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VALUTAZIONE

Per affrontare il tema della valutazione, sarà preso a riferimento quanto disposto nella DCE 42/01
sulla VAS che la concepisce come un processo articolato in fasi e contenuti (amministrativi, tecnici,
consultativi e informativi) declinandoli nella loro struttura fondamentale.

I PRINCIPI DI BASE E L’ASSUNZIONE DELL’AMBIENTE NEI PROCESSI DECISIONALI

Con le direttive VIA (di cui la prima è del 1985) e VAS (2001) e in parallelo con le sentenze della
Corte Costituzionale, è stato chiarito che l’ambiente è un bene unitario, seppure articolato in
componenti che sono tra loro interconnesse. Questo sistema di interrelazioni rappresenta la
condizione generale entro la quale si svolge la vita produttiva e sociale. Da questa “cornice”
vengono tratte le risorse che permettono lo svolgimento delle attività. L’ambiente, come sistema di
risorse, è un bene generale, anzi rappresenta l’interesse generale. Ne consegue che se l’uso delle
risorse è decisivo per le attività, è altrettanto rilevante notare che un impiego eccessivo, oltre la
capacità di riproduzione delle risorse stesse, può essere dannoso/pericoloso per le condizioni di
vita. Affinchè ciò non accada è stato definito il limite da non oltrepassare utilizzando espressioni e
concetti di varia provenienza, ma quello più efficace corrisponde al termine sostenibilità. Il suo
significato è variegato, multiplo, “liquido” non del tutto definibile se non per il portato ambientale
che lo connota.
La concezione di ambiente come BENE UNITARIO connotata in senso oggettivo (come bene
giuridico) e in senso soggettivo (come diritto fondamentale della persona), in cui l’elemento unitario
è riferito alla qualità della vita, aIl’habitat naturale nel quale l’uomo vive e agisce, è precisata in due
sentenze della Corte Costituzionale. La prima sentenza n. 210/1987 connfigura l’ambiente
come “diritto fondamentale della persona e interesse fondamentale della collettività”, adottando
una “concezione unitaria del bene ambientale comprensiva di tutte le risorse naturali e culturali” e
che comprende “la conservazione, la razionale gestione e il miglioramento delle condizioni naturali
(aria, acqua, suolo e territorio in tutte le sue componenti), l’esistenza e la preservazione dei
patrimoni genetici terrestri e marini, di tutte le specie animali e vegetali che in esso vivono allo
stato naturale e in via definitiva la persona umana in tutte le sue estrinsecazioni”

La seconda sentenza n. 641/1987 elabora principi interpretativi che costituiscono ancora oggi un
irrinunciabile punto di partenza in materia di danno ambientale. Secondo la Corte, l’ambiente è un
bene immateriale unitario, sebbene con varie componenti (biologiche, fisiche e antropiche),
ciascuna delle quali può anche costituire, isolatamente e separatamente, oggetto di cura e di
tutela, ma tutte, nell’insieme, sono riconducibili a unità. L’ambiente viene protetto come elemento
determinativo della qualità della vita e assurge a valore primario e assoluto ed è un bene
giuridico in quanto riconosciuto e tutelato da norme.

VALUTAZIONE
La considerazione dell’ambiente nei processi decisionali avviene attraverso processi di valutazione
che sono stati introdotti a tutti i livelli della P.A. La valutazione (assessment e statement) ha preso
avvio negli USA nel 1969 con il NEPA che la ha introdotta sia per i progetti che per i piani. Solo in
Europa la valutazione dei piani (strategica) è stata introdotta quindici anni dopo quella di impatto
(sui singoli progetti).
La valutazione ambientale (sia di impatto che strategica) è una procedura che tiene conto di studi
scientifico tecnici, di pareri espressi in sede di consultazione, di proposte di intervento, di confronto
con le norme ambientali, stabilisce la “compatibilità” dei progetti e/o la “sostenibilità” dei piani nei
confronti dell’ambiente.
La valutazione come procedura può essere strettamente normativa oppure può essere flessibile e
operare le scelte finali diversamente dal regime normativo. Tale procedura influisce sul modo di
effettuare gli studi (di impatto o strategici) tanto che si usa dire, non a sproposito, che ci sono buoni
studi se c’è una buona valutazione.
Se si cerca sul dizionario il significato del termine “valutazione” si trova che è “l’azione
dell’assegnare un valore ad una entità” e parimenti è anche il risultato dell’azione stessa. In altri
termini, la valutazione è un atto tendente ad attribuire valore a fatti, eventi, oggetti in relazione agli
scopi perseguiti. Valutare: da latino “valitus” attribuire un prezzo, è quindi un giudizio riguardo ad
un fatto di rilievo ed è collegata alle procedure, ai metodi e agli strumenti usati per il giudizio
stesso.

Il contesto in cui matura la necessità di avviare un processo valutativo orienta il sistema valutativo
stesso e in quanto tale la valutazione, nella sua accezione originaria, è la fase che porta alla
decisione.

Secondo la Concezione funzionalista è fondamentale definire gli obiettivi attesi in base ai quali
effettuare la valutazione, la quale si appoggia alla programmazione degli obiettivi. Si rivolge a
programmi ad hoc e non ripetitivi ed è dipendente dalla complessità sociale, dal confronto
politico.
Ma c’è, per altro, la Concezione fenomenologica che si basa sull’idea che prima di tutto va definito
qual è il miglior livello dell’offerta che, di conseguenza, è parzialmente indipendente dagli obiettivi
finali. Essa privilegia un approccio qualitativo con base su valori e principi oggettivi e si adatta a i
programmi gestionali (ISO) con misure date da valori soglia e standard.

