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Diritto penale dell'ambiente

Diritto Penale Dell'Economia  (Università degli Studi di Brescia)

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Diritto penale dell'ambiente


Carlo Ruga Riva

Parte generale

Nozione di ambiente e beni giuridici

Sulla base di una concezione più o meno ampia di ambiente si definisce il confine della relativa tutela penale:
 definizione ristretta di ambiente: componenti della biosfera (acqua, aria, suolo) + flora + fauna;
 definizione ampia di ambiente: comprendente altresì assetto urbanistico, paesaggio e beni culturali

Il confine della definizione di “ambiente” ha rilevanza su tre diversi piani:


 la riconduzione di una disciplina alla materia dell'ambiente comporta la potestà legislativa in capo allo
Stato e alle Regioni (come disciplinato dall'art. 117 Cost.);
 la riconduzione di una procedura al settore ambientale comporta l'attribuzione di poteri amministrativi a
determinati organi;
 la nozione di ambiente rileva in tema di competenza per il gidizio di opposizione alle sanzioni
amministrative, nel senso che la competenza è del Tribunale quando, tra l'altro, si tratta di violazione di
disposizioni in materia di tutela dell'ambiente dall'inquinamento.

La nozione di ambiente può rilevare, agli occhi dello studioso, sotto due profili:
 secondo un profilo sistematico, per raggruppare le varie discipline destinate all'unico bene giuridico
protetto “ambiente”;
 secondo un secondo profilo, qui privilegiato, per interpretare le singole fattispecie penali.
Le fattispecie contravvenzionali non tutelano l'ambiente tout court, bensì, di volta in volta, un certo stato delle
acque, dell'aria e del suolo, un certo assetto del territorio e del paesaggio.

La disciplina che ci interessa è contenuta:


 nel d. lgs. n. 152/2006, detto Testo unico ambientale, in tema di rifiuti, inquinamento idrico e
atmosferico;
 nel titolo VI-bis del codice penale, dedicato ai delitti contro l'ambiente;
 in alcune fattispecie codicistiche previste in altri titoli dal legislatore (es. incendio boschivo) o usate dalla
giurisprudenza (es. danneggiamento).

L'ambiente è quindi l'oggetto della tutela penale, ma questo non comporta necessariamente che esso sia anche
il bene giuridico tutelato. Di volta in volta, può emergere una delle seguenti concezioni:

❶ CONCEZIONE ECOCENTRICA, in cui l'ambiente è effettivamente il bene giuridico;

❷ CONCEZIONE ANTROPOCENTRICA, in cui la fattispecie penale protegge la salute dell'uomo, che


nell'ambiente vive, o altri interessi umani;

❸ Secondo una TERZA ALTERNATIVA, emerge la tutela di talune funzioni della PA (di pianificazione e
controllo di attività impattanti sull'ambiente) e solo indirettamente la tutela dell'ambiente o della salute.
Esempi tipici sono: condotte di mancata collaborazione con le autorità di controllo; mancata tenuta dei
registri; apertura di scarichi non autorizzati.
Secondo alcuni questo modello di incriminazione costituirebbe un improprio impiego del diritto penale, in
quanto non si tutelano beni preesistenti all'intervento legislativo bensì un quid artificiale, di creazione
normativa (una funzione amministrativa). Al contrario, altri affermano che la lesione del bene è integrata
dalla condotta stessa, che ontologicamente è idonea a pregiudicare il bene giuridico protetto. Al di là della
presa di posizione, occorre sottolineare come questo sia un esempio di anticipazione della tutela penale
rispetto a condotte che di per sé non danneggiano il bene finale, limitandosi ad ostacolare la conoscenza
di attività potenzialmente pericolose per l'ambiente. Ciò che importa è non perdere di vista il bene finale
protetto dalla norma, cui mira l'attività amministrativa di controllo, al fine di garantire sempre il rispetto

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del principio di offensività.


Alcuni esempi di compresenza di diversi beni tutelati:
 art. 2 TUA: la disciplina ha come obiettivo primario la promozione dei livelli di qualità della vita umana
(interesse finale), da realizzare attraverso la salvaguardia e il miglioramento delle condizioni
dell'ambiente (interesse strumentale) e l'utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali;
 art. 5 TUA: nel definire l'inquinamento indica il possibile nocumento alla salute umana o alla qualità
dell'ambiente o (terzo interesse) agli usi legittimi dell'ambiente.
Il legislatore non ha scelto una volta per tutte una strategia di tutela dell'ambiente in sé ovvero della salute
umana. Il bene giuridico va individuato volta per volta.

Le scelte legislative sono necessariamente contingenti: un esempio riguarda lo sversamento di formaldeide nelle
acque. In particolare: ad una certa data, lo sversamento integrava illecito penale/amministrativo a seconda che la
sostanza fosse o meno compresa tra le “sostanze di cui è provato il potere cancerogeno” (riferimento ad una
particolare tabella). Ma cancerogena per l'uomo o per le cavie di laboratorio? Alla stessa data, infatti, la
formaldeide era classificata come probabilmente cancerogena per l'uomo, e provatamente cangerogena per le
cavie da laboratorio.
→ Se prevale una concezione ecocentrica, allora il bene tutelato dalla fattispecie di inquinamento idrico è
l'ambiente.
→ Se prevale una concezione antropocentrica (come poi avvenuto in Cassazione), ciò che conta ai fini
dell'integrazione della fattispecie è la cancerogenicità per l'uomo.
In seguito è stata modificata la tabella, che ora fa riferimento a “sostanze classificate contemporaneamente
cancerogene e pericolose per l'ambiente acquatico”: si richiede così congiuntamente un pregiudizio per la salute
umana e per l'ambiente.

In linea tendenziale, nell'ottica antropocentrica attualmente e prevalentemente assunta dal legislatore italiano,
l'ambiente finisce per porsi oggi in un rapporto di anticipazione di tutela alla salute dell'uomo. Rimane aperta,
anche nel quadro europeo, la domanda di fondo: i danni rilevanti per la qualità dell'ambiente sono parametrati ad
un valore “assoluto” dell'ambiente in sé o sono parametrati agli interessi umani? Vale a dire: l'ambiente è
considerato nella sua dimensione di “spazio per l'uomo”?

Tecniche di tutela e struttura dei reati ambientali

Le discipline penali ambientali sono di regola costruite come appendice sanzionatoria di complessi di norme e
procedure amministrative (c.d. funzione sanzionatoria del diritto penale rispetto al diritto amministrativo), tanto
che alcuni parlano di accessorietà del diritto penale al diritto amministrativo, almeno in questo settore, in quanto
il diritto penale dell'ambiente ben potrebbe circoscrivere la sua operatività a stadi di offesa diversi (extrema ratio,
proporzione).
La sovrapposizione tra diritto penale e sottese discipline amministrative può essere più o meno marcata. Vi sono
ciè casi in cui il diritto penale opera una selezione di propri elementi tipici (es. valori soglia diversi da quelli
sanzionati in via amministrativa) capaci di riflettere diverse esigenze di tutela.

La gran parte dei reati ambientali è suddivisibile in tre tipologie, sulla base della condotta incriminata:

a) attività in violazione della sottesa disciplina amministrativa:


 in assenza del provvedimento amministrativo; o
 in difformità dalle prescrizione ivi contenute;

b) superamento di valori soglia predeterminati dalla legge o dall'autorità amministrativa;

c) mancata collaborazione con le autorità di controllo.

La classificazione non è univoca, in quanto vi sono alcuni delitti ambientali costruitit con una vera e propria
disciplina penalistica, non immediatamente ascrivibile a una procedura amministrativa (es. disastro ambientale).

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Altre fattispecie, inoltre, implicano una valutazione diretta del giudice, prescindendo da valori soglia prefissati
dalla legge o dall'autorità amministrativa.

Un esempio è costituito dalla fattispecie codicistica di omessa bonifica (art. 452-terdecies), che punisce chiunque
– essendovi obbligato – non provvede alla bonifica, al ripristino, al recupero dello stato dei luoghi. Tale fattispecie
non è riconducibile al superamento di valori soglia, nel senso che il superamento delle concentrazioni soglia di
rischio non è prefissato ma è l'esito di una procedura ex post legata alle concrete caratteristiche del sito inquinato.
Non si tratta di mancata collaborazione con l'autorità, nel senso che viene punita non l'omissione della
collaborazione ai fini dell'individuazione di attività pericolose ma l'omessa eliminazione delle conseguenze
dannose connesse all'inquinamento (quindi la condotta non è potenzialmente pericolosa per l'ambiente: lo è già,
concretamente!).

Sulla base della struttura, i reati ambientali possono essere:

① REATI DI PERICOLO CONCRETO O DI DANNO

② REATI DI PERICOLO ASTRATTO O PRESUNTO → es. l'immissione oltre i valori soglia non è di per sé idonea a
compromettere il bene giuridico, ma solo a metterlo in pericolo in un orizzonte temporale più lontano, unitamente
ad una serie indeterminata di condotte analoghe poste in essere anche da altri soggetti. Non è agevole calcolare
l'apporto della singola emissione/immissione sullo stato della biosfera, poiché esso dipende da moltissimi fattori la
cui interazione con la singola condotta non è misurabile.
Si tratta di ipotesi di presunzione di offensività (che si addice al concetto di “pericolo astratto”), ossia di plausibile
attitudine della condotta a deteriorare in modo significativo il bene tutelato in prospettiva futura.
= ANTICIPAZIONE DELLA TUTELA ATTRAVERSO I REATI DI PERICOLO ASTRATTO → Come si concilia con il principio
di offensività?
Abbiamo due alternative:
→ o consideriamo illegittimi i reati di pericolo astratto, scegliendo di attendere la consumazione del reato ossia
l'effettiva compromissione del bene tutelato;
→ o li consideriamo legittimi, nei limiti della ragionevolezza.

I reati ambientali consistono quasi sepre (con l'eccezione dei nuovi delitti ambientali) in contravvenzioni, punite
dunque con la pena dell'ammenda e/o dell'arresto. Pertanto sono di regola oblabili. In particolare:
ART. 162 c.p, Oblazione nelle contravvenzioni: (…) il contravventore è ammesso a pagare, prima dell'apertura del
dibattimento o prima del decreto di condanna, una somma pari alla terza parte del massimo edittale. Il
pagamento estingue il reato.
ART. 162-bis, Oblazione nelle contravvenzioni punite con pene alternative (cioè arresto o ammenda) → La
somma in questo caso è pari alla metà del massimo edittale.
La forma contravvenzionale dipende da vari fattori: storicamente i reati ambientali sono inseriti nella legislazione
complementare, vale a dire nella parte sanzionatoria che chiude una disciplina amministrativa. Quindi i reati
ambientali nascono come disobbedienza di precetti amministrativi e non come aggressione diretta di beni
preesistenti all'attività normativa. Benché si tratti della forma di reato più adatta alla collocazione e alla struttura
della maggior parte dei reati ambientali, comporta alcuni problemi di INEFFETTIVITA' di tutela:
 in sede di indagini, preclude alcuni mezzi di prova (es. intercettazioni telefoniche e ambientali);
 è suscettibile di oblazione, e quindi conduce all'”uscita” dal processo penale con il pagamento di una
somma di denaro: si tratta di una monetizzazione non sempre soddisfacente per le istanze di tutela
sottese a serie forme di inquinamento;
 la prescrizione si consuma in quattro anni (aumentabili a cinque in caso di atti interruttivi);
 non operano i termini più lunghi previsti per la recidiva (che riguarda i soli delitti);
 non è punibile il tentativo (circoscritto ai soli delitti, ART. 56 c.p).

Costituzione e ordinamento europeo

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La Costituzione non menzionava l'ambiente, ma la giurisprudenza ha progressivamente emancipato il concetto di


ambiente da quelli, essi sì originariamente presenti nella Carta, di tutela del paesaggio (ART. 9 COST.) e di diritto
alla salute (ART. 32 COST.), fino ad elaborare un vero e proprio diritto all'ambiente salubre. La novella
costituzionale del 2001 ha introdotto per la prima volta l'ambiente (ART. 117 COST.) tra le materie oggetto di
espressa potestà legislativa, attribuendo l'ambiente in via esclusiva allo Stato e la valorizzazione dei beni
ambientali in via concorrente a Stato e Regioni. Lo Stato può legiferare fissando standard uniformi su tutto il
territorio nazionale; le Regioni possono adottare, al più, standard più rigorosi. La giurisprudenza costituzionale è
ormai consolidata nel ritenere l'ambiente non tanto una materia, quanto un valore costituzionale primario.
Quando ha ritenuto incostituzionali alcune normative regionali non l'ha fatto perché esse violavano la potestà
legislativa in materia penale posta in capo allo Stato, bensì perché interferivano con la disciplina amministrativa
dell'ambiente a monte.

L'ordinamento europeo dedica ampio spazio all'ambiente, influenti sia sulla produzione normativa sia
sull'interpretazione delle norme: non di rado ci si imbatte in pronunce del giudice penale che teorizzano una
interpretazione programmaticamente estensiva di alcuni elementi della fattispecie, per non pregiudicare l'efficacia
del diritto comunitario. In linea generale si rileva che l'interpretazione comunitariamente conforme assume il
significato di interpretazione estensiva ovvero meno favorevole all'imputato (es. negazione della rilevanza
esimente di guasti o eventi atmosferici). = IN DUBIO PRO NATURA.

Funzione ripristinatoria del diritto penale ambientale

Si tratta dell'impiego di strumenti di diritto penale sostanziale (es. oblazione discrezionale ex art. 162bis) e
processuale (es. accordi di “patteggiamento”) subordinati a rimessioni in pristino e bonifiche: il comune
denominatore consiste nell'essere configurati come conseguenze dell'accertamento da parte del giudice penale
di un fatto di reato.

es. OBBLIGHI DI RIPRISTINO in relazione al reato di discarica abusiva

es. OBBLIGO DI DEMOLIZIONE delle opere edilizie abusive

Alla funzione ripristinatoria del diritto penale ambientale contribuiscono altresì incentivi premiali (circostanze
attenuanti, cause di non punibilità, sospensioni condizionali della pena subordinate alla rimessione in pristino).

La fx ripristinatoria trova il suo apice nella configurazione dei reati di omessa bonifica (contravvenzionale, art. 257
TUA; delittuosa, art. 452-terdecies c.p), che minacciano un'autonoma sanzione penale per l'inadempimento degli
obblighi di rimessione in pristino.
Gli obblighi di rimessione in pristino rispondono ad una esigenza di effettività della tutela ambientale, in apparente
contraddizione con la natura di pericolo astratto dei reati ambientali. In realtà non vi è contraddizione in quanto
non è esclusa la produzione in concreto di un danno.

Le disposizioni che impongono al giudice, con la sentenza, di disporre obblighi di ripristino costituiscono sanzioni
accessorie di natura amministrativa, come tali non sospendibili, a differenza della pena cui è condannato l'autore
del reato.

La confisca

Numerose disposizioni impongono al giudice di ordinare la confisca dei luoghi in cui si è realizzato l'illecito e delle
opere ivi edificate. L'art. 452-undecies c.p prevede, con riferimento a molti dei nuovi delitti ambientali, la confisca
obbligatoria delle cose costituenti il prodotto/profitto del reato o che servirono a commettere il reato. Prevede
altresì la confisca per equivalente, nel caso non sia possibile la confisca diretta dei beni.

Delimitazione territoriale e temporale

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L'ambiente è la somma di tante aree differenti, e quindi è normale che il legislatore differenzi talvolta la tutela in
ragione dei luoghi o dei tempi (es. la laguna di Venezia è oggetto di una disciplina idrica più severa).
Di recente il legislatore ha sperimentato un nuovo modello normativo con riferimento allo stato di emergenza
dichiarata con decreto dal Presidente del Consiglio dei Ministri: tale modello normativo è destinato a valere in
determinati territori e per determinati periodi . Un esempio è costituito dalla disciplina emergenziali sui rifiuti
originariamente dichiarata nella regione Campania, e successivamente estesa alla Calabria e alla provincia di
Palermo: dapprima il legislatore ha introdotto nuove fattispecie (es. introduzione abusiva nelle aree di discarica
costituenti interesse strategico nazionale) rendendo più efficiente lo speciale regime di smaltimento dei riiuti per
superare l'emergenza; in un secondo momento, ha introdotto – nei soli territtori in cui vigeva l'emergenza rifiuti –
il reato di abbandono di rifiuti ingombranti da parte di privati, inasprendo notevolmente le pene per numerosi altri
reati.

Si tratta di normative inserite stabilmente nell'ordinamento: ciò che cambia è il luogo e il tempo dell'emergenza
ambientale.
La Corte Costituzionale ha respinto le questioni di legittimità per contrasto con l'art. 3, ritenendo che le peculiarità
delle singole situazioni ambientali giustifichino la diversità di trattamento. Perplessità rimangono con riferimento
alla ragionevolezza e proporzione delle pene comminate (aumentate fino a 4 volte rispetto a quelle ordinarie). In
linea generale, inoltre, è discutibile che un elemento costitutivo della fattispecie (la dichiarazione dello stato di
emergenza) derivi da un decreto del Presidente del Consiglio, al di fuori dei controlli parlamentari.

Il c.d. Testo Unico ambientale (TUA)

La frammentarietà della normativa in materia ambientale è stata in parte superata da due interventi legislativi:
 d.lgs.n.152/2006 → disciplina generale; = codice dell'ambiente o testo unico;
Si tratta di un vero e proprio codice? Alla tesi che dava risposta negativa, in quanto mancava la parte
generale o comunque un insieme di principi (la tesi suddetta parlava dunque di “testo unificato”), può oggi
ribattersi che la mancanza di una parte generale è stata superata con due interventi legislativi del 2008 e
del 2010. Le modifiche hanno realizzato una sorta di codificazione per approssimazioni successive.

 titolo VI-bis c.p (introdotto dalla l.n.68/2015) → disciplina speciale.

