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di Friedrich A. Hayek
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Ora devo però ritornare al problema centrale dei rapporti tra re-
gole individuali di comportamento e la costituzione di un ordine sociale.
Spero che a questo punto sia già chiaro che l'armonia su cui si fonda
l'ordine sociale o un qualsiasi altro ordine spontaneo sia qualcosa di di-
verso dalla regolarità dei comportamenti dei singoli consociati (15). Ciò
risulta evidente dal fatto che il regolare comportamento dei singoli
consociati può portare ad un completo caos generale, mentre viceversa
l'ordine generale può essere realizzato anche se il comportamento dei
singoli consociati non obbedisca a regole. L'esempio classico del primo
caso, per il quale è stato coniato il termine di disordine perfetto, è la
formula dell'entropia nella termodinamica. Secondo questa formula pro-
prio il regolare e rettilineo moto delle molecole completamente elastiche
di un gas condurrebbe ad un disordine completo. Non v'è dubbio che
possono immaginarsi anche parecchie regole individuali di comporta-
mento in grado di portare ad un disordine totale e di rendere quindi
impossibile il formarsi di una società. Il secondo caso sarebbe realiz-
zato da una società in cui un piano generale stabilisse una certa gam-
ma di attività lasciando che il ruolo o la funzione di ogni singolo fos-
sero determinati di giorno in giorno o di ora in ora mediante sorteggio.
In una tale società il comportamento di ogni singolo consociato non pre-
senterebbe alcuna regolarità mentre il complesso apparirebbe ordinato.
Questo caso mostra inoltre che un ordinamento o una organizzazione
è fondamentalmente possibile anche senza regole mentre un ordine spon-
taneo si fonda sempre sul regolare comportamento degli individui che
vi partecipano. Tale conclusione introduce il problema centrale del pre-
sente lavoro. A questo punto è infatti logico chiedersi di che genere
debbano essere le regolarità di comportamento degli individui perchè
le reazioni del singolo in circostanze a lui note possano condurre ad un
ordine generale. Si potrebbe ritenere che questo sia stato da sempre il
problema centrale della scienza del diritto e dello stato; e invece a par-
tire dagli ultimi tentativi di fondare un'unitaria « science de la legisla-
tion » risalenti alla fine del XVIII secolo (16) la scienza giuridica e le
(15) Tipicamente sviante in questa direzione per es. R.v. Jhering, Der
Zweck im Recht , tomo I, 3a ed., p. 352: «Ordine, cioè conformità dell'azione
sociale » ; cfr. anche ivi p. 357.
(16) Con ragione afferma p. es. C.A. Cooke, Adam Smith and Jurispru-
dence, « Law Quarterly Review », LI, 1935, p. 328 : « The theory of political
economy that emerges in the Wealth of Nations can be seen to be a consi-
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Aubel Köln al, The Thematic Primacy of Moral Evil , «Philosophical Quar-
terly», VI, 1956.
L'idea che la ingiustizia sia l'elemento primitivo e che le regole del com-
portamento giusto siano essenzialmente divieti di un comportamento ingiusto è
importante in quanto l'intero positivismo giuridico deve il suo sorgere alla
sfiducia nella possibilità di scoprire criteri di giustizia (Cfr. la classica formu-
lazione del Radbruch, Rechtsphilosophie , Stuttgart, 1963, VI ed.: «Dato che
nessuno è in grado di stabilire che cosa sia giusto (gerecht) ognuno deve stabilire
che cosa sia conforme al diritto (rechtens) ». Ma anche se fosse esatto che
non vi siano obiettivi criteri di giustizia vi possono essere obiettivi criteri di
ingiustizia la cui sistematica applicazione alle regole giuridiche tralatizie ci
avvicinino gradualmente alla giustizia, che tuttavia non saremo mai sicuri di
avere raggiunto. La situazione è qui perfettamente analoga a quella del problema
della verità sul piano epistemologico. Karl Popper ha a questo proposito mo-
strato che non vi sono criteri di verità ma criteri di non-verità. Questo problema
non può qui essere discusso più ampiamente. Gfr. per intanto il mio scritto cit.
a nota 8, Principles of a Liberal Social Order , in part, ai capoversi 23-27.
(18) Ofr. prima di tutto P.C. v. Savigny, System des heutigen Römischen
Rechts , Berlin 1840, tomo I, p. 331/32. Nella letteratura più recente Cfr. P.