La valutazione funzionalista è sorta per il miglioramento delle azioni pubbliche e private. In essa si
sovrappongono due usi: uno strumentale/ conoscitivo e l’altro politico persuasivo, i quali a loro
volta dovrebbero dare risposta sia alle regole del mercato che a quelle delle burocrazia.

Nelle varie applicazioni sono apparsi i problemi relativi alle variazioni dei programmi e delle norme
(che cambiano costantemente) e si è manifestato un problema di conoscenza, di dati e di teoria, e
contemporaneamente un problema di adattamento dei programmi alla realtà.
Emerge che per quanto la politica richieda certezze, non è possibile conseguire una valutazione
ottimale e che non c’è una soluzione ottimale, bensì che la valutazione è un processo.

Nel 2001 con l’introduzione della DCE 42/01 è stata resa esplicita l’obbligatorietà della
valutazione nei processi strategici (pianificatori e programmatori) che rappresenta a
tutt’oggi la concezione più sistematica della valutazione.
L’ambito di applicazione della direttiva si concentra sul piano e sul programma nonché sulla
possibilità che questi ultimi abbiano effetti significativi sull’ambiente. Passa a considerare, uno
dopo l’altro, il contenuto del rapporto ambientale, gli obblighi in materia di garanzia di qualità,
le disposizioni in materia di consultazione, la natura dell’obbligo del monitoraggio.

Obiettivo della Commissione è salvaguardia e il miglioramento dell’ambiente da perseguire col


principio di precauzione e con l’analisi degli effetti delle azioni strategiche durante la
impostazione del piano o programma.
Consultazioni, pareri e considerazioni devono essere integrati nel rapporto ambientale.
La Valutazione, non come momento finale ma come processo, consiste in un Rapporto
Ambientale, in una consultazione, in una valutazione amministrativa del rapporto, nella evidenza
dei risultati delle consultazioni, nella disponibilità di informazioni e nella predisposizione di un piano
di monitoraggio. Considera gli effetti significativi e le alternative, alla luce degli obiettivi e
dell’ambito territoriale del piano. Tiene conto del livello decisionale a cui corrisponde il piano se
inserito in una gerarchia decisionale.
In sintesi la valutazione è un mix di fasi tecniche, amministrative, consultative e informative sui
seguenti punti:
• Confronto tra le alternative,
• Possibili effetti ambientali e misure di mitigazione e di monitoraggio,
• Il Piano e il Rapporto devono essere messi a disposizione,
• Le autorità devono poter esprimere pareri,
• Gli stati designano le autorità che devono essere consultate, i settori del pubblico e le
organizzazioni, le modalità per l’informazione e la consultazione.
• La pertinenza con obiettivi di sviluppo sostenibile e con problemi ambientali (art. 5)

In estrema sintesi la valutazione è un processo che giudica gli effetti di determinate azioni sul
sistema ambientale che è anch’esso in costante evoluzione secondo certi ritmi ciclici. E’ esplicita la
concezione della valutazione non concentrata nel momento finale di assenso o diniego, ma nel
processo, che considera molteplici aspetti e percorre varie fasi.

L’applicazione del principio di sostenibilità nella valutazione dei sistemi

Sostenibilità è un termine molto dibattuto, che interessa un ampio spettro disciplinare e che sfugge
ad una definizione universalmente accettata, ciononostante è stata introdotta tra i principi e gli
obiettivi che la DCE 42/01 intende perseguire.

Per questo motivo, a partire dal primo concetto di "sviluppo sostenibile" enunciato dal Rapporto
Brundtland nel 1987, si sono moltiplicate le espressioni che tentano di darne una spiegazione più
chiara, esauriente e scientificamente comprovata.

Dal punto di vista economico è stato elaborato un concetto di sostenibilità agganciato ad alcuni
principi tra cui:

 la possibilità di mantenere i consumi individuali non decrescenti nel tempo


 una gestione delle risorse naturali capace di garantirne il loro sfruttamento nel futuro (in
coerenza con il Rapporto Brundtland)

 la presenza di uno stock di capitale globale (naturale + artificiale) costante nel tempo

Viene anche enunciata una regola pratica secondo la quale il conseguimento della sostenibilità di
un sistema economico nel senso di "consumo non decrescente nel tempo" deve/può essere
garantito se le rendite (surplus dei ricavi sui costi di produzione) generate dall’estrazione di risorse
non-rinnovabili vengono reinvestite in capitale artificiale (impianti, infrastrutture, capitale umano,
etc.)".

Per garantire sostenibilità, tale regola (Hartwick-Solow) deve essere accompagnata da altre due
condizioni:

 deve esserci sostituibilità fra capitale artificiale e capitale naturale;


 le risorse non-rinnovabili devono venir estratte secondo un piano efficiente.
Se le tre condizioni sono soddisfatte, si garantisce che lo stock aggregato di capitale produttivo sia
mantenuto costante, e quindi si rende possibile un consumo non decrescente nel tempo.

Questa condizione rappresenta la cosiddetta Sostenibilità "debole", che ha come assunto


fondamentale la convinzione che sia possibile rendere intercambiabili il capitale naturale ed il
capitale artificiale. L'accento viene posto sulla somma di queste due quantità che deve
permanere costante nel tempo; è sostanzialmente implicito che con il progredire della civiltà
umana ed il conseguente utilizzo delle risorse naturali, sia pensabile una perdita di peso
percentuale del capitale naturale nel tempo a favore di quello artificiale. Come di fatto è accaduto.

La Sostenibilità cosiddetta "forte" rappresenta, all’opposto, una visione meno ottimista nei


confronti dell'intervento umano e non considera sostituibile il capitale naturale perduto con stock di
capitale artificiale. In quest'ottica è il capitale naturale a dover essere costante nel tempo, senza
possibilità di compensazioni. Questa differente visione rappresenta una spaccatura altamente
problematica nel quadro della ricerca sulla sostenibilità, in quanto le posizioni appaiono
apparentemente inconciliabili.

