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• APPUNTI DI DIRITTO PUBBLICO 1 INDICE CAPITOLO I: GLI ORDINAMENTI GIURIDICI 1.

Diritto e pluralità degli ordinamenti giuridici 2. Ordinamenti politici 3. Diritto pubblico


e privato 4. Fatti e atti giuridici 5. Fattispecie e procedimento 6. Tempo e luogo
CAPITOLO II: FONTI DEL DIRITTO 1. Fonti di produzione e di cognizione. La norma
giuridica 2. Gerarchia e competenza. Riserve normative 3. Fonti scritte e non scritte 4.
Legge 5. Consuetudine CAPITOLO III: SOGGETTI E SITUAZIONI GIURIDICHE
SOGGETTIVE 1. Soggetti di diritto 2. Autonomia 3. Rapporto giuridico 4. Organo: a)
Rapporto organico 5. b) Organi interni ed esterni 6. c) Organi individuali e collegiali 7.
d) Rapporti tra organi 8. Rappresentanza 9. Cose e beni 10. Interessi e situazioni
giuridiche soggettive 11. Diritti soggettivi e interessi legittimi 12. Potere giuridico 13.
Potestà 14. Facoltà 15. Situazioni giuridiche passive: a) Dovere, obbligo, obbligazione
16. b) Onere CAPITOLO IV: LO STATO E LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE 1. Stato come
ente originario e ternario 2. Popolo e cittadinanza 3. Territorio 4. Sovranità 5. Teoria
dei presupposti o degli elementi costitutivi dello Stato 6. Stato e normativismo 7. La
Chiesa cattolica 2 14. Libertà di fede religiosa 15. Libertà di manifestazione del
pensiero 16. Diritti politici dei cittadini 17. Stranieri e cittadini europei 18. Partiti
politici nella Costituzione italiana 19. Doveri costituzionali 20. Diritti sociali e
formazioni sociali 21. Confessioni religiose 22. Famiglia 23. Salute 24. Ambiente ed
ecosistema 25. Cultura e istruzione 26. Lavoro. 27. Sindacati 28.1 rapporti economici
29. Sciopero 30. Iniziativa economica privata 31. Tutela del credito e del risparmio 32.
Autorità indipendenti e di garanzia 33. Proprietà e i suoi limiti 34. Espropriazione per
pubblica utilità 35. Proprietà agraria 36. Beni pubblici 37. a) Tributi 38.
Nazionalizzazioni CAPITOLO XI: LE ISTITUZIONI COSTITUZIONALI 1. Il ruolo dei partiti
politici 2. Attività di governo e indirizzo politico 3. Il Governo tra Parlamento e
Presidente della Repubblica II - Il Parlamento 1. Composizione del Parlamento italiano
2. Elettorato attivo e passivo 3.1 sistemi elettorali per l'elezione delle assemblee
rappresentative 4. Elezione delle Camere: a) Indizione delle elezioni 5. b) Elezione dei
deputati 6. c) Elezione dei senatori 7. Sistema elettorale e garanzia dell' opposizione 8.
Durata delle Camere 9. a) Scioglimento anticipato delle Camere 10.1 parlamentari 11.
Organizzazione delle Camere: a) Prerogative 12. b) Organi delle Camere 13. Gruppi
parlamentari 14. Organizzazione dei lavori: a) Riunioni delle Camere e
programmazione dei lavori 5 15. b) Deliberazioni 16. Funzioni delle Camere: A)
L'attività legislativa 17. a) Iniziativa legislativa 18. b) Esame dei progetti di legge b.a)
Procedimento ordinario b.b) Procedimento in sede deliberante b.c) Procedimento in
sede redigente 19. c) Promulgazione 20. d) Pubblicazione 21. B) L'Attività esecutiva 22.
a) Fiducia 23. b) Mozione 24. c) Interrogazione 25. d) Interpellanza 26. e) Risoluzione
27. f) Ordine del giorno 28. g) Inchieste parlamentari 29. h) Udienze conoscitive 30. i)
Messa in stato di accusa del Presidente della Repubblica 31.1) Dichiarazione dello
stato di guerra 32. m) Approvazione del bilancio e del rendiconto consuntivo. La legge
finanziaria III - Il Governo 1. Composizione del Governo 2. Formazione del Governo 3.
Revoca del Presidente del Consiglio 4. Revoca dei Ministri 5. Presidente del Consiglio
dei ministri 6. a) Responsabilità del Presidente del Consiglio 7.1 Ministri 8. Consiglio
dei ministri 9. Consiglio di Gabinetto 10. Sottosegretari di Stato 12. Commissari del
Governo 11. Comitati IV - Gli organi ausiliari 1. Consiglio nazionale dell' economia e del
lavoro (CNEL) 2. Consiglio di Stato 3. Corte dei Conti V - Il Presidente della Repubblica
1. Elezione e durata della carica del Presidente della Repubblica 2. Cessazione dalla
carica 3. La supplenza 4. Assegno e dotazione del Presidente. Ufficio della Presidenza
della Repubblica 5. Irresponsabilità del Presidente della Repubblica 6. Responsabilità
per alto tradimento e attentato alla Costituzione 7. La controfirma degli atti del
Presidente della Repubblica 6 8. Le funzioni del Presidente della repubblica come
Capo dello Stato e garante della Costituzione 9. Emanazione dei decreti aventi valore
di legge 10. Emanazione dei regolamenti 11. Autorizzazione alla presentazione alle
Camere dei disegni di legge di iniziativa del Governo 12. Nomina dei funzionari dello
Stato 13. Messaggi 14. Comando delle Forze armate 15. Ratifica dei trattati
internazionali 16. Accreditamento e ricevimento dei rappresentanti diplomatici 17.
Conferimento di onorificenze della Repubblica 18. Concessione di grazia e
commutazione di pene 19. Indizione dei referendum popolari 20. Nomina dei giudici
costituzionali 21. Scioglimento dei Consigli regionali 22. Esternazioni del Presidente
della Repubblica 23. Amnistia e indulto 24. Partecipazione ad altri organi 25. Funzioni
arnministrative 26. Ricorsi per conflitti di attribuzione 27. La posizione costituzionale e
il ruolo del Presidente della Repubblica VI - La Corte Costituzionale 1. La giustizia
costituzionale 2. Composizione della Corte costituzionale 3. H sindacato di legittimità
sulle leggi e gli atti aventi forza di legge 4. a) Giudizio in via incidentale 5. b) Il giudizio
in via dirètta 6.1 conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato 7.1 conflitti di
attribuzione tra Stato e Regioni e tra Regioni 8. H giudizio sulle accuse contro il
Presidente della Repubblica 9. Il giudizio sull' ammissibilità delle richieste di
referendum abrogativo CAPITOLO XII : LO STATO E LE AUTONOMIE COSTITUZIONALI
1. L' avvento delle Regioni in Italia pag 143 2. Le modifiche del titolo V della
Costituzione 3. La funzione legislativa tra Stato e Regioni 4.1 controlli sull'attività
legislativa regionale 5. La funzione regolamentare 6. La funzione amministrativa 7. La
sussidiarietà orizzontale 8. Le intese tra lo Stato e gli Enti territoriali 9. L'autonomia
finanziaria 10.1 controlli sulle Regioni e sugli Enti locali 11. Il potere sostitutivo del
Governo 11. Le Regioni e la forma di governo regionale 2. Statuti regionali 3. H
Consiglio regionale 7 CAPITOLO PRIMO GLI ORDINAMENTI GIURIDICI 1. Diritto
èpluralità degli ordinamenti giuridici H termine diritto, che etimologicamente deriva
da directum ed indica il procedere in una direzione regolare, esprime l'idea del
dirigere e, quindi, dell'ordinare, concetto che è anche espresso coi termini ordo,
ordine, iussum, comando, da cui ius, giuridico. Per cui nel linguaggio comune i termini
diritto, ordinamento, giuridico vengono adoperati per indicare la presenza nelle
diverse comunità sociali di un complesso di prescrizioni che ne disciplinano la vita e in
particolare regolano i rapporti tra i membri che la compongono. Il termine "ius " ha
via via assunto significati specifici in relazione ai vari fenomeni cui dà luogo la vita
organizzata delle comunità nel corso della storia, indicando varie tipologie di
ordinamenti sociali: naturale, religioso, politico, e, attraverso ulteriori specificazioni,
statale, intemazionale, positivo, e così via. Di fronte alla molteplicità degli ordinamenti,
che secondo questa accezione generale possono definirsi giuridici, si è poi fatto
ricorso convenzionalmente ad un uso più ristretto e più "tecnico" del termine
"giuridico" o "di diritto" per indicare in particolare fenomeni del mondo politico,
relativi a comunità, unitariamente e globalmente intese, con strutture ed istituzioni
perseguenti finalità di ordine generale valide per tutti i componenti della comunità. 2.
Ordinamenti polìtici Gli ordinamenti politici hanno assunto configurazioni molteplici
nel corso della storia dell'umanità, dando luogo a sistemi giuridici diversi nei quali
sono prevalsi di volta in volta la considerazione dell'elemento personale, l'unità di un
popolo, o quella di un territorio, la polis, la civitas, o di entrambi, fino alle moderne
strutture di tipo statualistico o di derivazione statualistica. 3. Diritto pubblico e privato
Nell'ambito degli ordinamenti giuridici statali è stata operata la distinzione tra diritto
pubblico e diritto privato (o comune). In età moderna, specialmente con lo svilupparsi
del giusnaturalismo, si è poi andata affermando l'esigenza di tutelare di fronte
all'apparato statale e all'Autorità pubblica l'Arnministrazione pubblica e l'apparato di
governo. Nei Paesi a tradizione romana il diritto avente ad oggetto tali rapporti si è
innestato in quella parte del diritto che secondo la tradizione veniva classificato come
pubblico. In età contemporanea si è poi avuta una lenta evoluzione che ha portato via
via all'elaborazione nelle scuole di diritto, specialmente nei secoli XIX e XX, di principi
ritenuti propri del diritto pubblico, avendo peraltro come modello originario i principi
propri del diritto civile inteso come diritto comune. La distinzione tra materie
rientranti nel diritto pubblico o in quello privato è stata solitamente fondata
sull'interesse preso in considerazione dalla disciplina giuridica, interesse dei privati o
della comunità, oppure sulle finalità avute di mira. Così, materie come il diritto
costituzionale, amministrativo, tributario, penale, processuale, internazionale
rientrano nel diritto pubblico, mentre quelle come il diritto civile, societario, 10
lavoristico (per la parte attinente ai rapporti privati) al diritto privato. È una
ripartizione però relativa, in quanto numerosi istituti dell'uno o dell' altro settore
potrebbero essere ricompresi per certi aspetti nel diritto privato e per altri in quello
pubblico. 4. Fatti e atti giuridici Una nozione ampia e generale di fatto giuridico
comprende qualsiasi fenomeno che in un dato ordinamento giuridico produce effetti
giuridici. Si distingue peraltro tra fatti e atti. I fatti giuridici in senso stretto sono
fenomeni del mondo naturale nei quali non entra in gioco la volontà umana per la
produzione dell'evento (es.: terremoto, inondazione). Gli atti giuridici sono i fatti nei
quali invece entra in gioco la volontà umana in quanto diretta alla produzione
dell'effetto giuridico. Ma la volontà umana può essere anche presa in considerazione
dal diritto come mero fatto dal quale vien fatta discendere la produzione dì effetti
giuridici. In tal caso l'atto è del tutto assimilabile al fatto giuridico in senso stretto. 5.-
Fattispecie e procedimento Col termine fattispecie giuridica si indica il fatto (o i fatti)
che l'ordinamento giuridico (la norma) prevede come causativo di un evento giuridico.
Al concetto di inesistenza si accompagna di solito quello di nullità assoluta. A quello di
invalidità il concetto di annullabilità. Ma l'atto deve essere anche valido ed efficace sul
piano giuridico. Esso è valido se è conforme alla disciplina specifica del potere di cui è
espressione. È efficace quando è in condizione di produrre immediatamente gli effetti
previsti. 6. Tempo e luogo Poiché i fatti e gli atti giuridici si realizzano in un dato
momento temporale e in un determinato luogo, rordinamento giuridico dà rilevanza a
tali modi di concretizzarsi del fatto o dell' atto prendendo in specifica considerazione
tempo e luogo. II tempo rileva ad esempio ai fini del computo della prescrizione e,
dell'usucapione, della decadenza, per delimitare il potere conferito ad un soggetto o
ad un organo oppure per disciplinare l'adempimento di un'obbligazione. 11 CAPITOLO
SECONDO FONTI DEL DIRITTO 1. Fonti di produzione e di cognizione. La norma
giuridica Il concetto più specifico di fonte che di solito viene accolto è quello di fonte
produttiva di diritto oggettivo mediante prescrizioni normative che stabiliscono regole
di comportamento o di organizzazione non nell'interesse esclusivo dell'agente ma con
carattere di eteronomia, dando così luogo a disciplina di situazioni, rapporti
intersoggettivi, istituzioni, organi e cosi via. Viene quindi in considerazione un potere,
riconosciuto previamente o posteriormente ad alcuni soggetti o organi o a comunità
di consociati, di porre in essere siffatte prescrizioni o con singoli atti di volontà oppure
attraverso comportamenti di fatto tenuti. Resta però da stabilire cosa si intende per
prescrizioni normative e per diritto oggettivo. La norma giuridica, diversamente dalle
regole descrittive dei fenomeni naturali è una regola giuridica che stabilisce un
modello di comportamento o di organizzazione. Come tale essa è prescrittiva. Dal
concetto di norma giuridica peraltro vanno esclusi atti a carattere generale, come i
bandi di concorso, le gare di appalto, in quanto non costituiscono prescrizioni in senso
proprio. Per quanto concerne la pretesa novità della norma giuridica, tale requisito in
effetti è comune ad ogni manifestazione (fatto o atto) che produce effetti giuridici
precedentemente non sussistenti. Alla norma giuridica è stato inoltre riconosciuto il
requisito della imperatività nel senso che ad essa si accompagna una sanzione per
assicurarne la osservanza. In effetti la sanzione non rientra nel concetto di norma
giuridica, formando piuttosto il contenuto di una distinta norma giuridica la quale
viene collegata ad altra o ad altre norme. L'imperatività della norma non è altro che il
riflesso dell'imperatività del complessivo sistema dell' ordinamento giuridico nel quale
essa è inserita. Né è possibile concepire una norma giudica avulsa da un sistema
normativo dal quale le viene assicurata l'imperatività. Se poi si considera che gli
ordinamenti giuridici costituiscono sistemi complessi in continua evoluzione, rispetto
ad essi, oltre alle ed. fonti ordinate, cioè disciplinate alloro interno con atti normativi
che costituiscono fonti sulle fonti, possono formarsi anche fonti extra ordinem, le
quali, pur non essendo predeterminate, si impongono tuttavia negli ordinamenti
stessi determinando egualmente effetti giuridici rilevanti. Il concetto di fonte di diritto
oggettivo è peraltro unitario e comprensivo anche del suo aspetto cognitivo,
individuato dalla dottrina tradizionale col termine fonti di cognizione. 12 diversi settori
in cui operano le altre fonti del diritto, senza assumere un proprio autonomo "grado"
di fonte del diritto. Pertanto, ponendosi la consuetudine allo stesso livello della
ulteriore disciplina giuridica cui è collegata, il ed. "grado" della fonte in ipotesi non
potrebbe che risolversi nel "grado" della disciplina di diritto scritto rispetto alla quale
essa interviene. Non necessariamente l'efficacia normativa delle consuetudini può
farsi dipendere da disposizioni scritte sulle fonti. Ove ciò si ammettesse, non
troverebbero spiegazione quei fenomeni di creazione del diritto, che sono
indipendenti dalla previa esistenza di disposizioni sulla produzione del diritto e che la
dottrina è orientata ad indicare come fatti extra juris ordinem. Sono questi tanto fatti
instaurativi di nuovi assetti costituzionali, come rivoluzioni e colpi di Stato, quanto fatti
modificativi dell' ordine costituzionale secondo modalità e forme, che sarebbero
"illegali" dal punto di vista del sistema legale delle fonti, così come disciplinato dall'
ordinamento in vigore in un dato momento storico, ma che si legittimano ex post, in
quanto ne venga effettivamente riconosciuta l'idoneità a produrre diritto. In tali
evenienze deve riconoscersi che è avvenuto un mutamento delle stratture giuridiche
in senso conforme alla regola prodottasi in via consuetudinaria, con conseguente
giuridicizzazione della stessa, la quale viene così a manifestare la volontà normativa
propria dell'ordinamento nel quale si è inserita. Tuttavia va anche precisato che, se
esistono disposizioni scritte sulle fonti, queste indubbiamente assumono rilievo. Esse,
in quanto facenti parte della struttura dell' ordinamento, possono disciplinare e
quindi anche limitare l'efficacia dei singoli mezzi di produzione del diritto, tanto di
quelli scritti, quanto di quelli non scritti. Tuttavia non deve riconoscersi alle stesse un'
assoluta rilevanza, in quanto vanno pur sempre viste in relazione ai principi
fondamentali e di struttura dell' ordinamento. Orbene, proprio su questo nucleo
fondamentale di principi viene a fondarsi il riconoscimento delle varie fonti del diritto,
siano quelle scritte, siano quelle non scritte. Essi quindi prevalgono anche su
specifiche disposizioni scritte, a parte ovviamente il caso in cui siano proprio queste
ultime a contenerli, costituendo il mezzo formale della loro estrinsecazione. L'ambito
di operatività della consuetudine va quindi affrontato e risolto in relazione a ciascun
ordinamento. Discipline specifiche sulla consuetudine, normalmente contenute in
disposizioni scritte sulle fonti del diritto, possono prevedere la sua maggiore o minore
rilevanza. In particolare può essere stabilito il divieto di consuetudini contro legem,
vale a dire il divieto di consuetudini che si pongano in contrasto con disposizioni
legislative (o, più in generale, con prescrizioni normative scritte), oppure
l'ammissibilità di consuetudini soltanto in caso di richiamo da parte della legge (o di
altra fonte scritta) o per settori privi di una specifica disciplina legislativa (consuetudini
praeter legem). Ed i limiti possono essere stabiliti tanto in via generale, per l'intero
ordinamento giuridico, quanto per suoi singoli settori. Di modo che l'espressione
consuetudine interpretativa o secundum legem, a meno di non 15 adoperarla in
tutt'altro significato, per indicare casi particolari di consuetudini rientranti nella figura
ampia della consuetudine praeter legem, può avere valore soltanto genetico, per
indicare il campo di attività configurante si come quello relativo alle operazioni
intellettuali di interpretazione, svolte dai poteri a ciò abilitati dall' ordinamento nel
quale viene a svilupparsi come fonte di diritto, senza che per questo possa concretare
una figura autonoma rispetto a quella contra legem opraeter legem. E d'uopo altresì
sottolineare che dalle figure suindicate va distinta quella della desuetudine in senso
stretto. A meno che con tale termine non si intenda far riferimento a consuetudini con
tra legem) vale a dire a consuetudini che si formino in seguito a serie di
comportamenti tenuti in contrasto con precedenti disposizioni legislative (o in
generale con disposizioni scritte), perché ciò porterebbe ad escludere autonomia
concettuale alla figura, il fenomeno della desuetudine, in senso proprio, oltre ad
indicare il venir meno di una norma consuetudinaria non più seguita, concerne quei
casi in cui può constatarsi che è venuta a cessare la vigenza di disposizioni scritte per
effetto della continua, duratura mancanza di loro applicazione. Questo ultimo, invero,
potrebbe anche non dar luogo ad una nuova norma, di tipo consuetudinario, mentre
l'effetto che consegue al fatto della inosservanza della prescrizione legislativa resta
solo la sua desuetudine. 16 CAPITOLO TERZO SOGGETTI E SITUAZIONI GIURIDICHE
SOGGETTIVE Con riferimento agli organi appartenenti ad istituzioni dell'ordinamento
essa indica la costanza della ripetizione dei loro comportamenti nell' esercizio dei
poteri conferiti. Come tale, la prassi non assume il valore di una regola di
comportamento, né costituisce una fonte normativa, dando luogo piuttosto ad una
mera regolarità di comportamenti. Essa può pertanto assumere rilievo per
interpretare l'attività esplicata dal o dai soggetti, dal o dagli organi interessati. Ciò non
esclude tuttavia che dalla prassi possa anche passarsi alla produzione di una norma
giuridica consuetudinaria. Il che può avvenire specialmente quando agli organi
istituzionali interessati sia conferito un margine, più o meno ampio, di discrezionalità
nella scelta delle modalità da seguire per l'esercizio di attività rientranti nell' ambito
delle rispettive competenze. 1* Soggetti di diritto Soggetto per il diritto è una entità
cui viene riconosciuta la capacità di essere punto di riferimento (centro di
imputazione) di situazioni giuridiche, in particolare di diritti e doveri. La capacità
giuridica a sua volta indica rattitudine dei soggetti ad essere centro di imputazione di
situazioni giuridiche, attive o passive. Sotto tale profilo possono essere considerati
soggetti non solo le persone fisiche, ma anche altre entità prive della personalità
fisica. Le persone giuridiche sono entità in cui si combinano elementi personali e
materiali considerati dall' ordinamento in modo unitario e costituenti pertanto una
particolare unità soggettiva ricono- sciuta come tale dal diritto. Esse possono
distinguersi in associazioni o fondazioni seconda della prevalenza della volontà degli
associati o della destinazione particolare dei mezzi materiali. 11 riconoscimento, che
nel caso delle persone giuridiche private, come dispone in via generale l'art, 12 cod.
civ., è accordato con Decreto del Capo dello Stato o del Prefetto previa valutazione
dello scopo dell' ente da parte dell' autorità amministrativa (art. 2 disp. art. cod. civ.),
ha quindi una funzione costitutiva della persona giuridica. Per tali soggetti esiste una
disciplina particolare relativa alla loro amnùnistrazione e alloro patrimonio connessa
con la loro idoneità a costituire un centro di imputazione di determinate situazioni
giuridiche. I comitati, a differenza delle associazioni, si costituiscono in vista della
realizzazione di uno specifico risultato (art. 39 cod. civ.). I soggetti possono essere di
diritto comune nella tradizione giuridica romanistica vengono normalmente definiti di
diritto privato e pubblici. La soggettività può essere quindi distinta dalla personalità
giuridica, termine col quale si indica la speciale capacità giuridica delle persone
giuridiche. La capacità giuridica a sua volta può assumere diverse intensità, con
riferimento ai soggetti e alle situazioni giuridiche. Alle persone fisiche essa è
riconosciuta nella massima intensità ed è generale. In altre epoche storiche peraltro
non sempre era riconosciuta a tutte le persone fisiche. Per l'ordinamento italiano 17
Rapporti di sovra o sottordinazione sussistono quando tra gli organi si determina la
dipendenza degli uni rispetto agli altri. Rapporti di direzione sussistono tra organi dei
quali l'uno può influenzare l'attività dell' altro impartendogli direttive per il suo agire.