Laband, Das Staatsrecht des Deutschen Reiches , Tübingen 1901, 4* ed., tomo II,
p. 64; G. Jeixinek, Oesetz und Verordnung , Freiburg, 1887, p. 240; P. Vino-
gradoff, Common Sense in Law , Home University Library, London 1914, p. 70;
J. Salmond, Jurisprudence , (1902) ed. G. Williams, London 1947, 10* ed., p. 62;
H. Lévy-Ullmann, La définition du Droit , Paris 1917, p. 165: «Nous définions
donc le droit : la delimitation de ce que les hommes et leur groupements ont la
liberté de faire et ne pas faire, sans encourir une condemnation, une seizie, une
mise en jeu particulière de la force » ; Donato Donati, I caratteri della legge
in senso materiale , «Rivista di Diritto Pubblico», 1911, p. 23: «La funzione
del diritto infatti sorge e si esplica per la delimitazione delle diverse sfere
spettanti a ciascun consociato. La società umana si trasforma da società anar-
chica in società ordinata per questo, che interviene una volontà ordinatrice
a determinare la cerchia delle attività di ciascuno: dell'attività lecita come
dell'attività doverosa ».
(19) Solo in questo modo sì può evitare che il famoso «suum cuique
tribuere» (Dig. I I 10) di Ulpiano diventi una tautologia. Ciò viene invece
dimenticato quando si afferma che il diritto attribuisce beni determinati a per-
sone determinate. Chiaramente I. Kant, Metafisica dei costumi , Dottrina giu-
ridica, I, 2, par. 9.
Interi libri sono stati scritti muovendo dalla convinzione che il diritto
attribuisca ai singoli beni determinati. In modo evidente p. es. R. L. Hale,
Freedom through Law , University of California Press, 1952, p. 15: «The law
confers on each person a wholly unique set of liberties with regard to the
use of material goods and imposes on each person a unique set of restric-
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tions with regard thereto... In regard to acts which involve the use of
those things which I own the law favours me above everyone else».
(20) Questa idea affiora già nel XVIII secolo, ad es. William Paley, Prin-
ciples of Moral and Political Philosophy (1785), p. 348. afferma: «general
laws are made ... without foreseeing whom they might affect ». L'opera più
antica, fra quelle che conosco, in cui appare la formula oggi in uso è Hermann
Schulze, Das Preussische Staatsrecht , II, 1877, p. 209 : « È sufficiente perchè
sia presente il carattere della generalità che un numero imprevedibile di casi
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sia sussumibile alla regola » (Ivi p. 205 con indicazioni nella letteratura prece-
dente). Cfr. inoltre Ernst Seligmann, Der Begriff des Gesetzes im materiellen
und formellen Sinn , Berlin 1886, p. 63 : « ... in effetti è essenziale alla norma
giuridica che essa sia astratta e non regoli un numero prevedibile di casi».
Cfr. ora Z. Giacometti, Die Verfassungsgerichtsbarkeit des schweizerischen
Bundesgerichtes , Zürich, 1933, p. 90 : « Generale e astratto è ogni « ordinamento
diretto ad un incerto numero di persone per un incerto numero di casi » ; cfr.
inoltre dello stesso autore, Allgemeine Lehre des rechtstaatlichen Verwaltungs-
rechtes , p. 5 : « ... un tale legame del detentore del potere statale a prescrizioni
generali e astratte che valgono per un incerto numero di persone e che regolano
un incerto numero di fatti senza prendere in considerazione il singolo caso
o la singola persona » ; inoltre W. Burckhardt, op. cit ., p. 200 : « Gli obblighi che
la legge impone ai privati (a differenza degli obblighi degli impiegati) devono
essere prescritti in precedenza per un indeterminato numero di casi possibili » ;
C.K. Allen, Law in the Making (1927), 1958, 6a ed. p. 367 : «... a legal rule,
like every kind of rule, aims at establishing a generalisation for an indefinite
number of cases of a certain kind». M. Planiol, Traité élémentaire de Droit
Civily 1937, 12a ed., I, p. 69 : « La loi est établie en permanence pour un nombre
indéterminé dictes et de faits... une décision obligatoire d'une manière perma-
nente, pour un nombre de fois indéterminé » ; e in modo particolarmente chiaro
D. Donati, op. cit., p. 11 (dell'estratto) : « questa generalità deve intendersi, non
già nel senso, semplicemente, di pluralità ma in quello, invece, di universalità.
Comando generale, in altri termini, sarebbe non già quello che concerne una
pluralità di persone o di azioni ma soltanto quello che concerne una uni-
versalità di persone o di azioni: vale a dire, non quello che concerne un
numero di persone o di azioni determinato o determinabile ma quello che con-
cerne un numero di persone o di azioni indeterminato e indeterminabile ».