Espressioni del livello di reddito pro-capite e di numerosi indicatori di qualità ambientale (acqua
potabile, particolato, SO2, NOx, CO, etc...) - i quali esprimono un'importante correlazione tra il
miglioramento delle condizioni economiche ed il progressivo miglioramento della qualità
ambientale, esprimono secondo molti gli studiosi , contraddizioni nelle modalità di assunzione dei
dati.

L'analisi fatta soltanto sulla base del PIL pro-capite in un paese e degli indicatori di qualità
ambientale sul suo territorio, viene considerata per nulla rappresentativa, dal momento che
estrapola quel territorio dal contesto mondiale entro cui è invece inserito. Il PIL di quella nazione (e
questo vale a maggior ragione per i paesi occidentali più sviluppati) beneficia di
attività produttive dislocate in altre aree geografiche: solo la redditività di quelle imprese viene
considerata nel calcolo, mentre l'utilizzo di territorio, le emissioni, il consumo di materie prime resta
fuori, venendo invece imputato al paese dove quegli impianti sono situati. Gli studi sull’impronta
ecologica, che sono tra quelli riguardanti la sostenibilità largamente condivisi, hanno dimostrato
che è stata oltrepassata da tempo la soglia di riproducibilità delle risorse (non rinnovabili) e il
pianeta è da tempo avviato su una china rovinosa.

Secondo questa interpretazione, la sostituibilità tra capitale naturale e capitale artificiale funziona
bene solo se si applica uno sguardo parziale, che tralascia una buona parte delle relazioni che un
dato processo produttivo intrattiene con aree territoriali diverse o che si legano solo in modo
indiretto al processo stesso (ad esempio, i servizi naturali che provvedono al riutilizzo degli scarti
ed alla neutralizzazione delle emissioni).

Per tentare un ragionamento più complesso sono state proposte delle varianti che, ad esempio,
prendono in considerazione il rapporto tra consistenza economica pro-capite ed emissioni pro-
capite di un inquinante o di un gas serra (SO2, CO2). In questo caso è possibile avere una lettura
del problema molto meno generalista (ci si occupa non della "qualità ambientale di un paese", ma
semplicemente del livello di emissioni di un particolare composto), ma anche più accurata e
rappresentativa.

Ancora una volta, pare essere la complessità il carattere più evidente del problema sostenibilità
che rappresenta un terreno sul quale le diverse discipline devono fare lo sforzo di confrontarsi per
avviare un dialogo capace di integrare tutti gli apporti.

I comportamenti non lineari dei sistemi ambientali, i cicli di interazione e i feedback che li
caratterizzano rendono impossibile fare previsioni certe, ma solamente probabilistiche. Questo
argomento introduce due temi di enorme importanza: quello della non linearità dei processi e
quello del controllo-monitoraggio dell’evoluzione di questi. Quest’ultimo inteso non come semplice
registrazione di dati, ma di tendenze connesse agli obiettivi prestabiliti di sostenibilità e con la
capacità di segnalare e introdurre misure correttive.

Innovazione e sostenibilità
Dopo aver preso in considerazione i principali passaggi utili a declinare nel concreto la
sostenibilità nella pianificazione, è opportuno spingersi oltre e chiedersi quali siano oggi le
principali sfide riguardanti la sostenibilità.
E’ certamente vero che molte delle “buone pratiche” hanno bisogno di radicarsi ancora molto
nel tessuto sociale e politico e che grandi temi, si pensi anche solo a quello energetico, devono
ancora trovare soluzioni “sostenibili” ma probabilmente una prima grande frontiera che sta alla
base di ogni tentativo di soluzione, è quella del cambiamento culturale necessario a ripensare un
nuovo modo di vivere per l’uomo sulla terra.
Una seconda grande frontiera che oggi ci si presenta dinnanzi è quella della gestione dei
processi staccandosi da una logica command and control ed entrando in dinamiche proattive
attente al continuo interrelarsi dei fattori in gioco. Per quanto riguarda la pianificazione territoriale
questo si può declinare nei passaggi dalla pianificazione strutturale a quella operativa, attraverso
la VAS fino al monitoraggio: in altre parole, affrontare il Governo del Territorio come gestione
continua dei processi pianificatori, valutativi e di controllo (dinamico). Si tende ancora a parlare di
“piano” come di un fatto quando invece il la legge sul Governo del Territorio 1 introduce il concetto
di processo di pianificazione.Il monitoraggio è visto come lo strumento che stabilisce, attraverso il
controllo dell’attuazione del piano e delle misure di sostenibilità, l’opportunità della variazione del
piano, svincolando tendenzialmente tale scelta dal mero ambito politico. Ne consegue che le scelte
della pianificazione si sorreggono da motivazioni inerenti la consultazione, la sostenibilità, il
modello insediativo e di essi si deve dar conto per sostenere le decisioni che la caratterizzano. Il
raggiungimento della sostenibilità va monitorato e solo se il sentiero intrapreso dai processi reali
dopo l’approvazione del piano si discosta dalla sostenibilità, insorge la necessità o l’opportunità di
passare alla variante al piano.
Il Governo del Territorio si concretizza con l’attuazione delle strategie previste nella pianificazione
e queste strategie devono avere una caratteristica principale: essere sostenibili e la sostenibilità è
una prerogativa della pianificazione che la VAS verifica e avvalora, non viceversa. Chi detiene la
cultura della sostenibilità, chi stabilisce le misure e le azioni sostenibili, di fatto, potrà governare il
territorio.

