici del diritto ambientale dell’UE
(prevenzione, precauzione, correzione alla fonte, “chi inquina paga”) sono definiti gli obiettivi: tutela e
miglioramento della qualità dell’ambiente; protezione della salute dell’uomo; utilizzazione razionale delle
risorse naturali; promozione di misure a livello internazionale, regionale o mondiale con particolare
attenzione per i cambiamenti climatici.
Sono poi delineate le procedure applicabili elencandosi una serie di misure adottabili dall’UE con
riferimento ad ambiti potenzialmente incidenti in materia ambientale.
Si consente che gli Stati adottino provvedimenti di maggiore protezione a condizione che essi siano
compatibili con il Trattato e previa notificazione alla Commissione.
A livello più specifico, le azioni ambientali devono poi tenere conto delle norme e dei divieti relativi alle
restrizioni quantitative tra gli stati membri. Sono vietate non solo le restrizioni quantitative
all0importazione ed all’esportazione ma anche qualsiasi misura di effetto equivalente. In questo senso si
ammette come deroga al principio che restrizioni o divieti possano sussistere, in quanto mirati, tra gli
obiettivi, a tutelare la salute e vita delle persone, della flora e della fauna ma nel contempo si afferma che
tali divieti non debbano costituire un mezzo di arbitraria discriminazione, né una restrizione commerciale
dissimulata. Si vuole evitare che il diritto ambientale sia utilizzato in modo distorto e strumentale.
Sono state emanate delle direttive e dei regolamenti. Le direttive hanno un contenuto ricorrente, fatto di
limiti e di standards, di divieti e di autorizzazioni, di meccanismi di consultazione e di informazione. La
diretta applicabilità loro riconosciuta in presenza di parametri definiti dalla giurisprudenza comunitaria
evita una disapplicazione nazionale per inerzia.

A livello giurisprudenziale la Corte di Giustizia CE è intervenuto più volte in materia ambientale, con
sentenze che, oltre ad affermare principi non ancora espressamente presenti nei Trattati, hanno cercato di
chiarire fino a che punto esigenze ambientali possano limitare il principio della concorrenza ed il principio di
non discriminazione in base alla nazionalità.

A livello politico amministrativo, i Programmi d’azione sono il momento di pianificazione nel quale sono
poste le scelte fondamentali dei costituenti.

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Al di là della definizione di aree ed oggetti, l’azione ambientale dell’UE si sviluppa in alcuni settori
particolarmente delicati: risorse naturali; inquinamento; energia; mobilità; ambiente urbano; salute e
sicurezza individuale e collettiva.

CAPITOLO 3 IL LIVELLO NAZIONALE

1. Evoluzione.

La Costituzione italiana non prevede espressamente l’ambiente come valore costituzionale. È solo con la
modifica del titolo V della costituzione ad opera della legge costituzionale n. 3/2001 che la parola
ambiente compare nella Carta costituzionale anche se limitatamente all’art. 117 dedicato alla
distribuzione delle competenze legislative Stato regioni. Il motivo dell’assenza della questione ambientale
nella Costituzione come originariamente redatta è di carattere storico: nel Dopoguerra la materia non era
un problema attuale. Tuttavia vi era una generale accettazione della permeazione dell’ambiente in
Costituzione grazie al combinato disposto art. 9 secondo comma, art. 32 1 comma Cost.

Questo non significa che di normativa ambientale in senso ampio non si potesse parlare anche prima
dell’entrata in vigore della Costituzione.
L’evoluzione legislativa ha avuto come primo oggetto diretto la tutela sanitaria, intesa come igiene del
suolo e dell’abitato. Ciononostante la tutela ambientale è ancora una tutela di carattere indiretto e
funzionale rispetto ad altri interessi.
Se pertanto si vuole individuare la nascita del diritto ambientale nazionale secondo criteri più rigidi, essa
può essere individuata nella cd. Legge anti smog (l. 615/1996) a tutela dell’inquinamento atmosferico. A
partire dalla legge Merli (l n. 319/1976) di tutela dell’inquinamento idrico, la produzione normativa in
materia ambientale acquista, anche sotto l’impulso sempre più incisivo e pressante del diritto
comunitario, una maggiore continuità e un più ampio respiro.
Il diritto nazionale si trova ora in una fase di transizione, nella quale l’emanazione di nuove norme non è più
vista come la strada principale essendo invece l’applicazione delle normative vigenti il problema più
pressante. L’individuazione di strumenti diversi, di carattere economico e consensuale, la previsione di
istituti trasversali, la compattazione e la razionalizzazione del diritto ambientale attraverso testi unici
settoriali conferiscono una nuova prospettiva allo sviluppo di questa branca del diritto.

Il prossimo passo dovrebbe essere quello di una vera e propria codificazione del diritto dell’ambiente,
attraverso un testo che contenga in modo razionale e coerente i principi del diritto ambientale e che si
occupi di tutti i settori traversali e verticali. Il d. lgs. 152/2006 è ancora molto lontano da tale risultato. Il
decreto in parola non ha avuto vita facile per una serie di motivi di tecnica legislativa, relativi alla sua
impostazione, sia per motivi di contenuto, relativi a contrasti con il diritto dell’UE, sia per i motivi legati alla
politica. Ad esso hanno fatto seguito dei decreti legislativi correttivi che hanno modificato sostanzialmente
l’impianto originario.
Quello che la legge delega ha inteso compiete e che il d. lgs. ha portato ad attuazione è un intervento di
parziale razionalizzazione della normativa ambientale, diverso quantitativamente ma non qualitativamente
da altri interventi precedenti, non compiendo totalmente il percorso di sistemazione della materia che ci si
era proposti di fare. Possiamo quindi con buone ragioni ritenere che il d .lgs. 152/2006 costituisca una
somma di più decreti legislativi settoriali, in quanto diviso in parti dedicate ciascuna ad un settore
specifico.

2. Fonti e strumenti.

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L’ordinamento nazionale utilizza tutte le fonti e tutti gli strumenti a sua disposizione ma vi sono una serie di
particolarità conseguenti alla specificità del diritto dell’ambiente.
Per quanto riguarda il livello legislativo, la legislazione ambientale è basata sull’uso della decretazione
d’urgenza e sulla delega legislativa. Con i decreti legge il Governo interviene rapidamente su situazioni
relative ad incidenti, disastri o comunque problemi ambientali che non possono aspettare i tempi di un
ordinario procedimento legislativo. Con i decreti legislativi, il Parlamento delega il Governo ad intervenire
su materie connotate da un forte aspetto tecnico.
La legislazione ambientale si caratterizza per un utilizzo molto frequente degli allegati tecnici ed una
predisposizione al rinvio a fonti subordinate.

A livello amministrativo si usano strumenti tradizionali: piani programmi, autorizzazioni, concessioni,


controlli, sanzioni.
• L’attività di pianificazione e programmazione è stata caratterizzata da una produzione ipertrofica 2
nel tempo. I piani e programmi ambientali, presenti in ogni nova legge di settore, hanno spesso
costituito il mezzo o l’occasione per dilazionare l’applicazione della legge stessa, più che renderla
coerente nel tempo. In questo senso si cercò di porre un argine attraverso il d. lgs. 112/1998 che ha
preso atto della difficoltà di coordinamento tra diversi livelli e diversi settori di pianificazione, e
prevede una riduzione della pianificazione a livello statale e la contestuale applicazione dl
principio di sussidiarietà a favore della pianificazione regionale o locale.
• Diverso ed ulteriore problema attiene al rapporto tra pianificazione ambientale ed urbanistica. In
questo senso si è cercato di individuare nella Provincia un livello di coordinamento specifico
attraverso il Piano territoriale di coordinamento. Tale Piano avrebbe dovuto determinare gli
indirizzi generali di assetto del territorio ma la soluzione legislativa non ha avuto una sostanziale
applicazione in tutte le varie realtà provinciali.
• La pianificazione in materia ambientale può connotarsi per la presenza di piani generali che
riguardano tutto il territorio nazionale e si occupano di una serie di differenti profili, di piani
settoriali, dedicati ad un problema più specifico o di piani che hanno un ambito territoriale di
riferimento ben limitato pur occupandosi di diversi aspetti ambientali.
• In riferimento all’autorizzazione, esso è l’istituto più frequentemente utilizzato. In tal modo la PA è
in grado si assentire o negare l’autorizzazione ma anche e soprattutto di conformare l’attività nel
senso più rispondente all’interesse pubblico, inserendo una serie di condizioni e di prescrizioni.
• La concessione è più strettamente legata a fenomeni di sfruttamento di beni della disponibilità
della PA. ciò sia per avere una razionale gestione delle risorse, ma anche dall’esigenza di limitare
l’impatto della relativa attività, sia in corso di svolgimento sia in sede di esaurimento della stessa.
• Il sistema è completato da una rete di controlli e di un’attività di monitoraggio dello stato
dell’ambiente.

Non si possono poi non considerare due ulteriori categorie di provvedimenti relativi al rilievo urbanistico
delle decisioni in materia ambientale:
- Vincoli: connessi a fenomeni di zonizzazione, il cui obiettivo è quello di conservare determinati
beni aventi valore ambientale;
- Ordinanze di necessità ed urgenza: provvedimenti di chiusura del sistema da non confondere con
le ordinanze tipiche. Le ordinanze di necessità ed urgenza extra ordinem sono da adottare quando
non vi è la possibilità di provvedere altrimenti, come nel caso in cui l’ordinamento non preveda
alcun provvedimento ordinario idoneo a tutelare un determinato interesse.

3. Profili organizzativi.

2
Che ha avuto uno sviluppo eccessivo e dannoso.

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3.1. L’organizzazione centrale.

La nascita relativamente recente del diritto dell’ambiente e l’assenza di riferimento espressi nella Cost.,
almeno fino alla modifica del titolo V avvenuta con la legge costituzionale n. 3/2001, hanno determinato
l’esigenza di costruire gradualmente un’organizzazione del settore ambientale e di definire
conseguentemente i rapporti tra Stato, Regioni ed autonomie locali, tenendo conto del principio di
sussidiarietà verticale.
Successivamente alla previsione, nel 1983 del Ministero dell’ecologia, senza portafoglio, la legge n.
249/1986 istituisce il Ministero dell’Ambiente che diventa il centro di riferimento principale per gli interessi
ambientali a livello Statale. L’istituzione del Ministero dell’istruzione ha suscitato molte critiche, specie per
la mancanza di coordinamento con il ministero dei beni culturali ed ambientali, istituito nel 1974 e per la
determinazione delle proprie competenze. La tecnica per superare le critiche è stata quella del ritaglio delle
competenze al di fuori di un riordino omogeneo dell’organizzazione governativa avvenuto nel 1999. Di
fatto, oltre ad una serie di competenze esclusive, l’attribuzione della maggior parte delle competenze è
avvenuta secondo lo schema del concerto, nel quale il Ministero dell’ambienta si pone a volte quale
autorità concertante (competenze primarie) ed a volte quale autorità concertata (competenze secondarie).
Un’ulteriore forma di raccordo all’interno della compagine governativa è poi data a comitati
interministeriali, fattispecie che ha avuto una diffusa utilizzazione per poi essere superata proprio
dall’assorbimento delle relative competenze da parte del Ministero dell’ambiente.
Con il d . lgs. N. 309/1999 di riforma dell’organizzazione del Governo viene istituito il Ministero
dell’ambiente e della tutela del territorio (oggi Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del
mare), cui sono attribuite le funzioni fino ad allora proprie del Ministero dell0ambiente e del Ministero dei
lavoro pubblici.

Ulteriore aspetto di criticità è data dalla constante tensione sotto il profilo finanziario che vede spesso il
Ministero dell’ambiente soggetto a tagli di entità percentualmente più elevata rispetto agli altri Ministeri.

Per quanto concerne l’organizzazione tecnica del settore ambientale, è stato istituito recentemente
l’istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) che ha preso il posto dell’Agenzia per la
protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (APAT), dell’Istituto nazionale per la fauna selvatica (INFS) e
dell’Istituto centrale per la ricerca scientifica e tecnologica applicata al mare (ICRAM) assumendone le
rispettive funzioni.
L’ISPRA svolge i compiti di attività tecnico scientifiche di interesse nazionale finalizzate alla protezione
dell’ambiente tra cui la promozione e diffusione dei risultati dell’elaborazione e divulgazione di dati.
All’ISPRA si affiancano le Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente (ARPA) e nelle Province
autonome di Trento e Bolzano, le Agenzie provinciali per la protezione dell’ambiente (APPA).

3.2. Il ruolo delle Regioni e degli enti locali.

Il rapporto tra Stato e Regioni in materia ambientale è sempre stato particolarmente intricato e la
situazione è stata resa ancor più difficile con la sincronizzazione della riforma costituzionale del titolo V,
attraverso legge costituzionale, con la riforma dell’amministrazione attraverso atti aventi forza di legge. In
questo senso è intervenuto la legge n. 131/2003.
L’art. 117 Cost. prevedeva una serie di materie in cui le Regioni a statuto ordinario avevano una
competenza legislativa concorrente. Alcune di queste materie avevano sicuri riflessi ambientali. Nella
vigenza dell’art. 117 Cost. precedentemente alla riforma del giugno 2001, gran parte della legislazione
statale ambientale è stata impugnata davanti alla Coste costituzionale proprio per la difficoltà di individuare
i confini precisi. La Corte nel risolvere i conflitti ha spesso richiamato il principio di leale collaborazione.

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Vista la vaghezza del parametro, questo ha consentito alla Corte di decidere caso per caso se la
collaborazione sia stata leale, insufficiente o assente.
Il nuovo art. 1117 cost. muta il quadro di riferimento, citando espressamente l’ambiente e prevedendo un
diverso riparto di attribuzioni legislative in materia ambientale. Di fronte ad un rovesciamento della
residualità delle attribuzioni legislative, l’art. 117 comma 2, lett. S) Cost., prevede che lo Stato abbia
potestà esclusiva nella materia tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.
Il successivo comma 3 che enumera le materie di legislazione concorrente, prevede peraltro la
valorizzazione dei beni ambientali anche se non ne è chiara la demarcazione del confine. La Corte prefigura
l’esistenza di una materia trasversale che riserva allo Stato il compito di assicurare le esigenze di disciplina
uniforme sull’intero territorio nazionale, sempre nell’ambito di un principio di leale collaborazione. La Corte
ha inoltre affermato che lo Stato deve fissare livelli adeguati e non riducibili di tutela, mentre le Regioni, nel
rispetto di tali limiti, regolano la fruizione dell’ambiente. Il che non impedisce alle Regioni di assicurare
livelli maggiori di tutela, di fatto incidendo sulla materia ambientale.

Per quanto concerne le funzioni amministrative, la tendenza nel settore è stata quella di applicare in modo
deciso il principio di sussidiarietà verticale, spostando verso il basso le competenze. In particolare la legge
n. 59/1997 e il d. lgs. 112/1998 hanno spogliato lo Stato di una serie di funzioni, attribuendole al livello
territoriale più idoneo. Il d. lgs. 112/1998 ha individuato ed elencato i compiti di livello nazionale, quindi
riservati allo Stato, per la tutela dell’ambiente e definito successivamente le funzioni concorrenti nel cui
ambito è necessario un intervento congiunto. In genere con la nuova ripartizione delle competenze
amministrative è privilegiata l’azione degli enti locali.
- spettano infatti ai Comuni, in quanto non sia diversamente previsto da legge statale o regionale,
tutte le funzioni amministrative che riguardano la popolazione ed il territorio comunale, con
particolare riferimento al settore dell’assetto e del’utilizzazione del territorio.
- Alla Provincia spettano invece le funzioni riguardanti vaste zone intercomunali o l’intero territorio
provinciale, riguardanti una serie di settori espressamente elencati, molti dei quali a valenza
ambientale. La provincia svolge inoltre un ruolo di ente intermedio tra Comuni e Regione
nell’ambito della programmazione economica, territoriale ed ambientale, predisponendo il Piano
territoriale di coordinamento.
- Si prevede la possibilità di un esercizio coordinato di funzioni, anche e soprattutto relative a settori
ambientali, in ambiti sovracomunali attraverso forme associative e di cooperai zone tra enti locali e
Regione.

3.3. Le associazioni di protezione ambientale.

Gli interessi ambientali sono interessi pubblici, ma possono coincidere con interessi privati individuali e
collettivi. La nascita e l’istituzionalizzazione delle associazioni di protezione ambientale sono giustificate
proprio da finalità di tutela di interessi ambientali, e non solo in sede giurisdizionali, nella loro qualità di
interessi diffusi
Il ruolo delle associazioni ambientaliste è stato riconosciuto dal legislatore con l’art. 13 della legge
349/1986 ma associazione con finalità di tutela dell’ambiente già operavano in precedenza e a livello
giurisprudenziale aveva già ottenuto per singoli casi concreti una legittimazione processuale ad agire.
L’art. 13 della l. 349/2986 prevede un meccanismo di individuazione formale in presenza del quale tali
associazioni vengono ad assumere un ruolo differenziato rispetto ad altre associazioni.
Ciò comporta la distinzione delle associazioni in due categorie:
a) Associazioni individuate, la cui natura di soggetti portatori di interessi diffusi è presunta;
b) Altre associazioni per le quali si applicano le regole ordinarie e che devono essere in grado di
dimostrare, volta per volta, la loro legittimazione processuale e procedimentale.

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Le associazioni di protezione ambientale sono sotto un profilo formale associazioni private di interesse
pubblico che possono svolgere la loro azione secondo diverse modalità.
Il Ministero dell’ambiente, con proprio decreto, previo parere del Consiglio nazionale per l’ambiente,
procede all’individuazione delle associazioni di protezione ambientale, basandosi su aspetti statutari e su
aspetti relativi all’attività delle stesse. Nell’ambito dello statuto sono verificate l’attinenza delle finalità
programmatiche con gli interessi ambientali e la democraticità dell’ordinamento interno.
Per quanto concerne l’azione delle associazioni , la verifica riguarda la continuità e la rilevanza esterna
della stessa.
La legge n. 349/1986 prevede che 15 tra i 45 membri del Consiglio nazionale per l’ambiente siano nominati
dal ministero dell’ambiente su terne presentate dalle associazioni ambientaliste individuate.
In via generale si possono distinguere poteri processuali e poteri extraprocessuali delle associazioni di
protezione ambientale: sia tra i poteri processuali che tra quelli extraprocessuali si possono poi identificare
potrei di carattere generale e di carattere speciale.
Il settore nel quale è stato riconosciuto il ruolo delle associazioni ambientaliste in via generale è quello
ambientale. È la stessa legge 349/1986 che prevede che le associazioni ambientaliste individuate abbiano
un potere di intervento davanti al giudice ordinario, ne giudizi per danno ambientale ed un potere di
ricorso davanti al giudice amministrativo.

Per quanto concerne lingresso delle associazioni ambientaliste nel processo penale, si prevede che enti ed
associazioni senza scopo di lucro possano esercitare in ogni stato e grado del procedimento i diritti e le
facoltà proprie della persona offesa dal reato.

Ulteriori ipotesi di intervento processuale delle associazioni ambientaliste sono previste da normative
settoriali.
Per quanto riguarda il ruolo procedimentale delle associazioni di protezione ambientale, la legge
241/1990
prevede che i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati abbiano una facoltà di
intervento del procedimento amministrativo, in quanto possa ad essi derivare un pregiudizio dal
provvedimento finale. Gli stessi soggetti possono prendere visione degli atti del procedimento e presentare
memorie scritte e documenti che l’amministrazione deve valutare in quanto pertinenti.

Le associazioni di protezione ambientale possono svolgere a livello generale attività di carattere consultivo.

A questi poteri di carattere generale si aggiungono poi anche in sede extra processuale una serie di poteri
specifici, disciplinati da leggi speciali:
- profili organizzativi, attraverso la partecipazione di rappresentanti in organismi pubblici.
- funzioni consultive o attività;
- di vigilanza e controllo; - ricerca e formazione; - Gestione.
In materia di danno ambientale il d. lgs. 152/2006 concede la facoltà di sollecitare l0intervento statale delle
organizzazioni non governative che promuovono la protezione dell’ambiente. In particolare si prevede che
le associazioni citate possano presentare al Ministero dell’ambiente denunce ed osservazioni, corredate
da documenti ed informazioni concernenti qualsiasi danno ambientale o di minaccia imminente di danno
ambientale e chiedere l’intervento statale a tutela dell’ambiente. (art. 309).
L’art. 310 riconosce inoltre agli stessi soggetti la legittimazione ad agire, in sede amministrativa , per
l’annullamento degli atti e dei provvedimenti adottati in violazione delle disposizioni di cui alla parte sesta
del decreto, nonché avverso il silenzio- inadempimento del Ministro dell’ambiente e per il risarcimento del
danno subito a causa del ritardo nell’attivazione, da parte del medesimo Ministro, delle misure di
precauzione, di prevenzione o di contenimento del danno ambientale. Il medesimo articolo prevede inoltre
un meccanismo di opposizione che può rinviare l’avvio dell’azione giudiziale.

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CAPITOLO 4 PROCEDIMENTI AMMINISTRATIVI AMBIENTALI

1. Procedimento amministrativo, ambiente e discrezionalità.

Il diritto dell’ambiente, anche se non può essere considerato quale semplice branca del diritto
amministrativo, ne viene fortemente condizionato, specie nei profili procedimentali. Il procedimento
amministrativo è la sede ove gli interessi incidenti su una fattispecie sono valutati, ponderati e composti e
dove la norma viene trasformata in soluzione concreta. Si possono notare due tendenze attraverso le quali
il diritto ambientale si esprime:
- Modificazione in via derogativa di meccanismi procedimentali di carattere generale;
- Individuazione di procedimenti amministrativi speciali dedicati alla materia ambientale
quando non si ritiene che i procedimenti ambientali tradizionali siano adatti a risolvere il
problema. A tal riguardo è d’uopo sottolineare che valutazione ambientale strategica,
valutazione di impatto ambientale ed autorizzazione integrata ambientale sono
espressione del principio della prevenzione, anticipando il momento della tutela; il danno
ambientale risponde al principio “chi inquina paga” secondo un criterio di responsabilità.

Nell’ambito dell’attività amministrativa in materia ambientale discrezionalità amministrativa e tecnica


interagiscono continuamente. La discrezionalità amministrativa è caratterizzata dall’interazione di numerosi
ed eterogenei interessi. La discrezionalità tecnica è caratterizzata dalla complessità dalle valutazioni, che
discende dalla tecnicità e dall’ampiezza della materia ambientale.
Fermo restando al possibile introduzione di standards ambientali che restringono la sfera discrezionale, la
pubblica amministrazione è spesso chiamata a considerare e ponderare interessi pubblici e privati, ma
anche a valutare in base a criteri tecnico- scientifici, quale sia la scelta migliore tra più opzioni possibili.

In questo senso , la disposizione all’art. 3 sexies, comma 2 del d. lgs. 152/2006 che individua il principio
dello sviluppo sostenibile quale parametro dell’azione amministrativa.

2. Semplificazione procedimentale ed interessi ambientali.

La disciplina generale del procedimento amministrativo, di cui alla legge n. 241/1990, ha previsto una serie
di meccanismi di semplificazione, finalizzati ad accelerare l’azione amministrativa. La presenza di interessi
ambientali determina, proprio per il conflitto fisiologico di interessi, che tali meccanismi non operino od
operino in maniera meno netta.
Questa tendenza è individuabile in relazione allo strumento della conferenza di servizi, all’attività consultiva
ed all’attività consultiva e di valutazione tecnica, alla segnalazione certificata di inizio attività ed al silenzio
assenso.
Quando sia necessario effettuare un esame contestuale di vari interessi pubblici coinvolti in un
procedimento amministrativo, o in più procedimenti connessi, si può indire una conferenza di servizi, che
diventa obbligatoria quando l’amministrazione procedente richieda, ma non ottenga nei termini stabiliti
atti di assenso, intese, concerti, nulla osta da parte di altre amministrazioni.

La norma generale prevede che il dissenso rispetto alle determinazioni della conferenza di servizi, ed in essa
manifestato, sia congruamente motivato, non possa riferirsi a questioni connesse che non siano oggetto
della conferenza e debba indicare le modifiche progettuali ritenute necessarie per garantire l’assenso. Il
dissenso proveniente da un’amministrazione preposta alla tutela ambientale o paesaggistico territoriale
determina l’intervento di un soggetto diverso, gerarchicamente sovraordinato, il consiglio dei Ministri,
previa intesa con le Regioni o con gli enti locali coinvolti.
Lo stesso accade in caso di dissenso delle medesime amministrazioni in sede di conferenza preliminare
indetta per progetti di particolare complessità e per insediamenti produttivi di beni e servizi.

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Anche nell’esercizio dell’attività consultiva la presenza di amministrazioni preposte alla tutela ambientale e
paesaggistico- territoriale comporta una deroga alle disposizioni generali. In caso di decorrenza del termine
per il rilascio o qualora si tratti di pareri obbligatori, l’organo adito non abbia rappresentato esigenze
istruttorie che richiedano lo spostamento del termine, l’amministrazione richiedente il parere non ha la
facoltà di procedere indipendentemente dall’acquisizione dello stesso.

Una disciplina analoga vale per le valutazioni tecniche che siano richieste ad appositi enti od organi per
l’adozione di un provvedimento amministrato. Mentre l’ipotesi ordinaria prevede che il responsabile del
procedimento possa rivolgersi ad altri organi dell’amministrazione pubblica con qualificazione equipollente
o ad altri istituti universitari, tale possibilità è esclusa se si ratti di valutazioni di competenza di
amministrazione preposta alla tutela ambientale o paesaggistico- territoriale.
Per quanto concerne la segnalazione certificata di inizio attività, la deroga al meccanismo generale
motivata da ragioni di tutela ambientale opera in modo parzialmente diverso o di assenso, il cui rilascio
dipende esclusivamente dall’accertamento di requisiti e presupposti indicati in leggi o atti generali e non
sia subordinato a limiti o contingenti o strumenti di programmazione settoriale, è sostituito dalla
segnalazione dell’interessato. Sono però esclusi i casi in cui sussistano vincoli ambientali o paesaggistici.
L’amministrazione può inoltre inibire, con provvedimento motivato, la prosecuzione dell’attività qualora
accerti, entro sessanta giorni dalla segnalazione, la carenza dei requisiti e presupposti. Dopo tale termine
l’amministrazione può intervenire solo quando siano messi in pericolo alcuni interessi fondamentali, tra cui
l’ambiente.
Il settore ambientale è inoltre caratterizzato da una limitata operatività dell’istituto del silenzio- assenso.

3. La valutazione ambientale strategica.

La valutazione ambientale strategica (VAS) è un procedimento amministrativo diretto ad accertare la


compatibilità ambientale di piani e programmi. La VAS anticipa pertanto il momento di inserimento di
considerazioni ambientali nei processi decisionali pubblici, in applicazione del principio di prevenzione,
consentendo di influenzare l’attività amministrativa di carattere generale ed affermando ulteriormente il
carattere trasversale della materia ambientale.
I riferimenti normativi fondamentali sono, a livello UE la direttiva 2001/42 CE, e a livello nazionale il d. lgs.
152/2006 (artt. 4- 18; 30- 36)
La disciplina dell’istituto richiama espressamente il principio dello sviluppo sostenibile, connotando la VAS
quale strumento idoneo a garantire coerenza al quadro complessivo.
Oggetto della VAS sono i piani ed i programmi che possono avere impatti significativi sull’ambiente e sul
patrimonio culturale, nel quale sono compresi i beni paesaggistici, intendendosi per “impatto ambientale”
l’alterazione dell’ambiente.
In particolare alcuni piani e programmi espressamente elencati, sono sottoposti obbligatoriamente a VAS
mentre per altri strumenti pianificatori e programmatori l’assoggettamento alla VAS dipende da una
valutazione preventiva sulla significatività dell’impatto ambientale, che per le categorie elencate è invece
presunta. Altri piani sono invece espressamente esclusi dalla VAS.

La VAS per la sua chiara finalità di prevenzione, deve essere attivata contestualmente al processo di
formazione del piano o programma. La valutazione deve essere effettuata durante la fase di preparazione
e comunque anteriormente all’approvazione del provvedimento generale o dell’avviso della relativa
procedura legislativa. La VAS costituisce parte integrante del procedimento di adozione ed approvazione
di piani e programmi ad essa soggetti e i provvedimenti amministrativi di approvazione adottati in assenza
di essa sono annullabili per violazione di legge (art. 11 d. lgs. 152/2006).

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Per quanto riguarda le competenze, allo Stato ed in particolare il Ministro dell’ambiente, assistito dalla
Commissione tecnica di VIA verifica dell’impatto ambientale, spetta lo svolgimento della VAS
relativamente a piani e programmi, la cui approvazione compete ad organi statali. All’istruttoria partecipa
anche il Ministero per i beni e le attività culturali, ed il parere finale viene emesso di concerto tra i due
Ministri. Sono invece sottoposti a VAS regionale i piani e programmi la cui approvazione compete alle
Regioni e Province autonome o agli enti locali. L’autorità competente è in questo caso quella che, secondo
le leggi regionali, ha compiti di tutela e valorizzazione ambientale.
Disposizioni comuni prevedono meccanismi di coordinamento e di semplificazione tra VAS, VIA ed AIA
per evitare duplicazioni . In particolare è previsto che VAS e VIA comprendano la procedura di valutazione
d’incidenza, che la verifica di assoggettabilità relativa alla VIA possa essere anticipata in sede di VAS e che
nel procedimento di VIA si acquisisca documentazione prodotta in sede di VAS e s tenga conto delle
conclusioni della stessa (art. 10 d. lgs. 152/2006).

