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ORDINAMENTO GIURIDICO E ORDINE SOCIALE

Author(s): Friedrich A. Hayek


Source: Il Politico , DICEMBRE 1968, Vol. 33, No. 4 (DICEMBRE 1968), pp. 693-724
Published by: Rubbettino Editore

Stable URL: https://www.jstor.org/stable/43209649

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ORDINAMENTO GIURIDICO E ORDINE SOCIALE

di Friedrich A. Hayek

Ci siamo ormai così familiarizzati con l'espressione «ordinamento


giuridico» da non renderci quasi più conto della ambiguità di signifi-
cato che le è propria e che può trarre facilmente in inganno non sol-
tanto il profano ma anche il giurista.
Vivere in un ordinamento giuridico significa, evidentemente, che
gli avvenimenti della vita sociale si svolgono in modo ordinato. È però
troppo facile giungere da ciò alla conclusione che un tale ordine è pos-
sibile solo perchè qualcuno ha ordinato così le cose. Questa interpreta-
zione del concetto di ordinamento giuridico è sviante proprio perchè
essa corrisponde effettivamente ad una parte della vita sociale e cioè
alle regole di organizzazione che costituiscono il diritto pubblico (1).

(1) Cfr. in particolare W. Burkhabdt, Einführung in die Rechtswis-


senschaft, Zürich, 1948, 2a ed., p. 137. La prima delle due differenze esistenti
tra norme di diritto pubblico e norme di diritto privato «riposa su una fonda-
mentale distinzione delle norme giuridiche: le norme materiali o di comporta-
mento prescrivono come il destinatario si deve comportare, ciò che deve fare
od omettere; le norme formali o di organizzazione determinano invece il proce-
dimento mediante il quale le norme di comportamento sono applicate e (coat-
tivamente) eseguite». A lui si rifanno H. Nawiaski, Allgemeine Rechtslehre ,
1948, 2a ed., p. 265 e C. Du Pasquier, Introduction à la théorie générale et la
philosophie du droit , 1942, 2* ed., p. 195. Cfr. anche Z. Giacometti, Allgemeine
Lehren des rechtsstaatlichen Verwaltungsrechts , Zürich, 1960, p. 101: «Le nor-
me organizzative dello stato appartengono al diritto pubblico se i loro destina-
tari, gli organi dello Stato, sono dotati di impérium e sono quindi presen-
tati come forniti di maestà; se, in altri termini, la competenza degli organi
(impiegati) da esse determinata è concettualmente unita a un potere di co-
mando ». Cfr. anche C. F.v. Savigny, Das System des heutigen Römischen Rechts ,
I, Berlin, 1840, p. 23: «Resta, tuttavia, tra i due campi una ben precisa con-
trapposizione : nel diritto pubblico il tutto è lo scopo e il singolo è il mezzo
mentre nel diritto privato il singolo è di per sè scopo e ogni rapporto giuridico
si riferisce, come semplice mezzo, alla sua esistenza e alla sua condizione»;
cfr. anche sempre del Savigny, l'osservazione nella « Juristische Methodenlehre »
a cura di G. Wesenberg, Stuttgart 1951, p. 13: «Vi sono, quindi, solo due
parti principali della scienza del diritto: la scienza del diritto privatistica e
quella criminalistica. Il diritto statuale, invece, rappresentazione sistematica
della costituzione dello stato, non si lascia in alcun modo ricondurre al concetto
di scienza del diritto». Cfr. inoltre L. L. FuIxer, The Morality of Law ,
Yale University Press, 1964, p. 63 e p. 169; H. L. A. Habt, The Concept of
Law , Oxford, 1961. A cominciare da Paul Laband, nella cui opera vengono toc-
cati molti dei problemi cui si è qui accennato, Tintera discussione, svoltasi in
Germania sulla differenza tra legge in senso formale e legge in senso materiale
non ha sortito alcun esito. Si è infatti tentato di attribuire al diritto costitu-
zionale il carattere di norma del comportamento giusto mentre l'ideale su cui
si fondano i principi dello stato di diritto, della libertà nel diritto e della divi-
sione dei poteri comporta che misure coattive nei confronti dei privati possano
essere messe in atto solo sulla base delle regole del diritto civile e penale e non

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Queste regole, insieme coi comandi specifici che prescrivono gli scopi
dell'apparato statuale e i compiti dei singoli funzionari, determinano
effettivamente un ordine sociale.
Nel campo del diritto pubblico, quindi, non è inesatto indicare uni-
tariamente il sistema di regole giuridiche e l'ordine sociale da esse
determinato con la espressione «ordinamento giuridico». Mi sembra,
tuttavia, che persino noti filosofi del diritto, per lo più provenienti dagli
studi di diritto pubblico, si siano lasciati guidare dal modo di pensare
acquisito in questo campo.
L'ordine nelle azioni degli altri consociati che ogni giorno ci atten-
diamo di ritrovare e la cui effettiva esistenza ci consente di realizzare
i nostri piani, non è una creazione del diritto nello stesso senso in cui
lo è l'ordine dell'apparato autoritativo. Non dobbiamo ringraziare alcun
concreto ordinatore se, anche in una città straniera, possiamo trovare
tutto ciò di cui abbiamo bisogno o se, a dispetto dei continui mutamenti
che si verificano nel mondo, sappiamo all'incirca quello che potremo
procurarci tra una settimana o tra un anno. Siamo addirittura così
viziati da giungere a lamentarci se non troviamo esattamente ciò che
ci aspettiamo; dovremmo invece rimanere stupiti che le nostre aspetta-
tive si realizzino così spesso, sebbene nessuno sia tenuto a preoccuparsi
di esaudire i nostri desideri. Discutendo questo problema si incontra un
ostacolo: la radicata tendenza del nostro pensiero a ricondurre costan-
temente l'ordine all'opera di un soggetto ordinatore. Questa diffusa con-
vinzione, che l'ordine presupponga qualcuno che comandi e altri che
ubbidiscano (2), ha esercitato un grande influsso nella storia delle idee
politiche. Essa è tuttavia vera solo per quegli ordinamenti o organiz-
zazioni, inclusa la organizzazione dell'apparato statuale, che siano stati
creati consapevolmente dall'uomo in vista del conseguimento di obbiet-
tivi concreti. Essa, evidentemente, non è vera per ordini quali il mer-
cato o la società, se si usa questa seconda espressione come antitesi
dell'organizzazione statale.
In questi casi abbiamo a che fare con ordini di tipo diverso, ordini
che si fanno da sè nel momento in cui gli elementi di cui sono composti
osservano certe regole generali diverse dalle regolarità del singolo com-
portamento (3). La scoperta decisiva dei grandi pensatori sociali del se-

dei diritto statuale e costituzionale. Quest'ideale è sorto in Atene, nella Roma


repubblicana, in Inghilterra, cioè in paesi dove il diritto si sviluppò non per
opera del legislatore ma della giurisprudenza. Sull'intero problematica e sulle
sie implicazioni cfr. in particolare Franz Böhm, Privatrechtsgesellschaft und
Marktwirtschaft , «Ordo», XVII, 1966.
(2) Espresso chiaramente dal monarca inglese Giacomo I, il quale (se-
condo F. D. Wormuth, The Origins of Modem Constitutionalism , New York,
1949, p. 51) avrebbe detto che: «order was dependent upon the relationship of
command and obedience. All organization derived from superiority and obedien-
ce ». Solo mettendosi in questo ordine di idee si può capire come mai in epoca mo-
derna Carl Schmitt ( Legalität und Legimität , 1932) abbia potuto affermare:
«La migliore cosa del mondo è il comando».
(3) Cfr. il mio articolo Orten der Ordnung (Tipi di ordine), «Ordo», XIV,
1963. In questo primo accenno di distinzione tra ordine spontaneo e ordina-

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calo XVIII consistette nell'accorgersi dell'esistenza di tali ordini spon-
tanei, che si fanno da sè, e nel descriverli come risultato dell'azione
ma non dell'intenzione dell'uomo (4). La scoperta di ordini spontanei
e la conoscenza, ad essa strettamente collegata, di processi di svilup-
po attraverso i quali si formano istituzioni tali da assicurarne il man-
tenimento o la trasformazione ha dotato le scienze sociali teoriche di
un oggetto particolare di studio e ha inoltre assunto una grande impor
tanza per altre scienze come la biologia (5). Solo in tempi recenti la ci-
bernetica ha fatto qualcosa di analogo nel campo delle scienze fisiche
sotto il nome di sistemi autoregolantesi o auto-organizzantesi (6).
L'affermazione che gli avvenimenti sociali mostrano sotto molti
aspetti un ordine che nessuno ha ad essi consapevolmente imposto ri-
sulta immediatamente evidente anche se non è senz'altro chiaro in che
senso si possa qui parlare di ordine. Ogni antropologo o studioso del
comportamento animale è in grado di dirci che nè le società umane pri-
mordiali nè le diverse società animali possono sussistere senza un or-
dine, che in questi casi non è certo originato da un comando consape-
vole, ma risulta in qualche modo dalle regolarità dei comportamenti in-
dividuali: la semplice constatazione! che le regolarità dei comporta-
menti individuali possano condurre ad un ordine generale necessario per
la sopravvivenza della specie, non è però suflìciente. Dobbiamo ora chie-
derci: che cosa significa in questo contesto ordine? Dove si rivela in
particolare l'ordine della società umana?

II

La più opportuna definizione del concetto di ordine mi sembra es-


sere la seguente: si ha ordine quando sia possibile stabilire rapporti
tra elementi ricorrenti che rendono possibile sulla base di una cono-
scenza di una parte spazialmente o temporalmente limitata di formu-
lare aspettative aventi buone probabilità di realizzazione sulla parte
che ci è ignota. Da questa definizione risultano due conseguenze impor-

mento o organizzazione non ho potuto mettere sufficientemente in evidenza che


il primo è indipendente e il secondo dipende da scopi determinati. Tale distin-
zione corrisponde quindi a quella di Michael Oakeshott (Londra) tra «no-
mocrazia » e « telocrazia ».
(4) Çfr. il mio articolo, The Results of Human Action tut not of Human
Design nei miei « Studies in Philosophy, Politics and Economics », London e
Chicago 1967, anche nella trad, francese in « Les Fondements philosophiques
des systèmes économiques. Textes de Jacques Rueff et essais en son honneur»,
Paris, 1967. Per il resto cfr. anche il mio contributo « Principles of a Liberal
Social Order» nella prima op. cit.
(5) Cfr. la mia lezione Dr. Bernard Mandeville in « Proceedings of the
British Academy », 1*11, 1966, London 1967. Che Charles Darwin abbia ripreso
il concetto di sviluppo dalle scienze sociali teoriche e lo abbia applicato alla
biologia non diminuisce la importanza di tale concetto per le scienze sociali,
anche se molti autori, avendolo imparato a conoscere attraverso le opere bio-
logiche, lo hanno frainteso.
(6) Cfr. per es. H.v. Foerster e G.W. Zopf (curatori), Principles of Self-
Or gamzation , New York, 1962.

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tanti per lo svolgimento successivo della trattazione: la prima conse-
guenza è che l'ordine è un concetto graduabile e ogni tipo di ordine si
può realizzare in diversa misura; ciò significa che la possibilità (chan-
ce) (7) di vedere realizzate le nostre aspettative è corrispondentemente
più o meno grande o più o meno piccola. La seconda conseguenza, meno
ovvia, è che l'ordine può essere definito indipendentemente dagli scopi
particolari per seguiti (8), a meno che non si consideri la stessa possi-
bilità di agire razionalmente come uno scopo. In un mondo completa-
mente caotico sarebbe naturalmente impossibile perseguire qualche scopo
e, d'altro canto, presupposto essenziale per il perseguimento di uno
scopo qualsiasi è pur sempre la consapevolezza dell'esistenza di un
ordine.
L'ordine sarà quindi desiderabile anche indipendentemente dagli
scopi che si vogliano perseguire. Ciò non toglie che ordini diversi pos-
sano evidentemente essere più o meno utili in vista del conseguimento
di scopi diversi. Ordine è, quindi, innanzitutto un concetto fattuale alla
stessa stregua di ogni altro concetto scientifico e non è un concetto nor-

(7) Cfr. Max Weber, Gesammelte Aufsätze zur Wissenschaftslehre , Tübin-


gen 1922, p. 346, dove « avere una certa chance » viene definito come € potere
contare con un alto grado di probabilità su un comportamento altrui». Cakl
Schmitt ( Legalität und Legimitat , 1932, in «Verfassungsrechtliche Aufsätze »,
Berlin 1958, p. 283) dice molto giustamente della parola «chance»: «appar-
tiene propriamente al modo di pensare e di parlare di un'epoca liberale della
libera concorrenza e della expectation e coglie la mescolanza di caso fortunato
e regolarità, libertà e prevedibilità, arbitrio e controllo che è proprio di questa
epoca». Per il resto bisogna purtroppo dire che la nota trattazione weberiana
dei rapporti tra ordinamento giuridico e ordine economico è completamente
irrilevante per la problematica qui trattata. Per Weber «ordine» è qualcosa
che «vale», è bene precisare comunque che il concetto weberiano di «vali-
dità » ha carattere fattuale e si oppone esplicitamente a quello giuridico (NdT)
o è «contenuto in una proposizione giuridica». L'« orientamento della azione
ad un ordine » o la « infrazione di un ordine » si riferisce spesso a regole nelle
quali si identifica l'ordine. In altri termini per il Weber ordine è ordinamento
e quindi la sussistenza o la formazione di un ordine spontaneo non viene sen-
tita come un problema. Come la maggior parte dei positivisti e dei socialisti
Weber vede l'ordine come taxis non come cosmos e si preclude cosi l'accesso
ai veri problemi di una scienza sociale teorica. Questa posizione non è molto
lontana da una definizione del diritto come un ordine sociale e di ordine come
un sistema di norme (H. Kelsen, Reine Rechtslehre , Wien pp. 32 e 34) consi-
derando quindi ordine e organizzazione come sinonimi (H. Kelsen, Der sozio-
logische und juristische Staatsbegriff , Tübingen 1922, p. 143). Muovendo da
questa posizione diviene impossibile comprendere le diverse funzioni del diritto
come fondamento della formazione di un ordine spontaneo e come ordinamento
di una organizzazione. In riferimento alla terminologia greca vedi Helmut Kuhn,
« Ordnung im Werden und Zerfall », in H. Kuhn und F. Wjemann, Das Pro-
blem der Ordnung (Sechster Deutscher Kongress fur Philosophie, München
1960), Meisenheim 1962, pp. 11-13.
(8) L'unico luogo a me conosciuto nel quale la errata opinione contraria,
molto spesso tacitamente presupposta viene esplicitamente dichiarata è J.
Bentham, An Essay on Political Tactics , apparso per la prima volta nel tomo II
della sua « Opera » (a cura di J. Bowring, Londra, 1883). A p. 299, dopo aver
definito « tactics» come «the art of setting in order» si afferma «order sup-
poses an end». Questa idea è implicita anche nelle affermazioni di Cari
Schmitt, citate qui neUa nota 30.