La sostanza è che attuare la sostenibilità vuol dire intraprendere un percorso di contenimento nel
consumo delle risorse attraverso le azioni di piano che consegnino alle generazioni future un
ambiente non peggiore di quello odierno.
Le risorse sono le componenti ambientali del sistema di riferimento sottoposto a pianificazione. Ma
ragionando in termini di sistema sopraggiunge una ulteriore domanda: la sostenibilità ovvero la
riduzione del consumo che si deve raggiungere deve riferirsi ad ogni singola componente o al
sistema nel suo complesso?
Dare una risposta affermativa alla prima o alla seconda parte della domanda cambia in
maniera radicale il modo di pianificare, di agire e di prefigurare il nostro futuro e di
effettuare la valutazione Su questo punto le definizioni scientifiche hanno conseguenze
politiche!
Ritornando sulla definizione di sostenibilità debole e sostenibilità forte, si evince che esse si
distinguono per il modo di applicare il principio di sostituzione. Oggi infatti non è possibile attuare
istantaneamente una sostenibilità forte, ma è possibile sospingere la sostenibilità debole verso
quella forte. Ciò vuol dire gestire una sostenibilità di sistema ma non una sostenibilità di settore,
cioè che alcune componenti ambientali potranno essere sovraccaricate dalla pressione antropica

1
La modifica del titolo V della Costituzione ha sostituito Urbanistica con Governo del territorio accentuando la
dimensione processuale, dinamica del “governo”.
ma in maniera progressivamente decrescente. Il che implica un cambiamento del rapporto tra
capitale artificiale e capitale naturale con conseguenze non irrilevanti sui consumi.
Ma adottare in sede valutativa questa soluzione (di una sostenibilità tendente al forte) vuol
dire poter confrontare e valutare gli effetti sulla componente A al pari degli effetti sulla
componente B. Come descritto con esempi semplici ma efficaci, questo è il problema del
tappezziere che misura la superficie di una stanza per decidere quanta stoffa usare. Su questo
non si è insistito abbastanza perché confrontare vuol dire prima di tutto misurare e misurare
una grandezza, vuol dire trovare il rapporto fra questa ed un'altra omogenea ad essa, assunta
come termine di confronto (cioè come unità di misura). Per effettuare una misurazione è
necessario disporre di due elementi fondamentali: un sistema di misura, costituito da strumenti e
attrezzature; una metodologia adatta al compito, che utilizzi al meglio i mezzi a disposizione e che
soddisfi le richieste.

Non sarà mai possibile prendere decisioni consapevoli sulla sostenibilità di sistema (quindi
intraprendere efficacemente un processo valutativo) senza ricorrere ad una unità di misura.
Purtroppo oggi molte delle valutazioni e soprattutto i contenuti tecnico scientifici di esse non
introducono unità di misura di sistema ne nelle VAS e nemmeno nelle VIA.
Il centro del ragionamento sta nel fatto che quando si valuta, di fatto si eseguono appunto dei
confronti tra un impatto e l'altro e/o tra alternative, ma non potendo confrontare le pere con le mele
non è possibile affermare che l'impatto sull'atmosfera è più grave o più importante o più
significativo di quello della occupazione di suolo nel caso di una strada, basandosi solo sulle
opinioni della popolazione o delle associazioni o sul fatto che con la nuova strada aumenta la
fluidità del traffico. Si vedono pareri diversi dipendenti da interessi specifici o da valutazioni
soggettive e/o settoriali, ma nessuna di queste ha carattere scientifico, essendo un puro e
semplice parere. Per poter fare un confronto valido scientificamente bisogna ridurre i diversi
elementi di analisi ad una unica unità di misura o ad un equivalente generale e in sostanza ad una
quantità: questa quantità può essere il denaro (acb), può essere l'ettaro di terreno (impronta
ecologica e/o ambientale), ma anche l'emergia (emergia=quantità di energia solare equivalente
"Odum").

Come nei casi di applicazione dell’emergia (Tiezzi) anche in quelli di uso dell’impronta ambientale
è stato iniziato un percorso che tende a superare gli ostacoli del soggettivismo valutativo.

La diversità, ad esempio, tra impronta ecologica (i.e.) e impronta ambientale (i.a.), di cui si sono
visti alcuni esempi applicativi nel nostro paese, è che non c'è differenza nella unità di misura,
entrambe, i.e. e i.a., quantificano l'impatto in termini di ettari globali (ghe), ma nel momento in cui si
riguardano le entità sulle quali ricadono le azioni di piano, emergono aspetti molto interessanti: se
l'azione è una strada e la si valuta dal punto di vista dell' i.e. risulterà che essa incrementa il
consumo individuale di risorse di "x tot" ghe. Se si usa l'i.a. si potrà dire che quella strada
consuma x1 ghe per l’occupazione di suolo, x2 ghe per le materie prime (ghiaia, terra e altro), x3
ghe per il traffico che genera e -x4 ghe per il traffico che sottrae da qualche altra parte, x5 ghe per
la variazione del paesaggio, x6 ghe per la frammentazione delle reti ecologiche, ecc. Questa
possibilità deriva dalla conversione dell'indice di impronta dall'individuo alla componente
ambientale. Alla fine dovrà essere che "x tot" = x1+x2+x3-x4+x5+x6. La maggior efficacia dell' i.a.
sta nel fatto che si possono esprimere gli effetti e ripartirli su ogni singola componente ambientale
e su ogni ambito nel quale viene suddiviso il territorio di riferimento. Con questi metodi si possono
misurare gli effetti cumulati (derivanti da più azioni) sia sulle componenti che sulle diverse aree,
separatamente e/o congiuntamente. Ma non solo: si possono predisporre misure di mitigazione e
di compensazione specifiche per componente, in relazione all'effettiva pressione che subiscono ed
è possibile, con opportuni indicatori, monitorare l'andamento nel tempo di quelle componenti
soggette a trasformazione e verificare il perseguimento degli obiettivi di sostenibilità.