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Principi sulla produzione normativa: successione di leggi penali nel tempo

Art. 3-bis comma 3, TUA Art. 15, preleggi


Le norme di cui al presente decreto possono essere Le leggi non sono abrogate che da leggi posteriori per
derogate, modificate o abrogate solo per dichiarazione dichiarazione espressa del legislatore, o per
espressa da successive leggi della Repubblica, purchè incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti
sia comunque sempre garantito il rispetto del diritto o perché la nuova legge regola l'intera materia già
europeo, degli obblighi internazionali e delle regolata dalla legge anteriore.
competenze delle Regioni e degli Enti locali.

È lecito dubitare della vincolatività del proposito inserito nel TUA, ben potendosi ritenere che il legislatore possa
derogare alla pretesa di abrogazione/modifica espressa. Al più, il criterio della modifica espressa può costituire un
argomento nei casi dubbi, operando dunque come criterio residuale di interpretazione.

Principio dell'azione ambientale


Art. 3-ter, TUA: La tutela dell'ambiente e degli ecosistemi naturali e del patrimonio culturale deve essere garantita
da tutti gli enti pubblici e privati e dalle persone fisiche e giuridiche pubbliche o private, mediante una adeguata
azione che sia informata ai principi della precauzione, dell'azione preventiva, della correzione, in via prioritaria
alla fonte, dei danni causati all'ambiente, nonchè al principio "chi inquina paga" che, ai sensi dell'articolo 174,
comma 2, del Trattato delle unioni europee, regolano la politica della comunità in materia ambientale.
Dall'inciso “...e dalle persone fisiche” deriva la proclamazione di un dovere in capo al cittadino: tuttavia non è
costituita un'autentica posizione di garanzia penalmente rilevante. La norma infatti fissa un principio, non una
regola di condotta sufficientemente predeterminata da rilevare ai fini della responsabilità omissiva.
Quando si parla di principio di precauzione, è inevitabile rapportarlo alla colpa: sono rimproverabili condotte
tenute in stato di incertezza scientifica, in assenza cioè di evidenze scientifiche che alla condotta consegua
effettivamente l'evento congetturato come pericoloso? Eppure l'art. 3-ter parla non solo agli organi pubblici,
bensì anche ai privati.
→ Si tratta di un modello PROBLEMATICO dal punto di vista del diritto penale, poiché in questo caso il nesso tra la
condotta incriminata e la tutela del bene giuridico si dilata dal pericolo astratto (fondato su leggi scientifiche) ad
un pericolo che la scienza congettura come possibile, ma sul quale non si è ancora formato un sapere
sufficientemente corroborato. Pertanto sarebbe preferibile partire da questo modello per costruire sanzioni ed
illeciti di carattere non penale.

Principio di sussidiarietà e leale collaborazione

Art. 3-quinquies TUA: I principi contenuti nel presente decreto legislativo costituiscono le condizioni minime ed
essenziali per assicurare la tutela dell'ambiente su tutto il territorio nazionale. Le regioni e le province autonome di
Trento e di Bolzano possono adottare forme di tutela giuridica dell'ambiente più restrittive, qualora lo richiedano
situazioni particolari del loro territorio, purchè ciò non comporti un'arbitraria discriminazione, anche attraverso
ingiustificati aggravi procedimentali . = sono ammesse differenziazioni legislative regionali ove tese a dare
maggiore tutela all'ambiente.
Tuttavia, in alcuni casi il legislatore ha ammesso differenziazioni regionali meno restrittive: ad esempio, in tema di
inquinamento idrico, l'art. 137 TUA dà rilievo – con riferimento ad alcune sostanze – al superamento di valori
soglia più alti eventualmente fissati dalle regioni rispetto a quelli previsti dal legislatore statale ( purché sia
dimostrato che ciò non comporti un peggioramento della situazione ambientale e non pregiudichi il
raggiungimento degli obiettivi ambientali). → Dal punto di vista sistematico, si tratta di un'incongruenza tra la
parte generale (art. 3-quinquies) e la parte speciale del TUA (art. 137).

Che valore hanno i princìpi ambientali? Fatta eccezione forse per il principio di precauzione – che vincola
sicuramente gli Stati membri e ha degli effetti anche sui doveri dei singoli cittadini –, la codificazione dei principi
fin qui esaminati ha significato più pedagogico che normativo: ricorda alle amministrazioni e ai privati princìpi di
rango costituzionale e comunitario che operano prima e a prescindere da quanto enunciato in una legge ordinaria.

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Titolo VI-bis c.p.

Collocazione sistematica: la L.n.68/2015 ha introdotto nel codice penale il titolo VI-bis (dedicato ai delitti
ambientali) subito dopo il titolo concernente i delitti contro l'incolumità pubblica. Si tratta di una scelta coerente
con lo stretto legame che intercorre tra incolumità pubblica e ambiente (e che riemerge nelle nuove figure
dell'inquinamento ambientale e del disastro ambientale, ove le offese all'integrità fisica delle persone rilevano
rispettivamente come evento aggravante ed evento alternativo all'offesa delle matrici ambientali).

I nuovi delitti ambientali sono:

 inquinamento ambientale
 disastro ambientale
 traffico di materiale ad alta radioattività
 omessa bonifica
 impedimento del controllo

Tuttavia il corpus di tali delitti diviene il fondamento di norme sostanziali e processuali, con la previsione di:

 aggravanti ad hoc
 norme premiali
 misure accessorie

Si tratta, nel complesso, di una sorta di “mini codificazione verde”.

L'aggravante “verde” comune

Art. 452-novies c.p: Quando un fatto già previsto come reato (ANCHE CONTRAVVENZIONALE!) ① è commesso
allo scopo di eseguire uno o più tra i delitti previsti dal presente titolo, dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152,
o da altra disposizione di legge posta a tutela dell'ambiente, ovvero se ② dalla commissione del fatto deriva la
violazione di una o più norme previste dal citato decreto legislativo n. 152 del 2006 o da altra legge che tutela
l'ambiente, la pena nel primo caso è aumentata da un terzo alla metà e nel secondo caso è aumentata di un
terzo. In ogni caso il reato è procedibile d'ufficio.
Quindi:
Art. 452-novies PRIMO PERIODO Art. 452-novies c.p SECONDO PERIODO
Deve trattarsi, per esclusione, di un reato non
strumentale alla commissione dei delitti ambientali,
perché altrimenti si applicherebbe il primo periodo.
Comprende un'aggravante teleologica, in quanto
presuppone il nesso teleologico tra un reato-mezzo Deve inoltre trattarsi di un reato che non integra gli
(delitto o contravvenzione) e un delitto-scopo. estremi di una o più norme a tutela dell'ambiente, in
quanto, altrimenti, si punirebbe il medesimo fatto due
volte (l'una come reato ambientale, l'altra come
aggravante di quel reato).

L'ambito di applicazione del secondo periodo sembra dunque restringersi notevolmente.


Un esempio di applicazione è un delitto di combustione illecita di rifiuti da cui derivi un incendio boschivo (sempre
che il primo non sia ritenuto soccombente in virtù della clausola “salvo che il fatto non costituisca più grave
reato”). Altri possibili casi sembrano precluse dalle varie clausole di riserva. In altri casi ancora, l'applicazione è
esclusa dalla struttura stessa delle figure di reato: ad esempio, una pluralità di abbandoni di rifiuti che diventa
delitto di discarica abusiva. In questo caso l'art. 452-novies potrebbe indicare che i singoli fatti siano aggravati, MA
il discrimine tra le due figure di reato è dato dalla occasionalità o meno dell'abbandono, sicché le due fattispecie
si pongono in termini di alterità e non di concorso.

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Principio di legalità e fonti non statali o fonti subordinate

Posto che occorre distinguere tra:

INTEGRAZIONE “APPARENTE” INTEGRAZIONE “VERA”


Non integrano il precetto i singoli provvedimenti emanati da
autorità amministrative, la cui violazione dia luogo a
fattispecie di inosservanza del tipo previsto dall'art. 650 c.p.
(es. violazione dell'ordinanza di rimozione dei rifiuti Il rinvio in questo caso riguarda vere e proprie norme generali
abbandonati). In tali ipotesi la qualificazione normativa è e astratte.
già completa: ciò che è rimesso all'autorità amministrativa è
la concretizzazione, la mediazione tra dato normativo e
singola realtà. L'apporto della fonte amministrativa non è
propriamente normativo.

Integrazione dei precetti penali ad opera di fonti diverse dalla legge statale:

 fonti comunitarie → non desta problemi il rinvio a regolamenti anteriori alla norma penale nazionale, in
quanto i regolamenti producono i loro effetti senza necessità di recepimento; più controversa è la
legittimità di rinvii a regolamenti emanati successivamente alla norma penale che li richiama;

 leggi regionali → L'integrazione appare problematica non in ragione del rango della legge regionale, che è
tendenzialmente equiordinata a quella statale, bensì in rapporto alla competenza legislativa (che in
materia penale è esclusivamente statale, così come in materia ambientale). Tuttavia in alcuni casi è la
stessa legge statale a “delegare” alle regioni la fissazione di limiti diversi da quelli statali (si noti come la
fissazione di soglie diverse, pur riguardando materie tecnico-scientifiche, sia prettamente politica, in
quanto dipende dalla maggiore o minore sensibilità all'ambiente o viceversa alle esigenze produttive);

 fonti statali secondarie (decreti ministeriali ) → I decreti ministeriali contengono valori soglia, norme
tecniche, ecc. Il TUA ha inglobato in sé, in appositi allegati, numerose norme tecniche, ma continuano ad
esistere numerosi rinvii esterni. Ferma restando la necessità di un'analisi caso per caso, rimane dubbio che
il rinvio a decreti ministeriali si limiti ad un'integrazione meramente specificativa di natura tecnica (talune
scelte in materia ambientale rispecchiano corrispondenti scelte politiche);

 provvedimenti di autorità amministrative (fonti comunali) → Si tratta in particolare del piano regolatore
comunale e delle norme tecniche di attuazione. Il rinvio è effettivamente a norme generali e astratte,
mutevoli in base alle diverse esigenze locali. Gli strumenti urbanistici sono espressione di scelte
eminentemente politiche, e quindi si può dubitare della natura meramente tecnica dell'integrazione.

→ Così come anche nel caso delle fonti regionali, siamo di fronte a un (ragionevole) compromesso tra esigenze
locali e visione nazionale (corrispondente peraltro al decentramento amministrativo di cui all'art. 5 della
Costituzione). In ogni caso queste fonti secondarie sono adottate al termine di procedure pubbliche e aperte al
dialogo con le minoranze.
Diversamente, nel caso dei decreti ministeriali (in cui comunque le scelte tecnico-scientifiche celano scelte
tipicamente politiche) non vi è garanzia di pubblicità o apertura al dialogo.

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Principio di offensività

Problema: conciliazione tra principio di offensività e struttura dei reati di pericolo astratto o di mera condotta.
In particolare: nei reati di pericolo astratto si lamenta l'incriminazione di condotte cronologicamente lontane
dall'offesa (puniscono come consumato un reato di per sé solo tentato, e il tentativo non sarebbe punibile nelle
contravvenzioni); nei reati di mera condotta, la tutela di funzioni non sembra realmente strumentale alla tutela
dell'ambiente (sarebbe meglio riconducibile all'alveo dell'illecito amministrativo).
Un criterio utile per orientarsi è quello della ragionevolezza-proporzione della sanzione, nel senso che – se non è
possibile discutere su ambiti di discrezionalità politica del legislatore – è possibile verificare che le cornici edittali
siano sufficientemente differenziate.

Un problema ulteriore è costituito dalla conformità al principio di offensività dell'incriminazione di condotte la cui
pericolosità deriva da una seria congettura di pericoli in assenza di evidenze scientifiche attuali. Si tratta in tali
ipotesi di illeciti di rischio , diversi dai reati di pericolo astratto (accertati una volta per tutte dal legislatore) e
concreto (rimessi alla valutazione del giudice caso per caso), che dipendono sempre da elementi di fatto
accertabili sulla base delle leggi scientifiche. L'autore afferma la legittimità degli illeciti di rischio, purché la
congettura di pericolo sia seria, pur in assenza di spiegazioni scientifiche esaurienti e consolidate. Rimangono
comunque alcune necessarie condizioni:
- che il rischio riguardi beni di rango particolarmente elevato (es. salute pubblica);
- che le offese siano di notevole intensità;
- che la tutela penale sia attivata effettivamente come extrema ratio.

In ogni caso, l'orientamento generale della Corte costituzionale è quello di non censurare alcuna fattispecie
incriminatrice in materia ambientale, nonostante il sospetto di contrasto con il principio di offensività.

L'inoffensività in concreto

In alcuni casi la condotta incriminata integra formalmente gli estremi di una fattispecie penale, pur non
sembrando attingere un livello significativo di offesa. Le risposte della giurisprudenza a questo problema non
sono omogenee, ricollegandosi o al principio di offensività o, in alternativa, al reato impossibile.

I casi sono:

 difformità lievissime rispetto al provvedimento autorizzativo;


 opere di modestissime dimensioni per cui comunque il legislatore sembra richiedere apposito titolo
abilitativo.

La giurisprudenza è complessivamente orientata in senso restrittivo, pervenendo ad assoluzione nei soli casi in cui
possa dirsi che la condotta incriminata non è stata neppure astrattamente ed ex ante idonea ad offendere il bene .
Questo filone giurisprudenziale si ricollega espressamente alla sentenza C. Cost. n. 225/2008, secondo la quale
anche per i reati di pericolo astratto è sempre devoluto al giudice l'accertamento in concreto dell'offensività
specifica della singola condotta (in particolare, laddove vi sia inoffensività, viene meno la riconducibilità della
fattispecie astratta a quella concreta e si parla di reato impossibile ex art. 49 cp).
L'autore ritiene condivisibile questo orientamento, ma non ne condivide la motivazione: piuttosto, ad analoga
conclusione si può giungere valorizzando il significato letterale delle condotte incriminate (pregnanza semantica di
taluni termini) e valorizzando il bene giuridico tutelato, oppure invocando il principio di offensività per espungere
dallo spettro condotte isolate o saltuarie.

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La non punibilità per tenuità del fatto

Il legislatore ha introdotto (L.n.28/2015) la non punibilità per particolare tenuità del fatto:

Art. 131-bis cp: [1] Nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni,
ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità
della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’articolo 133, primo comma, l’offesa è
di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale.
Il primo comma indica i c.d. indici criteri, ossia:
- la particolare tenuità dell'offesa;
- la non abitualità del comportamento; → per questo una delle eccezioni è proprio l'abitualità

nonché i c.d. indici requisiti:


- modalità della condotta;
- esiguità del danno/pericolo;

In presenza di fatti astrattamente ed ex ante valutati come offensivi, è attribuito al giudice il potere di verificare ex
post, in concreto, se l'offesa sia di particolare tenuità, tanto da non meritare l'applicazione in concreto della pena
minacciata in astratto.

Eccezioni:

[2] L’offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità, ai sensi del primo comma, quando l’autore ha agito per
motivi abietti o futili, o con crudeltà, anche in danno di animali, o ha adoperato sevizie o, ancora, ha profittato
delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche in riferimento all’età della stessa ovvero quando la condotta
ha cagionato o da essa sono derivate, quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una
persona.
[3] Il comportamento è abituale nel caso in cui l’autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o
per tendenza ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente
considerato, sia di particolare tenuità, nonchè nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte
plurime, abituali e reiterate.

Sono altresì escluse dall'ambito di operatività della norma le seguenti figure di reato:
- art. 256-bis → combustione illecita di rifiuti;
- art. 260 TUA → attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti.

N.B. Sul piano sistematico, i casi di radicale inoffensività devono essere distinti da quelli di particolare tenuità:
questi ultimi sono offensivi, anche se in grado esiguo, tanto da meritare l'iscrizione nel casellario giudiziale e taluni
effetti extrapenali.

L'estinzione delle contravvenzioni ambientali

Il TUA (artt. 318-bis ss.) prevede l'estinzione delle contravvenzioni ambientali che non abbiano cagionato danno o
pericolo concreto per le matrici ambientali, previo:
 adempimento delle prescrizioni impartite dagli organi di controllo; e
 pagamento di un quarto del massimo dell'ammenda stabilita per la contravvenzione.

Il modello di riferimento si trova in materia di sicurezza sul lavoro.

Il meccanismo estintivo non riguarda tutte le contravvenzioni ambientali, ma solo quelle contenute nel TUA (es.
di esclusione: materia OGM). Le fattispecie contravvenzionali collocate al di fuori del TUA che ad esso rinviino per
le sole sanzioni non sembrano rientrare nell'ambito di applicazione della causa estintiva.
L'analogia è preclusa, in quanto le cause estintive sono norme eccezionali, non applicabili per analogia ex art. 14

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preleggi.

Siccome la norma parla di contravvenzioni “...che non abbiano cagionato danno o pericolo concreto”, sono da
escludere necessariamente dall'ambito di operatività le contravvenzioni che abbiano cagionato danno/pericolo
concreto e attuale.

La valutazione va fatta in concreto e non sulla base della struttura della fattispecie. Quindi potranno essere escluse
fattispecie di pericolo astratto che però concretamente abbiano comportato un pericolo. Al contrario, saranno
suscettibili di applicazione della causa estintiva fattispecie di pericolo concreto che però non abbiano comportato
l'attualità del pericolo.