(21) Cfr. I. Kant, Metafisica dei costumi , nelle «Opere Complete» (ed.
ted.) VI, p. 382 : nella dottrina giuridica « viene lasciato al libero arbitrio di
ognuno lo scopo da scegliere per le proprie azioni » ; ivi p. 396 : « Scopl... da cui
il diritto prescinde ». Non posso qui citare Kant senza fare accenno a un ottimo
recente lavoro in lingua inglese che mi ha fatto finalmente capire la filosofia
del diritto kantiana: Mary J. Gregor, Laws of Freedom , Oxford, 1963. La
Gregor in particolare dimostra in modo convincente (p. 81) che anche per
Kant « since juridical làws abstract altogether from our ends, they are essen-
tially negative and limiting principles which merely restrict our exercise of
freedom ».
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(22) Cfr. p. es. Ernst Forsthoff, Lehrbuch dea Verwaltung sr echt s, Mün-
chen 1961, VIII ed., I, p. 66: «Può essere regolato da norme solo ciò che è
modellabile perchè la normazione precede la organizzazione». Con la parola
« integrazione » si accenna spesso al fatto che scopo delle norme giuridiche è la
formazione di un ordine non da esse sole determinato. Tuttavia il termine « in-
tegrazione» significa semplicemente inserimento in un qualche ordine (spesso
descritto come un « tutto »), ma non ci dice nulla sul carattere di quest'ordine.
Dove però il giurista (come R. Smend, Handwörterbuch der Sozialwissen -
acliaften , V, 299) parla di un «inconsapevole» precedente della integrazione al-
lora si allude a rapporti che possono essere studiati non solo da un punto di
vista giuridico ma anche con gli strumenti della teoria sociale.
(23) Cfr. Adam Smith, wealth of Nattons , ed. Cannan, tomo II, p. 184:
« Every man, ao long as he doea not violate the lawa of juatice, is left perfectly
free to pursue his own interest his own way, and to bring both his industry and
capital into competition with those of any other man, or order of men. The
sovereign is completely discharged from a duty, in the attempting to perform
which he must always be exposed to innumerable delusions, and for the proper
performance of which no human wiadom or knowledge could ever be sufficient,
the duty of superintending the industry of private people, and of directing it
towards the employments most suitable to the interest of the society ». (Il cor-
sivo non è nell'originale).
(24) Cfr. a questo proposito il mio articolo The Political and Legai
Philosophy of David H urne, « Il Politico », XXVIII, 1963, ristampato in Studies
in Philoaophy. Politica and Economica , London-Chicago, 1967. Cfr. in particolare
D. Hume, Treatise , op. cit., II, p. 306: «But, though it be possible for men
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palma del migliore fra i critici del modello di diritto liberale del XIX secolo
a Otto von Gierke che seppe vedere i segni della nuova società futura».
I più noti giuristi liberali dell'epoca, C. F. von Gerber, Paul Laband e
Georg Jellinek si erano privati di ogni possibilità di difesa accogliendo un
positivismo giuridico che considerava l'intero diritto come la consapevole crea-
zione di un legislatore e riteneva che la costituzionalità del procedimento di
formazione di una regola, invece che il suo carattere, fosse l'elemento decisivo
per la sua qualificazione come proposizione giuridica (e con ciò metteva al
posto di uno di diritto materiale uno stato di diritto formale). Mediante tale
unione con un positivismo giuridico con esso incompatibile, il liberalismo
veniva screditato. Su questa connessione, che in Germania è stata poco capita,
cfr. il libro di John H. Hallowell, The Decline of Liberalism as an Ideology
with particular reference to German Politico-Legal thought , University of
California Press, 1943.