Inoltre è possibile esprimere non solo il perseguimento della sostenibilità ma anche suggerire
delle precise politiche sul consumo effettivo delle risorse in quanto sorrette da tecniche di misura.
La sostenibilità ha a che fare con l'equità intergenerazionale ma anche col risparmio reale delle
risorse e impostata in questi termini può dare un contributo non secondario all’indirizzamento di
strategie che tendono alla sostenibilità forte e a introdurre delle significative innovazioni.

Oggi le innovazioni possono essere quasi esclusivamente ambientali, devono tendere a


mantenere una accettabile qualità di vita pur attuando una riduzione del consumo delle risorse. C’è
moltissimo da imparare dalla natura e dai comportamenti di adattamento assunti dai bio-ecosistemi
in migliaia di anni per chiudere i cicli naturali. La natura è un archivio immenso e solo parzialmente
esplorato di soluzioni sostenibili come ha dimostrato Michael Pawlyn in “Usare la genialità della
natura in architettura” spiegando, tra l’atro, come dalla osservazione del comportamento adattivo
dello Scarafaggio della Namibia sono state costruite serre nel deserto che “producono” acqua in
sovrabbondanza non solo per i fabbisogni interni ma anche per irrigare l’esterno e far crescere
vegetazioni sui terreni aridi2.

IL RAPPORTO AMBIENTALE
Il rapporto ambientale è la parte centrale della valutazione sull’ambiente richiesta dalla direttiva.
Esso costituisce anche la base principale per controllare gli effetti significativi dell’attuazione del
piano o del programma. Costituisce un importante strumento per l’integrazione delle considerazioni
di carattere ambientale nell’elaborazione e nell’adozione di piani e programmi in quanto garantisce
che gli effetti significativi sull’ambiente vengano individuati, descritti, valutati e presi in
considerazione nel corso di tale processo. La preparazione del rapporto ambientale e
l’integrazione delle considerazioni ambientali nella preparazione dei piani e dei programmi
costituisce un processo iterativo che deve contribuire al raggiungimento di soluzioni più sostenibili
nell’iter decisionale.
Inoltre, il rapporto ambientale deve essere sottoposto a consultazione secondo quanto disposto
negli articoli 6 e 7; deve essere preso in considerazione nella preparazione del piano o del
programma (articolo 8) e, quando il piano o il programma viene adottato, le informazioni sulle
modalità di tale adozione devono essere rese disponibili (articolo 9); la qualità del rapporto deve
essere tale da soddisfare le disposizioni della direttiva (articolo 12).

Gli allegati della DCE 42/01 chiariscono in modo esauriente quali debbano essere i contenuti del
Rapporto Ambientale ai quali si rimanda per tutti i dettagli, ma in questa sede preme sottolineare,
anche alla luce di quanto detto in precedenza, che la struttura fondamentale del RA è incentrato
sulla caratterizzazione dell’evoluzione tendenziale del sistema e non sulla descrizione dei fatti
come istantanee del momento zero. Unna corretta analisi e rappresentazione delle tendenze
permette di:

1. Caratterizzare le dinamiche in atto nel sistema indotte da azioni prodotte da vari livelli
decisionali (anche e soprattutto quelli superiori e non controllati dall’autorità procedente)
che sono le DETERMINANTI;
2. Caratterizza le componenti ambientali da un punto di vista dinamico o temporale (altrimenti
non si colgono tendenze) e quindi il grado di PRESSIONE e le condizioni di STATO;
2
Consiglio caldamente di visitare il sito web di Pawlin e di guardare il video della sua conferenza su You Tube.
3. Determina le condizioni per prefigurare ragionevoli alternative perché le tendenze possono
essere confermate o enfatizzate oppure contenute o contrastate.

4. Determina le condizioni sulle quali sviluppare la consultazione.

5. Stabilisce delle precise relazioni con gli altri contenuti del R.A. e in particolare contribuendo
alla definizione delle alternative ragionevoli affrontando la questione degli effetti
sull’ambiente che devono essere espressi in termini di:

a. probabilità, durata, frequenza, reversibilità, cumulatività, entità, estensione degli


effetti, secondo lo schema “modo, tempo spazio” riportato nel seguito.

Alternative
L’obbligo di individuare, descrivere e valutare alternative ragionevoli deve essere interpretato nel
contesto degli obiettivi della direttiva, che vuole garantire che gli effetti dell’attuazione di piani e
programmi siano presi in considerazione durante la loro preparazione e prima della loro adozione.
Nel prescrivere che i possibili effetti ambientali delle ragionevoli alternative debbano essere
individuati, descritti e valutati, la direttiva non opera alcuna distinzione tra i requisiti della
valutazione del piano o del programma proposti e quelli della valutazione delle alternative. Quello
che è essenziale è che i possibili effetti significativi del piano o del programma e le alternative
siano individuati, descritti e valutati in modo comparabile. Le disposizioni sulla portata e il livello di
dettaglio delle informazioni contenute nel rapporto valgono anche per la valutazione delle
alternative. È fondamentale che l’autorità e il pubblico che vengono consultati ricevano un quadro
accurato delle ragionevoli alternative e del perché esse non siano considerate le migliori opzioni.
Tra le informazioni da trasmettere va inclusa quella sulla possibile evoluzione dello stato attuale
dell’ambiente in assenza dell’alternativa. Tale evoluzione potrebbe essere diversa da quella
relativa al piano o al programma quando tratta aree o aspetti diversi.