È da rilevare che in questo caso la direttrice va in senso apparentemente opposto a quella dell'inasprimento
della disciplina dei delitti ambientali, consentendo la non punibilità per numerose contravvenzioni. Tuttavia si
tratta più propriamente di una strategia complementare: infatti, in entrambi i casi il legislatore punta al ripristino
delle condizioni ambientali offese dai fatti illeciti. A mutare è solo lo strumento impiegato. Vero è che il risultato
applicativo dipenderà dall'efficienza delle autorità preposte al controllo.

Colpevolezza, caso fortuito, error iuris

In linea generali, i reati ambientali trovano la loro fisiologica collocazione nell'ambito delle attività di natura
imprenditoriale: spetta in primo luogo all'imprenditore organizzare i fattori produttivi in modo da non offendere le
matrici ambientali; a lui spetta l'onere di informarsi circa gli obblighi e i divieti vigenti in materia; a lui spetta
l'adozione di adeguati sistemi antinquinamento, salva la facoltà di delegarne manutenzione e controllo ad altri
soggetti idonei (c.d. delega di funzioni). Pertanto, generalmente la colpevolezza non si ha quando l'inquinamento è
causato nel rispetto delle regole di legge o contenute nell'autorizzazione (non vi è né dolo, né colpa). Una volta
assolti tali doveri preliminari, la questione della colpevolezza rimane aperta, nella misura in cui fattori esterni
possono incidere sulla rimproverabilità dell'agente.
Il caso fortuito rileva come possibile causa di esclusione della colpevolezza (non come causa di esclusione – e
quindi di interruzione – del nesso causale).
La questione della colpevolezza è inoltre legata al tema della conoscibilità dei precetti, che in questa materia sono
complessi e ricchi di rinvii non sempre di facile lettura, e al tema della colpa, in quanto i reati ambientali sono
spesso propri (cioè legati ad una particolare qualifica del soggetto agente) o comunque si legano a posizioni
speciali di garanzia (che portano a dare per scontata la rimproverabilità soggettiva della condotta oggettivamente
conforme al tipo).

Questione dei GUASTI TECNICI → Secondo la giurisprudenza tali guasti sono di regola irrilevanti, in quanto i
garanti della tutela ambientale dovrebbero predisporre sistemi di monitoraggio tali da consentire la prevenzione o
comunque la riparazione immediata del guasto. In altri termini, il fatto in sé di un guasto comprova l'insufficienza
delle misure adottate, dimostrando dunque la responsabilità del soggetto. → vs PRINCIPIO DI COLPEVOLEZZA. →
Occorre una valutazione in termini di diligenza, al fine di dimostrare la effettiva derivazione del guasto da
mancata o cattiva manutenzione.

Questione dell'ERROR IURIS → Parte della giurisprudenza l'ha ritenuto irrilevante, orientamento che rischia di
violare il PRINCIPIO DI COLPEVOLEZZA. Alcuni esempi: errore sulla necessità di una previa autorizzazione; errore
sulla legittimità dell'autorizzazione ricevuta; errore sulla riconducibilità di un dato oggetto alla definizione di
“rifiuto”; errore sulla natura industriale delle acque reflue; … . In ogni caso, si tratta di errori che cadono su norme
amministrative richiamate dalla norma penale.
Art. 5 cp; Ignoranza della legge penale Art. 47 comma 3 cp, Errore di fatto
Nessuno può invocare a propria scusa l'ignoranza della legge L'errore su una legge diversa dalla legge penale esclude la
penale. punibilità, quando ha cagionato un errore sul fatto che
costituisce il reato

Ai fini dell'applicazione dell'art. 5 cp o dell'art. 47 c. 3 cp, occorre distinguere:

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 norme extrapenali integratrici rispetto al precetto penale: fanno parte del precetto penale le norme
definitorie di concetti (es. definizione di “rifiuto”), per le quali si applica l'art. 5;
 norme extrapenali non integratrici: non integrano il precetto penale le singole prescrizioni contenute nei
titoli abilitativi (autorizzazioni, permessi, ecc.); l'errore in questo caso rende applicabile l'art. 47 comma 3.

Problema: quale trattamento giuridico si applica all'errore su disposizioni richiamate da NORME PARZIALMENTE
IN BIANCO e su elementi normativi NON OGGETTO DI DEFINIZIONI?
Le norme parzialmente in bianco sono quelle che descrivono compiutamente la condotta incriminata, rinviando ad
altre norme la determinazione del se e del quando la condotta sarà vietata (es. “in mancanza della prescritta
autorizzazione”).
Tesi della dottrina: l'esistenza dell'obbligo posto dalle norme amministrative concorre a costituire l'imperativo (la
norma è integratrice); si applica l'art. 5. Diversamente, l'errore sulle norme extrapenali in base alle quali si applica
la qualifica normativa (es. bene paesaggistico) rientra nell'ambito dell'art. 47.
Tesi della giurisprudenza: Per legge extrapenale deve intendersi una legge destinata in origine a regolare rapporti
giuridici non di carattere penale e che non sia richiamata in una norma penale. Su questa base, le norme
amministrative in questione sono tutte richiamate dalla legge penale e gli errori sono tutti riconducibili all'art. 5 e
non all'art. 47. Ma: = interpretatio abrogans dell'art. 47 c. 3.
→ Appare più persuasiva la tesi dottrinale.
Inoltre, la C.Cost.n. 364/1988 ha dichiarato parzialmente illegittimo l'art. 5 cp, definendo i limiti dell'efficacia
scusante: l'errore avrà tale efficacia se e in quanto si tratti di errori inevitabili (dove l'inevitabilità è definita in
termini rigorosi).
In sostanza → ciò che differenzia l'art. 5 dall'art. 47 c. 3 è il metro di giudizio alla stregua del quale formulare il
giudizio sulla colposità dell'errore: più rigoroso laddove la norma integri il precetto penale (art. 5), meno
rigoroso laddove conservi la sua autonomia concettuale (art. 47).
Nella materia ambientale, la natura dei reati e la loro riconducibilità tendenziale all'ambito imprenditoriale porta
alla tendenziale irrilevanza dell'errore, posto che chi opera professionalmente in un settore ha il dovere di
informarsi sulle relative normative. La rilevanza scusante ha limitati spazi (es. errore indotto dalla PA, specie in
relazione a soggetti privi di conoscenze specifiche sull'oggetto del parere ottenuto → cioè soggetti privi degli
strumenti per dubitare della correttezza delle informazioni ricevute).

Soggetti

La maggior parte dei reati ambientali è formalmente destinata a chiunque tenga la condotta tipica; tuttavia la
realtà economica e fattuale concorre a qualificare molti reati ambientali come reati propri dell'imprenditore.
Il privato cittadino, invece, è punito dalla legislazione complementare con sanzioni amministrative.
Ciò comunque non esclude, nei reati ambientali, la punibilità dell'extraneus a titolo di concorso e dell'intraneus
in caso di cooperazione nel reato proprio (es. autista che trasporta abusivamente rifiuti per conto del datore di
lavoro), laddove sia provato naturalmente il necessario coefficiente psicologico.
Caso particolare: proprietario del fondo sul quale altri realizzi una discarica abusiva o un'opera edilizia senza titolo
abilitativo. → In giurisprudenza si parla spesso di respoonsabilità per omissione, alla ricerca cioè di obblighi
giuridici di impedire il reato materialmente commesso da altri. Tuttavia, questi obblighi non sono menzionati dalla
disciplina, e le argomentazioni postulano un'idea errata di diritto di proprietà contenente il divieto di utilizzare la
cosa propria in contrasto con gli strumenti urbanistici. Piuttosto, il proprietario può rispondere a titolo
commissivo (concorso morale o concorso materiale).

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Delega di funzioni

= condizioni in presenza delle quali il soggetto apicale della persona giuridica può efficacemente delegare ad altri
soggetti determinati poteri, e liberarsi delle relative responsabilità penali.

Si tratta di:
❶ attribuzione effettiva dei poteri decisionali e di spesa;
❷ individuazione di persona esperta e competente, oltre che presente in loco;
❸ forma scritta e data certa del documento che individua in modo preciso i poteri delegati
+ accettazione scritta del delegato.

A queste condizioni, il reato viene imputato al delegato, a meno che il soggetto apicale non fosse a conoscenza
dell'inerzia del delegato o comunque si fosse intromesso nei poteri di gestione dell'attività rivelatasi illecita. Il
soggetto apicale è altresì responsabile qualora la situazione di pericolo dipenda da scelte imprenditoriali di fondo
facenti capo ai vertici aziendali.

Il delegante in ogni caso non è spogliato di ogni responsabilità: delega l'esercizio di alcuni poteri, ma deve
comunque esercitare un controllo: a) personalmente; b) attraverso sistemi di monitoraggio delegati ad ulteriori
soggetti (es. comunicazioni periodiche).

In caso di imperizia del delegato, il delegante potrà eventualmente rispondere in concorso a titolo di culpa in
eligendo, nella misura in cui le qualifiche del delegato rendessero prevedibile la sua inadeguatezza.

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Parte speciale
Reati contenuti nel D.lgs.n.152/2006 e nel codice penale

Capitolo I: INQUINAMENTO IDRICO

Nozioni

La tutela delle acque è articolata su varie discipline e, sul piano sanzionatorio, vede l'impiego di strumenti
amministrativi o penali. La disciplina penale di maggior interesse è contenuta nell'art. 137 TUA.
La disciplina penale è imperniata su due requisiti:
❶ scarico di acque reflue;
❷ natura industriale delle acque reflue.

Definizione di “scarico” (art. 74): qualsiasi immissione effettuata esclusivamente tramite un sistema stabile di
collettamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore acque
superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante . In
sostanza, la definizione comprende lo scarico c.d. DIRETTO, e cioè il sistema di canalizzazione che colleghi in
modo duraturo le acque reflue dalla fonte di produzione al corpo recettore senza soluzione di continuità.
È escluso il c.d. scarico indiretto, ossia quello in cui il percorso del refluo subisce interruzioni (tipicamente, quando
viene conferito in vasche a tenuta stagna o quando viene trasportato tramite autobotti). Per quanto concerne lo
scarico indiretto, non è applicabile la disciplina sulle acque, ma è applicabile – ricorrendone i requisiti – quella sui
rifiuti (che comprende anche i rifiuti allo stato liquido).
È escluso anche lo scarico occasionale, in quanto manca il requisito della stabilità del sistema di collettamento.
Anche in questo caso, ricorrendone i requisiti, si applicherà la disciplina sui rifiuti.

Concetto di “stabilità” → da intendersi in senso relativo: ad es., è stabile lo scarico legato ad attività stagionali.

Natura “industriale” delle acque (art. 74) → scaricate da edifici/impianti in cui si svolgono attività commerciali o
di produzione di beni, diverse dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento (per le quali
viene integrato l'illecito amministrativo).
In particolare, le acque meteoriche non sono di per sé soggette al codice ambientale, ma lo possono diventare a
tre condizioni: ① devono essere di dilavamento (devono scorrere); ② provenire da condotte separate dalle reti
fognarie; ③ essere oggetto di specifica normativa regionale.
Quindi l'applicabilità dela disciplina penale delle acque in questo caso è ristretta. Tuttavia, la giurisprudenza in
alcuni casi ha ridotto l'area di irrilevanza penale, qualificando come acque di dilavamento solo le acque piovane
che dilavano le superfici, non anche quelle che subiscono contaminazioni con sostante o materiali inquinanti (nel
qual caso, il relativo scarico necessita di apposita autorizzazione, pena l'integrazione della fattispecie penale).

Criteri di distinzione tra acque industriali e acque domestiche → La fattispecie prevede il requisito qualitativo
della diversità delle acque reflue industriali da quelle domestiche. Tale requisito qualitativo però sottintende un
altro requisito quantitativo, in quanto le acque domestiche sono quelle che derivano prevalentemente dal
metabolismo umano e da attività domestiche: viceversa, saranno acque industriali quelle che non provengono
prevalentemente da queste fonti.
I casi più problematici sono quelli in cui le acque reflue sono miste (solo in parte di natura domestica). In alcune
ipotesi, è il legislatore a compiere un processo di assimilazione alle acque domestiche di acque che, per natura,
sarebbero industriali. Si tratta di una finzione giuridica motivata da ragioni di opportunità economica e dallo scarso
impatto ambientale.

Ad esempio, talune normative regionali, a determinate condizioni, hanno ricondotto ad acque domestiche le
acque provenienti dai laboratori di parrucchiere, così come le acque provenienti da altre attività che presentino un
consumo medio giornalieri inferiore a certi quantitativi. In che modo rileva la mancata autocertificazione prevista
dalla normativa regionale? Occorre distinguere:

 mancata autocertificazione di scarichi espressamente assimilati dalla legge regionale alle acque

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domestiche; → NON integra il reato di scarico industriale non autorizzato (costituisce illecito
amministrativo);
 mancata autocertificazione di scarichi non espressamente assimilati ma assimilabili su domanda
dell'interessato; → L'assenza dell'autocertificazione esclude il carattere domestico dello scarico, quindi
viene integrato il reato di scarico industriali non autorizzato. È esclusa la prova della natura domestica
dello scarico.

Le singole fattispecie penali

L'art. 137 contiene 14 fattispecie penali, suddivisibili nelle seguenti categorie:

❶ scarico in assenza di valida autorizzazione → La fattispecie (art. 137 comma 1) punisce chi (al di fuori del caso
di scarico proveniente da impresa soggetta ad Autorizzazione Integrata Ambientale, AIA):
 apre ex novo uno scarico o utilizza uno scarico preesistente in assenza della prescritta autorizzazione (se
e solo se lo scarico ha ad oggetto reflui industriali);
 utilizza uno scarico per cui l'autorizzazione è stata sospesa o revocata.

Problema: e il caso dell'autorizzazione scaduta? Alla stregua del tenore letterale della norma, non dovrebbe
essere compreso dalla fattispecie, ma la giurisprudenza applica comunque la norma, facendo leva sulla natura
giuridica dell'”effettuazione di nuovo scarico” (il nuovo sarebbe dal punto di vista giuridico). Al di là dei possibili
significati letterali, occorre fare riferimento alla normativa amministrativa in tema di rinnovo delle autorizzazioni.
In particolare, vi sono casi di:
 scarichi con sostanze pericolose → lo scarico deve cessare trascorsi 6 mesi dalla scadenza
dell'autorizzazione. Nel caso lo scarico non cessi, è integrata la fattispecie di scarico non autorizzato;
 altri casi → lo scarico può essere mantenuto finché non venga rilasciata nuova autorizzazione. In questo
caso, l'autorizzazione è sì scaduta, ma una norma (non un provvedimento della PA) opera come causa di
giustificazione ex lege.

Problema: e il caso dell'autorizzazione formalmente esistente ma dichiarata poi illegittima? In linea di massima,
è da verificare – ai fini dell'integrazione della fattispecie penale – se l'illegittimità dell'autorizzazione fosse
conosciuta o conoscibile dal titolare dello scarico. In caso contrario, il titolare avrebbe tenuto una condotta tipica
ma a lui non rimproverabile per assenza di colpa.

Art. 137 comma 2: Quando le condotte descritte al comma 1 riguardano gli scarichi di acque reflue industriali
contenenti le sostanze pericolose comprese nelle famiglie e nei gruppi di sostanze indicate nelle tabelle 5 e 3/A
dell'Allegato 5 alla parte terza del presente decreto, la pena è dell'arresto da tre mesi a tre anni . → La pena diviene
esclusivamente detentiva (= circostanza aggravante ad effetto speciale). Si tratta di aggravante, e non di
fattispecie autonoma, perché vi è un elemento specializzante rispetto alla fattispecie base, la quale invece non
distingue tra sostanze pericolose o meno.

Art. 137 comma 3: Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui al comma 5 (cioè il superamento dei valori soglia di cui
al punto 2), effettui uno scarico di acque reflue industriali contenenti le sostanze pericolose comprese nelle famiglie
e nei gruppi di sostanze indicate nelle tabelle 5 e 3/A dell'Allegato 5 alla parte terza del presente decreto (ossia le
stesse sostanze di cui al comma 2) senza osservare le prescrizioni dell'autorizzazione, o le altre prescrizioni
dell'autorità competente a norma degli articoli 107, comma 1, e 108, comma 4, è punito con l'arresto fino a due
anni.

❷ scarico in violazione dei limiti tabellari → Il valore soglia individua il punto di equilibrio tra attività
imprenditoriale lecita e attività penalmente illecita, ovvero il livello di inquinamento consentito. La tecnica è

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quella dei reati di pericolo astratto, che non ammettono prova contraria – in concreto – circa l'inidoneità della
condotta a mettere in pericolo il bene tutelato. Un recente intervento legislativo ha chiarito che la sanzione penale
è riservata esclusivamente al superamento dei valori limite riferiti a 18 sostanze di particolare pericolosità,
mentre negli altri casi si applica la sanzione amministrativa (art. 133 TUA) (c.d. abolitio criminis parziale).

Art. 137 c. 5 ultima parte: Se sono superati anche i valori limite fissati per le sostanze contenute nella tabella 3/A
dellAllegato 5, si applica l'arresto da sei mesi a tre anni e l'ammenda da seimila euro a centoventimila euro (come
sopra: circostanza aggravante a effetto speciale).

Ai sensi dell'art. 137 c. 6, valgono per i depuratori gli stessi limiti previsti in relazione agli scarichi industriali.

❸ violazione di prescrizioni, provvedimenti e divieti disposti dalle autorità competenti → Si tratta di norme
penali sanzionatorie che rinviano in tutto o in parte a norme o provvedimenti amministrativi collocati fuori dal
precetto penale.

