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Le vittime nascoste del lockdown: tanti

credenti perseguitati e assassinati


Stefano Vecchia sabato 22 agosto 2020
Oggi è la giornata che l’Onu dedica alla Commemorazione delle vittime di atti di violenza basati sul
credo religioso: violenze aumentate durante la pandemia

Cristiani in lacrime e in preghiera sulla tomba di un parente ucciso a Karachi in Pakistan - Ansa/Epa

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Oggi è la giornata che l’Onu dedica alla Commemorazione delle vittime di atti di violenza basati
sul credo religioso. Un evento che si tiene per il secondo anno e che si colloca in una realtà, resa
ancora più difficile dalle problematiche connesse alla pandemia di Covid-19.

L’emergenza, da un lato, accentua le discriminazioni e rende ancora più indifese le vittime.


Dall’altro, impedisce una reazione efficace a livello istituzionale, di società civile o internazionale,
insomma da parte degli attori che lo scorso anno la 75ma Assemblea generale delle Nazioni Unite
ha chiamato «a creare una piattaforma inclusiva per gli Stati membri, le organizzazioni
internazionali e la società civile per partecipare alle attività destinate a commemorare le vittime e a
sostenere i sopravvissuti».

Le discriminazioni nella distribuzione degli aiuti a cristiani, indù e Ahmadi nel musulmano
Pakistan e verso i cristiani e musulmani nell’India guidata dai nazionalisti indù, sono state più
volte denunciate. Troppo spesso, però, simili situazioni sono state silenziate dalle priorità legate alla
pandemia.

Come in Myanmar, dove negli ultimi mesi è proseguita con poche soste e ancor meno testimoni
l’offensiva verso i musulmani Rohingya e altre etnie cristiane. Altrove in Asia, le misure di
contenimento e la censura che accompagnano la lotta al coronavirus consentono alla repressione dei
fenomeni religiosi (come per i musulmani Uighuri nello Xinjiang cinese) di essere pressoché
ignorata all’esterno.

In tante aree dell’Africa e in Medio Oriente, tribalismo e discriminazione religiosa stringono


d’assedio le minoranze, sovente utilizzando situazioni di conflitto. A questo si somma una gestione
parziale degli aiuti e delle cure. Preoccupazioni richiamate dall’Onu nel messaggio che ricorda le
ragioni della Giornata odierna.

«Siamo allarmati alla persistente discriminazione e violenza fondata sulla religione o che ne sfrutta
il nome e che affligge in maniera sproporzionata donne e bambine, individui che appartengono a
minoranza religiose, etniche e razziali (...)». «Assistiamo alla forte crescita dell’odio indirizzato alle
varie comunità religiose durante la pandemia da Covid-19, inclusa una preoccupante tendenza
all’antisemitismo. Minoranze e individui che subiscono discriminazione per la loro incerta
definizione religiosa sono spesso rappresentati in modo negativo perché minerebbero la coesione
sociale».

«Siamo preoccupati – si legge ancora nel messaggio – che gli Stati possano utilizzare la religione
come strumento per delineare e rafforzare i già rigidi concetti di identità nazionale o violare i diritti
umani e minare l’uguaglianza di genere». Un allarme ripreso dall’organizzazione Open Doors, la
cui sezione italiana (Porte aperte) conferma come «comunità e minoranze religiose continuino a
soffrire a causa di violenze basate sul loro credo» e come «gli atti violenti non accennano a
diminuire. Al contrario, la pandemia e le sue conseguenze hanno solo inasprito le
vulnerabilità di cui già prima soffrivano le minoranze religiose».

È anche Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs) a segnalare, tra l’altro, il dramma delle comunità
cristiane in India, Nigeria e Repubblica Democratica del Congo. Situazioni, come pure quella del
Pakistan, in cui è forte l’impegno di Acs. «L’auspicio è che d’ora in avanti non sia solo la
celebrazione di un giorno – sottolinea Alessandro Monteduro, direttore di Acs-Italia –. Considero
positivo che si sia deciso di tenere una giornata dedicata alle vittime di persecuzione, oppressione,
terrorismo in odio alla fede. Un piccolo contributo affinché quella religiosa possa diventare una
libertà di “serie A”».

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