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mativo o valutativo (in un certo senso ogni proposizione scientifica con-
tiene l'affermazione che esiste un ordine di un certo tipo). Sapere della
sussistenza di un ordine comporta però la conoscenza non di fatti con-
creti ma «olo di rapporti astratti tra tipi di cose.
Questo è importante perchè l'ordine della grande società aperta di
cui voglio ora occuparmi può essere, per diverse ragioni, soltanto un
ordine astratto (9). Esso può consistere in un adattamento a circostanze
in costante mutamento che nessuno conosce completamente e che quindi
non potrebbero in alcun caso derivare da un comando consapevole e cioè
dalla collocazione di cose determinate al posto loro assegnato da un
soggetto ordinatore.
È vero che possiamo essere certi che le aspettative, su cui abbiamo
fondato i nostri progetti, si realizzeranno quasi completamente. Ma ciò
non significa che le cose rimangano invariate. Mutano troppe cose nel
mondo indipendentemente dalla nostra volontà per poter pensare di
mantenere invariata una situazione. Del resto la realizzabilità dell'ipo-
tesi e coeteris paribus » non ci sarebbe utile quanto la conoscenza di
un ordine astratto. Questo, infatti, ha una validità generale mentre la
conoscenza di fatti concreti è sempre limitata.
La teoria economica ha descritto il caso ideale di un ordine astrat-
to nel quale tutte le aspettative potrebbero essere realizzate (non es-
sendo in contraddizione reciproca). Esso è il c.d. equilibrio di mercato (10).
Ci si può chiedere se un tale equilibrio sussiste realmente e a
questa domanda dobbiamo rispondere che esso in realtà non è mai esi-
stito. Ma anche considerando che la teoria dell'equilibrio descrive solo
la perfetta e irragiungibile realizzazione di quest'ordine, esso è sempre
in grado di conseguire un buon livello di approssimazione alla realtà e
ogni aumento della concordanza delle aspettative deve essere conside-
rato come un avvicinamento a questo obiettivo.
Mi occuperò più tardi del paradosso per cui in un sistema di mer-
cato questa massimizzazione della realizzazione delle aspettative può
essere conseguita solo mediante la sistematica delusione di certe aspet-
tative. Per il momento mi interessa solo rilevare una delle caratteri-
stiche dello spontaneo ordine di mercato e cioè che nel complesso i
piani del singolo consociato sono regolati reciprocamente in modo da
consentire ai più di vederli realizzati.

(9) Cfr. in questo contesto le aggiunte all'ultima edizione di Karl Popper,


The Open Society and its Enemies , 1963, pp. 173, e 175, nelle quali « a closed
society > viene indicata come un € concrete groups of concrete individuals »
mentre can open society may become... an abstract society... Our modem so-
ciety resembles in many of its aspects such a completely abstract society ».
(10) Questa definizione del concetto di equilibrio economico viene formu-
lata esplicitamente per la prima volta nella mia lezione del 1936, Economics
and Knowledge , «Economica», N.S., IV, 1937 ristampata in Individualism and
Economic Order , Londra e Chicago 1937. Fondamentalmente sulla medesima
idea si fonda K. F. Maiebs, Behandlung des Problems der Koordination der Ein-
zelpläne » (Jena 1935, in particolare p. 67). Essa fu poi diffusa dall'opera di
Walter Eucken.

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Non ho difficoltà ad ammettere che a questo punto ci imbattiamo in
un problema completamente aperto: che grado di stabilità devono avere
i dati o in altri termini in che limiti devono rimanere le inevitabili
innovazioni perchè si possa verificare questo adattamento reciproco
dei piani individuali?
Anche se non siamo in grado di dare a questa domanda una rispo-
sta valida in generale ciò non è molto importante.
È infatti chiaro che ogni altro sistema potrebbe funzionare meno
se i dati fossero troppo instabili e in particolare che, in questa ipotesi,
una pianificazione si rivelerebbe ancor più inefficace di un sistema di
mercato.
La buona probabilità di vedere realizzate le nostre aspettative o
di fare previsioni esatte è la caratteristica dell'ordine di mercato che
si autorizza a considerarlo un ordine. Essa non è però in alcun modo
la sola caratteristica o la sola prerogativa di questo ordine. L'ordine
di mercato presenta non solamente un adattamento continuo a circo-
stanze imprevedibili ma un adattamento tale da mettere a frutto cono-
scenze suddivise fra migliaia di individui come meglio non si potrebbe.

III

Un ordine che risulti dall'adattamento a circostanze che nessuno co-


nosce nella loro totalità può essere solamente un ordine spontaneo perchè
l'unica forma alternativa di un ordine, l'ordinamento o organizzazione,
presuppone che il soggetto ordinatore disponga di tutte le informazioni
necessarie. Il problema che lo spontaneo ordine di mercato risolve è
proprio l'utilizzazione di più conoscenze di quelle che il singolo pos-
siede. L'ordine di mercato raggiunge questo obiettivo mediante un « pro:
cedimento di scoperta» che noi chiamiamo concorrenza. Il risultato di
questo procedimento di scoperta non è veramente l'equilibrio della teo-
ria della concorrenza perfetta in cui ogni bene e ogni servizio viene
prodotto ai costi minori e viene venduto ai prezzi più bassi. Un equili-
brio siffatto infatti potrebbe essere realizzato solo da un dittatore onni-
scente. Ma laddove la concorrenza non sia ostacolata viene raggiunto
qualcosa di analogo: in particolare una condizione in cui 1) tutto ciò
che giunge sul mercato è prodotto a costi che sono più bassi di quelli
a cui potrebbe essere prodotto da chi in realtà non produce il singolo
bene o la singola prestazione, e nel quale 2) questi beni e servizi ven-
gono venduti a prezzi che non sono necessariamente i più bassi ai
quali potrebbero essere venduti a lungo termine, ma che sono più o
almeno altrettanto bassi di quelli a cui potrebbero essere venduti da
chiunque altro. Ciò si verifica perchè questo ordine mette ogni conso-
ciato in condizione di adattare la propria azione a più circostanze di
quelle che egli direttamente conosce. Nei prezzi e nelle variazioni di
prezzo a cui egli deve orientarsi si riflettono i risultati di avvenimenti
talvolta disseminati in tutto il mondo che influenzano il singolo in
modo che egli agisce come se li conoscesse.

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Ho precedentemente osservato che il risultato di questo processo
può essere considerato un massimo solo in senso ristretto. La ragione è
che l'ordine del mercato non serve nè può servire uno scopo concreto o
una gerarchia unitaria di scopl. Noi abbiamo già visto che gli ordini
spontanei non abbisognano di alcuno scopo e tuttavia, o meglio proprio
per questo, possono servire una molteplicità di scopi diversi e perfino
divergenti. Senza una gerarchia unitaria di scopi non vi può essere
una misura per la valutazione dei risultati totali. Tutto ciò che pos-
siamo dire è che quale che sia la parte della torta comune che tocchi
al singolo il contenuto reale di questa quota è prodotto imponendo agli
altri soggetti un sacrificio minore di quello richiesto da qualsiasi altro
sistema o, ciò che è lo stesso, il corrispettivo reale della quota spet-
tante a ciascuno, pur essendo la sua consistenza relativa affidata al
caso, è il massimo possibile.
Si ottiene questo risultato solo se la quota spettante ai singoli indi-
vidui o ai gruppi professionali dipende da circostanze che nessuno cono-
sce nella loro totalità. In tal modo l'intero processo diventa una specie
di gioco dove le vincite sono una questione di fortuna oltre che di
abilità (11). Dato che questo gioco non consiste solo nello sfruttare le
proprie conoscenze per perseguire i propri scopi ma anche nell'adat-
tarsi a circostanze imprevedibili, viene premiata la previsione esatta e
multata quella inesatta anche se, non essendovi alcun appiglio per una
decisione razionale, si sia semplicemente tirato ad indovinare. In que-
sto gioco la quota che il singolo vincerà è in parte imprevedibile ed è,
in questo senso, abbandonata al caso. È certo tuttavia che il monte
premi da dividere aumenta e ciascuno può contare di percepire la quota
più elevata possibile anche se la sua consistenza non è determinabile.
Non posso soffermarmi più a lungo sul difficile problema della mas-
simizzazione del prodotto sociale che mi sembra sia stato completa-
mente frainteso dai teorici del benessere. Quanto detto serve comunque
a mettere in evidenza due punti: I) I meccanismi dell'ordine spontaneo
aiutano a superare i limiti posti al nostro potere dall'ignoranza della
realtà. Essi infatti mettono a frutto conoscenze maggiori di quelle che
qualsiasi individuo od organizzazione sia mai in grado di possedere;
II) L'ordine creato dai meccanismi di mercato si manifesta attraverso
il permanere di certi rapporti astratti che nel momento in cui ci ser-

(11) La intepretazione del meccanismo di mercato come un gioco si


trova già in Adam Smith, The Theory of Moral Sentiments , 1759, Parte VI,
sez. II, cap. 2 : « in the great chessboard of human society, every single
piece has a principle of notion of its own, altogether different from that
which the legislature might choose to impress upon it. If these two prin-
ciples coincide and act in the same direction, the game of human society
will go on easily and harmoniously, and is very likely to be happy and
successful. If they are opposite or different, the game will go on miserably,
and the society must be at all times in the highest degree of disorder».
Cfr. anche parte VII, sez. II, cap. I: «Human Life the Stoics appear to
have considered as a game of great skill ; in which however, there is a mixture
of chance, or what is vulgarly understood to be chance».

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viamo di essi sfuggono alla nostra volontà. Solo in questo modo infatti
possiamo far rientrare nell'ordine le conoscenze e gli scopi individuali
da cui esso dipende.
Questo ordine astratto è quindi una specie di traguardo prelimi-
nare che il singolo persegue quale mezzo per il raggiungimento dei pro-
pri obbiettivi.
Esso è anche l'unico obbiettivo che può essere denominato come
bene generale, interesse pubblico, fine comune. Queste espressioni non
devono essere intese come la somma di risultati parziali prevedibili
ma come la pura e semplice « chance » che un ordine siffatto offre ad
ignoti.
È vero che possiamo provocare la formazione di un ordine che sia
in condizione di sfruttare conoscenze maggiori di quelle in possesso di
ogni singolo (per questo non ne possiamo prevedere l'effettivo conte-
nuto) e quindi in grado di conseguire obbiettivi altrimenti irraggiun-
gibili. Ma appunto per questo non possiamo comprenderne immediata-
mente la struttura nè individuarne un modello (per questo non sap-
piamo perchè certi avvenimenti non si verificano). Questo ordine farà
comunque in modo che una molteplicità di persone riesca a conseguire
gli scopi perseguiti e quindi sarà almeno efficace quanto un ordinamento.
Queste tesi si trovano in netta antitesi col « razionalismo costrutti-
vistico» che da Cartesio in poi domina il pensiero europeo e potranno
essere accolte solo se si affermerà in sua vece un più saggio «raziona-
lismo critico » che sia consapevole non solo della potenza ma anche dei
limiti della ragione.

IV

Alla fondamentale verità che tutti i problemi della teoria sociale e


della politica scaturiscono da ineliminabili limiti delle nostre cono-
scenze vorrei aggiungere due brevi osservazioni. La prima riguarda un
argomento interessante dal punto di vista epistemologico. Se conforme-
mente a quanto proposto di fare consideriamo la concorrenza come un
procedimento per lo sfruttamento di circostanze ignote abbiamo dimo-
strato l'utilità della concorrenza nell'ambito di un'ipotetica costruzione
teorica ma non nei casi concreti in cui essa è praticamente rilevante.
Per constatare se la concorrenza porti in realtà allo sfruttamento di
conoscenze che senza di essa non sarebbero state utilizzate è infatti
necessario che almeno gli studiosi che dimostrano la validità di tale
teoria posseggano già queste conoscenze, e in questo caso non avremo
più bisogno della concorrenza per utilizzarle (12).
La seconda considerazione è di carattere generale. Bertrand Russell
ha detto che la scienza si occupa di ciò che sappiamo e la filosofìa di

(12) Cfr. il mio articolo «The Theory of Complex Phenomena» in The


Critical Approach to Science and Philosophy » a cura di M. Bunge, New York
1964, ristampato nei miei Studies in Philosophy , Politics and Economics , Lon-
don-Chicago, 1967.