La VAS è definita quale processo diviso in fasi:


i. Verifica di assoggettabilità o screening: l’autorità competente, sulla base del rapporto preliminare
trasmesso dall’autorità procedente e raccolti anche eventuali pareri da parte di altri soggetti
preposti alla tutela ambientale, dichiara se il piano o il progetto debba essere assoggettato a VAS
(art. 12); ii. Rapporto ambientale: in caso di esito positivo di cui i. è necessario preparare il
rapporto in parola, che costituisce parte integrante del piano o programma ed in cui vengono riportati
gli effetti significati sull’ambiente in fase applicativa, le ragionevoli alternative e adeguate ulteriori
informazioni relative al piano ed al programma. Deve essere allegata una sintesi non tecnica che
consenta di comprendere la portata del piano o programma e di individuare gli effetti sull’ambiente
(art. 13) iii. Pubblicazione di avviso del procedimento VAS: in Gazzetta Ufficiale o nel
Bollettino Ufficiale regionale. Ciò al fine di garantire la consultazione pubblica. Viene altresì previsto il
deposito degli atti presso gli uffici e la pubblicazione sui siti web dell’autorità competente e dell’autorità
procedente. Chiunque può prendere visione della proposta di piano o programma e del relativo
rapporto ambientale presentando le proprie osservazioni. Viene richiesto un coordinamento tra le
diverse procedure che riguardino piani e programmi idonei a sovrapporsi , al fine di evitare duplicazioni.
iv. Parere motivato: emesso al termine dell’istruttoria che può portare a d una revisione del piano o
del programma, avendo la VAS una funzione non solo di controllo preventivo, ma anche
conformativa.
v. Adozione o approvazione definitiva: effettuata dall’organo competente;
vi. Fase di monitoraggio: degli impatti ambientali significativi derivanti dall’attuazione dei piani e dei
programmi oggetto di VAS. Di tale monitoraggio è data adeguata informazione ai cittadini, per
consentire una vigilanza diffusa.

4. La valutazione di impatto ambientale.

La valutazione di impatto ambientale (VIA) è un procedimento diretto ad accertare la compatibilità


ambientale di specifici progetti ed è successiva alla VAS. È espressione del carattere di trasversalità della
materia ambientale, ma a differenza della VAS influenza l’attività amministrativa di carattere puntuale.
Nella VIA compresse valutazioni di carattere tecnico, volte a determinare la compatibilità ambientale di
interventi umani si uniscono all’esercizio di discrezionalità amministrativa, volta a considerare tutti gli
interessi pubblici coinvolti.
La VIA è considerata un atto amministrativo autorizzatorio a se stante e di natura consultiva. Dal pdv
procedimentale è stata considerata alternativamente come un procedimento autonomo, integrato o
subprocedimento. Le differenze definitorie sono prevalentemente nominalistiche e derivano dal valore
finale della VIA.
I riferimenti normativi fondamentali per la VIA sono a livello UE la direttiva 85/337/CE a livello nazionale il
d .lgs. 152/2006 (artt. 4- 10 19 36).

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La disciplina della VIA richiama espressamente obiettivi generali e di carattere sanitario ed ambientale. Si
tratta pertanto di una valutazione che si pone in continuità con la VAS ma più legata alla specifica
fattispecie ed ai fattori su cui la realizzazione del progetto andrà ad incidere.
Oggetto della VIA sono i progetti idonei a produrre impatti significativi e negativi sull’ambiente e sul
patrimonio culturale, intendendosi l’alterazione dell’ambiente.
La VIA consiste pertanto nella descrizione e nelle valutazione degli effetti di un progetto che può essere
tanto pubblico quanto privato, su una serie di fattori ambientali. Il progetto può pure essere relativo a
nuove opere o anche a modificazioni sostanziali di opere esistenti che provochino una differenza di impatto
significativa. La VIA è autonoma rispetto ad un ulteriori valutazioni svolte nell’ambito delle discipline di
settore, prevalentemente mirate a regolare singoli profili inerenti all’esercizio di determinate attività. Per
alcune categorie di progetti, indicate in allegato al d. lgs. 152/2006, l’impatto ambientale è presunto,
mentre per altre deve essere accertato caso per caso, tenendo conto che le Regioni possono aumentare o
diminuire eventuali soglie dimensionali e che nelle aree naturali protette i medesimi valori, se presenti,
sono ridotti del 50%. Altre categorie di progetti sono invece escluse, analogamente a quanto previsto per la
VAS (art. 6 d. lgs).

La VIA costituisce un presupposto o parte integrante del procedimento di autorizzazione o approvazione


per i progetti di opere ed interventi ad essa soggetti. I provvedimenti adottati in assenza di essa sono quindi
annullabili per violazione di legge.(art. 29)

Per quanto concerne le competenze esse sono distribuite in relazione alla rilevanza dell’opera direttamente
dalla legge, attraverso l’inclusione in appositi allegati. In ambito statale è ili Ministero dell’ambiente,
assistito dalla Commissione tecnica di verifica dell’impatto ambientale. All’attività istruttoria partecipa
anche il Ministero per i beni e le attività culturali ed il provvedimento di VIA viene emanato di concerto tra i
due Ministri. A livello regionale, l’autorità competente è quella che, secondo le leggi regionali, ha compiti di
tutela e valorizzazione ambientale.

Oltre alle disposizioni comuni a VIA e VAS e ai relativi meccanismi di coordinamento e semplificazione, il
procedimento di VIA, qualora ricorrano determinate circostanze, fa luogo dell’autorizzazione integrata
ambientale (AIA). Ciò deriva dal fatto che entrambe hanno lo stesso oggetto. Per ragioni di economia
amministrativa VIA e AIA possono condividere le modalità delle fasi di monitoraggio e di controllo
successivo (art. 10).
La VIA è definita quale procedimento attraverso cui sono preventivamente individuati gli effetti
sull’ambiente di un progetto distinto in fasi:
I. Verifica di assoggettabilità (screening): il proponente che effettua la trasmissione di progetto
preliminare e studio preliminare ambientale, pubblicando il relativo avviso all’autorità
competente. Tale atutorità verifica se il progetto sia idoneo ad avere impatti significativi
sull’ambiente, emanando se del caso un motivato provvedimento di assoggettabilità (art. 20).
II. Fase di consultazione o (scoping): in cui l’autorità competente ed altri soggetti pubblici operanti
nel settore ambientale possono definire la portata delle informazioni da trasmettere, il livello di
dettaglio e le metodologie da adottare per l’elaborazione dello studio di impatto ambientale. Si
applica quindi un sistema collaborativo. L’autorità competente esamina quindi le principali
alternative, verifica la sussistenza di eventuali incompatibilità ed indica le condizioni per
l’elaborazione del progetto e dello studio di impatto ambientale in vista dell’acquisizione dei
necessari atti di consenso.
III. Predisposizione dello studio di impatto ambientale:il contenuto essenziale è determinato per
legge. Ad esso deve essere allegata una sintesi non tecnica che consenta al pubblico di
comprendere il progetto ed il suo possibile impatto ambientale e quindi di intervenire in modo
informato e coerente.

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IV. Istanza: presentata dal proponente all’autorità competente, con allegati progetto definitivo, studio
di impatto ambientale, sintesi non tecnica ed elenco di autorizzazioni o atti di assenso acquisiti o
da acquisire.
V. Notizia dell’istanza: a mezzo stampa o via web con indicazione delle sedi nelle quali si possono
consultare integralmente i documenti prescritti. Chiunque, nei termini stabiliti, può prendere
visione degli atti e presentare osservazioni, delle quali si deve tenere contro. Al fase di
consultazione può avvenire anche attraverso un’inchiesta pubblica. Il proponente può essere
chiamato ad un sintetico contraddittorio con i soggetti pubblici e privati che sono intervenuti nel
procedimento. Sulla base dell’inchiesta pubblica e contraddittorio il proponente può chiedere di
essere autorizzato a modificare i propri elaborati.
Le attività tecnico istruttorie sono svolte dall’autorità competente, che acquisisce e valuta tutta la
documentazione presentata ed il parere delle regioni sui progetti di competenza statale, mentre il
proponente, qualora la realizzazione del progetto necessiti di atti autorizzatori o di assenso di altre
amministrazioni, trasmette l’istanza anche a queste. (art. 25).

VI. Provvedimento espresso e motivato: L’autorità competete conclude quindi il procedimento.


Potendo il Consiglio dei Ministri esercitare un potere sostitutivo in caso di inutile decorso dei
termini, e facendosi comunque salva la facoltà per l’autorità competente di richiedere in un’unica
soluzione la proroga dei termini ed integrazioni.

Il provvedimento di VIA sostituisce tutte le autorizzazioni e tutti gli atti di assenso comunque denominati in
materia ambientale e contiene le condizioni non solo per la realizzazione e l’esercizio dell’opera, ma anche
per la dismissione della stessa. I progetti soggetti a VIA devono essere realizzati entro 5 anni dalla
pubblicazione del provvedimento finale a pena di reiterazione della procedura di VIA. (art. 26).
VII. Pubblicazione: in Gazzetta ufficiale o Bollettino regionale con indicazione della sede in cui si possa
prendere visione di tutta la documentazione.

Il provvedimento di VIA individua infine le caratteristiche delle attività di monitoraggio e controllo degli
impatti ambientali volte a verificare il rispetto delle condizioni imposte. Qualora si registrino impatti
negativi significativamente superiori e diversi rispetto a quelli previsti e valutati, l’autorità competente può
modificare il provvedimento, apponendo condizioni ulteriori, o qualora possano derivare ripercussioni gravi
su ambiente e salute pubblica, può sospendere i lavori e le attività autorizzate. Di tale monitoraggio è data
adeguata informazione ai cittadini per facilitare una vigilanza diffusa (art. 28).
L’autorità competente esercita inoltre il controllo sul rispetto delle prescrizioni impartite, potendo
sospendere i lavori ed imporre al proponente le misure adottate. In caso di assenza di VIA o di difformità
sostanziali rilevanti, l’autorità competente può anche disporre la demolizione ed il ripristino dello stato
dei luoghi a cura del responsabile. In questa fase occorre valutare l’entità del pregiudizio ambientale
arrecato e quello conseguente all’applicazione della sanzione.
La VIA non opera solo a livello nazionale.

A Livello internazionale la VIA transfrontaliera è regolamentata dalla convenzione di Espoo dell 1991
ratificata in Italia con legge 640/1994. L’art. 2 della Convenzione prevede che le Parti contraenti adottino
tutte le misure appropriate per prevenire, ridurre e combattere fenomeni rilevanti di impatto ambientale
trasfrontaliero. Essa di impone di procedere in ogni caso alla VIA prima di autorizzare o di intraprendere le
attività inserite in un elenco presente in appendice che possono avere un impatto pregiudizievole
transfrontaliero importante. Le procedura di VIA che per quanto possibile devono essere applicate anche a
piani e programmi devono essere trasparenti ed aperte alla partecipazione delle popolazioni interessate e
non devono impedire l’applicazione di provvedimenti pià rigorosi derivanti da accordi bilaterali o
multilaterali.

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La normativa nazionale detta alcune disposizioni per garantire la realizzazione di consultazioni


transfrontaliere in sede di espletamento di VAS e VIA (art. 32).

Accanto alla generale disciplina della VIA, vi sono poi delle discipline settoriali tra cui quella in materia di
beni culturali e di infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici.

5. L’autorizzazione integrata ambientale (AIA)

L’autorizzazione integrata ambientale è un provvedimento di natura autorizzatoria che mira a verificare la


compatibilità ambientale di una determinata attività ed è quindi successiva alla VIA. Anche l’AIA consente
l’inserimento di considerazioni ambientali nei processi decisori pubblici ed è espressione del carattere di
trasversalità della materia ambientale. Come la VIA, anche l’AIA influenza l’attività amministrativa di
carattere puntuale ed anche in essa coesistono valutazioni tecniche complesse. L’AIA consente una
maggiore trasparenza dell’azione amministrativa ed una più effettiva partecipazione del pubblico.
L’AIA, quale procedimento dotato di un carattere conformativo deve in particolare contemperare nelle
singole fattispecie, interessi conservativi, di tutela ambientale, con interessi di sviluppo, di natura
prevalentemente produttiva senza che vi sia una determinata gerarchia. L’AIA si impone di semplificare il
regime autorizzatorio vigente per determinate attività potenzialmente lesive di diversi fattori ambientali.

Per quanto concerne i rapporti tra VIA e AIA, considerato che la VIA si occupa dell’impatto dell’opera
attraverso l’esame del progetto e l’AIA dell’impatto di un’attività, è facile comprendere che i due aspetti
non possono correre su binari paralleli. In questo senso occorre distinguere tra impianti che già esistono e
impianti che devono essere ancora realizzati.
• Impianti esistenti: già sottoposti a VIA la sovrapposizione può sussistere ma si tratta di un problema
interno all’AIA quale procedimento autonomo nel quale potranno essere acquisiti i dati prodotti nel
procedimento di VIA.
• Impianti da realizzare: si presenta u problema di coordinamento tra due valutazioni aventi il
medesimo oggetto. Per questi motivi il provvedimento di VIA, qualora ricorrano determinate
circostanze, fa luogo dell’AIA, ed entrambe possono condividere le modalità delle fasi di
monitoraggio e di controllo successivo.

I riferimenti normativi sono, a livello di UE la direttiva 2008/1/CE a livello nazionale gli artt. 4- 10; 29 bis- 29
quattordecies, 33- 36 d. lgs. 152/2006.

Le attività soggette all’AIA sono individuate nella legge in un allegato del decreto.
Gli obiettivi individuati riguardano la riduzione di emissioni inquinanti, l’uso efficiente dell’energia, la
prevenzione degli incidenti ed il controllo nella fase di cessazione dell’attività.
Procedimento:
1) Domanda dell’interessato: che deve fornire alcune informazioni di carattere generale su diversi
profili. La domanda deve riportare una sintesi non tecnica di tutti gli elementi. Il gestore può anche
indicare informazioni che ritiene riservate, includendo una versione della domanda che non riporti
tali informazioni.
2) Avvio del procedimento: da parte dell’autorità competente comunicato al gestore dell’impianto, il
quale deve procedere alla pubblicazione della stessa con una diffusione parametrata alla rilevanza
del progetto e costituisce un apposito ufficio per la consultazione del pubblico. I soggetti interessati
possono presentare osservazioni all’autorità competente. È prevista la convocazione di apposita
conferenza dei servizi disciplinata dalle norme della legge.
3) Pronuncia dell’autorità competente: A seguito della conferenza di servizi l’autorità competente si
pronuncia sull’ammissibilità della domanda una copia dell’AIA è messa a disposizione del pubblico,
potendo l’autorità competente restringere l’accesso alle informazioni ivi contenute per ragioni di

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riservatezza industriale commerciale o personale. È prevista la possibilità di stipulare accordi tra


enti pubblici territoriali e gestori.
La pubblica amministrazione può esercitare un forte potere conformativo in sede di rilascio dell’AIA, nella
quale possono quindi essere inserite condizioni finalizzate al miglioramento della compatibilità ambientale.
In particolare, sempre nell’ottica del raggiungimento del più elevato livello di tutela possibile, vengono
considerati valori- limite di emissione per i diversi fattori inquinanti, requisiti e metodologie di controllo
delle emissioni, misure relative a condizioni anormali di esercizio. Possono inoltre essere inserite quelle
ulteriori condizioni che la PA ritiene opportune.
Con norma di chiusura si prevede poi che l’autorità competente possa imporre misure supplementari più
rigorose per le norme di qualità ambientale.

La durata dell’AIA è di 5 anni, tranne che per i siti registrati EMAS (8 anni) e per quelli certificati ISO 14001
(sei anni). Al di là della scadenza è possibile un riesame dell’autorizzazione in presenza di determinate
condizioni: se vi sia comunque un inquinamento tale da rendere necessaria la revisione dei valori limite; se
vi siano stati dei miglioramenti sostanziali alle migliori tecniche disponibili, che consentano un notevole
abbassamento delle emissioni senza costi eccessivi; se la sicurezza di esercizio richieda l’adozione di
ulteriori tecniche; se siano state emanate ulteriori disposizioni legislative in materia.
Il gestore, prima di dare inizio alle attività oggetto di autorizzazione,né da comunicazione all’autorità
competente, trasmettendo in seguito i dati richiesti relativi al controllo delle emissioni.
L’ISPRA per le attività cui l’autorizzazione compete ad organi statali e le ARPSA per le altre tipologie di
attività, accertano il rispetto delle condizioni e degli obblighi imposti dall’AIA ferma restando la facoltà
dell’autorità competente di disporre ispezioni straordinarie.

I gestori sono tenuti a trasmettere annualmente all’autorità competente ed al Ministero dell’ambiente i


dati relativi alle emissioni in aria, acqua e suolo, mentre le autorità competenti comunicano al ministero
dell’ambiente i dati concernenti domande ricevute ed autorizzazioni rilascitate.
Ulteriori forme di scambio di informazioni a livello nazionale e di UE sono previste dalla direttiva 2008/1/CE.
Qualora il gestore intenda procedere ad una modifica degli impianti, informa l’autorità competente che può
aggiornare l’AIA o in caso di modifiche sostanziali, richiedere la presentazione di una nuova domanda di
autorizzazione. Qualora vi siano variazioni nella titolarità della gestione, vecchio e nuovo gestore
provvedono alla comunicazione all’autorità competente

6. Danno ambientale e responsabilità ambientale.

La disciplina del danno ambientale ha un oggetto diverso rispetto a VIA, VAS ed AIA, vale a dire la reazione
ad un evento lesivo di valori ambientali. Anche il principio di riferimento non pare essere il principio di
prevenzione quanto il principio “chi inquina paga” ed eventualmente il principio di correzione alla fonte. La
parte preventiva connessa al profilo sanzionatorio e ripristinatorio, è mirata non solo a ridurre la possibilità
del verificarsi del danno ambientale, ma anche a costituire un parametro di giudizio successivo. Si noti
anche che la distinzione tra prevenzione e precauzione non è netta.
L’oggetto del principio di precauzione si individua nel rischio del verificarsi di un danno ambientale che
possa determinarsi a seguito di una preliminare valutazione scientifica obiettiva. L’insorgere di tale rischio
obbliga l’operatore interessato ad informare la pubblica amministrazione e consente al Ministro
dell’ambiente di adottare misure di prevenzione proporzionali, non discriminatorie, coerenti ed
economicamente sostenibili (art. 301 d. lgs).
Non si fa riferimento ai caratteri propri del principio di precauzione ma ad un concetto di rischio che
appartiene più al principio di prevenzione-

Il danno ambientale come figura autonoma è stato individuato inizialmente in sede giurisprudenziale
dalla Corte dei conti come fattispecie speciale di danno erariale, essendo l’ambiente considerato quale

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patrimonio della collettività soggetto ad uso pubblico, quando non come bene pubblico di competenza
statale. Esso fu poi espressamente introdotto nel nostro ordinamento con l’art. 118 della legge n.
349/1986 che lo individuava quale figura tipizzata di responsabilità aquiliana (art. 2043), riferita ad un
danno ingiusto causativo di una lesione a valori ambientali. Il danno ambientale era caratterizzato da
un’impronta sanzionatoria di ispirazione penalistica.

I riferimenti normativi fondamentali per il danno ambientale e responsabilità ambientale sono a livello
comunitario la direttiva 2004/35/CE e a livello nazionale la parte sesta del d. lgs. 152/2006 artt. 299 318.

Il danno ambientale è definito come qualsiasi deterioramento significativo e misurabile, diretto o


indiretto di una risorsa naturale o dell’utilità assicurata da quest’ultima. Già la prima definizione apre
alcuni interrogativi e critiche relativi ad indeterminatezza e livello di tutela.
- Il concetto di significatività è vago, potendo fare riferimento a valori tecnico scientifici oppure
economici. Certamente si voleva evitare che qualsiasi piccola lesione ambientale potesse mettere in
moto meccanismi amministrativi e giurisdizionali, ma in assenza di parametri certi o indicativi, si
apre la strafa ad una pericolosa discrezionalità.
- Dubbi analoghi si pongono per il concetto di misurabilità, in astratto riferibile sia a paratetri
tecnico- scientifici che economici.
- Mentre l’aspetto diretto o indiretto del deterioramento pone meno problemi essendo comunque
richiesto un nesso di causalità. Da un lato è chiara l’impostazione antropocentrica della norma.
- Dall’altro ci si può chiedere se il riferimento alle risorse naturali non sia meno ampio di un
riferimento più generico all’ambiente nel suo complesso. Se le due nozioni, come pare, non sono
coincidenti, il rischio è che alcuni fenomeni possano essere considerati lesivi dell’ambiente ma non
di risorse naturali e quindi non soggetti alla disciplina vigente;
- Per quanto riguarda l’oggetto della tutela, esso è va parametrato in riferimento alle condizioni
originarie dell’habitat.

Sono individuati anche una serie di danni ambientali che rimangono esclusi dalla disciplina tra cui quelli in
relazione ai quali siano trascorsi più di trent’anni dall’emissione, dell’evento o dall’incidente che li ha
prodotti e le situazioni di inquinamento per le quali si sia compiuta positivamente un’attività di bonifica.
Regioni ed enti locali svolgono una funzione prevalentemente di propulsione dell’intervento statale hanno
un potere di denucnia, condiviso con persone fisiche e giuridiche e possono presentare osservazioni. Tutti
questi soggetti sono legittimati a ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l’annullamento di atti
e provvedimenti nonché il silenzio-inadempimento del Ministero dell’ambiente e per il risarcimento del
danno subito a causa del ritardo nell’attivazione, da parte del Ministero, delle misure previste. L’interessato
può inoltre ricorrere in via straordinaria al Presidente della Repubblica (art. 310).
La disciplina del danno ambientale e della responsabilità ambientale racchiude due profili: quello relativo
alle procedure amministrative finalizzate all’adozione di misure di prevenzione e di ripristino e quello
attinente al risarcimento del danno ambientale.

6.1. Prevenzione e ripristino ambientale.

Per quanto attiene alla parte relativa a prevenzione e ripristino ambientale, la normativa individua una serie
di obblighi in capo agli operatori, ossia coloro che hanno potere decisionale.
In applicazione ai principi generali si distingue l’ipotesi in cui il danno non si sia ancora verificato ma vi sia
una minaccia imminente, dalla situazione in cui il danno si sia già prodotto (art 302)
- Minaccia imminente: l’operatore ha dei doveri di comunicazione alle autorità competenti, deve
adottare a proprie spese entro 24 h idonee misure di prevenzione e messa in sicurezza, ferma
restando la possibilità per il Ministro dell’ambiente di ordinare o di adottare con diritto di rivalsa
ulteriori misure (art. 304);

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- Danno già verificatosi: l’operatore, oltre a dover adempiere ai medesimi obblighi di comunicazione,
deve adottare tutte le iniziative praticabili per controllare, circoscrivere, eliminare o gestire
qualsiasi fattore di danno e le sue possibili conseguenze.
Devono operarsi anche le opere necessario per le misure in pristino ferma restando la facoltà per il
Ministro di adottare od ordinare con diritto di rivalsa ulteriori misure. Per ripristino si intende il
ritorno delle risorse naturali o dei servizi danneggiati alle condizioni originarie; nel caso di danno al
terreno, l’eliminazione di qualsiasi rischio di effetti nocivi per la salute umana e per l’integrità
ambientale. In ogni caso, il ripristino deve portare alla riqualificazione del sito e del suo ecosistema
(art. 302). Le misure per il ripristino ambientale devono essere approvate dal Ministro
dell’ambiente che può stipulare un accordo con l’operatore interessato. Nel caso in cui coesistano
più casi di danno ambientale e sia necessario individuare priorità di intervento, si tiene conto della
fattispecie concreta e delle possibilità di ripristino naturale, ma viene in ogni caso data precedenza
agli interventi che possono minimizzare i rischi per la salute umana.

Le varie misure di precauzione, di prevenzione o di ripristino prescritte dal Ministro dell’ambiente sono
motivate e comunicate agli operatori interessati cui sono addossati i costi.

6.2. Il risarcimento del danno ambientale.

La norma di carattere generale afferma che chiunque, con un comportamento commissivo od omissivo con
dolo o colpa, arrechi danno all’ambiente, alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo in tutto o in parte, è
tenuto al ripristino all’adozione di misure di riparazione complementare e compensativa. Qualora ciò non
sia possibile o eccessivamente oneroso il danneggiante è obbligato al risarcimento per equivalente
patrimoniale nei confronti dello Stato.
La fattispecie complessa va scomposta nelle sue parti.
Il primo aspetto riguarda l’elemento soggettivo, qualificato da dolo o colpa, escludendosi in quest’ambito
l’oggettivizzazione della responsabilità presente in altre norme quali quelle dell’art. 2050 ( responsabilità
per attività pericolose) o dell’art. 2051 (danno cagionato da cose in custodia).diverso è il caso di alcune
fattispecie speciali di danno ambientale, quale quella prevista da OGM.

Il secondo aspetto riguarda la compromissione dell’ambiente, come elemento oggettivo, che la norma
cerca di esemplificare facendo riferimento ad un danno arrecato, attraverso una totale o parziale,
alterazione, deterioramento o distruzione.

Sussistendo elemento soggettivo ed elemento oggettivo, ne consegue la responsabilità del soggetto ed il


conseguente obbligo dell’autore del fatto al ripristino o all’adozione di misure di riparazione
complementare e compensativa o al risarcimento per equivalente patrimoniale nei confronti dello Stato. Il
fatto che solo lo Stato sia il destinatario del risarcimento può costituire un limite all’estensione
dell’applicazione dell’istituto. Regioni ed altri enti territoriali possono infatti non essere motivati a
perseguire ipotesi di danno ambientale sia perché non ne trarranno beneficio finanziario, sia perché non è
possibile ipotizzare una responsabilità contabile degli stessi, per la loro mancata attivazione. Che sia
possibile un trasferimento del risarcimento dello Stato agli enti territoriali non muta i termini del problema
restando questa eventualità non istituzionalizzata di cui resta sostanzialmente arbitro solo lo Stato.
Il decreto prevede due canali alternativi attraverso i quali lo Stato può agire per il risarcimento del danno
ambientale: un’azione giudiziale da un lato ed una procedura amministrativa finalizzata all’emanazione da
parte del Ministero dell’ambiente di un’ordinanza dall’altro.

La procedura amministrativa di autotutela alternativa alla tutela giurisdizionale prevede l’espletamento di


un’istruttoria secondo le regole generali nella quale il Ministero può avvalersi delle consulenze tecniche
ed esercitare poteri di accesso al sito interessato (art. 312).

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Accertato un fatto che abbia causato un danno ambientale in mancanza di attivazione da parte del
responsabile delle procedure di ripristino, il Ministro dell’ambiente emana un’ordinanza
immediatamente esecutiva con la quale ingiunge i responsabili del fatto il ripristino ambientale a titolo di
risarcimento in forma specifica (art. 313). Sotto un profilo teorico la norma si pone quale applicazione non
solo del principio “chi inquina paga” ma anche del principio di correzione alla fonte dei danni causati
all’ambiente. Quando il responsabile del fatto non ottempera alla prima ordinanza, provvedendo al
ripristino nel termine ingiunto, oppure quando il ripristino risulti in tutto o in parte impossibile, o
eccessivamente oneroso ai sensi dell’art. 2058 c.c., il Ministro emana una seconda ordinanza, con la quale
si ingiunge il pagamento di una somma pari al valore economico del danno accertato e residuato a titolo di
risarcimento per equivalente pecuniario.
La quantificazione del danno deve essere effettuata tenendo conto sia dei criteri indicati negli allegati, sia
del valore monetario stimato delle risorse naturali e dei servizi perduti e deve comprendere il pregiudizio
arrecato alla situazione ambientale con particolare riferimento al costo per il ripristino. Ove non sia
possibile un’esatta quantificazione del danno non risarcibile in forma specifica, o di parte di esso, il fanno
per equivalente si presume fino a prova contraria di ammontare non interiore al triplo della somma
corrispondente della sanzione pecuniaria amministrativa in concreto applicata, oppure della sanzione
penale eventualmente convertita.

Per quanto concerne gli aspetti processuali, in sede giurisdizionale si possono prevedere diversi scenari. Se
ha proceduto per via amministrativa una volta adottata l’ordinanza il ministro dell’ambiente non può
proporre giudizio o procedere ulteriormente.
Il trasgressore, ricevuta l’ordinanza, può proporre ricorso in sede di giurisdizione amministrativa,
eventualmente preceduto da ricorso in opposizione o in alternativa ricordo al Presidente della Repubblica
(art. 316).
Qualora il danno sia stato provocato da soggetti sottoposti alla Giurisdizione della Corte dei conti, il
Ministro dell’ambiente anziché ingiungere il pagamento del risarcimento per equivalente patrimoniale,
deve inviare rapporto alla Sezione giurisdizionale della Corte dei conti competente per territorio.
Negli altri casi, la giurisdizione è invece del giudice ordinario: il ministro dell’ambiente agisce anche
esercitando l’azione civile in sede penale per il risarcimento del danno in forma specifica o per equivalente
(art. 311)
L’azione pubblica, in qualunque forma esercitata, non esclude il diritto dei soggetti danneggiati, nella loro
salute o nei beni di loro proprietà, di agire in giudizio per la tutela dei diritti ed interessi lesi, mentre in caso
di avvenuto risarcimento non possono essere ammesse azioni concorrenti da parte di altre autorità (art.
313).

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CAPITOLO 5 GLI STRUMENTI ECONOMICI CONSENSUALI

1. Nuovi strumenti e meccanismi di tutela ambientale.

Negli ultimi anni il diritto dell’ambiente, a tutti i livelli, ha subito un processo di cambiamento strutturale
diretto ad ampliare gli strumenti di intervento. Il modello tradizionale del command and control non è stato
ritenuto sufficiente per rispondere alle problematiche sorte appartate dell’insorgere dei nuovi fenomeni
lesivi dei valori che il diritto dell’ambiente dovrebbe proteggere. È necessario quindi un diverso approccio le
cui direttrici sono essenzialmente due:
- Promozione della partecipazione attiva dei cittadini, attraverso un’opera di sensibilizzazione e di
informazione e la creazione in capo a persone, imprese e pubbliche amministrazioni, di un
“coscienza ambientale” che porti a fare scelte ambientalmente compatibili non solamente per il
timore di una sanzione.
- Usare la leva economica per rafforzare questo nuovo approccio proattivo, inducendo i soggetti
operanti sul mercato a considerare la tutela ambientale non più come un ostacolo ma come
opportunità.

2. L’informazione ambientale.

L’accesso e la divulgazione delle informazioni ambientali sono fattori importanti nella disciplina giuridica
dell’ambiente. Da un lato esse garantiscono trasparenza alle scelte in materia ambientale, soggette ad un
controllo diffuso da parte della popolazione, cui sono dati gli strumenti necessari per tale controllo.
Dall’altro esse favoriscono una maggiore conoscenza dei problemi ambientali e delle possibili soluzioni.
I riferimenti normativi fondamentali sono a livello UE la direttiva 2003/4(CE e a livello nazionale il d. lgs.
195/2005, mentre a livello internazionale la Convenzione di Aarhus del 1998.
L’informazione ambientale è quindi composta da due profili, il primo caratterizzato da una richiesta dei
soggetti interessati, il secondo dalla diffusione spontanea da parte dei pubblici poteri. Da un lato viene
quindi affermato il diritto di accesso alle informazioni ambientali da parte dei cittadini e dall’altro
l’obbligo di messa a disposizione e di diffusione posto in capo alle pubbliche amministrazioni.

