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Divina commedia – purgatorio

Canto III
 Parafrasi da verso 79 a verso 93
Come le pecorelle escono dall'ovile, a una, a due, a tre, e le altre stanno indietro timorose e tengono il muso e
l'occhio in basso; e ciò che fa la prima fanno anche le altre, addossandosi a lei se essa si ferma, semplici e
mansuete, e non sanno il motivo; così io vidi muoversi verso di noi la testa di quella schiera di anime
fortunate, pudiche nell'aspetto e dignitose nei movimenti. Appena quelli videro che io proiettavo un'ombra
alla mia destra, da me alla parete rocciosa, si fermarono e si tirarono un po' indietro, e tutti gli altri spiriti che
venivano dietro, pur senza sapere il motivo, fecero lo stesso.

 Parafrasi da verso 106 a verso 145


Io mi voltai verso di lui e lo guardai attentamente: era biondo, bello e di nobile aspetto, ma uno dei
sopraccigli era diviso da un colpo. Quando gli ebbi detto umilmente di non averlo mai visto, lui ribatté: «Ora
guarda»; e mi mostrò una piaga in alto sul petto. Poi sorridendo disse: «Io sono Manfredi, nipote
dell'imperatrice Costanza; allora io ti prego, quando tornerai sulla Terra, di andare dalla mia bella figlia
(Costanza), madre dei due eredi della corona di Sicilia e Aragona, e di dirle la verità su di me, se si racconta
altro sulla mia sorte ultraterrena. Dopo che io ricevetti (a Benevento) due ferite mortali, io mi rivolsi pentito
e in lacrime a Colui che perdona volentieri. I miei peccati furono orrendi, ma la bontà divina ha delle braccia
così ampie che accoglie tutti coloro che si rivolgono a lei. Se il vescovo di Cosenza, che allora fu incitato
contro di me da papa Clemente IV, avesse letto questo volto del perdono di Dio, le ossa del mio corpo
sarebbero ancora sepolte sotto il mucchio di sassi presso la testa del ponte, a Benevento. Ora invece le bagna
la pioggia e le disperde il vento fuori dal regno di Napoli, quasi lungo il fiume Liri, dove egli le fece traslare
a lume spento. Per la maledizione della Chiesa l'eterno amore divino non si perde al punto che non possa
tornare, finché c'è un po' di speranza. È pur vero che chi muore in contumacia della Santa Chiesa, anche se si
pente in punto di morte, deve stare nell'Antipurgatorio trenta volte il tempo che ha trascorso nella sua
ribellione, se questo decreto non viene abbreviato grazie a delle buone preghiere. Vedi ormai se puoi farmi
felice, rivelando alla mia buona Costanza come mi hai visto (tra le anime salve) e anche questo divieto; qui,
infatti, si traggono grandi benefici grazie alle preghiere dei vivi».

 Analisi del testo


Il Canto si divide strutturalmente in tre parti, che corrispondono al rimprovero di Virgilio a Dante (1-45),
all'incontro con le anime dei contumaci (46-102) e al colloquio col protagonista dell'episodio, Manfredi di
Svevia (103-145). Il canto III ruota interamente intorno al complesso e delicato problema della grazia e della
giustizia divina imperscrutabile. La giustizia divina è stata clemente con il gruppo di anime che i due poeti
incontrano successivamente, dopo essersi fermati di fronte alla parete scoscesa e inaccessibile del monte che
sembra invalicabile a “chi va sanz'ala”: sono le anime dei contumaci, di coloro che sono morti dopo essere
stati scomunicati dalla Chiesa e devono trascorrere un tempo lunghissimo nell'Antipurgatorio prima di poter
accedere alle Cornici (fra loro Dante incontrerà Manfredi). L'episodio è come un intermezzo narrativo posto
tra la parte iniziale, molto sostenuta stilisticamente, e il successivo colloquio col re di Sicilia, caratterizzato
dall'estrema lentezza con cui si muovono le anime e dalla similitudine delle pecorelle che escono dal recinto
una dietro l'altra, senza sapere dove vanno e perché. È stato osservato che questo paragone non è casuale, sia
perché la pecora è animale simbolo di mansuetudine ed è spesso citato nei Vangeli come immagine del buon
fedele cristiano, sia soprattutto perché l'attitudine di queste anime (il fatto di muoversi senza opporre
resistenza, senza sapere dove vanno) è la traduzione visiva del discorso fatto prima da Virgilio, del dovere
del cristiano di accontentarsi del quia lasciandosi guidare dai ministri della Chiesa verso la salvezza, senza
avere la pretesa intellettuale di veder tutto. Il paragone acquista ancor più significato se si pensa che queste
sono appunto le anime degli scomunicati, che per motivi giusti o sbagliati si sono ribellati all'autorità della
Chiesa e non hanno certo dimostrato mansuetudine quand'erano in vita.
Tra loro c'è anche Manfredi e il suo personaggio consente a Dante di fare un importante discorso intorno alla
salvezza e alla giustizia divina, che opera una sintesi tra la prima e la seconda parte del Canto. Da un lato,
infatti, il re svevo è il cattivo cristiano che si è mostrato riottoso all'autorità ecclesiastica e che per motivi
politici si è attirato la punizione della Chiesa , ma al tempo stesso è salvo in Purgatorio e rappresenta dunque
un esempio clamoroso e inatteso di come la grazia divina possa beneficare anche un personaggio che con la
sua fama è stato posto fuori dalla comunità del fedeli. Manfredi rappresenta un vero e proprio «scandalo»,
ben più di Catone in quanto il sovrano era un protagonista della storia recente dell'Italia di Dante: morto
violentemente a Benevento, scomunicato dalla Chiesa come ribelle all'autorità papale, colpito dalla durissima
pubblicistica guelfa che lo dipingeva come una specie di Anticristo, tutto lasciava presupporre che fosse
dannato all'Inferno, mentre il suo sincero pentimento in punto di morte gli ha guadagnato la salvezza e lo
colloca tra le anime del Purgatorio. Dante vuole affermare che la giustizia divina si muove secondo criteri
che non sono sempre evidenti al mondo e che il destino ultraterreno degli uomini dipende non solo dalle loro
azioni terrene, ma soprattutto dalla sincerità del loro pentimento che solo Dio può leggere nel profondo del
cuore. La polemica di Dante è quindi rivolta contro le istituzioni ecclesiastiche corrotte, che si arrogano il
diritto di stabilire in modo irrevocabile il destino ultraterreno dei loro nemici, mentre solo Dio può sapere
con certezza se uno, dopo la morte, sia salvo o dannato: le parole di Manfredi sono rivolte soprattutto alla
figlia Costanza, che sapendo della sua salvezza può pregare per lui e accorciare il periodo di attesa
nell'Antipurgatorio. Lo «scandalo» di Manfredi riafferma dunque il discorso di Virgilio in apertura di Canto,
ovvero il fatto che l'uomo non può sapere tutto e che c'è un limite alla ragione umana, per cui la giustizia
divina non è sempre spiegabile razionalmente o alla luce soltanto delle azioni pubbliche di un personaggio:
occorre l'umiltà, anche da parte di papi e vescovi, di rimettersi al giudizio divino, come ha fatto Manfredi che
non ha parole astiose nei confronti di chi ha disseppellito i suoi resti e li ha dispersi come si usava fare con
gli scomunicati.

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