Le direttive, in particolare, possono essere più o meno incisive, ma devono comunque
lasciare una libertà di scelta all' organo che ne è destinatario. 8. Rappresentanza Con
la rappresentanza si ha la sostituzione di un soggetto ad un altro nell' attività
giuridica. Si può avere una rappresentanza legale o volontaria a seconda che la
sostituzione di un soggetto ad un altro trovi titolo nella norma giuridica o nella
volontà dell'interessato. Si ha così il conferimento di un potere di agire nei confronti di
terzi. La rappresentanza differisce dal rapporto organico, perché questo, come si è
visto, non dà luogo ad un rapporto intersoggettivo, ma ad un rapporto di
immedesimazione dell'organo col soggetto in cui esso è inserito organicamente. Con
la conseguenza che l'attività dell'organo è imputata direttamente al soggetto di cui
esso fa parte. Mediante il rapporto organico il soggetto svolge infatti una sua propria
attività in quanto l'organo è parte di esso. La rappresentanza, in senso ampio, si
distingue dalla figura del m e s so, il quale è un mero nuncius, abilitato soltanto a
trasmettere la dichiarazione di volontà dell'interessato. 9. Cose e beni Dai soggetti si
distinguono le cose. Tale termine indica parti del mondo materiale tra cui possono
essere comprese anche le energie.Le cose che sono suscettibili di essere oggetto di
diritti sono de- finite b e n i (art. 810 c e ) , mentre non possono essere considerati in
senso stretto e giuridico beni cose che, non essendo suscettibili di appropriazione,
non possono formare oggetto di diritti, come l'aria, il mare, lo spazio, fin tanto che
restano nel loro ambiente naturale. 10. Interessi e situazioni giuridiche soggettive Le
situazioni giuridiche soggettive possono essere attive e passive. Nella situazione
giuridica attiva viene in evidenza l'interesse di un soggetto ad un bene della vita.
L'interesse non è altro che un rapporto tra un soggetto e un bene della vita, il quale
esprime il valore che per il soggetto assume il bene da cui egli ricava una qualche
utilità, di ordine materiale o im- materiale. Anche quando si ha riguardo alla posizione
del soggetto di fronte alla Pubblica Amministrazione nei casi in bui l'ordinamento
prende in considerazione prevalentemente l'interesse pubblico, non si tratta per
l'interesSiSoggettivo di una tutela mdiretta. Se invero si ammette una tutela per
l'interesse singolo, colmunque correlato con quello pubblico, non può che trattarsi di
una tutela che concerne direttamente l'interesse singolo. L'ordinamento giuridico non
a tutti gli interessi accorda una tutela giuridica, come ad esempio avviene con gli
interessi di mero fatto e non l'accorda a tutti in modo eguale, dipendendo essa
dall'esistenza di altri interessi, ritenuti anch' essi meritevoli di tutela giuridica. Ciò
spiega perché, quando l'oijdinamento tutela una situazione soggettiva, definisce
anche il modo, nonché l'intensità della protezione dell'interesse. 20 11. Diritti
soggettivi e interessi legittimi In effetti, la nozione corrente di diritto soggettivo
intende evidenziare proprio la protezione ampia e piena che rordinamento ha inteso
assicurare all'interesse soggettivo. Secondo la distinzione tradizionale tra diritto
soggettivo ed interesse legittimo, elaborata dalla giurisprudenza e dalla dottrina, col
diritto soggettivo il soggetto può far valere la sua potestà di volere in relazione al suo
interesse ad un bene della vita nei confronti di qualsiasi soggetto, ivi compresa la
Pubblica Amministrazione, sia quando essa agisce iure privatorum sia quando agisce
anche autoritativamente, ma in modo strettamente vincolato ad una fattispecie
normativa, senza margini di discrezionahtà. In tal caso l'interesse soggettivo incontra
soltanto i vincoli e i limiti direttamente previsti dalla legge e non soggiace ad un
potere di scelta, ovvero sia discrezionale della Pubblica AnmiinistraMone. La tutela
che l'interesse riceve dall'ordinamento non è quindi condizionata dall'uso che
l'Amministrazione faccia di siffatto potere, ma dipende direttamente dalla norma. Il
soggetto può invero pretendere nei confronti di chicchessia di non essere turbato nel
godimento del suo diritto. Se l'interesse è già presente e realizzato in capo al soggetto
(es. titolarità di un diritto di proprietà), esso potrà essere sacrificato (ad es. mediante
un atto espropriativo, una confisca, un trasferimento coattivo) oppure subire
limitazioni (ad es. servitù coattiva). Se l'interesse in tanto può realizzarsi in quanto
intervenga la Pubblica Amministrazione con la rimozione di limiti alla situazione
soggettiva, all'esercizio di determinate facoltà, esso è ovviamente condizionato e si
realizzerà in concreto soltanto con l'esito positivo dell'esercizio del potere. Ma
l'interesse può anche essere soddisfatto e realizzato a seguito dell' esercizio del
potere discrezionale della Pubblica Amministrazione che consente l'attribuzione al
soggetto del bene o dell'utilità cui egli aspira e si ripromette di ottenere ed è oggetto
dell'interesse stesso, anche attraverso la realizzazione progressiva di utilità
strumentali a quella finale. L'interesse legittimo pertanto, secondo tale impostazione,
si risolverebbe in una posizione di vantaggio riservata ad un soggetto in relazione ad
un bene della vita oggetto di un provvedimento amministrativo, e consìstente nell'
attribuzione a tale soggetto di poteri idonei ad influire sul corretto esercizio del potere
in modo da rendere possibile la realizzazione dell'interesse al bene. In realtà, se si
ragiona sul piano del solo interesse soggettivo, non vi è e non può esserci alcuna
distinzione tra diritto soggettivo e interesse legittimo. Entrambi sono invero interessi
tutelati dall'ordinamento giuridico e tutelati direttamente. Esso è protetto mediante la
messa a disposizione del soggetto di vari strumenti giuridici (anche procedimentali),
come la possibilità di rivolgere istanze, di attivare il procedimento amministrativo, di
partecipare allo stesso, di presentare ricorsi amministrativi e/o giurisdizionali,
impugnando la attività (o l'inazione) della Pubblica Amministrazione, quando non sia
conforme al diritto, in modo da ottenere di volta in volta un provvedimento
favorevole, il riesame di uno sfavorevole, la sua revoca, il suo annullamento, il
risarcimento del danno in forma specifica o per equivalente. Pertanto è la situazione
sostanziale dell'interesse del soggetto ad essere protetta (e quindi è protetta
direttamente), mentre gli strumenti offerti dall' ordinamento, pur essendo necessari
per la tutela, 21 sono appunto strumenti di protezione dell'interesse e non possono
confondersi con esso, né possono identificarsi con la figura dell'interesse legittimo. Un
diritto o un interesse alla legittimità o alla correttezza dell'azione della Pubblica
Amministrazione come tale sarebbe invero del tutto generico e il suo oggetto privo di
determinatezza. Esso non può quindi costituire quell'interesse soggettivo sostanziale
che fa valere il soggetto nei confronti di essa, perché la legittimità riguarda piuttosto i
limiti al potere, mentre dal punto di vista del soggetto costituisce l'ambito di
protezione assicurato al proprio interesse al bene della vita. L'interesse alla legittimità
come tale, a ben guardare, non si differenzia dall'interesse che possa avere qualsiasi
soggetto alla legittimità dell' azione dei pubblici poteri che, come tale, potrebbe dare
luogo ad un controllo popolare della legalità dell'azione amniinistrativa, una sorta di
azione popolare. Quel che invece assume rilievo nella tutela assicurata
dall'ordinamento, è proprio l'interesse specifico al bene della vita, alle utilità che il
soggetto possa trame o a cui aspira. È esso e solo esso che sostanzia il ed. interesse
legittimo come figura soggettiva che convenzionalmente viene distinta, quanto alla
tutela, dagli altri interessi, anch' essi protetti dall' ordinamento, ma non condizionati
da un potere discrezionale pubblico autoritativo. Quello che viene definito come
interesse strumentale non è altro quindi che la particolare protezione accordata
direttamente all'interesse sostanziale del soggetto. E difatti il meccanismo della
protezione, quando l'azione non corretta ha determinato una lesione della situazione
sostanziale, si concretizza accordando al soggetto leso la possibilità di far valere il suo
interesse al bene della vita contestando il modo in cui è stato esercitato il potere, per
ottenere, a seconda dei casi, l'annullamento, la revoca o la modifica dell' atto oppure il
risarcimento del danno in forma specifica o per equivalente. È sicuramente vero che a
fronte del dovere di correttezza cui è tenuto il soggetto che svolge un' attività
discrezionale che si riflette sugli interessi di altro soggetto sussiste l'interesse di
quest'ultimo all' esercizio corretto di queir attività. Ma non è e non può essere tale
interesse, che è soltanto strumentale alla protezione dell'interesse al bene della vita,
l'oggetto specifico della tutela apprestata dall' ordinamento al soggetto, né può essere
considerato l'oggetto di una tutela diretta poi collegata a quella (indiretta) del bene
della vita (secondo la tesi del Casetta). Ma ciò equivale a dire che egli ha interesse alla
legittimità del comportamento o del procedimento della Pubblica Amministrazione
adottato nell' esercizio del suo potere. Né d'altra parte può porsi una similitudine tra
l'interesse legittimo e il diritto di credito. La pretesa di un soggetto ad ottenere una
prestazione patrimoniale da un altro soggetto non può essere assimilata alla
posizione che ha il soggetto di fronte ad un potere discrezionale della Pubblica
Amministrazione che è destinato ad incidere sui suoi specifici interessi. Ciò del resto
avviene anche se si ha riguardo alla posizione che ha il soggetto di fronte a un
qualsiasi altro soggetto dalla cui scelta discrezionale dipende la soddisfazione del
proprio interesse. Il comportamento o il provvedimento è lo strumento che consente
di realizzare il soddisfacimento dell'interesse al bene della vita del soggetto, quando
tale interesse emerge nell' assetto degli 22 CAPITOLO QUARTO LO STATO E LA
COMUNITÀ INTERNAZIONALE 1. Stato come ente originario e ternario Col termine
stato, che in senso estremamente lato indica una situazione in cui si colloca una
entità, si indicano peraltro diversi fenomeni nel mondo del diritto. Sul piano politico
con esso si indicano quei fenomeni di aggregazione politica di un popolo su di un
determinato territorio, che danno appunto luogo agli Stati veri e propri dell'Era
moderna e contemporanea. Sotto tale profilo lo Stato si pone come ente primario e
originario, autonomo e indipendente da ogni altra entità politica, che si costituisce con
un proprio ordinamento giuridico e pretende di produrre diritto con potere di
supremazia nel proprio ambito operativo e funzionale. Solitamente lo Stato è visto
come la combinazione di tre entità: un popolo organizzato che costituisce una unità
politica; un territorio stabilmente governato; un potere supremo di dominio che viene
indicato, secondo la tradizione Hobbesiana, col termine di sovraordinata, nel senso
appunto di un, potere superiorem non recognoscensà- 2. Popolo e cittadinanza Il
popolo è una unità ideale di uomini organizzata politicamente che nella vita sociale si
presenta unitariamente. Ove venga a formare uno Stato esso rappresenta l'ambito
soggettivo dell' esercizio della sovranità. Se poi la titolarità della sovranità appartiene
al popolo e non ad altre entità lo Stato può dirsi legittimato democraticamente. Dal
popolo va altresì distinto (anche se a volte è confuso con esso) il concetto di nazione
in senso stretto, col quale si indica il complesso di individui legati tra di loro da comuni
tradizioni, cultura, lingua, razza, etnia, senza che entri in gioco una organizzazione di
tipo politico e giuridico. La nazione può però anche avere rilevanza politica e giuridica
ove la si rapporti per alcuni aspetti oppure in stretta connessione al popolo. Può
esserci un popolo-nazione, un popolo composto da più nazionalità, una nazione divisa
in due o più popoli. Essa può essere attribuita ai singoli a titolo originario, iure
sanguinis, per discendenza naturale da chi è già cittadino, o iure soli per nascita nel
territorio dello Stato. Può anche acquistarsi a titolo derivato, per effetto di
matrimonio, di acquisto di status di figlio, oppure per concessione da parte dello
Stato. Può anche perdersi per volontà o per il verificarsi di vari eventi, come, ad
esempio, l'acquisto di altra cittadinanza. La legge italiana sulla ciltadinanza, n. 91 del
5.2.1992, prevede i casi di acquisto, di perdita e di riacquisto della cittadinanza,
privilegiando l'acquisto per discendenza da padre o madre italiana. A seguito dell'
approvazione del Trattato dell'Unione Europea, l'art. 17 assicura ai cittadini italiani,
come a quelli di tutti gli Stati membri dell'Unione, la cittadinanza europea, la quale
viene a costituire il compendio di tutti i diritti (e doveri) politici ad essi riconosciuti in
ambito comunitario. 25 3. Territorio H territorio è quella parte della superficie
terrestre dove si esercitano il dominio e la sovranità dello Stato. Esso comprende non
solo la terraferma, ma anche una parte del mare contiguo alla terraferma e dello
spazio aereo ad essi sovrastante. Vengono altresì ritenuti territorio dello Stato le navi
e gli aeromobili, che, rispettivamente, navigano e sorvolano spazi marittimi o aerei
non soggetti a sovranità di altri Stati, ed alcuni edifici che godono della ed.
extraterritorialità. Il mare è costituito dal ed. mare territoriale, il quale si estende
solitamente da un minimo di tre a un massimo di dodici miglia marine, oltre le quali il
mare è Ubero. Il codice della navigazione in Italia (art. 2) ha prescritto che l'estensione
del mare territoriale è di 12 miglia marine. Oltre il mare territoriale è peraltro
consentito agli Stati costieri di esercitare la propria sovranità anche su quella parte del
sottosuolo marino (ed. piattaforma continentale) che costituisce la naturale
prosecuzione della terraferma e si estende sotto il mare libero. Lo spazio aereo al di
sopra della terraferma e del mare territoriale comprende la ed. zona atmosferica,
mentre quella superiore è soggetta ad accordi internazionali. Le sedi delle
rappresentanze diplomatiche di uno Stato all' estero costituiscono territorio dello
Stato di riferimento. 4. Sovranità La sovranità in senso ampio e generale può essere
intesa come requisito di ogni ordinamento politico originario, autonomo e
indipendente. Essa, per essere realmente tale, non deve ammettere la presenza di
alcun' altra entità che possa interferire nel proprio ambito di azione, nessuna altra
entità al di sopra di sé. Il sovrano è perché è originariamente al di sopra di ogni
potere. Egli manifesta se stesso producendo politica e diritto e ciò che proviene da lui
non è altro che il suo tradursi in atto. In quanto vero sovrano egli deve disconoscere
altra fonte di potere politico che possa esistere indipendentemente dalla sua volontà.
Ciò che esiste politicamente è quanto egli ha voluto come esistente politicamente,
essendo egli l'unica autorità che esiste indipendentemente da ogni altra autorità. La
sovranità assicura così allo Stato la propria legittimazione (da se stesso e in se stesso)
ed esprime la somma potestà ed autorità su ogni istituzione ed entità esistente nel
proprio ambito funzionale. La titolarità e l'esercizio della sovranità possono spettare a
varie entità esistenti nello Stato, ad un apparato che a lui fa riferimento, ad una classe,
ad una formazione politica o, come avviene negli Stati democratici, al popolo
unitariamente inteso. La Costituzione Italiana, difatti, all' art. 1, II comma, stabilisce
che la sovranità appartiene al popolo e che esso la esercita nelle forme e nei limiti
della Costituzione. Mentre quindi la titolarità spetta al popolo, il suo esercizio è
disciplinato giuridicamente in coerenza con i principi dello Stato di diritto. La
Costituzione italiana, ad esempio, all' art. 10 stabilisce che l'ordinamento giuridico
italiano si 26 conforma alle norme del diritto internazionale generalmente
riconosciute, mentre all' art. II prevede la possibilità di limitazioni alla sovranità
quando esse siano necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra
le Nazioni. Orbene proprio in considerazione dei limiti cui va incontro la sovranità la
sua sussistenza è stata posta in discussione. Se invece le limitazioni e i
condizionamenti, giuridici o di fatto, nascondono una ormai avvenuta perdita effettiva
e definitiva della sovranità, la conseguenza è che si è in presenza di una comunità
(statuale) che, sia pure organizzata politicamente, dà luogo ad una parvenza di Stato.
5. Teoria dei presupposti o degli elementi costitutivi dello Stato È nota l'annosa
questione se popolo, territorio e sovranità costituiscono elementi essenziali o meri
presupposti dello Stato. In quest'ultimo caso lo Stato viene inteso come entità
soggettiva diversa e distinta da popolo, territorio e sovranità, che pure ne
costituirebbero il presupposto. La contrapposizionetra teoria degli elementi e dei
presupposti sembra però più apparente che reale. È certamente vero che se non si
ipotizza un popolo unitariamente inteso, che abbia una propria identità politica, o un
territorio sul quale esso si insedia, oppure un potere politico e giuridico che si esercita
nell' ambito territoriale e rispetto al popolo stesso, uno Stato in senso proprio non
può venire ad esistenza. Ma anche se occorre presupporre siffatti elementi perché
possa sorgere uno Stato, nel momento in cui si ammette l'esistenza dello Stato, essi
ne diventano al tempo stesso specifici elementi essenziali. Essi sono quel determinato
popolo, quel determinato territorio, quella determinata sovranità di quel determinato
Stato. Che lo Stato assuma una stmttura propria, uno specifico ordinamento, una
specifica identità soggettiva non significa che nella sua costituzione non vi sia la
presenza effettiva di tali elementi; mentre questi, pur concorrendo alla sua
costituzione, non restano assorbiti nella sintesi statuale in modo da perdere la loro
identità. Difatti dal loro variare varia anche lo Stato nella sua concreta detenninazione.
Ne consegue invero che uno Stato che estende il suo dominio su altri territori e nei
confronti di altri popoli o che, per converso perde parte del territorio e del popolo,
non può che dar luogo ad uno Stato sostanzialmente (se non formalmente sul piano
del diritto internazionale) diverso da quello precedente, proprio per la sua diversa, più
ampia o ridotta composizione territoriale e personale. 6. Stato e normativismo H
fenomeno Stato viene peraltro ricondotto nell' ambito della norma giuridica da quelle
teorie che intendono risolverlo in termini di puro normativismo. E ciò in particolare da
quelle teorie secondo le quali lo Stato viene spiegato ricorrendo all' idea di una norma
giuridica fondamentale (Grundnorm) da cui esso trarrebbe la proprio legittimazione.
Si ritiene così di superare lo stesso problema della combinazione di popolo, territorio
e del potere supremo, mentre viene svalutata la teoria della sovranità. 27 CAPITOLO
QUINTO: FORME DI STATO 1. Forme di Stato: a) Stati nazionali e plurinazionali Gli Stati
possono essere distinti sulla base di vari criteri, in particolare se si tiene conto del
modo in cui si presentano i suoi elementi. Possono esservi stati nazionali e
plurinazionali a seconda della composizione etnica e nazionale del popolo. 2. b) Stati
centralisti e ad autonomie territoriali; regionali e federali Riguardo al modo di
organizzazione del potere sovrano nel territorio possono esservi Stati centralisti,
federali o Stati con rilevanti autonomie locali. Centralisti possono dirsi quegli Stati nei
quali il potere politico è quasi tutto o in modo prevalente attribuito all'apparato
centrale e con un non rilevante o significativo liconoscimento di autonomie locali, le
quali comunque soggiacciono al penetrante controllo o a interventi incisivi dell'
apparato centrale. Federali possono considerarsi quegli Stati che, pur risultando
unitari e sovrani, sono composti di una pluralità di Stati ciascuno dei quali conserva
rilevanti poteri garantiti anche di fronte ad esso; di guisa che le variazioni della
composizione federale e dei poteri dei singoli Stati vanno approvate con il loro
intervento. La previsione di siffatto potere riconosciuto agli Stati che compongono la
Federazione, il quale può essere inteso anche come un residuo di sovranità degli
stessi, costituisce in effetti l'elemento differenziatore tra gli Stati propriamente
federali e gli altri Stati composti, anch' essi basati sul riconoscimento di autonomie
locali, come quelli regionali. 3. c) Monarchia e repubblica Una distinzione che nel
passato ha avuto notevole rilevanza tra le forme di Stato è stata quella tra monarchia
e repubblica, la quale è venuta meno a mano a mano che si è andata affermando la
de- mocrazia nella vita politica. È questa una distinzione che ha un valore sul piano
storico e negli Stati democratici contemporanei deve ritenersi superata dalla
evoluzione delle forme di governo. Per Monarchia si intendeva storicamente quella
forma di organizzazione del potere politico in cui il potere era attribuito (ed esercitato)
vita naturai durante ad un sovrano, vale a dire ad una personalità che derivava la
carica e ne era legittimato da una discendenza ereditaria, per l'appartenenza ad un
casato, oppure in virtù di una elezione. In effetti la distinzione oggi tra Stato
monarchico e repubblicano riguarda soltanto l'attribuzione della Carica di Capo dello
Stato, nel primo a vita (prevalentemente in via ereditaria), nel secondo per un tempo
predeterminato. 4. d) Stati laici e confessionali Altre distinzioni che possono essere
prese in considerazione sono quelle tra Stati laici (come prevalentemente sono gli
Stati occidentali) e Stati religiosi (come gli Stati a religione islamica), oppure tra Stati
non caratterizzati da una specifica ideologia e Stati caratterizzati da una prevalente
e/o totalitaria ideologia (come gli Stati socialisti ispirati all'ideologia marxista). 30 5. e)
Stali democratici La partecipazione del popolo alla gestione del potere caratterizza gli
Stati democratici. Tale partecipazione deve essere reale e non apparente e fondarsi
sulla libertà degli individui. Con la conseguenza che l'individuazione dei valori di
riferimento deve a sua volta derivare dalla loro libera scelta che in un sistema
rappresentativo comporta l'elezione diretta o indiretta delle istituzioni politiche.