Per quanto concerne l’accesso alle informazioni ambientali, la particolarità è costituita dalla legittimazione
all’accesso che è una legittimazione diffusa. Le informazioni devono essere rese disponibili a chiunque ne
faccia richiesta senza che questi sia tenuto a dichiarare il proprio interesse. (anche art. 3 sexies che afferma
che l’accesso a tali informazioni non è subordinato alla dimostrazione della sussistenza di un interesse
giuridicamente rilevante.
L’esercizio del diritto di accesso avviene mediante istanza del richiedente di duplicazione o di visione delle
informazioni ambientali. Per il procedimento di accesso è previsto un termine di trenta giorni dalla
presentazione della richiesta, decorso il quale si applica il meccanismo del silenzio rifiuto.
Contro le determinazioni espresse in senso negativo, e contro il rifiuto formatosi con il silenzio della
pubblica amministrazione è prevista la possibilità di ricorso in sede giurisdizionale e di riesame. Nella
prima ipotesi, si applicano le disposizioni generali in materia di procedimento amministrativo che
prevedono la giurisdizione del giudice amministrativo e l’applicazione delle norme del Codice del
processo amministrativo. Nella seconda ipotesi si propone istanza al difensore civico competente per
territorio, in caso di amministrazioni comunali, provinciali o regionali, o alla Commissione per l’accesso in
caso di amministrazioni statali centrali o periferiche.

Tanto la nozione di informazione relativa all’ambiente quanto quella di autorità pubblica sono individuate
secondo criteri particolarmente estensivi, per garantire la massima applicabilità della normativa.
Le informazioni ambientali riguadano lo stato degli elementi dell’ambiente, analiticamente elencati e delle
loro reciproche relazioni;

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- una serie di misure ed attività che possono incidere negativamente o positivamente sull’ambiente;
- le relazioni sull’attuazione della legislazione ambientale;
- le analisi costi benefici ed altre elaborazioni economiche usate per misurare l’impatto di un’attività;
- lo stato della salute e della sicurezza umana per quanto influenzabili dallo stato degli elementi
dell’ambiente elencati.
Le informazioni ambientali detenute da autorità pubbliche devono rispondere a criteri qualitativi: devono
essere aggiornate, precise e confrontabili.
Le autorità pubbliche che sono tenute ad individuare strutture idonee a garantire l’effettività del diritto
di accesso, comprendono tutte le amministrazioni pubbliche, statali, regionali, locali le aziende autonome e
speciali, gli enti pubblici ed i concessionari di pubblici servizi nonchè ogni persona fisica o giuridica che
svolga funzioni pubbliche connesse alle tematiche ambientali o eserciti responsabilità amministrative sotto
il controllo di un organismo pubblico.
Vi sono delle deroghe:
a) clausola generale di tutela: le amministrazioni possono sottrarre all’accesso le informazioni
ambientali quando la loro divulgazione possa causare danni all’ambiente;
b) valori sostanziali configgenti: la riservatezza delle deliberazioni delle autorità pubbliche; le relazioni
internazionali; lo svolgimento di procedure giudiziali o indagini volte all’accertamento di illeciti; la
riservatezza commerciale ed industriale; la tutela dei diritti di proprietà intellettuale; la tutela dei
dati personali;la protezione di chiunque vi abbia fornito volontariamente le informazioni richieste,
in assenza di un consenso alla divulgazione delle informazioni stesse
La sottrazione all’accesso è consentita solo dopo una valutazione ponderata degli interessi in gioco
ed in ogni caso applicando criteri restrittivi alle deroghe.
c) Casi oggettivi di esclusione all’accesso:documenti incompleti; comunicazioni interne,
documentazione non individuabile per la genericità della richiesta ecc.
L’accesso a tali informazioni è gratuito, fatto salvo quanto stabilito per il recupero dei costi relativi al rilascio
di copie. In casi specifici possono essere previsti dei tariffari basati sul costo effettivo del servizio.

Per quanto concerne la diffusione delle informazioni ambientali, sono previste ulteriori misure, quali la
creazione di banche dati, accessibili al pubblico tramite reti di telecomunicazione pubbliche, da aggiornare
annualmente. In tali banche dati devono essere inseriti atti normativi nazionali e sovranazionali, politiche,
piani programmi ecc. in materia ambientale.
È prevista la redazione di una relazione sullo stato dell’ambiente di competenza del Ministro dell’ambiente
che deve essere trasmessa alla Commissione europea e resa disponibile al pubblico. (art. 10 d. lgs.
195/2005)

3. I sistemi di gestione ambientale.

Tra gli strumenti su base consensuale, l’adozione di sistemi di gestione ambientale costituisce un esempio
di considerazione trasversale dei settori ambientali.
Le certificazioni ambientali sono in primo luogo i meccanismi informativi, la cui efficacia dipende in gran parte
della sensibilità ambientale dei soggetti dell’ordinamento. Questi strumenti hanno l’obiettivo di sviluppare la
medesima sensibilità ambientale promuovendo una filosofia della qualità ambientale basata sulla fiducia .
I sistemi di gestione ambientale incentivano un comportamento virtuoso nei confronti dell’ambiente
attraverso la consapevolezza che la rivisitazione delle proprie politiche ambientali può portare ad un recupero
dell’efficienza. Oltre a questo vantaggio la legislazione riconosce talvolta dei vantaggi immediati ai soggetti
che abbiano ottenuto la certificazione del sistema di gestione ambientale: semplificazione delle procedure
amministrative; prestazione di garanzie finanziarie; maggiore durata dell’autorizzazione integrata
ambientale; minori adempimenti procedurali negli appalti pubblici.
L’obiettivo è di migliorare le prestazioni ambientali dell’industria e delle PMI nonché della PA.

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A corollario vi sono poi gli ulteriori obiettivi di amplificare la partecipazione dei lavoratori. I due sistemi di
gestioni ambientale operanti nel nostro ordinamento sono il sistema EMAS (eco management and audit
scheme) ed il sistema ISO 14001 che, pur differenziati in una serie di profili hanno impostazione e
caratteristiche analoghe.

EMAS: il riferimento normativo è il regolamento CE 1221/2009. EMAS, cui possono aderire volontariamente
organizzazioni pubbliche e private, promuove una serie di obiettivi: miglioramento continuo delle prestazioni
ambientali; valutazione periodica ed obiettiva delle stesse; messa a disposizione di informazioni pertinenti;
dialogo con il pubblico e coinvolgimento dei dipendenti, anche attraverso iniziative di formazione
professionale.
Il sistema di gestione ambientale viene considerato quale parte del sistema complessivo di gestione. L’audit
ambientale interno comprende una valutazione sistematica documentata periodica ed obiettiva del sistema
di gestione delle prestazioni ambientali e dei processi destinati a proteggere l’ambiente. La valutazione
periodica è mirata a tenere sotto monitoraggio continuo quei comportamenti che possono avere un impatto
ambientale e accertare la conformità dell’effettiva gestione con la politica ambientale dell’organizzazione.
L’operatività del sistema EMAS presuppone la designazione a livello nazionale di organismi incaricati della
registrazione delle organizzazioni e degli organismi di accreditamento dei verificatori ambientali. Di questi
soggetti deve essere assicurata l’indipendenza e l’imparzialità.
Per garantire la funzionalità e la serietà del sistema da un lato, e la razionalità e l’omogeneità delle
procedure dall’altro, sono istituiti il Forum degli organismi competenti ed il Forum degli organismi di
accreditamento e di abilitazione, che hanno compiti di coordinamento , orientamento, sorveglianza e
valutazione.
La registrazione delle organizzazioni segue un iter ben definito.
- Presentazione della domanda di registrazione da parte delle organizzazioni all’organismo
competente dello Stato membro in cui operano, con la possibilità di un’unica domanda cumulativa
qualora l’organizzazione abbia siti ubicati in più stati membri;
- In funzione della registrazione le organizzazioni sono tenute ad adempiere: (1) ad un’analisi
ambientale iniziale in cui evidenziano tutti gli aspetti rilevanti del rapporto tra la loro attività e
l’ambiente; (2) sulla base di tale analisi sviluppano un sistema di gestione ambientale che dovranno
poi applicare tendendo contro della migliore pratica di gestione ambientale. (3) sono tenute ad
effettuare un audit interno i funzione della verifica dell’efficacia continua del sistema. Infine
predispongono una (4) dichiarazione ambientale, documento informativo, rivolto al pubblico ed ai
soggetti interessati, avente ad oggetto l’organizzazione, politica ambientale e sistema di gestione
ambientale, prestazione ed impatti ambientali. Analisi ambientale, sistema di gestione e procedura
di audit sono soggetti alla verifica da parte di un verificatore ambientale accreditato o abilitato, che
procede anche alla convalida della dichiarazione ambientale.
- La domanda di registrazione deve quindi contenere la dichiarazione ambientale convalidata, una
dichiarazione di regolarità della procedura del verificatore ambientale, un modulo con informazioni
sull’organizzazione e la prova del pagamento dei diritti applicabili per la registrazione. Qualora la
domanda sia incompleta e siano soddisfatte tutte le condizioni previste l’organismo competente
procede alla registrazione assegnando all’organizzazione il rispettivo numero. In caso contrario la
domanda è respinta con giustificazione motivata a r3egistrazione può essere rifiutata previa
consultazione delle parti interessate anche nel caso in cui l’organismo competente riceva un rapporto
di sorveglianza da parte dell’organismo di accreditamento o di abilitazione nel quale si dimostri che
le attività del verificatore ambientale non si sono svolte correttamente.

Il logo EMAS contiene il relativo numero di registrazione può essere usato solo dalle organizzazioni iscritte al
sistema che siano in regola con tutti gli adempimenti previsti. Il logo non può essere utilizzato su prodotti ed
imballaggi per non ingenerare confusione con i marchi di qualità ecologica né in abbinamento con
dichiarazioni comparative rispettando criteri di precisione, aggiornamento, verificabilità ecc. I diritti di
registrazione sono stabiliti secondo criteri di ragionevolezza e proporzionalità.

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La registrazione EMAS può essere cancellata o sospesa a seconda della gravità dell’infrazione con possibilità
di revoca della sospensione per violazione delle norme disciplinari previste , previa consultazione delle parti
interessate. Trattandosi di una certificazione di processo, la registrazione è soggetta a controlli e rinnovi. Ogni
anno le organizzazioni registrate svolgono un audit interno, predispongono una dichiarazione ambientale
aggiornata soggetta a convalida da un verificatore ambientale.
Ogni tre anni, per ottenere il rinnovo delle registrazione EMAS , le organizzazioni iscritte fanno riesaminare
il sistema di gestione ambientale ed il programma di audit e predispongono una dichiarazione ambientale
completa soggetta a convalida da un verificatore ambientale. Le dichiarazioni ambientali in entrambi i casi
sono messe a disposizione del pubblico.

L’audit ambientale è un elemento fondamentale del sistema EMAS. Le organizzazioni sono tenute a
predisporre un programma di audit che assicuri che tutte le attività soggette a cicli di audit ambientali
interni di cui sono definiti obiettivi e frequenza. L’audit è effettuato da auditors che diano garanzie di
competenza ed indipendenza, condizioni necessarie per la formulazione di un giudizio scritto destinato a
tradursi in un rapporto scritto. I risultati dell’audit sono trasmessi all’organizzazione interessata che
predispone ed applica un piano d’azione e mette in atto meccanismi idonei a raggiungere gli obiettivi
ambientali individuati.
Il momento decisivo per la registrazione è quello della verifica a cura dei verificatori ambientali. In questa
fase un soggetto esterno all’organizzazione controlla che la stessa abbia adempiuto correttamente agli
obblighi imposti, raggiungendo il risultato che l’organizzazione stessa si era prefissato. I verificatori
ambientali, ai fini della registrazione o del suo rinnovo, valutano la conformità ai requisiti prescritti di analisi
ambientale, politica ambientale ecc. in particolare accertano il rispetto degli obblighi normativi vigenti, il
miglioramento continuo delle prestazioni ambientali e la correttezza delle dichiarazioni ambientali nonché
l’attendibilità dei risultati dell’audit interno.

Il verificatore ambientale opera sulla base di un accordo scritto con l’organizzazione; egli esamina la
documentazione, visita la sede, svolge controlli a campione, intervista il personale. Sulla base di queste
attività predispone quindi una relazione scritta per l’organizzazione sull’esito della verifica e ne evidenzia i
punti di criticità. Dopo la verifica, se positiva, il verificatore ambientale convalida la dichiarazione ambientale,
rilasciando una dichiarazione di conformità dell’attività svolta alle norme.
Per poter svolgere l’attività di verificatori ambientali, i soggetti interessati devono provare la propria
competenza e la propria indipendenza ed utilizzare metodologie e procedura documentate. Gli organismi di
accreditamento o di abilitazione, in sede di accreditamento o abilitazione ed in sede di sorveglianza, valutano
il rispetto di tali condizioni. Possono procedere alla revoca o alla sospensione dell’abilitazione.

In primo luogo si prevede che gli Stati debbano garantire accesso alle informazioni ed assistenza in relazione
agli obblighi normativi in materia ambientale e a promuovere il sistema nel suo complesso. Un’attenzione
particolare è dedicata alle organizzazioni di piccole dimensioni, per agevolare la massima diffusione della
registrazione EMAS anche tra i soggetti che possono avere maggiori difficoltà burocratiche. In quest’ottica le
organizzazioni di piccole dimensioni godono di particolari facilitazioni: estensioni della frequenza temporale
della registrazione ed un connesso alleggerimento degli adempimenti richiesti; procedure semplificate di
verifica e convalida, per evitare l’imposizione di oneri superflui; una sorta di prelazione per le richieste di
informazioni ed assistenza in relazione agli obblighi normativi in materia ambientale; accesso agevolato a
finanziamenti ed applicazione di diritti di registrazione ragionevoli; attività di supporto per distretti di
organizzazioni.

Il sistema EMAS deve inoltre essere considerato ed integrato in altre politiche e nella legislazione relativa,
con particolare riferimento ai contratti pubblici di lavori, servizi e forniture. A livello UE, la Commissione
elabora documenti di riferimento settoriale, comprendenti migliori pratiche di gestione ambientale ed
indicatori di prestazione ambientale e pubblica linee-guida per i soggetti interessati.

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Per quanto concerne il rapporto con altri sistemi di gestione ambientale, gli Stati membri possono
presentare all’Unione europea una richiesta di riconoscimento di sistemi di gestione ambientale,
dimostrandone l’equivalenza, anche riferita ad alcune parti soltanto. Il sistema di gestione ambientale
concorrente più diffuso è quello fondato sulle norme tecniche emanate dall’International Organization for
standardisation (ISO), organizzazione non governativa che raggruppa gli istituti di standardizzazione dei
singoli Paesi. In alcuni Stati tali istituti sono pubblici o comunque operano sotto mandato governativo. In
Italia il soggetto di riferimento è l’Ente Nazionale Italiano di Unificazione (UNI).
Gli Standards che riguardano i sistemi di gestione ambientale sono quelli della serie 14001 approvate dal
Comitè Europèen de NOrmalisation (CEN). La certificazione ISO è una scelta alternativa rispetto alla
registrazione EMAS ma che può essere cumulativa.
Le principali differenze tra i due sistemi EMAS e ISO 14001 sono date dall’ambito territoriale di riferimento
e dalla natura del sistema.
- EMAS è uno strumento proprio del diritto dell’UE è un soggetto legislativamente costruito e
governato da soggetti pubblici,
- ISO 14001 ha rilevanza mondiale sorto spontaneamente ed è governato da soggetti privati, sia pure
con dei collegamenti con i poteri pubblici.
Per ottenere la certificazione ISO 14001 un’organizzazione deve dotarsi di un sistema di gestione ambientale
che rispetti le norme fissate dall’ISO, in vista del miglioramento delle proprie prestazioni ambientali. A
differenza dell’EMAS gli standards sono una metodo glia che , se applicata, contribuisce ad ottimizzare il
rapporto con l’ambiente, attraverso una valutazione preventiva della situazione, la fissazione di obiettivi
ambientali ed un intervento sull’organizzazione e sui processi produttivi.
Se quindi l’applicazione degli standards della serie ISO 14001 porta ad un miglioramento, tale miglioramento
può avere un grado inferiore rispetto a quello che si può ottenere con l’applicazione delle norme EMAS più
restrittive.

4. I marchi di qualità ecologica.

La certificazione non si applica solo alle organizzazioni o ai siti, ma anche ai prodotti. Se la certificazione EMAS
e Iso 14001 sono mirate anche a dirigere le scelte dei consumatori, ma sono indirettamente, il marchio
iconologico sui prodotti ha la possibilità di incidere più direttamente su modificazioni di comportamenti in
sede di acquisto e di comparazione tra prodotti. Un aspetto primario è fato dall’informazione che i cittadini,
nella loro qualità di consumatori devono avere a disposizione per poter compiere scelte consapevoli.
L’obiettivo dichiarato del sistema di assegnazione di un marchio di qualità ecologica è dunque quello di
promuovere i prodotti ambientalmente compatibili, veicolando la scelta di acquisto dei consumatori.
Il riferimento normativo per il sistema EMAS è il regolamento CE, 66/2001. Oggetto della disciplina è il
sistema del marchio di qualità ecologica Ecolabel UE, certificazione di prodotto cui è possibile partecipare su
base volontaria.
Alcuni settori commerciali non sono soggetti a certificazione, come i medicinali si aper uso umano che
veterinario o a dispositivi medici, per evitare che la scelta del consumatore, che deve usata da motivazioni
sanitarie, possa essere condizionata da considerazioni ambientali. Il marchio non pu essere applicato a
sostanze contenenti sostanze classificate come tossiche, pericolose per l’ambiente o cancerogene perché ciò
determinerebbe la confusione del consumatore. Per quanto riguarda invece i prodotti alimentari e mangimi,
soggetti ad una legislazione specifica, l’UE non ha ancora adottato una posizione precisa e sta valutando
l’impatto di un’eventuale applicazione del marchio.
L’operatività del sistema Ecolabel UE presuppone la designazione a livello nazionale di organismi
competenti. Essi, a loro volta, devono garantire la coerenza, la neutralità e l’affidabilità del processo di
verifica, effettuato da un terzo indipendente nel rispetto delle norme vigenti. Il Comitato dell’UE per il
marchio di qualità ecologica (CUEME) composto dai rappresentanti degli organi statali competenti e delle
altre parti interessate, ha funzioni di carattere consultivo e propositivo, in particolare per quanto riguarda
l’elaborazione e la revisione dei criteri per il marchio Ecolabel UE. Gli organismi competenti sono tenutia
scambiarsi periodicamente informazioni anche nell’ambito di un gruppo di lavoro appositamente costituito.

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I criteri per l’assegnazione del marchio Ecolabel UE sono individuati per gruppi di prodotti, tenendo conto
della compatibilità ambientale degli stessi e specificando le tre caratteristiche ambientali principali che
possono comparire sull’etichetta facoltativa allargata. I criteri non devono essere tali da comportare oneri
sproporzionati, amministrativi o economici, per le PMI. Si intende “gruppo di prodotti” quell’insieme di beni
e servizi destinati a scopi analoghi e che presentato analoghe proprietà funzionali.
Nel valutare la presenza dei requisiti ambientali occorre considerare il saldo ambientale netto dell’intero
ciclo di vita del prodotto tenendo conto anche della fase di pre- produzione.

Gli operatori che intendano utilizzare il marchio Ecolabel UE devono presentare richiesta, contenente tutti i
dati, le informazioni e i documenti pertinenti, presso l’organismo competente, individuato in base alla
relazione per territorio dello Stato in cui il bene o il servizio è prodotto o commercializzato. In caso positivo,
l’organismo competente e l’operatore stipulano un contratto relativo alle condizioni d’uso del marchio,
subordinato al versamento degli appositi diritti. Stipulato il contratto, l’operato può utilizzare il marchio sul
prodotto e sul relativo materiale promozionale,fermo restando l’obbligo di rispettare tutte le norme del
diritto nazionale già in vigore o sopravvenute. A tutela del marchio e della sua efficacia, ribadito il divieto
espresso di pubblicità falsa ed ingannevole, è posto l’espresso divieto di uso di etichette e simboli che possano
ingenerare confusione con il marchio Ecolabel UE. L’organismo competente verifica inoltre periodicamente
la conformità del prodotto a criteri e requisiti prescritti anche attraverso controlli casuali ed ispezioni, in caso
di violazione, l’organismo competente, sentito in contradditorio l’utilizzatore del marchio, può vietarne l’uso.

5. Gli appalti verdi.

La pubblica amministrazione ha la possibilità, afendo sulla disciplina delle procedure di gara, di dirigere in
senso ambientalmente compatibile la propria politivca di acquisizione di beni, servizi ed opere pubbliche.
Oltre a questi effetti diretti, il sistema degli appalti pubblici può condizionare in senso più ampio le scelte del
mercato. In questo senso negli utlimi anni sono proliferate iniziative ispirare al “green procurement” nel
tentativo di coinvolgere tutti i livelli amministrativi, considerata la rilevanza complessiva dei contrati conclusi
dalle amministrazioni locali. L’integrazione di considerazioni ambentlai è espressione dell’approccio
trasversale del diritto ambientale.

I riferimenti normativi per gli appalti verdi sono contenuti negli atti che riguardano i contratti pubblici: a
livello di UE, la direttiva 2004/18/CE e la direttiva 2004/17/CE, a livello nazionale il d. lgs. 163/2006.
L’integrazione di considerazioni ambientali nella politica degli appalti pubblici è soggetta a limitazioni,
individuate per garantire la coerenza complessiva del sistema. Corte di giustizia UE, in sede giurisprudenziale
nel caso Concordia Bus e Commissione europea in sede interpretativa hanno individuato una serie di limiti:
o le clausole verdi devono essere connesse all’oggetto del contratto; o non devono conferire una
liberta arbitraria di scelta; o devono seguire altre regole procedurali, ta cui il principio di
trasparenza dell’unione amministrativa; o devono rispettare i principi propri degli ordinamenti di
riferimento, tra cui in primo luogo il principio di non discriminazione;
o devono garantire un vantaggio economico per l’autorità contrattante.

Per quanto concerne le fasi procedimentali e le relative modalità di inserimento, (1) nella fase di definizione
dell’oggetto del contratto, la PA, individuando le specifiche tecniche, deve tener conto quando possibile di
criteri di tutela ambientale senza che questo ceri ostacoli ingiustificati alla concorrenza. In questi casi si può
fare riferimento alle specifiche dettagliate proprie delle co-etichettature europee o di altra provenienza,
qualora risano rispettate determinate condizioni: collegamento con l’oggetto dell’appalto, base scientifica,
processo di formazione partecipato, accessibilità diffusa.
Se questo condizioni sono rispettate le stazioni appaltanti possono accettare la certificazione relativa quale
prova del possesso dei requisiti, secondo una presunzione di conformità. D’altra parte, essendo marchi di
qualità ambientale strumenti volontari, non si può ritenere il possesso del marchio quale unico mezzo di

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prova. I soggetti non i possesso della certificazione dovranno provare ogni volte con mezzi diversi, il
possesso dei requisiti dei loro prodotti.
L’introduzione di considerazioni ambientali negli appalti pubblici può avvenire in questa fase anche attraverso
la definizione di percentuali minime di acquisto di beni e materiali ambientalmente compatibili. In tale
sistema, basato su quote, la scelta è compiuta generalmente a livello legislativo per categorie di contratti,
con ciò eliminandosi la discrezionalità dell’amministrazione appaltante.

(2) Nella fase di qualificazione dei candidati viene verificato il possesso dei requisiti prescritti, che riguardano
moralità professionale, capacità economico finanziaria e capacità tecnico professionali. Nei confronti dei
requisiti economico finanziari è difficile ipotizzare un inserimento di considerazioni ambientali- per quanto
riguarda la situazione personale dell’offerente si può fare riferimento in via specifica alla condanna per reati
ambientali o ad errore professionale grave. Non esiste una disposizione specifica per cui occorre in via
interpretativa includere le violazioni ambientali nella previsione generale.
Nell’ambito della capacità tecnica è invece possibile fare riferimento ad esperienze pregresse in un
determinato settore, al possesso di attrezzature speciali o alla presenza nell’ambito dell’organizzazione di
capacità professionali specifiche. Anche in questo caso, l’interpretazione di una norma generale può tenere
conto di specificità ambientali. In riferimento alla capacità tecnica esistono disposizioni che sono state
emanate tenendo presente i valori ambientali e la normativa ambientale trasversale. La stazione appaltante
può chiedere nei casi appropriati l’indicazione di misure di gestione ambientale da applicare all’esecuzione
del contratto. A questo scopo l’amministrazione può richiedere la presentazione di certificati rilasciati da
organismi indipendenti. Il possesso della certificazione EMAS o ISO 14001 costituisce di certo una facilitazione
per evitare una restrizione indebita della concorrenza altri mezzi di prova equivalenti.

(3)Nella fase di aggiudicazione considerazioni ambientali possono costituire un elemento di valutazione


nell’attribuzione dei punteggi. Ciò specie nelle gare svolte attraverso l’offerta economicamente più
vantaggiosa.

(4)Nella fase di esecuzione del contratto, in quanto le clausole in esso contenute non rappresentino
specifiche tecniche dissimulate e siano già state inserite nella documentazione contrattuale la cui
pubblicazione precede la gara. Nelle condizioni contrattuali particolari che le stazioni appaltanti possono
esigere per l’esecuzione di un determinato contratto, si può tener conto di esigenze sociali ed ambientali.

Ulteriore aspetto problematico è dato dalla necessità che il vantaggio ambientale sia anche un vantaggio
economico per l’autorità contrattante. Interpretato restrittivamente questo requisito ridurrebbe o
eliminerebbe l’utilità delle clausole ambientali.

6. Altri strumenti economico- consensuali.

Oltre agli strumenti economico- consensuali specifici della normativa ambientale, l’influenza di strumenti ed
istituti economici nel settore ambientale avviene anche tramite una conformazione di strumenti ed istituti
ordinari, il cui riferirsi a valori ambientali ne determina caratteristiche particolari. Si fa riferimento ad accordi
ambientali e bilanci ambientali ma anche ad assicurazioni, tasse tariffe incentivi ambientali.

6.1. Gli accordi ambientali.

Gli accordi ambientali sono strumenti consensuali di tutela ambientale a contenuto economico finalizzati in
particolare a promuovere una condivisione di responsabilità tra diversi settori della società. Tali accordi
vogliono favorire un approccio proattivo del settore economico industriale ma può assumere pure un ruolo
propositivo nella definizione di nuovi percorsi per il raggiungimento di un più elevato livello di protezione
ambientale.

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Gli accordi ambientali possono essere utilizzati come strumento di sussidiarietà normativa. Sono anche
definiti quali strumenti di auto regolamentazione o di co- regolamentazione.
A livello UE i riferimenti di carattere generale per gli accordi ambientali sono la raccomandazione
96/733/CE, la risoluzione CE 7ottobre 1997 e la comunicazione della Commissione n. 412/2007.
A livello nazionale non vi sono riferimenti di carattere generale, am solo alcuni esempi applicativi in
determinati settori.
Gli accordi ambientali sono accordi contrattuali stipulati tra autorità pubbliche e settori economici interessati.
Gli accordi ambientali devono essere conclusi con il rispetto delle norme dei Trattati e dei criteri di
trasparenza, applicabilità, credibilità e specificità.
Gli accordi ambientali devono inoltre specificare obiettivi finali ed obiettivi intermedi, con relative scadenze,
essere oggetto di pubblicazione, prevedere meccanismi di controllo ed essere aperti a tutti i partners
interessati. Per garantire l’efficacia, oltre alla necessaria adozione di un impianto sanzionatorio può essere
istituito un organismo indipendente con funzioni di verifica e controllo e previsto l’obbligo per le imprese di
rendere disponibili ai terzi le informazioni sull’attuazione degli accordi.
Le direttive dell’UE di cui gli accordi in materia di ambiente rappresentano strumenti di implementazione
devono espressamente indicare le disposizioni suscettibili di attuazione attraverso gli stessi e prevedere
un’attività di monitoraggio a fini di valutazione.

6.2. I bilanci ambientali.

Il bilancio ambientale è uno strumento di comunicazione e diffusione di carattere volontario, attraverso la


quale la singola impresa può evidenziare le interazioni tra la propria attività e l’ambiente. La predisposizione
di un bilancio ambientale a se stante consente all’impresa di verificare in funzione di ottimizzazione
l’efficienza ambientale dei propri processi produttivi. Questo è uno strumento di sensibilizzazione e di auto-
regolamentazione, diretto alla modifica dei comportamenti da parte dei soggetti imprenditoriali ed anche
delle PA. può assumere anche funzioni di marketing.
Vengono valutati non solo i fenomeni di inquinamento tradizionalmente intesi ma anche i flussi di materia
in entrata e di prodotti e rifiuti in uscita, nonché gli aspetti connessi all’uso dell’energia.
Non esiste né a livello nazionale né a livello comunitario una disciplina generale applicabile ai bilanci
ambientali. Il regolamento CE 691/2011 relativo ai conti economici ambientali europei, prevede a livello
sperimentale l’elaborazione di un programma di studi pilota che verifichino la fattibilità dell’introduzione di
nuovi moduli di contabilità ambientale.
L’obiettivo della contabilità ambientale è quello di correggere in senso ambientale i conti economici e
coordinarli, in vista di un’integrazione nei cd. Conti verdi. In questo senso occorre valutare la consistenza e
le variazioni del patrimonio ambientale, considerare le possibili interazioni tra gli elementi economico-
imprenditoriali e quelli ambientali e per interventi di recupero ambientale, anche attraverso l’utilizzazione di
strumenti e parametri tecnico scientifici.

Nel settore privato, l’applicabilità di una contabilità ambientale deve comportare la previsione in bilancio di
possibili costi, non solo afferenti alla gestione ordinaria, ma anche alla gestione dei rischi legali a passività
ambientali, quali contenziosi, risarcimenti, ripristini. Nel settore pubblico si tratta di integrare documenti e
gli atti di programmazione economico- finanziaria e di bilancio con le informazioni e gli obiettivi in materia di
sostenibilità ambientale dello sviluppo.