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ciò che non sappiamo (13). In questo egli ha probabilmente ragione.
Ma quanto alle conseguenze propenderei in questa «disputa delle fa-
coltà » per una posizione diametralmente opposta a quella di Russell. Mi
sembra in particolare che dalla frase citata si possa ricavare che la
filosofìa è più importante della scienza. Infatti in molti campi non si
può sperare di eliminare la nostra ignoranza attraverso il progresso
della scienza ma occorre invece adattarsi nel migliore dei modi alla
nostra inevitabile ignoranza della situazione. Ogni progresso della scien-
za comporta anche un aumento relativo dell'ignoranza di cui siamo con-
sapevoli. È stato persino detto che tanto più si allarga la circonferenza
del conosciuto tanto più si amplia l'area periferica dello sconosciuto.
Per questa ragione trovare un metodo che ci metta in grado di adattarci
con successo alla nostra ineliminabile ignoranza può costituire tal-
volta un progresso maggiore che ampliare il campo delle conoscenze
effettive (14).
Mi sembra che molti degli schemi di comportamento elaborati dal-
l'uomo, in particolare tutte le regole del comportamento giusto, siano
frutto dell'adattamento alla nostra costituzionale ignoranza.
Può darsi che il lettore sia stupito da questa affermazione. In tal
caso per convincerlo basterebbe chiedergli se tali regole del comporta-
mento giusto sarebbero ammissibili in un mondo in cui gli uomini fossero
onniscienti. Io ritengo di no. Ogni comportamento in un mondo siffatto
dovrebbe essere determinato in base alle sue conseguenze e per valu-
tazioni equitative non vi sarebbe alcun posto. Tutte le regole, limitando
il campo delle circostanze di cui occorre tener conto a una parte di
quelle potenzialmente rilevanti, rendono possibile una decisione concreta.

(13) Bertrand Russell, « The Philosophy of Logical Atomism » (1918), in


Logie and Knowledge a cura di R.G. March, London 1956, p. 281: dato che la
filosofia si propone di assisterci nel campo dell'ignoto essa si occupa di «prin-
cipi» e non di cose. I principi infatti ci aiutano a raccapezzarci in un mondo
ove le cose che lo compongono ci siano, per la maggior parte, ignote. In parti-
colare i divieti della morale e del diritto altro non sono che adattamenti ge-
nerici a questo mondo. Essi non ci dicono che cosa accade ma che cosa non ac-
cadrà se non li osserviamo.
(14) Warren Weaver, A Scientist Pondera Faith, « Saturday Review »,
3 gennaio 1959 : c As science learns one answer, it is characteristically true that
it also learns several new questions. It is as though science were working in
a great forest of ignorance, making an ever larger circular clearing within
which, not to insist on the pun, things are clear. ... But, as the circle becomes
larger and larger, the circumference of contact with ignorance also gets longer
and longer. «Cfr. anche K.R. Popîper, «On the Sources of Knowledge and of
Ignorance », in Conjectures and Refutations , London 1963, p. 28 : « The more we
learn about the world, and be our deeper our learning, the more conscious, spe-
cific, and articulate will be our knowledge of what we do not know, our
knowledge of ignorance. For this, indeed, is the main source of our ignorance -
the fact that our knowledge can be only finite, while our ignorance must neces-
sarilly be infinite». E, inoltre G. de Santillana, The Crime of Galileo , Chicga,
1935, p. 34: «in fact as Galileo thought, the range of acknowledged ignorance
will grow with the advance of science»; e l'aggiunta di Herbert Spencer:
« In science, the more we know, the more extensive the contact with ne-
science ».

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Esse contengono spesso l'ordine di prendere in considerazione solo una
parte delle circostanze tralasciando le altre, anche se siano note. E
come «tout comprendre» significherebbe «tout perdonner» così non
avremmo bisogno di regole astratte o di principi di giustizia per giù
dicare dell'ammissibilità o della desiderabilità di un comportamento se
ne conoscessimo tutte le conseguenze.

Ora devo però ritornare al problema centrale dei rapporti tra re-
gole individuali di comportamento e la costituzione di un ordine sociale.
Spero che a questo punto sia già chiaro che l'armonia su cui si fonda
l'ordine sociale o un qualsiasi altro ordine spontaneo sia qualcosa di di-
verso dalla regolarità dei comportamenti dei singoli consociati (15). Ciò
risulta evidente dal fatto che il regolare comportamento dei singoli
consociati può portare ad un completo caos generale, mentre viceversa
l'ordine generale può essere realizzato anche se il comportamento dei
singoli consociati non obbedisca a regole. L'esempio classico del primo
caso, per il quale è stato coniato il termine di disordine perfetto, è la
formula dell'entropia nella termodinamica. Secondo questa formula pro-
prio il regolare e rettilineo moto delle molecole completamente elastiche
di un gas condurrebbe ad un disordine completo. Non v'è dubbio che
possono immaginarsi anche parecchie regole individuali di comporta-
mento in grado di portare ad un disordine totale e di rendere quindi
impossibile il formarsi di una società. Il secondo caso sarebbe realiz-
zato da una società in cui un piano generale stabilisse una certa gam-
ma di attività lasciando che il ruolo o la funzione di ogni singolo fos-
sero determinati di giorno in giorno o di ora in ora mediante sorteggio.
In una tale società il comportamento di ogni singolo consociato non pre-
senterebbe alcuna regolarità mentre il complesso apparirebbe ordinato.
Questo caso mostra inoltre che un ordinamento o una organizzazione
è fondamentalmente possibile anche senza regole mentre un ordine spon-
taneo si fonda sempre sul regolare comportamento degli individui che
vi partecipano. Tale conclusione introduce il problema centrale del pre-
sente lavoro. A questo punto è infatti logico chiedersi di che genere
debbano essere le regolarità di comportamento degli individui perchè
le reazioni del singolo in circostanze a lui note possano condurre ad un
ordine generale. Si potrebbe ritenere che questo sia stato da sempre il
problema centrale della scienza del diritto e dello stato; e invece a par-
tire dagli ultimi tentativi di fondare un'unitaria « science de la legisla-
tion » risalenti alla fine del XVIII secolo (16) la scienza giuridica e le

(15) Tipicamente sviante in questa direzione per es. R.v. Jhering, Der
Zweck im Recht , tomo I, 3a ed., p. 352: «Ordine, cioè conformità dell'azione
sociale » ; cfr. anche ivi p. 357.
(16) Con ragione afferma p. es. C.A. Cooke, Adam Smith and Jurispru-
dence, « Law Quarterly Review », LI, 1935, p. 328 : « The theory of political
economy that emerges in the Wealth of Nations can be seen to be a consi-

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scienze sociali teoriche hanno imboccato strade diverse e nessuno si è
preoccupato di questo fondamentale problema. Non dovrebbe sussistere
alcun dubbio che una comprensione dell'ordine sociale alla cui costitu-
zione contribuisce l'osservanza di regole di comportamento, sia il neces-
sario presupposto per la comprensione degli effetti delle norme giuri-
diche. Viceversa la conoscenza delle regole giuridiche sarebbe il pre-
supposto per la spiegazione dell'ordine sociale. È chiaro che le regole
del comportamento giusto non possono influenzare direttamente un or-
dine sociale in cui i singoli si servano delle proprie conoscenze per conse-
guire i propri scopl. Un ordine sociale concreto viene determinato comple-
tamente solo attraverso le particolari intenzioni e le conoscenze fattuali
dei soggetti agenti e le regole di comportamento che essi seguono pos-
sono essere soltanto delle condizioni che limitano il loro campo di
scelta. In realtà troviamo che le regole di diritto privato e penale, o
almeno la maggior parte di esse, - e cioè tutto il complesso di regole che
io denomino del « comportamento giusto » per opporle ai comandi spe-
cifici del diritto pubblico - sono solo divieti che delimitano il campo
della libera azione (17) e solo in casi eccezionali (cioè quando il singolo

stent theory of law and legislation » ; cfr. in particolare su questo argomento


A. Giuliani, Adamo Smith filosofo del diritto , «Rivista internazionale di filo-
sofila del diritto», XXXI, 1954; J. Ceopsey, Polity and Economy. An inter -
pretations of Principles of Adam Smith , the Hague 1957, e H. J. Bitter-
mann, Adam Smith's Empiricism and the law of Nature , « Journal of Political
Economy», 1940.
(17) Sebbene una lunga serie di autori si sia accorta con stupore che le
regole del comportamento giusto hanno, tra soggetti uguali di fronte al di-
ritto, un carattere essenzialmente negativo, sono cioè divieti, nessuno ha mai
tratto da ciò tutte le conseguenze. A questo proposito tipica l'impostazione di
D. Hume, I. Kant e Adam Smith per i quali le regole del giusto comportamento
servono soprattutto alla protezione e alla delimitazione delle sfere individuali
(L. Bagolini, La simpatia nella morale e nel diritto , Bologna 1952, p. 60,
considera come particolarmente caratteristico nel pensiero di A. Smith la trat-
tazione de «il problema del diritto e della giustizia dal punto di vista del-
l'ingiustizia»). Cfr. a questo proposito The Theory of Moral Sentiments (1759)
parte II, sez. II (penultimo capoverso) : « Mere justice is, upon most occasions,
but a negative virtue and only hinders us from hurting our neighbour » Cfr.
inoltre J. J. Rousseau, Emile , libro II : « La plus sublime vertu est negative ; eile
nous instruit de ne jamais faire du mal à personne » ; A. Schopenhauer, Par er g a
und Paralipomena , II, 9 : « Il concetto di diritto è, come quello di libertà, un
concetto negativo, il suo contenuto è una pura negazione. Il concetto di ingiusto
è invece un concetto positivo e il suo significato è identico a quello del termine
lesione inteso in senso lato, laesio quindi»; cfr. anche dello stesso autore
Grundlagen der Moral , p. 17 ; Frédéric Bastiat, La loi , in « Oeuvres complètes »,
IV, Paris, 1850, p. 35 : « Cela est si vrai, qu'ainsi qu'un de mes amis me faisait
remarquer, dire que le but de la loi est de faire régner la Justice , c'est se servir
d'une expression qui n'est pas rigoureusement exacte. Il faudrait dire: Le but
de la Loi est d'empêcher VInjustice de régner . En effet, ce n'est pas la
Justice qui a une existence propre, c'est l'Injustice. L'une résulte de l'absence
de l'autre»; Max Scheler, Der Formalismus in der Ethik und die materielle
Wertethik , 1927, 3a ed., p. 212; Leonard Nelson, Die Rechtswissenschaft ohne
Recht , Leipzig, 1917, p. 133; K. E. Bounding, The Organisational Revolution ,
New York 1953; L. L. Fuller, The Morality of Law , Yale University Press,
1964, p. 42; Bernard Mayo, Ethics and the Moral Lifef London 1958, p. 204;

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entra a far parte di un gruppo avente scopi sociali determinati) giun-
gono a prescrivere azioni determinate.
È stato giustamente osservato che lo scopo di quasi tutto il diritto
privato (forse ad eccezione di alcune parti del diritto di famiglia) è la
determinazione di una sfera individuale giuridicamente tutelata onde
escludere le intromissioni di terzi (18). Il diritto definisce queste sfere
non assegnando cose determinate a persone determinate ma, come co-
munemente si dice, mediante regole astratte che consentono di dedurre
dalla situazione ciò che spetti ad ognuno. Il diritto quindi si preoc-
cupa solamente che ognuno ottenga ciò che gli spetti ma ciò che in con-
creto gli spetterà non dipende solo dalle regole giuridiche ma anche
dalle circostanze di fatto alle quali le regole giuridiche rinviano (19).

Aubel Köln al, The Thematic Primacy of Moral Evil , «Philosophical Quar-
terly», VI, 1956.
L'idea che la ingiustizia sia l'elemento primitivo e che le regole del com-
portamento giusto siano essenzialmente divieti di un comportamento ingiusto è
importante in quanto l'intero positivismo giuridico deve il suo sorgere alla
sfiducia nella possibilità di scoprire criteri di giustizia (Cfr. la classica formu-
lazione del Radbruch, Rechtsphilosophie , Stuttgart, 1963, VI ed.: «Dato che
nessuno è in grado di stabilire che cosa sia giusto (gerecht) ognuno deve stabilire
che cosa sia conforme al diritto (rechtens) ». Ma anche se fosse esatto che
non vi siano obiettivi criteri di giustizia vi possono essere obiettivi criteri di
ingiustizia la cui sistematica applicazione alle regole giuridiche tralatizie ci
avvicinino gradualmente alla giustizia, che tuttavia non saremo mai sicuri di
avere raggiunto. La situazione è qui perfettamente analoga a quella del problema
della verità sul piano epistemologico. Karl Popper ha a questo proposito mo-
strato che non vi sono criteri di verità ma criteri di non-verità. Questo problema
non può qui essere discusso più ampiamente. Gfr. per intanto il mio scritto cit.
a nota 8, Principles of a Liberal Social Order , in part, ai capoversi 23-27.
(18) Ofr. prima di tutto P.C. v. Savigny, System des heutigen Römischen
Rechts , Berlin 1840, tomo I, p. 331/32. Nella letteratura più recente Cfr. P.
Laband, Das Staatsrecht des Deutschen Reiches , Tübingen 1901, 4* ed., tomo II,
p. 64; G. Jeixinek, Oesetz und Verordnung , Freiburg, 1887, p. 240; P. Vino-
gradoff, Common Sense in Law , Home University Library, London 1914, p. 70;
J. Salmond, Jurisprudence , (1902) ed. G. Williams, London 1947, 10* ed., p. 62;
H. Lévy-Ullmann, La définition du Droit , Paris 1917, p. 165: «Nous définions
donc le droit : la delimitation de ce que les hommes et leur groupements ont la
liberté de faire et ne pas faire, sans encourir une condemnation, une seizie, une
mise en jeu particulière de la force » ; Donato Donati, I caratteri della legge
in senso materiale , «Rivista di Diritto Pubblico», 1911, p. 23: «La funzione
del diritto infatti sorge e si esplica per la delimitazione delle diverse sfere
spettanti a ciascun consociato. La società umana si trasforma da società anar-
chica in società ordinata per questo, che interviene una volontà ordinatrice
a determinare la cerchia delle attività di ciascuno: dell'attività lecita come
dell'attività doverosa ».
(19) Solo in questo modo sì può evitare che il famoso «suum cuique
tribuere» (Dig. I I 10) di Ulpiano diventi una tautologia. Ciò viene invece
dimenticato quando si afferma che il diritto attribuisce beni determinati a per-
sone determinate. Chiaramente I. Kant, Metafisica dei costumi , Dottrina giu-
ridica, I, 2, par. 9.
Interi libri sono stati scritti muovendo dalla convinzione che il diritto
attribuisca ai singoli beni determinati. In modo evidente p. es. R. L. Hale,
Freedom through Law , University of California Press, 1952, p. 15: «The law
confers on each person a wholly unique set of liberties with regard to the
use of material goods and imposes on each person a unique set of restric-

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Naturalmente le regolarità stabilite da norme giuridiche - o in
altri termini la delimitazione della sfera di cui sopra - non sono le
uniche regolarità dell'azione umana necessarie alla costituzione di un
ordine sociale.
Probabilmente non si potrebbe avere alcun ordine sociale se il
comportamento dei singoli non rivelasse numerose regolarità di altro
tipo.
Innanzitutto ognuno di noi osserva norme del costume, della mo-
rale, della consuetudine. Oltre a ciò le analogie reperibili tra circo-
stanze in cui volta a volta ci troviamo, tra le conoscenze di cui volta a
volta veniamo in possesso, fra i bisogni che volta a volta proviamo,
rendono possibile la formazione di regolarità di comportamento che ci
aiutano a prevedere con esattezza il comportamento altrui.
Tutte queste regole, unite alle circostanze concrete del momento,
determinano le decisioni effettive del singolo e, quindi, l'intero ordine
sociale.
Da ciò discende che le regole giuridiche sono una condizione neces-
saria ma non sufficiente della costituzione dell'ordine sociale e, inoltre,
che certe regole giuridiche possono portare alla formazione di un ordine
sociale solo se le circostanze lo consentono. La caratteristica distintiva
delle regole giuridiche nei confronti delle altre regole di comportamento
risiede fondamentalmente nel fatto che esse possono essere formate, al-
meno entro certi limiti, consapevolmente in modo da contribuire con la
collaborazione di altre regole e delle circostanze di fatto che si sia in
grado di prevedere alla costituzione di un ordine sociale.