Un'ipotesi peculiare è lo scarico delle acque nel mare da parte di navi/aeromobili in contrasto con le convenzioni
internazionali. La fattispecie incrimina lo scarico di sostanze di cui sia imposto il divieto assoluto di sversamento ai
sensi delle convenzioni internazionali vigenti e ratificate dall'Italia.
Il rinvio è alla c.d. Convenzione Marpol del 1973.
La tecnica utilizzata non è in linea con il principio di precisione (corollario al principio di legalità), rendendo difficile
anche la conoscibilità del precetto, con inevitabili ripercussioni sul piano soggettivo della colpevolezza.
L'art. 137 comma 13 aggiunge una clausola di esclusione della tipicità per inoffensività o comunque estrema
esiguità dell'offesa (ad esempio quando le quantità siano innocue), comunque in presenza di autorizzazione
preventiva.
Si tratta di un originale modello di incriminazione, che configura un reato di pericolo astratto sui generis,
suscettibile di prova contraria limitatamente ad una classe di fatti (e in presenza di una previa autorizzazione, che
a rigore nulla toglie o aggiunge all'offensività della condotta ma si limita a tutelare le funzioni delle autorità di
controllo). I due interessi (bene ambientale in sé e tutela strumentale della PA) emergono autonomamente:
 il bene ambientale come parametro di tipicità; → l'autorizzazione non scrimina lo scarico non innocuo;
 l'interesse della PA come parametro di liceità; → lo scarico senza previa autorizzazione costituisce illecito
anche quando innocuo;

La norma interferisce con il d.lgs.202/2007 sull'inquinamento provocato da navi:


 abrogazione implicita della norma antecedente?
 specialità della norma antecedente? → questa tesi appare coerente con l'impianto suggerito poi dal
legislatore con l'art. 3-bis, il quale esige abrogazioni espresse per le proprie norme.

❹ violazione degli obblighi volti a consentire l'accertamento di illeciti da parte delle autorità di controllo → es.
impedimento all'accesso agli insediamenti produttivi da parte delle autorità di controllo.
Si tratta di reati ostacolo, che mirano a disincentivare e a punire chi non crea le condizioni per la ricostruzione
delle possibili condotte di inquinamento.

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Il codice penale

Alcune fattispecie codicistiche puniscono più severamente le contaminazioni, a differenza della mite disciplina
contravvenzionale.

❶ avvelenamento di acque destinate all'alimentazione (art. 439 cp): le sostanze immesse nell'acqua sono
tossiche per l'organismo umano anche a piccole dosi; non si tratta di un reato di pericolo concreto, in quanto non
esige che l'avvelenamento provochi un pericolo valutabile dal giudice.
Naturalmente si tratta di un pericolo “reale”, vuoi per la pregnanza semantica del termine “avvelenamento”, vuoi
perché il pericolo deve essere accertato al metro della scienza per un numero indeterminato di persone (pur
astraendosi dalle caratteristiche dei singoli potenziali assuntori). Quindi vi sarebbero due indici:
 un indice qualitativo → sostanze tossiche;
 un indice quantitativo → effettiva idoneità delle sostanze, per quantità e concentrazione, di produrre
concreto pericolo. Quindi: non integra di per sé avvelenamento il mero superamento dei limiti di
potabilità dell'acqua, posto che quest'ultimo costituisce un reato di pericolo astratto.
Ancora, per salvaguardare la natura di pericolo “concreto”, si considera necessaria la destinazione attuale delle
acque all'alimentazione: non anche la destinazione solo potenziale, in quanto essa trasformerebbe il pericolo
concreto in un pericolo potenziale.
Con l'introduzione di apposite normative, la giurisprudenza ha preferito puntare su quelle – che prevedono la
prova del superamento di specifici limiti tabellari – piuttosto che lanciarsi nell'ardua prova del pericolo per la
salute umana.

❷ adulterazione di acque destinate all'alimentazione (art. 440 cp): le sostanze non sono tossiche per l'uomo; si
tratta di un reato di pericolo concreto, in quanto la fattispecie esige che l'adulterazione renda le acque pericolose
alla salute pubblica.

❸ distribuzione di acque avvelenate o adulterate da altri (art. 442 cp): Chiunque, senza essere concorso nei
reati preveduti dai tre articoli precedenti, detiene per il commercio, pone in commercio, ovvero distribuisce per il
consumo acque, sostanze o cose che sono state da altri avvelenate, corrotte, adulterateo contraffatte, in modo
pericoloso alla salute pubblica, soggiace alle pene rispettivamente stabilite nei detti articoli.

Tutti e tre i delitti sono puniti anche nella forma colposa (art. 452 cp). In giurisprudenza si riscontrano pochissime
applicazioni delle fattispecie appena viste, e soprattutto nella forma colposa.

Maggiore fortuna applicativa ha viceversa ottenuto il reato di danneggiamento (art. 365 cp), che punisce
chiunque distrugge, disperde, deteriora o rende inservibili cose mobili/immobili altrui. Il reato di danneggiamento
è collocato fra i reati contro il patrimonio, ma ciò non ha impedito alla giurisprudenza di ritenere punibili a titolo di
danneggiamento aggravato le condotte di deterioramento delle acque causate da scarichi inquinanti (es. causati
da depuratori non funzionanti).
Il deterioramento delle acque consiste nella prolungata inidoneità a servire per la loro funzione di irrigazione e
abbeveraggio (e anche nel caso di reversibilità di tale condizione).
La patrimonialità starebbe nella ridotta utilizzazione delle acque e nei costi necessari per la loro bonifica e
depurazione.
Secondo la giurisprudenza, il reato di danneggiamento idrico concorre con eventuali altri illeciti penale propri
della disciplina di settore. Si parla di assorbimento, secondo la dottrina. Il problema si pone con riferimento ai
fatti di INQUINAMENTO IN SUPERAMENTO DEI VALORI LIMITE CHE CAUSINO DETERIORAMENTO DELLE ACQUE.
Sembra che l'inquinamento idrico sia in questo caso assorbito da quello di danneggiamento, nella misura in cui il
danno concreto assorba (appunto) il pericolo causato dal mero superamento dei limiti tabellari. Questa
interpretazione risulta coerente con la più bassa sanzione prevista per l'inquinamento idrico.

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Capitolo II: RIFIUTI

Nozioni

La PARTE IV del TUA è dedicata alla materia dei rifiuti e della bonifica dei siti inquinati.

Art. 183 comma 1 lett. a): Ai fini della parte quarta del presente decreto e fatte salve le ulteriori definizioni
contenute nelle disposizioni speciali, si intende per: a) "rifiuto": qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si
disfi o abbia l'intenzione o abbia l'obbligo di disfarsi.

L'Allegato D riproduce invece le tipologie di rifiuto contenute nel c.d. CER (catalogo europeo dei rifiuti),
contrassegnandole con un codice a sei cifre (codici a specchio). Il codice CER classifica i rifiuti nel modo seguente: i
primi due numeri del codice indicano la fonte di provenienza del rifiuto, mentre gli altri quattro specificano la
tipologia di rifiuto. Se il rifiuto è pericoloso, lo indica con un asterisco.

L'ampio elenco dell'allegato D è richiamato dall'art. 184 comma 5 TUA: L'elenco dei rifiuti di cui all'allegato D alla
parte quarta del presente decreto include i rifiuti pericolosi e tiene conto dell'origine e della composizione dei rifiuti
e, ove necessario, dei valori limite di concentrazione delle sostanze pericolose. Esso è vincolante per quanto
concerne la determinazione dei rifiuti da considerare pericolosi. L'inclusione di una sostanza o di un oggetto
nell'elenco non significa che esso sia un rifiuto in tutti i casi, ferma restando la definizione di cui all'articolo 183.
Questo, unito al fatto che la classificazione “xx xx 99” menziona “rifiuti non specificati altrimenti”, fa sì che l'elenco
non offra definizioni chiuse o rigide. L'elenco, in altre parole, ha valore relativo: la classificazione di una sostanza
come rifiuto nell'allegato D assume valore indiziario, che sarà confermato o smentito nel caso concreto
dall'effettivo uso, destinazione o intenzione di impiego.
In particolare, la giurisprudenza ritiene che la natura di rifiuto vada presunta, gravando sull'imputato l'onere di
allegare la natura di sottoprodotto o di non rifiuto.

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Nel caso di un rifiuto classificato con CER a “specchio”, per stabilire se debba essere gestito come non pericoloso
ovvero pericoloso, deve essere valutata la possibilità di assegnare uno dei codici di pericolo H all'esito di una
complessa analisi (della scheda informativa del produttore, del processo chimico di produzione, del
campionamento, ecc.). In caso di ignoranza, in base al principio di precauzione, il rifiuto va classificato come
“pericoloso”.

L'art. 183 lett. b) offre una definizione più puntuale e stringente di “rifiuto pericoloso”: rifiuto che presenta una o
più caratteristiche di cui all'allegato I della parte quarta del presente decreto.
Art. 184 c. 5: [L'elenco dei rifiuti di cui all'allegato D] è vincolante per quanto concerne la determinazione dei rifiuti
da considerare pericolosi. Tali sostanze quindi sono “assolutamente pericolose”, ed il relativo elenco – a
differenza di quello precedente – è rigido e chiuso.

Le classi di pericolo sono quindici (Allegato I), a seconda delle proprietà di pericolo.

Alcune note:
 durante la raccolta e il trasporto, i rifiuti pericolosi devono essere imballati ed etichettati in conformità alle
norme in materia (art. 193 comma 4 TUA);
 la declassificazione da rifiuto pericoloso a rifiuto non pericoloso non può avvenire tramite diluizione o
miscelazione del rifiuto che comporti una riduzione della concentrazione iniziale di sostanze pericolose
(art. 184 comma 5-ter TUA).

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Concezione di “rifiuto”

In dottrina si sottolinea la natura oggettiva della concezione di rifiuto, sulla base della destinazione oggettiva della
cosa e dell'individuazione degli obblighi di legge di disfarsi di una determinata cosa. La giurisprudenza ha però
valorizzato l'intenzione del detentore ai fini di risolvere i casi dubbi: vale dunque un'interpretazione estensiva di
rifiuto, desunta vuoi dalla oggettiva destinazione della cosa, vuoi dall'intenzione dimostrata dal detentore di
trattare la cosa come rifiuto.

Il concetto di “rifiuto” rimane vago: soccorrono – almeno in parte, e in negativo – le definizioni di sottoprodotto e
di cessazione della qualifica di rifiuto (che si sovrappone al concetto di materie secondarie); tali definizioni sono
state progressivamente ampliate dalla legislazione europea, per favorire la preparazione per il riutilizzio e lasciare
lo smaltimento come extrema ratio.

Effetti derivanti dalla riconduzione di una sostanza al concetto di rifiuto:


 apposita procedura per la gestione (raccolta, trasporto, stoccaggio, smaltimento, recupero, ecc.) composta
di autorizzazioni e comunicazioni ad organi ed enti pubblici;
 apposite procedure di controllo.
La disciplina in materia di gestione dei rifiuti si applica fino alla cessazione della qualifica di rifiuto, e cioè finché
non sia stato sottoposto a un'operazione di recupero, incluso il riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo.
Scopo del legislatore è quello di tracciare il percorso di vita del rifiuto, dalla sua produzione fino allo smaltimento o
al recupero, in modo da prevenire abusi di gestione o almeno di risalire ex post all'autore dell'illecito. Ovviamente i
costi burocratici della gestione legale sono più alti dei costi della gestione illegale, in larga parte in mano alle c.d.
ecomafie. Il sistema informatizzato di controllo della tracciabilità dei rifiuti è denominato SISTRI, che consente –
per alcune categorie di rifiuti e solo quando entrerà pienamente a regime – di verificare in tempo reale i dati
relativi al rifiuto in ogni fase della sua gestione.

In capo al detentore di rifiuti, sono previsti alcuni oneri:


 se non smaltisce “in proprio”, è soggetto a obblighi determinati nella scelta dei soggetti cui consegnare i
rifiuti;
 egli conserva la responsabilità per l'intera catena di trattamento (anche qualora consegni i rifiuti a uno dei
soggetti autorizzati di cui sopra);
 egli è soggetto a obblighi di documentazione e informazione sul corretto smaltimento dei rifiuti consegnati
ad altri;
 il detentore ha l'onere di controllare la sussistenza, in capo ai soggetti consegnatari, delle apposite
autorizzazioni (in caso contrario, risponde a titolo di concorso nel reato).
Il detentore non aderente al SISTRI che conferisca rifiuti a soggetti autorizzati è esente da responsabilità se è in
possesso del formulario di cui all'art. 193 TUA (ossia un formulario contenente informazioni sul mittente, sul
destinatario, sull'origine e sulla natura dei rifiuti, e sulla data e sul percorso dell'istradamento), controfirmato e
datato in arrivo dal destinatario entro tre mesi dal conferimento dei rifiuti al trasportatore.

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Classificazione dei rifiuti

Art. 184 TUA: i rifiuti sono classificati, secondo l'origine, in rifiuti urbani e rifiuti speciali e, secondo le
caratteristiche di pericolosità, in rifiuti pericolosi e rifiuti non pericolosi.

Rifiuti urbani Rifiuti speciali, ossia quelli derivanti da


Rifiuti domestici Attività agricole e agroindustriali
Rifiuti non pericolosi e non provenienti da abitazioni, Attività di demolizione, costruzione e scavo
assimilati ai rifiuti urbani per quantità e qualità
Rifiuti provenienti dallo spazzamento strade Lavorazioni industriali
Rifiuti giacenti su strade e aree pubbliche Lavorazioni artigianali
Rifiuti vegetali provenienti da aree verdi Attività commerciali
Rifiuti provenienti da attività cimiteriale Attività di servizio
Attività di recupero e smaltimento rifiuti
Attività sanitarie

Abbiamo visto che gli indici di pericolosità sono indicati dall'Allegato I.


La normativa italiana ha ad oggetto sia i rifiuti pericolosi sia i rifiuti non pericolosi , e questa è una scelta
discutibile, dato che agli illeciti in materia di rifiuti non pericolosi potrebbero bastare sanzioni amministrative. Al
contrario, il legislatore italiano ha previsto sanzioni penali; in particolare, la natura pericolosa dei rifiuti comporta
un mero aggravamento della pena rispetto alle fattispecie in tema di rifiuti non pericolosi.

Limiti al campo di applicazione della disciplina sui rifiuti

Ai sensi dell'art. 185 comma 1 TUA, sono sottratte alla disciplina sui rifiuti determinate tipologie di oggetti o
sostanze in sé considerati:

 emissioni costituite da effluenti gassosi emessi nell'atmosfera;


 il terreno (in situ), incluso il suolo contaminato non scavato e gli edifici collegati (fermi restando gli
obblighi di bonifica);
 il suolo non contaminato e altro materiale allo stato naturale escavato nel corso di attività di costruzione,
ove sia certo che il materiale verrà riutilizzato a fini di costruzione e nello stesso sito;
 i rifiuti radioattivi;
 i materiali esplosivi in disuso;
 le materie fecali e i materiali vegetali non pericolosi usati in agricoltura

L'esclusione vale inoltre per determinati oggetti o sostanze in quanto regolati da altre disposizioni (comunitarie o
interne):

 acque di scarico;
 sottoprodotti di origine animale;
 carcasse di animali morti per cause diverse dalla macellazione;
 rifiuti derivanti dall'attività di estrazione mineraria.

L'esclusione dalla definizione di rifiuto (e dalla relativa disciplina) vale infine, a certe condizioni da valutarsi in
concreto, per:
 i sedimenti spostati all'interno di acque superficiali;
 il suolo escavato non contaminato e altro materiale allo stato naturale utilizzati in siti diversi da quelli in
cui sono stati escavati → in questo caso, la sorte di questo materiale può essere quella di rifiuto,
sottoprodotto o materia prima secondaria, a seconda delle caratteristiche e dell'impiego che si intenda
farne.
Questione delle acque di scarico:

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Disciplina sulle acque Disciplina sui rifiuti


c.d. SCARICO DIRETTO → senza soluzione di continuità c.d. SCARICO INDIRETTO → si ha interruzione del
tra la fonte del rifiuto liquido e il luogo di immissione. deflusso tra il luogo di produzione e immissione nel
corpo recettore (es. vasche a tenuta stagna e trasporto
tramite autobotte).

Questione delle emissioni in atmosfera:

Si applica la disciplina sui rifiuti solo ove gli effluenti gassosi derivanti da produzione siano stoccati (ad es. in
contenitori chiusi) e smaltiti in impianto indipendente : non costituiscono rifiuto, invece, gli effluenti gassosi
immessi nell'atmosfera direttamente al termine di attività produttiva.

I sottoprodotti

Al di là delle esclusioni riferite a determinate tipologie di sostanze/oggetti, vi sono esclusioni riferite a categorie
più ampie:
 sottoprodotti
 cessazione della qualifica di rifiuto con trasformazione in altri prodotti o sostanze, un tempo denominate
materie prime secondarie.
Posto che tutto ciò che è sottoprodotto non è per ciò stesso qualificabile come rifiuto, alle relative condotte
corrisponderanno fenomeni di parziale abolitio criminis.

L'art. 183 definisce “sottoprodotto” qualsiasi sostanza che soddisfa le condizioni di cui all'art. 184-bis comma 1, o
che rispetta i criteri stabiliti in base all'art. 184-bis comma 2.