CONSULTAZIONE
L’art. 6 della DCE 42/01 al paragrafo 6 stabilisce che gli Stati Membri determinano le specifiche
modalità per la consultazione e l’informazione dei settori del pubblico interessati. Al di là
dell’accezione poco chiara delle parole “settori del pubblico” e agli equivoci interpretativi che può
generare, a tutt’oggi nessuna modalità o regolamento è stato emanato a questo fine. Quali
informazioni trasmettere, a chi e con quali modalità è lasciato alla libera “esegesi” degli enti.

Il testo esplicativo della DCE recita: “Gli Stati membri individuano i settori del pubblico…, compresi
i settori del pubblico che sono interessati dall’iter decisionale nell’osservanza della
presente direttiva o che ne sono o probabilmente ne verranno toccati,includendo le pertinenti
organizzazioni non governative quali quelle che promuovono la tutela dell’ambiente e altre
organizzazioni interessate.”
I settori del pubblico che sono interessati dall’iter decisionale nell’osservanza della DCE, o
che ne sono o probabilmente ne verranno toccati, possono essere descritti come un
sottogruppo del pubblico in generale.

La definizione di pubblico introdotte a dalla DCE segue quella data nella convenzione di Aarhus.
Fa riferimento a qualsiasi persona fisica o giuridica. La questione della possibilità che un
particolare componente del pubblico sia interessato dall’iter decisionale o ne venga toccato è
trattata all’articolo 6.Questo articolo rappresenta il punto di partenza per la consultazione e per
qualsiasi altro dibattito successivo sul piano o sul programma proposto. Il diritto di esprimere la
propria opinione su tali documenti, tuttavia, è concesso soltanto al pubblico identificato ai sensi del
paragrafo 4 art. 6. La direttiva non specifica, come detto, i metodi con cui le informazioni saranno
messe a disposizione, (rimanda tale compito ai singoli stati membri) ma essi dovranno essere tali
da mettere le autorità e il pubblico in grado di esprimere la propria opinione e sarà necessaria
un’adeguata organizzazione per la pubblicità e le informazioni dovranno essere prontamente
accessibili. Inoltre,tutto ciò suggerisce l’uso di una efficace divulgazione sia mediante pubblico
avviso che individualmente, a seconda del caso.
Dalla lettura della DCE si evince che le associazioni, le organizzazioni, i gruppi di persone
fisiche che hanno personalità giuridica e saranno direttamente coperti dalla definizione di settori
del pubblico. Le espressioni usate nella DCE devono essere dunque interpretate per disporre che
associazioni, organizzazioni o gruppi privi di personalità giuridica (incluse le organizzazioni non
governative) possano anche, se così stabilito dal quadro giuridico nazionale, costituire “il pubblico”
ai sensi della direttiva la quale attribuisce un chiaro ruolo alle associazioni, organizzazioni o gruppi.
La questione della personalità giuridica del settore del pubblico, necessariamente informato nella
consultazione, se non esclude il coinvolgimento di figure prive di personalità giuridica, è stata
temporaneamente risolta con la emanazione di liste di enti da consultare (come hanno disposto
alcune Regioni) in attesa della regolamentazione statale, ma tutto ciò non basta per ritenere
adempiuti i compiti connessi alla consultazione.

Nella messa a disposizione delle informazioni, nella richiesta di pareri e infine nella decisione di
esprimere gli stessi entra in gioco il ruolo della concezione del linguaggio e del linguaggio
scientifico in particolare.
C'è una posizione detta concezione cognitiva del linguaggio secondo la quale i concetti e i modi di
pensare umani sono acquisiti dal bambino nel corso dell'apprendimento della propria lingua.
Senza il linguaggio non si può pensare, afferma questa visione, che è stata portata alle estreme
conseguenze dallo strutturalismo linguistico secondo il quale la realtà è costituita dal linguaggio, ed
è quest'ultimo che la fa.
Dall'altro lato c'è una concezione comunicativa del linguaggio secondo la quale il linguaggio è solo
uno strumento per comunicare dei pensieri tra le persone, ma nulla ha a che fare con la
formazione dei pensieri stessi che si possono assimilare a delle immagini menatali. Il più
autorevole sostenitore di questa impostazione è N. Chomsky che ha proposto una
rappresentazione modulare del pensiero, composto da formazione delle credenze, ragionamento,
pianificazione dell'azione, presa di decisione ecc e il linguaggio è un mero canale di trasmissione
di messaggi che per essere compresi e trasmessi necessitano di un codice (la lingua) che però
non è coinvolto nelle attività di formazione dei moduli del pensiero.
La concezione cognitiva risale ad Aristotele e tutta la cultura umanistica è informata a questa
visione ed è ancora una componente prevalente nella formazione culturale delle persone che
viene data nel nostro sistema scolastico: il linguaggio è considerato la base della formazione della
conoscenza con un ruolo decisamente prevalente sulla concezione scientifica e sul metodo
sperimentale. Nel trasmettere, raccogliere, catalogare e selezionare informazioni è di
fondamentale importanza distinguere quanto è supportato dal metodo scientifico e quanto non lo è
altrimenti si corre il rischio, come accade molto di frequente, di mettere sullo stesso piano prove e
opinioni.

MONITORAGGIO

L’UNEP nel 1972 (United Nation Environment Programme) ha definito il monitoraggio 3 come la
raccolta di osservazioni periodiche e ripetitive di uno o più elementi dell’ambiente per determinare
e stimare le condizioni ambientali e la loro evoluzione.
L’EEA4 più tardi nel 1999, ridefinisce il monitoraggio come:
 una combinazione di osservazioni e misure per la realizzazione di un piano o programma o
di azioni in coerenza con la politica e le leggi ambientali;
 la raccolta delle informazioni necessarie al processo di implementazione del progetto,
piano per assicurare che la gestione del progetto e la cooperazione tra i partner siano in
grado di seguire la realizzazione del progetto e le relative necessarie azioni correttive.
Il concetto di monitoraggio nell’arco di questi oltre 40 anni viene ampliato e diventa occasione
per rafforzare il processo decisionale e per portare ad una reale efficacia operativa l’applicazione e
l’integrazione degli strumenti di gestione del territorio.
Nel 7 Programma d’Azione per l’Ambiente dell’UE, la maggiore preoccupazione segnalata deriva
dal fatto che persistono tendenze non sostenibili e dunque si confermano i principi di precauzione
e di azione preventiva, per la correzione dei danni causati all’ambiente e la volontà di giungere ad
una migliore gestione delle risorse nel corso del loro intero ciclo di vita. E tutti i progressi compiuti
nella realizzazione degli obiettivi del 7 PAA dovrebbero essere monitorati, analizzati e valutati sulla
base di indicatori concordati.