7. Strumenti economici generali.

Vi sono poi ulteriori strumenti economici di carattere generale cui può essere data una connotazione ed una
funzionalità ambientale in virtù del fenomeno su cui incidono. Le assicurazioni ambientali sono finalizzate a
gestire il rischio di danni ambientali.
Le assicurazioni ambientali sono finalizzate a gestire il rischio di danni ambientali. Ferma restando la sempre
più diffusa imposizione di cauzioni a garanzia di atti autorizzatori e concessori, si estende la prassi

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assicurazioni ambientali finalizzate a coprire eventuali danni causati all’ambiente. Mentre la cauzione è
inserita in un rapporto esistente con la PA, per coprire eventuali inadempimento, oltre che possibili lesioni al
bene considerato, l’assicurazione ambientale viene stipulata dalle imprese per coprire la propria
responsabilità ai sensi del principio “chi inquina paga”. Tale strumento è stato fortemente criticato per la sua
potenziale deresponsabilizzazione dell’imprenditore ma oltre a garantire la copertura di danni non solo
utilizza meccanismi di mercato per modulare i premi, incentivando comunque i soggetti ad adottare cautele
idonee a minimizzare il rischio, a porta anche un altro soggetto, l’assicuratore, a valutare la sicurezza
economico. Ambientale dei processi produttivi di un terzo.
L’utilizzazione dello strumento tributario può contribuire a migliorare la situazione ambientale. Esso è
applicato ad attività consentite, il cui impatto negativo sull’ambiente richiede una forma di compensazione
continua ed ordinaria. In questo senso le tasse ambientali sono dirette a far sì che i costi ambientali non siano
addossati indistintamente alla collettività ma dai soggetti che provocano l’inquinamento attivamente.

Di tariffe e non di tasse si parla invece in riferimento ai servizi pubblici ambientali che sono quei servizi
pubblici erogati in favore della collettività, il cui corretto svolgimento ha effetti positivi sul settore ambientale.
Le tariffe ambientali costituiscono un’applicazione diffusa e fisiologica del principio chi inquina paga. Tali
tariffe tendono a considerare i costi del servizio, da distribuire proporzionalmente in carico ai soggetti che
usufruiscono dello stesso, in un’ottica di copertura integrale dei costi che valuti attentamente le componenti
ambientali.

Gli incentivi ambientali costituiscono l’aspetto speculare delle tasse ambientali di cui condividono le finalità.
I soggetti che con comportamenti non dovuti contribuiscono al miglioramento della tutela ambientale
possono ricevere incentivi che internalizzano in questo caso i risparmi legati all’ambiente. Si può parlare
anche in relazione a sgravi, sovvenzioni, aiuti volti al superamento di resistenze di quei soggetti che ricevono
un danno economico indiretto da una determinata legislazione a tutela dell’ambiente.
Vi sono poi ulteriori strumenti in cui l’impostazione di base è quella del mercato ma vi è un adattamento in
funzione pubblicistica che porta alla creazione di mercati artificiali paralleli a quelli reali. È il caso nel settore
energetico dei certificati verdi dei certificati bianchi e in materia di gas ad effetto serra delle quote di
emissione.

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PARTE III I SETTORI

CAPITOLO 6: LA TUTELA DAGLI INQUINAMENTI

1. Lotta agli inquinamenti e profili sanitari.

I fenomeni inquinanti affrontati dal diritto ambientale hanno caratteristiche sostanziali diverse in ordine ad
origine, conseguenze e diffusione, ma le relative normative condividono alcuni aspetti funzionali e strutturali.
Innanzitutto l’obiettivo di fondo è la tutela della salute individuale e della collettività: l’interesse puramente
ambientale non è recessivo ma l’aspetto sanitario proprio di una concezione antropocentrica è centrale e
condizionante.
In secondo luogo, la normativa anti-inquinamento tende ad essere strutturata secondo un modello
ricorrente, di command and control, nel quale esigenze economico-produttive devono essere regolamentate
per evitare intollerabili compromissioni sanitarie ed ambientali. Il modello si basa su un sistema di
autorizzazioni attraverso le quali la pubblica autorità verifica la compatibilità delle attività con i limiti di tutela
e salvaguardia, prescrivendo determinate misure per ridurre l’impatto su individui e corpi recettori.
In terzo luogo, la disciplina per la lotta all’inquinamento si basa su standards ambientali che pongono i limiti
massimi ed i limiti tendenziali delle quantità di inquinamento consentita, facendo inoltre uso del concetto di
migliore tecnologia disponibile.
Oltre alle discipline settoriali relative agli inquinamenti che fanno riferimento al tipo di inquinamento, vi
sono alcuni agenti inquinanti che mantengono una disciplina normativa a parte.

2. Inquinamento atmosferico e cambiamenti climatici.

La disciplina relativa alla tutela dell’aria ed ai cambiamenti climatici evidenzia il carattere transnazionale
globale delle problematiche ambientali.
Gli effetti provocati da attività esercitate in uno Stato possono avere effetti su Stati limitrofi e contribuire
anche a fenomeni che interessano l’intera comunità internazionale che deve muoversi in modo omogeneo,
individuando soluzioni che possano essere condivise e implementate. Ulteriore caratteristica dell’elemento
oggetto di tutela è rappresentato dall’esclusione di fenomeni appropriativi e da una tutela qualitativa e non
quantitativa.
Nonostante i recenti sforzi di razionalizzazione e sistematizzazione, la disciplina dell’inquinamento
atmosferico è suddivisa in più fonti normative che si occupano di profili diversi. La parte V del d. lgs. 152/2006
ha ad oggetto la tutela dell’aria e la riduzione delle emissioni in atmosfera ecc.
A tutto questo si aggiunge poi la disciplina dei cambiamenti climatici che si accompagna e parzialmente si
integra con la disciplina avente ad oggetto inquinamento atmosferico e qualità dell’aria.

2.1. L’inquinamento atmosferico.

La parte V del d. lgs. 152/2006 è divisa in tre titoli dedicati alla prevenzione e limitazione delle emissioni in
atmosfera di impianti ed attività (titolo I), agli impianti termici civili (titolo II) ed ai combustibili (titolo III). Il d.
lgs. definisce l’inquinamento atmosferico basandosi su due profili: il primo oggettivo, consistente nella
modificazione dell’aria dovuta all’introduzione di determinate sostanze; il secondo, consequenziale, legato
agli effetti, essendo richiesta per determinare un fenomeno giuridicamente rilevante, una lesione ambientale
o sanitaria, anche in termini di rischio.
Gli strumenti utilizzati dal d. lgs. Sono quelli classici: raccolta ed elaborazione dei dati, pianificazione,
fissazione di standards, provvedimenti autorizzatori, controlli, sanzioni.
Anche lo strumento centrale, l’autorizzazione alle emissioni in atmosfera per gli stabilimenti segue modelli
consolidati. La domanda di autorizzazione, da presentarsi anche in caso di modifica sostnazilae degli impianti
o trasferimento degli stessi, deve contenere le indicazioni relativa alla specifica attività delle emissioni

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adottate, al ciclo produttivo, alle tecniche di limitazione delle emissioni adottate ecc. l’autorizzazione, che ha
una durata di 15 anni, fissa i valori limite di emissione, le prescrizioni, i metodi di campionamento e di analisi,
i criteri per la valutazione della conformità dei valori misurati ai valori limite e la periodicità dei controlli di
competenza del gestore, nonché apposite prescrizioni finalizzate ad assicurare il contenimento delle
emissioni diffuse. L’amministrazione ha un ampio potere ispettivo al fine di verificare il rispetto
dell’autorizzazione e delle prescrizioni in essa contenute.

Per quanto riguarda gli impianti termici civili (con potenza inferiore a 3 MW) il d. lgs. Impone, qualora
la potenza termica nominale sia superiore al valore di soglia, l’obbligo di denuncia in caso di installazione o
modifica; il rispetto di requisiti tecnici e costruttivi e di valori limite di emissione; la qualificazione dei soggetti
deputati alla conduzione egli impianti, che devono essere in possesso di patentino di abilitazione ed essere
iscritti in apposito registro.
Per quanto riguarda i combustibili da utilizzare negli impianti, sono disciplinate le caratteristiche
merceologiche degli stessi, le relative condizioni di utilizzo, comprese le prescrizioni finalizzate ad ottimizzare
il rendimento di combustione ed i metodi di misura delle caratteristiche merceologiche.

Una disciplina particolare è prevista per l’inquinamento atmosferico dalla legge n. 549/1993, il cui
obiettivo principale è quello di favorire la cessazione dell’impiego di sostanze lesive dell’ozono stratosferico
e dannose per l’ambiente, disciplinando al contempo le fasi di raccolta, riciclo e smaltimento di tali sostanze.
Gli agenti inquinanti, dei quali sono disciplinati produzione, consumo, importazione, esportazione
detenzione, raccolta, riciclo e commercializzazione sono quelle indicate nelle tabelle A e B alla legge (art. 2).
Sono poi fissati obblighi in materia di recupero e smaltimento delle sostanze, attraverso il conferimento a
centri di racconta autorizzati, l’imposizione di un deposito cauzionale sui beni durevoli che le contengono e
l’obbligo dei rivenditori di accettare la restituzione di bene analogo a quello acquistato. La conclusione di
accordi di programma con le imprese che producono, utilizzano, commercializzano o recuperano tali sostanze
è diretta a raggiungere scopi della legge al di fuori degli strumenti esclusivamente autoritativi. (art. 6).
Ad ulteriore supporto sono inoltre previsti incentivi per la riconversione produttiva (art. 10) e campagne di
informazione e sensibilizzazione (art. 11). In modo più specifico è prevista una forma di etichettatura che,
oltre ad esplicitare chiaramente la dannosità del prodotto per l’ozono e l’obbligo della raccolta differenziata,
contiene ulteriori informazioni riportate anche nei libretti di istruzione e nei messaggi pubblicitari (art. 12).

L’inquinamento prodotto dai veicoli è considerato all’interno del d. lgs. 285/1992 (codice della Strada),
secondo due direttrici: da un lato, interviene in caso di situazioni che possano comportare rischi per la salute
e per l’ambiente; dall’altro, fissare, in sede di omologazione dei veicoli, norme costruttive e requisiti che
rendano più ambientalmente compatibile il parco auto- circolante. In riferimento al primo aspetto, il Sindaco,
con propria ordinanza motivata può limitare la circolazione di tutti i veicoli o di alcune categorie per esigenze
di prevenzione degli inquinamenti e di tutela ambientale. (art. 7). In riferimento al secondo aspetto, le
caratteristiche costruttive e funzionali dei veicoli sono individuate tenendo conto non solo di profili di
sicurezza della circolazione, ma anche di protezione dell’ambiente, in modo da ridurre i carichi inquinanti
(art. 71). I veicoli devono essere tenuti in condizioni di massima efficienza anche ambientale garantendo il
contenimento dell’inquinamento acustico e atmosferico entro i limiti prescritti. A questo fine è instaurato un
sistema di controllo specifico che si integra con quello ordinario relativo alla revisione periodica dei veicoli
(art. 80).

Alcune disposizioni del r.d. n. 1265/1934 ancora formalmente vigenti si occupano delle lavorazioni
insalubri. Le fabbriche che producono vapori, gas, o altre esalazioni o che possono comunque risultare
pericolose per la salute degli abitanti sono divise in due classi. Nella prima classe sono inserite le fabbriche
che devono essere isolate dai centri abitati, mentre nella seconda classe quelle che devono esser soggette a
speciali cautele di incolumità del vicinato (art. 216). L’obiettivo da tutelare è la salute dei cittadini, anche a
scapito dei valori ambientali extraurbani. In questo senso, quando gas, esalazioni, rifiuti solidi o liquidi,

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scarichi possono essere di pericolo o di danno, l’amministrazione competente può prescrivere norme a
tutela della salute pubblica.

L’art. 674 c.p. intitolato getto pericoloso di cose, punisce chi provoca emissioni di gas, vapori o
fumo che possano offendere, imbrattare o molestare le persone. L’art. 844 c.c. nel disciplinare i rapporti di
vicinato, dispone che non possano essere impedite immissioni di fumo, calore o esalazioni provenienti da
fondo contiguo se esse non superano la normale tollerabilità, che deve essere valutata in relazione alla
condizione dei luoghi, contemperando le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà. Anche in
questo caso gli interessi ambientali sono tutelati indirettamente, quando non in via recessiva e subordinata
rispetto ad altri interessi. Non si tratta di norme ambientali, ma la loro applicazione può avere effetti
ambientali e consentire di intervenire quando altri strumenti si siano rivelati non idonei.

2.2. La qualità dell’aria ambiente.

Il d. lgs. N. 155/2010 affronta le problematiche relative all’inquinamento atmosferico riferito alla


valutazione ed alla gestione della qualità dell’aria ambiente, quale aria esterna presente nella troposfera,
escludendosi quella presente nei luoghi di lavoro, come tale soggetta a disciplina speciale (art. 2). Le
finalità del d. lgs. 155/2010 sono relative alla fissazione di obiettivi di qualità, alla valutazione di tale
qualità secondo criteri uniformi in ambito nazionale, al reperimento ed alla diffusione delle relative
informazioni e al miglioramento della qualità dell’aria o al suo mantenimento dove è già buona. Si fonda
sempre un’applicazione di standards ambientali, quali calori-limite di concentrazione, livelli critici di
concentrazione, valori-obiettivo, obiettivi a lungo termine, soglie di allarme e soglie di informazione per i
diversi inquinanti. Poi sono previsti dei meccanismi di zonizzazione e la realizzazione di una rete di
misura razionale, soggetta alla gestione o al controllo pubblico.
L’intero territorio nazionale è suddiviso in zone ed agglomerati soggetti ad una classificazione finalizzata alla
valutazione dell’aria ambiente (art. 3). La classificazione, basata sulle soglie di valutazione superiori ed
inferiori previste in allegato, è soggetta a riesami periodici, che possono essere anticipati per mutamenti
sostanziali della situazione in essere (art. 4). Le valutazioni preliminari della qualità dell’aria ambiente,
distinte per ciascun inquinante sono effettuate attraverso stazioni di misurazione, tecniche di
modellizzazione e di stima obiettiva.
Il superamento degli standards determina conseguenze diverse in relazione alla gravità della situazione. Se
sono superari valori- limite è necessario adottare un piano che preveda le misure idonee ad agre sulle
principale sorgenti di emissioni. Se sono superari i valori obiettivo sono previste azioni che non comportino
costi sproporzionati. Se sono superati i livelli critici, sono predisposti gli interventi necessari, senza un
espresso riferimento alla proporzionalità dei costi- se sono coinvolti più inquinanti si predispone un piano
integrato per gli stessi. (art. 9).
In ottica preventiva sono inoltre adottati Piani per la riduzione del rischio di superamento dei valori limite,
dei valori obietti e delle soglie di allarme, mettendo a disposizione del pubblico le informazioni relative ai
risultati dell’istruttoria.
L’accesso al pubblico alle informazioni e la diffusione delle stesse, in forma chiara e comprensibile, sono del
resto promossi esplicitamente, in applicazione specifica della disciplina di carattere generale ex. G. lgs.
195/2005.

2.3. I cambiamenti climatici.

La lotta ai cambiamenti climatici ha un oggetto parzialmente differente rispetto alle discipline citate, in
quanto si occupa degli effetti sul clima che determinate attività possono provocare. D’altra parte, con tali
discipline condivide molti aspetti.
La convenzione quadro sui cambiamenti climatici dell’ONU afferma, oltre ad un generale principio di
solidarietà, ed il principio della responsabilità congiunta, ma differenziata degli Stati, di fonte ad un problema

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il cui carattere globale e non solo transfrontaliero è evidente. Il protocollo di Kyoto ha attuato la Convenzione
prevedendo meccanismi flessibili che aiutassero gli stati ad adottare misure e politiche idonee ad affrontare
il problema.
La CE ha preceduto ad istituire un sistema per lo scambio di quote di emissione dei gas ad effetto serra
analogo a quello previsto a livello internazionale.
In questo contesto, il d. lgs. 216/2006 individua le disposizioni necessarie per la partecipazione al sistema di
scambio di quote di emissione di gas ad effetto serra nella Comunità. Il sistema si basa su un regime
autorizzatorio per l’emissione di gas ad effetto serra e sul piano nazionale di assegnazione (PNA) che, tenendo
conto degli interessi ambientali, energetici e produttivi coinvolti, determina per il periodo di riferimento il
numero totale di quote di emissioni assegnabili e le relative modalità di allocazione.

3. Inquinamento idrico e tutela delle acque.

A differenza dell’inquinamento atmosferico, l’inquinamento idrico ha ad oggetto un elemento, l’acqua, che


non può essere tutelato sotto il profilo qualitativo. L’aspetto quantitativo è sempre più rilevante. L’acqua è
una risorsa per la quale si pongono problematiche di gestione e di tutela.
L’acqua un elemento potenzialmente distruttivo che deve essere regolato per evitare forme di dissesto.

3.1. La tutela qualitativa e quantitativa delle acque.

Anche la disciplina dell’inquinamento idrico è suddivisa in più fonti normative che affrontano profili diversi.
La parte terza sezione II del d. lgs. 152/2006 ha ad oggetto la tutela qualitativa e quantitativa delle risorse
idriche. Il d. lgs. 116/2008 di attuazione della direttiva 2006/7/CE ha ad oggetto la qualità delle acque di
balneazione, mentre il d. lgs. 31/2001, di attuazione della direttiva 98//83/CE ha ad oggetto la qualità delle
acque destinate al consumo umano.
A livello di UE il riferimento fondamentale è rappresentato dalla direttiva 2000/60/CE, generalmente
conosciuta come direttiva quadro in materia di acque, cui si è data attuazione con la parte terza sezione II del
d. lgs. N. 152/2006.
Oggetto della disciplina è la tutela delle acque superficiali, marine e sotterranee. Tra gli obiettivi si distinguono
obiettivi generali di prevenzione, riduzione dell’inquinamento e risanamento e obiettivi specifici, individuati
in relazione agli usi o alle differenti tipologie di acque: migliorare lo stato delle acque; perseguire usi
sostenibili e durevoli delle risorse idriche; mantenere la capacità di auto depurazione e di sostegno della
biodiversità dei corpi idrici; garantire una fornitura sufficiente di acqua di buona qualità per un utilizzo idrico
sostenibile; ridurre in modo significativo l’inquinamento delle acque sotterranee; proteggere le acque
territoriali ecc.
Tali obiettivi sono perseguiti attraverso più strumenti: tutela integrata degli aspetti qualitativi e quantitativi;
fissazione di standards ambientali; intervento sui servizi idrici; protezione ambientale rafforzata in
determinate zone; misure dirette alla conservazione, risparmio, riutilizzo e riciclo delle risorse e azioni volte
alla riduzione ed al controllo dell’inquinamento da fonti puntuali e diffuse.

Gli obiettivi di qualità sono distinti in obiettivi di qualità per specifica destinazione, che devono essere
garantiti su tutto il territorio nazionale, in funzione di tutela e di risanamento delle acquee superficiali e
sotterranee. Mentre gli obiettivi di qualità ambientale sono definiti in funzione di auto-depurazione e di
supportare la vita di comunità animali e vegetali ampie e diversificate, gli obiettivi di qualità per specifica
destinazione individuano lo stato dei corpi idrici idonei a particolari utilizzazioni da parte dell’uomo, alla vita
dei pesci ed alla vita dei molluschi (artt. 74, 76, 79-90 152/2006).
Agli obiettivi di qualità si affiancano gli standards di qualità ambientale (SQA) per le acque superficiali, intesi
come concentrazione di un particolare inquinante o gruppo di inquinanti che non deve essere superata per
tutelare la salute umana e l’ambiente.
Il termine finale individuato per il raggiungimento , anche attraverso il Piano di tutela delle acque, degli
obiettivi fissati, deve tenere conto che, in caso di valori limite diversi per le due categorie di obiettivi, si applica

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il valore più cautelativo e che le Regini possono individuare obiettivi più elevati. Si stabilisce inoltre che il
deterioramento temporaneo dello stato di un corpo idrico dovuto a fattori ragionevolmente imprevedibili
non costituisce una violazione delle prescrizioni in materia di acque.
Ai fini di tutela qualitativa dei corpi idrici si procede ad una zonizzazione che individua una serie di aree che
richiedono, per le loro caratteristiche, misure specifiche di prevenzione dall’inquinamento e di
risanamento.
Tra queste, vi sono le aree sensibili, soggette a fenomeni di eutrofizzazione, ove si procede alla delimitazione
dei bacini drenanti che contribuiscono all’inquinamento (art. 91) le zone vulnerabili da nitrati di origine
agricola; le zone vulnerabili da prodotti fitosanitari ecc.
Sempre in funzione degli agglomerati con un numero di abitanti equivalenti superiore a duemila devono
dotarsi di una rete fognaria. Nella realizzazione di reti fognarie si devono adottare le migliori tecniche
disponibile che comportino costi economicamente ammissibili. Per gli insediamenti isolati che producono
acque reflue domestiche, le regioni devono individuare sistemi individuali o altri sistemi pubblici o privati
adeguati che raggiungano un analogo livello di protezione ambientale (art. 100).

La tutela qualitativa è perseguita attraverso la disciplina degli scarichi. Per una corretta applicazione deve
essere garantita l’accessibilità agli scarichi per campionamento, misurazione ed ispezioni, tenendo conto che
i valori- limite di emissioni non possono essere conseguiti mediante diluizione (101).
- Sono vietati gli scarichi nel suolo o negli strati superficiali del sottosuolo salvo i casi di insediamenti
isolati, di impossibilità tecnica o eccessiva onerosità in relazione ai risultati ambientali conseguibili e
per altri casi speciali espressamente previsti (art. 103). Sono inoltre vietati gli scarichi diretti nelle
acque sotterranee e nel sottosuolo, fatte salve alcune deroghe per le acque risultanti dal lavaggio di
inerti e in riferimento ad attività estrattiva (art. 104).
- Per quanto riguarda gli scarichi in acque superficiali, le acque reflue industriali devono rispettare i
valori limite di emissione. Gli scarichi di acque reflue urbane non soggetti ad impianti fognari devono
essere soggetti ad un trattamento appropriato.
- Disposizioni specifiche sono presenti per gli scarichi in agglomerati a forte fluttuazione stagionale
degli abitanti in zone di montagna ed in aree sensibili.
- Gli scarichi di acque reflue industriali in reti fognarie, ferma restando l’inderogabilità dei valori limite
sono soggetti alle norme tecniche, alle prescrizioni regolamentari ed ai valori limite adottati
dall’Autorità d’ambito competente;
- Gli scarichi di acque reflue domestiche devono rispettare i regolamenti del gestore del servizio idrico
integrato, essendo comunque vietato lo smaltimento dei rifiuti anche se triturati in fognatura (art.
107)
Per gli stabilimento che utilizzano sostanze pericolose, la cui presenza è accertata negli scarichi in misura
superiore a determinate concentrazioni, sono previste autorizzazioni che, tenendo conto della tossicità,
persistenza e bioaccumulazione della sostanza nell’ambiente possono fissare limiti più restrittivi di quelli
ordinari. L’autorità competente redige un elenco delle autorizzazioni rilasciate, degli scarichi e dei controlli
effettuati (art. 108). L’ISPRA predispone su scala di distretto idrografico, l’inventario dei rilasci derivanti da
fonte diffusa, degli scarichi e delle perdite comunque verificatesi.
La tutela quantitativa delle risorse idriche che concorre al raggiungimento degli obiettivi di qualità e ad un
consumo idrico sostenibile è promossa attraverso la pianificazione delle utilizzazioni delle acque che assicuri
l’equilibrio del bilancio idrico di bacino sono perseguiti attraverso il censimento delle utilizzazioni e
l’eventuale revisione delle stesse, senza che questo dia adito ad indennizzi da parte della PA.
Per quanto concerne in particolare il deflusso minimo vitale del corso d’acqua: caratteristiche fisiche del
corpo idrico sotto il profilo morfologico ed idrologico; stato qualitativo, chimico- fisico, delle acque e relativa
capacità di auto depurazione; ecosistema. Il DMV è pertanto usato come parametro fondamentale
nell’ambito del procedimento di assentimento di nuove concessioni di acque pubbliche sia nell’ambito di
pianificazione tanto di gestione che di tutela relativa alle risorse idriche.

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Sempre in funzione di tutela quantitativa sono posti, in capo ai gestori ed utilizzatori di risorse idriche, obblighi
relativi all’adozione di misure finalizzate ad eliminazione degli sprechi, riduzione dei consumi, incremento
della raccolta di acque piovane, riciclo e riutilizzo-
Le Regioni adottano norme sul risparmio idrico nel settore agricolo attraverso la pianificazione degli usi, la
corretta individuazione dei fabbisogni e l’effettuazione di controlli sugli emungimenti(art. 98).
Gli strumenti di tutela di carattere generale sono costituiti dal Piano di gestione dal Piano di tutela delle
acque, definiti come piani stralcio di settore del Piano del bacino.
Il piano di gestione viene elaborato su scala di distretto idrografico e deve contenere una serie di elementi:
descrizione generale delle caratteristiche del bacino idrografico; sintesi delle pressioni e degli impatti
significativi antropici; l’individuazione delle aree protette;M mappa delle reti di monitoraggio; elenco degli
obiettivi ambientali; sintesi dell’analisi economica sull’utilizzo idrico; sintesi ambientali; sintesi sui
programmai di misure adottati (art. 117).
Ai fini della predisposizione del Piano di tutela delle acque sono acquisite le informazioni necessarie, tramite
programmi di rilevamento regionale che descrivano le caratteristiche del bacino e valutino l’impatto
antropico e programmi per la conoscenza e la verifica dello stato qualitativo e quantitativo delle acque
superficiali e sotterranee. (art. 120).
Le Autorità di bacino distrettuale devono definire gli obiettivi. Su questa base, le Regioni, sentite le
Province e previa eventuale emanazione di misure di salvaguardia procedono all’adozione del Piano di
tutela delle acque che trasmettono all’Autorità di bacino per una verifica di conformità. Sono altresì
previste misure atte a garantire l’informazione e la consultazione del pubblico (art. 122).
Il contenuto del Piano di tutela riguarda i risultati dell’attività conoscitiva; l’individuazione degli obiettivi di
qualità ambientale e per specifica destinazione; l’elenco dei corpi idrici a specifica destinazione e delle aree
richiedenti particolari misure di prevenzione e di risanamento; le misure integrato di tutela qualitativa e
quantitativa; la tempistica degli interventi; gli interventi di bonifica; l’analisi economica complessiva e le
risorse finanziarie previste (art. 121).
Le Regioni sono inoltre tenute ad integrare le prescrizioni del Piano di tutela attraverso specifici
programmi di misure che devono essere approvati dalle Autorità di bacino distrettuale. (art. 116).
In attuazione dell’art. 9 della direttiva 1000/60/CE è poi affermato esplicitamente il principio del recupero
dei costi relativi ai servizi idrici, compresi i costi ambientali ed i costi relativi alla risorsa. In questo senso
sono individuate politiche di prezzo dell’acqua idonee ad incentivare un uso razionale ed accorto da parte
degli utenti, tenendo conto delle ripercussioni sociali, economiche ed ambientali (art. 119).
Sotto il profilo della provvedimentazione puntuale, tutti gli scarichi devono ottenere apposita
autorizzazione (valida per 4 anni) fatti salvi gli scarichi di acque reflue domestiche in reti fognarie.
I fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue sono soggetti alla disciplina dei rifiuti e devono
essere riutilizzati ogni qualvolta il loro reimpiego risulti appropriato. (art. 127).
Per quanto riguarda il sistema dei controlli, preventivi e successivo, l’autorità competente deve
assicurarne il carattere periodico, diffuso, effettivo ed imparziale.
Per gli scarichi in pubblica fognatura l’ente gestore deve organizzare un adeguato servizio di controllo
secondo le modalità previste nella convenzione di gestione (art. 128). Il titolare deve fornire le informazioni
richieste e consentire l’accesso ai punti di scarico (art. 129). Possono inoltre essere prescritte installazioni a
carico del titolare di strumenti di controllo in automatico per gli scarichi di sostanze pericolose (art. 131).

3.2. La tutela sanitaria delle acque.

Il d. lgs. 152/2006 non esaurisce la disciplina nazionale di settore, lasciando spazio a discipline sanitarie di
tutela di acque utilizzate dalla collettività:
- d. lgs 116/2008: si occupa della gestione della qualità delle acque di balneazione; L’obiettivo della
disciplina di cui al d.lgs. 116/2008 è prevalentemente sanitario, essendo relativo alla protezione
della salute umana anche attraverso protezione e miglioramento ambientale. Tale obiettivo è
perseguito attraverso il monitoraggio, la classificazione e la gestione della qualità delle acque di
balneazione ed attraverso la costante informazione del pubblico (art. 1 16/2008). Le Regioni,

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individuate le acque di balneazione e determinata la durata della stagione balneare predispongono


ed attuato un programma di monitoraggio specifico ed effettuano la valutazione della qualità delle
acque (art. 7).
Le acque di balneazione sono quindi classificate dal 2015 in 4 categorie: scarsa, sufficiente, buona
eccellente.
Un aspetto rilevante è dato dalla partecipazione del pubblico e dell’informazione dello stesso che
deve essere completa e capillare (art. 15).
- d.p.r. 470/1982: prevede un sistema fondato su un giudizio di idoneità alla balneazione derivante da
risultati di analisi effettuate durante i periodi di campionamento, confrontati con una serie di
parametri.

- D. lgs. 94/2007: Una disciplina specifica in materia di gestione delle acque di balneazione. La
rilevanza dell’ossigeno disciolto è esclusa ai fini del giudizio di idoneità per l’individuazione delle zone
di balneazione, ferme restando le misure di controllo sulle alghe e l’attività di informazione al public
(art. 1);

- D. lgs. 31/2001: di attuazione della direttiva 98/83/CE in materia di qualità delle acque destinate al
consumo umano. L’obiettivo primario è anche in questo caso più sanitario che ambientale: garantire
la salute dei cittadini da fenomeni negativi di contaminazione. Le acque destinate al consumo umano
devono corrispondere a determinati requisiti e parametri, la cui rispondenza è misurata con punti di
rispetto. I controlli possono essere interni, se sono effettuati dal gestore del servizio idrico integrato,
per la verifica della qualità dell’acqua destinata al consumo umano; o esterni se sono svolti da
Azienda USL territorialmente competente. In caso di mancato rispetto dei valori parametro o qualora
comunque vi sia un potenziale pericolo per la salute umana, sono adottati provvedimenti di
limitazione dell’uso o provvedimento a tutela della salute dei quali deve essere data informazione ai
consumatori.