Le condizioni ex art. 184-bis comma 1 sono:


 la derivazione da un processo di produzione di cui è parte integrante (non eventuale o occasionale) e
non è scopo primario; → è escluso il residuo originato dal consumo;
 certezza del riutilizzo;
 riutilizzo senza alcun ulteriore trattamento rispetto alle normali pratiche industriali; → ove i trattamenti
fuoriescano da detto ambito, si parla di vera e propria gestione del rifiuto; i tentativi giurisprudenziali di
definire i trattamenti ulteriori sono criticati dalla dottrina, in quanto andrebbero a restringere il campo di
applicazione della disciplina del sottoprodotto facendo leva su elementi non previsti dalla disciplina
comunitaria/nazionale; naturalmente, il concetto di “normale pratica industriale” richiederà l'apporto di
consulenti e periti esperti nel relativo settore di produzione;
 legalità del riutilizzo; → conformità a prescrizioni di legge e alle apposite autorizzazioni; è altresì
necessario che il riutilizzo non comporti impatti complessivamente negativi sull'ambiente o sulla salute
umana. → L'importante è che l'impatto sia inferiore o al più uguale a quello che sarebbe derivato dallo
smaltimento come rifiuto.
Esempio: sale residuato dalla salatura delle carni, ceduto e riutilizzato senza ulteriori trattamenti per la salatura
delle strade per evitare la formazione di ghiaccio.
Secondo la giurisprudenza, la qualifica di sottoprodotto è derogatoria rispetto alla “normale” disciplina dei rifiuti:
pertanto, l'onere della prova circa la sussistenza dei requisiti di detta qualifica grava sulla difesa. Il legislatore non
richiede prove legali (libero apprezzamento del giudice), ma si è ritenuto che non siano sufficienti testimonianze
non suffragate da riscontri documentali.
Posto che obiettivo del legislatore è ridurre la produzione di rifiuti, il riutilizzo come sottoprodotto andrebbe
perseguito non solo nell'ambito delle normali pratiche industriali, ma anche delle buone pratiche, attraverso
metodi di riutilizzo innovativi, all'avanguardia.

Cessazione della qualifica di rifiuto

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Art. 184-ter → non è più rifiuto la sostanza o l'oggetto che consegua ad un'operazione di recupero del rifiuto e
presenti certe caratteristiche tecniche.

Esempio: la carta usata, fin tanto che viene raccolta, trasportata e trattata costituisce rifiuto; all'esito di tali
operazioni, e solo allora, a certe condizioni, può cessare la qualifica di rifiuto.

Sottoprodotto Recupero tramite trattamento del rifiuto


Non si tratta di rifiuto, ma di un residuo di produzione Si tratta di rifiuto
Non sono permessi trattamenti ulteriori rispetto alle L'operazione consiste precisamente nel trattamento del
normali pratiche industriali rifiuto

Condizioni per la cessazione della qualifica di rifiuto:


 la sostanza è comunemente utilizzata per scopi specifici; = il risultato dell'operazione di riutilizzo è
oggettivamente utilizzabile per scopi specifici (produttivi o di consumo);
 esiste un mercato o una domanda per tale sostanza;
 la sostanza soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard
esistenti;
 l'utilizzo non porta a impatti complessivamente negativi su ambiente e salute umana.

L'onere della prova circa la sussistenza dei requisiti grava sull'imputato. Non bastano le caratteristiche sussistenti
in astratto: ad esempio, ove le sostanze siano state in concreto abbandonate o smaltite, esse andranno qualificate
come rifiuti.

I soggetti

La disciplina punisce chiunque tenga la condotta incriminata. Di fatto, la gran parte dei reati è commessa
nell'ambito di attività di impresa.
Eccezione: art. 256 comma 2 → punisce espressamente i titolari di imprese e i responsabili di enti che
abbandonano o depositano in modo incontrollato i rifiuti.

Art. 188 TUA: obblighi in capo al produttore o detentore di rifiuti. → In particolare, il produttore o detentore
conserva la responsabilità per l'intera catena di trattamento (c.d. principio di corresponsabilità tra tutti i soggetti
coinvolti nella filiera dei rifiuti). Quindi la regola è la corresponsabilità tra tutti i soggetti coinvolti.

Eccezioni:
 il produttore è iscritto al sistema SISTRI e ha adempiuto agli obblighi del sistema di controllo della
tracciabilità dei rifiut; in questo caso, la responsabilità è limitata alle sfere di competenza previste da tale
sistema;
 il produttore non è iscritto al SISTRI, non trasporta rifiuti pericolosi; la responsabilità (quale? Quella
penale o quella amministrativa?) è esclusa quando il produttore è in possesso del formulario. La lettura
più plausibile è che sia escluso qualsiasi profilo di illiceità (penale e amministrativa). = forma tipizzata di
esclusione della colpevolezza.

Abbiamo già analizzato il caso del proprietario del fondo, per cui la giurisprudenza ha inopportunamente ipotizzato
una responsabilità omissiva.
Il datore di lavoro è soggetto a obblighi di vigilanza sull'attività di dipendenti e ausiliari (quindi è responsabile
laddove sia provata la colpa).
Con riferimento al committente rispetto agli illeciti altrui in materia di gestione dei rifiuti, a lui non è imputabile
responsabilità penale, in assenza di un obbligo giuridico di impedire il reato. Naturalmente, l'assenza di un obbligo
di legge non esclude la sussistenza (più verosimile) di obblighi contrattuali o obblighi contenuti in autorizzazioni.

La disciplina sanzionatoria

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Con riferimento alle sanzioni, nell'ambito degli illeciti in materia di rifiuti il sistema è imperniato sul diritto penale,
mentre al diritto amministrativo spetta un ruolo ancillare (es. abbandono di rifiuti da parte di privati cittadini).

L'inottemperanza all'ordinanza del Sindaco e la violazione del divieto di miscelazione di rifiuti

Art. 255 comma 3 TUA (abbandono di rifiuti): Chiunque non ottempera all'ordinanza del Sindaco, di cui all'articolo
192, comma 3, o non adempie all'obbligo di cui all'articolo 187, comma 3, è punito con la pena dell'arresto fino ad
un anno.

L'art. 255 prevede, oltre a sanzioni amministrative pecuniarie per il privato cittadino che abbandoni rifiuti ( comma
1), due fattispecie penali eterogenee e non propriamente di abbandono:

❶ inottemperanza all'ordinanza del Sindaco di cui all'art. 192 c. 3 TUA, ovvero l'ordinanza di rimozione, avvio al
recupero, smaltimento dei rifiuti e rispristino dei luoghi. = rinvio ad un elemento normativo (l'ordinanza)
espressivo di una fonte sublegislativa locale (la struttura è quindi apparentabile alle violazioni di prescrizioni
dell'autorità).

Destinatari dell'ordinanza possono essere:


 i trasgressori materiali del divieto di abbandono o deposito incontrollato di rifiuti;
 il proprietario e il titolare di diritti reali o personali di godimento sull'area (in solido), in caso di dolo o
colpa;
 persona giuridica o soggetti che siano subentrati nei diritti della persona giuridica stessa (in solido). →
Ovviamente la persona giuridica non è suscettibile di applicazione della pena dell'arresto (art. 255). Né
può applicarsi una sanzione amministrativa, in quanto la disciplina della responsabilità amministrativa
degli enti non menziona alcuna sanzione amministrativa per l'inottemperanza ad ordinanza sindacale.
Piuttosto, la persona giuridica risponderà direttamente e solo per il diverso illecito amministrativo di cui
all'art. 255 comma 1 (e quindi l'abbandono di rifiuti): dal punto di vista sistematico, l'art. 255 comma 1 è
fatto salvo esplicitamente dall'art. 192 c. 3. = responsabilità solidale amministrativa da illecito
amministrativo (non si tratta di una responsabilità amministrativa da reato)

❷ inadempimento obbligo di separazione dei rifiuti miscelati (art. 187 comma 3 TUA), dove la miscelazione è
definita dal comma 1 dell'art. 187 come miscelazione di rifiuti pericolosi con rifiuti non pericolosi o miscelazione di
rifiuti aventi diversi gradi di pericolosità. Laddove tale miscelazione (vietata dal comma 1) sia messa in atto, il terzo
comma impone la separazione dei rifiuti miscelati, a condizione che la separazione sia economicamente possibile
e a patto che non sia pericolosa per la salute umana e per l'ambiente.
In caso di impossibilità, non sorge l'obbligo di separazione (il cui inadempimento è sanzionato dal comma 3), ma
non esimerà l'autore dal diverso e autonomo reato di miscelazione illecita.

La gestione abusiva di rifiuti

Art. 256 comma 1: Chiunque effettua una attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed
intermediazione di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione di cui agli
articoli 208, 209, 210, 211, 212, 214, 215 e 216 è punito: a) con la pena dell'arresto da tre mesi a un anno o con
l'ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro se si tratta di rifiuti non pericolosi;
b) con la pena dell'arresto da sei mesi a due anni e con l'ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro se
si tratta di rifiuti pericolosi. = GESTIONE DEI RIFIUTI SENZA TITOLO ABILITATIVO.
Si tratta di un reato di pericolo astratto, non rilevando che in concreto l'attività abusiva avvenga nel rispetto
dell'ambiente.
Il riferimento al commercio e all'intermediazione fa pensare all'ambito imprenditoriale, e pertanto sembra
escludere la rilevanza penale, ex art. 256, delle condotte tenute dalle singole persone fisiche.

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Tra le condotte menzionate manca il riferimento alla realizzazione di impianti di recupero o smaltimento, attività
anch'essa soggetta agli obblighi di ottenimento di un titolo abilitativo. La lacuna non è colmabile dall'interprete, se
non al costo (impensabile) di violare il divieto di analogia in malam partem.

La giurisprudenza ha equiparato l'assenza del titolo abilitativo a:


 titolo abilitativo scaduto;
 titolo abilitativo sospeso.
In particolare, secondo la Cassazione, è ammesso – da parte del giudice – un giudizio sulla legittimità dell'atto
amministrativo, purché incidentale e purché non tocchi profili discrezionali dell'atto. Tale conclusione deriva dalla
natura – rivestita dall'atto amministrativo – di elemento costitutivo del reato.

Il reato è considerato un reato comune, ma, a ben guardare, è piuttosto un reato a soggettività ristretta, dato che
è commissibile solo dall'imprenditore. Non possono essere soggetti attivi i privati che occasionalmente trasportino
rifiuti verso il luogo in cui verranno abbandonati.

Il reato è inoltre istantaneo: si consuma anche in presenza di un solo atto di gestione. Più condotte dello stesso
tipo integrano un reato abituale (la prescrizione decorre dall'ultima condotta). Più condotte di diversi atti di
gestione integrano invece un solo iter criminis. In presenza di differenti tipi di gestione abusiva tra loro collegate,
potrà integrarsi il reato di attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti (art. 260 TUA).

La pena è differenziata a seconda che si tratti di gestione di rifiuti pericolosi o non pericolosi, ma non è chiaro se –
con riferimenti ai rifiuti pericolosi – si tratti di circostanza aggravante o di fattispecie autonoma. I due precetti
condividono un nucleo comune, differenziandosi solo per la pericolosità dei rifiuti, elemento che gradua la gravità
del fatto. Sembra quindi che il precetto configuri una circostanza aggravante.

L'abbandono di rifiuti

Art. 256 comma 2: Le pene di cui al comma 1 si applicano ai titolari di imprese ed ai responsabili di enti (REATO
PROPRIO) che abbandonano o depositano in modo incontrollato i rifiuti ovvero li immettono nelle acque
superficiali o sotterranee in violazione del divieto di cui all'articolo 192, commi 1 e 2.

→ La fattispecie parla di abbandono e di deposito incontrollato di rifiuti.

Illecito amministrativo ex art. 255 comma 1 Illecito penale ex art. 256 comma 2
Punisce chiunque Punisce il titolare di imprese o il responsabile di enti

Ma: sotto il profilo del danno all'ambiente, la qualifica dell'autore dovrebbe essere irrilevante, non incidendo sul
minore o maggiore grado dell'offesa.
La base di questa differenza di trattamento si basa sulla presunzione, agli occhi del legislatore, di maggior
frequenza e pericolosità di illeciti commessi nell'ambito di attività imprenditoriale, piuttosto che ad opera dei
privati. Tuttavia, in alcuni casi questa presunzione è discutibile: es. il privato abbandona notevoli quantitativi di
rifiuti pericolosi. → La sanzione amministrativa appare troppo generosa.
Sarebbe stato più opportuno fondare la diversità di trattamento sulla natura (più o meno pericolosa) del rifiuto
e/o sulla loro quantità (più o meno significativa). La C. Cost. non può rilevare l'illegittimità della norma nella parte
in cui non prevede la sanzione penale, in quanto le scelte incriminatrici spettano esclusivamente al Parlamento.

Abbandono di rifiuti Discarica abusiva


Condotta occasionale ed episodica, relativa a Condotta di abbandono con caratteri di frequenza e/o
quantitativi modesti di rifiuti significativa quantità

Quindi il reato di abbandono sarebbe istantaneo, al più con effetti permanenti. Alcuni tuttavia lo considerano un
reato permanente (la permanenza cessa solo con lo smaltimento/recupero). In ogni caso, la tesi della natura
istantanea è più coerente con la struttura del reato, che non dà autonomo rilievo al protrarsi della condotta.

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L'offesa tipica si realizza quindi compiutamente con l'atto di abbandono.

Per quanto riguarda il deposito incontrollato, la giurisprudenza lo definisce come deposito temporaneo, realizzato
dal produttore, nel luogo in cui i rifiuti sono prodotti, che ecceda i limiti quantitativi o temporali ex art. 183 lett.
bb), ossia:
 cadenza trimestrale indipendentemente dal quantitativo; o
 raggiungimento di 30 metri cubi, con il limite temporale massimo di un anno;
A nulla rileva che il deposito incontrollato sia comunque rispettoso delle matrici ambientali. La norma intende
controllare la legittimità giuridica, che sussiste solo nel rispetto dei limiti normativamente previsti.
Il deposito temporaneo irregolare, secondo la giurisprudenza, diviene deposito incontrollato qualora non
finalizzato né al deposito preliminare né alla messa in riserva per lo smaltimento o il recupero. Tuttavia il dato è
irrilevante dal punto di vista pratico, posto che – laddove sia presente la finalità predetta – in caso di mancata
autorizzazione, è prevista la stessa pena sancita per il deposito incontrollato.

La combustione illecita di rifiuti

L'art. 256-bis è parte di un più ampio pacchetto di disposizioni volte a superare situazioni di emergenza
ambientale in Campania e Puglia. È tuttavia applicabile in tutto il Paese, data la insufficienza sanzionatoria delle
preesistenti fattispecie penali di smaltimento tramite incenerimento e incendio.
La norma tutela l'ambiente (in particolare la salubrità dell'aria e l'integrità del suolo): nonostante siano evidenti
le intenzioni di tutelare anche la salute pubblica, non vi sono agganci letterali che suggeriscano la plurioffensività
della fattispecie.

Art. 256-bis TUA: «1. … Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque appicca il fuoco a rifiuti
abbandonati ovvero depositati in maniera incontrollata (non si applica se i rifiuti erano regolarmente stoccati o
comunque non abbandonati e non depositati irregolarmente) in aree non autorizzate è punito con la reclusione da
due a cinque anni. Nel caso in cui si sia appiccato il fuoco a rifiuti pericolosi, si applica la pena della reclusione da
tre a sei anni. → fattispecie di pericolo DIRETTO: combustione di rifiuti. → comunque il pericolo deve essere
“reale”
Il contenuto dell'ultima prescrizione (aumento della pena in caso di pericolosità dei rifiuti) è di dubbia definizione
(fattispecie autonoma o aggravante). La questione rileva ai fini dell'imputabilità:
 anche solo per colpa, nel caso si tratti di aggravante;
 solo per dolo, nel caso si tratti di fattispecie autonoma;

2. Le stesse pene si applicano a colui che tiene le condotte di cui all’art. 255, comma 1 in funzione della successiva
combustione illecita di rifiuti. → fattispecie di pericolo INDIRETTO: gestione illecita in funzione della successiva
combustione1. → comunque il pericolo deve essere “reale”
→ incrimina come reato consumato ciò che in realtà è un tentativo incompiuto.→ la condotta ex comma 2
potrebbe sussumersi in un tentativo di combustione ex comma1: quindi il comma 2 serve precisamente a punire
come reato consumato ciò che viceversa sarebbe punito in modo più mite come tentativo;
→ l'ambito operativo è comunque esiguo, essendo necessario individuare un principio di esecuzione e degli atti
idonei (in particolare: immediatamente antecedenti al principio di esecuzione; es. cospargere i rifiuti con sostanze
infiammabili);
→ “in funzione” = dolo specifico

3. La pena è aumentata di un terzo se i delitti di cui al comma 1 siano commessi nell’ambito dell’attività di
un’impresa o comunque di un’attività organizzata. → interferenza con il delitto di traffico organizzato di rifiuti. Le
due figure concorrono, essendo connotate da requisiti non coincidenti.
Il terzo comma prevede un'aggravante a effetto comune nelle due ipotesi esplicitate.
L'aggravante si applica a colui che materialmente appicca il fuoco e al titolare dell'impresa (anche sotto

1
L'incriminazione di cui al comma 2 è di dubbia costituzionalità, in quanto la condotta coincide materialmente
con illeciti amministrativi più modesti e nonostante ciò la sanzione è più robusta (pena detentiva). Il surplus
sanzionatorio dipende esclusivamente dalle finalità attribuite alla gestione dall'agente, il che porta ad accostare
il diritto penale del fatto al diritto penale dell'autore.

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l'autonomo profilo della omessa vigilanza). → responsabilità oggettiva del titolare oltre a quella riferibile al
concorso commissivo? No, occorre almeno la colpa.

4. La pena è aumentata se i fatti di cui al comma 1 sono commessi in territori che, al momento della condotta e
comunque nei cinque anni precedenti, siano o siano stati interessati da dichiarazioni di stato di emergenza nel
settore dei rifiuti ai sensi della legge 24 febbraio 1992, n. 225. = circostanza aggravante fissa.

