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Canto 22 esimo. Purgatorio.

Ci troviamo nella V e VI cornice e gli spiriti espianti sono: Avari , prodighi e golosi

Gli Avari e prodighi: sono distesi per terra con mani e piedi legati.

I Golosi invece soffrono fame e sete, ma non possono toccare i frutti degli alberi né bere.

Contrappasso Avari e prodighi: in vita non levarono mai lo sguardo dai beni terreni e ora, sono costretti a
guardare a terra; furono legati ai beni terreni e hanno ora mani e piedi legati.

Golosi: in vita furono dediti al vizio della gola, e ora, per contrasto, sono magrissimi, non potendo toccare il
cibo che pure desiderano fortemente

Dante incontra Insieme a Stazio, l’Angelo della Giustizia

SALITA ALLA SESTA CORNICE Dopo che l’angelo della giustizia, custode della quinta cornice, gli ha cancellato
un altro segno P dalla fronte Dante procede nella salita più agevolmente, seguendo senza fatica le
anime di Virgilio e di Stazio e ascoltando il loro colloquio.

IL PECCATO DI STAZIO versi 1-54


Virgilio si rivolge a Stazio ricambiandogli la stima che questi aveva per lui, della quale era venuto a
conoscenza dal poeta Giovenale*, nel Limbo*. Virgilio con spirito d'amicizia rivolge quindi a Stazio
una domanda: come mai nel suo animo pieno di saggezza ha potuto trovare posto l'avarizia? Stazio
chiarisce di trovarsi nella quinta cornice non per l’avarizia, bensì per la prodigalità, (ovvero aver
dissipato i beni materiali) da cui egli riuscì a risollevarsi in tempo proprio grazie alla lettura di un
passo dell’Eneide. Si è reso conto che anche la prodigalità eccessiva è un vizio e, pentendosi, ha
evitato la pena eterna. Stazio precisa, infine, che colpe tra loro opposte, come avarizia e prodigalità,
sono espiate insieme: ecco la ragione per cui egli si trovava insieme agli avari.
LA CONVERSIONE DI STAZIO AL CRISTIANESIMO vv. 55-93.
Virgilio gli chiede che cosa lo abbia indirizzato alla vera fede e Stazio risponde che il merito spetta ancora a
lui: fu infatti grazie alla lettura della quarta Ecloga di Virgilio che egli cominciò ad avvicinarsi al
Cristianesimo. Per Stazio Virgilio lo ha guidato prima verso la poesia, poi lo ha illuminato verso la
conversione: è stato per lui come un viandante che di notte porta la lanterna non davanti a sé ma
dietro, aprendo a chi lo segue la strada giusta. Stazio iniziò a frequentare i gruppi dei cristiani e quando
i cristiani furono perseguitati da Domiziano, Stazio li compianse e finché visse li aiutò e ne ammirò la
rettitudine. Fu battezzato ma per paura tenne nascosta la conversione e per timore delle persecuzioni,
egli continuò a dichiararsi pagano, motivo per cui fu costretto a scontare quattrocento anni nella cornice
degli accidiosi.

VIRGILIO PARLA DEL LIMBO vv. 94-114. Stazio apprende da Virgilio che nel Limbo dell’Inferno risiedono i
grandi scrittori greci e latini del mondo antico, insieme a molti dei personaggi cantati da Stazio nelle sue
opere e insieme spesso parlano di poesia.

LA SESTA CORNICE. L’ALBERO DALLA FORMA STRANA vv. 145-154. I tre poeti passano alla sesta cornice,
riservata ai golosi. I poeti proseguono il cammino guardandosi intorno; è la quinta ora del giorno (perciò
mattina inoltrata). Dante ascolta il colloquio dei due poeti dai quali trae ammaestramento. Ma il
colloquio viene presto interrotto perché arrivano nei pressi di un albero dalla strana forma di cono
rovesciato, carico di frutti profumati ma irraggiungibili e dalla roccia esce un'acqua chiara che irrora
l'albero da sotto in su. Virgilio e Stazio si accostano e odono tra le fronde una voce che grida: "Non
mangerete questi frutti" (richiamando il divieto di Dio ad Adamo). Poi la stessa voce espone cinque
esempi di sobrietà nel cibo; li invita ad imitare la generosità della Madonna durante le nozze di Cana (la
Madonna si preoccupava degli invitati e sposi, non a cibarsi) , li invita a seguire l'astensione delle
antiche romane dal vino, a seguire l’esempio di Giovanni Battista che nel deserto si era cibato di miele
e cavallette e del profeta Daniele che si è rifiutato di mangiare alla tavola di re Nabucodonosor, e gli
ricorda l'età dell'oro nella quale erano cibo saporito le ghiande e nettare le acque dei ruscelli.