4. L’inquinamento acustico.

L’inquinamento acustico è caratterizzato da una diffusione prettamente locale, considerato che il rumore
non si propaga oltre certe distanze e non si somma nel tempo.
A livello UE la normativa di riferimento è la direttiva 2002/49/CE dedicata alla determinazione ed alla
gestione del rumore ambientale, recepita nel nostro ordinamento con il d. lgs. 194/2005.
A livello nazionale tale normativa è da coordinarsi con la l. 447/1995.
La prima tutela rispetto al rumore è stata individuata dal d.p.c.m. 1 marzo 1991 che ha fissato limiti
massimi di esposizione al rumore negli ambienti abitativi e nell’ambiente esterno. Inoltre esso ha
individuato lo strumento della previsione di impatto acustico sia per concessioni edilizie relative a nuovi
impianti industriali che per autorizzazioni all’esercizio di attività produttive ed utilizzato lo strumento della
zonizzazione, imponendo ai Comuni di adottare una classificazione in zone, in relazione alla destinazione
d’uso del territorio per le zone non esclusivamente industriali ai limiti massimi sono affiancati limiti
differenziali distinti per periodo diurno e periodo notturno tra rumore ambientale e rumore residuo. Piani di
risanamento sono previsti sia da parte delle imprese per adeguarsi alle prescrizioni del decreto, sia fa parte
dei Comuni per adeguarsi agli standards fissati anche attraverso misure cautelari urgenti. Le Regioni
predispongono quindi, sulla base dei dati raccolti e delle proposte pervenute, un Piano regionale annuale
di intervento per la bonifica dell’inquinamento acustico.

Con la legge 447/1995 l’attenzione si sposta in maniera più forte sull’inquinamento acustico,
considerato quale fenomeno complesso, incidente su aspetti sanitari, ambientali e culturali.

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L’inquinamento acustico è definito quale introduzione di rumore tale da provocare non solo fastidio o
disturbo al riposo ed alle attività umane (art. 659 c.p.) ma anche pericolo per la salute umana,
deterioramento degli ecosistemi,dei beni materiali, dei monumenti, dell’ambiente abitativo e
dell’ambiente esterno, idoneo ad inibirne la fruizione da parte della collettività.
La legge in parola si occupa tanto delle sorgenti fisse che mobili e si fonda sulla definizione di standards
ambientali, quali valori limite di emissione, in riferimento alla sorgente; valori- limiti di immissione relativi ai
ricettori; valori di attenzione rilevanti rispetto al rischio potenziale per salute o ambiente, valori di qualità
riguardanti gli obiettivi di tutela.
Gli strumenti comprendono oltre alla fissazione di valori limite, procedure di certificazione acustica dei
prodotti, interventi attivi e passivi di riduzione delle emissioni sonore, attività di pianificazione urbanistica o
legate alla mobilità urbana del sistema dei Trasporti.
L’attività di pianificazione specifica si estrinseca nel Piano di risanamento acustico, che i Comuni sono tenuti
ad adottare, assicurandone il coordinamento con il Piano urbano del traffico e con i piani previsti in materia
ambientale. I Piani di risanamento acustico hanno come contenuto l’individuazione della tipologia e
dell’entità dei rumori presenti, l’individuazione dei soggetti che devono intervenire, modalità degli interventi
nonché le misure cautelari necessarie a fini di tutela sanitaria ed ambientale. Ai comuni con popolazione
superiore a 50.000 abitanti è inoltre prescritto di presentare una relazione biennale sullo stato acustico (artt.
6 e 7).
È prevista una valutazione di impatto ambientale accompagnata da una documentazione di impatto acustico
concernente aeroporti, strade, ferrovie, discoteche, impianti sportivi e in genere ogni luogo ove siano
installati impianti rumorosi. È fatto obbligo di produrre una valutazione previsionale del clima acustico delle
aree interessate alla localizzazione di scuole ed asili, ospedali e case di cura, parchi pubblici.
La documentazione di previsione di impatto acustico con l’eventuale indicazione delle misure adottate deve
essere inserita nelle domande di rilascio di concessioni.
Ordinanze motivate contingibili ed urgenti possono essere adottate qualora vi siano eccezionali necessità di
tutela della salute pubblica o dell’ambiente, disponendo il ricorso temporaneo a speciali forme di
contenimento o abbattimento delle emissioni sonore ivi compresa l’inibitoria parziale o totale di determinate
attività.

In attuazione della direttiva 2002/49/CE è stato emanato il d. lgs. 194/2005 che persegue la finalità
di evitare, prevenire o ridurre gli effetti nocivi dell’esposizione al rumore ambientale, la cui definizione rinvia
a suoi indesiderati o nocivi in ambiente esterno prodotto da attività umane con particolare riferimento a
traffico ed attività industriali.
Il decreto prevede l’elaborazione di una mappatura acustica, riferita a zone e sorgenti sonore determinate e
di mappe acustiche strategiche, finalizzate alla determinazione dell’esportazione globale al rumore in una
determinata zona. Nell’ambito di una più complessa attività di pianificazione acustica, diretta a tenere sotto
controllo l’inquinamento futuro attraverso più strumenti, è prevista l’adozione di piani di azione, destinati a
gestire le problematiche più specifiche, in particolare quando i libelli di esposizione possano avere effetti
nocivi per la salute umana o quando si intenda tutelare le zone silenziose.

La tutela penalistica fornita dall’art. 659 c.p. ha un ambito più limitato sanzionando il disturbo delle
occupazioni e del riposo delle persone. Sono anche sanzionati professioni o mestieri rumorosi esercitati in
violazione della normativa o delle prescrizioni dell’autorità amministrativa.

Discipline specifiche sono previste per il contenimento del rumore negli aeroporti.

5. Inquinamento elettromagnetico.

La disciplina in materia di inquinamento elettromagnetico costituisce applicazione manifesta del principio di


precauzione. In assenza di un’individuazione certa degli effetti a breve, medio e lungo termine, l

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dell’esposizione delle persone a campi elettromagnetici ma in presenza di dati scientifici che ne dimostrano
la potenziale pericolosità, il legislatore è intervenuto.
A livello UE manca una normativa in materia mentre a livello nazionale si applica la legge 36/2001.
- obiettivi primari :sono la tutela della salute dei lavoratori, della popolazione, la promozione della
ricerca scientifica per la valutazione degli effetti a lungo termine e per l’attivazione di misure
cautelative in applicazione del principio di precauzione, la tutela dell’ambiente e del paesaggio.
- Oggetto: impianti, sistemi ed apparecchiature per usi civili militari e delle forze di polizia che
possano comportare l’esposizione dei cittadini a campi con frequente tra 0 Hz e 100 GHz.
La normativa si basa sull’applicazione di standards ambientali, cui fanno riferimento gli altri strumenti di
carattere provvedi mentale o pianificatorio:
1) di carattere inderogabile è costituito dai limiti di esposizione;
2) di carattere cautelativo da raggiungere guadualmente ai fini di una protezione dagli effetti a lungo
termine è costituito dai valori di attenzione, indici di campo considerati come valori di immissione
da non superare;
3) obiettivi di qualità, comprendenti da un lato i criteri localizzati e dall’altra i valori di campo definiti
ai fini della progressiva riduzione dell’esposizione.
In merito a questi tre punti sono stati emanati due decreti dal Presidente del Consiglio dei Ministri:
- uno riguarda le esposizioni ai campi elettrici generati dagli elettrodotti;
- riguarda le esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici generati da sorgenti fisse a
frequenze comprese tra 100 kHz e 300 GHz.

Per quanto concerne gli ulteriori strumenti di cui alla legge 36/2001 si prevede l’adozione tramite
regolamento di misure specifiche relative alle caratteristiche tecniche degli impianti ed alla localizzazione
dei tracciati per la progettazione e la realizzazione di elettrodotti ed impianti per telefonia mobile e
radiodiffusione. Si prevede inoltre che debbano essere indicate misure idonee ad evitare danni a valori
ambientali, paesaggistici e relativi al patrimonio culturale. È poi anche definita una nuova disciplina dei
procedimenti di autorizzazione alla costruzione ed all’esercizio di elettrodotti.
A livello conoscitivo, il Catasto nazionale delle sorgenti fisse e mobili deve fornire i dati utili all’adozione
delle scelte amministrative più rilevanti. La Regione è tenuta ad adottare, su proposta dei soggetti gestori,
sentiti i Comuni, un Piano di risanamento che adegui gradualmente gli impianti radioelettrici esistenti ai
limiti di esposizione, ai valori di attenzione ed agli obiettivi di qualità. Il Piano può anche disporre la
delocalizzazione degli impianti. Il risanamento è effettuato a spese dei titolari degli impianti. Analogo piano
di risanamento deve essere previsto per gli elettrodotti. (art. 9). Sono poi previsti strumenti di educazione
ambientale attraverso campagne di informazione e le disposizioni di partecipazione ai procedimenti di
definizione dei tracciati degli elettrodotti e di adozione dei Piani di risanamento.
Il Ministero dell’ambiente può promuovere la realizzazione di intese ed accordi di programma con i gestori
dei servizi di trasporto pubblico che producono campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici per favorire
l’adozione di tecnologie che consentano di minimizzare le emissioni (art. 13).
È costituito il Comitato interministeriale per la prevenzione e la riduzione dell’inquinamento
elettromagnetico presieduto dal Ministero dell’ambiente con funzioni consultive di promozione e di
monitoraggio amministrativo. I controlli e la vigilanza di carattere sanitario ed ambientale, di competenza
provinciale e comunale sono esercitati avvalendosi delle strutture ARPA.
Per quanto concerne le apparecchiature di uso domestico, individuale o lavorativo sono imposti ai
fabbricanti obblighi di informazione per utenti e lavoratori, attraverso etichettature o schede informative. Le
informazioni devono riguardare i livelli di esposizione prodotti dai dispositivi, le distanze di utilizzo consigliate
e le prescrizioni di sicurezza. (art. 12).

Problematiche diverse, non direttamente sanitarie o ambientali, sono affrontate dal d. lgs. 194/2007 che si
occupa della compatibilità elettromagnetica delle apparecchiature elettriche ed elettroniche e dal d. lgs.
269/2001 che si occupa delle apparecchiature radio e dei terminali di telecomunicazione. l’oggetto diretto di

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tutela è costituito dal corretto funzionamento degli apparecchi, senza produrre in altri strumenti e nello
stesso ambiente perturbazioni elettromagnetiche.

6. Inquinamento da rifiuti.

È un fenomeno connesso con lo sviluppo ed il benessere che porta con sé il problema dello smaltimento di
questi. La sua diffusione non serve percorsi naturali, in quanto i rifiuti vengono movimentati per arrivare alla
loro collocazione finale.
Il riferimento normativo principale è la parte IV del d. lgs. 152/2006 che si occupa della gestione dei rifiuti e
della gestione dei rifiuti da imballaggi e della gestione di particolari categorie di rifiuti. A livello di UE si fa
riferimento alla direttiva 2008/98/CE. Vi sono poi altre normative speciali che affrontano tematiche connesse.

6.1. La gestione dei rifiuti.


La parte IV del d. lgs. 152/2006 si pone l’obiettivo di tutelare l’ambiente e salute, riducendo gli impatti negativi
della produzione e della gestione dei rifiuti, considerata quale attività di pubblico interesse. L’attività di
gestione dei rifiuti deve essere sottoposta a specifici controlli, al fine di evitare rischi per le varie componenti
ambientali. I rifiuti possono essere visti come risorse sia come fonte di problemi ambientali.
In materia di rifiuti sono richiamati sia i principi generali che principi specifici. È fissata la gerarchia della
gestione dei rifiuti, con la quale si stabilisce un ordine di priorità in funzione ambientale_ prevenzione,
preparazione per il riutilizzo; riciclaggio; recupero di altri tipo; smaltimento.
In questo senso le PA sono chiamate a svolgere un ruolo centrale: promuovono lo sviluppo di tecnologie
pulite, di modi di produzione che limitino la creazione di rifiuti e di tecniche per l’eliminazione di sostanze
pericolose; determinano condizioni di appalto che prevedano il recupero di materiali; favoriscono l’impiego
dei rifiuti per la produzione di energia; considerano l’analisi del ciclo di vita dei prodotti; utilizzano strumenti
di carattere economico ecc.
Vi sono poi dei criteri più specifici che dettano linee di responsabilità come la responsabilità estesa del
produttore.

Si intende per “ rifiuto” qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia intenzione o abbia
l’obbligo di disfarsi, con questo comprendendo in vai alternativa un criterio fattuale, un criterio soggettivo
ed un criterio normativo. (art. 183 comma 1 lett. a) d. lgs. 152/2006). Non rientrano nella definizione di rifiuto
i sottoprodotti, ovvero sostanze od oggetti originati da un processo di produzione il cui scopo primario non
sia la produzione di tale sostanza o tale oggetto. La definizione di una sostanza od oggetto quale
sottoprodotto presuppone il rispetto di ulteriori condizioni: vi deve esser un’utilizzazione della sostanza od
oggetto nel corso dello stesso o di un successivo processo produttivo, e tale utilizzazione senza nessun
ulteriore trattamento, deve essere legale, rispettando le ulteriori normative e non provocando ulteriori
impatti negativi sull’ambiente.
Un rifiuto cessa di essere tale quando è oggetto di un’operazione di recupero. Anche in questo caso sono
fissate alcune condizioni: la sostanza o l’oggetto è utilizzato per scopi specifici; esiste un mercato per tale
sostanza od oggetto; l’utilizzazione soddisfa requisiti tecnici e normativa in materia e non comporterà impatti
negativi di carattere sanitario ed ambientale. Se queste condizioni sono soddisfatte il rifiuto in oggetto può
essere computato ai fini del calcolo del raggiungimento degli obiettivi di recupero e di riciclaggio. (art. 184
ter).
L’intento di applicare il più possibile la normativa vigente emerge anche dalla nozione di gestione.

La classificazione dei rifiuti è operata in relazione alla loro origine ed alla loro pericolosità, distinguendosi:
- rifiuti urbani: sono i rifiuti domestici, anche ingombranti, provenienti da locali adibiti ad uso civile;
rifiuti non pericolosi: provenienti da altri luoghi ed assimilati agli urbani per qualità e quantità; rifiuti
provenienti dallo spazzamento delle strade; i rifiuti di qualunque natura o provenienza, giacenti sulle
strade, aree pubbliche, spiagge e rive di corsi d’acqua; i rifiuti vegetali provenienti da aree versi; da
attività cimiteriale;

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- rifiuti speciali: provenienti da attività agricole, sanitarie, commerciali e di servizio; derivanti da attività
di demolizione, costruzione e scavo; da lavorazioni industriali ed artigianali; da attività di recupero e
smaltimento; fanghi prodotti da trattamenti delle acque e dalla depurazione delle acque reflue e da
abbattimento dei fumi.
- Rifiuti pericolosi: che presentano le caratteristiche elencate in allegato, tenendo conto di origine e
composizione degli stessi ed eventualmente di valori- limite di concentrazione di determinate
sostanze (art. 184).
Il primo obiettivo nel settore è quello di prevenire o di ridurre la produzione e la pericolosità dei rifiuti.
L’opzione primaria è rappresentata dal recupero, attraverso riutilizzo, riciclaggio, ed utilizzazione come
combustibile o come fattore energetico. In quest’ottica lo smaltimento rappresenta la fase residuale della
gestione dei rifiuti. In particolare sono posti alcuni divieti che riguardano la realizzazione e la gestione di
nuovi impianti di incenerimento, recupero energetico e lo smaltimento di rifiuti urbani non pericolosi. Sono
posti alcuni divieti che riguardano la realizzazione e la gestione di nuovi impianti di incenerimento,
autorizzabili solo se il processo di combustione è accompagnato da recupero energetico e lo smaltimento di
rifiuti urbani non pericolosi, non possibile in Regioni diverse da quelle di produzione fati salvi eventuali
accordi regionali e internazionali. Ulteriori divieti di carattere generale non connessi alla sola attività di
smaltimento riguardano invece la miscelazione di rifiuti pericolosi salvo eccezione, l’abbandono ed il deposito
incontrollato di rifiuti sul suolo e nel suolo, e l’immissione nelle acque superficiali e sotterranee di rifiuti d
qualsiasi genere, allo stato solido o liquido.

Lo smaltimento dei rifiuti ed il recupero dei rifiuti urbani non differenziati, in applicazione di principi
di autosufficienza e prossimità, sono attuati attraverso una rete integrate di impianti che tenga conto sia
degli aspetti tecnologici che di quelli finanziari. Gli obiettivi specifici sono rappresentati nello smaltimento dei
rifiuti urbani non pericolosi in ambiti territoriali ottimali tendenzialmente autosufficienti e nella riduzione
della movimentazione dei rifiuti, avvalendosi dell’impianto idoneo più vicino al luogo di produzione o di
raccolta.
Per raggiungere gli obiettivi di tutela sanitaria ed ambientale, qualora si verifichino situazioni di eccezionale
ed urgente necessità e non vi sia modo di provvedere altrimenti, gli organi monocratici a capo degli enti
territoriali nei limiti delle rispettive competenze possono emettere ordinanze contingibili ed urgenti per
consentire il ricorso temporaneo a forme speciali di gestione dei rifiuti.
Gli oneri relativi alle attività di smaltimento sono posti a carico del produttore iniziale o di altro detentore
che provvedono direttamente al trattamento o consegnano i rifiuti ad un soggetto pubblico o privato addetto
alla loro raccolta. I costi della gestione sono sostenuti dal produttore iniziale e dai detentori successivi.
Un aspetto fondamentale è relativo alla tracciabilità degli stessi, dal momento di produzione fino alla
destinazione finale, anche attraverso obblighi di documentazione. In questo senso operano gli obblighi posti
dal Sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti (SISTRI) e gli obblighi relativi ai registri di carico e scarico
ed ai formulari di identificazione. Alcuni soggetti sono tenuti ad aderire al SISTRI mentre altri ne sono
solamente facoltizzati. I soggetti che non hanno aderito al SISTRI devono tenere dei registri di carico e scarico
su cui annotare le informazioni relative alle caratteristiche qualitative e quantitative dei rifiuti che devono
essere posti a disposizione dell’autorità di controllo. In fase di trasposto i medesimi soggetti sono tenuti a
redigere un formulario di identificazione che contiene i dati relativi ai soggetti coinvolti, alla destinazione
ed al percorso.
Per assicurare un quadro conoscitivo completo ed aggiornato, ma anche a fini pianificatori e di controllo è
stato istituito il Catasto dei rifiuti, articolato in una sezione nazionale ed in sezioni regionali. Al catasto
pervengono i dati raccolti dalle Camere di Commercio, cui devono essere comunicate annualmente le
quantità e le caratteristiche qualitative dei rifiuti prodotti od oggetto di attività di raccolta, trasporto,
recupero, riciclaggio smaltimento, commercio ed intermediazione. I soggetti istituzionali responsabili del
servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani ed assimilati devono comunicare informazioni relative alla
gestione dei rifiuti urbani, quali quantità, soggetti gestori, costi e dati sula raccolta differenziata (art. 189).
Presso il Ministero dell’ambiente opera l’osservatorio nazionale sui rifiuti che svolge funzioni si vigilanza e

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sostitutive; di elaborazione di criteri ed obiettivi d’azione; di verifica di costi e livelli di qualità dei servizi; di
predisposizione del rapporto annuale sulla gestione dei rifiuti, degli imballaggi e dei rifiuti da imballaggio.

Per quanto attiene i profili pianificatori, le Regioni predispongono Piani regionali di gestione dei rifiuti,
soggetti a VAS, che comprendono, nell’ambito di un contenuto complesso l’analisi della situazione corrente,
le misure opportune da adottare ed una valutazione sull’efficacia dei Piani stessi (art. 199).
La gestione dei rifiuti urbani deve avvenire in ambiti territoriali ottimali (ATO). All’interno di ogni ATO deve
essere costituita un ‘Autorità d’ambito, alla quale gli Enti locali ricadenti nello stesso ATO partecipano
obbligatoriamente (art. 200) e cui è demandato l’affidamento ed i controllo del servizio di gestione integrata
dei rifiuti. In particolare l’Autorità d’ambito è tenuta ad organizzare la gestione secondo criteri di efficienza,
di efficacia, economicità, trasparenza, adottando a tal fine il Piano. È l’autorità che affida la realizzazione ,
gestione ed erogazione dell’intero servizio comprensivo delle attività di gestione e realizzazione degli
impianti. È inoltre previsto che debba essere organizzata la raccolta differenziata dei rifiuti urbani.

Sotto il profilo della provvedimentazione puntuale, è prevista un’autorizzazione unica alla realizzazione ed
alla gestione di nuovi impianti di smaltimento o di recupero dei rifiuti, anche pericolosi. Sulla base delle
conclusioni assunte dalla conferenza dei servizi, la Regione, in caso di valutazione positiva delle domande
proposte, autorizza la realizzazione e la gestione dell’impianto. L’approvazione sostituisce visti, pareri
autorizzazione ecc. l’autorizzazione, che individua le prescrizioni e condizioni necessarie.

Le imprese che operano nel settore dei rifiuti sono soggette all’iscrizione nell’Albo nazionale dei gestori
ambientali, articolato in un Comitato nazionale ed in Sezioni regionali. L’iscrizione da rinnovare ogni 5 anni è
requisito per l’attività di raccolta e trasporto di rifiuti, di bonifica dei siti contaminati, di commercio e di
intermediazione dei rifiuti.
Ai fini di garantire il coordinamento tra le diverse normative, è previsto che l’autorizzazione integrata
ambientale sostituisca gli atti autorizzatori o le comunicazioni previste dalla disciplina in materia di rifiuti.
Sono poi consentite, in casi determinati, procedure semplificate basate sulla comunicazione di inizio attività.
Per quanto riguarda la copertura dei costi di gestione dei rifiuti urbani, è prevista una tariffa e deve essere
corrisposta da chiunque possegga o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte ad uso privato o pubblico
non costituente accessorio o pertinenza dei locali medesimi, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del
territorio comunale, che producano rifiuti urbani. La tariffa, che deve essere commisurata alla qualità e
quantità medie ordinarie dei rifiuti prodotti per unità di superficie, in relazione agli usi ed alla tipologia di
attività svolte, è composta da una quota fissa determinata in relazione alle componenti essenziali del costo
del servizio e da una quota relativa alla quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito, ed all’entità dei costi
di gestione, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio, compresi
quelli accessori relativi alla gestione dei rifiuti urbani.
Il Ministro dell’ambiente di concerto con il Ministro delle attività produttive, definisce i criteri generali sulla
base dei quali vengono definite le componenti dei costi e viene determinata la tariffa, potendo prevedere
agevolazioni per le utenze domestiche e per quelle adibite ad uso stagionale e non continuativo.

6.2. La gestione dei rifiuti da imballaggio.

È prevista una disciplina specifica per questo tipo di rifiuti non solo per la tutela ambientale ma anche per il
corretto funzionamento del mercato e della concorrenza.
Per imballaggio si intende il prodotto adibito a contenere ed a proteggere merci, a consentirne la
manipolazione, consegna e presentazione, nonché gli articoli a perdere aventi lo stesso scopo. Si
distinguono diverse categorie:
- l’imballaggio per la vendita o imballaggio primario, costituente un’unità di vendita per l’utente
finale o per il consumatore;
- L’imballaggio multiplo o imballaggio secondario che raggruppa un certo numero di unità di
prodotto nel punto di vendita;

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- L’imballaggio per il trasporto o imballaggio terziario che facilita la manipolazione ed il trasporto di


merci di un certo numero di unità di vendita o di imballaggi multipli, esclusi i containers stradali,
ferroviari, marittimi ed aerei (art. 218).
I principi fanno riferimento alla prevenzione alla fonte della loro quantità e pericolosità; all’incentivazione
del riciclaggio e del recupero della materia prima; allo sviluppo della raccolta differenziata; alla riduzione del
flusso dei rifiuti di imballaggi; alla responsabilizzazione ed alla cooperai zone degli operatori economici; alla
proporzionalità dei costi della raccolta; all’informazione degli utenti.

I produttori ed utilizzatori sono tenuti a partecipare in forma paritaria al Consorzio Nazionale Imballaggi
(CONAI) ente a personalità giuridica di diritto privato, senza fini di lucro, salvo il caso in cui venga adottato un
sistema alternativo, ovvero l’organizzazione autonoma della gestione dei propri rifiuti, su tutto il territorio
nazionale. Per il raggiungimento degli obiettivi è posta una serie di obblighi in capo a produttori ed utilizzatori,
considerati responsabili della corretta gestione ambientale degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio
secondarie terziari in un luogo di raccolta organizzato dai produttori.
La pubblica amministrazione deve organizzare sistemi adeguati di raccolta differenziata dei rifiuti di
imballaggio selezionati, garantendo la copertura omogenea del territorio in ciascun ambito ottimale, e
privilegiando criteri di efficienza ed economicità del servizio.
È vietato in ogni caso lo smaltimento in discarica degli imballaggi e dei contenitori recuperati.
Il CONAI elabora un programma generale per la prevenzione e di gestione degli imballaggi e dei rifiuti di
imballaggio. Altri Consorzi, distinti per tipologia di materiale di imballaggi ì, possono poi essere costituiti per
razionalizzare ed organizzare le attività di ripresa, raccolta, ritiro e riciclaggio nei rispettivi settori.

6.3. Categorie particolari di rifiuti e discipline speciali.

Il d. lgs. 152/2006 prevede norma specifiche per:


- Pneumatici fuori uso (artt. 228);
- Rifiuti derivanti da attività di manutenzione delle infrastrutture (art. 230);
- Veicoli fuori uso non soggetti al d. lgs. 209/2003
I Rifiuti elettrici ed elettronici, sanitari, veicoli fuori uso, rifiuti beni e prodotti contenti amianto si fa
riferimento ad altre disposizioni speciali, esterne al d. lgs. 152/2006 e da esso espressamente richiamate.
- Rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE): la loro pericolosità deriva dalle sostanze
usate per la loro produzione e dalla sempre maggior diffusione di tali apparecchiature. Sono
disciplinati dal d. lgs. 152/2006 dietro spinte comunitarie. La normativa pone il divieto di
utilizzazione di determinate sostanze, incide sulle attività di progettazione e fabbricazione delle
apparecchiature ed istituisce meccanismi di raccolta separata, ritiro, trattamento e recupero dei
RAEE;
- Rifiuti sanitari: sono disciplinati dal d.p.r. 254/2003 e sono distinti in più categorie, ognuna delle
quali presenta problematiche diverse. La peculiarità rilevante è la necessità di sterilizzazione;
- Veicoli fuori uso: sono disciplinati dal d. lgs. 209/2003. La diffusione dei beni e la pericolosità
ambientale delle sostanze usate nelle componenti determinano la necessità di una
regolamentazione che limiti il rischi o di inquinamento. La normativa si basa sulla consegna del
veicolo destinato alla demolizione a centri di raccolta sul conseguente rilascio di un certificato di
rottamazione e sulle successive attività di trattamento, reimpiego, recupero e demolizione.
- Rifiuti relativi a beni e prodotti contenenti amianto: sono disciplinati dal d.m. 248/2004 che
riguarda attività di recupero di una sostanza altamente tossica.

Un’ulteriore disciplina riguarda la discarica, intesa come luogo di smaltimento dei rifiuti, mediante operazioni
di deposito sul suolo e nel suolo. Il d lgs. 36/2003 stabilisce requisiti operativi e tecnici, misure e procedure
finalizzati a limitarne l’impatto negativo di tali attività di smaltimento, essendo il conferimento in discarica

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l’ultimo gradino nella gerarchia della gestione dei rifiuti. Le discariche si distinguono a seconda dei rifiuti che
sono destinate ad accogliere: inerti, non pericolosi, pericolosi.
Per realizzare e gestire una discarica è necessaria un’apposita autorizzazione, le cui prescrizioni devono
essere coordinate con i piani di gestione operativa, post-operativa e di ripristino ambientale.
In materia di incenerimento dei rifiuti si fa riferimento al d. lgs. 133/2005 che disciplina la realizzazione e
l’esercizio dei relativi impianti, con particolare attenzione al loro impatto inquinante. Mentre negli impianti
di incenerimento il recupero del calore prodotto dalla combustione è eventuale, negli impianti di
coincenerimento la produzione di energia rappresenta la funzione principale.
Entrambi possono essere sottoposti alla disciplina generali di AIA. In caso contrario si applicano le norme
speciali, nonchè i valori limite di emissione, relativi tanto ad inquinamento idrico che atmosferico.
Per quanto concerne infine l’aspetto sovranazionale il regolamento 1013/2006/CE si occupa delle spedizioni
trans-frontaliere dei rifiuti, adottando un sistema fondato su obblighi di notifica, sul rilascio di autorizzazioni
e sul rispetto delle convenzioni internazionali in materia.