5. I mezzi di trasporto utilizzati per la commissione dei delitti di cui al comma 1 sono confiscati ai sensi dell’art.
259, comma 2, del D.Lgs 152/2006, salvo che il mezzo appartenga a persona estranea al reato, la quale provi che
l’uso del bene è avvenuto a sua insaputa e in assenza di un proprio comportamento negligente. Alla sentenza di
condanna o alla sentenza emessa si sensi dell’art. 444 del codice di procedura penale consegue la confisca
dell’area sulla quale è commesso il reato, se la proprietà dell’autore o del compartecipe al reato, fatti salvi gli
obblighi di bonifica o ripristino dello stato dei luoghi.

6. Si applicano le sanzioni (amministrative) di cui all’art. 255 (Abbandono dei rifiuti) se le condotte di cui al comma
1 hanno a oggetto i rifiuti di cui all’art. 184, comma 2, lett. e) – (rifiuti vegetali provenienti da aree verdi, quali
giardini parchi e aree cimiteriali).

Discarica abusiva

Art. 256 comma 3 → la norma punisce con la pena congiunta arresto+ammenda chiunque realizza o gestisce una
discarica non autorizzata.

REALIZZAZIONE = situazione di fatto o lavori che rendano il sito utilizzabile ai fini di deposito; il reato di
realizzazione si consuma nel momento (istantaneità) in cui i lavori diventano idonei a consentire il conferimento
di rifiuti. GESTIONE → comporta che il reato sia permanente (in particolare, l'offesa cessa solo con la rimozione, o
con il sequestro, o con la sentenza di primo grado).
DISCARICA (secondo una definizione contenuta il un decreto del 2003) = area adibita a smaltimento dei rifiuti
mediante deposito sul suolo o nel suolo. In particolare:
 la discarica può realizzarsi anche all'interno del luogo di produzione dei rifiuti;
 può assumere la qualifica di discarica il deposito temporaneo che ecceda l'anno. → il dato temporale va
letto cum grano salis: potrà aversi discarica anche laddove il deposito sia più recente, qualora fin
dall'inizio i rifiuti siano destinati all'abbandono o comunque siano depositati con modalità che facciano
escludere il deposito temporaneo.

Il superamento del termine di un anno costituisce un indizio della presenza di una discarica, ma non è ancora
prova; occorrono ulteriori requisiti:
❶ accumulo non occasionale
❷ eterogeneità dell'ammasso depositato
❸ definitività dell'abbandono
❹ degrado dello stato dei luoghi

Abbandono di rifiuti → Art. 256 comma 2 Discarica abusiva → Art. 256 comma 3
Condotta occasionale ed episodica, relativa a Condotta di abbandono con caratteri di frequenza e/o
quantitativi modesti di rifiuti significativa quantità

Il reato di discarica abusiva può essere commesso da chiunque (anche da soggetti privati non imprenditori), e può
trattarsi anche di un'attività rudimentale, non necessariamente dotata di particolare organizzazione.
È abusiva anche la discarica autorizzata, qualora una parte di essa sia clandestinamente destinata a deposito di
rifiuti diversi da quelli autorizzati.
Responsabilità omissiva del proprietario del fondo per il reato di discarica realizzato da altri?

Abbiamo visto che la questione è controversa, in quanto è inopportuno sostenere l'esistenza di obblighi giuridici
di impedire il reato in capo al proprietario del fondo. E tuttavia, alcune sentenze considerano il proprietario

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responsabile a titolo di colpa, in particolare per negligenza.

In realtà: la colpa attiene all'elemento soggettivo, che è un tema distinto e logicamente successivo a quello della
esistenza di una previa posizione di garanzia. In particolare, la posizione di garanzia non deriva da regole di
comportamento attinenti al senso civico, ma deve risultare da una norma.
È previsto senza alcun dubbio un potere – in capo al proprietario – di presentare denuncia, ma ciò non basta a
configurare un dovere penalmente rilevante.
D'altra parte, l'art. 192 TUA fa riferimento a una mera corresponsabilità nella rimozione e al ripristino dello stato
dei luoghi, ma non parla di posizione di garanzia all'impedimento di reati.
Inoltre, dalla disciplina della confisca emerge che essa viene applicata solo se la discarica abusiva è di proprietà
dell'autore o del compartecipe al reato, mentre non opera qualora il sito sia di proprietà di terzi estranei al reato.

L'inosservanza alle prescrizioni dell'autorizzazione

Art. 256 comma 4: Le pene di cui ai commi 1, 2 e 3 sono ridotte della metà nelle ipotesi di inosservanza delle
prescrizioni contenute o richiamate nelle autorizzazioni, nonchè nelle ipotesi di carenza dei requisiti e delle
condizioni richiesti per le iscrizioni o comunicazioni.

= circostanza attenuante dei reati di cui ai commi precedenti

Critiche: il rinvio vago alla vastissima disciplina amministrativa mette in crisi il rispetto del principio di legalità e del
principio di offensività.
Due possibili risposte:
❶ Ritenere che l'inosservanza di qualsiasi prescrizione integri il reato (le condotte incriminate sono meramente
formali e il collegamento con il bene tutelato può non essere nemmeno percepibile) → l'offesa è nella
disobbedienza in sé al precetto amministrativo, indipendentemente da una lesione concreta al bene giuridico.
❷ Ritenere la necessità di una interpretazione selettiva, attenta al significato delle violazioni delle singole
prescrizioni, verificando di volta in volta il loro carattere offensivo. In particolare, l'interprete dovrà valutare
l'astratta idoneità della violazione a offendere l'attività di controllo della PA in modo da porre astrattamente in
pericolo il bene finale (ambiente).
Esempio:
Art. 256 comma 1 (gestione abusiva di rifiuti) Art. 256 comma 4
Si applicherà laddove l'autorizzazione sia violata in modo Si applicherà in caso di violazione rispetto ad aspetti modali
significativo e sostanziale. dell'esercizio dell'attività.

Si tratta di un reato permanente o di un reato istantaneo?


Occorre distinguere:
 le prescrizioni di facere, se violate, integrano un reato permanente (es. mancata realizzazione di
un'opera prevista come condizione all'esercizio dell'attività); → l'onere di dimostrare l'interruzione della
permanenza, attraverso la realizzazione dell'opera prescritta, grava sull'imputato;
 le prescrizioni che impongono una condotta omissiva, se violate, integrano un reato istantaneo; →
eventuali plurime violazioni rileveranno eventualmente ex art. 81 cp (reato continuato).

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Spedizione illecita di rifiuti

Art. 259 TUA: Chiunque effettua una spedizione di rifiuti costituente traffico illecito ai sensi dell'articolo 26 del
regolamento (CEE) 1° febbraio 1993, n. 259, o effettua una spedizione di rifiuti elencati nell'Allegato II del citato
regolamento in violazione dell'articolo 1, comma 3, lettere a), b), c) e d), del regolamento stesso è punito con la
pena dell'ammenda da millecinquecentocinquanta euro a ventiseimila euro e con l'arresto fino a due anni. La pena
è aumentata in caso di spedizione di rifiuti pericolosi.

Due condotte incriminate:


❶ spedizione transfrontaliera costituente traffico illecito ex regolamento CE n. 1013/2006;

In particolare, TRAFFICO ILLEGALE =


 senza previa notifica
 senza autorizzazione
 mediante falsificazione dell'autorizzazione
 in modo che il recupero o lo smaltimento contrasti con la normativa comunitaria
→ PLATEALE VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI PRECISIONE DELLA LEGGE PENALE;
 vs alcuni articoli del regolamento ivi richiamati.

❷ spedizione transfrontaliera di rifiuti destinati al recupero elencati nello stesso regolamento, in


violazione di determinate disposizioni del (vecchio) regolamento CE. → PROBLEMA: individuazione delle
condotte incriminate. → Le condotte descritte solo dal nuovo regolamento CE, ma assenti nel vecchio
regolamento espressamente richiamato dalla norma, non integreranno alcun precetto penale. Nonostante,
infatti, il regolamento sia efficace anche senza recepimento espresso del legislatore nazionale, in materia
penale occorre che una legge penale successiva faccia propria la scelta del legislatore comunitario (qui
questa norma manca).

= norma penale in bianco → problemi di scarsa leggibilità e conoscibilità.

Il deposito della merce nel luogo in cui inizia la spedizione è già sufficiente ad integrare il reato in esame:
nell'attività di spedizione rientrano tutte le operazioni accessorie che rendono possibile il trasporto.

La pena è aumentata in caso di spedizione di rifiuti pericolosi. → = aggravante.

Delitto di attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti

Art. 260 TUA → la norma incrimina le forme più gravi di gestione abusiva dei rifiuti, realizzate in forma
continuativa e organizzata e aventi ad oggetto ingenti quantitativi di rifiuti . La pena va da uno a sei anni di
reclusione.

La natura delittuosa e la cornice edittale consentono:


 mezzi di ricerca della prova (es. intercettazioni); e
 misure cautelari
altrimenti non adottabili per le contravvenzioni ambientali.
E tuttavia la natura del reato richiede in questo caso:
 il dolo specifico dell'ingiusto profitto. → trattandosi di dolo specifico, è sufficiente che l'agente persegua il
fine dell'ingiusto profitto, rimanendo irrilevante il raggiungimento dell'obiettivo.

L'intento del legislatore è la lotta alle c.d. ecomafie, anche se il reato non è strutturato in forma associativa: non
esige cioè l'associarsi di 3 o più persone per la commissione di più delitti. Il reato può essere astrattamente
commesso anche da una sola persona, anche se ciò nei fatti è improbabile.

Si tratta di un reato complesso non facilmente distinguibile dal concorso negli altri reati/illeciti amministrativi in

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materia di rifiuti. È decisiva, in questo senso, la consapevolezza di arricchire la stabilità dell'attività organizzata, con
il relativo ingiusto profitto, oppure la (più circoscritta) consapevolezza di svolgere singole operazioni illecite
atomisticamente considerato, al di fuori di una stabile organizzazione. Nel primo caso, la fattispecie ex art. 260
assorbe gli altri reati.

= reato di condotta e di pericolo astratto; → La Cassazione nel 2014 l'ha qualificato come delitto di pericolo
presunto.

Occorre una pluralità di operazioni abusive, non occasionali, riferite – come precisa la norma – a quantità ingenti
di rifiuti (la quantità va rapportata non alle singole operazioni, ma al totale rappresentato dalla somma delle varie
singole operazioni). → Il reato si consuma nel momento e nel luogo in cui è svolto quel minimo apprezzabile di
reiterate operazioni necessarie per integrare la fattispecie.

La norma parla di gestione abusiva:


Tesi 1 → l'avverbio abusivamente si riferisce a tutte le violazioni (penali e amministrative) di qualsiasi disposizione
concernente la gestione dei rifiuti.
Tesi 2 → Occorre una selezione delle violazioni più significative rispetto al bene tutelato. Ad esempio, alcuini
hanno operato una distinzione tra violazioni delle norme penali e violazioni delle norme amministrative; oppure
tra gestione clandestina e gestione autorizzata (in questo senso: le violazioni commesse in ambito di gestione
autorizzata rileverebbero ex art. 260 solo quando sostanzialmente o totalmente difformi dall'autorizzazione).
Questa interpretazione appare condivisibile, in quanto consente di escludere dallo spettro applicativo violazioni
solo formali, inidonee ad offendere il bene tutelato.
→ Ma quali sono le violazioni formali? Tendenzialmente quelle sanzionate in via amministrativa.

La giurisprudenza parla di reato abituale, posto che per la sua integrazione sono necessarie più operazioni di
gestione abusiva protratte continuativamente. I termini di prescrizione decorrono dall'ultimo comportamento
contestato nel capo di imputazione.

Art. 260 comma 2 → Se si tratta di rifiuti ad alta radioattività si applica la pena della reclusione da tre a otto anni.
= circostanza aggravante (anche se la locuzione “alta radioattività” è sconosciuta all'ordinamento).

Con riferimento a questo reato, l'ordine di ripristino è sanzione accessoria obbligatoria (diversamente, la
sospensione condizionale subordinata alla eliminazione del danno/pericolo è rimessa alla valutazione del giudice).

Le fattispecie in materia di obblighi di comunicazione, di tenuta dei registri obbligatori e dei formulari

Occorre analizzare l'ultima versione dell'art. 258 TUA e la sua versione antecedente, in quanto la seconda
continua a valere fino alla piena operatività del sistema telematico Sistri (condizione essenziale per l'operatività
della norma riformata nel 2010).

Art. 258 riformato Art. 258, versione antecedente alla modifica


Sanziona in via amministrativa:
- omessa o incompleta tenuta dei registri;
- trasporto di rifiuti senza il formulario; Fa riferimento alle pene ex art. 483 c.p (Falsità
- omesse comunicazioni. ideologica commessa dal privato in atto pubblico) per:
- trasporto senza formulario di rifiuti pericolosi (in caso
Sanziona in via penale chi, al di fuori del sistema Sistri, di rifiuti non pericolosi: sanzione amm.va);
nel trasporto di propri rifiuti non pericolosi, fornisce - predisposizione di certificato falso di analisi dei rifiuti.
false informazioni sulla natura dei rifiuti e chi fa uso di
un certificato falso durante il trasporto.
Nel caso di rifiuti pericolosi → art. 260 bis.

Art. 260-bis: 6. Si applica la pena di cui all'articolo 483 c.p. a colui che, nella predisposizione di un certificato di

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analisi di rifiuti, utilizzato nell'ambito del sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti fornisce ❶ false
indicazioni sulla natura, sulla composizione e sulle caratteristiche chimico-fisiche dei rifiuti e a chi inserisce un
certificato falso nei dati da fornire ai fini della tracciabilità dei rifiuti.
7. Il trasportatore che ❷ omette di accompagnare il trasporto dei rifiuti con la copia cartacea della scheda
SISTRI - AREA MOVIMENTAZIONE e, ove necessario sulla base della normativa vigente, con la copia del certificato
analitico che identifica le caratteristiche dei rifiuti è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 1.600
euro a 9.300 euro. Si applica la pena di cui all'art. 483 del codice penale in caso di trasporto di rifiuti pericolosi.
Tale ultima pena si applica anche a colui che, durante il trasporto ❸ fa uso di un certificato di analisi di rifiuti
contenente false indicazioni sulla natura, sulla composizione e sulle caratteristiche chimico-fisiche dei rifiuti
trasportati.

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Capitolo III: INQUINAMENTO ATMOSFERICO

Nozioni

La PARTE V del TUA è dedicata alle norme in materia di tutela dell'aria.


La disciplina è stata modificata dalla riforma del 2010; in particolare, la disciplina vigente fa riferimento
all'autorizzazione per stabilimento e non – come avveniva prima – all'autorizzazione per singolo impianto. L'unica
differenza sta nel fatto che le odierne contravvenzioni saranno comunque integrate anche laddove la violazione
riguardi solo alcuni degli impianti dello stesso stabilimento. Quindi l'unico scopo della riforma è stato ridurre il
numero delle autorizzazioni, ma non ha modificato il rilievo sanzionatorio delle violazioni.

L'ambito di operatività della disciplina include tutti gli impianti e alle attività che producono emissioni in
atmosfera. Il titolo I stabilisce: valori di emissione; prescrizioni; metodi di campionamento e di analisi delle
emissioni; criteri di valutazione della conformità ai valori soglia. In alcuni casi – ovvero per una serie di impianti
dotati di particolari caratteristiche – l'autorizzazione integrata ambientale (AIA) sostituisce l'autorizzazione di cui al
titolo I. Il titolo II è dedicato agli impianti termici civili (produttivi di calore per riscaldamento degli ambienti o
dell'acqua) aventi potenza inferiore a determinate soglie. Le violazioni sono sanzionate in via amm.va. Il titolo III
riguarda invece i combustibili.

Definizione di “inquinamento atmosferico” → Art. 268 comma 1 lett. a) TUA: ogni modificazione dell'aria
atmosferica, dovuta all'introduzione di sostanze in quantità e con caratteristiche tali da ledere o mettere in
pericolo la salute umana e la qualità dell'ambiente oppure tali da compromettere gli usi legittimi dell'ambiente.

Definizione di “emissione” → lett. b): qualsiasi sostanza introdotta nell'atmosfera che possa causare
inquinamento atmosferico.

Disciplina amministrativa a monte della disciplina penale

Sono soggetti ad autorizzazione tutti gli impianti, le attività e gli stabilimenti che producono emissioni in
atmosfera, inclusi gli impianti ancora da installare e quelli già esistenti che si vogliono trasferire in altro luogo.
L'autorizzazione riguarda le modalità di gestione e di controllo delle emissioni, il periodo di prova tra messa in
esercizio e messa a regime dell'impianto, i valori limite di emissioni e altre prescrizioni.

Singole fattispecie

❶ Inizio di installazione ed esercizio illegittimo di stabilimento

Art. 279 comma 1 prima parte: Chi inizia a installare o esercisce uno stabilimento in assenza della prescritta
autorizzazione ovvero continua l'esercizio con l'autorizzazione scaduta, decaduta, sospesa o revocata è punito
con la pena dell'arresto da due mesi a due anni o dell'ammenda da 258 euro a 1.032 euro.

Si tratta di una sanzione oblazionabile, anche se ciò dovrebbe essere subordinato all'ottenimento
dell'autorizzazione mancante.
Soggetto attivo è il gestore dello stabilimento, ossia la persona fisica o giuridica che ha potere decisionale circa
l'installazione e l'esercizio e che è responsabile dell'applicazione delle prescrizioni disciplinate dal TUA.

Inizio di installazione Esercizio di stabilimento


È un reato istantaneo, che si consuma quando è
raggiunta una consistenza edilizia minima rispetto al È un reato permanente (la permanenza cessa con il
progetto. → Giuridicamente, avrebbe potuto essere rilascio di valida autorizzazione).
trattato come tentativo (quindi non punibile nelle
contravvenzioni).