Poiché questo libro, a causa della sua data di apparizione, è rimasto
in Germania [e in Italia] pressoché sconosciuto ed è oggi difficile da rintrac-
ciare ne riportiamo qui di seguito alcui passaggi. Pag. 77: «Men like Gerber,
Laband and Jellinek. It is with them, that is, about 1870, that liberalism
might be said to decline». Pag. Ill: «Now so long as, and to the extent
that, liberals retained the substantive, as well as the fomal conception of law,
liberalism retained its integral character. When, however the former con-
ception of law alone was retained, liberalism became decadent, preparing
the way for its own demise». Pag. 112: «If it is possible to formulate any
" law " of development peculiar to liberalism, at least as it applies to German
politico-legal thought, then that a law " is that the decline of liberalism parallels
the degree to which liberal thinkers have accepted positivism ». Cfr. inoltre
su questo punto Carl Schmitt, Die geistesgeschichtUche Lage des deutschen
Parlamentarismus , München, 1962, 2* ed., p. 54 : « Il pensiero costituzionale e
assolutistico hanno quindi nel concetto di legge la loro pietra di paragone ma,
naturalmente, non in ciò che in Germania da Laband in poi si chiama legge in
senso formale e secondo cui tutto ciò che viene in essere con collaborazione
di una rappresentanza del popolo, si chiama legge, ma in una proposizione de-
terminata mediante caratteristiche logiche. È decisivo, come sempre, che la
legge sia una proposizione razionale e generale e non un provvedimento, un
intervento concreto, un comando ». Uno dei tratti caratteristici della situa-
zione attuale del pensiero giuridico tedesco è dato dalla circostanza che i
vari autori si scagliano contro il positivismo senza decidersi a eliminare il
passo decisivo verso il positivismo che è consistito nel passaggio da un concetto
di legge materiale a un concetto di legge formale, da uno stato di diritto mate-
riale a uno stato di diritto formale. Lo stato di diritto materiale può
essere definito proprio mediante i suoi rapporti con lo spontaneo e astratto
ordine sociale e la sua contrapposizione nei confronti della organizzazione.
Ma tale ultima distinzione è sempre più estranea al giurista tedesco.
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(34) Ciò significa che regole di giusta distribuzione possono esìstere per
un soggetto distributore in una organizzazione ma non per le azioni dei con-
sociati in un ordine spontaneo. Un ordine spontaeo conosce solo una giustizia
commutativa, non anche una giustizia distributiva. Quando Gustav Ràdbruch,
Rechtsphilosophie , 1956, 5* ed., p. 187 afferma: «Anche la comunità socialista
sarà quindi uno stato di diritto, uno stato dominato non da una giustizia
equilibratrice ma da una giustizia distributrice» ciò può essere vero, nella
migliore delle ipotesi, nel senso puramente formale che tutte le decisioni
giudiziarie in un tale stato siano autorizzate da una legislazione conforme
alla costituzione, non però nel senso materiale che al singolo possano essere
imposte solo norme generali, valide per tutti.
Cfr. in particolare John Rawls, Constitutional Liberty and the Concept
of Justice , c Nomos» VI, Justice, New York, 1963, p. 102: « ... put another
way, the principles of justice do not select specific distributions of desidered
things as just, given the wants of the particular persons. This task is abandoned
as mistaken in principle, and it is, in any case, not capable of a definite
answer. Rather, the principles of justice define the constraints which institu-
tions and joint activities must satisfy if persons engaging in them are to have no
complaints against them. If these constraints are satisfied, the resulting di-
stribution. whatever it is, may be accepted as just (or at least non in just) ».
(35) Cfr. a questo proposito in particolare il primo tomo di K. R.
Popper, The Open Society and Its Enemies , London-Princeton, 1945. Tipica per
l'attuale stato della filosofia sociale, dominata dall'idea di una società consa-
pevolmente ordinata, ad es. Brian M. Barry, Justice and the Common Oood ,
« Analysis », XIX, 1961, p. 90 : « Although Hume used the expression a rule
of justice * to cover precisely such things as property rules, w justice w is
now analytically tied ro * desert w and « need ", so that one could quite pro-
perly say that some of what Hume calls " rules of justices * were injust » ;
e John W. Chapman, Justice and Fairness , «Nomos», VI, Justice, New York,
1963, p. 153: «Justice as reciprocity makes sense only if society is seen as a,
plurality of persons and not, as the utilitarian would have it, as a sort of
single great person». Cfr. anche N. Rescher, Distributive Justice , Indianapolis,
1966.
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come quella tra «voluntas» e «ratio» dove «ratio» naturalmente, come an-
cora John Locke, aveva un significato completamente diverso da quello as-
sunto da «Vernunft» nel XVI e nel XVII sec. Cfr. J. Locke, Essays on the
Laws of Nature (1676) a cura di W. von Leyden, Oxford, 1954, p. 110:
« per rationem autem hic non intelligendum puto illam intellectus facultatem
quae discursus format et argumenta deducit, sed certa quaedam practica prin-
cipia e quibus emanent omnium virtutum fortes et quid quod necessarium sit
ad mores bene efformandos » cioè « Vernunft » significa nel vecchio diritto natu-
rale (prerazionalistico) la capacità di agire in conformità di regole non forma-
late, regole che possono essere scoperte ma che esistono anche senza essere
rivestite da parole nel senso che ciò che è ad esse conforme può essere ricono-
sciuto anche dall'uomo comune e che ai saggi può riuscire di esprimerle in
modo per gli altri soddisfacente.