VI

Ho già fatto rilevare che le regole giuridiche si limitano a circo-


scrivere alcuni aspetti di azioni destinate a compiersi in circostanze
ignote e ho indicato ciò come il loro carattere astratto. Ma ciò è vero
solo a patto che il termine astratto non venga usato nel senso stretto
della logica. Una regola che valesse solo per persone aventi impronte
digitali di una determinata forma geometrica sarebbe certo una regola
astratta nel senso della logica. Ma dato che l'esperienza ci ha inse-
gnato che ogni individuo è determinato univocamente dalle sue impronte
digitali, una tale regola varrebbe in pratica solo per una ben determi-
nata persona. Ciò che qui s'intende col termine astratto è espresso dalla
formula classica secondo cui la regola deve valere per un numero im-
precisato di casi futuri (20). Per i nostri scopi è particolarmente inte-

tions with regard thereto... In regard to acts which involve the use of
those things which I own the law favours me above everyone else».
(20) Questa idea affiora già nel XVIII secolo, ad es. William Paley, Prin-
ciples of Moral and Political Philosophy (1785), p. 348. afferma: «general
laws are made ... without foreseeing whom they might affect ». L'opera più
antica, fra quelle che conosco, in cui appare la formula oggi in uso è Hermann
Schulze, Das Preussische Staatsrecht , II, 1877, p. 209 : « È sufficiente perchè
sia presente il carattere della generalità che un numero imprevedibile di casi

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ressante notare che anche la teoria del diritto si è vista costretta a
fare esplicitamente riferimento alla nostra costituzionale ignoranza de
le circostanze future la cui valutazione da parte del singolo fa parte
integrante della costituzione dell'ordine sociale.
Il fatto che ci si debba servire di regole astratte per creare un or-
dine spontaneo che è molto più complesso (perchè utilizza più cono-
scenze) di quanto possa immaginare la mente umana significa che le
norme astratte sono lo strumento più prezioso che l'uomo abbia esco-
gitato per estendere il suo dominio sul mondo, al di là delle proprie
conoscenze. Egli dovrebbe quindi limitarsi a creare un ordine anch'esso
astratto. In stretto rapporto con l'astrattezza delle regole sociali e del-
l'ordine da esse risultante sta il fatto, già ricordato, che queste regole
sono essenzialmente negative e cioè si limitano a stabilire un campo
nell'ambito del quale l'uomo è libero di decidere sulla base delle pro-
prie conoscenze ed in vista dei propri scopl. Queste regole, come già
Kant vide chiaramente (21), sono indipendenti da scopi definiti.
Forse occorre qui sottolineare ancora una volta che tutto ciò che si

sia sussumibile alla regola » (Ivi p. 205 con indicazioni nella letteratura prece-
dente). Cfr. inoltre Ernst Seligmann, Der Begriff des Gesetzes im materiellen
und formellen Sinn , Berlin 1886, p. 63 : « ... in effetti è essenziale alla norma
giuridica che essa sia astratta e non regoli un numero prevedibile di casi».
Cfr. ora Z. Giacometti, Die Verfassungsgerichtsbarkeit des schweizerischen
Bundesgerichtes , Zürich, 1933, p. 90 : « Generale e astratto è ogni « ordinamento
diretto ad un incerto numero di persone per un incerto numero di casi » ; cfr.
inoltre dello stesso autore, Allgemeine Lehre des rechtstaatlichen Verwaltungs-
rechtes , p. 5 : « ... un tale legame del detentore del potere statale a prescrizioni
generali e astratte che valgono per un incerto numero di persone e che regolano
un incerto numero di fatti senza prendere in considerazione il singolo caso
o la singola persona » ; inoltre W. Burckhardt, op. cit ., p. 200 : « Gli obblighi che
la legge impone ai privati (a differenza degli obblighi degli impiegati) devono
essere prescritti in precedenza per un indeterminato numero di casi possibili » ;
C.K. Allen, Law in the Making (1927), 1958, 6a ed. p. 367 : «... a legal rule,
like every kind of rule, aims at establishing a generalisation for an indefinite
number of cases of a certain kind». M. Planiol, Traité élémentaire de Droit
Civily 1937, 12a ed., I, p. 69 : « La loi est établie en permanence pour un nombre
indéterminé dictes et de faits... une décision obligatoire d'une manière perma-
nente, pour un nombre de fois indéterminé » ; e in modo particolarmente chiaro
D. Donati, op. cit., p. 11 (dell'estratto) : « questa generalità deve intendersi, non
già nel senso, semplicemente, di pluralità ma in quello, invece, di universalità.
Comando generale, in altri termini, sarebbe non già quello che concerne una
pluralità di persone o di azioni ma soltanto quello che concerne una uni-
versalità di persone o di azioni: vale a dire, non quello che concerne un
numero di persone o di azioni determinato o determinabile ma quello che con-
cerne un numero di persone o di azioni indeterminato e indeterminabile ».
(21) Cfr. I. Kant, Metafisica dei costumi , nelle «Opere Complete» (ed.
ted.) VI, p. 382 : nella dottrina giuridica « viene lasciato al libero arbitrio di
ognuno lo scopo da scegliere per le proprie azioni » ; ivi p. 396 : « Scopl... da cui
il diritto prescinde ». Non posso qui citare Kant senza fare accenno a un ottimo
recente lavoro in lingua inglese che mi ha fatto finalmente capire la filosofia
del diritto kantiana: Mary J. Gregor, Laws of Freedom , Oxford, 1963. La
Gregor in particolare dimostra in modo convincente (p. 81) che anche per
Kant « since juridical làws abstract altogether from our ends, they are essen-
tially negative and limiting principles which merely restrict our exercise of
freedom ».

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è detto vale limitatamente ai rapporti tra le regole di comportamento
di diritto privato e l'ordine spontaneo della società ma non per i rap-
porti tra le regole di organizzazione del diritto pubblico e l'ordinamento
dell'apparato statuale da esso definito.
Purtroppo, nella letteratura tedesca si tende a far dimenticare i
differenti rapporti tra regole e ordini in questi due campi per amore
dell'equivoca espressione «formazione di un ordine» (Ordnungsgestal-
tung) che viene sempre utilizzata dai giuristi che non sanno bene di
quale tipo di ordine stanno parlando (22). Sarebbe assai utile alla chia-
rezza della discussione se in futuro il termine «Formazione» ( Gestal-
tung) venisse rigorosamente evitato.

VII

Che le aspirazioni dei singoli, non necessariamente egoistiche, ma


in ogni caso dirette a scopi individuali e non al bene comune, possano
essere canalizzate in modo da giovare al bene comune (naturalmente
nel senso di creare un ordine astratto) costituisce una scoperta del
XVIII secolo e ancora oggi deve servire da punto di partenza per
una analisi dei rapporti tra ordinamento giuridico e ordine sociale (23).
I pensatori del XVIII secolo si limitarono a presupporre tacita-
mente che il sistema di regole giuridiche corrisponde a certe esigenze
generali invece di cercare sistematicamente di determinare quale conte-
nuto delle norme giuridiche renda l'ordine nei limiti del possibile sod-
disfacente. Era per essi ovvio che le norme sul diritto di proprietà e
sul contratto favorissero la costituzione di un tale ordine (24). Alcuni

(22) Cfr. p. es. Ernst Forsthoff, Lehrbuch dea Verwaltung sr echt s, Mün-
chen 1961, VIII ed., I, p. 66: «Può essere regolato da norme solo ciò che è
modellabile perchè la normazione precede la organizzazione». Con la parola
« integrazione » si accenna spesso al fatto che scopo delle norme giuridiche è la
formazione di un ordine non da esse sole determinato. Tuttavia il termine « in-
tegrazione» significa semplicemente inserimento in un qualche ordine (spesso
descritto come un « tutto »), ma non ci dice nulla sul carattere di quest'ordine.
Dove però il giurista (come R. Smend, Handwörterbuch der Sozialwissen -
acliaften , V, 299) parla di un «inconsapevole» precedente della integrazione al-
lora si allude a rapporti che possono essere studiati non solo da un punto di
vista giuridico ma anche con gli strumenti della teoria sociale.
(23) Cfr. Adam Smith, wealth of Nattons , ed. Cannan, tomo II, p. 184:
« Every man, ao long as he doea not violate the lawa of juatice, is left perfectly
free to pursue his own interest his own way, and to bring both his industry and
capital into competition with those of any other man, or order of men. The
sovereign is completely discharged from a duty, in the attempting to perform
which he must always be exposed to innumerable delusions, and for the proper
performance of which no human wiadom or knowledge could ever be sufficient,
the duty of superintending the industry of private people, and of directing it
towards the employments most suitable to the interest of the society ». (Il cor-
sivo non è nell'originale).
(24) Cfr. a questo proposito il mio articolo The Political and Legai
Philosophy of David H urne, « Il Politico », XXVIII, 1963, ristampato in Studies
in Philoaophy. Politica and Economica , London-Chicago, 1967. Cfr. in particolare
D. Hume, Treatise , op. cit., II, p. 306: «But, though it be possible for men

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pensatori dell'epoca, almeno gli inglesi e gli scozzesi, affidarono invece
alla giurisprudenza l'elaborazione delle norme che rendessero possibile
l'ordine migliore da un punto di vista utilitaristico, senza preoccuparsi
di studiare analiticamente il problema.
Se ci poniamo esplicitamente la domanda: Quali limitazioni nel
campo di azione individuale posta da regole del comportamento giu-
sto sono in grado di realizzare il più elevato grado di approssimazione
a un ordine generale dotato delle caratteristiche dell'astrattezza e della
generalità ci veniamo a trovare in una curiosa situazione. Ogni re-
gola, la cui opportunità possiamo sempre mettere in discussione, costi-
tuisce, infatti, un miglioramento dell'ordine reale che più o meno per-
fettamente sussiste già e che a sua volta è il risultato dell'osservanza
di numerose aire norme che non possiamo nè vogliamo mettere contem-
poraneamente in discussione e che comunque sono dirette alla realiz-
zazione di quell'ordine reale che, esse unitariamente alle circostanze con-
crete, contribuiscono a creare (25).
Quest'ordine reale o ordine sociale non è desiderabile perchè corri-
sponde alle leggi ma sono piuttosto le leggi che hanno un certo conte-
nuto perchè il risultante ordine sociale è desiderabile.
Dobbiamo ricordare che quest'ordine reale, seppure in forma imper-
fetta, esisteva già, certo non prima che gli uomini cominciassero ad
osservare le regole del comportamento giusto, ma prima che la moltepli-
cità di queste regole venisse articolata e fosse creata la categoria delle
regole giuridiche. Proprio per questo lo sviluppo di sistemi di norme
giuridiche potè rivolgersi al miglioramento di un ordine preesisten-
te (26). Ciò spiega perchè i rapporti che caratterizzano l'ordine reale
non compaiono nelle regole che lo rendono possibile. Queste regole si
sono tuttavia formate e si sono mantenute in quanto hanno favorito la
costituzione di quell'ordine. Se vogliamo verificare l'opportunità di una
singola regola dobbiamo tener conto del fatto che tutte o la maggior
parte delle norme sicuramente valide sono destinate alla realizzazione
di un ordine sociale di un certo tipo.
Le regole giuridiche non prescrivono che i piani individuali siano
complementari ma contribuiscono a che ciò accada. Le regole giuridiche
non prescrivono che i beni portati sul mercato debbano essere prodotti
col minor dispendio possibile ma creano le condizioni perchè ciò si
verifichi. Le regole giuridiche non sanciscono che se gli uomini smet-

to maintain a small uncultivated society without government, it is impossible


they should maintain a society of any kind without justice, and the observance
of the three fundamental laws concerning the stability of possession, its tran-
slation by consent, and the performance of promises. These are therefore ante-
cedent to Government >.
(25) Crr. D. Schindler, « Der Kampf ums Recht in der neueren ¡Staats-
rechtslehre » (1928), in Recht. Staat. Völkergemeinschaft , Ausgewählte Schriften ,
Zürich, 1948, p. 169 e, nella stessa raccolta, «Zum Wiederaufbau der Recht-
sordnung» p. 132.
(26) Cfr. il mio « Notes on the Evolution of Systems of Rules of Conduct ».
in Studies in Philosophy , Politics , and Economics , cit.