7. Inquinamento da incidenti rilevanti.

La normativa in materia di inquinamento da incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze


pericoloso non fa riferimento ad un settore specifico, ma considera complessivamente i possibili effetti
nocivi derivanti da un disastro ambientale. Si tratta di ridurre le probabilità che si verifichino incidenti e, in
caso di incidente, di limitarne le conseguenze.
A livello di UE il riferimento normativo fondamentale è rappresentato dalla direttiva 96/82/CE, attuata a
livello nazionale dal d.lgs. 334/1999.
La definizione dei concetti fondamentali delinea l’ambito di applicazione del d. lgs. 334/1999. Sono incidenti
rilevanti quegli eventi, quali emissioni, incendi, esplosioni di grande entità, dovuti a sviluppi incontrollati
che si verificano nell’ambito di un processo produttivo e che comportano, per la presenza di sostanze
pericolose un rischio grave, immediato e anche differito, per la salute della popolazione o per l’ambiente.
Sono invece sostanze pericolose le sostanze, miscele o preparati elencati o rispondenti a criteri fissati in
allegato, presenti sotto vario titolo nello stabilimento (art. 3 d lgs. 334/1999).
Gli obblighi del gestore degli stabilimenti a rischio di incidenti rilevanti sono numerosi.
- Il gestore infatti, oltre a dover adottare tutte le misure di prevenzione, deve individuare i rischi cui
l’attività è soggetta, deve adottare appropriate misure di sicurezza e procedere all’informazione , alla
formazione, all’addestramento ed all’equipaggiamento dei lavoratori.
- Inoltre il gestore deve procedere alla notifica alle autorità competenti di un documento contenente
una serie di informazioni relative al gestore e alla persona del responsabile; alle sostanze
pericolose; all’attività in corso o prevista; all’ambiente immediatamente circostante lo stabilimento,
con particolare riferimento ad elementi che potrebbero causare, o rendere più grave un incidente
rilevante. Può essere allegata ulteriore documentazione di carattere amministrativo o tecnico.
- Il gestore deve predisporre ed aggiornare almeno ogni due anni una politica di prevenzione degli
incidenti rilevanti, includendovi il programma per l’attuazione del sistema di gestione della sicurezza,
che consenta costanti miglioramenti ed un elevato livello di protezione ambientale.
- In caso di stabilimenti in cui siano presenti sostanze pericolose in quantità determinate in allegato,
è posto ‘obbligo di redigere un rapporto di sicurezza, che deve evidenziare l’adozione del sistema di
gestione della sicurezza e delle misure di prevenzione; l’individuazione dei pericoli di incidente
rilevante; la garanzia della sicurezza e dell’affidabilità di qualsiasi infrastruttura connessa con il
funzionamento dello stabilimento; l’indicazione all’autorità competente degli elementi utili per
l’elaborazione del Piano di emergenza esterno.
- In caso di realizzazione di nuovo impianto, oltre alle autorizzazioni previste dalla normativa vigente,
occorre richiedere il nulla osta di fattibilità, attraverso la presentazione di un rapporto preliminare
di sicurezza. Prima di dare inizio all’attività, il gestore, eventualmente integrando il rapporto
preliminare, presenta il rapporto di sicurezza, al fine di ottenere il parere tecnico consultivo. In caso

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di modifiche sostanziali di stabilimento che potrebbero determinare un aggravamento del livello del
rischio, il gestore deve invece riesaminare ed eventualmente emendare politica di prevenzione,
sistemi di gestione, e rapporto di sicurezza, comunicando le modifiche alle autorità competenti, ivi
compresa quella che si occupa della VIA (art. 10)
- Deve essere predisposto, previa consultazione dei lavoratori, un piano di emergenza interno, in
funzione di prevenzione, di minimizzazione degli effetti, di limitazione dei danni, di approntamento
delle misure necessarie, di informazione dei lavoratori e delle amministrazioni competenti, nonché il
ripristino e disinquinamento in caso di incidente rilevante. Il piano di emergenza interno, soggetto a
riesame triennale, deve tener conto dei processi produttivi, dei progressi tecnici e delle nuove
conoscenze in relazione alle misure adottabili. Qualora lo stabilimento sia localizzato vicino a zone
sensibili, il gestore deve anche adottare misure tecniche complementari per contenere rischi per le
persone e per l’ambiente utilizzando le migliori tecniche disponibili.

La normativa poi si occupa degli incidenti rilevanti anche sotto una differente ottica, quella del cd. Effetto
domino. A tal fine è promosso lo scambio di informazione tra gestori, anche per un’eventuale revisione dei
rispettivi sistemi di gestione della sicurezza, rapporti di sicurezza e Piani di emergenza interni e la diffusione
delle informazioni alla popolazione. In caso di aree ad elevata concentrazione di stabilimento, individuate
secondo criteri definiti, il Ministro dell’ambiente, promuove forme di coordinamento tra i gestori, che portino
ad una circolazione delle informazioni ed alla predisposizione di uno studio di sicurezza integrato dell’area, e
predispone un Piano di intervento in cui prevedere misure urgenti idonee a ridurre i fattori di rischio.
L’intervento pubblico può del resto essere anche di carattere urbanistico - territoriale, potendosi stabilire
requisiti minimi di sicurezza in materia di pianificazione territoriale, con riferimento alla destinazione ed
utilizzazione dei suoli e delle distanze tra zone industriali e zone residenziali, qualora l’ubicazione o
l’insediamento o l’infrastruttura possano aggravare il rischio o le conseguenze di un incidente rilevante. Gli
enti territoriali apportano eventualmente le varianti ai Piani territoriali di coordinamento provinciale ed agli
strumenti urbanistici. Per gli stabilimenti soggetti all’obbligo di rapporto di sicurezza, il Prefetto, d’intesa con
le Regioni e gli enti locali interessati e previa consultazione della popolazione , predispone il Piano di
emergenza esterno allo stabilimento, anch’esso soggetto a riesame almeno triennale. Il Piano comunicato
alle altre amministrazioni competenti, ha come obiettivi il controllo degli incidenti in modo da assicurare la
minimizzazione degli effetti; la predisposizione e l’attuazione di misure di protezione; l’informazione della
popolazione e delle autorità competenti; il ripristino ed il disinquinamento dell’ambiente dopo un incidente
rilevante. In caso di area ad elevata concentrazione viene redatto anche il Piano di emergenza esterno
all’area.
La popolazione interessata deve essere consultata in riferimento all’elaborazione dei progetti relativi a
nuovi stabilimenti, alle modifiche di quelli preesistenti, ed alla creazione di nuovi insediamenti ed
infrastrutture attorno agli impianti già posti in essere. Il parere della popolazione è espresso nell’ambito del
procedimento di formazione dello strumento urbanistico o del procedimento di valutazione di impatto
ambientale. Può essere prevista l’utilizzazione della conferenza dei servizi con la partecipazione dei
rappresentanti istituzionali, delle imprese dei lavoratori e della società civile.
In caso di accadimento di incidente rilevante il gestore è tenuto all’adozione delle misure previste dal Piano
di emergenza, ad una piena informazione delle autorità competenti, ed all’aggiornamento delle notizie
fornite se necessario. Il Prefetto deve dare informazione immediata ai Ministri dell’ambiente e dell’interno,
al Dipartimento della protezione civile, ai Prefetti delle Province limitrofe e deve dare disposizioni per
l’attuazione del Piano di emergenza esterna. Le spese relative agli interventi effettuati sono poste a carico
del gestore anche in via di rivalsa fatte salve le misure assicurative stipulate.
Le misure di controllo consistono in verifiche ispettive, al fine di accertare l’adeguatezza della politica di
prevenzione degli incidenti rilevanti posta in atto dal gestore e dei relativi sistemi di gestione della sicurezza.
L’organizzazione delle misure di controllo comporta che tutti gli stabilimenti siano sottoposti ad un
programma di controllo periodico, che di ogni controllo debba essere redatta una relazione e data notizia al
Ministero dell’ambiente, e che vi possa essere una valutazione dei risultati dei controlli in collaborazione con
la direzione dello stabilimento (art. 25).

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In caso di ispezione il personale può accedere a tutti gli impianti ed alle sedi di attività, richiedendo dati,
informazioni e documenti necessari. Il segreto industriale non è opponibile alle attività di verifica o di
controllo.

CAPITOLO 7 LA TUTELA PAESAGGISTICA E TERRITORIALE

1. La tutela del paesaggio e del territorio: profili urbanistici.

Parlare di paesaggio e di territorio non è la stessa cosa. Con paesaggio si intende una componente
tradizionale dell’ambiente in cui si salvaguardano in prima battuta valori estetici. Con territorio si fa
riferimento ad una componente più moderna di ambiente che costituisce anche l’oggetto di un settore
concorrente e parzialmente sovrapponibile a quello ambientale: l’urbanistica. Possiamo quindi dire che la
normativa sul paesaggio è in parte diversa da quella che disciplina il territorio, in nuce alla diversità di interessi
tutelati.

2. La tutela del paesaggio e dei beni ambientali.

L’art. 9 comma 2 Cost. tutela il paesaggio. L’articolo in parola è stato connesso per via interpretativa con
l’art. 32 Cost., che garantisce il diritto alla salute. Un tempo la tutela del paesaggio era diretta a preservare
le bellezze naturali che consentivano di esprimere le propria identità ma con il tempo la tutela si è ampliata
e ha abbracciato ulteriori profili territoriali, intrecciandosi con la tutela urbanistica del territorio e con la
disciplina delle cose di interesse artistico e storico, anch’esse espressione dei valori culturali di una
collettività.
La normativa di riferimento è rappresentata dal d. lgs. 42/2004 Codice dei beni culturali e del paesaggio.
L’art. 743 c.p. fornisce un ulteriore strumento di protezione alle bellezze naturali.
Il d. lgs. 42/2004 coniuga due normative tradizionalmente separate, affermando che il patrimonio culturale
è costituito dai beni culturali e dai beni paesaggistici, intendendosi per beni culturali le cose immobili e mobili
che presentino “interesse artistico, storico, archeologico, etno- antropologico, archivistico e bibliografico”,
nonché le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà e
per beni paesaggistici “gli immobili e le aree costituenti espressione dei valori storici, culturali, naturali,
morfologici ed estetici del territorio”, nonché gli altri beni individuati dalla legge o in base alla legge.(art. 2 d.
lgs. 42/2004).
Il d. lgs. 42/2004 si occupa dei beni paesaggistici della loro tutela e della loro valorizzazione nella parte terza.
Il paesaggio è definito come il “territorio espressivo di identità, il cui carattere deriva dal’azione di fattori
naturali, umani e dalle loro interrelazioni” e la tutela deve riconoscere, salvaguardare e, quando necessario,
recuperare i valori che esso esprime. (art. 131).
I beni paesaggistici sono poi definiti attraverso tre categorie (art. 134):
a) Immobili e le aree di notevole interesse pubblico (art. 136) per cui è previsto un procedimento di
dichiarazione di notevole interesse pubblico (artt. 137 141);
b) Aree tutelate per legge, per le quali il valore ambientale si presume (territori costieri ecc);
c) Ulteriori immobili ed aree specificatamente individuati ai sensi della’art. 136 (cose immobili che
hanno cospicui caratteri di bellezza, bellezze panoramiche ecc.) e sottoposti ai Piani paesaggistici.
La tutela dei beni paesaggistici avviene secondo diverse modalità.
Le porzioni di territorio nel quale ricadono i beni ambientali ex lege, sono soggette ad una specifica normativa
d’uso e di valorizzazione ambientale regionale attraverso Piani paesaggistici o Piani urbanistico territoriali
che considerino in via specifica i valori paesaggistici. Il Piano paesaggistico, in particolare, riconosce aspetti e
caratteri peculiari del territorio definendo specifiche prescrizioni finalizzate alla conservazione degli elementi
costitutivi e delle morfologie dei beni paesaggistici a tutela, alla riqualificazione delle aree compromesse o
degradate, alla salvaguardai delle caratteristiche paesaggistiche degli altri ambiti territoriali,
all’individuazione delle linee di sviluppo urbanistico. (art. 135)

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Il procedimento di approvazione del Piano paesaggistico, la cui elaborazione parte dalla ricognizione di
territorio, aree, immobili, al fine di identificare i valori tutelati, è soggetto a concertazione istituzionale,
partecipazione dei singoli interessati e delle associazioni portatrici di interessi diffusi ed ampie forme di
pubblicità. (art. 144).
Il Piano paesaggistico può individuare, oltre ad aree soggette a tutela nelle quali la realizzazione di interventi
può avvenire previo accertamento di conformità alle previsioni del Piano paesaggistico e dello strumento
urbanistico comunale, aree gravemente compromesse o degradate, per le quali non è richiesta
autorizzazione paesaggistica e linee-guida prioritarie per progetti di conservazione, recupero e
riqualificazione (art. 143). Ad ogni modo i Piani paesaggistici sono coordinati con altri strumenti di
pianificazione, sia territoriale che settoriale. Le previsioni dei Piani paesaggistici non sono peraltro
derogabili da piani di sviluppo economico, sono cogenti per gli strumenti urbanistici di Comuni e Province
e prevalgono sugli atti di pianificazione ad incidenza territoriale previsti nelle normative di settore. Vi è
quindi un obbligo di conformazione tendenzialmente generalizzato rispetto alle previsioni dei Piani
paesaggistici.
I proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di immobili ed aree di interesse paesaggistico, tutelati
dalla legge, sono limitati nelle facoltà di godimento degli stessi, dovendo ottenere preventiva autorizzazione
per le modificazioni che possano pregiudicare i valori paesaggistici protetti. La Regione si pronuncia
sull’istanza di autorizzazione paesaggistica, dopo aver acquisito il parere vincolante del soprintendente, volto
a valutare la compatibilità paesaggistica dell’intervento, ed avere eventualmente indetto una conferenza di
servizi. L’autorizzazione paesaggistica è un atto autonomo e presupposto rispetto ai tioli legittimanti
l’intervento urbanistico - edilizio (art. 416). Non è richiesta autorizzazione per attività di manutenzione, di
consolidamento statico e di restauro conservativo, per interventi attinenti all’esercizio di attività agro-
silvo- pastorale che non comportino alterazioni permanenti dei luoghi né dell’assetto idrogeologico del
territorio e per attività di forestazione, riforestazione o bonifica altrimenti autorizzati.
Ministro e regione hanno in qualsiasi momento la facoltà di esercitare i poteri di inibizione dei lavori che
possano pregiudicare il bene ed ordinare la sospensione dei lavori che fossero iniziati, anche nei confronti di
beni non ancora dichiarati di notevole interesse pubblico.
Disposizioni specifiche in funzione estetica sono poi dedicate ai divieti salvo autorizzazione di apporre cartelli
e mezzi pubblicitari in prossimità di beni ambientali ed ai colori che possono essere imposti alle facciate di
fabbricati già presenti in località costituenti bellezze panoramiche.
Le sanzioni previste per la violazione delle norme sono assistite dalla rimessione in pristino dello stato dei
luoghi a spetta del condannato, fermo restando che l’autorità competente, accertata la compatibilità
paesaggistica dell’opera, può disporre, in alternativa della rimessione in pristino, il pagamento di una
somma equivalente al maggior importo tra danno arrecato e profitto conseguito mediante la trasgressione.

Per quanto concerne la tutela fornita dal c.p. all’art. 734 tutela delle bellezze naturali da ipotesi di
distruzione o deturpazione, la protezione è di carattere estetico: viene infatti punito con ammenda di
importo peraltro limitato chiunque distrugga o alteri le bellezze naturali situati in luoghi soggetti a speciale
protezione dell’autorità, attraverso costruzioni, demolizioni o in qualunque altro modo. Se quindi la condotta
è individuata in termini molto ampi, l’applicabilità della norma a fenomeni di degradazione dall’ambiente è
comunque ristretta in relazione all’oggetto, dovendosi trattare di bellezze naturali che siano
espressamente soggette ad un regime speciale da parte dell’amministrazione.

3. La tutela delle aree protette.

La disciplina delle aree protette è rivolta a salvaguardare determinate porzioni di territorio che hanno una
particolare omogeneità sia ontologica che funzionale. il passaggio da una salvaguardia fondata su
provvedimenti normativi specifici dedicata a singoli parchi nazionali, ad una normativa di carattere generale
ha determinato un aumento sensibile della percentuale del territorio nazionale cui è garantito lo status di
area protetta e la conseguente tutela speciale.

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Il riferimento normativo nazionale è costituito dalla legge 349/1991, legge quadro sulle aree protette, che
risponde all’esigenza di garantire un più elevato ed esteso livello di tutela nel rispetto degli accordi
internazionali.
La legge n. 349/1991 si prefigge le finalità di garantire e di promuovere la conservazione e la valorizzazione
del patrimonio naturale del Paese. Per raggiungere le proprie finalità, i territori nei quali siano presenti tali
valori sono soggetti ad uno speciale regime di tutela e gestione che consenta la conservazione di tali valori,
l’integrazione uomo ambiente , la promozione di attività educative e di ricerca, a promozione di attività
ricreative e produttive compatibili ecc.
Le aree naturali protette sono pertanto quelle sottoposte ad un tale regime di tutela e gestione (art. 1 l.
349/1991). Le aree protette, che hanno diritto all’uso esclusivo della propria denominazione, si distinguono
secondo un criterio comporto relativo ai valori perseguiti e all’ambito territoriale dell’altro. La classificazione
comprende parchi nazionali, naturali, riserve naturali statali , riserve naturali regionali ed aree protette
marine.
- I parchi nazionali sono costituiti da aree terrestri, fluviali, lacuali, o marine che per la presenza di
valori naturalistici, scientifici, estetici, culturali, educativi e ricreativi, di rilievo nazionale o
internazionali richiedono l’intervento di tutela dello Stato a fini conservativi per le generazioni
presenti e future.
- I parchi naturali regionali sono costituiti da aree terrestri, fluviali lacuali ed eventualmente da tratti
di mare prospicienti le coste, aventi un valore naturalistico ambientale e rappresentanti un sistema
omogeneo di carattere naturalistico, paesaggistico, artistico e culturale;
- Le riserve naturali statali o regionali in base alla rilevanza degli interessi rappresentanti sono
costituite da aree terrestri, fluviali, lacuali o marine che contengano una o più specie della flora o
della fauna rilevanti sotto il profilo naturalistico o uno o più ecosistemi importanti per la
conservazione delle diversità biologiche;
- Le aree protette marine sono definite dal protocollo di Ginevra e dalla legge 979//1982.

La classificazione e l’istituzione delle aree protette nazionali sono effettuate tra Stato e Regioni, attraverso
la consultazione della Conferenza unificata, mentre per le aree protette di interesse regionale o locale
dispone la Regione. Con provvedimenti di carattere generale, la legge quadro individua misure di salvaguardia
e di incentivazione.
- Le misure di salvaguardia adottate per casi di necessità ed urgenza in relazione a zone non ancora
tutelate, sono dirette ad impedire che, nelle more del procedimento che porta all’istituzione di una
nuova area protetta, vengano meno, o siano sensibilmente ridotti, i valori ambientali posti alla base
della sua costituzione. In tal caso in attesa dell’istituzione della qualifica sono posti dei divieti, non
essendo consentite determinate attività nei centri limitrofi. Sono fatte salve eventuali deroghe
motivate alle misure di salvaguardia, l’inosservanza delle stesse comporta, a carico del trasgressore,
la riduzione in pristino dei luoghi e l’eventuale ricostituzione delle specie vegetali ed animali
danneggiate;
- Le misure di incentivazione sono previste per cercare di superare le resistenze degli enti locali e delle
popolazioni interessante, anche in applicazione di un principio di solidarietà secondo il quale i
vantaggi della collettività nazionale derivanti dall’istituzione di aree protette non possono andare a
detrimento degli abitanti dei territori relativi, considerate le limitazioni cui essi sono soggetti
nell’esercizio di attività produttive o edificatorie. Occorre considerare i vantaggi connessi con
l’istituzione di una nuova area protetta, derivanti principalmente da attività legale, direttamente o
indirettamente al maggiore afflusso turistico. (art. 16 l. 394/1991).

L’organizzazione dell’Ente Parco è complessa, facendone parte:


a) il Presidente che ha poteri di rappresentanza, di coordinamento e di urgenza, oltre a poteri
delegati dal Consiglio direttivo;

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b) il Consiglio direttivo, che delibera in merito a tutte le questioni generali ed in particolare sui
bilanci, sui regolamenti e sulla proposta di Piano per il parco esperimento parere vincolante sul
Piano pluriennale economico e sociale;
c) la Giunta esecutiva, individuata all’interno del Consiglio direttivo;
d) il Collegio dei revisori dei conti, ch esercita il riscontro contabile sugli atti dell’Ente parco;
e) il direttore del parco, nominato dal Ministro dell’ambiente e legato all’ente da un contrato di
diritto privato di durata no superiore ai 5 anni;
f) la comunità del parco, composta dai rappresentanti degli enti territoriali interessati, che ha poteri
consultivi, ache obbligatori, propositivi, in merito alle decisioni più rilevanti, e deliberativi rispetto
al Piano pluriennale economico e sociale 8art. 9 e 10).
La disciplina dell’area protetta si basa su due atti a carattere generale:
 il Regolamento dell’area protetta disciplina, a garanzia del rispetto delle caratteristiche naturali,
paesistiche, antropologiche, storiche e culturali locali, l’esercizio delle attività consentite all’interno
del parco ed è adottato dall’Ente parco anche contestualmente al Piano per il parco e quindi
approvato dal Ministro dell’ambiente, sentiti gli enti locali interessati. I comuni sono tenuti ad
adeguare le proprie normative alle disposizioni del Regolamento del parco. In particolare formano
oggetto del Regolamento del parco le attività costruttive, artigianali, commerciali, di servizio e
agrosilvo-pastorali; il soggiorno e la circolazione del pubblico ecc. Il Regolamento deve valorizzare sia
usi, costumi e consuetudini locali che le espressioni culturali delle comunità locali. Nel territorio del
parco sono vietate, salvo deroghe motivate, le attività che possono compromettere i valori
ambientali da tutelare;
 il Piano del parco, che ha valore anche di piano paesistico e di piano urbanistico, deve essere
coordinato, anche temporalmente con il Piano pluriennale economico-sociale, e ha l’obiettivo di
tutelare i valori naturali ed ambientali nonché storici, culturali, antropologici tradizionali. Il Piano è
approvato dal Consiglio direttivo, sentita la Comunità del parco, adottato dalla Regione e quindi
depositato presso gli enti territoriali per consentirne al conoscenza da parte degli interessati, che
possono presentare osservazioni scritte. La Regione, d’intesa con l’Ente parco e con i Comuni
interessati, adotta i Piano che deve essere aggiornato almeno ogni 10 anni. Il Piano ha valore di
dichiarazione di pubblico generale interesse e di urgenza ed indifferibilità per gli interventi previsti e
sostituisce ad ogni livello i piani paesistici, i piani territoriali o urbanistici ed ogni altro strumento di
pianificazione. Quanto ai contenuti, il Piano deve disciplinare l’organizzazione generale del territorio,
i vincoli, le destinazioni di uso; i sistemi di accessibilità veicolare e pedonale; i sistemi di attrezzature
e servizi per la gestione e la funzione sociale del parco; i criteri per gli interventi sull’ambiente.
Quanto alla suddivisione territoriale, effettuata in base al diverso grado di protezione, il Piano deve
individuare le riserve integrali nelle quali l’ambiente è conservato nel suo stato originario; le riserve
generali orientate, nelle quali son vietate attività costruttive e di modificazione del territorio ma
sono consentite utilizzazione produttive tradizionali, le infrastrutture strettamente necessarie e gli
interventi di gestione delle risorse naturali a cura dell’Ente parco; le aree di protezione, nelle quali è
consentita la continuazione di attività agro- silvo- pastorale ed artigianale; le aree di promozione
economica e sociale, maggiormente interessate da fenomeni di antropizzazione, nelle quali sono
consentite attività compatibili con le finalità del parco e finalizzate sia al progresso socioculturale
delle collettività locali, sia al miglior godimento da parte dei visitatori.
 Il Piano pluriennale economico e sociale per la promozione delle attività compatibili di durata
quadriennale, che individua le iniziative idonee a favorire lo sviluppo economico e sociale delle
collettività residenti nel parco o nei territori adiacenti. Esso può anche prevede: sovvenzioni;
interventi infrastrutturali; agevolazioni di attività tradizionali, culturali, sociali di qualità, ed
organizzare corsi di formazione per il rilascio del titolo ufficiale ed esclusivo di guida del parco.
 Rilascio di concessioni o autorizzazioni relative ad interventi all’interno del parco è sottoposto al
nullaosta dell’ente Parco, con il quale si verifica la conformità dell’intervento a Piano e Regolamento.
Il nulla-osta, che deve essere rilasciato entro 60 giorni, operando altrimenti il meccanismo del silenzio
assenso, e che deve essere reso pubblico è soggetto ad impugnazione, sia in caso di diniego, dal

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richiedente, sia in caso di rilascio, dai soggetti interessati e dalle associazioni di protezione
ambientale. (art. 13)
 L’ente parco può prendere il locazione, acquisire o espropriare immobili compresi nel territorio di
propria competenza, ed ha il diritto di prelazione sul trasferimento a titolo oneroso della proprietà e
di altri diritti reali sui terreni situati all’interno delle riserve. Indennizzi sono previsti sia per i danni
provocati dalla fauna selvatica del parco, sia per i vincoli derivanti dal Piano alle attività agro-
silvopastorali ed attività già ritenute compatibili (art. 15).
 Le riserve naturali statali sono determinate con decreto istitutivo che include anche i confini e
l’organismo di gestione e precisa le caratteristiche, finalità principali e vincoli e adotta i criteri specifici
cui devono conformarsi il Piano di gestione ed il relativo regolamento attuativo. Piano e regolamento
sono adottati dal Ministro per l’ambeitne sentite le Regioni a statuto ordinario e d’intesa con le
Regioni a statuto speciale. Sono in ogni casi vietati accessi nelle riserve naturali integrali a persone
non autorizzate e discariche di rifiuti solidi e liquidi.
 Il decreto istitutivo delle aree protette marine ne fissa la denominazione, delimita l’area, individua
gli obiettivi e prevede la concessione d’uso dei beni demaniali. Qualora l’area protetta marina sia
istituita in acque confinanti con un0area protetta terrestre, la gestione è attribuita al soggetto
competente per quest’ultima. Sono in ogni caso vietate le attività che possano compromettere le
caratteristiche dell’ambiente tutelato (art. 18 e 19). In materia di aree protette marine occorre
considerare anche la legge 970/1982 che già aveva provveduto ad istituire riserve naturali marine,
costituire da acque, fondali e tratti di costa che presentino un rilevante interesse ambientale,
scientifico e culturale 8art. 25 a 31 l. 970/1982).
 Per le aree naturali protette regionali, la legge 394/1991 fissa alcuni principi fondamentali:
partecipazione di enti locali ai procedimenti istitutivi ed alla gestione dell’area protetta; pubblicità
degli atti rilevanti; adozione di regolamenti delle aree protette; utilizzazione prevalente di demani e
patrimoni forestali regionali e di enti locali; divieto di istituire aree protette regionali all0interno di
quelle nazionali; divieto di attività venatoria, fatta eccezione per eventuali prelievi faunistici ed
abbattimenti selettivi necessari per ricomporre l’equilibrio ecologico. (art. 22 l. 394/1991). La legge
istitutiva del parco definisce la perimetrazione provvisoria e le misure di salvaguardia, individua
l’organismo cui affidare la gestione del parco ed indica i principi per Piano e Regolamento del parco
(art. 23, l. 394/1991). Ogni parco regionale prevede con apposito statuto una differenziata forma
organizzativa in relazione alle peculiarità territoriali delineando il sistema delle competenze. (art. 24,
l. 394/1991).
Nei confronti di tutte le aree protette sono individuati poteri di sorveglianza e vigilanza. In particolare, il
legale rappresentante dell’organismo di gestione, qualora vengano esercitate attività in violazione del Piano,
del Regolamento o del nullaosta, dispone la sospensione immediata dell’attività ed il ripristino dello stato dei
luoghi, a spese del trasgressore e con responsabilità solidale del committente, del titolare dell’impresa e del
direttore dei lavori, in caso di attività costruttiva. L’organismo di gestione ha inoltre potere di intervento nei
giudizi riguardanti fatti potenzialmente lesivi dell’integrità del patrimonio naturale dell’area protetta e ha
legittimazione a ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l’annullamento di atti illegittimi lesivi
delle finalità dell’area protetta. Sono poi previste ulteriori sanzioni amministrative e panali, nonché il rinvio
alla normativa in tema di danno ambientale (art. 29 e 30 l n. 394/1991).

4. La difesa del suolo.

La disciplina della difesa del suolo intende proteggere il territorio come tale, quale sede abitativa e di attività
umane, da fenomeni naturali idonei a causare danni ingenti e pericoli per l’incolumità pubblica. La
normativa di riferimento è rappresentata dalla parte terza, sezione I, del d. lgs. 152/2006 (art. 53- 72), che
ha ad oggetto l’insieme di attività relative alla tutela del suolo e del sottosuolo ì, al risanamento idrogeologico
del territorio, alla messa in sicurezza delle situazioni a rischio ed alla lotta alla desertificazione. La difesa del
suolo viene definita quale complesso di azioni ed attività riferibili alla tutela e salvaguardia del territorio, delle
acque superficiali e sotterranee e della fascia costiera, con finalità di riduzione del rischio idraulico,

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stabilizzazione dei fenomeni di dissesto geologico, ottimizzazione della gestione del patrimonio idrico e
valorizzazione delle caratteristiche ambientali. Il suolo è definito in modo tautologico all’art. 54. Ne risulta un
carattere tendenzialmente onnicomprensivo della legislazione, che si pone finalità di natura estremamente
generale con l’intento di razionalizzare, sulla base della trasversalità dell’obiettivo perseguito, la tutela
dell’ambiente rispetto ad altri interessi.

Le finalità di carattere generale sono poi specificate attraverso un’analitica elencazione di obiettivi settoriali
da perseguire attraverso i vari tipi di attività contemplate dalla legge quadro (art 56). Per poter perseguire
questi obiettivi i pubblici poteri devono porre in essere una precisa attività conoscitiva, adottare atti di
carattere generale ed infine predisporre ed attuare gli interventi specifici, superando, per quanto possibile,
al logica della legislazione quale rimedio a situazioni contingenti.
Parte degli interventi previsti sono espressione di esigente di difesa del territorio dalle acque; altri sono
espressione delle esigenze di tutela qualitativa e quantitativa del patrimonio idrico nazionale; altri ancora
sono espressione delle esigenze di sfruttamento compatibile delle risorse idriche. I diversi aspetti sono
peraltro difficilmente scindibili, come reso evidente dalla necessità di individuare forme di collaborazione e
coordinamento tra i diversi soggetti pubblici competenti.

Tra le attività previste dal d. lgs. 152/2006 assume rilevante importanza l’attività conoscitiva: raccolta,
elaborazione e diffusione dei dati; sperimentazione, ricerca e studio in relazione alle condizioni di rischio;
predisposizione di carte tematiche; valutazione degli effetti conseguenti agli interventi previsti dalla legge;
attuazione di ogni iniziativa a carattere conoscitivo ritenuta necessaria (art. 55).
L’aspetto peculiare e caratterizzante della disciplina della difesa del suolo è rappresentato dall’individuazione
del distretto idrografico quale ambito territoriale di riferimento e dalla corrispondente previsione sia degli
organismi pubblici preposti alla loro gestione, le Autorità di bacino distrettuale, che dei relativi strumenti
pianificatori, i Piani di bacino distrettuale.
L’intero territorio nazionale viene ripartito in distretti idro-geografici, risultanti tendenzialmente dall’unione
di più bacini idrografici (art. 64) e costituenti la principale unità di gestione degli stessi. La nozione di bacino
idrografico ha carattere tecnico-scientifico e individua il territorio nel quale scorrono tutte le acque
superficiali per confluire in mare in un’unica foce. Il distretto idrografico è invece nozione a valenza
amministrativa, ma fondata sul concetto tecnico scientifico di bacino, essendo un’area di terra o di mare
costituita da uno o più bacini idrografici limitrofi e dalle rispettive acque sotterranee e costiere (art. 54). Il
bacino idro-geografico costituisce quindi la base territoriale di riferimento in virtù del collegamento tra bene
considerato nella sua assenza ed interessi pubblici ad esso afferenti. Il distretto idrografico diventa l’ambito
di riferimento delle politiche pubbliche.