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Qualora l'installazione si concluda e successivamente entri in funzione l'impianto, si applicherà un solo reato,
trattandosi di NORMA A PIU' FATTISPECIE (al più, l'integrazione di due condotte tipiche rileverà ai fini della
commisurazione della pena). Se l'autorizzazione, invece, perviene prima dell'esercizio (ma dopo l'installazione),
verrà integrata la sola condotta di inizio di installazione senza autorizzazione.

Art. 279 comma 1 seconda parte: Con la stessa pena è punito chi sottopone uno stabilimento ad una modifica
sostanziale senza l'autorizzazione prevista dall'articolo 269, comma 8. Per modifica sostanziale si intende una
modifica che comporti un aumento o una variazione qualitativa delle emissioni.
Nel caso in cui la modifica, pur mancando l'autorizzazione, non sia sostanziale, è prevista unicamente la sanzione
amministrativa pecuniaria.
→ Si tratta di un reato istantaneo, che si consuma alla conclusione delle opere di modifica rimaste ignote alla PA.

Problema: costituisce fattispecie di danno o di pericolo?


Il reato potrebbe ritenersi di danno solo a condizione che:
 si individui il bene tutelato nella frustrazione delle funzioni di controllo dell'autorità; o
 che si intenda il danno come presunzione di modifica in peius della qualità dell'aria.

❷ Violazione dei valori limite di emissione o delle prescrizioni

Art. 279 comma 2: Chi, nell'esercizio di uno stabilimento, viola i valori limite di emissione o le prescrizioni stabiliti
dall'autorizzazione, dagli Allegati I, II, III o V alla parte quinta del presente decreto, dai piani e dai programmi o
dalla normativa di cui all'articolo 271 o le prescrizioni altrimenti imposte dall'autorità competente ai sensi del
presente titolo è punito con l'arresto fino ad un anno o con l'ammenda fino a 1.032 euro. Se i valori limite o le
prescrizioni violati sono contenuti nell'autorizzazione integrata ambientale si applicano le sanzioni previste dalla
normativa che disciplina tale autorizzazione. = come sempre, reato di pericolo astratto.

Art. 271 comma 20: Si verifica un superamento dei valori limite di emissione, ai fini del reato di cui all'articolo 279,
comma 2, soltanto se i controlli effettuati dall'autorità o dagli organi di cui all'articolo 268, comma 1, lett. p),
accertano una difformità tra i valori misurati e i valori limite prescritti, sulla base di metodi di campionamento e di
analisi elencati nell'Allegato V alla parte quinta del presente decreto e di sistemi di monitoraggio conformi alle
prescrizioni di tale allegato. Le difformità accertate nei controlli di competenza del gestore devono essere da
costui specificamente comunicate all'autorità competente per il controllo entro 24 ore dall'accertamento. Se i
risultati dei controlli di competenza del gestore e i risultati dei controlli dell'autorità o degli organi di cui all'articolo
268, comma 1, lett. p), simultaneamente effettuati, divergono in merito alla conformità dei valori misurati ai valori
limite prescritti, si procede nei modi previsti dal comma 19; i risultati di tali controlli, inclusi quelli ottenuti in sede
di ripetizione dell'accertamento, non possono essere utilizzati ai fini della contestazione del reato previsto
dall'articolo 279, comma 2, per il superamento dei valori limite di emissione. Resta ferma, in tutti i casi,
l'applicazione dell'articolo 279, comma 2, se si verificano le circostanze previste dall'ultimo periodo del comma 18.

Quindi:
 la valutazione del giudice circa il superamento dei valori non è rimessa al suo libero convincimento;
 regola sulla inutilizzabilità della prova (in verde).

Problema
Art. 279 comma 2 Art. 674 comma 2 cp: getto pericoloso di cose
Se l'emissione rimane al di sotto dei valori limite, può La norma incrimina chiunque nei casi non consentiti
comunque integrarsi la fattispecie ex art. 674? No, dalla legge provoca emissioni di gas, vapori o fumo atti
perché l'art. 674 parla esplicitamente di casi non a offendere o molestare persone.
consentiti dalla legge.
→ La giurisprudenza ammette il concorso tra l'emissione oltre i limiti e l'art. 674, in quanto le due norme si
riferiscono a beni giuridici diversi: salubrità dell'aria vs. incolumità pubblica. Inoltre è differente anche il soggetto
attivo (gestore vs. chiunque).
Art. 279 comma 5: Nei casi previsti dal comma 2 si applica sempre la pena dell'arresto fino ad un anno se il

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superamento dei valori limite di emissione determina anche il superamento dei valori limite di qualità dell'aria
previsti dalla vigente normativa. = circostanza aggravante.

❸ Altre fattispecie previste dall'art. 279

 Omessa comunicazione:
◦ di esercizio di un impianto; → presuppone l'esistenza di un'autorizzazione: manca la comunicazione da
fare almeno 15 giorni prima dell'inizio dell'esercizio, per permettere alla PA di organizzare ispezioni e
controlli nella delicata fase della prima messa in esercizio dell'impianto; = REATO ISTANTANEO;
◦ dei dati relativi alle emissioni;
 Omissioni del gestore → con riferimento a tutte le misure necessarie ad evitare un aumento anche
temporaneo delle emissioni;

Viene ricondotta al reato ex art. 279 comma 1 il trasferimento di stabilimento, per il quale è previsto l'obbligo di
comunicazione, nel caso di omessa comunicazione. LA TESI NON E' CONDIVISIBILE in quanto si tratta di palese
analogia.

Fattispecie codicistica: getto pericoloso di cose

Art. 674 cp: Chiunque getta o versa, in un luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o di altrui
uso, cose atte a offendere o imbrattare o molestare persone, ovvero, nei casi non consentiti dalla legge, provoca
emissioni di gas, di vapori o di fumo, atti a cagionare tali effetti, è punito con l'arresto fino a un mese o con
l'ammenda fino a duecentosei euro.

La norma ha dimostrato notevole vitalità, venendo in rilievo anche in tema di inquinamento dell'aria e di c.d.
elettrosmog. Perché? Perché, almeno in passato, le modalità di accertamento erano meno dispendiose e più
agevoli rispetto a quelle previste dal TUA. In realtà, oggi la norma non integra più un reato di pericolo astratto (il
che giustificava l'accertamento più agevole), bensì un reato di pericolo concreto, per il quale occorre la
dimostrazione dell'effettiva idoneità dell'eissione ad offendere o a molestare persone (alcuni hanno avanzato
l'ipotesi della prova basata sulla idoneità a provocare danni alla salute psichica, con riferimento agli stati d'animo
delle persone).

Abbiamo già visto come la giurisprudenza abbia ammesso il concorso con il reato ex art. 279 comma 2; in
particolare: le emissioni oltre i valori soglia integrano il reato ex art. 279, nonché quello ex art. 674 laddove siano
concretamente idonee a offendere o molestare persone.
Nel caso di emissioni conformi al valore soglia non sarà integrato alcun reato.

Come ricomprendere l'elettrosmog nella fattispecie ex art. 674 comma 1?


L'elettrosmog riguarda i rischi per la salute in relazione a campi elettromagnetici: la disciplina (introdotta nel 2001)
fissa dei limiti di esposizione rispetto agli effetti acuti sulla salute – non superabile in nessuna condizione – e
valori di attenzione rispetto agli effetti cronici, fondati sul principio di precauzione. Le violazioni sono sanzionate
generalmente in via amministrativa, ma con sanzioni pesantissime (fino a 300.000 euro). Rimane tuttavia aperto il
problema dell'applicazione delle sanzioni penali, in quanto la stessa norma amministrativa si apre facendo salvi i
fatti che costituiscono reato. Quindi, la clausola dimostra che la norma penale è speciale (e quindi prevale su
quella amministrativa). [La conclusione è criticabile, in quanto le sanzioni amministrative sono molto più pesanti, e
quindi il fatto più grave sarebbe paradossalmente punito con la sanzione meno severa].
Le onde elettromagnetiche hanno a che fare con la prima parte dell'art. 674, non potendo rientrare nelle
definizioni di cui alla seconda parte. In tal modo, è implicita la conseguenza per cui i verbi “gettare” e “versare”
sono intesi in senso lato dalla giurisprudenza.
Ad ostacolare l'applicabilità dell'art. 674, tuttavia, è la tesi giurisprudenziale per cui l'espressione “nei casi non
consentiti dalla legge”, presente nella seconda parte della norma, si riferisca anche alla prima parte. Di
conseguenza, sarebbero penalmente rilevanti solo le onde elettromagnetiche prodotte oltre i valori soglia, mentre

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non rileverebbero le onde conformi ai valori e tuttavia moleste.


Un ulteriore problema riguarda l'offensività delle onde elettromagnetiche: la giurisprudenza (nel caso Radio
Vaticana) ha chiarito che non è sufficiente il mero superamento dei parametri di settore (sia limiti di esposizione
sia valori di attenzione), ma occorre un pericolo concreto. La tesi è criticabile nella parte in cui si riferisce anche ai
limiti di esposizione, i cui effetti sono già noti alla scienza. Secondo l'autore, occorrerebbe in questo caso la prova
che gli effetti della produzione oltre le soglie sono stati subiti da un certo numero di persone. In caso contrario, si
applicherebbe la sanzione amministrativa.

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Capitolo IV: FATTISPECIE CONTRAVVENZIONALI “TRASVERSALI”


ALLE VARIE MATRICI AMBIENTALI (acqua, aria, rifiuti)

Omessa bonifica

Art. 257 comma 1: Chiunque cagiona l'inquinamento del suolo, del sottosuolo, delle acque superficiali o delle
acque sotterranee con il superamento delle concentrazioni soglia di rischio è punito con la pena dell'arresto da sei
mesi a un anno o con l'ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro, se non provvede alla bonifica in
conformità al progetto approvato dall'autorità competente nell'ambito del procedimento di cui agli articoli 242 e
seguenti.

Comma 2: Si applica la pena dell'arresto da un anno a due anni e la pena dell'ammenda da cinquemiladuecento
euro a cinquantaduemila euro se l'inquinamento è provocato da sostanze pericolose. = si tratta di fattispecie
autonoma, secondo parte della giurisprudenza, e non di circostanza aggravante.

Nella versione originaria, il reato di omessa bonifica scattava in presenza di un pericolo attuale e concreto di
inquinamento; oggi si fa riferimento al superamento delle c.d. concentrazioni soglia di rischio (CSR) per le matrici
ambientali: pertanto, non è chiaro se si tratti di pericolo o di danno. Certo è che il superamento delle CSR
rappresenta l'evento del reato, ritenuto commissivo dalla giurisprudenza e dalla dottrina prevalenti.

Rimane controversa la natura della bonifica: condizione obiettiva di punibilità costruita in negativo e intrinseca al
fatto? Causa di non punibilità sopravvenuta al fatto tipico? La prevalente giurisprudenza sostiene la prima ipotesi,
mentre l'autore sostiene la seconda ipotesi. L'omessa bonifica non è un elemento costitutivo della fattispecie
(altrimenti il reato sarebbe omissivo!), ma è causa di non punibilità sopravvenuta.
Da qui derivano:
 la non comunicabilità dell'effetto di non punibilità ai soggetti diversi dal bonificatore;
 la decorrenza della prescrizione dal momento (antecedente) del superamento delle CSR;
 il fatto che la punibilità viene meno solo laddove sia conseguito il risultato della bonifica conforme al
progetto (il soggetto continua a rispondere, in caso di inottemperanza delle tappe procedimentali). In altri
termini, ne deriva il fatto che l'omessa bonifica non muta il momento consumativo del reato (avvenuto
con il superamento delle CSR, e non con l'omissione della bonifica in sè).

L'avvenuta bonifica fa venir meno la punibilità non solo del superamento della CSR, ma anche della
contravvenzione pregressa e fonte dell'inquinamento (es. discarica abusiva).

Omessa comunicazione di evento potenzialmente contaminante

L'art. 257 comma 1 ultima parte incrimina l'omessa comunicazione di evento potenzialmente in grado di
contaminare un sito.
Il reato è configurabile esclusivamente in capo all'inquinatore e non al proprietario del fondo che non abbia
materialmente causato il sospetto inquinamento, cui pure l'art. 242 attribuisce un dovere di comunicazione
(evidentemente non penalmente sanzionato).

Reati in tema di AIA

L'AIA è l'autorizzazione integrata ambientale, e sostituisce le varie autorizzazioni di settore per le installazioni
operate nell'ambito di attività industriali maggiormente inquinanti (acciaierie, fonderie, determinati impianti
chimici, raffinerie, cementifici, ecc.). Il titolo abilitativo deve includere tutte le misure necessarie per soddisfare un
elevato livello di tutela dell'ambiente nel suo complesso. In particolare, l'AIA contiene limiti di
emissione/immissione ispirati al criterio delle migliori tecnologie disponibili (Best available technologies, BAT).
Il bene finale tutelato è l'ambiente nel suo complesso, mentre la salute umana rimane sullo sfondo.
La tutela è prevalentemente anticipata, imperniata su reati di pericolo astratto.
Si tratterebbe di reati del titolare dell'attività, secondo la giurisprudenza, anche se sarebbe più opportuno

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incriminare il gestore dell'installazione , l'unico che ha le competenze e la possibilità di rispettare le prescrizioni


dell'AIA (semmai, il titolare risponderebbe a titolo di colpa in caso di inosservanze palesi).
I reati puniti si basano sull'assenza di valida autorizzazione (o in caso di autorizzazione sospesa o revocata).
Le pene si aggravano in caso di sostanze particolarmente pericolose (si tratta di fattispecie autonome o di
circostanza aggravante?).

Il regime sanzionatorio è il seguente:


 sanzione amministrativa pecuniaria per la generica inosservanza (e salvo che il fatto costituisca reato);
 sanzione penale della sola ammenda (salvo che il fatto costituisca più grave reato);
 sanzioni penali congiunte (arresto e ammenda) per i casi di maggiore offensività. = circostanza aggravante
ad effetto speciale rispetto al punto precedente.

Gli illeciti penali in materia di AIA prevalgono sulla disciplina di settore, ma non su più gravi reati (come disastri,
avvelenamenti).

Fattispecie codicistica: distruzione di habitat

Art. 733-bis cp: Chiunque, fuori dai casi consentiti, ❶ distrugge un habitat all'interno di un sito protetto o
comunque ❷ lo deteriora compromettendone lo stato di conservazione, è punito con l'arresto fino a diciotto mesi
e con l'ammenda non inferiore a 3.000 euro.

= reato comune e di danno; istantaneo con effetti (eventualmente) permanenti.

“Distruzione” = totale cancellazione dell'habitat (es. un bosco viene raso al suolo).


“Deterioramento” = peggioramento rispetto a una situazione ecologica preesistente più favorevole.

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Capitolo V: I DELITTI AMBIENTALI DEL TITOLO VI-BIS c.p.

❶ L'inquinamento ambientale (art. 452-bis cp)


Il delitto di inquinamento ambientale è una figura totalmente nuova, che si aggiunge alle ipotesi di reato
ontravvenzionale costruite sul modello del superamento dei valori tabellari o dell'assenza di autorizzazione. Si
colloca ad un livello di offesa superiore, connotato dalla compromissione o dal deterioramento significativi e
misurabili.
È un reato di danno, diversamente dal panorama contravvenzionale imperniato sul pericolo astratto: è necessaria
quindi un'offesa materiale ed empiricamente verificabile per le matrici ambientali.
Rispetto alla definizione generale di “inquinamento”, data nella prima parte del TUA, questa fattispecie contiene
dei connotati più specifici, correlati a particolari indici di offensività: quindi quella definizione è inidonea a
distinguere fra contravvenzioni di pericolo astratto, inquinamento e disastro ambientale. Nemmeno la definizione
ex art. 300 TUA (definizione di danno ambientale) aiuta a delimitare la definizione, non essendo idonea a
distinguere gli illeciti amministrativi da quelli penali (e limitandosi ad assicurare la tutela risarcitoria in tutti i casi).
In conclusione, quindi, la fattispecie di inquinamento ambientale penalmente rilevante è autonoma, a differenza di
quasi tutte le altre fattispecie contravvenzionali, per le quali si realizza una sorta di accessorietà del diritto penale
rispetto al diritto amministrativo.
È un reato di evento in senso naturalistico, che può avere ad oggetto una matrice ambientale così come un intero
ecosistema. In particolare, l'oggetto del reato è costituito da: a) risorse abiotiche (acqua, aria, suolo); b) risorse
biotiche (flora e fauna).
Si tratta di un reato a forma libera, ove l'evento naturalistico deve essere ricollegato sul piano eziologico ad una
condotta abusiva. Rileveranno anche condotte omissive, laddove siano previsti specifici obblighi giuridici di
impedimento in capo a determinati soggetti.
La disciplina si riferisce a “porzioni estese di suolo e sottosuolo”, usando dunque una formula vaga e non numerica
(tra l'altro presente anche nella fattispecie di disastro ambientale).

L'inquinamento penalmente rilevante è soltanto quello causato abusivamente: ciò significa che l'inquinamento
ambientale provocato da un'attività autorizzata sia penalmente irrilevante? No: il termine si riferisce alla
delimitazione del rischio consentito, posto che ogni attività (quand'anche autorizzata) inquina. L'abusività della
condotta non si riferisce solo alla sua clandestinità, bensì – molto più ampiamente – alla violazione di norme di
legge e di prescrizioni amministrative (tra l'altro anche in materia di igiene e sicurezza sul lavoro). “Abusivamente”
significa dunque “illecitamente”, contra ius. La condotta incriminata è dunque anche quella autorizzata, purché
fuoriesca dall'ambito del rischio consentito, come pensato dal legislatore e dalla PA nell'individuazione di punti di
equilibrio ritenuti socialmente accettabili.