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tono di portare il cappello o se sono scoperte nuove fibre artificiali
alcuni dei produttori di cappelli o di fibre artificiali debbano dedicarsi
ad altre attività per ristabilire l'equilibrio generale, ma fanno sì che
per i soggetti interessati divenga necessario comportarsi in questo modo.
Attraverso tali adattamenti non richiesti al singolo da alcuna nor-
ma di comportamento si creano quelle corrispondenze che caratteriz-
zano l'ordine nel suo insieme.
Che le regole giuridiche mirino a stabilire un ordine sociale da
esse semplicemente co-determinato risulta evidente dal fatto che se
parliamo di ammissibilità di regole giuridiche non ci interessa sem-
plicemente la loro coerenza logica ma piuttosto che i comportamenti
stabiliti dalle regole giuridiche siano tra loro conciliabili (27), e ciò
dipende non dalle regole in questione ma dalla situazione, dall'inten-
zione dei soggetti e da altre regole che ne determinano il compor-
tamento.
Un sistema di regole può essere perfettamente coerente dal punto
di vista logico e tuttavia non riuscire a impedire che più persone con-
tino contemporaneamente di poter utilizzare uno stesso bene. In un
mondo a due dimensioni sarebbe sufficiente tracciare una linea di con-
fine fra i diversi domini individuali tutelati giuridicamente per evitare
conflitti. Ma se ci si alza al di sopra della superficie terrestre o si
scende al di sotto di essa diventano necessari nuovi tipi di confine.
Mi sembra che quest'ordine reale cui mirano le nórme giuridiche sia
proprio ciò che nella letteratura giuridica viene indicato in modo infe-
lice come «natura delle cose». Tale espressione è infelice perchè l'or-
dine reale di cui parlo non ha niente a che fare nè col significato let-
terale di « natura » nè col significato letterale di « cosa » (28). Se però si
legge la citatissima definizione che del concetto di « natura della cosa » ci
dà il Dernburg (29) ci si accorge che essa coincide con quella del con-
cetto che ho qui indicato come ordine sociale. TI Dernburg scrive : « Le
condizioni di vita contengono, più o meno sviluppato, un loro criterio
di giudizio e un loro ordine. Questo ordine insito nelle cose si denomina
natura delle cose. A esso deve rifarsi il giurista consapevole quando
difetti di una norma positiva o quando questa sia incompleta od oscura >.

(27) Cfr. a questo proposito Jürgen v. Kempski, «Bemerkungen zum


Begriff der Gerechtigkeit », ristampato in Recht und Politik , Stuttgart, 1965,
p. 51 e, dello stesso autore, Grundlagen zur einer Strukturtheorie des Rechts ,
Akademie der Wissenschaften und der Literatur in Mainz, Abhandlungen der
Geistes- und Sozialwissenschaftlichen Klasse, 1961, n. 2, p. 90.
(28) Ciò è assai evidente nella tarda scolastica che utilizzò esplicita-
mente il termine natura per indicare un ordine spontaneo, non determinato
da un'organizzazione umana. Cfr. ad es. Luis de Molina, De imtitia et iure ,
Köln, 1596-1600, dove egli afferma a proposito del prezzo naturale: «naturale
dicitur, quoniam ex ipsis met rebus, seclusa quacumque humana lege ac decreto
consurgit, dependenter tamen a multiis circumstantiis, quibus variatur, atque
ab hominum affectu, ac aestimatione, comparatione diversorum usuum, interdum
pro solo hominum beneplacito et arbitrio ». Occasionalmente i tardo scolastici
si servirono in luogo dell'espressione « natura rei » di un'altra meno equivoca :
le regole del diritto naturale sarebbero determinate « de obiecto ».
(29) Heinbich Dernburg, Pandekten , Berlin, 1882, 2* ed., p. 85.

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Naturalmente quest'ordine non è insito nelle cose ma si presenta come
un ordine di azioni cioè come quell'ordine la cui configurazione e le
cui caratteristiche è compito delle scienze sociali descrivere. Questo or-
dine dovrebbe essere studiato dal «giurista consapevole» che volesse
comprendere la natura delle cose.

Vili

La tesi fondamentale secondo cui la elaborazione delle regole giu-


ridiche sarebbe sempre stata diretta al miglioramento di un dato ordine
reale che l'uomo non ha creato consapevolmente nè è in grado di com-
prendere, è pressocchè inattaccabile. La pretesa razionalistica secondo la
quale l'uomo, nella sua saggezza, avrebbe creato consapevolmente un
simile ordine (30), sarà forse definitivamente eliminata solo quando ci
si accorgerà che anche nel mondo degli animali ordini fondati sulla
proprietà e sulla concordia si sono affermati attraverso un processo di
selezione per il quale i gruppi i cui membri perseguono regole di azione
più adatte prevalgono ed eliminano gli altri (31).

(30) Questo ingenuo razionalismo eostruttivistico o volontarismo rappre-


senta la coerente prosecuzione di quel positivismo che deriva tutto il diritto
dalla volontà di un legislatore. Esso si affermò nella filosofia del diritto degli
anni '20 e '30 sotto il nome di « decisionismo ». Cfr. ad es. Carl Schmitt,
Politische Theologie (1922), München, 1934, 2* ed., p. 16 : « Anche l'ordinamento
giuridico, come ogni ordine, riposa su un decisione, non su una norma»; cfr.
anche dello stesso autore Soziologie des Souveränität shegriff es und politische
Theologie, in «Hauptprobleme der Soziologie, Erinnerungsgabe für Max Weber»,
München, 1923, n. 1, p. 17: «infatti ogni ordine riposa su una decisione-
Anche l'ordinamento giuridico riposa su una decisione e non su di una norma ».
Che il fondatore del positivismo giuridico, Thomas Hobbes, sia anche il fonda-
tore del « decisionismo » viene sottolineato esplicitamente da Cari Schmitt in
«Die drei Arten des rechtswissenschaftlichen Denkens , Hamburg, 1934, p. 27.
Sul sorgere quasi contemporaneo di una teoria decisionistica negli Stati Uniti
sotto l'influsso della economia di piano cfr. Judith N. Shklab, Decisionism ,
« Nomos », VII, Rational Decision, New York. 1964, in particolare l'osservazione
a p. 7, su « the sort of decisionism that one finds among those radical,
who, during the years of the New Deal, became the leading spokesmen of
legal realism ».
(31) Cfr. ad es. C. V. Wynne-Edwabds, Animal Dispersion in Relation to
Social Behaviour , Edinburgh, 1962, che mostra molto bene come molti com-
plessi comportamenti e rituali degli animali, di cui il più semplice è la difesa
di un certo territorio di caccia, svolgono la funzione di adattare costantemente
il numero degli individui alle risorse alimentari prima che una sovrapopolazione
provochi fame e guerre (nello stesso mondo degli animali le misure repres-
sive della teoria malthusiana vengono rese inutili da misure preventive). Chi
abbia letto questo libro intenderà in modo letterale e non metaforico il passo
in cui, a proposito dei gamberi, si parla di «elaborate systems of property
tenure». Cfr. inoltre a p. 12: «The substitution of a parcel of ground as the
object of competition in place of the actual food it contains so that each
individual or family unit has a separate holding of the resource to exploit, is
the simplest and most direct kind of limiting convention it is possible to
have... Much space is devoted in later chapters to studying the almost endless
variety of density limiting factors... The food territory just considered is
concrete enough... We shall find that... abstract goals are especially characte-
ristic of gregarious species » ; e a p. 190 : « There is little new in this situation,

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Il nostro attuale sistema giuridico è sorto dal perfezionamento se-
colare di un tale ordine, la cui origine coincide con la creazione del-
l'uomo. Naturalmente all'uomo sono rimaste ignote le ragioni per cui
tra le numerose regole di comportamento proprio quelle clie favorirono
l'ordine astratto di mercato siano prevalse sulle regole organizzative
del piccolo gruppo o della società tribale, dapprima riducendone il
campo di applicazione e infine sostituendole definitivamente.
Oiò accadde perchè quelle regole astratte rendevano possibile la co-
stituzione di una società di grandi dimensioni ordinata pacificamente e
nel cui ambito uomini aventi obiettivi completamente diversi potessero
a loro insaputa utilizzare reciprocamente le informazioni di cui fossero
singolarmente forniti. La trasformazione della organizzazione tribale
diretta al perseguimento di scopi determinati nell'ordine astratto di una
società aperta potè essere ottenuta a un prezzo che urtava contro molti
dei sentimenti ereditati dalla fase tribale (32). La conseguente reazione
influenzò in modo decisivo l'evoluzione del diritto nel secolo scorso (33).

so far as mankind is concerned, except in degree of complexity; all conven-


tional behaviour is inherently social and moral in character; and, so far from
being an exclusively human attribute, we find that the primary code of con-
ventions evolved to prevent population density from exceeding the optimum,
stems not only from the lowest vertebrate classes, but appears well established
among the invertebrate phyla as well ».
(32) Cfr. B. de Jouvenel, De la Souveranité , Paris, 1955, p. 178: «La
petite société, comme milieu d'origine de l'homme, reste pour lui infiniment
enviable; ensuite, il est vrai qu'il s'y charge de forces; mais enfin toute ten-
tative pour donner les mêmes charactères à une grande société est utopique
et mène à la tyrannie » ; e la nota « Rousseau (Rousseau juge de Jean Jacques,
Troisième Dialogue) a été en ceci d'une sagesse incompris de ses disciples :
a Son objet ne pouvait être de ramener les peuples nombreux ni les Grands
Etats à leur première simplicité, mais seulement d'arrêter, s'il était possible,
le progrès de ceux, dont la petitesse et la situation les ont préservés d'un
marche aussi rapide vers la perfection de la société et vers la détérioration
de l'espèce». Cfr. anche J. J. Rousseau, Political Writings , a cura di C.
E. Vaughan, Cambridge, 1915, I, pp. 243-3: «Il est important que cette règle
de justice sûre par rapport à tous les citoyens, peut être fautive avec les
étrangers ». « Pour les membres de l'association, c'est une volonté générale ;
pour la grande société c'est une volonté particulière qui très souvent se
trouve droit au premier égard, et vicieuse au second».
(33) Ciò è indicativo in quanto tale sviluppo è stato avviato in Germania
dal contemporaneo influsso della teoria dello scopo di R. von Jhering e dal-
l'idea di associazione di Otto von Gierke. Questi due contributi ponevano le basi
per la reinterpretazione del diritto concepito non più come astratta regola di
comportamento ma come regola di un'organizzazione diretta al conseguimento
di uno scopo. Inoltre il ritorno al primitivo diritto tribale, richiesto dai socia-
listi dell'epoca, veniva in questo modo reso accettabile anche ad altri ambienti.
(Cfr. a questo proposito F. Wieacker, Das Sozialmodell der Klassischen
Privatrechtsgesetzbücher und die Entwicklung der modernen Gesellschaft ,
Karlsruhe, 1952, p. 25). «Questa società [del nostro tempo] è, per usare una
espressione efficace, una associazione di soggetti giuridici che sono già uniti
da preesistenti compiti comuni e non è quindi una molteplicità di soggetti che
si uniscono reciprocamente solo mediante una autolimitazione individuale. Per
questo abbiamo ritenuto, nonostante qualche riserva, di dover attribuire la

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Il prezzo della creazione di un ordine che utilizzi conoscenze mag-
giori di quelle possedute dai governanti e serva scopi più numerosi di
quelli che i governanti perseguono consistette nella rinuncia a configu-
rare i suoi effetti concreti in modo da renderli conformi ad idee di
giustizia derivate da forme sociali più antiche.
Difatti, anche se i singoli possono sottoporre al vaglio di criteri
di giustizia il compimento di determinate azioni aventi certi effetti, l'ap-
plicazione del concetto di giustizia agli effetti di un ordine spontaneo
è privo di senso. Giuste o ingiuste possono essere soltanto le azioni
umane e le loro conseguenze previste, non semplici fatti che nessuno ha
causato consapevolmente.

palma del migliore fra i critici del modello di diritto liberale del XIX secolo
a Otto von Gierke che seppe vedere i segni della nuova società futura».
I più noti giuristi liberali dell'epoca, C. F. von Gerber, Paul Laband e
Georg Jellinek si erano privati di ogni possibilità di difesa accogliendo un
positivismo giuridico che considerava l'intero diritto come la consapevole crea-
zione di un legislatore e riteneva che la costituzionalità del procedimento di
formazione di una regola, invece che il suo carattere, fosse l'elemento decisivo
per la sua qualificazione come proposizione giuridica (e con ciò metteva al
posto di uno di diritto materiale uno stato di diritto formale). Mediante tale
unione con un positivismo giuridico con esso incompatibile, il liberalismo
veniva screditato. Su questa connessione, che in Germania è stata poco capita,
cfr. il libro di John H. Hallowell, The Decline of Liberalism as an Ideology
with particular reference to German Politico-Legal thought , University of
California Press, 1943.
Poiché questo libro, a causa della sua data di apparizione, è rimasto
in Germania [e in Italia] pressoché sconosciuto ed è oggi difficile da rintrac-
ciare ne riportiamo qui di seguito alcui passaggi. Pag. 77: «Men like Gerber,
Laband and Jellinek. It is with them, that is, about 1870, that liberalism
might be said to decline». Pag. Ill: «Now so long as, and to the extent
that, liberals retained the substantive, as well as the fomal conception of law,
liberalism retained its integral character. When, however the former con-
ception of law alone was retained, liberalism became decadent, preparing
the way for its own demise». Pag. 112: «If it is possible to formulate any
" law " of development peculiar to liberalism, at least as it applies to German
politico-legal thought, then that a law " is that the decline of liberalism parallels
the degree to which liberal thinkers have accepted positivism ». Cfr. inoltre
su questo punto Carl Schmitt, Die geistesgeschichtUche Lage des deutschen
Parlamentarismus , München, 1962, 2* ed., p. 54 : « Il pensiero costituzionale e
assolutistico hanno quindi nel concetto di legge la loro pietra di paragone ma,
naturalmente, non in ciò che in Germania da Laband in poi si chiama legge in
senso formale e secondo cui tutto ciò che viene in essere con collaborazione
di una rappresentanza del popolo, si chiama legge, ma in una proposizione de-
terminata mediante caratteristiche logiche. È decisivo, come sempre, che la
legge sia una proposizione razionale e generale e non un provvedimento, un
intervento concreto, un comando ». Uno dei tratti caratteristici della situa-
zione attuale del pensiero giuridico tedesco è dato dalla circostanza che i
vari autori si scagliano contro il positivismo senza decidersi a eliminare il
passo decisivo verso il positivismo che è consistito nel passaggio da un concetto
di legge materiale a un concetto di legge formale, da uno stato di diritto mate-
riale a uno stato di diritto formale. Lo stato di diritto materiale può
essere definito proprio mediante i suoi rapporti con lo spontaneo e astratto
ordine sociale e la sua contrapposizione nei confronti della organizzazione.
Ma tale ultima distinzione è sempre più estranea al giurista tedesco.