Nel distretto idro-geografico opera l’Autorità di bacino distrettuale, ente pubblico non economico ispirato ad
organismi indipendenti e specializzati di derivazione anglosassone. L’autorità di bacino distrettuale ha
un’organizzazione complessa e deve uniformare la propria attività a criteri di efficienza, efficacia, economicità
e pubblicità. La funzione principale dell’Autorità di bacino distrettuale è rappresentata dall’elaborazione del
Piano di bacino distrettuale, che costituisce lo strumento essenziale per il perseguimento degli obiettivi della
disciplina della difesa del suolo. Il Piano di bacino distrettuale è lo strumento conoscitivo, normativo e
tecnico-operativo attraverso cui sono pianificate e programmate le attività di conservazione, difesa e
valorizzazione del suolo e di corretta utilizzazione delle acque. Se quindi il Piano di bacino distrettuale è
definito quale piano territoriale di settore, è anche vero che l’ampiezza e le caratteristiche del settore
considerato fanno del Piano stesso uno strumento di carattere tendenzialmente generale, sia sotto il profilo
strutturale eh sotto il profilo dell’oggetto della disciplina. Una delle novità fondamentali del Piano di bacino
distrettuale, conforme all’impostazione dell’intera disciplina della difesa del suolo, è costituita dall’ambito
territoriale di riferimento, il distretto idrografico. Nn solo si imposta l’attività pianificatoria su basi territoriali
non coincidenti con el ripartizioni istituzionali, ma manca il tradizionale dualismo tra piano nazionale e piani
regionali proprio di altri schemi pianificatori in materia . la possibilità di articolare i Piani di bacino distrettuale
per sub-bacini o per stralci relativi a settori funzionali deve garantire la considerazione sistemica del territorio.

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Questo comporta anche una diversa configurazione dei rapporti tra Stato e Regioni che tendono a
svilupparsi in maniera più complessa, al di fuori della semplice relazione tra atti pianificatori. Il Piano di
bacino ha un contenuto complesso, facendone parte necessariamente elementi di diversa natura.
Dall’ampiezza dei contenuti del Piano di bacino deriva la necessità di precisare i rapporti con le altre
pianificazioni, urbanistiche e settoriali, in atto- nei confronti della maggior parte di tali pianificazioni il Piano
di bacino si pone in posizione sovra-ordinata. Considerata l’impostazione extra-regionale dei Piani di
bacino, questo comporta problemi relativamente al rispetto delle prerogative delle Regioni nelle materie di
loro competenza. Per quanto concerne le pianificazioni urbanistiche, si prevede che le Regioni emanino le
disposizioni necessarie ad attuare il Piano di bacino distrettuale in tale settore. Le disposizioni del piano di
bacino, successivamente all’approvazione hanno comunque carattere immediatamente vincolante sia per
la pubblica amministrazione, sia per i privati, quando il Piano stesso dichiari espressamente tale efficacia. In
attesa della sua approvazione, le Autorità di bacino distrettuale adottano le misure di salvaguardia
immediatamente vincolanti, ma per un periodo non superiore a tre anni (art. 65).
I Piani di bacino distrettuale sono sottoposti, prima della loro approvazione, a valutazione ambientale
strategica. Contestualmente all’adozione del progetto del piano, vengono stabiliti sia i termini per
l’adozione dei provvedimenti regionali, sia le parti del progetto interessanti esclusivamente singole Regioni
o invece più Regioni. In caso di inerzia regionale sono previsti poteri sostitutivi statali che comprendono la
nomina di commissari ad acta, per garantire lo svolgimento delle procedura e l’adozione degli atti
necessari. Ai fini di garantire la pubblicità del Piano, è data notizia dell’adozione secondo le forme e con le
modalità previste ai fini dell’esperimento della procedura di VAS in sede statale. Il Piano di bacino viene
approvato, conclusa positivamente la procedura di VAS, con decreto del Presidente del Consiglio dei
Ministri e poi pubblicato nella Gazzetta ufficiale e nei Bollettini ufficiali delle Regioni territorialmente
competenti.
Nelle more dell’approvazione del Piano di bacino distrettuale, le Autorità di bacino distrettuale adottano i
Piani stralcio di distretto per l’assetto idrogeologico, non soggetti a VAS, che individuano le aree a rischio
idrogeologico, provvedono alla perimetrazione di quelle da sottoporre a misure di salvaguardia e
determinano tali misure. Per le situazioni a più elevato rischio idrogeologico, possono essere adottati Piani
straordinari e programmi di interventi urgenti (artt. 67 68).
L’attuazione dei Piani di bacino distrettuale avviene tramite Programmi triennali di intervento, collegati ai
primi quanto ad indirizzi e finalità. L’oggetto dei programmi di intervento è di tipo strettamente economico,
riguardando gli stanziamenti effettuati su base nazionale, regionale e locale per la realizzazione di opere ed
interventi previsti dai Piani di bacino.
Sempre in relazione all’aspetto attuativo degli interventi contemplati nei Piani, è previsto che le funzioni di
studio e di progettazione e tecnico-organizzative attribuite alle Autorità di bacino possano essere esercitate
anche attraverso l’affidamento di incarichi ad istituzioni universitarie, liberi professionisti ed organizzazioni
tecnico-professionali specializzate.

5. Bonifica e ripristino ambientale dei siti contaminati.

Le diverse discipline di tutela dagli inquinamenti sono mirate a limitare i fenomeni di compromissione
ambientale. Nonostante questo aria, acque e suolo sono soggetti a continue contaminazioni. Ciò può
verificarsi non solo a causa di attività consentite. Che portano ad un inquinamento controllato, ma anche
per la violazione delle normative, per la loro inadeguatezza o per l’avvenuto inquinamento prima
dell’entrata in vigore delle stesse. Quindi è stato necessario individuare una disciplina complementare che
intervenga nel momento in cui si rilevi una situazione di contaminazione grave in determinati siti o aree,
che devono essere sottoposti a bonifica.
Si tratta di una normativa ispirata al principio di correzione alla fonte e al principio chi inquina paga. La
normativa di riferimento è contenuta nel titolo V della parte quarta del d.lgs. 152/2006 (artt. 239 266).
Le norme in questione definiscono gli interventi di bonifica e ripristino ambientale dei siti contaminati
nonché le procedure, i criteri e le modalità di svolgimento delle operazioni necessarie per l’eliminazione
delle sorgenti dell’inquinamento e comunque per la riduzione delle concentrazioni di sostanze inquinanti.

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Non si applicano all’abbandono dei rifiuti, considerato da altre norme del decreto. Per quanto riguarda le
aree caratterizzate da inquinamento diffuso provvedono le Regioni con appositi piani, sia pure nel
rispetto dei criteri generali stabili (art. 239).
Il d. lgs. 152/2006 ha determinato il passaggio da un approccio tabellare, proprio della precedente
disciplina, ad un approccio fondato sull’analisi del rischio relativa ad un determinato sito. Per sito si intende
un’area definita, composta dalle diverse matrici ambientali e comprensiva di eventuali infrastrutture
presenti. Il superamento dei limiti tabellari definiti come concentrazioni soglia di contaminazione (CSC)
non comporta automaticamente la qualifica del sito come contaminato e l’obbligo di procedere alla sua
bonifica , ma rende necessaria la caratterizzazione del sito e l’analisi di rischio “sito-specifica”, da effettuarsi
secondo i principi indicati in allegato. Un sito viene definito come contaminato solo quando risultino
superati i valori delle concentrazioni soglia di rischio (CSR), determinati caso per caso con l’applicazione
della procedura di analisi di rischio e sulla base dei risultati del Piano di caratterizzazione. Per bonifica si
intende l’insieme degli interventi finalizzati ad eliminare sia le fonti di inquinamento che le sostanze
inquinanti, o a ridurre le concentrazioni delle stesse ad un livello inferiore alle CSR. Per ripristino
ambientale si intende l’insieme degli interventi di riqualificazione ambientale e paesaggistica finalizzati al
recupero della fruibilità del sito per la destinazione d’uso conforme agli strumenti urbanistici.

Il decreto detta le procedure da seguire nel caso in cui si verifichi un evento potenzialmente in grado di
contaminare il sito, nonché quando si individui una contaminazione storica che possa ancora comportare
rischi di aggravamento delle condizioni ambientali. Il responsabile dell’inquinamento deve dare immediata
comunicazione alle autorità competenti per territorio e porre in essere entro 24 h le necessarie misure di
prevenzione. Il responsabile dell’inquinamento deve svolgere un’indagine preliminare al fine di accertare se
sia stato superato il livello delle CSC.
- In caso negativo si provvede al ripristino della zona interessata, dandone notizia, con apposita
autocertificazione a Comune e Provincia.
- In caso positivo, il responsabile dell’inquinamento deve darne immediata notizia a Comune e
Provincia e presentare il Piano di caratterizzazione che dovrà essere approvato dalla Conferenza di
servizi convocata dalla Regione. Il sito verrò sottoposto all’analisi del rischio sito-specifica,
finalizzata ad accertare l’eventuale superamento delle CSR. Il documento finale con i risultati
dell’analisi di rischio deve essere approvato dalla conferenza di servizi. Si possono ipotizzare quindi
due scenari. Qualora i livelli di inquinamento accertati siano inferiori alle CSR, a Conferenza di
servizi in sede di approvazione del documento finale dell’analisi del rischio, dichiara concluso
positivamente il procedimento, fermo restando la possibilità di svolgimento di un programma di
monitoraggio sul sito al fine di verificare la stabilizzazione della situazione.

In caso di superamento delle CSR, il soggetto responsabile deve sottoporre alla Regione il progetto
operativo degli interventi di bonifica o di messa in sicurezza operativa o permanente e le ulteriori misure di
riparazioni eventualmente necessarie. La Regioni, con parere del Comune e della Provincia interessati con
apposita Conferenza dei Servizi, e sentito il soggetto responsabile, approva il progetto con eventuali
prescrizioni ed interazioni. L’autorizzazione del progetto operativo. Che fissa la tempistica di esecuzione
degli interventi e stabilisce le garanzie finanziarie necessarie. Costituisce variante urbanistica, comporta
dichiarazione di pubblica utilità. Di urgenza e di indifferibilità dei lavori e sostituisce ogni altro atto a valenza
autorizzatoria.
Il superamento delle CSC in un sito può essere riscontrato anche da soggetti ed organi pubblici, che
devono darne comunicazione alla Regione, alla Provincia ed al Comune competenti. La Provincia, con
ordinanza motivata, notificata anche al proprietario del terreno, diffida il responsabile a provvedere.
Analogamente il superamento delle CSC o il pericolo concreto ed attuale del loro superamento può essere
portato a conoscenza delle autorità competenti da parte del proprietario o del gestore del sito non
responsabili della potenziale contaminazione che hanno in questi casi un obbligo di comunicazione. In
entrambi i casi la Provincia, sentito il Comune, si attiverà al fine di identificare il soggetto cui è imputabile
l’evento.

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Se i responsabili della contaminazione non provvedono direttamente agli adempimenti, o non sono
individuabili, o non intervengono né il proprietario del sito né altri soggetti interessati, le operazioni di
bonifica sono realizzate d’ufficio dal Comune territorialmente competente o dalla Regione. Gli interventi
costituiscono onere reale sulle aree inquinate e le spese sostenute sono assistite da privilegio speciale
immobiliare sulle stesse aree anche in pregiudizio dei diritti acquistati da terzi sull’immobile. È possibile un
contributo pubblico, in misura non superiore al 50% delle spese, qualora vi siano interessi pubblici
preminenti connessi ad esigenze sanitarie, ambientali od occupazionali.

Particolarmente delicata è la condizione del proprietario non responsabile. Nei suoi confronti infatti
possono esercitarsi il privilegio e la ripetizione delle spese, previo provvedimento motivato che giustifichi
l’impossibilità di accertate l’identità del soggetto responsabile, di esercitare azioni di rivalsa nei confronti di
quest’ultimo o di infruttuosità. In ogni caso, il proprietario non responsabile può essere tenuto a
rimborsare le spese degli interventi adottati dall’autorità competente soltanto nei limiti del valore di
mercato del sito determinato a seguito dell’esecuzione degli interventi medesimi. Nel caso in cui il
proprietario non responsabile abbia provveduto direttamente alla bonifica del sito inquinato, può
esercitare direttamente l’azione di rivalsa nei confronti dei responsabili per le spese ed il maggior danno.
Il principio chi inquina paga è temperato in funzione della tutela della finanza pubblica.
Per i soggetti obbligati o interessati a provvedere alla bonifica degli accordi di programma, attraverso i quali
è possibile definire modalità e tempi di esecuzione degli interventi. Le Regioni devono predisporre
un’anagrafe dei siti oggetto di bonifica che comprende siti sottoposti ad intervento di bonifica e ripristino
ambientale nonché interventi realizzati; soggetti cui compete l’intervento di bonifica; enti di cui la Regione
intende avvalersi per l’esecuzione d’ufficio in caso di inadempienza.
Disposizioni specifiche sono previste per i siti soggetti a sequestro, per i siti di interesse nazionale e per i siti
di preminente interesse pubblico per la riconversione industriale.

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CAPITO 8 LA TUTELA E LA GESTIONE DELLE RISORSE

1. Risorse naturali: profili economici.

Il concetto di risorsa, applicato all’ambiente evidenzia il valore economico di alcune componenti ambientali.
La gestione delle risorse deve coniugare istanze di sfruttamento e di salvaguardia. Il problema principale è
quello del rapporto tra gestione e tutela di risorse che devono essere salvaguardate per le generazioni
future e di conseguenza il problema si sposta sull’individuazione dei soggetti che meglio possano
intervenire su tali risorse.

2. La gestione delle risorse idriche ed il servizio idrico integrato.

La gestione delle risorse idriche presuppone la considerazione di più profili. da un lato si tratta di valutare
l’incidenza delle normative di tutela qualitativa e quantitativa e di difesa del suolo; dall’altro occorre
individuare sia gli aspetti di sfruttamento, energetico, agricolo, industriale, civile, sia l’impatto ambientale
delle infrastrutture e delle attività di utilizzazione.
Si distinguono risorse idriche naturali, idriche potenziale e idriche utilizzabili. Le risorse idriche naturali:
corrispondono all’acqua totale presente sul pianeta, e la disponibilità delle stesse è enorme, superiore alle
richieste. Vincoli tecnici, geografici, geologici, idrogeologici riducono la possibilità di impiego delle risorse
idriche naturali, che diventano risorse idriche potenziali che a loro volta sono ulteriormente limitate da
fattori sociali, ambientali ed economici che le rendono finalmente risorse idriche utilizzabili. Il problema che
il diritto si pone è quello di aumentare la percentuale di queste ultime e di sfruttarle razionalmente. Si tenta
di raggiungere questo obiettivo attraverso lo strumento concessorio attraverso cui la PA individua la
soluzione maggiormente rispondente al pubblico interesse attraverso l’esercizio di discrezionalità
amministrativa.
Altro profilo fondamentale è costituito dalla disciplina dei servizi idrici, caratterizzati da una storica
inefficienza.
Il riferimento normativo fondamentale in materia di gestione delle risorse idriche e servizio idrico integrato
è rappresentato dalla parte terza, sezione III, del d. lgs. 152/2006 (artt. 141- 176). Per quanto concerne lo
sfruttamento delle acque pubbliche e la concessione di derivazione si fa riferimento ad alcune disposizioni
del r.d.n. 1775/1933.

2.1. Tutela e gestione delle risorse idriche.

Il d. lgs. 152/2006 detta principi di carattere generale in materia di acque. Alcuni di questi riguardano profili
dominicali altri di tutela, altri di utilizzazione.
È affermata anzitutto la demanialità di tutte le acquee superficiali e sotterranee, ancorchè non estratte dal
sottosuolo. Si specifica inoltre che tutte le acque costituiscono una risorsa da tutelare e da gestire secondo
criteri di solidarietà. Gli usi delle acque sono consentiti in quanto siano salvaguardate aspettative e diritti
delle generazioni future, che devono poter fruire di un patrimonio ambientale integro, con implicito
richiamo allo sviluppo sostenibile. La disciplina degli usi delle risorse idriche è finalizzata alla loro
razionalizzazione con una seria di obiettivi generali: evitare gli sprechi, favorire il rinnovo delle risorse; non
pregiudicare il patrimonio idrico, la vivibilità dell’ambiente, l’agricoltura, la piscicoltura, la fauna e la flora
acquatiche, ecc.
Viene inoltre stabilita una priorità d’uso per il consumo umano.
Mentre il d. lgs. 152/2006 afferma l’appartenenza al demanio statale di tutte le acque, il successivo d. lgs.
N. 85/2010 sul federalismo demaniale, prevede il loro trasferimento al demanio provinciale e regionale. I
criteri di solidarietà si applicano per quanto concerne la salvaguardia del bene ma anche per quanto
riguarda la sua utilizzazione. Alle generazioni future sono riconosciuti non solo aspettative ma anche diritti.
In applicazione dei principi di carattere generale è prevista l’adozione di una serie di misure finalizzate al

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risparmio della risorsa idrica, incidenti sulle infrastrutture, sui servizi idrici, sui comportamenti dei cittadini
(art. 146 d.lgs. \52/2006).
Uno strumento utilizzato per l’implementazione dei principi generali è rappresentato dal bilancio idrico,
definito ed aggiornato periodicamente dall’Autorità di bacino distrettuale competente. Il bilancio è diretto
ad assicurare l’equilibrio fra disponibilità di risorse nell’area di riferimento e fabbisogni per i diversi usi.
L’Autorità di bacino distrettuale adotta in tal senso le misure per la pianificazione dell’economia idrica in
funzione delle utilizzazioni cui le risorse sono destinate.
In questo quadro pianificatorio si deve inserire la provvedimentazione puntuale, rappresentata nella
fattispecie dalla concessione di derivazione di acque pubbliche (r.d. 1775/1933). Attraverso la concessione,
soggetta al pagamento di un canone, i soggetti interessati allo sfruttamento di una determinata risorsa
idrica possono utilizzare acque pubbliche distinguendosi in relazione a quantità ed uso tra grandi e piccole
derivazioni. Mentre originariamente si applicava un criterio di assegnazione cronologico, ora si prevede che
tra più domande concorrenti debba essere preferita quella che presenti al più razionale utilizzazione delle
risorse idriche, tenendo contro delle esigenze per uso potabile, delle caratteristiche quantitative e
qualitative del corpo idrico, della quantità e qualità dell’acqua restituita rispetto a quella prelevata, nonché
delle garanzie tecnico finanziarie ed economiche offerte.
Le domande di concessione sono trasmette all’autorità di bacino distrettuale territorialmente competente,
che comunica il proprio parere vincolante all’ufficio istruttore in ordine alla compatibilità dell’utilizzazione
con le previsioni del Piano di bacino. La previsione di una parere vincolante in sede di istruttoria del
procedimento di concessione sancisce l’intenzione di superare la tradizionale amministrazione per atti
puntuali.
Tra i singoli usi produttivi delle risorse idriche è stabilita una gerarchia. Nei periodi di siccità o di scarsità di
risorse idriche deve essere assicurata la priorità dell’uso agricolo. Le concessioni di grande derivazione ad
uso industriale possono essere rese funzionali ad esigenze di risparmio idrico, attraverso riciclo e riuso
dell’acqua, nei termini quantitativi e temporali che dovranno essere stabiliti in sede di concessione,
tenendo conto delle migliori tecnologie applicabili alle singole fattispecie.
Questo va assicurato anche in relazione ad usi idroelettrici, in particolare le concessioni idroelettriche
devono garantire la permanenza del minimo deflusso costante vitale.

2.2. Il servizio idrico integrato.

I servizi idrici possono essere considerati sotto una duplice prospettiva:


• Attività organizzate finalizzate all’erogazione di specifiche prestazioni;
• Ulteriori fenomeni la cui disciplina incide sulla gestione delle risorse idriche, intrecciandosi pertanto
valutazioni di carattere economico, ambientale e sociale.
Il problema storico è rappresentato dall’inefficienza dei servizi idrici, sia in termini tecnici ed
infrastrutturale, con perdite rilevanti di risorse, sia in termini organizzatori ed economici, con gestioni
cronicamente in passivo. L’individuazione del servizio idrico integrato ha cercato di rimediare a tale
situazione, razionalizzando le gestioni sia da un pdv oggettuale, evidenziando la presenza di gestioni
separate per ogni fase del servizio, sia da un pdv territoriale, superando la tradizionale divisione
amministrativa.
Il servizio idrico integrato (SII) è costituito dall’insieme dai servizi pubblici di captazione, adduzione e
distribuzione di acqua ad usi civili, di fognatura e di depurazione delle acque reflue. Deve essere gestito
secondo principi di efficienza, efficacia e economicità. La razionalizzazione e l’integrazione del SII è
perseguita attraverso l’individuazione di ambiti territoriali ottimali per la gestione del servizio e la
predisposizione di un unico soggetto gestore per ambito ottimale. L’organizzazione del S)II risponde ad
esigenze operative, di superamento della frammentazione di gestioni inefficienti, ma anche ad un principio
di razionalità ambientale, incidendo tutti i servizi sulla medesima risorsa. Il carattere ottimale è da ricercare
nel rapporto tra popolazione, territorio, ambiente ed infrastrutture.

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L’applicazione del principio di solidarietà nella conservazione e nell’utilizzazione delle risorse idriche non
deve peraltro sacrificare le esigenze di economicità e di imprenditorialità proprie del servizio idrico
integrato.
La riorganizzazione dei servizi idrici sulla base di ambiti territoriali ottimali è determinata principalmente da
motivazioni di tipo economico. I servizi idrici devono anche costituire un’attività non solo gestita
correttamente ma anche capace di raggiungere obiettivi di autofinanziamento.
Criteri per la delimitazione degli ambiti territoriali ottimali sono tre:
- Criterio di carattere ambientale, costituito dal rispetto dell’unità del bacino idrografico, tenendo
conto sia delle previsioni e dei vincoli contenuti nei Piani di bacino, che della localizzazione delle
risorse e dei rispettivi vincoli di destinazione anche derivanti da consuetudine, in favore dei centri
abitati interessati;
- Criterio di carattere funzionale, costituito dall’unitarietà della gestione e dal superamento della
frammentazione verticale delle gestioni esistenti;
- Criterio di carattere istituzionale, costituito dal conseguimento di dimensioni gestionali adeguate, la
cui definizione avviene sulla base di parametri fisici, demografici e tecnici .
Il servizio idrico è oggetto di un cd. Monopolio naturale considerato che nello stesso ambito territoriale,
per motivi tecnico economici non è possibile avere più di un soggetto gestore. In caso contrario sarebbe
necessario avere una duplicazione delle reti.
L’efficienza e l’imprenditorialità nel settore devono costituire cardini fondamentali delle forme di gestione
individuate, in modo che le necessità di investimenti nel settore possano essere soddisfatte dall’esercizio
stesso dell’attività. Il riferimento ad ambiti sovracomunali ha la finalità di consentire economie di scala più
proficue, per un recupero dell’efficacia.
La tariffa è vista come unitaria in armonia alla nuova connotazione dei servizi idrici in un unico servizio
integrato. La distinzione in relazione ai singoli servizi dovrà pertanto scomparire gradualmente nel rapporto
con l’utenza, ma continuerà ad esistere in relazione alle analisi dei costi relativi alle singole fasi, per
determinare le componenti di costo del SII. I criteri di determinazione della tariffa sono precisati in modo
analitico:
- Qualità della risorsa idrica e del servizio;
- Opere e adeguamenti necessari;
- Costi di gestione delle opere e delle aree di salvaguardia;
- Quota parte dei costi di funzionamento dell’Autorità di ambito.
La tariffa deve essere tale da assicurare la copertura integrale dei costi, si di investimento che si esercizio,
applicandosi sia il principio del recupero dei costi, sia il principio chi inquina paga. La tariffa base del servizio
idrico integrato è determinata dall’Autorità di ambito, sulla base delle componenti di costo individuate a
livello ministeriale, ed applicata dai soggetti gestori. La tariffa può essere modulata attraverso agevolazioni
per i consumi domestici e per i consumi di determinate categorie economicamente svantaggiate,
introducendo quindi profili sociali.

Sotto il profilo soggettivo occorre distinguere due libelli partendo dalla distinzione tra titolarità del servizio
ed esercizio dello stesso. Il primo livello è quello dell’organizzazione, intesa in senso lato, a cura degli enti
locali. Il secondo livello è quello della gestione del servizio, a cura del soggetto individuato dagli stessi enti
locali. Ritenuta insufficiente la dimensione municipale del servizio idrico integrato occorre disciplinare le
forme di collaborazione possibili tra gli enti locali per l’esercizio delle funzioni amministrative inerenti al
servizio ed in seguito scegliersi il modello di gestione più rispondente alle necessità dell’utenza ed agli
obiettivi posti dal complessivo quadro normativo.

In ciascun ambito territoriale ottimale deve essere costituita un’Autorità di ambito, struttura dotata di
personalità giuridica, alla quale gli enti locali partecipano obbligatoriamente ed alla quale è trasferito
l’esercizio delle competenze ad essi spettanti in materia di gestione delle risorse idriche. L’autorità
d’ambito provvede alla predisposizione ed all’aggiornamento del Piano d’ambito.

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L’autorità d’ambito provvede poi alla gestione del servizio idrico integrato, scegliendo il modello di gestione
e procedendo all’aggiudicazione, mediante gara, del servizio. Il rapporto tra Autorità d’ambito e soggetti
gestori del servizio idrico integrato è disciplinato da un’apposita convenzione, elaborata sulla base di una
convenzione tipo con relativo disciplinare, adottati dalla Regione.

A garanzia degli utenti del SII sono posti strumenti di partecipazione, garanzia ed informazione che
coniugano esigenze proprie di un settore ambientale con quelle inerenti all’erogazione di un servizio
pubblico. I cittadini utenti sono inoltre destinatari di iniziative volte a diffondere la cultura dell’acqua.

Nell0ambito del rapporto tra prestazione dei servizi idrici ed esigenze igienico ambientali è imposto a
ciascun soggetto gestore di dotarsi di un adeguato servizio di controllo territoriale e di un laboratorio di
analisi per i controlli di qualità nelle varie fasi o in alternativa di stipulare apposita convenzione con altri
soggetti gestore. Per quanto concerne più in particolare l’ambito delle aree naturali protette, sia nazionali
che regionali, l’ente gestore dell’area protetta sentita l’Autorità di bacino competente per territorio,
definisce le acque superficiali e sotterranee che sono necessarie alla conservazione degli ecosistemi delle
quali è esclusa la captazione.

3. Le risorse energetiche e minerarie.

La materia può essere fatta rientrare in diversi settori del diritto ma vanno considerati pure gli aspetti
ambientali. Se si tratta da un lato di risorse naturali, dall’altro va considerato anche il loro impatto
ambientale.

3.1. Risorse minerarie, geotermiche e idrocarburi.

Il r.d. 1433/1927 che disciplina la ricerca e la coltivazione di sostanze minerali ed energie del sottosuolo, a
fini di utilizzazione industriale, distingue le lavorazioni soggette alla legge in due categorie, miniere e cave,
per le quali detta regole in parte differenziate.
Le ricerche minerarie sono soggette al rilascio di apposito permesso, che esclude una contestuale
coltivazione. Per poter sfruttare una miniera di cui sia stata riconosciuta l’esistenza e la coltivabilità del
relativo giacimento, è necessaria una concessione mineraria, che l’amministrazione rilascia
subordinatamente alla verifica dell’idoneità tecnica ed economica del richiedente, con prelazione per colui
che abbia svolto l’attività di ricerca, al quale devono essere altrimenti riconosciuti un premio in relazione
all’importanza della scoperta ed un’indennità in ragione delle opere utilizzabili.
Il decreto di rilascio della concessione contiene oltre a dati identificativi e finanziari, gli obblighi e le
condizioni cui l’attività mineraria deve essere sottoposta, nell’ambito dei quali devono trovare spazio
disposizioni di carattere ambientale. Il concessionario è del resto tenuto a risarcire ogni danno derivante
dall’esercizio della miniera, inclusi i danni causati all’ambiente.
Per quanto concerne le cave, cui si applica in via generale la medesima norma generale in materia di
risarcimento del danno, è previsto che la regione possa prescrivere, a pena della revoca immediata
dell’autorizzazione, interventi di messa in sicurezza a carico del conduttore qualora dalla coltivazione derivi
grande pericolo di dissesto idrogeologico, tale da comportare il rischio per l’incolumità delle persone e degli
insediamenti abitativi.
La ricerca e la coltivazione a scopi energetici delle risorse geotermiche sono disciplinate in parziale
concorrenza con il r.d. 1443/1927, dal d. lgs. 22/2010 che distingue in relazione ad un criterio combinato di
entalpia e potenza, le risorse geotermiche di interesse nazionale e quelle di interesse locale. Anche in
relazione allo sfruttamento delle risorse geotermiche è previsto il rilascio di permessi di ricerca a carattere
esclusivo. Tra i parametri di valutazione di domande concorrenti sono considerati il corretto ripristino dei
luoghi e le esigenze di salvaguardia ambientale.

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Il rilascio della concessione per la coltivazione delle risorse geotermiche è subordinato alla presentazione di
una fideiussione commisurata al valore delle opere di recupero ambientale previste a seguito dell’esercizio
dell’attività.
Alla domanda di permesso di ricerca ed alla richiesta di concessione di coltivazione di risorse geotermiche
deve essere allegato un impegno del richiedente alla sistemazione idrogeologica e risanamento paesistico a
seguito dei lavoro ed all’effettuazione della rimessione in pristino dello stato originario dei luoghi, in caso di
incidente.
Per la coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in terraferma, nel mare territoriale e sulla piattaforma
continentale è previsto il rilascio di permessi di prospezione e permessi di ricerca. In entrambi i casi la
domanda deve essere accompagnata da uno studio ingegneristico riguardante la sicurezza ambientale della
prospezione, che tenga conto degli effetti dannosi sul’ecosistema marino che i possibili incidenti possono
causare e le misure che il richiedente intende adottare. Il rilascio del permesso di ricerca è subordinato al
rispetto degli impegni che lo Stato ha contratto in sede internazionale per la tutela dell’ambiente marino ed
è soggetto a revoca ,ma anche su istanza di pubbliche amministrazioni o di associazioni di cittadini, qualora
vi siano gravi motivi attinenti al pregiudizio di situazioni di particolare valore ambientale, mentre sono
sospesi i permessi nelle zone dichiarate parco nazionale o riserva marina.