.Già era l'angel dietro a noi rimaso,


l'angel che n'avea vòlti al sesto giro,
avendomi dal viso un colpo raso;                3

e quei c'hanno a giustizia lor disiro


detto n'avea beati, e le sue voci
con 'sitiunt', sanz'altro, ciò forniro.                6
E io più lieve che per l'altre foci
m'andava, sì che sanz'alcun labore
seguiva in sù li spiriti veloci;                9

Ci eravamo oramai già lasciati alle nostre spalle l’Angelo,


l’Angelo che ci aveva indirizzati verso la sesta cornice del Purgatorio,
dopo avermi cancellato dalla fronte uno dei segni, delle P incise;
e di quelli che desiderano la giustizia
aveva elogiato la beatitudine, ed il suo discorso
con la parola “sitiunt”, senza aggiungere altro, era terminato.
Ed io, più leggero di quanto ero mai stato prima negli altri passaggi,
proseguivo nella salita, tanto che senza alcuna grossa fatica
seguivo verso l’alto i due spiriti, Virgilio e Stazio, più veloci di me;

quando Virgilio incominciò: «Amore,


acceso di virtù, sempre altro accese,
pur che la fiamma sua paresse fore;                12
onde da l'ora che tra noi discese
nel limbo de lo 'nferno Giovenale,
che la tua affezion mi fé palese,                15
mia benvoglienza inverso te fu quale
più strinse mai di non vista persona,
sì ch'or mi parran corte queste scale.                18
quando Virgilio cominciò a dire: “L’Amore,
acceso dalla virtù, dal bene, ha sempre poi acceso altri fuochi d’amore,
a condizione però che la sua fiamma originaria venisse in questi manifestata; 12
pertanto, dal momento in cui discese tra di noi
nel Limbo dell’Inferno il poeta Giovenale,
che mi manifestò apertamente la sua devozione nei miei confronti,
la mia benevolenza nei tuoi confronti raggiunse una intensità tale
da non essere stata mai provata prima per una persona mai incontrata,
così che adesso queste scale che stiamo salendo mi sembrano troppo corte . 18

Ma dimmi, e come amico mi perdona


se troppa sicurtà m'allarga il freno,
e come amico omai meco ragiona:                21
come poté trovar dentro al tuo seno
loco avarizia, tra cotanto senno
di quanto per tua cura fosti pieno?».                24

Ma dimmi, e da amico perdonami


se uso troppa confidenza, se non mantengo il giusto distacco,
e oramai da amico dialoga anche con me:
come ha potuto trovare spazio nella tua anima
l’avidità, tra tutta quella saggezza
della quale sei sempre stato ricco per tuo merito?”
Queste parole Stazio mover fenno
un poco a riso pria; poscia rispuose:
«Ogne tuo dir d'amor m'è caro cenno.                27
Veramente più volte appaion cose
che danno a dubitar falsa matera
per le vere ragion che son nascose.                30

Queste parole di Virgilio spinsero Stanzio


a sorridere un poco prima di rispondere; subito dopo disse:
“Ogni tua parola è per me un chiaro segno del tuo amore.
È allora proprio vero che molte volte ci appaiono cose
che danno un cattivo motivo di dubitare
perché le ragioni vere rimango invece nascoste alle nostre menti.

La tua dimanda tuo creder m'avvera


esser ch'i' fossi avaro in l'altra vita,
forse per quella cerchia dov'io era.                33
Or sappi ch'avarizia fu partita
troppo da me, e questa dismisura
migliaia di lunari hanno punita.                36

La tua domanda rende evidente che tu credi


che io sono stato avido nella vita terrena, da vivo,
lo credi forse per la cornice dove mi trovavo.
Sappi ora che il vizio dell’avarizia è invece sempre stato
troppo lontano da me, ed è stata anzi questa eccessiva lontananza
ad essere punita per migliaia di mesi in quella cornice.

E se non fosse ch'io drizzai mia cura,


quand'io intesi là dove tu chiame,
crucciato quasi a l'umana natura:                39
'Per che non reggi tu, o sacra fame
de l'oro, l'appetito de' mortali?',
voltando sentirei le giostre grame.                42
E se non avessi corretto questa mia predisposizione, nel momento
in cui compresi finalmente un passo della tua opera, l’Eneide, dove gridi
quasi arrabbiato contro la natura umana:
“A che cosa non sai spingere tu, detestabile ardente desiderio
di ricchezza, la voglia degli uomini?”, (se non mi fossi corretto)
adesso proverei nell’Inferno il crudele gioco tra avari e prodighi.