(46) Garl Schmitt, Was bedeutet der Streit um den Rechtsstaat ,
« Zeitschrift f. d. ges. Staatswissenschaften », 59, 1935, pp. 190, 199.
(47) E. R. Hube®, Verfassungsrecht des grossdeutschen Reiches ,
Hamburg, 1937, 2a ed., pp. 209-10 : « La volontà popolare ... che viene espressa
fedelmente dal Fuehrer ».
(48) Ciò comporta che spesso il diritto venga desunto da presunte neces-
sità che il giurista non è in alcun modo competente a valutare e che per io
più celano delle idee completamente sbagliate in materia di teoria economica.
Cfr. ad es. le seguenti affermazioni nelle quali si parla di « imperativo inelut-
tabile », di « obbligo », di « responsabilità » : E. R. Huber, Wirtschafts-Ver -
wait ungsr echt, tomo I, Tübingen, 1953, pag. 673 : « La pianificazione e la dire-
zione dello stato può essere, dati certi presupposti, un imperativo ineluttabile
anche in altri rami della attività economica come, ad es., nella produzione di
materie prime, nel settore bancario, nei trasporti, nelle assicurazioni, in breve
nelle attività economiche chiave. In questi settori risulta quindi legittima l'in-
troduzione legislativa di un controllo dei bisogni in vista dell'interesse pubblico
economico. Tuttavia questa attività direttiva e di controllo deve limitarsi a quei
particolari settori economici in cui sia reperibile una legittima aspirazione
ad una regolamentazione economica generale ». E. Forsthoff, Lehrbuch des
Verwaltungsrechts , I, München, 1961, p. 3: «La moderna realtà sociale, de-
terminata dalla tecnica, dalla economia e dai fenomeni di massa che esse com-
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Mi sembra che ciò valga, per analogia, anche per tutte quelle aspi-
razioni allo stato di benessere (54) che non si limitano a proteggere i
singoli contro i pericoli comuni ma vogliono assicurare a ogni gruppo,
mediante redistribuzioni, il reddito che gli spetterebbe secondo una giu-
stizia distributiva avente un senso solo nell'ambito di una organizzazione.
Anche ciò mi sembra essere incompatibile con quei principi fonda-
mentali dello stato di diritto materiale che sono diretti ad un ordine
spontaneo.
sťordine si senta legato a queste regole. Ciò che voglio dire è che se lo scien-
ziato sociale vuole mantenere alcuni tratti di quest'ordine e presuppone la
sua continuazione non solo deve suggerire regole che contrastino con quelle
che l'ordine presuppone ma non deve neppure proporre regole che possano
scuoterne il prestigio, contraddicendo il principio ad esse implicito della uni-
versale validità delle regole di giustizia.
(52) Questo è già stato visto chiaramente dalla tarda scolastica. Crr. L.
Molina op. cit., disp. 365, p. 29.
(53) Cfr. E. Forsthoff, Lehrbuch des Y er valtungsrechts , I, München, 1961,
8a ed., p. 4.
(54) Nel lavoro di August Oncken ( Adam Smith una Immanuel Kant ,
Leipzig 1877, p. 177) scritto in occasione del primo centenario della pubblica-
zione di Adam Smith, The Wealth of Nations , si trova una osservazione che mi
sembra degna di essere riportata anche perchè essa utilizza per la prima volta
il termine « stato di benessere ». Oncken parlando dello stato assoluto scatu-
rito dalla riforma afferma : « Lo stato ha quindi cessato di essere uno stato
di diritto ; esso è diventato uno stato di benessere e ciò fino al punto da met-
tere in secondo piano lo scopo del diritto... E quanto più lo scopo di benessere
assorbe quello del diritto tanto più la classe impiegatizia si arroga la intera
amministrazione del diritto ».
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(55) I. Kant, La disputa delle facoltà in tre parti, Seconda parte. Di-
sputa della facoltà filosofica e di quella giuridica , par. 6, nota 2.
(56) Cfr. p. es. Metafisica dei costumi , ed. Akad., tomo VI, p. 389 : « Nes-
suna azione libera è possibile senza che l'attore si proponga uno scopo ».
(*) Traduzione dall'originale tedesco ( Rechtsordnung una nanaemsora -
nung, Freiburger Rechts- und Staatswissenschaftliche Abhandlungen, Band 27,
Verlag C. F. Müller, Karlsruhe, 1967) a cura di Alberto Febbrajo.
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