3.2. Le fonti rinnovabili ed il risparmio energetico.

È considerata energia da fonti rinnovabili l’energia proveniente da fonti rinnovabili non fossili, quali energia
eolica, solare, aerotermica, geotermica, idrotermica, oceanica, idraulica, biomassa, gas di discarica, gas
residuati da processi di depurazione e biogas (art. 2, g. lgs. 28/2001).
Il dibattito sulle fonti rinnovabili è incentrato sulla convenienza economica delle stesse e sul ruolo che
possono assumere in funzione della tutela ambientale. Oltre a misure di promozione specifiche per singole
categorie, si prevede il rilascio della garanzie di origine di elettricità prodotta da fonti energetiche
rinnovabili e in funzione di semplificazione amministrativa di un’autorizzazione unica per la costruzione e
l’esercizio degli impianti di produzione di energia alimentati da fonti rinnovabili.

Si pone il problema della collocazione degli impianti di produzione di energia rinnovabile nel territorio. Se,
sotto il profilo della tutela degli inquinamenti la diffusione di tali impianti ha un valore ambientale positivo,
sotto il profilo paesaggistico si va a modificare dal pdv estetico un determinato ambito territoriale. In
questo senso si prevede che le linee guida per il procedimento di autorizzazione unica debbano assicurare
un corretto inserimento degli impianti nel paesaggio, con particolare riferimento agli impianti eolici e che le
Regioni possano indicare aree e siti non idonei. Il d.m. 10 settembre 2010 che approva le citate linee guida,
contiene una parte specificatamente dedicata all’inserimento degli impianti nel paesaggio e sul territorio.
Disposizioni di incentivazione dell’uso delle energie rinnovabili, del risparmio energetico, della riduzione
delle emissioni di anidride carbonica e dell’utilizzo delle risorse energetiche nazionali sono previste anche
dal d.lgs. 79/1999. In particolare, è disposto che importatori e produttori di energia elettrica da fonti non
rinnovabili debbano immettere nel sistema elettrico nazionale una quota prodotta da impianti alimentati
da fonti rinnovabili. A tale obbligo si può adempiere anche acquistando la quota equivalente da altri
produttori, in quanto immettano l’energia da fonti rinnovabili nel sistema elettrico nazionale o dal festone
della rete di trasmissione nazionale.
In attuazione della direttiva 2009/28/CE, il d. lgs.28/2011 ha previsto ulteriori disposizioni di semplificazione
procedurale e di incentivazione per la costruzione e l’esercizio di impianti di produzione di energia da fonti
rinnovabili,m anche attraverso la rivisitazione dei c.d. meccanismi di sostegno. A tutela delle esigente
ambientali si impone alle Regioni di individuare i casi in cui la presentazione di più progetti localizzati nella
medesima area o in aree contigue debba essere valutata in modo cumulativo nell’ambito della valutazione
di impatto ambientale.
Il d. lgs- 192/2005 di attuazione della direttiva 2002/91/CE si occupa del rendimento energetico nell’edilizia,
attraverso il calcolo delle prestazioni energetiche degli edifici, l’applicazione di requisiti minimi per tali
prestazioni e l’istituzione di un sistema di certificazione energetica.

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4. Le risorse biologiche e la protezione degli habitat.

La tutela apportata dal diritto positivo non è limitata all’habitat naturale ma anche a fauna e flora non è
diretta alla protezione di valori individuali ma alla biodiversità, intesa come obiettivo a sé stante o
dell’utilità che determinate risorse da gestire o da proteggere possono avere per l’uomo.
I riferimenti normativi fondamentali sono rappresentati per la protezione della fauna selvatica dalla legge
157/1992 e per la protezione degli habitat dal d.p.r 357/1997 si attuazione della direttiva 92/43/CEE.

4.1. La protezione della fauna selvatica.

L’esercizio dell0attività venatoria è consentito qualora non contrasti con l’esigenza di conservazione della
fauna selvatica che considerata patrimonio indisponibile dello Stato, da tutelare nell’interesse della
comunità internazionale ed internazionale. Le Regioni prevedono la disciplina della gestione e della tutela
della fauna selvatica, nel rispetto del diritto internazionale e dell’UE. Per fauna selvatica si intende l’insieme
delle specie di mammiferi e di uccelli dei quali esistono popolazioni viventi sostanzialmente o
temporaneamente in stato di libertà naturale nel territorio nazionale, ad esclusione di ratti, talpe, topi. La
regolamentazione dell’attività venatoria comprende diversi aspetti: individuazione delle specie cacciabili;
calendario venatorio; utilizzazione di richiami vivi; autorizzazione all’esercizio della caccia da appostamenti
fissi, attività di tassidermia ed imbalsamazione; armi utilizzabili.

Sono previste funzioni pianificatorie, mirate alla conservazione delle capacità riproduttive, al
conseguimento di densità ottimali, alla riqualificazione delle risorse ambientali ed alla regolamentazione del
prelievo venatorio. Le Province predispongono Piani faunistico venatori articolari per compressori
omogenei, Piani di miglioramento ambientale e Piani di immissione di fauna selvatica.
In particolare, i piani faunistico - venatori comprendono le oasi di protezione, le zone di ripopolamento e
cattura, i centri pubblici e privati di riproduzione in materia di addestramento dei cani da caccia e di
risarcimenti ed incentivazioni per i proprietari e conduttori di fondi rustici (art. 10 l. 157/1992).
Le Regioni, sentite le organizzazioni professionali agricole e le Province, ripartiscono il territorio agro-silvo-
pastorale destinato alla caccia programmata in ambiti territoriali omogenei, per quanto possibile delimitati
da confini naturali, mentre a livello ministeriale viene stabilito l’indice di densità venatoria minima per ogni
ambito. Le Regioni approvano e pubblicano il Paino faunistico - venatorio ed il regolamento di attuazione.
Negli ambiti territoriali di cassia sono costituiti organi direttivi, nei quali devono essere presenti, in via
paritaria, anche rappresentanti delle organizzazioni agricole e delle associazioni venatorie. Gli organismi di
gestione provvedono alla ricognizione delle risorse ambientali e della consistenza faunistica, programmano
gli interventi per il miglioramento degli habitat, erogano incentivi e contributi. Ogni cacciatore ha diritto
all’accesso ad un ambito territoriale ad altri ambiti previo consenso dei relativi organi di gestione.

L’esercizio dell’attività venatoria è subordinato ad una concessione statale, al possesso di licenza di porto
di fucile per uso di caccia, di polizza assicurativa per infortuni e per la responsabilità civile verso terzi e di un
apposito tesserino regionale. (art. 12).

Ai proprietari e conduttori di fondi inclusi nel Piano faunistico – venatorio regionale è dovuto un
contributo, da determinarsi in relazione all’estensione del fondo, alle condizioni agronomiche, alle misure
dirette alla tutela e valorizzazione dell’ambiente. Qualora il proprietario o il conduttore del fondo
intendano dare apporre un divieto all’esercizio della caccia sul fondo, devono proporre richiesta motivata
alla Regione, che l’accoglie in quanto non ostacoli l’attuazione della pianificazione faunistico – venatoria,
fermo restando che l’attività venatorio in forma vagante è vietata sui terreni in attualità di coltivazione e
nei fondi chiusi. Nei fondi sottratti alla gestione programmata della caccia, l’esercizio dell’attività venatoria
è vietato anche a proprietario o conduttore. La disciplina codicistica che si occupa di caccia e pesca si limita

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a disciplinare l’accesso ai fondi per l’esercizio di tali attività con soluzioni differenziate ma non si occupa del
profilo ambientale. (art. 842 c.c.).

4.2. La protezione degli habitat.

Il d.p.r. 357/1997 di attuazione della direttiva 92/43/CEE affronta in modo più ampio le problematiche
relative alla conservazione degli habitat e della fauna e flora selvatiche.
L’obiettivo primario è la salvaguardia della biodiversità, tenendo conto delle esigenze economiche, sociali e
culturali, in particolar modo locali. Sono habitat naturali le zone terrestri o acquatiche che si distinguono in
base alle caratteristiche geografiche, abiotiche e biotiche. Tra questi si distinguono, per le maggiori
esigenze di protezione, gli habitat naturali di interesse comunitario, ed i primi tipi di habitat naturali
prioritari (art. 2). I primi fanno riferimento ah habitat naturali con alto rischio di scomparsa, oppure che
sono presenti in aree ridotte, e ad habitat che hanno caratteristiche specifiche e rappresentative di regioni
bio-geogradiche. I secondi ad habitat che non solo rischiano la scomparsa, ma per i quali l’UE ha una
responsabilità particolare per la loro rilevanza territoriale.
Le Regioni individuano siti che si ritiene di dover sottoporre a tutela particolare. Gli estremi sono
comunicati al Ministri dell’ambiente, affinchè siano sottoposti alla Commissione europea ai fini di un loro
inserimento tra i siti di importanza comunitaria nell’ambito della rete ecologica europea di zone speciali di
conservazione denominata Natura 2000.
Le Regioni che effettuano una valutazione periodica dell’idoneità dei siti alla attuazione degli obiettivi della
direttiva di riferimento, adottano quindi misure per evitare il degrado, misure di conservazione ed
eventualmente Piani di gestione.
Nella Pianificazione e programmazione territoriale si deve tenere conto, attraverso la redazione di una
relazione che ne consideri gli effetti sui siti di importanza comunitaria, dell’incidenza dell’ambiente,
valutata dalle autorità competenti. Qualora il Piano debba essere in ogni caso attuato per motivi imperativi
di interesse pubblico, anche di natura sociale ed economica, vengono individuate misure compensative che
garantiscano la coerenza globale della rete Natura 2000.

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CAPITOLO 9 ALTRI SETTORI DI TUTELA

1. Altri settori di tutela.

Le classificazioni proposte da dottrina e giurisprudenza non sono assolutamente intangibili ed


incontestabili, trattandosi di proposte convenzionali.

2. La mobilità urbana.

La nozione di mobilità urbana non è definita dal legislatore ma essa di usa per intendere una serie di
fenomeni complessi e per comprendere l’insieme delle regolamentazioni ad essi attinenti.

Il concetto di mobilità urbana è diverso da circolazione stradale per l’ambito territoriale interessato, anche
se sono intimamente connessi nell’ambito di una politica dei trasporti di carattere generale. Sotto il profilo
degli oggetti e dei contenuti, la mobilità urbana ha un ambito assai ampio, occupandosi della formazione di
piani; della regolamentazione e delle limitazioni che possono essere poste dalle autorità competenti alla
circolazione stradale; della realizzazione di parcheggi ecc.
L’oggetto della disciplina è tanto ampio quanto l’insieme delle misure che possono essere adottate: divieti,
sanzioni, controlli, incentivazioni e disincentivazioni, zonizzazioni. La mobilità urbana è anche
contraddistinta da interventi straordinari giustificati da una situazione di emergenza.
Lo scopo ultimo della mobilità urbana, come risultante anche dai riferimenti di cui al Codice della strada, p
quello di garantire un più soddisfacente livello di qualità della vita. La delicatezza degli interventi deriva
dall’incidenza che gli stessi normalmente hanno sull’organizzazione sociale. Non a caso la mobilità urbana
costituisce al tempo stesso uno dei problemi più sentiti delle collettività locali ed un banco di prova
impegnativo per le amministrazioni comunali.
La disciplina della mobilità incide pesantemente di atto, sull’assetto urbanistico e viceversa. Il Comune è
l’ente interessato in via primaria alla regolamentazione della mobilità urbana.
Il Sindaco può intervenire in modo sostanziale con proprie ordinanze motivate, secondo più direttrici.
L’aspetto pianificatorio in materia di mobilità urbana è rappresentato prevalentemente dal Piano urbano
del traffico (PUT). Vi sono poi altri strumenti pianificatori che incidono sul sistema della mobilità urbana in
generale e sulla regolazione del traffico in particolare. Si tratta della pianificazione urbanistica e della
pianificazione nel settore dei trasporti, con in particolare, il Piano generale dei trasporti e della logistica.

I comuni con popolazione superiore a 30.000 abitanti sono tenuti ad adottare il Piano urbano del traffico
che deve essere aggiornato ogni due anni. Il PUT deve essere armonizzato con gli strumenti di
pianificazione urbanistica, tendendo conto degli obiettivi generali della programmazione economico-
sociale. Il PUT ha come scopi dichiarati tanto obiettivi attinenti alla viabilità, quali miglioramento della
circolazione e della sicurezza stradale, quanto finalità più propriamente ambientali quali riduzione degli
inquinamenti acustico ed atmosferico ecc. Per una corretta applicazione delle misure pianificatorie , si
prevede il ricorso ad adeguati sistemi tecnologici di controllo, attraverso l’utilizzazione di apparecchiatura
elettroniche che consentano di verificare il possesso di titolo idoneo alla circolazione in una determinata
zona.
Un impulso alla disciplina della mobilità urbana deriva dalla normativa in materia di inquinamento acustico,
i piani relativi alla mobilità urbana sono considerati anche quali provvedimenti utilizzabili per la limitazione
delle emissioni sonore- ai comuni sono affidati compiti di rilevazione e controllo delle emissioni sonore
prodotte dai veicoli nonché l’adozione di Piani di risanamento acustico che devono essere coordinati con il
PUT.
L’istituzione di zone a traffico limitato, quali aree in cui accesso e circolazione dei veicoli sono limitati
temporalmente o per particolari categorie di utenti e di veicoli costituisce uno degli strumenti più comuni
per rispondere a fenomeni della congestione del traffico.

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La circolazione stradale comprende movimento, fermata e sosta dei veicoli. Proprio la regolamentazione
della sosta costituisce uno strumento di intervento particolarmente incisivo nel’ambito della mobilità
urbana. In particolare, la previsione di spazi riservati ai residenti e l’imposizione del pagamento di una
somma per la sosta sono atti a disincentivare l’uso del mezzo privato e le soste di lunga durata specie per i
non residenti.
Per quanto concerne l’accertamento delle infrazioni, considerata l’insufficienza del personale di polizia
municipale, è conferita ai Comuni la possibilità di affidare funzioni non solo di prevenzione ma anche di
accertamento delle violazioni in materia di sosta a dipendenti comunali e dipendenti delle società
concessionarie della gestione dei parcheggi, limitatamente alle aree oggetto di concessione. Funzioni di
prevenzione e di accertamento sono conferite anche al personale ispettivo delle aziende esercenti il
servizio pubblico di trasporto di persone, con estensione alle infrazioni alla circolazione ed alla sosta sulle
corsie riservate al trasporto pubblico.
La revisione periodica dei veicoli costituisce un ulteriore strumento di intervento utilizzabile non tanto per
ridurre la circolazione, quanto per rendere maggiormente compatibili sotto il profilo ambientale e sanitario
le emissioni dei veicoli.
Si sono poi aggiunti anche il controllo delle emissioni inquinanti ed i contenimento del rumore. Il d. lgs.
66/2005, in attuazione della direttiva 2003/17/CE stabilisce le specifiche tecniche relative ai combustibili da
utilizzare nei veicoli anche al fine di contenere l’inquinamento atmosferico provocato.
La realizzazione di parcheggi in quantità adeguata costituisce un fattore rilevante per l’attuazione di un
apolitica della mobilità. È prevista pertanto l’adozione da parte dei Comuni individuati dalla Regione, di un
Programma urbano dei Parcheggi (PUP), che costituisce variante degli strumenti urbanistici.
Sono stabilite anche le priorità nella realizzazione di parcheggi, privilegiando tre categorie: parcheggi
finalizzati a ridurre l’afflusso dei veicoli privati nei centri urbani attraverso l’interscambio con sistemi di
trasporto collettivo; parcheggi situati al di fuori dei centri storici, finalizzati a favorire la fluidità del traffico
veicolare, soprattutto dei mezzi di trasporto pubblico; parcheggi finalizzati ad agevolare la fruizione di aree
pedonali urbane o di zone a traffico limitato mediante la sosta dei veicoli privati per periodi di tempo
limitati.
Sono poi previste facilitazioni per la realizzazione di parcheggi pertinenziali delle singole unità immobiliari,
nell’ottica di rendere le abitazioni autosufficienti per quanto riguarda il fabbisogno di parcheggi per le auto
dei residenti.
La disincentivazione dell’uso privato dei veicoli non può reggersi ovviamente solo su misure restrittive quali
divieti e limitazioni alla circolazione ed alla sosta. Occorre che la pubblica amministrazione predisponga dei
sistemi di trasporto alternativo, efficienti e competitivi in termini di costi per l’utenza, di diffusione sul
territorio e di rapidità degli spostamenti. Il miglioramento delle condizioni i viabilità può avvenire anche
attraverso la modificazione delle abitudini della collettività, rendendo più appetibile l’utilizzazione di mezzi
di trasporto di tipo alternativo o favorendo comunque la fruizione pedonale dei centri storici. Devono
quindi essere privilegiate le realizzazioni più urgenti per il decongestionamento dei centri storici e per
l’interscambio con i sistemi di trasporto collettivo.

3. Gli organismi geneticamente modificati.

La disciplina degli organismi geneticamente modificati OGM e microrganismi geneticamente modificati


MOGM è espressione dell’applicazione del principio di precauzione. La disciplina, in assenza di dati
scientifici certi sulle conseguenze dell’utilizzo di questi organismi, è soggetta a valutazioni discordanti. Il
concetto di modificazione genetica fa riferimento alla variazione del materiale genetico secondo modalità
differenti da quelle che possono avvenire in natura.
Fermo restando che vi sono caratteri comuni, è più corretto parlare di due discipline, una dedicata
all’impiego confinato di MOGM e l’altra all’emissione deliberata nell’ambiente i OGM che hanno
impostazioni differenziate.

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3.1. L’impiego confinato di MOGM

L’impiego confinato di MOGM è disciplinato dal d. lgs. 206/2001, in attuazione della direttiva 90/219/CE.
La tutela della salute e la tutela dell’ambiente rappresentano le finalità centrali della normativa,c he no si
applica alle fasi di trasporto, né ai MOGM immessi sul mercato.
Sono MOGM quei microrganismi il cui materiale genetico è stato modificato in modo artificiale, attraverso
tecniche specifiche, al di là di fenomeni naturali non indotti dall’uomo. Per impiego confinato si intende
ogni attività in cui i MOGM vengono modificati geneticamente o vengono comunque utilizzati e per la quale
vengono adottate misure di contenimento, al fine di limitare il contatto degli stessi con la popolazione o
con l’ambiente. La disciplina si occupa in particolare delle cautele da adottare e dei rimedi da attivare
nell’ipotesi in cui avvenga un incidente, ed è considerato tale ogni evento imprevisto che determini una
diffusione non intenzionale di agenti biologici, dalla quale possa derivare un pericolo immediato o differito.
Devono essere adottate quindi tutte le misure necessarie ad evitare effetti negativi di carattere sanitario ed
ambientale. In particolare, il soggetto responsabile è tenuto ad una valutazione delle caratteristiche e dei
rischi dell’utilizzazione, al fine di classificare l’impiego confinato in una delle quattro classi previste dalla
normativa in relazione alla probabilità del rischio.
L’utilizzatore deve assicurarsi che siano applicate le misure minime di contenimento e protezione e
conservare le registrazioni delle operazioni effettuate, impegnandosi a riesaminare periodicamente
valutazioni e misure.
Il titolare dell’impianto deve invece dare notifica preventiva al Ministero della salute, che effettua
un’istruttoria preliminare e chiede il parere dell’apposita Commissione interministeriale di valutazione in
materia di biotecnologie, ed alla Regione interessate, con indicazioni e modalità differenziate a seconda
della classe di appartenenza degli impieghi confinati.
I dati e le informazioni fornite in sede di notifica sono tutelati per motivi di riservatezza dalle imprese e di
proprietà intellettuale. Non sono considerate quali riservate le informazioni sulle caratteristiche genitali dei
MOGM , la classe dell’impiego, le misure di contenimento adottate e la valutazione degli effetti
potenzialmente nocivi.
Qualora il Ministero della salute ritenga che il mancato funzionamento delle misure di contenimento possa
provocare pericoli gravi, immediati o differiti, per la popolazione o per l’ambiente informa le autorità
territorialmente competenti, che sono tenute a predisporre Piani di emergenza esterni, sulla base delle
informazioni contenute nelle notifiche. Il Sindaco, nella sua qualità di autorità di protezione civile, deve
assicurarsi che la popolazione a rischio venga informata delle misure di sicurezza e del comportamento da
tenere in caso di emergenza. Le informazioni relative devono essere comunque accessibili ed aggiornate.
Qualora si verifichi un incidente, l’utilizzatore deve informare immediatamente ed in forma scritta il
Ministero della salute ed il titolare dell’impianto. Qualora l’incidente possa provocare una situazione di
danno o di pericolo esterno dell’impianto, l’utilizzatore è tenuto ad informare anche il Ministro
dell’ambiente e le autorità territorialmente competenti. La comunicazione deve contenere le circostanze
dell’incidente verificatosi, l’identità e la qualità dei MOGM, tutte le informazioni utili alla valutazione degli
effetti sanitari ed ambientali ed all’eventuale attivazione dei Piani di emergenza- qualora necessario, sono
attivati i Piani di emergenza esterna e sono avvertiti gli altri Stati membri che possano essere coinvolti
nell’incidente. Il ministero della Salute prescrive le misure correttive che ritenga idonee ad evitare analoghi
incidenti ed a limitarne le conseguenze.
Le attività ispettive e di controllo sono esercitate da funzionari individuati dalla Commissione
interministeriale, tenuti ad obblighi di riservatezza. Per l’esercizio di tali attività gli ispettori possono
accedere agli impianti e richiedere tutti i dati e le informazioni necessarie.
Chi ha accusato il danno o la situazione di pericolo è tenuto a procedere a proprie spese, ad interventi di
messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale, secondo la disciplina generale relativa ai siti non
contaminati, fermo restando il risarcimento del danno ambientale non eliminabile tramite l’attività di
bonifica.

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3.2. L’emissione deliberata nell’ambiente di OGM.

L’emissione deliberata di organismi geneticamente modificati nell’ambiente è disciplinata dal d. lgs.


224/2003 in attuazione della direttiva 2001/81/CE.
Il d. lgs. 224/203, al fine di tutelare la salute umana e l’ambiente, in applicazione del principio di
precauzione, distingue due ipotesi: - Emissione deliberata;
- Immissione sul mercato.
In entrambi i casi, i riferimenti agli OGM devono essere intesi in senso estensivo, comprendendo anche le
combinazioni di OGM.
Per OGM si intende un organismo diverso da un essere umano, il cui materiale genetico è stato
modificato artificialmente attraverso tecniche specifiche al di là di fenomeni non indotti dall’uomo.
Una serie di obblighi è comune alle due ipotesi.
In particolare il soggetto interessato ha l’obbligo di compiere una valutazione del rischio ambientale e dei
potenziali effetti negativi, sia diretti sia indiretti sulla salute umana, animale e dell’ambiente. Tali
valutazioni sono oggetto di notifica all’autorità competente, il Ministro dell’ambiente, che effettua
un’istruttoria preliminare, trasmette copia della notifica ai Ministeri interessati ed all’ISPRA ed informa il
pubblico aprendo una fase di consultazione. In caso positivo rilascia l’autorizzazione scritta, corredata dalle
prescrizioni in materia di etichettatura ed imballaggio-
Al procedimento di autorizzazione, nel quale deve essere garantita la consultazione ed informazione
pubblica, partecipa con funzione consultiva la commissione interministeriale per l’elaborazione dei pareri
sulle notifiche e sulle informazioni, appositamente istituita.
- Emissione deliberata: la notifica deve contenere un fascicolo tecnico contenente le informazioni
necessarie per valutare il rischio ambientale, le valutazione del rischio ambientale vera e propria,
corredata di una serie di informazioni, nonché la valutazione del rischio per l’agro-biodiversità, i
sistemi agrari e la filiera agro-alimentare. Il provvedimento di autorizzazione all’emissione deve
precisare le condizioni cui la stessa è soggetta. Disposizioni specifiche sono previste per le sostanze
per i preparati medicinali per uso umano contenenti considerevoli quantità di OGM. Particolare
rilievo assumono la fase di consultazione pubblica e la garanzia di accesso alle informazioni. Chi
coltiva piante geneticamente modificate deve apporre adeguati cartelli di segnalazione.
Il notificante deve inoltre inviare una relazione conclusiva sull’emissione deliberata,m indicando i
risultati della verifica sperimentale.
- Immissione sul mercato: la notifica deve contenere la copia della valutazione della relazione finale
relativa all’emissione della valutazione della relazione finale relativa all’emissione deliberata
nell’ambiente dell’OGM; informazioni che tengano conto della diversità dei luoghi di impiego
dell’OGM; la valutazione dei rischi ambientali; la proposta concernete la durata dell’autorizzazione;
il Piano di monitoraggio; l’etichetta proposta; la proposta di imballaggio; un documento di sintesi.
L’autorità competente nazionale sottopone la notifica alla Commissione interministeriale di
valutazione che elabora una proposta di relazione di valutazione. Su questa base. L’autorità
competente predispone la relazione di valutazione indicando se l’OGM può essere immesso o meno
sul mercato e se sì a quali condizioni. Il documento è trasmesso alla Commissione europea,
attivandosi una fase di consultazione che coinvolga gli Stati membri dell’UE. Qualora non vi siano
obiezioni da parte della Commissione o da parte di altri Stati, l’autorità competente nazionale
rilascia quindi autorizzazione scritta, con validità non superiore a 10 anni e soggetta a rinnovo. Il
provvedimento di autorizzazione nazionale non è necessario qualora vi sia un provvedimento di
autorizzazione emanato dell’autorità competente di altro Stato membro, a condizione che siano
rispettate scrupolosamente le specifiche condizioni di impiego e le relative restrizioni circa ambienti
ed aree geografiche. Il provvedimento di autorizzazione deve indicare l’esatto oggetto
dell’autorizzazione; l’identità dell’OGM da immettere sul mercato, il periodo di validità
dell’autorizzazione, le condizioni per l’immissione sul mercato del prodotto; le misure di tutela per
particolari ecosistemi ecc.

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Immesso l’OGM sul mercato il notificante provvede all’attività di monitoraggio, i cui risultati son
resi pubblici a fini di trasparenza. In generale sono messi a disposizione del pubblico numerosi
elementi. A tutela della riservatezza commerciale ed industriale è posto un obbligo di non
divulgazione delle informazioni non comprese nell’obbligo di pubblicazione. Il notificante può a
questo scopo indicare quali informazioni ritiene debbano rimanere riservate. L’autorità nazionale
competente decide in merito, tenendo contro di quanto stabilito dalla legge, che esclude
espressamente la riservatezza di determinate informazioni. Presso l’autorità nazionale competente
è istituito un pubblico registro informatico, dove sono annotate le localizzazioni degli OGM messi
nell’ambiente per fini diversi dall’immissione in commercio, mentre per gli OGM coltivati per
l’immissione sul mercato sono istituiti registri informatici regionali.
Qualora acquisisca nuove informazioni in merito ai rischi di un OGM,. Il soggetto autorizzato è
tenuto a d adottare tutte le misure di tutela opportune ed a comunicare informazioni e misure
all’autorità nazionale competente. Anche sulla base di diverse ed ulteriori informazioni acquisite in
modo indipendente, l’autorità nazionale competente può procedere alla modifica
dell’autorizzazione originale, sempre passando attraverso una fase di consultazione a livello di UE.
P fatta salva la possibilità di intervenire, con provvedimento d’urgenza, per limitare o vietare
temporaneamente l’immissione sul mercato, l’uso o la vendita nel territorio nazionale di un OGM,
qualora in base a nuove o ulteriori informazioni, vi siano fondati motivi di ritenere sussistente un
rischio sanitario o ambientale prima non considerato.
Gli OGM sono soggetti a prescrizioni specifiche per quanto riguarda etichettatura ed imballaggio-
qualora non possano essere escluse tracce non intenzionali e tecnicamente inevitabili di OGM si
può prescindere dall’etichettatura specifica sotto soglie determinate.
Chi ha causato il danno o la situazione di pericolo è tenuto a procedere, a proprie spese, ad
interventi di messa in sicurezza bonifica e ripristino ambientale, secondo la disciplina generale
relativa ai siti contaminati, fermo restando i risarcimento del danno ambientale non eliminabile
tramite l’attività di bonifica.

4. Il fumo.

La disciplina del fumo non è generalmente inclusa nell’ambito del diritto dell’ambiente, in quanto le
tematiche concernono principalmente profili sanitari individuali. D’altra parte contribuisce
all’inquinamento atmosferico e può provocare disagio e tensione nella fruizione quotidiana di determinati
luoghi. Pertanto la regolamentazione del fumo dovrebbe quindi essere considerata per le conseguenze che
può avere sulla salute e sul benessere dei cittadini, e sulla salvaguardia di determinati ambienti quale parte
del diritto dell’ambiente.
La disciplina di carattere generale nel nostro ordinamento si fonda ancora sulla legge 584/1975 che impone
il divieto di fumane in una serie di ambienti, alcuni collegati servizi pubblici, altri ad una presenza
contemporanea di più persone. Per questi ultimi il divieto non vige qualora il conduttore del locale installi
un impianto di ventilazione o di condizionamento conforme alle caratteristiche definite dall’Ente nazionale
italiano di unificazione ed ottenga apposita autorizzazione dal Sindaco.
L’art. 51 della legge 3/2003 è finalizzato alla tutela della salute dei non fumatori, garantendo i diritti dei
fumatori passivi o il diritto a non essere fumatore passivo. Tale disposizione pone un divieto generalizzato
di fumare nei locali chiusi, ad eccezioni di quelli privati, non aperti ad utenti o al pubblico e di quelli riservati
ai fumatori, contrassegnati come tali. Per questi ultimi viene stabilito l’obbligo di dotarli di impianti per la
ventilazione ed il ricambio di aria, mentre i gestori di esercizi di ristorazione devono adibire alla fruizione
dei non fumatori la maggioranza della superficie complessiva dei locali. Per la tutela dei diritti dei fumatori
è invece previsto che nelle strutture in cui le persone siano costrette a soggiornare non volontariamente
debbano essere previsti locali adibiti ai fumatori. Restano ferme le orme che disciplinano il divieto di fumo
nei locali delle pubbliche amministrazioni- in attuazione e dell’art. 51 della legge 53/2003 il d.p.c.m. 23
dicembre 2003 fissa i requisiti tecnici dei locali per fumatori, dei relativi impianti di ventilazione e di
ricambio d’aria e dei modelli dei cartelli connessi al divieto di fumare.

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