Allor m'accorsi che troppo aprir l'ali


potean le mani a spendere, e pente'mi
così di quel come de li altri mali.                45
In quel momento mi accorsi che troppo si potevano aprire
le mie mani nello spendere, e mi pentii
di quello come di tutti gli altri miei peccati
Quanti risurgeran coi crini scemi
per ignoranza, che di questa pecca
toglie 'l penter vivendo e ne li stremi!                48
Quanti (prodighi) risorgeranno con i loro capelli tagliati
per l’ignoranza di non avere compreso il loro peccato, ignoranza che
gli ha tolto la possibilità di pentirsi sia in vita che sul punto di morte.
E sappie che la colpa che rimbecca
per dritta opposizione alcun peccato,
con esso insieme qui suo verde secca;                51
E sappi anche che la colpa che è
diametralmente opposta ad un certo peccato,
viene qui espiata insieme con esso (avidi e prodighi vengono puniti insieme);
però, s'io son tra quella gente stato
che piange l'avarizia, per purgarmi,
per lo contrario suo m'è incontrato».                54
pertanto, se io mi sono trovato nella cornice dove stanno le anime (avare)
che piangono per il loro essere stati avidi in vita, per purificarmi,
il motivo è che ho commesso un peccato contrario (prodigo) al loro.”

«Or quando tu cantasti le crude armi


de la doppia trestizia di Giocasta»,
disse 'l cantor de' buccolici carmi,                57
“Ora, quanto tu hai cantato la crudele guerra che arrecò
una doppia tristezza a Giocasta (entrambi i suoi figli morirono)
“, disse Virgilio, il cantore dei componimenti poetici bucolici,
«per quello che Cliò teco lì tasta,
non par che ti facesse ancor fedele
la fede, sanza qual ben far non basta.                60
“almeno, da ciò che si legge nel tuo poema, da ciò che la musa Clio tratta,
non sembra che fosse ancora riuscita e renderti un vero cristiano
la fede, senza la quale non è sufficiente il solo comportarsi bene.
Figure retoriche: Riferimento alla mitologia Tebe città della sfinge, Edipo quando va a Tebe si
innamora di Giocasta che era sua madre e da lei ebbe 2 figli.
Doppia tristezza metafora. Giocasta riferimento mitologico e letterario. Il cantore perifrasi per
Virgilio, tenco latinismo, Clio riferimento mitologico.

Se così è, qual sole o quai candele


ti stenebraron sì, che tu drizzasti
poscia di retro al pescator le vele?».                63

E se è come dico, quale luce, generata dal sole e da candele,


ti ha sottratto alle tenebre tanto da farti subito issare
le tue vele per stare dietro al pescatore (di uomini) Pietro?” (seguisti la chiesa)
Ed elli a lui: «Tu prima m'inviasti
verso Parnaso a ber ne le sue grotte,
e prima appresso Dio m'alluminasti.                66
Facesti come quei che va di notte,
che porta il lume dietro e sé non giova,
ma dopo sé fa le persone dotte,                69
quando dicesti: 'Secol si rinova;
torna giustizia e primo tempo umano,
e progenie scende da ciel nova'.                72
E Stazio gli rispose: “Tu per primo mi ha avviato alla poesia, mi hai
avviato al monte Parnasio (sede delle Muse) per bere l’acqua che sgorga
nelle sue grotte, e per primo, dopo Dio, mi hai anche tolto da quelle tenebre.
Sole e candele metonimie, ti stemperarano, sole e candele personificazione, pescatore
antonomasia, poscia latinismo. Ed elli a lui elletica (manca il verbo), bere metafora, mi
illuministasti verso Dio-> metafora.
Ti sei comportato come chi cammina di notte tenendo una lanterna
alle sue spalle, così da non poterne trarre vantaggio personalmente ma da
essere d’aiuto alle persone che lo seguono, facendogli conoscere la strada,
quando ha detto: “Il secolo si rinnova;
ritorna la giustizia e la prima età dell’uomo,
ed una nuova generazione scende dal cielo”.
Figure retoriche-> Lume metonimia, fa le persone dotte metafora, torna
personificazione ,primo tempo umano metonimia, scende dal cielo riferimento teologico,
progenue nuova metafora