L'esercizio del potere sovrano da parte delle istituzioni dell'ordinamento statale
complessivamente considerato deve invero essere ricondotto al popolo, poiché è nel
popolo che negli Stati democratici risiede il potere sovrano e da esso promana,
manifestandosi nelle diverse articolazioni della struttura statale che esso si è data. 6.
f) Stato liberale-rappresentativo e Stato di partiti Riguardo poi alla partecipazione del
popolo alla gestione del potere si è distinto tra Stati rappresentativi di tipo liberale e
Stati di partiti e tra questi, in particolare, tra Stati monopartitici e pluripartitici. 7. g)
/partiti nello Stato di partiti I partiti politici sono, come ogni altro gruppo sociale,
associazioni di individui che mirano a realizzare uno scopo comune connesso con
l'interesse collettivo che è la loro ragion d' essere. Rispetto agli altri gruppi sociali
mirano ad assumere la responsabilità della gestione politica attraverso un' opera
costante di coordinamento e di contemperamento delle diverse domande in cui si
articolano i molteplici interessi sociali. In quanto organizzazioni stabili essi si
distinguono da altre associazioni politiche, come i ed. gruppi politici elettorali, la cui
funzione appare limitata alla partecipazione alle competizioni elettorali, o da quelle
che mirano al conseguimento soltanto di alcuni occasionali, particolari e delimitati
risultati politici, come i comitati promotori di referendum. Mentre nello Stato liberale-
rappresentativo del XIX secolo i partiti politici riflettevano le divisioni politiche esistenti
nel Parlamento e mantenevano saltuari collegamenti con i comitati elettorali, con
l'estensione progressiva del diritto di elettorato, sino alla introduzione del suffragio
universale, i partiti sono diventati partiti di massa e si sono affermati come forze
mediatrici tra popolo e istituzioni politiche. Per far fronte ai compiti via via crescenti si
sono dotati di strutture organizzative permanenti e diffuse sul territorio assicurando
in questo modo il collegamento con gli elettori. Si è superata così la configurazione di
partito di notabili che essi avevano nella precedente fase storica.
Contemporaneamente si è cambiato il rapporto con le loro componenti parlamentari
la cui attività è stata da essi sempre più condizionata. In questa fase e entrato in crisi il
sistema politico fondato sul parlamentarismo tipico dello Stato liberale-
rappresentativo e si è andata trasformando la stessa struttura dello Stato
contemporaneo. Le elezioni sono di fatto un loro monopolio. Se è vero che
astrattamente chiunque potrebbe da solo avanzare la propria candidatura alle
elezioni, sempre che non vi siano limitazioni legali in tal senso, risulta che di fatto sono
i partiti che scelgono i candidati da inserire nelle loro liste o da presentare 31 nei
singoli collegi. E sono questi che possono avere effettive possibilità di essere eletti, in
quanto dai partiti ricevono il necessario appoggio. Ciò si verifica anche quando la
scelta dei candidati dei partiti è fatta dipendere dalle ed. primarie, perché è pur
sempre la decisione ed il sostegno del partito che è decisivo. La stessa propaganda
elettorale è affidata principalmente ai partiti sulla base del loro programma politico.
D'altra parte l'intervento dei partiti serve anche da garanzia nei confronti dell'
elettorato, in quanto da essi è assicurata la qualificazione politica delle varie
candidature e da essi è così reso edotto l'elettore in ordine al programma politico che
i candidati si impegnano ad attuare. Ed in tal modo si evita anche che i singoli
candidati siano condizionati esclusivamente dall'appoggio ricevuto dai vari gruppi di
interesse o da notabili locali. In molti ordinamenti peraltro le elezioni assumono un
carattere plebiscitario per il governo, nel senso che il consenso popolare che viene
manifestato nei confronti di un partito o di una coalizione di partiti che ottiene la
maggioranza dei voti (o eventualmente un risultato elettorale maggioritario) serve
anche -ad assicurare per un determinato periodo di tempo, che normalmente
coincide con la durata della legislatura, una stabile conduzione della vita politica di
governo. Ma i partiti politici condizionano gli eletti al Parlamento anche dopo le
elezioni. Nei Paesi a partito unico o anche a sistema non competitivo tale dipendenza
è intrinseca al sistema e appare istituzionalmente riconosciuta, essendo prevista ad
esempio la revoca del mandato. Negli altri Paesi a sistema pluralistico e competitivo la
soggezione nei confronti dei partiti può variare di intensità, ma è sempre presente e
comporta che i membri del Parlamento, se pure formalmente sono liberi e
indipendenti nella scelta delle soluzioni e delle decisioni che prendono nell'
espletamento della loro attività politica parlamentare, in realtà sono sottoposti alla
direzione e alle indicazioni del gruppo parlamentare (a sua volta collegato al
corrispondente partito) cui appartengono. Ove essi non intendessero sottoporvisi
sarebbero esposti alle sue sanzioni, la più grave delle quali, in caso di disaccordo
ovviamente insanabile, è rappresentata dall' espulsione dal gruppo. Il che può
comportare la fine della carriera politica del parlamentare, a meno che egli non trovi
appoggio in un altro gruppo (e corrispondente partito). Anche l'Esecutivo risente
dell'intervento determinante dei partiti politici. Nei sistemi di governo presidenziale
sono essi che convogliano il consenso degli elettori (popolo o collegio elettorale) sui
candidati alla Presidenza. Nei sistemi di governo parlamentare sono essi che
determinano tanto l'elezione del Capo dello Stato (se si tratta di carica elettiva) quanto
la designazione dei membri del Governo (Capo del Governo e membri del Gabinetto)
e condizionano la stessa vita politica governativa. La forza o la debolezza del Premier
e la presenza o assenza di omogeneità tra i membri del Gabinetto sono direttamente
collegate alle designazioni provenienti dai partiti e al condizionamento continuo che il
Governo deve subire, a volte, come in Italia, anche dalle correnti dei partiti della
maggioranza. Siffatto molo può variare di intensità e di funzionalità nei diversi Paesi,
in dipendenza sia della sttuttura dei singoli partiti, sia della geografia politica, ma va
comunque rapportato al variare delle maggioranze politiche che si costituiscono in
sede centrale e locale. 32 piuttosto definiscono una serie di attribuzioni di organi dello
Stato o di soggetti distinti dalla persona statale, che sono esercitate da questi, soli o in
collaborazione fra loro, e che sono individuate prevalentemente in base a criteri
formali; sicché si sono risolti nel principio della ripartizione funzionale di competenze.
Il potere è stato quindi razionalizzato in relazione all' organizzazione istituzionale. Si
sono create competenze diverse, ciascuna coerente con compiti specifici da
adempiere, ciascuna parte dell'unitario e originario potere dello Stato. 2. Potere di
esecuzione costituzionale Il concetto di esecuzione così precisato non deve essere
inteso nel senso di acreatività giuridica, ricorrendo ad una distinzione schematica tra
legis latio e legis executio in base alla quale la legis execulio offrendo contenuti già
previsti nelle formulazioni astratte della legis latio non avrebbe carattere creativo di
diritto. L'esecuzione come tale va in proposito individuata concettualmente solo per la
sua relazione rispetto ad altro elemento, che per ciò, rispetto ad essa, è primario. In
proposito può pertanto parlarsi, sia pure in senso lato e nei limiti di un
inquadramento generale, di potere esecutivo costituzionale. L'individuazione in
concreto di tale potere però, data la sua genericità, non può essere percepita
indipendentemente dall'analisi delle singole forme e modi in cui esso è specificato e
conformato, vale a dire attraverso i vari poteri in cui si suddivide, a loro volta
individuabili in considerazione di elementi tipici e costanti. L'indagine è di diritto
positivo, non potendosi prescindere dalle particolarità dei singoli ordinamenti politici.
Tuttavia per tradizione, dall' antico principio della divisione dei poteri si fa ancora
derivare la ripartizione del potere nei tre poteri fondamentali legislativo, esecutivo e
giurisdizionale. Ripartizione che ha però valore soltanto sul piano di una distinzione
giuridico-formale delle funzioni statali da un punto di vista estremamente generale,
beninteso senza che ad essa corrisponda una vera e propria distinzione di ordine
politico. 3. a) Potere legislativo Pertanto, per individuare il potere legislativo si
prescinde dal concetto di legislazione materiale (che comprende qualsiasi atto
normativo) e si ha riguardo al solo potere legislativo in senso formale. Gli elementi
tipici che lo caratterizzano sono individuabili nella particolare forza ed efficacia dei
singoli atti posti in essere da un soggetto, di solito il Parlamento, ma potrebbe essere
qualsiasi assemblea legislativa in uno Stato federale o ad autonomia regionale, in
relazione ad altri atti posti in essere dallo stesso o da altri soggetti giuridici. All'interno
del potere legislativo formale possono distinguersi vari sottotipi, come, ad esempio,
quello di legislazione costituzionale e ordinaria o di legislazione statale e regionale. 4.
b) Potere giurisdizionale H potere giurisdizionale considerando gli effetti cui i suoi atti,
inseriti in un particolare procedimento, danno luogo, consiste nella intrinseca idoneità
di questi a giungere ad una decisione dotata di una particolare forza ed efficacia,
come tale suscettibile di essere definitiva rispetto ad altre manifestazioni di volontà, la
quale fa stato in ordine ad una specifica questione insorta tra 35 privati, tra privati ed
amministrazione, tra arrmiinistrazioni fra loro, tra fonti diverse dello ordinamento e in
genere tra qualunque soggetto. Non si ritiene invece a stretto rigore determinante da
un punto di vista generale la posizione, di indipendenza e di imparzialità, che assume
l'organo giudicante, malgrado il rilievo che essa riceve nei ,singoli ordinanjenti positivi,
tanto che a volte viene anche ritenuta essenziale per la valida costituzione del giudice.
E questo un carattere eventuale della funzione ma non necessario per la sua esistenza
sul piano di una teoria generale allo stesso modo delle varie forme procedimentali e
delle specifiche garanzie, come quella del contraddittorio tra le parti del processo. 5.
c) Potere esecutivo Il potere esecutivo al contrario, unitariamente inteso, non può di
per sé essere individuato in modo positivo per gli effetti tipici e costanti cui danno
luogo le varie attività. Esso va invece individuato in via negativa, per l'assenza di
elementi tipici come quelli con i quali è possibile caratterizzare i poteri legislativo e
giurisdizionale. Nell'ordinamento costituzionale italiano, pur mancando un espresso
riferimento alla funzione esecutiva, sono previsti da un lato, in. via generale, all'art. 95
l'attività e l'indirizzo politico-amministrativo, che restano affidati al Governo e alla
Pubblica Amministrazione, dall' altro le garanzie specifiche delle attività medesime,
non solo di quella politica, per la quale vale il principio cardine della forma di governo
parlamentare della responsabilità governativa di fronte al Parlamento, ma anche di
quella amniinistrativa, per la quale vale il principio di legalità azionabile davanti alla
giurisdizione (art. 113). Deve peraltro escludersi, oltre casi specifici, il riconoscimento
di un principio generale di riserva di esecuzione e di amministrazione da far valere nei
confronti del legislatore. Indipendentemente dal modo in cui avviene la ripartizione
del potere, in senso verticale o orizzontale, tra diversi organi o complessi organici, va
tuttavia considerato che essa non è stata mai attuata in modo rigorosamente rigido e
schematico, nel senso di attribuire l'uno o l'altro potere ad organi del tutto distinti fra
di loro senza reciproche interferenze. Sono state previste invero nei vari ordinamenti
forme di collaborazione reciproca tra gli organi esercitanti funzioni diverse, anche
indipendentemente dalla titolarità, in linea di principio, del relativo potere, in vista del
risultato finale che deve essere raggiunto. 36 CAPITOLO SETTIMO FORME DI
GOVERNO 1. Forme di governo assoluto e democratico Accanto alle forme di Stato, e
a volte confuse con queste, sussistono le forme di governo. Anche esse possono
essere distinte da vari angoli visuali. Possono contrapporsi forme di governo assolute
o autoritarie a forme democratiche, le quali si distinguono a loro volta a seconda del
modo in cui è distribuito il potere sovrano tra le varie istituzioni ed organi. 2. Forme di
governo democratico; a) Governo parlamentare Storicamente la forma di governo
parlamentare si è formata con il passaggio da una forma di governo costituzionali
(governo del re) ad un governo responsabile non solo di fronte al re, ma anche di
fronte al parlamento e poi soltanto di fronte al parlamento, di cui deve godere la
fiducia. Non è quindi la forma di Stato, monarchica o repubblicana, ciò che
contraddistingue la forma di governo parlamentare, ma il rapporto fiduciario che deve
sussistere tra governo e parlamento in base al quale il governo è espressione della
maggioranza parlamentare e in quanto tale riceve dal parlamento l'approvazione del
suo programma politico, per cui, in caso di mancanza di sostegno, venendo meno la
fiducia, deve dimettersi. Quando l'omogeneità sociale e politica dà luogo ad un
sistema politico bipartitico o bipolare, con coalizioni di partiti contrapposte, è agevole
individuare una maggioranza parlamentare, la quale costituisce anche maggioranza
governante, per cui l'esecutivo può contare su di una maggioranza stabile e il suo
ruolo ne esce rafforzato. Il bipartitismo o bipolarismo può dipendere indubbiamente
(o quanto meno essere facilitato) dall'adozione di un sistema elettorale maggioritario
per l'elezione dei parlamentari, ma non ne- cessariamente, in quanto anche con
sistemi elettorali proporzionali può raggiungersi lo stesso risultato. Di conseguenza
anche la posizione del Leader o Primo ministro sarà preminente, come avviene ad
esempio nei governi a Premierato (Regno Unito) o a Cancellierato (Repubblica
federale tedesca). Essa peraltro sarà condizionata dalla compattezza del partito
politico o dalla tenuta della coalizione, specialmente se costituita da partiti tra loro
litigiosi. Il ruolo del Premier può riuscire rafforzato anche se esso viene eletto
direttamente o congiuntamente all'elezione dei parlamentari in quanto leader del
partito o della coalizione. Ove peraltro siffatta elezione diretta avvenga
indipendentemente da quella dei parlamentari può essere a scapito del rapporto
fiduciario tra governo e parlamento. In tal senso il sistema di governo parlamentare
assume caratteristiche simili a quello presidenziale o semi presidenziale. 3. b)
Governo assembleare La forma di governo parlamentare, ove il governo sia in balia di
improvvise maggioranze formatesi 37 dotato di potere sovrano (il Monarca nel
passaggio dallo Stato assoluto allo Stato costituzionale), ora da un gruppo di potere o
da esponenti di una oligarchia di una classe sociale prevalente, ora dal Popolo inteso
come unità politica capace di agire per il tramite di suoi rappresentanti oppure
direttamente, ma anche in modo tacito e per via consuetudinaria, ora da entità
politiche e giuridiche esterne, come può essere il caso di decisioni provenienti da altro
o altri Stati a seguito di accordi sul piano dei rapporti internazionali, ad esempio per
effetto di decisioni assunte da potenze vincitrici di un conflitto bellico, oppure per
effetto della decisione di entità politiche territoriali esistenti di aggregarsi per istituire
altro assetto istituzionale, come avviene, ad esempio, a seguito del processo di
formazione degli Stati federali. Ciò esclude che possa parlarsi «a priori» di legittimità o
legalità, nel senso di presupporre un parametro oggettivo ed assoluto cui raffrontare
il singolo ordinamento, perché siffatto parametro non esiste, né può considerarsi
giuridica qualsiasi Costituzione o progetto astratto di ordinamento giuridico
fondamentale prima del suo inveramento nella prassi. Come non può ancorarsi la
legittimità ad una precedente Costituzione. Il che comporterebbe logicamente il
ricorso di volta in volta ad una precedente Costituzione che legittimi quella seguente.
E ciò all'infinito. Ciò non esclude che il potere costituente possa disciplinare le
modalità del suo stesso esercizio. Ma, essendo un potere originario, esso può anche
svolgersi indipendentemente da siffatte discipline od anche contro di esse. Ciò perché
una Costituzione può venire ad esistenza indipendentemente da previe discipline
giuridiche. Anche quando si esercita il potere costituente in modo conforme a
precedenti discipline giuridiche che l'abbiano a loro oggetto è sempre un potere in sé
originario che si manifesta per il solo fatto del suo venire ad esistenza. Se quindi una
Costituzione esistente viene modificata o integrata, non può non ammettersi
l'esercizio di un potere costituente, sia esso un potere costituito, perché riconosciuto
e disciplinato per le modalità del suo svolgimento dalla stessa Costituzione, sia esso
un potere che si svolge autonomamente da essa. Ciò in quanto il potere costituente
non si esaurisce in una Costituzione storicamente datata, ma permane nel soggetto
(sia esso un monarca assoluto, sia il popolo nella unità politica) cui di volta in volta, nel
modificarsi del sistema politico, è riconosciuta la titolarità. 3. La Costituzione vivente
Le Costituzioni quindi vanno viste nel concreto operare delle istituzioni, degli organi e
delle forze politiche. In tal senso può parlarsi di Costituzione reale e vivente. Concetto
che a volte si esprime con l'espressione Costituzione materiale, anche se con questa si
intende piuttosto indicare il particolare regime politico e giuridico che si realizza,
anche in contrapposizione o in dissonanza con la Costituzione formale. Anche se una
Costituzione afferma la sua immodifìcabilità, ciò non esclude affatto che nel corso del
tempo subisca mutamenti, a volte anche radicali. Ciò si è, ad esempio, verificato con lo
Statuto Albertino, il quale, pur autoproclamandosi Legge fondamentale, perpetua e
irrevocabile della Monarchia, fu poi modificata e travolta dalle successive leggi
ordinarie e dalla consuetudine. 40 4. Tipologia delle Costituzioni Le Costituzioni
possono essere brevi o lunghe scritte o non scritte. Quelle brevi (ad esempio lo
Statuto Albertino) contengono poche disposizioni che riguardano principi
fondamentali, garantiscono alcuni diritti fondamentali e stabiliscono le regole
fondamentali della strattura dello Stato e dell' assetto degli organi costituzionali.
Quelle lunghe dettano regole generali ed anche particolari (e a volte minuziose) che
riguardano oltre i diritti fondamentali vari aspetti della società civile, tra cui i ed. diritti
sociali, i rapporti tra i vari organi e soggetti costituzionali o a rilevanza costituzionale.
Le costituzioni scritte o non scritte sono quelle che si formano sulla base di accordi e
convenzioni intervenuti tra le forze politiche prevalenti e a seguito di comportamenti
degli organi istituzionali protrattisi nel corso del tempo, i quali danno luogo a
consuetudini costituzionali. 41 CAPITOLO NONO LO STATO ITALIANO E LE SUE FONTI
1. La Costituzione nel sistema delle fonti Il vìgente ordinamento italiano, caratterizzato
dal principio fondamentale della legalità, conosce una molteplicità di fonti che trovano
disciplina nella Costituzione della Repubblica Italiana, intesa come legge
fondamentale, e nella legislazione ordinaria. Prima dell' entrata in vigore della
Costituzione italiana (1948), nel vigore dello Statuto Albertino che prevedeva solo
alcune scarne disposizioni sul potere legislativo, la disciplina generale sulle fonti del
diritto era contenuta nelle Disposizioni preliminari al codice civile del 1942. Con
l'approvazione della Costituzione della Repubblica Italiana (pubbl. sulla G.U. del 22
Dicembre 1947, n. 298 ed entrata in vigore il 10 Gennaio 1948), questa è divenuta la
legge fondamentale della Repubblica come stabilisce l'mtimo comma della XVIII
Disposizione transitoria e finale. LLeggi costituzionali e di revisione costituzionale
Accanto alla Costituzione si pongono con pari grado le leggi costituzionali e le leggi di
revisione costituzionale, anch'esse assistite da una forza di rango costituzionale che
trova garanzia nella Corte costituzionale. Esse vengono adottate col particolare
procedimento aggravato previsto dall'art. 138 Cosi, nel quale si combinano due
successive delibere del Parlamento con l'eventuale ricorso al referendum popolare. Se
è approvata con la maggioranza dei due terzi la legge costituzionale si intende
definitivamente approvata e va quindi promulgata e pubblicata. Se non si raggiunge
tale maggioranza, essa viene soltanto pubblicata e occorre attendere il decorso di tre
mesi, termine entro il quale è possibile che venga richiesto il referendum popolare da
parte di un quinto dei membri di una Camera, cinquecentomila elettori o cinque
Consigli regionali. Se non viene presentata richiesta di referendum la legge viene
promulgata. Altrimenti si procede alla consultazione popolare e la legge si intende
approvata Ove si raggiunga la maggioranza dei voti validi. Non è richiesto un quorum
di partecipazione al voto perché il referendum sia valido, come è invece nel caso
previsto dall'art. 75 Cost. per il referendum abrogativo. L'art. 139 Cost. tuttavia limita
espressamente il potere di revisione, stabilendo che la forma repubblicana non può
essere oggetto di revisione costituzionale. Parte della dottrina, confortata da alcuni
obiter dieta della Corte Costituzionale, sostiene che non possono essere sottoposte a
revisione costituzionale anche quelle disposizioni della Costituzione che garantiscono i
diritti inviolabili dell'uomo e i principi fondamentali che caratterizzano la Repubblica
democratica, come, ad esempio, il principio dell' eguaglianza davanti alla legge. 3.