Di che inquinamento qualificato si parla? Gli aggettivi usati sono vaghi, quindi all'interprete si aprono due vie:
 individuazione di altri valori numerici di riferimento : X
 sicuramente, non i valori soglia delle discipline settoriali, in quanto le fattispecie sono
generalmente di pericolo astratto e quindi non di danno;
 i valori soglia rilevanti per la procedura di bonifica? Nemmeno, in quanto il legislatore non fa
conseguire al reato di inquinamento l'obbligo di bonifica, prevedendo solo il recupero o la
remissione in pristino: quindi agli occhi del legislatore l'inquinamento non sembra
necessariamente passare dal superamento delle CSR;
 possono rilevare le CSC (concentrazioni soglia di contaminazione)? No, perché esse riguardano
solo alcune delle matrici ambientali;
 individuazione di indici probatori non numerici : V
 frequenza e ampiezza delle violazioni;
 gravità e persistenza nel tempo degli effetti;
 costi di recupero e durata delle relative operazioni: quest'ultimo aspetto va precisato attraverso
una interpretazione sistematica → il disastro ambientale presuppone un danno irreversibile o
eliminabile solo con costi particolarmente onerosi e provvedimenti eccezionali. Per esclusione,
l'inquinamento presupporrà effetti reversibili con operazioni non particolarmente onerosi e con
provvedimenti ordinari.
L'inqinamento è punito a titolo di dolo (mentre la fattispecie colposa è prevista dall'art. 452-quinquies): la
vaghezza con cui è definito il danno si ripercuoterà inevitabilmente anche sull'elemento soggettivo; sicuramente,

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sarà esclusa la rappresentazione e volontà di danni esigui. Nell'oggetto del dolo rientra anche l'abusività della
condotta, e quindi la rappresentazione e volontà dell'illiceità del comportamento. L'agente ne risponderà al più a
titolo di colpa, quando ne sussisteranno i presupposti.

L'art. 452-bis prevede una circostanza aggravante qualora l'area interessata sia protetta o sottoposta a vincolo
paesaggistico. In questo caso, ex art. 59, sarà sufficiente la colpa.

Quale il rapporto tra l'inquinamento ambientale e i reati contravvenzionali di settore? Assorbimento dei secondi
da parte del primo.

❷ Morte o lesioni come conseguenza del delitto di inquinamento ambientale (art. 452-ter)
La norma contempla un delitto aggravato dall'evento: la morte o le lesioni non devono essere volute, neppure a
titolo di dolo eventuale; in caso contrario sussisterebbero a carico dell'agente due capi di imputazioni autonomi
(inquinamento e omicidio o lesioni dolose).
Una tesi (non condivisa dall'autore) sostiene la natura di circostanza aggravante di quanto previsto dalla norma,
ma l'art. 452-ter non è altro che una specificazione del più “generale” art. 586 c.p., che disciplina la morte/lesione
come conseguenza di altro delitto doloso. Inoltre, si tratta di fattispecie autonoma in quanto l'evento colpisce un
oggetto diverso da quello colpito con il primo delitto, e le sanzioni sono autonomamente individuate. Da qui
deriva il fatto che le sanzioni non sono soggette a bilanciamento.
È un reato complesso, che assorbe in un'unica disposizione le fattispecie di inquinamento e di omicidio/lesione
colposi.

Sono escluse le lesioni lievissime (< 20 giorni).


Il diverso grado di offesa alla persona rileva ai fini della commisurazione della pena.
L'evento deve essere causato per colpa; in altri termini, occorre un duplice accertamento:
 del nesso causale che lega il fatto dell'inquinamento all'evento della morte/lesione;
 della rimproverabilità dell'evento come esito prevedibile ed evitabile (anche attraverso il rispetto di norme
cautelari dirette a tutelare l'integrità fisica delle persone) dell'inquinamento.

❸ Disastro ambientale (art. 452-quater)


Prima della riforma del 2015 l'ordinamento italiano non conosceva questa figura specifica, che tuttavia veniva
ricondotta dalla giurisprudenza alla criticata fattispecie del c.d. disastro innominato (artt. 434 e 449).
Oggi, l'art. 452-quater incrimina – fuori dai casi previsti dall'art. 434, chiunque abusivamente cagiona un disastro
ambientale. La clausola di riserva consente l'applicazione dell'art. 434 in tutti i casi in cui non sussistono gli
specifici presupposti richiesti dall'art. 452-quater. Quindi la riforma non ha comportato alcuna abolitio criminis.

Art. 434 Art. 452-quater


Esige un doppio evento: L'incolumità pubblica non è elemento costitutivo (se
 un evento naturalistico (di dimensioni non del punto 3).
straordinarie, che produca effetti dannosi La norma esige:
gravi);  l'irreversibilità dell'equilibrio di un ecosistema;
 un evento giuridico e di pericolo (idoneità a o
causare un pericolo per la vita di un numero  l'alterazione eliminabile solo con un intervento
indeterminato di persone, e cioè per particolarmente oneroso e con provvedimenti
l'incolumità pubblica). eccezionali.
Le condotte tenute prima della riforma del 2015 (incluse quelle con effetti anche successivi a detta riforma)
rientrano nella disciplina ex art. 434. Laddove invece la condotta permanga fino all'entrata in vigore della riforma,
si applica la disciplina successiva.
Il reato di disastro è punibile nella forma dolosa, ma anche in quella colposa (art. 452- quinquies). È punibile il
tentativo.
L'evento si impernia sulla causazione abusiva di tre distinti eventi, tra loro alternativi:
 alterazione irreversibile dell'equilibrio di un ecosistema;

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 alterazione dell'equilibrio di un ecosistema che sia eliminabile con operazioni particolarmente onerose o
con provvedimenti eccezionali;
 offesa alla pubblica incolumità;
I primi due punti implicano complesse valutazioni scientifiche e tecnico-economiche (settore extra-giuridico): il
giudice dovrà verosimilmente avvalersi del parere di periti. Inoltre è implicita anche l'analisi della situazione
antecedente la condotta, il che non è scontato.
Infine, il parametro dell'onerosità può essere inteso oggettivamente ma anche soggettivamente (in rapporto alla
capacità patrimoniale dell'inquinatore): sembra più opportuno che il riferimento sia all'onerosità in senso
oggettivo, anche se ciò non elimina la vaghezza dell'espressione. Anche la definizione di “provvedimenti
eccezionali” non è precisa.
Il terzo punto allude ad una contaminazione ambientale che offenda l'incolumità pubblica: ma non potrebbe
essere un evento aggiuntivo (invece che alternativo) rispetto ai primi due punti? No, perché si riferisce a un fatto
diverso dalle alterazioni di cui ai primi due punti.

Qual è il rapporto tra il punto 3 e la fattispecie di morte/lesioni come conseguenze dell'inquinamento? Il punto 3
non si riferisce all'integrità fisica, bensì alla incolumità pubblica (meri pericoli per l'integrità fisica di un numero
indeterminato di persone). Nell'altro caso si hanno invece lesioni effettive all'integrità fisica.

Il dolo deve riguardare la rappresentazione e volontà di uno dei tre eventi tipizzati, oltre che l'abusività della
condotta (“abusivamente” ha lo stesso significato precisato sopra). Rileva anche il dolo eventuale, ovvero la
rappresentazione di uno degli eventi come possibile conseguenza della condotta, accompagnata
dall'atteggiamento di adesione all'evento. È punibile il tentativo (fino all'irreversibilità degli effetti o alla onerosità
della loro eliminazione).

Il reato è permanente o istantaneo a effetti permanenti ? L'orientamento tradizionale esige che il protrarsi
dell'offesa dipenda anche dal protrarsi della condotta: quindi la permanenza cessa con la chiusura dell'attività
inquinante (da questo momento decorrerebbe la prescrizione).

❹ Delitti colposi contro l'ambiente e fattispecie di pericolo (art. 452-quinquies)


L'art. 452-quinquies punisce chiunque commetta i reati di cui agli artt. 452-bis (inquinamento ambientale) e 452-
quater (disastro ambientale) in forma colposa. Le pene previste dai rispettivi articoli sono diminuite da 1/3 a 2/3.
Allo stesso modo (comma 2) se dalla commissione delle stesse condotte deriva il pericolo di inquinamento
ambientale o di disastro ambientale, le pene sono ulteriormente diminuite di 1/3.
Non si tratta di circostanze attenuanti, bensì di autonome fattispecie di reato. Infatti, le fattispecie colpose e quella
di pericolo sono radicalmente alternative rispetto a quelle dolose e di danno. = IRRIDUCIBILE SPECIALITA'
RECIPROCA.

Le fattispecie colpose di pericolo rischiano di sovrapporsi al campo di applicazione delle tradizionali fattispecie
contravvenzionali. Ma in linea teorica, le contravvenzioni riguardano pericoli astratti, mentre i delitti di cui al 452-
quinquies sarebbero riferiti a pericoli concreti, da valutare caso per caso.

❺ Traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività (art. 452-sexies)


La norma incrimina – salvo che il fatto costituisca più grave reato – chiunque abusivamente gestisce o abbandona
materiale ad alta radioattività.
Il nuovo delitto interferisce con la L.n.704/1982 in materia di gestione di materiale nucleare, in quanto la lettera
della norma codicistica contiene un riferimento più generale a “qualsiasi materiale ad alta radioattività”.
L'interferenza si ha solo con riferimento ai materiali nucleari. Secondo l'autore, con la riforma del 2015 si ha la
abrogazione implicita della norma del 1982, limitatamente al materiale ad alta radioattività.
La clausola “abusivamente” ha il significato di “illecitamente”, come abbiamo già detto.
Il reato è aggravato dalla compromissione delle matrici ambientali o dalla messa in pericolo della vita e
dell'incolumità delle persone (comma 2).
Il nuovo delitto interferisce altresì con la fattispecie di traffico organizzato di rifiuti aggravata (art. 260 c. 2 TUA),

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ma la clausola “salvo che il fatto costituisca più grave reato” comporta la prevalenza della norma del TUA.

❻ Impedimento del controllo (art. 452-septies)


La norma incrimina condotte di ostacolo alla vigilanza da parte delle autorità preposte ai controlli ambientali e di
sicurezza e igiene sul lavoro, “salvo che il fatto non costituisca più grave reato” (es. resistenza a pubblico ufficiale).
La norma incrimina altresì la compromissione degli esiti dell'attività di controllo (e quindi incrimina qualsiasi
condotta che provochi questo evento)
Si tratta di un delitto doloso.

❼ Omessa bonifica (art. 452-terdecies)


La norma prevede una fattispecie ulteriore rispetto alla figura contravvenzionale di omessa bonifica (art. 257
TUA). Alla norma del TUA è stata aggiunta la clausola “salvo che il fatto costituisca più grave reato”).
Art. 452-terdecies Art. 257 TUA
Comprende l'omessa bonifica disposta Contempla solo l'omessa bonifica disposta
dall'amministrazione, dal giudice e dalla legge. dall'amministrazione.
Incrimina inoltre l'omesso ripristino e l'omesso
recupero dello stato dei luoghi.
Solo a titolo di dolo. A titolo di dolo o colpa.
Punisce chiunque. Presuppone l'identità tra inquinatore e destinatario
dell'ordine di bonifica.

C'è dunque un'area di sovrapposizione tra le due norme: l'autore sostiene che – laddove il reato produttivo degli
obblighi di bonifica sia una contravvenzione – si applichi l'art. 257; laddove il reato sia un delitto, si applicherà
invece l'art. 452-terdecies.

Aggravante ambientale per le fattispecie associative


L'art. 452-octies introduce due nuove aggravanti con riferimento:
 al reato di associazione a delinquere (art. 416 cp)
 al reato di associazione di tipo mafioso (art. 416-bis cp)
qualora diretti a commettere uno dei nuovi delitti ambientali o comunque all'aquisizione della gestione di attività
economiche in materia ambientale.

Attenuante per il ravvedimento operoso


L'art. 452-decies promette un premio consistente per:
 ravvedimento operoso: evitare conseguenze dannose ulteriori; messa in sicurezza
permanente/bonifica/ripristino dello stato dei luoghi (purché prima dell'apertura del dibattimento); dato
che il ripristino è comunque sanzione accessoria della sentenza, l'imputato avrà interesse ad iniziare
l'attività di recupero prima del dibattimento;
 collaborazione processuale come aiuto concreto all'autorità di polizia o all'autorità giudiziaria.
Laddove il soggetto tenga entrambe le condotte collaborative, lucrerà due attenuanti (il limite è quello ex art. 67
cp, ovvero – trattandosi di circostanze a effetto speciale – quello di una pena minima pari a ¼ della pena del reato-
base).
Il giudice dispone la sospensione del procedimento per un termine congruo non > 2 anni, per consentire la messa
in sicurezza. È onere dell'imputato allegare i fatti che dimostrino l'inizio delle relative attività prima dell'apertura
del dibattimento. La sospensione comporta la sospensione della prescrizione.

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Capitolo VI: ALTRE FATTISPECIE CODICISTICHE

❶ Disastro innominato

Art. 434 cp, Crollo di costruzioni o altri disastri dolosi: Chiunque (...) commette un fatto diretto a cagionare il
crollo di una costruzione o di una parte di essa ovvero un altro disastro è punito, se dal fatto deriva pericolo per
la pubblica incolumità, con la reclusione da uno a cinque anni. La pena è della reclusione da tre a dodici anni se il
crollo o il disastro avviene (è controverso se quest'ultimo comma rappresenti una fattispecie autonoma oppure
una circostanza aggravante).
Art. 449 cp → forma colposa.

La Corte costituzionale, chiamata nel 2008 (sentenza n. 327) a sindacare la legittimità della fattispecie
giurisprudenziale di disastro ambientale sotto il profilo del difetto di precisione, ha preferito “salvare” la norma,
specificando che il disastro ecologico può rientrare nella categoria degli “altri disastri dolosi” citati dalla norma (a
patto che sia conforme alla loro natura: accadimento di dimensioni straordinarie atto a produrre effetti dannosi
gravi, complessi ed estesi, idoneo a mettere in pericolo la vita e l'integrità fisica di un numero indeterminato di
persone.

Parte della dottrina aveva invece sostenuto l'inconciliabilità del disastro ecologico con il disastro innominato, in
quanto l'art. 434 è collocato in un Capo intitolato ai “Delitti di comune pericolo mediante violenza”, requisito
mancante – invece – nel disastro ambientale. Questo orientamento è stato criticato, in quanto la “violenza” va
intesa come “impiego di energia fisica”, come tale non necessariamente istantanea e dunque compatibile con
diverse ipotesi criminose.

Il disastro ecologico può essere ricompreso nell'art. 434 a condizione che esso sia evento intermedio che abbia
causato un pericolo per l'incolumità pubblica. Tale pericolo è elemento costitutivo, che necessita di prova. Si
tratta di un pericolo concreto per l'integrità fisica di un numero indeterminato di persone.

Il reato è permanente, e quindi si consuma sino a che perduri l'evento-disastro (a condizione che perduri anche la
condotta del reo). È sufficiente il dolo eventuale (tesi, secondo l'autore, discutibile).

Abbiamo già visto come si risolva l'interferenza con il nuovo art. 452-quater.

❷ Incendio boschivo

Art. 423-bis → costituisce un esempio nitido di emersione di un bene ambientale in un ambito di tutela prima
dominato da altro interesse (in particolare, l'incolumità pubblica, art. 423). → Il legislatore ha ritagliato dalla
tradizionale figura di incendio una figura speciale di incendio boschivo, in ragione dell'oggetto del reato
(patrimonio boschivo).

“Incendio” = fuoco di vaste dimensioni, di notevole capacità diffusiva e difficile spegnimento.

Si tratta di un reato di danno: occorre che l'incendio abbia effettivamente distrutto una porzione consistente di
bosco. Non occorre che il fuoco cagioni un pericolo per l'incolumità pubblica → in tal caso, vi è concorso con il
delitto di incendio ex art. 423.

Il comma 2 prevede la relativa ipotesi colposa.

❸ Tutela penale degli animali

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Insieme all'intervento legislativo del 2004, che ha rivoluzionato il codice penale in senso animalista, sono entrate
in vigore anche le disposizioni di coordinamento, che in sostanza – alle condizioni previste dalle leggi speciali nelle
varie materie – individuano numerose eccezioni all'integrazione del reato laddove il maltrattamento o l'uccisione
di animali avvengano per scopi umani (alimentazione, ricerca scientifica, ecc.).
① UCCISIONE DI ANIMALI (art. 544-bis)
→ per crudeltà o senza necessità;
→ delitto a forma libera, anche in forma omissiva;

② MALTRATTAMENTO DI ANIMALI (art. 544-ter)


→ per crudeltà o senza necessità;
→ delitto di evento (“cagiona la lesione”) a forma libera;
→ aggravante: morte (non voluta);

③ SPETTACOLI O MANIFESTAZIONI VIETATI (art. 544-quater)


→ sevizie o strazio per gli animali
→ non trova applicazione rispetto a manifestazioni storiche o culturali autorizzate (es. Palio di Siena);

④ DIVIETO DI COMBATTIMENTI TRA ANIMALI (art. 544-quinquies)

Il rinvio alla fonte regionale dimostra la relatività anche geografica del sentimento per gli animali: ciò che
costituisce reato in determinati luoghi è lecito in altri.

La tutela penale degli animali, incentrata sui delitti sopracitati, consta di due ulteriori contravvenzioni:
 ABBANDONO DI ANIMALI e DETENZIONE ILLEGITTIMA (art. 727 c. 1-2);
 UCCISIONE, CATTURA E DETENZIONE DI SPECIE ANIMALI SELVATICHE PROTETTE (art. 727-bis).

Da sottolineare il fatto che il bene giuridico tutelato non è un “interesse animale in sè”, bensì il sentimento di
compassione che gli umani provano per gli animali.

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