In coerenza con tali programmi, l’articolo 10 dellla DCE42/01 impone l’obbligo di controllare gli
effetti significativi sull’ambiente dell’attuazione dei piani e dei programmi. Tra gli effetti significativi
ci sono quelli negativi da segnalare tempestivamente e quelli imprevisti.

Compito del monitoraggio è quello di consentire l’adozione di misure correttive, di controllare le


informazioni del Rapporto Ambientale, di proporre la revisione del piano, di individuare eventuali

effetti negativi imprevisti e non considerati nel RA.

Da qui si è avvertita la necessità di individuare degli strumenti che possano monitorare aspetti
non facilmente apprezzabili e che siano in grado di fornire informazioni sintetiche di fenomeni più
complessi e con significati più ampi. È importante però puntualizzare che non tutti gli indicatori am-
bientali possono essere considerati come indicatori o misuratori propri e significativi della
sostenibilità. È frequente il rischio di generare confusione o comunque una impropria in-
3 “Monitoring: to gather certain data on specific environmental variables and to evaluate such data in order to determine and predict important environmenal conditions and trends”

4 www.eea.eu.int/EEAGlossary Voce Monitoring 1) European Commission. 1999. lntegrating environment concerns into development and economic cooperation. Draft version 1 .0. Brussels. 2) Danida.

Ministry of Foreign Affaires. Denmark.


tercambiabilità tra uso degli indicatori ai fini della descrizione/misurazione della qualità ambientale
e uso degli indicatori a fini della descrizione/misurazione della sostenibilità.

In questo modo si intende affrontare correttamente la «complessità» dei sistemi ambientali, in


quanto più un sistema è complesso, più il suo comportamento generale diventa dipendente dalle
interazioni fra diversi elementi e più difficile diventa poter capire o inquadrare il sistema avendo
come unico riferimento le discipline tradizionali.

La direttiva VAS (2001) prevede esplicitamente all’art. 10 il monitoraggio: “Gli Stati membri
controllano gli effetti ambientali significativi dell’attuazione dei piani e dei programmi al fine, tra
l’altro, di individuare tempestivamente gli effetti negativi imprevisti e essere in grado di adottare le
misure correttive che ritengono opportune.”
Secondo “EnPlan” si possono distinguere il monitoraggio dello stato dell’ambiente e il
monitoraggio degli effetti del piano. Il primo serve a stendere rapporti sulla situazione
ambientale, utilizza “indicatori descrittivi”; il secondo ha lo scopo di valutare l’efficacia delle misure
adottate, si avvale di “indicatori prestazionali” o “di controllo” e viene eseguito dall’amministrazione
responsabile per l’attuazione del piano. Sebbene quindi non sia la Direttiva stessa a definire cosa
si intende per monitoraggio o controllo, è possibile fare riferimento alle sue Linee Guida in cui il
monitoraggio è inteso come “un’attività di osservazione dello sviluppo dei parametri di interesse
per quanto attiene all’entità, al tempo, allo spazio”.
Gli strumenti per il monitoraggio dipendono dal tipo di territorio in analisi e dal piano specifico da
studiare, in via generale se ne possono individuare quattro tipi. Si possono considerare i dispositivi
con cui si eseguono misurazioni e campionamenti e che devono conformarsi agli standard
internazionali, quelli per l’archiviazione delle informazioni che saranno successivamente utili per la
scelta degli indicatori, quelli per visualizzare le informazioni (i GIS) e quelli per analizzarle dal
punto di vista statistico. Questi dispositivi dipendono fortemente dallo stato degli indicatori, i quali
dovrebbero essere sistematicamente e continuamente aggiornati, adattati, elaborati e verificati.
Gli indicatori influenzano in modo rilevante la visualizzazione e la capacità di valutare il piano e
la sua attuazione, quindi è di fondamentale importanza stabilirli e organizzarli in modo opportuno.
Essi descrivono in modo qualitativo e quantitativo la situazione della zona oggetto di studio e
l’utilizzo delle risorse, servono a fissare obiettivi e traguardi e a prevedere gli effetti maggiormente
significativi. Gli “indicatori descrittivi” rappresentano la situazione ambientale e possono essere
espressi come grandezze assolute o relative; quelli “prestazionali” o di “controllo” individuano il
grado di operatività nel conseguire i traguardi specifici e valutano il controllo della situazione
conseguentemente all’attuazione del piano, come specificato successivamente. Gli indicatori di
“sostenibilità”, infine, esprimono, la quantità e il tipo di risorse consumate e/o prelevate, le
tendenze d’uso e forniscono un quadro per vere e proprie strategie di compensazione.
Il monitoraggio deve considerare gli effetti ambientali significativi i quali possono essere positivi,
negativi, previsti e imprevisti. I risultati vengono confrontati con i problemi ambientali, gli obiettivi di
tutela e con le misure di mitigazione. Le azioni correttive possono essere intraprese nel caso in cui
il monitoraggio dovesse evidenziare effetti ambientali negativi non considerati nella valutazione
ambientale.