Fonti primarie e secondarie La Costituzione italiana contempla altre fonti del diritto
oltre quelle costituzionali, tra cui alcune non previste precedentemente, pur non
contenendo una organica disciplina delle stesse. Ulteriori discipline sono state poi
introdotte dalla legislazione ordinaria e costituzionale, come dalla L. 400 del 1988 sulla
Presidenza del Consiglio, e dalle L. Cost. 22.11.1999, n. 1,18.10.2001, 42 disegno di
.legge di conversione. Non può inoltre escludersi un intervento del Presidente della
Repubblica, cui compete l'emanazione del Decreto, ove si evidenzi una palese
^legittimità costituzionale del contenuto normativo del decreto. In sede di
conversione il Parlamento può anche modificare ed integrare il decreto. Le eventuali
modifiche ed integrazioni produrranno però i loro effetti dopo la pubblicazione della
legge di conversione, mentre le partì non oggetto di conversione decadranno ex tunc.
A partire dalla sentenza 360/1996 della Corte costituzionale non è più ammessa la
reiterazione da parte del Governo di un decreto legge non convertito per infruttuoso
decorso del termine dei sessanta giorni. 7. Statuti regionali Gli statuti regionali hanno
diverso valore e forza a seconda che si tratti di Regioni ad autonomia speciale o di
Regioni ordinarie. Gli statuti delle Regioni speciali (Friuli-Venezia Giulia, Sardegna,
Sicilia, Trentino Alto Adige-Sudtirol, Valle d'Aosta) sono adottati con legge
costituzionale. Essi in vero assicurano una autonomia particolare a tali Regioni in
deroga alle disposizioni costituzionali valide per tutte le altre Regioni. Essi quindi
prevalgono su ogni altra legge statale e regionale. Devono tuttavia osservare anch'essi
i principi fondamentali e inderogabili della Costituzione, come stabilito dalla Corte
costituzionale. La legge di approvazione dello statuto regionale è quindi una legge
particolarmente rinforzata, la quale per le materie ad essa riservate prevale sulle leggi
ordinarie regionali e da esse non può essere modificata. I decreti legislativi di
attuazione degli statuti d elle regioni ad autonomia speciale sono adottati dal
Governo, su proposta di una Commissione paritetica formata da membri designati dal
Governo e dall' assemblea regionale, senza previa delega del Parlamento. Si tratta di
atti legislativi previsti dalle leggi costituzionali che approvano gli statuti regionali. 8.
Referendum abrogativo L'art. 75 Cost. prevede che il referendum per l'abrogazione
totale o parziale di una legge (ordinaria) o atto avente valore di legge è indetto
quando lo richiedono cinquecentomila elettori o cinque Con- sigli regionali. L'indizione
avviene con Decreto del Presidente della Repubblica (art. 87 Cost). II referendum è
peraltro escluso per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di
autorizzazione a ratificare trattati internazionali. La Corte costituzionale, cui l'art. 2
della L. Cost. 11.3.1953, n. 1 ha attribuito il potere di giudicare sull' ammissibilità delle
richieste di referendum abrogativo ai sensi dell' art. 75 Cost, ha peraltro esteso ed
ampliato i casi di inammissibilità. Ha escluso l'ammissibilità di referendum su leggi
che possono incidere direttamente su quelle che sono espressamente contemplate
dall'art. 75, come, ad esempio, le leggi finanziarie (rispetto alla legge di bilancio), di
esecuzione di trattati internazionali e di obblighi comunitari (rispetto a quelle di
autorizzazione alla ratifica); su leggi a contenuto costituzionalmente vincolato, quando
incidono su principi costituzionali o impediscono il 45 funzionamento di organi
costituzionali o a rilevanza costituzionale; su leggi di forza passiva peculiare (leggi
rinforzate passivamente come quelle previste dagli artt. 7 e 8 Cost.). La Corte ha
inoltre ritenuto inammissibili referendum con. quesiti non omogenei (vale a dire con
pluralità di richieste su norme non collegate tra di loro) e non chiari o con effetti non
percettibili dal votante. Nel caso di esito favorevole il Presidente della Repubblica con
decreto dichiara l'avvenuta abrogazione della legge, la quale ha effetto dal giorno
successivo alla sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. Può tuttavia ritardarsi
l'entrata in vigore della abrogazione fino a 60 giorni su delibera del Consiglio dei
Ministri. Se il risultato è negativo se ne dà notizia nella Gazzetta Ufficiale ed il
referendum non può essere riproposto se non dopo cinque anni. Se la legge
sottoposta a referendum è abrogata o modificata in modo che corrisponda all'
obiettivo che si propongono i promotori non si fa luogo a referendum. Se le modifiche
riproducono sostanzialmente l'oggetto della richiesta il referendum si svolge sulla
nuova disciplina. 9. Regolamenti: a) Regolamenti statali regionali; degli Enti locali e di
altre autorità Col termine r e g o l a m e n t o s i indica una ampia tipologia di atti
normativi, la cui potestà è attribuita dalla Costituzione o dalla legge a determinati
soggetti ed organi. Vi sono regolamenti di organi costituzionali per i quali è stabilita
apposita riserva, come per i regolamenti delle Camere (previsti dall' art. 64 Cost.). Si è
altresì riconosciuta la autonomia organizzativa regolamentare degli organi
costituzionali, come quella della Corte Costituzionale, ai sensi degli artt. 22 e 24 L.
87/1953, e del Presidente della Repubblica, ai sensi della L. 1077/1948. La Costituzione
all'art. 117 ha previsto che lo Stato ha potere regolamentare esclusivamente nelle
materie oggetto di propria legislazione esclusiva, salva la possibilità di una delega del
potere regolamentare alle Regioni. Una particolare categoria di atto normativo, con
efficacia non esterna, ma interna alle amministrazioni, è costituita dalle circolari, con
le quali le Pubbliche Amministrazioni indicano le modalità con cui si devono
comportare nella loro attività gli uffici gerarchicamente inferiori o altre
amministrazioni su cui si esercita la loro vigilanza. Esse non vincolano i soggetti terzi e
i giudici. A volte però sotto il nome di circolari si adottano dei veri e propri
regolamenti. Non costituiscono fonti del diritto in senso stretto, almeno nella fase
attuale di concretizzazione del sistema delle fonti, i codici di condotta o di
autoregolamentazione e le norme deontologiche di alcune categorie professionali,
pur avendo le norme da essi prodotte rilevanza per l'ordinamento giuridico statale.
Norme che potrebbero convertirsi col decorso del tempo in consuetudini richiamate
dalla fonte legislativa. Il fenomeno è simile a quello delle norme sociali che riempiono
di contenuto le clausole generali in virtù del rinvio ad esse operato dalle fonti
giuridiche dell' ordinamento statale. 46 10. b) Tipologia dei regolamenti La disciplina
generale dei regolamenti è prevalentemente contenuta nelle disp. prel. al codice civile
e nella L. 400/1988. L'art. 4 delle disp. prel. stabilisce la prevalenza gerarchica della
legge sui regolamenti, i quali non possono contenere norme contrarie alle sue
disposizioni, e quella dei regolamenti del governo sui regolamenti di altre autorità. La
dottrina ammette che regolamenti esecutivi possono intervenire anche in materie
coperte da riserva assoluta di legge, purché siano di stretta esecuzione, limitandosi a
predisporre gli strumenti amministrativi e le procedure occorrenti per l'applicazione
della legge. In effetti in tal caso più che di regolamenti esecutivi si tratterebbe di
regolamenti organizzativi del potere esecutivo. I regolamenti di attuazione riguardano
l'attuazione e l'integrazione di fonti primarie e comportano l'adozione di discipline più
specifiche nell' ambito dei principi e delle norme stabilite dalle leggi e dai decreti
legislativi. I regolamenti di delegificazione (regolamenti delegati o autorizzati)
consentono al Governo su legge di autorizzazione di intervenire in materie disciplinate
dalla legge, purché non si tratti di materie coperte da riserva di legge assoluta,
sostituendo la disciplina legislativa con una nuova disciplina regolamentare. L'effetto
abrogativo della legge è peraltro riconducibile alla legge autorizzativa, la quale lo fa
decorrere dal momento dell' adozione della disciplina regolamentare. Sono altresì
previsti regolamenti governativi attuativi di direttive comunitarie autorizzati dalla
legge comunitaria annuale. 11. Testi unici I testi unici (come anche i codici) sono
raccolte di prescrizioni normative relative a determinate materie o a settori di materie,
che vengono coordinate e a volte anche modificate al fine di facilitarne la ricerca, la
conoscenza e l'applicazione. Essi possono .contenere norme legislative o
regolamentari oppure norme legislative unitamente a quelle regolamentari. Accanto
ai testi unici intesi come fonti normative sussistono testi unici contenenti disposizioni
legislative ma privi di valore normativo, in quanto adottati dal Governo, da singoli
Ministri o da altra Autorità amministrativa, come ad esempio dal Presidente della
Giunta regionale, spontaneamente oppure in virtù di una ed. autorizzazione
proveniente, rispettivamente, dal Parlamento o dal Consiglio regionale. La Corte
costituzionale, investita a volte di questioni di costituzionalità relative a siffatti testi
unici, le ha dichiarate inammissibili, in quanto, pur riconoscendo la possibilità di
adottare testi unici da parte dell' Autorità di governo ed arrmiinistrativa, ha escluso
che essi avessero natura legislativa. In realtà il Governo e in genere l'Autorità
amministrativa possono adottare a loro discrezione atti generali contenenti raccolte di
norme in vista di successive attività esecutive, senza che occorra alcuna
«autorizzazione» in senso proprio. Con riferimento peraltro ai testi unici adottati in
sede regionale con atto del Presidente della Giunta regionale l'illegittimità
deriverebbe comunque dalla mancanza di un potere di delega legislativa in ambito
regionale. 47 coerente nel sistema delle fonti, nel quale si è ammesso in via generale
la fonte consuetudinaria come valida ed operante. Sono evidenti le difficoltà per
l'interprete di stabilire caso per caso, cioè in relazione a singole materie, se queste
possano dirsi organicamente e compiutamente regolate dalle fonti scritte, oppure se
presentino settori forniti soltanto di una disciplina generica o affatto parziale, a parte
ovviamente il caso di materie per le quali non 'si rinvenga in realtà alcuna effettiva
disciplina di diritto scritto. Ma tali difficoltà non costituiscono tuttavia motivo
sufficiente per respingere tale soluzione, che è l'unica che consente di assicurare una
funzione normativa utile alla consuetudine, al di fuori di un richiamo espresso,
coerente con il contenuto normativo dell'art. 1, che riconosce in senso ampio la
operatività della consuetudine come fonte del diritto e dell'art. 12, II comma, che non
esclude per l'interprete la possibilità di trovare discipline specifiche per singole
controversie, anche di tipo consuetudinario. 13. Consuetudini interpretative. E gli usi
negoziale Alla consuetudine è attribuito anche un valore diverso da quello in senso
proprio normativo. Tale è il caso dei ed. usi negoziali, con i quali può interpretarsi o
integrarsi la volontà negoziale delle parti. Essi, conformemente a quanto disposto
dall'art. 1368 cod. civ., possono esplicare una funzione specificamente interpretativa
della volontà contrattuale, nel caso che vi siano clausole ambigue, oppure, come ad
esempio per le clausole d'uso richiamate dall' art. 1340 cod. civ., possono integrare il
contenuto del contratto quando non sussista una volontà contraria. La distinzione tra
usi negoziali e normativi (i quali danno luogo a vere e proprie norme giuridiche
eteronome e costituiscono quindi una fonte normativa generale) non attiene peraltro
all'uso come tale, ma agli effetti che l'ordinamento ad esso riconosce in relazione al
campo in cui è chiamato ad operare. Non sembra peraltro che, quanto meno
nell'ordinamento italiano, il precedente giudiziario possa rientrare nel fenomeno della
consuetudine normativa e costituire una fonte in senso proprio di di- ritto. Anche se in
alcuni ordinamenti è prevista la vincolatività del precedente formatosi nell'attività
giurisdizionale, inteso come principio di diritto cui il giudice si è uniformato per
decidere uno o più casi, si è al di fuori del fenomeno di formazione della consuetudine
in senso proprio, ma nell' ambito della disciplina specifica della funzione
giurisdizionale e del valore assicurato alle decisioni in quanto tali. 14. c) Discipline
settoriali della consuetudine Neil' ordinamento italiano sussistono anche discipline
particolari della consuetudine in alcuni suoi settori. Nella materia penale, dominata
dal principio della riserva di legge (art 25, II comma Cost.), è esclusa anche la
consuetudine praeter legem. La consuetudine peraltro può essere presa in
considerazione per aspetti particolari che non 50 concernono direttamente la
fattispecie criminosa nella sua essenza, ma soltanto il tipo di condotta, in concreto da
valutarsi dal giudice, per dare esecuzione al dettato della legge conformemente ad usi
o comportamenti sociali. Dispone infatti l'art. 1, II comma cod. nav. che soltanto in
caso di mancanza di disposizioni del diritto della navigazione e non ve ne siano di
applicabili per analogia si applica il diritto civile. Anche per quanto concerne il settore
del diritto internazionale sussiste una normativa particolare. Difatti, ai sensi dell'art.
10, I comma, Cost., secondo cui L'ordinamento giuridico italiano si conforma alle
norme del diritto internazionale generalmente conosciute, le consuetudini
internazionali vengono immesse immediatamente nell'ordinamento italiano, senza
che accorrano appositi richiami normativi per le singole materie oggetto di disciplina,
così come previsto in via generale dall' art. 8 disp. prel. cod. civ. ed anche se in
contrasto con la normativa statale. 15. d) Consuetudine e diritto costituzionale.
Consuetudini integrative della Costituzione NeU'ordinamento costituzionale italiano,
dato il carattere rigido della Costituzione italiana che prevede un particolare
procedimento per la sua modifica ed integrazione (art. 138) e data la mancanza in
essa di specifici richiami alla consuetudine, va esclusa in linea di principio
l'ammissibilità della consuetudine come fonte modificatrice della Costituzione formale
e delle leggi costituzionali o integratrice delle stesse con norme del loro stesso valore
e forza. Ciò tuttavia non esclude di per sé rammissibilità di integrazioni della
Costituzione e delle leggi costituzionali mediante consuetudini, che non si pongono
alloro stesso livello. La consuetudine può invero manifestarsi nella materia
costituzionale, intesa in senso ampio, vale a dire nei settori che trovano nella
Costituzione o in leggi costituzionali discipline di principio e che non siano riservati
alla legge o ad altre fonti scritte, come del resto potrebbe manifestarsi in settori privi
affatto di tale disciplina, ma che potessero essere considerati oggettivamente
costituzionali. Essa invero può assicurare discipline più specifiche ad un livello
normativo che si pone come esecutivo della Costituzione formale e fa parte del diritto
costituzionale. Pertanto, anche se l'operatività della consuetudine è ridotta dalla
presenza di numerose riserve di legge (come ad esempio per l'organizzazione dei
pubblici uffici), nulla esclude che si formino consuetudini praeter legem nei settori in
cui ciò sia possibile e sempre che le forze politiche non intendano evitare di
disciplinare giuridicamente la materia, magari ricorrendo a sole convenzioni
costituzionali che restino tali nel tempo. Sotto tale aspetto e solo sotto tale aspetto
può sostenersi che la consuetudine, pur non avendo come fonte del diritto un
specifico grado, integra la disciplina costituzionale esistente, in quanto viene ad
assumere un valore esecutivo della Costituzione. 16. e) Modificazioni tacite della
Costituzione Tuttavia malgrado la rigidità della Costituzione italiana il divieto di
consuetudini costituzionali non può assumere un valore assoluto. Esse sono il
risultato di un processo di evoluzione del sistema costituzionale per fatti concludenti.
Anche se a volte esse possono dar luogo a vere e proprie consuetudini giuridiche
costituzionali, non sempre si identificano con queste. 51 Nella realtà costituzionale
tuttavia quando si ammette che si è avuta una modifica tacita della Costituzione deve
necessariamente convenirsi che si è formato il consenso delle forze costituzionali che
sono interessate alla specifica disciplina costituzionale sulla modifica stessa.
L'esempio che di solito si porta di una modificazione tacita dell'assetto costituzionale
fondamentale dell' ordinamento, vigente lo Statuto Albertino, è quello della
trasformazione del sistema di governo da regime costituzionale puro a regime
parlamentare. Trasformazione tuttavia che se all'inizio avvenne in via di fatto, per un
tacito accordo tra le forze costituzionali, successivamente concretò una vera e propria
consuetudine costituzionale, assistita dall' assenso di tutti gli organi costituzionali.
Ipotesi che allo stato attuale sembra al di fuori della realtà del diritto positivo italiano,
anche se non è escluso che possa parlarsi di modificazioni tacite del diritto
costituzionale con riguardo alla complessiva normazione in via di evoluzione, per
l'intervento di convenzioni o di consuetudini attuative ed esecutive della Costituzione
formale e non in contrasto con essa. Ma allora il problema si sposta su quello della
Costituzione vivente. 17. f) Rotture della Costituzione Non possono invece affatto
rientrare per loro essenza nel fenomeno consuetudinario quelle deroghe all' ordine
costituzionale che vengono assunte, in via del tutto eccezionale, in alcune circostanze
particolari e che sono indicate con termine di rotture della Costituzione. Ad esse
manca pertanto non solo il requisito della ripetizione di comportamenti uniformi, ma
anche il collegamento tra questi in una serie da cui possa scaturire la norma. 18. g)
Consuetudine e giudizio di legittimità costituzionale Dalle considerazioni che
precedono risulta non proponibile nell'attuale ordinamento costituzionale italiano il
tema di un sindacato di legittimità costituzionale delle leggi per contrasto con
consuetudini costituzionali. Analogamente deve escludersi l'ipotesi di conflitti
costituzionali di attribuzione tra poteri dello Stato per violazione di norme
consuetudinarie che fissino specifiche competenze costituzionali, non essendo
contemplato che un conflitto del genere possa essere risolto dalla Corte
costituzionale, ai sensi degli artt. 134 Cost. e 37 e 38 L. 11.3.1953 n. 87. 19. Accordi:
convenzioni galateo costituzionale Anche nel diritto costituzionale sussistono
fenomeni simili a quello della consuetudine normativa, che non vengono inclusi nel
novero delle fonti giuridiche riconosciute generalmente come tali o comunque
ammesse nell' ordinamento giuridico in vigore. I fenomeni che si presentano in
concreto danno luogo a varie figure, definite ora come accordi ora come convenzioni
ora come regole di correttezza o del galateo e consimili. Ma ovviamente nulla esclude
che nella vita delle istituzioni la tipologia possa sempre più arricchirsi. Se si passa all'
analisi di alcuni di tali fenomeni vengono in evidenza ad esempio gli accordi che sono
adottati dalle forze politiche. Quando si presenti la necessità di fissare una disciplina
dei reciproci rapporti di ordine politico, tali forze si accordano pattiziamente sui
comportamenti che dovranno essere seguiti, sulle attività che 52 23. Riserve di
normazione L'ordinamento italiano prevede varie riserve di competenza normativa. Vi
sono riserve di legge costituzionale, come per l'approvazione degli Statuti delle
Regioni ad autonomia speciale, ai sensi dell'art. 116 Cost., relativamente ai giudizi di
legittimità costituzionale e alle garanzie di indipendenza dei giudici della Corte
Costituzionale, ai sensi dell' art. 137 Cost. Sono previste riserve di regolamenti, come
quella dei regolamenti parlamentari (art. 64,1 comma); riserve di regolamenti
regionali o di regolamenti degli enti territoriali (art. 117, VI comma Cost.). Le riserve
possono essere assolute, come quelle in materia di libertà personale (artt. 13, II, III e
IV comma Cost), di proprietà (art. 42, UT e IV comma e art. 43 Cost.), oppure relative,
come in materia di organizzazione dei pubblici uffici (art. 97,1 comma, Cost.), in
materia di imposizione di prestazioni personali o patrimoniali (art. 23 Cost.), di
imposizione di trattamenti sanitari (art. 32, II comma Cost.). Riserve di leggi rinforzate
quanto al procedimento sono, ad esempio, quelle in materia di rapporti tra Stato e
Chiesa cattolica (art. 7 Cost.) e tra Stato e altre confessioni religiose (art. 8, III comma).
Vi sono riserve di leggi regionali rinforzate quanto al procedimento e al contenuto
come per gli statuti regionali (art. 123 Cost); per leggi statali che modificano l'assetto
territoriale di Province e Comuni fra le Regioni (art. 132, II comma) o per leggi regionali
che modificano l'assetto territoriale di Province e Comuni all'interno delle Regioni (art.