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Il diritto, se si limita a impedire il comportamento ingiusto del
singolo, tutela semplicemente i presupposti per il sorgere di un ordine
astratto. Il concetto di giustizia, non può essere applicato nè alla
concreta configurazione di quest'ordine nè ai suoi effetti sui singoli indi-
vidui e sui gruppi che ad esso partecipano. Sebbene sia evidente che la
distribuzione dei redditi non può denominarsi nè giusta nè ingiusta in
un ordine spontaneo di recente è stata fatta a questo proposito della
confusione.
Ciò è stato possibile in quanto si sono ritenuti applicabili ad una
società di grandi dimensioni sviluppatasi spontaneamente dei criteri di
giudizio validi esclusivamente per piccoli gruppi organizzati in vista
di uno scopo comune (34).
I filosofi sociali, riallacciandosi a Platone (35), hanno elaborato una
lunga serie di teorie in base alle quali gli effetti di un ordine spontaneo
sarebbero qualificabili come ingiusti. Qui però non abbiamo bisogno di
soffermarci su questi criteri teorici di giustizia distributiva o sociale
come la distribuzione secondo i meriti, secondo il bisogno, secondo l'im-
pegno o secondo altri criteri di uguaglianza. Essi non hanno avuto, in-
fatti, alcun influsso sulla realtà.

(34) Ciò significa che regole di giusta distribuzione possono esìstere per
un soggetto distributore in una organizzazione ma non per le azioni dei con-
sociati in un ordine spontaneo. Un ordine spontaeo conosce solo una giustizia
commutativa, non anche una giustizia distributiva. Quando Gustav Ràdbruch,
Rechtsphilosophie , 1956, 5* ed., p. 187 afferma: «Anche la comunità socialista
sarà quindi uno stato di diritto, uno stato dominato non da una giustizia
equilibratrice ma da una giustizia distributrice» ciò può essere vero, nella
migliore delle ipotesi, nel senso puramente formale che tutte le decisioni
giudiziarie in un tale stato siano autorizzate da una legislazione conforme
alla costituzione, non però nel senso materiale che al singolo possano essere
imposte solo norme generali, valide per tutti.
Cfr. in particolare John Rawls, Constitutional Liberty and the Concept
of Justice , c Nomos» VI, Justice, New York, 1963, p. 102: « ... put another
way, the principles of justice do not select specific distributions of desidered
things as just, given the wants of the particular persons. This task is abandoned
as mistaken in principle, and it is, in any case, not capable of a definite
answer. Rather, the principles of justice define the constraints which institu-
tions and joint activities must satisfy if persons engaging in them are to have no
complaints against them. If these constraints are satisfied, the resulting di-
stribution. whatever it is, may be accepted as just (or at least non in just) ».
(35) Cfr. a questo proposito in particolare il primo tomo di K. R.
Popper, The Open Society and Its Enemies , London-Princeton, 1945. Tipica per
l'attuale stato della filosofia sociale, dominata dall'idea di una società consa-
pevolmente ordinata, ad es. Brian M. Barry, Justice and the Common Oood ,
« Analysis », XIX, 1961, p. 90 : « Although Hume used the expression a rule
of justice * to cover precisely such things as property rules, w justice w is
now analytically tied ro * desert w and « need ", so that one could quite pro-
perly say that some of what Hume calls " rules of justices * were injust » ;
e John W. Chapman, Justice and Fairness , «Nomos», VI, Justice, New York,
1963, p. 153: «Justice as reciprocity makes sense only if society is seen as a,
plurality of persons and not, as the utilitarian would have it, as a sort of
single great person». Cfr. anche N. Rescher, Distributive Justice , Indianapolis,
1966.

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Le considerazioni che sotto il nome di giustizia sociale hanno in-
fluenzato gran parte della legislazione degli ultimi cento anni sono di
natura completamente diversa. Esse sono sintetizzabili nell'aspirazione
a tutelare gruppi più vasti di persone dalla perdita delle posizioni so-
ciali raggiunte avvenute in seguito a mutamenti della situazione e indi-
pendentemente dalla loro responsabilità.
Sotto il nome di giustizia sociale è stato seriamente perseguito nella
prassi soltanto questo obbiettivo. Esso, come ora dimostrerò, è inconci-
liabile coi fondamenti di un ordine spontaneo di libertà e conduce anzi
alla sua rovina.

IX

Già all'inizio di questo lavoro ho citato il paradosso per il quale il


sistema di mercato in tanto riesce a realizzare la maggior parte delle
aspettative in quanto delude sistematicamente le altre. Esso lavora (co-
me oggi talvolta si dice usando un'espressione della cibernetica) in base
al principio del « feed# back » negativo.
Per esemplificare ciò vorrei ora mostrare come idee di giustizia che
vorrebbero evitare questo paradosso (e allora l'ideale della giustizia so-
ciale viene sostituito, in modo assai indicativo, dall'ideale della sicu-
rezza sociale) sono fondamentalmente inconciliabili con i principi che
rendono possibile la esistenza di una società ordinata di grandi dimen-
sioni. Queste aspirazioni conducono necessariamente alla graduale tra-
sformazione della organizzazione spontanea fondata su regole astratte
di comportamento in una organizzazione poggiante su comandi specifici.
Prendiamo come punto di partenza il fatto che ogni attività eco-
nomica comporta un adattamento a imprevedibili cambiamenti di situa-
zioni. Già questo è un motivo sufficiente per proporci non di eliminare
tutte le delusioni ma, piuttosto, di ridurle al minimo indispensabile.
Per il momento è opportuno prescindere dal rapido sviluppo tecnolo-
gico tipico del nostro tempo. Si dimostrerà, quindi, che anche nell'ipo-
tesi che le conoscenze tecnologiche rimangano pressoché costanti, lo
stesso mantenimento del livello di benessere raggiunto esige continue
trasformazioni in vista dell'adattamento a mutamenti della situazione.
Questa semplificazione è in tanto opportuna in quanto considerare una
società in fase di rapido arricchimento suscita facilmente l'impressione
che ad alcuni vengano imposti sacrifìci per far sì che altri si arric-
chiscano più rapidamente. In realtà tali immeritate perdite di posizioni
già acquisite diventano per lo più necessarie solo se si tratta di evitare
un abbassamento del livello generale di benessere.
Anche nell'ipotesi di conoscenze tecnologiche costanti problemi di
adattamento vengono continuamente proposti da cambiamenti inevitabili
come l'esaurimento del patrimonio naturale, la sostituzione di individui
appartenenti alle vecchie generazioni con elementi più giovani forniti
di nuove vedute, i mutamenti nella consistenza numerica, nella struttura,
nei gusti della popolazione, i cicli stagionali, le catastrofi naturali e le

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trasformazioni dell'ambiente biologico che ha favorito la diffusione
della razza umana.
L'effetto di questi cambiamenti è che interi gruppi, senza loro col
e senza possibilità di previsione, si trovano costretti a ridurre l'entità
relativa del loro contributo al prodotto finale e quindi, anche se si
vuole ottenere uno sfruttamento ottimale delle risorse produttive, devono
accontentarsi di una partecipazione minore agli utili.
Questo adattamento, che nelle circostanze indicate è indispensabile
per mantenere almeno tendenzialmente costante il livello del prodotto
sociale, viene realizzato da un ordine spontaneo di mercato mediante la
delusione delle aspettative di chi, anche senza sua colpa, si è sbagliato.
Costui non trova acquirenti ed è costretto a dedicarsi ad altre attività.
In questo modo egli si adatta alle circostanze anche senza esserne a
conoscenza. In una economia di mercato viene così realizzata la maggiore
utilizzazione possibile delle conoscenze individuali e viene assicurata,
nel contempo, una relativa stabilità nel soddisfacimento dei bisogni.
Se, ad esempio, l'approvvigionamento di juta grezza viene interrotto
perchè le navi da trasporto necessarie devono essere urgentemente im-
piegate altrimenti, i sacchi e gli altri materiali da imballaggio necessari
allo sviluppo industriale verranno prodotti con sostanze diverse e di
conseguenza i filatori di juta perderanno il loro posto di lavoro. Questo
adattamento è quindi in grado di assicurare stabilità a patto che sia i
gruppi colpiti sia altri gruppi allettati da più elevati guadagni possano
inserirsi altrove nel sistema produttivo.
In una società che non aumenti rapidamente la sua ricchezza è
chiaro che i fattori di produzione divenuti scarsi sono in grado di
attirare nuove unità produttive mediante salari più elevati solo se,
contemporaneamente, altre unità produttive sono costrette ad acconten-
tarsi di salari meno elevati. Infatti l'adattamento in questione si ve-
rifica non per fronteggiare un aumento (36), ma per evitare, o almeno ri-
durre, una diminuzione del prodotto totale.
La stabilità relativa del flusso di beni (37) e in particolare la con-
tinua sostituzione di mezzi di produzione per raggiungere il traguardo
della soddisfazione dei diversi bisogni mediante beni all'incirca dello
stesso valore significa che le aspettative dei più verranno per la mag-
gior parte realizzate ma presuppone che le aspettative di singoli gruppi
vengano costantemente deluse. In una economia in rapido sviluppo ciò
può significare un calo relativo della posizione sociale di questi gruppi,
ma spesso, e nel caso di una economia stazionaria sempre, ciò significa

(36) Quindi è completamente errata la idea della teoria economica del


benessere che il di più prodotto mediante un miglioramento della situazione
precedente debba essere impiegato per risarcire i soggetti danneggiati da un
tale adattamento.
(37) Si tratta qui di un processo che purtroppo a partire dall'avvento della
macroeconomia viene frainteso da molti c.d. economisti. I metodi statistici di
cui si serve la macrosociologia sono solo in grado di cogliere la stabilità del-
l'aggregato o i valori medi ma non i processi microeconomici che determinano
queste grandezze.

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una diminuzione assoluta del loro reddito. Questa necessità si presenta
tanto più raramente quanto più rapido è l'adattamento dell'intera strut-
tura economica ai mutamenti della situazione. Ciò significa, in altri
termini, che quanto meno impediremo la discesa dei singoli gruppi tanto
meno diminuirà il livello generale di benessere (38).
Proprio contro questa discesa sociale, relativa o assoluta di singoli
gruppi, che costituisce il necessario presupposto di una minimizzazione
delle delusioni sul piano generale, sono stati impiegati, in nome della
giustizia sociale, gli strumenti della legislazione. È stata avvertita la
ingiustizia del fatto che i soggetti in questione senza poter fare alcunché
e pur continuando a prodigarsi onestamente come prima, fossero co-
stretti ad accontentarsi di molto meno di quanto fossero abituati a
ricevere.
Sia che si tratti delle aspirazioni paritetiche degli agricoltori o dei
salari e della occupazione nelle miniere di carbone, sia che siano in
agitazione gli artigiani o i commercianti al minuto, tutte queste pretese
sono rivolte ad un ideale di giustizia inconciliabile con un ordine spon-
taneo che sia fondato esclusivamente sull'impedimento di un comporta-
mento ingiusto da parte del singolo.

La natura di queste aspirazioni viene bene illustrata dalla accusa


diretta da Franz Beyerle contro la pandettistica del secolo scorso (39):
« al di fuori del tempo e senza preoccuparsi del mondo che la circondava
non si rese conto delle grandi crisi sociali della sua epoca come il
rapido allontanamento dei contadini dalla terra, iniziato già dopo la
guerra napoleonica, la decadenza dell'artigianato, la miseria dei lavo-
ratori dell'industria».
Prescindendo dalla inesattezza storica dell'ultima affermazione (40),
ci si deve chiedere se sia compito del diritto privato o di un qualsiasi
(38) L'Inghilterra è il paese in cui problemi di questo genere appaiono
più chiaramente dato che la rigidità della struttura dei redditi e dei salari,
non essendo in grado di adattarsi ai continui mutamenti della situazione,
rende necessari vani tentativi di evitare un possibile impoverimento mediante
una « incomes policy » che sostituisca i meccanismi di mercato.
In questo paese è inoltre possibile trovare nella letteratura economica la
richiesta esplicita di maggiore pianificazione allo scopo di sostituire i difettosi
meccanismi del mercato. Particolarmente istruttivi a questo proposito sono gli
scritti di Barbara Wootton, alla quale sono riconducibili le richieste di una
determinazione governativa dei salari. Cfr. p. es. Barbara Wootton, Social
Foundations of Wage Policy (1955), London, 1962, 2* ed., p. 162. Il concetto di
« giustizia sociale », derivato dall'idea di una « relative deprivation », viene
sviluppato nel modo più conseguente da W. G. Runcim an, Relative Deprivation
and Social Justice , London, 1966.
(39) Franz Beyerle, Der andere Zugang zum Naturrecht , «Deutsche
Rechtswissenschaft » (Vierteljahresschrift der Akademie f. deutsches Recht),
1939, p. 20. A lui si rifà in particolare Frans Wieacker, Privatrechtsgeschichte
der Neuzeit , Göttingen, 1952, p. 261.
(40) Cfr. a questo proposito F. A. v. Hayek (a cura di), Capitalism and
the Historians , London-Chicago, 1954.