Per te poeta fui, per te cristiano:


ma perché veggi mei ciò ch'io disegno,
a colorare stenderò la mano:                75
Grazie a te divenni poeta, grazie a te divenni anche cristiano:
ma perché tu riesca meglio a comprendere ciò che voglio dire,
inizierò a raccontarti più nei dettagli la mia storia.
Già era 'l mondo tutto quanto pregno
de la vera credenza, seminata
per li messaggi de l'etterno regno;                78
Tutto il mondo era già a quel tempo pervaso
dalla vera fede, dal cristianesimo, diffusa
dagli Apostoli, i messaggeri del regno eterno, di Dio;
e la parola tua sopra toccata
si consonava a' nuovi predicanti;
ond'io a visitarli presi usata.                81
e le tue parole che ho poco fa citato
erano in armonia con quelle dei nuovi predicatori;
così che io iniziai a prendere l’abitudine di frequentarli.

Figure retoriche. Veggio latinismo, mei parola sincopata, stenderò la mano metafora e
perifrasi, seminata metafora, eterno regno metonimia, la tua parola metonimia toccata
metafora, la parola si consonava personificazione,
Vennermi poi parendo tanto santi,
che, quando Domizian li perseguette,
sanza mio lagrimar non fur lor pianti;                84
e mentre che di là per me si stette,
io li sovvenni, e i lor dritti costumi
fer dispregiare a me tutte altre sette.                87
Inziarono anche a sembrarmi santi a tal punto
che, quando Domiziano li perseguitò,
i loro pianti furono accompagnati anche dalle mie lacrime;
e fino all’ultimo giorno che trascorsi di là nel mondo terreno,
io li aiutati, ed il loro modo onesto di comportarsi
mi fece infine anche disprezzare qualunque altra setta religiosa.
E pria ch'io conducessi i Greci a' fiumi
di Tebe poetando, ebb'io battesmo;
ma per paura chiuso cristian fu'mi,                90
lungamente mostrando paganesmo;
e questa tepidezza il quarto cerchio
cerchiar mi fé più che 'l quarto centesmo.                93

E prima ancora di avere condotto l’esercito greco fino ai fiumi


di Tebe nella mia poesia, ricevetti il battesimo;
ma per paura delle persecuzioni tenni nascosta la mia fede cristiana,
e per lungo tempo feci credere di essere un pagano;
ed è a causa di questo mio tiepido amore che la quarta cornice
ho dovuto percorre in cerchio per più di quattro secoli.

Tu dunque, che levato hai il coperchio


che m'ascondeva quanto bene io dico,
mentre che del salire avem soverchio,                96
dimmi dov'è Terrenzio nostro antico,
Cecilio e Plauto e Varro, se lo sai:
dimmi se son dannati, e in qual vico».                99

E ora tu, che hai sollevato il coperchio


che mi nascondeva alla vista tutto quel bene di cui parlo,
fintanto che abbiamo ancora la salita da percorrere,
dimmi dove si trova il nostro antico collega Terenzio,
ed anche Cecilio e Plauto e Varrone, se lo sai:
dimmi se sono dannati, e, se lo sono, in quale regione dell’Inferno.”

«Costoro e Persio e io e altri assai»,


rispuose il duca mio, «siam con quel Greco
che le Muse lattar più ch'altri mai,                102
nel primo cinghio del carcere cieco:
spesse fiate ragioniam del monte
che sempre ha le nutrice nostre seco.                105
Euripide v'è nosco e Antifonte,
Simonide, Agatone e altri piùe
Greci che già di lauro ornar la fronte.                108

“Quelli che hai nominato insieme anche a Perseo, a me ed a molti altri”,


rispose la mia guida Virgilio, “si trovano in compagnia di quel poeta greco
che le Muse hanno allattato, hanno nutrito più di qualunque altro,
nel primo cerchio di quel carcere buio che è l’Inferno;
spesso discutiamo di quel monte, il monte Parnaso,
che da sempre ospita le nostre ispiratrici, le Muse.
Euripite si trova in mezzo a noi, così come Antifonte,
Simonide, Agatone e molti altri
poeti greci che in vita si sono potuti ornare la fronte con l’alloro.

Quivi si veggion de le genti tue


Antigone, Deifile e Argia,
e Ismene sì trista come fue.                111
Védeisi quella che mostrò Langia;
èvvi la figlia di Tiresia, e Teti
e con le suore sue Deidamia».                114
In quel cerchio si possono anche vedere i protagonisti dei tuoi canti,
Antigone, Deifile e Argia,
ed anche Ismene, tanto triste come lo è stato in vita.
Si può vedere Isifile, colei che mostrò ai greci la fonte Langia;
c’è lì anche Manto, la figlia di Tiresia, e Teti,
e Deidamia con le sue sorelle.”