133). Tra le Leggi costituzionali è rinforzata, quanto al procedimento, quella in tema di
mutamento di circoscrizioni regionali, ai sensi dell'art. 132, I comma Cost. di diritti
inviolabili, i quali non possono essere violati nemmeno con modifica costituzionale (V.
sentenza C. Cost. 30 e 31 del 1971 e con riferimento al concordato con la Chiesa
Cattolica n. 16 e 18 del 1982). 24. Fonti del diritto internazionale Accanto alle fonti
prodotte all'interno dell' ordinamento italiano si pongono le fonti del diritto
internazionale, il cui diritto ha applicazione diretta e immediata nell'ordinamento
intemo per effetto degli artt. 10 e 11 Cost. Ai sensi dell'art. 10,1 comma Cost:
L'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale
generalmente riconosciute. Tale disposizione, che concreta un rinvio formale (o
mobile), consente l'immissione diretta e automatica dei principi generali
dell'ordinamento internazionale e delle consuetudini formatesi in tale ordinamento in
quello italiano. 25. Fonti comunitarie Ai sensi dell' art. 11 Cost, che stabilisce che l'Italia
consente in condizioni di parità con gli altri Stati alle limitazioni di sovranità necessarie
ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni, si è ritenuta
legittima costituzionalmente l'adesione dell'Italia alla Comunità europea con ogni
effetto sulle limitazioni di sovranità che tale adesione comporta. Di conseguenza, in
virtù della normativa dei trattati stipulati dall'Italia, il diritto comunitario, pur essendo
prodotto da fonti estranee all'ordinamento italiano, entra direttamente a far parte
dell' ordinamento giuridico italiano senza ulteriori atti di ricezione, prevalendo su
quello prodotto dalle fonti interne, anche se successivamente entrate in vigore. 55 La
normativa comunitaria può derogare anche alle norme costituzionali non però ai
principi fondamentali della Costituzione, che non possono quindi essere derogati,
come affermato dalla Corte Costituzionale. Si tratta dei ed. contro limiti
all'ordinamento comunitario, che costituiscono anche un modo per affermare la
permanenza della sovranità dello Stato. Gli atti posti in essere nell' ordinamento
comunitario che hanno efficacia negli Stati membri sono i regolamenti, le direttive, le
decisioni, le raccomandazioni e i pareri. 26. a) Regolamenti comunitari In Italia, dopo
un periodo in cui la Corte costituzionale riteneva che leggi contrastanti con i
regolamenti comunitari fossero incostituzionali per violazione dell' art. II Cost e
pertanto dovessero essere sottoposte al suo vaglio, la Corte uniformandosi
ulteriormente alla giurisprudenza della Corte di giustizia della Comunità europea, ha
invece ritenuto che si tratta di un problema non di gerarchia ma di competenza tra
due ordinamenti autonomi, per cui il conflitto tra le rispettive norme è risolvibile dai
giudici di merito sulla base dell' ordinamento competente. Con la conseguenza che
leggi contrasta,nti con i regolamenti comunitari, anche se adottate in tempo
posteriore, devono essere disapplicate dai giudici per quanto concerne l'ambito di
riferimento del regolamento. 27 . b) Direttive comunitarie Le direttive sono atti di
indirizzo che vincolano gli Stati membri cui sono rivolti per quanto concerne il risultato
da raggiungere, salva restando la loro competenza in ordine alla forma e ai mezzi da
adottare a tal fine. 28. Altri atti comunitari: Decisioni, Sentenze, Raccomandazioni,
Pareri Le sentenze sono atti giurisdizionali adottati dalla Corte di Giustizia e dal
Tribunale di primo grado che hanno efficacia nei confronti dei rispettivi destinatari
(Stato membro o altro soggetto). Le raccomandazioni sono esortazioni rivolte dalle
istituzioni comunitarie (in particolare dalla Commissione) ai singoli Stati perché si
conformino ad un deterrninato comportamento in vista del raggiungimento di certi
risultati. Non hanno carattere vincolante. I pareri, anch' essi non vincolanti, sono
delucidazioni fornite dalle istituzioni e dagli organi comunitari in ordine alloro punto
di vista, su determinate questioni, per orientare il comportamento dei soggetti cui si
rivolgono. Anche se non vincolanti le raccomandazioni ed i pareri possono tuttavia
orientare i giudici nazionali ai fini dell'interpretazione e dell'applicazione della
normativa interna e comunitaria. 29. Interpretazione giuridica L'interpretazione è un
procedimento logico diretto a deterrninare il significato di fatti e atti. Riferita al diritto
consta di un procedimento logico destinato ad individuare la norma e il suo significato
traendoli da una fonte di diritto. Riguardo agli effetti l'interpretazione può essere
estensiva se l'ambito di applicazione è maggiore rispetto alla fattispecie
originariamente prevista, restrittiva se è minore. 56 Diversa è la ed. Interpretazione
autentica, la quale proviene dallo stesso legislatore e forma il contenuto prescrittivo di
una norma di legge, con la quale si stabilisce in via autoritativa e formale il significato
da attribuire ad una disposizione. La norma interpretativa va a sua volta interpretata
e, ove determini una illegittimità costituzionale, può essere annullata dalla Corte
costituzionale. A volte negli ordinamenti giuridici alcune norme stabiliscono i criteri
interpretativi del diritto vigente. Si è posto quindi il problema della possibilità che
criteri generali validi in genere per le fonti del diritto vengano posti, con efficacia
vincolante, da una singola o da singole fonti, anche per fonti di grado superiore. Sotto
tale profilo la maggior forza di una norma di grado superiore rispetto ad una di grado
inferiore non esclude che il contenuto normativo delle singole disposizioni, quale che
sia il grado della fonte in cui sono contenute, abbia efficacia in via generale fin tanto
che queste restano in vigore. Cosicché se una legge, quale che sia il suo grado,
condiziona in via generale l'interpretazione delle leggi, il suo specifico contenuto
normativo, al pari di quello di altre leggi, ha efficacia per tutto il tempo in cui essa
resta in vigore, cioè fino a quando non la si abroghi, e per tutti i casi per i quali non
siano previste specifiche deroghe o eccezioni alle sue previsioni. Deroghe o eccezioni
che potranno essere previste in leggi di grado superiore, ma anche in leggi di pari
grado (od anche, nei casi in cui sia consentito, in leggi di grado inferiore). Ma fin
quando ciò non avvenga è ben possibile che una legge possa contenere criteri per
l'interpretazione delle leggi in via generale, i quali si applichino cioè oltre alle leggi di
pari grado anche a leggi di grado superiore. L'esclusione avrebbe senso soltanto se
potesse dimostrarsi che l'applicazione del contenuto normativo di siffatte leggi a leggi
digrado superiore porti per ciò solo a fare assumere a tali leggi un contenuto diverso
da quello che queste si sono date. L'art. 12, II comma, prevede altresì rinterpretazione
analogica la quale soccorre quando manchi una precisa disposizione che consenta di
risolvere il caso. In tal caso può farsi ricorso alla di- sciplina, omogenea, esistente per
casi simili o, in mancanza di essa, ai principi generali dell'ordinamento giuridico dello
Stato. Il ricorso all'interpretazione analogica consente di ritenere completo
l'ordinamento giuridico in sé considerato, essendo possibile reperire la disciplina
giuridica per le varie fattispecie, sia pure in senso negativo col ricorso a quella che
viene definita norma di chiusura. Non appare quindi produttivo parlare di lacune
dell'ordinamento, ove si intenda tale termine riferito ad un modello ideale di disciplina
giuridica rispetto al quale comparare il singolo ordinamento, perché un siffatto
modello nella realtà non esiste. Molto spesso, quando occorre applicare norme
giuridiche consuetudinarie, si ricorre alle raccolte ufficiali di consuetudini, che sono
disposte dalle pubbliche autorità. Non sono però queste che danno efficacia giuridica
alle consuetudini. Malgrado il valore probatorio ad esse riconosciuto, le raccolte
presuppongono a loro volta l'avvenuta formazione di consuetudini e sono tra l'altro
compilate successivamente alloro venire ad esistenza. 57 proprio contenuto
dispositivo tanto all'oggetto stesso della disciplina quanto ai suoi destinatari, e al
tempo stesso una diseguaglianza di disciplina rispetto ad oggetti e destinatari da essa
non contemplati. Nel diritto positivo la scelta del termine di raffronto è contenuta in
prescrizioni normative e quindi assume carattere oggettivo. La disciplina giuridica può
anche prescindere dalla realtà fenomenica, in quanto rispetto al termine di
comparazione può non tenere conto o andare contro situazioni di eguaglianza e di
diversità esistenti oggettivamente in natura. Essa opera allora una astrazione dalla
realtà fenomenica e stabilisce che le fattispecie, allorché differenti o eguali per certi
aspetti, devono ricevere un trattamento rispettivamente eguale o diseguale. Anche
nella Costituzione italiana si rinvengono rapporti di eguaglianza con riguardo ora al
riconoscimento e all' attribuzione di diritti e all'imposizione di doveri ai singoli, ora
nella disciplina delle varie formazioni sociali, ora nella decisione e organizzazione del
potere tra le varie Istituzioni statali ed i vari Enti. Per sua essenza peraltro
l'eguaglianza giuridica non dà luogo ad una situazione giuridica che possa essere
definita in senso tecnico diritto soggettivo il cui contenuto dovrebbe quindi essere, a
seconda dei casi, quello di diritto all' eguale o al diverso trattamento, anche se in
alcuni ordinamenti (come, ad esempio, nella Costituzione della Repubblica federale
tedesca o in quella spagnola) essa vien fatta rientrare nel catalogo dei diritti
fondamentali. Ma un contenuto siffatto èdel tutto indeterminato ed astratto ed in
quanto tale non può costituire quel bene della vita, determinato e concreto, che può
formare il contenuto del diritto soggettivo in senso tecnico-giuridico. L'egua- glianza
concreta invece un principio generale o una disciplina particolare, a seconda delle
singole fattispecie giuridiche, la quale determina la sfera soggettiva di coloro ai quali
determinate situazioni, attive o passive, vanno riferite. 3. b) l'eguaglianza davanti alla
legge. La ragionevolezza della disciplina legislativa Uno dei principi tradizionali dell'
eguaglianza giuridica, riconosciuto ormai in tutti gli ordinamenti costituzionali vigenti
per il valore di rottura con un passato di privilegi accordati ad alcune categorie di
persone, è quello dell'eguaglianza degli uomini (o dei cittadini) davanti alla legge.
Sotto tale profilo l'eguaglianza davanti alla legge è essenziale per la stessa
configurazione dello Stato di diritto, essendo strettamente connessa col principio di
legalità, il quale determina un vincolo dei pubblici poteri amministrativi e di quelli
giurisdizionali al diritto. Esso invero vieta che essi, si comportino in modo parziale
nell1 applicazione del diritto, nonché pongano in essere differenziazioni o parificazioni
che non siano previste dal diritto stesso. Tuttavia il principio dell' eguaglianza davanti
alla legge così inteso non impedisce al legislatore di introdurre, senza con questo
incidere sulla eguale efficacia della legge come fonte, diversità di trattamento tra gli
uomini sotto molteplici aspetti, in corrispondenza o meno con le diversità esistenti in
natura e nella vita sociale. Ciò anche perché non è ovviamente possibile adottare 60
sempre e comunque discipline generali e universali, vale a dire per tutti. Diversità di
discipline che potrebbero peraltro anche comportare trattamenti discriminatori e
ingiustificati da determinati punti di vista, che il solo principio dell'eguaglianza davanti
alla'legge come tale non sarebbe in con- dizione di evitare. Per limitare il legislatore,
ma anche allo scopo di orientare la legislazione a criteri di giustizia sociale, da un lato
si è ritenuto di introdurre nelle Costituzioni specifiche fattispecie di eguaglianza, in
considerazione di specifiche esigenze ritenute fondamentalmente rilevanti,
soprattutto per reagire a (e rimuovere) situazioni di distinzioni e discriminazioni
avvenute nel passato, dall' altro Sono state previste norme sull' eguaglianza che
esprimono esigenze di differenziazione connesse con il principio di solidarietà ed in
vista del perseguimento di finalità di giustizia sociale. Si assicura così per tutti il
soddisfacimento di bisogni essenziali, si assicurano prestazioni previdenziali e
assistenziali, livelli di istruzione ed educazione di base per tutti e via via più elevati per
i meritevoli, si prevedono misure idonee ad assicurare occupazione e lavoro. Si
considerino ad esempio nella Costituzione italiana le prescrizioni contenute negli artt.
3,1 comma; 4,1 comma; 30, I comma; 31, 32,1 comma; 34, II comma; 35, II comma;
3*7, II comma; 38,117,1 comma, lett. m). Altre volte ancora, la dottrina e la
giurisprudenza, intervenendo sullo stesso principio dell'eguaglianza davanti alla legge,
hanno ritenuto di poterlo interpretare nel senso di divieto, rivolto in via generale al
legislatore, di trattare in modo diverso fattispecie eguali e in modo eguale fattispecie
diverse. II principio inoltre non si applicherebbe ai soli cittadini, così come
testualmente previsto, ma a tutti. Date tuttavia la genericità e indeterminatezza
dell'enunciazione a fattispecie eguali deve corrispondere eguale trattamento si è fatto
ricorso a vari criteri per stabilire quando sussiste una situazione di eguaglianza o
diseguaglianza, da quello di giustizia (ancorandola peraltro a un ordine superiore di
valori), a quello di arbitrarietà, di logicità, della natura delle cose, ma soprattutto della
cosiddetta ragionevolezza della disciplina adottata dal legislatore. Con siffatto
orientamento interpretativo il mancato, necessario riferimento a specifici parametri
stabiliti tassativamente dall'ordinamento costituzionale, perché possa stabilirsi se le
varie discipline legislative siano o meno con essi in contrasto, può consentire al
Giudice dalle leggi di decidere secondo la sua Ubera deterrninazione e sulla base di
valutazioni discrezionali se le fattispecie di volta in volta esaminate meritano o meno
un trattamento eguale o diverso. La Corte costituzionale ha cercato di ovviare a tale
conseguenza, nel tentativo di mantenere la propria valutazione nell' ambito di un
giudizio di legittimità e non di merito delle scelte del legislatore (peraltro escluso dalla
Legge, 11.3.1953, n. 87 all'art. 28), facendo ricorso a ulteriori più specifici criteri, ed
anche operando ulteriori raffronti con altre discipline adottate dal legislatore rispetto
a quelle oggetto di comparazione. 61 4. c) 1/principio dell' eguaglianza davanti alla
legge nella Costituzione italiana L'art. 3,1 comma Cost., rettamente interpretato,
contiene due previsioni che stabiliscono l'una che Tutti i cittadini hanno pari dignità
sociale e l'altra che Tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge, senza distinzioni di
sesso, di razza, di lingua, di religione) di opinioni politiche, di condizioni personali e
sociali. La seconda prescrizione non è grammaticalmente e logicamente scindibile in
due distinte proposizioni, una riferita alla sola eguaglianza davanti alla legge, l'altra al
divieto di distinzioni di sesso, etc. Ciò non significa però che il principio della
eguaglianza davanti alla legge non sia sancito dalla Costituzione italiana. Esso si ricava
invero dagli art. 97, I comma e III, Il comma, ove sono affermati la legalità e 1'
imparzialità dell' amministrazione nell' applicazione del diritto e la soggezione del
giudice soltanto alla legge. Nei confronti del legislatore esso deriva dal carattere rigido
della Costituzione che assicura alla fonte legislativa il valore di fonte per eccellenza
non condizionata nella sua efficacia a fattori estranei alla Costituzione stessa. Dal
punto di vista soggettivo il principio, così individuato, a differenza della previsione dell'
art. 3, I comma, si riferisce a tutti e non ai soli cittadini. La ratio dei divieti è quella di
evitare distinzioni tra i cittadini che portino ad una loro «discriminazione» in base agli
elementi indicati, mentre logicamente non sono vietate discipline, variabili da
situazione a situazione, le quali tengano conto delle diversità esistenti nella loro realtà
oggettiva e delle esigenze di discipline diverse, che siano necessitate dalla natura delle
cose. Poiché le situazioni esistenti nella realtà fenomenica che comportano la
necessità di discipline ad hoc variano a seconda delle materie, per stabilire quali di
queste discipline siano ammissibili e per restare ancorati a criteri oggettivi possono
allora soccorrere i vari, specifici criteri elaborati dalla giurisprudenza, che consentono
di stabilire la giustificatezza o meno dei trattamenti eguali o dif- ferenziati adottati dal
legislatore, vale a dire in sintesi la ragionevolezza della disciplina. In questo modo lo
specifico parametro costituzionale di riferimento consente al giudizio di
costituzionalità di mantenersi nell' alveo di un giudizio di legittimità costituzionale.
Cosicché il tertium comparationis occorrente per la valutazione di legittimità dell'
eguaglianza o della diseguaglianza tra le discipline adottate dal legislatore è dato dalla
prescrizione che risulta alla conclusione di un procedimento ermeneutico complessivo
condotto sulle varie norme costituzionali di riferimento. 5. d) Yeguaglianza sostanziale
Per quanto riguarda il II comma dell'art. 3, esso esprime un principio che riassume le
norme della Costituzione che prevedono interventi positivi del legislatore diretti a
promuovere l'eguaglianza di fatto e che nel loro insieme caratterizzano lo Stato
sociale: È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e
sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini; impediscono il
pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori
all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Tale prescrizione non può
ritenersi in contrasto con i divieti di differenziazione espressi dal I comma dell'art. 3
(ed. 62 eventualmente sanitari di particolari razze (ove scientificamente accertati)
oppure che si prefiggano misure riparatrici di precedenti discipline discriminative.
Discipline che ovviamente dovranno essere giustificabili razionalmente come
oggettivamente necessitate. e.c) Lingua Per la lingua la possibilità di discipline
giuridiche differenziate dipenderà dal dato oggettivo della esistenza di molteplici
lingue e dalla necessità di ima comunicazione tra i vari gruppi linguistici. La presenza
di una lingua maggioritaria comporta la necessità di una disciplina ad hoc, senza
peraltro che da essa possa farsi derivare una discriminazione tra i cittadini che
parlano lingue diverse. Anzi la presenza di minoranze linguistiche comporta, ai sensi
dell' art. 6, una particolare tutela in ordine alla consistenza del gruppo linguistico e del
territorio di riferimento. Va poi considerata l'incidenza dell'art. 21 Cost. che,
nell'assicurare la libertà di manifestazione del pensiero (peraltro di tutti) con la parola,
lo scritto e qualsiasi mezzo di diffusione, garantisce a tal riguardo la libertà di uso
della lingua come mezzo necessario per la sua manifestazione. e.d) Religione Il divieto
di distinzione tra i cittadini per ragioni di religione costituisce una garanzia personale,
sulla quale incidono poi in modo vario le altre norme che trattano alcuni aspetti
particolari, come l'art. 7 relativo ai rapporti tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica,
l'art. 8 relativo alla parità tra le confessioni religiose ed ai loro rapporti con lo Stato,
l'art. 20 relativo alla parità tra le associazioni e le istituzioni di culto, l'art. 19 (da
considerare anche in relazioni dall' art. 21) sulla eguale libertà di tutti di professare la
propria fede religiosa (col solo limite del buon costume). e.e) Opinioni politiche Il
divieto di distinzione in base alle opinioni politiche, rafforzato ed esteso ai non
cittadini dall' art. 22 per quanto concerne la capacità giuridica, la cittadinanza e il
nome (con le deroghe peraltro contemplate dalle disp. trans, e finali XII e XIII), non
significa certamente che non possa darsi rilevanza alla diversità di opinioni politiche
per perseguire questa o quella finalità di ordine politico, ma che possano adottarsi
discipline diverse nei confronti di cittadini che abbiano e professino una loro opinione
politica rispetto agli altri. La parità di trattamento in un sistema pluralistico in cui i
partiti e i movimenti politici sono posti su di un piano di eguaglianza non tollera
privilegi di sorta. A parte, in ogni caso, anche la violazione del II comma dell* art. 3, il
quale, a sua volta, esclude che possono porsi ostacoli (sotto l'aspetto dell'
aggravamento della posizioni di alcuni rispetto ad altri) alla libertà e all'eguaglianza
nella partecipazione dei cittadini (e quindi per essi delle associazioni di cui fanno parte
e che li sostengono) alla vita politica. e.d Condizioni personali Il divieto di distinzione
in base alle condizioni personali non può risolversi nel generale divieto di leggi
personali e del caso concreto o nel concetto stesso dell' eguaglianza davanti alla legge,
quanto piuttosto nel divieto di distinzione dei cittadini in base al complesso dei
caratteri che riguardano la persona nell' aspetto fisico e psichico. 65 Ciò non significa
che non possano adottarsi discipline che prendano in considerazione elementi fisici o
psichici (da cui dipendano le qualità e le attitudini degli individui) per i fenomeni di
ordine naturale che da essi derivano e che consentono ad esempio di tener conto
delle attitudini fisiche o psichiche, oggettivamente comprovate, per l'esercizio di
determinate attività, per la richiesta di determinate prestazioni, per l'assolvimento di
determinati compiti. e.g) Condizioni sociali Analoghe considerazioni vanno fatte per il
divieto di distinzione in base alle condizioni sociali. In questa fattispecie viene in
considerazione l'uomo come socius, in quanto proiettato nella società, da cui dipende
il suo status sociale. Le condizioni sociali degli individui sono determinate dall'attività
svolta, dal grado di istruzione raggiunto, dalla famiglia di appartenenza, dai beni
posseduti, da tutti i fattori che portano nella società a distinzioni tra gli esseri umani.