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altro sistema di regole di comportamento preoccuparsi degli effetti che i
cambiamenti della società possono avere per certi gruppl. Un tale im-
piego della legislazione finirebbe infatti per portare alla sostituzione
dell'ordinamento privatistico diretto alla utilizzazione degli spontanei
meccanismi ordinatori esistenti nella società coi metodi del diritto or-
ganizzativo tendenti a costituire un ordinamento artificiale.
L'idea che i risultati effettivi di un ordine spontaneo possano essere
corretti in base a criteri di giustizia distributiva contrasta insanabil-
mente proprio con ciò che rende vantaggioso quest'ordine per la comu-
nità cioè con il fatto che esso utilizza conoscenze maggiori di quelle
possedute dal singolo. Questa incongruenza vale anche per la tesi che
gli inconvenienti di un ordine spontaneo possono essere eliminati me-
diante ordini o decisioni di casi singoli sotto forma di leggi (cosiddette
leggi-provvedimento) (41). Ciò presupporrebbe, infatti, che chi comanda
disponesse delle conoscenze che l'ordine spontaneo utilizza.
Ê vero che tali leggi-provvedimento sono spesso necessarie per l'or-
ganizzazione e la direzione dell'apparato governativo: ma ciò non si-
gnifica che in una società libera esse siano vincolanti per il privato.
Non è neppure da discutere che in momenti di crisi, come in caso
di guerre di rivolte o di catastrofi naturali, sia necessario trasformare
l'ordine spontaneo in una organizzazione diretta al perseguimento di
obbiettivi generali. Analogamente a quanto avviene nell'organismo di un
animale inseguito la società sospenderà temporaneamente alcune fun-
zioni vitali.
Tali misure di emergenza, per quanto a volte inevitabili, non sono
tuttavia in grado di ristabilire l'ordine spontaneo turbato. Per fare ciò
è necessario rimettere in vigore i principi su cui quest'ultimo si basa
e cioè la limitazione della coazione statale alla esecuzione di regole di
carattere generale e, nel campo della attività economica, la rinunzia al
dirigismo quale strumento per il perseguimento di obbiettivi determi-
nati (42).
Il punto di partenza e il punto di arrivo dello sviluppo che conduce
dal superamento graduale dell'ordine spontaneo a una forma organiz-
zativa completamente diversa, corrispondono rispettivamente allo stato
liberale e allo stato totalitario (43). Generalmente non ci si accorge che

(41) E. R. Huber, Der Streit um das Wirtschaftsverfassungsrecht , « Die


öffentliche Verwaltung», 1956, p. 204; Konbad Hubeb, Das Massnahmegesetz
und Rechtsgesetz , Berlin, 1963, p. 119 e passim. Cfr. anche E. Fobsthoff, über
Massnahme-Gesetze (1955), ristampato in Rechtsstaat im Wandel , Stuttgart,
1964, pp. 81-89. Il punto decisivo è stato rilevato da Cabl Schmitt, Legalität
und Legitimität , cit., p. 217 : « Non esiste una uguaglianza davanti ai provve-
dimenti come esiste una uguaglianza davanti alle leggi ».
(42) Per l'economia di piano del 1948 cfr. A. Paulsen, Gerechtigkeit als
Wertnorm der Wirtschaftsordnung , München, 1948, pp. 5, 8 e 38.
(43) La lotta dell'ideale liberale contro l'ideale totalitario nella scienza
del diritto degli anni '20 e '30 può essere chiaramente seguita negli scritti
di Cari Schmitt che, come scrisse un suo discepolo (Geobg Dahm, « Zeitschrift
f.d. ges. Staatswissenschaft », 95, 1935, p. 181) « fin dal principio [sono] stati
diretti ad uno scopo ben determinato : lo smascheramento e la distruzione dello
stato di diritto liberale e il superamento dello stato legislativo».

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questo processo di trasformazione si riflette, sul terreno giuridico, nella
espansione del diritto pubblico ai danni del diritto privato e quindi
nella sostituzione di regole di comportamento mediante regole di orga-
nizzazione. Solo in questo modo è possibile concepire quella giustizia
distributiva che sotto il nome di giustizia sociale è diventata oggi la
concezione dominante. Gr. Radbruch descrisse in modo chiaro questo
fenomeno già nel 1930 allorché affermò che: « Un ordinamento sociale del
diritto privato lascia solo temporaneamente alla iniziativa privata un
campo destinato a restringersi sempre più a vantaggio delPonnicompren-
sivo diritto pubblico» (44).

XI

Mi sembra indubbio che la formula schmittiana del passaggio dal-


l'« astratto pensiero normativo » al « concreto pensiero ordinativo » sia
pienamente corrispondente allo sviluppo reale (45).

(44) Gustav Radbruch, Vom individualistischen Recht zum sozialen Recht


(1930), ristampato in Der Mensch im Recht , Göttingen, 1957, p. 39; inoltre
Rechtsphilosophie , p. 224. La tendenza a soppiantare il diritto privato col
diritto pubblico per il conseguimento di scopi « sociali » è stata descritta già
nel 1801 dal Portalis nel suo famoso Discours préliminaire du premier projet
de code civil dove egli afferma {Conference de Code Civil , Pari«, 1805, I, p. XV):
« On ne s'occupe pas des hommes entre eux ; on ne voit pas que l'objet
politique en général; on cherche des confédérés plutôt que des citoyens. Tous
devient droit publique».
(45) Cael Schmitt, über die drei Arten des rechtswissenschaftlichen
Denkens y Hamburg, 1934, p. 11 e segg. È giustissimo quanto Schmitt già prima
(Die geistesgeschichtliche Lage des heutigen Parlamentarismus , 1926, p. 53) os-
servò a proposito dei « sostenitori dello stato di diritto » e cioè che « essi
vedono senz'altro valori alti e generali». Soltanto una regola generale, infatti,
è utile alla formazione dell'ordine spontaneo più vasto nell'ambito del quale
si muove l'intera organizzazione governativa. Questa regola serve quindi un
ordine più alto che può essere solo turbato da comandi concreti come quelli
necessari alla organizzazione governativa. Solo questa regola serve il vero bene
comune nel senso di un ordine astratto, mentre almeno la maggior parte dei
« provvedimenti » governativi ha uno scopo e quindi serve un interesse deter-
minato.
Col «concreto pensiero ordinativo» Schmitt si limita a completare ciò
che Rousseau iniziò con la sua opera, come Otto Vossler gli riconosce ( Rous -
seaus Freiheitslehre , Göttingen, 1963, p. 110) : « Rotti i vincoli dell'astratto pen-
siero normativo fu aperta la strada per il pensiero concreto, storico, dialet-
tico». Il secondo passo decisivo fu compiuto dallo Hegel che riconosce a
Rousseau «di aver posto il volere a principio dello stato (Grundlinen der
Philosophie des Rechts. Philosophische Bibliothek , Leipzig, 1911, p. 196) e che,
in modo indicativo, afferma : la « direzione che conserva la astrazione è il
liberalismo sul quale il concreto prevale sempre e contro il quale esso fallisce
ovunque » (Vorlesungen über die Philosophie der Weltgeschichte , Ausgabe
Lasson, Leipzig, 1923, 2a ed., IV, p. 925).
Non c'è qui spazio per discutere il significato delle coppie di termini:
opinione, comando ; regola e scopo. Ciò sarebbe necessario in quanto questi
termini si prestano solo imperfettamente a rendere le fondamentali differenze
tra i rapporti concreti e quelli astratti che corrispondono da un lato ad una
organizzazione concreta diretta ad uno scopo e dall'altro a un astratto ordine
spontaneo indipendente da scopl. Gli scolastici conobbero questa contrapposizione

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Solo in questo modo il liberale stato di diritto può essere realmente
trasformato in uno stato distributivo materialmente giusto (46).
Ciò clie sorprende e spaventa allo stesso tempo in questa concezione
di per sè esatta è che il risultato al quale prevedibilmente conduce lo
sviluppo reale viene considerato come uno scopo degno di essere per-
seguito e non, come realmente è, quale una involuzione da una grande
società aperta a una chiusa società tribale o, brevemente, dalla civiltà
alla barbarie.
Propugnare un concreto pensiero ordinativo infatti non significa al-
tro che risvegliare istinti atavici ereditati dalle primitive società tri-
bali, significa ritornare all'idea di un ordinamento dominato dalla vo-
lontà del capo tribù (47) cioè ad uno stadio che ha preceduto la lenta
elaborazione di regole di comportamento generale ugualmente valide
per tutti.
Concepire il diritto come concreto pensiero ordinativo mi sembra
che conduca inevitabilmente alla distruzione di ogni concetto generale di
giustizia e comporti quindi un imperdonabile peccato mortale del giu-
rista che finisce in tal modo col tradire proprio l'ideale nella cui tutela
risiede l'unica giustificazione della sua esistenza (48).

come quella tra «voluntas» e «ratio» dove «ratio» naturalmente, come an-
cora John Locke, aveva un significato completamente diverso da quello as-
sunto da «Vernunft» nel XVI e nel XVII sec. Cfr. J. Locke, Essays on the
Laws of Nature (1676) a cura di W. von Leyden, Oxford, 1954, p. 110:
« per rationem autem hic non intelligendum puto illam intellectus facultatem
quae discursus format et argumenta deducit, sed certa quaedam practica prin-
cipia e quibus emanent omnium virtutum fortes et quid quod necessarium sit
ad mores bene efformandos » cioè « Vernunft » significa nel vecchio diritto natu-
rale (prerazionalistico) la capacità di agire in conformità di regole non forma-
late, regole che possono essere scoperte ma che esistono anche senza essere
rivestite da parole nel senso che ciò che è ad esse conforme può essere ricono-
sciuto anche dall'uomo comune e che ai saggi può riuscire di esprimerle in
modo per gli altri soddisfacente.
(46) Garl Schmitt, Was bedeutet der Streit um den Rechtsstaat ,
« Zeitschrift f. d. ges. Staatswissenschaften », 59, 1935, pp. 190, 199.
(47) E. R. Hube®, Verfassungsrecht des grossdeutschen Reiches ,
Hamburg, 1937, 2a ed., pp. 209-10 : « La volontà popolare ... che viene espressa
fedelmente dal Fuehrer ».
(48) Ciò comporta che spesso il diritto venga desunto da presunte neces-
sità che il giurista non è in alcun modo competente a valutare e che per io
più celano delle idee completamente sbagliate in materia di teoria economica.
Cfr. ad es. le seguenti affermazioni nelle quali si parla di « imperativo inelut-
tabile », di « obbligo », di « responsabilità » : E. R. Huber, Wirtschafts-Ver -
wait ungsr echt, tomo I, Tübingen, 1953, pag. 673 : « La pianificazione e la dire-
zione dello stato può essere, dati certi presupposti, un imperativo ineluttabile
anche in altri rami della attività economica come, ad es., nella produzione di
materie prime, nel settore bancario, nei trasporti, nelle assicurazioni, in breve
nelle attività economiche chiave. In questi settori risulta quindi legittima l'in-
troduzione legislativa di un controllo dei bisogni in vista dell'interesse pubblico
economico. Tuttavia questa attività direttiva e di controllo deve limitarsi a quei
particolari settori economici in cui sia reperibile una legittima aspirazione
ad una regolamentazione economica generale ». E. Forsthoff, Lehrbuch des
Verwaltungsrechts , I, München, 1961, p. 3: «La moderna realtà sociale, de-
terminata dalla tecnica, dalla economia e dai fenomeni di massa che esse com-

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Proprio perchè concreto pensiero ordinativo significa necessariamente
totalitarismo esso contiene la negazione di ogni giustizia e morale ge-
neralmente valide e si fonda in ultima analisi su una pretesa di onni-
scienza da parte del signore assoluto che, se vi fosse autorizzato, farebbe
a meno di ogni tipo di regola. Ciò significherebbe la fine del diritto. Allo
stesso modo in una società completamente pianificata potrebbero sussi-
stere solo regole organizzative dipendenti dagli scopi prescelti ma non
regole di diritto indipendenti da tali scopl.
Cari Schmitt, come del resto altri filosofi del diritto provenienti dal
diritto pubblico quali Radbruch o Kelsen, è in questo punto socialista
nel senso che egli considera non solo l'apparato governativo ma anche
la società come prodotto di un'ordinamento voluto in vista di fini spe-
cifici e non come un ordine spontaneo (49).