Tacevansi ambedue già li poeti,


di novo attenti a riguardar dintorno,
liberi da saliri e da pareti;                117
e già le quattro ancelle eran del giorno
rimase a dietro, e la quinta era al temo,
drizzando pur in sù l'ardente corno,                120
quando il mio duca: «Io credo ch'a lo stremo
le destre spalle volger ne convegna,
girando il monte come far solemo».                123

Tacevano oramai entrambi i poeti,


di nuovo attenti a guardarsi tutt’intorno nella nuova cornice,
non più impegnati da gradini e stretti tra pareti di roccia;
e già le prime quattro ancelle del giorno, le prime quattro ore del giorno
erano passate, e la quinta si trovava ora al timone del carro,
indirizzando sempre verso l’alto la sua punta incandescente,
quando la mia guida: “Io credo che verso il lato esterno della cornice
ci conviene rivolgere e mantenere le nostre spalle destre,
così da girare intorno al monte come abbiamo fatto fino ad adesso.”

Così l'usanza fu lì nostra insegna,


e prendemmo la via con men sospetto
per l'assentir di quell'anima degna.                126
Così in quella cornice la nostra abitudine ci diede l’indicazione,
e proseguimmo nel nostro cammino con minore timore,
rassicurati dal consenso di quell’anima beata, di Stazio.
Elli givan dinanzi, e io soletto
di retro, e ascoltava i lor sermoni,
ch'a poetar mi davano intelletto.                129
Ma tosto ruppe le dolci ragioni
un alber che trovammo in mezza strada,
con pomi a odorar soavi e buoni;                132
e come abete in alto si digrada
di ramo in ramo, così quello in giuso,
cred'io, perché persona sù non vada.                135

Stazio e Virgilio procedevano entrambi davanti a me, ed io tutto solo


dietro a loro, ed ascoltavo così i loro discorsi,
che mi offrivano insegnamenti sull’arte della poesia.
Ma improvvisamente i loro piacevoli discorsi furono interrotti
da un albero che si trovava proprio in mezzo alla strada,
ricco di frutti dal profumo gradevole ed appetitoso;
e così come un abete ha rami che diventano più corti procedendo
dal basso verso l’alto, così quello, al contrario, dall’alto verso il basso,
credo, con lo scopo di impedire alle persone di arrampicarsi.

Dal lato onde 'l cammin nostro era chiuso,


cadea de l'alta roccia un liquor chiaro
e si spandeva per le foglie suso.                138
Li due poeti a l'alber s'appressaro;

Dal lato dove il nostro cammino era chiuso dalla parete del monte,
scendeva dall’alto della roccia un liquido chiaro
e si spandeva su per le foglie dell’albero.

Li due poeti a l’alber s’appressaro;


e una voce per entro le fronde
gridò: «Di questo cibo avrete caro». 141
I due poeti si avvicinarono all’albero;
ed una voce da dentro ai rami
gridò loro: “Di questo cibo voi avrete la mancanza”.

Poi disse: «Più pensava Maria onde


fosser le nozze orrevoli e intere,
ch’a la sua bocca, ch’or per voi risponde. 144

Poi disse: “Maria si preoccupava di più


che le nozze fossero decorose e complete di tutto,
che al cibo per lei, alla sua bocca, che ora intercede per voi.

E le Romane antiche, per lor bere,


contente furon d’acqua; e Danïello
dispregiò cibo e acquistò savere. 147

E le antiche donne di Roma, per poter bere,


si accontentavano dell’acqua; e Daniele
disprezzò il cibo e guadagnò in conoscenza.

Lo secol primo, quant’ oro fu bello,


fé savorose con fame le ghiande,
e nettare con sete ogne ruscello. 150

La prima età dell’uomo fu bella quanto l’oro,


con la fame rese saporite le ghiande,
con la sete fece sembrare nettare l’acqua di qualunque ruscello.

Mele e locuste furon le vivande


che nodriro il Batista nel diserto;
per ch’elli è glorïoso e tanto grande

quanto per lo Vangelio v’è aperto». 154

Miele e cavallette furono gli alimenti


che nutrirono nel deserto Giovanni Battista;
per questo suo essere semplice egli è tanto glorioso e grande

quanto vi viene mostrato nel Vangelo.” FINE.

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