Ma tali distinzioni, ancorché esistenti, non devono essere assunte dal legislatore a
motivo di differenziazione e mscriminazione dei cittadini, essendo consentito soltanto
adottare discipline oggettivamente ed essenzialmente giustificabili in quanto inerenti
alle stesse categorie sociali. Alle condizioni sociali vanno collegate le ulteriori discipline
costituzionali in materia di rapporti sociali ed economici, come quelle in materia di
famiglia (Art. 31,1 comma), di salute (art. 32,1 comma), di istruzione superiore (art. 34,
II e IV comma, sotto il profilo del sostegno agli indigenti), di lavoro (art. 35 e segg.), di
prestazioni tributarie e lo stesso sistema tributario informato a criteri di progressività
(art. 53). Vi è quindi una stretta connessione tra la fattispecie dell' art. 3,1 comma, che
vieta distinzioni in base alle condizioni sociali, e quelle che mirano a realizzare
l'eguaglianza cosiddetta sostanziale ed in particolare quella dell' art. 3, n comma. I
principi dello Stato sociale, ispirato ad esigenze di solidarietà, mentre da un lato
impediscono discriminazioni dei cittadini sulla base di distinzioni sociali esistenti,
dall'altro richiedono interventi sulle condizioni sociali perché non costituiscano
ostacolo alla realizzazione della piena personalità dei cittadini. 7. Le libertà
costituzionali La libertà in senso ampio può essere intesa come pretesa del singolo di
autodeterminarsi, escludendo gli altri dalla propria sfera personale. Essa non va però
intesa in senso assoluto, in quanto nella vita sociale non viene in considerazione
l'uomo come singolo individuo ma come socius, per cui la libertà di ognuno incontra il
limite nella libertà degli altri. Concetto questo espresso ad esempio dall'art. 4 della
Dichiarazione dei diritti del 1789: La libertà consiste nel fare tutto cièche non nuoce
agli altri così l'esercizio dei diritti naturali di ogni uomo non ha come limite che quelli
che assicurano agli altri membri della società il godimento di quegli stessi diritti. 8.
Libertà personale La libertà personale, intesa in senso generale, consiste nel diritto di
ogni individuo di auto determinarsi in ogni forma possibile. Non soltanto con
riferimento alla sua sfera fisica, ma anche a quella psichic a e morale in quanto
persona umana. Come tale essa consente all'individuo di 66 escludere ogni
costrizione fisica, psichica e morale nei suoi confronti, di poter circolare, soggiornare,
stabilire il proprio domicilio, comunicare e diffondere il proprio pensiero e così via.
Tuttavia la Costituzione italiana accanto alla disciplina generale della libertà contenuta
nell' art. 13 tutela e garantisce in modo parzialmente diverso specifiche manifestazioni
della libertà della persona umana, come quella di domicilio, di circolazione e
soggiorno, di comunicazione, di manifestazione del pensiero. Con la conseguenza che
a tali specifiche discipline occorre fare riferimento quando entrano in gioco queste
specifiche libertà. Per quanto riguarda l'autorità giudiziaria occorre far riferimento alle
norme contenute negli artt. 111 e segg., nonché nell'art. 25 Cost. Quando il soggetto
incorre nei rigori della legge penale l'ordinamento fa valere l'interesse punitivo dello
Stato che si manifesta nelle restrizioni tipiche che sono quelle della detenzione,
ispezione e perquisizione personale, o in quelle altre eventualmente previste dalla
legge. Esse possono essere disposte solo a seguito dell' esercizio del potere
giurisdizionale, ed il soggetto può far valere il proprio interesse alla libertà
contrapponendolo al potere punitivo dello Stato dinanzi al giudice, il quale deciderà
nei limiti rigorosamente previsti dalla legge. Le misure restrittive disposte dal giudice
sono di vario tipo, come la custodia in carcere, gli arresti domiciliari o in luogo di cura,
o interdittive con riguardo all'esercizio di diverse facoltà (come la so- spensione da un
pubblico ufficio, dalla patria potestà, oppure l'imposizione di obblighi di fare). Tra di
esse rientrano anche le misure di sicurezza che si ritengono necessarie in
considerazione della pericolosità dell'individuo. Gli ufficiali e gli agenti di polizia
giudiziaria devono dare notizia dell' arresto o del fermo immediatamente al pubblico
ministero e porre l'arrestato o il fermato a disposizione di questo entro le
ventiquattro ore. Il pubblico ministero entro le quarantotto ore dall'arresto o dal
fermo (termine che coincide con quello previsto dall'art. 13, III comma) chiede la
convalida al giudice delle indagini preliminari il quale fissa la relativa udienza entro le
quarantotto ore successive. Il quinto comma dell'art. 13 prescrive che la legge
stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva. La norma si riferisce alla
carcerazione disposta nei confronti degli imputati di reati prima della condanna
definitiva, soltanto a seguito della quale essi possono essere considerati colpevoli (art.
27, VI comma Cost.). La legge (art. 303 e segg. c.p.p.) ha previsto una durata della
custodia cautelare cha varia in relazione alla entità della pena prevista dalla legge per
il delitto. La garanzia della libertà personale è peraltro rafforzata dal quarto comma
dell' art. 13 che prescrive la punizione per ogni violenza fisica e morale sulle persone
comunque sottoposte a restrizioni di libertà. 9. Libertà di domicilio L'art. 14 garantisce
l'inviolabilità del domicilio come proiezione spaziale della libertà personale. Il
domicilio è inteso in senso ampio e generale, in un significato che va oltre quello del
codice civile e del codice penale. La tutela costituzionale si estende non solo al luogo
dove il soggetto ha stabilito la sede dei propri affari ed interessi o al luogo in cui egli
ha la dimora abituale (art. 43 c e ) , 67 14. Libertà di fede religiosa L'art. 19 Cost.
riconosce a tutti il diritto di manifestare liberamente la propria fede religiosa in
qualsiasi forma, sia individuale che associata, di fame propaganda e di esercitarne in
privato o in pubblico il culto. 15. Libertà di manifestazione del pensiero L'art. 21 Cost.
garantisce a torti il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola,
lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. L'art. 21 fa riferimento non solo ai
tradizionali modi di comunicazione e diffusione del pensiero, costituiti dalla parola e
dallo scritto, ma a qualsiasi altro mezzo possibile, anche se esisterà in fu- turo. Tale
diritto non comporta però l'ulteriore diritto di utilizzare mezzi di diffusione di cui non
si abbia la disponibilità per varie ragioni, tra cui la loro appartenenza a terzi o la loro
soggezione ad un regime pubblicistico in dipendenza di situazioni di monopolio o
oligopolio. La ridotta disponibilità di bande di frequenza e la necessità di notevoli
risorse finanziarie per disporre di tale mezzo avevano indotto il legislatore, nel dettare
nuove norme in materia di diffusione radiofonica e televisiva, dopo la decisione della
Corte costituzionale n. 225/1974, che liberalizzava gli impianti ripetitori di programmi
esteri e la n. 226/1974, che liberalizzava gli im- pianti televisivi via cavo, a mantenere
un regime di monopolio pubblico ai sensi dell'art. 43, per evitare un monopolio o
oligopolio privato. La Corte costituzionale dichiarò però illegittimo il monopolio su
scala locale, data la disponibilità di sufficienti bande di frequenza in sede locale e le
modeste risorse economiche occorrenti per l'impianto di trasmittenti, con sentenza n.
202 del 9.7.1976, cui sono seguite poi la n. 1148/1981, che ipotizzava l'abbandono
della riserva statale per le trasmissioni su scala nazionale, purché venisse garantito il
pluralismo, la n. 237/1984, la n. 231/1985 e la n. 153/1987. Si sono quindi avuti
ulteriori interventi legislativi, peraltro con parziale intervento demolitorio della Corte
costituzionale, fino alla L. 3.5.2004, n. 112, che ha ulteriormente disciplinato la
materia, da un lato consentendo la prosecuzione delle trasmissioni da parte dei
soggetti che attualmente ne hanno la disponibilità, in vista di una conversione del
sistema ed. analogico nel sistema ed. digitale che dovrebbe consentire maggiore
disponibilità di frequenze, dall' altro ponendo per ciascun titolare di autorizzazione
all'esercizio dell'attività il limite del 20% del totale dei programmi irradiabili su
frequenze terrestri per le proprie trasmissioni, nonché il limite del 20% per la raccolta
delle risorse finanziarie, calcolato sulla base di un particolare, complesso sistema
integrato delle comunicazioni. Và altresì sottolineato che a garanzia delle
comunicazioni è stato istituito con L. 31.7.1997, n. 249 apposito organismo
indipendente, l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, la quale ha sostituito il
precedente organismo, il Garante per la radiodiffusione e l'editoria previsto dalla L.
223/1990. La Costituzione non fa differenza in ordine alla tipologia di pensiero
manifestato. Qualsiasi 70 pensiero può essere manifestato, con i limiti peraltro
derivanti dalla tutela costituzionale di altri valori e situazioni giuridiche. . L'art. 21
prevede come limite il buon costume. Dispone infatti il VI comma che sono vietate le
pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon
costume. È questa una nozione collegata con la morale comune e variabile nel corso
del tempo col variare della stessa. Comprende i principi etici validi nell'ambiente
sociale ed individuabili dal giudice. La libertà di manifestazione del pensiero non può
quindi svolgersi in modo da ledere il prestigio, l'onore, la reputazione ed anche la
riservatezza della sfera privata (privacy), il prestigio delle istituzioni e di coloro che
svolgono pubbliche funzioni. Tali valori trovano tutela nel diritto penale ed in quello
privato sotto il profilo dei danni causati dal comportamento illecito. Sono, ad esempio,
previsti e puniti i reati di diffamazione, ingiuria, oltraggio e vilipendio. Sono stati
previsti come reati le offese al sentimento religioso (come la bestemmia). Ulteriori
limiti derivano dalla tutela del segreto, quando la diffusione di notizie può
compromettere la reputazione di persone o ostacolare lo svolgimento di pubbliche
funzioni (segreto giudiziario e segreto di Stato); oppure dalla tutela della sicurezza e
dell'ordine pubblico, per cui sono vietate la diffusione di notizie false e tendenziose,
l'apologia di reati, l'istigazione a commettere reati. Il VI comma prevede inoltre una
riserva di legge in ordine alle misure adeguate a prevenire e a reprimere le violazioni
del buon costume. Mentre per la stampa non è possibile una censura, espressamente
esclusa dal II comma, essa è possibile per gli spettacoli e le altre manifestazioni. E
difatti la censura preventiva tramite apposite commissioni è stata prevista per le
opere cinematografiche (L. 161/1962 e succo modifiche). 16. Diritti politici dei cittadini
La Costituzione non prevede i modi di acquisto o perdita della cittadinanza italiana,
ma stabilisce che nessuno può essere privato della stessa, nonché del nome e della
capacità giuridica, per motivi politici (art. 22). Lo status di cittadino, che è il
presupposto per godere anche della cittadinanza europea (art. 17 Trattato CE),
consente di essere titolare di vari diritti di libertà, civili e politici, nonché di vari doveri.
Il diritto di elettorato può essere limitato soltanto per incapacità civile, per effetto di
sentenza penale irrevocabile o nei casi di indegnità morale indicati dalla legge (IV
comma). Poiché si tratta di uri diritto collegato con lo status di cittadinanza non può
essere attribuito agli stranieri o agli apolidi. Ciò tanto per le elezioni al Parlamento
italiano quanto per tutte le altre elezioni politiche e amministrative. Tuttavia l'art. 51
prevede che la legge possa parificare ai cittadini gli italiani non appartenenti alla
Repubblica. Una deroga all'art. 48 è stata operata nei confronti dei cittadini europei
dalla normativa comunitaria (art. 19 Trattato CE), la quale consente ad essi,
indipendentemente dalla cittadinanza statale, il di- ritto di voto e di eleggibilità alle
elezioni comunali nonché al Parlamento europeo negli Stati in cui risiedono. 71 17.
Stranieri e cittadini europei La condizione giuridica degli stranieri, termine
comprensivo dei non cittadini italiani, abbiano o non abbiano (caso questo degli
apolidi) altra cittadinanza, è regolata secondo quanto dispone l'art. 10, II comma della
Costituzione dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali. Il III
comma dell' art. 10 prevede inoltre che lo straniero, al quale sia impedito nel suo
paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione
italiana, ha diritto di asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite
dalla legge. In ogni caso, come dispone il IV comma, non è ammessa l'estradizione
dello straniero per reati politici, salvo che si tratti di delitti di genocidio. 18. Partiti
politici nella Costituzione italiana La Costituzione Italiana non dà una definizione del
partito politico per distinguerlo dagli altri gruppi sociali, ma lo prende in
considerazione come tipica associazione di persone. L'art, 49 Cost. prevede invero che
Tutti i cittadini hanno diritto dì associarsi lìberamente in partiti per concorrere con
metodo democratico a determinare la politica nazionale. Ne consegue che anche la
disciplina generale delle associazioni si applica ai partiti politici. Sono così vietati partiti
segreti, partiti che abbiano finalità vietate ai singoli dalla legge penale, o che si dotino
di un' organizzazione di tipo militare. Se l'accento posto dall' art. 49 al diritto dei
cittadini di associarsi in partiti fa propendere per una natura giuridica prettamente
privatistica, tuttavia la finalità di consentire ai cittadini di concorrere a determinare la
politica nazionale pone in risalto la loro funzione pubblicistica. Titolari della fattispecie
prevista dall' art. 49 Cost. sono i cittadini. La norma però non esclude che anche gli
stranieri e gli apolidi possano far parte di partiti. Tuttavia, non essendovi una
copertura costituzionale ad un loro diritto di associazione, essi potrebbero incontrare
eventuali limiti posti dalle leggi, che però attualmente mancano nell' ordinamento
vigente. Ciò non toglie peraltro che gli stranieri che facciano parte di partiti italiani
vanno comunque incontro ai limiti anche impliciti del sistema costituzionale in
relazione alle attività per le quali si richieda come specifico requisito il possesso della
cittadinanza italiana. Contrariamente a quanto sostiene una parte della dottrina non
sembra che sussistano ostacoli alla eventuale partecipazione alla vita dei partiti e alla
loro stessa formazione anche di associazioni o gruppi sociali come tali. Vero è che tali
formazioni non possono vantare la garanzia costituzionale prevista dall' art. 49 Cost.
per i cittadini, ma la possibilità di una loro associazione in partiti non contraddice il
concetto di partito al quale si riferisce la nostra Costituzione, ove si tenga conto dei
riflessi che sullo stesso art. 49 può avere l'art. 2 Cost.. Né sembra che la iscrizione di
una associazione come tale in un partito venga di per sé a violare la libertà (intesa in
senso negativo) di iscrizione dei singoli partiti. Mentre l'adesione che il singolo presta
al gruppo iscritto ad un partito non comporta di per sé l'iscrizione obbligatoria al
partito stesso, il singolo resta pur sempre libero di lasciare l'associazione, ove non ne
condivida le scelte politiche. L'art. 49 Cost. non tutela peraltro soltanto la libertà
positiva di associarsi in partiti, ma anche quella negativa di non associarsi ad alcun
partito. 72 22. Famiglia Tra le formazioni sociali la Costituzione italiana prende in
particolare considerazione la famiglia, alla quale dedica gli articoli 29, 30 e 31. La
famiglia è espressamente riconosciuta come società naturale fondata sul matrimonio.
Essa è costituita dall'unione tra uomo e donna col vincolo matrimoniale e dà luogo
alla famiglia coniugale. Non sono quindi riconosciute e garantite dalla Costituzione le
mere unioni di fatto. L'istituto del divorzio è stato introdotto con la L. 1.12.1979, n.
898, la quale ha anche previsto la cessazione degli effetti civili del matrimonio
concordatario. La L. 19.5.1975, n. 151, innovando alla disciplina del codice civile del
1942, ha regolato i rapporti tra i coniugi sulla base del principio costituzionale (art. 29,
II comma) che sancisce la loro eguaglianza giuridica e morale nei limiti stabiliti a
garanzia dell'unità familiare. Ad esempio, ad entrambi i coniugi è affidata la
determinazione dell'indirizzo della vita familiare e a ciascuno di essi è dato di stabilire
la propria residenza in ragione delle rispettive esigenze e compatibilmente con quelle
della famiglia. Ad entrambi spetta inoltre la potestà sui figli, il cui esercizio avviene di
comune accordo. Entrambi hanno l'obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole.
Viceversa è la moglie che aggiunge al proprio cognome quello del marito, che è altresì
attribuito ai figli legittimi, ed il figlio naturale assume preferibilmente il cognome del
padre. L'art. 31, Il comma stabilisce altresì che è compito della Repubblica di
proteggere la maternità, l'infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale
scopo. 23. Salute La salute è tutelata come diritto fondamentale dell'individuo e
interesse della collettività (art. 32 Cost.). A tenore dell' art. 118 Cost., l'attività
amministrativa, concernente la sanità, va distribuita tra i vari enti territoriali secondo i
principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza. L'art. 32, II comma garantisce
poi la libertà e la dignità dell'individuo) stabilendo che nessuno può essere obbligato
ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge e che la
legge in ogni caso non può violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.
Trattamenti sanitari obbligatori possono essere disposti dalle Autorità sanitarie per
esigenze pubbliche (ad esempio vaccinazioni, cure obbligatorie in caso di epidemia,
trattamenti sanitari per malati mentali, ecc.). Sono invece vietate imposizioni di cure
per la salute dei singoli individui in quanto contrarie alla libertà di scelta individuale.
24. Ambiente ed ecosistema Collegato con la tutela della salute è stato considerato il
diritto all'integrità e alla protezione dell' ambiente e dell' ecosistema, la cui tutela
rientra nella potestà legislativa esclusiva dello Stato, ai sensi dell'art. 117, II comma,
lett. s) Cost., nonché in quella concorrente per quanto concerne il governo del
territorio e la valorizzazione dei beni ambientali. A livello statale l'attività
amministrativa rientra nelle competenze del Ministero dell' ambiente e della tutela del
territorio (introdotto con L. 349/1986). Sono state adottate varie discipline legislative
sin dagli anni sessanta del secolo scorso sull'inquinamento atmosferico sulla tutela
delle acque, sulla biodegradabilità di alcuni prodotti, 75 sull'utilizzo di fertilizzanti in
agricoltura. L'ambiente e l'ecosistema vengono identificati con l'aria, l'acqua, la flora,
la fauna ed i connessi equilibri biologici. A loro tutela si è previsto il risarcimento del
danno ambientale e si è altresì ammessa la responsabilità dei funzionari e degli
amministratori pubblici. A tutela del paesaggio, che corrisponde ad un interesse
dell'intera comunità nazionale, il legislatore può anche porre vincoli di ordine generale
a determinati beni, limitando le facoltà di godimento dei proprietari, senza che a tali
limiti possa attribuirsi carattere espropriativo. È invero la qualità intrinseca e naturale
del bene che li consente. Conseguentemente, essendo la materia non a carattere
espropriativo, non è previsto un indennizzo in ragione dei vincoli di tal genere. 25.
Cultura e istruzione Tra i principi fondamentali della Costituzione vi è quello che
impone la tutela della cultura e della ricerca scientifica e tecnica. All' art. 9 è invero
sancito il compito dalla Repubblica di promuovere lo sviluppo della cultura e della
ricerca scientifica e tecnica (I comma), nonché di tutelare il patrimonio storico e
artistico della Nazione (II comma). La Costituzione peraltro ha inteso riconoscere
anche il pluralismo scolastico, stabilendo (art. 33, III comma) che Enti privati hanno il
diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per 10 Stato. Ciò non
esclude peraltro un intervento del legislatore che da un lato disciplini in via generale
l'istruzione (art. 33, II comma) e dall'altro regoli l'esercizio del diritto in vista della
tutela di interessi pubblici che potrebbero essere compromessi, come la sicurezza, la
sanità, la moralità, la fede pubblica, affidando alla pubblica autorità poteri di controllo.
La previsione della mancanza di oneri per lo Stato sta a significare che non può
imporsi un obbligo allo Stato di assumersi gli oneri per finanziare le scuole istituite da
enti e privati, ma non esclude che lo Stato possa avvalersi di scuole di tal genere
provvedendo al relativo finanziamento per realizzare specifiche finalità pubbliche. In
tali ipotesi le scuole assumono un carattere pubblico ed i gestori una funzione che li
rende assimilabili alle figure dell' organo indiretto dello Stato. 11 comma 6 dell' art. 33
assicura infine alle istituzioni di alta cultura, università ed accademie, il diritto di darsi
ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato. L'autonomia di cui
godono le istituzioni di alta cultura può peraltro variare nella sua ampiezza a seconda
delle previsioni legislative, ma non può essere illimitata. L'autonomia
deU'ordinamento delle singole istituzioni riguarda non solo gli aspetti normativi ed
amministrativi ma anche quelli didattici e della ricerca scientifica, costituendo
quest'ultimo profilo una applicazione del I comma dell'art. 33 sulla libertà della
scienza e dell'insegnamento. Con la previsione dell* art. 34,1 comma La scuola è
aperta a tutti si intende assicurare a tutti (non solo ai cittadini) il diritto all'istruzione.