La Direttiva non si spinge oltre nell’indirizzare e sollecitare l’attività di monitoraggio, ma i


sistemi di monitoraggio largamente studiati e applicati riguardano quasi esclusivamente
temi e attività settoriali. Le banche dati oggi disponibili riflettono questa impostazione: non
sono tra loro collegate. Inoltre mancano gli algoritmi che consentano di rappresentare e
misurare le relazioni e rendere disponibili informazioni a livello di sistema. Non c’è la
possibilità di ragionare in termini di sostituibilità tra i fattori.
Il monitoraggio della sostenibilità deve essere basato sulla disponibilità di informazioni a livello
delle componenti del sistema, cioè i territori, le città e le loro parti come: trasporti, costruzioni,
industrie manifatturiere, estrattive, servizi, energia, qualità dell’aria ecc. Si basa sul concetto che
ogni azione nel contesto territoriale, comporta l’impiego di risorse dirette per produrre beni
specifici, e altre risorse indirette per produrre i semilavorati fino alle materie prime e al suolo
consumato (il ciclo di vita). In sostanza ogni trasformazione e ogni pressione dello stato attuale,
deriva da una catena di azioni che provengono da una materia prima che è il suolo.
Il sistema ambientale (antropico e naturale) evolve nel tempo secondo la direzione dello sviluppo e
quando si interrompe questo processo si manifestano crisi più o meno accentuate. E’ noto che
l’attuale impronta ecologica nei paesi occidentali determina un sovra sfruttamento delle risorse. Il
problema è come far coesistere un adeguato livello socioeconomico con l’uso delle risorse
ambientali più efficiente e cioè ridotto rispetto al passato, verso una sostenibilità forte. Bisogna
trovare un modo che consenta di ottenere e misurare la sostenibilità abbassando con le opportune
misure l’inclinazione della “curva di consumo” o di impronta, delle risorse come nello schema
seguente.

Footprint
footprint
trend

future conditions

Footprint
mitigated

current condition

time

Il grafico mostra in sintesi come avverrebbe il consumo delle risorse nel futuro (curva a) senza
l’applicazione di tutte le misure di mitigazione e compensazione nonchè delle azioni di protezione e
valorizzazione ambientale, che corrisponde presumibilmente ad una conferma delle tendenze
passate.

La curva più bassa (curva b) mostra l’andamento del consumo di risorse con tutte le mitigazioni, le
compensazioni e le innovazioni. Essa rappresenta appunto una strategia di progressivo
abbassamento del consumo tendente gradualmente alla sostenibilità forte. Si fa notare che il
dibattito culturale sulla sostenibilità ha evidenziato che quando si eseguono valutazioni di sistema
(come nel caso dei piani) cioè su un insieme di componenti o settori, debba valere il principio di
sostituibilità ovvero che il consumo di alcune risorse viene ricompensato con la rigenerazione di
altre. In caso contrario verrebbe meno la sostenibilità economica e sociale.

E’ opportuno che il piano del monitoraggio ambientale, preveda tre tipi di raccolta dei dati
cui corrispondono anche tre livelli di informazione e divulgazione:
 il monitoraggio istituzionale-amministrativo;
 il monitoraggio del piano o prestazionale riguardo agli obiettivi specifici definiti;
 il monitoraggio della sostenibilità (come specificato sopra) attraverso la misurazione della
quantità di risorse consumate/risparmiate per ogni attività/componente e per l’intero
sistema di riferimento:
Il monitoraggio istituzionale e amministrativo, riguarda l’insieme dei dati normalmente forniti
dagli enti e dalle istituzioni preposte a queste funzione. Rappresenta il quadro ambientale generale
indipendente entro il quale avvengono le trasformazioni indotte dai piani e dai programmi e dalle
molteplici azioni antropiche che generano trasformazioni.
Monitoraggio del piano e della sostenibilità sono uno la conseguenza dell’altro. Con esso si
individuano le azioni, gli effetti che producono e la sostenibilità che ne risulta. A questo livello si
osservano i risultati ottenuti dallo studio degli effetti ambientali e dallo stato mitigato; da essi
risultano i fattori ambientali maggiormente sollecitati ed anche, grazie alla suddivisione dell’analisi
per ambiti di indagine, in quali specifiche aree del territorio ricadono. La localizzazione geografica
degli effetti è un’informazione rilevante perché guida il monitoraggio sui luoghi maggiormente
coinvolti dalle azioni di piano e dunque dove la sensibilità è maggiore.

Per approfondire ulteriormente gli aspetti sistemici delle variazioni prodotte a livello di effetti
ambientali, si specificano gli indicatori che guidano la valutazione delle modifiche al territorio
secondo i sistemi/strutture esaminati.
Come già evidenziato, il dettaglio di analisi necessario per una pianificazione del monitoraggio,
in particolare di alcune componenti ambientali, è la dimensione attuativa del Piano perché la
quantificazione degli effetti può essere determinata con riferimento alle indicazioni specifiche delle
azioni (le superfici occupate, i volumi introdotti, gli interventi a verde, etc.). Questo sarà importante
non tanto per la parte di monitoraggio istituzionale-amministrativo, già portata avanti da più
soggetti, ma per la parte di monitoraggio del Piano.
A questo livello si innesta il monitoraggio della sostenibilità che sempre utilizzando le azioni di
trasformazione potrà verificare in pratica l’efficacia nel quantificare attraverso i metodi di misura
che verranno prescelti, quante risorse vengono sfruttate, secondo quale tendenza e verso quale
direzione.
Nello stesso tempo il raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità può implicare non solo misure
correttive ma anche l’introduzione di innovazioni ambientali, intese come tecniche e/o tecnologie
che a parità di condizione socioeconomica permettono di sfruttare una quantità minore di risorse
rispetto al passato.

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