portano, pone lo stato di fronte all'obbligo di pianificare e di dirigere, di in-


centivare e di scoraggiare, di mettere ordine fra i settori sviluppati e quelli
sottosviluppati, di creare possibilità di vita per milioni di persone, di ripartire
funzioni sociali, di controllarle o di assorbirle - in breve di plasmare, sta-
bilizzare, equilibrare un mondo estremamente instabile. Ciò comporta che lo
stato possa amministrare il destino dei singoli e della collettività con una
ampiezza prima ignota ». Tutto ciò (p. 65) « in quanto la generale situazione di
bisogno [nella attuale società del benessere] impone allo stato la responsabilità
di realizzare un ordine sociale nei limiti del possibile giusto». Affermazioni
di c necessità » delle misure effettivamente adottate compaiono con tale regola-
rità negli studi sulla evoluzione del diritto nel secolo scorso che vien fatto
di chiedersi quale altra fonte abbia diffuso tanti errori economici oltre ai trat-
tati giuridici che iniziano con le parole « Era necessario che ». Dovrebbe essere
impossibile per un giurista scrivere (Hans Peters, Wandlungen der Eigentum-
sordnung und der Eigentumslehre seit dem 19 Jahrhundert , Zürich, 1949,
p. 106) : « Uno dei più insultanti aspetti della proprietà è che, ad es., al pro-
prietario di cereali o di cotone sia permesso di usare questi beni come combu-
stibile allo scopo di tenere alti i prezzi », quando è invece vero che queste
misure vengono prese esclusivamente dallo stato o dai monopoli organizzati
dallo stato e, per la natura delle cose, il privato non fa mai cose del genere
nel suo interesse [nell'ipotesi ideale di concorrenza perfetta, NdT ].
(49) È indicativa la straordinaria analogia rintracciabile tra le teorie
schmittiane e quelle dei teorici comunisti degli anni '20. B. Mirrine Guet-
ze witch, Die rechtstheoretischen Grundlagen des Sowjetstaates , Wien, 1929, in-
forma per es. (p. 108-9) che Archipov, Das Gesetz im Sowjetstaate , Moskau,
1926, € sostiene che non solo nell'Unione Sovietica ma in ogni stato democratico
11 concetto di legge starebbe scomparendo in seguito alla graduale diminuzione
delle norme generali e al corrispettivo aumento dei provvedimenti e delle
istruzioni individuali che regolano, stimolano e coordinano l'attività ammini-
strativa. Questo autore è del parere che la legge scompaia effettivamente dal-
l'Europa occidentale ». E. Paschukanis, Allgemeine Rechtslehre und Marxismus ,
Berlin. 1929, (secondo la ed. russa del 1927, p. 111-112) scrive, alla c direzione
tecnico-amministrativa mediante subordinazione ad un piano economico gene-
rale... corrisponde il metodo delle direttive immediate, cioè definite in modo
tecnico, riguardanti i programmi e i piani di produzione e di distribuzione.
Queste direttive sono concrete e cambiano continuamente secondo le circostan-
ze... Il graduale prevalere di questa tendenza comporta la fine graduale della
forma giuridica ». Sul timore comune al fascismo, al nazismo e al comunismo,
che lo stato sia reso « legato » e impotente dalla dipendenza dal diritto che
già Jhering utilizzò come obiezione principale contro l'ideale kantiano dello
stato di diritto, cfr. il mio libro The Constitution of Liberty, London-Chicago,
1960, p. 239 e le indicazioni delle note 22-27. Caratteristico anche Erich

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XII

Il lettore sarà probabilmente sorpreso da un discorso di questo gè-


nere e forse obietterà clie una trattazione scientifica non dovrebbe con-
cludersi con un giudizio di valore. Ci si può infatti chiedere se il
sociologo abbia il diritto di esprimere un tale giudizio in qualità di
scienziato. A questo problema si riconnette l'ultimo punto che ho qui in-
tenzione di trattare.
È certamente vero che è impossibile dedurre una prescrizione da
un semplice fatto. Questo principio del resto è già affermato da David
Hume (50) più di due secoli or sono e il dibattito sulla avalutabilità
delle scienze sociali svoltosi nel corso di questo secolo lo ha nuovamente
confermato.
È tuttavia lecito chiedersi se tale principio debba applicarsi rigi-
damente anche a proposizioni attinenti l'ordine reale di una società la
quale sussiste solo perchè determinate norme individuali di comporta-
mento sono valide e vengono generalmente accettate. Queste norme non
sono certamente obbligatorie per chi rifiuti quest'ordine sociale in toto ,
come per esempio i socialisti di vecchio stampo i quali ritenevano di
poter completamente rinunciare allo spontaneo ordine del mercato per
sostituirlo con un ordinamento diretto al conseguimento di un sistema
unitario di scopl. Ma dopo che è diventato chiaro sia a me che alla
maggior parte dei socialisti, che questo ideale, adatto ad una società
chiusa e tribale, sarebbe inconciliabile con una società aperta di grandi
dimensioni e con tutto ciò che noi chiamiamo civilizzazione e che è
quindi necessario limitarsi al perfezionamento dell'ordine spontaneo, è
diventato legittimo chiedersi se le norme che rendono possibile il sor-
gere di questo ordine spontaneo siano o meno obbligatorie.
In altri termini, se l'oggetto della nostra scienza, cioè un certo ordine
sorto spontaneamente, è il risultato di norme indispensabili alla sua
esistenza non può certo ravvisarsi un vizio logico nella deduzione di
proposizioni prescrittive da proposizioni descrittive in quanto queste
ultime contengono a loro volta delle prescrizioni. Ciò significa che se
si vuole conservare nelle sue linee essenziali un ordine spontaneo non
si devono stabilire norme che contraddicano quelle da cui dipende l'esi-
stenza di tale società.
Sulla base di questo presupposto è quindi possibile stabilire « scien-
tificamente » ciò che si debba compiere nell'ambito di tale società (51).

Angermann, Die Verbindung des polizeistaatlichen Wohlfahrtsideals mii dem


Rechtsstaatsgedanken im deutschen Frühliberalismus, € Historisches Jahrbuch
der Görresgesellschaft », 74, 1955, p. 471 : « Solamente attraverso una trasfor-
mazione della concezione dello stato di diritto mediante la sostituzione di
princìpi materiali con principi formali esso potrà sopravvivere perchè solo
allora lo stato moderno potrà adempiere il compito di assicurare il benessere
che la realtà crii impone».
(50) David Hume, A Treatise on Human Nature (1739), a cura di T. H.
Green e T. H. Grose, London, 1890, II, p. 244 e segg.
(51) Spero che la brevità con cui sono costretto a trattare il problema non
mi esponga al rimprovero di scambiare il fatto che lo spontaneo ordine delia
società riposa sull'osservanza di norme, con la pretesa che lo studioso di qu»>

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Ciò mi sembra particolarmente vero per tutti i tentativi di realiz-
zare nell'ambito di una società di mercato una giustizia materiale di
tipo distributivo e quindi per lo sforzo di mettere al riparo singoli
gruppi da una discesa sociale relativa e assoluta, cioè dalle necessarie
conseguenze delle forze che creano l'ordine spontaneo. Da un lato vor-
remmo assicurare a ciascuno mediante la organizzazione dello stato e
quindi indipendentemente dai meccanismi di mercato un minimo di esi-
stenza al di sotto del quale nessuno deve scendere ma, d'altro lato, dob-
biamo tener conto che l'avere assicurato una certa posizione sociale è
un privilegio. Esso può essere garantito a certi gruppi solo a costo di
negare ad altri gruppi la possibilità di ascesa sociale che ad essi offrono
le stesse regole che hanno permesso di raggiungere la posizione attuale
a chi dovrebbe ora accontentarsi di una posizione inferiore (52).
Da questa considerazione dobbiamo dedurre che se s'intende sociale
nel senso di una tale giustizia sociale o distributiva e lo stato di
diritto come lo stato di diritto materiale, il concetto « stato sociale di
diritto » sembra essere una « contradictio in adiecto » (53).
Per i giuristi ciò significa semplicemente che una delle due espres-
sioni usate dal costituente deve essere reinterpretata in modo da elimi-
nare tale contraddizione. Al teorico sociale è invece permesso di dimo-
strare che se le parole in questione vengono intese secondo il loro senso
comune il legislatore finisce col promettere qualcosa che non può man-
tenere.

Mi sembra che ciò valga, per analogia, anche per tutte quelle aspi-
razioni allo stato di benessere (54) che non si limitano a proteggere i
singoli contro i pericoli comuni ma vogliono assicurare a ogni gruppo,
mediante redistribuzioni, il reddito che gli spetterebbe secondo una giu-
stizia distributiva avente un senso solo nell'ambito di una organizzazione.
Anche ciò mi sembra essere incompatibile con quei principi fonda-
mentali dello stato di diritto materiale che sono diretti ad un ordine
spontaneo.

sťordine si senta legato a queste regole. Ciò che voglio dire è che se lo scien-
ziato sociale vuole mantenere alcuni tratti di quest'ordine e presuppone la
sua continuazione non solo deve suggerire regole che contrastino con quelle
che l'ordine presuppone ma non deve neppure proporre regole che possano
scuoterne il prestigio, contraddicendo il principio ad esse implicito della uni-
versale validità delle regole di giustizia.
(52) Questo è già stato visto chiaramente dalla tarda scolastica. Crr. L.
Molina op. cit., disp. 365, p. 29.
(53) Cfr. E. Forsthoff, Lehrbuch des Y er valtungsrechts , I, München, 1961,
8a ed., p. 4.
(54) Nel lavoro di August Oncken ( Adam Smith una Immanuel Kant ,
Leipzig 1877, p. 177) scritto in occasione del primo centenario della pubblica-
zione di Adam Smith, The Wealth of Nations , si trova una osservazione che mi
sembra degna di essere riportata anche perchè essa utilizza per la prima volta
il termine « stato di benessere ». Oncken parlando dello stato assoluto scatu-
rito dalla riforma afferma : « Lo stato ha quindi cessato di essere uno stato
di diritto ; esso è diventato uno stato di benessere e ciò fino al punto da met-
tere in secondo piano lo scopo del diritto... E quanto più lo scopo di benessere
assorbe quello del diritto tanto più la classe impiegatizia si arroga la intera
amministrazione del diritto ».

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Ciò del resto è stato visto chiaramente già da Immanuel Kant che
facendo uso della terminologia del suo tempo si è richiamato agli stessi
argomenti che qui si è cercato di illustrare : « Il benessere non pone
alcun principio nè per chi lo gode nè per chi lo amministra (l'uno lo
vede qua l'altro là). Il materiale del volere infatti essendo un dato
empirico non è compatibile con la generalità di una regola » (55). Se
noi in conformità al pensiero di Kant sostituiamo all'espressione «ma-
teriale del volere » gli scopi particolari che vengono perseguiti dai sin-
goli (56) in antitesi con le regole di comportamento dirette a un ordine
astratto, ed esse stesse astratte e indipendenti da ogni scopo, questa
frase afferma precisamente ciò che abbiamo qui cercato di dimostrare.

FRIEDRICH A. HAYEK (*)

Résumé - L'auteur, se prévalant s'inspire sur le plan philosophique d'un


de la double conception de Tordre « rationalisme critique » qui se diffé-
(ordre ordonné et ordre spontané) en- rencie du rationalisme cartésien en ce
tend démontrer que la société humai- sens qu'il est conscient, non seulement
ne est en mesure de satisfaire au de la puissance, mais aussi des fai-
plus haut degré les besoins individuels blesses de la raison humaine.
et collectifs, seulement si elle est con-
çue comme ordre spontané et non com- Summary - Starting from the dou-
me ordre ordonné. Dans la première ble meaning ot the term « order »
hypothèse, en effet, l'adaptation à des (ordered order and spontaneous order)
situations nouvelles est assuré par des the author argues that human society
mécanismes spontanés indépendants may have the opportunity to provide
de la volonté des individus, mécanis- maximum satisfaction to individual
mes permettant l'utilisation des con- and collective needs, provided it is
naissances d'un nombre très élevé de understood as a spontaneous order and
personnes. Dans la deuxième hypo- not as an ordered order. In the for-
thèse, cette adaptation dépend au con- mer case, indeed, adapting to new si-
traire des capacités de prévision, for- tuations is ensured by spontaneous
cement limitées, d'un seul sujet. La means, which are independent of in-
supériorité de l'ordre spontané a d'im-dividual will, and take advantage of
portantes conséquences dans les do- knowledge spread among numberless
maines économique, juridique et po- persons ; in the latter case, it relies
litique. L'auteur affirme que seuls le on the ability at forecasting (which
libéralisme économique, la légalité et is always limited) of an order-giving
la démocratie permettent à une socié- person. The superiority of spontaneous
té de profiter de tous les avantages order produces many important con-
de l'ordre spontané. Cette conceptionsequences in the economic, legal and

(55) I. Kant, La disputa delle facoltà in tre parti, Seconda parte. Di-
sputa della facoltà filosofica e di quella giuridica , par. 6, nota 2.
(56) Cfr. p. es. Metafisica dei costumi , ed. Akad., tomo VI, p. 389 : « Nes-
suna azione libera è possibile senza che l'attore si proponga uno scopo ».
(*) Traduzione dall'originale tedesco ( Rechtsordnung una nanaemsora -
nung, Freiburger Rechts- und Staatswissenschaftliche Abhandlungen, Band 27,
Verlag C. F. Müller, Karlsruhe, 1967) a cura di Alberto Febbrajo.

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political fields. The author maintains unabhängig vom Willen der einzelnen
that economic liberalism, the rule of zulassen, daß das Wissen von einer
law and democracy are the necessary enorm großen Anzahl von Leuten aus-
conditions for a society to enjoy the genutzt wird; im zweiten Fall hängt
advantages of spontaneous order. Su- dei Anpassung von der stets besch-
che a frame of mind is justified by ränkten Fähigkeit vorauszusehen ei-
a committment to « critical rationa- nes ordnenden Subjektes ab. Von der
lism », which is different from Car- Überlegenheit der spontanen Ordnung
tesian rationalism, for its awareness leiten sich bedeutende Folgen auf
of the limits, as veil as of the pos- wirtschaftlicher, rechtlicher und po-
sibilities of human reason.
litischer Ebene ab. Der Verfasser ver-
tritt die Auffassung, daß nur der
Zusammenfassung - Der Verfasser wirtschaftliche Liberalismus, der
geht von der zweifachen Bedeutung
Rechtsstaat und die Demokratie es
des Terminus « Ordnung » (geordnete
einer Gesellschaft ermöglichen, die
Ordnung und spontane Ordnung) aus.
Er will beweisen, daß die menschliche Vorteile der spontanen Ordnung zu
Gesellschaft in der Lage ist, die indi- genießen. Diese Konzeption wird auf
viduellen und kollektiven Bedürfnisse erkenntnistheoretischer Ebene durch
einen « kritischen Rationalismus » ver-
im höchsten Grade zu befriedigen,
wenn sie als spontane Ordnung und treten, der im Unterschied zum kar-
nicht als geordnete Ordnung verstan- tesianischen oder konstruktivistischen
den wird. Im ersten Fall wird die Rationalismus sich nicht nur der
Anpassung an neue Situationen durch Macht, sondern auch der Grenzen der
spontane Mechanismen garantiert, die menschlichen Vernunft bewußt ist.

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