Per i più alti gradi di studio è sancito il diritto di accedervi per gli individui capaci e
meritevoli, anche se privi di mezzi. Per rendere effettivo tale diritto è poi previsto
l'obbligo per le istituzioni della Repubblica di istituire borse di studi ed assegni alle
famiglie ed altre provvidenze. La loro assegnazione deve peraltro essere attribuita per
concorso. 76 26. Lavoro. L'art. 1 della Costituzione pone il lavoro a fondamento della
Repubblica. Per lavoro deve intendersi qualsiasi forma di attività lavorativa che, come
dispone il n comma dell'art. 4, concorra al progresso materiale o spirituale della
società, quindi un'attività socialmente utile. La Costituzione concepisce il lavoro anche
come un dovere per il cittadino, imponendogli di concorrere al progresso materiale e
spirituale della società, ferma restando la libertà di scegliere autonomamente attività
o funzioni congeniali alle sue capacità e possibilità. L'art. 35 Cost. al I comma impone
poi alle istituzioni della Repubblica di tutelare il lavoro in tutte le sue forme e
manifestazioni, Non si tratta di una tutela che deve essere apprestata al lavoro dei soli
cittadini, come avviene col riconoscimento del diritto-dovere, ma di qualsiasi
lavoratore. La tutela ovviamente potrà essere differenziata in ragione delle singole e
svariate attività lavorative, nel rispetto peraltro degli altri principi costituzionali, come
quello dell'eguaglianza. L'art, 36 Cost. stabilisce al I comma il diritto del lavoratore ad
una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso
sufficiente ad assicurare a sé e alla sua famiglia un'esistenza libera e dignitosa. Si
tratta di un principio immediatamente precettivo che consente di azionare il diritto nei
confronti del datore di lavoro indipendentemente dalla determinazione del
trattamento retributivo in via negoziale, e pure in presenza di contratti collettivi. Il
principio, che assicura il minimo costituzionale retributivo, non si estende però ad
ogni compenso che sia il corrispettivo di qualsiasi prestazione, in quanto suo scopo è
quello di evitare lo sfruttamento del lavoratore ed assicurare a lui e alla sua famiglia,
in considerazione del complesso dell'attività lavorativa svolta, un' esistenza Ubera e
dignitosa, mentre il criterio di proporzionaUtà trova applicazione anche con
riferimento a lavori di breve durata o accessori, ricollegandosi al rapporto di scambio
tra prestatore d'opera e dato re di lavoro. Alla donna sono riconosciuti gli stessi diritti
del lavoratore di sesso maschile e la stessa retribuzione a parità di lavoro. La diversità
di retribuzione può essere quindi giustificata soltanto da una oggettiva diversità di
prestazione lavorativa. Alla donna lavoratrice è invece assicurata una tutela
particolare per quanto concerne le condizioni di lavoro, che è connessa con la
funzione familiare che per la Costituzione ad essa è essenzialmente affidata. Le
condizioni di lavoro devono pertanto consentirle l'adempimento di tale funzione ed
inoltre assicurarle, se madre, oltre che al bambino, una speciale, adeguata protezione.
I principi affermati dall' art. 37,1 comma sono stati attuati con le leggi 9.12.1977, n.
903, sulla parità di trattamento tra uomini e donne in materie di lavoro, e dalla L.
10.4.1991, n. 125 e succo modifiche, sulle azioni positive per la realizzazione deUa
parità uomo donna nel lavoro. Pur essendo l'assistenza privata libera (IV comma
dell'art. 38) lo Stato deve comunque predisporre ed integrare organi ed istituti col
compito di attuare i principi stabiliti nell'art. 38. 77 31. Tutela del credito e del
risparmio L'art. 47 Cost. stabilisce che la Repubblica tutela e incoraggia il risparmio e
disciplina, coordina e controlla l'esercizio del credito. La disciplina è contenuta in
particolare nel T.U. della legge bancaria, approvato con D.Lgs. 1.9.93, n. 385. Le
istituzioni adibite al controllo e alla vigilanza sono il Ministero dell'Economia e delle Fi-
nanze, il Comitato interministeriale per il credito e il risparmio (CICR), la Banca d'Italia
e il suo Governatore. 32. Autorità indipendenti e di garanzia Per regolare e controllare
i vari settori economici sono state istituite varie Autorità di garanzia, assicurando ad
esse una posizione di indipendenza dal potere politico, nei confronti del quale sono
sottratte alla responsabilità politica. Esse sono dotate di poteri decisori non
giurisdizionali, a volte definiti paragiurisdizionali o quasi giurisdizionali, e alcune di
esse di poteri regolatori. La CONSOB (Commissione nazionale per le società e la
borsa), l'ISVAP (Istituto di vigilanza sulle assicurazioni private), la Commissione di
garanzia dell' attuazione della legge sull' esercizio del diritto di sciopero nei servizi
pubblici essenziali, l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, l'Autorità di
regolazione dei servizi di pubblica utilità per l'energia elettrica e il gas, il Garante per la
protezione dei dati personali, l'AGCM (Autorità Garante della concorrenza e del
Mercato), la Commissione di garanzia per il diritto di sciopero nei servizi pubblici
essenziali, l'Autorità per l'informatica nella pubblica anmiinistrazione, l'Autorità per la
vigilanza su lavori pubblici. Diverse dalle Autorità amministratore indipendenti sono le
Agenzie. 33. Proprietà e i suoi limiti La proprietà trovò riconoscimento nell' art. 17
della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino del 1789 come diritto inviolabile
e sacro. Anche lo Statuto albertino considerava la proprietà, anzi Tutte le proprietà,
senza alcuna eccezione, inviolabili, pur ammettendo la possibilità di cederle in tutto o
in parte, mediante una giusta indennità quando lo avesse richiesto l'interesse
pubblico legalmente accertato. Deve quindi ritenersi che la proprietà privata è
disciplinata dalla Costituzione alla stregua dei diritti fondamentali, che come tali
vengono riconosciuti dalla legge. E, come per gli altri diritti fondamentali, è infatti la
legge che la disciplina, conformandola nei modi di acquisto e di godimento nonché nei
limiti, stabilendo che tale conformazione deve avere come scopo quello di assicurarne
la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti. Il HI comma dell' art. 42 Cost.
riconosce anche la trasmissione ereditaria della proprietà disponendo che la legge
disciplina la successione legittima e testamentaria ed i diritti dello Stato sulle eredità.
L'art. 47 Cost. stabilisce inoltre che la Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in
tutte le sue forme ed in particolare favorisce l'accesso del risparmio popolare alla
proprietà dell'abitazione, a 80 quella diretta coltivatrice e al diretto e indiretto
investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese. Si tratta dell'
azionariato popolare alla cui garanzia e tutela è stata preposta la CONSOB. I limiti
all'acquisto della proprietà possono essere introdotti dal legislatore per determinate
categorie di cose; può essere imposto di disfarsene, ove dannose; possono essere
imposti limiti in via generale o particolare alle facoltà di godimento; può prevedersi la
possibilità di trasferimenti coattivi. II trasferimento coattivo di beni immobili può
avvenire attraverso il meccanismo dell'espropriazione per pubblica utilità. È previsto
inoltre il diritto del proprietario del bene da espropriare di stipulare col soggetto
beneficiario dell' espropriazione l'atto di cessione del bene o della quota di sua
proprietà dopo la dichiarazione di p.u. e fino allo data in cui è eseguito il decreto di
esproprio (art. 45 TU.). 34. Espropriazione per pubblica utilità L'istituto
dell'espropriazione fu regolato dalla legge n. 2359 del 25.6.1865, cui seguirono varie
discipline particolari e frammentarie. Attualmente l'espropriazione è disciplinata dal
TU. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per
pubblica utilità, appr. con D.Lgs. 8.6.2001, n. 327 e successive modi- ficazioni.
L'espropriazione deve avvenire entro il termine fissato nel provvedimento che
comporta la pubblica utilità dell' opera. In mancanza di sua determinazione esso è di
cinque anni (art. 13 T.U). È prevista la possibilità di occupare in via di urgenza i beni da
espropriare quando l'avvio dei lavori rivesta particolare urgenza con con testuale
determinazione dell'indennità da offrire in via provvisoria. Il decreto che dispone
l'occupazione perde peraltro efficacia se non viene emanato il decreto di esproprio
nei termini fissati (art. 22 bis TU). 35. Proprietà agraria L'art. 44 Cost. detta una serie di
disposizioni miranti ad ottenere il razionale sfruttamento del suolo e a stabilire equi
rapporti sociali. Sono previsti limiti e obblighi alla proprietà terriera privata e, al fine di
evitare il formarsi di latifondo, limiti alla sua estensione. 36. Beni pubblici I beni
pubblici si distinguono in beni demaniali, patrimoniali disponibili e patrimoniali
indisponibili. H demanio (art. 822, ce.) può essere necessario, come il lido del mare, le
spiagge, i porti, i fiumi, i torrenti, i laghi, le opere di difesa militare, oppure eventuale,
come le strade, gli acquedotti, i beni di interesse storico, le raccolte dei musei, gli
archivi, le biblioteche. Esso può appartenere allo Stato o agli altri enti territoriali. 81
37. a) Tributi Le imposte sono prestazioni pecuniarie dovute all' amministrazione
pubblica per far fronte alle spese pubbliche, ove si manifesti capacità contributiva, e
ciò indipendentemente da un collegamento con controprestazioni specifiche. Esse si
distinguono in imposte dirette, quando colpiscono il reddito o il patrimonio del
soggetto, indirette quanto colpiscono rapporti economici, come trasferimenti di beni.
Le tasse sono prestazioni pecuniarie dovute per usufruire di alcuni beni e servizi
pubblici. Poiché l'art. 23 Cost. a sua volta prescrive che nessuna prestazione personale
o patrimoniale può essere imposta se non in base ad una legge, anche le prestazioni
tributarie sono soggette a riserva di legge. 38. Nazionalizzazioni L'Art. 43 Cost.
consente la nazionalizzazione delle imprese. Essa può essere disposta con legge
(riserva assoluta di legge) per fini di utilità generale nei confronti di imprese o
categorie di imprese che si riferiscono a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia
o a situazioni di monopolio e che abbiano carattere di preminente interesse generale.
La legge che dispone la nazionalizzazione può riservare originariamente o trasferire
mediante espropriazione.e salvo indennizzo tali imprese allo Stato, ed enti pubblici o
a comunità di lavoratori o di utenti. 82 Il limite numerico di cinque deve intendersi
riferito all'ufficio del Presidente della Repubblica e non al titolare della carica come
tale, con la conseguenza che non possono essere presenti contemporaneamente in
Senato più di cinque senatori di nomina presidenziale. Milita a favore di tale
interpretazione non tanto la lettera dell' art. 59, II comma Cost., che non è chiara,
mancando ogni specificazione al riguardo, quanto la ratio della norma in relazione al
principio rappre- sentativo democratico relativo alla composizione del Senato.
Rispetto alla regola fondamentale secondo cui i senatori sono eletti a suffragio
universale e diretto, i casi di senatori a vita (ex Presidenti della Repubblica e di nomina
presidenziale) costituiscono una eccezione, che, come tale, va interpretata in modo
restrittivo. Ciò anche in considerazione dell'equilibrio politico tra le due Camere,
dotate degli stessi poteri, che, ove si consentisse di procedere alla nomina di
numerosi senatori a vita (cinque per ogni Presidente), potrebbe essere compromesso.
2. Elettorato attivo e passivo Il diritto di elettorato attivo (art. 48 Cost.) è attribuito ai
cittadini, uomini e donne, che abbiano raggiunto la maggiore età (vale a dire 18 anni)
nel giorno in cui si svolgono le elezioni. Ciò vale per l'elezione dei Deputati, mentre per
l'elezione dei Senatori la Costituzione prevede peraltro il raggiungimento di
venticinque anni di età(art. 58). Essa deriva da indegnità morale. Tali sono i falliti,
finché dura lo stato di fallimento e comunque non oltre cinque anni dalla sentenza
dichiarativa del fallimento; i sottoposti a misure di preven- zione di cui all'art. 3 L.
1423/1956 e successive modifiche o a misure di sicurezza detentive o alla libertà
vigilata o al divieto di soggiorno in uno o più comuni ai sensi dell'art. 215 c.p.; i
condannati a pena che comporta l'interdizione perpetua dai pubblici uffici o i
sottoposti a interdizione temporanea dai pubblici uffici. Gli artt. 7-10 del D.P.R.
30.3.1957, n. 361 (richiamato, per il Senato, dall'art. 5 del D.Lgs. 533/1993) prevedono
numerose cause di ineleggibilità, tra cui: la carica di Presidente di Giunta provinciale,
di Sindaco di comuni con popolazione superiore ai 20.000 abitanti, di Capo e Vice capo
della Polizia, di Ispettore generale di pubblica sicurezza, di Capo di Gabinetto dei
Ministri, di Commissario del Governo, di Prefetto, Vice-prefetto e Funzionario di ps..
Ulteriori limitazioni sono previste per gli Ufficiali superiore delle Forze armate, i
magistrati, i diplomatici, consoli e vice-consoli, e gli impiegati presso governi esteri.
Sono inoltre ineleggibili coloro che siano vincolati con lo Stato per contratti di opere o
di somministrazione, per concessioni di notevole entità economica e altre categorie in
ragione della riscossione, di sovvenzioni statali. La L. 13.2.1953, n. 60 ha previsto
ulteriori cause di incompatibilità. La decadenza della carica di parlamentare può
conseguire anche dal superamento del tetto di spesa consentito per la campagna
elettorale (art. 15, K comma, L. 515/1993). Diversa dall'incompatibilità è la non
candidabilità . 3.1 sistemi elettorali per l'elezione delle assemblee rappresentative Nel
sistema elettorale maggioritario i seggi vengono attribuiti ai candidati che ottengono
la maggioranza dei voti. La maggioranza richiesta può essere assoluta (maggioranza
dei voti espressi) o relativa (maggioranza dei voti conseguiti rispetto agli altri
candidati). 85 Nel sistema elettorale proporzionale i seggi vengono attribuiti in
proporzione ai voti ottenuti da gruppi di candidati riuniti in apposite liste. Possono
essere previste clausole di sbarramento, consentendo la distribuzione dei seggi
soltanto alle liste che abbiano conseguito una determinata percentuale dei voti
espressi. Il sistema elettorale in vigore in Italia per l'elezione dei deputati e dei
senatori, che fino al 1993 era proporzionale, a seguito del risultato in senso
maggioritario del referendum del 18.4.1993 per l'abrogazione di alcune disposizioni
della legge elettorale del Senato, è attualmente un sistema misto, essendo stato
cambiato dal legislatore in senso prevalentemente maggioritario. 4. Elezione delle
Camere: a) Indizione delle elezioni E al Presidente della Repubblica che spetta di indire
le elezioni delle Camere e di fissarne la prima riunione (art. 61,1 comma Cost.). 5. b)
Elezione dei deputati L'elettore dispone di due voti, uno per la scheda relativa
all'elezione nell'ambito del singolo collegio, l'altra per la scheda relativa all'elezione
nell' ambito della circoscrizione. La scheda per l'elezione nel collegio contiene i
nominativi di tutti i candidati ammessi alla votazione col relativo contrassegno della
lista o delle liste cui ciascuno di essi è collegato. La scheda per l'elezione nella
circoscrizione contiene la lista di gruppi di candidati in numero non superiore ad un
terzo dei seggi assegnati alla circoscrizione col relativo contrassegno. La ripartizione
dei seggi avviene nel modo seguente. L'ufficio centrale circoscrizionale (costituito
presso la Corte di Appello o il Tribunale nella cui giurisdizione si trova il Comune
capoluogo della circoscrizione) proclama eletto il candidato che in ciascun collegio
all'interno della circoscrizione ha ottenuto il maggior numero di voti. Per la
ripartizione dei seggi col metodo proporzionale esso determina la cifra elettorale di
ogni lista costituita dalla somma dei voti riportati nella circoscrizione, sottraendo da
questa i voti più uno riportati in ciascun collegio dal candidato collegato alla lista
stessa. Tale cifra elettorale, sommata alle cifre elettorali ottenute dalla medesima lista
nelle altre circoscrizioni, costituisce la cifra elettorale nazionale di ciascuna lista, così
determinata dall'ufficio centrale nazionale costituito presso la Corte di Cassazione. La
cifra elettorale nazionale di ciascuna lista viene quindi divisa per il quoziente
nazionale ed ha come risultato il numero dei seggi da ottenere. Gli eventuali ulteriori
seggi non attribuiti sono ripartiti a seconda dei più alti resti. 6. c) Elezione dei senatori
Per l'elezione al Senato della Repubblica, che avviene su base regionale, fatto salvo il
numero di sei seggi assegnati alla circoscrizione estero, il territorio di ciascuna
Regione è suddiviso in collegi uninominali pari ai tre quarti dei seggi che sono ad essa
assegnati in proporzione del numero dei residenti e comunque in numero non
inferiore a sette (il Molise ne ha due, la Valle d'Aosta uno). Ciascun candidato che
intenda partecipare al riparto dei seggi in ragione proporzionale deve essere collegato
con candidati presentatisi negli altri collegi in numero non inferiore a tre e non
superiore al numero dei collegi della Regione. 86 L'assegnazione dei seggi col metodo
proporzionale avviene nel modo seguente. L'Ufficio elettorale regionale costituito
presso la Corte di Appello determina la cifra elettorale di ciascun gruppo di candidati,
sommando i voti ottenuti nei singoli collegi da ciascun candidato collegato e
sottraendo i voti ottenuti dai candidati che risultano già eletti. Tale cifra viene divisa
per uno, due, tre e così via sino al numero dei senatori da eleggere (metodo di Bondt).
7. Sistema elettorale e garanzia dell' opposizione In un sistema di governo
parlamentare come quello italiano, in cui si delineano coalizioni partitiche
contrapposte, l'adozione di un sistema elettorale prevalentemente maggioritario ha
posto il pro- blema del ruolo dell'opposizione e la necessità di organi di garanzia
indipendenti dal Governo. 8. Durata delle Camere Entrambe le Camere sono elette
per cinque anni (prima della riforma introdotta con la L. Cost. n. 3/1963 la durata della
legislatura del Senato era di sei anni) e la loro durata può essere prorogata soltanto in
caso di guerra e con legge. 9. a) Scioglimento anticipato delle Camere La Costituzione
prevede che prima della loro scadenza naturale le Camere o anche una sola di esse
possa essere sciolta anticipata mente (art. 88). Il potere di scioglimento è attribuito al
Presidente della Repubblica e non è sottoposto a nessuna altra condizione che non
sia quella di acquisire i pareri dei Presidenti delle rispettive Camere, peraltro non
vincolanti. HII comma dell' art. 88 stabilisce poi che lo scioglimento anticipato non può
essere disposto negli ultimi sei mesi del mandato presidenziale, salvo che essi
coincidano in tutto o in parte con gli ultimi sei mesi della legislatura (inciso,
quest'ultimo, introdotto dalla L. Cost. 4 novembre 1991, n. 1). È questo un potere
tipicamente presidenziale, che non è condizionato ad alcuna proposta o richiesta
formale proveniente da altri organi costituzionali o dalle forze politiche, anche se non
può escludersi che il Presidente venga indotto a procedere allo scioglimento su
richiesta delle forze politiche presenti in Parlamento o del Governo per risolvere in tal
modo crisi politiche, come il più delle volte si è verificato. La contiofirma assume
invece il ruolo di controllo esterno sulla provenienza dell' atto e sulla sua legittimità
costituzionale, per accertare che non sia violato il procedimento o il II comma dell' art.
88, e non costituisca un attentato alla Costituzione. In siffatta ipotesi essa può, anzi
dovrà essere rifiutata con ogni conseguenza sulla crisi istituzionale che verrà a
determinarsi. Deve invece escludersi un controllo sul merito della scelta presidenziale.
In caso di contrasto in ordine alla spettanza del potere ed ai limiti del controllo
governativo sarà poi la Corte Costituzionale ad intervemre su eventuale conflitto di
attribuzione . Anche se il potere di scioglimento delle Camere spetta in via esclusiva e
definitiva al Presidente, sul suo esercizio influiscono in maniera incisiva l'assetto
politico e i rapporti tra le forze (di maggioranza e di opposizione) presenti in
Parlamento. Di solito si ricorre allo scioglimento nei casi di crisi governativa
irrisolvibile, quando non si riesce 87 Le Corrirnissioni permanenti (14 per ciascuna
Camera), le cui competenze sono ripartite tra diverse materie che corrispondono
grosso modo alla ripartizione delle funzioni tra i rninisteri, si occupano deirattività di
formazione della legge e di funzioni consultive, di controllo e di indirizzo. Le
Commissioni speciali temporanee vengono istituite di volta in volta in relazione a
specifiche questioni. La Costituzione (art. 82) prevede specificamente le Commissioni
di inchiesta, attribuendo a ciascuna Camera la facoltà di istituirle su materie di
pubblico interesse. Esse svolgono la loro attività con gli stessi poteri e con gli stessi
limiti dell' autorità giudiziaria. Anche se la Costituzione prevede soltanto Commissioni
di inchiesta monocamerali le Camere possono stabilire -di procedere
congiuntamente, costituendo un'unica Commissione bicamerale, composta di un
egual numero di deputati e senatori. La decisione può essere assunta con analoghe
delibere monocamerali oppure con apposita legge. La Costituzione prevede all' art.
126, comma 1, la Commissione bicamerale per le questioni regionali. 13. Gruppi
parlamentari I Gruppi parlamentari sono associazioni di parlamentari che si
costituiscono all'interno di ciascuna Camera per consentire alle forze politiche di
svolgere le attività parlamentari. La Costituzione si limita a prevedere agli artt. 72 e 82
la presenza di gruppi parlamentari. La loro disciplina è contenuta nei Regolamenti
delle Camere, che hanno dato esplicito riconoscimento al collegamento tra gruppi
parlamentari e partiti politici. Essi prevedono che ciascun deputato o senatore deve
dichiarare, rispettivamente entro due o tre giorni dalla prima seduta successiva alla
sua elezione a quale gruppo politico intende iscriversi. In mancanza di indicazione
viene iscritto di ufficio al Gruppo misto. La natura giuridica dei gruppi parlamentari è
stata definita in vario modo. Tenuto conto del loro innegabile carattere
associazionistico, sono stati considerati, alla stessa stregua dei partiti politici,
associazioni non riconosciute, composte di parlamentari operanti all'interno del
Parlamento. In considerazione poi del rapporto con i partiti politici, di cui
costituiscono normalmente delle filiazioni, sono stati considerati organi dei partiti,
mentre in considerazione dello stretto rapporto con l'istituzione parlamentare e la
decisiva influenza sulla attività delle Camere sono stati considerati ora come organi
delle stesse, ora come enti pubblici di diritto costituzionale. Se non che è da escludere
che possano essere organi dei partiti, da un lato perché la loro organizzazione e le
loro attività sono svolte su di un piano diverso ed indipendente da quello dei partiti,
ancorché siano con essi collegati e dall' altro perché non si spiegherebbe comunque la
natura giuridica del gruppo misto. Come è anche da escludere la natura di Ente
pubblico, mancando un riconoscimento giuridico della loro personalità giuridica di
diritto pubblico. La posizione dei gruppi formata da parlamentari, i quali si
organizzano nel Parlamento per svolgere assieme l'attività politica e perseguire
finalità comuni, di per sé mal si concilia con una visione organica, secondo la quale
occorre che l'attività e il fine dell'organo si identifichino con l'attività e 90 con il fine
dell'istituzione di cui esso fa parte. La loro posizione è diversa da quello dei singoli
parlamentari, che, in quanto membri del collegio, hanno natura organica, poiché essi
vengono in rilievo non come organi diversi e distinti dai parla- mentari, ma in quanto
associazioni degli stessi. Situazione analoga a quella che si verìfica quando, per
l'esercizio di determinate attività, è richiesta la sottoscrizione di un certo numero di
parlamentari. Anche se per alcune funzioni è necessaria la manifestazione di volontà
dei gruppi come tali, ciò può stare a significare che essi assumono in tali casi la veste
di organi indiretti delle Camere (come avviene per soggetti privati che esercitano
pubbliche funzioni) ma non come organi in senso specifico. Il mancato
riconoscimento di personalità giuridica non esclude peraltro che essi abbiano una
soggettività giuridica, con rilevanza costituzionale, per le funzioni pubbliche esercitate.
Difatti la soggettività come figura giudica generale, comprensiva tanto dei soggetti
privi di personalità giuridica, quanto di quelli cui la personalità giuridica è riconosciuta
dall'ordinamento, può essere ammessa anche rispetto a quei soggetti che hanno
rilevanza politica costituzionale. 14. Organizzazione dei lavori: a) Riunioni delle
Camere e programmazione dei lavori La Costituzione prevede che le Camere si
riuniscono entro venti giorni dalla elezione nel giorno stabilito dal decreto del
Presidente della Repubblica che fissa la data di convocazione dei comizi elettorali (art.
61 e 87, III comma Cost.) e di diritto il primo giorno non fe8tivo dei mesi di febbraio e
di ottobre (art. 62 Cost). La programmazione dei lavori delle Camere (per sessioni
bimestrali o trimestrali) avviene in base alla Conferenza dei Capigruppo, sotto la
direzione del Presidente di assemblea. Viene stabilito il calendario dei lavori per le
singole sedute e l'ordine del giorno di ciascuna seduta. Il programma e il calendario
vengono approvati alla Camera dei deputati dai Presidenti dei gruppi che
rappresentino i tre quarti dei componenti della Camera e al Senato dall'unanimità dei
Presidenti dei gruppi. In mancanza essi sono predisposti alla Camera dei deputati dal
suo Presidente per un periodo corrispondente ad una settimana e al Senato dal suo
Presidente. Diventano operativi dopo la comunicazione all'Assemblea e alle
Commissioni permanenti. Il regolamento del Senato prevede la possibilità di
modifiche col voto dell' Assemblea. 15. b) Deliberazioni La Costituzione (art. 64)
prevede che le deliberazioni di ciascuna Camera e del Parlamento in seduta comune
non sono valide se non è presente la maggioranza dei componenti dell'assemblea e
se non sono adottate a maggioranza dei presenti a meno che la Costituzione non
preveda una maggioranza speciale. Il voto espresso dai parlamentari può essere
palese o segreto. La regola è il voto palese. Si fa ricorso al voto segreto per le delibere
che riguardino persone e può essere richiesto per le delibere relative a principi e
diritti sulle libertà (art. 6, da 13 a 22 e da 24 a 27 Cost), sui diritti della famiglia (art. da
29 a 31 Cost.), sui diritti della persona umana (art. 32 Cost), sulle modifiche ai
regolamenti parlamentari. Per la Camera dei deputati può altresì essere richiesto per
le leggi relative agli organi costituzionali dello Stato e agli organi delle Regioni, per le
leggi elettorali, per l'istituzione delle commissioni di inchiesta. 91 16. Funzioni delle
Camere: A) L'attività legislativa Come dispone l'art. 70 Cost. la funzione legislativa è
esercitata collettivamente dalle due Camere. La legge quindi, per venire ad esistenza,
deve essere approvata da entrambe le Camere nello stesso, identico testo. Il
procedimento di formazione della legge va distinto peraltro in diverse fasi, non tutte
esercizio di funzione legislativa. 17. a) Iniziativa legislativa La fase dell'iniziativa
legislativa prevista dall' art. 71 è una fase di impulso, diretta a promuovere il
procedimento legislativo in senso stretto. Essa si esercita mediante la presentazione
ad una delle Camere di un progetto di legge, redatto in articoli. Sono titolari del potere
di iniziativa il Governo ciascun Parlamentare, il Consiglio nazionale dell'economia e del
lavoro, il Popolo, i Consigli regionali e i Comuni. Il Popolo esercita l'iniziativa attraverso
la presentazione di un progetto sottoscritto da almeno cinquantamila elettori. La
legge 352/1970 all'art. 48 ha stabilito che le sottoscrizioni vanno au- tenticate e
devono essere accompagnate dai certificati elettorali di iscritti nelle liste per l'elezione
alla Camera dei deputati. I Consigli regionali possono presentare progetti di legge, ai
sensi dell'art. 121, II comma Cost, senza limiti di materie, anche se alcuni Statuti
regionali limitano tale potere alle materie di in- teresse regionale che non rientrano
nella competenza legislativa regionale. I Consigli comunali hanno un potere di
iniziativa legislativa limitata alle proposte per il mutamento delle circoscrizioni
provinciali e per l'istituzioni di nuove Province, ai sensi dell'art. 133 Cost. I progetti
vanno presentati alla Presidenza di ciascuna Camera che provvede alla loro diffusione
ai membri della Camera stessa. 18. b) Esame dei progetti di legge Con l'assegnazione
alle Commissioni legislative permanenti inizia la fase legislativa in senso stretto. b.a)
Procedimento ordinario Nel procedimento ordinario il progetto viene assegnato alla
Commissione competente per materia perché proceda al suo esame (il quale sarà
operato anche da parte di altre Commissioni ove esso verta su più materie). La
Commissione procede all'esame del testo, articolo per articolo, e degli eventuali
emendamenti. Può svolgere anche attività di indagine, attraverso audizioni di pubblici
funzionari, esperti, rap- presentanti di gruppi di interessi oppure richiedendo
informazioni. Al termine dell'esame prepara una relazione di maggioranza e una o più
relazioni di minoranza, con le quali si invita l'Assemblea ad approvare o respingere il
progetto. b.b) Procedimento in sede deliberante II procedimento in sede deliberante
consiste nella attribuzione alla Commissione del potere non solo di esaminare il
progetto in via preventiva, ma anche di approvarlo in via definitiva senza l'intervento
dell' Assemblea. 92 29. h) Udienze conoscitive Diversamente dalle inchieste, le
udienze conoscitive (ed. hearings) sono disposte dalle Commissioni permanenti nel
corso dell'esame di progetti di legge o indipendentemente da esso per acquisire
elementi ed informazioni da parte della pubblica amministrazione, di privati e di
esperti per l'espletamento della loro attività. Sono state introdotte in via di fatto e
successivamente sono state disciplinate dai regolamenti delle Camere. 30. i) Messa in
stato di accusa del Presidente della Repubblica La messa in stato di accusa del
Presidente della Repubblica è deliberata dal Parlamento in seduta comune su
relazione di un Comitato formato dai componenti della Giunta delle elezioni e delle
immunità parlamentari del Senato della Repubblica e dalla Giunta per le
autorizzazioni a procedere della Camera dei deputati. La delibera è adottata a
scrutinio segreto e deve contenere l'indicazione degli addebiti e delle prove su cui
l'accusa si fonda. Il Parlamento nel porre in stato d'accusa il Presidente della
Repubblica elegge, anche tra i suoi componenti, uno o più Commissari per sostenere
l'accusa, i quali esercitano le funzioni di pubblico ministero davanti alla Corte
Costituzionale (art. 13 L. Cost. 1/1953, integrato dalle disposizioni dei Regolamenti
parlamentari per i procedimenti d'accusa). 31.1) Dichiarazione dello stato di guerra Ai
sensi dell'art. 78 Costle Camere dichiarano lo stato di guerra. Non è prevista una legge
formale, per cui lo stato di guerra può essere deliberato con due distinti atti delle
Camere. Esso viene poi dichiarato con atto del Presidente della Repubblica (art. 87, LX
comma). Si tratta di un potere-dovere col quale viene esternata la volontà dello Stato
rendendo efficace sia all'interno che all'esterno la deliberazione dello stato di guerra
assunta dalle Camere ai sensi dell'art. 78 Cost. Quando viene deliberato lo stato di
guerra le Camere conferiscono altresì al Governo i poteri necessari. Anche con
riguardo a tale delibera non è previsto un atto legislativo, per cui è sufficiente
l'adozione di un atto con due distinte delibere delle Camere. 32. m) Approvazione del
bilancio e del rendiconto consuntivo. La legge finanziaria L'art. 81 Cost. dispone che le
Camere approvano ogni anno i bilanci e il rendiconto consuntivo presentati dal
Governo. L'approvazione avviene con legge (v. art. 72,1V comma), la cui iniziativa
spetta al Governo, che presenta il relativo disegno di legge entro il 30 settembre (L.
25.6.1999, n. 208). La legge 468/1978 ha peraltro previsto accanto al bilancio annuale
un bilancio pluriennale. Il bilancio preveivo è articolato in termini di competenza e di
cassa. Competenza vuol dire che sono indicate le entrate e le spese preventivate,
indipendentemente dalla circostanza che siano riscosse le une ed erogate le altre. Ai
sensi della L. 340/1997 n. 94, il bilancio è articolato per le entrate in titoli, unità
previsionali di base, categorie, capitoli, per le spese in funzioni-obiettivo, unità
previsionali di base (a loro volta distinte in base 'alla spesa corrente ed alla spesa in
conto capitale) e in capitoli. H bilancio pluriennale, che copre un periodo non inferiore
a tre anni, è articolato in termini di 95 competenza e prevede l'andamento delle
entrate e delle spese in base alla legislazione in vigore, tenendo conto degli interventi
programmati nel documento di programmazione economico-finanziaria. Il rendiconto
consuntivo è il documento contabile che riassume i risultati della gestione finanziaria
in relazione al bilancio annuale, vale a dire le entrate effettivamente riscosse e le
spese effet- tivamente sostenute, nonché il conto generale del patrimonio, il quale
registra le variazioni avvenute e la situazione patrimoniale finale. Il i - // Governo 1.
Composizione del Governo Il Governo è un organo costituzionale che dà diretta ed
immediata esecuzione alla Costituzione ed esercita il potere di governo e funzioni
amministrative, le quali, secondo la tradizionale divisione dei poteri, rientrano nel
potere esecutivo. Tra tali attività vanno annoverate quelle specificamente legislative,
che si sostanziano nell'adozione dei Decreti legislativi (art. 76 Cost.) e dei Decreti legge
(art. 77 Cost.) e quelle normative, attraverso l'adozione dei regolamenti. Le funzioni
amministrative rispondono al principio di legalità e trovano la loro fonte in atti
legislativi della Repubblica. Dal punto di vista stmtturale il Governo è un organo
complesso, ih quanto costituito fondamentalmente da tre organi, il Consiglio dei
rninistri, il Presidente del Consiglio dei ministri e i Ministri. Altri organi non previsti
dalla Costituzione, ma introdotti da leggi e da consuetudini costituzionali fanno anche
essi parte della strattura governativa, come i Sottosegretari di Stato, i Comitati
interministeriali, i Commissari del Governo, il Consiglio di Gabinetto. Ad alcuni Ministri
possono essere affidate funzioni particolari come quella di Vicepresidente del
Consiglio. 2. Formazione del Governo La forma di governo parlamentare accolta dalla
Costituzione e la disciplina sulla fiducia impongono al Presidente della Repubblica di
orientare la sua scelta su di una personalità del mondo politico che possa ottenere la
fiducia all' atto della presentazione del Governo alle Camere. A tal fine il Presidente
della Repubblica, dopo l'apertura di una crisi di governo, procede alle consultazioni,
una serie di incontri con forze politiche e rappresentanti delle istituzioni, come i
Presidenti dei gruppi parlamentari, i Segretari dei partiti rappresentati in Parlamento, i
Presidenti delle due Camere, gli ex Presidenti, e ogni altra personalità politica che egli
ritenga utile per aver un quadro completo delle posizioni delle varie forze politiche
presenti in Parlamento e degli accordi tra le stesse in vista della formazione di una
maggioranza che possa votare la fiducia al Governo. A volte, in situazioni di instabilità
politica, il Presidente ha conferito mandato esplorativo a una personalità presente in
Parlamento (come, ad esempio, uno dei Presidenti delle Camere) per otte- 96 nere
maggiori elementi di valutazione, ovvero, un pre-incarico alla persona cui ha ritenuto
di conferire l'incarico di Presidente del Consiglio. Per consuemdine il Presidente della
Repubblica non normna immediatamente il Presidente del Consiglio, ma alla persona
che intende nominare conferisce l'incarico di Presidente delegato per la formazione
del Governo, in modo da assicurargli l'opportunità di assumere intese e accordi con le
forze che lo sosterranno e di individuare i Ministri che con lui collaboreranno nella
compagine governativa. Si è discusso se il Presidente abbia o meno e, in caso
affermativo, fino a che punto la possibilità di influire sulla nomina dei Ministri.
L'opinione prevalente è nel senso che egli possa intervenire sulle scelte del Presidente
del Consiglio sicuramente quando manchino i requisiti soggettivi per accedere a
cariche pubbliche, ma anche quando esse siano in aperto contrasto col quadro
politico che emerge dalle consultazioni, compromettendo il buon esito del successivo
voto di fiducia che dovrà esprimere il Parlamento. Il Presidente della Repubblica,
anche se non deve assumere un ruolo di parte rispetto alle forze parlamentari nella
risoluzione della crisi, in quanto garante dell' assetto istituzionale in coerenza con la
finalità del suo agire diretto alla realizzazione dell'interesse superiore della Nazione,
deve invero adoperarsi nelle vari fasi del procedimento di formazione del Governo
affinché la crisi possa essere risolta con il voto di fiducia del Parlamento. Entro tali
limiti può quindi ritenersi ammissibile un suo intervento nella formazione della
compagine governativa. Dopo la nomina il Presidente del Consiglio ed i Ministri
prestano giuramento nelle mani del Presidente della Repubblica (art. 93 Cost.) ed
entrano così nell' esercizio delle loro funzioni. Il ruolo del Presidente della Repubblica
nella formazione del Governo tende ovviamente a ridursi quando vi sia una
maggioranza parlamentare sicura e in corrispondenza con una certa designazione
proveniente dalle forze politiche presenti in Parlamento (situazione questa che
costituisce la regola nel sistema parlamentare esistente nel Regno Unito), mentre
tende ad ampliarsi quando non vi siano maggioranze parlamentari sicure e quando
non sia individuabile una precisa designazione proveniente dalle forze politiche
presenti in Parlamento. In tal caso il Presidente potrebbe anche avere un ampio
potere di scelta avulso da specifiche indicazioni provenienti dal Parlamento. In
proposito va altresì sottolineato che nessuna norma della Costituzione impone al
Presidente di nominare il leader del partito di maggioranza relativa o un leader nell'
ambito di tale partito, né esiste una convenzione o consuetudine in tal senso, come
avviene nel Regno Unito. Va però altresì considerato che la posizione del Presidente
della Repubblica è rafforzata dal fatto che nell' ordinamento italiano il Governo, una
volta nominato, viene subito immesso nell' esercizio delle sue funzioni e resta ancora
in carica, nonostante un eventuale voto di sfiducia, fino all'insediamento del nuovo
Governo, non essendo stato previsto che la nomina presidenziale segua al voto
parlamentare, secondo quanto avviene in alcuni Paesi, come, ad esempio, nella
Repubblica Federale di Germania, in Spagna e in Svezia. Tuttavia occorre in ogni caso
tenere presente che sono pur sempre i partiti politici che poi decidono in via
definitiva, per cui il Presidente, anche se assume la veste di organo motore, deve
essere ca- 97
Appunti di Diritto Pubblico - Rossano,
Appunti di Diritto Pubblico
Università di Torino

Diritto Pubblico

4.5
224Recensioni


APPUNTI
DI
DIRITTO
PUBBLIC
O
1
INDICE
CAPITOLO I:
GLI ORDINAMENTI GIURIDICI
1. Diritto e pluralità degli ordinamenti
giuridici
2. Ordinamenti politici
3. Diritto pubblico e privato
4. Fatti e atti giuridici
5. Fattispecie e procedimento
6. Tempo e luogo
CAPITOLO II:
FONTI DEL DIRITTO
1. Fonti di produzione e di cognizione. La
norma giuridica
2. Gerarchia e competenza. Riserve
normative
3. Fonti scritte e non scritte
4. Legge
5. Consuetudine
CAPITOLO III:
SOGGETTI E SITUAZIONI
GIURIDICHE SOGGETTIVE
1. Soggetti di diritto
2. Autonomia
3. Rapporto giuridico
4. Organo: a) Rapporto organico
5. b) Organi interni ed esterni
6. c) Organi individuali e collegiali
7. d) Rapporti tra organi
8. Rappresentanza
9. Cose e beni
10. Interessi e situazioni giuridiche
soggettive
11. Diritti
soggettivi e interessi legittimi
12. Potere giuridico
13. Potestà
14. Facoltà
15. Situazioni giuridiche passive: a)
Dovere, obbligo, obbligazione
16. b) Onere
CAPITOLO IV:
LO STATO E LA COMUNITÀ
INTERNAZIONALE
1. Stato come ente originario e ternario
2. Popolo e cittadinanza
3. Territorio
4. Sovranità
5. Teoria dei presupposti o degli elementi
costitutivi dello Stato
6. Stato e normativismo
7. La Chiesa cattolica
2
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14. Libertà di fede religiosa


15. Libertà di manifestazione del pensiero
16. Diritti politici dei cittadini
17. Stranieri e cittadini europei
18. Partiti politici nella Costituzione
italiana
19. Doveri costituzionali
20. Diritti sociali e formazioni sociali
21. Confessioni religiose
22. Famiglia
23. Salute
24. Ambiente ed ecosistema
25. Cultura e istruzione
26. Lavoro.
27. Sindacati
28.1 rapporti economici
29. Sciopero
30. Iniziativa economica privata
31. Tutela del credito e del risparmio
32. Autorità indipendenti e di garanzia
33. Proprietà e i suoi limiti
34. Espropriazione per pubblica utilità
35. Proprietà agraria
36. Beni pubblici
37. a) Tributi
38. Nazionalizzazioni
CAPITOLO XI:
LE ISTITUZIONI COSTITUZIONALI
1. Il ruolo dei partiti politici
2. Attività di governo e indirizzo politico
3. Il Governo tra Parlamento e Presidente
della Repubblica
II - Il Parlamento
1. Composizione del Parlamento italiano
2. Elettorato attivo e passivo
3.1 sistemi elettorali per l'elezione delle
assemblee rappresentative
4. Elezione delle Camere:
a) Indizione delle elezioni
5. b) Elezione dei deputati
6. c) Elezione dei senatori
7. Sistema elettorale e garanzia dell'
opposizione
8. Durata delle Camere
9. a) Scioglimento anticipato delle Camere
10.1 parlamentari
11. Organizzazione delle Camere: a)
Prerogative
12. b) Organi delle Camere
13. Gruppi parlamentari
14. Organizzazione dei lavori: a) Riunioni
delle Camere e programmazione dei lavori
5
14. Libertà di fede religiosa
15. Libertà di manifestazione del pensiero
16. Diritti politici dei cittadini
17. Stranieri e cittadini europei
18. Partiti politici nella Costituzione
italiana
19. Doveri costituzionali
20. Diritti sociali e formazioni sociali
21. Confessioni religiose
22. Famiglia
23. Salute
24. Ambiente ed ecosistema
25. Cultura e istruzione
26. Lavoro.
27. Sindacati
28.1 rapporti economici
29. Sciopero
30. Iniziativa economica privata
31. Tutela del credito e del risparmio
32. Autorità indipendenti e di garanzia
33. Proprietà e i suoi limiti
34. Espropriazione per pubblica utilità
35. Proprietà agraria
36. Beni pubblici
37. a) Tributi
38. Nazionalizzazioni
CAPITOLO XI:
LE ISTITUZIONI COSTITUZIONALI
1. Il ruolo dei partiti politici
2. Attività di governo e indirizzo politico
3. Il Governo tra Parlamento e Presidente
della Repubblica
II - Il Parlamento
1. Composizione del Parlamento italiano
2. Elettorato attivo e passivo
3.1 sistemi elettorali per l'elezione delle
assemblee rappresentative
4. Elezione delle Camere:
a) Indizione delle elezioni
5. b) Elezione dei deputati
6. c) Elezione dei senatori
7. Sistema elettorale e garanzia dell'
opposizione
8. Durata delle Camere
9. a) Scioglimento anticipato delle Camere
10.1 parlamentari
11. Organizzazione delle Camere: a)
Prerogative
12. b) Organi delle Camere
13. Gruppi parlamentari
14. Organizzazione dei lavori: a) Riunioni
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Lingue, Scienze del turismo (Laurea Triennale)
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irisan
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